Tokyo, sola andata

di syila
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I° ***
Capitolo 2: *** Capitolo II° ***
Capitolo 3: *** Capitolo III° ***



Capitolo 1
*** Capitolo I° ***


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Chi viaggia senza incontrare l'altro, non viaggia, si sposta.
Alexandra David-Néel


CAPITOLO I°

"In tutto sono quarantamila Yen piccolo, incluso lo sconto per i minori di undici anni."
"Andata e ritorno?"
"Certo."
"Allora... Prendo solo l'andata."
"Sei sicuro?"
Il bambino con gli occhiali al di là del vetro parve esitare, poi annuì deciso.
"Si."
"Va bene, un biglietto con posto non riservato Fukuoka-Tokyo sola andata." ricapitolò l'addetto alla biglietteria, il quale subito dopo si vide depositare nella cassettiera una cascata di monete e banconote di vario taglio.
Uno spirito più zelante avrebbe avuto degli scrupoli nel vendere un biglietto dello Shinkansen ad un marmocchio di dieci anni senza accompagnatore, ma il signor Nakagawa era in turno dalle cinque del mattino e l'unica cosa che voleva era una caraffa di caffè bollente e la sua agognata pausa di dieci minuti.
Perciò si limitò a contare il denaro e, appurato che si trattava di valuta legale, stampò il tagliando e glielo consegnò.
Il bambino con gli occhiali scomparve presto dalla sua vista, inghiottito dal traffico della stazione ferroviaria.
Sembrava sapere il fatto suo e avrebbe viaggiato su un treno super veloce, famoso per puntualità e sicurezza; del resto erano in Giappone, uno dei paesi col minor tasso di criminalità al mondo, cosa poteva accadergli di male?




Un paio di settimane prima...

Era una mattina di Novembre insolitamente tiepida e luminosa; il tempo non si era ancora messo al brutto e regalava agli abitanti di Hasetsu delle splendide giornate autunnali.
Yuuri era impegnato a raccogliere le foglie sul vialetto dell'onsen quando da lontano, oltre la staccionata di legno, vide profilarsi due codini che ondeggiavano seguendo l'andatura frettolosa della loro proprietaria, che di lì a poco oltrepassò il cancelletto e quasi lo travolse nella foga della corsa.
"Yuuri chan!" esclamò Yuko tutta agitata e rossa in viso per l'affanno.
Il bambino interruppe la monotona attività e le prestò la più totale attenzione; dal modo in cui si era precipitata a casa sua doveva essere successo qualcosa di molto importante.
"Yuko chan... Sono le nove del mattino. Di Domenica."
"Non hai ancora visto la televisione o il giornale?"
"Eh?"
Yuuri le restituì un'occhiata confusa dalla quale la ragazzina comprese che era ancora mezzo addormentato.
"Lo immaginavo, per fortuna l'ho portato con me!" rispose mentre al contempo dispiegava un ritaglio di giornale che gli incollò al naso "Leggi! Leggi!"
"U-un attimo è troppo vicino così."
Yuuri prese il foglio e lo mise alla giusta distanza dai suoi occhiali, ma dopo avergli dato una prima scorsa fu costretto a toglierli e poi a inforcarli di nuovo.
Rilesse il contenuto, alzò gli occhi sull'amica, poi li abbassò di nuovo sulla fitta trama dei caratteri tipografici.
"È vero?" domandò infine.
"Lo scrive l'Hochi Shimbun! Secondo te uno dei più grandi quotidiani sportivi del Giappone darebbe delle notizie false?"
Sul viso rotondo del bambino si produsse un drastico cambiamento: impallidì e poi arrossì violentemente tanto che Yuko temette di vederlo collassare a terra.
"L-lui viene qui..." mormorò in un filo di voce.
"Si, beh... Non proprio qui ad Hasetsu..."
"Lui viene in Giappone! Yuko chan questo significa che..."
"Potrai vederlo dal vivo!" completò di slancio la ragazzina.



Durante il resto della giornata Yuuri scomparve dalla circolazione, i signori Katsuki lo videro a malapena a pranzo, mentre a cena, approfittando del fatto che i clienti abituali erano impegnati in un rumoroso torneo di mah jong*, s'intrufolò in cucina, agguantò dei panini al vapore e tornò a barricarsi in camera fino al giorno successivo.
Hiroko provò ad accennare l'argomento a Mari, ma la figlia maggiore rispose con un'alzata di spalle: il fratellino era così, ogni tanto partiva per l'iperspazio, poi, quando la fame si faceva sentire, tornava sempre coi piedi per terra.
Era inutile preoccuparsi.
I genitori dovettero pazientare altri due giorni prima di avere una spiegazione al comportamento evasivo del secondogenito. La sera, dopo aver mangiato e aiutato a rigovernare la cucina, invece di rintanarsi nella sua stanza Yuuri aspettò che l'ultimo cliente lasciasse la locanda e chiese la loro attenzione per un annuncio molto importante.
La madre e il padre non sapeva cosa pensare, l'ultima volta che lo avevano visto tanto preso era stato a causa del pattinaggio.
All'inizio avevano pensato ad una infatuazione passeggera, come spesso accade a quell'età e avevano evitato d'investire il loro denaro in un paio di costosi pattini da competizione, invece Yuuri aveva passato svariate settimane a documentarsi, ritagliando articoli e stampando notizie da internet per costruire un vero e proprio "rapporto" sui danni provocati dall'uso di un'attrezzatura scadente.
Con aria solenne gli aveva presentato il quadernone a quadretti farcito di fogli incollati e il giorno dopo la famiglia era andata a Nagasaki e gli aveva comprato il suo primo paio di pattini.
A onor del vero Yuuri aveva continuato a seguire la strada del pattinaggio su ghiaccio con incredibile costanza e dedizione per un marmocchio e i signori Katsuki non si erano mai pentiti di quel primo acquisto, né di tutti gli altri.
"Allora Yuuri chan cosa volevi dirci di tanto importante?”
Sul viso di Hiroko, stanco e segnato dalla giornata di lavoro, c'era un sorriso dolce e indulgente nei confronti del figlio, il quale assentì risoluto e si preparò ad esporre il progetto.
Perfino Vicchan, il suo barboncino, se ne stava accucciato col naso all'insù e lo fissava attento, con la piccola coda curvata ad arco, a formare un punto interrogativo.
“Come già saprete il Grand Prix di pattinaggio è una competizione internazionale, che prevede diverse tappe in Europa, Asia e America...” il bambino era partito a declamare il pezzo, come se si trattasse del saggio scolastico di fine anno e i genitori si scambiarono un'occhiata d'intesa, ci avevano visto giusto riguardo all'argomento “Ora, si da il caso che uno degli appuntamenti sarà qui in Giappone, a Tokyo.”
“Oh... Wow.” Commentò Mari, che fino a quel momento era stata zitta, appoggiata allo stipite della porta.
Yuuri le chiese di fare silenzio, non aveva ancora concluso il discorso e la sorella alzò gli occhi al cielo; immaginava dove voleva andare a parare il mocciosetto, mentre dall'espressione interessata dei suoi, intuì che ancora non avevano colto il succo della questione.
“Yuko chan ha letto l'Hochi Shimbun e ha scoperto che tra i partecipanti alla tappa di Tokyo ci sarà anche... Victor Nikiforov!”
L'enfasi posta sul nome straniero spinse la madre ad una sollecita risposta “Oh caro, è una bella notizia!”
Il giovane e talentuoso pattinatore russo era di casa presso i Katsuki, anzi ormai era uno di famiglia.
A causa sua Yuuri aveva cominciato a pattinare e non passava giorno in cui non lo menzionasse con ammirazione (“Il costume di Victor alla finale Juniores era un sogno!”, “Ha fatto un triplo Axel! Capisci mamma? Un triplo! Anche se è vietato dal regolamento!”, “Guardate... Questo è Victor con la nazionale russa, è il più giovane atleta di sempre a partecipare ad una gara internazionale!”).
Victor era il suo modello, esattamente come avrebbe potuto esserlo una idol.
E proprio come per una idol collezionava poster, foto, ritagli di giornale, sapeva a memoria tutte le tracce che aveva usato nelle sue competizioni e le utilizzava durante gli allenamenti.
Anche il suo adorato cagnolino veniva dalla passione per Victor; c'era un video in rete in cui il russo giocava insieme ad un cucciolo di barboncino toy e Yuuri aveva dato il tormento ai genitori finché non era arrivato Vicchan.
“Infatti!” il bambino assentì con foga “Potrebbe essere l'unica occasione di vederlo dal vivo!”
L'interesse dei genitori si raffreddò, mutandosi in cautela, Tokyo non era dietro l'angolo, si trattava di un viaggio lungo e piuttosto costoso, ma era pur vero che Yuuri era un figlio modello, si impegnava a scuola, nello sport, nelle faccende domestiche, non gli dava mai problemi e negargli qualcosa diventava molto difficile.
“Quando è prevista questa gara?” chiese Toshiya e bastò la sua domanda ad accendere l'entusiasmo del figlio.
“Il ventitré di questo mese! Abbiamo tutto il tempo di organizzarci!” trillò senza avvedersi della nuova occhiata interlocutoria che si erano scambiati i genitori.
“Oh...”
“Non dovete preoccuparvi degli orari dei treni, ho già pensato a tutto io!” Yuuri prese dalla tasca un foglio ripiegato a fisarmonica e glielo mostrò “Se prenotiamo in anticipo c'è un'offerta speciale, uno sconto sul prezzo del biglietto a cui va aggiunta la riduzione per i bambini!”
“Tesoro...”
La madre provò senza successo a fermare l'onda di piena.
“Inoltre portando il pranzo da casa eviteremo di spendere soldi nei ristoranti di Tokyo, che sono molto costosi!”
“Yuuri chan...”
“Gli Juniores gareggiano nel pomeriggio e terminano alle diciotto e trenta, riusciamo a prendere il treno delle diciannove ed essere a casa attorno a mezzanotte!”
“Yuuri non possiamo.”
Il bambino rimase con la bocca aperta sull'ultima vocale, prolungata dall'incredulo stupore verso quella ferma opposizione.
"Eh?"
"Tesoro il ventitré Novembre è la Festa del Lavoro..." iniziò Hiroko.
"Si, si!" rispose annuendo il figlio "Proprio perché è un giorno festivo negozi, uffici, scuole saranno chiusi e noi..."
"Noi lavoriamo." dichiarò lapidario il capofamiglia "Verranno molti clienti e la locanda sarà piena."
Al secondogenito dei Katsuki, completamente assorbito dalla preparazione del programma di viaggio, era sfuggito proprio l'elemento più importante: il collegamento tra il giorno festivo e l'attività di famiglia.
Non potevano chiudere baracca e burattini e cavarsela con un cartello di scuse!
Era un guadagno assicurato per l'onsen, che in tempi difficili faceva comodo!
" Potrebbe venire solo uno di voi... Potrebbe accompagnarmi Mari, lei è già stata a Tokyo, più volte!"
La madre provò a rabbonirlo, perché scorgeva i segnali di un imminente crollo emotivo.
"Yuuri chan avremo bisogno sia di Mari che di te quel giorno e forse dovremo chiedere a Minako di aiutarci la sera, però tu potrai vederlo in televisione e poi ci saranno sicuramente altre occasioni..."
"Non è giusto!" la interruppe Yuuri, che asciugò stizzito un grosso lacrimone impigliato nelle ciglia "Perché devo essere sempre io rinunciare? Quando Mari voleva andare a Nagasaki a vedere il concerto degli Hotch Potchi l'avete accompagnata!"
L'interpellata alzò le mani in segno di resa "Io vado a dormire, vedetevela un po' voi..."
Il fatto che fosse un'adolescente in piena fase di contestazione dell'autorità genitoriale non aiutava i Katsuki, i quali rimasero da soli a fronteggiare una tremenda crisi di pianto.
Impiegarono un paio d'ore a calmarlo e persuaderlo che alla prima occasione si sarebbero fatti perdonare; quando sulla locanda calò il silenzio i tre quarti della famiglia erano convinti che Yuuri avrebbe capito la situazione, perché era un bambino maturo e giudizioso.
Non potevano nemmeno immaginare quali conseguenze aveva innescato il loro rifiuto e cosa era in grado di escogitare un bambino maturo e giudizioso.



Nei giorni successivi si verificò un assestamento della situazione in cui i genitori (e anche la sorella, minacciata espressamente di non menzionare parole come: pattinaggio, Grand Prix, Tokyo, Victor Nikiforov) sentendosi in colpa circuirono il figlio, lasciandogli più tempo per giocare e dormire e chiudendo un occhio se restava sveglio la sera a guardare la televisione.
Yuko fu la prima a saperlo e si indignò quanto lui del terribile sopruso.

"Se fossi più grande ti accompagnerei io!" aveva esclamato "Non è giusto!"
Yuuri aveva fatto spallucce.
"Lascia stare, ormai è andata così Yuko chan. Ci saranno altre occasioni, inoltre mi impegnerò al massimo per entrare nella categoria Juniores, così incontrerò Victor sulla pista anziché limitarmi ad applaudirlo dalle gradinate!"
La bambina lo aveva guardato ammirata "Questo è lo spirito giusto Yuuri chan! Perché fermarsi alle piccole cose quando si può puntare in alto?"


Quanto in alto aveva fissato il suo obiettivo il piccolo Katsuki teneva ben nascosto sotto la fitta frangetta ribelle e l'atteggiamento schivo.
Nella sua testolina il Piano aveva già preso forma, si trattava solo di mettere a punto alcuni dettagli.
Innanzitutto la logistica.
Yuuri era andato a Tokyo solo una volta, due anni prima, durante una gita scolastica in cui c'era anche Mari. Della capitale conservava un ricordo confuso fatto di traffico, rumori, luci e una generale frenesia di vivere che lo avevano frastornato e intimorito.
Adesso le cose erano diverse: lui era molto più grande, conosceva più cose, aveva studiato la storia e la geografia della metropoli e i suoi quartieri principali. Soprattutto conosceva l'ubicazione del palazzetto del ghiaccio e quali mezzi prendere per arrivarci.
Sfruttò le ricerche già fatte riadattandole alle esigenze di un singolo passeggero: invece di tre posti riservati poteva prenderne uno non riservato e senza prenotazione.
Muoversi all'ultimo momento comportava rischi maggiori, ma destava meno sospetti.
Secondo punto in elenco: il cibo.
Doveva accumulare scorte e garantirsi l'autosufficienza in territorio ostile.
A Tokyo non avrebbe comprato nemmeno una bottiglietta d'acqua; a quanto ne sapeva i prezzi erano esorbitanti e lui aveva un budget molto risicato.
Terzo: il budget, appunto.
Quella era la vera nota dolente, perciò Yuuri l'aveva fatta scivolare in fondo alla lista delle priorità.
Razziando le tasche dei cappotti, il fondo dei cassetti e il portamonete che teneva nella cartella non arrivava ai cinquemila yen.
Restava il suo prezioso Pi-chan, il salvadanaio a forma di porcellino nel quale finivano tutti i regali dei compleanni, delle festività e delle mance guadagnate coi piccoli lavoretti alla locanda.
Pi-chan era pieno soprattutto di sogni; farsi cucire un bellissimo costume su misura per la prima gara importante, comprare un paio di pattini uguali a quelli di Victor e quel videogioco sparatutto che i suoi compagni di classe già avevano e a lui mancava.
Pazienza.
Victor valeva bene un porcellino di ceramica.
Pi chan venne sacrificato sull'altare del pattinaggio con un secco colpo di martello e una volta aperto Yuuri scoprì che conteneva un vero tesoro: una volta divise monete e banconote arrivò a calcolare (era piuttosto bravo in matematica!) ventimila Yen, che sommati ai cinquemila gli avrebbero garantito il biglietto dello Shinkansen.
Col cuore più leggero il bambino trascorse i giorni che lo separavano dalla partenza a perfezionare tempi e modi della fuga.
Essendo un giorno festivo non poteva sfruttare la scusa della scuola, però al mattino c'era sempre poco da fare alla locanda.
Sarebbe andato all'Ice Castle a pattinare contando sul senso di colpa dei suoi genitori, che non gli avrebbero certo negato il permesso.
Secondo i suoi calcoli lo avrebbero aspettato fino all'ora di pranzo, poi, non vedendolo tornare, avrebbero chiamato l'impianto sportivo.
Lì qualcuno gli avrebbe confermato che non lo avevano visto e quel punto avrebbero chiamato a casa di Yuko, ricevendo una risposta analoga.
Nel tira e molla di informazioni si sarebbero fatte le due del pomeriggio.
E a quell'ora lui sarebbe stato in vista della stazione di Tokyo.
Tutto ciò che sarebbe accaduto dopo: le famose "conseguenze delle proprie azioni" a Yuuri semplicemente non importava.
Nessuno gli avrebbe impedito di vedere Victor Nikiforov.



Nonostante la determinazione e i buoni propositi, al momento di uscire di casa la mattina del ventitré, sentì una stretta al cuore vedendo sua madre affacciarsi dalla cucina porgendogli un piccolo bento*, nel caso gli fosse venuta fame durante gli allenamenti.
Per un attimo fu sul punto di rinunciare; poteva prendere la strada dell'Ice Castle e sfinirsi di esercizi, senza essere costretto a mentire.
Per un attimo considerò la follia di quel progetto; il viaggio più lungo che aveva fatto da solo era stato l'estate precedente, quando aveva preso la corriera ed era andato a trovare i nonni in campagna.
Per un attimo pensò alle famose "conseguenze", al salto nel buio, all'incognita del "dopo".
Poi, lungo la strada che portava alla stazione ferroviaria, li vide.
Una sequenza ininterrotta di cartelloni pubblicitari degli eventi sportivi della stagione: baseball, calcio, pallavolo e infine il pattinaggio con la tappa giapponese del Grand Prix.
Per un'incredibile coincidenza a rappresentare questo sport c'era lui: Victor Nikiforov, che campeggiava, bellissimo e angelico, in una foto a figura intera e sembrava sorridergli ammiccando leggermente.
Yuuri concluse che le coincidenze non esistevano; era destino che lui salisse su quel treno e andasse a Tokyo.

Fine Prima Parte


☼ La voce dell'innocenza ☼

Pensavate di esservi liberati di me, vero? ^^
E invece no! ^^
Eccomi a voi con una mini avventura in tre capitoli nuova di zecca, ispirata dal contest "Da quale mio sogno sei uscito fuori?"
promosso da Missredlights, che purtroppo è stata annullato.
La mia storia però era praticamente pronta e volevo comunque condividerla con voi ^^
La palla verde vi avrà già fatto capire che stavolta non ci saranno angst, patimento e sofferenza, ma tanto fluff&ammmmmmore, perché si farà un salto nel passato; nell'infanzia di Yuuri e nell'adolescenza di Victor, oggetto di venerazione maniacale da parte del nostro giapponesino.
Cosa sarà in grado di escogitare quando un imprevisto minaccerà la sua possibilità di vedere il giovane campione russo dal vivo? Restate a bordo di questo viaggio molto avventuroso per scoprirlo *-*


Traduzioni:
Mah Jong= gioco da tavolo nato in Cina e molto diffuso nei paesi asiatici. Da Wikipedia " Si tratta di un gioco di combinazioni (tris, coppie e scale), che presenta alcune analogie con giochi di carte occidentali, come ramino o scala quaranta. Scopo del gioco è, per ogni giocatore, creare combinazioni con tutte le proprie tessere: il primo che ci riesce vince."
Pi-chan= dal giapponese: piccolo maialino (si, è una citazione del Pi Chan di Ranma 1/2 X°D)
Bento= tipico cestino porta-pranzo giapponese.

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Capitolo 2
*** Capitolo II° ***


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CAPITOLO II°

La stazione di Fukuoka era meno affollata del solito dato il giorno festivo. Nel breve tragitto da Hasetsu era filato tutto liscio; il treno era semivuoto e non si era vista nemmeno l'ombra di un controllore.
Yuuri ebbe tutto il tempo di arrivare al binario, salire sullo Shinkansen e trovare un posto a sedere anche senza prenotazione.
Diversamente dai pendolari, che utilizzavano il treno super veloce per lavoro, il grosso dei passeggeri del suo vagone era composto da famiglie e persone anziane, che andavano in visita ai parenti approfittando della breve vacanza.
Il bambino cominciò a valutare che era da solo e avrebbe finito con l'attirare l'attenzione di uno steward e troppe domande scomode.
Durante la prima ora non accadde nulla di particolare, tuttavia lui rimase in stato di allerta costante e, appena vide profilarsi un cappellino gallonato oltre le porte scorrevoli in fondo alla carrozza, lasciò il suo posto e andò a chiudersi in bagno.
Aveva evitato i controlli del personale, però non poteva pensare di trascorrere il resto del viaggio nascondendosi in tutti i bagni del convoglio!
Urgeva una soluzione più pratica.
Cautamente uscì dal nascondiglio e prese a risalire il treno in cerca di ispirazione, ma gli unici posti liberi erano o accanto a famiglie "al completo", che non avevano bisogno di un marmocchio aggiuntivo, neppure per un breve tragitto, o coppie senza figli, che probabilmente stavano bene così.
Scartò per lo stesso motivo un paio di austeri signori di mezz'età dall'aria accigliata attaccati al loro telefono, forse costretti a lavorare anche in un giorno di festa, poi nell'ultima carrozza in testa al treno, quando ormai aveva abbandonato le speranze, individuò il suo passaporto per un viaggio tranquillo.
"Posso vedere il biglietto per favore?" chiese con professionale cordialità la giovane steward al bambino occhialuto, che sgranò un largo sorriso e le porse il tagliando.
"E il suo?"
"La nonna si è addormentata da poco." rispose Yuuri in un bisbiglio indicando l'anziana in kimono seduta dirimpetto a lui, che dormiva della grossa col capo reclinato sul petto "Ci siamo svegliati prestissimo stamattina!"
"Oh, capisco..." annuì conciliante l'addetta, mantenendo un analogo tono sommesso.
"Comunque eccolo." con la maestria di un borseggiatore Yuuri sfilò il tagliando dalle mani della donna, la quale continuò a dormire, ignara di tutto.
La fortuna stava girando a suo favore e di questo non aveva mai dubitato, perché prima di partire era andato al santuario, aveva pregato i Kami* e aveva preso un omikuji*, che gli aveva predetto daikichi, ovvero una grande fortuna.
Il bigliettino lo aveva ancora con sé, ne sentiva la benefica protezione anche dal fondo del suo zainetto.
Non sapeva quanto sarebbe durata, ma sperò il più a lungo possibile.



L'attempata nonnina si svegliò poco dopo e si rivelò una gradevole compagnia; Yuuri le ricordava il nipote più piccolo, che si era trasferito a Tokyo con la famiglia da alcuni mesi e di cui sentiva molto la mancanza.
Stava andando a trovarli e una volta appreso che avrebbero viaggiato insieme lo riempì di attenzioni e lui in cambio ascoltò paziente la cronaca dei suoi acciacchi, le vicissitudini lavorative della figlia e i successi scolastici dei nipoti.
A lei non volle mentire, o meglio: omise per prudenza la parte in cui era letteralmente fuggito di casa, però le raccontò del grande evento sportivo a cui voleva assistere, perché anche lui praticava pattinaggio su ghiaccio e presto sarebbe entrato negli juniores.
L'ultima affermazione forse era un po' azzardata, tuttavia sentiva che dopo aver incontrato Victor tutto sarebbe stato possibile.
Giunti a destinazione venne il momento di congedarsi e Yuuri la salutò inchinandosi, con quel rispetto verso le persone anziane tipico della sua cultura e della sua educazione.
"Grazie per aver vegliato su di me durante il viaggio obaasan* e per i biscotti."
"Oh tesoro sono io che devo ringraziarti, hai reso il tragitto molto piacevole! Mia figlia sarà qui a momenti, potremmo accompagnarti noi al Palazzo del Ghiaccio."
Erano sulla banchina della stazione, dove il via-vai dei passeggeri si era placato in concomitanza dell'ora di pranzo; al bambino cadde l'occhio sull'orologio digitale e gli prese un colpo: erano quasi le due e le gare sarebbero cominciate di lì a mezzora!
"Mi dispiace, sono già in ritardo obaasan!"
La gentile nonnina lo vide scomparire alla velocità della luce nel sottopasso e scosse il capo sospirando “Benedetti ragazzi moderni, sempre di corsa!”
Yuuri sapeva che c'era una fermata della metro all'uscita della stazione, doveva solo azzeccare la linea giusta che lo portasse fino al parco sportivo di Edogawa, però un conto era la teoria, un altro la pratica.
La metropolitana di Tokyo era un dedalo di linee e stazioni che ad un ragazzino cresciuto in una piccola città sembrava un garbuglio incomprensibile e dopo aver perso ben cinque minuti del suo prezioso tempo a contemplare la cartina decise di usare i vecchi metodi.
"Mi scusi signore..."
L'addetto all'ufficio informazioni fu costretto ad allungare il collo, perché l'utente arrivava a malapena al bancone.
"Che c'è piccolo, ti sei perso?"
Niente di grave, in una stazione così grande non passava giorno che qualche marmocchio perdesse di vista la sua classe o i genitori, il personale era abituato a fare fronte a questo tipo di emergenze; tuttavia il bambino rispose con un fiero diniego e gli allungò un tesserino sportivo.
"Federazione Regionale di Pattinaggio di Figura, Prefettura di Saga..." lesse l'uomo incuriosito "Ah! Sei qui per il Gran Prix di pattinaggio allora!"
Yuuri annuì entusiasta e precisò "Non capisco quale linea della metro prendere per arrivare ad Edogawa."
"Non ti serve la metro! C'è un servizio di navette gratuito che parte dal piazzale qui di fronte... Ehi! Aspetta!" l'uomo si sporse, voleva dargli una cartina e dei depliants informativi, ma il bambino era già scappato via, come se avesse il diavolo alle calcagna.
Individuare il pullman fu piuttosto facile; aveva un grande display che indicava la destinazione e la carrozzeria era fasciata con una vistosa pubblicità dell'evento.
Di nuovo Yuuri ebbe la conferma che quel viaggio era nel suo destino: un Victor enorme e sorridente lo aspettava effigiato sulla portiera, che si aprì davanti al passeggero ritardatario e lo inghiottì, per poi partire alla volta della cittadella sportiva di Edogawa.



Durante il percorso il bambino notò a malapena le meraviglie della grande metropoli; gli altissimi grattacieli, il traffico pedonale variopinto e bizzarro delle signore in kimono e delle lolite coi loro leziosi abitini da bambola non lo attiravano quanto fare l'inventario dello zaino.
Controllò che il regalo per Victor fosse al suo posto e la rosa blu era ancora lì, appena sgualcita, ma passabile. L'aveva comprata il giorno prima ed era costata un occhio della testa, perché il fioraio aveva dovuto ordinarla apposta, a causa del colore insolito.
La navetta si fermò davanti al palazzo del ghiaccio puntualissima, allo scoccare della mezzora, e Yuuri si diresse baldanzoso verso le porte a vetri, dove però venne intercettato dagli addetti alla sicurezza.
"Biglietto prego."
"Bi-biglietto?"
"Per entrare serve il biglietto, tremila yen per gli adulti, duemila e cinquecento per i bambini."
L'interpellato impallidì, poi arrossì di vergogna: lui non aveva tutti quei soldi!
Aveva speso fino all'ultimo centesimo per il treno!
La sua buona stella aveva già smesso di brillare?
La fortuna si era esaurita così presto?
Dove rinunciare ad un passo dalla meta?
Era ormai in preda al panico quando nella sua visione periferica entrò una coppia di coetanee in tuta da ginnastica coi borsoni sportivi a tracolla e gli venne un'idea.
Frugò nelle tasche del giaccone e mostrò il tesserino della Federazione di pattinaggio; si stava giocando il tutto per tutto, dentro o fuori, vedere Victor o non vederlo.
"Potevi dirlo subito!" esclamò l'uomo dopo averlo letto "L'ingresso dei volontari e del personale in servizio a bordo pista è sul retro, esci e costeggia l'edificio... Ehi! Non correre! Gli atleti stanno facendo riscaldamento, non c'è fretta!" il piccolo era già scomparso e l'uomo si strinse nelle spalle scuotendo la testa "Ah, ragazzini..."



Accedere agli spogliatoi e confondersi con gli altri assistenti di pista fu facilissimo; dando per scontato il motivo della sua presenza la responsabile gli diede un cartellino e una pettorina col logo ufficiale del Grand Prix, poi lo invitò ad indossare i pattini.
Portarseli dietro da Hasetsu era stata una faticaccia, ampiamente ripagata dal fatto di poter accedere direttamente alla zona riservata ai concorrenti.
Era una prospettiva che andava perfino al di là dei suoi sogni più arditi: non avrebbe visto la gara dalle gradinate, ma direttamente dal rink!
Alcuni concorrenti erano già sul ghiaccio, essendo il primo giorno di gare dovevano cimentarsi nel programma breve e questo metteva ansia un po' a tutti, per via dell'elevata difficoltà.
I giudici non valutavano tanto le combinazioni di passi, l'espressività o la coreografia, quanto le capacità di esecuzione, pulizia e tecnica con cui venivano affrontati degli elementi richiesti nel programma.
Non c'era spazio per sbavature e indecisioni e spesso l'ansia giocava brutti scherzi anche agli atleti più navigati.
Ma non a Victor Nikiforov ovviamente.
Lui era perfetto.
Quando Yuuri lo individuò sentì un brivido corrergli lungo la schiena e propagarsi in un piacevole formicolio in ogni parte del corpo.
Era bellissimo nel suo costume blu e argento; alto, slanciato, coi capelli raccolti in una morbida coda e un filo di trucco che metteva in risalto i magnifici occhi turchesi.
Sembrava perfettamente rilassato, a suo agio, al contrario di quel mastino del suo allenatore, il cui cipiglio era più contrariato del solito.
Ad un certo punto disse qualcosa e l'allievo scoppiò a ridere, indisponendolo ancora di più.
A Yuuri la sua risata parve il suono più melodioso che avesse mai sentito.
Vedendolo staccarsi dal parapetto e scivolare con aggraziata sicurezza sulla pista trattenne il fiato: il giovane russo non pattinava, volava e le sue lame non graffiavano la superficie insidiosa, la sfioravano appena.
Ad un certo punto passò abbastanza vicino da permettergli di distinguere perfino i ricami argentati della sua blusa; Yuuri abbassò gli occhi e sentì le guance andare a fuoco, sperava al medesimo tempo che lo notasse e che fosse diventato invisibile.

Una mano si posò sulla sua spalla e mise fine a quel misto di benessere e imbarazzo, i volontari avevano bisogno di aiuto per distribuire l'acqua ai vari team sportivi presenti e fu costretto a malincuore ad allontanarsi.
I giudici avevano preso posto, le luci si erano concentrate sulla pista, lasciando gli spalti avvolti nella penombra.
Lo speaker diede il benvenuto in giapponese e inglese, fece un breve preambolo, presentò i componenti della giuria e infine pronunciò il nome del primo concorrente a cui seguì un applauso di incoraggiamento da parte del pubblico.
Yuuri si accorse che stava tremando come se in gara avesse dovuto andarci lui.
Il cestino delle bottigliette si svuotò in fretta, ma si guardò bene dal tornare a riempirlo; non voleva perdere nemmeno un minuto della competizione, perché doveva capire quali avversari potevano dare noie al suo idolo.
Scelse un nascondiglio defilato vicino alla postazione dei paramedici e rimase lì fino alla fine della competizione.
Il russo fu l'ultimo ad esibirsi, prima di lui aveva gareggiato il suo compagno di squadra, Georgi Popovich, verso il quale Yuuri non sentiva il medesimo trasporto; sebbene fosse un bravo pattinatore, forse più preparato dal punto di vista tecnico non gli provocava le stesse emozioni.
Dal momento in cui iniziò la musica il piccolo giapponese andò in apnea; oltre le lenti dei suoi occhiali c'era spazio solo per l'elegante figura di Victor; la fluidità dei suoi movimenti, la leggerezza rarefatta della coreografia, l'espressione del viso sempre composta, nonostante l'evidente sforzo di alcuni passaggi lo rendevano etereo, quasi immateriale.
Lo aveva già visto gareggiare in televisione naturalmente e credeva di conoscere ogni passaggio, ogni sfumatura del suo modo di pattinare, ma guardarlo dal vivo, sentire il rumore roco delle lame o il tonfo cadenzato all'atterraggio di un salto lo emozionarono fino alle lacrime.
Yuuri si accorse di piangere a dirotto quando ormai l'esibizione era giunta al termine e il pubblico stava già applaudendo, mentre dalle gradinate piovevano fiori e peluche.
Senza pensarci tolse i coprilama e corse in pista ad accaparrarsi il pupazzo più bello sottraendolo ad una ragazzina che lo aveva puntato prima di lui.
Con un diabolico ghigno di soddisfazione si lasciò alle spalle i richiami della coetanea e pattinò veloce ai cancelli di uscita col suo bottino, intenzionato ad offrirlo a Victor, che stava uscendo in quel momento.
Il giovane atleta vide prima il barboncino di pezza, poi chi glielo stava porgendo e si fermò.
"È per me?" chiese in inglese sgranando un largo sorriso.
Yuuri così audace nella sua incursione di un attimo prima aveva perso completamente la parola; non aveva considerato l'effetto devastante di avere Victor Nikoforov a distanza ravvicinata, si limitava a fissarlo con due occhi enormi e il russo pensò bene di peggiorare le cose.
"Kawaii!" esclamò, poi catturò peluche e bambino giapponese in un unico abbraccio e stampò un impetuoso bacio a schiocco su quella gota morbida e rotonda.
L'attimo dopo era già lontano trascinato via dall'onda degli strilli del coach Feltsman che gli intimava di raggiungerlo al Kiss And Cry.

Era accaduto tutto molto in fretta e Yuuri di solito aveva bisogno di tempo per elaborare gli accadimenti.
Tastò con enorme cautela la guancia, dove gli sembrava di sentire ancora il tepore e l'impronta delle labbra; era successo sul serio? Non stava sognando? Non era caduto dalle scale della locanda ed era svenuto?
No, si trovava davvero al palazzo del ghiaccio di Edogawa e il suo eroe gli aveva appena dato un bacio.
Sentì le gambe farsi di gelatina, mentre un pulviscolo di lucciole dorate gli danzava davanti agli occhi.
Aveva bisogno di sedersi.
Vacillando incerto guadagnò una panchina addossata alle gradinate e si lasciò cadere; dallo strato di ovatta in cui era avvolta la sua testa percepì vagamente la lettura dei risultati e il successivo applauso, che sanciva la prima posizione provvisoria di Victor in classifica, ma lui non riuscì a gioirne.
Il suo serbatoio della felicità era pieno, non poteva contenere altro o sarebbe scoppiato.
Gli restava solo una cosa da fare per concludere con successo la missione: trovare il modo di consegnargli la rosa blu.



Quando Victor uscì dal palazzetto sentì la stanchezza avvolgerlo come una cappa di piombo; si era attardato a ciarlare con alcune ammiratrici, che lo avevano bloccato all'uscita degli spogliatoi e, per non deluderle, si era prestato a fare qualche selfie insieme a loro.
Adesso l'unica cosa che voleva era andare in albergo, rimpinzarsi di schifezze alla faccia della dieta di Lilia, poi andare in letargo fino al pomeriggio del giorno dopo.
Yakov avrebbe provato a svegliarlo senza successo quindi avrebbe sfogato la sua frustrazione sul povero Georgi, sempre pronto ad obbedirgli, disciplinato come un bravo soldatino.
Al diavolo la disciplina, non c'era Georgi in testa alla classifica e con un programma Libero in grado di far strabuzzare gli occhi a quelle cariatidi ammuffite della giuria!
Al suo ridacchiare rispose un colpetto di tosse.
Il giovane russo si guardò attorno sorpreso; ormai erano usciti tutti e lo spiazzo davanti all'ingresso riservato agli atleti era deserto, o almeno gli sembrò finché non individuò una figuretta ferma al margine dell'area illuminata.
Chissà perché pensò ad un piccolo Hobbit; altezza e corporatura corrispondevano, poi, però, notò un paio d'occhi a mandorla sotto la fitta frangia bruna e non c'erano hobbit giapponesi nei libri di Tolkien!
Quel viso paffuto, che faceva capolino tra la sciarpa e la cuffia di lana aveva qualcosa di familiare... Dove lo aveva già incontrato?
Abbozzò un saluto con la destra e l'altro rimase immobile, allora fece un passo verso di lui e il piccoletto, in modo speculare, ne fece uno indietro.
Provò di nuovo e ottenne il medesimo risultato.
Nonostante la stanchezza, venne coinvolto in un inseguimento nel piazzale, ma grazie alle sue gambe lunghe, riuscì a raggiungere il fuggitivo in due balzi e ad agguantarlo per la collottola.
"Ehi! Dove scappi? Guarda che non ti mangio, anche se ho una fame che mangerei Yakov allo spiedo!"
Chissà se il marmocchio aveva capito qualcosa della sua insalata di russo all'inglese!
Di fatto si girò e lo fissò con gli occhioni spalancati a fanale, porgendogli subito dopo un involucro argentato con dentro una rosa un po' appassita.
Ecco dove lo aveva visto!
Era il bambino col peluche che aveva incrociato all'uscita della pista!
Non riuscì nemmeno a terminare i giusti collegamenti mentali: il giapponese taglia extra small emise un singulto, il suo labbro inferiore tremò appena, poi scoppiò in un pianto devastante.

Fine Seconda Parte


☼ La voce dell'innocenza ☼

Ohi-Ohi vi lascio sul più bello con Victor alle prese con la prima crisi di pianto del nostro giapponesino (dovrà affrontarne altre in futuro come ben sappiamo!).
Vitya è entrato in scena e il piccolo Yuuri deve fare i conti con la sua timidezza travolta dalla personalità impetuosa del campione Juniores.
Quando era partito da Hasetsu non poteva immaginare che le cose prendessero una piega del genere e adesso?
Cosa succederà?
Yuuri, che è riuscito a compiere un'impresa epica e ad intrufolarsi nel palaghiaccio sprezzante del pericolo, davanti al russo è andato in confusione, ma Vitya ha pronta una soluzione molto creativa per sistemare le cose, lo scoprirete nel prossimo aggiornamento :D


Traduzioni:
Kami= divinità scintoiste.
Omikuji= bigliettino oracolare reperibile presso i templi scintoisti e buddisti.
Obaasan= dal giapponese "nonna", è un termine con cui ci si rivolge a persone anziane che non necessariamente appartengono alla propria famiglia.

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Capitolo 3
*** Capitolo III° ***


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CAPITOLO III°

"Vitya! Vitya maledizione cosa stai facendo? Metti giù quel ragazzino!"
D'accordo, la situazione poteva dare adito ad equivoci, tuttavia Yakov doveva smetterla di strillare così o non sarebbe arrivato ai sessant'anni!
Il coach, dopo averlo aspettato invano, aveva messo Georgi sulla navetta per l'albergo col resto del team ed era andato a cercarlo, convinto di trovarlo a fare il cascamorto con le sue fans.
Mai avrebbe immaginato di vedere il suo allievo più dotato aggirarsi nel piazzale retrostante alla struttura sportiva con in una braccio un bambino che piangeva disperatamente, mentre lui provava a calmarlo.
"Oh Yakov, sei qui!" il giovane russo si avvicinò tutto agitato "Non riesco a capire bene quello che dice, penso si sia perso!"
"Perché secondo te io parlo il giapponese?" sbraitò l'uomo, provocando un'altra crisi di pianto del moccioso.
"Che ne so, hai viaggiato molto..." rispose l'allievo stringendosi nelle spalle, poi lo redarguì "E finiscila di urlare, lo spaventi!"
Yakov sentì la sua ulcera riacutizzarsi; Vitya era una calamita di casini, imprevisti e contrattempi, non poteva starsene tranquillo a perdere la vista su You Porn o i neuroni sui social come tutti gli adolescenti della sua età.
No!
Doveva raccattare il "Bambino perduto" delle favole e rifilargli l'ennesima rogna alla fine di una giornata stressante! "Ah..."
Un sospiro segnò la sua capitolazione.
"Resta qui con lui, vado a chiamare un responsabile della sicurezza, vediamo se può fare qualcosa."
"Grazie! Lo sapevo che avresti risolto tutto!"
Il giovane sgranò il suo miglior sorriso a cuore e il coach si allontanò brontolando, per non avere la tentazione di cancellarglielo con uno scappellotto.



"Gomen, gomennasai..." concluse Yuuri alla fine del breve resoconto all'addetto, che lo aveva ascoltato incredulo e ammutolito, mentre i russi cercavano di afferrare il senso di quel fitto monologo.
"Che cosa ha detto?" Victor era il più impaziente di sapere la verità, il piccolo hobbit con gli occhi a mandorla lo guardò di sottecchi e poi ripeté la formula magica con aria dispiaciuta.
Gomen doveva tradursi in una richiesta di scuse o giù di lì; non poteva esserne sicuro, i giapponesi erano complicati, una parola aveva trenta sfumature diverse a seconda di chi la pronunciava e in quale situazione.
Anche l'uomo era in imbarazzo e s'intuiva che il ragazzino fosse una bella grana da risolvere.
"Allora?" Yakov era per i metodi spicci ed aveva esaurito la scorta di pazienza dei successivi sei mesi.
Voleva affidarlo al personale della struttura sportiva e tornarsene in albergo prima possibile, ma Vitya gli aveva fatto una piazzata mostruosa, dandogli dell'insensibile, del cuore di pietra minacciandolo perfino di non fare il Libero.
Considerata, la sua posizione in classifica, il coach aveva deciso che forse valeva la pena aspettare.
"Allora... Il bambino si chiama Yuuri e dice di essere venuto da solo, dal Kyushu, per veder gareggiare Victor Nikiforov nello Junior Grand Prix."
"Oh, sei venuto per me!" trillò il pattinatore tutto fiero e lusingato "Ma... Dove si trova il Kyushu?"
"È quello il problema. È una regione a sud di Tokyo."
"Quindi?"
"Molto a sud." precisò il responsabile "A circa seicento chilometri da qui."
"Cosa?" la simultanea esclamazione di sgomento dei russi riempì l'atrio del palazzetto, che stava cominciando ad affollarsi per la gara serale della categoria Senior.
Yuuri li sbirciò di nuovo e chinò il capo, rinnovando le sue scuse "Gomennasai..."

Solo osservando l'espressione incredula di Victor cominciò a rendersi conto dell'enorme guaio in cui si era cacciato: era fuggito da casa imbarcandosi in un viaggio lungo e pericoloso per un bambino di dieci anni, si era intrufolato di nascosto nel palazzetto ed ora non sapeva come rimediare e nemmeno come tornare ad Hasetsu.
Tirò su col naso e asciugò una grossa lacrima con la manica del giaccone, i fazzoletti erano chissà dove in fondo al suo zaino.
Fortunatamente lì c'era qualcuno ben attrezzato contro certe emergenze; il giovane russo aprì il suo peluche porta fazzoletti e si mise all'opera per contenere i danni.
“Adesso che succede?” chiese nel frattempo Yakov all'uomo intento ad armeggiare col suo cellulare.
“Da regolamento chiamerò la polizia, ci penseranno loro ad avvisare i genitori e a tenere in custodia il bambino finché non lo verranno a riprendere.”
“No!”
I tre si girarono verso Victor, autore della vigorosa negazione.
“Vitya...” il coach provò a bloccarlo immaginando uno dei soliti sproloqui del suo pupillo, ma era già troppo tardi.
“Lo lasceresti una notte intera in una stazione di polizia? Da solo?”
“Non sarebbe da solo, non dire sciocchezze! Avranno eserciti di assistenti sociali e psicologi qui, non è la Russia!”
“E se invece lo mettessero in cella?”
“Magari è una buona idea, così non scappa di nuovo!”
“Yakov...”
“Oh no! No! No! No! Non provarci! Non farla nemmeno entrare nell'anticamera del cervello! Lascia l'eresia a cui stai pensando dov'è!”
Inutile.
Come da copione Vitya faceva l'esatto contrario di ciò che ci si aspettava da lui; sgranò gli occhioni e sfoderando la sua aria da angioletto si rivolse in inglese al responsabile della sicurezza “ Se lei contatta i genitori e gli spiega la situazione evitiamo di coinvolgere la polizia; alloggiamo in un albergo a cinque minuti da qui, possiamo ospitarlo noi stanotte, lo guardi è così stanco e spaventato!”
L'uomo, che sotto la divisa aveva un cuore e a casa un paio di figli adolescenti, osservò il bambino e sospirò.
“Facciamo un tentativo.” disse e poi si rivolse in giapponese a Yuuri “Vieni, proviamo a chiamare mamma e papà, così li rassicuriamo che stai bene.”
Yakov approfittò del loro momentaneo allontanamento, prese l'allievo e lo trasse in disparte “Cosa c'è di sbagliato in te? ”
“Avresti davvero lasciato quel bambino ai poliziotti?”
“Si maledizione! È questa la procedura corretta! Hai idea delle grane che ci stai tirando addosso? Il team russo dovrebbe risponderne nel caso gli succedesse qualcosa!”
“Quel bambino è venuto per vedere me! Ha fatto seicento chilometri solo per essere qui oggi, non puoi ignorare un fatto del genere!”
“Mi stai dicendo che... Ti senti responsabile per lui?”
“Si!”
“Ah! Quindi nel caso domani uno spettatore si facesse male durante una tua esibizione gli pagheresti le spese mediche?”
“Può darsi!”
“Sant'Iddio che scempiaggini mi tocca sentire...”
“Dici sempre che bisogna essere gentili e disponibili coi propri sostenitori, perché è importante avere un pubblico amico!”
“Si, ma tu lo stai interpretando alla lettera!”

Il ritorno dei due giapponesi interruppe l'alterco.
L'espressione di entrambi era più tranquilla, anche se il visetto rotondo del più piccolo appariva molto provato; sicuramente era stata una grande emozione risentire i suoi, chissà cosa si erano detti in quei minuti!
L'allenatore russo rivolse un'occhiata interrogativa al responsabile, lui annuì e prese a parlare “All'inizio i genitori non volevano crederci, pensavano ad uno scherzo di cattivo gusto, perché il bambino doveva rincasare all'ora di pranzo e quando non si è presentato potete immaginare... Poi questo signorino gli ha raccontato tutta la storia e io gli ho confermato che sarebbe stato ospite della squadra russa di pattinaggio.”
“Quindi è cosa fatta!” esclamò entusiasta Victor, che prese la mano al piccolo Hobbit e si avviò trionfante, come se quello fosse il suo premio alla brillante prestazione della giornata.
Yakov invece sentì la mancanza delle sue pillole antiacido.

"Comportati bene e non fare fastidio!"
"Hai mangiato oggi tesoro?"
"Sul serio Victor Nikiforov e la squadra russa ti tengono a dormire da loro? È una storia da sballo..."
"Mari! Tuo fratello è a seicento chilometri di distanza! Forse non afferri la gravità della situazione!"
"Beh? Se gli Hotch Potchi mi ospitassero dopo un concerto io ne farei anche mille!"
"Tesoro prenderemo il primo treno disponibile domani mattina, abbiamo il numero e l'indirizzo dell'albergo, fai il bravo e non dare problemi ai tuoi ospiti, va bene? Sappiamo che sei un bambino educato e giudizioso..."
"Hiroko il tuo bambino educato e giudizioso è scappato di casa!"
"Il bambino sta bene ed è con persone affidabili, questo è l'importante."


Dalla concitata conversazione telefonica coi suoi genitori Yuuri aveva concluso che il danno era grave, ma non irrimediabile; dovendo fare una percentuale erano al quaranta per centro di arrabbiatura e al sessanta di sollievo.
Mari invece stava schiattando d'invidia, a lei non sarebbe mai capitato che il suo cantante preferito l'abbracciasse, la baciasse e la ospitasse per la notte!
Anche adesso che Victor gli teneva la mano e sorridendogli ciarlava a ruota libera in un inglese di cui capiva una parola su dieci, anche in quella circostanza Yuuri faticava a realizzare che non fosse solo un sogno.



“Tu non parli molto eh?”
L'interpellato distolse lo sguardo dal caos della camera da cui il legittimo occupante aveva appena battuto fuori il compagno.
Georgi aveva provato a contrattare una dignitosa collocazione sul divano per il nuovo arrivato, la stanza era grande e il nanerottolo giapponese non occupava molto spazio; tuttavia Victor fu irremovibile, il loro ospite aveva bisogno di riposare e sarebbe stato impossibile farlo con qualcuno che chattava su Messenger fino alle tre del mattino!
Messo alle strette, davanti alla scelta di trasferirsi dal coach o dal medico della squadra, che si alzava sempre alle sei e andava a fare Jogging, optò per la seconda ipotesi.
Yakov russava come un trombone e almeno un paio d'ore voleva dormire in pace!
“Gomen...” ripose il bambino chinando il capo.
“Non c'è bisogno di scusarsi ogni volta!” esclamò Victor sgranando uno dei suoi sorrisi a cuore “Vuoi mangiare qualcosa?”
“Uhm... No grazie.”
Al bisbiglio seguì un cavernoso brontolio, il suo stomaco la pensava in maniera diversa; da ore non metteva qualcosa sotto i denti e le provviste nello zaino erano finite a pranzo. Forse era stato poco lungimirante nel programmare il viaggio.
“Gomen...” bisbigliò arrossendo.
Il bambino era chiaramente a disagio, toccava al suo ospite prendere in mano la situazione; i giapponesi non tossivano o starnutivano in pubblico, a costo di implodere; erano troppo educati per manifestare le loro necessità; quindi se lui era affamato (e lo era!) doveva provvedere l'invadente gaijin.
“Io invece ho una fame da lupi!” esclamò il russo, che sottolineò il concetto massaggiando la pancia “Ordinerò la cena in camera, una cena molto, molto abbondante, magari... Cambi idea!”
Yuuri fu invitato a servirsi del bagno se voleva rinfrescarsi e, mentre era chiuso dentro, lo sentì stilare una lunga lista di pietanze alla receptionist.
Quando uscì gran parte del disordine era scomparso, il letto di Georgi era stato sistemato e il giovane campione si era già cambiato indossando sopra un paio di comodi leggins neri un assurdo maglione oversize dai colori pastello che gli arrivava alle ginocchia; aveva i capelli appuntati con una molletta e dalla crocchia sfuggivano alcune ciocche argentee.
Si era messo in "tenuta da casa", anche se Victor indossava con uguale eleganza e disinvoltura un maglione sformato e il costume di gara.
Yuuri non riusciva a smettere di fissarlo ed era molto maleducato da parte sua; l'altro se ne accorse e gli scoccò un altro sorriso di cui, insieme alle chiacchiere, sembra avere una scorta inesauribile.
Non sempre comprendeva il senso del discorso, però il suono della sua voce era ipnotico, rilassante, come quello delle sirene.
“Quindi anche tu fai danza classica?”
A forza di parlare qualche informazione era riuscita ad averla ed era arrivato alla conclusione che il piccolo Hobbit dagli occhi a mandorla stava zitto non tanto per educazione, quanto per timidezza.
L'interpellato annuì compunto e subito dopo emise un gridolino di stupore nel vedere Victor mettersi sul pavimento e piegarsi all'indietro, componendo un arco.
"Lo sai fare questo?"
Yuuri tentennò qualche istante, poi lo imitò; adesso si guardavano entrambi con la testa all'ingiù ed era buffo vedere il sorriso del russo capovolto.
"Allora sai come si ride!"
Il servizio in camera arrivò poco dopo; davanti a tutto quel ben di dio le remore del bambino svanirono completamente e scoprì che condividere un'enorme crepe farcita di marmellata facilitava la conversazione.
"Sei iscritto a qualche Federazione di pattinaggio?"
Yuuri gli rivolse un cenno affermativo, mandò giù il boccone e gli mostrò il suo tesserino "Alla Prefettura di Saga, che fa parte della Regione del Kyushu."
"Sei alle regionali?" esclamò a voce alta l'interlocutore facendolo sobbalzare "Allora sei bravissimo!"
"Ecco io..." Yuuri voleva dirgli che le federazioni regionali giapponesi non potevano certo essere paragonate a quelle russe per il livello degli atleti, ma Victor era già partito a testa bassa coi suoi ragionamenti.
"In un paio d'anni arriverai alle selezioni nazionali e questo significa che potremo incontrarci sul ghiaccio e gareggiare insieme!"
Il bambino lo fissò sconvolto; non aveva mai preso in considerazione questa possibilità; è vero, lo aveva detto a Yuko poco prima di partire, però era stata una spacconata tirata fuori al solo scopo di impressionare l'amica.
Insomma quello era Victor Nikiforov, il talento naturale, la promessa del pattinaggio artistico mondiale, l'atleta che frantumava un record dopo l'altro e lui era là sotto da qualche parte, confuso nella massa plebea dei pattinatori comuni.
"Devo dirlo a Yakov, di certo non immagina che tu sia così dotato... E voleva lasciarti alla polizia! Hai pensato al programma della prossima stagione? Quante volte ti alleni alla settimana?" Victor s'interruppe, il bambino aveva smesso di rispondere e, osservandolo più da vicino, si accorse che si era addormentato con la testa a ciondoloni "Oh... Eri proprio stanco!"



"Yuuri?"
"Uhm..."
"Yuuri andiamo svegliati!"
"Cinque minuti..." borbottò l'interpellato in giapponese, appallottolandosi nelle coperte.
"Vkusno!” trillò l'ignoto disturbatore in tono estasiato.
Quella vocina petulante non era della mamma, né di Mari, nessuna delle due aveva l'abitudine di tormentarlo pungolandolo e tappandogli il naso per costringerlo a svegliarsi.
Quando Yuuri decise di averne abbastanza aprì gli occhi e si trovò davanti il sorriso a cuore di Victor, leggermente fuori fuoco a causa della miopia.
La prima cosa che fece fu di allungare una mano e toccargli il viso; dunque era reale, non si trattava di un sogno, aveva dormito nella sua stanza, cenato con lui e usato perfino lo stesso bagno!
“Forza alzati e vestiti, dobbiamo andare!” ribadì il giovane russo impaziente.
“Andare? Sono arrivati mamma e papà?” chiese Yuuri assonnato, reprimendo uno sbadiglio “Che ore sono?”
“No, non c'è ancora nessuno! Sono le sette del mattino e noi adesso andiamo al palazzetto del ghiaccio!”
"Eh?"
"Si forza, sbrigati!"
"Ma i miei genitori..."
"Ho pensato a tutto io! Vedrai ci divertiremo!"
Il suo ospite non aveva voluto sentire ragioni, lo aveva tirato giù dal letto spingendolo a viva forza in bagno a lavarsi.
Yuuri aveva provato a temporeggiare, ad appellarsi al buon senso, mentre Victor gli infilava lo zainetto in spalla e sistemava la frangetta ribelle appuntandogliela con una delle sue spilline colorate.
Il russo era stato inarrestabile, implacabile e anche un po' insensibile alle sue timide obiezioni.
Dopo aver arraffato qualcosa da mangiare al buffet dell'albergo lo aveva trascinato di corsa fino al palazzetto di Edogawa, mentre lui, ancora rintronato, si domandava il perché di quella levataccia.



"Santo cielo..."
La signora Katsuki aggiustò gli occhiali sul naso per seguire meglio le evoluzioni della strana coppia all'opera sulla pista di pattinaggio.
"Siamo davvero spiacenti di aver causato tanto disturbo" ribadì costernato il marito, inchinandosi per l'ennesima volta.
Yakov rispose con un sospiro.
Era toccato a lui stare di vedetta davanti all'albergo fino all'arrivo della coppia, ed era toccato sempre a lui spiegare perché il loro rampollo non era lì ad aspettarli.
Quando aveva trovato il bigliettino in cui l'allievo annunciava di aver portato il marmocchio a pattinare gli era preso un colpo.
Cosa sarebbe successo se il bambino fosse caduto?
Aveva idea delle conseguenze?
Ovviamente no.
Il coach ancora non capiva se la sua noncuranza fosse genetica, caratteriale o se ci fosse da parte di Vitya una diabolica volontà di fargli saltare i nervi a forza di bravate.
Ed eccoli lì i due fuggitivi a divertirsi sul ghiaccio, nel più totale disimpegno, come ragazzini qualsiasi, in un giorno qualsiasi e non alla vigilia del Libero, che avrebbe fatto vincere al russo la tappa di Tokyo mettendo una seria ipoteca sullo Junior Grand Prix.
L'allenatore chiuse gli occhi e inspirò profondamente; una cosa lo irritava più dell'irresponsabilità dell'allievo ed era che pattinasse male.
"Scusate un momento."
I signori Katsuki lo video allontanarsi verso il bordo pista e subito dopo lo sentirono sbraitare "Vitya! Vitya maledizione! Quel doppio flip tutto fuori asse è inguardabile! Se vuoi insegnare qualcosa, almeno insegnala come si deve!"
Yuuri alzò la testa nella sua direzione e dietro di lui scorse le figure dei genitori e sussultò.
Hiroko gli tese le braccia ed il figlio si precipitò da lei dimenticandosi del pandemonio che aveva scatenato con la sua fuga.
"Mamma!"
Victor lo seguì a breve distanza, era contento della riunificazione, ma anche preoccupato che quella del piccolo Hobbit fosse una famiglia severa, perciò si teneva pronto a salvare il suo protetto da una terribile scenata.
Tuttavia non fu necessario alcun intervento; Yuuri si liberò quasi subito dall'abbraccio e annunciò orgoglioso "Mamma, papà lui è Victor Nikiforov!"
"Oh tesoro lo avevamo riconosciuto..." annuì la madre, poi si rivolse al giovane russo e in un inglese tentennante aggiunse "Grazie per esserti preso cura di lui."
Tutta la famiglia Katsuki s'inchinò in perfetta sincronia e l'oggetto dei loro ringraziamenti arrossì imbarazzato, un evento che a Victor accadeva di rado.
“È stato un piacere! Vostro figlio è un bravissimo pattinatore!” esclamò a sorpresa il giovane russo e stavolta toccò a Yuuri arrossire e incassare la testa nelle spalle “Crescerà ancora tanto nei prossimi anni e presto diventerà un temibile rivale!”
Sentirsi elogiare in quel modo dal suo idolo senza aver fatto nulla di particolare per meritarlo lo mandò in confusione; anche la sua famiglia era ammutolita e Victor ne approfittò per mettere a segno un colpo basso.
“Quindi sono sicuro che lo aiuterebbe molto se potesse restare fino a domani a vedere la finale!”
Yakov non intervenne nemmeno, si limitò a nascondere il viso nelle mani e a scuotere il capo, il cervello del suo pupillo produceva assurdità ad un ritmo troppo elevato, perché riuscisse a rimediare in tempo.
“Non posso.” stavolta fu Yuuri a stupirli, accennò un inchino e aggiunse a mo' di spiegazione “Ti ringrazio, ma dobbiamo tornare a casa, c'è molto lavoro alla locanda in questi giorni e la mia famiglia non può assentarsi così tanto.”
“Oh...”
Alla delusione di Victor corrispose lo sguardo fiero che la signora Katsuki indirizzò prima al figlio, poi al marito; aveva ragione, il loro bambino era davvero un ometto giudizioso!
“Però... Ti guarderò in televisione! Non mi perderei la finale per niente al mondo... Devi vincere la tappa di Tokyo e il Grand Prix!” “Solo se tu mi prometti che prima o poi gareggeremo insieme.”
Yuuri annuì vigorosamente e gli tese la mano; nonostante la sua indole emotiva minacciasse di tradirlo, voleva congedarsi come facevano i veri sportivi; peccato che Vitya avesse un modo tutto suo di suggellare le promesse: lo abbracciò a tradimento e gli impresse due baci sulle guance sotto lo sguardo allibito dei presenti.
“Un giorno ci ritroveremo su questa pista di pattinaggio!”



“Victor vieni a darmi una mano? Non puoi portare tutto, bisogna fare una cernita!”
Dalla cucina arrivò un brontolio confuso, quando il russo si metteva a pettegolare con Christophe era impossibile farlo smettere.
Yuuri sospirò e guardò il ripostiglio imballato di scatole e valigie fino al soffitto; come era riuscito ad accumulare tanta roba in uno spazio così piccolo?
Beh, da qualche parte doveva cominciare.
Prese l'angolo sporgente di una scatola e cominciò a tirarlo per farla uscire, ma nell'istante in cui la estrasse la pila di oggetti sovrastante ondeggiò e poi gli franò addosso travolgendolo.
Dorogoy, ti sei fatto male?”
Il padrone di casa sentendo tutto quel baccano lasciò a metà la telefonata con l'amico e si precipitò in corridoio dove trovò Yuuri incastrato tra un mare di ciarpame.
“Le tue cianfrusaglie hanno cercato di uccidermi...”
“Non sono cianfrusaglie.” bofonchiò offeso il compagno “Sono tutte cose indispensabili!”
“Non pensavo fossi un accumulatore compulsivo!” esclamò il giovane giapponese, che davanti al broncio del compagno faticava a rimanere serio.
“Sono i miei ricordi più cari, però la casa è piccola, sono costretto a conservarli qui.”
“Questo tovagliolo di carta col logo di una brasserie francese è un... Caro ricordo?” chiese Yuuri scettico mostrandogli il fazzolettino ingiallito, uscito come tanti altri oggetti da una vecchia scatola da scarpe.
“Certamente! È della prima volta che sono stato a Parigi e ho mangiato dei veri, autentici croissant appena sfornati! Ah, ne ricordo ancora l'odore fragrante!”
Yuuri alzò gli occhi al cielo.
"Oh guarda, ci sono anche i biglietti del tram di San Francisco e il sottobicchiere di una birreria di Monaco!" trillò Victor, che s'immerse con entusiasmo nella riesumazione di ricordi e carabattole.
"Mettendoli in un unico album potresti guardarli quando vuoi..."
"Questa sarebbe piuttosto difficile da infilare in un album." dal mucchio di oggetti buttati alla rinfusa emerse un contenitore di cellophane rigido, al suo interno, come una reliquia, era sistemata una rosa, ormai secca, che tuttavia conservava ancora il suo colore blu vibrante.
"Oh..."
"Me la regalò un bambino durante la tappa di Tokyo del Grand Prix Juniores."
"E l'hai conservata da allora?"
"Certo! Mi ha portato fortuna! Quell'anno vinsi il Grand Prix e la stagione successiva feci il mio debutto nella categoria Senior."
"Chissà quanti fiori di persone importanti avrai ricevuto nella tua carriera, perché hai tenuto proprio la sua? Oltretutto mi sembra un po' striminzita come rosa."
"Perché lui non era un bambino qualsiasi! Era un piccolo Hobbit con gli occhi a mandorla!"
"H-Hobbit?" "Si, quindi il suo regalo era magico." annuì serio il russo.
Yuuri gli rivolse un sorriso intenerito, nel suo compagno c'era sempre quel Vitya adolescente col maglione sformato e il sorriso luminoso.
"Aspetta qui."
Il giovane giapponese andò a prendere il portafoglio e da una delle tasche interne prelevò un piccolo oggetto "Cos'è?" chiese l'altro incuriosito.
"Pensi di essere l'unico ad avere dei portafortuna speciali?" trafficò un po' e riuscì ad infilarlo nella confezione trasparente senza aprirla.
Guardando meglio Victor si accorse che si trattava di una spilla per capelli, luccicante di strass colorati, che piacevano tanto alle bambine. Ricordò di aver fracassato l'anima a Lilia per averle, le sue allieve le usavano per fermare gli chignons e lui voleva essere come loro.
C'era un solo motivo per cui quel fermaglio poteva essere nelle mani di Yuuri...
"Perché non me lo hai mai detto?"
"Perché il bambino di allora non è stato all'altezza delle tue aspettative... Quando ci siamo incontrati di nuovo io ero ad un passo dal ritiro, avevo fallito tutti i miei obiettivi, non volevo deluderti ancora di più..." il giovane giapponese si strinse nelle spalle e scosse il capo.
"Eppure abbiamo mantenuto le nostre promesse!" esclamò il russo prendendogli le mani tra le sue "Ci siamo affrontati sul ghiaccio!"
"E io ti ho battuto" sottolineò il compagno con un sogghigno soddisfatto.
"L'anno dopo sono stato io a batterti..." Yuuri sbuffò indispettito e lui sorrise "Adesso andremo insieme in Giappone, ad insegnare alle nuove generazioni."
"Quindi... Va tutto bene?" chiese Yuuri appoggiando la fronte a quella di Victor.
"Non potrebbe andare meglio mio piccolo Hobbit!"
"Credo che questi cimeli meritino un posto speciale nel soggiorno dell'appartamento di Tokyo..."
"Tra le mie medaglie?"
"Tra le nostre medaglie!" sottolineò Yuuri rifilandogli una gomitata nel fianco quando Victor scoppiò a ridere.
"Va bene! Va bene! Volevo solo dire che i miei premi occupano più spazio dorogoy!"
"Smettila di rigirare il coltello nella piaga!"


Fine


☼ La voce dell'innocenza ☼

Ohi-ohi!
Eccoci arrivati alla fine della grande avventura del piccolo Yuuri ^^
Tutto è bene ciò che finisce bene, il nostro giapponesino si è ricongiunto alla famiglia e nel frattempo Victor ha vegliato su di lui, col suo modo un po'... speciale di affrontare le cose.
I nostri piccoli eroi hanno anche avuto il tempo di farsi un giretto sulla pista di pattinaggio prima di salutarsi!
È stata una separazione un po' lunga, ma alla fine li ritroviamo adulti, realizzati e felicemente conviventi in procinto di trasferirsi in Giappone come coach delle future generazioni di pattinatori.
Entrambi hanno conservato un ricordo di quella memorabile giornata e noi abbiamo la conferma (semmai ce ne fosse stata la necessità) che il loro incontro era già stato deciso dal Destino *-*
Siamo giunti al capolinea di questa storia e prima di scendere alla stazione vorrei ringraziare tutto quelli che hanno seguito, apprezzato e commentato con affetto, insieme ai lettori e i "seguitori" silenziosi ^^
Io torno nel reame vampirico, perché la scrittura degli extra prosegue imperterrita nonostante il caldo e chissà, forse all'orizzonte ci sarà anche qualcosa di nuovo!

See you (mediamente) soon to the next level!

Traduzioni:
Vkusno!= dal russo: delizioso!
Dorogoy= dal russo: tesoro
Gaijin= dal giapponese: straniero, non sempre con accezione positiva.

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