Il progetto di ONLYKORINE (/viewuser.php?uid=1040879)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO - Il progetto ***
Capitolo 2: *** Non far saltare il progetto ***
Capitolo 3: *** Confidenze ***
Capitolo 4: *** Amici o coinquilini? ***
Capitolo 5: *** Jasmine ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** PROLOGO - Il progetto ***
Il
Progetto
-
-
“Eccoci qua.”
Jasmine si voltò verso
la signora
Phillips, che era entrata nell’appartamento per ultima. La
vide arrancare con
due grosse buste della spesa dall’aria pesante.
“Che ne dite di aiutarmi,
ragazzi?” chiese.
La donna aveva il fiato corto,
probabilmente a causa dei quattro piani di scale senza ascensore di
quella
palazzina fatiscente dove si trovavano.
Jasmine fece un passo avanti per
aiutarla quando notò che nessun altro lo avrebbe fatto.
Appoggiò una delle due
borse sul tavolo in cucina e la signora Phillips le sorrise
ringraziandola.
Tornarono insieme nella stanza di
prima.
Era un piccolo soggiorno: c’era un divano e due poltrone,
davanti a quello che
sembrava un mobile porta tv. Ma la televisione non c’era. Non
c’era molto,
effettivamente, notò Jasmine guardandosi intorno: un tavolo
sgangherato,
quattro sedie, un mobile a parete. Nient’altro.
“Ripetiamo le
regole?”
La signora Phillips fu ancora
l’unica
a parlare.
Jasmine annuì quando lo
sguardo della
donna incrociò il suo. Poi lei guardò anche gli
altri ragazzi.
Gabriel, che si era presentato come
Gabe, un ragazzo di colore con intensi occhi color cioccolato, alto un
metro e
novanta con le spalle larghe quanto un pugile, che guardava tutto con
uno sguardo
un po’ strano, come se lui non c’entrasse niente
con quel posto. E con loro.
Lucy, una ragazza minuta e agile,
con
gli occhi blu e bellissimi riccioli biondi che poteva assomigliare a un
angelo,
ma quando ti guardava ti veniva in mente l’assassina di un
film horror,
piuttosto che un paffuto pargolo con le ali e l’arpa.
Per finire c’era Connor,
un ragazzo
dai capelli a spazzola, secco come un chiodo, con due occhi di
ghiaccio, un
piercing al naso, le braccia coperte di tatuaggi e quella che sembrava
un’accozzaglia di orecchini fra cui un dilatatore nero che a
Jasmine faceva
ribrezzo.
Loro tre, tre ragazzi appena
diciottenni come Jasmine, sarebbero stati i suoi coinquilini per il
successivo
anno scolastico.
“Vivremo qui tutti e
quattro” iniziò
Gabe, con tono indifferente. La Phillips annuì sorridendo.
“Andremo a scuola e
ripeteremo
l’ultimo anno di liceo” continuò Lucy.
Quando Connor non parlò,
Jasmine disse:
“Lavoreremo al Blue Market, il supermarket in fondo
all’isolato”.
La donna si voltò verso
di lei, sempre
sorridendo, e subito dopo il suo sguardo si posò su Connor,
aspettando che
dicesse qualcosa anche lui.
Connor affondò le mani
nelle tasche dei
jeans e ghignò, dicendo: “Niente droga e niente
alcool. Insomma, una gran noia”.
La signora Phillips sbuffò e Connor si fece ancora
più tremendo. “Sesso,
invece, signora Phillips? Niente regole sul sesso?”
Il ragazzo fece girare intorno lo
sguardo sghignazzando e Jasmine notò che quando si
posò su di lei, ammiccò.
Riuscì a reprimere un brivido.
La signora Phillips si
avvicinò al
tavolo in soggiorno e dalla borsetta tirò fuori quattro
buste.
“Qui ci sono le vostre
cose: abbonamento
dell’autobus, tessera sanitaria, badge scolastico e le altre
cose” spiegò. Si
guardò intorno sospirando. Jasmine si chiese se la donna
iniziava a pentirsi di
quella scelta. “Dovrete mantenere una media sufficiente a
scuola, potrete fare
attività extrascolastiche, potrete allenarvi negli
sport…” Il suo sguardo finì
verso Gabe, che annuì meccanicamente. “E potrete
fare domanda al college”.
Guardò verso Jasmine e
anche lei annuì
con il capo.
“E dovrete lavorare per
quattro ore tre
giorni a settimana, ma i turni potrete gestirveli fra di voi, il signor
Dubb ne
è al corrente. Dovrete venire da me una volta a settimana,
dovrete contattare
il vostro assistente sociale almeno una volta al mese,
dovrete…”
La donna venne interrotta da Lucy
che esclamò:
“Posso ancora contattare Linda?” poi i suoi occhi
si spalancarono e continuò:
“Cioè… La signorina Light. La signorina
Light continuerà a seguirmi?”
La Phillips annuì.
“Certamente. I
vostri assistenti sociali sono stati avvisati di questo progetto.
È
un’occasione unica e sperimentale, quindi sapete tutti cosa
ci aspettiamo da
voi. Siete tutti e quattro maggiorenni, quindi per lo Stato
non…”
“Siamo fuori dal sistema” disse Connor con
disprezzo. “Non che esserci dentro sia
tutto questo po’ po’ di roba…”
La donna gli lanciò
un’occhiataccia.
“Connor, non farmi pentire di averti inserito nel progetto.
Hai tante capacità,
non iniziare a distruggere…”
Il ragazzo però non
voleva ascoltarla
e la interruppe. “Sì, sì, va bene. Ho
capito” capitolò, grattandosi il retro
del collo con un dito.
“Cercate di andare
d’accordo. Non
combinate guai. Niente casini, di nessun genere. Non trasgredite le
regole. È per
voi tutto questo. Intesi?” Tutti annuirono. “Ok, ho
lasciato sul tavolo della
cucina la spesa per qualche giorno, poi dovrete organizzarvi e fare voi
le
faccende domestiche”.
“Non ho intenzione di
pulire il cesso.”
Connor venne zittito da
un’altra
occhiata della donna. Il ragazzo abbassò gli occhi e non
disse più niente, ma
la sua mano tornò dietro al collo.
“Se questa cosa
andrà bene, si
riproporrà l’anno prossimo per altri quattro
ragazzi. Avete sulle spalle
l’occasione per cambiare le regole. Non fate
casini.”
Detto ciò,
controllò l’appartamento,
rispose alle ultime domande dei ragazzi e alla fine, si chiuse la porta
alle
spalle.
Jasmine si voltò verso
gli altri.
Erano rimasti soli. Si guardarono in faccia tutti e quattro senza dire
niente
finché Connor non sghignazzò e chiese:
“Allora, chi dorme con chi?”
Lucy si voltò verso il
ragazzo e lo
squadrò dall’alto verso il basso e viceversa.
“Io con te non ci dormo”
dichiarò, sdegnata.
Connor ghignò ancora e
le lanciò un
bacio volante, dicendole: “Non sei il mio tipo, tesoro, stai
tranquilla”.
La ragazza inorridì e
poi lo guardò
sprezzante. “Fidati, neanche tu”.
Lui rise forte e raccolse la sua
borsa
dal divano e si incamminò per il corridoio. “Io
prendo la camera più grande” annunciò
ad alta voce.
Lucy gridò
un’oscenità, prese la sua
borsa e gli corse dietro gridando che ne avrebbero discusso. Jasmine si
voltò
verso il ragazzo rimasto con lei nel soggiorno. Cosa fare? Cosa dire?
“Ehm…”
Si schiarì la voce,
imbarazzata. Lui era ancora girato verso il corridoio,
sospirò e si voltò verso
di lei.
“Speriamo bene”
disse con un tono
sostenuto.
Speriamo
bene davvero,
pensò Jasmine.
Afferrò la sua borsa e
si inoltrò nel
corridoio. Sentiva Lucy e Connor bisticciare in una delle camere.
Chissà poi
perché. Era un appartamento grande e, sebbene non fossero
tanto spaziose, c’erano
quattro stanze da letto: una per ognuno di loro. Era una delle prime
cose che le
aveva detto la signora Phillips. Lo dovevano sapere per forza anche gli
altri.
Perché allora fare tanta confusione?
Si fermò davanti alla
prima camera che
incontrò. L’aveva vista prima, quando seguiva la
donna mentre ispezionava
l’appartamento. Non era la più grande, ma era
orientata a est così sperava di
aver luce al mattino, quando si sarebbe svegliata.
La sua vecchia camera era
illuminata
dal sole al mattino, pensò tristemente. La camera a casa di
sua madre. Sperò di
sentirsi un pochino a casa, mentre appoggiava la borsa sul copriletto
piegato.
Si sedette sul letto, guardando fuori dalla finestra.
Aveva cambiato tre case. Due anni
prima, quando sua madre era morta in un incidente lasciandola sola, si
era
trasferita a casa di suo padre. Un padre che non vedeva da quando i
suoi
avevano divorziato, dodici anni prima, praticamente un estraneo. Un
padre con
gli occhi rossi, il sorriso mellifluo e lo sguardo vacuo. Li aveva
visti quelli
come lui, a scuola, e lo aveva inquadrato subito: un tossico.
Erano riusciti ad andare avanti un
po’, lei e Bill. Non lo aveva mai chiamato papà.
Lei andava a scuola, faceva i compiti e preparava da mangiare per tutti
e due,
aspettando di finire il liceo per compiere diciotto anni e andare al
college.
Lui… Bill frequentava brutta gente e continuava a farsi.
Jasmine non lo aveva detto
a nessuno, neanche all’assistente sociale. Non sapeva cosa
sarebbe successo se
lo avesse fatto e, finché stava con lui, almeno era libera.
Libera di fare
quello che voleva.
Aveva dovuto cambiare scuola, ed
era
stato brutto. Lasciare i suoi amici, il suo ragazzo... Sua madre le
aveva
lasciato dei soldi e doveva solo aspettare di arrivare al college.
Quello che
non sapeva era che suo padre aveva scialacquato tutta la sua
eredità in
prostitute ed eroina e quando la cosa era saltata fuori, era successo
il
finimondo. Lei era finita in ospedale con un proiettile nella spalla e
suo
padre era finito in prigione.
Quando era uscita
dall’ospedale aveva
ancora diciassette anni e nessun maggiorenne che potesse occuparsi di
lei, così
era entrata in quello che Connor aveva definito il
sistema: la macchina dello Stato per gestire i minori
incustoditi. Ed era stata data in affido. Per fortuna la famiglia dove
era
capitata non era malaccio. A loro bastava prendere i soldi
dell’affidamento e
per il resto veniva lasciata stare, da sola, ma in pace.
Quando aveva compiuto diciotto
anni, però,
aveva scoperto che, a causa delle assenze fatte durante
l’anno, non avrebbe
potuto diplomarsi né soggiornare ulteriormente con la
famiglia in questione. Così,
quando la signora Phillips, la psicologa, le aveva proposto quel
progetto sperimentale,
aveva accettato pensando che fosse una buona idea.
Quattro ragazzi in un appartamento.
Quattro ragazzi di diciotto anni che, per svariati motivi, avrebbero
dovuto
ripetere l’ultimo anno delle superiori e che fossero appena usciti dal sistema.
Sospirò. Non aveva altra
scelta, ma
sperò di non pentirsene.
Si alzò in piedi quando
sentì Connor e
Lucy gridare nel corridoio. Sperò vivamente
di non pentirsene.
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Capitolo 2 *** Non far saltare il progetto ***
Non
far saltare il progetto
-
-
La scuola era iniziata
già da un mese
e le cose non andavano male. Jasmine si sedette a uno dei tavoli con il
suo vassoio.
Se prima della morte della madre era una persona socievole e sempre in
mezzo ai
suoi amici, dopo era diventata un tipo solitario che non amava le
chiacchiere
né le parole inutili. Si mise gli auricolari e
iniziò a mangiare. Vide
dall’altra parte del locale mensa Gabe, il ragazzo che viveva
con lei. Lui alzò
la mano per salutarla e lei ricambiò, ma non gli fece cenno
di sedersi al suo
tavolo, né lui si avvicinò, comunque.
Non c’era molta
confidenza fra lei e
gli altri ragazzi del progetto. Mangiavano insieme la sera e si
parlavano per
le questioni riguardanti la casa e i turni di lavoro, ma per il resto,
Jasmine
non voleva iniziare relazioni impegnative.
Da quando sua madre era morta aveva
capito che gli amici ti stavano vicino solo finché faceva
loro comodo e quando
invece eri tu ad aver bisogno, sparivano tutti. Così come
era successo a lei.
Nessuno si era più fatto vivo, nemmeno Tash, che vantava di
essere la sua
migliore amica. Nemmeno Lenny, il suo ragazzo. Erano andati a trovarla
i primi
giorni in ospedale, ma poi, più il tempo passava e
più diradate si fecero le
loro visite, diventando poi del tutto assenti.
Sospirò guardando il
piatto. Non aveva
neanche più fame.
Sentì delle grida da due
tavoli alla
sua destra e si girò in quella direzione: Connor stava di
nuovo facendo lo
sbruffone. Lui e un altro ragazzo erano faccia a faccia, e si stavano
parlando.
Dalle loro facce, Jasmine capì che non stavano solo
discutendo, ma che, se
avessero continuato su quella strada, sarebbero finiti alle mani.
Connor era il
tipo che, se provocato, si buttava a pesce in qualsiasi rissa. Non
andava bene.
Anche Connor doveva sapere che era meglio non mettersi nei guai, fare a
botte a
scuola non avrebbe portato niente di buono.
Chissà se il loro
progetto sarebbe
saltato e lei si sarebbe trovata per strada a causa sua. Jasmine aveva
bisogno
del progetto. Almeno fino a giugno. Poi, loro avrebbero potuto fare
quello che
volevano.
Si alzò dal suo posto
per andare a controllare
cosa stesse succedendo nonostante avessero intorno, lui e
l’altro ragazzo, una
buona parte dei ragazzi dell’ultimo anno.
Quando arrivò vicino,
però, vide che
accanto a Connor c’era Lucy che gli tirava un braccio e
cercava di portarlo
via. Oh. Lucy era arrivata prima di lei. Anche lei doveva aver avuto lo
stesso
pensiero di Jasmine. Il progetto innanzitutto.
Jasmine si fermò e
osservò la scena.
Lucy, che era più bassa di Connor, lo tirava per un braccio,
con quella che
Jasmine immaginò fosse tutta la sua forza, ma lui continuava
a guardare il
ragazzo con uno sguardo di fuoco e a dire parole a bassa voce. Poi Lucy
dovette
dire qualcosa che lo colpì, perché Connor si
voltò verso di lei, la guardò e,
tornando a guardare il ragazzo con cui stava discutendo, gli disse
ancora
qualcosa e si allontanò con la ragazza.
Jasmine si sentì
sollevata. Osservò i
suoi coinquilini camminare verso la porta che dava sul corridoio.
Connor aveva
le spalle basse mentre affondava le mani nelle tasche dei Jeans e Lucy
gli era
vicino e gli continuava a parlare a bassa voce, con una mano sulla sua
schiena.
Notò che la ragazza portava una maglietta a maniche lunghe
nonostante facesse
ancora caldo e le venne in mente di non averla mai vista con un
indumento
diverso. Sempre jeans e maniche lunghe. Mmm. Era una cosa strana. Ma
almeno
aveva salvato Connor da una possibile sospensione e loro dal fallimento
del
progetto.
Rimase a guardarli mentre si
allontanavano e notò che, prima di svoltare
l’angolo del corridoio, Connor si
riprese e mise un braccio sulle spalle della ragazza, stringendola
verso di sé
e alzando l’altro braccio al soffitto, mostrando un pugno.
Poi tutti e due
risero e Lucy si accoccolò contro il torace
dell’amico.
Jasmine si morse il labbro: loro
erano
amici di sicuro. Anzi, forse anche di più.
***
“Chiedilo alla principessa.”
La voce di Connor trasudava
disprezzo
e derisione. Jasmine capì che parlava di lei quando
incontrò il suo sguardo.
“No, è lo
stesso…” Lucy abbassò lo sguardo
sul piatto. Jasmine si guardò intorno, cercando di capire
cosa stesse
succedendo, ma né Gabe né Connor spiegarono il
problema. Stavano mangiando
tutti insieme, ma, come succedeva spesso, non stavano chiacchierando
fra di
loro.
“Cosa devi chiedermi,
Lucy?” chiese,
direttamente alla ragazza.
La bionda alzò le
spalle. “Non fa
niente. Non ci vado”. Jasmine non capì bene. Ma
effettivamente lei e Lucy non
parlavano granché.
Guardò Gabe, che le
sorrise e tornò a
mangiare alzando le spalle.
Connor mise un braccio sulla
spalliera
della sedia di Lucy e le accarezzò la schiena con due dita.
Sembrava un gesto
molto… personale. E intimo. “Vacci. Lo faccio io.
Andrò dalla Phillips nella
pausa”.
Come? Jasmine si fece
più attenta. Se
c’era di mezzo la Phillips poteva riguardare il progetto.
“Dove devi andare,
Lucy? Posso aiutarti?” si costrinse a chiedere. Di solito non
dava fiducia e
confidenze con facilità. Non più, almeno.
Lucy alzò lo sguardo
verso di lei. “Ho
trovato un corso per imparare a cucire a macchina. Ma la prima lezione
è
domani. E domani ho il turno al Blue Market…”
sospirò e guardò Connor, che, con
sorpresa di Jasmine, le sorrise annuendo, continuando ad accarezzarle
la
schiena. Sembrava che quel gesto le desse più fiducia.
Infatti Lucy la guardò
ancora.
“Faresti cambio turno con me? Connor ha la seduta
obbligatoria con la Phillips
e non può sostituirmi, mentre Gabe sarà di turno
anche lui…” I suoi occhi
divennero vacui come quando Jasmine la immaginava in un film horror.
“Va bene”
rispose. Si era immaginata
molto di più.
La biondina tirò su la
testa di
scatto, guardandola ancora. “Come?”
Jasmine scosse le spalle.
“Non ho
impegni domani. Posso fare il tuo turno”.
“Davvero?” Lucy
sembrava scettica. “Lo
faresti?”
Jasmine guardò Connor,
che sembrava
l’unico che capisse la ragazza e l’occhiata che le
lanciò non fu più di disprezzo,
ma quasi simpatico. Poi tornò a guardare la ragazza.
“Sì” disse ancora.
Il sorriso che vide apparire sul
viso di
Lucy trasformò il suo sguardo. “Grazie!”
Sembrava anche carina, quando non
aveva gli occhi vacui.
Jasmine annuì senza dire
niente e alzò
le spalle. Non era niente di che.
***
Quella sera era il suo turno di
lavare
i piatti.
Jasmine si avvicinò al
lavello
sospirando. Si guardò intorno con curiosità. Non
dava mai troppa importanza
agli altri tre. Fino a quella sera. Vide Connor andare sul balcone per
fumare
una sigaretta e Lucy seguirlo. Attraverso il vetro li
osservò parlare. Erano
entrati in confidenza, loro. Molto. Chissà se
c’era qualcosa di più intimo.
Quando Connor si voltò verso il vetro e la vide osservarli,
lei guardò da
un’altra parte. Non voleva saperne niente. Meno sapeva meglio
stava. L’importante
era che non saltasse il progetto.
Si girò verso Gabe. Lo
vide trafficare
vicino alla porta e andare verso il corridoio. Non si girò
verso di lei. Lui
era sempre gentile, ma sempre sulle sue, come se loro non fossero alla
sua
altezza. A volte Jasmine pensava che fosse vero. Lui era calmo, faceva
sport,
andava bene a scuola… Sembrava uno dei ragazzi della sua
vecchia compagnia. Uno
di quelli che aveva fatto finta di non conoscerla quando si erano
rincontrati
dopo che lei si era trasferita. Forse sarebbe stato meglio se avesse
mantenuto
le distanze anche da lui.
Non le piacevano quei tipi
lì.
Si tirò su le maniche,
si chinò per
prendere il sapone per i piatti e aprì l’acqua,
iniziando a lavare le stoviglie.
Sentì la porta balcone aprirsi e richiudersi, ma non si
voltò più, così si
spaventò quando Connor apparve al suo fianco. Fu ancora
più stupita quando lo
vide prendere uno strofinaccio e toglierle dalle mani uno dei piatti
appena
sciacquati.
Jasmine fece finta di niente, ma
quando arrivò ai bicchieri non ce la fece più.
“Perché mi stai aiutando?”
Lui alzò una spalla e
sorrise al muro.
“Così…” Ma poi la sua mano
scattò dietro al collo. Jasmine lo aveva visto farlo
tante volte, ormai aveva imparato a riconoscere quel gesto.
“Tu sei strano”
disse ancora la
ragazza.
“Dovresti vederti con i
miei occhi,
principessa.”
“Perché mi
chiami principessa?” Passò
sotto l’acqua due forchette.
“Sei diversa da noi,
sembri una
principessa”. Ma lo disse con un tono strano. A Jasmine non
piacque.
“Tu non sai niente di me.
Smettila di
chiamarmi così.”
Connor finì di asciugare
tutto e poi
le disse semplicemente: “Va bene, non ti chiamerò
più principessa ma, fidati,
neanche tu sai niente di noi”. E se ne andò senza
dire nient’altro. Lo guardò
finché non lo vide sparire per il corridoio.
No, no, quello strano era lui, mica
lei.
***
Merda! Jasmine non aveva sentito la
sveglia, quella mattina. Si era fiondata in bagno e velocemente si era
lavata
per recarsi al lavoro. Era un sabato mattina e lei aveva il primo
turno. Sbuffò
saltellando infilandosi una scarpa mentre guardava
l’orologio. Venti minuti. Venti
minuti per andare al negozio. Non sarebbe riuscita neanche a fare
colazione.
Dannazione!
Uscì dalla stanza
infilandosi la
giacca e in cucina sentì delle risate. C’era
qualcuno già sveglio? Si incamminò
verso la cucina e infilò dentro la testa. Due teste scure si
girarono verso di
lei.
Gabe era seduto al tavolo a fare
colazione e chiacchierava con un ragazzo di colore che non aveva mai
visto,
appoggiato ai fornelli.
“Ciao, devi essere
Jasmine, giusto? Io
sono Will”. Il ragazzo si allungò verso di lei e
le porse la mano. Lei gliela
strinse un po’ confusa. Chi era quel tipo? Un amico di Gabe?
Jasmine salutò il
nuovo ragazzo un po’ imbarazzata e aprì il frigo
in cerca di qualcosa che
potesse mangiare per strada. Niente. Niente di suo.
Prese il succo d’arancia
e se ne versò
velocemente un bicchiere. “Scusate, ma sono in ritardo. Mi ha
fatto piacere
conoscerti… Will. Ma devo andare al lavoro”.
Appoggiò il bicchiere
vuoto nel
lavello e si girò verso la porta.
“Aspetta, Jasmine: ti
accompagno”.
Jasmine si voltò verso Gabe, che si era alzato e aveva preso
il piatto dal
tavolo.
“Lascia, faccio
io” gli disse Will,
togliendogli il piatto dalle mani. Gabe lo ringraziò con un
cenno del capo.
“Come mi accompagni,
scusa?” chiese la
ragazza.
Il ragazzo uscì dalla
cucina prendendo
la sua giacca e infilandosela. “Ho preso una macchina,
ieri”. Oh. Una macchina?
“Davvero?” Lui
sorrise. Aveva un
sorriso carismatico. Ti faceva sentire bene.
“Non dico
bugie”. E le mostrò le
chiavi. “Andiamo”.
Mentre scendevano le scale, Gabe
spiegò a Jasmine la storia dell’auto. Era
l’auto di un signore anziano, che
Gabe aveva aiutato qualche pomeriggio in alcune cose di
ristrutturazione che
non riusciva a fare da solo e lui, in cambio gli aveva regalato
l’auto. Era
contento mentre lo raccontava. E lei che pensava che fosse un pallone
gonfiato.
Invece aveva aiutato un estraneo. Lo guardò di sottecchi:
era anche carino. E
quando sorrideva il mondo diventava più luminoso.
Chissà come faceva a farlo
succedere.
Jasmine era imbarazzata. Iniziava a
rendersi conto che sapeva pochissimo delle persone che vivevano con
lei. Quando
salì in macchina, una macchina usata ma tenuta bene,
cercò di essere gentile e
trovare qualcosa da dire. Niente. Non le veniva in mente niente.
“È un tuo
amico, Will?” chiese, giusto
per rompere il ghiaccio.
Lui si voltò verso di
lei, con uno
sguardo strano. “Dai per scontato che sia amico mio
perché è nero come me?”Aalzò
un sopracciglio e Jasmine sentì chiaramente le guance
prendere fuoco.
“Scusa…”
Dannazione! Ma Gabe rise.
“Cavolo, non pensavo
fosse così
semplice metterti in imbarazzo. Sei sempre… Scusami,
l’ho detto apposta.”
Continuò a sorridere
mentre faceva
attenzione alla strada. Quando si fermò al semaforo rosso,
spiegò ancora: “Ho
visto Will la prima volta due settimane fa”.
Oh. “Dove?”
chiese ingenuamente. Lui
rise ancora. Jasmine si sentì un po’ stupida.
“A casa nostra. Dove avrei dovuto
incontrarlo?”
Lei alzò le spalle.
“Quindi chi è?”
“Secondo me è
una spia della Phillips.”
COSA?
“Davvero?” Ma Gabe rise ancora.
“Scusami, non ho
resistito. Prenderti
in giro è così facile”. Jasmine
sbuffò e guardò fuori dal finestrino. Se non
fosse stata in ritardo, sarebbe scesa subito. “Ok. Non so chi
sia. Ma cucina
volentieri e le sue uova sono buone.
Pensavo fosse l’avventura di una notte di qualcuno di
voi” disse, abbassando un
po’ la voce.
Come? L’avventura di uno
di loro? Che
intendeva? Oh, forse intendeva una notte di sesso… Lo
guardò e notò che lui la
osservava con la coda dell’occhio. Ripartì appena
il semaforo si fece verde e
riportò l’attenzione per la strada. Jasmine non
sapeva cosa dire. Quando
arrivarono davanti al Blue Market, lei era ancora imbarazzata, ma in
orario.
Prima di scendere disse: “Grazie per avermi
accompagnato”.
Gabe sorrise e lei sentì
l’imbarazzo
sciogliersi. “L’ho fatto volentieri. Scusa per
prima, quando sono nervoso,
tendo a essere un po’ antipatico… Io…
Mi ha fatto piacere scoprire che Will non
aveva passato la notte in camera tua…” Jasmine
spalancò gli occhi quando si
rese conto di quello che intendesse dire. Poi sentì le
guance andare a fuoco.
Doveva scendere subito. Al più presto. Borbottò
un: “Ci vediamo”, e scese
velocemente.
Dannazione, Gabe… Ci
voleva provare
con lei? No. No, sicuramente aveva capito male. Sentì ancora
le guance calde ed
entrò al Blue Market.
“C’è
freddo, eh?” disse Mike Dubb, il
proprietario del Market.
“Come?” chiese
Jasmine confusa.
“Sei tutta rossa, ci deve
essere un
gran freddo là fuori!” Oh. Jasmine non se
n’era neanche accorta, del freddo. Ma
annuì e andò nel retro ad appoggiare la giacca e
iniziare il lavoro. Aveva
bisogno di un caffè. O venti caffè.
Sì, meglio venti.
***
Tornando a casa, Jasmine
ripensò a
quello che aveva detto Gabe. Diceva che quando era nervoso diventava un
po’
antipatico. E se tutte le volte che lei aveva pensato che fosse un
pallone
gonfiato in verità fosse stato solo nervoso? Poteva essere.
Gabe aveva un caldo
sorriso ed era spesso gentile. Era stato gentile anche nei confronti di
Will.
Sospirò pensando al
ragazzo conosciuto
quella mattina. Quindi Will era rimasto lì per la notte. Lei
non ci aveva mai
pensato. Portare qualcuno in quella casa? Assolutamente no. Ma a dir la
verità
lei non aveva nessuno. Non frequentava nessuno e non era di sicuro il
tipo da
una notte e via. Si infilò le mani in tasca, imbarazzata dai
suoi pensieri. Ma
cosa stava pensando?
Più che
altro… Se la signora Phillips
avesse scoperto che Will rimaneva in casa a dormire (Jasmine
sentì chiaramente
le guance scaldarsi quando pensò che probabilmente lui non
avesse dormito
tanto), avrebbe fatto saltare il progetto? Era il caso di parlarne con
gli
altri. O forse avrebbe fatto meglio a parlarne direttamente con Lucy.
Chissà
doveva aveva conosciuto Will. Non le sembrava proprio il suo tipo.
Oddio. Non
che fra di loro ci fosse così tanta confidenza…
E se avesse chiesto direttamente
alla
signora Phillips se era possibile avere ospiti in casa? Forse, se le
avesse
fatto credere di aver qualche amico… Ma mica ci avrebbe
creduto, la signora
Phillips. Lei era sveglia. Pensò ancora a come risolvere la
questione, mentre
iniziava a salire le scale per raggiungere l’appartamento.
L’importante era non far
saltare il
progetto.
-
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Capitolo 3 *** Confidenze ***
03. Confidenze
Confidenze
-
-
Quando Jasmine vide Connor lavare i
piatti, quella sera, si bloccò di colpo.
Entrò in cucina e
chiese, vicino al
lavello: “Non è il turno di Lucy?”
Il ragazzo si voltò
verso di lei e rispose:
“Abbiamo fatto cambio. Lei lava il bagno al posto mio e io
lavo i piatti”.
Oh. Non aveva mai pensato che si
potesse fare. Guardò il ragazzo insaponare un piatto e
appoggiarlo di fianco.
Si avvicinò e prese uno strofinaccio. “Ti piace
lavare i piatti?” gli chiese.
Lui rise mentre iniziava a
sciacquarli
sotto l’acqua. “È l’ultimo
ricordo che ho di mia madre. Non mi dispiace…”
Appoggiò un piatto bagnato e Jasmine lo prese per
asciugarlo.
“È…
è molto che… sei…” Non
sapeva come
si chiedesse una cosa del genere con educazione. Come poteva chiedergli
la sua
storia?
“Che sono nel sistema?” Connor le venne
incontro. Jasmine annuì senza dire
niente. “Un po’. Molto più di te e Gabe,
di sicuro”.
La ragazza voltò il viso
di scatto
verso di lui. “Come fai a dirlo?” Connor
alzò le spalle.
“Sono andato in affido la
prima volta
a sette anni. Ho visto un po’ di cose.”
Oh. Il suo sguardo era serio.
“Non sai
niente di me” disse lei dopo un po’.
“No. Ma mi sono
sbagliato?” Lei scosse
la testa. “Posso indovinare?” Jasmine lo
guardò di sottecchi.
“Prova.”
Connor finì di
sciacquare tutti i
piatti e la osservò con uno sguardo strano.
“Eri benestante. Vivevi
bene. Studiavi.
Andavi bene a scuola. Forse eri anche popolare. Magari una cheerleader,
eh? Forse
avevi un ragazzo. Uno bravo. Uno sportivo. O uno popolare. Uno sportivo
popolare, forse? Poi è successo ciò che ti ha
fatto entrare nella grande
macchina burocratica dello Stato. Forse un anno fa. Non più
di due, comunque.
Hai perso tutto e hai perso tutti.”
Jasmine rimase colpita dalle sue
parole, anche se solo in parte giuste. “Perché
dici che ero popolare?” Lui
sorrise. Un dente sbeccato sul lato destro fece venire in mente a
Jasmine una
rissa.
“Mi davi
quest’idea. Ci ho preso?”
Dovette ricredersi. Connor sembrava
in
gamba. Jasmine
sospirò annuendo. “Mia
mamma è morta due anni fa…” Connor non
le disse niente. Non disse ‘mi
dispiace’ o ‘condoglianze’,
come facevano tutti. Lui annuì guardandola serio. Ma
il suo sguardo le sembrò molto più sincero di
tutte le parole che aveva sentito
in quei due anni. “Poi sono andata a vivere da mio padre ma
non è stata una
bella storia. E ora sono qui”.
Connor non le chiese niente.
Jasmine
ne fu contenta perché era ancora difficile parlarne.
“Non ci crederai” iniziò
il ragazzo, ironico, “ma quando si tratta del sistema,
nessuna storia è bella”.
Divenne serio.
“Posso solo immaginare. E
Lucy e Gabe?
Sai anche la loro storia?” Lui si irrigidì.
“Dovrai chiedere a loro,
principessa”
“Giusto. Ma non avevamo
detto che non
mi avresti più chiamato principessa?”
Lui ridacchiò e
l’orecchino con la
croce dondolò mentre le sue spalle si scuotevano.
“Va bene. Ma solo
perché mi hai
aiutato a lavare i piatti.”
Jasmine sorrise. L’aveva
giudicato
male. Non era una brutta persona. Nonostante i tatuaggi e gli
orecchini. Chissà
cos’altro nascondeva.
***
Quella sera avevano mangiato la
pizza
e Jasmine si era svegliata di notte con una sete micidiale. Fuori
c’era un
temporale devastante. Tuoni e fulmini.
Il rumore di un tuono la
colpì e,
inconsciamente, iniziò a contare. Glielo aveva insegnato sua
madre: più era
alto il numero a cui arrivava più il temporale era lontano.
Il fulmine fece
tremare la casa appena arrivò a tre e lei si
trovò in corridoio, davanti alla
camera di Lucy. Si bloccò colpita dal frastuono e quando la
porta della stanza
si sganciò dalla maniglia, guardò dentro con
curiosità. A parte la volta che
l’aveva aiutata con il turno al Blue Market, non avevano
più parlato, lei e
Lucy. Effettivamente aveva parlato più con gli altri
ragazzi.
Un altro lampo illuminò
la stanza,
probabilmente Lucy non aveva tirato giù la tapparella, prima
di andare a letto,
e Jasmine riuscì a vedere chiaramente il letto di Lucy. Solo
che non era sola.
Oddio, c’era Will? E quando era entrato? La sera prima non
c’era. Appoggiò la
mano alla porta e l’aprì un altro po’.
Non era Will il ragazzo nel letto di
Lucy: era Connor. Cavolo. E questa era una cosa buona o no?
Avrebbe… mandato
all’aria il progetto?
Vide Gabe uscire dalla sua stanza e
velocemente afferrò la maniglia e richiuse la porta. Forse
era il caso di
scambiare due chiacchiere con Lucy. Stavolta davvero. Insomma,
cos’era, un
bordello?
“Anche tu in
piedi?” chiese Gabe,
sorridendole e dirigendosi in cucina.
Jasmine
lo seguì. “Sì. Ho sete. E
tu?”
Gabe prese due bicchieri dalla
credenza e si girò sorridendo.
“Anch’io”. Riempì un bicchiere
e glielo porse,
poi se ne riempì uno per lui.
“Grazie”
sussurrò, sorpresa. Guardò il
ragazzo mentre beveva a piccoli sorsi. Aveva una maglietta e dei
pantaloncini,
probabilmente era il suo pigiama. Le spalle erano larghe e muscolose.
Sapeva
che era nella squadra di pallacanestro della scuola, perché
l’aveva visto due o
tre volte allenarsi con gli altri. Umm, effettivamente ultimamente, lo
aveva
guardato spesso, a scuola.
Gabe le sorrise e lei
sentì le guance
arrossarsi, così continuò a bere guardando verso
la finestra. Le gocce di
pioggia formavano righe artistiche lungo il vetro, era ipnotizzante.
Senza
rendersene conto disse: “Connor dice che io e te siamo nel
sistema da meno
tempo di loro”.
Si voltò lentamente
verso il ragazzo,
per vedere la sua reazione. “Connor è in gamba.
Vede tante cose”.
Jasmine sorrise, girandosi verso di
lui. “Già. Mi ha squadrato in un
secondo…”
Gabe fece una smorfia strana.
“Anche a
me”.
“Che ti è
successo?” chiese ancora
lei. Lui la guardò e per la prima volta non sorrise. I suoi
occhi erano seri. E
scuri, scurissimi. Dannazione, aveva osato troppo? “Scusa,
non sei obbligato
a…”
“Ho avuto un incidente in
macchina con
i miei. Sono sopravvissuto solo io.”
Oh. “E… non
avevi nessuno che…”
Lui scosse le spalle.
“Sono figlio di
figli unici. I miei nonni sono morti…” Che
sfortuna.
“E come hai perso
l’anno?” Jasmine non
riuscì a non domandarlo. Una delle poche cose che avevano in
comune loro
quattro era il fatto di aver perso l’ultimo anno di liceo.
“Sono stato in ospedale
per quattro
mesi. Non ho potuto fare gli esami” mormorò lui.
Già.
“Sì, anche a
me è successa una cosa
simile.”
Lui la guardò.
“Davvero?” Annuì.
Trascorsero il resto della notte
sul
divano, sotto una coperta di pile a parlare. Gabe le
raccontò della sua vita
prima dell’incidente. Un po’ ci aveva preso. Lui
era come lei e gli altri della
sua compagnia. Un ragazzo popolare. Uno sportivo. Per un attimo
pensò a Lenny,
il suo ex, ma poi capì che lui non avrebbe mai retto il
confronto con questo gentilissimo
moro sorridente.
Gabe le raccontò di come
si sentisse
spaesato quando si era ritrovato solo e come aveva cercato di
affrontare tutto,
l’incidente, l’ospedale e la scuola, pensando di
essere migliore di tutti, e si
era dovuto scontrare con la realtà. Sorrise mestamente
mentre lo diceva.
Jasmine sapeva quanto fosse difficile ammettere una cosa simile. E
rimanere da
soli, senza nessuno, era devastante e poteva essere micidiale.
Jasmine gli raccontò
della sua vita
prima della morte della madre, e poi di quello che aveva passato con il
padre.
Fino a quando suo padre aveva tentato di venderla al suo pusher in
cambio di
una dose. Faceva così male raccontarlo, ma la signora
Phillips le aveva detto
che se fosse riuscita ad aprirsi con qualcuno, un’amica o un
amico, si sarebbe
sentita meglio. Non ci aveva creduto prima, e invece, quando la mano di
Gabe si
posò delicatamente sulla sua, si ricredette.
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Capitolo 4 *** Amici o coinquilini? ***
04.Amici o coinquilini?
Amici
o coinquilini?
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Era febbraio. E si avvicinava San
Valentino. Prima che morisse sua madre, Jasmine adorava San Valentino.
Nella
sua vecchia scuola c’erano tante iniziative per quella festa.
E lei aveva Lenny,
con cui passare quel giorno. Mentre ora… Pensò a
Gabe. Gabe era carino, gentile
e si poteva facilmente parlare con lui, non era male come aveva pensato
all’inizio, ma Jasmine ancora non se la sentiva di iniziare
qualcosa di più
serio. Anche se, quando avevano parlato tutta la notte sul divano,
aveva
desiderato tantissimo che ci fosse l’occasione di un bacio.
Ma lui non aveva fatto il passo e
lei,
che era diventata così fredda e diffidente, non si era
lasciata andare,
facendogli capire che avrebbe gradito tantissimo posare le labbra sulle
sue.
Sospirò.
Guardò Lucy
dall’altra parte del Blue
Market, che spostava una scatola e parlava con un cliente. Lei faceva
sesso con
Connor e con Will. Forse Lucy aveva capito tutto e quella indietro era
lei.
Avrebbe dovuto scoprire il suo segreto e farsi raccontare qualcosa.
Aveva scoperto che non ci sarebbero
state
ripercussioni se qualcuno fosse rimasto a dormire a casa,
l’importante era che
non ci fossero problemi fra di loro e che fossero tutti
d’accordo. Aveva visto
Will solo un’altra volta e doveva ammettere che era simpatico
e, soprattutto,
gli piaceva cucinare e avere qualcuno che si svegliava prima di te per
cucinare, era un gran bell’affare. Sorrise mettendo in ordine
le scatolette di
legumi.
Ancora persa nei suoi pensieri,
venne
riportata alla realtà da Mike che le chiese di andare a
controllare in magazzino
perché Lucy era sparita da almeno un quarto d’ora.
La scala era ripida e lì
sotto c’era
umido e freddo. Chiamò Lucy a voce alta mentre scendeva gli
ultimi scalini.
“Sono qui.”
Dal fondo del magazzino le
arrivò un
filo di voce alle orecchie. Non era neanche sicura di aver sentito
bene. “Lucy,
qui dove?” La luce che c’era lì
giù era poca e leggermente fastidiosa. Poi la
vide: la bambolina da film horror si teneva un braccio con la mano
sinistra, e
il braccio era tutto coperto di sangue. Lei aveva quello sguardo vacuo.
Dannazione! “Ti sei fatta male?” Oddio che domanda
stupida! Certo che si era
fatta male!
Jasmine tornò su qualche
gradino,
chiamò a gran voce il proprietario per dirgli di chiamare i
paramedici e poi
tornò giù di corsa nel magazzino. Velocemente si
fece spazio fra le varie
scatole e raggiunse la ragazza.
“Cos’è
successo?” le chiese, mentre la
osservava. Era seduta per terra e probabilmente sotto shock,
pensò, notando il
viso pallido. Lei alzò il capo e indicò una
scaffalatura rotta.
“Ho preso contro quel
coso lì. Ha
iniziato a sanguinare… Non smette
più…” Guardò velocemente il
braccio della
ragazza ed effettivamente, il sangue non si era fermato, anzi
continuava a
inzuppare la maglietta. Si tolse il grembiule che Mike faceva indossare
durante
le ore di lavoro e lo appallottolò per premerlo sulla ferita
di Lucy.
Il taglio era lungo e, attraverso
lo
strappo della maglietta, Jasmine vide troppa carne bianca per i suoi
gusti. Lo
coprì subito con quel fagotto improvvisato e si
voltò verso la scala da cui
stava scendendo Mike con il cordless per aiutare i soccorsi. Anche Mike
sbiancò
quando vide Lucy.
Nel giro di pochissimo arrivarono i
paramedici che iniziarono a tagliare la manica della maglietta di Lucy
per
controllare il taglio. Lucy non fece resistenza, ma quando
l’infermiere ebbe
tolto tutta la stoffa dal braccio, ci fu un momento di silenzio.
Tesissimo
silenzio e Lucy si riprese. Iniziò ad agitarsi e a dire che
non voleva essere
toccata.
Jasmine si avvicinò per
calmarla
quando notò che i due paramedici non riuscivano
nell’intento. Quando le fu
vicina, notò anche lei il braccio della ragazza. Era pieno
di cicatrici.
Piccole cicatrici tonde, come di bruciatura e tantissimi segni lungo
l’incavo
del braccio. Li aveva anche Bill, quei segni. Iniezioni. La
guardò in faccia e
cercò di calmarla, nonostante quello che aveva visto
l’avesse lasciata
sconvolta. Nel momento in cui lei si calmò abbastanza da
essere medicata, uno
dei due paramedici, spostò anche la manica
dell’altro braccio di Lucy e indicò
al collega la cicatrice che aveva sul polso sinistro. I due si
scambiarono
un’occhiata strana, secondo Jasmine.
“Possiamo muoverci, per
cortesia?”
chiese allora, stizzita, ai paramedici. Quello più giovane
la guardò con
tristezza e annuì.
In men che non si dica erano al
piano
di sopra e dopo aver lanciato un’occhiata a Mike, disse che
sarebbe andata in
ospedale con Lucy. L’uomo non fece obiezioni.
Jasmine non sapeva cosa dire. Aveva
voluto coprire Lucy da non sapeva cosa e ora si trovava con lei in una
stanza
dell’ospedale in attesa della visita. Lucy
rabbrividì.
“Hai freddo?”
Aveva lasciato la felpa
di Lucy nell’armadietto, ma aveva la sua ancora addosso. La
ragazza scosse la
testa, ma Jasmine notò il suo disagio e il fatto che
cercasse di coprirsi il
braccio con la stoffa ancora attaccata alla manica. Si alzò
in piedi e si tolse
la felpa, appoggiandogliela delicatamente sul braccio.
“Grazie”. Lucy
aveva pochissima voce
ed era ancora pallida.
“Andrà tutto
bene. Hanno detto che non
si è reciso niente, nessun tendine, nessun nervo. Ti
metteranno i punti e
andiamo a casa, ok?” Jasmine cercò di essere
chiara e sicura, nonostante
l’ospedale le portasse alla mente brutti ricordi.
Lucy annuì e disse
ancora sussurrando:
“Io… Io…”
Jasmine per un attimo, ebbe quasi
pietà di lei. “Non sei obbligata a dirmi niente,
ok?” Lei annuì tristemente. “A
meno che tu non voglia”. Le sorrise, prendendole la mano del
braccio sano.
Iniziava a pensare di aver sbagliato il suo giudizio anche su di lei.
Lucy guardò da
un’altra parte.
“Non sono stata
io”. Quando la guardò,
Lucy le calamitò lo sguardo. “Solo questo ho fatto
io” disse, toccandosi il
polso sinistro coperto dalla manica. “So che l’hai
visto…” Jasmine annuì e non
disse niente. Poi Lucy si guardò il braccio nudo sotto la
felpa. Si toccò varie
cicatrici, quelle circolari sull’avambraccio, lentamente,
come se ognuna di
loro portasse alla mente un ricordo diverso. Quando Lucy
arrivò a toccarsi i
segni nell’incavo del gomito la guardò ancora.
“All’inizio, neanche questi ho
fatto io. Dopo… Dopo sì. Ho fatto anche altre
cose…” Il suo sguardo vagò nella
sala d’attesa, ma per fortuna non c’era gente
vicino a loro. “Ora sono pulita.
Da più di un anno”. Le sorrise.
“Mi fa
piacere.”
Lucy dovette mal interpretare la
sua
frase perché le tirò una manica. “Te lo
giuro. Non ho fatto entrare droga in
casa. Non manderei mai all’aria il progetto!”
Jasmine si bloccò. Lei non aveva
pensato al progetto, non quella volta.
“A me fa piacere che tu
stia bene. Non
te l’ho detto per il progetto.”
Gli occhi di Lucy si fecero lucidi.
Le
spiegò di come il patrigno l’avesse iniziata alla
droga per poterla tenere
legata a sé. L’aveva fatto prima con sua madre, ma
poi sua madre era morta e
quando era rimasta solo lei, lui l’aveva presa in custodia
con il parere
favorevole dei servizi sociali e da lì era iniziata la sua
gabbia. All’inizio
il patrigno la torturava con le bruciature delle sigarette, ma poi,
quando
divenne abbastanza grande, aveva iniziato ad abusare di lei e dopo,
l’aveva
iniziata alla droga, per far sì che non fuggisse da nessuna
parte. Quando si
era decisa a ribellarsi aveva cercato la maniera di farlo
definitivamente e si
era tagliata le vene a scuola. Tutti avevano pensato che fosse una
pazza
suicida e invece lei aveva voluto salvarsi. Perché
così avevano chiamato gli
assistenti sociali e venendo affiancata da uno psicologo era riuscita
ad
uscirne e non vedere più il patrigno.
Alla fine del racconto, Lucy
piangeva.
Silenziosamente e copiosamente. Jasmine non riuscì a non
abbracciarla. Sembrava
una bambina. Una bambina timorosa. Aveva bisogno di essere rassicurata.
Da
quanto tempo qualcuno non la rassicurava? Oppure, era mai stata
rassicurata? Si
ricordò di come sua madre l’abbracciasse quando
qualcosa andava male o lei si
sentiva particolarmente giù di morale. Come le mancava sua
madre in quel
momento!
Quando chiamarono Lucy, lei
entrò in
ambulatorio da sola e Jasmine si alzò per prendere qualcosa
di caldo al distributore
automatico. Mandò intanto un SMS agli altri per spiegar loro
cosa fosse
successo.
Dopo venti minuti Connor
entrò di
corsa nella sala d’attesa con uno sguardo preoccupato in
viso. Quando vide
Jasmine le andò vicino. “Come sta?
Dov’è?”
La ragazza alzò lo
sguardo su di lui e
indicò la porta dell’ambulatorio con un cenno del
capo. “È lì dentro. Ha un
taglio alla parte superiore del braccio, le stanno mettendo i
punti”.
Connor si avvicinò alla
porta e rimase
in attesa dondolando sulla gambe, con le mani affondate nei jeans.
Sentirono
delle voci un po’ agitate venire dall’ambulatorio e
il ragazzo si fece
irrequieto. Si grattò il collo con un dito e Jasmine
riconobbe nel gesto il suo
disagio. Si
alzò gli andò vicino.
“Ci stanno mettendo un
po’ tanto perché
lei non ha voluto prendere… sai, gli
antidolorifici?” Connor annuì sorpreso e
lei continuò: “Vedrai che uscirà
presto”.
“Lei è forte.
Ce la può fare”. Annuì
al ragazzo e lui continuò “Ti ha
raccontato…”
“Si è tagliata
la parte superiore del
braccio, quando le hanno tagliato la manica della maglietta, abbiamo
visto i
segni. Non solo i buchi… anche il resto. Lei… ha
voluto spiegarmi…”
Connor annuì.
“Il suo patrigno era un
bastardo. Ti ha detto anche cosa le faceva fare?” Jasmine
annuì. Lui sospirò.
“Posso chiederti se state
insieme?
L’altra notte ho visto…”
Lo sguardo di Connor si fece
bellicoso. “Mi sa che sei una di quelle che salta alle
conclusioni facili, eh?”
“Non volevo
offendervi!” Jasmine si
sentì un po’ stizzita. In fin dei conti non aveva
detto niente di male. Lo
guardò malo modo e lui sospirò ancora.
“No, comunque. Noi non
stiamo insieme.
E prima che tu me lo chieda, no, non facciamo sesso. L’altra
sera… Lei ha paura
dei temporali. Mi ha chiesto di dormire con lei. Tutto qui”.
Jasmine annuì. Lei
pensava che fosse una ragazza facile. E invece aveva dovuto ricredersi.
Su di
lei. Su tutti.
Gabe entrò in sala
d’attesa mentre
Jasmine si dava della stupida per esser saltata alle ‘conclusioni facili’ come aveva
dichiarato Connor. Quando li vide si
avvicinò.
“Come va?”
Jasmine gli sorrise.
“Sei venuto anche
tu”. Non era proprio
una domanda.
“Ho accompagnato Connor
in macchina,
per arrivare prima” spiegò. Jasmine
però non smise di sorridere.
“Però sei
ancora qui.”
“Certo!”
Lo sguardo del ragazzo le fece
capire
che lui dava per scontato il fatto che fosse ancora lì. Per
un attimo li
guardò: sembravano amici. Veri amici. Non quattro persone
messe a caso nel
progetto sperimentale dello Stato.
-
-
-
***Eccomi
qui con un altro capitolino... Buona lettura!! 😊
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Capitolo 5 *** Jasmine ***
05. Jasmine
Jasmine
-
-
Un altro sabato mattina con il
primo
turno al Blue Market. Una Jasmine insonnolita si avventurò
verso la cucina. Due
giorni dopo l’incidente di Lucy non pensava proprio di
trovare Will in casa,
così fu sorpresa di vederlo, attraverso la porta della sala,
ai fornelli a
cuocere le uova in una padella. Oh, le uova di Will! Splendido!
Ma quando entrò in
cucina, si bloccò
di colpo nel vedere Will abbracciare e baciare… Connor! Ma
Connor? E lei che
pensava che Lucy… Oh, Dannazione! Le uova sul fornello
stavano sfrigolando!
“No!” gridò facendo un passo in avanti.
I ragazzi si staccarono e si
voltarono
verso di lei. Ma lei non li aveva in nota. Non vide neanche il viso di
Connor
incupirsi. “Will! Le uova stanno bruciando!”
Il ragazzo rise e tornò
davanti alla
padella. “Ma no, lo fa sempre, è giusto
così, guarda” E così dicendo,
sistemò
in un piatto ciò che era in padella e lo mise a tavola.
“Prego.”
Lei lo guardò alzando un
sopracciglio.
“Per me?”
“Non hai fame?”
Oh, sì che Jasmine
aveva fame! Si sedette al tavolo e iniziò a mangiare.
“Grazie. Sono buonissime!”
disse, con la bocca piena.
Connor prese altre uova dal
frigorifero e poi si sedette davanti a lei. Il suo sguardo non era del
tutto
rilassato. “Mi avevi fregato. Pensavo che Will stesse con
Lucy” disse ancora,
indicandolo con la forchetta mentre lo sgridava bonariamente.
Connor sorrise. “Sei di
nuovo saltata
alle conclusioni facili”.
Jasmine rise.
“Già. Sembra che mi
capiti spesso!” Jasmine ridacchiò.
Lui sospirò pesantemente
e guardò
verso Will che gli fece un cenno con il capo e ritornò a
guardare la ragazza.
“È un problema per te? Will dice che devo
chiedervelo. Se fosse per me non vi
chiederei un accidente, ma lui…”
“Cucina meglio di te. Ed
è meno
scontroso. Se vi lasciate, teniamo lui. Per il resto, va bene tutto.
Grazie,
Will erano buonissime”. Si alzò, mise il piatto
nel lavello e uscì dalla
cucina. Quando si infilò il cappotto, Connor le
andò dietro.
“Sicura che non sia un
problema?” Stavolta
la sua voce tremava un pochino ed era molto meno spavalda di prima.
“Sicura. Però
è vero, potevi dirlo.
Non ci sarebbero stati problemi neanche prima.”
Connor si grattò il
collo con un dito
e quando se ne rese conto mise le mani nelle tasche dei Jeans e
sospirò. “Non è
una cosa che racconti quando entri in una casa famiglia, o in una
famiglia in
affido. Sai cosa succede al piccoletto che annuncia di essere
gay?” Il suo
sguardo vagò, senza volere, in tondo e Jasmine fu sicura di
leggergli dentro lo
stesso dolore che aveva provato lei quando i suoi vecchi amici si erano
dileguati velocemente subito dopo la morte della madre.
Sospirò silenziosamente
e sorrise. “In questa famiglia
non ci
sono problemi” disse e, senza averlo premeditato,
l’abbracciò.
Quando uscì di casa,
sorridente e
soddisfatta, il sole brillava nel cielo. Le giornate si stavano facendo
più
lunghe e la vita sembrava migliore.
***
“Così uscirai
con Gabe, sabato?” Lucy
era eccitatissima, neanche avesse dovuto lei uscire per un primo
appuntamento.
“Non gli ho ancora detto
di sì”
rispose Jasmine, come se parlasse con un bambino iperattivo.
Lucy saltellò sistemando
le confezioni
di cereali. “Secondo me dovresti. Potresti dargli una
risposta quando verrà a
prenderci”. Jasmine sbuffò sorridendo da davanti
il bancone della cassa. Voleva
uscire con Gabe. Davvero. Ma il pensiero di come era finita con Lenny
la
lasciava ancora titubante.
“Io non sono mai uscita
con nessuno…”
La piccola biondina si chinò a sistemare delle scatole
cadute.
“Spencer che fa chimica
con noi ti
guarda sempre. Secondo me gli piaci.”
Jasmine le sorrise mentre sistemava
i
dolci. Lucy era una brava ragazza e lei ci teneva davvero alla loro
amicizia.
“Forse…”
Lucy si bloccò quando entrò
un cliente. Jasmine alzò lo sguardo dal dispenser delle
caramelle, per vedere
perché avesse reagito così, quando vide
l’uomo che era entrato. Il tipo aveva i
jeans logori e deformi e una a giacca vento, nonostante fosse quasi
maggio. Poi
il suo sguardo vagò verso il viso e lo riconobbe.
”Bill…”
Suo padre sorrise e Jasmine
notò che
gli mancava un dente. Oddio. Ma avrebbe dovuto essere in prigione, cosa
ci
faceva lì al Blue Market?
“Ciao, tesoro. Come
stai?” La sua voce
era ancora melliflua come la ricordava.
“Cosa ci fai qui?
Perché non sei in
prigione?” Jasmine sperò che la sua voce non
tremasse veramente come la sentiva
tremare lei.
Lui rise. “Sono
uscito”.
Jasmine non riuscì
più a pensare a
cosa dire. L’uomo che l’aveva quasi uccisa e che
all’anagrafe risultava suo
padre, era lì davanti a lei, a pochissima distanza.
Tremò.
“Non puoi essere fuori.
Mi hai sparato!”
Lui scosse le spalle. “Ti
ha sparato
lo spacciatore…”
NO! “Non è
vero. Mi hai sparato tu!”
Lui ghignò.
“Sì. Ma nessuno ha creduto
a lui. Sai, era uno spacciatore e io sono tuo padre. Era strano a
tutti. Hanno
creduto a me. E poi, dai, non l’ho fatto apposta!”
Jasmine sentì il sangue
colargli via dal viso. Non poteva essere vero.
“Fuori di qui!”
Lucy aveva fatto
qualche passo verso di loro, ma non era troppo vicina.
Bill si voltò verso di
lei e ghignò.
“So chi sei. Sei la puttanella tossica che vive con mia
figlia. Senti, fatti un
giro”.
Se Lucy fu colpita dal suo
linguaggio,
non lo diede a vedere e Jasmine pensò che doveva averne
passate anche di
peggio, per farsi scivolare addosso un insulto così.
“Io non vado da nessuna
parte, mentre tu ora vai fuori”. Jasmine non aveva mai
sentito Lucy parlare
così. Sembrava… Forte, forte come aveva sostenuto
Connor.
Bill però sorrise ancora
sprezzante e
tirò fuori un coltello dalla tasca della giacca. Jasmine
fece cadere una
scatola di caramelle e rimase immobile. Bill… Suo
padre… voleva ancora farle
del male? Tremò alla vista della lama. Quella cosa sporca
avrebbe fatto male? E
dove l’avrebbe colpita questa volta?
Ma l’uomo era ancora
rivolto verso
Lucy. “Senti, perché non ci lasci soli? Io e mia
figlia dobbiamo parlare di
questioni importanti”. Lucy sparì dietro uno
scaffale, fuori dalla vista di
Jasmine. Oddio. Era sola. Di nuovo.
Poi Bill tornò a
guardarla e fece di
nuovo quello spaventoso sorriso. “Bene. Pensavo di doverle
dare qualche
spicciolo, e invece…” Ridacchiò
avvicinandosi, tenendo sempre il coltello
davanti a sé.
“Cosa vuoi da
me?” chiese Jasmine a
bassa voce, mentre faceva un passo indietro.
“Ho bisogno di
soldi.”
Jasmine si bloccò e si
passò una mano
fra i capelli per il nervosismo. “Io non ho soldi. Hai rubato
tu tutti i miei
soldi!”
Lui scosse le spalle.
“Ora ne hai”.
Eh no! Jasmine sentì un
po’ di rabbia
ravvivarle l’organismo. Aveva messo via poche centinaia di
dollari. Ma le
servivano per il futuro. “Sono miei. Stavolta non te li
lascerò!”
L’uomo allungò
il coltello verso di
lei e disse indicando il bancone: “Dammi i soldi della cassa.
Quelli non sono
tuoi”.
La ragazza strabuzzò gli
occhi. Aveva
dei limiti quell’uomo? “No!” Lui fece un
altro passo verso di lei e Jasmine,
meccanicamente, ne fece un altro indietro. Dannazione! Non doveva avere
paura
di lui.
Poi, fu tutto velocissimo. Bill che
allungava il braccio verso di lei, la ragazza che si portava le braccia
al viso
per proteggersi e poi un rumore forte e grintoso seguito da un urlo.
Jasmine tolse le mani dal viso e
riaprì gli occhi: una Lucy affannata e sorridente aveva in
mano la mazza da
baseball che Mike teneva sotto il frigorifero e Bill era piegato in due
per terra,
il suo coltello sul pavimento. Lucy ci mise sopra il piede e lo
spostò più
lontano. Sorrise mentre diceva: “L’ho visto fare in
film”.
“Cosa hai
fatto?” chiese Jasmine,
incredula, all’amica.
“Ho chiamato la polizia.
Ho detto che
ci stavano rapinando.”
Ma Jasmine scosse la testa.
“No...
Intendevo… L’hai colpito?”
Lei sorrise.
“Già. Non sai che
soddisfazione!” La ragazzina continuò a sorridere.
Jasmine era un po’ sotto
shock, forse.
Dopo poco si sentirono le sirene
della
polizia. Entrarono due poliziotti e Bill venne portato via, sotto gli
occhi di
Lucy e di Mike, che era arrivato da poco, avvisato da una Lucy
particolarmente
attiva. Jasmine non riuscì a seguire bene tutto quello che
stava succedendo, ma
stava parlando con una donna poliziotto, che le aveva dato una tazza di
tè
caldo e una coperta, quando vide entrare Gabe.
Il ragazzo la vide con gli occhi
spalancati e il volto pallido e si affrettò ad andarle
vicino.
“Ehi, ho sentito quello
che è
successo, come stai?” Lei annuì inconsapevolmente
e lui l’abbracciò. “Ok, non
preoccuparti. Ci sono qua io”. Il calore del ragazzo
l’avvolse e lei si
tranquillizzò. Di nuovo, si sentì meno sola e
appoggiò la testa sul braccio di
Gabe.
“Mio padre mi ha sparato,
l’anno
scorso…”
Lui la cullò un pochino.
“Non c’è
bisogno che me lo racconti, se non vuoi”.
Lei alzò la testa e lo
guardò. “No, voglio
davvero raccontartelo”.
Lui annuì. “Va
bene”. Non aveva detto
a nessuno com’era finita in ospedale.
“Quando sono andata a
vivere da mio
padre, lui ha speso tutta la mia eredità in droga e quando
l’ha finita ha detto
al suo spacciatore di prendersi me…”, Gabe la
strinse un po’ di più e lei
continuò “Ma lui non voleva. Disse qualcosa sui
servizi sociali e discusse con
Bill sul fatto di voler essere pagato. Poi mio padre tirò
fuori una pistola e
la puntò su di me, mi ordinò di andarmene con lui
e disse allo spacciatore che
erano pari. È stato bruttissimo. Quando il tipo
cercò di disarmare Bill ci fu
uno sparo e io svenni. Non so cosa è successo dopo. Io ero
ancora minorenne e
nessuno voleva prendersi la responsabilità di informarmi. So
solo che mi sono
trovata in ospedale, circondata da dottori e da assistenti sociali.
Quando sono
stata dimessa, dopo sei mesi, sono stata data in affido. Non
è stato
bruttissimo, ma neanche bello. E l’unica cosa che mi faceva
andare avanti era
il fatto che lui fosse in prigione. Credevo davvero che ci sarebbe
rimasto per
un bel po’. E invece…”
Gabe le posò un bacio
sui capelli e le
accarezzò la testa. “Adesso andrà tutto
bene. Ti aiuterò io”. Jasmine sentì le
lacrime bruciarle gli occhi. O cavolo, stava piangendo! Stava piangendo
sì, ma
si sentiva bene.
“Uscirò
con te, sabato” disse tutto d’un fiato. Gabe rise.
Lei sentì il rimbombo della
sua risata attraverso la gabbia toracica. Che sensazione strana. E
bellissima.
Sorrise e chiuse gli occhi.
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Capitolo 6 *** Epilogo ***
Epilogo
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“Eccoci qua.”
La signora Phillips sorrise a tutti
loro, come una mamma orgogliosa dei suoi bambini. Chissà,
forse era proprio
quello che sentiva, pensò Jasmine.
“Siamo arrivati in fondo
a questa
avventura, eh? Domani ci sarà la consegna dei diplomi e
tutti voi siete stati
bravissimi, quest’anno. Avete superato le vostre
paure”, si voltò verso Lucy,
che sorrise “avete superato i vostri limiti”,
questa volta fu lei a sorridere a
Connor “avete affrontato il vostro passato”,
Jasmine la guardò mentre la
Phillips le rivolgeva un’occhiata colma d’affetto
“e ora avete aspettative per
il futuro”. Gabe fu l’ultimo che guardò
e lui sorrise di quel sorriso che
faceva sciogliere il cuore di Jasmine.
“Come vi è
sembrato questo anno?”
chiese, sedendosi sulla cattedra. Loro quattro erano davanti a lei,
seduti su
quattro sedie in fila. Era l’ultimo incontro obbligatorio con
la psicologa e
l’ultimo giorno di scuola.
Si guardarono in faccia e
sorrisero,
ma tutti erano imbarazzati, nessuno sapeva cosa fosse giusto rispondere.
“Ho conosciuto delle
persone nuove. Mi
sono fidata e mi è piaciuto”. Ruppe il silenzio
Lucy.
“Anch’io sono
contenta di aver conosciuto
persone nuove e realtà diverse dalla mia”. Lucy
sorrise alle parole di Jasmine.
“Mi sono sentita meno sola”. Anche la ragazza le
sorrise.
“Mi sono sentito
accettato” disse
Connor con noncuranza. Jasmine aveva capito che il suo atteggiamento
era provocatorio
e l’unica cosa di cui avesse bisogno quel ragazzo era di
sentirsi parte di
qualcosa.
“Io ho smesso di sentirmi
superiore a
tutti, come se io non c’entrassi niente con.. voi”.
Gabe sussurrò quella frase
come se si vergognasse e Jasmine gli strinse la mano per trasmettergli
un po’
di tranquillità.
“Conosco i vostri
progetti per l’anno
prossimo” disse ancora la Phillips. Li guardò e
tutti annuirono. “Visto come
sono andate le cose e il fatto che alla fine resterete tutti e quattro
in zona,
ho proposto di lasciarvi l’appartamento per un altro anno.
Sarete liberi, l’affitto
sarà agevolato e potrete continuare a lavorare per il signor
Dubb, se volete”.
Lucy fu la prima ad alzarsi.
“Dove
devo firmare?”
La risata che riempì la
stanza fu
naturale, spensierata e, finalmente, piena di speranza.
FINE
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***Ecco la fine di questa
avventura. Un epilogo piccolo piccolo... Grazie a chi mi
ha seguito fin qui e grazie mille a alessandroago_94 che ha commentato
ogni capitolo tenendomi compagnia. 😊 Spero che la storia vi sia
piaciuta. A presto!
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