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Ho cercato di restare calmo e ragionare sul da farsi,
ho dato solo leggeri segni di squilibrio e apprensione,
ho guardato Ecli innervosirsi a sua volta e poi ridere ancora
e annientarsi in stanchezza e ho aspettato e pensato
prima di mettermi a urlare, prima di scendere,
prima di tornare sui miei passi e
alzare la musica a un volume improbabile
prima di realizzare che le bottiglie che avevamo ora sono davvero
vuote,
prima di aprire il cofano e il tappo malvagio,
prima di alzarmi equilibrista sul paraurti ammaccato,
prima di slacciare affannato i pantaloni che indosso
e urlare di nuovo mentre mi metto a pisciare.
(Tibe, Valido per due)
☆ PRIMA TAPPA
- Merda! –
Vittorio stava imprecando a voce alta mentre prendeva a pugni il
volante della sua auto d’epoca.
- Merda, merda, merda, merda, merda… - continuò e ad ogni “merda” corrispondeva
un colpo al manubrio, - MERDA! –
- Dai, Vittorio, calmati, - suggerì Luca, trattenendo a stento le
risa. Il ragazzo si era tolto le Converse blu e si era gettato contro lo
schienale del sedile; aveva anche poggiato i piedi, accavallati l’uno
all’altro, fuori dal finestrino.
La giornata era iniziata come una qualsiasi mattina estiva del sud
Italia: cielo azzurro e una temperatura che superava i ventinove gradi. Nonostante
questo, però, Luca era stato teso fino a quando non aveva sostenuto l’esame di
maturità; era sicuro di aver sproloquiato un po’ troppo sui poeti romantici ma,
malgrado ciò, era riuscito a superare quello scoglio con uno dei voti più alti
ottenuti quell’anno.
Uscito dall’istituto, con ancora indosso degli abiti più formali
del solito, il ragazzo aveva trovato Vittorio ad attenderlo fuori al cortile;
quest’ultimo lo stava aspettando seduto sul cofano della vecchia cinquecento
blu che utilizzava per spostarsi in città. Vittorio indossava un paio di jeans
comodi, una t-shirt di una band punk/rock e un paio di occhiali da sole scuri e
grossi.
Prima di raggiungerlo, Luca era rimasto a osservarlo da lontano un
bel po’ di minuti: era così bello e scenico che avrebbe potuto fare il modello.
Infine, Vittorio l’aveva notato e aveva fatto un cenno con la mano per
salutarlo.
- Ora sono ufficialmente un disoccupato, - affermò Luca, ridendo,
facendo un segno di vittoria con le dita della mano destra.
- Bravissimo, - si complimentò Vittorio, scompigliandogli i
capelli con un gesto della mano, - Allora qui bisogna festeggiare. –
- Sushi? – propose il ragazzo ammiccando.
Vittorio ridacchiò e si tolse gli occhiali, soffiando via un
ciuffo ribelle, - L’idea non è male, ammetterò che è una tentazione, ma avevo
altri piani… -
- Tipo? –
- Dai un’occhiata dietro, - disse Vittorio, scivolando per
rimettersi in piedi. Infilò le mani in tasca e fischiettò, in attesa di una
reazione da parte del ragazzo.
Luca aveva assunto un’espressione che sembrava essere accigliata e
aprì lo sportello della vettura con fare confidenziale, del resto sapeva che la
porta laterale sinistra necessitava di un minimo di forza bruta, e batté gli
occhi nel realizzare che i sedili posteriori erano coperti da casse d’acqua,
cioccolata, cd, un paio di libri, asciugamani, una tenda da campeggio, due
sacchi a pelo, coperte e un paio di zaini. Uno di questi ultimi aveva un’aria
familiare: somigliava a quello che Luca utilizzava alle elementari ed era azzurro
con dei dinosauri disegnati sopra.
- Ma questo… - farfugliò tra sé e sé, afferrandolo. C’era ancora
una vecchia targhetta cucita sulla spallina destra che diceva “Luca Caruso, III
C”, - Avevo detto a mamma di buttarlo. –
- Non l’ha fatto, - sentenziò Vittorio ridacchiando.
- E perché c’è tutta questa roba…? –
- Perché ora partiamo! –
Vittorio sembrò essere euforico all’idea, mentre Luca era un po’
più scettico, tant’è che assottigliò gli occhi nel guardarlo.
- Ho già avvisato tua madre che ti ha preparato lo zaino, con
tanto di sciarpa di lana perché non si sa mai, cit, e ci ha preparato il pranzo
da asporto: per smaltirlo ci vorranno tre giorni ma è stata molto carina! –
Luca rimase in silenzio accomodandosi sul sedile anteriore,
incrociando le gambe sul sedile; non sembrava mostrare emozione alcuna
nell’allacciarsi la cintura di sicurezza tant’è che Vittorio, preoccupato di
averlo deluso con quella sorpresa, si accomodò al posto del conducente e gli
rivolse un tono premuroso, - Se non ti va, però, il sushi è la perfezione! Ma
niente “all you can eat”, famo gli
chic e andiamo à la carte! –
- Sono senza parole. –
Vittorio l’osservò confuso e, seppur avesse fatto tutto con
l’intento di fargli una sorpresa e renderlo felice, si sentì come se avesse esagerato
e sembrò amareggiato.
- Luca… -
- No, davvero. Sono senza parole: ti sei organizzato con i miei
genitori e hai anche preso gli Sneakers. –
- Sono i tuoi preferiti… - commentò Vittorio.
- È... bellissimo, tutto questo, è veramente bellissimo: non ho
parole! –
Il medico rilasciò il fiato un sospiro e lasciò che il suo viso si
schiudesse in un sorriso dolce, - Meglio così. Abbiamo tanti chilometri da
fare! –
- Dove andiamo? C’è anche lo spray per i morsi di zanzara? –
- C’è tutto, ho perfino un unguento per le ustioni e il kit per le
suture. –
Luca sorrise e batté le mani felicemente, - E allora, dove mi
porta, chauffeur? –
- Verso l’infinito e oltre, - ridacchiò Vittorio, indossando
nuovamente gli occhiali da sole; successivamente accese il motore dell’auto e,
con una breve manovra, lasciò il cortile dell’ormai ex scuola di Luca.
☆☆☆
Con quell’auto d’epoca Vittorio non poteva prendere l’autostrada,
ma questo non avrebbe impedito ai due di raggiungere la capitale d’Italia con
delle strade secondarie: c’avrebbero impiegato un’ora in più ma sarebbero
ugualmente giunti alla meta.
Questo, almeno, era il piano originale e così sarebbe stato se non
fosse che l’automobile, senza alcun motivo plausibile, si fosse fermata nel bel
mezzo di una strada statale persa nel nulla.
Prima che si scaricasse totalmente lo smartphone di Luca li
segnava a “Vignarola”; il sole stava tramontando e su quella strada non
sembravano esserci case o luminarie.
- MERDA, - urlò ancora Vittorio, battendo con forza la testa
contro il volante.
I due si erano frequentati per circa un anno e Luca non l’aveva
mai visto perdere la pazienza, anzi, i suoi nervi sembravano essere saldi in
ogni situazione, anche quella più angusta e complessa. Era una dote che gli aveva
invidiato per mesi dato che, suo malgrado, lui era piuttosto irascibile e
permaloso.
- Vittò, - lo chiamò
Luca, poggiandogli una mano sulla spalla, - Dai, non fare così. Troveremo una
soluzione, - disse il ragazzo in tono calmo.
- Se, lallero, - sbuffò
Vittorio.
Un’altra cosa che Luca aveva notato era che, in momenti di forte
stress, Vittorio iniziava a parlare con un forte accento romanesco: era un
accento che, in realtà, il ragazzo adorava.
- Abbiamo i telefoni scarichi. La powerbank è tipo morta e questo
cesso a pedali ha deciso di fermarsi proprio adesso. Nel mezzo del nulla. Senza
un cazzo di cenno! –
- Facciamo così: mettiamo il triangolo d’emergenza, indossiamo i
giubbotti catarifrangenti e camminiamo un po’ a piedi. Magari troviamo qualcuno
che ci farà usare il telefono, o ci farà caricare il nostro… -
- Non lascerò questo catorcio da solo, qui, abbandonato in mezzo a
una terra! –
- Allora moriremo qui, - affermò Luca, lasciandosi scivolare per
stendersi meglio sul sedile.
Vittorio rimase in silenzio per dei minuti e poi si costrinse a
uscire dall’auto; si trascinò fuori, letteralmente, con la forza e, prima che
Luca potesse solo commentare con qualche altra frase motivazionale, il maggiore
dei due si avvicinò al ciglio della strada, si tirò giù la zip dei pantaloni e
iniziò a urinare, con lo sguardo perso nel vuoto.
Dall’auto Luca si schiaffeggiò la fronte e si impose di non
sbirciare; nel corso del loro frequentarsi si era chiesto più volte se Vittorio
fosse o meno omosessuale, e soprattutto se potesse davvero piacergli, ma nella
maggior parte dei casi aveva accantonato l’idea, ritenendosi inadatto e
inopportuno. Per dei secondi gli balenò nella testa l’idea di poter spiare
dallo specchietto ma si costrinse a non farlo.
Dopo quell’attimo di sbandamento, Vittorio ispezionò i dintorni
dell’auto e, ritenendo che non vi fossero perdite dal radiatore e che
probabilmente si trattasse di un semplice surriscaldamento, recuperò dal
bagagliaio il kit d’emergenza e il crick, per impegnarsi a emarginare il danno.
- Aspetta, - lo raggiunse Luca, - Indossa questo, - gli suggerì,
porgendogli un gilet catarifrangente. Ne mise su uno a sua volta e poi
aggiunse, - Ti reggo la torcia, ok? Che qui sta per fare buio. –
- Va bene, grazie, - sbuffò Vittorio nell’infilarsi quel capo,
sbuffando.
Era passato circa un quarto d’ora da quando Vittorio aveva messo
le mani su quel radiatore e, non solo si era sporcato del tutto, ma il buio si
era fatto molto più fitto e la fame più imponente.
Luca, però, era rimasto al fianco dell’altro, con quella torcia
tra le mani, sorridendo incoraggiante.
- Sai anche aggiustare un radiatore, - si complimentò.
- Sono un uomo dalle mille sorprese, - commentò Vittorio,
asciugandosi la fronte con il dorso del braccio.
Luca osservò quel gesto come se fosse un video rallentato e
deglutì, - Aggiusti cuori e radiatori? –
- Sembra il nome di qualche rubrica su una rivista gossip, - rise
Vittorio.
- Cuori&Radiatori: la rubrica a cura di Vittorio Salvemini,
pronto a sistemare qualsiasi tragica situazione che attanagli i vostri animi. –
- Ma… -
- No, no, ci sono. Cuori&Radiatori: se il tuo cuore perde, ci
sarà sempre… -
- …qualcuno a reggerti una torcia? – chiese Vittorio, guardandolo
di sottecchi.
Il ragazzo arrossì e si guardò intorno per distrarsi, poi annuì.
Vittorio sorrise e, dopo poco, si poggiò le mani sui fianchi,
sporcandoseli con un misto di olio e polvere.
- Ora dovrebbe andare. Proviamo? –
☆☆☆
☆ BONUS TRACK: ROMA (NUN FA LA STUPIDA STASERA)
- Vittorio, Vittorio! Come
here! –
Luca rise di gusto citando quello che era uno dei suoi film
preferiti. Non era mai stato a Roma, sebbene fosse la capitale del paese in cui
viveva e, dopo averci trascorso solo una giornata, si chiedeva già come avesse
fatto l’altro ad ambientarsi a Napoli. La Fontana di Trevi era uno dei simboli
della capitale e ammirata di sera aveva un fascino peculiare. La piazza che
l’ospitava era nettamente ridotta rispetto agli spiazzi larghi e più popolari
come Piazza Navona o Piazza di Spagna, eppure, in quel piccolo pezzo di città
si racchiudevano secoli di storie; la sola fontana aveva assorbito desideri e
speranze di miliardi di abitanti del mondo e ne custodiva i segreti bisbigliati
e pensati, in centinaia di lingue, in ogni singola goccia che versava per
congiungersi alle altre.
Vittorio era seduto su una delle insenature di pietra della
fontana; quando era sgombra di turisti e mercenari, il monumento riacquistava
quella maestosità che di giorno, alla mercé di fotografi improvvisati e
lucratori, sembrava perdersi. La vera beltà, però, era il sorriso di Luca che
saltellava felice intorno a quella fontana: sembrava estasiato, quasi come se
avesse realizzato il sogno della sua vita. Proprio per questo Vittorio non poté
fare a meno di assecondarlo e raggiungerlo a passo lento: diamine, quanto
avrebbe voluto afferrargli un braccio per tirarlo a sé e baciarlo.
Eppure gli sarebbe bastato continuare a guardarlo ridere e
zampettare.
Non so quanti uomini mi hanno superato senza vedermi,
passandomi attraverso o pensandomi pazzo,
a occhi chiusi a viaggiare per sempre.
(Tibe, Valido per due)
☆ SECONDA TAPPA
- Woah, we're half way
there, woah, livin' on a prayer! –
- Per fortuna che non fai il cantante… - commentò Luca
ridacchiando.
- Scusa? Cosa vorresti insinuare? –
- Che forse vieni meglio come medico che come rock star. –
- A bello, io sarei
perfetto sotto ogni aspetto e in ogni forma. –
- C’abbiamo Mary Poppins qui… -
- Noooow he's holding in
what he used to make it talk… - Vittorio alzò la voce, cantando a
squarciagola per fingere di indispettirlo.
- Poi con questa musica anni ottanta! Dai, metti qualcosa di più
tipo, uhm, che ne so. Almeno metti i Guns! Bon Jovi. Dai. –
- Bon Jovi è un must, poi sono scazzato, c’è traffico e se non
ascolto Bon Jovi scendo dall’auto e tiro un pugno a questo coglione che
continua a suonare il clackson e che proprio non riesce a concepire che non me
ne sto fermo qua perché mi diverto. –
Luca ascoltò quel flusso di pensieri e iniziò a ridere subito
dopo, stiracchiandosi sui sedili di quella piccola automobile sgangherata. Il
sole stava tramontando e il ragazzo si ritrovò a fissare il sole diventare
sempre più arancione, lasciando che una luce morbida gli accarezzasse la pelle.
Vittorio lo guardò di sottecchi e sorrise debolmente nel
concentrarsi ad imprimere quella scena nella mente, per non rischiare di
dimenticare quanto fosse bello Luca.
- Non è che per questi due viaggiatori vagabondi si è fatta ora di
trovare un alloggio? –
- Scendiamo dai mezzi in corsa e chiediamo ospitalità alle persone
del posto? –
- Suonavo un po’ come Costantino della Gherardesca, vero? –
- Beh, speriamo solo che le altre coppie siano più lontane di noi
dal traguardo! –
Luca scosse la testa mascherando una risata, - Inoltre, se
decidessimo di cercare alloggio, usciremmo anche dal traffico alla prossima
uscita. –
- Ma sì, dopotutto c’ho anche fame. –
- Quale sarebbe il nostro nome? Se fossimo una coppia, - il
ragazzo si morse il labbro, - Una coppia di Pechino Express intendo. –
- Uhm, fammici pensare… che ne dici di gli avventurieri? –
- Nah, troppo serioso come nome. Qualcosa di divertente! –
- Io non sono divertente! –
- Sei solo scazzato. Potremmo chiamarci “gli irascibili”! -
☆☆☆
Con non poche difficoltà e dopo tre ore di viaggio aggiunte a due
di traffico, Luca e Vittorio avevano deciso di cercare alloggio per la notte.
Avevano svoltato nel primo punto utile ed erano finiti in un paesello chiamato Badiaccia,
un piccolo villaggio sul Lago Trasimeno.
Già dall’ingresso il paesino si dimostrava essere abbastanza
isolato e abbandonato a sé stesso; sembravano esserci pochi ristoranti, un solo
hotel e una serie di parcheggi per camper, tutti rigorosamente siti lungo la
costa del lago. Per il resto, il borgo era composto da campi coltivabili e
giardini abbandonati alternati a villette monofamiliari.
- Questo posto sembra una città fantasma. –
- Un po’. Beh, se non troviamo nulla potremmo ritornare sulla
strada principale e cercare in un altro paesello, - disse Vittorio, cercando di
risultare incoraggiante.
La verità era che non aveva idea di dove si trovassero ma non
voleva turbare il ragazzo in alcun modo. Dopo aver guidato qualche altro minuto
per quelle stradine decisamente poco asfaltate, i due giunsero in una piccola
locanda dall’aria spettrale.
Il posto si presentava come una struttura dall’architettura
antica, come se fosse una villa bifamigliare costruita in un castello
diroccato, circondata da grossi alberi scuri e dal gracchiare dei ranocchi.
Trovarono, tuttavia, parcheggiò non distante dal portone di ferro battuto che
sanciva l’inizio di quella proprietà privata.
- Se ci fossero dei pavoni sarei stato sicuro che si trattasse del
Malfoy Mannor, - scherzò Luca, battendo gli occhi preoccupato.
- Beh, speriamo che non ci sia Lord Voldemort ad accoglierci, -
rispose l’altro, più spavaldo.
- Aspetta, - disse Luca, afferrando il polso di Vittorio che era
di qualche passo avanti a lui, - E se ci fosse davvero? –
- …Luca, Voldemort è un personaggio di fantasia! –
- E se esistesse tutto? E se ora fosse lì dentro, impegnato in un
comizio urlando “prima i maghi e fuori i babbani dalle nostre terre”? –
Vittorio assunse un’espressione pensierosa a quella domanda tant’è
che si portò una mano sotto al mento, per sottolineare l’epicità del momento.
Dopo qualche attimo di riflessione si strinse nelle spalle e ribatté con un
tono d’ovvietà, - Se Voldemort fosse lì dentro, non sarebbe tanto stupido da
farsi scovare dai babbani. Ma se invece volesse attirarci qui come dei topi col
formaggio, allora potremmo semplicemente fargli credere che siamo dalla sua
parte e proporgli un accordo. –
- Ci ucciderà ugualmente! –
- No, perché noi gli diremo: “A
bello! Sei in terra babbana, in mezzo ai babbani, in una nazione di merda
che non ha neanche una scuola di magia, sei un cazzo di straniero nella nostra
terra e tu potrai anche lanciarmi contro un Avada Kedavra, ma io ti stendo con
un piatto di parmigiana che digerirai, forse, tra una settimana, ammesso che
riesca a finire la porzione”. –
Luca ascoltò l’altro attentamente prima di scoppiare in una grossa
risata che lo costrinse a portarsi una mano sullo stomaco.
- Sei… decisamente Tassorosso! –
☆☆☆
Vittorio, dall’alto delle sue doti di negoziazione, aveva provato
davvero a convincere la signora alla reception che era necessario avere due stanze
singole o, quantomeno, una camera con due letti separati ma la donna era stata
una vera strega e non solo all’apparenza; per cui, anche se Lord Voldemort non
si era fatto trovare in quel rudere abbandonato, avevano dovuto sul serio
combattere con quell’anziana signora e, alla fine, avevano ottenuto un sacco a
pelo extra senza costi aggiuntivi.
- Il letto matrimoniale sarebbe andato ugualmente bene, - commentò
Luca con nonchalance, - Se è perché i tuoi piedi puzzano non ti preoccupare,
non ho il senso dell’olfatto molto sviluppato. –
- I miei piedi profumano di vaniglia, piccolo essere malvagio. –
- Va beh, comunque non mi faccio problemi di sorta a condividere.
Ho passato le notti del viaggio d’istruzione nel letto insieme a Laura e
Nicola, per evitare di dormire con quello stupido maniaco sessuale di Giacomo,
ricordi? –
- Io, al tuo posto, l’avrei preso a pugni: era la tua stanza! –
- E chi avrebbe avuto il coraggio di dormire su quel letto… chissà
che diavolo ci avrà combinato con una tizia diversa a sera. Bleah, tremo di
schifo al pensiero! –
Vittorio ridacchiò scuotendo la testa; sebbene sapeva che la loro
era una relazione relegata all’amicizia, continuava a provare una certa
avversione nell’aver saputo che aveva dormito in un letto con altre due
persone, di cui una del suo stesso sesso.
Raggiunsero la porta della camera numero 304 e l’aprì: la stanza
non era male, benché fosse piccola e vagamente impolverata, l’arredamento
vecchio stampo riusciva a donarle un’aria accogliente.
I due poggiarono lì le borse che avevano deciso di portarsi dietro
e il sacco a pelo, per poi stabilire di andare a cenare stesso in quel posto lugubre.
- Credi che ci daranno da mangiare carne umana? –
- Fintanto che io non lo sappia va bene tutto, - rise Vittorio, -
Ho una fame! –
- In realtà anche io, ma eviterei volentieri qualsiasi cosa di
strano. –
Nonostante l’aspetto del posto vagamente tetro, e che sarebbe
stato perfetto come setting per un film horror, c’erano molte persone nel
ristorante; alcuni tavoli erano contrassegnati con i numeri delle camere, altri
erano, invece, occupati da semplici ospiti venuti lì per nutrirsi. Questo
confortò i due ragazzi che si accomodarono al tavolo riservato alla loro camera.
- Mi sembra tutto così leggero, - scherzò Vittorio, - Come questo,
senti qui: “pappardelle sul cinghiale”… -
- I fiorentini sono tra le cause della futura estinzione dei
cinghiali o di qualsiasi altro animale, se ne mettono uno per piatto… -
- Spero che non ne mettano davvero uno per piatto, - commentò l’altro,
- O questo: “pappardelle sulla lepre”, ma perché devono ricoprire gli animali
di pappardelle?! –
- Beh, ti prego, non leggere gli ingredienti del “Lampredotto”. –
- Penso che prenderò una banalissima “pappa col pomodoro”, altrimenti
concluderò col fare la fine che avrebbe fatto Voldemort se fosse stato al posto
della strega alla reception. –
☆☆☆
Vittorio aveva optato per una bella doccia ristoratrice; anche
Luca ne avvertiva il bisogno ma concesse all’altro l’onore di farsela per
primo, considerando quanto a lungo avesse guidato. Così, mentre il medico era
sotto la doccia, Luca era seduto su quel letto enorme facendo zapping in TV. Il
segnale non era dei migliori ed erano visibili soltanto pochi canali; storse il
muso e ne approfittò per coprirsi i piedi con una copertina di ciniglia:
nonostante fosse piena estate, in quel posto perso nel nulla le temperature
erano più basse della media. Poi, d’improvviso, il telefono di Vittorio
squillò, rompendo quella finta quiete.
“Non
sono fatti tuoi,” pensò Luca nel costringersi a non sbirciare. Ma quella suoneria
si era fatta insistente e Vittorio era pur sempre un medico; magari poteva
essere qualcosa di importante. Così sbuffò e si alzò dal letto, afferrando il
cellulare poggiato sulla scrivania malconcia della bettola.
- Vittorio! – chiamò, bussando alla porta del bagno, - Ti sta
squillando il telefono. -
- Uh, chi è? – chiese l’altro; il rumore dell’acqua che scendeva
terminò tutto d’un tratto.
Luca sbirciò sul display luminoso e lesse ad alta voce, - Alberto
con un cuore. –
- Oh, cazzo, rispondi! Rispondi subito, - gli ordinò l’altro, che
cercò di afferrare un asciugamano per avvolgersela intorno alla vita.
- Pronto? – rispose Luca, allontanandosi dalla porta e tornando
sul letto, - No, non sono Vittorino. Un secondo solo che glielo passo, -
borbottò.
Vittorio uscì dal bagno completamente zuppo d’acqua e con i
capelli ricci ora appesantiti; era così sexy che nonostante quella mezza
arrabbiatura apparentemente insensata, Luca dovette coprirsi fino alle gambe.
Maledetti ormoni.
Il medico afferrò il cellulare che il ragazzo gli aveva porto e restò
seduto a gambe incrociate accanto a lui, tranquillo.
- Albè, dimme! No, no,
nessun disturbo, aspettavo la telefonata come s’aspetta un infarto. Come te del
resto, ah ah. –
Luca assottigliò gli occhi e riprese a fare zapping, anche se la
TV era impostata su muto per non disturbare quella telefonata; in realtà cercò
disperatamente di captare qualcosa dal dispositivo di Vittorio, senza
riuscirci. Chi diavolo era quell’Alberto col cuore?
- Sì, allora mandami una mail. Gentilissimo! Ricordami perché ti
rivolgo ancora la parola? – rise, poi aggiunse, - Okay, grazie mille. Quando
avrai bisogno di me non… no, deficiente, non ti sto augurando di avere un
infarto! Se, lallero. Ciao. – attaccò
e gettò il dispositivo sul materasso, per poi stiracchiarsi.
- Qualcosa di importante? – chiese Luca fingendosi gnorri.
- Relativamente, - Vittorio restò sul vago, voltandosi a
sorridergli. Era ancora nudo sotto quell’asciugamano e pertanto si rimise in
piedi, sistemandosi l’asciugamano.
- Qualcuno di importante? – si corresse.
- Uhm? In che senso? –
- Alberto col cuore… - commentò in tono vago, fingendo di guardare
il tubo catodico.
Vittorio sorrise e si morse un labbro dall’interno: era per caso,
quella, una scenata di gelosia?
- È tipo l’uomo della mia vita. –
Luca abbassò lo sguardo e, senza rendersene conto, mise su un’espressione
triste. “L’uomo della sua vita” era un tizio che si chiamava “Alberto con un
cuore”. Deglutì a fatica quel boccone amaro e, quasi come se la cosa non gli
importasse, decise di porgli una domanda scomoda.
- Tu sei omosessuale, vero? –
Vittorio aggrottò le sopracciglia, confuso e sorpreso per quella
domanda a bruciapelo. Tuttavia, avendo già snobbato il discorso più volte non
riuscì ad evitarlo ancora e decise di rispondergli con sincerità.
- Sì, lo sono. –
- E per questo non vuoi condividere il letto con me, vero? Per…
Alberto col cuore? –
Il medico si rilassò con un respiro profondo: nella sua visione
distorta delle cose aveva già preso vita la più nera delle conseguenze, invece
Luca era rimasto composto e si era smosso per quel cuore vicino al nome di
Alberto.
- No, Luca. Alberto è mio fratello maggiore, il mio avvocato e
anche un po’ mio padre. Il cuore ce lo ha messo lui vicino e l’ho lasciato lì perché,
in fondo, gli voglio bene davvero. –
- E allora perché non vuoi dormire con me? – chiese il ragazzo,
aggrottando le sopracciglia. Diamine, quanto si sentì stupido per quella frase:
sembrava essere un bambino capriccioso, che pretendeva le cose dagli amichetti senza
condividere le proprie e che provava ad elemosinare attenzioni dal ragazzo.
- Perché… -
- No, non voglio saperlo, - concluse, scuotendo la testa. Sapeva
benissimo di poter sembrare addirittura omofobo per quell’atteggiamento, ma non
riuscì a fare a meno di alzarsi e andare in bagno, sbattendo la porta alle
proprie spalle.
Vittorio rimase di stucco mentre l’asciugamano scivolò di qualche
centimetro, lasciando fuoriuscire alcuni peletti pubici, con un “perché mi
piaci” fermo sulla punta della lingua.
☆☆☆
☆ BONUS TRACK: FIRENZE (CANZONE TRISTE)
I due non avevano parlato più dell’argomento. In realtà, non si
erano quasi rivolti la parola se non per qualche comunicazione di servizio;
addirittura Luca aveva smesso di lamentarsi per quella musica anni ’80 che diceva
di detestare.
Così, silenziosi e malinconici, avevano raggiunto la magnifica
città d’arte di Firenze. Avevano fatto un giro nella piazza della Signoria,
visitato la basilica di Santa Croce, pranzato con una bistecca alla fiorentina
in pieno centro storico e ora si godevano una quieta passeggiata su Ponte
Vecchio.
Proprio sotto uno di quegli archi i due si fermarono ad ammirare
la bellezza di quel panorama, tanto amato da turisti e persone del luogo.
Luca si era affacciato per annusare meglio l’aria del fiume e fu
veramente grato di aver avuto l’occasione di poter ammirare i riflessi delle
luci delle botteghe scintillare sull’acqua verdognola. Era rimasto in silenzio
come tutto il tempo precedente e aveva cercato di evitare ogni contatto con
Vittorio, fosse anche un semplice scambio di sguardi.
Vittorio, però, non riuscì a tollerare quella situazione e l’afferrò
per un braccio, per costringerlo a guardarlo; gli poggiò le mani su entrambe le
braccia e lo fissò diritto negli occhi: non aveva più voglia di giochetti e,
ormai, le carte erano state già lanciate sul tavolo.
- Vuoi sapere perché non volevo dormire con te? Perché mi piaci. -
Sento che non sono io a decidere cosa mi può accadere
e come mi dovrei spostare,
così mi fermo a caso in un punto qualsiasi e attendo,
forse è solo questo quello che devo fare,
fermarmi ad ascoltare e aspettare che le cose mi portino via
facendomi sentire che tutto è al proprio posto,
che tutto va bene.
(Tibe,
Valido per due)
☆ TERZA TAPPA
Vittorio guidava con la solita meticolosa attenzione ai dettagli
mentre una vecchia canzone anni ’80 echeggiava nel cubicolo. Luca non aveva più
proferito parola da quella mezza dichiarazione ricevuta sul bellissimo Ponte
Vecchio di Firenze, se non per dire che andava bene proseguire quel viaggio quando
l’altro gli aveva chiesto se preferisse, invece, tornare a Napoli.
La prossima città da visitare, secondo il piano originario di
Vittorio, era Bologna: la colta, la rossa e la grassa. Il medico era realmente
innamorato di Bologna e, infatti, avrebbe volentieri accettato un trasferimento
in quella città anche solo per la pasta fresca e la mortadella di Tamburini.
Però quel silenzio rendeva tutto pesante e Vittorio portava sulle
spalle il peso dell’inadeguatezza, che lo costrinse a svoltare e prendere la
prima uscita disponibile.
Luca, come da prassi, non aveva emesso un singolo fiato né si era
posto il problema che l’altro potesse tagliarlo a pezzettini e nasconderlo
sotto un albero, per quanto appariva tranquillo.
I due erano finiti in un piccolo paesino nelle vicinanze di
Bologna e Vittorio parcheggiò nel primo spiazzo disponibile; scese dall’auto senza
staccare le chiavi dal quadro e iniziò a camminare. Aveva bisogno di prendere
aria e sgranchirsi le gambe, inoltre stava accusando un malessere generale tale
che era certo che se avesse continuato a guidare per qualche minuto in più
avrebbe vomitato anche l’anima e, inoltre, voleva capire per quale motivo si
era dichiarato all’altro ragazzo in maniera tanto impulsiva.
Perché Luca non aveva reagito?
Perché non gli aveva detto “che schifo” o “mi piaci anche tu” o “ho
altri interessi”?
Quella totale indifferenza, seguita dal silenzio del ragazzo,
stava iniziando a logorarlo dall’interno.
D’altro canto, Luca era rimasto in auto in preda alla confusione.
Quando Vittorio scese dalla vettura assecondando quel silenzio rumoroso che si
era insediato fra loro, il ragazzo aveva rilasciato il fiato in un sospiro
lungo e triste.
Perché non riusciva a proferire parola?
Vittorio gli aveva detto un “mi piaci” quasi disperato quando
erano su Ponte Vecchio e, nonostante il suo cuore fosse colmo di gioia, lui era
rimasto spiazzato. Luca era a conoscenza della propria identità sessuale e,
sebbene fosse chiara fin da subito una certa predisposizione ad amare il corpo
maschile piuttosto che quello femminile, non aveva mai avuto qualcuno che gli
piacesse sul serio. Solo una volta, all’inizio delle scuole superiori, aveva
dato un bacio a un ragazzo. Quest’ultimo, Riccardo, aveva affermato di essere
gay e quindi si erano scambiati quel gesto… niente di trascendentale, se non
fosse che dopo Riccardo l’aveva respinto e aveva sparso strane voci nei
corridoi della scuola. Per alcuni mesi aveva ricevuto degli strani messaggi di
gente che chiedeva un pompino e Luca si era limitato a bloccarne l’id, conscio
che doveva essere uno scherzo di Pietro.
Vittorio, però, non era Pietro e questo lui lo sapeva bene.
Luca fissò il portachiavi penzolare al di sotto del volante e fu
tentato vivamente di abbandonarsi contro lo schienale del sedile, ma qualcosa
glielo impedì. Forse si trattava del senso di colpa per aver lasciato l’altro
in balia di pensieri poco chiari, o forse era il fatto che anche a lui piaceva
Vittorio; fatto sta che afferrò quel coccodrillo di perline colorate e scese
dall’auto con l’intento di raggiungerlo.
Vittorio si era fermato qualche metro più avanti e si era seduto
su una panchina desolata e malridotta; stava rimuginando sull’atteggiamento
assunto quando fu colpito improvvisamente da un dolore spastico acuto all’altezza
dell’addome. Assunse un’espressione sorpresa e dolorante allo stesso tempo ma
senza perdere neanche un attimo, e neanche l’autocontrollo, si stese sulla
panchina e si sollevò la maglietta per tastarsi il ventre e visitarsi.
- Vittorio io… -
- Shhh! –
- Ma… -
- Shhh, - lo rimproverò nuovamente
Vittorio, usando solo quel verso. Aveva bisogno di concentrarsi poiché non
aveva con sé tutti gli strumenti necessari e non gli serviva una distrazione.
Luca sembrò mettere il broncio ma cambiò totalmente espressione
quando l’altro emise un verso di dolore, - Che hai? –
- Una… colica, penso addominale e, cazzo, devi accompagnarmi in
ospedale. –
Il tono che aveva usato Vittorio era stato fermo, quasi come se
quello a sentirsi male non fosse lui; Luca, invece, sembrò andare nel panico e
si portò le mani nei capelli, - Tu… cosa… dove…?! –
Vittorio strinse gli occhi poiché la fitta divenne sempre più
forte; avrebbe voluto dire qualcosa a Luca, anche perché era a conoscenza della
sua fobia per i medici e gli ospedali, ma in quel momento lui aveva bisogno di
un’iniezione di antispasmodico e poteva ottenerla solo recandosi al pronto
soccorso più vicino.
- Ho preso la patente da un mese, io non so neanche dov’è l’ospedale,
chiamiamo l’ambulanza! –
- Non scomodiamoli per una colic…ahhh! – si lamentò Vittorio, stringendo nuovamente gli
occhi; in seguito, cercò di combattere il dolore controllando il respiro, certo
che se si fosse calmato si sarebbe quantomeno attenuato.
- No, dobbiamo correre lì assolutamente, - disse Luca, aiutando l’altro
a rimettersi in piedi e a raggiungere l’auto.
Una volta sistemati in macchina Vittorio gli aveva dato dei
consigli su come approcciarsi ad un veicolo tanto obsoleto rispetto a quello a
cui era stato abituato alla scuola guida e si era abbandonato contro lo
schienale del sediolino socchiudendo gli occhi.
Luca aveva farfugliato qualcosa, preoccupato sia per le condizioni
fisiche dell’altro che per la propria incapacità alla guida; infatti, era
rimasto con la schiena diritta e non era andato oltre la seconda marcia,
sussultando ad ogni singhiozzo del motore o ad ogni fosso preso in pieno.
Con non poche difficoltà avevano raggiunto l’ospedale più vicino;
una volta all’interno, Vittorio aveva confabulato con dei medici mostrando loro
un tesserino universitario e, prima di entrare nella sala insieme a degli
infermieri, gli raccomandò di restare in sala d’attesa al fine di non dover
avere molto a che fare con i camici bianchi.
☆☆☆
Erano passate tre ore da quando gli infermieri avevano portato
Vittorio all’interno della medicheria; lui aveva provato a chiedere notizie
sistematicamente ogni mezz’ora ma gli era stato detto che non era un parente e
che quindi doveva aspettare. Così, sconsolato e preoccupato, Luca si era accomodato
su una di quelle scomodissime sedie di plastica dura e, con la testa poggiata
sul muro, aveva rimesso in play il proprio iPod.
Dopo quasi un’altra ora, Vittorio uscì dalla medicheria con aria
affaticata, quasi come se avesse corso una lunga maratona; lo vide portarsi una
mano tra quei ricci scuri e indomabili, notò una macchia di sangue sulla t-shirt
e un cerotto sulla flessura cubitale eppure, nonostante quel pallore, sembrava
sorridente e i suoi occhi avevano acquisito brillantezza. Vittorio salutò il
dottore con una stretta di mano e Luca balzò all’in piedi, togliendo le cuffie
dalle orecchie.
- Come ti senti? – chiese nell’immediato.
- Sto meglio, mi hanno anche fatto le analisi! –
- Cos’era? –
- Una semplice colica… devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto
male. –
- Forse stamattina non dovevamo fare colazione in quella bettola…
-
- Probabile, ma non importa: sono vivo! –
Vittorio sorrise ancora, passandosi ancora una mano tra i capelli;
Luca invidiava quella capacità di mostrarsi tanto imperturbabile e, in cuor
suo, sapeva che la colazione alla locanda non era di certo l’unico motivo per
quel dolore tanto forte. Preso, quindi, da un forte impeto, Luca si fiondò ad
abbracciarlo senza aggiungere ulteriori suoni; Vittorio si sentì preso alla
sprovvista e impiegò qualche secondo buono prima di reagire e abbracciarlo a
sua volta.
Sebbene Luca ne avesse paura, erano proprio gli ospedali a
continuare ad avvicinarli.
☆☆☆
☆ BONUS TRACK: (LIKE A PIECE OF) BOLOGNA
- Io mi fermo qui, non ce la faccio. Troppi gradini. –
- Luca, non esiste. Siamo praticamente all’altezza della Torre di
Pisa, vuol dire che la cima della Torre degli Asinelli è vicina: forza! Vedrai
che bel panorama! –
Il più giovane aveva borbottato qualche imprecazione tra sé e sé che
Vittorio aveva prontamente ignorato, tuttavia, si fece coraggio e riprese a
salire quei gradini di legno e all’apparenza instabili.
Dopo aver salito quattrocento novantotto gradini, i due erano
giunti in cima.
Il panorama era splendido: a nord si scorgeva la catena delle Alpi
settentrionali, ancora avvolte nella nebbia; a ovest un orizzonte sconfinato; a
est una pianura vastissima; a sud i primi colli dell'Appennino, gremiti di
chiese, palazzi e di ville.
A quella vista Luca non resisté alla tentazione di scattare una
fotografia e proprio per questo estrasse il cellulare dalla tasca; inquadrò
parte della torre e del panorama, quando l’obiettivo gli fece notare la
presenza di un Vittorio completamente rapito da quella cityview.
Il ragazzo ebbe modo di ammirare le sue spalle larghe e i suoi capelli
indomabili sotto al sole e, dopo essersi morso le labbra dall’interno, gli
scattò una foto. Infine, deglutì, perché tra le tante cose belle che c’erano da
guardare a quasi novantotto metri d’altezza, la più bella era proprio il suo
compagno di viaggio.
Lasciami riprendere tutto questo perché lo possa
portare dentro di me.
(Tibe, Valido per due)
☆ QUARTA TAPPA
Luca era decisamente di buonumore quella mattina. La tappa
nell’ospedale bolognese e la colica che aveva avuto il suo compagno di viaggio
non l’avevano scoraggiato e, anzi, aveva addirittura chiesto a Vittorio di poter
guidare per qualche chilometro verso l’ultima tappa prevista dal loro tour:
Verona. Il più grande gli aveva ceduto il posto di guida giusto perché era divertente
vederlo smadonnare nel suo dialetto d’origine e, per rendere tutto ancora più
molesto, aveva addirittura iniziato a cantare a squarciagola “Take on me”
arrivando a sporgersi dal finestrino.
- MA STA’ ZITTO, STUPIDO! – urlò Luca, rimproverandolo per quel
comportamento, - Qui mi tolgono i punti dalla patente. E ho la patente da un
mese… in pratica, a me tolgono la patente perché tu devi fare un concerto!
Fallo quando guidi tu. –
- Oh, ma andiamo! Dovrebbe esserti d’aiuto… se riesci a guidare
mentre io rovino le canzoni che mi piacciono avrai un self-control invidiabile!
–
- Self-control… - Luca gli fece il verso, scuotendo leggermente la
testa.
Lungo la strada statale Vittorio, tornato alla guida della fedele cinquecento
sgangherata, aveva beccato quanto di più odioso ci fosse per un conducente: il
traffico. Probabilmente c’era stato qualche incidente, fatto sta che era
mezz’ora che erano fermi nello stesso punto, metro più o metro meno. C’erano
poche cose che potevano fargli perdere la sua pazienza biblica e tra questi figuravano quegli autisti che suonano il
clacson ripetutamente.
- Che po’ manco servisse, sona’ ‘sto clacson, - sbuffò.
- In effetti non è che il traffico diminuisce se bussano, -
considerò Luca, stringendosi nelle spalle.
Vittorio riuscì a guardare il sub dell’altro autista attraverso lo
specchietto: gli dava l’impressione di una persona poco fine, non solo
dall’atteggiamento al volante ma anche dagli occhiali da sole appariscenti.
- Secondo me è un tamarro questo, Vittò. –
- Ora ci divertiamo, - sogghignò l’altro, quasi non vedesse di
dare libero sfogo alla propria natura.
- Vittorio, no. Non farlo, non rinunciare alla tua eleganza per un
cretino del genere. –
- Cercherò di resistere ma non sarà facile, - bofonchiò l’altro,
stringendo meglio le mani sul volante.
Dopo un altro quarto d’ora passato ad ascoltare il clacson del
tipo alle loro calcagne, Vittorio aveva iniziato a dare segni di squilibrio
mentale iniziando a parlare da solo, cosa che divertiva molto Luca.
- Se, se, senti a ‘sto
burino… va’, va’, sona, sona… sona pure su ‘sto cazzo! Ah, bella, questa
ora gliela dico. –
Luca aveva iniziato a ridere rumorosamente e si era dovuto
poggiare le mani sulla pancia; aveva cercato di trattenersi, ma l’immagine di
Vittorio in versione coatta era troppo spassosa per poter resistere.
- Che te ridi?! –
- Eh, che me rido… -
sghignazzò Luca, facendogli praticamente il verso nell’imitare quel suo accento
romanesco.
Il traffico era avanzato di qualche metro e poi Vittorio aveva
nuovamente schiacciato i pedali del freno e della frizione per fermare l’automobile;
fu questione di un secondo e si sentì tamponare, tant'è che la macchina fece un
passo avanti pur restando ferma. A quel punto Vittorio tirò il freno a mano e
si sporse dal finestrino, - E ‘nnamo! - e si voltò verso Luca, che era scivolato sul
sedile di riflesso, - Tutto bene? – poi, senza neanche attendere la sua
risposta, aprì lo sportello e scese dopo aver acceso le quattro frecce. Luca si
affrettò a togliere la cintura di sicurezza e aprire lo sportello, rimanendo
però fermo vicino l’automobile nell’osservare l’altro.
L'auto di per sé aveva riportato solo un graffio sul paraurti e
quindi sospirò, tanto più che l'autista in torto non si era neanche scomodato a
scendere.
- Ma di che ti lamenti, che a stento l'ho sfiorata la macchina
tua! - si limitò ad urlare l’altro, al che Vittorio si piantò le mani sui
fianchi e iniziò a imprecare, - Anvedi a
questo manco se scomoda! Guardi ringrazi che sono solo due graffi! –
L’altro automobilista, non
contento, ricominciò anche a suonare il clacson e urlò, - E muoviti che già c'è
traffico! –
Vittorio, come se non vedesse l’ora di poter sfogare la
frustrazione di quella giornata contro l’altro autista, mise su l’espressione più rabbiosa che
avesse assunto nell’ultimo anno e, rientrando in auto borbottò – Sona, sona sulla panza de tu' madre gravida,
coll'ossa de li' mejo mortacci tua. –
Luca, a metà tra il divertito e il preoccupato, si era messo a
sedere a sua volta e aveva lanciato uno sguardo verso l’altro, incuriosito.
- E questo che vuol dire? –
- Ah, ehm… -
- Dai, lo so che sei creativo con gli insulti. Una volta hai fatto
un dissing con quel collega tuo,
quando ero in ospedale, è stato divertente. –
- Diciamo solo che è un pesante insulto finalizzato al
coinvolgimento del maggior numero possibile di parenti vivi, morti e nascituri.
–
- Un giorno faremo un altro dissing,
napoletano contro romanesco. Noi ce ne la saremmo cavata con un “chitemmuort” semplice ed efficace. –
- Ma poco creativo, - ridacchiò Vittorio, allacciando la cintura
di sicurezza.
Quello era di sicuro il viaggio più strambo, profondo e divertente
che Luca avesse mai affrontato.
☆☆☆
Quando lo aveva conosciuto in ospedale, Vittorio gli era sembrato
uno con la puzza sotto al naso, serioso e noioso. Conoscendolo al di fuori
dell’ambiente lavorativo, invece, Luca aveva avuto la fortuna di poter ammirare
le più alte sfaccettature della sua colorita personalità. Era inopinabile il
fatto che fosse una persona responsabile, ma altrettanto sapeva come svagarsi e
far divertire anche solo con pochi elementi; allo stesso tempo era
incredibilmente interscambiabile in ogni tipo di contesto sociale, da quello
altolocato a quello dei bassifondi. Così, mentre la loro meta si avvicinava, in
quella cinquecento sfasciata e con “Hit
the road, Jack” in sottofondo, Luca sorrise e allungò una mano sulla gamba
dell’altro, accarezzandolo. Rimase, però, con lo sguardo rivolto al finestrino
mentre un lieve rossore si propagò sulle sue guance.
Vittorio si voltò per un secondo a guardarlo e sorrise tra sé e
sé. Quello del ragazzo era stato un gesto innocuo che racchiudeva la dolcezza
spigolosa del carattere di Luca e come poteva resistere ulteriormente? Come
poteva ignorare quello che il suo cuore urlava?
Semplicemente non poteva farlo, così decise di reggere il volante
con una mano sola mentre portò l’altra a stringere saldamente quella di Luca.
Non importava in quale parte del mondo si trovassero, né che fossero in un
castello sfarzoso, su una Vespa in giro per la città o in un’automobile da
rottamare che li aveva quasi lasciati a piedi su una superstrada: le loro mani
erano intrecciate, come i loro destini.
☆☆☆
☆ BONUS TRACK: VERONA (SENSUALE, TRAGICA CITTÀ)
- Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre e
rifiuta il tuo nome. Ovvero, se proprio non lo vuoi fare, giurami soltanto che
mi ami, ed io smetterò di essere una Capuleti. –
Luca si era affacciato da quel balcone mentre Vittorio, che
reggeva un caffè freddo da asporto, lo fissò divertito mentre recitava quella
scena a memoria.
- Giulietta non ti crucciare troppo, - rispose l’altro, attirando
le attenzioni di tutti gli altri turisti, - A Romeo piace Mercuzio! –
I passanti risero a quella battuta, almeno quelli italiani, e
alcuni gli diedero perfino ragione sostenendo che la tragedia sarebbe stata
meno fatale se i risvolti fossero stati quelli.
- CRETINO, - lo rimproverò Luca ridendo, - Mi hai rovinato la
scena! –
Il ragazzo, fingendosi indispettito, girò anche il viso in
un’espressione di finto sdegno.
- Scendi, forza, che magari ci si dà un bacio, ci si prende un
gelato e poi si va in albergo a… -
- Scendo, scendo, ma non c’è bisogno che fai sapere i fatti nostri
a tutto il condomino, - ridacchiò l’altro.
Vittorio sembrava essere divertito da quella reazione e fece l’ultimo
sorso dal bicchierino, per poi gettarlo nel cestino dei rifiuti lì presente.
Quando Luca uscì dal palazzo cercò subito l’altro con lo sguardo
e, una volta trovato, corse verso di lui e l’abbracciò forte.
- Però ho recitato egregiamente! –
- Certo, sei stato bravissimo! Sono sicuro che Shakespeare ti
avrebbe subito dato la parte, - lo schernì l’altro.
- Non so se mi stai prendendo in giro o se sei serio. –
- Uhm, con quale delle due ipotesi evito di rischiare la vita? –
- La seconda. –
- Allora ero serissimo. –
- Sei un paraculo. –
- Beh sì, me la cavo, - ridacchiò Vittorio, passando una mano tra i
capelli dell’altro. Poi, totalmente a caso, si chinò per dargli un bacio, senza
smettere di tenerlo stretto. La sua mano si muoveva sicura tra i capelli di
Luca che, spinto dal desiderio, appoggiò le proprie mani sul suo petto, per poi
farle risalire sulle spalle e accarezzargli il collo con i pollici. A quel
punto il bacio divenne tenero e Luca non riuscì a non sciogliersi per quel
contatto, tanto da arrivare a stringersi a lui con più convinzione.
- Senti un po’, - farfugliò Luca mordicchiandogli le labbra, - Ma…
se saltassimo la parte del gelato e andassimo direttamente in hotel a fare l’amore?
– chiese, infine, a voce bassa contro il suo orecchio. Vittorio si finse
pensieroso nel ricambiare quel bacio, infine si staccò per dei secondi e arricciò
le labbra, - Che dici, ci smaterializziamo? –
- Magari, - disse l’altro, staccandosi da lui e prendendogli la
mano.
I due si scambiarono un sorriso eloquente prima di scambiarsi un
altro bacio e incamminarsi per le stradine di quella città, teatro di tante
storie d’amore come la loro.
Nel frattempo, una turista che fotografava il muro con delle
lettere, posizionò l’obiettivo su una di queste: “Da Napoli a Verona, ammirando le bellezze italiane posso dire che
quella più incantevole era seduta al mio fianco. – V.”
☆☆☆
☆ NOTE A MARGINE ☆
Eccomi qui con la conclusione di
questa minilong per la challange “Freedom” del gruppo Boys love. Devo dire che
quando ho scritto la prima parte di questa storia, ossia Si sta come d’autunno
sugli alberi, non mi aspettavo di certo che Vittorio e Luca potessero
ricevere una simile accoglienza e invece mi sono dovuta ricredere.
Per questo motivo voglio
ringraziare tutte le admin del gruppo, che attraverso queste challange mi hanno
permesso di esprimere al massimo la mia creatività!
Spero che la storia vi sia
piaciuta e attendo un parere, una critica, un “fai schifo” o un “sei bravissima”
a vostro piacimento. Se, invece, preferite restare in silenzio vi si vuol bene
ugualmente.
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