Rómen

di Xandalphon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: il cantore ***
Capitolo 2: *** I morinethari e il fato di Maglor ***
Capitolo 3: *** Insonnia ***



Capitolo 1
*** Prologo: il cantore ***


Prologo

Il cantore non viveva in una dimora sfarzosa. I boschi erano la sua casa e, di solito, gli unici a tenergli compagnia erano gli uccelli del cielo. Gli altri elfi, almeno per la maggior parte, lo stimavano molto e, spesso, gli avevano chiesto di venire ad abitare nel loro villaggio. Eppure lui, per qualche strano motivo che non comprendevano, aveva sempre rifiutato. Ciò nonostante, la sua presenza doveva aver avuto una certa influenza, dato che le genti di quella foresta venivano chiamate 'popolo dei cantori'.

Tutti sentivano che il cantore era in qualche modo diverso da loro... Diverso da tutti. Eppure non osavano fargli delle domande. Forse era paura, forse era la certezza che non avrebbe risposto: nemmeno loro lo sapevano con certezza. Di sicuro aveva viaggiato molto ed era giunto in terre di cui non sapevano nemmeno l'esistenza. I suoi canti ne erano la prova, visto che la maggior parte di essi era in lingue straniere, che non conoscevano. Alcuni pensavano fossero della lingua usata dal popolo che abitava a ovest, sulle coste del grande mare interno. Altri, più vecchi e più saggi, sostenevano che si trattasse di parlate provenienti da ancor più lontano. L'unica cosa che potevano dire a riguardo, era che si trattava di qualcosa di musicale e di soave, che evocava in loro una strana commozione mista a nostalgia, come di qualcosa di stupendo, visto in sogno e ormai sfumato nella nebbia del risveglio.

Alcuni, però, sostenevano che del cantore non ci si dovesse fidare. Non solo perché era misterioso, ma perché aveva amicizie poco raccomandabili. A volte venivano a visitarlo due uomini anziani e dalla barba folta, con un mantello dal colore blu scuro. Non era una cosa buona, che un elfo si associasse agli esseri umani. Eppure, anche quelli, erano tipi un po' originali rispetto agli esempi della loro razza che solitamente giravano da quelle parti. Erano alti e longilinei, con occhi di un azzurro penetrante, come se ne vedevano di rado, e, per giunta, molto più su, nel lontano nord, mentre in genere si vedevano intorno alla loro foresta solo uomini piuttosto bassi e dalla carnagione olivastra.

Beninteso, il cantore frequentava anche secondogeniti più vicini allo standard. Si diceva che tra i suoi ospiti vi fossero addirittura sovrani di qualche tribù della pianura in cerca di consigli.

Per giunta, come se questo non bastasse, ogni tanto passava di lì persino qualche nano che scendeva dalle montagne. A giudicare da quanto si sentivano schiamazzare, il cantore offriva loro del buon vino proveniente da luoghi lontani.

Anche i suoi detrattori, tuttavia, dovevano ammettere una cosa: la sua presenza portava buona sorte. Diverse altre comunità in boschi più a sud e più a ovest avevano subito attacchi da parte delle creature oscure... Non loro. Più d'uno si ritrovava a pensare che l'esistenza del cantore intimorisse in qualche modo goblin, orchi e tutta la progenie dell'ombra. Era quasi ironico pensare che forse ne sapevano più del cantore di loro, che ci vivevano accanto.

C'era persino chi sussurrava a mezza voce che avesse stretto un qualche orribile e nefando accordo per vivere in pace. La terribile bruciatura che portava sul palmo sinistro ne sarebbe stata la prova.

Dopotutto, questa è la dimostrazione che questa storia non è per gente per bene. E' la storia del cantore? Non so se lo avrebbe desiderato. Ha sempre voluto restare dietro le quinte, ben nascosto, per fare in modo che il suo nome venisse dimenticato per sempre. Ma l'Uno non gli volle concedere questa grazia. Voleva essere lasciato libero di marcire per l'eternità in una sperduta foresta ai piedi degli Orocarni, appassire lentamente fino a che non avesse avuto il coraggio di buttarsi finalmente tra i flutti del grande mare.

Ecco chi era il cantore: un elfo che bramava e in pari tempo temeva la morte. Iluvatar, durante migliaia e migliaia di anni, avrebbe potuto accontentarlo in qualsiasi momento, dandogli la stilla di coraggio bastante per finire quel suo vagare inquieto e disperato. Eppure gli giocò un tiro meschino: gli diede qualcosa per cui tornare a vivere, prima della fine.


Angolino dell'Autore


Il maestro non si tocca, per cui ho sempre evitato di scrivere qui fanfiction sul Signore degli Anelli (per giunta una what if!). Però volevo una boccata d'aria rispetto alle solite storie di cui scrivo. Ed eccomi qui, a iniziare da capo, per l'ennesima volta qualcosa...

Cercherò di pubblicare con regolarità una volta ogni due settimane, la domenica, nella speranza di riuscire a tenere il ritmo.

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Capitolo 2
*** I morinethari e il fato di Maglor ***


I Morinethari e il fato di Maglor


Arda sapeva essere crudele con chi vi dimorava, per forza o per amore.

Il cantore, che più di tutti aveva vissuto dolori e sofferenze, negli immemori anni in cui il suo passo aveva calcato la terra-di-mezzo, lo sapeva meglio di tutti. Ma sapeva anche di non essere il solo.

In quell'angolo sperduto di mondo vi era una stirpe di secondogeniti che condivideva con lui una maledizione del fato. Più di ogni altro, persino più delle genti delle tre case, essa aveva combattuto l'ombra. Ma, odiata con ferocia dall'oscuro signore, era destino che i suoi sforzi non venissero mai riconosciuti.

Unico rimasto tra tutti i priminati a conoscere la loro storia, il cantore li chiamava 'Morinethari', uccisori dell'ombra. Essi erano gli unici che, pur essendo nati sotto il dominio di Morgoth, gli avevano voltato le spalle per allearsi con gli Eldar, in tempi ormai lontani. Quanto poco questa scelta avrebbe tratto loro vantaggio non lo potevano certo sapere, ma non tornarono mai sui loro passi né tradirono la parola data.

Erano i discendenti di Borlach, Borlad e Borthand, figli di quel Bòr che, durante la battaglia delle innumerevoli lacrime, si schierarono con Maglor e Maedhros. All'indomani di quel triste scontro, il maggiore dei figli di Fëanor non volle più avere a che fare con loro. Il sospetto del tradimento e il disprezzo per la debolezza di cuore degli umani avevano avuto la meglio sul suo animo.

Il cantore ricordava ancora molto bene cosa il loro capo aveva detto prima di andarsene irato da Dolmed:

La luce del Reame Beato, mai potemmo vedere, ché il nostro fato è lungi dalla Terra-di-Mezzo. Poco somigliamo ai nostri fratelli che per primi vennero in queste terre, ed il nostro aspetto ci accomuna più ai Nani che agli Elfi. Noi sappiamo che trovate la nostra forma affatto ripugnante, e da quella giudicate il nostro cuore. Noi, tuttavia, qui siamo, perché al pari vostro, abbiamo perso le nostre case ed i nostri affetti. Se ci giudicate servi di Morgoth, ben misera ricompensa abbiamo ricevuto dal nostro signore, per i nostri servigi!

Principi degli Eldar, abbiamo difeso la vostra ritirata combattendo con onore. Il nostro padre e capostipite Bòr ed i nostri fratelli sono rimasti uccisi. Quale sogno malvagio inculcato nelle vostre menti può farvi immaginare che fosse tutto un piano per guadagnarci la vostra fiducia? Persino le fiere dal cuore più nero provano pietà per i propri figli!

Se volete liberarvi di noi, cacciarci con il fuoco, non staremo certo ad attendere; non vogliamo mendicare neppure la più piccola briciola del vostro pane. Ma sappiate che la vostra collera è mal riposta e del vostro disprezzo nei nostri confronti, Morgoth ride.

Tra coloro che erano rimasti turbati da quelle parole c'era Maglor. Quello era il nome che più di tutti il cantore non voleva ricordare.

Il suo nome.

All'epoca non era stato capace di dire nulla, bloccato com'era dalla paura che albergava nel suo cuore. Maledetto il giuramento, maledetta la debolezza del suo carattere, maledetto tutto!

Negli anni a venire la consapevolezza che la sua ignavia avesse ridotto un popolo alla rovina e all'oblio fu una tortura per la sua mente. Eppure, la gente di Bòr non morì quel giorno. Si trasferì nelle profondità della terra di mezzo, a est del grande mare interno di Rhun. E lì, la loro lotta continuò.

Maglor non venne a conoscenza della loro esistenza se non dopo molti, troppi secoli, quando uno dei suoi viaggi lo portò lontano, nel Dorwinion. Lì il martello di Sauron si posò come su un incudine. Non poteva sopportare che così vicino a Mordor si trovasse la prova vivente che il suo padrone non era così onnipotente, che non era riuscito a traviare tutti i cuori che erano stati a lui vicini. Li odiava con lo stesso ardore con cui sputava sui numenoreani sopravvissuti all'inabissamento della terra della stella.

E una seconda volta, la maledizione dell'ombra piombò sugli occhi di coloro che dovevano esser loro alleati. Oropher, re degli elfi silvani di Boscoverde il grande, vedeva in loro dei rozzi barbari, una ferita purulenta troppo prossima alla sua pulita e ordinata foresta. Maglor, più per sentirsi finalmente in pace con la propria coscienza, che per vero amore per quel popolo, aveva chiesto al sovrano udienza presentandosi come Linnon, un noldo errante rimasto al di qua del mare dopo la guerra d'ira (cosa che non era tanto lontana dal vero). Tentò di dissuadere il re dai suoi intendimenti nella forma che meglio conosceva, cantando un lungo lai in onore dei figli di Bòr. Non valse a nulla. Anzi, pur rimanendo colpito dall'arte del suo ospite, derise apertamente il tentativo di nobilitare quegli sporchi e brutti orientali che, a dispetto delle apparenze, si dicevano nemici di Mordor.

Linnon non osò rivelare il suo vero volto. Aveva paura di quel che ne sarebbe conseguito. Non aveva fatto già così fatto il massimo? Non voleva saperne degli stupidi anelli di Celebrimbor, che gli ricordavano un po' troppo i Silmaril, per i suoi gusti. Non voleva saperne di essere riconosciuto come il sovrano di tutti i noldor, soppiantando Gil-Galad. Non voleva essere costretto a incontrare Elrond... Per cosa? Per implorare perdono per la strage alle bocche del Sirion? Ma per tutti i Valar, no!

Cirdan, l'unico sapeva chi fosse, gli avrebbe negato ancora una volta la nave per veleggiare verso Valinor, come già aveva fatto?

Il tuo fato è legato alla terra-di-mezzo, nobile Maglor. Sento che il silmaril che fu nella tua mano grida ancora dal profondo degli abissi marini. Non ti garantirà un salvo percorso sulla dritta via.

Per due volte il vecchio timoniere del Lindon gli aveva detto le stesse parole. Certo che se il silmaril ancora lo malediceva, poteva essere un po' più chiaro su cosa doveva fare per espiare i suoi peccati, no?

Anche dopo quella sceneggiata con Oropher, Cirdan non cambiò il suo responso.

Maledetto il gioiello creato da suo padre! Maledetta Arda! Maledetti tutti!

Chi lo sa, se ti fossi rivelato, forse tuo nipote Celebrimbor sarebbe ancora in vita.

Ah, ora il saggio e profetico timoniere voleva appendergli un'altra pietra al collo? Non erano già abbastanza quelle che già gravavano sulla sua coscienza?

Ad ogni buon conto, Oropher si dovette poi finalmente ricredere sui Morinethari. Non volendo sottostare agli ordini di un noldo, non rispettò le istruzioni di Gil-Galad e attaccò per primo durante la grande battaglia di Dagorlad. Inizialmente affondò con le sue armate come un coltello nel burro, ma, ovviamente, si trattava di un'imboscata. Accerchiati sarebbero morti tutti, se gli eredi di Bòr non avessero fatto la stessa cosa che avevano fatto nella Nirnaeth Arnoediad, ossia rompere il fronte nemico per consentire la ritirata ai propri alleati. E ancora una volta, ricevettero ben poca riconoscenza se non quella delle lame delle affilate asce degli orchetti di Sauron. Perirono quasi tutti.

Ah, se avessi dato ascolto alle parole di Linnon il cantore! Fu tutto quello che Oropher ebbe a dire della vicenda. Ancora una volta i Morinethari sparirono nell'oblio. Ancora una volta Maglor avrebbe potuto salvarli con una sua parola in più, forse. E ancora una volta si maledisse per non averla detta mai, quella parola di più.

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Capitolo 3
*** Insonnia ***


Insonnia

Dormire. Anche gli elfi, per quanto siano resistenti molto più dei secondogeniti ai bisogni corporali primari, ne hanno bisogno. Ma il sonno era un privilegio che Maglor non conobbe più. La sua stanchezza verso Arda, il suo desiderio di fuggire per sempre da quelle lande in cui l'incomprensibile disegno di Iluvatar l'aveva gettato... Tutto questo era la sua ossessione, la sua angoscia. Ogni sforzo gli era insopportabile. Si sarebbe detto un animale in letargo, forzato all'inerzia dal gelo invernale.

Ma il gelo, nel suo caso, era dentro al suo cuore. E non era un gelo gentile, che induce al torpore nella certa attesa di una nuova fioritura. Era un freddo crudele, che mordeva le carni, le divorava senza pietà, giorno dopo giorno e notte dopo notte.

Era un circolo vizioso. Più era stanco di lottare, più avrebbe voluto riposarsi, essere in pace per qualche momento... E meno vi riusciva.

Non c'erano malie di uomini, elfi o nani in grado di aiutarlo. La sua non era più vita. Si sentiva un guscio vuoto, in preda ai suoi tetri pensieri.

Nel contempo, gli uomini cui era misteriosamente legato dai fili del fato riprendevano lentamente e faticosamente la loro esistenza. I morinethari ricostruirono i loro villaggi, pur tra lutti e pianti e, con orgoglio, tramandarono le storie degli innumerevoli loro caduti. Quelle narrazioni però rimanevano entro la loro cerchia e mai erano trasmesse ad altri popoli. I nuovi signori della terra-di-mezzo, che dominavano dalla città di Osgiliath, non avevano che una vaga contezza della loro esistenza, che ritenevano di poco superiore a quella di bestie selvatiche: barbari miserandi in lande lontane e desolate. Del resto, non avevano mai dissimulato un certo qual disprezzo per qualsiasi tribù che dimorasse al di qua del grande mare prima dell'inabissamento di Numenor.

Dopo mezzo millennio iniziarono le campagne di conquista del regno di Gondor a oriente. Subito i figli di Bòr, nella loro ingenuità, li ritennero amici, come tutti coloro che si opponevano alle creature di Sauron invece di venerarle. Grave errore. Per i sovrani delle città di pietra loro non erano poi differenti dalle altre schiere di Easterlings, per quanto accettassero la loro sottomissione e la loro offerta di amicizia di buon grado, almeno in un primo momento. I Morinethari godettero di un periodo di pace apparente, in cui crebbero di numero e in cui sperarono di rinverdire i fasti del loro popolo. Pur tuttavia, una nuova piaga calò su di loro. Si trattava dei biondi uomini settentrionali. Dalle sorgenti dell'Anduin essi si espansero nelle terre brune, che iniziarono a chiamare 'casa'. Erano belli, forti e coraggiosi e somigliavano alle genti del Dor Lomin al tempo del Beleriand sommerso dalle acque. Nulla a che vedere con loro, bassi e olivastri, dai capelli e dagli occhi scuri... Era ovvio e logico che il favore di Gondor andasse ai nuovi venuti, che sentivano simili a loro.

Nacquero delle dispute territoriali e, sistematicamente, l'arbitrato di Osgiliath dava il proprio favore alle tribù del Rhovanion.

Qualche raro animo sensibile sarebbe stato in grado di oltrepassare la coltre del pregiudizio e dell'apparenza e guardare ai cuori?

Borgil dei Morinethari si innamorò perdutamente della figlia dell'autoproclamatosi 're del Rhovanion', Vidugavia. Vidumavi era il suo nome. Inizialmente il signore nordico aveva benedetto l'occasione di un'alleanza strategica attraverso un matrimonio. Presto, tuttavia, la situazione mutò. Un altro uomo, di ben più antico e nobile lignaggio (o almeno, Vidugavia così riteneva) si interessò della bella fanciulla: niente di meno che Valacar, nipote del re di Gondor. Come poteva Borgil competere con il fascino, la potenza e la ricchezza del signore del sud?

Convinto di essere ricambiato da Vidumavi, sfidò, in un impeto di rabbia, Valacar a duello, ma ne venne sconfitto. La donna nemmeno per un istante volse il suo sguardo verso di lui.

Ferito nel corpo, ma ancor di più nello spirito, Borgil si chiuse in se stesso, meditando vendetta. Lui non lo notò, ma almeno una persona era stata colma di pietà e dispiacere per quell'evento. Essa era Vinnili, sorella minore di Vidumavi; per lei essere un gondoriano o un orientale non cambiava poi molto. Quel che contava era la nobiltà di animo.

E ne vedeva molta di più nello sconfitto di quel duello, piuttosto che nel vincitore.

Spinta da una strana inquietudine, ella una sera diede di sprone al suo cavallo e, in pari tempo, libero corso ai propri pensieri. Non si accorse che troppo tardi che, mentre era assorta, si era persa nelle foreste del Dorwinion. Lì, incontrò una creatura che mai aveva visto.

Essa era splendente e, almeno così sentiva, immensamente più antica e nobile di quanto lei potesse anche solo immaginare. Era un elfo dal volto scavato e dalle evidenti occhiaie. Quel viso trasudava sofferenza e dolore.

Quell'essere fece per andarsene, scomparire dalla sua vista, ma una forza misteriosa indusse Vinnili a supplicarlo di conversare un po' con lui.

Di malavoglia quegli accettò.

Parlarono per tutta la notte, di cose antiche e nuove, banali e profonde. Ma più di ogni altra cosa, parlarono dei Morinethari:

Fanciulla umana, quanto sapete della storia degli uccisori d'ombra?


So che sono antichi. Erano qui molto tempo prima della nostra venuta in queste valli. Per loro non siamo altro che streghe e usurpatori. So anche che usano nomi elfici come la gente di Gondor. Vengono detti uccisori d'ombra, ma il motivo di ciò non mi è noto.”


Niente altro?


Niente altro. Però non avete ancora risposto alla mia domanda, sire.”


Con un tenue sorriso, l'elfo rispose: Dovete sapere che le imprese dei morinehtari non sono inferiori a quelle degli Edain. Vengono così chiamati perché durante il principio del mondo vissero sotto il dominio del signore oscuro. Gli Edain giunsero nelle terre ora sommerse da liberi, e da liberi rifiutarono di sottomettersi alle nequizie di Morgoth, mentre loro non videro altro che le torri di Angband sin dai loro albori. Eppure, nonostante questo, pochi coraggiosi riuscirono a scuotere il giogo e volgere lo sguardo oltre il velo di paura e sottomissione posto sui loro occhi, accettando le offerte di amicizia dei Noldor. Chissà se le tre case sarebbero riuscite a fare la stessa cosa, se si fossero trovate nelle stesse condizioni... Sia come sia, condivisero in tutto con gli Eldar i dolori e i lutti delle battaglie contro l'Ombra, senza mai tradire i giuramenti prestati nemmeno una volta. Eppure, per il loro sembiante, che li fa apparire simili alle stirpi che hanno sempre servito Morgoth e Sauron, il loro destino è sempre stato quello di essere disprezzati e guardati con diffidenza; le loro numerose imprese sono poco conosciute e di rado cantate. Loro stessi non le menzionano volentieri. Sono infatti certi che sarebbero tacciati come bugiardi o vanagloriosi, se lo facessero. Sono convinto che le famiglie più nobili di Gondor conoscano tali storie, ma che allo stesso tempo temano di di divulgarle. Forse perché credono che ciò sminuirebbe la loro gloria. Dopotutto, la storia della terra della stella è la prova lampante che gli Edain furono, almeno in una occasione, più deboli e più spergiuri di loro.

E' per questo che i morinehtari aprono difficilmente il proprio cuore a uomini di altre razze e tanto più ne soffrono, se da essi si sentono traditi.



La ragazza meditò a lungo quelle parole nel suo cuore e, guidata delle indicazioni di quella strana creatura, tornò alle sue dimore con l'animo in tumulto. Da quel giorno, incuriosita, iniziò a conversare con Borgil, cercando di capirne la vera indole. Inizialmente egli la chiamava 'strega del nord' e amaramente sosteneva che cercasse la sua compagnia per prendersi gioco dello spasimante sconfitto di sua sorella. Anch'egli capiva che non era la verità, eppure non riusciva a capire perché mai Vinnili volesse conoscerlo. Man mano, però quel nomignolo scomparve per essere sostituito da una parola ben più preziosa.

Drauga.

Nella lingua dei morinethari voleva dire 'amica'.

Usare il loro idioma per parlare con altre razze, se non apertamente vietato, era dai morinethari considerato qualcosa di impossibile. Era un linguaggio troppo simile a quello di altre schiere di orientali, di seguaci di Sauron. Non potevano non provare vergogna nell'utilizzarlo con altri. Eppure, istintivamente, Borgil si era concesso a quell'impossibile eccezione. Il suo cuore tremava di paura al pensiero di aver trovato qualcuno, straniero per di più, con cui aprire il cuore.

Era davvero possibile che la loro stirpe maledetta dalla sorte avesse ancora un senso per cui vivere, in tutta quella dannata terra-di-mezzo?

La risposta era racchiusa da nuvole di diffidenza e di sconforto, ma avrebbe tanto voluto che quella persona che aveva davanti, quella strana ragazza di nome Vinnili, lo potesse accompagnare oltre quelle nuvole.

Da lontano un altro essere scrutava i cuori di quei due umani. Era un elfo con la stessa domanda. E' possibile essere 'amico' di qualcosa, no, di qualcuno, in tutta Arda? E' possibile abbandonare la via dell'insonne terrore per la vita e lasciarsi sorprendere dai giorni che il futuro riserva?

Forse.

Forse è possibile.

Abbassare la guardia per un istante e lasciare che il buio della notte ci avvolga con il suo manto e ci dia... Pace, per quanto fuggevole.

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