Bokeh

di Rhymesketcher
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il diamante ***
Capitolo 2: *** Propositi per l’anno nuovo ***
Capitolo 3: *** Orsa Maggiore ***
Capitolo 4: *** Scendendo le scale la molla radice ***
Capitolo 5: *** Alla fine di te ***
Capitolo 6: *** Folk ***
Capitolo 7: *** Cinismo ***
Capitolo 8: *** In Salute e in Malattia ***
Capitolo 9: *** Timidezza ***
Capitolo 10: *** Abbandonarti a me ***
Capitolo 11: *** Polaroid ***
Capitolo 12: *** Figli dei fiori ***
Capitolo 13: *** Lampo di nota verde ***
Capitolo 14: *** Accartocciata ***



Capitolo 1
*** Il diamante ***


IL DIAMANTE

 

Lei è un profanatore di tombe:

si è fatto strada nelle rovine del mio animo,

e senza ch’io me ne accorgessi, in un attimo

ha fatto suo quel disperso cristallo in cuor mio.

 

Prima che io sapessi che non era mio,

lei già l’aveva posto nella miglior teca,

e non quelle sterili dove, spettri, ci si reca, 

ma più nel profondo... in cuor suo. 

 

Sapeva che io mi innamorai 

delle canzoni che credetti non sentire mai,

sapeva che io volessi che quel diamante

 

fosse rubato da lei soltanto...

Diamante dimenticato dagli occhi della gente,

Rubato da lei 

soltanto.

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Capitolo 2
*** Propositi per l’anno nuovo ***


PROPOSITI PER L’ANNO NUOVO

 

Voglio portarti 

fra le mie braccia,

furtivamente,

accanto al tepore dell’uscio,

dinanzi alla porta dell’avvenire. 

 

Scarnificare

ogni singola zolla di te, 

fino a che non vi sarà più nulla,

che la calda perla 

che hai sotto la pelle.

 

Librarmi con te 

su un alito di brina, 

che fa musica d’inverno;

Abiteremo un carillon senza tempo,

a piccoli passi sul ghiaccio, 

incastonati nel cuore di cemento

di questo sordo e grigio mondo. 

 

Partire alla ricerca

del suono dell’ossigeno

e delle note del flusso,

quello che ci avvolge da sempre,

deboli atomi scelti

fra la moltitudine di gente.

 

Ascoltare 

poggiando sulla tua spalla 

l’albeggiare del mattino, 

trovare calore in un piccolo camino

in riva al mare, 

mentre fuori della bolla è freddo

E tutto tace. 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Orsa Maggiore ***


ORSA MAGGIORE 

 

Fermiamoci.

 

Nel flusso represso dello stesso, solito

trambusto; sornione continua verso valle 

l’affluente di persone, senza la cognizione 

del traguardo. 

 

Fermiamoci:

guardiamoci un poco. 

 

La tua mano riposa calda nella mia, 

soffici nella sabbia i granelli,

umile e freddo tappeto per i polpastrelli

delle nostre dita. 

 

Fra i nostri pensieri tropicali che sanno di ciclone e di vorticosi crucci; sballottati senza

pietà dall’incombere dei punti interrogativi

che ci minacciano come strapiombi senza

valle,

 

Fermiamoci.

 

E guardiamo un po’ altrove. 

Guardiamo un po’ le stelle:

 

Non sarà molto, diresti:

“Faremo cose tedianti”

mi dicesti;

come fermarsi,

con le gambe umide del flusso, 

e guardarsi, 

tenersi per mano 

ore, 

su granelli di sabbia dispersi.

 

Fermiamoci,

e facciamo l’amore

trasportati dal Grande Carro

dell’Orsa Maggiore.












Ciao a tutti, è da 42 e passa poesie che non parlo con voi direttamente. Sono tornata con un aggiornamento un po’ diverso... ho cercato di mettere insieme gli opposti come al solito: il flusso inesorabile della vita di superficie, quello che sa di monsoni tropicali, e quei piccoli varchi di luce in cui ti fermi, e anche semplicemente guardare le stelle ti fa ricordare che è da lì che inizi a vivere. Spero che vi sia piaciuta questa poesia, alla prossima!


RhymeSketcher

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Capitolo 4
*** Scendendo le scale la molla radice ***


 

SCENDENDO LE SCALE LA MOLLA RADICE 

 

Ballerina mei sentimenti, 

come un giunco che si piega al minimo alito di vento. 

Così mi si crede: spadaccina notturna 

e bendata, crudele come la fortuna

mentre come trottola fende senza pietà.

 

Ma al di sotto del nero velluto

si respira l’umido del pianto,

Il tremore della paura del

rimpianto. 

Scrigno impolverato all’angolo, 

custodisco fra le coperte ben poco:

quel che rimane d’una voce

e di un profumo blu dolce. 

 

Così mi si crede: piatto abisso.

Ma sotto la coltre c’é un flebile spiraglio di me,

mai morto, mai risorto,

unica luce che non m’hanno tolto

i mattoni che mi fanno paura. 

 

E scendo a poco a poco queste scale, 

Prima diciannove, 

poi ventuno, 

e subito quarantadue...

Trecento mila e più,

tenendo audace la neonata luce 

salda al petto, 

mentre ad una molla radice mi reggo.

 

Sorda scendo e perdo

briciole di sicurezza,

di consapevolezza:

ho paura di dimenticare e di odiarti, 

di confonderti uno fra tanti,

e che tu faccia lo stesso, 

lasciandomi sirenetta su un sasso. 

 

E mentre scendo le scale 

dando il braccio alla molla radice, 

mi fermo,

e penso

e ricordo

che al primo scalino,

in equilibrio sul ballatoio,

c’eri tu e mi prendesti la mano,

mi baciasti per primo, 

e mi dicesti 

che mi avresti condotto lontano. 

 

E piango...

Di gioia. 

 

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Capitolo 5
*** Alla fine di te ***


Alla fine di te 


 


 

 

Cala forte un sipario di stelle:

muto. 

Una cortina di lana luccicante pesa

sulla testa, sul mio petto, su di me,

mi costringe a pensare

ai chiodi arrugginiti

che varcano le viscere:

 

cosa faró

finita la notte, 

finita la musica, 

finita l’arte, l’amore e la danza?

Cosa farò

finita la sottile bellezza? 

 

Finito te?

 

Mi schiaccia il forte sipario di stelle:

muto:

un panno umido sulla faccia;

 

Cosa faró

alla fine dell’arcobaleno, 

finito il colore,

finito l’incanto, l’odore, 

l’irresistibile ardore? 

Cosa faró

col giradischi rotto, 

nelle tenebre del lutto,

scoperta la carne, la lisca

una volta in cenere la lista?

 

Cosa faró

alla fine di te?

 

Risposta: 

come il sole, inseguiró le stelle

e come le stelle sarò dietro al sole:

solo con la gloria

e la speranza

dell’eterno, tedioso rituale,

il manto forte di stelle si scioglie, 

sospira e piano sale:

 

cosa faremo 

noi due 

alla fine della danza?

 

Se solo ti stringessi forte

qui ed ora, 

il manto inizierebbe a volare:

senza farci domande,

noi,

anche se la musica non c’é,

continueremo a ballare.

 

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Capitolo 6
*** Folk ***


Folk 

 

Salgo le scale,

scricchiolano consumate

da concerti di scarpe,

di gente che salta e che sale;

 

cigolano i cancelli dell’arte

su un ventre di mura e graffiti,

e ti da il benvenuto

un soffio lontano:

t’abbandona in un angolo del quadro,

sussurrando di polvere,

sedie in vimini e tessere

del parquet, divani 

che raccontano storie

di musica ubriaca insieme,

di balli di amici le sere,

all’ombra di poche luci nere. 

 

Ci si rannicchia 

al caldo, all’indietro, 

come capriole di fumo,

ed è subito casa: 

di legno è il giardino 

dello scenario che fu,

pochi amici, una birra, poco più. 

 

Folk: coordinate lontane 

di una cartina dimenticata su un tavolo,

colora pieni i polmoni

che respirano vita, amore, pane,

la semplicità di esistere. 

 

Ed è semplice esistere agli albori

dell’avvenire,

se mi volto e posso guardarti, 

seduti e in piedi, abbracciarti, 

mentre si snodano baci 

che sanno di malto;

sognare un raggio cobalto

in una stanza di paglia

si direbbe non sia poi molto, 

ma mentre la stella si staglia

sulle risate della folla, 

il laccio blu e verde

solo due ombre abbraccia:

la mia, 

la tua, 

mentre intorno procede lo spartito, 

si fa strada l’ovatta

del suono attutito

di una moneta, una bottiglia che cade:

si frantuma al ricomporsi degli sguardi;

e sulla strada all’ovatta si cede, 

e iniziammo a ballare,

a tempo degli accordi incerti, 

e tutto sembrò melodia.

 

Le luci si spengono,

vola la polvere:

poco rimane 

di quella serata che fu,

quando fuggì la nota 

fuori dal tempo,

e si sfocó lo sfondo attorno a noi,

e sembró che il vinile che non c’era

inizió sotto la puntina

a far musica, quella sera;

ma non ero più lì,

io ero nel letto,

a contare i granelli dell’istantanea

di quella notte infinita

e temporanea. 

 

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Capitolo 7
*** Cinismo ***


Cinismo

 

Da quando piantarono in me

Il germoglio del cinismo

Niente sembrò più vero in sé:

Colossi di cenere 

Pronti a cedere ad un soffio. 

 

Ancora in queste ore

Brancolo nel buio del dubbio

Che iperbolico mi squarcia le viscere,

Non importa quante preghiere

Levi io al nulla che aleggia:

Niente sembrò più vero da allora, ed io

In equilibrio su un filo di prato,

In avanti guardo 

E confido nella nascita di ogni fiore

Che su quel filo, le mie dita intende sfiorare.

 

E se fosse di carta questa banchina

Il sudore della mia fronte, una goccia,

L’avrebbe resa già vana, 

L’avrebbe sgretolata un petalo di ansia, 

Posatosi sul filo di seta della ragnatela,

Se fosse la banchina di sogni 

Un coccio di realtà la lacererebbe. 

 

Due fantasmi 

Sospesi nel nulla

Di belle parole

Di belle persone

Fra canzoni,

Canzoni d’amore,

Eppure

Già non più sembra di carta,

La banchina che mi trasporta. 

 

Con gli occhi bassi nel vuoto

Avanzo fra la cenere del fuoco, 

In questo che non so se sia vero

O un sadico gioco. Non riesco

Ad abbandonarmi alle rime di menta

Come farebbe un’anima bambina:

Il mio cinismo ogni notte aumenta, 

Mi fa sentire burattina, mentre 

Il legno della banchina marcisce. 

 

Tu, intanto, perdona la mia precarietà, 

Abita la mia anima come termiti.

Sentimento di inutilità, di invisibilità:

La paura di perderti

Pur essendoti legata 

Su questo scoglio

Nel mare calmo

Che io vedo in burrasca. 

 

Tu, intanto, perdonami. 

 

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Capitolo 8
*** In Salute e in Malattia ***


In salute e malattia 

 

E sul letto d’ospedale, 

sognò certamente di scappare

per spiagge sterrate,

in preda alla gioventù ancora

da scontare. 

La tenerezza di una coperta

rimboccata 

da piccole dita d’amore:

ah che grande virtù

il puro sentimento di gioventù!

 

Di sicuro, sulla barella

sgangherata, poco importó

dell’ossigeno e dell’acqua:

l’unica che cercasse era nel porto, 

assieme al suo piccolo amore,

lì, su un lettino, ma in riva al mare. 

 

Sopracciglia intenerite dalla fragilità

svuotano il corridoio color menta,

e con pietà e felicità 

riaccese la lucciola, spenta

dei teneri denti non già di uomo,

ancora di bambino.

 

Per un momento l’oceano

gli sembrò tanto meno lontano,

così addomesticato ormai,

da tenerlo in un barattolo,

sul modesto comodino,

in un angolo

dimenticato. 

 

Era un bicchier d’acqua: 

ci si perse come zucchero

sparso sul bordo della medicina

dalle dolci labbra bambine

di lei.

 

Le bastò un bacio grande

come un granello di polvere

per passar da menta a verde

speranza, 

nel trambusto di barelle della stanza

d’ospedale:

bastó così poco 

per veder ancora 

il mare.

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Capitolo 9
*** Timidezza ***


Timidezza 

 

 

Guardati che dolce:

distogli lo sguardo

con quel sorriso fragile,

breve afflato di lampo.

Non farlo affievolire, 

resta così:

appoggiati, ora, se vuoi

colibrì ciano, sul mio palmo

e non aver paura. 

I bulbi dorati nella stanza

si rannicchiano con timidezza,

illuminano poco di te:

sottili spiragli verdi

che quasi sospirano,

morbide guance

che quasi tremolano, 

petali di labbra rosa

che quasi si schiudono,

un viso di casa,

che, non quasi, fa tepore. 

Lascia che le mie dita

posandosi, api, sul volto,

ti lascino riposare l’iride:

sei dolce, sognante, al sicuro.

Senza musica, sento le corde

della canzone della timidezza,

che contornano brevi baci

che non riesco a darti;

mi regali un sorriso così fragile,

senza vento, senza tempo:

resta così, 

tu.

adagio la mia frangia 

sulla fronte mogia, tua:

non aver paura,

vedo che sorride la tua aura,

(tenero fantasma cobalto)

al dischiudersi del mio volto.

Questa tiepida lana

ci rassicura, ci ammorbidisce,

ovatta la stanza:

e non è mai troppa,

solo larga, con qualche toppa,

come potrebbe altrimenti contenere

due anime così grandi eppure tenere? 

Piccolo colibrì a riposo,

sfiori la mia diafana mano nascosta

fra la maglia,

che sul tuo viso poso,

resta così:

ora, se vuoi, schiudi il verde,

e cullami in penombra di cuoio

con un tuo fragile sorriso...

... così flebile, fiamma

di candela,

quasi...

mi commuove. 

Non aver paura:

lasciami volare, lucciola

nella dolce valle 

fra collo e spalle di lana.

Non ti spaventare:

sono di carta, ma puoi scrivere

su di me, se ti va 

tutte le dolci note che sai,

ecco:

raccogli gli spariti

in un flebile abbraccio di maglia,

grazie. 

Resto così: 

a volte la debolezza muove anche me,

mi spinge, filo d’erba, a sorrisi di tenerezza. 

Ora, se vuoi, 

semina cauto carezze di grano

su questo campo di cotone,

mentre collezioni sapori di note

che gli anni passati cantavano.

Non aver paura, me stessa: 

questo tepore non può 

farti del male,

lascia seminare la tenerezza

di piccoli baci di timidezza, 

senza più lana, 

sulla pelle diafana...

... quasi una lacrima

scivola via: un frammento di luna,

entrata nella baita, di sera. 

Tenere mani imbevute, 

tremolanti, insicure, eppure ormai

coro di lucciole d’oro su di noi, 

morbide, tiepide,

non hanno più paura:

cantiamo di dolci sospiri, 

timidi, ci brilliamo dei nostri stessi respiri,

mentre senza musica, sentiamo le corde

della canzone 

della timidezza. 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti! 

Di solito non parlo molto, soprattutto adesso che la mia voce è in stallo, purtroppo. Maledetto inverno. 

La musica ed il ricordo di dolci carezze non fanno nascere poemi epici e solenni, ma piccole banalità di dolcezza... e a volte va bene così, va bene lasciarsi abbandonare alla semplicità, come sono semplici gli accordi del folk con l’acustica... eh già: scusate se è poco *spallucce*, ma anche le luci in effetti Bokeh sono molto semplici, come delle lampadine gialle in una baita... eppure riscaldano eccome. 

 

Alla prossima!! 

 

  • Rhymesketcher 
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Capitolo 10
*** Abbandonarti a me ***


Abbandonarti a me

 

“Manca un po’ di musica, non crede

Madame?”

Eravamo soli,

timidi a splendere

fra le mura di creta

blu.

Come un coro d’amici

cominciano tamburi lenti,

corde a sonagli e altri strumenti,

albeggia la gioia dell’Outback.

 

Ci culla un’onda di fortuna,

una voce, la tua 

mi rende a piccole briciole oro:

Mida. 

Inciampiamo sui nostri passi, 

“Va tutto come dovrebbe”,

si muovono a passo di poesia

le nostre ombre, e scivolano via,

nella magia della penombra. 

 

Rimasugli di corde

ci accompagnano, mi adagiano al muro:

siamo soave affresco d’innocenza, 

mentre la musica riparte,

e non vorremmo essere che qui, 

da nessun’altra parte 

che noi. 

 

Salgono sommesse le note di libertà, 

piccoli fremiti come canarini incerti, 

mentre indugia la musica nell’oscurità,

ed è subito morbida magia.

 

Ti sento vivo

oltre ogni barriera,

che mi troveresti, rannicchiata,

in ogni piccola tasca, al di là

di me, misera, stessa. 

 

Tutto parte dalla tua pelle:

siamo dimenticate carte

d’Australia, lontano dal grigio, 

sbiadite e sgargianti,

esplorate con i nostri canti, 

senza muoverci oltre che 

sulla nostra pelle. 

 

Ed ora

“Se le mie difese cedessero”

il passo a te, opera d’arte,

vorresti entrare

in questa costellazione,

“Abbandonarti a me?”

 

“Vorrei fare l’amore con lei,

Madame.”

 

Brillarono i cocci di rugiada

nei miei occhi di gioia, 

ed i tuoi di giada mi abbracciarono. 

All’unisono

eravamo,

fin sopra Urano,

scivolati i veli di difese 

dello spazio solo nostro. 

 

La più bella musica fu

in un secondo: 

il tuo viso di poesia, che senza parole

mi scriveva fiumi d’amore, 

pur senza dirlo, senza colore;

eri lì, tu, bellissimo

Apollo, 

proteggevi la tua galassia 

un numero prima del tredici, 

sussurrando poesie 

alla tua dolce musa.

 

Mai passò prima nei miei occhi

un incolmabile desiderio di canto, 

che fra le sue braccia

rannicchiata nel mio sorriso

lasciò andare caldo un pianto. 

 

Recuperai forse, commossa

l’innocenza di diamante

che dalla tela era stata rimossa

tante lune nuove prima:

l’innocenza della vita

nel guardarti vivere, da viva

dapprima sconosciuto,

poi amante, 

ed ora sapendoti

mai più da me distante. 

 

Ti avrò forse amato da sempre, 

infinita parte di me, dispersa,

e ti ho avuto per due ore.

Ma trabocca ancora la gioia,

sapendoti esistere qui ed ora, 

al mio fragile fianco,

finché il mondo esisterà

e sarà per la nostra biro

foglio bianco. 

 

 

 

 

 

Salve a tutti. 

Ci sono cose che per ricordarle per sempre basta chiudere gli occhi, ma per ricordarle vivide e pure ci vuole poesia... 

Un’abbraccio cosmico e assoluto sulle note del grande Vance Joy: credo che sia stato uno dei pezzi più belli del puzzle della mia vita fin ora se non IL più bello. Indescrivibile: ci ho provato... 

 

Alla prossima!

 

Rhymesketcher 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Polaroid ***


POLAROID


Scomposti, 
Sfocati eppure nitidi,
Sorridenti, 
Spettinati:
così vorrei il nostro scatto
di Polaroid, 
istantaneo come la miccia
che bruciò ieri sera nel blu,
sotto le carezze di ciò
che mi sussurrasti tu:
parole dolci, di luce ricolme. 
Comunque si muovano le ombre,
lasceremo la pellicola così, 
ad asciugare: 
bisogna aspettare
che si ricordi i piccoli dettagli
nell’ombra dispersi, 
lasciarli riapparire...
per quanto è concesso
ricordarcene
nitidamente com’è successo. 






 

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Capitolo 12
*** Figli dei fiori ***


Figli dei fiori 

 

 

Nella mattina imbevuta d’alba, 

Aloni di sogni evanescenti 

Sono petali incandescenti

che dal girasole al vento

Vanno. 

 

Ruggiscono feroci

Le lacrime del dente di leone:

Lentamente in paradiso

Con un soffio di speranza;

 

Ne era intriso 

Il tuo viso, umido,

Battezzato di gioia,

Adagiato nel mio palmo,

Debole come carta, 

Ma sicuro come l’olmo. 

 

E si snodano lente,

Cadenza di nozze

Le nostre dita, imperfette

Come affettuose bozze, 

Sbiadite ossa di gesso,

Impalcature per il successo. 

 

Si sradicano le radici 

Dei nostri nomi e luoghi:

Che sia lettera o prato, 

Ogni angolo di questo mondo

Farà al caso nostro 

E sarà dal nostro lato;

 

Tu intanto chiamami col tuo nome:

Rimarró sempre io, qui

Irrimediabilmente ebbra di giada,

E tu, sempre verde poesia, 

Irresistibilmente ebbro di cielo, 

Al mio fianco, diafano, bianco, 

Dimenticato ogni velo. 

 

Morbidi confini di labbra

Si stendono: arcobaleni

In sella alle distese di nuvole, 

Che ci sfioreranno 

Guance, cosce, busti, 

Deboli rimasugli di uomini, 

In preda ai soffioni, 

arenati negli arbusti. 

 

Non di molto abbiamo bisogno:

Un silenzio tremolante, 

Un riparo fra la gente, 

Un fragile mazzo di soffioni

Pronto a volar via 

Al minimo palpito d’anima tua

E mia. 

 

 

 

 

Note dell’autrice: 

Quando parte “All you need is love” dei Beatles succedono cose... e queste cose per quanto probabilmente banali vanno pubblicate. 

 

 

Alla prossima, 

 

Rhymesketcher 

 

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Capitolo 13
*** Lampo di nota verde ***


Lampo di nota verde 

 

Petali di carta raccontano di

Pigmenti d’inchiostro, si librano:

soavi scintille di fumo, 

Onirici nodi di nulla;

Eppur un punto nero su carta

Mi sfiora l’orecchio e mi culla, 

Eterea polvere di sogni, 

Concreta come fiori in terra. 

Sono forse nulla i colori

Delle luci della sua corona,

mio lampo di nota verde? 

 

Disincanto nel suono che disperde,

E a sentire dolci parole mi incanto;

Spicciola poesia senza monete, 

Dita bambine sul viso, 

Un corpo, una scaglia d’anima, 

Uno schivo sorriso:

Molto da offrirti non ho,

Mio lampo di nota verde, 

Niente che possa farmi avanzare

Senza tremare, al suono del nome

Con cui decidesti di baciarmi. 

 

E di baciarti ho deciso questa sera,

All’ombra del palco, sorretti da una tenda, 

Per donarti una misera goccia di vertigine,

Ma mai quella della raggiera che in te 

Riposa, e al mio sguardo, tenue, si desta. 

 

Soffuso, piccolo cuore, ti prego,

Affaticati nei limiti del sogno, 

E voi, vene, bevete il sangue che riuscite:

Di voi su questa stella ho bisogno, 

E di te, 

mio lampo di nota verde, 

Non andare mai altrove che 

dove possa ascoltare la tua voce

recitare il nome con cui decidesti

Di baciarmi. 

 

Si è frantumato un mondo di specchi,

E i cocci di pittura conservano i tratti

Sanguinanti del mondo corrotto:

Da soli, con un gesto, con un bacio,

Con inchiostro e musica adagio 

L’abbiamo finalmente rotto,

Ed ora girerà al contrario

L’orologio del musicista e dell’artista, 

Con tutti i numeri a posto, 

Come dovrebbe essere. 

 

Niente più dolori, 

Niente più domani, 

Solo tempo incalcolabile, 

Strada di carta interminabile, 

Carburante di pittura;

Tutti i colori sono al loro posto:

Insieme sono bianca luce

E nerissima terra,

E noi saremo eco 

Attraverso il suono che disperde,

Mio lampo di nota verde. 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Salve!

Una piccola one shot ogni tanto non guasta mai, ma era troppo in tema per non metterla in “bokeh”, quindi nulla, mi sa che questa raccolta verrà continuamente aggiornata con queste spicciole idee che mi vengono in testa durante situazioni molto molto speciali! 

Perdonatemi se sono scomparsa per un po’, ma è periodo di esami e sono impegnata per dare il massimo di me stessa, ma sto riprendendo a lavorare alla raccolta di Vernice Calibro 42, quindi a breve la aggiornerò con piacere, sperando che voi abbiate gradito questa poesia e gradirete le prossime! 

 

A presto, 

Rhymesketcher 

 

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Capitolo 14
*** Accartocciata ***


Accartocciata 

 

 

 

Mi rannicchio verso casa,

Lungo il vialetto desolato, 

Ogni tanto passo di qua, e

Mi ricordo della pagina 

Accartocciata 

Sull’altra soglia. 

 

Da tempo ormai l’ho abbandonata, 

Logora, distrutta, 

Dimenticata, 

In un angolo di pioggia. 

 

Mi rannicchio nel tepore del pensiero

Dei sospiri dell’alba notturna, 

Ma non mi dimentico di te,

Accartocciata, 

Abbandonata:

Sola, ti ritrovo imbruttita

All’angolo della strada. 

 

Ogni qualche goccia 

Passo di quà, 

A chiederti, muta, 

“Come stai?”

E ti ritrovo persa,

Smarrita senza la penna

Che da tempo ormai altrui impugna. 

 

Il gelo è troppo verace per tornare 

Da te, essere di nuovo cornice 

Di un mediocre foglio sterile. 

Mi dispiace:

Mi rannicchio verso casa, 

Lungo il vialetto desolato, 

Passerò ancora di qua, 

Sperando di averti dimenticato. 

 

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