Love on a real train

di fumoemiele
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


 
 
Love on a real train
1
 
 
 
                 
Stefan Butler aveva trascorso quasi un anno immobile davanti al suo computer vecchio e antiquato.
Aveva spesso sentito il bisogno di svuotare una tazza di tè sulla tastiera1, o di distruggerlo prendendolo a calci e pugni fino a sentire le nocche delle mani fratturate e fino ad aver cestinato tutto il lavoro svolto in quei lunghi mesi.
Tutti dicono che quando qualcosa ti piace davvero è un piacere, farla. Ti consigliano di inseguire il lavoro dei tuoi sogni fino alla fine.
Stefan aveva seguito il suggerimento di suo padre, pur odiandolo per una lunga serie di motivazioni che non starò qui a spiegarvi, non adesso.
Si era messo a lavoro subito dopo aver letto e riletto il libro di Bandersnatch. Aveva una copertina dai colori caldi e non sapeva se sua madre l’avesse mai letto, quand’era viva. L’aveva trovato fra le sue cose e aveva pensato che l’autore avesse avuto un’idea geniale, scrivendolo, e una mente davvero complicata, piena di doppi fili.
Bandersnatch era uno di quei libri capaci di farti scegliere la tua storia. Scegli un percorso e vivi un’avventura andando alla pagina che ti suggerisce la scelta che fai. E Stefan per mesi era rimasto rinchiuso in camera a vivere ogni percorso bizzarro.
Finché non gli era venuta in mente l’idea giusta. Rendere Bandersnatch non più soltanto un libro, ma anche un videogioco. Uno di quelli in cui vivi la tua storia e affronti le conseguenze di ogni scelta presa.
Non sapeva quanto complesso fosse in realtà da sviluppare. Non sapeva quanto dover scegliere fra doppie possibilità potesse anche influenzare il suo modo di vivere e di osservare la vita.

Un anno dopo, tuttavia, Bandersnatch era pronto. Un videogioco interattivo, originale, frutto solo del suo lavoro e del suo sudore. Nessuno l’aveva aiutato nella grossa scalata verso il successo, il denaro e un lavoro stabile. E così Stefan, appena uscito dall’adolescenza, stringeva fra le dita una copia del suo videogame e aspettava, in anticipo, l’attesa degli invitati alla convention. Gli stessi che avrebbero assistito a un suo discorso inerente al videogioco.
Creare quel discorso, secondo Stefan, era stato più complicato che scrivere il videogame stesso senza allontanarsi troppo dalla versione originale del libro. Lui non voleva rovinarla, quell’opera che gli era entrata nel cuore, voleva solo risaltarne la bellezza.
E c’era riuscito, Bandersnatch era risultata un’idea originale, nuova, innovativa. Nel 1984 ancora non si era mai sentito parlare di interattività, di scelte binarie nei videogames, e se qualcuno ci aveva pensato ancora non c’erano prove lampanti che ciò si potesse davvero fare, con un computer. La Tuckersoft2 aveva accettato all’istante di vendere il videogioco, trovandola un’idea geniale e proponendogli l’aiuto di un intero team di collaboratori.
Tuttavia, Stefan aveva deciso di volerci lavorare da solo, a casa sua, e questo aveva rischiato di condurlo alla follia per le scadenze strette e rimandate comunque troppo a lungo.
In quel momento, però, si trovava lì. Pronto a presentare il suo videogame, insieme a “Caduta libera”3 di Colin Ritman.

Quello era il dettaglio che più di tutto lo spaventava.
La presenza di Colin, lì.
Aveva avuto modo di parlarci una volta sola.
Quando era andato a proporre il suo videogame ancora da completare alla Tuckersoft, aveva confessato al direttore di aver giocato a tutti i giochi programmati da Colin. In modo impacciato e con le gote arrossate, all’epoca, gli disse di essere un vero fan di Colin Ritman. Di vederlo come una specie di idolo distante anni luce. Invece, in quel momento pieno d’agitazione, Colin era seduto su una sedia di quelle con le rotelle, una sigaretta confezionata dalle sue dita stretta fra le labbra e i piedi appoggiati sulla scrivania, mentre scribacchiava qualcosa sulla tastiera del suo computer.
“Oh, accidenti! Allora vieni con me, te lo presento! Sta lavorando al suo nuovo videogame!”.

Per Stefan era stato un momento davvero imbarazzante, quello.
Aveva avuto modo di osservare Colin solo attraverso lo schermo del televisore, prima di quel giorno. Ne aveva sentito parlare dai migliori critici del periodo, aveva visto tutti esaltare i suoi giochi innovativi, geniali, i frutti di una mente fuori dal comune.
Colin gli aveva stretto la mano, si era presentato, e Stefan aveva borbottato “So chi sei, ho giocato a tutti i tuoi videogames”.
Colin gli aveva sorriso e poi si era interessato al gioco prodotto da Stefan.
L’aveva trovata una buona idea, la sua, qualcosa di abbastanza innovativo e geniale. Qualcosa capace di vendere, soprattutto, che poi è il fine ultimo di ogni cosa.
Stefan era tornato a casa sentendosi euforico, felice. Aveva avuto modo di parlare con Colin Ritman e aveva avuto l’occasione di osservare sullo schermo il nuovo videogame a cui stava lavorando.
Un anno più tardi si sarebbero ritrovati nella stessa stanza, di nuovo, a condividere il successo. Una fama a cui Stefan, che era appena entrato in quel mondo bizzarro, ancora non aveva accesso. Mentre per Colin l’uscita del nuovo gioco era solo una serie di dollari che entravano ancora nelle sue tasche, come se non ne fossero già piene.

Per Stefan quella era stata una serata davvero stressante.
Si sentiva colmo di emozioni diverse. Era attraversato dalla gioia dovuta a tutte le persone che l’avevano guardato con ammirazione, mentre balbettava per spiegare come gli fosse venuta in mente l’idea di un videgioco ispirato al libro di Bandersnatch. Si era sentito agitato quando gli erano state poste alcune domande sull’autore originale ormai morto e che aveva lasciato tutti sconvolti.
L’autore del libro interattivo, infatti, era arrivato alla follia durante la sua stesura. Aveva ucciso sua moglie e aveva iniziato a disegnare un simbolo sulle pareti con il suo sangue, tappezzando tutto di rosso, senza dare alcuna spiegazione sulla natura di quelle quattro linee.
Questo poteva essere un incentivo a comprare il videogioco, poiché dava un’aria tetra e lugubre al tutto. Da un’altra parte, però, J. F. Davis secondo Stefan non era davvero matto.
Era più un genio incompreso.
E Colin era d'accordo.

Fu proprio la sfilza di domande che gli arrivò in merito a J. F. Davis e a cui non sapeva rispondere, il problema. A un certo punto non era più stato capace di collegare i punti e trovare risposte in grado di farlo sembrare una persona sana di mente.
Stefan sapeva di essere distante dalla normalità, per questo tutto era diventato più difficile.
Colin l’aveva salvato da quella situazione asfissiante. A qualche metro di distanza, appoggiato a una parete su cui era appesa una locandina di “Metalhedd”, uno dei suoi tanti videogiochi, gli aveva fatto cenno con il capo di seguirlo fuori da lì.
Stefan si era guardato intorno, si era chiesto se quella fosse un’allucinazione, alla fine non era stato in grado di sopportare la tensione, aveva balbettato delle scuse al microfono ed era uscito dalla sala con passo affrettato.

Fuori dalle quattro mura allestite per l’evento, l’aria fresca di gennaio accarezzava la sua pelle pallida. Un lieve vento rimbombava fra i palazzi, rendendo il giardino lugubre. Alcune stelle brillavano in cielo, rovinate dall’inquinamento luminoso. Tuttavia, i lampioni producevano una luce flebile, rendendo ogni ombra più accentuata, ogni cosa aveva dei tratti netti come se fosse soltanto disegnata, e non reale.
«Volevi parlarmi di qualcosa?», chiese Stefan, avvicinandosi alla figura di Colin. L’avrebbe riconosciuto ovunque. Un po’ perché i suoi capelli biondi – a volte anche gialli – non si potevano confondere con quelli di un’altra persona. Un po’ perché il suo sorriso storto sarebbe stato capace di trovarlo anche fra un milione di labbra distese.
«No, volevo solo tirarti fuori da quella brutta situazione. Ho provato a ricordare la prima volta che ho presentato un videogioco. Ero così teso che prima di salire sul palco ho fumato almeno dieci canne. Infatti per il resto non mi ricordo un cazzo, di quel giorno. Probabilmente ne ho dette, di stronzate», rispose Colin. Si avvicinò una canna alle labbra. Stefan capì che non era tabacco quando l’odore forte della marijuana s’insinuò nelle sue narici, disturbandolo un po’.
Tentò di sorridere, incapace di riuscirci. Aveva appena affrontato uno dei suoi più grandi incubi, quello di ritrovarsi a parlare di fronte a una folla di persone, e si era ritrovato con un pesante nodo allo stomaco e con Colin Ritman davanti, occupato a parlarci come se fossero colleghi da sempre, come se fossero amici, o qualsiasi altra cosa impone a due esseri umani di mettersi a dialogare.
«Tieni, fuma. Ti aiuterà», disse Colin, passandogli la canna.
Stefan sentì di voler rifiutare, ma non ci riuscì. Sarebbe stato capace di qualunque cosa, pur di rimanere lì con Colin, l’unica persona che ammirava dell’intero pianeta. Non era mai stato uno di quelli che vanno matti per alcuni cantanti, registi o pittori. Aveva sempre provato una sincera ammirazione, però, per Colin Ritman. Perché era strano, bizzarro e geniale. Perché era come un modello da seguire, per lui.
Era abituato a fare delle scelte sbagliate, programmando un gioco fatto proprio di questo.
Poteva applicare Bandersnatch a più aspetti della sua vita, poteva aiutarsi con la sua stessa creazione.
Immaginò le conseguenze delle sue azioni. Se avesse aspirato dal filtro tondo che stringeva fra l’indice e il medio tutto sarebbe diventato ovattato e tranquillo, insieme alla presenza stessa di Colin. Se avesse rifiutato l’ansia sarebbe rimasta lì sul suo stomaco, occupata a tormentarlo per il resto della serata.
Decise di usare il trucco e di darsi una calmata.
Sorrise a Colin e si domandò se anche il suo sorriso fosse storto come quello dell’altro. Forse era un difetto da programmatori di videogiochi, forse no. Forse era semplicemente troppo agitato per pensare con coerenza a tutte le avventure che quella notte gli riservava. 



1 – Diverse volte, nell’episodio interattivo, ti viene chiesto di fare una cosa  tipo 'uccidere tuo padre' oppure ‘rovesciare il tè sulla tastiera/distruggere il computer’, dunque è un riferimento al film.
2 – La Tuckersoft è la società che fa effettivamente quella proposta a Stefan e decide di vendere il suo videogame; la stessa società a cui aderiscono i videogame di Colin.
3 – “Caduta libera” è l’ultimo videogame programmato da Colin. Anche "Metalhedd". 

                         



Non serve farmi sapere che ho già due long in corso e una raccolta abbandonata a se stessa. Né serve ripetermi che ho almeno altre due shot sul pc pronte e che vanno pubblicate. 
Io però questa mattina mi sono svegliata con l'intenzione di terminare questo primo capitolo e pubblicarlo perché... perché l'alternativa era riguardare Bandersnatch per la quinta volta nell'arco di... quanto, un mese?
Inutile dirvi quanto sono innamorata di questi personaggi e quanto mi sono affezionata a loro in così poco tempo... stanno nascendo tanti video fanmade su youtube e io ci muoio, il mio cuore non regge... dovevo contribuire. <3
Ora, però, passiamo a chiarimenti seri e che sono d'obbligo perché boh, non si è capito cosa ho combinato con 'sta storia.
Parto dicendovi che DOVREBBE essere una mini-long, ma siccome non ho il dono del riassunto e mai lo avrò, se poi diventa una long non mi linciate, okay?
E parto anche dicendovi che per questa storia dubito ci saranno aggiornamenti frequenti. Ho davvero tanti progetti a cui sto lavorando, fra cui un libro illustrato di racconti horror scritti da me e disegni di artisti diversi, e portare avanti tutto diventa difficile. 
Questa storia è una AU solo per un piccolo-piccolo fattore: non c'è nessun giocatore che controlla Stefan, non siamo in un film interattivo. Tuttavia, è un mio obiettivo rendere la lettura comprensibile anche a chi non ha guardato l'episodio e spero che fino a qui vi sia risultato tutto chiaro. Ordunque, ho ripreso l'anno in cui è ambientato l'episodio e ho ripreso il luogo, ho ripreso i caratteri e le personalità di entrambi, ho ripreso il luogo che dà lavoro a tutti e due. Ho ripreso la scena in cui i due si incontrano per la prima volta - solo quella, il resto è mia invenzione -. Cosa è cambiato? Che nessuno controlla Stefan, sostanzialmente, e ho "eliminato" la questione dei multiversi - ma non temete a riguardo, non temete -. 
Se avete letto l'altra mia shot nel fandom, vi domanderete: Perché Colin appare quasi normale? Perché non è un complottista nato? xD
Dovete solo dargli tempo. Non potevo sbizzarrirmi granché qui, visto che per ora siamo solo all'inizio. <3
Il titolo della storia è anche il titolo di una delle colonne sonore di Bandersnatch.
Detto questo, vi ringrazio tanto tanto se siete giunti fino a qua. 
Alla prossima. <3
 

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


 
 
Love on a real train
2
 
 
 

Mohan Thakur, il direttore della Tuckersoft, non aveva apprezzato l’uscita scenica di Stefan.
Sapeva quanto poteva essere difficile per un ragazzo di quell’età infiltrarsi in un mondo all’apparenza tanto minaccioso, ciò non gli dava comunque il permesso di rovinare i suoi affari. Stefan poteva essere un ottimo programmatore, ma doveva anche imparare a controllare il panico. Tutte quelle persone erano lì per lui, per ascoltarlo, e la questione di J. F. Davies, l’autore del libro di Bandersnatch, era uno di quei dettagli capaci di rendere il suo lavoro ancora più interessante.
Jerome F. Davies aveva decapitato sua moglie, terminata la scrittura del suo romanzo. Era arrivato alla follia e aveva disegnato un glifo raffigurante una biforcazione lungo le pareti della sua casa.
L'aveva tappezzata completamente di sangue, cazzo. 
Stefan sarebbe arrivato a comprendere, tempo dopo, qual era il vero senso di quelle poche linee. L’illuminazione gli era arrivata ritrovandosi a disegnarle anche lui, quasi in modo ossessivo, imbrattando i fogli bianchi d’inchiostro. Ogni volta che scriveva uno schema e che divideva il gioco in scelte si ritrovava a disegnarlo. Così aveva compreso perché J. F. Davies ne fosse ossessionato: l’aveva disegnato fino a non capirci più niente, fino a non distinguere più la realtà dalla finzione, le scelte sbagliate da quelle corrette.
Tuttavia, Stefan non poteva spiegarlo a quella folla di gente convinta che J. F. Davies fosse un pazzo assassino e basta.
Spiegare il perché di quel disegno sarebbe stato come giustificarlo, e come scavarsi una fossa da solo.
Secondo alcune voci, anche Stefan presto sarebbe giunto alla follia, poiché aveva avuto la stupida idea di continuare quel lavoro maledetto.
Stava spiegando proprio questo, a Colin, quando Mohan era uscito in giardino, aveva cercato i suoi due dipendenti con lo sguardo e si era avvicinato per fare una strigliata a entrambi.
«Colin, smettila di fumare quella merda. Hai uno stipendio che ti ha concesso di acquistare una Lamborghini, perché diavolo non te le compri già rollate, invece di sprecare tempo?», domandò, avvicinandosi ai due con il pancione ricoperto dalla camicia bianca.
Colin sorrise, divertito. «Nelle sigarette già pronte c’è la stricnina1», rispose. Ne era fermamente convinto, ma non era quello il punto. Mohan non aveva ancora compreso che, sebbene fumasse sigarette da lui rollate, c’era una netta differenza fra quelle e la canna quasi terminata che stringeva fra le dita.
Stefan iniziò a ridere, trovando quella situazione comica.
Colin si sentì soddisfatto. Aveva raggiunto l’obiettivo di fargli dimenticare il peso di quella serata ricca di tensione e ansia, se riusciva a divertirsi così davanti ai soliti battibecchi fra lui e Mohan.
Il direttore si grattò la barba ispida. «Cosa c’è di divertente, Butler? Dovresti tornare dentro a soddisfare le domande dei clienti, invece di stare qua fuori a farti trascinare da Colin».
«Oh no, basta, ti prego», sospirò sconsolato. Non aveva alcuna voglia di tornare in quel covo pieno di esseri umani pronti a tormentarlo con un milione di quesiti a cui non poteva rispondere. «Ormai ho risposto a tutto. Non vorrebbero sapere cosa ne penso di J. F. Davies, è meglio se rimango qui fuori».
Mohan se lo aspettava, da un fan di Colin, un comportamento fuori dalle righe come quello di Stefan. Aveva iniziato a credere che sarebbe stato un ragazzo pieno di sgradevoli sorprese, pur capace di portarsi da solo uno stipendio a casa. Quando l’aveva visto aveva compreso che i problemi non sarebbero mancati. I programmatori di videogiochi erano dei personaggi troppo bizzarri e troppo anormali per essere compresi da una mente semplice come la sua.

Quindici minuti dopo Stefan e Colin avevano abbandonato la presentazione dei videogiochi, camminando nel gelo inglese, scossi talvolta dai brividi causati dal freddo. E, per Stefan, dalla tensione che gli creava quella situazione che era completamente fuori dall’ordinario, e al tempo stesso semplice e tranquilla come una notte qualunque.
«I videogame sono uguali alla vita», diceva Colin, aspirando una boccata di fumo. «Noi programmatori siamo come Dio. Possiamo controllare tutto, possiamo scegliere come far andare le cose, possiamo formare i percorsi. Allora mi chiedo… e se fossimo in un videogame? Non è un’idea stupida, se ci pensi, non credi?».
Stefan, corrotto dalla sua prima canna, non riuscì a evitare di esplodere in una risata. Complice anche il nervosismo che gli attanagliava lo stomaco, dovuto alla presenza dell’altro. Stava camminando a quell’ora della notte insieme a Colin, stavano parlando del più e del meno come una vecchia coppia di amici. Poteva succedere qualcosa di ancora più strano?
Certo che sì. Quella notte era appena iniziata.
«Beh, se è così allora Dio non è capace di programmare in modo decente», commentò alla fine, stringendosi nel giubbotto di jeans.
«Tu credi? Quegli alberi sono in 3D, accidenti», sorrise Colin, sollevando un dito in modo svogliato per indicare i rami scossi dal vento.
«Beh, Bandersnatch è un gioco migliore», tentò Stefan.
«Non capisco. Come diavolo hai fatto a non impazzire, con quel videogioco? Insomma, è pieno di scelte assurde».
Stefan rise. «Ci sono andato vicino».
Era vero; tutte quelle scelte avevano rischiato di friggergli il cervello peggio dell’elettroshock. Era stato utile avere un libro a cui ispirarsi e da cui prendere i percorsi. Se avesse dovuto inventare tutto, nessuno gli avrebbe impedito la reclusione con camicia di forza annessa in un qualsiasi istituto.
«Beh, hai rischiato parecchio. Davis è impazzito e ha decapitato la moglie, tu mi sembri anche troppo normale», commentò sincero Colin.
Gli era piaciuta quella storia, l’aveva trovata bizzarra e macabra. E assurda, per certi versi. Uno scrittore impazzisce scrivendo un libro a più percorsi, decapita la sua amata e poi tappezza le pareti con un glifo. E ancora, nonostante fossero passati anni, nessuno era arrivato a capire cosa diavolo significasse, quel simbolo. Proprio per questo decise di chiederlo a Stefan. Forse poteva saziare almeno quella curiosità.
«E a proposito… che mi dici del glifo? Hai scoperto qualcosa?».
Stefan annuì, distratto solo all’apparenza. «Hai carta e penna dietro?», chiese.
«Chi diavolo se li porta dietro?», rispose l’altro.
«Beh, non so come spiegartelo così», si difese Stefan.
«Allora andiamo a casa mia. È a qualche isolato da qui. Ti va?».
Stefan restò in silenzio per un po’, incapace di comprendere se quella proposta fosse davvero valida. Gli sembrava troppo bella per essere vera. Insomma, non capita certo tutti i giorni di avere il proprio idolo di fronte, curioso del lavoro svolto, pur essendo nettamente superiore in quel campo.
«C-certo», balbettò alla fine.


1 - questa risposta è ripresa da Bandersnatch. 
 


Lo so, lo so, sono passati secoli dall'ultimo aggiornamento, ma ero bloccata a metà. Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo e a postarlo.
Come potrete notare, non è lungo come al mio solito. Tutt'altro. Spero non vi dispiaccia se mi manterrò su un conteggio minore di parole, rispetto alle solite 3000-4000 che vi faccio divorare con le altre storie xD
In questo capitolo non succede molto, ma potete intuire verso che strada andiamo. 
Beh, oltre alla strada che conduce all'appartamento di Colin, obv :D
Vi ringrazio se siete arrivati fino a qui, e se avrete la pazienza di lasciarmi una recensione. <3 
Intanto, lettori delle Caramelle, non temete che domani arriva anche il capitolo nuovo di quella storia ;)
Alla prossima! <3
 

 

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Capitolo 3
*** 3 ***


 
 
 
Love on a real train
3
 
 
 
               
I nove piani che dovettero percorrere a piedi non furono piacevoli tanto quanto la fuga dalla presentazione dei videogames. A Stefan pareva piuttosto assurdo che, con lo stipendio che ricavava Colin, non potesse acquistare un appartamento dotato di un ascensore, tuttavia sapeva quanto l’altro fosse sopra le righe, quindi non se ne preoccupò troppo e arrivò all’ultimo piano con il fiatone.
Dell’appartamento di Colin lo colpì la lampada psichedelica blu, ferma sul comodino. Delle bolle di diverse dimensioni galleggiavano fluorescenti, occupandogli la vista intorpidita dalla stanchezza. Era stata una giornata pesante da sopportare, circondato da troppi esseri umani e non nella bolla sicura che era la sua camera, quella in cui si era rinchiuso per mesi con lo scopo di lavorare al progetto.
Si accovacciò sulle ginocchia per osservare la lampada. Un frammento della vita di Colin. In quell’appartamento gli sembrava di vederci la sua vita nascosta sotto alcuni astuti indizi, sciocchi inganni.
«Mi stavi parlando del glifo», disse Colin, scacciando via il silenzio che si era andato a formare, sopprimendo i sospiri dovuti al salire tutti quei piani di fretta. Gli indicò un pezzo di carta e una penna dall’inchiostro blu, poste sul tavolino di fronte al divano su cui aveva lasciato cadere pesantemente la schiena.
«Non c’è nulla di strano, in questo disegno», cercò di spiegarsi Stefan, prendendo posto di fronte a lui per afferrare la penna fra le dita sottili e tracciare quattro linee dritte sulla carta bianca.
«Ti ricordo che lo scrittore di Bandersnatch ha decapitato la moglie e ha tappezzato le pareti con quel coso», commentò l’altro, schietto. Curioso di capirci qualcosa, di quella faccenda, perché lo stuzzicava terribilmente.
«Rappresenta la scelta binaria», proseguì, nel tentativo di riassumergli tutto in modo chiaro e coinciso. «Qualsiasi scelta ha delle conseguenze, e sono sempre due. Serpeggiano come radici. Quando Davies decideva le varie possibilità, i vari finali del libro, lo disegnava continuamente per schematizzarle. In maniera involontaria, mentre programmavo le scelte del videogioco, ho iniziato a disegnarlo anche io per avere un quadro ordinato. Credo gli sia entrato in testa per questo… lo disegnava continuamente e senza rendersene conto, per dividere tutto in scelte».
Colin si avvicinò una canna alle labbra, ascoltando le parole di Stefan con attenzione, scrutando i dettagli del suo volto annebbiati dalla stanchezza, dal buio troppo scuro che brillava all’esterno dell’appartamento, all’esterno di quelle vite che si addentravano in un vicoletto altrettanto spinoso e macabro.
Stefan scrisse alcune parole intorno al glifo. Aveva creato un gioco intero basato su quelle scelte e in quel momento non riusciva a venirgliene in mente nemmeno una.


 
Vuoi andare avanti?
|
_____
|             |
Sì         
 No

«Non è nient’altro che questo: una scelta binaria», spiegò, girando il foglio dall’altro lato per mostrarglielo.
Colin annuì. «Chiaro», disse, «ma mi sembra troppo semplice e riduttivo. Andiamo… quel tizio si è-»
«Sì, me lo hai già detto, ha decapitato sua moglie e si è ucciso», sospirò Stefan. «Volevi sapere cosa ne pensassi del glifo… beh, non c'è nient'altro da dire».
L’altro sorrise, di sbieco, aspirando un paio di tiri dall’ennesima canna accesa quella sera. Si sollevò per infilare un vinile nel giradischi, adagiandogli con calma la puntina sopra per farlo partire.
«La musica aiuta un sacco, a programmare, sai?».
Stefan annuì, anche se non ascoltava molta musica quando lavorava. Preferiva farlo sugli autobus in viaggio, o quando camminava da solo per le strade londinesi, alla ricerca di un silenzio mentale che il traffico e lo smog non potevano dargli.
«Vuoi fumare?», chiese poi, cercando di trovare un argomento qualsiasi da affrontare, per sentirsi più tranquillo. Non era molto socievole ed era strano che avesse invitato a casa sua un altro essere umano. Preferiva evitare ogni contatto, rimanere da solo con i suoi casini e i suoi tormenti. Eppure quando aveva visto Stefan in difficoltà gli era parso di rivedere se stesso agli inizi, e gli era sembrato impellente il desiderio di aiutarlo, sebbene non sapesse nemmeno in che modo.
A Stefan venne spontaneo guardare il foglietto lasciato marcire sul tavolo, le due linee che rappresentavano le scelte. Poteva accettare o rifiutare ed entrambe le cose avrebbero portato delle conseguenze. Non era lui a dettarle come nel videogioco, eppure gli apparivano schematiche allo stesso modo.
Sollevò un braccio, sebbene la sua mente gli dicesse di evitarlo. Si sentiva già troppo su di giri e non riusciva a stare calmo, le sue gambe continuavano a tremare per l’emozione e l’adrenalina dovuta a tutti gli avvenimenti di quella serata. Non era solo stare con Colin, era tutta la carica che sentiva addosso, dovuta alla riuscita del progetto a cui aveva lavorato per quei lunghi mesi. Si sentiva felice per la prima volta, nella sua vita, e sentiva di meritarsi un po’ di spensieratezza. Con Colin era come se tutto il resto fosse sparito. C’erano solo loro due e una camera piena di quadri astratti e difficili da capire. Accettò di fumare da quella canna, tenendola insicuro fra le dita, aspirando qualche tiro senza fretta per evitare di strozzarsi e fare brutte figure. L’erba gli bruciò la gola, e dopo un paio di tiri trattenuti a lungo nei polmoni mai intaccati dal fumo gli sembrò di sentire la testa più leggera, la vista più chiara e nitida. Ogni volta che si fermava a fissarlo imparava nuovi dettagli del suo volto, così diverso da come appariva nelle foto che aveva guardato, sui giornali, mentre si documentava sull’autore di molti dei suoi giochi preferiti usciti in quegli ultimi anni. Non avrebbe mai pensato, prima di Bandersnatch, di ritrovarsi nell’appartamento di Colin Ritman, a fumarci come se fossero vecchi amici, sopprimendo il disagio dovuto al conoscersi, all’interagire.
Parlarono del più e del meno, di complotti e di realtà, e mentre il fumo gli occupava i polmoni e li lasciava marcire, li riempiva di buio amaro, avevano iniziato a conoscersi e a prendere consapevolezza di ciò che erano, di ciò che sentivano; di quella solitudine che, rimanendo lì, insieme, sembrava esser sfumata via per dar posto a un sentimento nuovo quanto inspiegabile.
Fu allora che Colin si sollevò per l’ennesima volta dal divano scomodo, rovistò fra i libri abbandonati sulle mensole e tornò da Stefan tenendo in mano un volume non troppo spesso. Di certo non aveva la quantità di pagine del libro di Bandersnatch. Eppure Stefan sentì subito che quel dannato rettangolo di segreti ne conteneva anche troppi.
“Vuoi prenderlo, Stefan? Sì o no?”, pensò, sbattendo le palpebre, lasciando che le ciglia gli proiettassero lugubri ombre sugli zigomi scarni. “No”, pensò, però la sua mano si mosse lo stesso e raggiunse la copertina. Un occhio che gli parve vivo, capace di scrutarlo pur essendo solo un disegno stampato su una carta rossa, iniziò a fissarlo con uno scintillio macabro nella pupilla nera quanto la pece. Stefan si sentì guardare dentro, come se fra quelle pagine ci fosse nascosto qualcosa; magari il segreto occultato di ogni male.
«Che cos’è?», chiese, come se non avesse mai tenuto fra le mani un libro. Sulla copertina rosso sangue, sopra l’occhio cupo, erano stampate alcune scritte. Colin non rispose con nulla capace di soddisfare quella sua curiosità, ripeté solo ciò che era già stampato a grandi caratteri sulla copertina.
«1984, di George Orwell».
«Sì, beh, questo posso leggerlo anch’io», commentò l’altro, «e allora?».
«Credo si stia avverando quello che c’è scritto sopra, credo stia arrivando un periodo troppo buio per Londra».
Stefan aggrottò le sopracciglia. «Spiegati meglio».
«Siamo controllati», trattene a stento un sorriso; adorava i complotti e quello era il suo preferito. «Ci fissano sempre, Butler, ogni istante della nostra vita siamo ripresi, probabilmente da quegli aggeggi infernali chiamati “televisori”».
«Per questo non ne hai uno?», chiese, guardandosi intorno per confermare quella teoria.
Colin annuì. «Sai qual è il lato peggiore? Non possiamo ribellarci perché è tutto nascosto. La gente si indignerebbe, se sapesse. O forse sanno, ma non parlano perché hanno paura di cosa potrebbe succedere. Chiunque si sia ribellato è finito morto, magari fucilato. Sparisce un sacco di gente e non se ne sa nulla. Ti sei mai chiesto il perché?».
Stefan scosse il capo.
«Te lo presto, leggilo», continuò. «Ti cambierà la vita, fidati».
Gliela cambiò davvero. 


                   


Assurdo, ma sì, sono finalmente riuscita ad aggiornare questa storia e devo anche ammettere che il capitolo, sebbene sia piuttosto breve rispetto a quelli a cui sono abituata, mi piace anche. 
L'idea di collegare il tutto a 1984 di Orwell è venuta fuori mentre lo leggevo, qualche mese fa; calzava a pennello perché Bandersnatch è ambientato proprio nel 1984, e con un soggetto come Colin il complotto era parcheggiato dietro l'angolo.
Mi ha fatta non poco sclerare il glifo, perché fatto con i segni della tastiera è terribile, ma sono troppo pigra per disegnarvelo lol 
Grazie per essere arrivati fino a qui! Alla prossima <3 
 

 

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