Il
Progetto
“Eccoci qua.”
Jasmine si voltò verso
la signora
Phillips, che era entrata nell’appartamento per ultima. La
vide arrancare con
due grosse buste della spesa dall’aria pesante.
“Che ne dite di aiutarmi,
ragazzi?” chiese.
La donna aveva il fiato corto,
probabilmente a causa dei quattro piani di scale senza ascensore di
quella
palazzina fatiscente dove si trovavano.
Jasmine fece un passo avanti per
aiutarla quando notò che nessun altro lo avrebbe fatto.
Appoggiò una delle due
borse sul tavolo in cucina e la signora Phillips le sorrise
ringraziandola.
Tornarono insieme nella stanza di
prima.
Era un piccolo soggiorno: c’era un divano e due poltrone,
davanti a quello che
sembrava un mobile porta tv. Ma la televisione non c’era. Non
c’era molto,
effettivamente, notò Jasmine guardandosi intorno: un tavolo
sgangherato,
quattro sedie, un mobile a parete. Nient’altro.
“Ripetiamo le
regole?”
La signora Phillips fu ancora
l’unica
a parlare.
Jasmine annuì quando lo
sguardo della
donna incrociò il suo. Poi lei guardò anche gli
altri ragazzi.
Gabriel, che si era presentato come
Gabe, un ragazzo di colore con intensi occhi color cioccolato, alto un
metro e
novanta con le spalle larghe quanto un pugile, che guardava tutto con
uno sguardo
un po’ strano, come se lui non c’entrasse niente
con quel posto. E con loro.
Lucy, una ragazza minuta e agile,
con
gli occhi blu e bellissimi riccioli biondi che poteva assomigliare a un
angelo,
ma quando ti guardava ti veniva in mente l’assassina di un
film horror,
piuttosto che un paffuto pargolo con le ali e l’arpa.
Per finire c’era Connor,
un ragazzo
dai capelli a spazzola, secco come un chiodo, con due occhi di
ghiaccio, un
piercing al naso, le braccia coperte di tatuaggi e quella che sembrava
un’accozzaglia di orecchini fra cui un dilatatore nero che a
Jasmine faceva
ribrezzo.
Loro tre, tre ragazzi appena
diciottenni come Jasmine, sarebbero stati i suoi coinquilini per il
successivo
anno scolastico.
“Vivremo qui tutti e
quattro” iniziò
Gabe, con tono indifferente. La Phillips annuì sorridendo.
“Andremo a scuola e
ripeteremo
l’ultimo anno di liceo” continuò Lucy.
Quando Connor non parlò,
Jasmine disse:
“Lavoreremo al Blue Market, il supermarket in fondo
all’isolato”.
La donna si voltò verso
di lei, sempre
sorridendo, e subito dopo il suo sguardo si posò su Connor,
aspettando che
dicesse qualcosa anche lui.
Connor affondò le mani
nelle tasche dei
jeans e ghignò, dicendo: “Niente droga e niente
alcool. Insomma, una gran noia”.
La signora Phillips sbuffò e Connor si fece ancora
più tremendo. “Sesso,
invece, signora Phillips? Niente regole sul sesso?”
Il ragazzo fece girare intorno lo
sguardo sghignazzando e Jasmine notò che quando si
posò su di lei, ammiccò.
Riuscì a reprimere un brivido.
La signora Phillips si
avvicinò al
tavolo in soggiorno e dalla borsetta tirò fuori quattro
buste.
“Qui ci sono le vostre
cose: abbonamento
dell’autobus, tessera sanitaria, badge scolastico e le altre
cose” spiegò. Si
guardò intorno sospirando. Jasmine si chiese se la donna
iniziava a pentirsi di
quella scelta. “Dovrete mantenere una media sufficiente a
scuola, potrete fare
attività extrascolastiche, potrete allenarvi negli
sport…” Il suo sguardo finì
verso Gabe, che annuì meccanicamente. “E potrete
fare domanda al college”.
Guardò verso Jasmine e
anche lei annuì
con il capo.
“E dovrete lavorare per
quattro ore tre
giorni a settimana, ma i turni potrete gestirveli fra di voi, il signor
Dubb ne
è al corrente. Dovrete venire da me una volta a settimana,
dovrete contattare
il vostro assistente sociale almeno una volta al mese,
dovrete…”
La donna venne interrotta da Lucy
che esclamò:
“Posso ancora contattare Linda?” poi i suoi occhi
si spalancarono e continuò:
“Cioè… La signorina Light. La signorina
Light continuerà a seguirmi?”
La Phillips annuì.
“Certamente. I
vostri assistenti sociali sono stati avvisati di questo progetto.
È
un’occasione unica e sperimentale, quindi sapete tutti cosa
ci aspettiamo da
voi. Siete tutti e quattro maggiorenni, quindi per lo Stato
non…”
“Siamo fuori dal sistema” disse Connor con
disprezzo. “Non che esserci dentro sia
tutto questo po’ po’ di roba…”
La donna gli lanciò
un’occhiataccia.
“Connor, non farmi pentire di averti inserito nel progetto.
Hai tante capacità,
non iniziare a distruggere…”
Il ragazzo però non
voleva ascoltarla
e la interruppe. “Sì, sì, va bene. Ho
capito” capitolò, grattandosi il retro
del collo con un dito.
“Cercate di andare
d’accordo. Non
combinate guai. Niente casini, di nessun genere. Non trasgredite le
regole. È per
voi tutto questo. Intesi?” Tutti annuirono. “Ok, ho
lasciato sul tavolo della
cucina la spesa per qualche giorno, poi dovrete organizzarvi e fare voi
le
faccende domestiche”.
“Non ho intenzione di
pulire il cesso.”
Connor venne zittito da
un’altra
occhiata della donna. Il ragazzo abbassò gli occhi e non
disse più niente, ma
la sua mano tornò dietro al collo.
“Se questa cosa
andrà bene, si
riproporrà l’anno prossimo per altri quattro
ragazzi. Avete sulle spalle
l’occasione per cambiare le regole. Non fate
casini.”
Detto ciò,
controllò l’appartamento,
rispose alle ultime domande dei ragazzi e alla fine, si chiuse la porta
alle
spalle.
Jasmine si voltò verso
gli altri.
Erano rimasti soli. Si guardarono in faccia tutti e quattro senza dire
niente
finché Connor non sghignazzò e chiese:
“Allora, chi dorme con chi?”
Lucy si voltò verso il
ragazzo e lo
squadrò dall’alto verso il basso e viceversa.
“Io con te non ci dormo”
dichiarò, sdegnata.
Connor ghignò ancora e
le lanciò un
bacio volante, dicendole: “Non sei il mio tipo, tesoro, stai
tranquilla”.
La ragazza inorridì e
poi lo guardò
sprezzante. “Fidati, neanche tu”.
Lui rise forte e raccolse la sua
borsa
dal divano e si incamminò per il corridoio. “Io
prendo la camera più grande” annunciò
ad alta voce.
Lucy gridò
un’oscenità, prese la sua
borsa e gli corse dietro gridando che ne avrebbero discusso. Jasmine si
voltò
verso il ragazzo rimasto con lei nel soggiorno. Cosa fare? Cosa dire?
“Ehm…”
Si schiarì la voce,
imbarazzata. Lui era ancora girato verso il corridoio,
sospirò e si voltò verso
di lei.
“Speriamo bene”
disse con un tono
sostenuto.
Speriamo
bene davvero,
pensò Jasmine.
Afferrò la sua borsa e
si inoltrò nel
corridoio. Sentiva Lucy e Connor bisticciare in una delle camere.
Chissà poi
perché. Era un appartamento grande e, sebbene non fossero
tanto spaziose, c’erano
quattro stanze da letto: una per ognuno di loro. Era una delle prime
cose che le
aveva detto la signora Phillips. Lo dovevano sapere per forza anche gli
altri.
Perché allora fare tanta confusione?
Si fermò davanti alla
prima camera che
incontrò. L’aveva vista prima, quando seguiva la
donna mentre ispezionava
l’appartamento. Non era la più grande, ma era
orientata a est così sperava di
aver luce al mattino, quando si sarebbe svegliata.
La sua vecchia camera era
illuminata
dal sole al mattino, pensò tristemente. La camera a casa di
sua madre. Sperò di
sentirsi un pochino a casa, mentre appoggiava la borsa sul copriletto
piegato.
Si sedette sul letto, guardando fuori dalla finestra.
Aveva cambiato tre case. Due anni
prima, quando sua madre era morta in un incidente lasciandola sola, si
era
trasferita a casa di suo padre. Un padre che non vedeva da quando i
suoi
avevano divorziato, dodici anni prima, praticamente un estraneo. Un
padre con
gli occhi rossi, il sorriso mellifluo e lo sguardo vacuo. Li aveva
visti quelli
come lui, a scuola, e lo aveva inquadrato subito: un tossico.
Erano riusciti ad andare avanti un
po’, lei e Bill. Non lo aveva mai chiamato papà.
Lei andava a scuola, faceva i compiti e preparava da mangiare per tutti
e due,
aspettando di finire il liceo per compiere diciotto anni e andare al
college.
Lui… Bill frequentava brutta gente e continuava a farsi.
Jasmine non lo aveva detto
a nessuno, neanche all’assistente sociale. Non sapeva cosa
sarebbe successo se
lo avesse fatto e, finché stava con lui, almeno era libera.
Libera di fare
quello che voleva.
Aveva dovuto cambiare scuola, ed
era
stato brutto. Lasciare i suoi amici, il suo ragazzo... Sua madre le
aveva
lasciato dei soldi e doveva solo aspettare di arrivare al college.
Quello che
non sapeva era che suo padre aveva scialacquato tutta la sua
eredità in
prostitute ed eroina e quando la cosa era saltata fuori, era successo
il
finimondo. Lei era finita in ospedale con un proiettile nella spalla e
suo
padre era finito in prigione.
Quando era uscita
dall’ospedale aveva
ancora diciassette anni e nessun maggiorenne che potesse occuparsi di
lei, così
era entrata in quello che Connor aveva definito il
sistema: la macchina dello Stato per gestire i minori
incustoditi. Ed era stata data in affido. Per fortuna la famiglia dove
era
capitata non era malaccio. A loro bastava prendere i soldi
dell’affidamento e
per il resto veniva lasciata stare, da sola, ma in pace.
Quando aveva compiuto diciotto
anni, però,
aveva scoperto che, a causa delle assenze fatte durante
l’anno, non avrebbe
potuto diplomarsi né soggiornare ulteriormente con la
famiglia in questione. Così,
quando la signora Phillips, la psicologa, le aveva proposto quel
progetto sperimentale,
aveva accettato pensando che fosse una buona idea.
Quattro ragazzi in un appartamento.
Quattro ragazzi di diciotto anni che, per svariati motivi, avrebbero
dovuto
ripetere l’ultimo anno delle superiori e che fossero appena usciti dal sistema.
Sospirò. Non aveva altra
scelta, ma
sperò di non pentirsene.
Si alzò in piedi quando sentì Connor e Lucy gridare nel corridoio. Sperò vivamente di non pentirsene.
-
-
-