We are miracles and we're not alone

di aleinad93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Never ***
Capitolo 2: *** No one cares about me... at least I thought ***
Capitolo 3: *** Meeting Rafael Santiago ***
Capitolo 4: *** Proposal part 1 ***
Capitolo 5: *** First mark ***
Capitolo 6: *** Proposal part 2 ***
Capitolo 7: *** Proposal part 3 ***
Capitolo 8: *** A un anno di noi ***
Capitolo 9: *** Nuvole e cliché ***
Capitolo 10: *** Insonnia ***
Capitolo 11: *** Segreti ***
Capitolo 12: *** Futuro ***
Capitolo 13: *** Labbra ***
Capitolo 14: *** Ago e filo ***



Capitolo 1
*** Never ***


We are miracles and we’re not alone
 
Questa è una raccolta, mi preme ridirlo, perché saranno tante OS che probabilmente vi faranno irritare quando non avranno un opportuno finale, come fanno irritare me quando le scrivo e la mia prima lettrice quando le legge. Cosa ancora più importante, consiglio a chi non ha letto Tales from the Shadowhunter Academy (specialmente Born to endless night) e Lady Midnight, di pensare bene se leggere o meno. Sì, non si parla dei Malec della serie tv o dei Malec in The Mortal Instruments.
Il titolo mi è venuto in mente sentendo e risentendo (e risentendo) la canzone dei Switchfoot This is home, contenuta nella soundtrack di Narnia: Il Principe Caspian e mi è sembrata pertinente.
Non voglio appropriarmi dei Malec, anche se li amo immensamente, come amo immensamente gli altri due personaggi che sono ancora un po’ un mistero che io ho voluto scoprire. L’autrice è l’unica che ci fa divertire e sa spezzarsi il cuore in mille pezzettini, ovvero Cassandra Clare.
Detto ciò, vi lascio finalmente leggere in pace. 

 
Never


Grazie a te, che mi hai insegnato ad amarlo

 
Magnus era mezzo sdraiato sul bancone di un locale e teneva davanti a sé una bottiglia di vino quasi vuota. Non si ricordava nemmeno cosa avesse preso di preciso, gli importava solo che riempisse quel vuoto che sentiva e cancellasse la confusione lasciata dalle “amorevoli” visioni paterne.

Era uscito di casa quella sera vestito in modo impeccabile: camicia nera di seta, pantaloni bianchi, che non si ricordava nemmeno di avere nell’armadio, e un foulard porpora. Aveva anche un cappello che doveva essere sparito siccome sulla testa non c’era più. Le mani toccarono i capelli pieni di gel e si riempirono di glitter.

«Si può sapere che stai facendo?» chiese una voce di fianco al suo orecchio. Era una voce famigliare come era famigliare il corpo da cui era giunta.

«Catarina Loss, la mia più cara amica.»

«Magnus Bane, il mio amico coglione!» esclamò lei contrariata. «Pensi di poter vivere tutta la vita in questo modo?»

Magnus si chiese cosa le importasse. La vita era sua, mica di altri. «Sono un single felice. Non vedi?» Alzò la bottiglia e bevve anche l’ultimo sorso. «Musica, feste, alcol. In realtà stasera non sono proprio completamente soddisfatto: non ho trovato neanche un uomo o una donna che facessero per me, o si facessero me.»

Catarina si sedette nello sgabello vicino al suo e gli mise una mano sulla spalla. «Ripeto: pensi di vivere davvero così? Magnus, sei un folle, sei il re delle feste, metà del tuo tempo pensi ai glitter…»

«I glitter sono fantastici!» sbottò lo stregone, alzando la bottiglia come per un brindisi immaginario.

Catarina gli lanciò un’occhiataccia. «Ma tu in fondo non sei solo questo. Tu non sei solo un irresponsabile. Non sei solo il libertino che si diverte e folleggia tutta la notte. Mi sto preoccupando. Avresti bisogno di qualcuno…»

«Ogni notte ho qualcuno.»

Catarina alzò gli occhi al cielo e capì che era una causa persa in partenza.
Magnus guardò la sua amica e le posò una mano sulla spalla, o almeno pensò di farlo, perché in realtà per tre volte toccò l’aria e poi lasciò ricadere la sua mano sulla gamba. «Catarina, semplicemente sono così. Vivo alla grande tutti i giorni e non mi potrei mai sentire meglio di come sto ora. Niente doveri, un loft da sballo, tanto lavoro e baldoria tutte le sere. Non ho una relazione stabile, ma a che serve? A che serve?»

Catarina ammise che non lo sapeva. Aveva avuto un’unica vera relazione, ma non si era mai voluta legare davvero. Aveva lasciato quel povero ragazzo ad aspettare una data di un matrimonio che non era mai avvenuto. «Siamo diversi Magnus. Mi sono innamorata solo una volta, per il resto erano storielle estive. Ma tu non sei me. Tu cerchi qualcosa, lo cerchi da una vita e quando sei disperato, lo cerchi ancora più intensamente. Nomini sempre quel posto che ti dona tranquillità, perché è quello che vorresti alla fine di tutta questa baldoria, di questo sesso senza amore…»

«Catarina, sto bene così.»

«Davvero?» chiese scettica la stregona, togliendo dalle mani di Magnus la bottiglia vuota e consegnandola al cameriere che passava.
«Nessuno vorrà mai costruire con me un futuro. Non è mai successo e mai succederà.»

«”Mai” non esiste per gli immortali.»

Magnus sbuffò. «Non usare le mie frasi, Catarina.»

Si alzò e rischiò di cadere, ma riuscì ad aggrapparsi al bancone. «Non sono disposto ad accudire neanche una pianta, figurati se mi metto a coltivare un amore o a interessarmi sul serio ad una persona.»

«Di nuovo quel “mai.”» Sospirò Catarina, alzandosi e dando un braccio a Magnus, che non si staccava dal balcone. «E ti ricordo che di me ogni tanto ti prendi cura e hai persino salvato quella specie di topo che tu chiami Presidente Miao. Per non parlare di Raphael Santiago.»

Magnus guardò l’amica sconvolto e non provò a replicare, mentre la musica aumentava, aumentava. Non si era accorto che nel locale ci fosse tanta confusione e il volume sembrava sempre più un vagito di un bambino. Non un bimbo a caso, ma il suo bambino.
Come poteva pensare una cosa del genere, lui non aveva figli. Probabilmente il suo subconscio gli stava facendo rivivere momenti con quella piccola pel di carota, che sua madre portava, perché gli cancellasse la memoria. Aveva strillato fino a sgolarsi quando The Great Catsby l’aveva graffiata e il pianto sembrava pressoché simile.

Però focalizzò la piccola pel di carota che ballava nel locale con un biondo e non era piccola. Indossava una minigonna che una madre non avrebbe mai fatto indossare a sua figlia.

«Ma davvero Magnus?» chiese Catarina, guardandolo scettica e prendendolo a braccetto. «Davvero non hai un bambino?»

Magnus non seppe cosa rispondere e la musica aumentò. Nello stomaco sentiva uno strano senso di colpa, che cresceva a ogni strillo, doveva svegliarsi e fermare quella tortura.

E si svegliò di colpo e completamente. Un esserino si muoveva su di lui e metteva in vista l’ugola dal tanto che strillava. Un’ombra più grande stava sopra di loro e mormorava: «Shhh, Max, così sveglierai il papà… no, l’hai già svegliato.»

Il sorriso e gli occhi azzurri di Alexander illuminarono tutto il campo visivo di Magnus, che rimase imbambolato. Un nuovo urlo tipo banshee riempì completamente le sue orecchie.
La sua maglietta si stava inumidendo di lacrime e bava di bambino, ma non gli importava.  

«Non si dovrebbe dire “mai”.»

«Eh? Magnus, cosa hai detto?» chiese Alec, chinandosi ancora di più e prendendo Max. «Sembri stordito, probabilmente dormire sul divano non ti ha fatto riposare bene. Riposa, mi occupo io di nostro figlio.»

Alec si spostò velocemente e parlottava con dolcezza al frugoletto blu, mentre lo cullava con professionalità. Sembrava essere nato per essere padre.
Gli occhi di Magnus più che altro registrarono che stava indossando solo dei rattoppati pantaloni del pigiama.
Era una vista niente male.

«Ho un compagno. Sono padre. Il mio loft sembra il regno dei pannoloni e dei biberon e dei pupazzi.» Elencò Magnus, chiudendo gli occhi. L’immagine del posteriore di Alexander cercava di distrarlo dal sogno che aveva appena fatto, ma non si lasciò tentare del tutto. «I miei vestiti puzzano di latte in polvere e in questo momento dovrei alzarmi e cambiarmi. Non dovevo dire “mai”.»

Sorrise e come un flash si trovò tra le vie lastricate della città di Moquegua.

Avrebbe tanto voluto portarci Alec e Max e se non fosse stato bandito dal Perù, l’avrebbe già fatto.

L’aveva visitata un’unica volta e aveva deciso che non faceva per lui, perché era tranquillo fino all’inverosimile. Lui aveva bisogno di movimento, di non congelarsi, di non smettere di provare sensazioni, ma alla fine anche quella vita piena si era rivelata un’illusione. A un certo punto, rifletté Magnus, se Alec non fosse entrato dalla porta del suo loft con la sua tuta logora, la sua timidezza così rara nei Nephilim, la sua compassione e la sua comprensione, si sarebbe comunque congelato, anche se viveva sempre al massimo tra avventure e feste.

Con Alec e ora con Max aveva capito che la tranquillità era comunque movimento, ma qualcosa di diverso da quello che aveva sempre perseguito lui. Era una vita con punti fissi, vissuta nella sua interezza, e non un miscuglio di vite vissute alla grande che però lo lasciavano sempre un po’ inappagato e lo spingevano a cercare altre esperienze, con la speranza che ci fosse una vita migliore. 

I bambini che giocavano con la palla tra le vie di Moquegua assumevano un diverso significato ora. Erano movimento nella tranquillità e vita in un momento eterno. Non avevano paura di cristallizzarsi, vivevano nella gioia di dare un calcio a un pallone e di stare insieme.

Quando Magnus era tra le braccia di Alec o stringeva Max tra le sue, sentiva di aver trovato il suo posto. C’era tranquillità e movimento nel bambino che sgambettava irrequieto e si agitava per vedere le sue fiammelle blu con uno sguardo ammagliato. C’era tranquillità e movimento in Alec che parlava con le labbra a un centimetro dal suo collo e le dita che scorrevano sulla sua pelle senza malizia, per poi diventare fameliche e seguire tracciati desiderati.

Ripensandoci non aveva bisogno di Moquegua, solo del suo uomo e di quel piccolo mirtillo che era capitato nelle loro vite e grazie al coraggio di Alec, Magnus aveva accettato vi rimanesse e cambiasse le loro vite.

«No, non avrei proprio dovuto dire “mai”.»

 
 
 
 
Non mi dilungo qui. Il prossimo arriverà presto e sarà legato a questo come struttura. 
Vado a nascondermi e bere qualcosa, perchè mi fa strano dopo tre mesi lasciarli qui.
Spero solo che vi sia piaciuto.
Dany

 

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Capitolo 2
*** No one cares about me... at least I thought ***


No one cares about me… at least I thought
 

Al mio mammo, che ha metà delle mie paturnie.
Alla mia vera mamma, che ne sopporta una metà.
Alla mamma che ho scelto, perché le sopporta tutte.


 
 
«Non mi voglio sposare.» Un Jace sedicenne stava in piedi sul letto di Alec e saltava.

«Scendi, perché se si rompe…»

«… mi spacchi un braccio come hai già fatto?»

«PER L’ULTIMA VOLTA ERA SLOGATO!» strillò Alec, dando una spinta al suo parabatai che si lasciò cadere sul letto ridendo.

«Che succede qui?» chiese Isabelle entrando di corsa con il piccolo Max al seguito. «Vi state picchiando?»

«Izzy, non essere assurda» mormorò Alec, scompigliando i capelli prima alla sorella e poi al fratellino. Entrambi arricciarono il naso, lanciando un’occhiata simile al fratello maggiore. «E poi quante volte vi devo dire di non correre? Potreste inciampare in qualche tappeto.»

«Davanti ai vostri occhi quello che stavo per dire! Alec, sarebbe il maritino perfetto, che si occupa dei figli a tempo pieno e li sgrida, perché possono inciampare e morire per colpa di un tappeto, quando magari ogni notte vanno a uccidere i demoni.» Jace riprese a parlare come se nessuno l’avesse mai interrotto.

Alec arrossì alla parola “maritino” sotto lo sguardo attento di Isabelle, poi sbuffò per le altre assurdità uscite dalla bocca del suo parabatai, che si era seduto sul letto, ma muoveva le gambe in un’eterna iperattività.
Jace non badò alle reazioni di Alec e continuò il discorso. «Lo vedo con otto figli che lo rincorrono apostrofandolo Papà dell’anno e sono sicuro che Alec ne vorrà anche un nono…»

«Ma… ma… che assurdità stai dicendo» balbettò il diretto interessato, cercando di schiarire la sua voce che era diventata leggermente stridula.
Isabelle spostò lo sguardo da suo fratello a Jace con gli occhi neri attenti. Max, invece, non era per nulla interessato e si lasciò cadere sul letto di Alec vicino al cuscino. Tirò fuori dalla tasca dei suoi jeans un giornaletto un po’ stropicciato e si mise a leggerlo.

«Non vorresti sposarti?» chiese Jace tirando fuori lo stilo dai pantaloni e iniziò a giocherellarci.
Alec sospirò ancora, chiudendo per un attimo gli occhi. Perché Jace faceva domande di merda? Pensò, però disse solamente: «Forse.»

Isabelle si inserì nella conversazione. «Io mi sposerò con un Nascosto.»

Alec scosse la testa astenendosi dal ribattere. Sua sorella non aspettava altro che lui dissentisse e iniziasse a dirle che doveva sposarsi con un buon Shadowhunter e crescere dei buoni Shadowunters, come facevano i loro genitori.
Per Alec l’essenziale era che trovasse uno con la testa a posto e la rendesse felice, ma fino a quel momento Isabelle gli aveva fatto conoscere solo degli idioti.

«Izzy, affascinante Izzy, tu vuoi irritare solamente Maryse e Robert.» Gli occhi d’oro di Jace si accesero d’ironia e le sue labbra si disegnarono di malizia. «Hai già trovato l’uomo giusto per questo intento? Racconta i tuoi peccati a Fratello Jace che è qui per questo.»

Isabelle scosse la testa per nascondere un sorrisetto che le era spuntato sulle labbra. «Non dirò nulla, ma ho adocchiato un vampiro che è uno schianto e mi ha fatto una proposta... accattivante.»

Alec disgustato guardò verso Max. Fortunatamente sembrava preso totalmente dalla sua lettura e non badava loro. Poi si rivolse alla sorella, prima che Jace potesse commentare. «Izzy, per l’Angelo, non voglio sapere e, Jace, zitto per favore, non incoraggiarla. Dobbiamo parlare dei nostri doveri…»

«Dovere, dovere.» Dissero in coro Isabelle e Jace deridendolo palesemente. «Assurdità e dovere sono le parole che più spesso escono dalle labbra del nostro Alexander.»
Alec sbuffò sentendo Alexander. Non sopportava il suo nome, nonostante il significato greco fosse protettore di genti e in qualche modo lo rispecchiasse.
La sensazione di fastidio tuttavia aveva un’altra origine e gli lasciava l’amaro in bocca. Odiava essere deriso perché rispettava la Legge e le decisioni dei suoi genitori, anche quando non avrebbe voluto farlo.

Dura lex, sed lex. Il Codex insegnava questo e tutti i Nephilim erano tenuti a rispettarlo.

Sapeva che Isabelle e Jace non volevano essere insensibili, che erano giovani e avventati, ma il senso di fastidio non era facile da cacciare via. Non gli piaceva essere considerato un bacchettone né un rompiscatole, pur dovendolo essere. Spesso sembrava che non capissero quanto ciò costava anche a lui, quanto sarebbe stato più facile essere più spensierato.
Tutto rientrava nel suo ruolo di fratello maggiore, anche se in realtà sospettava di non riuscire ad essere diverso da com’era.

«La prossima settimana mamma e papà vanno a Idris con Max…» passò a spiegare, sfruttando il miracoloso silenzio degli altri due. Il fratello minore alzò la testa alle sue parole, gli fece un piccolo cenno del capo e tornò tranquillamente a leggere, immergendo quasi il volto nella pagina. «E il nostro dovere – sì dovere! – è controllare che i Nascosti rispettino gli Accordi e non facciano azioni illecite. Nel caso dobbiamo segnalarlo a Hodge che poi lo riferirà alla mamma. Ci sarà da uccidere sicuramente qualche demone…»

«E quest’ultima sarà sicuramente la parte più divertente.» Jace saltò in piedi, diede una pacca ad Alec che sussultò leggermente e scomparve oltre la porta probabilmente diretto all’armeria.

«Se ne va così?» chiese Alec tra lo sconvolto e lo spazientito. «Non avevo ancora finito il discorso.»

«Sai com’è fatto.» Isabelle alzò le spalle come se le importasse poco del comportamento di Jace. Si alzò, scuotendo i capelli neri, che ondeggiarono ai lati del suo collo liberi e ribelli.
Fece qualche passo e si fermò accanto a lui. «Quando vuoi, ci sono. Per parlare di te, di Jace, di qualsiasi situazione…»

«Isabelle, non ho nulla da dire.»

«Come vuoi.» Izzy alzò la mano destra, come per ammansirlo. Effettivamente Alec si era innervosito senza accorgersene. «Sono qua, a due porte di distanza. Sempre, per te, sempre.»

Alec rimase senza parole, mentre la sorella usciva a passo svelto, lasciando solo un dolce profumo dietro di sé.

Max alzò di nuovo la testa dal giornalino.
Alec invidiò la limpidezza e l’ingenuità che leggeva negli occhi del fratellino, intanto che gli si avvicinava. Certe volte voleva tornare bambino, ma tutti dicevano che lui non lo era mai stato.
Forse era per quello che i suoi genitori non gli riconoscevano mai dei meriti. Era già troppo adulto e per quello, ogni suo sbaglio pesava molto più di quelli di Isabelle o Jace.

Lasciò scappare un sospiro e Max lo scrutò perplesso.

Alec, cercando qualcosa da dire, finì per sottolineare l’ovvio. «Da quattro rimasero in due. C’è qualcosa che posso fare per te?»

Max scostò il giornalino e si sistemò con le gambe incrociate e il busto dritto rivolto verso Alec.
Con voce limpida disse: «Non puoi fare più nulla per me, ma l’altro Max ha bisogno di te.»

Alec lo guardò confuso e per un attimo l’immagine di un bimbo blu con delle piccole corna tra i capelli si sovrappose a quella del fratello. Gli venne l’affanno e sentì due mani che cercavano di scuoterlo, ma non voleva lasciare il fratello che aveva adesso uno sguardo così triste e consapevole.

 «Si stanno preoccupando, devi andare.»

«Nessuno si preoccupa per me.» Alec lasciò uscire con semplicità questa frase, come se stesse parlando del caffè che beveva tutte le mattine e Max gli parve arrabbiato, tuttavia non commentò, ribadendogli in modo perentorio che doveva andare.

Alec indugiò aggrappandosi con una mano al copriletto, sentendo che qualcuno lo chiamava, ma voleva stare ancora un istante insieme al suo fratellino.
Gli occhi di Max improvvisamente gli parvero più grandi del normale. Sembrava quasi che la vista di Alec avesse effettuato una zoomata su quel particolare.

«So che sei gay e lo accetto.»

Alec non si aspettava proprio di sentire quelle parole uscire dalle labbra del fratellino e si staccò dal copriletto, facendo un balzo indietro e cadde.

Braccia calde e decise bloccarono una caduta che sembrava non interrompersi mai.

Un profumo di sandalo lo cullò dolcemente come se fosse nella doccia in mezzo all’acqua calda.

Percosse sulla pelle gli fecero sollevare le palpebre di scatto.

Occhi verdi-gialli da gatto preoccupati si specchiarono nei suoi.

Alec spostò Magnus dal suo corpo per respirare a pieni polmoni, però gli trattenne una mano tra le sue. Aveva paura di venir risucchiato in un altro sogno e trovare di nuovo Max, il suo fratellino che non aveva potuto salvare. 

Qualcosa di bollente si appoggiò alle loro mani unite. Mandava raggi caldi come il sole, ma non bruciava. Era solo infinitamente piacevole e intimo.
Gli occhi di Alec non riuscivano ad abituarsi a quella luce e li richiuse.

«Alexander, era solo un incubo.» La voce di Magnus gli arrivò inaspettata all’orecchio e per un attimo lo lasciò stordito. Il suo udito era stato bombardato da tutti i suoni presenti nella stanza, tutti insieme lo raggiunsero nello stesso identico momento.

 «Mirtillino, non serve la magia.» Magnus si chinò sul bambino che teneva le sue piccole ma potenti mani sulle loro e singhiozzava. «Non serve. È stato solo un brutto sogno di quelli dove non riesci a mangiare la torta di nonna, perché un demone arriva e se la mangia prima di te. Oppure quello che avevi fatto, dove io e papà ti lasciavamo solo al parco… ti ricordi?»

Max non si mosse, ma guardava Magnus in modo profondo con le lacrime che rotolavano sulle guance e seguivano gli zigomi fino a toccargli le piccole labbra leggermente dischiuse. Mangiando qualche lettera mormorò. «Non bello.»

Alec prese un’altra boccata d’aria e poi staccò una mano dalla presa di Magnus, per afferrare un lembo della coperta e pulire dolcemente una guancia del piccolo.

«Daddy» singhiozzò Max e Alec si riscosse. Max aveva bisogno di lui, non poteva essere il contrario. Non doveva assolutamente farlo preoccupare e ricordò le parole del suo fratellino nel sogno.

Non puoi fare più nulla per me, ma l’altro Max ha bisogno di te.

Alec strinse suo figlio a sé e nello stesso momento si trovarono entrambi contro il petto di Magnus, che non voleva rimanere fuori da quell’intreccio.
Il respiro di Magnus era irregolare, tanto come quello di Max, che si soffiava il naso contro la sua maglietta.
Era talmente felice di essere lì tra loro che non lo sgridò per quel comportamento.

Si trovò a sorridere e ripensare che aveva detto un’enorme cazzata in quel sogno. 

Nessuno si preoccupa per me.

Era un’enorme bugia e ora capiva la faccia incupita di suo fratello.
Alec non voleva che gli altri si preoccupassero per lui. Era lui a preoccuparsi di tutto, non serviva che gli altri si facessero venire le paturnie per lui. Non voleva che stessero a capirlo o a chiedergli come si sentiva o cosa provasse.
Ce la faceva da solo, perché era il fratello maggiore e in qualche modo riusciva a non crollare, anche quando aveva già toccato il fondo. Gli altri dovevano essere al sicuro, poi il resto e lui stesso non importavano.

La sua vita, pensò, era diventata più articolata. Si erano aggiunte tante persone alla sua lista dei contatti, tante che aveva paura di non riuscire a proteggerle tutte, però ci provava ogni singolo giorno.
Lo rendeva felice provarci. Ma c’era di più. Era chi voleva essere, sceglieva i suoi doveri e cercava di rispettare, per quanto fossero giusti, quelli imposti dal Conclave.

Si accettava e amava una persona speciale. Aveva scelto da solo di lasciare l’Istituto con le sue quattro cose in una valigia e andare a vivere con Magnus.
Lo stesso Magnus che non voleva sposarlo, finché non avessero potuto farlo vestiti d’oro. E non era uno degli stravaganti desideri di Magnus, come quello di dipingere tutta la casa di verde, perché si abbinava alla giacca che indossava quel giorno, no, era segno di grande rispetto e Alec ogni volta che ripensava a quella notte sentiva le sue guance imporporarsi.

È sì, un giorno. Per te, Alec, è sempre sì.

Lo stesso Magnus che non voleva che Alec dovesse rinunciare alle sue cerimonie o ai suo compiti di Cacciatore o alle sue esperienze in generale per lui. Doveva farle e le avrebbero condivise insieme.

A proposito di condivisione, Max sicuramente era l’esperienza più inaspettata per entrambi.
Alec aveva messo gli occhi su quella cosetta blu, che tutti guardavano come fosse uno scarafaggio e Magnus teneva con fare esperto, ma con il vuoto negli occhi, probabilmente ricordando la triste sciagura di essere stregoni e avere un Marchio visibile.

Si era fatto avanti tra la folla, rimanendo comunque nascosto. Grazie alla sua altezza poteva tenere gli occhi fissi su quel fagotto e sul suo compagno senza attirare troppa attenzione.
Però più guardava il bambino, più avvertiva un formicolio alle dita, come se ogni sua terminazione nervosa fosse impaziente di toccare quel piccolo stregone.
Senza pensarci era uscito dalla folla e aveva raggiunto Magnus.
Poteva vedere quella scena ancora e ancora nella sua mente, riavvolgerla e rivederla. Rimaneva uno dei momenti più importanti della sua vita.

Sì, lo teniamo noi.

«A cosa stai pensando con tanta intensità?» chiese Magnus, sfiorandogli la tempia con le labbra.

«Che sono felice.»

Alec riaprì gli occhi e si rilassò contro la mano del compagno.
Guardò le ultime lacrime di Max uscire dai suoi occhi. Sperò per un attimo di non vederne mai più per colpa sua, ma decise di non mentire a se stesso.
Avrebbe ferito Max inavvertitamente, l’avrebbe ferito consapevolmente. Un giorno Max avrebbe pianto di nuovo per lui, ma fin che poteva gli avrebbe asciugato quelle lacrime una a una.

«Scusatemi, scusatemi tutti e due.» Alec strinse una mano a Magnus e con l’altra andò a toccare una delle manine di Max. Il suo pallore contrastava con la carnagione bruna del suo compagno e quella blu marino del loro bambino. «Vi ho fatto preoccupare tantissimo, ma è stato solo un incubo.»

Magnus toccò con la mano libera il piede di Max, che iniziò a dimenarsi per il solletico dando una testata ad Alec che sussultò appena. «Diglielo, mirtillino, che non ci siamo affatto preoccupati, era tutta apparenza.»

«…parenza…»

«Sì, qualcosa di simile. Miglioreremo l’eloquio un’altra volta.»

Alec sorrise scuotendo il capo e cercò di aiutare Max, che stava per soffocare tra le risate, ma si trovò a subire lui stesso alcuni attacchi mirati.
Soffriva non poco il solletico alla pancia e quel traditore di Magnus lo sapeva bene.
Quando si furono ricomposti, dopo parecchie risate, qualche cuscino volato per la stanza, le coperte in fondo al letto, Alec sussurrò: «Grazie di proteggermi e essere la mia famiglia, la mia famiglia inaspettata e bellissima.»

 



Essendo molto simile all’altra per struttura , ero indecisa in realtà se metterla o meno, però alla fine le avevo create in coppia, per cui mi sembrava brutto mettere solo Magnus e niente Alec. Inoltre è l’8 marzo e non potevo non fare gli auguri al mio mammo libresco. Infatti anche l’annuncio dell’Alec televisivo è stato dato un anno fa in questo stesso giorno. Coincidenze? Io non credo.
Comunque auguri a tutte le mamme, che ci scelgono, che ci consolano, che sbagliano, che si pentono, che ci sopportano e supportano, che sono in prova ogni giorno davanti ai nostri occhi esigenti.
Dany

P.S Cercherò di aggiornare una volta a settimana, almeno spero e penso. Inoltre non sarà una raccolta molto cronologica, penso di fare dei salti qui e là, infatti vedrete Max e un altro membro della famiglia (voglio essere misteriosa, quando sapete già chi è e inizia con R) crescere e decrescere a mio piacimento XD 

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Capitolo 3
*** Meeting Rafael Santiago ***


Meeting Rafael Santiago
 
A loro due che ci sono sempre
Anche quando a nessuno importa
 
 
 
«Muovetevi, muovetevi.»

«È piuttosto eccitato.» Alec camminava mano nella mano con Magnus. Erano appena entrati nel cortile dell’Istituto e Max si era svicolato dalla sua stretta con uno strillo di gioia e aveva afferrato la mano di quello che reputava a tutti gli effetti suo fratello. Lo tirava con quanto poteva e Rafael cercava di liberarsi per nulla entusiasta come l’altro.

«Non devi avere paura. Sono tutti simpatici.» Gridò Max, sperando di farsi capire da Rafe, che lo guardava confuso. 

«Tranne il nonno, che potrebbe tirare fuori qualche legge sul fatto che non si adottano i bambini Cacciatori senza l’autorizzazione del Conclave e spedirti dritto in Accademia senza passare dal Via!» commentò Magnus in un sussurro.
Alec sospirò e strinse più forte la mano di Magnus senza parlare. Di discorsi ne avevano anche fatti troppi prima di portare via Rafael da Buenos Aires e anche una volta arrivati a casa con il bambino.

«Sono tutti buoni. Nonna, nonno, zio Simon, zio Jace, zia Clary e zia Iz» Max non taceva un secondo e se ne stava fermo davanti ai gradini, facendo ondeggiare il suo braccio e quello di Rafael. «Poi ci sarà l’amica di Papa… c’è Catarina, Papa?»

«Credo di sì.» Magnus si era fermato e stava guardando Alec armeggiare con il cellulare. Si era fissato con le foto da quando avevano Max e ora con un altro bambino sembrava anche peggio. «Speriamo. Nel caso dovessimo scappare dalle grinfie di nonno Robert, sono sicuro ci coprirebbe con un diversivo.»

Alec ridacchiò e scattò un’altra foto ai due bambini girati di spalle. Erano adorabili nelle loro giacchette nuove e con i capelli sistemati con il gel.

«Daddy, Papa, vi muovete?» chiese Max, girandosi.

«Se Mr Fotografo ha finito, direi di sì.» Rispose Magnus al figlio, che picchiettava i piedi a terra entusiasta.

Alec gli fece la lingua e scattò ancora una foto a Rafael che continuava a stare girato verso l’Istituto, poi ripose il cellulare. «È la prima volta che Rafe viene qui.»

«E non sarà l’ultima.» Magnus riprese Alec a braccetto e camminarono fino ai bambini.

«Mi prendete in braccio?» chiese Max implorante. Aveva ancora difficoltà a fare quei gradini così alti. Erano antichi e chi li aveva costruiti non aveva di certo tenuto conto che dovesse salirli un bambino di appena tre anni.

Magnus si fece avanti e se lo caricò sulla spalla. «Sei diventato pesante, blueberry.»

«Non è vero.» Max sbuffò, contrariato e si sistemò con il mento sulla spalla del padre.

«Sarà colpa di nonna che ti rimpinza come un tacchino…»

Alec scosse la testa sentendoli battibeccare. Mentre Magnus iniziava a salire, appoggiò una mano contro la schiena di Rafe. Lo poté finalmente guardare in viso. Era un po’ pallido, nonostante la carnagione bruna, ma i suoi occhi erano pieni dell’Istituto.
Era affascinato da quell’edificio enorme, lo si vedeva da come seguiva le linee e scrutava la porta. Probabilmente ogni Cacciatore era consapevole che l’Istituto fosse una casa per randagi e Rafael che si sentiva ancora un po’ perso in quell’enorme metropoli e nel loro appartamento doveva sentirlo ancora di più.

«Andiamo» disse Alec incoraggiante. Si toccò la runa Speaks in tongue, che due volte al giorno rinnovava per comunicare con Rafe.

Rafael distolse lo sguardo dall’edificio e toccò con fare esitante la mano del padre adottivo. «Alec, posso provare ad aprire la porta?»

Alec gli sorrise e percorsero uno di fianco all’altro la scalinata, raggiungendo Magnus e Max già in cima.

Al tocco di Rafael la porta si aprì e Max proruppe in un’esclamazione che fece piegare in due dal ridere Magnus: «Fore (Avanti tutta)!»
Rafael ridacchiò, perché le prime parole di inglese che aveva imparato, dopo quelle semplici insegnategli da Alec e Magnus, erano state quelle del linguaggio piratesco.
 
 *********

Il sorriso di Rafael perdurò per tutto il mini tour dell’Istituto. Amò l’armeria. Guardava le spade con una luce brillante negli occhi e chiedeva ad Alec di dirgli i nomi degli strumenti che non conosceva.

Toccò il legno degli jo e dei bokken, soppesò il peso di un pugnale, che Alec gli diede in mano, dicendogli di usare cautela. Rimase incantato davanti alle frecce tutte ben allineate e si riempì i polmoni del profumo del metallo e del cuoio.

Magnus lo perquisì all’uscita, temendo avesse rubato qualcosa. Non era tanto per il furto in sé, ma quanto che Rafe si sentiva più al sicuro quando girava con un’arma in tasca.
A casa avevano dovuto mettere sotto chiave il pugnale con il quale Alec l’aveva trovato e anche l’arco e le frecce del Cacciatore adulto. Era stato un bel cambiamento, con Max non avevano mai dovuto chiudere nemmeno un mobiletto.

Continuarono a camminare per l’Istituto con Alec che raccontava ogni tanto qualche storia della sua infanzia, un po’ in spagnolo e un po’ inglese.

Quando arrivarono davanti a un grosso portone, Max saltellò entusiasta, rischiando di cadere e afferrò Rafe aggrappandosi con decisione al suo polso.
Rafael protestò appena, mugugnando.

«Ti faccio vedere.» Fece un segno per far capire quello che aveva detto all’altro bambino che si zittì e annuì.
Era affascinante vedere il loro modo di comunicare. Alec a volte non capiva come facessero a intendersi, ma accadeva. Pensò che era lo stesso modo in cui lui e Magnus riuscivano a capire Max, quando ancora non parlava, come comprendevano che Presidente Miao era annoiato o felice o come lui sentiva quando Magnus era alterato e Alec pensoso.  
La lingua non era l’unico strumento che usavano. C’erano i gesti, i movimenti, le azioni del corpo, le espressioni del viso. Anche se non parlavano, potevano percepire le sfumature della voce, si concentravano fino in fondo su ogni dettaglio dell’altro, per riuscire comunque a comprenderlo.

Max spalancò la porta muovendo le mani, da cui sprizzarono allegre fiammelle dorate.

La biblioteca si spalancò davanti ai loro occhi. Max amava quel posto e trascinò Rafael lungo il primo semicerchio di scaffali. Lo tirava e gli spiegava la sezione dei bambini, l’unica da cui poteva attingere, anche se sognava un giorno di aprire quei libroni finemente lavorati e copertinati in cuoio.
Rafe muoveva il naso, sentendo probabilmente il profumo della carta e dell’antichità. Non sembrava tanto interessato ai libri, quando al luogo. Gli sembrava rilassante e si mise sdraiato sul pavimento, guardando il soffitto conico.
Max sorpreso gli corse accanto e decise di imitarlo, gettandosi a terra ridacchiando. Non aveva mai pensato di sdraiarsi in mezzo alla stanza, di solito si sistemava sui divanetti accanto alla finestra o negli scaffali vuoti dove poteva sdraiarsi, leggere e dormire. Poi si rivolse a Magnus e Alec, che stavano in piedi a guardarli. «Venite a fare la nanna anche voi?»

«Miracolo che vuoi dormire!» esclamò Magnus divertito, abbracciando Alec da dietro e infilando le dita nei passanti dei suoi jeans. «Al pomeriggio non dormi, neanche se ti mettiamo a letto.»

«Però alla sera crolla presto.» Alec si lasciò andare contro il petto di Magnus e sentì il suo respiro sul proprio collo. Per di più il suo compagno tolse le dita dai passanti e gliele portò sui fianchi e lasciò scivolare un dito sotto la maglietta a contatto della pelle. Un’ondata di calore lo avvolse e abbassò un po’ la cerniera della sua felpa. Avevano lasciato le loro giacche all’ingresso.

«All’improvviso ti è venuto caldo, mio bel fiorellino?»

«Giusto un poco…» borbottò Alec che percepiva ogni spostamento delle dita di Magnus.  Si staccò a malincuore, sentendo il cellulare vibrare.
Era Izzy. Il messaggio era breve: Avete finito il tour?

«Mi sa che sono impazienti di conoscere Rafael.» Disse Alec, voltandosi a guardare il suo compagno.

Magnus fece una faccia eloquente. Quando non erano impazienti di qualcosa quei Lightwoods?
Era già tanto che non si fossero presentati a casa loro il giorno stesso che erano tornati via Portale con Rafael.
Avevano aspettato ben una settimana, perché Alec li aveva pregati e scongiurati di aspettare. Rafe era ancora un po’ confuso, non gli serviva anche trovarsi in mezzo a una folla curiosa e invadente.

«Piccoli cucciolotti, dobbiamo andare. So che desiderate pulire ogni centimetro di pavimento di questa meravigliosa biblioteca con i vostri vestiti nuovi, ma dovrete rimandare questa esaltante attività a un altro giorno.» Magnus si avvicinò ai due bambini ripetendo il discorso anche in spagnolo.
Rafe sentendo “piccoli cucciolotti” chiuse gli occhi irritato. Max non fece una piega, era abituato a essere chiamato in modi alquanto stravaganti e saltò in piedi, dopo aver rotolato sul pavimento. «Non possiamo stare qui?»
Rafe sembrava d’accordo, siccome non si era mosso di un millimetro.

Ci volle mezz’ora a uscire dalla biblioteca. Alec afferrò Rafe, prima che decidesse di arrampicarsi, dopo aver corso un quarto d’ora tutt’intorno agli scaffali. Magnus si occupò di Max che puntava i piedi e gridava. Aveva fatto scoppiare con la magia la lampadina dell’abatjour sulla scrivania. Quando si arrabbiava, capitava che accadesse. Succedeva sempre in meno in realtà, più diventava consapevole del suo potere, più lo controllava, anche nei momenti di rabbia.

«Era più facile quando ne avevamo solo uno» mormorò Magnus, tenendo in braccio Max che singhiozzava.

Alec assentì, cercando di mascherare il fiatone. Neanche i demoni lo facevano correre come Rafe.
Prese lo stilo e rinnovò la Runa della Resistenza, pensando che la prossima volta prima di rincorrere il bambino si sarebbe disegnato una Runa dell’Agilità e magari una della Super Velocità.

 Alec, riponendo lo stilo, decise che era il momento di raggiungere il salone principale. Prese per mano Max, che oppose appena di resistenza ancora risentito, e con l’altra scrisse un messaggio a sua sorella: Stiamo arrivando.
In realtà tra la biblioteca e il salone c’erano solo un paio di metri, ma Isabelle e Clary avevano insistito, perché Alec le avvisasse.

Dopo neanche due passi, sua sorella gli rispose: Siamo pronti per conoscere il nuovo membro della famiglia.

Alec ridacchiò nervoso e scambiò un’occhiata con Magnus, dopo che entrambi avevano soppesato Rafael, che sembrava più tranquillo di prima.

Max si era messo a cantare la canzone del suo cartone preferito, inventando parole a caso. Magnus era sicuro che non dicesse «ruggisci via, friggi zia, drillo cocodrillo».

«Coccodrillo» lo corresse Alec, non provando nemmeno a dare un senso al resto.

«Cocodrillo» ripeté soddisfatto Max, mettendosi in bocca un ditino.

«Amore, apprezzo il tentativo.» Magnus ridacchiò, dando una pacca nella schiena al suo compagno che non sembrava per niente soddisfatto.

Max scattò in avanti, tirando la mano ad Alec e indicò con il dito bavoso la porta del salone. «Ci siamo!»

«Fermati un attimo, blueberry.» Magnus prese un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e pulì la bocca e la mano del figlio che si dimenava entusiasta di essere un passo da quella che considerava a tutti gli effetti la sua famiglia. «Pulito, sono pulito. Lasciami, Papa.»

Alla fine Max tornò a rimettersi il dito in bocca e Magnus mormorò qualche imprecazione.

«È sempre meglio lasciarli sporchi, perché un attimo dopo lo saranno di nuovo» disse Alec con fare saccente, probabilmente riprendendo la citazione da uno di quei libri sui bambini che aveva sul comodino.
Magnus gli lanciò un’occhiataccia e agitò le dita, aprendo la porta.  
Alec alzò le spalle e entrò insieme a Max, mentre Magnus invitava con il capo Rafael a entrare, ma il bimbo ebbe un momento di esitazione. «Gli piacerò?»

«Sono un po’ difficili, poco tolleranti ai cambiamenti, ma con i bambini si sciolgono. E tu, ringrazia il tuo Angelo, sei un bambino.»

Rafe deglutì e si sistemò come un soldatino pronto alla battaglia.
«Gli Shadowhunters prendono tutto come se fosse la battaglia delle Termopili.» Magnus scosse la testa sconsolato, si diede una sistemata alla giacca e si affrettò a entrare.
Richiuse la porta e si trovò di fronte tutti i Lightwoods più Clary e Simon che ormai erano di famiglia tanto quanto lui
.
«Nonna, nonna, nonna.» Maryse fece un passo avanti per bloccare la corsa di Max, che appena l’aveva vista si era messo a urlare festante, lasciando la mano di Alec.
La vedeva ogni giorno, ma doveva viziarlo così tanto che molto spesso Max faceva i capricci quando lo andavano a recuperare. Tante volte Magnus tornava a casa senza bambino, ma con una scodella di pasta al sugo o una teglia di arrosto. Era un bel bottino, ma Alec non sembrava pensarla allo stesso modo. O meglio ne era felice per le prime tre sere, così potevano fare i fidanzatini, ma già alla quarta si notava la sua sofferenza. Alla quinta Alec si stancava e le sue azioni di recupero non fallivano mai.  
Il bambino tornava, ma non c’era niente da mangiare. Così Magnus era costretto a preparare la cena.

«Nonna, hai preparato il dolce cioccolatoso?»

«Certo e ci ho messo sopra la panna.»

Max esultò e poi si girò verso Alec, dicendo: «Te l’avevo detto che lo faceva…»

Jace ridacchiò, scendendo dal tavolo sul quale stava appollaiato fino a un attimo prima. Diede una pacca più o meno leggera sulla nuca di Simon, facendogli scendere gli occhiali lungo il naso e si avvicinò con uno sguardo curioso a Rafael, che si trovò molto probabilmente ad avere due braccia che pensava di non avere e iniziò a spostarle sul fianco, poi a farle scontrare davanti a sé e poi infine a intrecciarle dietro la schiena.

«Sei tu Rafael.» Non era per niente una domanda.

Gli occhi di tutti furono di nuovo su di lui e Rafael sembrò ancora più in imbarazzo.
Magnus sapeva cosa stavano vedendo i Lightwoods. Un bambino con una tuta verde piuttosto abbondante, perché era magro per i suoi cinque anni. Il volto scarno e la pelle intorno alle labbra leggermente screpolata.
I capelli erano stati fissati con il gel da Magnus stesso, perché solitamente erano liberi e ricadevano sulla fronte del bambino arrivando quasi a coprirgli quegli occhi immensi e scuri. Magnus aveva cercato di tagliarglieli, ma aveva incontrato l’opposizione di quel piccolo Cacciatore che, come forma di ribellione, aveva deciso di scalare il nuovo mobile del salotto.
Era una piccola scimmietta per come si arrampicava e come lo fissava con sguardo attaccabrighe. Magnus aveva già avuto dei racconti ravvicinati con i primati, però non erano mai stati proficui per lui o per quei mammiferi.
Così l’aveva lasciato vivere una mezza giornata sul mobile, finché Alec non era tornato e aveva dato di matto. Aveva urlato più forte della musica classica che Magnus aveva acceso per rilassare se stesso e la piccola scimmia, che picchiettava a tempo.

Rafael, però, in quel momento aveva un’espressione totalmente diversa da quella spavalda del ricordo. Lasciava trapelare tutta la sua timidezza e Magnus vide che Maryse era già stata conquistata dal piccolo, come Isabelle, che gli aveva sorriso fin dal primo momento con gli occhi leggermente umidi.

Max decise, probabilmente stanco di quel silenzio, di interromperlo in grande stile. «Quello è mio fratello!»

Magnus ringraziò che blueberry esistesse. E sembrò pensarlo anche Rafael, che puntò gli occhi su Max con gratitudine.
Rafe non chiamava Max fratello, lo chiamava per nome, come faceva con loro. Una volta l’aveva definito “bebé”. Magnus non sapeva se Rafael li avrebbe mai considerati i suoi papà e non voleva sperarlo. Lasciava il tempo scorrere e prendeva quello che veniva. Nel frattempo gli dava i soprannomi più assurdi per vedere il bambino mugugnare in spagnolo.
Alec provava ad essere più distaccato, invece, non ci riusciva. Spesso si doveva correggere, quando gli stava per scappare “figlio” ed era stato lui a scegliere di accorciare il nome Rafael in Rafe, al posto che Rafa come sarebbe stato più corretto in spagnolo.

Alec si lasciò andare a uno di quei suoi - sempre meno rari- sorrisi, mentre gli altri ridevano divertiti.

«Benvenuto all’Istituto, io e quella fantastica rossa, vicino all’occhialuto, siamo i capi. Per qualsiasi problema con Alec o Magnus o con entrambi, vieni qui e ne parliamo davanti a una tazza di cioccolata calda. Forse preferisci della sangria?»

«Che buona la cioccolata» si lasciò scappare Rafael, pensando alla notte che Magnus gliel’aveva fatta arrivare da qualche parte con la magia. Jace gli fece l’occhiolino e Rafael provò a ricambiare, finendo per chiudere tutti e due gli occhi. Ci riprovò e non riuscì a chiuderlo solo uno.

«Pensi di dare dell’alcol a un bambino di soli cinque anni?» gridò Alec comparendo indignato affianco a Jace. Magnus si meravigliò di quanto fosse rapido il suo compagno, quando doveva rimproverare il proprio parabatai.

Rafe, invece, fu travolto dall’uragano Isabelle, che si trascinò dietro Simon e iniziò a fargli tanti complimenti e a dirgli di chiamarla tranquillamente “Zia Izzy”.
 **********

Alec si andò a sedere dopo il secondo cocktail e decise che avrebbe bevuto solo il succo che Clary aveva comprato per Max e Rafael. Il suo parabatai doveva aver lievemente esagerato con le dosi di alcol e si sentiva un po’ confuso.
Era confuso ma felice e quello non era merito del liquore. La sua famiglia sembrava accettare il piccolo Cacciatore. Se lo spupazzavano, se lo litigavano l’uno con l’altro. Gli facevano i complimenti e gli avevano fatto anche qualche regalo. Sembrava di essere tornati a una notte di tre anni prima all’Accademia.

Rafe era intimidito dai complimenti, dalla curiosità e dalle domande, ma non sembrava più terrorizzato. Si divertiva a far esplodere palloncini, sedendosi sopra.
Aveva visto Jace e Simon giocare con un palloncino di colore rosso ed era rimasto affascinato quando questo era esploso finendo contro il lampadario, così si era messo a giocarci a sua volta e poi a farli scoppiare.
Gli occhi di Max erano sbarrati dall’orrore che si stava consumando davanti a lui e mormorava: «Palluncini

Magnus stava in piedi con un bicchiere in mano e chiacchierava tranquillamente con Catarina che era arrivata da circa mezz’ora. Aveva ritardato al lavoro, perché era entrato un codice rosso e aveva voluto dare una mano, anche se era in piedi da quella mattina.
Era sempre molto scrupolosa, “maniacale” la definiva, invece, Magnus. Alec sapeva il profondo affetto che legava il suo compagno alla stregona e poteva vederlo anche in quel momento. Catarina stava provando a rifiutare un piatto stracolmo di cibo che Magnus gli aveva fatto apparire in mano.

Si sistemò meglio contro la sedia e lasciò vagare lo sguardo sulla stanza. Clary stava ringraziando il suo parabatai per le due nuove magliette che gli aveva portato. Era una loro tradizione da quando Simon aveva iniziato a girare il mondo con Izzy per il suo lavoro da Reclutatore.

Jace si era unito a Rafael nell’ardua missione di far esplodere tutti i palloncini e Izzy sembrava propensa a seguirli. Maryse distraeva Max a un passo dalle lacrime con un pupazzetto.

Mancava solamente una persona e lo stava guardando dall’altro capo della sala. Suo padre aveva accolto Rafael con un “Benvenuto, giovanotto” e un colpetto sul braccio sinistro. Gli aveva anche sorriso e Alec era quasi scoppiato a ridere per la faccia shockata del suo compagno. 

«Dimmi che tuo padre soffre di un disturbo bipolare» l’aveva implorato Magnus, dopo averlo trascinato in un angolo. «Come può terrorizzare noi e buona parte del Conclave con la sua aria da Console intransigente e poi essere così dolce, amorevole… persino simpatico con i bambini? Perché, non so, magari tu non te sei accorto, ma io sì… Rafael ha riso! Non ride mai alle mie battute.»

Alec era scoppiato a ridere e Magnus l’aveva rimproverato, con gli occhi stretti. «Alexander, qualcosa non torna… ma li sta rapendo?»

Alec si era girato a quelle parole e suo padre teneva Max sulle spalle. Rafe era davanti a loro, eccitato per qualcosa. Parlava fitto, fitto, ma non riusciva a sentire esattamente cosa stesse dicendo per il chiacchiericcio degli altri.
Come se li avesse sentiti, Robert si era voltato verso di loro e aveva detto che portava i bambini in giro per l’Istituto, perché sembrava che il mini tour non li avesse soddisfatti.

Alec aveva annuito e Magnus gli aveva bisbigliato: «Non ci posso credere.»

«Alexander.» La voce imperiosa di suo padre risuonò chiara nella stanza e lui annuì con un sospiro. Aveva aspettato quel momento da quando aveva deciso che avrebbe salvato Rafael.

Non aveva paura di suo padre. Anche se avesse tirato fuori chissà quale legge avrebbe comunque lottato per tenersi Rafe, perché quel bambino aveva bisogno di una casa, di un letto caldo, di una famiglia.
Forse solamente di essere davvero un bambino.
Non era nemmeno sicuro che fossero loro la giusta famiglia per lui, ma per il momento voleva che Rafael stesse con loro, per dargli la possibilità di scegliere chi voleva diventare senza costrizioni. Alec vedeva che Rafael era uno Shadowhunter, per come si muoveva, come controllava lo spazio intorno a sé, come reagiva ai piccoli rumori, come guardava le armi, ma poi gli osservava il volto e scrutava in quei due specchi scuri, che aveva come occhi, e capiva che c’era un bambino spaventato, denutrito, terrorizzato dalla vita e privo di fiducia, dietro a quella superficiale sicurezza.
Probabilmente aveva visto morire i suoi genitori e i suoi familiari, sicuramente aveva dovuto combattere ogni giorno per rimanere vivo tra le strade di una città caotica.

Era quello che l’aveva fermato dal chiamare il Conclave. La mia gente non vede al di là del sangue che abbiamo nelle vene, aveva detto a Magnus una notte.

Sapeva di dover avvertire i suoi superiori fin dal primo istante, ma aveva preferito chiamare Magnus. Gli aveva lasciato un messaggio in segreteria.
Come allora, anche in quel momento Magnus, che si era congedato da Catarina, si catapultò al suo fianco. «Ti avverto che Catarina è una nostra alleata e penso che tua sorella ci aiuterebbe, da come sta guardando preoccupata te e tuo padre. Il tuo parabatai, invece, scoppia palloncini insieme a Rafe incurante del pericolo che sta correndo… sei sicuro di aver fatto la scelta giusta nell’affidare la tua vita a lui?»

«Mai fatta una scelta migliore» rispose Alec, poi fece scivolare la sua mano destra in quella dello stregone. «No, in realtà ne ho fatte altre tre.»

I loro occhi si incontrarono e Magnus sorrise, capendo a chi si stava riferendo.

«Ti bacerei, ma stiamo per affrontare il Padrino e non vorrei che avesse qualche strana regola, per cui davanti ai figli… uhm…»

Alec aveva afferrato Magnus e l’aveva baciato di impulso. Aveva passato tutta la vita a compiacere i suoi genitori, a cercare il loro appoggio, ora pensava a se stesso. Voleva baciare Magnus, baciava Magnus. Voleva adottare un bambino, adottava un bambino, sempre che il suo compagno fosse d’accordo.
Magnus sembrava leggermente sbalordito, ma anche parecchio compiaciuto. «Massì, hai ragione. Diamo un'altra ragione al Padrino per sgridarci.»

«Non credo ci siano regole del genere e se ci sono, non m’importa.» Alec assentì intensificando il contatto tra le loro mani. «Andiamo.»

Magnus si mise a canticchiare la colonna sonora del Padrino con un filo di voce, facendo ridacchiare Alec, che cercò di rimanere serio siccome il padre li stava osservando. Era un pezzo di marmo in mezzo alla stanza, con le spalle massicce sotto la giacca elegante, le braccia incrociate, il volto neutro e la mascella rigida.
Ad Alec ricordò l’Angelo Raziel con i suoi occhi di pietra inespressiva. 

«Padre» mormorò quando arrivarono davanti a lui. Erano solo sedici passi in diagonale, li aveva contati, mentre li faceva, come se stesse per andare al patibolo.
Era strano quanto ancora gli interessasse il giudizio di suo padre, nonostante fosse sicuro di chi era e delle sue scelte.

Magnus tamburellò con un dito sull’anello con le lettere LB, ricordandogli che era accanto a lui. Alec lo guardò con la coda dell’occhio e gli fece un cenno.

«Siete diventati di nuovo genitori» pronunciò suo padre con voce poco espressiva.

«Si potrebbe più che altro dire che Alec abbia salvato un bambino dalla strada e mi abbia convinto ad adottarlo» disse Magnus, facendo un gesto della mano. «Sono troppo tenero e suo figlio troppo testardo.»

Alec lanciò un’occhiata al suo compagno, che sorrise in modo affascinante.

«È un Nephilim» disse Robert, come se l’avesse sentito, ma avesse ben altro da dire.

Alec sospirò. Ci siamo. Merda, ci siamo. «Papà, l’ho trovato da solo, denutrito, sporco, pallido. Ha gli incubi tutte le notti e so che è un Nephilim, ma ha bisogno di una famiglia. So che avrò violato almeno cinque leggi e qualche morale a me ignota, ma…»

«Veramente io volevo dire che non è uno stregone.» Robert parve lievemente imbarazzato e Alec lo guardò confuso, bloccato a metà nella sua arringa.

«Cosa vuoi dire con questo?»

«Volevo dire che Magnus non l’ha fatto con la magia.» La statua di marmo ora si muoveva come se avessero trovato il suo punto debole e la stessero scalpellando un po’ di qui e un po’ di là.  Aveva sciolto le braccia e gesticolava con gesti secchi, ma comunque più disinvolti. «Poteva rifarlo, cioè… ero stato moderno una volta, potevo esserlo di nuovo. Te lo dissi, Magnus, non è vero?»

Alec guardò confuso Magnus che si passò una mano sulla fronte e borbottò qualcosa di simile a: «Ho cercato ogni giorno di rimuovere quella conversazione.»

Ad alta voce invece disse: «Non tutti possono raggiungere un tale grado di comprensione della modernità. Lei è veramente un uomo avanti anni luce.»

Alec percepì distintamente il sarcasmo di Magnus, cosa che non fece suo padre che sembrava quasi compiaciuto. Guardò il proprio compagno, che gli lanciò un’evidente occhiata che stava a dire che ne avrebbero parlato a casa.

Suo padre comunque non sembrava ancora soddisfatto. «Non posso dire che tu ti sia comportato completamente in modo corretto, perché avresti dovuto avvertire gli Istituti del Sud America, per non dire il Conclave e forse potresti aver infranto qualche legge…» Fissò Alec, che pensò di ribattere, ma l’altro riprese. «… ma Rafael mi sembra un bravo bambino e si merita di averti…» Si corresse, guardando verso Magnus e facendogli un cenno. «Avervi trovati sul suo cammino.»

Alec non sapeva cosa dire e Magnus sembrava altrettanto taciturno.

Suo padre si schiarì la voce e rincrociò le braccia. «Mi è sempre piaciuta la lingua spagnola.»

Nessuno degli altri due sembrava voler parlare, quindi continuò. «Volevo fare il mio anno di studio in Spagna, ma ero nel Circolo…»

«Robert, vecchio mio» Jace comparve in quel momento, dando una pacca al padre adottivo. «Non ci vediamo mai e ho bisogno di due o tre dritte per una o due faccende della massima importanza.»

Alec ringraziò mentalmente il suo parabatai.

«Ci siamo visti la scorsa settimana» provò a dire suo padre, guardando il figlio adottivo, che non demorse e tornò alla carica. «Robert, non sai quante scartoffie si accumulano sulla mia scrivania e quante diatribe avvengono tra i Nascosti di questa caotica città. Anzi lo sai, ci sei passato anche tu. Necessito di una di quelle conversazioni serie da ex Capo dell’Istituto ad attuale Capo dell’Istituto, quelle dove il più anziano dona ogni perla di saggezza al suo successore, perché possa lavorare al meglio per secoli e secoli.»

Magnus guardava Jace, come se non l’avesse mai visto prima. Sembrava che avesse realizzato che l’esistenza del parabatai del suo compagno non fosse poi una cosa negativa.

Jace trascinò suo padre fuori dal salone, non prima di aver fatto l’occhialino ad Alec e Magnus e aver sillabato: «Mi aspetto i vostri ringraziamenti.»

«Tuo padre è bipolare, il tuo parabatai ci ha salvati e noi siamo ancora vivi» mormorò Magnus, togliendo la mano dalla stretta di Alec e iniziando a toccarsi qui e là, come se fosse un miracolo. «Ogni conversazione con tuo padre si rivela sempre più imbarazzante e più pericolosa, perché un giorno, quando meno ce lo aspetteremo, attaccherà di nuovo, come fa il leone che osserva la gazzella e attende paziente finché lei si rimette a mangiare la sua erba, poi quando lei è totalmente inconsapevole del pericolo, la attacca. Me lo sento, Alec. Quindi ti prego, andiamo a casa e gioiamo del fatto che siamo ancora vivi.»

Alec scoppiò in una risata e incrociò le braccia al petto. Poi abbassò lo sguardo e pensò che lo stesso gesto lo faceva sempre suo padre, quindi le lasciò ricadere al lato del corpo. «Ora capisco dove volevi arrivare.»

«Volevo esattamente arrivare a letto con te» bisbigliò Magnus che aveva smesso di toccarsi e lo guardava con un ghigno enigmatico. «Ebbene mi hai scoperto, piccolo Cacciatore.»

Prima che Alec potesse rispondere, Magnus fece un salto cacciando un urlo. Rafael gli aveva esploso un palloncino proprio dietro i suoi piedi e se la rideva, sdraiato sul pavimento.

Catarina aveva gli occhi che lacrimavano per le risate e tra gli sghignazzi mormorava: «Ho… ampliato… il… suono… perdonami…»

 Anche Max per la prima volta sembrò divertito dallo scoppio di un palloncino.

«Magnus, stai bene?» chiese Alec, preoccupato gettandosi a terra vicino al suo compagno.

«Alexander…» boccheggiò Magnus con una mano sul cuore. «Non ti avevo detto che dovevamo gioire delle nostre vite? Per favore andiamo a casa e gioiamo, perché ci sono due minacce: tuo padre e Rafael Santiago Lightwood.»
 
 


 
Sono una personaccia. Dovevo pubblicare ieri, ma l’ultima parte della OS non era pronta.
Vi ho fatto aspettare, perché volevo regalarvi qualcosa di un po’ brioso rispetto ai drammi degli scorsi frammentini, quindi ho dovuto creare qualcosa di nuovo rispetto a tanto materiale già pronto. In realtà dovete ringraziare la Mia Prima Lettrice (MPL) che mi ha ordinato di mostrarvi il mio lato divertente e non solo quello tragico.
Rafael è un personaggio complicato per tanti aspetti. Prima di tutto non sappiamo praticamente nulla di lui se non quello che c’è scritto in A long conversation e in A History of Notable Shadowhunters, il libro con i disegni della Jean. Gli piace la musica, soprattutto le ninna nanne spagnole; ballare e nascondersi.
Per me Rafe è… un enigma. Non so come sarà quello della Clare, ma il mio ricalca una persona vicina a me per certi aspetti e per altri ne ha molto di Jace. Come Max ricalca in parte me e in parte un’altra persona a me cara. Però Max ama i pirati e io non ne so niente, per cui mi sono messa a fare qualche piccola ricerca. Ricerche molto vaghe a causa dello studio. La canzone che canta Max è quella del cartone di Jake e i Pirati dell’Isola che Non C’è.
Prima di lasciarvi con un piccolo botta e risposta tra i due fratellini LB (Lightwood-Bane), vi dico che ci sono alcuni particolari che evidenzierò in altre OS.

 
Un piccolo extra
Max: Anch'io voglio salire sul mobile.
Rafe: *gli dà giusto un’occhiata* Sali.
Max: Ma io sono piccolo e non ce la faccio.
Rafe: Allora stai giù.
 

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Capitolo 4
*** Proposal part 1 ***


 
Proposal 
(part 1)
 

Grazie a S, che mi ispira Max e mi aiuta con gli esami

 

«Non ho mai chiesto a nessuno di sposarmi» disse Alec. «Quindi è un no?»
[...]«È un sì, un giorno» disse Magnus. «Per te, Alec, è sempre sì.»
(Born to endless night)
 

Primo anno dalla prima proposta

Dita lunghe e armoniose stavano disegnando rune sulla sua pelle. Non le poteva incidere con uno stilo, lui a differenza sua non era uno Shadowhunter, ma doveva avergliele viste disegnare così tante volte che ora lo faceva senza esitazioni.
Quelle dita in realtà gli davano una strana sensazione, lo risvegliavano. Delle rune non rimaneva traccia, ma la pelle bruciava lo stesso.  
Era confuso e dannatamente eccitato. Ogni tocco era studiato per farlo impazzire. E non sapeva se aprire gli occhi e schiacciare Magnus sul materasso baciandolo fino a non sentire più le labbra oppure rimanere e godersi quei lenti movimenti, che erano così frustranti.

«Buon risveglio, dolce Alexander.»

Alec, sempre a occhi chiusi, sorrise e si lasciò scappare un gemito quando Magnus all'improvviso si appoggiò contro la sua schiena e disegnò una runa vicino all'elastico dei pantaloni.
Poi non proseguì sotto la stoffa, più in basso, come stava sperando Alec. Risalì senza fretta, indugiando con le dita. Tracciò un’altra runa vicino all'ombelico, più piccola, con movimenti più veloci.

Il corpo di Alec era completamente sveglio e anche insoddisfatto. Tutte le sue percezioni erano rivolte a quel gioco studiato. Si morse il labbro dalla frustrazione e dal piacere. Voleva persino mordere il cuscino sul quale era appoggiato, per non dare soddisfazione a Magnus, che già sogghignava. 
        
«Alexander, ti è piaciuto il risveglio?»

Alec sbuffò. Ma che domanda stupida era. Aveva le terminazioni nervose che pulsavano e sinceramente c'era anche altro che pulsava. Sentiva caldo dappertutto nonostante le rune per un attimo fossero fresche come le mani di Magnus, per poi diventare fantasmi di fuoco.

«Caldo...»

«Allora torno dalla mia parte del letto.» Magnus fece per spostarsi, ma Alec gli arpionò la mano e la tenne con forza. «Se fai come hai detto, giuro che dò fuoco a tutti i vestiti che hai nell’armadio.»    

«Come siamo violenti stamattina, mio fiorellino. Vorresti che facessi altro?»

Qualcosa arrivò sul cuscino di Alec e gli colpì il naso. Si sollevò di scatto e aprì gli occhi sentendo un profumo intenso. Una rosa blu stava rotolando sul suo cuscino e lui l’afferrò.  

«E questa?»  chiese, sentendone il profumo.

Non amava molto le piante ornamentali, perché di parecchie era allergico, come sua sorella e sua madre. Però le rose erano accettabili.
Magnus lo tirò nuovamente contro di sé e gli diede un bacio sul collo. «C'è un mazzo di rose blu in soggiorno. L’ho comprato per Max, che sicuramente apprezzerà.»
Alec annuì. Il loro bambino da quando era arrivato alla consapevolezza che non c’era molta gente blu in giro, a parte lui e Catarina, che comunque aveva un incarnato più chiaro, aveva iniziato a volere ogni oggetto color blu: dal piattino al ciuccio, dalla cuffia alle scarpe.

«Non sapevo che avessi comprato altro, oltre al vascello dei pirati che gli abbiamo comprato insieme.»

«Doveva essere una sorpresa anche per te, mio caro. È un anno che sei papà.»

Alec girò appena il volto per dare un’occhiata a Magnus. «Siamo entrambi papà.»

«C’è anche un’altra ragione, ma prima vorrei tornare a coccolarti, come stavo facendo. Perché non te ne sarei accorto, ma sono le quattro del mattino e volevo godermi un po’ di tempo solo con te, prima del risveglio del nostro mirtillo.»

Magnus era già tornato a tracciare disegni astratti sulla pelle di Alec, che provò a controbattere. «C'è Max di là, non possiamo fare rumore…»

«Richiudi gli occhi dolcemente, Alexander, e lasciati andare, non pensare a niente, ho già pensato a tutto io.»

Alec si morse un labbro, ancora indeciso, ma tentato. La voce di Magnus era persuasiva, giungeva lenta e sottile. Le dita erano tornate a viaggiare sul suo corpo e sapevano dove indugiare per farlo cedere. «Non dovremmo nemmeno... se viene...»

«Avrei una battuta scontata, per cui non la dirò e farò semplicemente questo.» Magnus si levò di scatto e schiacciò Alec sul materasso senza nessuna difficoltà. L’altro si impegnò a cavar fuori dal suo cervello annebbiato dalla lussuria le ragioni per cui non potevano, ma presto le sue labbra si trovarono occupate in altro. Magnus lo stava baciando e non avrebbe accettato nessun no come risposta.
In realtà nemmeno il corpo di Alec voleva fermarsi. Era acceso, infiammato. Aveva bisogno di quel bacio e di stringere Magnus ancora e ancora. Non aveva più freni, perché se il suo compagno lo aveva tranquillizzato, doveva aver usato la magia e quindi potevano concedersi quel momento di intimità.
 I denti di Magnus gli graffiarono il collo all’improvviso e poi sentì le sue labbra e la sua lingua.

Ansimarono entrambi. Avevano ripreso da qualche mese a fare l’amore, sempre un po’ titubanti e con un orecchio in ascolto con la paura che Max piangesse e loro non lo sentissero. A volte si concedevano solo qualche carezza, perché Magnus non dovesse attivare l’incantesimo per insonorizzare la stanza.

Nei primi mesi dopo l’arrivo di Max, che era entrato nelle loro vite come un tornado, loro due erano stati così assorbiti dalle mille esigenze del bambino tanto da scordarsi delle loro esigenze di coppia.
Molto spesso si trovavano a sera talmente stanchi che si scambiavano solo qualche bacio. Qualche volta avevano fatto il bagno insieme e si erano toccati un po'a vicenda, ma poi uno dei due aveva dovuto correre fuori per le urla di Max. Una volta avevano deciso di uscire come due fidanzatini e avevano portato Max da Jace e Clary, ma quando erano tornati a casa dalla cena si erano addormentati sul divano.
Alle tre del giorno successivo Jace li aveva chiamati preoccupato. Sapeva che di solito erano in apprensione per Max e chiamavano almeno due volte o anche tre, per sentire se stava facendo i capricci.  

Alec si era svegliato all'ottava chiamata del suo parabatai e aveva risposto alla nona. Jace gli aveva urlato ogni insulto possibile e immaginabile. Non aveva gradito essere ignorato per otto volte e non aver ricevuto risposta ai suoi cinquantuno messaggi.

Alec aveva svegliato Magnus e si erano vestiti di corsa per andare all’Istituto. Avrebbero potuto aspettare, siccome Clary e Jace si divertivano a tenere Max e Jace non aveva chiamato perché lo andassero a prendere, ma nessuno dei due voleva scaricare il bambino per troppo tempo agli altri.
Dall’ingresso dell’Istituto all’uscita, Jace aveva dato il meglio di sé, facendo di quelle battutacce che a un certo punto Alec aveva dovuto impedire che Magnus evocasse un’anatra.

«Oh, sì, Alec così...»

«Magnus, ah...»

Magnus ispirò forte e trovò comprensione negli occhi azzurri di Alec che dicevano che stava morendo tanto come lui. Gli strinse i capelli e con l'altra mano gli accarezzò gli addominali. Grazie all'Angelo che aveva deciso che i Nephilim dovessero allenarsi per proteggere il mondo.

Magnus scese con la mano, per grande gioia di Alec, e andò a sciogliere il nodo dei pantaloni. «Alexander, perché non fai un fiocco come tutti?» Brontolò Magnus, mordicchiandogli il collo per vendetta.

 Alec si lasciò scappare una risata. «Dopo il fiocco si scioglie e perdo i pantaloni.»

Magnus sbottò: «Scusa, ma per chi sarebbe stato un problema? Se ti cadessero i pantaloni, io guarderei.»

Alec rise di nuovo e l’altro borbottò contrariato, macchinando con i due lacci annodati e dovendosi staccare dal corpo che amava. «Non riesco a scioglierlo e io sono già quasi nudo.»

Alec infatti non aveva perso tempo. Gli aveva abbassato i pantaloni del pigiama fino alle ginocchia e si era concentrato a giocherellare con l'elastico delle mutande e a far entrare una mano in modo birichino.

«Il mondo si sta capovolgendo» mormorò Magnus, perdendo la pazienza. Stava anche sudando e si passò una mano sulla fronte. Alec sotto di lui non riusciva a trattenersi e rideva spensierato, per nulla intenzionato ad aiutarlo.

Se ne uscì persino con una domanda non da lui. «Non dovevo rilassarmi e godermi il mio pacco?»

Magnus scrutò sconvolto. «Il mondo si è davvero capovolto. Un tempo liberavo donne dai corsetti, spogliavo i miei amanti senza un solo indugio e ora questo piccolo Shadowhunter, che ha imparato tutto da me, mi deride perché non riesco a sgruppare un nodo. Che vergogna.»

Alec scosse la testa, diede un colpetto alle mani di Magnus e sciolse il nodo con movimenti rapidi e sicuri. Sotto gli occhi attenti da gatto dell’altro, fece scendere i pantaloni, sollevandosi leggermente.
Magnus si stava gustando la scena. Lo stava fissando come se non si aspettasse nulla di ciò nella sua vita, ma fosse felice di avere quel miracolo nel letto.  

«Magnus» lo richiamò Alec.

Magnus imbambolato si riscosse. «Ok, bene, sono tornato. Dov'eravamo rimasti?»

Alec sollevò le sopracciglia divertito e poi si accorse di avere di fianco la rosa blu. L’accostò un attimo al naso e poi l’appoggiò sul comodino. «Non vedo l'ora di vedere il mazzo.»

Magnus aspettò che si ristendesse e poi tornò sopra il suo Alec. Si guardarono per un istante con i loro cuori che battevano e i respiri lievemente irregolari, un istante dopo si stavano baciando con passione.
Magnus giocherellò con l'ombelico di Alexander, mentre l'altro passava le mani nei capelli del compagno. Erano morbidi e liberi dal gel e dai glitter. Tendevano appena ad arricciarsi sulle punte.

«Alexander...»       
    
«Mmm...»

«Mi tolgo i pantaloni... che ormai sono in fondo ai piedi.»

Alec sospirò e annuì, anche se non voleva smettere di sentire Magnus sopra di sé.
Fu per poco. Magnus doveva essere impaziente quanto lui, dato che tornarono immediatamente ad assaporarsi, con le loro pelli che si confondevano, le loro mani che cercavano l’altro in un bisogno spasmodico.
Il respiro affannoso di Magnus fu per Alec il segno che avevano aspettato anche troppo per togliersi le mutande. I loro occhi si incontrarono e concordarono su quel punto di vista.

Magnus afferrò gli slip di Alec con entrambe le mani e lentamente iniziò a tirarli giù. Troppo lentamente per i gusti di Alec che gli diede due schiaffetti mentre gettava la testa all'indietro. «Perché... piano... ora…»

Magnus si chinò per dare un bacio sulla guancia ad Alec. Respirò a fatica prima di parlare. «Mi piace farti impazzire.»

Alec non rispose, ma con una mossa frutto dei suoi allenamenti invertì le posizioni. Magnus sembrò per un attimo confuso, poi sorrise con malizia.

«Ehm…» mormorò Alec, pensando a qualcosa di intelligente da dire.
Magnus lo tirò sopra di sé e gli baciò le cicatrici e le rune al lato del collo.

«Papà?» Una vocetta si levò nel corridoio e li fece raggelare. «Vi siete chiusi fuori?»

Max era davanti alla loro porta. Come un gattino si stava buttando contro a quella barriera, che lo divideva dai suoi papà e dai rumori che sentivano sembrava che cercasse di scalarla, battendo con le sue manine, per raggiungere la maniglia troppo in alto per lui.
Magnus aveva gettato un incantesimo perché nessuno da fuori sentisse assolutamente niente di quello che accadeva all'interno della stanza e aveva sigillato la porta con uno schiocco di dita. Si era svegliato alle quattro per fare tutto e poi aveva iniziato ad accarezzare Alexander che si era svegliato.
Magnus sbuffò isterico: che ci faceva in piedi Max? Erano solo le quattro e mezza del mattino e di solito dormiva fino alle otto solo perché erano loro a svegliarlo!

Alexander inaspettatamente si lasciò scappare: «Merda.»

Fissò Magnus e si buttò di schiena sul materasso, chiudendo gli occhi e nascondendo la faccia con le mani. «Merda, merda, merda. Gli voglio bene, ma merda...»

Magnus l'avrebbe preso in giro, se non fosse che si sentiva frustrato allo stesso modo.
Si iniziarono a sentire anche dei colpetti alla porta.
«Credo che stia bussando» sospirò Magnus.

«Merda.»

«Alexander, credo che tu non abbia mai detto tante parolacce come in questi cinque minuti.»

«Cazzo.»

«Proprio come dicevo.» Magnus si sistemò appena le mutande e si alzò alla ricerca dei pantaloni.

Alec continuava a stare con le mani sugli occhi e borbottava parolacce a tutto spiano.

Poteva capirlo sinceramente e avrebbe anche ignorato la porta, se non fosse stato per il fatto che conosceva Max e si sarebbe messo a piangere disperato tra meno di tre minuti. Probabilmente si sarebbe anche arrabbiato, facendo saltare i suoi incantesimi. Era determinato quando voleva.

«Merda» stava continuando a mormorare Alec come una litania. La testa reclinata contro il cuscino, le mani tra i capelli come se non potesse credere a una simile sfortuna.

Magnus trovò i pantaloni e li infilò facendo un saltello e poi un altro. «Porto Max in bagno e poi cerco di convincerlo che è presto.»

Alec non sembrava neanche che lo avesse sentito, per cui Magnus girò intorno al letto e gli si avvicinò.
«Fiorellino?»

«Come si fa a non morire di autocombustione, Magnus?» chiese Alec, spalancando gli occhi scuri e liquidi per l’eccitazione.

Osservò Magnus che gli si avvicinava e richiuse gli occhi quando il suo compagno si accostò con il suo volto vicino al suo. Il suo respiro fu tutto quello che sentiva, oltre il suo cuore che gli batteva in gola a un ritmo galoppante. «Non lo so. Non sai con quale sforzo sono sceso dal letto, ma Max sa farsi ascoltare. Resta a letto. Torno subito.»

Alec annuì lasciandosi scappare qualcosa tra un ansito e uno sbuffo. Affondò una mano tra i capelli e li scompigliò ancora di più.
Magnus distolse lo sguardo, perché avrebbe voluto tornare a letto e passare le mani tra quei capelli, essere lui a scompigliarglieli. Quando si focalizzò sugli addominali di Alec, capì che era tempo di uscire dalla stanza. Il ventre scolpito di Alec era un gioco di linee che avrebbe voluto seguire fino alla V che spariva dentro gli slip leggermente abbassati.
Deglutì, mascherando con un colpo di tosse, ma le due acquemarine di Alec lo fissarono consapevoli. Provavano la stessa frustrazione, la stessa voglia.

«Papà! Papà!» Max continuava a urlare, ma loro si guardavano come fuori dal tempo. Magnus si chinò e baciò una tempia di Alec che richiuse gli occhi e trattenne il respiro contraendo il ventre.
Magnus depositò un bacio sull'orecchio del compagno e cercò di sistemarsi meglio le mutande. Tiravano leggermente.

«Papà! Papà!»

«Vai», gli concesse Alec, disgustato all’idea.

Magnus baciò il lobo del compagno e sussurrò. «Vado, ma tu rilassati, toccati...»

Il respiro di Alec si mozzò di nuovo e le sue guance si imporporarono. Chiuse gli occhi, li strinse, ma Magnus sapeva che in mezzo al sudore della fronte avrebbero brillato di lussuria e timidezza.

Lo stregone si alzò e prese un bel respiro, pensando a qualcosa di disgustoso o pauroso che potesse smorzargli tutto quel calore che sentiva.
Sciolse gli incantesimi e aprì la porta, trovandosi un bimbetto blu addosso. «Papà!»

«Blueberry» lo salutò Magnus, caricandoselo in spalla.

«Papà?» chiese Max, allungando il collo per vedere l’altro genitore nella stanza, ma Magnus si tirò dietro la porta. 

«Sta dormendo» spiegò Magnus e sentì quasi il proprio naso allungarsi per quella bugia. In fondo lo faceva per dare un momento ad Alec e poi sperava che, portando in bagno Max, la situazione si sarebbe risolta in una manciata di minuti. Aveva una voglia matta di fondersi con il corpo di Alec, di sentirlo caldo e fremente sotto di sé.

Chiaramente Max non era della stessa opinione. Voleva stare sveglio, perché voleva il suo regalo di compleanno. Magnus provò a dire che era presto, ma al piccolo non importava, perché la sera prima, zia Izzy, gli aveva detto di pretendere il suo regalo.
Il bambino nominò anche Jace, la nonna e “Simo”. Era il suo modo di chiamare Simon, siccome la enne finale non sembrava entrargli in testa.
Tutti loro finirono nella lista nera di Magnus quella mattina. Avevano caricato il figlio come un carillon, che ora aveva iniziato a suonare e sembrava impossibile da fermare. «Regalo, regalo, regalo, regalo…»

Dopo venti minuti in cui Magnus aveva provato a rimettere il figlio a letto, spuntò Alec.
«PAPÀ!» esclamò Max con la sua vocetta da birbante.
«Ti ho sentito in difficoltà» mormorò Alec al suo compagno, prendendo in braccio Max, che gli si accoccolò addosso come un innocuo gattino.

«Mi dispiace, amore» disse Magnus deluso, producendo fiammelle blu dalle mani, che il piccolo stregone si divertì a toccare.

A quel punto decisero di andare in cucina a fare colazione e diedero al loro piccolo carillon blu, che ancora girava e suonava «Regalo, regalo, regalo», il suo pacchetto.
Max rimase impressionato davanti alla barca dei pirati, come la chiamava lui e iniziò a giocarci sul pavimento, mostrandola soddisfatto anche a Presidente Miao.
Il gatto annusò l’oggetto e diede qualche colpetto all’asta della bandiera, per poi mettersi accanto al bambino.

«Presidente è il mostro più inoffensivo del mondo. Se i demoni fossero come lui, non dovremmo combattere.» Alec guardava con affetto Max che spingeva la barca e faceva finta di bombardare Presidente Miao, che impersonava il mostro pronto ad affondare i poveri pirati. 

Magnus bevve l’ultimo sorso del suo caffè e posò la tazza, schiarendosi la gola. «Alexander, vorrei darti il regalo che ti ho fatto.»

Alec distolse gli occhi dalla scena e guardò confuso il proprio compagno. «Non erano i fiori?»

«I fiori erano per te e Max.»

Alec appoggiò la tazza sul tavolo e allungò una mano verso Magnus. «Non dovevi, non è il mio compleanno, ma quello di Max e io non ti ho fatto niente.»
Un sorriso dolce illuminò il volto dello stregone, che agitò una mano. Una scatolina spuntò in mezzo al tavolo e ottenne la completa attenzione di Alec. «Cos’è?»

«Perché non la apri?» chiese Magnus, facendola avanzare piano piano fino al suo compagno.

Alec la prese in mano come se fosse una bomba inesplosa. Fu delicato nel toccare il pacchetto. Sciolse il fiocco con lentezza, lanciando un’occhiata significativa a Magnus. Lo stava ancora prendendo in giro di non essere riuscito a slacciare il nodo dei suoi pantaloni.
Poi Alec tolse la carta e aprì la scatola. Il suo viso rimase impassibile davanti al contenuto.

Magnus improvvisamente sentì di aver sbagliato completamente il regalo. Era un bel pensiero si era detto, ma in quel momento avrebbe tolto la scatola dalle mani di Alec e l’avrebbe lanciata fuori dalla finestra.
Magari sarebbe esplosa proprio come una bomba.
Cominciò a blaterare per non pensare all’eccessivo silenzio di Alec. «L'idea mi è venuta la settimana scorsa. Max giocava con il tuo anello di famiglia e con il mio. Ha una passione per gli anelli, li fa ruotare in aria, poi li infila, naturalmente sono talmente grandi che gli stanno a tre dita e non in uno.»
Alec aveva preso in mano l’anello d’argento, che brillava per il fascio dorato che entrava dalla finestra del salotto. Erano incise due lettere, una da una parte e l’altra giusto all’opposto. Tra queste due c’era l’incisione di un fuoco e dall’altra un libro.

Magnus diceva sempre che era semplice comprendere Alec, ma in quel momento non capiva cosa provasse. Il volto sembrava imperscrutabile. Continuò a parlare, sperando in una reazione. «Max giocava e mormorava “anli, anli”, sai quanto è adorabile, perché non sa ancora dire “anelli” e io ho pensato che ho i miei anelli con l’iniziale e tu il tuo di famiglia, ma non ne abbiamo uno nostro. Uno che dicesse che siamo i Lightwood-Bane, che avesse le iniziali L e B.»

Alec sempre in silenzio, se lo rigirò tra le dita. Stava osservando tutti i dettagli e coglieva i giochi di luce sulla superficie argentata. «Magnus, non serviva. Hai…»

«No, hai ragione» riprese Magnus, alzandosi in piedi. «È insensato. A che serve un anello? Ma cosa stavo pensando, quando l’ho fatto fare? Un oggettino così piccolo non indica niente di niente. Siamo una famiglia anche senza quello.»

Alec sgranò gli occhi e li puntò sul suo compagno. «Magnus…»

«No, fiorellino, non serve che mi spieghi nulla. È come quella volta che ho comprato un regalo a Raphael Santiago e lui me l’ha rimandato indietro, scrivendo che non aveva bisogno della lacca per i capelli e di stargli lontano e dimenticarsi del suo compleanno. Posso prenderti qualcos'altro. Vuoi un... dunque lasciami pensare...»

Magnus fece comparire il libro di magia e Alec era sempre più sconcertato. «Magnus, veramente…»

«Un orologio sportivo? Semplice, nero, utile per le tue nottate da Shadowhunter. Non so, forse potresti tornare a casa a orari decenti…»

«Magnus…»

«Alexander, so che sei uno Shadowhunter, non un amministratore, come mi hai detto una volta. Non voglio che tu sia diverso da quello che sei, ma…»

«MAGNUS, TACI.»

Presidente Miao scappò, andando a nascondersi sotto il divano. Max scoppiò a piangere e gattonando cercò di seguire il gatto, ma non riuscendo ad andare sotto il divano, si nascose dietro lo schienale. Il vascello dei pirati era rimasto in mezzo alla stanza.
Magnus lo osservò un attimo, domandandosi se era il caso di correre a consolare il figlio, ma due lacrime non gli avrebbero fatto male. Per cui fece segno di chiudersi le labbra e rimase in attesa.

«Merda», pronunciò Alec arrossendo. «Se mi lasciassi parlare, ti direi che mi piace molto e ti amo.»      
         
«Sono zitto ora.» Disse Magnus facendogli segno di dire quello che voleva.

«Comunque hai parlato per dire che ora sei zitto.» Alec gli scoccò un’occhiataccia, che poi addolcì. «Questo anello è meraviglioso e ti amo. Grazie.»
Rigirò l’anello tra le dita della mano destra e poi lo infilò nell’anulare della sinistra. Gli occhi di Magnus brillarono sollevati e si protese sul tavolo, per vedere meglio l’effetto dell’anello sul dito dell’altro.

Alec, invece, si concentrò sui singhiozzi del piccolo Max. Doveva essersi proprio spaventato e con lui anche Presidente. «L'ho fatto piangere il giorno del suo compleanno.»

«Un libro sosteneva che il pianto libera il sistema respiratorio dell'infante da problemi di natura infettiva» disse Magnus, atteggiandosi da professore.

«Davvero?»                            

«Me lo sono appena inventato.»

La risata di Alec riempì la cucina, rimbalzando tra le pareti sincera e gustosa. Magnus si godette quello che per lui rimaneva un miracolo e lo sarebbe sempre stato. Realizzava in quei momenti che negli Shadowhunters scorreva veramente sangue angelico e non era solo una vanteria.
In quella risata c’era tutto il Paradiso.

«Ho realizzato che tu mi hai fatto un regalo e io no.» Alec si era accostato a Magnus, spostandosi insieme alla sedia. «Non ci ho pensato.»

«Alexander mi hai dato talmente tanto, che non hai bisogno di darmi nulla in cambio…» lo stregone lasciò il discorso in sospeso, come colto da un’illuminazione. La sua bocca si piegò in un sorriso furbo e i suoi occhi diventarono più dorati che verdi.
Alec arrossì e provò a indovinare cosa fosse venuto in mente al suo compagno. «Vuoi provare quella pos...»

«No», Magnus lo interruppe. «Anzi rimandiamo il discorso della posizione a un giorno in cui siamo soli soletti, anche perché non ti ho festeggiato come avrei voluto. C’è un regalo che potresti farmi. Vorrei che tu mi richiedessi quello che mi avevi chiesto un anno fa.»

Alec capì immediatamente. Per festeggiare il compleanno di Max non avevano scelto il giorno in cui avevano trovato il bambino davanti al portone dell’Accademia, ma il giorno successivo quando avevano preso la decisione di tenerlo con loro.
Chi potrebbe mai amarlo? recitava il biglietto che Simon e i suoi amici avevano trovato vicino al bambino.
Avevano scelto il giorno successivo perché rispondeva a quella domanda. Loro l’avrebbero amato, loro l’avrebbero accolto come un figlio.
Era la stessa lunga nottata, ma quando avevano fatto quella chiacchierata alla luce della luna, davanti alla culla di Max, era passata già da qualche ora la mezzanotte. E sempre lì Alec aveva sorpreso Magnus con una specie di domanda, che non pensava nessuno gli avrebbe mai fatto.

«Sei pronto?»

«Certamente.» Magnus aprì le braccia, come se stesse lasciando un intero palcoscenico ad Alec e l’altro annuì imbarazzato.

«Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn, padre di Max, mio compagno…»

«Ricordavo fosse stato più come “Magnus, pensavo che ci saremmo sposati e poi avremmo avuto un mirtillo, non prima il mirtillo e poi le nozze”» mormorò Magnus fingendosi poco entusiasta della proposta che stava per ricevere.

 «Io propongo, io decido. Se no, vai da uno dei tuoi ex e spera che ti chieda di sposarti.» Ribatté Alec prendendo la mano destra di Magnus.
«Quanto sei sexy, quando mi bacchetti.»

Alec gli lanciò un’occhiataccia e ripartì, schiarendosi la voce leggermente emozionata. «Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn, padre di Max e mio compagno, vorresti sposarmi, sposare me, Alexander Lightwood?»

«Ancora no, purtroppo.» Magnus accarezzò la guancia di Alec. «La legge non è cambiata, ma io ci spero ogni giorno che cambi e ci dia il diritto di sposarci in oro, anche se sono un Nascosto. La legge dice di no, ma nel mio cuore è sempre sì. Per te, Alec, è sempre sì.»
 
 
 

Sono qui e sono in ritardo, lo so. Colpa di un esame, che per fortuna è andato bene.
Questa è la prima parte di tre (o almeno penso). Io avrei aggiunto anche altre due frammenti, ma la MPL mi ha detto di regalarvele un po’ alla volta. È buona, anche se era arrabbiata, perché non ho dato la precedenza a un’idea per una OS sulla gelosia di Magnus.
Ho alzato la storia dal rating giallo all’arancione per la scena iniziale, di cui mi vergogno non poco, perché ne avevo scritta solo un’altra nella mia vita, quindi perdonatemi se non è un granché. Grazie Max per invadere sempre la privacy.
L’anello L-B era già citato nello scorso capitolo e ci tengo molto, nonostante la MPL abbia detto “Non si è una famiglia per un anello”, quindi le paturnie di Magnus sono nate grazie a lei. Max qui chiama Papà sia Magnus che Alec. Ho pensato che si renderà conto del problema, ma non a un anno. 
Grazie a chi legge.  

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Capitolo 5
*** First mark ***


 
First mark
 
Alla vera Rafael, che non dimostra mai quanto tiene agli altri
 

Rafael se ne stava dietro la porta aperta. Guardava la pedana sopraelevata, al centro esatto del salone con sguardo critico. Non serviva di certo posizionarla, ma Magnus non aveva voluto sentire ragioni e anche nonno Robert l’aveva supportato con profonda gioia del vecchio.

«È un giorno speciale per un piccolo Nephilim.»

Questo lo sapeva anche Rafael, che aspettava quel giorno da sempre. Era nato da una famiglia di Nephilim, morta nell’attacco all’Istituto di Buenos Aires, salvato da un Nephilim e curato dal suo pazzoide compagno stregone, poi cresciuto dagli stessi, come un Nephilim, quindi sentiva in ogni parte del suo essere l’importanza di quella giornata.
Aveva dodici anni e poteva ricevere finalmente il suo primo Marchio. Iniziava il cammino per il quale era nato e si sentiva onorato.
Non c’era bisogno di tutta quella cerimonia, quella gente, quei fiori o il rinfresco che sarebbe seguito. Aveva provato a dire ad Alec che bastavano loro, la sua famiglia, e al massimo i parenti più stretti, ma ogni volta che ci provava, finiva per parlare di tutt’altro.

Con il vecchio non aveva neanche tentato, era così felice di poter organizzare il ricevimento che non prestava attenzione nemmeno ad Alec.
Aveva comprato delle riviste che parlavano di cerimonie e le leggeva avidamente, prendendo appunti qui e là.
Molti dei suoi clienti si erano venuti a lamentare, perché aveva cancellato appuntamenti su appuntamenti all’ultimo minuto, oltre che non aveva risolto nemmeno i loro problemi.
Max si era proposto a qualche cliente, ma nessuno l’aveva preso in considerazione. Anche se si capiva dalla sua pelle blu che era uno stregone, rimaneva comunque un bambino di dieci anni e nessun mondano avrebbe assunto un bambino di dieci anni per un lavoro. 
Dopo la tredicesima chiamata di un cliente infuriato, che voleva nel suo acquario una sirena e si era trovato un pescecane, Alec aveva provato a parlare a Magnus.

Rafe, che ascoltava dietro la porta della loro camera, aveva sperato fino all’ultimo che Magnus capisse e smettesse con tutti quei preparativi, ma poi era saltato su con un lampo di genio. «La musica! Ecco che cosa mancava, ma come sono smemorato. Naturalmente Rafael vorrà la musica…»
«Magnus, non so come dirtelo, ma…»

«No, Alexander, non mi devi dire niente. Hai perfettamente ragione. Sono un padre degenere che non pensa nemmeno alla musica per il proprio ragazzo a cui piace la musica.»

Rafe era rimasto ancora dieci minuti dietro la porta, ma Alec non aveva più parlato, probabilmente sconvolto quanto lui.

Grazie all’Angelo qualcuno era stato in grado di fermare il suo vecchio, o almeno solo in parte.
Robert aveva voluto partecipare attivamente all’organizzazione e Magnus si era dato leggermente una calmata. Per esempio non aveva più proposto le piume bianche di non si sa che animale in mezzo ai fiori o la pioggia di glitter al momento del suo ingresso.
Comunque anche nonno Robert non aveva aiutato poi molto. Era stato lui a proporre di fare gli inviti e aveva chiamato talmente tanta gente che il grande salone era sovraffollato.

Rafe respirò intensamente con gli occhi fissi sulla pedana. Per quanto cercasse di pensare ad altro, quell’oggetto decorato con le rune attirava la sua attenzione e la sua ansia. Avrebbe voluto tanto che uno dei presenti gli chiudesse la visuale, ma Magnus aveva posizionato delle torce lungo il percorso tra la porta e la pedana.

Fiamma per la nascita di un Nephilim
E per lavare via i peccati

A Rafe vennero in mente i versi della filastrocca dei colori e sistemò sui polsi la tenuta in cuoio.
Era strano indossarla, sapendo che di lì a poco avrebbe ricevuto anche il suo primo Marchio.
Mosse le spalle, facendo contrarre e distendere i muscoli. Arcuò la schiena, sentendo la tenuta come una seconda pelle.
Assunse una posizione fiera. Dopo un attimo si sciolse, sbuffando. Si sentiva solamente uno stupido.

«Sei ansioso, fratellino?» chiese Max, comparendo dal corridoio. Magnus aveva definito il suo look “un mix casual ed elegante, che avrebbe messo in mostra tutta la magica e piccola presenza di blueberry”.
Rafe sinceramente avrebbe tolto il papillon a Max e aperto i primi bottoni della camicia, così da renderlo ancora più casual, ma non aveva voluto contraddire il suo vecchio.

«Sono più grande di te» ribatté Rafe a denti stretti.

«Ma hanno trovato prima me.»

Era uno dei loro battibecchi preferiti. Di solito queste liti finivano con uno dei due schiacciato per terra, molto più spesso Max con somma soddisfazione di Rafe, che si proclama il maggiore e ordinava all'altro di fare i lavori commissionati da Alec.

«Lasciamo perdere… non ho voglia di stenderti in mezzo al salone.»

«Chi ti dice che vinceresti?» chiese Max divertito. «Sono vestito di nuovo e Papa ti ucciderebbe se mi vedesse sporco.»

«Basterebbe un tocco di magia e sparirebbe tutto» commentò Rafe spazientito. «Microbo, perché sei venuto qui?»

Max evocò una sedia con uno movimento pigro della mano. Si accomodò sotto lo sguardo stranito di Rafe.

«Ero stanco di stare in piedi» spiegò il più piccolo tranquillamente. «Papa mi ha fatto stare in piedi un’ora per decidere come stavano meglio i jeans, se risvoltati o fatti scendere sulle scarpe e bloccati con gli spilli. Proprio una noia ed è tutta colpa tua.»

Rafe lo squadrò malevolo, ma non commentò. Allungò il piede e diede un calcetto alla sedia. «Potevi evocarne una anche per me.»

«L’ansia si vince meglio in piedi.» Il sorriso di Max assomigliò in modo impressionante a quello dello Stregatto in Alice e il Paese delle Meraviglie.
Rafael si girò di nuovo verso il salone, spazientito dalla presenza di Max, e immancabilmente l’occhio cadde sulla pedana. Se possibile sembrava che ci fossero ancora più persone.

Max comparve al suo fianco, buttandoglisi addosso. «Conosci qualcuno?»

«C’è Catarina e quella… ah sì, è zia Lily, si vede che è riuscita a venire.» Rafe iniziò a cercare volti conosciuti tra la folla insieme a Max, che commentò.
«Guarda come gli Shadowhunters guardano i Nascosti. Non possono credere che a una festa pienamente vostra, come quella del primo Marchio, ci siano anche dei lupi mannari, i vampiri e gli stregoni.»
Dopo una piccola pausa, Max mormorò con una dolcezza disarmante. «Stai facendo la storia.»

«La storia?» chiese Rafe sgranando gli occhi, piuttosto confuso.

«Sì, la storia. Non credo che a nessuna celebrazione del primo Marchio ci siano mai stati tanti Nascosti, mentre qui conta quanti ce ne sono. Tra parentesi anch’io e Papa lo siamo. Siamo tutti qui per te… bè, quei tizi del Conclave mi sembrano qui su invito del nonno, ma comunque ci sono sempre degli imbucati alle feste, come dice Papa.»

Rafe non sapeva proprio cosa dire. Non ci aveva neanche pensato a questa eventualità. Sinceramente non pensava di fare la storia, credeva di iniziare solo il proprio cammino.

«Ora sono in ansia, ma ansia forte.»

Rafe sentì Max che si staccava da lui e vide che i riccioli blu sul lato sinistro della testa del fratello si erano schiacciati. Non sembrava che a lui importasse.

«Non devi. Sinceramente se fossi in te, avrei altri motivi per essere in ansia. Potresti cadere in stato di shock quando ti applicano il Marchio o avere
allucinazioni nei prossimi giorni. Tra i problemi ci sono gli incubi notturni… fenomeni enuresi notturna e ti ricordo che non abbiamo più i pannoloni come quando eravamo i piccoli… poi capacità di dialogare con gli animali. Questo punto potrebbe essere interessante, siccome potresti parlare con Presidente tutta la notte per non addormentarti…» Rafe sgranò gli occhi a mano a mano che Max elencava. «Ci sono anche le visioni apocalittiche e per quelle avresti Papa come alleato. Potreste guardare insieme fuori dalla finestra e riflettere sulla fine del mondo…»

Rafe cercò di trovare le parole, ma la sua lingua sembrava essersi ingrossata nella sua bocca.

«Però il Codice dice che la maggior parte delle volte si prova solo un “bruciore gelido”. Tu potresti provare solo quello.» Gli occhi di Max brillarono maligni. «Si dice anche che qualcuno sia morto… sei sicuro di non essere un Changeling?»

«Perché… perché...?»

«Perché ti dico questo? Semplice» disse Max dando una pacca al fratello. «Mi sono vendicato finalmente, non avresti mai dovuto dirmi che Babbo Natale non esiste.»

Rafe sgranò ancora di più i suoi occhi. Ormai dovevano sembrare più grossi di due fondi di bottiglia. Sinceramente non si ricordava che nel Codice ci fossero segnati tutti quegli inconvenienti, però suo fratello aveva una memoria di ferro e si doveva vendicare. Era perfido, quando cercava vendetta. 
Rafe si maledisse di non aver riletto la parte del Codice sul primo Marchio. «Ma… ma… ma…»
«Dunque voi Cacciatori non dite buona fortuna… “In bocca al lupo” non è carino nei confronti del lupo che ti dovrebbe tenere in bocca… dai, bro, in gamba! Vedrai che andrà tutto bene, il tuo fratellone è qui per supportarti.»

«Bravo, Max, bellissime parole.» Magnus spuntò in quel momento accanto ad Alec. Entrambi erano vestiti in modo impeccabile, notò Rafe mezzo allucinato per le parole del fratello. «Amore, hai visto come si vogliono bene i nostri due fanciulli?»

«Molto bene» aggiunse Max, abbracciando Rafe che rimase immobile.

 Alec guardò verso il salone e fece un cenno a qualcuno, probabilmente a Jace, poi posò gli occhi su Rafe. «Si comincia.»

Rafael quel giorno fece ben tre promesse a se stesso, mentre studiava il suo primo Marchio nel letto quella sera stessa. Il Marchio, per la cronaca, aveva bruciato solo il momento in cui era stato tracciato.
In compenso aveva rischiato di svenire, mentre percorreva il percorso tra le fiaccole. Era tanta la paura e il calore, che per poco non era caduto a terra.

La prima promessa fu che non avrebbe mai più svelato nessun grande segreto o mistero a suo fratello. Max credeva ancora che ci fosse la fatina dei dentini e pensava che fosse la cameriera dolce e gentile del Taki, ma lui non gli avrebbe mai detto che la cameriera era solo una cameriera e la monetina la infilavano Magnus e Alec con il messaggio: Grazie per il tuo dentino, sei un bravo bambino. Ora la mia casa posso fare e un bambino senza denti aiutare.
Rafael non aveva mai voluto sapere chi dei due avesse pensato a quelle rime inquietanti.

La seconda promessa fu che avrebbe riletto il Codice fino a impararlo a memoria per non farsi mettere più in paranoia da suo fratello. Cavolo, era lui il Nephilim!

La terza promessa fu che avrebbe sempre lasciato un ricevimento in mano a suo padre. Sì, disse “suo padre” e non vecchio, come fin dal primo momento l’aveva chiamato. Era stato meraviglioso vedere i fuochi d’artificio che brillavano all’interno del salone attivati dalla sua magia, da quella di Catarina e Tessa.

Aveva riso insieme a Max e Magnus, quando metà dei delegati del Conclave balbettavano ubriachi per colpa dei cocktails di Jace, che sembravano acqua.
Era stato Magnus a tramutarli da un color rosso accesso a trasparente, ma fu Jace a beccarsi tutti i rimproveri di Clary, che aveva un pancione enorme e non riusciva nemmeno a stare in piedi.

Fu meraviglioso quando partì la musica e nonno e nonna ballarono insieme in modo lento e rigido in mezzo agli altri che si scatenavano. Simon faceva ballare la sua piccola Rachael, che saltellava facendo ondeggiare le sue treccine e Isabelle sorrideva loro cullando George. Alec venne costretto da Magnus a ballare con promesse che Rafe non avrebbe mai voluto sapere, dato il colorito acceso del papà che cinque anni prima l’aveva salvato.
Era stata semplicemente la miglior celebrazione del primo Marchio che tutti gli Shadowhunters dovrebbero avere.
 
 
 

Ciao a tutti,
intanto volevo scusarmi per l’abbondante ritardo. Ho avuto due esami attaccati e piuttosto pesanti che mi hanno completamente assorbita. Scribacchiavo nei ritagli di tempo sui messaggi e nelle note del mio cellulare. Oltretutto sicuramente (o forse no) vi aspettavate la seconda parte delle proposte di matrimonio, ma c’è stato un intoppo con una scena che avevo scritto, ma rileggendola mi diceva che qualcosa non andava, quindi non potevo proprio mettervela. La sto riscrivendo, quindi spero di finirla e regalarvi la seconda parte.
Passando a questo, l’avevo già scritto e ho pensato di mettervelo per non farvi aspettare ancora.
Cose importanti che devo dirvi: Rafe chiama Magnus “vecchio”, non mi ricordo se ve l’avevo già detto, ma ve lo ridico. È una cosa a cui tengo. Come Rafe che dice a Max “microbo”. Quelli sono nati così senza ispirazione.
Gli effetti della prima runa vengono dal Codice e mi hanno ispirata.
La poesiola inquietante sui dentini è stata scritta da Alec e Magnus (probabilmente erano ubriachi!), io ho solo riportato il loro delirio (se se e tutti ci credono XD).
 

Vi metto un piccolo assaggio della seconda parte di Proposal. Per ringraziare chi ha commentato, chi ha messo questi 4 tra i preferiti/seguiti/daricordare e chi semplicemente legge. Grazie mille.
«Cosa gli hanno regalato?» chiese Magnus abbassando la voce, mentre Max afferrava il suo cucchiaio blu per la pappa dalle mani di Alec.
«Credo una cucina giocattolo.»
«Degli Shadowhunter che regalano una cucina giocattolo? Pensavo ci fosse una cavallina per iniziare ad allenarsi» ironizzò Magnus, facendo ridere Alec, che mormorò. «Oh, no. Hai già scoperto il regalo per il suo quinto compleanno.»

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Capitolo 6
*** Proposal part 2 ***


 
Proposal part 2


A zia G., che non è nemmeno mia zia, ma lo vorrei tanto.
Grazie a lei ho conosciuto questa famiglia pazzoide
Buon compleanno.
 
 

Riepilogo affidato a Rafael Santiago Lightwood-Bane: Io non c’ero nemmeno nella prima parte e la tipa che scrive mi ha affidato questo riepilogo. Non lo volevo fare, ma mi ha detto che mi darà qualche soldino, quindi ho accettato con piacere.
Tutto è iniziato con una scena non adatta ai minori tra *si guarda intorno per vedere se c’è qualcuno della sua famiglia* i miei papà, che voi conoscete come Alec e Magnus. Per fortuna è arrivato il mio fratellino (Sei tu il mio fratellino- grida Max da dietro le quinte) e sono andati in cucina. Mio fratello ha compiuto un anno e i miei genitori hanno iniziato un stupidissimo… no, Alec, non ho detto stupidissimo, ma stupendissimo rito. Ogni anno Alec rifarà la proposta a Magnus fino al loro matrimonio. Mi sa che faccio tempo ad avere due o tre bambini. Ah, muchas gracias a todos por su atención.
Grazie a tutti per l’attenzione- Max – L’ha detto in spagnolo, solo perché vuole attirare delle ragazze!

 


Terzo anno dalla prima proposta

Max stava davanti alla tv con il suo trenino sotto l’ascella e ogni tanto ripeteva qualche parola che sentiva nel cartone. Alec lo controllava sporgendosi dalla porta della cucina, dove stava preparando la colazione. Mise il succo e lo yogurt su un vassoio che aveva preparato sul tavolo.

Poi si spostò ai fornelli per accendere il fornello sotto alla caffettiera. A New York usava la macchinetta del caffè, mentre lì a Parigi si coccolava con un buon caffè preparato da sé. Macinava i chicchi, con il cucchiaino adagiava la polvere nel filtro, dopo aver messo l’acqua controllando meticoloso che non andasse sopra il livello indicato. Gli dava pace fare quelle piccole azioni e sentire il profumo del caffè lo aiutava a svegliarsi del tutto.

Max si era svegliato alle cinque, siccome era crollato alle otto di sera. Doveva essere stato molto emozionante giocare tutto il pomeriggio con una piccola nixie che aveva conosciuto nel parco poco lontano dall’appartamento. Alec e Magnus li avevano osservati seduti sopra un telo e poi si erano messi a chiacchierare tra loro, guardando la Torre Eiffel in lontananza.

Max fece un suono e Alec si sporse dalla porta della cucina per guardarlo. Era completamente assorbito dal cartone e mangiucchiava il fumaiolo del treno.

«Max, non metterlo in bocca, arriva la colazione.»

«Non sono stato io» mormorò Max senza nessuna ragione, ma appoggiò davanti a sé il treno.

Alec sorrise, scuotendo la testa.

Il fischio della caffetteria annunciò quello che il profumo del caffè aveva già anticipato. Il caffè era pronto e Alec spense il fornello, per prendere le due tazze preferite di Magnus. Le aveva rubate al Capo dei vampiri di Parigi a metà del Novecento che a sua volta se n’era impossessato illegalmente durante un ballo a corte molti anni addietro in cui si era imbucato. Magnus sosteneva di averle fatte sparire perché era stata una serata noiosa, nonostante quello che gli avevano detto quando l’avevano invitato. Erano due, una per se stesso e una l’aveva rubata per Tessa, che abitava con lui a Parigi da due settimane ed era rimasta a casa sdraiata sul divano con un libro in mano.

Alec le mise sul vassoio e andò in salotto. Magnus arrivò in quel momento sbadigliando e massaggiandosi la pancia. «Buongiorno, gente mattiniera»

«Dillo a nostro figlio» sorrise Alec, posando il vassoio sul tavolino.
«
A proposito del nostro piccolo stregone…» Magnus si avvicinò di soppiatto al piccolo, che comunque era troppo preso dalla tv per accorgersi del padre, e lo abbracciò buttandosi a terra accanto a lui. «Buon compleanno, mio piccolo principino blu!»

«Grazie, Papa» mormorò Max distrattamente.

«Lo stai soffocando… e da quando principino, di solito non è blueberry?» chiese Alec mettendosi a sua volta seduto.

Max non sembrava poi preoccupato di venir soffocato dall’abbraccio del padre e si lasciava stringere e coccolare.

«Vuoi che chiami te principino?» disse Magnus, guardando con interesse Alec, che fece una smorfia.

«Per l’Angelo no.»

«Peccato, mi accontenterò di fiorellino. Ahio.»
Max aveva tirato una ciocca di capelli di Magnus e stava allungando una mano verso l’altro padre. Alec lo prese e gli diede un bacio sulla guancia. «Ti ha punito perché fiorellino non si può sentire.»

Magnus non rispose e gli diede solo un pizzicotto sul fianco. Alec tentò di spostarsi ma proprio in quel momento un oggetto piuttosto duro lo colpì e rotolò fino ai suoi piedi, facendo un rumore per nulla incoraggiante.

«Yogo…» Max nascose le mani tra il suo corpo e quello paterno.

«Max!» esclamò Magnus cercando di non guardare Alec che si massaggiava la testa, ma concentrando l’attenzione sul pavimento dove lo yogurt si stava spandendo. Per fortuna quando aveva rimodernato l’appartamento non aveva messo il parquet.
Sospirò e ripulì con uno movimento della mano, guardando Max, che si era avvicinato di nuovo a lui. «Mirtillino, questa volta Alec non ce la farà passare liscia né a me né a te.»

«L’ho fatta grossa.» Max si nascose contro il suo petto e Magnus gli diede una pacca.

«Sono qui accanto a voi e sento tutto.»  Alec incrociò le braccia con uno sguardo serio. «Siete salvi per oggi, perché è il tuo compleanno, signorino…» Lanciò un’occhiata al figlio, attento al discorso, nonostante ogni tanto lanciasse qualche occhiata allo scatolino vuoto dello yogurt. «Ma non la passerete liscia ancora. Pensate se entrasse un demone e voi foste senza energia magica, cosa fareste?»

«Alec, quale parte del Sono il Sommo Stregone di Brooklyn non ti è chiara?» chiese Magnus un po’ sbruffone e sistemandosi le maniche lisce della maglietta del pigiama giallo canarino, come fosse una camicia. «Vivo da qualche giorno e me la sono sempre cavata con i demoni.»

«Ho bisogno della tua forza, Alexander. Non potrò più usare i miei poteri, Alexander. Sono stanco morto, Alexander. Forse dovrei calare con il lavoro, Alexander…»

«Hai chiarito meravigliosamente il punto, Alexander.» Magnus girò Max verso di sé e gli disse. «La magia si usa con moderazione, blueberry. Se entra un demone e abbiamo evocato due frullati, poi potrebbe ridurci lui a un frullato.»

Max lo guardava confuso con la testa leggermente piegata di lato e Magnus aggiunse: «Ci riduce a uno yogurt.»

«Yogo, yogo» pigolò il bambino con gli occhi accesi, tenendosi il pancino.

«Vado a prendere un altro yogurt e spero che un giorno lui sia più coscienzioso di te.» Alec si levò su e andò in cucina, prendendo lo scatolino vuoto.
Magnus sospirò, guardando la figura del compagno scomparire dietro la porta. Si preoccupava troppo, perché nessun demone poteva entrare facilmente a casa loro, se non l’aveva espressamente evocato lui e certe volte quei simpaticoni dei suoi parenti infernali si opponevano al suo volere, dando motivazioni assurde per non rispondere al suo richiamo.
Era terribilmente seccante litigare con un demone, che non appariva, perché era ancora nel suo mondo e ti diceva che doveva stirare le camicie. Avevano una risposta per tutto.

Alec tornò e il suo volto era ancora serio. Max zampettò fuori dall’abbraccio di Magnus e si sedette dove poco prima c’era la macchia di yogurt. «Daddy, scusa.»

Quelle due parole furono pronunciate con una dolcezza disarmante. Alec si concentrò completamente sul figlio e lo guardò con aria sognante, come la prima volta che l’aveva preso in braccio. «Arriva il tuo yogurt, signorino, e questa volta farai meglio a mangiarlo. Ti servono le forze per aprire il pacco gigante della nonna e del nonno.»

«Cosa gli hanno regalato?» chiese Magnus abbassando la voce, mentre Max afferrava il suo cucchiaio blu per la pappa dalle mani di Alec.

«Credo una cucina giocattolo.»

«Degli Shadowhunters che regalano una cucina giocattolo? Pensavo ci fosse una cavallina per iniziare ad allenarsi» ironizzò Magnus, facendo ridere Alec, che mormorò. «Quella sarà per il quinto compleanno.»

«Inizieremo a fare posto in casa.»

«Magnus, per te ogni scusa è buona per usare la magia e arredare casa all’infinito.» Alec gli lanciò un’occhiata, per tornare a controllare Max con attenzione.

 «Beccato!» esclamò Magnus alzando le braccia in segno di resa. «Mi vuoi far punire dal Conclave per questo?»

Alec non rispose, era troppo intento a guardare Max che si sporcava il naso con lo yogurt alla fragola. Magnus notò il movimento delle labbra che Alec faceva a ogni cucchiaiata di Max, che finisse nella sua bocca o meno. Sembrava quasi che si stesse trattenendo dall’aiutare il loro bambino, ma allo stesso tempo lo supportasse con il pensiero e gli venisse spontaneo muovere anche la bocca.

«Sistemeremo casa, quindi. Mi concentrerei sulla stanza degli ospiti…» Disse Magnus, approfittandosi della distrazione di Alec, che annuì senza averlo ascoltato minimamente.

«Avrò un fratellino?» chiese Max inaspettatamente.

Magnus rimase senza parole, mentre Alec ripeteva le parole meccanicamente, come se non ne comprendesse il reale significato della domanda del figlio.
Non sapeva come gli fosse venuto in mente e tantomeno non aveva una risposta da dargli.
Lui e Alec avevano parlato di avere altri figli, ma senza davvero avere l’intenzione di farlo nell’immediato. Max occupava le loro giornate, i loro rispettivi lavori occupavano le loro giornate, le loro vite occupavano le loro giornate. Un altro figlio era solo una conversazione, non una realtà.
Il silenzio si protrasse per un po’ e Max si era rimesso a sporcarsi con lo yogurt. A quell’età uno yogurt o un fratello avevano la stessa priorità.

«Come ti è venuto in mente, cucciolo blu?» chiese Magnus ritrovando la voglia di parlare e dando una spintarella a Max che agitò le gambe e le braccia infastidito e divertito. «Vorresti un fratello?»

«Un fratellino o un reame di fragole» disse Max, cercando di mettersi in testa il contenitore dello yogurt, vuoto, ma ancora sporco. Alec gli tratteneva la mano in silenzio, elaborando la richiesta. «Zia ha detto che la camera degli ospiti si mette a posto per l’arrivo di un nuovo bimbo.»

Magnus si segnò di fare un discorsetto a Isabelle. Intanto che c’era, avrebbe fatto un discorsetto all’intera famiglia Lightwood, perché mettevano strane idee nella testa di mirtillino, che voleva cacciare i demoni, rimanere sveglio per giocare oltre le dieci e fare il bagno negli spaghetti.
Alec finalmente diede segni di vita, dopo un sospiro, si levò in piedi e prese il contenitore dalle mani di Max, che protestò lanciando un urlo. Però Alec non lasciò la presa e andò verso la cucina in silenzio.

Magnus si avvicinò al bimbo e fece apparire un bavaglino e dei tovaglioli per dargli una pulita. Mirtillo non sembrava per niente felice. Faceva un leggero suono scontento per la mancanza dello yogurt e cercava di evitare le cure di Magnus.

«No, no, no» cantilenava, agitando le mani.

Alec apparve dalla cucina ancora pensoso e prese una delle tazzine di caffè ormai fredde. Buttò giù il caffè, come fosse uno shottino di vodka e Magnus lo fissò. «Tutto bene?»

«Vado a prendere il regalo.» Alec con la mascella e le spalle rigide uscì dalla stanza verso la loro camera.

«Mirtillo, sei bravissimo a metterci in crisi» pensò Magnus, lasciando andare mirtillo che non si era reso conto del turbamento dei genitori. Aveva percepito solo una parola: regalo.

«Questo è da parte dei nonni» annunciò Alec, rientrando con un grosso pacco rosso con i pois gialli e un fiocco gigante. Lo trascinò fino al tappeto.

«Mio, di Max» disse il piccolo, battendo contro la carta. Il suono fece capire a Magnus che sotto alla carta c’era il cartone. «È grosso.»

Alec e Magnus sciolsero il nastro e iniziarono togliere la carta, aiutati da Max, che si infilava dappertutto per vedere per primo il suo gioco.

«Ma è mega super grandissima.» Max abbracciò la cucina, come se fosse un essere vivente e si presentò pure. «Ciao, sono Max. Ho tre anni, ho due papà e non tutti hanno due papà, ma io sì ed è bellissimo, anche loro hanno una cucina, ma tu sei più bella della loro…»

«La cucina che hai tanto voluto Alec è sorpassata rispetto a questa. Lo dice anche Max. Ti avevo detto di comprare l’altro modello.» Magnus si alzò e andò vicino ad Alec, che sorrideva ancora un po’ rigido. «Tutto bene?»

Alec annuì e prese per mano l’altro, avvicinandolo e accoccolandosi nel suo abbraccio. «Vieni un attimo sul balcone.»

Magnus fece un cenno e si lasciò guidare oltre la porta finestra del salotto. Da lì potevano controllare lo stesso Max, che in realtà era totalmente assorbito dalla sua nuova cucina giocattolo e dai pentolini da non prestar attenzione a altro. «Ci sono le fragole in frigorifero!»

«Con le fragole la cucina guadagna punti» sorrise Magnus, distogliendo lo sguardo dal figlio e lanciando un’occhiata al panorama. «Chissà cosa penserà quando vedrà il nostro regalo.»

«Non gli possiamo dare tutti i regali insieme. Perderebbe interesse per quelli che ha già scartato.» Alec guardò verso la Tour Eiffel che svettava sopra i tetti e i palazzi. Prese un respiro e mormorò. «Qui è sempre bellissimo.»

Magnus si appoggiò alla ringhiera e guardò il via vai sotto il loro palazzo. Sorrise, perché sapeva che Alec si era innamorato di Parigi e soprattutto di quell’appartamento. Era quasi sicuro che lo amasse quasi più di quello di New York, nonostante fosse casa loro, la casa ufficiale, quella in cui tornavano e vivevano per la maggior parte del tempo.
Parigi piaceva anche a Magnus, anche se non sempre amava i parigini e la loro politica caotica e troppo rivoluzionaria. Non sempre aveva avuto buoni rapporti con i vampiri di quella città e per molto tempo aveva pensato anche di non tornarci mai più. Però il primo viaggio con Alec l’aveva fatto riappacificare con la città. Vederla attraverso gli occhi di Alec, curiosi e affascinati, aveva aggiunto una sfumatura nuova.
Era innamorato e per la prima volta sentiva di capire perché Parigi era la città dell’amore. Non era stato tutto semplice in quella tappa del viaggio, qualche incomprensione, qualche dubbio da parte di entrambi, ma piano piano si erano aperti l’uno all’altro e avevano trovato per la prima volta l’intimità. In quello stesso appartamento, dopo che aveva venduto quello storico che aveva posseduto per diversi secoli, e in quella camera da letto con le pareti rosse e ammobiliata in stile orientale, sopra quel letto mastodontico, con le coperte bianche di scivolosa seta, Magnus e Alec avevano scoperto un piacere nuovo dello stare insieme.

Magnus non poteva di certo dimenticare l’unica occhiata che Alec aveva lanciato a quella camera prima che partissero per Dubai. Il suo Cacciatore non si era nemmeno accorto che lo stava guardando, così preso a fissare il letto e dare un ultimo sguardo alla fotografia che Magnus aveva deciso di mettere in cornice sul suo comodino in ricordo di quella tappa del loro viaggio.

Quella cornice c’era ancora e vicina ce n’era una di Max che mordeva la manica della sua tutina da neonato.

«Magnus» lo richiamò Alec, posandogli per un momento la mano sulla spalla e poi spostandosi.

Magnus si voltò, dopo un ultimo sguardo alla torre di ferro così disprezzata dai parigini, che però era così amata in tutto il mondo, e trovò Alec con un ginocchio a terra e i suoi occhi azzurri limpidi. Era leggermente imbarazzato, ma teneva il viso fisso su di lui. Parlò con voce decisa: «Magnus Bane…»

«Alec, mi stai per fare la proposta? Qui con tutta Parigi hai nostri piedi? È veramente romantico, fagiolino, molto più romantico dell’anno scorso che me l’hai fatta con gli occhi chiusi e ti sei addormentato prima di sentire la mia risposta.» Alec alzò leggermente gli occhi, diventando ancora più rosso. Non aveva gradito l’interruzione e Magnus si affrettò a scusarsi. «Mi tappo la bocca, giuro. A lei la parola, Alexander.»

Alec sorrise e lo stregone ringraziò mentalmente biscottino per aver portato quel magnifico uomo inginocchiato nella sua vita. Le doveva comprare per forza un profumo. 
«Magnus Bane, veux-tu m'épouser?» chiese Alec. Una mano giocherellava con l’orlo della sua maglietta del pigiama, sformandola ancora di più di quanto non fosse e l’altra si spingeva in avanti tra loro alla ricerca della mano di Magnus, che fece scontrare i loro palmi con un sorriso.

«Sei pieno di sorprese, fiorellino» mormorò lo stregone, complimentandosi con il compagno per l’ottimo accento francese. «Sei stato sempre pieno di sorprese e io sono un uomo molto fortunato.»  

Magnus si abbassò sotto lo sguardo perplesso di Alec e si inginocchiò a sua volta. «E questa posizione è dannatamente scomoda. Non senti anche tu le ginocchia, che dolgono a contatto con il pavimento freddo?»

Alec non sembrava sentire nessun dolore. Dannati Shadowhunters, che in ogni situazione si dimostravano stoici e incuranti di tutto. In realtà proprio incuranti di tutto no. «Voglio una risposta» intervenne Alec con una leggera impazienza.

«Vorrei» lo corresse Magnus prendendolo in giro e ritardando la risposta. Max aveva preso l’abitudine di dire “voglio” e Alec non voleva che diventasse un vizio, così passava la giornata a correggere quello che per Magnus non costituiva un problema. In fondo Alec stesso diceva in continuazione “ti voglio” e a Magnus piaceva molto sentirselo dire, perché lo voleva altrettanto.

«Mi vuoi rispondere?» chiese Alec, non sapendo controllare la sua impazienza.

Alexander era maledettamente testardo, molto più di quello che sembrava a prima vista. Era perfino esasperante alle volte, quando si metteva in testa di dover assolutamente fare qualcosa o pretendeva che gli altri gli dessero una risposta. Anche quando sapeva cosa avrebbero risposto come in quel caso.

«Alexander, mon petit. Je t'aime, mais je ne puis vous épouser. Vorrei, ma voglio aspettarti all'altare e vederti incedere verso di me con quell'abito dorato che manderà riflessi deliziosi al tuo viso e ai tuoi occhi.»

Per un attimo lo sguardo di Alec brillò, poi lo abbassò. «Mamma ha sempre detto che l’oro non mi dona.»

«Sarai splendido. Il mio Golden Boy.»

Si scambiarono uno sguardo emozionato e prima che riuscissero a baciarsi, sentirono Max che urlava.
Uno solo sguardo e Magnus capì che Max era troppo entusiasta della sua cucina, tanto che aveva provato a cuocere davvero una bistecca finta.

«Brucia, brucia» piagnucolava il bimbo, rigirando le mani, per farlo smettere, ma in panico per riuscirci.  Alec un attimo dopo era vicino a lui e lo allontanava.

Magnus ci mise un attimo di più, per colpa della posizione, a mettersi in piedi e poi agitò la mano, facendo diminuire il fuoco fino a scomparire. Non c’era più niente da fare per la pentola e la bistecca che erano sopra il fornello. La plastica si era accartocciata e, in parte colata, oltre ad essere diventata nera. La puzza di bruciato era terribile.
Per fortuna solo un fornello aveva risentito del fuoco, il resto era a posto.

«Max, è una cucina giocattolo!» esclamò Alec, muovendo le mani e facendo uscire il fumo dalla finestra. Il suo petto si abbassava e alzava velocemente. «Non puoi cucinare veramente, come fai con me e papà nella nostra cucina.»

«Ma volevo fare la pappa per quando arriva il mio fratellino, Daddy.» Max si strinse nel suo pigiamino. Alec quasi non intese le parole tanto che Max strillava tra le lacrime che gli scendevano copiose dagli occhi. «Cosa mangerà adesso?»

Magnus prese Max in braccio e cercò di calmarlo, spiegandogli che non si poteva usare la magia per appiccare fuoco agli oggetti, ma era sicuro che non l’avrebbe più fatto dato lo spavento che aveva preso.

Alec buttò via il pentolino e la bistecca e pulì il fornello di plastica. Spostò la cucina contro la parete in modo che non fosse in mezzo al passaggio. 
Si trovarono seduti sul divano un quarto d’ora dopo. Magnus stava ripulendo le lacrime sul visetto del figlio che aveva continuato a piangere finché non si era addormentato.

«Vuole proprio un fratello» mormorò Alec, prendendo un piede di Max tra le sue mani e accarezzandolo. Max sembrò quasi fare le fusa nel sonno, cambiando ritmo del respiro.

«Così sembrerebbe.» Magnus avvicinò le labbra al volto di Alec e gli depositò un bacio sul mento. «Ma vuole anche un reame di fragole.»

Alec rise e guardò Max con affetto. «Gli passerà.»

«Sì, gli passerà.»
 
 
Magnus e Alec nei mesi successivi capirono che non gli sarebbe passata, quando Max iniziava a parlare sempre più spesso di un fratellino e preparava i disegni per il fratellino, faceva da mangiare anche per il fratellino (per fortuna senza bruciare più la cucina) e chiedeva quando gliel’avrebbero comprato.
Magnus cercava di distrarlo dicendo che al suo compleanno sarebbe arrivato il regno di fragole che tanto voleva e Alec iniziava a pensare che forse Max si sentiva solo e lo portava sempre più spesso al parco.
Quello che nessuno sapeva era che un altro bambino aveva bisogno di una famiglia e che presto Alec l’avrebbe trovato e Max avrebbe avuto il fratellino tanto desiderato.
 
 
Quarto anno dalla prima proposta

«Rafael Santiago Lightwood Bane, non provare a nasconderti.» Magnus sbraitava, cercando di afferrare il nuovo membro della famiglia. Doveva svestirlo e rivestirlo per andare all’Istituto, ma sembrava che Rafe non ne avesse l’intenzione.

«Non mi cambio las ropas

Rafe iniziava a capire la loro lingua e a parlarla, ma ogni tanto gli scappava qualche parola in spagnolo. Per quanto riguardava la sua cadenza non sarebbe mai scomparsa.

«Non verrai al compleanno di Max con quella tuta. Non ti lascerei venire vestito così nemmeno se fossi un fashion blogger» esclamò Magnus, rincorrendo il bambino che sfrecciava per casa. Rafe era agile e correva senza problemi, evitando ostacoli e cercando sempre la soluzione migliore per non farsi acchiappare.
Magnus, invece, aveva rischiato di farsi male a un piede ed era quasi scivolato su un pastello che Max doveva aver lasciato in giro. Indossava per fortuna dei comodi pantaloni del pigiama bianchi e una maglietta che aveva così poca stoffa, che Alec aveva commentato che faceva prima andare in giro a petto nudo. Magnus aveva ribattuto che se lo voleva in déshabillé, bastava chiedere senza disapprovare la maglietta.

Rafe corse sicuro verso il corridoio e si infilò in bagno. Magnus sghignazzò, perché Alec stava ancora lavando Max, per cui la corsa del bambino stava per giungere al termine.

Aprì la porta e vide Alec bagno dalla testa ai piedi. La maglietta gli si era appiccicata addosso, i capelli grondavano acqua ed erano più scuri. Cercava con tutta la pazienza che riusciva a sedare le urla del loro bambino, ma la vena sul collo diceva che stava per iniziare a gridare anche lui.
Max era nell’acqua e batteva le mani, fregandosene di star rendendo il bagno una succursale della vasca. Tra poco avrebbero nuotato per spostarsi da una parte del bagno all’altra. «Voglio andare alla mia festa. Non voglio lavarmi, Daddy. Sono pulito.»

«Max…» Qualsiasi rimprovero volesse fare Alec, non riuscì perché si trovò di colpo investito da un’ondata d’acqua dritta in faccia.
Rafe era piegato in due dal ridere e Max continuava ad agitarsi nell’acqua. Non voleva lavarsi, ma ormai era completamente fradicio.
Magnus rimase a fissare tutto quel caos con la mano sulla maniglia. Non riusciva a distogliere lo sguardo, anche se avrebbe voluto sigillare tutto e andarsene nel primo locale a bere qualcosa di molto alcolico.  

La vista di Alec, che cercava di asciugarsi con un asciugamano bagnato quanto lui, fu davvero la goccia che fece traboccare il vaso. Tanto di acqua ormai ce n’era tanta in giro, una goccia più o una in meno in fondo non cambiava nulla, se traboccava anche il suo vaso.

«ADESSO BASTA» urlò tra l’isterico e lo spazientito. Tre paia d’occhi si puntarono su di lui, anzi quattro contando i due ai lati della testa del pesciolino Giò, e le urla di Max e la risata sgangherata di Rafe si bloccarono di colpo.

«Max, finisci di lavarti. Alla tua festa non ci andiamo se non sei pulito, in ordine e vestito decentemente.» Magnus squadrò il figlio che sembrava improvvisamente essersi reso conto del parco acquatico che aveva realizzato intorno a sé. Prese lo shampoo, se ne versò un quintale sulla testa e iniziò a insaponarsi. «Bravo, sfrega bene e non mangiare quintali di balsamo come fai alcune volte.»

Magnus puntò gli occhi sull’altro bambino, che sembrava sfidarlo a parlare nel piccolo spazio tra il muro e il water. «Rafael, adesso mi segui e troviamo un paio di pantaloni e una maglietta che ti piacciano e allo stesso tempo non siano una tuta. Hai buon gusto sui vestiti, se solo smettessi di scappare e stessi con me davanti all’armadio a sceglierli.»

Rafe scrutò Magnus in silenzio, poi inaspettatamente annuì, tornando verso la porta e infilandola senza dire nulla. Aveva un’espressione sorpresa come se non si capacitasse che quel tipo che ostinava a chiamare “vecchio” riuscisse a comprenderlo di tanto in tanto.  

Magnus sospirò soddisfatto e si rivolse all’ultimo membro umano della famiglia. Il membro felino, ovvero Presidente Miao, non andava con loro alla festa, per cui non era importante che avesse fatto le sue pulizie o si fosse vestito. «Alec…»

«Stai per mettere in riga anche me?» chiese Alec, buttando per terra la salvietta e sollevando l’acqua sul pavimento.

Scostò dalla fronte i capelli bagnati e cercò di asciugarsi, ma lasciò perdere costatando che anche le maniche della maglietta azzurra erano umide.

Magnus avanzò di un passo e i suoi piedi entrarono in contatto con l’acqua. Aprì un’anta del mobiletto del bagno e tirò fuori un telo di spugna. Lo lanciò ad Alec che lo afferrò, alzandosi in piedi con un’espressione riconoscente.

«Posso usare la magia, paparino, per pulire questo laghetto artificiale?» chiese Magnus, aspettando la risposta di Alec, che solitamente preferiva pulire tutto a mano. Non voleva che i suoi due stregoni dovessero usare la magia per ogni problema.

«Uhm… mi sa che questa volta te lo lascerò fare.» Disse Alec, controllando che Max si stesse davvero lavando. «Tra mezz’ora dobbiamo essere all’Istituto per i preparativi della festa.»

«Bene.» Gli occhi di Magnus si illuminarono. Molto probabilmente avrebbe ricorso alla magia anche se Alec non gli avesse dato il permesso, ma così si sentiva autorizzato. Si domandò quando aveva iniziato a comportarsi in modo più responsabile e meno da stregone e mascalzone che fa tutto quello che gli salta in mente, ma non trovò la data ufficiale tra tutte le sue esperienze. Non se n’era nemmeno accorto a dirla tutta.

«Allora vado ad aiutare Rafe e poi torno, quando avrete finito di lavarvi.» Anche quella frase suonava maledettamente responsabile.

Alec annuì e Magnus si incamminò, pensando che doveva andare a comprarsi qualcosa che ufficializzasse questo stadio della sua vita. Poteva andarci il giorno dopo con calma, per ora doveva pensare alla festa. Era davvero responsabile.   

Lui e Alec avevano un’ora e mezza per allestire. Doveva gonfiare qualche trilione di palloncini e disporre le tavolate. Un’ora e mezza poteva sembrare tanto tempo, ma sarebbe passata fin troppo velocemente.
Un attimo prima di varcare la porta della camera di Rafe, Magnus sentì Alec gridare: «Mi vorresti sposare?»

«No» urlò di rimando.

«Stanotte dormi sul divano» esclamò Alec ridendo e Magnus sentì un secondo dopo stava borbottando qualcosa a Max.

«Sì, perché dormirai anche tu sul divano.» Lo stregone entrò nella camera di Rafe con il sorriso sulle labbra.  Il bambino stava di fronte all’armadio chiuso con le braccia conserte e il profilo dritto come quello di un soldato.

Magnus prima di chiudere dietro di sé la porta urlò ad Alec: «Ti amo e, sempre di più, ogni maledetto anno che passa, vorrei trascinarti nella chiesa più vicina e sposarti. Perché per me è sì, è stato sì da quando, quattro anni fa, mi hai detto che avresti voluto sposarmi.»

Dal bagno non arrivò un suono, ma Rafe lo guardava con attenzione.

«Ti sono piaciute le mie parole, pequeña flor?» domandò Magnus, aprendo con la magia le ante dell’armadio.
 
«Non chiamarmi così, vecchio.»

«Sei talmente acido che mi hai fatto venire in mente che devo spremere i limoni per i cocktail» mormorò Magnus, tirando fuori dall’armadio solo i capi che lo convincevano. «Però potrei spremere direttamente te.»

L’occhiata di Rafe gli fece capire che era poco disposto a tollerarlo e non protestava perché aveva bisogno di scegliere qualcosa da mettersi.
 



Veux-tu m'épouser? – mi vuoi sposare?
Mon petit. Je t'aime, mais je ne puis vous épouser – mio piccolo. Io ti amo, ma non ti posso sposare
Las robas – i vestiti
Pequeña flor – piccolo fiore

 

Buongiorno,
inizio subito ringraziandovi di aver letto questo, ma anche i capitoletti precedenti. Grazie mille.
Loro quattro sono molto importanti per me e spero che vi continuino a piacere.
Spero di non aver fatto errori in spagnolo e francese, ma il francese l’ho studiato alle medie ed è passato tanto tempo, lo spagnolo non so neanche dove stia di casa. Mi sono fatta aiutare, quindi speriamo bene.
Comunicazione che non c’entra niente: avete sentito vero della trilogia di Magnus, scritta da Wesley Chu (io adoro quest’uomo e lo sto stalkerando su twitter!) insieme a Cassie? Mi sono scordata di scriverlo l’altra volta e sono troppo, troppo felice. Spero sempre che Cassie ci regali uno snippet su quelli che io ho iniziato a chiamare Malecrax (Magnus+Alec+Rafe+Max), perché Malec mi sembra limitativo. Insomma sono una famiglia e li sto trattando da famiglia, anche se il nome cumulativo non mi piace un granché!  Continuerò a elaborare.
Dany

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Capitolo 7
*** Proposal part 3 ***


Proposal part 3
 
A una ragazza, che mi ha detto aspetto Proposal 3
E io non avevo neanche capito che stesse parlando della mia storia.

 


Tredicesimo anno dalla prima proposta

«Io ho fame. Non è che possono accelerare questa scenetta.»

Rafe sbuffava, tenendo sollevati gli spallacci dello zaino in modo che non toccassero la sua pelle leggermente arrossata dal sole. Non aveva voluto mettere la crema solare sostenendo che era già scuro di natura e ora si beccava le conseguenze.
Max con un materassino in mano e sull’altra spalla due asciugami si fermò, per guardare cosa stava fissando il fratello.
La spiaggia dei colori del rosso e dell’arancione era quasi vuota.
La marea saliva in fretta ogni tramonto e Max e gli altri l’avevano imparato a loro spese, quando si erano trovati a galleggiare insieme ai loro zaini e ai teli da mare. La macchina fotografica nuova era da buttare ancora prima di aver fatto la prima foto.
Magnus e Alec erano arretrati sulla battigia invece di seguire i loro figli. I loro piedi erano ancora per poco in salvo, ma i loro occhi non sembravano accorgersi di nessun altro tranne che loro. Stavano parlando e la mano di Magnus sfiorava il fianco di Alec.
Erano romantici, ma un tantino imbarazzati a volte.

«Ho fame» brontolò di nuovo Rafe.

Era l’ora della marea ma anche di cena. Il suo stomaco cantava quasi quanto quello di Rafael.
L’aria ricca di salsedine, i pomeriggi interminabili tra le onde, le corse sulla sabbia instabile e la costruzione di castelli rigorosamente con le mani (e anche con la magia, appena Alec si voltava) mettevano appetito.
Max si girò di nuovo verso il fratello, che continuava a guardare la scena con aria disgustata. Gli sussurrò di smetterla di brontolare per non disturbare i loro genitori. Erano imbarazzanti, ma anche decisamente romantici e avevano bisogno anche di qualche momento per loro.
Gli dava giusto dieci minuti, poi avrebbe iniziato a protestare, siccome voleva ingozzarsi con la propria torta al cocco e cioccolato.

«La risposta resta no.»

«Rafe, ma lascia un po’ di privacy a Papa e Dad.»

«Parli proprio tu di privacy?» chiese Rafe con un sopracciglio alzato. «Tu che non mi lasci mai da solo in bagno e pretendi che ci sia sempre qualcuno con te.»

«Mi piace la compagnia.» Max non capiva cosa ci fosse di imbarazzante. Erano tutti uomini e la famiglia si vedeva nel momento del bisogno, qualsiasi bisogno uno avesse. Per lui più si era in bagno, meglio era. Anche Presidente Miao sembrava pensarla allo stesso modo. M agnus non diceva né sì né no, ma anche lui ogni tanto entrava, come se fosse ancora solo nell’appartamento.
Rafe sbuffò, come sbuffava ogni volta che si trovava Max seduto sul tappeto del bagno e Presidente Miao che cercava di strusciarsi contro le sue gambe, mentre lui provava a fare pipì. Quando poi arrivava Magnus, allora il piccolo Cacciatore dava di matto.

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: baci con la lingua in una spiaggia affollata…» iniziò Rafe con tono solenne, coprendosi gli occhi.

«Non c’è quasi nessuno. A parte quella famigliola, con quella bimba ammaliata dal tuo fascino, e l’anziano signore che sta dormendo sulla sua sdraio. Ah, e c’è anche una coppietta giovane che si sta abbracciando.»

«Dove sono i demoni in queste situazioni?»

«Vorresti che un demone venisse a interrompere i nostri genitori?» chiese Max lievemente divertito. «La cena sarebbe rimandata, però.»

«Eh, già» sospirò Rafe afflitto. «Comunque questa storia della proposta deve finire. È assurda.»

Max sospirò. Rafael già l’anno prima aveva esposto a voce l’inutilità di ripetere il gesto della proposta, se alla fine nel mondo degli Shadowhunter tutto cambiava con una lentezza infinita. L’ultima volta avevano votato a favore solo una cinquantina di persone.
I favorevoli erano aumentati negli anni, ma una larga fascia di Shadowhunters pensava che fosse ancora un abominio che i Nephilim si avvicinassero ai Nascosti e potessero anche solo essere amici.

Max conosceva l’ammirazione che Rafael nutriva per Alec e Magnus per il fatto che si impegnassero attivamente a far diventare legge il matrimonio Shadowhunter per le coppie miste, però poi non comprendeva del tutto perché i suoi genitori adottivi dovessero a compiere un gesto ripetitivo.  

«È una tradizione» mormorò Max con ovvietà. «Non possono sposarsi…»

«Possono!» disse concitato Rafe, alzando ancora gli spallacci. Doveva aver preso una bella insolazione e quella sera Alec l’avrebbe di certo rimproverato per non aver messo la crema.

«No, non posso, perché loro vogliono aspettare il matrimonio per cui stanno lottando…»

«Lo so, però potrebbero sposarsi, così Alec non dovrebbe trovare ogni anno modi ridicoli per la proposta di matrimonio. Alla fine potrebbero lottare lo stesso per altre coppie e da sposati dire al Conclave “Ehy, se non abbiamo avuto la cerimonia che volevamo, è colpa vostra!”»  

«La promessa continuerà anche dopo il matrimonio, quando e chissà se avverrà.» Max guardò un momento Alec e Magnus che facevano scontrare i loro nasi uno contro l’altro e prima che il fratello ribattesse continuò. «Alec non si inginocchierà più, non chiederà mai più se Papa lo vuole sposare, ma ogni giorno e ogni anno, in questo giorno, si chiederanno se si amano. Ci si accetta giorno per giorno.»

«L’hai letto su un libro?»

«Qualche consiglio qui e là.» Max alzò le spalle, concentrandosi sul sole che continuava a scendere, mentre le ombre si allungavano.
Alec aveva le ginocchia affondate nell’acqua di mare e teneva una mano di Magnus che rideva, scintillando nel sole morente per la crema da sole che aveva riempito di glitter.
Non riusciva a sentire il discorso, che ogni tanto cambiava nella forma, ma nella sostanza non variava mai.

«Mi vuoi sposare?» A Max scappò il pensiero dalle labbra e suo fratello lo osservò con la fronte aggrottata.

«Spero non sia una proposta seria, perché prima di tutto siamo fratelli, non di sangue, ma comunque fratelli. Secondo fatto ti ho sopportato fino a ora e non vorrei doverti curare e proteggere finché morte non ci separi. Probabilmente già mi sentirò in dovere di farlo, perché sei goffo e…»

«Per Raziel, ma chi ti vuole» sbottò Max, agitando una mano e il materassino.

«Sei tu che hai fatto la proposta!» esclamò Rafe, risentito. «Mi sono sentito in dovere di rispondere.»

«Stavo solo riflettendo su cosa avrebbe detto Dad» spiegò Max, cogliendo l’apparizione di un sorriso divertito sul volto serio di Magnus.

«Cosa dice Dad non lo so, ma so che il vecchio risponderà di no...»

«Hai già esposto chiaramente questo punto e anche il fatto che tu sei insensibile a questa tradizione.» Max scoccò un’occhiata al fratello.

«Non vogliono un matrimonio, vogliono il matrimonio. Lotteranno per averlo e stanno dicendo al Conclave “Ehy, non ci siamo ancora sposati per colpa vostra”.»

A Rafe scappò un ghigno. «Non volevo ribadire le mie idee, solo che immagino le parole del vecchio. “Alexander, guanciotta dolce, fiorellino tenero, spuma di mare, sono costernato dal dovere rifiutare di nuovo la tua proposta. Vorrei vederti incedere verso di me ammantato d’oro…”»

«E tu quando è che ti sei mangiato un vocabolario?» chiese sorpreso Max, intanto che Rafe arrossiva. «Per caso vezzeggi così la tua ultima conquista?»

«Taci, microbo!» ringhiò Rafe. «Per Raziel, hanno finito. Si può andare a casa a mangiare.»

Era vero. Alec si stava alzando, squassando la sabbia dai suoi bermuda e dalle sue ginocchia. Magnus lo osservava con una strana luce degli occhi e lo tirò contro di sé, quasi rischiando di farlo cadere.
Un attimo dopo le loro bocche erano magicamente incollate, ma non c’entrava nulla la magia di Papa. Si cercavano e si trovavano da quella che sembrava una vita. Erano destinati, come tanti suoi eroi e eroine nei libri. 

«Alec poteva trovarsi di meglio che un vecchio.» Rafe si coprì di nuovo gli occhi e si girò verso la stradina che portava in centro e poi casa. La sua voce non gli era riuscita completamente irritata.

Max sorrise. Per quanto Rafe sembrasse un limone gigante, era una tortina di cioccolato con un cuore cremoso. Naturalmente lo pensò solamente, perché dirlo avrebbe comportato di finir lungo disteso sulla sabbia in meno di un secondo senza la possibilità di usare la magia, perché c’erano troppe persone. Invece gli uscì: «Ti rinfaccerò le tue parole con estremo piacere, se ti prenderai una sbandata colossale per una ragazza più grande. Sarà uno spasso vederti perdere la testa, se mai l’hai avuta…»

«Microbo, inizia a correre!»

Max cominciò davvero a correre, alzando sabbia e polvere. Urlò: «Chi arriva primo all’appartamento, sceglie il film per la serata.»

«È il tuo compleanno, imbecille, quindi Alec e Magnus lo faranno di certo scegliere a te. E comunque non mi innamorerò mai di una ragazza più grande. Mai!»
 
 

 
Anni dopo…

Sentire le mani di Magnus sul suo corpo era sempre il risveglio migliore che Alec potesse desiderare. Certi momenti usava l’intero palmo, altri un dito o addirittura l’unghia. Sottolineava le rune della schiena, girava sulle forme tonde e seguiva la colonna vertebrale, fino ai boxer, per tornare su fino all’attaccatura dei capelli. Glieli scompigliava brevemente, passandoci le tre dita centrali aperte. Appoggiava l’indice sulla tempia e scendeva in una carezza lungo la guancia, fino al collo.
Alec teneva la faccia affondata nel cuscino, profumato di pulito e di nuovo e respirava forte. Stringeva i lati del cuscino più o meno forte in relazione alle sensazioni più o meno vivide che gli procurava il tocco delle dita di Magnus.

«Alec, so che sei sveglio.» Le labbra dell’altro gli toccarono prima il collo e poi la spalla, lasciando un alone umido che gli regalava una tempesta di emozioni che conosceva bene. «Sarò inquietante, ma sento cambiare il tuo respiro.»

«Che ore sono?» biascicò e lo ripeté pensando che forse Magnus poteva non averlo compreso.

«Il cellulare segna le sette e il cielo per quello che vedo da sdraiato sta sfumando in varie tonalità. Siamo arrivati qui che era mattina presto e abbiamo dormito tutta la giornata. Alcuni potrebbero lamentarsi che l’abbiamo persa.»

«Potrei lamentarmi effettivamente, perché quando sono venuto a letto, dopo essermi lavato, qualcuno di cui non faccio il nome era addormentato» sbuffò Alec con la faccia ancora premuta contro il cuscino. «Avevo proposto di andare a letto, ma sempre lo stesso qualcuno mi ha risposto: “Dormire? Starai scherzando, Alexander. Lavati i denti, che ti aspetto sul letto e vedrai che non dormiremo neanche un minuto.”»

«Ero stanco e ho visto che eri stanco, però abbiamo sempre parlato di questa notte, anzi giorno» si scusò Magnus. «Non volevo rimangiarmi tutte le promesse.»

«Ero molto stanco anch’io, però non ho voluto discutere, perché eravamo felici e tu ci tenevi che la nostra notte, pardon giorno, fosse perfetto.» Alec con gli occhi semi aperti strusciò il naso contro il cuscino. «Non è possibile, più invecchio e più ho sonno e ho solo, solo sì fa per dire, quarantaquattro anni. Un giorno mi dovrai portare in spalla per casa, perché non vorrò più alzarmi dal letto.»
Magnus gli prese una mano tra la sua e disse scherzando: «Nella mia promessa ho detto che ti sarei stato accanto, non che ti avrei dovuto portare in spalla. Potrei chiedere il divorzio.»

Alec si lasciò andare a una risata che si ghiacciò sulle sue labbra. «Se divorziassimo, vedo già i malpensanti del Conclave che confabulano e dicono che non dovevano concederci di sposarci, che era chiaro che non poteva durare. Uno Stregone e uno Shadowhunter che pensano di sposarsi con il rito Shadowhunter è pura follia! Ti additerebbero come un corruttore di Nephilim, che l’hai fatto per soldi o per prestigio. Non sia mai che quel governo cambi e capisca che la gente può trovare anche l’amore con un Nascosto.» Alec si morse il labbro e aprì gli occhi, dando un’occhiata a Magnus che lo stava ascoltando. «Scusa, lasciamoli fuori di qui.»
Fece una pausa e poi si voltò per mettersi di schiena. «In realtà chi ci prende male in tutta questa faccenda sei tu.»

«Alexander, non osare.» Magnus fu categorico. Alzò perfino una mano come per ammonirlo. «Non continuare e non farti delle paranoie ora. Sono tanti anni…»

«Venticinque, se contiamo dal
 ritorno dal mondo di tuo padre» precisò Alec. Si ricordò la gioia di riavere Magnus vicino a sé e leggere ogni sera prima di dormire un nuovo racconto scritto dal suo compagno.
Il quaderno era gonfio, le pagine fitte di inchiostro più nere che bianche. Le avventure si susseguivano, disposte in fila come i secoli che Magnus aveva vissuto. Ogni volta che aveva finito una storia, stava in silenzio, accarezzando la copertina liscia.

Poi prendeva il cellulare e chiamava Magnus, siccome in quei giorni era ancora all’Istituto, come capo in attesa che tornasse sua madre e potesse finalmente andare a vivere con il proprio compagno.
Le ore al telefono servivano a colmare le lacune, a intensificare i racconti che non erano mai abbastanza completi per Alec. Spesso leggevano insieme e subito commentavano. Spesso stavano in silenzio, solamente tenendosi una mano.

Alec aveva versato anche qualche lacrima, dispiacendosi per aver chiesto tanto a Magnus. Tanti racconti erano divertenti, ma altrettanti erano scritti con cancellature e dolore. La perdita era percepibile, quasi una presenza che aleggiava e rendeva comprensibili i cupi silenzi in cui spesso si chiudeva il suo compagno.  
Più di una volta avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e guardare il piccolo Magnus, che tentava di capire il suo dono e faceva pasticci ovunque andasse. Non sapeva a quel tempo che avrebbe visto di persona un mini stregone imparare a usare la magia.

Avrebbe voluto abbracciare Magnus quando piangeva da solo, consapevole che il suicidio della madre era colpa sua, e si stropicciava gli occhi, il segno del Diavolo, della sua diversità, fino a farli diventare rossi, chiamandosi mostro.

Avrebbe voluto passeggiare con lui tra i fumi della Londra vittoriana e vederlo invaghirsi di Camille che aveva una pelle e un cuore di ghiaccio e avrebbe finito per ghiacciare anche quello di Magnus. Avrebbe voluto avvertirlo di lasciarla perdere, perché ci sarebbero stati altri amori.
 Alec scoprì di non essere geloso di nessun amante di Magnus, neanche di Camille.
Erano il suo passato e ognuno di loro aveva amato a suo modo l’uomo che amava. Poteva capire cosa vedevano, ma non comprendeva perché nessuno l’avesse fermato da quella sete di avventura che finiva per distruggerlo. Nessuno, neanche uno, l’aveva mai considerato stabile, quando lui era immortale e sarebbe durato più di qualsiasi amore mortale.

Nella stessa Londra Magnus aveva aiutato un Herondale e corso alle calcagna di un altro, impedendogli di finire la propria vita una notte nel Tamigi. Alec aveva riso, perché finalmente sapeva chi era Will e provava solo vergogna per essersi tanto irritato.

«Quindi Alexander stiamo insieme anche da più tempo, perché quella pausa ci è servita. È stata importante per la crescita della nostra coppia.» Magnus stiracchiò leggermente i muscoli e arcuò le labbra in un leggero sorriso. «Non devi pensare a me e alla… a quando mi lascerai, perché è importante che ci stiamo provando. Abbiamo sopportato tante sfide, abbiamo realizzato un cambiamento e poi un altro cambiamento. Abbiamo passato giorni terribili, liti, notti insonni, pianti infiniti di bambini, polemiche, sussurri spietati al nostro passaggio. Insieme. Conosco te, ogni centimetro della tua pelle che cambia e invecchia, ma per me rimane la pelle che voglio assaporare. Voglio massaggiare quelle rughette più accentuate sulla tua fronte man mano che il tempo passa e diventi più pensieroso.
Soffrirò alla tua perdita e ci vorrà tempo per dimenticarti, Alec Lightwood-Bane, mio marito, ma non riesco a pensare di lasciarti per soffrire meno. Soffrirei a starti lontano da vivo, soffrirò quando non sarai più al mio fianco.»

«Magnus…» Alec non si aspettava un discorso così appassionato e anche Magnus sembrava non capacitarsi di quello che gli stava uscendo dalla bocca.

«No, Alec. Ci abbiamo creduto con le tue proposte e con i miei no, che diventavano ogni anno più difficili da dire, perché volevo sposarti e tu volevi lo stesso. Non bastava convivere? No. Volevo che noi avessimo gli stessi diritti degli altri e lasciarne di nuovi agli altri dopo di noi. Da oggi altre coppie Nascosto-Shadowhunter si potranno sposare, se lo vorranno, con il rito Shadowhunter. Se non lo vorranno, si sposeranno come mondani e andrà bene lo stesso. Tu hai dato una svolta al tuo sistema e io ero al tuo fianco. Non ti lascerò, perché insieme siamo meno deboli e abbiamo meno paura. Ci abbiamo provato a costruire qualcosa e in parte è stato costruito, però ora stiamo costruendo ancora e domani costruiremo ancora. Non ti lascerò, perché non m’importa di soffrire, perché soffrire significherà ricordarti al mio fianco e pensare a tutto ciò che abbiamo creato insieme. Sono contento di aver acconsentito di uscire quel venerdì, di averti strappato il tuo primo bacio e per quella vera emergenza.
Alec, ammetto che ti volevo scaricare al ristorante, perché l’appuntamento stava andando decisamente male.»

«Lo sapevo» sorrise Alec, commosso per le parole di suo marito e confuso per il cambio di argomento, e Magnus fu sorpreso che sapesse, pensava di aver mascherato con astuzia la bugia. «Ero sicuro che avessi mentito sul fatto che non sapevi che c’era gente che si faceva chiamare per avere la scusa di poter scappare da un appuntamento.»

«Quando ho scritto il messaggio a Catarina, perché mi chiamasse e mandasse tutto all’aria, sentivo come un buco nello stomaco. Non volevo, però sembrava che tra noi ci fosse una distanza incolmabile.  L’emergenza reale mi ha aiutato a non commettere uno sbaglio che non mi sarei mai perdonato. Dovremmo trovare quella lupa mannara e mandarle una bomboniera.»

«In realtà so chi è e gliel’ho mandata.» Alec si lasciò andare alle risate, vedendo Magnus girarsi di scatto e farfugliare domande su come avesse trovato la ragazza e come facesse a ricordarsi il nome. «Voglio sapere, Alec Lightwood-Bane, non dimenticarti nemmeno un particolare.»

Quasi un anno prima Alec aveva incontrato Marcy che aveva deciso di unirsi al branco di Maia. Stava ancora con la mondana, Adrienne, che era corsa loro incontro fuori dal locale, sporca di sangue, per fortuna non suo. Si erano sposate e avevano adottato una ragazzina che a sua volta ormai era una donna.

Alec le aveva invitate al matrimonio per fare una sorpresa a Magnus a cui non aveva mai parlato dell’incontro, ma Marcy e Adrienne avevano mandato loro solo le congratulazioni e una lettera. Non erano potute essere presenti, perché la figlia stava a sua volta per diventare madre.

«Scusami, se non ti ho detto di Marcy. Gli ultimi preparativi, le caccie ai demoni e il matrimonio mi hanno tirato nel vortice e me ne sono proprio dimenticato. Ho tenuto la lettera e potrai leggerla appena torneremo a casa.»

«Alexander, mi sorprendi sempre.» Magnus si sporse e diede un bacio sulla spalla ad Alec, ma l’altro non stette a guardare e gli alzò il viso in modo da far incontrare le loro labbra.
Neanche le mani di Magnus rimasero propriamente inattive. Andarono all’orlo della canottiera di suo marito e iniziarono ad alzarla lentamente, dando qualche colpetto per riuscire a sfilarla.
Alec si avvinghiò a Magnus, non appena la sua canottiera finì contro la testiera. Baciò la pelle sotto il mento, dove spesso il compagno teneva le mani in posizione meditativa, e poi gli tormentò il pomo d’Adamo.
Magnus si inarcò respirando forte e Alec lo spinse con la schiena contro il lenzuolo, posizionandosi su di lui che lo distraeva tenendogli le mani sulle natiche.

«Magnus, se ti schiaccio, non è colpa mia» ansimò Alec, mandando al diavolo tutti gli allenamenti sull’autocontrollo.
L’altro non rispose e si lasciò accarezzare, mordere e baciare. Alec gli tormentò la pancia priva di ombelico, come gli piaceva fare.

«Siamo sposati, sposati?» chiese Alec, che era risalito e aveva baciato il braccio di Magnus, dove era riportata una metà della Nuova Runa del Matrimonio. L’altra metà era incisa sul suo braccio.

Magnus rise, lasciando un bacio tra i capelli di Alec che si sosteneva cercando di non pesare troppo su di lui. «Alec, quando ripeti le parole, mi sembri ancora il ragazzino che è venuto alla mia porta per chiedermi di uscire, perché tua sorella ti aveva detto che mi piacevi, mi piacevi.»

Alec diede un colpetto al fianco di Magnus per la pessima imitazione e per nascondere le guance che erano diventare leggermente rosse. «E non va bene?»

Alec lasciò che i loro occhi si incontrassero e non servivano risposte. Andava benissimo a entrambi avere l’altro con i loro difetti e quelle litigate in cui partivano frecce sospette e saltava qualche lampadina.  

Magnus allungò una mano e toccò la pelle glabra della guancia di Alec. «Potremmo mettere fine a questo momento nostalgico da vecchietti e darci dentro come due ragazzini.»

«Ci siamo allenati con finte lune di miele per tutti questi anni e oggi, che finalmente è arrivata la vera luna di miele, non abbiamo ancora consumato. Isabelle e Jace mi hanno dato delle lezioni…» borbottò esasperato Alec, pensando ai suoi fratelli che venivano a svegliarlo la mattina del matrimonio, come se il tempo non fosse mai passato da quando erano ragazzini. Si erano seduti sul suo letto da ragazzo, uno da una parte e una dall’altra pieni di buoni consigli, almeno secondo la loro opinione. Con gesti più o meno espliciti gli avevano spiegato che era una tradizione spiegare il sesso allo sposo inesperto, in modo che non si spaventasse per le intenzioni dell’altro durante la luna di miele.

A nulla erano le valse le lamentele di Alec, che cercava di zittire le parole lette da Jace. Infatti aveva stampato cinque fogli di un blog che davano consigli per le prime volte e per dare piacere al proprio compagno. «Immagino che possiamo regalarci una prima notte da sposati meravigliosa senza consigli.»

Magnus lanciò un’occhiata maliziosa ad Alec che ricambiò. «Noi potremmo fare i professori, altro che prendere lezioni. Signor marito, mi scuso per non aver mantenuto la promessa di stamattina. Tu hai ricevuto solo una lezione dai tuoi fratelli, io, alle quattro del mattino, ho subito uno scherzetto delle mie più care e vecchie amiche, Catarina e Tessa, che hanno iniziato a dire che lo smoking era scomparso.
L’avevano fatto nascondere a Rafe che ha anni e anni di esperienza, ma devo ammettere che anch’io ho anni di esperienza nel trovare gli oggetti e i piccoli fiorellini scomparsi.» Alec si avvicinò alla bocca di Magnus, che aggiunse. «In realtà appena mi hanno svegliato non sono stato lucido e ho iniziato a correre imbestialito con loro che cercavano di non ridere.»

«Non ne sapevo niente» mormorò Alec non sapendo se ridere fino alle lacrime oppure mostrarsi dispiaciuto. Cercò di assumere un’espressione neutra.

«Max è apparso con una telecamera in mano, quindi lo vedrai. Mi sono sorpreso che non l’abbiamo proiettato al matrimonio. Non pensare male e soprattutto non ridere.» Magnus picchiettò l’indice contro il petto del marito e Alec giurò su Raziel. Si scambiarono un bacio a stampo puro e casto, per niente simile a quello che si erano scambiati alla fine della cerimonia davanti ai loro parenti, amici e i loro figli.

«Posso dire che ti amo, marito, oppure risulto scontato?»

«Ora sono solo marito, signor Lightwood-Bane? Niente più Alec, niente più Alexander, niente più nomignoli?» chiese Alec, sperando vivamente di aver vinto una guerra che durava anni. E per di più gli piaceva essere chiamato marito. Dopo una lunga attesa alla fine era felice di sentire il termine sulle labbra del suo sposo. Ce l’avevano fatta.

«Alexander, ma per chi mi hai preso?» ridacchiò Magnus allo sbuffo di Alec. «Forza, Culetto d’argento, abbiamo una notte da recuperare.»

«Culetto d’argento» bofonchiò Alec con disapprovazione. Gli occhi da gatto di Magnus erano illuminati di malizia, ma anche per l’oscurità che aumentava al tramontare del sole.

La camera, che praticamente era una suite, era spaziosa per due persone. C’erano tre stanze praticamente, perché il letto e il salotto erano divisi con una tenda bianca lavorata con le perline e il bagno era a sé con una vasca idromassaggio.
Alec aveva guardato un attimo in giro e aveva mandato una foto del bagno a Jace, per farlo morire d’invidia. All’Istituto non c’era niente di simile. Poi aveva detto a Magnus di lasciare le valigie fatte, le avrebbero disfatte nel pomeriggio. Erano ancora abbandonate nel salotto e così sarebbero rimaste fino al giorno dopo.

«Non sai a quanti miei ex piaceva essere chiamati così, anche se l’aggettivo argento è solo per te, ma non ti rivelerò tutti i miei segreti» disse Magnus e Alec pensò che lo stregone non sarebbe mai riuscito a svelargli tutto. Ci sarebbe voluta una vita immortale, mentre a lui ne era concessa solo una mortale. «Come non scenderò nel dettaglio perché non voglio scatenare la nostra prima lite matrimoniale.»

«Giusto.» Alec alzò il volto e lasciò giocare le loro labbra. Era rilassante fare con calma, godersi appieno quella mattina e anche le prossime che sarebbero venute. Jace non avrebbe chiamato, Maia e Lily non l’avrebbero contattato, Max non sarebbe entrato e si sarebbe sdraiato tra loro, Rafe non si sarebbe presentato sulla porta. «Siamo completamente soli.»

«Ho pagato anche qualcosina in più per non far venire la cameriera per i prossimi due giorni.» L’occhiolino di Magnus lo fece ridere. Aveva delle grandi aspettative il suo uomo e lui non le avrebbe disilluse, però si concesse le ultime parole. «Non serve più che io ti chieda se mi vuoi sposare, perché siamo sposati, ma oggi è l’anniversario della prima proposta. Mi vorresti risposare, Magnus Lightwood-Bane?»

«Ti risposerò su questo letto, ti risposerò domani, il prossimo anniversario e quello dopo ancora.» Magnus mise una mano sulla runa, poi si lasciò scappare una risatina. «Rafael e Max hanno ragione, siamo fottutamente dolci e più stiamo insieme, più peggioriamo.»

Alec ritrovò le labbra di Magnus e con le mani scese sempre più giù.

Non era più tempo di parlare e di fare proposte né promesse, ma solamente di avere la loro prima notte di nozze.

 



Ciao a tutti,
volevo pubblicare il primo giorno della #MalecWeek2016, ma ho dovuto cancellare la parte di Alec e Magnus sposati. Avevo introdotto anche il matrimonio, ma nonostante io abbia pianto, mentre lo scrivevo, mi era venuto totalmente irreale. Penso di non essere pronta, soprattutto perché come avrete visto, ho deciso di portare il matrimonio dei Malec molto in avanti. Alec ha quarant’anni e io no, per cui mi sono sentita fuori posto nella sua vita.
Spero sinceramente che la Clare non ci faccia aspettare tanto! Però io ho voluto accentuare l’idea che i diritti non sono mai così facili da ottenere, purtroppo.
Cosa vi devo dire?
-Rafael dice una frase di Blade Runner. Mi immagino spesso i Malec che guardano dei film con i bambini (Non siamo bambini! -Rafe&Max). Ho una scena meravigliosa che spero un giorno di riuscire a inserire da qualche parte.  
-Ho messo la mancanza di privacy in bagno per inorridire la MPL. Comunque io sono Max in questo. Entro e esco dal bagno senza problemi. No porte chiuse! Anche il mio gatto mi sostiene, come Presidente sostiene Max.
-Adrienne e Marcy sono personaggi nel primo appuntamento dei Malec nelle Cronache di Magnus.
- La proposta finisce qui, ma come avrete capito la mia idea è che le proposte non finisco mai. I Malec confermeranno ogni giorno il loro amore da qui all’eternità (magari)
Non so quando, ma spero di tornare con un capitolo con più azione Shadowhunter e un nuovo personaggio. In realtà avrei anche dei mini raccontini e sto pensando se inserirli tutti in un unico capitolo o in due, tipo miscellanee. Che ne direste?
Grazie mille di cuore.
Dany
P.S Sostenete la #MalecWeek e anche la venuta del cast della serie tv nel nostro bel paese #IMNotMundaneShadowhuntersConItaly su twitter. 

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Capitolo 8
*** A un anno di noi ***


A un anno di noi

 

Un anno fa pubblicavo We are miracles and we're not alone (titolo più lungo di quello dei libri della Newton, ma io posso perché è un verso della canzone di Narnia u.u)

Ho fatto qualche capitolo, poi l'ho messa in pausa, ma tedio comunque chiunque sulla mia bacheca di facebook con quei quattro bimbi a cui voglio un bene del mondo (oltre nelle chat). Non so quantificare quanto amo i Malec e Rafael e Max. So che sono una parte di me, come tutti i personaggi di cui mi trovo a scrivere, ma loro un po' di più.

Oggi voglio tornare con questi brevissimi racconti, per festeggiare la scelta di un anno fa, per dire che tornerò a scrivere di loro (speriamo che dopo questo esame di essere un pochino più libera), perché scrivo spesso di loro e perché quando uscirà LoS magari conoscerò un Max e un Rafael diversi dai miei e questo mi fa paura. Forse mi adeguerò a quelli della Clare o forse terrò i miei. Chi vivrà, vedrà.

 

 

 

Night&Day

Alec si svegliò sentendo piangere Max. Fece per alzarsi, ma una mano lo fermò.

«Vado io. Non sto dormendo.»

Sentì il materasso muoversi appena e poi passi che si allontanavano frettolosamente. Non si era nemmeno messo le ciabatte, pensò Alec.

Magnus nelle ultime settimana dormiva poco, un po’ per il lavoro, un po’ per qualche brutto sogno che lo tormentava.

Alec si girò un po’ tra le coperte e cercò di svegliarsi del tutto, torturandosi gli occhi con le mani.

Uscì dal caldo delle coperte per passare un po’ di tempo tra coccole e latte in polvere e baci scambiati su una piccola testolina che continuamente richiamava la loro attenzione.

Ormai il giorno era per dormire e la notte era per vivere. Ma forse per uno Shadowhunter e uno Stregone era sempre stato così.


 

Band di fate

«Rafe, abbassa!» Max, quindicenne, stava bussando con quanto poteva per richiamare l’attenzione del fratello, ormai diciottenne, che stava ascoltando la musica a tutto volume. «Uso la magia, se non abbassi e non ti scusi.»

Rafael si affacciò la porta e urlò: «Microbo, stai ancora qui?»

Max schioccò le dita e un libro colpì in faccia Rafael. «Stupido fratello, ti ho già detto che non voglio sentire quello strazio prodotto da quella cavolo di band di fate!»

 

«Max, sei impazzito?»

«Odio le band di fate.»

«Tutto mio figlio» mormorò Magnus, beccandosi un’occhiataccia da Alec.


 

Siamo umani, oltre ad essere genitori

Alec scrutava dall’alto della sua sedia suo figlio in modo serio. Max non lo guardava e continuava a riempirsi la bocca di verdure. Ormai le mangiava senza fiatare, o meglio pensò Magnus in quel momento forse stava pensando di smettere di respirare per non affrontare ancora Alexander.

Tra i due c’era stata una litigata piuttosto concitata di cui lui aveva saputo solo quando era rientrato. Rafael era saltato fuori in modo silenzioso e gli aveva spifferato tutto.

Max aveva avuto di nuovo poca cura dei propri vestiti e li aveva sparsi in giro per la camera.

Alec aveva trovato una scarpa sopra l’armadio e aveva chiesto al figlio per quale motivo ci fosse finita.

Il ragazzino, con poca gioia di vivere secondo Rafe, aveva risposto di lasciarlo stare che doveva assolutamente finire il suo libro e si era abbattuta in quel momento la tempesta. Erano seguite urla e strilli. Max se n’era andato sbattendo la porta e Alec non doveva aver apprezzato proprio per niente, dato quello che era successo dopo. L’aveva rincorso ed era volato uno schiaffo.

Magnus si era sorpreso a quel punto del racconto, Alec non aveva mai alzato le mani su nessuno dei bimbi. Lui aveva tirato qualche patacca ogni tanto, soprattutto a Rafe che tendeva a essere più impertinente quando veniva sgridato. Però a Max solitamente bastava un rimprovero e tornava in carreggiata.

«Fiuu, c'è tensione stasera...» commentò Rafael, prima di mettersi in bocca un pezzo di bistecca.

Magnus gli scoccò un’occhiata, mentre guardava gli altri due che proseguivano il loro gioco del silenzio. Si rivolse all'unico commensale che sembrava aver voglia di dialogare. «Rafe, hai imparato a usare la balestra oggi?»

«Sì, mi sono divertito. Ho tirato giù il bersaglio al primo colpo, mi hanno applaudito tutti.» Rafael guardò anche lui il fratello e il padre, poi aggiunse. «Quello spocchioso di Richard ha colpito il muro e ha fatto un buco.»

Magnus rise insieme al figlio, ma entrambi smisero quando gli altri due non accennarono minimamente neanche a una risata. Alec finì di mangiare, si passò il tovagliolo sulla bocca e prese il suo piatto. «Se avete finito, datemi i piatti.»

Rafael sgranò gli occhi e fece alla svelta a mandare giù il boccone e quello che rimaneva nel piatto, Max continuò a masticare con lentezza e Magnus si alzò, appoggiando le posate. «Fiorellino, vieni di là.»

Gli prese un braccio e lo trascinò in salotto, chiudendo la porta della cucina. «Cosa è successo?»

«Niente.» Alexander era rigido e non sembrava disposto a chissà quale dialogo. Magnus stava per perdere la pazienza, ma s’impose di starsene buono, perché la situazione sembrava già abbastanza delicata. «Alexander, possiamo tornare di là e tu sparecchi senza che i tuoi figli abbiamo finito di mangiare, oppure mi spieghi, parli con Max e proviamo a cenare in modo tranquillo.»

Alec fece un respiro profondo. «Va bene, va bene, ne parliamo. Tuo figlio…»

«Nostro.» Magnus si lasciò andare a una piccola risatina. «Non è solo mio quando si comporta male.»

«Nostro figlio» borbottò l’altro. «Nostro figlio ha pensato bene di sbattere la porta. Poi mi ha gridato di lasciarlo in pace e che… non sono suo padre.»

Magnus socchiuse gli occhi da gatto.

«So di non essere suo padre, ovviamente!» aggiunse Alec con un tono un po’ agitato. «Però per un attimo quelle parole mi hanno sconvolto, ho aperto la porta e gli ho tirato uno schiaffo. So che non voleva dirlo, che era solo scocciato della mia predica e ha tirato fuori le prime parole che gli sono uscite. Per Raziel, sono stato pessimo, mi sono sentito provocato e gli ho dato uno schiaffo. Poi avresti dovuto vedere il suo sguardo ferito e i lacrimoni che gli scendevano. Mi sono sentito una merda.»

Magnus accarezzò una guancia al suo compagno. «Alexander, sei suo padre, da quando l’hai accolto tra le tue braccia e ha smesso di strillare. Non hai sbagliato niente, siamo umani oltre a essere genitori. Max deve diventare più ordinato con i suoi vestiti e tu giustamente l’hai rimproverato. Per quanto riguarda lo schiaffo, non ti dirò nulla, vedo che stai già abbastanza male.»

Magnus accolse Alec contro di sé, che mormorò un “sì”. «Fiorellino, se vuoi riaggiusto i conti, dandoti anch’io qualche schiaffo.» L’altro rise e gli diede un colpetto sul braccio.

La porta della cucina si aprì e comparve Max. «Ehm… devo… devo dire qualcosa.»

Alexander si scostò da Magnus e guardò il figlio. «Non serve.»

«Ehm… io voglio… dirla lo stesso.» Max era rosso sulle guance, anche se si notava poco per il colore della sua pelle. Teneva le mani dietro la schiena, intimidito. «Daddy mi sono comportato molto male oggi.»

Alec guardò attentamente Max, mordendosi leggermente un labbro. Il bambino si fece piccolo sotto lo sguardo paterno e cercò un attimo d’incoraggiamento negli occhi da gatto dell’altro genitore.

Magnus annuì leggermente, facendo un piccolo sorriso.

«Daddy, non volevo…» Il resto della frase si perse contro la pancia di Alec, che aveva abbracciato il figlio. «Neanch’io, Max. Però la tua cameretta vorrei restasse un po’ più in ordine.»

«Cercherò.»

Magnus sorrise divertito dalla sincerità di Max. Non aveva detto che sicuramente sarebbe riuscito a essere ordinato, ma che ci avrebbe provato ed era veramente troppo tenero.

Alec stava guardando con attenzione la guancia di Max, tenendolo fermo con una stretta ferrea.

«Non mi fa male…»

Magnus diede una pacca sulla spalla del compagno e si diresse in cucina per concludere la cena.

Peccato che il suo piatto non fosse più al suo posto, ma tra le mani di Rafael che stava divorando il suo contenuto.

Rafe alzò gli occhi e con la bocca impastata, riuscì malamente a ringraziarlo.

Magnus inorridì, vedendo pezzetti di verdure che finivano sulla tovaglia insieme alla saliva.

Provò a restare calmo, ma la fame gli impose di vendicarsi per ciò che era suo. «RAFAEL SANTIAGO LIGHTWOOD-BANE, INIZIA A SPUTARE OGNI SINGOLO PEZZO DI CIBO CHE HAI ARRAFFATO DAL MIO PIATTO.»

 

 

Worries

«Hai capito, Jace?» ripeté Alec per la decima volta. «Rafe mangia tutto, ma di notte ogni tanto non dorme. Fa brutti sogni, ma non chiama nessuno. Mentre Max dorme tutta la notte, come un ghiro e al mattino bisogna svegliarlo con le cornamuse. Sveglialo e seguilo dappertutto, perché tende a riaddormentarsi. È sonnambulo e se non lo trovate, guarda in uno dei tantissimi bagni dell’Istituto. Non abbiamo ancora capito perché ha questa strana passione per i bagni. Ah, e odia le verdure, ma fategliele mangiare. Capito, Clary, non demordere. Fissalo in modo minaccioso, perché deve mangiarle…»

«Alec, ci hai già detto tutto.» Cercò di fermarlo Clary, ma Alec continuò imperterrito. «Max vorrà sicuro stare tutto il giorno in biblioteca, ma voi stategli dietro, perché tende a leggere anche libri non adatti ai bambini. Un giorno ha tentato di evocare un demone per casa e non è stato affatto piacevole. Però vi assicuro che di solito è bravo e tranquillo… a volte ci si dimentica anche di averlo in casa. Non che mi sia mai dimenticato…»

«Alec, ehm, non serve continuare…» provò Jace.

«Comunque… ah, mi sono dimenticato! Rafe ama l’armeria. L’avrete già visto, ma dovete stare attenti, perché a volte vuole andare a letto con i pugnali ed è pericoloso, molto pericoloso. Ah! Ecco, sapevo che c’era qualcos’altro di cui non vi avevo parlato! Quando Max si arrabbia, tende a non controllare la magia…»

«Lo so!» lo interruppe Jace. «Lo sappiamo! È successo anche a Natale, ma ok, va bene. Ci sta, è un bambino. Alec, per l’Angelo, ti devi dare una calmata.»

«Esatto.» Clary afferrò un braccio di Alec. «Abbiamo già tenuto Max tante volte, ora c’è anche Rafael. È un bambino in più, non un esercito.»

Magnus arrivò da dietro con Max in spalla e Rafael per mano. I due bambini sembravano un po' mogi, ma appena videro lo zio e la zia sorrisero. «Che succede qua?»

«Il mio parabatai ha bisogno di una camomilla o di... qualcos’altro per darsi una calmata.» Jace ghignò sotto lo sguardo truce di Alec e quello divertito di Magnus.

«Non sono preoccupato. Vi dico solo come fare.» Alec si mangiò mezzo le parole e Magnus gli lanciò un’occhiata tenera, dicendo. «Alexander, dobbiamo andare.»

Clary prese la mano di Rafe e Jace si sporse a prendere blueberry che faceva ciao ciao con la manina a Magnus, che gli mandò un bacino con la mano.

«Ehm, sì» mormorò Alec, guardando i figli con apprensione. «Non fate arrabbiare gli zii e lavatevi i denti.»

Mandò un bacio a entrambi, mentre i due bimbi mormoravano dei saluti e promettevano di fare i bravi, come avevano già promesso la sera prima.

Magnus aprì un Portale e mise una mano sulla spalla del suo Alec, che fece una smorfia. «Non è facile, Alexander, ma sono in buone mani.»

«Mi fido di Clary e Jace, ma mi mancano già.»

«Passa…» mormorò Magnus incoraggiante e Alec oltrepassò il Portale senza voltarsi.

Magnus, invece, si girò. Max stava tirando Clary, perché si muovesse e Rafe era già a metà corridoio. Lo vide fermo e alzò una mano in saluto, ma subito dopo il suo sguardo si fissò sul fratello che stava per inciampare nel tappeto.

Jace, invece, era rimasto vicino al Portale. Si scambiarono uno sguardo e quest’ultimo mormorò: «Bada a loro. Non perderli di vista per nessun motivo. Qualsiasi problema chiama o manda un messaggio e in men che non si dica aprirò un Portale e saremo qui. Non lasciare che si avvicinino al fuoco…»

«Non credevo che fossi peggio di Alec.» Jace ghignò e tirò fuori il cellulare, sventolandoglielo davanti. «Chiamate anche voi e tieni d’occhio Alec. Chiamerà ogni due minuti… ti consiglio di rompergli il suo cellulare e di nascondere il tuo!»

«Lo sai, vero, che ti riterrò responsabile se capita qualcosa ai bambini?» chiese Magnus con lo sguardo lievemente minaccioso. Jace assunse un’espressione seria e disse: «Come spero che tu sappia che farò lo stesso se capiterà qualcosa al mio parabatai.»

Magnus fece un cenno e si voltò per oltrepassare il Portale.

 

 

In breve spiego la scelta di questi quattro raccontini:

1- E' il primo che ho scritto in assoluto (verso gennaio 2016). Non potevo non metterlo, perché è da lì che ho sentito che potevo scrivere di Alec e Magnus, ma soprattutto della loro prima creatura. Subito volevo scrivere solo delle drabble, siccome sono sempre logorroica e volevo provare a essere sintetica. La mia MPL non ama ciò e mi spingeva a scrivere e scrivere. 

2- Anche questo è uno dei primissimi. Mi ricordo il giorno in cui vidi l'immagine che girò di Rafael (quella del libro degli Shadowhunter e Nascosti famosi che doveva essere ancora pubblicato in America/Inghilterra) e me lo immaginai subito un po' scontroso, ma in fondo, molto in fondo anche pieno di dolcezza. In questo caso c'è uno scontro tra fratelli. La passione di Max per la lettura si va a scontrare con la musica a tutto volume di Rafe. 

3- Mi piace rendere difficile la vita di Alec, perché Alec mi insegna ogni volta qualcosa.

4- Naturalmente non solo Alec ha le sue paure, ma anche Magnus. Sembra meno apprensivo, ma in realtà ha grandissimi pressioni su di sé. Il Sommo Stregone non è solo un titolo che Magnus sfoggia ogni due per tre, è anche una grande responsabilità, oltre che è padre e ha un compagno. 

Grazie a tutti quelli che hanno letto, che leggeranno. Grazie all'ultima recensione che mi è arrivata solo qualche giorno fa (fa strano che ci siano persone che continuano a leggere anche se tu hai pubblicato tanto tempo fa)
Grazie alla MPL, che ha dato i titoli agli ultimi due raccontini che non hanno mai avuto un titolo fino a stasera.

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Capitolo 9
*** Nuvole e cliché ***


Nuvole e cliché

#Writober2018


«È bello qui.»

Alec era abituato alla città, alla confusione della grande metropoli dove il verde si vedeva praticamente solo a Central Park, mentre nel panorama che aveva di fronte le case erano poche ed erano circondate da grandi vigneti e campi lavorati fino a perdita d’occhio. C'era pace, a parte il lavoro di qualche trattore lontano che però finiva per armonizzarsi con il canto degli uccelli e il ronzio degli insetti. Magnus aveva accostato la jeep che avevano noleggiato vicino a un campo sulla sommità di una collinetta.              

«Mi fa piacere che ti piaccia. Ora prendiamo l'occorrente e ci sdraiamo un po'.» Magnus si stiracchiò contro il sedile, sentendo il sole scaldargli le cosce coperte dai pantaloni bianchi e le braccia nude. 

Alec sorrise e aperta la portiera uscì con un balzo. La sua pelle pallida e ricoperta di cicatrici di vecchie rune riluceva.

«Sei abbagliante Alexander, mi sa che indosserò gli occhiali da sole.» Magnus fece quello che aveva appena detto, mentre iniziava a scaricare i due zaini e la coperta. In quella vacanza avevano deciso di prendere una pausa dalle loro vite, dalle rune, dalla magia, dai loro figli, dai gatti. Si erano buttati alle spalle un brutto periodo, in cui la loro relazione aveva fatto acqua da tutte le parti e ora avevano seriamente bisogno di essere solo loro due.

«Ti metterò la crema solare sul viso e sulle braccia. Già ieri ti sei scottato la schiena.» Magnus passò uno zaino ad Alec e l'altro se lo mise sulla schiena infilando gli spallacci.

«Mi sento ancora intorpidito. Per fortuna, hai pensato di darmi la crema che usiamo come dopobarba.» Alec prese la mano di Magnus e le fece dondolare, ridacchiando.
«Due bambini all'asilo sono più maturi che noi.» Alec scrollò le spalle come per dire che non gliene importava nulla e infatti era così. Era felice, così felice che si sentiva un bambino.

Magnus indicò l'unico albero nel campo che essendo frondoso faceva una bella ombra. Si diressero lì ascoltando i suoni della natura. Si sistemarono senza fretta stendendo il primo telo che Magnus aveva nello zaino e poi sopra quello che teneva tra le mani. Alec mise due cuscinetti piccoli e tirò fuori un contenitore pieno di panini, tutto dallo zaino che aveva portato.

«Hai fame?» chiese al suo compagno che si stava stendendo, dopo essersi tolto gli occhiali da sole.

«No, proprio no...» Magnus tirò a sé Alec che si lasciò andare tra le sue braccia. «Sono ancora pieno dopo la generosa colazione dell’agriturismo.»

«Io ho voglia di mangiare te» disse Alexander tranquillo solleticando la mascella di Magnus con i suoi capelli corvini.

«Alexander…»

«Questo è il mio nome, sì.» Alec rise e Magnus lo accarezzò con la mano sinistra percorrendo il suo fianco. Gli piaceva vederlo felice. Gli sembrava un bambino. «Non ti ho portato qui per farlo nella natura, se è questo che pensi.»

«Però è quello che voglio.»

Magnus non trattenne il respiro, perché ormai era abituato agli slanci passionali di Alec, ma il suo cuore perse comunque due battiti. «Ti avevo portato qui per sdraiarci e vedere le nuvole. Sai, magari, capire le forme... Riconoscerle... Litigare se era un orset… o un conigliet... »Alec aveva iniziato a baciarlo lungo il collo e sul petto tanto per capire come gli interessavano le nuvole. «Vederne una a forma di... Cuore... Ah.»

«Qui ce n'è una a forma di c...»

«Ok, Alexander, ho capito. Delle nuvole non te ne... Oh, wow. Bene. Ok. Ah. Le nuvole sono sparite, vedo già le stelle.»

Alec era stanco delle nuvole, ne aveva già viste troppe nei mesi più bui della sua vita. Voleva essere felice. Felice come può esserlo un bambino insieme al suo Magnus.

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Capitolo 10
*** Insonnia ***


Insonnia (#writober2018)

 

Nella stanza buia raggomitolato sotto una coperta Rafael Santiago Lightwood Bane stava aspettando che Netflix caricasse l’episodio successivo di Voltron. Stava per finire la quinta stagione che in fondo aveva iniziato quella stessa notte quando si era svegliato per un incubo. Uno dei tanti che lo tormentavano. Uno dei tanti con cui non aveva ancora imparato a convivere.
Gli incubi infatti lo svegliavano da quando ne aveva memoria. Tonfi, urla terrorizzare, strepitio di armi cozzanti. Erano scene che non aveva mai visto, eppure prendevano vita come sue sensazioni, suoi ricordi. Qualcuno urlava il suo nome. La sua mente aveva registrato gli ultimi attimi di vita di sua madre e suo padre? Non ci voleva pensare, dopo tutto certe sere aveva già abbastanza paura di chiudere gli occhi ancora prima di toccare il cuscino. Si addormentava e svegliava con la paura, con la bocca spalancata come se avesse appena urlato con tutto il fiato che aveva, eppure Alec e Magnus non arrivavano, perché non aveva emesso alcun suono, e allora piangeva. All'inizio singhiozzava forte e uno dei due arrivava, poi aveva imparato a mordere il cuscino e piangere in silenzio per non preoccupare nessuno, nemmeno se stesso. Alec e Magnus non si sa come a volte comparivano lo stesso, come se sapessero che lui aveva bisogno.
C'erano anche altri incubi che lo tormentavano: vampiri che cercavano di portargli via tutto il sangue che aveva nel corpo e lupi con i denti in vista che lo rincorrevano tra le favelas di Buenos Aires che sempre più spesso si confondeva con le strade di New York. Quegli incubi si stavano attenuando via via che conosceva Lily, che scherzava con lui in spagnolo, con il suo clan di vampiri esagitati, e Maia, che si trasformava in un lupo ogni volta che Max glielo chiedeva, con il suo branco di lupi focosi.
Era stato difficile vivere in mezzo a persone, mondani, che lo prendevano in giro quando parlava di mostri. In fondo non sapeva come altro chiamare i vampiri e i lupi mannari. Ne aveva paura, fingeva che non esistessero, ma esistevano, però taceva per non farsi deridere.
Poi c'erano i demoni. In quegli incubi di solito Rafe non riusciva a muoversi e il suo pugnale non era mai a portata di mano. Odiava sentirsi impotente e al mattino scattava all'Istituto per guardare Jace che si allenava.
Voleva diventare come lui. Voleva sapersi difendere dai demoni come lui.
Per attenuare gli incubi Magnus gli aveva persino comprato un kit composto da mascherina e tappi per le orecchie che era stato promosso da uno studio universitario, sperando che quegli oggetti potessero arginare i rumori esterni e le fonti luminose e farlo dormire tranquillo, ma, in realtà, non avevano mai funzionato.
Invece, stava meglio quando sapeva di potersi difendere, quando Jace o Alec gli insegnavano una mossa nuova, quando giocava a lungo con Max, magari a nascondino, e poi crollava dalla stanchezza sul tappetone, quando Magnus gli raccontava una storia o Alec gli leggeva il Codex, quando era Natale e tutti si ritrovavano insieme all’Istituto di New York.
Un miagolio informò Rafe che Principino Miao, il suo rosso Kit Cat, l'aveva raggiunto sul divano, proprio quando stava per finire l’intro di Voltron. Anche lui in fondo lo aiutava a distrarsi. Gli diede una grattata alle orecchie per salutarlo.
Ma il micio non era arrivato da solo, Magnus apparve nell’oscurità con un pigiama a pois davvero ridicolo e si sedette. Rafe mise in pausa l’episodio con il telecomando.
«Quella Bestia di Satana mi ha quasi staccato un dito del piede perché voleva che lo accompagnassi da te. Ero sveglio, ma questo non lo autorizza a mangiarmi un piede. Bestia di Satana, sei un gatto, un gatto. Vedi al buio e devi attraversare solo un corridoio con le tue quattro zampe, non la Manica a nuoto.» Kit Cat alzò il muso per un attimo verso Magnus e poi si voltò mostrandogli il posteriore. Chiaramente non era interessato. Rafe trattenne una risata e ottenne su di sé gli occhi gialli-verdi della figura paterna. «E tu, cioccolatino, che stai facendo?»
«Guardo Voltron.»
«Non so cosa sia, ma va bene tutto, tanto non riesco a dormire.» Magnus evocò con la magia una coperta e si preparò alla visione. Rafe schiacciò play, intimamente contento di condividere la notte insonne insieme. «Ah, c'è una principessa. Come si chiama? E quello come si chiama? Un robot. Sono nello spazio, figo. Ti ho mai raccontato quella volta che sono stato quasi preso come pilota per una missione spaziale...»
Quando Alec tornò, con la bava di demone al posto dei capelli, portandosi dietro l'aria umida dell'alba sulla tuta da Shadowhunter, erano quasi alla settimana stagione e Magnus aveva imparato i nomi di tutti i personaggi.


 


Sono tornata con questi mini-raccontini per il #writober2018 di fanwriter.it. Il primo racconto non l’ho messo perché non l’ho dedicato ai Malec&bimbi (l’ho messo su twitter ed è stata una prova con i Klance, coppia non canon di Voltron); il secondo era il racconto di ieri Nuvole e cliché; il terzo è questo su Rafael. Ho voluto scrivere di lui, perché la prossima settimana esce The Land I Lost di Cassie e Sarah, ovvero il racconto che tratterrà della sua adozione e del primo incontro tra i piccoli di casa Lightwood-Bane. Ieri è uscito uno snippet e mi sa che dovrò cambiare un po’ il mio Rafe, ma pazienza XD Non so se riuscirò davvero a scrivere un mini raccontino al giorno, seguendo la prompt list rossa (almeno penso, se no oscillo tra le due XD #sonodivergente)
Principino Miao o Kit Cat o Bestia di Satana (ha più nomi che Jace) è una mia creazione e è un dolcissimo ricordo. Questo racconto è proprio dedicato al vero Principino Miao, che è e sarà sempre nel mio cuore.

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Capitolo 11
*** Segreti ***


Segreti (#writober2018)

Chi non ha letto Lady Midnight e Lord of Shadows rischia di beccarsi qualche spoiler (avviso anche se sono usciti ormai da un po'). Ho glissato sui rapporti tra i personaggi perché non ho davvero idee su Queen. Per quanto succede qui, invece, spero che un giorno Cassie mi dirà che è vero che questi due avranno un certo legame (sto provando a non essere spoiler). Buona lettura!




Octavius Blackthorn ormai diciassettenne gli stava gridando di correre e Rafe da poco quindicenne sbuffava cercando di tenere il passo. Non capiva sinceramente perché stessero facendo di corsa dall’Istituto alla Grand Central, rischiando di perdersi tra loro e colpire qualcuno nel caos metropolitano.
«È un segreto» gli aveva detto Tavvy senza aggiungere nessun’altra spiegazione.
I Blackthorns sono pieni di segreti, gli venne in mente questa frase che aveva sentito dire a Kit una mattina all’Istituto di LA.
Tavvy lo precedeva nella corsa, perché, abituato agli allenamenti sulla spiaggia, correva tre volte più velocemente sull’asfalto. Rafe si ritrovò a pensare che proprio durante una di quelle sessioni intensive, al quale partecipava due settimane all’anno, aveva proposto al suo migliore amico di diventare parabatai. Erano mesi che voleva farlo, ma non trovava mai il coraggio, poi l’aveva visto davanti a sé, tre metri più avanti, e aveva capito che era il momento adatto. Tavvy si era fermato per non lasciarlo indietro, gli aveva sorriso e aveva fatto qualche passo verso di lui per andargli incontro senza farne troppi, ben sapendo che poi Rafael si sarebbe lamentato. 
Per Rafe era stato un segno.
«Vorresti essere il mio parabatai, Octavius Blackthorn?»
Ma probabilmente non era bravo a leggere i segni e forse non aveva capito nulla di Tavvy, dato che dopo la sua domanda il suo migliore amico si era mostrato impassibile, aveva guardato verso l’oceano e poi dopo aver riportato i suoi occhi color dell’acqua su di lui gli aveva detto di no.
Rafe aveva sgranato gli occhi, si era voltato ed era corso verso l’Istituto, travolgendo Max che si era messo a leggere un libro sdraiato sulla sabbia. Aveva aspettato i cinque giorni che mancavano al ritorno a New York parlando quasi normalmente con Tavvy senza che nessuno dei due tirasse mai fuori l’episodio, poi Rafe, arrivato a casa, aveva deciso di non scrivere e non rispondere per un po’ al suo migliore amico. Alec gli aveva chiesto più volte se voleva andare a LA, Magnus ogni volta era già pronto persino ad aprire un Portale, ma lui aveva preferito di no.
Sicuramente Tavvy aveva i suoi motivi per rifiutare, magari non voleva avere un parabatai in fondo tanti Shadowhunters combattevano senza legarsi a nessuno; forse voleva un parabatai, ma non lui perché diciamocelo neanche Rafe avrebbe scelto se stesso. Era impulsivo, poco cooperativo, chiuso. Magari Tavvy avrebbe scelto uno dei suoi amici di LA, in fondo li vedeva tutti i giorni, mentre lui solo quattro settimane all’anno, e per il resto si tenevano in contatto con il cellulare. Rafe era arrivato al punto che non voleva nemmeno sapere le motivazioni di Tavvy, ma solo riprendersi dal rifiuto.
Dopo diversi mesi Rafe aveva sentito la mancanza del suo migliore amico e gli aveva scritto Ciao, mi dispiace. Di cosa non lo sapeva, di essere scappato, di non avergli scritto più, di non avergli mai chiesto che cosa pensasse sulla faccenda dei parabatai, forse tutto questo.
Tavvy gli aveva risposto solo qualche minuto dopo, come se fosse stato incollato al cellulare ogni secondo nell’attesa di quel messaggio Avevi le tue buone ragioni. A costo di essere sdolcinato, mi sei mancato, R.
Rafe aveva sorriso a quel nomignolo e gli aveva mandato. Sì, sei troppo sdolcinato, T.
Da quel momento avevano ripreso a sentirsi, a vedersi, a ridere insieme e a correre, come stavano facendo in quel momento.
«Mi dici perché ci stiamo andando?»
Tavvy non si voltò nemmeno e continuò a correre. Erano arrivati davanti all’edificio della Grand Central schiacciata dall’altezza dei grattacieli intorno, ma nobilitata dalla sua maestosità.
Tavvy entrò spingendo la porta e ancora non si fermò percorrendo il grande corridoio di marmo. Rafe quasi beccò la porta in faccia e prese contro a una signora e poi a un signore. Non si scusò nemmeno in fondo aveva già spinto e travolto un milione di passanti. T doveva essersi tracciato una Runa dell’Agilità con lo stilo per riuscire a sgusciare tra le persone senza toccare nessuno.
Il corridoio era murato gente che usciva, gente che entrava, chi correva come loro, chi si muoveva come se avesse tutta la vita per passeggiare in quel corridoio. Una ragazza piangeva a braccetto di un ragazzo. Il rumore delle ruote delle valigie sul marmo si andavano a mescolare alle voci e al brusio. Le pareti amplificavano tutto. Sentiva varie lingue e toni. Qualcuno tossì vicino a loro. Una bambina guardò Rafael e indicò le sue rune. Un uomo in giacca e cravatta passò parlando frettolosamente al telefono in spagnolo.
«Che ci facciamo qui, prendiamo un treno?» chiese a Tavvy che finalmente si era fermato per aspettarlo.
«No, ovviamente. Per di qua.»
In realtà era un terminal e quindi Rafe si aspettava una risposta affermativa, ma Octavius Blackthorn non era ancora pronto a rivelargli il segreto. Si stava proprio divertendo e Rafe si lasciò guidare dal suo entusiasmo, anche se era più di un’ora che correvano.
Tavvy e Rafe passarono sotto a un grande passaggio arcuato che riportava da una parte la scritta Dining Concourse e dall’altra Tracks 100 to 117 e percorsero un corridoio in discesa camminando tranquillamente.
Tavvy all’improvviso gli prese la mano e lo fece fermare sotto a un soffitto a volte davanti a un locale pieno di gente. Sopra a una delle volte c’era scritto Oyster bar restaurant. «Siamo arrivati.»
«Se volevi un cocktail, poteva fartelo lo zio Jace o potevamo berlo in uno dei tre milleduecento bar che abbiamo incontrato.»
«Non ho sete.»
Tavvy suonava misterioso e sembrava in quel momento un mix tra tutti i suoi fratelli.
I Blackthorns sono pieni di segreti.
E Rafe si stava per alterare, d’altro canto i Lightwoods non erano per niente pazienti.
«Rafe, vai a metterti in quell’angolo.»
«Sono in punizione?»
Tavvy rise e si passò una mano tra i capelli castani. «Ormai sei qui. Cosa ti costa metterti in quell’angolo? Ah, con il viso rivolto verso l’angolo, mi raccomando.»
Rafe pensò una risposta sarcastica, ma alla fine alzò le spalle e fece ciò che gli aveva detto. L’angolo era un angolo, spoglio, un inutile angolo, come ce ne potevano essere tanti anche all’Istituto. Anche nel loft c’erano gli angoli, non capiva il senso di fare tutta questa strada, per di più di corsa, per un cavolo di angolo. Dopo due minuti si sentì davvero ridicolo e sussurrò «Lo sapevo che era tutto uno scherzo.»
«Ah, davvero, R?» Rafe sussultò, la voce di Tavvy era vicina. Voltò il viso pensando di averlo accanto, ma non c’era. Allora si voltò e vide la gente che andava e veniva senza curarsi di lui. Qualcuno gli gettò anche un’occhiata veloce e proseguì. Cercò tra la folla e trovò Tavvy che gli sorrideva e lo salutava dall’angolo diagonalmente opposto. «Ma come…?»
«Com’è possibile? È la galleria dei sussurri, R. C’è un fenomeno acustico, per cui se io sussurro tu mi senti e se tu sussurri io ti sento.» Rafe fu davvero impressionato. In mezzo a quella confusione udiva Tavvy come se gli stesse parlando praticamente nell’orecchio. Gli arrivò forte un nuovo sussurro. «E io ti ho portato qui per un motivo…»
Tavvy gli diede le spalle e Rafe fece lo stesso, tornando a fissare l’angolo. «Dimmi.»
«Un giorno dopo una corsa sulla spiaggia mi hai fatto una domanda e io ti ho risposto di no…» Non avevano mai affrontato quell’argomento e Rafe si impietrì, ma tentò di elaborare un discorso: «Non mi devi dire…»
«Ti ho risposto di no quel giorno perché abbiamo perso tanto. I genitori. Io una sorella, tu un nonno che avevi appena acquisito. La nostra infanzia. Avevamo incubi, e a volte li abbiamo ancora, e avevo paura di non poterti aiutare. Avevamo bisogno delle nostre famiglie.»
Rafe chinò la testa fino a toccare il muro che risultò freddo.
Avevano conosciuto il dolore della perdita quando ancora non potevano parlare.
«Ho diciassette anni ora, l’anno prossimo non potrò più risponderti di sì.» Rafe si spostò come se si fosse scottato e si spostò in mezzo al passaggio, procedendo all’indietro e incespicando contro la gente che passava.
I sussurri dell’amico gli avevano fatto dimenticare lo spazio fisico e ogni rumore.
Sentì una presenza accanto ed era Tavvy. «Con quasi due anni di ritardo, sì, mi piacerebbe essere il tuo parabatai, Rafael Santiago Lightwood-Bane. Non so se tu lo vuoi ancora, però.»
Rafe si voltò e l’altro lo guardava giochicchiando con le mani. Era sicuramente nervoso, di solito, faceva così quando era nervoso. «Hai tutto il diritto di dirmi che sono un idiota e che preferiresti avere Richard come parabatai piuttosto che me.»
«Questa è davvero grossa» ribatté e pensò che non avrebbe mai scelto Richard neanche se fossero rimasti solo loro due sulla Terra. Con la sua risata strappò un sorriso anche a Tavvy.
«T, ne sei certo?» Rafe tornò serio. «Sono scombinato… con i miei incubi…»
«Sarai scombinato, ma io non posso giudicare. Ti ho risposto che non ti volevo come parabatai e, invece, ti volevo… Piuttosto sei tu che ti devi chiedere se sei certo di me.»
«Per l’Angelo! Saremo la peggior coppia parabatai del mondo, Octavius Blackthorn.»
Le mani di Tavvy smisero di colpo di giochicchiare e i suoi occhi oceano risplendettero di gioia come non avevano potuto fare quel giorno sulla spiaggia. Dopo aver schiarito la voce disse: «Almeno ci ricorderanno per qualcosa.»
Rafe abbracciò di slancio il suo quasi parabatai, lui che odiava qualsiasi contatto umano.
«Sai, ho scoperto questo posto, la galleria dei sussurri, per caso. È un luogo praticamente segreto, anche se ogni giorno dalla Grand Central passano circa 75000 persone. Volevo condividere proprio qui il segreto che mi porto dentro da quasi due anni.» Tavvy ricambiò l’abbraccio, stringendolo forte. «Perché nessuno ha mai saputo perché ti ho detto di no, a parte te ora.»
I Blackthorns sono pieni di segreti, ma preferisco quando li rivelano, pensò Rafe non interrompendo il contatto.


In metro di ritorno all’Istituto …
«Stavo pensando… Se tu avessi risposto di sì quel giorno, potevano abitare metà dell’anno a LA e metà a New York.»
«Avevo quindici anni e sentivo che tu avevi bisogno di Alec e Magnus, di Jace, Clary, Isabelle, Simon, come io di Julian, Helen, Mark, Dru, Kit, Emma... non ci ho pensato.»
«Il problema è stata la mancanza di dialogo. Perché non ne abbiamo mai parlato?»
«R, davvero mi stai facendo questa domanda... tu che odi parlare?»
«T, stai zitto che se no con il cavolo che divento tuo parabatai.»

 

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Capitolo 12
*** Futuro ***


Futuro (#writober2018)

 
«Posso portare Rafe a vedere la mia cameretta?» chiede Max, ma non gli interessa una risposta e tira Rafe che fissa ancora spaventato Presidente Miao. Magnus non ha mai pensato che il suo gatto potesse spaventare qualcuno e si trova a essere fiero di lui. Quella sera gli avrebbe dato una tripla razione di croccantini. «Vieni, vieni, vieni. Io sono Max. M A X. Tuo fratello.»
Rafe è confuso, ma si lascia trascinare in corridoio.
«Non è andata male» dice Magnus, contento che finalmente Max abbia il fratellino tanto desiderato. «Presidente Miao a parte, sono sicuro che si abituerà.»
Alec non risponde, sospira. Magnus lo guarda intenerito, ecco quel momento, sapeva che sarebbe arrivato. «Cosa ti preoccupa?»
«Cosa dovremmo fare ora?» Alec è la più straordinaria delle creature. È sempre razionale, pensa e poi agisce. Ma a volte agisce di puro istinto e non riflette finché non ha quell’attimo di calma in cui si trova spaesato, confuso, incerto.
Magnus è pronto a venirgli incontro, perché se lo aspetta quel momento. Alec l’ha avuto anche all’inizio della loro storia. È corso fino al loft per ringraziarlo, si è fatto baciare, ha ricambiato il bacio, ha bevuto il caffè con lui, è crollato sulle coperte e ha dormito sul divano, ma ad un certo punto si è come svegliato e si è reso conto che nessuno sapeva della sua storia e ha iniziato a pensare che cosa avrebbe detto Trace, che cosa i suoi genitori, che cosa il Conclave…
Alec ora è più sicuro di sé, ma ogni tanto ha ancora quel momento di incertezza.
«Cosa dovremmo fare, Alexander? La cena.»
Ha subito una replica. «Dicevo in senso più ampio. Come dovremo comportarci ora, domani, post domani, in futuro
Magnus rimane calmo, perché non ha senso agitarsi. L’ha imparato nei suoi quattrocento anni. «Tu prepari la cena e io porto il demonietto… anzi i due demonietti a lavare le mani, poi diamo da mangiare a loro e mangiamo noi, li mettiamo a letto e andiamo a letto anche noi.»
«Magnus…»
«Non prevedo il futuro, Alexander, e non inizierò stasera. Il piano della serata è questo…»
Alec lo interrompe. «Una fiaba non gliela leggiamo?»
«Ovviamente la fiaba! Come mi sono permesso di dimenticarmi della fiaba.»
Magnus vede il sorriso di Alec e sa che la crisi è quasi passata.
«Cosa vorrà mangiare?»
Appunto quasi. Magnus sorride e gli dice rassicurante: «Fagli due patatine fritte, i bambini amano sporcarsi le mani di olio.»
La crisi è ufficialmente passata.
«DADDY! PAPA! RAFAEL STA CERCANDO DI INGHIOTTIRE UNA FRAGOLA FINTA.»
Magnus ha parlato troppo presto. Si è dimenticato la lezione fondamentale dell'essere genitore: con i bambini le crisi non finiscono mai.
Questo sicuramente era certo nel suo, nel loro futuro, quello immediato e quello lontano.

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Capitolo 13
*** Labbra ***


Labbra

Prima di leggere informo che questa OS è ancora legata al #writober2018 e emerge qualche piccolo spoiler di The Land I Lost.
Lettore avvisato, mezzo salvato.


 


«Non so come parlare con Rafe. E lui mi ignora apposta.»

 Alec si era appena seduto sul divano e aveva spiaccicato un cuscino di sera rossa con decori giapponesi sul viso. Magnus smise di mescolare la sua pozione. Il fuoco del camino scaldava l'ambiente e la luce proveniva solo dalla cucina e dal pentagramma. Elyaas che ormai viveva praticamente con loro disse con saggezza. «Tutti gli adolescenti ignorano i genitori... da che mondo è mondo.»

Magnus guardò contrariato il demone per la sua dose di saggezza non richiesta e quella di bava che riversava sul tappeto.
«Non è un adolescente» borbottò Alec. La sua voce era soffocata dal cuscino.

Magnus fece un segno verso Elyaas. Elyaas mosse i suoi tentacoli mostrando chiaramente che lui faceva quello che gli pareva. Lo stregone fece un gesto secco. Il demone scrisse con la bava Non osare Non osare Non osare. La pazienza di Magnus si estinse. Prese lo zolfo e ricacciò nel suo mondo Elyass.
Alec doveva aver sentito il leggero sfrigolio della sparizione del loro demone domestico, ma continuava a cercare di uccidersi con il cuscino.

«Ce la farai a imparare lo spagnolo. Intanto Rafe capisce un po di inglese...»

Alec abbassò il cuscino giusto per scoccargli un’occhiata scettica. «E se non riesco? Tu, Max e Rafe parlate tutti spagnolo e io non vi capisco.»

«Può rivelarsi una cosa positiva. Se ti dobbiamo fare un regalo siamo liberi di consultarci.» Alec lo fulminò, non sembrava divertito. Magnus lo raggiunse sul divano e toccò la coscia asciutta di Alec. «È sempre bella soda.»

«Magnus, non sono in vena.» Gli occhi vennero di nuovo coperti. Lo stregone sorrise birichino, si guardò intorno e sperò che Max e Rafe non uscissero dalla camera del più piccolo dove si erano rintanati a giocare. Si mosse più velocemente che riuscì, girandosi e passando la gamba destra oltre quelle di Alec. Lui non era uno Shadowhunter, nessun Angelo gli aveva donato la grazia e l’agilità.

«Magnus...» Il cuscino cadde tra i loro petti.

«Sorpresa! Speciale lezione di spagnolo con un profesor d’eccezione, ovvero Magnus Bane, el Brujo más poderoso de Brooklyn.» Magnus poteva sentire il corpo del compagno teso e vibrante sotto di lui. Alec arrossì visibilmente, ma piegò leggermente la testa per trovare i suoi occhi. «Sarebbe meglio che cambiassimo la posizione, perché io sono più alto di te... ma mi piace stare sopra.»

Alec borbottò. «Non sembra affatto una lezione di spagnolo.»

«Alexander, l'insegnante sono io, non puoi discutere il mio metodo.» Magnus sorrise furbo. «Ora ti dico una parola e il suo significato e tu lo ripeti. Presta attenzione alle…» Passò le mani sulle tempie di Alec. «Mie» Si spostò sugli zigomi. «Labbra.» Contornò le labbra del suo compagno con l’indice della mano destra.

Alec deglutì e mormorò. «Quelle sono le mie.»

«E tu guarda le mie.» Magnus a sua volta deglutì. Quegli occhi azzurri focalizzati sulle sue labbra non erano davvero leciti. Forse era meglio una lezione di spagnolo più regolare con un banco e anche una cattedra a divederli.
«Niño. Bambino.»
Alec ripeté prontamente, anche se abbassò lo sguardo. Magnus altrettanto prontamente lo baciò. Gli occhi sgranati di Alec gli dissero che non si aspettava una ricompensa a ogni parola giusta.
«Sei stato bravo. Ora una frase.»

Alec annuì.

«Vamos a dormir, andiamo a letto» sillabò Magnus.

«È una proposta?» chiese Alec forse un po’ intrigato.

Magnus assunse un’aria severa. «No, è quello che devi imparare. Sai che Rafe a letto non ci vuole andare e almeno dirgli che ci vai anche tu, può incoraggiarlo.» Magnus diede un pizzicotto al fianco di Alec che sussultò ancora più sorpreso. «Questa è la punizione, Alejandro

«Vamos a dormir» scandì subito Alec, cercando di dare la giusta cadenza alle parole. Magnus lo baciò sulle labbra e su quelle stesse labbra sussurrò. «Se vuoi andare letto... ora che ci penso bene, io ci sto»

«Magnus, sono il tuo alunno.» Magnus sussultò per l’improvviso pizzicotto al fianco e sarebbe caduto all'indietro se il suo compagno non gli avesse avvolto sue braccia intorno ai fianchi. «Devi rimanere professionale, perché io ho realmente bisogno di parlare con il nostro niño e poi stanotte sono impegnato con il mio parabatai.»

Magnus massaggiò la parte pizzicata con una smorfia che di solito Alec vedeva comparire sul visetto di Max. «Non è giusto.»

Alec piegò le labbra in un sorriso e disse. «No non lo è.»

 

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Capitolo 14
*** Ago e filo ***


Ago e filo

Al demone Elyaas che è il miglior babysitter del mondo.

 
«Ciao, papa, noi andiamo a esercitarci a saltare.»

Magnus stava scaldando sul fuoco l’acqua per farsi un tè perché quella mattina non riusciva a ingranare. Aveva già bevuto un caffè con Alec e ora berne un altro gli sembrava un po' troppo, però aveva un cliente stressante alle nove del mattino, quindi aveva optato per un’intera teiera di tè.
Fece una piroetta e vide Max e Rafe davanti alla porta della cucina. Erano tutti e due vestiti con una tuta nera, ma il primo aveva sul lato della gamba una striscia blu con i brillantini e il secondo ne aveva una rossa porpora. I colori si ripetevano nel colletto delle t-shirt. Entrambi tenevano uno zainetto sulla spalla che conteneva gli oggetti che volevano portare quel giorno all’Istituto. Magnus si diede una pacca da solo. Max e Rafe erano proprio stilosi.

«Bravissimi, divertitevi... No, aspetta un attimo. Saltare? Cosa vuol dire saltare?»

«Saltiamo dalla trave alta alta» spiegò Max alzando la mano più che poteva, ma Magnus sapeva che la trave di cui stava parlando era molto più alta di così.  Era a sei metri da terra, praticamente era un salto dal secondo piano di una casa.

Rafe intervenne, lasciando trapelare un sorriso. «Zio Jace ha detto che abbiamo la giusta preparazione.»

«E Alec cosa dice, bei bambini di papa?» chiese Magnus, lanciando maledizioni al parabatai del suo compagno in ogni lingua che conosceva. Già metteva in pericolo il mondo ogni volta che si svegliava al mattino e sbadigliava, ora voleva far saltare i suoi bambini da una trave alta sei metri per farli sfracellare al suolo, non aveva limiti, forse il sangue d’angelo che aveva nelle vene gli aveva dato alla testa.

Max diede un colpetto a Rafe che rispose in spagnolo. «Ha detto che va bene. Alec aveva la stessa età di Max la prima volta che ha saltato.»

«Sei sicuro di aver capito correttamente?» chiese Magnus nella stessa lingua usata dal figlio. Ci stava che il bambino avesse mal recepito le parole di Alec che sicuramente aveva parlato inglese. Max con voce squillante disse: «Rafe ha capito benissimo. Daddy ha detto così.»

 Magnus contò all'indietro da cento a zero per calmarsi, ma arrivato a novantasei si perse e urlò. «ALEXANDER, VIENI QUI.»

Alec arrivò di corsa con una scarpa in mano. Magnus preferì badare poco ai vestiti del suo compagno per non arrabbiarsi di più. «Dimmi, Magnus, cos'è successo?»

«I nostri figli…» Alec rizzò le orecchie sentendo il suo tono di voce e lasciò cadere la scarpa per terra. «Mi hanno detto che oggi si getteranno dalla trave, quella alta alta, quella in mezzo alla sala allenamenti, ma io ho detto loro che non devono aver compreso le parole tue e del tuo parabatai. Tu che dici?»

Alec abbassò gli occhi. Era colpevole.

Magnus si preparò mettendo le mani sui fianchi. Il suo compagno sussurrò a Max e Rafe che guardavano dall’uno all’altro: «Bambini, perché non vi mettete la giacca e aspettate sul pianerottolo?»

«Devono litigare» bisbigliò Max al fratello che annuì.
«Ma no, bambini miei. Salutate papa e poi fate come vi ho detto.» Max andò in salotto e salutò con la mano un punto che Magnus non vedeva dalla cucina. «Ciao, zio Elyaas. Ci vediamo stasera.»

Magnus ormai invocava spesso il demone, non era male dopotutto, sbavava un po’, ma era simpatico e i ragazzi lo adoravano.  

«Ciao, mi raccomando perseguite la strada del male, è sempre quella giusta.»

Rafe fece un cenno a sua volta verso il demone domestico, poi uno fianco all’altro i due bambini sparirono dalla vista di Magnus che stava ancora fermo immobile vicino al tavolo della cucina. Parlò solo quando sentì il tonfo della porta che si chiudeva. «Pensavi di dirmelo?»

Alec alzò gli occhi, sembrava lievemente esasperato. «Vuoi che diventino Shadowhunters, poi vai fuori di testa, appena senti che saliranno su una trave e si butteranno giù.»

«Scusa, quale genitore non andrebbe fuori di testa? Alexander, sono piccoli.»

Alec rimaneva calmo, rigirando il bordo della maglietta già stropicciato intorno a un dito. «Avevo l'età di Max quando sono saltato giù la prima volta. È un esercizio importante per...»

«Importante per vedere chi sopravvive!»

Alec rilasciò la maglietta. «Stai esagerando e se te lo dico io è grave.»

Magnus non apprezzò e fece due passi avanti. «I nostri figli non si ricuciono con ago e filo se si spappolano sul pavimento.»

«Sono sei metri e saranno legati con la fune. Magnus, dove vai?»

Magnus marciò verso la sala e passò di fianco ad Alec. Elyaas stava sbavando come al solito nel pentagramma e si muoveva provando qualche passo di danza che aveva visto fare a Rafe la sera prima. «Le liti tra innamorati mi piacciono.» Naturalmente diede anche il suo contributo alla conversazione. «Particolarmente se finiscono con un accoltellamento.»

Magnus e Alec gli scoccarono entrambi un’occhiata severa. Poi il primo chiese. «E se la fune si spezza?»

Il secondo alzò gli occhi al cielo. «E se un giorno questo demone» Alec indicò Elyaas che gesticolava con i suoi tentacoli come dire "Sì sono io". «Traviasse uno dei nostri figli e li facesse entrare nel pentagramma per portarli nel suo mondo infernale?»

«Non sono così perfido» sbottò Elyaas offeso. «Shadowhunter, tu ferisci le mie interiora ricolme di malvagità.»

Magnus non poté che prendere le difese del demone blu ingiustamente insultato. «Alexander, non ha mai fatto niente. Un pomeriggio ha tenuto Max mentre sono uscito per un’emergenza e nostro figlio si è divertito un mondo. Elyaas, puoi dire tranquillamente che hai lavorato con i figli del Sommo Stregone di Brooklyn, se ti chiedono delle referenze come babysitter.»

Elyaas sbavò di gioia. Alec, invece, impallidì. Magnus seppe di aver parlato a sproposito. «Quando è successo, Magnus? Quando ha tenuto Max senza che ci fossi tu?»

«Alexander, il punto non è questo.»

Alec prese la scarpa da terra e la mise sotto l'ascella, si voltò e afferrò la sciarpa dall’attaccapanni, se la girò intorno al collo, come se si volesse strozzare e poi si diresse verso la porta. Mise la mano sulla maniglia e disse. «Fai sparire quel demone! Se è ancora in quel pentagramma stasera, domani ti porterò sulla trave e ti farò saltare senza fune.»

Detto ciò aprì. Magnus sentì le voci allegre dei bambini e poi il tonfo della porta.
«Ah, i litigi d’amore» sbrodolò Elyaas. Magnus lo guardò esasperato e prese lo zolfo. «Per un po' non ti potrò chiamare.»

Elyaas mise il broncio e i suoi tentacoli si afflosciarono. «Salutami i due teppistelli e digli di essere sempre perfidi, è un consiglio dello zio Elyaas.»

Magnus lo ricacciò nel suo mondo e si sedette sul divano, ancora più esausto di prima. Dopo una decina di minuti sentì di nuovo la porta e Alec corse dentro, ansimando appena. «Non ti ho salutato.»

Sul volto di Magnus nacque un sorriso e schioccò le dita della mano destra. Alec si lasciò andare a una breve risata di gioia vedendo una farfalla di magia blu che gli girava intorno. Puntò lo sguardo sul pentagramma, ora vuoto, quasi con rimorso. «Lo Zio Elyaas?»

«Aveva degli impegni nel suo mondo.»

Alec annuì e fece un cenno con la mano. «Ora vado.»

«Vai e torna con i nostri due bambini perfettamente intatti.»

«Lo farò.» Alec era già alla porta e uscì, tirandosela dietro.
Magnus si alzò e andò a finir di preparare il suo tè. Ne aveva un assoluto bisogno. Mancavano dieci minuti all'arrivo del cliente.

 

 
Questo è il numero per chi cercasse un babysitter infernale super referenziato: 666/666666666.
Ho solo un'altra cosa da dire: sia santo il #writober2018!
Amen, andate in pace.
Dany

 

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