Rómen di Xandalphon (/viewuser.php?uid=574648)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: il cantore ***
Capitolo 2: *** I morinethari e il fato di Maglor ***
Capitolo 3: *** Insonnia ***
Capitolo 1 *** Prologo: il cantore ***
Prologo
Il
cantore non viveva in una dimora sfarzosa. I boschi erano la sua casa
e, di solito, gli unici a tenergli compagnia erano gli uccelli del
cielo. Gli altri elfi, almeno per la maggior parte, lo stimavano
molto e, spesso, gli avevano chiesto di venire ad abitare nel loro
villaggio. Eppure lui, per qualche strano motivo che non
comprendevano, aveva sempre rifiutato. Ciò nonostante, la
sua
presenza doveva aver avuto una certa influenza, dato che le genti di
quella foresta venivano chiamate 'popolo dei cantori'.
Tutti
sentivano che il cantore era in qualche modo diverso da loro...
Diverso da tutti. Eppure non osavano fargli delle domande. Forse era
paura, forse era la certezza che non avrebbe risposto: nemmeno loro
lo sapevano con certezza. Di sicuro aveva viaggiato molto ed era
giunto in terre di cui non sapevano nemmeno l'esistenza. I suoi canti
ne erano la prova, visto che la maggior parte di essi era in lingue
straniere, che non conoscevano. Alcuni pensavano fossero della lingua
usata dal popolo che abitava a ovest, sulle coste del grande mare
interno. Altri, più vecchi e più saggi,
sostenevano che si
trattasse di parlate provenienti da ancor più lontano.
L'unica cosa
che potevano dire a riguardo, era che si trattava di qualcosa di
musicale e di soave, che evocava in loro una strana commozione mista
a nostalgia, come di qualcosa di stupendo, visto in sogno e ormai
sfumato nella nebbia del risveglio.
Alcuni,
però, sostenevano che del cantore non ci si dovesse fidare.
Non solo
perché era misterioso, ma perché aveva amicizie
poco
raccomandabili. A volte venivano a visitarlo due uomini anziani e
dalla barba folta, con un mantello dal colore blu scuro. Non era una
cosa buona, che un elfo si associasse agli esseri umani. Eppure,
anche quelli, erano tipi un po' originali rispetto agli esempi della
loro razza che solitamente giravano da quelle parti. Erano alti e
longilinei, con occhi di un azzurro penetrante, come se ne vedevano
di rado, e, per giunta, molto più su, nel lontano nord,
mentre in
genere si vedevano intorno alla loro foresta solo uomini piuttosto
bassi e dalla carnagione olivastra.
Beninteso,
il cantore frequentava anche secondogeniti più vicini allo
standard.
Si diceva che tra i suoi ospiti vi fossero addirittura sovrani di
qualche tribù della pianura in cerca di consigli.
Per
giunta, come se questo non bastasse, ogni tanto passava di
lì
persino qualche nano che scendeva dalle montagne. A giudicare da
quanto si sentivano schiamazzare, il cantore offriva loro del buon
vino proveniente da luoghi lontani.
Anche
i suoi detrattori, tuttavia, dovevano ammettere una cosa: la sua
presenza portava buona sorte. Diverse altre comunità in
boschi più
a sud e più a ovest avevano subito attacchi da parte delle
creature
oscure... Non loro. Più d'uno si ritrovava a pensare che
l'esistenza
del cantore intimorisse in qualche modo goblin, orchi e tutta la
progenie dell'ombra. Era quasi ironico pensare che forse ne
sapevano
più del cantore di
loro, che ci vivevano accanto.
C'era
persino chi sussurrava a mezza voce che avesse stretto un qualche
orribile e nefando accordo per vivere in pace. La terribile
bruciatura che portava sul palmo sinistro ne sarebbe stata la prova.
Dopotutto,
questa è la dimostrazione che questa storia non è
per gente per
bene. E' la storia del cantore? Non so se lo avrebbe desiderato. Ha
sempre voluto restare dietro le quinte, ben nascosto, per fare in
modo che il suo nome venisse dimenticato per sempre. Ma l'Uno non gli
volle concedere questa grazia. Voleva essere lasciato libero di
marcire per l'eternità in una sperduta foresta ai piedi
degli
Orocarni, appassire lentamente fino a che non avesse avuto il
coraggio di buttarsi finalmente tra i flutti del grande mare.
Ecco
chi era il cantore: un elfo che bramava e in pari tempo temeva la
morte. Iluvatar, durante migliaia e migliaia di anni, avrebbe potuto
accontentarlo in qualsiasi momento, dandogli la stilla di coraggio
bastante per finire quel suo vagare inquieto e disperato. Eppure gli
giocò un tiro meschino: gli diede qualcosa per cui tornare a
vivere,
prima della fine.
Angolino
dell'Autore
Il
maestro non si tocca, per cui ho sempre evitato di scrivere qui
fanfiction sul Signore degli Anelli (per giunta una what if!).
Però
volevo una boccata d'aria rispetto alle solite storie di cui scrivo.
Ed eccomi qui, a iniziare da capo, per l'ennesima volta qualcosa...
Cercherò
di pubblicare con regolarità una volta ogni due settimane,
la
domenica, nella speranza di riuscire a tenere il ritmo.
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Capitolo 2 *** I morinethari e il fato di Maglor ***
I
Morinethari e il fato di Maglor
Arda
sapeva essere crudele con chi vi dimorava, per forza o per amore.
Il
cantore, che più di tutti aveva vissuto dolori e sofferenze,
negli
immemori anni in cui il suo passo aveva calcato la terra-di-mezzo, lo
sapeva meglio di tutti. Ma sapeva anche di non essere il solo.
In
quell'angolo sperduto di mondo vi era una stirpe di secondogeniti che
condivideva con lui una maledizione del fato. Più di ogni
altro,
persino più delle genti delle tre case, essa aveva
combattuto
l'ombra. Ma, odiata con ferocia dall'oscuro signore, era destino che
i suoi sforzi non venissero mai riconosciuti.
Unico
rimasto tra tutti i priminati a conoscere la loro storia, il cantore
li chiamava 'Morinethari', uccisori dell'ombra. Essi erano gli unici
che, pur essendo nati sotto il dominio di Morgoth, gli avevano
voltato le spalle per allearsi con gli Eldar, in tempi ormai lontani.
Quanto poco questa scelta avrebbe tratto loro vantaggio non lo
potevano certo sapere, ma non tornarono mai sui loro passi
né
tradirono la parola data.
Erano
i discendenti di Borlach, Borlad e Borthand, figli di quel
Bòr che,
durante la battaglia delle innumerevoli lacrime, si schierarono con
Maglor e Maedhros. All'indomani di quel triste scontro, il maggiore
dei figli di Fëanor non
volle più avere a che fare con loro. Il sospetto del
tradimento e
il disprezzo per la debolezza di cuore degli umani avevano avuto la
meglio sul suo animo.
Il
cantore ricordava ancora molto bene cosa il loro capo aveva detto
prima di andarsene irato da Dolmed:
La
luce del Reame Beato, mai potemmo vedere, ché il nostro fato
è
lungi dalla Terra-di-Mezzo. Poco somigliamo ai nostri fratelli che
per primi vennero in queste terre, ed il nostro aspetto ci accomuna
più ai Nani che agli Elfi. Noi sappiamo che trovate la
nostra forma
affatto ripugnante, e da quella giudicate il nostro cuore. Noi,
tuttavia, qui siamo, perché al pari vostro, abbiamo perso le
nostre
case ed i nostri affetti. Se ci giudicate servi di Morgoth, ben
misera ricompensa abbiamo ricevuto dal nostro signore, per i nostri
servigi!
Principi
degli Eldar, abbiamo difeso la vostra ritirata combattendo con onore.
Il nostro padre e capostipite Bòr ed i nostri fratelli sono
rimasti
uccisi. Quale sogno malvagio inculcato nelle vostre menti
può farvi
immaginare che fosse tutto un piano per guadagnarci la vostra
fiducia? Persino le fiere dal cuore più nero provano
pietà per i
propri figli!
Se
volete liberarvi di noi, cacciarci con il fuoco, non staremo certo ad
attendere; non vogliamo mendicare neppure la più piccola
briciola
del vostro pane. Ma sappiate che la vostra collera è mal
riposta e
del vostro disprezzo nei nostri confronti, Morgoth ride.
Tra
coloro che erano rimasti turbati da quelle parole c'era Maglor.
Quello era il nome che più di tutti il cantore non voleva
ricordare.
Il
suo
nome.
All'epoca
non era stato capace di dire nulla, bloccato com'era dalla paura che
albergava nel suo cuore. Maledetto il giuramento, maledetta la
debolezza del suo carattere, maledetto tutto!
Negli
anni a venire la consapevolezza che la sua ignavia avesse ridotto un
popolo alla rovina e all'oblio fu una tortura per la sua mente.
Eppure, la gente di Bòr non morì quel giorno. Si
trasferì nelle
profondità della terra di mezzo, a est del grande mare
interno di
Rhun. E lì, la loro lotta continuò.
Maglor
non venne a conoscenza della loro esistenza se non dopo molti, troppi
secoli, quando uno dei suoi viaggi lo portò lontano, nel
Dorwinion.
Lì il martello di Sauron si posò come su un
incudine. Non poteva
sopportare che così vicino a Mordor si trovasse la prova
vivente che
il suo padrone non era così onnipotente, che non era
riuscito a
traviare tutti i cuori che erano stati a lui vicini. Li odiava con lo
stesso ardore con cui sputava sui numenoreani sopravvissuti
all'inabissamento della terra della stella.
E
una seconda volta, la maledizione dell'ombra piombò sugli
occhi di
coloro che dovevano esser loro alleati. Oropher, re degli elfi
silvani di Boscoverde il grande, vedeva in loro dei rozzi barbari,
una ferita purulenta troppo prossima alla sua pulita e ordinata
foresta. Maglor, più per sentirsi finalmente in pace con la
propria
coscienza, che per vero amore per quel popolo, aveva chiesto al
sovrano udienza presentandosi come Linnon, un noldo errante rimasto
al di qua del mare dopo la guerra d'ira (cosa che non era tanto
lontana dal vero). Tentò di dissuadere il re dai suoi
intendimenti
nella forma che meglio conosceva, cantando un lungo lai in onore dei
figli di Bòr. Non valse a nulla. Anzi, pur rimanendo colpito
dall'arte del suo ospite, derise apertamente il tentativo di
nobilitare quegli sporchi e brutti orientali che, a dispetto delle
apparenze, si dicevano nemici di Mordor.
Linnon
non osò rivelare il suo vero volto. Aveva paura di quel che
ne
sarebbe conseguito. Non aveva fatto già così
fatto il massimo? Non
voleva saperne degli stupidi anelli di Celebrimbor, che gli
ricordavano un po' troppo i Silmaril, per i suoi gusti. Non voleva
saperne di essere riconosciuto come il sovrano di tutti i noldor,
soppiantando Gil-Galad. Non voleva essere costretto a incontrare
Elrond... Per cosa? Per implorare perdono per la strage alle bocche
del Sirion? Ma per tutti i Valar, no!
Cirdan,
l'unico sapeva chi fosse, gli avrebbe negato ancora una volta la nave
per veleggiare verso Valinor, come già aveva fatto?
Il
tuo fato è legato alla terra-di-mezzo, nobile Maglor. Sento
che il
silmaril che fu nella tua mano grida ancora dal profondo degli abissi
marini. Non ti garantirà un salvo percorso sulla dritta via.
Per
due volte il vecchio timoniere del Lindon gli aveva detto le stesse
parole. Certo che se il silmaril ancora lo malediceva, poteva essere
un po' più chiaro su cosa doveva fare per espiare i suoi
peccati,
no?
Anche
dopo quella sceneggiata con Oropher, Cirdan non cambiò il
suo
responso.
Maledetto
il gioiello creato da suo padre! Maledetta Arda! Maledetti tutti!
Chi
lo sa, se ti fossi rivelato, forse tuo nipote Celebrimbor sarebbe
ancora in vita.
Ah,
ora il saggio e profetico timoniere voleva appendergli un'altra
pietra al collo? Non erano già abbastanza quelle che
già gravavano
sulla sua coscienza?
Ad
ogni buon conto, Oropher si dovette poi finalmente ricredere sui
Morinethari. Non volendo sottostare agli ordini di un noldo, non
rispettò le istruzioni di Gil-Galad e attaccò per
primo durante la
grande battaglia di Dagorlad. Inizialmente affondò con le
sue armate
come un coltello nel burro, ma, ovviamente, si trattava di
un'imboscata. Accerchiati sarebbero morti tutti, se gli eredi di
Bòr
non avessero fatto la stessa cosa che avevano fatto nella Nirnaeth
Arnoediad, ossia rompere il fronte nemico per consentire la ritirata
ai propri alleati. E ancora una volta, ricevettero ben poca
riconoscenza se non quella delle lame delle affilate asce degli
orchetti di Sauron. Perirono quasi tutti.
Ah,
se avessi dato ascolto alle parole di Linnon il cantore! Fu
tutto quello che Oropher ebbe a dire della vicenda. Ancora una volta
i Morinethari sparirono nell'oblio. Ancora una volta Maglor avrebbe
potuto salvarli con una sua parola in più, forse. E ancora
una volta
si maledisse per non averla detta mai, quella parola di più.
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Capitolo 3 *** Insonnia ***
Insonnia
Dormire.
Anche gli elfi, per quanto siano resistenti molto più dei
secondogeniti ai bisogni corporali primari, ne hanno bisogno. Ma il
sonno era un privilegio che Maglor non conobbe più. La sua
stanchezza verso Arda, il suo desiderio di fuggire per sempre da
quelle lande in cui l'incomprensibile disegno di Iluvatar l'aveva
gettato... Tutto questo era la sua ossessione, la sua angoscia. Ogni
sforzo gli era insopportabile. Si sarebbe detto un animale in
letargo, forzato all'inerzia dal gelo invernale.
Ma
il gelo, nel suo caso, era dentro al suo cuore. E non era un gelo
gentile, che induce al torpore nella certa attesa di una nuova
fioritura. Era un freddo crudele, che mordeva le carni, le divorava
senza pietà, giorno dopo giorno e notte dopo notte.
Era
un circolo vizioso. Più era stanco di lottare,
più avrebbe voluto
riposarsi, essere in pace per qualche momento... E meno vi riusciva.
Non
c'erano malie di uomini, elfi o nani in grado di aiutarlo. La sua non
era più vita. Si sentiva un guscio vuoto, in preda ai suoi
tetri
pensieri.
Nel
contempo, gli uomini cui era misteriosamente legato dai fili del fato
riprendevano lentamente e faticosamente la loro esistenza. I
morinethari ricostruirono i loro villaggi, pur tra lutti e pianti e,
con orgoglio, tramandarono le storie degli innumerevoli loro caduti.
Quelle narrazioni però rimanevano entro la loro cerchia e
mai erano
trasmesse ad altri popoli. I nuovi signori della terra-di-mezzo, che
dominavano dalla città di Osgiliath, non avevano che una
vaga
contezza della loro esistenza, che ritenevano di poco superiore a
quella di bestie selvatiche: barbari miserandi in lande lontane e
desolate. Del resto, non avevano mai dissimulato un certo qual
disprezzo per qualsiasi tribù che dimorasse al di qua del
grande
mare prima dell'inabissamento di Numenor.
Dopo
mezzo millennio iniziarono le campagne di conquista del regno di
Gondor a oriente. Subito i figli di Bòr, nella loro
ingenuità, li
ritennero amici, come tutti coloro che si opponevano alle creature di
Sauron invece di venerarle. Grave errore. Per i sovrani delle
città
di pietra loro non erano poi differenti dalle altre schiere di
Easterlings, per quanto accettassero la loro sottomissione e la loro
offerta di amicizia di buon grado, almeno in un primo momento. I
Morinethari godettero di un periodo di pace apparente, in cui
crebbero di numero e in cui sperarono di rinverdire i fasti del loro
popolo. Pur tuttavia, una nuova piaga calò su di loro. Si
trattava
dei biondi uomini settentrionali. Dalle sorgenti dell'Anduin essi si
espansero nelle terre brune, che iniziarono a chiamare 'casa'. Erano
belli, forti e coraggiosi e somigliavano alle genti del Dor Lomin al
tempo del Beleriand sommerso dalle acque. Nulla a che vedere con
loro, bassi e olivastri, dai capelli e dagli occhi scuri... Era ovvio
e logico che il favore di Gondor andasse ai nuovi venuti, che
sentivano simili a loro.
Nacquero
delle dispute territoriali e, sistematicamente, l'arbitrato di
Osgiliath dava il proprio favore alle tribù del Rhovanion.
Qualche
raro animo sensibile sarebbe stato in grado di oltrepassare la coltre
del pregiudizio e dell'apparenza e guardare ai cuori?
Borgil
dei Morinethari si innamorò perdutamente della figlia
dell'autoproclamatosi 're del Rhovanion', Vidugavia. Vidumavi era il
suo nome. Inizialmente il signore nordico aveva benedetto l'occasione
di un'alleanza strategica attraverso un matrimonio. Presto, tuttavia,
la situazione mutò. Un altro uomo, di ben più
antico e nobile
lignaggio (o almeno, Vidugavia così riteneva) si
interessò della
bella fanciulla: niente di meno che Valacar, nipote del re di Gondor.
Come poteva Borgil competere con il fascino, la potenza e la
ricchezza del signore del sud?
Convinto
di essere ricambiato da Vidumavi, sfidò, in un impeto di
rabbia,
Valacar a duello, ma ne venne sconfitto. La donna nemmeno per un
istante volse il suo sguardo verso di lui.
Ferito
nel corpo, ma ancor di più nello spirito, Borgil si chiuse
in se
stesso, meditando vendetta. Lui non lo notò, ma almeno una
persona
era stata colma di pietà e dispiacere per quell'evento. Essa
era
Vinnili, sorella minore di Vidumavi; per lei essere un gondoriano o
un orientale non cambiava poi molto. Quel che contava era la
nobiltà
di animo.
E
ne vedeva molta di più nello sconfitto di quel duello,
piuttosto che
nel vincitore.
Spinta
da una strana inquietudine, ella una sera diede di sprone al suo
cavallo e, in pari tempo, libero corso ai propri pensieri. Non si
accorse che troppo tardi che, mentre era assorta, si era persa nelle
foreste del Dorwinion. Lì, incontrò una creatura
che mai aveva
visto.
Essa
era splendente e, almeno così sentiva, immensamente
più antica e
nobile di quanto lei potesse anche solo immaginare. Era un elfo dal
volto scavato e dalle evidenti occhiaie. Quel viso trasudava
sofferenza e dolore.
Quell'essere
fece per andarsene, scomparire dalla sua vista, ma una forza
misteriosa indusse Vinnili a supplicarlo di conversare un po' con
lui.
Di
malavoglia quegli accettò.
Parlarono
per tutta la notte, di cose antiche e nuove, banali e profonde. Ma
più di ogni altra cosa, parlarono dei Morinethari:
Fanciulla
umana, quanto sapete della storia degli uccisori d'ombra?
“So
che sono antichi. Erano qui molto tempo prima della nostra venuta in
queste valli. Per loro non siamo altro che streghe e usurpatori. So
anche che usano nomi elfici come la gente di Gondor. Vengono detti
uccisori d'ombra, ma il motivo di ciò non mi è
noto.”
Niente
altro?
“Niente
altro. Però non avete ancora risposto alla mia domanda,
sire.”
Con
un tenue sorriso, l'elfo rispose: Dovete sapere che le imprese
dei
morinehtari non sono inferiori a quelle degli Edain. Vengono
così
chiamati perché durante il principio del mondo vissero sotto
il
dominio del signore oscuro. Gli Edain giunsero nelle terre ora
sommerse da liberi, e da liberi rifiutarono di sottomettersi alle
nequizie di Morgoth, mentre loro non videro altro che le torri di
Angband sin dai loro albori. Eppure, nonostante questo, pochi
coraggiosi riuscirono a scuotere il giogo e volgere lo sguardo oltre
il velo di paura e sottomissione posto sui loro occhi, accettando le
offerte di amicizia dei Noldor. Chissà se le tre case
sarebbero
riuscite a fare la stessa cosa, se si fossero trovate nelle stesse
condizioni... Sia come sia, condivisero in tutto con gli Eldar i
dolori e i lutti delle battaglie contro l'Ombra, senza mai tradire i
giuramenti prestati nemmeno una volta. Eppure, per il loro sembiante,
che li fa apparire simili alle stirpi che hanno sempre servito
Morgoth e Sauron, il loro destino è sempre stato quello di
essere
disprezzati e guardati con diffidenza; le loro numerose imprese sono
poco conosciute e di rado cantate. Loro stessi non le menzionano
volentieri. Sono infatti certi che sarebbero tacciati come bugiardi o
vanagloriosi, se lo facessero. Sono convinto che le famiglie
più
nobili di Gondor conoscano tali storie, ma che allo stesso tempo
temano di di divulgarle. Forse perché credono che
ciò sminuirebbe
la loro gloria. Dopotutto, la storia della terra della stella
è la
prova lampante che gli Edain furono, almeno in una occasione,
più
deboli e più spergiuri di loro.
E' per
questo che i morinehtari aprono difficilmente il proprio cuore a
uomini di altre razze e tanto più ne soffrono, se da essi si
sentono
traditi.
La
ragazza meditò a lungo quelle parole nel suo cuore e,
guidata delle
indicazioni di quella strana creatura, tornò alle sue dimore
con
l'animo in tumulto. Da quel giorno, incuriosita, iniziò a
conversare
con Borgil, cercando di capirne la vera indole. Inizialmente egli la
chiamava 'strega del nord' e amaramente sosteneva che cercasse la sua
compagnia per prendersi gioco dello spasimante sconfitto di sua
sorella. Anch'egli capiva che non era la verità, eppure non
riusciva
a capire perché mai Vinnili volesse conoscerlo. Man mano,
però quel
nomignolo scomparve per essere sostituito da una parola ben
più
preziosa.
Drauga.
Nella
lingua dei morinethari voleva dire 'amica'.
Usare
il loro idioma per parlare con altre razze, se non apertamente
vietato, era dai morinethari considerato qualcosa di impossibile. Era
un linguaggio troppo simile a quello di altre schiere di orientali,
di seguaci di Sauron. Non potevano non provare vergogna
nell'utilizzarlo con altri. Eppure, istintivamente, Borgil si era
concesso a quell'impossibile eccezione. Il suo cuore tremava di paura
al pensiero di aver trovato qualcuno, straniero per di più,
con cui
aprire il cuore.
Era
davvero possibile che la loro stirpe maledetta dalla sorte avesse
ancora un senso per cui vivere, in tutta quella dannata
terra-di-mezzo?
La
risposta era racchiusa da nuvole di diffidenza e di sconforto, ma
avrebbe tanto voluto che quella persona che aveva davanti, quella
strana ragazza di nome Vinnili, lo potesse accompagnare oltre quelle
nuvole.
Da
lontano un altro essere scrutava i cuori di quei due umani. Era un
elfo con la stessa domanda. E' possibile essere 'amico' di qualcosa,
no, di qualcuno, in tutta Arda? E' possibile abbandonare la via
dell'insonne terrore per la vita e lasciarsi sorprendere dai giorni
che il futuro riserva?
Forse.
Forse
è possibile.
Abbassare
la guardia per un istante e lasciare che il buio della notte ci
avvolga con il suo manto e ci dia... Pace, per quanto fuggevole.
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