Il progetto

di ONLYKORINE
(/viewuser.php?uid=1040879)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO - Il progetto ***
Capitolo 2: *** Non far saltare il progetto ***
Capitolo 3: *** Confidenze ***
Capitolo 4: *** Amici o coinquilini? ***
Capitolo 5: *** Jasmine ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** PROLOGO - Il progetto ***


Il Progetto

 -

“Eccoci qua.”

Jasmine si voltò verso la signora Phillips, che era entrata nell’appartamento per ultima. La vide arrancare con due grosse buste della spesa dall’aria pesante.

“Che ne dite di aiutarmi, ragazzi?” chiese.

La donna aveva il fiato corto, probabilmente a causa dei quattro piani di scale senza ascensore di quella palazzina fatiscente dove si trovavano.

Jasmine fece un passo avanti per aiutarla quando notò che nessun altro lo avrebbe fatto. Appoggiò una delle due borse sul tavolo in cucina e la signora Phillips le sorrise ringraziandola.

Tornarono insieme nella stanza di prima. Era un piccolo soggiorno: c’era un divano e due poltrone, davanti a quello che sembrava un mobile porta tv. Ma la televisione non c’era. Non c’era molto, effettivamente, notò Jasmine guardandosi intorno: un tavolo sgangherato, quattro sedie, un mobile a parete. Nient’altro.

 

“Ripetiamo le regole?”

La signora Phillips fu ancora l’unica a parlare.

Jasmine annuì quando lo sguardo della donna incrociò il suo. Poi lei guardò anche gli altri ragazzi.

Gabriel, che si era presentato come Gabe, un ragazzo di colore con intensi occhi color cioccolato, alto un metro e novanta con le spalle larghe quanto un pugile, che guardava tutto con uno sguardo un po’ strano, come se lui non c’entrasse niente con quel posto. E con loro.

Lucy, una ragazza minuta e agile, con gli occhi blu e bellissimi riccioli biondi che poteva assomigliare a un angelo, ma quando ti guardava ti veniva in mente l’assassina di un film horror, piuttosto che un paffuto pargolo con le ali e l’arpa.

Per finire c’era Connor, un ragazzo dai capelli a spazzola, secco come un chiodo, con due occhi di ghiaccio, un piercing al naso, le braccia coperte di tatuaggi e quella che sembrava un’accozzaglia di orecchini fra cui un dilatatore nero che a Jasmine faceva ribrezzo.

 

Loro tre, tre ragazzi appena diciottenni come Jasmine, sarebbero stati i suoi coinquilini per il successivo anno scolastico.

 

“Vivremo qui tutti e quattro” iniziò Gabe, con tono indifferente. La Phillips annuì sorridendo.

“Andremo a scuola e ripeteremo l’ultimo anno di liceo” continuò Lucy.

Quando Connor non parlò, Jasmine disse: “Lavoreremo al Blue Market, il supermarket in fondo all’isolato”.

La donna si voltò verso di lei, sempre sorridendo, e subito dopo il suo sguardo si posò su Connor, aspettando che dicesse qualcosa anche lui.

Connor affondò le mani nelle tasche dei jeans e ghignò, dicendo: “Niente droga e niente alcool. Insomma, una gran noia”. La signora Phillips sbuffò e Connor si fece ancora più tremendo. “Sesso, invece, signora Phillips? Niente regole sul sesso?”

Il ragazzo fece girare intorno lo sguardo sghignazzando e Jasmine notò che quando si posò su di lei, ammiccò. Riuscì a reprimere un brivido.

 

La signora Phillips si avvicinò al tavolo in soggiorno e dalla borsetta tirò fuori quattro buste.

“Qui ci sono le vostre cose: abbonamento dell’autobus, tessera sanitaria, badge scolastico e le altre cose” spiegò. Si guardò intorno sospirando. Jasmine si chiese se la donna iniziava a pentirsi di quella scelta. “Dovrete mantenere una media sufficiente a scuola, potrete fare attività extrascolastiche, potrete allenarvi negli sport…” Il suo sguardo finì verso Gabe, che annuì meccanicamente. “E potrete fare domanda al college”.

Guardò verso Jasmine e anche lei annuì con il capo.

“E dovrete lavorare per quattro ore tre giorni a settimana, ma i turni potrete gestirveli fra di voi, il signor Dubb ne è al corrente. Dovrete venire da me una volta a settimana, dovrete contattare il vostro assistente sociale almeno una volta al mese, dovrete…”

La donna venne interrotta da Lucy che esclamò: “Posso ancora contattare Linda?” poi i suoi occhi si spalancarono e continuò: “Cioè… La signorina Light. La signorina Light continuerà a seguirmi?”

 

La Phillips annuì. “Certamente. I vostri assistenti sociali sono stati avvisati di questo progetto. È un’occasione unica e sperimentale, quindi sapete tutti cosa ci aspettiamo da voi. Siete tutti e quattro maggiorenni, quindi per lo Stato non…”

“Siamo fuori dal sistema” disse Connor con disprezzo. “Non che esserci dentro sia tutto questo po’ po’ di roba…”

La donna gli lanciò un’occhiataccia. “Connor, non farmi pentire di averti inserito nel progetto. Hai tante capacità, non iniziare a distruggere…”

Il ragazzo però non voleva ascoltarla e la interruppe. “Sì, sì, va bene. Ho capito” capitolò, grattandosi il retro del collo con un dito.

“Cercate di andare d’accordo. Non combinate guai. Niente casini, di nessun genere. Non trasgredite le regole. È per voi tutto questo. Intesi?” Tutti annuirono. “Ok, ho lasciato sul tavolo della cucina la spesa per qualche giorno, poi dovrete organizzarvi e fare voi le faccende domestiche”.

“Non ho intenzione di pulire il cesso.”

Connor venne zittito da un’altra occhiata della donna. Il ragazzo abbassò gli occhi e non disse più niente, ma la sua mano tornò dietro al collo.

“Se questa cosa andrà bene, si riproporrà l’anno prossimo per altri quattro ragazzi. Avete sulle spalle l’occasione per cambiare le regole. Non fate casini.”

Detto ciò, controllò l’appartamento, rispose alle ultime domande dei ragazzi e alla fine, si chiuse la porta alle spalle.

 

Jasmine si voltò verso gli altri. Erano rimasti soli. Si guardarono in faccia tutti e quattro senza dire niente finché Connor non sghignazzò e chiese: “Allora, chi dorme con chi?”

Lucy si voltò verso il ragazzo e lo squadrò dall’alto verso il basso e viceversa. “Io con te non ci dormo” dichiarò, sdegnata.

Connor ghignò ancora e le lanciò un bacio volante, dicendole: “Non sei il mio tipo, tesoro, stai tranquilla”.

La ragazza inorridì e poi lo guardò sprezzante. “Fidati, neanche tu”.

Lui rise forte e raccolse la sua borsa dal divano e si incamminò per il corridoio. “Io prendo la camera più grande” annunciò ad alta voce.

Lucy gridò un’oscenità, prese la sua borsa e gli corse dietro gridando che ne avrebbero discusso. Jasmine si voltò verso il ragazzo rimasto con lei nel soggiorno. Cosa fare? Cosa dire?

“Ehm…” Si schiarì la voce, imbarazzata. Lui era ancora girato verso il corridoio, sospirò e si voltò verso di lei.

“Speriamo bene” disse con un tono sostenuto.

Speriamo bene davvero, pensò Jasmine.

 

Afferrò la sua borsa e si inoltrò nel corridoio. Sentiva Lucy e Connor bisticciare in una delle camere. Chissà poi perché. Era un appartamento grande e, sebbene non fossero tanto spaziose, c’erano quattro stanze da letto: una per ognuno di loro. Era una delle prime cose che le aveva detto la signora Phillips. Lo dovevano sapere per forza anche gli altri. Perché allora fare tanta confusione?

Si fermò davanti alla prima camera che incontrò. L’aveva vista prima, quando seguiva la donna mentre ispezionava l’appartamento. Non era la più grande, ma era orientata a est così sperava di aver luce al mattino, quando si sarebbe svegliata.

La sua vecchia camera era illuminata dal sole al mattino, pensò tristemente. La camera a casa di sua madre. Sperò di sentirsi un pochino a casa, mentre appoggiava la borsa sul copriletto piegato. Si sedette sul letto, guardando fuori dalla finestra.

 

Aveva cambiato tre case. Due anni prima, quando sua madre era morta in un incidente lasciandola sola, si era trasferita a casa di suo padre. Un padre che non vedeva da quando i suoi avevano divorziato, dodici anni prima, praticamente un estraneo. Un padre con gli occhi rossi, il sorriso mellifluo e lo sguardo vacuo. Li aveva visti quelli come lui, a scuola, e lo aveva inquadrato subito: un tossico.

 

Erano riusciti ad andare avanti un po’, lei e Bill. Non lo aveva mai chiamato papà. Lei andava a scuola, faceva i compiti e preparava da mangiare per tutti e due, aspettando di finire il liceo per compiere diciotto anni e andare al college. Lui… Bill frequentava brutta gente e continuava a farsi. Jasmine non lo aveva detto a nessuno, neanche all’assistente sociale. Non sapeva cosa sarebbe successo se lo avesse fatto e, finché stava con lui, almeno era libera. Libera di fare quello che voleva.

Aveva dovuto cambiare scuola, ed era stato brutto. Lasciare i suoi amici, il suo ragazzo... Sua madre le aveva lasciato dei soldi e doveva solo aspettare di arrivare al college. Quello che non sapeva era che suo padre aveva scialacquato tutta la sua eredità in prostitute ed eroina e quando la cosa era saltata fuori, era successo il finimondo. Lei era finita in ospedale con un proiettile nella spalla e suo padre era finito in prigione.

Quando era uscita dall’ospedale aveva ancora diciassette anni e nessun maggiorenne che potesse occuparsi di lei, così era entrata in quello che Connor aveva definito il sistema: la macchina dello Stato per gestire i minori incustoditi. Ed era stata data in affido. Per fortuna la famiglia dove era capitata non era malaccio. A loro bastava prendere i soldi dell’affidamento e per il resto veniva lasciata stare, da sola, ma in pace.

 

Quando aveva compiuto diciotto anni, però, aveva scoperto che, a causa delle assenze fatte durante l’anno, non avrebbe potuto diplomarsi né soggiornare ulteriormente con la famiglia in questione. Così, quando la signora Phillips, la psicologa, le aveva proposto quel progetto sperimentale, aveva accettato pensando che fosse una buona idea.

 

Quattro ragazzi in un appartamento. Quattro ragazzi di diciotto anni che, per svariati motivi, avrebbero dovuto ripetere l’ultimo anno delle superiori e che fossero appena usciti dal sistema.

Sospirò. Non aveva altra scelta, ma sperò di non pentirsene.

Si alzò in piedi quando sentì Connor e Lucy gridare nel corridoio. Sperò vivamente di non pentirsene.

-

-

-

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Non far saltare il progetto ***


Non far saltare il progetto

 -

 -

La scuola era iniziata già da un mese e le cose non andavano male. Jasmine si sedette a uno dei tavoli con il suo vassoio. Se prima della morte della madre era una persona socievole e sempre in mezzo ai suoi amici, dopo era diventata un tipo solitario che non amava le chiacchiere né le parole inutili. Si mise gli auricolari e iniziò a mangiare. Vide dall’altra parte del locale mensa Gabe, il ragazzo che viveva con lei. Lui alzò la mano per salutarla e lei ricambiò, ma non gli fece cenno di sedersi al suo tavolo, né lui si avvicinò, comunque.

Non c’era molta confidenza fra lei e gli altri ragazzi del progetto. Mangiavano insieme la sera e si parlavano per le questioni riguardanti la casa e i turni di lavoro, ma per il resto, Jasmine non voleva iniziare relazioni impegnative.

 

Da quando sua madre era morta aveva capito che gli amici ti stavano vicino solo finché faceva loro comodo e quando invece eri tu ad aver bisogno, sparivano tutti. Così come era successo a lei. Nessuno si era più fatto vivo, nemmeno Tash, che vantava di essere la sua migliore amica. Nemmeno Lenny, il suo ragazzo. Erano andati a trovarla i primi giorni in ospedale, ma poi, più il tempo passava e più diradate si fecero le loro visite, diventando poi del tutto assenti.

Sospirò guardando il piatto. Non aveva neanche più fame.

 

Sentì delle grida da due tavoli alla sua destra e si girò in quella direzione: Connor stava di nuovo facendo lo sbruffone. Lui e un altro ragazzo erano faccia a faccia, e si stavano parlando. Dalle loro facce, Jasmine capì che non stavano solo discutendo, ma che, se avessero continuato su quella strada, sarebbero finiti alle mani. Connor era il tipo che, se provocato, si buttava a pesce in qualsiasi rissa. Non andava bene. Anche Connor doveva sapere che era meglio non mettersi nei guai, fare a botte a scuola non avrebbe portato niente di buono.

Chissà se il loro progetto sarebbe saltato e lei si sarebbe trovata per strada a causa sua. Jasmine aveva bisogno del progetto. Almeno fino a giugno. Poi, loro avrebbero potuto fare quello che volevano.

Si alzò dal suo posto per andare a controllare cosa stesse succedendo nonostante avessero intorno, lui e l’altro ragazzo, una buona parte dei ragazzi dell’ultimo anno.

Quando arrivò vicino, però, vide che accanto a Connor c’era Lucy che gli tirava un braccio e cercava di portarlo via. Oh. Lucy era arrivata prima di lei. Anche lei doveva aver avuto lo stesso pensiero di Jasmine. Il progetto innanzitutto.

 

Jasmine si fermò e osservò la scena. Lucy, che era più bassa di Connor, lo tirava per un braccio, con quella che Jasmine immaginò fosse tutta la sua forza, ma lui continuava a guardare il ragazzo con uno sguardo di fuoco e a dire parole a bassa voce. Poi Lucy dovette dire qualcosa che lo colpì, perché Connor si voltò verso di lei, la guardò e, tornando a guardare il ragazzo con cui stava discutendo, gli disse ancora qualcosa e si allontanò con la ragazza.

Jasmine si sentì sollevata. Osservò i suoi coinquilini camminare verso la porta che dava sul corridoio. Connor aveva le spalle basse mentre affondava le mani nelle tasche dei Jeans e Lucy gli era vicino e gli continuava a parlare a bassa voce, con una mano sulla sua schiena. Notò che la ragazza portava una maglietta a maniche lunghe nonostante facesse ancora caldo e le venne in mente di non averla mai vista con un indumento diverso. Sempre jeans e maniche lunghe. Mmm. Era una cosa strana. Ma almeno aveva salvato Connor da una possibile sospensione e loro dal fallimento del progetto.

Rimase a guardarli mentre si allontanavano e notò che, prima di svoltare l’angolo del corridoio, Connor si riprese e mise un braccio sulle spalle della ragazza, stringendola verso di sé e alzando l’altro braccio al soffitto, mostrando un pugno. Poi tutti e due risero e Lucy si accoccolò contro il torace dell’amico.

Jasmine si morse il labbro: loro erano amici di sicuro. Anzi, forse anche di più.

 

***

 

“Chiedilo alla principessa.

La voce di Connor trasudava disprezzo e derisione. Jasmine capì che parlava di lei quando incontrò il suo sguardo.

“No, è lo stesso…” Lucy abbassò lo sguardo sul piatto. Jasmine si guardò intorno, cercando di capire cosa stesse succedendo, ma né Gabe né Connor spiegarono il problema. Stavano mangiando tutti insieme, ma, come succedeva spesso, non stavano chiacchierando fra di loro.

“Cosa devi chiedermi, Lucy?” chiese, direttamente alla ragazza.

La bionda alzò le spalle. “Non fa niente. Non ci vado”. Jasmine non capì bene. Ma effettivamente lei e Lucy non parlavano granché.

Guardò Gabe, che le sorrise e tornò a mangiare alzando le spalle.

Connor mise un braccio sulla spalliera della sedia di Lucy e le accarezzò la schiena con due dita. Sembrava un gesto molto… personale. E intimo. “Vacci. Lo faccio io. Andrò dalla Phillips nella pausa”.

Come? Jasmine si fece più attenta. Se c’era di mezzo la Phillips poteva riguardare il progetto. “Dove devi andare, Lucy? Posso aiutarti?” si costrinse a chiedere. Di solito non dava fiducia e confidenze con facilità. Non più, almeno.

Lucy alzò lo sguardo verso di lei. “Ho trovato un corso per imparare a cucire a macchina. Ma la prima lezione è domani. E domani ho il turno al Blue Market…” sospirò e guardò Connor, che, con sorpresa di Jasmine, le sorrise annuendo, continuando ad accarezzarle la schiena. Sembrava che quel gesto le desse più fiducia.

Infatti Lucy la guardò ancora. “Faresti cambio turno con me? Connor ha la seduta obbligatoria con la Phillips e non può sostituirmi, mentre Gabe sarà di turno anche lui…” I suoi occhi divennero vacui come quando Jasmine la immaginava in un film horror.

“Va bene” rispose. Si era immaginata molto di più.

La biondina tirò su la testa di scatto, guardandola ancora. “Come?”

Jasmine scosse le spalle. “Non ho impegni domani. Posso fare il tuo turno”.

“Davvero?” Lucy sembrava scettica. “Lo faresti?”

Jasmine guardò Connor, che sembrava l’unico che capisse la ragazza e l’occhiata che le lanciò non fu più di disprezzo, ma quasi simpatico. Poi tornò a guardare la ragazza. “Sì” disse ancora.

Il sorriso che vide apparire sul viso di Lucy trasformò il suo sguardo. “Grazie!” Sembrava anche carina, quando non aveva gli occhi vacui.

Jasmine annuì senza dire niente e alzò le spalle. Non era niente di che.

 

***

 

Quella sera era il suo turno di lavare i piatti.

Jasmine si avvicinò al lavello sospirando. Si guardò intorno con curiosità. Non dava mai troppa importanza agli altri tre. Fino a quella sera. Vide Connor andare sul balcone per fumare una sigaretta e Lucy seguirlo. Attraverso il vetro li osservò parlare. Erano entrati in confidenza, loro. Molto. Chissà se c’era qualcosa di più intimo. Quando Connor si voltò verso il vetro e la vide osservarli, lei guardò da un’altra parte. Non voleva saperne niente. Meno sapeva meglio stava. L’importante era che non saltasse il progetto.

Si girò verso Gabe. Lo vide trafficare vicino alla porta e andare verso il corridoio. Non si girò verso di lei. Lui era sempre gentile, ma sempre sulle sue, come se loro non fossero alla sua altezza. A volte Jasmine pensava che fosse vero. Lui era calmo, faceva sport, andava bene a scuola… Sembrava uno dei ragazzi della sua vecchia compagnia. Uno di quelli che aveva fatto finta di non conoscerla quando si erano rincontrati dopo che lei si era trasferita. Forse sarebbe stato meglio se avesse mantenuto le distanze anche da lui.

Non le piacevano quei tipi lì.

 

Si tirò su le maniche, si chinò per prendere il sapone per i piatti e aprì l’acqua, iniziando a lavare le stoviglie. Sentì la porta balcone aprirsi e richiudersi, ma non si voltò più, così si spaventò quando Connor apparve al suo fianco. Fu ancora più stupita quando lo vide prendere uno strofinaccio e toglierle dalle mani uno dei piatti appena sciacquati.

Jasmine fece finta di niente, ma quando arrivò ai bicchieri non ce la fece più. “Perché mi stai aiutando?”

Lui alzò una spalla e sorrise al muro. “Così…” Ma poi la sua mano scattò dietro al collo. Jasmine lo aveva visto farlo tante volte, ormai aveva imparato a riconoscere quel gesto.

“Tu sei strano” disse ancora la ragazza.

“Dovresti vederti con i miei occhi, principessa.”

“Perché mi chiami principessa?” Passò sotto l’acqua due forchette.

“Sei diversa da noi, sembri una principessa”. Ma lo disse con un tono strano. A Jasmine non piacque.

“Tu non sai niente di me. Smettila di chiamarmi così.”

Connor finì di asciugare tutto e poi le disse semplicemente: “Va bene, non ti chiamerò più principessa ma, fidati, neanche tu sai niente di noi”. E se ne andò senza dire nient’altro. Lo guardò finché non lo vide sparire per il corridoio.

No, no, quello strano era lui, mica lei.

 

***

Merda! Jasmine non aveva sentito la sveglia, quella mattina. Si era fiondata in bagno e velocemente si era lavata per recarsi al lavoro. Era un sabato mattina e lei aveva il primo turno. Sbuffò saltellando infilandosi una scarpa mentre guardava l’orologio. Venti minuti. Venti minuti per andare al negozio. Non sarebbe riuscita neanche a fare colazione. Dannazione!

Uscì dalla stanza infilandosi la giacca e in cucina sentì delle risate. C’era qualcuno già sveglio? Si incamminò verso la cucina e infilò dentro la testa. Due teste scure si girarono verso di lei.

Gabe era seduto al tavolo a fare colazione e chiacchierava con un ragazzo di colore che non aveva mai visto, appoggiato ai fornelli.

“Ciao, devi essere Jasmine, giusto? Io sono Will”. Il ragazzo si allungò verso di lei e le porse la mano. Lei gliela strinse un po’ confusa. Chi era quel tipo? Un amico di Gabe? Jasmine salutò il nuovo ragazzo un po’ imbarazzata e aprì il frigo in cerca di qualcosa che potesse mangiare per strada. Niente. Niente di suo.

Prese il succo d’arancia e se ne versò velocemente un bicchiere. “Scusate, ma sono in ritardo. Mi ha fatto piacere conoscerti… Will. Ma devo andare al lavoro”.

Appoggiò il bicchiere vuoto nel lavello e si girò verso la porta.

“Aspetta, Jasmine: ti accompagno”. Jasmine si voltò verso Gabe, che si era alzato e aveva preso il piatto dal tavolo.

“Lascia, faccio io” gli disse Will, togliendogli il piatto dalle mani. Gabe lo ringraziò con un cenno del capo.

“Come mi accompagni, scusa?” chiese la ragazza.

Il ragazzo uscì dalla cucina prendendo la sua giacca e infilandosela. “Ho preso una macchina, ieri”. Oh. Una macchina?

“Davvero?” Lui sorrise. Aveva un sorriso carismatico. Ti faceva sentire bene.

“Non dico bugie”. E le mostrò le chiavi. “Andiamo”.

Mentre scendevano le scale, Gabe spiegò a Jasmine la storia dell’auto. Era l’auto di un signore anziano, che Gabe aveva aiutato qualche pomeriggio in alcune cose di ristrutturazione che non riusciva a fare da solo e lui, in cambio gli aveva regalato l’auto. Era contento mentre lo raccontava. E lei che pensava che fosse un pallone gonfiato. Invece aveva aiutato un estraneo. Lo guardò di sottecchi: era anche carino. E quando sorrideva il mondo diventava più luminoso. Chissà come faceva a farlo succedere.

Jasmine era imbarazzata. Iniziava a rendersi conto che sapeva pochissimo delle persone che vivevano con lei. Quando salì in macchina, una macchina usata ma tenuta bene, cercò di essere gentile e trovare qualcosa da dire. Niente. Non le veniva in mente niente.

“È un tuo amico, Will?” chiese, giusto per rompere il ghiaccio.

Lui si voltò verso di lei, con uno sguardo strano. “Dai per scontato che sia amico mio perché è nero come me?”Aalzò un sopracciglio e Jasmine sentì chiaramente le guance prendere fuoco.

“Scusa…” Dannazione! Ma Gabe rise.

“Cavolo, non pensavo fosse così semplice metterti in imbarazzo. Sei sempre… Scusami, l’ho detto apposta.”

Continuò a sorridere mentre faceva attenzione alla strada. Quando si fermò al semaforo rosso, spiegò ancora: “Ho visto Will la prima volta due settimane fa”.

Oh. “Dove?” chiese ingenuamente. Lui rise ancora. Jasmine si sentì un po’ stupida. “A casa nostra. Dove avrei dovuto incontrarlo?”

Lei alzò le spalle. “Quindi chi è?”

“Secondo me è una spia della Phillips.”

COSA? “Davvero?” Ma Gabe rise ancora.

“Scusami, non ho resistito. Prenderti in giro è così facile”. Jasmine sbuffò e guardò fuori dal finestrino. Se non fosse stata in ritardo, sarebbe scesa subito. “Ok. Non so chi sia.  Ma cucina volentieri e le sue uova sono buone. Pensavo fosse l’avventura di una notte di qualcuno di voi” disse, abbassando un po’ la voce.

Come? L’avventura di uno di loro? Che intendeva? Oh, forse intendeva una notte di sesso… Lo guardò e notò che lui la osservava con la coda dell’occhio. Ripartì appena il semaforo si fece verde e riportò l’attenzione per la strada. Jasmine non sapeva cosa dire. Quando arrivarono davanti al Blue Market, lei era ancora imbarazzata, ma in orario. Prima di scendere disse: “Grazie per avermi accompagnato”.

Gabe sorrise e lei sentì l’imbarazzo sciogliersi. “L’ho fatto volentieri. Scusa per prima, quando sono nervoso, tendo a essere un po’ antipatico… Io… Mi ha fatto piacere scoprire che Will non aveva passato la notte in camera tua…” Jasmine spalancò gli occhi quando si rese conto di quello che intendesse dire. Poi sentì le guance andare a fuoco. Doveva scendere subito. Al più presto. Borbottò un: “Ci vediamo”, e scese velocemente.

Dannazione, Gabe… Ci voleva provare con lei? No. No, sicuramente aveva capito male. Sentì ancora le guance calde ed entrò al Blue Market.

“C’è freddo, eh?” disse Mike Dubb, il proprietario del Market.

“Come?” chiese Jasmine confusa.

“Sei tutta rossa, ci deve essere un gran freddo là fuori!” Oh. Jasmine non se n’era neanche accorta, del freddo. Ma annuì e andò nel retro ad appoggiare la giacca e iniziare il lavoro. Aveva bisogno di un caffè. O venti caffè. Sì, meglio venti.

 

***

 

Tornando a casa, Jasmine ripensò a quello che aveva detto Gabe. Diceva che quando era nervoso diventava un po’ antipatico. E se tutte le volte che lei aveva pensato che fosse un pallone gonfiato in verità fosse stato solo nervoso? Poteva essere. Gabe aveva un caldo sorriso ed era spesso gentile. Era stato gentile anche nei confronti di Will.

Sospirò pensando al ragazzo conosciuto quella mattina. Quindi Will era rimasto lì per la notte. Lei non ci aveva mai pensato. Portare qualcuno in quella casa? Assolutamente no. Ma a dir la verità lei non aveva nessuno. Non frequentava nessuno e non era di sicuro il tipo da una notte e via. Si infilò le mani in tasca, imbarazzata dai suoi pensieri. Ma cosa stava pensando?

Più che altro… Se la signora Phillips avesse scoperto che Will rimaneva in casa a dormire (Jasmine sentì chiaramente le guance scaldarsi quando pensò che probabilmente lui non avesse dormito tanto), avrebbe fatto saltare il progetto? Era il caso di parlarne con gli altri. O forse avrebbe fatto meglio a parlarne direttamente con Lucy. Chissà doveva aveva conosciuto Will. Non le sembrava proprio il suo tipo. Oddio. Non che fra di loro ci fosse così tanta confidenza…

E se avesse chiesto direttamente alla signora Phillips se era possibile avere ospiti in casa? Forse, se le avesse fatto credere di aver qualche amico… Ma mica ci avrebbe creduto, la signora Phillips. Lei era sveglia. Pensò ancora a come risolvere la questione, mentre iniziava a salire le scale per raggiungere l’appartamento.

L’importante era non far saltare il progetto.

-

-

-

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Confidenze ***


03. Confidenze

Confidenze

-

-
 

Quando Jasmine vide Connor lavare i piatti, quella sera, si bloccò di colpo.

Entrò in cucina e chiese, vicino al lavello: “Non è il turno di Lucy?”

Il ragazzo si voltò verso di lei e rispose: “Abbiamo fatto cambio. Lei lava il bagno al posto mio e io lavo i piatti”.

Oh. Non aveva mai pensato che si potesse fare. Guardò il ragazzo insaponare un piatto e appoggiarlo di fianco. Si avvicinò e prese uno strofinaccio. “Ti piace lavare i piatti?” gli chiese.

Lui rise mentre iniziava a sciacquarli sotto l’acqua. “È l’ultimo ricordo che ho di mia madre. Non mi dispiace…” Appoggiò un piatto bagnato e Jasmine lo prese per asciugarlo.

“È… è molto che… sei…” Non sapeva come si chiedesse una cosa del genere con educazione. Come poteva chiedergli la sua storia?

“Che sono nel sistema?” Connor le venne incontro. Jasmine annuì senza dire niente. “Un po’. Molto più di te e Gabe, di sicuro”.

La ragazza voltò il viso di scatto verso di lui. “Come fai a dirlo?” Connor alzò le spalle.

“Sono andato in affido la prima volta a sette anni. Ho visto un po’ di cose.”

Oh. Il suo sguardo era serio. “Non sai niente di me” disse lei dopo un po’.

“No. Ma mi sono sbagliato?” Lei scosse la testa. “Posso indovinare?” Jasmine lo guardò di sottecchi.

“Prova.”

Connor finì di sciacquare tutti i piatti e la osservò con uno sguardo strano.

“Eri benestante. Vivevi bene. Studiavi. Andavi bene a scuola. Forse eri anche popolare. Magari una cheerleader, eh? Forse avevi un ragazzo. Uno bravo. Uno sportivo. O uno popolare. Uno sportivo popolare, forse? Poi è successo ciò che ti ha fatto entrare nella grande macchina burocratica dello Stato. Forse un anno fa. Non più di due, comunque. Hai perso tutto e hai perso tutti.”

Jasmine rimase colpita dalle sue parole, anche se solo in parte giuste. “Perché dici che ero popolare?” Lui sorrise. Un dente sbeccato sul lato destro fece venire in mente a Jasmine una rissa.

“Mi davi quest’idea. Ci ho preso?”

Dovette ricredersi. Connor sembrava in gamba.  Jasmine sospirò annuendo. “Mia mamma è morta due anni fa…” Connor non le disse niente. Non disse ‘mi dispiace’ o ‘condoglianze’, come facevano tutti. Lui annuì guardandola serio. Ma il suo sguardo le sembrò molto più sincero di tutte le parole che aveva sentito in quei due anni. “Poi sono andata a vivere da mio padre ma non è stata una bella storia. E ora sono qui”.

Connor non le chiese niente. Jasmine ne fu contenta perché era ancora difficile parlarne. “Non ci crederai” iniziò il ragazzo, ironico, “ma quando si tratta del sistema, nessuna storia è bella”. Divenne serio.

“Posso solo immaginare. E Lucy e Gabe? Sai anche la loro storia?” Lui si irrigidì. “Dovrai chiedere a loro, principessa”

“Giusto. Ma non avevamo detto che non mi avresti più chiamato principessa?”

Lui ridacchiò e l’orecchino con la croce dondolò mentre le sue spalle si scuotevano.

“Va bene. Ma solo perché mi hai aiutato a lavare i piatti.”

Jasmine sorrise. L’aveva giudicato male. Non era una brutta persona. Nonostante i tatuaggi e gli orecchini. Chissà cos’altro nascondeva.

 

***

 

Quella sera avevano mangiato la pizza e Jasmine si era svegliata di notte con una sete micidiale. Fuori c’era un temporale devastante. Tuoni e fulmini.

Il rumore di un tuono la colpì e, inconsciamente, iniziò a contare. Glielo aveva insegnato sua madre: più era alto il numero a cui arrivava più il temporale era lontano. Il fulmine fece tremare la casa appena arrivò a tre e lei si trovò in corridoio, davanti alla camera di Lucy. Si bloccò colpita dal frastuono e quando la porta della stanza si sganciò dalla maniglia, guardò dentro con curiosità. A parte la volta che l’aveva aiutata con il turno al Blue Market, non avevano più parlato, lei e Lucy. Effettivamente aveva parlato più con gli altri ragazzi.

Un altro lampo illuminò la stanza, probabilmente Lucy non aveva tirato giù la tapparella, prima di andare a letto, e Jasmine riuscì a vedere chiaramente il letto di Lucy. Solo che non era sola. Oddio, c’era Will? E quando era entrato? La sera prima non c’era. Appoggiò la mano alla porta e l’aprì un altro po’. Non era Will il ragazzo nel letto di Lucy: era Connor. Cavolo. E questa era una cosa buona o no? Avrebbe… mandato all’aria il progetto?

Vide Gabe uscire dalla sua stanza e velocemente afferrò la maniglia e richiuse la porta. Forse era il caso di scambiare due chiacchiere con Lucy. Stavolta davvero. Insomma, cos’era, un bordello?

“Anche tu in piedi?” chiese Gabe, sorridendole e dirigendosi in cucina.

 Jasmine lo seguì. “Sì. Ho sete. E tu?”

Gabe prese due bicchieri dalla credenza e si girò sorridendo. “Anch’io”. Riempì un bicchiere e glielo porse, poi se ne riempì uno per lui.

“Grazie” sussurrò, sorpresa. Guardò il ragazzo mentre beveva a piccoli sorsi. Aveva una maglietta e dei pantaloncini, probabilmente era il suo pigiama. Le spalle erano larghe e muscolose. Sapeva che era nella squadra di pallacanestro della scuola, perché l’aveva visto due o tre volte allenarsi con gli altri. Umm, effettivamente ultimamente, lo aveva guardato spesso, a scuola.

Gabe le sorrise e lei sentì le guance arrossarsi, così continuò a bere guardando verso la finestra. Le gocce di pioggia formavano righe artistiche lungo il vetro, era ipnotizzante. Senza rendersene conto disse: “Connor dice che io e te siamo nel sistema da meno tempo di loro”.

Si voltò lentamente verso il ragazzo, per vedere la sua reazione. “Connor è in gamba. Vede tante cose”.

Jasmine sorrise, girandosi verso di lui. “Già. Mi ha squadrato in un secondo…”

Gabe fece una smorfia strana. “Anche a me”.

“Che ti è successo?” chiese ancora lei. Lui la guardò e per la prima volta non sorrise. I suoi occhi erano seri. E scuri, scurissimi. Dannazione, aveva osato troppo? “Scusa, non sei obbligato a…”

“Ho avuto un incidente in macchina con i miei. Sono sopravvissuto solo io.”

Oh. “E… non avevi nessuno che…”

Lui scosse le spalle. “Sono figlio di figli unici. I miei nonni sono morti…” Che sfortuna.

“E come hai perso l’anno?” Jasmine non riuscì a non domandarlo. Una delle poche cose che avevano in comune loro quattro era il fatto di aver perso l’ultimo anno di liceo.

“Sono stato in ospedale per quattro mesi. Non ho potuto fare gli esami” mormorò lui. Già.

“Sì, anche a me è successa una cosa simile.”

Lui la guardò. “Davvero?” Annuì.

 

Trascorsero il resto della notte sul divano, sotto una coperta di pile a parlare. Gabe le raccontò della sua vita prima dell’incidente. Un po’ ci aveva preso. Lui era come lei e gli altri della sua compagnia. Un ragazzo popolare. Uno sportivo. Per un attimo pensò a Lenny, il suo ex, ma poi capì che lui non avrebbe mai retto il confronto con questo gentilissimo moro sorridente.

Gabe le raccontò di come si sentisse spaesato quando si era ritrovato solo e come aveva cercato di affrontare tutto, l’incidente, l’ospedale e la scuola, pensando di essere migliore di tutti, e si era dovuto scontrare con la realtà. Sorrise mestamente mentre lo diceva. Jasmine sapeva quanto fosse difficile ammettere una cosa simile. E rimanere da soli, senza nessuno, era devastante e poteva essere micidiale.

Jasmine gli raccontò della sua vita prima della morte della madre, e poi di quello che aveva passato con il padre. Fino a quando suo padre aveva tentato di venderla al suo pusher in cambio di una dose. Faceva così male raccontarlo, ma la signora Phillips le aveva detto che se fosse riuscita ad aprirsi con qualcuno, un’amica o un amico, si sarebbe sentita meglio. Non ci aveva creduto prima, e invece, quando la mano di Gabe si posò delicatamente sulla sua, si ricredette.

-

-

-

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Amici o coinquilini? ***


04.Amici o coinquilini?

Amici o coinquilini?

 -

Era febbraio. E si avvicinava San Valentino. Prima che morisse sua madre, Jasmine adorava San Valentino. Nella sua vecchia scuola c’erano tante iniziative per quella festa. E lei aveva Lenny, con cui passare quel giorno. Mentre ora… Pensò a Gabe. Gabe era carino, gentile e si poteva facilmente parlare con lui, non era male come aveva pensato all’inizio, ma Jasmine ancora non se la sentiva di iniziare qualcosa di più serio. Anche se, quando avevano parlato tutta la notte sul divano, aveva desiderato tantissimo che ci fosse l’occasione di un bacio.

Ma lui non aveva fatto il passo e lei, che era diventata così fredda e diffidente, non si era lasciata andare, facendogli capire che avrebbe gradito tantissimo posare le labbra sulle sue.

Sospirò.

 

Guardò Lucy dall’altra parte del Blue Market, che spostava una scatola e parlava con un cliente. Lei faceva sesso con Connor e con Will. Forse Lucy aveva capito tutto e quella indietro era lei. Avrebbe dovuto scoprire il suo segreto e farsi raccontare qualcosa.

Aveva scoperto che non ci sarebbero state ripercussioni se qualcuno fosse rimasto a dormire a casa, l’importante era che non ci fossero problemi fra di loro e che fossero tutti d’accordo. Aveva visto Will solo un’altra volta e doveva ammettere che era simpatico e, soprattutto, gli piaceva cucinare e avere qualcuno che si svegliava prima di te per cucinare, era un gran bell’affare. Sorrise mettendo in ordine le scatolette di legumi.

Ancora persa nei suoi pensieri, venne riportata alla realtà da Mike che le chiese di andare a controllare in magazzino perché Lucy era sparita da almeno un quarto d’ora.

 

La scala era ripida e lì sotto c’era umido e freddo. Chiamò Lucy a voce alta mentre scendeva gli ultimi scalini.

“Sono qui.”

Dal fondo del magazzino le arrivò un filo di voce alle orecchie. Non era neanche sicura di aver sentito bene. “Lucy, qui dove?” La luce che c’era lì giù era poca e leggermente fastidiosa. Poi la vide: la bambolina da film horror si teneva un braccio con la mano sinistra, e il braccio era tutto coperto di sangue. Lei aveva quello sguardo vacuo. Dannazione! “Ti sei fatta male?” Oddio che domanda stupida! Certo che si era fatta male!

Jasmine tornò su qualche gradino, chiamò a gran voce il proprietario per dirgli di chiamare i paramedici e poi tornò giù di corsa nel magazzino. Velocemente si fece spazio fra le varie scatole e raggiunse la ragazza.

“Cos’è successo?” le chiese, mentre la osservava. Era seduta per terra e probabilmente sotto shock, pensò, notando il viso pallido. Lei alzò il capo e indicò una scaffalatura rotta.

“Ho preso contro quel coso lì. Ha iniziato a sanguinare… Non smette più…” Guardò velocemente il braccio della ragazza ed effettivamente, il sangue non si era fermato, anzi continuava a inzuppare la maglietta. Si tolse il grembiule che Mike faceva indossare durante le ore di lavoro e lo appallottolò per premerlo sulla ferita di Lucy.

Il taglio era lungo e, attraverso lo strappo della maglietta, Jasmine vide troppa carne bianca per i suoi gusti. Lo coprì subito con quel fagotto improvvisato e si voltò verso la scala da cui stava scendendo Mike con il cordless per aiutare i soccorsi. Anche Mike sbiancò quando vide Lucy.

Nel giro di pochissimo arrivarono i paramedici che iniziarono a tagliare la manica della maglietta di Lucy per controllare il taglio. Lucy non fece resistenza, ma quando l’infermiere ebbe tolto tutta la stoffa dal braccio, ci fu un momento di silenzio. Tesissimo silenzio e Lucy si riprese. Iniziò ad agitarsi e a dire che non voleva essere toccata.

Jasmine si avvicinò per calmarla quando notò che i due paramedici non riuscivano nell’intento. Quando le fu vicina, notò anche lei il braccio della ragazza. Era pieno di cicatrici. Piccole cicatrici tonde, come di bruciatura e tantissimi segni lungo l’incavo del braccio. Li aveva anche Bill, quei segni. Iniezioni. La guardò in faccia e cercò di calmarla, nonostante quello che aveva visto l’avesse lasciata sconvolta. Nel momento in cui lei si calmò abbastanza da essere medicata, uno dei due paramedici, spostò anche la manica dell’altro braccio di Lucy e indicò al collega la cicatrice che aveva sul polso sinistro. I due si scambiarono un’occhiata strana, secondo Jasmine.

“Possiamo muoverci, per cortesia?” chiese allora, stizzita, ai paramedici. Quello più giovane la guardò con tristezza e annuì.

In men che non si dica erano al piano di sopra e dopo aver lanciato un’occhiata a Mike, disse che sarebbe andata in ospedale con Lucy. L’uomo non fece obiezioni.

 

Jasmine non sapeva cosa dire. Aveva voluto coprire Lucy da non sapeva cosa e ora si trovava con lei in una stanza dell’ospedale in attesa della visita. Lucy rabbrividì.

“Hai freddo?” Aveva lasciato la felpa di Lucy nell’armadietto, ma aveva la sua ancora addosso. La ragazza scosse la testa, ma Jasmine notò il suo disagio e il fatto che cercasse di coprirsi il braccio con la stoffa ancora attaccata alla manica. Si alzò in piedi e si tolse la felpa, appoggiandogliela delicatamente sul braccio.

“Grazie”. Lucy aveva pochissima voce ed era ancora pallida.

“Andrà tutto bene. Hanno detto che non si è reciso niente, nessun tendine, nessun nervo. Ti metteranno i punti e andiamo a casa, ok?” Jasmine cercò di essere chiara e sicura, nonostante l’ospedale le portasse alla mente brutti ricordi.

Lucy annuì e disse ancora sussurrando: “Io… Io…”

Jasmine per un attimo, ebbe quasi pietà di lei. “Non sei obbligata a dirmi niente, ok?” Lei annuì tristemente. “A meno che tu non voglia”. Le sorrise, prendendole la mano del braccio sano. Iniziava a pensare di aver sbagliato il suo giudizio anche su di lei.

Lucy guardò da un’altra parte.

“Non sono stata io”. Quando la guardò, Lucy le calamitò lo sguardo. “Solo questo ho fatto io” disse, toccandosi il polso sinistro coperto dalla manica. “So che l’hai visto…” Jasmine annuì e non disse niente. Poi Lucy si guardò il braccio nudo sotto la felpa. Si toccò varie cicatrici, quelle circolari sull’avambraccio, lentamente, come se ognuna di loro portasse alla mente un ricordo diverso. Quando Lucy arrivò a toccarsi i segni nell’incavo del gomito la guardò ancora. “All’inizio, neanche questi ho fatto io. Dopo… Dopo sì. Ho fatto anche altre cose…” Il suo sguardo vagò nella sala d’attesa, ma per fortuna non c’era gente vicino a loro. “Ora sono pulita. Da più di un anno”. Le sorrise.

“Mi fa piacere.”

Lucy dovette mal interpretare la sua frase perché le tirò una manica. “Te lo giuro. Non ho fatto entrare droga in casa. Non manderei mai all’aria il progetto!” Jasmine si bloccò. Lei non aveva pensato al progetto, non quella volta.

“A me fa piacere che tu stia bene. Non te l’ho detto per il progetto.”

Gli occhi di Lucy si fecero lucidi. Le spiegò di come il patrigno l’avesse iniziata alla droga per poterla tenere legata a sé. L’aveva fatto prima con sua madre, ma poi sua madre era morta e quando era rimasta solo lei, lui l’aveva presa in custodia con il parere favorevole dei servizi sociali e da lì era iniziata la sua gabbia. All’inizio il patrigno la torturava con le bruciature delle sigarette, ma poi, quando divenne abbastanza grande, aveva iniziato ad abusare di lei e dopo, l’aveva iniziata alla droga, per far sì che non fuggisse da nessuna parte. Quando si era decisa a ribellarsi aveva cercato la maniera di farlo definitivamente e si era tagliata le vene a scuola. Tutti avevano pensato che fosse una pazza suicida e invece lei aveva voluto salvarsi. Perché così avevano chiamato gli assistenti sociali e venendo affiancata da uno psicologo era riuscita ad uscirne e non vedere più il patrigno.

 

Alla fine del racconto, Lucy piangeva. Silenziosamente e copiosamente. Jasmine non riuscì a non abbracciarla. Sembrava una bambina. Una bambina timorosa. Aveva bisogno di essere rassicurata. Da quanto tempo qualcuno non la rassicurava? Oppure, era mai stata rassicurata? Si ricordò di come sua madre l’abbracciasse quando qualcosa andava male o lei si sentiva particolarmente giù di morale. Come le mancava sua madre in quel momento!

Quando chiamarono Lucy, lei entrò in ambulatorio da sola e Jasmine si alzò per prendere qualcosa di caldo al distributore automatico. Mandò intanto un SMS agli altri per spiegar loro cosa fosse successo.

Dopo venti minuti Connor entrò di corsa nella sala d’attesa con uno sguardo preoccupato in viso. Quando vide Jasmine le andò vicino. “Come sta? Dov’è?”

La ragazza alzò lo sguardo su di lui e indicò la porta dell’ambulatorio con un cenno del capo. “È lì dentro. Ha un taglio alla parte superiore del braccio, le stanno mettendo i punti”.

Connor si avvicinò alla porta e rimase in attesa dondolando sulla gambe, con le mani affondate nei jeans. Sentirono delle voci un po’ agitate venire dall’ambulatorio e il ragazzo si fece irrequieto. Si grattò il collo con un dito e Jasmine riconobbe nel gesto il suo disagio.  Si alzò gli andò vicino.

“Ci stanno mettendo un po’ tanto perché lei non ha voluto prendere… sai, gli antidolorifici?” Connor annuì sorpreso e lei continuò: “Vedrai che uscirà presto”.

“Lei è forte. Ce la può fare”. Annuì al ragazzo e lui continuò “Ti ha raccontato…”

“Si è tagliata la parte superiore del braccio, quando le hanno tagliato la manica della maglietta, abbiamo visto i segni. Non solo i buchi… anche il resto. Lei… ha voluto spiegarmi…”

Connor annuì. “Il suo patrigno era un bastardo. Ti ha detto anche cosa le faceva fare?” Jasmine annuì. Lui sospirò.

“Posso chiederti se state insieme? L’altra notte ho visto…”

Lo sguardo di Connor si fece bellicoso. “Mi sa che sei una di quelle che salta alle conclusioni facili, eh?”

“Non volevo offendervi!” Jasmine si sentì un po’ stizzita. In fin dei conti non aveva detto niente di male. Lo guardò malo modo e lui sospirò ancora.

“No, comunque. Noi non stiamo insieme. E prima che tu me lo chieda, no, non facciamo sesso. L’altra sera… Lei ha paura dei temporali. Mi ha chiesto di dormire con lei. Tutto qui”. Jasmine annuì. Lei pensava che fosse una ragazza facile. E invece aveva dovuto ricredersi. Su di lei. Su tutti.

Gabe entrò in sala d’attesa mentre Jasmine si dava della stupida per esser saltata alle ‘conclusioni facili’ come aveva dichiarato Connor. Quando li vide si avvicinò.

“Come va?” Jasmine gli sorrise.

“Sei venuto anche tu”. Non era proprio una domanda.

“Ho accompagnato Connor in macchina, per arrivare prima” spiegò. Jasmine però non smise di sorridere.

“Però sei ancora qui.”

“Certo!”

Lo sguardo del ragazzo le fece capire che lui dava per scontato il fatto che fosse ancora lì. Per un attimo li guardò: sembravano amici. Veri amici. Non quattro persone messe a caso nel progetto sperimentale dello Stato.

-

-

-

***Eccomi qui con un altro capitolino... Buona lettura!! 😊

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Jasmine ***


05. Jasmine

Jasmine

 -

-

Un altro sabato mattina con il primo turno al Blue Market. Una Jasmine insonnolita si avventurò verso la cucina. Due giorni dopo l’incidente di Lucy non pensava proprio di trovare Will in casa, così fu sorpresa di vederlo, attraverso la porta della sala, ai fornelli a cuocere le uova in una padella. Oh, le uova di Will! Splendido!

Ma quando entrò in cucina, si bloccò di colpo nel vedere Will abbracciare e baciare… Connor! Ma Connor? E lei che pensava che Lucy… Oh, Dannazione! Le uova sul fornello stavano sfrigolando! “No!” gridò facendo un passo in avanti.

I ragazzi si staccarono e si voltarono verso di lei. Ma lei non li aveva in nota. Non vide neanche il viso di Connor incupirsi. “Will! Le uova stanno bruciando!”

Il ragazzo rise e tornò davanti alla padella. “Ma no, lo fa sempre, è giusto così, guarda” E così dicendo, sistemò in un piatto ciò che era in padella e lo mise a tavola. “Prego.”

Lei lo guardò alzando un sopracciglio. “Per me?”

“Non hai fame?” Oh, sì che Jasmine aveva fame! Si sedette al tavolo e iniziò a mangiare. “Grazie. Sono buonissime!” disse, con la bocca piena.

Connor prese altre uova dal frigorifero e poi si sedette davanti a lei. Il suo sguardo non era del tutto rilassato. “Mi avevi fregato. Pensavo che Will stesse con Lucy” disse ancora, indicandolo con la forchetta mentre lo sgridava bonariamente.

Connor sorrise. “Sei di nuovo saltata alle conclusioni facili”.

Jasmine rise. “Già. Sembra che mi capiti spesso!” Jasmine ridacchiò.

Lui sospirò pesantemente e guardò verso Will che gli fece un cenno con il capo e ritornò a guardare la ragazza. “È un problema per te? Will dice che devo chiedervelo. Se fosse per me non vi chiederei un accidente, ma lui…”

“Cucina meglio di te. Ed è meno scontroso. Se vi lasciate, teniamo lui. Per il resto, va bene tutto. Grazie, Will erano buonissime”. Si alzò, mise il piatto nel lavello e uscì dalla cucina. Quando si infilò il cappotto, Connor le andò dietro.

“Sicura che non sia un problema?” Stavolta la sua voce tremava un pochino ed era molto meno spavalda di prima.

“Sicura. Però è vero, potevi dirlo. Non ci sarebbero stati problemi neanche prima.”

Connor si grattò il collo con un dito e quando se ne rese conto mise le mani nelle tasche dei Jeans e sospirò. “Non è una cosa che racconti quando entri in una casa famiglia, o in una famiglia in affido. Sai cosa succede al piccoletto che annuncia di essere gay?” Il suo sguardo vagò, senza volere, in tondo e Jasmine fu sicura di leggergli dentro lo stesso dolore che aveva provato lei quando i suoi vecchi amici si erano dileguati velocemente subito dopo la morte della madre. Sospirò silenziosamente e sorrise. “In questa famiglia non ci sono problemi” disse e, senza averlo premeditato, l’abbracciò.

Quando uscì di casa, sorridente e soddisfatta, il sole brillava nel cielo. Le giornate si stavano facendo più lunghe e la vita sembrava migliore.

 

***

 

“Così uscirai con Gabe, sabato?” Lucy era eccitatissima, neanche avesse dovuto lei uscire per un primo appuntamento.

“Non gli ho ancora detto di sì” rispose Jasmine, come se parlasse con un bambino iperattivo.

Lucy saltellò sistemando le confezioni di cereali. “Secondo me dovresti. Potresti dargli una risposta quando verrà a prenderci”. Jasmine sbuffò sorridendo da davanti il bancone della cassa. Voleva uscire con Gabe. Davvero. Ma il pensiero di come era finita con Lenny la lasciava ancora titubante.

“Io non sono mai uscita con nessuno…” La piccola biondina si chinò a sistemare delle scatole cadute.

“Spencer che fa chimica con noi ti guarda sempre. Secondo me gli piaci.”

Jasmine le sorrise mentre sistemava i dolci. Lucy era una brava ragazza e lei ci teneva davvero alla loro amicizia.

“Forse…” Lucy si bloccò quando entrò un cliente. Jasmine alzò lo sguardo dal dispenser delle caramelle, per vedere perché avesse reagito così, quando vide l’uomo che era entrato. Il tipo aveva i jeans logori e deformi e una a giacca vento, nonostante fosse quasi maggio. Poi il suo sguardo vagò verso il viso e lo riconobbe. ”Bill…”

Suo padre sorrise e Jasmine notò che gli mancava un dente. Oddio. Ma avrebbe dovuto essere in prigione, cosa ci faceva lì al Blue Market?

“Ciao, tesoro. Come stai?” La sua voce era ancora melliflua come la ricordava.

“Cosa ci fai qui? Perché non sei in prigione?” Jasmine sperò che la sua voce non tremasse veramente come la sentiva tremare lei.

Lui rise. “Sono uscito”.

Jasmine non riuscì più a pensare a cosa dire. L’uomo che l’aveva quasi uccisa e che all’anagrafe risultava suo padre, era lì davanti a lei, a pochissima distanza. Tremò.

“Non puoi essere fuori. Mi hai sparato!”

Lui scosse le spalle. “Ti ha sparato lo spacciatore…”

NO! “Non è vero. Mi hai sparato tu!”

Lui ghignò. “Sì. Ma nessuno ha creduto a lui. Sai, era uno spacciatore e io sono tuo padre. Era strano a tutti. Hanno creduto a me. E poi, dai, non l’ho fatto apposta!” Jasmine sentì il sangue colargli via dal viso. Non poteva essere vero.

“Fuori di qui!” Lucy aveva fatto qualche passo verso di loro, ma non era troppo vicina.

Bill si voltò verso di lei e ghignò. “So chi sei. Sei la puttanella tossica che vive con mia figlia. Senti, fatti un giro”.

Se Lucy fu colpita dal suo linguaggio, non lo diede a vedere e Jasmine pensò che doveva averne passate anche di peggio, per farsi scivolare addosso un insulto così. “Io non vado da nessuna parte, mentre tu ora vai fuori”. Jasmine non aveva mai sentito Lucy parlare così. Sembrava… Forte, forte come aveva sostenuto Connor.

Bill però sorrise ancora sprezzante e tirò fuori un coltello dalla tasca della giacca. Jasmine fece cadere una scatola di caramelle e rimase immobile. Bill… Suo padre… voleva ancora farle del male? Tremò alla vista della lama. Quella cosa sporca avrebbe fatto male? E dove l’avrebbe colpita questa volta?

Ma l’uomo era ancora rivolto verso Lucy. “Senti, perché non ci lasci soli? Io e mia figlia dobbiamo parlare di questioni importanti”. Lucy sparì dietro uno scaffale, fuori dalla vista di Jasmine. Oddio. Era sola. Di nuovo.

Poi Bill tornò a guardarla e fece di nuovo quello spaventoso sorriso. “Bene. Pensavo di doverle dare qualche spicciolo, e invece…” Ridacchiò avvicinandosi, tenendo sempre il coltello davanti a sé.

“Cosa vuoi da me?” chiese Jasmine a bassa voce, mentre faceva un passo indietro.

“Ho bisogno di soldi.”

Jasmine si bloccò e si passò una mano fra i capelli per il nervosismo. “Io non ho soldi. Hai rubato tu tutti i miei soldi!”

Lui scosse le spalle. “Ora ne hai”.

Eh no! Jasmine sentì un po’ di rabbia ravvivarle l’organismo. Aveva messo via poche centinaia di dollari. Ma le servivano per il futuro. “Sono miei. Stavolta non te li lascerò!”

L’uomo allungò il coltello verso di lei e disse indicando il bancone: “Dammi i soldi della cassa. Quelli non sono tuoi”.

La ragazza strabuzzò gli occhi. Aveva dei limiti quell’uomo? “No!” Lui fece un altro passo verso di lei e Jasmine, meccanicamente, ne fece un altro indietro. Dannazione! Non doveva avere paura di lui.

Poi, fu tutto velocissimo. Bill che allungava il braccio verso di lei, la ragazza che si portava le braccia al viso per proteggersi e poi un rumore forte e grintoso seguito da un urlo.

Jasmine tolse le mani dal viso e riaprì gli occhi: una Lucy affannata e sorridente aveva in mano la mazza da baseball che Mike teneva sotto il frigorifero e Bill era piegato in due per terra, il suo coltello sul pavimento. Lucy ci mise sopra il piede e lo spostò più lontano. Sorrise mentre diceva: “L’ho visto fare in film”.

“Cosa hai fatto?” chiese Jasmine, incredula, all’amica.

“Ho chiamato la polizia. Ho detto che ci stavano rapinando.”

Ma Jasmine scosse la testa. “No... Intendevo… L’hai colpito?”

Lei sorrise. “Già. Non sai che soddisfazione!” La ragazzina continuò a sorridere. Jasmine era un po’ sotto shock, forse.

Dopo poco si sentirono le sirene della polizia. Entrarono due poliziotti e Bill venne portato via, sotto gli occhi di Lucy e di Mike, che era arrivato da poco, avvisato da una Lucy particolarmente attiva. Jasmine non riuscì a seguire bene tutto quello che stava succedendo, ma stava parlando con una donna poliziotto, che le aveva dato una tazza di tè caldo e una coperta, quando vide entrare Gabe.

Il ragazzo la vide con gli occhi spalancati e il volto pallido e si affrettò ad andarle vicino.

“Ehi, ho sentito quello che è successo, come stai?” Lei annuì inconsapevolmente e lui l’abbracciò. “Ok, non preoccuparti. Ci sono qua io”. Il calore del ragazzo l’avvolse e lei si tranquillizzò. Di nuovo, si sentì meno sola e appoggiò la testa sul braccio di Gabe.

“Mio padre mi ha sparato, l’anno scorso…”

Lui la cullò un pochino. “Non c’è bisogno che me lo racconti, se non vuoi”.

Lei alzò la testa e lo guardò. “No, voglio davvero raccontartelo”.

Lui annuì. “Va bene”. Non aveva detto a nessuno com’era finita in ospedale.

“Quando sono andata a vivere da mio padre, lui ha speso tutta la mia eredità in droga e quando l’ha finita ha detto al suo spacciatore di prendersi me…”, Gabe la strinse un po’ di più e lei continuò “Ma lui non voleva. Disse qualcosa sui servizi sociali e discusse con Bill sul fatto di voler essere pagato. Poi mio padre tirò fuori una pistola e la puntò su di me, mi ordinò di andarmene con lui e disse allo spacciatore che erano pari. È stato bruttissimo. Quando il tipo cercò di disarmare Bill ci fu uno sparo e io svenni. Non so cosa è successo dopo. Io ero ancora minorenne e nessuno voleva prendersi la responsabilità di informarmi. So solo che mi sono trovata in ospedale, circondata da dottori e da assistenti sociali. Quando sono stata dimessa, dopo sei mesi, sono stata data in affido. Non è stato bruttissimo, ma neanche bello. E l’unica cosa che mi faceva andare avanti era il fatto che lui fosse in prigione. Credevo davvero che ci sarebbe rimasto per un bel po’. E invece…”

Gabe le posò un bacio sui capelli e le accarezzò la testa. “Adesso andrà tutto bene. Ti aiuterò io”. Jasmine sentì le lacrime bruciarle gli occhi. O cavolo, stava piangendo! Stava piangendo sì, ma si sentiva bene.

“Uscirò con te, sabato” disse tutto d’un fiato. Gabe rise. Lei sentì il rimbombo della sua risata attraverso la gabbia toracica. Che sensazione strana. E bellissima. Sorrise e chiuse gli occhi.
-
-
-
-

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Epilogo ***


 

Epilogo

 -

-

“Eccoci qua.”

La signora Phillips sorrise a tutti loro, come una mamma orgogliosa dei suoi bambini. Chissà, forse era proprio quello che sentiva, pensò Jasmine.

“Siamo arrivati in fondo a questa avventura, eh? Domani ci sarà la consegna dei diplomi e tutti voi siete stati bravissimi, quest’anno. Avete superato le vostre paure”, si voltò verso Lucy, che sorrise “avete superato i vostri limiti”, questa volta fu lei a sorridere a Connor “avete affrontato il vostro passato”, Jasmine la guardò mentre la Phillips le rivolgeva un’occhiata colma d’affetto “e ora avete aspettative per il futuro”. Gabe fu l’ultimo che guardò e lui sorrise di quel sorriso che faceva sciogliere il cuore di Jasmine.

“Come vi è sembrato questo anno?” chiese, sedendosi sulla cattedra. Loro quattro erano davanti a lei, seduti su quattro sedie in fila. Era l’ultimo incontro obbligatorio con la psicologa e l’ultimo giorno di scuola.

Si guardarono in faccia e sorrisero, ma tutti erano imbarazzati, nessuno sapeva cosa fosse giusto rispondere.

“Ho conosciuto delle persone nuove. Mi sono fidata e mi è piaciuto”. Ruppe il silenzio Lucy.

“Anch’io sono contenta di aver conosciuto persone nuove e realtà diverse dalla mia”. Lucy sorrise alle parole di Jasmine. “Mi sono sentita meno sola”. Anche la ragazza le sorrise.

“Mi sono sentito accettato” disse Connor con noncuranza. Jasmine aveva capito che il suo atteggiamento era provocatorio e l’unica cosa di cui avesse bisogno quel ragazzo era di sentirsi parte di qualcosa.

“Io ho smesso di sentirmi superiore a tutti, come se io non c’entrassi niente con.. voi”. Gabe sussurrò quella frase come se si vergognasse e Jasmine gli strinse la mano per trasmettergli un po’ di tranquillità.

“Conosco i vostri progetti per l’anno prossimo” disse ancora la Phillips. Li guardò e tutti annuirono. “Visto come sono andate le cose e il fatto che alla fine resterete tutti e quattro in zona, ho proposto di lasciarvi l’appartamento per un altro anno. Sarete liberi, l’affitto sarà agevolato e potrete continuare a lavorare per il signor Dubb, se volete”.

Lucy fu la prima ad alzarsi. “Dove devo firmare?”

La risata che riempì la stanza fu naturale, spensierata e, finalmente, piena di speranza.

 

FINE

-
-

***Ecco la fine di questa avventura. Un epilogo piccolo piccolo... Grazie a chi mi ha seguito fin qui e grazie mille a alessandroago_94 che ha commentato ogni capitolo tenendomi compagnia. 😊 Spero che la storia vi sia piaciuta. A presto!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3818666