Il tempo del risveglio

di Red_Coat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Farewells (addii) ***
Capitolo 3: *** Il momento del risveglio ***
Capitolo 4: *** Col senno di poi ***
Capitolo 5: *** Segni dal destino ***
Capitolo 6: *** Paura di amare ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




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Prologo
 
Quel giorno per Insomnia fu il giorno della disfatta.
Il Re venne ucciso, i suoi cittadini furono fatti evacuare mentre altri rimasero uccisi dai magitek o sotto le macerie delle proprie case, attaccate dai daemon rilasciati dall'impero o dalle spade di pietra dei Re di Lucis, risvegliatisi per difendere il proprio territorio dall'occupazione.
Se non erano i Caelum a governare, non lo avrebbe fatto nessun altro.
Così la splendente città della corona, bella come un gioiello celeste, si trasformò in una città fantasma, preda della desolazione e presto anche del buio.
I sopravvissuti furono trasferiti in buona parte a Lestallum, inclusi tutti i feriti, altri scelsero di ritornare dai loro parenti nei restanti territori un tempo appartenuti a Lucis, altri ancora preferirono scegliere da soli un nuovo posto dove vivere.
Per alcuni non fu facile, avendo perso tutto, ma non avevano alternative.
Vivere o morire, queste erano le due opzioni disponibili.
Toccava ripartire da zero, tentando invano di dimenticare l'orrore e il dolore appena vissuto.
 
***
 
Dopo aver visto sua sorella cadere, Monica aveva dovuto fare una scelta: Lasciarla lì ad attendere la morte e salvare sé stessa e sua madre, o continuare a combattere per portarla via.
Non ebbe nemmeno bisogno di pensarci.
Sua madre la trascinò via, lei non riusciva a smettere di guardare indietro verso la minore.
Corsero a ripararsi dentro la hall di un albergo vuoto, da dietro il vetro della porta scorrevole videro i magitek fare perimetro attorno al palazzo.
Nessuna delle due sapeva cosa fosse meglio fare, quando all'improvviso un uomo con una divisa da Angone le chiamò scendendo le scale dal primo piano.

-Signore, tutto bene?- chiese loro.

Impugnava un pugnale dalla lama leggermente incurvata, e aveva tutta l'aria di essere appena scampato per miracolo ad un attacco devastante.
Era ferito, ma ancora in piedi.

-Mia figlia!- esclamò Mary, indicando con l'indice destro un punto oltre il vetro.
-È ferita, vi prego aiutateci!- lo supplicò Monica.

Quello si sporse a vedere e scosse il capo rammaricato.

-Mh ...- mormorò -Mi spiace, non credo che ...-
-La prego!- implorarono in coro le due donne.

E a quel punto lui non poté esimersi dal provare a farle contente, anche se era una missione suicida.
Alexandra era a pochi metri dalla barriera che i magitek avevano formato attorno ai cancelli del palazzo imperiale.
Avrebbe dovuto esserne contento, questo voleva dire che avevano vinto e presto avrebbero potuto tornare ad Insomnia e abitarla in pace. Ma adesso doveva correre loro incontro e sperare che capissero che stava dalla sua parte.
Del resto erano pur sempre per metà macchine.

-D'accordo, aspettatemi qui.- disse.

Poi si precipitò fuori.
Come previsto i magitek vedendo arrivare un Angone armato fecero fuoco, ma lui riuscì quasi per miracolo ad evitare i colpi, grazie all'intervento tempestivo di Monica, che si era fatta coraggio, era uscita in strada e aveva usato come scudo una lastra di metallo raccolta da terra e caduta da chissà dove.
Si guardarono, l'Angone le sorrise ringraziandola con un cenno del capo.

-Svelta. Prenda la ragazza e se ne vada.- le aveva poi detto -Fate in fretta, stanno arrivando altre navi e hanno l'ordine di uccidere i superstiti.-

Monica rabbrividì, e fece come le era stato ordinato.
Alexandra aveva due fori sanguinanti all'altezza dei polmoni, uno sulla gamba destra, e una profonda ferita all'altezza dell'occhio destro, sul lato del cranio.
Ma miracolosamente il suo cuore batteva ancora, forse per i proiettili che le impedivano di perdere troppo sangue fungendo al contempo da tappo e da pugnale.

-Svelta, mamma! Forza!- gridò non appena tornata dentro l'hotel.

La donna le guardò sollevata.

-Come sta?- chiese.

Monica annuì.

-È viva, ma dobbiamo andarcene al più presto e portarla da qualcuno che possa guarirla.

Mary annuì.
Poi, senza preavviso, fece un passo indietro e concluse calma.

-Allora andate ...-

Gli occhi lucidi, la voce stranamente decisa.

-Cosa?- Monica sbigottita la guardò trattenendo il fiato.
-Andate ...- mormorò allora la donna, sorridendo in bilico tra le lacrime -Voi siete ... La cosa più preziosa che gli dei mi abbiano dato.
Alexandra ... e tu ...
So che ce la farete, vivrete bene entrambi.-
-Smettila di dire queste cose e vieni!- sbottò Monica a quel punto -Alexandra ha bisogno anche di te.-

Prendendola per un braccio e trascinandola fuori. Era difficile farlo stringendo il peso morto del corpo di sua sorella, ma era tutto tranne che vicina a volersi arrendersi.

-No, Monica!- protestò in lacrime la donna allora, strattonandola nel tentativo di liberarsi.

Finalmente riuscì a farlo. Si trovarono fuori, sulla strada piena di magitek, macerie e cadaveri.

-Io vi rallenterei soltanto. Sono vecchia ... Lascia che raggiunga vostro padre.-

Gli occhi e le guance di Monica iniziarono a riempirsi di lacrime.

-Tu non vuoi morire!- le gridò, disperata -Non lo hai mai voluto, nonostante tutto e tutti! Nemmeno con la tua depressione e la morte di papà! Perché vuoi farlo adesso?-

Fu un grido disperato. Alla quale la donna rispose sorridendole teneramente, avvicinandosi e sfiorandole con una carezza dolce le guance rosse e bagnate.

-Perché so che voi ce la farete.- le rispose calma.

Per un attimo, il frastuono intorno a loro sembrò fermarsi.
Le bombe, la guerra, la gente che urlava.
Tutto si gelò nel tempo, e rimasero solo quegli occhi: gli occhi di una madre disperata ma ancora non sconfitta.

- Siete il nostro futuro, piccole mie.-

Una smorfia di dolore apparve su quelle labbra stanche e rugose.

-Tutto ciò che rimane di noi ...- poi sorrise -Bisogna sempre capire quando è il momento di farsi da parte ...-

L'espressione di Monica divenne lo specchio di quella affranta di sua madre.
Il respiro le si mozzò in gola quando la vide chinarsi su Alexandra, prenderle la mano destra tra le sue e accarezzare l'anello che ancora portava al dito.
Poi sorrise e le lasciò un bacio sulla fronte, ed una sua lacrima ricadde a bagnare le labbra della ragazza.

-Ora va ...- le si rivolse di nuovo.

Monica continuò a guardarla senza riuscire più a proferire alcuna parole. Scuotendo solo il capo, continuava a pensare che non doveva finire così.

-No ...- mormorò, senza nemmeno accorgersene.

"Non può essere così la fine. Non così. Non può ... Io .. devo ... Noi ..."

-Va', Monica. Va'!- la esortò di nuovo sua madre -Io vi raggiungerò presto. troverò un modo. Voi andate.-

E a quel punto, quasi mossa da un istinto primordiale e stupidamente confortata da quelle bugie, le voltò le spalle e mosse i primi passi verso le porte della città devastata, martoriata e ormai quasi del tutto vuota.
Corse piangendo e stringendo a sé con forza il corpo della sorella minore, come se fosse l'unico tesoro prezioso che fosse riuscita a strappare a quella tragedia.
Non sia accorse nemmeno del sangue, delle aeronavi da guerra che continuavano ad arrivare e del dolore atroce alla gamba destra, che la induceva a stringere i denti con dolore.
Ormai per loro era finito, tutto quello che erano stati prima.
Non c'era più nulla, solo il ricordo interrotto bruscamente dalla violenza della guerra, che avrebbe segnato per sempre le loro menti e anche i loro fragili corpi da esseri umani.
 

|||
 
Iris Amicitia si voltò a guardare la folla chilometrica che fuoriusciva dalle mura della città, circondate da soldati dell’impero.
Genti di qualsiasi estrazione, ceto, età e provenienza. Tutti disperati, alcuni feriti. C’erano madri e padri che portavano in braccio i loro bambini piccoli, altre che stringevano le loro manine spronandoli a camminare e cercando al contempo di rassicurarli. Quasi tutti quei poveri piccoli piangevano. Ce n’erano alcuni che lo facevano vistosamente, singhiozzando e disperandosi per la paura. Altri, più intimoriti, restavano in silenzio, camminavano a testa bassa per nascondere il volto rosso e gli occhi lucidi.
Uno di questi, un bambino di circa sette anni, venne preso in braccio da sua madre e le si accoccolò sul petto, il viso nascosto nel collo della donna che gli accarezzò piano i capelli mormorandogli qualcosa, forse parole rassicuranti.
Vicina a lei un uomo stringeva le mani delle sue due gemelle e parlava con una donna, forse sua moglie.
Alcuni non erano stati così fortunati, piangevano disperati stringendo ciò che era rimasto loro. Un figlio, un nipote, un consorte.
C’era una coppia anziana che si sosteneva a vicenda, mentre una donna ne spingeva un’altra su una carrozzina. Nel vedere quella scena, Iris si fermò per qualche istante travolta dai ricordi.
Sembrava come se Insomnia, come una bellissima donna mortalmente ferita, stesse vomitando il suo ultimo flotto di sangue prima di esalare l’ultimo respiro.
Trattenne il fiato, le lacrime le punsero gli occhi e la testa le girò per qualche attimo.
Un singhiozzo soffocato le sfuggì, allertando Jared e Talcott.
Nonno e nipote si voltarono a guardarla, lei si protesse il viso con le mani tentando invano di sorridere.
 
-Signorina, state bene?- chiese Jared gentile.
 
Lei annuì, ma nessuno gli credette.
Come potevano farlo? Suo padre, Clarus Amicitia, era morto con il Re che aveva giurato di proteggere. E anche sua madre era rimasta uccisa.
L’unico membro della sua famiglia ancora vivo era suo fratello, ma al momento era lontano, con il Principe Noctis.
Ora era lui lo scudo del Re, e visti gli ultimi eventi non sapeva più se esserne contenta.
Era sola, adesso. Momentaneamente, ma faceva comunque male pensarlo.
Anche se con lei c’erano Jared e Talcott, la sua reale famiglia era stata spazzata via dalla guerra e da quella fulminea invasione, così come la sua casa, i luoghi della sua infanzia e la sua innocenza.
Tutto le era stato strappato, come le radici per un albero. Era quindi tutto sommato normale che ora non sapesse più come respirare.
Si accasciò a terra, Talcott e poi Jared corsero a soccorrerla. Proprio allora un grido in lontananza li destò, inducendoli a voltarsi.
Anche qualcun altro degli sfollati lo fece, ma alla fine continuò a camminare. Loro no. Era già troppo lo strazio per non dare aiuto a una donna che chiedeva disperatamente aiuto per quella che stringeva tra le braccia.
Era impressionante. Sembrava morta, ma qualcosa diceva loro che non lo era.
Forse la tenacia di colei che la teneva tra le braccia, o il colore tutto sommato vivo della pelle e dei morbidi capelli castani.
Iris ne venne colpita. Smise di piangere e chiese ai suoi due compagni di aiutarla ad aiutare.
Il bambino annuì e corse incontro alla donna, facendosi largo tra la folla con ostinazione e riuscendo pochi minuti dopo a raggiungerla.
Si reggeva a fatica, era sporca di sangue ed era disperata.
 
-Venga con noi, signorina. Si unisca a noi.- le disse gentile, indicando con l’indice destro Iris e Jared che accorrevano ad aiutarla.
 
La donna sospirò dolorosamente, gli occhi le si riempirono di lacrime.
 
-Grazie …- mormorò.
 
Jared sorrise, accennando ad un inchino.
 
-Dia a me, non si preoccupi.- si offrì Jared, indicando il corpo della ragazza.
-Come ti chiami?- le chiese gentilmente Iris.
-M-Monica …- mormorò senza fiato l’interessata, quasi accasciandosi quando le tolsero di dosso il peso.
 
Iris e Talcott intervennero a sorreggerla.
 
-F-fa-te attenzione …- mormorò guardando Jared –H-ha … dei proiettili … in corpo…-
Tutti e tre i soccorritori guardarono con preoccupazione e tristezza la giovane nelle braccia di Jared.
In effetti aveva la camicetta rossa macchiata di sangue all'altezza del seno, e il plasma continuava a fuoriuscire ad ogni scossone, anche minimo.
Il suo respiro era sempre più difficoltoso e frammentato.

-Deve essere curata immediatamente.- avvisò Jared.

Monica annuì in lacrime.
Iris si guardò intorno e cercò qualcuno a cui chiedere aiuto.
Un furgoncino alle loro spalle si era fermato.
Era un furgone militare, con un ampio telo scuro di materiale plastico a proteggere la parte sul retro.
A guidarlo erano due Angoni.

-Venite, andiamo.- disse indicandolo e poi aiutando Monica a muoversi, passandosi un suo braccio sul collo.

Gli altri la seguirono, Jared corse ad avvertire i due soldati che vedendoli arrivare si fecero preoccupati.

-Per favore, sta sanguinando e ha urgente bisogno di un medico. Potete aiutarci?- chiese supplicante la giovane Amicitia.

Quelli si lanciarono uno sguardo serio, poi guardarono verso i soldati imperiali che sbarravano l'entrata alle mura.
Infine uno dei due parlò dentro un comunicatore.

-Hey, qui ci sono dei feriti. Li scortiamo da qualche parte almeno.-

Dall'altro lato ci fu silenzio per diversi, preoccupanti attimi.

-Ma che accidenti succede?- chiese l'altro inquietato.
-Non lo so, ma a questo punto ...- quindi si rivolse a loro, guardandoli e facendo loro segno di consegnargli la ferita.

-Forza, salite. Svelti, vediamo che si può fare.-

Uno alla volta furono fatti salire all'interno del mezzo.
C'erano altri tre Angoni, due dei quali feriti.
All'improvviso qualcuno parlò al comunicatore.

-Qui Libertus. Mi sentite?-
-Finalmente!- esclamò sollevato il secondo dei due Angoni che li aveva soccorsi.
-Ti sentiamo. Che sta succedendo, perché non risponde nessuno?- rispose quello che aveva in mano il comunicatore.

Lo sentirono sospirare.
Era palesemente in difficoltà, ma prima ancora che potesse rispondere un'altra voce li riscosse. Era quella del capo della ribellione.

-Scortate i feriti a Lestallum e tornate al più presto, vi aspetteremo qui. Ottimo lavoro a tutti voi, ragazzi. Per la patria e per la famiglia!-

Iris trattenne il fiato, mentre osservava l'uomo chiudere la conversazione e comunicare con l'autista urlando di partire verso Lestallum.
Non seppe perché, ma qualcosa non andava, ne era sicura.
Non ebbe tempo di chiedere però, perché
pochi istanti, e il cargo si mosse mentre lui cercava di medicare alla bell'e meglio le ferite delle due donne.
Per Monica bastò semplicemente fasciare la gamba, anche sa l'avviso che il dolore che sentiva era dovuto a un proiettile rimasto in profondità e che sarebbe stato difficile estrarre.
Per Alexandra invece la reazione fu ancora più sconfortata.

-Ah, lei è messa davvero male invece.- mormorò scuotendo il capo -Posso provare a fasciarle un pò la ferita per fermare il flusso ma non so se le farà bene. I proiettili devono aver danneggiato qualche organo, forse i polmoni a giudicare da come respira ...- scosse ancora il capo.

Monica, in un angolo del cargo accucciata su sè stessa, sgranò gli occhi sgomenta.
Allora Iris capì di dover intervenire.

-Se è ancora viva vuol dire che non è così grave. No?- sorrise.

L'Angone annuì.

-Potrebbe non esserlo.- disse solo.
-In effetti mi chiedo come abbia fatto a non morire prima.- commentò a quel punto l'altro Angone, seduto in un angolo del furgoncino ad osservarli accanto ad un compagno che pareva addormentato sulla sua spalla.
Monica sorrise. Un sorriso all'improvviso pieno di amore, speranza, tristezza e tanti altri sentimenti che le esplosero dentro, sull'orlo delle lacrime.

-Alexandra è forte ...- mormorò, guardandola e perdendosi in quelle parole -Lei è ... più forte di quanto non creda. E ... deve sposarsi ...- sorrise di nuovo, ma stavolta una lacrima scivolò a bagnarle le labbra -Lui tornerà, prima o poi. La cercherà ...-

Stavolta tutti i presenti in grado di ascoltare e comprendere quel sussurro trattennero il fiato, guardando prima una e poi l'altra sorella.
Solo allora Iris si accorse dell'anello di diamanti che Alexandra portava al dito anulare destro.
Gli prese quella mano tra le mani, guardò ammirata e sorpresa il gioiello. Anche Talcott lo osservò incantato.

-Oh ...- mormorò la giovane Amicitia -oh, ma è splendido ...- esclamò.

Talcott annuì sorridendole.

-Mh. È davvero un bel brillocco ...- osservò annuendo pensieroso l'Angone che l'aveva curata.
-Sono diamanti veri?- chiese Jared -Deve essere un uomo facoltoso. È probabile che anche lui sia sopravvissuto.- aggiunse dopo aver avuto un cenno di assenso da parte della sorella maggiore, che a quel punto si fece di nuovo triste, gli occhi persi nel vuoto.
-Lo spero ...- mormorò, accennando ad un sorriso amaro per resistere alle lacrime che tornarono prepotenti -Spero per lui che sia così ... perché altrimenti se la lascia sola né io né nostra sorella e nostra madre riusciremo a riposare in pace ... al momento è fuori da Insomnia ... Lontano ...- aggiunse, tristemente.
-Sono sicura che tornerà a cercarla.- cercò di confortarla con un sorriso Iris, mentre nella sua mente si affollavano le domande.

Monica annuì con un sorriso.
Poi chinò il capo sulla spalla destra e chiuse gli occhi.
L'Angone si avvicinò a controllarle il polso e il respiro.

-Si è addormentata ... Diavolo, deve essere stato un inferno!- Mormorò sgomento.

Iris, Talcott e Jared annuirono.
Per il resto del viaggio rimasero chiusi in un  silenzio assorto, mentre il camion proseguiva la sua corsa verso Lestallum.
Dietro di loro, la massa umana si frammentò e si divise.
Alcuni li seguirono fino alla città, altri gruppi rimasero ad aspettare soccorsi nei dintorni di Insomnia, altri ancora raggiunsero a piedi o in auto altri angoli di Eos.
L'esodo degli sfollati.
Ma tutto questo era soltanto l'inizio.
 
 
***
 
 
Quella sera …
 
Ignis non riusciva a dormire quella notte.
Eppure era strano, molto strano.
Dopo aver trascorso il loro primo giorno di viaggio a tentare di raccimolare quattrini per ripagare la riparazione della Regalia erano ripartiti al tramonto, e appena giunti a Galdin, finalmente avrebbe osato aggiungere, avevano pernottato al molo e si erano riempiti lo stomaco con una abbondante cena piena di prelibatezze.
Primo piatto ai frutti di mare, freschissimi, aragosta alla termidoro per secondo, ottima anche quella, e il dolce tipico per dessert.
Poi si erano allenati sulla spiaggia.
Già che dovevano aspettare che la rotta per Altissa tornasse attiva, meglio farlo tenendosi in forma.
Adesso quindi, immerso nel buio e nel silenzio della notte e sdraiato su un comodo materasso di una multipla di lusso, avrebbe dovuto essere distrutto e già crollato nel sonno da un bel po'.
Invece sembrava che gli unici in grado di dormire fossero Noctis (ovviamente) e Prompto.
Gladio rimaneva a giocare col cellulare, e lui a fissare il soffitto sospirando senza accorgersene.
Aveva freddo, senza la giacca che aveva tolto per non rovinarsela.
Si girò verso la parete a cui era appoggiato il suo letto portandosi dietro le coperte, e sistemò meglio la testa sul cuscino.
Chiuse gli occhi e attese.
Nulla.
La mente continuava a fargli male, il pensiero si divideva tra l'inquietante figura di quel misterioso individuo che li aveva sorpresi incontrandoli quella mattina e definendosi "un uomo senza conseguenze", e l'immagine pura della donna che aveva dovuto lasciare indietro per affrontare quell'incarico.
Il primo continuava a non piacergli affatto.
La seconda invece ...
Alexandra.
Si chiese come stesse adesso, se la notte passata insieme fosse riuscita almeno ad addolcire la pillola.
L'amaro sospetto di aver invece acuito la sua malinconia si concretizzò sempre più mano a mano che anche la sua mente tornava indietro a quegli attimi.
I loro sospiri ... La voce di lei che lo invocava ... Le carezze e il tocco morbido dei suoi capelli ...
Riaprì gli occhi, fissando il buio.
Era impossibile non sentirsi in colpa.
Impossibile non sentirne la mancanza, e non chiedersi quanto ancora l'avrebbe fatta soffrire.
Cambiò posizione dando le spalle al muro.
Come aveva fatto a cadere così velocemente in quel sentimento? Ora si sentiva come un insetto intrappolato nella tela del ragno, rappresentato dai suoi stessi sentimenti, che non la smetteva di agitarsi. E più lo faceva, più continuava a peggiorare solo la sua condizione.
Chiuse di nuovo gli occhi, brucianti.
Era stanco, doveva riposare.
Così decise di lasciar scorrere i pensieri e, molto lentamente, riuscì a scivolare in un sonno fatto di incubi e ricordi, in cui sognò di essere di nuovo e ancora con lei, stringendola per mano e godendosi un suo meraviglioso sorriso.
Sonno leggerissimo e fragile come un bicchiere di cristallo, che durò fino alle cinque del mattino, quando un fruscio lo riscosse.
Riaprì gli occhi, nell'ombra vide Gladio alzarsi e uscire.
Dai movimenti sembrava aver fretta, e dai continui sospiri nervosi sembrava anche piuttosto agitato.
Lo osservò corrucciandosi.
Poi, rendendosi conto di non riuscire più a riprendere sonno, decise di seguirlo.
Non lo aveva mai visto così in ansia, lo sarebbe stato anche lui fino a che non avrebbe saputo perché.
Meglio tagliare la testa al toro, perciò ...
 
(Continua ...)
 

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Capitolo 2
*** Farewells (addii) ***


Farewells
(addii)
 
 
"Gladio ... è successa una cosa terribile ...
Insomnia è stata distrutta. Io, Talcott e Jared stiamo bene, ora.

Siamo a Lestallum con alcuni degli altri profughi ...
Sembra un ospedale da campo, qui.
Chiamami appena puoi, spero tu stia bene.

E anche Noct e gli altri. Spero siate tutti al sicuro ..."

 
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Ad allarmare Gladio Amicitia fu proprio questo SMS della sorella, dal tono disperato e tragico.
Lo ricevette verso mezzanotte, segno che neppure lei riusciva a dormire, e i suoi pallidi timori assunsero forma e consistenza.
Ultimo sfregio alla magnificenza dei suoi Re e degli dei che fino all'ultimo l'avevano eletta a propria protetta: Insomnia ... distrutta.
Rabbrividì pensandoci.
Non avrebbe dovuto essere così sorpreso, fin dall'inizio l'idea dell'armistizio non gli era piaciuta affatto, e nemmeno la volontà di suo padre di trascorrere un'ultima cena in famiglia prima del fatidico giorno.
Sapeva di addio, e adesso si ritrovò a sperare, invano lo sapeva bene, che sia il Re che la sua guardia del corpo ce l'avessero fatta. Si consolò pensando che almeno erano rimasti insieme fino alla fine secondo le volontà di entrambi, e che almeno Iris era viva e stava bene.
Ma, nella peggiore delle ipotesi ... qualcuno avrebbe dovuto dirlo a Noctis, e anche in fretta. Una notizia così l'indomani avrebbe potuto essere di sicuro su tutti i notiziari e i rotocalchi di Eos.
Lucis era caduta.
Il suo Re e la sua corte erano stati uccisi, la splendida Insomnia rasa al suolo e riempita di daemon.
Ci pensò talmente tanto che alla fine la testa iniziò a dolergli. Di chiudere gli occhi e dormire non se ne parlava proprio, provò quindi a svagarsi videogiocando e immaginò che al posto dei soldatini virtuali ci fossero i magitek e gli assassini della sua terra e della sua famiglia.
Servì ad agitarlo solo di più. Alle cinque del mattino spense il telefono e decise di prendere un po’ d'aria per riflettere.
Raggiunse la spiaggia e fece due volte il tragitto fino alla scogliera, andata e ritorno a piedi.
Vide Ignis che lo osservava da lontano, impettito come al solito nella sua divisa.
Anche suo zio era rimasto ad Insomnia.
Quell'uomo era praticamente stato il suo insegnante e tutore da quando il re lo aveva scelto come futuro consigliere per Noctis e gli aveva dato la possibilità di vivere ed educarsi a palazzo.
Inoltre ... Alexandra.
Ignis non aveva lasciato solo un parente a palazzo, ma anche l'unico amore della sua vita.
Sperò per loro che almeno lei fosse riuscita a scamparla. Magari era indenne, e li avrebbe aspettati a Lestallum.
Forse avrebbe potuto chiedere a sua sorella di cercarla, per dargli almeno una buona notizia.
Mentre cercava di decidere senza riuscire a farlo pienamente, Ignis smise di aspettarlo al molo e iniziò a camminare verso di lui.
Le mani sprofondate nelle tasche del pantalone e la leggera brezza marina ad accarezzare i capelli, il ciuffo acconciato sapientemente all'insù per lasciar libera la fronte e gli occhi da eventuali fastidiosi impedimenti alla visuale.
Le scarpe sprofondavano appena nella sabbia finissima, gli occhi verdi scrutavano con la solita assorta attenzione le onde calme del mare immerso nella pace notturna.
Sembrava completamente un altro posto quello, a quell'ora.

-C'è una brezza piacevole, qui ...- disse, accostandosi all'amico e sedendosi sulla sabbia insieme a lui.

Schiena dritta, mani giunte a sorreggere un ginocchio.
Gladio sorrise appena, impercettibilmente.

-Anche troppo ...- mugugnò.

Lui invece era semisdraiato, i gomiti poggiati sulla sabbia e le gambe accavallate.
Scrutava l'orizzonte come se sperasse di veder comparire le risposte ai suoi problemi da un momento all'altro, magari come un aiuto provvidenziale.
Ignis lo scrutò per qualche istante preoccupato. Poi tornò a guardare assieme a lui l'orizzonte e chiese.

-Ci sono problemi?-

Lo sentì sospirare di nuovo, più profondamente e pesantemente.

-Grossi quanto una casa.- gli rispose cupo -Solo che non so se sia giusto dirtelo o aspettare che tu lo scopra da te.-

Ignis Scientia si fece attento. Corrucciò la fronte e lo guardò inclinando di poco il capo, con aria interrogativa.
Gladio sorrise amaro.

-Così non mi aiuti...- tentò di sdrammatizzare.

Ma ormai aveva attirato la sua attenzione, oltre che impensierirlo ancora di più.
Quindi, senza aspettare oltre, si scurì di nuovo, si alzò e voltandogli le spalle incrociò le braccia sul petto.
Meglio non vedere l'effetto che aveva su di lui la notizia, era già terribile di per sè.

-L'armistizio era una farsa, bella e buona.-

Ignis sgranò gli occhi, il cuore rallentò i battiti per qualche istante.

-Cosa?- riuscì solo ad esclamare, sorpreso, tornando a scrutare la sua sagoma.
-Mi ha scritto Iris, poco fa.-

Quindi prese dalla tasca il telefono, trovò il messaggio e glielo consegnò perché potesse leggerlo.
Scientia scosse rapido e ansioso quelle poche righe, il cuore che gli batteva in gola e la mente all'improvviso affollata da paure, angosce e ricordi.
Aveva sempre saputo, in fondo, che quel momento sarebbe potuto arrivare. Eppure ora dovette controllare molto sé stesso per non esplodere.
Per un po’ non parlò, incapace di farlo, fissando il telefono e rileggendo quelle righe come se si aspettasse di vederle trasformarsi in qualcosa di positivo, come se sperasse di essersi sbagliato, di aver letto male.
Invece più leggeva, più non sapeva come reagire.
Era sconvolto.
E con lui lo era anche Gladio.
Che alla fine abbassando il capo e sprofondando le mani nelle tasche del pantalone mormorò, scuro e rassegnato.

-Dovremmo dirlo a Noct,  domani ...- disse.

Ignis parve riprendersi.
Già ... Noctis.
Il Re ... probabilmente era morto, assieme ai suoi consiglieri e a Clarus, sua guardia del corpo e padre di Gladio e Iris.
All'improvviso sembrò ricordarsi anche di loro, riaversi per qualche istante.
La paura aveva immobilizzato la sua mente. L'unica cosa a cui era riuscito a pensare era che Alexandra e suo zio si trovavano a palazzo, e per un istante lo choc lo aveva travolto.
Adesso però, il campo si allargava.
Non solo Alexandra.
Gli abitanti di Insomnia, la splendida città della Corona, il palazzo reale.
Che ne era stato di questi? Quanti profughi? Quanti morti?
Una catastrofe di proporzioni colossali.
E allora, quasi come una luce nella nebbia, un'idea nacque e lui la seguì per non perdersi.
Doveva reagire.
Doveva farlo per Noct. Lo aveva promesso al Re, era questo il suo compito.
Solo ... Solo questo.
Doveva seguire quella missione e resistere al dolore, alla paura.
Si alzò, annuendo deciso.

-Aspettiamo di saperne di più.- disse, riconsegnandogli il telefono -Di sicuro domani i giornali ne parleranno. Dobbiamo essere pronti a tutto.-

Gladio lo prese e se lo mise in tasca, annuendo.
Rimasero ancora per qualche istante in silenzio, a pensare.
Entrambi non riuscivano a non sentirsi improvvisamente frustrati.

-Potremmo tornare indietro.- avanzò Amicitia nervosamente -Almeno per saperne di più.-

Poi lo guardò. Sapeva quanto anche lui volesse farlo.
La sua promessa sposa era rimasta ad Insomnia, la sua famiglia e il suo futuro.
Ignis riuscì a non scomporsi nemmeno a quel punto.
Annuì, continuando a scrutare attento l'orizzonte.

-Lo faremo insieme domani, quando saremo riusciti a dirlo a Noctis.- concluse, gli occhi stranamente lucidi -Non manca molto, tutto sommato...-

E, alzando spazientito gli occhi verso il cielo, Gladio si accorse che la linea dell'orizzonte era rischiarata da un tenue bagliore turchese, segno evidente della prossima rinascita del sole.
L'alba era iniziata. Sarebbe stato il giorno del risveglio per loro, un brusco risveglio che li avrebbe presto catapultati in una guerra troppo grande per essere affrontata in solitudine.
Presto le parole di Regis avrebbe assunto un profondo e chiaro significato per tutti loro: Il tesoro più grande per un uomo sono i suoi amici fraterni.
Questa è la vera forza anche e soprattutto di un vero Re.

 
***
 
Il primo gruppo di sfollati giunse a Lestallum già quella sera stessa, in condizioni piuttosto critiche.
Gli Angoni si assicurarono di aver lasciato i feriti in buone mani prima di ripartire per Insomnia, dissero che avevano una questione importante da risolvere e a sentirli Iris pensò fossero impazziti.
Parlavano di una promessa che l'Impero aveva fatto loro, dicevano che Insomnia sarebbe stata riabitata solo da chi si era dimostrato leale a Niflheim e così non ebbero nemmeno timore ad ammettere di essere traditori.
In quel momento non seppe se saltare loro al collo e strozzarli o essergli grata per averli soccorsi.
Comunque sia non ebbe molto tempo per rimuginarci su. Dopo che gli uomini se ne furono andati, i medici di Lestallum presero in consegna sia Alexandra che Monica, quest'ultima risvegliatasi e perfettamente cosciente, nonostante il dolore alla gamba che aumentava.
Ormai stringeva i denti per resistervi, e nonostante ciò le sfuggivano gemiti di dolore.
Mentre Jared e Talcott si occupavano di prenotare una stanza per la notte,
Iris decise di seguire entrambe le ragazze per accertarsi che tutto andasse nel migliore dei modi.
A Monica fu praticata una tac e diversi accertamenti. Alla fine i dottori si radunarono per studiare meglio un modo per estrarre il proiettile che era penetrato in profondità all'altezza della vena femorale.
Venne sedata per farla riposare qualche ora e le venne applicata la prassi solita per restituire al corpo tutto ciò che aveva perso con la fatica e l'emorragia.
Per Alexandra invece, il procedimento fu più complesso e delicato.
Venne operata d'urgenza. Il primo intervento fu uno dei più difficili e durò quasi cinque ore e terminò all'una passata. Alla fine le furono estratti tre proiettili che avevano centrato il tessuto polmonare, e per questo si rese necessario anche ricostruirlo al meglio.
Le venne praticata anestesia totale e venne agganciata ad una macchina che le garantiva una respirazione tutto sommato adeguata e costante.
Quello di Lestallum era un ospedale piccolo ma ben equipaggiato. La loro fortuna consisté nell'arrivare per primi. Iris rimase ad attendere fuori dalla porta della sala operatoria, in pena per le due sorelle come se fossero sue vecchie amiche, mentre i feriti continuavano ad arrivare e la piccola città si riempiva di sfollati.
Pregò come non ricordava di aver mai fatto in vita sua.
Aveva così tanto da dire e da chiedere!
Lo fece fino a che, vinta dalla stanchezza, finì per addormentarsi, il capo reclinato su una spalla.
Finalmente, dopo minuti che le sembrarono eoni interminabili, un medico le si accostò svegliandola dal torpore in cui era caduta.

-Oh ... si?- chiese, ridestandosi.

Il dottore le sorrise appena, sforzandosi di apparire tranquillo. Era un professore stimato, eppure quell'operazione era riuscito a metterlo a dura prova.
Iris si alzò in piedi, finalmente completamente attenta.

-Come sta?-
-È stata molto, molto fortunata.- le disse -Gli dei devono volerle particolarmente bene.-

Iris si concesse un sospiro sollevato.

-Si riprenderà, quindi.-

Una smorfia contratta sul volto del medico.
Scosse titubante il capo.

-Non proprio nell'immediato, e comunque sicuramente avrà ripercussioni con cui dovrà convivere purtroppo fino a che vivrà.-

Iris s'impensierì di nuovo. Aveva cantato vittoria troppo presto.

-Si spieghi meglio, per favore.- chiese supplicante -Così che io possa riferire a sua sorella non appena sarà sveglia.-

Il medico annuì.

-Le abbiamo estratto un proiettile dalla gamba e tre dai polmoni, e abbiamo dovuto ricostruire il tessuto polmonare danneggiato. Fortunatamente non era molto ma è comunque un danno permanente agli organi di respirazione. Potrebbe essere soggetta, soprattutto nei primi tempi, a frequenti problemi respiratori. Asma, polmonite e altre patologie simili.-

Iris trattenne il fiato.

-Oh ...- mormorò.

Era un destino terribilmente difficile, ma le successive parole del medico le accesero una lampadina.

-Di certo l'umidità di Lestallum non le gioverebbe. Sarebbe l'ideale se riuscisse a stabilirsi sul mare.-

Sul volto della giovane apparve un sorriso.
Capo Caem!
Sarebbe stato perfetto per lei, magari avrebbero potuto andarci insieme quando entrambe le sorelle sarebbero state in grado di viaggiare.

-E per precauzione per i primi tempi meglio stia lontano dai germi e indossi sempre una mascherina protettiva e guanti.-

La giovane annuì di nuovo, ascoltando con attenzione. Era davvero una vita terribile.
Ma se fosse riuscita a sopravvivere forse le cose sarebbero migliorate, il medico aveva detto che solo i primi tempi sarebbero stati duri.

-Per quanto riguarda l'occhio invece ancora non so dirle molto. La stiamo tenendo in osservazione, avrò un quadro più completo tra qualche giorno.-

Iris si riscosse, sorpresa.

-L'occhio?- tornò a domandare in ansia.

Non si era accorta che stesse rischiando di perdere anche la vista.
Il medico annuì grave.

-Ha l'occhio destro completamente pieno di sangue e la pupilla lievemente più chiara del normale. La radiografia mostra un lievissimo danneggiamento del nervo. Sembra non si muova nemmeno, ma finché non si sveglia non possiamo testarne la sensibilità. L'importante è averle salvato la vita, per ora ...- aggiunse abbassando dispiaciuto il volto.

Iris ebbe bisogno di qualche istante per rendersi conto della gravità di quelle informazioni.

-Quindi ...- mormorò mentre la sorpresa e lo sgomento mutavano velocemente la sua espressione -Mi sta dicendo che potrebbe perdere l'uso dell'occhio destro?-

Il medico annuì.

-Non mi sento di escluderlo, ma nemmeno di garantirlo, non fino a che non capiamo il problema. Potrebbe aver subito solo un trauma cranico. Questo giustificherebbe la perdita di sensibilità e il coma. In quel caso potrebbe semplicemente trattarsi di qualche vena rotta e di nervi infiammati. Oppure potrebbe essere più grave, non so dirglielo ora.- si scusò di nuovo, scuotendo dispiaciuto il capo e allargando sconfitto le braccia.

Iris annuì, pensando a quali orribili sorprese quella ragazza avrebbe trovato svegliandosi.
Cieca da un occhio, polmoni irrimediabilmente danneggiati, il suo promesso sposo ancora latitante e la sua città natale completamente distrutta.
Le venne da piangere. In compenso la sua perdita sembrava completamente insignificante.
In fondo a lei era andata bene, era riuscita a fuggire illesa con Jared e Talcott, scortati fuori da una guardia reale che poi aveva raggiunto la sua famiglia e si era unita ai profughi.
Ma Alexandra ... Per gli dei, lei aveva perso tutto! Completamente!
Le lacrime le punzecchiarono le palpebre, dovette fare uno sforzo immane per non lasciarle uscire e anche così il medico se ne accorse e stava per chiedergli se stesse bene quando lei stessa lo interruppe, tornando a chiedere.

-E la gamba? Ha detto che gliene ha estratto uno anche da lì.-

Il medico annuì e tornò a sorridere.

-Quella è salva. Zoppicherà per qualche mese, ma dovrebbe farcela. Sempre se i polmoni non le creino qualche altra complicazione.-

Tornarono ad impensierirsi entrambi, assorti in quei cupi pensieri.
Determinata, Iris pensò che non sarebbe successo. La storia di quelle due sorelle e il loro coraggio l'avevano colpita, le aveva prese a cuore e avrebbe fatto di tutto pur di farla finire bene.

-Andrà bene.- determinò quindi, per poi tornare a chiedere, col suo solito sorriso -E per Monica invece? Anche lei starà meglio, vero?-

L'espressione cupa del medico non le piacque affatto.

-In realtà ...- disse, pensando un po’ troppo alle parole da scegliere -Il proiettile è penetrato e ha raggiunto una zona delicata per nervi e vene. Anche in condizioni normali sarebbe un'operazione rischiosissima ...-

Di nuovo, il fiato si smorzò e Iris Amicitia sgranò gli occhi angosciata.
Non aveva niente di buono quella premessa.

-Quindi ...- fece, senza riuscire a finire la frase.

Il medico sospirò di nuovo.

-Dobbiamo comunque estrarlo, ma il fisico è molto debilitato e potrebbe ... non superare l'intervento.-

Un singulto soffocato.
Il medico nemmeno se ne accorse, mentre lei adesso si ritrovò a stringere i pugni fino a farsi male.

-Abbiamo chiesto alla paziente, lei ci ha detto di concederle ancora qualche ora.- concluse il dottore, con aria affranta -La opereremo domani, nel pomeriggio. Nel frattempo ha chiesto di vedervi ...-

Iris soffocò un altro singhiozzo, annuì più volte stringendo le labbra.

-Si ...- mormorò a fil di voce -Certo ... Grazie ...-

Il dottore annuì, sorridendole appena, dispiaciuto.
Poi fece per andarsene, ma prima di farlo si voltò verso di lei e aggiunse, affranto.

-In casi come questo di solito dovrei consigliarle di non farla preoccupare, ma ... se vuole informarla di ciò che le ho detto riguardo a sua sorella, lo faccia con la dovuta cautela.-

Iris annuì, e stavolta non potè trattenersi dallo scoppiare a piangere. Il medico la lasciò sola, lei si sedette sulla sedia ove era rimasta ad aspettare e sfogò le lacrime, tenendosi il petto con una mano.
Non piangeva solo per quelle povere donne.
In quelle lacrime c'era il dolore per sè e per tutto quello che ormai era scomparso. Per il Re, per Insomnia, per i morti e gli sfollati.
Per tutto quello strazio.
Pianse a lungo prima di avere il coraggio di riaversi e la forza di alzarsi in piedi e trascinarsi verso la stanza della maggiore delle sorelle Baker.
La trovò ad attenderla, gli occhi aperti ad osservare la porta dal quale fece capolino e il viso rigato dalle lacrime.
Cercarono entrambe di sorridere, ma tutto ciò che riuscirono ad ottenere fu una smorfia forzata e triste.

-Ciao ...- esordì Iris avvicinandosi.

Monica le strinse la mano, facendola tremare.

-Ciao... sono contenta che tu sia venuta.- le disse, la voce stranamente chiara, lo sguardo fiducioso.

Iris appoggiò la mano libera sulla sua, la accarezzò dolcemente.

-Come stai?- le chiese.

Sembrava una domanda stupida, ma fu la prima che le venne in mente.
Monica scosse le spalle, continuando a sorridere.
Poi si fece pensierosa, guardò davanti a sé.

-Stavo pensando a nostra madre ...- rifletté -A quante volte l'ho vista in questo stato su un letto di malattia e ho cercato in tutti i modi di tirarla fuori mentre avevo paura di perderla ...- la sua voce tornò ad incrinarsi, gli occhi si riempirono di nuovo di lacrime -Avevo iniziato a sperare che forse avrei fatto prima a morire prima io, e invece ...-

Abbassò il capo, soffocando i singhiozzi a stento.
Iris la sostenne con rispetto ed empatia, in silenzio per diversi minuti prima di sentirla di nuovo parlare.

-Sono contenta che almeno Alexandra non possa vedermi adesso ...- concluse alzando il capo -Mi spiace solo non essere riuscita a salvarle entrambe ...-

La giovane sentì il suo cuore stringersi di nuovo dolorosamente.
Ma prima che potesse rispondere, la domanda più temuta giunse.

-Come sta adesso?-

Alzò gli occhi a scrutare sorpresa quelli di Monica, che sembravano quasi voler scrutarle l'anima.

 
"La informi con la dovuta cautela."


Già il suo sguardo parlava da sé, eppure stava cercando un modo per addolcirle la pillola.

-Il medico ha detto che è fuori pericolo.- sorrise imbarazzata, abbassando gli occhi.

Monica strinse la sua mano, strattonandola appena.
Tornarono a guardarsi negli occhi.

-Per favore, dimmi la verità.- la supplicò.

E a quel punto non potè più ricorrere solo alle vaghe affermazioni.
Si sedette, le disse ogni cosa.
Monica ascoltò attentamente sussultando un paio di volte.

-Mi spiace ...- si scusò Iris continuando a tenere il viso basso.

La donna le sorrise, e la invitò a guardarla.

-Ci hai salvate, Iris.
Io devo solo ringraziarti per averci ascoltate, non devi scusarti di nulla.-
-È che ...- mormorò sgomenta lei, iniziando di nuovo a piangere -È così ingiusto! E io vorrei davvero fare qualcosa per voi, avete già sofferto abbastanza! Non è giusto che soffriate ancora! Tu non dovresti ...-

Si fermò di colpo guardandola negli occhi. Monica Baker seguitò a sorriderle tenera e commossa.
Poi le accarezzò una guancia e le chiese, gentile e decisa.

-Prenditi cura di mia sorella, se domani non dovessi farcela. Questo puoi farlo.- quindi la vide annuire, e prima che potesse rispondere aggiunse -E ... Hai modo di procurarti una penna e un foglio?-

Iris si guardò intorno. Oltre le mura di quell'ospedale c'era Lestallum, qualcuno doveva pur avere del materiale per scrivere in una città come quella.
Tornò a guardarla e annuì volenterosa.

-Ci posso provare.-

Monica sorrise.

-Bene. Vai e torna. Voglio scrivere una lettera ad Alex ... e tu mi aiuterai.- concluse, scoccandole un occhiolino.

La giovane Amicitia accolse con commozione e gratitudine quella richiesta.
Uscì e dopo qualche minuto rientrò con ciò che serviva.
Mise per iscritto ogni cosa, trattenendo a stento le lacrime.
Poi passò il resto della nottata a chiacchierare con la donna e a farle domande a cui Monica rispose senza remore.
Forse il loro incontro era stato un segno del destino, forse non tutto era vano.
Certo, a quel matrimonio avrebbe dovuto esserci anche lei.
Le sarebbe piaciuto tanto vedere la sua sorellina sposarsi, dopo tutti quegli anni di lotte.
Ma ... quando l'alba sorse oltre i vetri della finestra delle camera in cui era confinata, la trovò pronta a tutto.
Iris si era addormentata al suo capezzale.
La svegliò e le chiese di accompagnarla da Alexandra, cosa che fece dopo aver chiesto il permesso del medico.
La più giovane riposava in una stanza poco distante dalla sua, circondata da ogni tipo di macchinari.
Uno le pompava aria pulita nei polmoni malandati aiutandola nella respirazione, un'altro ne misurava i battiti lenti e decisi del cuore.
Era piena di bende, una le copriva l'occhio destro fasciandole anche la nuca e la fronte.
Quando la video, Monica pianse appoggiandosi ad Iris e alla stampella che le avevano fornito, ma durò poco.
Alla fine riuscì a riaversi, si fece accompagnare al suo capezzale e chiese di rimanere per qualche attimo sola con lei.
Le prese la mano destra tra le sue, con un sorriso commosso si chinò a baciarle piano la fronte accarezzandole dolcemente i capelli.
E non appena fu davvero sola, ricominciò a piangere.

-Alex ...- singhiozzò -Mi dispiace ... non sono riuscita a salvare la mamma, solo te.- abbassò il volto, stringendo i denti -Comunque ... Sono contenta di averti avuta come sorella.- sorrise commossa -Non te lo dicevo molto spesso, ma sono davvero felice di averti avuta come sorella. Anche se a volte mi facevi dannare, piccola peste.-

Sorrise nostalgica, guardandola e tornando indietro con la mente a ricordi più felici, quelli della sua prima infanzia.
Lei era stata come una seconda mamma per la piccola Jane Baker, quando quella vera per problemi di salute seri non era riuscita ad essere presente. Era stata importante, tanto che per un periodo la bambina aveva preso davvero a chiamarla mamma. E una volta cresciuta qualcuno aveva continuato a scambiarle per madre e figlia.
Era esattamente così che si sentivano, oltre che ad essere sorelle.
Ne avevano trascorsi di anni assieme!
Così tante ne avevano passate, che alla fine erano diventata l'una il tutto dell'altra, e se litigavano era solo per fare la pace qualche minuto più tardi.
Le sarebbe mancata, qualsiasi fosse stato il mondo in cui sarebbe andata a stare dopo la vita.

-Abbi cura di te, tesoro. Okkey? E sii forte ... Io lo so che tu lo sei ... Lo sei sempre stata ...- s'interruppe per tornare a ricadere vittima delle lacrime -Sposa Ignis, vivi e siate felici. Soltanto questo vogliamo tutti. Io, mamma, Christine e le due piccole ...-

Stavolta non poté impedirsi di singhiozzare, addolorata.
Durò qualche istante di troppo, Iris rientrò per soccorrerla ma lei la fermò dal portarla via.

-Portaci con te, e ci avrai per sempre al tuo fianco Alex.- concluse, tornando a stringerle la mano -Anche se dopo non dovesse esserci niente, noi vivremo con te. In te. E ricordati ... ti vogliamo bene. Tanto ... e per noi sei stata il tesoro più prezioso.-

Infine, sentendo le forze scemare, tornò ad appoggiarsi ad Iris e uscì assieme a lei dalla stanza, tornando ad attendere i medici nella sua.

-Queste parole ...- le disse, mentre la giovane Amicitia cercava di incoraggiarla a non arrendersi e a pensare in meglio -Quelle che le ho detto poco fa. Sono le più importanti ... pensaci tu a ricordargliele, va bene?-

Iris si fermò a guardarla, sconvolta da quella improvvisa sicurezza.
Annuì, ricevendo in cambio un sorriso e l'ennesimo grazie.
Pochi minuti più tardi la barella su cui Monica era stata posta entrò in sala operatoria, e prima che le porte si chiudessero Iris la vide tornare a guardarla e spegnere per un istante il terrore per sorridere e scoccarle un occhiolino.
Lei annuì, Monica sorrise e chiuse gli occhi, rilassandosi sulla barella.
Sarebbe andata bene, si ripeté Iris ritrovandosi di nuovo ad aspettare.
Tutto sarebbe andato per il meglio, non doveva essere così pessimista.
Ma se anche non lo avesse fatto ... Alexandra non sarebbe stata sola, mai più
E nemmeno lei, adesso.
Pure se gli anni a venire si fossero rivelati peggiori di tutti quelli bui ricordati dalla storia di tutti i popoli di Eos.

 
***
 
Aspettare l'alba per avere conferma delle terribili ombre che nella notte si erano mosse su Insomnia e i suoi sfortunati abitanti.
Purtroppo, la decisione di Ignis e Gladio fu saggia e permise loro di scoprire ciò che si aspettavano.
Prima fu un notiziario alla radio, poi quello del mattino alla tv. Infine, verso le otto e mezza del mattino, giunse il furgone della consegna dei giornali e in prima pagina la notizia che fece rabbrividire i due.
Lessero tutto attoniti.
Insomnia era stata distrutta, invasa dai daemon, e il Re era morto assieme a Lunafreya. O almeno questo era ciò che sto poteva trovare scritto nell'articolo. Su questo però avevano qualche riserva, visto che il giornalista nello scrivere aveva dato per scontata anche la dipartita di Noctis, che al contrario era sano e salvo con loro, per fortuna.
Potevano essere semplici informazioni fuorvianti di provenienza imperiale.
E a questo punto potevano esserlo anche le altre statistiche riportate.
Le vittime: centinaia.
Non si contavano gli sfollati, i feriti erano quasi la metà di essi.
Tra loro orfani, vedovi, persone anziane senza più nulla, malati gravi e persone con disabilità in alcuni casi anche totale.
Si vociferava che all'attacco si fossero uniti anche alcuni kingslaves ribelli, ma il giornale era la prima fonte che accennava alla notizia e ne sottolineava la scarsa attendibilità della fonte.
Sembrava che alcuni scampati avessero visto di persona gli Angoni unirsi agli imperiali nell'assalto.
Però, in quel momento, non era quella la notizia più importante per loro.
 
-Io rientro ...- disse Gladio, nervoso e scontento -A questo punto meglio aspettare che Noct si svegli.-
 
Ignis annuì, lo lasciò andare e si sedette a leggere quelle pagine con l'angoscia nel cuore.
Più leggeva, più pensava al Re, ad Alexandra, a suo zio e ai giorni prima della tregua.
Era stato un anno meraviglioso, l'ultimo ad Insomnia.
Sembrava impossibile quel colpo di scena così all'improvviso. Eppure le avvisaglie c'erano state, soprattutto negli ultimi dodici lunghi anni.
Ora spettava a Noctis, principe di un trono ormai vuoto e di un regno ormai distrutto.
Tutto era nelle sue mani, proprio come nella profezia, e Ignis tremò pensando a cos'altro ancora avrebbe dovuto avverarsi. Non sapeva molto, in realtà.
L'unica persona che conosceva i dettagli della profezia era Regis, che forse ormai non avrebbe più potuto essere d'aiuto.
Aveva già fatto tanto, preoccupandosi di salvaguardare l'erede al trono dalla tragedia.
Ora quel ruolo ... toccava a loro. A lui.
Quella pillola non poteva essere addolcita, Noctis doveva sapere. Era una sua responsabilità metterlo a conoscenza di ogni cosa e aiutarlo a ricoprire il ruolo che tanto temeva. 
Adesso ... era ora di reclamare quel trono e salvare il regno prima che tutto sprofondasse per sempre nell'oscurità e nel silenzio.

 
 
\\\
 
Raggiunsero di nuovo Insomnia, ovviamente.
Ma tutto ciò che trovarono fu solo truppe magitek a difesa delle mura, un continuo arrivo di aeronavi da guerra, e desolazione.
Una devastazione apocalittica.
Non fu loro possibile entrare, ma non ne ebbero il bisogno.
Proprio mentre stavano ad osservare inebetiti e sconvolti la città da una collinetta di fronte, prima una radiocronaca e poi una telefonata del comandate della guardia reale, Cor Leonis, chiarirono ogni altro dubbio.
Tutto quello che avevano sentito sul re era vero.
Ora non restava che organizzare la resistenza.
Si diedero appuntamento ad Hammerhead, era lì che si trovava il Maresciallo.
Per quanto riguardava Noctis, tutti i maledetti magitek e gli imperiali avrebbero benissimo potuto estinguersi dalla faccia della terra che non gli sarebbe minimamente dispiaciuto, anzi.
Ci avrebbe provato gusto a mandarli all'inferno, uno alla volta e nella maniera più rapida e più atroce che potesse immaginare!


 

 

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Capitolo 3
*** Il momento del risveglio ***


Il momento del risveglio 

 
Vivo nel vuoto.
Un vuoto silenzioso e completamente buio, mi sembra di stare sospesa nel nulla, e questo posto mi spaventa. Ho sempre avuto paura del buio, ma di solito riuscivo a scappare via per accendere la luce, ora invece è diverso perché non riesco a muovermi. Ricordo il giorno della festa, Insomnia piena di decorazioni e di gente, il corteo reale. Le mie nipotine che applaudono entusiaste vedendo passare le limousine dai vetri oscurati.
Anna è ancora troppo piccola di statura, non riesce a vedere bene. La prendo in braccio e mi ringrazia stringendomi.
Sorrido.
Ho sempre avuto un rapporto speciale con lei.
Anche con la sorellina maggiore, ma all’epoca della sua nascita ero troppo piccola per capire cosa volesse dire avere dei nipoti. Ero un’adolescente, ultima di tre sorelle, ed ero gelosa perché vedevo i miei genitori impazzire per quel fagotto e trattarmi da grande.
Con Anna invece è stato tutti diverso. Era febbraio, dopo averla vista e averla stretta tra le braccia sono andata sulla spiaggia quasi mai deserta di Galdin, assieme alla mia famiglia, e mentre loro si godevano la giornata esplorando la macchia nei dintorni o curiosando al molo, io mi sono seduta in riva al mare e ho pregato. Ho pregato tanto gli dei di proteggerla, di aiutarla a crescere forte e sana, e di aiutarmi ad essere per lei una roccia, ad esserci sempre ogni volta che ne aveva bisogno.
Poi ho scritto quella preghiera sul mio diario e l’ho conservata, sperando di fargliela leggere un giorno, per fargli capire quanto le ho voluto bene.
Perciò sono felice ogni volta che mi stringe, mi sorride e vuole stare con me. So che presto arriverà l’adolescenza e come tutti sentirà il bisogno di essere indipendente, ma spero comunque di riuscire ad esserci.
Lo spero anche adesso, mentre la stringo e all’improvviso vedo la situazione precipitare. Qui i ricordi si confondono, alcuni svaniscono.
L’unica cosa che so e che improvvisamente vengo colpita. È un magitek, sono circondata da magitek e imperiali armati.
Ho male al petto, non riesco più a respirare né ha tenere gli occhi aperti. Dal destro non ci vedo più, vedo solo il sangue che gronda mentre io cado a terra e sento le mie forze scemare.
I suoni si ottundono, le immagini si offuscano fino a che non rimango completamente sola, nel buio. Subito dopo sento solo qualcuno sollevarmi, poi mi addormento del tutto. Quando i miei sensi si risvegliano, non ho la forza neanche di aprire gli occhi. Mi ritrovo in questo posto vuoto, e nel nulla sento riecheggiare in lontananza come un bip lento e continuo. Cerco di capire da dove provenga ma non vedo altro che il vuoto nero e pronto a risucchiarmi. Davanti e dietro di me, perfino sotto i miei piedi ho il vuoto.
Ho la sensazione tangibile di essere lontana anni luce da me, e per quanto io mi sforzi di aprire gli occhi, di alzarmi e fuggire, sento che non posso farlo. Non so più come fare. Il mio corpo sembra una macchina impazzita che non risponde più ai comandi e improvvisamente vado nel panico. Sento alcune voci, lontane come quei bip che ora si confondo con loro; dicono che sono in coma da … quanti giorni?
Riconosco la voce preoccupata di mia sorella che chiede se posso sentirla. Certo che posso, Monica! Posso, e non sono in coma!

E’ assurdo, come posso esserlo? Non ho sentito nulla, l’impatto non deve essere stato così violento. Mi ribello, cerco di muovermi ma non succede nulla, e sembra che il vuoto intorno a me cominci a risucchiarmi.
E che vogliono dire adesso queste tue parole? Perché parli come se dovessi morire da un momento all’altro?
Mamma? Cos’è successo alla mamma? Christine? Le bambine?? Anna!
Cosa le è successo? Perché fa così freddo qui!?
Cado in ginocchio e vorrei urlare, ma non ci riesco. Sono bloccata qui.
Mia sorella mi prende la mano, o almeno … credo sia a questo che devo attribuire tutte le sensazioni che sento adesso.
Avverto il suo calore, la stretta dolce delle sue dita attorno alle mie, e vorrei supplicarla di portarmi via di lì, a casa.
Ma non riesco ad aprire bocca. Non posso comunicare, non riesco nemmeno a stringerle la mano mentre la sento sussurrarmi di stare calma, che tutto andrà bene.
Ho paura del buio.
Ho paura Monica, portami via! Portami dalla mamma, per favore! Portami da Anna. Dov’è? Fammela sentire. Voglio sentire la sua voce…
Sigh…
Ho solo venticinque anni, non posso morire così...
Portami a casa, ti prego! Dì alla mamma che sto bene, che voglio un suo abbraccio, voglio vedere un suo sorriso!
Vorrei piangere, e invidio quella lacrima che è riuscita a sfuggire al mio controllo e che ora mi sta sfiorando la guancia. La immagino scivolare lenta fino a metà, e poi ripiegare dolcemente verso il cuscino mentre cerco disperatamente un modo per raggiungerla. E all’improvviso il vuoto si riempie. Succede tutto così, in silenzio, con la stessa rapidità di un battito di ciglia.
Prima ero avvolta da buio e adesso sono in una stanza buia, e una piccola luce illumina una vecchia porta in legno verniciato di nero lucido.
Mi guardo intorno, confusa e stranita.
Almeno adesso posso guardare dove cammino ma … questa stanza ha un’aria così familiare.
È piccola, lunga e stretta; le pareti bianche sono completamente spoglie, tranne che per la parete alla mia sinistra, su cui è adagiato un vecchio mobile d’antiquariato.
Un momento … ora la riconosco! È casa mia! La vecchia casa in campagna in cui sono nata, e che abbiamo abbandonato quando avevo dodici anni per trasferirci in città. Ad Insomnia.
Il mio cuore si gonfia di lacrime mentre allungo una mano e sfioro la parete fredda e irregolare.
Non ci posso credere, mi manca il fiato mentre sento quei ricordi farsi di nuovo vividi sotto i miei occhi e il passato ritornare in questo mio strano presente.
Ho fatto tanto volte questo esercizio di immaginazione per sentirmi al sicuro, visualizzare di trovarmi nella nostra vecchia casa in campagna mi faceva sentire protetta e calmava i miei attacchi di panico, ma stavolta non è solo un’immagine lontana e statica.
Sento la superfice fredda, spessa e irregolare del muro bianco sotto i polpastrelli, vedo tutte le sue piccole imperfezioni.
C’è un piccolo mobiletto in legno a metà corridoio, lo sfioro e sento le lacrime raggiungere immediate i miei occhi. E’ tutto come lo ricordavo, tutto come lo abbiamo lasciato.
Le sensazioni, i profumi, i colori. Perfino la luce, quella forte e rassicurante del mattino. Proviene dalla porta aperta del piccolo soggiorno, dove stanno ancora il divano di vecchia pelle consunta coperta da un bel copridivano verde chiaro con ghirigori floreali, la meravigliosa credenza in legno laccato e la piccola libreria in stile industriale, essenziale ma funzionale.
Mi affaccio soltanto a guardare.
Al centro della stanza, sul nudo pavimento in piastrelle di ceramica che sembrano composte da cemento ingiallito e vecchie pietre, troneggia il rustico tavolo in legno levigato, rotondo e allungato, mentre dall’ampio finestrone entrano prepotentemente la luce del sole del mattino e i rumori della campagna risvegliata.
Non posso non accorrere a fare di nuovo quello che facevo da bambina, quando nonostante il solo metro e mezzo di altezza dell’infisso dal pavimento mi arrampicavo sulle punte o saltavo su una sedia per godermi l’incantevole spettacolo in prima fila, durante mattinate di pioggia o assolati pomeriggi estivi.
Mi fiondo alla finestra, la spalanco e un sorriso meravigliato e incantato ritorna a risplendere sul mio volto. Oh, per tutti gli dei!
Non ci posso credere! Non … io non riesco a crederci, non riesco a credere di essere finalmente tornata!
Quanto tempo ho aspettato, per quanto tempo sono stata in attesa che tutto questo accadesse, sognando durante cupi pomeriggi immersa nel caos cittadino di essere qui dove sono ora, a casa mia, osservando tutto questo!
Gli alberi di agrumi di fronte a me sono rigogliosi e verdi, un piccolo boschetto delle meraviglie proprio di fronte casa il cui agrodolce aroma si leva verso il cielo terso sopra il tetto di tegole rossicce e verso di me, risvegliando i miei sensi troppo a lungo sopiti.
Chiudo gli occhi e inspiro quella pace troppo a lungo negata, accolgo la carezza del vento della mia terra e a poco a poco mi sciolgo, inizio a piangere di gioia mentre ascolto il canto dei fringuelli, il dolce frusciare delle foglie, la morbida carezza dei raggi solari.
Ben presto la mia voglia di ritrovare il contatto con la mia Madre Terra si fa viva, incontenibile, e allora mi dirigo di nuovo verso quella porta, che non è nera ma marrone scurissimo, la apro e mi dirigo fuori, nel piccolo patio lastricato, calpestando il cemento e le mattonelle che fu mio padre stesso a posare.
Lo ricordo come fosse ieri, e magari è anche così visto che il solito tavolo è ancora lì, appoggiato al muro della vecchia cascina proprio a pochi passi da dove mi trovo io.
Mia madre lo ha coperto con una tovaglia di plastica a quadretti rossi e bianchi, e ci ha messo su un grande cesto di olive e un ammaccatoio, ma pur apprezzando la loro famigliare presenza continuo a guardarmi intorno e ad abbeverarmi di tutto questo.
La luce del sole illumina pienamente la facciata della casa, sulla parete del tavolo cresce spontaneo un viticcio di uva nera selvatica.
Ne colgo un chicco e lo assaporo gustandone la sapidità dolciastra e intensa. Mhhh, che delizia! Non sono mai più riuscita a mangiare un chicco d’uva così buono!
Poi scendo nel boschetto, mi perdo tra i piccoli alberi di limoni, mandarini e aranci, ne accarezzo i frutti pieni di un arancio e un giallo quasi spendenti, arrivo al limitare e mi siedo sul ciglio del burrone ad osservare l’orizzonte oltre la mia piccola tenuta, fatto di dolci colline, monti lontani e, in alto sopra tutto questo, ancora e sempre un cielo azzurro e vivo come poche cose a questo mondo.
Si, perché la mia terra non è solo terra.
E’ potente, calda, giocosa, accogliente, sensuale.
E’ una madre generosa, una donna bellissima e capricciosa, una rossa signora che un giorno, quello in cui sono nata, mi ha guardato e mi ha stretto a sé, insegnandomi tutto quello che so, e aiutandomi ad essere ciò che sono oggi.
Io sono la mia terra, mai nessuno potrà togliermi tutto questo.
La mia terra…
Dolce, ribelle, selvaggia eppure materna, comprensiva, impetuosa, volubile.
Non importa a chi appartiene adesso, non importa di chi sia questa casa, sulla carta.
Questa voce corre verso di me nel vento, la sento sussurrare il mio nome, e la sua essenza mi appartiene come a lei appartengono tutte le cose che faccio, tutti i miei sorrisi e i miei sospiri, le mie ricette e i miei scritti, perfino i miei sogni.
E così oggi, dopo tantissimo tempo, sono ritornata nella mia terra, nella casa dove sono nata e che lasciare mi ha spezzato il cuore, letteralmente visto che ero ancora piccola e nel pieno del mio processo evolutivo.
Il fatto è che non è importante la casa, o la terra annessa.
È proprio quel territorio a chiamare, la natura intorno, i ricordi.
La casa è un rudere, piccola e ora anche abbandonata e in decadimento.
Ma ho chiuso gli occhi e ho respirato il suo fiato e il profumo degli alberi, e di nuovo l'ho sentita quella voce inconfondibile, fatta di suoni, odori e silenzi.
Perfino il calore dell'aria è unico, solo suo. E’ di questo che parlo, è stata quella voce a crescermi dentro, a fare di me ciò che sono oggi. Sono convinta che perfino la mia passione per la scrittura, la mia fantasia, anche la mia sensibilità, li devo a lei.
Questa meravigliosa donna dai capelli rossi bella da mozzare il fiato, superba, bizzosa e dolce più di una madre.
Sarà per sempre mia, ovunque sarò. Nei miei racconti, nei miei piatti, in ogni mio più intimo pensiero, nelle mie lacrime e nei miei sorrisi. In ogni mio più piccolo gesto e in ogni respiro.
La mia Madre Natura, non importa ciò che dice o dirà la gente, non conta niente fino a che io e lei riusciremo ad ascoltarci.
E così qui, cullata dalla sua dolce voce e accarezzata dal suo respiro caldo, chiudo gli occhi ancora una volta e intrappolo quel cielo azzurro dentro alle mie pupille, tornando a poco a poco a sognare, mentre il cuore si calma e i muscoli si distendono.
Non so come questo sia stato possibile, non so se è un sogno o realtà.
Ma Lei mi sta parlando, ed era da tantissimo tempo che volevo ascoltarla di nuovo.
 
 
\\\
 
Insomnia è deserta, devastata.
Mi sento irrequieta come un cucciolo spaventato mentre mi guardo intorno sorpresa e sconvolta, chiedendomi grazie a quale miracolo io mi trovi qua.
Mi ritrovo circondata da mura sconosciute, al sicuro in mezzo alle macerie della mia città.
Assieme a me altri sconosciuti, di ogni età e ceto, tutti terrorizzati e sperduti quanto me. Poco rassicurante è usare un eufemismo bello e buono.
E’ una stanza piccola, sembra il corridoio di un piano dentro un grattacielo, oppure no è una stanza dentro ad un appartamento di un grattacielo.
Non lo so, non capisco e ho ancora più paura.
So solo che fuori c’è la guerra, e oltre le vetrate delle finestre il tramonto cala su una Insomnia caduta, ormai priva di vita.
Mi affaccio a guardarlo e rimango sgomenta. Il cielo è rosso sangue, c’è un silenzio tombale rotto solo da qualche sparo ogni tanto, lo scricchiolio del fuoco delle macerie e i passi lontani dei magitek.
Arretro e scappo, vado in cerca dei miei nelle altre stanza della casa.
Oltre una porta è ancora più buio, ogni cosa è caduta. Sento i versi dei daemon in lontananza oltre una porta di emergenza spalancata e penso solo che sono sempre più vicini e che devo fare qualcosa se voglio salvare me e gli altri rifugiati. Non riesco a muovermi però, sono paralizzata dalla paura.
Non ho mai visto un daemon in vita mia, non dal vivo almeno. Ma i loro versi sono raccapriccianti e voglio solo che smettano, perciò forzo me stessa e corro a chiudere la porta, sbarrandola con quello che trovo sotto mano. Fatto, ora non potranno entrare, o almeno spero.
Mi accascio con la schiena contro l'uscio, chiudo tremante gli occhi e traggo un respiro di sollievo nel constatare che perfino i loro versi angoscianti sembrano rimasti fuori.
Poi però un dubbio balena alla mia mente: E se lo avessero già fatto? Se fossero già riusciti ad oltrepassare la soglia e mi stessero aspettando nell’ombra.
Ricomincio a sudare freddo, spalanco gli occhi alla ricerca dei loro ma tutto ciò che vedo è semi oscurità e macerie.
In questo piccolo corridoio una volta dovevano esserci almeno tre stanza, ma una è stata travolta dal tetto, l’altra completamente cancellata. Solo la terza, la cui porta è proprio alla mia destra, è ancora intatta, e da lì sento arrivare un ronzio sinistro e per niente rassicurante.
Sembra come se qualcuno stia russando, ma c’è uno strano sibilo a intermittenza che mi confonde e mi inquieta.
Eppure mi faccio forza, supero la soglia ed entro nella piccola camera da letto. Forse è qualcuno che conosco, magari sa dove si trovano mia madre, le mie sorelle e le mie nipoti. Spero che Anna stia bene, per gli dei! Tremo al solo pensiero di saperla sola e spaventata la fuori, o peggio ancora circondata dai daemon oltre quella porta!
Ma non ho sentito urla o voce di bambina, quindi mi cullo nel dubbio che non si trovi là.
Ora ho altro a cui pensare. Mi guardo intorno e noto subito che il russare è dovuto ad una donna che dorme nel letto matrimoniale di fronte a me. E’ la sola nella stanza, ha lunghi capelli neri e un viso emaciato, nascosto in parte da esso.
Di fianco a lei un piccolo cagnolino che sembra un cocker dal pelo chiaro, se ne sta buono ad aspettare, mi guarda con occhietti sicuri e per un attimo mi sento tranquilla. Ma dura poco.
Mi mette i brividi, sembra faticare a respirare e dopo ogni espirazione un sibilo sinistro si leva dai suoi polmoni. Mi accorgo di non riuscire a smettere di guardarla.
Ha qualcosa di famigliare, ma non voglio stare un attimo di più a guardarla, mi inquieta e sono talmente suggestionata che mi sembra di essere nelle sue stesse condizioni, mi sento mancare il respiro e tossisco mentre mi dirigo fuori, lasciandola sola.
Torno verso la luce, verso i sopravvissuti. Ormai per lei non c’è più niente da fare, anche se mi dispiace non molto non esserle di alcuno aiuto. Vorrei, ma non posso fare nulla.
Avviso tutti della presenza dei Daemon e propongo di uscire.
 
-Se restiamo prima o poi ci troveranno e saremo in trappola, dobbiamo andarcene.- dico.
 
Tutti quanti sembrano convincersi, ma qualcuno mi avvisa che fuori ci sono i soldati e le strade sono pericolose.
 
-Se ci trovano potrebbero ucciderci.- mi dice un uomo dall’aria greve e il volto scavato solcato dalle rughe.
 
Cado di nuovo nell’incertezza ma riesco stranamente a cavarmela.
 
-Usciremo a gruppi, le porte della città non sono distanti da qui.- dico determinata –Le donne e i bambini dietro agli uomini.-
 
Meglio uccisi da un magitek che divorati da un daemon, l’essenza stessa della paura. Su questo non ho dubbi, forse è questo a farmi risultare sicura, ha darmi la sensazione di essere invincibile.
Non voglio morire, o almeno non voglio farlo con gli occhi demoniaci di una creatura della notte puntati nei miei.
Li vedo annuire, il primo gruppo è quello che include anche me.
Ciò che troviamo all’esterno è il vuoto, lo sconforto e la devastazione più totale.
Ci sono macerie, comignoli di fumo e cadaveri ovunque, ogni tanto si sentono i passi di un magitek e ci fermiamo a ripararci dietro un muro, irrigidendoci.
Ho il fiato corto dalla paura e il cuore in gola.
Guardo il cielo sopra di noi, oltre i tetti mozzati dei grattacieli, e con angoscia vedo che sta scolorendo. Presto sarà buio, e i daemon ci raggiungeranno anche qui, non so se è una buona scelta andarsene adesso.
Forse avrei dovuto aspettare, forse restare con quella donna malata e il suo cagnolino in attesa dell’alba era la scelta migliore, ma adesso non posso più guardarmi indietro.
Continua ad avanzare muovendomi nell’ombra per tutto il percorso, un lungo rettilineo.
Poi finalmente intravedo i cancelli aperti e non so cosa mi prende, letteralmente impazzisco, corro fuori dal mio nascondiglio verso la mia via di fuga, la salvezza, e me ne frego dei magitek che si voltano a guardarmi puntandomi contro i fucili, ma senza sparare.
Non mi chiedo neanche perché non mi abbiano già fucilato.
Esco, e vedo le colline oltre Insomnia, gli ampi spazi, la libertà!
Sono libera, sono salva. Come … come faccio?
Come ho fatto ad essere salva dall’inferno sceso in terra?
Cado in ginocchio baciando terra, e nemmeno per un istante mi concedo anche solo un singolo dubbio. E’ così bello essere vivi! Così bello essere qui, che se tutto questo è solo un sogno, la mia strada verso il paradiso vero e proprio, vi prego di non svegliarmi per nessuna cosa al mondo.
Non svegliatemi, vi prego!
Lasciatemi ancora qualche istante per respirare l’aria melanconica di questo tramonto insanguinato che mi vede trionfatrice e superstite.
 
***
 
Altri tre giorni e mezzo trascorsero, dalla fatale operazione che come i medici avevano previsto costò la vita a Monica Baker.
La notizia raggiunse Iris come un terremoto e la sconvolse ancor di più.
Le aveva incontrate da poco, ma si sentì come se avesse perso anche lei una sorella, in colpa e devastata.
Monica le aveva fatto promettere di prendersi cura di Alexandra se le cose fossero andate male.
Fu questo a tenerla saldamente ancorata alla sua solare positività.
Non tutto era perduto, poteva ancora fare del suo meglio. Si sentiva in colpa, anche se sapeva bene che le disgrazie che avevano colpito Alexandra erano tutte da attribuirsi solo all'Impero.
L'Impero, già.
Niflheim era diventato una irritante presenza nella vita di tutti i giorni, non solo per lei ma per tutti quelli come loro, che a causa degli imperiali avevano perso casa, famiglia e le persone a loro più care.
Ripensò a Noctis e a Re Regis, che aveva cercato in tutti i modi di evitare il peggio, passeggiò nei corridoi dell'ospedale nel tentativo di scacciare l'angoscia ascoltando i racconti dei profughi, ed ogni storia che si aggiungeva a quel quadro peggiorava ancora di più la situazione.
Era sempre stata una ragazza solare e spensierata, anche se nascondeva un animo romantico e riflessivo.
La guerra e tutte le sue conseguenza adesso, almeno per il momento, le avevano portato via quel sorriso, spegnendolo e rendendolo artefatto quando provava a riportarlo sulle sue labbra.
I primi ad accorgersene ovviamente furono Jared e suo nipote, Talcott.
Il bambino, già una piccola guardia reale in quanto a senso di responsabilità, cercava senza trovarlo un modo per aiutarla.
Le portava il pranzo e la cena, visto che lei non si azzardava a lasciare il capezzale della giovane Alexandra temendo che si svegliasse da sola o che succedesse qualcosa di terribile nel frattempo viste le misere condizioni in cui versava.
Tubi per facilitarle la respirazione, per idratarla e nutrirla, tubi per tenerla collegata alle macchine.
Ormai non si riconosceva nemmeno più, mentre il suo aspetto cambiava, emaciandosi, e il suo respiro si faceva sempre più affannoso.
Un giorno, mentre lei era fuori dalla stanza a parlare col primario, aveva avuto una crisi respiratoria e aveva fatto andare in agitazione praticamente mezzo reparto.
Iris era rimasta fuori a piangere a singhiozzi mentre osservava i medici affannarsi attorno al corpo scosso dai tremiti e dai singulti.
Per fortuna era passato, i medici le avevano detto che era normale e che crisi come quella avrebbe dovuto aspettarsele anche dopo che si fosse svegliata, soprattutto nei primi tempi.
Ma proprio la paura che ricapitasse l'aveva tenuta sveglia.
Aveva pregato gli dei per lei, perché le dessero la forza di riuscire a farcela.
Ma intanto la sua di forza stava lentamente scemando.
Se solo Gladio fosse stato con lei.
Spesso tornava indietro con la menta alla loro ultima cena di famiglia.
Le mancavano da morire, ma badare ad Alexandra la aiutava a non pensare ai suoi di guai.
Tuttavia ... Quanto avrebbe voluto avere almeno suo fratello vicino!
Aveva preferito non dirgli nulla e sentirlo solo per messaggio, per non farlo preoccupare.
Era già un sollievo fossero riusciti a salvarsi, loro quattro.
Anche quel giorno Iris Amicitia lo aveva passato seduta al capezzale della ragazza, leggendo, guardandola e pensando, mentre il sole sorgeva e poi discendeva nel cielo di Lestallum, oltre il vetro della finestra della stanza.
Attenta ad ogni minimo segno del corpo della ragazza, aveva visto prima le palpebre battere e poi un dito della mano destra muoversi, ma non si era allarmata più di tanto.
Già un paio di volte nel corso di quei tre giorni c'erano stati movimenti simili da parte della paziente, ma poi il medico aveva scosso il capo grave.

-È ancora troppo presto, evidentemente. Però siamo sulla strada giusta.-

Le avevano fatto diversi esami, encefalogrammi e TAC, erano giunti alla conclusione che in quei momenti la paziente si stesse limitando a sognare.

-L'attività celebrale è buona, un ottimo segno.-

Però ancora il momento del risveglio non era arrivato, anche se ad ogni giorno che passava i medici erano sempre più fiduciosi.
Le analisi odierne avevano dato ottimi risultati.

-Il respiro sembra essersi quantomeno regolarizzato, quel leggero fischio che sentiamo è dovuto alla difficoltà dei polmoni di compiere i propri movimenti. Anche i valori sanguigni sono buoni, ormai il corpo ha assorbito il colpo.-

Erano a buon punto sulla strada del ritorno a casa, dunque.
Ripensando fiduciosa a quelle parole Iris la guardò e sospirò stanca, sorridendo appena.
Si allungò verso di lei, prendendole una mano.

-Forza, Alex. Un ultimo sforzo e torni tra noi, coraggio... Non sarai sola, te lo prometto.- aggiunse poi, sentendo il peso della stanchezza e della tristezza farsi di nuovo pesante sopra al proprio minuscolo corpo.

In fondo aveva solo 15 anni, eppure sembrava già più grande della sua età.
Anche Alexandra lo sembrava, adesso.
Colpa dei capelli sudati e ingarbugliati appiccicati al cranio, delle cicatrici e delle profonde occhiaie.
Colpa della guerra, che aveva strappato troppo a entrambe.
Si alzò, andò alla finestra ad osservare il tramonto e si perse in quei colori, in quel meraviglioso rosso acceso che infuocava il l'orizzonte e rifulgeva riflettendosi sul meteorite della Faglia di Cauthess.
Sospirò, perdendosi nei suoi pensieri, e a poco a poco sentì la mente prendere il volo e librarsi per qualche attimo via da tutte quelle ansie e quelle disgrazie.
Tornò indietro agli attimo passati con suo fratello, ai pomeriggi assolati trascorsi ad esplorare Insomnia e il palazzo reale assieme ad un giovanissimo principe Noctis, anche lui ancora privo di paturnie e responsabilità.
Rivide sua madre e suo padre, e lo sguardo anziano e amorevolmente severo di Re Regis.
Per un istante fu come se fossero tornati tutti lì, da lei, a farle coraggio e rincuorarla, trasportati dalla magica luce del sole al tramonto.
La notte li avrebbe portati via, forse per sempre o magari solo fino alla prossima alba, fino a quando avrebbe di nuovo avuto bisogno di loro.
Qualcuno bussò alla porta, quattro colpi decisi, riportandola alla realtà.
Jared entrò col suo passo claudicante e le sorrise.

-Iris, è tanto che stai qui. Hai davvero bisogno di un po’ di riposo.- le disse dolcemente.

Iris gli sorrise a sua volta.
Jared e suo nipote cercavano in ogni modo di alleggerirle il carico da quando questo calvario era iniziato. Il vecchio maggiordomo degli Amicitia le stava vicino come un padre e non era la prima volta in quei tre giorni che le chiedeva di concedersi un po’ di relax.

-Capisco tu sia preoccupata, ma hai solo 15 anni e la situazione è già abbastanza complicata.- le aveva detto il giorno dopo la morte di Monica.

Era riuscito a strapparle così la promessa di andare a dormire in albergo e concedersi almeno un paio di ore al giorno per passeggiare per le strade della cittadina con Talcott, ma comunque ancora non era abbastanza.
Era diventata una donna all'improvviso e troppo presto, e Jared si sentiva responsabile perché l'aveva vista nascere, e aveva conosciuto la sua famiglia ed il loro Re.
Nessuno avrebbe voluto questo per lei, ma l'Impero se n'era infischiato.
Così restavano loro, anzi solo lui, a prendersi cura della piccola come fosse sua figlia. Con suo nipote Talcott in fondo era successa la stessa cosa, ormai era avvezzo a doveri di questo genere e ne sentiva anche l'onore oltre che l'onere.

-Coraggio, usciamo un po’ e andiamo a mangiare qualcosa di buono.- la invitò cordiale e tenero -Ci sono i medici ad occuparsi di lei, ci avviseranno non appena dovesse accadere qualcosa.-

Iris gli rivolse uno sguardo titubante, lanciando rapide e ansiose occhiate alla ragazza.
L'idea di uscire da quella stanza era allettante, ma ... e se si fosse svegliata senza trovare nessuno? Se avesse avuto un'altra crisi?
Dov'erano i medici? Si sarebbero accorti di lei con tutto quello che avevano da fare in ospedale.
Il viso gentile di Jared era rassicurante ma non abbastanza.
Tuttavia ... non ce la fece a resistere a lungo, si sentiva stanca e aveva bisogno di evadere.
Annuì sorridendo, gli occhi lucidi pieni di gratitudine, e si lasciò accompagnare alla porta stretta in un abbraccio rassicurante.
Fuori la attendeva il primario che le disse di rilassarsi e le consigliò di restare a dormire in albergo per quella notte.

-Sarete avvisati non appena avremo novità, ve lo prometto. Adesso devi pensare solo a riposare signorina, d'accordo?-

E lei accettò di buon grado, ormai rassegnata.
In effetti non serviva poi a molto stare lì fino a che Alexandra fosse stata in coma, meglio riposarsi nell'attesa di poter essere veramente utile.
Il tempo sarebbe arrivato molto presto, anzi era già iniziato; così, proprio come sboccia un fiore o una farfalla spalanca le ali a nuova vita, un'ora dopo, mentre la giovane Iris Amicitia si concedeva un po’ di giusto riposo, gli occhi di Alexandra Jane Baker si riaprirono al mondo, rivelando al corpo la propria, all'apparenza contraria metamorfosi.
Da splendida farfalla a bruco un po’ ammaccato, senza più ali di sogno per volare e con gli occhi un po’ troppo offuscati per potersi guardare intorno.
Era quasi impossibile crederci, che una cosa del genere fosse accaduta.
Impossibile accettare che fosse accaduta proprio a lei, che si era guadagnata la felicità con così tanta fatica, e in un attimo l'aveva vista svanire.
Impossibile, ingiusto.
Ma la realtà a volte sapeva essere crudele quanto l'Impero di Niflheim e quell'uomo di nessuna conseguenza, il suo vendicativo cancelliere le cui mani ora erano piene del sangue di tutti loro: Ardyn Izunia.

Anzi, con lei era stata anche troppo clemente.
 
\\\
 
Il leggero battito del suo cuore.
Come prima cosa fu questo ciò che Alexandra Jane Baker sentì, ancor prima di riaprire completamente gli occhi.
Era stata per molto immersa in un mondo fatto di ricordi e pace, ma non aveva potuto scacciare la terribile sensazione di non essere nel posto giusto, nel tempo giusto.
Aveva continuato a vivere in quel mondo lontano dal mondo, poi all'improvviso si era sentita come sollevare e a poco a poco il peso del suo corpo l'aveva riportata a terra.
Era stata una sensazione dapprima stranissima e bella, come riappropriarsi del proprio corpo, poi sempre più angosciante, quando fitte di dolore sempre avevano iniziato a farsi sempre più presenti, assieme alla sensazione che qualcosa non andasse.
"Forse..." si disse "Sarà perché sto dormendo e tutto questo non è che un sogno dal quale devo svegliarmi."
Ma qualcosa non andava. Che centrava comunque tutto quel dolore con lei?
Doveva capire, sapeva che solo andando oltre la paura sarebbe riuscita a farlo.
Così si aggrappò a quelle sensazioni e lentamente riemerse, risalendo a fatica, fino a quel momento tanto atteso.

Riaprì gli occhi, lentamente, e cercò di guardarsi intorno.
La visuale era offuscata come i suoi sensi, lì per lì non le fu facile neppure accorgersi della differenza fra il prima e il dopo. Si sentiva un peso morto sopra quello che doveva essere un letto di ospedale. Una piccola camera con un finestra che dava su una cittadina a lei sconosciuta.
Era sera, faceva appena un po’ caldo ma l’aria era umida e appiccicosa.
Si guardò le mani, non seppe nemmeno perché lo fece, e scoprì così che qualcuno le aveva tolto occhiali e l’anello di fidanzamento e li aveva appoggiati sul comodino alla sua destra.
Ecco perché non riusciva a vederci, era senza occhiali!
Debole sollevò un braccio verso di loro e tremante riuscì ad afferrarli, li inforcò e quella sensazione assurda tornò.
No, così non andava per niente bene. Ora era sicura, ci vedeva da solo un occhio: Perché?
C'era qualcosa che glielo impediva, tolse gli occhiali e allungò l'altra mano verso il viso, ma oltre ad accorgersi di non poter usare quel braccio a causa di una flebo, di avere una benda sulla mano e di essersi fatta anche abbastanza male nel maldestro tentativo di muoversi, si rese conto di essere in condizioni pietose.
Guardò in basso e vide il proprio petto fasciato, scoprì che era proprio una bendatura ad impedirle la vista e che quel sibilo che aveva sentito per tutto il tempo era in realtà il suo respiro, mozzato e affannoso ora più di prima.
All'improvviso si rese conto di essere lei quella donna del suo sogno, ma nessun cane le stava accucciato al fianco.
Era ferita mortalmente, ricoverata in una città sconosciuta.

Così Alexandra Jane Baker riaprì gli occhi alla vita, e la prima cosa che udì fu il silenzio, rotto solo dal ticchettio inesorabile dell'orologio sul comodino.
Era sola, esclusivamente di questo si accorse. Sola e disperata
in una stanza buia d'ospedale, senza più nulla al mondo.
Come avevano fatto gli dei a dimenticarsi della sua esistenza, quel giorno ad Insomnia? Forse erano davvero troppo preoccupati a difendere il loro prescelto?

Ad un tratto sentì il peso di quella verità travolgerla, mentre cercava di ricordare come ci fosse arrivata i ricordi nella sua mente esplosero tutti insieme e i battiti del suo cuore iniziarono ad accelerare, la macchina collegata a lei ne registrò le pulsazioni, e il panico a crescere sempre di più.
In meno di qualche secondo le luci si accesero e si ritrovò circondata da medici ed infermieri.
Le fecero tante rassicurazioni e domande affannandosi a cercare di calmarla, dietro alle loro mascherine verdi per qualche istante le sembrò di vedere riflesso il terrore e questo non fece che peggiorare le cose.
Tutti i suoi peggiori incubi, erano tutti lì, si erano materializzati per divorarla.
E la sua famiglia?
E Ignis?
Dov'erano?
Monica, sua madre e le sue nipotine, sua sorella Christine. La piccola Anna col suo sorriso innocente.
Scomparso, per sempre.
Uccise da un magitek imperiale.
No.
La sua memoria non poteva avere ragione.
"Mr. Scientia, almeno tu, riesci a spiegarmi che sta succedendo?"

-Alexandra, stia calma. Va tutto bene adesso, non si agiti o dovremo praticarle un altro anestetico.-

Niente Mr. Scientia.
A parlare per lui, ma in maniera molto meno rassicurante seppur sforzandosi di esserlo, stavolta fu un uomo alto e brizzolato dai capelli neri macchiati di bianco e un tesserino che lo presentava come primario del reparto di chirurgia intensiva.
Lo guardò negli occhi, grigi ed espressivi, iniziò a tossire e sentì i polmoni infuocarsi.
Un dolore atroce la colse, come se qualcuno glieli stesse strappando dal petto.
Un infermiere le mise davanti alla bocca una mascherina che iniziò a soffiarle nelle narici aria depurata, e come predetto il dottore fu costretto a praticarle un'altra anestesia.
Chiuse gli occhi quasi istantaneamente, quando si svegliò di nuovo stavolta era giorno e c'erano alcune persone accanto a lei.
Un vecchio dall'aria gioviale e rassicurante, un bambino che gli sedeva vicino e parlava fitto fitto a bassa voce con lui, sorridendo divertito ogni tanto, e una ragazzina, capelli a caschetto e un viso gentile, in quel momento puntato su di lei. Sembrava preoccupata, ma quando la vide riaprire gli occhi sfoderò un bel sorriso contento e sollevato.

-Oh, ti sei svegliata!- esclamò, applaudendo.

Alexandra sentì il cuore battere un po’ più veloce in petto, non che avesse paura ma sembrò quasi che gli fosse mancato qualche battito. Una aritmia che si ripeté più volte nel corso di quei minuti.

-Oh, bene.- disse il vecchio, staccandosi dal ragazzino e avviandosi verso la porta -Vado a chiamare il medico.-

Il bambino le si avvicinò e le pose una mano sul braccio, sorridendole premuroso.

-Come ti senti? Vuoi un po’ d'acqua? È fresca.- disse mostrandogli una bottiglietta d'acqua minerale che era appoggiata sul comodino assieme al resto.

Alexandra ci pensò su per qualche istante, guardò la bottiglia e si accorse solo allora di quanto fosse una buona idea.
Acqua fresca, si!
Aveva la gola riarsa, sembrava aver ingoiato fuoco.
Annuì, sforzandosi di sorridere per ringraziare dopo che il giovane la ebbe accontentata accostandole la bottiglia aperta alle labbra e aiutandola a bere.

-Grazie ...- mormorò.

Il ragazzo sorrise e annuì, lo stesso fece la giovane dall'altro lato del letto.
Fu a lei che Alexandra si rivolse, chiedendole con la poca voce che riuscì a trovare.

-Chi siete voi?-
-Io mi chiamo Iris.- sorrise la giovane -Iris Amicitia. E lui è Talcott, mentre quel signore anziano che è appena uscito è suo nonno Jared Hester.-
-Amicitia ...-

Mormorando quel cognome Alexandra si intristì di colpo, in balia di nostalgici pensieri.
Iris la guardò estraniarsi, osservò i suoi occhi lucidi e dopo una breve occhiata a Jared le propose.

-Hai fame? Vuoi qualcosa da mangiare? Il medico ha detto che puoi provare a mangiare qualcosa se vuoi, e qui a Lestallum ci sono un sacco di cose squisite.-

Di nuovo una leggera aritmia la costrinse a chiedere la maschera per l'ossigeno.

-Siamo a Lestallum?- chiese stupita.

Era lontano da Insomnia. Molto lontano.

-Mh. Si, esatto.-  rispose Iris cercando di mostrarsi serena e cordiale.

Anche se aveva appena capito di essere sulla strada per la fatidica domanda, e non era pronta a rispondere.
Nessuna delle due era pronta a questo.

-Da quanto tempo?- chiese infatti Jane Baker, poi ancora -Dove sono Monica, mia sorella, e mia madre?-

Li vide scurirsi entrambi e già quella risposta muta non le piacque.

-D'accordo, da qui in poi ci pensiamo noi.- intervenne il medico che aveva conosciuto la sera precedente e che aveva ascoltato tutto dietro la porta assieme a Jared e ad una giovane dottoressa con una lunga coda e un paio di occhiali tondi sul naso.

-Posso chiedervi di uscire un istante? Potete pure rimanere fuori alla porta in attesa.- disse a Talcott e Iris.

Annuirono e la lasciarono sola con loro.
Aveva già capito tutto, e le lacrime erano già pronte ad esplodere. Ma ancora resisteva, aggrappandosi alle lenzuola sotto le sue mani.

-Allora signorina Baker, come si sente oggi?- fece il medico sedendosi al posto di Iris.

Una smorfia si dipinse sul suo volto.
Guardò la dottoressa dietro di lui e le si rivolse direttamente con disprezzo.

-A che mi serve una psicologa? Lo so già, ho perso tutto.-

Parole che lasciarono di stucco entrambi i medici, e nel breve attimo di gelo lei proseguì con le sue domande che ormai erano quasi retoriche.

-Insomnia è distrutta, vero? Casa è solo un mucchio di macerie. E loro ... Mamma ... Monica ... Sono morte, è così?- la voce gli morì in gola nel pronunciare quei nomi, i ricordi le fecero pungere gli occhi, o per meglio dire l'unico occhio dal quale riusciva ancora a vedere -Ditemi la verità, non trattatemi come una bambina o una malata di mente, sono stanca di essere vista in questo modo!- sbottò rabbiosa, e le lacrime presero a sgorgare senza che le potesse fermare, come un fiume in piena strariparono sul suo viso magro e pallido -Cos'altro ho perso dottore, me lo dica...- lo supplicò, e avrebbe voluto continuare a sfogarsi ma di nuovo il respiro si fece talmente pesante da costringerla a tossire per non soffocare, e quando lo fece un dolore lancinante al petto la ferì. Era come ricevere una pugnalata ogni volta.
Faceva un male cane.
Il medico si alzò per soccorrerla, le diede una pillola da sciogliere sotto la lingua che le promise l'avrebbe aiutata a calmare la crisi e le rimise la mascherina regolando il getto di aria. Sentì l'odore agrodolce e pungente del cortisone avvolgerle il naso, tossì ma stavolta fece meno male.
Si sentì subito meglio, ma continuò a piangere, in silenzio.
Il primario e la psicologa si guardarono seri ed annuirono.

-Va bene, Miss Baker.- disse l'uomo, tornando a sedersi -Non le negherò la verità ma la prego di fare uno sforzo per mantenersi calma. Lo dico per lei, un forte stress emotivo potrebbe esserle nocivo. In qualsiasi momento può bloccarmi e chiedermi di interrompere la nostra conversazione, d'accordo.-

Alex sospirò. Batté la testa contro il cuscino e annuì, ingoiando le lacrime. Cos'altro poteva fare? C'era un modo per uscire da quell'incubo, per svegliarsi subito?
Perché lo era, vero?
Era un sogno dal quale prima o poi si sarebbe svegliata, giusto?
Pregò fortemente che fosse così, mentre ascoltava il medico tornare a parlare.

-Lei e sue sorella siete arrivate qui in condizioni disperate, vi hanno scortato degli angoni che sono ripartiti subito dopo e a vigilare è rimasta la signorina Amicitia con i signori Hester, vostri compagni di viaggio.-

Jane Baker sentì di nuovo il cuore farle le capriole in petto.

-Eravamo solo io e mia sorella?- tornò a chiedere seria, alzando la testa.

Il dottore annuì in silenzio, dispiaciuto.

-E Monica dov'è adesso? Perché non è qui?-

"Lascia perdere Alex, la sai già la risposta."
L'uomo sospirò.

-Purtroppo non siamo riusciti a salvarla ...- mormorò, sgomento e triste.

Era davvero dispiaciuto, glielo si leggeva in faccia.
Le lacrime sul viso di Alexandra furono come acido, bruciarono sulla pelle e scesero a bagnare la mascherina, mentre il suo volto rimase serio e inespressivo come quello di una statua.
Guardò il medico, ma la sua mente tornò indietro agli ultimi istanti con loro.
Monica, Anna, Christine, sua madre ...
Non riuscì a pensare ad altro, mentre la sua mente sprofondava sempre di più nel baratro dei ricordi.

-Vi ha lasciato una lettera.- tornò a parlare il primario, indicando una busta chiusa sul comodino che lei aveva già adocchiato ma che ora non ebbe il coraggio di tornare a guardare.

Le lasciò qualche minuto. Poi vedendo che non reagiva la psicologa provò ad incoraggiarla.

-Miss Baker, non abbia paura. Noi siamo qui per lei.-
-Non ho paura ...-

Un sussurro quasi sfuggito alla sua mente. Tremulo. Appena percettibile.
Con gli occhi lucidi fissò le sue ferite e trattenne le lacrime.
Sospirò più volte, maledicendo la sua sfortuna in silenzio.
Poi si fece coraggio e concluse, tornando ad alzare gli occhi verso il medico.

-Quindi adesso ... che si fa? Resterò cieca?-
-No, potrebbe non restarlo.- si affrettò a rispondere il dottore
-Che significa potrei?-
-Dipende tutto dai prossimi esami. Abbiamo evidenziato una lesione lieve al nervo ottico, ma fino ad oggi non abbiamo potuto testare la sensibilità dell'occhio perché lei era in coma. Ora che si è svegliata potremmo concludere con certezza tutto l'iter. Anche per la gamba dovrebbe risolversi tutto in qualche mese, anche se probabilmente potrebbe restarle una lieve zoppia.-

Alexandra batté le palpebre sorpresa.

-La gamba?-

Alzò un po la coperta per poter guardare in che condizioni era e si accorse che in effetti era fasciata da una bendatura piuttosto spessa. Si chiese come avesse fatto a non accorgersene prima.

-È stata ferita da un proiettile.- le spiegò il medico, omettendo di proposito il fatto che in una maniera simile sua sorella aveva perso la vita -Ma per fortuna i danni non sono gravi, potrà tornare a camminare molto presto.-

Alexandra tornò seria a fissarlo. Sospirò, arresa.

-Cos'hanno invece i miei polmoni che non va?-

Il primario sospirò di nuovo, una reazione che non le piacque per niente.

-La loro è una situazione più complicata...- iniziò titubante.
-Vada al sodo.- tagliò corto lei.

Aveva sempre trovato irritante l'esitazione, in ogni circostanza.
Adesso era perfino insopportabile.
Cos'altro avrebbe potuto ferirla più delle notizie che già aveva ascoltato?
Era rimasta sola al mondo, non era riuscita a salvare neanche una sola delle persone a lei care pure nonostante il suo tentativo disperato che le era costato un occhio, una gamba e i polmoni.
Si sentiva un castello di carte in mezzo a un uragano, eppure ancora non era crollata.
Sentiva ... di essere impedita nel farlo.
Sarebbe successo, ma non ora.
Il primario annuì, dopo aver lanciato un'occhiata alla psicologa che lo spronò ad andare avanti con un cenno del capo.

-Il tessuto polmonare è stato forato in più punti da tre proiettili.- le disse -Abbiamo estratto tutti e tre e ricucito le lesioni ma ci vorrà del tempo prima che guariscano del tutto. Durante la convalescenza potreste ritrovarvi a dover combattere con crisi d'asma, e dovrete far attenzione a qualsiasi cosa possa peggiorare la situazione, come germi e polvere.
Per questo sarebbe meglio se per i primi tempi indossaste una mascherina e dei guanti. È solo fino a che i danni non saranno completamente rimarginati, ci vorrà qualche mese soltanto ma sarà importante ...-
-Va bene.- soffiò stanca a quel punto la paziente.

Quindi si sistemò meglio sul cuscino e tolse la mascherina voltando il viso dalla parte opposta, verso il comodino.

-Quanto tempo dovrò restare qui?- chiese atona.

Oramai era solo questo, soltanto questione di tempo.
Come quello che la separava dalla morte. Tutti dovevano morire prima o poi, no?
Il medico la osservò appena qualche istante in silenzio, preoccupato.

-Qualche settimana. Avremo bisogno di tenere sotto controllo i suoi progressi.-

Tacque di nuovo. Lei non rispose, continuando a non guardarlo senza preoccuparsi di risultare maleducata.
Non aveva poi tutta questa importanza adesso. Loro stavano bene, lei no.
Affatto.
E poi ... I suoi occhi continuarono a fissare l'anello di diamanti sul comodino e la sua mente stanca non riusciva a non staccarsi dai ricordi.
Sentiva la fronte dolergli, aveva freddo, e gli occhi le si chiudevano.
Avrebbe tanto ... Tanto voluto ... che in quell'incubo a starle vicino ci fosse il suo Ignis.
Forse avrebbe saputo svegliarla, ma la sua mente confusa tra sogno e realtà pensò che probabilmente non sarebbe stato un incubo degno di quel nome se Mr. Scientia fosse stato presente.
Quando sarebbe arrivato il tempo del risveglio? Perché era un sogno. Doveva per forza essere solo un sogno.

-Verrò a trovarti ogni giorno se vorrai parlare.- le disse la psicologa, in tono gentile.

Una smorfia amara si dipinse sul volto della giovane.

-Va bene, grazie.- disse flebile, chiudendo gli occhi.

E di colpo si addormentò davvero, senza nemmeno accorgersene.
Era stanca. Doveva riposare.
I due medici si accertarono delle sue condizioni, poi lasciarono la stanza raggiungendo i visitatori nel corridoio.
La prima a chiedere di lei fu Iris, in ansia.

-È molto scossa, comprensibilmente.- le disse la dottoressa -Le abbiamo detto quello che doveva sapere, ora verrà la parte difficile per lei.-
-La dimetteremo tra qualche settimana, nel frattempo però sarebbe meglio per lei se riusciste a trovarle un luogo dove vivere durante i primi mesi.- aggiunse il primario -Come vi dicevo, l'aria umida di Lestallum non è il massimo per i suoi polmoni.-

Iris, Talcott e Jared si guardarono riflettendoci su. Poi quasi illuminandosi al vecchio maggiordomo di casa Amicitia venne un'idea.

-Potremmo portarla a Capo Caem.- disse
-Oh, si!- esclamò entusiasta Talcott.
-Che bella idea!- assentì Iris illuminandosi.
-Ah, Caem. È una bella zona di mare.- confermò con un sorriso il medico - Ottimo cibo e paesaggi splendidi, ci sono stato per un periodo in vacanza quando ero adolescente. Se riusciste a portarla lì credo le gioverebbe anche all'umore.-

La psicologa confermò con un sorriso e un cenno del capo.

-Saranno giorni difficili.- disse -Ha una convalescenza piuttosto complicata da affrontare e ha perso tutto, famiglia, casa, presumo anche gli amici che aveva ad Insomnia. Sapete nulla del fidanzato?-

Iris scosse dispiaciuta il capo.

-Monica non mi ha detto altro se non che lavorava a palazzo come lei e al momento dell'attacco non si trovava lontano da Insomnia, non mi ha detto dove.- rispose
-Non ti ha detto come si chiamava.- le chiese Jared.

La ragazza scosse di nuovo rammaricata il capo.

-No. Non so perché non me lo abbia detto, forse aveva talmente tante cose da dirmi e così poco tempo che deve aver sorvolato su questo.- rifletté -Comunque era convinta che sarebbe tornato a cercarla.-
-Speriamo.- disse il medico -Le farebbe bene trascorrere un po’ di tempo con lui, ora che è l'unica cosa che gli è rimasta.-
-Se sapessimo il suo nome potremmo cercarlo.- disse Talcott, e il nonno gli diede ragione appoggiando fiero le mani sulle sue spalle.
-Cercherò di capire se lei è disposta a parlarne.- disse la psicologa con un sorriso -Ad ogni modo è importante tirarla su di morale e starle molto vicino. Potrebbe essere difficile, ciò che ha passato non è una passeggiata e i primi tempi ... - si fermò un istante per trovare le parole più adatte -Potrebbe avere parole e reazioni un po’ forti e sgarbate. Dovete sapere che è normale per una persona depressa comportarsi così.-
-Non importa, cercheremo di stargli comunque vicino e di farla sentire a casa.- risolse propositiva Iris.

Aveva fatto una promessa a Monica, voleva mantenerla. E poi Alexandra era già entrata a pieno titolo nella loro famiglia, pure se lei non li conosceva nemmeno.
Jared e Talcott ascoltarono interessati i consigli dei medici e quella conversazione, annuendo propositivi.
Anche loro erano d'accordo con lei, volevano assolutamente aiutare quella povera ragazza anche solo per semplice empatia. Erano vittime della stessa tragedia, e lei sembrava una brava ragazza bisognosa di aiuto.
Anzi, non sembrava solamente, lo era.
Jared era vecchio, aveva servito per molti anni a corte e sapeva riconoscere le persone solo guardandole negli occhi, anche se aveva imparato a lasciar sempre il beneficio del dubbio.
Alexandra Jane Baker aveva una forza e una dignità nello sguardo che non lasciava spazio a dubbi, senza esagerazione poteva affermare di averle viste l'ultima volta in quelle del loro ultimo, ormai compianto Re, Regis Lucis Caelum.
Come lui, la ragazza era nobilmente fiera, ma anche forte, leale, determinata, e buona di una bontà di quelle che spingono a gesti anche estremi pur di salvaguardare il bene, qualsiasi sia la sua provenienza.
Era ferita adesso, certo che ci avrebbe messo del tempo a tornare ad essere quella di prima, e forse non lo sarebbe mai più stata.
Ma quello che era non si poteva cambiare, un animo buono restava tale anche dopo tempeste e guerre. Per fortuna.

-A proposito di questo...- aggiunse la psicologa -Dedicarsi a ciò che le piace e concedersi del tempo per sé stessa è fondamentale per una buona ripresa dello spirito. Se scoprite ciò che le piace fare lasciateglielo fare, le farà solo bene.-

Jared sorrise e guardò Iris annuire.
Era facile, in questo avrebbe potuto aiutare anche lui.
Aveva visto solo in qualche foto il faro di Capo Caem, la "residenza estiva" dei Caelum. Essendo Clarus Amicitia una dei più fidati amici del Re ovviamente aveva trascorso molto tempo con Regis in gioventù, e Capo Caem era una delle loro basi preferite.
Molte volte aveva sentito i racconti del padre di Iris e Gladio, ad alcuni aveva contribuito anche Regis stesso, che si divertiva a rievocare quei momenti per loro. Perfino alcuni dipinti nel palazzo e nella casa degli Amicitia raccontavano di quella splendida località marittima che adesso Talcott non vedeva l'ora di poter vivere in prima persona.
Lui ed Alexandra si sarebbero divertiti molto, sarebbe riuscito a tirarla su di morale. 

Sarebbe stata la sua missione personale.
Il mare, la natura selvaggia e il buon cibo lo avrebbero aiutato a completarla.

-Faremo del nostro meglio, grazie dottore.- concluse Iris con un sorriso, riassumendo il pensiero di tutti e ritrovando un po’ di serenità.

Il peggio era passato, adesso non restava che tornare a godersi la vita.
Certo, non sarebbe stato facile per Alexandra, ma loro ce l'avrebbero messa tutta per aiutarla.
Ricominciando proprio dalla più grande passione della sua vita: il cibo, ambrosia della vita e metafora di tutte le sue altre passioni.

-Lo street food di Lestallum è squisito, sua sorella ha detto che era una cuoca a palazzo e penso potrebbe piacerle.- propose -Dite che è una buona idea?-

I dottori sorrisero e annuirono contenti.

-Perché no, in fondo è da tanto che non tocca cibo, non potrebbe che fargli bene.- rispose il primario -Mi raccomandò però, niente di troppo pesante, lo stomaco deve riabituarsi a ricevere cibo.-

Iris e Jared batterono le mani quasi all'unisono e si sorrisero contenti.
Non poteva esserci ripartenza migliore per lei, senza ombra di dubbio.
 
 
***
 
Alexandra guardò il cartoccio unto che aveva di fronte, appoggiato sulla parte di lenzuolo che le copriva il ventre, e si sentì immediatamente in imbarazzo.
Iris e Talcott la guardavano speranzosi che quel regalo potesse piacerle, soprattutto si aspettavano che mangiasse, ma non ne aveva alcuna voglia, pure se dovette ammette che l'aspetto non era male e il profumo stuzzicava le narici.
Non voleva deluderli, ma non riusciva nemmeno anche solo a pensare di mangiare.
Le si era chiuso lo stomaco, si sentiva sazia anche se stando ai medici non aveva mangiato da giorni.
Sorrise, sforzandosi di sembrare il più gentile ed educata possibile.
Doveva loro la vita e voleva ringraziarli per esserle stati vicini nonostante non la conoscessero nemmeno, così ci provò.
Prese la forchetta e il coltello di plastica dalla busta trasparente sul comodino e tagliò un pezzo di quel pesce succulento, portandoselo alla bocca.
Lo masticò con calma, e alla fine annuì sorpresa.

-Mh ...- fece, continuando ad annuire.

Iris si illuminò.

-È buono, vero? Io e Talcott lo abbiamo adorato subito!- ridacchiò contenta.
-Domani ti portiamo gli spiedini, anche quelli sono buonissimi!- aggiunse il ragazzino senza lasciarle il tempo per rispondere -E poi devi assaggiare anche le pannocchie! Le facevano anche ad Insomnia, ma queste sono cento volte più buone!-

Alex sorrise annuendo in silenzio, poi abbandonò le posate nel piatto e prese dal comodino la bottiglia d'acqua minerale già mezza vuota, bevendo da essa fino a cancellare completamente il sapore del pesce.
Sentì un conato di vomito salire fino alla bocca dello stomaco ma lo trattenne, per fortuna.
L'accenno ad Insomnia non aveva fatto che peggiorare le cose, ma la tristezza a questo punto era minima cosa.

-Vuoi qualcos'altro dopo pranzo?- le chiese Iris.

"Morire. Si può?"
Scosse il capo con un altro sorriso.

-Sono a posto così, grazie. Adesso vorrei solo riposare.- chiese.

E loro, gentili, esaudirono quella richiesta.
Riconsegnò loro il cibo avanzato, quasi tutto intero in realtà visto che ne mancava solo un pezzo, quindi attese che lasciassero la stanza, si rimise sotto le lenzuola e chiudendo gli occhi incominciò a piangere in silenzio, bevendo le sue stesse lacrime salate e sentendo a poco a poco il cuore calmarsi e le forze scemare.
Si addormentò di nuovo, ma non fu un sonno tranquillo.
Fece di nuovo incubi, qualcuno la svegliò ma poi ricadde di nuovo nel sonno. Fino a che, a sera, i medici tornarono a farle visita come ogni sera dal giorno in cui era arrivata lì.
Non ne poteva già più, avrebbe voluto urlare di lasciarla marcire in quel letto da sola fino a che non fosse invecchiata o una crisi d'asma non l'avesse uccisa, invece non ci riusciva e continuava a comportarsi da brava ragazza reprimendo le emozioni in un guscio di pietra che sperava mai sarebbe esploso, perché altrimenti sarebbe stata la vera fine di Alexandra Jane Baker così come tutti avevano imparato a conoscerla.
Tutti quelli che erano morti, e anche Ignis che prima o poi sarebbe tornato a cercarla.
Anche se ora come ora stava iniziando a sperare che non lo facesse mai, perché non sapeva se farsi vedere così da lui avrebbe potuto migliorare o peggiorare la situazione. Nel dubbio meglio illudersi che niente fosse reale, o al massimo evitare di pensarci quando la consapevolezza diventava troppo presente per essere considerata una semplice illusione della mente.

 
***
 
Regione settentrionale di Duscae
Rifugio di Sothmocke
 
 
-Hey Iggy...-

La voce di Gladio lo riscosse dalla lettura che aveva in corso, inducendolo ad alzare lo sguardo verso il compagno di viaggio che se ne stava sdraiato di fronte a lui, dall'altra parte del falò da campo e vicino al suo chocobo, che dormiva beatamente.
Erano accampati nei pressi di Cleige. Sarebbero già dovuti essere ad Altissa da un pezzo, ma le cose erano cambiare precipitosamente e il ritrovamento della prima arma ancestrale grazie al maresciallo Cor Leonis li aveva spinti su una strada diversa, più difficile da percorrere ma anche più mistica, avventurosa.
Noctis aveva dovuto fare i conti con l'eredità ricevuta da suo padre e col presente, che li vedeva separati per sempre dalla mano ferrea della morte.
Era stata dura. In quella circostanza Ignis aveva realmente capito il significato dell'ultima raccomandazione del sovrano.
Ed era stato lieto di poter essere al fianco di suo figlio, come amico prima di tutto, e come alleato e subito poi.
Era dove doveva essere, e ne era felice.
Eppure ...

-Deve essere davvero interessante quella pagina, visto che è da mezz'ora che la fissi senza andare oltre.-

Gladio concluse la sua osservazione sagace con un sorriso divertito.
Ignis, seduto sulla sua sedia da campeggio, sospirò abbandonando il libro sulle sue gambe e poi levandosi gli occhiali e appoggiandoli sulle pagine del volume, a mo' di segnalibro.
Si stropicciò le palpebre con le dita della mano sinistra, senza rispondere.

-Dì, pensi ad Alexandra vero?- suppose Amicitia.

Accidenti a lui!
Scientia buttò la testa all'indietro verso lo schienale e si concesse di guardare il cielo stellato sopra le loro teste, che nella natura selvaggia era ancora più bello che sotto le luci di Insomnia.
Avrebbe tanto voluto condividerlo con lei.
Da quando quel viaggio era iniziato non faceva che chiedersi quale fosse stata la sua sorte, stare in pena per non saperlo e non poterlo nemmeno scoprire, e perdersi in quei sogni ad occhi aperti per tentare di alleviare il dolore.
Era distratto, cercava di non esserlo quando erano in missione, ma nei momenti di pausa come quello non poteva evitarselo.
Cucinare lo aiutava a sfogare un po’ lo stress, anche se non era un palliativo tanto potente.
Leggere era un'altra delle cose che aveva sempre amato fare e che adesso gli risultava quasi impossibile.

-Non ti sfugge mai niente, eh Gladio?- rispose, vagamente sarcastico.

Risero insieme, come i due buoni amici che erano.

-Ti conosco abbastanza bene da capire quando sei in crisi, quattrocchi.- replicò lo scudo del re, poi tornò serio e lo incoraggiò -Sono sicuro che starà bene. È una ragazza tosta, la ritroveremo.-

Ignis Scientia sospirò di nuovo.
Certo, starà bene.
Ovviamente starà bene, altrimenti non avrebbe saputo perdonarsi di averla lasciata sola all'improvviso.
Ma era una cittadina di Insomnia, e quel giorno alla parata probabilmente aveva accompagnato la sua famiglia...
Un brivido freddo gli percorse la schiena, come succedeva ogni volta che ci pensava.

-Se vuoi posso chiedere ad Iris di trovarla. So che a Lestallum ci sono molti sfollati da Insomnia. Magari è tra questi. Ci pensi? Potresti esserle molto vicino ugualmente e non saperlo.-

A quelle parole qualcosa in lui si accese, come la luce di una piccola speranza. Se avesse seguito il suo istinto di quel singolo attimo avrebbe preso la macchina ora, infischiandosene pure dei daemon che infestavano le strade di notte, e ci sarebbe andato di persona a Lestallum, altro che chiamare Iris. Ma …
Alzò gli occhi verso Gladio e lo fissò per diversi istanti, prima di alzarsi spazientito e avviarsi verso i fornelli.

-Vuoi un caffè?- chiese.

L'orologio da polso che aveva batteva le tre e trenta del mattino, e loro erano ancora svegli.
Gladio sorrise.

-Anche due se può aiutare a prendere una decisione.- rispose.

Ignis incominciò a trafficare con la Moka. Quando fu sul fornello si concesse un altro sospiro e spiegò.

-Non posso distrarmi, Gladio. Noct ha bisogno di noi, soprattutto adesso.-

Lo scudo del re alzò gli occhi verso di lui.

-Se sapessi che è viva potresti avere la mente più libera e il cuore più calmo ...- gli fece notare, per poi aggiungere saccente -Ma viceversa se scoprissi ... qualcosa di negativo, potresti avere l'effetto contrario, e così preferisci rimanere nel dubbio.-

Ignis sospirò di nuovo, più pesantemente.

-Non hai nient'altro da fare tu, che fare congetture su di me?- rispose assottigliando le palpebre.

Gladio rise.

-Per una volta che ne so una più di te, lascia che mi goda il momento.-

Ignis sorrise, quindi prese i bicchieri da caffè e si preparò a versarvi il nero che stava già fuoriuscendo dallo sfiato della macchinetta.

-Aggiudicato, ma non prenderci l'abitudine. Ognuno ha i suoi ruoli.- disse, portandogli poi la sua porzione.
-Tranquillo...- concluse Amicitia, brindando insieme a lui -Io sono più un tipo d'azione, la strategia la lascio a te che in quanto a materia grigia stai messo meglio di chiunque altro. Sicuramente meglio di quella mammoletta di Prompto.-

Risero di nuovo, attenti a non svegliare gli altri due che dormivano nella tenda.

-Ti ringrazio del complimento.- concluse Ignis ritrovando il buon umore -Ma non dirglielo, non sarebbe carino nei suoi confronti.-
-Ah, altroché se glielo dirò! Domattina mi sente, così impara a perdere tempo in foto mentre noi ci spacchiamo la schiena a combattere.- replicò Gladio, contento di essere riuscito a tirarlo su di morale.

Ignis sorrise ancora, bevendo un altro sorso dal suo caffè e tornando a sedersi. Non c'era nulla di più buono, Ebony a parte.

-Sei troppo severo.- replicò divertito -In fondo non sono poi così male quelle foto. Soprattutto quelle dove appaio io.-

Gladio rise di nuovo.

-Ah, benvenuto signor Modesto.-

Ignis accennò appena un divertito inchino rimanendo seduto e chinando solo il capo e la schiena.

-Il piacere è tutto mio, Mr. Muscolo.-


 

 





NdA:
Buongiorno cari! Finalmente anche questo capitolo è venuto alla luce!
E' stato un parto moooolto lungo, durato mesi. Tutto per colpa del primo pezzo, quello del primo sogno di Alexandra. Mi sono ispirata alla mia storia, sono cresciuta in un luogo così e volevo dare questo pezzo di me ad Alex, ma visto che ci tengo tantissimo mi sono sentita in soggezione e mi sono bloccata. Per descrivere il luogo mi sono affidata ai miei ricordi e alle foto di famiglia, anche se la foto che ho allegato non è tra queste ma è presa da internet, e non ritrae nemmeno il vero luogo, che si trova in un piccolo paesino della Calabria, vicino Cosenza.
A dire il vero avrei voluto mettere una foto della mia vecchia casa, ma poi ho trovato questa e ho pensato che fosse più indicativa per il capitolo :)
Il secondo sogno di Alex invece, ambientato ad Insomnia, è un sogno che ho fatto veramente (si, ho sognato di essere al posto di Alex e non è stato piacevole :P). Mi sono limitata a descriverlo, senza cambiare nulla.
Poi c'era da descrivere la scena del risveglio, che sarebbe la scena chiave di tutta la Fan Fiction.
L'ho riscritta circa una ventina di volte per farla venire come volevo, ma ancora non mi soddisfa. Alla fine ho deciso di non riscriverla per la ventunesima volta perchè altrimenti non lo avrei mai pubblicato :P
A proposito di quella scena, mi sento in dovere di ringraziare tantissimissimo la bravissima Elena per aver disegnato la povera Alex in quel momento cruciale. Come potete vedere non è messa bene, ma come dice giustamente Gladio la ragazza è una roccia, si rimetterà!
Sempre parlando di Elena, se volete leggere qualcosa di suo potete trovarla su efp con il nome di CaptainKonny (Cliccate sul nome per andare direttamente sul suo profilo).
Detto questo, ci vediamo al prossimo capitolo, direttamente in quel di Capo Caem!
E chissà che il nostro fascinoso quattrocchi (ma non è stupendo in questa foto??? *____*) rompa gli indugi e decida di raggiungere Alex ;)
Chissà, chi lo sa.
Nel frattempo vi faccio notare una cosa: Jared Hester, il nonno di Talcott, nel gioco muore dopo esser stato arrestato a Lestallum. Mentre nella mia Fan Fiction, come avrete potuto intuire, non sarà così. Almeno per il momento l'adorabile vecchietto è salvo, grazie ad Alex che indirettamente lo ha salvato senza saperlo :3 ^^
Adesso ad Alex e Iris (che nel gioco ha davvero quindici anni, si. Sono andata a leggere sulla guida che ho acquistato al day one) serve un aiuto e il maggiordomo di casa Amicitia ne può dare uno prezioso.
Bene, detto questo vi do appuntamento al prossimo capitolo ;)
Grazie mille per essere arrivati a leggere fin qui, e ripeto se la storia vi sta piacendo fatemelo sapere, mi farete un'autrice felice e contribuirete a velocizzare la stesura dei prossimi, eheh ;) <3<3<3
 

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Capitolo 4
*** Col senno di poi ***


Col senno di poi

 
Un mese e mezzo dopo ...

 
Capo Caem,
Regione di Cleige
 


-Alexandra!-

Monica Elshett, guardia reale che aveva collaborato a stretto contatto con Clarus Amicitia e che ora faceva parte della resistenza, giunse sulle rocce del promontorio e urlò il nome della ragazza per farsi sentire, ma il suo grido fu trasformato in un semplice lontano eco dal potente ruggito del mare, quindi troppo flebile per essere udito da così lontano.
Alexandra Jane Baker se ne stava seduta sul bordo di una rientranza nella solida roccia, una piccola caverna dentro al quale ci si sarebbe anche potuti accampare, volendo.
Era una zona magnifica per osservare il mare e il cielo azzurro sopra di esso, ma difficile da raggiungere soprattutto per una come lei.
Erano passati quasi due mesi dal suo risveglio, uno da quando si era trasferita assieme ad Iris, Jared e suo nipote Talcott dalla ridente Lestallum alla splendida location di Capo Caem.
Il medico le aveva detto che per i suoi polmoni ed il suo spirito l'aria e la vista del mare avrebbero potuto farle bene.
Doveva proteggersi dai germi, per colpa della polmonite che l'aveva afflitta da bambina la situazione dei suoi polmoni non era facile e per guarire completamente serviva tenerli puliti e non affaticarli.
Le avevano caldamente raccomandato riposo, sia fisico che mentale.
Niente stress emotivi, una sana alimentazione controllata, un po di attività fisica riabilitativa per la gamba e tanto riposo.
Poteva fare ciò che voleva, purché non si adagiasse nel suo dolore e cercasse un modo per rinascere.
Certo quella benda sull'occhio non aiutava.
Alla fine la diagnosi era stata "leggera lesione del nervo ottico con infiammazione acuta dovuta a trauma da contusione".
Non riusciva a ricordare quando se la fosse procurata, i suoi ricordi del giorno della caduta di Insomnia erano frammentati e si concludevano con un'immagine sfocata di Monica che urlava il suo nome mentre lei era già a terra, circondata dai Magitek.
Probabilmente uno di loro aveva usato il manico del fucile per sferrarle un colpo e  stordirla, ma non poteva esserne sicura visto che tutti i testimoni alla scena erano morti.
Restava il fatto che non avrebbe recuperato tanto facilmente la vista di quell'occhio, non senza diverse operazioni per ricostruire il nervo e prim'ancora un lungo periodo di tempo per aspettare che l'infiammazione passasse.
Nel frattempo era importante che stesse al riparo da altri traumi e dalla luce diretta, sia solare che artificiale.
Lo aveva coperto con una benda monocolare di pelle nera, che la faceva sembrare un pirata.
Aveva una profonda cicatrice sul lato della fronte che mascherava lasciando sempre un paio di ciocche fuori dallo chignon spettinato con il quale acconciava i capelli, in più zoppicava, e per rendere il suo passo claudicante più sicuro Iris le aveva regalato un signorile bastone da passeggio con il manico in legno intagliato a formare il profilo di un uccellino.
Era carino, ma odiava usarlo.
Si sentiva una menomata, non poteva fare a meno di pensare a quanto si odiava, e la premura di tutti peggiorava le cose.
Al loro arrivo lì Iris le aveva fatto trovare oltre a quella anche altre sorprese, come un baule pieno di eleganti vestiti.

-Appartenevano a mia madre, io non li uso perché sono troppo bassa per farlo, e poi non è il mio stile.- le aveva spiegato con una risata -Ma credo che a te possano piacere.-

Aveva avuto ragione, erano uno più bello dell'altro, ma si era sentita un po in colpa nel doverli indossare.

-Non ti preoccupare.- era stata la risposta della giovane Amicitia -È molto meglio che stiano addosso a te che dentro un baule a prendere polvere, no?-

Così aveva dovuto accettare, per non spegnere quel delizioso sorriso con cui la ragazza l'aveva tranquillizzata.
Amava il suo modo di fare, la sua positività le ricordava sé stessa prima della tragedia, e la sua amica Eve.
Più volte aveva pensato a lei. Un pomeriggio, mentre si godeva il mare dall'alto del faro, aveva rotto gli indugi e chiesto ad Iris di sapere che fine avesse fatto.
Se non era tra gli sfollati di Insomnia magari si era salvata restando dai suoi, ma aveva un pessimo presentimento.
Eppure volle chiederle lo stesso quel favore, ed Iris le aveva promesso che avrebbe chiesto ai colleghi di suo fratello di mettersi sulle sue tracce.
Sperava che anche la sua cocker stesse bene, ma non era così tanto fiduciosa.
E così, tra un pensiero nostalgico e uno angoscioso, aveva trascorso la prima settimana lì a riposarsi.
L'aria di mare le faceva bene, ma si sentiva stanca.
Non aveva mai dormito così tanto in vita sua come in quel periodo.
Si svegliava presto per vedere l'alba, faceva colazione con Iris, Jared e Talcott, spesso con un buon caffè e piatti cucinati dalla ragazza o dal maggiordomo, poi tornava in camera a dormire fino all'ora di pranzo.
Mangiava in camera, grazie a Talcott che le portava il vassoio con il pranzo e restava un po con lei a chiacchierare, e verso le tre tornava a dormire.
La cena la saltava quasi sempre, si svegliava a notte fonda e allora scendeva di sotto a mangiare da sola gli avanzi, per poi concedersi qualche lettura interessante, al chiaro di luna seduta sul primo gradino del porticato esterno se era bel tempo, in camera sua al lume della lanterna se era nuvoloso o non c'era la luna.
Aveva ripreso a scrivere. Erano brani corti, spesso semplici estratti di ciò che erano i suoi pensieri del momento.
Piangeva tanto, ma sempre quando era da sola.
Una settimana addietro poi, all'improvviso erano giunti due estranei al faro, e conoscerli l'aveva sconvolta.
Erano due guardie reali, una di queste si chiamava proprio Monica, come sua sorella, e un po le somigliava anche.
Non aveva saputo proferire parola.
Si era rifugiata in camera sua e aveva iniziato a piangere a dirotto, senza possibilità di fermarsi.
Quando Iris l'aveva raggiunta abbracciandola le aveva chiesto scusa con un filo di voce e gli occhi appannati, ma la giovane si era dimostrata comprensiva.

-Mi manca da morire, mia sorella ...- aveva mormorato straziata.
-Lo so ...- le aveva sussurrato Iris, commossa, carezzandole la schiena -Ma sono sicura che loro sono lo stesso con noi, sempre. Non ci lasceranno mai più ...-

Alexandra l'aveva guardata negli occhi, e da allora non aveva smesso di pensarci.
Aveva sempre pregato tanto gli dei. Lei, sua madre, e anche Monica.
Erano sempre state così devote, ma ora all'improvviso si rese conto di non sapere più sé fosse giusto crederci o meno, se fosse corretto seguitare a pregare oppure smettere di farlo.
Ci aveva riflettuto tutta la notte senza trovare una risposta, e l'indomani era scesa a scusarsi con Monica per la sua reazione spiegandole il perché.
Così si erano scoperte amiche, avevano tanto in comune e a ognuna piaceva parlare con l'altra.
Ma quel dubbio, quel dilemma atroce era rimasto.
Mentre ascoltava le storie del vecchio Jared su Re Regis e si accorgeva di essere triste per la sua misera fine e per non averlo conosciuto, mentre si rendeva conto di come il suo destino si fosse così intrecciato alle orme dei re di Lucis pur non sfiorandoli mai con le dita, lentamente una rabbia delusa si insinuò nel suo cuore spegnendo a poco a poco la fiammella della fede.
Perché erano troppi i dubbi e troppo il dolore per riuscire a voler soffocarli. Non aveva mai riflettuto così tanto sui perché della vita, mai come in quei giorni.
Le sembrava quasi che tutte le sue preghiere fossero rimaste inascoltate, che gli Dei avessero volontariamente voluto abbandonarla a sé stessa curandosi soltanto di salvare il Re prescelto.
Forse, anzi probabilmente non avrebbe dovuto, ma a volte si ritrovava a chiedersi perché fra tutte le vite di Insomnia proprio quella di Noctis Lucis Caelum fosse stata salvata.
E subito dopo si sentiva un verme, perché lei lo conosceva quel principe, conosceva ciò che Ignis pensava di lui ed era ingiusto avercela con quel ragazzo che in fondo altro non era che l’ennesima vittima.
Ma era colpa delle decisioni degli dei. Erano insensate, difficili da capire, e lei non riusciva più a credere che qualcuno tra di loro avesse preso a cuore le sorti di tutta l’umanità. Se lo avessero fatto, quel giorno ad Insomnia nessuno sarebbe morto. Tantomeno bambini, come le sue due splendide nipotine. Come potevano gli dei permettere una cosa simile per la salvezza di una singola persona? Come potevano scambiare le vite di bambini innocenti per quella del portatore di una corona?
Non riusciva a smettere di pensarlo e convincersene. E più se ne convinceva, più non poteva non sentirsi una persona orribile.
Per questo, quando pensieri come quelli si facevano intensi e la rabbia saliva rischiando di farle fare la figura della scorbutica con Iris e Talcott, prendeva il suo bastone da passeggio e se ne andava in un posto isolato come quello, o in cima al faro, dove la voce del mare impetuoso sembrava capirla e sposarsi bene col suo animo tormentato.
E poi lo scenario lì era talmente bello che se avesse saputo dipingere lo avrebbe impresso su tela. Invece portava con sé la sua macchina fotografica, che era riuscita a salvare perché quel giorno ad Insomnia l’aveva portata con sé per fotografare la cerimonia, ma poi non aveva avuto il tempo di usarla, e scattava quante più foto possibili.
Era fantastico il modo in cui la luce, ogni giorno diversa, potesse far brillare il paesaggio e cambiarlo, ogni volta.
 
-Alex, ma come hai fatto ad arrivare fin qui da sola??-
 
La voce di Monica la raggiunse a risvegliarla.
Non si era nemmeno accorta del suo arrivo, perciò fu sorpresa di vedersela davanti quasi quanto lei.
Prese un respiro profondo. Proprio la sorpresa le aveva fatto salire il cuore in gola. Quindi sorrise scostandosi una ciocca da davanti agli occhi e sistemandosela dietro l’orecchio sinistro.
 
-Con i piedi, come sennò?- scherzò
 
Monica sorrise a sua volta, scuotendo il capo e andando a sedersi accanto a lei. C’era un vento fortissimo, la lunga gonna nera del vestito della giovane Baker, pur essendo ella seduta, era scossa dalle raffiche e bagnata da spruzzi di acqua salmastra.
Eppure lei continuava a starsene lì imperterrita, ignorando tutto.
La strada per giungere lì dal faro era ripida, entrando nella prateria ci si imbatteva in un gruppo di enormi coccodrilli che se non evitati con sufficiente rapidità potevano attaccare e fare anche molto male. Poi c’era la scogliera da superare. Con quel vestito, quegli stivaletti e il suo passo claudicante davvero Monica non riusciva a capire come accidenti avesse fatto Alexandra a raggiungere la meta senza farsi male.
 
-Non scherzare.- Le disse premurosa –E’ pericoloso, lo sai. Avresti potuto cadere facilmente nelle tue condizioni.-
 
Alex sorrise appena, e con entrambe le mani sollevò un lembo della gonna in pizzo e taffetà, mostrandole il ginocchio destro sbucciato e la calza sgualcita.
 
-Chi ti ha detto che io non lo abbia fatto?- sorrise calma.
 
Monica sgranò gli occhi.
 
-Accidenti, Jane! Ma sei proprio una bambina, devi stare a riposo non farti più male! E se avesse sbattuto la testa?- la sgridò, preoccupata.
 
Poi però sospirò calmandosi, e scuotendo il capo aggiunse.
 
-La prossima volta che vuoi venire qui, chiedi almeno a qualcuno di accompagnarti, okkey?-
 
Alex sospirò, tornando seria a guardare il mare.
Monica vide i suoi occhi annebbiarsi di lacrime, mentre una mano guantata di pizzo bianco si posava sul petto, sulla morbida seta della camicia bianca dall’alto colletto inamidato, chiuso da un fiocco di raso nero. Da quando l’orribile cicatrice dell’operazione aveva segnato il suo corpo all’altezza del seno, non usava mai scollature. Tra i vestiti che le erano stati regalati da Iris ce n’erano un paio che le sarebbero stati bene, ma che aveva indossato una volta e poi si era rifiutata di farlo ancora. Non riusciva a guardarsi. Si trovava orribile, e non si riconosceva più.
La vide scuotere il capo.
 
-Ho bisogno di stare da sola …- disse soltanto.
 
Ripensandoci, c’era una cosa per cui poteva ringraziare gli dei. Almeno le avevano lasciato un occhio buono per guardare quello spettacolo.
La guarda reale sospirò, guardandola tristemente. Stava per risponderle con parole di conforto, ma Alexandra la precedette tornando a scrutarla con un sorriso.
 
-E’ questo che voglio evitare. Gli sguardi di pietà degli altri, i vostri gesti di umanità. Fanno piacere, un po’, ma non fanno che ricordarmi cosa ho perso e cosa sono diventata …-
 
“Grazie al volere, o al non volere, degli dei.”
Tornò a guardare il mare, una lacrima scivolò sulla sua guancia e il vento la fece volare via, trascinandola lontano assieme all’acqua salmastra che continuava ad impattare contro gli scogli.
Monica le sorrise di nuovo.
 
- Non è pietà, Alexandra.- le disse allora, con amore e dolcezza – Ma affetto. Ti vogliamo bene, per questo non vorremmo che vederti sorridere.-
 
Jane Baker sorrise amara.
 
-Mi volete bene …- ripeté, quasi come se non potesse credere a quelle parole e cercasse di capirle a fondo –Ma come potete, se prima del nostro incontro nemmeno ci conoscevamo? Proveniamo da due ambienti diversi, da storie diverse.- aggiunse tornando a guardarla –Voi siete da sempre stati servitori della casa reale, a contatto con palazzi sfarzosi, re e principi, mentre io fino a qualche tempo prima vivevo la mia vita da cittadina comune, avevo un lavoro precario, una casa piccola, e facevo fatica ad arrivare alla fine del mese senza l’appoggio di mia madre e mia sorella. Se non fosse stato per Eve non sarei nemmeno riuscita ad andare a vivere da sola.-
 
Si fermò per trarre un sospiro. Monica Elshett la fissò con un sorriso.
 
-Sai già da te la risposta.- le disse –Sai che quando si ha stima di una persona non importa il ceto sociale, il lavoro o la provenienza.-
 
Alexandra sospirò di nuovo.
Si. Lo sapeva. Con Eve era successa praticamente la stessa cosa, ma era lei ad essere cambiata adesso. Il problema era lei, e la sua miseranda autostima.
 
-Hai notizie di Eve, a proposito?- chiese, per cambiare argomento.
 
La donna scosse rammaricata il capo.
 
-Ho chiesto in giro tra i superstiti e i miei colleghi, non c’è nella lista degli sfollati. Proveremo a rintracciare la sua famiglia.-
 
Un altro sospiro.
Non avrebbe avuto buone notizie, il suo sesto senso le diceva che avrebbe dovuto dire addio anche alla sua migliore amica e alle risate, ai bei momenti passati con lei. Ci avrebbe pensato ogni volta che avrebbe cucinato dei biscotti alla cannella o accarezzato un cagnolino, ci pensava già quando vedeva che un vestito le stava bene addosso, o una determinata acconciatura le donava particolarmente. Le sembrava quasi di sentirla.

 
-Oh, Alex sei uno schianto! Mr. Scientia impazzirebbe se ti vedesse!-
 
-Vieni, serve il mio tocco magico sul make-up per perfezionarti.-
 
-Hey, non ti azzardare a piangere adesso, intesi? Le lacrime non ti donano, meglio un bel sorriso. Cheese!-
 
Chiuse per un istante gli occhi, soffocando un groppo di lacrime.
 
-D’accordo …- mormorò, per poi tornare in silenzio ad ascoltare il mare.
 
Rimasero ancora a lungo lì, ad osservare il sole rifulgere sulle acque impetuose e le onde infrangersi sulla scogliera. Alexandra avrebbe voluto restare lì per sempre, ma infine il tramonto arrivò, e prima dell’arrivo delle tenebre le due decisero di rientrare, per non dover fare i conti anche con i daemons.
La paura di Jane Baker non era passata, anzi dal momento del suo risveglio quelle orribili creature la facevano rabbrividire anche di più. Con l’aiuto di Monica tornò indietro, appoggiandosi a lei solo nel momento in cui soltanto il bastone non bastava a rendere i suoi passi stabili, e comunque con una certa irritazione nello sguardo che faticava a mascherare.
Sulla tavola della sala da pranzo all’interno del piccolo casolare trovò ad accoglierla un bel cesto di primizie della terra. Carote, pomodori, insalata, broccoli e anche cozze e fragole.
Erano invitanti, i frutti di mare riempivano la stanza con il loro aroma salmastro, rievocando in lei ricordi che la ferirono. Pensò ad Ignis, alle loro serate insieme, e soprattutto all’ultima, in cui lui per consolarla glieli aveva cucinati in un ottimo piatto di pasta allo scoglio.
Anche le fragole avevano fatto parte del menù, in un dessert al cioccolato che aveva saputo scaldarle il cuore. Si sentì improvvisamente stanca, si avviò di sopra senza nemmeno avvicinarsi a guardare meglio.
 
-Jane, ti va di cucinare qualcosa stasera?- le chiese Iris, con la solita gentilezza –Ci hanno detto che sei una brava cuoca, io e Talcott vorremo tanto assaggiare uno dei tuoi manicaretti.-
-Anche io sono curiosa.- aggiunse Monica –Potrei aiutarti, se vuoi.-
 
Si fermò a metà della rampa di scale che portava verso la stanza da letto, abbassando il capo stanca e chiudendo gli occhi, col cuore gravato. Sospirò di nuovo.
Cucinare … non era dell’umore giusto per farlo. Avrebbe finito per farsi male o combinare qualche disastro, come succedeva sempre quando non era abbastanza concentrata.
No, meglio evitare.
Rialzò il capo e si sforzò di sorridere guardandoli e scuotendo il capo.
 
-Vi ringrazio, ma preferisco di no. Faccio un bagno caldo e poi vado a letto, sono molto stanca.-
-Vuoi che ti aiuti almeno a medicare il ginocchio?- insistette la guardia reale.
 
Scosse di nuovo il capo, continuando a salire stancamente le scale appoggiandosi alla ringhiera con la mano libera.
 
-E’ solo un graffio, lo farò da sola. Grazie …- rispose atona lei.
 
Quindi entrò in camera, si richiuse la porta alle spalle ed iniziò a spogliarsi, sedendosi fiacca sul bordo del letto. Prima gli stivaletti di cuoio con un tacchetto di legno sotto il tallone, poi il vestito slacciando uno ad uno i bottoni che chiudevano la camicia dietro alla schiena. Se lo tolse facendolo ricadere sullo specchio di fronte a lei, per evitare di vedersi.
In ultimo tolse la benda, lasciandola sul letto, e le calze rotte, abbandonandole sul pavimento e raggiungendo la vasca nel piccolo bagno dove, mentre aspettava che si riempisse di acqua calda, potè ultimare la svestizione slacciandosi il reggiseno di pizzo nero, leggermente imbottito per rendere più pieno un seno dalla forma appena accennata che non era mai cresciuto più di tanto, e poi lasciandolo cadere a terra assieme agli slip del medesimo materiale e colore.
Prese i sali da bagno da sopra la mensola affianco alla vasca e ne versò un pugno dentro l’acqua, poi si calò all’interno della tinozza e chiuse gli occhi gettando la testa all’indietro, sul bordo che le sorreggeva la schiena. Mentre aspettava che si riempisse del tutto restò immobile così, ad ascoltare l’acqua che continuava a scorrere e immaginandosi parte di essa, per poter sognare anche solo un istante di poter davvero andarsene via da tutto questo.
Quanto le sarebbe piaciuto scappare via da quel corpo ferito e rattoppato, dimenticarsi e dimenticare il resto e semplicemente scorrere, senza una meta e un perché, fino a ritrovare del tutto sé stessa.
Se solo avesse potuto …
Quando sentì l’acqua sfiorarle le spalle spense la fontana, versò il bagnoschiuma agli oli termali e agitò un po’ l’acqua, per formare la schiuma in cui poi si calò del tutto, chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro.
Sprofondò sott’acqua, e ci restò fino a che i suoi polmoni glielo permisero.
Riemerse, riprese fiato e lo rifece, sperando questa volta di poter cancellare le tracce delle sue lacrime per sempre, sia dal suo viso che dalla sua anima.
In fondo se il cuore avesse smesso di battere proprio in quel momento sarebbe morta in una vasca da bagno, immersa in oli termali e sali purificanti.
La sua pelle sarebbe stata liscia e bianca come quella delle bambole di porcellana, per il suo funerale.

 
 
***
 
-Noct, posso parlarti?-

Il Principe, seduto ad osservare il tramonto sull'orlo della roccia sul quale si erano accampati, guardò Gladio che gli si era seduto di fianco e sorrise.

-Non lo stai già facendo?- chiese divertito.

Gladio sorrise a suo volta, ma subito tornò serio scuotendo il capo.

-Seriamente, Noctis. Devi parlare con Ignis.-

Il Principe lo guardò sorpreso. Erano soli, Ignis e Prompto erano in giro a far foto e raccogliere qualche frutto di bosco per il dessert che Scientia aveva in mente di cucinare quella sera.
Noctis aveva da un po’ l'impressione che Gladio volesse parlargli di quella faccenda riguardante Ignis e Alex, questo era il momento più adatto per farlo. Senza la regalia, che quei farabutti imperiali avevano provveduto a requisire, avevano avuto più tempo per l'avventura e per parlare in momenti come questi.

-Lo avrai notato, no?- gli chiese ancora Gladio -Sta impazzendo senza sapere che fine abbia fatto Alex, ma non si azzarda nemmeno a chiedere. Non vuole distrarsi.-
-Credevo che glielo avessi detto.- rispose il Principe, facendosi serio.

Gladio sapeva che Alex era viva, era stata Iris a rivelarglielo dicendogli che si erano trasferiti a Capo Caem da Lestallum a causa di quella ragazza che avevano aiutato a salvare durante l'esodo, e che era alle prese con una convalescenza piuttosto dura.
Non le aveva detto che conosceva quella Alexandra Baker, ma poi non aveva potuto non dirlo a Noctis, qualche giorno dopo, sperando che si decidesse a fare qualcosa per sciogliere Ignis dai suoi obblighi e spingerlo da lei.
Evidentemente non era stato abbastanza chiaro, perciò ora ci stava ritentando.
Scosse il capo, con sguardo severo.

-Ci ho provato, ma non ha il coraggio di cercarla, teme una cattiva notizia.- rispose
-Allora perché non glielo dici?- replicò Noctis scuotendo le spalle.

Amicitia sospirò.

-Anche se sapesse che è viva non la raggiungerebbe, lo sai come è fatto Ignis, no? È ligio al dovere, sarebbe disposto a farsi impiccare pur di non venir meno all'incarico che gli è stato assegnato.- concluse frustrato
-Mh.- fece a quel punto il principe, tornando a guardare riflessivo il tramonto.

Stava iniziando a capire dove voleva portarlo Gladio con quel ragionamento.

-Ci parlerò io, appena possibile.- risolse.

Gladio sospirò sollevato, battendogli una pacca sulla spalla.

-Grazie ...- concluse, tornando poi a guardare il tramonto con lui, in silenzio.

Noctis Lucis Caelum lasciò correre il suo sguardo verso l'orizzonte infuocato, e nel frattempo si concesse qualche istante per ripensare a quell'amica.
Era entrata all'improvviso nelle loro vite, erano stati insieme poco tempo ma era da subito diventata parte integrante del loro gruppo.
Per Ignis era tutto, anche se lui cercava di tenere per sé tutto ciò che poteva rovinare l'esito della sua missione e l'atmosfera del gruppo, ma anche per loro lo era.
Prompto ne parlava spesso come di un'amica sensibile e premurosa, la degna dolce metà di Ignis Stupeo Scientia, chiedendosi che fine avesse fatto e pregando per lei che fosse riuscita a scampare.
Gladio se la ricordava con una donna tenace, piena di spirito di iniziativa e di inventiva, e se non avesse saputo quanto faceva male ad Ignis ricordarla l'avrebbe menzionata spesso. Ad esempio la ricordava quando c'era da darsi da fare o quando Noct faceva troppo il pigro. Un giorno aveva riprovato a cucinare, sotto la supervisione di Iggy ovviamente, e di fronte all'ennesimo disastro Gladio non aveva potuto non ricordarsi di lei e di quando aveva salvato la festa a sorpresa per il compleanno di Ignis.
Era stato un momento stranissimo. Si erano guardati in faccia, lui, Gladio e Prompto, e tutti e tre avevano capito di star pensando alla stessa cosa per via dell'imbarazzo e della tristezza che era calata tra di loro. Perfino Ignis ci era arrivato, ma il momento era già finito grazie a Gladio che aveva contribuito a stemperare la tensione con una battuta.
Noctis ... Lui non sapeva che pensare.
All’inizio della loro storia si era sentito geloso quasi quanto un bambino, perché Ignis aveva preferito escluderlo da quella parte della sua vita e tenergliela nascosta, probabilmente perché neanche lui, futuro Stratega di Lucis, sapeva come comportarsi in amore.
Da quando però la giovane era entrata ufficialmente a far parte della loro vita le cose erano cambiate, e perderla era stato un duro colpo. Doveva ammettere di essere stato in pensiero per lei e di essersi sentito sollevato quando Gladio gli aveva detto che era riuscita a salvarsi, anche se non con poche difficoltà.
Anche lui avrebbe voluto rivederla, ma c’erano tante cose da fare, prima. Non erano più i bei tempi ad Insomnia, gli imperiali ora gli avevano tolto pure la regalia e doveva riprendersela! Voleva riprendersela! Era l’ultima cosa che gli era rimasta di suo padre, si erano presi perfino la sua spada, cos’altro volevano da lui!?!
Voleva riprendersela, voleva riprendersi il trono, vendicare suo padre e i suoi sudditi, Alexandra compresa, e per farlo non poteva concedersi altre perdite di tempo.
Ma aveva bisogno anche dei suoi amici … di tutti i suoi amici, così gli aveva detto suo padre durante il loro ultimo incontro.
E lui aveva deciso di dargli ascolto, pure se non riusciva a pensarci senza piangere e sentirsi sconfitto.
Forse ad Ignis sarebbe bastato rivederla per tornare tra di loro …
Ma prima avrebbe dovuto fare uno sforzo per convincerlo che fosse la scelta giusta. In fondo … era lui il loro sovrano adesso, e un buon sovrano sapeva sempre prendersi cura dei suoi collaboratori e dei suoi sudditi.
Tanto più se questi erano anche gli unici ad essergli rimasti sempre accanto, da che ne aveva memoria.

 
***
 
Due giorni dopo …
 
Ignis riaprì gli occhi, fissando il buio di fronte a sé.
Era notte fonda, pioveva a dirotto fuori dalla tenda, faceva freddo, un freddo talmente umido da penetrare nelle ossa e infradiciare perfino loro.
Il sacco a pelo non bastava a mantenere il calore del corpo, in più era duro, e scomodo.
Per l'ennesima volta si rigirò su sé stesso, sospirò e richiuse gli occhi, ascoltando il ticchettio della pioggia sopra la stoffa impermeabile della canadese e cercando di riaddormentarsi.
Ma neanche stavolta ci riuscì. Rapidamente, come evocati da quel dolce, incessante ritmo sommesso, ad uno ad uno iniziarono a riemergere dal buio e dal silenzio i ricordi di lei, dei giorni passati assieme, delle promesse e delle parole mancate, dei gesti e dei profumi che erano riusciti a regalarsi.
La vide e la sentì di nuovo ridere, il giorno del suo compleanno e quel giorno al luna park, vide i suoi occhi espressivi fissarlo avidamente alla ricerca di ogni sua più piccola espressione mentre ascoltava rapita i suoi discorsi intellettuali così senza senso ora come ora.
Per la prima volta si chiese cosa ci avesse trovato di così affascinante in lui e nei suoi discorsi, si sentì stupido, e mentre ci pensava la rivide nuda tra le sue braccia, quell'ultima sera insieme prima di lasciarla, in una maniera che adesso gli sembrava così da vile che se ne vergognava.
Risentì la morbidezza e la freschezza della sua pelle bianca, la rotondità e la pienezza dei suoi fianchi, i suoi sospiri e il suo fiato caldo sul collo.
All'improvviso non ce la fece più, non riuscì più a stare lì, fermo a pensare.
Si alzò, uscì fuori senza nemmeno indossare la giacca sopra la camicia a righe bianche e grigie ed iniziò a camminare sotto la pioggia scrosciante della palude attorno al lago Vesper, mentre lacrime amare iniziarono a rigare i suoi occhi verdi.
Non aveva indossato nemmeno gli occhiali, tanta era stata la fretta di uscire a rinfrescarsi i pensieri.
Camminò a lungo, senza una meta, stringendo i pugni nelle tasche e dandosi dell'idiota e dello zotico praticamente ad ogni passo. Fu una fortuna incontrare daemon solo da lontano, non si accorsero di lui e così potè proseguire.
Giunse dopo un po’ al molo di un laghetto artificiale.
Parve riaversi per qualche istante, sospirò e sconfitto decise di sedersi sul legno ad osservare le piccole gocce tamburellare sulla superficie verdastra dello specchio d'acqua.
Tanto ormai il vestito era fradicio ugualmente.
Si sentì ... d'improvviso di nuovo piccolo, un bambino piccolo di fronte all'incombenza di un incarico più grande di lui.
Poche volte aveva sentito quella sensazione. Ormai, a venticinque anni, credeva di non doverci più fare i conti. Invece l'amore lo aveva raggiunto per fargli comprendere che non era così. Non lo sarebbe stato mai.
Si sentiva uno stupido ingenuo, aveva creduto di sapere tutto ma invece non aveva capito un bel niente, e doveva ringraziare Alexandra per questo.
Quella ... splendida donna. La sua ...
Doveva assolutamente ringraziarla ...
Se avesse potuto ancora farlo. Se solo ... Se solo avesse potuto! Perché gli errori nella vita diventavano chiari solo quando erano irrimediabili?
All'improvviso, mentre lottava contro sé stesso per far pace coi suoi dubbi, la pioggia smise di battere sopra di lui, e guardando in su vide l'ombra di un ombrello proprio sulla sua testa, e gli stivali di Noctis accanto a sé.
Il Principe gli sorrise.

-Hey, quattrocchi.- lo risvegliò -Rischi di rovinarti il look così. Il ciuffo è già andato.-

Poi gli si sedette accanto e prese a fissare con lui il lago, continuando a reggere l'ombrello sopra la loro testa.
Ignis tirò su col naso e sorrise, asciugandosi gli occhi con un gesto rapido delle mani, sfiorando appena le palpebre.

-Non sapevo piacesse anche a te pescare.- seguitò il principe -Cos'è? Vuoi provare a battere il mio record? Ti avviso che non sarà facile, nemmeno per un secchione come te.-

Risero entrambi, poi Noctis tornò serio e concluse, con dolcezza.

-Però cominci male, hai dimenticato la canna da pesca.-

Ignis scosse il capo, riavendosi del tutto.

-Non ci proverei mai.- replicò -Sarai anche pigro, ma sei un ottimo pescatore.-
-Ah, grazie!-

Risero ancora, e come per miracolo Scientia sentì all'istante il cuore farsi un po’ più leggero, confortato da quella presenza amica.
Ora cominciava a sentire quel freddo che non aveva avvertito prima, camminando sotto la pioggia.
Anche il resto della sua mente si era risvegliato, restituendogli la percezione del tempo e dello spazio.

-Iggy ... perché non cerchiamo Alex, tra una missione e l'altra, prima di partire per Altissa?-

Si era risvegliato, eppure quella proposta lo colse di sorpresa. Si voltò a fissare il principe negli occhi per capire se fosse serio o no, e quando si accorse di avere effettivamente sentito e capito bene rimase sorpreso a fissarlo, senza saper trovare una risposta.
Noctis sorrise di nuovo.

-Ascolta, lo so che vuoi farlo.- gli disse, comprensivo -So che non riesci a non pensarci, io ... posso capirti ...-

Abbassò arrossendo il capo e lo sguardo, in un vano gesto di pudica timidezza e per nascondere le lacrime. Ignis lo guardò e non ebbe bisogno di ulteriori  spiegazioni.
Luna ... Re Regis ...
Le due persone più importanti per lui, e aveva dovuto lasciarle andare senza voltarsi indietro. Con Lunafreya però c'era ancora una speranza.

-Noct, e le nozze?- gli chiese.

Lo vide sorridere.

-Non ho detto che non partiremo.- replicò annuendo -Ma abbiamo ancora qualcosa da sistemare prima di farlo, e nel frattempo potremmo cercarla. Io sono sicuro che sia viva, la troveremo.- quindi aggiunse, battendogli una pacca sulla spalla con la mano libera -Non posso vederti così, Iggy. Hai fatto una promessa anche a lei, e so che mantieni sempre i tuoi impegni.-

Un ultimo occhiolino, Scientia sorrise sciogliendosi nuovamente in lacrime e stavolta fu Noctis ad abbracciarlo, promettendogli che non avrebbe fatto sapere a nessuno di quel momento di debolezza.

-Adesso rientriamo però, o domani saremo noi a doverci prendere cura di te.- lo schernì amichevolmente aiutandolo a rialzarsi.

Ignis tornò a sorridere.

-Non sia mai dobbiate farlo.- replicò riprendendosi la sua allegria.
-Perché, non ti fidi?- lo stuzzicò il principe.

Scientia rise scuotendo il capo.

-Semplicemente conosco i miei polli.- replicò.

Noctis rise a sua volta.

-Hai ragione. Non dureremmo un giorno senza di te.- replicò sincero.

Ignis fece finta di darsi un tono, sogghignando appena con fierezza e soddisfazione.

-Sul serio Noct? Così mi lusinghi.-

 
 
***
 
Alexandra riaprì gli occhi, sgranandoli e sorprendendosi.
Era completamente sveglia, ed erano solo le cinque del mattino.
Si guardò intorno, e un mormorio di stupore le sfuggì dalla bocca.

-Mh?- fece, incredula mettendosi seduta sul bordo del letto e riflettendo per qualche attimo sul sogno che l'aveva svegliata.

Non era stato un incubo, anzi. Ma ...

-Quello ... era Re Regis?-

Lo ricordava a malapena, conosceva il suo aspetto grazie alle immagini trasmesse dai notiziari di Insomnia e stava imparando a conoscerne il carattere grazie ai racconti di Jared, Iris e delle guardie reali, che tra l'altro avevano suscitato in lei anche un certo grado di interesse e curiosità, come quando scriveva un racconto nuovo con un personaggio che la affascinava. Ma era sicura, quello che le era appena venuto in sogno era lui.
In realtà non era stato niente di eclatante, aveva sentito la sua voce saggia e visto qualche immagine di lui da giovane in quel luogo, Capo Caem.
Certo, le avevano sempre fatto i complimenti per la sua fervida fantasia, grazie alla quale riusciva sempre a immaginare con chiarezza situazioni, paesaggi e personaggi di ogni racconto, suo o di altri.
Però quel sogno era stato improvviso, e aveva un che di realistico.
Sospirò, e si rese conto di avere fame, anzi, voglia di un bel piatto di pancake alle fragole.
Era da parecchio che non mangiava qualcosa con gusto, in più lo stomaco brontolava dando segni di impazienza.

-Mah!- sbottò stranita, scuotendo le spalle.

Quindi si alzò di malavoglia, infilò le pantofole azzurre e coprì il pigiama con uno scialle di lana fatto a mano, abbastanza caldo e ampio da proteggerla per bene dal vento notturno del mare.
Vento che, d'un tratto, proprio nel momento in cui lei mise mano alla maniglia della porta, spalancò la portafinestra che dava sul piccolo balconcino, con una violenza tale da urtare rumorosamente contro l'armadio e far cadere un paio delle tante scatole sistemate sopra di esso.

-Oh, Godness!- sobbalzò lei, portandosi spaventata una mano al petto e voltandosi a guardare.

Una delle due scatole era in metallo, e cadendo aveva contribuito a far rumore.
Si precipitò a raccogliere il contenuto della prima, quella in cartone che per lo più nascondeva piccoli pezzi di stoffa e fili, ma nel momento in cui fece per fare lo stesso con la seconda prendendola in mano rimase interdetta a fissarne il contenuto, svelato grazie alla caduta che aveva rotto la serratura del lucchetto.
Erano foto.
Vecchie foto di un giovane principe Regis e dei suoi amici.
Non li conosceva, ma si rese conto di aver immaginato con una inquietante perfezione sia loro che il sovrano.
Erano esattamente come li aveva sognati. Stesse acconciature, stessi vestiti. Perfino stessi paesaggi e stesse movenze.
Le tremarono le mani, e un brivido le percorse la schiena.
Risentì quella sensazione, quella che avvertiva ogni volta in circostanze come queste, e quasi inconsapevolmente si guardò intorno con circospezione, prima di continuare ad esaminare quelle foto.
Quella casa aveva una strana aura emotiva, lo aveva pensato dal primo momento in cui ci aveva messo piede e se ne rese conto in quel momento, mentre continuando a stringere le foto tra le mani sentì una strana dolceamara angoscia appropriarsi di lei.
Ebbe la continua sensazione di essere osservata, per tutto il breve tempo che trascorse in silenzio inginocchiata sul pavimento.
E proprio nel momento in cui qualcuno accese la luce accorrendo nella stanza, appena prima che le ombre della notte scomparissero le sembrò quasi di scorgere un'ombra, dietro le tende di lino fine che ondeggiavano appena scosse dal vento.

-Alex!-

Iris la chiamò spaventata e accorse ad aiutarla. Lei sobbalzò trattenendo il fiato e volgendosi a guardarla.

-Stai bene?-

Jane la guardò come se non la vedesse, stava ancora cercando di capire cosa fosse vero e cosa no di ciò che le era appena successo.
Sbatté un paio di volte le palpebre e sembrò riprendersi, per fortuna.

-I-io ... S-si, si. Sto bene. Mi sono solo molto spaventata.- balbettò, affannandosi a riordinare.
-Lascia, lascia. Faccio io.- la tranquillizzò Iris, chinandosi a raccogliere tutto e restando sorpresa quanto lei nel ritrovarsi in mano quei ricordi -Oh, ma guarda ... Che belle foto!- esclamò ammirata -Che meraviglia! E guarda! Questo deve essere il Re!-

Alex tremò di nuovo, a causa di un brivido freddo lungo la schiena.
Tacque senza sapere che altro dire.

-Ma pensa...- seguitò la giovane Amicitia, voltandosi verso la finestra e accorrendo a chiuderla per poi guardare l'armadio e concludere la frase -Sono sempre state qui e non ce ne siamo mai accorti. E dire che non c'è nemmeno cattivo tempo fuori.-

Eppure una raffica di vento aveva fatto volare giù dal loro nascondiglio quei ricordi proprio nel momento in cui Alex stava riflettendo su un sogno appena avuto, che aveva come protagonista Regis, e i suoi amici.
Che coincidenza, davvero.
Sospirò, ma il cuore in gola e l'ansia accumulata la fecero ricominciare a tossire.
Iris si affrettò a mettere tutto a posto ed aiutarla a sedersi sul letto mentre lei provava a calmarsi con un inalatore.

-Vuoi che ti porti un bicchiere d'acqua?- le chiese, ma la crisi per fortuna era già passata.

Respirò un'ultima boccata di cortisone, quindi scosse il capo sforzandosi di sorridere.

-No, sto bene.- replicò -Piuttosto ... Ho fame.- concluse con un sorriso imbarazzato, mordendosi le labbra.
-Davvero?-

Iris sembrava quasi incredula. Era stata un'impresa fino a quel momento aiutarla a trovare l'appetito, lo dimostravano la sua magrezza e il pallore.
Perciò gioì quando si rese conto che non stava scherzando, ed entusiasta si offrì di accompagnarla in cucina, al piano di sotto.

-Allora, cosa vuoi di buono?- chiese rovistando nel frigo -Cioccolato, carne, pesce, verdure, frutta?-

Alex sorrise impaziente.

-Fragole.- disse soltanto -Fragole, farina, latte, lievito, uova e panna. Tanta panna.-

Iris si voltò a guardarla stranita, poi si fece seria e tornò a ricontrollare in frigo e in dispensa.

-C'è tutto tranne le fragole. Le ho viste nell'orto, vado a prenderle.- risolse contenta.

Fortuna che aveva indossato le ciabatte sotto al suo pigiama rosso, prima di andare da lei. Prese la pila appoggiata sulla prima mensola della dispensa vicino alla porta e uscì.
Alex la ringraziò con un sorriso, e appena se ne fu andata radunò tutto sul tavolo e iniziò a preparare l'impasto per i pancake.
Ci volle poco. In meno di qualche minuto la casa si riempì del profumo dolce delle fragole e dei pancake, misto a quello intenso del caffè.
Sul tavolo sgombro e pulito troneggiava un piatto ricolmo di frittelle dolci, una sopra l'altra, e in cima una nuvola di panna sopra al quale svettavano rosse e succose fragoline di campo in pezzi.
Nella ciotola di fianco il resto della panna montata e due cucchiai.

-Oh, che meraviglia!- esclamò Iris, guardando il piatto con occhi luccicanti -Accidenti Alex! Mettono l'acquolina in bocca solo a vederle!-

Il giovane Talcott si affacciò al soppalco dalla porta della sua camera e guardò di sotto con curiosità.

-Mhhh, cos'è questo profumo? È buonissimo!-

Alex sorrise, tirando a sé una sedia e accomodandosi, poi ne spinse fuori un'altra e lo invitò a raggiungerle.

-Vuoi unirti a noi? Ne ho fatti abbastanza per tutti e tre.-

Talcott batté le mani e accettò ben lietamente l'invito fiondandosi di sotto e sedendosi dove gli aveva indicato lei.
Iris finì di servire prendendo piatti, posate, e versando il caffè per sé stessa e per la cuoca.
Per più di qualche minuto rimasero in silenzio a gustarsi il cibo.
Alex osservò con soddisfazione le loro espressioni golose e soddisfatte, e sorrise nel godere della sensazione dolce di aver contribuito coi suoi piatti a farli sorridere. Talcott in particolare era carino mentre mangiava. Gonfiava le guancie come un rospo prima di ingoiare, e poi aveva tutte le labbra e un po’ del muso sporchi di panna e fragole.
Le ricordò le sue nipotine, e con gli occhi lucidi gli sorrise e gli scompigliò intenerita i capelli.
Iris la osservò e pensò che finalmente era riuscita a ritrovare sé stessa, come aveva detto il dottore.
L’indomani, quando sarebbe venuto a visitarla, sarebbe stato felice di saperl
o.

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Capitolo 5
*** Segni dal destino ***


Segni dal destino

 
§§§

§§§

 

-Mi vede? Avverte qualcosa?-

La luce bianca dello strumento del medico invase il suo campo visivo dell'occhio ammaccato per qualche attimo, giusto il tempo di controllare meglio la situazione, poi il dottore tornò a guardarla da lontano e le fece quella domanda.
Alexandra batté un paio di volte le palpebre nel tentativo di mettere a fuoco il più possibile, ma  con scarsi risultati.

-Vedo solo ombre.- disse scuotendo il capo -Ombre e qualche colore, nulla di più.-

Il medico annuì serio, rimettendo a posto l'attrezzo nella sua borsa di cuoio e prendendo il martelletto per monitorare i riflessi.
Le chiese di scoprire il ginocchio, lei annuì in silenzio e sollevò il lembo della lunga gonna in seta verde acqua, mostrando la gamba affusolata e liscia, la pelle bianca e gli stivaletti di cuoio dalla quale non si separava mai.
Il medico la colpì una volta e destra e una a sinistra, in entrambi i casi la paziente reagì con prontezza.

-Mh.- sorrise il dottore, rialzandosi -I riflessi sono buoni. Ha detto che ha iniziato a camminare anche senza il bastone, ieri?-

Alex annuì sorridendo. Era soddisfatta di quel progresso quasi inaspettato.

-Ho sentito il bisogno di provarci.- replicò.

Due notti addietro aveva sognato di essere di nuovo ad Insomnia, e camminare per le sue strade magnifiche piene di luce. Era sicura, splendida nel suo completo rosso, e le ballerine bianche ai piedi erano comode e graziose. Sorrideva e si sentiva bene.
Aveva camminato a lungo, perdendosi tra i vicoli e assaporando ogni suono, colore e odore, mentre strani bagliori di luce le vorticavano attorno come piccole lucciole.
L'odore dei lunghi viali alberati in fiore, la fragranza dolce di crema pasticcera e quella aromata del caffè passando di fronte ad una caffetteria affollata.
Il chiacchiericcio della gente nei locali e per strada, la folla che la sfiorava e qualcuno che le rivolgeva un sorriso.
Le si era riempito il cuore, si era sentita bene e quasi commossa.
Era stato quasi come rivivere quei luoghi prima del disastro. Era passata perfino di fronte alla sua casa, a quella di Eve e anche a quella di Prompto, poste in punti diversi della città.
Poi, giunta di fronte al cancello del palazzo reale, era avvenuto qualcosa di veramente strano.
Le scintille di luce che l'avevano accompagnata si erano sollevate insieme e avevano preso a volteggiare attorno alla maestosa inferriata. Lei le aveva guardate sorpresa e affascinata fino a che non aveva visto il cancello aprirsi di fronte a lei, come invitandola ad entrare.
Aveva trattenuto il fiato, e senza esitare era entrata, rimanendo abbagliata dalla magnificenza del luogo.
Le alte guglie del palazzo si ergevano alte fino a trafiggere quasi il cielo sopra di loro, i marmi e le sculture trasudavano potenza e bellezza.
I vetri a specchio scuri facevano rifulgere il sole sopra le zone d'ombra del porticato, le finiture in oro animavano l'imponente edificio facendolo sembrare un grande guerriero che a braccia conserte stava lì, al centro della città, a vegliare sui suoi abitanti e le sue storie, e l'ampia, alta scalinata che conduceva al grande portone d'ingresso era l'accesso ad un paradiso blindato, una calorosa ma severa signora che con la semplice forza del suo sguardo riusciva a decidere chi fosse o meno degno di poterla calpestare.
Alexandra gli era arrivata proprio di fronte, stregata come da un potente incantesimo, e nel momento in cui si era ritrovata a decidere se seguire o meno la sensazione fiduciosa che la spingeva a voler intraprendere quella scalata, aveva sentito come un tintinnio e si era voltata, trovandosi di fronte, proprio alla sua destra, ad un'altra sorpresa inaspettata.
A terra, sul pavimento in marmo, era caduto quello che sembrava un piccolo diadema d'argento, finemente lavorato.
Lo aveva fissato stranita, quindi si era chinata a raccoglierlo e stringendolo tra le mani lo aveva esaminato cercando di capire cosa fosse e dove lo avesse già visto, ma proprio allora si era svegliata.
Era stato strano quello che era accaduto dopo.
Aveva sentito uno strano suono nella stanza, riaprendo gli occhi e si era accorta che era il suo telefono a farlo.
Aveva pensato alla sveglia, ma quando era andata a controllare si era accorta che in realtà la radio si era accesa su una stazione locale di musica rock-country.
Era rimasta davvero, davvero stranita. Ma da quel giorno non aveva fatto che pensarci, e soprattutto pensare al suo sogno.
E più ci pensava, più in lei crescevano la calma e la sicurezza.
Fino a che queste, il giorno prima appunto, non avevano fatto che favorire quello che per lei non era stato niente di che, ma per gli altri era risultato essere quasi un piccolo miracolo.
Si era svegliata all'alba, prima di tutti, ed era scesa al piano di sotto a preparare la colazione.
Diplomatica alla crema, e una bella moka di caffè.
Il tutto senza usare il suo bastone, dimenticato al fianco del letto.
Quando Iris se n'era accorta stavano già facendo colazione, ed erano esplose in una risata contenta dopo che glielo aveva fatto notare.
L'aveva davvero scordato al fianco del letto, e per quel giorno aveva cercato di lasciarlo lì.
Nemmeno adesso lo aveva con sé.

-Bene, bene.- commentò soddisfatto il medico -Può farmi vedere?- le chiese poi.

Di nuovo Alexandra annuì, e con un sorriso si alzò senza problemi dalla sedia sulla quale era seduta, arrivando fino alla porta d'ingresso e poi tornado indietro all'altro capo del tavolo.
Iris e Talcott si strinsero emozionati, sorridendo.
Jared osservò la scena calmo e contento. Quella giovane era testarda e forte, aveva fatto moltissimi progressi in pochissimo tempo proprio per il suo animo combattivo. Era contento per lei, per come le stessero andando le cose.

-Perfetto, signorina Baker!- concluse il medico, quando lei si fu riaccomodata -Ha fatto ottimi progressi, ne sono felicissimo.-

Alex sorrise contenta. Anche lei era soddisfatta. Meravigliata e soddisfatta. Non avrebbe mai creduto di riuscire a raggiungere quegli obbiettivi in così poco tempo. Due mesi e mezzo erano veramente pochi, considerato ciò che aveva rischiato.

-Inoltre la sua cheesecake alle fragole era squisita.- si congratulò scherzoso, strappandole un sorriso e facendola arrossire -Questo significa che ha ritrovato anche la voglia di dedicarsi alle sue passioni.-

Lei ci pensò per qualche istante, poi annuì.

-Si, possiamo dirlo.-
-Ottimo.- concluse il medico.
-Ma dottore ...- lo interruppe lei, tornando serio -Mi dica ciò che deve sul mio occhio. Ho intuito che ha delle brutte notizie da darmi.-

L'atmosfera si fece nuovamente seria. Iris, Jared e Talcott la guardarono sorpresi, e il medico si fece di nuovo serio, annuendo.

-Ha un intuito formidabile, Miss Baker.- le disse.

Il sorriso della ragazza si fece triste. Abbassò il capo in una muta ammissione di colpa.

-Allora?-

Il dottore si sedette di fronte a lei e dopo un breve sospiro le rivelò.

-Purtroppo non penso che la sua vista possa migliorare più di così. Dopo due interventi e tre mesi di degenza credo di poter avere la quasi totale certezza che sia il massimo che vi possiate aspettare.-

Alex sentì il suo cuore perdere un battito, ma la notizia non la sconvolse più di tanto. Se la aspettava. Ma fece ugualmente male.
Si diede qualche istante, poi ingoiò le lacrime e con un sospiro tornò a sorridere guardando negli occhi l'uomo.

-Quindi non tornerà più a vedere?- chiese sconvolta Iris.
-Potrebbe migliorare ancora un po’, ma tornare a vedere come prima è impossibile. Le immagini resteranno composte da ombre e colori.- le rispose lui.
-Avete fatto del vostro meglio per me, dottore. Devo ringraziarvi.- intervenne lei, concludendo poi cercando di sdrammatizzare -Almeno mi è rimasto un occhio buono con cui potrò cucinare, fare foto e scrivere. No?-

Non riuscirono a sorridere. Pur volendolo. Era una pessima notizia, anche se non del tutto cattiva. Voleva dire che avrebbe sempre avuto qualcosa a ricordarle il suo periodo buio. Il momento in cui era accorta di aver perso tutto.
Lei invece ... Si sentiva forte. C'era qualcosa in lei, come una strana sicurezza che non riusciva a spiegare. Qualcosa che le diceva di non arrendersi.
Era una colonna, una roccia, un scoglio contro cui un mare di tragedie si abbatteva con forza.
In un primo momento aveva creduto di non farcela, di sgretolarsi rapidamente fino a scomparire.
Ma, mano a mano che il tempo passava, quella strana forza l'aveva cambiata, e adesso era lì, a sorridere all'uragano.
Forse lo era sempre stata. Forse aveva solo bisogno di vivere quella situazione per riuscire a scoprirsi. Insomma, in fondo avrebbe ancora potuto vedere le meraviglie di Eos! Era una cosa più che positiva, un miracolo forse ancora più prezioso dell’aver smesso di zoppicare!
Il medico le sorrise, sorpreso.
 
-Si.- le rispose semplicemente, iniziando a riordinare i suoi effetti.
 
Anche Jared lo fece. Era solo un vecchio maggiordomo, ma ancora una volta si riconobbe in quella giovane dalla determinazione di ferro.
E riconobbe anche l’animo di una fiera regina guerriera, degna del trono di Lucis, senza riuscire a smettere di pensare che al Re Regis Lucis Caelum sarebbe piaciuta molto.
Se avessero avuto la possibilità di conoscersi, si sarebbero piaciuti molto perché erano anime simili, forse più di quanto lei adesso potesse credere.
Forse ora non era il tempo giusto per renderlo evidente, ma quando sarebbe arrivato sarebbero stati sotto gli occhi di tutti le innumerevoli analogie di quelle due anime affine.
Era giovane, Alexandra Jane Baker. Ancora troppo giovane per capire, proprio come un tempo lontano lo era stato anche Re Regis.
C’era ancora tempo per crescere per lei, per fortuna.
 

\\\
 
Il medico lasciò Capo Caem circa mezz’ora più tardi, dopo aver pranzato con loro, e non appena se ne andò Alexandra si ritirò in camera sua, a riflettere.
Tolse gli stivaletti e si sedette sul bordo del letto, rivolta verso la portafinestra aperta sul panorama del golfo. Si sentiva … ancora forte.
Era una novità per lei, che non aveva fatto che tremare, sempre e comunque. Sospirò pesantemente, con uno strano senso di inquietudine ad appesantirle il petto.
Il peggio era passato, ma da qualche giorno lei non sentiva più il bisogno di piangere.
Forse perché lo aveva fatto abbastanza dal giorno del suo risveglio, e la sua mente aveva finalmente ritrovato una sua stabilità.
Guardò il cassetto del suo comodino, e un pensiero le attraversò la mente.
Lo aprì e ne trasse la lettera di sua sorella, guardando con affetto e gli occhi lucidi di commozione la calligrafia sul retro della busta che recitava: “Alla mia piccola peste. Ti voglio bene, Monica.”
Non aveva avuto il coraggio di aprirla, per tutto quel tempo. Se fosse riuscita a leggerla voleva dire che aveva davvero superato tutto questo e poteva dirsi fuori da quel baratro di dolore che l’aveva divorata. Ma cosa sarebbe successo se, viceversa … avrebbe perso la scommessa?
Sospirò, e con mani tremanti fece per aprirla ma si bloccò, proprio nel momento in cui vide i caratteri a penna fare capolino. No, non era pronta ancora.
Glielo dissero i segnali che il corpo le mandò appena la mente recepì il messaggio. Gli occhi le si riempirono di lacrime e ricordi, il cuore prese a battere veloce e le mani iniziarono a tremare, finché non si arrese e rimise in fretta quella lettera chiusa a chiave dove l’aveva nascosta.
Si alzò e a piedi nudi corse a prendere una boccata d’aria, affacciandosi ad ammirare la costa dal balconcino della camera. Lasciò correre lo sguardo verso l’orizzonte, osservando il profilo selvaggio del promontorio e il fumo che saliva verso il cielo azzurro dalla bocca del vulcano Ravatog.
Scosse il capo, bevendo le sue stesse lacrime, quelle poche che erano riuscite a sfuggire al suo controllo.
“Non ce la faccio, Monica … scusami.”
Erano troppi i ricordi sopiti, troppo breve il tempo trascorso. Le ferite erano ancora aperte, e facevano male più di quelle vere ricevute. Perché un occhio, una gamba, perfino la vita stessa, non erano nulla in confronto all’aver perso una sorella e un’amica, una madre, due nipoti ancora nel pieno della loro ingenua fanciullezza.
Cos’era la sua vita, in confronto a quella di un bambino innocente? Perché avrebbe dovuto chiedere di sopravvivergli, come invece era accaduto.
Quindi si buttò sul letto e chiuse gli occhi, già pieni di lacrime, raggomitolandosi su sé stessa.
Sentì di nuovo la voglia di piangere farsi sempre più pressante, e non poté che cedere alla tristezza.

-Non ce la faccio, Monica ...- mormorò, delusa da sé stessa -Scusami, ma ... ancora non ce la faccio.-

Non ce la faceva a dirle addio, perché sapeva che una volta aperta quella busta e letta l'ultima riga di quella missiva, sua sorella non avrebbe avuto più niente da dirle, non avrebbe più potuto.
E lei non poteva accettarlo. Aveva ancora bisogno che se ne fosse andata solo per qualche istante, giusto il tempo di un breve viaggio.
Aveva immaginato tante volte una situazione simile. Tutte quante si era sentita angosciata ed era naufragata in lacrime
Rimanere sola era sempre stata una delle sue più grandi paure, perdere all'improvviso tutto e tutte le persone da lei amate era sempre stata la sua fobia più grande.
E adesso quell'incubo si era realizzato.

-Dei di Lucis ...- pianse -Perché?-

L'animo a pezzi, il cuore in gola.
E proprio in quell'attimo il suo corpo fu avvolto da un calore strano e confortante, come quello di un abbraccio, e un profumo diverso da quello salmastro sentito fino ad allora le riempì le narici, inebriandola.
Era un profumo forte, intenso ma avvolgente, suadente. Un'acqua di colonia maschile, di questo fu certa, e anche rara o molto costosa visto che di fragranze così non ne aveva mai sentite, né ad Insomnia, né fuori.
Nemmeno Ignis usava un profumo simile.
Tremò, riaprendo di scatto gli occhi e guardandosi intorno.
Era sola nella stanza, e nessuno la stava abbracciando. Ma allora ...
Con la rapidità con il quale era venuto quel calore scomparve, ma non il profumo.
Quello rimase anche quando, controvoglia perché non si sentiva minacciata, anzi avrebbe voluto restare accoccolata in quella strana ma confortevole sensazione ancora a lungo, si alzò e a piedi nudi si avvicinò di nuovo al balcone per capire se quella fragranza avesse origine da fuori.
Invece notò con stupore che più si allontanava dal suo letto, meno diventava intensa.
Era lì, era proprio da lì che proveniva, eppure non c'era nessuna boccetta di un profumo così, né tantomeno una macchia che testimoniasse ne fosse caduta qualche goccia.
Nulla.
Solo una variazione nell'aria, come un tremolio acqueo, un cambio di densità nella trasparenza che lei non riuscì a vedere, un po’ per colpa del suo occhio, e anche perché non aveva indossato gli occhiali, lasciati sopra il comodino dopo aver riposto la lettera.
E in ultimo anche perché restò appena qualche istante, poi scomparve, lasciandosi dietro quella scia intensa di aroma.
Alex sentì le forze ritornarle e la tristezza passare, si sentì come rassicurata e all'improvviso non gli importò poi più di tanto da dove giungesse, chiuse gli occhi e inspirò fino a sentirsi ricaricata, fino a riuscire a sorridere di nuovo.
Era buono.
Intenso, maschile e forte. Decise che avrebbe cercato di capirne la provenienza, poi sorrise, tornò ad indossare velocemente i suoi stivaletti e scese di sotto, vogliosa di passeggiare lungo la costa. Era da tanto, effettivamente, che non lo faceva. Quasi una settimana, e le mancava stare in contatto col suo amico oceano.
 
-Talcott!-
 
Il bambino stava rovistando nella sua scatoletta di latta ammirando i suoi kyactus giocattolo, vari modellini di diversi materiali, seduto al tavolo da pranzo in legno.
Alzò gli occhi e la guardò sorpreso.
 
-Ti va di venire con me sulla scogliera?- gli chiese dolce.
 
Il volto del giovane si colorò di entusiasmo.
 
-Certamente!- rispose.
 
Quindi ripose dentro al mobiletto alle sue spalle la sua preziosa collezione e corse a tenerla la mano, avviandosi insieme a lei.
Quel meriggio d’oro l’aria era tiepida, accogliente, ed era piacevole star fuori a godersi il sole.
Lei e il piccolo Talcott giunsero alla spiaggia poco distante dalla scogliera che il sole era già alto in obliquo, ma ancora distante dal punto in cui iniziava a tramontare.
La prima cosa che volle fare Alex fu togliersi gli stivaletti e i gambaletti color carne e camminare sulla sabbia calda, rabbrividendo di piacere alla sensazione del calore sotto la pianta e lungo la schiena. La prateria alle loro spalle intanto, spazzata da un venticello giocoso, rifulgeva di un verde brillante.
Poi la giovane si avvicinò al bagnasciuga e sollevò appena i lembi della lunga gonna, lasciando che la schiuma marina le stuzzicasse la pelle fino a ricoprirle le ginocchia.
Talcott, per imitarla, tolse le scarpe, fece i risvolti ai pantaloni e si avvicinò a lei, guardandosi intorno.
 
-Aaaah, che bellezza!- esclamò, allargando le braccia e chiudendo gli occhi, dopo aver alzato la testa verso il sole.
 
Alex lo guardò con un sorriso e lo imitò, inspirando a grandi sorsi quell’aria leggera e libera.
-Si, è vero…-
 
Ma mentre stava ancora sfidando il sole, all’improvviso uno schizzo d’acqua fresca arrivò a bagnarla. Si riebbe sorpresa, spalancando la bocca e rabbrividendo, e vide il bambino ridersela vispamente mentre la guardava in attesa, le mani ancora bagnate.
Lei sorrise assottigliando le palpebre, quindi si chinò verso la superfice limpida dell’acqua e gli restituì il favore ridendo a sua volte.
Ebbe inizio una breve battaglia in cui le loro risate riecheggiarono come esplosioni gioiese verso il cielo terso, che si concluse quando entrambi caddero in acqua sbilanciati dal peso dei loro corpi sulla sabbia bagnata.
Talcott non aveva mai riso coì tanto in vita sua, e nemmeno Alexandra. Subito dopo decisero di ritornare subito al faro, per non restare coi vestiti bagnati addosso per troppo tempo, e anche perché la fame si era riaccesa.
Il tramonto era arrivato, e la notte era per i daemon. Mentre risalivano ridendosela per il peso dei vestiti che ingoffava i loro movimenti, soprattutto quelli della giovane donna, Alexandra raccolse da un cespuglio more selvatiche.
 
-Ci farai di nuovo i pancake?- le chiese Talcott, speranzoso.
 
Lei gli sorrise, mettendo gli ultimi frutti raccolti nella piccola busta di plastica che si era portata dietro appositamente.
 
-Se ti piacciono così tanto, potrei anche rifarli.-
 
Talcott batté le mani ridendo.
 
-Non vedo l’ora di assaggiarli!-
 
Sorrisero assieme, poi si presero per mano e completarono insieme la scalata, aiutandosi a vicenda per non inciampare.
Mezz'ora dopo, il tempo di una doccia di indossare vestiti asciutti, la piccola cucina era piena di odori diversi.
Iris preparava la cena, lei la aiutava e intanto si dava da fare col dolce.
Talcott, dalla sedia all'altro capo del tavolo, guardava affascinato le due destreggiarsi ai fornelli e ridere, scambiandosi battute e pensieri sulla giornata appena trascorsa e su quelle avvenire.

-Oh, ma buonasera!-

La porta d'ingresso si aprì e Monica Elshett si fece avanti, guardando con un sorriso curioso la scena.

-Accidenti che profumino! Che mi sono persa?-

Era stata lontano per diverse settimane, impegnata ad aiutare la resistenza al fianco del maresciallo Cor Leonis.
Aveva anche aiutato il Principe e la sua gang, in diverse occasioni.

-Ciao Monica!- la salutarono in coro le due ragazze.
-Benvenuta.- le disse Jared, che fino a quel momento era stato impegnato a leggere un libro sulla poltroncina in un angolo dell'angusta stanza.
-Alex e Iris stanno cucinando per noi stasera. Iris fa primo e secondo, e Alex i pancake.- la informò Talcott.
-Ah, e tu immagino sia già in posizione di battaglia.- scherzò lei, scompigliandogli teneramente i capelli.

Risero insieme.

-In realtà Alexandra si sta occupando anche dei contorni.- precisò divertita Iris guardando l'amica.
-Che non è una cosa facile.- aggiunse lei -Sono come lo sfondo in un dipinto, devono far risaltare la scena ed essere altrettanto superlativi.-
-Oh ...- fece Jared, senza parole.
-Poesia.- le rispose ammirata Monica, annuendo -Sono pienamente d'accordo.-
-Anch'io.- assentì Iris.

Poi la guardia reale si sedette al suo fianco ed iniziarono a conversare, fino a che la cena non fu pronta, poi tutti quanti tacquero per godersi il magnifico pasto:
Spaghetti al profumo di mare, con gambero fresco, salmerino del Maiden, spigola di Alstor, basilico fresco e pomodorini; Calamari ripieni con contorno di patate, olive nere e fagiolini novelli come secondo, e per dolce pancakes ai frutti di bosco e fragoline con panna montata aromatizzata al limone.
Caffè e amaro per chiudere il cerchio.
Roba da leccarsi i baffi.
Difatti, mentre era intenta a gustare il dolce Monica assenti con vivo piacere ai complimenti di tutti verso la cuoca.

-Ti sei davvero superata, Alex. Sul serio, era come dicevi. Le patate e i fagiolini si scioglievano in bocca. E questo dolce è ...-
-Uao!- la prevenne Talcott, facendo ridere tutti i presenti per la sua spontaneità.
-Anche tu Iris, la pasta era semplicemente favolosa.- aggiunse poi Elshett, rivolgendosi alla giovane Amicitia che la ringraziò con un sorriso e aggiunse
-In realtà è stato merito di Alex che mi ha suggerito un segreto per insaporire meglio il sugo.-

Jane Baker le sorrise portandosi alla bocca l'ultima forchettata di pesce e nascondendo a malapena un sorriso soddisfatto.
Monica le osservò interessata.

-Oh, davvero? Lo insegnerai anche a me, un giorno?-

Alex bevve un sorso dal bicchiere di vino bianco che si era versata.

-Vedremo ...- disse con un sorriso, poi facendole un occhiolino -Se saprai meritartelo, magari ...-

Monica sorrise e prese anche il suo bicchiere versandosi un po di vino.

-Ci sto.- disse accettando la sfida, poi sembrò ricordarsi di qualcosa e dopo aver bevuto un sorso disse -A proposito, ho una buona notizia per te. Ti ho trovato un lavoro.-

La sorpresa si dipinse sul volto di tutti i presenti. Alexandra si fece seria e la guardò, appoggiando il bicchiere nuovamente sul tavolo.
Tremò mentre formulava la domanda, non seppe dire perché.

-Davvero? Dove?-

Monica annuì con un sorriso.

-Al molo di Galdin.
Ho un'amica che è da poco diventata comproprietaria del ristorante dell'hotel, e sta cercando un aiuto cuoco con un minimo di esperienza. Appena le ho detto che hai lavorato a palazzo ha detto che sarebbe stata felicissima di averti nello staff, a qualunque costo. La tua esperienza vale molto per un ristorante di prestigio come quello.-
-È fantastico!- esclamò entusiasta Iris.

Era contenta per lei, finalmente la fortuna tornava a girare e presto, se le cose fossero andate come avevano previsto lei e Gladio, oltre al lavoro avrebbe riavuto anche il suo unico amore.
Stavano cercando un modo per farli rincontrare, e forse uno lo avevano trovato.

-Ma ... le hai detto che sono ... cosi?-

Alex si fece preoccupata, e abbassò la forchetta appoggiandola sul bordo del piatto con ancora l'ultimo boccone attaccato.
Iris e Jared la guardarono preoccupati. Monica la fissò negli occhi per qualche istante, poi le sorrise.

-Intendi fenomenale in cucina, grande lavoratrice e persona onesta?- rispose -Si, gliel'ho detto. Per questo ti hanno accettato.-

Alexandra però si fece ancora più seria.

-No, intendo cieca da un occhio, leggermente zoppa e debole di costituzione.- rispose freddamente -Non ho abbastanza resistenza fisica per reggere i ritmi di una cucina professionale ... Non più, adesso.-

Trattenne il fiato, solo in quel momento all'improvviso, guardando le facce sconvolte degli altri, si rese conto di quanto fosse stata brutale, e anche abbastanza scortese.
Ma per quanto ora se ne pentisse, non era riuscita ad evitarselo. Perché era così, nulla avrebbe potuto cambiare il presente.
Sospirò, chiudendo gli occhi e poi tornando ad addolcire il tono.

-Scusami, Monica. Non volevo essere ingrata.- disse, sinceramente pentita -Ti ringrazio per aver pensato a me, ma non credo sia un mestiere che posso continuare a svolgere, con la mia salute attuale.-

La donna le sorrise, prendendole una mano e stringendogliela per farle forza.

-Alex, ti stai sottovalutando.- le disse.
-No.- replicò lei, cercando di resistere alla tentazione di essere di nuovo dura -Sono solo onesta con me stessa, tutto qui.-

La guardia reale continuò a mostrarsi comprensiva.

-E fai bene.- le rispose -Ma per onestà con te stessa prima di rifiutare questa offerta pensaci qualche giorno. E mentre ci pensi, sappi che sono stati informati delle tue difficoltà e sono disposti a darti una mano, turni flessibili, tempo di prova più lungo per ambientarti meglio, ferie e malattie anche con un preavviso di appena un paio d'ore. Pagano bene, non ti chiederanno sforzi eccessivi, e se non te la senti dopo il periodo di prova potrai tornare alla tua vita qui.-

Alexandra la ascoltò in silenzio, abbassando gli occhi sul piatto e incupendosi. Tutto molto bello.
Anche troppo. Non poteva pretendere di riuscire a fare la vita di prima, non ce l'avrebbe più fatta. E poi ...
Non era sicura di voler intraprendere di nuovo quella carriera. Cucinare ... La faceva stare bene, sollevava la mente e la aiutava a non pensare. Ma era cucinare per chi le voleva bene a farle quell'effetto benefico, invece farlo in una cucina professionale ...
Insomma, non era così divertente. Era bello vedere dei bei piatti prendere forma dalle sue mani come vasi di porcellana, ma il condimento perfetto erano i sorrisi dei commensali.
Sospirò. Inoltre senza Ignis ...
Scosse il capo, scacciando quel pensiero.

-Va bene, ci penserò.- risolse sbrigativa.

Monica la guardò con un sorriso alzarsi e chiedere scusa prima di salire in camera e chiudersi la porta alle spalle.
Lei e Iris si guardarono negli occhi, con un leggero sorriso imbarazzato.

-Credo abbia paura.- disse la guardia reale, con serenità -È normale. Ho visto tanti soldati fare i conti con le proprie ferite in questo modo.-

Iris e Jared annuirono insieme.

-Spero che accetti.- concluse Iris Amicitia, sinceramente preoccupata -Almeno potrà tornare a vivere una vita quanto meno normale, come quella che faceva prima.-

Jared annuì con un sorriso.

-Lasciamole il tempo che le serve.- disse, saggiamente -Se è questa la sua strada, il destino la aiuterà a scegliere la soluzione migliore.-

 
\\\
 

Di notte le stelle luccicano come brillanti.
Sembrano vive, le anime di chi se n'è andato.
Fiammelle vivide di perduta speranza, fuochi fatui nella notte, liberi dal peso mortale.
Bussole in mezzo al cielo, irriconoscibili come dei ma immobili, come punti fissi a tracciare la strada.
Riuscire a seguirne i passi, che impresa impossibile.
Sarebbe bello poter avere la forza ...
"


Alexandra fermò la penna e guardò i versi appena scritti, trovandoli banali e scontati.
Sospirò, chiudendo il piccolo quaderno e abbandonandolo sul comodino assieme alla penna e spegnendo la piccola abat-jour.
Il buio della notte piombò nuovamente nella stanza, e gettandosi sul cuscino la ragazza chiuse gli occhi e restò ad ascoltare il canto del mare.
Era da poco passata la mezzanotte e lei non aveva per niente voglia di dormire, continuava a pensare alla proposta di lavoro appena ricevuta e ad ascoltare il canto dei grilli, sperando in un segno.
Non aveva idea sul da farsi.
Il suo cuore le diceva di accettare senza pensarci su, la sua mente le ricordava tutti i contro della scelta.
E continuava a tornarle alla memoria Ignis.
Si perse, a chiedersi dove fosse, cosa stesse facendo, se avesse saputo di Insomnia e se avesse tentato di cercarla.
Risolse che probabilmente la notizia lo aveva raggiunto quando era già oltremare e non avrebbe potuto ancora mettersi sulle sue tracce.
Era dedito alla sua missione, probabilmente non lo avrebbe fatto fino al giorno in cui Noctis glielo avrebbe permesso, o non avrebbe più avuto bisogno di lui. Però sarebbe comunque stato in pensiero per lei.
Magari avrebbe potuto chiamarlo!
No, meglio di no. Nel tentativo di rassicurarlo, avrebbe finito per fargli perdere la sua determinazione, ed era l'ultima cosa che voleva.
Però anche lei aveva bisogno di averlo vicino, non soltanto l'erede al trono dei Caelum!
Si sentì una stupida, quella gelosia non aveva senso.
Si nascose il viso tra le mani e guaì

-Per tutti gli dei, cosa devo fare??-

Non pretendeva di avere una risposta diretta, le sarebbe bastato anche solo un piccolissimo segno, un indizio. Un suggerimento in grado di aiutarla a sciogliere il nodo della matassa.
Qualcuno bussò alla porta, la voce di Jared la raggiunse oltre la soglia ancora chiusa.

-Alexandra, sei ancora sveglia?-

Lei sospirò, tornando a fissare persa il soffitto.

-Si.- disse -Si, Jared. Vieni pure.-

Tornò a chiudere l'unico occhio buono, per evitare che l'improvviso arrivo della luce elettrica le ferisse la vista, come infatti avvenne appena qualche secondo più in là, quando l'uomo entrò e accese la luce.
Lei rimase per qualche istante ad occhi chiusi, poi fu costretta ad aprirli per guardare il vecchio maggiordomo che le sorrideva bonariamente sulla soglia.
Aveva una tazza fumante tra le mani.

-Ti ho portato una camomilla.- le disse, avvicinandosi.

Lei gli sorrise, si mise a sedere e prese tra le mani la tazza calda, inspirando il vapore benefico.
Riconobbe subito la fragranza intensa e balsamica del miele, e si sentì immediatamente meglio.
Quando era piccola e aveva la febbre, troppo spesso per colpa della sua costituzione che non era mai stata robusta, le piaceva essere coccolata, e capitava spesso che sua madre e sua sorella Monica le facessero una sorpresa preparandole coccole culinarie come la camomilla col miele, le zuppe calde di legumi e patate, o i passati di verdure.
Jared non avrebbe potuto saperlo, mentre gliel'aveva preparata aveva pensato solo che la camomilla per l'insonnia e il nervosismo era un rimedio efficace, e che il miele avrebbe potuto aiutare il suo sistema immunitario.
Eppure bastò quello per risvegliare in un attimo ricordi.
Sospirò affranta, un paio di calde lacrime scivolarono veloci dagli occhi chiusi a bagnarle le guance.

-Oh, Jared ... Cosa dovrei fare? C'è qualcuno in grado di dirmelo?-

Una fitta di emicrania la colse, non riuscì a resistervi così strinse i denti.
L'uomo le si sedette accanto e lo sorrise.

-Nessuno può dirti ciò che devi fare, purtroppo.- le rispose gentilmente -Ognuno di noi ha un destino, una missione da compiere nella sua vita, e sta proprio a noi stessi il compito di comprendere la strada e percorrerla fino alla fine.-

Alex scosse il capo, più volte.

-Ma come faccio?- chiese disperata -Ho perso tutto. Sono lontana dalla mia casa, dalla mia terra e dalla mia famiglia ... il mio cuore è a pezzi ... Come faccio a capire dove devo indirizzare i miei passi, se non so nemmeno più se vale la pena andare avanti?-

Bevve un sorso per soffocare i singhiozzi. Jared nel frattempo tornò a sorriderle osservandola paterno.
Era stato in silenzio sino ad allora, ma in quel momento sentì di non poter più tacere.

-Sai, Alexandra. Al momento della propria incoronazione o successivamente, ad ogni re di Lucis veniva assegnato un compito direttamente dagli dei. Compito dal quale non potevano sottrarsi, volenti o nolenti, e che dovevano portare pienamente a compimento.-

La ragazza parve ridestarsi. Lo guardò e iniziò ad ascoltare con molta attenzione.

-Al Fondatore fu dato l'incarico di costruire la città di Insomnia e di fondare la capitale del regno, ai re successivi fu detto di espandere i propri confini.
Poi arrivò Mors, e subito dopo suo figlio, Re Regis...-

Un brivido lungo la schiena. Mentre il vecchio Jared, inconsapevole, proseguiva il racconto, Alexandra si sentì nuovamente cattura da esso, e all'improvviso la tristezza sembrò essere totalmente dimenticata.

-Regis aveva circa trent'anni quando salì al trono. Fino a quel momento aveva trascorso una vita da principe, girato il mondo assieme ai suoi compagni e imparato a comunicare con i suoi futuri sudditi facendosi ben volere da loro. Era convinto di aver trovato lo scopo della sua esistenza, ma all'improvviso si ritrovò a dover attendere, perché gli dei gli dissero chiaramente che la sua missione non gli sarebbe stata rivelata al momento della sua incoronazione. Dovette attendere altri quattro anni, fino alla nascita del suo primo erede.-

Alexandra trattenne il fiato, continuando a seguirlo senza riuscire a perdere l'attenzione. Per un istante, un singolo, brevissimo istante, gli sembrò quasi di risentire quel profumo intenso, ma la sua mente non fu abbastanza presente da registrarlo.

-Era Noctis la sua missione?- chiese.

Jared si fece un po’ triste, inclinò appena la testa di lato.

-Più o meno.
La regina, con la quale si erano conosciuti dall'infanzia, morì dandolo alla luce e Regis si ritrovò a crescerlo da solo, senza dover perdere di vista i bisogno del regno, che in quel momento erano complicati. Quello che so, è che non si arrese e gli dedicò tutto sé stesso, per questo erano molto uniti. Fino a che un giorno, quando Noctis aveva appena tre anni e mezzo, non ricevette la profezia.-
-Che profezia?-

Jared la guardò negli occhi, sorrise.

-Noctis è il prescelto, colui che avrebbe spazzato via le tenebre da Eos e risollevato le sorti dell'umanità. E lui avrebbe dovuto prepararlo per quell'incarico, proteggerlo ed essere pronto a tutto, quando il momento sarebbe giunto.-

Un brivido freddo percorse di nuovo la schiena della giovane Alexandra Jane Baker, che senza fiato si ritrovò a fissare a bocca aperta il nulla di fronte a sé, una mano sul cuore e una tristezza implacabile nell'anima.
All'improvviso si accorse di non riuscire più a trattenere le lacrime, ma Jared non si rese conto del loro vero significato, e forse nemmeno lei.
Non erano lacrime che dipendevano dalla sua situazione attuale, ne da quel racconto.
Erano sintomo di una tristezza atavica che all'improvviso si impadronì di lei e che durò a lungo, anche dopo quel giorno.
Per quel momento, anche se le lacrime erano talmente tante da appannarle gli occhi, Alexandra decise di bere un altro sorso di camomilla, asciugarsi gli occhi con il fazzoletto offertole dall'uomo e chiedere, con voce tremante.

-E questo ... C-come dovrebbe aiutarmi?-

Ora se ne accorse davvero. Quella fragranza intensa e forte era tornata, e non era Jared ad indossarla.
Ma continuò a non dargli peso, erano troppi i discorsi importanti da affrontare per preoccuparsi anche di questo.
Jared le sorrise nuovamente.

-Tu non sei una regina, ma puoi avere la stessa forza di volontà.- le rispose, incoraggiante -Devi solo avere fede, essere paziente e pronta a recepire i segni che gli dei vogliono inviarti. È normale essere spaventati quando le cose cambiano. Tutti noi abbiamo perso qualcuno o qualcosa, ma se siamo in vita vuol dire che la nostra missione non è ancora giunta a compimento.-

Un impeto di rabbia.
Alexandra lo guardò seria negli occhi e chiese, senza mezzi termini.

-È così che agiscono gli dei? Ci creano per uno scopo che solo loro conoscono e quando lo abbiamo raggiunto ci buttano via?-

Jared Hester non si fece spaventare da quella sentenza fredda. Seguitò a sorridere, e le rispose certo.

-Regis affrontò un momento simile quando si rese conto della sorte che sarebbe toccata a lui e a suo figlio. Ma riuscì a trovare la risposta, prima di andarsene ... anche tu se avrai abbastanza fede e coraggio la otterrai. Tutti prima o poi dobbiamo confrontarci con questa verità, ma solo chi sa accettarla sarà in grado di compiere imprese ad altri impossibili ed incomprensibili.-

Alexandra sospirò per l'ennesima volta, più pesantemente delle altre. Bevve un altro sorso e ricacciò in dentro le restanti lacrime ingoiando la tristezza che le attanagliava la gola.

-Io non desidero compiere nessuna grande impresa.- disse, appoggiando la tazza sul comodino e buttandosi nuovamente sul cuscino.

Jared si alzò per permetterle di sdraiarsi completamente.

-Volevo solo sposarmi, avere dei figli magari, stare fino alla fine della mia vita con l'uomo che amo e vivere in pace il tempo che mi restava con mia madre e mia sorella.-

Quindi chiuse gli occhi, e quasi immediatamente si addormentò, devastata nell'anima e stanchissima.
Il vecchio maggiordomo sorrise intenerito, le rimboccò le coperte, si riprese la tazza e se ne andò, spegnendo la luce e chiudendosi la porta dietro di sé.
Sciacquò le ultime stoviglie, poi tornò nella sua camera e prima di addormentarsi pregò gli dei, per sé, per suo nipote, per gli Amicitia e per quella ragazza.
Che potessero aiutarla a ritrovare la sua strada e il coraggio per percorrerla fino in fondo per potersi gustare appieno di tutti i tesori e le emozioni che le avrebbe riservato il viaggio della vita.
 
\\\
 
Il giorno dopo ...

-Ho appena sentito mio fratello, Cid arriverà qui domattina tardi.-

Era mattina, le nove e quaranta minuti per essere preciso, ed erano tutti radunati attorno al tavolo da pranzo, intenti a finire la loro colazione.
Non appena Iris pronunciò quella frase, Alexandra per poco non rischiò di strozzarsi con il ciambellone allo yogurt che aveva preparato appena qualche ora addietro.
Si era svegliata alle sei e trenta, con ancora in mente le parole di Jared e il sogno fatto.
Aveva di nuovo visto Regis, da giovane, ma stavolta era sicura si fosse trattata della sua mente troppo suggestionata perché le immagini era poche, mischiate, e per la maggior parte silenziose.
Aveva cercato di riaddormentarsi, ma alla fine non era riuscita a smettere di pensarci e così era scesa di sotto e aveva iniziato a cucinare, per tentare di concentrarsi e mettere in ordine le idee.
Il risultato era quel buon ciambellone morbido e delicato, che troneggiava al centro del tavolo assieme a una coppa di macedonia di frutta fresca, una di panna ed un barattolo di miele.
Tremante lasciò nel piatto la sua fetta smozzicata e si affrettò a bere un sorso del suo thè al gelsomino, mentre Jared con un sorriso chiedeva alla sua amica, seduta alla sua sinistra.

-Quindi hanno deciso di partire con lo yacht.-

Stavolta il cuore di Jane Baker fece un tripla capriola e si fermò per un istante, mentre lei cercava di riprendere il respiro ingollando il the restante nella tazza e versandosene dell'altro.

-Si, gli hanno chiesto di ripararlo al più presto, non possono più ritardare.-

Niente da fare, con un singulto strozzato Alexandra soffocò un colpo di tosse, e finalmente Iris sembrò accorgersi del suo disagio.

-Alex, ti senti bene?-

Lei annuì, riprendendo fiato e annuendo più volte, pur di sembrare decisa. Sorrise.

- Di chi state parlando?- chiese, pentendosene subito dopo.

Perché lo aveva chiesto? Perché non poteva fare un'altra domanda?

-Di Cid Sophiar, il miglior esperto di motori a disposizione.- annunciò contenta Iris.
-Era un vecchio amico del Re.- aggiunse Jared.
-Si.- confermò nuovamente Iris, aggiungendo poi -È sua l'officina di Hammerhead, adesso però è in pensione, e il lavoro sporco lo fa tutto Cindy, sua nipote.-
-Ah ...- fece Alexandra.

E a quel punto avrebbe potuto sfruttare l'opportunità per star zitta, come infatti fece.
Ma Talcott invece non riuscì a contenere l'entusiasmo. Perché avrebbe dovuto, del resto?

-Verrà anche Gladio?- chiese, felicissimo alla prospettiva.

Alexandra riprese a bere thè per nascondere il nervosismo.
Quella conversazione stava prendendo una piega inaspettata.

-Loro verranno più tardi, tra quattro giorni.-
-Loro?-

Alex guardò Iris sgranando gli occhi e trattenendo il respiro.
Iris rimase un istante interdetta, in dubbio se rivelarle la presenza di Ignis o meno. Ma ci pensò Jared, che non sapeva nulla di quella storia, a dissipare ogni dubbio.

-Pare che a breve potrai conoscere il Principe Noctis di persona.- le disse.
-Evvai, quindi verrà anche lui!- Talcott era eccitatissimo all'idea.

Iris la guardò meglio, preoccupata.

-Gladio, mio fratello, è stato addestrato per essere la sua guardia del corpo così come nostro padre lo è stato per Re Regis.- le spiegò, facendo finta che non sapesse -Erano partiti verso Altissa, prima della firma dell'armistizio, per raggiungere sua grazia Lady Lunafreya. Dovevano sposarsi, lei e Noct.-
-E invece? Cos'è successo? Perché sono ancora qui?-

Sembrava veemenza stupita, invece era rabbia, sconcerto, sorpresa.
Ignis, lui non aveva mai lasciato i territori di Lucis?
Sul serio??
Per tutto questo tempo in cui era stata convinta di averlo lasciato andare e di avere il golfo a separarli, in realtà non erano che a qualche chilometro di distanza l'uno dall'altra? E lui? Sapeva che lei si trovava lì, o anche lui aveva preferito non cercarla?
Perché non l'aveva cercata?
Come stava?
Lo avrebbe rivisto tra ... quanto?
Quattro giorni?
Senza accorgersene, il suo sguardo si perse e lei impallidì, senza riuscire ad evitarsi di tremare.

-Gli imperiali hanno bloccato i collegamenti portuali, così adesso dovranno usare lo yatch.- le rispose Iris, che però subito dopo le versò un altro po' di the, preoccupata -Alex, sei sicura di sentirti bene?-

No, affatto. Non si sentiva bene, si sentiva in trappola.
Ignis se la ricordava ancora prima dell'incidente, cosa avrebbe fatto rivedendola così, con una benda su un occhio e claudicante?
Se si fossero rincontrati e avessero avuto tempo e voglia di stare da soli, come gli avrebbe spiegato quella cicatrice sul petto e tutte le altre, dentro e fuori di lei?
Erano argomenti che non riusciva ad affrontare nemmeno con sé stessa, come avrebbe fatto a farlo con lui?
E poi perché non l'aveva cercata, perché continuava a non chiamarla? Pensava di averla persa? Era un sollievo o uno tortura per lui, quella prospettiva?
Sarebbe stata in grado di parlarne senza sembrare una bambina o una pazza isterica?
Trattenne il fiato troppo a lungo, e alla fine questo le si ritorse contro.
Iniziò a tossire, non riuscì più a fermarsi. Subito gli altri si prodigarono per lei: Iris la aiutò a tirar fuori dalla tasca laterale della lunga gonna di seta nera la bomboletta di ossigeno, Jared le versò un bicchiere di acqua fresca di frigorifero e Talcott corse ad aprire porta e finestra, ma lei era già svenuta.
Si risvegliò una decina di minuti più tardi, sdraiata nel suo letto, il cuore che le batteva così veloce da arrivarle in gola.

-Oh, finalmente!- esclamò sollevata Iris, che le stava accanto facendole aria con un ampio ventaglio di stoffa -Alex, come stai? Ti senti meglio, adesso?-

I contorni apparivano offuscati, ma si, stava decisamente meglio. Probabilmente per chiarificare la vista dell'unico occhio buono avrebbe dovuto solo indossare i suoi occhiali, che gli erano stati tolti.
La guardò e sorrise, annuendo.

-Meglio, grazie ... Forse ho bevuto troppo thè.- aggiunse per sdrammatizzare.

Iris sorrise divertita.

-Tieni...- disse porgendole un bicchiere d'acqua che fino a quel momento era stato appoggiato sul comodino -Avevi la pressione molto bassa, per questo sei svenuta. Un po di acqua e zucchero dovrebbe bastare, prima dell'arrivo del dottore.-

Alexandra sospirò, mettendosi a sedere e prendendo dalle sue mani il bicchiere, svuotandolo a piccoli sorsi.
In effetti le girava parecchio la testa.

-Lo avete disturbato di nuovo...- disse, con una nota rammaricata nella voce e un sorriso triste -Non era necessario, è solo un calo di pressione, ne ho avuti altri negli anni passati. Mi riprenderò ...-

Iris le sorrise scuotendo il capo.

-A maggior ragione. Come fai a riprenderti se continui a ignorare i segnali che ti manda il tuo corpo?- le chiese premurosa.

Alex la guardò negli occhi, colpita da quella frase. Segnali ... Quali segnali?
Sorrise a sua volta, senza rispondere.
"Qui tutti a mandarmi segnali in codice e mai nessuno che sia disposto a spiegarmeli. Sembra che io sia sempre l'ultima a sapere le cose, perfino dopo me stessa."

 
***
 
Cid e sua nipote arrivarono a Capo Caem verso le undici del mattino seguente, accolti da tutti gli ospiti con tutti gli onori del caso.
Il vecchio pilota scese dal furgoncino col marchio della sua officina, si guardò intorno e sorrise appena, celando l'emozione dietro ad una smorfia.

-Ah, quanto tempo è che non tornavo in questo posto?- osservò.

Sua nipote Cindy gli si accodò, guardandosi intorno con curiosità.

-È come te lo ricordavi, nonno?- gli chiese.

Il vecchio scosse le spalle.

-Mh, il paesaggio non cambia, è troppo presto per dirlo. Saliamo e vediamo.- rispose.

Quindi vide qualcuno agitarsi in fondo alla strada, all'inizio del sentiero lastricato di ghiaia.
Erano Iris e Talcott, che agitavano le braccia per farsi vedere.
L'uomo sorrise.

-Ah, ecco il nostro comitato di benvenuto.- fece, indicando con un cenno del capo i due.

Quindi si avviarono insieme verso di loro.
Non si erano mai conosciuti di persona, ma dalle foto e dai racconti di Regis in particolar modo Iris aveva imparato ad apprezzare quell'uomo apparentemente scorbutico ma in fondo leale e saggio.
Per il Re era stato un amico fidato, ma il tempo li aveva divisi ancor prima che la situazione del regno peggiorasse.
Cor e Clarus gli erano rimasti affianco, aiutati dai loro ruoli e dal loro passato che li legava entrambi alla famiglia reale.
Lui e Weskham invece avevano finito per tornare alla vita di sempre, rimpiangendo ogni tanto i bei vecchi tempi.
Regis non aveva dimenticato i suoi amici, non era tipo da cadere in errori del genere, e fino all'ultimo era rimasto in contatto anche con loro.
Ma non aveva potuto raggiungerli per un'ultima riunione, i suoi impegni istituzionali e i rischi di un viaggio simile erano troppi.
Doveva rimanere ad Insomnia e prendere tutto il tempo possibile grazie alla barriera magica che l'anello dei Lucii gli permetteva di creare, non poteva rischiare in alcun modo di essere ucciso prima di aver fatto tutto il possibile per il suo popolo e la salvezza di suo figlio, il Prescelto.
Cid lo aveva capito, ma era stato comunque un duro colpo perderlo, senza nemmeno essere riuscito a rivederlo un'ultima volta.
Avrebbe voluto essere d'aiuto anche lui, ma Regis aveva ritenuto di poter fare da solo. Gli aveva chiesto di essere un sostegno per Noctis, per questo era lì quel giorno.
Ma il modo in cui si erano lasciati era stato l'addio più amaro che avesse mai potuto immaginare di dargli.
Lontano da Insomnia, impossibilitato a combattere con lui come aveva sempre fatto, mentre Regis si faceva ammazzare per un bene più grande.
Era morto come voleva, ma senza di loro.
Avrebbe preferito farlo con lui e Clarus, in battaglia al loro fianco, invece era rimasto a prendersi cura dei loro figli.
Ah, vecchiacci maledetti! Stavolta gliel'avevano proprio fatta.
Ritornare in quei luoghi che li avevano visti giovani e spensierati fu un altro nostalgico colpo al cuore.
Cid si lasciò abbracciare da Iris e Talcott, strinse la mano a Jared scambiando con lui quattro chiacchiere mentre salivano, lasciando ai giovani i loro discorsi.

-Allora, come mai avete deciso di venire qui e non rimanere a Lestallum?- chiese.

Jared sorrise.

-In realtà non avremmo voluto appropriarci così di una residenza reale, ma è stata una scelta obbligata. Abbiamo incontrato una persona che aveva bisogno di aiuto, questo era un posto perfetto dove permetterle di riprendersi, così abbiamo pensato che Re Regis non se la sarebbe presa più di tanto. Era un sovrano compassionevole, dopo tutto.-

Cid sorrise, inclinando orgogliosamente il capo verso la punta dei suoi stivali.

-Mph.- fece semplicemente, trovandosi d'accordo con quelle parole.

Aveva visto tante volte l'amico farsi avanti per gli altri. Prima della nascita di Noctis aveva perfino salvato un orfano che poi, a detta di Cor, gli si era rivoltato contro visto che era stato il fautore della ribellione dei suoi Angoni.
E probabilmente lo aveva anche ucciso, maledetto traditore ingrato.

-Di chi si tratta?- chiese, ricacciando a fatica quei cupi pensieri.
-È una giovane proveniente da Insomnia. Era riuscita a scappare insieme alla sorella, ma purtroppo erano messe entrambe male e la maggiore non ce l'ha fatta, così è rimasta l'unica sopravvissuta della sua famiglia.- gli spiegò Jared.
-Povera sfortunata ...- bofonchiò Sophiar.

Hester annuì.

-È una brava ragazza, ma ovviamente sta passando un brutto periodo a causa delle ferite riportate.- confermò.
-Sono gravi?- chiese allora Cid, stavolta veramente curioso.
-Meno di quello che pensavamo, ma comunque non indifferenti.- disse il maggiordomo di casa Amicitia -Ha perso parzialmente l'uso dell'occhio destro, comunque portava già gli occhiali da vista. Inoltre è leggermente zoppa, e i suoi polmoni hanno dovuto subire un lungo intervento perché erano stati forati da alcuni proiettili magitek.-

Cid fece una smorfia.

-Mph, magitek ... Ferraglia maledetta. È stata fortunata a salvarsi.- commentò, contento che la fortuna si fosse fatta viva con quella povera sventurata.

Non la conosceva ancora, ma sentiva che sarebbero potuti andare d'accordo. Ci volevano tenacia e coraggio per sopravvivere a un dramma del genere. Qualunque fosse il suo aspetto, di sicuro quella ragazza era un bell'osso duro, un po’ come la sua nipotina.
Sarebbero andate d'accordo anche loro.

-Quanti anni ha?- chiese, a proposito.
-Venticinque.- rispose Jared.
-E adesso dov'è?-
-Dentro, sta preparando il pranzo. Le piace molto cucinare, ed è anche molto brava.-

Cid guardò la casa che già svettava sopra la collina.
Sorrise.

-Sul serio?- commentò -Vedremo che ne dice il mio palato.-

Sorrisero insieme, quindi annuirono e presero a parlare d'altro, mentre anche Cindy dietro di loro finiva di informarsi sulla nuova arrivata, e farsi più o meno la stessa opinione di suo nonno.
Lei sapeva cosa volesse dire perdere qualcuno, era rimasta orfana appena bambina e lui le aveva fatto da padre e madre, quindi capiva perfettamente il dolore di Alexandra.
Quando entrarono però trovarono molto più di quanto si aspettassero.
Sulla tavola già apparecchiata svettava un bellissimo bouquet di fiori di campo, posto dentro un vaso di ceramica bianca dal collo allungato.
Nell'aria si spandeva la fragranza dei piatti che la ragazza stava preparando, destreggiandosi abilmente ai fornelli della piccola cucina.
Risotto ai frutti di mare di Cleige, gambero alla griglia con insalata verde e ravanelli, e per dolce un delicato soufflé alla vaniglia.
Cid era ghiotto di pesce, appena entrò si sentì quasi inebriato.

-Per tutti gli dei, che profumo!-

Alexandra si voltò a guardare i nuovi arrivati, e sorrise.
Erano simpatici. Soprattutto Cid, nonostante la vecchiaia, non era così diverso dalle foto.
Sua nipote sembrava una ragazza allegra e riflessiva, le ricordava molto Prompto, e aveva anche qualcosa in comune con Iris, anche se sembrava più grande di entrambi.

-Benvenuti.- li accolse -Potete già accomodarvi, la pasta è quasi cotta.-
-Tempismo perfetto , Alex.- replicò divertita Iris, ricevendo in cambio un sorriso e un occhiolino.

Cid si sedette al suo solito posto, alla destra del capotavola che stavolta fu occupato da Alexandra, per praticità visto che era il posto più vicini ai fornelli.
Cindy gli si sedette accanto, Talcott e Iris lasciarono il secondo posto da capotavola a Jared.

-Se il sapore è come il profumo credo proprio che mangerò da dio, oggi. Chi me lo doveva dire!- osservò soddisfatto Cid.

Alex sorrise, portando in tavola il piatto che aveva preparato in una coppa di porcellana.

-Farò del mio meglio per non deludervi.- replicò, iniziando a servire proprio da lui e sua nipote.
-Ah, accidenti!- fece ammirato il pilota, ammirando la splendida composizione.

Un nido abbondante di spaghettini al sugo sul quale svettavano qualche ostrica, cozze, pomodorini in pezzi e foglioline di basilico fresco.
Era una gioia per gli occhi e una tentazione per il palato.

-Alex, sei davvero un'artista della gastronomia.- la ammirò Iris.

Alex sorrise, arrossendo appena e preparandosi a darle la buona notizia.

-Sarà meglio che tu abbia ragione, Iris. Perché ...- guardò Jared, che le sorrise -Ho appena deciso di dar retta al destino. Ho accettato la proposta di lavoro al molo di Galdin ... e che gli dei me la mandino buona.-


 
  

Cid Sophiar e Cindy Aurum


(Continua ...)


NdA:

Buon pomeriggio a tutti. Come avete potuto notare, in questo capitolo si è parlato molto di Regis. E anche il mio avatar è cambiato.
Questo perchè mi sto accorgendo di amare sempre più questo personaggio (lo amavo sin dal kingsglaive, ma la mia passiona è cresciuta col tempo). Di conseguenza anche se purtroppo me lo hanno ammazzato (sigh ... sigh, sob!!) ho trovato un modo per dargli comunque una parte importante nella storia senza snaturare la storia stessa e i personaggi.
Forse, anzi sicuramente, avrete già capito. Nel qual caso non lo aveste ancora fatto, vi avviso che dopo la fine di questa mini long ne avremo un'altra, che precede quella annunciata ambientata nei dieci anni di oscurità. E in questa successiva mini long i protagonisti indiscussi saranno proprio RE REGIS LUCIS CAELUM e Alexandra.
Ebbene, io non vedo l'ora, ho già la copertina e il prologo pronti, spero di riuscire a realizzare al meglio un tributo a questo personaggio troppo sottovalutato secondo me.
Nel frattempo vi invito ad informarvi, non con le fan fiction che spesso lo mal caratterizzano e lo relegano a personaggio super secondario (io non ne ho mai scritto fino ad oggi proprio per paura di cadere in questo errore), ma giocando il game arcade per ps4 A KING'S TALE.
Anche su sulla final fantasy wikia e nei vari trailer potrete carpire preziose informazioni su di lui. Io le userò tutte, come ho fatto scrivendo questo capitolo anche per raccontarvelo al meglio nella terza minilong di questa raccolta su Ignis, che si intitolerà Beliver, e avrà come filo conduttore le canzoni dei The Score e degli Imagine Dragons. Sarà una fan fiction su Regis, in sostanza, ma Alex ci aiuterà a seguirne le orme e ovviamente, come stiamo imparando a fare in questi ultimi capitoli, approfondiremo ancora di più i suoi poteri da "sensitiva" e forse riusciremo a scoprire come li ha ottenuti.
Ripeto: Forse :P
Siete curiosi?
Ci vediamo presto con l'ultimo capitolo di questa long e il link per leggere il suo seguito ;) ^^
Bye <3

Red_Coat

 

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Capitolo 6
*** Paura di amare ***


Paura di amare
 
 

Se hai paura di amare qualcuno
è proprio con quel qualcuno che devi stare.

- Massimo Bisotti-

 

 
Quella sera, prima di salire in camera a preparare le valigie, Alexandra volle vedere per l'ultima volta il promontorio dall'alto del vecchio faro.
Era calmo, come sempre, e il cielo scuro era una distesa d'ebano in cui sfolgoravano tutte le stelle che gli era possibile ospitare; non c'era nemmeno una nuvola, la luna stava sorgendo proprio in quel momento dietro i monti ad est, e l'unico vento che soffiava era quello salmastro proveniente dall'Oceano.
Sospirò, aggrappandosi alla balaustra di ferro.
Quanto avrebbe voluto essere in quelle stesse condizioni di pace!
Nel suo cuore invece imperversava una tempesta inarrestabile, devastante, e soffiavano gli impetuosi venti della paura e dell'insicurezza.
Ignis. Tutto ruotava attorno a lui, o quasi; le restavano circa ventiquattro ore prima di rincontrarlo, e non era pronta, non ancora.
La loro ultima notte insieme, che era stata anche la sua prima notte d'amore, continuava a tornarle sempre, costantemente in mente, e il fiato le mancava, le lacrime sgorgavano a fiumi salate come quel mare che aveva dentro. Era stata perfetta, come lui.
Aveva sempre sentito dire che la prima volta non era mai un granché, che non avrebbe dovuto aspettarsi niente di eccezionale, invece per lei lo era stato, perché sentirlo con quella voce suadente e sicura sussurrare il suo nome con dolcezza, sentire le carezze dolci del suo uomo sul suo corpo, sapersi sua ... era stato già la più bella sensazione, il più bel miracolo che avesse mai potuto chiedere per sé.
Come straziante era stato lasciarlo andare, ma sapeva ormai di averlo legato a sé, era consapevole di dover solo aspettare il suo ritorno.
Poi la guerra, l'attacco a Insomnia come un fulmine a ciel sereno, le ferite e le perdite. Lei non era più la stessa Alexandra di cui Ignis si era innamorato, almeno credeva di non esserlo più.
Il suo corpo era marchiato da ferite che faceva fatica ad accettare, Ignis l'avrebbe amata lo stesso ma era lei a non sopportare che le vedesse, che gliene chiedesse il perché, che le domande passassero anche solo involontariamente nella sua mente.
Si sarebbe preoccupato, lei avrebbe dovuto rispondergli con i ricordi che facevano ancora male. Non era pronta a raccontare quegli attimi, a rinvangare la ferita. Oppure se lui si fosse mostrato ancora una volta comprensivo e avesse evitato di chiedere, lei avrebbe comunque visto il dispiacere nei suoi occhi e di conseguenza, forse, avrebbe finito per odiare anche lui.
Non voleva che accadesse.
Ignis era quanto di più prezioso gli fosse rimasto, ma si sentiva spezzata dentro e prima di riaccoglierlo doveva ricostruirsi, ricomporre i pezzi.
Non sarebbe più stata come prima, ma almeno a lavoro finito non avrebbe rischiato di rovinare anche quel dolce ricordo.
 
\\\
 
Rimase a inebriarsi della brezza marina fino a che le gambe le ressero poi quando il freddo divenne pungente rientro in ascensore, ma al momento di scegliere a che piano fermarsi le sue dita esitarono un istante sul pulsante che indicava il sottopiano.
Si corrucciò.
Era sempre stata curiosa, fin da bambina, ma durante quel periodo la sua mente era stata distratta da altro.
Oltretutto l'idea di scendere sotto a qualsiasi edificio o strada ora la agitava, tuttavia spinse lo stesso il bottone, ignorando il batticuore per tutto il tempo della discesa.
Solo quando finalmente l'ascensore toccò terra parve risvegliarsi e fece per premere tremante il pulsante per risalire un rumore la distrasse.
Era Cid, il vecchio amico di Regis nonché titolare di Hammerhead, che trafficava con gli utensili da meccanico e faceva avanti indietro dalla cassetta alla nave. In quel momento era saltato giù dal ponte e aveva brontolato una mezza flebile bestemmia.
 
-Ah, maledetta vecchiaia! Te lo ricordi, Regis? Una volta queste cose le facevo senza nemmeno accorgermene.-
 
Non si era accorto di lei, non ancora; aveva parlato da solo, rivolgendosi nostalgico al vecchio amico mancato.
Alexandra sorrise intenerita, e quella semplice presenza la indusse a restare.
Uscì fuori dalla gabbia di metallo e avanzò piano, quasi temesse di disturbare con la sua presenza. I tacchetti dei suoi scarponcini di pelle era rivestiti di gomma, quindi la aiutarono a mantenere l'anonimato fino a che non fu lei stessa a decidere di rompere il silenzio, commentando tenera.
 
-Voi mi ricordate molto mio padre, signor Sophiar.-
 
L'uomo si riscosse, e si voltò sorpreso a guardarla.
 
-E tu da quanto tempo eri lì?- esclamò sorpreso, corrucciandosi.
 
La ragazza arrossì seguitando a sorridere abbassando gli occhi.
 
-Sono appena arrivata. In realtà ho sbagliato piano, sarei dovuta fermarmi al primo.
Chiedo scusa per averla disturbata.-
 
Cid si sciolse in un sorriso bonario.
 
-Ah, non fa niente. Rimani pure se vuoi, sono sempre solo come un cane qui sotto. Un po’ di gioventù non fa male.- replicò gentile.
-Grazie.- fece lei, unendo le mani sul ventre e accennando un inchino piegando appena in avanti la schiena.
 
Si concentrò ad osservare lo yacht, passeggiando sul molo con calma.
Era un'imbarcazione piccola e dal design moderno, con forme sinuose e una prua appuntita; la carrozzeria era in lucente metallo nero, il ponte in parquet; sul retro vi erano comodi divanetti blu scuro, dentro l’abitacolo, oltre il vetro, c'era la cabina di guida.
Tutto era in perfetto stile Lucian, essenziale, comodo ed elegante.
Ebbe il potere di riportarle alla mente Insomnia e l'imponente palazzo reale, le guglie alte e sfavillanti al sole.
Sorrise confortata.
 
-Era un brav'uomo tuo padre, immagino.-
 
La voce di Cid la risvegliò dai ricordi.
 
-Mh?- fece -Oh, si.- aggiunse quindi, nostalgica -Amava molto pescare, e occuparsi di lavori di manutenzione di ogni genere. In realtà non era sua abitudine star fermo. Aveva imparato da autodidatta a riparare qualsiasi cosa, da un tubo dell'acqua ad un motore di un trattore, e quando in fattoria si rompeva qualche macchina faceva tutto da solo, non chiamava mai gli operai.-
-Mph.- sorrise il vecchio pilota -Un bel risparmio, saper fare tutto da sé.-
 
Alex tornò a guardarlo annuendo e allargando il sorriso.
 
-Quello era uno dei vantaggi che preferiva, in effetti.-
 
S'intristì.
Le mancava molto ... adesso, sperò soltanto che lui, sua madre, Monica, Christine e le bambine fossero finalmente assieme, e che stessero bene.
Cid si voltò a guardarla, allertato da quel silenzio calato all'improvviso.
 
-È morto ad Insomnia?- chiese, dopo aver valutato bene se fare o no quella domanda.
 
Jane Baker sorrise con gli occhi lucidi. Scosse il capo.
-Ci ha lasciati molto tempo prima, quando avevo diciannove anni. Un infarto, per il troppo lavoro.-
 
Sophiar annuì serio.
 
-Capisco ...- disse -È un vero peccato.- aggiunse mostrandosi solidale.
 
La ragazza sorrise, annuendo grata e guardandolo negli occhi. Si scambiarono un breve sorriso di reciproca comprensione, poi con un sospiro la ragazza concluse.
 
-Mi consola, almeno, pensare che forse adesso sono insieme. Forse è tutta un'illusione, ma è l'unico modo che ho per accettarlo.-
 
Cid sorrise triste, e si chiuse nuovamente nel silenzio.
Anche lui, quando pensava ai genitori di Cindy, a Regis e a Clarus, trovava unico conforto in quella vana promessa. Nessuno in fondo era mai tornato dall'aldilà a fargli visita.
 
\\\
 
Rimasero a parlare del più e del meno per un bel po’, mischiando ricordi melanconici ad aneddoti e pillole di conoscenza varia.
Lei gli rivelò qualche segreto di cucina, lui le spiegò qualcosa sulla riparazione di un motore, e per tutto il tempo restarono a far loro compagnia un piacevole senso di serenità, come fossero amici che dopo anni si ritrovano a parlare, e quel profumo intenso che aveva accolto Alexandra appena giunta a Capo Caem.
Tutti e due lo sentirono, ma nessuno dei due potè o forse volle veramente farci caso.
La salsedine nell'aria era così forte che esso si confuse, divenendo solo una scia flebile trasportata dal vento.
Tornarono assieme verso casa, all'ora di cena, e trovarono ad accoglierli i succulenti manicaretti di Monica e Iris. Per primo c'era una zuppa di mare, corposa e dal colore rosso intenso dovuto al succo di pomodoro nel quale era immersa. Per secondo trota al cartoccio con patate, e molte essenze come origano e timo, che gli davano un sapore e un profumo intenso di erbe.
Come dolce la cheesecake che Alexandra aveva preparato quel pomeriggio, con i frutti di bosco raccolti nei dintorni e le fragole rimaste. Il tutto innaffiato con molto vino bianco.
 
-Allora quando hai intenzione di partire?- chiese a fine pasto Cid, guardandola col suo solito cipiglio.
 
Tutti gli altri tacquero, Iris sperò che almeno avrebbe dato il tempo ai ragazzi di arrivare, ma fu disillusa.
 
-Domattina presto me ne andrò con Monica.- disse, guardando l'amica.
 
Questa annuì con sorriso, trattenendosi imbarazzata dal guardare la faccia sgomenta di Iris. Aveva cercato in tutti i modi di convincerla ad aspettare almeno qualche ora, ma non era servito a nulla. La notizia del possibile arrivo del suo futuro marito a Capo Caem sembrava averle messo le ali ai piedi e una gran voglia di evadere.
 
***
 
-Andata? Come sarebbe se n'è andata? E dove?- 
 
Noctis, seduto a terra sulla roccia sulla quale si erano accampati, con la schiena poggiata al dorso del suo chocobo bianco e una partita di Kings Knight aperta sullo schermo dello smartphone, si voltò a guardarlo preoccupato. Anche Prompto, che era volto di spalle a scattare una foto all'alba, gli rivolse la sua attenzione. Non riuscirono ad udire la risposta, ma la faccia di Gladio fu comunque molto eloquente. Il Principe e il suo migliore amico si guardarono e scossero il capo. 
 
-Pessime notizie?- ipotizzò sottovoce Prompto. 
-Forse.- Assentì Caelum. 
 
Gladio nel frattempo prese a fare su e giù, la mano libera sprofondata nei capelli. 
 
-Va bene, allora andremo noi. Sei sicura sia lì? Non sa che noi sappiamo, vero?- disse determinato, sospirando. 
 
Annuì ascoltando la risposta, poi salutò con affetto la sorella ringraziandola e chiuse la chiamata, traendo un profondo respiro nervoso. Il primo a chiedere fu Noctis. 
 
-Che succede, Gladio?- 
-È per Alex?- avanzò Prompto, illuminandosi. 
 
Amicitia annuì serio.
 
-Se n'è andata. È partita stamane da Capo Caem.- 
 
Noctis sgranò gli occhi e Prompto spalancò sorpreso la bocca. Loro erano ad appena un paio d'ore di cammino da lì, si erano avvicinati proprio per poter favorire un loro nuovo incontro, e adesso la ragazza mandava tutto all'aria. 
 
-Perché?- chiese il principe, sconvolto. 
-Dov'è andata?- gli fece eco Argentum. 
-A Galdin, le hanno offerto un lavoro al ristorante del molo.- 
 
Si fecero tutti riflessivi. 
 
-Pensi che lo abbia fatto perché ha saputo del nostro arrivo?- domandò Noctis. 
 
Amicitia scosse le spalle.
 
-Probabile. Una volta conosciuto Cid, saranno stati costretti a dirglielo.-

Caelum sospirò a sua volta. 

-Dovevamo arrivare prima ... -commentò scuotendo il capo. 
-Ma perché sta fuggendo da Ignis? Credete sia messa così male da non volersi far vedere?- domandò tristemente Prompto, preoccupato per l'amica. 
 
Se la ricordava forte e sicura, un atteggiamento del genere non era da lei. Soprattutto, dopo il modo in cui lei e Iggy si erano lasciati, pensava che rivederlo le avesse fatto piacere. Doveva davvero aver passato attimi terribili per essere indotta a una simile scelta. La ricordò spaventata il giorno dell'annuncio dell'armistizio, ricordò la sua espressione terrorizzata nel rivelargli di quella sua speciale "sensibilità" che le permetteva ogni volta di "fiutare la tragedia" prima che avvenisse. Si sentì in colpa per non esserci stato, come amico. Lei invece lo aveva confortato e incoraggiato infondendogli un po’ di autostima in più, che gli era servita tantissimo nei giorni seguenti. Non lo avrebbe mai detto, ma forse il suo ingresso negli angoni per accompagnare Noct in quel viaggio sarebbe stato molto più difficile a livello emotivo senza il ricordo di quelle parole. Gladio tornò a scuotere il capo.
 
-Non ne ho idea. So solo che il proverbio ha ragione: chi si somiglia si piglia.- replicò contrariato. 
-In merito a cosa?- 
 
La voce di Ignis alle loro spalle riscosse bruscamente tutti quanti. 
Era andato a cercare qualche ingrediente per implementare le loro scorte ed era tornato giusto in tempo per sentire le loro ultime parole. Aveva capito. Tutto. Che loro sapevano dove era Alexandra e che stavano cercando di riunirli, ma che, per qualche strano motivo, lei non voleva farsi trovare. Eppure decise di far finta di nulla con loro, continuando a fingere che non sapesse. Noctis tornò solerte a concentrarsi sullo smartphone, cercando di evitare il più possibile lo sguardo del suo consigliere. Lo stesso fece Prompto dopo averlo salutato con l'imbarazzo a imporporargli il volto.
 
-Nulla, parlavamo del più e del meno.- fu pronto a rispondere Gladio, ignorando il sorriso sornione dell'amico -Ad ogni modo dobbiamo tornare a Galdin, c'è un'ultima cosa che dobbiamo fare.- risolse. 
 
 Scientia inclinò appena il capo di lato e incrociò le braccia sul petto con aria supponente. 
 
-Mh. Che genere di missione?- fece 
-Dino.- fu la risposta sbrigativa di Noctis, che continuò a tenere la testa bassa sul cellulare -È una missione troppo importante per ignorarlo.- 
 
Gladio annuì serio guardandolo, lo stesso fece Prompto tornando a voltarsi speranzoso verso di lui. Ignis sorrise, sistemandosi le lenti sul naso. 
 
-Se è così, allora ci conviene fare il pieno se non vogliamo rimanere di nuovo a piedi.- 
 
Argentum rise. 
 
-Perfetto! Allora partiamo?- esclamò guardando Noctis, che a quel punto fu costretto a chiudere il cellulare, e alzarsi pigramente.
 
-Solo se prima di tornare a Caem ci concediamo un paio di notti in albergo.- decise -Sono stanco di dormire nel sacco a pelo.- 
-Mph, la solita principessina.- ridacchiò Amicitia, e gli altri si unirono al coro.


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Il mare era calmo come sempre, una brezza pacifica soffiava nel ristorante all'interno del molo affollato di turisti, nonostante la crisi che aveva colpito il territorio di Insomnia c'era ancora qualcuno che non voleva rinunciare ad un weekend di relax, anzi soprattutto in virtù di quel momento buio.
La maggior parte erano facoltosi visitatori provenienti Lestallum e dai territori limitrofi, qualcuno era venuto da Altissa e dopo la chiusura dei collegamenti navali aveva deciso di prolungare il proprio soggiorno lì mentre cercava di trovare un modo alternativo per tornare a casa.
C'era per questo motivo un via vai di imbarcazioni private che giungevano dalla città sull'acqua per traghettare i passeggeri, e mentre svolgeva il proprio turno di lavoro dietro al bancone circola adibito a cucina professionale, tagliando verdura e sfilettando carne ma soprattutto pesce fresco, Alexandra ascoltava attenta i racconti di questi stranieri, sorridendo mentre cercava di immaginare la magnificenza di Altissa, e pregando per la vita della Sciamana, la Principessa Lunafreya, che in un primo momento era stata data per morta, a quanto pare sembrava essere appena stata ritrovata viva e condotta al sicuro presso l'ambasciata.
Dicevano fosse bella, molto bella. Tuttavia, per ora nessuno l'aveva vista per davvero, perché data la presenza minacciosa dell'Impero, sempre a detta dei ben informati, preferiva nascondersi presso l'ambasciata e continuare a far finta che fosse morta per davvero.
Difatti erano pochi coloro che asserivano il contrario, il resto era ancora in lutto per la sua scomparsa e per la mancata celebrazione delle nozze.
Ormai, sempre a quanto risultava dai racconti, il suo vestito da sposa era diventato una reliquia che i sudditi affettuosi andavano a visionare anche più volte al giorno, lasciando baci e preghiere per lei. Aveva sentito dire che fosse il più bell'abito mai confezionato, degno della messaggera degli dei; cercava di immaginarselo con la sua fervida fantasia di scrittrice mentre lavorava, soprattutto durante le ultime ore, quando la stanchezza acutizzava i dolori e l'unica cosa che avrebbe voluto fare sarebbe stata rifugiarsi nella camera che le avevano concesso (una stanza dell'albergo, ovviamente detraendole qualcosa dallo stipendio comunque abbastanza lauto), e dormire fino a che i suoi occhi ne avrebbero avuto voglia.
Anche quella mattina, tra un pensiero e l'altro, lo stava facendo. Erano passati in tutto già tre giorni di prova, e lei stava lottando con tutta se stessa contro il suo stesso fisico per non mollare.
Quel lavoro le piaceva davvero: cucinare in mezzo alla gente, col suono e il profumo del mare a farle compagnia, e vedere nell'immediato la reazione dei commensali quando il cameriere portava loro i piatti.
Era proprio ciò che voleva, ma come aveva previsto il fisico debilitato che si portava dietro non reggeva, spesso temeva di non farcela e doveva fare appello a tutto il suo autocontrollo per impedire che la paura la spingesse alle lacrime.
Non poteva chiedere di ridurre ulteriormente l'orario di lavoro, era già passato a quattro ore al giorno, tre pomeriggi e tre mattine e la domenica di riposo, dividendosi con un'altra ragazza con la quale aveva legato sin da subito. Ma era disperata, perché di questo passo avrebbe perso anche quella opportunità. Sospirò seguitando ad affettare a rondelle le fragole fresche per i pancakes che le erano stati richiesti da un bimbo. 
 
-Alex, se vuoi continuo io.-
 
Si riebbe. A parlare era stata la sua collega, una ragazza dai lunghi capelli biondo grano, sempre raccolti in uno chignon quando aveva a che fare con la cucina, che ora le stava davanti oltre al bancone, col suo solito sorriso affabile.
Guardò l'orologio posto di fronte a lei, sulla cassa. Erano quasi le tre, mancavano meno di un paio di minuti alla fine del suo turno di mattina. Il sospiro si trasformò in uno di sollievo.
Per fortuna cucinare le concedeva almeno di far passare il tempo senza che se ne accorgesse.
 
-Tranquilla, porto questi al mio ultimo cliente e chiudo. Grazie.- disse indicando i pancakes già pronti nel piatto, e gli altri tre che sfrigolavano in padella.
 
Coctura, questo era il suo nome, sorrise intenerita e si voltò a guardare il bambino dai capelli castani ricci e morbidi che la salutò da lontano, dal tavolo al quale era seduto coi suoi genitori, sventolando entusiasta la manina.
Era un bel bimbo, non doveva avere più di cinque anni. Alexandra si sciolse in un sorriso a sua volta, inclinando intenerita la testa e ricambiando il saluto. Poi finì di decorare il dolce con una bella spruzzata di panna e le fragole fresche appena tagliate, si pulì bene le mani sotto la fontana, e scusandosi con la collega si affrettò a recapitare il piatto, raccogliendo un abbraccio di ringraziamento speciale dal bimbo e i complimenti grati dei genitori.
 
-Li conoscevi già?- le chiese Coctura al suo ritorno, mentre prendeva il suo posto in cucina.
-No.- rispose tranquilla lei -Mi sono fermata a chiedere come fosse il pranzo e parlando è venuto fuori che il suo dolce preferito è il mio cavallo di battaglia.-
-Sei incredibile ...- fu la risposta della collega, che scosse il capo con un sorriso. Baker non rispose, limitandosi ad arrossire chinando il capo con un sorriso.
-Buon lavoro.- la salutò cordiale -A stasera.-
-Riposati!- la salutò l'altra annuendo tranquilla, per poi tornare a concentrarsi sulle comande.
 
Rientrata nella sua stanza, la prima cosa che fece fu togliersi gli scarponcini e tirare un sospiro di sollievo nel sentire la pianta dolorante del piede a contatto con la ceramica fresca delle mattonelle. Si sentiva distrutta, ci aveva impiegato quasi dieci minuti a raggiungere l'ascensore a causa dei dolori lancinanti che l'avevano costretta a starsene seduta a riposare qualche istante. Il collega del bar era stato gentile, le aveva portato un succo di mela (come sapeva che era il suo preferito poi, non era ancora riuscita a capirlo), le aveva procurato una sedia e si era anche fermato a parlare con lei per qualche istante, tra un cliente e l'altro. Infine l'aveva perfino accompagnata sotto braccio all'ascensore, raccomandandole di concedersi un po’ di meritato relax. Si sedette sull'orlo del letto, con ancora addosso il vestito che aveva indossato quella mattina, uno degli abiti della madre di Iris, lunga gonna nera di cotone e parte superiore composta da un corpetto color panna e maniche bombate sulle spalle e più strette sui polsi. Sciolse i capelli dalla coda nel quale li aveva legati e si lasciò cadere all'indietro sul morbido materasso, chiudendo gli occhi appesantiti. 
Non era nemmeno male quel ragazzo, forse di qualche anno più giovane ma comunque gentile. Capelli neri appena un po’ lunghi sopra le orecchie, un viso da bello e ribelle e profondi occhi azzurri. Sorrise, ma in realtà non seppe nemmeno di farlo. 
"Basta ..." Fu il suo unico, ultimo pensiero prima di addormentarsi di sasso. Fu svegliata di soprassalto da tre colpi alla porta, dopo essere stata immersa in un mondo in cui i ricordi si mescolavano a immagini fasulle e stralci di realtà.
La voce di Yvette, un'altra delle sue colleghe, la richiamò del tutto al mondo reale. 
 
-Jane, sei sveglia?- le chiese.
 
Riuscì solo a mugugnare un sì a mezza bocca, in un tono talmente impastato da risultare solo preoccupante. 
 
-Stai bene?- fu la successiva, prevedibile domanda. 
 
Un altro sospiro, stavolta impaziente. 
 
-Si, tranquilla.- replicò dopo essersi schiarita la voce, alzandosi poi svogliatamente e allungando le braccia verso il soffitto, stiracchiandosi un po’ -Dovevi dirmi qualcosa?- 
-Si, volevo sapere cosa vuoi da mangiare stasera.- le ricordò sorridendo. 
 
 Come di consueto, alla fine del turno serale tutte le colleghe si riunivano a cenare insieme, di solito in un tavolo prenotato in anticipo. Il problema era che la cuoca dell'ultimo turno doveva cucinare per tutte, perciò di solito questa prima di iniziare a lavorare passava a prendere le ordinazioni, o faceva in modo di averle già con sé. 
Questo accadeva verso il tramonto, perciò nel sentire quella domanda la giovane Baker fu alquanto sorpresa e d'istinto guardò fuori dalla finestra della camera, scoprendo il cielo illuminato di arancio pesca e i bagliori di luce solare che riflettevano sulla superfice calma dell'Oceano. Spalancò incredula la bocca e sgranò gli occhi, sprofondando le mani nei capelli. 
 
-Accidenti ...- bofonchiò, scuotendo piano il capo -Per tutti gli dei, quanto ho dormito...- 
 
Yvette bussò di nuovo, facendola sobbalzare. 
 
-Alex, io devo andare. Me lo fai sapere tramite Coctura?- le chiese, tutto sommato paziente. 
-Mh, mh. Si, tranquilla. Scusami.- le disse lei, riavendosi del tutto e strofinandosi gli occhi con le mani. 
-Nessun problema.- le sorrise l'altra -Scusami tu per averti disturbata. Buon riposo.- concluse, tornando poi sui suoi passi. 
 
Alexandra attese che il rumore dei tacchi della donna svanisse del tutto, poi si fece coraggio, si alzò e preparò tutto l'occorrente per un lungo bagno. 
Erano solo le sei, aveva ancora tempo. Scelse un vestito un po’ più largo e morbido, uno smanicato di cotone al quale abbinò una sciarpa dello stesso materiale color lavanda e un cardigan di lana beige chiaro per proteggersi dalla brezza più fresca della sera. 
Calzettoni morbidi che coprivano appena la caviglia e i soliti scarponcini come calzature, dato che erano ormai gli unici a migliorare, seppur lievemente, la sua zoppia. 
Riempì la vasca di acqua calda, bagnoschiuma alla lavanda e oli essenziali tonificanti, vi si immerse e restò a guardare il cielo oltre la finestra, ascoltando lo stridio dei gabbiani e lo sciabordio delle onde in lontananza. 
Sulla mensola dello specchio la piccola sveglia che si era portata dietro da Caem ticchettava monotona e tranquilla, ogni tanto una goccia cadeva ancora dal rubinetto perdendosi dentro a tutte le altre che la circondavano. 
Pace. 
Almeno fuori da lei, finalmente c'era un po’ di pace, anche se nel suo cuore e nella sua mente la guerra sembrava non esser mai cessata.  
 
\\\ 
 
Quasi un'ora dopo, alle 18:45, raggiunse il molo per il suo solito quarto d'ora di "esplorazione dell'orizzonte".
Il mare, benché le piacesse, non era mai stato il suo elemento naturale, ma dalla sua permanenza a capo Caem aveva imparato ad ascoltarne la voce e ad amarne le mille sfumature, perciò quello era un rituale che si era imposta di non perdere.
Certo, il molo era più facile da raggiungere della scogliera, e la voce del mare di Galdin era meno prepotente di quella delle impetuose acque che aveva lasciato.
Però era comunque uno spettacolo rilassante, ricco di ricordi d'infanzia perché di solito era proprio su quel molo che, quando era ancora solo una bambina, osservava suo padre armeggiare con canne da pesca, lenze ed esche per riuscire a cogliere la preda perfetta.
In un certo senso era come averlo di nuovo lì con sé. A volte la memoria era così potente che voltandosi verso la spiaggia si aspettava quasi di trovare il resto della sua famiglia, Christine ancora solo un'adolescente e Monica intenta a giocare con lei una partita a pallavolo. 
Loro ... lo avevano visto nascere quel posto.
E adesso ... Com'erano cambiate le cose. Davvero, davvero tanto. 
Gli occhi le si riempirono di lacrime, e fu talmente assorta nei suoi ricordi che per qualche istante quasi credette ancora di star sognando, quando una voce di uomo, calda, rassicurante e fin troppo famigliare la chiamò per nome, e voltandosi vide due occhi verdi e intensi come smeraldi fissarla increduli e pieni di emozione da dietro il vetro di costose lenti da vista argentate. 
Rimase gelida sul posto, continuando a guardare quell'immagine fino a che si rese conto che no, non sarebbe svanita, perché non era un ricordo. 
Si alzò in piedi, lentamente, stringendosi sul petto il cardigan che aveva solo adagiato sulle spalle. E sforzando l'unico occhio buono che le era rimasto fissò il fantasma che le era apparso davanti, incapace di crederci.
 
-Ignis ...- 
 
Fu un sussurro tremulo, le sfuggì dalle labbra senza che se ne accorgesse, e quando lo fece sentì le gambe tremare fino a perdere solidità.
Cadde, ma fu soccorsa dal suo promesso sposo che la strinse tra le braccia sorridendole.
Era felice di rivederla? Sembrava di sì, perché allora continuava a guardare la benda che le copriva l'occhio destro?
Forse perché non poteva farne a meno. "Oh, Ignis ..."
 
-Impossibile...- Anche adesso che, preoccupato, lui la invitò a sedere insieme sulla panchina in legno alle loro spalle, prendendole le mani nelle sue, lei continuò a pensare di trovarsi in un sogno.
 
Doveva esserlo.
La vita non poteva volerle così male da restituirle la più bella delle sue speranze. Ma in un attimo, con il suo solito, misurato uso delle parole, lui le infranse anche quell'appiglio. 
 
-Alex ... sono così grato agli dei che tu sia viva!- le disse, illuminandosi. 
 
All'istante i loro occhi, così diversi adesso nella paura più che nel loro apparire, si riunirono nuovamente e da quelli di Jane Baker ruppe gli argini un fiume di lacrime che inondarono il suo volto, già pallido e provato, dando briglia a sciolta a tutto il dolore che aveva creduto e sperato di riuscire a non affrontare mai.
Soprattutto non davanti al suo sposo.
 
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Il principe e la sua scorta arrivarono il pomeriggio del giorno dopo la loro partenza, a causa di un paio di problemucci incontrati lungo il percorso.
Dieci minuto dopo lungo la strada erano incappati in un blocco imperiale che li aveva immediatamente attaccati, stancandoli non poco.
Come risultato avevano ripreso il cammino quasi due ore dopo, e lungo la strada si erano concessi qualche pausa più lunga.
A mezzogiorno avevano deciso di fermarsi a Lestallum, per rifocillarsi come si doveva, ed erano immediatamente ripartiti. 
Lungo il tragitto tuttavia la regalia aveva subito danni a causa di un nuovo attacco imperiale. Per prudenza, una volta raggiunta l'officina di Hammerhead, il gruppo aveva così deciso di fermarsi per una notte nella roulotte in affitto dell'area di servizio, sperando che nel frattempo gli imperiali avessero deciso di lasciarli in pace.
Era servito loro per riposarsi e rifocillarsi come si deve, e, anche se aveva deciso di far finta di niente, ad Ignis per prepararsi al meglio a rincontrare la sua promessa sposa.
Era nervoso, ma anche sollevato nel sapere fosse viva. E non vedeva l'ora di riabbracciarla. Il fatto che gli altri non sapessero che lui sapeva rendeva tutto più facile, perché gli permetteva di vivere tutto con più tranquillità.
Però ... Alexandra era scappata da Caem quando aveva saputo che avrebbe potuto rivederlo, e questo lo preoccupava non poco. Come mai lo aveva fatto?
Dipendeva da come erano stati costretti a lasciarsi? Era qualcosa di personale oppure solo una reazione dovuta a tutto quello che le era capitato in suo assenza?
In quel caso ... cosa le era successo di così sconvolgente da spingerla ad evitarlo?
Ormai la conosceva bene. Era emotiva ma non così fragile, ci sarebbe voluta una vera catastrofe perché scegliesse di stargli lontano, e il solo pensiero lo faceva rabbrividire impedendogli perfino di chiudere occhio, pregando per lei perché, qualsiasi cosa le fosse capitata, riuscisse a guarire.
 
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-Iggy, perché non ti togli la giacca? Fa abbastanza caldo qui.- suggerì Prompto con un sorriso emozionato, dopo esser sceso dalla vettura.
 
Lui sorrise appena. Avrebbe voluto rispondere rimanendo sul vago, ma ritenne di aver tenuto il riserbo troppo a lungo.
 
-Dici?- domandò a sua volta guardandolo.
 
Il biondo annuì.
 
-Non sapevo potessi guidare anche senza occhiali. Stai bene.- si complimentò invece Noctis, battendogli una pacca sulle spalle.
 
Scientia scosse il capo avviandosi verso il molo.
 
-Cosa sono tutti questi complimenti all'improvviso? Mi devo preoccupare?- scherzò, accettando però il consiglio di Argentum e consegnandogli la sua giacca con un avvertimento -Non me la sgualcire.-
 
Il biondo scosse deciso il capo, stringendo il capo di abbigliamento a sé come fosse un bimbo indifeso da proteggere.
 
-Piantatela di fare gli idioti!- li rimbeccò a quel punto Gladio, consegnando uno ciascuno uno scappellotto sulla nuca.
 
Prompto si lamentò massaggiandosi il collo con espressione dolorante, Noctis si ribellò lanciandogli un'occhiataccia.
 
-Hey, vacci piano mister muscolo!- 
-Oh, scusa principessina.- lo canzonò allora Amicitia, arricciando il labbro inferiore con aria falsamente dispiaciuta -Ti ho fatto tanto male?- 
 
Ignis sorrise divertito, scuotendo il capo. Nel frattempo erano già arrivati di fronte alla reception, e guardando verso il bancone del ristorante Noctis e Gladio si lanciarono uno sguardo preoccupato.
Seguendoli con la coda dell'occhio Ignis li vide guardarsi intorno preoccupati, poi a un certo punto vide Prompto slanciarsi verso il molo, con entusiasmo.
 
-Eccola!- gridò, correndo verso le scale.
 
Scientia sentì il cuore dentro al suo petto accelerare all'improvviso i battiti, e per un istante, un brevissimo istante, si sentì confuso.
Gladio lo invitò a seguirli, sorridendogli, e quando raggiunto il molo finalmente la rivide, volta di spalle, seduta sul porticciolo in legno a piedi nudi, stretta dentro ad un leggero cardigan beige che a poco serviva contro la brezza del tramonto, in un istante tutto il resto sembrò svanire di fronte a quell'immagine.
Sola, tremante, lo sguardo malinconico e stanco perso nell'orizzonte e la schiena ricurva.
La rivide come quando si erano conosciuti, fragile ma forte contro il vento che trasformatosi in uragano aveva devastato la sua vita, ancora non sapeva quanto.
Eppure, quando dopo aver fatto qualche passo e chiamato il suo nome, la vide voltarsi, capì subito che anche quella sua forza interiore, quella che nemmeno lei sapeva di avere, era stata intaccata.
La possedeva ancora, ma era troppo poca per permetterle di sopravvivere a lungo, dopo tutto quello che era accaduto.
Una benda di pelle nera le copriva l'occhio destro, i suoi movimenti erano lenti e faticosi, e una lieve zoppia era mascherata dalla lunga gonna del vestito che indossava.
Per certi versi, il suo repentino peggioramento lo colpì allo stesso modo di quello che appena qualche mese addietro aveva colpito Re Regis, compianto e ancora fin troppo limpido nella loro memoria.
Sembrava un albero piegato dalle intemperie, una vecchia quercia china sotto la forza del vento.
E lui ... 
Lui le era stato lontano, quando quella tempesta era iniziata.
Quando? Quali danni aveva già subito, oltre a quelli che già si vedevano?
Stava cercando con tutte le sue forze di darsi una risposta, anche se tutte quelle che riuscì a trovare gli piacevano una meno dell'altra, quando la vide cadere, e d'istinto, come la prima volta in cui si erano conosciuti, accorse a sorreggerla, prendendola fra le braccia e accarezzandole con una mano il viso.
Alle loro spalle, Prompto ebbe paura e fece per raggiungerli, ma un braccio di Gladio lo fermò.
 
-Lasciamoli soli, per il momento.- gli disse serio.
 
Così il biondo dovette arrendersi e limitarsi a sperare da lontano che si riprendesse.
Cosa che fece, pochi attimi dopo, riaprendo gli occhi pieni di lacrime e abbracciandolo forte, come se temesse di vederlo svanire di nuovo se lo avesse lasciato andare.
Lo strinse a sé, singhiozzando e legandogli le braccia attorno al collo, ripetendo il suo nome in un sussurro, tra i singhiozzi.
Scientia sorrise, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime, e la sorresse stringendola sopra al suo cuore, riempiendo di carezze i suoi capelli e affondando il naso tra le loro onde profumate di lavanda.
Rimasero per lunghi istanti così, senza riuscire a lasciarsi andare.
Infine lei sembrò riprendersi, e guardandolo negli occhi scosse appena il capo, e senza dir nulla lo baciò, a lungo, quasi volesse riprendersi tutto il tempo e il fiato persi a sognarlo, a volersi sincerare, una volta per tutte che fosse davvero lì con lei, e non un altro sogno intangibile.
Lo strinse ancor di più, affondando le mani nell'oro dei suoi capelli. Lui, dopo un primo momento di sorpresa, la lasciò fare, sorreggendole con una mano la nuca e avvolgendole con l'altro braccio il ventre.
 
-Okkey, forse è davvero il caso che andiamo a bere qualcosa?- decise Noctis, arrossendo appena e risalendo quasi immediatamente le scale.
-Concordo. Andiamo Prompto.- fece Gladio ad un quasi sconvolto Argentum, che ci mise qualche istante in più a riprendersi ma subito dopo, immediatamente, si coprì il viso con le mani e corse a raggiungere il resto del gruppo.
-Uff, ragazzi non sono abituato a certe scene.- disse, scrollandosi letteralmente l'imbarazzo di dosso.
-Esagerato. Quanti anni hai, dieci?- replicò con un mezzo ghigno Gladio, sedendosi ad uno degli sgabelli del bar.
-Io concordo con Prompto ...- replicò Noctis, stordito, bevendo il suo bicchiere d'acqua ad occhi quasi spalancati.
-Tu non fai testo, ti ricordo che devi sposarti. Cosa credi che farete tu e Sua Grazia una volta a letto, giocherete a carte?- 
-Gladio, smettila!- esclamò a quel punto sconvolto il principe, guardandolo esterrefatto.
 
Amicitia rise delle loro facce, trangugiando tutto d'un fiato il suo drink e poi ordinando al barista, che intanto faceva di tutto per apparire professionale e non ridersela.
 
-Prepara altri due bicchieri di questi per le due mammolette, qui. Credo sia il caso di iniziare ad introdurli alla vita adulta.-
 
(Continua ...)

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