Ettore massacratore - de bello Troiano

di Semperinfelix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Libro I ***
Capitolo 2: *** Libro II ***
Capitolo 3: *** Libro III ***



Capitolo 1
*** Libro I ***


 

Prefazione

I ricordi dell'infanzia resistono confusi nella mia mente, immagini brevi, sfuocate, accompagnate da parole distanti, ma uno dei primissimi che si affaccia alla mia memoria comincia proprio col pomo della discordia, la mela che la dea Eris lanciò sul tavolo ove stavasi svolgendo il banchetto per il matrimonio di Peleo e Teti: l'evento che scatenerà poi l'epica guerra di Troia.

Perché, vi chiederete. Ebbene fin dalla più tenerissima età sono cresciuta a pane e antichità, mia madre infatti è sempre stata sprovvista di fantasia e, per compensare, attingeva dal proprio repertorio classico. Con ciò intendo che, per farmi mangiare, soleva raccontarmi durante la cena l'Iliade e l'Odissea, e quei racconti, per quanto confusi, si sono sempre mantenuti saldi nella mia mente di bambina. 

Ne rimanevo affascinatissima, ma più che le avventure di Odisseo, che mia madre preferiva, a me piaceva ascoltare i racconti della grande guerra di Troia, e soprattutto volevo sentir parlare di lui, del valoroso Ettore. Fu così che me ne innamorai, bambinetta di tre anni o poco più, e fu veramente il primo amore. Ancora oggi quest'amore me lo trascino dietro come una dolce catena e non intendo liberarmene.

Non so di preciso quante e quante volte io abbia rivisto quella pellicola epica, debuttata ormai quindici anni orsono, che narra proprio di queste vicende. Ma se tutte le volte che la guardavo mi ritrovavo stupidamente a sperare che essa si concludesse con la sconfitta degli Achei, ogni qual volta Ettore perdeva la vita mi ritrovavo a piangere disperata. Ricordo ancora la prima che la vidi, potevo avere sì e no quattro o cinque anni e, durante le scene della battaglia, non riuscendo proprio a star dietro a tutto quel cozzare confuso di armi e di morti, ingenuamente mi lamentai "ma non ci capisco niente!" e mia madre allora mi rispose: "è la guerra, cosa ci vuoi capire?" 

Non sono tra l'altro mai riuscita a spiegarmi questo mio ostinato parteggiare per la fazione troiana, il che comportava un odio feroce nei confronti degli Achei, cosa insolita dato che invece mia madre tendeva sempre per lo schieramento opposto. L'illuminazione mi venne proprio in quest'ultimo anno o poco prima, quando scoprì che nell'Orlando Innamorato del Boiardo è scritto:

[...] E dopo molte angoscie e molti affanni
Fo Troia presa ed arsa con inganni.
E come e Greci poi sol per sua boria
Fierno un pensier spietato ed inumano,
Tra lor deliberando che memoria
Non se trovasse del sangue troiano.

[...] E cercando Astianatte in ogni parte,
Che era di Ettorre un figlio piccolino,
La matre lo scampò con cotale arte:
Che in braccio prese un altro fanciullino,
E fuggette con esso a la disparte.
Cercando i Greci per ogni confino,
La ritrovarno col fanciullo in braccio,
E a l'uno e a l'altro dier di morte spaccio.

Ma il vero figlio, Astïanatte dico,
Era nascoso in una sepoltura,
Sotto ad un sasso grande e molto antico,
Posto nel mezo de una selva oscura.
Seco era un cavallier del patre amico,
Che se pose con esso in aventura,
Passando il mare; e de uno in altro loco
Pervenne in fine alla Isola del Foco.

Così Sicilia se appellava avante,
Per la fiamma che getta Mongibello.
Or crebbe il giovanetto, ed aiutante
Fu di persona a meraviglia e bello;
E in poco tempo fie' prodezze tante,
Che Argo e Corinto pose in gran flagello;
Ma fu nel fine occiso a modo tristo
Da un falso Greco, nominato Egisto.

Ma prima che morisse, ebbe a Misina
(De la qual terra lui n'era segnore)
Una dama gentile e pellegrina,
Che la vinse in battaglia per amore.
Costei de Saragosa era regina,
[...] Prese per moglie poscia la donzella,
E fece contra e Greci il suo passaggio,
Insin che Egisto, la persona fella,
Lo occise a tradimento in quel rivaggio.

[...] Gravida era la dama de sei mesi,
Quando alla terra fu posto lo assedio [...]
Ma essa, quella notte, sola sola
Sopra ad una barchetta piccolina
Passò nel stretto, ove è l'onda che vola
E fa tremare e monti alla ruina; [...]
A Regio se ricolse a salvamento. [...]
Ora la dama a tempo ebbe un bel figlio,
Che rilucente e bionde avia le chiome,
Chiamato Polidoro a dritto nome.

In pratica sta dicendo che il figlio di Ettore, Astianatte, arrivò in Sicilia (domus mea) dove concepì con la regina di Siracusa un figlio, Polidoro, dalla cui stirpe nacque il famoso Ruggero, dal quale a sua volta discende niente di meno che la nobile casata degli Este di Ferrara.

Nella tradizione epica, tuttavia, secondo una delle varie versioni del mito, a seguito della morte del padre e della caduta di Troia, il piccolo Astianatte venne precipitato dalle alte mura della città, morendo ancora infante. Ebbene, e se non fosse stato così? Che sarebbe successo se Ettore fosse riuscito a sconfiggere Achille durante il famoso duello finale?

Sarò per voi in parte aedo e in parte rapsodo, poiché molto riprenderò dall'originale greco, molto altro aggiungerò e stravolgerò io stessa, perseguendo lo stile omerico. Secondo lo stesso principio ho cercato di inserire molte ripetizioni anche delle stesse identiche frasi, così come si trovano nell'opera originale, anche se potrei aver inventato nuovi epiteti. Forse potrà sembrarvi uno stile ancor più arcaico e desueto del mio solito, ma come quando Dante tentando di leggere una porta disse a Virgilo: << maestro, il senso lor m'è duro! >> ed egli gli rispose << zittiti e lieggi! >>, così anch'io or vi dico.

 Forse potrà sembrarvi uno stile ancor più arcaico e desueto del mio solito, ma come quando Dante tentando di leggere una porta disse a Virgilo: << maestro, il senso lor m'è duro! >> ed egli gli rispose << zittiti e lieggi! >>, così anch'io or vi ...


Sulla Troade boscosa, terra di contesa, scendeva la Notte veloce, madre del Sonno, dominatrice di uomini e déi, allorché si tuffava dentro l'Oceano il raggio splendente del sole, portando una notte oscura sopra i campi fecondi (1). Tramontava così la luce ai combattenti che s'affrontavano nella pianura dinnanzi Ilio ventosa, genitrice di eroi audaci.

Tornavano allora i valorosi al di là delle possenti mura, stringendo ancora salda la vita nel petto. Non appena giunti alle porte Scee, correvano loro incontro le spose e le figlie, ansiose del loro ritorno. Tutte avevano pur pregato gli dèi per la salvezza dei propri cari, ma ora molte gemendo bagnavano il viso di lacrime, avendo ricevuto notizia luttuosa. Molte altre ancora avrebbero presto seguito la medesima sorte, inconsapevoli che per un'ultima notte soltanto avrebbero potuto offrire agli sposi il petto odoroso.

Anche Ettore pastore di eserciti tornava alle porte Scee (2), presso l'alta quercia che ivi cresceva, e la sua sposa preziosa, Andromaca figlia di Eetione magnanimo, credeva di trovarla ad attenderlo nella bella casa in cima all'alta rocca, costrutta per loro vicino alla reggia del padre e alla casa del fratello suo Alessandro, che come la propria era stata il frutto del lavoro di coloro che nella fertile Troia erano i migliori fra i più abili artigiani.

Invece s'ingannava Ettore divino, anche la sposa sua era accorsa alle porte insieme all'altre. Dall'alta torre di Ilio l'aveva visto tornare, ivi recatasi una volta saputa l'importanza dello scontro combattutosi quel giorno. Quindi assieme alle ancelle dalle belle chiome era corsa incontro al marito che rientrava dal dare battaglia. Lì lo vide: nella mano impugnava la lancia di undici cubiti, in cima all'asta brillava la punta di bronzo e le correva intorno un anello d'oro. Gli coprivano il corpo le armi di bronzo belle, tolte di forza a Patroclo dopo che quel giorno l'aveva mandato nell'Ade pauroso.

Andromaca a lui venne vicino, sollevata di vederlo incolume, lo sfiorò con la mano. « Sposo amatissimo, piangeva il figlio tuo chiedendo del padre: tu stesso vallo a vedere. Nella nostra casa lo lasciai con la balia, non lo portai meco, ché vedendoti qui con l'armi splendenti e l'alto cimiero non scoppiasse un'altra volta in pianto, come già accadde (3). Dunque va', in casa nostra un bagno caldo t'attende: io stessa diedi ordine alle ancelle dalla bella chioma di mettere un tripode grande sul fuoco, perché fosse pronto e accogliente il bagno per il tuo ritorno. Lì lascia le armi e le vesti insozzate di polvere e sangue e concediti ristoro ». Così parlava e gl'occhi suoi brillavano di gioia immensa. Tanto caro appariva il volto dello sposo allora, dolce l'aspetto.

Le rispondeva Ettore illustre, mentre, carezzandole il bel volto dalla pelle candida, la baciava sulle rosate labbra: « così farò, sposa mia amata, ma prima il dovere m'impone d'andare alla casa splendida di Priamo, a raccontargli ciò che oggi ho compiuto nella pianura fuori le porte, scontrandomi con i nemici Achei ».

S'incamminava pertanto Ettore massacratore per la città dalle strade ben costruite, gli veniva dietro la sposa fedele, non volendo tornare ad attenderlo in casa. Giungevano alla sontuosa reggia, vastissima dimora, dotata di portici ben levigati. Al suo interno stavano cinquanta talami di pietra ben levigata, costruiti tutti vicini fra loro, e quivi dormivano i figli di Priamo accanto alle spose legittime. Dall'altra parte, proprio di fronte, dentro al cortile, v'erano al piano di sopra i dodici talami delle figlie, anch'essi di pietra ben levigata, e quivi dormivano i generi del re accanto alle spose nobilissime.

Veniva allora incontro al figlio più amato la madre piena d'affetto, Ecuba regina, sposa legittima di Priamo, accompagnata da due delle sue belle figlie. Gli sfiorava la mano e articolando la voce gli diceva « figlio mio, fra tutti il più amato, grande pericolo hai corso oggi! Ti osservavamo io e il padre tuo dall'alta torre, cuore nostro! Chiuse gli occhi il povero vecchio per non vedere, allorquando venne Achille invincibile per affrontarti (4)! Ah credeva che più non t'avrebbe rivisto vivo, e io con lui! Ora va', va' a libare a Zeus potente che anche oggi t'ha protetto, che sempre tenga serrate per te le nere porte dell'Ade! »

A lei rispondeva Ettore valoroso: « così farò, madre sempre cara, ma prima lascia che veda Priamo, il padre mio, e ch'io gli parli ». S'avanzava proprio allora Priamo suo padre alle spalle di lui che parlava. Vecchio dalla barba bianca ma ancora forte nel senno e regale nel sembiante. Così lo esortava: « dunque parla figlio, fra tutti i miei il prediletto, ch'io t'ascolterò. Non è forse l'armatura di Achille figlio di Peleo quella che porti indosso o m'inganna forse la vista non più acuta? »

Batteva allora Ettore con fierezza una mano sul bronzo che gli copriva il petto e diceva: « non t'inganni, padre mio, queste armi che vedi io stesso le sottrassi al corpo del nemico da me ucciso. Non Achille, giacché egli ancora si asteneva dal combattimento, bensì l'amico suo Patroclo, il figlio di Menezio, che tanti ne aveva uccisi dei nostri valorosi e dei figli tuoi scesi oggi nella piana a difendere Ilio ventosa. Fui io a porre fine alla strage: per terzo lo percossi con la lancia puntuta, infine lo abbattei nella polvere. A me allora egli morente prediceva oscuri presagi! Ah superbo era, come tutti gli Achei vestiti di bronzo e i Mirmidoni suoi compagni! »

Si affacciò però al cuore del vecchio quel vago timore che ai padri mai non concede pace. « Che ti disse, figlio? Deh, non tenermi all'oscuro, ché quel che ai moribondi esce di bocca è bene non ignorarlo mai ». Così parlò il vecchio e a lui il valoroso per rassicurarlo rispondeva: « a me la morte prediceva egli morente, ormai allo stremo delle forze. Non avrai nemmeno tu molto da vivere, ma già ti è addosso la morte e il duro destino di cadere sotto i colpi di Achille, l'infallibile Eacide (5). Ah! Senza averne il dono mi preannunciava nero futuro, volendo vincere anche nella sconfitta! Ma rossa la morte scese a frenargli la lingua puntuta! (6)»

Tremarono le iridi belle della dolce sposa a quelle parole. Troppo era l'amore che gli recava per non generare paura. Gli si aggrappava allora al braccio e piangendo gridava: « ahimè! Cruda sciagura! Non illuminano forse gli dèi del dono profetico coloro che muoiono? Bel bottino ti sei procurato oggi in battaglia! Per te la morte e per me e tuo figlio solo lamenti e dolori! No, no! Troppo vicino mi appare già questo orrendo presagio! »

A lei che temeva, il marito faceva questo discorso: « alle parole di un superbo sconfitto, tu, mia tenera sposa, non dare ascolto. Già quest'oggi affrontai Achille in uno scontro corpo a corpo, né egli poté toccarmi benché sia forte come un dio: Apollo mi protegge. Non trascorrere i tuoi giorni in pianto: gli immortali hanno già deciso il nostro destino, allora per noi vi sarà gloriosa vittoria o cruenta sconfitta, ma chi può sapere se il figlio di Teti dalla bella chioma non muoia prima di me, trafitto dalla mia lancia? (7)»

Parlava allora Priamo, re dei Troiani domatori di cavalli. « Al domani non penseremo oggi: le sciagure non certe teniamole lontane dalle nostre menti. Due buoi grassi sacrificheremo ancora a Giove onnipotente, che sempre con noi è benevolo, e ad Apollo saettatore e all'invincibile Ares suoi figli. Ma tu riposa, o figlio adorato, dopo che ti sarai ben rifocillato discuteremo la guerra, la notte che viene voglio invece che tu la trascorra con la tua sposa devota, che tanto se n'è stata in angustie lontana da te ».

Così fu deciso, e Andromaca seguì lo sposo nella loro dimora. Attese ella che il marito, spogliatosi delle armi, si concedesse il ristoro del bagno caldo ch'ella già per lui aveva allestito, solo allora gli recò il bambino, piccolo piccolo, inconsapevole, l'Ettoride tanto amato, uguale a stella splendente (8). Il padre lo chiamava Scamandrio, quasi fosse dono del fiume Scamandro che presso Ilio ventosa notte e giorno scorre, mentre gli altri gli davano nome Astianatte (9), poiché il padre suo anche da solo era salvezza di Troia.

Sorrise Ettore massacratore guardando il bambino in silenzio. Lo prese fra le braccia vigorose, più volte lo palleggiò finché non ne rise, poi sedutosi sul talamo col figlio sulle ginocchia, così gli parlava: « mia speranza, mio orgoglio, ancora tenero alla mammella della tua madre ti aggrappi, ma quando un giorno la salda età ti avrà fatto uomo, Zeus voglia renderti fra tutti i Troiani il più glorioso. Ti temeranno allora i nemici in battaglia, e i cittadini di te avranno rispetto, vedendo con che potere reggi Ilio ventosa. Di te si dirà: certamente è costui il figlio di Ettore difensore della sacra Ilio, ma egli è invero molto migliore del padre. Ne godrà allora in cuore la madre, sentendoti lodare, te che nuovi onori recherai all'illustre dardanide stirpe ».

Lo ascoltava piangendo in silenzio la gloriosa sposa. Fra tutte le spose troiane la più infelice, giacché presto vedova di un tal uomo per volere del nero Destino sarebbe rimasta. Allor gli diceva: « non dipingere al figlio tuo aurei giorni che giammai vivrà, troppo cruda menzogna da sopportare è questa per me, ché il figlio mio, lo sento in cuore, presto sarà morto per mano degli stessi che dapprima del padre valoroso lo avranno privato! O bambino mio, a vita breve t'ho dato alla luce! Quel giorno io gemendo stretta al tuo corpo martoriato dirò: oh fanciullo misero, t'uccise il valore del padre! »

A lei di rimando rispondeva Ettore illustre: « che dici, donna? Quale dio t'ha ottenebrato la mente? Simile a Cassandra bella come Afrodite d'oro mi sembri: solo sciagure ella predice da quando Apollo saettatore le sconvolse la mente, né v'è da fidarsi (10), ora non voglia la mia sposa seguirne l'esempio ».

« No, sposo tanto amato, nessun dio m'ha fornita del dono profetico come già Febo Apollo la sorella tua Cassandra (11), e nondimeno anch'io rimarrò inascoltata, poiché so bene che le mie parole non ti distorranno dal dare battaglia. Ah sventurato! Il tuo ardore sarà la tua rovina. Non hai pietà del figlio tuo che ancora non parla e di me disgraziata che presto sarò vedova? T'uccideranno presto gli Achei tutti insieme saltandoti addosso (12). Ah giorno funesto! Morto tu, custode vigile che la proteggi, per quanto pensi esisterà ancora la città nostra? Certo tuo figlio così piccolo non potrà difenderla, anzi perirà assieme ad essa, egli innocente! Guarda com'è bello il bambino nostro, com'è tenero e indifeso nel suo aspetto infantile. Morbida la pelle, soavissimo il profumo, dolce lo sguardo. Come sarà una volta che uno degli Achei l'avrà gettato per il braccio giù dalla torre? Ah morte tremenda! E io con che sguardo allora ne affronterò la vista? Io che teco l'avevo generato nel grembo accogliente e con amore nutrito al seno! Possa io sciagurata perire prima di assistere a tale strazio. Che chi m'uccise l'unico figlio mai non mi trascini schiava nella sua casa, a servire il suo talamo, io che a te solo mi promisi eterna sposa ».

Così parlava Andromaca allo sposo valoroso ed egli sentì scendere sovra di sé un freddo qual suol prendere colui che a morte vada. Cedeva il figlio allora alla balia, che lo portasse nell'adiacente stanza per farlo dormire, e alla moglie diceva queste parole: « non m'angustiare oltre con questi pensieri, cara sposa, già ne parlammo e già ti rivelai il pensier che sempre mi preme. Non con me devi adirarti, bensì con Paride profumato seduttor di donne, che tutti per propria lussuria ci ha condannati a soffrire aspra guerra. Oh se lì, sotto i suoi piedi, si spalancasse la terra! Una grande disgrazia ne ha fatto l'Olimpo per i Troiani e per Priamo magnanimo e per i figli di lui. Se lo vedessi discendere dentro i recessi di Ade, direi che un brutto malanno avrebbe scordato il mio cuore (13), ma invero Afrodite che ama il sorriso sempre lo trae fuor di pericolo!

Lo so bene, sposa amatissima, che fuor di quelle porte io me ne vado per una via senza ritorno, e ciò malgrado a questo non posso sottrarmi. Ma non tanto questo è il duol che m'affligge, quanto piuttosto il pensiero che su di te, vedova, ricadrà il peso della mia assenza, quando in catene sarai trascinata presso le navi ricurve, poi che sarà caduta la sacra Ilio per mano achea. E un giorno, te vedendo schiava in casa altrui, costretta contro voglia a intessere la tela con la conocchia, mentre andrai a prendere l'acqua alla fonte, qualcuno di te dirà: era costei un tempo la florida sposa di Ettore, che primeggiava in battaglia fra i Troiani domatori di cavalli, quando combattevano a Troia. E tu, sentendoli, avrai rinnovata la pena. Ma allorché un acheo vestito di bronzo ti trascini piangente, portandosi via la tua libertà, pria morto mi ricopra la terra ch'io di te i lai pietosi intenda (14)! »

Non gli rispondeva Andromaca figlia di Eetione magnanimo, ma gli occhi aveva rossi di lacrime che bagnavano le morbide guance. Le asciugava allora il volto lo sposo con la temibile mano, che tante anime di achei gloriosi aveva scaraventato nell'Ade tenebroso, e confortatala alquanto nel suo dolore, si congiungeva con lei per l'ultima volta. Oltre l'alte mura i roghi dei morti arsero per tutta la notte.

(1) Le descrizioni del tramonto e dell'alba sono in gran parte riprese dal testo originale dell'Iliade, così come gli epiteti e vari espressioni disseminate all'interno dello scritto

(1) Le descrizioni del tramonto e dell'alba sono in gran parte riprese dal testo originale dell'Iliade, così come gli epiteti e vari espressioni disseminate all'interno dello scritto.

(2) Tra l'uccisione di Patroclo e il duello definitivo tra Ettore e Achille passa pressappoco un giorno. Diversamente che in altre parti, nel libro XVIII dell'Iliade non è chiaro se i Troiani si siano ritirati all'interno delle mura per trascorrere la notte o se siano rimasti accampati al di fuori. Io in ogni caso ho optato per la prima scelta, descrivendo il rientro di Ettore nella propria dimora. Per la ricostruzione delle scene mi sono basata soprattutto sulle descrizioni presenti nel libro VI e in parte nel libro XXII.

(3) Andromaca allude al loro incontro presso le porte Scee, avvenuto qualche giorno addietro, durante il quale ella aveva tentato di persuadere il marito a ritirarsi dal vivo della battaglia e di schierare l'esercito al fico selvatico nel punto in cui le mura erano più sguarnite. Lì avviene il famosissimo e commovente dialogo fra i due, al termine del quale il bambino, spaventato dal cimiero del padre, in lacrime si aggrappa al collo della balia. Una scena di grande tenerezza che appare quasi fuori luogo in un così cruento contesto.

(4) Non si tratta del loro duello definitivo: già nello stesso giorno, subito dopo la morte di Patroclo, Achille scende in campo per vendicarsi su Ettore, ma, per quanto più volte gli scagli contro la propria lancia, Apollo devia tutti i colpi e gli impedisce di ucciderlo.

(5) Libro XVI, vv. da 852 a 854, trad. di G. Cerri.

(6) Nel libro XVI Patroclo scende in campo vestito delle armi di Achille e fa strage dei Troiani vantandosi poi delle proprie abilità. Tenta anche di uccidere Ettore ma invano, poiché il dio Apollo lo protegge. Viene stordito dallo stesso Febo, quindi colpito da Euforbo e finito da Ettore, al quale prima di morire con dure parole predice la morte per mano di Achille.

(7) Libro XVI, vv. 860-861, trad. di G. Cerri.

(8) Libro VI, vv. 400-401, trad. di G. Cerri.

(9) Astianatte: in greco Ἀστυάναξ, letteralmente "Signore della città".

(10) Nell'epica omerica non si parla in nessuna occasione della manteía di Cassandra, altra figlia di Priamo ed Ecuba, personaggio che compare solamente per pochi accenni, e del suo ruolo di indovina non v'è alcun riferimento in nessun passo dell'opera. Sarà l'epica successiva a riprendere il suo personaggio e a svilupparlo secondo le forme che noi oggi conosciamo e che io ho sfruttato anche in questo mio scritto.

(11) Secondo una versione del mito, Apollo, invaghitosi della bellissima Cassandra, le promise che le avrebbe conferito il dono profetico se in cambio ella gli si fosse concessa. La giovane accettò l'accordo, ma dopo aver ricevuto il dono non rispettò la promessa e rifiutò l'amore del dio. Pertanto Apollo, adirato, le sputò sulle labbra, condannandola a rimanere da chiunque inascoltata pur predicendo la verità.

(12) Libro VI, vv. da 407 a 410, trad di G. Cerri.

(13) Libro VI, vv. da 281 a 285, trad. di G. Cerri.

(14) frase parzialmente ripresa dalla libera traduzione del VI libro a cura di Vincenzo Monti.

 

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Capitolo 2
*** Libro II ***


 

Aurora vestita di croco s'alzava sopra le acque d'Oceano, a portare la luce a mortali e immortali; Si preparavano allora i Troiani bellicosi ad una nuova giornata di battaglia, lasciavano Ilio ricca di cavalli, si radunavano sulla pianura.

Anche Ettore dall'elmo ondeggiante, in mano stringendo la lucida lancia, s'incamminava verso il proprio destino. Lo accompagnava la sposa silenziosa fino alle porte Scee, dove lasciatolo lo guardava andar via con mesto sguardo. Triste presagio di morte le riempiva il cuore d'affanno mentre assieme alle ancelle fidate tornavasen alla casa sua in cima alla rocca.

Armatisi gli Achei presso le navi ricurve, scesero in campo. Con loro era il figlio di Peleo, mai sazio di lotta, dall'altra parte i Troiani sopra il poggio della pianura. Zeus portatore dell'egida (1) dette ordine a Themis (2) di chiamare gli dèi a consiglio dalla cima d'Olimpo ricco di valli. Ognuno si schierò dall'una o dall'altra parte, tutti scesero in campo. Era se ne venne alle navi achee, così Pallade Atena e Posidone che scuote la terra ed Ermes benefattore, che per mente astuta primeggia, e lo zoppo Efesto, inclito fabbro. Ares mai sazio di pugna raggiunse invece i Troiani, con lui Febo dai lunghi capelli e Artemide saettatrice, e Leto e Xanto (3) e Afrodite che ama il sorriso.

Tremavano i Troiani nel veder comparire Achille splendente nell'armi, simile ad Ares massacratore. Per primo l'affrontò Enea, figlio d'Anchise, ma il Pelide gli balzò contro simile a leone che spalanca le fauci, mentre gli schiuma la bava tra i denti. Dopo duro scontro, Posidone, benché ai Troiani avverso, intervenne per sottrarre Enea alla morte: non era destino per la stirpe di Dardano estinguersi.

Molti altri ne uccise però Achille piè veloce scagliandovisi contro. Anche Polidoro divino, figlio di Priamo, egli lo colpì in pieno col giavellotto alla schiena. Questi cadde in ginocchio gemendo, nera nube l'avvolse, trattenne a sé con le mani le viscere mentre cadeva. Non voleva il padre suo che combattesse, perché fra tutti i suoi figli egli era il più giovane.

Come Ettore vide il fratello cadere, gli s'annebbiò la vista, né fu più capace di trattenersi lontano, ma squassando la lancia puntuta s'avventava contro Achille sterminatore. Questi guardandolo storto diceva: « ecco l'uomo che più di tutti m'ha straziato il cuore, privandomi dell'amico a me più caro, non ancora per molto continueremo ad evitarci sui sentieri di guerra, anzi io ti dico che oggi perirai per mano mia, Ettore maledetto! Pagherai col sangue tuo il bene che m'hai tolto ».

A lui, senza paura, rispondeva Ettore glorioso: « non sperare d'atterrirmi con le parole, che anche io sono capace di dire insolenze e offese. Lo so che sei forte, e io di te molto più debole, ma chissà che gli dèi non abbiano deciso che io, per quanto più debole, abbia a strapparti la vita con un colpo di lancia, perché anche il mio dardo è aguzzo in punta (4)! »

Palleggiando scagliò la sua lancia, ma con un refolo Atena la stornò da Achille ed essa ricadde ai piedi di Ettore caro a Zeus. Gli balzava allora addosso il Pelide furioso, ma per tre volte colpiva a vuoto, che Apollo gl'aveva già sottratto l'avversario portandolo lontano. Con spaventevole voce gli diceva allora parole che volano: « Cane! Ancora una volta un dio t'ha sottratto alla mia ira, ma vivo non assisterai al prossimo tramonto, ché io ti finisco di certo non appena ti incontro! »

Non pago di sangue, tornava allora a far strage dei Troiani valorosi. A loro sugli occhi scendeva rossa la morte e il duro destino. La terra nera grondava di sangue e il Pelide se ne imbrattava le mani invincibili.

Come alla vampa del fuoco volano via le locuste e fuggono al fiume; arde vivida fiamma divampata improvvisa, quelle si gettano in acqua: all'urto di Achille così la corrente del vorticoso Xanto s'empì di frastuono insieme dei cavalli e degli uomini. Allora il rampollo di Zeus lasciò lì sulla riva la lancia, appoggiata sui tamarischi, e si tuffò simile a un demone, armato solo di spada, meditava mali in cuor suo e menava colpi all'intorno: saliva triste il lamento di chi era trafitto, s'arrossava l'acqua di sangue (5).

Stava il vecchio Priamo sopra la torre divina e di lì vedeva i Troiani dispersi in fuga scomposta da Achille poderoso. Sospirando scendeva a terra, e sotto il muro ordinava ai valorosi guardiani delle porte: « mantenete aperti i battenti con le vostre mani fin quando l'esercito in fuga si sarà rifugiato all'interno, solo allora chiudeteli nuovamente e sprangateli bene: temo infatti che quel maledetto possa irrompere dentro le mura ».

Così disse e quelli apersero i battenti, tolsero i paletti; spalancati, i battenti fecero luce. Dal piano verso l'alta muraglia fuggivano quelli, arsi di sete, pieni di polvere: li inseguiva una furia tremenda, bramosa di mietere gloria. La città in breve si riempì di fuggiaschi.

Solo Ettore rimaneva, saldo davanti a Troia e alle porte Scee, contro di lui s'avanzavano gli Achei sotto alle mura, i bronzei scudi inclinando sulle spalle. Sull'alto della torre tornato, il vecchio gemeva e si batteva le tempie canute con le mani, il figlio più amato vedendo che solo non si sottraeva allo scontro, ma che a piè fermo se ne rimaneva di fronte alle porte e alla quercia possente.

Lo scongiurava allora, gridando: « Ettore! Figlio fra tutti a me il più caro! Non affrontare da solo quel maledetto, egli è di certo di te molto più forte: una dea l'ha infatti generato, e molti altri altrettanto potenti lo proteggono. Di quanti figli avevo un tempo, prima che questa guerra sciagurata avesse principio, quasi tutti il Pelide senza pietà me li ha gettati nell'Ade infecondo, trucidati dalle sue mani temibili. Tu ancora mi rimani, figlio adorato, in te solo ripongo la speranza mia, della mia stirpe e della mia città. Morto tu, a chi mi appoggerò io povero vecchio quando l'età m'avrà fatto infermo? Il Pelide si prenderà la tua vita, a me lascerà lamento e dolori penosi.

Teco cadrà anche questa città, allora quali altre sciagure mi rimarrà da vedere? Figli ammazzati, figlie rapite, talami profanati, bambini in fasce scaraventati a terra nella mischia furiosa, le mie nuore trascinate dalle mani maledette degli Achei (6)! No, non darmi questo dolore. Il tuo valore potrai dimostarlo un altro giorno, in una migliore occasione, non dare ad Achille il vanto d'averti ucciso! Ma torna dentro piuttosto: come gli altri ripara dietro le solide mura che per te solo ancora rimangono aperte ».

Si tirava con le mani i capelli canuti, strappandoseli via dalla testa, il cuore straziato dal pensiero del figlio, ma l'animo di Ettore massacratore non riusciva a piegare, troppo deciso ad affrontare Achille prosciugatore di stirpi. Accanto al vecchio piangeva la madre, dagli occhi versando lacrime amare, come forsennata, battendosi il petto, gridava: « A che vi ho generati figli miei? Per vedervi morire tutti, ancor nel fiore degli anni vostri, per mano di un acheo sacrilego e impietoso, per ciò vi ho partoriti! E tu, Ettore mio, tu che fra tutte le mie creature sempre sei stato il migliore e il più amato, dissennato hai deciso di seguire la medesima sorte!

Ahimè disgraziata! Prima vieni e strappami gli occhi dal volto allora, ch'io non possa vedere come getti dal corpo perfetto il sangue, spargendolo in terra assieme alla vita. Ah ricordo i pianti e le notti insonni e le melodiose canzoni cantate da voce soave. E come ti aggrappavi vorace alla mia mammella, bambino mio, suggendo il dolce latte! Cullandoti stretto al petto per te sognavo giorni radiosi: che dopo il padre tuo avresti a tuo tempo governato questa città. Ah! Indarno t'avrò dunque allevato, figlio, se oggi muori! Partorito a disgrazia! Abbi pietà della sposa preziosa e del figlio tuo ancora in fasce: te morto, egli una volta cresciuto del padre non ricorderà nemmeno il volto, sempre che non lo ammazzino prima gli empi Achei per tuo sfregio! »

Ma la madre nemmeno riusciva a piegare l'animo fermo di Ettore armato di bronzo, animato da odio inesausto. Né pianti né suppliche gli commuovevano il cuore, anzi più deciso che mai egli attendeva l'irrevocabile ora. Mentre si verificavano questi eventi, nulla sapeva la moglie di Ettore: all'interno dell'alto palazzo la donna tesseva un mantello doppio, tinto di porpora, ricamandovi fiori di vario colore. Sentì venire i lamenti, le grida dalla torre, allora le tremarono le membra, le cadde a terra la spola. Il cuor suo le diceva che qualcosa di terribile stava per realizzarsi.

Poi parlò alle ancelle dalla bella chioma: « orsù, due di voi mi seguano. Dei miei suoceri odo le grida e il cuore mi balza nel petto fino alla gola, mentre le ginocchia tremano. Che io non resti oltre in pena, all'oscuro di tutto: andiamo alla torre a vedere cosa mai sta accadendo ». Dicendo queste parole corse fuor di stanza simile a menade (7), sconvolta in cuor suo. Le venivano dietro le ancelle fedeli, tutte igualmente temendo.

Appena giunta sull'alta torre, dov'era assembrata la gente, subito si precipitò a scrutare dal muro. Donde lo vide: stava il marito suo fermo di fronte alle porte, egli solo senza aiuto né compagno, dall'altra parte avanzava Achille sterminatore di eroi, simile a demone della notte racchiuso in scintillante armatura (8).

Allora le tremarono tutte le membra, lanciò un urlo, le mancò il respiro. Una notte oscura le discese sugli occhi e quasi priva di sensi s'accasciò tra le braccia delle ancelle. Quando si riebbe, affacciatasi dal muro guardandolo urlava: « sciagurato! Sciagurato! Vuoi la mia morte, questo è dunque il tuo intento! Ebbene sia, ma sarà per te un trionfo ancora più amaro. Il troppo amarti, questa sarà la mia condanna, come l'onore la tua ».

La sentì Ettore splendido di sotto le mura, grave dolore gl'oppresse l'animo di mestizia, ma non lo distolse dal suo triste intento. Senza più voltarsi correva Andromaca a ritroso, giù per le scale che conducevano alla torre. Niente al mondo, né umano né divino, mai avrebbe potuto distogliere il figlio di Priamo dall'affrontare lo scontro dall'esito già segnato. Questo ella ben sapendo, non trovava pace in cuore, ma forsennata andava cercando la salvezza pel marito suo sventurato.

Giunse all'altare di Zeus Herkèios nella reggia troiana, presso l'ara domestica. Al tempio di Atena, sull'alto della rocca, era invece inutile andare: in odio la dea aveva preso i Troiani domatori di cavalli, da tempo meditava per loro sventure, sempre proteggendo Achille dal piede veloce. Anche adesso stava al suo fianco, tessitrice d'inganni, a tendere insidie ad Ettore valoroso.

Si gettò invece ai piedi del simulacro di Zeus Andromaca dalle bianche braccia, folle dal pianto. Dalla testa le cadde la bella acconciatura, il diadema, la rete, il nastro legato. Tra le mani raccolse il velo che le aveva donato Afrodite d'oro, il giorno in cui Ettore domatore di cavalli l'aveva presa in sposa in casa di Eetione magnanimo, offrendo doni infiniti. Lo tendeva allora in alto mentre al cielo innalzava il grido sacro (9).

« Zeus portatore dell'egida, padre di tutti gli dèi, tu che dalla cima di Olimpo ricco di valli vegli e proteggi la sacra Ilio, ascolta la mia preghiera. Una sposa infelice ti parla, ché presto mi renderà vedova il figlio di Teti dai piedi d'argento. Egli un tempo m'uccise già il padre, Eetione magnanimo, annientò la città ben popolata dei Cilici, Tebe dalle alte porte. Sette fratelli avevo, che vivevano nella mia casa, e tutti insieme in un sol giorno scesero nell'Ade per sua mano.

Tutti li uccise Achille terribile! Mia madre la fece schiava, poi in libertà la rimise dietro compenso ricchissimo, ma in casa del padre alfine la uccise Artemide saettatrice. Dunque ora solo Ettore mi rimane, ma egli perduto avrò perso tutto! Non dimenticare, O Zeus, quante cosce grasse di buoi ben pasciuti t'immolò Ettore pastore di popoli, ai numi sempre devoto, e quante volte pregando e libando al tuo nome ti rendeva onore! Ora rendigli il favore: da lui storna il giorno fatale, almeno tu abbi pietà di noi miseri mortali! »

Così pregava Andromaca sposa fedele, si commosse Apollo salvifico udendo i suoi lamenti strazianti. Pertanto rivolto al padre suo così gli indirizzava parole che volano: « O Zeus padre, il più potente fra tutti i numi, non struggono il cuore anche a te questi lamenti? Troppa pena ho di questa sventurata, il marito suo, tu ben lo sai, fra tutti gli uomini è quello a me più caro, così come lo è a te. Per molto tempo mentre infuriava la battaglia tu stesso hai vigilato su Ettore splendido, incoraggiandolo alla lotta, vuoi ora abbandonarlo? Vuoi forse che io anche lo abbandoni al suo destino, io che sempre l'ho protetto, egli con la cittadella scoscesa? Certo in breve discenderà ai morti, a casa di Ade, se entrambi lo priviamo del nostro aiuto. Ahinoi! Che dèi siamo, se non possiamo concedere la vittoria agli uomini a noi più cari? »

Scuotendo la testa divina gli rispondeva Zeus adunatore di nembi: « caro Febo, certo mi toccano le tue dure parole. Fra quante sotto il sole e sotto il cielo stellato sono città popolose di uomini terreni, più di tutte la sacra Ilio è da me onorata di cuore. Mai l'altare mi resta privo della razione dovuta, di libagione e di fumo (10), assai dolente mi dannerei l'anima vedendola bruciare tra le fiamme, ma che posso fare? Se pesando le sorti del Pelide e di Ettore a me caro sulla bilancia d'oro, la seconda dovesse inclinarsi verso il basso, nemmeno io allora potrei salvarlo da morte funesta quand'essa fosse già prescritta ».

« Dunque non pesare ancora i loro destini sulla bilancia dai manici d'oro, nume padre, permettimi prima di vedere se in qualche modo posso essergli ancora d'aiuto. Andrò io stesso a parlare con Thanatos figlio di Astrea, poiché di Ermes non è bene fidarsi: egli sempre parteggia per gli Achei, dei troiani nemico ». Così diceva Apollo saettatore, e, mostrandosi concorde, Zeus che gode del fulmine volentieri gli affidava questa missione. Non disobbedì Apollo al padre suo, ma svelto se ne volò dal Sonno e dalla Morte, i due gemelli, entrambi figli terribili della Notte, per mercanteggiare la vita di Ettore pastore di genti (11).

 Non disobbedì Apollo al padre suo, ma svelto se ne volò dal Sonno e dalla Morte, i due gemelli, entrambi figli terribili della Notte, per mercanteggiare la vita di Ettore pastore di genti (11)

(1) Lo scudo realizzato con la pelle della capra Amaltea, col quale Zeus si difese combattendo i Titani

(1) Lo scudo realizzato con la pelle della capra Amaltea, col quale Zeus si difese combattendo i Titani.

(2) Themis, figlia di Urano e di Gea, è la dea della giustizia.

(3) Xanto, altresì Scamandro, è il dio del fiume che scorre presso Troia. Leto o Latona è la dea madre di Apollo e Artemide.

(4) Libro XXII, vv. 436-437, trad. di G. Cerri.

(5) Libro XXI, vv. dal 12 al 21, trad. di G. Cerri.

(6) Libro XXII, vv. dal 62 al 65. Trad. di G. Cerri.

(7) le menadi sono le donne che partecipano ai riti misterici, consistenti in rituali orgiastici e danze frenetiche e convulse, per analogia con tale termine viene indicata la momentanea follia di Andromaca in preda al panico.

(8) Nel poema originario, Andromaca non era stata avvisata dello scontro che avveniva e quando, udite le urla, corre sulla torre, Ettore è già morto e del suo corpo Achille fa scempio.

(9) L'ololygé è il grido rituale femminile che accompagna sacrifici e preghiere.

(10) Libro III, vv. dal 44 al 49 salvo variazioni dei tempi verbali, trad. di G. Cerri.

(11) Hypnos, il Sonno, è fratello di Thanatos, la Morte, essendo entrambi figli di Astra, la Notte, divinità primordiale, e dell'Erebo.

 

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Capitolo 3
*** Libro III ***


 

Discese adunque il dio del sole fin negli anfratti più profondi della terra, nel regno di Ade signore dei morti, per mercanteggiare la vita di Ettore caro a Zeus. Attraversate le tenebre più oscure, giunse nell'antro che si affaccia sull'Ade, Lemno prossimo al fiume Lethe, ove eterne scorrono l'acque dell'oblio. Quivi era la dimora di Sonno, gemello di Morte, che assieme ai Sogni suoi figli ogni notte invade i corpi degli uomini, sollevandoli dalle quotidiane fatiche. Non si fermava qui Apollo Enialio, passava oltre, si spingeva fin nel più oscuro interno, luogo inospitale, ignoto alla sacra luce.

Lì, in quel luogo desolato, dimorava Thanatos, figlio della Notte funesta, coperta di nube caliginosa, e dell'Erebo, la tenebra infera. Demone alato, sterile, privo di sguardo, non mai una sola volta l'ebbe sfiorato il sole, troppo aborrendolo. Sconoscendo ogni pietà, ivi seco trascina le anime che strappa ai corpi, né mai le rende alla vita, ma misere le condanna ad una eterna notte senza astri né luna.

A lui venendo diceva Apollo che ama la luce: « o Morte invisa agli dèi, sovente vedoti aggirare nelle case piene di lamento, o pel campo squassato dalla recente battaglia, sempre bramosa del sangue fresco degli eroi, tuo nutrimento. Ora pazienta e ascolta, impietosa, se la mia proposta t'aggrada. So per certo che Ettore magnanimo tu in quest'oggi brami di trascinarlo qui tra i morti, ma già colmo è l'Ade furioso di numerosi eroi, tutti da breve tempo discesi sotterra, spenti dalla stessa guerra ch'ancora in superficie infuria implacabile. Ascolta dunque: Ettore divino, che solo fra tutti storna dalla sua patria il giorno fatale, ancora lascialo vivo fra i vivi. Lo prenderai poi, quando avrà compiuto il suo destino e stanco dell'esistenza terrena egli stesso t'invocherà con tiepida voce ».

Scuoteva la testa paurosa Thanatos inviso ai mortali, denigrando una tale proposta. Così gli rispondeva: « non credere, Febo, di potermi con confusi discorsi a mio discapito convincere a fare il tuo favore. Oggi invero si compirà il destino di Ettore massacratore. Così prescrisse il Fato molto tempo prima ch'egli venisse al mondo, così dovrà essere oggi che si prepara a lasciarlo. Egli invero è già designato: verrà con me, poiché il suo stame è giunto all'ultimo nodo (1) ».

Sentendo il suo insolente rifiuto, si adirò Apollo saettatore, così rispose: « ah impietosa! Tanto avversa sei agli uomini quanto ai numi immortali. Quant'è preziosa per te la vita di un misero mortale? Futile preda! Per la città e la sua gente, invece, egli è la sola salvezza. Il tempo certo non ti si nega: immortale ti partorì Astra tua madre, tanto breve è per te l'intera vita d'un uomo quanto un batter di ciglia. Ma ché mi affatico ancora con inani parole? Certo se con uno dei miei sicuri raggi forte t'abbaglio, sarà già vecchio Ettore valoroso pria che tu abbia recuperato la vista! Ne sarei ben capace, ma tu non costringermi: il figlio di Priamo lascia ancora alla vita e io non ti infliggerò questo supplizio, te che odi la luce! »

Così, con male parole, persuase la Morte eterna nemica. Gli rispondeva Thanatos allora: « maledetto! Sempre odioso fuor di misura mi sei, te con tutti i numi tuoi parenti. Dunque va', tienitela stretta la vita di quel troiano, più non la voglio! Ma sentimi bene: un'altra ne pretendo al suo posto, in quest'oggi, pria che il sole venga al tramonto. Bada però a non tendermi inganni: trovar dovrai qualcuno che volontariamente mi si offra, in sacrificio spontaneo. La vita invero non ha prezzo: non offrirai compenso per la sua privazione, com'è vero che incorruttibile mi generò la vergine Astrea (2). Dunque va', procacciami una vita, ma se non torni giuro che quel che mi spetta io mi prendo! »

Intanto Atena dagli occhi azzurri con l'inganno persuadeva l'eroe troiano ad affrontare lo scontro mortale. Diceva allora Ettore massacratore al nemico, facendosi avanti: « più non ti fuggirò, figlio di Peleo, ma anzi che ci scontriamo, vogliamo stringere quest'accordo: chi di noi due muoia, l'altro non sfregerà malamente, ma il corpo integro s'impegni piuttosto a restituirlo ai suoi cari, cosicché essi possano mitigare il dolore dandogli degna sepoltura ».

A dispettò di ciò sputava Achille tracotante sul patto e, guardandolo storto, gli diceva: « Ettore maledetto, non parlarmi d'accordi, te che m'hai tolto l'amico più caro! Come non possono esistere patti tra leoni e uomini, né tra lupi e agnelli, giacché sempre gli uni degli altri bramano il male, così non ci sarà alcuna amicizia tra noi, nemmeno nella lotta. Anzi, io ti dico, li pagherai tutti insieme i lutti dei miei compagni, che infuriando nella battaglia hai trafitto con l'asta! Non avrai pace nemmeno dappoi che sarai morto, non potranno piangerti la tua vedova e la vecchia madre, non avrai mai sepoltura, bensì nudo ed esposto alle intemperie ti sbraneranno i cani degli Achei, mentre gli uccelli affamati ti beccano gli occhi! »

Così disse, e palleggiando scagliò la lancia puntuta contro il nemico vicino. La vide venire Ettore possente nel grido di guerra e la schivò, prontamente rannicchiandosi. Sopra lo passò la lancia di bronzo, andando a piantarsi a terra, la raccolse Pallade Atena, subito rendendola ad Achille sterminatore. Vedendo compiersi queste cose, più lesto correva Febo Apollo ad avvisare Andromaca dalle bianche braccia.

La trovò ancora di fronte al simulacro di Zeus Herkèios nella reggia troiana, presso l'ara domestica. Genuflessa, i palmi tendeva verso l'alto, le lacrime le bagnavano il volto. A lei si manifestò nella propria forma divina, senza inganni, e le parlò: « o figlia di Eetione magnanimo, beato è il tuo sposo, che ha trovato una così devota e fedele alleata. Dall'alto Olimpo udii i tuoi lamenti e ne ebbi grande compassione. Così io stesso parlai col padre mio, Zeus che ama la folgore, lo convinsi a non abbandonare il marito tuo al proprio destino, giacché sempre grandemente ci ha onorati con sacrifici magnifici.

Discesi pertanto fin negli inferi più fondi, parlamentai con Thanatos impietoso, con parole e minacce lo persuasi a non ghermire oggi Ettore pastori di genti. E tuttavia solo al prezzo di un triste baratto egli esaudì le mie richieste: in cambio pretende infatti la vita di qualcun altro. Umile sacrificio dovrà però essere, bada bene, né spinto dal denaro o dal beneficio, né costretto con la violenza. Ma ora va', non sprecare tempo ulteriore: già infuria la lotta cruenta, temo che ancor per poco riuscirà Ettore splendido a tener testa al furioso Achille, finché Pallade Atena gli rimarrà al fianco. Non può certo un uomo solo lottare contro i numi potenti. Perciò ora corro ad assistere il marito tuo, a vedere se in un qualche modo contrastare posso la mia feroce sorella, ritardando il più possibile il momento ».

Mentre alla donna attonita diceva queste confortanti parole, ai suoi piedi, coperti dai sandali belli, deponeva un pugnale ben lavorato, dono di Zeus che scuote l'egida. Arma dalla lama sottile, puntuta, ancor monda di sangue. Si sollevava allora sulle gambe Andromaca, rinvigorita nella speranza, ma anzi che potesse proferir parola, svanì Apollo salvifico: corse a gettarsi nella lotta furiosa, a distogliere dal Pelide l'aiutante preziosa.

Raccolse perciò tra le mani il pugnale Andromaca moglie fedele, lo avvolse nel velo che le aveva donato Afrodite d'oro, il giorno in cui Ettore domatore di cavalli l'aveva presa in sposa in casa di Eetione magnanimo, offrendo doni infiniti. Lasciò a quel punto l'altare di Zeus Herkèios, il velo stringendo al petto, e tornò di corsa sull'alta torre, dove ancora la gente stava tutta assembrata per assistere al duello fra i due eroi.

Fra coloro che la videro venire simile a menade, i capelli disciolti e il volto sconvolto, nessuno osava porle domanda alcuna. La fermava invece Priamo re della stirpe di Zeus, le sfiorava la mano, con gentili parole le diceva: « nuora a me cara sopra tutte le altre, so che il tuo cuore t'impone, per amore dello sposo, di rimanere qui ad assistere, ma io t'imploro: non affacciarti da quel muro, non arrecarti un tormento ancor più intollerabile. Già il dolore ti sconvolse la mente, te lo leggo negli occhi. Perciò te ne prego, torna dal figlio tuo, stringilo al petto e trai da lui il conforto che ti è necessario. Certo ti manderò a chiamare io stesso quando sarà finito, ma ora troppo crudo spettacolo sarebbe questo per i tuoi occhi ».

Ricusava le sue preghiere Andromaca dalla lunga chioma, forte scuotendo la testa, e così gli rispondeva: « non oggi discenderà agli inferi tenebrosi il marito mio, perché un altro prenderà il suo posto! Un dio mi fece questa promessa, un dio ascoltò le mie preghiere accorate e mi esaudì: agli dèi è bene sempre porre fede. Dunque lascia che veda, solo io potrò salvarlo dalla Morte dispensatrice di orrori infiniti ».

L'ascoltava il vecchio re con cuore affranto, ritenendo che oramai fosse uscita di senno Andromaca dalle braccia bianche, pel troppo timore di perdere l'amato marito. Ma dette queste parole, ella subito si precipitava a scrutare dal muro, donde lo vide: aveva Ettore massacratore sfoderato la spada affilata, grande e pesante, ch'era appesa al suo fianco. Con essa s'avventava, stretto in guardia, contro il nemico. Achille dal canto suo, pieno di furia selvaggia, gli andava contro, davanti al petto tenendo lo scudo bello, ben lavorato. Scuoteva altresì l'elmo lucente a quattro strati, ondeggiavano i bei crini d'oro sul suo capo.

Scrutava nel mentre il corpo ben fatto di Ettore pastore di popoli, con cura cercando il punto dove fosse più esposto. Gli coprivano le membra le armi belle, tolte a Patroclo di forza dopo che l'aveva ammazzato. Restava scoperto lì dove divide il collo dalle spalle la clavicola, proprio alla gola, nel punto dove la morte giunge più rapida. Ivi puntava Achille il più tremendo di tutti gli eroi, impugnando la lancia dalla punta di bronzo, al tenero collo scoperto. Lo comprese Andromaca accorta dall'alto guardando, lanciò un urlo terribile, il cuore le tremò nel petto.

Veloce scoperse il pugnale, il velo avuto in dono da Afrodite che ama il sorriso si sparse in terra ai suoi piedi. Impugnò l'arma sottile con due mani, con sommo coraggio se la piantò diritta nel petto, spingendola a fondo. Era il suo animo più virile che quello di qualunque eroe. Così come vittima sacra s'immolava per la salvezza d'Ilio cara a Zeus. Così sacrificava la vita, la giovinezza e la bellezza, perché non perisse prima del tempo il marito caro più d'ogni cosa, e del figlioletto ancora in fasce, l'Ettoride tanto amato, gli Achei crudeli non facessero strazio. Un rivolo di sangue le affiorò dalle rosee labbra, la bocca assunse il sapore del metallo, già pesante la notte oscura le scendeva sopra le ciglia, già molli si facevano le tenere membra.

Udendo l'urlo s'erano intanto distratti Achille sterminatore e Atena predatrice insaziabile. Di ciò approfittava Apollo saettatore: veloce tendeva l'arco d'argento, una freccia infallibile scagliava contro il Pelide, gli trapassava il tallone da lato a lato. Un urlo potente lanciava l'eroe trafitto, la lancia dalla punta di bronzo gli scivolava di mano per la sorpresa, così lo scudo ben lavorato. Tutto il corpo rimaneva esposto al nemico. Ne approfittava Ettore massacratore: brandendo la spada lunga e pesante, contro di lui si scagliava. Lo colpì proprio alla gola, nel punto che l'armatura lasciava più esposto, tra il collo e la clavicola. La punta lo passò da parte a parte, attraverso il tenero collo. Si accasciava così nella polvere Achille prosciugatore di stirpi.

Queste cose vedeva Andromaca dall'alta torre, anzi che cadesse in ginocchio priva di forze. Al marito sorrideva con l'ultimo sorriso, benché egli ancor non la vedesse. Le si affannavano intorno le ancelle urlanti e i parenti tutti. Piangendo e gridando la sostenevano per le braccia, ella che moriva felice. La videro le tre Moire, figlie anch'esse della Notte funesta, coperta di nube caliginosa, e dell'Erebo, la tenebra infera. Vecchie deformi, dai lugubri pepli bianchi color del lutto, che filando solitarie lo stame della vita dei mortali, accompagnano l'eternità cantando il passato che fu, il presente e l'avvenire futuro.

Un tempo lo stame di Ettore splendido aveva Lachesi intrecciato a quello di Andromaca, il giorno in cui egli l'aveva presa in sposa in casa di Eetione magnanimo, offrendo doni infiniti, affinché uniti in un solo destino conducessero il resto della loro esistenza. Ma vedendo ora che ella, benché nel fiore degli anni, abbandonava la vita, di nuovo lo scioglieva Lachesi, lo separava da quello di Ettore illustre, lo porgeva alla sorella più vecchia. Tendendo allora la forbice, Atropo spietata troncava lo stame dal breve percorso. Giungeva a compimento il suo destino.

Di ciò inconsapevole, così Ettore trionfante parlava al nemico morente: « sempre vivesti per la gloria, Pelide sciagurato, essa sola ti sarà dunque compagna nell'oltretomba. Uccidere fu il tuo unico talento e la tua maledizione: venisti cercando vendetta, la mia morte bramando, trovasti invece la tua. Certo se il contrario fosse stato, so che non avresti portato rispetto al mio corpo, ma che ne avresti fatto scempio pel puro piacere di sfregiare il nemico tanto odiato. Ebbene, quantunque tu abbia rifiutato il mio accordo sincero, ugualmente terrò fede alla mia parola. Il corpo tuo lo conducano pure gli Achei alle navi ricurve, lì lo depongano sull'alta pira i Mirmidoni tuoi compagni e vi appicchino il fuoco, dopo averti tributato onori regali. Di certo non troverei gloria nello gettarti in pasto alle cagne troiane, perché di te facciano scempio. Riconosco infatti il tuo valore, per quanto sempre mi portasti disprezzo ».

In punto di morte, stremato, gli rispondeva Achille sgominatore, poiché la spada non gli aveva reciso la trachea trapassandogli il collo: « cane miserabile! Certo ti è facile parlare adesso, te che hai vinto. Credi che maggiore sarà la loda, se ora misericordioso ti mostri nei miei confronti? Ah, sia tu dannato! Se ferito non m'avesse Apollo nel loco della mia debolezza, adesso saresti tu al mio posto nella polve. E però non temere, per me la morte non sarà così terribile come per te la vita da questo giorno in poi. Amarissima pena troverai tornando dentro Ilio ventosa, allora come desidererai che t'avessi io trafitto al collo quest'oggi, risparmiandoti un tale strazio! »

Mentre diceva queste parole, l'ora della morte l'avvolse. L'anima nera abbandonò le umane membra e se ne discese dritta nell'Ade pauroso. Lo guardava Ettore massacratore senza provare rancore, gli voltava le spalle, se ne tornava alle porte Scee, dietro di sé lasciando una schiera di Achei che piangenti lamentavano la perdita del compagno più valoroso.

Passate le possenti porte, s'incamminava dunque Ettore pastore di genti per la città dalle strade ben costruite. L'accoglieva il popolo festante così come s'accoglie un dio. Giungeva alla sontuosa reggia del padre, vastissima dimora, dotata di portici ben levigati, lì trovava una corte in lutto. Subito gli veniva incontro Paride bello come un dio, lo fermava, toccandogli le spalle, e cogl'occhi pieni di lacrime gli diceva « una grave disgrazia si è abbattuta sulla nostra casa mentre tu eri fuori, lì sotto le mura a batterti col Pelide in lotta furiosa. O Morte funesta! Una volta di troppo ha carpito uno dei nostri cari! »

Tremava il cuore nel petto ad Ettore valoroso, sentendo siffatte parole. Allora lesto lo interrogava: « deh, oltre non tenermi all'oscuro, ché l'attesa del non sapere m'accresce solo lo strazio. Non resse forse il cuore nel petto al nostro vecchio padre, vedendo quanto furiosamente mi battevo con Achille sterminatore? O forse alla nostra cara madre prese siffatto malore? Parla, per carità di Zeus che scuote l'Egida, che temo una disgrazia mille volte peggiore se più ti taci! »

Allora, in lacrime come un bambino, gli confessava Paride simile ai numi: « più non tacerò dunque. La sposa tua, la cara Andromaca, con sì grande disperazione se ne rimase a vederti affrontare da solo Achille furioso, che il dolore le sconvolse la mente tutta. Come una folle andava farneticando di dèi e di strane promesse. Ah femminil furore! Quando poi scorse che puntavati il Pelide la lancia alla gola, tra il collo e la clavicola, proprio lì dove la carne è più tenera ed esposta, non resistette la poveretta!

Scoperse la lama che manteneva celata nel velo che le aveva donato Afrodite d'oro, il giorno in cui tu la prendesti in sposa in casa di Eetione magnanimo, offrendo doni infiniti. Con quella si trafisse il petto, lì, nei pressi del cuore, dove più rapida giunge la nera potenza. Ah morte insensata! Avesse atteso un istante soltanto: spirò infatti col sorriso sulle labbra, vedendoti trionfante sul nemico sconfitto ai tuoi piedi, e serenamente se ne passò all'altro mondo. Ora giace distesa sul vostro talamo, nella casa piena di pianto, lì l'hanno condotta le donne pietose, lì al cielo innalzano alti lamenti senza posa ».

Così gli diceva Paride corto di mente, ed Ettore divino scuoteva la testa, incredulo, aborrendo anche il solo pensiero. Scansato il fratello, correva nella bella casa in cima all'alta rocca, costrutta per lui vicina alla reggia del padre e alla casa di Alessandro, frutto del lavoro di coloro che nella fertile Troia erano i più abili artigiani. Da lì udiva provenire i più penosi lamenti.

Ahimè amarissima vista! Quale atroce spettacolo gli si offerse allo sguardo una volta che ivi fu entrato! Giaceva la sposa preziosa immobile al centro della stanza, adagiata sul loro talamo. L'avevano vestita di bianco le donne pietose, i capelli disciolti le ricadevano sulle spalle, sul capo avevano adagiato il ricco diadema. Ora le si affannavano intorno, versando fiumi di lacrime, tra di esse erano la vecchia Ecuba con le sue belle figlie, ed Elena argiva. Tutte insieme innalzavano il loro angoscioso lamento.

Subito si precipitava da lei Ettore magnanimo, ai piedi del letto si gettava colmo di disperazione. Le prendeva la testa fra le mani ancora macchiate di sangue, il pallido viso dolcemente carezzandole, dolente vi poggiava contro la fronte. Così, bagnandola delle proprie lacrime diceva: « ahi, me sciagurato! Mi disse dunque la verità quel maledetto mentre moriva! Ahimè, ahimè! Strazio inumano! Perché con le tue stesse mani volesti toglierti la vita, mia amata?

Ricordo il giorno in cui piangendo mi rimproverasti il mio valore, dicendo che sarebbe stato la mia rovina. O infelice, cotanta tema (3) avevi che ti rendessi una triste vedova, or m'hai lasciato tu triste e vedovo! O misera! Al nostro figlioletto ch'ancor non parla non hai pensato? Paventavi che rimanesse orfano ed orfano l'hai reso. Ah fanciullo che non ricorderà la madre! Qual pensiero maligno ti sconvolse a tal punto la mente da spingerti ad un gesto sì efferato? Ah, se ucciso m'avesse il Pelide maledetto, duramente trafiggendomi al collo, lieto me ne sarei passato all'altro mondo, pur di risparmiarmi questo strazio! »

Lo udiva Apollo dall'arco d'argento e ne prendeva una gran pena. Assumeva allora le sembianze di Cassandra l'inascoltata e, ad essi facendosi avanti, con voce di donna diceva queste parole: « non crediate che per dolore si sia uccisa, Andromaca figlia di Eetione magnanimo, ben più nobili furono invero i suoi propositi! Ben più virile l'animo ch'ella vantò in vita! Allorché vide il marito non lungi da morte, disperata andò a gettarsi ai piedi dell'altare di Zeus Herkèios, implorando pietà. Esaudirono allora le sue preghiere i numi benevoli: a lei si manifestò Apollo salvifico con tale promessa: avrebbe Thanatos risparmiato la vita di Ettore magnanimo, se trovato si fosse qualcuno che acconsentisse a morire al suo posto. La povera donna certo poiché vide l'ora correre al termine e il Pelide avere la meglio, sacrificò ella stessa la vita. Coll'arma puntuta si trafiggeva il petto, per salvare il marito suo, il figlio bambino e Ilio tutta: così nobilmente finiva i suoi giorni ».

Alle sue parole credettero i Troiani domatori di cavalli e le Troiane dai lunghi pepli. Compresa solo allora la vera grandezza d'animo della defunta, più forte piangendo versavano le amarissime lacrime. Si abbandonava Ettore ad un ancor più angoscioso lamento: « o sposa mia dolcissima, amata più d'ogni cosa, se lasciato m'avessi al mio destino, certo m'avresti reso più gradito servigio! Ora in quale atroce rimorso dovrò io logorarmi per quanti giorni mi restino, ben sapendo che per farmi salvo della vita, tu, infelice, ti togliesti la tua? Non era la morte che temevo, mia adorata, ma una vita senza di te, e questa invero m'hai data! »

A lui che gemendo invocava la sposa perduta, s'accostò il padre affranto, Priamo Dardanide, confortandolo con queste parole: « non a torto si dette dunque la morte la sposa tua preziosa, di grande coraggio altresì la dotarono i numi benefattori. Or non lasciarti, figlio mio, abbatter dal troppo dolore, bensì, per il bene che le volevi, presto torna a difendere le sacre mura: possano ancora contare i combattenti troiani sul valente generale che li ha finora guidati. Non sia vano il suo nobile sacrificio: non conosca Ilio feconda il supplizio del fuoco, non ardano le sue belle case. Predati d'ogni ricchezza, non siano pur trucidati i suoi abitanti dalle empie mani degli Achei, le donne violate, gli infanti precipitati dall'alte mura.

Forte di te, vivrà ancor per mille anni la sacra Ilio sotto questo cielo, sempre che non le concedano gli dèi potenti un destino più lungo. Tramonterà il sole su questa terra per le innumerevoli notti a venire, cadrà la polve sul ricordo: un giorno lontano dimenticherà l'uomo il vero significato del coraggio, e l'onore, quale oggetto di poco valore, disprezzato finirà miseramente i suoi giorni. Nessuno più si prodigherà per la difesa della patria, né le darà lustro con imprese grandiose. Nessuno più innalzerà magnifici monumenti, non ci sarà bellezza, ma quella poca che a stento sopravvivrà sarà misconosciuta ai più. Soccomberà anche la Virtù antica, e quei pochi difensori di essa pur li soffocherà la turpedine che incalza, dai vili celebrata quale dea in quei tristi giorni senza lume e senza gloria. Le nostre voci e i gridi degli eroi certo li spegnerà il tempo invidioso, ma il nostro illustre nome, la nostra nobile stirpe, sconfiggeranno i secoli ».

Tributarono poi ad Andromaca figlia di Eetione magnanimo onori funebri qual solitamente si riservano ai più degni eroi. L'accompagnò allo Stige (4), acqua tremenda del giuramento, il lungo compianto dei cittadini: tutta Troia invero piangeva quella sventura tremenda, che privati li aveva di una siffatta preziosissima donna. Gli Achei dai forti schinieri, perduto il migliore, sconfitti se ne fuggivano alle navi ricurve, senza la preda sperata se ne tornavano in patria. Non tramontava così il sole su Ilio sacra, genitrice di eroi audaci.

 Non tramontava così il sole su Ilio sacra, genitrice di eroi audaci

(1) Lo stame è il filo della vita, intessuto dalle tre Moire: Κλωϑώ, Λάχεσις e Ατροπος, Parche per i latini

(1) Lo stame è il filo della vita, intessuto dalle tre Moire: Κλωϑώ, Λάχεσις e Ατροπος, Parche per i latini. In Omero sono concepite come una sola, ma io qui riporto il numero trino che si ritrova nell'epica successiva.

(2) Secondo la mitologia, la Morte non può essere corrotta.

(3) tema: arcaico per timore.

(4) Lo Stige (gr. Στύξ, dal verbo στυγέω, "odiare", da cui "fiume dell'odio"), è uno dei cinque fiumi presenti negli Inferi.

 

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