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Capitolo 1 *** L'Importanza di Essere Puntuali ***
Per quanto io odi fare premesse prima di un
capitolo, questa volta è essenziale farlo.
Qualche mese fa, riordinando pc e cronologie, ritrovo
tra le pagine salvate una fan fiction pubblicata in inglese su un altro sito. La
ricordo, la rileggo, me ne innamoro di nuovo. Passo circa una settimana nell’account
di questa bravissima scrittrice, leggendo tutto quello che ha pubblicato negli
ultimi anni e alla fine mi decido: The Window merita di essere tradotta.
Siccome riguardo certi aspetti sono più ritardataria di Kakashi, mi accorgo
solo dopo anni che The Window è stata già in parte tradotta dalla bravissima “eveyzonk” qui su EFP.
Dico in parte perché la traduttrice si ferma intorno all’11° capitolo
(purtroppo!).
Allora ci penso e ci ripenso. Sono passati circa cinque anni dall’ultimo
aggiornamento di eveyzonk e perdo le speranze in un nuovo capitolo in italiano
(un lavoro davvero bello ed accurato, il suo). Penso alla bellezza della trama,
alla particolarità di questi Sakura e Kakashi, ed alle 102 recensioni alla
traduzione di chi, un po’ come me, aspettava di sapere cosa succede dopo “I
semi d’arancia del destino” (capitolo che precede il più bello della storia, a
mio avviso).
Quindi, per la seconda volta, mi decido ancora: la traduzione di The Window s’ha
da fare!
Io non so di preciso se si possa ri-pubblicare una traduzione non terminata
(anche se, ovviamente, completamente riscritta) e quindi ho cercando in fondo
nel regolamento, ma non ho trovato nulla in merito. Ho quindi contattato l’amministrazione
più volte, ma dopo due mesi non spero più in una risposta.
E quindi eccoci qua.
Spero vivamente di essere all’altezza della precedente traduzione di eveyzonk,
non avendone mai fatta una prima, quindi siate cattivissimi nel farmi notare gli errori.
Ovviamente: questa storia non appartiene a me, ma
alla bravissima SilverShine
di Fanfiction.net la quale ammiro profondamente per la capacità di tenere il
lettore col fiato sospeso ed il naso incollato allo schermo. Nessun capitolo di
nessuna storia di questa bravissima scrittrice potrà mai risultare superfluo.
Da fan sfegatata di KakaSaku, vi consiglio caldamente
The Window ed ogni altra storia pubblicata da SilverShine.
Buona lettura!
The
Window
.
1 .
L'importanza
di essere puntuali
Era stato deciso il giorno precedente che si
sarebbero incontrati tutti al ponte alle nove del mattino, prima di
intraprendere la loro missione di rango A.
Alle dieci in punto, tre dei quattro membri del
team arrivarono da tre diverse direzioni; del quarto nemmeno l’ombra, ma c’era
da aspettarselo: in fondo era Hatake Kakashi, anche se la maggior parte
delle persone lo conosceva semplicemente come “Copy Ninja”,
mentre i suoi compagni di team si riferivano a lui come “ritardatario”.
« È di nuovo in ritardo, visto? »
« Lo so. »
« È sempre in ritardo. »
Le undici arrivarono e trascorsero e di Kakashi nemmeno
l'ombra.
Sakura si appoggiò alla ringhiera di legno lungo
il ponte, osservando il riflesso delle piccole e poche nuvole sull’increspata
superficie fluviale; Sasuke si appoggiò alla ringhiera di fianco a lei, rivolto
al lato opposto con gli occhi chiusi e le braccia incrociate. Sakura stimò che
la sua pazienza divina sarebbe durata al massimo per un’altra ora, dopodiché sarebbe esploso
in preda alla frustrazione che stava probabilmente già provando; poi avrebbe
cominciato a lamentarsi del fatto che stavano sprecando tempo prezioso
aspettando il loro leader quando avrebbero potuto affinare le loro abilità con l'allenamento.
Al contrario, Naruto non si faceva scrupoli ad
esternare la sua impazienza. « Dov’è? » gemette, seduto a penzoloni sulla ringhiera
che, vittima della sua frustrazione, veniva colpita dai suoi pugni. « Di solito
non è così in ritardo! »
Sakura sospirò, troppo annoiata dalla missione per
essere impaziente quanto Naruto. Era sicuramente più irritata dai suoi
movimenti continui e dalla sua incapacità di stare fermo per più di due minuti.
« Avrà dimenticato di nuovo l’appuntamento » disse piano Sakura, il mento
poggiato su un palmo. « Si sarà addormentato leggendo come l’ultima volta.
Qualcuno dovrebbe andare a chiamarlo ».
Era un suggerimento, e non del tipo più sottile.
Naruto diventò improvvisamente immobile mentre guardava le ombre scure delle
case lungo la riva, apparentemente troppo preso dai suoi pensieri da averla
sentita.
Sasuke non si mosse né produsse suono, ignorandola completamente.
« Bene, » borbottò Sakura, irritata. « Vado io ».
« Grazie, Sakura-chan! » Naruto gioì, mentre la
ragazza si scostava dal corrimano e cominciava a camminare.
« Controlla a casa sua » ordinò Sasuke.
Ragazzi!
Erano
loro quelli più impazienti quando Kakashi non si faceva vivo, ma preferivano sedersi
lungo il fiume a fare niente, piuttosto che acciuffarlo con le loro mani. Sakura
alzò gli occhi al cielo, disgustata dal genere maschile.
Rivolgersi a Kakashi era il metodo più veloce per ritardare ad una semplice missione di classe A.
Quell’uomo era un assoluto sbadato.
L’appartamento di Kakashi era in uno dei distretti
più vecchi di Konoha, dove le case erano vecchie, abbordabili e tappezzate con
ogni tipo di materiale spaiato che dava allo scenario le fattezze di una vecchia trapunta
rattoppata; il nuovo cozzava con il vecchio in uno strano agglomerato di stili differenti,
ma l’effetto era pittoresco, carino ed accogliente. I palazzi
erano costruiti gli uni accanto agli altri, a volte addirittura ammontati, con
piccoli giardini graziosi recintati da bambù – e dove non c’era spazio per un
giardino, c’erano dei semplici vasi lungo le porte. Sembravano tutti avere un
gatto in questa zona di Konoha, era difficile non trovarne qualcuno a
gironzolare nel quartiere o a rilassarsi sulle verande o finestre; altri, invece,
si stiracchiavano pigramente al sole, negli spiragli illuminati tra un palazzo
e l’altro.
Kakashi non aveva un gatto, stando alle sue
conoscenze e alla sua nota affinità naturale con i cani. Sakura pensò
che sarebbe andato d’accordo con un felino, si sarebbero somigliati molto: entrambi
pigri, indipendenti, ordinati e capaci di dormire tutto il giorno se ne avessero
avuto l’opportunità.
Non sentendo alcun bisogno di affrettarsi per il
bene dei suoi sfaticati compagni di squadra, Sakura si fermò al distributore automatico
alla fine del vialetto di Kakashi. Pigiò i tasti per avere una tazza di
cioccolato caldo e si poggiò contro pannello di vetro a sorseggiare, osservando la
strada che la separava dal condominio di Kakashi. Gli aveva fatto visita qualche volta
in passato, quindi sapeva quale fosse la sua finestra. Era leggermente oscurata
dai cavi elettrici e dai fili del bucato, ma poteva vedere abbastanza da
saperla aperta: ciò significava che l’inquilino era in casa. Mr. Ukki, la sua
piantina, si lasciava dondolare dolcemente dal venticello.
« Da non credersi » mormorò, bevendo
un altro sorso e chiudendo gli occhi. La giornata calda e la notte insonne
l’avevano lasciata stanca e leggermente irritabile. Non aveva alcun dubbio sul
fatto che, quando sarebbe arrivata, avrebbe trovato Kakashi addormentato sul
suo divano con un libro aperto sulla faccia. Con un pizzico di fortuna, forse
avrebbe potuto addirittura trovarlo senza maschera.
Ma non era il suo giorno fortunato: lo aveva
capito quella mattina quando aveva sbattuto il gomito contro lo stipite della
porta uscendo di casa, che sarebbe stata una brutta giornata. In
ogni caso, non era affatto dell’umore per cercare l’aspetto positivo in
qualcosa, almeno fino a quando non avrebbe avuto una notte di sonno decente.
Finita la bevanda, accartocciò la lattina e la
buttò nel bidone di fianco al distributore, per poi incamminarsi lungo il breve pendio che l’avrebbe condotta all’appartamento di Kakashi. Non si
disturbò a suonare il campanello: il pulsante era rotto da almeno tre anni e il
suo maestro non si era ancora scomodato a ripararlo. Se qualcuno avesse voluto
vederlo, avrebbe dovuto arrampicarsi sulla scala d’emergenza per bussare alla
sua finestra.
Sakura non perse tempo con le scale. Saltò, con
l’agilità del ninja che era, ed atterrò sulla grata di metallo della finestra
di Kakashi. Con le mani aggrappate al telaio, aprì la bocca pronta a chiamare
il suo nome.
Il suo cuore si fermò e la voce le morì in gola.
Non ebbe bisogno di chiamarlo, dato che era proprio
lì, di fronte a lei, sul letto posizionato direttamente sotto la finestra.
E non era solo: inginocchiata di fronte a lui con il viso schiacciato in un
cuscino c’era una donna, che gemeva violentemente ogni volta che i fianchi di
Kakashi spingevano contro i suoi. Erano entrambi praticamente nudi e troppo
coinvolti nella loro attività per notare Sakura, il che era una
benedizione, dato che Sakura non pensava di potersi muovere nemmeno se avessero
alzato lo sguardo su di lei.
Non si azzardò a fiatare. I suoi occhi erano
inchiodati su Kakashi, sui suoi contorni fini e definiti – sui fianchi che
si flettevano languidi contro la donna, la quale gridava « Oh dio, oh dio! » ancora ed ancora nel suo cuscino
e si spingeva contro di lui, tanto rumorosa quanto lui silenzioso e tanto fine
e femminile quanto lui solido e mascolino. Era disturbante osservare qualcosa
di tanto crudo ed intimo, ma Sakura non poteva non ammettere che fosse
ipnotizzante.
Kakashi avrebbe solo dovuto alzare la testa per
vederla, ma i suoi occhi erano serrati in concentrazione e piacere.
Sobbalzando, Sakura si accorse che non stava indossando la sua maschera. Il suo
viso era esposto al suo sguardo affamato, attirato dal suo naso dritto e da un
paio di labbra piene e pallide, leggermente schiuse mentre il suo respiro si
mostrava sottoforma di ansimi leggeri.
Con un’altra scossa, Sakura realizzò
qualcos’altro: conosceva la
donna. Kimura Yoshi, la signora Kimura
Yoshi – sposata ad uno dei più rinomati membri del clan Kimura, che non
era un clan potente, ma sicuramente molto ricco. Era un fatto risaputo che i
membri del clan Kimura si sposassero più per apparenza e soldi, che per abilità
e talento, e Kimura Yoshi non era l' eccezione alla regola.
Sakura sapeva di dover andare via, ma ormai era
troppo spaventata per muoversi: un solo passo falso e la piattaforma su cui
poggiava avrebbe cigolato, avvisando Kakashi della sua presenza, che a discapito di
quanto impegnato potesse apparire, era comunque un ninja.
I loro movimenti stavano acquisendo velocità: i
respiri della donna stavano lentamente diventando forti grida mentre Kakashi buttava
indietro la testa e spingeva in lei più rapidamente e spietatamente di prima.
Era troppo a cui assistere per Sakura: involontariamente, compì un passo indietro, mentre la sua mano stringeva la
ringhiera d’acciaio dietro di lei, ed il metallo del suo anello cozzò contro il
corrimano con un sonoro tintinnio.
Gli occhi di Kakashi si aprirono di scatto e si
fissarono direttamente sui suoi.
Sakura non osò muoversi.
Improvvisamente la donna urlò, contorcendosi,
tremando e artigliando il cuscino sotto di lei. Quasi nello stesso istante gli
occhi di Kakashi si chiusero nuovamente e la sua bocca si aprì in un sibilo
fugace, dandole per uno scorcio di secondo la visione di un canino leggermente storto.
Inarcò la schiena e si chinò sulla donna, le mani aggrappate ai suoi fianchi
così violentemente da lasciarle segni bianchi, per poi cominciare a spingere con
ritmo spezzato.
Sakura trasalì: una vampata di calore le fluì alle
guance e nella pancia. Si voltò immediatamente e saltò oltre la ringhiera,
atterrando maldestramente al suolo, aiutandosi con una mano a mantenere
l’equilibrio. Poi corse senza sosta fino al voltare di un angolo e si fermò
sull’uscio di un negozio chiuso; una mano sulle labbra e gli occhi serrati.
Un condizionatore ronzava sulla sua testa,
sbuffando via il calore dalle sue spalle, ma Sakura continuava a sentire ancora
la fredda sensazione di umiliazione e shock. Kakashi l’aveva vista guardarlo
mentre lo faceva...
Restare immobile era tutto ciò che poteva fare per evitare di
correre a casa in quel preciso istante, fare i bagagli e trasferirsi in un
altro continente.
Forse, era solo il suo completo e totale smarrimento ad impedirle di fare
qualcosa oltre starsene lì, appoggiata allo stipite marcio, con la mente
bloccata in un loop come un disco rotto che le rinviava flash di ciò che aveva
visto, ancora ed ancora.
Si sforzò a respirare, provando a scacciare via
quelle immagini dalla testa; non è che la disgustassero, ma la
confondevano. Era strano vedere Kakashi in un momento di completa
vulnerabilità, comportandosi in un modo che non era affatto nel suo stile.
Si era chiesta – in passato – se possedesse una vita sessuale, ma era solitamente
giunta alla conclusione che il sesso rappresentava troppo sforzo per un uomo
così lento, apatico e pigro.
Ma anche i gatti miagolavano di passione di notte:
non avrebbe dovuto scioccarla così tanto, sapere che Kakashi aveva davvero una vita sessuale; era umano,
dopotutto.
Pur realizzandolo, Sakura desiderò di non essere
stata così stupida da pensare di poter irrompere dalla finestra della camera da
letto di un uomo adulto e pretendere di trovarlo innocentemente addormentato sul divano;
senza remotamente considerare l’ipotesi che fosse a letto con una donna.
Poteva non essere lei quella sorpresa nuda e tra gli spasmi di un orgasmo, ma
sentiva che sarebbe stata di sicuro quella più imbarazzata.
Ma perché non riusciva a togliersi quelle scene
dalla testa?
A prescindere da cosa guardasse – gli alberi, le
case, le persone che le camminavano a fianco o il cielo azzurro – il suo occhio
mentale restava focalizzato su ciò che aveva visto. Poteva rivederli, quei due
corpi muoversi all’unisono; riusciva a sentire le urla di una donna fin troppo
felice e i leggeri grugniti del suo maestro ad un passo dal limite.
Ritornò quel particolare formicolio del ventre, mentre tremava con
consapevolezza. Strinse le proprie braccia intorno a sé, mentre provava
a scacciare via tutti quei pensieri e quelle sensazioni con la pura forza
fisica.
« Mi ucciderà » mormorò mortificata. Se non
l’avesse uccisa per averlo visto, avrebbe sicuramente voluto scambiare qualche
parola riguardo Kimura Yoshi. Fino a cinque minuti prima, Sakura la pensava una
donna rispettabile, felicemente sposata con uno degli uomini più ricchi del
villaggio: se si fosse fatta scappare una parola sul fatto di averla vista piegata
davanti al Copy Ninja, ci sarebbero stati problemi. Sicuramente, Sakura non
aveva alcuna intenzione di mettere bocca sugli affari altrui, ma Kakashi non poteva
saperlo.
Tuttavia, la prospettiva di scappare da Konoha per
evitare di affrontarlo era ancora tremendamente tentante, anche se leggermente
sciocca: sapeva di non poterlo evitare per sempre, come sapeva che avrebbe dovuto
parlargli prima o poi. Sarebbe stato meglio se fosse tornata al ponte fingendo
che niente di tutto ciò fosse successo. Se Kakashi le avesse detto qualcosa,
l’avrebbe liquidato con una risata ed una scusa, dicendogli che era stata colpa sua
per non aveva provato prima la porta, pregando i cieli che quell’episodio non
avrebbe rovinato il loro rapporto.
Intorpidita, nonostante la giornata mite, Sakura
cominciò ad incamminarsi per ritornare dai ragazzi. Non si sarebbe tolta
l’immagine di Kakashi nudo dalla mente tanto facilmente, ma c’era da
aspettarselo, così smise di cercare di reprimere i ricordi; ma soprattutto, non
riusciva a smettere di pensare a quanto quella Kimura sembrasse soddisfatta.
Francamente, non era giusto: Sakura non era mai
arrivata al punto di invocare gli dei, con i suoi precedenti fidanzati; e sicuramente
non con l’attuale. Tutt’al più, avrebbe voluto chiedergli “tutto qui?”.
O Kimura Yoshi era una donna facilmente saziabile,
o Hatake Kakashi sapeva come soddisfare una donna. E per un breve, inquietante
momento, Sakura si immaginò al posto di quella donna, con Kakashi che spingeva
in lei con il giusto ritmo per farla gridare per lo stesso tipo di piacere.
Non si rese conto di essere arrivata al
ponte, fino a che Naruto non le sventolò una mano davanti la faccia; lo guardò
con sguardo colpevole, quasi spaventata dal fatto che potesse leggerle i
pensieri. « Heeey? Sakura-chan? Sei lì? »
« Smettila » disse, spingendo via la sua mano:
stress e shock la rendevano acida. « Che
c’è? »
« Ho detto, l’hai trovato? » ripeté Naruto,
evidentemente in apprensione per lei.
« Sì – no. Cioè, sì. » Sakura si dibatté
esasperata, non sapendo cosa dire per non instillare il sospetto in loro, senza
alcun risultato. « Intendo, l’ho trovato. Era a casa. »
« Lasciami indovinare » biascicò Sasuke, dalla
stesa posizione in cui l’aveva lasciato. « Si è svegliato temporaneamente cieco
ed ha deciso di restare a letto fino all’arrivo dei soccorsi, ma la sua vista è
misteriosamente ricomparsa un attimo prima che bussassi alla porta? »
Il suggerimento di Sasuke si basava probabilmente
sul fatto che, la settimana precedente, Kakashi aveva giustificato il non aver sentito
la sveglia con la “sordità temporanea”.
« S-sì, » disse Sakura, sforzandosi di ridere « qualcosa
del genere ».
« Insomma, sta arrivando? » chiese Naruto, con
quello che sembrò a Sakura un misero gioco di parole.
« Dovrebbe, penso » mormorò lei, spostandosi verso
le ringhiere per nascondere il suo ardente rossore.
« Dovrebbe? Pensi? » fece eco Sasuke. « Gli hai
detto che lo stiamo aspettando o no? »
Sakura era momentaneamente rimasta senza parole: se
avesse detto la verità e confessato che non gli aveva parlato, le avrebbero
chiesto come mai non avesse schiettamente rimproverato il loro maestro ed il
suo essere ritardatario; se gli avesse detto di sì e Kakashi non si fosse fatto
vivo, le si sarebbe ritorto contro quando i ragazzi avrebbero sgridato Kakashi
non solo di aver dimenticato la missione, ma perfino il richiamo di Sakura.
La mente della ragazza non era abbastanza stabile,
in quel momento, per studiare un insieme così complesso di probabilità per
trovare la risposta meno rischiosa, quindi fu quasi un sollievo sentire la voce
di Kakashi.
« Yo. »
Un sollievo nel senso che le fece gelare il sangue
in una giornata così calda.
« Kakashi-sensei! » piagnucolò Naruto. « Dove sei
stato? »
« Beh, stavo venendo qui alle otto e mezzo, ma mi
sono imbattuto in questa micetta affamata ed ho pensato che sarebbe stato meglio
portarla a casa per saziarla » disse Kakashi, in modo alquanto non convincente.
« Bugiardo! » sbraitò Naruto, per poi lanciare uno
sguardo confuso a Sakura quando si rese conto che non aveva intonato l’accusa
insieme a lui, come suo solito.
Ma Sakura non poteva dare del bugiardo a
Kakashi... dato che non stava del tutto mentendo – metaforicamente parlando,
almeno.
Inoltre, non riusciva nemmeno a guardarlo, figuriamoci parlargli o
urlargli contro: avrebbe avuto bisogno di almeno tre anni di terapia intensiva
prima di riuscirci di nuovo.
« Che diffidente » mormorò Kakashi. « Allora,
andiamo in missione o no? Che state aspettando? »
I due ragazzi borbottarono qualcosa sull’ingiustizia
della situazione e li precedettero.
Kakashi si mosse dopo di loro.
Mentre le passava davanti, Sakura gli diede un’occhiata, sicura che la sua
attenzione fosse rivolta alla strada.
Ma no, stava guardando lei. Il suo cuore si fermò
per la seconda volta quel giorno quando il suo breve sguardo la colpì. Non
sembrava arrabbiato, imbarazzato o addirittura divertito a sue spese, ma solo
curioso. Sakura deglutì rumorosamente, sentendosi più nuda ed esposta di quanto
lo fosse stato lui precedentemente, poi lo sguardo di Kakashi si spostò in
avanti, mentre la chiamava, voltandosi sopra la sua stessa spalla. « Vieni? »
Davvero
una
cattiva scelta di parole, piagnucolò Sakura mentalmente mentre si trascinava
dietro il suo team.
Ad ogni passo verso la montagna, l’aria diventava
sempre più umida, quella mattina. Quanto più in alto salivano la foresta si
infittiva, la strada era via via più stretta e la nebbia cominciava a
circondarli. La loro destinazione – il villaggio di Asahi – si annidava da
qualche parte in fondo alle valli, isolato e vulnerabile. Strada facendo,
Kakashi spiegò la missione.
« Asahi è una miniera d’oro fatta città » disse,
sovrastando il frinire delle cicale tipico del paesaggio. « Sono ricchi, ma non
hanno un’adeguata protezione. Recentemente hanno avuto problemi con una banda di
criminali che sembrano avere l’abitudine di apparire, prendere ciò che vogliono
e sparire di nuovo. Sono stati derubati cinque volte, e i ladri sembrano essere
dei ninja piuttosto abili, quindi non hanno potuto opporre resistenza ».
« Aspetta che li acchiappiamo! » millantò Naruto,
sicuro di sé.
Kakashi lo ignorò. « Ci divideremo in due team. Ci
sono due strade: una all’interno ed una all’esterno di Asahi, e i ladri le
useranno entrambe per trasportare i carichi. Naruto e Sasuke saranno di guardia
all’esterna, mentre io e Sakura prenderemo l’altra. Probabilmente saremo oltre
distanza massima per il segnale radio, quindi, se qualcosa andasse storto,
usate il jutsu più rumoroso che avete e l’altro team verrà in soccorso. Intesi?
»
« Sì » ronzò Sasuke.
« Sissignore! » cinguettò felicemente Naruto.
« ...Certo. »
La sua solita fortuna. Se pure il mondo dovesse
finire e la civiltà cadesse nel caos, Naruto e Sasuke sarebbero comunque
accoppiati insieme. Sicuramente il loro era il miglior duo della storia
dell’umanità, ma quel giorno aveva veramente
sperato che sarebbe stata accoppiata con uno dei due.
Ora era bloccata con Kakashi. L’uomo al cui
orgasmo aveva assistito quella mattina stessa.
Oh
dio...
Per quanto avesse camminato e per quanti
bellissimi paesaggi avesse ammirato nel tragitto tra le valli, assolutamente
nulla era stato sufficiente dal togliere quell’immagine dalla sua mente – molto
probabilmente, anche perché l’oggetto dei suoi problemi camminava proprio
davanti a lei. Si sorprese a fare cose che di solito non faceva... come
guardare le sue forti, ampie spalle e lanciare qualche occhiata al suo sedere. I
suoi pantaloni lasciavano tanto all’immaginazione, ma quella di Sakura aveva
parecchio ed accurato materiale su cui lavorare.
Ma se un attimo prima stava ammirando senza
speranza le doti fisiche del suo maestro, quello dopo stava obbiettando per la
sua scelta di partner. Kimura Yoshi. Kimura
Yoshi, santo cielo! Avrà avuto almeno dieci anni in più di lui e Sakura
aveva assistito suo figlio undicenne per un braccio rotto solo l’anno prima.
Suo marito aveva portato il bambino all’ospedale, e per quanto poco l’avesse
visto, le era sembrato un uomo carino, gioviale, che sicuramente amava il
proprio figlio. Non si meritava di essere tradito, e neanche il ragazzino.
Cosa stava facendo
Kakashi con quella donna?
Certo, ovviamente sapeva cosa stava facendo con quella donna – con dettagli
visivi superflui – ma la domanda giusta era perché?
Dopo averlo visto senza maschera, Kakashi le sembrava un uomo discretamente
attraente, ma pur indossando la maschera era abbastanza ovvio. Di sicuro non aveva
da penare per avere una ragazza. Perché avere una tresca con una donna più
grande e sposata?
Forse la sua era una perversione...
Quando finalmente arrivarono ad Asahi si divisero
in due team – il momento che Sakura più aveva temuto – e si incamminò con
Kakashi dentro il villaggio, per trovare la strada secondaria. Sakura finse
un’insolita curiosità per l’architettura del villaggio, ovviamente solo per
evitare di parlargli o di guardarlo, ma purtroppo l’unica cosa interessante ad
Asahi era il fatto che lì il tempo sembrava essersi fermato a cinquant’anni
prima e tutto sembrava appartenere a quell’epoca antica, compresi abbigliamenti
e pettinature.
« Va tutto bene? » chiese leggero Kakashi, mentre
sorpassavano un gruppo di gente del posto, visibilmente incuriosita daloro due.
« Mm-hm » rispose rapidamente Sakura, con un tono
di voce innaturalmente alto.
« Sembra che qualcosa ti turbi » commentò lui.
Sakura mantenne lo sguardo sul cammino che li
avrebbe condotti fuori dal villaggio. Con nient’altro che alberi da guardare,
stava terminando i diversivi.
« Sembra quasi tu abbia visto un fantasma, »
rifletté distrattamente « o qualcosa di parimenti terribile ».
Sakura quasi piagnucolò. « N-No, sto bene. »
Stava aspettando che lui ne parlasse. Erano fuori
dalla portata d’orecchi della gente e indubbiamente questo era il momento in
cui si sarebbero confrontati su ciò che lei aveva visto per chiederle di
tacere. Aveva dovuto ostentare nonchalance ed apatia, ma una volta soli...
Diverse centinaia di metri sotto il livello della
strada e lontano dal villaggio, Kakashi la fermò. Sakura si preparò
all’inevitabile imbarazzo.
« Qui andrà bene » disse, guardandosi intorno. «
Tu prendi quel lato della strada ed io prendo questo. Se vedi o senti qualcosa,
avvisami per radio. »
Poi si voltò ed andò via.
Stordita e confusa, Sakura poté solo obbedire. Dopo
pochi minuti si sistemò in una fossa che puzzava di felci, con una foresta su
un lato e la strada dall’altro. Non
riusciva nemmeno a capire come fosse finita lì. Scrutò oltre la strada
sferrata, per individuare Kakashi sul lato opposto, poggiato contro un grosso
albero che lo nascondeva alla vista di chiunque andasse verso il villaggio. Il
suo solito libro in mano, ma chiuso e penzolante. Osservando il suo sguardo
distante, Sakura ne dedusse stava pensando, o ascoltando attentamente. Anche
lei aguzzò l’udito, ma tutto ciò che sentiva era ancora il verso delle cicale
provenire dalla foresta e dai cespugli che la circondavano. Con il loro coro
assordante, sarebbe stato un miracolo se avesse sentito arrivare la banda di
ladri.
Ma perché Kakashi non stava nemmeno ammettendo ciò che era successo quella
mattina? Forse era il suo modo di difendersi – fingere che niente fosse
successo e che le cose tra di loro fossero come al solito. Tuttavia, sembrava
che non avesse nemmeno la decenza di essere in imbarazzo!
D’improvviso, Kakashi voltò la testa ed incontrò i
suoi occhi; la fissava, senza battere ciglio. Brividi freddi corsero lungo la
nuca di Sakura, ma si sentì incapace di distogliere lo sguardo. A quella
distanza, la sua maschera rendeva ancora più difficile decifrarne il viso, ma
c’era qualcosa di accattivante nel suo sguardo penetrante. Era come se la
stesse studiando... aspettando che prendesse l’iniziativa. I rumori degli
insetti sembrarono crescere intorno a lei, arrivando ad un volume soffocante,
assordante. Più lo fissava, più si sentiva isolata da qualsiasi cosa la
circondasse.
Poi, la mano di Kakashi si alzò lentamente fino a
toccarsi l’orecchio. La radio gracchiò in quello di lei.
« Sakura? » lo sentì dire dalla radio.
« Sensei...? » sospirò lei.
« Hai una cicala sulla testa. »
« Grazie, sensei. » quasi con calma scacciò via l’insetto –
spiegandosi così il rumore assordante – e scivolò ancora nella fossa, sperando
che i lati cedessero e la seppellissero viva. Solo la morte poteva toglierla
dalle grinfie di quell’uomo e dalle sue umiliazioni.
Grinfie che quella mattina erano arpionate sui
fianchi di una donna formosa e nuda.
Sarebbe stata una missione molto, molto lunga...
Se Sakura aveva temuto che Kakashi l’avesse
bloccata ad un certo punto durante la missione per fare una “chiacchierata” su
ciò che aveva visto quella mattina, allora non aveva di che preoccuparsi.
Kakashi, per la maggior parte del tempo, l’aveva ignorata.
Ma lei stessa aveva fatto del suo meglio per ignorarlo, quindi era difficile
capire se Kakashi stesse semplicemente sulle sue.
I banditi non si fecero vivi. Sakura passò due ore
in quella fossa, scacciando insetti apparentemente attirati dal suo colore di
capelli e sporcandosi la gonna bianca con felce e sporco. Infine si arresero e
comunicarono al capo villaggio che sarebbero tornati la prossima volta che l’oro
sarebbe stato estratto – un’occasione delicata, che i ladri sicuramente non
avrebbero sprecato.
Il team Kakashi si diresse verso casa,
profondamente deluso. Naruto odiava essere privato dell’azione, Sasuke invece
biasimava il mancato pagamento ed il successo, quanto a Sakura, pensava solo al
comportamento confusionario di Kakashi. Kakashi stesso, comunque, sembrava più
o meno indifferente come sempre. Oltre all’iniziale occhiata curiosa che le
aveva lanciato partendo da Konoha, non aveva dato il minimo cenno di ricordarsi
cos’era successo quella stessa mattina.
E se non l’avesse vista? Forse era troppo preso
dalle sue attività per notare la sua presenza, anche se l’aveva guardata dritto
negli occhi.
Ma Kakashi era un jonin d’elite. Era difficile coglierlo impreparato mentre dormiva, quindi
dubitava che la sua passione potesse annebbiargli i sensi così tanto.
Quell’uomo era un enigma. Un enigma avvolto nel
mistero rinchiuso in un guscio di eccentricità.
Era quasi sera quando ritornarono ai cancelli di
Konoha. Il cielo era ancora luminoso, ma aveva assunto una sfumatura più
pallida di blu. Naruto pianse immediatamente fame e si congedò per raggiungere
Ichiraku. Sasuke vagheggiò, menzionando qualcosa sul fare un bagno, e ancora una
volta Sakura impallidì al realizzare di essere rimasta da sola con il suo
maestro.
Sicuramente, ora che non erano più in missione e
non doveva più preoccuparsi di tenere la guardia alta, le avrebbe parlato.
« Devo compilare un rapporto, » le disse pigramente,
senza guardarla « ci vediamo, okay? ».
Sakura deglutì tutto il suo sollievo « Ci vediamo
». Sollevò lo sguardo nello stesso momento in cui lui abbassò il suo ed i loro
sguardi si incrociarono. Un occhio scuro si increspò a causa di un sorriso.
« Ciao ciao » le disse, e si avviò.
Confusa e turbata, Sakura si incamminò verso casa.
Fu solo quando diede un’occhiata all’orologio che si rese conto che la missione
era durata molto più di quanto si aspettasse, era quindi in ritardo con la sua
rivale di sempre.
Arrivò alla casa da tè Ichigo senza fiato ed
ancora sporca di felce. In confronto ad Ino, seduta all’esterno sotto la
tettoia rossa della casa da tè, con i suoi vestiti immacolati ed i capelli
perfetti, sarebbe potuta sembrare una troglodita.
« Fronte spaziosa! » Ino la salutò con un cenno «
Indossi sempre i profumi piùparticolari... ».
Sakura si sedé con un tonfo sulla sedia di fronte
a quella di Ino e collassò per metà sul tavolo. « Non crederai mai alla
giornata che ho avuto... » mugolò.
« Brutta missione? »
« No, quella è andata bene. »
« Oh, non dirmi che è per quella patetica
imitazione di un fidanzato che hai. Ti ho già detto dove dovresti mandarlo,
giusto? »
« No, non è Ikki » rispose Sakura, accigliata. « È
Kakashi-sensei... »
« Kakashi-sensei? » ripeté Ino, sporgendo il
labbro inferiore in un broncio di confusione. « Cos’ha fatto? »
Sakura ritornò composta con un sospiro, fissando
la tettoia rossa sulla sua testa. Si muoveva insieme alla brezza, alzandosi ed
abbassandosi quasi a ritmo dei suoi respiri« L’ho visto con una donna stamattina ».
« Oh? » Ino le sembrò solo un tantino sorpresa. «
Suppongo che sia... insolito. Pensavo fosse una specie di scapolo inflessibile.
È davvero questo il motivo per cui sembra tu sia stata trascinata in una siepe?
»
« No – intendo, l’ho visto con una donna » rimarcò Sakura. « Era in ritardo e sono
andata a casa sua, non ho bussato e li ho visti insieme e– »
Ino scoppiò a ridere « Oh dio! Sakura-chan ha dato
una bella occhiata al suo vecchio sensei? » per poi riprendere a singhiozzare
ancora. « Oh – va’ avanti – chi era lei? »
« Io... non conosco il suo nome » Sakura mentì.
Dire ad Ino dello scandalo significava assicurarsi che tutta Konoha ne parlasse
entro la mattina seguente. Era già abbastanza rischioso raccontarle ciò che
aveva visto.
« Che peccato... » rispose Ino, asciugandosi le
lacrime « Dev’essere una ragazzafortunata ».
Sakura la guardò di traverso. « Perché? »
Ino fece un gesto alla cameriera. « Sì, per me una
pesca melba, grazie! Stavo dicendo? Giusto! Beh, Kakashi-sensei ha lo
sharingan, no? Parlavo con Shikamaru di Sasuke giusto qualche giorno fa, e mi
ha spiegato tutto quello che uno sharingan può fare. Dice che uno sharingan ben
sviluppato è principalmente un congegno ipnotico, e se il classico ipnotismo
dipende dalla volontà della persona che lo subisce, lo sharingan può
controllare una persona come un genjutsu ».
Sakura alzò gli occhi al cielo « Questo lo so,
maialino ».
« Non ho finito, fronte spaziosa » Ino ribatté. «
Comunque, mi ha detto che lo sharingan può infliggere emozioni istantanee e
sentimenti su una vittima. Come paura e rabbia e gioia e tristezza. Quindi,
teoricamente... non potrebbe dare anche un orgasmospontaneo? »
È così che faceva Ino. In sessanta secondi di
conversazione, in qualche modo
avrebbe cercato di spostare il soggetto sul sesso e/o orgasmi. Sakura la guardò
shoccata. « Smettila, davvero... » mormorò, poggiando la fronte sul palmo della
mano.
« No, pensaci » le sorrise maliziosamente. « Sai
dice che quando ha incontrato Sasuke la prima volta, gli è bastato solo
guardarlo ed un attimo dopo era a terra, tremante di paura senza apparente
motivo. Quindi non è logico che lo sharingan possa fare lo stesso, ma con
l’effetto opposto? Far cadere le persone al suolo e farle tremare per un altro
motivo? »
« Passi troppo tempo a pensare a queste cose »
tagliò corto Sakura, anche se – doveva ammetterlo – un po’ era curiosa.
« Scommetto che se può farlo Sasuke, può farlo
anche Kakashi-sensei » disse Ino, facendo scorrere le dita tra le ciocche della
coda di cavallo. « E, sai che ti dico? È proprio ciò di cui hai bisogno.
Qualcuno che riesca a darti un orgasmo spontaneo ».
« Cosa? » Sakura scattò, urlando.
« Dio sa se quel perdente di un fidanzato che hai
sa farlo » Ino brontolò, lanciando un’occhiata acuta a Sakura. « Non l’hai
ancora scaricato? »
Sakura si ritrasse leggermente « Beh, ho pensato
che forse dovrei dargli un’altra occasione per– ».
« Per fare cosa? Dimostrarti che è uno stronzo? »
Ino sbatté le mani sul tavolo, irritata.« Andiamo, Sakura. Sei stupida,
ma non così stupida. Ikki è un
perdente! »
« È un capitano degli ANBU! » Sakura piagnucolò in
sua difesa.
« Certamente, ma ciò non toglie il fatto che beva
troppo e che non riesca a durare abbastanza da soddisfare qualcuno oltre sé
stesso » disse Ino, guardandola disgustata.
« Seriamente, Sakura. So che non te lo tieni per la sua brillante personalità,
e se ciò che mi dici delle sue performance a letto è vero, dovrebbe essere
arrestato, processato ed incarcerato per crimini contro il romanticismo ».
« Non è così male » rispose Sakura, guardando il
tavolo accigliata. « Gli piace troppo il sakè, tutto qui ».
« Come a Naruto piace il ramen » sottolineò Ino. «
Avevo uno zio come lui, sai? »
Sakura ne aveva già sentito parlare. « Lo so » borbottò.
« E sai cosa gli è successo? » fece pressione Ino.
« È morto » aggiunse Sakura leggermente annoiata,
come un bambino che ascolta la stessa storia per la centesima volta.
« Bevve così tanto da affogare nel suo stesso
vomito, solo, con nessuno che o aiutasse perché nessuno poteva sopportare di
stare accanto ad un idiota ubriacone » Ino concluse con un cenno affilato. « È
ciò che accadrà ad Ikki, ci scommetto. E dio, tu sei così stupida da non
credere di meritare di meglio, vero? Cristo, ti lascerei avere Sasuke tutto per
te se questo significasse farti alzare i tuoi standard di nuovo ».
« Non voglio Sasuke » borbottò Sakura. A volte, le
faceva male perfino pensare a lui. Amare qualcuno a cui importava così poco di
lei era più doloroso che amare uno stupido ubriacone strafatto ogni giorno.
Sakura l’aveva capito lo stesso giorno in cui si era dichiarata a Sasuke per
l’ultima volta. Lui l’aveva stroncata in un secondo, dandole così tanto dolore
al petto che alla fine capì perché la gente parlava di “cuore spezzato”. Sakura
pensò di non poter sopportare quel dolore ancora una volta, e da quel giorno
decise di prendere qualsiasi volontario si facesse avanti e rinunciò a cercarsi
un ragazzo.
Era così che aveva intrapreso qualsiasi relazione
da lì in poi. La avvicinavano nei bar o a lavoro e le chiedevano di uscire.
Anche se erano estranei, spesso lei diceva di sì, e se le cose andavano bene accettava
anche di andare avanti.
Ma con nessuno di loro aveva funzionato, e Ikki
sembrava solo l’ultimo di una lunga lista di gente che Ino aveva marcato come
“perdente”.
« Hai dei buoni gusti in fatto di uomini » le
disse Ino schietta « Devi solo sceglieremeglio ».
« No... è solo che attraggo questo tipo di gente »
spiegò Sakura pazientemente.
« Stronzate » l’ammonì Ino. « Stai solo
raccattando tutta la feccia che pensa che le ragazze coi capelli rosa siano
spazzatura come loro. Scommetto che nessuno di loro ti ha mai dato un orgasmo ».
Sakura arrossì vistosamente. « Certo che sì,
invece » un’altra bugia. « Comunque, iragazzi non sono così importanti. Non durano per sempre e non ho
intenzione di sistemarmi, quindi a chi importa di come sono. »
Ino la guardò a bocca aperta. « Non hai colto il
punto qui, fronte larga » disse. « I ragazzi sono grandiosi... sono come
migliori amici che non devi condividere, e quando scoprirai del sesso
quantomeno decente capirai cosa ti sei persa fino ad ora ».
« Questo è perché tutto ciò che sai di amore ed
uomini viene da quei stupidi romanzi d’amore che leggi » scoppiò Sakura. « Non
sono realistici! Nella vita reale, il sesso non è perfetto e gli uomini sono
stupidi ed i migliori sono presi dalle ragazze più carine! »
Ino le diede un’occhiata pietosa « Sakura » disse,
con voce insolitamente bassa e seria « Non voglio che tu faccia la fine di mia
zia ».
« Tua zia? » chiese Sakura.
« Quella che ha sposato il mio defunto zio » Ino
sospirò tristemente. « Era una grande ninja, poi si è ritrovata con tre
marmocchi e senza marito, ed ora è solo una vecchia grassona che si imbottisce
di pillole per stare lontana dalla depressione ».
Ouch.
« Sì, ma non ho intenzione di sistemarmi e sposare
Ikki, no? » Sakura constatò.
L’espressione di Ino restò scettica. « Neanche mia
zia lo voleva, ma guarda com’è finita ».
Questa conversazione stava lasciando a Sakura
l’amaro in bocca e un nodo allo stomaco. Ma alla fine, la maggior parte delle
conversazioni con Ino finivano con lei che le faceva la predica sul “prendersi
sul serio” e “trovarsi un ragazzo migliore”.
« Punta in alto » Ino dichiarò improvvisamente. «
Come la ragazza misteriosa di Kakashi-sensei. O fai come me e prova ad entrare
in un buon clan. Comincia con i Dotou e fatti strada fino agli Hyuuga ».
Ino era leggermente un’arrampicatrice sociale,
andava detto, ma a Sakura non importava. Ino aveva degli standard
eccezionalmente alti e contava di sposare l’uomo migliore – finanziariamente e
geneticamente parlando – su cui potesse mettere le mani. Sakura lo trovava
sinceramente poco realistico, e credeva che Ino sarebbe finita con un uomo
decentemente abile e con qualche collegamento a qualche clan.
Ma con chi sarebbe finita Sakura? Ad oggi, il
meglio che aveva avuto era stato un pazzo ubriaco e una carovana di aspiranti
modelli per i poster sull’eiaculazione precoce.
Non sentiva nessun bisogno di trovarsi un ragazzo
serio al momento. Ed Ikki non era così male comunque...
Anche se...
Si ritrovò a pensare di nuovo a ciò a cui aveva
assistito quella mattina, per sorprendersi a provare un alone di gelosia. Tutto
ciò era ingiusto: Kimura Yoshi era sposata con un membro di uno dei clan più benestanti
di Konoha, e si era addirittura accaparrata una relazione con il suo sensei e
team leader. Kakashi era chiaramente un buon amante – sicuramente troppo
lontano dagli standard di Sakura.
Fino a quando Sasuke non si sarebbe inginocchiato
di fronte a lei, Sakura era sicura che non sarebbe mai stata così fortunata in
amore quanto Kimura Yoshi.
Una brezza leggera si estese nella sala dove lei
ed Ino sedevano, sollevando lievemente la tettoia di canapa rossa sopra di
loro. Sakura sospirò osservandola, sprofondando ancora una volta nella
poltroncina sulla quale sedeva. « Forse è colpa mia » disse ad Ino, assente «
Forse sono io a non essere brava nel sesso... »
« Potrebbe essere » disse Ino, seccata. « Non te
ne farei una colpa – non sei brava nella maggior parte delle cose ».
« Rassicurante ».
Ino la fissò per qualche secondo, prima di
sporgersi sul tavolo per poggiare una mano sul braccio di Sakura. « Se stanotte
torna a casa ubriaco, devi mollarlo ».
Sakura si accigliò. « Che tu ci creda o no, Ikki
non beve sempre ».
« Perfetto. Se stanotte resta sobrio, ignora il
mio consiglio, » disse Ino bruscamente « ma se lo è... ricordati solo che
meriti di più. Cristo, Akamaru accaparrerebbe uomini migliori di Ikki ».
Sakura scosse la testa. « Ti sbagli, vedrai ».
« Vedremo ».
« Bene! »
« Bene! »
« Perfetto quindi ».
« Sì ».
« Vuoi un po’ della mia melba? »
« Ooh, sì, ti prego! »
Sinceramente, Sakura era leggermente ansiosa
quella notte, mentre si raggomitolava contro il tavolino basso nel suo
appartamento, riscaldandosi i piedi con la stufa elettrica sotto di esso. C’era
il suo programma preferito in TV, che la aiutava a distrarsi dalla
conversazione avuta con Ino, ma era un discorso ascoltato così tante volte che
era difficile toglierselo dalla testa. Pur ridendo delle stupide battute in
scena, non poteva smettere di sentirsi a disagio. Una parte di lei sperava che
Ikki non si sarebbe fatto vivo quella notte, così da non dover affrontare il
fatto che Ino aveva ragione e che Ikki era effettivamente
un perdente.
Ma nel momento in cui sentì infilare una chiave
nella serratura della sua porta, Sakura seppe che la sua fortuna era esaurita. Alzò
lo sguardo con un vago sorriso, mentre il suo ragazzo entrava nella stanza,
spogliandosi della maschera ANBU e delle scarpe, che depositò entrambe per
terra, contro il muro.
« Hey » la salutò lui, sorridendole di rimando.
« Hey » disse lei.
Le si avvicinò, per poi inginocchiarsi contro il
tavolo per stamparle un bacio all’angolo della bocca. « Allora, come sta la mia
ragazza preferita? »
Il fetore di alcool e sangue la circondò. Voltando
il viso, lo spinse via con un gomito, cercando di mettere un po’ di distanza
tra di loro. « Ikki, puzzi ».
« È stata una missione piuttosto difficile, »
disse, stringendosi nelle spalle « sono quasi morto ».
Sakura ci era andata vicino il giorno prima, ma
non l’aveva trovato così sensazionale da essere raccontato. « Non ha a che fare
con lo strozzarti con il tuo stesso vomito, per caso? » chiese cauta,
consapevole del fatto che non l’avrebbe capita.
« Kunai, dritto tra i miei occhi » disse,
indicando precisamente il punto in questione, nel caso avesse avuto dubbi sul
dove “tra gli occhi” fosse. « Se non fosse stato per i miei riflessi fulminei,
ti starei parlando dall’oltretomba ».
« Che bello » rispose Sakura, assente, rivolgendo
di nuovo l’attenzione alla TV. La trama della serie era abbastanza scorrevole,
se avesse permesso ad Ikki di distrarla ancora un po’, si sarebbe persa
qualcosa di importante.
« E sai a cosa ho pensato quando quel kunai stava
per beccarmi? » chiese Ikki, avvolgendole un braccio intorno alla vita.
« Mm? » Sakura si finse interessata.
« Ho pensato a quanto mi sarebbero mancate le
gemelline ». Le baciò il collo, mentre il braccio che le teneva la vita saliva
verso il suo petto, scostandole la maglietta.
« Ikki»
sospirò, cercando fiaccamente di allontanarsi da lui.
« Sakura » grugnì lui.
« Che c’è? »
« Lascia che ti scopi ».
Sakura emise un sospiro di vacillante pazienza. «
Proprio adesso? » chiese, cercando riluttante di nascondere il fatto che non
fosse un buon momento. « C’è il mio programma preferito in TV ».
« Preferisci guardare uno stupido programma
piuttosto che fare l’amore con il tuo ragazzo? » le chiese.
« S–no, ovvio che no,
ma.... » cercò di spremere le meningi per farsi venire un’idea. « Ikki, non
puoi farti prima una doccia? »
« Sono eccitato ora ».
« Ma sono stanchissima e non mi sento molto bene ».
« Ti farò stare meglio ».
Avrebbe scommesso di tutto sul fatto che Kakashi
non aveva mai avuto problemi nel convincere una donna a dormire con lui.
Probabilmente gli bastava schioccare le dita e dire “vieni a letto con me” ed
ogni donna nel raggio di cinque miglia si sarebbe messa in coda per lui. Soprattutto
se avesse visto ciò che aveva visto Sakura quella mattina.
Ikki era insistente, mentre le baciava il collo e
le tirava il colletto per spingere quei baci più in basso. Il viso di Sakura si
deformò in una smorfia, mentre immaginava come sarebbe andata a finire.
Si chiese se forse quella volta non l’avrebbe
sorpresa, se le avesse dato qualcosa che avrebbe dato senso a quell’ennesimo
rapporto. Il buonsenso le rispose che si stava solo illudendo, ma il lato più
docile di lei voleva dargli il beneficio del dubbio.
« E va bene » mormorò.
La fece stendere di schiena e la baciò
ferocemente. L’alito gli puzzava di vino di riso ed il suo corpo emanava puzza
di sangue stagnato, il che non era affatto afrodisiaco, ma Sakura riusciva quasi
ad ignorarlo. Era un tantino seccante il fatto che non si era disturbato
neanche a togliere qualcuno dei loro indumenti: aveva le semplicemente abbassato
le mutandine fino alle ginocchia per poi slacciarsi i pantaloni in fretta, e
quando entrò in lei fu tutt’altro che piacevole.
Cercò di farlo rallentare, di adeguarsi al suo
ritmo, ma lui continuava a muoversi senza scrupoli. Spingeva con frenesia
egoistica, grugnendo su di lei ed offrendole uno degli scenari meno eccitanti a
cui Sakura avesse mai assistito.
« Ti piace così, eh, piccola? » ansimò « Ti piace
rozzo ».
Era come essere solleticati in un punto fastidioso.
Si mosse a disagio, lanciando qualche gemito sperimentale per convincersi ad
entrare nell’atmosfera, ma era troppo. Guardò oltre la spalla di Ikki, verso il
televisore, sperando di capire se Daisuke avesse scoperto che Yumi lo tradiva
con suo fratello, ma i dialoghi erano sovrastati dai rumori che Ikki emetteva
direttamente nel suo orecchio.
Con un sospiro, Sakura lasciò andare la testa all’indietro
per poggiarla sul tappeto, per osservare il soffitto mentre aspettava che Ikki
finisse. Forse era lei il problema?
Le sembrava strano che ognuno dei suoi ex riuscisse a godersi il sesso, mentre lei
sola non sentiva nulla. Desiderava essere più reattiva... come Kimura Yoshi,
che era riuscita a venire prima di
Kakashi.
Ripensò allo sguardo di lui, mentre raggiungeva l’apice.
Una smorfia di piacere non troppo differente da quando veniva occasionalmente
colpito da un kunai. Aveva assistito alla perdita totale di controllo che si
era impossessata del suo corpo, mentre impazziva sul corpo di quella donna, e
per qualche strano motivo questo la eccitò. Uno spasmo di piacere le si diffuse
nel bassoventre, facendola ansimare di piacere per la prima volta da... beh, da
sempre.
Chiudendo gli occhi, Sakura provò ad immaginare
Kakashi su di lei. C’erano probabilmente parecchi problemi mentali coinvolti,
nel proiettare l’immagine del proprio insegnante su un amante, ma in quel
momento a Sakura non importava. Se ne sarebbe preoccupata dopo, quando sarebbe
finita, ma in quell’istante era l’unica cosa che poteva rendere quell’esperienza
positiva.
« Oh, diavolo » Ikki si girò leggermente, cercando
di afferrare la katana legata alla schiena che stava spingendo in posti
proibiti. Il suo martellare rallentò in spinte gentili e dolci, mentre provava
a liberarsi dell’arma.
Sakura si fece prendere dal ritmo ritrovato,
sentendosi finalmente agganciata e trasportata dal piacere. « Sì... » sospirò, sollevando
le mani fino a farle scorrere tra i capelli appuntiti, quasi abbastanza lunghi
da essere scambiati per quelli di Kakashi, se avesse tenuto gli occhi chiusi.
Mosse i fianchi a tempo con i suoi, sentendosi finalmente vicina a quella fine
che aveva ricercato per così tanto. «
Proprio così... » sospirò.
« Cosa? Così come? » chiese Ikki stranito, chiaramente
incosciente.
Sakura fece scivolare una mano sulla sua bocca. «
Shh... » lo zittì. Il suono della sua voce avrebbe rovinato la sua
immaginazione, dato che non era neanche lontanamente profonda e calda come
quella di Kakashi.
Sarebbe potuta andare, pensò sorpresa, sentendo la
spirale di piacere prenderla ed il suo respiro diventare più tenue. Per la
prima volta in vita sua, avrebbe finalmente potuto–
Ikki si irrigidì sopra di lei con un gemito
spezzato, e Sakura sentì il respiro mancarle mentre lui veniva rozzamente su di
lei. In un battito di ciglia, era tutto finito, e prima che Sakura potesse
rendersene conto, Ikki era in piedi e brancolava verso il bagno con un’espressione
alla “sto per vomitare” con tanto di colorito verdognolo.
Il piacere che Sakura stava attentamente bramando,
si era dissipato come etanolo su una piastra calda, spazzato via col vento,
lasciandola interdetta sul pavimento di casa sua. Perplessa, si voltò a
guardare il televisore e vide i titoli di coda scorrere sullo schermo: si era
persa il finale. Stranamente, la scocciava più ciò che quello che era appena
successo.
« Tipico » sospirò a sé stessa, mettendosi seduta
per sistemarsi le mutandine.
Suoni gutturali le giunsero dal bagno adiacente e
Sakura trasalì: « Se sporchi, pulisci da solo » alzò la voce, lasciando
scorrere le dita tra i capelli in disordine.
Ma proprio mentre si mosse, la scia di un
movimento oltre la finestra catturò la sua attenzione. Si alzò, ed una volta
giunta al davanzale si affacciò, sicura di aver visto una scia bianca scivolare
tra i tetti del quartiere. Sakura si accigliò. Uno dei suoi vicini aveva un
gatto calico, forse si preparava per una caccia notturna...?
Ma come era arrivato sul tetto...?
Il suono dello scaricò del bagno la raggiunse,
distraendola dai pensieri prima che potesse applicarsi oltre. Quello era l’unico
modo in cui Ikki era disposto a pulire dopo aver sporcato, e solo se era di
buon umore. Ino aveva ragione: era un completo zoticone per la metà del tempo,
e l’unico motivo per cui aveva accettato di uscirci era perché le aveva
raccontato una barzelletta carina su tre donnole ed una ruota per criceti. Non
si era messa con lui per aiutarlo a sfogare l’adrenalina post-missione, né per
pulirgli il bagno quando beveva troppo.
Se ne doveva andare. Era giunto il momento del “discorso”.
Dopo pochi istanti Ikki comparse dall’uscio della
porta del bagno, leggermente pallido e viscido: nulla di nuovo. Sakura stava
per parlare, ma Ikki la batté sul tempo: « Sakura » pronunciò, serio, con lo
sguardo rivolto al pavimento « dobbiamo parlare ».
« Che coincidenza, anch’io ho qualcosa da dirti »
rispose lei, avvertendo la pelle d’oca sulla nuca. « Ecco, vedi, io–»
« Credo che dovremmo vedere altre persone ».
Non posso farci nulla: amo questa storia dal primo
rigo fino all’ultimo, anche se “l’azione” comparirà dal prossimo capitolo (che
non vedo l’ora di rileggere e tradurre)!
Spero che la traduzione riesca a rendere quanto possibile, e che sia abbastanza
chiaro ciò che l’autrice vuole trasmettere.
P.S.: Un gatto calico è un gatto a tre colori!
Approfitto per fare tantissimi auguri di buone feste a tutti e per avvisare i
lettori di “When the Night Falls” che il nuovo capitolo non è previsto prima
dell’anno nuovo, purtroppo sarà più complicato del previsto e in questi giorni
di baldoria ho parecchie difficoltà a scrivere, mi scuso tantissimo per il
ritardo.
Ancora tantissimi auguri e che l’anno nuovo possa
portare tante belle cose!
Un abbraccio.
Kakashi sarebbe scoppiato a ridere, se lo scenario
non fosse stato pietoso. La ragazza stava guardando
la televisione, per l’amor del cielo! Quale uomo con un minimo di rispetto
verso sé stesso avrebbe potuto definirsi tale, sapendo che la propria ragazza
traeva più divertimento guardando una soap smielata in TV piuttosto che facendo
sesso con lui?
Era la prima volta che Kakashi preferiva guardava
una ragazza ridere a delle stupide battute in TV, piuttosto che darci dentro
con il proprio ragazzo. Fino a che suddetto fidanzato era entrato in casa,
l’aveva vista rilassata e sciolta con una tazza di cioccolata tra le mani, mentre
sorrideva e si pizzicava distrattamente il labbro inferiore. Ma fin dal momento
in cui l’aveva baciata, non aveva sorriso nemmeno una volta.
Era stato come guardare due animali accoppiarsi:
la femmina con un’espressione di paziente sofferenza ed il maschio che spingeva
in lei con un solo primitivo traguardo da raggiungere. Kakashi sospirò e scosse
la testa: quel ragazzo non capiva nulla di sesso, ed era tremendamente egoista.
Nell’unico momento in cui Sakura aveva cominciato a provare piacere, non era
riuscito a controllarsi.
A quel punto, Kakashi seppe che stava solo
perdendo tempo e se ne andò. Aveva rimandato i rapporti per troppo tempo, ed
avrebbe dovuto darsi davvero una mossa se non avesse voluto trovare gli archivi
chiusi, a mezzanotte.
Dopo mezz’ora era seduto alla taverna delle
Campanule con un rapporto incompleto abbandonato sul bancone di fronte a lui,
ma sembrava che più lo guardasse e meno completo gli sembrasse. Ed al posto di
tenersi al passo con il lavoro come qualsiasi ninja del suo calibro avrebbe
fatto, si ritrovava a pensare ad una certa ragazzina dai capelli rosa.
Sakura gli era stata dietro tutto il giorno come
un cagnolino spaventato dal padrone, tuttavia obbligato ad ubbidire. Ogni volta
che la guardava, poteva giurare di vederla sobbalzare, come se si aspettasse di
ricevere da un momento all’altro un colpo di giornale sul naso: quel giorno le
era sembrata insolitamente sottomessa.
Sakura non era neanche lontanamente una ragazza
silenziosa, anche se a volte aveva l’abitudine di rinchiudersi in sé stessa ed
allontanarsi da chiunque, al punto che ogni tanto aveva bisogno di ripetere gli
ordini più volte per assicurarsi che l’avesse sentito. Di solito succedeva
quando era giù di morale; la maggior parte delle volte, Kakashi credeva fosse per
quel periodo del mese.
Ma quel giorno era sicuro di sapere quale fosse il
motivo del suo allontanamento dal team. O meglio, ne era quasi certo, perché
cominciava a chiedersi se non fosse possibile che aveva solo immaginato di
vedere Sakura sul davanzale della sua finestra, nell’impeto del momento. Dio
solo sapeva perché avrebbe dovuto contemplare quell’immagine mentale, ma
Kakashi stesso ammetteva di non capire la metà delle cose che gli passavano per
la testa ogni giorno.
« Qualcosa da bere, Kakashi-san? »
Kakashi sospirò ed interruppe il flusso dei suoi
pensieri, per poi rivolgere lo sguardo alla barista di fronte a lui. « No,
grazie, Ayame-chan » rispose, placido « non ho affatto sete ».
La ragazza si accigliò ironicamente. « È ciò che
fai sempre, del resto: vieni qui, ti siedi e non ordini mai nulla. Abbiamo
delle regole, sai? »
« Hai intenzione di cacciarmi? » chiese, sbattendo
le palpebre.
La ragazza scosse la testa sorridendo e rispose «
Non importa », voltandosi per servire i pochi clienti paganti. L’occhio di
Kakashi la seguì, posandosi automaticamente sulle forme dell’ampio seno e alle
curve del suo posteriore. Di giorno lavorava all’Ichiraku con suo padre, ma
fatta sera scambiava la divisa da cuoca con una maglietta nera aderente ed un
paio di pantaloni attillati per lavorare in un bar notturno. Forse quella
maglietta era davvero troppo stretta, perché era evidente che tutte quelle
bevande gelide le stavano dando i brividi. Portava una fede nuziale sul dito,
ma certe volte sembrava sparire.
Kakashi tornò svogliatamente al suo rapporto e
continuò laboriosamente a riempire gli spazi vuoti. Si era fatta quasi
mezzanotte, quindi cominciò ad affrettarsi, scribacchiando il minimo
indispensabile per poi chiudere il tutto con una faccina sorridente dedita a
rallegrare qualsiasi chierico scontento che sarebbe stato sottoposto alla
tortura di leggere la sua grafia.
Una volta finito – nel senso più largo del termine
– ripiegò il lavoro e si alzò. Nello stesso momento, Ayame tornò al bancone con
un sorriso ed un pezzo di carta in mano.
« Ecco il tuo scontrino, Kakashi-san » gli disse, porgendoglielo. C’era
qualcosa di misterioso in quel sorriso che lo costrinse a pensarci due volte
prima di accartocciarlo nel portafoglio e dimenticarsene, e si prese un momento
per leggere il biglietto, assolutamente certo di non aver ordinato né pagato
nulla.
C’era solo un piccolo messaggio.
“Da
me, all’1 in punto”.
Kakashi ripiegò il foglietto e lo infilò in tasca,
salutò Ayame con un sorriso, per poi abbassarsi sotto i lembi di tela
all’ingresso del bar ed avviarsi.
Con il rapporto tra le mani, si mosse verso l’ufficio dell’Hokage, intenzionato
a consegnarlo prima della chiusura degli uffici.
L’aria sembrava fredda e frizzante contro i suoi occhi
arrossati e stanchi (anche se, con il suo hitai-ate abbassato, solo uno ne
sentiva i benefici). Era stato un giorno stancante, dedicato allo stare seduti
e non fare nulla, ma l’abilità di restare immobili per due ore era
sottovalutata.
Tuttavia, ciò che più lo preoccupava era Sakura.
Dal modo in cui aveva accuratamente cercato di
evitare qualsiasi tipo di contatto visivo con lui, poteva tranquillamente
affermare che non l’aveva immaginata quella
mattina, e che l’avesse sorpreso a letto con Kimura Yoshi.
Yoshi non aveva visto Sakura, il che era
assolutamente una cosa positiva, dal momento che avrebbe provato ad ucciderla
per non lasciare testimoni. Kakashi sapeva che Sakura non avrebbe parlato.
Tanto per cominciare, era troppo imbarazzata per parlarne con qualcuno, ed
inoltre non era per niente una pettegola.
Se pure avesse riconosciuto Yoshi, ne avrebbe rispettato la privacy e si
sarebbe tenuta ciò che aveva visto per sé.
Kakashi sapeva che la colpa era sua, per non aver
chiuso le tende. O chiuso la finestra. E soprattutto per aver dimenticato la
missione. Ma era sicuro di aver
programmato l’incontro per mezzogiorno...
In ogni caso, aveva probabilmente rovinato i
rapporti con Sakura ormai. Poteva solo sperare che lei fosse abbastanza matura
da passarci sopra... o che battesse la testa e dimenticasse tutto.
Kakashi individuò l’ingresso della torre
dell’Hokage davanti a sé, immerso nel bagliore rosato dei lampioni. Non troppo
lontano da questi c’era l’ingresso dell’Accademia Ninja, alle cui spalle si
trovava il capo di allenamento pre-genin, con la vecchia altalena sulla quale
giocava da bambino.
Si accorse che qualcuno vi sedeva sopra, scrutando
le ombre scure degli alberi ed il loro movimento oscillante.
Chi diavolo giocava con un’altalena a mezzanotte? Kakashi si fermò un attimo
per sollevare il copri fronte e centrare lo sharingan sulla figura avvolta tra
le ombre.
Sakura.
Confuso, Kakashi la fissò. Usava un solo piede per
spingersi pigramente davanti e indietro, ma non sembrava essere presente nei
suoi stessi movimenti. Guardava nel vuoto, con le braccia allacciate alle
catene sospese e la testa inclinata in avanti, così da permettere ai suoi
capelli lisci di coprirle il viso. Sembrava essere ad un milione di miglia di
distanza.
Perché era lì? Solo mezz’ora prima era a casa con
il suo ragazzo...
Mettendo a posto il copri fronte, Kakashi si avviò
di nuovo verso la torre. Non era suo diritto curiosare negli affari di Sakura,
e non aveva intenzione di imporre la sua presenza quando la ragazza voleva
chiaramente stare da sola. Basò la sua decisione sul pensiero che se si fosse
trattato di lui, avrebbe voluto essere lasciato in pace.
Iruka stava uscendo dall’archivio quando Kakashi
lo incontrò, e quando vide il copy ninja quasi scoppiò a piangere. « No – sto
andando a casa – saresti dovuto venire mezz’ora fa – non pensarci neanche – oh,
va bene – ma solo per stavolta – mai più – Giuro, Kakashi-sensei, lo fai a
posta solo per infastidirmi! »
Mentre Iruka spariva negli archivi con il suo
rapporto, Kakashi si disse che non aveva del tutto torto. Sebbene il suo
ritardo fosse dovuto principalmente alla procrastinazione, poteva negare che i
tentativi di Iruka di negargli un favore erano divertenti: tra i pochi momenti
salienti della sua giornata.
Sakura era ancora sull’altalena quando uscì
dall’edificio.
Ancora una volta si ritrovò a fermarsi per guardarla, chiedendosi se le giovani
donne fossero abbastanza diverse dai vecchi e stanchi copy ninja da volere
compagnia quando erano tristi.
Beh, poteva almeno scoprire se avesse ragione o
meno.
Nel momento in cui scostò il cancello, Sakura
sollevò la testa, lasciando il corpo immobile. Sembrava pronta a scappare tra i
cespugli solo a vederlo, ma forse la sensazione di essere stata colta in
flagrante la bloccò.
« Yo » le disse, tenendosi a distanza di
sicurezza, provando a non fare nessun movimento azzardato. « Forse sei troppo
grande per le altalene, non credi? »
La testa di Sakura crollò di nuovo, quando la rivolse
ancora al suolo.
Senza lo sharingan ad aiutarlo, le ombre la ricoprirono quasi del tutto. Ma se
il suo occhio normale non era capace di penetrare l’oscurità, il suo spiccato
olfatto gli disse più di quanto volesse sapere.
Sakura puzzava di sesso, sangue ed alcol. Un mix
piuttosto forte, ma che non le si addiceva. Un leggero sospiro scappò dalla sua
maschera, mentre spostava il peso su una sola gamba, le mani sepolte in tasca.
Non voleva che Sakura odorasse in quel modo. Era una persona troppo buona, con
un cuore troppo puro per essere corrotto da sostanze così sporche. Ripensò alla
ragazzina quale era stata – quella con l’amore ardente ed incontaminato (se non
un tantino assurdo) per il suo compagno di squadra, e cercò di ritrovarla della
ragazza seduta di fronte a lui. Provò a rivederla nella ragazza che aveva visto
stesa sul pavimento di casa sua, fredda e senza passione per il ragazzo sopra
di lei.
Tutti crescono. Alcuni più in fretta di altri,
alcuni più difficilmente.
Era stato stupido da parte sua pensare di averla
potuta proteggere per sempre.
Quando lei non disse niente, fece un passo avanti.
I capelli di Sakura ondeggiarono ancora, mentre lei sollevava di nuovo il viso
per una frazione di secondo, solo per guardare in direzione dei suoi piedi. Gli
ricordò il modo in cui le aveva insegnato a combattere contro Itachi. Bisognava
essere cauti con i possessori di sharingan, dopotutto.
« Stai bene? » le chiese piano.
Lei annuì una sola volta.
« Cosa ci fai qui allora? »
Scrollò le spalle, poggiando la testa contro una
delle catene che reggevano l’altalena.« Non ho nessun posto in cui andare ».
Fece un altro passo, fino a che non si trovò di
fronte a lei, guardandola dall’alto. « Sakura, dobbiamo parlare ».
Le sue mani si strinsero contro le catene
arrugginite e Kakashi si accorse che stava trattenendo il respiro. Si era
preparato all’idea che potesse reagire in modo strano, ma non si aspettava di
vederla piangere.
Prima una, poi due lacrime le scivolarono dalle guance. Tremava
impercettibilmente, mentre cercava di trattenere qualsiasi tipo di suono
potesse produrre; se Kakashi non avesse visto le sue lacrime, non si sarebbe
accorto di nulla.
Per poco non cedette all’impulso di scavalcare il
recinto e darsela a gambe.
Non era bravo con le cose da ragazza. Capiva
queste creature fino ad un certo punto, ma se la cavava molto di più con i
ragazzi i cui processi mentali e problemi non erano un mistero per lui. Le
ragazze erano molto più complicate. Ad esempio, quando i genitori di Sakura
avevano divorziato, due anni prima, lei sembrava stare perfettamente bene fino
a che non si ruppe un’unghia nel bel mezzo di un allenamento. Dopo di ciò, le
lacrime sembravano non finire mai, facendo preoccupare qualsiasi essere di
genere maschile nei dintorni.
Ed in quel momento Kakashi sapeva che la frase
“dobbiamo parlare” non aveva scaturito tutta quella sensibilità. Le lacrime ed
i singhiozzi non avevano mai a che fare con ciò che uno pensava, quando si
trattava di ragazze.
« Va tutto bene, non sono arrabbiato » le disse,
piegandosi sulle ginocchia fino ad essere alla sua altezza, ma gli occhi di
Sakura restavano serrati mentre cercavano di trattenere qualsiasi altra lacrima
avesse provato a sfuggirle.
« È stata colpa mia: non avrei dovuto dimenticare la missione innanzitutto, ed
avrei dovuto aggiustare il campanello. È solo che sono un po’ preoccupato per
il fatto che Yoshi non sarebbe contenta se questa storia diventasse di dominio
pubblico, sai, quindi– »
« Non è questo » gracchiò lei « è Ikki ».
« Ikki » ripeté lui debolmente. Gli sembrava di
aver sentito quel nome collegato a quello di Sakura negli ultimi mesi.
Probabilmente Naruto aveva menzionato il fatto che si frequentassero. « È il
tuo ragazzo, giusto? »
Sakura annuì silenziosamente, incapace di dire
qualcosa a causa dell’attacco di singhiozzi che la colpì.
Merda,
pensò
stancamente. Sarà disperso o morto, vero?
« Ma non più » ansimò lei « Mi ha scaricata ».
« Oh » sbatté le palpebre. « Bastardo ».
Sakura soffocò un singhiozzo, sporgendosi in
avanti al punto da dare l’impressione che la sua fronte toccasse le ginocchia.
Kakashi sospirò: odiava vedere qualcuno a cui teneva soffrire così tanto. «
Sakura, nessun ragazzo vale tutto questo dolore », le disse dolcemente. Almeno non a questa età. Gli amori vanno
e vengono così velocemente a diciotto anni che difficilmente vale la pena
restarci così male, è troppo avvilente.
E quelli come Kakashi spesso finiscono con le spalle inzuppate di lacrime.
« So che non ne vale la pena » rispose Sakura,
tirando su col naso rumorosamente. « Stavo per scaricarlo io, comunque, ma lui
l’ha fatto per primo e non ho potuto fare altro che starmene lì in shock
totale, e lui si sentiva in colpa per me, e diceva che col tempo avrei trovato
qualcun altro, che aveva solo conosciuto un’altra, e poi ho sentito un suono
secco, forte, come qualcosa che si spezza, e non so se sia stato un aneurisma
nel mio cervello o più semplicemente il mio pugno contro la sua mascella – ho
le idee così confuse – ma ho come l’impressione che lui pensi di meritare di
meglio di me, ed ora sta uscendo con quell’ex ANBU, sa, quella con i capelli
neri e un paio di begli occhi blu, quella che può tagliare a metà una pulce
dalla schiena di un cane con un kunai a centinaia di passi di distanza,
probabilmente perché le è piaciuta la barzelletta del criceto nella gabbia del
furetto o chissà cosa perché è una barzelletta stupida, stupida, per la quale nessuno sano di mente dovrebbe ridere, ed io
sono stata ancora più stupida da permettere a tutto questo di toccarmi! »
Dov’era la squadra di invasione di Orochimaru
quando ne aveva bisogno? Kakashi aveva seriamente bisogno di un diversivo,
perché recitare la parte della zia premurosa non era proprio il suo forte. «
Non ne vale davvero la pena », le disse, in un tono di voce particolarmente
consolatorio, in un vano tentativo di fermare le sue lacrime. « Sta sicuramente
puntando troppo in basso. I ragazzi dovrebbero inginocchiarsi per avere la
possibilità di uscire con qualcuno come te, Sakura ».
« E allora perché non lo fanno? » chiese lei. «
Cosa c’è di tanto sbagliato in me da far pensare anche ai più totali perdenti
di poter avere di meglio? E che significa “frigo”? »
Kakashi si accigliò. « Eh? »
« Frigo: che significa? » per la prima volta
sollevò lo sguardo e lo guardò con i suoi enormi occhi verdi, contornati da
folte ciglia scure e macchiati da mascara sciolto.
Non si era mai accorto che Sakura si truccasse.
Non lo faceva chissà quanto, e comunque non ne
aveva bisogno.
« Beh » cominciò « è quell’aggeggio che hai in
cucina che mantiene il cibo fresco così- »
« Non ha senso » disse lei, scuotendo la testa « Ikki
ha detto che sono “un frigo” ma non capisco cosa intendesse ».
« Ah ». Gli occhi di Kakashi si chiusero in un
cenno di consapevolezza. Una mossa azzardata, dato che ora Sakura lo guardava
aspettando una spiegazione.
« Lei sa cosa
intendeva? » pressò.
« Uhm... » Kakashi non voleva parlare.
Era solo una di quelle parole crudeli dei detti
popolari che circolavano, usata soprattutto da ragazzetti incapaci e convinti
che le proprie ragazze non si prestavano abbastanza. « Beh, penso che forse
intendesse dire che ti trova un po’ fredda e poco recettiva ».
Sakura si accigliò, confusa. « Com’è possibile? Sono
sempre carina con lui e cerco almeno di fingermi interessata alle sue
noiosissime missioni – in che modo sarei fredda e poco recettiva? »
Kakashi le rivolse uno sguardo fermo. « È usato
solitamente riguardo al sesso ».
L’espressione di Sakura aveva un non so che di divertente.
Spalancò gli occhi per un istante e subito li abbassò. Se ci fosse stata più
luce, era sicuro che avrebbe notato del rossore sulle sue guance. « Probabilmente
stava solo cercando una scusa per mollarti », disse, cercando di farla stare
meglio. « Sono sicuro che non sei per niente, uh, frigida in alcun mo– ».
« Lo sono » mormorò.
Kakashi affilò lo sguardo, ma non disse nulla.
« Forse è per questo che lui... che tutti... » Sakura deglutì con forza e,
tremante, si asciugò gli occhi con il dorso della mano. « Questo spiegherebbe
perché non sono abbastanza per lui ».
« Ma fammi indovinare » le disse, con un sorriso
ironico. « Buona abbastanza da scopare un’ultima volta prima di lasciarti? »
Sakura inspirò violentemente, fissandolo. « Come
fa a– ».
« È quello che gli stronzi come lui fanno, in
genere », le disse, velocemente. Non era di certo il caso di farle sapere del
suo spionaggio illecito... « Ed Ikki sembra essere proprio uno stronzo di rango
A ».
« Esattamente » disse lei, tirando su col naso e
sollevando il viso, mentre scacciava via le ciocche di capelli incollate sulle
guance. « Rango A. Prima classe. Completamente. Un totale imbecille. E neanche
lui è poi così sensuale a letto, con quei suoi modi rozzi... Il cretino ».
Kakashi abbozzò un sorriso compassionevole,
sentendosi dispiaciuto per lei. Sakura non era di certo un fiorellino delicato,
ma questo non significava che non andasse trattata con rispetto e cortesia. Sembrava
avere una certa abilità nel rimorchiare ragazzi che non giovavano alla sua autostima,
ed quell’”Ikki” era solamente l’esempio perfetto dei suoi fallimenti. «
Dimenticalo » mormorò, carezzandole un ginocchio per confortarla. « È chiaro che
non ti merita e, in ogni caso, stavi per scaricarlo tu stessa, quindi gioisci
del fatto che ormai è solo un ex e tu sei libera. Ogni cosa che ti ha detto e
ciò che potrebbe dirti in futuro deve essere automaticamente ignorata ».
« Anche quando ha detto che sono carina? » chiese,
con un sorriso flebile.
« Oh, a quello
puoi credere ».
Il sorriso sul volto di Sakura si ingrandì un
pochino, mentre lasciava vagare di nuovo lo sguardo al suolo, cercando nel
frattempo di scacciare via le lacrime con le dita. « Mi dispiace davvero tanto,
Kakashi-sensei, di sicuro ora mi troverà patetica... »
« No » le disse.
Le sollevò il mento con un dito, mentre con il pollice le carezzava una
guancia, ripulendole gli ultimi residui di umidità. « Non lo sei, affatto ».
Lo sguardo di Sakura si sollevò fino ad essere in
linea d’aria del petto di Kakashi; prese un respiro profondo e lo lasciò
scivolare via lentamente. « Migliorano? » chiese, alzando gli occhi per
incontrare i suoi. « Le relazioni, intendo. Diventano più semplici? »
Kakashi lasciò ricadere la mano sul suo ginocchio.
« Non finché non incontri quella persona che ti fa pensare che tutto il dolore
è valso la pena di essere provato » le rispose, con lo sguardo perso tra le
ombre alle spalle di lei.
« E se non trovi quella persona? » chiese ancora
Sakura.
« Allora... non si ferma mai ». Sorrise e le
pizzicò le guance, scatenando un broncio adorabile. « Ma sei troppo giovane per
preoccuparti di questo tipo di cose ».
Sakura vagò altrove con lo sguardo, imbronciandosi
pensierosa, ma almeno i suoi occhi erano relativamente asciutti ora. Le diede
una leggera stretta al ginocchio e si rimise in piedi. « Dovrei essere altrove
ora » le disse, sforzandosi di usare un tono leggero per smorzare la tensione. «
Spero tu stia bene, Sakura ».
Annuì tristemente. « Mi dispiace averla
trattenuta, soprattutto se ha un impegno ».
« In questo momento, non c’è nulla più importante
di te » le disse sorridendo, poi le arruffò i capelli in quel modo che tanto le
piaceva, perché Kakashi sapeva che la faceva sentire come uno dei ragazzi. « Va’
a casa e dimentica quel perdente, mh? »
« Mhmh » gli rivolse un sorriso pieno di coraggio.
Ad un certo punto – negli ultimi anni – mentre
Kakashi era di spalle, Sakura era cresciuta. E non solo nelle forme fisiche,
anche se quel processo era avvenuto così velocemente che spesso aveva trovato
difficile non indugiare con lo sguardo nei posti sbagliati.
La comprensione del mondo che la circondava si era approfondita, ed il suo
cuore aveva preso più colpi di quanti riuscisse a notare. Non sapeva
precisamente quando fosse diventata sessualmente attiva, né gli interessava
saperlo, ma la consapevolezza gli era caduta addosso nel corso degli anni, fino
a che il sospetto era diventato conferma. Sapeva che avesse avuto qualche
relazione, anche se non l’aveva vista davvero felice in nessuna di quelle.
Non era affatto giusto che qualcuno di così
giovane e di spirito forte come Sakura potesse essere trascinato giù da un uomo
che non era nemmeno degno di respirarne la stessa aria.
(Era la sua alunna ed apprendista
dell’Hokage stesso, volendo anche considerare solo questo veniva posta più in
alto della maggior parte dei coglioni che rappresentavano la popolazione
maschile di Konoha. Il suo coraggio e la sua lealtà verso coloro che amava la
metteva al di sopra di tutto il restante). Ma occorreva che Sakura lo capisse
da sé, altrimenti...
Poteva già vederla sprofondare sul suo stesso
cammino.
« Kakashi-sensei » mormorò, proprio quando lui
stava per avviarsi. « Mi dispiace per stamattina ».
« Ah » le rispose, facendo spallucce « non c’è
bisogno di scusarsi ».
« Non è arrabbiato? » chiese, esitante.
« No » disse lui, sull’orlo di una risata « come
ti ho già detto è colpa mia. Mi dispiace averti dato quello shock di mattina
presto ».
Sakura arrossì, imbarazzata. « In realtà era quasi
pomeriggio, ormai... »
« Dettagli » rispose vago, prima di volgerle un’occhiata
schiva. « Anche se te la sei presa comoda, prima di andare. Quanto tempo sei
rimasta a spiarci? »
Distolse lo sguardo per un attimo, prima di
tornare a guardarlo. « Uh... Mi ha notata nel momento in cui sono arrivata ».
« Davvero? » chiese schivo.
« Davvero » mormorò, sguardo inflessibile e
testardo, direttamente puntato sul viso del suo sfidante.
« Mmh » un leggero cenno di sfiducia.
Dopo un attimo di silenzio, Sakura sollevò la
testa. « Non penso che dovresti continuare ad andare a letto con quella donna ».
« Oh? » sollevò un sopracciglio a quell’affermazione.
Spinse un piede contro il terreno morbido e l’altalena
prese ad ondeggiare. « Sembrava fingere » borbottò.
Kakashi non riuscì a trattenere una risata
stavolta. « È qualcosa che conosci per esperienza? »
Sakura distolse lo sguardo. « Io non fingo, è
disonesto. A meno che non mi piaccia davvero tanto il ragazzo con cui sto, o mi
faccia pena ».
« E con quanti di questi sei stata? »
« Nemmeno uno... »
Questo spiegava perché il suo ragazzo l’avesse
chiamata “frigida”. Se nessuno l’aveva mai soddisfatta, e Sakura non era
incline a fingere...
Kakashi infilò le mani in tasca e sospirò. I
ragazzini di quei giorni erano dei veri teppisti. Troppo preoccupati a
soddisfare i loro pruriti per pensare al piacere delle loro amanti, incasinando
le cose a causa della loro inesperienza e della fretta di finire, lasciando che
persone come Sakura credessero che la colpa fosse loro. Aveva solo bisogno di un uomo più grande.
Qualcuno con più esperienza che si sarebbe preso cura dei suoi bisogni.
Per un fugace istante si fece prendere dall’idea
che potesse essere lui quell’uomo. E
cosa glielo impediva? Sakura era una ragazza attraente, con un corpo morbido ed
accattivante; e sicuramente non sarebbe stata la più giovane con la quale
sarebbe stato, né la più innocente.
Ma così come lo formulò, così bandì quel pensiero
folle, perché non era altri che ciò: pura follia. Essendo un chūnin,
Sakura era ancora sua allieva fino all’esame jōnin o fino a quando non si
fosse dichiarata soddisfatta del suo rango e fosse andata per la sua strada. C’erano
delle leggi che non poteva violare, confini che non poteva oltrepassare. E c’erano
cose di cui Sakura aveva bisogno e che lui non poteva darle, e che fosse
dannato se avesse permesso di farla soffrire ancora.
Per ora non poteva offrirle di più di un sorriso
ed una pacca sulla spalla. « Imparerai » le disse « sei troppo intelligente per
mettere che un uomo abbia la meglio su di te ».
« Mmh » non sembrava convinta.
« Ora devo proprio andare, Sakura. Devo prepararmi
per un appuntamento », si voltò e si incamminò.
« A quest’ora? » gli gridò.
« Una bella ragazza mi sta insegnando a suonare il
piano » le gridò di rimando, voltandosi verso di lei da sopra la spalla. « Non
voglio fare tardi ».
Scivolò lentamente tra le ombre, dietro al
cancelletto, prima di incamminarsi attraverso le strade illuminate di un
bagliore rosato, fischiettando sottovoce.
Mi
chiedo cosa intendesse per “piano”...
Sakura si lasciò andare ad un profondo sospiro nel
momento in cui Kakashi sparì dalla visuale, stendendosi così tanto sull’altalena
che l’unica cosa che le impediva di cadere era la presa sulle catene. Volteggiò
in cerchio un paio di volte, avvolgendo le catene fino all’impossibile, per poi
sollevare i piedi lasciandosi roteare nella direzione opposta.
Poi si alzò di colpo e, barcollando notevolmente, oltrepassò
il recinto dell’Accademia per avviarsi verso l’entrata del palazzo dell’Hokage.
A metà strada dalla rampa di scale dell’ufficio di
Tsunade, si piegò in due ridendo
scandalizzata.
« Non posso credere di aver parlato di sesso con
Kakashi-sensei... » piagnucolò, ignorando l’occhiata turbata del chūnin
che stava scendendo la stessa rampa di scale.
La loro chiacchierata le aveva dato un certo
sollievo. Non solo l’aveva distratta da Ikki, ma le aveva fatto capire qualcosa
di vitale importanza: non erano poi così diversi.
Fin dal suo primo ragazzo, si era sempre sentita
un po’ fuori luogo, come fosse stata una bambina che gioca ai giochi per
adulti, che non capiva le regole.
Per un po’ aveva temuto che le sue azioni
sconsiderate avessero compromesso il suo rapporto con Kakashi, ma in realtà
quell’accaduto le aveva aperto gli occhi: Kakashi-sensei era un adulto e –
ancor più importante – lo era anche lei. All’improvviso si poteva rivedere in
lui, quando fino a poco prima era capace di vederlo solo come capitano e
maestro.
Anche se restava comunque un certo grado di
reverenza e soggezione...
« Sakura! »
Tsunade era in cima alle scale e la guardava dall’alto
con le mani sui fianchi. L’allacciatura del suo yukata era pericolosamente
larga, come lo era sempre alla fine di una lunga ed estenuante giornata. « Cosa
diavolo hai da ridere? Ti ho sentita dal mio ufficio, stai bene? » poi il suo
sguardo si affilò. « Hai pianto? »
« No ». Sakura si passò le mani sulle guance come
a voler cancellare le evidenti tracce di lacrime inesistenti, ma questo servì
solo a condannarla.
Ci fu una lunga pausa, fino a che Tsunade non
serrò le labbra. « Beh, comunque non mi servi stanotte », le disse,
liquidandola. « Va’ a casa e riposati. Ah, e se vedi Naruto, dagli questo, l’ha
lasciato qui qualche ora fa ».
Un grosso kunai a doppia lama atterrò sul gradino
inferiore a Sakura, conficcandosi nel legno.
E così fece.
Lasciò l’arma di Naruto sul tavolo e si infilò sotto la doccia. Come succedeva
spesso dopo una missione, l’unico modo per rendersi conto di essersi ferita era
insaponarsi, la maggior parte delle volte non riusciva a rendersene conto
altrimenti.
C’erano dei taglietti sul braccio causati da un cespuglio spinoso, ma le bastò
passarci su la mano per un attimo ed erano spariti.
Gli unici altri segni che aveva addosso erano
quelli che Ikki le aveva fatto sulle cosce nell’impazienza di abbassarle le
mutandine, e per Sakura nemmeno valeva la pena guarirle, ma sentiva ancora la
non curanza di Ikki sul corpo. Dubitava che Kakashi sarebbe stato così
sconsiderato nel sesso.
Kakashi probabilmente neanche non lo chiedeva
direttamente: tutto ciò che gli occorreva fare era baciare una donna e
lentamente farle scivolare i vestiti di dosso. Di sicuro non era quel tipo che
ti abbassa gli slip senza considerazione né interesse nel resto del corpo. Era
sicura che Kakashi si prendesse i suoi tempi, partendo dalla bocca fino a farsi
strada lungo il corpo, scendendo sulla gola, passando per il seno, raggiungendo
lo stomaco fino a...
Sakura si fermò, sbattendo le palpebre
rapidamente.
Una delle sue mani palpava il seno, mentre l’altra stava scivolando più giù.
Leggermente allarmata, si costrinse a portare entrambe le mani erranti alla
nuca, per lavare via il restante sporco dai capelli.
Era una situazione assurda: lei sotto la doccia che si toccava mentre
fantasticava sul suo insegnante.
Non poteva andare peggio.
Sarebbe stata una sporca bugiarda se avesse negato
di aver pensato a Kakashi in quel modo, ma si era solo pigramente chiesta come sarebbe senza vestiti. Non aveva
mai seriamente fantasticato su di lui, e sicuramente non si era mai toccata
pensandolo.
Turbata, finì la doccia, si asciugò e si rivestì
per dormire. E per vestire intendeva semplicemente mettere un paio di mutandine
pulite. Vivendo da sola, si era abituata a dormire seminuda senza il timore di
essere svegliata il mattino dopo dalla madre. Di solito era sola con Ikki...
Il letto era ancora impregnato del suo odore,
notò, quando si infilò sotto le coperte. Permeava anche nel cuscino, ma non era
un odore particolarmente gradevole.
Frustrata, lo spinse via e semplicemente lasciò la testa riposare sul
materasso.
E a discapito di tutto, non fu ad Ikki che pensò,
lì distesa. Le immagini di quella mattina le volteggiavano ancora per la mente,
surclassando tutto il dolore e la rabbia che avrebbe dovuto provare per Ikki.
Ma se quella mattina quelle scene l’avevano disturbata e scocciata, ora che si
era confidata con Kakashi, non sentiva più tutto quell’imbarazzo nei suoi
confronti.
Davvero, pensò mentre scivolava nel sonno, Hatake
Kakashi era un uomo insolitamente sensuale...
Kakashi diede un’occhiata al suo orologio.
Quindici minuti di ritardo.
Beh,
meglio tardi che mai. Bussò alla porta vivacemente,
buttando nel frattempo occhiate alla strada, alla ricerca di eventuali
spettatori; ma all’una e un quarto del mattino le strade erano deserte. Gli
unici movimenti provenivano dalle lanterne ondeggianti e dagli alberi agitati
dal vento.
La porta si aprì. « Kakashi-san, sei in ritardo! »
Ayame lo ammonì allegramente.
« Sono stato trattenuto » rispose amichevolmente. «
Bel biglietto, comunque ».
« Hai detto che la segretezza è essenziale » gli
disse, facendosi da parte per farlo entrare. « È tutto pronto nel salone ».
« Preparata, uh? » rifletté. « È una qualità che
apprezzo molto, in una donna. »
Si fermò all’entrata del salone e si guardò
intorno. Il padre di Ayame – che probabilmente aveva un nome, ma che Kakashi
ricordava solo come l’Uomo Ramen – era seduto su di una poltrona, leggendo un
libro. Gli rivolse un cenno di gentilezza prima di posare gli occhi sul
pianoforte nell’angolo della stanza.
Ayame seguì il suo sguardo. « A cosa ti serve,
comunque? Come mai devi imparare a suonarlo? »
« Missione » sospirò, affondando le mani in tasca.
« Quando? »
« Il mese prossimo ».
« Sei davvero così bravo da imparare in un mese? »
« Sì ». Non c’era traccia di dubbio o modestia
nella sua voce. « Ho solo bisogno di vedere una melodia suonata, e sarò capace
di suonarla subito dopo di te ».
« Beh... » Ayame sbatté le palpebre, incredula. «
Cominciamo, quindi ».
È passato più di un mese dall’ultimo aggiornamento
e mi scuso per il ritardo, ma tradurre questo capitolo non è stato affatto
semplice, sia per la lunghezza (quindici pagine piene...) sia per impegni.
Il prossimo sarà un capitolo piuttosto leggero e non particolarmente lungo,
quindi magari con un po’ d’impegno sarà pronto entro la settimana prossima.
Ci sarà un approfondimento relativo all’amante di Kakashi e sarà una sorta di
preludio a ciò che seguirà da qui in poi.
In effetti, gli atteggiamenti reciproci dei protagonisti si protrarranno a
lungo, fino al vivo della questione. Da lì la storia sarà forse un pochino più
dinamica e profonda, mantenendo però la leggerezza che la caratterizza e che, a
mio parere, ne fa apprezzare i contenuti.
Eccola lì, quella
donna, dietro alla sua scrivania con gli altri impiegati. Timbrava
documenti, ne firmava altri, ed assegnava missioni a chiunque arrivasse. Pur
essendo sui quaranta, probabilmente era ancora un chūnin, ma la mancanza
di talento era compensata con l’aspetto: era innegabile che fosse una donna
davvero bella – pelle chiara, occhi scuri, naso all’insù e labbra carnose e
naturali. A Sakura non dispiaceva notare che avesse anche una fronte molto
larga – una dannazione che lei stessa conosceva fin troppo bene – ma quella
donna aveva trovato il modo di nasconderla con una frangia spessa e liscia.
Eppure, riusciva a rendere una fronte spaziosa in qualche modo attraente.
È
così ingiusto...
Bella, ricca, e così brava a letto da potersi
permettere qualsiasi uomo senza penare troppo. Mentre le ragazze come Sakura
sembravano non poter godere dei piaceri del sesso, lei poteva farlo e con più
uomini.
Irrazionalmente, Sakura la odiava.
Non erano comunque affari suoi se questa donna ed il
suo maestro avessero una relazione.
Se fossero stati scoperti sarebbero sicuramente stati nei guai, ma lei non
sarebbe stata coinvolta in alcun modo: avrebbe solo dovuto ignorare la faccenda.
Le importava di Kakashi, ma chi sceglieva di scoparsi erano affari suoi, ed era
ovvio che fosse consapevole delle conseguenze delle sue azioni senza Sakura a
ricordargliele.
In fondo, si rese conto poi, forse era solo gelosa...
Ringraziò il chūnin che le passò il rotolo con la
nuova missione e si incamminò per cominciare a leggerlo. Un’altra missione di scorta fissata per la settimana seguente.
Sospirò e prese a concentrarsi sui tediosi dettagli, ma era arrivata solo al
secondo paragrafo quando la porta si aprì ed un uomo fece il suo ingresso.
C’era sempre stato qualcosa di autoritario nella
presenza di Kakashi.
Quando entrò nella stanza, ci fu un impercettibile cambio nell’atmosfera, come
se ogni presente avesse raddrizzato un po’ di più la schiena: quando Kakashi arrivava
in un posto, attirava l’attenzione.
Sakura aveva sempre dato per scontato che fosse naturale per lei comportarsi
così: essendo il suo maestro, aveva il dovere di riverirlo, ma per la prima
volta notò che l’effetto di Kakashi aveva influenza su chiunque – compresa quella donna. Sembrava essere la
reazione primitiva ed istintiva all’arrivo di un uomo alfa.
Perché non c’era modo di negarlo: tutto ciò che
riguardava Kakashi urlava alfa – dal modo in cui camminava, all’abitudine di
lavorare solo alle proprie condizioni. Aveva il potere di farti sentire il più
piccolo ed insignificante insetto con un’occhiata dura ed era famoso per aver
ridotto in lacrime parecchi chūnin e jonin più sensibili con una sola
frase sprezzante.
Ma se ti sorrideva e mostrava interesse per te, era come se un dio fosse sceso
dal suo piedistallo per notarti, ed una tale gentilezza era un onore da non
dare per scontato.
Sakura l’aveva sempre saputo, ma non era mai stata
tanto consapevole del suo magnetismo come in quel momento. Non sembrò nemmeno
notarla, mentre si faceva strada per raggiungere la scrivania. La scrivania di quella donna era libera, ma Kakashi
scelse il chūnin di fianco a lei.
Se Sakura non li avesse sorpresi insieme, non avrebbe mai sospettato di loro.
Kimura Yoshi continuò semplicemente il suo lavoro, mentre l’attenzione di
Kakashi sembrava completamente centrata sulla ragazza di fronte a lui.
Accettò il rotolo di una missione, ringraziò la kunoichi e si voltò per andare
via, cominciando a srotolarlo strada facendo. Era chiaro che non avesse
interesse in quel posto, né che fosse consapevole della presenza di Kimura
Yoshi, figurarsi di Sakura.
In pochi secondi era fuori dalla porta... Ma Sakura
gli stava dietro, incapace di trattenersi oltre. « Kakashi-sensei » cominciò «
ho bisogno di farle una doma– »
« Oh, buongiorno Sakura. Hai già trovato un nuovo
ragazzo? » il suo passo non si arrestò, mentre si dirigeva verso le scale,
ancora leggendo il rotolo.
« Sensei, so che non sono affari miei, ma– »
« È ciò che dici sempre, prima di comportarti come se
lo fossero... »
« Perché lei? Perché Kimura Yoshi? » se si fosse
aspettata di vederlo fermarsi per risponderle, sarebbe stata delusa: Kakashi proseguì.
« Perché no? » rispose, evasivo.
« Posso pensare ad un milione di ragioni perché no! » disse frettolosa, schivando un
jonin intento a rifarsi i lacci alle scarpe. « Innanzitutto, è sposata: ci sono
così tante donne single, belle ed intelligenti a Konoha, perché ha dovuto
sceglierne una impegnata quando avrebbe potuto avere qualcuno che vuole
realmente? ».
Kakashi si voltò di scatto, arrestando la corsa di
entrambi, e Sakura dovette aggrapparsi al corrimano per evitare di crollargli
addosso. Con Kakashi due gradini sotto di lei, i loro sguardi erano di pari
livello, e Sakura non poté evitare di incontrare quell’occhio scuro e fisso che
era solitamente vago e disinteressato. Ora era acuto e percettivo, e sembrava
dire semplicemente “tu!”. « Cosa ti fa pensare che io non abbia già chi voglio
davvero? » chiese con tono basso.
Sakura inspirò violentemente e distolse lo sguardo. La
sensualità posta tra le righe di ogni sua parola era snervante quanto
eccitante, ed “eccitante” non era un aggettivo che era solita usare, se
riferente a quest’uomo, ma le farfalle svolazzanti nel suo stomaco come reazione
alla percezione della sua voce erano difficili da ignorare.
« Suo marito non sarebbe felice, se lo scoprisse » sottolineò,
cerando di non cambiare argomento.
« E chi glielo dirà? » chiese, ritornando con
disinvoltura ai suoi modi apatici, voltandosi di nuovo per riprendere le scale.
« Tu? »
« Ovviamente no » tagliò corto, continuando a
seguirlo. « Ma queste cose trovano sempre un modo per uscire fuori ».
« Solo nei libri e nei film quando è conveniente alla
trama. Siamo ninja, Sakura: discrezione e segretezza è ciò in cui eccelliamo ».
« È disonorevole »
« È stata lei a cominciare »
« Non è una scusa, lei avrebbe dovuto pensarci bene
prima di accettare »
« E l’ho fatto »
« Perché? »
Kakashi non rispose. Raggiunse la fine delle scale ed
oltrepassò l’atrio affollato cercando l’ingresso, con Sakura alle calcagna come
un’ombra. Dopo poco erano all’aperto, con il sole battente sulle loro teste;
c’era un delizioso profumo di pesce fritto lungo le vie, che fece brontolare lo
stomaco di Sakura per ricordarle che non aveva ancora pranzato. Kakashi buttò
un’occhiata al suo orologio e si incamminò, apparentemente con una meta in
mente.
« Non ha ancora risposto alla mia domanda » insisté
Sakura « perché Yoshi? »
Kakashi sospirò « Beh... perché Ikki? »
« Cosa? » scioccata dalla risposta, quasi arrestò il
passo.
« Mi hai chiesto perché Yoshi, ed io ti chiedo perché
Ikki ».
La mente di Sakura si svuotò, pur essendo quella una
domanda che si era spesso posta lei stessa, quando si era presa del tempo per
riflettere sulla loro relazione. Resisté alla tentazione di rispondere “perché
no”, sarebbe stato come scendere ai livelli di Kakashi in quanto a fastidio.
« Perché... » rispose lentamente, per darsi tempo per pensare.
« Mi ha raccontato la barzelletta di un furetto nella ruota di un criceto o
qualcosa del genere, i-io non ricordo come fa, ma era divertente, credo ».
« Incredibile » disse lui, in un modo che lasciava
trasparire che non lo fosse affatto.
Ancora una volta, Sakura si rese conto che avesse
evaso la domanda. « Ma non è questo il punto: perché scegliere lei? »
« Probabilmente per la stessa ragione per cui hai
scelto Ikki » disse.
Sakura si accigliò « Anche Yoshi le ha raccontato una
brutta barzelletta? »
Si voltò a guardarla, ma lo sguardo che le rivolse non
sembrava più così spensierato.
« La solitudine ha la meglio su di noi, che ci piaccia ammetterlo o meno: a
volte, anche poca compagnia è meglio di niente ».
Sakura non sapeva cosa dire: il suo primo istinto era
quello di negare di aver lasciato Ikki avvicinarsi a lei solo perché si sentiva
sola, ma poi fu costretta a chiedersi
cosa Kakashi stesse cercando di ammettere...
« In più, dopo un po’ ci si annoia quando si è soli
con la propria mano, sai? » aggiunse leggero.
Le guance di Sakura si infiammarono « I-io... » non posso credere che l’abbia davvero detto!
Sghignazzò del suo imbarazzo. Non aveva mai fatto
battute sconce con lei, ma dal giorno prima la natura del loro legame era
cambiata. Erano ancora insegnante e studentessa, ma conoscevano la vita
sessuale l’uno dell’altra meglio di quanto un rapporto strettamente professionale
permettesse.
Kakashi rallentò quando scorse un ristorante take-away
e, scostando i lembi di tela, sparì alla vista. Determinata ad assicurarsi che non
sfuggisse al loro confronto, Sakura lo seguì e si accomodò di fronte al
bancone.
« È solo che non credo sia la cosa giusta, Kakashi-sensei
» esortò lei.
Kakashi-sensei era troppo occupato ad ordinare per
ascoltarla. « Sì, per me sauri arrosto con sale e... » si voltò con aspettativa
verso Sakura, come il cuoco dietro al bancone. Sakura realizzò in quel momento
che le stava offrendo il pranzo.
« Oh » disse rapida, agitata « anche per me ».
Se per una volta offriva lui, perché no?
Il cuoco si allontanò per preparare gli ordini e
Kakashi si appoggiò al bancone, sospirando. Si tolse l’hitai-ate e si passò una
mano tra le ciocche chiare, come a volerle lasciar respirare. Lo sharingan era sigillato
dietro la palpebra sfregiata, ma Sakura non poté fare a meno di ricordare ciò
che Ino le aveva detto il giorno precedente.
Ma era una domanda a cui era meglio non trovare
risposta: in quel momento aveva cose più importanti a cui pensare. « Quando ho
scoperto che mio padre aveva una relazione con un’altra donna fu orribile »
disse velocemente, sperando di risolvere la questione prima che Kakashi potesse
muoversi. « Praticamente da un giorno all’altro i miei genitori non si amavano
più, e stavano per divorziare, e c’erano tutti quei litigi orribili, e tutto
ciò che io potevo fare era odiare la sua amante, perché se non fosse stato per
lei, avrei ancora avuto una famiglia ».
Kakashi si grattò la palpebra con la cicatrice, in
apparenza disinteressato alle sue parole, ma Sakura sapeva che la stava
ascoltando, anche se non voleva.
« Si rende conto che le sue azioni possono rovinare
una famiglia? » chiese. « Quella donna ha un figlio adorabile, e né lui né suo
padre meritano di essere traditi in questo modo ».
Kakashi sbuffò. « Sono pronto a scommettere il mio
piede sinistro che il padre del bambino non è il marito di Yoshi, ragion per
cui non sono le mie azioni il problema, qui. Se qualcuno sta per rovinare una
famiglia, quella è Yoshi. E tu ti stai davvero preoccupando di niente, sono
solo il suo sfizio settimanale, ecco tutto. Si stancherà di me presto, se non
lo ha già fatto ».
« Intende dire che smetterà di vederla? » Sakura
chiese speranzosa, sentendosi più sollevata del necessario.
« Era solo un affare settimanale » scrollò le spalle «
sai come funziona, no? ».
Lentamente, scosse la testa.
« È tipo l’avventura di una notte, ma continua a
ripetersi » spiegò vago. « Di solito perché il sesso è fantastico ».
Non c’erano molti modi in cui rispondere ad una frase
del genere, soprattutto se detta dal tuo insegnante, quindi Sakura tenne la
bocca chiusa; ma sapeva che Kakashi non stava esagerando: dopo averlo visto...
“all’opera”, si era resa conto che il suo livello era sopra la media. Anche se
le sarebbe bastato mettere a paragone le loro rispettive vite sessuali per
rendersi conto che era come mettere a confronto un apprendista genin con un
jonin d’élite. Ma forse c’era dell’altro...
Non era affatto una buona idea, e sapeva che si
sarebbe volentieri presa a calci dopo averlo fatto, ma aveva bisogno di sapere.
« Posso farle una domanda? »
Abbassò gli occhi su di lei con quello sguardo che
sembrava dire “tu!”. « Mmh? » il suo unico occhio visibile si aprì
e scrutò il suo viso – i suoi occhi e le sue labbra – come se avesse sincero
interesse in ciò che lei aveva da chiedere.
Poco alla volta, Sakura stava cominciando a capire
cosa gli altri trovassero in lui: aveva il potere di lusingare una donna senza
dire una parola.
« Sono vere le voci sul suo sharingan? »
Si raddrizzò leggermente. « Oh? Voci? » rifletté. « A
quali voci ti riferisci? Ti assicuro che ce ne sono parecchie... »
« Intendo quella su... » Sakura si guardò intorno per
essere sicura che non ci fosse nessuno ad origliare: erano gli unici in fila ed
il cuoco era occupato a grigliare il pesce, sembrava tutto tranquillo. « Si
dice in giro che lei possa... sa... dare un orgasmo a qualcuno solo guardandolo
».
Una pagliuzza di divertimento comparì nell’occhio
destro di Kakashi, e si portò un dito alle labbra mascherate, riflettendo. « Mi
stai velatamente chiedendo di darti un orgasmo? » chiese, in tono abbastanza
alto da far voltare il cuoco in loro direzione.
Sakura andò in panico. « No! » rispose velocemente, «
Era solo pura curiosità! Avrei chiesto a Sasuke, ma avrebbe pensato che ci
stessi provando, e lo odia davvero... ».
« Quindi non ci stai provando con me? » scherzò lui. «
Mi ferisci ».
« Ma è vero? » chiese, con una sorta di fascino
atterrito. « Può davvero... fare questo ad una persona? »
« Non lo so... » le rispose leggero. « Dimmelo tu ».
Quasi improvvisamente, il suo sharingan si spalancò e
la fissò con un’occhiata penetrante. Sakura sussultò e si ritrasse, allarmata,
andando quasi a sbattere contro una mensola di barattoli di spezie. Poi si preparò
all’inevitabile, senza azzardare un movimento né a distogliere lo sguardo dal
tomoe che vorticava lentamente intorno alla pupilla rosso sangue.
Dieci secondi scorsero.
« Sei nelle spire della beatitudine carnale? » chiese
Kakashi.
Sakura si osservò. « Non credo... »
« Oh » Kakashi richiuse lo sharingan e rimise a posto
l’hitai-ate, con la facilità e l’esperienza di uno che compie lo stesso gesto
ogni giorno da tutta la vita. « Forse sto perdendo colpi » concluse.
« O mi sta solo prendendo in giro » ribatté caldamente,
chiedendosi perché il cuore le stesse battendo così velocemente contro le
costole. Non aveva davvero creduto
che potesse farlo, vero? Era solo uno dei pettegolezzi di Ino, comunque, quindi
avrebbe dovuto immaginare che aveva il doppio delle possibilità di essere
falso.
Il cuoco tornò al bancone con due confezioni. « Due
sauri salati ».
« Grazie » gli disse Kakashi, prendendo una delle due
scatole. « Beh, ci vediamo in giro, Sakura. Abbiamo un allenamento oggi
pomeriggio, giusto? »
« Sì » annuì lei. « Per favore, non lo dimentichi
stavolta ».
« Certo, non è nelle mie intenzioni. Non vorrei
dovessi venirmi a prendere di nuovo ».
Sakura ebbe la sensazione che il suo viso stesse cominciando
a somigliare ad una ciliegia.
Un’altra risata delicata e Kakashi si incamminò,
scompigliandole i capelli affettuosamente passandole di fianco. Quel minimo
contatto le donò una scarica di brividi lungo la schiena e nello stomaco; la
fece sussultare: Sakura non rabbrividiva spesso. Ikki non era mai riuscito a
farle formicolare il corpo semplicemente toccandola.
Fu in quel momento che Sakura si rese conto di essere
in guai seri.
Innanzitutto, perché cominciò a realizzare di star
sviluppando un’attrazione verso il suo insegnante.
E in secondo piano, perché suddetto insegnante le aveva lasciato un conto da
pagare con soldi che non aveva.
Sakura
rivolse al cuoco un sorriso teso.
Lui non lo ricambiò.
Sakura era un enigma.
Un enigma avvolto nell’innocenza e completato da uno strato esterno di totale
follia.
Era interessante, per farla breve. Per la metà del
tempo non sapeva se voleva gridargli contro o compiacerlo. Dopo che lo aveva
beccato con Yoshi, si era chiesto se fosse stata capace di guardarlo ancora
negli occhi, ma sembrava che non solo ne era capace, ma le aveva perfino
suscitato una certa curiosità. Era una strana miscela di ingenuità e
provocazione: anche se arrossiva alle sue battute spinte come se inorridita dal
fatto che certe parole uscissero dalla sua bocca, si spingeva al punto da fare
domande strettamente personali: lo divertiva da morire.
Poteva aspirare ad apparire mite e pura come Hinata Hyūga,
ma dentro quella ragazza sembrava esserci una tigre feroce a tal punto da
rivaleggiare con quella di Anko Mitarashi. In realtà, era perfettamente
plausibile che Sakura potesse essere un’aspirante schizofrenica (beh, chi non
lo era?), dato che nel corso degli anni Kakashi aveva visto la creatura
suscettibile nascosta in Sakura uscire fuori – che fosse per scagliarsi contro
Naruto e i suoi scherzi stupidi, o per combattere con le unghie e con i denti
per proteggere i suoi compagni. Ogni tanto la sua personalità sopita
traspariva, mettendo in dubbio la percezione che Kakashi aveva della sua tenera
ed educatissima allieva. E solo Sakura aveva l’abilità di chiedergli se potesse
far venire qualcuno solo guardandolo e farla apparire come una domanda
innocente e perfettamente plausibile: detto da qualcun altro, sarebbe sembrato puramente
suggestivo.
Sakura era l’intreccio perfetto di una brava ed una
cattiva ragazza... o forse semplicemente due facce della stessa medaglia. O
forse, da qualche parte dentro Sakura, c’era una cattiva ragazza che moriva dalla voglia di uscire fuori: non
poteva dire per certo di capire completamente la sua unica studentessa: era
ormai da tempo giunto alla conclusione che l’unico obbiettivo della donna fosse
quello di confondere l’uomo, e Sakura non faceva eccezione.
Non ci aveva mai seriamente pensato, ma fin da quando era solo una ragazzina,
aveva dato per scontato che le naturali tendenze romantiche di Sakura e la sua
grande passione per l’”amore” (un’area di specializzazione che lei spesso
reputava dello stesso rango d’importanza dei ninjutsu) si sarebbero in qualche
modo riversate nella sua vita privata da adulta. Era sorpreso dal fatto che –
invece della ragazza passionale che pensava sarebbe diventata – Sakura era quel
tipo di persona la cui vita amorosa era tanto eccitante quanto guardare una
nonnina lavorare a maglia.
E lui sapeva
che lei voleva – e meritava – di più.
Gli dispiaceva per lei, davvero tanto, solo non sapeva
in quale modo lui potesse esserle
d’aiuto. Oltre ad indirizzarla verso qualche uomo di qualità, non c’era molto
che potesse fare, e neanche quell’idea lo allettava.
Non erano comunque affari suoi, pensò, prendendo un
altro boccone di pesce piccante.
I problemi di Sakura erano suoi.
E poi perché preoccuparsi al posto suo, quando c’era una vista così splendida
da apprezzare! Era tutto magnificamente pacifico sul monumento degli Hokage,
dove Kakashi era felicemente nascosto, nella fessura dell’orecchio del suo
sensei. C’era un nido di uccelli pieno di cuccioli di falco ( sulle basette del
Quarto), ma non gli erano di troppo fastidio: mentre loro si godevano il loro
pranzo, Kakashi si godeva il suo. Era una bellissima giornata, il sole
splendeva, il cielo era del più intenso azzurro nontiscordardimé, e gli
abitanti di Konoha non erano per lui altro che piccole formichine impegnate nei
loro compiti.
Quando
finì il suo pranzo, Kakashi si spolverò le dita e si buttò all’indietro, con i
piedi poggiati sul trago del suo maestro: il suo orologio gli indicava ancora
un’ora libera prima dell’inizio degli allenamenti, quindi quale miglior modo di
ammazzare il tempo se non con un sonnellino pomeridiano e l’Icha Icha sul viso
per ripararlo dai raggi di sole?
« È di nuovo in ritardo, visto? »
« Lo so ».
« È sempre in
ritardo ».
Sakura scheggiava il palo di legno al quale era poggiata
con un kunai, immaginando fosse la schiena di Kakashi: alcuni avrebbero pensato
che fosse un pensiero insano, ma per Sakura – che aveva passato quasi tutta la
notte a sognare di spogliare il suo sensei – era un gran miglioramento.
Naruto pascolava nelle vicinanze, facendo rotolare
avanti e indietro un ciottolo sotto la suola della sua scarpa, le mani
inchiodate saldamente nelle tasche. Sasuke era poggiato al palo di fianco a
quello di Sakura, guardando intensamente un serpente verde che prendeva il sole
su una roccia accanto ad un laghetto lì vicino: aveva una strana fissa per i
serpenti ultimamente...
Stavano aspettando ormai da un’ora, ma non era nulla
di insolito; ma se Kakashi avesse tardato tanto quanto il giorno precedente,
era probabile che i ragazzi avrebbero mandato Sakura a cercarlo: se fosse
successo, avrebbe strangolato qualcuno.
Naruto sospirò rumorosamente, ma Sakura lo ignorò.
Sasuke raccolse un sasso e lo scagliò contro il serpente – mancandolo – ed
imprecò sottovoce, mentre questi strisciava tra i cespugli.
« Sono leggermente imbarazzato » una voce pigra si
rivolse a loro « di essere quello che ti ha insegnato a tirare ».
Naruto trasalì « Kakashi-sensei! È in ritardo! » lo
accusò inutilmente.
Kakashi sollevò le mani in segno di scusa, in una
delle quali c’era il suo libro preferito « Mi sono addormentato in un orecchio
gigante... ».
Mentre Sasuke e Naruto derisero ciò che per loro
poteva essere soltanto la più oltraggiosa delle bugie, Sakura si accigliò
tacitamente con il viso rivolto al suolo, chiedendosi cosa potesse significare
quest’ultimo eufemismo. Alzò gli occhi in tempo per cogliere Kakashi rivolgerle
un’occhiata, ed il suo cipiglio si incupì; lo sguardo di Kakashi tornò al suo
volto. « Cosa c’è? » chiese limpido.
« Spero sia felice » disse lei velenosa « Ho dovuto
dare a quell’uomo i miei orecchini perché lei non ha pagato il conto, e non mi
piacciono nemmeno i sauri: hanno un sapore orribile
».
« Ah? Oh. Sì » Kakashi si schiarì la voce mentre
volgeva vago gli occhi al cielo. « Beh, ricordami di ripagarti la prossima
volta ».
Sakura stava per aprire la bocca per ricordargli che,
a discapito di quante volte gli venisse ricordato, non lo avrebbe fatto mai, ma Naruto era diventato ormai
troppo impaziente.
« Che facciamo quindi? » chiese entusiasta, pronto a cominciare come sempre.
« Mh? Beh, dopo la vergognosa dimostrazione di Sasuke,
penso sarebbe saggio dedicare un po’ di tempo al perfezionamento delle tecniche
di lancio » disse Kakashi, raccogliendo qualcosa dalla sua custodia sull’anca.
« È ridicolo » si indignò Sasuke « l’ho mancato di
proposito ».
« Comunque sia, voglio che voi tre facciate pratica
con questi ».
Tre coltelli dal manico liscio atterrarono sul prato,
ai loro piedi. Sakura raccolse il suo e lo guardò con circospezione.
« Uhm » Naruto sembrava perplesso.
«
Non uso i tantō » disse Sasuke, rifiutandosi di raccogliere il suo.
«
Bene » disse Kakashi tranquillamente « ma quando tra un paio d’anni uno di voi
tre resterà ucciso perché non sapeva come lanciare un’arma improvvisata
accuratamente, indovina chi avrà una lavata di capo dall’Hokage per non
avervelo insegnato ».
Un
vento gelido soffiò sulla radura.
«
Hey, hey » Naruto intervenne « cosa intende dire con “uno di voi tre”? Sasuke è
quello che frigna, non noi! ».
«
Beh, uno di voi non sembra particolarmente un coniglietto felice, oggi » disse
Kakashi, indirizzando il suo sguardo a Sakura.
Lei
ricambiò lo sguardo con lo stesso cipiglio di prima « È solo la mia faccia ».
«
Le mie più sincere scuse allora » rispose incolore Kakashi, prima di farsi da
parte.
« Usate i pali come bersagli, prego ».
Quell’allenamento
le ricordava ancora di più i vecchi tempi: in genere, le sessioni erano
incentrate sull’allenamento fisico e sul tenersi in forma, ma ogni tanto
Kakashi sembrava ricordare tardivamente che c’era ancora qualcosa da insegnare.
Quel giorno se ne stava in disparte, seduto proprio su quella roccia lasciata
scapola dal serpente, sfogliando il suo solito libro e dispensando qualche
consiglio quando necessario.
A
causa della leggerezza del tantō e la strana impugnatura non studiata per
il lancio, la mira di Sakura non era particolarmente impressionante.
Ovviamente, Sasuke padroneggiò la tecnica con rapidità irritante, e dopo solo
mezza dozzina di lanci centrava il bersaglio con un semplice colpo di polso.
Naruto
aveva leggermente più problemi, quindi Kakashi vi si avvicinò, posizionandosi
alle sue spalle, correggendo la sua posa. « Lo stai lanciando come fosse un
kunai » disse al ragazzo. « È un’arma più lunga e l’impugnatura è più pesante
della lama, quindi devi bilanciare la rotazione ».
Passò
poi a Sasuke, la cui mascella si contrasse quando Kakashi gli spostò il gomito. « Rilasci il braccio troppo velocemente,
non essere pigro ».
Sakura
sapeva che sarebbe arrivato, ma non riusciva a non essere tesa mentre sentiva
Kakashi fermarsi dietro di lei, mentre osservava la sua mira prima di
commentare. Naturalmente, sotto il suo occhio attento, i suoi livelli di stress
raggiunsero il massimo: il risultato fu che il manico del tantō colpì il
palo di legno e cadde, sferragliando, al suolo.
Irrigidendosi,
raccolse l’arma e si preparò a lanciarla ancora, quando sentì un paio di mani
calde scorrere lungo le sue braccia nude. « Sei troppo tesa » le disse, tenendo
la bocca vicino al suo orecchio destro; la sua voce era bassa, calma e talmente
deliziosa che a sento riuscì a reprimere i brividi che minacciavano di
scorrerle lungo la schiena.
Era
un circolo vizioso: mentre le mani di Kakashi provavano a massaggiarle le
spalle gentilmente tentando di rilassarla, Sakura le sentiva ancora più irrigidite,
sulla difensiva.
E quando quelle stesse mani scivolarono sui suoi fianchi per modificarne la
postura, diventò ancora più tesa.
Una
risata leggera sfuggì alle labbra di Kakashi. « Sul serio, Sakura, rilassati un
po’. Sembra tu possa frantumarti da un momento all’altro ».
Beh,
in un certo senso era vero.
Fece
un altro passo verso di lei, abbastanza da sentire il suo petto toccarle la
schiena. « Rilassati » le disse, il respiro caldo a solleticarle l’orecchio ed
il collo, così vicino che poteva sentirlo sulla pelle attraverso la maschera. Le
sue mani restavano ancora sui suoi fianchi, esercitando una leggera pressione. «
Vuoi riuscirci, non è così? Ma non ci riuscirai mai se non fai come ti dico. Rilassati ».
Sakura
fece un serio tentativo, e funzionò: le sue spalle si abbassarono e i fianchi
si allentarono abbastanza da permettere a Kakashi di manipolarli. Il suo cuore
perse ingiustamente un battito, mentre il braccio destro di Kakashi le scivolò
lungo il fianco per avvolgersi intorno al suo bacino.
« Mantieni
il polso rigido » la informò, guidando il suo braccio. Sarebbe stato
tremendamente più semplice concentrarsi sulle sue parole se non fosse stato così
vicino. Come poteva pensare lucidamente se praticamente la stava circondando?
« Tieni la lama sul suo baricentro, così non volteggerà. E quando la lanci,
sposta il peso sul piede sinistro, ma non muoverti troppo ».
«
Lo so » tagliò corto lei « non ho dimenticato le basi, Kakashi-sensei ».
« Non
lo avrei detto » rispose freddamente, guidando il suo braccio nel movimento
lento del lancio per mostrarle come fare. Sakura però prestava più attenzione
all’altra sua mano, poggiata con nonchalance contro il suo fianco. « Hai
capito? » le chiese.
«
Uh-uh, sì » annuì velocemente.
Kakashi
fece un passo indietro per darle spazio per respirare e compiere il lancio. Sakura
provò a convincersi di non sentire la
mancanza del suo calore corporeo, ma quando provò di nuovo a lanciare il tanto,
qualcosa di terribile accadde.
Mancò
il bersaglio.
Deliberatamente.
« Sei
fuori forma oggi » notò Kakashi, dopo che lei ebbe raccolto di nuovo l’arma si
riposizionò dietro di lei, facendo uso delle sue mani gentili quanto ruvide per
rimetterla in posizione e guidarle il braccio.
Al
secondo bersaglio mancato, Kakashi scosse la testa incredulo. « Stai
peggiorando, stai almeno ascoltando ciò che dico? » le chiese, avvolgendole
ancora il busto con un braccio per premerle la schiena contro il suo petto, le
dita raggiunsero le sue sull’impugnatura del coltello. Con un braccio a tenerle
i fianchi premuti contro i suoi, fece scattare entrambe le loro mani per
lanciare la lama. Naturalmente, colpì il bersaglio in pieno, ma quando fu di
nuovo il momento di riprovare da sola, Sakura si rese conto di non poter
evitare di apparire un’incapace, di propria volontà.
Kakashi
sembrò perplesso, mentre lasciava scorrere ancora una volta le mani lungo il
suo corpo. « Ti sei fatta male al polso o qualcosa del genere? Sei davvero
troppo lontana dall’obbiettivo ».
«
Potrebbe darsi » rispose lei disperatamente, quasi incapace di ammettere a se
stessa che la sua infida libido stava godendo troppo della vicinanza di un
corpo maschile per lasciarle compiere un lancio serio: era tragico, non
riusciva a fermarsi! E quando le mani di Kakashi la avvolsero ancora, la sua
anima disturbata sospirò di piacere e dovette mettercela tutta per evitare di schiacciarsi
contro di lui.
Pensò
almeno di averlo ingannato, fino a che non lo sentì ridere contro il suo
orecchio, mentre pizzicava gentilmente il suo fianco. « Non lo starai facendo
di proposito, eh, Sakura-chan? » le chiese, con un tono troppo tenue da essere
sentito dagli altri due.
Il
respiro le morì in gola, mentre fissava il bersaglio senza vederlo. « No,
sensei » respirò.
«
Bene » mormorò lui, ma quelle due sillabe sembravano trattenere più sensualità
di tutti i pin-up che l’ufficio di Tsunade potesse contenere. « Penso che tu possa cavartela da sola,
ora ».
La
lasciò come una brezza passeggera, facendola sentire fredda, esposta e
profondamente confusa: cos’era appena successo? Sakura batté le palpebre,
guardando i suoi due compagni di squadra, chiedendosi se avessero notato
qualcosa di strano nel modo in cui Kakashi la manipolava, ma si accorse – senza
sorpresa alcuna – che erano troppo impegnati nei loro compiti.
Naruto stava lanciando il suo tantō con dedizione e crescente abilità,
andando avanti e indietro per raccoglierlo tanto velocemente quanto lo
lanciava.
Sasuke era occupato ad annodare un filo al manico della lama per evitare di
dover andare al palo per riprenderlo. Evidentemente, il commento sulla sua
pigrizia fatto da Kakashi non aveva avuto poi tanto impatto.
Sakura
si voltò verso l’uomo in questione, ma era tornato a sedere sulla sua roccia,
con un ginocchio piegato e profondamente perso nella lettura.
Forse,
aveva solo immaginato tutto?
Ma
quando Kakashi sollevò gli occhi per incontrare il suo sguardo, le rivolse
quello che poteva essere definito solo come un occhiolino impertinente, e
Sakura capì di non star impazzendo.
Era
molto, molto peggio di così.
Avendo
appena finito di rileggere (per la terza
volta) tutti i capitoli, mi rendo conto di quanto questi primi
siano leggeri e scorrevoli (ed anche un pochino più corti, ad occhio e croce). Si
potrebbe tranquillamente dire che la suspense di questa storia cresca capitolo
dopo capitolo fino alla fine, ed è forse per questo che ti tiene incollato allo
schermo.
Nel prossimo ci sarà l’introduzione di un elemento che, per quanto
semplice, sarà praticamente determinante e caratteristico delle vicende... le mutandine di Sakura. :’D
Detta così fa abbastanza ridere, ma chi conosce già gli sviluppi della trama sa
cosa intendo.
Fu
lo sbattere della porta a svegliare Kakashi quel mattino. Ancora mezzo
addormentato, mosse inconsciamente la mano alla ricerca del calore lasciato sul
lato opposto del materasso, dove fino a qualche istante prima qualcuno giaceva.
Una debole scia di profumo aleggiava nella stanza, ed un distante ticchettio di
tacchi alti risuonava sulle scale del condominio.
Un paio di orecchini dimenticati luccicarono dal comodino.
Si
stava definitivamente stancando di
lui: in genere, a quel punto, si sarebbe svegliata solo per avere un bis della
notte precedente.
Uno
sbadiglio assonnato gli fuoriuscì dalla gola, mentre afferrando la sveglia
provava a rendersi conto di che ora fosse: aveva ancora mezz’ora di tempo prima
dell’incontro con il suo team, al ponte; la missione di quel giorno consisteva
nel ritornare al villaggio delle miniere d’oro, sperando – con un po’ di
fortuna – di acciuffare i banditi.
In pratica avrebbe passato un altro gioioso pomeriggio seduto in una fossa, a
pentirsi di non aver fatto il contabile.
Era
abitudine di Kakashi quella di prendersela comoda prima di alzarsi dal letto: gli
servivano cinque minuti buoni per racimolare la voglia di mettersi a sedere,
altri tre per poggiare i piedi sul pavimento dove sarebbe rimasto per altri due
minuti, sbadigliando e passandosi le dita tra i capelli. Dopodiché, si
trascinava in bagno e di conseguenza sotto la doccia, dove restava per sette
minuti e trentaquattro secondi, valutando se comprare o meno una spugna nuova,
dato che l’attuale era diventata verde sui bordi – in genere accantonava l’idea
perché richiedeva troppi sforzi e spese.
Dopo
essersi vestito aveva ancora dieci minuti, così mise il bollitore sul piano
cottura.
E
fu mentre sorseggiava una bella tazza di tè alle erbe che sentì un suono flebile
arrivare dalla finestra.
Si voltò, aspettandosi irrazionalmente di vedere Sakura, possibilmente con la
stessa espressione sconvolta che aveva l’ultima volta che l’aveva vista sul suo
davanzale.
Ma
– purtroppo – non era lei: era solo il presuntuoso persiano grigio del vicino,
che lo scrutava minaccioso con un grosso occhio arancione; l’altro occhio
mancava da quando Kakashi lo conosceva, ed era un handicap nel quale poteva
rivedersi senza difficoltà.
«
Hey, micetta » Kakashi la chiamò dolcemente.
Non
conosceva il nome della gatta, quindi si arrangiava come poteva con il primo
soprannome che gli veniva in mente: era risaputo che gli uomini intelligenti
fossero anche i meno creativi.
Quando
si sedette al tavolo per finire il tè, il gatto saltò sul suo letto e agilmente
si avvicinò a lui, per poi avvolgere la coda intorno alla gamba della sedia sulla
quale Kakashi poggiava.
Sapeva perfettamente cosa gli stava chiedendo, quindi immerse un polpastrello
nella tazza e lo porse al gatto per farglielo leccare: non sapeva se il tè
facesse bene ai gatti, ma a questo almeno sembrava piacere.
Non
era un gatto particolarmente attraente, ma a Kakashi piaceva: con il suo naso
schiacciato ed un solo occhio umidiccio, era effettivamente bruttino, ma in
qualche modo gli ricordava Pakkun, anche se non era neanche lontanamente carino
quanto quel piccolo bastardo rugoso.
«
Kakashi-sensei! »
Kakashi
buttò un occhio alla finestra, con la tazza a metà strada dalla sua bocca: non
c’era nessuno, ma quella voce era inconfondibile.
«
Kakashi-sensei! È lì? Ascolti, dobbiamo sbrigarci! »
Un
piccolo sorriso gli fulminò le labbra: per qualche motivo, sentiva che quella
mattinata era appena migliorata nettamente. « Sei tu, Sakura? » le rispose. «
Perché non sali? »
Ci
fu una lunga pausa occupata solo dalle fusa del gatto, mentre Sakura
rifletteva.
« È
presentabile? » la sentì chiedere esitante.
«
Mmh » borbottò, raccogliendo il gatto per avvicinarsi alla finestra. « Ma credo
tu non voglia salire, sto intrattenendo una micetta... »
Si
affacciò appena in tempo per notare il viso di Sakura in fiamme nel bel mezzo
della strada: quello rendeva di sicuro la sua mattinata molto più interessante. « Cosa c’è? » chiese ai suoi borbottii.
«
Che pervertito! » sibilò.
«
Perché? » chiese Kakashi, poggiando la gatta sulle scale d’emergenza, dove
questa si stiracchiò goffamente. « Che tipo di micetta pensavi intendessi? »
La
sua allieva era ormai quasi tanto rossa quanto la sua maglietta, e stranamente
quella sfumatura si abbinava con il colore dei suoi capelli. « È in ritardo,
Kakashi-sensei! » sbraitò,
« La aspettiamo al ponte da più di un’ora! »
Kakashi
diede un’occhiata al suo orologio. « Mi hai ingannato... » rifletté.
Di
sotto, Sakura incrociò burberamente le braccia con un moto d’impazienza.
« Di questo passo perderemo l’obbiettivo, viene o no? »
Con
un cenno liquidatore le rispose « Dammi un minuto ».
Gliene
diede tre. Dopo aver preso l’equipaggiamento ed aver indossato le scarpe, la
raggiunse giù per le strade, donandole un sorriso gentile per cercare di pacare
un po’ della sua impazienza.
In risposta, ottenne un sospiro esasperato ed uno sguardo ancora più
infastidito, se non leggermente frustrato.
Si
incamminarono silenziosamente verso il ponte, tagliando per il mercato
affollato. Sakura non sembrava essere particolarmente calorosa ed eloquente,
quindi Kakashi tirò fuori il suo libro preferito con l’intenzione di riprendere
la sua solita lettura, mentre si facevano strada tra le bancarelle ed i negozi.
«
Ero lì da un po’ » disse Sakura improvvisamente.
«
Dove? » chiese, voltando distrattamente una pagina.
«
Lì, a casa sua, circa venti minuti fa » rispose brevemente « L’ho vista, mentre andava via »
«
Ficcanasare non si addice affatto ad una signorina » rispose Kakashi.
Sakura
lo fulminò con lo sguardo. « Non stavo curiosando! E se ben ricorda aveva detto
che fosse finita! »
«
Ah » la corresse, « ho detto che era quasi
finita, e se l’hai vista uscire, perché non mi hai chiamato prima? Non
stavi provando a sorprendermi di nuovo nudo, vero? »
«
Basta! » sibilò. « Non vorrei vederla nudo nemmeno se fosse l’ultimo uomo sulla
terra! »
La voce la tradì con un leggero tremolio, che fece pensare a Kakashi che non
fosse del tutto onesta.
«
Se io fossi l’ultimo uomo, e tu l’ultima donna » cominciò lui « significherebbe
che dovremmo– ».
«
No » lo interruppe Sakura.
«
Ma l’intera razza umana potrebbe– »
«
Non mi interessa »
«
Un’intera specie vivente sull’orlo dell’estinzione e tu mi rifiuteresti solo
perché non vuoi vedermi nudo? » chiese, cercando di sembrare ferito.
Sakura
si imbronciò, pensierosa, poi mormorò « E va bene! Forse. Ma con la luce spenta
».
«
Meraviglioso » ora Kakashi aveva un motivo per aspettare la fine del mondo.
Rivolse un sorriso innocente alla sua allieva, ma scivolò via lentamente dal
suo viso mentre ne osservava il profilo: si stava pizzicando il labbro
inferiore con il pollice e l’indice – le mani visivamente tremolanti – con lo
sguardo intensamente perso nel vuoto. Forse l’aveva fraintesa? Il giorno prima
era sicuro che Sakura fosse perfettamente capace di sostenere qualche battuta
tra adulti... ma ora sembrava troppo per lei.
Sakura era giovane, senza esperienza, e di quella linea di confine che si era
promesso di non oltrepassare quando l’aveva vista così abbattuta fuori
l’accademia aveva ormai perso le tracce.
Era
innanzitutto e soprattutto la sua allieva, e ci sono cose di cui gli studenti e
gli insegnanti non parlano, come–
«
Non sarei così avversa » disse Sakura
improvvisamente, donandogli uno sguardo timido
« Sembra abbastanza bravo a letto... e... uhm... ecco, sì ».
Pizzicò
ancora di più il labbro e diventò più rossa: per l’ennesima volta, aveva
mostrato una pudicizia che stonava completamente con ciò che diceva. Kakashi
scosse la testa, divertito, e stava per formulare una risposta quando fu
interrotto dai piagnucolii di Naruto.
«
Sakura-chan! Kakashi-sensei! »
Contemporaneamente,
alzarono lo sguardo al ponte che si estendeva davanti a loro ed incontrarono
quelli dei loro due compagni di squadra: il biondo li salutava entusiasta.
Kakashi alzò la mano per ricambiare il saluto, sebbene più pacatamente, ma
nello stesso istante in cui Naruto si voltò per coinvolgere Sasuke in uno dei
loro soliti battibecchi, lasciò scivolare la stessa mano dietro la schiena di
Sakura, per poi poggiarla sul suo sedere. La leggera pacca sul suo fondoschiena
la fece squittire e sobbalzare di almeno due passi in avanti.
«
Neanche tu sei così male, ne sono certo » ribatté sottovoce.
Il
viaggio verso Asahi sembrò essere più scorrevole della prima volta: in
quell’occasione, Sakura era rimasta in completo shock per tutto il giorno, dopo
aver sorpreso Kakashi... in quel modo,
con quella.
In compenso, aveva camminato in disparte per tutto il tempo, combattendo tra il
non riuscire a guardarlo ed il fissarlo con fin troppo interesse.
Nell’occasione corrente, invece, era sicuramente molto più rilassata:
chiacchierava amabilmente con Naruto riguardo l’imminente fusione della casata
principale degli Hyūga con quella cadetta, ed il ricevimento che ne
sarebbe conseguito.
Erano tutti invitati, ma Naruto era indubbiamente l’ospite d’onore, essendo
parzialmente la ragione per l’unione delle due casate.
Mentre ascoltava Naruto chiacchierare di Hinata, cercava di rubare qualche
occhiata galeotta a Kakashi.
«
Ha intenzione di venire, Kakashi-sensei? » gli chiese Naruto.
«
Forse » rispose vago: Sakura non credeva di certo fosse un animale da festa.
Quando
arrivarono ad Asahi, si divisero di nuovo negli stessi team della volta
precedente e si separarono. Così cominciò la lunga e tediosa attesa, seppellita
in una lurida buca in una giornata rovente, con l’incessante frinire delle
cicale nelle orecchie.
Sakura sospirò e diede un’occhiata ad entrambi i lati della strada, sperando
che i banditi si sbrigassero ad attaccare: non aveva affatto voglia di tornare
ancora in quel posto e rifare tutto da capo.
Kakashi
non era più visibile dalla sua posizione: immaginò fosse nascosto nella buca
all’altro lato della strada, a leggere il suo libro ma con un orecchio teso per
percepire qualsiasi suono inusuale.
Scacciò le amichevoli formiche che le si arrampicavano tra i capelli e prese a
giocherellare con le foglioline di rododendro che circondavano il suo
nascondiglio: era mortalmente annoiata.
Annoiata, ma anche terribilmente incuriosita, e Kakashi era proprio lì; forse
non era appropriato chiacchierare durante una missione così importante, ma non
c’era nessun pericolo.
Portandosi
un dito all’orecchio, premette il pulsante di accensione della radio: « Sensei?
»
«
Qualcosa non va? » gracchiò la voce di lui. « Hai sentito qualcosa? »
«
No, sensei, mi stavo solo chiedendo... »
«
Sì? »
«
Perché Kimura Yoshi? »
Ci
fu una lunga pausa, prima che la radio gracchiasse ancora. « Sai, sono sicuro
che questa conversazione si sia tenuta già ieri ».
«
No – sono davvero curiosa » disse in fretta, mordendosi le labbra. « Perché
lei? È il suo tipo o qualcosa del genere? »
«
Il mio tipo? » lo sentì chiedere, con una nota di sorpresa nella voce. « Non
credo di avere un tipo ».
Sakura
scacciò un’altra cicala dal braccio. « Beh, quindi... » riprese pensierosa. «
Ci dev’essere stato qualcosa che l’ha
spinta verso lei. Cosa le piace di quella donna? Non può di certo interessarle
solo per il sesso, no? »
Silenzio.
«
No? » chiese ancora, con più decisione.
« È
davvero buon sesso » rispose Kakashi vagamente.
«
Sensei! » sibilò lei. « È davvero così superficiale? »
«
Penso che abbia una fronte davvero dolce, non credi? »
«
No » rispose cupamente.
« E
profuma sempre di buono: lo apprezzo sempre, in una donna ».
«
Davvero? » sniffò frettolosamente la propria ascella e si morse ancora di più
le labbra.
« Che altro? »
« È
alta: è sempre una cosa positiva ».
Colpita
e affondata! Col suo metro e sessanta scarso era a malapena nella media e
sicuramente non poteva definirsi alta. Avrebbe anche potuto indossare dei
tacchi, ma anche un completo idiota sa che è una pessima idea quando passi la
maggior parte del tuo tempo a correre, saltare e arrampicarti sugli alberi.
Ma perché tutti gli uomini preferivano le donne alte?
Forse questo spiegava perché lei attirava solo feccia...
« E
poi? »
« È
esuberante. Apprezzo anche quello, credo ».
Sakura
sbuffò silenziosamente prima di rispondere. « Non è un sinonimo di aggressiva? »
«
No – aggressiva lo sei tu. Yoshi è solo determinata– »
«
Io non sono aggressiva! » abbaiò improvvisamente, offesa.
«
Lo sei, un po’ » disse.
«
No invece! » si imbronciò lei. « Sono una vera e propria micia ».
Una
risata smorzata la raggiunse dall’altro lato della strada, prima che la radio
gracchiasse ancora. « Davvero? » chiese, divertito. « E fai anche le fusa? »
La
bocca di Sakura si spalancò, sorpresa. Per un attimo, non seppe cosa rispondere
e sentì il viso andarle in fiamme.
Non era un’ingenua: aveva percepito il suo cambio di tono, e per qualche
ragione la eccitò.
Ma dove portava quella frase?
«
Dipende... » disse, a bassa voce, « da come mi coccola ».
Dopodiché
la radio restò silenziosa: orribilmente, silenziosa.
Sakura si chiese quanto effettivamente avesse scavato la sua fossa e se
staccare a morsi il proprio pugno fosse un modo utile di alleviare l’umiliazione:
aveva shoccato uno dei più grandi pervertiti di Konoha, quello sì che era un
traguardo.
Attese
con il cuore in gola, fino a che non arrivò la sua risposta. « E come ti piace
essere coccolata, Sakura? » chiese, lentamente: non c’era più traccia di
divertimento, nella sua voce. Nel suo eco restava qualcosa di scuro, adulto e
sicuramente troppo spaventoso per una come Sakura... quindi rise.
«
Sulla pelliccia, credo! » disse, con forzata leggerezza, grata del fatto che
fosse dall’altro lato della strada: meglio che doverlo affrontare di persona. «
Quindi la sua donna ideale è alta e stronzetta, huh? »
E,
come per magia, tutto tornò alla normalità. « Trovo difficile dire che Yoshi
sia la mia donna ideale » disse, ritrovando quella nota di divertimento come se
niente fosse successo.
« Stavo solo facendo una lista delle cose che mi piacciono di lei ».
Il
cuore di Sakura continuava ancora a battere innaturalmente veloce. « Quindi
qual è la sua donna ideale? » chiese, curiosa.
Se avesse mai immaginato un tipo di donna per Kakashi, Kimura Yoshi sarebbe
stata sicuramente quella perfetta – alta, snella, raffinata e bella. Peccato
per il fatto che fosse sposata con figli.
«
Deve avere degli occhi interessanti » disse lui, dopo una lunga pausa.
Sakura
scrollò le spalle: era un pensiero dolce – vago, ma dolce.
« E
deve apprezzare Icha Icha ».
«
Non esiste una donna del genere, sensei » disse, schietta.
Lui
la ignorò. « Deve avere un bel sorriso, è molto importante. E dev’essere
gentile. Credo... che non mi importi molto del resto ».
Sakura
rimase silenziosa nella sua buca, rimuginando sulle sue parole: aveva fatto la
stessa domanda ai suoi ex e la riposta era sempre prevedibile, dato che
facevano solo una lista delle caratteristiche fisiche. I più scaltri
descrivevano qualità che Sakura aveva; gli stronzi come Ikki descrivevano senza
mezzi termini bamboline alte, con seni enormi, fianchi stretti e sederi sodi,
completamente ignari del fatto che la presa della loro ragazza sulla loro mano
stava diventando dolorosamente stretta.
« E
tu? » chiese Kakashi.
«
Huh? »
«
Mi hai chiesto qual è il mio tipo di donna, in cambio voglio sapere qual è il
tuo ».
«
Non ho una donna ideale » scherzò lei.
«
Okay, va bene anche un uomo ».
Sakura
sospirò e alzò lo sguardo al grosso rododendro che danzava al vento, su di lei.
« Credo... mi piaccia qualcuno che sappia fare il proprio bucato, e bene. E...
qualcuno che conosca il significato di “igiene personale” – o solo di igiene, in generale. Preferisco i mori,
ma adoro anche i biondi. E mi piacerebbe qualcuno a cui piaccia leggere – libri
decenti, non pornografia– »
«
Ma– »
« E
mi piacerebbe un uomo a cui interessa cosa ho da dire, » disse, continuando.
« Qualcuno a cui interessi come è andata la mia giornata e cosa mi è successo,
non qualcuno che mi grugnisca e mi ignori per guardare la televisione. E vorrei
che fosse galante, anche, è sempre bello avere qualche attenzione cortese, e
dev’essere divertente, affascinante, spiritoso e deve saper baciare. Deve conoscere
il concetto di “preliminari” ed essere generoso a letto. Dominante, ma non
cattivo, e deve durare più di trenta secondi o–»
Sakura
si bloccò, rendendosi conto troppo tardi di aver invaso il territorio
confidenziale ancora una volta.
La
risposta di Kakashi fu asciutta. « Quindi non chiedi tanto, huh? »
«
Beh, almeno ho idea di ciò che voglio » sbuffò « mentre lei – il suo ideale di
donna è una con occhi e bocca ».
«
Ed anche in quel caso posso scendere a compromessi ».
«
Oh! » Sakura si ricordò di qualcosa. « E deve anche saper indossare
un’uniforme! »
Ci
fu una breve ed enigmatica pausa. « Che intendi? »
«
Beh, ci sono un sacco di persone che sanno come indossare un’uniforme ed altri
che sembrano completamente ridicoli: io sono tra i secondi, ma amo gli uomini
in uniforme – soprattutto quelle ANBU; ma se uno ha le cosce di pollo non
funziona. Sembrerebbe un pigiama o qualcosa del genere, indossata da uno così ».
«
Mmh » rifletté Kakashi. « A volte uso i miei set di scorta come pigiama ».
Sakura
sollevò un sopracciglio, ed anche se Sakura sapeva che non poteva vederla in
alcun modo, Kakashi fece in modo di percepirla. « Non l’hai mai fatto? »
«
No » tagliò corto lei. « Se indossassi i pigiama, ne comprerei qualcuno
appropriato... con i gattini ».
«
Non indossi il pigiama? » chiese. « Quindi sei più tipo da vestaglia? »
Forse,
solo una settimana prima – o anche due giorni – Sakura avrebbe annuito e
cambiato discorso, ma esplose nel profondo di sé quella stessa audacia che
l’aveva spinta a fallire miseramente durante l’allenamento solo per sentire le
mani di Kakashi sul suo corpo.
Proveniva dalla parte di sé che riconosceva la sessualità di Kakashi e la
vedeva per ciò che era... e voleva contraccambiarla.
Prendendo
un sospiro tremolante, si morse le labbra. « No, sensei, non indosso nulla a
letto ».
Dall’altra
parte della strada, il piede di Kakashi scivolò dalla parete viscosa contro la
quale poggiava. Fece addirittura quasi cadere il suo libro, per la sorpresa, ma
si ricompose in fretta.
Era certo di aver capito male, e stava quasi per chiederle di ripetere... ma
no, sapeva cosa aveva detto e chiederle di ripetersi l’avrebbe solo
imbarazzata. Quella ragazza era terribilmente volubile quando si parlava di
quelle cose, e lui era troppo impegnato a godersi l’immagine mentale.
«
La smetta » gracchiò la sua radio.
«
Mmh? » chiese lui.
«
La smetta di restare in silenzio, sento che lo sta immaginando ».
Un
sorriso leggero si diffuse sul viso di Kakashi. « Ma io lo sto immaginando » disse, intrigato. « Dormi sempre nuda? »
La
sua risposa esitante fu preceduta da una leggera pausa.« N-No... Di solito
indosso le mutandine ».
«
Che tipo di mutandine? » chiese lui, la voce bassa ma ancora giocosa.
«
Uhm... beh, ne ho davvero un sacco di tipi » rispose coraggiosamente.
Kakashi
poggiò il suo libro sul petto e congiunse le dita sullo stomaco, con
l’interesse in quella conversazione alle stelle. « Davvero? » mormorò, provando
ad immaginare Sakura con indosso solo un paio di mutandine, ma di che tipo?
Nere, bianche, blu, verdi? In pizzo? Sottili? Modello slip? Modello tanga?
Aveva bisogno di una descrizione! «
Quali indossi ora? »
«
N-Non ricordo, aspetti un attimo... »
Stava
controllando.
Sakura era dall’altro lato della strada, che sollevava la gonna e scostava i
pantaloncini per controllarsi la biancheria.
Quel pensiero non avrebbe dovuto eccitarlo così tanto.
«
Sono bianche » arrivò la risposta di Sakura « con i bordi rossi, delle ciliegie
sul davanti e dei fiocchetti rossi sui lati ».
Kakashi
assaporò l’immagine. « Slip o tanga? »
La
sua voce era bassa. « Tanga... »
Molto meglio. Ora poteva immaginare Sakura prepararsi per
andare a letto molto più accuratamente, con le sue gambe magre che si
intrecciano in un triangolino di stoffa rossa e bianca.
L’idea dei fiocchetti, poi, la faceva sembrare un delizioso regalo incartato.
Un
regalo che era tentato di scartare.
Kakashi
strofinò un dito sulle labbra mascherate, mentre continuava a vagare con la
mente sull’immagine della sua studentessa seminuda. Era un viale pericoloso e
proibito lungo il quale avviarsi, ma quell’immagine era troppo tentante, anche
se nessun insegnante sano di mente ci si sarebbe soffermato.
Ma
chi diceva che Kakashi fosse un uomo sano di mente?
« E
lei? »
Kakashi
alzò la testa. « Io? »
«
Le ho detto cosa sto indossando, ora lei deve fare lo stesso » disse Sakura,
piano.
Sorrise:
la verità è che stava indossando un vecchio e noioso paio di slip blu notte,
con il suo nome cucito sul retro, ma di certo quello non avrebbe acceso
l’immaginazione, no?
Il suo sorriso si ingrandì, mentre premeva ancora il tasto della radio. « Niente ».
«
Niente? » la voce di lei diventò più acuta.
«
Lo stai immaginando? » prese in giro lui.
«
No! » rispose, con tono così alto che a Kakashi non servì la radio per sentire
la vena di colpevolezza nella sua voce. « Non faccia il pervertito! »
«
Hai cominciato tu » le fece notare lui, divertito. « Se qualcuno è perverso
qui, sei tu ».
«
Non sono una pervertita! » piagnucolò lei, shoccata.
«
Non lo so » si finse onesto. « Eri tu
quella che spiava la mia vita sessuale ».
«
Io – non stavo – lei non – ah! » la radio diventò minacciosamente silenziosa
e dopo poco Kakashi sentì il suono dei passi carichi di rabbia proprio dietro
di lui. Si voltò giusto in tempo per vedere la scia di una mano avvolta in un
guanto apparire da chissà dove per colpirlo dietro l’orecchio, e non
gentilmente.
Sparì
così com’era venuta, lasciando Kakashi con un orecchio fischiante e con una
pulce all’interno. Ancora una volta, era rimasto sconcertato dalla sua
studentessa: un attimo prima gli stava mormorando sensualmente all’orecchio, con
tanto di descrizioni intime e ad un passo da dargli una dannata erezione – e
quello dopo, aveva cambiato umore e gli aveva dato uno scappellotto. « Va
meglio? » le chiese seccato, tramite la radio.
«
Zitto! » lo ammonì lei.
Passarono
il resto della missione in silenzio.
In
realtà, Sakura era più spaventata che arrabbiata. E se fosse stata davvero una pervertita?
Era
eccitante – e sbagliato – sentirsi
chiedere dal suo sensei che tipo di mutandine indossasse... e rispondergli.
Eccitante, ma soprattutto sbagliato.
Ed
avrebbe anche potuto fingere che fosse accettabile, se lui non l’avesse
chiamata pervertita.
Dannato
quell’uomo e dannata quella sua vocina interiore che parlava senza permesso, ma
non poteva farci niente: quando sentiva la voce di Kakashi nel suo orecchio,
con quel tono cupo e seducente che non aveva mai sentito prima, non riusciva a
credere che fosse il suo maestro. Conosceva Kakashi Hatake da sei anni ormai,
ma non conosceva l’uomo con cui flirtava, scherzava e giocava; aveva sempre
saputo che fosse un pervertito, ma non lo aveva mai appurato.
Oltre
ciò, i suoi modi la stavano coinvolgendo: sapeva, mentre camminavano sulle
strade polverose di ritorno verso Konoha – con un’altra missione fallita – che
se non si fosse tenuta a distanza da lui, l’avrebbe trascinata nella sua
spirale di depravazione. Sapeva di avere questo effetto su di lei? O credeva
che era solo un semplice scherzo senza pericoli? Si rendeva conto del fatto
che, mentre lui le pizzicava i fianchi o le diceva che la stava immaginando in
nient’altro che un paio di tanga, le sue interiora si scioglievano e non
riusciva a pensare a nient’altro che caldo e sporco sesso?
E lei non sapeva nemmeno che il sesso caldo e sporco esistesse al di fuori
delle fantasie, prima di vederlo con quella.
E dio, lo voleva: lo voleva così tanto che
avrebbe urlato di collera per l’ingiustizia dell’essere una diciottenne che non
riusciva ad attrarre un amante decente.
E mentre lei attirava la feccia come Ikki, Kimura Yoshi si beccava la crème de
la crème.
E non era giusto, perché Sakura conosceva Kakashi sicuramente da prima di quella,
quindi se a qualcuno spettava del buon sesso – quella era lei.
Ed
a quel pensiero il suo animo si spense un po’, perché mentre l’idea del sesso
con Kakashi la allettava, in qualche modo era riluttante.
Non
era per lei di certo come un padre o un fratello... più come un ex
babysitter... o forse come un insegnante.
Quando
finalmente tornarono a Konoha, era di nuovo tardo pomeriggio.
Stavano per dividersi tutti, quando d’un tratto Naruto chiamò Kakashi.
«
Quindi verrà al ricevimento o no? » chiese all’uomo, che stava voltandosi per
andare via.
Kakashi
gli rivolse lo sguardo. « Dipende. Quando si terrà? »
«
Domani, alla tenuta degli Hyūga, alle tre ».
In
realtà era alle quattro, ma il team sette era cresciuto con la consapevolezza
di dover dare un orario sbagliato al proprio insegnante, per sperare che si
presentasse puntuale: era di comune conoscenza il fatto che la giornata di
Kakashi andasse indietro di un’ora rispetto a quella degli altri.
Kakashi valutò la proposta ed annuì. « Certo, credo. Se non sarò impegnato a
pulire il cassetto dei calzini o accoppiare i piccioni ».
Significava
che la verità era tra il “no” ed il “forse”.
«
Ma– » Naruto cominciò a protestare.
«
Scusa, ora devo proprio andare » disse Kakashi e, facendo un occhiolino a
Sakura, aggiunse « la mia micetta sentirà la mia mancanza ».
Le
guance di Sakura si infiammarono, mentre rivolgeva lo sguardo al suolo:
sospettava che non si riferisse affatto ai gatti...
Naruto
sembrava confuso, mentre osservava Kakashi voltare le spalle. « Kakashi-sensei
ha un gatto? »
Sasuke
fingeva indifferenza, quindi Sakura scrollò le spalle. « Cosa vuoi che ne
sappia ».
« E
perché ti ha fatto un occhiolino? » chiese Naruto.
«
Non l’ha fatto » scattò Sakura. « Stava solo battendo le palpebre ».
«
L’ha fatto invece » sottolineò Sasuke, ripulendosi le unghie. « Ti ha fatto un
occhiolino, tu sei diventata rossa e hai distolto lo sguardo, come mai? »
«
Come mai tutti gli uomini sono così bastardi? » rispose caldamente, pur sapendo
che quella fosse una tattica davvero debole per aggirare la domanda. « Rispondi
a questo e poi ne riparleremo – ed ora se vuoi scusarmi, ho un appuntamento ».
«
Ooh, con chi? » la stuzzicò Naruto. « Con Kakashi-sensei? »
Era
il tipo di battuta che nasceva dall’assoluta certezza che non fosse vero: se
Naruto avesse pensato per un solo secondo che avesse un appuntamento con il
loro maestro, gli sarebbero spuntate un paio di code del Kyūbi dalla
furia.
«
Sta’ zitto » borbottò, e corse via.
Ino
era seduta allo stesso tavolo dell’ultima volta, mentre mordicchiava
distrattamente la cannuccia del suo milkshake: le sfumature del tramonto che
battevano sulle tendine rosse del locale le concedevano un aura amorevole.
Accomodandosi di fronte a lei, Sakura avvertì immediatamente il profumo di
giacinti e gigli, segno del fatto che Ino avesse lavorato al negozio di fiori
per tutto il giorno. Ancora una volta, paragonata a lei, Sakura si sentiva
sudicia, in disordine e in urgente bisogno di un bagno.
Ma
prima... « Voglio quello che hai tu » disse, occhieggiando il suo milkshake.
Ino
le rivolse un’occhiata indagatrice. « Una fantastica vita sessuale? » le
chiese, schietta.
« È comprensibile, considerando quanto faccia schifo la tua ».
Sakura
si accigliò. « Neanche quella mi resta » confessò, mogia. « Ho rotto con Ikki ».
«
Hah! » Ino si drizzò sulla sedia, facendo saltare la cannuccia dal bicchiere e
schizzando Sakura. « Sapevo che non eri così stupida, dopotutto! L’ho visto con
un’altra, stamattina; sai, quella della Radice, con i capelli neri e gli occhi
azzurri, una di quelle che può colpire una pulce sulla schiena di un cane con
un kunai a– »
« Sì,
lo so » Sakura borbottò cupamente, passando una mano tra le ciocche scombinate.
«
Quindi ti tradiva? » chiese Ino.
Sakura
fece spallucce. « Probabilmente. Ha detto che dovremmo vedere altra gente, ma
sembra che ci fosse già qualcuno dietro l’angolo ad aspettarlo »
Ino
sbuffò sonoramente e buttò gli occhi al cielo. « Almeno lui è finalmente
sparito dalla tua vita e noi possiamo dedicarci a trovare qualcuno di decente ».
«
Noi? » fece eco Sakura, prima di comprendere il senso della frase. « Oh – Ino, no. Non voglio andare a caccia di uomini.
Voglio solo essere single per un po’, senza dover pulire vomito dal mio bagno e
senza puzza di piedi tra le lenzuola ».
«
Sakura – gli uomini normali non sono così. Se ti trovassi un ragazzo decente,
ti divertiresti! »
Dovevano
parlarne per forza? Tutto quello che Sakura chiedeva era un milkshake e qualche
pettegolezzo sulla vita sessuale degli
altri, giusto per farle dimenticare Ikki e la sua nuova ragazza, o Kakashi
ed il suo corpo nudo. « Ino... » cominciò, stancamente.
« E
se provassimo qualcuno di più vecchio? » suggerì l’amica, come se stessero
parlando di decorazione d’interni. « Sono uscita con un quarantenne un po’ di
tempo fa, e credimi se ti dico che sapeva perfettamente cosa stava facendo. Certo,
tutta quella resistenza era un po’ sospetta... ma sul serio, una volta bastava
per due ».
«
Ugh... Ino! »
« E
magari sarebbe meglio trovare qualcuno che non ha intenzioni serie: ti conosco,
sei così disperata che sposeresti il primo idiota che ti rende quantomeno
apparentemente felice. Ciò che ti occorre è un’avventura con uno bravo: idee? »
Sakura
poggiò il mento sul palmo e distolse lo sguardo: come sarebbe stata un’avventura
con Kakashi? Di sicuro lui era “uno bravo”, ma nemmeno lui avrebbe potuto fare
miracoli, perché lei a letto faceva schifo.
Sarebbe
stato un completo disastro.
Perché
ci stava anche solo pensando?
Scosse
la testa. « Non ha senso, Ino » sospirò. « Non tutti hanno bisogno di un
fidanzato e del sesso per essere qualcuno ».
«
No, è vero » annuì lei. « Ma probabilmente tu sei tra quelli che ne hanno
bisogno, almeno non saresti così depressa quando parlo di sesso ».
«
Tu parli sempre di sesso! » protestò
Sakura.
« E
tu sei sempre depressa! » ribatté
Ino. « Ascolta, conosco un paio di persone che potrebbero fare al caso tuo, te
lo presenterò domani al ricevimento degli Hyūga, va bene? »
«
Ino, non credo sia una buona idea... »
Ino
scosse la testa. « Non è un appuntamento al buio » disse. « Io te li presento e
tu deciderai se fanno al caso tuo ».
Sakura
sospirò in rassegnazione: Ino avrebbe portato quei ragazzi a prescindere dal suo
consenso e l’unico modo per evitarli sarebbe stato saltare il ricevimento, ma
in quel caso si sarebbe ritrovata nella lista nera degli Hyuga per aver
rifiutato la loro ospitalità.
«
Bene! » disse Ino, vedendola esalare la sua arresa. « Fa’ uno sforzo, no? Lavati
i capelli, mettiti qualcosa di pulito – un vestito, ma niente di volgare – e per l’amore del cielo, depilati le gambe
».
La
fronte di Sakura colpì il tavolo con un tonfo sordo ed un gemito di
frustrazione: stava davvero cominciando a temere la festa in arrivo. Il solo
provare a ricordare l’etichetta e le buone maniere per la cena era abbastanza
stressante, senza contare il doversi guardare le spalle da un gruppetto di “uomini
ideali”, secondo Ino.
Si
chiese se Kakashi sarebbe venuto.
Poi
si chiese perché sarebbe dovuto importarle.
Tuttavia, buona parte di lei sarebbe stata più contenta se non si fosse
presentato; ma una piccola e ribelle parte lo immaginò arrivare, sedersi
accanto a lei al tavolo e riservarle un altro occhiolino segreto.
Ed
infine si chiese a che punto avrebbe dovuto cominciare a vedere un medico per
quella che cominciava chiaramente ad essere follia.
Con
questo capitolo si conclude definitivamente la parte “lenta” di The Window.
I prossimi capitoli saranno tutti più dinamici rispetto ai primi cinque, e dal
prossimo capitolo ci saranno degli approfondimenti riguardo la famiglia di
Sakura, la quale sarà un elemento molto importante negli svolgimenti della
trama e, soprattutto, chiave fondamentale per capire la “psiche” della Sakura
dell’autrice.
È
passato un mese quasi dall’ultimo aggiornamento e me ne dispiaccio, ma non ho
avuto il tempo necessario da dedicare a questa storia, né la concentrazione
necessaria.
Siccome il prossimo capitolo precede il mio preferito ed è una parte della
storia che adoro, spero e credo di poter aggiornare più rapidamente.
P.S.:
Se tra i lettori di The Window ci fosse qualcuno che segue “As The Night Falls”,
volevo solo avvisare che la storia non sarà lasciata in sospeso, ho solo
problemi nello strutturare i prossimi capitoli, mi dispiace!
Il giorno dopo Sakura aveva una sola cosa in
mente.
Beh, in realtà ne aveva parecchie, ad esempio come
pagare l’affitto se il team Kakashi sembrava non riuscire a portare a termine
la missione; come far sparire la puzza di Ikki dalle lenzuola senza dargli
fuoco; se il suo rapporto con Kakashi sarebbe mai tornato alla normalità e
quante persone – di preciso – sapevano che Ikki l’aveva lasciata per la
principessa ANBU.
Ma ce n’era una sola che aveva la forza di affrontare quel giorno, il resto lo
avrebbe rimandato al seguente.
La preoccupazione del giorno riguardava solo cosa
diavolo avrebbe indossato al ricevimento degli Hyūga: le avevano detto di
mettere qualcosa di formale, ma nulla di esagerato; lei sapeva esattamente cosa mettere, peccato che
non riuscisse a trovarlo!
Dopo aver messo praticamente sottosopra il suo
appartamento alla ricerca dell’irreperibile vestito verde, cominciò ad avere
l’orrenda sensazione che non fosse affatto lì.
Controllò nel guardaroba, sotto al letto e negli scatoloni che ancora non aveva
disfatto da quando si era trasferita, ma niente.
Le restavano solo due ipotesi: o Ino l’aveva preso in prestito senza avvisarla
– di nuovo – o era tra le cose che aveva lasciato a casa di sua madre:
probabilmente era rimasto nella sua vecchia camera a prendere polvere
nell’armadio.
Non è che Sakura non amasse sua madre, è solo che
a volte tre isolati non erano una distanza sufficiente per apprezzare davvero
il loro tipo di amore particolare.
Quindi fu la pura forza della disperazione che la fece rassegnare ad
incamminarsi verso casa di sua madre.
Era mezzogiorno, lo stomaco le brontolava ed aveva un milione di pensieri per
la testa: non era per niente dell’umore adatto al comitato di benvenuto che la
madre era solita riservarle, ma aveva bisogno
di quel vestito.
Sakura svoltò per la stradina familiare, diretta
verso la casa nella quale aveva abitato per la maggior parte della sua vita.
Era usurata e vecchia, al confronto con le case del vicinato. Il quartiere era
leggermente più nuovo rispetto a quello di Kakashi, quindi pur essendo fuori moda
e coi bordi rovinati, non aveva il fascino vintage o i rattoppi bizzarri della
casa del suo maestro: era un quartiere di periferia, quindi c’era meno
attività, meno gente, meno vita.
E non c’era neanche un gatto.
Sakura suonò il campanello della sua vecchia casa,
ingannando l’attesa grattando via la vernice già graffiata dallo stipite della
porta: poteva ancora notare i segni che aveva lasciato con le unghie negli anni
precedenti, in momenti di noia come quello.
La porta non fu aperta, ma sentì la voce della
madre raggiungerla dall’interno.
« È aperto! »
Forse la ragione per la quale Sakura era così
restia al decoro era perché a sua madre mancava completamente.
Alzò gli occhi al cielo ed entrò, scavalcando la spazzatura che ingombrava
l’entrata per lasciare le scarpe nella scarpiera sovraffollata; conosceva
quella casa come il palmo della sua mano, quindi si diresse verso il salotto,
dove immaginava di trovare sua madre.
Come previsto era lì, poggiata su un tavolino
basso con una tazza di cioccolato caldo, a guardare una terribile soap opera.
Indossava la stessa vestaglia che aveva da quando Sakura aveva memoria, con i
capelli color pesca raccolti in una crocchia disordinata sulla testa. L’intero
quadro somigliava vagamente a quello che Sakura rappresentava quando passava le
serate sola a casa; l’unica differenza era la sigaretta che si consumava tra le
dita di sua madre.
« Ciao, mamma » la salutò, rendendosi conto del
fatto che sua madre non si fosse nemmeno voltata a guardarla.
Lo fece solo in quel momento, guardandola
distrattamente e rivolgendole un sorriso di circostanza, segno del fatto che
non fosse poi tanto felice di vederla. « Oh, ciao, amore » le disse, prendendo
un’abbondante sorsata dalla tazza. « Cosa ti porta qui? »
« Beh– »
« Possono essere solo due le cose: soldi, o ti
senti in colpa di non aver fatto visita alla tua povera madre per così tanto
tempo e sei qui per una chiacchierata. Dal momento in cui non sembri avere
l’aria di una che vuole chiacchierare, meglio che tu sappia che non ho soldi; o
almeno, non in più ».
« Devo solo prendere un paio di cose » le rispose,
seccata « se avrò bisogno di un viaggio alla ricerca dei sensi di colpa ti farò
sapere ».
Si voltò e cominciò a salire le scale.
« Oh, certo! Fa’ come se fossi a casa tua!» le gridò sua madre sarcasticamente. « Non
serve chiedere il permesso! »
C’era un sottile velo di polvere a ricoprire
qualsiasi cosa, nella sua vecchia stanza: l’aprire i cassetti degli armadi le
faceva pizzicare gli occhi e seccare la gola. C’era ancora qualche maglietta
sotto al suo letto, ma erano vecchi vestiti estivi che neanche le andavano più.
Provò ad estendere la ricerca nelle altre stanze della casa, ma non trovò nulla
che le fosse mai appartenuto.
In compenso, però, trovò un vecchio animale di
peluche – un cagnolino, più precisamente – abbandonato sul suo vecchio letto.
Anch’esso, come ogni altra cosa, era polveroso ed apparentemente dimenticato,
ma da bambina era stato il suo giocattolo preferito e le era ritornato in mente
proprio negli ultimi giorni. Lo raccolse e ne constatò la morbidezza, ascoltando
il tintinnio prodotto dal cozzare delle perline che lo riempivano.
C’era della spugna che fuoriusciva da un piccolo strappo sul collo, ed il
nasino presentava parecchi segni di morsi, ma quelle particolarità erano la
prova di quanto amore avesse ricevuto negli anni.
« Ciao, Rex ».
Per il capriccio di un momento, decise di portarlo
con sé.
« Mamma? » chiamò, scendendo le scale. « Sai per
caso che fine ha fatto al mio vestito verde? Quello che presi per il matrimonio
di Eiko ».
Del fumo grigio contornò il viso pensoso della
madre. « Credo fosse in una delle scatole che ha preso tuo padre ».
« Eh? » si accigliò Sakura.
« Ci siamo divisi le cose, ricordi? Lui ha preso
praticamente tutto e a me è rimasta la casa, il tuo vestito probabilmente è
finito lì ».
Sakura sospirò: se c’era una persona che proprio
non voleva affrontare quel giorno, era decisamente suo padre; o, meglio dire,
la moglie di suo padre. Ogni volta che Sakura andava da lui, quella donna
praticamente la scacciava via: e se per caso suo padre apriva la porta per
primo, avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per farla sentire quanto
più indesiderata possibile.
Ma Sakura aveva davvero bisogno di quel vestito.
« Okay, grazie » disse, abbassandosi per stampare
un bacio sulla guancia della madre.
Sua madre diede un bacio al vuoto in risposta, ma la sua attenzione era già
catturata dal televisore.
Lasciò la casa con un cipiglio imbronciato ed un
cane di peluche stretto sotto al braccio.
Aveva bisogno di un’altra doccia: non avrebbe mai potuto presentarsi al
ricevimento con i capelli puzzolenti di fumo.
Suo padre e la sua nuova famiglia vivevano al
centro di Konoha, proprio in fondo alla strada in cui abitava Kakashi.
Fu per circostanza che Sakura si ritrovò a percorrere il viottolo del suo
appartamento.
Di certo non lo stava cercando, né sperava di incontrarlo... fu solo una
coincidenza. E se si ritrovò ad alzare lo sguardo, passando sotto la sua
finestra, fu solo la reazione naturale che si ha quando si passa davanti a
qualcosa che si conosce bene.
E se per coincidenza lui si trovò seduto lì a leggere alla luce del sole, e se
per caso abbassò lo sguardo proprio nel momento in cui lei lo notò... beh,
sicuramente si sarebbe fatto un’idea sbagliata.
Dopo un momento di confusione in cui si fissarono
reciprocamente, lui parlò.
« Posso aiutarti? » chiese, leggero.
« Non stavo cercando lei » rispose, evasiva. « Sto
andando a prendere delle cose a casa di mio padre; non gira tutto intorno a
lei, sa ».
« Lo terrò a mente » annuì lui. « Bel cane,
comunque ».
« Uh– » Sakura si ricordò del peluche tra le sue
braccia e provò goffamente a nasconderlo dietro la schiena: non voleva che
Kakashi la vedesse con qualcosa di così infantile; avrebbe potuto pensare che lei fosse infantile. « È solo... un
vecchio ricordo... »
« È un cane? » chiese. « Potrebbe essere una
lontra, credo, o un cavallo. È carino, è tuo? »
Sakura diede un’occhiata al viale: da quel punto,
riusciva a vedere la casa di suo padre.
« Devo andare » gli disse. « Non ho molto tempo ».
Kakashi annuì ancora, comprensivo. « Non voglio
trattenerti ».
Sakura si voltò lentamente e riprese a camminare,
sentendo gli occhi del suo maestro perforarle la schiena ad ogni passo. Siccome
l’entrata della casa di suo padre era visibile dalla finestra di Kakashi,
quella sensazione di sorveglianza non l’abbandonò nemmeno quando era ovvio che
Kakashi fosse tornato al suo libro.
Sakura bussò alla porta ed attese: da lì, la
raggiunsero le urla di una bambina che sembrava essere in piena collera. Si
rese conto, troppo tardi, di essere arrivata in un brutto momento; ma prima che
potesse ritirarsi per provare più tardi, la porta si spalancò e la moglie di
suo padre comparì sull’uscio della porta: stressata, irritata, delle ciocche
bionde e scolorite le cadevano intorno al viso, in disordine. Nel momento in
cui riconobbe Sakura, tutta la sua stizza si concentrò sulla fronte, dandole
un’espressione di puro sdegno; prese a dondolare la bambina con i capelli rosa
chiaro con un ritmo impaziente del fianco.
« Che vuoi? » chiese, senza sforzarsi a mascherare nemmeno minimamente tutto il
disdegno che provava per la precedente famiglia di suo marito.
Non fu affatto facile mantenere un’espressione
calma, soprattutto di fronte a tutto quel disprezzo malcelato. « Ciao, Mayu. Io... ecco... stavo solo – c’è papà? »
« È occupato » la liquidò Mayu,
continuando a cullare la bambina ed ignorandone le braccia tese. « Che vuoi? »
« È... per il mio vestito, quello verde. Mi
chiedevo se fosse qui ».
La lingua di Mayu scattò
in un verso infastidito. « Perché dovrebbe essere qui? Non puoi tornare dopo?
Non ho proprio tempo per– »
« Mi serve per stasera » la interruppe Sakura. «
Se mi lasciassi entrare potrei– »
« No, aspetta qui » le sbatté la porta in faccia improvvisamente.
Imbarazzata, prese a dondolare sulle punte dei
piedi ed attese.
Buttò uno sguardo alla finestra di Kakashi e, con immenso orrore, notò che
fosse ancora voltato in sua direzione. Distolse gli occhi frettolosamente, imbarazzata:
quella scena era già abbastanza umiliante senza la testimonianza di qualcuno
che rispettava. La sua unica fortuna era il fatto che, probabilmente, a quella distanza Kakashi non potesse sentirla e,
forse, non sapeva che quell’incontro non fosse affatto piacevole.
Ma la parola chiave era il “forse”: lo sharingan
poteva leggere il labiale...
Passarono diversi minuti, e proprio quando Sakura
stava cominciando a chiedersi se dovesse bussare ancora o ammettere la
sconfitta e andare via, la porta si spalancò di nuovo e qualcosa di verde le fu
letteralmente sbattuto in faccia.
« Tieni » le disse Mayu, richiudendosi in casa.
Sakura raccolse la stoffa verde dalla spalla e,
tendendo una mano, lo allungò davanti a sé: era verde, era sua, ma non era un
vestito: era solo una gonna.
Una gonna che non indossava più da almeno otto anni.
Per un attimo pensò di bussare ancora e farlo
notare alla nuova moglie di suo padre, ma si rese conto che avrebbe significato
sfidare la sorte.
Se l’avesse fatto, probabilmente Mayu avrebbe negato
di aver mai visto un vestito del genere in casa sua e le avrebbe sbattuto di
nuovo la porta in faccia.
Quindi Sakura buttò la gonna verde nel vaso di piante più vicino e, con un
tonfo, si lasciò cadere sui gradini della casa di suo padre.
Scrutò ancora la finestra di Kakashi, ma era sparito.
Ed ora?
Rigirò Rex tra le mani ansiosamente: l’unico
vestito che avrebbe potuto essere più o meno appropriato all’occasione era
sparito e non aveva un centesimo per comprarne un altro.
Un’occhiata al suo orologio le disse che aveva esattamente quattro ore prima
della cerimonia, che in effetti era abbastanza tempo per correre nell’ufficio
dell’Hokage, scegliere una missione di rango C, completarla, riscuotere la paga
e correre per i negozi per comprare un vestito nuo–.
Ma a chi voleva darla a bere? Il solo scegliere un
vestito le avrebbe portato via almeno tre ore, tanto per cominciare.
Nervosa, cominciò a mordere il naso di Rex – un
vizio che aveva fin da bambina – mentre osservava i piedi delle persone che le
passavano davanti. C’erano ancora delle opzioni da considerare: poteva prendere
in prestito un vestito di Ino, ma non avevano esattamente la stessa taglia –
soprattutto sul seno.
Tutti gli abiti di Ino rischiavano di caderle di dosso, e non era nemmeno
sicura che Ino avesse qualcosa di appropriato ad una cerimonia.
C’era
sempre Hinata, e lei doveva avere
qualcosa di appropriato... ma era addirittura più fortunata di Ino e Sakura messe
insieme, in quanto a seno: neanche lei avrebbe potuto aiutarla.
Avrebbe potuto chiedere a Tenten, ma non avevano quel tipo di confidenza.
Chi restava?
Potresti
sempre andare con ciò che hai ora, si disse.
E
fare la figura della troglodita? È un suicidio sociale! Le
rispose l’altra parte di sé.
Le restava solo declinare l’invito, prendersi un
bel gelato e rintanarsi in casa davanti alla TV per avvilirsi per tutto il
divertimento che si stava perdendo.
Un paio di piedi che occupavano la sua visuale si
fermarono e si voltarono in sua direzione.
Le servì un attimo per rendersi conto di conoscere quelle dita, quindi risalì
la figura con lo sguardo, fino ad incontrare un viso mascherato e mezzo
nascosto da un libro arancione.
« Yo » la salutò Kakashi. « Stai bene? »
Sakura smise di masticare il naso di Rex e lo
schiacciò tra le ginocchia, sperando di nasconderlo alla vista.
« Sì, sto bene » rispose, fallendo nel convincerlo.
« Ah » annuì. « Ma le persone felici non si
siedono sull’uscio della porta degli altri, con l’aria di chi sta per scoppiare
a piangere ».
Passandosi una mano tra i capelli, Sakura sospirò.
« Ho perso il vestito che avrei dovuto mettere stasera, ecco tutto » disse.
« Che sfortuna » commentò. « Che hai intenzione di
fare? »
« Cosa posso
fare? » chiese, perplessa. « Non ho altro che possa andare bene, a meno che
non vadano di moda le uniformi o i vestiti da lavoro ».
« Non puoi comprare un altro vestito? » rifletté.
Sakura scosse la testa. « Non ho i soldi » ammise,
a bassa voce.
« Beh... » Kakashi si grattò la nuca. « Tua madre
non potrebbe– »
« No ».
« E tuo– »
« Nemmeno lui – almeno non finché quella ha qualcosa da dire a riguardo »
disse, puntando con il mento la porta alle sue spalle.
Kakashi cadde in un silenzio pensieroso che durò
circa cinque secondi, poi all’improvviso chiuse di scatto il suo libro e fece
un passo in avanti per tenderle una mano.
« Andiamo, Cenerentola ».
« Cosa? » chiese lei, guardando la sua mano tesa
come si guarda un piede mozzato.
« Andiamo a procurarci un vestito per il ballo ».
Sakura lo fissò. « Le ho già detto che non ho
soldi » arrossì, imbarazzandosi ancora.
L’unico occhio visibile di Kakashi si increspò su
un sorriso gentile. « A quello ci penso io ».
Sakura scattò in piedi ignorando la sua mano. «
Sensei – no – è davvero troppo – non potrei mai– »
« Consideralo come un pagamento di tutti i conti
che ti ho lasciato » le disse, seppellendo le mani nelle tasche. « Credo di
aver messo su un bel debito, huh? »
Sakura fece dondolare lentamente la testa da lato
a lato. « No » disse, sforzandosi.
« È troppo, Kakashi-sensei, i vestiti sono costosi e io– »
« Davvero, non c’è problema » mormorò, scrollando
le spalle. « Tu scegli, io pago, andiamo tutti a casa felici e contenti ».
Non c’era modo di contraddirlo: l’uomo alfa non
stava chiedendo, stava ordinando.
Sakura non aveva voce in capitolo, quindi lo seguì mentre si incamminava lungo
il viale, verso il centro, con Rex ancora premuto contro il petto.
« Ma è sicuro di poterlo fare? Non è, che so,
favoritismo? » chiese, incerta.
« Cosa te lo fa pensare? » rispose, spensierato.
« Non l’ho mai vista offrirsi di comprare un
vestito a Naruto o Sasuke ».
« Se avessi pensato per un attimo che ne avessero
avuto bisogno, mi sarei offerto in un secondo » le disse, nel modo più sincero
possibile. « E cosa c’è di sbagliato nel favoritismo, comunque? Ho parecchie
ragioni per preferirti agli altri due... »
Eccolo di nuovo, quel tono, quell’insinuazione.
Sakura strinse più forte Rex, mantenendo lo sguardo fisso al suolo, sentendo la
presenza di Kakashi con ogni senso del suo corpo.
Lui, d’altro canto, era troppo occupato a guardare le vetrine per notare
l’irrigidimento dei suoi muscoli a quel commento. « Che ne dici di questo? » chiese,
rallentando.
Sakura si voltò a guardare la vetrina che aveva
suggerito Kakashi e scosse la testa.
« Troppo casalingo » disse: non si aspettava di certo che Kakashi conoscesse la
differenza tra casual, semplice ma elegante e formale.
Quello che cercava lei era qualcosa di elegante, ma abbastanza semplice da
essere usato in altre occasioni: il suo vecchio vestito verde era adatto ad
ogni occasione e dubitava di trovare qualcosa di tanto perfetto...
« E questo invece? » suggerì ancora lui,
rallentando di nuovo.
Sakura scosse violentemente la testa. « Quello è
Suzuki! » piagnucolò, per poi spiegare, alla sua espressione perplessa. « È
troppo costoso, Kakashi-sensei ».
La ignorò. « Però hanno un sacco di vestiti »
disse, indicando la vetrina con tre manichini che sfoggiavano abiti sontuosi e
sicuramente carissimi. « Ed anche carini ».
Fin da ragazzina Sakura aveva sognato di comprare
un vestito da Suzuki.
Spesso, quando faceva shopping con Ino, entravano e provavano decine di capi,
ma nessuna di loro due poteva permettersi quei prezzi esorbitanti, per quanto i
vestiti fossero stupendi. « Non ne sono sicura... » disse, ansiosa.
Ma Kakashi era già entrato e, con un sospiro
rassegnato, Sakura lo seguì.
Era il tipo di negozio in cui donne come Kimura
Yoshi compravano ogni giorno.
Donne che dedicavano più tempo al make-up che agli allenamenti.
Donne che si accaparravano uomini come Kakashi Hatake, al contrario di quelle
come Sakura che attiravano l’equivalente umano di uno straccio sporco di birra.
Camminò tra i corridoi, carezzando le stoffe
morbide e i pizzi delicati: aveva già individuato almeno venti capi senza i
quali non poteva vivere, ma si costrinse a raggiungere il retro, dove si
trovavano i vestiti, insieme a Kakashi.
« Andrà bene uno di questi? » le chiese, dando ad
ogni fila di vestiti delle occhiate perplesse.
« Non sa quanto... » disse Sakura cupamente, cominciando
a sfogliare le grucce.
Le sembrava ancora una pessima idea quella di permettere al suo insegnante di
regalarle un vestito supercostoso; in più, non aveva mai fatto shopping con un
uomo: nessuno dei suoi ex l’aveva mai assecondata e l’ultima volta che suo padre
l’aveva accompagnata a fare compere era ancora una bambina; ora aveva un’altra
ragazzina a cui dare attenzioni, e a Sakura restava solo Kakashi Hatake.
Devo
trovarmi un ragazzo decente, pensò, rammaricata, scartando
un abito crema, con roselline di raso che salivano fino al collo. Un ragazzo decente saprà colmare il vuoto
che stai cercando di riempire con il tuo insegnante.
Sakura si fermò per voltarsi a guardare goffamente
Kakashi, per poi notare che anche lui la stava guardando, con aria divertita.
« Non vuole darmi un consiglio? » gli chiese. « Mi sembra giusto, dato che è
lei a pagare, no? »
Il suo cipiglio divertito si espanse. « Vuoi
davvero la mia opinione? »
Sakura scrollò le spalle: non si aspettava chissà
cosa, in fondo era un uomo.
Lo sguardo di Kakashi vagò tra scaffali e
scaffali, battendo pensieroso un dito sul mento, poi si fermò. « Che ne pensi
di quello? » le chiese. « Non si sbaglia mai con il rosso ».
Sakura seguì il suo sguardo e incrociò il vestito
rosso che le stava indicando: il suo cuore perse un battito, mentre si
innamorava ancora ed ancora, ma si impose di non illudersi troppo. Era di media
lunghezza, a maniche corte e con taglio sotto al seno, con una bellissima gonna
di chiffon pieghettato. Il rosso scuro del fondo si intonava perfettamente con
la scia di petali rosa, bianchi e rosso chiaro che cadeva sul seno, fino al
fianco sinistro.
Raccogliendolo dalla gruccia, Sakura lo accarezzò
con le dita, meravigliandosi della morbidezza dei tessuti; poi diede un’occhiata
al cartellino e sbiancò, rimettendolo a posto tra gli altri.
« Cos’ha che non va? » chiese Kakashi,
raggiungendola per ripescare l’abito. Sakura rabbrividì discretamente, quando
il suo braccio le sfiorò la spalla. « Ti starebbe davvero bene ».
Il viso di Sakura era di pura esasperazione. «
Kakashi-sensei, costa quanto l’intera paga di una missione di grado B »
mormorò. « Non posso permetterle di– »
« Non c’è problema– »
« Ma non
posso– »
Si interruppe quando le mani di Kakashi si
poggiarono sulle sue spalle, spingendola dolcemente verso lo specchio più
vicino, tenendole il vestito premuto contro il busto.
« Non credi sia una scenetta carina? »
Il cuore di Sakura sobbalzò sia per il desiderio
di quel vestito, sia per la sensazione del corpo di Kakashi premuto dietro al
suo: non era affatto facile restare lucida mentre lui le stava così vicino, con
una mano premuta sullo stomaco per farle aderire meglio il vestito.
Era come rivivere la scena al campo di allenamento...
« Sensei, è troppo caro... » disse, dandogli un’occhiata
supplichevole attraverso lo specchio.
Lo vide abbassarsi leggermente per avvicinare la
bocca al suo orecchio. « Sakura » sussurrò. « Non preoccuparti, posso
permettermelo ».
Probabilmente
perché ha passato la maggior parte della sua vita a perfezionare la tecnica con
cui scarica gli amici con il conto da pagare...
Poi le cose si fecero di nuovo strane: la mano che
le teneva il vestito sulla spalla si sollevò, il respiro di Sakura le morì in
gola mentre guardava il suo insegnante raccoglierle una ciocca di capelli e
portarla al viso, per annusarla. « Sei stata in un bar o qualcosa del genere
oggi? » chiese.
« No... Perché? » richiese lei, senza fiato.
« Sento odore di fumo nei tuoi capelli ».
La consapevolezza e l’imbarazzo la colpirono come
un secchio d’acqua gelida. « Oh no, non è niente, ho solo fatto visita a mia
madre ». Con immensa forza di volontà si divincolò dalla stretta di Kakashi e
si passò una mano tra i capelli. « Ogni tanto fuma, tutto qui ».
Kakashi annuì vagamente, osservandola.
Il vestito sulla gruccia pendeva ancora dal suo indice. « Quindi questo, huh? »
A Sakura non restava più coraggio per cercarne un
altro, quindi si arrese. « Ne è sicuro, sensei? » chiese. « Non voglio essere
un peso... »
« Nessun problema, ma mi aspetto di essere
ripagato » le disse, incamminandosi verso la cassa.
« In che modo? » chiese, seguendolo. Sapeva bene
che non aveva tutti quei soldi per ripagarlo.
« In genere, ti direi con favori sessuali sempre
più perversi » le rispose. « Ma sono sicuro di poter pensare ad altro ».
Sakura deglutì sonoramente, provando ad ignorare
le farfalle nello stomaco che le suggerivano che pagarlo in favori sessuali
sarebbe stato dannatamente divertente.
E poi quanto perversi potevano diventare dei
favori sessuali...?
Sakura restò docilmente indietro, mentre Kakashi
pagava il conto e la donna alla cassa gli sorrideva flirtante, mentre incartava
il vestito con della carta e riempiva la borsa con perline profumate: qualcosa
che probabilmente non avrebbe fatto se a pagare il conto fosse stata Sakura.
Apparentemente, la donna non sapeva che un uomo che compra un vestito così
costoso probabilmente è già legato a qualcuno.
Eppure, anche se Kakashi non era praticamente
legato a nessuno (Sakura non pensava che quella
contasse), era evidentemente restio ai flirt. I suoi sorrisi erano sempre caldi
ed amichevoli, ma mai suggestivi; liquidò gli ovvi tentativi di attirare la sua
attenzione della cassiera con gentilezza di circostanza. Le disse “grazie” ed “arrivederci”,
poi si voltò verso Sakura ed il suo sorriso si illuminò un po’ di più. «
Andiamo? »
Sakura non donò alla donna alla cassa nessun’altra
occhiata mentre seguiva Kakashi fuori dal negozio, sulle strade illuminate, per
poi accettare la borsa che le porse.
« Questo dovrebbe ripagarti per gli orecchini,
giusto? » le chiese.
« E molto altro... » rispose debolmente lei,
ancora incredula del fatto che Kakashi fosse capace di tanta generosità.
« Forse dovrei venire a questa festa, in fin dei
conti » osservò, grattando il mento con un dito. « Sarebbe un peccato perdere
un’occasione di vederti con un vestito che ho scelto per te ».
La bocca di Sakura si seccò a quel commento,
quindi abbassò lo sguardo.
« Beh... » riprese Kakashi, lentamente. « Forse
no. Ci vediamo in giro, Sa– »
Si pietrificò quando Sakura improvvisamente fece
un passo avanti e gli circondò il busto con le braccia, con la borsa che cozzò
contro la sua schiena ed un vecchio pupazzo di peluche che gli premeva contro
un fianco. « Grazie » mormorò, contro il suo petto. Le parole sole non
bastavano ad esprimere tutta la gratitudine che provava per lui, quindi nell’emozione
del momento tutto ciò che le sembrò appropriato fu un abbraccio.
« Per favore, cerchi di venire stasera ».
Una mano di Kakashi si posò delicatamente sulla
sua spalla. « Certo » le disse.
Non ricambiò l’abbraccio, e Sakura gliene fu
grata: sapevano entrambi che sarebbe stato inappropriato.
Una cosa era lei che lo abbracciava, un’altra sarebbe stata lui che la
ricambiava: sarebbe stato troppo intimo. Le strade erano affollate e qualcuno
avrebbe potuto riconoscerli...
Sakura fece un passo indietro, dando a Kakashi il
più dolce dei suoi sorrisi.
« Grazie » gli disse ancora. « La ripagherò, lo prometto, ma probabilmente non
con favori sessuali ».
E infine, per
risparmiarsi ulteriori imbarazzi, girò i tacchi e volò a casa.
Fino a quel pomeriggio, Kakashi non aveva nessun
motivo per aspettare il ricevimento degli Hyūga: non conosceva il clan
personalmente, non era mai stato particolarmente interessato alle loro usanze, e
perché immischiarsi di propria volontà in interazioni sociali quando avrebbe
potuto starsene a casa con un buon libro?
Ma poi aveva comprato quel vestito per Sakura ed
ora era abbastanza impaziente di vederla indossarlo, così tanto da andare a
quel ricevimento.
Il Copy Ninja non era avvezzo agli slanci di
generosità: perché viziare gli altri quando avrebbe potuto viziare sé stesso? Perché
pagare un conto quando poteva lasciarlo a qualcun altro? Ma quel giorno si era
sentito dispiaciuto per Sakura.
Ognuno dei suoi studenti gli suscitava, a proprio modo, un po’ di compassione.
Naruto era un idiota delirante che aveva passato la maggior parte della propria
vita venendo odiato da chiunque.
Sasuke aveva problemi emotivi e soffriva di stress post-traumatico per quello
che suo fratello gli aveva fatto (e per quello che lui aveva fatto a suo
fratello).
E Sakura era stata silenziosamente delusa da tutti
quelli su cui avrebbe dovuto contare... ancora ed ancora. E, per una volta,
Kakashi aveva pensato di dover intervenire.
Per parecchio tempo, aveva pensato che Sakura
fosse la più normale del team, e solo recentemente aveva capito che lo pensava
solo perché non l’aveva mai capita. I ragazzi erano quelli nei quali si poteva
rivedere: come loro, aveva perso la sua famiglia in giovane età ed aveva
combattuto con il senso di solitudine che ne conseguiva. Sakura, invece, aveva
ancora la sua famiglia e per Kakashi questa era una gran fortuna, soprattutto
per uno shinobi. Dal suo punto di vista, essere privati dell’affetto familiare
era il peggio che potesse succedere, ed avere una famiglia – di qualsiasi tipo –
era sicuramente meglio di non averne affatto una. Non aveva mai capito che, a
volte, alcuni tipi di famiglia possono dare tanto dolore con la loro presenza quanto
con la loro assenza.
Era stato proprio durante il divorzio dei suoi
genitori che Sakura era scoppiata a piangere sul campo di addestramento. L’aveva
accompagnata a casa, ancora singhiozzante, e fu solo allora che conobbe sua
madre.
Gli fu chiaro da subito che quella donna notava a stento che sua figlia
esistesse, figurarsi se si fosse accorta del suo dolore. Gli chiese da subito
cosa avesse fatto di male Sakura, dando per scontato che avesse causato
problemi.
C’era tanto di Sakura in quella donna: la testardaggine, l’aggressività, il
vizio di spostare la mascella verso destra quando sentiva qualcosa che non le
piaceva; ma allo stesso tempo era l’opposto di sua figlia... e Kakashi si
chiese se Sakura si fosse sforzata a diventare quanto più diversa – geneticamente
possibile – dalla madre.
Mentre quella donna era sciatta, pigra ed ostile,
Sakura era meticolosa, attiva e faceva sempre del suo meglio per essere gentile
con gli altri. All’epoca, Kakashi aveva provato un moto di compassione per
Sakura: quella donna era critica, fastidiosa e maleducata; Kakashi si sentiva
soffocare dopo averle parlato per soli diciassette secondi: non voleva pensare
a come avesse fatto Sakura a conviverci per diciassette anni.
Non sapeva molto di suo padre, invece, oltre al
fatto che non lo incolpava per aver lasciato sua moglie. L’aveva visto solo una
volta agli esami chūnin di sua figlia, e gli era sembrato un uomo normale,
con i capelli rosso opaco.
Aveva applaudito ai risultati di Sakura con l’entusiasmo di uno spettatore di
una recita d’asilo: ne era divertito... ma non prendeva nulla sul serio. Dal
poco che Kakashi poteva ricordare, suo padre aveva sempre capito ed apprezzato
il suo impegno ed i traguardi che aveva raggiunto.
Ricordava gli incoraggiamenti e l’orgoglio che aveva per lui l’unico uomo al
quale si fosse mai ispirato, ed era a quei ricordi che si aggrappava con amore
fiero; il disinteresse che suo padre aveva sviluppato negli ultimi periodi
della sua vita lo avevano ferito, mentre invece sembrava che il padre di Sakura
non avesse mai avuto interesse per lei...
E nel guardare la matrigna di Sakura scacciarla da
casa sua, aveva avvertito di nuovo quel senso di pietà: il linguaggio del corpo
di quella donna sprizzava ostilità. Sakura era stata liquidata nel modo più
rapido che Kakashi avesse mai visto.
Quindi, forse era stato proprio quel moto di pietà
a spingerlo a farle quell’offerta.
Aveva notato quel senso di sconfitta gravarle sulle spalle e le sopracciglia le
si erano aggrottate in un’espressione lamentosa che aveva visto solo negli
occhi di Pakkun quando da piccolo per sbaglio gli aveva dato un calcio.
Quella ragazza aveva bisogno di qualcosa che la tirasse su: se avesse avuto un
ragazzo (uno decente, almeno), Kakashi le avrebbe suggerito di costringerlo a
comprarle un vestito; ma dal momento in cui era ovvio che suddetto ragazzo mancasse
(decente o meno), sembrava essere suo dovere accontentarla.
E poi i soldi non gli mancavano affatto: dopo aver
tenuto il portafogli serrato per trent’anni,
aggiunto all’eredità considerevole lasciatagli da suo padre, avrebbe potuto
comprare centinaia di vestiti costosi a centinaia di ragazze ed avere ancora un
bel conto in banca. Non era facile spillare dei soldi al Copy Ninja, ma il
pensiero di rendere felice Sakura valeva ogni centesimo.
E poi era stato ripagato con un sorriso: uno di
quelli caldi e speciali che esprimevano immensa gratitudine, anche mentre i
suoi occhi restavano all’erta ed incerti, ma non la biasimava per quello.
Lui stesso era incerto riguardo sé per la maggior parte del tempo, e di sicuro
Sakura trovava il suo comportamento sconcertante.
Ma Kakashi notava che, anche se le restava un po’ di timida rigidezza poggiata
sulle spalle quando era con lui, i suoi occhi indugiavano su di lui in modo
meno casto di quanto lei pensasse.
Era quel tipo di sguardo che riceveva dalle donne
che stavano valutando se invitarlo a salire per poi portarlo a letto.
Quindi Kakashi decise in quello stesso momento che
sarebbe andato al ricevimento, senza sforzarsi di illudersi che sarebbe andato
per altre ragioni oltre al vedere Sakura con il vestito che aveva scelto per
lei.
L’idea del cibo gratis, inoltre, sanciva il patto.
Aggiornamento lampo dopo soli cinque giorni: non
ci credo nemmeno io.
Come premesso nel capitolo precedente, è da qui che ci si inoltra nel vivo
della storia ed il prossimo è in assoluto il mio capitolo preferito (quindi,
come per l’attuale, credo e spero di aggiornare rapidamente).
I lettori di The Window sono più di quanto sperassi ed è gratificante, quindi
grazie mille soprattutto ai recensori che danno sempre un pizzico di carica in
più!
« Okay, confessa! Con chi sei dovuta andare a
letto per avere quel vestito? »
« Come se te lo dicessi ».
Ino incrociò le braccia, le labbra arricciate in
quello che sarebbe potuto essere sia un sorriso, sia un broncio feroce.
« Sai, mi hai sorpresa: pensavo che ti saresti presentata con quel terribile
vestito verde di sempre ».
Le sopracciglia di Sakura scattarono verso l’alto.
« Attenta, maialino, l’invidia ti rende paffuta, sai? »
Ino sembrava pronta a ridurre Sakura in brandelli
per poi sparire: le dita le si contrassero e si strinsero forte intorno al
braccio dell’amica. « Andiamo, Sakura! Come diavolo hai fatto a permetterti un
vestito di Suzuki?! Hai svolto una missione B da sola? Hai ricattato un Uchiha?
Ti sei trovata uno sugardaddy?
»
All’ultima insinuazione, Sakura cominciò a sudare
freddo, ma mantenne la calma: un regalo da parte del suo maestro non lo rendeva
di certo il suo sugardaddy;
neanche dopo il commento sui favori sessuali.
« Sei solo gelosa perché sto meglio di te »
ribatté caldamente.
« Piuttosto convinta, eh? » Ino le rivolse uno
sguardo altezzoso. « Neanche in confronto al mio cadavere saresti considerata
più carina di me: perfino quello farebbe girare più teste di te! »
« Questa è una teoria che mi piacerebbe testare–
»
« Ragazze! » Il litigio fu frenato da una mano che
si frappose tra di loro, dividendole – mano attaccata al braccio di Shikamaru
Nara. « Siete entrambe molto belle: vogliamo entrare? »
Ino si voltò verso di lui. « Chi è più carina? Io
o Sakura? »
Shikamaru impallidì. « Cosa? »
Sakura si voltò a sua volta verso il ragazzo. «
Andiamo, non è una domanda difficile, a meno che non consideri carina la
spazzatura: dicci chi pensi sia la più carina ».
Shikamaru sospirò profondamente, le spalle
irrigidite. « Choji ».
« Cosa?! »
urlarono in coro le due.
« No – Choji – è lì, devo andare ». Shikamaru non
era definito un genio per nulla: sparì tra la folla raggruppata fuori l’entrata
della villa degli Hyūga, anche se Sakura aveva il leggero sospetto che
Choji non fosse affatto arrivato.
Si voltò con un cipiglio verso Ino. « Vogliamo entrare? » chiese.
Ino le rivolse un sorriso lezioso. « Andiamo ».
Poi si presero sottobraccio come due perfette
amiche (perché – come ogni buon shinobi sa – bisogna tenersi stretti gli amici,
ma le rivali in amore stronze e traditrici ancora di più) e si avviarono lungo
il viottolo del giardino, seguendo la coda di arrivati verso la sala
principale, dove si sarebbe svolto il ricevimento.
C’era già parecchia gente all’interno, divisa in gruppetti rumorosi.
Gli occhi di Sakura scannerizzarono la stanza, cercando qualche volto noto ed
ignorando la possibilità che in realtà stava cercando un solo viso.
« Oh, Sakura, guarda! » Ino le diede una leggera
gomitata al fianco, indicando un numeroso gruppo di invitati che sembravano
radunati intorno ad un solo uomo in particolare. « Quello è il capitano della
squadra inseguimenti ANBU, non male eh? »
Sakura lo guardò ed arricciò il naso: era sicuramente
niente male, ma fin da lì poteva notare quanto cercasse di attirare
l’attenzione. Infatti, aveva già tre o quattro ragazze che si sbracciavano,
metaforicamente, per cercare di catturare il suo sguardo – ognuna di loro con
acconciature particolari, gioielli sfarzosi e trucco.
Ciò mise Sakura leggermente a disagio, dato che lei aveva semplicemente i
capelli sciolti ed indossava giusto un pizzico di mascara e ombretto.
Era ancora molto fiera del suo vestito, ma si chiese se in qualche modo fosse
svalutato, indossato da lei.
Non aveva possibilità contro quelle ragazze, ma
alla fine neanche le importava.
« Non è il mio tipo » rispose vagamente, sperando che Ino lasciasse perdere.
Cominciò poi a cercare i suoi compagni di squadra, giusto per avere qualcuno da
usare come scudo umano per deviare l’oppressione di Ino.
« Qual è il tuo tipo, allora? » chiese l’amica.
Solo qualche giorno prima, Kakashi le aveva fatto
la stessa domanda.
« Intendo » l’anticipò Ino « oltre le scimmie
alcolizzate con l’energia sessuale di un
criceto ».
Sakura si accigliò, facendo intendere all’amica
quanto non fosse divertita dalla battuta.
« Anche se tu sembri riuscire ad interessarti solo all’apparenza e ai soldi »
le disse freddamente « io preferirei un ragazzo con un buon cuore ed una bella
personalità ».
Ino fece scattare la lingua e roteare gli occhi. «
Intendi grasso e brutto? »
« No, intendo qualcuno di riflessivo, che non ha
bisogno di essere al centro dell’attenzione. Preferirei un uomo umile e
taciturno, ad uno rumoroso e detestabile – a prescindere dai soldi ».
Ino puntellò il mento con un dito. « Mmh, capisco
» rifletté. « Certo, ora ho capito: invece del meglio, preferiresti un asociale
che si mette all’angolo a leggere un libro con un paio di occhiali e le macchie
di cuoio sui gomiti ».
« Lo dici come se fosse una cosa brutta »
brontolò. « Preferirei uno che se ne sta in disparte ad un moccioso borioso:
almeno non dovrei competere per le sue attenzioni » disse, dando al giovane
capitano ANBU un’occhiataccia: aveva tutto il fascino che una donna potesse
desiderare, ma perché perdere tempo? Di certo non le avrebbe concesso neanche
un secondo sguardo, considerando l’imbarazzo della scelta che aveva. Aveva già
interpretato la parte della rivale in amore con Sasuke ed era un’esperienza che
non voleva ripetere mai più in vita sua, per nessuno.
« Beh, sono curiosa di vedere cosa farai con i
ragazzi che ho invitato » le disse Ino, con un tono di voce talmente allusivo da
far ghiacciare il sangue di Sakura. « Uno è nell’unità di interrogazione ANBU,
un altro è un insegnante jonin e l’ultimo insegna all’accademia pre-genin. È
parecchio docile e noio– voglio dire – mite, sono
sicura che ti piacerà. Gli altri due sono quasi caparbi quanto te, ma immagino
ti serva qualcuno del genere che prenda le redini in mano, considerando quanto
fai schifo in amore ».
« Mmh » mormorò Sakura distrattamente, contorcendo
il collo in posizioni assurde mentre cercava invano i suoi amici.
Un lampo di giallo attirò la sua attenzione e, prima che Ino potesse cominciare
un altro dei suoi sermoni sull’importanza di prendersi sul serio, Sakura alzò
una mano.
« Naruto! Quaggiù! »
Naruto si fece strada attraverso la folla con
Sasuke al seguito. « Sakura-chan! Sei bellissima! Hai fatto qualcosa ai
capelli? »
Naruto era fatto così: le sue abilità di
osservazione da ninja erano rivali solo a quelle diun gatto morto. « Vestito nuovo, Naruto » lo
corresse pazientemente Sakura, facendo un breve giro su se stessa. « Che ne
pensi? »
« È fantastico! Ti fa le... » si portò le mani al
petto mimandone la crescita, facendo accigliare pericolosamente la compagna.
Non che lo notò: era troppo occupato a guardarle il seno. « Mi piace il fiocco
».
Allungò una mano per toccare il fiocco che le
raccoglieva il vestito proprio sotto al seno, ma Sakura schiaffeggiò il dito
intraprendente.
Ino si schiarì la voce e Naruto la degnò di uno sguardo, come fosse appena
accortosi della sua presenza. « Oh, hey, Ino! » poi – dopo una pausa fin troppo
lunga – aggiunse « Anche tu stai bene ».
Ino fece roteare ancora una volta gli occhi, con
grande gioia di Sakura. « Comunque » disse, rivolgendo all’amica un’occhiata
infastidita, « devo trovare Choji prima che lui trovi il buffè e mandi all’aria
la dieta, ci vediamo dopo ».
Mentre Ino si immergeva nella la folla, Sakura si
voltò verso i suoi compagni di squadra.
« Qualcuno di voi ha visto Kakashi-sensei? »
« No », le rispose Sasuke, di evidente malumore:
sembrava essere innervosito dal solo fatto di trovarsi lì, ma tutti sapevano
che non fosse amante degli eventi sociali.
« Pensavo non venisse » disse poi Naruto, confuso
« non partecipa mai a questo genere di cose ».
« Oh, sì, giusto... non importa ». Non fosse stato
per il fatto che lei glielo aveva chiesto e che lui aveva mostrato interesse
nel vederla indossare il suo vestito; ma dal momento in cui stavano parlando di
Kakashi, non c’era ragione di vederlo arrivare se non con almeno un’ora di
ritardo.
Si rilassò, cominciando a godersi la festa.
Hinata si avvicinò a loro per ringraziarli di essere venuti, ma era palese che
i suoi ringraziamenti fossero rivolti più a Naruto che a chiunque altro; ma,
come sempre, Naruto non lo notò.
Il suo balbettare ed arrossire di continuo avrebbero potuto annoiare chiunque,
ma non Naruto: era sempre così gentile ed educato con lei, come se Hinata fosse
la persona più accattivante che avesse mai conosciuto.
Ciò aggravava ovviamente la cotta che la poverina aveva per lui.
Ma c’era di peggio di cui innamorarsi: Sakura
rivolse a Sasuke un’occhiata obliqua e sospirò impercettibilmente.
Lui non si era mai disturbato ad incoraggiarla come Naruto faceva con Hinata;
anche in quel momento, se ne stava lì con un leggero cipiglio in viso,
palesemente irritato da... beh, tutti si chiedevano cosa irritasse così tanto
Sasuke.
La risposta era semplicemente tutto.
« Non ti da fastidio? » chiese improvvisamente il
ragazzo in questione, ad Hinata.
« Se le due casate si congiungono, Neji prenderà il tuo posto come erede ».
Hinata sobbalzò leggermente quando capì che la
domanda fosse rivolta a lei: era chiaro che Sasuke la intimidisse ancora più
del normale. « Uhm, beh... non mi importa » sussurrò, inchiodando gli occhi al
pavimento. « Neji è più talentuoso di me e si merita di guidare questa famiglia:
se ne prenderà cura come io non saprei fare, e poi... se restassi l’erede,
sarei costretta a sposare un altro Hyūga. In questo modo, invece, posso
sposare chi voglio... ».
A quelle parole, lanciò uno sguardo innervosito a
Naruto, arrossendo vistosamente; lui la ricambiò con un sorriso allegro,
inconscio dell’insinuazione: Sakura gli avrebbe dato volentieri un pugno in
testa per il suo essere così ignaro, ma non ne ebbe il tempo perché una voce
fuori campo invitò i presenti ad avviarsi in una sala più piccola ed intima
della villa, dove la cerimonia di annessione si sarebbe svolta.
Arrivati in suddetta sala, Sakura si accomodò – insieme ai suoi compagni di squadra
– sul pavimento, occupando la prima fila.
Non era di certo la cerimonia più avvincente a cui
avesse partecipato, ma apprezzava il fatto che un clan antico come gli Hyūga
stesse seppellendo una tradizione altrettanto antica quanto tediosa, e se
doveva essere seppellita, andava fatto in egual modo.
Hinata non poteva essere più felice di passare il suo titolo a Neji, e a Neji
stesso sembrava andare bene.
Sulla stanza calò un silenzio tombale, mentre Neji
recitava un giuramento sul tenere alto l’onore della famiglia, da tramandare
alle future generazioni... Fino a che non fu interrotto dal sonoro scricchiolio
della porta che si apriva, mentre ogni testa in sala si voltò per lanciare
un’occhiataccia al ritardatario.
Sakura non si sorprese minimamente quando, voltandosi in contemporanea con il
resto degli spettatori, vide Kakashi sull’entrata, con le mani in alto in segno
di scusa mentre provava a richiudere la porta più silenziosamente di quanto
l’avesse aperta.
« È di nuovo in ritardo... » borbottò petulante
Naruto, al suo fianco.
Un debole sorriso carezzò le labbra di Sakura,
mentre guardava il suo insegnante prendere posto tra le ultime file, ma
scomparve rapidamente quando si rese conto di quanto il suo interno si stesse
contorcendo e della velocità dei battiti del suo cuore.
L’occhio di lui incontrò i suoi, ma prima di poterne interpretare lo sguardo, Sakura
si voltò, mordendo nervosamente le labbra.
La cerimonia riprese, ma si sentiva molto più a
disagio di quanto lo fosse prima dell’arrivo di Kakashi: la sensazione di essere
osservata la faceva rabbrividire, e la tentazione di voltarsi per constatare se
lui la stesse veramente guardando era indomabile; ma essendo in una stanza
affollata da persone immobili, il suo insolito movimento avrebbe attirato
l’attenzione di almeno un centinaio di occhi.
Conoscendo Kakashi, probabilmente stava sfogliando silenziosamente il suo
solito libro, invece di guardarle la nuca – che non era poi uno spettacolo così
interessante – e la sua paranoia era insensata, eppure non riusciva a scacciare
quella sensazione...
Quando la cerimonia fu finalmente conclusa, i
presenti si alzarono ed applaudirono; Sakura fece lo stesso, ma nello stesso
istante in cui fu in piedi, si voltò alla ricerca di Kakashi, che però era
sparito tra il mare di volti.
Avrebbe voluto andare a cercarlo, ma Naruto le afferrò prontamente un polso e
la trascinò per la sala.
« Andiamo! » esortò. « Stanno servendo il cibo! »
Ma Sakura non aveva per niente fame: racimolò
qualche stuzzichino in un piatto e, sentendosi una completa emarginata, si andò
a sedere su una delle sedie poste ai confini della stanza, sondando la folla:
c’erano Ino e Shikamaru che aiutavano Choji a scegliere cosa mangiare o meno;
Sasuke sembrava cercare le uscite d’emergenza, mentre Naruto era già alla seconda
portata; poi c’erano Neji ed Hinata che ricevevano le congratulazioni dai
rispettivi team.
Ma dov’era Kakashi?
Qualcuno – di stazza maggiore al suo insegnante –
si accasciò sulla sedia accanto alla sua.
« Yo ».
Sakura si irrigidì. « Non sapevo fossi qui »
disse, con malcelato disprezzo. « Come va, Ikki? »
C’era un sottile cerchio violaceo intorno al suo
occhio sinistro, dove lei stessa aveva riversato soddisfacentemente i suoi
sentimenti solo qualche notte prima, e nella mano destra teneva un bicchiere
dal contenuto trasparente che Sakura dubitava fosse acqua.
« Oh, tutto bene » le rispose, rivolgendole un sorriso quasi supplichevole che sarebbe
stato affascinante, sul suo volto abbastanza gradevole, se solo non lo avesse conosciuto.
« Tu come stai? »
Sakura scrollò le spalle e si voltò, decidendo di
ignorarlo.
« Ho pensato a noi... »
Sgranocchiò un pezzo di torta di riso.
« Sai, credo di aver fatto un grande errore ».
Si leccò le dita.
« Il tuo vestito è davvero bello, comunque, sei
stupenda ».
Sakura si schiarì la voce, più per esternare il
fastidio di aver finito il cibo con cui distrarsi che per accettare il
complimento ricevuto.
« La ragazza della Radice? È stata un errore. Non
ci vediamo più– ».
Qui, Sakura rise. « Non ci è voluto molto.
Cos’aveva che non andava? Non era disposta a pulire la tua schifezza? »
« Sakura, tu non capisci » disse Ikki, voltandosi
completamente verso di lei. « So di essere un disastro, ma sto migliorando.
Sono cambiato, voglio cambiare – per te! »
« Vuoi un altro occhio nero da abbinare a quello
che hai già? » chiese seccamente. « Perché sarei più che felice di– »
« Ciò che avevamo era speciale, Sakura, devi
ammetterlo anche tu ».
« No » sbuffò lei, guardandolo stupefatta. «
Quello che avevamo era orribile ».
« Era tutta colpa dell’alcol! Ma te lo giuro, sto
davvero provando a lasciarmi quella storia alle spalle ».
« Quindi quello cos’è? » chiese, indicando il
bicchiere tra le sue mani.
« Acqua. Annusa » glielo portò al naso, ma lei
indietreggiò, dovendo però ammettere che sì, era solo acqua; si sentì
leggermente in colpa per aver presunto il contrario.
« Non berrai più? » chiese, scettica. « Da quando
l’hai deciso? »
« Da quando ho capito che stavo rovinando la
nostra relazione. E la mia carriera. E quando il mio medico mi ha detto che il
mio fegato stava per cedere, ma sai... non è questo l’importante... È stato
solo un modo per farmi aprire gli occhi e capire quale peso devo averti scaricato
addosso ».
« Già, l’hai fatto » confermò, imbronciata.
« E mi sei mancata così tanto... »
La bocca di Sakura si inarcò verso sinistra ed il
cipiglio le si ammorbidì. « Davvero? »
« Ho permesso all’alcol di prendere il controllo
sulla mia vita, me ne sono reso conto ora e sto cercando di correggere tutti
gli errori che ho commesso. La prima cosa è... averti lasciata andare ».
Non
caderci! La avvertì una vocina flebile nella sua testa, ma
Sakura incrociò le braccia, sulla difensiva. « Mi hai definita “frigida” »
disse, cercando di controllare la voce per non sembrare ferita, ma fallendo.
« Ero ubriaco » le disse in tono di scusa,
carezzandole un braccio.
« E mi hai tradita con quella ragazza » constatò
lei.
« Ero ancora ubriaco, è stato solo un errore ».
Sakura non sapeva cos’altro dire: la gola le si
era chiusa e sentiva già la rabbia scemare.
Lo stava per perdonare, ma non voleva, non era così disperata da arrivare a
riprendersi Ikki dopo che l’aveva umiliata in quel mo–
« Sakura, tesoro, ti amo ».
Un nodo le attanagliò la gola.
« Dacci un’altra possibilità, ti dimostrerò quanto
sono cambiato, e voglio che funzioni stavolta ».
Ti
rivuole solo perché gli facevi il bucato e gli preparavi da mangiare,
le disse bruscamente la vocina. Sa che
sei l’unica disposta a stare con lui.
Ma
sembra davvero dispiaciuto, rispose alla voce
della ragione.
E
tu sei un’idiota.
Sakura non voleva essere un’idiota: questa era la
sua chance di rifiutarlo.
Era tornato da lei strisciando – probabilmente perché pensava che sarebbe stata
così buona da cedere – ma ora aveva il coltello dalla parte del manico.
Non lo voleva di nuovo: le piaceva essere single e godersi il tempo libero a
casa sua, senza sentire le interiora attorcigliarsi nell’ansia del vedere il
suo ragazzo bussare alla sua porta ubriaco, sgraziato e volente del sesso che
lei non voleva. Sapeva esattamente dove poteva mettersi quel suo “amore”, e
glielo avrebbe detto, se solo qualcun altro non si fosse seduto proprio accanto
a lei, sospirando. Alzò lo sguardo ed il cuore le saltò in gola: poteva
riconoscere il modo in cui quell’uomo si sedeva ovunque, come se possedesse quella stessa sedia.
« Sakura » disse Kakashi, secco. « Naruto vuole
parlarti ».
Sakura batté le palpebre, incredula. « Come,
scusi? »
« Naruto. Vuole parlare con te. Va’ a vedere di
cosa si tratta ».
Tutto qui? Nessun commento sul suo vestito? Nessun
sorrisetto privato? Nessun indizio che avesse notato qualcosa dal collo in giù?
« Okay... » si alzò.
Ikki si allungò per afferrarle una mano. « Sakura–
»
Lo evitò. « Torno subito » lo liquidò, dando a
Kakashi un’occhiata incuriosita, prima di avviarsi verso il buffè, dove aveva
visto Naruto l’ultima volta.
Dopo una breve ricerca lo trovò mentre si scagliava su un piatto di pesce
grigliato.
« Naruto, che c’è? »
« Huh? » le rivolse uno sguardo offuscato:
evidentemente aveva già cominciato a tracannare sakè, dato le occhiate sfocate
ed il fatto che stesse mantenendo le bacchette in modo sbagliato.
« Kakashi ha detto che volevi parlarmi » disse. «
Sembrava urgente ».
« Uhm... non... non so » si guardò intorno, come a
cercare la risposta, poi si illuminò.
« Oh, hey! Sakura, guarda, guarda, guarda! Sono un tricheco! » disse, ed
improvvisamente si infilò le bacchette nel naso.
Le sembrò ovvio all’istante che Naruto non avesse
niente di importante da dirle, quindi a che gioco stava giocando Kakashi? Sospirò
e scosse la testa, ritornando dove aveva lasciato il suo maestro ed il suo ex.
Solo che l’ex non c’era più: restava solo il suo
apparentemente soddisfatto insegnante, che fissava il soffitto e si grattava il
mento attraverso la maschera. Un cipiglio le arricciò la fronte, mentre si
fermava davanti a lui.
« Dov’è andato Ikki? » domandò.
« Si è improvvisamente ricordato di avere un
appuntamento » disse Kakashi, usando lo stesso tono poco convincente che
adoperava quando doveva giustificare i suoi ritardi.
« Quello è sangue...? » chiese lei, indicando la
sedia su cui era stato Ikki.
« ...ketchup ».
« Giusto » disse, scrutandolo. « Stavo per
ricordargli io stessa un appuntamento, sa? Proprio prima che lei arrivasse ».
« Davvero? » mormorò piatto.
« Sì ».
« Perché dalla mia ottica, sembravi stare per
perdonarlo ».
« Beh, no » lo rimproverò lei. « Mi stavo solo
preparando ».
« Davvero? » ripeté,
nello stesso tono incredulo.
La infastidì. « Non
ho bisogno che lei si prenda cura di me, sensei » scattò.
« Prendermi cura di
te? Sakura, non ho la più pallida idea di cosa tu intenda » si alzò e le
rivolse un sorriso che voleva essere paternalistico, ma che sarebbe sembrato
piacevole a chiunque non abituato ai modi del Copy Ninja, specialmente avendo
un solo un occhio a cui affidarsi.
« Se vuoi scusarmi »
le disse cordiale, sorpassandola « ho bisogno di inumidirmi le labbra. Ci
vediamo dopo ».
Lo disse con una
presunzione tale da farle dubitare che intendesse solo andare a prendere
qualcosa da bere. Rabbrividì: la sua perversione la stava davvero infettando,
perché ora riusciva ad immaginare parecchi esempi di cui “inumidirsi le labbra”
poteva essere l’eufemismo.
Per carità...
aveva davvero bisogno di un fidanzato.
Aveva avuto ragione –
ovviamente, perché era raro il contrario – il rosso le stava benissimo: perfino
i suoi capelli dal colore particolare si intonavano perfettamente a quel quasi
bordeaux, che inoltre le risaltava il verde degli occhi.
E le risaltava anche
il seno, anche se cercava di convincersi di non averci prestato troppa
attenzione.
Era bellissima: non
era di certo una novità, perché l’aveva sempre reputata carina, ma orala guardava con un pizzico d’orgoglio.
Era sconcertante la semplicità con cui una donna potesse passare da un ruolo
all’altro: sul campo di battaglia, Sakura era un’avversaria temibile grazie
alla sua forza mostruosa, alla sua precisione infallibile ed alla tenacia
granitica; era difficile credere che quella guerriera amazzone fosse la stessa
bambolina in versione principessa formato tascabile con i tacchi alti ed il
make-up che gli stava davanti.
La sua apparenza era di una volubilità disarmante: Kakashi sapeva che, pur
sapendo interpretare perfettamente la parte della ragazzina indifesa, sapeva
essere feroce come una volpe, se infastidita.
Ed era per ciò che
Ikki stava mettendo a repentaglio la sua vita, sedendole accanto.
Anche dall’altro lato della stanza, Kakashi poteva notare l’irrigidimento delle
spalle di Sakura ed il modo in cui i suoi occhi si stringevano in due fessure.
A giudicare dal linguaggio del suo corpo, Ikki stava cercando di ingraziarsela
lusingandola, e per un po’ era stato sicuro che a Sakura non poteva importare
di meno: aveva sentito un altro moto di orgoglio nei sui confronti: nessuno dei
suoi studenti si sarebbe bevuto le scuse di un ragazzaccio ANBU con ancora il
moccio al naso.
Poi i suoi occhi si
erano rilassati giusto un po’, ed anche la sua postura stava cambiando: Ikki
aveva lanciato l’esca ed ora cercava di tirarla a galla.
Sakura sembrava ancora distante, ma Kakashi si chiese se, dandole altri trenta
secondi, non avesse finito per abboccare.
Infastidito dalla sua
bontà di cuore, l’aveva raggiunta e si era seduto accanto a lei, abbozzato la
prima scusa che gli era passata per la mente – Naruto che la stava cercando era
parso sufficiente per allontanarla – per poi rivolgere ad Ikki lo stesso tipo
di sguardo che avrebbe dato alla suola della sua scarpa dopo aver calpestato
degli escrementi di cane.
Il giovane uomo di
fronte a lui – davvero poco più che un ragazzino – deglutì, intimidito. Bene:
ciò rendeva le cose più facili. « Ora dovresti andare » intonò, leggero.
Gli occhi di
Ikki saettarono verso Sakura. « Ma Sakura– »
« Va’. Ora »
ripeté Kakashi, alzando l’indice. « E se ti becco di nuovo a parlare con quella
ragazza, farò personalmente in modo che tu venga regredito a chūnin così
rapidamente che non avrai neanche il tempo di dire “Ciao ciao, Sakura” mentre
ti strapperanno l’uniforme di dosso. Intesi? »
Non si era
sprecato a minacciarlo di violenza fisica: se si vuole spaventare un ANBU,
bisogna colpirlo sulla sua debolezza: la sua vena arrogante ed elitaria.
Ancora più divertente era il fatto che le sue minacce non erano a vuoto: aveva
ancora abbastanza influenza sulle divisioni di capitani ANBU che non gli
sarebbe stato affatto difficile mandare via a calci una recluta
dall’istituzione, senza dare spiegazioni in merito.
E, a giudicare dal pallore del suo viso, Ikki lo sapeva bene.
« Quindi »
disse Kakashi, leggermente più cordiale « hai intenzione di andartene o devo pugnalarti
una gamba con questa bacchetta? » chiese, raccogliendo uno dei bastoncini dal
piatto di Sakura.
Neanche le
minacce di violenza fisica, ad ogni modo, potevano essere fatte a vuoto.
Sakura non
sarebbe stata particolarmente felice una volta tornata, ma meglio prevenire che
curare.
Ikki non le faceva bene, mentre lui le stava facendo un favore scacciandolo –
forse, più velocemente e di sicuro più efficacemente di quanto avrebbe potuto
fare lei.
Ma visto
l’umore di Sakura al suo ritorno, Kakashi rischiava seriamente la decapitazione
a morsi, quindi si allontanò velocemente con la scusa di un drink per poi
lasciarsi trascinare da alcuni conoscenti in conversazioni più leggere.
Teneva
comunque un occhio su Sakura (il che era complicato, avendone uno solo su cui
contare), che sembrava divertirsi. Discuteva animatamente con Naruto, per poi
prendere Ino per mano e costringerla a muoversi insieme a lei a ritmo di
musica, ridendo spensierata.
Le ragazze erano davvero strane entità: non sapeva dire se quelle due si
odiassero, fossero migliori amiche o entrambe.
Almeno i
ragazzi amalgamavano di meno le due cose, pensò, osservando il modo in cui
Naruto e Sasuke litigavano per le solite sciocchezze.
Si rese conto,
dopo un po’, di non essere l’unico a tenere d’occhio Sakura: un gruppetto di
ragazzi seduti contro il muro osservava le due ragazze volteggiare insieme,
mentre parecchi uomini sparsi per la sala le occhieggiavano più discretamente,
alcuni con tanto di moglie sottobraccio. Sicuramente alcuni guardavano Ino, ma
secondo lui, era Sakura con i suoi capelli audaci ed il vestito grazioso ad
attirare più attenzione.
Il rosso è il colore dell’amore, della passione e del desiderio; e ciò che il
suo vestito proponeva, i suoi movimenti, le sue risa mozzafiato ed il suo
spirito promettevano.
Se non
l’avesse visto con i suoi occhi, non avrebbe mai potuto dire che Sakura fosse un
ghiacciolo a letto.
Poi la ragazza
si fermò per prendere un drink e, naturalmente, nel momento in cui la preda si
separa dalla mandria, i predatori si preparano ad attaccare.
Kakashi osservò – con intensità crescente – un uomo approcciarla mentre era
intenta a versarsi da bere. Avrebbe davvero voluto poterli sentire: l’uomo
sembrava sciolto, cordiale e carino, ma all’improvviso Sakura scosse la testa e
si voltò verso il buffè: il predatore ricevette un rifiuto e si ritirò.
Ma nel momento
in cui il primo si allontanò, un altro si fece avanti per tentare la sorte:
sembrava esserle più vicino d’età, anche se leggermente meno sicuro di sé.
Invece di chiederle direttamente di ballare come aveva sicuramente fatto il primo,
cercò di ammorbidirla prima: la sua fine venne sottoforma di un idiota biondo
che si avventò su Sakura per trascinarla via per mostrarle qualcosa di
interessante che sembrava star crescendo sulla schiena di Kiba: il ragazzo fu
scaricato al buffè senza che Sakura potesse ripensarci un secondo.
Ed aveva
davvero dato una possibilità ad un coglione certificato come Ikki?
Aveva
chiaramente bisogno di rivedere le sue priorità...
« Dove sei,
Kakashi-san? »
« Mmh? » batté
le palpebre colto alla sprovvista, voltandosi poi per incontrare Kimura Yoshi
poggiata al muro alle sue spalle. « Proprio qui, direi ».
« Sicuro?
Sembri essere ad un milione di miglia di distanza » rivolse lo sguardo in
traiettoria a dove era indirizzato quello di Kakashi fino a pochi attimi prima.
« Stavi osservando quella ragazza ».
Una sorta di
tensione si fece spazio nel suo petto.
« È la tua
studentessa, giusto? » chiese Yoshi.
« Già... ».
Yoshi inclinò
la testa e inspirò. « È carina, e lo è anche il vestito che indossa ».
« Credo di sì
».
Sapeva, o
almeno sospettava qualcosa, ma Kakashi era abbastanza sicuro che avrebbe tenuto
i suoi pensieri per sé. Dopotutto, chi era lei per giudicare il modo in cui
guardava la sua studentessa, quando poi lei stessa era passata per quasi ogni
letto dell’élite di Konoha? Yoshi non era una pettegola: era una delle poche
cose che non poteva permettersi.
Quindi,
qualunque fossero stati i suoi pensieri o i suoi sospetti, li lasciò perdere e
si sporse vero lui.
« Mio marito sarà in viaggio di lavoro per tutto il weekend, sono libera
stanotte ».
« Libera? »
mormorò lui, come se non avesse recepito la sua richiesta implicita.
Un ghigno le
deformò le labbra. « Libera di fotterti il cervello, ovviamente ».
« Ah » annuì.
« Certamente, che sciocco ».
« Ti aspetto a
casa tua, fa’ con comodo. Avremo tutta la notte davanti ».
Ora aveva
qualcosa da aspettare; sorrise internamente mentre Yoshi si allontanava
lentamente, facendo ondeggiare i fianchi più del necessario. Quella donna era
dannatamente trasparente, ma era comunque un buon passatempo.
Quella sarebbe
comunque stata l’ultima volta, probabilmente.
Kakashi lasciò
lo sguardo tornare verso Sakura: Ino sembrava starle presentando tre uomini, ai
quali Sakura sorrideva timidamente, portando una ciocca di capelli dietro
l’orecchio, vestendo i panni della ragazzina indifesa che fingeva essere.
Conosceva quei tre: era stato in squadra con due di loro per una missione,
mentre il terzo era un amico di Iruka. Sembravano bravi ragazzi: Sakura poteva
fare molto peggio.
Aveva
fatto molto peggio.
Si convinse
del fatto che non aveva più bisogno di tenerla d’occhio e permise a Genma di
trascinarlo verso la socializzazione. Tra uno spuntino e l’altro al buffè,
ascoltava Kurenai lamentarsi delle difficoltà dell’essere un genitore single:
ad un certo punto aveva provato a rassicurarla menzionando vagamente il fatto
di essere stato cresciuto lui stesso da un genitore single e di essersela
cavata bene, ma Kurenai era sembrata ancora più preoccupata.
Guardò di
nuovo verso Sakura, giusto per convincersi di non aver bisogno di ricordare un
altro appuntamento, e la trovò a chiacchierare con uno dei tre ragazzi che le
aveva presentato Ino.
Si accigliò leggermente quando notò che l’uomo (uno degni ANBU, sembrava) le
stava versando un altro drink.
Si impose di non preoccuparsi: un po’ di alcol ad una festa non aveva mai fatto
del male a nessuno.
Ma più la
serata andava avanti, più cominciava ad allarmarsi: ogni volta che si voltava
verso Sakura – che ammetteva essere più spesso di quanto giustificabile dal
puro interesse casuale – sembrava essere sempre un po’ meno instabile sui
tacchi ed un po’ più civettuola con l’ANBU: rideva alle sue battute e gli
toccava il petto, e Kakashi poteva immaginare l’uomo farle più complimenti del
necessario riguardo il suo vestito.
Il vestito che lui le aveva regalato.
Ad un certo punto aveva anche preso la gonna vaporosa tra le dita; gesto che
fece ridacchiare Sakura, mentre gli occhi di Kakashi si ridussero a due
fessure.
Non voleva che
Sakura andasse via con quell’uomo, realizzò, soprattutto non dopo aver bevuto
così tanto; ma sembrava essere proprio l’intenzione che l’altro aveva.
Era ora di stroncare
i suoi sogni di gloria: qualcosa in cui stava diventando dannatamente bravo.
Ancora una
volta era stato un ANBU a catturare la sua attenzione: fin da quando Ino le
aveva detto di aver intenzione di accoppiarla con qualcuno, Sakura si era
imposta di non farsi piacere nessuno degli uomini che l’amica le avrebbe
presentato, ma quel ragazzo aveva un bel sorriso e delle belle mani, ed ogni
volta che voleva un altro drink era più che felice di obbedirle.
Accettò
volentieri il sapore amaro dell’alcol: la rilassava e le scioglieva le labbra.
Aveva un disperato bisogno di qualcuno che la distraesse da Ikki e da Kakashi,
e più beveva, più l’idea di usare l’uomo di fronte a lei per farlo le sembrava
meno sbagliata.
Sembrava carino: Ino aveva già messo il suo timbro di approvazione, ed Ino non
aveva mai torto riguardo gli uomini. Si chiese se, portandolo a casa, le
avrebbe offerto una compagnia migliore di quella di Ikki.
O addirittura pari a quella di Kakashi.
Beh,
probabilmente no: non c’era uomo in vita migliore di Kakashi, anche se la sua
prospettiva poteva essere dovuta alla sua esperienza molto limitata.
Ad ogni modo,
per essere così sfacciata da invitare quel ragazzo a casa sua, aveva bisogno di
un po’ di incoraggiamento: più beveva, più si sentiva sicura di sé. Fu solo
quando la stanza cominciò a volteggiare che si chiese se forse non avesse
strafatto un po’.
« Un altro
drink? » le chiese il ragazzo.
« Certo... »
Si voltò per
riempirle il bicchiere e la stanza improvvisamente prese a pendere verso
sinistra.
Non si rese nemmeno conto di star per cadere fino a quando un braccio forte e
sicuro non le circondò un fianco per riportarla in posizione verticale. «
Attenzione, piccolina » sentì mormorare pazientemente il suo salvatore. «
Abbiamo le vertigini? »
« Sensei? »
batté le palpebre confusa, sorpresa di vederlo. « Perché le sue teste non
smettono di muoversi...? »
Il braccio che
la aiutava a stare in piedi restò a circondarle saldamente la vita, mentre il
suo insegnante si rivolse al ragazzo che le stava tenendo compagnia. « Quanto
ha bevuto? »
« N-non lo so... tre bicchieri? »
« Di cosa? »
« Succo di
mirtillo rosso non diluito ».
« Cazzo, sul
serio? »
« Sto male »
mormorò Sakura, portando una mano allo stomaco.
Il suo
accompagnatore – tutti e tre – sembrò preoccupato. « Posso accompagnarti, se
vuoi ».
Il tono di
Kakashi fu discretamente divertito, nel rispondergli. « Non sarà necessario, la
porterò io a casa. Di’ ciao ciao,
Sakura ».
« Ciao ciao... » ripeté lei, sventolando la mano al ragazzo e
lasciandosi trasportare gentilmente verso le porte d’uscita: si sentì sollevata
nel realizzare di star andando a casa.
Quando
uscirono ed incontrarono l’aria fresca della notte, Kakashi le permise di
camminare da sola, pur tenendo una mano fissa nei pressi del suo gomito: ogni
volta che barcollava, la riprendeva pazientemente senza dire una parola.
Sakura inspirò
profondamente, cercando di scacciare il senso di nausea.
« Grazie » disse, fittamente. « Credo che gli avrei vomitato addosso se fossi
rimasta altri cinque minuti ».
« Ed invece
dovrai accontentarti di vomitare su di me » scherzò lui. « Sei sicura di aver
bevuto solo succo di mirtillo? »
« Ero sicura
fosse solo quello... anche se aveva un sapore particolare ».
« Beh, c’era
Genma, probabilmente era corretto ».
« Ah... questo
spiegherebbe perché sono ubriaca ».
« Sì » concordò
lui, prendendole ancora il gomito, mentre sembrava stare per inciampare nel
nulla per la quinta volta. « Peccato per il tuo appuntamento, sembrava un bravo
ragazzo ».
« Si figuri »
singhiozzò. « Il primo ragazzo che non è un maiale o uno smidollato che mostra
dell’interesse in me lo fa solo perché Ino gli ha detto di farlo. Mi vesto male
o qualcosa del genere? Perché attraggo solo spazzatura, e l’unica volta che
indosso qualcosa che ha scelto qualcun altro, un bravo ragazzo vuole parlarmi.
Huh. Forse è perché sono spazzatura, e per natura attraggo altra spazzatura per
soddisfare il mio intento biologico di avere dei bambini di spazzatura. I miei
genitori sono spazzatura quindi ha senso... »
« Sakura, sta’
zitta ».
E lei lo fece:
l’alcol le faceva sempre dire cose che normalmente avrebbe tenuto chiuse a
chiave nel suo cuore; sapeva che, da sobria, non si sarebbe mai permessa di
parlare così.
« Con quanti
ragazzi sei stata, Sakura? »
Oh, diamine:
si stava approfittando di lei, sapeva che le sue labbra erano al massimo della
disinvoltura e non perdeva l’occasione. Beh, al diavolo, la mattina dopo non si
sarebbe ricordata di nulla, quindi perché no.
« Quattro »
borbottò. « Quattro bastardi ».
« Tutti? »
« Tutti, sì »
annuì lei. « Ikki era un bastardo, non ha mai fatto niente di carino per me. Gli
facevo il bucato e gli preparavo da mangiare e lui non mi portava mai da
nessuna parte. E scopava da cani ».
Kakashi rimase
in silenzio.
« Prima di lui
c’è stato Takeo. Ci sono uscita per una settimana e
sembrava a posto, ma dopo averci dormito era tutto un “troia, fammi un
sandwich” o “zitta, puttana” e “cosa ne sai tu, sei una femmina”. Pensava che,
solo perché aveva un cazzo enorme, ogni ragazza doveva buttarsi ai suoi piedi,
ma non sapeva nemmeno come usarlo: pensava che non stesse andando bene finché
non piangevi ».
« Cosa hai
fatto? » chiese strettamente Kakashi.
« La terza
volta che mi ha chiamata troia gli ho dato uno schiaffo, gli saltarono due
denti, se ne andò e non ne ho più sentito parlare ».
« Avresti
dovuto tagliargli il cazzo ».
« Ci ho
pensato » ammise stancamente, poggiando la testa contro la sua spalla ed
avvolgendo un braccio intorno al suo: era meglio che cercare di tenersi in
equilibrio.
« Prima di lui ci fu Tetsuya. Non... non ricordo
molto di lui, era così noioso, iniziai ad odiare la sua compagnia per questo e
lo scaricai dopo poche settimane. E non riusciva mai a tenerlo su, sa? Quando
le cose sembravano star andando bene, perdeva interesse. Mi diceva che non
aveva mai avuto problemi con le altre, solo con me. Quindi, cos’ho che non va? »
Kakashi le
rispose con tono vago. « Sembra essere più un problema suo che tuo ».
« Ed il primo
è stato Shun: era sempre un passo avanti a me e mi
stava bene, perché non avevo il coraggio di guidare. Siamo usciti insieme per
circa tre mesi ed era sempre carino e divertente, mi piaceva, ma poi è andato
tutto storto ».
« Cos’è
successo? »
« Gli ho dato
la mia verginità ».
« Ah ».
« Mi aspettavo
che avrebbe fatto schifo ed andò davvero così. Intendo... uno schifo totale.
Era già imbarazzante e doloroso da sé, e poi all’improvviso senza avvisare mi
fa “ops, buco sbagliato” ».
Kakashi sembrò
colpito. « Sakura, non avrà per caso– »
« L’ha fatto »
rispose piattamente. « O almeno ci provò, ma lo scalciai via dal letto così
forte che volò dall’altra parte della stanza. Mi chiusi a riccio e non riuscii
a smettere di piangere, non ci siamo più parlati dopo quella volta ».
« Capisco »
mormorò, con tono ingannevolmente leggero e noncurante. « Come hai detto che si
chiama? »
« Uh... non lo
so, me lo chieda domani e riuscirò a darle anche il suo ultimo indirizzo ».
Kakashi sospirò e districò il braccio da quello di
Sakura per circondarle le spalle. « Hai ragione, i tuoi gusti in fatto di
uomini fanno davvero schifo, non sai davvero come sceglierli, Sakura ».
« Non sono io a scegliere loro, sono loro a
scegliere me »brontolò. « I bravi ragazzi, quelli che sanno ciò che vogliono,
non cercano quelle come me ». O
frequentano bar diversi: c’era sempre quella possibilità.
« Non può essere vero », le disse, sprezzante.
« Certo che può. Voglio dire, lei è un bell’uomo e
sa ciò che vuole: si interesserebbe mai ad una come me? »
Una domanda di sicuro azzardata, ma non poté
trattenersi ed ora era curiosa di ascoltare la sua risposta.
Alzò il viso per guardarlo e si accorse che stava scrutando intensamente la
strada buia, come a riflettere molto, molto attentamente, poi le disse: « Se ti
avessi incontrata stanotte per la prima volta, probabilmente sarei stato
intrigato da te: prima di tutto dai tuoi capelli, poi dai tuoi occhi e dal tuo
sorriso. Ed in fine, la tua risata avrebbe sigillato il patto ».
La sua risata? Una volta Ino le aveva detto che
sembra una capra in iperventilazione, di sicuro l’aveva menzionata solo per
gentilezza.
« Ti avrei probabilmente tenuta con le spalle al
muro per tenerti tutta per me per il resto della serata » disse. « E poi ti
avrei portata a casa. E se mi avessi offerto un caffè, avrei accettato. E se me
l’avessi permesso, avrei fatto l’amore con te per tutta la notte ».
Lo stava facendo di nuovo: quel suo modo tutto
particolare di farle ingarbugliare lo stomaco e di farle riscaldare le guance,
dicendo cose che un uomo nella sua posizione non dovrebbe affatto dire.
Ma lei sapeva che le avrebbe risposto così, ed era proprio per questo che
glielo aveva chiesto. Una donna migliore lo avrebbe ripreso per aver detto una
cosa del genere, ma non poteva prendersi in giro: le piaceva il modo in cui la
stuzzicava e scherzava con lei, e non rispondendogli glielo stava chiaramente
dicendo.
Le strade erano deserte a quell’ora della notte,
così si sentì abbastanza sicura da poter poggiare la testa contro la sua spalla
e trarre piacere da quel minimo contatto fisico, fingendo di essere troppo
ubriaca per tenere la testa dritta. Con il braccio di Kakashi a circondarle le
spalle, poteva illudersi che ciò che aveva detto fosse vero: che si erano appena
incontrati per la prima volta ad una festa e che lui la stesse accompagnando a
casa con l’intento di fare l’amore con lei, e la ragione per cui la stava
tenendo stretta a sé era perché erano amanti, non perché sarebbe sbattuta con
la faccia per terra se non l’avesse fatto.
Quando ebbero raggiunto il cancello del suo
condominio, stava per chiedergli se gli andasse del caffè, ma fortunatamente fu
lui il primo a parlare, evitandole di mettersi in ridicolo.
« Come ti senti? » le chiese.
« Nauseata » rispose, onestamente. « E mi gira la
testa ».
Non era affatto facile notare la preoccupazione
sul viso o nella voce di Kakashi neanche da sobri, ma Sakura fu sicura di averla
percepita in quel momento. « Starai bene da sola? »
« Probabilmente sì » rispose, cercando di
reprimere la nota di delusione nella voce quando si rese conto che stavano per
separarsi: niente caffè.
« O vuoi che salga? »
Sakura finse di pensarci su per un attimo. « Okay
» rispose in fine, con lo stesso tono che avrebbe avuto se le avesse storto un
braccio.
Ma fu un bene averlo lì, e
se ne rese conto inciampando per le scale che li avrebbero portati al suo appartamento,
al secondo piano; l’aveva acciuffata – per ben due volte – giusto in tempo da
evitare che si spezzasse quel suo stupido collo, o il naso, che era anche
peggio. Lo ringraziò ogni volta, imbarazzata del fatto che proprio lui, l’uomo
che le aveva insegnato a camminare sui muri, doveva vederla incapace di salire
un paio di rampe di scale: doveva essere una vera delusione per lui.
Le cose peggiorarono inesorabilmente quando
passarono davanti la porta della signora Godo, la sua vicina: aveva il vizio di
cucinare di sera tardi e, in quel momento, la puzza di grasso e spezie stavano
mettendo a dura prova il suo stomaco già in difficoltà.
« Cos’hai? Sei diventata pallida » le fece notare
Kakashi.
« Sto per vomitare » lo avvisò: sentiva già la
bocca diventare secca e la gola contrarsi.
« Ora ».
« Oh ».
La condusse velocemente alla porta; era sicura di
averla chiusa a chiave prima di uscire, ma Kakashi aveva fatto in modo da
aprirla più rapidamente di quanto avrebbe fatto lei con le chiavi: ovviamente,
le serrature erano nulla per un jonin d’élite.
La trascinò fino al bagno e Sakura cadde in
ginocchio davanti alla toilet, giusto in tempo per buttare
fuori tutto il buffè.
Kakashi si accovacciò accanto a lei, tenendole i capelli con una mano, mentre
con l’altra le carezzava la schiena, come se aiutare le ragazze che vomitano
fosse cosa da tutti i giorni per lui. Non voleva che la vedesse così, ma allo
stesso tempo gli era grata: grata che fosse lì ad accarezzarla e a mormorarle
rassicurazioni insensate. Nelle le poche volte che era stata male da piccola,
sua madre non era stata neanche capace di restare nella stessa stanza, mentre
Sakura vomitava.
Quando la nausea si fu placata, restò abbracciata
alla toilet, con la fronte imperlata poggiata contro
un braccio.
« Va meglio ora? » le chiese.
Annuì debolmente.
« Vado a prenderti dell’acqua ».
« Grazie ».
La accompagnò lentamente nella camera da letto e
la lasciò sul letto, per poi allontanarsi a prenderle dell’acqua; le sembrò di
non aver avuto nemmeno il tempo di poggiare la testa sul cuscino quando Kakashi
tornò e la sollevò per farle sorseggiare l’acqua.
« Devi sostituire i liquidi che hai perso ».
« Lo so » disse, irritata. « Sono un medico ».
« E dovrai toglierti quel vestito ».
« Mmh? » batté le palpebre, confusa. « Perché? »
« A meno che tu non abbia intenzione di dormirci,
ma te lo sconsiglio, si stropiccerebbe tutto ».
Sakura abbassò lo sguardo sul vestito e
piagnucolò: le piaceva indossarlo, ma non voleva di certo rovinarlo...
« Non guarderò » promise Kakashi.
Sollevò il viso, ma non trovando il coraggio di
guardarlo negli occhi, si fermò al collo.
« Non mi importerebbe... se guardasse » sussurrò.
Lo sentì esitare su di lei, per poi produrre un
suono leggermente divertito.
« Braccia in alto » ordinò, e lei obbedì: tirando
delicatamente le sfilò il vestito e lo poggiò sul letto, accanto a lei. Sakura
osservò attentamente il suo occhio esposto, curiosa della sua reazione: non si
era mai esposta così tanto a lui prima, e per un attimo rimpianse non aver
indossato un intimo più sexy; aveva optato per un vecchio reggiseno nero – perché
era l’unico che andava bene con il taglio del vestito – abbinato ad un paio di
mutandine nere a pois bianchi, scelte per comodità. Ino si sarebbe disperata a
vedere le sue scelte intime, che non facevano affatto giustizia al suo vestito.
Ma lo sguardo di Kakashi si soffermò su di lei,
deliberatamente, ed il modo in cui la guardò le fece sentire come se stesse
indossando la lingerie più pregiata al mondo.
O nulla affatto.
Si sforzò a riportare gli occhi sul suo viso, poi
le chiese: « Dove tieni i pigiami? »
« Gliel’ho detto... Non indosso niente a letto ».
« Nessuna vecchia maglietta o qualcosa di
simile...? »
Scosse la testa.
Kakashi sospirò e cominciò a svestirsi: Sakura
osservò con interesse il modo in cui fece cadere parte dell’uniforme sul
pavimento, per poi sfilarsi la maglia. « Braccia in alto » ordinò di nuovo, e
le fece scivolare la maglietta nera sulla testa.
La faceva sembrare ancora più piccola: le mani non
arrivavano nemmeno nei pressi delle maniche, e se si fosse alzata le sarebbe
arrivata almeno a metà coscia, ma era imbevuta del suo calore e del suo profumo
e Sakura si ritrovò ad abbracciarsi per assaporare quella sensazione. « Grazie
» disse ancora.
« Mi aspetto di riaverla domattina » la avvisò,
vestito solo con la canotta in nylon che comprendeva la maschera. « Starai bene
se vado via? »
Sakura lo guardò con occhi dolci. « Non può
restare solo un altro po’, nel caso in cui stia male di nuovo? » chiese. « A
meno che non abbia altro da fare... ».
Kakashi scrollò le spalle. « Non c’è problema, non
ho impegni ».
Sakura si sistemò sotto le coperte e Kakashi
avvicinò la sedia della sua scrivania al letto.
« Non le sto dando fastidio, vero? » chiese ancora, preoccupata.
Le sorrise nella penombra della stanza. « Non
preoccuparti, Sakura » le disse, raccogliendo un libro familiare da una tasca.
« Preoccupati solo dei postumi che avrai domattina ».
« Giusto... »
Affondò la testa nel cuscino e si portò una manica
al naso, mentre chiudeva gli occhi.
Con Kakashi accanto a lei si sentiva al sicuro, ricordandosi della sua presenza
ogni volta che sentiva il leggero rumore delle pagine che venivano girate. Non
passò molto tempo prima che cominciasse a sentirsi sfinita, ma i pensieri
continuavano a rimbalzarle in mente con palline da ping-pong.
Uno in particolare la fece arrossire leggermente: « Kakashi-sensei, non mi ha
detto cosa pensava del vestito » mormorò assonnata.
Non passò un attimo prima che le rispondesse. «
Pensavo che fossi davvero bellissima ».
Con un sorriso
felice, si rilassò ed il sonno la prese.
Kakashi osservò i capelli rosa della sua alunna, mentre
cadeva in un sonno sempre più profondo.
Sì, pensava davvero che fosse bellissima, ma il
vestito c’entrava poco.
La sveglia digitale sul comodino di Sakura lo
avvisava che mancava poco a mezzanotte: proprio in quel momento, Kimura Yoshi
era nel suo appartamento, nuda nel suo letto ad aspettarlo, e lui era lì a
tenere d’occhio una diciottenne ubriaca.
I più l’avrebbero definito uno scellerato, ma
Kakashi sapeva esattamente dove voleva essere: proprio lì, accanto a Sakura
addormentata.
Ed al suo cassetto della biancheria.
La
vita era stupenda.
Avevo previsto un aggiornamento molto più rapido
di questo, ma non avevo considerato il fatto che questo capitolo sia
lunghissimo e mi sono vista un po’ persa, I’m so sorry!
Come anticipato, questo è per me in assoluto il capitolo più bello della
storia, è qui che si capisce la natura del rapporto di Kakashi e Sakura e la
dolcezza che lo caratterizza. Questa storia sarebbe potuta apparire solamente
basata sul sesso e sull’alchimia fisica dei personaggi, ma è – a mio parere –
con questo capitolo che ci si distacca dal puro intento fisico, per entrare
nella sfera sentimentale del contesto.
Oltretutto, contiene ciò che è una delle dichiarazioni più belle che io abbia
mai letto, che a mio parere rende molto di più in inglese. « And if you offered coffee, I would accept. And if you let me, I would
make love to you all night ». Ciò, a mio avviso,
rende perfettamente ciò che Kakashi già prova per Sakura, anche se ancora non
lo sa.
Nel prossimo capitolo si avranno dei chiarimenti riguardo alla natura del
rapporto tra i protagonisti ma, ancora di più, degli approfondimenti del
mutamento che questi sta subendo.
Non sarà un capitolo emozionante come questo, ma avrà i suoi colpi di scena, di
certo.
Sarà piuttosto lungo, forse quanto questo, quindi non posso assicurare un
aggiornamento rapidissimo, ma potrei farcela in una settimana... Si vedrà!
Alla prossima! J
Quando Sakura si svegliò – al mattino dopo – a
causa dell’incessante squillare della sveglia, la prima cosa che notò fu il
pulsante mal di testa; la seconda, fu la pioggia scrosciante che batteva contro
la finestra, che dava alle case di fronte l’aria di essere parte di un dipinto ad
acquerello; la terza, fu la mano di Kakashi che le premeva gentilmente sulla
spalla.
« Riposa ancora un po’ » lo sentì dire con voce
roca, come se anche lui si fosse appena svegliato. « Aiuterà a far passare il
mal di testa ».
Per un attimo, la confusione si impossessò di lei:
provò a ricordare come mai Kakashi fosse nella sua camera da letto, vestito
solo dalla canotta in nylon; poi i postumi presero il sopravvento e rinunciò al
ragionare, convincendosi del fatto che c’era sicuramente una spiegazione
ragionevole che avrebbe ricordato più tardi, quando sarebbe stata meglio; si
riaddormentò quasi istantaneamente.
La seconda volta che si svegliò, la sveglia
elettronica la mise al corrente del fatto che fossero passate due ore: pioveva
ancora pesantemente e il mal di testa continuava a martellarle gli occhi.
Solo che Kakashi non c’era più.
E forse era meglio così, pensò, alzandosi dal
letto per dirigersi verso il bagno.
Era già abbastanza imbarazzante il fatto che si fosse preso cura di lei la
notte precedente, non pensava di poter convivere con la vergogna di farsi
vedere da lui con i postumi della sbronza.
Il riflesso nello specchio le mostrava due
occhiaie scure ed un viso pallido, e più fissava la sua immagine, più i cerchi
sotto gli occhi sembravano scurirsi e la fronte allargarsi.
Con un verso di puro disprezzo, riempì il lavandino di acqua gelida e vi
immerse la testa: se non altro, la aiutò a svegliarsi e le richiuse i pori
della pelle.
Mentre si stiracchiava, si rese conto di avere
ancora la maglietta di Kakashi addosso: aveva un vago ricordo di lui che gliela
prestava per qualche motivo... Per tenerla calda, forse... O per nascondere le
sue modestie in sua presenza... qualcosa del genere.
Il suo profumo era ancora impregnato nel tessuto e l’avvolgeva come un lenzuolo
di virilità, come se fosse stato proprio Kakashi a stringerla tra le sue
braccia e non solo la sua maglietta. Non aveva mai provato così tanto piacere
nel solo sentire l’odore di qualcuno: sua madre aveva sempre avuto addosso la
puzza di fumo, mentre suo padre un leggero alone di birra, perché l’unico
momento della giornata in cui lo vedeva era quando tornava da lavoro, di sera, e
si rilassava con una media davanti alla TV.
Invidiava molto il modo in cui Ino profumasse sempre di fiori e sua madre di
mele, ma il profumo di Kakashi non aveva nulla a che fare con quelli che
conosceva: non era romantico e dolce come i fiori e la frutta, né era
riconducibile a nessun altro buon odore. Il suo profumo, per lei, era attraente
su un livello più primitivo; non sapeva indicare perché le piacesse, ma quando
portò il collo della maglia al naso ed inspirò profondamente, avrebbe quasi
voluto ansimare. Il suo profumo rievocava pensieri di oscurità e forza, calore
e sesso, e si mescolava al suo quasi
eroticamente e–
Si sfilò la maglietta di dosso in preda al panico,
temendo di passare tutta la giornata seduta sulle piastrelle del bagno ad
annusare gli abiti di Kakashi in adorazione.
E non sarebbe stata una grande idea, avendo il sentore di aver qualcosa di
importante da fare, quel pomeriggio.
Mezz’ora dopo, era lavata e vestita e pronta ad
uscire: la prima cosa da fare era trovare Kakashi per restituirgli la maglietta
e scusarsi profondamente per essere stata così fastidiosa, la notte prima.
Fortunatamente – stando a quanto ricordava – il suo peggio era stato vomitare
davanti a lui e raccontargli tutti i suoi patetici trascorsi amorosi; almeno
non aveva fatto niente di tremendamente stupido... come fargli delle avances.
Dopo aver afferrato un ombrello rosa barbie, uscì
in strada diretta verso il quartiere di Kakashi; la pioggia era piuttosto
forte, ma almeno non c’era vento a spingerla sotto l’ombrello di Sakura.
Nonostante ciò, le pozzanghere le stavano bagnando gli stivali e le gambe e
quindi quasi corse verso la meta, nascondendo protettiva la maglietta di
Kakashi sotto il cappotto.
La finestra era chiusa quando arrivò: anche se
l’acqua la colpiva come una cascata, poteva ancora vedere Mr. Ukki poggiato
miserabilmente contro la finestra, come un prigioniero depresso che agogna il
sole. In una situazione normale, si sarebbe arrampicata ed avrebbe bussato alla
finestra.
Tuttavia, aveva imparato la lezione dopo
“l’incidente di quella mattina”.
Optò per un sassolino da scagliare contro il
vetro. « Kakashi-sensei » chiamò, con la pioggia a sovrastare la sua voce.
Stava per cercare un altro sassolino da lanciare,
quando la finestra si spalancò ed un ciuffo di capelli argentei ed arruffati
apparve. Senza dire una parola, Kakashi alzò una mano a palmo aperto come a
dire “Sì?”.
Sakura allentò la presa sul cappotto per lasciargli
intravedere l’indumento nascosto. “Le ho
portato la sua maglietta”.
Annuì ed alzò un dito. “Ti raggiungo tra un minuto” e richiuse la finestra, rientrando.
Sakura si strinse nel cappotto e si guardò
intorno: l’acqua scorreva intorno ai suoi piedi e giù per il pendio della
strada, trasformando i bordi dei marciapiedi in piccoli fiumi. Mentre aspettava
Kakashi, osservò il movimento di una foglia che si lasciava trasportare dall’acqua,
verso una pozzanghera formatasi all’incrocio alla fine della strada.
C’erano due persone, proprio lì, accovacciate accanto ad una bambina con un
grosso cappotto rosso col cappuccio, diretti probabilmente verso la scuola.
Fu solo quando l’ombrello nero dell’uomo si mosse
che Sakura lo riconobbe, per poi inspirare violentemente, chiedendosi se ci
fosse stato nei dintorni un posto in cui nascondersi, nel caso in cui si fosse
voltato e l’avesse riconosciuta a sua volta.
« Bel tempo, non trovi? »
Sakura sobbalzò: Kakashi era dietro di lei, con lo
sguardo rivolto proprio dove il suo era rimasto fino a pochi istanti prima. Stava
per rispondergli che no, non le sembrava affatto una bella giornata, quando
d’un tratto notò l’ombrello che il suo insegnante aveva poggiato sulla spalla.
Era di un rosa scuro e viola, quasi ridicolo
quando il suo: sarebbe dovuto sembrare completamente assurdo abbinato alla sua
figura, ma in qualche modo Kakashi riusciva ad apparire bello anche così.
La osservò, sinceramente intrigato dal suo modo di
fissarlo. « Che c’è? »
« Nulla » rispose lei, distogliendo rapidamente lo
sguardo.
« Non è tuo padre, quello laggiù? » chiese lui,
puntando con il mento i due adulti all’incrocio.
« E quella non è la tua sorellina? »
« Sorellastra » corresse lei. « Si chiama Kaede ».
Non sapeva molto, oltre ciò.
Kakashi le rivolse un’occhiata obliqua. « Non hai
intenzione di salutarli? Sono la tua famiglia, no? »
Sakura si morse l’interno di una guancia e non
rispose: che senso aveva attirare l’attenzione su di sé, quando non aveva nulla
da dire? In realtà, forse aveva più confidenza con i suoi compagni di team
rispetto a quanta ne avesse con i suoi consanguinei; erano sicuramente più
affidabili, ad ogni modo.
Ma non sarebbero mai stati la famiglia che un
tempo aveva avuto.
Suo padre aveva preso sua figlia in braccio ora, e
si era incamminato insieme alla moglie lungo la strada, ignaro di essere
osservato. Sentendosi una sottospecie di guardona, Sakura distolse lo sguardo e
provò a distrarre Kakashi prima che potesse chiederle perché fosse riluttante
all’idea di definirla “famiglia”. « Ecco la sua maglietta, ho pensato le
servisse... Non sapevo se ne avesse qualcuna in più ».
Ma era ovvio che l’avesse, dato che ne stava
indossando una identica in quel momento.
« Grazie » le disse, accettando l’indumento
piegato. « È stato un bel pensiero ».
« Ed inoltre, uh, volevo... scusarmi » disse lei,
costringendosi a continuare. « Spero di non averle causato troppo disturbo, la
scorsa notte. Non bevo spesso e credo di essermi ubriacata al massimo due volte
in vita mia, ma sembra che alla fine riesca sempre a mettermi in imbarazzo,
quindi se ieri notte ho fatto qualcosa che l’ha messa, uhm... a disagio, mi
dispiace davvero tanto. Spero di non averlo fatto, ma non ricordo molto ».
« Oh » disse Kakashi, con un tono leggermente
offeso. « Quindi non ricordi quella lusinghiera, se non smielata, proposta di
matrimonio che mi hai fatto? »
Il respiro di Sakura si spezzò in due. « Io non– »
« No » la interruppe lui, prima che fosse colta da
un attacco di panico. « Ed è un vero peccato ».
Sakura lo graziò con un’occhiata irascibile. «
Volevo anche ringraziarla » riprese poi, anche se l’indignazione le rendeva la
voce non troppo grata. « Per avermi riaccompagnata a casa e per essersi preso
cura di me ».
Lo sguardo di Kakashi si ammorbidì e sembrò dirle “hey, tu” in quel suo modo speciale.
« Non c’è problema, Sakura, è stato un piacere... Credo di avere un debole per
te ».
Sakura ridette brevemente. « Anch’io credo di
avere un debole per lei » rispose, con
tutte le cose che ti permetto di fare quando picchierei chiunque altro, sarebbe
stata la risposta sincera.
« Davvero? » chiese fintamente lui, indugiando con
lo sguardo sul suo corpo. « Chissà dove sarà questo tuo debole per me, mi
chiedo ».
Cose
come questa, per esempio.
Sakura sentì il viso andare in fiamme e si
distanziò da lui di mezzo passo, per poi schiarirsi la voce. « Non faccia lo
scemo » gli disse a bassa voce, pur avendo il cuore che le pulsava
all’impazzata, ma non di rabbia, e Kakashi sembrava più divertito che in colpa.
« Sono stato osceno? » disse, fingendo innocenza.
« Beh, grazie per avermi riportato la maglietta, Sakura ». La osservò per un
attimo, per poi portarla al viso, contro la maschera.
« Mmh, ha il tuo profumo ».
La bocca di Sakura si spalancò, in shock. « M-mi dispiace – non ci ho pensato, avrei dovuto prima
lavarla e poi– »
« No no, va bene così »
le disse. « Mi piace, potrei non lavarla mai più ».
Non era semplice capire se stesse scherzando o
meno; se la stesse solo stuzzicando innocentemente o se dicesse quelle cose per
uno scopo. In mezzo a tutta la nebbia che offuscava i ricordi della notte
precedente, c’era una cosa che Sakura ricordava alla perfezione, anche se i
contorni della circostanza erano sfocati.
“...e
se me l’avessi permesso, avrei fatto l’amore con te tutta la notte...”.
Kakashi stava per voltarsi, diretto verso
l’entrata del suo condominio. Sakura avrebbe tanto voluto seguirlo – non che
lui glielo avrebbe permesso.
Kakashi batté le palpebre, confuso. « Riguardo a
cosa? »
Le dita di Sakura si intricarono nervosamente
intorno al manico dell’ombrello.
« Quando ha... quando ha detto che farebbe l’amore con me ».
« Ah, beh » affondò la mano libera in tasca e
prese a guardare le strade bagnate. « Solo se ti avessi incontrata ieri per la
prima volta e non ti avessi conosciuta ».
« Oh » disse Sakura, sentendosi in imbarazzo come
un bambino sgridato dalla maestra.
« È perché c’è qualcosa in me che non va?– »
« Non mi mettere parole in bocca che non ho detto,
Sakura » disse, tagliando corto. « Sai perfettamente che sono un gentiluomo ed
uno shinobi molto rispettato e non farei mai delle avances alla mia studentessa
».
« Capisco » rispose lei, con lo sguardo inchiodato
al suolo.
« Non vorrei essere accusato di abusare della mia
posizione ».
« Lo so » annuì, strascicando i piedi sull’asfalto
bagnato.
« Quindi, comprendimi, non potrei mai istigare qualcosa con te. Mai ».
« Ho capito »
sottolineò, sottovoce: era stata stupida a porgli quella domanda, ed era ovvio
ormai che aveva frainteso il significato del suo stuzzicarla nei giorni scorsi,
ma ciò non significava che doveva calcarci tanto la mano; sentiva lo stomaco
andarle in pezzi.
« Se, comunque » continuò lui. « Non fossi io ad
istigare... »
Sakura sollevò lentamente lo sguardo: Kakashi
stava fissando l’interno rosa del suo ombrello con aria pensierosa, mentre si
puntellava il mento mascherato con un dito.
Poi incrociò il suo sguardo, e attraverso la pioggia, Sakura fu sicura di
vedere un sorriso sbiadito. « Ci sarò sempre per te, Sakura » le disse. «
Quando avrai bisogno ».
Lo stomaco di Sakura cedette definitivamente: intendeva dire che...?
« Comunque! » disse Kakashi, allegro. « Grazie per
la maglietta! Oh – prima che dimentichi – forse è il caso che ti ridia queste
».
Scavò in una delle sue tasche e le passò un
oggetto piccolo, merlettato, e all’inizio Sakura pensò fosse un fazzoletto. Poi
lo districò e la gola le si ristrinse, quando si rese conto di cosa fosse in
realtà.
« Cosa stava facendo con le mie mutandine?! » strillò.
« Ti ho prestato la mia maglietta, stavo solo
regolando i conti » le rispose, leggero.
« Le ha prese perché mi ha dato la sua maglietta?!
» replicò lei. « Io non gliel’avevo chiesta! ».
« Ed io non ti ho chiesto l’intimo, quindi siamo
pari » Kakashi restò impassibile, mentre si voltava per aprire il cancello. «
Ci vediamo domani, Sakura. Ricordati di essere pronta e fresca per la missione!
»
Sakura fissò
la sua schiena e si chiese se non fosse il caso di lanciargli contro le
mutandine per dispetto, poi si ricordò che quelle erano il paio che indossava
nelle occasioni speciali e lanciarle per strada le avrebbe rovinate; quindi
optò per un « Pervertito! » urlato alla sua porta chiusa e prese a cercare una
tasca in cui nascondere le mutandine.
« Pervertito! »
Kakashi sospirò scuotendo l’ombrello per far
cadere le gocce accumulate.
Sakura aveva ragione, pensò: era un pervertito.
Ma di certo non uno stupido.
Dalla tasca posteriore tirò fuori un altro paio di
mutandine e le poggiò sulla maglietta piegata, come una gazza che si poggia
gongolante su un nuovo gingillo. Sospettava che quelle fossero il paio che
Sakura gli aveva descritto giorni prima: erano rosse e bianche con dei dolci
fiocchetti sui fianchi – solo che aveva dimenticato di menzionare le ciliegine
stampate sul davanti. Non erano particolari come quelle che le aveva restituito
(avrebbe voluto tenerle entrambe, ma la tentazione di vedere il suo viso
indignato aveva preso il sopravvento: non c’era niente di più sexy di un
piccolo fiore di ciliegio arrabbiato) ma gli piacevano lo stesso.
Sakura indossava mutandine disegnate per ragazzine con la metà dei suoi anni,
cosa che Kakashi trovava allettante ed accattivante allo stesso tempo.
Le sue contraddizioni continuavano a lasciarlo
perplesso: un attimo prima lo aveva rimproverato per la battuta sui punti
deboli, e quello dopo gli aveva platealmente chiesto se avrebbe fatto l’amore
con lei.
L’intimo di Sakura sarebbe potuto apparire carino
ed innocente, ma forse quelle ciliegine avevano un significato più profondo di
quanto lei stessa avesse realizzato.
Kakashi portò il piccolo indumento al viso e ne
inalò profondamente l’odore: prevaleva il profumo leggero del detersivo e del
deodorante per ambienti che Sakura aveva nel cassetto, ma non c’era dubbio che
fossero sue: queste, come ora anche la sua maglietta, erano imbevute del suo
aroma caldo e femminile. Aveva sempre adorato il profumo delle donne, ma quello
di Sakura particolarmente fine e la sua stuzzicante composizione attirava il
suo olfatto sensibile... Sarebbe potuto tranquillamente restare lì tutto il
giorno a–
« A-hem ».
Kakashi aprì gli occhi e focalizzò la vista sulla
paffuta donna di mezza età che lo fissava, sporta dal corrimano delle scale
sopra di lui.
Con un movimento felino, appallottolò le mutandine
in un pugno e le ricacciò in tasca, pur essendo consapevole che fosse troppo
tardi per nasconderle alla vista di quel vecchio uccellaccio. « Buongiorno,
signora Saitoh ».
Gli occhi della donna rimasero ostinatamente
affilati. « C’era una donna che la cercava, stamattina » disse. « Ha lasciato
un messaggio per lei ».
« Oh? »
La signora Saitoh scese
le restanti scale fino a che non gli fu di fronte, arrivandogli a malapena alle
scapole; senza nessun preavviso il suo piede si scagliò contro lo stico di
Kakashi, il quale, sibilando, si spostò frettolosamente dalla traiettoria della
donna. « Ah – cosa- »
« È tutto qui, almeno fino a quando non avrà
trovato qualcun altro, dice » disse bruscamente la signora Saitoh,
prima di ripescare l’ombrello viola ancora bagnato dal portaombrelli. « E la
prossima volta spero abbia l’accortezza di fare uso dei suoi, di ombrelli,
Hatake-san ».
La donna uscì dal condominio senza aggiungere
altro, lasciando Kakashi zoppicante sulle scale.
Le donne erano crudeli, a questo punto lo aveva capito; e senza cuore. Era
chiaro che Yoshi lo avesse “scaricato”, ed ormai era troppo tardi per fare
qualcosa; la notte precedente era stata l’ultima chance che aveva avuto, e
l’aveva buttata al vento senza troppa indecisione.
Era così che funzionava, in genere: prendeva una
donna o l’altra – in tutti i sensi – per soddisfarsi per un po’, fino a che non
si annoiava e cominciava a trascurare le sue responsabilità; suddetta donna si
allontanava da lui e lui rimaneva soddisfatto per una settimana o due, prima
che il prurito ritornasse.
Ma qualcosa non andava.
Kakashi se ne accorse salendo le scale, fino a
quando non ebbe oltrepassato la soglia del suo appartamento ed ebbe messo piede
in casa.
Il prurito era
tornato.
« La tua prova semestrale sta per avvicinarsi,
sai? »
« Lo so » sospirò Sakura, facendo scattare i
guanti di plastica per pura noia.
Tsunade non alzò lo sguardo, concentrata a
lavorare sul cadavere sotto di lei. « Sei consapevole di essere una potenziale
candidata alla promozione, vero? » disse, asportando la pelle del torso, per il
puro disgusto dell’assistente verdognolo accanto a lei. « Una volta che avrai
accumulato almeno cento missioni di classe B, i vertici saranno costretti a considerarti
».
Sakura osservava indifferente le porzioni di
pelle, gli organi esposti ed il sangue scuro.
« Ne avevo già più di cento anche sei mesi fa » constatò, imbronciata. « Ma
dissero che non mi avrebbero candidata perché non ho abbastanza jutsu
offensivi. Provai a dirgli che per il mio ruolo erano supplementari, sono un
medico, la mia necessità è curare, non attaccare...Ma non lo considerano abbastanza per un jonin
».
Tsunade si raddrizzò, soffiando via una ciocca
bionda dal viso; nella mano destra reggeva un fegato. « Non voglio mentirti,
Sakura » disse francamente. « L’impostazione del sistema è contro i medici come noi, ed oltre
ciò sei una donna: per il Consiglio, un jonin dev’essere grosso, forte, robusto
e capace di uccidere un uomo in mille modi differenti. Non si rendono conto
che, senza cure mediche, dovrebbero rimpiazzare questi uomini forzuti ogni paio
di mesi. Pesami questo, per cortesia ».
Sakura raccolse il fegato e lo passò direttamente
al medico assistente accanto a lei, che cominciava ad essere piuttosto pallido.
« Lo pesi? »
Deglutendo sonoramente, l’assistente si allontanò
per eseguire, tenendo l’organo a debita distanza come fosse stato una bomba
pronta ad esplodere.
« Crede che mi accetteranno stavolta? » chiese
Sakura, voltandosi di nuovo verso Tsunade.
La sua maestra sospirò: « Sinceramente, se dipendesse
da me, ti promuoverei. Potrai considerarmi di parte, ma probabilmente conosco
meglio di chiunque altro la tua forza ed il tuo talento: potresti diventare un
jonin ».
Il cuore di Sakura si scaldò al sentire quelle
parole tanto incoraggianti quanto rare.
« Ma non sta a me decidere, purtroppo. Il
Consiglio non ti conosce quanto me, non ha familiarità con il tuo stile di
combattimento... e non lo apprezzerà. Credono che per essere un ninja d’élite
bisogni conoscere quanti più jutsu possibile; Lee fu promosso l’anno scorso solo
perché Gai minacciò di piangere, nel caso ».
Sakura sospirò ancora. « Mi piacerebbe vedere
Kakashi-sensei fare lo stesso per me... ».
« Da non perdere, eh? » osservò seccamente l’Hokage.
« Beh, se vuoi davvero impressionarli, dagli qualcosa su cui contare... dovrai
impegnarti per imparare nuovi jutsu. È probabile che Naruto e Sasuke saranno
promossi quest’anno, sarebbe un peccato se tu non ce la facessi. Mi passi la
trancia per le costole? »
Depressa, Sakura si voltò verso l’ormai troppo
pallido e sudaticcio assistente. « Trancia ».
Questi annuì tremante e andò a prendere l’arnese
dall’armadietto degli attrezzi; lo passò a Sakura, la quale lo tese a Tsunade.
« Shishou, può insegnarmi qualche jutsu per impressionare il Consiglio? »
chiese.
« Mi piacerebbe davvero tanto, ma per ora non ne
ho il tempo; ma hai un altro insegnante che ha più di un jutsu da poterti
prestare ».
« Intende... Kakashi-sensei? » squittì Sakura, con
la gola ristretta immotivatamente.
« È ancora il tuo insegnante, costringilo ad
aiutarti » disse Tsunade, come fosse stata la cosa più semplice del mondo, ed
in effetti lo era. « Sarà felice di darti una mano, se è riuscito a dare il suo
miglior jutsu a quella peste di un Uchiha non credo abbia problemi a passarti
qualcosa che ha fregato a qualcuno negli anni, e tu sei un’alunna capace ed
impari in fretta; sono sicura non ci vorrà molto per farlo capire al Consiglio ».
Beh, in effetti Kakashi aveva detto di esserci,
per lei, in caso di bisogno.
E forse quell’offerta non si limitava solo ai
favori sessuali (anche se cominciava a considerarla una presa in giro, perché
più ci pensava, più le sembrava assurdo).
« Oh, diamine... Sakura, tu che hai le mani
piccole, ti dispiacerebbe infilare una mano nello sterno? Mi ci è caduta una
forcina... ».
Sakura obbedì pazientemente, e mentre scavava nel
petto di un uomo morto, si chiese se davvero avrebbe potuto chiedere a Kakashi
di insegnarle qualche nuovo jutsu: sarebbe significato chiedergli delle lezioni
private, e con l’attuale clima tra di loro, era un biglietto di sola andata per
i guai.
« Se non imparo nuove tecniche... crede che mi
rimanderanno ancora? » chiese tranquillamente.
« Hmph » Tsunade
socchiuse gli occhi all’ovvietà della risposta. « Quasi sicuramente ».
Sakura sospirò e posò la forcina errante su un
vassoio lì accanto; buttò uno sguardo oltre la spalla e con un altro sbuffo si
rivolse a Tsunade. « Shishou, il suo assistente è svenuto », disse, guardando
il medico stramazzato al suolo.
« Uomini! » constatò Tsunade, sprezzante. «
Tolleranza zero per il sangue ».
« Senti chi parla... » detto da una che ha passato metà della sua vita con un terrore
paralizzante per la stessa cosa.
« Hai detto qualcosa? »
« Nulla ».
Sakura sorseggiava una cioccolata calda, con un
occhio all’orologio e l’altro alla TV.
C’era la sua soap preferita, ma non riusciva a godersela come faceva di solito,
e i motivi potevano essere solo due: o quello in onda era un episodio scadente
(impossibile), o la sua mente era troppo occupata da altre questioni da
lasciare spazio all’intrattenimento leggero.
Si sentiva amareggiata e triste: eccola lì, una
teenager, rinchiusa da sola in casa di venerdì sera come una divorziata di
mezza età.
Come sua madre.
Le mancavano solo un pacchetto di sigarette ed i
bigodini in testa per rendere la somiglianza sconcertante.
Un sospirò le scappò dalle labbra e prese un altro sorso della bevanda.
L’episodio terminò ed il meteo della sera preannunciò tempeste: diede uno
sguardo al cielo buio oltre la finestra: per ora non era nuvoloso, ma la sera
successiva avrebbe probabilmente piovuto, ed anche quella dopo. In pratica,
quella era la sua ultima chance di uscire...
Forse avrebbe potuto trovare un nuovo – e
quantomeno decente – fidanzato,
quella notte?
Sakura decise così, su due piedi, di averne abbastanza:
basta autocommiserazione, basta fingere di essere sua madre. Certo, aveva avuto
delle relazioni veramente schifose fino a quel momento, ma non era una scusa
sufficiente per arrendersi; con un po’ di make-up e l’aiuto di una gonna corta,
avrebbe potuto trovare il suo futuro marito quella stessa notte.
Mai dire mai.
Era sicuramente meglio uscire e valutare qualche
opzione, piuttosto che starsene a casa a chiedersi se il suo insegnante fosse
la più rosea delle ipotesi che potesse avere... il che era, francamente, una
cosa piuttosto triste su cui interrogarsi.
Sakura si richiuse la porta di casa alle spalle
mezz’ora dopo, ma non optò per la solita topaia in cui tendeva a rifugiarsi: si
era finalmente resa conto del fatto che aveva incontrato tutti e quattro i suoi
ex proprio in quel posto,lo proclamò
quindi discarica dell’umanità.
Optò per un bar all’angolo, al limitare del quartiere, nella speranza che gli
uomini normali di Konoha si nascondessero proprio lì; i drink erano più cari, segno
che almeno i clienti erano più facoltosi.
Era affollato quando arrivò, ma non soffocante:
qualcuno la guardò, quando entrò, ed un paio di sguardi indugiarono su di lei,
il che – pensava – fosse un buon segno. Non c’era traccia di familiarità in
quel posto, quindi si diresse al bar, accomodandosi su uno sgabello vuoto
accanto ad un ragazzo con gli occhiali e con l’aria da topo da biblioteca, che
scribacchiava qualcosa su un quadernetto.
« Lime cordial » chiese
dolcemente al barista: non voleva niente di neanche lontanamente alcolico, dopo
l’esperienza della notte prima.
Mentre attendeva il drink, buttò uno sguardo
generale alla stanza, valutando le opzioni che le offriva: c’erano parecchi
begli uomini, ma la maggior parte già accompagnati da altre donne. E a
prescindere da ciò, il bell’aspetto era profondo quanto la porzione di pelle
che lo definiva: una lezione che Sasuke le aveva insegnato bene, a suo tempo. Sarebbe
stata più che felice di scegliere un uomo mediocre, se la sua personalità fosse
stata apprezzabile.
Diamine, a quel punto avrebbe scelto chiunque
avesse avuto una minima idea di come comportarsi a letto.
Poi, all’improvviso, notò una cosa che le mozzò il
respiro e le fece cascare il cuore.
Era proprio lì, nella parte opposta della stanza,
poggiato con nonchalance ad un pilastro in legno, con un drink in una mano ed
una giovane donna di fronte. Le stava parlando, la stava facendo ridere ed
annuiva quando lei parlava, carezzando nel mentre il bordo del bicchiere con un
dito.
Non pensava che Kakashi fosse tipo da bar...
Distolse velocemente lo sguardo, arrabbiata con se
stessa di aver scelto proprio quel bar
– a discapito di tutti gli altri bar di Konoha (tre in tutto) – per incappare
proprio nella persona che stava cercando di evitare. Come avrebbe potuto mai trovare
qualcuno di decente, se l’oggetto dei suoi recenti e fuorviati pensieri era
proprio ad un paio di metri da lei.
Il barista posizionò il drink che aveva ordinato davanti a lei, e Sakura lo
sorseggiò ansiosamente, puntellando ripetutamente il dito contro il bicchiere
ricoperto di condensa.
L’aveva vista? L’aveva notata quando era entrata e
stava facendo finta di niente? Stava fissando la sua schiena proprio in quel
preciso istante o era troppo preso dalla rossa davanti a lui per notare
chiunque altro?
« Scusami, questo posto è occupato? » le chiese un
giovane uomo, indicando lo sgabello libero alla sua sinistra.
« Sì » rispose, tesa. « Vattene ».
Si rese contro troppo tardi dell’errore, ed il
ragazzo era già sparito: per quanto poteva saperne, avrebbe potuto aver mandato
al diavolo il suo futuro marito! Kakashi Hatake avrebbe potuto aver rovinato la
sua vita per sempre!
Non che se ne rendesse conto, ovviamente: si voltò
di nuovo per trovarlo ancora alle prese con quella donna, che Sakura non poteva
ritenere molto più vecchia di sé. Stava flirtando con lui, batteva spesso le
palpebre e si accarezzava i capelli, mentre lui cercava di ammaliarla sporgendo
il viso verso di lei, usando probabilmente il suo sguardo da “tu!” su di lei.
A quella distanza, era difficile capire chi fosse
il seduttore e chi il sedotto.
Non fu la gelosia a bruciarle lo stomaco come
carbone ardente, era più un senso di grande ingiustizia, e per quanto lime cordial buttasse giù, il braciere ardente non sembrava
volersi estinguere.
Probabilmente non era una buona idea alimentarlo
con l’alcol, ma al diavolo tutto, era solo una stupida metafora. « Mi scusi! »
fece un cenno al barista. « Posso avere il sakè meno caro che ha? »
Le rivolse un’occhiata soppesata. « Quanti anni
hai? »
La domanda la prese alla sprovvista, dato che non
era abituata a sentirla nel posto che di solito frequentava, e quell’attimo
d’esitazione servì solamente a farla apparire colpevole.
« Diciotto » disse, e pur’essendo la verità, il suo tono apparve fin troppo
falso.
« Hai una carta d’identità? » chiese il barista.
« No... » disse, accigliandosi. « Sono un ninja,
non posso portare documenti ».
« Allora accontentati del cordial
o cresci ».
La mascella di Sakura cascò per l’indignazione, e
stava per scatenare una tempesta di insulti per la quale sarebbe stata esiliata
a vita da quel posto, ma proprio quando inspirò per preparare la filippica,
l’uomo con gli occhiali accanto a lei alzò la mano.
« Posso avere il sakè meno caro che ha? » chiese
gentilmente al barista.
Sakura lo fissò, insieme al barista.
« Lo vuoi per te o per lei? » chiese scettico.
L’uomo scrollò le spalle, vago. « Ti interessa? »
Apparentemente, no: fino a che i soldi gli
venivano passati da mano di qualcuno abbastanza maturo, non gli importava. Il
sakè arrivò e lo sconosciuto glielo passò con un debole sorriso, prima di
tornare a lavoro.
Sakura era disarmata. « Quanto ti devo? » chiese,
infilando le mani in tasca per estrarre il portafogli.
« Non c’è problema, puoi essere la mia buona
azione del giorno ».
Non sapeva cosa fare: ancora immerso nel lavoro,
non sembrava avere interesse nel fare conversazione, quindi forse voleva
davvero solo compiere una buona azione. Ed oltre ciò, era probabilmente troppo
vecchio per lei, quasi quanto Kakashi-sensei, per l’amor del cielo!
Però, Ino le aveva detto qualcosa sul fatto che
gli uomini maturi avessero più esperienza...
Sakura si voltò ancora, come a voler mettere un
segnalibro su Kakashi; sembrava più vicino a quella donna, rispetto a prima...
Quando si voltò di nuovo, notò che il ragazzo
accanto a lei aveva seguito il suo sguardo.
« Se hai messo gli occhi su quello con i capelli grigi, non spererei troppo se
fossi in te » le disse, gentile. « Qualcun altro sembra averlo già adocchiato
».
« Oh, no! Non è come sembra » si giustificò
rapidamente. « È solo... è il mio insegnante ».
« Sei l’allieva di Kakashi-sempai?
» sembrò sorpreso. « Quindi tu devi essere Sakura Haruno. Mi ha parlato di te
».
« Oh, sì... Conosci Kakashi-sensei? » ora era lei
ad essere sorpresa.
« Ci ho lavorato insieme » disse. « Negli ANBU ».
« Oh » Sakura si afflosciò. « Sei un ANBU ».
Quindi la sua sanità era un caso perso.
« Lo ero » disse, scrollando le spalle. « Ora
lavoro nel campo di ricerca e sviluppo ».
Oh, quello era un buon segno. « Di? »
« Veleni ».
« È divertente... perché io contribuisco alla
ricerca e sviluppo degli antidoti ». Beh, non era di certo da morire dal
ridere, ma c’era dell’ironia.
Forse, quell’uomo poteva essere il suo futuro
marito?
Ancora una volta buttò uno sguardo oltre la
spalla, aspettandosi di vedere Kakashi ancora impegnato con la donna dai
capelli rossi, solo che ora lo spazio che aveva occupato fino a poco prima era
vuoto. Gli occhi di Sakura saettarono per la stanza alla sua ricerca, quando un
lampo argenteo catturò la sua attenzione: si stava facendo spazio tra la folla,
diretto verso i bagni...
...e la donna con i capelli rossi gli andava
dietro tenendolo per mano.
Sakura era abbastanza certa del fatto che due
persone non andassero in bagno insieme, fatta eccezione per le ragazze, il che
poteva significare solo una cosa...
Un bruciore fastidioso le attanagliò lo stomaco e
si chiese perché: forse perché perfino il suo insegnante poteva essere più
fortunato di lei, mentre lei era ancora al primo approccio? Forse era perché
una sciacquetta qualsiasi poteva vederlo senza maschera ed i suoi più intimi
amici no? O forse era semplicemente infastidita del fatto che stava per andare
con un’altra donna, quando solo quella mattina le era sembrato disposto ad
andare con lei?
Non
sono affari tuoi, si disse, convinta. Scordatelo.
Scordati di lui.
Con un sorriso
coraggioso si voltò verso lo sconosciuto accanto a lei. « Non mi hai ancora detto
come ti chiami ».
A Kakashi non piacevano le sveltine: non avevano
fascino, non davano il tempo per assaporare, per godersi il momento. Non c’era tempo per l’abilità e l’apprezzamento,
c’erano solo un corridoio vuoto ed un paio di casse di birra impilate e doveva
farseli bastare.
Avrebbe preferito portarla a casa e prendersi del
tempo per godere dei frutti dei suoi sforzi; non che fosse stata difficile da
sedurre, ma preferiva di sicuro quando l’atto principale durava di più dei
preliminari. La donna sembrava ambire a nulla più che una breve e tiepida
soddisfazione al buio, e dato che sarebbe stato quello o nulla, Kakashi non
aveva modo di lamentarsi. Non avrebbe soddisfatto il prurito – perché il
prurito non era per il sesso, ma per la compagnia, e non sarebbe stato
estirpato da nulla più che un paio di notti passate accanto ad caldo corpo
umano, senza quella sensazione di solitudine, per una volta.
No, quell’avventura non avrebbe soddisfatto il prurito,
ma gli sarebbe bastata, per ora.
Di certo non poteva ritenersi felice, mentre
spingeva la donna sulle casse impilate e, tenendola impegnata con qualche
bacio, le infilava le mani sotto la gonna per abbassarle le mutandine. Chiunque
avrebbe ritenuto impossibile che un uomo potesse sentirsi giù di morale facendo
sesso, ma Kakashi era solito riuscire dove gli altri fallivano. Si impose di
non pensarci troppo: la ragazza era piuttosto bella, magnificamente reattiva ed
aveva concordato con lui sul fatto che non ci sarebbero stati legami tra di
loro: cosa poteva chiedere di più?
Beh, innanzitutto, forse una venue
più intima: forse la donna trovava l’idea del sesso in corridoio tra i bagni ed
il deposito qualcosa di eccitante, ma Kakashi era teso.
Chiunque avrebbe potuto scoprirli in qualsiasi istante, e lui non era mai stato
un esibizionista.
In secondo luogo, una notte intera su un letto
comodo sarebbe stata sicuramente preferibile.
Ed infine, Sakura era lì.
Non voleva che ci fosse, ma c’era.
Seduta al bar a parlare con uno dei suoi ex subordinati, che era di certo un
bravo ragazzo – uno di quelli di cui Sakura avrebbe potuto innamorarsi, per il quale
avrebbe potuto aprire le gambe e–
« Muoviti! » ansimò la donna tra le sue braccia,
armeggiando con i bottoni del suo pantalone. Kakashi obbedì, scacciando via le
sue mani per sbottonarsi più velocemente.
Era così desiderosa di lui da non dargli quasi il tempo di mettere il
preservativo, ma dopo pochi istanti Kakashi ebbe il piacere di vederla contorcersi
ed ansimare, nell’istante in cui entrò in lei con una forte spinta, tale da
farle scuotere ogni centimetro del corpo.
« Sì, oddio, sì!
»
Le gambe di lei si strinsero contro i suoi
fianchi, cercando di spingerlo ancora di più verso di sé.
Era reattiva, forse fin troppo.
I suoi gemiti annaspati arrivavano all’orecchio di Kakashi ad ogni spinta, così
forti che temeva qualcuno potesse sentirli. Non era affatto facile per lui
concentrarsi sul suo piacere, su quello di lei, sul suo ritmo e sui rumori che
gli giungevano che potevano essere sia il gocciolare di un tubo guasto, sia i
passi di qualcuno che si avvicinava.
« Non fermarti – ah! »
Kakashi trasalì al volume sempre più alto dei suoi
gemiti e le portò velocemente un dito alle labbra per zittirla; cercò di
ricordare il suo nome per chiederle di abbassare la voce, ma gli sfuggiva al
momento.
Quindi decise di seppellire il viso nell’incavo
del suo collo, per succhiare e baciarle la gola.
Aveva un buon profumo, ma non bello quanto quello delle mutandine nascoste
nella sua tasca posteriore. Gli ansimi della donna si alleggerirono, mentre le
sussurrava all’orecchio le solite citazioni dei libri erotici che leggeva,
menzionando quanto fosse calda, umida e stretta, e quanto fosse speciale e
completamente diversa da tutte quelle con cui era stato prima di lei. Erano tutti
dei cliché senza senso, ma lei sembrava apprezzarli, e ad ogni spinta decisa si
muoveva sempre più selvaggiamente.
« Sto per venire! » gli disse, senza fiato,
spingendo la testa all’indietro mentre il suo corpo cominciava ad irrigidirsi.
Cazzo.
Kakashi non ci era neanche remotamente vicino: di certo non voleva che
quell’incontro durasse troppo, né che si allargasse il rischio di essere
scoperti, ma nemmeno la contrazione del suo corpo gli era sufficiente, ormai.
Chiuse gli occhi e provò ad aiutarsi con l’immaginazione: aveva bisogno di
qualcosa – qualsiasi cosa – potesse
aiutarlo a finire.
Donne nude.
Donne nude che si baciano.
Donne nude che si baciano e si toccano a vicenda.
Sakura nuda.
I testicoli di Kakashi si contrassero quasi
violentemente e rabbrividì. « Sì... »
Sakura nuda.
Sakura nuda che si tocca.
Sakura nuda in ginocchio davanti a lui.
Sakura nuda proprio davanti a sé, sistemata precariamente su una pila di casse,
ad ansimare mentre la portava all’orgasmo. Poteva sentire il suo corpo premere
contro di lui; poteva sentire le sue piccole mani aggrapparsi alla sua uniforme
mentre arrivava al culmine; poteva sentire il suo sapore sulle labbra mentre le
pressava sulle sue, quasi a voler assaporare il suono della sua estasi.
Ed alla fine cedette: i fianchi si mossero
violentemente contro quelli della donna con ritmo spezzato, mentre il piacere
scorreva bianco e caldo tra le vene. Un nome sfuggì alle sue labbra, ed un
gemito gli ruggì in gola. La ragazza ormai urlava nel suo orecchio, ma al
momento non gli interessava, perché ogni orgasmo era sempre il miglior momento
della sua vita.
Ma la frenesia svanì in fretta, come si aspettava
che fosse, e dopo qualche altra spinta si scostò da lei.
Forse l’aveva lasciata troppo in fretta, perché
anche se la ragazza appariva come la perfetta visione di una donna sazia e ben
scopata, aveva anche un’espressione piuttosto seccata.
« Akane » ansimò.
« Come? » era troppo impegnato a levarsi il
preservativo per prestarle attenzione.
« È il mio nome » disse. « Akane ».
« Lo so » mentì: l’aveva dimenticato.
« E allora perché mi hai chiamata Sakura? »
« Oh, merda... » borbottò, donandole un’occhiata
desolata. « L’ho fatto davvero? Mi dispiace tanto, sono stato tremendamente
rude. Sicuramente penserai che sono un totale stronzo ».
« N-no » disse rapidamente, presa alla sprovvista
dalle sue scuse. « È solo che... beh, se mi avessi detto che c’era un’altra,
non avrei... ecco, se me l’avessi chiesto avrei potuto aiutarti ».
Kakashi batté le palpebre, sorpreso. « Cosa? »
Akane si alzò e cominciò a rivestirsi. « Avevo un
ragazzo che aveva un debole per Cherry Kobe, la conosci? La porno star ».
« No, non la conosco » altra bugia: la conosceva.
« Beh, a volte utilizzavo un henge
no jutsu per lui, per assomigliarle, me la cavo... So come ci si sente a volere
qualcuno che non puoi avere, e non so, se tu volessi rifarlo qualche volta...
Se mi dessi una sua foto, potrei farlo anche per te ».
Per un solo, orribile momento, Kakashi valutò
l’idea, poi la respinse: quale bastardo poteva far fare una cosa del genere
alla propria ragazza? E se le avesse chiesto di fare lo stesso per sé, non
sarebbe stato migliore.
« È un talento particolare » le disse gentilmente,
dandole un colpetto sul naso. « Ma ti preferisco per come sei. Mi è scappato,
purtroppo, Sakura è il mio gatto ».
« Oh! » nonostante le rassicurazioni sul suo
talento, sembrò comunque sollevata, e poi confusa. « È parecchio strano,
però... »
Kakashi scrollò le spalle. « Non dirlo a me »
disse cupamente. « Quante volte capita che un uomo dica il nome del suo gatto
durante il sesso? Mi chiedo cosa potrebbe farci uno psicologo... »
Fu un recupero ineccepibile, modestia a parte. Akane
sghignazzò alla sua battuta e lo baciò. « Grazie » gli disse. « È stato
divertente ».
Era una ragazza molto dolce, e gli ricordava fin
troppo Sakura, ma forse era proprio per questo che l’aveva scelta. Si lasciò
baciare ancora un paio di volte prima che Akane si scostasse completamente
dalle casse per sistemarsi ancora un po’.
Poi raccolse la borsa e cominciò a scribacchiare qualcosa su un vecchio
scontrino.
« So che hai detto di non volere legami » disse timidamente. « Ma semmai
dovessi cambiare idea, questo è il mio numero ».
Kakashi accettò il bigliettino e lesse il numero
ed il nome – sottolineato tre volte in caso lo dimenticasse ancora. « Grazie »
le disse, sorridendole. Non le fece alcuna promessa, ma forse le avrebbe fatto
uno squillo...
Raggiante, gli diede un ultimo bacio sulla guancia
prima di sussurrargli un addio, per poi sparire lungo il corridoio verso i
bagni delle donne. Kakashi poggiò un fianco contro le casse e si prese un
momento per respirare e pensare.
Fisicamente, era soddisfatto.
Ma per il resto, non lo era affatto.
Preoccupato, si diresse verso il bagno degli
uomini per darsi una sistemata prima di tornare al bar. Aveva del rossetto
sulle labbra e sulle guance, ma dopo qualche vano tentativo di mandarlo via
(quella roba era appiccicosa come la colla), decise che la prova sarebbe
comunque rimasta nascosta sotto la maschera.
Il bar sembrava più affollato di prima: nello
stesso istante in cui rientrò nella stanza calda e piena di fumo, non esitò un
istante prima di cercare automaticamente Sakura con lo sguardo. Non era più al
bar, né sulla pista da ballo, né ai tavoli appartati.
Se n’era andata, e con lei il suo ex subordinato.
Non sapeva come sentirsi: la parte più razionale
di sé gli disse che era un bene, che il suo sottoposto era un bravo ragazzo ed
un amante decente (per quanto ne sapesse almeno, non poteva di certo
testimoniarlo personalmente) e Sakura non avrebbe sbagliato portandoselo a
casa.
La parte meno razionale, quella più primitiva
della sua mente, gli urlava che avrebbe potuto avere molto di meglio.
Il prurito consigliò che poteva avere lui.
Kakashi scacciò quei pensieri bui: sarebbe stato
meglio andare a casa e darci un taglio.
Non aveva ottenuto ciò che voleva quella notte, ma ci sarebbero state altre
notti.
E c’erano sempre altre notti...
Il cielo rumoreggiava mentre Sakura si dirigeva a
casa, da sola, sguardo fisso sul manto stradale luccicante e ancora umido della
pioggia di quel giorno. Brillava sotto luci di strada, dandole l’impressione di
star camminando sull’acqua.
Il ragazzo al bar era stato gentile con lei, ma si
capiva che non avesse interesse.
Sakura sospettava che fosse già affezionato a qualcuno e che il suo approccio
fosse solamente amichevole; qualunque fosse la ragione della sua indifferenza,
non si era disturbata ad indagare. Non era dell’umore adatto a farsi degli
amici quella sera, quindi si era scusata per andare al bagno prima di tornare a
casa, sentendo sempre di più la delusione di una serata sprecata.
Fu quando stava per uscire dal bagno che lo sentì.
Che sentì lei, perché sarebbe stato
difficile non farlo.
Lungo il corridoio, proprio dietro l’angolo che
portava al deposito, immersi in una luce tremendamente cupa, li vide.
Sapeva fosse sbagliato e perverso, e che se l’aveva beccata una volta poteva farlo
di nuovo, ma non riusciva a smettere. Lui l’aveva resa così, curiosa verso
qualcosa che – prima di vederlo – reputava stupido e più imbarazzante che
eccitante.
Ma in qualche modo lui riusciva a renderlo
bellissimo; anche in quello squallido corridoio con le luci arancioni e fetido
d’alcol, anche con loro arroccati su delle casse di birra, era ipnotizzante. Il
corpo di Kakashi si muoveva con precisione e forza, il viso nascosto nel collo
della donna ansimante, che aveva il viso umido e arrossato e sembrava
completamente incosciente di tutto a parte l’atto primitivo che stava compiendo
con l’insegnante di Sakura, mentre lo stringeva con forza e gemeva ad ogni
spinta.
Era così che una donna soddisfatta appariva? Non sembrava star fingendo, ma
Sakura non l’aveva mai fatto...
Poi qualcosa era cambiato ed all’improvviso le
spinte cominciarono ad essere spezzate ed intense; dovette distogliere lo
sguardo dalla cruda intimità a cui stava assistendo.
Era troppo reale, troppo erotico.
Aveva fatto sesso prima di allora, ma non era mai stato così: sembrava
completamente diverso da qualsiasi cosa avesse mai provato, e guardarlo era
inquietante e mozzafiato allo stesso tempo.
Voleva essere quella donna.
Voleva essere lei ad urlare di piacere, ad essere penetrata dal suo insegnante.
Voleva sentire il suo calore e sapere per una volta come ci si sente a stare
con un uomo nel pieno della vita.
Ma le sue braccia stavano stringendo un’altra, il
nome che sfuggì alle sue labbra – troppo sussurrato per essere udito a quella
distanza – non era il suo. L’aveva stuzzicata, aveva scherzato con lei, ma non
si sarebbe mai spinto a tanto. Non l’avrebbe mai stretta così, non lo avrebbe
mai sentito tremare contro di lei con il suo respiro sul collo. Non avrebbe mai
sentito il suo peso su di sé, né la sua durezza dentro al suo corpo.
Ma, dio
se lo voleva. Lo voleva così tanto da starci male.
È
sbagliato, l’avvisava il cervello, e non sei migliore di Jiraya.
Sakura si allontanò dalla scena quanto più
silenziosamente possibile: l’ultima cosa che voleva era essere beccata di nuovo
a spiare la vita privata di Kakashi; avrebbe potuto seriamente cominciare a
pensare che fosse una pervertita.
E
non lo sei? Si chiese.
La porta del bagno riapparve alla sua destra, ed
il suono di una risata riecheggiò lungo il corridoio, che le sembrava fin
troppo vicino. Si rifugiò di nuovo nella piccola stanza illuminata.
Sarebbe stato meglio restare nascosta per qualche altro minuto, fino a che non
fosse stata certa che Kakashi e quella donna fossero andati e sarebbe potuta
uscire senza il rischio di incontrarlo.
E quale posto migliore per nascondersi da un uomo del bagno delle donne?
Sakura sospirò poggiandosi ad un lavandino,
prendendo ad esaminare il suo riflesso nello specchio: non aveva dato un’occhiata
precisa alla donna con Kakashi, ma a prescindere si sentiva inferiore a lei.
I suoi capelli erano di un colore ridicolo, non aveva nessuno stile particolare
e la sua fronte era larga. Si riteneva carina in modo comune, ma chi al mondo
poteva optare per una “carina” quando c’erano un sacco di donne sbalorditive al
mondo.
La porta gracchiò alle sue spalle e Sakura finse
immediatamente di lavarsi le mani; dando un’occhiata allo specchio, il suo
cuore cominciò a battere un po’ più forte alla vista della donna a cui aveva
cercato di compararsi.
Suddetta donna raggiunse immediatamente lo specchio per controllarsi, e Sakura
la scrutò con discrezione, per trovarci quanti più difetti possibili.
Sembrava piuttosto vanitosa, dal modo in cui si
esaminava, ma Sakura aveva fatto esattamente la stessa cosa solo qualche minuto
prima. Era bella, ma dall’espressione che le leggeva in viso poteva dire che
non era completamente soddisfatta da ciò che vedeva allo specchio, proprio come
lei.
Sakura dubitava fosse molto più grande di sé, forse aveva sui diciannove o
venti anni.
Probabilmente apparteneva anche al suo stesso rango.
La ragazza sembrò percepire il suo sguardo ed i
loro occhi si incrociarono allo specchio.
Sakura abbozzò un lieve ed insignificante sorriso, per poi tornare a far finta
di aggiustarsi i capelli.
Le mani dell’altra ragazza caddero sulla
superficie fredda del lavandino, poi sospirò. « Hai mai conosciuto un uomo che
ti piace davvero tanto... ma ti è chiaro che il suo cuore appartenga ad
un’altra? »
Sakura si bloccò, fissando il suo stesso riflesso
con occhi socchiusi. « Un paio di volte » disse, piatta.
« La mia solita fortuna » rise senza umore
l’altra. « Credo di essermi fottuta questo prima ancora di cominciare ».
Poi si voltò, si chiuse nello stanzino da bagno e
cominciò a piangere.
Sakura restò paralizzata davanti allo specchio,
chiedendosi se dovesse bussare alla porta e cercare di risollevarle il
morale... ma non era facile essere comprensivi, se si sentiva esattamente allo
stesso modo. Alla fine si convinse che non fosse il caso di farsi coinvolgere,
e lasciò silenziosamente il bagno per tornare al bar. Con grande sollievo, non
si imbatté il Kakashi uscendo, per avviarsi verso casa.
E fu proprio lì, quando era impegnata a strascicare
i piedi sul suolo bagnato e a stringersi forte le braccia intorno al corpo,
mentre il cielo borbottava minacciosamente su di lei, che si rese conto di
essere in guai seri.
Erano giorni che se lo ripeteva, certo, ma solo
allora ne comprendeva a pieno la gravità.
Accorciò la strada passando in mezzo ad una fila
di negozi, poi cominciò a salire le scale in direzione del ponte che univa le
sponde del fiume che passava per Konoha.
Nelle notti più calde le piaceva fermarsi ad osservare le luci scintillanti del
villaggio che si riflettevano sulle acque calme, a volte in compagnia di un
amico... la maggior parte delle volte da sola.
C’era qualcuno in quel momento, poggiato alla
ringhiera nonostante il cielo promettesse pioggia e tempesta.
Sakura aveva intenzione di sorpassarlo senza prestarvi attenzione, ma
avvicinandosi si rese conto che non era altri che il suo sensei.
Kakashi si voltò al suono dei suoi passi e si irrigidì, sembrando sorpreso
quasi quanto lei di vederla. Era probabile che avesse lasciato il bar dopo aver
finito con quella ragazza.
« Ciao » disse Sakura a bassa voce,
abbracciandosi.
Kakashi annuì debolmente, portando lentamente le
mani in tasca; alle sue spalle, file di luci illuminavano la notte, con la
torre dell’Hokage come un lontano spettro luminoso.
L’ampio e lento fiume scorreva placido sotto di loro.
« Sei sola? » chiese dolcemente. La sua voce bassa
le sembrava il suono più naturale al mondo.
« Mmh » annuì incerta, guardandosi alle spalle
come a volersene assicurare. « Perché non dovrei esserlo? »
« Ti ho vista in compagnia, al bar ».
Quindi l’aveva vista. « Non era importante »
disse, senza girarci intorno. « E lei? Dov’è la ragazza con cui era? »
Inclinò la testa all’indietro, come sorpreso di
essere stato visto. « Ti importa? Non è con me, adesso ».
« Cos’ha che non va? » chiese seccata. « Non è
abbastanza impegnata per i suoi gusti? »
Un suono leggero e divertito gli sfuggì. «
Qualcosa del genere ».
Gli occhi di lei si ridussero a due fessure. « Ma
abbastanza buona da... » si interruppe, insicura di volerlo dire.
Kakashi rimase immobile, ma Sakura capì che ormai era consapevole di quanto lei
sapesse.
Probabilmente non sapeva di essere stato visto, ma il suo sguardo ora era
indagatore.
Scuotendo la testa, Sakura si voltò. « Sa, certe
volte penso che lei non sia poi tanto meglio di Ikki. Torno a casa » gli disse,
rigida, per poi riprendere a camminare.
La mano di Kakashi si poggiò sulla sua spalla,
fermandola. Il calore di quel contatto la bruciò, dandole brividi in tutto il
braccio, a quel punto sollevò lo sguardo per osservare il suo sensei,
trepidante.
Ebbe un attimo di esitazione prima di parlare,
come a voler soppesare con cura le parole.
« Sakura, gli adulti possono volere, necessitare e godere del sesso. Non c’è
niente di cui vergognarsi » disse, lentamente. « Lo capirai, quando sarai
un’adulta ».
La sua mano ora le sembrava calda quanto un ferro
rovente. « Io sono un’adulta »
rispose caldamente.
« Ne sei certa? » le chiese, in tono leggermente
incredulo.
« Sì » rispose ancora lei, con lo stesso tono.
La mano di Kakashi cadde, tornando in tasca. «
Questo è il momento in cui ti chiedo di provarmelo? »
« E come potrei provarlo? »
Se non avesse indossato la solita maschera, Sakura
avrebbe potuto vedere il lento sorriso che si allargò sul suo viso. Si pentì
immediatamente delle sue parole e fece un passo indietro. « Lei è un pervertito
» gli disse, derisoria. Fu grata al buio in quel momento, perché altrimenti
avrebbe visto quanto rosse fossero diventate le sue guance.
« Allora abbiamo molto in comune » esclamò
allegro.
« No! » scattò lei, velocemente. « Non sono come
lei, per niente ».
Kakashi piegò leggermente la testa di lato e la
osservò divertito, come fosse stata nulla più di un bambino che insiste di non
aver sonno mentre sbadiglia.
Sakura attese, ma quando le fu chiaro che non avrebbe detto nulla, si raddrizzò
e spostò lo sguardo verso l’altro lato del fiume. « Ora devo andare, abbiamo
una missione domani ».
Kakashi alzò la mano in gesto di saluto e Sakura,
voltandosi, cominciò a camminare.
« Ciò che ho detto stamattina vale ancora, Sakura
».
Sakura non arrestò il passo, gli rivolse solo uno
sguardo diffidente da sopra la spalla, per poi notare che si era già voltato
verso la ringhiera, per osservare il riflesso delle luci del villaggio.
Kakashi Hatake era un uomo davvero spregevole.
Spudorato, pervertito, rispettabile, misterioso, giovane, saggio, maturo,
elusivo, serio, sfaccettato... La repelleva in qualche modo, l’attraeva in
altri.
Nulla di lui sarebbe mai stato semplice, e nulla tra di loro sarebbe mai stato
più lo stesso.
Non ne valeva davvero la pena.
Ma perché non riusciva a smettere di pensarci?
Aggiornamento piuttosto rapido per un capitolo non
esattamente breve, non so come possa essere possibile! :’)
Non c’è molto da dire a riguardo, è un pezzo di passaggio ed a tratti piuttosto
statico, ma anche i pezzi più insignificanti del puzzle sono necessari al
risultato finale, quindi ce lo facciamo andare bene.
Anche il prossimo capitolo sarà leggermente di passaggio, sebbene conterrà una
scena determinante ciò che accadrà da un certo momento in poi: insomma,
potremmo definirlo un semi-filler. :’D
Grazie come sempre di essere arrivati fin qui, alla prossima! J
Le cicale erano nel pieno delle forze, quel
giorno; il sole splendeva alto e le poche nuvole erano ammassate tutte nelle
valli sottostanti, così da lasciare sulle loro teste un cielo azzurro e terso.
Sakura vi alzò gli occhi, per poi notare una figura lontana che sembrava essere
un’aquila: spesso si chiedeva come sarebbe stato poter volare così in alto e
guardare il mondo da quella distanza.
Probabilmente, se avesse potuto, avrebbe fatto
cadere delle incudini sulla testa di un certo uomo mascherato...
La radio gracchiò nel suo orecchio. « Hey, sai– »
« A meno che non mi sta per dire che ha
individuato i nostri bersagli, non mi interessa » scattò bruscamente Sakura. «
Non mi
parli ».
Ci fu una lunga pausa, durante la quale raccolse
un gambo di felce e prese a spogliarlo nervosamente di tutte le foglioline
acuminate e dall’odore pungente.
Poi Kakashi chiese: « Perché? »
Come se fosse stato necessario chiedere: era
palese che Sakura non era di buon umore, almeno nei suoi confronti. Lo aveva
trattato freddamente fin da quando si erano incontrati alle porte del
villaggio, e quando finalmente erano giunti a destinazione, aveva provato ad
insistere nel fare coppia con uno dei ragazzi piuttosto che con lui.
Solo che Sasuke era ancora riluttante ad essere lasciato
da solo con lei per troppo tempo, quindi aveva rifiutato immediatamente; Naruto
sarebbe potuto essere più disponibile, ma Kakashi era intervenuto
immediatamente chiedendole innocentemente cosa c’era di male nello stare con
lui.
Sakura non aveva potuto dirgli chiaramente –
soprattutto di fronte a Naruto e Sasuke – che non voleva restare da sola con
lui perché l’ultima volta le aveva chiesto di descrivergli le sue mutandine via
radio; cosa le avrebbe chiesto di fare, stavolta?
Se glielo avesse detto in presenza dei ragazzi, sarebbe morta d’imbarazzo e
Kakashi sarebbe morto per le troppe ferite da taglio.
Non che il suo insegnante non lo meritasse, ma sarebbe stato meglio per tutti
tenere la bocca chiusa.
Ed in mancanza di una scusa plausibile per evitare
di affiancarlo, era stata costretta ad accettare il fatto di essere bloccata
insieme a lui, di nuovo.
Ed ora, anche se erano soli, Kakashi aveva il
coraggio di fingere di non sapere perché non volesse parlargli. Beh, se non
sapeva di essere un bastardo volubile e donnaiolo non gli restava che capirlo
da solo: Sakura di certo non gli avrebbe reso le cose facili.
« Perché? » ripeté lei. « Perché siamo in
missione, dovremmo prestare attenzione alla strada, non l’una all’altro – cioè
– n-non dovremmo parlare ».
« Non sembrava ti dispiacesse l’ultima volta,
anzi, credo di ricordarti piuttosto loquace
».
Le orecchie di Sakura bruciavano: la sua allusione
alla descrizione delle mutandine era palese. « Questa missione è importante,
non possiamo permetterci distrazioni » disse, sperando che la frase apparisse
più sensata di quanto in realtà non fosse.
« Non c’è nulla di male nel distrarsi, ogni
tanto... »
Dio, quell’uomo aveva la capacità di far sembrare
tutto così perverso! Ormai, Sakura aveva l’impressione che Kakashi si
esprimesse solo in eufemismi... o forse era la sua mente che ormai viaggiava
sulla stessa frequenza, dopo aver passato troppo tempo con lui.
Un altro quarto d’ora passò in fretta, il rametto
di felce che teneva tra le mani era ormai stato demolito e Sakura stava
terminando le scorte di vegetazione da distruggere. La strada era così
silenziosa che un branco di piccoli cervi vi passeggiava coraggiosamente,
brucando timidamente l’erba a bordo strada. Sakura si rilassò: se i bersagli
fossero arrivati, i cervi sarebbero stati i primi ad avvisarla.
La quiete faceva da padrona e Kakashi era assorto
nel suo libro, quindi Sakura decise di cogliere l’attimo.
« Sensei...? »
« Mmh ».
« La mia prova semestrale si avvicina...
Tsunade-shishou dice che sono tra i candidati alla promozione ».
« Mmh ».
« Ma... crede che non ho abbastanza jutsu per
convincere la commissione ».
« Mmh ».
« Quindi mi chiedevo... Se avesse del tempo
libero, potrebbe insegnarmene qualcuno? Dicono tutti che lei ne ha più di mille
e a me ne servono solo un paio, giusto per convincere gli esaminatori che non
sono del tutto inutile ».
« Mmh » canticchiò di rimando. « Credo di sì ».
Sì!
Sakura esultò mentalmente.
« Ad una condizione ».
Si bloccò. « Come, scusi? »
« Ad una condizione ».
« Aspetti un attimo, non è così che funziona! Lei
è il mio maestro, il suo compito è quello di insegnarmi le cose » gli fece
notare. « Gratis ».
« Prendere o lasciare, Sakura ».
« Ma – cosa?! È irragionevole! » sibilò, cercando
di tenere basso il tono di voce. « Considerando che lei ha rubato la maggior parte delle sue mosse, non vedo perché dovrebbe
essere così avaro da– »
« Non si tratta di avarizia » le spiegò, con
calma. « Sarei felice di condividere la mia saggezza con te, ma penso anche che
le cose debbano essere eque. Quindi, c’è una condizione ».
Sakura strinse i denti per un momento, per poi
chiedere freddamente. « Quale sarebbe questa condizione? »
« Per ogni jutsu che ti insegnerò, dovrai fare
qualcosa per me ».
I pochi peli sulle braccia di Sakura si rizzarono:
una persona con una mente leggermente più pura avrebbe preso quel commento come
qualcosa di innocente, ma dentro di sé Sakura sapeva esattamente cosa intendesse.
La parte esterna di sé, invece, fece la finta
tonta: « Ad esempio? » chiese, sottovoce.
« Non ho ancora deciso » fu la risposta. « Ma
stavo pensando– »
La connessione radio cadde bruscamente, mentre un
leggero tremolio scosse la strada, agitò gli alberi e le loro foglioline,
zittendo le cicale per un beato momento; i cervi che pascolavano lungo la
strada corsero a rintanarsi nella foresta come piccoli razzi marroni.
Sakura saltò fuori dalla buca e raggiunse la
strada. « Cos’è stato? » chiese.
Kakashi si lasciò cadere da un albero ad un metro
di distanza da lei; si guardò intorno per un momento e poi indicò il pendio
ricoperto di alberi alle spalle dell’alunna. « Guarda lì ».
Una colonna di fumo si innalzava sulla cresta
della vegetazione: era debole e lontana, ma sicuramente fuori dall’ordinario. «
Sensei – credo che i ragazzi– »
« Andiamo ».
Abbreviarono il percorso correndo tra gli alberi,
sfrecciando attraverso il fogliame, evitando i detriti forestali ed i rami
pendenti. Correndo, Kakashi provò a contattare i ragazzi via radio: Sakura
stimava che si trovassero ad almeno mezzo miglio di distanza – abbastanza per
coprire il segnale radio – che però tra le montagne era debole, rimbalzava tra
le valli come una pallina da ping-pong. Mentre Kakashi chiamava i loro nomi
nell’auricolare, riceveva in risposta solo il silenzio.
Sakura pregò mentalmente che fosse solo a causa del segnale debole.
Dopotutto, erano Naruto e Sasuke: sarebbe stato di
sicuro lontano il giorno in cui qualcuno avrebbe potuto avere la meglio su di
loro, anche se in netta superiorità numerica.
Quando ebbero raggiunto un punto abbastanza alto,
Sakura si sporse ed individuò il sottile percorso della strada che si incurvava
come un serpente di colore chiaro sul pendio erboso. La colonna di fumo era
quasi completamente sparita, ma la sua origine era inconfondibile: gli appariva
sottoforma di un notevole cratere al centro della strada.
Kakashi era più veloce di lei e la sorpassò, non
era né il luogo né il momento adatto, ma lo sguardo di Sakura era attirato da
lui. Menzione d’onore per il suo sedere in particolare, ma in generale Kakashi
Hatake, in azione, faceva la sua bella figura. Snello, ma non magro; muscoloso,
ma il giusto: l’equilibrio perfetto per un uomo fatto per essere veloce e
silenzioso.
In realtà, sarebbe stato difficile trovare un ninja senza un’ottima condizione
fisica, ma c’era qualcosa nelle proporzioni di Kakashi che le faceva venire
voglia di digrignare i denti e–
Per una frazione di secondo vide Kakashi esitare e
voltarsi a guardarla; dopodiché, non sentì più il vento sul viso perché l’aveva
spinta di lato.
Rotolarono lungo il pendio insieme per un paio di
metri, prima di sbattere contro la base di un vecchio acero. Kakashi aveva lo
sguardo fisso lungo il dislivello, ma non sembrava avere intenzione di alzarsi.
Non sembravano essere sotto attacco, altrimenti sarebbe stato già in piedi a
combattere.
Quando Sakura finalmente riuscì a respirare,
scagliò un pugno alla sua spalla.
« Ma cosa fa?! » ansimò. « Avrebbe potuto uccidermi! »
« Stavi per inciampare in un nido di vespe » le
fece notare, perplesso. « Non te ne sei accorta? »
Sakura si bloccò: no, non se n’era accorta,
concentrata com’era sui suoi bicipiti...
...che ora erano pressati contro entrambi i lati
delle sue spalle.
« L’avevo notato! » mentì, sicura del fatto che
non avrebbe mai potuto dimostrare il contrario.
« Non c’era bisogno di rischiare di rompermi il collo per salvarmi da un paio
d’api ».
Sembrò volersi impegnare ad avere l’aria
dell’incompreso, mentre tornava in piedi e l’aiutava ad alzarsi. « È solo che
non volevo rischiare di rovinare nemmeno un centimetro della bella pelle che
hai, per colpa di un nido di vespe cattive » le disse allegro, facendo scorrere
le mani su e giù per le braccia di Sakura in ciò che sarebbe dovuto essere un
gesto confortante ed affettuoso.
Ma Sakura non poteva fare a meno di sentire che
fosse più di ciò: c’era qualcosa, nel modo in cui le sue dita esitavano a
staccarsi da lei, nello sguardo che si perse sul suo viso un attimo prima che
si voltasse per risalire il pendio.
Sakura fece un respiro profondo e si diede una
scrollata interiore: non c’era tempo per distrarsi, non quando i ragazzi
potevano essere in pericolo...
Ma sembrò essersi preoccupata per nulla: quando
raggiunse i ragazzi, al seguito di Kakashi, si ritrovò davanti uno scenario
seriamente apatico. Un carro, trainato da due cavalli, era stato parcheggiato a
bordo strada, nei pressi del cratere; dietro di questi c’erano sette uomini
tramortiti. Al posto del guidatore, c’erano Naruto e Sasuke: il primo appariva
particolarmente soddisfatto, anche se riportava qualche scottatura. Il secondo,
invece, aveva l’aria di uno a cui avevano calciato il gatto.
Ma Sasuke aveva sempre quell’aspetto.
A Sakura veniva da piangere. « Tre giorni! »
gemette. « Per tre giorni sono stata seduta in quella buca dimenticata da dio,
in attesa di un po’ di azione – e voi due ve la tenete tutta per voi! Avrei
potuto starmene a casa! »
« Non ti sei persa nulla, non è che abbiano
opposto chissà quale resistenza » le disse Sasuke.
« Aw, andiamo,
Sakura-chan! » cercò di calmarla Naruto. « Penso che uno di loro sia ancora
semi-cosciente, puoi schiaffeggiarlo se vuoi ».
Sakura sospirò miserabilmente. « Non è lo
stesso... »
Kakashi si era già allontanato per controllare il
carro ed il suo carico. « Questi sono gli uomini giusti, vero? Non avrete
attaccato le prime persone che si sono avvicinate? »
Naruto e Sasuke si scambiarono un’occhiata
leggermente ansiosa, prima che Sasuke dicesse « Non abbiamo trovato le sacche con
i soldi, quindi non possiamo esserne sicuri al 100% ».
« Lei ci ha detto che i banditi hanno un cavallo
ed un carro » gli fece notare Naruto, indignato.
« Sì, come chiunque viaggi per queste strade »
rifletté Kakashi, raddrizzandosi e voltandosi a fronteggiare i ragazzi. « Li
porteremo ad Asahi per farli identificare, sperando che siano chi cerchiamo, ma
se così non fosse... » si voltò di lato per guardare Sakura. « Sakura, tu puoi
restare qui e tenere d’occhio la strada; Naruto, a te toccherà l’altro lato. Se
vedete qualcuno di sospetto non attaccate, venite ad avvisare me e Sasuke.
Intesi? »
Oh, fantastico, ancora appostamenti nelle buche a
bordo strada. Sakura annuì vagamente, fissando assente il cavallo dagli
occhietti luccicanti legato al carro. Si chiese perché Kakashi stesse guardando
solo lei, mentre si riferiva anche a Naruto: la faceva sentire a disagio.
« Bene » Kakashi si voltò e salì a bordo del
carro, al posto di Naruto. « Sasuke, tu vieni con me ».
Impassibile, Sasuke riprese ad occupare il posto
accanto a lui ed afferrò le redini che l’insegnante gli passò; facendo roteare
gli occhi, spronò il cavallo a camminare, mentre Kakashi si voltava a salutare
con una mano gli altri due studenti che stava abbandonando.
« Ci vediamo tra mezz’ora, non fate stupidaggini! »
« Lo dice come se si aspettasse che lo facessimo »
brontolò Naruto sottovoce, per poi rivolgere a Sakura un mezzo sorriso sicuro.
« Scommetto che i banditi verranno tutti dal mio lato, li batterò uno ad uno
con una mano sola! »
Sakura sbuffò. « Credevo che li avessi già battuti
» commentò, arguta.
« Sì... beh... potrebbero essercene altri » le
disse lui, con tono tutt’altro che convincente. « Io andrò di qua e tu di là! A
dopo,
Sakura ».
Se le strade di montagna le erano parse noiose quando
era con Kakashi, lo erano doppiamente adesso che era rimasta da sola; non
cambiava però il tempo che dedicava a pensarlo. Mentre si arrampicava sugli
alberi tenendo un occhio sulla strada mezza distrutta da Naruto e Sasuke, la
sua mente sarebbe dovuta restare focalizzata sul lavoro da svolgere: era
irritante il fatto che riuscisse a pensare solo ai suoi sguardi illeggibili e
al codice indecifrabile in cui sembrava parlarle. Ogni tanto, si chiedeva se
tutto ciò che le diceva avesse un altro significato.
Certe volte, invece, si domandava se non lo
credesse più profondo di quanto in realtà non fosse. Era risaputo che Kakashi
fosse un pervertito, un uomo sulla trentina dal carattere indefinito, così
taciturno da indurre i più a pensare che fosse una persona riflessiva, ma in
realtà ogni volta che non parlava leggeva, quindi in pratica tutto ciò a cui
pensava era il porno.
Sakura si arrampicò su di un grosso albero dalla
corteccia ruvida e chiuse gli occhi: le scene della notte scorsa si ripetevano
nella sua mente, ancora ed ancora, stuzzicandola e tormentandola. Aveva ormai
smesso di provare a bloccare le immagini che il suo cervello le proponeva: la
prima volta che l’aveva visto, dalla finestra, aveva fatto di tutto per
respingerle; ora permetteva a quei piccoli scorci nella sessualità di Kakashi
di galleggiare liberamente nella sua testa... come l’immagine di quei fianchi
nudi e rapidi che si muovevano contro quella ragazza, sulle casse di birra.
Quale sarà stato il suo nome? Kakashi l’aveva
sussurrato, ma non era riuscita a sentirlo: Sasaki? Takuya? Osaka? Qualcosa di egualmente insignificante.
Sakura si era decisa ad odiarla, ma era difficile disprezzare una ragazza messa
da parte con così tanta freddezza e rapidità, al punto da scoppiare a piangere
nel bagno delle donne.
Sakura si era avvicinata a Kakashi perché lui
sembrava diverso rispetto ai ragazzi con cui era stata, ma apparentemente lo
era solo in ambito sessuale.
E
a te comunque non interessa, le disse la coscienza, prima
che potesse frenarla. Non stai cercando
un romanticone, vuoi solo qualcuno che ti faccia
veni–
Oh,
zitta, le rispose Sakura, e tutto tornò silenzioso.
Silenzioso, non fosse stato per il distante
scalpitio di zoccoli sulla strada.
Sakura prese un grosso respiro e girò cautamente
intorno all’albero per raggiungere una posizione più sicura e prese ad
osservare la strada sotto di sé. Mimetizzata dietro alle foglie e ai rami,
riuscì a scorgere un altro carro in arrivo: non poteva dire quante persone vi
fossero a bordo, ma era sicuramente più piccolo di quello che Sasuke e Naruto
avevano fermato.
Restando perfettamente immobile, decise di
attendere fino a quando non le fossero passati davanti prima di correre ad
avvisare Kakashi e Sasuke. Naruto si sarebbe perso il divertimento, ma non era importante.
Ma quando il carro stava per passarle davanti,
rallentò. Preoccupata di essere stata scoperta, Sakura si preparò a scappare: i
ninja più forti potevano sempre intercettare chakra inferiori ai propri, a
prescindere da quanto fossero ben nascosti, e se quegli uomini erano riusciti a
sentire il suo flusso di chakra, era in serio svantaggio.
« Cosa c’è? » ringhiò uno di loro.
« La strada è un disastro! »
Sakura cominciò a rilassarsi: era evidente che,
invece del suo chakra, avessero notato il cratere che i ragazzi avevano
lasciato, che sicuramente non poteva passare inosservato.
« Non preoccuparti, c’è spazio per aggirarlo– »
« No, c’è qualcosa che non va... lo senti? »
Sakura trattenne il respiro.
« ...cosa dovrei sentire? »
« Qui c’è stato qualcosa di potente, lo sento
nell’aria. Chiunque sia stato, potrebbe ancora essere nei dintorni ».
« Credi che gli abitanti del villaggio si siano
fatti furbi, alla fine? »
« Forse hanno piazzato qualche mina o cose del
genere ».
« O cose del genere ».
« Meglio andarcene ».
« Ma – tutto quell’oro– »
« Non voglio correre rischi ».
Dannazione!
Il
carro stava per fare inversione, con il doppio della velocità con cui era
arrivato: se Sakura fosse andata a cercare il resto del team, gli avrebbe dato
tempo sufficiente per scappare.
Tutto quel tempo passato in una buca non poteva
essere sprecato!
Il carro si stava allontanando velocemente e
Sakura gli stava dietro correndo silenziosamente tra gli alberi, sorpassando la
vettura. Contò velocemente quattro uomini di varia stazza, ma non poteva
conoscere le loro abilità né sapere se fossero più forti di lei, ma che razza
di ninja sarebbe stata se si fosse tirata indietro davanti ad un po’ di
pericolo? Doveva scegliere tra correre il rischio o rinunciare ancora una volta
alla paga.
Ed aveva davvero bisogno di quei soldi: il padrone
di casa aveva di nuovo cominciato a minacciare di sfrattarla.
Quando fu ad un centinaio di metri davanti al
carro, si fermò davanti ad un alto faggio con un ampio tronco, poco distante
dal ciglio della strada; nel mentre, il carro si avvicinava ignaro di ciò che
gli sarebbe accaduto.
Con un grido acuto, Sakura sferrò un calcio alla
base dell’albero, frantumandone completamente il ceppo; con un cigolio, prese a
barcollare e contorcersi, per poi inclinarsi.
I rami più alti furono i primi a schiantarsi al suolo, e Sakura sentì i banditi
urlare mentre cercavano di fermare il cavallo giusto in tempo, un attimo prima
che l’intero albero cadesse sulla strada, alzando un polverone di terra e
foglie.
Il cavallo che trainava il carro sembrava a
malapena sorpreso, al contrario dei quattro uomini che apparivano pallidi di
terrore.
Ma si ripresero fin troppo in fretta.
« Chi c’è?! » disse uno di loro, lasciando le
redini per alzarsi in piedi: Sakura presunse fosse il leader del gruppo; le
dimensioni della spada che portava legata alla schiena le davano l’impressione
di voler compensare altro. « Mostrati ».
Non che potesse evitare di essere notata, ormai:
avevano finalmente sentito il suo chakra e la stavano cercando proprio tra i
cespugli dietro ai quali si nascondeva.
Con un’espressione calma e composta uscì allo
scoperto e raggiunse la strada, mirando ad incutere un po’ della soggezione che
sapeva dare Sasuke con una delle sue occhiate.
Quando scoppiarono a ridere si rese conto di aver
fallito miseramente.
« Rilassatevi, ragazzi, è solo una ragazzina »
disse il capo, coprendo le risate con l’avambraccio.
« Smettetela! » strillò Sakura, portando i pugni
ai fianchi. « Sono una kunoichi! »
« Hai i capelli rosa– »
« E?! »
sibilò in avvertimento all’uomo mascherato che aveva parlato.
« E sarai alta un metro e venti... »
« E quest’albero era alto nove metri, ma non ho
avuto problemi ad abbatterlo » si raddrizzò, per poi saltare sul tronco
ribaltato dell’albero per cercare di guadagnare un po’ di rispetto, seppur a
scoppio ritardato.
« Non avrò nessun problema a fare fuori anche voi ».
« Ti abbiamo offesa in qualche modo, signorina? »
le chiese il leader.
Gli occhi di Sakura si ridussero a due fessure, ma
cercò di ignorare il tono paternalistico; almeno per ora. « Non sarete qui per
cercare di derubare le miniere d’oro di questo villaggio, per caso? Perché
ultimamente hanno avuto qualche problema con i ladri ».
« Ed hanno chiamato te? » la derise lui. « Se non
l’hai notato, bambolina, ce ne stavamo andando. Quindi tu ed il tuo albero
dovreste sgomberare nei prossimi dieci secondi, oppure dovremmo farci strada
con la forza ».
Sakura restò ferma. « Non posso proprio
permetterlo ».
« Sarebbe un peccato se ti rompessi quel bel collo
che hai su quelle rocce laggiù » disse il leader, dando un’occhiata
significativa verso ripido pendio sotto la strada, dove scorreva tra la nebbia
un fiume turbolento e pieno di rocce. « Non abbiamo interesse nel fare del male
a tanta bellezza, quindi ti saremmo molto grati se ti facessi da parte ora ».
« Non mi faccio abbindolare dalle tue adulazioni »
tagliò corto Sakura. Il suo tormentatore interiore, però, era in forte
disaccordo. Ti ha appena chiamata
bellezza! Bingo!
Il leader dei banditi si accigliò. « Dieci
secondi, altrimenti... Dieci... Nove... »
Sakura alzò gli occhi al cielo.
« Otto... sette... sei... cin– cazzo! »
L’esclamazione arrivò quando il carro fu ribaltato
bruscamente, dopo che le redini in cuoio erano state recise dalla mano rapida
di Sakura, la quale saltò poi sulla schiena del cavallo, mentre osservava gli
uomini ruzzolare in shock e sorpresa.
Non sarebbe stato affatto difficile se–
« Stronza! »
Sakura si lanciò di lato, mentre una raffica di senbon veniva scagliata contro di lei, mancandola per un
pelo. Il cavallo decise di averne avuto abbastanza e, approfittando della
ritrovata libertà, galoppò felice verso giorni più sereni. Nessuno degli uomini
si disturbò a ricorrerlo, erano troppo occupati a circondare Sakura come un
branco di iene radunate intorno ad una preda ferita.
Ma Sakura non era una preda ferita e quegli uomini
stavano per strozzarsi con il loro stesso pasto.
Il leader sguainò la spada dal fodero che portava
sulla schiena e la guardò in modo minaccioso, mentre la luce riflessa sulla
lama le saltava agli occhi, ma la sua impugnatura dell’arma era fin troppo
pigra. Forse quell’uomo avrebbe potuto pensare che agitarla a destra e a
sinistra fosse intimidatorio, ma non aveva mai visto Sasuke tenere una spada:
una presa salda di quell’arma poteva ispirare molta più paura, di quei
movimenti ostentatori.
« Ti pentirai di non averci dato retta, ragazzina
» le disse.
In qualche modo, Sakura lo dubitava fortemente.
Improvvisamente, si scagliò contro di lei in
simultanea con gli altri tre uomini.
Sakura si girò per evitare la lama zelante e si contorse spingendo uno dei più
grossi contro un suo compagno. Con un forte pugno allo stomaco, mise fuori
gioco uno degli altri che cercava di attaccarla con un kunai. Quello
mascherato, invece, provò a colpirla a mani nude, ma con un solo destro alla
mascella fu spedito all’indietro di capogiro.
« Ti ho presa! » un paio di braccia la bloccarono
da dietro, stringendola per impedirle di respirare. Sakura annaspò: le braccia
erano bloccate, ma aveva ancora i piedi ancorati al suolo; con la pura forza
fisica si spinse all’indietro, in direzione del carro ribaltato. Il duro
impatto allontanò l’uomo solo di qualche millimetro, ma le diede il tempo
necessario per liberarsi, svitare la ruota dall’asse del carro e scagliarla
sulla sua testa.
Rimanevano solo il leader e l’uomo mascherato.
« Cazzo, mi ha rotto un dente » si lamentò
quest’ultimo, troppo occupato ad asciugare il sangue per vedere la ruota volare
verso di lui come un frisbee.
Restava solo il capobanda.
Non faceva più lo sbruffone, ma Sakura non
gongolò: non sembrava voler mollare.
« Se ti arrendi ora, avrai le ossa salve » lo
avvisò, seria.
La derise con un mezzo sorriso. « Erano deboli »
le disse.
« E tu? » chiese lei.
« Sono stato addestrato dai Cacciatori della
Nuvola ».
Sakura non ne aveva mai sentito parlare. « Ah, sì?
Io invece da un sannin ».
« Ah... »
« Sì, ah ».
« Quindi sarà un onore ucciderti ».
« Se avessi avuto un ryo
per ogni volta che l’ho sentito dire da un aspirante ninja da bingo book... »
La spada affettò l’aria, diretta verso di lei.
Sakura scattò e, con velocità fulminea, scivolò per apparire alle spalle
dell’uomo, preparando un pugno forte abbastanza da paralizzarlo, per darle il
tempo necessario ad immobilizzarlo.
Ma un attimo prima che le sue nocche lo toccassero, fu costretta a tirarsi
indietro quando si voltò più in fretta di quanto lei avesse previsto. La punta
della lama per poco non le squarciò la gola, mentre balzava indietro.
« Non sembri più così sicura, ragazzina ».
La stava facendo arretrare, le oscillazioni della
spada erano precise e veloci – troppo per trovare un’apertura. Tutto ciò che
poteva fare era evitarle, ma la lama seguiva ogni suo movimento come una
zanzara fastidiosa. A prescindere da quanto agilmente scansasse ogni fendente,
era sempre lì, forzandola a tirarsi indietro fino a che non fu sul prato. Con
un’occhiata fugace, si rese conto che l’aveva spinta al limitare della strada,
a pochi passi dal pendio: per un breve istante pensò che l’intenzione che
l’uomo aveva di spingerla nel vuoto potesse diventare realtà: non aveva più vie
di fuga.
La lama si scagliò su di lei, pronta a tagliarla a
metà dalla testa al ventre. Senza pensare, Sakura la afferrò, evocando una grossa
quantità di chakra ai palmi per disperdere l’impatto.
Non fu abbastanza: la lama colpì e tagliò a fondo
le mani, facendo schizzare il sangue sul suo viso e sui capelli. La bocca di
Sakura si spalancò in un grido silenzioso, mentre il dolore le scorreva lungo
le braccia.
L’uomo non si mosse: quando raccolse il coraggio
per aprire gli occhi per guardarlo, lo vide fissarla in confusione. « Come
hai... »
Non riuscì a terminare la frase: all’improvviso, i
muscoli del viso gli si distesero e gli occhi rotearono verso l’alto. La spada
scivolò dalla sua presa e cadde al suolo, seguita poco dopo da lui stesso: una
voragine insanguinata gli bucava la schiena.
Alle sue spalle, c’era Kakashi.
« Stai bene? » le chiese.
Sakura si strinse le mani al petto ed annuì con un
sorriso forzato. « Mhmh » gli rispose, ma non fu abbastanza convincente, non
mentre aveva così tanto sangue a scorrerle lungo gli avambracci dal vuoto
lasciato dalle sue mani congiunte.
« Fammi vedere... »
« Sto bene » disse, con un tono leggermente esasperato.
Stava già concentrando il chakra alle mani per guarirle, mentre l’emorragia
cominciava ad arrestarsi. « Sono un medico, ricorda? »
C’era qualcosa di sbagliato nella sua espressione:
si era accigliato e la guardava con quel suo occhio scuro e rigido, illeggibile
come sempre, ma sembrava volerla rimproverare. Kakashi si voltò e, con un
gesto, indicò a Sasuke – che era a pochi metri di distanza – di controllare i
restanti uomini dandogli un colpetto con il piede.
Sasuke fece spallucce e si mosse.
Sakura diede una sbirciata ai palmi delle mani per
osservare il modo in cui i suoi muscoli e la pelle si rigeneravano sotto il
velo del suo jutsu: stava facendo del suo meglio per ignorare il modo in cui
Kakashi la guardava.
« Ti avevo detto di avvisarci nel caso in cui
vedessi qualcosa di sospetto ».
Ah, ecco cos’era. « Lo avrei fatto » disse, sulla
difensiva. « Ma avevano capito che c’era qualcosa che non andava quando hanno
visto il casino che Naruto e Sasuke hanno combinato. Se fossi corsa a
chiamarvi, sarebbero scappati ».
« Non necessariamente » le disse freddamente. «
Avremmo potuto rintracciarli ».
« Ah » disse solo: non ci aveva pensato. « Beh, il
fatto è che non pensavo– »
« È chiaro ».
« Ma me la sono cavata bene! » protestò.
« E come me lo spieghi questo?! » le strappò via
dal petto una delle mani e la tese per mostrarla ad entrambi, ma a parte il
sangue fresco, delle ferite restavano solo due piccoli lividi sui palmi.
« Visto? » disse lei, districando il polso dalla
sua presa. « Sto bene. Se non foste arrivati, lo avrei battuto ».
« Ci vogliono dai trenta ai quarantacinque secondi
per guarire una ferita del genere. In uno scontro di squadra, puoi permetterlo,
in un uno contro uno, è troppo. Saresti scoperta ». Kakashi prese ad
allontanarsi per esaminare gli uomini svenuti. « I miei ordini non sono
consigli, Sakura. Se ti dico di aspettare, tu aspetti ».
Un altro insegnante si sarebbe congratulato con il
proprio studente di essere stato capace di mettere fuori combattimento
un’intera banda di criminali da solo, ma non Kakashi. Le sue lodi erano fin
troppo imprevedibili: a volte, pur fallendo miseramente, poteva darti una pacca
sulla spalla e dirti che hai fatto un buon lavoro; e quando finalmente lo
facevi davvero, era capace di voltarti le spalle e farti il sermone sul
“seguire le regole”.
E per un uomo che sceglieva quali regole seguire e
quali no, era fin troppo.
Ma non aveva senso discutere con lui: tanto per
cominciare, Kakashi lasciava cadere le discussioni troppo velocemente per
arrivare ad un punto; in secondo luogo, non era neanche lontanamente una testa
calda quanto Naruto per provarci. Quindi Sakura strinse i denti e si voltò,
fumante di rabbia per i suoi comportamenti contraddittori. Sapeva di aver avuto la situazione
sotto controllo, e quello importava. Kakashi poteva pensare ciò che voleva, ma
ultimamente aveva sempre e solo torto.
« Ho sentito dei colpi! Ho sentito dei colpi! »
Una scia bionda, nera ed arancio sfrecciò fuori dalla foresta, per poi
inchiodare con uno stridio accanto a Kakashi. « Che mi sono perso? »
« Nulla di che » rispose vago il maestro,
raccogliendo uno degli uomini tramortiti agganciandolo per la cintura. «
Prendetene uno a testa, torniamo ad Asahi ».
« Il mio è praticamente morto » lamentò Sakura,
chinandosi per issare il bandito e guardando Kakashi per ricordargli che la
colpa fosse sua.
« Non mettere il broncio » ribatté lui. « Lo puoi
salvare ».
« Non mi sto – ah!
Lasci perdere ».
Ovviamente, di lì in poi mise il broncio.
Ed il suo umore non andò a migliorare quando notò lo scambio di occhiate tra
Naruto e Sasuke, che sembrava dire “è quel periodo del mese”, quando si
accorsero del suo atteggiamento scostante. Sakura si sforzò a rilassarsi ed
ignorarli: se gli avesse urlato conto, sarebbe solo stata la conferma al loro
crederla irrazionalmente ormonale.
Ma fu solo quando lasciarono i banditi ad Asahi ed
ebbero ripreso la strada del ritorno per Konoha che capì perché era così
arrabbiata con Kakashi.
Dopotutto, la sua reazione alla sua disobbedienza non era stata poi così dura;
ed inoltre non era certo la prima volta che la riprendeva per essere andata
contro le sue direttive, quindi perché questa volta la irritava così tanto?
Perché si era aspettata un trattamento più
tollerante del solito, ecco perché.
Dopo tutto quel flirtare, le piccole insinuazioni e l’essersi aperti così tanto
l’uno con l’altra, dopo avergli detto cose di cui non aveva mai parlato con
nessuno... si aspettava che il loro rapporto fosse cambiato. Non voleva che
riprendesse a trattarle con tutta quella indifferenza, di nuovo, come se fosse
stata niente più che la sua dannatissima studentessa.
Non le sembrava giusto.
Anche in quel momento era infastidita
dall’indifferenza di Kakashi, ma cosa si aspettava? Di certo non le avrebbe
fatto piacere se avesse cominciato a stuzzicarla in presenza dei ragazzi, ed
inoltre non la stava snobbando. A dirla tutta, probabilmente aveva già
dimenticato del loro battibecco: essendo un insegnante, Kakashi non aveva mai
astio nei confronti dei suoi alunni per i loro comportamenti.
Sakura sospirò, lasciandosi scivolare un po’ della
rabbia addosso: forse era davvero quel
periodo del mese? Kakashi non aveva fatto niente di male, e lei si stava
comportando proprio come la ragazzina che lui l’aveva accusata di essere la
notte prima. Dopo tutto quello che era successo, aveva scambiato la sua
imparzialità per indifferenza: aveva dimenticato di dover frapporre una linea
tra le relazioni personali e quelle lavorative.
Kakashi le aveva detto di dimostrargli di
essereun adulta quanto lui, ma fino ad
ora non aveva fatto altro che mostrarsi come una ragazzina petulante.
Ingoiando l’orgoglio, Sakura accelerò il passo per
avvicinarsi a Kakashi.
Come sempre, stava leggendo il solito libro con una mano in tasca, mentre uno
dei cinturini dello zaino che portava era poggiato comodamente su una spalla
sola. Alzò lo sguardo dal libro, quando la vide avvicinarsi, e sembrò sorpreso
di vederla, quasi come se avesse dimenticato che lei fosse lì.
« Posso avere il kit medico? » chiese mite.
La fronte di Kakashi si corrugò. « Sei ferita? »
« No, voglio solo le salviette disinfettanti »
disse, alzando le braccia incrostate di sangue secco fino ai gomiti.
« Ah ».
Si fermò e lasciò la borsa scivolare dalla spalla. I ragazzi continuarono a camminare
lasciandoli indietro, mentre Kakashi cercava il pacchetto di salviette nello
zaino e Sakura attendeva imbarazzata accanto a lui. « Ecco a te ».
« Grazie » disse, estraendo subito dal pacchetto
una manciata di salviette, ripulendo velocemente le scie di sangue secco.
Kakashi la osservava pigramente, ma con abbastanza interesse da metterla a
disagio: la guardava ripulirsi il sangue dalle braccia nello stesso modo in cui
un uomo guarda una donna mentre si sfila le calze.
Ma la fase in cui si illudeva di non apprezzare il
modo in cui la guardava era passata da tempo, perché non sarebbe stata sincera
con se stessa.
« Aveva ragione » disse improvvisamente,
passandogli le salviette sporche per riporle, mentre ne prendeva un’altra per
pulire le unghie. « Avrei dovuto avvisarvi, anche se avevo la situazione
sottocontrollo. Ho corso un rischio inutile, mi dispiace ».
Kakashi sospirò. « Nono sono io a trarre vantaggio
dalla tua obbedienza, Sakura, sei tu. Quando disubbidisci sei tu a correre
rischi, e puoi farti male tu. Quando sarai jonin, non dovrai rispondere a
nessuno se non all’Hokage, ma fino ad allora, non posso permetterti di formare
cattive abitudini che potranno ripercuotersi in futuro, quando porteranno
conseguenze serie a causa di un errore. E commettere errori accade, anche ai
migliori ».
Annuì silenziosamente. « Lo so » disse. « Non
succederà più ».
« Ma non devi nemmeno seguire gli ordini
ciecamente: l’ubbidienza cieca è pericolosa tanto quanto la disubbidienza
costante ».
« Capisco, Kakashi-sensei ».
Con un mezzo sorriso, la mano di Kakashi si posò
sulla sua testa per arruffarle i capelli.
« Non essere così seria, non sono arrabbiato con te. Ecco, puoi portare tu le
provviste, Miss Muscoli ».
« Oof! »
Sakura collassò quasi sotto il peso scaricato sulle sue spalle. « Grazie»
gli disse poi, sarcastica.
« La tua gratitudine mi riscalda il cuore » disse
Kakashi, leggero. « Quindi ho deciso di ritagliarmi un po’ di tempo libero,
questo pomeriggio. Ti va di allenarti? »
« Cosa? » rispose lei, battendo le palpebre,
confusa.
« Hai detto di voler imparare più jutsu per la
prova semestrale » le fece notare lui. « È tra due giorni, no? »
Sakura si accigliò. « Come fa a saperlo? »
« È parte del mio lavoro, sapere queste cose » le
disse, evasivo. « Allora? Ci stai? »
« Certo... »
« Perfetto.
Facciamo alle tre al Campo due? »
Alle quattro in punto Kakashi si presentò al campo
di allenamento, accolto da una ragazzina dai capelli rosa leggermente irritata.
Sembrava ormai che il suoi ritardi fossero così prevedibili che nessuno si arrabbiava
troppo con lui, ultimamente: ma se in genere Sakura gli avrebbe chiesto
spiegazioni – per poi chiamarlo bugiardo, a prescindere dalle giustificazioni –
ora restava in silenzio. Era da un po’ che lo faceva, come se da quando l’aveva
beccato con Yoshi avesse capito che ci sono cose che non doveva sapere.
Non che avesse qualcosa da nascondere, quel
giorno: aveva solo sbagliato campo...
« Allora » cominciò lui, con tutto l’entusiasmo
possibile (che era davvero poco). « Per prima cosa, stileremo una lista di
jutsu che si accordano al tuo stile di combattimento e che possano renderti una
shinobi più versatile agli occhi degli esaminatori ».
« Va bene » annuì lei. Era poggiata al recinto di
metallo intrecciato, le dita di una mano aggrappate ai buchi della recinzione,
mentre l’altra mano era nascosta dietro la schiena.
Eccolo ancora, quell’atteggiamento timido: la testa inclinata come a voler dire
“sono solo una ragazzina”, insieme a quel suo trascinare del piede nel terreno.
Che fosse inconscio o meno, Kakashi sapeva che era solo una recita: non c’era
nulla di mite o timido in Sakura... sembrava solo volersi comportare bene dopo
lo sgarro di quella mattina.
« Ci ho pensato un po’ » disse lui, poggiandosi
alla recinzione a pochi passi da lei. Cigolò, sotto il suo peso, strattonando
la mano di Sakura. « Quanti genjutsu conosci? »
« Uh... » fece finta di contarli sulle dita di una
mano. « Nessuno ».
« Beh, tu sei un tipo da genjutsu, quindi dovresti
essere capace di impararli in fretta. Ne ho qualcuno in mente che potrebbe
piacerti, quindi cominciamo a– »
« Aspetti ».
Kakashi si fermò, fissandola. « Cosa? »
I piedi di Sakura scivolarono timidamente sul
terreno. « Ha detto che c’è una condizione... »
« Lo so » annuì lui.
« Beh... vorrei sapere di cosa si tratta, prima di
cominciare » rispose lei.
Dentro di sé, Kakashi sorrise. « Hai paura che ti
chieda di fare qualcosa... di inappropriato? »
Dei grandi occhi verdi e spaventati si sollevarono
per incontrare i suoi, mentre il colorito del viso le sfumava in un rosa
pallido. « N-no! Voglio solo sapere a cosa vado incontro ».
« Non preoccuparti » le disse lui, carezzandosi la
nuca distrattamente. « Non ti farei fare nulla che non vuoi ».
Sakura sembrava ancora preoccupata.
« Ma forse vuoi rinunciare e andare a casa? »
« Perché è così importante per lei che io ricambi
il favore? » chiese, con espressione corrucciata. « Gli altri insegnanti non si
aspettano nulla in cambio, e lei stesso non chiede a Sasuke e Naruto di
ripagarla per il suo aiuto ».
« Naruto e Sasuke non vogliono il mio aiuto » ed io non ho interesse in nessuno dei favori
che potrebbero offrirmi...
« Forse sarei dovuta andare da Kurenai-sensei
» suggerì lei, incrociando le braccia in difesa.
« Forse » annuì lui. « Ne sa sicuramente più di me
sui genjutsu ».
Gli occhi di Sakura si ridussero a due fessure. «
E non si sarebbe aspettata niente in cambio ».
« In realtà, probabilmente sì. Non sei una sua
alunna, non sei un suo problema, e non ha nessun obbligo nel condividere i suoi
jutsu con te, ma è una brava ragazza... Al più ti avrebbe chiesto di farle la
spesa ». Kakashi si godè le espressioni di pura ira che si fecero strada
lentamente sul viso della sua studentessa. « È diverso insegnare ai bambini,
Sakura, quando le loro vite dipendono da te. Tu non sei più una bambina: sei
quasi un jonin ed io non ho più nulla da insegnarti che potrebbe essere di
vitale importanza alla tua sopravvivenza. Quello che ti sto facendo è un favore, per aiutarti ad impressionare
una commissione. E questo comporta che tu lo ricambi ».
« Ma che
tipo di favore? » sibilò lei.
« Non ho ancora deciso » disse lui, grattandosi
una guancia. « Ma sono sicuro che l’ispirazione mi coglierà mentre ti alleni, e
– come ti ho già detto – non ti costringerò a fare nulla che non vuoi, va bene?
»
« Va bene »
cedette lei a malincuore, anche se il suo sguardo si posava su di lui con
circospezione, come se ancora non fosse sicura che non le avrebbe chiesto
favori sessuali in cambio di qualche genjutsu.
Beh, era
sempre un’idea...
« Allora ho solo
due giorni per insegnarti quanti più jutsu possibili: vogliamo cominciare? »
chiese.
Sakura annuì
con determinazione. « Sono pronta ».
Lo disse con
fermezza tale da far bloccare Kakashi, che per un attimo concesse ai suoi occhi
di indugiare sul suo viso, perdersi in quella scintilla dei suoi occhi, sui
suoi zigomi alti, il nasino impertinente e labbra dolci e mature. Lo sguardo si
spostò poi sul suo collo sottile, per scivolare sulle spalle forti coperte da
una debole abbronzatura, e poi giù fino alle curve modeste del suo seno, del
suo busto fine e sui fianchi stretti che si aprivano in due gambe eleganti, che
aveva già visto aperte per accontentare una stupida recluta ANBU. Gambe che
sarebbero state molto meglio aggrappate ai suoi stessi fianchi.
Alzò di nuovo gli occhi per incontrare i suoi, che ora erano abbassati al suolo
ed avevano perso quella determinazione granitica che aveva avuto fino a pochi
istanti prima.
La sua valutazione fisica non era passata inosservata, anche se Sakura fingeva
fosse così.
« Certo che
sei pronta » le disse, leggero, scivolando in un tono suggestivo per il solo
gusto di vedere il sangue affluire al viso di lei.
Perché Sakura
era sempre così carina quando arrossiva, e Kakashi cominciava a chiedersi
quanto avrebbe potuto spingere prima che la recita finisse.
Mi scuso per
il ritardo e per il capitolo tradotto malissimo, me ne rendo conto, ma pur
avendolo riletto diverse volte non riesco a correggerlo come si deve.
Purtroppo, ultimamente sono successe cose spiacevoli che mi impediscono di
concentrarmi.
Nel prossimo capitolo il personaggio di Sakura si aprirà definitivamente e ci
sarà un approfondimento dei suoi timori e della sua psicologia, oltre a tante
scene di puro ed adorabile flirt: sarà, senza dubbio, un capitolo chiave (come
lo è questo, del resto, anche se il perché sarà chiarito poi).
Grazie, come sempre, di essere arrivati fin qui.
Il
vino era dello stesso colore del sangue: era avvelenato? Era drogato? Portò il
bicchiere alle labbra, le inumidì e lo allontanò di nuovo, fingendo di prender
un sorso, osservando come, per un solo istante, un lampo di sollievo si
disegnava sul viso di lei.
Era
trasparente per lui.
Anche mentre la fissava, lei distoglieva lo sguardo, ormai incapace di
guardarlo negli occhi.
E per quanto l’uomo si sforzasse ad ignorare il richiamo al suo corpo nudo e
lussureggiante, che tentava il suo stesso desiderio crescente, lei non era
nulla più che una dilettante, al suo confronto.
Aveva sedotto intere corti nobiliari, e quella finta innocenza non avrebbe
avuto la meglio su di lui, per quella notte.
Ma
quanto gli faceva male il pensiero del suo possibile tradimento...
«
Sei ancora arrabbiato con me? » mormorò lei, in un sospiro sussurrato da
tentatrice quale era. Quel tono di voce aveva ancora il potere di annodargli lo
stomaco.
Ma
non poteva risponderle.
Era ovvio che fosse ancora arrabbiato con lei.
Arrabbiato, deluso, rancoroso.
Non c’era altra donna al mondo che poteva metterlo in ginocchio quanto lei: non
sarebbe stato così amareggiato se non gli fosse importato, e cosa avrebbe dato
per non esserlo...
Mettendo
via anche il suo bicchiere di vino, gli si avvicinò, lasciando scorrere le sue
lunghe e sottili dita dalle unghie rosso rubino lungo il suo petto,
accostandosi a lui e sollevando lo sguardo per rivolgergli gli occhi verdi e
provocanti, che nuotavano in un lago di emozioni a cui non poteva dare un nome.
Non si illuse nemmeno per un attimo che una di quelle potesse essere amore.
«
Ti prego, non essere arrabbiato con me... Come posso farmi perdonare?»
sussurrò.
«
Penso che tu lo sappia ».
Lei
esitò per un solo istante, prima che le sue abili dita scivolassero più in
basso, oltre l’orlo dell’intimo, prima di inginocchiarsi di fronte a lui. Era
stato lui stesso ad insegnarle quelle cose – come usare le sue abilità per
ottenere effetti così devastanti. Le aveva mostrato i piaceri della carne ed
ora lei stessa provava ad usarli contro di lui. Un sorriso lussurioso le piegò
le labbra, mentre lo liberava dagli ingombri della stoffa ed avvicinava la
bocca alla punta pulsante del suo–
« Oh, cazzo!
»
Kakashi sollevò lo sguardo con interesse, per
trovare la sua irritatissima studentessa dai capelli rosa seduta a gambe aperte
su una pila di terra smossa, pietre e vegetazione. Aveva una mano premuta sulla
bocca e lo guardava colpevole dell’imprecazione.
Divertito, Kakashi abbassò il libro di pochi
centimetri. « Va tutto bene? »
« Sì... bene... » borbottò lei, alzandosi e
spolverandosi il sedere. « Ma Kakashi-sensei, non funziona ».
« Significa che stai sbagliando qualcosa ».
Lo osservò per un lungo istante: un cumulo di
nuvole scure si erano raggruppate sopra di loro, come una sorta di
manifestazione infausta della sua evidente irritazione. Come era inevitabile
che i cieli sarebbero stati squarciati dalla pioggia, era inevitabile che
Sakura avrebbe perso la pazienza con lui.
Sospirò e si raddrizzò contro la base dell’albero
al quale era poggiato.
« Va bene » disse, sollevando il suo hitai-ate con un dito « fammi vedere ».
Dopo essersi presa un momento per rimettere a
posto i capelli disfatti, Sakura si voltò verso di lui e cominciò a – con
profonda concentrazione – formare i sigilli del jutsu. Il terreno sotto di loro
gorgogliò lievemente, eruttando sporco, radici e qualche pietra occasionale. Un
cumulo fangoso – la cui forma ricordava vagamente un braccio – si sollevò dalla
terra ribollente, per poi infrangersi di nuovo al suolo, causando un sospiro
frustrato di Sakura.
« Rilasci il pollice troppo in fretta nel sigillo
del drago » la informò. « E non ti stai concentrando abbastanza, ci stai
mettendo troppo chakra. Ricordi cosa ti dissi? Il jutsu in sé te ne costerà
circa il 5%, quanto più gliene darai, tanto più si potenzierà. Se gliene darai
troppo, lo renderai più forte di te, e non deve accadere. Non è facile da
controllare, e non aspettarti di impararlo in fretta come hai fatto con il
genjutsu. È un ninjutsu di terra, non ti riuscirà facilmente ».
« Giusto, certamente ».
Sakura si fermò un attimo a memorizzare tutte le informazioni ricevute, prima
di allontanarsi per ricominciare da capo. Si sarebbe stancata di lì a poco, non
se la stava di certo prendendo comoda.
Nell’apprendimento rapido era sicuramente
superiore ai ragazzi; anche se, in qualche modo, il loro apprendere più in
fretta di quanto lui insegnasse gli toglieva tutto lo sfizio dell’insegnare. Ma
se lei voleva imparare quanti più jutsu possibili in tempo per la prova
semestrale, quanto più in fretta imparava, meglio era.
Era già in possesso di due nuovi genjutsu, e se
fosse riuscita a padroneggiare il nuovo ninjutsu prima di terminare le energie,
il giorno dopo avrebbe potuto insegnarle un paio di tecniche utili e forse un
genjutsu piuttosto difficile che aveva in mente, se gli avesse dimostrato di
esserne capace.
I suoi metodi, però, restavano ancora piuttosto
interessanti per lui.
Quando le prime gocce di pioggia raggiunsero il suolo, Kakashi vide che era
riuscita ad evocare una mano fangosa dal terreno, ma prima che potesse formarsi
completamente, il jutsu fallì ed il golem informe si infranse con un sonoro
schizzo. Sakura gli urlò contro e prese a calciarlo, come se ciò servisse a
rianimarlo: sembrava non essersi nemmeno accorta che stesse cominciando a
piovere.
Kakashi sorrise tra sé e tornò al suo libro:
l’avrebbe padroneggiato a breve.
Quindi riprese.
Involontariamente,
le mani di lui si aggrapparono alle ciocche chiare dei suoi capelli. La sua
bocca umida continuava a scivolare sulla sua lunghezza pulsante, inglobandolo
fino in fondo, mentre l’uomo spingeva contro di lei, tentando invano di
resistere al suo incantesimo.
C’era
stato un tempo in cui si sarebbe aspettato di vederla cadere ai suoi piedi, ma
lei gli aveva resistito: per quanto fosse ricco, potente ed affascinante, lo
aveva sempre rifiutato. Dopotutto, erano nemici e si combattevano, ma che fosse
dannata, ora era lui a non poterle resistere. Aveva fatto in modo da
catturarlo, ed ora la sua infatuazione non aveva freni. Lei aveva provato a
metterlo in guardia, ma ormai la mente era succube del cuore ed era disposto a
pagare qualunque prezzo per averla.
Forse,
addirittura tradire il suo paese...
Quel
pensiero spense l’ultima fiammella di controllo: con urgenza feroce la sollevò
e, catturando la bocca di lei con la sua, le strinse forte le gambe contro i
suoi fianchi. Raggiunto il letto la fece distendere sulle lenzuola di seta e si
spinse tra le sue cosce accoglienti.
Lei
ansimò–
« Ah! » Sakura, esausta, si massaggiava un crampo
alla gamba.
–e
per un istante si fermò ad ammirarne l’incredibile bellezza. Strinse le dita
contro la sua gola, desiderando di poter strapparle via la verità. Desiderando
di poterle leggere il cuore e la mente.
«
Ti amo » sussurrò lei, ardente.
«
Ed io ti amerò fino al mio ultimo respiro » mormorò lui, sincero in ogni
parola, anche se gli spezzava il cuore dubitare delle sue.
«
È così duro... »
« È troppo dura!
»
Gli occhi di Kakashi scattarono verso Sakura. «
Cosa? »
« È troppo difficile! » gemette ancora, sedendosi
ancora sul cumulo di terreno: la pioggia cadeva su di lei con ritmo costante. «
Ogni volta che penso di avercela fatta, fallisco ».
« Stai migliorando però » le fece notare lui,
riparato sotto l’albero.
« Non credo di farcela in tempo per la prova,
sensei » sospirò.
Kakashi chiuse il libro e si alzò. « Va bene così,
sei comunque andata bene oggi, hai padroneggiato entrambi i genjutsu che ti ho
mostrato, quindi non è stata una totale perdita di tempo. Prima dello
sharingan, mi ci volevano giorni per imparare un genjutsu ».
Sakura emise un sospiro frustrato. « Mi può
prestare l’occhio per la prova? »
« No ».
« E che diamine... »
Kakashi sorrise tra sé prima che il rombo di un
tuono annunciasse una pioggia più fitta.
« Sakura, ti bagnerai se resti lì, vieni qui ».
La ragazza arrossì e corse via, con la testa
bassa: raggiunse l’albero appena un attimo prima che il cielo si spaccasse.
Insieme a Kakashi, poggiò la schiena contro il tronco, dove era più asciutto.
Non dissero niente per qualche minuto, presi ad osservare la pioggia cadere
fitta.
« Mi piace la pioggia » disse Sakura
all’improvviso. « Mi piace il modo in cui fa sembrare tutto fresco e nuovo.
Konoha non sarebbe la stessa senza la pioggia ».
Kakashi, con gli occhi socchiusi, osservava il
campo di allenamento diventare via via più fangoso.
« Sì, ma non trovi che i capelli diventino troppo crespi...? »
Sakura lo guardò con l’espressione di chi ha
appena sentito qualcosa di profondamente stupido, quindi Kakashi sospirò,
incrociò le braccia al petto e si ammutolì.
« Quindi le devo due favori » disse leggera lei. «
Ha già deciso quali sono? »
In realtà, l’ispirazione non l’aveva ancora colto:
cos’avrebbe potuto fare per lui? Avrebbe potuto farsi offrire la cena, ma
sapeva che ultimamente le cose non le andavano bene e non gli sembrava giusto.
Avrebbe potuto farsi fare il bucato, ma sarebbe stato crudele: non lo avrebbe
chiesto nemmeno al suo peggior nemico.
Ovviamente,quelle erano solo le idee pure e caste che balzavano sulla superficie
dei pensieri più immediati; sotto di quella, ce n’erano molte altre – che
navigavano nei pressi del subconscio – che erano piuttosto semplici, ma
tremendamente stimolanti.
Un
pompino – una sega – una recita del Kamasutra – strip poker – una sveltina –
giochi di ruolo – qualsiasi cosa – anche solo un bacino veloce –
Anche
se, la mia libreria dev’essere riordinata...
Fece per parlare, ma Sakura lo interruppe. « Nulla
di strano, ricordi » gli disse, dura.
« Non credo di ricordare quando è stato deciso »
rispose lui. « E definisci “strano” ».
Sakura arrossì, fissando il campo fangoso. «
Conoscendola, mi chiederebbe di lottare nel fango con un mio clone. Nuda. O qualcosa
del genere... »
Le possibilità che accettasse erano ben poche, ma
sarebbe stata senza dubbio una bella scena. « Perché dovrei chiedertelo? »
chiese lui, pensando ad alta voce. Voleva solo che Sakura si immergesse da sola
in quel tipo di conversazione.
« Perché lei è un pervertito » ribatté.
« Davvero? » la guardò con finta sorpresa. « È uno
scenario che hai immaginato tu, non io. Se c’è una pervertita qui, Sakura, sei
tu ».
« Non sono una pervertita! » scattò lei.
« Oh, certo che no » rispose lui, cercando di
placare la sua ira, ottenendo l’effetto contrario.
Sintomo di una coscienza sporca, constatò: sentiva
che Sakura fosse molto più perversa di quanto le piacesse ammettere.
Per preservarla da ulteriori imbarazzi, si schiarì
la voce. « C’è una cosa in cui potresti aiutarmi... »
Sakura si voltò a guardarlo: l’espressione
arrabbiata scemata in pura curiosità.
« C’è un jutsu che sto cercando di sviluppa– »
« Un jutsu originale?
»
Kakashi sospirò: era sconcertante la sorpresa che i
suoi studenti esternavano ogni volta che raggiungeva uno scopo da solo. « Sì,
un jutsu originale: un dōjutsu, per la precisione, e prima di ritenerlo
pronto, devo testarlo su qualcuno per essere sicuro che
funzioni... »
Sakura lo fissò.
Kakashi la fissò di rimando.
« Non sono sicura di apprezzare la piega di questa
conversazione... » borbottò lei.
« Non è pericoloso » la rassicurò. « Beh... di
sicuro non morirai ».
Sakura rifletté per un istante, sporgendo il
labbro inferiore in un gesto abituale.
Di sicuro non le faceva piacere diventare la cavia da laboratorio di Kakashi.
« Ovviamente, non sei costretta » le ricordò. «
Opterei volentieri per la lotta nel fango ».
Sakura alzò gli occhi al cielo. « Oh, e va bene...
Se proprio devo. » sospirò, arrendendosi.
« Ma forse... » riprese poi. « Se riuscisse a perfezionarlo, potrebbe
insegnarlo anche a me? »
Gli occhi le brillavano di speranza innocente,
così tanto che Kakashi avrebbe voluto prendersi a calci. « Sì, forse... »
Un’occhiata al campo d’allenamento gli fece notare
che la pioggia non apprestava a fermarsi, quindi si schiarì la voce. « Ora
dovrei andare » disse. « Ho delle cose da fare ».
Sakura lo guardò senza particolare espressione. «
Cose...? » ripeté. « Quali cose? »
« Ho un appuntamento ».
Le sopracciglia di lei si inarcarono: non era per
nulla sorpresa. « Con una donna, scommetto ».
Kakashi si fermò e abbassò lo sguardo su di lei. «
Praticamente, sì » ma non le diede altre spiegazioni: era più interessato al
modo in cui gli occhi di Sakura si erano stretti e le sue labbra si erano
serrate mentre distoglieva lo sguardo da lui: il suo linguaggio del corpo
sembrava urlare “ora puoi andartene a fanculo,
grazie”. « C’è qualcosa che non va? » chiese lui, innocentemente.
Per un attimo lo ignorò, per poi sospirare
improvvisamente e rilassare le spalle: sembrava essersi resa conto della
stanchezza proprio in quel momento. « L’ho vista con quella ragazza, l’altra
sera ».
Ah. Quella ragazza. Qual era il suo nome...?
« Era la prima volta che la incontrava? Quella
notte? » chiese.
Stranamente, il modo in cui parlava la faceva apparire più curiosa che
infastidita, al contrario di come si aspettava Kakashi, considerando la
sfuriata della sera precedente.
« Sì » le rispose lui.
Sakura annuì pensierosa, accigliandosi leggermente.
« Come ci riesce? » chiese poi, smarrita.
Kakashi sbatté le palpebre, confuso. « A fare
cosa? »
« Come riesce ad andare con una ragazza che
nemmeno conosce nell’arco di un paio d’ore? » disse lei, strizzando i capelli
bagnati. « Non ci riuscirei nemmeno se volessi: c’è qualche trucchetto
che non conosco? »
Kakashi sorrise impercettibile. « Se pure ci
fosse, questo è il tuo modo di chiedermi di insegnartelo? »
« N-no! » scattò lei. « Sono solo curiosa, ma...
c’è davvero un trucco? »
« In un certo senso » disse, altezzoso. « Direi...
sì, c’è una sorta di modo per sedurre qualcuno in pochi minuti ».
Kakashi attese, lasciando che quell’informazione
allettante si facesse spazio nella mente di Sakura: da un momento all’altro,
avrebbe schiuso quelle dolci e rosee labbra per chiedere –
« Come? »domandò lei, dolcemente.
E
via.
Kakashi, con lentezza ponderata, si scostò
dall’albero contro il quale erano poggiati entrambi e si voltò fulmineo,
poggiando la mano sul tronco, proprio dietro la nuca di lei.Notò che lo sguardo di Sakura si era
spostato– circospetto – sul suo braccio
teso, ma non sembrava preoccupata. Era trasportata dalla curiosità, e Kakashi
sapeva quanto pericoloso fosse assecondarla, ma il suo era puro e semplice
stuzzicare, no?
« Beh, innanzitutto devi allacciare un contatto
visivo » le disse gentile, « ed è quello il momento in cui sai se è... reattiva
».
« E come fa a capirlo? » la voce di Sakura era
lieve, ma non debole.
« Perché ti guarderà di rimando, come se sapesse esattamente a cosa stai pensando ».
E Sakura sapeva a cosa stava pensando: Kakashi lo
leggeva nel modo in cui lo sguardo di lei ispezionava la sua maschera, come se
avesse voluto strapparla via col pensiero.
Sakura si leccò le labbra una, due volte, poi deglutì. Kakashi spostò il peso
dalla mano al gomito, accorciando le distanze di un mezzo passo, e notò il modo
in cui lei inspirò, violentemente.
« Poi devi parlarle, chiederle se si sta
divertendo, se le piace la musica, se vuole un altro drink ». Le avvicinò una
mano al viso e, con un movimento delicato, le scostò una ciocca di capelli
dagli occhi. « E mentre le parli, devi toccarla ed avvicinarti a lei, come se
qualunque sua parola fosse la cosa più interessante che hai mai sentito. Come
se non potessi evitare di sfiorarla ».
« E poi? » sussurrò lei, rapita dalla situazione
senza nemmeno accorgersene.
« E quando non avrai più nulla da dire, ma a lei
non importerà... » fece scivolare un dito lentamente lungo la guancia di
Sakura, percorrendo il contorno della sua mascella fino a sollevarle il mento,
intrappolato tra il pollice e l’indice: la sentì tremare, ma non sapeva se lei
stessa ne fosse cosciente. « A quel punto, uno dei due pronuncerà l’inevitabile
frase... »
Le iridi di Sakura erano spalancate, più scure del
solito e due volte più intense.
« Quale frase? »
« Andiamo in un posto più tranquillo ».
Non era esattamente l’apoteosi del romanticismo,
ma era vero. Per un lungo istante Sakura lo fissò, fino a quando non trasalì e
sfuggì alla sua presa. I suoi occhi scattarono sulla figura di Kakashi, come ad
aver appena realizzato la loro vicinanza, ma non si mosse. Non sembrava volerlo
fare.
Poi lo guardò ancora negli occhi. « Poi? »
Kakashi si scostò ed inclinò la testa. « Sai cosa
succede dopo ». Cosa si aspettava che facesse? Che la voltasse, la spingesse
contro il muro, le abbassasse gli shorts e la prendesse lì? Avrebbe reso
l’esempio un po’ troppo realistico...
Lo sguardo di Sakura scattò in direzione
dell’entrata recintata del campo di allenamento, a qualche centinaio di metri
da loro.
Anche se pioveva, c’era gente, e gli sarebbe bastato voltarsi verso di loro per
vederli.
Ed anche se non stavano facendo nulla di inappropriato – Kakashi non la stava
nemmeno sfiorando – Sakura sembrava piuttosto colpevole.
« Credevo avesse un appuntamento » borbottò,
evitando di guardarlo negli occhi.
« Infatti » le
disse allegro, per poi unire le mani per formare un sigillo e sparire in uno
sbuffo di fumo.
Sakura si rilassò nell’istante in cui Kakashi
sparì, lasciandosi andare completamente contro la corteccia dell’albero.
Non aveva dubbi sulla natura del suo appuntamento: sicuramente sarebbe andato
ad amoreggiare con la sua ultima conquista, ma le riusciva difficile essere
gelosa del suo insegnante, per fortuna. Lo reputava indice del fatto che i suoi
turbolenti sentimenti per lui fossero meno profondi di quanto temesse: se si
fosse resa conto di essere gelosa, allora avrebbe avuto da preoccuparsi. Per ora,
tutto ciò che provava era tanta invidia per la donna abbastanza fortunata da
attirare la sua attenzione.
La stanchezza, alla fine, cominciò a gravare su di
lei, anche se non sapeva fosse il risultato dell’allenamento o del continuo
cercare di tenergli testa in quell’ignoto gioco in cui la stava trascinando – o
in cui lei stava trascinando lui. In qualsiasi caso, era soddisfatta.
Aveva imparato due semplici ed efficaci genjutsu e con un po’ di pratica
avrebbe perfezionato anche il golem jutsu. Nei piani del giorno successivo
c’erano altri genjutsu e Sakura non si sentiva così soddisfatta del suo talento
naturale da quella volta in cui aveva stracciato Naruto e Sasuke nel controllo
del chakra.
Ma se voleva tener fede alla tabella di marcia,
aveva bisogno di un buon riposo.
Quindi decise di andare a casa: niente caccia al
futuro marito per lei, quella notte.
Aveva solo bisogno di una lunga doccia, di un po’ di relax avanti alla TV, di
una cioccolata calda e di sentirsi la perfetta controfigura di sua madre, prima
di andare a letto presto. Di sicuro non era un programma complicato, ma forse –
se lo avesse rispettato – sarebbe riuscita a tenere Kakashi lontano dalla
mente.
Ovviamente, il piano fallì miseramente.
Era così concentrata sul pensiero di lui che usò il balsamo per capelli tre
volte, e fu così impegnata a riflettere e mangiucchiarsi le unghie davanti alla
TV, che non riuscì a seguire per nulla la trama dell’episodio e la cioccolata
diventò fredda.
A letto, quando chiuse gli occhi, fu addirittura peggio: non fece altro che
cercare di ricordare il suo viso senza maschera, ma si rese conto che lo shock
di quel momento le aveva reso impossibile memorizzarlo. Tutto ciò che le veniva
in mente era una mascella ben definita e degli zigomi alti, dall’aspetto nobile.
Agognava e temeva il momento in cui l’avrebbe
rivisto il giorno dopo: quando si svegliò, al mattino, era piena di tensione ed
energia: era già lavata, vestita e pronta per uscire con almeno tre ore di
anticipo. Occupò quel tempo camminando su e giù per la casa, pettinandosi i
capelli inutilmente ed annaffiando fin troppo le piante sul suo davanzale,
anche se Mrs. Uno non aveva affatto bisogno d’acqua, dopo la pioggia della
scorsa sera.
Il cielo era di un grigio chiaro quando Sakura si incamminò
verso i campi d’allenamento.
Le farfalle nel suo stomaco aumentavano passo dopo passo e, quando arrivò, non
sapeva se essere sollevata o ancora più tormentata dal fatto che Kakashi non
era ancora lì.
Ma nascondeva bene la sua tensione: mentre aspettava, poggiata contro lo stesso
albero dove lui l’aveva praticamente inchiodata il giorno precedente, l’unico
segno del suo nervosismo era il ticchettio del suo indice destro contro il
gomito sinistro.
Kakashi arrivò con soli quindici minuti di
ritardo: il suo arrivo combaciò con il rombo di un tuono che riverberò nel
campo mentre lui si avvicinava: testa bassa e mani in tasca.
Nella luce grigia di quel giorno, sembrava ancora più cupo del solito.
« Buongiorno » disse lei strettamente, quando
Kakashi fu abbastanza vicino da sentirla.
Kakashi la guardò, per poi osservare il cielo. «
Ne ho visti di migliori ».
Poi spostò ancora lo sguardo su Sakura, come ad
intendere che il meglio a cui si
riferiva fosse proprio lei.
« A-allora, che facciamo
oggi? » chiese, sperando di cominciare in fretta. Quanto prima avrebbero
finito, meno sarebbe stato il tempo che avrebbe passato con lui e minori
sarebbero state le chance di mettersi in imbarazzo.
« Altri genjutsu, mi pare » le rispose pacato. «
Ne ho uno semplice e carino che penso ti piacerà ».
« Davvero? Quale? »
Il suo sguardo si assottigliò e – in un flash di
sigilli troppo veloci da seguire – sparì.
Sakura sobbalzò e si guardò intorno: una tecnica di scomponimento del corpo? In
quel caso, era spacciata: Kakashi era troppo veloce per essere catturato da–
« Oof! »
Vide il suolo farsi sempre più vicino, ma con le
braccia bloccate non aveva modo di arrestare la caduta: atterrò di pancia,
sentendo un peso sulla schiena.
« Blocco sensoriale » le disse Kakashi, dirigendo la
sua voce profonda direttamente al suo orecchio, fin troppo vicino. « Questo
jutsu inganna due dei tuoi sensi: vista e udito. Credevi fossi sparito, quando
in realtà ero alle tue spalle ».
« Avrebbe potuto avvisarmi » disse lei.
« Sì, ma non sarebbe stato divertente » rispose. «
Comunque, il genjutsu termina appena scagli un attacco al tuo avversario. Ma,
per quelli come te a cui basta un colpo ben assestato per mettere fine ad un
combattimento, è una tattica davvero utile per garantirti il vantaggio di cui
hai bisogno ».
Aveva ragione: era un jutsu davvero utile, ma
l’unica cosa su cui Sakura poteva concentrarsi in quel momento era il modo in
cui il corpo di Kakashi era premuto contro il suo.
« Pronta ad impararlo? »
« Mmh? » era l’interno coscia di Kakashi quello
premuto contro la sua natica?
Kakashi si mise in piedi e le tese una mano. «
Innanzitutto » le disse, una volta sollevatasi ed essersi ripulita dalla
polvere. « Ci sono quattro sigilli: topo, cavallo, drago e uccello... »
Le ci vollero parecchi tentativi prima di
completare la sequenza di sigilli abbastanza rapidamente da soddisfare il suo
sensei. Di sicuro non sarebbe mai riuscita a comparare la sua velocità, ma
qualsiasi suo avversario non avrebbe avuto lo sharingan di Kakashi, quindi
“soddisfacente” nel vocabolario del suo insegnante era “eccellente” in quello
di chiunque altro.
Dopo aver padroneggiato i sigilli, non le restava
che capire quanto chakra infondere al jutsu e concentrarsi. Fallì ai primi
tentativi: qualche volta diventava invisibile, ma poteva ancora sentirla; altre
non la sentiva, ma riusciva a vederla – in particolare quando gli fece una
linguaccia dopo che Kakashi aveva criticato la sua mancanza di concentrazione.
Circa al sesto tentativo cominciò a migliorare:
anche se Kakashi scuoteva la testa e la fermava a metà dicendole di
ricominciare perché riusciva ancora a vederla, Sakura sapeva che lo faceva solo
perché migliorava ad ogni tentativo.
All’undicesimo, Kakashi perse traccia di lei.
Sakura gli girò intorno un paio di volte, sghignazzando mentre il maestro si
guardava intorno vagamente, completamente cieco e sordo nei suoi confronti. Non
sembrò notare la mano che gli sventolò davanti al viso, né reagì quando Sakura
si avvicinò pericolosamente alla sua tasca posteriore – un gesto che sarebbe
terminato con uno schiaffo sulla mano per aver osato avvicinarsi al suo adorato
libro.
Per un attimo, pensò di spingerlo a terra come
aveva fatto lui con lei, con l’unica differenza che lei lo avrebbe spinto sulla
schiena e non di pancia, ma si sarebbe lo stesso seduta su di lui.
Per poi spogliarlo e cavalcarlo come–
Era rimasta ferma troppo a lungo: lentamente,
Kakashi allungò una mano, le sfiorò una scapola per poi poggiarla su una
spalla. Il genjutsu si spezzò istantaneamente e Sakura lo guardò con sguardo
costernato. « Mi ha notata... » sospirò.
« Solo perché ho un buon olfatto ».
Sakura sperò di aver messo il deodorante prima di
uscire.
« Credo tu lo abbia padroneggiato piuttosto bene »
le disse allegro, lasciando andare la spalla della sua alunna e facendo un
passo indietro per mettere un po’ di distanza tra di loro. « Tirando le somme:
mi devi quattro favori, giusto? »
« Tre » dato che il terzo ninjutsu che aveva
tentato di insegnarle non le era riuscito.
« Ma ha detto che se l’avessi aiutata con il suo nuovo dōjutsu avremmo
pareggiato i conti ».
« Ah, l’ho detto, vero? » le disse leggero,
facendosi pensieroso. « Ma prima di ciò, ho promesso di insegnarti un ultimo
genjutsu ».
Sakura annuì, curiosa.
« Ma... questo jutsu è di rango A: sarà difficile
da padroneggiare, anche per un talento naturale come te, e l’unico modo che hai
di capirne i meccanismi è di esserne prima vittima. Capisci? »
Il suo tono era serio come al solito, ma Sakura vi
avvertì una nota di preoccupazione insolita. « In cosa consiste? »
Le mani di Kakashi sparirono ancora una volta
nelle sue tasche, mentre spostava il peso su una sola gamba. « Il jutsu che sto
per mostrarti è uno di quelli che scava nel tuo inconscio, riconosce la tua più
grande paura e ti costringe ad affrontarla. Se hai paura dell’altezza, ti
troverai sull’orlo di un precipizio; se hai paura di vedere i tuoi amici
ferirsi, li vedrai morire ».
A Sakura suonava in qualche modo familiare. « Non
è quello che ha usato su di me durante la prima prova dei campanelli? » chiese,
sospettosa.
Kakashi scosse la testa. « No. Quella era
un’illusione messa in scena considerando ciò che sapevo di te. Notai che fossi
eccessivamente affezionata a Sasuke, quindi te lo mostrai ferito: la differenza
con questo jutsu è che non sarà necessario per te conoscere il nemico per usare
la sua più grande paura contro di lui. Se l’avessi usata contro di te a quel
tempo, avresti visto molto più che un Sasuke leggermente graffiato– »
« Leggermente
graffiato? » ripeté lei. « Lo aveva scorticato! Avevo solo dodici anni! »
Kakashi fece un vago gesto per liquidare il
discorso. « Il punto è che questo è un jutsu di alta classe con ragione:
fallisce raramente e può mettere fuori gioco il tuo avversario completamente,
in base a quanto grande è la sua paura ed indipendentemente da quanto forte sia
lui. Potresti usarlo contro Sasuke e ridurlo ad una poltiglia di lacrime in
pochi secondi, se volessi ».
Sakura lo guardò, offesa. « Ma non voglio! »
« Ma capisci il potere di questo jutsu, vero? Non
proverei ad insegnartelo se non ti reputassi all’altezza di impararlo. E credo
che tu possa gestirlo perfettamente prima di cena ».
« Scommettiamo? » disse lei, alzando
sarcasticamente gli occhi al cielo: imparare un jutsu di rango A in sole sei
ore? Era in gamba, ma non così tanto.
Kakashi scrollò le spalle. « Sarebbe sleale ».
Bilanciò di nuovo il peso su entrambe le gambe e si posizionò di fronte a lei.
« Ora te lo mostrerò. Sei pronta? »
A confrontare la sua più grande paura? Si può mai
essere davvero pronti ad una cosa del genere?
Sakura prese un paio di boccate d’aria profonde e
drizzò la schiena, cercando di tenere a mente che qualsiasi cosa avrebbe visto
non sarebbe stata reale; ma cosa avrebbe visto? Cos’era che più di tutto la
terrorizzava?
La morte di Naruto? La morte di Sasuke? Il Kyūbi che si libera? Orochimaru
che rapisce di nuovo Sasuke? Konoha distrutta?
Vedere qualcosa di brutto accadere a Kakashi...?
Qualsiasi cosa fosse, doveva essere forte: non
voleva essere ridotta in “una poltiglia di lacrime”, soprattutto di fronte al
suo maestro. Quindi cercò di prepararsi... ma non sapendo a cosa andasse in
contro, si preparò al peggio.
« Okay » disse poi. « Vada ».
Quasi riluttante, Kakashi unì le mani per formare
i sigilli – abbastanza lentamente per permetterle di memorizzarli – ma Sakura
perse il conto intorno al tredicesimo. E mentre l’ultimo segno svaniva e sentì
Kakashi pronunciare il nome del jutsu, il mondo intorno a lei cominciò a
dissolversi lentamente, disperso nel vento come sabbia del deserto, fino a che
non rimase sola con l’ oscurità.
Sakura restò immobile, tesa ma vigile: era questo
ciò che temeva di più? Il buio? Era inconsciamente spaventata dall’oscurità
senza rendersene conto? Non aveva particolarmente paura in quel momento, ma...
C’era qualcos’altro nel buio con lei: Sakura non
riusciva a sentirla, non riusciva a vederla, ma la sapeva lì, intorno a lei. A
tratti, credeva di vedere qualcosa muoversi con la coda dell’occhio, ma quando
si voltava in sua direzione, spariva.
Un discreto timore si fece strada dentro di lei,
ma riuscì a dominare il panico crescente. Non è reale, si ripeteva. Qualunque cosa sia, non può farti del male:
è solo un’illusione.
“Solo perché non posso toccarti, non significa che
non posso ferirti”.
Sakura sobbalzò e si voltò in direzione della
voce. « Chi sei? »
“Nessuno... nessuno”.
Non era più sicura di aver sentito qualcuno
parlare: la voce indistinta strisciava tra i suoi pensieri, più come
un’immagine che come parole pronunciate. C’erano altri suoni a disturbarle
l’udito, altre voci – giovani, adulte, maschili, femminili – che formulavano
frasi spezzate, insensate.
“Volevo quel cavallo!”
“È tutta questione di gusti”.
“Ti rendi conto di cosa gli hai fatto?”
“Ahahahahah!”
“Bzzzzt!”
“Non portare quella cosa qui dentro, sporcherai il
pavimento di fango”.
“Stronza!”
Sakura scosse la testa, allarmata: quelle voci
venivano direttamente dalla sua testa. Kakashi lo aveva previsto? Si sentiva
impazzire...
Chiuse gli occhi e si passò le mani tra i capelli.
« Non mi piace per niente » si disse, più per soffocare le voci insistenti. Non
era spaventata, ma quella situazione la disturbava abbastanza da farle unire le
mani per formare il sigillo di rilascio del jutsu. « Kai! »
“Non funziona qui...”
Quando Sakura aprì gli occhi, era ancora avvolta
dall’oscurità. Riprovò a formare il jutsu di rilascio, ma tutto ciò che sentiva
erano risa: il panico che aveva saggiamente dominato fino a quel momento
cominciò a sfuggirle; si rese conto di non aver controllo su quella situazione.
Non
è reale, si ripeté. Non
è reale e Kakashi vi metterà fine a momenti.
Ma i suoi stessi pensieri sembravano indistinti ed
astratti come ogni cosa in quel posto.
La sua voce si perdeva in un mare di altre simili e non riusciva più a
riconoscerla.
« Kakashi-sensei– non mi piace – può smetterla
ora! »
“Non può sentirti”.
Sì
che può, lui–
“Non ti ascolta. Nessuno di loro lo fa.”
Di’
quello che ti pare, so che non sei reale.
“Tutto ciò è tanto reale quanto lo rendi. Sono i
tuoi stessi pensieri e paure, dopotutto. Sono veri”.
Non
ho paura.
“Il tuo futuro è già scritto. Lo hai scelto tu, e
noi possiamo vederlo. È proprio qui, nella tua mente, nelle tue paure...”
Non
ti ascolto...
“Vuoi vederlo? Il tuo futuro?”
Andatevene!
“Non possiamo: siamo parte di te, siamo sempre
stati qui, con te. Questo posto ci ha liberati, ed ora abbiamo qualcosa da
mostrarti...”
Sei
solo un’illusione.
“Questo posto è un’illusione, ma noi...”
« ...siamo veri quanto te ».
D’improvviso, la voce era fuori dalla sua mente,
da qualche parte alle sue spalle; ma quando Sakura fece per voltarsi a
guardarla, una mano forte le bloccò un braccio e la costrinse in ginocchio. La
presa era più forte di qualsiasi cosa avesse mai sentito, come se qualunque
cosa la tenesse ferma volesse stringerle il braccio fino a spezzarle le ossa.
Alzò lo sguardo, ma il buio sembrava plasmarsi intorno a chiunque fosse su di
lei, senza nasconderlo né mostrarlo.
Ma era sicura che si trattasse di una donna.
« Sei patetica... ci fai vergognare... »
Sakura sibilò, mentre la presa intorno al suo
braccio si strinse e le sue articolazioni scricchiolarono. « Lasciami andare...
»
« Solo dopo che avrai visto dove stai andando;
dove ci stai portando ».
Immagini e sensazioni le assalirono la mente e
d’improvviso fu pervasa da un’angoscia straziante che le spezzò il respiro.
Poteva vedersi , come fosse stata un ricordo che le passava davanti agli occhi
come scene anacronistiche di un film. Poteva vedersi – sentirsi – sola, seduta
davanti ad una TV con una cioccolata calda tra le mani.
Sovrappeso, rughe come solchi scavati agli angoli degli occhi e della bocca, le
foto dei suoi ex compagni di team appese al muro troppo dolorose da guardare,
ed una foto della sua famiglia sul davanzale di una finestra che guardava ogni
sera: di un marito che non tornava a casa la maggior parte delle notti, di un
bambino che non riusciva a sopportare nemmeno la sua vista.
Era odiata: da chiunque lei amasse, dalle persone
a cui aveva dedicato la sua vita. Si era sposata troppo presto e con l’uomo
sbagliato, aveva perso la sua carriera, ed i suoi amici o avevano tagliato i
ponti con lei o erano morti: era sola.
Seduta a guardare la televisione, sola... ed era
normale per lei. Da un’altra prospettiva quella appariva come una tranquilla
serata; dall’interno, Sakura sentiva la disperazione, il dolore. Ed un solo
pensiero si faceva spazio tra gli altri, prepotente...
Sono
stanca di vivere.
« No! No, quella non sono io! » strillò Sakura. «
È tutto sbagliato! »
« Tale madre tale figlia... Stai solo ripetendo i
suoi stessi errori ».
« Quella non sono io, non è reale » urlò ancora,
ma le lacrime che le solcavano le guance lo erano; così come l’angoscia e la
depressione che scorreva da quei “ricordi”.
L’ombra le lasciò il braccio e Sakura cadde,
richiudendosi su di sé e carezzando il braccio dolente. « Non è reale, vattene,
vattene! Non sei me, non sei reale,
non sei reale! »
Una mano dolcemente familiare le toccò la schiena.
« Sakura... »
Grazie
a dio.
Si prese un momento per asciugarsi gli occhi prima
di aprirli e prendere visione del suo maestro accovacciato di fronte a lei: le
sembrava di non averlo visto per un anno intero, e l’angoscia che il jutsu le
aveva dato si andò a mescolare alla gratitudine per lui per averlo rilasciato.
« Sensei... » sussurrò, con voce spezzata.
« Stai bene? » chiese, con tono basso e
preoccupato.
Sakura tentò di annuire, ma l’espressione la tradì
e scosse la testa. « No » piagnucolò. « È stato orribile! ».
« Cos’hai visto? »
« Ero vecchia, grassa, piena di rughe –
Kakashi-sensei, è stato orribile! »
Kakashi la osservò. « Eri grassa e vecchia...? »
ripeté, fiaccamente: per qualche motivo, sembrava trovarla piuttosto
superficiale come paura.
« No, era terribile, volevo uccidermi » disse,
cercando di fargli capire.
« Capisco » le disse, ma non comprendeva davvero.
Sakura voleva dargli spiegazioni, ma non poteva:
era troppo privato. Non voleva che proprio lui sapesse che ciò che più temeva
al mondo era invecchiare e morire da sola, disprezzata, dopo aver perso tutto
ciò che le stava a cuore per colpa di una serie di stupidi errori che aveva già
cominciato a fare.
Non
finirò in quel modo, si promise in quel preciso istante. Non finirò come mia madre: d’ora in poi farò
ciò che voglio... non ciò che penso di dover fare. Non ripeterò più gli stessi
errori.
Kakashi strinse la sua spalla un’ultima volta
prima di scostare le mani, e Sakura si rese conto di sentire la mancanza del
suo calore. « È shoccante, non è vero? Affrontare una paura come quella... In
genere, le paure peggiori sono proprio quelle da cui cerchi di nasconderti, di
ignorare. Ciò le rende ancora più terrificanti, quando ti trovi a doverle
affrontare ».
« Qualcuno ha usato quel jutsu contro di lei,
vero? » sussurrò. « È così che l’ha copiato ».
Kakashi annuì lentamente.
« Cos’ha visto? » chiese.
« Persone » le rispose, senza enfasi. « Tutte le
persone che ho la responsabilità di proteggere... morire, mentre io guardavo
impotente. E sembra vero, non è così? Anche se sai che è solo un’illusione. In
quel momento è reale per te, ed è abbastanza da levarti dieci anni di vita ».
Sakura abbassò lo sguardo e rabbrividì: non si
sentiva ancora molto bene.
« Ma è un jutsu molto utile e mi è servito in
parecchie occasioni » aggiunse poi. « E sono sicuro che tornerà utile anche a
te ».
« Io non... » cominciò Sakura.
Kakashi sbatté le palpebre, confuso. « Cosa? »
« Non voglio imparare quel jutsu, sensei » mormorò.
« Mi dispiace, ma non penso che riuscirei ad usarlo su qualcuno... Quindi non
avrebbe senso impararlo. È crudele ».
Quando per risposta ottenne il silenzio, sollevò
lo sguardo per incontrare il suo, con un’espressione spiacente.
« Mi dispiace » ripeté.
« No, va bene, stavo solo pensando che... »
rifletté. « Se hai così tanta paura di invecchiare, potresti sempre corrompere
l’Hokage e farti insegnare il suo jutsu anti-invecchiamento ».
Sakura sospirò. « Non è l’invecchiare che mi
spaventa... »
Kakashi inclinò la testa, perplesso. « E cosa
allora? »
Lo stare in ginocchio cominciava a farle male,
quindi si sedette per terra, abbracciando un solo ginocchio portato fino al
petto. « Non era l’essere vecchia il problema... Era il non apprezzare chi ero
diventata. Ora capisce? »
Kakashi non disse nulla per qualche secondo,
riflettendo su ciò che Sakura gli aveva confessato in modo vago.
Poi rilassò le spalle e prese posto di fronte a lei, imitandone la posizione,
fatta eccezione per il leggero sospiro che gli sfuggì alle labbra che rivelava
che non fosse flessibile quanto lei. Poggiando un gomito sul ginocchio, la
invitò a continuare con un gesto.
Sakura si sentì al centro dell’attenzione, come se
fosse comparso un riflettore dalle nubi grigie: cosa si aspettava da lei? Un
discorso a cuore aperto? Non ne voleva parlare, per nulla.
« Non è importante » disse, evasiva. « Alla fine più che una paura è una
preoccupazione ».
Kakashi la osservò.
« Voglio dire... chiunque ha un po’ di timore
verso il futuro, no? È normale, alla fine, giusto? »
La testa di Kakashi si inclinò ancora, con un
sopracciglio alzato.
« È solo che... Sento di aver fatto così tanti
errori, ultimamente. Sembra che non riesca a farne una giusta. Proprio quando
penso di aver scelto bene, scopro di non averci capito nulla. Ed è proprio
quello che è successo a mia madre, sento che mi sto trasformando in lei ».
« Cosa te lo fa pensare? » chiese Kakashi.
Sakura alzò gli occhi al cielo. « Sono troppo
uguale a lei per evitarlo ».
« Ma tu non sei affatto come lei » disse Kakashi,
diretto. « Tua madre è instabile, noiosa e negligente, mentre tu sei... beh, tu
non sei così ».
« Non è sempre stata così » insisté Sakura. « Ha
solo fatto le scelte sbagliate. Ha sposato l’uomo sbagliato e poi ha avuto una
figlia ed è rimasta intrappolata. Quando era più giovane mi somigliava molto,
ma sedici anni di matrimonio le hanno... strappato via la vitalità. Non le
importa più di nulla ormai, ed io non voglio finire così... »
« Non finirai così » le disse, semplicemente.
Kakashi non capiva e Sakura aveva finito le parole
con cui spiegarglielo. Non sapeva com’era essere lei, dover vivere con il
costante giudizio alterato nei confronti del sesso opposto. Era chiaro che lui
conoscesse tutto delle donne, non doveva temere di sposare quella sbagliata,
restare incinta e perdere tutto quello per cui aveva duramente lavorato.
Non avrebbe mai potuto capire cosa significava
essere una donna Haruno, con un cuore impostato sull’amore ed il romanticismo
ed un’attrazione magnetica per l’esatto opposto.
Sakura non sapeva cosa aggiungere, quindi tacque,
prendendo invece ad osservare le sue stesse dita chiare intrecciate intorno al
ginocchio.
Una mano più calda si poggiò sulla sua. «
Sakura... qualsiasi cosa tu abbia visto in quel genjutsu, non era reale. Per
quanto lo sembrasse, nulla può mostrarti il tuo futuro. Dovresti sapere meglio
di chiunque altro che nessun destino è stato scritto nella pietra. Non devi
preoccuparti ».
Sakura fissò la mano del suo insegnante: le
piaceva, con le sue dita lunghe ed i calli ruvidi. I suoi guanti erano vecchi e
sgualciti, la placchetta di metallo portava i segni di tutte le missioni e gli
scontri a cui era sopravvissuto. Kakashi aveva visto molte più cose di lei, in
ogni aspetto della vita: forse avrebbe dovuto fidarsi della sua esperienza
anche in quel caso.
« Non sarà mica per il tuo terribile gusto in
fatto di uomini? » chiese.
Sakura distolse lo sguardo, arrossendo
violentemente mentre la mano di Kakashi si stringeva sulla sua con affetto e
persuasione. « No » mentì lei.
« Perché quella è solo sfortuna, non significa che
c’è qualcosa di sbagliato in te ».
« Non ho mai detto che ci sia qualcosa di
sbagliato in me » negò.
« Ed invece mi pare di ricordare di sì. Un paio di
notti fa, se non sbaglio, hai detto qualcosa sulla spazzatura destinata alla
spazzatura per avere piccoli bambini di spazzatura. Presumo che definendoti
“spazzatura” intendessi dire che ti reputi al di sotto della media ».
Il viso di Sakura era troppo accaldato per una
giornata così fresca. « Ero ubriaca ».
« Quando siamo ubriachi le nostre inibizioni si
abbassano, e ciò che diciamo tende ad essere la verità che di solito teniamo
nascosta. Credo tu ti senta... inferiore, a causa del modo in cui sei stata
trattata in passato, e non hai ancora l’esperienza sufficiente per capirci di
più ».
« Ho molta esperienza » disse cupamente. « O
almeno, ne ho abbastanza. Non sono una verginella ingenua che arrossisce per
qualsiasi cosa » continuò, anche se il rossore delle sue guance la tradiva.
« No » le disse, comprensivo. « Ma da quanto ho
capito, non hai mai avuto un orgasmo ».
L’aveva detto in modo così naturale che Sakura non
seppe cosa dire per un momento. La mano poggiata sul suo ginocchio d’improvviso
sembrò bruciarla, allo stesso modo faceva il suo sguardo. Sakura lo osservava
di rimando, come un coniglio messo a confronto con una tigre. Per la pura
mancanza di qualcosa da dire, mormorò: « Ho avuto degli orgasmi... »
« Beh, sì » le disse impaziente. « Tutti ci
masturbiamo– »
« Sensei! » piagnucolò, mortificata. La mano di
Kakashi scivolò via dal suo ginocchio.
« È– lei non può– sensei! »
« Non vorrai mica negarlo? » le chiese
fiaccamente.
Sakura avrebbe voluto, ma certe bugie erano troppo
palesi. « E quindi? Sta dicendo che lo fa anche lei? »
« Ad ogni modo » disse, raggirando indiscretamente
la domanda, « come ho detto, lo fanno tutti. La differenza sta nel fatto che tu
non hai mai avuto un orgasmo durante il sesso, no? »
Sakura guardò duramente il terreno tra di loro. «
E quindi? » domandò, imbronciata. « Sono frigida, lo sapevo già, grazie ».
« No » la interruppe lui, alzandole il mento con
una mano senza motivo alcuno, come a volerla rimproverare. « Ti conosco,
Sakura, e non c’è nulla di frigido in te. C’è tanta passione qui » le disse,
portandole un dito al petto, « che nessuno è riuscito ancora a far uscire. Non
è colpa tua, hai solo bisogno di qualcuno che sappia farlo ».
E l’unica persona che sembrava saperlo fare, per
lei... era lui. Ma quello era un pensiero malsano. Forse, se si fosse guardata
meglio intorno, sarebbe riuscita a trovare altri uomini egualmente capaci di
fare breccia nella sua “passione nascosta”, ma nessuno di loro sarebbe stato
capace di guardarla negli occhi e vederla nel modo in cui la vedeva Kakashi.
Era davvero certa, in quel momento, che lui fosse l’unico a conoscerla meglio
di quanto lei conoscesse se stessa.
« Lei potrebbe...? » cominciò, timidamente.
La mano di Kakashi cadde. « Cosa? » calcò lui.
La gola di Sakura si ristrinse: si stava
comportando da idiota, chiedendogli l’impossibile.
« Nulla... I-io credo di dover andare, ora ».
« Ma non mi hai ancora reso il favore » le fece
notare lui.
« Può testare il suo jutsu su di me in un altro
momento, sensei » disse, alzandosi. « Non credo che sia il caso, ora ».
Si voltò per incamminarsi, ma si trovò a sbattere
contro il petto sodo del suo insegnante.
Per essere così pigro, la sua velocità non smetteva mai di sorprenderla. « In
realtà, credo che questo sia proprio il momento
perfetto » commentò.
« Sensei » disse, come a volerlo avvertire delle
conseguenze, guardando ovunque tranne che in sua direzione.
« Sakura » rispose lui, con lo stesso tono. «
Guardami ».
Ma Sakura non lo fece, e Kakashi le prese ancora
una volta il mento tra le dita e lei non ebbe altra scelta che guardarlo negli
occhi.
Nello sharingan.
« Rilassati, non ti farò del male... » mormorò.
Lo sapeva, perché sapeva esattamente cosa voleva
fare. Avrebbe dovuto scostarsi e ricordargli le loro rispettive posizioni, ma
decise di stare al gioco e fingere, ancora una volta.
Fingere di non aspettarsi l’ondata di calore che avrebbe invaso il suo corpo
come una dolce marea, che si estendeva da capo a piedi e trovava fulcro tra le
sue gambe.
Ma l’aspettarselo non rese la sensazione meno
shoccante. L’unico contatto tra loro era quello visivo ed il dito che teneva il
suo mento alzato. La sensazione sembrava arrivare da un luogo ignoto,
tremendamente intensa e spietata. Il respiro di Sakura sfuggì alle sue labbra,
mentre le ginocchia volevano piegarsi e le sue cosce chiudersi. Non c’era
ragione a quel piacere, non c’era ancora. Le dita si aggrapparono alla
maglietta di Kakashi, nella disperazione di avere qualcosa a sostenerla.
Ma
è sbagliato!
Voleva restare intrappolata nel suo sguardo,
lasciarsi travolgere dalla passione fino a farla esplodere, per poi forse
crollare contro di lui di conseguenza... ma poi?
« N-no – cosa sta facendo-! » annaspò, per poi
chiudere gli occhi e spingersi via da lui con la pura forza di volontà. Non la
stava trattenendo, quindi non incontrò resistenza, ma si ritrovò a desiderare
che l’avesse fermata, e per un momento resto accovacciata sul terreno,
ansimante per l’eccitazione non soddisfatta ed arrabbiata con lui per averla
lasciata andare così facilmente.
« Sakura » scandì bene il suo nome, ma non c’era
cenno di rimorso o rimpianto nel suo tono, solo una leggera esasperazione.
La risoluzione di Sakura si risvegliò in
quell’istante. « Vado a casa ».
Dove avrebbe fatto la doccia più fredda della sua vita.
Si rimise in piedi tremolante e riprese a camminare di nuovo.
« Puoi continuare a fingere, se ti va » disse lui,
alle sue spalle « per il bene della tua coscienza, che non ti stia dando una
possibilità. Se ti vergogni così tanto dei tuoi stessi desideri da non voler ammettere
ciò che vuoi– »
« No! Non mi vergogno di nulla! » scattò,
avvicinandosi di nuovo a lui. « Lei è un pervertito, questo è quanto!È un bastardo filantropo con gusti immorali
e– »
« Ed è esattamente per questo che mi vuoi. Perché
credi sia perfetto per ciò che stai cercando... ed oltre tutto, credi sia uno
facile ».
« Lei è uno
facile » sottolineò.
« Beh, sì » disse, abbassando la testa divertito.
« Ma pur forzando i limiti, non li oltrepasserò. Sapevi esattamente in cosa
consisteva quel jutsu fin da quando ti ho detto che era un dōjutsu, ma non
hai fatto obiezioni fino ad ora. Ti sto solo dando ciò a cui acconsenti,
Sakura, che tu te ne renda conto o meno. Ma se ti aspetti che io faccia un
passo concreto, così da poter continuare a sentirti la povera vittima di un
uomo adulto e che questa perversione sia mia e non tua, allora aspetterai a
lungo ».
Hatake Kakashi era davvero l’uomo più fastidioso e
repulsivo sulla terra.
« Non sto aspettando niente » disse, rigida. «
Vado a casa ».
« Se è questo ciò che vuoi... »
Non lo era, ma Sakura non aveva il coraggio di
ammettere il contrario...
Ma le cose
sarebbero cambiate.
Era facile per Kakashi perdere la cognizione del
tempo, specialmente mentre leggeva Icha IchaTactics. Fin da quando era tornato nel suo appartamento,
aveva ripreso il suo libro preferito e si era perso nella trama... E quando
finalmente si era forzato a tornare nel mondo reale, aveva scoperto che il
cielo grigio che aveva osservato fuori dalla sua finestra quando aveva aperto
la porta era ormai diventato nero: la pioggia batteva fitta contro il vetro.
Buttando un occhio all’orologio da parete, si
ricordò del suo appuntamento con Ayame: aveva appena il tempo per una doccia
veloce e forse per uno spuntino leggero, e se la sarebbe cavata con cinque
minuti di ritardo, forse.
Mentre si spogliava, in bagno, scorse il suo riflesso
nello specchio e fissò – quasi meravigliato – quello che era stato un tempo lo
sharingan di Obito. Si sarebbe arrabbiato con lui, sapendo il modo in cui lo
aveva usato quel pomeriggio?
Probabilmente no, conoscendo Obito. Indubbiamente,
se fosse stato ancora vivo, quella sarebbe stata una delle cose che avrebbe
fatto quasi tutti i giorni.
In ogni caso ne era valsa la pena, anche solo per
vedere le sue guance arrossarsi, ed il modo in cui la sua bocca si era schiusa
in un mezzo ansimo. Se non si fosse ricordata delle sue inibizioni – le sue dannate inibizioni – l’avrebbe presa in
ogni senso; l’avrebbe spinta al limite ed oltre solo per sapere come appariva
quando provava il puro piacere carnale.
Sarebbe stato il primo ed unico a vederla in quel
modo...
La sua virilità cominciò a pizzicare a quel
ricordo e Kakashi fece una smorfia. « Sta’ giù » minacciò, per poi immergersi
sotto il getto della doccia.
Ma forse sbagliava ad offrirle quell’occasione:
era chiaro che Sakura avesse il disperato bisogno di un’esperienza sessuale che
non la lasciasse così indifferente, ma forse non doveva essere lui a dargliela.
Aveva provato a ragionare sulle linee da non oltrepassare tra maestro ed
allieva, ma ultimamente faceva fatica a prestarsi attenzione. Sakura aveva
bisogno di aiuto e lui era disposto a darglielo; certe volte gli sembrava tutto
così semplice: X e Y. Maschio e femmina.
Se solo le cose fossero state davvero così
semplici...
Kakashi sospirò. Sì: c’erano un milione e più
ragioni per le quali andare a letto con la sua studentessa fosse un’idea
sbagliata, e non c’era bisogno di essere un genio come lui per indovinare la
principale: che lei era la suastudentessa. Il curriculum di un jonin
era vasto, ma quello era fin troppo.
Ad ogni modo, Sakura non era più una bambina.
Aveva fatto qualche errore di giudizio ed ora le serviva l’aiuto di un suo
superiore per aiutarla a ritrovare la retta via–
Sei
un malato.
Doveva smettere di leggere Icha Icha.
Kakashi uscì dalla doccia e si asciugò frettolosamente.
Lasciato il bagno, controllò di nuovo l’orologio: dieci minuti di ritardo al
suo appuntamento con Ayame, stava facendo progressi!
Mezzo vestito, fece una sosta veloce in cucina per
prendere un’arancia raccogliendo nel frattempo la maglietta e la giacca, ma
proprio quando stava per prendere il terzo spicchio di frutto, sentì un timido
ticchettio provenire dalla porta.
Si fermò e, sorpreso, si voltò verso la fonte di quel suono; di solito non
riceveva visite notturne, a parte quando i suoi vicini venivano a lamentarsi di
qualcosa. La sua doccia ogni tanto perdeva, quindi forse la signora Tetsuyo del piano di sotto era venuta a reclamare.
Quando il ticchettio risuonò ancora, prese a
raggiungere la porta. Nessuno dei suoi vicini avrebbe bussato con così tanta
timidezza; probabilmente, nessuno di quelli che conosceva: poteva essere una
sola persona.
Kakashi aprì la porta e si accostò al telaio,
osservando la ragazzina dai capelli rosa di fronte a lui.
Masticando lentamente, la guardò da capo a piedi: non c’era una parte di lei
che non grondasse d’acqua. Si chiese quanto tempo avesse passato sotto la
pioggia.
Aspettò che parlasse, ma Sakura sembrava essersi a
malapena resa conto che avesse aperto la porta. Stava cercando il coraggio di
fare qualcosa, poteva percepirlo, quindi decise di lasciarle prendere i suoi
tempi ed attese.
Sollevò prima il mento, poi gli occhi, e tremò
leggermente per il freddo o per la tensione, mentre lo guardava silenziosa
sotto le ciglia umide.
Poi le sue dolci labbra si schiusero ed esalò un solo sospiro leggero.
E con voce bassa, ma niente affatto debole, disse:
« Per favore, fa’ l’amore con me ».
Non posso farci nulla: odio ed odierò sempre le
note a fine capitolo, ma è doveroso chiedere perdono per il madornale ritardo.
Questo capitolo era infinito ed il mio tempo pochissimo, ma non credevo di
metterci così tanto. Anyway, finalmente siamo al clou della storia! Ho
sempre adorato la parte finale di questo capitolo e quasi mi sembra crudele
pubblicare senza aver già pronto il prossimo, ma ci avrei messo un’infinità.
Giuro solennemente di sbrigarmi col prossimo (che è comunque più breve di
questo, per fortuna...).
L’attuale può sembrare di passaggio, ma non lo è: è anzi essenziale – insieme
al prossimo – per capire cosa spinge Sakura a lasciarsi andare, o meglio, a
prendere la situazione in mano.
È proprio in questi due che si ha la forte crescita psicologica che mi porta ad
amare la Sakura di questa storia.
Detto ciò, grazie come sempre di essere arrivati fin qui e di avere ancora la
pazienza di star dietro a questa storia (e soprattutto ai miei ritardi...).
Un abbraccio e buone vacanze. ♡
Sakura era rimasta
fuori casa di sua madre per tempo indefinito prima di trovare il coraggio per
bussare alla sua porta. Faceva freddo, aveva la pelle d’oca e di tanto in tanto
le cadeva qualche goccia di pioggia sulle ginocchia, come se il cielo avesse voluto
avvisarla di doversi spaccare in due, come aveva minacciato di fare per tutto
il giorno.
Se ne stava seduta sulle scale del portico e si
sentiva un’estranea, pur avendo passato lì metà della sua vita – chiacchierando
con Ino, mangiando gelato d’estate, o da sola, come nell’autunno che i suoi
passarono interamente a litigare (perché pur potendo semplicemente entrare in
casa ed interrompere le loro discussioni con la sua sola presenza, preferiva
far finta per sé e per i suoi di non sapere nulla dei problemi che
avevano).
Il panorama che aveva da lì non era cambiato per niente: la casa di fronte alla
sua era perfettamente identica a come la ricordava da bambina, con la porta blu
e le grondaie grigie; il giardino del vicino a sinistra era curato come sempre,
mentre quello del vicino a destra era ancora pieno delle bici vecchie e dei
giocattoli dei ragazzini con cui era cresciuta: nonostante questi fossero ormai
adulti ed avessero lasciato la loro casa da tempo, quei giochi erano rimasti
nelle loro solite posizioni... Come a volerli aspettare, in caso fossero
tornati.
La casa di Sakura non era accogliente neanche la metà di quelle del vicinato.
Aveva sperato, in cuor suo, che se fosse rimasta
seduta su quella scalinata con gli occhi chiusi e se l’avesse desiderato con
tutte le sue forze, sarebbe potuta tornare ai giorni d’infanzia, quando la vita
era semplice ed essere una kunoichi era solo un sogno; quando i suoi genitori
si sopportavano abbastanza da tirare avanti.
Ma una volta riaperti gli occhi si era ritrovata ad avere ancora diciotto anni,
ancora seduta sotto al portico della sua vecchia casa a sperare in un sogno del
passato per paura della realtà del futuro.
Tuttavia, i sogni non si avveravano quasi mai.
L’indecisione era sempre stato il veleno della sua vita, vita che aveva
finalmente deciso di prendere in mano, a rischio di sembrare uno di quei
personaggi sempre di buon umore e stupidamente ottimisti delle soap che
guardava.
Inoltre, da un momento all’altro avrebbe
cominciato a piovere a dirotto.
Si mise in piedi e bussò alla porta decrepita: era
aperta e sapeva di poter entrare senza aspettare risposta, avrebbe potuto
raggiungere sua madre in salotto e darle un bacio sulla guancia, come al
solito; ma stavolta voleva che fosse lei a raggiungerla.
A notarla.
Dopo una lunga attesa, le si parò davanti il viso
di sua madre – affacciata dalla piccola fessura ricavata dalla porta
semi-aperta – segnato da un’espressione di pura noia e sonnolenza. Assomigliava
troppo al volto che aveva visto nell’illusione che il jutsu di Kakashi le aveva
dato, ma cercò di non darvi peso: sua madre era ancora, a modo suo, una donna
attraente... soprattutto quando non era imbronciata, non fumava o non si
addormentava senza struccarsi. Tutte cose che faceva spesso, sfortunatamente.
« Ma lo sai che ora è? » le chiese la donna,
trattenendo a stento uno sbadiglio.
« Non è poi così tardi » le fece notare Sakura. «
Sono solo le sette passate. Stavi dormendo? »
« Sì, stavo
» rispose lei, con un tono che suggeriva il rammarico nel dover usare il
passato.
« Cosa c’è stavolta? Sono sempre tre i motivi che ti portano qui: non possono
essere i soldi, perché sai che non ne ho; non sono i vestiti, perché hai già
ripulito tutto, quindi sembra che i tuoi sensi di colpa ti abbiano afflitta di
nuovo, e sei qui per espiare il peccato di aver lasciato la tua povera vecchia
madre da sola ».
Sakura alzò gli occhi al cielo.
« Allora, qual è? » insisté.
« Sensi di colpa » borbottò. « Posso entrare? »
Sua madre esitò. « Fa’ in fretta, c’è la
pubblicità ».
All’improvviso, Sakura prese a chiedersi perché
mai fosse venuta. Seguì sua madre nel salotto e si sedé al tavolo, non potendo
trattenersi dal notare quanto quella stanza fosse simile a quella del genjutsu,
e l’osservare sua madre, ora, era come rivivere la sua più grande paura ancora
una volta.
« Sakura, non fissarmi in quel modo » le disse,
lanciandole un’occhiata obliqua. « È snervante ».
« Scusa » le rispose, volgendo lo sguardo alla TV.
« Oh, ho già visto quest’episodio. È quello in cui Denji
si sveglia dal coma e chiede a Rinoko di sposarlo ».
« Ma prego, rovinami pure la sorpresa... »
« Scusa ».
Non stava andando affatto bene.
Sua madre la guardò e sospirò, prima di allungare
le dita impregnate di odore di fumo ed accarezzarle la nuca. « C’è qualcosa che
non va, tesoro? Sembri giù ».
Sakura la guardò. « Oggi mi è successa una cosa
spaventosa ».
« Beh, sei una kunoichi, credo sia normale per voi...
»
« Non in quel senso » mormorò. « Mamma, posso
farti una domanda? »
« Fa’ pure » le rispose, calma.
« Perché hai sposato papà? »
Sua madre sbuffò una ricca boccata di fumo e
spense un mozzicone di sigaretta nel posacenere di fronte a lei, prima di
raccogliere il pacchetto e tirarne fuori un’altra. « Perché avevo trent’anni e
non sarei di certo ringiovanita ».
Sakura attese un seguito che non sembrava voler
arrivare. « Tutto qui? »
« Quando sarai grande capirai. Tutte le mie amiche
e sorelle erano felicemente sposate, mentre io riuscivo a rimorchiare solo gli
uomini peggiori. Credevo che tuo padre fosse diverso, ma gli ci sono voluti
solo più anni rispetto agli altri per mostrarsi per ciò che era. Lui non era
chi credevo ed io sono di nuovo al punto di partenza... Solo che ora ho cinquant’anni,
e se era difficile trovare qualcuno di decente e libero quando ero giovane, riuscirci
ora sarebbe un miracolo ».
« Non credo che tu non conoscessi nemmeno un uomo decente... » le disse Sakura,
accigliandosi.
Sua madre prese una lunga boccata di fumo ed
espirò lentamente. « Forse un paio... No, uno solo » sbuffò. « Quando avevo
circa la tua età, forse poco più, conobbi un ragazzo piuttosto in gamba. Tutte
le ragazze erano pazze di lui, e con ragione. Galante, intelligente, di buona
famiglia: era praticamente perfetto in ogni senso, fatta eccezione per uno ».
« Quale? » chiese Sakura.
« Gli piacevo io ».
« Oh. E cosa successe? »
« Nulla » brontolò, alzando gli occhi al cielo in
un modo che a Sakura ricordò paurosamente il suo. « Mi intimidiva e scappai,
come facevo con tutte le cose che non reputavo alla mia portata. La più grande stronz– uh, il più grande errore della mia vita. Sarebbe
potuto essere tuo padre se avessi giocato bene le mie carte, e forse ora vivrei
su una grande casa in collina, piuttosto che in questo tugurio ».
Sakura batté le palpebre, sorpresa: non reputava
così male quella casa, ma era lì che era cresciuta e non aveva mai sognato di
avere di più. Forse, sua madre si sentiva intrappolata in quel luogo, allo
stesso modo in cui si era sentita lei nella sua visione.
« Dov’è ora? » chiese, cauta.
« E chi lo sa » rispose, rilassando le spalle stanche.
« Non ci siamo incrociati spesso, dopo che abbiamo rotto, e da un giorno
all’altro non l’ho più rivisto. Era un jonin... quindi potrebbe essere morto; o
peggio: sposato ».
Sakura rifletté per un momento: forse, se fosse
riuscita a trovare quell’uomo... « Come si chiamava? »
« Non importa, Sakura » tagliò corto sua madre. «
Che ti serva da lezione: non lasciare che la paura controlli la tua vita. Non
accontentarti della seconda scelta. Se hai l’occasione di ottenere ciò che
vuoi, coglila; perché se te la lasci scappare... »
La mano di sua madre tremò e della cenere cadde
sul tavolo; il fumo vorticava dalla punta della sigaretta, disperdendosi
nell’aria fino a sparire. La madre di Sakura lo osservò per un istante, prima
di rivolgersi di nuovo al televisore. « Va bene così » disse, con la voce di
nuovo piatta. « Hai fatto il tuo dovere, puoi andare ora ».
Sakura non si mosse. « Ma io– »
« Vorrei che andassi, Sakura ».
Di sicuro quello non era un argomento felice per
sua madre, quindi Sakura comprese. Non insistette, ma annuì e si sporse per
circondarle le spalle in un abbraccio. « Ti voglio bene, mamma » sussurrò, ispirando
il familiare odore di fumo e profumo che era stato una costante della sua
infanzia.
« Ti voglio bene anch’io, tesoro » le rispose,
carezzandole un braccio. « Sta’ attenta ».
Era tempo per Sakura di andare.
Un’incessante pioggia la investì non appena si
richiuse la porta alle spalle: restò per qualche minuto lì, sotto quel portico,
a chiedersi cosa fare.
Non voleva tornare a casa e passare un’altra
serata da sola; non voleva andare a cercare Naruto, perché sarebbe stato
sicuramente in compagnia di Sasuke, e l’ultima cosa che desiderava in quel
momento era stare con qualcuno che la metteva al secondo posto. In due erano
pochi ed in tre troppi, certe volte, o almeno era così da quando Sasuke era
tornato. L’unica scelta che le restava era Ino, ma Sakura sapeva che da lei
avrebbe ottenuto solo un sermone, o peggio, avrebbe provato a rifilarle uno dei
suoi ex.
C’era anche un altro posto in cui sarebbe stata la
benvenuta... ma non voleva nemmeno pensarci.
Sapeva solo di non poter restare lì impalata: con
tutta l’acqua che le scorreva dietro la schiena, sarebbe stata solo questione
di tempo prima di beccarsi un raffreddore; e per quanti meravigliosi jutsu
medici conoscesse, non ne aveva ancora trovato uno che curasse gli starnuti.
Incamminandosi per le vie, sguazzò nelle
pozzanghere e provò invano a proteggere il viso dalla pioggia, mentre cercava
un rifugio. Lo trovò sotto un ampio tendone da sole
di un negozio chiuso. Con non pochi schizzi di fango, si fermò di scatto
accanto ad una pila di cestini che puzzavano vagamente di cavolo andato a male,
per poi poggiarsi contro la porta del negozio.
Tutta l’umidità accumulata la fece rabbrividire e si lasciò scappare un
sospiro: in quel momento non amava poi così tanto la pioggia, al contrario di
quanto avesse detto a Kakashi il giorno prima.
Oh, Kakashi...
Il cuore perse pateticamente un battito e dovette
resistere al nodo che le si formò in gola.
Era nei guai, grossi guai, se l’unica
persona che riuscisse a capirla e potesse darle ciò che voleva era il suo
maestro jonin, ma non poteva farci nulla. Ultimamente, quando era con lui...
per quanto odiasse ammetterlo, stava bene. L’ascoltava come nessuno mai: Naruto
non sapeva farlo, Sasuke non voleva, Ino la interrompeva ogni volta provasse ad
aprirsi con lei e di sicuro nessuno dei suoi ex aveva mai trovato il tempo di
considerare altro oltre al loro ego gigante. Dopotutto, si disse, era ciò che
si otteneva ad uscire con gli shinobi.
Kakashi, invece, le era sempre apparso
irraggiungibile, fatto di materia diversa rispetto a quelli che frequentava; ma
da quel fatidico – ed orribile – mattino quando l’aveva visto con Kimura Yoshi,
si era resa conto di quanto in realtà fosse umano, non più così intoccabile.
Era riuscito a farla aprire su argomenti dei quali non aveva mai parlato,
l’aveva fatta sentire come nessuno mai prima...
Sakura rabbrividì al ricordo delle sensazioni che
le aveva dato il suo sharingan: una totale esplosione di piacere che le avrebbe
portato via ogni briciolo di sanità mentale, se solo glielo avesse permesso. Il
solo pensarci la faceva tremare di desiderio; desiderio di lui, delle sue mani
ruvide sulla pelle e la sua bocca calda sulla sua, del suo corpo perfetto su di
lei... dentro di lei.
Era andata da sua madre per avere delle risposte,
per capire cosa fare, ma pur essendosi sentita dire proprio quello che desiderava,
era ancora esitante...
Se
hai l’occasione di ottenere ciò che vuoi, coglila – perché se te la lasci
scappare...
L’occasione era lì, pronta per essere colta o
rifiutata: avrebbe potuto mandare le convenzioni al diavolo e buttarsi a
capofitto in quell’assurda situazione, o avrebbe potuto non rischiare ed andare
a casa, standosene in un letto gelido a chiedersi come sarebbe andata se avesse
avuto abbastanza coraggio.
Spingendo a forza un piede dietro l’altro, si
chiese per un attimo quale fosse la cosa giusta da fare.
Dovere o piacere; mente o cuore; fare ciò che doveva o ciò che voleva.
Si morse le labbra ostinatamente e chiuse gli occhi.
Poi decise.
Uscendo fuori dal riparo del tendone, si rimise in
cammino. I piedi le pesavano come blocchi di cemento e non avrebbe potuto
affrettare il passo nemmeno a volerlo. La pioggia le martellava addosso e le
luci tremule ai bordi della strada sembravano fari nel buio, ma Sakura non li
notò. Aveva una sola cosa in mente e vi era così concentrata da non avere
ricordo alcuno di quel viaggio: un attimo prima era sotto il capanno di un
negozio di frutta, quello dopo era fuori al cortile di Kakashi, su quella
vecchia e ripida stradina mentre la pioggia che scorreva dalle grondaie le
inondava i piedi.
La finestra dell’appartamento del suo insegnante
era illuminata, e non essendo lui così sbadato da dimenticare la luce accesa,
poteva significare una sola cosa: era in casa.
Ma tutto ciò che riusciva a scorgere dalla strada era la sagoma di Mr. Ukki.
Sakura si mosse in avanti, oltrepassando il
cancelletto arrugginito del cortile ed il vialetto pavimentato. Per un attimo
pensò di bussare il citofono, poi ricordò fosse rotto. Probabilmente era
proprio colpa di quello stupido bottoncino col numero dell’appartamento di
Kakashi accanto se ora si trovava in quella situazione: se quella mattina
avesse funzionato, Sakura non sarebbe
andata alla sua finestra, e non vedendolo in quella situazione la sua
percezione di lui non sarebbe mai cambiata. Sarebbe rimasto il suo particolare
ed eccentrico maestro, con una passione esagerata per il porno e nulla più;
mentre lei in quel momento si sarebbe trovata nel suo appartamento, vuota e
sola, ma almeno beatamente ignorante di ciò che non aveva.
Spinse il pomello del portone e lo trovò
scontatamente aperto.
L’androne del condominio era caldo e asciutto ed il contrasto di temperatura
sulla sua pelle fresca la fece tremare; ma sarebbe stato sleale non ammettere che
il freddo non era l’unica causa dei suoi brividi.
Le scale davanti a sé sembravano infinite, ma le
salì gradino per gradino, superando la porta del primo appartamento da cui
arrivava della musica classica ad alto volume, la seconda e la terza che erano
silenziose e la quarta, dalla quale sentiva delle risa.
L’appartamento di Kakashi era il quinto.
Non c’era nulla di spettacolare nella sua porticina verde o nel tappetino con
la scritta “Welcome Home” sull’uscio (a parte il fatto che le ultime due
lettere erano sbiadite e distorcevano di parecchio il senso del messaggio).
Esitò per un solo istante prima di alzare il pugno e battere le nocche
cautamente contro la superficie lignea: una parte di sé sperò che non fosse in
casa...
Ma non era arrivata a quel punto per tirarsi
indietro all’ultimo.
Quando la porta lentamente si aprì, lo stomaco le si
attorcigliò e assunse un’espressione di puro stupore misto ad ansia. Il volto scoperto
di Kakashi e l’asciugamano a turbante che portava come copricapo la sorpresero
non poco, mentre un leggero profumo d’arancia aleggiava tra di loro.
Non sapeva di preciso, secondo la sua fantasia,
quale dio del sesso si era aspettata di trovare, ma ciò che vedeva non era
esattamente quello che aveva sperato.
Kakashi la squadrò da capo a piedi lentamente,
constatando quanto bagnata fosse prima che i loro sguardi si incrociassero, per
poi alzare un sopracciglio come a dire “Ebbene?”.
Sakura, in risposta, alzò il viso e prese un
respiro profondo, per trovare il coraggio di pronunciare le parole che voleva
dirgli fin da quella mattina alla finestra.
« Per favore,
fa’ l’amore con me ».
Lo spicchio d’arancia gli si bloccò in gola e
Kakashi tossì discretamente nel pugno della mano libera. Non era sorpreso dal
fatto che fosse lì per fare sesso, quanto più da come non avesse minimamente esitato
ad ammetterlo.
Sembrava comunque terrorizzata – lì ferma sul suo
pianerottolo; la punta del naso e quelle dei capelli erano grondanti d’acqua,
ed era così pallida che avrebbe potuto confondersi con l’intonaco del muro alle
sue spalle. Tremava come un gattino lasciato al freddo, e per quanto si
divertisse a stuzzicarla e a provocarla, ora le sembrava così fragile che non
ne aveva il coraggio.
« Allora è meglio se entri » le disse, lasciandole
intendere di aver compreso perfettamente.
Fece poi un passo indietro e ad aprì di più la porta per lasciarla passare.
Sakura entrò come un topolino che entra nella tana
del leone, togliendosi rispettosamente le scarpe e guardandosi intorno come se
non avesse mai visto quegli spazi in vita sua.
In effetti, Kakashi non riusciva a ricordare una sola visita da parte della sua
alunna, e di sicuro lui non l’aveva mai invitata ad entrare. Si chiese cosa
pensasse di casa sua: era un tipo piuttosto ordinato per essere uno scapolo, e gli
piaceva tenere le sue cose sotto controllo.
Ma quel giorno aveva il bucato impilato in un angolo della stanza, che
aspettava di essere stirato e riposto. La maggior parte della pila, ovviamente,
era composta dalla sua biancheria intima.
Notò gli occhi di Sakura indugiare per un secondo
di troppo proprio in quell’angolo, per voltarsi poi rapida ad osservare il muro
di fronte. Quando Kakashi sfilò l’asciugamano che aveva in testa per poggiarlo
sui suoi capelli sobbalzò. « Sei bagnata fradicia... Ti sei tuffata nel fiume?
»
Le strofinò l’asciugamano in testa senza remore. «
Ma mi hai ascoltata? » chiese. « Voglio che tu– »
« Ti ho sentita » la interruppe lui, prima di
indicarle il tavolo della cucina. « Perché non ti siedi un attimo? »
Sakura si bloccò per un attimo, come a voler
protestare, poi ci pensò su e si sedette. Kakashi raccolse un’altra arancia
dalla ciotola sul bancone da cucina e si accomodò di fronte a lei. Le offrì il
frutto con un gesto, ma Sakura scosse la testa.
Kakashi prese a sbucciarlo lo stesso.
« Mangio sempre un’arancia quando sono triste, mi
fa sentire sempre meglio » le disse, tanto per fare conversazione. « Credo sia
per la vitamina C ».
Osservò come Sakura strofinava distrattamente
l’asciugamano sulle braccia – quelle braccia lisce e toniche spruzzate da una
leggera abbronzatura sbiadita. Per essere così forte, aveva una figura straordinariamente
delicata, con avambracci snelli che si snodavano in polsi sottili e mani dalle
dita affusolate. Aveva gli occhi più scuri, quella notte, quasi grigi, e lo
guardavano circospetti, come a voler tirare via dalla sua bocca ogni parola
avesse da dirle.
Kakashi rivolse di nuovo l’attenzione all’arancia
che stava sbucciando. « Perché sei qui, Sakura? »
Calò tra di loro un massiccio silenzio. « Credevo
di essere stata chiara » rispose.
« Okay, lascia che riformuli la frase » le disse, guardandola
con un mezzo sorriso. « Vuoi che ti scopi? »
La sua calma precaria si spezzò e Sakura arrossì.
« Non voglio che mi scopi, voglioche tu
faccia l’amore con me, in modo adeguato. Hai detto che ci saresti stato per me,
in caso di bisogno– »
« Ed hai dedotto che io avrei mandato tutto al
diavolo per scoparti – scusa – per fare
l’amore con te, semmai ti fossi presentata alla mia porta nel bel mezzo
della notte, per soddisfare un tuo prurito? » prese uno spicchio d’arancia dal
palmo della mano e lo mise in bocca.
« Una conclusione piuttosto singolare da trarre da una semplice offerta d’aiuto
».
Sakura lo osservò attentamente. « Mi sbagliavo? »
chiese poi, lentamente.
« No » ammise. « Ma la mia generosità ha dei
limiti, per i quali mi chiedo cosa ti spinga esattamente qui. Sei qui perché lo
vuoi o per quello che hai visto nel jutsu di stamattina? »
Lo sguardo di lei si fece incerto e per qualche minuto
non disse nulla.
Dopo un’attenta osservazione della superficie di pino davanti a lei, sollevò la
testa e rispose.
« Non so di preciso cosa tu intenda, ma è come hai detto tu: tutti a volte ci
sentiamo soli... ma quando sono con te, io quella solitudine non la sento. E tu
lo capisci questo, vero? »
Fin
troppo. Annuì lentamente, donandole un sorriso ben più
caldo del precedente. « Sì » mormorò. « Lo capisco ».
« I-io non lo so » riprese Sakura: tutta la
convinzione che aveva avuto fino ad un istante prima si infrangeva come vetro
intorno a lei, mentre lo sguardo saettava da un punto all’altro del suo
appartamento. « Forse non dovrei essere qui, forse è stato un grosso sbaglio– »
« O forse non lo è » la interruppe. « Forse
dovresti essere proprio qui ».
Sakura lo guardò, incerta. « Dovrei...? »
Stava di nuovo chiedendo a lui la risposta, gli
stava chiedendo cosa fare, di prendere la decisione per lei e renderle le cose
più semplici.
Per quanto fosse tentato dall’idea di convincerla ad andare a letto con lui quella
notte, non toccava a lui fare quella scelta: stava a lei e lei soltanto.
Kakashi osservò gli spicchi d’arancia che aveva in
mano e prese a spezzarli a metà.
« Mi piacciono le arance, ma sono sempre piene di semini. Si dice ci sia circa
il cinquanta percento di possibilità di trovare un semino in ogni spicchio ».
Sakura batté le palpebre, confusa.
« Quindi facciamo una piccola scommessa » le
disse, allegro. « Prendi uno di questi spicchi, a caso, e lo mangi. Se ci
troverai un semino, andrai a casa. Se non lo troverai, dovrai baciarmi ».
Gli occhi di Sakura si spalancarono, mentre il
viso le si impallidì, ma non sapeva se fosse per la prospettiva di andare a
casa o di baciarlo.
« Affare fatto? » propose.
Lentamente, e con cautela, annuì. « Affare fatto
».
Kakashi sorrise pigramente e dispose gli spicchi
d’arancia in fila al centro del tavolo, presentandoli poi con un gesto. «
Avanti: chiudi gli occhi e fa’ la tua scelta ».
Quasi riluttante, Sakura chiuse gli occhi ed
avvicinò la mano ai pezzetti. Le dita indugiarono per un istante, per poi
posarsi su uno dei più spessi; con gli occhi ancora chiusi, lo afferrò o lo
portò alla bocca, mangiandolo per intero.
Se pure avesse trovato un semino e fosse andata a
casa, anche il solo guardarla mentre spingeva quel pezzetto di frutta tra le
labbra rosee ed umide sarebbe stato abbastanza. Quell’immagine era della stessa
sostanza di cui sono fatti i sogni erotici, e quando finalmente ebbe deglutito
e le sue labbra si aprirono, sentì l’inguine tirare.
Cose talmente semplici, in genere, non gli davano
così tanto alla testa. Se si fosse leccata le labbra, non avrebbe potuto
resistere dal ribaltare il tavolo nell’urgenza di averla.
Per fortuna, non lo fece: aprì solo gli occhi e li
fissò nei suoi. A Kakashi occorse un attimo per realizzare che Sakura non stava
per sputare nessun semino o avesse accennato ad alzarsi per andarsene, e ciò
poteva significare solo una cosa.
« Hai intenzione di rispettare il patto? » le
chiese.
« È doveroso » rispose lei, debolmente.
Con un ulteriore sorriso disarmante, le tese la
mano: le dita fredde di lei si intrecciarono esitanti alle sue e Kakashi le
strinse prontamente, per poi avvicinarle e lasciare un leggero e casto bacio
sulle nocche. Avvertì senza dubbio il respiro di lei mancare: le dita di Sakura
scivolarono sotto le sue, e Kakashi si meravigliò di quanto liscia fosse la sua
pelle, tale da far vergognare la più pura delle sete.
Ma non le diede tempo di ritrattare: subito la
attirò a sé, lasciandola solo quando fu poggiata per metà sul tavolo. In quella
posizione era abbastanza vicina a lui da permettergli di avvicinasi agilmente,
spostarle qualche ciocca umida dal viso e sollevarle il mento per baciarla.
Il primo bacio fu breve, casto, atto solo ad
assaggiarla; il secondo più appassionato e lascivo. Sakura tenne gli occhi
chiusi e le labbra schiuse, ma Kakashi non si spinse oltre il necessario: non
aveva mai baciato nessuno con così tanta cura, non ne aveva mai avuto bisogno.
L’unica volta che aveva usato un approccio così delicato era stato quando aveva
evocato Pakkun – ancora cucciolo – per la prima volta e gli aveva lasciato
annusare una mano in segno di saluto, incerto della reazione che avrebbe
scatenato.
Ovviamente, suddetto cucciolo aveva provato a
staccargli le dita a morsi, ma proprio a causa di quell’esperienza usava tutta
la premura necessaria: sapeva che, se non ci fosse andato abbastanza piano con
Sakura, avrebbe potuto perdere molto più che un paio di dita. A volte, poteva
essere imprevedibilmente volubile e l’ultima cosa che Kakashi desiderava in
quel momento era un labbro bucato.
Ma Sakura sembrava approvare. La sentì sospirare
per poi sporgersi verso di lui, offrendo più che la sola bocca.
Poteva sentire il sapore dell’arancia sulle sue labbra e l’odore della pioggia
tra i capelli, e quando le sue dita fredde gli sfiorarono il collo Kakashi poté
solo pensare a riscaldarle con il suo stesso calore.
Poi, d’un tratto, Sakura si tirò indietro: labbra
serrate e sguardo fisso sul tavolo. Kakashi batté le palpebre, sorpreso, ma proprio
quando stava per chiederle cosa non andasse, notò l’orologio alle sue spalle.
Era terribilmente in ritardo, perfino per i suoi
standard, ai quali Ayame non era abituata come i suoi conoscenti e la quale non
avrebbe avuto la stessa indulgenza che in genere gli veniva riservata.
E per quanto desiderasse restare, doveva proprio andare.
« Sakura, ho un appuntamento... »
La ragazza alzò gli occhi al cielo.
« No, davvero, stavo per uscire quando sei
arrivata ed ora sono terribilmente in ritardo » le disse, mettendosi in piedi. Gli
occhi di Sakura seguirono ogni suo movimento, da quando indossò la maglietta
fino a quando non finì di sistemare l’hitai-ate. Si voltò verso di lei mettendo
a posto la maschera, notando l’aria da “sedotta e abbandonata” che aveva
assunto. « Sarò qui tra un’ora. Forse un’ora e mezza » le disse. « E dovrebbe
essere abbastanza per te, credo ».
« Per fare cosa? » mormorò.
« Per decidere se vuoi davvero essere qui quando
tornerò ».
Sakura arrossì e distolse lo sguardo.
Kakashi si
fermò ad osservarla per un momento. « Pensaci bene » l’avvisò dolcemente, prima
di infilare le scarpe e chiudersi la porta alle spalle.
Quando Kakashi andò via, Sakura sputò i semini con
un sospirò di sollievo: se gli avesse lasciato approfondire quel bacio, di
sicuro avrebbe scoperto il suo piccolo inganno e l’avrebbe presa in giro senza
pietà.
Non che quel dettaglio avesse rovinato minimamente
quel bacio: nessuno l’aveva mai
baciata in quel modo. La maggior parte, se non tutti i baci che aveva ricevuto
in passato, erano solo il preludio del sesso: tutti i suoi ex li ritenevano un
male necessario, o qualcosa da fare mentre le sfilavano la maglietta. Qualche
bacio fugace era l’unico preliminare che avesse mai sperimentato.
Mentre il bacio di Kakashi era stato lento,
generoso e particolarmente attento a ciò che lei desiderava. Racchiudeva la promessa di grandi piaceri, ma non
li richiedeva. Era solo un bacio carico del desiderio delle sole labbra, puro e
vero.
Strano era riceverlo dal più grande pervertito al
mondo, dopo Jiraya.
Ma sicuramente la bravura di Kakashi era frutto di
molta pratica, pensò.
Quando hai storie con donne sposate e rimorchi ragazze nei bar tutte le sere,
di sicuro impari qualche trucchetto. Forse quel bacio
non era così puro e vero, dopotutto... forse sapeva semplicemente baciare bene.
Sakura sospirò e poggiò la fronte sul tavolo,
chiedendosi cosa fare.
Fin dal momento in cui aveva messo piede in casa
sua si era rassegnata all’idea che quello fosse il punto di non ritorno. Ora,
d’improvviso, Kakashi le stava dando un’altra chance di tirarsi indietro. Era
tentata dall’idea di saltare dalla finestra e tornare a casa, per starsene al
sicuro nel suo appartamento, ma sarebbe davvero stata la cosa giusta per lei?
Viceversa, non sarebbe comunque stato un errore restare lì fino al suo ritorno
e fare l’amore con lui? Dormire con il proprio maestro era qualcosa su cui
riflettere bene, e con ragioni: sarebbe stato da irresponsabili cedere a quella
terribile tentazione? Perché Kakashi non poteva mandarla a casa a calci e
renderle le cose più semplici? Perché si prendeva gioco di lei in quel modo?
Sarebbe stato meglio per tutti se fosse andata a
casa, ed il giorno dopo sarebbe riuscita a guardare negli occhi i suoi compagni
di team e far finta che nulla di ciò fosse avvenuto; con un po’ di fortuna,
avrebbero entrambi dimenticato quell’assurda sera in cui si era offerta al suo
insegnante su un piatto d’argento.
Restare era pura follia: con un sospiro rassegnato
si alzò e raccolse gli stivali per andarsene, sapendo di star facendo la cosa
giusta.
Ma se era
davvero quella giusta, perché le faceva così male?
« Kakashi-san, la odio ».
« Scusa, come? Non riesco a sentirti, colpa della
mia meravigliosa performance pianistica–»
Crash!
Kakashi tolse le mani dai tasti giusto in tempo da
schivare la calatoia, che cozzò sul telaio con un
tonfo, colpa dell’ira del suo piano tutor.
« È ufficialmente più bravo di me » disse Ayame,
con aria imbronciata. « Non mi resta assolutamente
niente da insegnarle ».
Kakashi la fissò. « Evviva? » tentò.
« Mi ci sono voluti dodici anni per arrivare a questi livelli – a lei sono bastate tre
lezioni per un totale di quattro ore e mezzo » confessò, portando le mani ai
fianchi. « Ha idea di quanto fastidioso possa essere chi impara in fretta? »
Kakashi pensò alla propria studentessa e alla
rapidità con cui aveva appreso i suoi genjutsu quello stesso pomeriggio. « Li
trovo tollerabili... » disse, vago.
Ayame sospirò ancora e si avvicinò al piano. « A
cosa le serve imparare a suonare? »
Glielo aveva chiesto fin dalla prima lezione e
Kakashi aveva abilmente sviato il discorso ogni volta, dicendole che era una
questione top-secret eccetera, ma se Ayame avesse voluto vendere i segreti di
Konoha l’avrebbe fatto da parecchio, dato che Naruto le raccontava per filo e
per segno ogni dettaglio delle missioni che svolgevano, quando di ritorno si
fermava a mangiare ramen al negozio di suo padre; quindi, forse, non c’era
nulla di male nel placare la sua ira dandole quella piccola informazione.
« Tra un mese ho una missione di spionaggio a
lungo raggio. L’uomo che seguirò viaggia spesso e cambia staff nel suo
entourage ogni due giorni. Gli unici che non licenzia sono i tre musicisti; il
pianista sarà indisposto il mese prossimo, ed io sarò lì a rimpiazzarlo
all’ultimo minuto ».
« Certo che voi ninja avete lavori strani »
borbottò, in soggezione. « Ma come sa che il pianista sarà indisposto? »
Magari perché sarebbe stato lui la causa di quell’indisposizione?
« I ninja sanno tutto » rispose invece.
« Oh, okay » annuì lei. « Beh, buona fortuna
allora. Mando il conto all’Hokage, giusto? »
« Giusto ».
Ayame controllò l’ora sull’orologio da polso. « È
tardi, Kakashi-san, dovrebbe andare prima che mio marito torni ed abbia una
sincope nel trovare uno strano individuo nel salotto ».
« Non sono strano... » protestò, ma Ayame l’aveva
già accompagnato alla porta.
« Arrivederci, Kakashi-san! E semmai la rivedrò,
sarà comunque troppo presto ».
Kakashi sospirò drammaticamente, ma la porta gli
era già stata chiusa in faccia.
La pioggia quella notte aveva deciso di graziarlo,
ed ora Kakashi si avviava lungo le strade umide senza fretta. Di tanto in tanto
buttava un occhio al cielo, per trovarvi la luna crescente che faceva capolino
dalle nuvole, illuminando la strada meglio di tutti quei lampioni.
Fin da quando era uscito da casa sua, si era chiesto se al suo ritorno avrebbe
ritrovato Sakura, peggiorando inoltre qualitativamente la sua performance al
piano (ma il fatto che Ayame non se ne fosse resa conto dimostrava di quanto
ormai l’avesse superata).
Ma a chi importava del pianoforte e della missione
quando poteva esserci una bellissima ragazza ad aspettarlo a casa per fare l’amore
con lui in modo folle e passionale? Cercò di convincersi che fosse troppo bello
per essere vero: a quell’ora, probabilmente era già tornata in sé ed era
scappata dalla finestra. Si promise di non prendersela, quando aprendo la porta
non l’avrebbe trovata lì: c’era da aspettarselo.
Ma aveva comunque il cuore in gola quando girò il
pomello ed entrò in casa, e dando un’occhiata al pavimento si rese conto che
non c’era più traccia dei suoi stivali.
Dannazione.
Ecco
arrivare la delusione: completamente irrazionale ed inappropriata, ma era lì.
Sentendosi notevolmente meno felice di quanto lo
fosse solo pochi attimi prima, Kakashi si sfilò la giacca e l’hitai-ate; e, non
essendo esattamente dell’umore adatto all’ordine, li abbandonò sul tavolo della
cucina, dove si erano materializzati due semini d’arancia da quando era uscito,
ma ci fece caso a stento. Voleva solo andare a letto e dimenticare quanto
idiota fosse stato ad aver pensato a lei in quel modo e quanto lo fosse ancora
a non riuscire a togliersela dalla mente.
Ma entrando in camera da letto si rese conto che
c’era qualcosa fuori posto: data la luce soffusa, a primo impatto credé che il
gatto color pesca con un solo occhio fosse entrato dalla finestra e si fosse
accomodato sul suo letto. Dopo un attimo, la vista si abituò al buio e realizzò
che il groviglio nel suo letto era rosa.
« Credevo fossi andata via » le disse, sentendosi
quasi senza fiato. « I tuoi stivali non c’erano ».
Sakura si mise a sedere, coprendosi fino al petto
con un lenzuolo. Era palese che fosse nuda... o quasi. Gli rivolse un sorriso
timido, per poi indicare il termosifone dove il paio di stivali era stato
poggiato. « Erano bagnati... »
Era adorabile e Kakashi sentiva il cuore fondersi
a guardarla nel suo letto.
« Sei nuda? » strascicò, osservando la figura del suo corpo avvolta
deliziosamente tra le coperte.
« Quasi » disse, schiva. « Te l’ho già detto,
sensei, a letto indosso solo le mutandine ».
« Descrivile ».
« Nere » sussurrò. « Con un cuore bianco sul
davanti ».
Kakashi annuì, pregustando quella meravigliosa
immagine mentale.
« Vuoi vederle? » chiese, timida.
E come avrebbe potuto dire di no a qualsiasi sua
richiesta?
Ho sempre considerato l’undicesimo capitolo un’estensione
del decimo, ma adoro il modo in cui i punti di vista dei protagonisti si
intrecciano per dare una visione a 360° di ciò che li porta al prendere la
fatidica decisione di lasciarsi andare, non dando spazio a buchi di trama o
narrazione e lasciando intendere perfettamente l’intenzione ed il pensiero di
entrambi.
Detto ciò, aggiornamento lampo perché il capitolo (relativamente) breve e
scorrevole lo ha permesso, fossero tutti così avrei già finito! Il prossimo mi
spaventa a morte perché non mi è mai piaciuto descrivere esplicitamente scene
spinte, ma va fatto.
Alla prossima, cià. ♡
Capitolo 12 *** La Studentessa ed il Suo Maestro ***
. 12 .
La studentessa ed il suo maestro
Definirla nervosa avrebbe edulcorato la
situazione, ma l’ansia non arrestava il suo desiderio di proseguire.
Le sembrava di rivivere il momento in cui Sasuke era tornato al villaggio:
moriva dalla voglia di rivederlo e niente al mondo l’avrebbe fermata, ma allo
stesso tempo era spaventata a morte dal pensiero di constatare quanto fosse
cambiato e dal doversi rendersi conto una volta per tutte che le cose tra il
Team 7 non sarebbero mai più state le stesse.
Ora – anche se la vita dopo quell’esperienza
restava un’enorme punto interrogativo – non aveva la forza di fermarsi, perché
non voleva.
Kakashi avanzò verso il letto con fare predatorio,
come se sapesse esattamente ciò che voleva e come ottenerlo. La sicurezza
autoritaria che esprimeva in ogni gesto le faceva irrigidire i muscoli del
ventre: Kakashi aveva intenzione di dominare e nulla glielo avrebbe impedito.
Ogni cellula del corpo di Sakura avvertiva che a breve sarebbe successo
qualcosa di epico, ed era proprio ciò che aspettava da tutta la vita senza rendersene
conto.
La mano guantata di
Kakashi afferrò le lenzuola e, senza alcuna esitazione, le tirò con forza,
strappandole alla presa di Sakura e scoprendo il suo corpo nudo.
Sakura sussultò sorpresa, ma non provò alcun imbarazzo né provò a coprirsi.
Oltretutto, quando alzò gli occhi su di lui, si rese conto che Kakashi non
fosse minimamente interessato al suo seno: il suo sguardo era fisso sulle
mutandine che indossava.
«Molto carine» mormorò, afferrandole l’incavo
delle ginocchia per attirarla sé, per poi tracciare il contorno della stampa a
forma di cuore con la punta di un dito.
Sakura rise e spinse la punta del piede contro il
suo petto per allontanarlo. «Sei un pervertito, Kakashi-sensei» ridacchiò. «Hai
un fetish per l’intimo o qualcosa del genere?»
«Solo se riguarda te» scherzò lui, afferrando il
piede puntato sul suo petto. «Indossi sempre biancheria particolare...»
Il suo pollice percorse l’arco plantare di Sakura,
che sospirò rabbrividendo: chi l’avrebbe mai detto che i suoi piedi fossero così
sensibili? «Ed io quando potrò vedere la tua?» sussurrò, godendosi la
sensazione di formicolio che si espandeva nel suo intero corpo, con epicentro
quell’apparentemente innocuo contatto.
«Ogni cosa a suo tempo» rispose lui. «Ma credo che
il patto fosse che stasera fossi io a
fare l’amore con te. A me ci penseremo un’altra volta, mh?»
Sakura arrossì violentemente, profondamente
toccata dal suo altruismo; ma se si fossero concentrati solo su di lei, non
avrebbero finito in cinque minuti al massimo? Forse doveva solamente fidarsi di
Kakashi e di ciò che aveva intenzione di fare?
Con un’ultima carezza lasciva, le abbandonò
dolcemente il piede e tese le mani verso di lei: Sakura le afferrò entrambe e
si lasciò sollevare. Lentamente, si mise a sedere sul bordo del letto, troppo
alto per permetterle di toccare il pavimento.
Kakashi si inginocchiò tra le sue gambe e le rivolse un’occhiata comprensiva.
«Nervosa?»
«No» rispose rapidamente lei, lasciando trasparire
involontariamente una sfumatura tesa nel tono di voce.
«Bugiarda» le disse, battendole un dito sulla
punta del naso con fare affettuoso. «Sono un po’ nervoso anch’io, a dire la
verità».
Sia per il tono basso e suadente, sia per la
sicurezza con cui si muoveva, Sakura non riusciva a credergli. «Bugiardo» replicò,
con un sorriso riluttante. «Lo dici solo per farmi stare meglio».
«Ha funzionato?»
«Non proprio...»
«Oh. E che mi dici di questo?»
Kakashi abbassò la maschera fino al mento e si
sporse per poggiare le labbra sulle sue. Sakura per poco non si sciolse, ma
tenne gli occhi chiusi e sospirò per il piacere: un semplice bacio non avrebbe
dovuto farle provare così tanto piacere, eppure ci riusciva; ed era addirittura
meglio quando non cercava di nascondere qualche semino d’arancia sotto la
lingua. Quando avvertì un morso lieve sul labbro inferiore ed il curioso
colpetto della lingua di Kakashi, schiuse le labbra per permettergli di
approfondire il contatto, ricambiando avidamente quel gesto così intimo. Si
lasciò scappare un gemito d’approvazione contro la bocca di Kakashi e portò le
mani tra i suoi capelli, sentendosi liquefare dall’interno: quel bacio era
addirittura più soddisfacente del sesso come lei lo conosceva; forse,
addirittura meglio del cioccolato.
Kakashi spezzò improvvisamente il contatto ed inclinò
la testa di lato. «Allora?» chiese serio.
Sakura lo guardò inebriata. «No, temo che non
abbia affatto funzionato» rispose, sforzandosi per apparire impassibile quanto
lui.
Kakashi si chinò in avanti e le ricoprì il collo
di baci roventi; Sakura serrò gli occhi e trattenne a fatica un sonoro gemito.
Era sempre stata eccessivamente sensibile in quella zona del corpo, ma la bocca
di Kakashi era particolarmente stimolante: riusciva a portare il piacere di
Sakura su di un livello del tutto nuovo. Quando la sua lingua scivolò lungo la
vena per poi succhiarla lievemente, Sakura sentì il calore del sangue
espandersi in tutto il corpo e l’intima umidità addensarsi tra le sue gambe.
«N-no» disse, tremolante. «Temo che non funzioni affatto».
«E se provassi così?» chiese Kakashi, spingendola
lentamente fino a farla distendere di nuovo sul materasso. Con una mano a
trattenerle i fianchi e l’altra a disegnare immagini astratte sulle sue
costole, rivolse l’attenzione al suo seno e cominciò a succhiare un capezzolo.
Sakura sospirò avidamente ed inarcò la schiena,
mentre l’eccitazione le attanagliava lo stomaco. Ad ogni bacio umido che
riceveva, un tepore avvolgente le inebriava i sensi in un crescendo che
sembrava non avere fine, costringendola a muoversi irrequieta sotto di lui.
Tremendamente cosciente del peso che Kakashi esercitava tra le sue gambe, prese
a strofinare impaziente l’interno coscia contro il fianco di lui, tentando
invano di trattenersi dal dare sfogo alle intense sensazioni che le scorrevano
ormai nelle vene.
«Allora?»
mormorò contro il suo seno, dando all’altro capezzolo trascurato un leggero
pizzicotto.
«No, niente affatto» rispose lei, sforzandosi ad
usare un tono non troppo acuto. «Temo di non s-sentire nulla».
«Ah davvero?»
La mano di Kakashi abbandonò il suo seno, ma prima
che Sakura potesse chiedersi dove fosse, la sentì: il pollice strofinò
lentamente l’apice del suo sesso. Sakura gemette, affondando le unghie nelle
spalle di lui, mentre il dito continuava a massaggiarla, annebbiandole la
vista. «Ah, okay», squittì, con voce spezzata. «Credo che ci sei quasi».
«Era ora» mormorò Kakashi, muovendosi su di lei
per lasciarle qualche bacio lascivo sul mento e sulle labbra.«Non trattenerti in alcun modo, Sakura.
Rilassati e lasciati andare».
Restò su di lei per osservare le espressioni che
si succedevano sul suo viso ad ogni tocco gentile, mentre continuava a
stuzzicarla dolcemente al di sopra della sottile stoffa dell’intimo. Lo sguardo
di Kakashi era per Sakura come un raggio di luce abbagliante e lei ne era
particolarmente consapevole, ma non aveva il coraggio di aprire gli occhi per
incontrare i suoi. Preferiva concentrarsi sui movimenti della mano, accogliendo
le ondate di piacere senza riserve. Le sembrava incredibile il fatto che fosse
già quasi prossima all’orgasmo, e Kakashi non si era nemmeno ancora sbottonato
i pantaloni; nessuno, prima di lui, si era concentrato mai così tanto sul suo
piacere.
«Questi sono i famosi preliminari, vero?» sospirò
Sakura, ormai senza fiato.
Lo sentì ridere leggero per poi posarle un caldo
bacio all’angolo della bocca, quasi a dimostrarle di aver trovato la sua
domanda adorabile. «I preliminari» rispose «sono ciò che abbiamo fatto per
buona parte dell’ultima settimana».
«Credo che mi piacciano i preliminari» annaspò
lei, arcuando la schiena mentre l’ennesimo delizioso fremito la attraversava.
«Non ho mai... Cioè, non ho davvero mai... sai...»
«Cosa?» chiese leggero Kakashi, premendo contro la
stoffa bagnata che ricopriva la sua entrata, facendole tremare le gambe.
A Sakura servirono una manciata di secondi per
riprendere il filo dei pensieri. «Non sono mai arrivata al punto di voler... tu sai cosa, così tanto...»
Si pentì immediatamente di averlo detto,
soprattutto perché lui si fermò per la sorpresa. Il respiro le morì in gola
mentre Kakashi si chinava su di lei, sfiorandole la punta del naso con la sua.
«Vuoi il mio tu sai cosa, Sakura?»
Annuì senza fiato, lanciandogli un’occhiata
disperata.
«Il mio caldo, duro, tu sai cosa? Proprio ora? È ciò che vuoi? Non preferiresti avere il
mio cazzo?»
Sakura arrossì, alzando gli occhi al cielo.
«Perché ti prendi gioco di me? Stai cercando di farmi passare la voglia?»
brontolò.
«Che permalosa» le stampò un bacino di scuse sul
naso. «Potrai averlo... dopo che me lo avrai chiesto».
Sakura arricciò il naso. «Non ci penso nemmeno»
ribatté. «Non sono una pervertita, a differenza tua».
«Vedremo» le disse, con tono affabile.
«Non lo sono!» strillò ancora, con più
convinzione.
«Sai cosa si dice di chi nega l’evidenza».
«Non c’è niente da negare» Sakura scattò, tentando
di divincolarsi dalla sua presa. «Puoi andare a scoparti un gatto, per quanto
mi riguarda–»
«Preferirei scopare te, se non ti dispiace»
rispose, tenendola ferma per le spalle. «Non c’è fretta. Abbiamo tutto il tempo
per riscoprire il tuo lato perverso, ed io ho appena cominciato».
Sakura deglutì, quasi intimidita dall’uomo sopra
di lei. Notò come il suo sguardo vagasse dal suo viso al suo seno, quasi perso
nel constatare ogni movimento prodotto dal suo breve respiro. Sentì il calore
delle mani premute sulle spalle spostarsi lentamente più in basso, perdendosi
per un istante ad accogliere un seno nel palmo della mano prima di riprendere
la discesa lungo lo stomaco, passando per i fianchi, fino a posarsi sulle sue
cosce. Il cuore di Sakura sobbalzò quando vide Kakashi ritirarsi per
spalancarle le gambe in modo quasiosceno.
Si morse le labbra, ansiosa. «Cosa stai facendo?»
«Nulla» rispose innocentemente, posando una serie
di lievi baci partendo suo interno coscia fino a risalire a limite del suo
inguine.
A quel punto, le sue intenzioni erano piuttosto
chiare. «Non l’ho mai fatto prima» ammise lei.
«C’è sempre una prima volta» le rispose, senza la
minima sorpresa.
Era ormai pericolosamente vicino all’apice delle
sue cosce, e Sakura sobbalzò quando la sua bocca si posò sul punto più
sensibile del suo corpo, riscaldandola attraverso la stoffa delle mutandine.
«Kakashi...»
Due dita le
pizzicarono una coscia abbastanza forte da farla scattare. «Kakashi–cosa?»
«Kakashi...» la mente
ormai sgombra non riusciva a seguirlo. «...sensei?»
«Ciò che stiamo
facendo non è un valido motivo per dimenticare le buone maniere, Sakura» le
disse. «Sono ancora il tuo maestro».
Sakura ridacchiò tra
sé. «La verità è che ti ecciti se ti chiamo “sensei”, vero? Non è quello che fa
la protagonista di Icha IchaTactics?
Passa ogni notte in un letto diverso e chiama i suoi amanti “sensei” perché le
insegnano a farlo a novanta e cose del genere».
«Quindi l’hai letto?»
ridacchiò lui, giocherellando con l’elastico delle sue mutandine.
«Li ho letti tutti»
confessò. «Sono accettabili, quasi buoni. Specialmente gli ultimi, perché a
quanto pare Jiraya-sama ha capito il significato
della parola “trama”».
«Davvero?» mormorò
Kakashi, prendendo a sfilarle lentamente le mutandine. «Qual è il tuo
preferito, allora?»
«Credo... Credo
quello in cui lei si innamora di uno dei suoi amanti» disse, cercando di
smaltire il nervosismo che cominciava ad assalirla. «Ma lui crede che l’abbia
tradito, e alla fine si scopre che non l’ha fatto e lui se ne rende conto solo
dopo averla uccisa accidentalmente. Cioè, so che alla fine il suo destino era
quello di morire a prescindere, ma quella storia è davvero molto triste e – oh
– oddio – oh!»
Le parole le morirono
in gola quando Kakashi cominciò a baciarla proprio nella parte più intima di
sé: la sua bocca calda ed umida e la lingua abile vezzeggiavano avidamente il
culmine del suo sesso. Il respiro restava bloccato nel petto e dovette premersi
una mano sulla bocca per cercare di controllare i suoi stessi gemiti, mentre
l’altra si aggrappava bisognosa al ciuffo di capelli che ricadeva sul suo
ventre.
Ad ogni movimento
della lingua di lui, Sakura si sentiva sprofondare in una spirale di desiderio:
Kakashi era puro calore ed ovunque la toccasse, si sentiva scottata. Ad ogni
nuova ondata di piacere che la investiva, i suoi sensi si oscuravano sempre
più, fino a quando ogni sua percezione dell’universo nasceva e moriva con Kakashi.
Si sentiva stordita,
ubriaca della sua stessa eccitazione, ma non era abbastanza.
«Kakashi-sensei»
sussurrò, agitando irrequieta la testa tra le lenzuola. «Voglio di più. Ora.»
Non riuscì a trattenere
un gemito che le fulminò il petto quando Kakashi introdusse un dito dentro di
lei, facendola contorcere ad ogni centimetro di profondità che raggiungeva. Si
inarcò disinibita contro la sua bocca, sopraffatta dall’improvviso bisogno di
essere penetrata. Era quasi ciò di cui aveva esattamente bisogno, ma non era
ancora abbastanza. Anche se il suo corpo pulsava per il piacere crescente,
sentiva ancora la mancanza di qualcosa di essenziale per sentirsi completa.
«Sensei, ho bisogno
di te» pregò.
Kakashi si staccò da
lei torpidamente e le baciò le labbra: il suo bacio era umido e dolce e... oddio, Sakura sentiva il suo stesso
sapore sulla lingua. «Sono qui» mormorò, continuando a baciarla, muovendo la
lingua contro la sua con lo stesso ritmo delle dita dentro di lei.
Sakura svincolò le
labbra. «No» sussurrò dura. «Ho bisogno di averti dentro di me».
«Sono già dentro di
te».
«No!» sibilò, sentendo le guance scaldarsi, imbarazzata dal fatto
che sebbene la stesse toccando nel modo più intimo in cui un uomo potesse
toccare una donna, ancora non riusciva a chiedergli esplicitamente cosa voleva.
«Non fare lo stronzo, sai cosa intendo».
«No, non lo so»
disse, deciso a renderle la vita un inferno, sebbene nel bel mezzo di
un’esperienza così particolare. «Dimmi cosa vuoi».
Gliel’avrebbe fatto
ammettere, al costo di continuare a torturarla per il resto della notte. Un
velo di sudore cominciava ad inumidirle la pelle nuda, e in quel momento si
chiese se anche lui fosse nella stessa condizione; non poteva saperlo, dato che
Kakashi era ancora completamente vestito.
«Perché hai ancora i
vestiti addosso?» chiese distrattamente, prendendo a tirare implicitamente la
sua maglietta. «Toglitela».
Senza alcuna fretta,
Kakashi si ritrasse e si mise in piedi. Si sfilò agilmente i guanti e la
maglietta a maniche lunghe, lasciandoli ricadere sul pavimento; dopo ciò, tolse
anche la seconda maglia, restando a petto nudo. Sakura si leccò le labbra
inconsciamente, osservando avidamente l’ampio petto ricoperto di cicatrici –
alcune chiare e superficiali, altre più profonde e scure – che di certo non
rendevano il suo corpo meno perfetto di quanto fosse. Riconobbe addirittura
alcuni dei segni, di cui conosceva i retroscena; altre, invece, restavano un
totale mistero.
Ma non ebbe tempo per
concentrarsi sulla storia delle sue cicatrici, perché Kakashi in quel momento
prese a sbottonare i pantaloni e li lasciò cadere –insieme all’intimo –sul pavimento, accanto al resto dei suoi
abiti. Quando raddrizzò la schiena, la bocca di Sakura si seccò.
Aveva già visto un
uomo nudo ed eccitato prima d’allora, ma fu solo in quel momento che si rese
conto che l’uomo che aveva di fronte era il suo maestro.
E lei stava gli
fissando il pene.
E per quanto fosse
bello da guardare, le sembrava ancora piuttosto strano.
Kakashi si voltò per
prendere qualcosa dal comodino – un preservativo, constatò – e quando tornò a
guardarla sembrò notare il suo cambio d’espressione, mentre continuava ad
osservare il suo impressionante membro. «Cosa c’è?» le chiese, guardandosi a
sua volta, preoccupato.
Sakura piegò le
labbra in un sorrisetto che nascose dietro le dita. «Nulla» rispose sincera,
tendendogli poi una mano. «Vieni qui».
Aveva già immaginato
la sensazione del suo corpo contro il proprio, ma non era affatto pronta alla
scarica elettrica che le diede la sensazione della loro pelle nuda a contatto.
Kakashi si mosse su di lei e la baciò con passione, scacciando via ogni disagio
con l’abilità delle sue labbra, dandole sollievo dal logorante dolore che
sentiva nel cuore, un balsamo per la sua perpetua solitudine.
Era ciò per cui era
andata da lui: per essere consumata, per dimenticare, per trarre – dalla
vitalità di Kakashi – un senso alla sua stessa vita.
Una coscia di lui la
costrinse ad aprire le gambe, facendola fremere d’impazienza alla sensazione
della sua pelle ruvida che scivolava contro la sua liscia. Lo sentì
posizionarsi su di sé – incredibilmente caldo e duro proprio dove lei lo voleva
– e si bloccò per lo stupore. Un leggero movimento dei fianchi aveva fatto cozzare
i loro sessi nudi e Sakura sibilò alla scarica di piacere che la travolse. Si
sentiva dolorosamente vuota, ed era sicura che sarebbe impazzita a breve.
«Muoviti» sussurrò,
massaggiandogli irrequieta la nuca.
«A fare cosa?» le
chiese innocente.
Sakura digrignò i
denti. «Se non ti muovi a concludere ciò che hai iniziato ti taglio gli
attributi e li lancio da questa stessa finestra» sputò velenosa.
Ma Kakashi sembrò
impassibile. «E allora dimmi cosa vuoi» rispose, tranquillo. «Dimmi esattamente ciò che vuoi che faccia».
La tenne ferma per i
fianchi e cominciò a muoversi lentamente contro di lei, attizzando
pericolosamente il fuoco dell’eccitazione di Sakura, che prese a contorcersi
sotto di lui bisognosa di essere soddisfatta e fare ciò che il suo corpo – i loro corpi – chiedevano. La bramosia che
sentiva tra le gambe cominciava a diventare un’agonia che la rendeva frenetica,
la faceva ansimare disperatamente mentre i gemiti sommessi sfociavano un pianto
di stizza. «Per favore» supplicò, aggrappata alle sue spalle. «Ti prego».
«Cosa vuoi, Sakura?»
le chiese, paziente. Come poteva restare così lucido mentre lei era allo
stremo?
Ma Sakura aveva ormai
smesso di dar conto alla sua dignità. «Voglio il tuo... cazzo» sussurrò.
«Prego? Puoi
ripetere? Non ti ho sentita» il lento e tortuoso sfioramento di pelle contro
pelle continuava, facendola rabbrividire d’insoddisfazione.
«Ho detto che sei un
bastardo!» tuonò.
«No, non credo che
sia ciò che hai detto» mormorò lui, abbassandosi per strofinare il viso contro
il collo di lei, pizzicandole dolcemente un lobo con i denti. «Cosa vuoi?»
«Il tuo cazzo...
dentro di me... ora» confessò, ansimante.
«Più forte».
Sakura ringhiò
frustrata. «Voglio il tuo cazzo dentro di me!»
«Il mio cosa?»
«Cazzo!» strillò, per poi scoppiare a ridere, sentendosi ridicola.
Tutti i vicini nel raggio di un chilometro l’avevano probabilmente sentita, e
francamente gli stava bene. Non che Kakashi avesse la decenza di vergognarsi
del fatto che la gente sapesse più del dovuto sulla sua vita sessuale – Sakura
ne era fin troppo consapevole.
«Va bene» mormorò
lui, spostando il peso sui gomiti. «L’hai voluto tu».
La risata di Sakura
morì nell’istante in cui Kakashi, con un colpo deciso dei fianchi, entrò in lei
con una sola spinta. L’aria si dissolse dai suoi polmoni per lo shock,
lasciandola alle prese con la sorprendente sensazione di una tale brusca e
completa penetrazione. Kakashi non si mosse, ma non ve n’era bisogno: l’ondata
di calore ed il solo piacere di lui che finalmente riempiva quel vuoto doloroso
erano tutto ciò di cui aveva bisogno. I muscoli di Sakura si strinsero intorno
al suo sesso freneticamente, la stanza sparì in una spirale buia mentre un
violento orgasmo si impossessava di lei; fu dapprima lento, quasi come se il
suo corpo fosse ancora incredulo, ma presto l’ondata di calore si espanse e la
trascinò al centro di una tempesta di sensazioni. Inarcò la schiena e la vista
le si offuscò; spasmi e contrazioni presero il sopravvento, partendo dal punto
in cui il corpo di Kakashi invadeva il suo, mentre lui le teneva le braccia
ferme contro il materasso: così pacato e controllato comparato alla sua totale
perdita di controllo, la tratteneva mentre Sakura veniva ancora scossa
violentemente contro di lui.
Durò molto tempo,
molto più di quanto avesse potuto solo immaginare, e quando la marea euforica
cominciò a rifluire, ciò che ne restò fu la nuova sensazione di calda
soddisfazione.
Ma non era sazia.
E nemmeno Kakashi
sembrava esserlo.
Raccolse l’ultimo
briciolo di energia per aprire gli occhi e gli sorrise quasi con ebbrezza.
«Wow...» sussurrò.
«Stai bene?» le
chiese, e per la prima volta Sakura si rese conto che nemmeno lui fosse così
lucido e composto come pensava: il suo sguardo scottava e le spalle a cui si
aggrappava erano così tese che sembrava poter perdere il controllo da un
momento all’altro.
«Perfettamente»
sospirò felice. «È stato magnifico. Ora continua – ma basta scherzare».
«Grazie a dio» gemette di sollievo e finalmente
anche lui si lasciò andare.
Da qualche parte, in
quella stanza buia, un orologio ticchettava a ritmo del respiro dell’esile
corpo che gli dormiva accanto. Al di fuori di essa, qualche uccellino molto mattiniero cominciava a
cinguettare il preludio del coro mattutino, mentre la pioggia che avrebbe
dovuto scacciarli si era fermata ad un orario indefinito della notte appena
trascorsa.
Aveva dormito per
giusto un paio d’ore ed era ancora stanco, ma felice di essere sveglio per
godere del calore cullante del corpo accoccolato contro il suo e della
sensazione del suo respiro contro la spalla.
Era stato un errore;
un orribile, grave errore per il quale avrebbe pagato per il resto della vita.
Aveva sbagliato a portare a letto quella ragazza – quella vulnerabile e giovane
donna dal cuore spezzato e non da un solo uomo, ma da molteplici esperienze
negative.
Era qualcosa di sbagliato, immorale e profondamente perverso.
Kakashi era sveglio
da ormai quasi un’ora a riflettere sulla situazione, attendendo il senso di
colpa che l’avrebbe consumato completamente.
Ma sembrava non voler
affatto travolgerlo, sebbene si sforzasse di sentirsi almeno minimamente in colpa.
Dopotutto, era
complicato pentirsi di una meravigliosa notte di passione trascorsa con una
bellissima ragazza le cui reazioni erano state così ardenti e forti: come
avevano potuto definirla “frigida”? Aveva solo bisogno di qualche attenzione in
più, ma il suo corpo stava al piacere come un pesce sta all’acqua. Era ormai
diventato il suo diletto imparare ogni reazione di quel corpo, capire come
farla tremare o gemere ed insegnarle a fare lo stesso con lui. Si era
dimostrata un’apprendista capace non solo riguardo ai genjutsu...
Eppure, non capiva
cosa lo attraeva di lei oltre ciò: Sakura non era affatto il tipo di donna che
era solito portarsi a letto. Preferiva le donne mature – abbastanza vissute da
sapere che c’è sempre un nuovo amore dietro l’angolo, per alleviare il dolore
lasciato dal precedente. Le giovani donne con ancora sogni ed aspettative non
facevano per lui; le vergini, poi, erano completamente off-limits.
Sakura era uno strano
mix di tutto ciò: era giovane e molto inesperta sotto certi aspetti, ma
stranamente competente in altri. Era sul punto di rinunciare a quel tipo di
aspettative romantiche per diventare una di quelle donne stanche.
E per qualche assurdo
motivo non poteva sopportarlo.
Non gli era sfuggito
il fatto che Sakura sorridesse molto meno nell’ultimo periodo, ma quella notte
aveva ripreso vita: aveva sorriso, aveva riso e nei suoi occhi era tornata una
scintilla che Kakashi non aveva mai notato, prima che scomparisse.
Sakura si mosse
contro di lui, inspirando profondamente ed espirando lentamente, mentre una
mano vagava assonnata sul suo petto.
Un sorriso malizioso le incurvò le labbra.
«Sei sveglia?»
sussurrò.
La mano si fermò. «Se
dico di sì farai di nuovo l’amore con me?» gracchiò, lasciando trapelare nel tono
della voce il sonno mancato.
«Sì» rispose
semplicemente, sentendo il corpo reagire al solo pensiero.
«Bene, perché sono
c-completamente...» si interruppe per sbadigliare. «Completamente sveglia».
Non era di certo la
frase più convincente che avesse mai sentito, ma non aveva intenzione di
discutere. Si scostò da lei per prendere un altro preservativo dal cassetto del
comodino, ma tornò rapidamente a letto e la fece voltare in modo che la schiena
di lei premesse contro il suo petto. «Solleva il ginocchio» mormorò tra i suoi
capelli, per poi aiutarla a poggiare la gamba destra dietro la sua.
Con una lenta e cauta
spinta penetrò completamente lo stretto, accogliente e caldo corpo. La sentì
sussultare nuovamente ed aggrapparsi al braccio che Kakashi teneva stretto
intorno alla sua vita, come se non lo avessero già fatto tre volte quella
notte; quella volta, però, non c’era bisogno di affrettarsi. Sakura sembrava
soddisfatta dal lento ondeggiare dei loro fianchi, il loro sangue bolliva a
fuoco lento, in modo piacevole ma non impegnativo: quello era sicuramente il
miglior modo di svegliarsi.
«Ti fa uno strano
effetto?» le chiese dolcemente, carezzandole una spalla.
«No, è stupendo»
sospirò lei, dandogli l’impressione di essere sul punto di ritornare in un
bellissimo sogno.
«Sei davvero bravo».
«Carino da parte tua,
ma non è ciò che intendevo» mormorò. «Ti fa uno strano effetto farlo con me?»
Gli occhi di Sakura
si dischiusero lentamente ed esitò per un solo istante prima di portare una
mano tra i capelli di Kakashi per accarezzarli dolcemente. «Un po’» ammise. «Ma
non in cattivo senso... È solo un senso strano di strano. Strano, eh?»
«Molto strano»
concordò lui, mordicchiandole un lobo.
«Sei sicuro che non
sono sotto qualche tipo di genjutsu?» chiese Sakura. «Ho fatto sesso altre
volte, ma non è mai stato così».
«Sakura, mi farai
arrossire» scherzò, per poi dare una spinta violenta solo per il gusto di
sentirla gemere tra le sue braccia. Era ovvio che quello fosse il miglior sesso
che avesse mai fatto: non aveva passato venti lunghi anni a leggere Icha Icha per nulla, mentre tutti i Neanderthal con cui era
stata prima erano nient’altro che shinobi narcisisti che puzzavano ancora di
latte. Non gli occorreva compiere chissà quale sforzo per mettere a ridicolo
qualunque uomo avesse avuto prima di lui.
Ma ciò non significa
che le avrebbe dato meno del suo massimo, perché anche se si basava tutto sul
dimostrarle che c’era molto di più dell’aspettare il principe azzurro,
egoisticamente sapeva di voler surclassare anche chiunque avesse avuto dopo di
lui.
Voleva restare per lei il traguardo da raggiungere, un sogno erotico fatto
realtà.
Sperava, desiderava, pretendeva che avesse continuato a pensare a lui ogni
volta che si fosse trovata nel letto di un uomo, per il resto della vita, anche
se si fosse sposata ed avesse avuto dei nipoti.
«Cosa diremo agli
altri?» mormorò lei, stringendo le dita intorno alle sue, poggiate sul ventre.
«Non glielo diciamo»
rispose semplicemente, sperando che capisse.
Sakura restò in
silenzio a lungo. «Quindi non lo diciamo a nessuno?»
«Se vuoi fallo»
sospirò. «Ma credi davvero che qualcuno capirà? La gente penserà che mi sono
approfittato di te, in qualche modo».
«Tu ti stai approfittando di me» scattò.
«Solo perché tu vuoi
che lo faccia» le disse, muovendo i fianchi più velocemente contro di lei.
«Quindi è un
segreto?» chiese, con il respiro sempre più pesante.
«È una tua scelta».
Sakura sembrò non
avere più fiato per rispondere e Kakashi presto si rese conto che il bisogno di
concludere era impellente. Con uno scatto rapido la portò sotto di sé ancora di
schiena e la colpì con una serie di spinte violente, che costrinsero Sakura a
soffocare i gemiti nel cuscino. Allungò una mano in sua direzione per cercarlo
e Kakashi la strinse forte, mentre ogni muscolo di Sakura si stringeva e
contraeva intorno a lui.
Lo trascinò al
limite, persuadendolo con ogni violenta reazione del suo corpo; venne anche lui
con un gemito rauco, spingendo ancora in lei con ritmo spezzato, stringendole i
fianchi così forte da lasciarle dei segni, ma Sakura era tutt’altro che una
creatura delicata: continuava a gemere incoraggiandolo, premendo i fianchi
contro i suoi ed accettandolo completamente, mentre il pulsare persistente del
suo orgasmo svaniva lentamente.
Si ripresero dopo molto
tempo: Kakashi si staccò da lei letargicamente e si sdraiò di schiena, Sakura
si poggiò su di lui per un dolce bacio riconoscente a fior di labbra, che lo
portò a chiedersi da dove prendesse la forza per muoversi dopo l’ultimo
amplesso. Ah, gioventù...
«Oggi ho la
revisione» gli disse, strofinando una guancia contro la sua spalla.
«Mmh» non aveva
ancora ripreso fiato abbastanza da dire altro.
«Se mi promuovessero,
le cose sarebbero diverse, vero? Non saremmo più un’allieva e il suo maestro,
saremmo entrambi jonin. Le persone lo accetterebbero, no?»
Ah, ingenuità...
«Sakura, non farti
troppe illusioni» l’avvisò vago.
«Lo so... Lo so...»
sospirò. «Probabilmente non mi promuoveranno nemmeno...»
Kakashi non rispose.
«Questo è il momento in
cui dovresti dirmi “credo in te, Sakura, sono sicuro che ce la farai” o
qualcosa del genere» disse, brusca.
«Beh, forse c’è
qualcosa che dovresti sapere...»
Sakura sospirò
sonoramente. «Lascia perdere».
Cambiò rapidamente argomento e si tese per pizzicargli la pancia in modo
audace, un modo che lo intrigava... tra le tante cose. «Ti perdono» disse poi.
«Se rifai quella cosa».
«Ci sto» concordò
lui, sigillando il patto con un bacio lungo e passionale.
Da quel momento in poi non ci fu più nulla di cui
discutere.
«Sei incinta?»
Sakura alzò lo
sguardo dagli appunti di lavoro e rivolse ad Ino lo stesso sorriso sognante che
aveva avuto per tutta la mattinata. «No, cosa ti salta in mente?» chiese.
Ino – che quella
mattina sembrava avercela col mondo – scrutava Sakura dall’altro lato della
scrivania, con la stessa espressione con cui si guarda un lebbroso. «Sei
raggiante. È fastidioso, smettila».
«Scusa» rispose
indifferente, per poi tornare sui fogli di carta, canticchiando.
Ino picchiettò
furiosamente la penna sul piano di lavoro. «È successo qualcosa la notte
scorsa, vero?»
Sakura smise di
canticchiare e deglutì: doveva soppesare bene le parole con la regina del
gossip di Konoha, che poteva sentire l’odore di scandalo nell’aria meglio di
quanto Akamaru fiutasse l’odore dei biscotti. «Che intendi?» chiese, con
nonchalance. «Sono solo di buon umore. Oggi ho la revisione ed ho un buon
presentimento a riguardo».
«Stronzate» scattò
Ino. «Ogni volta che hai una revisione sei sempre ipertesa, a prescindere delle
chance che hai di passare. O ti sei drogata, o c’è qualcosa che ti distrae – e
dev’essere qualcosa di grosso, se ti può far passare l’ansia da revisione
semestrale».
«Se mi promuovono,
bene – altrimenti, pace» disse Sakura, scrollando le spalle. «Non ne faccio un
dramma».
«Oddio, ti sei
drogata!» sibilò Ino. «Chi è il tuo spacciatore? La voglio anch’io».
L’occhiataccia che
Sakura le rivolse avrebbe potuto perforare una montagna.
«Lo sapevo: è
sicuramente un uomo» concluse Ino.
Sakura perse
completamente le staffe. «Oh, per te gira tutto intorno agli uomini! La mia
felicità non dipende dal genere maschile come la tua! Siamo kunoichi, non
abbiamo bisogno di un uomo per essere soddisfatte! Se sono di buon umore non è
di certo per un – smettila di guardarmi
così!»
«Così come?» chiese,
colpevole. «Non sono stupida, Sakura. Sei stata depressa per giorni e
all’improvviso ritrovi la pace interiore nel giro di una notte? Come se non
bastasse, proprio nel giorno in cui dovresti essere un fascio di nervi. È
successo qualcosa, e scommetto la mia tessera di Typhoon
che ha a che fare con chi ti ha regalato quell’abito di Suzuki».
Sakura serrò le
labbra, determinata a non dire nulla che potesse essere usato contro di lei.
Ma ottenne l’effetto
contrario: un sorriso trionfante piegò le labbra di Ino, dandole l’espressione
di un gatto che ha messo all’angolo un topo. «Capisco. Non so perché tu faccia
tanto la misteriosa a riguardo, Sakura, ma sono sicura che chiunque sia il tuo sugar-daddy, ti ha fatto passare una notte da sogno. E
fattelo dire, era ora».
Sakura pensò
seriamente di strangolarla con lo stetoscopio, masarebbe stato un tantino esagerato. «Non sono
affari tuoi, porcellino» tagliò corto, cercando di mantenere un tono neutro.
«Lo so, fronte
spaziosa» replicò l’amica. «Ma farò di
tutto per scoprire chi è quest’uomo misterioso. Fidati, non ho di meglio da
fare. E poi scoprirò se ha un fratello – e in caso contrario: al diavolo, te lo
ruberò».
Sakura si accigliò,
ma non per la minaccia di Ino: sapeva che non c’era verso per lei di portare via
Kakashi da qualunque donna; ciò che la impensieriva realmente era il fatto che
– se Ino avesse scoperto davvero chi fosse il suo “sugar-daddy”
–la sua reazione sarebbe stata di
disgusto e non di invidia, ed il suo primo pensiero sarebbe stato quello di
andarlo a dire in giro, piuttosto che provare a portarglielo via.
Ammesso che riuscisse
a scoprirlo.
Quanto sarebbe potuta
durare la sua tresca con Kakashi? Per quanto ne sapeva, poteva essere già
finita... E dopotutto, Sakura era un ninja sulla soglia della promozione a
jonin, avrebbe potuto – eventualmente – mantenere il segreto fino ad allora.
Rivolse
all’amica/rivale un altro sorriso radioso, conscia del fatto che avrebbe
contribuito ad innervosirla oltre ogni limite. «Fa’ come vuoi, Ino».
Ma nemmeno quel breve
battibecco le avrebbe spento l’umore: dopotutto, le risultava davvero difficile
essere nervosa in un giorno cominciato in modo così piacevole: tra le braccia
calde e profumate di un uomo meraviglioso; lo stesso che si era lamentato, tra
veglia e sonno, quando si era alzata di fretta per rivestirsi e andare a
lavoro.
A Kakashi di certo
non importava del ritardo, ed aveva anche trovato il modo di far disinteressare
anche lei; ragion per cui quella mattina era arrivata in ufficio con oltre
un’ora di ritardo. E ci era andata anche con un sorrisetto stampato in faccia;
certo, un po’ stanca, ma sicuramente di buon umore. Si sentiva come se la notte
precedente avesse scoperto qualcosa di meraviglioso, che poteva tenere solo per
sé.
Aveva temuto che Kakashi
fosse pentito, che l’avesse svegliata per dirle che era stato un errore da non
ricommettere, ma anche se non si erano organizzati per passare un’altra notte
insieme, il suo atteggiamento non esprimeva affatto pentimento; dopotutto, un
uomo pentito di una notte d’amore con una ragazza, non la prende contro la
testata del letto appena sveglio...
Ma aveva comunque
notato qualcosa di strano in lui: lo sguardo leggermente perso che le aveva
rivolto mentre si vestiva per uscire, quella mattina, l’aveva portata a
chiedersi se avesse qualche tipo di rimorso o preoccupazione; ma poi l’aveva
baciata sulle labbra prima che uscisse, dissipando ogni dubbio. Forse i suoi
pensieri erano solamente di natura lavorativa.
Quando l’orologio
scoccò le tre in punto, Sakura si incamminò verso l’Accademia, dove si sarebbe
tenuta la prova semestrale. Era in anticipo di dieci minuti, quindi non si
affrettò a raggiungere il terzo piano, sul quale si trovò di fronte ad una fila
di chūnin in ansia contro il muro del corridoio.
«Sei in ritardo!»
Sakura sobbalzò al
sentire la voce tesa di Kotetsu, che la indicava con una penna. Aveva tra le
mani una pila di appunti, mentre una ragazza – che poteva avere all’incirca
l’età di Sakura – piangeva disperata sulla sua spalla.
«Non è vero» gli rispose,
secca.
«Haruno Sakura,
giusto?» le chiese, dando un’occhiata alla cartellina, cercando stoicamente di
ignorare i singhiozzi della giovane poggiata a lui. «Sei stata chiamata cinque
minuti fa e non eri presente».
«Ma la mia prova è
alle tre e un quarto» argomentò. «Sono solo le tre e dieci».
«Già, ma gli
esaminatori sono piuttosto rapidi quest’anno. Va’ a metterti in fila, per
favore. Sei la prossima».
Sconcertata, Sakura
seguì l’ordine scavalcando il resto dei candidati per occupare il primo posto.
Poteva leggere negli occhi dei presenti l’esaurimento nervoso dal quale
sembravano sopraffatti; dall’altro lato del corridoio, c’erano i chūnin
già esaminati e sembravano tutti sotto shock: alcuni di loro fissavano la
parete con sguardo assente, altri invece singhiozzavano silenziosamente seduti
sul pavimento.
Sakura prese
posizione davanti ad Hinata. «Che succede?» mormorò, col timore di alzare la
voce in quello che sembrava essere “Il Corridoio dei Dannati”.
«Sono gli
esaminatori» sussurrò frettolosamente l’amica. «Dicono che siano tutti ANBU
quest’anno, e c’è perfino quello della squadra di tortura e interrogatorio...
Credo di non sentirmi bene, voglio andare a casa».
«Non puoi sbirciare
con il Byakugan?» chiese Sakura.
Hinata fissò la porta
dell’ufficio e si concentrò. «So solo che sono due uomini ed una donna. È dell’uomo a sinistra che dobbiamo
preoccuparci, e credo proprio sia Ibiki. Vai prima di me?»
«Sì».
«Grazie a dio...»
Hinata sembrava voler svenire. «Oh, ecco che arriva».
La porta si spalancò
e ne uscì un ragazzo pallido e visibilmente scosso. Alle sue spalle, Izumo fece
cenno a Sakura di avvicinarsi. «Sei la prossima».
La brusca ondata di
terrore che travolse Sakura rischiò di inchiodarla al suolo: stava davvero per compiere la sua prova semestrale!
Era stata serena e di buon’umore per tutto il giorno grazie a Kakashi,
completamente incurante del fatto che le prove fossero tremendamente snervanti.
Si sentiva come un’ubriaca che torna improvvisamente ad essere sobria per poi
trovarsi sull’orlo di un precipizio e chiedersi come diavolo si trovasse lì.
Si riscosse con un
profondo respiro con la pura forza di volontà e, dopo aver lanciato uno sguardo
disperato ad Hinata, seguì Izumo nella stanza.
Tutti i banchi e le
sedie erano impilati contro i muri; ne restava uno solo al centro della stanza,
dietro al quale sedevano tre persone, con davanti ciascuno un fascicolo di
appunti, un bicchiere di plastica ed una brocca d’acqua. La donna al centro era
Kurenai, che sorrise gentile quando vide Sakura.
L’uomo alla sua destra era il temuto Ibiki, lo specialista delle torture, che
la guardava con lo stesso disinteresse che aveva sicuramente rivolto a
chiunque, quel giorno.
L’uomo a sinistra,
quello dal quale Hinata l’aveva messa in guardia, quello che pareva essere il
responsabile della pozzanghera di lacrime accumulata in corridoio, altri non
era che Hatake Kakashi.
Lo stomaco di Sakura
si accartocciò, mentre il suo intero corpo si congelava sul posto.
Stravaccato sulla seduta,
la osservava con lo stesso sguardo indifferente di Ibiki. Giocherellava
distrattamente con un bicchiere di plastica che aveva infilzato con una penna.
Sembrava annoiato, impaziente, come se avesse preferito essere altrove.
«Bene» esordì, apatico. «Cominciamo?»
«Ci scambiamo i
posti?»
«No, grazie».
«Oh, ti prego!»
«Davvero, no».
Hinata prese a
mordicchiare l’unghia del pollice in ansia: nessuno voleva sostituirla come
prima della fila. Era in trappola, ma doveva essere coraggiosa: se Naruto fosse
stato lì, di certo non si sarebbe tirato indietro; anzi, probabilmente sarebbe
andato su e giù per il corridoio chiedendo di poter essere il primo per
dimostrare agli esaminatori di cos’era capace.
Hinata, data la stima profonda che sentiva nei suoi confronti, non poteva essere
da meno.
Sbirciando attraverso
la porta, cercava di capire come se la stesse cavando Sakura: la vedeva in
piedi di fronte agli esaminatori, con il cuore che batteva più forte di
chiunque fosse stato lì prima di lei. Hinata si chiese se se la stesse cavando
peggio degli altri esaminati, o se fosse più nervosa di quanto volesse dare a
vedere.
Qualcosa, però, la
impensieriva: Sakura non era l’unica con un battito cardiaco irregolare, in
quella stanza. Il cuore dell’esaminatore a sinistra, che era rimasto impassibile
come un sasso con ogni chūnin esaminato fino a quel momento, batteva forte
quasi quanto quello di Sakura.
Dopo qualche istante,
la vide avvicinarsi all’uscita; il flusso del suo chakra scorreva in modo del
tutto irregolare. Hinata sobbalzò e disattivò il Byakugan giusto un attimo
prima che la compagna si sbattesse alle spalle la porta con una forza tale da
far zittire chiunque in quel corridoio. Poi la vide sparire oltre l’angolo con
una rabbia impressionante negli occhi, lasciando dietro di sé una scia di
silenzio tombale.
Anche quando fu ormai
lontana, il corridoio restò muto.
Qualcuno tossì
sull’uscio dell’ufficio. «Tocca a te» la informò Izumo, a bassa voce.
«Oh» Hinata arrossì e
sgattaiolò nella stanza.
Presa dalla
curiosità, rivolse subito lo sguardo a sinistra per scoprire chi fosse il
terribile e misterioso esaminatore, per poi restare profondamente sorpresa nel
constatare che fosse proprio il sensei di Sakura. Questo, forse, spiegava le
palpitazioni accelerate...
Poi notò la sua
stessa maestra al centro del banco e un moto di sollievo le rilassò le spalle,
specialmente quando Kurenai le sorrise.
«Ah, Hinata» le si
rivolse gentile. «Come stai?»
«Sto bene, grazie,
sensei» rispose, leggermente intimorita dalle altre due figure. «Uhm... Posso
chiedere se... S-se Sakura è stata rimandata?»
Sia Ibiki che Kurenai
rivolsero un’occhiata a Kakashi, il quale sembrava troppo perso a guardare
oltre la finestra per accorgersene; la penna che aveva tra le mani picchiettava
su una numerosa pila di bicchieri di plastica fatti a pezzi.
Kurenai riportò lo sguardo su Hinata, rivolgendole
un sorriso tirato. «Non preoccupiamoci di questo ora, mh?»
Sakura vagava senza
meta, incapace di restare ferma. Non voleva andare a casa, né a lavoro, né
voleva parlare con nessuno, quindi continuava a camminare.
Fece due volte il
giro del mercato rionale prima di rendersi conto di quanto stupido fosse il suo
comportamento e si fermò sul ponte; lo stesso ponte sul quale incontrava i suoi
compagni di team per aspettare Kakashi prima di partire in missione. L’uscita
est l’avrebbe portata a casa, il lato ovest invece l’avrebbe condotta di nuovo
verso il centro del villaggio, ma nessuna delle due proposte l’allettava.
Preferì lasciarsi cadere contro la ringhiera metallica per concentrarsi sul
flusso dell’acqua sottostante.
Come aveva potuto
essere così stupida?
Di tutti i lati
negativi che avrebbe comportato l’andare a letto con il suo maestro, quello era
l’unico che non aveva considerato. Chiunque avrebbe potuto pensare che dormire
con un proprio superiore potesse portare agevolazioni lavorative, non il
contrario. Ovviamente, quello non era mai stato l’obbiettivo di Sakura, ma di
sicuro avrebbe preferito una piccola preferenza in confronto all’esatto
opposto. Solo qualche giorno prima Kakashi le aveva insegnato nuovi jutsu e le
aveva dato la speranza di poter essere promossa; ora, dopo la notte passata, i
suoi standard sembravano essere completamente mutati e non bisognava essere un
genio per capire perché.
«Sakura-chan...»
Sakura si affrettò a
scacciare via una lacrima dalla guancia prima di voltarsi verso Naruto, che se
ne stava immobile alle sue spalle. Incrociando il suo sguardo, percepì
preoccupazione mista ad una vena insopportabile di compassione. Sakura, dal
canto suo, fu travolta da un improvviso senso di colpa: sentiva di averlo
tradito, in qualche modo. Le avrebbe rivolto quello sguardo carico
di rammarico, se avesse saputo quello che aveva fatto con Kakashi la notte
precedente?
Distolse lo sguardo,
poggiando la fronte contro uno dei pilastri in legno che sorreggevano il ponte.
«Va’ via, Naruto» borbottò.
«Ho saputo
dell’esame, da Hinata...»
«Non voglio parlarne
ora» lo ammonì.
«Non sono in molti ad
essere stati promossi, non dovresti sentirti delusa».
«E tu?» chiese.
Quando non sentì la
risposta arrivare, si voltò di nuovo a fronteggiarlo. « Tu sei stato promosso?»
Naruto abbassò lo
sguardo, a disagio. «Anche Sasuke...»
Dalla padella alla
brace: Sakura sentì il mondo precipitare per un istante e si poggiò ancora
contro il pilastro per sorreggersi.
«Ma questo non
significa che siamo jonin ora» le disse, per sollevarla. «Siamo solo stati
raccomandati per la promozione, probabilmente non la otterremo comunque...»
Un Naruto pessimista
non è un Naruto sincero: lo conosceva abbastanza da sapere che avrebbe voluto
saltare di gioia e urlare al mondo che avrebbe lasciato di stucco i prossimi
esaminatori; l’unica cosa che gli impediva di farlo era il fatto che fosse
sensibile abbastanza da notare che Sakura fosse stata lasciata indietro.
«Non sei d’aiuto»
confessò. «Lasciami sola, Naruto».
«Mi dispiace...»
Sembrò voler
aggiungere altro, ma esitò e dopo poco Sakura sentì i suoi passi allontanarsi
sulle travi del ponte. Ancora una volta si ritrovò sola, e si chiese se non
fosse destinata ad esserlo.
Seppure qualcuno
avesse notato la strana ragazza seduta in mezzo al ponte, non se ne sarebbe
accorta. Dozzine di passi avevano calpestato lo spazio alle sue spalle, così
tanti che Sakura aveva perso il conto insieme alla cognizione del tempo, ma
nessuno di quegli estranei passanti aveva deviato il proprio percorso per
avvicinarsi a lei.
Era isolata, sebbene in mezzo al caos cittadino: il corso dei suoi pensieri
fluiva a ritmo delle acque del fiume, completamente estraneo allo scorrere del
mondo.
Finché non arrivò
Kakashi.
Era troppo assorta in
sé per accorgersi che le si fosse avvicinato, né lo percepì quando si
accovacciò accanto a lei.
«Hey, Sakura».
Presa alla sprovvista,
drizzò la schiena in un istante e si voltò verso di lui. La colpevolezza che
gli lesse in faccia fu abbastanza da convincerla che la sua rabbia fosse
perfettamente giustificata, quindi non esitò a scattare in piedi per
allontanarsi.
«Possiamo parlare?»
le chiese, raggiungendola.
Sakura si voltò di
scatto con l’intenzione di mandarlo a quel paese, ma il movimento rapido la
fece sbattere contro il petto dell’uomo, ancora una volta più vicino di quanto
pensasse.
«Ho bisogno di
parlarti» le disse, ragionevolmente.
«Cosa c’è da dire?!»
strillò. «Mi hai rimandata perché sei uno stronzo che non riesce a distinguere
la vita privata da quella professionale».
Kakashi alzò un dito.
«Ecco, vedi, questo è proprio quello di cui dobbiamo parlare».
«Bene» rispose lei,
mantenendo lo stesso tono astioso mentre portava i pugni ai fianchi. «Spiegami
perché sembravi così propenso a promuovermi ieri, per poi cambiare idea
dopoaver passato la notte insieme».
Non si era premurata
di tenere bassa la voce, e con la coda dell’occhio notò una passante voltarsi
verso di loro; non le importava: non conosceva quella donna né le interessava
ciò che avrebbe pensato di loro.
Ma evidentemente a
Kakashi importava eccome. «Che ne dici di andare in un luogo più appartato?»
«Già, non possiamo
permettere che si venga a sapere che ti
scopi la tua allieva».
Un altro paio di
teste si voltarono e Kakashi si accigliò. «Per favore» le disse, calmo. «Voglio
solo parlare».
Le porse una mano, ma
Sakura roteò gli occhi ed incrociò le braccia al petto.
«Non ho intenzione di seguirti in un posto in cui nessuno può sentirmi se
urlo».
«Bene allora».
Districò una delle
sue mani e cominciò a trascinarla di peso e a Sakura non restò altra scelta se
non seguirlo: la condusse verso il delimitare del ponte e poi giù per la
discesa erbosa, fino a quando non si trovarono sulle sponde del fiume, proprio
sotto alla struttura. Alle loro spalle, il placido andare dell’acqua; sulle
loro teste, il suono ovattato del viavai dei passanti: erano praticamente
isolati.
Sakura svincolò la
propria mano dalla stretta di Kakashi e gli rivolse un’occhiata gelida.
«Allora?» chiese, retorica. «Sarà meglio che tu abbia un’ottima motivazione per
la quale dovrei continuare a rivolgerti la parola».
«Sei arrabbiata con
me» notò, tristemente.
«Questo spiega
perfettamente perché abbiano promosso te,
a tempo debito!» scattò.
«Mi dispiace, Sakura.
Mi dispiace davvero» sospirò lui.
Dannazione!
Si era ripromessa di non piangere, ma un nodo le attanagliava la gola e gli
occhi le pizzicavano; e quando parlò, la voce era rotta dal suo tentativo di
trattenere i singhiozzi. «Perché non me l’hai detto?» chiese, a denti stretti.
«Perché non mi hai detto che saresti stato uno degli esaminatori?»
«Perché non mi è
permesso» le confessò. «Ed era troppo tardi per rinunciare».
«E temevi di destare
sospetti promuovendomi, vero?»
«Credici o no,
Sakura, ma non ho mai avuto intenzione di promuoverti: ciò che c’è stato la
notte scorsa tra di noi non ha niente a che fare con questo».
Sakura sbarrò gli
occhi: aveva considerato quella possibilità... ma non aveva voluto
soffermarcisi; era stato più semplice convincersi del fatto che il giudizio di
Kakashi fosse stato influenzato dalla loro nuova posizione, e che la sua
bocciatura non dipendesse da una sua eventuale mancanza.
Perché faceva più
male sapersi inadatta, che sopportare un’ingiustizia.
«Cosa?» sussurrò, più
a sé che a lui. «Perché?»
Kakashi sospirò
amareggiato. «Durante l’ultima missione hai dimostrato un serio problema con la
catena di comando. Hai disobbedito ad un ordine, ti sei gravemente ferita e
avresti potuto perdere la vita».
«Ho detto che mi
dispiace–»
«Il tuo dispiacere
non cambia ciò che hai fatto. Oltre ciò, hai rischiato di inciampare in un nido
di vespe perché eri troppo occupata a guardarmi il culo per prestare attenzione
a ciò che stavi facendo».
Sakura spalancò la
bocca per lo stupore e l’affronto. «Ma– non è giusto– ho solo–»
«Sakura, che razza di
maestro sarei stato se ti avessi promossa? Le responsabilità di un jonin sono
tremende. L’ultima volta ti è andata bene solo perché avevi qualcuno a
guardarti le spalle. Ma quando sei un jonin, hai solo te stesso. Non avrei
potuto promuoverti solo per farti felice, correndo il rischio di mettere a
repentaglio la tua vita o quella dei tuoi subordinati. Fidati, essere
responsabile per la morte di qualcuno che dipende da te non è qualcosa che si
supera facilmente. E non credere che accada difficilmente, perché non è così:
può succedere a tutti. Non ho intenzione di buttarti in quell’inferno prima di
essere più che sicuro che tu sia pronta.»
«Quindi credi davvero
che sono inutile?»
«Non l’ho mai
pensato. Hai il potenziale per diventare addirittura migliore di me, un
giorno».
Sakura lo fissò.
«Davvero?»
«Beh... forse.
Probabilmente no. Ma sei sicuramente sopra la media».
«Ti pareva» borbottò.
«E suppongo che Naruto e Sasuke siano perfetti potenziali jonin, a differenza
mia, dato che hai promosso loro e non me».
Kakashi rilassò le
spalle. «Non ho promosso nemmeno loro».
«E allora perché–»
«Perché gli altri due
esaminatori mi hanno scavalcato. Se tu fossi stato un uomo, probabilmente Ibiki
avrebbe fatto passare anche te. Io non ho promosso nessuno oggi...»
Questo di certo
cambiava le cose, ma... «Se eri già deciso a rimandarmi, perché mi hai
insegnato quei jutsu?»
«Perché a prescindere
dal tuo grado, quei jutsu ti torneranno utili. Non ti negherei mai un favore».
Le cose non stavano
affatto andando come voleva. Sakura voleva che Kakashi si sentisse colpevole e
che la pregasse di perdonarlo, non che le fornisse delle spiegazioni razionali
e ragionevoli che levigavano la sua rabbia.
Gli diede le spalle e prese a mordicchiare le unghie in agitazione.
Un pesante silenzio
incombette su di loro, disturbato solo dallo scrosciare dell’acqua e dalle risa
dei bambini che correvano sul ponte. Una calda carezza raggiunse la spalla di
Sakura, mentre un dito ripercorreva le linee del suo orecchio: fu percossa da
un forte tremito.
Si scostò ancora,
voltandosi ad affrontarlo. «Credo che la notte scorsa abbiamo commesso un
grosso errore» disse, pacata.
Kakashi la guardò
sorpreso. «Lo dici solo perché sei arrabbiata».
«No, lo dico perché
mi sento in colpa» mormorò,
abbracciandosi. «Ho parlato con Naruto prima e... Kakashi-sensei, lo feriremmo
troppo se venisse a saperlo. E Ino sospetta qualcosa ed ormai la sua missione
di vita è scoprire chi sei. Forse è meglio se dimentichiamo quello che c’è
stato prima che qualcuno si faccia male. Indugiare sarebbe... egoistico».
«Sono una persona
molto egoista in effetti» osservò, piatto.
«Sì, l’ho notato».
Kakashi fece un passo
avanti e lei ne fece uno indietro, incappando in uno dei pilastri del ponte.
Sembrò divertito dalla sua reazione e si bloccò, alzando le mani. «Non voglio
farti del male».
«No, lo so...»
Sakura si agitò,
chiedendosi se fosse troppo palese scostarsi dal pilastro per continuare ad
indietreggiare. «È solo che non credo più che sia appropriato».
«Sakura» chiamò lui
persuasivo, carezzandole una guancia. «Non ti è piaciuta la notte scorsa?»
Sakura quasi si sciolse
al suo tocco: aveva la bocca secca e tentava di guardare ovunque tranne che di
fronte a sé, fissando lo sguardo oltre la spalla di Kakashi, verso la discesa
erbosa.
«Perché vuoi
rinunciare così facilmente?»
Sakura deglutì
sonoramente. «Mi hai fatto davvero male, oggi...»
«Posso sistemare le
cose».
Gli occhi si mossero
per incrociare i suoi, e Kakashi gelò sotto la ferocia del suo sguardo. «Se
credi davvero di potermi persuadere facendomi dimenticare tutto con il sesso,
ritenta».
«Non mi sognerei di
smussare la tua rabbia così. È comprensibile, la rispetto...» Ma le stava
ancora accarezzando la guancia mentre parlava, e per quanto lei volesse
schiaffeggiare la sua mano per allontanarlo, Kakashi era già riuscito a
scioglierla; la sensazione che provava in quel momento era sicuramente più
piacevole della rabbia.
Le si avvicinò
ancora, ma Sakura scansò il viso, non volendogli concedere la sottomissione.
Le labbra di Kakashi
le sfioravano l’orecchio. «Non volevo farti del male».
Sakura strinse i
denti con rabbia.
«Ma non potevo
proprio dirtelo prima, saresti stata squalificata...»
Ancora una volta, si
trovò a serrare gli occhi per placarsi: parte di lei voleva che andasse via,
che la lasciasse sola; l’altra sua metà gli chiedeva disperatamente di
avvicinarsi per far combaciare i loro corpi.
«Sei ancora una delle
migliori kunoichi che io abbia mai avuto il piacere di conoscere. E sicuramente
la più sexy».
Sbuffò, cinica: non
era di certo così ingenua da lasciarsi andare per una frase sdolcinata. «Sono
abbastanza sicura che lo dici a tutte le ragazze che ti scopi. La settimana
scorsa avevi una relazione clandestina con una donna sposata; qualche notte fa
ti sei fatto una chūnin sul retro di un bar e tra qualche giorno
sicuramente propinerai una frase del genere ad un’altra donna».
«È possibile»
concordò. «Non ho un’agenda precisa».
«Non mi sorprenderei
se l’avessi» borbottò. «Lunedì: farsi la donna sposata; martedì: sedurre
l’allieva; mercoledì: portare fuori i rifiuti».
«Sono abbastanza
sicuro che sia stata tu a sedurre me»
le fece notare.
«Riscriviamo la
storia, adesso?»
«Beh, non la smettevi
di parlare delle tue mutandine...»
«Solo perché mi
costringevi a farlo».
«Non ho fatto nulla
del genere; ma parlando di mutandine: quali hai messo oggi?»
Le mani di Kakashi si avvicinarono ai suoi fianchi, percorrendo l’orlo della
sua gonna. Quel giorno indossava gli abiti da civile e non la divisa da
kunoichi, quindi Kakashi avrebbe solo dovuto sollevarle l’indumento per
ottenere una risposta.
«Non pensi ad altro
che l’intimo. Qualcuno dovrebbe procurarti una seduta con un professionista».
Seppure non lo assecondasse a parole, non stava facendo nulla per fermare le
mani che si intrufolarono sotto i suoi vestiti per accarezzarle i fianchi nudi,
ma Sakura restava immobile con le braccia incrociate e il viso voltato, come a
volerlo ignorare.
Perché lei voleva ignorarlo e punirlo
per aver infranto le sue speranze, ma d’altro canto non voleva nemmeno che
smettesse di toccarla.
«Cotone» mormorò
Kakashi al suo orecchio, mentre le dita scostavano l’elastico che le poggiava
sul sedere, per poi palpare la pelle in un modo che le fece sentire le
ginocchia tremare. «Con una stampa sul culo...»
«Probabilmente c’è
scritto che puoi baciarmelo» punzecchiò, seccata.
«Proposta invitante,
ma credo siano quelle con il simbolo femminile che punta al tuo–»
«Ricordami di
chiudere a chiave il cassetto della biancheria. Ci stai familiarizzando
troppo». Ciò nonostante, sorrise tra sé.
«Era un sorriso
quello?»
«No» si accigliò.
«Credo proprio fosse
un sorriso».
«Non lo era» protestò
ancora. «E questa tattica noiosa funziona solo con i bambini».
«Sicura? Giurerei di
averti vista sorridere».
«Smettila».
Ma le sue stesse labbra la tradirono e, contro la sua volontà, si piegarono in
un accenno di un sorriso.
«Ah, eccolo di
nuovo...» constatò, contento. «Mi manca il tuo sorriso, quando sparisce. Non
credevo fosse possibile, mai sei addirittura dieci volte più carina quando
sorridi».
E per provarle quanto
irresistibile fosse quell’espressione – che era incastrata a metà tra un
sorriso ed un cipiglio – insinuò un dito nella maschera per abbassarla e le
rubò un bacio.
Sakura non voleva
ricambiarlo, all’inizio, infelice di come quell’uomo potesse darle uno dei più
grandi dispiaceri della sua vita e nonostante tutto riuscire a sottometterla in
un paio d’ore; ma Kakashi era così caldo... ed aveva un profumo così buono... E
Sakura era sicura che fosse molto più piacevole accettare il suo bacio
piuttosto che allontanarlo ancora.
Quindi impiegò solo
una manciata di attimi prima di portare le mani dietro la sua nuca e mettersi
in punta di piedi per assecondarlo. Seppure fosse piacevole, però, voleva di
più: voleva sentire le sue mani su di sé, a toccarla come la notte scorsa e a
stuzzicarla fino allo stato di delirio in cui non c’era altro che gli istinti
più primordiali ed il piacere travolgente. Gli avrebbe permesso di farlo lì,
proprio sotto quel ponte sul quale passeggiavano dozzine di persone a pochi
metri di distanza da loro, dove chiunque avrebbe potuto vederli in qualunque
momento.
Ma dopo poco Kakashi
interruppe il bacio e le sorrise: la sua espressione era gentile, fin troppo
per essere l’espressione di un assassino temuto come il Copy Ninja. Forse era
quello il motivo per cui indossava una maschera? Nessuno lo avrebbe preso sul
serio, senza.
«Sarai una grande
donna un giorno, Sakura. Non ho alcun dubbio» le sussurrò, scostandole i
capelli dal viso. «Devi solo avere pazienza».
Sakura sollevò lo
sguardo, con le guance arrossate. «Lo credi davvero?» chiese.
«Non devo crederlo. Lo so».
Per qualche motivo a
lei sconosciuto, sentì di nuovo gli occhi pizzicare; non volendo che la vedesse
in quello stato, si sporse in avanti ed allacciò le braccia al collo di
Kakashi, per poi sprofondare il viso contro la sua spalla cercando di non
emettere suoni, anche se il modo in cui il corpo sobbalzava ad ogni singhiozzo
la tradiva.
Non erano lacrime di
gioia né di tristezza: era ancora delusa dalla sua bocciatura, ma la speranza e
la fiducia che Kakashi nutriva per lei la scioccavano quanto la toccavano nel
profondo. Non sapendo come agire in quel potente vortice di emozioni, poteva
solo piangere, perché non riusciva a trovare senso in nulla: non soloalla prova fallita, ma anche alla paura che sentiva
pensando alla loro relazione. Le sue speranze di renderla quantomeno
accettabile venendo promossa ed ottenendo un grado pari al suo erano state
spazzate via, ed ora si sentiva oppressa dalla consapevolezza di essere una
chūnin in una relazione con il suo maestro jonin. Era il tipo di cose che
rovinava le reputazioni, che distruggeva le carriere e le vite delle persone;
ma Kakashi era egoista e lo era anche lei, e non sapeva perché Kakashi stesse
perdendo il suo tempo in quel modo, e forse nemmeno lui conosceva la risposta,
ma non voleva ancora buttare via quella strana relazione. Non quando era
finalmente così vicina a...
Beh, non poteva
mentire a se stessa: era finalmente così vicina all’amore.
E le sembrava
assurdo, perché avevano passato solo una notte insieme e lui l’aveva già fatta
soffrire. Senza dubbio, quella tresca avrebbe fatto il suo corso e sarebbe
scemata da entrambi i lati, fino a quando le cose non sarebbero tornate alla
normalità e quell’avventura sarebbe diventata solo un segreto che avrebbero
portato nella tomba. Era così che doveva andare,
non c’era assolutamente alternativa.
Kakashi continuò ad
accarezzarle la schiena dolcemente fino a quando non ebbe riottenuto abbastanza
calma da separarsi da lui, sebbene con una certa riluttanza.
«Stai bene?» le chiese,
mentre Sakura asciugava frettolosamente le lacrime dalle guance.
«Sì» rispose, con
tono artefatto.
La fissò, scrutandola
così da vicino da metterla a disagio; per un attimo temette di avere qualcosa
sulla faccia.
«Andrà tutto bene,
Sakura» le sussurrò. «Te lo prometto».
E lei gli credette.
«Lo so» rispose, sorridendogli debolmente.
Il tintinnio di una
risata spezzò l’incantesimo e Kakashi fece un passo indietro con la più totale
nonchalance.
Poco lontano da loro,
un gruppetto di bambini svoltò una curva e apparve nella loro visuale; nessuno
di loro aveva notato il rendezvous dei due amanti all’ombra del ponte, ma la
loro privacy era ormai compromessa.
«Lascerò la porta
aperta, stanotte. Sei la benvenuta» le disse Kakashi gentile, salutandola.
«Ci penserò».
Ovviamente ci avrebbe
pensato: non c’era altro posto in cui avrebbe preferito essere.
Aggiornamento
dedicato alla dolcissima AmensOphelia,
che con la sua recensione mi ha motivata tantissimo a completare questo
capitolo piuttosto impegnativo: mai sottovalutare il potere di un buon
commento!
È sicuramente una parte fondamentale della storia, che vede finalmente la
concretizzazione del “tira e molla” a cui abbiamo assistito fin qui, ed anche
se mi è sembrato infinito, è sicuramente abbastanza scorrevole e denso di
accadimenti.
Insomma, spero possa aiutarvi a trascorrere qualche minuto di distrazione, data
la situazione assurda in cui ci siamo ritrovati da un momento all’altro.
Spero che voi e le vostre famiglie stiate bene e vi auguro tanta buona fortuna!
Un abbraccio forte, alla prossima. ♡
PS.: prometto di provare ad aggiornare più frequentemente!
Capitolo 13 *** Due Ghiandaie ed un Nido Distrutto ***
. 13 .
Due ghiandaie ed un nido distrutto
«Noto
con gioia che finalmente quel sorrisetto è sparito».
Beh,
almeno qualcuno era felice, quella mattina. Sakura rivolse ad Ino un’occhiata
indifferente, dal lato opposto del tavolino a cui sedevano. Una cameriera vi si
accostò per prendere gli ordini, ma Sakura non aveva voglia di nulla, a parte
la compagnia.
«Mi
hanno bocciata» confessò ad Ino, quando la cameriera fu lontana.
«E
quindi?» ribatté l’altra. «Anche io sono stata rimandata, ci è successo anche
l’anno scorso. Gli standard sono diventati assurdamente alti...»
«Credevo
davvero di farcela quest’anno...» Sakura si rilassò contro lo schienale della
sedia e chiuse gli occhi, volgendo il viso al sole cocente.
«Lo
pensavi anche l’anno scorso, Sakura. Riprenditi, in genere non ne fai un
dramma». Ino inclinò il viso e la fissò attentamente. «C’è qualcosa che non va
con la tua nuova fiamma?»
Sakura
morse l’interno di una guancia. «No».
Ino
rifletté con cura prima di rispondere, cosa alquanto rara. «È Kakashi-sensei,
vero?»
Sakura
sbarrò gli occhi e li inchiodò in quelli della sua rivale ed amica. «Cosa?»
chiese, con un filo di voce: una goccia di sudore gelido le discese lungo la
schiena, paralizzandole gli arti e stringendole lo stomaco in una morsa.
«Era
tra gli esaminatori di ieri, no?» riprese l’altra, inconscia della sua
reazione. «È per questo che te la prendi tanto. È stato lui a bocciarti».
Sakura
si aspettava che continuasse, che l’accusasse di avere qualcosa da nascondere...
ma Ino la guardava in attesa di una risposta. Quando capì che l’amica fosse
ancora lontana dalla verità, si rilassò. «Già...»
«Ha
bocciato anche me. Credo l’abbia fatto con tutti, a dire il vero. È un tipo
piuttosto duro, il tuo maestro... Asuma-sensei ha
sempre avuto una sorta di fiducia cieca in noi. Non credo sia un bene per un
maestro avere una considerazione così bassa dei suoi allievi, sai? Questo la
dice lunga sul perché il Team Kakashi sia quello più incasinato».
E
le cose erano addirittura peggiorate nell’arco della notte precedente.
Sakura
sentì lo stomaco stringersi ancora: era stata con lui, di nuovo, quella notte.
Si era insinuata nel suo letto, si era posizionata sotto di lui mentre le
forniva ciò per cui l’aveva cercato. Ma quando l’amplesso finì, a Sakura non
restò la sensazione di completezza che aveva sentito la volta precedente: tutto
quello che sentiva era panico.
E non quel tipo di panico che ti manda in iperventilazione e ti fa correre in
tondo; più quel genere di panico che ti scorre lento dentro, che peggiora
istante dopo istante e ti costringe a muoverti perché non puoi restare fermo.
E Sakura sentiva che fosse dovuto al fatto che sapesse che ciò che stava
facendo – ciò che stavano facendo –
fosse sbagliato.
Gli
aveva dato appena il tempo di scostarsi da lei, prima di scattare in piedi per
rivestirti.
Le
aveva chiesto «Cosa c’è che non va?»
«Dovrebbe
farmi stare bene» gli aveva risposto, quasi sotto shock. «Ma mi fa male. Vado a
casa».
Kakashi
si era poggiato su un fianco ed aveva sollevato la testa, sebbene gli occhi
faticassero a restare aperti. «Vuoi parlarne?»
«No».
«...ti
aspetterò anche domani notte, se vorrai».
Si
fermò sulla porta, mordendosi le labbra. «Ci penserò...»
Poi
era tornata a casa, per dormire in un letto che non toccava da due notti. Le
era sembrato freddo e vuoto e nonostante l’aria tiepida aveva rabbrividito tra
le coperte prima di scivolare in un sonno senza sogni. Un attimo prima di
lasciarsi andare, si era ritrovata a pensare a quanto fosse insignificante
dormire soli, soprattutto se paragonato all’essere avvolti in un tenero
abbraccio.
Dall’altro
capo del tavolo, Ino estrasse uno specchietto da borsa e prese a ripassare il
rossetto rosa cipria. Lo offrì a Sakura con un gesto, ma lei scosse la testa.
Avrebbe cozzato con il colore dei capelli.
«Allora,
hai intenzione di dirmi chi è?» chiese Ino, disinvolta. «Quel tuo misterioso
amante, intendo».
«Perché
ci tieni tanto?» sospirò, senza alcuna voglia di parlarne.
«Perché, Sakura» cominciò a spiegare,
come fosse la cosa più ovvia al mondo – «Devo assicurarmi che non ti cacci in
un altro guaio. Conosco i tuoi gusti in fatto di uomini, so che probabilmente
ti sei buttata in una tresca con un tizio noioso e come sempre tocca a me
tirarti fuori dal probabile casino in cui ti sei messa».
Possibile
che stesse ricommettendo gli stessi errori? Kakashi era sicuramente migliore di
Ikki a letto, ma non era detto che lo fosse anche sotto altri aspetti.
Ma
dopotutto, che importanza aveva? La loro relazione non era nulla di serio.
Kakashi poteva crearle confusione con le sue carezze tenere, con il modo in cui
cercava di prendersi cura di lei e con la sua comprensione, ma alla fine restava
un donnaiolo e lei lo sapeva; pur cercando di mettere questo aspetto da parte,
si era promessa di tenerlo bene a mente.
«È
un ANBU» mentì, vaga, sperando di depistare Ino. «Moro, alto, divertente...
Sai, il solito tipo».
«Alcolizzato?»
domandò l’amica.
«No».
«Fumatore?»
«No».
«Dotato?»
«...ci
puoi scommettere».
«Sfigurato?»
«È
bello».
«Quindi
sembra una ragazza».
«No,
è davvero un bell’uomo».
«Ah-ha!» Ino le puntò un dito contro. «Consideri tutti
quelli sotto i 24 anni “ragazzi” e tutti quelli sopra “uomini”, quindi ha
almeno 25 anni».
Sakura
le rivolse un’occhiata caustica.
«Ino...»
«Trenta?»
«Ino!»
«Sakura! Tu, profanatrice di tombe!» Ino
si coprì la bocca con fare drammatico. «Quando ti ho consigliato di trovarti un
uomo maturo, non mi aspettavo che mi prendessi sul serio! Com’è successo? Chi
ha fatto il primo passo?»
Non
era di certo una conversazione che Sakura gradiva: voleva solo chiuderla lì,
dando ad Ino ciò che cercava. «Oh, sai, un po’ entrambi. Sai come sono fatti
gli uomini, hanno la sfera emozionale di un cucciolo di cane... Fai un fischio,
gli strofini un po’ la pancia e sono tutti tuoi. Non è stato così difficile».
«Aah,
quindi sei andata tu da lui?»
«Sì».
«Deve
pur esserci un inizio. L’ultima volta che sei andata dietro a qualcuno, sei
stata rifiutata così malamente che hai pianto per settimane–»
«Sì,
grazie» tagliò corto Sakura: di certo
non voleva ricordare il rifiuto finale di Sasuke. «Possiamo cambiare discorso
ora?»
«Certo.
Ad esempio, come si chiama? Lo conosco?»
«Urgh...»
Il caffè della sala
comune dei jōnin era fin troppo dolce, quel giorno.
Kakashi lo sorseggiava rumorosamente, con lo sguardo rivolto fuori dalla
finestra, su una coppia di ghiandaie che costruivano un nido sulla grondaia
dell’edificio di fronte. Si ritrovò ad invidiare la semplicità della vita di un
uccello: di certo non erano di loro interesse gli appuntamenti e le relazioni casuali;
la loro unica preoccupazione era quella di trovare un compagno e creare un
nido. Kakashi dubitava fortemente che potesse esistere una ghiandaia scapolo
che perdeva il tempo a guardare distrattamente fuori dalla finestra bevendo un
caffè troppo dolce, quando avrebbe dovuto leggere dei rapporti di missioni
compiute.
Ah sì, i rapporti.
Abbassò gli occhi
sulla pila di fogli che aveva in grembo e prese a rileggerli.
-Invio previsto per il 22; bersaglio B
nella posizione 2-CC sulla mappa 3 della zona 5F.
Livello
di classe 2, TUP e MAB, squadra 12 a 6F, ad est della posizione 4-NB
Bello
in questo periodo dell'anno, portare la protezione solare;
Squadra
13 a 7F, contattare l'obiettivo A tramite l'appaltatore C in loco –
Anche se, – pensò
Kakashi, alzando gli occhi per riprendere ad osservare gli uccelli che nel
frattempo litigavano sul posizionamento di un ciuffo di muschio – lui aveva una
buona ragione per non sistemarsi. Era del tutto sconsigliato per un ninja del
suo rango avere una moglie ed una casa a cui fare ritorno, tant’era alto il
rischio di non tornare più da una missione; non era affatto giusto mettere
qualcuno in quella posizione. Ed inoltre, lui non aveva mai trovato “quella
giusta”, il che era praticamente un tassello fondamentale nel piano di chi ha
deciso di sistemarsi.
Kakashi era quello
che si poteva definire un “monogamo seriale”: disprezzava il sesso occasionale
e i flirt senza senso, prediligeva invece una relazione semi-duratura, nella
quale il sesso era un piacevole contorno. Anche se, ultimamente, si era
intrattenuto molto più nella prima categoria; era convinto che dipendesse dal
fatto che si stava avvicinando ai trent’anni e tutte le brave ragazze della sua
generazione erano state rubate dai bravi ragazzi. Restavano solo quelle con la
fobia dell’impegno come lui, e le pervertite...
«Hey, rubacuori».
Come Anko.
«Buongiorno,
Anko-san», rispose freddamente.
Mantenere distacco da Anko era un’impresa, considerato il fatto che gli fosse
costantemente incollata addosso. In quel momento, in particolare, cercava di
accarezzargli petto e capelli e si sporgeva ad annusargli collo, come fosse
stato il suo peluche preferito. Kakashi continuò a leggere i rapporti
sorseggiando il caffè, cercando di ignorare gli spintoni di Anko.
«C’è uno stanzino nel
magazzino con il nostro nome inciso sulla porta, sai?» soffiò nel suo orecchio,
seducente. «Potremmo andarci, ti mostrerei il mio nuovo tattoo».
«Bello» mormorò,
ignorando la lingua che cercava di infilarsi nel suo orecchio. Aver a che fare
con Anko era come combattere con una vespa: se cedi alla tentazione di scrollartela
di dosso, si arrabbia e ti punge. La miglior strategia era restare calmo e
fermo fino a che non si sarebbe annoiata e avrebbe deciso di infastidire
qualcun altro. «Hai per caso visto Tenzō in giro?» le chiese.
«Forse sì, forse no.
Difficile a dirsi con quegli ANBU e le loro maschere. Perché lo cerchi? Non ti
basto io?»
«È per una
missione...»
«Io ho una missione per te, proprio qui».
«Posso accettarne
solo una per volta».
Anko ridacchiò e lo
strinse, tirandolo a sé di lato, ma Kakashi aveva occhi solo per il caffè che
provava disperatamente a non rovesciare. «Hatake Kakashi, Hatake Kakashi... non
sei affatto divertente oggi».
«Mi dispiace».
«Sai tenere un
segreto?»
«Uhm...»
«È uno scoop molto...
succulento» sussurrò, sfiorandogli le
gambe con fare allettante. «Si mormora che uno dei maestri jonin si scopi un
allievo».
Esitò solo per un
istante nel portare la tazza alle labbra: per un occhio poco attento, Kakashi
non aveva reagito minimamente alle parole di Anko, ma nella sala comune dei jōnin
non esistevano occhi poco attenti. Prese un altro sorso di caffè e mormorò:
«Qualcuno che conosciamo?»
Anko – alla quale non
era sfuggita la sua reazione – prese ad osservarlo attentamente, con un
sorrisetto divertito stampato sulle labbra. «Di sicuro. Ci sono solo tredici
maestri jōnin al villaggio, tre delle quali sono donne. Quindi ne restano
dieci... compreso tu».
«Sospetti di me?»
Kakashi la guardò, assumendo la stessa espressione divertita. «E quale dei tre
mi sarei scopato?»
«Si dice che sia una
studentessa» sorrise Anko. «E questo è sufficiente per scagionarti. Sono certa
che sul tuo kunai volino solo altri uomini».
Kakashi inarcò un
sopracciglio, ma non rispose: che pensasse ciò che voleva di lui, se serviva ad
allontanarla dai suoi sospetti... e dai suoi capelli. «È un’accusa piuttosto
seria» constatò, tornando ad osservare le ghiandaie. «Sicura che non siano solo
voci?»
«Oh, a chi cazzo vuoi
che importi? È da anni che non abbiamo una guerra decente, dovremmo pur tenerci
occupati in qualche modo». Si stravaccò sul una sedia, lontana da lui. «Quindi
è un no per lo stanzino?»
«Mh-mh».
«Stronzo palloso...»
si voltò e in un secondo fu lontana da lui, accostandosi a Genma che in genere
era più avvezzo a quel genere di chiacchiere. Kakashi li osservò con la coda
dell’occhio, certo del fatto che Anko stesse raccontando anche a lui della voce
che girava... come avrebbe sicuramente fatto con chiunque, quella mattina.
A
quanto pareva, lo sfogo di Sakura sul ponte non era passato inosservato.
E
se quella diceria avesse raggiunto l’Hokage...?
Kakashi
bevve l’ultimo sorso di caffè e sistemò la maschera, alzandosi.
Quando avrebbe rivisto Sakura, le avrebbe raccomandato di essere più discreta,
ne andava del loro bene.
Anche se – rifletté – se Sakura avesse avuto un po’ di amor proprio, l’avrebbe
già mandato al diavolo.
Il
tentativo didimostrarle che non tutti
gli uomini erano porci impotenti era completamente fallito, perché le aveva
fatto solo capire che non tutti i porci erano impotenti. Aveva fallito nel renderla
felice, l’aveva ferita pensando che avrebbe compreso la sua posizione, ma le
cose erano andate nel verso sbagliato. A causa della natura della loro
relazione, avevano finito per mischiare il professionale con il personale, ed
era difficile riuscire a conciliare le cose – soprattutto per una donna giovane
e senza esperienza come Sakura.
La
notte scorsa era stata completamente diversa dalla loro prima volta: dalle
reazioni di Sakura, aveva capito che non era affatto coinvolta come in
precedenza. Sebbene non avesse avuto problemi a farle raggiungere l’orgasmo,
sembrava quasi che andassero avanti per inerzia. Dalla velocità con cui si era
rivestita appena ebbero terminato, Kakashi aveva intuito – o meglio, capito –
che non fosse felice. Tutto faceva presumere che Sakura non cercasse solo del
buon sesso: cercava anche qualcos’altro... che evidentemente non aveva trovato
in lui.
Certamente,
ciò non significava che si sarebbe allontanata da lui: aveva la brutta
abitudine di arrampicarsi sulla spazzatura quando avrebbe potuto semplicemente
liberarsene; d’altro canto, lui non poteva sicuramente indurla a mollarlo,
perché Sakura l’avrebbe preso come un rifiuto.
Il suo cuore sembrava essere più fragile di quanto Kakashi si aspettasse, e non
voleva farle del male.
«Sono
sicuro che risolverai anche questa, come sempre» mormorò a se stesso.
Una jōnin seduta poco lontano da lui si guardò intorno, allarmata, per poi
scalare di un paio di sedute.
Era
sul punto di andarsene, quando notò dei movimenti dalla finestra dell’edificio
di fronte.
Un uomo si affacciò brandendo un lungo bastone e prese ad infilzare il nido
mezzo pronto poggiato sul cornicione soprastante. Le due ghiandaie svolazzarono
agitate tra i comignoli sul tetto, cinguettando rabbiose contro l’uomo che
aveva distrutto il loro duro lavoro.
Kakashi
sospirò: a certa gente piaceva proprio rompere le scatole agli altri...
«Quel
Kakashi... è un po’ stronzo, vero?»
Sakura
non rispose, ma non ce n’era bisogno: Tsunade percepiva il suo nervosismo dal silenzio
insolito che c’era nella sala, mentre entrambe tamponavano le ferite di un
paziente disteso. O meglio, Tsunade lavorava, Sakura reggeva solo il recipiente
dell’unguento arancione per la sua maestra, giocherellando con l’orlo della sua
mascherina igienica.
«Ti
ha almeno detto perché non ti ha promossa?» chiese.
«Stessa
motivazione di Ibiki» rispose, distratta. «Non crede che sia pronta».
Tsunade
sbuffò. «Già. Scommetto che non ti ha detto che aveva tredici anni quando è
diventato jōnin. E col cazzo che fosse pronto: il suo migliore amico è
morto durante la sua prima missione da caposquadra.»
Sakura
rivolse uno sguardo sorpreso alla sua maestra, ma Tsunade era troppo impegnata
con le lamentele del suo paziente per notarlo.
«Smettila
di dimenarti!»
«Ma
fa male!» gemette lui.
«Non
fare il bambino! Farà più male se non stai fermo». Tornò a guardare Sakura.
«Cosa stavo dicendo? Ah sì, beh, non ti resta che continuare ad allenarti per
l’anno prossimo. Ma gli standard di Kakashi sono sempre stati ridicolamente
alti, tu e i tuoi compagni siete gli unici che abbia mai promosso».
«Forse
è per questo che ha degli standard così alti...» sussurrò Sakura.
«Forse
cosa?» chiese distrattamente Tsunade.
«Crede
che si senta in colpa per la morte del suo amico?»
L’Hokage
le rivolse uno sguardo attento. «Quasi ossessivamente».
Sakura
prese ad osservare pensierosa l’agglomerato di pustole tumide che ribollivano
sulla pancia del paziente. « Ha detto che non vuole che io sia responsabile per
la vita di altre persone se non sono pronta. Forse ha ragione».
«Sì,
e forse si sbaglia».
Tsunade
terminò un attimo dopo e chiese a Sakura di scortare il paziente nella sua
stanza. L’uomo si lamentava così pateticamente ad ogni urto e cigolio della
barella che Sakura, mossa a pietà, aumentò la dose di antidolorifici.
«Così
impara a farsi prendere in pieno da quel jutsu, Hideki-san»
lo rimproverò bonariamente, mentre il viso del paziente cominciava a
rasserenarsi grazie ai medicinali. «È fortunato se non le resta una brutta cicatrice».
«Vuoi
sposarmi...?» bisbigliò in risposta lui.
«Non
posso, sono impegnata» lo informò, gentile. «Beh, non proprio, cioè, sto con
qualcuno, ma non è esattamente... sa... qualcosa di importante o serio. Quindi
forse sono ancora single... Oltre tutto, vedo una fede nuziale sul suo dito, e
non credo che sua moglie ne sarebbe felice, Hideki-san».
Il
russare rumoroso di Hideki fu la sua unica risposta.
Sakura sospirò e se ne andò, domandandosi se avesse dovuto chiedere a Tsunade
se avesse qualche altra cartella clinica da controllare prima di tornare a
casa. Si trovò invece ad accasciarsi su una delle panchine dei corridoi
prendendosi la testa tra le mani.
«Che
diavolo sto facendo...?» sospirò tra sé.
Forse
poteva giustificarlo per averla rimandata. Se perfino il grande Kakashi Hatake
aveva un morto sulla coscienza a causa della sua inesperienza, quante
possibilità aveva lei? Aveva fatto la scelta giusta, per quanto le costasse
ammetterlo.
Ma
il senso di insoddisfazione non cessava: quello era solo uno dei problemi che
comportava il dormire con un proprio superiore. Cosa sarebbe successo durante
le loro missioni insieme? Avrebbe messo la sicurezza di Sakura avanti a quella
degli altri compagni di squadra? E se non l’avesse fatto, lei si sarebbe sentita
ferita se l’avesse trattata come con tutti gli altri?
Aveva
riflettuto a lungo sulla decisione da prendere prima di andare a letto con lui,
ma con il senno di poi si sentiva una sciocca accecata dai sentimenti...
«Sakura-chan!»
Sakura
alzò gli occhi notando Naruto correrle incontro lungo il corridoio. «Naruto...»
«Quella
vecchia scarpa di Tsunade ci ha detto che ti avremmo trovata qui» le disse, una
volta raggiunta, e dietro di lui apparve Sasuke che camminava con passo ben più
posato. «Hai fame?»
«Un
po’» ammise.
«Vieni
a prendere un ramen con noi?» chiese. «È la giornata del tre al prezzo di due».
Un
timido sorriso le dipinse le labbra. «Va bene» rispose. «Dammi il tempo di
cambiarmi».
Si avviò verso gli spogliatoi, ma dopo pochi passi si rivolse a Naruto con un
pizzico di rammarico nel tono. «Naruto, mi dispiace per ieri, non avrei dovuto prendermela
con te».
Naruto
arrossì e si sfregò la nuca, imbarazzato. «Non pensarci più».
Dopo
aver riposto il camice nella cesta della lavanderia, si riunì ai due ragazzi e
insieme si incamminarono verso Ichiraku. Naruto chiacchierò per tutto il tempo
dei preparativi per l’esame jōnin e Sakura dovette ingoiare la gelosia e
sorridere annuendo di tanto in tanto.
Naruto era al settimo cielo, Sasuke doveva essere altrettanto soddisfatto e non
avrebbe di certo intaccato la loro gioia per il suo malcontento.
Ma più
il tempo passava, più Sakura si sentiva esclusa dalla conversazione: sedeva
accanto a loro, giocherellando con la zuppa di fronte a sé, ascoltando di cose,
persone e procedure che non aveva mai sentito prima.
«Himiko? Quella della contabilità?» chiese, riconoscendo per
la prima volta un nome in tutta la conversazione.
«No,
un’altra Himiko» la liquidò Naruto, riprendendo a
parlare a Sasuke dei consigli che quest’altra “Himiko”
gli aveva dato riguardo agli esami imminenti.
Sentendosi
chiaramente snobbata, Sakura riprese a mangiare in silenzio, pur avendo perso
l’appetito. Un po’ per il periodo angosciante, un po’ per paranoia, non poteva
fare a meno di sentirsi esclusa: aveva perso l’occasione di essere promossa e
non faceva parte della cricca dei futuri jōnin. L’unico modo possibile per
attirare l’attenzione dei suoi compagni di squadra sarebbe stata versarsi la
ciotola in testa e proclamarsi “ragazza ramen”, ed anche in quel caso
probabilmente l’avrebbero fissata per un secondo giusto per farla sentire
stupida per poi tornare ai loro discorsi.
Dopo
poco si rese conto di non avere motivo di sopportare oltre: non era uscita con
loro per essere ignorata, né valeva la pena arrabbiarsi, perché erano maschi – e se aveva capito qualcosa del
genere maschile, era che l’insensibilità è strettamente collegata al cromosoma
Y.
Lasciò
qualche spicciolo sul bancone per pagare la sua parte di conto e sparì nella
notte, sentendosi più o meno delusa: i ragazzi non l’avevano nemmeno vista
allontanarsi.
Cercò di convincersi che il loro comportamento fosse dettato dall’emozione per
promozione, poteva perdonarli per non l’essersi resi conto che lei fosse stata
esclusa da quell’avventura.
Ma
non c’era niente di nuovo nei loro comportamenti.
Naruto
e Sasuke facevano sempre coppia durante le missioni, e nel tempo libero non
erano da meno. E quando non erano insieme, non facevano altro che parlare
dell’altro; o almeno era quello che faceva Naruto, perché quando lui non c’era
Sasuke praticamente non parlava.
Spesso
si chiedeva cosa aspettassero a sposarsi.
Sakura
era sempre stata al secondo posto per loro due: e non che essere al secondo
posto nel cuore di qualcuno fosse un male, ma spesso si chiedeva come ci si
sentisse ad essere al primo.
E spesso, quando era con Kakashi, poteva illudersi di saperlo.
L’aveva
invitata a casa sua anche quella notte, ma Sakura non la credeva una buona
idea.
Eppure la tentazione era forte: sentirsi al caldo ed amati, dimenticare ogni
cosa per un attimo fuggente, anche fosse stata solo un’illusione, era pur
sempre meglio di nulla.
Ma
tornò comunque nel proprio appartamento: accese la TV giusto in tempo per il
finale dell’episodio della sua soap opera serale – che era comunque sufficiente
per capire la trama intera – per poi buttarsi sotto la doccia ed usare lo
shampoo alle mele che non usava da mesi.
Avvolse i capelli in un asciugamano e si rannicchiò sotto le coperte, decisa a
non pensare ad altro che al prossimo episodio della soap.
Non
avrebbe pensato a Kakashi.
Non ne avrebbe sentito la mancanza.
Non sarebbe stata debole.
A
mezzanotte e mezza aprì gli occhi e, oltre ad una sensazione di freddo innaturale,
si sentì dolorosamente sola. Presto si rese conto che non sarebbe riuscita a
riprendere sonno molto facilmente: un attimo dopo era in piedi e stava
raccattando una gonna rossa ed una maglietta bianca per uscire.
Non
perse tempo con l’intimo, non ne avrebbe avuto bisogno.
Il
villaggio era tranquillo ed erano poche le luci accese negli appartamenti
intorno a lei.
Sakura attraversò il ponte e corse lungo le stradine vecchie, sorpassò i
distributori automatici ed il loro ronzio fastidioso e si ritrovò al limitare
del viale in cui abitava Kakashi.
Percorse a passo svelto il sentiero in salita fino al suo condominio ed alzò
gli occhi alla finestra che conosceva così bene: la luce era spenta, ma l’anta
era aperta. Non perse tempo con citofoni e portoni, si arrampicò agilmente
sulla scala antincendio facendo attenzione a non farla cigolare per non
attirare l’attenzione del quartiere intero.
Quando
ebbe raggiunto la finestra di Kakashi, sbirciò all’interno.
L’ultima volta che si era trovata in quella posizione l’aveva trovato a letto
con un’altra donna, dando il via a tutti gli accadimenti delle ultime
settimane.
Quella notte, invece, lo trovò teneramente addormentato sul letto sotto di lei,
con un pugno sotto al mento ed un lenzuolo poggiato sul corpo che lasciava
intravedere ogni singola curva del suo bellissimo corpo: era chiaramente nudo.
Insoddisfatta
dell’ammirarlo da lontano, Sakura scivolò oltre il davanzale e si poggiò cautamente
sul letto, che si piegò sotto al suo peso allertando Kakashi della sua
presenza.
Quando aprì gli occhi, Sakura era già a cavalcioni su di lui.
Nell’istante
in cui la riconobbe, un caldo sorriso gli incurvò le labbra e fece per parlare,
ma Sakura gli coprì la bocca con una mano.
«Non dire niente, o non riuscirò a parlare» gli disse dolcemente. «E non
sorridere, altrimenti dimenticherò cosa voglio dire».
Kakashi
la fissò divertito, in attesa.
«Non
credo di poter andare avanti così» sussurrò lei. «C’è una ragione se ciò che
facciamo è proibito, ed è perché è sbagliato e non possiamo farci niente.
Feriremmo tante persone, e tutto ciò sta già interferendo con il nostro lavoro.
E se si venisse a sapere...?»
La
mano che premeva sulle labbra di Kakashi si spostò ad accarezzargli un
sopracciglio: era tremendamente bello al chiaro di luna, e le faceva male al
cuore il pensiero di doverlo rifiutare.
«Non
so nemmeno cosa stiamo facendo di preciso. Abbiamo una relazione? O è solo una
delle tue scappatelle settimanali?» sospirò, poggiando le mani sul suo petto
nudo, tracciando il profilo dei muscoli sodi. «Non credere che io non ti sia riconoscente
per ciò che c’è stato. Tu mi hai dato ciò che più volevo e ti ringrazierò
sempre per questo, ma non possiamo andare avanti. Ti prego di capirmi».
Sakura
lo osservò deglutire a vuoto per poi accigliarsi debolmente. «Tutto ciò che
volevi da me era il sesso?»
Sostenne
il suo sguardo fermo. «Mi hai mai offerto più di questo?»
Kakashi
sospirò lentamente sotto di lei, distogliendo gli occhi dai suoi. «Non ha più
importanza ormai».
Restarono
in silenzio per un po’, lasciandosi trasportare dai pensieri.
Le punte delle dita di Kakashi si poggiarono contro le ginocchia nude di
Sakura, carezzandole lentamente mentre rifletteva.
«Quindi
sei venuta fin qui nel cuore della notte, svegliandomi e sedendoti su di me
senza intimo solo per dirmi che è finita?» le chiese. «Sei davvero
particolare».
«Domani
sarà tutto finito» mormorò lei, avvicinandosi per lasciargli un bacio umido
lungo la mascella. «Concediamoci un’ultima notte insieme».
«Ah.
L’ultima ciambella prima della dieta, mh?»
«Qualcosa
del genere...»
«Allora
dovremo renderla memorabile» mormorò lui in risposta.
«Sì,
voglio ricordare questa notte per sempre, sensei».
Gli
baciò le labbra con trasporto, godendo del modo in cui si adattarono subito
alle sue e delle mani che le stringevano i fianchi.
Kakashi
interruppe quel bacio passionale e provò ad alzarsi. «I preservativi sono in
bagno, vado a–»
«No,
lascia stare» gli disse, facendolo stendere.
«Ma
ci servono–»
«Prendo
gli anticoncezionali da due anni» lo interruppe, baciandogli il collo. «Non
corriamo rischi».
«Penso
comunque che–»
Sakura
gli morse la spalla abbastanza forte da farlo sussultare, ma a giudicare dalla
reazione della parte del corpo su cui sedeva, gli era piaciuto. «Allora
smettila di pensare» gli sussurrò all’orecchio, per poi leccare il segno
lasciato dai suoi denti. «Quand’è stata l’ultima volta che l’hai fatto senza
preservativo?»
«Non
l’ho mai fatto» le disse.
«Mai?»
fece eco lei, sorpresa.
«Regola
numero-qualcosa del manuale dello shinobi adulto: il miglior modo di avere
vantaggio sul nemico è essere incinta di suo figlio. Non si è mai troppo
attenti alle persone con cui si fa sesso non protetto...»
«Credi
che sia ciò che sto cercando di fare?» gli chiese, baciandogli il mento e
strusciandosi contro la sua erezione. «Credi che voglia restare incinta per
usare il bambino contro di te?»
«No,
mi fido di te. Inoltre non hai la pazienza di aspettare nove mesi, soprattutto
considerando che hai abbastanza materiale da usare contro di me, semmai volessi
ricattarmi, partendo dal fatto che siamo nudi a letto insieme. Basterebbe
questo per mettermi in un mare di guai».
«Non
sono nuda» puntualizzò. Indossava ancora perfino le scarpe.
«Lo
sei nei punti essenziali» le disse, riprendendola per i fianchi per
posizionarla direttamente sulla sua erezione: un modo di dare sollievo ad un
tipo di pressione applicandone un’altra. Sakura si piegò e gli si appoggiò
contro, traendo la stessa quantità di piacere dal sentirlo inspirare
violentemente di quanto ne traeva dal contatto della carne nuda contro la sua.
Il solo sapere di poter provocare piacere ad un uomo del genere – un uomo
capace di intimidirla con l’esperienza e capacità – la rassicurava. Ikki
l’aveva definita un ghiacciolo frigido, ma Sakura non si sentiva affatto fredda
quando era con Kakashi. Non aveva mai bramato il sesso in quel modo, perché non
ne era mai valsa la pena prima di lui.
«Perché
quando sono con te sembra tutto così semplice?» chiese retorica, portando una
mano a stringere il suo pene. «Non mi sono mai sentita così prima di te, e
voglio provare questa sensazione ancora, solo per un po’. Ne ho bisogno, Kakashi».
«Kakashi-come?» sibilò, chiudendo gli occhi e coprendo la
mano di lei con la sua, per indirizzarla al ritmo che desiderava.
«Sensei»
aggiunse ridacchiando al suo orecchio. «Insegnami ad amare, sensei».
Stava
ovviamente citando Icha IchaTactics,
ma era sicura che Kakashi l’avrebbe capito.
«Oramai
parli come una vera pervertita, Sakura» l’ammonì.
«Forse
lo sono».
Ma
in quel momento non aveva alcuna intenzione di scherzare con lui: non era
entrata dalla sua finestra per stuzzicarlo citando il suo libro preferito,
perché erano cose come quella che la facevano sentire legata a lui in qualche
modo, e l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare era donare accidentalmente il suo
cuore ad un uomo fuori dalla sua portata, e che probabilmente la considerava
solo una spunta da aggiungere alla lista delle sue conquiste.
Quindi
non attese la sua risposta, ma preferì sollevarsi e guidare l’intimità di lui
verso la sua, fino a che non sentì la punta premere contro le sue labbra umide.
«Aspetta»
le disse Kakashi, trattenendola per i fianchi. «Non ancora–»
Lo
ignorò, lasciandosi cadere lentamente su di lui.
Non era il più dotato con cui fosse stata, ma di certo non gli avrebbe
riservato meno cure.
La sua durezza le scavò dentro, facendosi strada tra le sue pareti ormai tese
per accoglierlo. Non arrestò la sua discesa fino a che non lo sentì
completamente in sé, ansimando debolmente alla sensazione di completezza che
quasi non riusciva a reggere.
Un
gemito sfuggì alle labbra serrate di Kakashi, rafforzando la risoluzione di
Sakura: non avrebbe permesso che la loro ultima notte insieme si basasse ancora
sulla voglia di che lui aveva di farla stare bene; questa volta l’avrebbe
trattato da suo pari, perché erano entrambi adulti con i propri bisogni da
soddisfare, Sakura non si sentiva più una patetica ragazzina in cerca di
lezioni.
Quando
Kakashi le afferrò di nuovo i fianchi per guidarla, lei lo respinse e prese a
muoversi a proprio ritmo, non lasciandogli altra scelta se non godere delle sue
attenzioni.
Quando lo vide accigliarsi debolmente per i movimenti che diventavano monotoni,
irrigidì i muscoli che lo avvolgevano in lei, beandosi dell’espressione che
mutò in una di completo piacere.
Si
rese conto di apprezzare quella posizione di totale controllo, anche per la
meravigliosa vista completa che le donava dell’uomo tra le sue gambe.
Lo cavalcò più forte che poté, facendo ondeggiare i fianchi in modo sensuale,
alzando ed abbassando il bacino su di lui, più veloce e poi più lenta, non
perdendo d’occhio nessuna delle goccioline di sudore che cominciavano ad imperlargli
il viso, riflesse da qualche raggio di luna che trapelava tra le tende.
Avvertire il suo corpo contorcersi dal piacere sotto di lei era quasi più
soddisfacente dell’atto in sé, ma sapeva che lo dominava solo perché lui glielo
concedeva. Se avesse voluto, l’avrebbe sovrasta, mettendo fine a quella dolce
tortura; ma Kakashi era tutto fuorché un avido amante, ed in penombra Sakura lo
vide sollevare un angolo delle labbra in segno d’approvazione.
«Sembri
una regina sul suo trono» ansimò, angolando i fianchi per raggiungere un punto
remoto in lei che le fece serrare gli occhi dal piacere. «Molto elegante...
Bellissima».
«Scommetto
che lo dici anche alle altre» mormorò in risposta.
«Sei
troppo ossessionata dalle presunte “altre”. Non puoi goderti il momento senza
pensarci?»
«Se
magari stessi zitto» scattò, donandogli mezzo sorriso quando lo sentì
ridacchiare.
Ma
c’era una sensazione calda che cominciava ad ascendere nel suo ventre, e Sakura
sentì il suo controllo venire meno, prendendo a muoversi più velocemente e con
movimenti imprecisi, cercando di soddisfare il bisogno crescente del suo corpo.
Mossa solo dal desiderio obnubilante, ansimò e gemette senza badare a come
sarebbe apparsa agli occhi di lui, che nel frattempo spingeva i fianchi contro
i suoi inesorabilmente, vittima della stessa agonia in cui lei lo aveva
incatenato.
Era
tutto ciò che Sakura voleva: prenderlo come
lui aveva preso lei, portandolo allo stesso limite in cui si trovava lei. Premette
le mani contro il suo torace reso scivoloso dalla sudorazione, inarcando la
schiena e continuando a muoversi su di lui, portando entrambi sempre più verso
la fine naturale del loro amplesso, inoltrandosi in quella bolla di sensazioni
calde fino a non avere più via d’uscita.
Un
brivido la percosse dall’interno, mentre il piacere prendeva a sciogliersi in
lei con il suo contatto con Kakashi come epicentro. Continuò a danzare su di
lui impetuosamente, desiderosa di lasciarsi andare alla sensazione di completa
euforia.
Sotto di lei, un crescendo di gemiti; Kakashi si muoveva con la sua stessa
intensità, stringendole le cosce e guidandone i movimenti quando Sakura
cominciò ad irrigidirsi per il suo apice, spingendo in lei fino a che non lo
raggiunse anche lui.
«Baciami»
le sussurrò, e Sakura obbedì immediatamente, abbassandosi su di lui per premere
le labbra sulle sue, in quello che era più un cozzare di lingue che un vero
bacio.
Ma vi diede peso: voleva solo sentirlo quanto più vicino, assaporando il suo
respiro spezzato e gli ansimi che ancora gli sfuggivano.
La sua espressione era in preda alla pura estasi ed illuminata dalla luna; in
lei, un sussulto seguito dalla prova della sua lussuria. Continuò a cavalcarlo
fino alla fine dei suoi tremiti, fermandosi solo quando lo sentì rilassarsi
sotto di lei.
Sakura,
ormai provata dallo sforzo e dal piacere, collassò su di lui.
Poggiò la testa sul suo petto, mentre entrambi cercavano di riprendere fiato e
calmare i battiti fuori controllo; ma solo Kakashi sembrava riuscirci, mentre
lei ancora sentiva il cuore pulsare nelle orecchie dopo non pochi minuti dal
suo ultimo fremito di piacere.
«Era
la tua prima volta sopra?» le chiese, proprio quando pensava si fosse
addormentato.
«Sì»
mormorò.
«Ti
è piaciuto?»
«Oh,
sì».
Lo
sentì ridacchiare alla sua risposta e nascose la sua risata contro il collo di
Kakashi.
Inspirò il suo profumo, reso ancor più inebriante dal sesso, e si rese conto
che non ci fosse cosa più bella al mondo che essere tra le sue braccia, ridendo
e scherzando di cose che trovavano divertenti solo perché inebriati dal
piacere.
Le
sarebbe mancato.
Sentiva già il dolore della perdita, pur essendo ancora stretta a lui.
«Ora
forse dovrei andare» disse, quasi sperando che non la sentisse.
«Sì»
sospirò lui. «Forse dovresti».
Ma
Sakura non si mosse a lungo, e quando lo fece fu solo per liberarsi degli
indumenti restanti, per sentire la sensazione della pelle completamente nuda a
contatto con la sua.
«Forse
potrei anche andare dopo» sussurrò.
«Sì»
rispose in un soffio, divertito. «Forse potresti».
Kakashi
le accarezzò la schiena con fare confortante, cullando i suoi sensi al limite
del sonno. Avrebbe voluto addormentarsi in quel modo per sempre, pensò, un
attimo prima di lasciarsi andare.
Quando
si svegliò erano passate solo poche ore e Kakashi era di nuovo dentro di lei,
duro come la roccia. Sakura colse il ritmo spedito quasi immediatamente,
portandogli le mani alle spalle e le gambe intorno alla sua vita prima ancora
di essere completamente sveglia.
Se
prima aveva goduto del completo controllo su di lui, ora era totalmente sottomessa
alla sua volontà.
Il peso di Kakashi la schiacciava contro il materasso, la frenesia delle sue
mani e la sua bocca la eccitavano mentre spingeva in lei, spietato – e semmai
avesse voluto mettere fine a quella gentile tortura, le cure che in quel
momento le stava riservando la prosciugavano di ogni forza, fisica e di
volontà.
Sakura lo guardò negli occhi, entrambi spalancati, e notò lo sharingan vorticare
più velocemente del normale, disegnando una spirale che la risucchiò prima che
potesse rendersene conto.
Il
piacere arrivò istantaneo, troppo veloce e troppo intenso per essere naturale,
ma irresistibile come sempre.
Sakura gemette e tremò, mentre la sensazione continuava a premere in lei,
feroce ed intransigente.
Ma Kakashi non si fermò: rallentò per un solo istante per gestire la propria
angolazione, e fu quella l’unica pausa che Sakura ebbe prima di essere travolta
ancora.
Era
annebbiata ancora dal tepore del primo orgasmo, quando arrivò il secondo.
Ogni suono che provò ad emettere fu bloccato dalla lingua di Kakashi nella sua
bocca, in un’erotica imitazione di quello che stava succedendo tra le lenzuola.
Un’altra spinta violenta ed un altro orgasmo quasi doloroso.
Ormai non vedeva altro che il rosso del suo sharingan ed il tomoe che continuava
a vorticare, derubandola di ogni percezione che non riguardasse il corpo di
Kakashi contro, intorno e dentro al proprio.
Il
mondo si era spostato dal suo asse e a Sakura non avrebbe potuto importare di
meno: non riusciva più a ricordare dove fosse, che ora fosse e addirittura chi
lei stessa fosse. Poteva solo cedere ai tremorie ai sussulti quando lui glielo concedeva. I loro corpi si muovevano
all’unisono, uniformati in un’unica materia, con un solo respiro ed un solo
battito.
Calde lacrime presero a solcarle le guance arrossate: era al limite.
«Ti
prego» supplicò. «Basta».
In risposta,
Kakashi la ignorò ed una nuova sensazione – sebbene così familiare – prese
possesso del suo corpo ancora una volta, facendola sentire come squarciata
dall’interno.
Urlò, e Kakashi le tappò la bocca con un palmo, spingendo ancora più
velocemente in lei, ormai al limite. Chiuse gli occhi, serrando la vista dello
sharingan a Sakura, arrendendosi poi al piacere intenso che crebbe e si riversò
in lei.
Impiegarono
più tempo a riprendersi, rispetto all’amplesso precedente.
Sakura si aggrappò alle sue spalle, continuando a tremare a causa dei
singhiozzi e delle lacrime a cui non trovava spiegazione razionale. Sembravano
essere per tutto e per niente; per la gioia di poter condividere qualcosa del
genere con lui... e per la tristezza di non avere alcun diritto di farlo.
«Va
tutto bene?» le chiese.
«Sì»
mentì.
«Ti
ho fatto male?»
«No...»
Le
asciugò le lacrime con i pollici. «E allora perché piangi?»
«Non
lo so» sospirò Sakura, cominciando a calmarsi. «Una volta mia mamma mi disse...
“devi approfittare delle occasioni che ti si presentano, perché se le sprechi
finirai per pentirtene per sempre e desiderare di poter avere un’altra
possibilità”».
«Una
donna più saggia di quanto credessi».
Kakashi si stese accanto a lei, coprendola ancora parzialmente con una gamba
tra lei sue. «Perché ti è tornato in mente ora?»
«Perché
ho approfittato di un’occasione» gli rispose. «E non me ne pento affatto.
Vorrei... Vorrei solo che...»
«Che
fossimo un po’ più liberi?»
Annuì
tristemente, mentre avvolgeva una ciocca dei capelli di Kakashi sul suo dito
indice.
«Kakashi-sensei,
non sono arrabbiata per la storia dell’esame, non più. Non è il motivo per cui
ho deciso di smetterla».
«Lo
so» le sussurrò, ricambiando il gesto affettuoso passandole una mano tra i
capelli in disordine.
Avrebbe
voluto che non fosse stato così comprensivo, sarebbe stato più facile per lei
se si fosse arrabbiato e le avesse urlato contro, lasciandola senza dubbio
alcuno di aver fatto la scelta giusta allontanandosi da lui – mentre invece le
sue carezze e gli occhi teneri che la guardavano come fosse la cosa più
preziosa al mondo, la lasciavano terribilmente affranta.
Seguendo la logica, sapeva che stroncare quella relazione sul nascere era la
cosa migliore per tutti; ma il suo patetico cuore solitario la pregava di
lasciarsi ancora coccolare dal suo calore.
E al cuore non si comanda.
«C’è
solo una cosa di cui mi pento» disse Sakura, infine.
«Sarebbe?»
Kakashi attese la sua risposta con particolare attenzione.
«Credo
che tu abbia rovinato la mia futura vita sessuale, dopo di te avrò standard
troppo alti per la media».
«Ah»
si rilassò. «Non preoccuparti, sono sicuro che troveraiqualcuno all’altezza e ti dimenticherai in
fretta di me. O forse no, sei umana dopotutto».
Sakura
sbuffò, colpendolo alle costole abbastanza da farlo lamentare. «Sono sicura che
tra una settimana avrai già dimenticato tutto, di me».
Le
sorrise. «Sembri pensare che non mi importi nulla di te».
«Sono
abbastanza certa del fatto che ti stai solo prendendo gioco di me».
«Ma
sono un uomo egoista, Sakura, lo sai. Non mi sognerei di compiere un gesto così
altruista se non avessi qualcosa che desidero in cambio».
Lo
guardò, ancora incerta. «Dici sul serio?» chiese
«Mhmh»
confermò. «È l’unica cosa che spiega perché sussurravo il tuo nome mentre
facevo sesso prima che tu venissi da me con quella maglietta bagnata».
Sakura
arrossì, ma poi si accigliò. «Non hai mai detto il mio nome mentre noi facevamo sesso».
«È
una cosa positiva. Se sono abbastanza lucido da ricordare un nome, non mi sto
divertendo quanto dovrei».
Soddisfatta
della risposta, si accoccolò di più contro di lui. «Credo che mi mancherà tutto
questo» sospirò poi.
Passarono
non pochi minuti prima che Kakashi mormorasse un cenno d’accordo, ma nulla di
abbastanza esplicito da dimostrare come si sentisse realmente.
Dopo un’altra pausa, riprese. «Ho una missione domani, c’è posto per un
medico...»
«Mi
stai chiedendo di fare parte del tuo team?»
«Non
conosco un medico migliore di te».
Avrebbe
voluto accettare, ma sarebbe andata contro i suoi stessi principi. «Non credo
sia saggio per ora...»
Kakashi
sospirò. «Forse hai ragione».
Sakura
chiuse gli occhi. «E forse ora dovrei andare».
«Sì,
forse dovresti».
Le
sue braccia si strinsero intorno a lei un po’ più forte, e prima che potessero
rendersene conto, si addormentarono.
Sono
una persona orribile e non riuscirò mai a mantenere la promessa di un
aggiornamento più rapido. Complice la vita strana, i periodi no e lo sconforto
che mi assale quando mi accorgo che il capitolo seguente è sempre più lungo del
precedente (a vedere il prossimo mi viene da piangere, giuro).
Però grazie, perché contro ogni aspettativa trovo sempre un commento carino
(vuoi vedere che è la volta buona che mi sfanculate? 😅)...
Ciancio alle bande! Se c’è una cosa che proprio non mi va giù in questa storia,
è il tono cinico e spietato che usa Tsunade per parlare a Sakura di Obito, credo
sia l’unico scivolone di questa storia, ma glielo perdoniamo dai.
Ultimamente ho provato a cercare qualcosa da leggere (principalmente sulla Ererieheh) su un’altra
piattaforma che sicuramente conoscete, ma il livello di EFP è sempre un’asticella
sopra, anche se ormai è difficile trovare qualcosa di decente (a proposito, ma
che è sta mafia delle pubblicità?).
Insomma, se tra voi c’è qualche fan di AOT e se avete qualcosa di carino da
propormi sulla Riren/Ereri
(che non contenga spoiler oltre la terza stagione dell’anime di Attack on Titan) non esitate a
linkare! Avrei una mezza idea su una oneshot natalizia, ma chissà.
Non voglio illudervi: questo sarà l’ultimo aggiornamento dell’anno quasi
sicuramente, quindi vi auguro buone feste ed un felicissimo anno nuovo! Anche
perché peggio di questo non si può.
PS:
perdonate l’abuso delle parentesi!
(...............no giuro la smetto ciao! 😅)
Ino
non era affatto di buon umore quel mattino e Shikamaru se ne sarebbe accorto
anche a chilometri di distanza: chi come lui è cresciuto con una ragazza
incline alla violenza e soggetta a sbalzi d’umore, impara a cogliere il minimo
segnale d’allerta
Se
ne stava spaparanzato su una panchina in riva al fiume a godersi la quiete,
quando la sentì avvicinarsi calpestando rumorosamente il sentiero alla sua
destra.
Quel giorno le nuvole erano particolarmente interessanti da osservare: cospicue
quanto bastava per non annoiarsi, bianchi batuffoli galleggianti su una tela
azzurra; socchiudendo gli occhi le immaginava come pecorelle al pascolo e quasi
sentiva i loro campanacci tintinnare.
Ma
i suoi placidi pensieri riguardo nuvole e pecorelle furono violentemente
spazzati via quando Ino si lasciò cadere sulla panchina accanto a lui.
«Sono
incazzata nera» dichiarò.
Shikamaru
abbassò lo sguardo sul fiume e prese un lungo tiro di sigaretta.
Ino
sbuffò sonoramente, infastidita. «Giuro,
non immagini quanto sono incazzata» sbottò, alzando la voce per attirare la
sua attenzione. Quando ancora non ottenne risposta dal compagno, gli diede una
botta in mezzo alle scapole. «Mi stai ascoltando?»
«Sei
incazzata. Ho capito.» Perché sentisse il bisogno di annunciarlo quando era
chiaro come l’acqua, invece, restava un mistero. Ma alla fine, le donne in
generale erano un totale punto interrogativo per lui.
Era
piuttosto chiaro, invece, che Ino stesse adottando la sua solita tattica,
all’unico scopo di indirizzarlo dove meglio credeva. «Vuoi sapere perché sono
così incazzata?»
E a
lui non restava che rispondere: «Certo.»
Come da manuale, era la mossa più sicura.
Avrebbe anche potuto farsi cogliere da un moto di pura sincerità e risponderle
che no, non gli interessava, ma alla fine ne avrebbe ricavato solo un altro
pugno – dopodiché, Ino avrebbe comunque ripreso il discorso.
«Quella
Sakura» cominciò, arricciando leggermente il naso, «è proprio una stronza. La
notte scorsa l’ho seguita per scoprire chi è questo suo fantomatico amante, e
lei che ha fatto? È andata a casa, si è messa a guardare quelle soap opera
noiosissime e poi è andata a letto. E indovina io ovviamente che ho fatto?»
«Che
hai fatto?» Shikamaru aveva la stessa funzione di un muro, nei monologhi di
Ino: la sua parte consisteva nel far rimbalzare tutte le domande che lei gli
scagliava contro, per farla felice.
«Me
ne sono tornata a casa, no?» Ino batté rabbiosa un pugno contro il ginocchio.
«E stamattina mi sono alzata di buon’ora per seguirla, nel caso si fosse vista con
qualcuno prima di andare a lavoro, e indovina un po’?»
«Indovina
un po’?»
«È
tornata dieci minuti dopo di me.»
Ino
assunse un’espressione di completo shock, come se avesse appena avuto la
rivelazione del secolo, ma Shikamaru era il volto dell’apatia e confusione. «E
quindi?» chiese, cauto.
«E
quindi?!» strillò Ino. «E quindi che
palle! È sgattaiolata via nel cuore della notte per un incontro segreto con
quel suo amante misterioso ed io non ho ancora scoperto chi è!»
«Come
fai ad essere sicura che si sia vista con un uomo?» le chiese. «Magari è uscita
solo per una passeggiata all’alba.»
Ino
gli rivolse un’occhiata di pura compassione. «Quando è tornata non aveva di
certo l’aspetto di una che torna da una passeggiata. Aveva la tipica
camminatura di una che è stata scopata a dovere per tutta la notte.»
Shikamaru
sospirò: non gli piaceva affatto quel tipo di discorso. «Perché tanto
interesse? Sono affari tuoi?»
«Sì,
assolutamente» sbottò. «L’unica spiegazione a tutta questa segretezza da parte
di Sakura è che lui sia incredibilmente brutto. O un poveraccio. O molto, molto
stupido. O... qualcuno che non può frequentare. Forse sta fraternizzando con il
nemico, Shikamaru! È nostro dovere come shinobi di Konoha proteggere il nostro
villaggio e i suoi segreti e impedire ogni furto di informazioni!»
A
proposito di furto di informazioni... «Ino, a te non interessa niente di tutto
ciò. Vuoi solo scoprire chi frequenta Sakura per sapere se è più carino del tuo
ragazzo.»
«Oh,
Shikamaru, ti prego, aiutami,» piagnucolò,
lasciando cadere la maschera. «Con la tua mente e la mia bellezza, risolveremo
questo mistero entro mezzogiorno!»
Shikamaru
sospirò e sollevò di nuovo lo sguardo riflessivo, lasciando consumare la
sigaretta tra le dita. Dopo un lungo e denso silenzio, annuì al vuoto. «Forse è
Kakashi-sensei.»
Ino
scattò, fissandolo tra sorpresa e confusione. «Cosa?»
«Gira
voce che uno dei maestri jonin abbia una relazione con un’allieva, e in genere
le voci si basano su fatti reali. Sakura è l’allieva di un jonin, e stando a
quanto dici ha una relazione che, senza apparente motivo, si ostina a tenere
segreta. Se fai due più due ottieni Haruno Sakura e Hatake Kakashi.»
Ino
inchiodò lo sguardo su di lui, in attesa di altro; ma quando fu palese che il
ragionamento di Shikamaru fosse concluso, si stizzì. «Non fare l’idiota!
Potresti almeno fingere di prendermi sul serio.»
Shikamaru
scrollò le spalle e tornò a fumare, rilassato.
Dopo pochi istanti di ritrovata serenità, un fulmine giallo e arancio gli
sfrecciò davanti. Notò Ino e Shikamaru solo dopo diversi metri, e con
un’azzardata inversione ad U si parò di fronte a loro.
«Hey,
ragazzi!» li salutò Naruto, con fin troppo entusiasmo per quell’ora del
mattino. «Qualcuno di voi ha visto Sakura-chan?»
Shikamaru
guardò Ino aspettando una risposta, ma il cipiglio dell’amica si fece più
marcato. «Sakura, Sakura, Sakura! Perché sono tutti ossessionati da Sakura?»
«Non
saprei, sei tu quella che la pedina» le fece notare.
«Davvero?
Stai pedinando Sakura-chan?» Naruto non sembrava affatto scosso. «Quindi sai
dov’è?»
Ino
incrociò le braccia, assumendo una posa di totale indifferenza; tuttavia
rispose: «L’ultima volta che l’ho vista stava andando verso l’ospedale.»
«Fantastico,
grazie! Temo che ultimamente si senta un po’ messa da parte, sapete, per la
storia dell’esame jonin. Credete che dovrei prenderle dei fiori?»
Shikamaru
si strinse nelle spalle.
«Male non faranno.»
Ino
li fulminò con lo sguardo.
«Dico, siete matti?» sbottò.
«Portarle dei fiori significa praticamente ammettere che hai fatto qualcosa per
infastidirla, e la farà incazzare ancora di più perché si renderà conto che non
si sta comportando da pazza paranoica. Non azzardarti a scusarti, lascia che
sia lei a farlo.»
La
logica femminile era qualcosa di contorto e Naruto si sentì disorientato. «Ok,
perfetto» disse, quando riuscì a mettere in ordine almeno i concetti base.
«Quindi... Dovrei comportarmi normalmente con lei?»
«Assolutamente» rispose Ino, come fosse stata
la cosa più ovvia del mondo.
«Grazie
mille!»
Ma
prima che potesse filare via, Ino lo richiamò. «Hey, Naruto! Sai per caso chi è
il tizio misterioso che frequenta Sakura?»
Naruto
si voltò a guardarla, confuso. «Credevo uscisse con quel bastardo di Ikki.»
«Sprechi
tempo» le sussurrò Shikamaru. Se Naruto non si era nemmeno reso conto di
essersi messo la felpa di rovescio, di certo non sarebbe stato in grado di
carpire segreti riguardo le vite amorose degli altri.
«Non
importa» Ino si accasciò di nuovo contro la panchina, sconsolata. «Hai la zip
aperta, comunque.»
Naruto
si allontanò trotterellando serenamente, alzando la zip in questione con una
mano e salutandoli con l’altra.
«Beh,
di sicuro non è lui» sospirò Ino. «E non può nemmeno essere Sasuke, altrimenti
Sakura me lo starebbe ancora rinfacciando.»
«Suppongo
sia inutile farti notare ancora che non sono affari tuoi» riprovò Shikamaru,
fiaccamente.
«Sì,
infatti» rispose Ino, piccata.
Shikamaru,
con un’alzata di spalle ed un tiro di sigaretta, poggiò la testa contro lo
schienale della panchina. Il fumo prese a confondersi con le nuvole: almeno il
suo angolino di mondo era a posto.
Quella
sensazione di malinconica tenerezza l’avrebbe accompagnata per giorni, ne era
certa.
Sakura cercava invano di non dondolare mentre si trascinava lungo il corridoio
diretta all’ufficio di Tsunade, stringendo al petto una pila corposa di
cartelle mediche.
L’atteggiamento di Kakashi aveva avuto un certo peso su di lei, nel bene e nel
male.
Avevano passato una meravigliosa – sebbene ultima – notte insieme, ma cosa
restava ormai di loro?
Quando
notò il modo in cui Shizune la fissava incuriosita, dal banco della reception,
si rese conto che i suoi sforzi per camminare quanto più naturalmente possibile
erano stati del tutto vani.
Ondeggiò fino a che non le fu di fronte e, con un sonoro sospiro, poggiò i
fascicoli sul bancone.
«Come
mai zoppichi?» le chiese.
«Mi
sono storta una caviglia» mentì Sakura.
«La
caviglia, huh? Ma certo» Shizune annuì,
scettica. Entrambe sapevano – ma nessuna delle due avrebbe ammesso – che Sakura
aveva l’andatura di una a cui è passato un camion tra le gambe. «E queste?»
chiese, battendo l’indice sulle cartelle che Sakura aveva poggiato.
«Le
cartelle cliniche che mi ha chiesto la maestra Tsunade» rispose, buttando un
occhio alla sala d’attesa deserta. «È già arrivata?»
«Mhmh»
mormorò Shizune, annuendo ancora. «È in riunione con un team per una missione,
ma dovrebbe liberarsi a breve.»
Ottimo, pensò Sakura, posso
sedermi. In effetti, qualcosa le restava di Kakashi: il tremore alle gambe.
Ma
Shizune non le diede pace. «Oh, hey» la richiamò, riducendo la voce ad un mero
sibilo. «Hai sentito cosa si dice in giro?»
«Riguardo
gli aumenti di stipendio?» chiese speranzosa.
«No,
no, no, è addirittura meglio.» Si guardò intorno circospetta, prima di fare
cenno a Sakura di avvicinarsi. Si sporse poi oltre il bancone che le separava e
le bisbigliò: «Gira voce che... uno dei
maestri jonin vada a letto con un’allieva!»
Il cuore di Sakura perse un battito, per poi prendere a pulsare impazzito. «C-cosa?!» balbettò.
«Lo
so, è assurdo!» Shizune arricciò il naso. «Sarebbe come se tu andassi a letto
con Kakashi-sensei: assolutamente sbagliato!»
Sakura
deglutì rumorosamente, cercando di gestire il sudore freddo che sentiva alle
mani. «S-Sai per caso se... Cioè... è certo? Si sa chi è?»
Shizune
scosse la testa. «Ma ci sono solo dieci maestri jonin nel villaggio. Resti tra
noi, ma io scommetto che è Nakamura-sensei. La sua
allieva è una totale piantagrane, per non dire altro. Beh... a prescindere dai
soggetti, se è vero sono in un mare di guai. L’ultimo insegnante che ha fatto
una cosa del genere è stato punito con un mandato d’esecuzione.»
«Cosa?!» Sakura annaspò.
«Beh,
non solo per quello, ne aveva combinate parecchie... tipo omicidio, esperimenti
genetici senza permessi, cospirazioni per ammutinamento, alto tradimento... Del
resto, era Orochimaru.» Shizune roteò gli occhi. «Ma è comunque una cosa seria,
anche se potrebbe essere solo un pettegolezzo senza fondamenti.»
«Sì,»
annuì fortemente Sakura «senza dubbio sono solo voci. Non può essere vero.»
Shizune
la guardò stranita per un attimo, ma quando schiuse le labbra per dire
qualcosa, la porta dell’ufficio di Tsunade si aprì e ne uscì una fila di
persone. Sakura non conosceva i due uomini, ma scorse un viso familiare tra
loro, che incrociò il suo sguardo.
«Sakura!
Hey!»
Era
una ragazza dai capelli biondi, piccoli occhi castani e labbra perennemente imbronciate.
Sakura l’aveva conosciuta all’ospedale – era un medico chūnin, come lei.
E la
odiava.
«Ciao,
Nibiki» sbuffò, salutandola con ben poco entusiasmo. «Vai in missione?»
Una
lunga coda bionda ondeggiò drammaticamente, accompagnata da uno sguardo di
finta modestia e contornato da ciglia ridicolmente lunghe e impregnate di
mascara. «Oh sì, e sarà piuttosto lunga... Augurami buona fortuna!» Poi il suo
sguardo cadde indagatore su di lei. «Oh cielo, non dirmi che sei stata di nuovo
in ospedale tutta la notte! Lavori troppo, sai.»
Sakura
si passò una mano tra i capelli, imbarazzata. Prima di uscire di casa si era
guardata allo specchio e si era trovata fresca e vivace, quella mattina.
Nibiki si era già incamminata quando Sakura alzò lo sguardo in tempo per notare
un altro uomo uscire dall’ufficio di Tsunade.
Kakashi.
Rivolse
un cenno a Shizune, poi sorrise dolcemente a lei. «Buongiorno, signorine»
salutò, gentile.
«Vedo
che ha trovato un medico chūnin» notò.
Il
sorriso di Kakashi si ingigantì: si avvicinò al banco di Shizune, per poi
passarle un foglio da timbrare. «Suvvia Sakura» la richiamò, in tono di
rimprovero. «Non essere gelosa.»
Sakura
arrossì fino alle orecchie.
Kakashi ritirò il foglio e si voltò ancora verso di lei, per poi rivolgerle un
occhiolino furtivo e malizioso; infine uscì, portando il povero cuore di Sakura
con sé.
Rimaste di nuovo sole, Shizune si sporse ancora oltre il banco. «Perché porta
Nibiki e non te? Mi ha dato il fascicolo di una missione di classe A e tu sei migliore
di lei sia come medico che come shinobi.»
Sakura
si sentì terribilmente amareggiata all’improvviso. «Me l’ha chiesto, ma ho
rifiutato.»
«Perché?»
Perché
non sarebbe mai riuscita dimenticarlo e andare avanti se avesse dovuto passare
un mese intero a combattere al suo fianco.
Doveva restare a Konoha ed approfittare della sua assenza per tornare sulla
retta via, lontana dalla collisione d’intenti in cui erano incappati. Sarebbe
uscita di più, magari con gli amici, forse sarebbe andata a letto con qualcuno.
Si sarebbe sforzata di mostrare più interesse per gli esami di Naruto e Sasuke
e si sarebbe lasciata quella sensazione di inadeguatezza alle spalle. Si
sarebbe concessa un nuovo inizio e sarebbe stata una nuova Sakura. Quello
stupido pettegolezzo sarebbe svanito col tempo, perché non ci sarebbe stato più
niente ad alimentarlo. Quel capitolo della sua vita era morto e sepolto, ora
l’aspettava una nuova pagina bianca da scrivere. E...
...e
dio, quanto le sarebbe mancato Kakashi.
Sentì
lo sguardo di Shizune su di sé e si rese conto di essersi imbambolata ad
osservare fin troppo l’uscio della porta attraverso la quale Kakashi si era
dissolto. Si rese conto solo in quel momento di non aver risposto alla domanda.
«Uhm... Non mi andava di prendere parte ad una missione così lunga» rispose vaga.
«E poi qualcuno deve tenere d’occhio Naruto e Sasuke.»
La
sua risposta sembrò soddisfare la collega. «Ah, sì, vero» annuì saggiamente.
«Senza te, non avrebbero nemmeno una misera possibilità di passare l’esame
jonin.»
Sakura
si schiarì la voce. Forse avrebbe fatto
meglio ad andare con Kakashi.
«È
bello vedere che qualcuno ha il tempo di spettegolare mentre altri si spezzano
la schiena a lavoro» le richiamò una voce alle loro spalle.
Sakura
scattò sull’attenti in sua direzione. «Maestra! Mi scusi, maestra – le ho
portato i documenti che mi ha chiesto, maestra!»
«Bene.
Portali qui e diamogli un’occhiata.» Tsunade aspettò Sakura sull’uscio e, una
volta entrata, si chiuse la porta alle spalle.
«Perché
cammini come se ti fosse passato un camion tra le–»
«Mi
sono storta una caviglia.»
Secondo
Kakashi, c’erano solo due tipi di villaggi portuali: quelli sovraffollati e in
continuo subbuglio, o letargici e impestati dalla puzza di urina e trementina;
il porto di Sokko, in cui si trovava, apparteneva senza dubbio alla seconda
categoria.
L’aria era satura d’umidità, e le folate di vento che raramente gli sfioravano
il viso portavano con loro l’olezzo di pesce avariato e sale, mentre tutto ciò
che lo circondava sembrava essere pesantemente ricoperto da uno strato di
sudore afoso.
I pochi alberi erano tutti appassiti, gli abitanti del villaggio se ne stavano
accasciati su casse di legno all’ombra, e gli stessi edifici erano
evidentemente provati dalla salsedine.
Kakashi
discese il pendio verso le banchine insieme al suo team, sotto un cielo rovente
che sembrava null’altro che una bianca foschia. I suoi compagni sembravano
tutti tremendamente infastiditi e sudavano come maiali, fin troppo abituati al
clima mite di Konoha.
Su Kakashi, invece, il caldo non sembrava avere effetto: mentre il suo team
continuava a lamentarsi, lui alzò la zip della divisa da jonin fino al mento e
spinse le mani in tasca; dopo essere stato di stanza ai confini di Suna durante
la guerra, aveva ben imparato a convivere con il caldo.
Era
intento ad osservare la pittura scrostata delle case e le crepe sui cardini
arrugginiti, quando qualcuno lo affiancò.
«Hey,
Kakashi-taichō, non ha caldo?» era Nibiki.
«Sono
a posto» rispose cordiale. Apparentemente lo era anche lei, ma un velo di
sudore sulla fronte la tradiva. Sarebbe stato un peccato se le avesse rovinato
il trucco...
«Forse
starebbe meglio se si togliesse la maschera» consigliò lei.
«Sto
bene» ripeté.
«Mmh»
annuì. «Perché la indossa, se posso chiedere?»
Le
rivolse un’occhiata gelida e tagliente, lunga abbastanza da intimidire
qualsiasi vittima; uno sguardo del genere, di solito, terrorizzava la gente a
vita, ma la ragazza gli sorrise.
«C’era un ragazzo all’Accademia che ne portava una simile» spiegò lei. «Alla
fine abbiamo scoperto che la portava perché era davvero bruttino».
E
con ciò, Nibiki affrettò il passo e raggiunse il resto del team avanti a loro.
Insomma,
era passiva-aggessiva e sfidava la sua autorità, esattamente come si aspettava.
Aveva avvertito puzza di guai quando l’aveva sentita fare quel commento sul
lavoro di Sakura, ed era stato proprio in quel momento che aveva deciso di
prendere il traghetto passando per sud,
attraverso il caldo rovente del porto di Sokko, piuttosto che optare per l’itinerario
nord, che li avrebbe portati al clima fresco del porto di Matsuyama.
Perché Nibiki non era l’unica stronza passiva-aggressiva
del team.
«Uhm,
Nibiki?» la chiamò.
La
ragazza si voltò allegramente.
Fece
un gesto vago per indicarsi gli occhi. «Il tuo mascara... uhm... credo tu
voglia sistemarlo.»
Nibiki
arrossì violentemente e si voltò, sfregando furiosamente il viso e peggiorando
il problema; in quel momento, Kakashi si ritrovò a pensare che avrebbe
preferito di gran lunga Sakura. Non solo perché era più abile sia in medicina
che in combattimento, ma soprattutto perché stava cominciando a sentire
acutamente la sua mancanza.
Ed inoltre, i suoi tentativi di insubordinazione erano molto più accattivanti.
Erano
in viaggio da ormai quasi una settimana ed avevano alloggiato in parecchie
locande decrepite lungo la strada. Il budget gli permetteva di affittare una
camera a testa, ma poco cambiava: i muri erano talmente sottili che poteva chiaramente
sentire il russare degli occupanti delle camere accanto alla sua, come avessero
avuto le labbra appoggiate al suo stesso orecchio. Ed inoltre, i muri sottili
non bastavano ad ovattare il suono dei gemiti di piacere che gli arrivavano di
tanto in tanto.
Non male come porno gratis, ma alquanto depressivi se ascoltati mentre il suo
corpo cercava di abituarsi alla mancanza di qualcuno con cui condividere il
letto. Per due notti di seguito era stato raggiunto dagli ansimi di una voce
femminile che riecheggiavano nella sua stanza ed invadevano i suoi sogni,
portandolo crudelmente a credere di essere tornato con Sakura, e facendolo
svegliare con un inconveniente pasticcio da ripulire.
Il
“prurito” era tornato, ma non aveva mai desiderato darvi sollievo con una donna
in particolare... mentre quella volta, era inconfondibile. C’era un solo viso
che gli tornava in mente quando restava solo. Solo i suoi capelli. Solo i suoi
occhi. Solo il suo intimo, che ancora conservava accuratamente nel portaoggetti.
Dannazione,
cosa avrebbe dato per farle accettare la missione, anche se sapeva quanto fosse
giusta la sua scelta. Se fosse andata con lui, non sarebbero passate più di tre
notti prima che uno dei due seducesse l’altro. Sarebbero stati i suoi ansimi e
gemiti a riecheggiare tra le pareti di quelle locande, rendendo la loro
relazione palese.
Quando
si erano separati, sei notti prima, era stato chiaro ad entrambi che fosse
finita.
Non ne avrebbero più fatto parola, avrebbero semplicemente preso strade diverse
per dimenticarsi.
La loro relazione – se così poteva definirsi – era ormai conclusa e Sakura gli
aveva detto che era libero di tornare a fare il donnaiolo, come lei lo
definiva.
Ma
non era stato affatto un addio formale: non si erano stretti la mano né si
erano salutati.
Sakura si era alzata dal letto e, dopo essersi rivestita, gli aveva spiegato le
condizioni della loro separazione – ed ascoltato le sue – per poi saltargli di
nuovo in grembo per baciarlo come fosse stata l’ultima volta che l’avrebbe
visto.
Era stato bello, non fosse stato per il fatto che Sakura avesse la cattiva
abitudine di eccitarlo con ben pochi sforzi, quindi Kakashi si era costretto a
metterla alla porta prima di tornare dove tutto era cominciato: a letto.
Nell’esatto
istante in cui Sakura se n’era andata, il sorriso di Kakashi era sparito; e
sebbene sapesse che le cose fossero andate esattamente secondo i piani –
separandosi senza litigi o drammi e soprattutto mantenendo il segreto – non era
affatto felice. Non era di certo depresso, ma nemmeno sentiva il sollievo che
era solito provare quando chiudeva un rapporto con una donna... forse perché,
questa volta, era finita molto prima di arrivare al punto di voler chiudere.
Ma
sebbene avrebbe voluto passare ancora qualche notte insieme a lei, la sua
eterna voglia di compagnia non era affatto più importante del bisogno che Sakura
aveva di allontanarsi da lui; perché, alla fine, non avrebbe fatto altro che
trascinarla a fondo con sé...
«Capitano,
quello è il nostro traghetto?» chiese uno dei suoi subordinati. Poteva essere
sia Denji che Daisuke, ma si somigliavano così tanto che Kakashi non avrebbe
saputo distinguerli.
Arrestò
il passo e portò una mano a schermare gli occhi per osservare meglio il porto.
«Intendi quel puntino microscopico all’orizzonte?»
Il
resto del team gemette di disperazione. «Ma non ne passerà un altro prima di domani»
si lamentò l’altro Denji, o Daisuke.
«Avremmo
fatto in tempo se stamattina fossimo partiti in orario» fece notare disinvolta
Nibiki, rendendo chiara l’allusione a Kakashi dandogli le spalle.
«Il
traghetto era un lusso opzionale» specificò lui. «Speravo di prenderlo, ma
siccome non è stato possibile, continueremo a piedi».
«Cosa?!»
ora Nibiki lo sfidava apertamente.
«Vi
hanno insegnato a camminare sull’acqua da genin, no?» chiese retorico. «Sono pochi
chilometri, dovete solo fare attenzione alle onde. E alle meduse. E ricordatevi
che ogni tanto agli squali piace fare spuntini peculiari.»
Inutile
specificare quanto Kakashi fosse amato da quel team e da qualsiasi altro avesse
mai capitanato.
Decisero
di fare una pausa una volta raggiunto il porto. Nibiki si rifece il make-up,
Denji e Daisuke si scambiarono qualche bevanda e Kakashi si sedette contro un
muretto, osservando la striscia di terra all’orizzonte.
Quel
villaggio portuale era fin troppo silenzioso per lui: c’era una sola barca che
galleggiava placidamente ancorata alla banchina. Un uomo dall’apparenza stanca
e trasandata provò a vendergli pezzi di calamari allo spiedo immersi in quella
che sembrava salsa di soia appiccicosa, ma Kakashi rifiutò cortesemente. Non
era saggio accettare cibo non richiesto durante una missione, perciò
schiaffeggiò la mano di Denji o Daisuke quando uno dei due jonin alzò il
braccio per richiamare il venditore ambulante.
«Ma
muoio di fame, capitano» si lamentò Daisuke, o Denji.
«Non
tocchiamo nulla da ieri notte» concordò l’altro.
«Prima
ci incamminiamo prima troviamo un posto in cui mangiare» spiegò. «Quindi, se
abbiamo finito tutti di sistemarci il rossetto, possiamo–»
«Vi
serve un passaggio?»
L’intero
gruppo si girò verso l’uomo che aveva parlato.
Sembrava essere un pescatore, a giudicare dalle reti che si trascinava dietro, abbinate
alla barba bianca selvaggia che portava e al capo calvo ed abbronzato.
La bocca gravemente sdentata era parzialmente nascosta dai lunghi baffi.
«Sì!»
rispose impulsivamente Nibiki.
«No»
corresse Kakashi, fissando la sua nuca.
«Sto
per salpare per le Isole Yura... posso lasciarvi nei
dintorni, se il compenso è generoso».
«Abbiamo
la stessa destinazione!» si entusiasmò ancora la ragazza. «Quanto vuole?»
«Uhm...»
Kakashi cercò di interromperli.
«Cinquantamila
ryo.»
«Kakashi-taichō,
abbiamo–»
«No.»
Anche i passaggi non richiesti erano fuori discussione.
«Ma
dovremo camminare per ore!» protestò Nibiki. «Ed è anche più economico del
traghetto – e cosa faremmo se inciampassi, cadessi e annegassi? Queste borse
sono pesantissime.»
Kakashi
sapeva bene come mai Nibiki fosse
stata promossa alla prova semestrale.
Ma anche i due jonin lo guardavano con sguardo speranzoso, e il marinaio
sembrava davvero essere un innocuo vecchietto... anche se non c’era da fidarsi
delle apparenze.
«Quella
è la sua barca?» Kakashi ammiccò all’imbarcazione sporca e solitaria con le
vele piegate.
«È
la mia barca» annuì umilmente.
Kakashi
sospirò. «Ci serve un passaggio per le Isole Yura.
Riesce a portarci lì prima del tramonto?»
«Ci
arriveremo nel primo pomeriggio... Per sessantamila ryo.»
«...Ha...
ha appena aumentato il prezzo.»
«Capitano,
lo paghi prima che arrivi a settantamila.»
«Bene,
bene...» Stava diventando fin troppo accomodante con il passare degli anni, ma
che senso aveva affrontare una camminata del genere quando poteva godersi un
viaggio in barca?
Contò
le banconote e le porse al marinaio, che si incamminò verso l’imbarcazione
seguito dal resto del team. In un momento di distrazione, Kakashi lo analizzò
con lo sharingan: non era camuffato, né c’era alcun chakra captabile. Sembrava
essere esattamente ciò che era: un marpione in cerca di denaro.
Presto
Nibiki rivalutò il colpo di fortuna che avevano avuto, quando dopo appena un
quarto d’ora di viaggio era appesa al fianco della barca, intenta a svuotare il
contenuto del suo stomaco tra le onde, mentre la leggera barchetta veniva
scossa da ogni singola onda.
Ancora
una volta Kakashi si ritrovò a vestire i panni dell’aiutante di ragazze con
problemi di stomaco, dato che sia Denji che Daisuke apparivano altrettanto
provati.
«Perché non ci hai detto che soffri il mal di mare?» le chiese stancamente,
sentendosi come catapultato indietro nel tempo a quando faceva da babysitter a
tre ragazzini, piuttosto che essere a capo di un team di due jonin adulti ed un
ninja medico qualificato.
«Non
ne avevo idea» gemette Nibiki. «Non sono mai stata su una barca.»
Ah.
«È per questo che hai insistito tanto?»
La
ragazza gemette ancora. «Puzza tutto di pesce...»
«Le
barche da pesca in genere sono così.»
Sembrava non aver più nulla nello stomaco da rigettare, quindi Kakashi aprì il
proprio zaino con una mano – mentre l’altra ancora le reggeva i capelli – per
poi estrarne un fazzoletto. «Prendi» le disse, porgendoglielo.
«Grazie»
rispose lei, più docilmente di quanto l’avesse mai sentita fare, mentre si
tamponava discretamente le labbra.
Le lasciò i capelli dandole una pacca compassionevole sulla testa, ma Nibiki
restò aggrappata al bordo dell’imbarcazione per svariati minuti ancora, prima
di sollevare il capo. «È molto più gentile di quanto fosse il mio sensei.»
«Chi
era?»
«Morino
Ibiki.»
«Ah...»
questo spiegava parecchie cose.
«Invidio
molto Sakura» gracchiò.
Ho notato, pensò Kakashi, ma non aggiunse altro.
«Perché
non ha portato lei?» gli chiese, guardandolo. «È un medico migliore di me.
Senza considerare che può scavare un tunnel con un pugno. Quindi... perché io?»
«Non
pensare che ti abbia scelta perché sei speciale. Sakura era impegnata.»
«Non
sembrava esserlo... quando le ha fatto l’occhiolino.»
Kakashi
fissò stoicamente l’orizzonte.
Nibiki
si alzò e sistemò i capelli dietro le orecchie. «Ha sentito che uno dei maestri
jonin va a letto con una studentessa?» chiese.
«Se
tieni gli occhi fissi sull’orizzonte, ti aiuterà a mantenerti in equilibrio e
ti sentirai meglio» la informò.
«Giusto...»
Il viaggio
proseguì tranquillamente.
Nibiki diede di stomaco ancora un paio di volte, fino a quando non le restò
nulla da rigettare, e perfino uno tra Denji e Daisuke si sentì male. Al
marinaio sembrava non importare affatto e proseguì spedito, ma almeno mantenne
la parola data e li lasciò a destinazione cinque minuti prima delle tre.
«La
ringrazio» gli disse Kakashi, mentre sbarcava insieme al team.
Il suo era più un “grazie di essere chi dicevi di essere e non un nemico mandato
ad ucciderci prima che noi stessi uccidiamo i bersagli della missione, e
soprattutto di aver ripristinato la mia speranza nell’umanità di almeno qualche
punto”, ma sarebbe stato un discorso complicato da districare ed aveva fretta. «Andiamo»
chiamò il trio barcollante alle sue spalle. «Camminateci su.»
«Ma
ho fame» si lamentò qualcuno.
«Camminateci
su» ripeté.
«Rimangio
ciò che ho detto» disse Nibiki. «Lei è molto più crudele di Ibiki-sensei.»
«Questo
sì che è un successo. Mi assicurerò che lo scrivano sulla mia tomba» rispose
piccato.
Si
incamminarono ed in breve furono fuori dal porto; una volta imboccato un
sentiero nella foresta, si trovarono a camminare tra santuari diroccati e
piccoli branchi di scimmie che gli tagliavano la strada di tanto in tanto.
Le scimmie erano una vera rarità nel paese del fuoco, ed ovviamente i membri
più giovani del team ne erano incuriositi.
«Non
fissatele» li avvisò Kakashi.
«Perché
no?» chiese Denji, o Daisuke.
Il
grosso scimmione che stava osservando spalancò improvvisamente le fauci
emettendo un forte urlo, per poi avviarsi a grandi falcate verso di loro.
Entrambi i jonin balzarono all’indietro, e Nibiki – lanciando un urletto – si aggrappò al braccio di Kakashi. Ma un attimo
prima di caricarli, la scimmia deviò verso gli alberi e sparì, soddisfatta del
suo bluff.
«Ecco
perché» scherzò Kakashi, scrollandosi gentilmente di dosso Nibiki.
«Questo
posto non mi piace» disse lei, rabbrividendo nello scrutare una grossa statua
coperta di muschio dalle sembianze di una scimmia ghignante, nascosta nell’erba
alta ai lati del sentiero.
«Ti
ci devi abituare» le disse Kakashi. «Potremmo dover restarci per un mese.»
«Sta
cominciando a dispiacermi che Sakura fosse così impegnata, sa?» gli rivolse un’occhiatina complice – che Kakashi
ignorò – ma questa volta Nibiki sembrava restia a far cadere l’argomento. Dopo
aver lanciato uno sguardo alle sue spalle per assicurarsi che entrambi i
ragazzi fossero abbastanza lontani da non sentirla, si piazzò al fianco di
Kakashi e gli sussurrò: «Non sono un’idiota, capitano. So che c’è qualcosa tra
lei e Sakura.»
«Non
mi piace ciò che stai insinuando» le disse Kakashi, con distacco. «La mia
relazione con Sakura è strettamente platonica. Alludere ad altro mina la
fiducia che–»
«Oh,
la faccia finita, non lo dirò a nessuno» ridacchiò.
Kakashi
fece una smorfia.
«Scommetto
che si sta chiedendo come faccio a saperlo–»
«Nient’affatto–»
«Beh,
riflettendo sulla voce che gira da un po’ di giorni, sono solo dieci le persone
a cui può riferirsi; escludendo Ibiki-sensei perché lo avrei saputo se fossi stata io, ne rimangono
nove. La maggior parte di loro è sposata, e quelli che non lo sono, sono troppo
vecchi per i loro studenti. Lei e Sakura formate l’unica coppia possibile, e l’occhiolino
che le ha rivolto fuori l’ufficio dell’Hokage ha confermato i miei sospetti. Quello,
ed il fatto che ha un paio di mutandine con il suo nome sull’etichetta nel
borsellino delle armi. Le ho trovate mentre faceva il bagno.»
Kakashi
sospirò. «Sul serio... non so di cosa tu stia parlando.»
«Va
bene, lo capisco» disse comprensiva, dandogli una pacca sulla spalla. «È giusto
negare. Ma non crede che se avessi voluto dirlo a qualcuno lo avrei già fatto?»
«Forse
vuoi ricattarmi» suggerì lui.
«Ah-hah!» gli puntò un dito contro. «Quindi lo ammette!»
«Ammettere
cosa?» chiese innocentemente.
«Scommetto
che le manca...»
«Nibiki»
la chiamò, stancamente.
«Va
bene, non parlo più».
E
mantenne la parola: in quell’esatto momento un kunai le squarciò la nuca e la
uccise.
Quel
giorno Konoha era avvolta da una nuova ondata di calore sporadico, tipica di
metà estate. Le nubi minacciose erano ormai sparite dietro le montagne,
lasciando il cielo terso, e Sakura stava innaffiando le piante.
Era una calura secca, abbastanza da dormire con la finestra chiusa, ma
sufficiente a far appassire i fiori per la mancanza di pioggia.
Sakura
si sporse oltre il davanzale della finestra per versare un altro bicchiere
d’acqua nel vaso di Mrs. Uno; tutte le altre piante erano ormai morenti, ma
Mrs. Uno era un osso duro, anche se non riceveva di certo cure sufficienti.
Con
un pensiero sfuggevole, si chiese se non fosse il caso di dare un’occhiata alla
controparte di Mrs. Uno, Mr. Ukki. Ora che Kakashi era lontano da casa, la
povera piantina sarebbe stata sicuramente trascurata; il suo sensei sarebbe si sicuramente
rattristato nel trovarla appassita al suo ritorno, come era successo a Miss
Urru dopo averla lasciata a Sasuke per appena una settimana.
Ma controllare Mr. Ukki avrebbe comportato tornare nell’appartamento di
Kakashi, e non le sembrava affatto una buona idea viste le circostanze. Si
sarebbe ritrovata a ricordare l’ultima volta in cui era stata lì, e non voleva
sentire la sua mancanza.
«Hey,
fronte spaziosa!»
«Maialino.»
Lungo
la strada sottostante, Ino ghignava come una iena: petto in fuori e mani
nascoste dietro la schiena, cercava di assumere una posa quasi innocente.
Sakura si chiese se non fosse il caso di rovesciarle addosso l’acqua che le
restava nel bicchiere, giusto per divertirsi un po’.
«Vieni
all’Osservazione dei Fiori Selvatici?» chiese Ino.
«Osservazione
dei fiori selvatici?» fece eco Sakura, confusa.
«C’è
la locandina alla bacheca degli annunci da almeno una settimana. Dio, Sakura,
ultimante hai proprio la testa tra le nuvole.» Ino alzò le braccia verso di
lei, mostrandole due bottiglie che scintillarono al sole. «Se non vieni, ti
perdi tutto il mio sakè!»
Pur
non avendo voglia di osservare altri fiori, Sakura non aveva molta scelta: era
ormai una tradizione, e Inonon se ne sarebbe andata senza di lei.
Sospirò pesantemente e mise da parte lo spray per le pulizie, per poi
raggiungere Ino ed incamminarsi insieme a lei verso il campo d’allenamento
numero 6; era riservato agli studenti dell’Accademia pre-genin, quindi era
quello più intatto.
Quando arrivarono, c’erano già parecchi gruppetti sparsi intorno al laghetto, tutti
impegnati nei loro picnic a base di alcol. Era uno dei pochi giorni all’anno
che gli shinobi avevano per rilassarsi: ufficialmente era un raduno per
osservare i fiori e riflettere sulla natura transitoria della vita; in realtà,
era solo un’occasione per ubriacarsi, diffondere gossip maliziosi e flirtare
spudoratamente con i colleghi – come aveva potuto dimenticarsene?
Beh,
sicuramente aveva avuto ben altri pensieri quella settimana...
«Sakura-chan!
Ino-chan! Vi abbiamo riservato un posto!» Naruto era nel cuore del trambusto,
con gli occhi lucidi e del sakè tra le mani. Accanto a lui, Sasuke sedeva con
gli occhi socchiusi: la solita aura altezzosa era smorzata dalle gote arrossate
– forse dal sole, forse dall’alcol. Sulla stuoia accanto alla loro c’era
radunato il team 8 al completo e al loro fianco il restante team 10.
Ed
andarono tutti al sodo.
«All’estate!»
tuonò Ino, facendo tintinnare la propria bottiglia di sakè contro quelle del
suo team. Sakura cercò di contenersi in principio, ma ogni sua iniziativa fu
interrotta dall’amica che le spinse letteralmente l’altra bottiglia ambrata giù
per la gola, a suon di «Bevi!».
La
conversazione si animò subito, e Sakura vi prestò attenzione per non restare esclusa.
L’argomento corrente – capì poi – era il dibattito su quale fosse lo shinobi
più sexy di Konoha.
«No
comment» fu tutto ciò che Sasuke ebbe da dire.
«Uhm...»
Hinata avvampò, posando gli occhi su qualsiasi cosa non fosse Naruto.
«Sai»
sospirò Ino.
«Tenten»
confessò Kiba, sicuro. «È la migliore coi nunchaku.»
Sakura
si sentì a disagio, quindi acciuffò il primo nome esterno al gruppo che le
passò per la mente. «Il capitano Yamato».
In
risposta ottenne una serie di sputacchi, gridolini e qualche cenno di
confusione. «Che?!» fu il commento
generale.
«C-credo sia dolce» si giustificò, con il viso in fiamme. Se
l’avesse sentita il capitano...
«Ma
se ha degli occhi terrificanti!» protestò Naruto.
«Esprimono
profondità» scattò lei.
«Hah!»
sbuffò Ino.
«Senti
chi parla!» rispose, spostando l’attenzione sull’amica. «Sai è profondo quanto
un lavandino che perde!»
«Oi,
oi, oi!» Shikamaru si
intromise quando fu palese che le ragazze si stavano preparando ad una discussione
che sarebbe culminata con qualche capello in meno.
«Preservatevi
per quando avremo una pozzanghera di fango a disposizione» consigliò Choji, inconsapevole
di aver sventato la rissa attirando su di sé l’odio delle ragazze, ora unite
nell’esasperazione contro il genere maschile.
«Urgh» sospirò la bionda.
«Uomini,
che vuoi farci» concordò Sakura.
«Io
invece credo...» Naruto si puntellò il mento. «Nibiki! Il ninja medico!»
«Ew, cosa?» lo fulminò la sua compagna di team. «Non puoi
essere serio.»
«Sì,
in effetti è piuttosto carina» fece eco Kiba.
«Ma
è grassa» protestò Ino.
«E
con ciò?» chiese Choji.
«Nulla,
nulla» aggiunse in fretta l’amica.
Shikamaru
scosse la testa. «Non è grassa, ha le curve ai punti giusti. Non è affatto
male, credo... Anche se mi pare abbia un caratteraccio.»
«E comunque,
dov’è quella vacca?» chiese Ino, stizzita. «È da un po’ che non la vedo in
ospedale.»
«Kakashi-sensei
l’ha portata in missione» rispose Sakura, a voce bassa.
«Eh?»
Naruto la guardò stralunato. «E perché?»
«Gli
serviva un medico» disse ancora, con un tono ai limiti dell’udibile.
«Se
gli serviva un medico perché non ha portato te?»
La
risposta di Sakura fu così mesta che nessuno poté sentirla.
Ino rise. «O perché fai schifo come medico, o perché gli piace, e in ogni caso
tu – hey!»
«Basta
sakè per oggi» le disse Shikamaru, tenendo la bottiglia mezza vuota fuori dalla
sua portata. «Sei una cattiva bevitrice.»
«Sakura
sa che scherzo» singhiozzò lei. «E poi cosa vuoi che le importi di quello che
pensa Kakashi-sensei? Ha già quel suo fidanzato super segreto che tiene tutto
per sé e non condivide con noi.»
Sakura
raccolse la testa tra le mani, ritrovandosi a sperare che il mondo smettesse di
girare da un momento all’altro. «Ino» chiamò in tono di avvertimento, ma era
già troppo tardi.
«Hey,
ne ho sentito parlare, chi è?» chiese Naruto, e perfino Sasuke aprì gli occhi
abbastanza da osservarla con fare quasi interessato. In effetti, in quel
momento aveva tutti gli sguardi puntati addosso – fatta eccezione per Ino, che
cercava di scavalcare Shikamaru per riavere la sua bottiglia.
«Nessuno»
rispose rigida, cercando di suonare quanto più disinteressata possibile. «Non
ascoltate Ino, è solo ubriaca.»
«Stronzate!»
tuonò l’amica, rinunciando una volta per tutte alla riconquista dell’alcol. «Mi
sono appostata sotto casa tua qualche notte fa, e sei tornata all’alba. Eppure
la sera prima c’eri, ed io lo so perché... Beh, ti ho seguita. Dove hai passato
la notte?»
Sakura
si trovò di nuovo inchiodata dagli sguardi dei suoi amici.
«Ho
fatto una passeggiata prima dell’alba» si giustificò debolmente.
«Anche
qualche notte fa non c’eri» rincarò Sasuke, monopolizzando l’attenzione
generale – era la frase più lunga che avesse pronunciato, quel pomeriggio. «Io
e Naruto siamo passati per ricordarti della revisione di quella mattina, ma non
c’eri. Il tuo vicino ci ha detto che ultimamente passi spesso la notte fuori.
Dove sei stata?»
«Io
– uhm – seppure fossero affari vostri – e
non lo sono! – sì, ho passato qualche notte a casa di una persona, ma è
finita e non mi va di parlarne.» Sakura incrociò le braccia.
«Quindi
ti ha scaricata?» punzecchiò Ino.
«No!»
scattò. «Nessuno è stato scaricato – è stata una separazione concordata.»
Ino
si protese verso Choji e bisbigliò, ma senza alcuna discrezione, «L’ha scaricata.»
«Va
bene, va bene, lasciate in pace Sakura. Se non le va di parlarne, sono affari
suoi» la difese Shikamaru. «Cambiamo argomento e lasciamo da parte il suo
misterioso ex.»
Sakura
sentì un moto di gratitudine verso il suo pigro amico.
«Ad
esempio, secondo voi tra quanto tornerà Kakashi-sensei? E quanto tempo impiega
a sistemarsi i capelli in quella maniera?»
Qualche
dio minore – da qualche parte nel cosmo – si stava prendendo gioco di lei, ne
era sicura.
Quando
le fu permesso di tornare a casa, era ormai stanca e brilla. I suoi amici erano
di certo un bel gruppetto, almeno quando non le imponevano un interrogatorio
serrato, cercando di estrapolarle informazione che avrebbero ferito più loro
che lei. Fortunatamente, la questione “fidanzato misterioso” sarebbe caduta in
fretta nel dimenticatoio; ancora più rapidamente, se si fosse decisa a trovarsi
un ragazzo.
Ma
non le andava affatto.
A meno che non ci fosse stato qualcuno, là fuori, identico a Kakashi.
Arrivò
a casa accaldata e stordita, e filò a letto senza nemmeno spogliarsi. E sebbene
le piacesse la pace e la solitudine, non era lo stesso senza nessuno lì ad
aspettarla. Ed era strano, perché in genere preferiva avere il letto tutto per
sé, soprattutto dopo averlo condiviso con un ragazzo ed aver sopportato il
russare, i piedi freddi e le gomitate.
Ma dividere il letto con Kakashi, sebbene per breve tempo, le era sembrato
naturale: non le aveva mai tirato le coperte – anche perché ne avanzano in
abbondanza, quando si dorme avvinghiati l’uno all’altra – non russava mai, o
almeno mai abbastanza da svegliarla, e se sporadicamente l’aveva sfiorata con i
piedi freddi, non le aveva mai dato fastidio.
Le
mancava.
Soprattutto nei momenti di solitudine come quello.
Si chiese dove fosse, come andasse la missione e sperò con tutto il cuore che
stesse bene. Nel loro mondo, c’era sempre la possibilità che uno shinobi non
facesse ritorno a casa – specialmente durante una missione d’alto rango come
quelle di Kakashi – ma trattandosi di lui e conoscendo le sue capacità, si
impose di restare tranquilla: sarebbe stato un insulto fare altrimenti.
Aveva
fatto bene a troncare la loro relazione.
Era un bene che in quel momento non fosse con lui.
Ed ancor di più il fatto che fosse da sola a letto a rotolarsi tra le lenzuola
piuttosto che farlo con lui in qualche posto esotico, lontano e tremendamente
romantico con il solo calore dei loro corpi a riscaldarli mutualmente.
«Guh...» si lamentò, affondando tra le lenzuola.
Sarebbe
stato terribilmente sconveniente innamorarsi della persona meno adeguata al
mondo...
Sakura
si svegliò al suono di qualcuno che le prendeva a martellate la testa. Il
dolore si posò sugli occhi mentre si metteva a sedere e cercava di ricordare
perché mai fosse andata a letto vestita. Si riprese quanto bastava per alzarsi
e andare a controllare chi bussava alla porta con tanta insistenza.
La
maniglia era l’unica cosa che la reggeva in piedi, mentre si affacciava dallo
spiraglio aperto. «Sì...?» chiese, confusa.
«C’è
bisogno urgente di lei all’ospedale, Sakura-san» un
paramedico.
Sakura
si raddrizzò e si passò una mano sulla faccia. «C’è un emergenza?»
«Il
team Kakashi è tornato» le rispose cauto il collega. «Ci sono state... vittime.»
La
mano di Sakura cadde esanime lungo il corpo. «Oh» disse. «Lui...?»
«Non
lo so» le rispose dispiaciuto. «Deve venire subito.»
«Sì.
Giusto. Uhm. H-ho bisogno delle scarpe. Dovrei
cambiarmi? No... no... scarpe... dove sono le mie scarpe?» Esitò per un
istante, insicura sul come agire. Indossò uno stivale ed un sandalo, poi si
rese conto dell’errore e lasciò il sandalo per infilare l’altro stivale. Si
voltò di nuovo verso l’appartamento e si chiese se fosse il caso di portare un
cambio –
Kakashi potrebbe essere in fin di vita,
stupida!
La
sua mente offuscata individuò un nuovo obbiettivo e scosse la testa. «Sono
pronta» disse, sorpassando il paramedico con una fretta tale da urtarlo,
dimenticando addirittura di chiudere la porta.
Corse
talmente tanto da avere l’impressione di volare lungo le strade, tagliando per
ogni scorciatoia conosciuta e scaraventando via qualsiasi cosa la intralciasse,
fossero tubi, persone o palazzi. Arrivò all’ospedale in pochi minuti,
schiantandosi contro le porte e lasciando strisciate con gli stivali sui
pavimenti lucidi. Urtò almeno un paio di infermiere nella fretta di raggiungere
il reparto emergenze, e nel momento esatto in cui arrivò, Shizune la tirò per
un braccio.
«Dammi
una mano, svelta!» la spinse verso una barella su cui giaceva un uomo
mortalmente pallido. Una ferita profonda all’addome sanguinava copiosamente.
Ma
non era Kakashi.
«Dov’è
Kakashi-sensei?» chiese Sakura.
Shizune
scosse la testa. «Quest’uomo faceva parte del team Kakashi. Curalo, ora.»
Non
era in posizione di negarsi, né avrebbe potuto andare a cercare Kakashi sebbene
lo volesse. Non era nella sua natura lasciare morire un uomo, a prescindere da
quali fossero le sue priorità. Nonostante i postumi, nonostante il timore che
Kakashi fosse già morto e stessero solo evitando di dirglielo, nonostante
avesse l’urgente bisogno di una doccia ed un cambio di vestiti, si mise a
lavoro e cominciò a pompare il proprio chakra nel sistema danneggiato del suo
paziente.
Profonde
ferite allo stomaco e al fegato... Era ad un passo dalla morte. Aveva perso
troppo sangue ed altri tre medici cercavano di tenerne vivo il battito.
Si chiese se anche Kakashi fosse nelle stesse condizioni, poi chiuse gli occhi
e si disse che se avesse voluto salvare la vita di quell’uomo, avrebbe dovuto
sgomberare la mente da Kakashi.
Il suo paziente aveva diritto a non meno della sua piena attenzione.
Lentamente,
le lacerazioni presero a richiudersi. Le membrane intrise di sangue si
ricucirono e la pelle prese a rigenerarsi.
Solo quando Shizune le diede una pacca sulla spalla capì che poteva fermarsi.
Non era completamente guarito, ma ormai aveva solo bisogno di sangue e non era
qualcosa che il chakra avrebbe risolto.
«Ottimo
lavoro» disse Shizune, impressionata. «E anche rapido. Tsunade ne sarà felice,
ma conserva le energie. C’è qualcun altro che ha bisogno di cure.»
Sakura
fu guidata lungo il reparto fino ad un’altra barella sulla quale giaceva disteso
a pancia in giù un uomo; una ferita profonda gli squarciava la schiena. Era già
stata pulita accuratamente da un’infermiera, che all’arrivo di Sakura si fece
da parte per lasciarla al suo lavoro. Ancora una volta il viso di Kakashi si
sovrappose all’immagine che aveva davanti, facendole avvertire tutta la
frustrazione del non sapere dove fosse né come stesse.
Concentrò
le sue energie sulla ferita del paziente e chiuse gli occhi; era solo
superficiale, profonda ma non fatale: nessun organo vitale era stato colpito e
per fortuna i nervi erano ancora tutti intatti. Non le ci volle molto per
guarirla completamente, ed appena ebbe terminato, si rivolse a Shizune con uno
sguardo risoluto. «Dov’è Nibiki? Avrebbe dovuto occuparsene lei.»
Ed
in quel momento capì.
Nibiki era un bravo medico e non avrebbe mai permesso ai suoi compagni di
tornare a casa in quelle condizioni.
Shizune
sembrò esitare per un istante. «Nibiki è morta, Sakura.»
Non
c’era molto da aggiungere.
Sakura sentì un nodo formarsi alla base della gola e si rese conto che le
tremavano le mani.
Le chiuse a pugno e deglutì. «Dov’è Kakashi-sensei?»
Shizune
indicò con un cenno del capo la porta di una stanza privata, appena fuori dal
reparto. Senza neanche voltarsi, Sakura vi si avviò.
«Aspetta
– no – Sakura, non puoi entrare ora–»
Sakura
spinse la porta ed entrò senza pensarci due volte, con il cuore da qualche
parte in gola.
Nella
camera, due paia d’occhi si voltarono per la sua improvvisa apparizione. Lui sedeva sul bordo di un lettino,
con addosso una maglia lacerata ed un braccio fasciato, ma indubbiamente in
buone condizioni.
Ma non aveva il copri fronte, e quando si voltò a guardarla l’unico occhio
visibile era rabbuiato e vuoto. Quello sguardo le fece dubitare che stesse
bene.
Sembrava
a pezzi.
«Sakura,
esci» le ordinò Tsunade.
Sakura
guardò ancora Kakashi, ma lo sguardo di lui scivolò sul pavimento. In quel
momento, lasciarlo era l’ultima cosa che voleva fare.
«Sì,
maestra. Scusi, maestra. Sensei.» Si inchinò profondamente in segno di scusa e
sparì velocemente.
Ancora
una volta trovò Shizune, la quale le offrì un sorriso triste ed una pacca sulla
spalla prima di tornare dai feriti.
Sakura prese a camminare su e giù per il corridoio, chiedendosi cosa fare oltre
a torturarsi le mani, in ansia come un parente in una sala d’attesa.
Non
ci volle molto prima che la porta si aprisse di nuovo e Tsunade la
raggiungesse. «Ha ancora qualche lacerazione alla schiena che ha bisogno di
essere curata. Puoi occupartene tu. Io devo informare la famiglia di Nibiki...»
Sentì
un peso sul cuore. Era sempre difficile accettare una perdita, sebbene nel loro
mondo capitasse spesso. Qualche volta qualcuno che conosci, la maggior parte
delle volte qualcuno che non conosci, ed occasionalmente perfino qualcuno che
non ti stava affatto simpatico. Eppure, era strano per lei pensare che non
avrebbe mai più rivisto Nibiki; non invidiava affatto il compito di Tsunade.
Ma
ciò che davvero la preoccupava era il fatto che fosse capitato sotto la guida
di Kakashi. Per quanto ne sapesse, non aveva mai perso un subordinato, era
sempre stato così attento alla salvezza dei suoi compagni di team...
Sakura
entrò di nuovo nella stanza – stavolta più discretamente – e richiuse
dolcemente la porta alle sue spalle. Kakashi sedeva ancora sul letto, troppo
impegnato ad osservare il pavimento per accorgersi di lei, e per un attimo
Sakura si sentì insicura: non sapeva cosa fare, né cosa dire per alleviare il
suo dolore; non sapeva nemmeno se Kakashi apprezzasse la sua presenza in quel
momento. Era indecisa tra l’assumere un atteggiamento professionale e curare le
sue ferite come con qualsiasi paziente, o comportarsi amichevolmente e provare
a guarire anche le ferite che non vedeva.
Mosse
un passo cauto verso di lui e Kakashi sollevò il viso come se si fosse appena
accorto di lei. Qualcosa nel suo sguardo si addolcì e le tese una mano, ed
improvvisamente tutte le sue incertezze svanirono e seppe esattamente cosa
fare. Senza un attimo di esitazione, afferrò la sua mano e lo strinse in un
caldo abbraccio, facendo attenzione a non ferirlo.
Per
buona pace dei loro accordi.
Kakashi
poggiò il mento sulla sua spalla e Sakura poggiò la testa sulla sua.
Sospirarono insieme per il sollievo di riavere il contatto fisico che si erano
negati per una settimana intera e non sembrò esserci altro da dire. Le parole
non bastavano ad esprimere ciò che quel semplice tocco diceva. Ciao. Come stai? Sono felice che tu sia
vivo.
Riluttante,
Sakura interruppe l’abbraccio per guardarlo in viso e prese ad accarezzargli i
capelli, mentre Kakashi chiudeva gli occhi, godendo del suo tocco. Districò con
cura le ciocche con le dita, mentre una mano di lui restava poggiata dolcemente
sul suo fianco.
«Nibiki è morta» le disse laconico, spezzando il silenzio ma non l’atmosfera.
«Mi dispiace.»
«Perché
ti scusi?» gli chiese tristemente. «Non è colpa tua.»
Kakashi
aprì l’occhio destro, ma non la guardò.
Sakura
tirò delicatamente una ciocca di capelli per livellare i loro sguardi. «Non è colpa tua, hai capito?» ripeté con
più decisione.
L’occhio
che la guardò era vuoto ed indecifrabile. «C’è stato un imboscata poco dopo
essere arrivati su una delle isole Yura. Hanno mirato
direttamente al ninja medico. È una tattica sempre più comune, privare il
nemico del supporto medico. L’hanno colpita con un kunai alla nuca ed è morta
sul colpo.»
Le
mani di Sakura si poggiarono sulle ginocchia di Kakashi; si morse le labbra e
trattenne le lacrime che sentiva pizzicarle gli occhi.
«Erano
in otto. Siamo riusciti solo a costringerli alla ritirata ed ho dovuto usare il
rotolo del teletrasporto di emergenza per salvare Denji. O Daisuke.
Probabilmente entrambi.» Una nuova ondata di biasimo sembrò posarsi sulle sue
spalle. «Ho dovuto lasciarla lì, Sakura. È già stata inviata una squadra di
recupero per riportare il suo corpo a casa, ma impiegheranno almeno una
settimana per trovarla. Dubito rimanga qualcosa da riportare, fino ad allora.»
«Non
è colpa tua» ribadì. «Hai fatto la cosa giusta in base alle circostanze.»
«Potevi
essere tu.»
Gli
occhi di Sakura saettarono verso i suoi, ma lo sguardo di Kakashi restava
basso. «Non essere sciocco» lo rimproverò. «Non potevi saperlo.»
«Se
avessi accettato la missione, sarebbe il tuo corpo a giacere abbandonato sul
sentiero di una foresta lontana» disse stancamente.
«Cosa
ti salta in mente?» chiese, rabbiosa. «Non sono morta, sono qui con te. Perché
preoccuparsi di qualcosa che non è successo? Nibiki è morta, ed è triste... Ma
io non sono come lei, sensei. Per favore, prendine atto.»
Aggirò
il letto e si posizionò alle sue spalle. «Ora, Tsunade dice che hai delle
ferite alla schiena. Devo sollevarti la maglietta per guarirti.»
Della
maglietta in questione non restava ancora granché: la maggior parte del tessuto
che copriva la schiena era stato strappato e lasciava la pelle ferita e sporca
esposta. «Una lunga scivolata, si direbbe.»
Facendo
molta attenzione, sollevò la stoffa restante e chiese a Kakashi di tenerla
ferma sulle spalle; si mise subito a lavoro e pulì le ferite con un unguento
disinfettante. Era una procedura piuttosto dolorosa, ma Kakashi non sussultò
nemmeno una volta: solo occasionalmente tratteneva il fiato, quando tirava via qualche
scheggia rocciosa.
Disinfettati
i tagli, prese a medicarlo con il chakra. Si prese i suoi tempi, concentrandosi
per fare del suo meglio per lui, ma aveva speso già troppe energie per i
pazienti precedenti e dovette costringersi a fermarsi quando la pelle si fu
appianata. Era ancora arrossata e raggrinzita in qualche punto, ma non poteva
fare di più al momento.
Sbuffò
per la stanchezza e la frustrazione, poi poggiò le mani sul materasso. «Ecco
fatto» sussurrò.
Kakashi
lasciò cadere la maglietta e si alzò, stiracchiando le spalle. «Grazie» le
disse, distratto. «Non fa più male.»
Si
voltò verso di lei e cadde un silenzio imbarazzante. Sakura chiamò a raccolta
le ultime forze per raddrizzare la schiena e mise su un sorriso forzato. «Suppongo
che sei libero di andare, allora» disse, cercando di smorzare la tensione con
finta allegria.
Kakashi
prese un respiro e per un attimo sembrò voler dire qualcosa di profondo e
significativo... Ma all’ultimo cambiò idea e sbuffò solo un: «Sì, certo». Poi
raccolse la giacca ed il coprifronte e si avviò.
Qualcosa dalle sembianze di un fazzoletto gli scivolò dalla tasca.
«Kakashi-sensei?»
lo chiamò, ma non si fermò.
Uscì
dalla stanza e per poco non si schiantò contro Shizune, che al contrario stava
per entrare. Le mormorò qualcosa che Sakura pensò essere una scusa e poi sparì.
«È
il primo compagno che perde in cinque anni» la informò Shizune. «Non dev’essere
facile per lui. Volevo fargli sapere che Denji e Daisuke stanno bene, ma credo
non avrebbe fatto molta differenza. Povera Nibiki... Era una delle migliori.
Mancherà a tutti.»
Sakura
sospirò. «Credo andrò a casa» disse, stanca.
«Certo.
Scusa per averti trascinata qui a notte fonda.»
«No,
nessun problema.»
Sorrise dolcemente e si ravvivò i capelli in disordine. Sorpassò Shizune per
avviarsi, ma prima di uscire dalla stanza si voltò a chiederle: «Credi che
starà bene?»
Shizune
strinse le labbra. «Hatake Kakashi non è mai stato bene fin da quando era
bambino. Non mi preoccuperei troppo se fossi in te, se ne farà una ragione.»
Sakura
non era sicura di aver capito, ma annuì lo stesso e se ne andò a casa.
Per la seconda volta, quella notte, tornò in un letto vuoto; ma almeno si
ricordò di togliersi i vestiti.
Pensò
a Nibiki; alla bella, vanitosa e sfortunata Nibiki il cui corpo giaceva
abbandonato lontano da casa. Rabbrividì e si chiese se le cose sarebbero andate
diversamente se ci fosse stata lei al suo posto. Kakashi sarebbe rimasto così
affranto dalla sua morte? Gli era di sicuro passato per la mente, e la cosa la
confondeva.
Perché
sembrava così colpito dall’idea che potesse esserci lei al posto di Nibiki?
Possibile
che a Kakashi importasse di lei molto più di quanto immaginasse?
Era
curioso.
Avrebbe potuto giurare di aver visto qualcosa cadere a Kakashi, quando l’aveva
incrociato.
Qualcosa che somigliava ad un fazzoletto di stoffa pregiata, da come aveva
intravisto, e Shizune aveva intenzione di raccoglierlo e conservarlo nel caso
fosse tornato a riprenderlo; ma dov’era?
Da
quando Sakura l’aveva salutata, Shizune gattonava sul pavimento lucido alla
ricerca del pezzetto di tessuto. Non era dietro la porta, né sotto al letto. Si
accigliò, infilando il braccio sotto al macchinario per la defibrillazione. «Ah-hah!» esclamò, afferrando il fazzoletto latitante, per
poi scuoterlo per ripulirlo dalla polvere.
«Oh,
santo cielo...» Spalancò gli occhi quando si rese conto di avere tra le mani
delle mutandine da donna. Si morse le labbra per trattenere un sorrisetto
allegro e le esaminò. Cosa diavolo poteva mai farci Kakashi con quelle? O aveva
un’amica speciale, o un hobby piuttosto insolito.
Erano
mutandine piccole, fini e delicate; di sicuro costose, ed anche piuttosto
scomode. Shizune aguzzò la vista quando notò un nome impresso nell’etichetta.
Appartenevano di sicuro a qualcuno che frequentava spesso le terme, o le cui
abitudini dell’Accademia erano dure a morire. Le avvicinò agli occhi per
distinguere i caratteri del nome...
...e
le si gelò il sangue nelle vene.
«Oh...
santo cielo...»
Ci
ho provato in tutti i modi a farmelo piacere, ma niente: non mi soddisfa.
Ma è passato troppo tempo dall’ultimo aggiornamento ed era ora. Sorry! 💕
Nei momenti difficili, Kakashi sapeva sempre su
chi contare. Quando il mondo sembrava andare a pezzi e i vecchi errori parevano
perseguitarlo ancora, c’era almeno un paio di orecchie che l’avrebbe ascoltato
senza giudicarlo. Qualcuno con cui poteva confidarsi in totale sincerità.
In quel ventoso mattino dal cielo plumbeo,
Kakashi se ne stava di fronte al monumento funebre con le spalle ricurve e lo
sguardo basso, incurante delle folate che gli scompigliavano i capelli. C’erano
almeno un centinaio di nomi di fronte a lui, ma i suoi occhi – come sempre –
restavano fissi sull’unico che contava davvero.
«Ne ho persa un’altra» confessò. «E quindi
presto avrai una nuova amica, laggiù. La lista si allunga, vero? Forse un
giorno dovranno ingrandire il monumento, grazie a me.»
Spostò lo sguardo sul laccio blu che gli reggeva
il braccio sul petto.
Con fare pensieroso, flesse le dita. «Vado a letto con la mia allieva.»
Le parole restarono sospese in aria come fossero
state uno scherzo di cattivo gusto. Chiuse gli occhi e, pur essendo solo, si
sentì come se il mondo per un attimo si fosse fermato a guardarlo. «O almeno,
ci andavo» riprese. «Ma resta il fatto che è successo.»
Spostò il peso del corpo sulla caviglia che non
si era slogato durante il combattimento del giorno precedente. «Credo di essere
nei guai, Obito. Guai molto seri. Sono andato a letto con l’unica ragazza che
non avrei mai dovuto toccare, e lei non è come le altre. Lei è così pura…»
Poi ridacchiò. «E sta facendo del suo meglio per liberarsi di me.»
Un’altra folata di vento gli soffiò polvere e
foglie secche sul viso e dovette schermare gli occhi per proteggerli; forse,
Obito, stava cercando di mostrargli il suo disgusto.
«Non sono riuscito a smettere di pensare a lei
per sette giorni interi. E non è normale, vero? E quando quella ragazza è
morta... Non ho fatto altro che chiedermi come sarebbero andate le cose se lei
avesse accettato, o se io avessi insistito di più, o se non l’avessi bocciata all’esame
jonin e lei non avesse cominciato a dubitare di noi... La mia allieva sarebbe morta…
La mia Sakura… So che questo mi rende l’uomo più egoista al mondo, ma è la pura
verità. E se penso alla morte di Sakura, rabbrividisco. Non riuscivo a pensarci
ieri, né riesco a farlo ora. Sono sicuro che non potrei accettarlo. È una cosa
che non riesco neanche ad immaginare. Quando l’ho vista all’ospedale aveva un
aspetto orribile, Obito. I capelli arruffati, puzzava di sakè e credo non si cambiasse
da un po’. Ma non riuscivo a lasciarla andare. E questo non è normale... vero,
Obito?»
Il campo era immerso nel silenzio, perfino il
vento sembrava morto.
«Cosa mi diresti, se fossi qui?» chiese ancora,
con un filo di voce. «Cosa devo fare?»
«Shizune, che hai alla bocca? Non avrai mica mangiato
noccioline a colazione?»
«Cosa? Oh, no, non è nulla, Tsunade-sama.»
Shizune smise forzatamente di mordersi le labbra e si concentrò sui fogli
davanti a sé.
«Se non sono le noccioline, allora c’è qualcosa
che ti preoccupa. E in genere il gonfiore del tuo labbro è direttamente
proporzionato alla grandezza del problema.» Tsunade alzò lo sguardo dalla
scrivania e scrutò attentamente l’assistente oltre l’orlo degli occhiali. In
momenti come quello, la saggezza della sua vera età scavalcava il suo giovane
corpo e dimostrava quanto anziana fosse in realtà. «E direi che è un problema
bello grosso. C’è qualcosa che dovrei sapere, Shizune?»
«Uhm...» si portò i capelli dietro le orecchie.
«Non è niente, Tsunade-sama.»
«Qualcuno ha imbrogliato con i conti?»
«No.»
«Non mi avranno mica trovata gli strozzini?!»
«Oh, no!»
«Qualcuno che conosciamo ha fatto qualcosa di
tremendamente stupido?»
Shizune deglutì rumorosamente. Bingo. «Ovviamente
no, Hokage-sama» rispose, quanto più naturalmente possibile. «Il gatto del mio
vicino ultimamente si è ammalato.»
«E questo che diavolo c’ent–»
«Ci sono molto affezionata, Hokage-sama.»
Tsunade sospirò e alzò gli occhi al cielo. Ad
ognuno il suo, sembrò dire la sua scrollata di spalle. «Devi portare
qualche campione al laboratorio» riprese dopo un attimo. «Di’ che ne ho bisogno
entro oggi e non dargli pace fino a quando non avrai i risultati.»
«Sì, Hokage-sama.»
Shizune posò la penna e raccolse i campioni che Tsunade le sbarcò addosso.
Mentre si dibatteva nel tentativo di aprire la porta con entrambe le braccia
occupate, la voce tagliente dell’Hokage la raggiunse, pietrificandola.
«Shizune» la chiamò lentamente, osservandola con fare indagatore. «Se scopro
che mi stai nascondendo qualcosa, saranno guai… Lo sai, vero?»
Un brivido percosse la schiena di Shizune. «Lo
so bene» borbottò, poi si affrettò ad uscire dall’ufficio prima di farsi
scappare qualcosa.
Non aveva senso alzare un polverone per un suo
semplice sospetto.
Apparentemente, un paio di mutandine erano scivolate dal portaoggetti di
Kakashi Hatake; caso volesse che su quelle mutandine fosse impresso il nome di
Sakura Haruno, ma cosa dimostrava esattamente? Poteva trattarsi di uno scherzo,
forse a Konoha c’era un’altra Haruno Sakura, o forse quelle mutandine non erano
cadute a Kakashi, ma più semplicemente le aveva perse la stessa Sakura.
«Perché a me?» piagnucolò. In casi come quello,
beata ignoranza!
Se solo non si fosse messa a cercare quello stupido “fazzoletto”, non si
sarebbe ritrovata con quel conflitto interiore.
Discesi tre piani, raggiunse il laboratorio
degli esami e venne accolta dalla timida Hinata Hyūga.
«Shizune-san», mormorò arrossendo. «Posso aiutarla?»
«L’Hokage ha bisogno di qualche test su questi
campioni» spiegò, passando le provette. «Gli esami sono tutti elencati qui,
quelli sono i campioni, e mi è stato ordinato di restare fino a quando non
comincerete, e cioè adesso.»
«Oh... uh... capisco.» La poverina sembrava
ragionevolmente in difficoltà. «Ma abbiamo ancora un sacco di lavoro da–»
«Tsunade dice di pensare prima a questo» rispose
atona.
Hinata, ormai pallida come un lenzuolo, annuì.
«Okay... V-vedrò cosa posso fare. Aspetti qui, per favore.»
Le diede le spalle e sparì di corsa nel
laboratorio. Shizune lanciò un’occhiata fugace alla sala d’attesa, conscia del
fatto che i tecnici di laboratorio avrebbero impiegato non meno di mezz’ora per
avere pronti i risultati.
Non c’erano riviste da leggere, né
qualcuno con cui chiacchierare e nemmeno un poster da guardare. Sospirò pesantemente
e si lasciò scivolare contro il muro, mentre medici e infermieri le
sfrecciavano davanti. Di fronte a lei, dall’altro lato del corridoio, c’era la sala
di sicurezza.
La
porta era aperta e Shizune riusciva a scorgere un addetto che vigilava i
monitor e teneva sott’occhio tutto l'ospedale. C’era una telecamera in ogni
stanza, installata durante l’ultima guerra, quando ogni paziente poteva essere
una spia nemica.
Ormai, in quei tempi di pace, venivano usate solo per scoprire chi rubava il
budino dalle scorte della mensa.
Che,
per la cronaca, era Hari del reparto pediatria.
Qualche
volta aveva sentito dire che le registrazioni della sorveglianza erano state vendute
ai bassifondi della società. Una giornata in ospedale spesso racchiudeva ogni
aspetto della vita: per la maggior parte era la morte, occasionalmente una
nascita, ma ciò che più interessava quel tipo di gente era il sesso. E
nonostante fosse risaputo che ogni stanza dell’ospedale fosse sorvegliata, ciò
non bastava come deterrente per qualcuno – che fosse per dimenticanza o
semplice noncuranza.
Shizune
scattò in piedi, colta da un’illuminazione.
Era
proprio quello il modo in cui avrebbe potuto confermare o smentire i suoi
sospetti su Sakura e Kakashi! Erano rimasti insieme da soli nella stanza
d’ospedale in cui aveva trovato le mutandine per almeno un quarto d’ora. Se ci
fosse davvero stato qualcosa tra di loro, le telecamere lo avrebbero saputo di
certo.
Si
lasciò alle spalle il laboratorio e si avviò a passo svelto verso la sala di
controllo. L’unico uomo all’interno della stanza aveva entrambi i piedi
poggiati sul pannello di comando e una scatola di dolciumi sul grembo, dalla
quale tirava fuori qualche snack con fare annoiato. Era troppo occupato a
spiare ciò che sembrava essere una lite familiare sullo schermo 6-F per
notarla.
«Ahem»
Shizune si schiarì la voce, facendo sobbalzare l’altro. «Watanabe ti vuole
nell’atrio.»
L’uomo
la fissò. «E chi sarebbe Watanabe?»
«Non lo so, puoi chiederglielo tu
quando lo vedi», rispose.
«Ma non posso lasciare la postazione», la
informò, incerto.
«Sembrava piuttosto urgente, sai?
Diceva che è per tua madre.»
«Mia madre?! Oddio, non di nuovo…»
Si prese la testa tra le mani con fare disperato. «Non è che potresti restare
qui fino a quando torno?»
«Ma
certamente», annuì, mentre l’altro la superava. «Ah, e se non lo trovi nell’atrio,
dice di cercarlo in radiologia! O magari in mensa!»
Quel
piccolo diversivo l’avrebbe tenuto occupato per un po’.
Ormai
sola, Shizune si tuffò sulla sedia lasciata libera e cercò di capire quale
fosse la funzione di tutti i tasti che aveva davanti. Le ci volle un po’ per constatare
che la manopola in alto comandava le telecamere del piano terra, mentre tutti i
pulsanti sotto quella corrispondevano a quelle del muro alle sue spalle.
Dopo
un bel po’ di tentativi, finalmente riuscì a selezionare la stanza in cui era
stato trasportato Kakashi il giorno prima, proprio accanto al reparto
emergenze. Pigiò il pulsante corrispondente alla telecamera di quella stanza ed
immediatamente la visuale si espanse sul largo schermo al centro. Dopo ancora
qualche tentativo e con le labbra ormai consumate dai morsi, trovò il comando
che avrebbe riavvolto i nastri.
Con il cuore ormai in gola, osservò attentamente il flusso
di infermieri e inservienti che svolgevano le loro mansioni a velocità
innaturale.
E
dopo aver visto un paziente vomitare al contrario, Shizune si rese conto che
avrebbe vissuto lo stesso anche senza sapere nulla di Sakura e Kakashi.
E
alla fine, centro! Armeggiò ancora una volta con i tasti e riportò
frettolosamente la velocità alla normalità. C’erano Tsunade e Kakashi nella
stanza, di notte. Lui aveva il capo chinato e Tsunade gli stava fasciando un
braccio. Shizune si accigliò e saltò quella che sembrava essere una
conversazione privata.
Si
fermò quando sullo schermo comparve Sakura che irrompeva nella camera. Lei
stessa era proprio dietro quella porta, in quel momento, e con il senno di poi
la reazione di Sakura le era sembrata piuttosto accorata. Certo – si era detta
– probabilmente era nella sua natura preoccuparsi così tanto di ogni suo
compagno di squadra, ma alla luce dei fatti quella sua preoccupazione era un
altro tassello da aggiungere al sospetto di Shizune.
Sakura
fu congedata rapidamente, e Shizune resettò la velocità fino a quando Tsunade
non uscì dalla stanza, dando alla sua apprendista il permesso di entrare; a
quel punto, riprese ad osservare la scena con curiosità.
Sullo schermo c’era Sakura che esitava
sull’uscio della porta per qualche istante: gli stava parlando? Dava le spalle
alla telecamera, rendendo impossibile a Shizune capirlo.
Poi
lei fece un passo avanti, lui alzò lo sguardo e le tese una mano; subito lei si
sporse per afferrarla e poi…
E
poi si abbracciarono. Non da amici, non come maestro e allieva: si
abbracciavano come amanti.
Shizune scattò in piedi e distolse lo
sguardo, sopraffatta dalla paura e dalla preoccupazione.
Forse
si sbagliava, forse Sakura era una persona più affettuosa di quanto pensasse e
quell’abbraccio non significava niente.
Tornò
con gli occhi sullo schermo ed ora i loro visi erano vicini, troppo vicini.
E un’allieva non avrebbe mai accarezzato i capelli del proprio maestro in quel
modo, no? E i maestri non accarezzavano i fianchi delle proprie allieve come se
fosse una cosa normale, no?
Incapace
di guardare oltre, Shizune schiacciò il tasto di stop e si prese la testa fra
le mani.
«Oh
dio… perché a me?» piagnucolò.
Ovviamente,
ora che i suoi sospetti erano stati confermati, la cosa più giusta da fare
sarebbe stata andare a riferire tutto all’Hokage: una tale infrazione del
codice di condotta era considerata una cosa piuttosto seria, e sarebbero potuti
arrivare alla corte marziale, agli arresti domiciliari o addirittura all’esilio.
Shizune non aveva affatto scherzato nel dire che l’ultima volta che c’era stato
un caso del genere si era arrivati a proporre l’esecuzione. La legge proibiva
quel tipo di rapporto tra maestri ed allievi. Certo, era una legge piuttosto antica
– sebbene ancora in vigore – ed era stata approvata ai tempi in cui la castità
di una giovane donna era ritenuta di proprietà del padre, ed usurpare quella proprietà
era uno dei peggiori crimini che un uomo potesse commettere nei confronti di un
altro. La legge non era cambiata affatto nel tempo, dato che casi come quelli
erano piuttosto rari.
Ma
alla fine, erano davvero affari suoi? Sakura era una donna ormai, e non più una
ragazzina; e poi a suo padre della sua castità importava ben poco, visto quanto
sembrava tenerci a Sakura stessa. Ciò che la sua collega decideva di fare e con
chi erano solo affari suoi, e quella stupida legge era assurda, antiquata ed
arcaica.
Ma…
Da quanto andava avanti quella relazione? Un anno? Due? E se ci fosse stato
sotto qualcosa di più grave? Kakashi era una bella persona e Shizune gli era
molto affezionata… No, non si sarebbe mai approfittato della sua studentessa in
quel modo, rifiutava fermamente quell’idea… Ma se fosse stato così? Dopotutto, era
sempre stato un uomo molto eccentrico…
Assalita dai dubbi, poteva solo restare
bloccata a guardare quello schermo, sul quale ora vedeva le mani di Sakura che
accarezzavano le ginocchia di Kakashi: non sembrava costretta né minacciata,
anzi, appariva solo come una donna che cerca di dare conforto ad un amante
ferito.
Forse
era semplicemente così.
«Shizune-san,
i risultati dei test sono pronti.»
Hinata
era alle sue spalle.
Shizune
sobbalzò voltandosi verso di lei, cercando goffamente di coprire lo schermo con
il corpo, non considerando che Hinata possedesse il Byakugan e che potesse
tranquillamente vedere anche attraverso i muri. La ragazza, dal canto suo, si
guardava intorno spaesata chiedendosi cosa avesse fatto spaventare Shizune fino
a quel punto.
Ed
era troppo tardi ormai.
Gli occhi violacei sgranarono alla vista dello schermo, contro il quale puntò
un pallido dito. «M-ma quelli non sono Sakura-san e Kakashi-sensei…?»
bisbigliò.
Shizune
sprofondò nella sedia. «Sì.»
Hinata
impallidì. «Sono molto vicini», constatò con una risatina nervosa. «Uhm… In
genere sono così affettuosi l’una con l’altro?»
Forse
era una scelta egoistica, forse anche sbagliata, ma a Shizune non andava
affatto di portare quel peso da sola. Inoltre, il bisogno di spettegolarne con
qualcuno faceva parte del suo istinto femminile e non era affatto semplice
trascurarlo. «Ieri notte ho trovato queste», confessò, scavando nelle tasche
per tirarne fuori le mutandine in pizzo. «Sono cadute a Kakashi… E appartengono
a Sakura.»
Il
viso di Hinata assunse il colore di una barbabietola. «M-ma perché dovrebbe–»
«Perché
guardali!!QQ!WEDdg!w!!dd»
Shizune indicò lo schermo. «Gua-rda-li!»
Hinata
li guardò, ma restò di gesso. «Shizune-san, che succede?» chiese calma, cercando
di restarne fuori.
«Purtroppo
credo…» Shizune sospirò: dirlo lo rendeva reale. «Credo che Sakura abbia una
relazione con Kakashi. Ecco cosa succede.»
I
monitor in bianco e nero sfarfallarono per un secondo, come fossero stati un
paio di occhi che guardavano le due donne in completo silenzio nella stanza
buia. Hinata fissò il pavimento. «Avrebbe senso, Shizune-san. All’esame jonin
ho notato che quando erano nella stessa stanza, si comportavano in modo del
tutto innaturale… E poi i loro cuori battevano all’impazzata… Suppongo che–»
«Oh
no!» Shizune si prese la testa tra le mani. «L’esame! Kakashi era uno degli
esaminatori di Sakura e se si frequentavano già allora… Allora… Oh cielo, non
va affatto bene.»
«Non
va affatto bene?!» ripeté Hinata, ormai sotto shock. «Quanto grave è la
situazione?»
A
quel punto, era impossibile da constatare. Shizune poté solo scuotere la testa
e mormorare: «Tantissimo».
Ed in quel momento prese la sua
decisione.
Si
voltò verso Hinata e – prendendo le sue mani tra le proprie – la guardò con
serietà mortale. «Hinata, dobbiamo giurare solennemente che questa cosa resterà
tra di noi. Siamo a conoscenza di informazioni molto, molto pericolose. Il tipo
di informazioni che può rovinare la vita delle persone. Questa cosa non deve
uscire da qui.»
«Ma… È contro le regole,» sussurrò Hinata.
«Non voglio denunciare Sakura o Kakashi-sensei, ma sono le regole! Saremo
in un mare di guai se ci scoprono!Qggwded»
«Sarebbe
nulla in confronto ai guai a cui andrebbero in contro loro. Non riuscirei a
farlo neanche volendolo. Tu sì?»
Hinata
singhiozzò, ormai sull’orlo delle lacrime – soprattutto perché Shizune le stava
stritolando le mani. «No», asserì infine. «Non potrei mai.»
«Fingi
di non aver visto né sentito nulla», le disse Shizune, nascondendo di nuovo le
mutandine in tasca. Poi pigiò il tasto “elimina” e sentì una vampata di
sollievo quando l’immagine dei due amanti fu sostituita da una grossa scritta
che riportava “registrazione eliminata”.
«Shizune-san,
non mi sento bene», ansimò Hinata.
Forse era stato un errore dirglielo: la
sua coscienza sarebbe stata tormentata molto più rispetto a quella di Shizune.
Ma
confidava nel fatto che avrebbe mantenuto il segreto.
«Qualsiasi
cosa accada, non dire nulla, Hinata», la avvisò.
«Non
dire cosa?»
Quella
era praticamente l’ultima persona al mondo che Shizune avrebbe voluto vedere in
quel momento. Sia lei che Hinata si voltarono in direzione della porta, dove comparve
l’esile figura di una ragazza dai capelli rosa.
«S-Sakura!»
strillò Shizune. «Oh – uh – che ci fai qui?»
L’ultima
arrivata si fece avanti, ed uscita dalla penombra i suoi tratti furono più
evidenti: armoniosi e simmetrici abbastanza da renderla graziosa, al limite
della bellezza. «Tsunade si chiede dove siano i risultati dei suoi campioni»,
le rispose. «Non ti ho trovata fuori al laboratorio, ma vi si sente bisbigliare
anche dal piano di sopra. Di che spettegolate?»
Si
sporse per guardare i monitor, pensando che avessero visto qualcosa di
interessante. Ed in un certo senso, non si era sbagliata affatto.
«Oh,
stavamo solo – uhm – parlando del ragazzo che mi piace», mentì Shizune,
torturando le maniche della maglietta mentre sentiva la temperatura corporea
impennare. «Mi stavo solo assicurando che Hinata mantenesse il segreto.»
«Ma
non è giusto!» si lamentò Sakura, portando una mano sul fianco. «Voglio sapere
anch’io per chi hai perso la testa!»
Shizune
si finse scocciata. «Beh, se proprio vuoi saperlo, è Tenzō, l’ANBU.»
«E
io – uh – le stavo dicendo che il capitano Yamato piace anche a te», aggiunse tranquillamente
Hinata.
Hinata
era un’attrice migliore di quanto Shizune avesse pensato, e subito le resse il
gioco. «Già», aggiunse, con un risolino. «Che vinca la migliore!»
«Vi
comportate in modo piuttosto strano», notò Sakura, divertita ma ancora
sospettosa. «E poi che ci fate qui dentro? E dov’è la guardia?»
«E’
corso via chiedendomi di dare un’occhiata», rispose allegramente Shizune. «Ma
ora che Hinata è qui, sarà meglio riportare quei risultati a Tsunade.»
«Certo.»
Sakura
scrollò le spalle e salutò Hinata, che sembrò sorpresa dall’incarico che
Shizune le aveva dato all’improvviso, ma almeno Sakura non sospettò nulla.
Lasciarono la sala di controllo insieme e passarono a ritirare i risultati dei
test prima di tornare all’ufficio di Tsunade.
«Cosa
fai di bello oggi?» chiese Shizune, nel disperato tentativo di apparire
naturale agli occhi di Sakura. «Qualcosa di interessante?»
«Allenamenti»,
rispose lei, sbrigativa.
«Con
Kakashi-sensei?»
Sakura
spostò i grandi occhi verdi su di lei e per un attimo Shizune vi scorse il
dubbio che ormai la perseguitava. “Tu sai?” sembravano chiederle, ma
dopo un attimo, l’espressione neutra di Shizune la salvò e Sakura sorrise
caldamente. «Certo, perché?»
«Mi
stavo solo chiedendo se riuscirà a tenervi testa col braccio in quelle
condizioni», disse allegra.
«Certo
che sì», rispose Sakura, con una punta di rosa a colorarle le guance ed un
ampio sorriso. «Kakashi-sensei è davvero tosto.»
Parlò
con gli occhi dell’amore.
Shizune avrebbe sofferto le pene dell’inferno.
«Non
ci posso credere, è puntuale», mormorò Naruto, mentre insieme al resto del Team
7 entrava nel campo di addestramento con soli dieci minuti di ritardo. «Per
caso è morto qualcuno?»
La sua voleva essere una battuta, ma fu
piuttosto infelice: ogni volta che Kakashi arrivava agli appuntamenti in
anticipo rispetto al suo team, era probabilmente perché prima aveva fatto
visita al cimitero; e in genere lo faceva quando qualcuno moriva o spariva.
Sakura
sapeva chi, in quel caso, ma tenne la bocca chiusa.
Se
ne stava poggiato con la schiena contro la rete metallica ai confini del campo,
e quando li vide arrivare li salutò con la mano sana. «Yo! Giornata ventosa,
eh?»
Come
a confermare la sua osservazione, una folata di vento sollevò la gonna bianca
di Sakura, che imprecò cercando di tenerla ferma – ma non prima di guadagnarsi
un sorrisetto malizioso da parte di Naruto e Kakashi. Uomini, pensò
infastidita, ma in fondo contenta di vedere il suo maestro sorridere,
soprattutto se per merito suo.
«Oggi
facciamo pratica con il taijutsu», li avvisò, staccandosi dalla rete. «Un kunai
ciascuno, ci alleniamo a coppie. Si comincia.»
«Fatti
sotto, bastardo!»
Come
al solito, Naruto e Sasuke fecero coppia senza nemmeno chiedere e si spostarono
per fare spazio ai compagni, lasciando Sakura e Kakashi soli. Lei lo guardò, ma
lui era preso dalla fasciatura al braccio. «Mi aiuteresti a toglierla, Sakura?»
le chiese dolcemente, conscio del fatto che come medico Sakura non sarebbe
stata affatto favorevole.
«Non
credo sia il caso», rispose infatti.
«Ma
non riuscirei a starti dietro con una mano legata. E poi sto molto meglio,
giuro, e prometto di non usarla. Mi serve solo per l’equilibrio.»
Gli
lanciò un’occhiata sospettosa, alla quale lui rispose con un occhiolino di
incoraggiamento. «E va bene», si arrese. «Ma solo se prometti di non strafare.»
La
osservò dall’alto mentre slacciava la complicata fasciatura. «Tranquilla,
combatteremo solo con la sinistra.»
«Ma
non vale», protestò. «Tu sei ambidestro!»
«Vero,
ma lo sono diventato.»
Sbuffò
esasperata e lo aiutò cautamente a sfilare via l’ingombro delle fasce. Mentre le
poggiava su un tavolino da picnic malandato a pochi passi da loro, Kakashi
flesse il braccio per sgranchirlo. «Lo fascerai subito dopo l’allenamento», lo
ammonì.
«Va
bene, dottoressa.»
Quando
si voltò verso di lui, Kakashi aveva già il kunai pronto. Lo fece roteare
pigramente intorno all’indice, mentre in lontananza Naruto e Sasuke erano solo
movimenti sfocati ed occasionalmente scintille e tintinnii provocati dal
cozzare del metallo.
Sakura
si promise di andarci piano con lui, a causa delle sue ferite. Un genio
d’élite, ma comunque ferito.
Soppesò
il kunai con la mano sinistra e non riuscì ad abituarcisi subito, ma cercò di
adattarvisi quanto possibile. Kakashi, dal canto suo, sembrava perfettamente a
suo agio in quella situazione, e con un gesto della mano la invitò ad attaccare
per prima.
Ponderò
le forze, si spinse in avanti e sferrò un attacco, facilmente scansato da
Kakashi. Flesse il braccio all’ultimo secondo e i loro kunai si scontrarono.
Poi entrambi si ritrassero repentinamente, riguadagnando campo.
Era
quella la natura degli scontri tra shinobi: quasi zero contatto e tante
valutazioni. Spesso, era troppo pericoloso affrontare i propri nemici a
distanza ravvicinata per più di qualche breve istante, perfino quelli con le
braccia slogate.
In
qualche modo, quello stile di combattimento si rifletteva anche nel loro modo
di vivere: pochi contatti sociali, ma occasionalmente qualcuno riusciva ad irrompere
nelle difese altrui per sferrare un colpo.
Il
secondo attacco fu di Kakashi, che apparì all’improvviso accanto a lei
puntandole contro il kunai. Sakura si mosse rapida, lasciando che la lama
squarciasse l’aria accanto a sé; ma piuttosto che lasciarlo andare, bloccò il
suo braccio contro il proprio fianco. Lo immobilizzò per pochi secondi, ma fu
abbastanza da permetterle di sferrargli una ginocchiata allo stomaco, ma non con
la potenza distruttiva che Kakashi conosceva bene. In risposta, le bloccò la
gamba prima che potesse toccare terra, lasciandola pericolosamente a mezz’aria
contro di lui.
Sakura
– ormai immobilizzata quanto lui – gli puntò il kunai al collo.
«Potrei
liberarmi», lo informò. «Ma non voglio toccarti il braccio.»
Kakashi
la fissò dall’alto. Sakura distolse lo sguardo, cercando di fargli capire
quanto inappropriata quella situazione fosse – soprattutto considerando che
Naruto e Sasuke erano a poche decine di metri da loro.
La
lasciò andare lentamente e si allontanò, scacciando via la polvere dai vestiti
stropicciati. «Riprendiamo?» chiese.
Sakura
annuì brevemente e tornò in posizione. Ancora una volta Kakashi la invitò e lei
non perse tempo – facendo attenzione a puntare il kunai almeno due centimetri oltre
il suo bersaglio, per paura di ferirlo davvero. Ma Kakashi era veloce, e per
ogni passo indietro a cui Sakura lo costringeva, ne recuperava due in avanti
puntando al suo fianco scoperto.
«Hai
uno stile di combattimento davvero particolare», le disse, rimasto leggermente
senza fiato mentre si ritraevano l’uno dall’altra. «Mi piace, mi ricorda un
gatto.»
Sakura
arrossì, spiazzata. «Davvero? Del tipo… grazioso?»
«No»,
scosse la testa. «Intendo, rabbioso e a senso unico. Come un gatto a cui è
stata calpestata la coda e che ha intenzione di scorticarti vivo con gli
artigli.»
Il
viso di Sakura si rabbuiò. «E tu invece sembri un bradipo. Talmente lento che vedo
le alghe crescerti addosso. E poi le tue braccia sono troppo lunghe.»
«Touché»
annuì, come fosse stata una critica razionale. «Di nuovo?»
Sakura
si lanciò all’attacco, cercando di colpirlo come fosse stata il gatto incazzato
a cui l’aveva paragonata, sibilando quando lo mancò. Ma Kakashi più che un
bradipo era un maledetto contorsionista: schivò i suoi affondi con una grazia
tale da farla apparire la cosa più semplice al mondo. Al contrario di Sakura, i
cui attacchi erano basati sulla forza bruta, quelli di Kakashi erano movimenti
precisi e con forza ben ponderata, belli come solo lui sapeva essere.
Poi
Kakashi ribaltò la situazione, ed in pochi e rapidi movimenti il kunai di Sakura
volò via dalla sua presa; un attimo dopo, era dietro di lei con un braccio
intorno al suo collo, a puntarle la lama alla giugulare.
«Ti
arrendi?» le chiese.
Assolutamente
no, pensò Sakura. Prese un profondo
respiro e si sporse all’indietro per afferrare qualsiasi cosa le capitasse a tiro
e, ricorrendo alla sua potenza mostruosa, lo fece volare oltre di lei.
Kakashi
atterrò di schiena con un tonfo polveroso, il viso contorto dal dolore. Un sottile
lamento sfuggì alle labbra, mentre massaggiava il braccio slogato.
Quando
fu troppo tardi, Sakura si ricordò della sua ferita. «Oh – Kakashi-sensei, mi
dispiace tanto!» piagnucolò, inginocchiandosi accanto a lui. «Ecco, lascia fare
a me!»
Prese
il braccio tra le mani e lo circondò subito con il proprio chakra. «Diamine…
Prima ti dico di non strafare e poi ti sbatto per terra. Mi dispiace tanto.»
«Sei
un tipo focoso, e io non ti cambierei per nulla al mondo» le rispose.
Sakura
curò rapidamente le escoriazioni ed il suo chakra alleviò il dolore di Kakashi,
ma a causa della natura della sua ferita non poteva fare molto di più. «Sarà
meglio fasciarlo di nuovo.»
Kakashi
sospirò, ma non protestò. Sakura lo aiutò ad alzarsi e lo guidò al tavolo da
picnic, dove riprese a bendarlo. «Ecco fatto!» disse a lavoro compiuto,
dandogli una pacca di incoraggiamento sul braccio sano. «Tutto bene?»
«Tutto
bene» concordò, sorridendole.
Ma
nell’esatto istante il cui distolse lo sguardo da lei, il sorriso sbiadì, come
avesse avuto qualcos’altro per la mente, qualcosa di cui lei non era al
corrente. Solo in quel momento si rese conto di quanto fossero seduti vicino,
ma Sakura non aveva affatto voglia di allontanarsi.
A
lei piaceva stargli così vicina.
Anche
se lui era… triste.
«Stai
bene?» gli chiese, ora più seriamente.
La
guardò ancora ed il suo sorriso automatico riapparve – il tipo di sorriso che
rivolgeva alle commesse civettuole alle quali non era interessato. Non era
affatto quel tipo di sorriso caldo ed accogliente che in genere le riservava.
«Sto bene» le rispose, ma non era vero.
Sakura
non sapeva cos’altro fare. Abbassò lo sguardo sulla mano di Kakashi poggiata
pigramente sulla gamba, ed anche se era consapevole del fatto che la loro
relazione fosse finita e qualsiasi cosa che potesse ricordarla era sbagliata,
non poté fare a meno di accostare la propria mano alla sua ed intrecciare le
loro dita. Sembrava l’unica cosa giusta da fare.
E nonostante Kakashi non la guardò né le sorrise, lo sentì
ricambiare la sua presa e seppe che le era grato.
Si
separarono nel tardo pomeriggio. Sulla via del ritorno, Sakura si imbatté in Ino
e decisero di cenare insieme – e non fu una brutta serata come aveva temuto,
dato che per quanto Ino restasse fastidiosa e rumorosa, almeno sembrava aver
perso interesse nell’”uomo misterioso”: chiese di lui solo un paio di volte.
Dopo
cena, Ino avrebbe voluto trascinarla in uno dei soliti locali, ma Sakura preferì
separarsi dall’amica/rivale e tornare a casa: non aveva intenzione di perdersi
un’altra puntata della sua soap, dato che aveva già saltato l’ultima per colpa
di Ikki e la scorsa settimana non era stata trasmessa a causa del sumo. E,
tanto per parlarne, chi diavolo preferiva guardare due uomini grassi andare
avanti e indietro su di un ring, piuttosto che un’avvincente rappresentazione
della scandalosa vita dei ricchi? Avrebbe scritto una lettera di protesta alla
redazione, semmai fosse successo ancora.
Nell’esatto
momento in cui varcò la porta di casa, si fiondò sotto la doccia per lavare via
tutto lo sporco e la polvere accumulati durante l’allenamento con Kakashi, per
poi sistemarsi davanti alla TV indossando la sua vestaglia da notte ed un
asciugamano in testa.
Era tutto pronto: aveva la cioccolata calda sul tavolino, così come il
telecomando, ed un bel cuscino morbido su cui sedere. Mancavano ancora un paio
di pubblicità prima dell’inizio dell’episodio e tutto era in perfetto ordine.
Fino
a quando non sentì bussare alla porta.
Sakura
alzò gli occhi al cielo e si chiese se fosse il caso di far finta di non aver
sentito. Non avrebbe potuto fingere di non essere in casa, dato che le luci
erano accese ed il volume della TV piuttosto alto, ma non voleva che per
l’ennesima volta qualcuno la portasse via dalla sua soap. «Chi è?» chiese,
infastidita.
Ci
fu una breve pausa. «Kakashi.»
Scattò
in piedi così velocemente che quasi non rovesciò la cioccolata. Che diavolo
ci fa qui?! Forse aveva lasciato qualcosa al campo? Forse c’era qualche
novità? Una missione? Forse… Forse qualcos’altro?
Stirò
ansiosamente la vestaglia notte con le mani, assicurandosi che il laccio che la
teneva chiusa fosse stretto abbastanza, dato che non si era scomodata ad
indossare nient’altro. Non era di certo nelle condizioni di accogliere ospiti… ma
le sembrava piuttosto stupido preoccuparsi della sua mancanza di vestiti, dato
che Kakashi aveva visto, toccato ed assaggiato ogni centimetro del suo corpo.
Ma
è passato, pensò, le cose dovrebbero essere
tornate alla normalità ormai.
Quindi
prese un bel respiro e fece il possibile per darsi un’aria di amichevole
nonchalance, mentre si avvicinava alla porta per aprirla il giusto per fare
capolino. «Oh, ciao!» salutò caldamente, stringendo l’orlo del camice al petto.
«Cosa posso fare per te?» chiese, come fosse stato solo un vicino in cerca di
una tazza di zucchero.
Non
aveva più la fasciatura al braccio, notò, ed il suo sguardo era basso. Quando
parlò, sembrò farlo con la porta. «Posso entrare?»
«Uhm…»
Sakura lanciò un’occhiata rapida all’appartamento, giusto il necessario per
assicurarsi che fosse presentabile e non ci fosse nessun indumento sporco in
giro. «Certo, perché no.»
Si fece da parte per lasciarlo entrare, per poi richiudere la porta. Poi prese
ad osservare la sua schiena, torturandosi ansiosamente le mani in attesa di
sapere il perché della sua visita; ma Kakashi non sembrava intenzionato a
parlare, e restò fermo ad osservare il suo minuscolo living.
Era
la prima volta che le faceva visita, realizzò. Ci era stato una sola volta, un
anno prima, quando dopo una notte selvaggia con Ino era caduta in una sorta di
coma (e dormire così tanto da ricevere una visita del copy ninja che si chiede
dove tu sia, era un traguardo considerevole), ma in quell’occasione non era
entrato, perché non appena Sakura l’ebbe visto sull’uscio della porta, l’aveva
richiusa e ne era riemersa trenta secondi dopo, completamente pronta per uscire
e scusandosi sinceramente per la sua mancanza. Non l’aveva mai invitato ad
entrare, prima d’allora.
Sperò
che soddisfacesse le sue aspettative: era una casa piccola e moderna, in
perfetto contrasto con quella di lui, più ampia e tradizionale; ma almeno era
pulita ed ordinata.
«Posso
portarti qualcosa da bere?» chiese, cercando di spezzare il ghiaccio. Lo
sorpassò per avviarsi in cucina. «Acqua, tè, cioccolata calda – credo di avere
anche del succo d’arancia se preferisci, o forse del latte se non è scaduto–»
Si
bloccò sul posto quando una mano afferrò la fascia avvolta intorno alla sua
vita e la spinse all’indietro. E poi – lentamente, ma con decisione – Kakashi
le afferrò le spalle minute e la fece voltare. Le stava dando ogni possibilità
di scostarsi e rimarcare la loro posizione, ma quando Sakura restò ferma ad
osservarlo in apprensione, abbassò la maschera sul mento e la baciò.
Non
era un bacio seducente o atto a mettere in mostra le sue abilità, come in
genere. Né era dominante o possessivo ed intenso come quelli che le dava quando
erano stesi, nudi e schiavi della passione.
Era
un bacio bisognoso, consumante. Un atto egoista che prendeva senza dare. Le
teneva il viso tra le mani come se avesse voluto inglobarla dentro di sé,
mentre le mani di Sakura restavano sospese a mezz’aria indecise se respingerlo
o aggrapparsi a lui. Le sue labbra gli rispondevano, però, e gli occhi restavano
chiusi mentre Kakashi la baciava insistentemente.
Quando
le sue mani si mossero per sciogliere il nodo della sua camicia per accarezzare
il suo seno nudo, Sakura interruppe il bacio. «N-no, aspetta», ansimò,
ritraendosi, con una mano sulle labbra ed un'altra sul petto. Guardò Kakashi
con gli occhi lucidi e sbarrati, mentre quelli di lui restavano cupi e socchiusi.
Sakura vi notò una punta d’incertezza, ma anche altro… Qualcosa che andava
oltre il semplice e primitivo desiderio carnale.
Buttò
un occhio alla TV alle sue spalle. La sigla dell’episodio risuonava tra le
pareti, e da un momento all’altro sarebbe partito il riassunto dell’episodio
precedente.
Kakashi
si voltò, avvertendo un rifiuto.
«Non
essere sciocco», sussurrò, afferrandogli un braccio. Con l’altra mano slacciò
il fiocco del nastro e dopo un attimo la vestaglia si aprì.
Ma
lo sguardo di Kakashi non si spostò dal suo viso per un solo istante. Gli prese
la mano e lo trascinò con sé sul pavimento. Il televisore parlava di scandali e
relazioni che stavano per venire alla luce all’insaputa degli amanti in
questione, ma Sakura non stava ascoltando. Con i fianchi poggiati sul cuscino, spinse
Kakashi su di sé, baciandolo con decisione e facendogli strada.
A
lui non serviva la sua guida.
Il suo peso si poggiò presto tra le sue gambe, e la prova della sua eccitazione
era ormai difficile da ignorare, anche se stava facendo del suo meglio per
distrarla con baci profondi e lascivi. Spinse ancora una volta i fianchi contro
quelli di lei, costringendola a sospirare: «Sensei…»
«Non
farlo», le disse rauco, mentre abbassava la zip dei pantaloni.
«Fare
cosa?» chiese lei, divertita.
«Non
chiamarmi così. Non ora», ansimò. Dopo pochi istanti si liberò dei vestiti e un
brivido caldo percorse la schiena di Sakura, quando sentì il calore della sua
erezione premere contro di lei. «Chiamami solo Kakashi», le disse, un attimo
prima di entrare in lei.
Sakura
trattenne un gemito di dolore: non era pronta, ed avvertì una punta di disagio.
Ma presto il dolore lasciò spazio al piacere ed il risultato fu travolgente
come sempre. «Kakashi» sospirò.
Spinse
ancora in lei, forte, facendola vibrare di piacere aggrappandosi a lui. «Dillo
ancora.»
«Kakashi»,
mormorò Sakura, e lui prese a muoversi.
Era
diverso.
Non l’avevano mai fatto sul pavimento, con solo un cuscino a darle sollievo
dalla superficie fredda e dura.
E poi Sakura era abituata ad essere portata al piacere lentamente e fino ad
impazzire prima di averlo; in quella situazione, era perfettamente lucida e
conscia di tutto ciò che stava accadendo. Sentiva lo strofinare del cuscino
sotto ai suoi fianchi ad ogni sua spinta, il suo respiro tra i capelli e sul
collo; la luce del lampadario splendeva debolmente su di loro, e c’era ancora una
scia di vapore che saliva dalla tazza di cioccolata sul tavolo accanto. Voci
ovattate arrivavano al suo orecchio dal pianerottolo fuori dalla sua porta,
incoscienti di ciò che stava accadendo in quella stanza… Quella silenziosa
danza tra corpi nudi che riempiva quel salotto con morbidi sospiri.
Avvertì
ogni tremolio che gli scuoteva il corpo e prese parte al piacere di Kakashi
come fosse stato il suo. Era troppo tardi per pensare al proprio, ma non era
importante. Tutto ciò che le interessava in quel momento era la sensazione del
corpo di Kakashi contro il suo e la congiunzione dei loro piaceri dentro di sé.
Non le importava che il suo piacere fosse stato messo da parte, perché il solo
sapere che era il suo corpo a fargli reprimere ansimi contro il suo collo e che
i suoi fianchi si muovevano sempre più forte contro quelli di lei, era un
piacere mentale che non poteva essere surclassato.
Sapeva
che era prossimo alla fine, ormai aveva imparato a cogliere i segnali – il suo
respiro sempre più pesante e le sue spinte che perdevano ritmo. Kakashi affondò
le unghie nel tatami dietro di lei e all’improvviso il suo corpo fu scosso da
un fremito. Lo strinse forte a sé, godendo della sensazione umida che sentiva
dentro e beandosi del suo respiro spezzato contro l’orecchio.
Kakashi
si rilassò contro di lei, esausto. Sakura continuò a stringerlo e alzò lo
sguardo al soffitto.
Dall’esterno,
chiunque avrebbe potuto pensare che l’aveva usata. Non più di due settimane
prima il suo ex aveva fatto esattamente ciò che Kakashi aveva fatto con lei,
quella notte: bussare improvvisamente alla sua porta con una sola cosa in
mente, per poi prenderla sul pavimento pensando esclusivamente al proprio
piacere.
Ma
Kakashi non era chiunque: non sarebbe mai andato da lei solo per soddisfare i
propri bisogni senza un buon motivo… E soprattutto, Sakura non glielo avrebbe
mai permesso se non avesse sentito che era davvero importante.
E
se Ikki l’aveva fatta sentire arrabbiata e delusa, ora sentiva solo una
pericolosa stretta al petto che sembrava essere niente meno che affetto.
Tanto, affetto. Il tipo di affetto che portava le persone a fare cose stupide. Deglutì
a vuoto, cercando inutilmente di ingoiare quella sensazione, e prese a
carezzare i capelli di Kakashi. «C’è una piuma che mi pizzica il sedere»,
bisbigliò romanticamente. «Forse sarebbe il caso di spostarci in camera da
letto, che ne dici?»
Kakashi
sospirò. «Forse dovrai portarmi in braccio.»
«Sono
troppo stanca. Ma posso trascinarti, se ti va.»
«…penso
di poter fare da solo.»
Si
alzò lentamente e la aiutò a fare altrettanto. Sakura lanciò un ultimo sguardo
disperato alla televisione e si rese conto di essersi persa almeno cinque
minuti dell’episodio ormai, ma sorrise a Kakashi e gli prese la mano per fargli
strada.
Se ne stava lì a trangugiare ramen così velocemente che era
difficile capire come facesse a non strozzarsi. Hinata si congelò sul posto,
mordendosi le labbra. Cosa avrebbe dovuto dire? Avrebbe dato di tutto per
essere come le altre ragazze – come Sakura – che intavolavano una conversazione
senza nemmeno rifletterci. Avrebbe voluto chiamarlo, ma se non l’avesse
sentita? Se avesse continuato a mangiare senza accorgersi di lei e lei fosse
rimasta lì imbambolata sotto gli occhi di tutti?
Stava giusto per lasciar perdere e andare via, quando Naruto
si voltò verso di lei, richiamato probabilmente dall’istinto che lo avvertiva
di essere osservato – e non con intento omicida, ma con non meno intensità. La
trovò lì ad osservare tristemente il suolo.
«Hina’a-‘an!» chiamò, con la bocca ancora piena di noodles e
verdure, salutandola energicamente con la mano.
Hinata alzò lo sguardo su di lui e si sentì sciogliere. Ed
avvampare. Fortemente. «H-h-hey, Naruto-kun!»
«In giro a quest’ora del mattino?» le chiese, gioioso. «Dove
vai?»
«Uhm… S-stavo solo…»
«Ti va un po’ di ramen?» chiese, indicando la scodella vuota
davanti a sé. «Vieni, siediti.»
Era più semplice quando le diceva direttamente cosa fare. Hinata
arrossì contenta e scostò attentamente le tendine all’ingresso di Ichiraku, per
poi prendere posto accanto a Naruto. Era dolorosamente conscia della sua
presenza vicino a sé, del suo calore, del suo profumo pungente e del modo in
cui i loro gomiti cozzavano. In realtà aveva già fatto colazione, ma non poteva
assolutamente perdere l’occasione di stargli accanto e chissà, magari
trovare il coraggio di dirgli qualcosa o addirittura sperare che fosse lui a
confessarsi a lei. Ma niente del genere sarebbe successo quel giorno, e per un
attimo si trattenne dal sospirare tristemente.
Perché era così difficile? Come facevano gli altri a farlo
sembrare così semplice, quando era la cosa più spaventosa e complicata al
mondo? Come faceva Sakura a toccare i capelli del suo maestro in modo così
naturale, mentre Hinata sentiva il cuore in gola ogni volta che il gomito di
Naruto sfiorava il suo?
«Stai bene?» le chiese Naruto, notando il suo sguardo basso.
«Oh, uhm, sì» rispose calma. «Va tutto bene, grazie.»
«Sembri turbata» notò.
Erano parecchie le cose che turbavano Hinata, ma le era
proibito parlare di una ed era terrorizzata dall’altra. Ed in effetti, era
spaventata anche dalla prima, perché riguardava due dei compagni di team di
Naruto, e addirittura lui era innamorato di una di loro – almeno, lo era
stato – ma quel segreto lo avrebbe sicuramente ferito.
«Mi ricordi Sakura» le disse, tornando alla sua seconda
scodella di ramen. «E’ giù di morale da secoli, anche se da quando
Kakashi-sensei è tornato sembra come rifiorita, sai?»
Il respiro di Hinata singhiozzò con uno squittio. Naruto la
guardò, ma sembrò prendere quella reazione come parte del suo singolare modo di
fare.
«Tu sei una ragazza,» riprese poi, «e le ragazze si
confidano tra di loro, no? Per caso sai cos’ha Sakura? Sospetto che riguardi
questo fantomatico fidanzato misterioso di cui parlano tutti ma di cui lei nega
l’esistenza. Per caso tu sai chi è? Perché Sakura ha il brutto vizio di
frequentare dei completi idioti e temiamo che questa volta abbia davvero
esagerato.»
«Oh – beh, non è un idiota» balbettò, pensando a
Kakashi-sensei. Prima di parlare con Shizune, lo aveva sempre considerato un
grande leader ed una bella persona. Ora, invece, non sapeva che pensare.
Naruto quasi soffocò con il ramen e batté le mani sul
tavolo. «T-tu sai chi è!» sputacchiò. «Tu sai chi è!»
Hinata sbiancò, terrorizzata. «Io non…
Cioè… Non lo so…!»
Non si aspettava quel tipo di reazione. Voleva solo
rassicurarlo sul fatto che il fidanzato di Sakura non fosse così male, o almeno
non quanto i precedenti, ma si era accidentalmente messa sotto i riflettori.
«Chi è?» chiese Naruto, dimenticando completamente il cibo,
il che rendeva la situazione mortalmente seria.
«Io – uhm–»
«E’ qualcuno che conosciamo?»
Hinata voleva sparire. «Io… Uhm…»
«Lo conosciamo, eh?» Naruto batté un pugno contro il palmo,
come colto da un’illuminazione. «Lo sapevo! Dai, dimmi chi è. E’ Lee? E’ Sasuke?
Kiba? Neji? Shino? Diamine, non sarà mica quello strano tizio del
negozio di alimentari che la guarda come fosse stato appena resuscitato da
Orochimaru–»
«N-no» Hinata scosse la testa. Non voleva parlare, né voleva
che le facesse delle domande, ma se avesse continuato in quel modo
probabilmente avrebbe fatto la lista di tutti gli uomini di Konoha, e prima
opoi sarebbe anche arrivato a
Kakashi-sensei, e quel punto lei si sarebbe irrigidita e lui se ne sarebbe
accorto e lo avrebbe capito!
«Beh, chi potrebbe essere?» insisté. «E’ un chūnin? Un
jonin? Sei sbiancata – questo significa che è un jonin. Non ne conosco molti…»
«N-Naruto-kun!» sbottò Hinata, leggermente rossa di rabbia.
«Q-questi non sono affari tuoi. Se Sakura-san v-volesse fartelo sapere t-te lo
direbbe personalmente. Per favore, smettila di farmi domande, non posso
rispondere!»
Naruto la guardò, sorpreso quanto lei al suo breve scatto
d’ira. Hinata trasalì immediatamente, chiedendosi se ora si sarebbe arrabbiato
anche lui e l’avrebbe odiata per sempre.
Al contrario, Naruto sorrise. «Okay, Hinata-chan» le disse,
con le guance rosse d’imbarazzo. «Non volevo farti arrabbiare. Ti va un po’ di
ramen?»
«Sì, grazie» rispose debolmente. Tutta quella rabbia
passeggera le aveva fatto bruciare un sacco di energie.
Naruto rise ed ordinò per lei.
Kakashi si svegliò
diverse volte durante la notte, probabilmente più perché non era abituato a
dormire in un letto diverso dal suo che per scomodità. Anzi, il letto di Sakura
era fin troppo comodo – forse fin troppo per essere quello di
uno shinobi – e le sue coperte erano soffici e profumavano di lei.
Sakura dormiva profondamente, accoccolata a lui e con una mano sul suo petto
come a volersi accertare che non la lasciasse.
Lo stupiva il fatto che non gli avesse posto domande:
avevano rotto ormai da quasi una settimana, ma Sakura sembrava non aver bisogno
di chiedergli perché fosse tornato da lei. Forse perché anche lei aveva sentito
la sua mancanza ed era solo felice di riaverlo.
O forse perché aveva bisogno di ingannare il tempo.
Qualsiasi fosse la ragione, Kakashi non voleva saperlo. Era
felice di starle accanto ed il prurito era stato soddisfatto con la persona che
richiedeva. Si sentiva al posto giusto, con Sakura che gli dormiva accanto, e
non voleva affatto rovinare quel fantastico momento di pace con domande
sull’avvenire o sull’immoralità della loro relazione; non quando ciò che più
voleva era così semplice.
L’ultima volta che aprì gli occhi, fu a causa della sveglia:
la suoneria poco familiare lo strappò al suo bellissimo sogno riguardo una
libreria piena di nuovi volumi di Icha-Icha. Prese a pugni quell’oggetto
infernale fino a quando non smise di disturbarlo. Un risolino femminile attirò
la sua attenzione e si rese conto che Sakura non era più accanto a lui. Batté
le palpebre per mettere a fuoco la stanza e la trovò seduta ai piedi del letto,
con le lenzuola a coprirle il busto ed un gomito poggiato sul davanzale della
finestra. Aveva un vasetto di yogurt tra le mani.
E grazie al cielo gli aveva fatto il favore di non
rivestirsi.
«Buongiorno», lo salutò, guardandolo con la stessa dolcezza
con cui lui guardava lei.
«Colazione?» mormorò Kakashi, con la voce ancora impastata
dal sonno.
Sakura annuì e leccò il cucchiaino con nonchalance, e fu
sicuro di aver visto un porno che cominciava esattamente così.
«Sei incinta?» le chiese all’improvviso.
Gli lanciò un’occhiataccia. «Credi che non sappia come
evitare una gravidanza? O forse ti sembroincinta?»
«Non lo so.»
Forse era per la luce mattutina, o forse l’effetto di una notte di sesso lento
e lussurioso per recuperare il tempo sprecato, ma… «Sei più raggiante del
solito.»
Sakura sollevò il vasetto. «Sarà lo yogurt biologico?» si
chiese vaga. «Con le fragole.»
Kakashi la osservò prendere un altro cucchiaio di crema
rosata e seguì il modo in cui la sua lingua la accarezzava come fosse stato un
amante. Più la guardava, più saliva la fame, e non era bisogno di cibo il suo.
«Posso avere un po’ di yogurt?» chiese.
«No», rispose lei. «Questo era l’ultimo.»
«Posso avere un po’ del tuo?»
«No.»
«Neanche un pochino?»
Leccò ancora una volta il cucchiaio lentamente, tentandolo.
«Mmmh… No.» poi rise al suo goffo tentativo di sollevare il ginocchio per nascondere
gli effetti di quel giochetto su di lui. «Ti piace così tanto lo yogurt?» lo
stuzzicò.
«Ci sono cose che mi piacciono di più», ammise lui.
«Bene», rispose lenta, guardandolo con fare scherzoso. «Puoi
avere un po’ del mio yogurt… Ma dovrai venire a prenderlo.» E con ciò, affondò
ancora il cucchiaino nel vasetto e prese a spalmarlo sul suo seno.
E chi era lui per dire di no?
Risero insieme mentre Kakashi la trascinava sotto di sé; con
la lingua ripercorse il sentiero lasciato da Sakura, fino a quando le risa non
divennero ansimi e dimenticarono lo yogurt, che ora fosse e dove si
trovassero.
Sakura restò distesa contro di lui, piccola e calda – e
leggermente appiccicosa. Non c’era niente di meglio del rilassamento
post-sesso, e Kakashi spesso si era trovato a pensare che fosse addirittura più
bello dell’atto in sé. Odiava definirsi un amante delle coccole – lo faceva
sentire debole e bisognoso – preferiva invece mantenere i propri spazi, ma non
si tirava indietro di fronte a qualche carezza. Il fatto che a Sakura non
sembrava dare fastidio lasciare un po’ di spazio tra di loro dopo il sesso gli
andava benissimo, anche perché era da tanto che non andava a letto con una
donna che non scappava da lui un attimo dopo aver finito. L’unica cosa buona di
quelle relazioni era la loro semplicità.
Quella che aveva attualmente, invece, era tutt’altro che
semplice.
La ragazza che aveva accanto sospirò e prese a tracciare
cerchi immaginari con la punta del dito sul suo petto.
E nel morbido silenzio, pronunciò le parole che Kakashi stava temendo dalla
notte precedente. «E ora…?»
Non le rispose. Non voleva farlo, perché si stava impegnando
a non pensarci.
Sakura poggiò il mento sulla sua spalla e lo guardò.
«Kakashi,» richiamò. «Che facciamo ora?»
«Che altro?» rispose lui. «Facciamo colazione.»
Sakura esitò, perché non era quella la risposta che voleva, ma
dopo un attimo decise di accontentarlo. «Non ho nulla in frigo», lo avvisò.
«Allora usciamo.»
Batté le palpebre, sorpresa. «Andiamo ad un appuntamento?»
«No… Andiamo a fare colazione.»
Due grandi occhi verdi lo scrutarono esitanti, velati dall’incertezza,
ma poi Sakura gli sorrise quasi imbarazzata. «E va bene», sospirò.
«Ma prima», le disse, scostando le coperte e lasciandoli
entrambi nudi. «Doccia?»
Sakura non sapeva come comportarsi con Kakashi quel giorno.
Il suo maestro era sempre stato un uomo piuttosto riservato e in genere
mangiava, leggeva o dormiva da solo… Anche se, dopotutto, era un uomo.
Prima della missione, tutto ciò che avevano condiviso era stato
il sesso, e Sakura sapeva che fosse parte del problema: era andata da lui per
quello ed aveva ottenuto esattamente ciò che aveva chiesto, eppure non le era
bastato. Ed ora le cose erano completamente cambiate, perché era stato lui ad
andare da lei e per la prima volta Sakura si era trovata in posizione di
offrire e non di ricevere, ed addirittura ora la stava portando a fare
colazione fuori.
Kakashi aveva messo in chiaro che non si trattava affatto di
un appuntamento, ma per Sakura andava bene lo stesso. Non erano mai usciti
insieme, tutto ciò che concerneva la loro “relazione” era confinata in una
camera da letto, e quel giorno per la prima volta i loro orizzonti si
allargavano. La stava portando a fare colazione fuori, e non è qualcosa
che si fa in genere in una relazione puramente fisica… Lei doveva piacergli –
almeno il minimo da essere disposto a passare del tempo insieme per fare
qualcosa di così innocente come una colazione.
E Sakura non sapeva come comportarsi.
Non si stavano tenendo per mano, ma non si era aspettata
niente di diverso: quelli erano per lei gesti sdolcinati da adolescenti che si
credono innamorati – come lo era stata lei con i suoi ex. Per cose come quella Kakashi
era troppo vecchio – più o meno, troppo serio – fin troppo, e non esattamente
un animale sociale, anzi, al suo confronto perfino Jiraya – un eremita –
appariva una persona socievole. La trattava come un’amica e nulla più, e non l’avrebbe
mai umiliata trattandola come un trofeo da sfoggiare, anche se fossero stati
liberi di farlo. Se c’era qualcosa che aveva capito di Kakashi, era il suo non
essere affatto il tipo di uomo in cerca di una donna da mettere in mostra. Il
sesso e tutto ciò che vi concerneva era un affare strettamente privato, per
lui.
Sakura gli lanciò un’occhiata obliqua mentre camminavano
nella folla mattutina diretti verso il quartiere dei locali. Kakashi sembrò
intercettare il suo sguardo e lo ricambiò dall’alto, facendola sorridere di
rimando. «Sei davvero strano» gli disse.
Kakashi tornò con gli occhi tra la folla, toccandosi il
mento con fare pensieroso. «Saresti sorpresa di sapere quante volte mi è stato
detto nel corso della vita…»
«No, non mi sorprenderei», rispose disinvolta, restandogli
vicina quanto possibile. «Quindi dovrai toglierti la maschera in pubblico, per
fare colazione.»
La guardò perplesso. «Sakura, non è di certo la prima volta
che vedi la mia faccia.»
Insieme a tante altre parti del suo corpo.
«No, voglio dire… Lo fai spesso? Mangi spesso fuori e ti
togli la maschera in posti del genere?» chiese, scrutando la strada affollata
nei pressi di ristoranti, bar e locande.
«Sì», confermò. «Abbastanza spesso. E’ un problema?»
«Ti va bene che la gente ti veda?» chiese ancora.
«Certo.»
Le sembrò confuso. «Perché non dovrei? C’è qualcosa di sbagliato?» Si portò una
mano al viso e accarezzò la maschera come a volersi assicurare di non avere
nulla di strano.
«E allora perché noi non ti abbiamo mai visto senza?» gli
chiese.
«Noi?» ripeté.
«Noi! Io, Naruto e Sasuke! Il tuo team!»
«Oh…» si passò una mano tra i capelli. «Non è che stia
cercando di nascondermi, anche se nessuno di voi mi ha mai chiesto di
toglierla. E poi sono sicuro che mi abbiate visto senza almeno un paio di volte
nel corso degli anni.»
Sakura scosse la testa. «La prima volta che ti ho visto è stata
quella mattina quando… Quando tu…» si sentì avvampare. «Beh, quella volta con
quella donna, a casa tua. E sono sicura che Naruto e Sasuke non ti abbiano mai
visto. Pensavo che fosse una cosa che fai solo con le persone con cui vai a
letto.»
«Beh, sarebbe una cattiva notizia per Naruto e Sasuke, eh?»
Sakura sorrise maliziosa. «In realtà, sono così disperati
che farebbero di tutto per–»
«Questo posto sembra carino» la interruppe, alzando la voce per
salvaguardare la sua mente da immagini disastrose. «Fermiamoci qui.»
Era una locanda piena di lanterne rosse collocata a bordo
strada come Ichiraku Ramen, e se quello fosse stato un vero appuntamento Sakura
lo avrebbe piantato in asso. Ma siccome era una semplice colazione, lo seguì
oltre le tendine di tela e prese posto al bancone accanto a lui. Le sembrava
tutto unticcio – il banco, le bacchette, i muri, le luci e specialmente i
cuochi, ma Kakashi le assicurò che il cibo era buono.
«Vieni spesso qui?» chiese.
«Sì» le rispose, senza darle ulteriori informazioni. «Ti
farà piacere sapere che è anche molto economico.»
«Perché dovrei?» chiese furbamente. «Offri tu.»
«Non è un appuntamento» le ripeté.
«Non importa. I gentiluomini offrono, che sia o meno un
appuntamento» gli disse, fissandolo. «Non sei per caso un gentiluomo?»
Kakashi sostenne il suo sguardo, ed immediatamente Sakura si
sentì accaldata dall’intensità crescente nei suoi occhi, fino a quando non fu
costretta a distogliere i propri. Beh, quello rispondeva alla sua domanda.
«Menu, per favore!» squittì all’uomo dall’altra parte del bancone, che ne
allungò immediatamente due.
«Per me riso e zuppa di miso» informò l’uomo, che passò
immediatamente l’ordine ai cuochi alle sue spalle.
«Lo stesso per me, grazie» aggiunse Kakashi. «Ed anche
qualche tamagoyaki, e i sottaceti, E magari qualche aji arrosto. Ah, vi è
rimasto un po’ di nattō? Perfetto, prendo anche quello, con nori.»
«Fame, eh?» chiese, arcigna.
«Te l’avevo detto.»
«Non pensare che paghi tutta questa roba» gli ricordò.
«Non faresti un gesto carino per il tuo povero maestro al
verde–»
«Non sei al verde», sibilò. «Mi hai regalato un
vestito Suzuki per un capriccio giusto una settimana fa.»
«Ah», annuì, messo all’angolo. «Ma ho dovuto vendere gran parte
dei miei beni per potermelo permettere.»
Sakura non si fece incantare, ma sorrise pensando a quel
vestito. «Vorrei che qualcun altro desse una festa così formale», sospirò. «Non
ho avuto altre occasioni per indossarlo e se ne sta lì, appeso nell’armadio.»
«E a chi serve una scusa?» scrollò le spalle.
«A me» rispose. «Non è qualcosa che posso indossare quando
mi va – è vistoso, sarei ridicola–»
«No, saresti bellissima» mormorò assente, come fosse stata
una verità assoluta. E Sakura sentì quel sentimento che custodiva gelosamente
nel petto riscaldarsi ancora. «Ma forse un po’ esagerata, questo sì» concordò
poi. «Forse dovresti convincere qualcuno a sposarsi.»
«Convincere qualcuno a impegnarsi a vita? Solo per indossare
un vestito?»
Kakashi annuì.
Sakura giocherellò con le bacchette con lo sguardo perso nel
vuoto. «Questa sì che è una bella idea…»
Il cibo arrivò subito dopo e Sakura dovette ammettere che
era piuttosto buono, ma dopo averne preso appena un paio di bocconi si girò
verso Kakashi e notò che lui aveva fatto fuori già metà di tutto il ben di dio
che aveva ordinato. Lo fissò fino a quando lui non la notò e ricambiò il suo
sguardo perplesso, con la maschera abbassata sul collo e qualche chicco di riso
sparso qua e là sulle guance.
«Questo spiega molte cose», scherzò Sakura, pulendogli il
viso.
«Che cosa?»
Ignorò la domanda. «Hai mai sentito parlare di buone
maniere? Ti strozzerai mangiando così velocemente.»
«Ho imparato a sopravvivere ai pasti quando ero ancora un bambino»
rispose seccamente.
«A malapena, si direbbe» lo prese ancora in giro.
E nonostante l’invito a rallentare di Sakura, quando lei era
ancora a metà della sua zuppa, Kakashi posò la scodella di riso vuota sul
bancone emettendo un tonfo – che sarebbe potuto essere sia il rumore della ceramica
che cozza con il legno, sia la barriera del suono che veniva sfondata.
Lo guardò divertita, mentre sistemava la maschera sul viso,
con lo sguardo perso nel vuoto. E non sembrava nemmeno avere sintomi di alcuna
indigestione, il che la portò a riflettere all’ingiustizia della vita.
Ma Kakashi non sembrava più dell’umore adatto agli scherzi.
«Se ti avessi promossa a jonin,» disse lentamente, «saresti venuta in missione
con me?»
Sakura si pietrificò e lasciò cadere le bacchette nella
ciotola, chiedendosi il perché di quella domanda improvvisa, ma non sorpresa
del suo arrivo. «No» rispose secca, cercando di apparire infastidita. «Volevo
rompere con te dopo l’esame, è vero, ma non perché mi hai rimandata, ma perché
nel momento in cui sono entrata in quell’aula e ti ho visto seduto lì, ho
capito quanto fosse sbagliato tutto questo. Qualunque decisione tu avessi preso
quel giorno, non avrebbe cambiato le cose. Certo, ci sono rimasta male… Ma
anche se mi avessi promossa, avrei deciso che restare qui era la cosa migliore
da fare.»
Sakura si zittì e ripensò alle sue stesse parole: aveva
avuto dei buoni motivi per chiudere con lui, ed invece rieccoli: dormivano
ancora insieme ed uscivano addirittura a fare colazione fuori. I buoni motivi
per chiudere erano ancora lì, a circondarli come spuntoni che li avrebbero
trafitti al primo passo falso, ma
qualcosa tra di loro era cambiato dopo la scorsa notte.
«Perché sei venuto da me?» sussurrò.
Kakashi rise, leggero e pungente, e poggiò un gomito sul
bancone. «Non sapevo dove andare» citò.
E se lo intendeva nel modo in cui lo aveva inteso Sakura
ogni volta che glielo aveva detto, allora la verità era che non lo sapeva: aveva
semplicemente voluto vederla. Sakura lo aveva sentito in ogni gesto e carezza
che le aveva rivolto, quando avevano fatto l’amore sul pavimento come fosse
stato un loro legittimo diritto.
E quel pensiero la spaventava.
Quella doveva essere un’avventura: una
chance di migliorarsi a vicenda, da chiudere senza alcun legame. E non c’era
stato bisogno di metterlo in chiaro, perché semplicemente era così che doveva
andare.
E avrebbero fatto bene specificarlo in quel momento, eppure
i non detti tra di loro restavano tali… E Sakura non sapeva cosa fare.
«Quando andrai di nuovo in missione?» gli chiese, cercando
di trascinare la conversazione prima che si stagnasse a causa di
quell’argomento spinoso.
Kakashi liquidò la questione con un vago gesto della mano.
«Le ho rifiutate tutte. Credo che me ne starò al villaggio per un po’»,
rispose.
Sakura lo fulminò con lo sguardo. «Credi che sia giusto?»
«Alla luce dei fatti… Sì.»
Stava permettendo ad una singola missione fallita di mettere
in discussione la sua autostima: Sakura si accigliò, ma decise di non
obbiettare. Se la sua prontezza di spirito lo aveva abbandonato, forse era
giusto stare lontano per un po’ dalle sue missioni d’alto rango, dove non c’era
spazio per dubbi ed esitazioni. Ma nonostante ciò… «Non è stata colpa tua» gli
disse teneramente, riprendendo la sua colazione.
«Non eri lì» le fece notare.
«No, ma ti conosco» disse, scrollando le spalle. «Nessuno
morirebbe durante una missione con te, se non fosse completamente inevitabile.»
Sapeva che la stava guardando, ma fece finta di non notarlo
e continuò a sorseggiare la sua zuppa. Quando fece per soffiare sul cucchiaio,
una mano calda le si poggiò sul ginocchio e si voltò a guardarlo, stupita.
«Grazie» le mormorò.
«Di cosa?» chiese confusa, leggermente preoccupata che
qualcuno potesse notare i loro comportamenti inappropriati.
Kakashi sorrise. «Di credere in me.»
«Oh, ma non è complicato» rispose. «Vorrei che lo facessi
anche tu.»
Le pizzicò la coscia e sospirò, sollevato: sembrava essersi
tolto un gran peso dalle spalle. Dietro di loro, tra le strade, un ragazzo
stava gridando e Sakura si chiese se qualcuno fosse scappato senza pagare il
conto. Quando Kakashi si alzò, pensò che stesse per fare lo stesso, ma quando cominciò
a rovistare nelle tasche in cerca di spiccioli si rilassò. «Ora devo proprio
andare», si scusò. «Ho un check-up all’ospedale e sai come diventa Tsunade
quando qualcuno fa tardi.»
«Eppure non ti è mai importato», gli fece notare.
«Infatti, è per questo che sono già in ritardo» le sorrise. E
mentre la baruffa tra le strade aumentava, Kakashi allungò qualche spicciolo
sul bancone. «Dovrebbe bastare per la mia parte.»
«Bastardo!»
Kakashi si voltò e Sakura sentì il rumore di uno schiaffo;
volarono ciotole, bacchette ed utensili, e Kakashi era a terra, con una mano
sulla mascella. Sconcertata, Sakura scattò dallo sgabello per lanciarsi verso
l’assalitore, che altri non era che Naruto, la cui espressione era puro istinto
omicida.
Ma nel momento in cui Sakura realizzò ciò che aveva fatto, gli
occhi di Naruto erano nulla in confronto ai suoi. «Si può sapere cosacazzo
credi di fare?!» strillò.
«Io?! Cosa cazzo credi di fare tu!» urlò lui, furioso
quanto lei. «Con lui?!»
Hinata li raggiunse correndo, sconvolta. «Naruto-kun, per
favore! Non farlo!» cercò di calmarlo.
Intorno a loro era calato il silenzio: la gente si fermava ad
osservarli, incuriosita. Ad un tratto Sakura rabbrividì: le cose stavano
cominciando a venire a galla, e con così tanti spettatori. «Cos’avete da guardare?!»
ringhiò ai passanti, ma riuscì ad allontanarne solo un paio. Si chinò su
Kakashi per aiutarlo ad alzarsi.
«Non azzardarti a toccarlo!» Naruto fece un altro passo
avanti.
«Altrimenti?!»
Sakura lo avrebbe ignorato, ma Kakashi alzò una mano per rifiutare gentilmente
il suo aiuto.
«Va tutto bene» le disse, tirandosi a sedere e togliendosi
di dosso qualche bacchetta. «Qualcosa non va, Naruto?» chiese, con calma
apparente.
«Eravate voi!» gridò Naruto. «Quel pettegolezzo schifoso era
su di voi!»
Qualcuno si fece strada tra la folla, e quando spuntò,
Sakura non seppe se essere felice di vedere Genma Shiranui: come esaminatore,
era probabilmente un mediatore innato, ma Sakura sapeva che il suo arrivo
avrebbe portato all’espandersi di quella pozzanghera che ormai li infangava
tutti. «Che sta succedendo?» chiese con un cipiglio, spostando gli occhi da
Naruto a Kakashi.
«Lui!» Naruto indicò il suo maestro. «È lui quello che va a
letto con la sua studentessa! Va a letto con Sakura-chan!»
La sua voce era spezzata, e Sakura se ne accorse, ma in quel
momento non le importò. «Naruto!» sibilò. «Come hai potuto!»
Genma guardò Sakura, sorprendentemente indifferente a quella
situazione. «È vero?»
«No!» negò fortemente.
«Non mentire!» urlò Naruto. «Vi ho visti!»
«Smettila!» gridò di rimando Sakura.
Genma alzò una mano, imponendo il silenzio. «È vero?» chiese
a Kakashi, che si rimise in piedi.
Sospirò e guardò Naruto negli occhi. «Sì, è vero.»
Scoppiò di nuovo il pandemonio.
Naruto si lanciò, cercando di colpirlo ancora. «Bastardo!» Allo
stesso tempo, Sakura si scagliò in avanti, con l’intento di strozzare il suo
compagno di squadra. «Non ci provare!» Genma afferrò Naruto e gli circondò il
petto, mentre Kakashi trattenne Sakura cingendole la vita; e mentre i ragazzi cercavano
di divincolarsi, Hinata si scusava con nessuno in particolare.
«Levale le mani di dosso!» urlò Naruto a Kakashi, senza
notare che il suo insegnante fosse l’unica cosa che impediva a Sakura di
decapitarlo. «Sporco pervertito!»
«Sta’ zitto, Naruto!» ringhiò lei. «Tu non sai niente!»
La folla si infittiva: tra di loro, spiccava qualche viso
familiare.
«Che succede?» chiese Ino, facendosi strada insieme al suo
team.
E l’espressione scioccata di Iruka-sensei la raggiunse dalle ultime file.
Così tanti visi – conosciuti o meno – li guardavano con un mix di emozioni, dal
divertimento al disgusto, passando per la pura curiosità.
Ognuno di loro ormai sapeva, e non c’era modo di ritrattare.
La lotta di Sakura si spense lentamente, quando la gravità
della situazione cominciò a pesarle addosso. Guardò Naruto, e tutto ciò che
vide furono rabbia ed odio, e dolore… Tanto dolore. E Ino, che aveva ottenuto
informazioni da un passante, la guardava con un misto di shock e disapprovazione.
Tutto ciò che aveva temuto – ferire Naruto, essere
disprezzata, sapere che le cose non sarebbero mai più state le stesse – ora la
guardava in faccia.
«Suppongo», riprese Genma, sopprimendo la lotta di Naruto
con una secca tirata di capelli, «che sia il caso di informare l’Hokage.»
Capitolo lungo e a tratti piuttosto lento, ma ho sempre
apprezzato il modo in cui Shizune gestisce la situazione. Si rivela essere una
vera amica sia per Sakura che per Kakashi, ed anche se coinvolge Hinata nei
loro loschi affari, ha tutte le intenzioni di supportare la loro relazione.
Quanto a Naruto, beh... Quello non è Naruto.
Sono pronta a scommettere che, nel caso in cui la KakaSaku fosse stata canonica
(magari...), proprio Naruto sarebbe stato il primo ad accettare la cosa e a
sostenere i suoi amici. Del resto, Naruto ha sempre avuto a cuore la felicità
di Sakura, anche a discapito della cosa.
Speculazioni a parte, il risultato finale non mi soddisfa, ma lo prendo per
quel che è, tenendo in conto che ormai siamo nel vivo della questione ed il
prossimo sarà ben più dinamico.
Alla prossima!
Shizune leccò la punta di un dito e sfogliò le
pagine della rivista di nozze sulla sua scrivania, sospirando nel mentre.
Quella mattina, la torre dell’Hokage era insolitamente tranquilla. Tsunade
stessa non era ancora arrivata e solo una manciata di persone erano passate da
lei, per lasciare qualche scartoffia da timbrare o il verbale di una missione.
Buttò un occhio all’orologio da parete nella sala
d’attesa e lo confrontò col proprio, per poi confermare che Tsunade fosse in
ritardo. E l’Hokage ritardava solo in seguito ad una serata alcolica, quindi
con ogni probabilità si sarebbe presentata in condizioni pietose.
La porta sotto l’orologio si aprì un attimo dopo e
Shizune alzò la testa convinta di incontrare il suo capo, mentore e quasi zia.
Al contrario, vide Genma.
Salutò sorridendo il compagno di squadra, ma presto si accigliò nel notare che
trascinavaa fatica un trasandato
ragazzo biondo. Dopo Naruto, comparve Hinata pallida come un lenzuolo ed in
evidente disagio, ed ancora dopo di lei c’era Kakashi con entrambe le mani in
tasca. Alla coda si aggiunsero una Sakura dallo sguardo cupo e Ino,
evidentemente furiosa.
«Siediti» Genma ordinò a Naruto, lanciandolo
sgraziatamente su una delle seggiole a ridosso del muro. «Anche voi» si rivolse
poi alle due ragazze, indicando i sedili del muro di fronte. Probabilmente
avrebbe ordinato la stessa cosa a Kakashi, se non l’avesse trovato già
accomodato su una delle sedie di fronte alla porta dell’ufficio dell’Hokage, il
più lontano possibile da tutti loro. Hinata si appollaiò accanto a Naruto, cosa
che apparve a Shizune come un vero e proprio atto di coraggio, dato che il
ragazzo sembrava pronto ad uccidere qualcuno.
La stanza divenne soffocantemente
silenziosa.
Genma si avvicinò al bancone di Shizune, facendole
cenno di avvicinarsi. «Il Quinto è dentro?» chiese a bassa voce. «Abbiamo una
cosuccia da risolvere, qui.»
Shizune scrutò la stanza: Kakashi fissava risoluto
il pavimento, Naruto lanciava occhiatacce minacciose a Kakashi, Hinata era sul
punto di scoppiare a piangere, Sakura se ne stava ingobbita sul sediolino e
stringeva la mano di Ino in cerca di supporto, anche se Ino guardava Kakashi
con lo stesso sguardo assassino di Naruto.
Non bisognava essere dei geni per capire cosa
stesse succedendo.
«Tsunade-sama non è ancora arrivata» informò
Genma. «Che succede?»
Il ragazzo sospirò. «Rissa in strada. Naruto ha
picchiato Kakashi, a detta di Sakura, e Hinata sembra essere coinvolta in
qualche modo. Li ho portati tutti qui perché a quanto pare ci sono in ballo
accuse piuttosto pesanti, è necessario informare l’Hokage stessa. Anche se non
so perché lei sia qui» disse, indicando Ino.
La ragazza staccò gli occhi di dosso a Kakashi
solo per rivolgerli a Genma. «Supporto morale», si sentì in diritto di
rispondere, dando una pacca alla schiena di Sakura.
Genma scrollò le spalle. «Sai per caso quando si
presenterà la Strega Cattiva?»
«Presto» rispose in automatico Shizune, guardando
Hinata che non aveva il coraggio di ricambiare il suo sguardo.
«Mi sento male» mormorò Sakura, pallida e
tremante. «Credo che darò di stomaco.»
«Prendete un secchio!» ordinò Ino.
Kakashi scattò all’istante verso Sakura, ma Naruto
e Ino lo intralciarono repentinamente.
«Non crede di aver fatto abbastanza,
Kakashi-sensei?» borbottò Ino.
«Se ti azzardi a toccarla con un dito, te lo
taglio!» ringhiò Naruto.
«Smettetela!» pregò Sakura. «Entrambi!»
Kakashi non si scompose. «Se siete così desiderosi
di aiutarla, perché perdete tempo con me?»
Ino gli diede le spalle e si accovacciò di fronte
a Sakura, le fece poggiare la schiena contro il muro e sfregò le braccia in
segno di conforto. «Come ti senti, fronte larga?»
«E’ solo nervosismo» mormorò Sakura.
«Lo spero» intervenne Naruto, incenerendo Kakashi
con gli occhi, il quale in risposta sollevò a stento un sopracciglio.
Sakura trasalì. «E con questo che vuoi dire?!»
chiese.
Ma Naruto si rivolse unicamente a Kakashi. «Se è incinta–»
«Tu–!»
«Chi è incinta?»
La voce roca giunse dalla porta, e fu abbastanza per
far calare di nuovo il silenzio sulla sala. Tutti si voltarono per guardare
Tsunade, che se ne stava sull’uscio col soprabito di rovescio ed un paio di
occhiaie nere come la notte. Dallo stato dei suoi capelli e dalla postura
traballante, fu piuttosto chiaro ai presenti che fosse ancora vittima di una
sbronza infernale.
«Perché c’è tutta questa gente nel mio ufficio a
quest’ora del mattino?» gracchiò imbronciata. «Un Hokage non può avere un
attimo di pace?»
L’intera stanza esplose in un turbinio di voci.
«Nonna – non ho fatto niente di male – è stato
Kakashi a–»
«Maestra, Naruto ha attaccato Kakashi–»
«Per una buona ragione!»
«Ma non stai mai zitto?!»
«Mi d-dispiace tantissimo, Sakura-san,
non volevo che andasse così–»
«Questa è una cosa tra la fronte larga ed il
vecchio pervertito, che diavolo ci fai tu qui–»
«Non parlare in quel modo a Hinata-chan–»
«Ho i postumi di una sbronza!» li zittì
Tsunade, facendo calare di nuovo il silenzio. «Genma, nel mio ufficio. Tutti
voi, restate dove siete e muti come tombe. Non voglio sentire una mosca volare
fino a quando non avrete espressamente il mio permesso per parlare, sono stata
chiara?»
Nessuno proferì parola.
«Bene» ringhiò, attraversando la sala. Shizune
guardò Genma con preoccupazione, mentre questi seguiva l’Hokage nel suo
ufficio.
Lo stomaco di Sakura continuò ad attorcigliarsi
nel momento in cui la porta dell’ufficio di Tsunade si richiuse bruscamente. In
quell’esatto momento, Genma le stava illustrando quell’assurda situazione che
avrebbe potuto competere con la trama della sua soap opera. Ino continuava ad
accarezzarle la schiena e a comportarsi da amica, anche se Sakura sospettava
che fosse lì solo per avere l’esclusiva sullo scoop che sarebbe stato sulla
bocca di tutti per parecchio tempo. Dall’altro lato della stanza, Kakashi era
tornato a sedere, ma si rifiutava di guardarla – soprattutto perché Naruto
minacciava di colpirlo ancora se ci avesse provato.
Il silenzio si era fatto insopportabile.
Sakura tentava invano di cogliere almeno uno strascico della conversazione tra
Genma e Tsunade, ma era risaputo che l’ufficio fosse insonorizzato.
Era da tanto che non provava quella paura
viscerale: l’ultima volta risaliva a quando Naruto e Sasuke avevano provato ad
uccidersi l’un l’altro sul tetto dell’ospedale. A quei tempi, la sensazione che
le cose non sarebbero mai più state le stesse per il Team 7 l’aveva
terrorizzata. Ora, mentre attendeva le conseguenze delle sue azioni, sapeva che
il danno causato era addirittura peggio e che nulla avrebbe potuto riportare le
cose alla normalità.
La porta dell’ufficio si aprì e Genma tornò tra di
loro, rivolgendo a Shizune uno sguardo preoccupato. Tsunade comparì dietro di
lui, sul viso i segni di una rabbia fulminante. Aveva smaltito istantaneamente
i postumi dell’alcol, ma le occhiaie che le contornavano gli occhi erano ancora
più accentuate, e quando quegli occhi incontrarono quelli di Sakura, la ragazza
non poté trattenere un brivido di terrore.
Lo sguardo penetrante dell’Hokage si spostò poi su
Kakashi, il quale fece l’errore di ricambiarlo con un sorrisetto. Nella
frazione di un secondo, Tsunade lo afferrò per la collottola e lo trascinò
nell’ufficio, senza aggiungere una parola. Sakura scorse per un attimo il viso
di Kakashi, ora leggermente preoccupato, prima che la porta si richiudesse con
un tonfo che scosse l’intero edificio.
Tutti i restanti rilasciarono un sospiro che non
sapevano di star trattenendo.
«Che diavolo sta succedendo, Sakura?» mormorò Ino,
prendendo coraggio ora che Kakashi non poteva sentirla. «Ti prego, dimmi che è
tutto un orribile equivoco.»
«Non è un orribile equivoco» le rispose
amaramente.
«Ho sempre saputo che hai gusti discutibili in
fatto di uomini, ma tutto ciò è assurdo», le disse, sprezzante. «Ti ho
consigliato di trovarti un uomo adulto, ma ci sono dei limiti, sai. E
infrangere la legge è uno di quelli.»
Dall’ufficio dell’Hokage arrivavano urla ovattate
e Sakura guardò la porta con preoccupazione. «Pensavo che lo studio fosse
insonorizzato» sussurrò.
«Lo è», rispose atona Shizune.
Ma tutti potevano sentire chiaramente spezzoni di
una conversazione piuttosto violenta, cose come “responsabilità” e “certe
confidenze” che “non possono essere violate” delle quali “te ne
sei sbattuto”. Ogni frase fu accompagnata da tonfi, fino a quando non
sentirono il preoccupante rumore di qualcosa che veniva sbattuto con forza
contro la porta. Sakura fece per alzarsi, ma Ino la trattenne.
Le urla continuarono a crescere fino a quando non
furono perfettamente comprensibili alle orecchie di tutti.
«Ti è stata data una posizione di totale
fiducia, ed è questo il modo in cui mi ripaghi?!» le grida soffocate di
Tsunade spezzarono il denso silenzio. «Cosa?! Non me ne frega un cazzo se
sanguini – alzati!»
Non riuscirono a capire altro oltre ciò, ma Sakura
sentì un gemito di terrore nel pensare che tra poco sarebbe toccato a lei. «Lo
ucciderà» gemette.
«Benissimo» dichiarò Naruto, insensibile.
Senza esitare, Sakura inveì contro di lui. «Guardatelo,
se ne sta lì tutto compiaciuto!» ribollì. «Scommetto che sei felice ora, eh?!
Ti rendi conto del danno che hai causato?! Tutto perché non sei in grado di
comportarti da adulto per nemmeno trenta secondi!»
«Avresti dovuto pensarci prima di andare a letto
con il nostro insegnante!» le ringhiò contro. «La colpa è solo tua, Sakura!»
Ed era difficile ammettere che avesse ragione.
Anche se Naruto aveva sbagliato ad attaccare Kakashi nel bel mezzo della
strada, le colpe che avevano lei ed il loro maestro surclassavano tutto ciò che
il suo compagno di squadra aveva fatto. E per come si stava comportando
Tsunade, senza dubbio gli avrebbe dato ragione.
Amare lacrime di rabbia riempirono gli occhi di
Sakura, ma si costrinse a trattenerle. Scostò Ino e fronteggiò Naruto; Genma si
frappose tra di loro, temendo un attacco, ma Sakura si limitò a stargli di
fronte. «Credi di essere in diritto di incolpare Kakashi?» gli chiese,
guardandolo negli occhi. «Credi di avere il diritto di colpirlo in quel modo e
fare una scenata nel bel mezzo della strada? E allora perché non colpisci anche
me, Naruto? Kakashi non ha fatto niente che io non volessi, siamo coinvolti
entrambi in questa storia, come pari. E se vogliamo dirla tutta, sono stata io
a convincerlo. Quindi, se hai bisogno di sfogare la tua rabbia su qualcuno,
sfogala su di me.»
Attese una reazione, ma Naruto non fece altro che
ricambiare il suo sguardo. E per la prima volta notò l’alone rossastro che gli
offuscava le pupille. Il Kyūbi era lì, cercava di prendere il possesso del
suo corpo, ma Naruto lo teneva sotto controllo.
«Ma che cazzo di problema hai?!» le urlò Naruto,
respingendola. «Perché lui?! Che diavolo ti è passato in mente?! Come hai
potuto anche solo considerarlo?!»
«Hey, hey, hey!» Genma intervenne quando Sakura
fece per colpirlo ancora. La riportò di peso a sedere, ed Ino la trattenne con
il pretesto di un abbraccio. Sakura era troppo arrabbiata per protestare,
quindi restò al suo posto e mormorò qualcosa di esplicito riguardo alle persone
stronze ed ipocrite.
Finalmente le grida che provenivano dall’ufficio
si interruppero con un ultimo colpo violento, attirando l’attenzione di tutti.
«Spero che non l’abbia ucciso», bisbigliò agitata
Shizune.
Il silenzio si fece inquietante. Sakura attese con
il respiro mozzato, chiedendosi se Tsunade avesse davvero ucciso Kakashi
e se fosse il caso di fare irruzione e andare a salvarlo. Ma un attimo prima
che potesse cedere all’impulso, la porta si spalancò facendo sobbalzare tutti.
Ne emerse Kakashi, con una mano sanguinante che copriva un taglio profondo sul
sopracciglio. Sakura fece per raggiungerlo, ma Ino la trattenne saldamente.
«Genma» scattò Tsunade. «Porta Hatake
all’ospedale. Di’ pure alle infermiere di essere brutali.»
Genma annuì e prese Kakashi per un gomito,
scortandolo come fosse stato un prigioniero. Passando accanto a lei, Kakashi
alzò un pollice in su di nascosto, ma non fu sufficiente a tranquillizzarla.
«Sakura» ringhiò Tsunade, e la ragazza si rese
conto che fosse arrivato il suo momento. Mentre faceva il suo ingresso
nell’ufficio con sguardo basso, Tsunade si rivolse a Shizune. «Portami il libro
delle leggi.»
«Il libro delle leggi?» ripeté l’assistente,
confusa.
«Il libro con le leggi! Quello grosso!» scattò
ancora l’Hokage.
«Lo Statuto del Villaggio?» tirò a indovinare
Shizune.
«Come si chiama, basta che me lo porti ora.»
La porta sbatté ancora e, una volta dentro, Sakura
si guardò intorno. C’erano parecchie crepe sui muri, apparentemente causate dai
vari vasi, portapenne e fermacarte che ricoprivano il pavimento della stanza,
mentre fogli di carta erano disseminati ovunque. Buttò velocemente un occhio
alla scrivania di Tsunade e fu sollevata dal notare che non era rimasto nulla
da scagliarle contro.
«Siediti» tagliò corto la maestra.
Sakura obbedì mestamente, anche se dovette
raccogliere la sedia dal pavimento. Tsunade prese posto dietro la scrivania, ma
più che rivolgersi a lei preferì prendere una spillatrice e dividere qualche
foglio in piccole pile, incurante dell’ordine.
Forse il suo era un tentativo di ignorarla fino a
quando Sakura stessa non avrebbe cominciato a confessare l’accaduto. Non aveva
idea di cosa Kakashi le avesse detto – semmai avesse avuto l’occasione di dire
qualcosa, in mezzo a tutte quelle urla – quindi decise di ponderare bene le
proprie azioni.
Ma fu Tsunade a cedere per prima.
O meglio, fu la spillatrice a cedere. Una delle spille si incastrò nel macchinario,
facendo esplodere la furia dell’Hokage che la scagliò con forza bruta contro la
porta dell’ufficio, mancando l’orecchio di Sakura di pochi centimetri.
Poi si prese la testa tra le mani e premette forte i palmi sugli occhi stanchi.
«Perché mi hai fatto questo, Sakura?» disse,
cedendo alla debolezza. «Hai idea della posizione in cui mi hai messa?»
Sakura non sapeva cosa dire, se non: «Mi
dispiace».
Ma non era la risposta giusta. «Le scuse non
bastano!» sbraitò Tsunade. «Sei la mia apprendista! Ti ho insegnata
ad essere furba, intelligente, razionale! E mi sconvolge sapere che qualcuno
sotto la mia tutela abbia fatto qualcosa di così stupido! Mi hai delusa…»
Sakura abbassò lo sguardo, sentendosi non meno che
orribile, in ogni senso.
Tsunade cercò di calmarsi. «Allora, andiamo al
punto», disse, costringendosi a svolgere un ruolo terribile. «Sei incinta?»
Sakura sentì un brivido di umiliazione nelle ossa.
«No, maestra», rispose mestamente.
«Sei sicura?»
«Sicurissima, maestra» rispose ancora, facendo
trapelare il fastidio che provava nel fatto che in molti mettessero in dubbio
la sua capacità di prendersi cura di sé. «Prendo anticoncezionali regolarmente
e non ho mai avuto incidenti prima, non vedo perché dovrei averne ora.»
«Non usare quel tono con me, Sakura. Devo esserne
sicura.»
«Scusi, maestra. Lo capisco.»
«Ti ha persuasa in qualche modo?»
Sakura si accigliò, non capendo dove Tsunade
volesse arrivare.
Erano tanti i modi in cui Kakashi l’aveva persuasa; anzi, sarebbe stato più
corretto dire che lei si fosse fatta persuadere dall’attrazione che
provava nei suoi confronti, ma non le sembrava qualcosa di particolarmente
rilevante. «Non credo di aver capito cosa intende, maestra…»
«Voglio dire… Ti ha costretta?» le chiese Tsunade, sporgendosi
verso di lei. «Sei una sua allieva da quando avevi dodici anni. Hai mai
ricevuto proposte inappropriate in questo arco di tempo? Tocchi? Carezze?
Commenti? Qualcosa che potrebbe–»
«No!» la interruppe Sakura, allarmata. «Kakashi
non lo farebbe mai! La nostra relazione è cominciata solo due settimane fa.
Prima di ciò non c’è mai stato nulla, lo giuro, non mi ha mai toccata. Anzi, in
realtà non mi ha mai prestato chissà quanta attenzione. Non avrebbe mai potuto… Lui non è… Come può
pensare questo di lui?»
«Perché, dico, ti rendi conto che chiunque
lo penserà d’ora in poi?»
Sakura sbiancò. «Sono stata io ad andare da lui,
maestra. Kakashi non mi ha costretta a fare niente.»
«Interessante», commentò Tsunade, ritraendosi contro
lo schienale della sedia. «Da un lato abbiamo Kakashi che si prende tutta la
responsabilità, e dall’altro ci sei tu che fai esattamente la stessa cosa.»
«Sta cercando di proteggermi», realizzò Sakura.
«Ma non è stato lui, sono stata io a cominciare. Lui ci è stato solo perché si
dispiaceva per me.»
«Quindi hai istigato tu questa relazione?»
«Sì.»
«Con l’obbiettivo di guadagnare crediti extra per
la revisione, forse?»
Sakura chiuse gli occhi e strinse i pugni. «No, è
stata una coincidenza. E Kakashi non è il tipo di persona che permette alle
relazioni personali di interferire con i suoi giudizi professionali.»
«Apparentemente no, ti ha bocciata.»
Sakura annuì.
«Sai che ora la sua decisione non ha più valore?»
chiese Tsunade. «Dovrò trovare un altro esaminatore e dovrai ripetere la
prova.»
«Non mi interessa» la informò Sakura, scuotendo la
testa. «Per favore, maestra… Mi dica solo com’è la
situazione.»
Tsunade la guardò con un sopracciglio inarcato.
«Come credi che sia?»
Quando Sakura non rispose, riprese. «Ovviamente eravate consapevoli del fatto
che vi steste cacciando in un guaio, altrimenti non lo avreste tenuto segreto.»
Sakura la fissò. «Non…
Non condannerete a morte Kakashi… Vero?»
Tsunade si sporse di nuovo, gli occhi ridotti a
due fessure. «Sto ancora decidendo.»
«Shizune-san ha detto che l’ultimo insegnante che
è andato a letto con una sua studentessa è stato condannato a morte.»
«E’ vero, anche se la condanna aveva poco a che
fare con la sua relazione con una studentessa, anzi, era perlopiù per il suo
vizio di rapire ed uccidere buona parte dei nostri shinobi per i suoi
esperimenti genetici.»
Sakura si rilassò impercettibilmente.
«Ma i provvedimenti legali per l’abuso sessuale
sono comunque piuttosto gravi» continuò Tsunade.
«Ma sono maggiorenn–»
«Sì, ma il rapporto di fiducia tra studenti e
insegnanti è sacro ed è salvaguardato dalla legge stessa. Kakashi è venuto meno
ai suoi doveri e ha tradito la nostra fiducia, ci saranno ripercussioni.»
Qualcuno bussò alla porta. «Avanti!» strillò
impaziente Tsunade.
Shizune sgattaiolò nell’ufficio con un grosso e
vecchio libro tra le braccia. Tsunade inforcò gli occhiali e – quando
l’assistente glielo porse – prese a sfogliarlo.
«La legge che regolamenta i rapporti tra
insegnanti e alunni è piuttosto vecchia, Sakura» la informò, cercando
l’argomento in questione. «Non è mai stata modificata fin da quando è stata
scritta, e cioè più o meno alla fondazione del Villaggio. Avevo intenzione di
abolire qualcuna di queste sciocchezze, ma non pensavo di doverne applicare
una, soprattutto per te.»
Sakura strinse forte l’orlo della gonna, mentre
Tsunade faceva scorrere il dito sulle vecchie pagine ingiallite. Si fermò
all’improvviso, e Sakura perse un battito. «Apparentemente è illegale dare
fuoco alle scimmie per sgomberare le sorgenti termali» lesse Tsunade. «In
questo libro ci sono scritte cose ridicole.»
Saltò un altro paio di pagine prima di fermarsi
ancora, e sia lei che Shizune si sporsero in avanti per leggere un passaggio in
particolare. Dopo poco, entrambe si ritrassero e Tsunade richiuse violentemente
il libro, formando una nuvola di polvere. Fissò intensamente Sakura negli
occhi.
«Quindi…?» osò lei.
«La legge è piuttosto chiara» sospirò Tsunade,
quasi serenamente. «Gli insegnanti che si approfittano degli allievi vanno
imprigionati o condannati a morte, dipende dal volere del padre dell’allieva.»
Sakura si coprì la bocca con una mano, cercando di
trattenere il pianto.
«O almeno, questa è la procedura in caso di
minori» continuò l’Hokage. «Sarai felice di sapere che le cose sono leggermente
più rosee nel caso si tratti di due adulti, ma dipende tutto da un fattore.»
«Quale fattore?» chiese Sakura preoccupata.
Tsunade chiuse gli occhi e prese qualche secondo
per riflettere, per poi riaprirli e rivolgere a Sakura uno sguardo stanco. «Le
cose cambiano se vi amate.»
«Non capisco» esitò Sakura.
«E’ abbastanza semplice. La situazione è meno
grave se siete innamorati l’uno dell’altra. Qual è la tua risposta, Sakura?»
Non ne aveva una. Come poteva qualcosa come
l’amore incidere sulla legge? La sua maestra le stava praticamente dicendo che
le regole erano meno severe con chi ha sbagliato per amore, a differenza di chi
aveva avuto solo un’avventura. Ed in quel caso, a quale categoria appartenevano
lei e Kakashi? Una settimana prima avrebbe risposto senza esitazione che la
loro era solo una relazione di sesso, un venirsi incontro per soddisfare i
propri bisogni biologici, ma adesso? Ora c’era quella strana sensazione al
petto che una semplice avventura non fa provare.
Ma la vera domanda era: Kakashi sentiva la stessa
cosa? E se pure entrambi ne fossero stati vittime, era così profonda da potersi
definire amore?
Sakura schiuse le labbra per ribattere, ma Tsunade
la interruppe. «Tieni a mente, Sakura,» le disse con un amaro sorriso, «che ho
fatto la stessa domanda a Kakashi, sto cercando di capire se le vostre risposte
combaciano.»
Sakura volse uno sguardo disperato a Shizune in
cerca di un suggerimento, ma il viso di lei era teso ed indecifrabile.
Le sembrava una trappola: se a Kakashi era stata posta la stessa domanda, era
stato costretto a rispondere sinceramente; ma se non aveva ancora riconosciuto
la natura della loro relazione con lei, come avrebbe potuto farlo con Tsunade?
Rassegnata, Sakura chinò il capo. «Mi dispiace»
mormorò. «Non è nulla di serio, è solo un’avventura. Non siamo innamorati.»
Quando ebbe il coraggio di guardare la sua
maestra, notò che il sorriso tagliente di questa si era esteso. «Interessante»
sospirò. «Puoi andare.»
Scossa, Sakura restò immobile. «E riguardo la
punizione?»
«Deciderò dopo, e sarai informata entro stasera.
Puoi andare.»
Lentamente, Sakura si rimise in piedi. Shizune
aprì la porta per lei e dopo un attimo fu di nuovo nella sala d’attesa,
scrutata da sguardi ansiosi. «Allora? Che ne sarà di te?» le chiese Ino,
impaziente.
Prima che Sakura potesse dirle che non lo sapeva
ancora, Tsunade apparve alle sue spalle.
«Naruto» chiamò, rivolgendosi al ragazzo stizzito.
«Sono molto delusa anche da te. Nel momento in cui hai saputo di questa
faccenda, era tuo dovere venire ad informarmi piuttosto che farti giustizia da
solo. Non ci sono scuse per il tuo comportamento, attaccare il tuo capitano nel
bel mezzo della strada non è un comportamento maturo – no, non interrompermi.
Penserò ad una punizione appropriata anche per te.»
Poi si voltò verso Hinata, che sobbalzò
visibilmente. «E tu, Hinata. Sono molto sorpresa. Di tutti i presenti, tu sei
quella che ha meno motivi per nascondere la cosa, e invece hai preferito andare
direttamente da Naruto, pur sapendo che avrebbe reagito male. Avevi forse
intenzione di causare guai?»
Hinata sbiancò, infastidita. «N-no, non volevo che
accadesse tutto questo. Non ho detto nulla a Naruto, ma lui continuava a farmi
domande e gli ho chiesto di smetterla, e ad un certo punto siamo passati
davanti la Lanterna Rossa e ha visto Kakashi-sensei con Sakura, e scherzando ha
ipotizzato che avessero una relazione. M-mi dispiace tanto… Ha visto Kakashi-sensei toccare la gamba di Sakura-san e poi ha guardato me e ha capito tutto…M-mi dispiace davvero
tanto, lo giuro, non volevo creare problemi!»
Tsunade si accigliò. «Avresti dovuto comunque
informarmi. Nascondere questo tipo di informazioni è un’azione punibile,
Hinata.»
Sakura notò il modo in cui gli occhi di Hinata
scattarono verso Shizune, ma non fece altro che annuire ed abbassare lo
sguardo.
«No, Tsunade-sama» si fece avanti Shizune. «La
prego, non punisca Hinata, le ho chiesto io di tenere il segreto. Tecnicamente
sono un suo superiore, ha agito secondo i miei ordini.»
Sorpresa, Tsunade si rivolse a lei. «Tu
sapevi?» chiese. «E non mi hai detto niente?»
Shizune annuì mestamente.
Tsunade quasi rise. «Sono certa che lo state
facendo apposta per farmi incazzare» sbuffò al cielo. «Cortesemente, dimmi chi
te lo ha detto almeno. Devo sapere chi altri aggiungere alla lista dei
provvedimenti.»
«Non me l’ha detto nessuno» ammise Shizune. «L’ho
scoperto da sola.»
«Come?» chiese debolmente Sakura.
Shizune la guardò colpevole e tirò fuori qualcosa dalla
lunga manica. «Sono cadute a Kakashi in ospedale. Non dovresti scrivere il tuo
nome sulla biancheria, Sakura… L’inchiostro può
rovinare i tessuti, se non stai attenta.»
Allungò il paio di mutandine in pizzo a Sakura,
che non fece altro che guardarle confusa. Tsunade si schiaffò una mano sul viso
e Naruto parve apoplettico.
«Tu», Tsunade indicò Ino, che congelò. «Che ci fai
qui? Per cosa dovrei punirti, esattamente?»
«S-sono qui solo per
dare supporto morale, Hokage-sama.»
Le braccia di Tsunade caddero. «Bene. Potete
andare tutti, e vi consiglio di farlo alla svelta, prima che faccia qualcosa di
cui potrei pentirmi.»
«Sei davvero un cazzo di idiota, lo sai?»
«Lo so.»
«Ti è anche andata bene, pensavo ti neutralizzasse
all’istante.»
«Ci ha provato.»
Genma scosse la testa e fischiettò, allungandosi
verso Kakashi per constatare i progressi della medicazione che l’infermiera gli
stava fornendo. La giovane donna era impegnata ad attaccare farfalline
appiccicose lungo il taglio sulla fronte. «Ad ora conto almeno nove punti», lo
informò. «Non ne valeva la pena, Hatake.»
Se Kakashi non avesse avuto gli occhi chiusi, li
avrebbe alzati al cielo.
«Potresti essere condannato per questa faccenda,
sai.»
«E’ ridicolo» gli rispose stancamente. «Ci sono
solo due cose per cui si viene condannati a Konoha, ultimamente – tradimento e
cospirazione. Nulla che mi riguardi, per quanto ne so. La mia unica colpa è
quella di aver dormito con un’adulta, che per puro caso fa parte del mio stesso
team.»
«Ma le persone non la vedranno così, Hatake», gli
fece notare Genma. «Quando sentiranno che un insegnante è andato a letto con
un’alunna penseranno tutti che ti sei approfittato di lei, in qualche modo. E
il fatto che tu sia un tipo strano non aiuta… Non mi
sorprenderei se pensassero anche peggio di così.»
L’infermiera si fermò. «Lei è l’insegnante di
Haruno Sakura?» chiese.
«Sì», rispose monocorde.
«Ah. Mi piace Haruno-san»,
disse. Riprese a medicarlo, ma d’un tratto i suoi modi erano diventati più
grezzi ed inutilmente dolorosi; Kakashi sussultò, ma sopportò senza lamentarsi.
«Quanti anni ha?» chiese Genma. «Sedici… Diciassette?»
«Diciotto» rispose Kakashi, seccamente.
Ancora una volta Genma scosse il capo, incredulo.
«E cosa ci fai con una ragazza così giovane?» chiese, sconcertato. «E’ per caso
una sorta di crisi di mezza età? Devi stare attento, Hatake. Sai come ci si
sente a diciotto anni… Ci si innamora dalla sera alla
mattina. Che bisogno c’era di ficcarti in un guaio del genere?»
Kakashi lo ignorò fermamente.
«Oi», Genma si inginocchiò per guardarlo
direttamente negli occhi. «Non sarete mica innamorati?»
Kakashi lo guardò con fare impassibile. «Il Quinto
mi ha fatto la stessa domanda.»
«E?» incalzò Genma. «Cosa le hai risposto?»
«Le ho detto la verità.»
«Che sarebbe?»
«Non sono affari tuoi.»
Genma sbuffò e tornò in piedi. «Lasciatelo dire:
per una volta non ti invidio affatto. Qualsiasi provvedimento decida di
prendere l’Hokage, credo che a questo punto sei fottuto.»
«Grazie tante.»
«E buona fortuna con i tuoi compagni di team, ce
ne vorrà di coraggio per guardarli di nuovo negli occhi.»
«Già… Grazie ancora.»
«Figurati.»
Genma gli diede una pacca sulla spalla. «Bene, sono sicuro che ci siano ancora
una manciata di persone che non hanno ancora sentito lo scoop. Non posso
permettere ad Anko di divertirsi da sola, devo andare a cercarli. Ci vediamo in
giro, Hatake.»
Kakashi sospirò e chiuse ancora gli occhi,
nell’attesa che la tortura che gli stava infliggendo l’infermiera terminasse.
Dopo pochi minuti smise di applicare gli adesivi e si allontanò da lui per
ammirare il proprio lavoro. «Perfetto» dichiarò, con allegria minacciosa. «Può
andare.»
«Non mi merito un lecca-lecca?»
Era la stessa battuta che faceva ogni volta che
terminava una visita all’ospedale, fosse stato per un’influenza, una gamba rotta
o un coma. In genere, i medici o infermieri ridacchiavano e basta, ma lo
sguardo che gli rivolse la ragazza gli fece dubitare di aver detto qualcosa di
estremamente osceno ed inappropriato: lo stava guardando come se le avesse
chiesto sesso orale.
Le persone lo avevano sempre considerato un
pervertito, ma in quel caso gli fu chiaro che ormai lo vedevano come un vero e
proprio maniaco.
«Può andare» ripeté, gelandolo con lo sguardo
prima di dargli le spalle.
«Va bene» rispose, intimidito.
La cosa migliore da fare era uscire di lì e
tornare a casa. La sua uniforme era completamente sporca di sangue – perché le
ferite alla testa sanguinavano sempre il doppio del dovuto – quindi per prima
cosa si sarebbe cambiato. Poi avrebbe…
Effettivamente, non sapeva cosa fare. Fin da
quando aveva trovato Sakura zuppa d’acqua fuori la porta, gli era stato chiaro
che le conseguenze sarebbero state catastrofiche. Ma l’unica difesa che si era
concesso era stato fare in modo che nessuno lo scoprisse.
Quello era il suo piano A.
E non c’era un piano B.
«Sembra che dovrai cavartela da solo», si disse,
mentre camminando per il corridoio cercava di ignorare il modo in cui gli
sguardi si scostavano da lui; eppure sentiva quegli occhi addosso, conficcati
nella schiena. Ma lasciò l’ospedale senza battere ciglio.
Era già mezzogiorno.
Le strade erano affollate dalla gente in pausa pranzo, ed in un certo senso era
stato fortunato: gli sarebbe stato più semplice passare inosservato,
amalgamandosi alla folla. Qualche paio d’occhi si soffermarono su di lui per
pochi istanti, ma era ancora presto: entro sei ore la notizia si sarebbe sparsa
fino agli angoli del Villaggio, e da quel momento sarebbe stato impossibile per
lui camminare senza essere additato da chiunque.
Ma neanche quella sarebbe stata una passeggiata
semplice.
Mentre svoltava nella zona residenziale, qualcuno lo riconobbe dall’altro lato
della strada e gli urlò: «Che c’è, Hatake? Devi buttare il cazzo tra i tuoi
ragazzi perché non sei in grado di trovartene una adulta?»
Quell’uscita infelice fu seguita da uno scoppio di
risate, e Kakashi si voltò curiosamente verso il gruppo di giovani jonin che si
congratulavano l’un l’altro. Anche se loro sembravano conoscerlo, lui non aveva
la più pallida idea di chi fossero, quindi scosse la testa e riprese a
camminare con nonchalance. Gli insulti non erano nulla di nuovo, per lui, e nel
tempo aveva imparato ad ignorarli.
Ma come avrebbe reagito Sakura?
Almeno non trovò la porta di casa imbrattata.
Entrò nel suo appartamento e si spogliò rapidamente, appallottolando i vestiti
sporchi accanto a letto. Indossò poi una maglietta nera ed un paio di pantaloni
da ginnastica.
Si guardò allo specchio per esaminare la ferita sulla fronte e notò che i primi
punti erano stati applicati accuratamente, mentre i restanti – successivi al
momento in cui aveva menzionato Sakura – erano stati incollati a casaccio.
Il temperamento fumantino
di Tsunade era leggendario quasi quanto la sua scarsa abilità nel gioco
d’azzardo. Non lo sorprendeva il fatto che gli avesse tirato contro ogni tipo
di oggetto, perché sapeva quanto fosse legata a Sakura e quanto bene le
volesse. Il suo senso di protezione per la sua apprendista era del tutto
naturale, ed in un certo senso l’Hokage era l’insegnante di Sakura più di
quanto lo fosse lui.
E nel tempo aveva imparato a sue spese che quando
Tsunade cominciava a lanciare oggetti, non era saggio schivarli, perché
l’avrebbe fatta incazzare di più. Non era facile spiegarsi e difendere la
propria posizione, mentre una donna vulcanica come lei ha intenzione di
colpirti ed ammazzarti. Quindi si era trovato a dover scegliere tra un vaso in
fronte ed un paio di forbici conficcate nei testicoli: tra le due, sentiva di
aver fatto la scelta giusta.
Stava goffamente cercando di sistemare le farfalline
sul taglio, quando dallo specchio notò dei movimenti alle sue spalle. Senza
nemmeno girarsi, vide Sakura entrare dalla finestra e sedersi sul suo letto.
Sembrava piuttosto tesa.
«Vedo che sei riuscita a scappare incolume»
commentò, tornando ai suoi punti.
Sakura lo raggiunse, ed un attimo dopo gli sbatté
la testa contro lo specchio.
«Ohw.»
Cominciava a sentirsi piuttosto maltrattato.
«Idiota!» strillò, lanciandogli contro un paio di
mutandine. «Hai rubato la mia biancheria!»
Osservò l’indumento ed inarcò le sopracciglia.
«Oh! Cominciavo a chiedermi dove fossero finite. Pensavo di averle perse
durante la missione» le disse, ammirando l’oggetto in questione.
Sakura gliele strappò di mano. «Ti sono cadute in
ospedale», gli ringhiò contro. «Shizune le ha trovate ed è per questo che tutti
lo sanno.»
«E lo ha detto in giro?» chiese, accigliato: non
sembrava affatto da lei.
«No, lo ha detto solo ad Hinata, che non
riuscirebbe a mettersi contro Naruto nemmeno per salvarsi la vita», sospirò
Sakura, mordendosi le labbra. «Tsunade ha detto che più tardi deciderà come
punirci, ma ormai lo sanno tutti, Kakashi. La gente mi fissa e li sento ridere
alle mie spalle.»
Sembrava dover scoppiare a piangere da un momento
all’altro, quindi Kakashi le cinse le spalle e la strinse contro il proprio
petto. Respirava tremolante, ma sembrava decisa a trattenere le lacrime… Le serviva solo un momento di pausa per
ricomporsi. Kakashi osservò le loro figure allo specchio: si chiese se fossero
una brutta coppia, o se andassero bene insieme, ma ormai non lo capiva più. Nei
loro riflessi, vedeva solo una ragazzina dai capelli rosa che a stento arrivava
al mento di un uomo alto e coi capelli bianchi.
«Naruto mi odia», sussurrò Sakura. «Non mi ha mai
guardata in quel modo. Sento di averlo tradito… Ma
sono troppo arrabbiata! Come ha potuto farci questo?! E’ come se avesse
voluto umiliarci!»
«Naruto non riflette, Sakura», le spiegò
dolcemente. «Si è sentito ferito ed ha agito di conseguenza. Dubito che nel
momento si sia reso conto delle sue azioni, anzi, non penso nemmeno che sapesse
che la nostra relazione è illegale.»
«Perché lo difendi?», gli chiese, scostandosi da
lui per guardarlo. «Ti ha colpito.»
«No, mi ha ferito» la corresse, «perché io l’ho
ferito per primo. A me resterà un segno sul viso per una settimana, ma i suoi
sentimenti ne risentiranno per molto più tempo.»
Sakura sprofondò di nuovo tra le sue braccia. «Ho
paura», mormorò.
«Anche io», le rispose.
«Non è vero», gemette lei. «Lo dici solo per farmi
sentire meglio.»
«Ha funzionato?»
«No…»
Le sorrise dolcemente e le prese il viso tra le
mani per baciarla. Inizialmente, Sakura lo ricambiò, ma dopo un attimo si
scostò ancora da lui e si sedette sul letto, dandogli le spalle. «Non me la
sento» ammise, tristemente. «Mi sento così in colpa che faccio fatica a
guardarti. Se gli altri sapessero che sono qui, si incazzerebbero.»
Si sedette accanto a lei. «Allora faresti meglio
ad andare» le consigliò.
«Ma non so dove», gli disse. «E dico sul serio.
Ovunque io vada… Tutti mi guardano e mi giudicano.
Sei l’unico che mi abbia sorriso, oggi.»
Lo guardò negli occhi e scoppiò a ridere, forse
perché Kakashi stava cercando di tenerle il broncio e guardarla male. Si stese
su un fianco e poggiò la testa sul suo grembo, e poco alla volta la risata
scemò. «Vorrei che il tempo si fermasse», confessò, stringendo la stoffa dei
suoi pantaloni tra le dita. «Non voglio affrontare tutto ciò che succederà
d’ora in poi.»
Kakashi si guardò di nuovo allo specchio ed
osservò attentamente il modo in cui le sue dita scivolavano tra i capelli di
Sakura di propria iniziativa. «Non si può fermare il tempo, Sakura. Dobbiamo
farci coraggio.»
«Sarebbe più facile se si potesse fare» borbottò
lei.
Non aggiunse altro, ma chiuse gli occhi e dopo
qualche minuto Kakashi pensò si fosse addormentata. Sentiva la gamba
intorpidirsi, ma non aveva il coraggio di spostarla e tornò ad accarezzarle i
capelli, guardando allo specchio un uomo che nemmeno riconosceva più.
Un dolce cinguettio lo raggiunse dalla finestra, e
quando si voltò, notò due uccellini. Saltellavano allegramente sul suo
davanzale, scuotendo le ali e le testoline in movimenti inconsueti.
«Sakura» la chiamò, stringendole dolcemente una
spalla. «Siamo stati convocati.»
«Naruto-kun… Sei
arrabbiato con me?»
Non ne era sicuro.
Non era di certo colpa di Hinata se due dei suoi più cari amici avevano una
relazione alle sue spalle, ma allo stesso tempo aveva voglia di incolpare chiunque
fosse in qualche modo coinvolto.
«Tu sapevi, Hinata-chan»,
l’accusò, cercando di non far trapelare la rabbia nella voce: per qualche
motivo, non riusciva mai a prendersela con lei, gli sembrava crudele. «Perché
non mi hai detto niente?»
Hinata sobbalzò comunque come se le avesse urlato
addosso. «Mi dispiace, Naruto-kun…»
Svoltarono l’angolo della torre dell’Hokage, poi
Naruto scavalcò la ringhiera dell’Accademia per prendere una scorciatoia e,
dopo un attimo di esitazione, anche Hinata lo seguì.
«Come hanno potuto?» urlò, più a sé
che a lei. Diede un calcio all’altalena con cui era solito giocare da piccolo,
facendola dondolare. Non alleviò la sua rabbia come aveva sperato. «E’ sbagliato!
E’ da malati! E’ come un incesto o qualcosa del genere!»
Hinata strinse i pugni alle sue spalle. «M-ma non sono parenti.»
«Il mio team è come una famiglia, Hinata-chan», spiegò. «Kakashi-sensei è come un fratello
maggiore, e Sakura è come una sorella – no! – una cugina. Fatta eccezione per
qualche occasione. Perché è strano che ti piaccia tua cugina, giusto? Giusto…»
«Capisco» mormorò. «Anch’io vedo il mio team come
una sorta di famiglia, a volte.»
Naruto scosse la testa. «E’ l’unica famiglia che ho…»
Hinata lo guardò con una punta di sorpresa dipinta
sul volto. «Credo di sapere cosa intendi», disse.
Con un sospiro sconfitto, Naruto si sedette
sull’altalena aggrappandosi ad entrambe le corde. «Lui sapeva che mi piaceva
Sakura» disse a bassa voce. «Gliel’ho detto un sacco di volte, e lei è sempre
stata innamorata di quel bastardo di Sasuke! Avrei potuto accettarlo…
Ma Kakashi? E’ come se le andasse bene chiunque a parte me. Cos’ho di così
sbagliato da farle preferire uno più vecchio?»
Hinata si sedette accanto a lui. «I-io non penso
che ci sia qualcosa che non va in te», disse rapida. «Se ci pensi, Sasuke-kun e
Kakashi-sensei sono molto simili… E forse a Sakura
piace quel tipo di ragazzo. C-ci sono un sacco di
ragazze a cui piaceresti tu. A-anzi, scommetto che
molte di loro morirebbero pur di farsi notare da te.»
«Ah sì?» si intristì Naruto. «Dimmene una.»
Hinata sembrava aver perso la voce a quel punto.
Naruto sembrò capire che non le venisse in mente nessuno e non se ne sorprese.
«Non ci pensare, Hinata-chan» borbottò. «Ormai non
c’è più nulla da fare, è andato tutto in malora…»
«Non volevo tenerti all’oscuro, Naruto-kun» sussurrò. «Ma non volevo neanche ferirti, né
tradire Sakura-san. Non sono d’accordo con ciò che
hanno fatto, ma… Sembrava così felice.»
Naruto la guardò. «Felice», ripeté impassibile. «E
se lui l’avesse costretta?»
Hinata sembrò incerta per un attimo. «Credi che
Kakashi-sensei potrebbe farlo?»
«No, non credo…»
Naruto si prese il viso tra le mani e desiderò di
poter cancellare la propria memoria. Fin da quando aveva sentito parlare di
quella relazione tra un jonin ed un allieva, si era subito chiesto se potesse
trattarsi di Kakashi, ma si era detto che fosse impossibile, anche se in
qualche modo non aveva mai escluso quest’evenienza. E tutti quegli sguardi
allegri e il modo in cui sedevano vicini al tavolo da picnic…
Ora aveva tutto senso.
«Credi che Sakura sia felice?» chiese a bassa
voce.
Hinata si interrogò per qualche secondo. «Se pure
lo era… Ormai non lo è più, Naruto-kun.»
Ed era vero: si pentiva di aver perso il controllo
in quel modo, ma allo stesso tempo la rabbia e il senso di ingiustizia lo
ferivano profondamente. Il suo sentirsi tradito da loro era difficile da
dimenticare.
Delle dita sottili si poggiarono sulle sue e batté
le palpebre sorpreso nel vedere la mano di Hinata sulla propria. Stranamente,
era tremolante… Ma Hinata era sempre stata un tipo
bizzarro.
«T-tu mi piaci, Naruto-kun» sussurrò, arrossendo. «Davvero tanto.»
Naruto la guardò, poi le sorrise. «Anche tu mi
piaci tanto, Hinata-chan!» le disse allegro.
Gli occhi di Hinata si spalancarono colmi di
speranza, ma poi lentamente sprofondò. «Già…»
Che strana ragazza.
Per un attimo, Naruto avrebbe voluto chiederle se avesse detto qualcosa di
sbagliato, ma in quell’esatto momento un grosso tordo si poggiò ai loro piedi.
Prese a cinguettare irrequieto, intonando qualche tipo di melodia, per poi
battere le ali un paio di volte e tornarsene tra gli alberi. Naruto arricciò il
naso e alzò gli occhi sulla Torre dell’Hokage.
«Evidentemente ha deciso», sbuffò. «Dobbiamo
andare.»
«Ma tu guarda un po’ che gruppetto allegro abbiamo
qui» li salutò seccamente Tsunade, mentre si posizionavano in fila di fronte
alla sua scrivania.
Sakura squadrò Naruto, che in tutta risposta
fissava con astio la finestra, facendo intendere che avrebbe preferito essere
altrove piuttosto che nella stessa stanza con lei e Kakashi. Erano separati da
Hinata e Shizune, il cui intento era quello di tenerli distanti per evitare
un’altra baruffa.
«Sapete tutti perché siete qui», andò dritta al
punto l’Hokage. «Non mi fa piacere fare questa cosa, ma sappiamo che non c’è
alternativa. Spero capiate.»
Prese un respiro profondo e continuò.
«Innanzitutto, Naruto» chiamò, guardando il ragazzo ad un’estremità della fila.
«Uno shinobi deve saper gestire le proprie emozioni in qualsiasi occasione.
Farsi prendere dalla rabbia ed attaccare il proprio capitano non è una condotta
accettabile, pertanto, vorrei che ti scusassi con Kakashi.»
Naruto sobbalzò, rosso di rabbia. Dopo qualche
attimo di scompenso, si voltò vagamente in direzione di Kakashi e borbottò
qualcosa di simile a delle scuse. Kakashi si schiarì la voce ed annuì,
equamente a disagio. Sakura alzò gli occhi al cielo.
«Shizune e Hinata» riprese Tsunade. «Avete
nascosto informazioni importanti al vostro Hokage. So che l’avete fatto
pensando al bene dei vostri amici, ed ammiro la vostra lealtà…
Ma ci sono segreti che non possono essere mantenuti, e questo è uno di quelli.
Siete entrambe sospese dal lavoro per due settimane, niente paga.»
Il labbro di Shizune tremò per un istante, ma
annuì accettando la punizione. Hinata, dal canto suo, sembrava non poter
credere alla propria fortuna: si era aspettata molto peggio.
Sakura era la prossima in fila e lo sguardo
d’ambra di Tsunade si posò su di lei con il peso di un macigno. «Il tuo
apprendistato con me termina qui, Sakura», disse, cercando di trattenere
l’emozione nella voce. «Non posso seguirti più. Mi dispiace.»
Sakura sbiancò, il respiro le venne a mancare.
«Maestra, la prego–»
«Non c’è nulla da discutere, Haruno, ho preso la
mia decisione» la interruppe. «D’ora in poi ti rivolgerai a me come Hokage e
nulla più.»
In quel momento, se sua madre le avesse detto che
non voleva più vederla o se suo padre le avesse confessato che amava la sua
figlia minore più di lei, non avrebbe sofferto così tanto.
Deglutì rumorosamente ed abbassò lo sguardo per nascondere le lacrime che le
stavano annebbiando la vista. «Sì, Hokage-sama» annaspò.
«E Kakashi», chiamò. «Come va la testa?»
«Fa male…»
«Benissimo», rispose contrita. «Sei retrocesso a
chūnin con effetto immediato. Non avrai possibilità di promozione per i
prossimi dieci anni, e non potrai più insegnare per il resto della tua vita.»
Kakashi restò immobile accanto a Sakura, che si
voltò verso di lui in shock. Si chiese cosa stesse pensando, ma tutto ciò che
riuscì a carpire dal suo viso fu stupore.
«Il Team Kakashi è ufficialmente sciolto», riprese
l’Hokage. «Tatami Iwashi è stato recentemente
spostato negli ANBU, quindi c’è un posto libero nel Team Genma. Kakashi, ne
prenderai il posto e lavorerai sotto le direttive di Genma, Shizune e Raidō. Il posto spettava originariamente a Tenzō,
ma viste le circostanze è meglio che formi un nuovo team con i restanti membri
del Team Kakashi, che da oggi prende il nome di Team Tenzō.»
«Cosa?» chiese incredula Sakura, ormai senza
fiato.
«Aspetti», le diede corda Naruto, stringendo i
pugni. «Non è giusto!»
«Sono stata il più clemente possibile» rispose
testardamente Tsunade. «O forse preferite che lo sbatta in prigione?»
Naruto era a corto di parole. «Ma così sta
smantellando il nostro Team!»
Tsunade alzò le mani. «Non ho scelta!» li sgridò,
guardando in particolare Sakura e Kakashi. «Voi due non vi rendete conto del
guaio in cui vi siete cacciati! Avete violato un tabù! Non sapete che voglia ho
di lanciarvi questo stupido libro in faccia, ma ciò che affronterete d’ora in
poi sarà mille volte più crudele e devastante di qualsiasi cosa io possa fare.
Soffrirete abbastanza anche senza il mio aiuto.»
Sakura non poteva reggere oltre. Il terrore le
strinse il cuore in una morsa, e la sua mano si mosse da sola, cercando quella
di Kakashi. Le dita calde di lui si intrecciarono alle sue, dandole sollievo
dalla paura e facendola sentire protetta. Accanto a lui, avrebbe potuto
sopportare quella situazione devastante. Senza, sarebbe crollata
inesorabilmente.
«Spero che siate tutti contenti delle conseguenze
delle vostre azioni» sbiascicò Tsunade: la sua delusione gravava su di loro
come un mantello pesante. «E prego qualunque dio che questa relazione valga il
sacrificio del vostro team. Ora, sparite dalla mia vista.»
Naruto tentò ancora una protesta. «Ma–»
«Sparite!»
Era di nuovo dell’umore adatto a lanciare oggetti.
Non avevano altra scelta se non svignarsela, sotto shock e devastati. Sakura
ancora faticava a realizzare che il Team Kakashi non esistesse più, che Kakashi
stesso fosse un chūnin e che lei non fosse più l’apprendista dell’Hokage.
La realtà dei fatti presto l’avrebbe colpita dritta al petto, ma per ora quelle
strane parole restavano sospese, come una profezia che presto si sarebbe
avverata come una condanna.
Scrutò Naruto, lo trovò stranamente pallido ed il senso
di colpa le morse lo stomaco. Cosa gli aveva fatto? Il loro Team, per lui, era
tutta la sua vita, e l’unica famiglia che aveva… E
lei lo aveva distrutto.
«Naruto…» lo chiamò,
provando ad afferrargli un braccio, ma il ragazzo la scostò. Il modo in cui la
guardava diceva tutto, quindi senza aggiungere altro, le diede le spalle e
lasciò la sala d’attesa. Sakura si chiese se l’avrebbe mai perdonata.
Shizune la superò, rivolgendole uno sguardo triste ed un sospiro.
Hinata evitò di guardarla.
La mano di Kakashi stringeva ancora la sua.
«Andiamo a casa», le sussurrò.
Disgraziati. Vergognosi. Nauseanti. Disgustosi.
Erano tutti gli appellativi che Sakura sentì, mentre seguiva Kakashi. Le
persone li fissavano apertamente: pochi trattenevano i propri mormorii fino a
quando non li sorpassavano, altri invece dichiaravano la propria repulsione ad
alta voce. Come osano, sentì dire, camminano insieme alla luce del
sole? Dovrebbero vergognarsi.
E Sakura si vergognava.
La vergogna l’abbracciava come un lenzuolo soffocante, al punto che provò a
districare la mano da quella di Kakashi, ma lui non glielo permise. La tenne
stretta senza dire una parola, fino a quando non arrivarono al suo
appartamento, dove la lasciò sprofondare nel divano per poi sparire in un’altra
stanza. Sakura si premette un cuscino sul viso e si impose di non piangere, non
di fronte a Kakashi, non quando lui restava così impassibile.
Ritornò da lei dopo pochi minuti e le si sedette
accanto, poggiandole una scatola di fazzoletti sul ventre. Sakura abbassò gli
occhi per guardarla e rise, nonostante tutto. «Sono così prevedibile?» mormorò
tremante, afferrando un fazzoletto.
«Avevo un vago sospetto», le disse dolcemente.
«Beh, non vorrei deluderti», squittì, coprendosi
il volto con il fazzoletto, per poi cominciare a piangere a singhiozzi. Kakashi
le carezzava la schiena, facendola sentire meno sola. «Mi dispiace», confessò
tra le lacrime. «Sei stato retrocesso per colpa mia.»
«E tu hai perso il tuo apprendistato per colpa
mia» le rispose calmo. «Ci abbiamo rimesso entrambi.»
«Ma il team!» pianse ancora. «Non è il Team
Kakashi senza Kakashi! Naruto mi incolperà per averti perso! Ormai mi odia –
hai visto il modo in cui mi ha guardata!» tirò su col naso e chiuse gli occhi.
«Tutti mi odiano. La gente non smette di mormorare…
Mi sembra ancora di sentirli…»
«Non sarà facile, Sakura–»
«E’ un eufemismo!»
«Ma pian piano andrà meglio» la rassicurò. «Te lo
prometto.»
«L’hai già promesso», gli fece notare. «E subito
dopo, le cose sono peggiorate.»
«Sì, ma infine è andato tutto bene. E’ solo
questione di tempo… Ne hanno bisogno, tutti loro.»
«Lo spero», sbuffò tristemente.
«E comunque, se le cose non si sistemassero,
potremmo sempre disertare e cambiare Villaggio.»
Probabilmente quella voleva essere una battuta, ma
Sakura conservò quell’idea nei meandri della memoria, come ultima spiaggia. Si
accoccolò accanto a lui, beandosi del modo in cui il suo braccio la circondò in
automatico. «Mi sento in colpa anche solo per essere qui», confessò mestamente.
«Forse dovrei tornare a casa.»
«E perché? Il danno ormai è stato fatto» le disse,
con una punta di amarezza. «Abbiamo pagato abbastanza per i nostri errori,
tanto vale goderceli.»
Sakura si chiese se ne fosse valsa la pena.
Conoscendo lo storico delle relazioni di Kakashi, molto probabilmente erano
quasi giunti al punto in cui lui l’avrebbe scaricata per trovarsi qualcuna che
lo attraesse di più, ed era per questo che Sakura si era ripromessa di tenergli
chiuso il cuore.
Secondo la sua esperienza, era solito degli uomini godersi i bei momenti e
scappare quando le cose si fanno difficili; e per quanto riconoscesse che
Kakashi fosse un uomo sopra la media, di certo non si illudeva che fosse
perfetto.
Non lo avrebbe biasimato, se dopo un po’ si fosse
reso conto che lei non valeva la perdita del suo lavoro e della sua
reputazione, perché in quel momento lei stessa lo pensava, di sé. E neanche si
spiegava perché avesse perso tempo con lei, fin dal principio: non era mai
valsa tanto quanto tutti i guai in cui si era cacciato per lei, soprattutto
considerando che la loro era solo una relazione occasionale, un altro nome da
aggiungere alla lunga lista delle conquiste del Copy Ninja.
«Mi dispiace» gli sussurrò ancora.
«Non è colpa tua», le mormorò di rimando,
poggiando la testa sulla sua.
«E invece credo proprio che lo sia» disse,
riducendo la voce ad un sospiro. «Nell’ufficio, la maestra Tsunade mi ha
chiesto se fossimo innamorati, e che la nostra punizione dipendesse dalla mia risposa… Credo di aver dato quella sbagliata.»
«Cosa le hai detto?» chiese, d’un tratto
sull’attenti.
«Le ho detto la verità…
Non siamo innamorati. Ma forse avrei dovuto mentire, così avresti mantenuto il
tuo lavoro…»
Kakashi restò in silenzio a lungo, e durante
quella pausa Sakura si concentrò sui suoni esterni, le voci che provenivano
dalle strade e il rumore del traffico; si chiese con quale coraggio sarebbe
tornata lì fuori.
«Tsunade mi ha fatto la stessa domanda» le disse.
«Quando ha finito i vasi da lanciarmi, intendo.»
«E tu come hai risposto?»
«Ho detto anch’io la verità» disse vago. «Ma ormai
non ha importanza.»
«Suppongo di no…»
Eppure, nulla avrebbe potuto scuoterle di dosso il
senso di perdita. Chiuse gli occhi e si concentro sul respiro di Kakashi,
mentre il battito del suo cuore gli pulsava sotto le mani, che teneva poggiate
al suo petto.
La sentiva anche lui? La turbolenta sensazione che le pulsava nel sangue; la
paura che le attanagliava lo stomaco, il rimorso tagliente che le trapassava il
petto.
Aggiornamento di fine estate (previsto per
l’inizio del mese...).
Insomma: la frittata è fatta. Di questo capitolo, personalmente, ho apprezzato
il temperamento di Tsunade che risulta molto realistico. Anche se sospendere
l’apprendistato di Sakura è stato difficile per lei, ha comunque compiuto il
suo dovere di Hokage. Forse avrei voluto qualcosa di più delle semplici scuse
di Naruto come provvedimento per lui, visto il modo in cui ha gestito la
situazione, ma va bene così.
Nel prossimo, ovviamente raccoglieremo i frutti della tempesta seminata da
Sakura e Kakashi, compreso il nuovo Team 7 e gli effetti collaterali sul loro
rapporto.
Sakura
fu la prima del suo team ad arrivare al luogo dell’appuntamento, che si era
deciso essere il giardino pensile dietro la palestra.
Fece di tutto per mantenere uno sguardo austero, mentre la osservava all’ombra
di un vecchio albero.
Le voci maligne dicevano di lei che avesse sedotto
Hatake Kakashi, rovinandogli la carriera; altre invece – se possibile più
cattive – la vedevano come vittima del suo capitano. Tenzō, dal canto suo,
non credeva a nessuna delle due. In passato, aveva lavorato a stretto contatto
con Kakashi e lo aveva conosciuto abbastanza da poter affermare tranquillamente
che, per quanto strambo potesse apparire a volte, non avrebbe mai fatto del
male a nessuno. E sebbene Sakura fosse capace di fare pazzie per amore, era
assolutamente certo che non avrebbe mai sedotto il suo maestro con lo scopo di
causargli problemi o ottenere qualche punto in più. Per farla breve, entrambi
avevano personalità troppo forti per permettere all’altro di avere il controllo
della situazione senza approvarla.
Ciò
non significava che lui li comprendesse, anzi, era piuttosto sconcertato da
quello scandalo. Non aveva mai notato nulla che avrebbe potuto portarlo a
pensare che ci fosse qualcosa tra loro.
Non gli interessava giudicare o guardarli
dall’alto in basso – a differenza della maggior parte delle persone a
conoscenza dei fatti – era più curioso di sapere come la loro relazione fosse
venuta a galla.
Sakura arrivò sul tetto rivolgendogli uno sguardo
cauto e, con fare impacciato, spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Sembrava nervosa e a disagio, e Tenzō non riusciva a fargliene una colpa,
dopo tutte le cose cattive che aveva sentito sul suo conto ultimamente.
«Salve, capitano Yamato» lo salutò tranquilla,
mantenendo le distanze.
«Ciao, Sakura» le rispose, alzando una mano. «Puoi
anche chiamarmi Tenzō, non uso più nomi in codice.»
«Certo… Capitano Tenzō.» Teneva lo sguardo
ancorato al suolo, mentre le braccia erano saldamente incrociate al petto. Il
linguaggio del suo corpo urlava insicurezza e difensiva.
Tenzō tamburellò le dita sulle ginocchia, a
disagio quanto lei. «Bella giornata, eh?»
«Mhmh.»
«Ecco… Ah… So che hai ripetuto la prova semestrale
e sei stata promossa» disse, cercando di intavolare una conversazione cordiale.
«Congratulazioni.»
«Grazie» rispose, stringendosi a sé ancora di più.
Non sembrava affatto felice all’idea di diventare jonin.
Stava cercando un altro argomento di
conversazione, quando gli balzò all’occhio una scia arancione e nera. Grazie
al cielo, pensò: Naruto era finalmente arrivato.
Il ragazzo atterrò con un balzo sull’erba morbida, ma quando Tenzō alzò
gli occhi su di lui, lesse nei suoi gesti la stessa ostilità della sua compagna
di team.
«Yo» lo salutò.
«Hey, capitano Yamato» rispose rigidamente il
ragazzo, guardando in direzione opposta a Sakura.
«Non c’è più bisogno di chiamarmi così, non sono
più un ANBU. Puoi chiamarmi semplicemente Tenzō.»
«Bene» annuì distrattamente.
Una ventata fresca scosse la chioma dell’albero
alle spalle del capitano.
I ragazzi si stavano deliberatamente ignorando, comportandosi come fossero
stati completamente soli, e Tenzō si chiese cosa avrebbe comportato un
atteggiamento del genere in missione.
«Mi fa piacere andare di nuovo in missione con
voi» sorrise, cercando di rompere il ghiaccio. «Sono passati tre anni
dall’ultima volta.»
I ragazzi, in risposta, si irrigidirono se
possibile ancor di più. Era sicuro che, se avesse abbassato lo sguardo, avrebbe
visto il suolo gelare.
«Dov’è Sasuke?» continuò, passando ai fatti. «È
stato informato dell’incontro, no?»
«Non lo so» risposero all’unisono i ragazzi,
guardandosi poi con astio, offesi l’uno dall’altra.
«Bene…» mormorò Tenzō, supplicando aiuto in
silenzio.
Non sarebbe stato facile.
Il Team Kakashi era caratterizzato da un legame forte come quello di una
famiglia, e spezzarlo corrispondeva all’introdursi in una casa estranea e
proclamarsi il nuovo papà. Si era aspettato di ricevere un’accoglienza fredda e
distaccata date le circostanze, ma non pensava che la maggior parte dell’astio
risedesse tra di loro. Quella che lui definiva una famiglia, era stata
distrutta molto prima del suo ingresso nel quadretto.
Sasuke arrivò con dieci minuti di ritardo, per la
gioia di Tenzō che era rimasto seduto in silenzio e disagio, incastrato
tra la freddezza di Naruto e Sakura. L’erede Uchiha camminava lungo la strada
con pacatezza e senza fretta. Tenzō si affacciò, con l’intento di fargli
notare che quella non fosse affatto una condotta accettabile. «Sei in ritardo»
tagliò corto, rivolgendosi al ragazzo che si fermò per alzare gli occhi su di
lui con fare assente. «Non buona come prima impressione, Sasuke.»
Sasuke lo fissò. «Chi sei?»
«Tenzō, ma forse mi conosci come Yamato.»
Lo sguardo vacuo di Sasuke non si smosse.
«Una volta mi hai trafitto con la spada.»
«Ah… Sì.» Senza scomporsi affatto, Sasuke saltò ed
in un attimo fu accanto a Tenzō. «Dov’è Kakashi?»
Tenzō guardò Naruto, Naruto guardò Sakura,
Sakura guardò Sasuke e subito dopo l’albero. «Tu… Non sai nulla?» tentennò il
capitano.
Sasuke aggrottò lo sguardo, completamente ignaro.
«Cosa dovrei sapere?»
Evidentemente, casa Uchiha si trovava sotto un
sasso.
«Già di ritorno?»
Kakashi non rispose. Porse il rotolo sporco di
fango – quasi quanto lui – alla donna dietro al banco ed attese che lo
leggesse.
«Impressionante» sghignazzò lei. «Di solito, un
chūnin completa una missione del genere in tre giorni e tu l’hai fatto in
un pomeriggio. Se continui così sono sicura che ti promuoveranno.»
E poi rise, perché tutti sapevano che ormai il
Copy Ninja si sarebbe ritirato prima di poter tornare ad essere un jonin.
Kakashi la ignorò ancora ed aspettò che finisse di ridere. La sua mancata
reazione sembrò deluderla, e con un’occhiata liquidatrice timbrò il suo rotolo
e gli porse la ricompensa. Kakashi la afferrò e fece per andarsene, ma la donna
si schiarì la voce.
«Dove credi di andare?» chiese.
La guardò attraverso le ciocche di capelli sporche
di fango che gli schermavano gli occhi.
«Ti è stata assegnata un’altra missione» lo
informò, prendendo un nuovo rotolo pulito. «Rango C. Devi portare questo rotolo
alla torre di vedetta, nella Foresta della Morte.»
Kakashi si allungò per afferrarlo, ma la donna si
ritrasse.
«Sei sicuro di potercela fare?» gli chiese, con
finta dolcezza. «Per un chūnin è una cosa piuttosto rischiosa.»
La donna scoppiò a ridere ancora e Kakashi ne
approfittò per prenderle il rotolo e lasciare la stanza, facendo oscillare il
mantello da viaggio ormai fradicio e sporco. Senza perdere altro tempo nella
hall, tirò fuori un altro rotolo dal taschino, si morse un pollice e premette
l’impronta sporca di sangue sulla carta.
Pakkun apparve un secondo dopo, facendo sobbalzare
gli shinobi presenti. «Che c’è?» sbottò. «Stavo facendo il bagno.»
Questo spiegava la mancanza di indumenti. «Porta
questo messaggio alla torre nella Foresta della Morte» disse, accovacciandosi
per passargli la pergamena.
Pakkun la raccolse tra i denti. «Tutto qua?»
borbottò. «Ci riuscirebbe anche un bambino.»
«Figurati un cane. Vai.»
Con un leggero grugnito (l’equivalente canino di un
sospiro esasperato), Pakkun trotterellò lungo il corridoio, gli artigli
affilati tamburellavano sul pavimento di linoleum. Un compito in meno per
Kakashi; tutto ciò di cui aveva voglia ora era tornare a casa, sprofondare
nella vasca da bagno fino a diventare una prugna e dormire per il resto del
giorno.
Ma non sembrava fattibile.
Un attimo prima di lasciare il Quartier Generale,
urtò la spalla di Iruka. «Scusa» mormorò assente, riprendendo a camminare.
Iruka gli poggiò una mano sul petto per fermarlo.
«Kakashi-sen – cioè… Kakashi» lo chiamò. «L’Hokage vuole vederti.»
Kakashi si massaggiò la fronte. «Adesso?»
«Il
prima possibile» annuì Iruka. Anche lui, come chiunque altro, lo trattava con
freddezza. Non erano mai andati particolarmente d’accordo, non essendo mai
stati concordi con i metodi di insegnamento per i loro studenti in comune; ma
ora sembrava che Iruka avesse ancora più da ridire a riguardo.
C’era da aspettarselo.
«Okay» sbuffò Kakashi. «Grazie, Iruka-sensei».
La mascella di Iruka si irrigidì quando Kakashi si
scostò da lui, avviandosi verso la Torre dell’Hokage che dominava il paesaggio.
C’era un’altra donna al banco della reception
nella sala d’attesa dell’ufficio, ora che Shizune era stata sospesa, la quale
rivolse a Kakashi un’occhiata disgustata appena le fu di fronte. «Può entrare»
lo informò, rendendo palese il fatto che lo avrebbe preferito morto.
Bussò alla porta e Tsunade lo accolse, alzando gli
occhi dalla cattedra per salutarlo.
«Sei disgustoso» commentò.
«Grazie, Hokage-sama» le rispose, sgocciolando
acqua e fango sul pavimento.
Con una scrollata di spalle, Tsunade tornò al suo
lavoro. «Ti ho fatto chiamare perché ho ricevuto qualche lamentela su di te,
ultimamente.»
Kakashi si finse sorpreso. «Prego?»
«Molestie sessuali, Kakashi» disse francamente.
«Un’infermiera dice che hai fatto commenti sconci mentre ti toglieva i punti
dalla fronte.»
«Le ho detto che mi pulsava la testa» disse
stancamente. «E’ stata lei a chiedermi come mi sentissi.»
«Una dei tuoi compagni chūnin ha detto che le
hai guardato sotto la gonna, martedì.»
«Mi era caduta la penna dietro di lei, la stavo
solo raccogliendo–»
«E un’insegnante dell’Accademia dice che l’hai
palpeggiata, venerdì.»
«Stava per cadere dalle scale ed io ero alle sue spalle»
spiegò paziente. «Le ho solo salvato l’osso del collo.»
«E il tuo vicino si lamenta del fatto che cammini
nudo davanti alla finestra.»
«Non più del solito» rispose, scrollando le
spalle. «E poi, perché mi guarda?»
«Per lo stesso motivo per cui ti guardano tutti»,
gli fece notare, posando la penna. «Se mi dici che sono tutte calunnie, ti
credo.»
«E’ così, Hokage-sama.»
Tsunade sorrise. «Molto bene» mormorò. «Ho fiducia
nella tua onestà.»
Kakashi chinò il capo e osservò il tappeto: era
ancora macchiato di sangue, lo stesso che Tsunade gli aveva fatto versare
quando aveva provato a spaccargli la testa a metà, anche se le macchie erano
sbiadite: evidentemente qualcuno aveva tentato invano di ripulirlo. «E’ tutto,
Hokage-sama?» chiese.
«Sì», rispose lei, sorridendo predatoria. Ma
quando Kakashi si voltò per congedarsi, aggiunse: «Un’ultima cosa: le ho fatto
la stessa domanda che ho posto a te.»
Kakashi ricambiò il suo sguardo.
«Avevi ragione, Kakashi» lo informò divertita.
L’ex jonin annuì, abbozzando un sorriso assente.
«Gliel’avevo detto, Hokage-sama.»
«Non state agendo nei vostri interessi» lo avvisò,
premurosa.
«No, suppongo di no.»
Le rivolse un inchino profondo e lasciò la stanza.
«Devi consegnarmi ancora tre verbali!» gli urlò
dietro. «Solo perché sono di rango C non significa che puoi ignorare le
formalità!»
Era stata una giornata interminabile e Kakashi
voleva solo seppellirsi in casa, ma non poteva permettersi il lusso di ricevere
altri richiami da parte dei suoi “superiori”. Erano passati anni da quando
aveva smesso di essere un chūnin ed aveva completamente dimenticato quanto
dura fosse. Passare la maggior parte della sua vita come jonin lo aveva fatto
abituare all’idea di dover rispondere a non altri se non l’Hokage stesso, gli
altri shinobi per lui erano sempre stati colleghi o sottoposti. Ed inoltre, il
Copy Ninja era conosciuto per i suoi modi duri, in veste di capitano, ed ora
qualcuno dei suoi sottoposti più scontenti si divertiva a fargliela pagare.
C’era anche quell’Ikki.
Kakashi ricordava vagamente di averlo minacciato di farlo retrocedere a
chūnin se non fosse stato lontano da Sakura… Coglieva chiaramente l’ironia
della situazione attuale e, stando al modo in cui ridacchiava ogni volta che lo
incrociava nei corridoio, la coglieva anche Ikki.
Prese una manciata di moduli vuoti dal reparto
forniture e, spinto dall’abitudine, si diresse alla taverna in cui di solito
compilava i rapporti. Un bar affollato e stagnato nella puzza di alcol era un
ambiente più produttivo del suo appartamento, il quale aveva ben più
distrazioni.
Ma nel momento in cui varcò la soglia del locale,
calò il silenzio. Sospirò mentalmente, ma fece finta di nulla: ci aveva fatto
l’abitudine, ormai, quindi si fece strada verso il bancone e prese posto al
solito sgabello.
Dopo un istante lo raggiunse Ayame, facendo
tintinnare la sua fede nuziale sulla superficie legnosa del banco.
«Kakashi-san, se sei qui solo per lavorare, puoi anche andartene» tagliò corto.
«Ogni volta occupi un posto e non ordini nulla, è una perdita per gli affari.»
Kakashi buttò un occhio al resto del locale: i
posti vuoti erano, come sempre, quasi più di quelli occupati. «Mi viene quasi
da pensare che il problema non siano gli affari» mormorò, facendo arrossire
Ayame.
«Abbiamo delle regole, Kakashi-san, te l’ho detto»
rispose. «Ciò che può fare un jonin è ben diverso da quello che può permettersi
un chūnin–»
La barista si accigliò. «Abbiamo solo bottiglie», lo
informò, per poi sparire e ritornare dopo pochi istanti con la bibita in mano.
Gliela mise davanti e se ne andò di nuovo, e se Kakashi avesse avuto davvero
intenzione di berla, sarebbe rimasto deluso dal trovarla calda.
Senza aggiungere altro, si mise a lavoro, e
gradualmente il brusio tornò alla normalità. La penna di Kakashi inchiostrò una
serie di fogli che non vedeva da almeno dieci anni, anche se l’unica differenza
tra i rapporti di rango alto e basso era la dovizia di particolari delle prime.
Le missioni di rango basso, in genere, erano talmente noiose che bisognava
inventare pur di riempire gli spazi vuoti; e se c’era qualcosa che Kakashi non
sapeva fare, era proprio inventare.
«Cosa ne è stato di quella missione per cui ti
stavi preparando?»
Kakashi alzò gli occhi su Ayame. Dal suo sguardo
era chiaro che non avrebbe dovuto rivolgergli la parola, ma per qualche strano
motivo era spinta a farlo.
«Intendo…» continuò. «Quella per cui ti ho
insegnato a suonare il pianoforte.»
Kakashi le rivolse un’occhiata annoiata prima di
snocciolare una risposta. «Ci andrà qualcun altro al posto mio.»
Ayame si accigliò. «Ma ti ci è voluto tutto quel
tempo per–»
«Quattro ore e mezza in totale, giusto?» mormorò.
«Non è molto, rispetto a dodici anni. Quella è una missione di rango A, ed io
posso accettare solo quelle di classe B e inferiori. Ci andrà qualcun altro al
posto mio.»
Ayame abbassò gli occhi. «Mi dispiace» disse, e
gli parve sincera.
«Non quanto a me», rispose lui, rivolgendole un
sorriso spento.
Dopo un attimo, un rumoroso gruppo di shinobi fece
il suo ingresso ed Ayame andò a servirli. Kakashi riprese a lavorare, sollevato
dall’aver quasi finito e di poter tornare a casa.
La combriccola allegra prese posto ad un tavolo
alle spalle di Kakashi, continuando a schiamazzare nel mentre, non prestando
attenzione a nessuno se non alle loro battutine.
Ma non passò molto tempo prima che Kakashi cominciasse a sentirsi osservato.
Qualcuno alle sue spalle si schiarì la voce.
«Avete saputo del jonin che si è scopato un’allieva?» disse uno di loro, ad
alta voce.
La penna di Kakashi si fermò per un solo istante
prima di riprendere a scribacchiare. Con la coda dell’occhio, notò che Ayame lo
guardasse.
«Già, che storia assurda.»
«Devi essere un vero coglione per farti una tua allieva.»
«Però, voi l’avete vista lei?»
«E’ quella coi capelli rosa, giusto?»
«Esatto.»
«Una del genere vale una denuncia per pedofilia.
L’ho vista qualche volta in ospedale e probabilmente se fosse stata una mia
allieva me la sarei fatta anch’io.»
«Col rischio di beccarti qualche malattia. Da’
retta a me, quella è una gatta morta, si sarà fatta almeno mezzo villaggio.»
Kakashi ripose la penna e guardò Ayame, intenta a
sputare in una delle birre ordinate dal gruppo alle sue spalle. Alzò una mano
per attirare la sua attenzione e chiese: «Posso avere uno Snap
Dragon e il conto, per cortesia?»
La barista si accigliò alla richiesta inusuale, ma
annuì e prese a mixare il drink.
«Pure se fosse la più facile del paese, non
avresti comunque uno straccio di possibilità» riprese uno degli uomini,
scaturendo un boato di risate.
«Credi che quel colore di capelli sia naturale?»
«Per saperlo basta controllare le parti basse.»
«Eh, ti apre le gambe e te lo dimostra se glielo
chiedi gentilmente.»
«O se la paghi.»
«O se le dai qualche credito extra agli esami.»
«O se le compri una bambolina!»
Un altro scoppio di ilarità.
Kakashi ripose i rapporti quasi completi, mentre Ayame gli allungò il drink che
aveva chiesto, raccogliendo nel frattempo le banconote che le aveva lasciato
sul bancone. Sembrava piuttosto confusa.
Mentre il volume delle risa aumentava, Kakashi
prese la bevanda e diede le spalle al bar. Con la sua tipica nonchalance, fece
qualche passo fino a trovarsi alle spalle dell’uomo più rumoroso del gruppo, per
poi svuotargli il bicchiere in testa.
Le risa morirono all’istante e l’intera taverna
piombò in un cupo silenzio: nessuno si azzardava nemmeno a respirare.
«Ma che diavolo–»
L’uomo davanti a Kakashi provò ad alzarsi.
«Ah-ah.»
Kakashi gli premette una mano sulla spalla per invitarlo a restare al suo
posto, per poi chinarsi ad afferrare la candela tremolante al centro del
tavolo. «Se fossi in te non mi muoverei con tanta disinvoltura. A quanto pare,
per sbaglio ti ho versato del liquido infiammabile in testa.»
Il silenzio si fece più denso: tutti gli occhi
erano puntati sul Copy Ninja che teneva la fiamma della candela a pochi
centimetri dal viso dell’uomo. Kakashi osservava la fiammella con vivo
interesse, facendola oscillare abbastanza da far colare la cera nel
portacandela. D’un tratto, la fiamma si mosse pericolosamente verso il viso
fradicio dell’uomo, che sussultò.
«Cosa piuttosto pericolosa, il fuoco» gli mormorò
all’orecchio Kakashi. «Soprattutto se abbinati ai combustibili come l’alcol.»
Con lentezza esasperante, la mano che teneva fermo
l’uomo si mosse per andare a spegnere la fiamma tra l’indice e il pollice. Un
rivolo di fumo si innalzò per poi svanire.
Nessuno dei presenti si rilassò.
Kakashi diede un’altra pacca alla spalla
dell’uomo, per poi raddrizzarsi. «Fa’ più attenzione la prossima volta, mh?»
Lanciò la candela, che atterrò con un tonfo sul
tavolo, per poi mettersi le mani in tasca ed uscire dal bar. Era sicuro di aver
attirato altro odio ed ostilità, e sicuramente Tsunade si sarebbe trovata
invasa dalle lamentele sul suo conto.
Sarebbe stato più saggio pagare ed andarsene,
facendo finta di nulla. Le parole, per quanto brutte, restavano tali e lui si
era sentito dire di peggio negli ultimi giorni. Poteva ignorare le calunnie
quando erano rivolte a lui, ma nel momento in cui erano rivolte a Sakura… Si
rendeva conto dei limiti del proprio temperamento. Forse perché non gli
sembrava giusto parlare alle spalle di qualcuno che non può difendersi, o forse
perché sapeva che se ci fosse stata lei, quelle parole le avrebbero fatto
davvero male.
Abbassò la maschera fino a quando non scoprì
completamente il viso e prese una boccata d’aria fresca dellasera. Non sapeva perché, ma in quei giorni
gli riusciva difficile respirare.
«Allora? Com’è andata?»
Il team Tenzō se ne stava in silenzio
tombale, allineato davanti la cattedra dell’Hokage. Sakura avrebbe potuto
tagliare la tensione con un kunai per quanto densa era, ma al momento preferiva
starsene in disparte e non intervenire.
«Non bene, Hokage-sama» rispose cauto Tenzō,
ignorando uno sbuffo di scherno di Naruto. «Ci sono diversi problemi in ambito
comunicativo e nella catena di comando.»
«Non capisco perché Kakashi-sensei non possa
capitanarci» si lamentò Sasuke, accigliandosi lievemente.
«Perché lui e Sakura l’hanno fatta grossa! Ma mi
ascolti quando parlo?» sbottò Naruto.
Sasuke lo guardò di traverso. «E quindi?»
«Quali sono stati di preciso i problemi,
Tenzō?» chiese Tsunade, interrompendo la discussione prima che degenerasse.
«Sasuke sembra essere poco incline a seguire gli
ordini. In svariati momenti, durante la missione, ha agito di propria
iniziativa ignorando completamente le mie direttive, facendo saltare i piani.
Naruto e Sakura, invece, si rifiutano di collaborare. Inoltre, anche Naruto ha
difficoltà ad attenersi ai patti e più di una volta ci è andato particolarmente
pesante su più di un bersaglio.»
Tsunade scrocchiò le dita. «E Sakura?»
Sakura sentì qualche paia d’occhi voltarsi verso di
lei, ma continuò a guardare insistentemente il pavimento.
«Sakura era… distratta, Hokage-sama» rispose il
capitano. «Le ho dovuto ripetere gli ordini più volte ed in più occasioni;
inoltre, le sue reazioni in ambito di combattimento sono state lente.»
Le spalle di Sakura crollarono impercettibilmente
e chiuse gli occhi.
«Nonostante ciò, siamo riusciti a portare a
termine la missione» riprese Tenzō. «Ma in questo caso direi che siamo
solo stati molto, molto fortunati.»
Il senso di colpa cadde su ognuno di loro. Tsunade
si sfregò il labbro inferiore con un dito. «Capisco», sospirò. «Beh, non
potevamo aspettarci di certo una dinamica perfetta al primo tentativo, ci vuole
del tempo per costruire un rapporto efficiente. Voi quattro siete senza dubbio
tra i migliori dieci shinobi di questo villaggio, e sono sicura che nel tempo
sarete capaci di risolvere i vostri problemi come Team. Nel caso non fosse
così… Suppongo sia il caso di sciogliervi.»
«Sentite, a me il capitano Tenzō piace» prese
parola Naruto. «Ma c’è una sola persona che conosce questo Team abbastanza da
poterlo guidare. Ridatecelo!»
«Concordo» annuì Sasuke. «Mi rifiuto di prendere
ordini da un tizio che è capace di farsi trafiggere anche quando non è un
bersaglio.»
«Il capitano Tenzō non è affatto debole! E’
solo che non voleva combatterti quella volta, come nessuno di noi!» ringhiò
Naruto.
«E poi sei stato tu a trafiggerlo» sbottò Sakura.
«Lui ha dovuto proteggermi perché tu stavi mirando a me. E, se vogliamo
dirla tutta, non mi hai mai nemmeno chiesto scusa!»
«Esatto!» aggiunse Naruto.
«Tu sta’ zitto» scattò Sakura.
«Ma ti stavo difendendo!»
«Non ho bisogno della tua difesa!» gli strillò
contro. «La tua idea di “difesa” consiste nell’umiliarci e voltarci le spalle
come tutti gli altri–»
«Potreste stare zitti entrambi?» sbuffò Sasuke.
«Nessuno ti ha interpellato!» risposero
all’unisono.
«Silenzio! Tutti!» li sgridò Tsunade,
sbattendo le mani sul tavolo così violentemente da far oscillare
pericolosamente la lampada – che sembrava essere stata precariamente riparata
da quando l’aveva sbattuta in testa a Kakashi.«Risolvete i vostri problemi tra di voi! Non ho tempo per stare dietro
ai vostri battibecchi da lattanti! Ed ora sparite, voglio i vostri verbali il
prima possibile.»
Si voltarono tutti in direzione della porta per
lasciare l’ufficio, ma un attimo prima che Sakura uscisse, Tsunade la chiamò.
«Sakura, un minuto.»
Chiedendosi cosa avesse Tsunade da dirle, ma
felice che l’avesse chiamata per nome e non per cognome, chiuse la porta alle
spalle del suo Team e tornò di fronte a lei.
«Sì, Hokage-sama?» chiese.
Tsunade le rivolse un sorriso tirato. «Come vanno
le cose?»
Ad essere onesti, la sua vita era diventata un
incubo.
Era arrivata al punto di aver paura di andare a
lavoro, fino ad avere la nausea al solo pensiero. Le persone con cui un tempo
andava d’accordo e che la stimavano, ora la guardavano con diffidenza. Le
conversazioni terminavano ogni volta che appariva, anche quelle che non
riguardavano i pettegolezzi su di lei, ed ogni volta che provava ad unirsi,
veniva esclusa. Non sapeva se fossero peggio le donne o gli uomini. Le prime,
la guardavano con disprezzo e spesso e volentieri le sentiva sparlare di lei.
Per le donne, Sakura era nient’altro che una puttana che aveva sfruttato il
proprio corpo per scavalcare la loro posizione e godevano nel vederla
retrocessa al loro livello, ora che il suo apprendistato con Tsunade era stato
annullato e tutti i diritti e privilegi che comportava erano spariti con esso.
Ma gli uomini erano uguali, se non peggio. La
squadravano, le sbarravano la strada nei corridoi, la infastidivano in mensa e
le fischiavano dietro. Cose come quelle le erano già successe prima, ma dopo
che la sua relazione con Kakashi era diventata di dominio pubblico, la
situazione era diventata ingestibile. Per gli uomini, Sakura era nient’altro
che un oggetto. Il suo valore umano era schiacciato dal peso di quello
sessuale.
Il proprietario di casa sua era forse il peggiore
di tutti. Una sera, di ritorno da un’altra delle sue durissime giornate di
lavoro, l’aveva trovato sul suo pianerottolo ad aspettarla per dirle che non
aveva ricevuto l’affitto del mese. Sakura aveva provato a spiegargli che glielo
aveva mandato appena una settimana prima, ma lui aveva insistito nel dirle di
non aver avuto nemmeno un centesimo. Per agevolarla, però, le aveva proposto
altre forme di pagamento, e l’allusione fu inequivocabile.
Ed ora era in cerca di un altro appartamento.
E poi c’erano quelli a cui faceva pena, che la
reputavano una povera vittima. Quelli che le rivolevano occhiate
compassionevoli come se fosse stata gravemente offesa da Kakashi. Erano quelli
che sopportava di meno, perché additavano Kakashi come un pervertito, un
predatore… Un pedofilo. Sapevano che era sua allieva dall’età di dodici anni ed
erano convinti che fosse iniziato tutto a quei tempi. Non sembravano capire, né
forse volevano, che Sakura fosse una donna adulta e matura, e che l’idea di
qualcuno che potesse costringerla a fare qualcosa contro la sua volontà era
semplicemente ridicola.
Eppure, non faceva ridere nessuno.
A parte Anko, che sembrava considerare la questione alla stregua di una
barzelletta esilarante.
E per quanto Sakura negasse, erano tutti convinti
che fosse addirittura incinta. Un paio di volte, la locandiera della casa da tè
in cui di solito incontrava Ino le aveva suggerito di mantenere una dieta
equilibrata, ora che doveva mangiare per due.
Aveva smesso solo dopo che Sakura le aveva detto
che, a meno che non avesse preso qualche verme solitario – magari proprio alla
sua locanda – non ce n’era bisogno.
Quindi, era in cerca anche di un’altra casa da tè.
Alzò lo sguardo su Tsunade e desierò di poter
tornare indietro nel tempo… Avrebbe strangolato Naruto prima che avesse aperto bocca
e gliel’avrebbe chiusa con un calcio nei denti. Ma non c’era modo di impedirlo
e non esisteva un incantesimo per riparare il danno che aveva causato.
Come andavano le cose?
«Va tutto bene, Hokage-sama» mormorò, incapace di
guardare negli occhi l’ex maestra.
«C’è qualcosa che vorresti dirmi?» le chiese
Tsunade. «Qualcosa che non mi hai detto l’ultima volta che abbiamo parlato?»
Sembrava alludere a qualcosa di specifico, ma non
capiva a cosa potesse riferirsi. Forse le era giunto qualcosa all’orecchio nel
corso della settimana. Dopotutto, i pettegolezzi erano mutaforma:
partivano da una base e si arricchivano passando di bocca in bocca, come fosse
stato il gioco del telefono. Non a caso, sebbene la verità era che la sua
relazione con Kakashi fosse stata scoperta fuori uno squallido ristorante da
Naruto che non sa tenere la bocca chiusa, la nuova versione dei fatti era che
un’infermiera avesse beccato Kakashi sculacciare Sakura in uno stanzino
dell’ospedale.
«Non ho nulla da dirle, maestra.»
Tsunade alzò un sopracciglio.
«Voglio dire… Hokage-sama» si corresse mestamente.
«Molto bene» sospirò. «Puoi andare. E di’ a
Kakashi che minacciare di dar fuoco a quello che tecnicamente è un suo
superiore in generale non è concesso.»
Sakura sbarrò gli occhi. «S-sì, Hokage-sama.
Grazie.»
Si affrettò
ad uscire prima che Tsunade cambiasse idea e le facesse un alto terzo grado. Si
fermò solo quando fu fuori la sala d’attesa e si accasciò contro la parete del
corridoio per respirare, chiedendosi se esistesse un jutsu in grado di
modificare i ricordi di un intero villaggio.
Ancora una volta si ritrovò a desiderare di poter tornare alla normalità.
Esprimeva un sacco di desideri, ultimamente.
«Haruno!»
Fu assalita da un forte senso di nausea.
Decise di ignorare quella voce fin troppo conosciuta e riprese a camminare, ma
il ragazzo le sbarrò la strada. «Perché scappi, Haruno?» la canzonò. «Che
cattiva che sei, non mi hai nemmeno riconosciuto.»
Se non lo avesse ignorato, gli avrebbe spaccato la
mascella. Provò a scavalcarlo, ma lui la inchiodò al muro con un braccio.
«Qualcosa non va, Haruno?» la derise.
«Vattene, Takeo» intimò, evitando il suo sguardo.
Takeo digrignò i denti: gli mancavano due
incisivi, grazie a Sakura che solo pochi mesi prima gli aveva insegnato una
dura lezione: Sakura Haruno non sopporta i ragazzi che le schiacciano la testa
contro il cuscino e le bloccano le braccia durante del sesso grezzo e doloroso,
soprattutto se in più le danno della troia nel frattempo. Non aveva mai avuto
il coraggio di parlarle dopo la loro rottura – o meglio, quella dei suoi denti
– ma ora che Sakura era diventata lo zimbello del villaggio, era di nuovo
toccabile.
E soprattutto, molestabile.
Dopo di lui, perfino Ikki le era apparso come il
principe azzurro in persona.
«Che puttana che sei, farsi uno più vecchio per
fare strada» la schernì. «Scommetto che te lo facevi già quando stavamo
insieme.»
Non si sarebbe azzardato a tanto, se ci fosse
stato qualcuno nei paraggi.
La schiena di Sakura fu colta da un brivido quando Takeo prese ad avvicinarsi a
lei.
E a Sakura non era mai piaciuto il suo odore. Durante gli ultimi periodi della
loro inutile relazione, quando aveva cominciato a mostrarle la sua vera faccia,
quell’odore sgradevole era arrivato al punto di disgustarla.
«Chi lo sa» rispose, noncurante. «Il suo cazzo è
perfino più grande del tuo, sai? E a differenza tua, lui sa usarlo.»
Era una mezza verità, ma era valsa la pena dirla
solo per il gusto di vederlo diventare rosso di rabbia. Sakura sapeva bene che
il pene di Takeo fosse un’estensione del suo ego e che ne andasse più che
fiero. Attaccarlo in quel punto significava minare le basi di ciò che rendeva TakeoTakeo, quella
sottospecie di scarto umano.
Le afferrò il braccio con forza e la spinse contro
la bacheca degli annunci. Sakura alzò le sopracciglia e, poggiando una mano sul
polso che la teneva ferma, mormorò: «Sei sicuro di voler fare a botte con me?»
Le sarebbe bastato stringere la presa per ridurre
le sue ossa in polvere. Quando anche Takeo se ne rese conto, decise di lasciarla
andare, sbuffando nervosamente per nascondere la paura. Sakura lo sorpassò,
massaggiando il braccio ferito.
«Troia!» le urlò dietro, con tono astioso.
Lo ignorò e continuò a camminare, senza voltarsi
nemmeno quando sentì la porta dell’ufficio dell’Hokage aprirsi e la voce di
Tsunade che urlava a Takeo di andare subito da lei. «Procuriamoci un po’ di
candeggina per lavarti quella boccaccia sudicia che ti ritrovi, eh, moccioso?»
Sakura sparì dietro l’angolo prima di essere
coinvolta. Stava camminando a passo svelto, quasi correndo, e non riusciva a
rallentare.
Se avesse potuto, avrebbe scavato una fossa e ci
sarebbe rimasta nascosta per i prossimi vent’anni. Kakashi le aveva detto di ignorare
i commenti e le occhiatacce e di non lasciarsi ferire, ma era semplice da parte
sua, dal momento che nulla sembrava scalfirlo.
«Le cose si sistemeranno» le diceva, fiducioso.
Ma quando?
Buttò un occhio all’orologio da parete nell’atrio
e sospirò: era in ritardo di un quarto d’ora all’appuntamento con sua madre.
Aveva avuto la vana speranza che la notizia non le
giungesse, non facendo parte del suo ambito lavorativo.
I civili e gli shinobi avevano circoli sociali completamente diversi; e se la
notizia di un insegnante che va a letto con una studentessa era uno scandalo
tra i ninja di Konoha, la gente comune – circa due terzi della popolazione –
non ci avrebbe fatto nemmeno caso.
Ma la madre di Sakura era anche una cara amica
della madre di Ino, la quale faceva parte di uno dei clan di spicco del
villaggio. Quindi ipotizzava che Ino avesse spettegolato con sua mamma, la
quale – essendo una versione invecchiata della figlia – non aveva perso tempo
per spifferare tutto alla mamma di Sakura.
Ciò che la sorprendeva, in effetti, era il fatto
che sua madre avesse aspettato una settimana prima di contattarla. Aveva atteso
la sua telefonata fino a quando il giorno prima, di ritorno da un altro
estenuante turno di lavoro, aveva trovato un suo messaggio in segreteria in cui
le chiedeva di andare a casa sua la sera dopo, alle sette.
Sakura arrivò alle sette e mezzo, e quando sua
madre le aprì la porta, capì subito che ci fosse qualcosa di strano: la trovò
ben vestita, con i capelli a posto e senza l’ombra di una sigaretta nei
paraggi.
«Sei in ritardo» le disse, portando due dita alla
bocca e rendendo chiaro il fatto che le mancasse fumare. «Ma non c’è bisogno di
chiedere da chi hai preso questo brutto vizio.»
Abbassò leggermente lo sguardo e borbottò di
essere stata trattenuta nell’ufficio dell’Hokage, ricordandosi di tutte le
volte che si era lamentata con sua madre dei ritardi di Kakashi. Non le aveva
mai raccontato altro oltre ciò riguardo al suo maestro, anche se più volte
aveva parlato di Sasuke Uchiha, partendo dal suo gusto di gelato preferito fino
al modo in cui piegava i calzini.
Il fatto che Sakura avesse cominciato a farsi
coinvolgere dalle cattive abitudini di Kakashi, dopo appena qualche settimana
di frequentazione, non lo metteva di certo in buona luce. Senza dubbio, sua
madre lo considerava già una cattiva influenza per lei.
«Che aspetti? Entra» le ordinò, facendosi da
parte.
Dopo appena un passo, sentì chiaramente la puzza di tabacco che impregnava ogni
superficie.
«In cucina.»
Sakura si avviò, nervosa e in ansia, ma si
pietrificò quando scorse una figura seduta al tavolo, al posto che era solito
occupare quando ancora viveva in quella casa.
«Papà» sussurrò, scioccata.
Alzò gli occhi su di lei con sguardo cupo e serio
e Sakura notò quanto fossero sbiancati i suoi capelli, che un tempo erano della
sua stessa tonalità di rosa.
Quantomeno, ora le era chiaro il perché del cambio di look di sua madre, anche
se suo padre non si era nemmeno tolto il cappotto, dando tutta l’impressione di
non doversi trattenere a lungo.
«Sakura» la salutò, con il tono di chi sta per
annunciare la morte di un parente. «Vieni, siediti» le disse, come fosse stato
ancora a casa sua. Sakura guardò in direzione di sua madre, che se ne stava
noncurante in un angolo, come ogni altra volta che era costretta ad essere
nella stessa stanza di quell’uomo. Si sedette dal lato opposto rispetto al suo
ex marito e prese a guardare fuori dalla finestra, lasciando a Sakura nessun
altra scelta se non sedersi tra loro due.
Era davvero nei guai, se suo padre era stato
coinvolto. Non sapeva se fosse stato chiamato da sua madre o se si fosse fatto
vivo di sua spontanea volontà, ma si sentiva presa completamente alla
sprovvista. Poteva gestire sua madre, ma suo padre… Non sapeva se avrebbe avuto
il coraggio di dargli contro.
Quindi provò a temporeggiare. «Come stanno Mayu e Kaede?» chiese,
riferendosi alla sua matrigna e alla sorellastra.
Entrambi i suoi genitori non reagirono bene a
quella domanda: sua madre strinse forte le labbra, infastidita dal sentire il
nome di Mayu in casa sua; suo padre, invece, aveva
capito perfettamente il suo intento. «Stanno bene» rispose. «Kaede ha cominciato l’asilo, ma è sicura di voler
frequentare l’Accademia.»
Sakura sbarrò gli occhi, sorpresa. «Vuole
diventare una kunoichi?»
«Dice di voler diventare come la sua sorellona»
disse, facendo spallucce. C’era qualcosa nella sua voce e nel suo sguardo che
le diceva che non ne fosse contento. Aveva sempre trovato la carriera di
shinobi frivola, come una recita scolastica. Tutte le bambine sognavano di
diventare kunoichi, ma alla fine quasi tutte finivano a lavorare in un ufficio.
Nemmeno i suoi successi in ambito lavorativo avevano persuaso suo padre dal
ritenerlo un mestiere poco serio. Il suo atteggiamento non la sorprendeva affatto.
Ciò che invece la sorprendeva era l’essere
d’esempio per sua sorella, sebbene non l’avesse mai frequentata più di tanto.,
per il bene della sorella. Anche se, a giudicare dal comportamento di suo
padre, avrebbe fatto meglio a cercarsi un nuovo idolo perché Sakura ultimamente
era risultata essere una delusione.
Si sentiva un po’ in colpa per non aver provato ad
ignorare la moglie di suo padre,
«Prossimamente sarò promossa a jonin» li informò
distrattamente. «Forse potrei diventare la sua maestra.»
Lo sguardo di disapprovazione di suo padre si
accentuò. «A proposito di maestri» cominciò.
Se l’era cercata.
«Quindi siete stati informati» tagliò corto.
«Sapete di me e Kakashi.»
«La gente sembra voler fare a gara per dirmelo» le
disse. «Non mi sono mai vergognato così tanto in vita mia. Sono diventato lo
zimbello dell’ufficio perché mia figlia se la fa col suo insegnante.»
Sakura si accigliò, ma non rispose: immaginava che
suo padre lo avrebbe reso un suo problema. Era sempre stato un egoista,
lo si evinceva dal fatto che avesse abbandonato sua moglie e sua figlia per
farsi una nuova famiglia, solo per noia. Non gli era mai interessato del modo
in cui le sue azioni si ripercuotessero sugli altri. E qualsiasi diritto
pensasse di avere sul farle la morale sulla sua vita privata, era completamente
fuori strada.
«La fai sembrare una schifezza» lo accusò.
«Ma è una schifezza!» sbottò lui. «Ho
sentito così tante cose brutte sul tuo conto, Sakura. Non so più a cosa
credere.»
«E allora non credere a niente, se ti fa stare
meglio!» scattò Sakura.
«Sakura» la riprese sua madre. «Non parlare così a
tuo padre.»
«Non sono una bambina» li rimproverò. «Non vi
permetto di trattarmi in questo modo. Se volete discutere con me sulla persona
con cui vado a letto, allora trattatemi da adulta.»
«E’ solo che non capiamo» le disse sua madre. «Non
sappiamo se sei davvero consapevole di ciò che stai facen–»
«Tra tanta gente, perché diavolo sei dovuta andare
con il tuo insegnante?» si intromise suo padre. «Sai che idea dà?»
Sakura lo fissò negli occhi. «Certo che lo so. Dà
l’idea che lui si sia approfittato di me. Per qualcuno, sono stata io ad
approfittarmi di lui. Le ho sentite tutte, papà – che lui mi ha molestata,
violentata, che è un pervertito pericoloso, e che io sono una troia e una
ricattatrice, o una puttanella in cerca di una promozione facile» incrociò le
braccia al petto. «Ti assicuro che so perfettamente che impressione dà. Ciò che
è in realtà, invece, è tutt’altra cosa.»
«E allora cos’è?» chiese stancamente sua madre.
Sakura la
guardò e rifletté un attimo prima di risponderle. «Era un’occasione che non
potevo lasciar perdere. Non mi sono fatta guidare dalla paura e non mi sono
accontentata. Ho preso ciò che volevo, per una volta.»
Lentamente, gli occhi di sua madre si
illuminarono, per poi ritornare alla finestra. Non aveva altro da dire. Aveva
capito.
Ma suo padre no. «E questo che diavolo significa?
Ti sei presa ciò che volevi?» ripeté, confuso. «Dici di non voler essere
trattata come una bambina, ma ti comporti da tale. Non puoi semplicemente
prenderti quello che ti pare, in questa vita – non se possono esserci
conseguenze! Come hai potuto essere così egoista?»
«E tu di egoismo sai tutto, no?» esplose sua
madre. «Con quale coraggio le fai la morale sull’egoismo se tu per primo non
hai saputo accontentarti di una sola moglie ed una sola famiglia?! Tu stesso
hai fatto solo ciò che volevi senza pensare ad altri se non te stesso, ed ora
vieni qui a blaterale dell’egoismo altrui! Evidentemente il tuo problema è il
non essere l’unico bastardo egoista in questa casa–»
«Lascia perdere» disse suo padre, rosso in viso e
adirato. «Non sono venuto qui per farmi insultare, sono qui per capire cosa
diavolo ha in testa mia figlia e per sapere quando ha intenzione di rinsavire.»
«Non sono impazzita» disse Sakura, infastidita.
«Kakashi mi fa stare bene. Il nostro unico problema è che lui sia il mio
insegnate; tolto ciò, non sarebbe importato a nessuno.»
«Il fatto che sia il tuo insegnate è un grosso problema»
le disse suo padre, piatto.
«Non è un granché come insegnante» rispose, come
se quel particolare avesse potuto rendere più semplici le cose.
Suo padre sbottò. «Questo è sicuro!»
Sakura perse la pazienza sbatté le mani sul
tavolo. «Ho capito! Non approvi! Bene! Non ho mai chiesto la tua approvazione e
non penso che comincerò adesso. Non mi importa se pensi che sia confusa,
disturbata o molestata, perché tanto tu che ne sai? Non mi conosci affatto! Non
ti sei mai disturbato a farlo!»
Aveva ereditato il temperamento di sua madre, ed
era stato una delle cose che aveva allontanato suo padre da lei. Non aveva mai
saputo gestirla, ed aveva sempre preferito starsene zitto e fermo ad assorbire
la sua rabbia, cercando nel frattempo un modo per controllare la situazione.
Sakura sapeva bene come evitarlo.
«Non mi hai mai presa sul serio, papà, e non mi
sorprende scoprire che non lo fai nemmeno adesso» lo rimproverò. «Non mi
importa di cosa pensi. Hai rinunciato ad essere mio padre anni fa, e non puoi
tornare qui e riprendere da dove hai lasciato solo perché ti fa comodo.»
Sua madre sorrise debolmente.
Suo padre lo notò. «Masaki!»
la ammonì. «E’ la tua copia sputata! Selvaggia e grezza. Senza dubbio tu
approvi il suo comportamento.»
«Ti sei almeno chiesto se tua figlia sia felice?»
chiese sua madre. «Ti importa, almeno? O il tuo unico problema è ciò che dicono
i tuoi colleghi alle tue spalle?»
Suo padre drizzò la schiena e la guardò. «Beh? Sei
felice, Sakura?»
Sakura chiuse gli occhi. Come poteva
chiederglielo? Ovviamente non lo era. Come poteva, dopotutto? Era snobbata e
calunniata costantemente dai suoi colleghi, ed i suoi migliori amici a stento
la guardavano in faccia. «Kakashi mi fa stare bene» ripeté, senza aggiungere
altro.
Sua madre portò le dita alle labbra, rendendo
chiaro che il suo bisogno di fumare fosse ormai al limite. «E lo ami, Sakura?»
le chiese.
«Che importanza ha?» chiese di rimando suo padre.
«Tanto non durerà comunque.»
Sua madre fece spallucce e tornò alla finestra,
tirandosi fuori dalla conversazione ancora una volta, come se non fossero stati
affari suoi. Calò il silenzio nella stanza, e le spalle di Sakura crollarono
sotto al proprio peso.
Era proprio come ai vecchi tempi…
Scappò via da quella casa alla prima occasione,
lasciando i suoi genitori a litigare in cucina, come quando aveva tredici anni;
ma non era più una bambina: era una donna adulta ormai, e quella era stata una
buona occasione per farlo capire a sua madre. Suo padre, invece, aveva
peggiorato una situazione già precaria con i suoi giudizi non richiesti.
Ma alla fine, essere capita ed approvata dai suoi
genitori non le cambiava la vita, anche se lo avrebbe apprezzato. Ormai non
potevano più controllarla, Sakura era una donna libera di fare le proprie
scelte ed andare ovunque volesse. E così fece: camminò a lungo, fino a quando
non raggiunse la vetta del monte degli Hokage. Si sedette ad osservare Konoha,
illuminata dalle luci della sera. Il villaggio si estendeva sotto di lei come
riflesso su uno specchio d’acqua: lassù, i suoi problemi sembravano sparire.
Lassù, da sola, non sentiva tutte le cattiverie che la gente diceva di lei e
Kakashi.
Si sentiva molto meno sola lì, che di sotto.
Sentì dei passi alle sue spalle e si voltò in
allerta, afferrando un kunai. Un’ombra si mosse tra gli alberi, e quando uscì
allo scoperto, Sakura si rilassò.
«Dovremmo smetterla di incontrarci così» scherzò
Kakashi, fermandosi sotto un lampione. La luce calda si rifletteva sulla sua
pelle pallida, donandogli un’aura aranciata.
«Che ci fai qui?» chiese Sakura, notando che
Kakashi non indossasse la maschera.
«Avevo bisogno di respirare» scrollò le spalle.
Sakura lo capiva.
Ultimamente, Konoha era diventata asfissiante. L’aria sembrava essere pulita
solo lassù.
Tornò ad osservare le luci del villaggio e si chiese quante appartenessero alle
persone che conosceva. Persone che ora pensavano a lei con disgusto. Kakashi
scavalcò un masso e si sedette accanto a lei, con lo sguardo rivolto nella sua
stessa direzione e forse ponendosi le sue stesse domande. Sakura si voltò a
guardarlo e notò che fosse completamente ricoperto di fango secco:
evidentemente i suoi superiori trovavano ancora divertente affibbiargli le
missioni più tediose. All’apparenza, Kakashi l’aveva presa con ironica
pazienza: le ripeteva spesso che quando passi la vita a fare lo stronzo con i
tuoi sottoposti, c’è da aspettarsi che prima o poi la ruota giri. Ma Sakura
ormai riusciva a leggergli il disprezzo negli occhi.
Gli prese una mano e poggiò la testa sulla sua
spalla, incurante dello sporco. In quel momento Kakashi le apparteneva, e allo
stesso modo lei era sua.
Entrambi intrappolati in una gabbia costruita con le loro mani.
«Forse dovremmo tornare», le propose.
«No» rispose Sakura, scostandosi abbastanza da
poter scuotere la testa. «Non voglio tornare laggiù.»
«Cosa vuoi fare allora?» le chiese.
«Restiamo qui per stanotte» disse, stendendosi di
schiena sul terreno, gli occhi rivolti al cielo. «Restiamo qui e dormiamo sotto
la luna, le stelle e quella strana cosa paffuta laggiù.»
«Credo che sia una nuvola.»
«Una nuvola…» mormorò, chiudendo gli occhi. «Le
nuvole possono fluttuare ovunque vogliano, possono girare il mondo senza mai
scendere giù. Noi invece siamo come le stelle, non è così? Bloccati in un punto
fisso, due tra tanti… E a volte cadiamo.»
E poi pianse.
Le calde dita di Kakashi tentarono invano di
asciugarle le lacrime, ma erano troppe e allora si chinò su di lei per baciarla
e costringerla a dimenticare. Dopo un attimo di esitazione, Sakura lo fece, e
si aggrappò a lui con tutte le forze. Strappò via il mantello sudicio e poi
tutti i vestiti, impaziente di sentire il calore della sua pelle.
Erano al sicuro lassù: lontani dagli occhiindiscreti, nascosti dagli alberi.
Completamente soli.
Kakashi le accarezzava il seno con una mano, mentre il bacino si faceva strada
tra le sue cosce.
Sakura spezzò il loro bacio con un gemito, dando
voce al suo desiderio attraverso gli occhi.
Un attimo dopo si stavano sbottonando a vicenda e Sakura lo strinse. Scostarono
i vestiti il tanto che bastava per permettere il contatto che i loro corpi
bramavano.
Lo guidò in sé.
Kakashi era capace di farle sentire un calore
febbricitante nelle vene, di consumare i suoi pensieri e di tenerla lontana da
qualsiasi cosa non fosse lui.
Non aveva più il controllo delle parole che gli stava sussurrando all’orecchio:
le aveva insegnato ad essere sicura di sé ed ormai non aveva più modo di
contenersi. Gli morse languidamente la mascella e fece scorrere la lingua lungo
il suo collo; gli ordinò di prendere tutto di lei e lui lo fece, mentre la sua
schiena si inarcava in perfetta armonia con le sue spinte.
Poi, all’improvviso, Kakashi si bloccò. «Cos’hai
detto?»
Sakura tornò stesa sotto di lui, accigliandosi
quando Kakashi si rifiutò di accontentare i suoi movimenti. «Cosa?» ansimò, noncurante.
«Che cosa hai detto?» ripeté, trattenendole il
mento per costringerla a guardarlo.
«Non… Non lo so. Kakashi, non fermarti» implorò,
sollevando il viso per afferrare le sue labbra. «Baciami.»
Kakashi esitò per un istante, ma tornò sulle sue labbra,
con più dolcezza e passione di prima. Incatenò le dita tra i suoi capelli e le
accarezzò le guance, fino a quando Sakura non lo scavalcò per prendere la guida
di quella danza selvaggia. Ansimò e rise con lui, come se le sue lacrime ed il
suo dolore fossero appartenuti a qualcun altro, perché in quel momento la sua
mente era piena solo di Kakashi. Era difficile preoccuparsi anche della vita
stessa, mentre era con quel bellissimo uomo che la guardava come fosse la cosa
più preziosa al mondo.
E poi finì.
Non con gemiti, ma con sospiri. Sakura si accasciò su di lui, rabbrividendo per
l’adrenalina che ormai scemava, lasciando spazio alla stanchezza; anche se la
brezza fresca della sera accarezzava il suo corpo imperlato di sudore. Kakashi
la spinse per metà sotto di sé e coprì entrambi con il suo mantello sudicio.
Sakura era ormai sporca quanto lui, ma non le importava: le stelle splendevano
magnificamente su di loro e tanto le bastava.
«Per quanto ancora?» mormorò, mentre il battito
del suo cuore si rilassava ed il calore del corpo di Kakashi le annebbiava i
sensi. «Per quanto ancora andrà avanti?»
Kakashi le baciò la fronte. «Non pensarci adesso.»
E Sakura non lo fece.
Magari si era sbagliata.
Magari nella foga del momento aveva detto qualcosa che non sentiva davvero,
magari il romanticismo dell’atto l’aveva spinta a proiettare su di sé una
fantasia romantica e delle emozioni che, nel quotidiano, non provava. E poi, in
momenti come quello, i sensi si annebbiano, quindi magari lui stesso aveva
capito male.
E quindi forse si sbagliava, ma per un attimo gli
era sembrato di sentire Sakura sussurrargli “ti amo così tanto” all’orecchio,
tra un “sì” e un “non fermarti!”. Ma sembrava non essersene resa conto, quindi
sarebbe stato inutile insistere, Sakura avrebbe solo negato.
E poi c’era sempre la possibilità che avesse detto
“scopiamo intanto”.
Ma gli sarebbe suonato strano.
«Tu sei pazza», le mormorò, ma Sakura era già
mezza addormentata e gli sorrise debolmente.
Fu travolto da una miriade di emozioni, anche se
all’apparenza restò impassibile. Esasperazione, affetto, ed anche un pizzico di
orgoglio maschile; ma tornò anche la malinconia che lo perseguitava da giorni,
che allargava un buco che sentiva nel petto già da tempo e che si faceva sempre
più profondo ogni volta che dormiva accanto a lei.
Non fa per te,
si era detto, anche se non gli faceva piacere sentirlo. Guarda che le hai
fatto. Non puoi trascinarla a fondo con te.
Sospirò e la strinse più forte a sé, come avesse
avuto paura di lasciarla andare.
«Siete innamorati?»
Gliel’aveva chiesto Tsunade nel suo ufficio, un
attimo prima di lasciarlo andare a medicare una ferita alla fronte che sembrava
molto peggio di quanto non fosse in realtà. L’Hokage si era concessa un secondo
per calmarsi e ne aveva approfittato per porgli quella domanda vuota.
«Siete innamorati?!»
Aveva riflettuto attentamente prima di risponderle,
perché sapeva quanto scaltra fosse Tsunade. «Vuole una risposta sincera?»
le aveva chiesto. «O una comoda?»
«Voglio la verità!»
aveva gridato lei, cercando con le mani altro da lanciargli dalla scrivania
rimasta ormai vuota.
«Uno di noi due lo è»
le aveva risposto, in fine.
E Tsunade lo aveva fissato, rossa di rabbia. «Che
diavolo di risposta sarebbe?!»
«È lei?» gli aveva chiesto poi.
La mancata risposta di Kakashi l’aveva fatta
accigliare. «Sei tu?»
Kakashi non aveva lasciato trasparire nulla, quindi
Tsunade aveva incrociato le braccia. «Non importa, lo chiederò a Sakura.»
«Perderà solo tempo»
le aveva detto. «Non le dirà la verità. Le dirà solo quello che si aspetta
che io dica.»
«E cosa si aspetta che tu dica?»
Lo sguardo di Kakashi si era fatto vacuo. «Me
lo chiedo anch’io.»
Non era riuscito a capire perché si sentisse così
deluso all’idea che Sakura non avesse fiducia nei suoi sentimenti per lei.
Forse perché non era deluso da lei, ma da se stesso.
Sakura avrebbe pensato – e con ragione – che lui
avrebbe detto a Tsunade che non erano innamorati, perché non pensava che
Kakashi fosse capace di amare.
E nemmeno lui lo credeva.
«E quindi che facciamo, Sakura?»
Ed eccoci qua, all’ultimo aggiornamento dell’anno.
Grazie per la pazienza, per le bellissime parole, per la fiducia.
Ai lettori affezionati, ai nuovi, e ai futuri.
Che il prossimo possa essere l’anno più bello della vostra vita fin’ora. ♡
Sakura se ne stava seduta al tavolo, intenta a fissare la
vecchia superficie smaltata, mentre suo marito – ormai quasi ex
– si sforzava quanto lei di ignorare la sua presenza.
Ma non era il solo.
Accanto a lui sedeva una donna più giovane e bella di lei, che la fissava come
a ricordarle tutto ciò che era stata e che aveva perso.
La disperazione di quella scena era acuta e stridente.
Non c’era più nulla da fare, le cose non si sarebbero aggiustate. L’avrebbe
lasciata da sola a crescere la loro unica figlia, che sembrava incolpare sua
madre per la perdita di interesse di suo padre, e Sakura sapeva che quella
stessa figlia in pochi anni avrebbe lasciato quella casa per sempre senza mai
guardarsi indietro.
Alzò lo sguardo ed incontrò l’unico occhio visibile
di suo marito, apatico come non l’aveva mai guardata.
«Puoi tenerti la casa» spiegò Kakashi. «Non mi
servirà. Ad ogni modo, credo che a te invece non servirà questo, quindi penso
proprio che lo porterò via con me.»
Indicò un ammasso di carne e sangue che Sakura si
era appena accorta essere tra di loro, sul tavolo. Dal modo in cui pulsava e
sanguinava, si rese conto che era il suo stesso cuore.
«Capisco» rispose, rassegnata.
Il lento battito di quell’organo riecheggiò nelle
sue orecchie anche quando il sogno svanì e Sakura si trovò a guardare la sua
cassettiera. Sentì un senso di disagio nel petto, lascito di quel sogno che non
era esattamente un incubo, ma fin troppo vicino ad una paura che sentiva
inconsciamente. Si girò sulla schiena sospirando, passando le dita tra i
capelli. Non era quello il posto in cui si era addormentata, ma probabilmente
Kakashi l’aveva riportata a casa dal monte degli Hokage senza svegliarla, per
poi andarsene.
O almeno era quello che pensava, fino a quando non
sentì la porta scricchiolare, per poi vedere Kakashi comparire, completamente
vestito e con ancora il mantello da viaggio del giorno prima. Aveva una tazza
di caffè in una mano ed un bicchiere di succo d’arancia nell’altro.
Si sedette sul bordo di quel materasso economico, e ogni cosa sul letto,
inclusa Sakura, converse a lui.
«Scegli» le ordinò, porgendole le tazze.
Toccata da quella premura, Sakura si alzò a sedere
ed afferrò la tazza di caffè. «Grazie» mormorò, guardandolo fare spallucce e prendere
un sorso di succo. Il suo sguardo era rivolto al muro di fronte a lui ma perso
nel vuoto, come se la sua mente fosse stata in un posto molto lontano, e quando
parlò, sembrò volersi togliere un peso.
«Ieri notte hai detto una cosa», cominciò con
leggerezza.
Sakura fece mente locale, ma non ricordava di aver
detto nulla di tanto particolare al punto da dargli il bisogno di riprendere il
discorso. Gli aveva chiesto per quanto ancora sarebbero andati avanti in quel
modo, ma Kakashi aveva evitato quella domanda come ogni altra che riguardasse
la natura della loro relazione. Sakura ormai aveva capito che non gli piaceva
parlarne, essendo lui il tipo di persona che lascia che gli eventi facciano il
loro corso senza scervellarsi troppo.
«Cosa ho detto?» chiese. Kakashi non le rispose
subito, quindi Sakura chiuse gli occhi e prese un altro sorso della bevanda
calda.
Pura beatitudine.
«Hai detto di amarmi.»
Il caffè le andò di traverso e sputacchiò ovunque. Si
ricompose rapidamente e portò una mano alla bocca – più per ripulirsi che come
reazione a ciò che aveva detto. La mente cominciò a correre alla ricerca di
quel ricordo, chiedendosi come quella confessione lo facesse sentire.
Era più semplice per lei concentrarsi sulle
banalità. «L’hai fatto a posta» lo accusò. «Hai aspettato a posta per farmi
sputare il caffè».
«È vero» ammise. «Ma è anche vero che ieri notte mi
hai detto “ti amo”».
«Quando?» chiese, incredula.
Kakashi sussultò leggermente. «Suppongo fossi presa
dal momento, quando l’hai detto, eh?»
Sakura sentì il viso andare a fuoco. «Intendi
quando… Mentre noi…?»
Kakashi annuì.
«Oh…»
Rivolse lo sguardo a Kakashi ed incontrò i suoi occhi vuoti e illeggibili. Il
suo volto inespressivo sapeva essere fastidioso, a volte, ed in quel momento lo
era terribilmente. Come poteva capire in che modo porre la situazione se non
sapeva come lui si sentisse a riguardo? Aveva ripreso l’argomento, quindi
evidentemente gli pesava… Ma per quale ragione? Perché sperava non fosse vero?
Perché sperava che lo fosse?
«Beh, non prenderla sul personale» cominciò Sakura,
coprendosi il viso e ridacchiando imbarazzata. «Ti devo una spiegazione, lo so.»
L’unico occhio scoperto si strinse
impercettibilmente.
«Beh, sai quanto Ikki
fosse bisognoso, no? Certe volte mi chiedeva di dire cose che lo aiutassero a
finire. Non gli importava se fossero vere o no, gli faceva solo piacere
sentirle. E a quanto pare le cattive abitudini sono dure a morire, e dovrei
stare più attenta a ciò che dico, eh?»
«Così stanno le cose?» disse Kakashi, ponendo più
una constatazione che una domanda. «Quindi non lo pensi?»
Sorrise imbarazzata. «Sollevato?»
Kakashi tornò a guardare il muro e sorrise vagamente,
rendendole difficile capire se fosse un sorriso di sollievo o altro. «È meglio
se non ci affezioniamo, Sakura» le disse. «La situazione è già abbastanza
complicata.»
«Lo capisco» si affrettò a rispondere, sentendo la
tensione addensarsi nelle viscere. «So che è solo una… Come la chiameresti? Un’avventura
di due settimane?»
Il suo sorriso apparve più genuino stavolta. La
guardò fisso negli occhi e le scostò una ciocca di capelli dalla guancia. «Spero
che tu non stia soppesando le tue rispose in base a ciò che credi io voglia
sentire.»
Un brivido freddo le percorse la schiena, lo stesso
tipo di brivido che sentiva quando veniva colta in flagrante.
«Perché ciò che voglio sentire è solo la verità»
riprese. «Quindi…»
Sakura abbassò gli occhi sulla tazza di caffè che
aveva tra le mani e prese ad osservare le sue dita che carezzavano nervosamente
il motivo a zigzag stampato sulla ceramica. Kakashi voleva davvero sentire la
verità o, come la maggior parte delle persone, solo ciò che gli faceva più
comodo? Perché Sakura non era sicura che sarebbe stato felice di sapere davvero
come stavano le cose.
Perché la verità era che ormai sospettava di essersi
innamorata, ed anche tanto. Sentiva che il modo in cui il suo corpo rispondeva
a quello di lui era completamente diverso dagli altri, e i sentimenti che
provava erano tutt’altra cosa rispetto a quello che aveva provato per qualsiasi
altro uomo, anche quelli con cui era stata a letto. La relazione con Kakashi
era cominciata per mera curiosità, e Sakura aveva sperato di poter essere quel
tipo di persona capace di non confondere sesso e amore, come Kakashi stesso
era. Ma, anche se troppo tardi, si era resa conto che innamorarsi di lui le
pareva naturale, come il soffrire per la morte di una persona cara.
Non era la
prima volta che pensava di amare qualcuno, ma paragonati al sentimento che ora
provava, tutti gli altri sembravano mere imitazioni di un’emozione che avrebbe
voluto provare. Quella dolce sensazione di tepore che provava ogni volta che la
sfiorava per caso o le sorrideva, il bisogno ardente che sentiva ogni volta che
la baciava… Non aveva mai sentito niente di simile con nessun’altro, mai.
E per quanto la spaventasse, non voleva lasciarlo
andare.
L’idea di non averlo accanto la terrorizzava. Anche il solo essere presenti
nella stessa stanza la faceva sentire in pace; parlare con lui, condividere
cose che non aveva mai osato dire ad altri, perché non aveva mai sentito che a
qualcuno importasse di lei davvero. E a Kakashi invece sì, importava eccome – e
non solo per cortesia, come pensava all’inizio.
A Kakashi importava di lei, ma non quanto a Sakura
importava di lui.
Sapeva che confessargli quei pensieri avrebbe
rovinato tutto, perché se c’era qualcosa che sapeva di Kakashi, era che lui
fosse diverso da lei. Aveva accettato di andare a letto con lei perché Sakura
lo aveva assicurato di essere un’adulta capace di gestire la situazione – e
l’ultima cosa che voleva era dargli l’idea di non essere cambiata per niente
dai tempi in cui inseguiva Sasuke come un’ossessa. Non voleva deluderlo.
Confessarsi a lui avrebbe portato a due sole strade:
o l’avrebbe gentilmente rifiutata ed avrebbe interrotto la loro relazione per
non farla soffrire; o si sarebbe sentito responsabile di quella situazione e
sarebbe rimasto con lei per obbligo morale.
In qualsiasi caso, sarebbe diventata un peso per Kakashi.
Non era attratta da nessuno di quegli scenari, e
quindi gli sorrise affabile, come se lo avesse considerato semplicemente un
buon amico di letto e basta, perché era quello il modo in cui Kakashi la vedeva.
La osservò per pochi istanti, poi scosse la testa
ridendo leggermente. «Lascia perdere. Fa’ come se non avessi detto niente.»
Forse, dopotutto, non voleva sentire la verità: una
scelta saggia.
Sakura sorseggiò il suo caffè, in preda ad un sentimento a metà strada tra
sollievo e disperazione. Per quanto ancora poteva andare avanti così?
«Devo andare a parlare con Tsunade di una cosa» le
disse, alzandosi. «Ci vediamo dopo, forse.»
«Okay» mormorò, annuendo. «A dopo.» Forse?
Posò il bicchiere mezzo pieno di succo d’arancia sul
comodino di Sakura, e sparì come un’ombra al sole, mentre un raggio di luce
irradiò la stanza. Sakura si voltò verso la finestra alle sue spalle, battendo
le palpebre per abituarsi al bagliore, e notò il suo vecchio cane di peluche
sul davanzale.
«Oh, Rex…» sospirò raccogliendolo e trascinandolo
con sé sotto le coperte.
Da bambina aveva amato quel pupazzo come niente al
mondo.
Sakura aveva sempre avuto bisogno di amare, ed in mancanza di qualcuno su cui
proiettare quel sentimento, aveva amato quel cane. Nel tempo, aveva trasferito
quell’affetto su Sasuke, ed aveva nascosto quel pupazzo sotto al letto perché
Ino l’aveva convinta che a Sasuke piacessero le ragazze mature, non quelle che
giocano con gli animali di pezza. E quando Sasuke aveva rifiutato le sue
attenzioni, per un po’ si era convinta di poter amare Naruto, fino a quando non
si era resa conto che – per quanto bene gli volesse – non lo avrebbe mai visto
in quel modo.
E così il suo affetto si era spostato di persona in persona, consumandosi
sempre un po’ di più ogni volta che cambiava soggetto, fino al punto di
frequentare un idiota come Ikki, che nemmeno le
piaceva.
Kakashi era in una posizione pericolosa: aveva il potere
di restaurare la sua passione per l’amore – quella primordiale, che aveva
proiettato su quello stesso giocattolo. E Sakura sperava che, come aveva
imparato a fare a meno di Rex, così avrebbe imparato a fare a meno di Kakashi.
Fuori, le nuvole nascosero di nuovo il sole, come
batuffoli di cotone appesantiti dall’acqua. Sakura strinse Rex al petto e
chiuse gli occhi. «Sta per piovere, Rex.»
«Ne sei davvero sicuro?»
Kakashi massaggiò la nuca e buttò un occhio alla
scrivania dell’Hokage. «Non vedo alternative» disse, grattandosi
pensierosamente una guancia.
«Credo che tu lo faccia per ripicca contro di me»
insinuò Tsunade, tamburellando una penna contro il modulo di fronte a lei. «Che
meschino.»
Si aspettava quella reazione, quindi annuì
leggermente. «So che può sembrarle così, ma ho preso in considerazione
qualsiasi opzione e questa mi sembra la più proficua per tutti.»
«Non sono tanto pazza da permettere al mio migliore
jonin di dimettersi» sbuffò. «Siamo già abbastanza a corto di uomini.»
Kakashi sorrise debolmente. «C’è stato un tempo in
cui lei stessa è stata uno dei migliori jonin del villaggio, e per giunta il
miglior medico. Eppure il Terzo l’ha lasciata andare.»
«Perché non ero più di nessun aiuto a Konoha!»
sbottò Tsunade. «Ero in uno stato pietoso, quindi non faccio testo.»
«E lei pensa che io sia ancora di aiuto a Konoha,
ora come ora?» chiese. «Svolgendo missioni mediocri che qualsiasi idiota
potrebbe portare a termine? È questo il modo in cui posso sfruttare le mie
abilità da shinobi d’élite per questo villaggio? Potrebbe mettermi a spazzare
l’atrio dell’ospedale e sarebbe lo stesso.»
Ma Tsunade scosse la testa. «Non possiamo rischiare
che tu cada nelle mani di un altro villaggio. Le tue abilità, il tuo lignaggio…
Appartengono a Konoha.»
«Konoha è la mia casa e lo sarà per sempre» disse,
portando una mano al petto. «Per quanto possa odiarmi, io amerò sempre questo
villaggio. Non lo tradirei mai. E se lo ritiene necessario, posso firmare
l’atto dei segreti di stato e siete liberi di condannarmi nel caso in cui
violassi i patti.»
«E che intenzioni hai? Vuoi diventare un eremita?»
lo schernì. «Vagherai senza meta fino al giorno della tua morte? Che razza di
vita sarebbe mai questa, Kakashi? Non so se ti rendi conto a cosa stai andando
in contro.»
Kakashi sospirò. «L’idea di passare la vita da solo
nella natura mi attrae di più del passarla in un villaggio che mi disprezza.»
Tsunade sbuffò e prese a massaggiare le tempie per
ritardare un’emicrania. «Il villaggio ti disprezza perché nessuno ti prende sul
serio. Credono tutti che tu abbia approfittato della tua posizione di sensei.
Non se ne dimenticheranno facilmente, Kakashi, e il fatto che tu ti rifiuta di
elaborare la natura della tua relazione con Sakura non è d’aiuto.»
«Se dicessimo che siamo innamorati, cambierebbe
qualcosa?» chiese, stanco. «Riprenderebbe Sakura come sua apprendista? Mi
promuoverebbe di nuovo?»
Tsunade lo guardò duramente. «No.»
«E allora sarei grato a lei e a tutti gli altri se
pensaste agli affari vostri.»
Stavolta fu Tsunade a sospirare. «Non state agendo
nei vostri interessi» lo avvisò ancora.
Kakashi le sorrise vagamente. «Invece sì. Solo in un
modo che lei non capirebbe, Hokage-sama.»
«Odio gli stronzi criptici come te.»
«È tutto, Hokage-sama?»
«Sei una bella spina nel fianco, Hatake Kakashi»
borbottò. Si alzò e raggiunse l’archivio dall’altro lato della stanza.
Mentre scavava in cerca di qualcosa, Kakashi prese ad osservare la finestra, notando
che il vetro stava cominciando a puntellarsi di gocce di pioggia. Fuori, il
cielo brontolava il suo malcontento. Di vera regola, non gli piaceva poi tanto
la pioggia, ma cominciava a capire perché Sakura ne fosse così attratta.
Sembrava dare sollievo, sembrava lavare via il passato e preparare il mondo al
futuro. Forse era giusto che se ne andasse in un giorno come quello.
Anche se non gli avrebbe fatto bene ai capelli.
«Ecco.»
Tsunade tornò alla sua scrivania e gli passò un
vecchio foglio ingiallito. In cima, con una calligrafia curata, c’era scritto
“Atto dei Segreti di Stato – Contratto per Dimissione Shinobi”.
«Non ho mai avuto bisogno di tirarlo fuori. Speravo
di non doverlo fare mai.»
Gli passò anche una penna, ma Kakashi non firmò
subito. Lesse attentamente il contratto, dal testo alle postille. “Sotto
tortura e/o morte” gli balzò immediatamente all’occhio, ma quel contratto non
era poi tanto diverso da quello che aveva firmato per entrare negli ANBU. Il
succo del discorso era che, se si fosse azzardato a dire una sola parola
sull’Intelligence di Konoha ad un estraneo, la sua vita sarebbe finita. Ma dato
che non ne aveva alcuna intenzione, non gli riguardava.
Eppure, ancora esitava.
«Sakura lo sa?» chiese Tsunade, non riuscendo a
mascherare una nota di tristezza. Gli aveva dato il tempo necessario per
leggere e rileggere quel foglio almeno tre volte.
Kakashi continuò a guardare pigramente il contratto,
senza rispondere.
Tsunade glielo fece scivolare dalle mani e lo piegò
a metà. «Voglio che lo porti a casa con te e che rifletti seriamente sul
firmarlo o no» disse, restituendoglielo. «Se questa è una decisione presa
impulsivamente, allora è meglio che ci pensi su per qualche giorno.»
«Ci ho riflettuto per parecchio tempo ormai» le
disse.
«E allora pensaci ancora un po’» tagliò corto. «Sono
ancora convinta che non è il modo giusto di fare il vostro bene.»
Kakashi si mise in piedi e le rivolse un breve
inchino. «Grazie, Hokage-sama» le disse, prima di raddrizzare la schiena. «Ma
forse dovrei dirle che… Non è per il nostro bene, ma per il bene di Sakura.»
Tsunade si accigliò. «E questo cosa diavolo
significa?»
«Mi creda, ultimamente non lo so nemmeno io»,
rispose comprensivo, per poi sparire e lasciarla sola a bollire di rabbia.
Sasuke sospirò stancamente al suo stesso riflesso
allo specchio. Alle sue spalle, Naruto se ne stava poggiato al muro, fumante di
rabbia come un vulcano pronto ad esplodere alla minima provocazione.
«Sai, non c’è bisogno che tu mi segua anche in
bagno, stramboide» disse al biondo.
«Hey – non ti lascerò svignartela solo perché devi
pisciare, pisellino!» Lo derise, anche se i suoi occhi restavano fissi sul viso
di Sasuke. «Come diavolo fai a fregartene?!»
«Perché me ne frego» rispose Sasuke,
scrollando le spalle.
«Non ti infastidisce pensare che questa cosa vada
avanti da tempo alle nostre spalle?»
«No. Anzi, perché infastidisce te? Non hai mai fatto
scenate per nessuno dei suoi ex.»
«Perché erano dei perdenti di cui non mi importava! Era
giusto odiarli!» Naruto batté i pugni contro la porta per la frustrazione. «Ma
questa volta si tratta di Kakashi-sensei!»
«Lo dici come se cambiasse qualcosa.»
«Kakashi-sensei non è un perdente! E se le piacesse davvero?
E se la loro storia fosse seria? E… quanto hai bevuto oggi?»
«Non. Guardare.»
«Oh – uh – scusa.»
Sasuke alzò gli occhi al cielo e abbottonò i
pantaloni, per poi andare verso i lavandini. Naruto lo seguì come un irritante
pezzo di carta igienica rimasto attaccato alla suola delle scarpe. E mentre
Sasuke provava a lavarsi le mani in pace, Naruto continuava a tormentarlo.
«Se continuano così, il team non si riunirà mai!»
«È finito il sapone.»
«Mi stai ascoltando?!»
«Sto provando a non farlo.»
«Sasuke!»
«Naruto, il motivo per cui il team è stato sciolto
sei tu.»
«Cosa?» gemette Naruto.
Sasuke gli rivolse un cipiglio impaziente, mentre
tamponava le mani con delle salviette asciutte. «Sai perfettamente che Kakashi
avrebbe potuto capitanare questo team anche da chūnin, non sarebbe la
prima volta. È stato riassegnato perché Tsunade sa che non ci andresti più
d’accordo. E quindi adesso stai sfogando la tua rabbia su Sakura, e non ci
vorrà molto prima che Tsunade sposti anche lei, se non ti dai una regolata. Se
tenessi a bada la tua gelosia per cinque minuti, le cose sarebbero diverse.»
«Lo sai che Kakashi è stato riassegnato per
punizione.»
«Già. La tua punizione.» Sasuke fece spallucce. «Vivi
e lascia vivere, Naruto. Il tuo atteggiamento fa male a loro quanto a te.»
Si avviò verso la porta, con Naruto ancora alle
calcagna. «Ti sei ammorbidito, da quando ti hanno tolto le medicine…»
«Ma ho comunque ragione.»
«Qualche volta sì…»
Sasuke si fermò sull’uscio. «I suoi gusti in quanto a
uomini fanno schifo, Naruto, e lo sai bene. Kakashi potrebbe non essere la
nostra prima scelta, ma è chiaro come il sole che a Sakura piaccia, ed è mille
volte meglio di qualsiasi suo ex, non credi?»
«Beh, sicuramente» brontolò, incrociando le
braccia al petto.
«Se la sta passando male ultimamente. E proprio tu,
tra tutti, dovresti provare ad essere felice per lei.»
Naruto si accigliò. «Nessuno ha il diritto di prendersela,
non sono fatti loro» protestò. «Sono i nostri compagni di squadra, solo noi
abbiamo il diritto di essere infastiditi!»
«In teoria» rispose Sasuke. «In pratica, alla gente
piace ficcare il naso negli affari altrui, e ne risulta che hai voltato le
spalle a qualcuno proprio quando ha più bisogno di te.»
Naruto lo fissò, ancora accigliato, ma con un
pizzico di incertezza negli occhi. Sasuke si voltò verso di lui con un leggero
sorrisetto stampato sul viso. «Una volta mi hai detto che a prescindere da cosa
avrei fatto, mi avresti sempre perdonato… Perché siamo amici.»
Inarcò le sopracciglia scure per rendere palese
l’antifona, e quando Naruto abbassò gli occhi, si voltò. «Ci vediamo agli
allenamenti, imbecille.»
Naruto restò da solo con la porta dondolante che
Sasuke si era lasciato alle spalle.
Accovacciata al distributore automatico fuori la Torre
dell’Hokage, Sakura maledisse ogni cosa quando il suo ombrello rosa scivolò e
un paio di gocce di pioggia le caddero sulla nuca. La macchinetta si rifiutava
di darle lo snack al cioccolato per cui Sakura aveva già pagato. I suoi calci
non l’avevano convinta a collaborare, quindi ora stava usando la sua forza
pompata dal chakra per farla oscillare.
«Non dovresti farlo.»
Sakura si voltò verso la voce, congelandosi
istantaneamente quando incontrò un paio di occhi color ghiaccio che facevano
capolino sotto una frangia spessa e nera.
Kimura Yoshi se ne stava
sulle scale della Torre, e la guardava con un sorrisetto pacato difficile da
decifrare. Con una mano reggeva un ombrello bianco immacolato che proteggeva i
suoi lucidissimi capelli scuri, perfettamente abbinato al suo soprabito alla
moda e alle sue unghie laccate di bianco. Il solo guardarla la fece sentire
terribilmente inadeguata. Il rosa dei suoi capelli cozzava con la maggior parte
dei colori, quindi per tutta la vita Sakura si era rassegnata ad indossare
diverse tonalità di verde e rosso. Kimura Yoshi,
invece, avrebbe potuto indossare qualsiasi colore e farlo suo.
A dirla tutta, le sarebbe stata bene pure la crosta
del pane.
«Non sto rubando» si difese Sakura. «Ho pagato ma lo
snack è rimasto incastrato. Stavo provando a–»
«Lo so» la interruppe. «Voglio solo dire che lo stai
facendo nel modo sbagliato. Se la scuoti troppo, scatterà la sicura e non avrai
il tuo snack.»
Sakura rilasciò accuratamente il distributore. «Oh»
disse.
Kimura Yoshi le si
avvicinò e si trovarono insieme di fronte allo snack incastrato tra le molle
metalliche. La maggiore delle due arricciò le labbra pesantemente truccate e –
reggendo l’ombrello con una mano e formando un sigillo della tigre con l’altro
– mormorò il nome di un jutsu, con voce troppo bassa
per le orecchie di Sakura.
Quando allungò la mano, scivolò oltre il vetro della macchinetta come fosse
stata acqua, poi raccolse il pacchetto impigliato e lo liberò.
Il cioccolato cadde nel cassetto di metallo e Sakura
si abbassò a raccoglierlo, mentre Yoshi ritirò la
mano.
Sorpresa, ma non meno grata, Sakura si rivolse alla
donna. «La ringrazio» le disse. Non sapeva perché qualcuno come Kimura Yoshi avesse voluto aiutare una come lei. Di tutta la gente
che avrebbe potuto fermarsi ad aiutarla, perché proprio l’ex amante di Kakashi?
Era sicuro che ormai anche lei sapesse della sua relazione con Kakashi, e ciò
rendeva il suo sorriso ancora più enigmatico.
«È stato un piacere» rispose blandamente Yoshi, raccogliendo qualche spicciolo dalle tasche. Fece
scivolare poi le monete nella fessura del distributore e compose il codice per
il suo snack – una diet soda.
Ovviamente.
Sakura restò a consumare la sua barretta mentre Yoshi prendeva qualche sorso della sua bibita, e la
situazione non poteva essere più imbarazzante. La pioggia inondava le strade e
formava pozzanghere sgorgando dai tombini – intorno a loro, la gente si
affrettava tra impermeabili, ombrelli ed occasionalmente buste della spesa.
«Le persone sanno essere crudeli, vero?» mormorò Yoshi. «Prese da sole, sono buone come il pane. Ma in
massa… L’essere umano diventa una creatura malefica e volubile. Fanno in fretta
a giudicare, isolano chi non si adegua e gli rendono la vita un inferno. E
basta poco per influenzare la loro mentalità.»
Sakura spinse l’ultimo pezzo di cioccolato in bocca
come scusa per non rispondere, perché non aveva idea di cosa dirle. Kimura Yoshi la stava compatendo?
E perché?
«Ho capito che stai ancora con Kakashi…»
I loro occhi si incrociarono e Sakura scorse una
pagliuzza di pietà in quelli dell’altra.
«Spero tu non ti faccia l’idea sbagliata» premesse Yoshi, «ma come persona che ha avuto a che fare con Kakashi
in passato, sento il bisogno di metterti in guardia… Non dovresti affezionarti
a lui.»
Sakura si strozzò con il suo snack e Yoshi le passò prontamente la sua soda. Dopo un paio di
sorsi sostanziosi, tornò a respirare. «Come, scusi?» ansimò.
«Hatake Kakashi non si impegna molto, quando si
tratta di relazioni» la avvisò Yoshi. «Tiratene fuori
il prima possibile, perché sei giovane e puoi avere molto di meglio. Se basi le
tue speranze su di lui, finirà per spezzarti il cuore.»
Sakura si sforzò di ridere. «Ma… Non è niente di
serio–»
«E allora perché ci stai ancora insieme?» chiese Yoshi. «Nessun flirt vale tutti questi guai. Se non lo
amassi almeno un po’, avresti chiuso tempo fa.»
«Ma–»
«Haruno Sakura» la interruppe. «Lascialo prima che
ti faccia del male. È sempre la stessa storia, con quell’uomo. Ti farà
divertire per un po’, fino a quando non si stancherà di te e ti mollerà con un
“arrivederci e grazie”. Non mi sorprenderebbe sapere che sta già cercando un
modo per lasciarti.»
La gola di Sakura si strinse in un nodo, mentre
cercava le parole. «Lui non… Non è così con me» disse. Almeno, non ancora.
«Oh?» Yoshi strinse lo
sguardo su Sakura. «Cosa intendi?»
«Gli importa di me» disse Sakura, imbarazzata. «Un
po’, almeno.»
«Ad esempio?» pressò Yoshi.
«Lui… Parla con me, cose del genere…»
Yoshi
non sembrò impressionata.
«E… Mi ha comprato un vestito.»
«Un Suzuki, vero?» Yoshi
annuì, comprensiva.
Sakura batté le palpebre, sorpresa. «Come fai a
saperlo?»
Yoshi
sbottonò il soprabito di fronte a lei, lasciando intravedere a Sakura un elegante
abito che luccicava in ogni colore di una coda di pavone.
Sakura lo fissò in shock.
«Chi credi che me lo abbia comprato?» chiese. «Mi ha
regalato anche della lingerie.»
Kakashi non le aveva mai regalato lingerie… Al
massimo, gliel’aveva rubata.
Sakura si rifiutava di credere che l’affetto potesse
essere misurato materialmente, ma qualcosa in lei si spezzò comunque. Ciò che
credeva essere un gesto speciale ed unico da parte di Kakashi, apparentemente
non era affatto speciale. Era solito comprare le donne con regali simili? Quando
quel giorno l’aveva portata da Suzuki, ci era già stato con Kimura Yoshi? Quel momento di generosità verso la sua alunna
squattrinata era un’abitudine?
«Ora devo andare» disse Sakura, nauseata. «Con
permesso.»
«Oh… Beh, cerca di pensare a ciò che ti ho detto, va
bene?» le gridò, mentre Sakura si volatilizzava tra la folla.
Mentre i suoi piedi scalciavano il cemento bagnato,
non riusciva a pensare ad altro che a quel vestito. Sentiva nella mente una
scheggia fatta di mille dubbi, che ad ogni passo spingeva sempre più in
profondità. Ricordava perfettamente come Kakashi aveva scelto quell’abito per
lei, come glielo aveva fatto provare, sussurrandole all’orecchio che poteva
permetterselo. Era un ricordo che custodiva gelosamente, perché a quei tempi
non pensava che Kakashi fosse una persona capace di gesti simili: si era
sentita speciale per lui, non credeva che fosse qualcosa che faceva usualmente,
per altri.
Ed ora, invece, l’immagine di lui che teneva quel
vestito ricco di colori contro la figura ben più formosa di Kimura Yoshi le infestava la mente.
Riusciva a sentirlo perfino mormorarle all’orecchio le stesse parole che aveva
rivolto a lei.
Il regalo che custodiva con tanta cura, d’un tratto,
sembrava aver perso valore.
Senza rendersi conto di come fosse arrivata lì,
Sakura si ritrovò di fronte al suo armadio a fissare il vestito rosso.
L’ombrello rosa era stato abbandonato sul pavimento ed ora alle sue spalle si
era formata una piccola pozzanghera; contro la finestra, invece, la pioggia
batteva violenta. Il clima cupo rendeva la stanza ancora più scura ed
accentuava il tono color sangue della stoffa.
Non era speciale.
Né lo era Sakura.
«Basta così…» mormorò, mentre lacrime di rabbia si
accumulavano tra le ciglia. «Ne ho abbastanza!»
Strattonò il vestito dalla gruccia e lo sbatté sul
letto, che poi calciò con forza tale da farlo sbattere contro il muro
violentemente.
No, non poteva perdere il controllo: non era
innamorata di Kakashi e scoprire che per lui era lo stesso non avrebbe dovuto sconvolgerla.
Sakura pressò una mano contro la bocca per calmare il respiro e chiuse gli
occhi per trattenere le lacrime. Lo sforzo per contenere la rabbia le faceva tremare
le dita.
Perché doveva essere ancora schiava delle sue
emozioni? Aveva sempre saputo che Kakashi fosse un donnaiolo immorale, ma perché
ora questo la feriva?
Perché sei riuscita ad illuderti che fosse
migliore di quanto non sia in realtà, le ricordò la vocina
ghignante nella sua testa. Ti sei convinta che con te sarebbe stato diverso.
«Sono stata così stupida» sussurrò, lasciandosi
cadere sul letto.
Si era fatta trascinare e si era spinta a troppo e
per troppo tempo. Ormai aveva perso il controllo del suo cuore e lo aveva
lasciato cadere tra le mani di Kakashi prima di rendersene contro.
Kakashi non la amava.
Ancora una volta, stava sprecando il suo amore per un altro uomo immeritevole,
anche se si era ripromessa di mantenere le distanze. Non era brava a separare
sesso e amore come Kakashi, ed era stata una stupida ad illudersi di poterlo
fare.
Restava solo una cosa da fare ora, ed avrebbe dovuto
farla molto prima. Non poteva più essere messa da parte per il bene di un sentimento
non ricambiato.
Stanca, ma calma, Sakura si mise in piedi e piegò
accuratamente il vestito rosso e con la stessa cura lo ripose nella sua
tracolla marrone. Poi raccolse il suo ombrello ed uscì di nuovo.
Il profumo umido di pioggia impregnava l’aria e smorzava i suoni, gli odori e i
contorni di Konoha al pomeriggio, anche se in quel momento Sakura ne era grata.
In una giornata di sole, avrebbe potuto essere ovunque, ma Kakashi si
nascondeva sempre nella Torre dell’Hokage quando pioveva. Almeno, non avrebbe
dovuto cercarlo.
Ma fu mentre attraversava il ponte sul fiume che
divideva Konoha in due che si imbatté in una figura indistinta nella pioggia.
Per un breve istante lo aveva scambiato per uno sconosciuto a passeggio in una
così bella giornata; ma avrebbe riconosciuto quell’andatura svogliata tra
mille.
Si bloccò a metà del ponte e lo aspettò, ripassando
mentalmente un copione che si era prefissata di recitare. Kakashi si fermò a
pochi metri da lei, ricambiando il suo sguardo sotto il cappuccio scuro del
mantello da viaggio.
Non le sorrideva né la salutò come era solito fare: era come se sapesse
esattamente cosa stava per dirgli.
Sakura schiuse le labbra, ma non emise un suono: la
gola le si era annodata.
Come fare per dire all’uomo che ami che è finita?
«È finita.»
Non l’aveva detto lei.
«Cosa?» soffiò senza voce, con il dubbio di aver
capito male.
«È finita, non è così?» le chiese, la voce quasi
soffocata dalla pioggia. «Te lo leggo negli occhi.»
Sakura aveva provato invano a mascherare la sua
espressione, ma probabilmente l’aveva tradita ugualmente. Senza aggiungere
altro, aprì la tracolla ed estrasse il vestito rosso. «Ecco» disse freddamente,
porgendolo. «Puoi riaverlo.»
Kakashi non si mosse. «È un bel pensiero» le disse.
«Ma non credo mi starebbe.»
La battutina di Kakashi incise sui suoi nervi già al
limite. Si era imposta di comportarsi in modo civile e da adulta e – questo
vestito significava qualcosa! Nel momento in cui glielo aveva offerto, avrebbe dovuto accettarlo e capire
che quello era il simbolo di tutto quell’affetto insignificante che aveva avuto
per lei, e riconoscere il rifiuto di Sakura per quelle azioni superficiali, non
fare battutine!
Senza riflettere, Sakura si voltò e gettò il vestito
oltre la ringhiera del ponte, e soddisfatta lo osservò volteggiare nell’aria
insieme alla pioggia, fino a quando non atterrò sulle acque del fiume. Galleggiò
per qualche istante, scosso dalle gocce di pioggia, fino a quando l’acqua non
lo ingoiò interamente.
Non c’era più.
Troppo tardi, Sakura se ne pentì. Si voltò
rapidamente verso Kakashi per cogliere la sua reazione, e notò che anche
fissava il punto del fiume dove era sparito il vestito.
«Capisco» disse solo.
«Sono seria» gli rispose ferocemente lei. «Non ne
vale la pena, Kakashi. Sensei. Sapevamo che non sarebbe durata, quindi perché
trascinarla per le lunghe? Nessuno ci accetterà fino a quando non metteremo
fine a questa stupidaggine!»
Eccolo: il lampo di sollievo sul suo viso – breve e
impercettibile, come se gli fosse stato tolto un piccolo peso dalle spalle, ma
non meno palese. Il cuore di Sakura si strinse dolorosamente al pensiero che,
dopotutto, Kimura Yoshi aveva avuto ragione: Kakashi
stava cercando una scusa per lasciarla.
«Mi dispiace» mormorò lui.
«Di cosa?»
«Perché per quanto serie fossero le mie intenzioni
iniziali, si sono perse lungo la strada ed ora sono solo l’ultimo nella tua
lunga lista di relazioni abissali» le disse. Poi ridacchiò, ma non sembrava
esserci ironia nel suo tono.
Sakura sentì qualcosa placarsi in sé. «Non è colpa
tua» sussurrò. «Sei stato il migliore che mi sia mai capitato…»
«Già, il sesso era piuttosto buono.»
«No» scosse la testa. «Sei stato il migliore… come
uomo. Sei stato il più dolce, e il più paziente e il più… tutto. Non
me ne pento. Anche se abbiamo passato una settimana infernale, non scambierei
ciò che abbiamo avuto con nulla. Solo che non ha senso trascinare ancora le
cose e renderle peggiori per entrambi. Non credo che contiamo abbastanza l’un
l’altro per farlo.»
Kakashi annuì lentamente. «Capisco. Anche se, se
sono stato il migliore, hai la mia compassione.»
Forse una battuta, forse no. Quel commento fu
seguito da un sorriso triste e rivolto al suolo, a simboleggiare il senso di
inadeguatezza di Kakashi, che risiedeva nella sua incapacità nel creare legami profondi
e duraturi con gli altri. Magari con i cani, con i libri, e perfino con le
piante… Ma qualcosa gli impediva di legarsi agli umani.
Una volta – quando era stata appena mollata da Ikki e sfogava tutta la sua rabbia sull’altalena
dell’Accademia – le aveva detto che valeva la pena provare dolore, se alla fine
questo avrebbe portato alla persona giusta, e senza quella persona, il
dolore non se ne sarebbe mai andato.
A quel tempo aveva avuto l’impressione che Kakashi
parlasse per esperienza, e lì stava il problema: Kakashi non stava cercando la
sua persona, mentre Sakura sì.
«Immagino… Sia tutto» disse Sakura, con un peso
enorme sul petto. «Non voglio trattenerti da… Qualsiasi cosa tu debba fare.»
«Stavo giusto venendo a cercarti» le disse.
Sakura batté le palpebre, sorpresa. «Oh.»
«C’era una cosa che volevo dirti.»
«Cosa?» chiese cauta, domandosi se anche Kakashi
volesse dirle ciò che gli aveva detto lei: che era finita.
«Sto per lasciare Konoha.»
Sakura aspettò che aggiungesse altro, ma calò il
silenzio. «Lasciare?» ripeté. «Vai in missione?»
Una leggera nota di dolore gli appesantì gli occhi.
«No,» rispose lentamente. «Darò le dimissioni e lascerò Konoha.»
Sakura lo fissò. «Cosa stai…?» le mancava il
respiro. «Perché?»
«Per come stanno le cose, non credo di servire più a
questo villaggio» disse aspramente. «Il mio talento è sprecato, non sono più
motivato… E non credo che mancherò molto a questa gente, sono sicuro che sarai
d’accordo con me su questo.»
Kakashi non si sprecò a correggerla. «Se vuoi
metterla così, sì.»
«Ma non puoi!» si scaldò. «Parleremo con Tsunade e
le diremo che è finita tra di noi, e forse ti promuoverà di nuovo–»
«Non lo farà» le disse, cupo.
«Che ne sa–»
«Perché ne abbiamo già parlato.»
Sakura sentì il panico salirle in gola. «Ma non puoi
andartene! Non puoi scappare quando le cose si complicano!»
«Perché no?» chiese. «Non ho ragione di restare qui.
E se mi levo dai piedi, la gente potrà dimenticare tutta questa storia e la tua
vita tornerà alla normalità.»
«Se ti levi dai piedi sarà come ammettere di aver
fatto qualcosa di sbagliato!» scattò Sakura.
«Forse, ma le persone di questo villaggio hanno
mentalità volubili, Sakura. L’ho già vissuto, in passato. Mio padre è caduto in
disgrazia una sola volta, ed è stato evitato dalle persone a cui teneva e disprezzato
dalle altre. Non hanno dimenticato né perdonato, almeno non fino a quando non
si è ritirato completamente dalla società e non si è fatto più vedere. Lontano
dagli occhi, lontano dal cuore. È la regola generale di questo villaggio. La
sua morte è passata inosservata, alla fine.»
Le dita di Sakura si strinsero intorno al manico
dell’ombrello ed i suoi occhi lo scrutarono tra la pioggia. «Tuo padre–»
«Non importa» tagliò corto lui. «Il punto è che so
come funziona la coscienza di questo villaggio, Sakura. Ho visto molti shinobi sbagliare
e so cosa gli succede. Prima me ne vado, meglio è.»
«Ma la gente ti incolperà» lo pregò. «Crederanno che
mi hai costretta e per questo stai scappando!»
«E tu lasciaglielo credere» le disse, dolcemente.
«Il mio cuore è più duro del tuo, Sakura. Lasciagli rivolgere il loro
risentimento verso quello a cui importa meno, tra noi. Forse saranno più
clementi con te, se penseranno che la colpa è solo mia, ed io non sarò qui per
prendermela.»
Sakura scosse la testa. «Non fare il martire!» lo
sgridò. «Non abbiamo fatto niente di male! Non devi andartene – devi restare
qui, devi condurre il nostro team come sempre!»
«Tenzō è competente.»
«Certo che lo è» rispose impaziente. «Ma non è te, e
né Sasuke né Naruto lo accetteranno mai davvero al tuo posto.»
«Questo è un problema che dovranno risolvere loro»
disse Kakashi.
Non stava andando affatto bene. I suoi tentativi di
dissuaderlo cadevano piatti sulle assi del ponte e scivolavano come la pioggia
nel fiume. E Sakura sapeva bene che avrebbe potuto pregare e piangere per tutta
la notte, ma la risolutezza di Kakashi non ammetteva repliche. Avrebbe lasciato
Konoha, non c’era nulla da discutere.
«Ma… Mi mancherai» sussurrò Sakura. «Ti prego, non
lasciarmi.»
«Credevo che tra noi fosse finita» le fece notare.
Sakura si accigliò. «Mi stavi cercando per dirmi che
lascerai Konoha per sempre. È chiaro che anche tu volevi chiudere, stanotte. E
probabilmente è per questo che sembravi così sollevato, un attimo fa.»
«E allora qual è il problema?» chiese, cambiando l’argomento.
«Evidentemente siamo giunti al nostro limite entrambi. Che bisogno c’è, per te,
che io resti qui?»
«Perché io volevo chiudere la nostra relazione! Non
significa che non voglio vederti più!» confessò.
La guardò intensamente per un lungo istante. «Forse
è meglio se non ci vediamo mai più.»
«No, non ci credo» sussurrò, quanto più duramente
potesse. «Se io fossi te… Se tu mi chiedessi di restare… Io resterei.»
«Tu non lasceresti mai Konoha» disse sicuro. «Non ci
penseresti nemmeno.»
Probabilmente, aveva ragione.
«Anche dopo tutto quello che è successo, tu ami
ancora questo villaggio» continuò con calma. «Quanto a me, credo di aver visto
il suo lato peggiore per troppe volte ormai. Ho visto come può voltare le
spalle ad un uomo il cui unico sbaglio è stato salvare i suoi amici. L’ho visto
incolpare un bambino per crimini che non ha commesso. E come può perseguitare
due persone sole che hanno cercato un po’ di conforto l’una nell’altro…»
Il respiro di Sakura la abbandonò. Voleva piangere,
e Kakashi forse se ne accorse, perché le porse la mano. «Sakura…» chiamò,
offrendogliela dolcemente.
Forse era più un comando che un’offerta, e Sakura
non poté resistergli. Lasciò cadere l’ombrello di lato e la pioggia scivolò
fredda sui suoi capelli e spalle; lentamente, si spinse per accettare la mano
di Kakashi e si lasciò andare tra le calde braccia che la stringevano sotto il
mantello.
Quell’abbraccio era così familiare, così accogliente,
che le faceva male il cuore al pensare di doverlo lasciare andare.
Ma aveva avuto ciò che aveva chiesto – affetto, appagamento – e ci aveva
guadagnato un bel po’ di rispetto verso se stessa,
quindi la prossima volta sarebbe andata meglio.
La prossima volta non si sarebbe accontentata di meno del meglio, e forse
avrebbe potuto addirittura trovare qualcuno che sorpassasse Kakashi ai suoi
occhi, tanto da farglielo dimenticare.
Difficile, ma sognare non costa.
Lentamente, la lasciò andare e distese una mano sui
suoi capelli bagnati. «Si sistemerà tutto, Sakura. Te lo prometto» le disse.
Probabilmente, aveva ragione come al solito, ma in
quel momento a Sakura non importava. Il dolore nel petto si era acuito al punto
da non lasciarla respirare, figurarsi parlare; tutto ciò che poté fare fu
voltarsi e andare via. Nessuna parola d’addio lasciò le sue labbra, perché
sapeva che ci avesse provato, non avrebbe emesso più di un lamento di agonia
che avrebbe rovinato il comportamento maturo e dignitoso che si era ripromessa
di avere.
«Sakura!» la chiamò, ma lei non si voltò. Cos’altro
c’era da aggiungere? Non c’erano parole che rispettassero il valore della loro
relazione.
Se Sakura lasciò andare una lacrima o due sulla via
del ritorno, non è dato sapere. Con la pioggia che batteva copiosamente su di
lei, non avrebbe saputo dire quale goccia cadesse dal cielo e quale dai suoi
occhi.
Voleva solo nascondersi in casa e andare a letto,
anche se era ancora metà pomeriggio. Non aveva voglia di vedere niente e
nessuno per il resto del giorno, ragion per cui non fu felice di trovare Naruto
fuori la sua porta.
«Che vuoi?» chiese, non nascondendo il desiderio di
vederlo sparire.
Naruto sobbalzò. «Stai bene?» chiese, guardandola
preoccupato. «Sei fradicia.»
«Non ci avevo fatto caso» rispose sarcastica,
spingendolo di lato per aprire la porta. Naruto fece per seguirla, ma Sakura
gliela chiuse in faccia e vi si poggiò contro.
Dietro di lei, Naruto bussò forte.
«Era un indizio, Naruto!» ringhiò.
«Sono venuto a scusarmi, Sakura-chan.»
Quella frase catturò la sua attenzione. Accigliandosi,
non credendo alle sue orecchie, chiese: «Cos’hai detto?»
«Senti… Mi dispiace, okay?» il suo tono era talmente
basso che Sakura faceva fatica a sentirlo. «Mi dispiace di essermi comportato
da idiota e di avervi messo nei guai, e mi dispiace per come la gente ti ha
trattata ultimamente. Nel momento, non mi sono reso conto delle conseguenze,
Sakura-chan! Devi credermi! Sai che mi piaci, ed è per questo che ero così
arrabbiato con Kakashi-sensei! Ma pensavo che alla gente non sarebbe
interessato… Dico sul serio…»
«Pensavi male» disse stancamente.
«Mi dispiace» ripeté Naruto, e Sakura lo sentì dare
una testata alla porta. «Ci ho pensato tanto e… Non mi piace essere arrabbiato
con te, Sakura-chan. E odio il fatto che tu lo sia con me. Possiamo tornare ad
essere amici?»
Nuove calde lacrime le riempirono gli occhi e Sakura
dovette trattenere il respiro per non lasciarle andare.
«Sakura-chan?» pregò. «Per favore.»
Non poteva portargli rancore, anche se avrebbe
voluto. Si asciugò frettolosamente gli occhi ed aprì la porta. Naruto sembrava
a pezzi quanto lei, e senza aggiungere altro, gli buttò le braccia al collo e
quasi lo soffocò con l’abbraccio più disperato che avesse mai dato.
«Questo significa che mi perdoni?» ansimò Naruto.
Sakura si tirò indietro per dargli un pugno sul
braccio, e nemmeno troppo scherzosamente. «Questo è perché sei stato un
idiota!» lo sgridò.
«Ma siamo amici, giusto?»
«Ma certo» gli disse, tirando su col naso. «Noi
saremo sempre amici. Scemo.»
«E mi sto abituando all’idea di te e Kakashi-sensei»
aggiunse frettolosamente lui. «Mi fa ancora un po’ strano, ma ci posso
lavorare. Fino a quando non fate cose strane di fronte a me, mi sta bene. Tutto
sommato è una bella persona, e quindi non te ne faccio una colpa se ti piace…
E… che c’è?»
Sakura si voltò e tornò nel suo appartamento,
inginocchiandosi poi al suo tavolino da salotto. Naruto la seguì cautamente e
richiuse la porta per poi sedersi accanto a lei. «Cosa c’è che non va?» ripeté.
«Sakura-chan?»
Sakura si sforzò di sorridere. «Non ha più
importanza, Naruto. Io e Kakashi ci siamo lasciati, non hai bisogno di
abituarti a noi. È tornato tutto alla normalità.»
Naruto la fissò, e le fu chiaro che non credeva ad
una sola parola. «Ma tu non stai bene, vero?»
«Sto bene» insisté.
«No, non è vero, stavi piangendo quando sei tornata
a casa!» l’accusò. «Kakashi – quel bastardo – ha rotto con te, vero? Io lo
ammazzo!»
Sakura lo trattenne per un braccio quando fece per
alzarsi. «Sono stata io a rompere con lui.»
«E allora perché piangevi?» chiese.
«Perché…» e le faceva male a pensarci, ma Kakashi
non era stato solo il suo maestro e Naruto aveva il diritto di sapere. «Perché
sta per lasciare Konoha.»
Naruto apparve confuso. «Per una missione?»
«No… per sempre. Ha intenzione di andare in una
sorta di esilio auto-imposto perché si è messo in quella sua stupida testa dura
che sarà meglio per tutti se lascia il villaggio.» Passò una mano tra i capelli
bagnati, infastidita e disperata. «Non cambierà idea.»
«Ma andandosene, non potrà più guidare il nostro
team» protestò Naruto.
«Lo so bene» puntualizzò, irritata. «Ma non potrebbe
comunque, perché Tsunade non lo lascerebbe nel mio stesso team.»
«Ma ora che vi siete lasciati, forse–»
«Ne dubito.» Tirò ancora su col naso e trattenne le
lacrime.
«Fatti forza, Sakura-chan!» Naruto cercò di tirarla
su, ma la fece sentire solo dieci volte peggio. Senza dubbio, a breve avrebbe
aggiunto qualcosa tipo “non è mica la fine del mondo”, quando in un certo senso
lo era, eccome.
Quindi si portò la testa tra le mani e cercò di
respingere la tristezza.
«Dimenticalo, Sakura-chan» le disse Naruto, carezzandole
la schiena. «Non è mica la fine del mondo.»
Sakura soffocò un grido e si stese sul tavolo.
«Non è che ne sei innamorata, quindi non è poi un
gran problema, giusto?» tentò. Poi d’un tratto si paralizzò e sbarrò gli occhi.
«A meno che… Oh mio dio.»
Sakura lo guardò diffidente, temendo che i suoi
sentimenti fossero troppo palesi.
«Sei davvero incinta, vero?»
Lo stese a terra con un pugno, per poi picchiarlo
con un sandalo.
Con le braccia alzate in difesa, Naruto piagnucolò:
«Va bene! Ho capito! Non sei incinta – scusa se ho chiesto!»
«Sei un bastardo insensibile come lui!» scattò,
lasciando cadere il sandalo sullo stomaco dell’amico.
«E se provassi a parlargli?» propose Naruto. «Forse
riesco a convincerlo.»
Sakura si calmò un po’. Ricordava chiaramente come,
l’ultima volta che aveva fallito nel convincere qualcuno a restare a Konoha, Naruto
fosse riuscito nell’intento al posto suo. «Fa’ come vuoi» concluse stancamente.
«Non voglio avere più nulla a che fare con quell’uomo. Non mi importa più.»
Non era esattamente la verità, ma era davvero stanca
di tutta quella dannatissima situazione. Forse, dopotutto, sarebbe stato meglio
lasciarlo andare. Sarebbe stato più facile perdonarlo, se non avesse avuto a
che farci ogni giorno. Le sarebbe mancato dolorosamente, ma forse averlo
accanto avrebbe solo prolungato quei sentimenti insensatamente, come una ferita
che non guarisce perché continuamente riaperta.
«Se riesci in qualche modo a convincerlo» concluse
stancamente, «significa che tiene a te e ai tuoi sentimenti molto più di quanto
non abbia mai fatto con i miei.»
Di preciso cosa si mette in valigia quando si va in
esilio? Un paio di mutande pulite, di sicuro, e qualche cambiata d’abito, forse
anche qualcosa da leggere? Poi un po’ di soldi, e magari anche Mr. Ukki. Ma la sua vita era tutta lì? Mutande e romanzi porno?
Purtroppo non avrebbe potuto portarsi dietro chissà
quanti soldi, perché le leggi di Konoha impedivano di lasciare il villaggio con
tutti i propri beni. Avrebbe dovuto donare la maggior parte della sua eredità
al villaggio stesso, e tutto il denaro ed i beni materiali appartenuti una
volta alla sua famiglia, sarebbero diventati proprietà della Tesoriera di
Konoha, i quali agenti avrebbero senza dubbio sperperato tutto in riparazioni,
nuovi equipaggiamenti, tangenti, regalini alle mogli…
Ma i soldi valevano ben poco per Kakashi. Per tutta
la sua vita, aveva speso solo ciò che bastava a vivere agiatamente, e nel tempo
aveva capito che gli serviva davvero poco per stare bene, quindi l’idea di
un’improvvisa povertà non lo spaventava affatto. E dopotutto, per un jonin con
le sue abilità, fare soldi non sarebbe stato difficile. Conosceva già qualche
villaggio di paesi neutrali che offrivano lavoretti semplici a shinobi senza
affiliazioni. Si poteva guadagnare davvero molto come ninja indipendenti, con
le giuste capacità.
E se per qualche assurdo motivo si fosse trovato
senza uno spicciolo e non avesse potuto permettersi cibo o riparo, restava
comunque un ninja. Era sopravvissuto dieci giorni in un deserto senza niente se
non i vestiti che indossava, in tempi di guerra. Se pure avesse dovuto vivere
come eremita nella natura, procurandosi tutto ciò che gli sarebbe servito per
sopravvivere, allora sarebbe diventato il Re degli Eremiti. Tutte le esperienze
vissute nelle condizioni più estreme gli avevano fornito le giuste nozioni per
sopravvivere a qualsiasi intemperia.
Ma che fosse destinato a diventare un ricco eroe
errante o un vecchio pazzo che vive in una palude, Kakashi dubitava che la sua
sarebbe stata una vita felice. Trovava la felicità nelle piccole azioni
quotidiane e i cambiamenti non erano di suo interesse. Per quanto asociale
fosse, gli piaceva avere conoscenze e interazioni sociali, sebbene non sentisse
mai il bisogno di avvicinarsi alla gente più di tanto. Lasciarsi alle spalle
tutti quelli che conosceva e con i quali era cresciuto, rinunciare ad essere un arma nelle mani di un bene superiore… sembrava niente più
che un’esistenza vuota. E se avesse anche solo provato a chiedere asilo ad un
altro villaggio per farsi una nuova vita, si sarebbe trovato in tempo zero
sulla lista dei più grandi ricercati di Konoha, vivo o morto. E di certo non
era quello che voleva: conosceva bene gli ANBU, e tra di loro c’erano ninja di
tipo sensoriale che avrebbero potuto scovarlo in meno di una settimana, se gli
fosse stato ordinato.
Kakashi guardò il contratto stropicciato sul tavolo
della cucina e lo rilesse per la centesima volta. Una penna a sfera blu nella
sua mano puntava esattamente lo spazio vuoto a fine pagina, dove avrebbe dovuto
imprimere la sua firma. Gli sarebbero bastati due scarabocchi e il suo tempo a
Konoha sarebbe finito. Si sarebbe lasciato alle spalle tutto ciò che conosceva
e amava. Tutti quelli che conosceva e… amava.
Non aveva ancora trovato il coraggio di firmare quel
documento, quando sentì qualcuno bussare alla finestra della sua camera da
letto. Si accigliò e abbandonò il foglio sul tavolo per andare a vedere chi
fosse, e per qualche assurdo motivo il suo cuore perse un battito al pensiero
che potesse essere lei.
Ma non era lei.
Fu accolto da un ciuffo biondo e una felpa
arancione, e nel momento in cui Naruto lo vide, gli fece cenno di aprire la
finestra.
«Hai intenzione di colpirmi di nuovo?» gli chiese
Kakashi, a metà tra la provocazione e la serietà. Non vedeva perché Naruto
avrebbe voluto vederlo, se non per un’altra rissa o per scusarsi per quella
precedente. Dall’espressione furiosa del ragazzo, di sicuro non era venuto a
scusarsi.
Nonostante ciò, aprì la finestra e fece un passo
indietro per lasciarlo entrare, noncurante del fatto che ora sia il suo letto
che il suo pavimento fossero pieni di fango.
«Stai per lasciare Konoha!» sputò Naruto,
asciugandosi la pioggia dal viso.
Kakashi alzò la testa. «Hai parlato con Tsunade o
Sakura. Chi delle due?»
«Sakura.»
«Quindi siete di nuovo amici?» indagò. «Mi fa
piacere.»
Si voltò e tornò in cucina. Naruto lo seguì, consapevole
del fatto che Kakashi stesse raggirando la sua accusa.
«Perché stai lasciando Konoha?» chiese.
«Per molti motivi. La maggior parte palesi.»
«Stai scappando perché sono tutti cattivi con te?»
ringhiò Naruto. «Beh guarda un po’, ci ho avuto a che fare per diciott’anni,
quindi credo che pure tu puoi sopportarlo per un po’!»
Kakashi si sedette al tavolo e mise via il foglio
piegato senza aggiungere altro, senza far capire a Naruto cosa fosse. «Trovarsi
nella situazione è tutt’altra cosa, non è così?» disse, pacato. «Quando eri
piccolo, spesso mi sono trovato a pensare che saresti stato meglio se te ne
fossi andato. Ma tutto ciò non ha nulla a che fare con me, Naruto. Non me ne
sto andando per egoismo.»
«E allora perché?!» strillò Naruto.
«Perché è meglio per Sakura.»
Naruto si accigliò, ma non rispose.
«Sakura starà meglio senza di me, no?» chiese,
forzando un sorriso a metà. «Se me ne vado, la gente sarà più incline a trattarla
meglio. Ed è meglio se me ne vado prima che Sakura si affezioni a me, per
qualche assurdo motivo.»
«Si è già affezionata, sensei» confessò Naruto,
battendo un palmo sul tavolo. «Stai solo scappando come sempre! Lo dicono tutti
che è questo ciò che fai quando le ragazze diventano appiccicose! Le leghi a te
e poi le scarichi quando ti annoi!»
«È vero» sospirò Kakashi, guardando il tavolo. «Non
sono particolarmente bravo negli intrecci di cuore, ma questo non è il caso di
Sakura.»
«Ah no?» si accigliò Naruto, pregando una rettifica.
«Naruto…» Kakashi guardò il giovane negli occhi, e
lentamente, come a non voler sbagliare nemmeno una lettera, confessò: «Io amo
Sakura.»
Mai un’espressione più inorridita avrebbe potuto
ricoprire il viso di Naruto. «Cosa?» mormorò, mortificato. «Stai scherzando.»
«Vorrei che fosse così. Ma non azzardarti ad
emettere un fiato con nessuno» avvisò Kakashi. «Non c’è bisogno di impensierire
Sakura con i miei sentimenti, e lei sta meglio senza saperlo.»
Naruto lo fissò in completo shock e confusione. «Ma
non ha senso! Se la ami devi restare! Perché ferirla così deliberatamente?!»
«Forse perché la amo troppo per lasciarle amare
qualcuno come me» disse vago. «Non capiresti, Naruto.»
Naruto strinse i denti. «E allora spiegamelo!»
Kakashi abbassò lo sguardo e sembrò riflettere profondamente
per qualche istante, poi si massaggiò la nuca e guardò di nuovo Naruto negli
occhi.
«Immagina di avere una bellissima figurina che
vorresti far diventare un dipinto, ma sapresti perfettamente di non poterle
fare giustizia dipingendolo tu stesso. La rovineresti. Quindi ti fai da parte, e
lasci il lavoro a qualcuno con più abilità di te. Perché anche se desideri con
tutto te stesso essere quello capace di dipingere quel quadro, saresti più
felice nel guardare qualcuno che può dare a quell’immagine ciò che merita,
anche se fa male non essere parte di quella bellezza.»
Concluse e guardò Naruto con aspettativa, il quale
scostò lo sguardo a disagio. «Non ci ho capito niente» borbottò lui.
«Sarei più felice di vedere Sakura con qualcuno che
la merita e che può renderla felice» spiegò Kakashi, «piuttosto che tenerla per
me e stare a guardare come la nostra relazione la logora giorno dopo giorno.»
«Ma se anche lei ti amasse?» chiese Naruto.
Kakashi non lasciò sfuggire un singolo battito di
palpebra. «Mi ama?»
Naruto scrollò rapidamente le spalle. «Intendo,
ipoteticamente.»
«In quel caso…» Kakashi sospirò e guardò il
soffitto. «Credo non faccia differenza. Un amore non corrisposto è più facile
da dimenticare, e se pure Sakura fosse innamorata di me per qualche assurdo
motivo, sarebbe meglio per lei pensare che io sia un bastardo senza cuore per
cui non vale la pena perdere tempo. Giusto?»
Naruto non rispose.
«Andiamo» riprese Kakashi, sforzando di apparire divertito.
«Non dirmi che non sei almeno un pochino felice che mi abbia scaricato. È naturale.»
«No, la penso come te, sensei» chiarì Naruto. «Sarei
più contento di vedere Sakura con qualcuno che può renderla felice… Anche se fa
male sapere che non sono io.»
Naruto si avviò verso la porta dell’appartamento.
«Naruto» lo chiamò di nuovo Kakashi. «Non dirle
niente. Promettimelo.»
Naruto gli rivolse uno sguardo impertinente. «Non
dirò nulla a Sakura» scattò, sbattendo la porta nell’uscire.
Kakashi sprofondò di nuovo nella sua sedia, sbuffando
via la tensione. Restò a fissare il bollitore sulla cucina per qualche minuto,
incapace di staccarsi dai suoi pensieri, poi tirò fuori il contratto dalla
tasca e lo dispiegò sul tavolo, di nuovo. Raccolse la penna a sfera e, senza
rifletterci oltre, scribacchiò il suo nome in fondo al foglio.
Ecco, era fatta.
Poi riprese a guardare il muro, sperando che la
notte lo inghiottisse.
Naruto bussò al campanello della magione,
chiedendosi e se lo avessero fatto entrare zuppo di pioggia com’era. Se a
rispondergli fosse stato il vecchio, lo avrebbe di sicuro rispedito a casa.
La confessione di Kakashi gli bruciava ancora nello
stomaco, e la promessa che gli aveva fatto era come acido sulla lingua. Non
voleva nascondere nulla a Sakura, ma una promessa restava tale e lui non
l’avrebbe tradita.
Tuttavia…
La luce sul portico si accese e la porta di fronte a
lui si aprì, lasciando apparire un’Hinata Hyūga che sembrava ancora più
piccola del solito. Si accorse di lui e all’improvviso avvampò, cominciando a
respirare sempre più pesantemente. Naruto pensò davvero che stesse esagerando:
era solo un po’ di pioggia! «N-Naruto-kun!» balbettò. «C-che ci fai qui?»
«Hey, Hinata-chan. Sai
mantenere un segreto, no?» chiese.
«Uhm…»
«Perché non immagini cosa mi ha appena detto
Kakashi-sensei.»
Tuttavia, c’è sempre un modo per
aggirare una promessa.
Come sempre, chiedo venia!
Vorrei avere molto più tempo libero da dedicare a questa traduzione, ma
purtroppo devo accontentarmi dei pochi momenti che riesco a ritagliare. Il
fatto che i capitoli siano sempre piuttosto lunghi, poi, non agevola affatto.
Ma passiamo a noi.
Naruto: finalmente sei rinsavito! Non vedevo l’ora di vederlo tornare sui suoi
passi, non mi è mai piaciuto il ruolo che ha avuto in questa storia, anche se
adoro i suoi siparietti con Hinata (sebbene, aimè, non siano mai stati la mia
coppia preferita).
Sasuke, invece, è sempre il mio cuore.
Dei protagonisti c’è poco da dire: Sakura ha buttato via il suo amato vestito
per colpa della carissima Yoshi; Kakashi ormai è una
foglia al vento. Chissà, chissà… Ps.: Perdonate il layout, ma l'html sta dando i numeri...
Sakura aggiustò le coperte del suo letto sospirando, per poi
grattare via una macchia secca di mascara dalla federa bianca del suo cuscino: ecco
cosa succedeva a piangere fino ad addormentarsi senza struccarsi prima.
Letto rifatto, ora sedeva sul bordo, osservando
svogliatamente la stanza in cui si trovava. Le sembrava priva di energia,
proprio come se stessa, e la luce mattutina che
arrivava dalla finestra – fredda e pallida com’era – ricopriva tutto di un’aura
cupa ovunque si posasse. Aveva ancora due ore libere prima del suo turno in
ospedale, ma non c’era niente a riempire quel tempo, se non i suoi pensieri.
Da quel giorno in poi si sarebbe concentrata solo sul
lavoro, gli allenamenti, le missioni e gli hobby; si sarebbe resa così
impegnata da non darsi modo di pensare.
Perché quando pensava, si sentiva schiacciata dal peso della
sua depressione.
Il ricordo dell’addio di Kakashi le stringeva il petto e le dava dolore fisico,
e Sakura ormai sapeva che era amore quello che provava, anche se quel
sentimento era fuori luogo.
Il pensiero di essere la causa del suo abbandono, invece, l’uccideva più delle
lame di mille kunai.
Il pensiero che nonostante tutto Kakashi fosse indifferente a qualsiasi legame
avessero le faceva venire voglia di morire.
Sua madre una volta le aveva detto di approfittare delle
occasioni fin quando poteva, e Sakura l’aveva fatto e non se ne pentiva; ma non
voleva commettere il suo stesso errore donando il suo cuore all’uomo sbagliato,
per poi restarne delusa.
Kakashi non era come suo padre, però, e in più sensi.
Suo padre era di mentalità ristretta, non svolgeva mai un compito se non
frettolosamente e in modo abbozzato, ed era fin troppo affezionato alla birra.
Al contrario, Kakashi era diligente, tollerante e stava lontano dai vizi.
Eppure, tra loro c’era una sottile somiglianza: il loro vago disinteresse e
l’apatia verso le persone che dipendevano da loro, e scarsi gusti in quanto a
donne.
Erano proprio quelle qualità di suo padre che avevano distrutto
la sua famiglia, e Sakura non poteva permettersi di amare un uomo con una
natura altrettanto altalenante.
“Lo dimenticherai”,
si incoraggiò, poggiandosi al davanzale. Il cielo pallido che sovrastava i
tetti sembrò volerle ricordare che c’era tanto da vedere nel mondo, che valeva
molto di più dei sentimenti che provava. “Credevi di non poter dimenticare
Sasuke, ma l’hai fatto”.
Sì, la partenza di Kakashi l’avrebbe aiutata. Lontana da
lui, non avrebbe dovuto vederlo ogni giorno e pian piano sarebbe diventato solo
un dolce ricordo da custodire. Nelle notti solitarie avrebbe pensato a lui, al
suo calore, al loro fare l’amore lentamente quando erano troppo eccitati per
dormire, ma troppo stanchi per muoversi.
Avrebbe ricordato ogni tocco, ogni bacio ed ogni carezza –
dal modo in cui premeva le sue spalle quando la prendeva da dietro, ai colpetti
che le dava sul naso quando pensava che avesse fatto o detto qualcosa di
carino, quando facevano colazione insieme.
E i suoi sguardi – quelli lunghi e teneri che le rivolgeva quando credeva che
lei non lo notasse – potevano essere scambiati per amore, ma chissà cosa c’era
dietro quell’occhio dal colore del metallo, quando la guardava. Quando la loro
relazione era cominciata, era solito aggiungere dei sorrisini a quelle occhiate; ma nell’ultimo periodo, non lasciava trasparire
alcuna emozione ed il suo sguardo appariva vuoto.
Kakashi non era felice, negli ultimi tempi.
Anche se le aveva permesso di intrufolarsi nel suo letto e le aveva dato tutto
ciò che voleva, il suo atteggiamento era sempre un po’ troppo serioso e le sue
spalle rigide. Sakura era sicura che ormai non trovasse né il suo corpo, né la
sua compagnia, così tanto piacevoli ormai: il brivido del nuovo si era
esaurito. Forse era solo perché Sakura era una sua studentessa se non riusciva
a scaricarla come aveva fatto con qualsiasi altra donna, e per colpa di
quell’assurda situazione aveva continuato ad intrattenerla controvoglia.
Sakura – lasciandolo libero – gli aveva solo fatto un favore.
E ne aveva fatto uno anche a se stessa.
Chissà cosa c’era ad attendere Hatake
Kakashi ora.
Sakura lo immaginava a divagare tra le colline, oltre i boschi, passando da
città in città, IchaIcha
alla mano e perfettamente soddisfatto. Avrebbe continuato a schivare la gente,
senza dubbio, ma bravo com’era a parole, non gli sarebbe risultato difficile
ottenere una stanza in cui passare la notte, o un pasto gratis, e perché no –
magari anche compagnia a letto inclusa nel patto.
Sakura sapeva che non avrebbe dovuto preoccuparsi
per lui, una volta lontano. Era sopravvissuto ai pericoli, da solo, per anni
prima che lei nascesse, e avrebbe continuato a farlo senza di lei.
Eppure, faceva così male…
Poggiò una guancia sulle nocche e abbassò gli occhi
sulla strada. Era giornata di mercato e i mercanti inondavano Konoha pieni
della loro merce, affollando le strade. Passavano così tante persone sotto la
sua finestra, che i visi si confondevano tra loro.
Eccola lì, Konoha.
Eccola lì la folla inferocita che aveva costretto l’uomo che amava ad
andarsene.
Ricordava di aver fatto parte di quella mentalità maligna, da piccola, quando
disprezzava Naruto solo perché lo facevano tutti, solo perché era diverso dagli
altri. Non ne andava affatto fiera, ed ora che tutto quel disprezzo era rivolto
a lei, si chiedeva come avesse fatto Naruto a non odiarli tutti. Dopo appena
una settimana in quello stato, lei stessa si sentiva delusa da quel villaggio e
dalla popolazione che prima considerava la migliore di tutte le Cinque Nazioni.
Poi, all’improvviso, una sola faccia si distinse
dalle altre; forse perché era coperta da una maschera.
Kakashi.
Alzò lo sguardo verso di lei e la salutò
allegramente, per poi entrare nel portone del suo edificio. In panico, Sakura
si assicurò che il suo make-up fosse a posto e che il suo appartamento fosse
ancora in ordine; poi andò alla porta e attese che Kakashi bussasse.
Quando aveva cominciato a pensare che forse era
andato a trovare uno dei suoi vicini, lui arrivò. Attese un paio di secondi
prima di aprirgli, giusto per non fargli capire di averlo aspettato con una
mano sul pomello; poi aprì la porta ed accolse il suo ex amante con un sorriso
flemmatico.
«Kakashi-sensei» salutò. «Che ci
fai qui?»
Ne ebbe una vaga idea quando si rese conto che non fosse da
solo. Al sicuro tra le sue braccia e stretta contro al suo petto, c’era la sua
piccola compagna verde: Mr. Ukki. Quando Naruto
gliel’aveva regalata – come aveva fatto con lei e Sasuke – Mr.Ukki non
era altro che una piantina; ora, invece, era alta almeno mezzo metro e con un
foltissimo fogliame, a dimostrare quanto Kakashi l’avesse curata negli ultimi
anni.
«Il fatto è che…» cominciò. «Pensavo di portarla con me, ma
non so se tutto quel camminare faccia bene ad una pianta. Quindi mi stavo
chiedendo se forse–»
«Se posso prendermene cura?» finì per lui. Guardò Mr. Ukki – e forse Mr. Ukki guardò
lei, a modo suo – e prese la sua decisione. «Non c’è problema, può stare
accanto a Mrs. Uno».
Lo invitò ad entrare e lo condusse verso la sua camera da
letto – come aveva fatto tante volte prima di allora – e aprì la finestra per
fare spazio al nuovo ospite sul suo davanzale. Buttò via furtivamente un vaso
di plastica con dei gerani morti e indicò lo spazio ora vuoto. «Può stare qui.»
Kakashi non sembrava rassicurato. «Non ha mai vissuto
all’aria aperta».
Sakura lo fissò. «È una pianta» disse lentamente.
«E se dovesse sentirsi solo?» chiese Kakashi, preoccupato.
Si chiese se la stesse prendendo in giro, ma con Kakashi non
si sapeva mai. «Mrs. Uno gli terrà compagnia» spiegò, indicando la piantina
alta la metà di Mr. Ukki. «Forse ci daranno dentro e
impollineranno, addirittura».
Kakashi la guardò scettico. «Il nome della tua pianta sembra
implicare che è sposata. Sarebbe piuttosto scandaloso, non credi?»
«Non credo che a Mr. Ukki faccia
specie,» ribatté. «Tale padrone, tale pianta».
«Touché» sospirò Kakashi, porgendole riluttante il suo compagno.
«Va innaffiata tutti i giorni, ed ecco il suo mangime – dagliene giusto due
gocce insieme all’acqua, ogni tre settimane».
Sakura prese la bottiglina e se la rigirò tra le dita, per
poi guardare Kakashi irrequieta. «Quindi stai davvero per andartene?» chiese a
bassa voce. Se ne era resa conto dal momento in cui aveva visto la pianta.
«Sì, tra un’ora o due» le rispose calmo, evitando di
guardarla negli occhi.
«Solo un’ora o due?» sentì il cuore annodarsi. «Hai
preparato le scatole? Hai preso tutto quello che ti serve? Sicuramente hai
bisogno di più tempo per–»
«Ho solo un altro paio di cose da fare» la interruppe
dolcemente. «Ho svuotato il frigo, ho dato tutto il cibo ai vicini, ho fatto
staccare acqua ed elettricità, e appena avrò sbrigato un paio di commissioni
alla Torre dell’Hokage, potrò partire».
Sakura annuì silenziosamente. «Capisco» disse. «Non dirai
addio a nessuno?»
Kakashi spostò il peso da una gamba all’altra. «Preferirei svignarmela
melodrammaticamente e lasciare tutti col dubbio. È più divertente».
Sakura gli sorrise debolmente. «Credo ancora che non serva
che te ne vada, Kakashi» gli disse, ritornando ai loro modi confidenziali. «Non
puoi ripensarci?»
«Ci ho ripensato, tantissime volte» ammise. «Ma alla fine
arrivo sempre alla stessa conclusione. Devo andare, Sakura… È meglio per tutti».
Sakura strinse forte le labbra; provò ad annuire ancora, ma
le venne fuori solo una minima oscillazione.
«Non dispiacerti per me» le disse Kakashi. «Al contrario, io
preferisco vederla come una cosa buona. Posso accettare qualsiasi missione io
voglia e quando mi va, cambiare un hotel a notte, ed ingozzarmi col servizio in
camera per il resto del– …per molto tempo. Jiraya
diceva spesso che gli stavo a cuore perché siamo molto simili; se è così,
allora mi godrò la mia libertà come ha fatto lui».
Sakura non era sicura che quelle fossero le sue vere
considerazioni. «Sei davvero testardo» sospirò.
«Credo di sì» fece spallucce. «Ma mai quanto te».
Sakura si accigliò, troppo occupata a chiedersi cosa volesse
dire per rispondergli. In quella breve pausa, Kakashi si fece coraggio e si
avviò alla porta. Sakura lo seguì, e quando lui si fermò improvvisamente, per
poco non gli andò addosso.
«È il momento di salutarsi» le disse; quelle parole
stridevano nelle orecchie di Sakura. «Non credo ci rivedremo, quindi…»
«Che stai dicendo?» chiese, incredula. «Hai detto di avere
ancora un po’ di tempo prima di partire».
«Sì, ma–»
«Ci vediamo ai cancelli» disse fermamente. «Ci saluteremo
lì».
La fissò. «Non c’è bisogno di–»
«Voglio farlo» lo interruppe. «E ti farò ciao con la mano
fino a quando non sparirai all’orizzonte, quindi non credere di potertene
andare con una stretta di mano veloce sul mio pianerottolo. Dirmi addio sarà
l’ultima cosa che farai a Konoha, non la decima sulla lista delle cose da fare.
Non insultarmi così».
Kakashi rise e si massaggiò la nuca. «Se la metti così…»
«Bene, allora ci vediamo all’ingresso tra un’ora» disse
decisa, sapendo bene che Kakashi sarebbe comparso tra non meno di due. «Va
bene?»
Sospirò, sconfitto. «Okay».
Allungò una mano, come a volerla poggiare sulla sua spalla,
o testa, o forse guancia; ma sembrò ripensarci e si
trattenne con un sorriso vago. «Okay» ripeté.
Poi si voltò ed uscì di fretta.
Sakura sospirò e buttò la testa all’indietro. «Idiota»
mormorò all’appartamento vuoto, senza sapere se si stesse riferendo a Kakashi o
a se stessa.
In mancanza d’altro da fare, si mise le scarpe ed uscì,
avviandosi ai cancelli. Avrebbe aspettato lì godendosi l’aria fresca, e con un
po’ di fortuna avrebbe salutato Kakashi in tempo per andare al lavoro. Le
strade erano così piene che nessuno la riconobbe: le spalle degli estranei
cozzavano con le sue, e doveva farsi strada tra i gruppetti molesti che si
bloccavano il passaggio fermandosi a chiacchierare al centro della strada, ma
era un sollievo passare inosservati.
Le bancarelle del mercato costeggiavano la strada che
portava all’ingresso, quindi Sakura si sedette su uno dei dissuasori in legno
posti all’entrata, per osservare l’attività della gente avanti a lei.
Alle sue spalle si estendevano le terre e i boschi che circondavano Konoha, ma
Sakura non aveva il coraggio di guardarle, perché avrebbe significato
affrontare il fatto che da lì a poco Kakashi le avrebbe oltrepassate.
«Hey, Sakura».
Ino si districò dalla folla per avvicinarsi a lei, insieme
ad una ragazza bionda che Sakura non conosceva. «Vuoi fare un giro per le
bancarelle con noi?» chiese Ino. «Dovresti vedere che bei dipinti ci sono allo
stand dell’arte».
«Magari più tardi» le rispose.
«Aspetti qualcuno?» e nonostante il tono di Ino fosse
disinvolto, i suoi occhi non mentirono e si strinsero sospettosi e
disapprovatori: a Sakura non serviva leggerle nella mente per sapere a chi si
riferisse e cosa ne pensasse.
Fece spallucce. «Qualcosa del genere» le rispose. «Kakashi
se ne va oggi… Lo aspetto per dirgli addio».
«Kakashi-sensei se ne va?» si
sorprese Ino. «In missione? O per–»
«Per sempre» finì Sakura per lei, con una punta di stizza.
«Se ne va per sempre».
«Oh» Ino le sorrise imbarazzata. «Beh, ci vediamo dopo
allora…»
Si voltò e prese ad allontanarsi, seguita dall’altra bionda,
alla quale sussurrò: «È quella di cui ti hi parlato» quando pensava
erroneamente di essere abbastanza lontana.
Scuotendo la testa, Sakura alzò gli occhi al cielo e si
rassegnò ad aspettare. Guardò l’orologio, e poco a
poco passò un’ora. Di Kakashi nemmeno l’ombra, ma se lo aspettava. Chi invece
apparì, la sorprese molto.
«Kakashi se ne va, eh?» le chiese Genma,
avvicinandosi col suo inseparabile stuzzicadenti in bocca. «È un peccato
tremendo. Vero, Shizune?»
«È proprio da lui prendere una decisione del genere così in
fretta» rispose fiaccamente Shizune. «Non mi
sorprende affatto».
Si fermarono a conversare accanto al pilastro in pietra del
cancello, e Sakura capì che avevano intenzione di restare a salutare Kakashi,
come lei. Era giusto, considerando che fossero suoi amici, ma Sakura non poté
fare a meno di sentirsi infastidita all’idea di perdere il suo ultimo momento
da sola con Kakashi.
Poi arrivò Tenzō. «Ho sentito dire che Kakashi-sempai se ne va» le disse. «È così?»
Lei annuì.
«Così all’improvviso… Aveva intenzione di svignarsela, non è
vero?» le sorrise cinico. «Lo nasconde bene, ma c’è qualcosa di melodrammatico
in quell’uomo».
«Trova gli addii imbarazzanti» gli disse Sakura. «Non voleva
attirare l’attenzione».
«E gli piaceva l’idea di lasciarci tutti a bocca aperta,
vero?»
«Anche quello».
Dopo Tenzō, arrivò la ragazza del ramen. «Stavo
comprando qualche nuovo utensile» le disse Ayame, «quando
quella tua amica bionda mi ha detto che Kakashi-san se ne va oggi. È già
partito?»
«No, non ancora» le rispose Sakura, sorpresa di vederla.
«Oh, menomale» sorrise, sedendosi sul palo accanto a Sakura
e Tenzō. «Non voglio che gli resti un brutto ricordo di me, e credo di
essere stata un pochino rude l’ultima volta che ci siamo parlati. E poi è
sempre stato un caro cliente di papà, così–»
«Se ne va già?» arrivò Naruto, fiato corto e sudore
grondante. «Se ne va oggi?»
Sakura restò impressionata dall’abilità di Ino nello
spargere le notizie. Se c’era un messaggio urgente da inviare da una nazione
all’altra, altro che aquile! Lasciate fare ad Ino.
«Già, sta per partire» rispose stizzita all’idea che i suoi
ultimi momenti con Kakashi svanivano nel nulla. Non voleva condividerlo con
così tanta gente.
«Hai parlato con Hinata?» affannò Naruto.
Sakura si accigliò. «No. Cosa c’entra ora?»
«Ah, dannazione…» Naruto collassò al suolo e ci restò per
lunghi minuti per riprendere fiato.
«Hai corso per tutto il villaggio?» chiese incredula.
«Sì, ma quel bastardo di Sasuke si è rifiutato di correre»,
motivo per cui il ragazzo in questione arrivò dopo dieci minuti dopo Naruto.
«Perché Kakashi se ne va?» fu la prima cosa che chiese.
Sakura schivò la domanda. «Sei qui per dirgli addio?» gli
chiese. «Carino da parte tua».
Sasuke incrociò le braccia con indifferenza. «Pura
curiosità. E non ho altro da fare».
«Capisco» gli sorrise ironica Sakura, sospettando che a
Sasuke sarebbe mancato il suo maestro molto più di quanto gli facesse piacere
ammettere.
Arrivarono altre persone: alcuni li conosceva, la maggior
parte no. Vide anche Izumo e Kotetsu
insieme a Raido, e poi Ibiki
ed Ebisu, ed anche Iruka-sensei,
e tutti le chiesero se Kakashi se ne fosse già andato e restarono per
salutarlo. Poi la gente cominciò a notare la piccola folla accumulata davanti
ai cancelli e cominciarono a chiedere cosa stesse succedendo, e quando sentivano
che il Copy Ninja stesse per lasciare Konoha, si fermavano per dirgli addio. Persone
che Sakura nemmeno credeva avessero mai parlato a Kakashi o che avessero solo
sentito il suo nome, volevano partecipare alla sua festa d’addio; Sakura fu
costretta ad arrendersi al fatto che Kakashi non fosse solo suo: era di Konoha,
e tutti loro volevano un ultimo saluto.
Ma con tutta quella gente, Kakashi non l’avrebbe nemmeno
notata.
«Bella folla, eh?» disse Ino, facendosi strada verso di lei.
«Sembravano tutti interessanti quando ho dato la notizia».
«Non dirmi che anche tu vuoi dirgli addio» le disse
Sakura, alzando un sopracciglio.
Dietro Ino apparì Choji. «Non
saremmo vivi se non fosse stato per Kakashi-sensei.
Ci ha salvato la vita contro quell’Akatsuki coi
tentacoli. Vero, Ino?»
«Vero, vero» ammise Ino, riluttante.
«È un tipo a posto» si intromise Shikamaru,
mani in tasca. «Lo sanno tutti. Credo sia per questo che così tanta gente vuole
dirgli addio».
«Se piace a così tanta gente, perché non si sono comportati
meglio con lui?» chiese Sakura, infastidita.
Ino sembrò a disagio, ma fu Sasuke a schiarirsi la voce per
parlare. «In genere, non si apprezza quello che si ha fino a quando non si
rischia di perderlo. Le circostanze ci rendono ipocriti. Naruto, ti vuoi
alzare?»
«Dov’è Hinata-chan??» piagnucolò
da terra. «Dovrebbe essere già qui!»
Sakura buttò di nuovo un occhio al suo orologio e sospirò
ansiosa. Erano passate due ore, doveva essere già all’ospedale a timbrare il
turno, e Kakashi aveva detto che sarebbe stato lì un’ora fa. Possibile che
avesse cambiato idea? Possibile che volesse rimanere, dopotutto?
E se invece stesse facendo un ultimo giro della città?
Si guardò intorno e, osservando la folla, si disperò. C’era
così tanta gente a salutarlo che sarebbe stata travolta dalla marea prima di
poterlo raggiungere. Forse si sarebbe guardato intorno chiedendosi “dov’è
Sakura?” e anche se avesse gridato “sono qui!”, sarebbe stata coperta da
persone molto più alte di lei e Kakashi se ne sarebbe andato con un’alzata di
spalle.
Sasuke e Naruto battibeccavano a pochi passi da lei, discutendo
su a chi sarebbe mancato di più Kakashi (“A te!” “No, a te!”) e Ino si era
allontanata insieme al suo team per parlare di tutt’altro,
ma doveva essere qualcosa di molto divertente, visto il modo in cui si
sbellicava dalle risate. Sakura se ne stava seduta da sola sul suo palo con lo
sguardo fisso sulle sue ginocchia, con una parte di sé che sperava che
andassero tutti via. Arrivò qualcun altro, ma Sakura non ci faceva ormai più
caso.
Almeno, non fino a quando la persona in questione non si
accucciò di fronte a lei e le scrutò il viso sorridendo. «Sembra che qualcuno
ti ha preso a calci il cane».
Era Kakashi, anche se Sakura ci mise un attimo di troppo a
capirlo, perché non indossava l’uniforme e il suo viso era completamente
scoperto. Spalancò la bocca per la sorpresa ed il sorriso di Kakashi si
ingrandì in risposta.
Ma certo! Avrebbe
voluto prendersi a calci per la sua stupidità. Ovviamente non avrebbe
indossato l’uniforme! Ma era ciò che Sakura, e chiunque dei presenti, si
aspettava: un uomo mascherato, dai capelli bianchi e nell’uniforme di Konoha;
ma non indossava nemmeno il suo copri fronte, e l’effetto generale era
disorientante.
Sakura lo guardava in shock. «Perché non hai–»
«Perché non mi servirà» le rispose, guardandola in quel suo
vecchio modo che sembrava dire “tu” e “solo tu”. C’era una folla
di almeno cento persone riunitesi per vederlo, ma lui sorrideva solo a Sakura,
quel suo sorriso che gli disegnava delle adorabili fossette sulle guance e che
gli faceva arricciare la cicatrice – ora vistosamente libera – sotto l’occhio.
Occhio che teneva chiuso con la sola forza della concentrazione, ora che non
c’era niente a coprirlo.
Sakura non si era mai resa conto che Kakashi avesse altri
vestiti oltre alle uniformi, eppure eccolo lì, in abiti civili. Una maglietta
blu a maniche lunghe, stretta sui fianchi da un obi chiaro annodato, anche se i
pantaloni e gli stivali erano più o meno sempre gli stessi. Portava un vecchio
zaino di pelle in spalla, le cui cinghia si incrociavano sul suo petto e quello
– insieme alla sciarpa giallina arrotolata al collo – era tutto ciò che aveva
intenzione di portare con sé. Era praticamente irriconoscibile, specialmente
per chi non ne conosceva il viso. Ragion per cui fu Sakura l’unica a notarlo.
«Quindi te ne vai» gli disse, cercando di mantenere ferma la
voce, mentre gli occhi si imbevevano avidamente alla sua vista.
«Sì»
annuì.
«Adesso» gli disse.
«Sì», le sorrise di nuovo, e Sakura fu costretta ad
abbassare ancora lo sguardo, deglutendo rumorosamente.
«Per favore, ripensaci» sussurrò.
Lui rise. «No».
«Ma…» Mi mancherai! Ti amo! E ti ammazzerò! «Ma io–»
«Kakashi-sensei!»
Quel giorno doveva fare caldo, perché chiunque Kakashi incontrasse,
aveva le guance rosse. Dal canto suo, il clima era abbastanza fresco da dover
indossare una sciarpa, ma forse era un problema suo.
Anche l’Hokage gli era sembrata
accaldata, quando le aveva consegnato il copri fronte ed il contratto sul quale
aveva agonizzato per tutta la notte. Si accigliò al notare la sua firma sul
documento, come se avesse esaminato in cerca di cavilli, per poi schiarirsi la
voce.
«Sembra tutto a posto» disse infine. «Hai sistemato tutti i
tuoi affari?»
Kakashi annuì. «Sì, Hokage-sama».
Aveva lasciato Mr. Ukki a Sakura,
era tornato a casa a cambiarsi, preso le cose che avrebbe portato con sé ed
aveva detto addio alle quattro mura nelle quali aveva vissuto per la maggior
parte della sua vita. Da lì sarebbe andato ai cancelli, detto addio a Sakura
una volta per tutte e poi avrebbe cercato di ricordarsi la strada per Kuroshima, la capitale del paese neutrale ad est in cui
c’erano belle donne, hotel a buon mercato e dove nessuno avrebbe riconosciuto
un ninja solo vedendolo da lontano.
«Ricordati di fare rapporto almeno una volta al mese, così
possiamo tenere traccia dei tuoi spostamenti. Se non ti farai vivo, invierò una
squadra di ricercatori che ti riporteranno a calci qui per dare spiegazioni».
«Salterei un rapporto solo se fossi morto, Hokage-sama» le sorrise.
«Sarà meglio per te» ribatté lei. «Se ti becchiamo a
cospirare con altri villaggi, sei più che morto».
«Lo capisco, ma il fatto che io lasci il villaggio non
significa che io non vi sia più leale».
«Bene, allora non avremo problemi» gli sorrise a labbra
strette. «È stato un piacere conoscerti, Hatake
Kakashi».
«Altrettanto, Hokage-sama».
Kakashi strinse la
mano che Tsunade gli aveva offerto
e le rivolse un breve inchino.
«Prenditi cura di te» gli disse poi, con tono vagamente
dolce.
«Farò del mio meglio» rispose, ricambiando il suo sorriso. Le
guance dell’Hokage si imporporarono, e fu costretta a
distogliere lo sguardo. «Forse dovrebbe aprire la finestra, Hokage-sama,
sembra accaldata».
Tsunade
indicò la porta infastidita. «Puoi andare».
Kakashi non si affrettò per raggiungere i cancelli.
Passeggiò per il mercato occhieggiando le bancarelle con interesse, e finì per
comprare tre portapranzi, un bel kunai in acciaio con
un nastro blu ed un pacco di caramelle che buttò al primo bidone quando si rese
conto che fossero alla banana. Stava procrastinando e lo sapeva, ma non aveva
fretta. Ogni passo che faceva era un passo in più verso Sakura, e lo avrebbe
portato più vicino a compierne molti di più per allontanarsi da lei.
«Fiori, signore?»
Kakashi si voltò verso la ragazza dietro la bancarella. Gli
sorrideva porgendogli un’orchidea bianca ed era circondata dai fiori più
esotici che avesse mai visto. «No, grazie» le rispose.
«Di sicuro un bell’uomo come lei avrà qualcuno felice di
ricevere un dono da parte sua» disse, annusando il fiore.
Lo sguardo di Kakashi fu attratto da un cestino di gigli dai
petali bianchi e rosa.
Sapeva che a Sakura piacessero i gigli ed il rosa, quindi
con ogni probabilità le sarebbero piaciuti dei gigli rosa, ma forse sarebbe
stato inappropriato regalarglieli. Non voleva confonderla con un regalo
d’addio, e dopo aver visto cosa aveva fatto del suo ultimo regalo, non credeva
avrebbe apprezzato molto il pensiero.
«La ringrazio» disse ancora, «ma no».
Riprese a camminare fino a quando non riuscì a scorgere la
cima dei cancelli all’orizzonte. Si fermò per l’ultima volta ad una bancarella
che vendeva degli strani dischi luccicanti per i quali finse interesse, fino a
quando non fu costretto a riprendere il suo cammino.
Quando si fu districato dalla folla mercantile, ne notò
un’altra raggruppata all’ingresso del villaggio. Doveva esserci una grossa
missione in programma, se tanta gente si trovava all’entrata di un villaggio
come Konoha, ma dov’era Sakura?
«Permesso» disse, facendosi strada tra la massa, in cerca di
una macchia rosa e rossa che avrebbe distinto Sakura dal resto.
Ed eccola lì, seduta su un palo con uno sguardo cupo e
basso, come una bambina in punizione. Non lo riconobbe immediatamente quando le
si accovacciò di fronte, probabilmente perché non era abituata a vederlo senza
maschera ed uniforme in pubblico.
Sakura non voleva che se ne andasse, a giudicare dalle sue
parole mozzicate e la tristezza negli occhi. Sembrava volergli dire qualcosa, ma
non era facile per lei farsi coraggio e parlare, come lo sarebbe stato per
qualcuno come Naruto. I suoi sentimenti erano più celati e custoditi, riservati
solo a lei. E forse era meglio così, perché parlare ora avrebbe solo complicato
di più le cose.
Voleva baciarla, almeno per l’ultima volta, ma più di tutto
voleva vederla felice e sorridente. E per farlo accadere, doveva andarsene e
non confonderla con i suoi sentimenti. Si sarebbe accontentato di un addio e
forse un breve abbraccio, per poi dileguarsi silenziosamente nel nulla.
Ma spesso il fato cospirava contro di lui.
«Kakashi-sensei!»
Kakashi alzò lo sguardo e vide Naruto, che lo guardava come
se avesse avuto due teste. Il chiacchiericcio intorno a lui si affievolì immediatamente
e tutti si voltarono a guardarlo, innervosendolo; si chiese se volessero
linciarlo.
«Hey, non porti la maschera…» disse Ayame,
guardandolo scioccata.
«Whoa…» Genma
perse lo stuzzicadenti di bocca.
«Oddio…» Ino fece un passò indietro e calpestò un piede di Choji, le guance le si erano arrossate.
Kakashi si mise in piedi, accigliato. «Immagino abbiate
saputo che sto per andarmene, quindi questo è un addio» disse solenne. «Non mi
sarei mai aspettato un commiato…»
Lo fissavano tutti come se non riuscissero a riconoscerlo:
li aveva sicuramente sorpresi mostrandosi audacemente a viso scoperto.
Ma ora cosa si aspettavano da lui? Un discorso? Che li salutasse facendo ciao
con la mano? E poi, non si rendevano conto di quanto fosse maleducato fissarlo
in quel modo?
Tese una mano a Naruto per aiutarlo ad alzarsi. Una volta in
piedi, gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise, sebbene Naruto non
ricambiò. «Naruto, all’inizio non ero sicuro che mi piacessi, ma hai fatto ricredere
me e tutti i presenti più volte. Sono fiero di te, e sono sicuro che
continuerai a crescere anche senza di me». Fece una pausa. «Ma lascia perdere
un po’ il ramen, altrimenti crescerai solo in larghezza».
Naruto aprì la bocca per ribattere, ma Kakashi si spostò su
Sasuke. «Una volta mi hai detto che avevi solo due scopi nella vita: uccidere
tuo fratello e rifondare il tuo clan. Congratulazioni per il primo, e buona
fortuna per il secondo. Hai sempre ecceduto in tutto, quindi mi aspetto grandi
cose da te, anche se non sarò qui per darti consigli sulle ragazze, d’ora in
poi».
Sasuke lo fissò.
Kakashi sospirò. «Vuoi un abbraccio?»
«Non ti azzarda–»
«Vieni qui!»
Kakashi attirò il giovane uomo in uno stretto abbraccio. «Se avessi avuto un
figlio, sono sicuro che sarebbe stato simile a te».
Sciolse l’abbraccio e congedò un imbarazzato Sasuke con un caldo sorriso. «Il
che mi rende tremendamente felice di non averne avuti».
Poi si voltò verso gli altri conoscenti.
«Genma, grazie per tutti i soldi
che mi hai prestato, vedrò di restituirteli un giorno. Shizune,
prenditi cura dell’Hokage. Ayame,
la tua cucina è la migliore, salutami tuo padre. Shikamaru,
la tua intelligenza certe volte mi fa sentire minacciato, ma in generale mi
piaci. Lo stesso vale per te, Choji. Ino… Il rossetto
rosa ti sta meglio del rosso. E Tenzo, non farti
bullizzare dal mio team in mia assenza – e tieni
d’occhio quella coi capelli rosa, è una combinaguai».
Poco alla volta superarono tutti lo shock del suo nuovo look
e si fecero avanti per salutarlo.
Scambiò strette di mano e sorrisi, ricevette pacche sulle spalle ed accettò
qualche bacio sulla guancia dalle signorine più audaci – due da Ino che fece un
altro giro. Chiunque avrebbe pensato che fosse un amico intimo di ognuno di
loro.
Tanti dissero che la sua partenza era una perdita e che
avrebbero sentito la sua mancanza, ma Kakashi non ci credette fino in fondo. Guardando
i visi di chi lo circondava – alcuni noti, altri sconosciuti – si rese conto
che molti di loro fossero lì per godersi lo spettacolo. Non erano interessati a
dirgli addio, ma ai pettegolezzi che sarebbero ricominciati una volta messo
piede fuori dal villaggio. Qualcuno probabilmente era anche contento di vederlo
sbattuto fuori, e in tanti pensavano che se lo meritasse.
Si guardò intorno in cerca di Sakura ancora una volta, e quando
la vide scomparire tra la folla la tirò per mano. Era evidentemente infastidita
ed evitava di guardarlo, quindi Kakashi intrecciò le dita alle sue e le strinse
forte.
«Sakura, questo è un addio».
Si accigliò e continuò a non guardarlo. «Sentirai freddo»
disse, a bassa voce.
«Starò bene».
«Dove sono le valigie? Non hai abbastanza cose».
«Ho tutto ciò che mi serve».
«Ma…» la voce si incrinò. Poi si fece coraggio e lo guardò
negli occhi. «Non parlare agli sconosciuti».
Kakashi le sorrise. «Promesso».
«E… Mangia sano e ricordati di cambiarti l’intimo tutti i
giorni. Non dimenticarti di fare il bagno».
Un paio di donne si coprirono la mano con la bocca e
sghignazzarono.
A Kakashi non importava. «Non lo dimenticherò».
«E non mangiare niente di quello che ti viene offerto. Non
combattere. Non accettare missioni di rango S perché non potremo guardarti le spalle
e ti farai ammazzare».
«Sakura…»
Le guance di lei si rigarono di lacrime. «E devi almeno
scriverci e farci sapere se stai bene, così non ci preoccuperemo. Anzi, ci
preoccuperemo lo stesso, ma un po’ di meno se ti ricorderai di noi».
A quel punto non poté più continuare. Chinò la testa e i capelli le schermarono
il viso, nascondendo i suoi sentimenti a tutti i presenti. Gli ricordò di
quando l’aveva trovata sull’altalena, quando quella sottospecie di uomo l’aveva
scaricata e lei aveva fatto di tutto per non mostrare a Kakashi quanto questo
la ferisse. Sakura aveva il brutto vizio di affezionarsi alle cose inutili e
non si risparmiava mai. Ma aveva fatto in fretta a dimenticare Ikki… Sperava che sarebbe stato lo stesso con lui.
Kakashi la attirò dolcemente in un abbraccio silenzioso.
Sakura nascose il viso contro la sua spalla, mentre lui le carezzava la nuca, e
gli stava così bene addosso che era un’ingiustizia che non fosse sua. Non
voleva lasciarla andare, non voleva che quella fosse l’ultima occasione per
stringerla o toccarla; provava un dolore mai sentito prima a quel pensiero.
Dietro di Sakura c’era Naruto, e quando incrociarono gli
sguardi, Naruto abbassò gli occhi tristemente. Solo lui era a conoscenza dei
suoi sentimenti, ma se aveva a cuore il bene di Sakura, avrebbe tenuto la bocca
chiusa.
«Sai perché lo faccio, vero?» le sussurrò.
«Forse lo capirò un giorno» rispose, con voce spezzata dal
pianto.
La lasciò andare e, dopo aver dato un’occhiata agli occhi
gonfi e al naso arrossato, cercò un fazzoletto in tasca: senza maschera gli
capitava spesso di starnutire per l’allergia e ne aveva sempre qualcuno a
portata di mano. Sakura lo accettò e si soffiò il naso.
Quando provò a restituirglielo, lui rifiutò. «Uh… puoi
tenerlo» le disse. «Così un giorno tornerò a riprenderlo».
Sakura lo guardò, confusa. «Ma è solo un fazzoletto di
carta». La procedura usuale era di buttarlo nel cestino più vicino.
«Lo so» sospirò sconfortato. «Avrei dovuto dartene uno di
stoffa, ma non fanno per me. Temo che dovremo accontentarci».
Un flebile sorriso le illuminò il volto e riscaldò il cuore
di Kakashi. «Lo custodirò gelosamente allora» gli assicurò.
Quello sarebbe stato il momento perfetto per baciarla.
Lo voleva così tanto che aveva il cuore in gola e gli faceva male il petto, ma
non era il caso di lasciarsi andare. C’erano abbastanza volti accigliati solo
al vederli parlare ed abbracciarsi, lo avrebbero spedito via a calci se avesse
provato a darle un bacio.
Dopo essersi costretto ad allontanarsi da lei, Kakashi si
guardò intorno. Gli sguardi erano stranamente più cupi ora; alcuni addirittura
sembravano colpevoli.
«Non resta altro da dire» annunciò, rivolgendosi alla folla
silenziosa. «Ma siete un branco di ipocriti, traditori, falsi e bugiardi, e vi voglio
bene e mi mancherete davvero tanto. Fatta eccezione per giusto tredici di voi».
Si guardarono tra di loro imbarazzati.
«Addio».
Rivolgendo un ultimo sguardo a Sakura per sorridere solo a
lei, si voltò e prese a camminare.
Oltre i pilastri, oltre i cancelli, giù per la strada polverosa. Nessuno lo
chiamò né lui si voltò, e presto i suoni di Konoha sparirono alle sue orecchie
fino a quando non poté sentire altro che il vento tra le foglie ed il battito
del suo cuore che si faceva via via più lento ad ogni passo in più.
Come sempre, mi dispiace infinitamente non poter aggiornare con più costanza, ma il lavoro ruba la maggior parte del mio tempo. Ringrazio comunque chi ha la pazienza dell'attesa.
Questo è stato il capitolo più breve e doloroso di tutta la
storia.
Mi è sempre piaciuto il modo in cui mostra tutta l’ipocrisia di Konoha con un piccolo
e significativo gesto, ma forse è come dice Sasuke: ci rendiamo conto di quello
che abbiamo solo quando stiamo per perderlo.
Certo, Konoha senza Kakashi perde un bel po’ di
valore.
Ho letteralmente adorato il Team 7 qui: a partire dalla disperazione di Naruto
che vede Hinata come l’ultima spiaggia per far restare Kakashi, al discorso di
Kakashi a Sasuke (la mia parte preferita) e all’addio a Sakura.
Quello che ho detestato, invece, è Ino che sparla di Sakura ancora una volta. Non
posso farci niente, non trovo che la rispecchi. Per quanto civettuola possa
essere, non ferirebbe mai Sakura in quel modo.
Il prossimo capitolo sarà il penultimo e… niente, non ce la faccio!
Alla prossima!♡