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Autore: aleinad93    05/05/2016    2 recensioni
Alec e Magnus sono un miracolo l’uno per l’altro, non pensavano si sarebbero trovati né innamorati né avrebbero superato il primo appuntamento né i pregiudizi né una ex particolarmente fastidiosa né le loro incomprensioni. Però così è successo, come sappiamo da TMI e ora convivono.
Non sanno però che sui gradini dell’Accademia li aspetta un nuovo miracolo.
Una raccolta di one shot, flashfic sui Malec e sulla loro vita post-Born to endless night.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Magnus Bane, Max Lightwood, Max Lightwood-Bane, Rafael Lightwood-Bane
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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We are miracles and we’re not alone
 
Questa è una raccolta, mi preme ridirlo, perché saranno tante OS che probabilmente vi faranno irritare quando non avranno un opportuno finale, come fanno irritare me quando le scrivo e la mia prima lettrice quando le legge. Cosa ancora più importante, consiglio a chi non ha letto Tales from the Shadowhunter Academy (specialmente Born to endless night) e Lady Midnight, di pensare bene se leggere o meno. Sì, non si parla dei Malec della serie tv o dei Malec in The Mortal Instruments.
Il titolo mi è venuto in mente sentendo e risentendo (e risentendo) la canzone dei Switchfoot This is home, contenuta nella soundtrack di Narnia: Il Principe Caspian e mi è sembrata pertinente.
Non voglio appropriarmi dei Malec, anche se li amo immensamente, come amo immensamente gli altri due personaggi che sono ancora un po’ un mistero che io ho voluto scoprire. L’autrice è l’unica che ci fa divertire e sa spezzarsi il cuore in mille pezzettini, ovvero Cassandra Clare.
Detto ciò, vi lascio finalmente leggere in pace. 

 
Never


Grazie a te, che mi hai insegnato ad amarlo

 
Magnus era mezzo sdraiato sul bancone di un locale e teneva davanti a sé una bottiglia di vino quasi vuota. Non si ricordava nemmeno cosa avesse preso di preciso, gli importava solo che riempisse quel vuoto che sentiva e cancellasse la confusione lasciata dalle “amorevoli” visioni paterne.

Era uscito di casa quella sera vestito in modo impeccabile: camicia nera di seta, pantaloni bianchi, che non si ricordava nemmeno di avere nell’armadio, e un foulard porpora. Aveva anche un cappello che doveva essere sparito siccome sulla testa non c’era più. Le mani toccarono i capelli pieni di gel e si riempirono di glitter.

«Si può sapere che stai facendo?» chiese una voce di fianco al suo orecchio. Era una voce famigliare come era famigliare il corpo da cui era giunta.

«Catarina Loss, la mia più cara amica.»

«Magnus Bane, il mio amico coglione!» esclamò lei contrariata. «Pensi di poter vivere tutta la vita in questo modo?»

Magnus si chiese cosa le importasse. La vita era sua, mica di altri. «Sono un single felice. Non vedi?» Alzò la bottiglia e bevve anche l’ultimo sorso. «Musica, feste, alcol. In realtà stasera non sono proprio completamente soddisfatto: non ho trovato neanche un uomo o una donna che facessero per me, o si facessero me.»

Catarina si sedette nello sgabello vicino al suo e gli mise una mano sulla spalla. «Ripeto: pensi di vivere davvero così? Magnus, sei un folle, sei il re delle feste, metà del tuo tempo pensi ai glitter…»

«I glitter sono fantastici!» sbottò lo stregone, alzando la bottiglia come per un brindisi immaginario.

Catarina gli lanciò un’occhiataccia. «Ma tu in fondo non sei solo questo. Tu non sei solo un irresponsabile. Non sei solo il libertino che si diverte e folleggia tutta la notte. Mi sto preoccupando. Avresti bisogno di qualcuno…»

«Ogni notte ho qualcuno.»

Catarina alzò gli occhi al cielo e capì che era una causa persa in partenza.
Magnus guardò la sua amica e le posò una mano sulla spalla, o almeno pensò di farlo, perché in realtà per tre volte toccò l’aria e poi lasciò ricadere la sua mano sulla gamba. «Catarina, semplicemente sono così. Vivo alla grande tutti i giorni e non mi potrei mai sentire meglio di come sto ora. Niente doveri, un loft da sballo, tanto lavoro e baldoria tutte le sere. Non ho una relazione stabile, ma a che serve? A che serve?»

Catarina ammise che non lo sapeva. Aveva avuto un’unica vera relazione, ma non si era mai voluta legare davvero. Aveva lasciato quel povero ragazzo ad aspettare una data di un matrimonio che non era mai avvenuto. «Siamo diversi Magnus. Mi sono innamorata solo una volta, per il resto erano storielle estive. Ma tu non sei me. Tu cerchi qualcosa, lo cerchi da una vita e quando sei disperato, lo cerchi ancora più intensamente. Nomini sempre quel posto che ti dona tranquillità, perché è quello che vorresti alla fine di tutta questa baldoria, di questo sesso senza amore…»

«Catarina, sto bene così.»

«Davvero?» chiese scettica la stregona, togliendo dalle mani di Magnus la bottiglia vuota e consegnandola al cameriere che passava.
«Nessuno vorrà mai costruire con me un futuro. Non è mai successo e mai succederà.»

«”Mai” non esiste per gli immortali.»

Magnus sbuffò. «Non usare le mie frasi, Catarina.»

Si alzò e rischiò di cadere, ma riuscì ad aggrapparsi al bancone. «Non sono disposto ad accudire neanche una pianta, figurati se mi metto a coltivare un amore o a interessarmi sul serio ad una persona.»

«Di nuovo quel “mai.”» Sospirò Catarina, alzandosi e dando un braccio a Magnus, che non si staccava dal balcone. «E ti ricordo che di me ogni tanto ti prendi cura e hai persino salvato quella specie di topo che tu chiami Presidente Miao. Per non parlare di Raphael Santiago.»

Magnus guardò l’amica sconvolto e non provò a replicare, mentre la musica aumentava, aumentava. Non si era accorto che nel locale ci fosse tanta confusione e il volume sembrava sempre più un vagito di un bambino. Non un bimbo a caso, ma il suo bambino.
Come poteva pensare una cosa del genere, lui non aveva figli. Probabilmente il suo subconscio gli stava facendo rivivere momenti con quella piccola pel di carota, che sua madre portava, perché gli cancellasse la memoria. Aveva strillato fino a sgolarsi quando The Great Catsby l’aveva graffiata e il pianto sembrava pressoché simile.

Però focalizzò la piccola pel di carota che ballava nel locale con un biondo e non era piccola. Indossava una minigonna che una madre non avrebbe mai fatto indossare a sua figlia.

«Ma davvero Magnus?» chiese Catarina, guardandolo scettica e prendendolo a braccetto. «Davvero non hai un bambino?»

Magnus non seppe cosa rispondere e la musica aumentò. Nello stomaco sentiva uno strano senso di colpa, che cresceva a ogni strillo, doveva svegliarsi e fermare quella tortura.

E si svegliò di colpo e completamente. Un esserino si muoveva su di lui e metteva in vista l’ugola dal tanto che strillava. Un’ombra più grande stava sopra di loro e mormorava: «Shhh, Max, così sveglierai il papà… no, l’hai già svegliato.»

Il sorriso e gli occhi azzurri di Alexander illuminarono tutto il campo visivo di Magnus, che rimase imbambolato. Un nuovo urlo tipo banshee riempì completamente le sue orecchie.
La sua maglietta si stava inumidendo di lacrime e bava di bambino, ma non gli importava.  

«Non si dovrebbe dire “mai”.»

«Eh? Magnus, cosa hai detto?» chiese Alec, chinandosi ancora di più e prendendo Max. «Sembri stordito, probabilmente dormire sul divano non ti ha fatto riposare bene. Riposa, mi occupo io di nostro figlio.»

Alec si spostò velocemente e parlottava con dolcezza al frugoletto blu, mentre lo cullava con professionalità. Sembrava essere nato per essere padre.
Gli occhi di Magnus più che altro registrarono che stava indossando solo dei rattoppati pantaloni del pigiama.
Era una vista niente male.

«Ho un compagno. Sono padre. Il mio loft sembra il regno dei pannoloni e dei biberon e dei pupazzi.» Elencò Magnus, chiudendo gli occhi. L’immagine del posteriore di Alexander cercava di distrarlo dal sogno che aveva appena fatto, ma non si lasciò tentare del tutto. «I miei vestiti puzzano di latte in polvere e in questo momento dovrei alzarmi e cambiarmi. Non dovevo dire “mai”.»

Sorrise e come un flash si trovò tra le vie lastricate della città di Moquegua.

Avrebbe tanto voluto portarci Alec e Max e se non fosse stato bandito dal Perù, l’avrebbe già fatto.

L’aveva visitata un’unica volta e aveva deciso che non faceva per lui, perché era tranquillo fino all’inverosimile. Lui aveva bisogno di movimento, di non congelarsi, di non smettere di provare sensazioni, ma alla fine anche quella vita piena si era rivelata un’illusione. A un certo punto, rifletté Magnus, se Alec non fosse entrato dalla porta del suo loft con la sua tuta logora, la sua timidezza così rara nei Nephilim, la sua compassione e la sua comprensione, si sarebbe comunque congelato, anche se viveva sempre al massimo tra avventure e feste.

Con Alec e ora con Max aveva capito che la tranquillità era comunque movimento, ma qualcosa di diverso da quello che aveva sempre perseguito lui. Era una vita con punti fissi, vissuta nella sua interezza, e non un miscuglio di vite vissute alla grande che però lo lasciavano sempre un po’ inappagato e lo spingevano a cercare altre esperienze, con la speranza che ci fosse una vita migliore. 

I bambini che giocavano con la palla tra le vie di Moquegua assumevano un diverso significato ora. Erano movimento nella tranquillità e vita in un momento eterno. Non avevano paura di cristallizzarsi, vivevano nella gioia di dare un calcio a un pallone e di stare insieme.

Quando Magnus era tra le braccia di Alec o stringeva Max tra le sue, sentiva di aver trovato il suo posto. C’era tranquillità e movimento nel bambino che sgambettava irrequieto e si agitava per vedere le sue fiammelle blu con uno sguardo ammagliato. C’era tranquillità e movimento in Alec che parlava con le labbra a un centimetro dal suo collo e le dita che scorrevano sulla sua pelle senza malizia, per poi diventare fameliche e seguire tracciati desiderati.

Ripensandoci non aveva bisogno di Moquegua, solo del suo uomo e di quel piccolo mirtillo che era capitato nelle loro vite e grazie al coraggio di Alec, Magnus aveva accettato vi rimanesse e cambiasse le loro vite.

«No, non avrei proprio dovuto dire “mai”.»

 
 
 
 
Non mi dilungo qui. Il prossimo arriverà presto e sarà legato a questo come struttura. 
Vado a nascondermi e bere qualcosa, perchè mi fa strano dopo tre mesi lasciarli qui.
Spero solo che vi sia piaciuto.
Dany

 
   
 
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