La caccia della poiana

di NPC_Stories
(/viewuser.php?uid=1038746)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1360 DR: La caccia della poiana ***
Capitolo 2: *** 1360 DR: Omnia vincit amor ***



Capitolo 1
*** 1360 DR: La caccia della poiana ***


1360 DR: La caccia della poiana


L’inverno era impietoso nel nord. Questo Freya lo sapeva, gliel’avevano detto. Ma un conto erano i racconti, un conto era viverlo sulla propria pelle.
“Mamma” piagnucolò infastidita, chiamando la donna che camminava davanti a lei “mi lanci di nuovo quell’incantesimo che protegge dal freddo?”
Sua madre, la saggia e paziente druida Merildil, buttò gli occhi al cielo senza nemmeno girarsi a guardare la giovane elfa.
“L’ho fatto stamattina, Freya. L’effetto dell’incantesimo durerà fino a domattina. Non senti davvero freddo, è una tua impressione.”
“Ma le punte delle mie orecchie si stanno congelando!” protestò ancora.
“Metti un cappello” le consigliò la druida, aspettandosi già di sentire lamentele come un cappello schiaccerebbe la mia bellissima acconciatura. Tipico di sua figlia. Invece…
“Indosso già un cappello!”
Questo, Merildil non se l’aspettava. Si girò di scatto, abbracciando con lo sguardo la figura tremante della ragazza. Freya si era data da fare, davvero. Era intabarrata nei suoi caldi abiti da viaggio e indossava un cappello e il cappuccio del mantello. Il suo famiglio, una poiana dalle piume brune-rossastre, non sembrava altrettanto infastidito dal freddo, e si stava godendo le frizzanti raffiche del nord volteggiando sopra le loro teste.
Merildil sporse una mano e toccò il naso di sua figlia: era un buon indicatore, la punta del naso era sempre la prima parte di lei a congelarsi alla minima brezza, fin da quando era bambina.
“Per tutte le querce!” sussurrò. “Non mentivi, hai freddo davvero.”
“Te l’ho detto!”
Merildil aggrottò la fronte in segno di preoccupazione. Non era adirata con sua figlia, ma con la situazione in generale.
“Proverò a usare di nuovo l’incantesimo su di te, ma in ogni caso non preoccuparti tesoro, siamo quasi arrivate. Presto saremo nella valle di Evereska, dove il tempo atmosferico è controllato con la magia. Il clima sarà certamente più mite."
“Non potevamo arrivare direttamente nella valle con la magia?” protestò Freya per l’ennesima volta, mentre sua madre la circondava di nuovo con un incantesimo protettivo.
“Non ci si materializza nella valle di Evereska con la magia, senza invito” la rimproverò l’elfa più anziana, con pazienza. “Siamo qui in cerca di aiuto, non insulteremo la loro etichetta.” Spero, aggiunse nella sua mente. Sua figlia era uno spirito libero e una testa calda, pessima accoppiata per una giovane incantatrice, ancor più pessima per qualcuno in missione diplomatica.
Cominciò a nevicare, e le due elfe accelerarono il passo.

Due giorni dopo, Freya guardava il panorama della valle dalla finestra della sua stanza. Lei e sua madre erano ospiti all’Accademia della Magia, una torre al confine meridionale della città, e la loro camera era benedetta da un panorama mozzafiato sulla vallata. A qualche lega di distanza si vedevano le sommità delle colline che avevano attraversato per giungere lì.
Nonostante nel mondo esterno fosse inverno, la valle di Evereska era una meravigliosa distesa di verdi praterie, campi coltivati, vigneti e boschi di fogliablu e altri magnifici alberi. I fogliablu erano particolarmente amati, notò l’elfa dei boschi, perché reagivano bene alle sollecitazioni magiche e si prestavano ad essere piegati in forme artistiche dai maghi di Evereska. Non solo le fattorie, ma anche alcune vie cittadine erano abbellite da quegli splendidi alberi.
Tutta quella bellezza però non poteva evitare di ricordarle che non si trovava a casa sua. I fogliablu non erano comuni nei territori meridionali, era praticamente impossibile trovarne qualcuno a sud dell’Amn.
Peccato. Sarenestar sarebbe così bella, se avesse questa varietà di colori.
Un’altra cosa a cui non era abituata era vedere campi coltivati e vigneti. La sua gente non sfruttava il territorio in quel modo, e sotto sotto l’idea le faceva storcere il naso. Era una cosa da umani, gli elfi avrebbero dovuto vivere nei boschi. Non in case di pietra, circondati da natura addomesticata.
Chissà cosa ne pensa mia madre di tutto questo, si chiese, sporgendosi un po’ di più dalla finestra. Il davanzale di pietra era freddo sotto le sue braccia nude. Era tutto sbagliato, tutto. Il legno con cui costruivano le case a Sarenestar non era mai freddo al tatto. Era vivo, o comunque organico.
Nella sua foresta natia, i druidi più capaci riuscivano a piegare il legno vivente per ricavarne delle case, ma la gente normale usava legname abbattuto e tagliato. Non era considerato un peccato, perché la foresta aveva continuo bisogno di cure, e abbattere gli alberi vecchi per far spazio ai nuovi faceva parte del ciclo della vita. Non si spezzava mai nemmeno un ramo senza il parere di un esperto, naturalmente.
Qui sono troppo… civilizzati. Pensò quella parola quasi con disgusto. Pensavo che mi sarebbe piaciuto staccarmi dalla realtà statica e provinciale in cui sono cresciuta. Ma quello che ho trovato qui è troppo lontano dalla nostra vera natura!
In quel momento, la sua poiana Piper atterrò davanti a lei, arruffando le piume con aria molto soddisfatta di sé. Freya le accarezzò la testa con un dito, godendo di quel contatto familiare. Era come se Piper fosse la sua unica ancora in quel mondo alieno.
Poco dopo, un altro rapace si posò sul davanzale della sua finestra. Era un corvo, il più grande che avesse mai visto. Probabilmente era un animale addestrato, perché aveva una piccola pergamena legata ad una zampa. Tese la zampa verso l’elfa.
Piper si spostò di lato, come se fosse disgustata da quel comportamento servile, ma Freya non se ne accorse nemmeno. Era troppo intenta a cercare di sciogliere il minuscolo nodo che teneva legata la pergamena alla zampa. Alla fine si arrese e decise di sfilare la pergamena lasciando il laccetto di cuoio dov’era.

Sul foglio qualcuno aveva scritto, con calligrafia minuta e perfetta:
Per la seconda volta sono costretta a chiedervi di tenere sotto controllo la vostra poiana. Ha nuovamente attaccato il mio famiglio, un innocuo scricciolo, rischiando di togliergli la vita. Ho riferito l’incidente al Magnifico Rettore, che vi farà avere una lettera di diffida. Non è il comportamento che auspichiamo dai nostri ospiti.
Possano le stelle benedirvi con la saggezza,
Terza accolita Aphedriel Presrae


Freya lesse il messaggio. Lo lesse una seconda volta, per sicurezza. Continuava a non avere il minimo senso, per lei.
Andò alla sua scrivania e recuperò inchiostro e pennino.
Mi rincresce, virtuosissima signora, che la mia poiana stia seguendo la sua natura dando la caccia a volatili più piccoli di lei. Ma è una maledetta poiana, fa quello che fanno tutte le bestie della sua specie, non so che avete nella testa voi maghi che pretendete di addomesticare i rapaci. Tieniti il tuo scricciolo in tasca e vedrai che non succederà più.
Possano le stelle benedirti con un po’ di buonsenso,
lady Freya che se ne freya delle tue lettere di diffida


Tornò alla finestra, arrotolò il foglietto con mani tremanti dal nervosismo, e lo infilò con cura nel laccetto di cuoio attaccato alla zampa del corvo. L’animale prese subito il volo, stendendo le sue ali nere come la notte a catturare la luce del sole.
Un corvo, notò con fastidio, un uccello del malaugurio per comunicare cattive notizie. L’altra volta aveva mandato un falchetto. Ha scelto un corvo di proposito, è un altro avvertimento.
Oh, be’, se lo può mettere dove dico io, il suo avvertimento. Insieme alla lettera del
Magnifico Rettore delle mie staffe. Tanto non è che starò qui ancora a lungo!
L’incantatrice si allontanò dalla finestra, frustrata, e cominciò a misurare a grandi passi la sua stanza. Avrebbe voluto uscire, sfogare le sue energie in eccesso, fare una lunga camminata, magari fino a una delle macchie di alberi. Sarebbe stato quasi come essere in un bosco vero, forse.
Sua madre però le aveva proibito di andarsene in giro a zonzo senza di lei, come se potesse combinare chissà cosa.
Solo perché ultimamente perdeva un po’ il controllo dei suoi poteri magici… e che sarà mai? Non aveva mai ammazzato nessuno.
Freya si buttò sul suo letto, saltandoci sopra come se avesse voluto punirlo per la sua prigionia, e si ritrovò a fissare il soffitto con odio.

Nel frattempo, Merildil era riuscita ad avere udienza con il professore di Magia Sperimentale. Si trattava di un secondo colloquio. Gli aveva già spiegato, il giorno prima, quale fosse il problema per cui era venuta a chiedere aiuto. Non si aspettava un altro incontro così presto, ed era piacevolmente colpita dalla solerzia con cui i maghi di Evereska si stavano prendendo a cuore la questione.
Probabilmente hanno capito che Freya è un petardo che potrebbe esplodere da un momento all’altro, ragionò, perché non credeva affatto che un mago così importante come un Maestro avesse messo da parte gli altri suoi progetti solo per buon cuore. Nello studio dell’elfo era presente anche un altro Maestro, un collega che si occupava di un argomento complementare: Tradizioni Magiche. Quando le venne presentato, Merildil passò lo sguardo dall’uno all’altro, in una muta domanda.
“Comprendo la vostra sorpresa” il mago più giovane sorrise con indulgenza. Il professore di Magia Sperimentale era un elfo della luna che portava i capelli corti e sbarazzini e aveva occhi chiari come il ghiaccio, ma quel sorriso riusciva a mettere le persone a loro agio nonostante tutto. “Anche i miei studenti credono che io e Maestro Elond non andiamo d’accordo. Ma non c’è ragione, egli è stato anche il mio insegnante, secoli fa: non si può sperimentare nulla di nuovo senza una conoscenza solida delle basi della magia, e quella è da ricercare nelle nostre tradizioni.” Continuò a sorridere, e Merildil rispose a quel sorriso, anche se in cuor suo aveva la sensazione che Maestro Elond, con il suo cipiglio a malapena dissimulato, non condividesse quello spirito di cooperazione. Eppure, era lì.
“Vogliamo aiutarvi a capire come tenere a bada i poteri instabili di vostra figlia.” Interloquì l’anziano elfo del sole. “Ma per farlo dobbiamo prima capire l’origine del problema. Bisogna sempre cercare l’origine delle cose se si aspira ad averne il controllo” sottolineò, e alla druida sembrò quasi che si stesse vantando dell’importanza del suo approccio alla magia. Anzi, di sicuro lo stava facendo.
“Come posso aiutarvi?” Merildil era una druida, ma anche un valido aiuto per suo marito nel gestire gli equilibri politici della foresta di Sarenestar. Era abituata a fare da mediatrice e a riportare le cose su un piano di concretezza, e aveva la sensazione che avrebbe avuto bisogno delle sue abilità con questi due.
“Dicendoci quando sono iniziati questi episodi, se ci sono stati precedenti, a che età la ragazza ha iniziato a sviluppare poteri magici e… sicuramente ci servirà un’anamnesi familiare.” Spiegò l’anziano con freddezza analitica.
Merildil sospirò e iniziò a raccontare dello sviluppo instabile dei poteri di Freya negli ultimi ottant’anni.

Alla fine del suo racconto, calò un lungo silenzio. I due maghi si guardarono a vicenda, come se non sapessero cosa pensare. Poi il più giovane, Beiro Chaedilen, Maestro di Magia Sperimentale, si schiarì rumorosamente la gola come se fosse in imbarazzo.
“E la ragazza ha… per caso… mostrato instabilità in qualche altro ambito?”
Merildil arrossì furiosamente. “Mia figlia non è pazza!”
“Non ho mai inteso questo, buona signora” l’elfo mise le mani avanti, come per difendersi. “Ma una giovane dai poteri così scoppiettanti, probabilmente è preda di emozioni e passioni altrettanto forti e… incontrollabili?” ipotizzò, e dall’espressione dell’elfa dei boschi capì di avere indovinato.
Le spalle di Merildil si piegarono come se portasse un pesante fardello. “Sì, ora che me lo fate notare, sì. Freya è facile alla rabbia, si infiamma velocemente, si appassiona alle cose e alle persone con la voracità di un fuoco di paglia, consuma tutto quello che incontra e passa oltre. È incapace di pazienza, necessita continuamente di nuovi stimoli e non mantiene a lungo la concentrazione su nulla.”
I due elfi si scambiarono di nuovo uno sguardo preoccupato. L’elfo della luna saettò con gli occhi da Merildil al collega, come per suggerirgli di dire qualcosa anche lui, ma l’elfo del sole finse con nonchalance di non aver capito. Il mago più giovane ora sembrava ancora più in imbarazzo.
“E la causa di questo potrebbe...?” Beiro Chaedilen tossicchiò, guardando un’ultima volta il mago più anziano con aria di supplica, ma quello continuò a ignorarlo. “Lungi da me… indagare con interesse personale su una questione tanto delicata ma… lady Merildil, è possibile che vostra figlia soffra di frustrazione dovuta a una prolungata astensione?”
La druida lo guardò senza capire.
“Astensione da cosa? Quella benedetta ragazza fa tutto quello che le capita per la testa. Non crede che l’autocontrollo sia una virtù.”
“Ah… ma forse… voi, come genitori, siete un po’ troppo poco permissivi?” Ipotizzò ancora lo studioso.
“Poco permissivi!” L’elfa corrugò la fronte. “Ma proprio per niente, tenere a freno quella ragazza è come cercare di mettere le briglie a un kelpie. Ci abbiamo rinunciato da anni.”
“E… ehm…” l’elfo adesso aveva intrecciato le mani sulla scrivania e si guardava con insistenza la punta delle dita. Maestro Elond invece passeggiava per la stanza, tradendo un certo nervosismo.
“Oh, per tutti i Seldarine!” esplose l’elfo del sole. “Lady Merildil è una druida, Beiro, penso che sia abituata a certi discorsi.”
“Quello che stiamo cercando di chiedervi” l’elfo pallido fulminò il collega anziano con lo sguardo “è se vostra figlia soffra per caso di frustrazione sessuale.”
La domanda fu accolta da un silenzio sbigottito. Merildil sbatté gli occhi un paio di volte, incredula.
“Dèi di Arvador, no. Mia figlia è ben oltre l’adolescenza, è una giovane adulta, assolutamente libera di fare quello che vuole. Se volesse saltare da un amante all’altro senza toccare per terra, nessuno nella nostra comunità la dissuaderebbe dal farlo. Noi elfi dei boschi non abbiamo di questi tabù, onoriamo la fedeltà coniugale ma le ragazze nubili sono svincolate da qualunque obbligo morale.”
“Ah, certo. Sì, lo immaginavo” balbettò Maestro Chaedilen. “Ma allora l’origine dell’instabilità della fanciulla va cercata nella storia della sua famiglia. Ha degli antenati stregoni, come lei? O magari maghi?”
“Non che io sappia” la druida si strinse nelle spalle.
“E allora, perdonate di nuovo la mia scortesia, la vostra famiglia ha forse antenati non… esattamente… di sangue elfico?”
L’insinuazione rimase lì ad aleggiare, non detta. Molti elfi si sarebbero offesi per una domanda del genere. Be’, molti elfi del sole, di sicuro. Merildil e la sua gente però erano persone più pragmatiche.
La druida si batté una mano sulla fronte, dandosi cento volte della stupida.
“Ma certo. Perché diamine non ci ho pensato prima? La madre di suo padre era una houri.”
L’elfa si nascose il viso in una mano, pensando che per tutto il tempo la risposta era stata lì, davanti a loro. Freya discendeva, nemmeno troppo alla lontana, da una ninfa.
Sono così abituata alla bellezza ultraterrena di mio marito che mi sono dimenticata da dove proviene. Si rimproverò in silenzio. Cieca, dannazione. Sono stata proprio cieca.
“Una houri” ripeté lentamente l’anziano elfo del sole. “Una mezza-ninfa. Interessante. Sua nonna o suo padre… hanno dato segno delle stesse intemperanze?”
“No, mai.” Merildil ragionò in fretta, cercando di ricordare. “Lady Aelrie è morta dando alla luce il suo unico figlio, mio marito Fisdril, ma da quello che ho sentito di lei era una persona tranquilla. Fisdril è cresciuto sotto le cure di suo padre e della sua seconda moglie, che gli hanno insegnato le responsabilità di un capoclan. È sempre stato un elfo posato e di buonsenso, perfino solenne. Non capisco quale follia sia emersa nella nostra creatura.”
“Il sangue fatato può essere una questione complessa. Può rimanere latente per generazioni” considerò l’elfo della luna. “Dobbiamo capire in che modo esattamente sta condizionando la vita di vostra figlia. Non abbiamo la certezza assoluta che sia questa l’origine dei suoi poteri…”
“Tuttavia è la cosa più probabile” s’inserì Maestro Elond.
“Infatti. Abbiamo qualcosa su cui lavorare” confermò Maestro Chaedilen. Nella speranza di poter mandare questa ragazza incontrollabile per la sua strada, al più presto.

Il giorno dopo Adamar Elond, Maestro di Tradizioni Magiche, ascoltava con pazienza il canto dei suoi tre allievi prediletti. Stava insegnando loro le basi della magia della voce, necessaria come conoscenza di base per poter sperare di padroneggiare l’Alta Magia Elfica. Non sapeva se tutti i tre sarebbero riusciti ad approcciare quella complessa materia, ma la Tradizione doveva essere trasmessa alle nuove generazioni perché non andasse persa, e quei tre erano la sua migliore speranza fra le due dozzine di studenti che al momento frequentavano l’accademia (tolti dall’equazione gli apprendisti dei primi anni, quelli non contavano davvero, avrebbero potuto lasciare l’Accademia in lacrime o avere un crollo nervoso prima del decimo anno di studi).
Quel giorno però c’era qualcosa che non andava. Aphedriel Presrae, terza accolita dell’Accademia ma prima per quel che riguardava il suo corso di studi, quel giorno non sembrava molto presente a se stessa. Fece ripetere il canto ai suoi allievi almeno quattro volte, ma la concentrazione della ragazza non migliorò un granché.
Una vera seccatura.
Alla fine della lezione, Maestro Elond la prese da parte e le chiese di rimanere per qualche minuto.
“Aphedriel” cominciò, passandosi una mano sul viso. Non era un insegnante morbido, ma conosceva la ragazza e sapeva che era seria e diligente. Non poteva essersi distratta per mera pigrizia, qualcosa doveva averla turbata. “Cosa c’è che non va, figliola?”
Aphedriel Presrae era un’elfa della luna, la sua pelle era candida quasi quanto una perla, quindi non poteva fare nulla per dissimulare il rossore che le salì alle guance. Era in imbarazzo per le sue prestazioni mediocri di quel pomeriggio, e anche perché il suo insegnante, che lei considerava un vero e proprio maestro di vita, la stava trattando con condiscendenza. Tutto per colpa di quella là.
“Perdonami, Maestro, la mia mente non è in equilibrio” ammise.
“Allora è un bene che quello di oggi fosse solo un esercizio di vocalizzo e non un vero incantesimo” commentò lui, lasciandole intendere chiaramente la minaccia, anzi, l’avvertimento, sui rischi del praticare l’arte dell’Arselu'Tel'Quess con la mente in subbuglio.
Aphedriel si sentì ancora più miserabile.
“È il mio famiglio, Gwlith. Poco prima che iniziasse la lezione è tornata da me; era di nuovo sfuggita alla morte per un soffio, e solo perché l’ho circondata con un incantesimo protettivo. La maledetta bestiaccia di quell’elfa dei boschi va in caccia di prede senza il minimo rispetto, non importa che siano i famigli altrui! La povera Gwlith si è rifugiata nella mia tasca e ha perso tutta la sua usuale allegria” infilò la mano destra nella manica sinistra, e naturalmente una tunica da maga aveva maniche molto ampie con piccole tasche extradimensionali. Una di esse era un rifugio per il suo famiglio. Quando estrasse la mano, un minuscolo scricciolo blu riposava sul suo palmo, ancora tremante per la brutta esperienza.
“Uhm…” l’elfo del sole avvicinò il viso per studiare meglio l’uccellino, e probabilmente riuscì solo a spaventarlo di più, con il suo lungo naso a becco. “Capisco. Non sei scossa solo perché sei arrabbiata, Aphedriel. Tu hai condiviso la paura del tuo famiglio, com’è naturale, e sei preoccupata delle conseguenze se dovesse morire.”
“Ho provato a farla desistere!” Aphedriel aveva quasi le lacrime agli occhi per la frustrazione. “Ma quella stupida non sente ragioni! Non le importa nemmeno di aver ricevuto una lettera di rimprovero dal Magnifico Rettore!”
Maestro Elond avrebbe sorriso, se fosse stato opportuno. Aphedriel si comportava come un’adulta matura, ma ai suoi occhi era una bambina, e stava dimostrando di avere poca esperienza del mondo reale.
“Lascia che un vecchio mago ti dia un consiglio” le disse, accarezzando con un dito le piume azzurre del suo famiglio. “Sei stata educata a seguire certe regole, a rivolgerti alle autorità e ad onorare il protocollo. Questo è, ufficialmente, quello che anche io richiedo da te. Ma detto fra noi, figliola, trattenere le emozioni e lasciarle macerare non fa bene alla pratica magica. Se tu volessi andare da lady Freya e cantargliene quattro a muso duro, penso che sia io che gli altri Maestri guarderemmo volentieri da un’altra parte.”
Aphedriel lo guardò con tanto d’occhi. Era una possibilità che non aveva considerato. Non si era nemmeno sognata di poterlo fare, o di volerlo fare. Tuttavia, fino a quel momento non aveva mai incontrato una persona irritante come lady Freya, qualcuno che si permetteva di non giocare secondo le regole. Cominciò a pensare a che cosa avrebbe voluto dirle se fosse stata libera di parlare a briglia sciolta.
Per tutti gli Antenati, posso farlo? Posso farlo davvero? Il pensiero era accattivante, ma anche terrificante. Era terreno inesplorato. Dannazione, in questo momento vorrei conoscere molte più parolacce!

Aphedriel si prese il suo tempo. Attaccare verbalmente qualcuno non era nella sua natura. Eppure se pensava all’atteggiamento di quella stregona viziata, le saliva il sangue alla testa.
E certo, non ha mai dovuto sudarsi un bel niente, lei. Figlia di un capoclan, principessa di un mondo barbarico dove simili idiozie sono tollerate… non resisterebbe un minuto all’Accademia! Non capisco nemmeno perché la facciano stare qui come ospite, non potevano scaricarla in una taverna e via?
Così rimuginava, per nutrire la sua rabbia mentre procedeva a grandi passi per i corridoi, fino a raggiungere il portone di legno della stanza di quell’odiata piccola peste.
Sbatté un pugno contro il legno tirato a lucido. Avrebbe potuto usare un incantesimo per bussare, o anche per aprire la porta, ma quell’azione fisica la fece sentire subito meglio.
Sfogare la rabbia era un’esperienza nuova. Ed era così… liberatorio.
Una piccola parte di lei, quella che rimaneva sempre razionale nonostante tutto, prese nota della sensazione e riconobbe il pericolo di diventarne dipendente. Non poteva permettersi di diventare una cafona. Tuttavia, per una volta…
“LADY FREYA!” Gridò, sbattendo di nuovo il pugno contro la porta. “Maledetta selvaggia senza cervello! Apri questa porta subito, che se metto le mani sulla tua stupida poiana giuro che la spenno, ci faccio un cuscino, e poi uso quel cuscino per soffocarti!”
Dall’altra parte del portone sentì un rumore di passi leggeri che si avvicinavano, poi una risata di derisione.
“Ah! Che paura, la signorina terza accolita” indovinò. “Sei qui per consegnarmi un’altra lettera di diffida? Perché volevo proprio chiederti di scriverle su carta più morbida e assorbente!”
Aphedriel Presrae era figlia cadetta di una famiglia importante, si potrebbe dire nobile, ed era stata educata al contegno e al decoro. In quel momento avrebbe buttato dalla finestra tutta la sua educazione e anche la sua educatrice. Sbatté un altro pugno contro la porta.
“No, me la sono scritta sulla mano, così se ti prendo a schiaffi forse impari qualcosa per osmosi! Ah, sempre che tu sappia cosa vuol dire!” La provocò con la sua migliore voce da stronza snob.
Intanto dall’altra parte l’elfa dei boschi stava armeggiando con la chiave per aprire la porta. Era evidente che non voleva tirarsi indietro dal confronto. Aphedriel non sapeva che in quel momento la giovane stregona era frustrata da quei giorni di inattività tanto quanto lei era frustrata dalla sua arroganza.
Alla fine Freya riuscì a far scattare la serratura e aprì violentemente la porta, tirandola verso di sé. Aphedriel si lanciò in avanti, perché nonostante la sua rabbia, non voleva usare la magia per una cosa del genere. Non voleva dichiarare guerra alla foresta di Sarenestar, solo prendere a schiaffoni una ragazzina arrogante. Per lo slancio, si trovò addosso a Freya ancora prima di avere il tempo di guardarla in faccia. La afferrò per il colletto e la sollevò sulle punte dei piedi (l’elfa dei boschi era appena un poco più bassa di lei), fissandola con occhi assassini.
“Senti tu, stupida…” incrociò il suo sguardo, e all’improvviso mise a fuoco quello che stava vedendo.
Lady Freya era una bellezza folgorante. Questo non l’aveva previsto, e Aphedriel, che già per sua natura preferiva le donne, perse immediatamente la voce. Diamine, l’elfa dei boschi era quasi sovrannaturale. La maga divenne immediatamente consapevole della vicinanza eccessiva fra i loro corpi. Poteva andare bene nell’ottica di una scazzottata, ma quella dea in forma elfica aveva immediatamente spostato i suoi pensieri altrove, e tutto il suo carico emotivo stava deviando dalla rabbia verso un altro genere di passione.
Aphedriel cercò di fare un passo indietro, destabilizzata. All’improvviso non sapeva più cosa fare. Freya però afferrò le sue mani, impedendole di interrompere il contatto.
La maga venne spinta all’indietro, fino a sbattere la schiena contro una parete, e seppe che aveva perso il vantaggio della sorpresa. Anzi, aveva perso anche la risolutezza, aveva perso tutto. Era frastornata e indifesa davanti all’assalto dell’altra.
Poi Freya la baciò, con foga, quasi con violenza… si aggrappò alle sue spalle fragili con la disperazione di qualcuno che sta annegando e si aggrappa a un relitto. Ed era così che Aphedriel si sentiva. Un relitto, in balia della corrente, senza controllo. Come avrebbe potuto sostenere l’altra? Lei stessa non sapeva cosa stava facendo. Ma dopo un secondo non aveva più importanza, perché realizzò finalmente cosa stava succedendo.
Thiramin.
Il pensiero le saettò nella mente e il suo cuore perse un battito, perché Freya non era solo bella. Il contatto con la sua pelle era confortante e naturale come la carezza del sole in primavera, le sue labbra erano come ossigeno. Freya era quello che le era sempre mancato nella vita senza che lei lo sapesse, e ora che conosceva quella sensazione non l’avrebbe mai, mai potuta lasciare.
Thiramin, anima gemella.
Il loro bacio durò un’eternità, eppure troppo poco. Si separarono solo per mancanza d’aria.
“Tu sei…” cominciò la maga, liberando una mano dalla stretta della ragazza per accarezzare il suo viso.
Così. Dannatamente. Perfetto.
“No, tu sei” la corresse Freya. “Tu sei… oh… tutto” mormorò, e la baciò di nuovo. Aphedriel le mise le dita nei capelli, stringendo come se volesse scoprire con le mani quel regalo che il destino le aveva fatto. Freya smise di baciarla sulla bocca solo per scendere ad assaggiare il suo collo, e l’elfa della luna potè tornare a respirare.
“Non… dovremmo… qui…” balbettò, ma continuò a stringere a piene mani i capelli castani di Freya “siamo in un…” corridoio, concluse la sua mente, siamo in un maledetto corridoio. E non me ne importa niente.
“Chissenefrega” mormorò l’elfa dei boschi a un soffio dalla sua pelle. “Vuoi sposarmi?”
Chissenefrega concordò Aphedriel nella sua mente. La mia vita qui, l’Accademia… tutto quello che aveva costruito nella sua vita passò subito in secondo piano davanti alla prospettiva di lasciare andare quell’incredibile scoperta. Perdere Freya, vederla andare lontano in quella sua foresta dimenticata dagli dèi… no. L’amore della sua vita le era caduto in braccio dal nulla, e ricambiava i suoi sentimenti.
Una maledizione, una condanna, una cosa da cui non si può scappare… ma è anche la felicità eterna. Chissenefrega di tutto il resto.
“Sì. Sì! Mille volte sì.” Boccheggiò. Non aveva senso aspettare. L’amore di due thiramin era immediato, ma era incrollabile. Non si sarebbe mai spento.

Freya si allontanò di un passo per poter guardare di nuovo quella splendida elfa, quel miracolo che si era trovata davanti. Non credeva che esistesse davvero l’anima gemella. Aveva sempre pensato che fosse una leggenda. Eppure adesso era davanti a lei, e aveva attraversato mezzo mondo solo per incontrarla. All’improvviso quell’inquietudine, quell’insoddisfazione che si portava dietro da anni, sparì come la fiamma di una candela spenta dal vento.
“Meno male, altrimenti dovrei rapirti” sospirò di sollievo. “E non sarebbe facile rubare una gemma dall’Accademia di Evereska!”
“Oddèi. È così che flirtate voi elfi dei boschi? È tremendo!” scherzò Aphedriel. Ma l’altra non aveva bisogno di provarci, la maga ci era già caduta con tutte le scarpe.
Lo sguardo di Freya si fece oscuro, profondo, predatore. “No, è così che flirtiamo noi elfi dei boschi” ringhiò, reclamando ancora una volta le sue labbra.
Oh, diamine! Aphedriel si sciolse di nuovo, incapace di resistere a quel contatto che era come una droga. Non voglio sposarti, devo sposarti. Magari subito.

Merildil ancora non lo sapeva, ma cinque settimane dopo avrebbe lasciato la città per tornare a Sarenestar, con molte risposte in più e una nuova figlia acquisita.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1360 DR: Omnia vincit amor ***


1360 DR: Omnia vincit amor


“Freya, sei impazzita? Non puoi sposare una persona che conosci appena!”
Lady Merildil si massaggiò le tempie con piccoli movimenti circolari, per soffocare l'emicrania sul nascere. Era un gesto che stava diventando tristemente automatico negli ultimi anni.
Sua figlia, la sua giovane bellissima e scriteriata figlia, la stava guardando con occhioni da cane bastonato. Uno sguardo che avrebbe sciolto il cuore di chiunque, ma sua madre la conosceva da sempre e ormai si era immunizzata.
“Ma mamma, io e Aphedriel siamo thiramin! Lei è la mia altra metà, non puoi tenerci separate!”
“Tesoro…” Merildil avvertì chiaramente che il mal di testa stava arrivando, nonostante tutto. “Non è assolutamente mia intenzione tenervi separate, sto solo dicendo che prima dovreste conoscervi meglio. Non potete sapere se questa non sia un'infatuazione passeggera.” Parlava con Freya, ma decise di puntare gli occhi sulla maga, che le sembrava di gran lunga più ragionevole.
“Non mi sono mai sentita in questo modo” sospirò Freya, alzando le braccia al cielo e volteggiando per la stanza, come se stesse ballando in onore delle stelle. “Ho avuto delle infatuazioni ma non hanno mai raggiunto il mio cuore, ora capisco che erano solo capricci. Mamma,” tornò da Merildil e le prese le mani nelle sue, costringendola a smettere di massaggiarsi le tempie. “Mamma, io so che è vero amore. Capisco che non ti fidi, sono stata incostante e umorale in passato, ma ora credo di aver trovato il mio centro. Sai che non mi sono mai invaghita di una donna, eppure appena ho visto Aphedriel ho capito che lei era la mia thiramin. Il destino ci ha fatte incontrare, non lo vedi?”
La druida guardò sua figlia negli occhi per un lungo momento. Ragazza ostinata, pensò, realizzando che alla fine avrebbe dovuto capitolare.
“Vedo che sei seriamente convinta di questa cosa” concesse, in tono diplomatico, “ma già in passato hai fatto un sacco di scene per persone che credevi di volere.”
“Di volere, ma non di amare” sottolineò la giovane.
“Va bene. Va bene. Sei convinta di amare questa giovane, e sei sincera nei tuoi propositi. Ti sei preoccupata di che cosa provi Aphedriel per te?” Le domandò, pilotando lo sguardo di Freya verso la sua nuova fidanzata.
“Io amo vostra figlia” rispose l'elfa della luna, pacatamente ma con convinzione granitica. “Non sono mai stata una persona molto emotiva, o che prende decisioni su due piedi, e non mi affeziono velocemente alle persone. Ero venuta qui per litigare. Quando ho visto Freya però… qualcosa è scattato. Anche io ho sentito nel mio cuore che siamo thiramin.”
Merildil sostenne lo sguardo della maga, vi scrutò dentro come per cercare tracce di quella giovinezza, quell'incoscienza che caratterizzavano Freya. Non vide nulla di tutto questo. L’elfa della luna aveva lo sguardo di una vecchia nel corpo di una ragazzina, l'espressione di chi non ha mai vissuto quelle esperienze folli che dovrebbero essere relegate all'adolescenza.
Questo forse è anche peggio, perché Aphedriel sicuramente si considera matura e responsabile, quando in realtà non ha alcuna saggezza data dall'esperienza. Astenersi dalle follie non significa essere savi. Merildil rifletté sui costumi della sua gente, la totale libertà concessa agli adolescenti perché potessero seguire i propri capricci finché era il tempo. Aphedriel sembrava qualcuno che avesse completamente saltato quella parte della vita.
Freya potrebbe essere la sua prima pazzia. Forse sta commettendo un grosso errore; non le interessa davvero mia figlia, ma l’idea di libertà che porta con sé.
Sono così simili. No… complementari. Sono come due strade che sembrano dirigersi in direzioni opposte, ma fanno solo un largo giro per poi riunirsi. Non riesco a capire se sia una cosa positiva o negativa.

“Ragazze, il mio unico timore è che vi facciate del male a vicenda. Se una sola di voi due si sta illudendo sui suoi sentimenti, l'altra ne soffrirà immensamente.” Questo in effetti riuscì a scatenare una reazione preoccupata in entrambe. Le due giovani si guardarono brevemente, come se ognuna delle due avesse paura di fare del male all'altra. Merildil decise che era una buona cosa, non avevano del tutto perso la ragione e i loro sentimenti non erano egoistici. “Quindi vi prego, proprio per l'amore che dite di provare l'una per l'altra, aspettate. Date tempo ai vostri sentimenti di stabilizzarsi, di vedere se sopravvivono al periodo iniziale dell'innamoramento.”
Altri sguardi preoccupati fra le due giovani.
“Come faccio a sapere che non si tratta di un trucco? Tu sei chiaramente contraria a questa unione” mugugnò Freya.
Merildil alzò le mani in segno di pace. “No, tesoro, non sono contraria. Voglio solo essere certa che tu non corra troppo. Sarebbe un onore dare il benvenuto ad Aphedriel nella nostra famiglia e nella nostra foresta.” Quest’ultima frase era indirettamente rivolta alla maga, che infatti si irrigidì. La druida ci aveva visto giusto, le ragazze non avevano ancora parlato di sciocchezzuole come le centinaia di miglia che separavano le loro case e chi delle due si sarebbe trasferita. Aphedriel era una promettente studentessa, Freya la figlia di un capoclan: entrambe avevano forti interessi da proteggere, carriere da tutelare. In realtà ormai nessuno credeva che Freya sarebbe diventata capoclan, a meno che prima non avesse messo la testa a posto; se le due erano veramente thiramin, tornare senza Aphedriel avrebbe voluto dire escludere Freya dalla successione. Merildil conosceva bene i capricci di sua figlia quando si trattava di minuzie che giudicava importanti, e l’instabilità magica che portavano; non osava pensare a come avrebbe reagito la magia involontaria della stregona davanti alla deprivazione del vero amore.
Non posso portare a casa Freya senza la sua nuova fiamma, ma questa maga non vorrà andarsene da Evereska, dove sta costruendo il suo futuro. Forse dovrei lasciarle stare qui, ma dove e con chi? Non abbiamo parenti in città, non conosciamo nessuno abbastanza bene da chiedere un simile favore, Freya non è attrezzata per una lunga permanenza lontana da casa. Dovrei restare qui con mia figlia, ma ho delle responsabilità a Sarenestar. E in tutto questo non sappiamo neanche se la famiglia di Aphedriel accetterebbe questa unione.
“Comprendo i vostri sentimenti, dico solo: aspettate qualche settimana. Intanto parleremo con la famiglia di Aphedriel, che immagino non sappia ancora nulla. Se siete veramente thiramin, ci saranno molte cose da decidere.”
Aphedriel abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore. “Io…” mormorò. Guardò Freya, sembrò riuscire a trarne un po’ di conforto, quindi si schiarì la gola e riprese: “Non ho una vera famiglia. Non è mai stato molto chiaro chi fosse mio padre, ma le voci dicono che mia madre abbia avuto una relazione con un elfo già sposato. La famiglia di mia madre mi ha accolta e mi ha dato il suo cognome, e quando ero piccola sono stata cresciuta ed educata come una nobile, ma circa vent'anni fa sono rimasta orfana. Mio zio ha svincolato l'eredità di mia madre, una discreta somma, me l'ha consegnata e mi ha augurato buona fortuna. Era chiaro che per loro ero motivo di imbarazzo. Ho deciso di investire quasi tutto nella mia educazione e nel mio futuro, iscrivendomi all’Accademia. Speravo di diventare una persona importante in città contando solo sulle mie forze. Per il momento sto andando molto bene e ammetto che mi dispiacerebbe rinunciare ai miei studi, ma non c'è nient'altro che mi lega a questa città. Se non c’è altro modo, io sono disposta a partire con te. Fra la carriera e l'amore, devo scegliere l'amore, perché ho visto…” abbassò la voce fino a renderla appena un sussurro “... che cosa succede a chi ne viene privato.”
Sembrava che l'elfa della luna fosse diventata ancora più pallida, sempre che fosse possibile. Freya si accorse del turbamento della ragazza e la strinse in un abbraccio improvviso e spropositato.
“Non verrai privata dell'amore. Sei la mia thiramin. Non dare retta a quello che dice mia madre, lei non mi conosce come mi conosco io. Non è un capriccio passeggero, io so che tu sei il mio destino.”
Aphedriel rimase rigida fra le braccia di Freya, ma si appoggiò alla sua innamorata come se avesse bisogno di quel supporto.
“Speravo che a me non succedesse” sussurrò. “L’idea di amare senza possibilità di scelta…”
“L’amore è sempre senza possibilità di scelta, anche per chi non è thiramin” ribatté l’elfa dei boschi, con la convinzione della giovinezza. “Noi siamo più fortunate perché sappiamo che sarà per sempre!”
“No, noi siamo fortunate perché è ricambiato” la risposta era ancora solo un sussurro, ma la maga ricambiò finalmente l’abbraccio di Freya. “Se è necessario dimostrare alla tua famiglia la serietà delle mie intenzioni, sono disposta ad aspet…”
“Io no” tagliò corto la bizzosa giovane. “Per tutta la vita ho sentito che mi mancava qualcosa. Ora so che ciò che mi mancava eri tu, l’altra metà della mia anima. Sappiamo già che ci sposeremo alla fine, quindi perché aspettare?”
Aphedriel si svincolò dall’abbraccio e accarezzò il viso di Freya con una mano. “Ti amo. Non andrò da nessuna parte e non guarderò mai nessun’altra. Non hai nulla di cui preoccuparti, ma proprio perché ti amo voglio mostrare rispetto alla tua famiglia. Se aspettare qualche settimana potrà pacificare il cuore di lady Merildil…”
“Ah, ma invece il mio cuore?” La giovane sfoderò il suo migliore sguardo da cucciolo abbandonato. Aphedriel non era immunizzata come Merildil, e la druida percepì che stava per sciogliersi come una pera cotta.
“Va bene, ora basta” si infiltrò fra le due ragazze e le separò quasi con prepotenza. “Freya, ti sei accorta che Aphedriel ha una vita qui? Pretendi che mandi tutto all’aria senza un minimo di preavviso, senza darle il tempo di sistemare i suoi affari?”
“È… è vero, ho degli esami a breve. In occorrenza della Festa della Luna si chiude un ottennio di studi, e il giorno dopo comincia una sessione di prove e dimostrazioni che durerà fino all’ultimo dell’anno. Potrò dimostrare di avere appreso e padroneggiato certi segreti. Mi piacerebbe rimanere fino ad allora. Sarà il termine del mio ventesimo anno all’accademia e potrei guadagnare un riconoscimento ufficiale… sarà un buon modo per accomiatarmi da Evereska.”
“Non ho mai preteso che lasciassi la città senza preavviso” Freya scavalcò sua madre e si riappropriò della mano di Aphedriel “voglio solo che stiamo insieme fino ad allora.”
Nemmeno Merildil poteva obiettare a questo.

Venne fuori che i Maestri dell’Accademia invece potevano.
Non che fossero persone crudeli o irragionevoli, ma Freya non aveva il permesso di frequentare le lezioni per stare accanto ad Aphedriel, e nemmeno di condividere la stessa stanza. La stregona doveva rimanere nell’ala destinata ai rari ospiti, e Aphedriel nella sua stanza da studentessa.
Le ultime lezioni videro l’elfa della luna sempre più distratta e sempre meno produttiva. La Maestra di Cosmologia Applicata arrivò a minacciarla di escluderla dalla classe se non avesse disegnato correttamente il suo Cerchio di Evocazione, perché un minimo errore avrebbe potuto portare la disgrazia su tutta l’Accademia.
Dopo aver pronunciato la formula di rito che avrebbe dovuto evocare un bebilith, un demone a forma di ragno specializzato nella caccia ad altri demoni, l’elfa della luna si accorse con costernazione e imbarazzo che nel suo cerchio era comparsa una succube. Non sarebbe dovuto succedere, a meno che… l’intensità della sua frustrazione sessuale non avesse in qualche modo aperto una breccia per quell’infida creatura.
All’inizio tutta la classe ammutolì davanti a quell’imprevisto, tranne i bebilith degli altri sei studenti che entrarono in agitazione alla vista di quel pasto così invitante. Per fortuna però il cerchio di Aphedriel era tracciato correttamente, e la demonessa non poteva uscire. La sensuale tanar’ri strinse le labbra in un broncetto invitante, agitò la testa per scuotere la cascata di riccioli neri e si mise la mano sul fianco, in una posa provocante che metteva in risalto le sue gambe ben tornite.
Non sei bella quanto Freya, pensò Aphedriel con fastidio, e recitò subito la formula di congedo. L’espressione stupita che fece la succube prima di scomparire era quasi comica, anzi, gli altri studenti dovettero trovarla esilarante perché scoppiarono a ridere, mentre i loro bebilith schioccavano i cheliceri con impazienza.
“Dovrei mandarti fuori dalla classe, Aphedriel Presrae, ma sospetto che la tua nuova ragazza sia proprio fuori dalla porta ad aspettarti, quindi non sarebbe esattamente una punizione” la professoressa aggrottò la fronte.
“Signora, ho novantanove anni e studio qui da quasi venti. Penso che non sia più tempo di parlare di punizioni. Agite in base a quello che ritenete meglio per la classe.” Le suggerì Aphedriel, con tutto il buonsenso che riuscì a racimolare.
Venne invitata a lasciare l'aula. Appena chiusa la pesante porta alle sue spalle, Freya comparve al suo fianco e la trascinò a forza verso uno sgabuzzino.

I giorni seguenti non andarono molto meglio. Presto i Maestri cominciarono a sospettare che gli incidenti magici di Aphedriel non fossero colpa di Aphedriel. La magia si stava facendo instabile, anche e soprattutto per gli studenti più giovani.
Allo stesso modo, gli studenti più giovani stavano anche perdendo il controllo su qualcosa che non era la loro magia. Stavano completamente soccombendo ai loro istinti.
All’inizio si trattava solo di qualche coppia che si sbaciucchiava a lezione, niente di allarmante. Poi quelle distrazioni iniziarono a diventare troppo frequenti, troppo sfacciate.
In realtà, l’unico a trovare divertente tutto questo era Beiro Chaedilen, il Maestro di Magia Sperimentale. Continuò a trovarlo divertente fino a quando uno studente cercò di infilargli la lingua in bocca durante un colloquio di orientamento.
Il pomeriggio dell’ultimo giorno di lezioni, tutti i Maestri si riunirono nella Sala del Consiglio dell’Accademia, invitati dal Magnifico Rettore. Alcuni di loro non avevano nemmeno mai messo piede in quel luogo cruciale, riservato all’elite dei Maestri più anziani. Beiro Chaedilen fu l’ultimo ad arrivare, e con i vestiti un po’ in disordine.
“Questa cosa deve finire” affermò con aria sconvolta, anche se nessuno l’aveva invitato a parlare.
“Sono d’accordo con il collega” lo spalleggiò Maestro Elond, un evento più unico che raro. “Oggi stavo camminando per il corridoio e una delle luci magiche si è trasformata in una cascata di petali di rosa, senza motivo.”
“È tutto il giorno che prendo la scossa ogni volta che tocco una maniglia” rincarò il professore di Invocazione.
“Tutti gli incantesimi di influenza mentale dei miei studenti si stanno trasformando in magie di seduzione” raccontò la professoressa di Magia Sottile, che insegnava illusioni e ammaliamenti. “Questo sarà un problema per gli esami di dopodomani.”
“Sette giorni! Sono bastati sette giorni di permanenza qui e quella dannata selvaggia ha combinato questo disastro!” sbottò il professore di Necromanzia. Non piaceva a nessuno dei suoi colleghi, nonostante insegnasse solo quella branca della Necromanzia che era lecita e moralmente accettabile, ma tutti in quel momento sentirono almeno un po’ di pietà per lui. Era dall’alba del giorno precedente che i suoi studenti non riuscivano più a manipolare l’energia negativa necessaria a certi incantesimi, e correva voce che lui stesso avesse dei problemi. “Forse non ve ne siete accorti, ma ha portato una sovrabbondanza di vita. I rampicanti che di solito vengono tenuti a bada da incantesimi di base, ora stanno attaccando le mura dell’Accademia. Di questo passo prima o poi ne comprometteranno la struttura.”
“Tutti i fiori della serra stanno nascendo fuori stagione, e questo non è un bene” confermò la Maestra di Alchimia. “Quelle piante sono certamente contaminate da magia caotica e lo sanno gli dèi che effetti avranno nelle pozioni.”
A quel punto cominciarono a parlare tutti contemporaneamente, senza più curarsi di mantenere un ordine.
“Concordo con la collega, anche costruire bacchette con quegli arbusti sarà rischioso”
“La mia migliore studentessa oggi scriveva poesie d’amore a lezione…”
“...comportamento indecente…”
“...e invece è uscito un incantesimo di Spruzzo Colorato, così dal nulla…”
“...necessità di separare i tavoli da lavoro, perché due studenti...”
“...perfino i miei assistenti! Davanti a tutta la classe!”
“Va bene, ora basta!” Il Magnifico Rettore batté le mani, ma invano.
“...strani sogni, che lasciano le persone sfinite al mattino, e…”
“...tutto il tempo a guardare fuori dalla finestra verso l’Accademia Militare!”
“HO DETTO BASTA!” Tuonò il Rettore, sbattendo a terra il suo bastone di legno di chiomanera.
I suoi colleghi e sottoposti smisero finalmente di parlarsi addosso. Quell’elfo del sole di mezza età sapeva ancora incutere il sacro timore quando era necessario, e la sua Voce di Potere sapeva sovrastare qualunque altra voce.
“Questa ragazzina era già problematica di suo, per questo sua madre è venuta a chiedere aiuto. Da quando lady Freya Arnavel è qui non possiamo accusarla di aver volontariamente compiuto magie, o di aver infranto le regole in modo serio. Ma è chiaro che la sua influenza, anche se accidentale, sta creando il caos. Ascolterò le vostre proposte… se saprete esporle con ordine.” Quest’ultima frecciatina fu accompagnata da un’occhiataccia di avvertimento che scivolò su tutti, senza tolleranza per la loro difficile situazione. Erano tutti Maestri, ci si aspettava da loro che sapessero fare fronte alle emergenze.
“Con il dovuto rispetto” Maestro Saeldur Immeril, professore di Abiurazione, fece un passo avanti. Era uno dei maghi più rispettati della città e sapeva che l’avrebbero ascoltato. “Dovremmo allontanare quella ragazza dall’Accademia.”
Questo scatenò un altro fruscio di sussurri.
“Con il dovuto rispetto non sono d’accordo” a farsi avanti, contro i pronostici di tutti, fu Maestro Elond. Era professore di Tradizioni Magiche ed anche uno degli elfi più tradizionalisti e quadrati di tutta l’Accademia. “Stimato collega, capisco la tua posizione. Hai un approccio che ricorda l’Arte che insegni: i pericoli vanno tenuti a distanza. Ma in questo caso, la fanciulla non è una nostra nemica. Non è lei a creare volontariamente il caos, ma la sua frustrazione. I problemi sono cominciati quando abbiamo preteso che stesse a distanza dalla sua thiramin, la giovane Aphedriel Presrae.” Un mormorio di assenso si propagò nella sala. “In casi come questi, la Tradizione ci insegna che la Magia Rossa funziona su presupposti…”
“La ragazzina Arnavel non sta facendo Magia Rossa!” Intervenne la Maestra di Magia Sottile. “Non chiamare in causa una nobile Arte per spiegare quello che è soltanto il pasticcio di un’adolescente…”
“Non più un’adolescente” la corresse Maestro Elond, glissando sull’interruzione. “Una giovane adulta, in età sufficiente per sentire il thiramin, e con sangue fatato nelle vene. La Magia Rossa, stimata collega, è un sistema che è stato inventato per imbrigliare energie istintive, come quelle che la ragazza sta emanando come un piccolo sole. Lady Freya può essere ignorante e inconsapevole, ma il suo potere grezzo è materia di questa branca della magia. E per tornare al punto, la Magia Rossa insegna che un potere è tanto più forte quanto più a lungo il desiderio viene frustrato. Allontanare lady Freya funzionerebbe, per un limitato periodo di tempo. Ma il focus della sua attenzione, Aphedriel Presrae, è qui. Se sono davvero thiramin allora sono legate nell’anima, quindi anche se rimandassimo quella stregona nella sua foresta nel Calimshan sarebbe questione di ore prima che la sua magia caotica iniziasse ad agire attraverso Aphedriel… e potrebbe crearle anche dei problemi. Aphedriel non ha sangue fatato, e non è abituata a gestire emozioni burrascose. Se cominciasse a veicolare la magia della sua compagna senza saperlo, dovremmo temere per la sua salute fisica e mentale.”
“E per quella di tutti noi” convenne Maestro Chaedilen, impallidendo più del solito.
“Stai suggerendo di… lasciare che stiano insieme?” Il Rettore intervenne per fare il punto della situazione.
“Con il tuo permesso, lord Naelgrath” Maestro Elond piegò il busto in un piccolo inchino alla volta del Rettore “sto suggerendo di dare alle due ragazze la nostra benedizione, un comodo sacco a pelo, e di mandarle in escursione in un boschetto della nostra bella valle. Lì potranno consumare la loro frenetica unione. Temo le conseguenze se lo facessero fra queste mura, ma deve essere fatto.”
Il suggerimento fu accolto dal silenzio, ma Adamar Elond sapeva che i suoi colleghi stavano solo considerando la sua proposta.
Lord Naelgrath, Magnifico Rettore dell’Accademia e nobile della città, si massaggiò il mento mentre pensava. Tutti in quella sala sapevano che le regole della loro scuola impedivano agli studenti di uscire se non in particolari ricorrenze, ma per fortuna il giorno della Festa della Luna era una di quelle ricorrenze. Era una festività che cadeva proprio fra l’ultima impegnativa giornata di studi e il primo giorno di esami. Di solito gli studenti preferivano rimanere all’Accademia e usare quell’ultimo momento di pace per studiare, ma quest’anno Aphedriel poteva essere persuasa a prendersi un po’ di tempo per se stessa.
“È un approccio certamente… progressista” il Rettore cercò di non farlo suonare come un insulto. “Però riconosco la validità del ragionamento.” Sospirò, perché quella soluzione gli sembrava così poco elegante, come un’ammissione di sconfitta. La prestigiosa Accademia della Magia di Evereska, messa in ginocchio da una ragazzina?
Ovviamente no, ricordò, cercando di tacitare il suo orgoglio ferito. La soluzione più semplice sarebbe uccidere lady Freya, e quello sarebbe facile. È quello che faremmo con un nemico. Ma quella ragazzina innocente non è una nemica, dobbiamo agire in modo più diplomatico.

Il mattino dopo, Aphedriel e Freya vennero informate della loro fortuna. Un’intera giornata libera da dedicare ad approfondire la loro conoscenza, e dopo quello avrebbero avuto il permesso di condividere una stanza. L’elfa della luna rimase di sasso, avere un giorno libero per la Festa della Luna era normale, ma il permesso di vivere con qualcuno? Totalmente contro le regole dell’Accademia!
“Ma… questo è…”
“Necessario, bambina cara” le spiegò Maestro Elond, con la sua solita saggezza. “Tenervi separate ha portato a conseguenze inaccettabili, comportamenti folli, incidenti magici… tutto questo deve finire. È opinione di tutti i professori che una studentessa diligente come te meriti di finire gli esami prima di lasciare la città, se è questo che vuoi fare. Ma non è più possibile tenervi separate. Oggi andrete a fare una lunga passeggiata, e farete in modo di… scaricare la vostra tensione. Non farmi essere più esplicito di così, hai capito cosa intendo.” Aphedriel arrossì furiosamente, ma annuì. “Bene, e domattina tu ti presenterai agli esami. E così anche il giorno dopo ancora. Ma passerai le tue notti con lady Freya, perché se non lo farete, la magia tornerà a comportarsi in modo instabile. È tutto chiaro?”
Ancora più imbarazzata, Aphedriel annuì di nuovo. Non era una vergine, aveva già avuto le sue esperienze perfino dentro l’Accademia, e i professori chiudevano un occhio su quel genere di cose. Parlarne apertamente con loro, però, era abbastanza umiliante.
Freya non condivideva il suo pudore. Le saltò addosso stritolandola in un abbraccio non appena il Maestro voltò loro le spalle.
Aphedriel strinse le mani di Freya nelle sue, mentre l’elfa dei boschi la stringeva da dietro e le schioccava un bacio sulla guancia. “Allora, siamo ancora qui?” Sussurrò l’esuberante ragazza, titillando la punta del suo orecchio.
“Non posso camminare se mi stringi in questo modo” sorrise, appoggiandosi contro la sua amata.
“Va bene, ti lascerò andare… se prima mi dici una cosa in confidenza” scivolò intorno alla maga fino a trovarsi faccia a faccia con lei. Abbassò la voce in un sussurro. “Tu lo sai come… be’... come si fa? Insomma, io e te?”
La maga guardò la compagna con curiosità, poi lentamente cominciò a capire.
“Oh… intendi… come si fa. Certo, io lo so!” ridacchiò, punzecchiando Freya con un dito. “Vuoi dire che tu non lo sai?”
“Non mi sono mai invaghita di una donna” ripeté, come aveva detto anche a sua madre.
“Ah, io sì” ammise Aphedriel stringendosi nelle spalle. “Ma mai come con te, mia amata. Penso che questa volta sarà una sorpresa anche per me. Nei boschi, come i selvaggi.” Scherzò.
“Ehi! Noialtri viviamo nei boschi, lo sai? E di conseguenza facciamo anche l’amore nei boschi. Sarà meglio che ti abitui.”
“Oh cielo…” sospirò la fanciulla, pensando che allora avrebbe fatto meglio a godersi i suoi ultimi giorni all’Accademia. In mezzo ai comfort, e con la sua thiramin.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3833546