Femmina

di Angel TR
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hai shin shan meng ***
Capitolo 2: *** Lebenslangerschicksalsschatz ***
Capitolo 3: *** Yugen ***
Capitolo 4: *** Padrone ***
Capitolo 5: *** Catene ***
Capitolo 6: *** Mishima ***
Capitolo 7: *** Madre ***
Capitolo 8: *** Han'nya ***
Capitolo 9: *** Besa ***



Capitolo 1
*** Hai shin shan meng ***


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Hai shi shan meng: la promessa di amore eterno.

Partecipa alla Challenge “Pagine di una storia infinita” indetta da Molang su efp
Battaglia reale — traccia #3
Il concetto è che ne deve rimanere soltanto uno, non importa se partono in cento, in mille, o è uno scontro testa a testa fra due comuni rivali. C'è un conflitto, un rapporto astioso, e la cosa non può che finire con una parte vincitrice e una vinta.

Autrice: Angel Texas Ranger
Fandom: Tekken
Rating: Arancione
Coppie: Het/nessuna
Avvertimenti: death! Fic
Personaggi: Kazumi Hachijo, Heihachi Mishima
Genere: Introspettivo, Generale


🌞 “Tabula rasa” per aver portato a termine la traccia #3, e... ⚡ “Triforza” per aver completato tre diverse tracce.


femmina.


Le donne hanno solo una piccola idea di quanto gli uomini le odiano.
(Germaine Greer)

E’ mai esistito qualcuno così maltrattato, così vilipeso, così insultato, tanto ingiustamente e crudelmente calpestato come noi donne?
(Jane Anger)


1. Hai shi shan meng


I ciliegi erano nel pieno della loro fioritura: gloriosi e superbi, le loro chiome che si intrecciavano in una trama così fitta da sostituire il cielo con una nuvola rosa.
Allungò le mani bianche come la neve verso quel cielo dove avrebbe voluto volare, ma la voce del padre la richiamò sulla terra e lei allontanò di scatto la mano, come se fosse stata colta in flagrante. Il senso di colpa le strinse la gola in una morsa ferrea. Lunghe ciocche nere le piombarono sul volto contratto dalla paura, simili a sbarre di prigione.

Chi di noi due è in trappola, Kazumi?

Vagamente spaventata, Kazumi chiuse gli occhi, chiamando a raccolta gli insegnamenti del padre e dello zio. Intimò alla voce nella sua testa di andare via ma quella rise, sarcastica.

Loro ti vogliono forte ma sottomessa, al loro servizio. Io ti voglio libera e potente, Kazumi. Non metterti contro di me: unisciti a me. Io sarò la tua salvezza in questo piccolo mondo di padroni. A differenza loro, io ti amerò per sempre perché io sono te.

«Cosa stai facendo? Il maestro vuole vederti. Ha intenzione di testare le tue abilità mentali. Dài, su.»

Kazumi si voltò.
Suo padre la stava osservando, immobile sulla soglia, emanando un'aria di autorità che l’atterrì mentre la intimava con lo sguardo.
Ancora?, si chiese lei. L'allenamento di ieri era stato estenuante, l’aveva privata di ogni energia, lasciandola tremante sul pavimento.
“Non ci possiamo lamentare. In fondo, il suo corpo e la sua mente non sono forti quanto i nostri. Ha ancora molta strada da fare tuttavia sento di dover insistere: non abbiamo più tempo. Heihachi Mishima ha raggiunto l'età giusta ormai.” aveva commentato il maestro, rivolgendosi al padre e allo zio.
Loro avevano annuito, tesi ma concordanti.
Riversa sul tatami, Kazumi non aveva potuto far altro che soffocare il pianto. Chi era Heihachi Mishima? Età giusta per cosa?

Era stato allora che la voce era riemersa dai cunicoli del suo inconscio, emettendo dei suoni che somigliavano a schiocchi di lingua. Un altro uomo che deciderà per te, Kazumi. Perché non mi lasci andare? Potrei portarti fuori di qui, lo sai, aveva suggerito, suadente.

No, no, vattene via!, aveva supplicato lei, terrorizzata.

Gli uomini avevano ragione: non aveva la forza necessaria per controllare il Gene del Diavolo, non se lo meritava neppure tale onore, riservato solo ai migliori combattenti della famiglia Hachijo.
Fino ad allora, il Gene aveva giustamente scelto solo la linea maschile della famiglia.

Fino ad allora, appunto.

Perché tu te lo meriti, Kazumi. Il Gene del Diavolo ti darà gli strumenti adatti per evadere da questa prigione. Accettami, accettati e amami come io amo te. Kazumi…

«Ascolta quando tuo padre ti parla, Kazumi.» impose la voce imperiosa del padre.

Anni di obbedienza si schiantarono sulla sua nuca, piegandole automaticamente il capo in avanti. «Sì, padre.»
La voce dentro la sua testa fece schioccare la lingua, contrariata, e iniziò a percorrere il perimetro della sua mente come una tigre in gabbia.


N/D: non me ne vado mai. AHAHHAHA avevo pensato a una raccolta, all'inizio, che vedesse opposte le donne del Tekken agli uomini ma poi mi sono resa conto che per trattare di Kazumi ci voleva troppo e quindi mi sono detta “Amen, anche questa sarà una mini long”. Vi giuro che non scriverò mai più 12.000 parole a capitolo. AHAHAHHA (quella su Jin e Hwoarang mi aveva risucchiata completamente.)
A questa tengo molto ugualmente perché spero di essere in grado di infondere tutti quei sentimenti che le donne sentono e reprimono quando hanno a che fare con uomini padroni.
Sinceramente fui contentissima quando seppi che ci sarebbe stata una donna con il Gene Devil e, quando ho saputo la sua storia, mi sono ripromessa che avrei scritto qualcosa di decente completamente dedicato. Vorrei scrivere qualcosa anche su Master Raven, prima donna darkskin del Tekken, yay! Vedremo.

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Capitolo 2
*** Lebenslangerschicksalsschatz ***


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Lebenslangerschicksalsschatz: dono del destino di tutta una vita.


2. Lebenslangerschicksalsschatz


Il maestro la guardava con occhi che l’analizzavano ma non la vedevano davvero, come se lei non fosse degna della sua attenzione. «Senti ancora la voce?» chiese, il tono monotono, il sopracciglio inarcato, aspettandosi già la risposta affermativa.

Kazumi piegò il capo, rispettosa. «Temo di sì, maestro. Sono desolata» mormorò, tremante.

Il maestro trasse un profondo respiro e Kazumi osò sollevare lo sguardo, badando bene a non farsi cogliere di sorpresa, per scoprire cosa l'aspettasse. Con sua somma sorpresa, l'uomo stava giocando con la punta di un baffo bianco, in sovrappensiero.
«Bene così. Cosa ti dice, Kazumi?» domandò.

Dice che ti strapperei le corde vocali con gli artigli per farti stare muto, stupido maschio umano. Dice che te le farei osservare, sanguinanti e penzolanti, prima di mangiarle. Capito?
Divorerei la tua possibilità di parola.


Kazumi sobbalzò, terrorizzata; non si aspettava l'intervento del demone né parole tanto crudeli. Sbarrò gli occhi scuri e sentì il sangue defluirle dalle guance.

La voce ridacchiò sommessamente. Oh, Kazumi cara, non fare quella faccia! Io non sono altro che il riflesso dei tuoi desideri più nascosti. Non ho certamente detto che lo farei a te… E, piccola correzione, sono una femmina. “La demonessa”, “demone femmina”, come ti pare, ma non “il” demone. Ci tengo, Kazumi; ma tu lo sai, no?

Ignaro di essere il bersaglio del Gene Devil, il maestro continuò a osservare Kazumi negli occhi serenamente e con una vaga aria di superiorità. «Allora, Kazumi? Il Gene in te sa benissimo cosa ci si aspetta da lui. Il nostro compito è estirpare il male dalla Terra anche se, per ora, ci limitiamo al Giappone. Il destino ti ha regalato un dono di tutta la vita, dovresti compiere i tuoi doveri con precisione e accuratezza» le ricordò, zelante.

“Lui”...
Estirpare il male, certo. E il primo a dover essere eliminato saresti proprio tu, umano. Almeno su una cosa ha ragione, Kazumi: io sono un dono prezioso, come tu lo sei per me. Ci completiamo,
cinguettò la voce, una sfumatura seducente. Più passava il tempo, più il tono suonava familiare alle orecchie di Kazumi. Si rese conto, terrificata, che la voce della demonessa non era altro che una versione distorta della sua.

«Kazumi» chiamò il maestro, bacchettandole una spalla.
La voce ruggì: come osava quello toccarla in quel modo? Lei era una dea e come tale andava trattata.

Ma Kazumi non si sentiva una dea, per questo annuì compostamente e si schiarì la gola. «Dice che è ben cosciente di quali siano i suoi doveri» mentì.

Non va proprio bene, Kazumi. Questo inutile insetto ha più autorità di me su di te e ciò vuol dire che tu non hai la minima autorità su te stessa, commentò la voce, reprimendo a stento la furia. Le sembrava di poterla vedere mentre ribolliva in una massa oscura, un ringhio che scopriva canini scintillanti e affilati.
Appena visualizzò l'immagine, si ritrasse, spaventata: era la prima volta che vedeva uno sprazzo del Gene Devil dentro di lei.

Il maestro si sollevò in piedi e si rivolse al padre e allo zio di Kazumi, dritti come fusi dietro le spalle della ragazza. La scavalcò come se lei non ci fosse stata. «Il Gene Devil in lei è abbastanza sviluppato da tentare, signori Hachijo» affermò.

Il padre e lo zio si scambiarono un'occhiata.

Per la prima volta nella loro vita sono spaventati al pensiero di perderti, Kazumi. Attenzione però a montarti la testa: non perché tengano sul serio a te – o, meglio, ci tengono nel loro assurdo modo da padroni – ma perché temono per la riuscita della loro missione. Tu sei la loro unica pedina, la informò la voce, sussurrandole all'orecchio, soddisfatta. Capisci perché devi liberarmi?, le domandò, seria quella volta.

«E se non dovesse farcela?» ipotizzò lo zio di Kazumi, una nota di timore nella voce.

«Allora dovremo passare alle maniere forti e inviare un manipolo dei figli maschi il cui Gene sia più potente. Vi avverto: ne perderete qualcuno. Siete pronti all'eventualità?» rispose il maestro, scrutandoli negli occhi.

Loro deglutirono.
«Non manderò mai il mio primogenito in pasto a Heihachi Mishima, a meno che non abbia la certezza di riuscire nell'intento» replicò fermo lo zio di Kazumi.

Il maestro affilò lo sguardo. «Allora pregate gli dei affinché lei sia abbastanza potente» disse, lapidario.

Forte per cosa? Resistere a cosa?, si chiese Kazumi, sconcertata come un gallo che viene trascinato per il collo dal suo proprietario, ignaro dell'imminente decapitazione.
La demonessa in lei smaniava, scuotendo le catene alle quali la mente di Kazumi l'aveva costretta. È il momento, Kazumi! Devi liberarmi!, ordinava, furiosa.

La katana fu sfoderata con un gesto deciso che fendette l'aria.

Kazumi non ebbe nemmeno il tempo di sbarrare gli occhi: vide i familiari pannelli shoji macchiarsi di nero quando la katana si infilò tra le scapole, trapassandola da parte a parte. Sul suo bel uwagi bianco sbocciarono fiori rossi.
Kazumi si accasciò, scioccata.

Kazumi…

Lei si sforzò di tenere gli occhi aperti e di aggrapparsi con tutte le sue forze alla voce, come se fosse la sua àncora di salvataggio. Cosa sta succedendo?, chiese, troppo stordita e spaventata dalla visione del sangue vischioso che macchiava copiosamente il tatami per rendersi conto che stava dando corda al Gene Devil.

L'umano ti ha infilzata con la sua katana. Morirai se non afferri la mia mano, spiegò la voce, calma, consapevole che la scelta di Kazumi era tra lei e la morte certa. Non hai mai scelto per te stessa, hanno sempre scelto gli altri per te. Ti sei sempre messa in secondo piano… ora lascia che io ti elevi dove meriti, dove meritiamo, Kazumi.

La sua vista si offuscò, tante macchie nere danzavano davanti ai suoi occhi, rendendole difficile restare lucida per controllare le emozioni che ribollivano dentro di lei.
Un'antica rabbia la invase, come fuoco gettato sulla benzina, facendole digrignare i denti. Con grande sorpresa, si rese conto che la sorgente della sua furia erano le figure maschili che ora si stagliavano davanti a lei.
I loro contorni apparivano sfocati eppure le loro espressioni impassibili, mentre Kazumi si dissanguava sotto i loro occhi, erano estremamente nitide.

La tua ira ha ragione di esistere: devi nutrirla affinché possa scatenare il Gene. Tu vuoi che il mondo bruci, hai solo bisogno del permesso, commentò la voce, provocandola.

Le sue mani artigliarono il tatami, bucandolo in vari punti. Kazumi sentì chiaramente le proprie labbra schiudersi per lasciar sgorgare un urlo disumano.

Non è più tempo di sussurrare. Urla, Kazumi, urla per non perdere la tua voce.

Per la prima volta nella sua vita, Kazumi si sentì inarrestabile e abbastanza potente da essere capace di afferrare le redini della propria vita.
Avvertì la sua schiena lacerarsi, la testa scoppiare dal dolore – un inspiegabile prurito ai lati – eppure accolse con gioia quella trasformazione. La sua vista, acuitasi, si focalizzò sui due uomini che la tenevano d'occhio, simili a dei guardiani di uno Zoo.

«Bene. Domani incontrerà Heihachi Mishima» decretò il maestro.


N/D: Free the Devil!
Lol. Siccome il Gene in Jin viene scatenato da un proiettile in testa, perché non pensare che anche quello di Kazumi sia stato scatenato da un gesto altrettanto efferato?
Qui, è percepito come un mezzo oltre che come un onore, evidentemente non destinato a una donna. Però questo "sbaglio" può essere sfruttato a vantaggio degli Hachijo.
Ora quindi dovrò rivedere un poco Heihachi da giovane AHHAHAHA no, non posso. Per me è nato vecchio ahahahha

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Capitolo 3
*** Yugen ***


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Yugen: le capacità misteriose che non possono essere descritte a parole. .


3. Yugen


Contrariamente ai suoi timori, Kazumi aveva ancora il controllo del proprio corpo nonostante fosse ben consapevole della presenza del Gene Devil, simile a un secondo conducente. Sempre contrariamente ai suoi timori, Kazumi trovava quella presenza inquietantemente confortevole: il mondo non era bianco o nero, bensì una scala di grigi e la demonessa apparteneva a quel grigio.
Era forse vero che rispecchiava semplicemente i suoi desideri più nascosti? La sua voglia di libertà, di prendere in mano la propria vita, di sentirsi al pari di tutti gli altri, di essere considerata un essere umano a tutti gli effetti e non uno a metà, bisognoso di una compagnia maschile, o uno inferiore, di serie B, la cui esistenza è subordinata a un altro…

Uccidiamoli!, esortò la voce, eccitata.

Kazumi indietreggiò: una bestia era entrata nella sala e stava ringhiando; poi, osservando i visi terrorizzati degli uomini, capì che il ringhio spaventoso proveniva da lei.
Quel verso animalesco scaturiva dalla soddisfazione che provava davanti all'immagine degli uomini riversi senza vita che il Gene le proponeva.
Allora era così? Nel suo ventre, si era sviluppata una nuvola nera di rabbia repressa, alimentata dagli anni di ingiustizie, che ora era scaturita in una tempesta incontrollabile.

Dovette piegare la testa affinché il suo sguardo di fuoco inquadrasse il padre che la osservava con un'espressione a metà tra lo spaventato e il meravigliato.
«Ogni trasformazione, soprattutto la prima, mi lascia sempre senza parole. È inspiegabile» disse lui.

«Yugen» commentò impassibile il maestro, riassumendo i sentimenti dell'uomo, prima di piazzarsi davanti a lei, il passo lento di chi gestisce la situazione. «Siamo onorati della tua presenza nella nostra famiglia e nella nostra casa, demone.» s’inchinò. «Kazumi, ora richiamalo» aggiunse.

Lei si sentì andare nel panico.
Richiamarlo? Richiamarla.
Ti prego, supplicò Kazumi. Improvvisamente ebbe vergogna a causa di tutti quei pensieri crudeli; cosa c'è di sbagliato in me?, si chiese, spaventata e disgustata. Non poteva aver veramente desiderato di uccidere suo padre, suo zio e il suo maestro, vero?

Non c'è niente di sbagliato in te, Kazumi. Ora è ancora troppo presto perché tu lo capisca. Riposa, rispose la voce.

In un istante, il corpo di Kazumi crollò, come se fosse stato sottoposto a uno sforzo immane, e le tenebre inghiottirono le figure familiari che la osservavano.

Quando finalmente riacquistò i sensi, i patriarchi erano seduti attorno a un tavolino e bevevano il tè. Si sollevò a sedere, portandosi due dita alla fronte nella vana speranza di contenere il mal di testa assillante.
Finalmente il padre sollevò lo sguardo su di lei. «Heihachi Mishima sta arrivando» annunciò.

Ancora quel nome. Perché un campanellino d'allarme suonò nella sua testa?
«Chi è Heihachi Mishima, padre?» domandò, la voce bassa. A ogni giramento di testa, il viso serio del padre si chiazzava di nero.

«È il tuo futuro marito. Hai una missione da svolgere, Kazumi Hachijo, una missione molto importante. Non fallire» intervenne il maestro, tagliando corto. «Ora le donne si occuperanno di te e ti renderanno presentabile per Mishima. Va’»


N/D: uff, che periodo faticoso! Mi scuso per l'attesa che non è valsa molto la pena.
Mi ha sempre affascinata l'idea del Gene Devil e del rapporto con la famiglia Hachijo. Qui Kazumi si trasforma e scopre che non è poi così male come pensava. Purtroppo il suo risveglio sarà brusco: di punto in bianco, scopre che dovrà sposarsi con un perfetto sconosciuto.
Per soldi? Per sistemarsi? Nah. Gli Hachijo hanno altri piani per lei...
Muhahahhaha
Baci baci

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Capitolo 4
*** Padrone ***


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Age-otori: l’apparire meno belli dopo essersi tagliati i capelli; una persona che, fresca fresca di parrucchiere, si sente più brutta di prima


4. Padrone

Kazumi si guardò allo specchio e a stento represse una smorfia. Perché mai le avevano tagliato i ciuffi in una frangia piena che le sottolineava gli occhi stanchi, cerchiate da profonde occhiaie bluastre, e faceva apparire il suo viso più tondo?
Le donna che le aveva appena sfilzato le ciocche incontrò il suo sguardo allo specchio e inarcò appena un sopracciglio: la stava ammonendo. Non parlare, diceva quell’occhiata, non devi piacere a te stessa ma a Heihachi Mishima.

Kazumi distolse lentamente lo sguardo.

Non le piaceva quel modo di fare.

Si raddrizzò sulla sedia, improvvisamente a disagio a causa di quel suo pensiero. Quando mai si era permessa di riflettere su cosa non le piacesse dell'atteggiamento altrui nei suoi confronti?
Intercettò i suoi occhi scuri nello specchio; un bagliore rossastro vi balenò fugacemente e lei afferrò i lembi del suo kimono bianco come la neve.
Sentì la voce ridacchiare lievemente nella sua testa.

Le altre donne parevano non essersi accorte di nulla. La invitarono ad alzarsi e, dopo aver sistemato gli ultimi dettagli, la condussero nella sala attigua dove si inchinarono davanti al capannello di uomini e si dileguarono.

Ecco il tuo nuovo padrone, Kazumi. Solo tramite un matrimonio combinato poteva trovare moglie, non trovi?, ironizzò la voce.

A onor del vero, Heihachi Mishima non era così terribile. Lo circondava un'aura di potere che, prima della forza scaturitale dal Gene Devil, l'avrebbe atterrita e il suo portamento era quello di un condottiero che si appresta a conquistare una nuova terra. Aveva capelli e baffi di un castano molto scuro e un fisico possente fasciato da un kimono nero.
Kazumi dovette sollevare il mento per poterlo guardare dritto negli occhi. Lui sembrò sorpreso da tanta audacia e il suo sguardo prepotente vacillò un attimo.

Ora iniziamo a ragionare, convenne la demonessa in lei, stiracchiandosi come una tigre pronta ad acciuffare la preda.

Il padre di Kazumi avanzò. «Kazumi, lui è Heihachi Mishima. Avrai l'onore di essere sua moglie. Salutalo come conviene» lo presentò.

Lei si prostrò in un profondo inchino, formale ma vuoto.
Per la prima volta nella sua vita, non si sentiva inferiore rispetto a quell'uomo. Chi era, in fin dei conti? Un ragazzo che aveva avuto la fortuna di avere un padre che gli avrebbe lasciato una zaibatsu affermata e la fortuna di nascere maschio in un paese profondamente patriarcale.

Non le era superiore di natura.

Non poteva.

Lei era stata scelta dal Gene del Diavolo; lui no.
Un angolo delle sue labbra si piegò spontaneamente all'insù, in un ghigno che solo le assi di legno del pavimento videro.

Il padre continuò. «Spero che mia figlia sia di tuo gradimento.»

Heihachi Mishima annuì, compiaciuto. «Kazumi Hachijo. Armonia e bellezza. Mai nome fu tanto appropriato» la complimentò, guardandola negli occhi.

Kazumi lo aspettò, pronta e altera, quasi sprezzante, come una vittima sacrificale che vuole preservare la propria dignità fino alla fine.
Ma quello sguardo non arrivò.
Heihachi Mishima non la soppesò come se fosse carne al macello, un cavallo al quale controllare la dentatura, un oggetto da valutare. La scrutò in volto, semplicemente, come se fosse un mistero che lo incuriosiva parecchio, lo affascinava, persino.

Oserei dire che il suo potere è alquanto disumano. Eppure non percepisco nulla di soprannaturale in lui, commentò stupita la voce demoniaca.

Improvvisamente vicina a un uomo che non le era parente, Kazumi sentì un vuoto nel ventre.
Era paura? Stava per passare da un padrone a un altro?

Oppure Heihachi Mishima sarà la chiave per la mia libertà?, si domandò, mentre ricambiava il suo sguardo intelligente e indagatore.

La tua libertà sei tu, Kazumi. Nessun uomo può donarti le ali, al massimo può tapparle. Affidati a me. Compi il destino del Gene e vedrai.

Il destino del Gene?

Dopo alcuni convenevoli, Heihachi Mishima si accomiatò, accennando un inchino verso di lei e solo successivamente verso suo padre e suoi zio prima di andarsene, il che la lasciò piacevolmente sorpresa. Non le era mai successo che qualcuno omaggiasse prima lei e poi gli adulti.

Il padre valutò la sua reazione. «Bene, Kazumi. Hai svolto la tua parte. Ora seguici, ti informeremo sulla tua missione.»

Il gioco si fa interessante, fu l’inquietante commento della voce nella sua testa.


N/D: Heihachi non pare tanto male, eh? Effettivamente sembra tanto carino con la moglie. Bah. Non so. Vedremo. E finalmente Kazumi saprà cosa dovrà fare ancora una volta… Ma Sembra non essere più tanto servizievole! Che si stia svegliando?

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Capitolo 5
*** Catene ***


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Hanami: la millenaria usanza giapponese di godere della bellezza della fioritura degli alberi, in particolare di quella dei ciliegi.


5. Catene

Minacciose figure senza volto incombevano su di lei, ammassandosi, pronte a schiacciarla sotto il loro peso. Avrebbe voluto scappare ma attorno a lei solo alte mura di fuoco. Il fumo le ostruiva le vie respiratorie, causandole un eccesso di tosse. Intanto, le masse nere si avvicinavano sempre di più...
Qualcosa le diceva di spiccare il volo ma lei era troppo impaurita per farlo...

E allora morirai.

Kazumi si svegliò di soprassalto, sudata.

Il cuore le batteva forte nel petto, brividi lungo la schiena, la sensazione di essere ancora circondata da figure e fiamme. Si passò una mano tra i capelli, scostando la frangetta bagnata ormai attaccatasi alla fronte.
L'incubo era sicuramente la conseguenza di ciò che era accaduto la sera precedente, quando Heihachi Mishima si era congedato e suo padre, suo zio e il maestro l'avevano scortata nel grande giardino fuori casa per rivelarle la sua missione.

Un gioco interessante. Finalmente avrò modo di sgranchirmi le gambe.

Kazumi si portò una mano alla fronte, quasi come se potesse costringerla a contenere tutti quei pensieri senza scoppiare.
Aveva iniziato a notare come la voce fosse diventata più rumorosa e pungente nella sua testa, più suadente, quasi come se, a ogni sillaba, distillasse veleno nelle sue vene che alimentava il suo odio e olio nella macchina arrugginita che costituiva il suo corpo per metterlo in movimento.
Kazumi voleva fare quello che la voce consigliava, trovava sempre che fossero buone idee.

Mi sta manipolando? O lei è me, in fondo?, si trovava spesso a chiedersi.
Ogni suo pensiero apparteneva anche al Gene e quindi, puntualmente, queste riflessioni venivano accolte da una risatina.

Ormai, però, Kazumi non ci pensava.
Aveva accettato non solo il Gene Devil pienamente ma anche i doveri che ne scaturivano.

Chiuse gli occhi, rassegnata.

Sarà uno spasso uccidere l'umano convinto di averti comprata, Kazumi.

*

La cerimonia fu semplice ed elegante.

Kazumi diventò ufficialmente la moglie di Heihachi Mishima.

La sua vita non sarebbe cambiata: i doveri sarebbero stati sempre gli stessi – far sì che suo marito non si scomodasse mai e non trovasse mai qualcosa di sbagliato in casa.
Non farlo arrabbiare.
Essere ciò che voleva che lui fosse.

Kazumi varcò la soglia della sua nuova casa. Alzò lo sguardo solo per ammirare lo spettacolo dei ciliegi in fiore che abbellivano il giardino. Trattenne il fiato: tutto poteva andare a rotoli, lei poteva pur essere condannata a un destino rovinoso, ma i ciliegi avrebbero continuato a sbocciare, il mondo avrebbe continuato a girare. La vita sarebbe sempre andata avanti.
Lei era solo un minuscolo granello sulla faccia della terra.
Era un pensiero confortante.
Kazumi si sporse per poggiare il palmo della mano sul tronco, in un gesto di ringraziamento.

L'ombra di Heihachi Mishima si avvicinò alla sua. «Ciliegi in fiore. Ne faremo piantare altri se ti piacciono tanto» disse.

Kazumi sollevò lo sguardo. Cos'era quello? Un gesto di gentilezza? Un sotterfugio? Poteva fidarsi? Fidarsi di cosa, poi? Quello che voleva l'avrebbe ottenuto di lì a poco. Kazumi non poteva sottrarsi.

Non fidarti mai, donna, sussurrò il Gene Devil; il suo sibilo pareva provenire direttamente dai fiori.

«Ho sentito che sei una formidabile combattente, Kazumi. Ti alleneresti con tuo marito?» chiese Heihachi.

È il momento di testarlo. Vedremo quanto può tenerci testa, si eccitò la demonessa. Kazumi poteva scorgere i suoi occhi rossi come il fuoco brillare, come un gatto che gioca con un topo.

A ogni modo, quella richiesta l'aveva spiazzata. Perché Heihachi Mishima le poneva domande? Perché aspettava la sua reazione? Perché non dava ordini? La sua figura imponente emanava una tale aura di autorità eppure non cercava di imporla su di lei, anzi, sembrava quasi volerla avvolgere in quell’aura, come a condividerla con lei.
Poteva essere diverso dagli altri uomini che avevano dominato la sua vita?
Poteva veramente essere un buon marito, un buon amico, un buon fratello?

Tutte queste domande non contano. Bada bene a non affezionarti alla preda, mia dolce Kazumi. E ricorda: sono tutti uguali.

Mentre osservava la schiena di Heihachi farsi strada nel vasto giardino, Kazumi inarcò un sopracciglio, chiedendosi se fosse veramente come dichiarava la voce.
Cos’aveva visto, in fondo, lei? Conosceva davvero cosa c'era al di fuori del suo dojo, al di fuori dei raffinati pannelli di casa che la celavano al mondo esterno?

Heihachi Mishima avrebbe potuto mostrarle nuovi modi di concepire la vita?

Ti metteresti contro te stessa per un umano che non conosci neppure? Certo, ora è gentile e ti farà sentire una regina; questo fin quando non ti avrà ai suoi piedi, dove resterai per sempre, con la testa abbassata, ai suoi ordini. Sei davvero disposta a trasformarti da regina a schiava? E se così non fosse, perché mai accontentarsi di essere considerata una regina?
Tu sei una dea, Kazumi. Uccidi Heihachi Mishima e otterrai la validificazione di cui hai bisogno.


La voce era seducente.

Però…

Deve fidarsi di me, rispose Kazumi. E al momento non sono abbastanza forte per batterlo. Hai percepito anche tu la sua aura…

Il Gene Devil annuì. Il tuo ragionamento fila. Aspetteremo, allora. Lo valuteremo e, insieme, individueremo il suo punto debole per poi finalmente ucciderlo.

Kazumi strofinò le mani sudate sulla stoffa del vestito tradizionale. Si scoprì nervosa e insicura. Era pronta a raggirare l'uomo che avrebbe dovuto ammazzare?


N/D: devo dire che è leggermente un parto.

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Capitolo 6
*** Mishima ***


Partecipa alla Challenge Sfida delle Parole Quasi Intraducibili: Redamancy: l’atto di amare qualcuno che ti ama, un amore ricambiato in pieno.


6. Mishima

Il ginocchio di Kazumi si piegò sotto il peso del pugno, urtando sul morbido tatami. La frangetta ormai intrisa di sudore le si era attaccata alla fronte, creando un quadro, secondo lei, per niente accattivante. Era cosciente del colore fucsia che aveva assunto il suo viso a causa dell'eccessivo sforzo fisico, testimoniato anche dall'affanno che le alzava e abbassava ripetutamente il seno a malapena coperto dal kimono.

Alzò il viso in segno di sfida, pronta a fulminare Heihachi Mishima, suo nuovo marito, se stava osando osservarlo.

Eppure Heihachi la guardava fisso negli occhi, con quel cipiglio severo, quell'aura di potere asfissiante.

Non potrai batterlo nemmeno se nasci di nuovo, Kazumi, non senza il mio aiuto. Dovrai fidarti di me affinché io mi possa mantenere in forma.
E Kazumi la vide: rintanata nel suo corpo, sembrava rattrappita, stanca, abbandonata, gli abbaglianti occhi illuminati da quel bagliore rosso come il sangue l'unica testimonianza del furore che albergava in lei e che la rendeva viva. Sembrava triste e abbattuta ma Kazumi si rese conto che quella massa d'ombra occupava più spazio del necessario.
Piano piano, stava assumendo sempre più il controllo.

E a Kazumi andava bene così.

Affilò lo sguardo e la furia della demonessa divenne la sua. Investita da quella nuova forza che le infiammò il sangue nelle vene, piantò bene il piede per terra e spinse in su, forzando il ginocchio piegato a distendersi. Le mani che avevano parato il pugno di Mishima si strinsero attorno a esso, usandolo come leva.
Udì il sibilo soddisfatto del Gene Devil dentro di sé e, per tutta risposta, scoprì i denti, pronta a risorgere dalle ceneri.
Kazumi si rialzò sotto lo sguardo stupito e soddisfatto di Heihachi Mishima.

Usando la gamba sulla quale poggiava tutto il peso come base, sferrò un calcio in pieno ventre al suo nuovo marito che accusò il colpo.

Kazumi volteggiò, rimettendosi in posizione. Non era ancora finita.

Si preparò all'ondata di rabbia scaturita dall'orgoglio ferito di maschio di Mishima ma quella non arrivò mai: lui si limitò a scrutarla con quel sorriso soddisfatto.

E poi, contro sua ogni aspettativa, scoppiò a ridere. «Dannazione, quei commenti non ti fanno giustizia, Kazumi Hachijo. Sei una vera guerriera. Sei la vera e giusta moglie di Heihachi Mishima. Vieni, ti offro un tè, te lo sei meritato ampiamente» disse, gioviale.

Kazumi non riuscì a mascherare la propria sorpresa. Nemmeno suo padre le aveva mai fatto un complimento tanto esplicito, manifestando tutta la propria gioia per avere una figlia come lei. Osservò stupefatta l'ampia schiena di Mishima allontanarsi, sentendo il proprio cuore riempirsi di un sentimento estraneo.
Poté avvertire il proprio sguardo addolcirsi, adocchiare quella schiena in modo diverso. Forse… forse Heihachi avrebbe davvero potuto essere un buon marito per lei, una redenzione.

Uno schioccare nella sua testa la riportò alla realtà. Sarà una redenzione, Kazumi. Ucciderlo ti libererà del tutto, ti libererà dagli umani doveri di una moglie. Non lasciarti ingannare, Kazumi. Non costringermi a compiere la nostra missione da sola, sussurrò lo spirito, vagamente amareggiato.

Chi l'aveva delusa in quel modo?, si chiese Kazumi, suo malgrado dispiaciuta per quella che ormai considerava una vecchia amica, una parte di lei.

Tutti, Kazumi. Non deludermi anche tu, fu la sagace risposta, come un sussurro che si perse nel vento.

**

Heihachi Mishima l'aiutò a preparare la cena. Kazumi accolse quasi infastidita quel suo aiuto, sconcertata. Pensava forse che non fosse all'altezza del suo palato sopraffino?
Quando si sedette a tavola dopo di lui, notò che non aveva toccato cibo.
Si agitò, a disagio. «Non è forse di tuo gradimento, marito?» chiese.
Lui inarcò un folto sopracciglio. «Perché credi questo? Ti stavo semplicemente aspettando. Non è bene cenare senza aspettare la propria moglie» rispose, con quella sua voce potente.
Kazumi non seppe cosa dire e preferì cominciare a mangiare.
Sentiva un peso nel cuore al pensiero di ciò che l'attendeva quella notte e forse fu quello il motivo per cui ogni boccone sembrava trasformarsi in colla, impossibile da masticare, e fu forse quello il motivo per cui i piatti le parvero particolarmente incrostati e difficili da sgrassare.
Una volta terminate le faccende domestiche, si avviò lentamente verso il bagno per rendersi presentabile.

Heihachi Mishima l'aveva trattata tanto bene durante il giorno perché avrebbe ottenuto la sua vendetta la notte stessa.

Kasumi osservò il proprio viso allo specchio: sembrava un agnello pronto al macello. Non era più abituata a vedere quell'espressione sul suo volto per cui serrò le labbra in una linea dura. Non avrebbe dato quella soddisfazione a Mishima.

Giunta alla camera da letto, fu sollevata nel constatare che Mishima non era ancora arrivato. Si infilò sotto le lenzuola, giacendo supina, come morta. Non poteva rifiutarsi ed era troppo debole per uccidere Heihachi. D'altronde… Voleva veramente ucciderlo? Lui si era dimostrato contento del suo potenziale, anzi: voleva sfruttarlo ancora di più. Voleva aiutarla a crescere, non a recedere.

Kazumi si lasciò sfuggire un sospiro.

Tutti i tuoi sogni romantici andranno in fumo questa notte. Vedrai com'è un uomo la notte delle nozze, vedrai come si prende quello che, secondo le vostre sciocche leggi, gli spetta di diritto. Vedrai con quale piacere ti farà soffrire e, più soffrirai, più lui godrà. Dopo ciò che ti farà subire, non penserai certo che Heihachi Mishima possa essere la tua liberazione.
Dopo, quel buco nero che spasima dentro di te si allargherà ancora di più, inghiottendo ogni scintilla di luce, non lasciando altro che un forte disprezzo, risentimento e odio.
Fino a questo momento, quest'aspetto del tuo essere donna ti era sconosciuto ma ora lo scoprirai. Per Heihachi Mishima, così come per ogni altro uomo, tu sei e resti soltanto una femmina da usare.


La voce della demonessa la fece sussultare.
Era stata zitta tutta la giornata dopo quel breve scambio e ora si era riversata su di lei con tutto il rancore, sbattendole in faccia una verità alla quale lei non aveva voluto pensare.
Suo padre le aveva raccomandato di soddisfare Heihachi Mishima. Era forse quello che intendeva dire?

Un fruscio. Kazumi non girò neppure la testa per vedere che suo marito era arrivato: indossava il jinbei per dormire.
Sentiva il cuore battere così forte da assordarle le orecchie. Era certa che, se si fosse alzata, sarebbe svenuta.

Non poteva fuggire: era di nuovo in trappola.

Pregò tutti gli dei affinché fosse veloce e indolore.

Seguì appena con la coda dell'occhio i movimenti di Heihachi Mishima: le gettò un'occhiata veloce, scostò le lenzuola, si infilò nel letto, accanto a lei e posò il suo sguardo penetrante sul suo viso.

«Buonanotte, Kazumi. Ora sei una Mishima. Sono fiero di averti al mio fianco» detto questo, le diede le spalle e spense la luce.

Kazumi attese. Avvertiva il Gene trattenere il fiato con lei. E nulla accadde. Il respiro lieve di Mishima riempì l'aria: persino dormiente, emanava una forte aura di potere.
Kazumi si lasciò andare a un sospiro di sollievo e finalmente chiuse gli occhi, un sorriso che fiorì spontaneo sulle sue labbra insieme a una certezza.

Poteva amare Heihachi Mishima.


N/D: c'è qualcuno? ㅇㅅㅇ

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Capitolo 7
*** Madre ***


Partecipa anche alla Challenge indetta da Soly_Dea con la parola Otsukaresama: si usa per ringraziare le persone che hanno dimostrato un grande impegno nello svolgere i propri compiti. Con questa espressione si riconosce il loro duro lavoro. Spesso la si utilizza per accogliere chi torna a casa dall’ufficio dopo una lunga giornata di lavoro.


7. Madre

Kazumi aprì le palpebre. La luce del sole filtrava dalle imposte, accarezzando il suo viso. Soffocando uno sbadiglio, si prese qualche secondo per stiracchiarsi prima di rigirarsi nel futon e concedersi qualche altro minuto di sonno.

Poi riaprì di scatto gli occhi.

Ebbe bisogno di un breve lasso di tempo per ricordare che nessuno sarebbe venuto a tirarla fuori dalle lenzuola per farle sbrigare le faccende domestiche e il consueto allenamento. Era libera.
Si sollevò a sedere, guardandosi intorno.

Cos'era quella sensazione sconosciuta che le scaldava il cuore? Kazumi respirò profondamente. Serenità.
Finalmente, aveva assaggiato il sapore della serenità.

Era passata una settimana dal suo matrimonio con Heihachi Mishima e quella era stata senza dubbio la miglior settimana della sua vita. Si era sentita al sicuro, calma, senza pressioni.
Senza Gene Devil nella sua testa.

Trasse un altro respiro, tentando di intercettare il Gene nella sua testa; invano.

Concedendosi finalmente un sorriso, scivolò giù dal letto e aprì le finestre, accogliendo la dolce aria primaverile che ormai era in procinto di lasciare il posto al calore estivo. Tese il viso verso la luce, lasciando che la riscaldasse.

Ogni cosa per Kazumi era una scoperta, non perché non l'avesse già vista o toccata ma perché ora poteva assaporarla con un animo diverso.
Si sentiva finalmente in pace.

Anche se…

Il clan Hachijo le aveva affidato una missione e, qualora non l'avesse portata a termine, ci avrebbe pensato un altro membro che, sicuramente, si sarebbe occupato anche di lei. Improvvisamente, la luce del sole non la riscaldò più; anzi parve bruciarla e Kazumi si distolse velocemente, tastandosi una guancia.

Non poteva scappare dalla sua missione.

Heihachi è un guerriero estremamente abile, cercò di consolarsi Kazumi, dirigendosi in cucina dove trovò la colazione già pronta accompagnata da un biglietto. "Tornerò presto. Ho una sorpresa per te."
Strinse il bigliettino con mani tremanti.
La mia famiglia sottovaluta Heihachi, si autoconvinse.

Si diresse in palestra per liberarsi dai pensieri oscuri che le appesantivano il cuore e così passò la mattinata. Pranzò velocemente dato che Heihachi sarebbe rincasato soltanto in tarda serata. Scese per fare la spesa, beandosi della tranquillità ritrovata.
Era un piacere scivolare tra i mercati, la lista in una mano e le buste in un'altra, ingannarsi di star vivendo spensierata una vita semplice e, proprio per quello, incantevole.
Davanti a una scatola di frutta dall'aspetto succoso, non poté far a meno di allungare la mano per afferrare una pesca. La frutta in Giappone era un lusso e potersela permettere le provocava un vago senso di colpa.

La sua mano fu bloccata da una presa di ferro e Kazumi si voltò di scatto. Sentì il sangue defluire dalle guance.
Suo zio.
La inchiodò con uno sguardo di fuoco che valeva più di mille parole prima di pagare un sacchetto di frutta e andarsene, il portamento di un imperatore.

Mille pensieri frullavano nella sua testa: come guadagnare tempo? Come liberarsi di quella missione che non aveva mai voluto?
Come difendere la propria serenità?

A Kazumi era passata la fame e non comprò più nulla.

*

Sull'uscio, Heihachi infilò le morbide pantofole che Kazumi sistemava appositamente per non sporcare le assi lucide.
Kazumi non lo sentì arrivare, immersa nei suoi pensieri. Aveva già preparato la tavola e, seduta su un cuscino a gambe incrociate, fissava il vuoto, lo sguardo perso.

Heihachi la trovò così e decise che la migliore cura per quel viso contratto era proprio la sorpresa che le aveva preparato. «Kazumi» salutò.

Lei sussultò e sollevò lo sguardo, guardandolo senza vederlo veramente finché non lo mise a fuoco. Si sollevò di scatto dal cuscino. «Otsukaresama! Scusami, ero distratta. Siediti, per favore, è tutto pronto» lo salutò, sorridendogli e voltandosi per dirigersi in cucina.

«Grazie ma aspetta. Ricordi che avevo una sorpresa per te?» insistette Heihachi, inducendola a soccombere alla curiosità.

«Sì, certo. Una sorpresa… Non sono abituata alle belle sorprese» rispose cauta Kazumi, abbracciandosi.

Heihachi le rivolse il sorriso tipico di chi la sa lunga. «Lei ti terrà compagnia quando io non sono a casa, come il mio orso Kuma mi tiene compagnia in azienda» rivelò.
Era stato uno shock appurare che i Mishima allevavano orsi domestici ma Kazumi credeva che assolvessero il compito di guardie del corpo. Insomma, perché non un orso invece di un energumeno che costa un occhio della testa?

Heihachi la riscosse dai suoi pensieri sollevando un fagotto davanti ai suoi occhi. Scostò la copertina, rivelando un cucciolo femmina di tigre.

Kazumi spalancò la bocca. Quando Heihachi gliela porse, lei non poté evitare alle proprie braccia di stendersi per accoglierla e stringerla al petto, come una bimba.
«La chiamerò Katei, "famiglia"» decise e vide la gioia balenare negli occhi di suo marito.

Nove mesi dopo, l'erede dei Mishima venne al mondo.

*

Katei si era accoccolata accanto alla culla del piccolo Kazuya, una guardia micidiale. Kazumi lanciò un'occhiata fuori la finestra: nonostante fosse primo pomeriggio, il cielo aveva già assunto una cupa tonalità blu e gli spogli rami degli alberi si agitavano, mossi dalle raffiche del vento invernale.
Felice di essere al riparo, in casa, Kazumi si strinse nello scialle. Si alzò, decisa a concedersi una veloce passeggiata nel giardino siccome finalmente il piccolo si era addormentato.

«Badagli, Katei» raccomandò alla tigre prima di uscire.

La fredda aria invernale le graffiò il viso quando fece scivolare l'elegante pannello. Rabbrividendo, Kazumi mosse un passo, diretta al giardino.
Si strinse nello scialle, respirando l'aria frizzantina, accarezzando il tronco di un albero di tanto in tanto.
«Aiutami» bofonchiò una voce profonda e maschile.
Kazumi sussultò, indietreggiando automaticamente. Si diede della sciocca. Sono la prescelta del Gene, nessuno può farmi arretrare!, pensò, maledicendo la propria codardia.
«Chi siete?» chiese, dando un tono imperioso alla sua voce.
Un'enorme figura nera che Kazumi non aveva notato si mosse, strisciando, acquattata tra le piante e i fiori curati con amore dalla coppia Mishima. «Mi chiamo Akuma. Chiedo cure e una zuppa. In cambio, vi dovrò un favore» rispose.
Un demone!, esclamò il Gene Devil; Kazumi non seppe dire se fosse di gioia o di sorpresa. Lo spirito non si faceva sentire più come prima e, nonostante tutto, Kazumi ne sentiva la mancanza. Sospirò. In un blando tentativo di riallacciare i rapporti con se stessa, chiese: Cosa facciamo?
Difficilmente ti puoi fidare di un demone ma, se conquisti la sua fiducia, avrai un ottimo alleato ai tuoi piedi, sussurrò la demonessa in un soffio di voce.
Erano dirette a lei quelle parole? Credette di scorgere un accenno di fragilità all'interno di quella voce solitamente altera e vagamente sensuale.
«Vi supplico» insistette il demone di nome Akuma la cui voce suonava un filo più debole.
Mossa da un senso materno a cui non poteva dare un nome, Kazumi non seppe dire di no.

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Capitolo 8
*** Han'nya ***


Partecipa anche alla Challenge indetta da Soly_Dea con la parola Jijivisha: il forte ed eterno desiderio di vivere e continuare a vivere.

8. Han'nya

Tre anni erano passati dalla visita del demone Akuma.
Tre anni erano passati e, ogni capodanno, ogni anniversario del matrimonio di Kazumi, ogni evento era scandito da visite o biglietti eloquenti che minavano la sua serenità.
Tre anni erano passati ed Heihachi Mishima era cambiato.
Tre anni erano passati e suo figlio Kazuya già mostrava i segni di una forza sovrumana persino superiore a quella del padre.
Tre anni erano passati e Kazumi aveva segretamente ripreso a comunicare con la demonessa dentro di lei.

Tre anni erano passati e Kazumi ormai credeva ciecamente alla profezia del clan Hachijo.

Quella sera, Heihachi Mishima rincasò più tardi del solito, il puzzo dell'alcol che annunciava il suo ingresso. «Kazumi! Luce dei miei occhi! Da oggi siamo la famiglia più potente del Giappone! Dammi qualche anno e diverremo la più potente sulla faccia della Terra, te lo giuro» affermò prima di scoppiare in una risata.

Kazumi sollevò lo sguardo da suo figlio che giocava insieme a Katei e rabbrividì. Gli occhi neri di Heihachi brillavano di una luce folle, la sua bocca era aperta in un ghigno malefico e la sua figura sembrava come cresciuta da un'aura di potere che, se non fosse stato per la fiducia ritrovata nel Gene Devil, avrebbe atterrito Kazumi.
Negli ultimi anni, il possesso della Mishima Zaibatsu, l'azienda dell'omonimo clan, era diventato il pallino fisso di Heihachi, tramutandosi in un'ossessione che l'aveva lentamente incattivito. Kazumi lo sorprendeva spesso a blaterare e organizzare piani volti a liberarsi del padre, Jinpachi Mishima, un signore saggio che Kazumi apprezzava e stimava sinceramente.

Le parole di Heihachi potevano voler dire una sola cosa.

«Cosa vuoi dire, marito? Tuo padre ti ha lasciato l'azienda?» iniziò a indagare cautamente Kazumi, alzandosi per apparecchiare la tavola, un gradito contrattempo che le permetteva di evitare lo sguardo folle di Heihachi oltre che a metabolizzare con calma le informazioni.
Voltò le spalle all'uomo per afferrare un paio di piatti dalla mensola.

Un'altra risata profonda. «Il vecchio non sarà più un problema» rivelò, sedendosi.

Kazumi lasciò cadere un piatto eppure quello non si ruppe mai.

Sono qui, Kazumi, sussurrò una voce ormai amica.

Kazumi trasse un respiro prima di ringraziarla mentalmente.
Fece un paio di smorfie per rilassare il volto prima di girarsi per fronteggiare suo marito. «In che senso?» chiese mentre sistemava piatti e bicchieri, fingendosi poco interessata alla sorte del signor Mishima.

Heihachi afferrò un bicchiere, facendo scorrere un pollice sul bordo. «L'ho rinchiuso dove non potrà mai più uscire» affermò in un sussurro soddisfatto. Il tono della sua voce era così inquietante che lo spirito in Kazumi sibilò.
In quel momento, il piccolo Kazuya sollevò gli occhi verso il padre, come per approvare il suo piano, e lei trattenne il fiato.

Avevano la stessa, identica espressione.

*

Per la prima volta, quella notte, Kazumi avrebbe voluto rifiutare le attenzioni di Heihachi. Era ben cosciente di essere stata fredda e assente ma il pensiero della veridicità della profezia degli Hachijo era un peso opprimente che non le permetteva di amare suo marito.
Scivolò fuori dalle lenzuola con discrezione e, in punta di piedi, si diresse verso la porta di casa. Katei sollevò la testa, osservandola incuriosita, e, al suo gesto di seguirla, si alzò immediatamente.
Con passo felpato, donna e tigre uscirono nella gelida notte invernale.
Katei sembrava avvertire la sua inquietudine e strofinava la grossa testa sulla sua coscia per attirare la sua attenzione. Kazumi le rivolse un sorriso nervoso e le grattò dietro l'orecchio.

«Pensi che sia pazza, Katei? Devo provarci. Non so nemmeno se ha un senso quello che sto facendo ma devo provarci. È per il futuro dell'umanità» bofonchiò, inoltrandosi nella foresta alle spalle della residenza.

Quando giunse in un punto che ritenne abbastanza lontano da casa, trasse un profondo respiro e chiamò a raccolta la demonessa.
La trasformazione la travolse e Katei le saltò addosso, una grossa zampa sulla bocca per attutire le sue grida.
Le fece le fusa quando la sua pelle virò al bianco cera e le corna sbucarono ai lati della testa. Fu il suo sostegno mentre Kazumi cercava di rimettersi in piedi. Non era un buon segno, quello: significava che aveva ancora bisogno di tempo.

Purtroppo, il tempo mancava.

Tese le braccia e strinse i denti. Dalla sua bocca uscì un getto caldo di fiamme luminose che avvolsero il tronco di un albero. Le sfuggì un ansito, quasi stesse lottando contro un avversario particolarmente pesante, e il puzzo di fumo si fece più forte, più opprimente. Rivoli di fumo le sfuggirono dal naso e un spruzzo di scintille si riversò dalla sua bocca quando, a denti stretti, sibilò un nome.
«Akuma».

Si infilò nuovamente nel letto verso le quattro e mezza del mattino. Heihachi ronfava ancora sereno e Kazumi non poté evitare al proprio sguardo di soffermarsi su di lui. Persino mentre dormiva, Heihachi metteva soggezione.

E noi faremo in modo che dorma per sempre.
Kazumi sollevò la testa per incontrare i suoi occhi, rossi come il sangue degli uomini, allo specchio. Le rivolse un sorriso.
Certamente, rispose. Abbiamo un valido alleato, aggiunse, soddisfatta, prima di concedersi un meritato riposo.

*

Il piccolo Kazuya applaudiva mentre ammirava i suoi genitori allenarsi insieme. Ogni tanto scattava e imitava le loro mosse con una naturalezza tale da lasciar intravedere il lottatore prodigio che sarebbe diventato.
Kazumi evitava di guardarlo: il pensiero di quello che sarebbe dovuto succedere di lì a poco era insopportabile e lei non poteva lasciare che suo figlio – o, peggio, suo marito – la vedesse piangere.
Come posso fare questo alla mia famiglia?, si chiese, terrorizzata da se stessa e dalle azioni dei giorni passati. Come ho potuto assumere un demone come assassino nel caso io fallissi?
La demonessa in lei parve carezzarle il viso in un tentativo di consolarla.
Negli ultimi tempi era tornata a rivolgerle la parola e sembrava quasi operare sulla sua mente per rilassarla, distrarla, ricordarle quanto fossero vicine a compiere la loro missione, a essere completamente libere. Le ricordava che nessuno l'avrebbe mai amata come lei perché lei era se stessa.
Kazumi a volte provava compassione per quello spirito: sembrava essere così disperata, sembrava anelare così tanto l'affetto e l'approvazione di Kazumi perché in fondo era sola. Poi ricordava che quello era il Gene Devil e nessun essere del genere poteva provare gli stessi sentimenti degli umani.

Eppure hai curato Akuma, sussurrò la demonessa.

Kazumi sobbalzò, sorpresa come un bambino colto con le dita nella marmellata.
Lo spirito parò un colpo per lei. Concentrati, giovane Hachijo.
E Kazumi si concentrò.

«Continui a migliore, Kazumi. Io e te insieme saremo inarrestabili. E, quando Kazuya avrà l'età giusta… » una risata eruppe dalle sue labbra e riecheggiò nella sala.

Fu allora che Kazumi collassò.

Distinse i contorni della figura di Heihachi che si avvicinava, il viso distorto dalla paura, per scrollarla, chiamare il suo nome. Sentì che la sollevava, che l'adagiava sul letto. Sentì una pezza bagnata sulla fronte.
Più di tutto, sentì la rabbia del Gene Devil ribollire, pronta all'attacco. Era quella la causa della sua febbre improvvisa.

Sotto gli occhi sconvolti di Heihachi, Kazumi si sollevò a sedere e gli artigliò il viso, affondando le unghie nelle carni tenere. Dopo l'iniziale momento di sorpresa, tuttavia, l'uomo riuscì ad allontanare le sue mani dal viso senza troppa fatica, afferrandole i polsi.

Kazumi svenne di nuovo. Al suo risveglio, disse di non ricordare nulla.

Questo scontro va pianificato bene, Kazumi. L'umano è forte, molto potente, e tu sei offuscata dai tuoi sentimenti per lui. Non so come andrà a finire.

*

Kazumi non aveva dormito tutta la notte.
Il pensiero di ciò che stava per compiere quella giornata l'aveva tenuta sveglia, tutti i sensi all'erta.
Erano passati sei anni da quando si era sposata con Heihachi e il clan Hachijo ancora chiedeva il sangue non era stata in grado di versare. Respirò profondamente. Quel giorno, la sua famiglia di origine avrebbe finalmente ottenuto quello che voleva.
Si voltò lenta verso suo marito che dormiva, il petto possente che si alzava e abbassava dolcemente.
Quel giorno, Kazumi avrebbe portato a termine la missione del suo clan: Kazumi Hachijo avrebbe posto fine alla vita di Heihachi Mishima.

«È ora che tu vada a scuola, Kazuya» intimò Kazumi, la voce bassa ma ferma. Con un'ultima carezza, lo lasciò nelle mani della maestra.
Osservò la sua piccola schiena che si allontanava e, per ogni passo del bambino, una nuova lacrima le rigava le guance.

Cosa avrebbe pensato di lei? Cosa avrebbe pensato della mamma assassina?
Era vero, Kazuya era più affezionato a lei che al padre ma questo non significava che non lo amasse e rispettasse profondamente. Era lui che aveva preso il posto del nonno Jinpachi come mentore del piccolo.

Heihachi ha rinchiuso suo padre in una cella a morire di stenti, le sussurrò la voce amica.

Quel pensiero fece serrare i pugni di Kazumi, finché le unghie non affondarono nei palmi.
Che razza di figlio faceva questo nei confronti di un padre premuroso e presente? E che razza di padre poteva diventare poi quel figlio?
Hai ragione: va eliminato, rispose.

Percorse la strada che conduceva a casa molto lentamente, il cuore le batteva forte nel petto, il respiro le usciva strozzato dalla bocca.
Non era sicura di farcela: aveva visto di cos'era capace Heihachi.
Ancora non hai visto di cosa siamo capaci noi, le ricordò lo spirito, eccitato al pensiero della battaglia.
Mi macchierò comunque di un crimine orrendo. Come andrà, andrà, sarà una mattina di sangue, pensò Kazumi.

E lei non voleva proprio morire.

Non ora che aveva un figlio, non ora che aveva finalmente ritrovato la sua libertà, non ora che aveva accettato il Gene Devil, non ora che poteva essere se stessa.
Non ora che aveva trovato qualcuno che l'amasse.
Quel qualcuno, però, rappresentava un pericolo per l'umanità. Rammentò la risata soddisfatta e profonda come un pozzo senza fine che era sgorgata dalle sue labbra crudeli quando aveva dichiarato che avrebbero assoggettato tutte le nazioni, lo scintillio nei suoi occhi quando aveva rivelato di aver messo fuori gioco suo padre.

Doveva darsi forza con quei pensieri.
Doveva convincersi che suo figlio Kazuya sarebbe cresciuto e avrebbe compreso il suo gesto.
E, se il destino avesse voluto il suo fallimento, allora a finire la sua missione sarebbe stato il demone Akuma. Kazumi era convinta che lui avrebbe potuto farcela.

Non capisco questo tuo pessimismo. Sei ancora convinta che Heihachi sia superiore alle tue doti da combattente? Questo è quello che ogni maschio vuole farti credere, quello che tuo padre, i tuoi zii e ora tuo marito vogliono. Non soccombere al loro gioco, sfrutta la loro arroganza a tuo vantaggio, sibilò la voce ma Kazumi non concordava in pieno.

No, Heihachi no, ribatté, sicura, alzando lo sguardo annebbiato.
Impiegò qualche secondo per registrare cosa stesse guardando. Davanti a lei c'era l'ingresso di casa. Sapeva che, una volta messo piede, non c'era modo di tornare indietro. Uno dei due non avrebbe visto l'alba del giorno seguente.

Kazumi chiamò a raccolta il potere del diavolo.

Non sarebbe stata lei.
Lei avrebbe visto tutte le albe fino alla vecchiaia, avrebbe visto suo figlio crescere e poi i figli di suoi figlio. Lei sarebbe sopravvissuta.

Varcò l'ingresso.


N/D: l'ultimo e finiamo!

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Capitolo 9
*** Besa ***


Besa: il culto dell'onore e della parola data, promessa inviolabile. .


9. Besa


La tua missione sta per compiersi, Kazumi.

«Che ne diresti di allenarci ancora?» una proposta lanciata come un'esca, sussurrata con una voce suadente pari alle fusa di una gatta.

La benedizione del diavolo che le infiammava le vene, negli occhi si accendeva un bagliore rossastro, un sorriso che lasciava intravedere denti affilati, un'ombra si spiegò dalla sua schiena. Il potere sulla punta delle dita. Era pronta a usarlo ma prima doveva convincere l'uomo.

E l'uomo si convinse.

Il clan Hachijo mantiene sempre le sue promesse. E tu sei la prescelta tra loro.

Lottavano fluidi, in un intreccio di membra che pareva una danza.
L'uomo si fermò per ringraziarla con un inchino. «Non fai altro che stupirmi, Kazumi. Noto con piacere che ti sei ripresa del tutto dalla febbre che ti ha colpita» si complimentò, del tutto ignaro di quello che lei covava nel suo ventre.

Sono pronta, avvisò.

Liberò il gene del Diavolo e godette dello sconvolgimento e della confusione che balenarono negli occhi dell'umano. Le ali fiammanti illuminarono di rosso il suo viso come un bagno di sangue.

«Ti ridurrò in cenere» sibilò fra i denti la demonessa prima di scagliarsi contro il marito.

«Tu non sei Kazumi! Cosa sei?» urlò lui, parando i colpi non senza una certa difficoltà.

Lei scoppiò in una risata. «Certo che sono Kazumi. La Kazumi che tu non hai mai voluto vedere, troppo accecato dalla tua arroganza!» ribatté, sbattendo le ali per sottolineare il concetto. «Sai perché ti ho sposato? Per assolvere il compito del clan Hachijo: ucciderti. Ero io la loro infiltrata, la loro spia, la loro arma segreta. Chi avrebbe mai temuto una povera donzella? Non certo il figlio dei Mishima, l'erede della Zaibatsu più potente del Giappone! Hai fatto male i conti: io sono la prescelta, colei che ospita il Gene del Diavolo. Io sono stata creata per distruggerti» aggiunse, per destabilizzarlo. Fece quasi le fusa mentre il viso di lui si distorceva in una smorfia di disgusto e dolore. Le passioni umane la facevano gongolare.
L'uomo scosse il capo e i suoi occhi tornarono scuri e profondi e impenetrabili come ossidiana.
Da quel momento non si limitò più a parare bensì iniziò a rispondere alle mosse di Kazumi, sempre più forte, più forte.

Non avresti dovuto dirglielo, disse l'umana nella sua testa.

Perché ti opponi così tanto? Vedo che hai ancora delle remore, rispose lei.

No, è perché hai usato una tattica sbagliata. Così lo provochi e, quando Heihachi Mishima viene provocato, normalmente per il suo opponente non mostra nessuna pietà, replicò Kazumi.

La demonessa ghignò. E da quando in qua noi abbiamo bisogno di un umano che ci mostri pietà?, chiese sarcastica.
In un impeto di vanità e per dimostrare a Kazumi quanto si sbagliasse, si scagliò ridendo contro l'uomo.

No!

La mano dell'umano si cinse attorno al suo collo, stringendo con una forza sovrumana. Lo spirito gli artigliò il viso invano, ringhiando. Avrebbe voluto mollargli una forte testata ma lui la teneva a una considerevole distanza, persino le sue corna non potevano raggiungerlo.
Fu in quel momento che si rese conto di uno sbaglio cruciale: nonostante l'avesse osservato per tutti quegli anni, l'aveva sottovalutato.
Si chiese come avesse potuto commettere quell'errore infantile anche se Kazumi l'aveva avvisata.
Kazumi.
Un'anima imprigionata, una vita mai completamente sbocciata.
Come poteva il Gene del Diavolo provare dei sentimenti verso il misero corpo umano che l'ospitava? Il pensiero di Kazumi la riscosse: se fosse morta, il corpo dell'umana non avrebbe retto. Quel corpo così fragile…
Urlò di rabbia, di paura, di rimorso.
E improvvisamente lui lasciò la presa, girandosi di scatto.
La tigre Katei ruggì, avanzando protettiva verso la sua padrona caduta con un tonfo. La demonessa non poté far altro che accarezzarla, lasciandosi sfuggire un sorriso: aveva rivalutato quegli esseri viventi, così intelligenti seppur sprovvisti del dono della telepatia o della parola.

L'uomo la stava osservando, immobile e dritto come una statua.

Grazie, sussurrò l'umana.

Lei non la rispose, continuò a passare le dita tra il manto della tigre come se questa le infondesse forza e decisione. Si isolò da Kazumi: era ancora schiava dell'umano, vittima di una società che la voleva sempre buona e misericordiosa, accogliente, remissiva, pronta a sacrificarsi.

Io voglio liberarti Kazumi, non te ne rendi conto. Non ho interesse verso il clan Hachijo perché io non devo sottostare a nessun umano ma solo alle mie volontà. E la mia volontà ora è sprigionare il tuo potenziale. Il piccolo uomo lo terremo solo perché scorre il sangue del Diavolo in lui, magari c'è speranza, decise.

Finalmente sollevò gli occhi rossi, rossi come squarci nella carne, sulla schiena imponente dell'uomo che si allontanava a passo deciso.
Quel gesto era per lei un'umiliazione bruciante: aveva deciso di lasciarla vivere perché la reputava poco pericolosa per lui. Lui, un semplice umano!

Ringhiò piano.

No, ci lascia andare perché ci ama, le mormorò dolcemente Kazumi. La demonessa sussultò: si era distratta e aveva lasciato aperte le porte della sua mente.

Quale amore? È un amore malato, amore di potere, le ricordò.

È vero, Heihachi ama il potere ma ama anche me, disse Kazumi.

Allora scappiamo, saremo libere lo stesso!, esultò lei.

Non posso. Non posso lasciare mio figlio. Non posso lasciare Heihachi senza ucciderlo. La mia famiglia mi ucciderà se lascerò questa casa. Sarò sola e indifesa con un bimbo piccolo. Cerca di capirmi, sussurrò Kazumi in un filo di voce.

Un'antica ira fece ribollire il sangue del Gene del Diavolo.

Stupida umana, non capisci niente! Io non mi sottometterò mai a un umano, sbottò, rialzandosi.
«Qualsiasi cosa succeda, non muoverti, Katei» mormorò all'orecchio della tigre che le rivolse uno sguardo interrogativo.
Spiegando le ali, si scaraventò sulla schiena dell'uomo, pronta ad artigliare quegli occhi da padrone.

Lui si girò.

Lei lesse la consapevolezza nei suoi occhi che i suoi artigli non raggiunsero mai: l'umano si aspettava quella mossa e odiava quello che stava per fare con tutto se stesso.

Ed eccola di nuovo la sua mano possente a stringerle il collo bianco come cera.

Katei, ignorando le parole della padrona, fece per avventarsi su di lui ma la demonessa la bloccò. Doveva vincere da sola. E Kazumi avrebbe avuto bisogno della tigre dopo la morte del marito.

Gli ringhiò contro. «Ti ucciderò, Heihachi Mishima» rantolò.

«No, sarò io a farlo» ribatté lui, il tono freddo e inflessibile di chi ha preso la propria decisione.

Le torse il collo.

La demonessa poté sentire l'umana dentro di lei agonizzante. Guardò l'uomo dritto negli occhi. «Fallo per Kazumi» supplicò.

Furono le parole sbagliate eppure lei non seppe dire perché. Il suo viso da inflessibile ma addolorato si distorse e incattivì in un'espressione di puro odio e disprezzo.

«Tu non sei la mia Kazumi» affermò lui.

La demonessa sorrise, scoprendo i denti affilati. «No, tua mai»

Un gesto secco.
Il collo di Kazumi Hachijo fu spezzato.

In lontananza, si udì il ruggito funebre di una tigre.

Heihachi Mishima versò una sola, singola lacrima.


N/D: è stato un vero parto. E sinceramente sono anche un po' delusa da me stessa perché non sono riuscita a infondere i sentimenti che avrei voluto, che sentivo… mi mancava proprio l'ispirazione ma lasciarla incompleta mi sembrava non solo una mancanza di rispetto verso la giudicia della sfida ma anche verso il personaggio e verso me stessa. Insomma, meglio una storia un po' azzoppata che una completamente abbandonata!
Penso che la Namco non abbia reso giustizia né a Kazumi né al suo alter ego. Com'è possibile che Heihachi abbia ucciso così facilmente Devil Kazumi se Devil Kazuya e Devil Jin, soprattutto quest'ultimo, sono praticamente dei?
E quindi la battaglia è stata vinta da Heihachi.
Ma solo per adesso ;)
Muahahaha

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