Around me (Percabeth)

di mari05
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


AROUND ME
Percabeth

Era buio quella notte d’estate a Long Island, sulla collina del Campo Mezzosangue, dove la luna era solo un ricordo e le stelle lampadine appese ad un soffitto blu tale era il cielo. L’erba era alta e fitta, impossibile vedere oltre la sua distesa, e a volte, tra un ciuffo verde e l’altro, compariva qualche lumachina intenta a proteggersi dalla pioggia imminente. Ma questo a Percy non importava, perché il Campo Mezzosangue era protetto da uno scudo invisibile che manteneva la temperatura al suo interno tiepida e perfetta sia per i vestiti leggeri che per i maglioni pesanti. Il figlio di Poseidone si appuntò mentalmente di chiedere ai figli di Ecate di insegnargli quel simpatico trucchetto, così che a casa sua madre non avrebbe dovuto compare un condizionatore. Quando oltrepassò i confini invisibili del Campo a Percy sembrò quasi di star oltrepassando una barriera che, non appena l’aveva visto, s’era fatta da parte. Il moro camminò per la lunga distesa di campi di fragole, salutò con la mano il pino di Thalia e continuò la sua passeggiata notturna all’interno del Campo. Al buio nessuno avrebbe potuto riconoscerlo. Al buio lui non era che una sagoma, piatta e sconosciuta, che al minimo passo falso si sarebbe trovato senza un braccio o una gamba. Sapeva che gli arcieri figli di Apollo stavano controllando il territorio da luoghi così in alto che erano impossibili da vedere, forse addirittura fuori dalla barriera. Erano passati otto anni dalla sua scomparsa improvvisa durante la guerra contro Gea. Aveva sentito vociferare che nel momento stesso in cui non l’aveva più visto Annabeth si fosse gettata a terra, i forti sentimenti che premevano contro il suo petto e minacciavano di uscire tramutati in urla straziate. Non aveva potuto rispondere alle sue chiamate, anche se avrebbe voluto. Suo padre lo aveva tenuto impegnato così a lungo, nel suo palazzo sottomarino, che quando aveva saputo che era passato tutto quel tempo il suo cuore aveva fatto un salto, intimidendo di non scendere più. Si fermò un attimo per vedere il profilo delle cabine, che un tempo formavano un ferro di cavallo, ma che dopo la sua richiesta, ormai quasi dieci anni prima, si erano spostate per fare spazio a delle altre, che ora erano disposte ad omega al centro del Campo. Percy continuò a camminare imperterrito, superando la cabina numero 3 (quella di Poseidone, suo padre) e fermandosi di colpo davanti alla numero 5 (quella di Ares). Lì stava dormendo Clarisse, sua antica nemica che durante la fine della sua permanenza (che ai tempi era sembrata solo l’inizio) si era addolcita tanto da diventare cara al figlio del dio del mare, che ancora si ricordava quando, a dodici anni, fece esplodere i gabinetti nel bagno proprio su di lei. Il ragazzo camminò un altro po’, fino a quando davanti a lui non si stagliò minacciosa e potente la cabina numero 6. Dove stava dormendo la sua ragazza. La cabina di Atena. Percy osservò la facciata della casa, bianca grigia e oro, che sembrava vuota rispetto alle altre, povera di decorazioni. L’unica cosa che teneva incollato l’occhio alla cabina era la civetta d’oro che svettava maestosa sul tetto della piccola casetta, che sembrava seguirti con lo sguardo. Il figlio di Poseidone aprì la porta d’ingresso con più delicatezza possibile, senza fare rumore. Davanti a lui, stesi sui letti, c’erano i figli di Atena, gli ingranaggi del loro cervello che si muovevano anche di notte. Il ragazzo camminò con passo leggero per non svegliare nessuno: davanti a lui si alternavano decine di volti diversi, chi conosciuto e chi no, fino a quando… Percy non poté trattenere un urlo di sorpresa quando davanti a lui vide dormire Annabeth. Sì, era finalmente a casa.



Ciaooo! Allora, lo so, dovrei continuare qualche altra ff e questa è un po’ uno svago, ma dopo tanto tempo di “non ho voglia di scrivere” torno con una Percabeth! Sarà una long (quindi preparatevi ad avere un capitolo ogni morte di papa, con tutto rispetto per il caro Francesco) e ci tengo molto… Vi lascio il link del mio account twitter, così potete anche vedere i miei update su quando pubblicherò e anche i miei pensieri sulle storie che non ho ancora letto. Alla prossima! https://twitter.com/Juvia72807784

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Capitolo 2
*** 2 ***


«Pe-Percy?» biascicò la figlia d’Atena, rivoltandosi nelle coperte. Una mano a reggerlo per non farlo cadere, l’altra verso Nico di Angelo, un grido che squarciava l’aria, e, d’improvviso, una delle due mani mollò la presa, lasciando cadere un corpo urlante nel gigantesco baratro senza via di rimedio.
Di nuovo lo stesso incubo, o meglio, ricordo, che l’assaliva tutte le notti, le mescolava le budella e la spingeva a svegliarsi di soprassalto nella sua cabina, madida di sudore freddo, chiamando a voce bassa il suo ragazzo, quasi come se quest’ultimo, dal Tartaro, avesse potuto risponderle.
Ovviamente, ogni volta che Annabeth si svegliava e lo chiamava nessuno rispondeva. Nessuno replicava.
Ma quella volta fu diverso. Le sembrò quasi di aver percepito un cambiamento all’interno della cabina, nel momento in cui aveva pronunciato il nome del suo ragazzo.
«Percy?» ripeté questa volta con più sicurezza, per accertarsi che la presenza che aveva appena percepito si fosse mossa nell’esatto momento in cui aveva sentito pronunciare quel nome o se fosse stata solo una coincidenza, una corrente d’aria innocua e innocente.
Non fu così. Un sussulto, quasi come se qualcuno stesse trattenendo il respiro dinanzi a lei. Quasi come se qualcuno…avesse sentito il suo nome, si fosse sentito chiamato in causa.
«Percy?» chiamò di nuovo, stringendo le lenzuola con ossessività. Chi c’era?
Ripeté il nome del ragazzo tre volte prima che qualcuno si facesse vivo davanti a lei. O meglio, qualcosa.
Un paio di occhi smeraldini avanzavano verso Annabeth, grandi, belli e preoccupati come l’ultima volta che la figlia d’Atena li aveva visti. Quelli erano gli occhi di Percy Jackson, ne era sicura.
Gli si avvicinò, aguzzando la vista nel buio che li avvolgeva. Non appena fu abbastanza vicina a quegli occhi questi si sgranarono, e Annabeth percepì un sorriso appena sotto di loro.
E sorrise pure lei, perché finalmente poteva rivedere quegli occhi e sentire quel sorriso, lo stesso che un tempo scompariva per fare spazio alle sue labbra, alla sua lingua.
Finalmente Percy Jackson era tornato a casa.

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Capitolo 3
*** 3 ***


«Quanto tempo sono stato via?» domandò il figlio di Poseidone, pressando gli alluci nella sabbia, che sembrava quasi accoglierlo riconoscendolo.
«Un anno»
Percy aggrottò la vista.
Un anno?
Davvero era stato via per così tanto? E davvero la sua ragazza era rimasta ad aspettarlo per tutto il tempo?
Ad un certo punto si sentì scosso da brividi, il tutto mentre cercava di ricordare quale folle incontro lo avesse trattenuto per un lasso così lungo dentro quell’inferno.
Erano state le arpie ad averlo tenuto prigioniero per troppo tempo?
O erano state le acque del Cocito ad averlo cullato fino ad averlo fatto affogare nella solitudine e disperazione?
O ancora era stato Damaseno, il gigante buono, ad averlo cullato a tal punto da avergli fatto dimenticare qual’era il suo obiettivo?
Per quanto potesse scavare in quei ricordi così brutti che oramai si erano radicati dentro di lui, Percy non riusciva a dare un senso a così tanti mesi d’assenza. Che fidanzato orrendo era stato?
Probabilmente Annabeth si accorse di quei brividi, e istintivamente cercò di mettergli le braccia attorno alla vita. Il ragazzo però, ancora tremante, si ritrasse, qualcosa dentro di lui che gli diceva di non farsi toccare dalla figlia d’Atena.
Annabeth s’accigliò.
«Tutto bene?» domandò.
Percy annuì, anche se non si sentiva pronto per altro contatto fisico.
Ci fu un attimo di pausa tra i due, dove il figlio di Poseidone si ritrovò a fissare il mare. Da qualche parte c’era suo padre, che probabilmente applaudiva e gli dava il bentornato godendosi alcolici e meravigliose donne, il tutto mentre sua moglie lo osservava con occhi colmi di rabbia.
«Wow, non è cambiato proprio niente!» esclamò infine Percy, sbrogliando la matassa di argomenti che ad entrambi passavano per la mente e scegliendo quello più superficiale.
Se Annabeth gli avesse chiesto del viaggio nel Tartaro sarebbe collassato a momenti, troppo difficile ricordare.
«Eh già. Ci siamo impegnati al massimo per non farti sentire a disagio quando saresti tornato. Ci siamo riusciti?» ridacchiò la ragazza, tutt’a un tratto il volto rischiarato da un sorriso sincero, nonostante ci fossero i soliti occhi preoccupati ad accompagnarlo.
«Ti abbiamo aspettato tutti qui, sai?» continuò poi, improvvisamente nostalgica. Percy non sapeva che dire. Anche lui aveva aspettato, forse fin troppo. «Chirone, Grover, Jason, Reyna…perfino Nico. Ma tu non sei mai tornato.»
Il figlio di Poseidone non ebbe il coraggio di guardarla in faccia. Era stato terribilmente meschino, un traditore. Avrebbe dovuto avvertire, avrebbe dovuto dire qualcosa prima di tornare.
O forse, sarebbe dovuto tornare un po’ prima.

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