Body Language

di KatherineFreebatch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Body Language
 

Se c’era una cosa di cui Brian andava fiero era l’essere in grado di notare praticamente tutto, la sua attenzione per i dettagli era maniacale ed era raro, se non impossibile, che qualcosa potesse sfuggire alla sua attenzione. Eppure....

Eppure Rami, solo il giorno prima gli aveva sussurrato all’orecchio una frase che aveva alterato la sua percezione di Roger drasticamente.

Brian e Roger erano arrivati sul set di Bohemian Rhapsody di buon ora come d’abitudine. Quella mattina, però, erano accompagnati da una piccola troupe assemblata appositamente per quella giornata in cui avrebbero ripreso alcune scene del duo Queeneiano sul set ed un’intervista che sarebbe poi finita negli extra dei dischi per gli home video.

I due erano ben consci della telecamere puntata su di loro, ed ognuno aveva reagito a modo suo: Roger sfoggiando il paio di occhiali da sole più grosso che era riuscito a trovare insieme ad una berretta di lana e Brian sbottonando un paio di bottoni in più della camicia. Il chitarrista, poi, si era perso in convenevoli molto più plateali del solito, abbracciando e baciando chiunque gli finisse sotto tiro, Rami compreso. Mentre lo stringeva forte a sé, l’attore aveva affondato il viso nel suo petto e borbottato: “Adesso Roger mi scuoia.”

“Uhm?” Chiese Brian, confuso, sciogliendo l’abbraccio. E Rami aveva replicato:


“Niente. Solo che vorrei tanto avere qualcuno che mi guardasse come Roger guarda te.” Poi una luce era cambiata nei suoi occhi, la schiena si era rizzata e Freddie pareva essersi materializzato mentre lui dava un pugno scherzoso alla spalla del musicista dicendo con un perfetto accento inglese: “Ciao, tesoro.” E se ne era andato lasciandosi dietro un Brian alquanto sbigottito.

Le sue parole erano rimaste nella mente del chitarrista, e non lo avevano abbandonato per tutta la giornata, lasciandolo pensieroso e distante da Roger tanto che, quando era arrivata l’ora di abbandonare il set, il batterista si era girato verso di lui e gli aveva chiesto un po’ seccato: “Ti riporto a casa io, od oggi ti do così fastidio che mezz’ora in macchina con me non riesci a sostenerla?”

Brian lo aveva guardato stranito e mortificato. “Scusa,” aveva risposto sorridendo senza riuscire a ricambiare lo sguardo dell’amico “è che i ragazzi sono così bravi e Rami è così Freddie che sono rimasto turbato tutto il giorno.”

A quella scusa, che poi non era completamente una bugia, Roger si era ammorbidito.

“Dio, più invecchi, più diventi melenso.” Aveva borbottato con uno sbuffo. E l’amico aveva risposto dandogli una leggera spallata e aveva replicato:

“Dì la verità, che non mi vorresti in nessun altro modo...”

A ciò Roger aveva scosso la testa ed aperto la portiera della sua auto, evitando accuratamente di guardare e rispondere in qualsiasi modo alla provocazione del chitarrista.

Era ormai scesa la notte e, anche se le luci della città offuscavano le stelle, la luna splendeva alta e maestosa nel cielo. Brian tenne fissi gli occhi su di lei, perdendosi nei propri pensieri.

Vorrei tanto avere qualcuno che mi guardasse come Roger guarda te.

Quella frase continuava a rimbalzargli nella mente. Pensò che Rami si tesse sbagliando, che Roger in realtà non lo guardava in nessun modo particolare, che Roger non avesse alcun tipo di sentimento romantico nei suoi confronti, che quella cotta che si portava dietro per il batterista da decenni doveva rimanere sepolta dalla consapevolezza che, appunto, non era altro che una cotta stupida e con nessuna possibilità di essere ricambiata.

La mano di Roger sul suo ginocchio lo fece trasalire. Il batterista gli diede una pacca leggera e poi lasciò lì la sua mano, calda e rilassata.

“Ancora perso nei ricordi, Brian?” Chiese senza distogliere lo sguardo dalla strada.

Il chitarrista si strinse nelle spalle mentre non riusciva a staccare gli occhi dalla mano di Roger.

“È che a volte Fred mi manca più del solito.” Sospirò, strappando un sorriso tirato all’amico. Roger gli strinse il ginocchio.

“Oggi è mancato tanto anche a me.” Disse, schiarendosi la voce. “E vedere i ragazzi lavorare, mi ha fatto sentire tanto, tanto vecchio.”

Guidato dall’istituto, Brian posò la propria mano su quella del batterista.

“Noi siamo vecchi, Rog.” Disse sistemandosi meglio sul sedile in modo da poter guardare l’amico senza sforzo. “Ma siamo ancora giovani abbastanza. “

Roger rise, sarcastico.

“Siamo ancora abbastanza giovani per fare cazzate? È questo che mi stai dicendo?”

Brian, con il cuore improvvisamente in gola, annuì.
“Sì, siamo ancora giovani abbastanza per fare quello che vogliamo.” Disse, la voce appena tremante. Fece scivolare la mano sotto quella di Roger, palmo contro palmo e intrecciò le loro dita. “E siamo vecchi abbastanza per sapere che non potrebbe mai essere una cazzata.”

Sotto le sue dita, Roger sussultò appena, ma, dopo qualche attimo di indecisione che a Brian parve durare una vita intera, serrò la presa sulla mano del chitarrista.
 

“Non lo è. Certo che non lo è. Non potrebbe mai esserlo.” Sentenziò il batterista, serio come mai lo era stato. E dopo qualche secondo aggiunse “Come hai fatto a capirlo? Sono anni che...” si bloccò, imbarazzato e l’altro, anche nel buio della macchina, riuscì a scorgere un rossore avanzate sotto la barba candida.

“È stato Rami.”Disse Brian, sorpreso da come le cose, una volta scattata la scintilla, si stessero muovendo tanto velocemente. “Ha detto che vorrebbe tanto avere qualcuno che lo guardi come tu guardi me e mi sono reso conto che ha ragione. E che sono stato troppo impegnato a cercare di nascondere come io guardassi te per riuscire a vedere che i miei sguardi sono sempre stati ricambiati.”

Roger sbuffò, incredulo e sciolse la presa tra le loro mani per cambiare marcia.

“Mi stai dicendo che sei sempre stato aperto all’idea di questa cazzata?” Chiese, ironico.

Brian si lasciò cadere contro il sedile e sospirò.

“È una cosa che è lì da molto, molto tempo, Rog. E francamente non mi va di parlarne, ora.”

L’amico annuì e rimase chiuso in un silenzio pensieroso finché non arrivarono sotto la casa cittadina di Brian.

“E ora?” Chiese Roger quando l’altro si aspettava una buonanotte.

“E ora cosa?” Chiese il chitarrista, il cuore che di nuovo batte a furioso.

“E ora la vogliamo fare questa cazzata o no?” Insistette Roger, afferrando la mano di Brian. Ricevette un cenno del capo dall’altro e lo vide chiudere gli occhi, trattenendo il respiro. Respiro che subito lo abbandonò quando sentì il palmo calloso dell’altro sulla sua guancia.

Roger lo guidò verso di sé, fermandosi a pochi millimetri dalle sue labbra per sussurrare:
“Ultima occasione per tirarsi indietro.”

Gli occhi di Brian si spalancarono, riflettendo per un attimo la luna piena.

“Roger,” fece, cauto “vuoi salire a vedere la mia collezione di cucchiai?” Aggiunse prima di baciarlo.

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Body Language

Chapter 2


Se Roger si era aspettato che quella della collezione di cucchiai di Brian fosse una mera battuta, si era sbagliato di grosso.  

Dopo un’infinità di timidi baci a fior di labbra, i due si erano staccati sorridendosi come teenagers al primo appuntamento della loro vita.


“Dai, saliamo.” Aveva detto Brian, senza fiato. Aveva assottigliato lo sguardo, mordendosi il labbro, facendo trasalire Roger, il quale si era ritrovato davanti, per un secondo, un Brian giovanissimo, spensierato, ma anche tanto insicuro. Il batterista non aveva potuto seguirlo senza sorridere ampiamente.

In casa, il nervosismo di Brian si era trasformato in un convulso e maldestro  tentativo di preparare una tazza di tè ad entrambi. Una volta acceso il bollitore, il chitarrista aveva afferrato Roger per un polso, lo aveva portato in salotto e, un po’ scherzoso, un po’ orgoglioso, gli aveva detto:

“Ti piacciono i miei cucchiai?” E con un gesto ampio della mano aveva svelato un cassetto pieno di cucchiaini vittoriani in argento.

Roger, che fino a quel momento lo aveva lasciato fare, decise che era arrivato il momento di porre fine ai tentativi dell’amico di fare finta che in auto non fosse successo nulla. Così lo afferrò per le spalle, facendolo voltare verso di se, solo per far poi scivolare le mani sul suo collo, fermandosi sulle sue guance. Avvicinò i loro visi e, a mò di scusa disse:

“Scusami, Brian. Scusami tanto,” Soffiò contro le sue labbra. “ma se non ti bacio ora, rischio che tu tenta di tirar fuori la tua collezione di stereo sui cucchiaini vittoriani...”

Brian trasalì, ma non si tirò indietro, invece cinse i fianchi dell’altro e fu proprio lui ad annullare definitivamente il divario tra le loro bocche. Fu un bacio a fior di labbra, decentrato, che fece scontrare i loro nasi e li fece sciogliere in una risata nervosa. Brian fece per tirarsi indietro per poter dare sfogo all’ilarità, ma Roger rafforzò la presa sul suo viso e catturò il labbro inferiore dell’amico fra le sue labbra. Lo mordicchiò appena, facendo sussultare il chitarrista, il quale, d’istinto, si incurvò ancora di più verso l’altro e quando le loro lingue si toccarono per la prima volta, Brian lasciò la presa sui fianchi di Roger per afferrargli il viso con entrambe le mani. Fece passare le dita della mano sinistra sulla linea della mascella del batterista, grattando la folta barba bianca con le sue unghie e l’altra mano finì tra i ciuffi candidi, serrando poi la presa per tirare indietro la testa di Roger e poter, così, approfondire il bacio.

Restarono persi in quello sfiorarsi di labbra e respiri per svariati minuti, trasalendo e scostandosi di scatto solo quando il fischio del bollitore li riportò con i piedi per terra.

Brian si accomiatò, sfiorando la tempia di Roger con la punta del naso e tornò un minuto più tardi con due tazze fumanti ed una bottiglia di scotch. Posò il vassoio sul tavolinetto davanti al divano sul quale Roger si era sistemato. Il chitarrista si sedette accanto all’amico con uno sbuffo stanco.

“Ti va?” Chiese, poi, indicando la bottiglia di liquore.

“Vuoi sapere di cosa ho voglia, invece?” Chiese il batterista, ammiccando con fare lascivo.

Brian, che sapeva essere malizioso tanto quanto il biondo, si morse il labbro, gli posò una mano sulla coscia e si sporse per sussurrargli all’orecchio: “Vuoi fare le cose sporche con me, Rog?”

Il batterista scoppiò a ridere e, con entrambe le mani sul petto dell’astrofisico, lo spinse finché non fu steso sul divano.

“Voglio fare le cose più sporche che ci sono con te, Dottore.”

L’uso del suo titolo accademico, fece arrossire Brian. D’istinto cinse I fianchi del batterista con una gamba ed annaspò contro la sua bocca quando sentì una mano accarezzargli la coscia.

“Ok?” Chiese Roger affondando i polpastrelli nell’interno coscia dell’altro. Ed il chitarrista annuì, mordendosi il labbro. Un mugolio sorpreso sfuggì alla sua bocca quando la mano di Roger, sicura e sfrontata, salì sempre più su con un massaggio lento e suggestivo.

Gratificato e lusingato da quella reazione, il batterista nascose il suo sorriso nel collo dell’amico, strappandogli un altro sospiro quando la sua guancia barbuta gli graffiò la pelle sensibile. Si puntellò sui gomiti ed aspettò che Brian aprisse le palpebre. Occhi verde-marroni annebbiati dal desiderio incontrarono le iridi blu di Roger, strappando l’ennesimo sorriso al batterista.

“Dio, Brian.” Soffiò, senza fiato. “Com’è possibile che tu sia ancora così bello?”

Il chitarrista scosse il capo ed un riccio bianco gli nascose un occhio.

“Non dire di no, doc. Sei assolutamente splendido.”

Brian arrossì e spinse le labbra contro la guancia di Roger.

“Anche tu, Rog.” Disse, incupendosi quando l’altro Rispose con una risata denigratoria. “Lo sei. E se vieni in camera con me, ti dimostrerò quanto io ti trovi bello da togliere il fiato.”

Con un leggero gemito di dolore, Roger si mise a sedere.

“È un modo carino per dire che siamo troppo vecchi per fare sesso sul divano?” Rise grattandosi la mascella.

“Forse,” Rise Brian, scompigliandosi i capelli. “ma potrebbe anche essere una scusa per averti finalmente nel mio letto...”

Ridacchiarono insieme e, mano nella mano, salirono le scale dirigendosi nella camera padronale.

“Non sono mai stato così contento che tu non viva con tua moglie come adesso.” Sentenziò Roger quando entrambi furono spogliati e sotto le lenzuola.

“Vuoi davvero parlare delle nostre compagne quando finalmente siamo qui?” Chiese Brian, accarezzandogli un fianco.

Il batterista scosse la testa.

“Onestamente, sono più interessato a sapere come dovrebbe funzionare questa cosa tra noi due.”

Di tutta risposta Brian si strinse a lui, facendo scivolare la sua mano grande e morbida proprio dove Roger la desiderava di più. Lo baciò per tutto il tempo, soffocando con la sua bocca i gemiti dell’altro.

Soddisfatto e saziato, Roger se ne rimase steso fra i cuscini per qualche minuto. Con il fiatone ed il cervello ancora inondato dalle endorfine, si ritrovò a sorridere come uno stupido al soffitto.

“Dio, ho sempre pensato avessi delle mani eccezionali, Bri.” Rise, sguaiato.

Brian, teso ed in aspettazione, si strinse nelle spalle.

“Ed io ho sempre pensato che la tua bocca fosse l’incarnazione del peccato...” buttò lì, arrossendo per la propria sfacciataggine.

Roger Rise ancora più forte e con un “Se è questo quello che vuoi...” scivolò sotto le lenzuola strappando lamenti dalle labbra di Brian talmente acuti da fargli fischiare le orecchie e quando, timido, ma curioso, il chitarrista alzò le lenzuola per sbirciare cosa stava accadendo tra le sue gambe, entrambi si ritrovarono a trattenere il respiro mentre arrivava il turno di Brian per essere investito da una tempesta ormonale.

Si sorrisero entrambi, poi,  accoccolandosi stretti, stretti e, nonostante l’insonnia di Brian e l’ora per nulla tarda, si addormentarono abbracciati in pochi secondi.

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Capitolo 3
*** 3. ***


Passarono solo poche ore prima che Brian si svegliasse. Sospirò quando, volgendo lo sguardo verso l’orologio, scoprì che era solo l’una di notte. Si passò le mani sugli occhi, stropicciandoseli e solo quando sentì un russare non troppo lieve provenire dalla sua sinistra, si ricordò che non era solo. 

Per un attimo si chiese cosa ci facesse Anita lì, dato che non passavano una notte insieme da molto più tempo di quanto non fosse stato pronto ad ammettere, quando la serata appena trascorsa gli tornò alla mente all’improvviso. 

 

Roger...

Si voltò verso di lui, e non riuscì a soffocare il sorriso che si impossessò delle sue labbra. Trovò l’amico rannicchiato sotto le coperte, la mano tatuata posata sul cuscino ed i ciuffi di sottili capelli argentei illuminati dalla luna piena che splendeva alta in cielo. 

Rimase incantato da quanto Roger, nel sonno, sembrasse giovane. Giovane come non era più da decenni, giovane come entrambi non si sentivano più. Nonostante i capelli corti e più radi, nonostante le macchie della pelle e le rughe che gli solcavano il viso anche nel rilassamento notturno e la barba candida, restava così bello. Brian sentì una stretta al cuore e non riuscì a staccare gli occhi da tanta bellezza. 

‘Dio quanto tempo abbiamo sprecato...’ pensò, avvertendo un leggero pizzicore agli occhi. In punta di dita accarezzò, quasi impalpabilmente, prima i capelli, poi lo zigomo ed infine le labbra di Roger. L’altro, ancora stretto tra le braccia di Morfeo, rispose con bacio vagamente abbozzato ed un “Bri” biascicato e quasi indistinguibile, strappando un sorriso enorme e luminoso come una stella alle labbra del chitarrista. 

Brian restò attimi infiniti a bearsi della bellezza dell’amico e delle sensazioni che averlo così vicino gli facevano provare, finché la schiena dolorante non lo costrinse ad alzarsi. In silenzio si rivestì con una t-shirt e gli slip e a piedi nudi, scese le scale, dirigendosi in salotto. Lì vagò senza meta per qualche minuto. 

Si avvicinò al pianoforte di Fred, sfiorandone il coperchio, lasciandosi andare ad un pensiero malinconico. Sospirò e si diresse alla finestra che dava sul parco, scostò la tenda e si ritrovò faccia a faccia con una vecchia amica, la luna. Anche così, senza occhiali e senza telescopio, era in grado di apprezzarne la bellezza assai familiare. Con il naso all’insù, sorrise al satellite e si chiese se Roger avrebbe apprezzato le sue chiacchiere astronomiche o se, anche lui come Anita, avrebbe sbuffato alzando gli occhi al cielo cercando di cambiare discorso il prima possibile. 

Con un tuffo al cuore, gli venne in mente una serata di fine agosto nel ‘75 fuori dagli Rockfield studios. 

 

Brian aveva fatto ascoltare la melodia e abbozzo di testo ai 3 amici della sua ultima canzone, ‘39, ma avevano perso troppo tempo nel cercare di capire il significato delle parole ed il chitarrista aveva terminato la sessione sfidando John ad abbandonare il suo fidato basso per un contrabbasso per quellasessione di registrazione, convinto che il cambiamento di strumento ed il tempo necessario per imparare a suonarlo avrebbero spostato la registrazione della canzone, e quindi le relative discussioni, di qualche settimana.

Se ne stava a gambe incrociate a bersi una birra direttamente dalla bottiglietta, quando era arrivato Roger e, accendendosi una sigaretta, gli si era seduto accanto.

“Ho ragione io, vero?” Avevo chiesto, sicuro e un po’ arrogante. “La tua canzone parla del viaggio nel tempo e non dei veterani di guerra come dice Fred, vero?”

Brian aveva riso e si era disteso sull’erba bruciata dalla calura estiva. 
“Cosa nei sai della dilatazione del tempo secondo la teoria della relatività ristretta, Rog?” 

“Uhm, niente.” Aveva biascicato il batterista “Ma sono sicuro che tra poco ne saprò molto di più.” Aveva aggiunto, rubando la bottiglietta di birra all’amico. Aveva bevuto tutto d’un fiato tutto il liquido rimasto. E, puntellandosi su un gomito, aveva guardato l’altro con aspettazione. 

“L’idea generale è che se dovessi intraprendere un lungo viaggio nello spazio viaggiando il più vicino alla velocità della luce, accadrebbero cose molto strane, cose non euclidee. Le distanze apparirebbero distorte e, ancora più importante, il tempo diventerebbe diverso per te rispetto a chi è rimasto sulla terra.” Aveva detto Brian, gli occhi fissi sulla luna gibbosa. “Quindi, immagina che io e te fossimo degli astronauti e che andassimo nello spazio alla ricerca a di nuove terre da colonizzare viaggiando alla velocità della luce. Nel tempo che impiegheremmo a tornare, potremmo sentirci invecchiati solo di un anno, ma sulla terra potrebbero essere passati cento anni. E allora ho pensato, come sarebbe tornare a casa e non trovare nessuno dei tuoi cari, solo i loro discendenti?”

Ne era seguito un silenzio in cui Brian aveva rimpianto di aver raccontato quelle cose a Roger. Sicuramente il batterista si era annoiato, sicuramente stava cercando di trovare una presa in giro adeguata...

“Dio, ma quanto sei intelligente, Bri “ Aveva invece esclamato Roger. “Potrei quasi innamorami.” E ridendo si era accoccolato sulla spalla del chitarrista. “Dai, raccontami altre cose da astronomo!”

E così avevano passato la serata, accoccolati a parlare di spazio e stelle. E forse, quella era stata la serata più meravigliosa della vita di Brian. 

Perso com’era nei ricordi, non si rese conto di Roger che si era alzato, gli aveva rubato un paio di pigiama ed era sceso in salotto. Sussultò quando avverti le braccia del biondo attorno la sua vita. 

“Torna a letto, Bri. “ Disse il batterista, posando il bacio sul suo sterno. “Fa freddo e non voglia di stare da solo.” 

Brian scrollò le spalle, lasciando che Roger sostenesse in parte il suo peso, ma lasciò che l’altro lo prendesse per un polso. 

“Dai, se vieni con me, puoi stare anche tutta notte a parlarmi delle stelle.”
Disse Roger. 

Brian sorrise e si senti molto toccato dell’offerta dell’amico. E mentre salivano le scale, prendendosi una pausa ogni qualche gradino, non riuscì a smettere si sorridere. 

Se quello era come si sentiva chi era innamorato, avrebbe dato qualsiasi cosa pur di stare sempre così bene, soprattutto per sentirsi così insieme a Roger. 

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