Alice, la Mediatrice di milly92 (/viewuser.php?uid=28249)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1: Adattarsi e Adattatori ***
Capitolo 2: *** Day 2: Questione di sostegno ***
Capitolo 3: *** Day 3: I litigi sotto la pioggia non sono come quelli dei film ***
Capitolo 4: *** Di cotte e di crude ***
Capitolo 5: *** La vida es un Carnaval ***
Capitolo 6: *** Day 6: Esprimi un Desiderio! ***
Capitolo 7: *** Day 7: Save The Date ***
Capitolo 8: *** Day 8: Pasticci e Pasticcieri ***
Capitolo 9: *** Day 9: Distrazione, Attrazione ***
Capitolo 10: *** Day 10: Confusione ***
Capitolo 11: *** Day 11: Vaffanculo! ***
Capitolo 12: *** Day 12-13: E’ stato un incidente ***
Capitolo 13: *** Day 14: Da mediatrice ad assistente a.... ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***
Capitolo 15: *** PARTE 2 -Prologo - Day 0: Da Londra a Milano fino a Dublino. ***
Capitolo 16: *** Day 1: Dall'altra parte della scrivania ***
Capitolo 17: *** Day 2: Passato Presente ***
Capitolo 18: *** Day 3: Questione di Ex ***
Capitolo 19: *** Day 4: L'utilità dei Social Network ***
Capitolo 20: *** Days 5-6: Segreti a fin di bene ***
Capitolo 21: *** Day 7: Merito Tante Cose Belle ***
Capitolo 22: *** Capitolo 7 Days 8- 9: Happy Days ***
Capitolo 23: *** Day 10: From Belfast with wine ***
Capitolo 24: *** Day 11: La tradizione dei compleanni movimentati must go on ***
Capitolo 25: *** Days 12- 14: Quello che succede dopo le quattro del mattino... ***
Capitolo 26: *** Day 14: Agire o non agire, questo è il dilemma. ***
Capitolo 27: *** Days 15- 18: Quello che succede a Galway non resta a Galway ***
Capitolo 28: *** Days 19-24: From Belfast with bad news ***
Capitolo 29: *** Days 25-26: Wind of change ***
Capitolo 30: *** Days 27-28: Goodbye ***
Capitolo 31: *** Epilogo - Giorno per Giorno ***
Capitolo 1 *** Day 1: Adattarsi e Adattatori ***
alice1
Alice,
La Mediatrice
Capitolo
1
Day
1: Adattarsi e Adattatori
“Quando ho
saputo che l’azienda avrebbe assunto una mediatrice culturale ho tirato un
sospiro di sollievo. Insomma, me la sono sempre cavata con l’inglese, ma quando
ho saputo che questa volta i ragazzi avrebbero studiato anche spagnolo sono
rimasto decisamente sorpreso... E ci tengo a lavorare bene con te, quindi
eviterò la solita battutina in stile ‘tanto basta aggiungere solo una S a fine
parola’. In sintesi, grazie Alice, mi dispiace dirti che quando si tratterà di
avere a che fare con il team spagnolo ti romperò davvero le scatole”.
Saverio Caponi
mi era subito sembrato il classico Direttore disponibile e alla mano e per
fortuna con quel discorso, fatto ad ora di pranzo il giorno del mio arrivo a
Londra, me lo confermò.
Ero partita da
Roma senza sapere bene cosa aspettarmi perché avevo semplicemente fatto domanda
per questo lavoro tramite il sito dell’azienda, dopo una segnalazione della mia
amica.
Mi aveva detto
che la Emperor Travel cercava una mediatrice culturale per un soggiorno in
Inghilterra di due settimane, per fare da traduttrice tra il team italiano e
quello spagnolo ospite degli inglesi.
Dei ragazzi tra
i quattordici e i diciotto anni, accompagnati costantemente da dei group
leader, sarebbero stati i protagonisti di quella esperienza, avrebbero studiato
inglese e spagnolo, visitato le città vicine al college e ottenuto un attestato
a fine esperienza, come ogni vacanza studio che si rispetti.
Così, appena
laureata da circa un mese, avevo tentato la fortuna e avevo fatto domanda per
poi essere contattata nel giro di una settimana.
“Tranquillo,
sono qui per questo. Amo il mio lavoro, anche se come saprai sono alla prima
esperienza se escludiamo qualche tirocinio” risposi, mentre giocherellavo con
un pezzo di insalata.
“Meglio, così
hai più pazienza e l’entusiasmo avrà la meglio sulla stanchezza, almeno
all’inzio. Non so se hai mai partecipato a queste vacanze studio, ma i ritmi
sono assurdi, te lo dico”.
“No, solo che me
ne hanno parlato. Però non capisco... Voglio dire, ci sarà da mediare anche sul
tardi? Ad esempio, dopo le dieci di sera?”.
Probabilmente
Saverio non mi rise in faccia per educazione e per professionalità, per questo
si limitò a sorridere con un fare quasi paterno, nonostante avesse solo sette
anni più di me.
“Dove ci sono io
con gli spagnoli devi esserci tu. Se c’è un problema, se c’è un cambio di
programma all’ultima ora o se c’è semplicemente una serata organizzata da loro,
io avrò bisogno di te. Ecco perché non avrai un giorno libero mentre i group
leader sì. Il tuo lavoro qui non sa farlo nessuno. Sei indispensabile per la
riuscita del viaggio, ecco perché sono onesto e trasparente sin da ora. Sentiti
libera di dire parolacce quando vuoi! Le accetto volentieri, per me se uno dice
parolacce significa che non ce la fa più, e se non ce la fa più è perché sta
lavorando tanto e di sicuro bene” disse senza giri di parole, per poi aprire
una birra e riempire il mio bicchiere. “Finché non arrivano i ragazzi possiamo
farlo” aggiunse, con tanto di occhiolino.
Ero sorpresa.
Era il mio capo
quello che mi stava parlando in questo modo?
“Sarò sincera,
non sei il direttore che mi aspettavo” borbottai, un po’ a disagio.
Ero abituata ad
avere un rapporto formale con i miei superiori e questo trentadueenne con un
po’ di barbetta e gli occhiali in stile hipster sembrava tutto fuorché rigido e
dedito alle regole.
“Perché stiamo
bevendo birra a ora di pranzo e ti ho appena invitata ad usare un linguaggio
scurrile, se necessario?” osservò.
“Non ho ancora
bevuto...”.
“Oh, dovresti
farlo se questi primi cinque minuti di conversazione ti hanno sorpreso”.
Risi di cuore,
felice di avere a che fare con una persona alla mano e schietta, così obbedì e
bevvi un sorso generoso di birra.
“Ora sei pronta
per firmare il contratto! Davvero, scusami se ti sto sembrando strano o fuori
luogo, solo che il nostro lavoro è così stressante ed intenso che è impossibile
svolgerlo se non si ha confidenza e ci si trova bene”.
Annuii,
accennando un sorriso.
“Immagino. Non
tanto io ma di sicuro gli altri arriveranno esausti a fine turno dopo due
settimane passate con degli adolescenti...”.
“Oh, no, fidati,
anche tu. Ad esempio, gli altri group leaders sono in viaggio al momento,
mentre tu inizierai a lavorare ora. Ci sono mille email di cui devi spiegarmi
il contenuto, poi alle quattro ho un breve meeting con Laura Rosales, la team
leader degli spagnoli. Pronta?”.
“S-sì” borbottai
per poi iniziare a mangiare, più che altro per stoppare il flusso di notizie
con cui Saverio mi stava sommergendo.
Ebbi appena il
tempo di mangiare un boccone del mio hamburger che Mario e Elena,
rispettivamente l’activity e la team leader, entrarono in mensa.
Il primo aveva
il compito di organizzare le varie attività per i ragazzi, l’altra dirigeva il
gruppo come una sorta di vice del Direttore.
“Allora, quanto
ti ha spaventato da uno a dieci?” attaccò subito Elena, dandomi ulteriore prova
della sua parlantina proprio come quando, tre ore prima, ero arrivata al
college e lei mi aveva accolta con una montagna di domande.
“Undici”
biascicai, falsa intimorita.
“Ma dai Alice,
ti divertirai con noi!” esclamò Mario. “Dobbiamo programmare una serata tutta
spagnola, mi raccomando!”.
“Oh, certo”.
“Mario, non dire
stronzate, lo sai che non avrà nemmeno il tempo di respirare, pensaci tu a
queste idiozie”.
Di nuovo mi
tuffai nel mio hamburger e lo mangiai abbastanza velocemente, mentre loro
parlavano della distribuzione delle divise per i group leader, degli zaini,
delle camere, delle liste...
“Tu non avrai la
maglietta rossa che daremo agli altri, che fortunata” disse Saverio. “E’
un’esperienza che non auguro a nessuno, quattordici giorni con jeans e polo
sono asfissianti”.
“Oh, bene”.
“Ti è andata di
lusso, Alì!” disse Mario, con una cadenza tipica campana, ed io annuii senza
sapere cosa altro dire e, per fare qualcosa, presi una mela rossa dal vassoio.
Il mio compito
era comunicare e in quel momento mi sentivo sppraffatta dai pensieri, tanto da
non riuscire ad esprimerli.
Dopo aver firmato
il contratto, tradotto il contenuto di alcune email della Santo Domingo, l’ente
per cui lavorava il team spagnolo, e aver fatto da mediatrice tra Saverio e
Laura Rosales, mi fu detto che potevo starmene in camera fino ad ora di cena –
ovviamente ciò significava le 18.30 –.
A quell’ora metà
degli ottanta ragazzi sarebbe giunta al college, mentre gli altri erano attesi
prima di mezzanotte.
“Ti avviso,
quando arriveranno tutti i group leader, che da ora in poi chiamerò GL, ti
aspetto alla riunione, devi conoscerli” mi aveva detto Saverio.
Io avevo annuito
e poi ero fuggita in direzione dell’uscita dell’ufficio, quasi timorosa di un
suo eventuale cambio di idea.
Avevo due ore
libere ed ero intenzionata a passarle dormendo visto che a quanto pare avrei
lavorato ogni giorno fino a dopo la mezzanotte.
Mi sentivo
strana, ero eccitata perché l’incontro con Laura e il direttore era stato una
figata pazzesca – Laura era di Siviglia e aveva quell’accento Andaluso che amo
da morire – ma allo stesso tempo non sapevo cosa aspettarmi.
Saverio, Mario
ed Elena sembravano ok, ma dovevo ancora conoscere i quattro GL e la
Dottoressa.
Saremmo stati
uno staff di quasi dieci persone, avremmo convissuto per due settimane a
stretto contatto...
Ero una persona
che aveva bisogno dei suoi spazi e temevo di fallire, di perdere le staffe
sotto pressione.
Mi dissi di non
pensarci e optai per una doccia veloce.
Prima di tutto
mi tolsi il badge che recitava
Name/Nombre:
Alice Sebastiani
Job/Trabajo:
Mediatrice Culturale
Nome e professione
era tutto ciò che gli altri potevano sapere di me, era il mio compito farmi
valere, farmi apprezzare, collaborare per rendere l’ambiente di lavoro
piacevole.
Ripensai a quando,
in Erasmus, non mi ero trovata bene con le mie coinquiline e la mia salvezza
erano state due amiche spagnole.
La storia si
sarebbe ripetuta?
Avrei stretto
più amicizia con la Rosales e i suoi colleghi?
Alice,
piantala che sei ridicola! Vivi il momento!
Lasciai che
l’acqua calda lavasse via non solo le impurità di ore e ore di viaggio ma anche
i miei pensieri, così, esausta e ancora in biancheria intima mi appoggiai sul
letto e chiusi gli occhi.
Avevo i muscoli
delle spalle tesi più che mai come ogni volta che affrontavo un viaggio e avevo
dei pensieri ansiosi, poi per fortuna riuscii a scacciarli via e mi
addormentai, seppur per una sola ora e quindici minuti.
Di nuovo,
rapidamente, come avevo fatto quella mattina prima di andare all’aeroporto di
Fiumicino, indossai dei jeans, una maglietta a righe, le Adidas, il badge,
spalmai un velo di fondotinta e di mascara sulla faccia e mi avviai verso la
mensa, che distava circa cinquecento metri dalla zona dei dormitori.
Il campus che ci
ospitava faceva parte dell’immenso Queen’s College, sembrava davvero uno dei
tipici college da film inglese con enormi zone verdi ed edifici bianchi ed
enormi con la bandiera inglese esposta.
Purtroppo la
mensa e i dormitori erano distanti, mentre l’edificio in cui si sarebbero
tenute le lezioni di inglese e spagnolo era a cento metri dalla mensa.
Con lo zainetto
rosso in spalla che mi avevano dato in dotazione insieme al badge mi sentivo
una scolaretta che si appresta a iniziare il primo giorno di scuola, anche se
ormai per me lo studio era, almeno momentaneamente, un ricordo, visto che aveva
da poco concluso il ciclo di studi magistrale e potevo considerarmi un’
“adulta”.
Sì, ero
un’adulta, avevo tutto sotto controllo... Sì, tutto!
Bip
Bip.
Abbasai lo
sguardo e vidi il mio cellulare che si spegneva a causa della batteria scarica.
Per fortuna
avevo chiamato già a casa per dire che era tutto ok, lo avrei ricaricato con
calma quella sera una volta in camera...
“Cazzo,
l’adattatore!”.
Mi bloccai di
scatto nel bel mezzo del marciapiede, a circa cinquanta metri dalla mensa,
mentre dicevo: “Chi idiota parte per l’Inghilterra e non porta con sè
l’adattore?” e, allo stesso tempo, una persona che evidentemente era alle mie
spalle mi veniva addosso per la mia brusca fermata.
“Ehiii!”.
“Oh, scusami!”.
Io e la persona
ci scontrammo, mi appoggiai al muro per non cadere e lei invece barcollò,
evitando non so come di cadere.
Era un ragazzo
dal naso aquilino, pallido, non molto alto e indossava la maglia rossa
dell’azienda.
“E’ ok ma fà più
attenzione, per fortuna non c’erano i miei ragazzi con me” disse, piuttosto
severo.
“Oh, sei un
group leader, vero?” dissi, imbarazzata.
Lui annuì.
Di poche parole
il ragazzo, a quanto pare.
“Io sono Alice,
piacere. La mediatrice culturale”.
“La che?”.
Offesa, feci una
smorfia: il mio era un mestiere come tanti, non di certo uno di quelli super fighi
con il titolo tradotto in inglese giusto per sembrare ancora più irraggiungibili.
“La
me-dia-tri-ce culturale” rispiegai pazientemente.
“Ah, mediatrice!
A causa del viaggio sto così fuso che avevo capito meretrice, ecco perché ero confuso” ridacchiò, con un palese
accento romano. “Salvatore, comunque. Piacere. Faccio questo mestiere da cinque
anni e non ho mai sentito parlare di una mediatrice nel team!”.
“E’
un’eccezione, oltre agli inglesi ci sono gli spagnoli e l’azienda aveva bisogno
di una traduttrice. Diciamo che è un esperimento... Scusami comunque, mi sono
bloccata nel bel mezzo della strada perché ho appena ricordato di aver
dimenticato l’adattore e il mio cellulare è appena morto”.
“Azzò, sei
perspicace, Alice la Mediatrice. Spero non dimentichi le traduzioni delle
parole così come dimentichi le cose essenziali”.
Aveva ragione.
Uno sconosciuto, un collega che mi conosceva da mezzo minuto aveva già notato
la mia tendenza ad andare nel pallone e dimenticare le cose importanti nei
momenti critici.
Non potevo di
certo prendermela, aveva fatto una giusta osservazione.
“Guarda il lato
positivo: non sono una group leader e non posso dimenticare cose fondamentali
come uno dei ragazzi che mi ha chiesto di andare in bagno o cose così”.
“Positivissimo,
eh. Senti, ce l’ho io l’adattatore comunque, dopo cena te lo do” disse, burbero
ma disponibile.
“Davvero?”.
“E che te pare
che sto a scherzà? Ma sei romana pure te o sbaglio?”.
“No, no. Sì!”.
“No o sì?”.
“No, non mi
sembra tu stia scherzando. Sì, nel senso che sono di Roma”.
“E allora
aiutiamoci tra compaesani, io abito in provincia da come avrai capito”.
“Grazie mille,
Salvatore. Mi stai salvando!”.
“Sì Alice, ma
stai attenta che mancano ancora tredici giorni, eh”.
Di nuovo non
ebbi il coraggio di ribattere ed annuii, seguendolo fino a mensa.
Questo è un
lavoro in cui va avanti chi è pronto e sveglio e io dovevo fare del mio meglio
per non addomentarmi sulla scrivania, ne ero sicura.
Fui accolta da
una miriade di testoline che si agitavano, borbottavano cose, alcune bionde,
altre scure, altre già tinte e decolorate nonostante la giovane età.
La mensa era la
stessa di cinque ore prima eppure mi sembrava diversa, improvvisamente allegra
e magica, con l’atmosfera tipica di un posto pieno di persone provenienti da
luoghi diversi che si ritrovano in un nuovo paese tutti insieme, consapevoli
del fatto che il destino li ha uniti per qualche suo magico scherzo e che
questa esperienza li marcherà per il resto della loro vita.
“Londra 2017”,
ecco cosa stavano vivendo, ed io avevo il privilegio di essere lì, per ora
testimone ma forse piano piano sarei stata in grado di diventare anche una di
quelle che passa all’azione e dà un contributo al viaggio.
I ragazzi
sembravano allegri e spensierati nonostante la giornata di viaggio con vari
scali, mentre Saverio, seduto al tavolo centrale con Mario, Elena, Salvatore e
una ragazza alta e magra, sembrava diverso, più consapevole e serio.
“Alice, hai
conosciuto Salvatore, vedo” mi accolse il direttore, mentre prendevo posto.
“Sì, mi ha già
salvato la vita”.
“Non ho dubbi,
lo conosco da quando ha iniziato ed è il migliore collaboratore che abbia mai
avuto, ti risolve un problema in tre secondi. Dopo ciò, scusami Nadia, la tua
presentazione ora sembrerà scialba ma non è colpa mia se sei arrivata con Super
Salvatore. Lei è Alice, la nostra mediatrice culturale”.
“Io avevo capito
meretrice culturale, pensa” lo apostrofò Salvatore, ridendo.
Saverio sgranò
gli occhi e poi scoppiò a ridere, battendo il cinque con il collega mentre
Nadia mi porgeva la mano e si presentava.
“Piacere”
“Piacere!”.
Nadia sembrava
più grande di me ed Elena, aveva i lunghi capelli scuri raccolti in una coda e
un trucco perfetto che evidenziava gli occhi a mandorla.
“Ora manca solo
il gruppo di Bari e quello di Napoli, con Clara e Luca. Arriveranno per le
dieci, il tempo di sistemare i ragazzi, dare i pacchetti con la cena,
distribuire le chiavi e ci riuniamo tutti, per mezzanotte credo. Benvenuti al
Queen’s College” ironizzò Saverio.
Per tutta la
cena ci raccontò di alcune sue esperienze divertenti vissute negli ultimi dieci
anni e la mia ammirazione per lui crebbe esponenzialmente perché non è da tutti
farsi avanti e diventare direttore prima dei trenta anni e rimanere comunque
una persona disponibile e alla mano.
Avevo
accompagnato Salvatore nella sua stanza, nell’edificio C, per fargli recuperare
l’adattatore e poi ci eravamo diretti nella mia stanza, nell’edificio E, per mettere il telefono in carica.
Vederlo
riaccendersi mi fece sentire meglio oltre che a farmi capire quanto siamo
dipendenti dalla tecnologia, così tirai un sospiro di sollievo.
“Con questo ti
sei guadagnato un rifornimento di caffè per tutta la durata del soggiorno”
esclamai, improvvisamente rinvigorita nonostante fosse serata inoltrata.
“Bella cosa,
caffè inglese, evvai”.
Salvatore aveva
un’ironia tutta sua, un’ironia vera, per niente velata, condita di black humor,
cosa che non apprezzavo molto ma dopotutto dovevo sottostare alle regole e
ringraziarlo per l’enorme favore visto che quando sei fuori per lavoro il
telefono è essenziale.
“Hai ragione,
scegli tu, qualsiasi cosa”
“Qualsiasi cosa?
Soldi, allora”.
“Hai beccato
l’unica cosa...”.
“...Che qui non
ha nessuno, lo so. Altrimenti non saremmo qui quasi a mezzanotte a lavorare
dopo una giornata assurda. Scegli tu, Alì, non mi offendo”.
Gli sorrisi e ci
avviammo verso l’uscita della stanza.
“Immagina la
scena, io che torno in camera, prendo il caricatore e impreco...”, uscii dalla stanza,
di spalle, mentre chiudevo la porta a chiave, “perché il coso non entra nel
buco...”.
Mi voltai per
andarmene e vidi il corridoio pieno di ragazzine che stavano entrando in camera
e, evidentemente sconvolte per ciò che avevo detto e perché c’era un maschio
che stava uscendo con me dalla mia
stanza, mi fissavano, incredule.
Qualcuna ridacchiava
in maniera sfrontata, qualcuna ripeteva, sconvolta, “coso” e “buco”, mentre io
arrossivo come una matta, portandomi una mano alla bocca, e Salvatore sembrava
impassibile come ogni volta che era con i ragazzi.
“Ragazze! Si
parla di prese e adattatori, eh. Io... Sono la vostra mediatrice culturale,
Alice. A domani!” esclamai, ancora rossa in volto, prima di seguire Salvatore
verso l’uscita del mini appartamento.
“Dì la verità,
vista la scena, tra “cosi” e “buchi” questa volta Alice la Meretrice ci calzava
alla perfezione!” ridacchiò lui, ridendo da solo alla sua battuta.
Sospirai e mi
chiesi a quante figuracce sarei arrivata entro la fine di quella giornata.
Clara e Luca
erano arrivati insieme alla Dottoressa, la squadra era al completo.
Clara era una
ragazza bella robusta con i capelli neri e cortissimi mentre Luca sembrava
irradiare fiumi di energie nonostante l’ora, aveva un piccolo accenno di
cadenza campana e si presentò a tutti con una vigorosa stretta di mano.
Saverio sembrava
rilassato ma deciso, ci guardava come un professore guarda i suoi alunni il primo giorno di
lezione.
Eravamo nella
cucina del primo piano dell’Edificio N, dove Saverio, Mario e Elena
alloggiavano e da quel momento in poi quel posto sarebbe stato la nostra sala
riunioni.
La stanza era
arredata con mobili bianchi e un tavolo nero per sei persone, un paio di
divanetti e una finestra abbastanza grande che si affacciava sul giardino
retrostante all’edificio.
Ognuno prese
posto su una sedia o su un divano, senza proferire parola, così il direttore si
schiarì la voce, bevve un sorso d’acqua e ci guardò uno ad uno.
“Allora,
benvenuti. Da quel che ho visto saremmo una grande squadra, ne sono sicuro! GL,
Nadia, Clara, Salvatore e Luca, confido in voi per la riuscita del viaggio, so
che siete quasi tutti alla prima esperienza ma a pelle mi avete dato una buona
impressione. Come vi ho detto io sono il Direttore, Mario si occuperà delle
varie attività e Elena vi dirigerà come squadra, per qualsiasi cosa rompete le
scatole a lei e non a me. Poi, Giada, la nostra dottoressa, arrivata circa
venti minuti fa, salve!” – qui una ragazza sotto i trenta che se ne stava in un
angolo ci salutò con la mano, non l’avevo proprio notata -, “E infine, la
novità. Ragazzi, visto che non so un’acca di spagnolo, ho richiesto una
mediatrice culturale, e l’azienda mi ha procurato Alice che già si è sorbita da
oggi mille email e un incontro tra me e la Rosales, che domani conoscerete.
Quindi rispetto a lei siete indietro di qualche ora di lavoro!”.
Tutti risero,
qualcuno mi porse la mano, io mi limitai a fare cenni e a sorridere,
dimenticando già i nomi associati ai volti.
“Ora vi
spiegherò il programma di domani, dieci minuti e vi lascio in pace. Alice, la
colazione è alle sette e trenta fino alle otto e trenta, regolati tu, basta che
sei alle nove nell’ufficio dove hai firmato il contratto. Puoi andare”.
“Oh, ok.
Allora... Ciao a tutti, è stato un piacere!” mi congedai, cercando di celare il
mio entusiasmo.
Ero stanchissima
nonostante la pennichella e non vedevo l’ora di dormire almeno sette ore.
Mi sentivo in
colpa nei confronti dei poveri GL e della Dottoressa che avevano avuto un
viaggio più lungo del mio con decine di ragazzi a cui badare e che dovevano
ancora stare in riunione, solo che magari in futuro a me sarebbe toccato andare
a dormire dopo di loro per qualche motivo o l’altro, il karma di sicuro non me l’avrebbe
fatta passare liscia.
Quando tornai
nella mia stanza ero in uno stato assurdo, strano, inspiegabile causato dalle
varie emozioni vissute quella giornata.
Mi sembrava di
star vivendo in un film tragicomico e avrei tanto voluto il mio copione per sapere
bene cosa fare, ma a quanto pare la situazione era molto pirandelliana ed io
ero ancora in cerca del mio autore.
*°*°*°*°*°*
Salve a tutti!
Non so se
qualcuno si ricorda di me, in passato ero solita infestare questa sezione con i miei scleri poi ho avuto un periodo
intenso a causa della laurea magistrale e dei miei primi tre lavori.
Questo progetto
è proprio ispirato ad una mia esperienza lavorativa – no, non ero una
mediatrice culturale purtroppo – così, essendomi trovata bene con i colleghi,
ho deciso di dare vita a questa storia, aggiungendo di tanto in tanto qualche
aneddoto realmente accaduto.
Se vi va potete
indovinare piano piano ciò che è successo e cosa no, visto che è il primo
capitolo vi dico che la questione dell’adattatore è vera XD non auguro a
nessuno di essere circondata da un gruppo di ragazzine che ti guardano male
perché stai uscendo dalla tua stanza con un collega...
Non so cosa
dire, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto,
se vi va fatemi
sapere cosa ne pensate :D
A mercoledì con
il capitolo 2, ecco una piccola anticipazione:
“Ma
sono in pigiama e senza nemmeno il reggiseno!” protestai, con la testa ancora
annebbita dalla sonnolenza, ma per fortuna lui era già scomparso e non aveva
sentito la mia idiozia delle sei e cinquantacinque.
Grazie per
essere arrivati fino a qui, a presto!
Milly.
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Capitolo 2 *** Day 2: Questione di sostegno ***
Day 2: Questione di sostegno
Capitolo
2
Day
2: Questione di sostegno
Si stava davvero
bene sotto le coperte, al caldo.
Evidentemente,
nonostante fosse luglio, fuori c’erano al massimo diciotto gradi.
Mi sembrava di
stare su una nuvola, stavo facendo un sogno strano che non avrei mai
ricordato...
Mi rigirai sul
fianco destro e mi accoccolai meglio sotto il piumone, beandomi di quella
sensazione ti tepore e calma.
Din.
Din. Din.Din. Din. Din. Din.
Avendo il sonno
leggero, aprii gli occhi di scatto.
Avevo forse
cambiato sveglia senza rendermene conto?
Din.
Din. Din. Din. Din. Din.
No, non era la
mia sveglia, il mio cellulare non stava emettendo alcun suono, erano solo le
sei e cinquanta!
Cosa stava
succedendo? Era forse una strana sveglia collettiva del college?
Din.
Din Din. Din. Din.
Il suono era
progressivo, diventava sempre più forte e non era di certo un piacere per le
orecchie di chi si è appena svegliato.
Iniziavo a
sentire dei passi fuori la porta, delle ragazze che strepitavano e dicevano
cose tipo “Incendio” e “Allarme”.
Queste parole mi
invasero come un secchio d’acqua ghiacciata, misi le pantofole e aprii la porta
di scatto.
Era davvero
scoppiato un incendio?
Cosa dovevo
fare?
L’edificio era
zeppo di ragazzi minorenni ed io non avevo mai frequentato alcun corso di
pronto soccorso o simili!
In un battibaleno,
mentre ero presa dall’incretezza, mi ritrovai davanti il group leader di Napoli
di cui non ricordavo il nome.
“Prova antincendio!
Aiutami, dì alla ragazze del tuo piano di uscire dall’edificio!” mi disse
concitato.
“Ma sono in
pigiama e senza nemmeno il reggiseno!” protestai, con la testa ancora annebbita
dalla sonnolenza mista alla paura, ma per fortuna lui era già scomparso e non
aveva sentito la mia idiozia delle sei e cinquantacinque.
Presi un bel
sospiro pensando “questi inglesi! Prova antincendio il primo giorno!” e iniziai
a bussare freneticamente alla porta delle ragazze che non erano ancora uscite
dalla stanza.
“Ragazze, è tutto
ok, è solo una prova antincendio per la vostra sicurezza” dissi non so quante
volte. “Uscite, su!”.
Qualcuna si
vergognava a scendere in pigiama, qualcun altra era con l’accappatoio...
Non so come
riuscii a farle scendere tutte nel giro di due minuti e ci trovammo il team
inglese e quello spagnolo che ci indicavano la via del cortile, dove
evidentemente c’erano tutti.
Morta di vergogna
per il mio pigiama con Batman disegnato sulla zona del seno che ovviamente
pendeva per la mancanza di sostegno e per i miei capelli di sicuro cespugliosi,
raggiunsi Saverio e la dottoressa che se ne stavano in un angolo del cortile.
Una rapida
occhiata in giro mi diede l’impressione che ero l’unica appena sveglia, tutti
erano già vestiti o almeno erano in condizioni decenti, nessuna era in pigiama
come me e tutte le loro chiome erano pettinate.
La group leader
alta e slanciata era addirittura truccata!
“Buongiornissimo, caffè?” mi prese in giro Saverio, vedendomi arrivare così sconvolta e con un passo da
zombie.
Incrociai le
braccia per non mettere in mostra il seno penzolante e lo guardai senza capire.
“Perché gli
altri dello staff sembrano...?”.
“Preparati?”.
“Sì”.
Egli annuì con
aria grave e la Dottoressa si intromise con un: “Se può consolarti io non ne
sapevo niente come te”, anche se era già vestita.
Notando il mio
sguardo incredulo dopo aver visto che era in jeans felpa aggiunse: “Stavo
medicando una ragazza che ieri si è fatta male”.
“Ah, ok”.
“Ieri in
riunione ho congedato Giada dopo aver congedato te e ho annunciato ai GL che ci
sarebbe stata questa prova, ho distibuito le chiavi universali per ogni
edificio ad ognuno di loro per aprire le porte delle camere dei ragazzi...
Avevamo solo cinque minuti per fare tutto. Scusami, ma ho già rischiato
dicendolo a loro, nessuno oltre me avrebbe dovuto saperlo, dovevo essere
discreto” spiegò Saverio, a voce bassissima, come se il team degli stranieri
potesse comprenderlo.
“Va bene”
assentii, mogia.
Ecco il primo
svantaggio di non essere una group leader, in casi come questi mi sarei
ritrovata svantaggiata di fronte all’ignoto mentre tutti già erano al corrente
di ciò che sarebbe successo.
Mi voltai e vidi
Salvatore che riuniva i suoi ragazzi, proprio come gli altri.
Il GL di Napoli
– come si chiamava? Perché ero pessima con i nomi? – batteva il cinque con
alcuni ragazzi e sorrideva in maniera rassicurante e in quel momento pensai che
avrei tanto voluto avere quella solarità.
Le altre due
ragazze invece sembravano stanche e infastidite come me mentre raggruppavano i
ragazzi e rispondevano a domande evidentemente sciocche, data la loro
espressione falsamente paziente.
“Secondo me
siamo fortunate, voglio dire, siamo qui a svolgere la nostra professione senza
la responsabilità dei ragazzi, nel senso, sì siamo responsabili, soprattutto
io, ma se uno non si trova non è colpa nostra” mi disse Giada, sorridendomi in
maniera enigmatica.
“Fidatevi, siete
quelle che hanno più responsabilità di tutti” le ricordò Saverio, deciso. “Oh,
ecco la tipa della security”.
Una signora che
mi ricordava tanto la Signorina Trinciabue del film “Matilda sei mitica!”, con
tanto di divisa scura, alta e bella possente, fischiò con il suo fischetto
rosso e urlò di prestarle attenzione.
Improvvisamente,
il mormorio cessò e i ragazzi smisero di lamentarsi per la sveglia assurda e
brutale.
Un lampo di
agitazione e ansia dilagò nei nostri sguardi.
“Attenzione per
favore! Avete impiegato 317 secondi per evacuare, quasi cinque minuti e mezzo.
Qualcuno di voi sarebbe morto di sicuro se fosse stato un vero incendio! Si può
sempre migliorare! Buona giornata!” urlò, prima di scomparire nel retro del
cortile.
Mi voltai verso
Saverio, il quale si passò una mano sulla faccia in un modo che lo rendeva
decisamente buffo.
“Ve lo devo
tradurre?” disse, ironico.
“La prova si
rifarà” borbottai, tetra.
Lui annuì, Giada
alzò gli occhi al cielo e io sbuffai.
“GL, raggruppate
i ragazzi e conduceteli in camera!” esclamò il direttore, avvicinandosi agli
altri con passo da marcia.
Io e Giada
stavamo per tornare in camera quando vidi il GL che poco prima mi aveva detto
di svegliare le ragazze avvicinarsi a noi, ovviamente ancora sorridente.
“Ciao, Luca”
disse la dottoressa.
Ah, ecco come si
chiamava!
“Ciao Giada.
Ri-ciao, Alice. Volevo ringraziarti per aver svegliato le ragazze del tuo
piano, probabilmente senza il tuo aiuto i 317 secondi sarebbero stati 370 e di
sicuro la signorina Trinciabue ci avrebbe ammazzato!” esclamò.
“Anche tu l’hai
associata alla Trinciabue?” domandai, colpita.
“Sì, è
identica!”.
“Vero! Figurati
comunque, quando posso sono lieta di darvi una mano, il vostro lavoro davvero
deve essere pesantissimo” dissi, continuando a tenere le braccia incrociate sul
petto.
“Esatto, vale lo
stesso per me” si aggregò Giada, cordiale.
Luca scrollò le
spalle.
“Ma dai, di
sicuro sarete cariche di lavoro anche voi. Ci vediamo a colazione!” si congedò,
prima di raggiungere i suoi ragazzi al centro del cortile.
Io e Giada,
così, tornammo sui nostri passi.
“Luca è sempre
così sorridente, come fa? Abbiamo viaggiato insieme, ci siamo incontrati allo
scalo a Bologna ed era super energico nonostante avesse già un volo alle spalle
con venticinque ragazzi sotto la sua responsabilità” mi raccontò, mentre
superavamo orde di adolescenti in fila che protestavano per la mancanza di
tempo per prepararsi prima di colazione.
“Non saprei,
onestamente non ricordavo nemmeno il suo viso e
il suo nome. Sono una frana, i ricordi di ieri sono offuscati” ammisi
con una smorfia di vergogna.
“E’ normale, poi
hai viaggiato da sola, non sei stata a contatto con nessuno di noi. Mi sa che
oggi ci conosceremo meglio, le altre ragazze mi sembrano simpatiche!” osservò,
cordiale.
“Sì, anche a me.
E’ bello lavorare insieme se ci si trova bene”.
“Esatto! Beh, io
corro in camera, sto nella N, ci vediamo tra poco a mensa”.
“Certo, a dopo”.
La salutai con
la mano, pensando che fosse alla mano e simpatica, e svoltai a destra verso
l’edificio E.
La giornata era
iniziata in maniera decisamente movimentata.
“Vediamo chi
siete in realtà, colleghi...”.
Erano le nove e
dieci del tre luglio, io e il resto dello staff eravamo nel nostro piccolo
ufficio e aspettavamo l’arrivo di Saverio ed Elena per ricevere le istruzioni
su cosa fare ora che i ragazzi stavano svolgendo il test di inglese, seguito da
quello di spagnolo, per dare prova delle proprie conoscenze ed essere smistati
in una classe del proprio livello.
Mario, che
sembrava una bomba di energia peggio di Luca, si era seduto su una sedia ed
aveva iniziato a prendere i nostri curricula da una cartella.
“Alice
Sebastiani, nata l’otto luglio del novantadue, laureata con centosette su
centodieci in Lingue e Culture straniere.... Che noia” sentenziò, facendomi
una linguaccia come se fosse un bambino dispettoso.
“Ma quindi tra
cinque giorni compi gli anni?” disse Nadia, incuriosita.
“Sì”.
“Preparati,
offri da bere a tutti, eh” disse Salvatore.
“Eh, minimo, mi
raccomando!” aggiunse Clara.
“Dipende... Non
vi conosco, se mi sarete simpatici sì, altrimenti mi ubriacherò da sola” li
presi in giro.
Fingevo di
fregarmene, invece per me quella era una questione di vitale importanza dato
che ogni compleanno mi ritrovavo con il mio gruppo di amici e mangiavamo qualcosa
insieme mentre ripercorrevamo le tappe dell’anno appena trascorso.
Questa volta
sarei stata da sola, in un altro Paese, con gente che conoscevo da meno di una
settimana.
“Ci amerai!”
stabilì Mario, prima di prendere un altro curriculum. “Giada De Stefano,
Dottoressa in Medicina con centocinque su centodieci, nata il sette settembre
dell’ottantanove... Noia. Ma un curriculum divertente, qui? Niente?”.
“Leggici il
tuo!” propose Luca.
“Nah, io manco
ce l’ho il curriculum, troppa fatica”.
“Salve ragazzi,
eccoci, scusate il ritardo, abbiamo avuto la conferma che la prova antincendio
si terrà tra una settimana esatta” ci interruppe Saverio, entrando in ufficio
con Elena al suo fianco.
Entrambi
posarono gli zaini su delle sedie e ci invitarono a prendere posto, così ci
sedemmo in posti a caso meglio che potemmo visto che le sedie a disposizione
erano insufficienti.
Io finii sulla
moquette polverosa tra Nadia e Salvatore, mentre Mario prese posto sulla
scrivania dove c’era il computer e gli altri se ne stavano seduti sulle sedie.
Il silenzio era
teso, si vedeva che nonostante gli sforzi di creare un ambiente informale ci
conoscevamo da troppo poco tempo per stare del tutto tranquilli.
“Mario, alzati e
fai mettere Alice al tuo posto, mi serve vicino al computer” disse rapidamente
Saverio.
Mi alzai di
scatto, resistendo all’impulso di scacciare via la polvere dai miei pantaloni
neri, e Mario mi diede una pacca sulla spalla.
Da come si
comportava dedussi che aveva già lavorato con il capo in passato.
“Bene, iniziamo.
Parlando della prova antincendio, per me siete stati bravi, è la prima volta
che la fate e siete stati rapidi contando che non conoscete i ragazzi e che
l’allarme è scattato dieci minuti prima dell’ora concordata. Tra sette giorni,
però, mi raccomando, dovrà essere la perfezione!”.
Annuimmo seppur
scoraggiati al pensiero di dover iniziare di nuovo la giornata così, poi lui ed
Elena passarono ad elencare le attività del giorno e gli orari per i GL.
Sarebbe stata
una giornata tranquilla: test di lingua, pranzo, laboratorio di fotografia o di
basket, cena, serata a tema.
Il bello sarebbe
iniziato il giorno successivo con la prima escursione di un giorno.
“Quindi ora chi
ieri è arrivato tardi firmerà i contratti e tutto il resto, poi durante la
pausa sorveglierete i ragazzi e li accompagnerete di nuovo in classe per il
test di spagnolo. Mario, tu pensa alla serata, prepara qualcosa di decente!
Alice, tu invece hai solo un semplice ma importante ruolo per stamattina...
Entra nella mia casella di posta, stampa tutte le mail in spagnolo e su un post
it mi scrivi un breve riassunto e me lo lasci sulla mia scrivania. Chiaro?”.
Deglutii prima
di annuire fermamente.
“Chiaro. Quanto
tempo ho?”.
“Tranquilla,
tutta la mattinata. Oggi invece di nuovo riunione con la Rosales, ti deve
presentare il team della Santo Domingo”.
“Va bene”.
Mi passò un
foglio con le credenziali del suo account email e mi indicò il computer
aziendale.
Sentivo gli
occhi dello staff su di me, mi sembrava strano dover svolgere un ruolo
totalmente diverso da quello degli altri, però mi finsi disinvolta e mi
apprestai ad accendere il computer.
Nel giro di
venti minuti Clara e Luca ricevettero lo zaino e le varie maglie rosse dopo
aver firmato il contratto per ultimi, essendo arrivati tardi la sera precedente,
e mostrarono felici le loro divise.
“Corro un attimo
in bagno per cambiarmi” esclamò entusiasta Clara, esibendo la polo come se
fosse un trofeo.
Alzai lo sguardo
dal computer e le sorrisi, intenerita da quella scena.
“Vi invidio, la
vorrei anche io!”.
Dal canto suo,
Luca scrollò le spalle, si tolse la maglia blu che l’azienda aveva fornito loro
per il viaggio e indossò quella rossa.
Notai che non
era magro, aveva un po’di pancetta ed era bello robusto, cosa che non si vedeva
da vestito.
Ero così presa
da questa analisi che non mi accorsi che mi aveva lanciato la polo blu dicendo
“Allora tieni!” con una risata.
Imbarazzata, con
la maglia che quasi mi copriva la testa, mi ridestai e protestai con un: “Ma
anche no!” e gliela rilanciai.
Mario la afferrò
e disse: “Bella Luca, quando non vuoi fare la ronda facciamo indossare questa
maglia a un cuscino e ti sostituiamo”.
“Perché non
farlo già ora?”.
Avevano più o
meno lo stesso accento campano, nulla di troppo marcato, anzi, ma sentirtli
parlare mi metteva allegria e mi ricordava le estati passate da mia zia a
Sorrento quando ero adolescente, prima che si ammalasse.
L’arrivo di
un’email mi ridestò e mi fece tornare al mio lavoro e cercai di concentrarmi
sul mio lavoro, senza badare ai due Napoletani che iniziavano a legare e cercavano
di trovare posti e conoscenze in comune.
Dodici email
dopo, il cortile del college si riempì di adolescenti reduci dal test di
ingresso di inglese.
Sbadigliai
sonoramente senza riuscire a controllarmi e feci un po’ di stretching con la
schiena.
“Prenditi una
pausa, vuoi un caffè?” mi domandò Saverio, che aveva iniziato a leggere le note
che gli avevo lasciato.
Se ne stava
seduto dall’altra parte della scrivania, di fronte a me, e la sua aria era
sempre più perplessa mano a mano che leggeva il contenuto della posta.
“Sì, magari. Lo
vuoi anche tu?”.
“Lo prenderò con
gli inglesi tra poco, grazie. Prenditi pure tutta la durata della pausa, non
sto ricevendo altro, finisci qui, io incontro gli inglesi e poi andiamo dagli
spagnoli. Davvero, se senti di avere bisogno di cinque minuti interrompi pure,
non voglio tenerti incollata qui per sempre. Fumi?”.
“No...”.
“Inizia ora così
avrai la scusa della pausa sigaretta, quella è sacra. E non farmi un discorso
sui polmoni che si danneggiano che ti licenzio!”.
“Assolutamente,
dopotutto il fumo uccide solo, come recitano i pacchetti di sigarette”.
“Così mi piaci”.
Mi alzai, presi
lo zaino e lo salutai, agognando un po’ di aria fresca e un caffè.
Certo, non avrei
assaggiato l’espresso di casa mia, ma in quel momento avevo bisogno di caffeina
in qualsiasi forma e in qualsiasi modo.
Ero appena
uscita dal bar del college, un po’ rigenerata, che mi ritrovai Luca e Clara
davanti, in uno stato evidente di preoccupazione.
“Non riusciamo a
trovare Chiara” disse subito Clara, guardandosi intorno come se aspettasse di
vederla spuntare da un momento all’altro.
“Cosa? Non era
in classe?”.
“Sì ma le amiche
dicono di averla vista in ansia dopo il test di inglese e non la trovano...”
disse Luca.
“Il campus è
grande!” aggiunse Clara, sempre più ansiosa.
“Ragazzi,
tranquilli, sarà in bagno”.
“No, abbiamo
controllato”.
“Se mi dite come
è fatta questa ragazza vi do una mano, la pausa è appena iniziata” provai ad
incoraggiarli.
Stranamente non
mi sentivo agitata, forse perché Chiara non faceva parte del mio gruppo e non
era mio dovere assicurarmi che stesse in un determinato posto in un determinato
momento.
“E’ Veneta, ha i
capelli rossi e ricci, abbastanza minuta” mi informò Luca.
Annuii, pur non
capendo come potesse essermi d’aiuto la sua provenienza. Forse per l’accento?
“Non ci sono
molte rosse, no? E’ più facile da trovare. Scambiamoci i numeri e dividiamoci,
così ci avvisiamo se è qualcosa”.
“Saverio ha
creato il gruppo Whatsapp”.
“Perfetto, non
ho avuto modo di vedere...”.
Clara andò verso
i giardini, io andai verso i piani superiori e Luca verso quelli inferiori.
Non ebbi nemmeno
il tempo di dirmi “sto praticamente passando la mia pausa svolgendo il lavoro
altrui”, in quel momento trovare Chiara sembrava la mia priorità.
Non la
conoscevo, non l’avevo mai vista, eppure sentivo che compiere quel gesto mi avrebbe aiutato a integrarmi e a
vivere meglio quell’esperienza lavorativa.
Mi sentivo
sicura, l’istinto per fortuna non mi suggerì nessuna idea assurda in cui Chiara
se ne fuggiva senza dire nulla.
Forse la prova
antincendio a sorpresa aveva esaurito la mia dose di ansia e pessimismo per
quella giornata.
Seguii le
indicazioni della toilette del terzo piano e lo trovai vuoto, così mi azzardai
verso l’ultimo piano, il quarto.
Il corridoio era
vuoto, non c’erano lezioni lì, eppure ebbi appena il tempo di girare a destra
che vidi una ragazzina dai capelli rossi con una camicia in tartan blu che se
ne stava seduta per terra, con le braccia che circondavano le gambe.
Scrissi un
rapido “trovata, quarto piano” nel gruppo e poi mi avvicinai con cautela,
accennando un saluto con la mano.
Quando lei mi
vide esitò un secondo, poi rilassò le gambe e le incrociò.
“Chiara,
giusto?” domandai, sedendomi al suo fianco.
Lei alzò lo sguardò
e annuì.
“Luca e Clara ti
cercavano” dissi semplicemente.
“Sei un’altra
group leader?” chiese, con una vocina fin troppo bassa.
“No, sono la
mediatrice culturale, per mediare tra noi e gli spagnoli”.
“Ah ok. Io non
so niente di spagnolo... Non voglio fare il test”.
“Cosa? Per
questo sei qui?” azzardai, sforzandomi di non avere il tono di chi giudica ma
semplicemente quello di una persona curiosa e che vuole fare conversazione.
“Io ho finito il
primo anno di scientifico con tutti nove in pagella e odio non sapere niente di
spagnolo. Non voglio fare figuracce!” si lamentò Chiara, battendo un pugno
sulla gamba.
Spalancai gli
occhi e mi sforzai di rimanere pacata. Dovevo ricordare che Chiara poteva avere
al massimo quindici anni, dieci anni in meno a me, che anche io a quell’età
avevo una percezione sbagliata delle cose...
Il fatto che si
stesse aprendo con me senza il minimo sforzo, poi, mi dava sicurezza.
Forse era
proprio il mio non essere una GL che la faceva sentire più a suo agio.
“Chiara, lo
spagnolo è stato introdotto come sperimentazione, nessuno lo parla, qui. Pensa
che sono qui proprio per questo motivo! Quindi nessuno si aspetta che tu
risponda bene alle domande. Verrai inserita nel livello A1 e brava come sei
dopo due settimane di studio porterai a casa un A2, ne sono sicura” la
incoraggiai.
Eppure, la
ragazza non diceva niente.
Guardava fisso
di fronte a sé, con un’aria fin troppo pensierosa, poi tirò su con il naso e mi
guardò in un modo che quasi mi metteva in soggezione.
“Ti svelo un
segreto” aggiunsi, seria più che mai.
Immediatamente,
Chiara mutò atteggiamento, cambiò posizione e mi guardò, in attesa.
“Ora il mio
lavoro è tradurre, ma al primo compito in classe, al primo anno di liceo, presi
quattro e mezzo!”.
La rossa sgranò
gli occhi, incredula.
“Ma davvero?”.
“Sì. Fu una
batosta, così mi impegnai e migliorai. Io partivo da quattro e mezzo ma tu devi
ancora iniziare a studiare questa lingua! Quindi figurati, andrai benissimo e
io posso aiutarti se vuoi, sono a tua disposizione”.
Improvvisamente,
la ragazza mi sorrise apertamente, animata da una nuova speranza.
Non so cosa
cambiò, so solo che si alzò e io la imitai, seppur con un po’ di difficoltà
perché mi si era addormentata una gamba.
In quell’istante
comparve Luca, piuttosto agitato e con il fiatone.
Ci guardava,
sollevato e confuso allo stesso tempo perché Chiara sembrava più calma.
“Dove si tiene
il test?” gli domandò semplicemente, come se non avesse cercato di nascondersi
da tutti contemplando di non sostenerlo.
“Al primo piano,
aula 123”.
“Ok, vado.
Grazie, Alice!”.
Chiara scomparve
in direzione delle scale e Luca mi guardò senza capire mentre trovavo un modo
poco imbarazzante per combattere la gamba addormentata.
“E’ la classica
ragazza brava a scuola che ha paura di fallire di fronte all’ignoto. Doveva
solo essere rassicurata” minimizzai, guardando l’orologio, salvo poi ritrovarmi
su una gamba sola, come poi mi consgliava sempre la nonna in questi casi.
“Ma come hai
fatto?! Cioè, è venuta fin qui, era ovvio che non volesse essere trovata!”
constatò Luca, così preso dall’accaduto da non badare alle mie mosse buffe.
“In questi casi
forse una non- group leader può fare magie, cosa devo dirti”.
La situazione
era troppo divertente, Luca sembrava non capacitarsi della situazione e io mi
sentivo rinvigorita dall’accaduto mentre me ne stavo su una gamba a mò di gru,
come se Chiara mi avesse trasmesso un po’ più di fiducia in me stessa.
“Le ho detto che
posso aiutarla se ha problemi con la nuova lingua” minimizzai.
“Boh. Comunque,
cosa cavolo stai facendo su una gamba sola?” disse, ridendo.
“Gamba
addormentata”.
“Ah, tutto
regolare. Davvero, come hai fatto...”.
Era bello
vederlo pieno di dubbi, non so perché mi stavo divertendo un mondo e ciò
continuò quando incontrammo una Clara sorpresa che ci disse di aver trovato
Chiara al primo piano fuori l’aula del test.
“Dovremmo
chiamarlo “Effetto Alice”, Clara” ironizzò Luca, prima di lasciarmi spiegare
nuovamente la situazione.
Dopo la riunione
con la Rosales in cui conobbi Javier, Alejandro, María e Paula, il pranzo,
altre email da tradurre e la cena ero davvero K.O.
Agognavo il mio
letto come se fosse qualcosa che non vedevo da secoli e mi sentivo stupida nel
vedere i GL ancora pieni di energie, o almeno così sembrava.
Ci trovavamo in
una sala del campus adibita a discoteca in occasione della serata organizzata
per i ragazzi e per fortuna le sedie erano decisamente comode, non come quella
dell’ufficio su cui ero stata seduta ore ed ore.
“Per me si
drogano, non c’è altra soluzione” disse Giada mentre guardava i GL che se ne
stavano con i ragazzi, seduta al mio fianco all’inzio della serata “C’è posta
per te” in cui i ragazzi si scrivevano messaggi tra un ballo e l’altro.
“Probabile. Come
ti è andata oggi? Tante visite?” domandai, giusto per tenermi sveglia.
Giada annuì,
sconsolata.
“Una col mal di
gola, una con la febbre, una con la medicazione da cambiare, uno che si è
ferito dopo la partita di basket...”.
“Ed è solo il
primo giorno”.
“Ecco, hai
capito!”.
“Ragazze,
prendete, attaccatevi alla maglietta un bigliettino con un nome fasullo,
partecipate anche voi al gioco!” ci interruppe Mario, attaccandoci di malo modo
degli adesivi su una spalla.
Abbassai lo
sguardo e lessi “Giulietta”, mentre a Giada era capitata “Elettra”.
“Uh, cose da
letterati, in pratica” osservai.
“Che bello
essere associata a un complesso, come se non ne avessi già abbastanza” ironizzò
la dottoressa, alzando gli occhi al cielo.
“Per tua fortuna
pochi lo sanno, invece la mia Giulietta è più soggetta a battutine...”.
“Ahò, da meretrice
a Gulietta, che salto de qualità! Vabbè, conta che tutti toccano le zinne a
Giulietta come porta fortuna quindi stiamo là” s’intromise Salvatore, che si
era appena seduto al nostro tavolo.
Alle sue spalle,
Saverio si stava sganasciando dalle risate e Mario aggiunse: “Per non parlare
del famoso “Giulietta è una zoccola” detto dai tifosi napoletani in una partita
contro il Verona....”.
“Vi giuro che
sto sentendo Shakespeare che si rivolta nella tomba” sentenziai, sospirando.
“Se siete così
intelligenti vi sfido a fare battute su Andromaca!” disse Nadia, che era appena
arrivata e evidentemente non aveva apprezzato la scenetta.
Non avevo avuto
modo di parlarle molto in quelle ventiquattro ore ma la mia gratitudine nei
suoi confronti crebbe esponenzialmente.
I ragazzi
fissarono il nome sulla sua maglietta, imbarazzati, ma ovviamente a guastare la
festa ci pensò Luca.
“No dai, non
tocchiamo Andromaca, poverina. Ragazzi, avete visto “Troy”?”.
“Luca, ti
ringrazio ma evita che con questo titolo ambiguo ci ritroviamo l’ennesima
battutina sulla questione Mediatrice- Meretrice” lo stoppai, sorridendo in
maniera falsamente gentile.
Lui alzò le
mani.
“Come vuoi... Giulietta”.
“Non si può fare
nemmeno una battuta, oh” si lamentò Salvatore, guardandomi male.
“Dai ragazzi,
Lasciamo stare in pace Alice... Andiamo a prendere in giro Clara che si è
beccata Saffo!”.
“No vi prego...”
biascicai, ma parlai al vento visto che i ragazzi erano andati in direzione di
Clara che stava ballando con alcuni dei suoi ragazzi e avevano iniziato a farle
degli scherzi.
“Dici che è così
che si tengono svegli?” mormorai, scioccata.
“Probabile.
Andiamo a prenderci un bicchiere d’acqua e illudiamoci che sia un drink, dai”
propose Giada, alzandosi.
Annuii,
seguendola fino al bar dove un barman ci passò dell’acqua in un bicchiere da
drink con tanto di cannuccia colorata e fazzoletto, quasi come per darci la
parvenza di un contenuto alcolico, e ci fermammo a bere con tutta tranquillità
vicino a un gruppo di ragazzi che aveva deciso di non ballare.
Mario in quel
momento prese una valanga di messaggi da un cilindro appogiato sul tavolo
centrale e andò verso il microfono, iniziando a leggere i nuovi contenuti.
Di colpo, tutti
i ragazzi smisero di ballare e si posizionarono attorno a lui, curiosi al massimo.
“Romeo, ti conosco da poco ma già mi piaci!
Ooooh! Amleto, sei fidanzato? Brave
ragazze, dritte al sodo! Gertrude, ma
quanto te la credi? Calme ragazze, mi raccomando! Oh, questa è bella! Grazie, Giulietta, oggi mi hai salvato due
volte, se fosse dipeso da te Romeo non sarebbe morto. Grazie per il tuo sostegno. Ragazzi, Giulietta è del nostro staff,
ehehe....”.
Ovviamente,
tutti i ragazzi iniziarono a curiosare i nomi delle ragazze dello staff,
qualcuno mi indicò, altri ridevano, il tutto mentre io mi dicevo di non
arrossire e mi portavo una mano alla bocca.
Senza sapere
come, incrociai lo sguardo di Luca che se ne stava a pochi passi me.
Lui alzò il
pollice in mia direzione e mi fece l’occhiolino, con tanto di sorriso
incoraggiante.
*°*°*°*
Ed eccoci qui
con il capitolo due!
Prima di tutto,
ci tenevo a ringraziare di cuore chi mi ha dedicato un po’ del suo tempo per
farmi conoscere le sue impressioni sul primo capitolo e chi ha letto/iniziato a
seguire la storia :D
Sono stata così
contenta che in questi giorni, anche grazie all’ispirazione, ho scritto
moltissimo e mi sono portata avanti in vista della partenza di agosto.
Detto ciò... Che
dire, la situazione piano piano sta ingranando, tutti si iniziano a conoscere e
Alice ha avuto modo di dare il suo contributo al gruppo tra una prova
antincendio e una ragazzina momentaneamente introvabile.
Dal capitolo 3
entreremo nel vivo dell’azione, promesso!
Come sempre,
eccovi un’anticipazione:
Io me ne stavo
dietro a tutto vicino Clara, la quale non perse tempo per avvicinarsi.
“Mi è dispiaciuto
sentire ciò che ti ha detto Luca” bisbigliò.
Cosa succederà?
E cosa ne
pensate dei personaggi conosciuti fino ad ora?
Fatemi sapere
^_^
A Lunedì :D
Milly.
|
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Capitolo 3 *** Day 3: I litigi sotto la pioggia non sono come quelli dei film ***
Day 3: I litigi sotto la pioggia non sono come quelli dei film
Capitolo
3
Day 3: I litigi sotto la pioggia non sono come quelli dei film
“Sì, sabes que ya llevo rato mirándote, tengo
que bailar contigo hoy...”.
“Vi que tu mirada ya estaba llamándome, muéstrame
el camino que yo voyyyyy...”
continuai automaticamente quando il telefono di Mario iniziò a squillare, il
giorno dopo a colazione.
Accompagnai
il tutto con uno sbadiglio e mi tuffai in quella tazza di liquido orrendo che
per gli inglesi era caffè con un po’ di latte mentre gli altri membri dello
staff guardavano male me e Mario, il quale si era allontanato per rispondere.
“La
canti pure?!” domandò Nadia, che come sempre alle sette e cinquanta del mattino
era in grado di esibire un trucco perfetto con tanto di eyeliner messo
perfettamente in stile Adele e uno smoky eye da far paura.
“L’abbiamo
cantata tutti nelle nostre teste, io ho solo avuto il coraggio di cantarla ad
alta voce” la rimbeccai.
“Alì,
così mi scadi” disse Salvatore prima di dare un morso al suo toast con burro e
marmellata.
“Mi
sa che ti sono scaduta nel primo istante in cui mi hai conosciuto” borbottai,
cercando di non essere tragica.
“E
pure c’hai ragione”.
“Chi
è Alice? Lei è Giulietta!”
s’intromise Clara, che dalla sera prima aveva accettato il nomignolo di Saffo
con tanta energia.
Udendo
ciò, quasi mi strozzai con un pezzo di croissant e non riuscii a non guardare
in direzione di Luca, che però non diede alcun segno di cambiamento mentre
spalmava la marmellata sul suo toast.
Avevo
pensato al suo gesto carino, era stato palesemente lui, non c’era altra
spiegazione!
Mi
aveva fatto piacere perché mi ero sentita considerata parte integrante del gruppo
e speravo che questo effetto non svanisse.
Il
mio flusso di pensieri fu interrotto dall’arrivo di Saverio che portava tra le
mani il vassoio con la colazione in maniera stanca, come se fosse qualcosa che
faceva per inerzia.
Prese
posto di fronte a me e disse un fiacco: “Buongiorno. Ho un mal di testa...”.
Un
coro di “Buongiorno” fu sopraffatto da Giada che si offriva di dargli qualcosa
per farlo stare meglio visto che ci toccava il primo giorno di escursione a
Londra.
“Sì,
mangio qualcosa e poi prendo un Oki. Ragazzi, vi sono chiari i punti discussi
ieri in riunione?”.
I
GL annuirono e così feci io.
“Alice,
cosa fai? Stai con noi tutta la giornata o dopo l’escursione con gli spagnoli
te ne vai?”.
“Sto
con voi”.
“Ok,
puoi fare un giro da sola nel pomeriggio senza di noi visto che faremo un
walking tour della città con gli inglesi”.
Annuii,
allietata da quella prospettiva perché del tempo da sola, magari a Trafalgar
Square o a Piccadilly, era ciò che mi ci voleva.
Già
sognavo un caffè da Costa, sola con i miei pensieri e con il tempo per fare
qualche chiamata e inviare qualche messaggio alle mie amiche che ormai mi
davano per dispersa.
“Poi
ceneremo insieme da qualche parte, daremo un budget ai ragazzi per cenare da
soli e torneremo qui per le nove”.
Ci
fu un generale mormorio di assenso e ognuno tornò alla propria colazione.
Si
vedeva che iniziavamo ad essere stanchi, la riunione in cui Saverio ci spiegava
come si sarebbe svolta l’escursione e spiegava ai GL cose di base come far
attraversare la strada ai ragazzi in una città come Londra era finita all’una
passate, dopo la serata “C’è Posta per Te”, quindi ognuno aveva dormito poco
più di cinque ore.
Io,
che avevo dovuto rendermi presentabile e fare anche lo shampoo, avevo dormito
quattro ore e mezzo.
In
più, come se non bastasse, iniziavo ad avere la sensazione di conoscere quelle
persone da troppo tempo, mi sembrava assurdo che quello fosse il terzo giorno
di permanenza nel college.
Evidentemente,
alla fine delle due settimane, mi sarebbe sembrato di conoscere tutti da una
vita.
Mi
ritrovai in pullman seduta vicino ad una ragazzina silenziosa, con Nadia e Luca
seduti davanti a me e Saverio alla mia destra.
Giada,
Clara e Mario erano sull’altro pullman con i rimanenti quaranta ragazzi.
Ne
approfittai per provare a schiacciare un pisolino e notai quanto potesse essere
comodo un pullman quando si hanno molte ore di sonno arretrato.
Chiusi
gli occhi, beandomi dell’improvvisa mancanza di luce intorno a me, mi sentii
subito rilassata...
Io,
Alice Sebastiani, quella che aveva problemi a dormire in hotel o in una casa
nuova, trovavo il pullman comodo!
Cosa
stava succedendo?
Mi
stavo abituando ad uno stile di vita precario, privo di comfort, cosa che non
credevo possibile visto che ero pur sempre la ragazza che a casa dormiva con
ben due cuscini posizionati in un modo strategico e che odiava tutte le
lenzuola che non erano di cotone in estate e flanella in inverno.
“Alice,
scusami. Alice, scusami, puoi svegliarti?”.
La
voce di Saverio mi raggiunse da lontano, quando ero ormai partita per il mondo
dei sogni.
Quanto
era passato? Un’ora? Dieci minuti?
Aprii
gli occhi di scatto e vidi Saverio che mi scuoteva con un braccio mentre Clara
e Luca si erano voltati e ci guardavano interessati, come se fossimo i
protagonisti di un film.
“Sì?”
biascicai, ancora più addormentata che sveglia.
“Ho
Javier in linea, mi ha chiamato per dirmi una cosa, puoi parlarci tu? Non
capisco!”.
Mi
passò il telefono con forza e quasi me lo attaccò vicino all’orecchio.
Sperai
di essere sveglia e ricettiva e di non fare figuracce.
“Hola Javier, soy Alice. Dime todo y lo voy a decir a
Saverio”.
“Hola Alice. Sì, claro. Tenemos un problema, el conductor
dice que es mejor si aparca cerca de Westminster y no cerca de Piccadilly
Circus como dice el programa. Podrías decirselo también al vuestro conductor,
por favor? Así que nos encontramos en el mismo lugar”.
La
voce di Javier era sensuale e coinvolgente come sempre ma, ovviamente, da
perfetto abitante dell’Andalucia parlava senza fermarsi un secondo, ignorava le
s e accorciava le parole... Un incubo per una che era reduce da un pisolino
come me.
“Sì, vale, se lo voy a decir ahora. Hay otro que tengo que
comunicar?”.
“No, esto es. Gracias, nos vemos dentro de diez minutos”.
“Vale, gracias. Hasta pronto”.
Staccai
la telefonata e notai che tutti mi guardavano come se fossi un’aliena,
specialmente i due GL che mi vedevano nel vivo dell’azione per la prima volta.
“Che
figa la nostra interprete!” esclamò Clara, con un tono quasi di ammirazione.
“Da
sveglia rendo meglio” mormorai, imbarazzata.
“Dopo
voglio vederti dal vivo mentre interagisci con loro, hai un ottimo accento!”
aggiunse Luca, sorridendomi.
“E
voi ora ve ne siete resi conto, sono tre giorni che questa poverina si sgola
per spiegarmi tutto. Dai, che ha detto Javier?” domandò Saverio, impaziente.
“Il
loro autista ha consigliato di farli scendere a Westminster e non più a
Piccadilly, dobbiamo avvisare anche il nostro autista”.
Lui
subitò scattò per comunicare con il conducente ed io sospirai, sforzandomi di
rimanere lucida. “Javier ha anche detto che ci vedremo tra dieci minuti, è vero?
Siamo già arrivati?”.
“Sì,
dopotutto abitiamo giusto un po’ fuori Londra, ci vuole poco... Quando dormi
poi il tempo vola” mi fece notare Clara, sarcastica come sempre.
“Eh
lo so. Sono crollata...”.
“Dovresti
sforzarti un po’ di più per abituarti a questi ritmi, come abbiamo fatto noi”
osservò Luca, prima di voltarsi e sedersi normalmente.
“Scusami
se non ho il tuo stesso orologio biologico, ma forse sono stanca perché ieri ho
reso di più e come qualcuno mi ha fatto notare gli ho parato il culo ben due
volte”.
Nel
momento in cui finii di parlare me ne pentii, mi sarei morsa la lingua se
avessi potuto.
Era
una cosa da dire? Attaccarsi così di fronte ad una costatazione?
Era
vero, dovevo abituarmi ai ritmi, tutti già ci erano riusciti tranne me ed io mi
offendevo se me lo facevano notare.
Aspettavo
un’eventuale replica che però non venne: Luca non disse altro e tornò ad
ascoltare la musica con le cuffiette nell’orecchio, come se io non esistessi.
Arrabbiata,
offesa, mi voltai istintivamente verso il direttore che disse semplicemente:
“Tranquilla, devi fregartene solo del mio giudizio e stai andando bene”.
Annuii
e poi mi misi a sedere meglio, con la schiena dritta e la testa piena di insulti
per me stessa e per il signorino che mi stava di fronte.
Alle
dieci eravamo davanti Buckingham Palace e Javier chiese cortesemente ai ragazzi
di riunirsi attorno a lui.
Fui
costretta ad aiutarlo perché solo una decina di ragazzi conoscevano le basi
dello spagnolo, gli altri conoscevano solo l’inglese e al massimo un po’ di
francese.
Javier
era un mio coetaneo, da quel che sapevo studiava alla Complutense di Madrid per
un Master ma era originario di Cordoba.
Era
il tipico ragazzo del sud della Spagna scuro di pelle e di capelli ma aveva
degli occhi di un verde intenso che avevano già un fan club tutto loro tra le
ragazzine.
Si
faceva chiamare Javi e il suo nome rimbombava dal giorno precedente in tutte le
aree del campus, da quando le ragazzine avevano avuto modo di vederlo prima del
test.
Diceva
in continuazione “maravilloso” e ormai tutti se ne erano resi conto, così
qualche ragazzino lo prendeva in giro mentre le sue fan ribadivano che di
“maravilloso” nel campus c’era solo lui.
“Javi, yo voy a traducir lo que tu dices, vale?” domandai, dicendogli che avrei tradotto ciò che lui diceva
sull’edificio.
“Vale”. Richiamò
l’attenzione dei ragazzi e poi iniziò a parlare. “Buckingham Palace es la dimora oficial del Rey o del la Reina de
Inglaterra, a partir de 1837, cuando empezó el reino de la Reina Victoria”.
“Buckingham
Palace è la dimora ufficiale dei sovrani d’Inghilterra a partire dal 1837,
quando iniziò il regno della regina Victoria...”.
Me
ne stavo così, alla destra di Javi, lui ogni tanto mi sorrideva ed io mi
sentivo finalmente in pace.
Tradurre,
sia testi che discorsi, mi ha sempre rilassato.
Adoro
farlo, mi piace impegnarmi per rendere una traduzione nel miglior modo
possibile e in quel momento ne avevo davvero bisogno come calmante.
Alla
fine della presentazione, quando Javi disse che potevamo fare qualche foto per poi andare verso la National Gallery,
addirittura scappò un piccolo applauso da parte dei ragazzi ed io mi sentii
lusingata.
“Aspettate,
una foto per il sito!” disse Mario, venendoci incontro quando io e Javi ci
stavamo per separare.
“Foto?”
domandò lo spagnolo.
Sorridemmo
verso il cellulare dell’activity leader, Javi appoggiò una mano sulla mia
spalla e si separò quando Mario ci diede l’ok.
Dopo
qualche minuto in cui tutti si fecero delle foto davanti al Palazzo, in
particolar modo nello stesso raggio d’azione delle guardie, tutti e ottanta i
ragazzi furono ridivisi per squadre e formarono una lunga coda di adolescenti
con un group leader davanti, uno dietro e due ai lati, pronti a vigilarli
durante il percorso verso la National Gallery e Trafalgar Square.
Io
me ne stavo dietro a tutto vicino Clara, la quale non perse tempo per
avvicinarsi.
“Mi
è dispiaciuto sentire ciò che ti ha detto Luca” bisbigliò, guardandosi attorno
per evitare che qualcuno sentisse. “Io non lo penso, poi tu hai iniziato a
lavorare prima di noi e mi rendo conto che tradurre email e discorsi è diverso
dall’avere a che fare con i ragazzi...”.
“Clara,
è tutto ok” la fermai, decisa a non creare rumors e disagi nell’ambiente di
lavoro. “Mi sono difesa, basta”.
“Certo,
certo, hai fatto benissimo. Giulia, in fila per due, non scappare davanti!”
aggiunse, avvicinandosi ad una ragazza, così io ne approfittai per andarmene un
po’ più avanti e starmene per conto mio.
Alle
due del pomeriggio ero, finalmente, sola.
Avrei
potuto camminare fino al Big Ben e fare qualche foto ma ero così desiderosa di
pace che entrai nel Costa Coffee di Piccadily e ordinai un espresso.
Chiamai
mia madre per raccontarle qualcosa del lavoro, mandai dei messaggi vocali ad
Anna e Maria, le mie migliori amiche, per aggiornarle un po’ la situazione, poi
provai a capire cosa mi stava succedendo.
Ero
in un nuovo ambiente, ce la stavo mettendo tutta per lavorare bene, Saverio mi
faceva sentire sicura e tutelata perché era chiaro, comprensivo ma schietto.
Amavo
il mio lavoro, solo che dormivo poco e, sì, dovevo ammetterlo, mi sentivo
inadeguata perché vedevo i GL pieni di energie a tutte le ore.
Mi
sentivo un po’ inferiore, li invidiavo, volevo rendere come loro.
Anche
Giada, tuttavia, sembrava sulla mia lunghezza d’onda e ciò mi consolava un po’
perché mi faceva capire che ero umana dopotutto e c’era qualcuno che rispondeva
al duro lavoro nel mio stesso modo.
Sì,
forse i nostri lavori erano diversi, i GL potevano avere un momento di svago
mentre i ragazzi erano liberi in giro per la città o mentre erano a lezione
mentre io e Giada non avevamo schemi, potevamo lavorare in qualsiasi momento,
magari anche di notte se necessario, quando eravamo già andate a dormire.
Constatare
ciò mi fece sentire meglio.
“Non
sono inferiore a nessuno e mi sto facendo in due per il bene dell’azienda” mi
dissi mentalmente, mentre sorseggiavo il caffè.
“Hola Alice, nos vemos otra vez”.
Sentii
qualcuno appoggiare la mano sulla mia spalla e nel riflesso della vetrina che
dava sulla strada vidi Javi.
Mi
voltai e gli sorrisi.
Gli
chiesi cosa stesse facendo lì e mi disse che stava prendendo un caffè da
portare con Laura visto che avevano il Taxi a breve per tornare al campus, gli
inglesi erano appena arrivati per il loro turno e avrebbero occupato il loro
posto in pullman al ritorno.
Mentre
parlava, pensai che era decisamente buffo il modo in cui Javi pronunciava il
mio nome: “Alise”.
Non
potevo dirgli nulla, dopotutto tutti lo chiamavano “Avi” senza aspirare la Jota
e lui non diceva niente, anzi, ci rideva su.
“Siediti
pure mentre Laura prende i caffè” lo invitai cordialmente, indicandogli la
sedia.
Javi
non se lo fece ripetere due volte, accettò di buon grado e prese posto.
“Che
ci fai qui tutta sola?” chiese, probabilmente curioso visto che in tre giorni
mi aveva sempre visto con qualcuno dello staff al mio fianco.
“Sono
in pausa visto che il mio compito è tradurre solo lo spagnolo. Fino ad ora di
cena sono libera” dissi, non riuscendo a non celare l’entusiasmo.
“Oh.
Se lo avessi saputo non avrei prenotato il taxi con Laura, avremmo potuto fare
un giro insieme, muoio dalla voglia di fare una passeggiata senza dover fare da
guida turistica”.
“E
io muoio dalla voglia di fare un giro senza dover tradurre ciò che dici”
ironizzai. “Possiamo rimediare uno di questi giorni” aggiunsi.
Javi
sorrise e disse il suo solito “Maravilloso!” seguito da “Oh, Luca!”.
Mi
voltai di scatto e vidi che di fronte a noi, dall’altra parte della vetrina,
c’era Luca con un gruppo di suoi ragazzi.
Avevano
smesso di camminare e si erano fermati a guardarci, quasi come se fossimo uno
spettacolo interessante e raro.
Alzai
la mano in segno di saluto, lui fece un segno di riconoscimento con il capo per
poi indicare ai suoi ragazzi un negozio di fronte, come se non si fosse mai
distratto.
“Sarà
impegnato ancora...”.
“No,
ora i ragazzi sono liberi per pranzo, solo che gli piace stare con loro”
spiegai, il che era vero visto che spesso e volentieri Luca si confondeva con i
suoi ragazzi, amava giocare e scherzare con loro.
“Hola, Alice!”.
Laura
Rosales, la dirigente del team spagnolo, era come sempre perfettamente vestita
in un modo casual ma elegante, con i lunghi capelli buondi legati in uno
chignon.
Aveva
in mano due caffè da asporto e sembrava di fretta.
“Buenas tardes, Laura”.
Mi
ripeté ciò che mi aveva detto Javi e nel giro di due minuti lasciarono il
locale per andare verso il taxi che forse li stava già aspettando.
Presi
un bel respiro e decisi di concentrarmi sulle ultime gocce di caffè ormai
freddo che mi rimanevano, mentre osservavo il mio riflesso attraverso la
vetrina.
I
capelli ramati frutto di una tinta ormai scolorita erano un po’ disordinati a
causa della pioggerella di quella mattina, il volto era truccato pochissimo e
si vedevano le occhiaie, ma per fortuna avevo dei tratti da bambina a causa
della sua forma un pochino rotondetta e di conseguenza la stanchezza non mi
invecchiava.
Non
so perché mi sentivo diversa, come se quella riflessa di fronte a me non fossi
io.
“Che
idiota” borbottai, prima di finire in un unico sorso il resto del caffè.
Rientrammo poco dopo le ventuno e Saverio ci graziò dicendoci
che la riunione serale in cui ci avrebbe illustrato il programma della domenica
avrebbe avuto luogo subito, in modo da consentirci di riposarci per il giorno
successivo.
Tentai di dirmi che era una cosa casuale, che non lo stava
facendo per farmi dormire di più dopo la scenata del pullman, dopotutto lui
aveva iniziato la giornata con il mal di testa, ma non ci riuscii.
Continuavo a pensare alla faccia di Luca, al suo sguardo nei
miei confronti attraverso la vetrina di Costa, al mio mix di pensieri
contrastanti nei confronti del lavoro svolto.
“Ci vediamo in sala riunione tra quindici minuti. Scrivetelo
nel gruppo” aggiunse Saverio, rivolto a me e Nadia, le uniche rimaste al suo
fianco quando ci ritrovammo nella zona centrale del campus, in mezzo ai vari
edifici dove alloggiavamo. “Attenzione che ci sono gli inglesi e gli spagnoli
che stanno invitando tutti a bere qualcosa con loro ma vi consiglio di
rifiutare, meglio farci vedere lucidi e non ubriachi, ricordatevi che siamo
prima di tutto collaboratori” ci ammonì severamente. “A tra poco”.
Io a Nadia facemmo un cenno affermativo e lei si apprestò a
scrivere l’informazione nel gruppo per poi avviarsi verso il suo edificio.
Io mi recai a destra, verso la E, e ovviamente mi ritrovai di
fronte Luca che parlava con George, uno dei componenti del team inglese.
Feci un sorriso di circostanza nei loro confronti e presi le
chiavi per entrare nella struttura.
Senza volerlo, ascoltai la conversazione e udii George
invitare Luca per una birra.
“A
beer? Why not!” ripose lui.
Mi bloccai, senza sapere cosa fare.
Evidentemente Luca non aveva letto i messaggi di Nadia nel
gruppo, non mi sembrava il tipo di persona che non rispetta gli ordini del
proprio coordinatore.
Cosa dovevo fare?
Farmi gli affari miei e fingere di non aver sentito o
avvertirlo?
Se non avesse dato retta a Saverio anche lui per una volta
non sarebbe stato impeccabile, ma d’altronde ne andava anche dell’armonia del
gruppo visto che in tre giorni il nostro capo sembrava decisamente felice del
lavoro svolto dalla sua squadra.
Fu per questo che mi scusai per l’intromissione e,
voltandomi, appoggiai una mano sulla spalla di Luca.
Lui si voltò e mi guardò come se stessi facendo qualcosa di
inappropriato.
“Scusami, volevo solo dirti che ci sono delle novità sul
gruppo riguardo stasera, se puoi dare subito un’occhiata...”.
“Ok, grazie” borbottò, prima di voltarsi nuovamente verso
George.
Dicendomi di aver fatto la mia buona azione della giornata,
così, corsi nella mia stanza, presi adattore e caricabatteria, feci una doccia
lampo di davvero quattro minuti scarsi e indossai i pantaloni della tuta e un
maglione grigio visto che c’era di nuovo quella insopportabile pioggerellina e
la temperatura era di circa diciotto gradi.
Alle nove e ventidue ero in sala riunione con quasi tutto il
team, eccetto Giada, Salvatore e Luca.
Clara e Nadia sonnecchiavano su uno dei divani ed io, decisa
a dare prova della mia energia, presi posto su una sedia abbastanza scomoda in
modo da non favorire eventuali sbadigli.
“Se questi si sbrigano andiamo tutti in camera per le
ventidue” sbuffò Saverio, alzando gli occhi al cielo. “Questo mal di testa del cavolo non vuole
proprio saperne di lasciarmi in pace”.
“Si staranno facendo una doccia” ipotizzai.
“Tu te la sei fatta di sicuro, profumi, ora”.
“Ora, eh” stetti al gioco. “Lo so, prima puzzavo di pioggia
inglese”.
“Ne sei consapevole, meno male”.
Scoppiammo a ridere e in quel momento pensai che senza
Saverio probabilmente avrei già avuto un crollo nervoso.
Era il capo ideale per me, ne ero sicura, e speravo davvero
di riuscire a soddisfarlo dal punto di vista delle sue aspettative nei miei
confronti.
Salvatore e Giada entrarono insieme dopo qualche secondo,
scusandosi per il ritardo, e il capo ci contò mentalmente per poi dire: “Uffa,
manca ancora Luca, chiamatelo. Non esiste che debba aspettarvi per le riunioni!
Io so già tutto per quanto riguarda domani, se siamo qui è per voi!” sbraitò,
improvvisamente nervoso.
Giada si offrì di chiamarlo ma inutilmente: non rispondeva.
“Chi abita nel suo edificio? Non ho le chiavi universali a
portata di mano, mi serve qualcuno che abbia la chiave di accesso” disse quindi
Saverio, portandosi una mano in faccia per la stanchezza.
“Io” dissi, iniziando a temere il peggio.
“E allora vai e riporta quello scemo qui. Aspetta che ti dico
la stanza...”. Saverio si alzò, prese dei fogli in un cassetto e iniziò a
leggere freneticamente. “E18”.
“Ok, corro” dissi e mi volatilizzai dopo aver preso il telefono.
Non sapevo cosa pensare... Quell’idiota aveva ignorato il mio
avviso?
George capiva un po’ di italiano, non potevo parlargli chiaro
e tondo e, inoltre, non era compito mio tenerlo sulla retta via, non era uno di
quei ragazzini che si perdevano e per cui dovevamo svenarci pur di ritrovarli.
Era un adulto, un venticinquenne come lo sarei stata io a
breve, era qui per lavorare e non per andare a ubriacarsi con quelli degli
altri staff!
Per fortuna non mi fu difficile trovarlo: era con George e
Alejandro in una porzione di prato di fronte al nostro edificio, se ne stavano
nascosti in una zona dove non giungeva la luce dei lampioni.
Il tempo faceva schifo e se ne stavano all’aperto?
E se fossero passati dei ragazzi? Li avrebbero visti così,
intenti a bere?
Non era normale!
Riuscivo ad ascoltare le loro risate, qualche “Fuck” misto a
qualche “Joder” e alzai gli occhi al cielo, dicendomi di avere pazienza.
Mi avvicinai a quella zona con in mano il cellulare che mi
faceva da lampada mentre cercavo di non farlo bagnare con la pioggia, giusto
per annunciare la mia presenza, e come effetto li feci spaventare.
“Oh,
it’s you, Alice! You scared us!” urlò
George, prima di ridere e riportarsi la bottiglia di birra verso la bocca.
“Yes.
I am sorry but I need to speak to Luca”
dissi, facendogli segno di avvinarsi.
Lui, con un’espressione stranita, si alzò di malavoglia e si
avvicinò.
I due tipi continuavano a guardarci così mi spostai a circa
una decina di metri di distanza , obbligandolo a seguirmi.
“Che succede?” chiese, impazientemente.
“Succede che ti ho detto di leggere i messaggi sul gruppo e
evidentemente non lo hai fatto!”.
“Ho la batteria scarica...”.
“Ma allora vai in camera e trovi una soluzione, pensi che sia
deficiente se ti ho detto di leggerli? La riunione sta avendo luogo ora e
Saverio ci ha detto che non vuole che accettiamo di bere con gli inglesi e gli
spagnoli” spiegai rapidamente, immaginando già il direttore che spazientito ci
raggiungeva e scopriva il misfatto.
“E perché mai? Tu oggi stavi bevendo qualcosa con Javi e non
mi pare ti abbia fatto una paternale” replicò lui, con una faccia tosta che mi
diede ai nervi.
Avrei voluto tirargli un pugno dritto in faccia in modo da
demolirgli quel naso perfetto che si ritrovava, ma mi limitai a stringere il
pugno destro fino a dar diventare le nocche bianche.
“Tralasciando che non sono affari tuoi, io ho semplicemente
incontraro Javi ed ero nel mio tempo libero. Tu sei in servizio, hai una
riunione a cui partecipare e se Saverio ti vede così ti fa nero. E’ alcool, non
capisci? Non vuole che si dica in giro che beviamo quando il nostro dovere è
essere responsabile per i ragazzi...”.
“Il nostro, semmai”
mi corresse.
Era serio?
Cosa ci faceva quel pugno fermo, perché non agivo?
Ma soprattutto, perché non capiva di aver fatto una cazzata e
non agiva per porvi rimedio?
“Senti, magari non sarò la diretta responsabile dei ragazzi
ma lavoro anche io per la riuscita del viaggio. E quando perderai di vista il
prossimo, non osare venire a piangere da me, mi limiterò a svolgere il mio
lavoro e basta. Ah... Giusto per fartelo presente, al momento io sembro una
group leader e tu un ragazzino di tredici anni. Dirò a Saverio che non ti ho
trovato, fà quel che ti pare” sbottai, di sicuro rossissima in volto.
In una sola giornata quell’idiota era stato in grado di farmi
perdere il controllo ben due volte e non glielo potevo permettere.
Mi voltai, dandogli le spalle, e mi avviai di nuovo verso la
sala riunione a passo di marcia, senza badare alla pioggia che si faceva sempre
più insistente e mi stava facendo bagnare tutta.
“Alice, aspetta! Alice!”.
Continuai a camminare, arrivai all’edificio e mi bloccai
perché, uffa!, non avevo le chiavi di ingresso.
Battei un piede a terra per la frustrazione, decidendo di
inviare un messaggio per chiedere a qualcuno di venire ad aprire, ma in un
battibaleno mi ritrovai Luca di fronte, a sua volte con i capelli quasi
interamente bagnati e la maglia rossa dell’azienda con chiazze di pioggia.
“Ho detto ai ragazzi di non dire che ero con loro. Alice” mi
afferrò per le spalle e mi portò sotto una specie di portico alla nostra
destra, dove la pioggia non poteva colpirci ulterioremente, “Hai ragione. Hai
ragione su tutto, ho sbagliato. Io... oggi ero nervoso, avevo davvero bisogno
di una birra, tu non c’entri nulla”.
“Tu non hai il diritto di sparare sentenze su di me! Mi hai
fatto incazzare di brutto!”.
“Scusami. Mi sa che abbiamo dei caratteri simili, io tendo a
non voler dare ragione alla gente anche se sto di star sbagliando. Non volevo
fare la figura dell’idiota con i ragazzi... Tu sei dolcissima, mi hai avvertito
ed è ufficialmente la terza volta che mi aiuti. Stai tremando” aggiunse,
vedendo che quasi battevo i denti a causa del mix freddo, pioggia e semplice
maglione non molto pesante.
“E’ o-ok, ora rientro...”.
Si tolse lo zaino dalle spalle, lo aprì e ne estrasse una
felpa rossa dell’azienda fin troppo gigantesca per i miei gusti.
“Mettila, altrimenti ti ammali”.
“Cosa? No, ora invio un messaggio, ci aprono la porta...”.
“Non farti pregare. E dopo stasera meriti di essere
identificata come una group leader più che mai. Mi sa che il rosso ti dona”
disse, incoraggiante.
Decisi di non farmi abbindolare dalle sue parole, mi limitai
a prendere la felpa e ad indossarla, beneficiando subito della piacevole sensazione di calore che mi stava
donando.
“Voglio tu sappia che sono arrabbiata con te...”.
“Lo so”.
“E non ti aiuterò più”.
“Fai bene. Ora tocca a me aiutarti” mormorò, sorridendomi e
rivelando una dentura candida e perfetta. “Grazie. Non c’è bisogno che parli
con Saverio, mi giustifico io” sussurrò, prima di prendermi per un braccio e
trascinarmi di nuovo verso l’entrata dell’edificio. “Ma se vuoi dirgli la
verità, fai pure”.
“Io voglio solo stare tranquilla...”.
Luca mi guardò di sbieco e annuì debolmente, provando a
riparare entrambi dalla pioggia.
“Per quanto mi riguarda, quel treno ormai è partito”
sentenziò. “Oh, guarda! Nello, aprici e poi fila a letto!” urlò, rivolto a un
ragazzino dall’altra parte della porta che evidentemente cercava di sgaiattolare
da qualche altra parte.
Il cosiddetto Nello sbiancò e ci aprì la porta, intimorito.
“Luca, io...”.
“Fila a letto, Nello” gli intimò lui, perentorio.
“Sì, certo”.
Presi un bel respiro e mi passai una mano tra i capelli di
sicuro umidissimi e schifosi .
“Andiamo a questa riunione...” mormorai, ormai senza forze
sotto tutti i punti di vista.
“Sembri davvero una GL con la felpa rossa, Alice la Group Leader!”.
Mi voltai di scatto e lo guardai male mentre lui se la
rideva.
Chi si credeva di essere?
Prima mi trattava male e poi faceva l’amicone, come se nulla
fosse.
“Non mi abbindolerai, Luca” chiarii, seria più che mai.
Ovviamente, invece di avere una reazione normale, lui sorrise
di nuovo e mi fece l’occhiolino.
“Lo so. Questo è il bello!”.
*°*°*°
Buon pomeriggio a tutti :D
Come promesso eccomi qui con il nuovo capitolo!
Le cose iniziano a movimentarsi, no? Litigi, problemi,
questioni varie... Dopo solo tre giorni!
Ecco cosa succede quando si lavora quasi ventiquattro ore su
ventiquattro tutti insieme xD
Un grazie speciale va alla gentilissima Delia Bluetales per aver letto il capitolo e avermi fatto
notare degli errori, mi ha aiutato davvero tantissimo ad accelerare il processo
di pubblicazione <3
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate :D
A lunedì prossimo, poi ci sarà una pausa perché parto per
Praga <3
Un bacio,
milly.
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Capitolo 4 *** Di cotte e di crude ***
capppp4
Capitolo 4
Day 4: Di cotte e di crude
Il
cinque luglio iniziò inaspettatamente bene per me.
Dopo
i casini pre riunione, io e Luca avevamo raggiunto gli altri dicendo che lui
aveva perso il telefono per questo non sapeva della riunione e che io lo avevo aiutato
a ritrovarlo, così Saverio si era ammorbidito e in venticinque minuti di
orologio ci aveva spiegato tutto sulla gita del giorno successivo.
Alle
ventidue e trentacinque, con mio sommo stupore, ero andata a dormire e con
circa nove ore di sonno mi sentivo felice e rinvigorita, pronta a conquistare
il mondo.
Avevo
le energie anche per truccarmi in un modo un po’ più eleborato rispetto al
solito fondotinta e mascara, legai i capelli in una treccia e mi avviai verso
la mensa.
“Buongiorno!”
esordii, sedendomi al tavolo con gli altri.
Salvatore
disse: “Buongiorno, Alì, ti vedo bene stamattina” prima di bere un sorso di
caffè.
“Non
mangi?” aggiunse Nadia, che quella mattina aveva optato per un makeup da pin up
con ombretto nude, eyeliner e rossetto rosso. Evidentemente aveva notato che
non reggevo il vassoio con la colazione tra le mani e mi ero seduta senza fare
il solito chiasso per far incastrare il vassoio con gli altri presenti sul
tavolo.
“Oggi
ho un cameriere d’eccezione” annunciai, indicando con il pollice alle mie
spalle, dove Luca sostava, alzato, con la mia colazione.
Appoggiò
il tutto sul tavolo, accompagnato da un “Per lei, signorina” che sapeva tanto
di presa in giro e prese posto al mio fianco, sotto lo sguardo curioso di
Clara, Nadia e Salvatore.
“E
tu? Non ce l’hai il vassoio?” chiese Clara, tuttavia ridacchiando per quella
scenetta.
“Certo
che ce l’ho. Ho preso tutto a doppio per non fare due viaggi. Grazie” aggiunse,
prendendo una bella quantità di toast dal mio vassoio e ridendosela un mondo.
“E
a cosa dobbiamo ‘sto servizio di classe?” chiese Salvatore, squadrandoci.
“Devo
farmi perdonare. Ieri a causa mia si è beccata pioggia, freddo e vento” spiegò
semplicemente Luca, guardandomi di sbieco.
“Che
gentiluomo! Salvatò, prendi esempio!” disse Nadia, facendogli una linguaccia.
“Anche
Salvatore lo è, anche se mi prende sempre in giro” rivelai.
“Io
non ti prendo in giro, ti descrivo, Alì” ribattè lui, fin troppo pacato.
Luca
scoppiò a ridere e gli fece il tipico gesto di chi vuole battere il cinque e
Salvatore lo accontentò mentre io, incredula, mi fingevo sconvolta e
imbronciata.
“Mi
dispiace, Luca, stavo per perdonarti ma dopo questa la strada è ancora lunga”
sentenziai, falsamente concitata, mentre iniziavo a mangiare latte e cereali.
“Giustissimo,
non ti dò torto” stette al gioco lui.
“Sì,
Alì, però nun te gasà e non darmi
punizioni eh, io non te la porto la colazione e non ti faccio lo schiavetto”.
“Buongiornissimo,
ragazzi, vi vedo arzilli stamattina”.
La
voce un po’ profonda di Saverio annunciò il suo arrivo e quello di Mario ed
Elena.
Alle
loro spalle, Giada stava arrivando con la colazione.
“Sì,
Alice è in vena di scherzi” la buttò lì Nadia.
Lui
mi guardò sorpreso e poi prese posto.
“Ragazzi,
entro domani dovete portarmi tutti i moduli che vi ho dato con i numeri dei
ragazzi, le loro stanze e via dicendo” disse Elena.
I
GL annuirono e dopo che Giada si fu seduta non si sentì ulteriore rumore,
impegnati come eravamo a rifocillarci in vista di un’ulteriore giornata fuori.
Dopo
pranzo i ragazzi si stavano rilassando ad Hyde Park ed io ne approfittai per
stendermi sul prato con Nadia.
Volevamo
goderci un po’ di sole visto che finalmente, dopo giorni di pioggia e freddo,
la temperatura aveva toccato i venticinque gradi.
Inoltre,
mi sembrava carino passare del tempo con lei visto che avevo avuto modo di
parlare di più con Clara e Giada.
Non
avevo ancora capito come inquadrarla, mi sembrava disponibile con i ragazzi ma
non molto disinvolta con noi.
Forse
perché, dopo Saverio, era la più grande visto che aveva trentuno anni e noi
avevamo dai ventitré ai ventotto anni, oppure c’era qualche altra spiegazione
che non conoscevo.
“Quindi
tra tre giorni è il tuo compleanno?” mi domandò curiosa, probabilmente
ricordando il momento in cui Mario aveva letto i nostri curricula.
Sorpresa
per la sua memoria, annuii.
“Sì”.
“E
quanti ne compi?”.
“Venticinque”.
“Beata
te. Sei giovane, non fare gli errori che ho fatto io alla tua età” mi ammonì,
mentre inforcava gli occhiali da sole.
Stava
forse iniziando ad aprirsi con me?
Non
so perché ma questa cosa mi lusingava, quasi come quando Chiara aveva iniziato
a parlare del suo problema nei confronti del test di spagnolo.
“Quali
errori, se posso sapere?” domandai, un pochino timorosa nel chiedere qualcosa
di personale.
Tuttavia,
Nadia non sembrava assolutamente restia a parlare della sua vita, anzi, si mise
un po’ più comoda, appogiò la testa sul suo zaino come se fosse un cuscino e
iniziò a raccontare.
“Avevo
trovato un ottimo lavoro come truccatrice a Milano. Io sono dell’Abruzzo, avevo
un fidanzato da cinque anni. Mi trasferii ma lui mi disse che non ce la faceva
a vivere una storia a distanza, mi chiamava mille volte al giorno, io avevo
anche trovato un lavoro per lui lì visto che lavorava part time... Ma niente. Mi
convinsi, mollai tutto e qualche anno dopo mi ha anche lasciato, ora vive con
una tua coetanea in Toscana. A quanto pare il problema non era il
trasferimento” disse amaramente, incrinando un po’ il tono.
“Ma
che stronzo!” mi lasciai scappare, indignatissima.
Alle
nostre spalle, un gruppo di ragazzini rise udendomi dire ciò e io mi tappai le
mani con la bocca, per poi chiedere scusa.
“Sì,
ma io ero ingenua. Pensavo solo ad una vita con lui, dicendomi che magari
seppur disoccupati saremmo stati felici... Ma l’amore non basta, Alice. Ci
vuole il rispetto, il rispetto per i sogni altrui, se non ci si appoggia l’un
l’altro si distrugge tutto. Io ora ho trentuno anni, faccio qualche lavoretto
come make up artist e ho uno stupidissimo canale Youtube quando potrei essere
conosciuta a Milano. Tutti adoravano come lavoravo...” sospirò. “Invece sono
qui, a provare un nuovo lavoro giusto per guadagnare qualche centinaia di
euro”.
Non
sapevo cosa dire.
In
pochi miuti Nadia mi aveva rivelato il perché della sua apparenza un po’
malinconica, la sua diffidenza, la sua disillusione.
Ecco
cosa pensava quella ragazza ogni volta che la beccavo con lo sguardo perso nel
vuoto o quando era costretta ad alzarsi così presto e ad andare a dormire così
tardi per svolgere un lavoro che non era mai stato nei suoi piani.
Io
ero lì, alla mia prima esperienza lavorativa, piena di sogni ed illusioni come
se tutto mi fosse dovuto e invece lei mi aveva riportato con i piedi alla
realtà.
Come
ogni cosa nella mia vita, toccava a me sudarmela e far sì che ciò accadesse.
“Nadia,
mi dispiace tanto! Però conosci la tua strada, sai la tua vocazione, e non è da
poco. E’ da quando ti conosco che ti invidio perché sfoggi un trucco
bellissimo, si vede che sei brava” provai a tirarla su, onesta.
“Mi
rilassa truccarmi, è un modo per esprimere come mi sento”.
“Per
questo quando c’era la prova antincendio hai osato con lo smokey eye?”.
Lei
si lasciò scappare una risata genuina dopo tanta pesantezza e mi fece sentir
meglio vederla così.
“Non
ci avevo fatto caso, che coincidenza! Che memoria hai!”.
“Come
la tua, visto che ricordi la mia data di nascita”.
“Ah
no, lo ricordo solo perché é il giorno in cui dovrebbe venirmi il ciclo”.
Risi
di cuore a mia volta, sentendo di aver in qualche modo legato con lei,
nonostante la breve chiacchierata.
“Festeggeremo
a dovere durante la riunione serale, promesso” rivelai, mettendomi a sedere.
“Davvero?
Ti stiamo simpatici, quindi?”.
“Abbastanza,
dai” concessi, mentre lei si alzava a sua volta e, così, senza motivo, mi
abbracciava.
“Scusami
se ti sono sembrata una frignona ma ieri ho visto una foto di quel coglione su
Facebook e avevo bisogno di parlarne” rivelò.
“Quando
vuoi puoi parlarne quanto vuoi” la rassicurai, sentendo un improvviso moto di
affetto nei suoi confronti.
La
vita è strana, incontri persone con cui non condividi nulla e poi, dopo qualche
scambio di parole, senti di aver stabilito una connessione emotiva con lei.
“Ehi,
abbracciate anche meee!”.
Come
un uragano, Mario si fiondò addosso a noi e ci strinse in un abbraccio
stritolacostole, mentre Giada immortalava il tutto con il cellulare dicendo:
“Questa finisce direttamente sul sito!”.
“Carenza
di affetto, Mario?” lo presi in giro quando ci lasciò finalmente stare.
Lui,
un omaccione che sembrava quasi un orsetto di peluche quando voleva fare il
simpatico, annuì con convinzione.
“Sì.
Stasera vengo a trovarvi per darvi la buonanotte così mi passa”.
Giada
si sbellicò dalle risate e lui aggiunse: “Vale anche per te, giochiamo al
dottore...”.
“Giada,
fossi in te gli prescriverei una bella supposta” ironizzò Nadia.
“Guarda
che love is love Nadia, per me non c’è problema!”.
“E
allora perché non vai a dare la buonanotte anche a Luca, Salvatore e Saverio?”.
“Oh,
ma lo ha già fatto, colleghe” s’intromise Luca, spuntando alle nostre spalle da
chissà dove.
Evidentemente
aveva finito di giocare a calcio con i ragazzi, sembrava un po’ sudato.
“Sì,
ci siamo strapazzati di coccole!” confermò Mario, abbracciando Luca e dandogli
un bacio sulla guancia fin troppo sonoro. “E stasera ballerà la salsa con me!”.
“Non
ti allargare...”.
“Salsa?”
domandai, seppur continuando a ridere per la scenetta di quei due.
Erano
favolosi, erano subito diventati amici ed erano sempre sulla stessa lunghezza
d’onda per quanto riguarda il mettersi in mostra e fare battutine.
“Sì,
stasera la serata è organizzata da Javier e i ragazzi dovranno imparare a
ballare la salsa. Anche noi, ovviamente” sottolineò l’activity leader, puntando
il dito contro ognuno di noi.
“Ehi,
ho vissuto sei mesi a Siviglia e avevo una coinquilina sudamericana. Il venerdì
andavamo sempre in un locale a ballare
la salsa, quindi non ho bisogno di imparare” ammisi, sentendomi per una volta
un po’ più esperta e meno impacciata.
“Hai
capito la mediatrice!”.
Mario
mi strinse la mano come se mi stesse conferendo un titolo d’onore e Luca si
voltò a guardarmi.
“Mai
ballato salsa! Mi insegni?” domandò.
“Oh,
certo”.
“Allora
hai un ballo prenotato stasera, mi raccomando!”.
“Lo
metterò nella mia agenda...” borbottai, imbarazzata.
Speravo
se ne dimenticasse perché la prospettiva di ballare salsa con lui davanti a
ottanta adolescenti mi metteva un po’ in ansia.
Ero
pur sempre Alice, magari per l’emozione gli avrei pestato un piede o cose
simili.
“Io
vengo prima di te, sono l’activity leader” protestò Mario, prendendomi per mano
e facendomi alzare con forza. “Balliamo ora!”.
“Che?”.
“Ma
vi state divertendo senza il vostro capo, non ho capito?”.
La
voce di Saverio ci riportò alla realtà, tutti tranne Mario ci bloccammo, salvo
poi tirare un sospiro di sollievo quando vedemmo il direttore sorridere.
“Cosa
sta succedendo?”.
“Alice
mi insegna la salsa!”.
“Eh,
e poi la mettete sulla pasta?”.
Salvatore
completò il quadretto, ovviamente.
Tutto
lo staff era lì, pronto a guardare me e Mario che improvvisavamo un balletto
con i fiocchi, come se fossimo negli anni ’60 e tutti si fossero raggruppati di
fronte ad unica televisione con lo scopo di vedere lo stesso programma tanto
atteso.
Ignorai
la battuta di Salvatore e guardai Mario.
“Davvero
vuoi che ti insegni?” chiesi.
“Certo
che sì, ora, così stasera non faccio la figuraccia” mi spiegò.
“Ok,
vieni qua...”.
Giada
prese il telefono tra le mani e nel giro di poco si diffusero le note di
“Propuesta indecente” di Romeo Santos.
“Ma
questa è una bachata” protestai, con le mani di Mario già tra le mie.
Notai
che qualche ragazzo curioso iniziava a guardarci e la cosa mi metteva ansia.
“Arrangiatevi!”
ribadì la dottoressa.
Sospirai
e guardai Mario negli occhi.
“Allora,
iniziamo con il passo base. Tieni le mani tra le mie così, poi io vado avanti
con il piede e tu indietro...”.
“Oh, Salsa?”.
Mi
bloccai e vidi Javi che si era appena avvicinato e ci guardava incuriosito, con
le braccia incrociate come se si stesse impegnando per vedere eventuali errori.
“Sì, Mario quiere aprender”
spiegai, bloccandomi di colpo.
“Tu sabes bailar la salsa, Alice?”.
“Sì, viví en Sevilla y los viernes por la tarde iba a bailar
salsa con mi compañera de piso...”.
Con
decisamente poca nonchalance, Javi si avvicinò a me e Mario e lo allontanò come
se fosse una mosca poca gradita.
Quando
parlavamo in spagnolo sembravamo escludere gli altri e la cosa non mi piaceva
perché mi sembrava di sentirmi diversa da loro e non volevo escluderli.
“I
was dancing with Mario” dissi quindi, in modo che tutti potessero capire.
Sorpreso
dal code switching, Javi alzò le mani e sorrise in direzione di Mario come per
chiedergli scusa e si spostò.
“Tienes razón, descúlpame, Mario. Pero esta tarde puedes
bailar conmigo cuando voy a enseñar a los chicos como se baila, Alice?” domandò.
Annuii
e lui si congedò con un sorriso, tornando dall’altra parte del parco dove
c’erano gli spagnoli.
“Alice,
hai appena meritato mille punti di fedeltà nei confronti del gruppo se hai
pensato a far rispettare Mario invece di ballare col toro spagnolo” osservò Saverio, fin troppo sorpreso per i miei
gusti.
“Spagnolo,
italiano... Non è stato corretto, questo conta”.
“Così
si fa” approvò Luca, fin troppo allegro.
“Bene,
iniziamo? Giada, rimetti la canzone?”.
Giada
obbedì e per cinque gloriosi minuti provai a insegnare il passo base al povero
Mario che, purtroppo, non sembrava molto portato per la salsa.
Rientrammo
in college per ora di cena abbastanza rilassati e tranquilli perché alla fine i
ragazzi avevano avuto molto tempo libero e ci eravamo solo stancati per
arrivare a piedi a Tower Bridge.
Il
giorno dopo avrebbero avuto le lezioni e nessuna escursione quindi dovevamo
assolutamente usare quel giorno per ricaricarci il più possibile e,
soprattutto, riposare i piedi.
I
miei erano super gonfi dopo i chilometri fatti in quei giorni, così non me ne
fregai minimamente e mi presentai a mensa con delle infradito visto che nel
giro di un paio di ore avrei ballato la salsa e non volevo fare figuracce.
Per
fortuna, anche Giada sembrava dello stesso avviso, anzi, mi aveva prestato una
crema dalla consistenza molto fresca da applicare per ridurre il gonfiore.
Nessuno
badò alla nostra scelta di stile discutibile, presi come erano alla novità della serata salsa.
“Devo
ammetterlo, mi hai sorpreso” mormorò Luca mentre eravamo in fila in mensa.
“In
che senso?”.
“Pensavo
avresti ballato con Javi... Voglio dire, io al tuo posto non mi sarei lasciato
perdere l’occasione di ballare con María o Paula” ammise con aria fin troppo
malandrina.
Scrollai
le spalle e mi finsi interessata a cosa c’era per cena, con l’espositore del
cibo a pochi passi da me.
“Io
non sono te, evidentemente. Un ballo è solo un ballo. E credo che Javi sia
troppo sopravvalutato, conosco ragazzi spagnoli molto più affascinanti”
rivelai.
“Beh,
magari è anche un modo per avvicinarsi di più a qualcuno e capire se c’è
chimica, è anche una scusa per stringere a te una persona e sentire i vostri
cuori che battono in sincrono, per sussurrarle qualcosa di carino all’orecchio”
sussurrò, abbassandosi al mio livello visto che era almeno quindici centimetri
più alto di me.
Deglutii
e mi scostai, fingendomi disinvolta nonostante il mio cervello mi stesse
palesemente dicendo: “Quando sussurra la sua voce è illegale”.
“Romantici
voi napoletani, lo stereotipo è vero” cercai di sviare l’argomento.
Era
per questo che mi aveva invitato a ballare? O lo aveva dimenticato?
Di
certo io non mi sarei avvicinata a lui se non si fosse rifatto avanti.
“No,
è falso, sono io che sono un’eccezione”.
“Oh,
devo ridarti la felpa” cambiai discorso come una stupida.
Perché
cambiavo argomento? Perché non ero a mio agio?
“No,
tienila”.
“Come?
Ma te l’hanno data in dotazione, se fa freddo...”.
“Alice,
ieri ero a mezze maniche, ricordi? Abbiamo una concezione di freddo diversa, io
e te. Ridammela quando sarò stato perdonato” la mise sullo scherzo, prima di
accorgersi che era giunto il suo turno per chiedere il cibo.
Lo
guardai, senza sapere cosa pensare.
La
sera prima mi aveva fatto arrabbiare, certo, ma mi era già passata nel momento
in cui avevamo detto quella bugia in riunione, macchiandoci di quel peccato
insieme.
Forse
era meglio non farglielo sapere, mi dissi, perché nonostante tutto quella
giornata si era comportato bene e a me piaceva avere a che fare con un Luca
gentile, mi metteva di buonumore.
“Allora
potrei non dartela mai più. La felpa” specificai, visto che per la seconda
volta in quella giornata dietro di noi c’era un pubblico indesiderato che
poteva capire fischi per fiaschi.
Luca
accennò una risata e scrollò le spalle prima di avviarsi verso la sala dove
tutti stavano già mangiando.
Con
un top nero, una gonna rossa svolazzante – l’unica che avevo portato con me – e
le immacabili Adidas bianche, mi presentai nella solita sala del campus che
veniva adibita a discoteca, trenta minuti prima dell’arrivo degli altri perché
Javi voleva provare con me prima della serata.
Lo
trovai vicino la console, indossava la solita maglietta verde della Santo
Domingo che cascava a pennello con la sua pelle olivastra ma aveva cambiato i
pantaloni, erano più classici e contrastavano con lo stile sportivo della parte
superiore dell’outfit.
“Hola”.
“Hola,
Alice!”.
Mi
avvicinai alla console e lui sembrò a suo agio, come se non lo avessi scacciato
qualche ora prima.
“Scusami
per prima, ma Mario ci teneva e...”.
“No,
Alice, la colpa è mia. Non ho nemmeno chiesto il permesso per interrompervi,
che maleducato” mi stoppò, alzando una mano per farmi segno di non continuare a
scusarmi. “Tendo ad essere impulsivo a volte”.
“E’
ok, davvero. Allora, cosa hai in mente per stasera? Niente di complicato, mi
raccomando” dissi, un po’ nervosa davanti a quella prospettiva.
Amavo
ballare la salsa, il primo venerdì che andai a ballare con le mie coinquiline
mi sentii coinvolta in un modo assurdo e ballai come non mai nella mia vita con
gente sconosciuta, pur non conoscendo i passi.
Settimana
dopo settimana imparai ad essere più disinvolta e sei mesi dopo salutai il
signor Francisco, il proprietario, con un nodo al cuore.
La
salsa era uno stile di vita ma per me era un rifugio dalla normalità, quando la
ballavo significava che non ero a casa e che potevo essere libera, fuori dagli
schemi.
“No,
tranquilla, insegneremo il passo base” mi rassicurò, prima di scegliere una
canzone latina e invitarmi a ballare porgendomi il braccio.
Esitante,
mi dissi di non fare figuracce e afferrai il braccio, per poi ritrovarmi con la
sua mano sulla schiena e l’altra tra la mia.
“Uno, dos, tres, vamos...”.
Era
abbastanza bravo, dovevo riconoscerlo, il passo base era così semplice che
riuscimmo a non sbagliare nulla al primo tentativo.
Lui
guidava le danze, andava con il piede in avanti e io, al contrario, andavo
indietro.
Alla
fine mi fece anche fare una giravolta con tanto di casquet e mi rialzai
sorridente seppur leggermente sudata.
L’aria
per me già si era surriscaldata ed era un bel cambiamento rispetto al gelo
degli ultimi giorni.
“Sei
brava!” constatò, battendo le mani. “Paula e María sono pessime, ero
preoccupato perché non sapevo con chi far vedere l’esempio”.
“Grazie
ma sono arrugginita...”.
Dieci
minuti dopo, mentre riprovavamo una canzone diversa, un flash alle nostre
spalle ci fece sobbalzare.
Ci
bloccammo e vidi Mario che ci aveva scattato una foto, tutto soddisfatto.
“Questa
finisce nel gruppo, singnorina” ridacchiò, prima di avvicinarsi a Javi e
battere il cinque.
Forse
era quello il loro modo per chiarirsi?
Funzionava
così, tra i maschi?
Fatto
sta che per il resto della serata si parlarono nel loro inglese stentato senza
problemi, ridendo e scherzando come al loro solito.
“Vuoi
una mano con la traduzione per organizzarvi?” mi offrii volontaria, facendomi
aria con la mano visto il caldo improvviso che provavo per l’eccessivo
movimento.
“No,
tranquilla, ci capiamo in inglese, facciamo entrambi schifo, al massimo uso il
napoletano...”.
Alzai
gli occhi al cielo per quello stereotipo e ne approfittai per bere dell’acqua e
riprendermi prima dell’effettivo inizio della serata.
Presi
posto su una sedia e recuperai il cellulare, così vidi la foto che Mario aveva
inviato: io e Javi ce ne stavamo stretti e stavamo facendo il casquet finale.
La
sua didascalia recitava: “Ecco cosa significa fare la mediatrice!” e Clara
aveva replicato con l’emoji del fuoco.
Già
immaginavo eventuali commenti, e la mia conferma ci fu quando Saverio inviò
l’emoji del toro e Giada inviò una faccina ammiccante.
“Lavoravamo
per i ragazzi” replicai, inviando rapidamente il messaggio, ma ormai erano le
venti e trenta e a breve tutti sarebbero arrivati in sala con i loro gruppi.
Ne
approfittai per starmene seduta e bere tanta acqua, tanto da dover scappare in
bagno per fare la pipì.
Quando
tornai eccoli lì, quasi tutti i ragazzi con i rispettivi GL che prendevano
posto sulle sedie e sui divanetti della sala che già esibiva le luci
psicheliche nonostante fosse ancora giorno.
Delle
ragazze mi videro entrare in sala e mi accolsero con vari “Wow, Alice con la
gonna!” a cui replicai scrollando le spalle.
Clara
e Nadia non furono da meno, mettendomi un’ansia assurda con tutte le loro
aspettative, invece i ragazzi stavano con le loro squadre.
“Non
capisco, ti ho assunto per fraternizzare con uno spagnolo in particolare?”
disse la voce di Saverio alle mie spalle.
Mi
voltai e lo vidi con il sorriso sotto ai baffi, mi stava prendendo in giro con
gusto e si stava anche divertendo.
“Mi
hai fatto assumere per mediare e a quanto pare anche questo è incluso nel
pacchetto. Prenditela con María e Paula, sono incapaci a ballare la salsa e
Javi si è dovuto accontentare di me” replicai, guardandolo negli occhi.
“A
parte che María e Paula possono permettersi tutto perché sono bellissime, Javi
non si sta proprio accontentando. Ti avverto” aggiunse, questa volta più serio
e facendomi segno di avvicinarmi.
Clara
e Nadia si allontanarono all’istante, fingendosi interessate a qualcosa
dall’altra parte della sala, così mi ritrovai da sola con Saverio.
“Su
cosa?”.
“Alice,
non siamo bambini. Mezzo campus parla di te e Javi che ieri ve ne stavate da
Costa...”.
“Cosa?
Io ero da Costa, lui era con Laura e
si è solo fermato un momento...”.
“Non
mi importa. Ho visto come ti guarda, non gli sei indifferente. Valuta tu cosa
fare ma io non voglio saperne niente, se vi beccano ciò inciderà sulla tua
valutazione finale. Fai ciò che vuoi ma discretamente, ok?” argomentò, serio più che mai, poggiandomi una
mano sulla spalla. “Io ti ho già inquadrato, mi basta poco per capire la mia
squadra e so che siete tutti bravi, tu compresa. Sei preparata, sei alla prima
esperienza ma non stai compiendo nessun errore da principiante. Non sono
nessuno per dirtelo ma non fare cazzate, se proprio devi fai attenzione che qui
anche i muri hanno le orecchie. Attenzione, non te lo sto dicendo in quanto
donna, ai ragazzi ho fatto subito questo discorso in privato” spiegò, questa
volta più pacato perché evidentemente percepiva il mio disappunto nel mio
sguardo.
“Javi
non mi interessa, non sono una di quelle povere stupide che vede uno straniero e impazzisce. Non che
siano affari di qualcuno se non miei, ma per me è un semplice collega” replicai
freddamente, toccata nel profondo.
Saverio
comprese di non aver scatenato una reazione positiva in me perché annuì con
aria grave.
“Dovevo
dirtelo, Alice. Mi darai ragione, lui proverà ad avere una storia o quello che
è con te. Ora vai, e scusami ancora” mi congedò con una pacca sulla spalla.
“Ok”
biascicai, voltandomi subito.
Ero
così presa da quel discorso e dall’accaduto in generale che a stento seguii gli
avvenimenti: i ragazzi che si ragguppavano attorno a Javi, lui che spiegava
cosa avremmo fatto e poi mi chiamava per una dimostrazione.
Entusiasti,
i ragazzi fecero un applauso ma io mi concentrai solo su alcune ragazzine che
ridacchiavano e mormoravano cose tra di loro in modo di sicuro maligno.
Davvero
quei ragazzi che ci avevano visto da Costa avevano fatto girare quel rumor
sulla base di nulla?
Non
so come mi avvicinai a Javi e ballai, ero molto distaccata, la mia testa era
altrove, e per fortuna prima che potessi rendermene conto avevamo finito di
mostrare come si ballava ed io mi dileguai tra la folla senza dire niente.
Clara,
Nadia e Giada facevano segno di apprezzamento da lontano ma non sapevano di
star peggiorando la situazione, dandomi ai nervi.
Mi
dava fastidio essere considerata la donna che manda tutto al diavolo per un
uomo, per uno spagnolo per di più, come se non ne avessi mai visto uno in vita
mia.
Inoltre,
in che senso ciò avrebbe inciso sulla mia valutazione?
“E’
brava ma si è scopata uno spagnolo, cattiva donna, deve solo badare al suo
dovere”.
Era
sessista!
Davvero
aveva fatto lo stesso discorso ai ragazzi ma in privato? E perché mai? Lo aveva
fatto solo riguardo le spagnole o in generale?
Avevo
i miei dubbi.
Che
senso aveva tutto ciò?
Inoltre,
nel mio contratto non c’era nulla riguardo questo punto.
Certo,
non era indicato avere una storia sul posto di lavoro, ma mi offendeva avere
avuto un ammonimento così duro e diretto, come se fossi stata io quella che
aveva costretto Javi a ballare con me.
Inoltre,
da Costa non era successo nulla, ma a questo punto non ero nemmeno libera di
prendere un caffè con un collega?
Immersa
in questi pensieri, mi avvicinai al bancone per prendere dell’acqua, mentre
Javi invitava i ragazzi a ballare e a mettersi in gioco.
Sperai
vivamente che non mi chiedesse di ballare di nuovo, così optai per mantenere un
profilo basso nella zona bar.
Avevo
appena svuotato il bicchiere che vidi, a qualche metro di distanza, Luca
porgere la mano a Paula, che aveva le fattezze della tipica spagnola mora con
la pelle abbronzata.
Lei
rise e afferrò il braccio con decisione, prima di lasciarsi trascinare al
centro della pista con Salvatore e Clara che li imitavano.
Risi
amaramente, dandomi della stupida: a quanto pare non avevo più un ballo
prenotato.
Di
nuovo, forse per la terza o la quarta volta, qualcosa che faceva Luca mi
turbava e questa volta avevo una voglia matta di piangere.
Rapidamente,
cercando di non dare nell’occhio mentre tutti si approcciavano al ballo, uscii
dalla sala e lasciai che una ventata di aria gelida mi frustasse il viso e il
corpo coperto da abiti troppo leggeri per affrontare una tipica serata
londinese di inizio luglio.
Non
mi importava, sapevo solo che c’era qualcosa nel mio stomaco che si stava
attorcigliando in maniera decisamente fastidiosa, che mi sentivo piena di
rabbia e delusione e che avrei volentieri cacciato un urlo per liberarmi da
quelle sensazioni.
Nella
mia testa vari pezzi di conversazioni, sentimenti e informazioni si stavano
mescolando in maniera randomica, sapevo solo che tutto ciò portava a una
conclusione.
Mi
voltai, con le braccia attorno alle spalle, e vidi da lontano Luca che faceva
volteggiare Paula per poi stringerla a sé, in un ballo che della salsa non
aveva proprio nulla.
In
quel momento fui investita da una sorta di secchiata di acqua gelida e tutto
divenne chiaro: il discorso di Saverio non mi aveva colpito per Javi, bensì
perché poteva applicarsi a Luca.
Non
potevo negarlo, avevo una cotta per quel ragazzo dal sorriso luminoso che aveva
il potere di migliorare il mio umore anche solo parlandomi di qualsiasi cosa.
Ero
forse di nuovo adolescente? Mi bastavano meno di quattro giorni per prendermi
una sbandata per qualcuno?
Eppure
era così, mi sentivo decisamente attratta da lui e ne avevo avuto la prova
quando mi aveva sussurrato quelle cose all’orecchio ad ora di cena.
La
sua opinione sembrava contare molto per me e la sua presenza mi bastava per
stare tranquilla e rilassata, quando non litigavamo, il che a quanto pare
accadeva spesso.
Io
tendevo a litigare molto con la gente quando mi interessava la sua opinione e
quando non mi sentivo tranquilla in loro presenza.
Quella
constatazione cambiava tutto il mio percorso lì, ne ero sicura: non mi prendevo
una sbandata da circa un anno e, ovviamente, il destino lo aveva fatto
succedere durante una situazione delicata come la mia prima esperienza lavorativa.
Mi
portai una mano tra i capelli e presi un bel respiro per prepararmi a tornare
dentro, ma sentii qualcuno afferrarmi la mano.
Mi
voltai di scatto e, di nuovo, era Saverio.
Mi
guardava con aria dispiaciuta, grave, sembrava davvero sentirsi fuori luogo per
la prima volta da quando lo conoscevo.
“Alice,
sono stato uno stupido, delicatezza zero...”.
“No,
avevi ragione. Meglio ribadire certe cose”
sussurrai e, non so come, ci ritrovammo stretti in un abbraccio quasi fraterno
che per qualche secondo mi diede un po’ di pace dalla guerra che stava avendo
luogo nella mia testa e, soprattutto, nel mio cuore.
*°*°*°
In
ritardissimo, lo so, ma rieccomi.
Sono
state settimane strane, sono stata una settimana fuori e al ritorno ho avuto
mille cose a cui badare ma ora eccomi qui, pronta a dare un seguito alle
vicende di Alice e lo staff.
Siamo
entrate nel punto vivo della storia: Alice ha capito di essere cotta di Luca!
Come
proseguirà?
Come
si comporterà di fronte ad una cotta per uno che vedrà per sole due settimane?
E
Luca, invece? So perfettamente che lo conosciamo pochissimo ma piano piano lui
e gli altri avranno modo di esporsi, proprio come è successo con Nadia in
questo capitolo.
Eccovi
uno spoiler dal capitolo 5 che posterò venerdì:
“Ieri ti ho cercato per invitarti ma stavi con Saverio...”
borbottò, un po’ a disagio.
“Mi stava dicendo delle cose per oggi. Tu eri con Paula,
comunque, no?” obiettai, di nuovo senza potermi controllare.
A presto e grazie a chi legge! <3
Milly.
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Capitolo 5 *** La vida es un Carnaval ***
5ali
Capitolo 5
Day 5: La vida es un Carnaval
A
volte la vita ti fa qualche favore sotto una forma che a prima vista può
sembrare negativa.
Il
favore in questione, quel lunedì sei luglio, per me fu essere costretta a
starmene chiusa in ufficio ad aiutare Saverio con una questione di rilevante
importanza.
Quel
sabato il programma prevedeva una visita di due giorni ad Oxford e i ragazzi
avrebbero alloggiato in un hotel dal sabato alla domenica pomeriggio, poi
saremmo tornati in college.
C’era
stato un problema con la prenotazione dell’autobus e con il numero delle camere
– gli inglesi avevano ordinato 80 singole quando poi in realtà le camere erano
doppie – e il team era così indaffarato che Saverio si era preso carico di
aggiustare la situazione.
Quella
mattina ero scesa a colazione per ultima per starmene in santa pace visto che
non mi andava di rivedere Luca e volevo rimandare il più possibile il momento
in cui avrei dovuto parlargli o anche solo vederlo.
Avevo trangugiato il tutto in dieci minuti
scarsi e Saverio mi aveva trovato seduta sul prato vicino all’ufficio, in
attesa che si facessero le nove.
“Alice!
Ma che fine hai fatto? Dove eri a colazione?” chiese, avvicinandosi
rapidamente.
Sembrava
preoccupato come non mai ma sollevato nell’avermi trovato.
Io,
che stavo ascoltando una delle registrazioni delle mie migliori amiche che
rispondevano ai miei drammi della sera precedente, alzai lo sguardo e gli
sorrisi per rassicurarlo.
“Scusami,
ho fatto tardi, sono arrivata alle otto e dieci. Stavo aspettando le nove...”
spiegai, indicando l’orologio.
Lui
annuì e prese posto al mio fianco, continuando a guardarmi con attenzione.
“Alice,
se c’è qualche problema dopo ieri, devi dirmelo” esclamò, deciso più che mai.
“Ti conosco da cinque giorni ma mi sono già affezionato a te e mi odierei nel
caso in cui tu ti sentissi a disagio a causa mia”.
Colpita
nel profondo, mi lasciai scappare un sorriso di gratitudine e riconoscenza
sincero più che mai e mi portai instintivamente una mano al cuore.
“Saverio!
Sei il migliore capo del mondo, davvero. E’ tutto ok, sto bene e ho capito il
tuo discorso. Se ti sembro un po’ giù non è a causa tua, ho avuto delle notizie
poco piacevoli riguardo la mia migliore amica e mi dispiace starle lontano in
un momento delicato” mentii, sentendomi uno schifo per la bugia inventata.
Consocendomi,
almeno quel giorno mi sarei comportata non proprio come al solito, quindi era
meglio avere già una scusa pronta per giustificare eventuali momenti di
incazzature e cose simili.
Se
dovevo sorbirmi qualche scenetta in cui Luca faceva l’idiota con Paula, tanto
valeva avere già una scusa per giustificare il mio istinto omicida.
“Oh,
mi dispiace... Le cattive notizie non vengono mai da sole, purtroppo. E’
successo un casino” e qui mi spiegò l’avvenimento catastrofico.
Per
sua fortuna avevo qualche esperienza nell’organizzazione dei viaggi e di
planning in generale, frutto di circa tre anni di esperienza come
organizzatrice di viaggi nel mio gruppo di amici, così fui ben lieta di dargli
una mano e mettere a frutto ore di telefonate con le compagnie aeree e dei
padroni dei vari appartamenti in cui avevamo alloggiato.
Il
colpo di fortuna fu avere un ufficio tutto mio per l’occasione, visto che da
noi non c’era il telefono e la struttura ci concesse l’uso del telefono fisso e
di un portatile.
Avevo
la possibilità di concentrarmi su un problema che non mi riguardava, starmene
lontana da certe fonti di distrazioni e sentirmi meglio per l’eventuale
risoluzione di un problema: cosa potevo chiedere di meglio quel lunedì grigio e
piovoso?
L’ufficio
che mi fu assegnato quella mattina era una piccola reggia: niente moquette, il
pavimento era in parquet, era più grande della mia stanza ed aveva una sedia
comodissima insieme a qualche divano super soffice in pelle bianca.
Secondo
me non era un semplice ufficio, forse durante l’anno era la sala professori che
insegnavano al Queen’s College.
Fatto
sta che per starmene più comoda presi il portatile e mi appoggiai sul divano,
presi il telefono e mi apprestai a fare un enorme giro di chiamate.
Di
fronte a me, Saverio aspettava con ansia, mi dava qualche suggerimento,
sclerava con me quando mi mettevano in attesa con la musichetta.
Ogni
tanto Elena ci raggiungeva per avere ulteriori istruzioni da Saverio riguardo
cosa dovevano fare i GL e a come far andare avanti la giornata in quella
situazione di emergenza, ci dava qualche suggerimento o ci portava del caffè.
Fuori
la poggia batteva brutalmente contro le finestre di vetro del college, creava
un sottofondo malinconico alle nostre conversazioni piene di dubbi e ansie ma a
me piaceva quell’atmosfera, la trovavo perfetta per il mio umore del momento e
mi faceva rilassare allo stesso tempo.
Ho
sempre amato la pioggia mentre me ne stavo a casa, al caldo, mi ha sempre
regalato una sensazione di beatitudine che non so spiegarmi.
“Non
ci credo, è fatta! La tizia dell’hotel ci ha dato l’ok, 40 camere doppie e per
scusarsi dà una stanza con letto matrimoniale a te, Saverio, al costo di una
singola. Dobbiamo pagare una differenza di cinquecento sterline, ma credo che
sia il meglio che potessi fare” urlai alle undici e quaranta, dopo quasi tre
ore di telefonate, litigate e attese.
Ero
rossa in viso, tremante, ma mai quanto Saverio che dilatò le
pupille come se
avessi vinto alla lotteria, urlò un:
“Sìììììì!” e mi
si avvicinò.
Non
so con quale dinamica riuscì ad alzarmi dal divano e a sollevarmi come se
fossimo una coppia di novelli sposi, urlando: “Alice sei grande! Alice for
president!” e scuotendomi in un modo che mi fece quasi venire le vertigini.
“Saverio,
grazie ma... Aiuto, Saverio!” protestai, ma lui non si arrese.
Si
fece forza e mi condusse all’ascensore, scese al primo piano e, continuando a
tenermi tra le sue braccia, varcò la soglia dell’ufficio dove stavano gli
altri.
Ovviamente
era toccato a me spingere la porta per farla aprire e consentirci di passare.
Tutti
stavano svolgendo le varie mansioni a cui il capo non poteva dedicarsi quella
mattina, così, al “Ragazzi, problema risolto!” di Saverio si voltarono e
rimasero di stucco nel vederlo tutto fiero mentre mi teneva sollevata. “Dopo
tre ore, la nostra mediatrice ha davvero risolto il problema creato da quel
team di cretini! Sabato si va ad Oxford grazie a lei! Te lo dico davanti a
tutti, per ringraziarti ti cedo la mia camera lussuosa”.
Si
levò un coro di: “Alice! Alice! Alice!” con tanto di applauso, Mario venne in
soccorso di Saverio che stava per morire a causa del mio peso e lo aiutò,
prendendo metà del mio corpo sulle sue spalle.
“Ragazzi
grazie, vi voglio bene ma mettetemi giù...”.
“Ok”.
Mario
mollò la presa, Saverio a stento se ne accorse in tempo e come risultato quasi
mi ritrovai a sbattere con il sedere per terra, mi salvai solo grazie
all’appoggio delle mani sul pavimento.
“Oddio,
scusa!”.
“Mariooooo!”
protestai, con una smorfia di dolore.
“Ma
è colpa mia se pesi due quintali?”.
“Mario,
coglione!” sbraitò Saverio. “Alice possiamo farla fuori alla fine del
soggiorno, ora ci serve” ironizzò.
Li
guardai male, senza riuscire a sollevarmi, e per fortuna Giada venne in mio
soccorso, preoccupata.
“Ti
sei fatta male?” chiese premurosa, mentre gli altri due le facevano spazio.
“No,
no, solo un brutto atterraggio” sospirai, lasciandole afferrare la mia mano per
aiutarmi a rialzarmi.
Mi
appoggiai al muro e notai che sentivo solo le gambe indolenzite insieme alla
zona lombare, ma niente di più.
L’unico
problema erano i tre gradini che conducevano alla zona interna dell’ufficio,
posto a distanza dal piccolo ingresso.
Giada
mi aiutò a scendere e poi presi posto sulla sedia, dicendomi che ormai ero
condannata a non fare una cosa in modo normale nemmeno sotto tortura.
“Va
meglio?” chiese Saverio.
“Sì”.
“Ok
allora. Andiamo ad Oxford ragazzi, popopopo....” urlò Mario, facendo ridere
tutti, prima di voltarsi e abbracciarmi. “Grazie, eravamo davvero nella merda,
come hai fatto?”.
“Sarà
l’effetto Alice, come lo chiamo io”.
Mi
irrigidii.
Luca
si era avvicinato, ovviamente di buonumore, e si era inginocchiato per stare
alla mia stessa altezza visto che me ne stavo seduta.
“Nessun
effetto Alice, basta impegnarsi” minimizzai, sentendo improvvisamente la gola
arida.
Lui
annuì e Mario si allontanò, chiamato da Elena.
“Sicura
di star bene? E’ stata una brutta quasi-caduta” osservò, per poi accarezzarmi
una guancia con fare fraterno e portare una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
Quel
gesto mi fece irrigidire, non mi sentivo ancora pronta nello stargli così
vicino dopo aver realizzato cosa provavo per lui.
“Sto
bene, sono di coccio, davvero” borbottai, distogliendo lo sguardo.
“Non
avevo dubbi. Sei grande, hai salvato il viaggio ad Oxford!”.
“Saremmo
andati comunque, Luca, ho solo anticipato un po’ i tempi”.
“Smettila
di sminuirti. Io ti guardo e vedo una che si fa in quattro per il gruppo, non
sei l’organizzatrice dei viaggi, così come non sei un’animatrice, eppure ieri
hai salvato la serata salsa e ora hai riprenotato l’hotel...”.
“La
serata salsa l’avete salvata voi con il vostro entusiasmo nel ballare, io ho
fatto una dimostrazione di qualche minuto scarso” sbottai, senza riuscire a
trattenermi.
Perché
tornare a quel punto?
Perché
rivangare i ricordi pessimi della sera precedente?
Lui
parve captare la mia ostilità ma non mutò atteggiamento.
“Ieri
ti ho cercato per invitarti ma stavi con Saverio...” borbottò, un po’ a
disagio.
“Mi
stava dicendo delle cose per oggi. Tu eri con Paula, comunque, no?” obiettai,
di nuovo senza potermi controllare.
“Sì,
ma avrei preferito la maestra di ballo della serata”.
“Avresti
potuto dirglielo. La gente non legge nella mente, può solo interpretare ciò che
vede” dichiarai, decisa come non mai.
Lessi
una sorta di lampo nei suoi occhi ma non poteva fregarmene di meno: che senso
aveva tenersi tutto dentro?
“Hai
ragione, d’ora in poi seguirò il tuo consiglio” annuì, sforzandosi di sembrare
normale.
Mi
diede una pacca sulla spalla e tornò al suo dovere, mentre gli altri si
avvicinavano per dirmi una parola carina o ringraziarmi per il lavoro svolto.
“Allora
è vero che qualcosa la sai fa, Alì” esclamò Salvatore, forse sorridendomi in
maniera sincera per la prima volta da quando ci conoscevamo.
“Qualcosina,
dai” concessi, accennando un sorriso a mia volta.
L’hotel
in cui avevamo prenotato le camere per il weekend ad Oxford era davvero
stupendo, era a quattro stelle ed aveva
una bellissima spa di cui, volendo, avremmo potuto usufruire.
Per
questo ad ora di pranzo non si parlava d’altro: stanchi come eravamo,
immaginare di passare anche solo un’ora in una vasca idromassaggio sembrava un
sogno.
“Io
non capisco come sia venuto questo lampo di genio all’azienda, voglio dire,
Oxford è a due ore da qui, potevamo tranquillamente farci un giorno, e
invece... Mai vista una cosa simile” esclamò il capo tra un boccone e l’altro.
Ora
che la prenotazione era assicurata e non era più un dato incerto, tutti
guardavamo le foto dell’hotel come se fosse un sogno se messo a confronto con
il modesto college in cui vivevamo.
“Saverio,
ma davvero mi cedi questa stanza?” esclamai, buttandogli in faccia la foto
della camera deluxe riservata a lui come regalo dell’hotel.
“Certo
che no”.
“Va
bene, mi basta che mi ringrazi prima di dormire tra quelle soffici coperte...”.
“E
chi ti dice che ci dormo? Potrei por...” si bloccò, probabilmente memore della
conversazione della notte precedente e ricordando che non era nemmeno il caso
di scherzarci su.
Tuttavia,
compresi tutto e mi limitai a guardarlo con finta aria di disappunto.
“Ma
a noi non è andata male, cioè, una camera standard è pur sempre da sogno”
sottolineò Nadia, quasi con gli occhi a forma di cuore. “Se non siete i tipi
che rubano i prodotti omaggio dateli a me, questi come minimo ti danno prodotti
della Lush...”.
“Della
che...?” domandò Luca.
“Lush-ia stare” disse Clara, scatenando
le risate della parte femminile del tavolo.
Io,
Giada e Nadia le facemmo segno di approvazione per la battuta mentre i ragazzi
ci guardavano come se fossimo matte.
“Ora
sapete come ci sentiamo quando fate le vostre battutine” commentò Giada, prima
di prendere un pezzo di pane e addentarlo.
“Ma
davvero non possiamo usufruire della spa? Nemmeno quando i ragazzi dormono?”
domandò supplicante Luca, che non smetteva di guardare la foto della sala
benessere.
“Perché
secondo te i ragazzi dormiranno... Non possiamo creare disagi all’hotel,
dobbiamo sorvegliare i ragazzi. Cioè, voi dovete farlo, io ci andrò alla spa”.
“Ma
io e Giada che non abbiamo il compito di sorvegliare...?” domandai, giusto per
metterlo in difficoltà.
“Sì,
abbiamo capito che vuoi andartene nella vasca idromassaggio con lo spagnolo,
ammettilo” ridacchiò Mario.
Calò
una sorta di silenzio imbarazzante ed io lo fulminai con lo sguardo.
“Lo
spagnolo?” chiesi, quasi sprezzante.
“Mario,
il viaggio è con il team inglese”.
“E
allora Alice che viene a fare?”.
“Il
lunedì ci sarà una gita con gli spagnoli, come la organizziamo se io non
traduco le email e parlo con loro al telefono quando chiamano Saverio?”
sbottai.
“Tralasciando
questo, Alice ci ha salvato il sedere oggi e non merita nemmeno di visitare
Oxford?” domandò Luca, guardando male Mario per la prima volta da quando lo
conoscevo.
L’activity
leader comprese di aver esagerato perché alzò le mani in segno di resa, guardò
verso il coordinatore che ricambiò lo sguardo come a dire “hai esagerato”.
“E
ci terrei a ribadire una volta per tutte che io e certi spagnoli non abbiamo
alcun rapporto di natura non professionale. Sono la prima a cui piace ridere e
scherzare ma già dei ragazzini ci hanno visti da Costa e pensano chissà cosa
quando lui stava aspettando il suo capo, quindi evitiamo di alimentare certi
gossip, grazie” sentenziai.
Tutti
annuirono e Luca abbassò la testa, evidentemente colpevole visto che lui era
con il gruppo di adolescenti che ci aveva visto.
“Detto
ciò, parliamo di cose serie. Domani a mezzanotte sarà il mio compleanno e
vorrei festeggiare con voi durante la riunione, comprando qualcosa da bere e da
mangiare” spiegai, cambiando decisamente tono e sforzandomi di risultare più
animata possibile.
“Certo,
riunione straordinaria per Alice!” esclamò Elena, decisamente gasata.
Probabilmente
era felice per il cambio di argomento che avevo fornito, evitando che l’aria
diventasse ancora più pesante.
“Allora
ti stiamo davvero simpatici” constatò Nadia, facendomi l’occhiolino.
“Ma
sì, dai”.
“Possiamo
festeggiare alla mezzanotte dell’ora italiana? Perché io avrei sonno” mi prese
in giro Saverio.
“Porta
sfiga fare gli auguri prima!”.
“Auguri,
Alice” esclamò Salvatore, facendo ridere tutti. uelQUel QU
Quel
pomeriggio, i ragazzi erano impegnati con le attività dei laboratori a cui si
erano iscritti e a me, ovviamente, toccò occuparmi del materiale che non avevo
avuto modo di tradurre quella mattina.
Mario
era in palestra con Javi e George per cercare di reperire il materiale per la
serata “’90 contro ‘2000”, Saverio ed Elena parlavano con uno dei resposabili
dell’azienda tramite Skype, Giada scriveva i verbali delle visite fatte fino ad
ora, i GL sorvegliavano i tre diversi laboratori con gli altri dei vari team.
Di
nuovo, lavorare mi consentì di concentrarmi su ciò che dovevo fare senza
ulteriori pensieri, mi diede una strana energia che, ovviamente, venne incanalata
nel modo sbagliato quando, alzando lo sguardo da un post it, vidi che Luca si
era appena seduto di fronte a me, dove di solito c’era il capo.
“L-Luca!”
esclamai, sorpresa nel vedermi il suo bel viso di fronte così, senza preavviso.
“Ali,
ehi. Ti ho spaventato?” chiese, con quel maledetto sorriso che apprezzavo fin
troppo ma che ogni volta era in grado di distrarmi.
“No,
ero solo concentrata” minimizzai, indicando il foglio su cui stavo lavorando.
“I
ragazzi erano tranquilli, noi siamo quattro, i laboratori sono tre, mi sono
preso qualche minuto per portarti uno snack, li stavano distribuendo al
laboratorio di cucina” disse, porgendomi una confezione di Bounty. “Ti piace il
cocco? Mica sei allergica?”.
“Ma
grazie! Lo adoro”.
In
effetti avevo fame, così aprii la confezione, presi uno dei due pezzi e gli
porsi l’altro.
“Cosa?
Ma è per te”.
“Uno
è più che sufficiente”.
Senza
troppi complimenti, così, prese il secondo pezzo e lo addentò.
“Ti
stavi annoiando al laboratorio?” domandai, giusto per fare conversazione.
“No,
ma...” esitò, portandosi una mano tra i capelli scuri e guardandosi intorno.
Sembrava combattuto, come se si trattasse di un affare di stato. Alla fine
sembrò risolvere la sua piccola guerra interiore e mi guardò negli occhi.
“Paula non mi ha mollato un secondo, mi ha chiesto di cucinare il gas qualcosa...”.
“Gazpacho?”.
“Quello
che è, con lei e poi... Mi ha chiaramente fatto capire che stanotte avrei
potuto andare in camera sua senza problemi” rivelò, un po’ imbarazzato.
Quasi
mi strozzai con il pezzo di Bounty che stavo masticando, mi ci volle una buona
dose di concentrazione per deglutire senza rimanerci secca.
Mi
fiondai a bere quasi tutta l’acqua che avevo nella mia bottiglina e lui mi
guardò, in attesa.
“E
brava Paula. Cosa pensi di fare? Cioè, so che non sono affari miei...” cercai
di ricompormi, cercando di ignorare le fitte al mio stomaco per quella notizia.
Perché
me ne stava parlando?
Mi
voleva forse morta?
Mi
era bastato vederli ballare la sera prima per andare in bestia e per ridurre il
mio fegato in una poltiglia, non avevo bisogno di ulteriori dettagli.
“Alice,
che domande! Dai, lo so che Saverio ha fatto anche a voi il discorso sulla
professionalità e tutto il resto, io amo questo lavoro, amo stare a contatto
con i ragazzi e di certo non rischierei una brutta valutazione nel caso
qualcuno mi scoprisse con lei. Voglio dire, non è nemmeno discreta, mi ha
palpato il sedere mentre prendevo degli ingredienti!” rivelò, alzando gli occhi
al cielo.
Avevo
quasi gli occhi fuori dalle orbite, incredula per il modo di porsi di Paula in
un ambiente lavorativo, ma allo stesso tempo la invidiai perché il sedere di
Luca non era affatto male ed io stessa mi ero scoperta a fissarlo qualche volta
quando, durante qualche escursione, mi era capitato davanti.
“Ma
se non fosse per le regole? Avresti accettato?” decisi di insistere, spinta
dalla voglia di saperne di più.
“No.
Paula è bellissima ma non mi suscita interesse. Ieri stavamo scherzando su chi
ballasse la salsa nel peggiore dei modi, per questo l’ho invitata” anticipò,
come se avesse capito dove volevo andare
a parare.
Abbassai
lo sguardo e finsi interesse per la penna che stavo utilizzando fino a poco
prima.
“Non
devi giustificarti con me...”.
“No,
devo. Ti avevo chiesto un ballo poi non mi sono fatto vivo. E’ che ho visto la
foto con Javi nel gruppo e mi sentivo un asino a confronto, cioè, lo sono
ma...”.
“Luca”
lo interruppi, “Non mi sono goduta nemmeno un istante del ballo con Javi, non
ero nemmeno in me. Hai ragione, Saverio ha fatto anche me quel discorso e lo ha
fatto ieri, credeva che Javi ci stesse provando e che io stessi al gioco”.
“Javi
ci sta provando con te, Alice. Ti guarda...”.
“Vi
siete fissati voi e questo “ti guarda..!” esclamai, esasperata. “Al massimo sì,
mi guarda, ma non fa altro, fino a prova contraria è Paula che ci ha provato”.
“Perché
non gliene hai dato l’opportunità, fidati. Devi rivedere le foto di ieri,
durante il casquet ti ha guardato in un modo pieno di... Desiderio, ecco”.
“A
me non potrebbe interessare di meno. Siamo qui per lavorare, non per lasciarci
distrarre da storie e cose simili” ribadii, sentendo le pernacchie che mi
facevo da sola nel mio cervello per l’incoerenza di quello che stavo dicendo,
visto che non riuscivo a non staccare gli occhi dal ragazzo che mi stava di
fronte e per qualche istante avevo anche immaginato una scena da film in cui
lui buttava per l’aria tutti i fogli della scrivania per tuffarcisi sopra con
me, mentre mi baciava selvaggiamente e faceva vagare le sue mani sotto la mia
maglietta...
“Ma
se incontrassi qualcuno che ti piace?” insisté lui. “Che faresti?”.
“E
tu? Che faresti?”.
“Non
si risponde a una domanda con una domanda! Comunque... Beh, in maniera
discreta, ma ci proverei”.
“Io...
Beh, da indecisa cronica come sono aspetterei una sua prima mossa per essere
sicura. E’ sbagliato, lo so”.
Luca
sorrise e appoggiò una mano sulla mia, con la stessa aria malandrina che gli
avevo visto dipinto in faccia il giorno prima.
“Allora
dobbiamo dedurre che non siamo super integri, solo che Paula e Javi non ci
interessano”.
Scoppiai
a ridere e, mio malgrado, annuii.
Aveva
maledettamente ragione perché nella realtà alternativa del mio cervello lui mi
aveva appena sbattuto contro il muro, mi stava baciando il collo e tra un bacio
e l’altro mi sussurrava cose eccitanti all’orecchio.
“Se
Saverio sapesse...” sussurrai.
“E’
umano anche lui e per me qualche cotta qui ce l’ha a sua volta”.
“Cosa?
E con chi?”.
Luca
fece un segno negativo con la testa, con l’aria di chi scende dalle nuvole.
“Vedremo
se il tempo mi darà ragione o no” sentenziò, finendo finalmente l’ultimo pezzo
di cioccolato al cocco e guardandomi con aria furba.
Scossi
il capo, sospirando, e per fare qualcosa lessi di nuovo uno dei post it su cui
stavo riassumendo i punti della gita al London Eye che si sarebbe tenuta quella
settimana.
“Penso
sia meglio tornare, tra venti minuti il laborario finirà” esclamò lui,
guardando l’orologio e poi alzandosi. “Spero di non averti disturbato”.
“No,
mi ci voleva una pausa” lo rassicurai.
Luca
si aprì in un sorrisone e si avviò verso la porta, salvo poi girarsi.
“Promettiamoci
di dirci chi ci piace, che dici? Così possiamo sostenerci a vicenda e capire se
ne vale la pena o no” propose, come se stessimo parlando di una partita a
scacchi.
Sorpresa,
annuii, per poi vederlo scomparire una volta uscito.
“Ehii
Luca, scusami, mi piaci tu, che dici, ne vale la pena?” mormorai
impercettibilmente, prima di buttare la testa sulla scrivania e circondarla con
le braccia, come ero solita fare al liceo durante le ore di greco.
Mentre
i ragazzi si sfidavano nel gioco ’90 contro ‘2000 – cosa non proprio giusta
secondo me perché i ragazzi nati nel 1999 erano solo una ventina e il resto
erano nati tra il 2000 e il 2003 – io, Giada e Nadia progettavamo la serata
successiva.
“Avremo
un’escursione quindi potrò comprare da bere e da mangiare” dissi,
improvvisamente più rinvigorita e decisamente più energica rispetto ai miei
standard.
La
situazione era cambiata: avrei passato la serata con i miei colleghi simpatici
e la mia cotta del momento che, almeno, aveva respinto le avances di una
spagnola bellissima.
Non
ero più triste né per l’imminente “quarto di secolo” né per la mancanza dei
miei cari, anche perché avrei festeggiato a dovere al ritorno con amici e
familiari.
Ora
ero lì, in una zona periferica di Londra, e dovevo solo pensare a godermi la
giornata.
“Comprare?
Divideremo!” obiettò Giada.
“Cosa?
No, il compleanno è mio”.
“Ma
vogliamo contribuire, l’alcool costa un botto” disse Nadia, decisa.
“Ma
parliamo di qualche birra, Nadia, non possiamo bere chissà cosa in servizio. E
poi ci tengo, se fossi stata a casa avrei speso almeno un centinaio di euro per
una pizza con i miei amici, non si discute” la zittii, decisa.
Non
era orgoglio o altro, di solito in base alla mia disponibilità economica
offrivo qualcosa ai miei amici e quell’anno non avevo problemi a pagare
qualcosa da bere e da mangiare ai miei colleghi.
In
più era un modo per avere una riunione diversa, più allegra!
“Io
sono libera domani, quindi se vuoi posso truccarti” si offrì Nadia.
Con
lei iniziava la piccola serie di giorni liberi che i GL potevano prendersi e si
era offerta perché nessuno sembrava volere il sei luglio.
“Davvero?
Voglio dire, sarà una cosa super casual, ma anche un trucco base fatto da te
sarà spettacolare” mi emozionai, agitando i pugni come una deficiente.
“Ma
dai, mi lusinghi!”.
“Sei
bravissima!” mi diede man forte Giada. “Alice sarà uno splendore!”.
Abbracciai
Nadia, felice, e in quel momento gli altri GL presero posto con noi.
“Abbiamo
appena deciso i giorni liberi” annunciò Clara, “E questi due cretini si sono
presi uno sabato e l’altro domenica così se ne stanno in hotel a rilassarsi”
sbottò, indicando Salvatore e Luca.
“Detto
così suona male, è lei che ha detto “Saverio, mi prendo venerdì” e noi abbiamo
pensato in grande” si difese Luca.
“Non
è colpa nostra se non sei sveglia, Clara” ribatté Salvaotore.
“Devo
dire che è emozionanate vederti insultare qualcuno che non è Alice” osservò
Giada, facendoci ridere.
“Siete
dei culoni” dissi a mia volta. “Potrete godervi la spa!”.
“Alì,
detto sinceramente... Puoi farlo anche tu, la sera sarai libera, dai” disse
Salvatore, pratico.
“Ma
non ho il costume! Voi avete portato il costume per venire in Inghilterra?”
chiesi, incredula.
“No,
ma si compra. Domani i ragazzi avranno del tempo libero e noi provvederemo. Non
ci credo, domenica potrò dormire fino a tardi in quel letto super morbido...”
esclamò Luca, chiudendo gli occhi e gustandosi la scena nella sua mente.
“Fortunelli.
Sperate che i ragazzi non si facciano male” sbottò Giada, incrociando le braccia.
“Andrà
tutto bene. Deve andare bene”
sottolineai.
Ci
fu un generale mormorio di assenso mentre Mario annunciava la gara di ballo:
tutti ballavano tranne un ragazzo del ’90 e uno del ‘2000 che potevano porre
fine alle danze solo indovinando il titolo della canzone.
“Invito
anche il nostro staff a non starsene spiaggiato in un angolo, GL, dottoressa,
mediatrice, direttore, su! Tutti a ballare!” esclamò, facendoci segni frenetici
per invitarci ad alzarci.
George,
Alejandro, Javi, Paula e María si avvicinarono al tavolo per invogliarci ad
alzarci, María trascinò con sé Salvatore, Alejandro prese Giada, George prese
Clara, Paula si avvicinò a Luca che però si scostò, facendomi battere il cuore
a mille perché già li immaginavo mentre si strusciavano al centro della pista.
“Alice, quieres bailar conmigo?” disse Javi, con quegli occhi verdi che mi fissavano come se
volessero intrapporlarmi ai suoi.
“I asked her to dance with me, sorry. Maybe later” si intromise Luca, senza darmi modo di replicare.
Incredula,
trattenni il fiato e riuscii a stento a dire “Descúlpame!” mentre avvertivo la mano di Luca avvolgere la mia con
decisione e trascinarmi al centro della pista.
La
canzone era “La vida es un carnaval” di Celia Cruz e pensai che al momento si
adattava perfettamente alla mia vita e alla mia situazione.
Luca
mi appoggiò un braccio attorno alla vita, prese la mia mano tra la sua e
iniziammo a ballare goffamente, più che altro perché io mi sentivo rigida come
un pezzo di legno.
Nonostante
ciò, in cuor mio speravo che nessuno indovinasse la canzone in modo da lasciarci
così per ore.
“Ehi,
ballerina di salsa, sciogliti” sussurrò, mentre mi faceva volteggiare su me
stessa e poi mi riattirava a sé, in modo da farmi ritrovare stretta più che mai
al suo corpo.
“Dovrei
forse ringraziarti per aver scacciato Javi?” chiesi, senza riuscire a guardarlo
negli occhi.
Mi
sentivo indifesa, incapace di mascherare i miei sentimenti e alzare lo sguardo
probabilmente mi avrebbe tradita.
“Dovresti.
Grazie a me non hai dovuto fare la cattiva e rifiutarlo...”.
“Non
mi hai lasciato molta scelta”.
“Ora
ti lamenti?!” domandò, incredulo.
“No.
Un ballo è solo un ballo, no?”.
Luca,
che probabilmente non apprezzava il mio guardare altrove, mi portò una mano sul
viso in modo da obbligarmi a starmene col volto di fronte al suo e mi guardò
negli occhi, poi strinse di più la presa attorno alla mia vita.
“No”
disse semplicemente, prima di far sparire la sua testa nell’incavo della mia
spalla.
Ce
ne restammo così, muovendoci sul posto come il più stupido dei lenti mentre io
non sapevo davvero cosa pensare.
Todo aquel que piense,
que la vida es desigual,
tiene que saber que no es así,
que la vida es un hermosura,
hay que vivirla.
Todo aquel que piense,
que está solo y que está mal
tiene que saber que no es así,
que en la vida no hay nadie solo
y siempre
hay alguien
Circondai
il suo collo con le braccia, stringendolo a me senza guardarlo negli occhi e
lui, in un secondo, mi posò un delicatissimo bacio sulla spalla, così delicato
da farmi dubitare se fosse successo o meno.
Come
succede sempre nei momenti più belli, proprio in quel momento il ragazzino del
’99 indovinò il titolo della canzone e fummo costretti a separarci, senza
guardarci negli occhi.
Tutta
la sala rideva ed esultava per quella sfida vinta, mentre io non sapevo cosa
pensare, cosa dire, come comportarmi nel momento in cui Mario chiamò Luca per
farsi aiutare.
Me
ne stavo così, immobile in mezzo alla pista, senza cavaliere ma con una
porzione dei miei pensieri che nonostante tutto gli apparteneva.
*°*°*°*
Ormai sempre in
ritardo, sì, scusatemi.
A quanto pare nonostante tutti i miei programmi ci si
mette qualche lavoretto occasionale a cui non posso rinunciare e così mi slitta
la programmazione ^^’
Come sempre,
grazie a chi è arrivato fin qui, ormai siamo nel vivo della storia e
Alice è davvero nel pallone, ha una cotta, non sa come comportarsi.
Grazie a Delia
Bluetales che come sempre legge i capitoli in anteprima e mi aiuta a
correggere gli errori e grazie a tutti voi che state leggendo la storia
capitolo dopo capitolo!
Ai nuovi lettori, spero di conoscere la vostra opinione
<3
Eccovi un’anticipazione:
“Luca, onestamente... Se vuoi parlare di Paula trova qualcuno
a cui interessi, magari uno dei ragazzi” sbottai, prendendo la bottiglia di
vino e gettandola con troppa energia nella spazzatura.
“Alice...”.
“Luca, io e te non ci conosciamo” lo bloccai, parandomi le
mani davanti per bloccarlo.
Cosa
succederà? Vi dico solo che ci saranno i festeggiamenti del compleanno di Alice
:D
A
lunedì,
milly.
|
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Capitolo 6 *** Day 6: Esprimi un Desiderio! ***
6des
Capitolo 6
Day 6: Esprimi un Desiderio!
Come
ci vedevano i ragazzi?
Questa
era la domanda che mi posi il sette luglio, quando mancavano circa quindici ore
al mio venticinquesimo compleanno.
Noi
passavamo la giornata con loro, li avevamo inquadrati dopo quasi una settimana
di conoscenza, sapevamo chi era il più furbo, chi era il più sveglio, chi era
il più tranquillo...
Ma
loro, cosa sapevano di noi?
Cosa
credevano di sapere?
Cosa
pensavano di noi?
Iniziai
a domandarmelo quando, in attesa per il mio turno a mensa per la colazione,
beccai stralci di una conversazione tra due ragazzine di circa sedici anni.
Forse
non mi avevano visto a pochi passi da loro, forse non badavano a me o forse non
se ne fregavano.
“...
Ma se ho capito bene Alice vive proprio in Spagna! Ecco perché fa la
traduttrice. Si vedeva che era amica già da prima di Javi, forse si stavano
frequentando in Spagna”.
“Sì,
ma hai visto ieri? E’ palese, c’è qualcosa tra lei e Luca”.
“Vero.
Ieri al laboratorio, stando a ciò che ha detto Ilenia, Paula gli ha toccato il
sedere! Ma lui la snobba”.
“Ha
ballato con lei però, durante la serata salsa”.
“Vuoi
comparare quel ballo a quello di ieri? Dai, quei due nascondono qualcosa”.
Chiusi
gli occhi, dicendomi che ero proprio messa male e che per la prima volta nella
mia vita ero al centro di qualche gossip.
A
scuola e all’università ero sempre anonima, non ero mai al centro
dell’attenzione, al massimo facevo scalpore quando non mi presentavo a lezione
e tutti si insospettivano perché era inusuale.
Qui,
invece, tra colleghi spagnoli e colleghi napoletani sembravo essere l’unica
persona che era fonte di gossip.
In
cuor mio, stavo ancora cercando di riprendermi dalla sensazione di beatitudine,
eccitazione e incredulità che avevo provato tra le braccia di Luca e rimanere
concentrata era dura, quindi quelle voci non mi aiutavano per nulla.
Presi
un respiro, mi spostai a destra delle ragazze e finalmente mi videro, mutando
espressione come se al loro fianco ci fosse un fantasma.
“Ragazze,
chiedete e vi sarà detto” sussurrai, falsamente tranquilla. “Ho vissuto in
Spagna per sei mesi ma vivo a Roma e sono laureata in Lingue e culture
straniere, ecco perché parlo spagnolo. Conosco Javi e Luca da sei giorni come
voi e sono single, non ho storie con nessuno. Si può ballare con un collega
anche senza averci una storia” spiegai, sforzandomi di sorridere in maniera
pacata senza risultare falsa.
Cercavo
di scacciare la parte del mio cervello che mi diceva “Però dai, anche solo
vedendovi ballare hanno percepito qualcosa, deve esserci un’intesa tra voi” per
non assecondarlo, ma una cosa del genere mi rendeva felice perché voleva dire
che non ero solo io la pazza che aveva percepito la differenza rispetto a
quando avevo ballato la salsa con Javi.
Le
due ragazze, imbarazzatissime per la figuraccia, annuirono ripetutamente e mi
sorrisero.
“Oh,
sì, scusaci! Circolavano queste voci... Ad esempio, è vero che Nadia è una
youtuber?”.
“Nel
caso di Nadia le voci sono vere. Vedete i suoi video e fate circolare il nome
del canale, merita” la sponsorizzai, sincera più che mai, “Ma nel mio caso no.
C’è altro che volete sapere?”.
“Sì!
I tuoi capelli sono davvero di questo colore?”.
Sforzandomi
di non ridere, feci un cenno negativo. “No, ragazze. I miei capelli naturali
sono castano cenere, non ramati”.
“Te
lo avevo detto, guarda le sopracciglia!”.
Non
riuscendo a trattenermi, scoppiai a ridere vigorosamente e loro si accodarono a
me, poi le superai per andare a prendere la colazione e loro rimasero al loro
posto, evidentemente per far circolare le nuove notizie.
Presi
dei toast e un cappuccino e mi avviai al solito tavolo che ormai nessuno
occupava più perché era dello staff, aggregandomi a tutto il gruppo già
presente, tranne Salvatore e Saverio.
Quando
feci rumore come al solito con il vassoio, Luca alzò lo sguardo dalla sua
colazione e mi sorrise.
Io
ricambiai, prima di portarmi nervosamente una ciocca di capelli dietro le
orecchie.
“Delle
ragazzine stavano facendo gossip e mi hanno chiesto se è vero che hai un canale
su Youtube” dissi a Nadia, che nonostante il giorno libero aveva deciso di
venire a fare colazione con noi. “Ho detto di sì e le ho invitate a guardare e
condividere il canale”.
Nadia
si lasciò sfuggire un “Oh, che carina, grazie!” e si dimostrò interenerita.
“Facevano
gossip?” domandò Elena.
“Sì,
ad esempio mi hanno chiesto se il mio colore di capelli è naturale. Poi
circolano voci secondo cui io vivo in Spagna e conosco Javi da prima di venire
qui” esclamai, alzando gli occhi al cielo.
“Si
sono fissati, eh”.
“Direi...”.
“Oggi
il gossip lo faccio io, in pullman. Prendo il microfono e do la notizia bomba
che tutti aspettano!” esclamò Mario, sfregadosi le mani con fare quasi maligno.
“Sarebbe?”
chiesi, incuriosita.
“Che
io e un membro dello staff ci amiamo e presto usciremo allo scoperto”.
“Vabbé
ma questa è facile” osò Clara. “Siete tu e Luca!”.
Scoppiammo
a ridere e Luca si alzò di scatto, andò alle spalle di Mario e lo abbracciò.
“Amore, finalmente hai fatto coming out, ora potremmo passeggiare liberamente
per il campus mano nella mano senza più nasconderci. Mi presenti i tuoi?”.
“Certo
amore, tanto avremo lo stesso volo al ritorno, te li presento in aeroporto”.
“Dì
a tua mamma di prepararmi una frittatina, ci vuole dopo due settimane fuori”.
“Ma
pure due amore. Anzi, frittatina. Da oggi ti chiamerò così!”.
“Quanto
vi shippo!” disse Clara, fingendosi
commossa e portandosi un tovagliolo vicino agli occhi, con noi che facevamo un
applauso di approvazione.
Addirittura
Mario provò a dare un falso bacio a Luca che però si scostò dicendo: “Ehi, non
ti allargare” tra le risate generali.
Alla
nostra destra, un gruppo di ragazzini ci guardava senza capire e io mi dissi
che poi non dovevamo lamentarci se davanti a queste sceneggiate loro capivano
fischi per fiaschi.
Allo
stesso tempo, mentre Nadia si congedava dicendo che tornava in stanza per
riposarsi, ricevemmo un messaggio di Saverio che ci avvertiva che per un
imprevisto si sarebbe presentato in ufficio alle dieci.
Chiamò
Elena e le disse cosa dovevamo fare, così lei si appuntò tutto e ci guardò,
pronta a dirigere il tutto per una volta.
Non
so cosa mi aspettassi dopo la serata in cui io e Luca avevamo ballato, ma di
certo non mi aspettavo il nulla.
Mi
stavo lasciando coinvolgere, la mia mente vagava in confini reconditi in cui
passavamo più tempo insieme, però il problema era che, fondamentalmente, di
tempo non ne avevamo nemmeno per noi stessi.
Lui
correva da un ufficio all’altro perché uno dei suoi ragazzi non si era
presentato a lezione, io avevo qualche questione da chiarire con la Rosales,
proprio come Salvatore che aveva saltato la colazione perché dei ragazzi del
suo gruppo non si erano svegliati in tempo e lui era andato a cercarli, furioso.
A
sei giorni dall’inizio del viaggio, i ragazzi si conoscevano abbastanza bene,
facevano le ore piccole per incontrarsi clandestinamente e inizavano a essere
ingestibili, anche perché non dormendo a sufficienza creavano disagi alla
nostra tabella di marcia.
Eravamo
nel bel mezzo dell’avventura e si percepiva benissimo: io mi ero beccata una
cotta per un collega, figuriamoci cosa erano in grado di fare un gruppo di
adolescenti!
Solo
Saverio, quella mattina, sembrava di buonumore ed io non ne capivo il perché
visto che c’erano almeno tre disastri in corso, senza contare il team spagnolo
non aveva ancora inviato il programma per quel pomeriggio.
Chi
correva da un lato, chi era in ritardo, chi si sforzava di non dire parolacce e
lui se ne stava placido e tranquillo con il cellulare in mano.
“Saverio,
scusami, ho parlato con la Rosales...” lo interruppi, concitata.
Gli
ci volle qualche istante per ascoltarmi e recepire il messaggio.
“Allora?”.
“Tutto
ok, alla fine ha capito che doveva prenotare per tutto lo staff e non solo per
cinque di noi”.
“Perfetto,
grazie” mi liquidò, senza domande e senza aggiungere altro.
“Ma
del programma non c’è ancora l’ombra...”.
“E
allora vai a chiederlo, no? Stare qui non lo farà spuntare magicamente”.
“Non
sapevo fosse mio compito chiederlo, di solito mi limito a tradurlo”.
“E
mandaci Elena”.
Era
strano, troppo strano: il capo, di solito super attento e disponibile, sembrava
avere altro per la testa.
Non
osai dire altro e mi avviai al primo piano, dove Elena stava aiutando Luca con
la ricerca dello studente mancante, un certo Giacomo.
“Lo
so che hai altro per la testa, Elena, ma dovresti sollecitare la Rosales per il
programma di oggi. Me lo ha detto Saverio”.
Elena
mi guardò come se fossi impazzita. “Ma Saverio sa che non parlo spagnolo e
Laura fa schifo in inglese” precisò.
“Lo
so. Oggi sembra... diverso” constatai, scrollando le spalle.
“Comunque
appena risolviamo qui vieni con me e traduci per me, ok?” domandò, avviandosi
verso il corridoio dove c’erano le aule.
“Ok”.
Il
tempo di fare due passi e ci ritrovammo Luca che camminava vicino a Giacomo, un
diciassettenne occhialuto e magrissimo. Gli teneva un braccio attorno le spalle
e parlava in maniera concitata; quando ci vede fece un segno come a dire “è
tutto ok” e proseguì, probabilmente diretto verso l’aula di inglese in cui
Giacomo aveva lezione.
Vederlo
così serio ma deciso, appassionato, mi fece stringere lo stomaco e battere il
cuore più forte che mai.
Non
avevo dubbi, tra tutti lui era il group leader che amava davvero ciò che faceva,
si vedeva da come rideva con i ragazzi, da come loro riuscivano ad aprirsi con
lui, a prenderlo in considerazione e a renderlo partecipe di tutto.
Era
una caratteristica frequente nei ragazzi che mi piacevano: il mio ex, Giuseppe,
era un ingegnere informatico che amava alla follia ciò che faceva, proprio come
Claudio, il ragazzo con cui ero uscita per qualche mese un anno e mezzo prima,
che portava avanti l’azienda di famiglia con onore riuscendo a scavalcare i
fratelli maggiori.
Tendevo
a prendermi sbandate per gli uomini sicuri di sé ma che sapevano lasciarmi i
miei spazi, non avrei mai potuto prendere in considerazione un maschilista che
tendeva a trattarmi come un giocattolo della sua collezione che doveva stare
dove e quando diceva lui.
Tuttavia,
che senso aveva fare questi discorsi con Luca?
Non
c’era nulla tra noi e tra otto giorni ci saremmo detti addio.
“Allora
direi che possiamo andare dalla Rosales”.
La
voce squillante di Elena mi riportò alla realtà, sussultai e mi affrettai ad
annuire e a seguirla fino al secondo piano, davanti alla porta su cui vigeva la
scritta “Dirección”.
Meno
otto ore al mio compleanno e mi ritrovai su un battello sul Tamigi per una
minicrociera, con Laura Rosales alla mia destra che si faceva fare un book fotografico
dal povero Javi.
Eravamo
stati divisi in due gruppi, quaranta ragazzi su un battello con quattro membri
dello staff mentre gli altri quaranta erano in giro per un po’ di shopping e
nel giro di un’ora ci avrebbero sostituito.
Io
ero capitata con Clara, Saverio e Salvatore, mentre Giada, Luca, Mario ed Elena
erano in giro per la città.
Durante
il cambio, la mia missione era entrare nel primo supermercato che mi capitava a
tiro e fare scorta di birra e cibo.
Ripensai
ai miei ventiquattro anni: cosa avevo fatto?
Tralasciando
un viaggio a Madrid, avevo solo studiato e pensato alla tesi, che miseria!
Dodici mesi di esami, libri impolverati, ricevimenti e speranze.
Dodici
mesi in cui avevo chiuso qualche amicizia, iniziato qualche altra e nulla di
più.
Dodici
mesi conclusi così, sul Tamigi, con la mia cotta del momento che girava la
città con una come Paula e Javi che mi sorrideva ogni tanto.
“Javi,
scusami ancora per... Tutto. Sono stati dei giorni assurdi, non ho avuto un
momento libero” dissi quindi, appena Laura si avvicinò all’estremità del battello per ulteriori
foto.
Non
volevo specificare il perché delle scuse e fu una mossa giusta perché lui capì
subito.
Abbassò
lo sguardo, intimidito, e scosse il capo.
Era
davvero bello, pensai, e il fascino non gli mancava.
Perché
non mi ero presa una sbandata per lui?
Non
volevo peccare di presunzione ma a questo punto ci saremmo già ritrovati a
limonare selvaggiamente tra una pausa e l’altra e sarei stata decisamente più
tranquilla.
“No,
scusami tu. Sono stato insistente e magari ti ho pure messo a disagio con i colleghi. Laura ha fatto un bel discorsetto
a me e Paula sull’essere professionali, davvero”.
“A
te e Paula...?”.
“Tutti
parlavano della sua pacca sul... Sedere
di Luca”.
“Oh”.
Paula era stata rimproverata da Laura... E nella mia mente, ciò si traduceva
solo con una cosa: ora che il capo non era lì a sorvegliarla, lei per dispetto
si stava dando alla pazzia gioia.
Presi
un bel respiro e mi dissi di stare calma. “Tu non sei stato inopportuno o
altro, davvero. Sei gentilissimo” lo rassicurai, in un modo comunque educato
che speravo gli facesse capire che era tutto ok ma era meglio non provarci
ulteriormente.
“Mi
fa piacere”.
Ci
sorridemmo, lui sembrò voler dire altro, poi si fermò e tornò a guardare verso
il Tamigi, Tower Bridge e la Cattedrale di St. Paul.
“Se
ho capito bene... Brava”.
Mi
voltai e vidi che Saverio se ne stava seduto proprio dietro di noi,
compiaciuto.
“Se
vuoi l’ultima notte però ti concedo una scappatella col toro” disse, facendo l’occhiolino.
“Se
permetti, nessuno mi deve concedere nulla...” ribattei, stando al gioco.
Lui
annuì, guardandomi quasi con aria fiera. “Non so quante donne lo avrebbero friendzonato, al posto tuo, Alì”.
“Friendzonato... Che parolone. Tu,
piuttosto! Che hai oggi? Sei... Diverso” osservai.
Saverio
si lasciò scappare una risata e fece spallucce.
“Ho
avuto buone notizie, tutto qui. Tu, piuttosto! Tra... Sette ore e quaranta ti
fai vecchia, confermati i festeggiamenti?”.
“Confermati,
confermati. Dopo devi aiutarmi, ho bisogno del tuo zaino”.
“A
disposizione”.
Scendemmo
dal battello e tra quell’orda di quaranta ragazzi riuscii a beccare Paula che
se ne stava stretta al braccio di Luca.
Gli
stava sussurrando qualcosa, di sicuro nel suo inglese da quattro soldi, e lui
ascoltava, interessato.
“Brava
Paula, questa sera te lo porti pure in camera” pensai, improvvisamente irata
come non mai.
Odiavo
sentirmi così, io non tendevo mai a cambiare umore così frequentemente.
Non
riuscivo a smettere di guardarli, il loro linguaggio corporeo mi mandò in
bestia nel momento in cui Luca rise e lei gli circondò una spalla col braccio
con confidenza.
“Idiota,
pensa ai tuoi ragazzi, che group leader sei, eh?” pensai.
“Alice,
andiamo, tra poco i ragazzi avranno un’ora libera e andiamo al supermercato!”
mi ricordò Clara.
Per
la seconda volta in quella giornata, qualcuno fu costretto a ridestarmi dai
miei pensieri.
Annuii
e la seguii di malavoglia, cercando di darmi una calmata perché non era
possibile diventare così idiota in una situazione del genere.
Sembravo
una delle partecipanti a quei programmi
trash in cui la fidanzata di turno vede il suo ragazzo con un’altra.
Non
ero una di loro e, soprattutto, io e Luca non eravamo niente, niente di niente.
Presa
da questo turbine di pensieri mi ritrovai, non so nemmeno io come, nel
supermercato più vicino nel giro di venti minuti, con Clara, Saverio e
Salvatore che ancora discutevano sulla questione “No, dividiamo la spesa”.
Li
lasciai parlare, pensai solo a riempire il carrello di birre e vino, patatine,
muffins e dolcetti vari.
Tremai
quando vidi dall’altra parte degli scaffali dei ragazzini del nostro gruppo che
evidentemente erano lì per sopperire alla mancanza di cibo spazzatura, ma per
fortuna Salvatore, a pochi passi da me, giunse in mio soccorso, si parò davanti
il piccolo carrello e pensò a mettere in superfice gli snack in modo da coprire
le bibite.
“Anni
di pratica” minimizzò, quando lo guardai come a dire: “Mi salvi sempre!”.
Fingendoci
interessati a quali patatine scegliere, aspettammo che i ragazzi si
allontanassero prima di continuare il nostro giro.
Arrivata
alla cassa, scacciai letteralmente tutti e pagai trenta sterline, salvo poi
richiamarli e distribuire gli alcolici negli zaini di tutti.
Era
fatta, avevo preso tutto, candeline incluse, ma ero ormai nell’atmosfera pre
compleanno in cui iniziavo a sentirmi strana, nostalgica, addirittura un po’
ansiosa...
Paula
non si era staccata da Luca fino ad ora di cena, quando lui prese posto con
noi.
Io
finii rapidamente il mio piatto di riso e mi alzai, visto che Nadia mi
aspettava in camera sua per truccarmi.
Avevamo
l’appuntamento per le otto, così decisi di andare in camera e farmi prima una
doccia e lo shampoo.
La
serata sarebbe stata gestita dagli inglesi, quindi salvo eccezioni al momento
non avevo nulla da fare dal punto di vista lavorativo.
“Fai
con calma Alice, al massimo se è qualcosa ti chiamo” mi disse Saverio.
“Sei
gentile perché stasera si beve?” lo presi in giro.
“Ovvio,
da domani torno a trattarti male”.
Gli
feci una smorfia e mi alzai, sentendo lo sguardo di tutti fisso sulla mia nuca.
Certo,
forse mi odiavano perché me la stavo svignando,
però stavo organizzando la serata anche per loro.
Non
vedevo l’ora di poter farmi una doccia con calma senza correre e di usare
qualche prodotto in più per i capelli visto che per la mancanza di tempo mi ero
ridotta a usare solo lo shampoo e ad asciugarli in fretta e furia, a volte
lasciandoli un po’ umidi.
Quando
entrai nella stanza quasi inciampiai per la presenza di qualcosa per terra, mi
abbassai e vidi che era una maschera per il viso.
“Le cleaners mi hannno fatto entrare nell’edificio.
Applicala seguendo le istruzioni ;).
Nadia”
“Oh,
Nadia!” esclamai, sorpresa.
Beh,
forse non avevo una bella cera e a causa dei ritmi frenetici il mio viso non
vedeva un po’ di crema da giorni e Nadia non voleva truccare un viso ruvido,
oppure semplicemente era un tesoro e io non la meritavo affatto.
Rapidamente,
scattai la foto al prodotto e gliela inviai ringraziandola, per poi dedicarmi
finalmente a me stessa e a una missione impossibile: rilassarmi e stare
tranquilla.
Nadia
era davvero un tesoro, mi dissi quando mi ritrovai seduta nella sua stanza,
nello stesso edificio della sala riunioni.
Avevamo
messo le bibite in frigo e poi subito si era precipitata a prepararmi la base
trucco con qualche crema.
Il
suo modo di truccarmi mi rilassava, aveva dei pennelli morbidissimi che mi
regalavano delle carezze magiche e dei prodotti meravigliosi.
Nel
giro di quaranta minuti mi guardai allo specchio e spalancai gli occhi,
sorpresa.
Ero
io quella con i capelli in ordine e con un trucco nude ma d’effetto?
“Nadia
ma... Cioè, non ho nemmeno mezza occhiaia, hai prosciugato il correttore?”
domandai, avvicinandomi per guardare i dettagli, sempre più incredula.
“Più
o meno. Hai bei lineamenti, con poco sforzo potresti davvero essere perfetta
tutti i giorni” mi fece notare.
“Ma
io di solito mi trucco, è che qui non ho mai tempo... Preferisco dormire fin
quando posso” ammisi.
Lei
rise e poi mi sistemò i capelli con cura.
Sembrava
tranquilla, forse era l’effetto che le faceva truccare qualcuno, come succedeva
a me quando traducevo.
“Dai,
andiamo a preparare il cibo, per le dieci la serata finirà”.
“Ma
faccio io, tu goditi il tuo giorno libero fino all’ultimo!”.
Mi
ci volle tutta la forza del mondo per convincerla a starsene in santa pace,
alla fine accettò e chiamai Saverio, che mi disse che era tutto ok e potevo
evitare di presentarmi alla serata “Maschi contro femmine”.
Ne
ero felice, perché per il mio bene dovevo imparare ad allontanarmi da Luca in
modo da stare tranquilla e non crearmi false
aspettative.
Quando
lo staff si riunì erano ormai le undici
passate, visto che qualcuno aveva dovuto controllare i ragazzi e altri avevano
avuto problemi vari come chiavi che non si trovavano e ragazzi che
litigavanotra loro.
Mi
sentivo un po’ a disagio visto che io me ne stavo un po’ più tranquilla, vestita
e truccata decentemente e loro ovviamente erano palesemente stanchi dopo una
giornata piena di problemi e lavoro.
“Dai,
sedetevi, ora ci riprendiamo un po’. Iniziamo con le birre?” proposi.
Nadia
e Clara fecero per alzarsi ma io le stoppai.
“Faccio
io!”.
Distribuii
una birra ciascuno con patatine, muffins
e mini sandwich e vederli entusiasti per un piccolo cambiamento rispetto
alle solite riunioni mi fece bene al cuore.
In
un certo senso, non eravamo lì per me ma per celebrare tutto ciò che avevamo
passato in quei sei giorni e che bene o male ci aveva unito in uno spirito di
squadra.
Quando
venne il momento di prendere la mia birra, un mano mi bloccò il braccio con
delicatezza, mi voltai di scatto e vidi che era Luca.
Con
la sua solita aria gentile, fece in modo da farmi allontanare dal tavolo, mi
spostò la sedia per farmi sedere e iniziò a versare la birra in un bicchiere.
“Festeggiata,
ora ci prendiamo noi cura di te” esclamò, porgendomelo.
Presi
il bicchiere e mi sforzai di sorridere, quando in realtà avrei solo voluto
sapere cosa aveva combinato con la quella spagnola.
“Comunque,
prima che Alice diventi vecchia...”.
“Ehi!”.
“...Ci
conviene parlare di domani” esclamò Saverio, guardando l’orologio.
Tutti
annuirono e iniziammo a prestargli attenzione tra un sorso di birra e l’altro.
“Lezioni
come al solito la mattina, pranzo e poi dritti ad Oxford Street, dove i ragazzi
potranno fare shopping dove vogliono, visto che continuano a chiederlo. Questo,
con il team inglese. Poi, con lo spagnolo, dalle diciassette alle diciotto e
trenta, visita al Madame Tussauds. Ceneremo in città e torneremo dopo le
ventuno come al solito. Non ci separeremo, saremo tutti insieme, quindi mi
raccomando, specialmente al museo delle cere cercate di sorvegliare i ragazzi,
non devono fare idiozie... Da oggi è iniziato il declino totale e ve ne siete
accorti. Ci sono i gruppetti, si credono
amici da sempre e non esiteranno a fare cazzate per mettersi in mostra.
Domande? Bene. Torniamo alla vecchiaia di Alice!” mi prese in giro.
“Io
non invecchio, miglioro” mi difesi.
Li
guardai uno ad uno e pensai per un istante ai miei genitori, a mia sorella,
alle mie migliori amiche, al mio gruppo di amici... Per una volta non avrei
spento le candeline con loro, per la prima volta mamma non mi aveva preparato
la torta ed io non avevo perso giorni e giorni a cercare l’outfit perfetto per
il compleanno.
Eppure
il destino mi aveva fatto trovare un gruppo di gente allegra che condivideva la
mia passione per i viaggi e con un grande spirito di adattamento e sacrificio.
“Grazie
per essere qui, davvero. Ci conosciamo da una settimana ma mi sembra di
conoscervi da molto di più” li ringraziai, sincera come non mai.
Quel
gruppo di spostati poteva mai avere una reazione normale?
Certo
che no.
Mario
urlò “Abbraccio sandwich!” e si precipitò addosso a me, seguito dagli altri
sette, con il risultato che mi ritrovai compressa tra un mucchio di gente che
mi stringeva e dava vita al cosiddetto “Sandwich alle Alici”.
“Alice!
Alice! Alice!” esclamarono, quasi come se fossimo allo stadio.
“Mancano
pochi minuti, le candeline, su!” esclamò concitata Elena.
Prese
la torta preconfezionata che avevo preso al supermercato e le candeline
multicolore, ne prese giusto tre e le iniziò a posizionare sul dolce.
Io
non sapevo cosa fare, nei minuti pre compleanno ero sempre imbambolata, come
persa tra due mondi: il passato e ciò che sarà.
Ripensai
alla sera del mio ventiquattresimo compleanno, quando a mezzanotte i miei amici
mi avevano fatto trovare un cornetto con una candelina, alla vacanza last
minute con la mia famiglia perché non avevo soldi per andare fuori con le
ragazze, all’esame di Storia dell’Opinione Pubblica Europea che mi aveva
destabilizzato psicologicamente, a quel “Conferisco il titolo di Dottoressa
Magistrale...” che tanto avevo agognato...
Ed
eccomi lì, con tutti che si davano da fare per me.
“Tre..
Due... Uno... Auguri Alice! Tanti auguri a teee, tanti auguri a te...”.
Saverio
mi venne incontro con la torta e le candeline, l’appoggiò sul tavolo e mi
disse: “Esprimi un desiderio”.
Avevo
tanto da chiedere, ma mi ritrovai solo a pensare: “Per una volta voglio provare
qualcosa di unico, non mi importa come e dove, voglio semplicemente sentirmi al
settimo cielo e piena di speranza!” prima di spegnere le candeline.
Ci
fu il solito applauso di rito, tutti mi abbracciarono e riempirono dei soliti baci sulle guance a mò
di auguri e, forse per suggestione, mi sembrò che l’abbraccio di Luca fosse il
più lungo di tutti.
Lo
strinsi a mia volta, seguendo il mio istinto, e quando ci separammo mi fece il
solito occhiolino che ormai lo contraddistingueva.
“Sarà
un grande anno per te, ne sono sicuro”.
“Magari”
borbottai, con un’alzata di spalle. “Apriamo il vino, dai!”.
Mi
passarono una bottiglia di rosso, la aprii facendo sì che il tappo colpisse accindentalmente
Clara e bevemmo con tanto di brindisi.
“Tanti
auguri a me... Ma il brindisi va a voi che vi state comportando come una
famiglia, grazie di tutto!” esclamai, prima di bere il contenuto in un sorso,
facendo ridere Salvatore.
“E
come una famiglia ti abbiamo preso un pensierino” esclamò Elena, prendendo un
pacchetto da un cassetto.
Era
una busta di Forever21 ed io, incredula, mi portai le mani alla bocca.
“Tralasciando
che non sei più 21, speriamo ti piaccia” disse Salvatore.
“Ragazzi”
esclamai, toccata, tanto da ignorare la battuta, “Siete un tesoro, non
dovevate!”.
“Così
avrai un nostro ricordo” disse Saverio, gentile come non mai.
“Oh!”.
Mandai
un bacio verso tutti e mi precipitai ad aprire il pacchetto, scoprendo che si
trattava di un carinissimo mini abito azzurro con delle maniche velate.
“Ma
è stupendo!” esclamai, davvero senza parole.
“Provalo,
vai in bagno, vediamo come ti sta! Così se non va bene abbiamo sette giorni per
cambiarlo”.
“Sì,
poi sei anche truccata, sarai una bomba!” esclamò Nadia.
“Ah,
ecco perché eri più carina” mi prese in giro Mario.
Ero
così presa dall’emozione e da mille sentimenti contrastanti che non badai alle
loro solite battutine, andai in bagno e ringraziai il cielo di aver avuto il
tempo di passare rapidamente la lametta sulle gambe dopo una settimana.
Stavo
iniziando i miei venticinque anni così, in un bagno, mentre mi cambiavo d’abito
per provarne uno di Forever21.
Mi
spogliai, presi il vestito, pregai in tutte le lingue che conoscevo che mi
andasse bene e lo infilai, sentendomi subito fasciata da quel tessuto morbido.
Mi
andava bene, era più stretto verso il seno e scendeva morbido sui fianchi.
Ovviamente,
le scarpe da ginnastica che avevo non c’entravano nulla, ma me ne fregai e
uscii dal bagno super sorridente, sotto lo sguardo felice e soddisfatto di
tutti.
“Ma
che bella!”.
“Sei
stupenda!”.
“Fotooo!
Metto l’autoscatto!” esclamò prontamente Mario, che era il più social di tutti.
Mise
l’autoscatto mi fece posizionare al centro e tutti si strinsero a me,
sorridendo.
“Aspetta,
la torta, reggila!” aggiunse Nadia, premurosa, porgendomela, facendo arrabbiare
Mario che fu costretto a rimettere il conto alla rovescia.
Dieci
secondo dopo, con facce buffe e divertite, eccola lì, la foto che attestava
che, davvero, ci stavamo divertendo in modo semplice e genuino.
Finimmo
di bere e di mangiare e poco prima dell’una dei rumori insistenti al piano
superiore ci fecero capire che dei ragazzi si stavano dando alla pazza gioia.
“Andate
pure, pulisco io” dissi quindi, rendendomi conto che domani si lavorava ed era
già tardi.
“Vado
io” disse Salvatore.
“Ti
accompagno” si aggregò Clara.
“Voi
altri andate, ragazzi, davvero. Grazie ancora per il regalo, lo adoro!” esclamai.
Elena
e Nadia provarono ad aiutarmi ma feci loro segno di andarsene, così seguorno
gli altri.
Presi
varie lattine vuote, residui di carte e quando mi voltai per andare verso la
pattumiera sobbalzai nel vedere che anche Luca era lì, stava raccogliendo i
bicchieri.
“Luca,
vai con gli altri” dissi.
“No,
non è giusto che tu stia da sola. Poi oggi non ci siamo proprio visti... Il
vestito l’ho scelto io con Paula, è stata lei a consigliarci Forever21 quando
ha saputo del regalo” spiegò, fin troppo rapidamente, quasi saltando qualche
sillaba.
“Che
gentile” commentai, desiderando solo di muovermi e di uscire da lì.
Un
monologo su Paula non me lo meritavo proprio!
Presi
i coltelli e le posate di plastica e li gettai nell’apposito contenitore.
“Non
ti sta simpatica, eh?” osservò.
“Luca,
onestamente... Se vuoi parlare di Paula trova qualcuno a cui interessi, magari
uno dei ragazzi” sbottai, prendendo la bottiglia di vino e gettandola con
troppa energia nella spazzatura.
“Alice...”.
“Luca,
io e te non ci conosciamo” lo bloccai, parandomi le mani davanti per bloccarlo.
Lui
mi si avvicinò, fronteggiandomi, incuriosito.
“No?”.
“No!
Non so niente di te, così come tu non sai niente di me...”.
“Forse
non so cosa hai fatto nella tua vita fino ad ora, ma so che sei nata l’otto
luglio del novantadue, che sembri insicura ma hai una decisione e una
determinazione di ferro, che non sai startene calma se sai che c’è qualcosa che
ti turba, che sei super appassionata di ciò che fai, che sei buffissima in
certi momenti ma è ciò che ti rende unica, so anche che mentre lavori sorridi
ogni tanto senza motivo e... Ah, che odi i cetriolini degli hamburger. Dimmi,
quindi, non so niente di te e...?”.
Abbassai
le mani, sorpresa, e mi appoggiai con le mani al tavolo retrostante.
“E...
Non mi piacciono le persone incoerenti” sussurrai, sentendo di star dicendo una
cazzata colossale.
“Ok,
e cosa c’entra con me?”.
“C’entra!
Dici che non ti piace Paula e poi sembrate pappa e ciccia” esclamai, a voce più
alta del dovuto, tanto che poi mi tappai una mano con la bocca.
“E
questo ti infastidisce?” domandò.
“No,
no! E’ che...”. Non sapevo cosa dire, sentivo la gola secca, come se avessi
ingerito del vetro, probabilmente ero arrossita e sembravo paonazza. “Prima
vieni nell’ufficio a dire che lei non ti piace, che non manderesti tutto
all’aria per lei, e poi...”.
“Infatti
non mi piace, Alice” sussurrò, fin troppo convinto.
“Ma
dai! Si vede lontano un miglio! Ridi alle sue battute, oggi te ne stavi
incollato a lei...” puntualizzai, infervorata, lasciando ogni parvenza di
decenza umana.
“Oggi, infatti. L’ho assecondata perché
ci ha aiutato con il regalo e più te lo vedo addosso e più mi convinco di aver
fatto bene. Ma gli altri giorni, Alice...”.
“Gli
altri giorni cosa?” lo sfidai, senza capire.
Luca
esitò, si guardò intorno, si inumidì le labbra e poi mi guardò dritto negli
occhi.
“Ieri
ti ho proposto di dirci chi ci interessava, no?” disse lentamente, abbassando
il tono. “E io ora voglio onorare questa proposta”.
“Dicendomi
che ti sei sbagliato e che ti piace Paula” finii per lui, alzando gli occhi al
cielo.
Mi
bloccai così, lo sguardo rivolto verso l’alto, le braccia aperte e immobili.
Senza
dire altro, Luca mi aveva preso il volto tra le mani e mi aveva baciato,
appoggiando le sua labbra sulle mie con tutto fuorché discrezione e
coinvolgendomi in un bacio inizialmente timido.
Dopo
non so quanti secondi si separò, appoggiando la sua fronte contro la mia e
continuando a guardarmi, questa volta sorridendo con tenerezza.
“Mi
piaci tu, Alice. Tu. Forse da quando abbiamo litigato sotto la pioggia, non lo
so... So solo che quando devo pensare a
lavorare ti cerco con lo sguardo e oggi la mia priorità era coinvolgere tutti
per il regalo” sussurrò, in un modo che però per me risultò come un urlo.
Ero
immobile, senza parole.
Possibile?
Uno
che mi piace che prova lo stesso e me lo dice quasi subito?
Stavo
forse sognando?
“Luca...
Ma no, voglio dire, le cose non tornano, tu...”.
“Cosa
non torna? Alice tu mi stai distraendo e io odio sentirmi così, mi sembra di non
avere il controllo della situazione, del mio lavoro! Ecco perché magari ho
fatto l’idiota, pensavo di sbagliarmi ma non è così. Mi stai facendo impazzire,
Alice” confessò, riavvicinandosi di nuovo al mio volto e ribaciandomi con
slancio.
Decisamente
tra le nuvole, con il cuore che mi martellava in petto, gli circondai il collo
con le braccia e lo strinsi a me mentre rispondevo al bacio con una passione
che non credevo di possedere.
Finii
seduta sul tavolo alle mie spalle, con Luca che continuava a non separarsi da
me e scendeva a darmi piccoli baci verso il collo.
“Penso
sia palese che mi piaci anche tu” sussurrai, con il fiato corto, quando si
separò da me.
Il
cuore mi si riempì di gioia quando vidi il suo volto mutare, diventare pieno di
felicità.
“No,
non è palese, fidati, temevo mi rifiutassi” borbottò, facendomi ridere. “Domani
pomeriggio saremo tutti liberi mentre i ragazzi fanno shopping, vieni con me a
fare un giro?” propose, mentre mi aiutava a scendere dal tavolo.
“Non
temi che ci vedano?”.
“Non
mi importa di rischiare, poi tanto Oxford Street è immensa. Voglio davvero
passare del tempo con te senza nessuno tra le scatole” mi implorò, per poi
stringermi a sé.
“Va
bene” acconsentii, decisamente frastornata e incredula.
Mi
lasciai stringere e appoggiai la testa sulla sua spalla, mentre lui mi posava
di nuovo un bacio sulla spalla, questa volta più sicuro di sé, come aveva fatto
quando avevamo ballato.
I
miei venticinque anni erano iniziati davvero bene.
*°*°*°°*
Lunedì,
nuovo capitolo!
Eh sì,
andiamo subito al sodo... Luca ci sta, eccome se ci staaa!
Cosa ne
pensate? Io ho fangirlato molto mentre scrivevo, ho cambiato mille volte idea e
alla fine ecco qui il capitolo nella sua versione definitiva.
Alice è
piena di dubbi, fa la gelosa, poi decide di non farci caso, e poi... Tadà, Luca
onora la sua promessa di dirle chi gli piace.
Cosa
succederà ora?
Vi dico solo
che per vari motivi il settimo capitolo è il mio preferito.
Grazie a chi
continua a seguire la storia, non siate timidi e fatemi sapere che ve ne sembra
della piega che stanno prendendo le cose, su!
A lunedì,
milly.
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Capitolo 7 *** Day 7: Save The Date ***
7save
Capitolo 7
Day 7: Save the Date
Aprii gli occhi ancor prima del suono della
sveglia e cercai di fare mente locale, confusa più che mai.
Avevo sognato?
Luca mi aveva baciato, aveva detto che gli
piacevo, il tutto nella sala riunioni dove chiunque avrebbe potuto beccarci,
poi mi aveva accompagnato fino alla mia stanza dove, rapidamente, sperando che
nessuna ragazzina del mio piano aprisse la porta, mi aveva baciato con tanto di
“Buonanotte, domani mattina vengo da te verso le sette, ok?”, mi aveva stretto a
sé per l’ultima volta e se ne era andato, salvo poi voltarsi e farmi
quell’occhiolino che ormai era il suo marchio.
Sospirai, mi voltai su un fianco e vidi il
vestito azzurro di Forever21 su una gruccia, appoggiato vicino l’armadio.
No, non era un sogno.
Mi misi a sedere e mi sforzai di non
pensare alla realtà che di sicuro mi avrebbe punto come una marea di spilli.
Tralasciando la precarietà della situazione
visto che tra una settimana esatta io e Luca non avremmo più condiviso il luogo
in cui ci trovavamo e che magari quel pomeriggio, passando del tempo insieme,
saremmo tornati a litigare e ci saremmo mandati a quel paese, stavamo andando
contro la regola di Saverio e se ci avessero beccati ciò avrebbe inciso sulla
nostra valutazione finale.
Ne valeva la pena?
Ripensai alla sensazione di gioia che avevo
provato in quei minuti gloriosi in cui mi aveva baciato e mi aveva stretto a sé
e conclusi che, sì, ne valeva la pena visto che non mi sentivo così viva da
tanto.
Ragion per cui mi alzai rapidamente e mi affrettai
a prepararmi visto che nel giro di trenta minuti Luca avrebbe bussato alla mia
porta.
Lottai contro la doccia per non bagnare i
capelli visto che avevano ancora una piega decente e mi sforzai di rendermi più
presentabile usando un po’ di trucco in più.
Per fortuna, alle sei e cinquanta, ero già
pronta perché lui bussò alla porta in netto anticipo.
Sentivo le gambe che mi tremavano, mi
affrettai ad aprire senza fare domande stupide come “Chi é?” per non far
sentire la sua voce alle ragazzine che avevano la stanza nel mio stesso
corridoio.
Quando me lo ritrovai davanti sorrisi senza
riuscire a controllarmi, lo feci entrare e senza fregarmene lo abbracciai, con
il risultato che ci trovammo stretti contro la porta.
“Buon compleanno, Alice” sussurrò al mio
orecchio, mentre mi stringeva a sua volta.
“Grazie... per l’ennesima volta” ironizzai,
separandomi da lui.
Lui si guardò intorno, osservò la stanza
dalle mura beige in tinta con l’armadio e la scrivania e si soffermò a guardare
il vestito.
“La tua camera è più carina della mia,
l’ala dell’edificio dei ragazzi è più rozza” osservò.
“Non oso immaginare, già questa non è un
granché” provai a fare conversazione.
Per tenermi impegnata controllai lo zaino e
ripescai il badge dalla scrivania, salvo poi guardarlo di nuovo.
“Vuoi sederti?” proposi, indicando
stupidamente il letto.
Lui assunse un’aria furba e mi si avvicinò.
“Eviterei, Alice. Meglio questa” indicò la
sedia della scrivania – ringraziai mentalmente il fatto di averla svuotata dai
vestiti il giorno prima – e prese posto, per poi prendermi per un braccio e
trascinarmi su di sè.
Mi ritrovai seduta sulle sue gambe, con le
sue braccia che circondavano le mie.
“Ciao” sussurrai imbarazzata, visto che i
nostri visi se ne stavano a pochi centimetri di distanza.
“Ciao” ribadì lui. “Quando ti imbarazzi
sei... Non lo so, non so descriverlo... Adorabile”.
“Ma no, non sono imbarazzata...”.
“Ah, no?”.
“Vuoi perdere tempo a litigare?” lo
provocai, appoggiando le braccia sulle sue spalle belle larghe che erano uno
degli elementi della sua fisicità che adoravo.
“No, Ali. Non voglio perdere tempo con te,
nemmeno un minuto” dichiarò, questa volta serio, senza smettere di guardarmi
negli occhi. “Non vedo l’ora di stare con te, oggi... Sembrerà sciocco, ma a
causa tua ho dormito pochissimo”.
“E’ una cosa carina” sottolineai, per poi
accarezzargli una parte del volto senza riuscire a controllarmi. Non aveva
barba, i capelli castano scuro gli circondavano il viso un po’ ovale e
contrastavano con gli occhi verdi e la pelle un po’ abbronzata. “Io... Mi sento
felice”.
“Anche io. E fortunato! Tra tanti nomi sei
capitata tu... che fortuna”.
Avrei potuto fare la scema e fare qualche
smorfia, ma mi limitai a continuare a guardarlo, fino a che la distanza
tra noi fu nulla, i nostri nasi si sfiorarono e ci ribaciammo.
Fu un bacio lento ma deciso, come quello di
due persone che vogliono godersi nel migliore dei modi ogni istante a loro
disposizione.
Sentivo le sue mani che mi sostenevano, per
poi passare ad accarezzarmi i capelli, mentre io le tenevo sul suo petto, come
se mi fossi ancorata a lui.
Lo sentivo quasi timoroso, come se temesse
di spingersi troppo oltre e la cosa mi sorprese perché ero perfettamente
cosciente del fatto che non avrei avuto la forza di respingerlo.
Mi beavo dei suoi baci sul collo, erano in
grado di trasmettermi una sorta di energia elettrica in tutto il corpo, e
ricambiai avvicinando al suo orecchio.
“No!” mi bloccò, facendomi sobbalzare.
“Cos...?”.
“Alice, sei fantastica ma quello è il mio
punto debole e... Insomma, tra venticinque minuti devo essere con i ragazzi
e...”.
“E...?” lo presi in giro.
“Insomma, sono un gentiluomo ma così
facendo non mi aiuti, vorrei evitare di saltarti addosso e farti pensare...”.
Si stava letteralmente imbarazzando, non
sapeva cosa dire ed io mi alzai, decidendo di lasciargli i suoi spazi.
“Luca, è tutto ok e, diciamolo, ci
attraiamo reciprocamente. Stai tranquillo” lo calmai, sedendomi di fronte a
lui, cercando a mia volta di riprendermi da quella breve ma intensa pomiciata.
“Giuro che pagherei per poter starmene
tranquillo qui, con te. Ho pensato ad un gioco per conoscerci meglio” aggiunse,
cambiando argomento.
“Addirittura!”.
“Addirittura”.
“Sono curiosa, nessuno aveva fatto una cosa
simile per me. Non vedo l’ora di saperne di più sul celebre Luca Antonini. Per
ora so solo che adora il suo lavoro come group leader, che viene da Napoli, che
sotto sotto sembra essere un romanticone, che occasionalmente ha bisogno di una
birra, sembra avere un cuore grande e... Che bacia molto bene”.
Ero davvero io quella che si stava
prendendo la libertà di flirtare così bene?
Evidentemente Luca apprezzò la mia
sfrontataggine perché si alzò e mi venne incontro, fino a sedersi al mio
fianco.
“Io dovrei aggiungere alla lista di ciò che
so su di te che hai un potere innato di stuzzicarmi con delle semplici parole”
esclamò.
“Davvero?”.
“Davvero...”.
Non so precisamente la dinamica con cui ci
ritrovammo stesi sul letto, abbracciati.
Avevo la testa sul suo petto e sentivo il
suo cuore battere forte.
Mi strinse più forte a sé e mi lasciò un
bacio tra i capelli, prima di giocare con una ciocca.
“Alice, la mia tentatrice” ironizzò, ma
come risposta si beccò una cuscinata in faccia.
Tornare alla realtà del college fu davvero
dura, a partire dalle mille strategie per far sì che nessuna delle ragazze
vedesse Luca uscire dalla mia stanza fino al far finta di nulla a colazione.
Stupide regole, stupide formalità, stupidi
sentimenti... Stupida voglia di sentirsi meno soli.
Mi ritrovai ad annuire durante varie
conversazioni ma senza dire la mia o ribattere in maniera intelligente tanto
che mi sentivo sopra una nuvola e feci colazione in modo piuttosto silenziosa,
proprio come Nadia che leggeva qualcosa sul cellulare di tanto in tanto mentre
mangiava.
Mi sforzavo di non guardare Luca – ci
eravamo seduti appositamente lontani – e osservavo gli altri.
Clara sonnecchiava, Salvatore sembrava
assente come Nadia, Giada mangiava, Elena rispondeva a qualche messaggio
vocale, Mario come al solito faceva lo scemo dandoci fastidio.
“Allora, Alice, come ti sembrano questi
venticinque anni, eh?” domandò Clara.
Quasi non sputai per aria i cereali! Mi
contenni e vidi subito che Luca si era voltato a guardarmi.
“Oh beh, bene direi, tranquilli più che
altro” mentii.
“Tranquilli? Allora oggi dobbiamo
movimentarteli un po’!”.
Incredula, mi voltai verso Luca che
sorrideva beffardo. Mi stava forse prendendo in giro?
“Non credo si possa fare molto” stetti al
gioco, guardandolo di striscio, come se la cosa non mi riguardasse.
“Ci proveremo” insisté, senza smettere di
guardarmi.
“Però è stato bello festeggiare ieri sera,
siamo un bel gruppo” disse Nadia, cordiale.
“Sì, un gruppo molto unito” continuò
Luca.
Il bello è che chi non sapeva i retroscena
poteva semplicemente pensare ad un suo essere carino nei confronti del gruppo,
infatti Clara disse: “Oh, Luca, siamo sentimentali oggi!” ed io cercai di
sminuire il tutto con un: “Ma sì, siamo davvero un bel gruppo, mi avete fatto
sentire a casa! Anzi, se mi inviate la foto la posto per ricordo!”.
Subito Mario, il re dei social del gruppo,
si affrettò ad inviarmi la foto della sera prima più altre di cui non ne sapevo
nulla.
Mi sorpresi nel vedere quella in cui spegnevo
le candeline perché si vedeva Luca che mi guardava e sorrideva genuinamente.
Quella di gruppo era fantastica, tutti in
posa ma naturali, tutti avevano le divise tranne me, Giada e Saverio come al
solito ed io sembravo davvero spensierata.
Non decisi nemmeno di aggiungere un filtro,
quella foto doveva rimanere così, naturale.
La postai, taggai tutti e poi, rapidamente,
scrissi un messaggio alle mie migliori amiche che meritavano di sapere.
“Novità, ha detto
che gli piaccio e ci siamo baciati.. Più di una volta! ;)” scrissi
rapidamente nel nostro gruppo Whatsapp.
Sapevo che avrei scatenato il delirio e che
non avrei avuto modo di replicare ma dovevano sapere, dovevano condividere
questo momento con me.
“Che carini che siamo” disse Nadia, mentre
guardava la foto. Guardò l’orologio e afferrò il vassoio con la colazione ormai
finita. “Ragazzi, sono le otto e dieci,corro un attimo in camera perché ho
dimenticato una cosa e torno per portare i miei ragazzi in classe” disse.
“Vai a girare un tutorial?” la presi in
giro.
“Mi hai scoperto! Che bella che eri ieri.
Anche oggi, eh” esclamò, in un moto di affetto tale che mi si avvicinò e mi
diede un bacio sulla guancia prima di andarsene.
“Eh meno male” ridacchiai.
Notai che erano tutti visibilmente stanchi,
infatti finirono di mangiare poco dopo per andare a stendersi nel prato o sulle
panchine retrostanti alla mensa, dove i ragazzi si raggruppavano prima di
andare a lezione.
Sembrava tutto fatto di proposito e non me
lo spiegavo.
In più, Saverio non si era visto e io non
sapevo quanto avrei dovuto lavorare quella mattina.
Ritrovandoci da soli, Luca si spostò di
fronte a me.
“Sei uno scemo” borbottai.
Lui subito capì che parlavo dei suoi
riferimenti e scrollò le spalle.
“Adoro quando cerchi di fare la finta
tonta, davvero”.
“Cazzo!”.
“Cosa...?”.
“Ieri ho lasciato i vestiti in bagno, nella
sala riunioni... Dovrei andare a riprenderli, tanto manca tempo alle nove”
esclamai.
“Dovrei prenderteli io visto che è per colpa
mia se li hai lasciati lì” disse.
“Non ti vantare troppo, Antonini”.
“Eddai...”.
“Ok, si, un po’ è colpa tua. Potresti
aiutarmi trovandomi qualcuno che abbia le chiavi dell’edificio, ad esempio”.
“A disposizione, signorì”.
“Mi piace quando fai il napoletano...”
sussurrai, più che altro per non far ascoltare nulla ad eventuali ragazzini.
“Buono a sapersi” mormorò, guardandomi
intensamente, tanto da farmi venire la pelle d’oca e fingermi disinvolta mi
costò molto.
Uscimmo dalla mensa e per fortuna, su una
panchina di fronte al prato, incontrammo Salvatore che subito ci prestò la
chiave dell’edificio.
“Non sei costretto a venire con me...”
esclamai, quando andai in direzione dei dormitori.
Ritrovarci da solo era rischioso, sapevo
che davanti a una sua dimostrazione d’affetto non mi sarei tirata indietro e
avremmo rischiato grosso.
“Faccio il bravo” disse, probabilmente
capendo il perché della mia preoccupazione.
“Io ancora devo realizzare. Non ci sto
capendo niente” ammisi, voltandomi e trovando il coraggio di guardarlo in
faccia.
“Beh, nemmeno io. E’ tutto così surreale.
Sembra tutto complesso, non credi? Ma forse in fondo è più semplice di quel che
sembra” disse, vago.
“Cosa vuoi dire?”.
“Ci stiamo avvicinando ma ci conosciamo da
una settimana e...”.
Esitai e subito mi bloccai, afferrandolo
per un polso con decisione approfittando dell’assenza di gente dello staff e
dei ragazzi.
In più, eravamo in una zona con varie
piante e giardini quindi potevamo nasconderci.
Vedendo quel gesto fermo, Luca sembrò non
capire.
“Chiariamo una cosa, Luca. Non devi fare
finti discorsi carini per imbambolarmi, non sono quel tipo di ragazza. Siamo
onesti! Sì, ci conosciamo da sette giorni e tra altri sette io andrò a Roma e
tu a Napoli. Tutto semplice, niente di complesso, io non sono la ragazza che ti
perseguiterà o che ha aspettative dopo ieri sera” esclamai, visto che mi ero
sentita in dovere di dire quelle cose non appena c’era stato un accenno di
discorso pseudo complesso.
Lui sembrò sorpreso da quel discorso, nel
senso che mi guardò come se fossi strana.
“Alice... Stavo per dire che in realtà è
semplice perché ci conosciamo da poco ma c’è chimica tra di noi e quella non
scatta dopo un tot di tempo, o c’è o non c’è” sottolineò.
Arrossii e mi portai una mano alla bocca,
abbassando lo sguardo per poi tornare a camminare.
“Lo penso anche io ma ciò non cambia ciò
che ho detto”.
“Hai ragione e io non ho mai pensato che tu
fossi il tipo di ragazza che si riempie di chissà quali aspettative, anzi, a
questo punto mi sa che le mie sono più alte delle tue...”.
“Ma dai! Luca, godiamoci il presente” lo
incoraggiai, alzando gli occhi e vedendo che mi guardava in un modo che
ispirava fiducia.
Lo spinsi verso una zona piena di piccoli
cespugli e mi strinsi a lui come per confermare che ero sempre la stessa della
sera prima e lui parve gradire perché mi afferrò per un fianco e ricambiò la
stretta.
Quando arrivammo all’edificio lui mi
aspettò fuori, così aprii il piccolo portone di ingresso, mi avviai al primo
piano ed entrai nella sala riunioni.
Aprii la porta di scatto, decisa nel fare
in fretta, ed entrai rapidamente.
Tuttavia, mi bloccai di scatto quando mi si
parò davanti una scena che non dimenticherò mai e poi mai, nemmeno sotto
l’effetto di qualche procedura intensiva o ipnosi.
C’era una ragazza stesa sul divano con un
ragazzo sopra di lei e i due stavano pomiciando selvaggiamente, tanto che le
gambe di lei erano attorno alla vita di lui.
“Ahhh!!” urlai senza riuscire a contenermi,
per poi scappare fuori dalla sala.
“Alice, che cazzo...?!”.
Mi coprii la mano con la bocca, rossa come
un peperone, con il cuore che mi batteva a mille, indecisa se riprendermi o
continuare a dileguarmi.
“Alice...”.
Mi voltai e vidi che Nadia e Saverio non
stavano meglio di me, entrambi con i volti arrossati – probabilmente per altre
cause – gli abiti stropicciati e via dicendo.
Per una volta, lei non aveva il rossetto...
“Ragazzi, scusate, ieri ho dimenticato i
vestiti che indossavo prima di provare l’abito e volevo prenderli visto che
mancano una trentina di minuti alle nove. Scusate, ho chiesto la chiave
dell’edificio a Salvatore...” biascicai, quasi mangiando alcune parole per
l’imbarazzo.
“Avresti dovuto avvisarmi! Vivo io qui, è
come se io venissi nella sala del tuo piano!” esclamò Saverio.
“Ma non ti ho visto a colazione! Sei sempre
così pieno di cose da fare che non volevo disturbarti per una cosa scema...”.
“Alice ha ragione. La colpa è nostra”
sussurrò Nadia, senza avere la forza di guardarmi negli occhi.
“Perché non vi siete chiusi in una stanza?
Qui la porta non ha la chiave!” osservai. “Avrebbe potuto beccarvi
chiunque...”.
“No! Chiunque no! Nessuno ha la chiave...”.
“Oltre a Nadia anche Mario ed Elena vivono
qui” gli feci notare. “Comunque scusatemi e tranquilli che sarò super discreta”
mormorai, anche se non riuscivo a capacitarmene visto che Saverio era quello
che mi diceva di non fare cazzate e mi aveva avvertito sulle relazioni con i
colleghi.
Certo, io ero dalla parte del torto visto
che avevo pomiciato a mia volta con un collega, solo che è strano vedere il tuo
capo predicare bene e razzolare male.
“Dopo, in ufficio, possiamo parlare?”
aggiunse il capo, improvvisamente più docile.
“Certo, come sempre” dissi, prima di
guardarli un’ultima volta, entrare di nuovo nella sala, prendere i vestiti e
uscire.
Non dissi niente a Luca – avrei voluto
tanto, davvero, soprattutto per dirgli che non eravamo gli unici a star
combinando qualcosa che andava contro il regolamento – ma Saverio era colui che
dal primo giorno mi aveva supportato e non meritava una bastardata simile.
Volevo saperne di più e non creare pasticci
visto che mi bastavano quelli creati fino a quel momento.
Così, quando Luca mi vide un po’
accigliata, dissi semplicemente che pensavo a quanto sarebbe stata dura
concentrarsi sul lavoro.
Io tornai in camera per posare i vestiti e
lui tornò al campus per raccogliere i suoi ragazzi e portarli in classe.
Le immagini di Saverio e Nadia che si
stringevano freneticamente mi inondavano la testa e pensavo ad un eventuale
evento simile tra me e Luca.
E se ci avessero scoperto?
Nessuno dei due era il capo, nessuno ci
avrebbe tutelato!
Valutazione negativa e via, lavoro perso,
nessuna possibilità di essere richiamati.
Ne valeva la pena?
Era la seconda volta che me lo chiedevo ma
con una prospettiva diversa nel giro di meno due ore.
Nadia non avrebbe avuto alcuna valutazione
negativa, pensai, arrabbiata, mentre io dovevo pensarci mille volte dopo che
per un anno non avevo avuto alcuna gioia in ambito sentimentale.
In tutto ciò, il mio cellulare stava
andando a fuoco visto i mille messaggi delle mie amiche che volevano saperne di
più.
Cosaaaa?
Lo sapevo!
E raccontaci dai!
Comunque ho visto la foto su Facebook e ho
capito perché ti interessa, furbacchiona!
E’ davvero bellissimo!
Presi un bel respiro e, provando a
schiarirmi la mente, feci una registrazione in cui riassumevo tutto,
tralasciando la questione di Saverio, per poi tornare verso il campus.
Stavo confrontando il testo di un’email con
ciò che avevo tradotto per confrontare il tutto quando vidi Saverio spuntare
dalla porta con in mano un fazzoletto con su un mega cookie con scaglie di
cioccolato.
Eravamo soli, tutti erano in giro con i
ragazzi visto che era già l’ora della pausa.
Lui prese posto di fronte a me e appoggiò
il biscotto al mio lato con gentilezza.
“Per te. A quanto pare questo è il meglio
che ti danno se in caffetteria chiedi qualcosa di dolce per una che compie gli
anni” si scusò.
Sorrisi per il pensiero e alzai lo sguardo.
“Grazie. Vuoi forse corrompermi...?” ironizzai.
Il mio capo prese un bel respiro e si
guardò intorno prima di guardarmi in faccia con aria grave.
“Alice, il mio destino qui è farti delle
paternali e poi tornare sulla retta via. Ti ho aggredito come un pazzo, non te
lo meritavi, semplicemente mi comporto così quando le cose non vanno come dico
io” si scusò, colpevole. “Cosa avrai pensato di me? “Questo stronzo mi fa il
discorsetto se uno spagnolo mi invita a ballare e poi lo becco addosso a una
mia collega”. Lo so che è così” insisté quando finsi di dissimulare. “E hai
ragione. Hai ragione, Alice!”.
“Saverio, tu non devi giustificarti con me,
basta che ciò non vada a sfavore di Nadia perché so quanto sia un periodo
critico per lei e...”.
“Pensi che non lo sappia? Pensi che...”.
Saverio si passò una mano in volta e poi strinse un pugno più forte che mai
sulla scrivania. Esitò e poi tornò sui suoi passi. “E’ successo tutto
all’improvviso, Alice, due giorni fa, dopo la solita riunione. Io da quando
l’ho vista ne sono rimasto colpito ma lei è sempre così schiva, silenziosa...
Nei vari momenti liberi abbiamo avuto modo di chiacchierare e una volta abbiamo
pranzato insieme, a Londra, quando voi avete scelto di mangiare da un’altra
parte. Non so come due giorni fa sono uscito fuori per fumare, voi eravate già
tutti nelle vostre stanze, e lei era lì, fumava a sua volta. Non ricordo che ci
siamo detti, so solo che l’ho accompagnata in camera sua e lei mi ha
baciato. Lei, Alice! Ci credi? Io no, non ancora! E sono due giorni che sono
allegro ma con la testa tra le nuvole perché mi sembra di conoscerla da una
vita” spiegò rapidamente, infervorato come non lo avevo mai visto.
Aveva gli occhi lucidi attraverso gli
occhiali, un’aria da hipster sentimentale e l’aria di chi sta vivendo un sogno
e non se ne capacita.
Vedendolo così mi sentii commossa e felice
per lui perché si vedeva che era qualcosa di profondo e non una classica
storiella.
“Vivete anche nella stessa regione, no?”
azzardai, speranzosa.
Lui parve illuminarsi udendo questa
informazione.
“Sì. Lei sembra decisa a vedermi anche al
ritorno...”.
“Mi fa piacere per voi”.
“Alice, se mi stai giudicando...”.
“Saverio, non ti giudico. Nadia mi ha
raccontato un po’ della sua vita e merita un po’ di felicità e tu... Beh, non
conosco la tua vita sentimentale, ma ti vedo più tranquillo tranne quando mi
urli contro” - qui rise di cuore - “Quindi non mi sembra male. Farò il
tifo per voi e terrò la bocca chiusa” promisi.
“In realtà pensavamo di dirlo al gruppo”.
Avevo appena preso un pezzetto di cookie e
quasi mi strozzai udendo ciò.
Tossii, feci fatica ad ingoiare il tutto e
alla fine lo guardai con gli occhi dilatati.
“Che?”.
“Sì. Diciamocelo, come te chiunque potrebbe
beccarci ed è meglio essere onesti. Staremo più tranquilli...”.
“E, scusami, quando parlavi di valutazioni
negative in questi casi...?”.
Volevo sapere, morivo dalla voglia di
capire se il discorso di Saverio era lineare o a convenienza.
“Capisco dove vuoi andare a parare. Se hai
notato io mi riferivo in particolare agli spagnoli, agli inglesi, perché sono
quelli che non lavorano per la nostra azienda e potrebbero denunciarci alle
risorse umane in qualsiasi momento. Tra di noi intesi come facenti parte della Emperor
Travel, beh, se ci fidiamo non c’è problema”.
Annuii, comprendendo solo in parte il suo
discorso perché qualche giorno fa la situazione era decisamente più seria, ora
tutto sembrava sorridergli in seguito all’ “effetto Nadia”.
“Dai che domenica ti danno pure la camera
doppia, fa proprio al caso tuo” lo presi in giro, senza commentare
l’informazione che mi aveva dato.
“Tralasciando che Nadia lavorerà come
tutti, la camera la lascio a te che hai salvato la gita, ricordi?”.
“No, avevi detto che era tua quando siamo
tornati in ufficio...”.
“Alì, dai, su, non farti pregare. E’ tua,
scherzavo. Non lo faccio perché ora potresti sputtanarmi...”.
“Ah, no?”.
“No, portati qualcuno pure tu. Mario mi
sembra proprio bisognoso di coccole, facci un pensierino”.
“Lo farò” lo presi in giro, giusto per
deviare l’attenzione su altri colleghi.
Detto ciò si alzò con un “Bella
chiacchierata”, alzò il pollice e uscì, dicendomi che dopo avrebbe letto gli
appunti che gli avrei lasciato.
Quando sentii il rumore della porta che si
era chiusa, la realtà mi piombò addosso.
Nel giro di tre giorni avrei avuto una
camera d’hotel doppia tutta per me, una camera super lussuosa, in un hotel con
spa e Luca, per uno scherzo del destino, aveva la domenica libera.
Andai in panico, e non perché lui sembrava
il tipo che di fronte a una simile congiunzione astrale mi avrebbe proposto
insistentemente di fare qualcosa, più che altro perché io non sapevo
cosa volessi.
Ero preoccupata, quando Luca mi stava
vicino perdevo il controllo e temevo che, lasciandomi andare, qualcuno ci
avrebbe scoperti.
Il mio cervello, in un secondo, mi propinò
scene in cui qualche ragazzino non si sa come ci vedeva, o qualche membro del
team inglese, in cui non potevamo tutelarci...
E fu la fine della mia pace.
“Raggiungimi qui”.
Non so come ero riuscita a starmene per i
fatti miei dicendo che nel tempo libero avrei cercato una libreria mentre Luca
già se ne era andato, raggiungendo il posto di cui mi aveva inviato la
localizzazione.
Era a trecento metri da me, così, a
malincuore obbedii e seguii il percorso, più che altro perché non sapevo cosa
fare.
Saverio ci avrebbe parlato quella sera
della sua storia con Nadia e io ero ancora indecisa su cosa fare.
“Eccoti!”.
Non ebbi nemmeno il tempo di dire qualcosa
che Luca mi stava stringendo a sé con una dolcezza mai vista, in un modo che
quasi mi faceva scomparire tra le sue enormi e salde braccia.
“Ehi” sussurrai, quando ci ritrovammo
faccia a faccia.
“Finalmente soli!”.
Sembrava decisamente su di giri, entusiasta
e mi guardava in attesa.
“Ti va di prendere qualcosa da bere?”
propose.
Era così emozionato e trepidante che mi
sentivo in colpa per il mio stato d’animo non proprio adatto all’occasione.
Annuii e mi sentii strana quando mi prese
per mano, conducendomi fino ad un bar a un centinaio di metri da dove eravamo.
Quel gesto mi mise ansia, lui sembrava
troppo coinvolto nonostante ci fossimo solo dati qualche bacio e io, nel
momento in cui stavamo per entrare nel locale, esitai.
Cosa dovevo fare?
Non sapevo bene cosa, ma non volevo
assolutamente passare per pazza.
“Luca, non pensi che stiamo correndo
troppo?” domandai, con un nodo in gola che quasi mi impediva di parlare.
Lentamente, separai le nostre mani e mi
sentii mortificata quando lui mi guardò senza capire.
“Cosa?”.
“Sì, insomma...”.
“Alice, stiamo andando a prendere qualcosa
al bar” mi ricordò gentilmente.
“Ho paura, Luca” ammisi quindi, non
riuscendo a guardarlo in faccia.
“Paura?”.
Non potevo vederlo ma suonava sorpreso e
intimorito.
“Di cosa?”.
“Di tutto! Che ci scoprano, di rimanere
delusa per qualcosa, di...”.
“Di metterti in gioco” concluse lui per me.
“Guardami, Alice”.
Trepidante, alzai il volto e vidi tanta
amarezza dipinta sul suo volto.
“Non devi cacciare scuse se hai cambiato
idea o hai visto che non ti interesso, non siamo bambini” esclamò, sforzandosi
di essere pacato.
Feci un cenno negativo. “No! Non è
questo... Tu sei capace di farmi stare tranquilla e serena, stamattina non
credevo ai miei occhi quando sei venuto in camera, è che...”.
Mi bloccai.
Tradire Saverio o passare per pazza?
Lui avrebbe comunque detto la verità a
tutti, no, quella sera? Che senso aveva non spiegare l’origine di quel caos se
comunque nel giro di poche ore lo avrebbe scoperto?
“Stamattina, in sala riunione, ho
beccato... Saverio e Nadia. Si baciavano...”.
“Cosa?”.
“Sì. Saverio ce lo dirà stasera, lui e
Nadia sembrano avere intenzioni serie, si trovano bene, ma tutto ciò che io ho
visto in quel momento è stato qualcuno che scopriva me e te nella stessa
situazione e qui nessuno dei due è il capo, nessuno ci può tutelare, hai
sentito Saverio”.
Luca sembrava scioccato, confuso, si
portava la mano alla testa, mi guardava incredulo.
“Hai capito che... Io non ne valgo la
pena”.
“Luca, non dire così... Sono andata in
panico!”.
“E io sono qui per questo! Se ti va
possiamo essere l’uno l’ancora dell’altro, se hai qualche preoccupazione io
sono qui per te” disse, quasi sussurrando.
Mi si avvicinò, mi prese per mano e mi
strinse a sè gentilmente, accarezzandomi pacatamente la schiena.
“Io amo il mio lavoro come te, Alice, ma
solo starti vicino lo rende migliore” sussurrò al mio orecchio.
Non riuscii a trattenermi, non ero
tranquilla nonostante i suoi tentativi, così mi separai gentilmente e ci
guardammo.
“Stai per piangere...?” domandò, esitante.
“Io... Se devo esserci voglio esserci
dentro fino al collo, per ora non me la sento” dissi, con un’orribile voce
nasale.
Luca lasciò ogni contatto e sospirò.
“Come vuoi, Alice. Calmati, ci vediamo a
cena” esclamò, senza insistere o senza pregarmi.
Lentamente si allontanò da me, fece qualche
passo, si voltò in mia direzione e poi continuò a guardare avanti, mentre io
maledicevo ogni singola cellula del mio corpo che mi rendeva così nervosa e
sensibile.
Che bel compleanno.
Tutti, a cena, sembravano allegri e
tranquilli.
Mi cantarono per l’ennesima volta “Tanti
auguri!”, tanto che i ragazzi di vari gruppi mi si avvicinarono e mi fecero gli
auguri a loro volta.
Io ovviamente fingevo di stare calma e Luca
sembrava ancora più coinvolto dai suoi ragazzi, Nadia mi lanciava delle
occhiate ansiose ed io mi sforzavo di sorriderle e Saverio sembrava
innaturalmente giocherellone.
Non vedevo l’ora di tornare in camera e
dormire ma, ovviamente, c’era la riunione serale, prevista per le dieci.
I GL erano già nella sala riunioni con
Elena e Saverio perché stavano organizzando la divisione delle camere una volta
giunti in hotel ad Oxford ed io, Mario e Giada non avevamo niente da fare
nell’arco di tempo precedente all’incontro, così mi andai a fare una doccia e
alle 21.45 ero fuori all’edificio con loro.
“Alice, è successa una cosa carinissima!”
mi accolse Giada, seduta su una panchina.
“Cosa?” mi informai, prendendo posto al suo
fianco.
Mario se ne stava seduto davanti a noi e
sembrava a sua volta piacevolmente animato da quel misterioso accaduto. “Lo
abbiamo appena saputo, è successo oggi. Hai presente Mirko, quello della
squadra di Luca?”.
“Sì, quello che ballava con Enzo, no?”.
“Esattamente! Praticamente oggi Luca lo ha
incontrato durante il tempo libero, tutto solo... Si è confidato e gli ha detto
di avere una cotta per Enzo ma temeva di esporsi”.
“Sì!” continuò Giada. “Luca gli ha detto di
non pensare alle conseguenze, di vivere il momento, di dare retta ai suoi
sentimenti... Lo ha aiutato, ha chiamato Enzo dicendolo di venire ad coffee
shop, così lui si è ritrovato Mirko, li ha lasciati parlare e li abbiamo
beccati vicini in pullman, abbracciati!”.
“Noo, che carini!” esclamai, desiderando in
cuore mio di avere la stessa leggerezza e voglia di mettersi in gioco di due
adolescenti.
“Sì, abbiamo la prima coppietta, mi sa!”.
“E’ appena finita la prima settimana, ora
spunteranno come i funghi” disse profeticamente Mario, con l’aria di chi la
sapeva lunga e io mi chiesi se sapesse di Saverio e Nadia visto che sembrava
essergli molto amico.
“Non c’è cosa più romantica di una storia
vissuta in una vacanza studio” sospirò Giada, quasi con gli occhi che le
brillavano. “La consapevolezza di avere poco tempo a meno che non si abiti
vicini o sia pronti a una storia a distanza amplifica il tutto di dieci volte,
i sentimenti sono più veri che mai, si vive bene ogni istante...”.
Presi il cellulare e finsi di aver ricevuto
un messaggio, troppo emotiva per sentire quel discorso.
Mi sentivo in colpa come non mai, pensavo a
Luca, al mio essere un po’ troppo rigida e paurosa...
Lui aveva dato dei consigli preziosi ad un
ragazzo che li aveva seguiti e ora aveva al suo fianco colui per cui si era
beccato una cotta, mentre io me ne stavo così, immobile, persa nella teoria e
nell’astratto di varie possibilità.
Nel giro di pochi minuti lo vidi uscire
dall’edificio con il resto dello staff, che sembrava parecchio provato e
stanco.
Lo guardai e lui mi rivolse un breve cenno,
prima di scroccare una sigaretta a Saverio.
“Tu fumi?” domandò Clara, incredula, mentre
accendeva a sua volta una sigaretta.
Luca scrollò le spalle. “Occasionalmente,
non ho il vizio ma ogni tanto mi rilassa” spiegò.
“Ragazzi, pausa sigaretta e poi riunione,
ho una cosa da dirvi” disse Saverio, concitato.
Guardai Nadia e la vidi quasi sobbalzare al
solo pensiero, così mi avvicinai a lei e con una scusa ci allontanammo un po’
dal gruppo.
“Andrà bene” sussurrai.
Lei mi guardò e si torturò le mani,
incerta.
“Mi odio. Mi sono messa in una
situazione...” boccheggiò, alzando gli occhi al cielo.
“Nadia, se ho capito bene ci tieni a lui,
vero?” domandai.
“Molto. Non lo so, mi sembra di conoscerlo
da secoli e... Alice, mi fa sentire al sicuro, rispettata, mi credi?” chiese.
“Sì, Nadia, e sono felice per voi”.
“Scusami per oggi, chissà che avrai
pensato...”.
Mi lasciai scappare una risata e lei mi
imitò, poi le passai un braccio attorno la spalla e lei mi sorrise, un po’ più
serena.
Appurato ciò che c’era da fare in vista del
London Eye e dell’organizzazione degli ultimi dettagli per Oxford, Saverio si
prese una pausa e guardò Nadia.
Tutti erano con le energie al minimo, poco
reattivi, e probabilmente il capo se ne rese conto.
Si avvicinò alla group leader, la strinse a
sé e, senza darle il tempo di muoversi, le stampò un bacio in bocca.
Le reazioni furono prevedibili: Clara
scattò in avanti, aguzzando la vista, Salvatore quasi si strozzò con una birra,
Luca sobbalzò e poi mi guardò impercettibilmente, Elena si portò una mano alla
bocca, Giada disse: “Eeeeeeh?” e Mario gongolò soddisfatto dicendo: “Lo
sapevo!”.
Quando si separò da Nadia ci guardò,
annuendo.
“Sì, abbiamo una storia da due giorni. Sì,
va contro le regole... Ma oggi Alice ci ha beccato e abbiamo deciso di rendere
partecipe tutto il gruppo perché sappiamo che ci sosterrete, basta non farlo
sapere agli altri team”.
Rossa in volto – e non per il blush – Nadia
annuì timidamente.
“Ci troviamo bene e non sarà una cosa passeggera,
ecco perché ve ne parliamo. E sono stata io ad iniziare il tutto, Saverio è
stato sulle sue” spiegò, alzandosi e prendendo la mano del direttore tra le
sue.
Quel gesto mi fece commuovere e pensai a
quando, poche ore prima, Luca aveva fatto lo stesso con me.
“E braviiii!” urlò Mario, gettandosi
addosso ai due, seguito da Clara ed Elena.
Salvatore era evidentemente sotto shock e
Luca sembrava indeciso sul da farsi, alla fine optò per una pacca sulla spalla
e una frase di circostanza, salvo poi sedersi di nuovo e prendersi a sua volta
una delle varie birre avanzate dalla sera prima.
“Mi hanno fatto un bel regalo di
compleanno” ironizzai io, facendo ridere tutti, mentre, dentro di me, non mi
andava proprio di ridere.
*°*°*°*
Dopo secoli sono di nuovo qui, scusate.
Non aggiorno da quasi due mesi ma ho un motivo ben preciso:
a metà settembre sono stata convocata come insegnante di spagnolo e ho
realizzato il mio “sogno”, mi sono trasferita dalla Campania all’Emilia Romagna
e piano piano ho raggiunto la cattedra completa, inizialmente la situazione era
precaria perché avevo poche ore... Quindi tra trasferimenti, treni, ricerca
della casa, il lavoro e tutto il resto non avevo la tranquillità e il tempo per
aggiornare.
Ora sono qui, con uno dei miei capitoli preferiti e spero
davvero che vi sia piaciuto, ci tengo molto.
Non abbandonerò Alice, piano piano aggiornerò e continuerò a
scrivere, ora sono al capitolo 10.
Che ne dite? Fatemi sapere :D
Ecco uno spoiler per farmi perdonare ehhe:
“Dipende, non so se
Saverio mi cerca” dissi, riluttante, spostandomi di qualche passo.
“Non ci ha detto
nulla...”.
“Luca, hello!
Welcome to the kitchen lab!” esclamò Paula, nel suo inglese che non esitava
a celare l’accento spagnolo.
Vedendola così
entusiasta mi irrigidii.
“Ma, dopotutto, se
Saverio mi vuole me lo farà sapere” conclusi, tornando al mio posto.
A presto <3
Milly.
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Capitolo 8 *** Day 8: Pasticci e Pasticcieri ***
8pasticci
Capitolo 8
Day 8: Pasticci e Pasticcieri
Non ero tranquilla e non ne capii il motivo visto che come al
solito avevo agito seguendo la logica e ciò che mi sentivo di fare e mi faceva
sentire più al sicuro.
A fine riunione avevo visto Nadia sorridere a Saverio mentre
lui le porgeva un bicchiere di acqua e quella stupida immagine non mi si
toglieva dalla mente.
Un gesto così, semplice, può dire tante cose: lui vuole
prendersi cura di lei, lei è felice di averlo al suo fianco.
Il gruppo mi aveva sorpreso, quando ce ne eravamo andati,
durante il breve percorso che ci separava dai vari edifici in cui alloggiavamo,
tutti avevano detto parole carine e dolci, nessuno aveva sparlato della nuova
coppietta che si era creata.
Probabilmente era in quel momento che tutto il castello di
convinzioni che mi portavo dietro crollò silenziosamente, facendomi venire
mille dubbi.
Ovviamente io e Luca alloggiavamo nell’edificio E, così,
senza dire nulla, ci eravamo ritirati insieme: lui aveva preso la chiave,
aprendo il portone principale, e mi aveva fatto passare con gentilezza prima di
avviarsi verso la sua camera e dirmi un semplice “Buonanotte”.
Non ero serena, mi ero voltata almeno un paio di volte senza
vederlo dietro di me e mi dissi che ero davvero una gran stupida.
Davvero pretendevo che mi seguisse dopo il modo in cui mi ero
comportata?
Stendermi a letto, quel letto dove ci eravamo coccolati poco
più di dodici ore prima, fu una tortura perché mi sembrava ancora di sentire il
suo cuore battere forte mentre mi stringeva.
Il mio problema, alla fine, era stato l’eventuale giudizio
altrui, non l’eventuale valutazione negativa, e ora che avevo avuto la prova
della fiducia del gruppo ero più serena e mi tormentavo per ciò che non avevo.
Non mi cambiai, non mi struccai, non feci nulla per minuti
interi fino ad appurare che, se volevo agire, dovevo farlo in fretta visto che
mancavano quindici minuti alle ventitré.
Presi un bel respiro ed uscii dalla stanza, pronta a scendere
al piano sottostante.
Non ricordo precisamente come mi ritrovai di fronte alla
stanza E18, ma bussai rapidamente, sperando che nessuno dei ragazzi si
affacciasse.
Ero nervosa, trepidante, emozionata, ma anche spaventata e
intimorita.
Da questo momento tutto sarebbe cambiato, in positivo o
negativo, e avrei dovuto facci i conti una volta per tutte.
Luca aprì la porta nel giro di pochi istanti e quando mi vide
assunse un’aria interrogativa, mentre io volevo sprofondare sotto terra perché
se ne stava solo con dei pantaloncini, con la sua pancetta in bella vista e i
capelli un po’ umidi.
Rapidamente, si affacciò, vide che non c’era nessuno e mi
fece segno di entrare senza dire nulla, evidentemente per non far sentire a
nessuno le nostre voci.
“Scusami per l’improvvisata, lo so che è tardi e che starai
morendo di sonno, sarò breve” dissi subito, con aria di scuse.
Mi ci volle uno sforzo enorme per non balbettare e
deconcentrarmi vista la situazione.
“Dimmi” si limitò a dire, tuttavia gentile come sempre.
Mi guardai le scarpe per guadagnare tempo ma poi capii di dover
risultare decisa, così lo guardai.
“Sono una stupida. Oggi sono andata in panico... Ho
sbagliato, lo so. Mi è bastato vedere Nadia e Saverio così tranquilli e i
ragazzi che li supportavano per capire che temevo solo eventuali loro reazioni.
E’ un’idiozia, lo so, e ciò ti farà cambiare ancora più idea su di me ma dovevo
dirtelo. Non ci parliamo da otto ore e ciò ha avuto un impatto negativo sulla
mia giornata. Scusami per oggi” dissi, seppur indugiando ed esitando di tanto
in tanto.
Lui mi ascoltò, le braccia incrociate, lo sguardo deciso, e
si limitò a dire un: “Ok”.
“Ok? Non hai altro da dire...?”.
Luca scrollò le spalle e con mia somma sorpresa accennò un
sorriso amaro.
“Hai detto che sono io quello che ha sempre fatto tutto,
quindi ora lascio fare a te” decretò.
“E infatti ti ho detto cosa mi è successo, perché mi sono
comportata così...”.
“Ed io ho capito”.
“E non hai nulla da dire...?”.
“Mi sono scocciato di dire, Alice”.
“Va bene. Buonanotte...” sbottai, dandogli le spalle e
dirigendomi di nuovo verso la porta, salvo poi fermarmi e rivoltarmi. “Anzi,
no! No! Non me ne se vado non mi dici qualcosa in più che “ok”, se stasera
dobbiamo chiuderla qui voglio che sia con una spiegazione, come ho fatto io
oggi” esclamai decisa, non pronta a vedere il ricordo di Luca scivolare via dai
miei ricordi.
Luca mi si avvicinò, facendomi ritrovare stretta contro la
porta.
Ricordare che solo quella mattina ci eravamo abbracciati in
quella posizione mi fece male al cuore.
“Voglio vederti agire, Alice, non hai capito? Come mi
hai detto qualche giorno fa? Che una persona non può capire le
intenzioni di qualcuno, le deve sapere ed io non posso capire cosa vuoi da me
se non me lo dimostri!” spiegò supplichevole, senza smettere di respirare in
una maniera così accelerata che sentivo il suo fiato sul suo collo.
“Io voglio passare questi giorni con te, averti al mio fianco
quando è possibile perché ho capito che non me ne frega degli altri ma solo di
ciò che tu pensi di me”.
“Sono stato male oggi” mormorò, togliendosi dei capelli umidi
dalla fronte.
“Scusami...”.
“Ma se servirà a stare bene ora non me ne frega” aggiunse
cautamente, cingendomi la vita con le mani e avvicinandomi a sé.
Volevo agire, in quel momento, subito, con urgenza, così lo
attirai a me a mia volta appoggiando le mani sul suo viso e lo baciai, sentendo
le farfalle nello stomaco quando lui rispose subito al mio gesto e schiuse le
labbra per consentirmi di approfondire il contatto.
Ci ritrovammo schiacciati contro la porta, io lo stringevo a
me mentre gli accarezzavo il petto e lui faceva vagare la mano sui miei
fianchi, al di sotto della maglietta.
In quel momento capii che non mi importava di nulla se non di
vivere ogni momento possibile con lui mentre svolgevo il mio lavoro di
mediatrice, ero pronta a mettermi in gioco con tutta me stessa perché ne valeva
decisamente la pena.
“Vedi? Ci siamo solo noi, gli altri non esistono” sussurrò
mentre mi lasciava una scia di baci tra la guancia e la spalla, insistendo sul
collo, cosa che ormai sapeva che apprezzavo particolarmente.
“Siamo solo noi” ribadii, al settimo cielo.
“Maledetta, ora non mi farai dormire...” disse, seppur
sorridendo e senza mollare la presa sui miei fianchi.
Con l’altra mano disegnò il contorno del mio viso, mi
accarezzò i capelli, senza smettere di guardarmi come se fossi un quadro che
apprezzava fin troppo.
“E se dormissi qui?” azzardai, presa dall’enfasi del momento.
Lo vidi disorientato, quasi impaurito, cosi feci un cenno col
capo.
“Che idiota, ti darei fastidio, già ieri si è dormito poco...”
borbottai, rossa in volto per la figuraccia.
“No! Alice, non dire stupidaggini! E’ che... Insomma, averti
al mio fianco tutta la notte mi farebbe fare pensieri non proprio casti e,
insomma, non voglio che tu pensi che...”.
“Luca, sono una donna adulta, consenziente ed attratta da te
e a tua volta non mi stai rendendo le cose facili visto che sei mezzo nudo”
ironizzai, accennando con lo sguardo al suo torace. “Non diciamoci
stupidaggini, insomma, mi sembra palese che nella nostra situazione qualcosa scatterà
per la volontà di entrambi! Non devi trattenerti con me, sii te stesso e... Non
è male sapere che mi desideri” aggiunsi, stringendomi a lui.
Si calò su di me, sorpreso come non mai, e mi baciò con
passione mentre tracciava il profilo della mia sagoma.
“Ti desidero, Alice, probabilmente da quando ti ho visto”
disse deciso.
“Anche io... Da quando ci siamo urlati cose a caso sotto la
pioggia, probabilmente” ridacchiai.
Continuavamo a baciarci come due adolescenti, finimmo sul
letto con io che lo sovrastavo e, senza controllarmi, lasciai che mi togliesse
la maglietta.
Mi guardò con sorpresa e dolcezza prima di attirarmi a sé e
farmi stendere al suo fianco, così ci ritrovammo viso contro viso, pelle contro
pelle.
“Se ti fa piacere in hotel, domenica, ho la camera deluxe...”
la buttai lì, senza riuscire a trattenere quell’informazione.
Mi sentivo troppo audace, il sentirmi desiderata e coccolata
faceva decisamente bene alla mia predisposizione nei suoi confronti in quella
situazione e, ovviamente, il fatto che lui si stesse comportando in maniera
gentile contribuiva non poco.
“Non era di Saverio?” chiese, incredulo.
“No, me l’ha ceduta per aver salvato la gita”.
“Mi farebbe piacere, anche se magari finiamo a dormire come
due vecchi per la stanchezza” ironizzò.
“Ma io infatti mi riferivo a questo” lo presi in giro.
Fu bello vederlo ridere di gusto, genuinamente, mentre mi
prendeva una mano e la intrecciava alla sua.
Quel gesto mi fece rabbrividire in senso positivo e mi fece
rilassare del tutto, tanto che chiusi gli occhi.
“Cinque minuti e me ne vado” promisi.
“Puoi rimanere anche fino al sedici luglio. E non lo dico
perché sei senza maglietta” mi rassicurò, prendendo la mia t-shirt e
porgendomela con gentilezza.
La indossai di nuovo, senza sapere cosa dire, mentre lui si
stendeva meglio e mi faceva segno di accoccolarmi sul suo petto.
Decisi di assecondarlo, tolsi le scarpe e mi appoggiai
sentendo, di nuovo, il suo battito.
Quella mattina ringraziai il mio orologio biologico che alle
sei e un quarto mi fece riaprire gli occhi.
Luca era al mio fianco, con i capelli ormai asciutti e un po’
crespi, forse per la mancanza di gel o spazzola, sempre senza maglietta, che mi
stringeva a sé in un modo che mi fece battere forte il cuore.
Erano anni che non mi svegliavo così, dalla vacanza a Madrid
con il mio ex.
“Luca... Scusami, corro in camera mia” sussurrai dolcemente,
senza riuscire ancora a togliere la sua mano che mi cingeva la vita.
Lui aprì gli occhi e mi sorrise, per poi mettersi a sedere
con gli occhi ancora impastati dal sonno.
“Ci siamo addormentati” constatò, sbadigliando.
“Sì, e decisamente in fretta. Questo lavoro...”.
“Ci mette k.o., maledizione”.
“Oggi niente escursione, magari ci va meglio”.
“Lo spero...”.
Mi alzai, stiracchiandomi, e lui mi imitò, per poi
abbracciarmi con dolcezza da dietro.
“Sarà dura fare finta di niente” sospirò, stringendomi con
decisione.
Chiusi gli occhi, beandomi di quel contatto, e poi mi voltai,
trovando il suo volto di fronte al mio che mi scrutava, quasi con curiosità.
“Ricorda in che condizioni sono appena sveglia e sarà più
facile” ironizzai, meritandomi uno sguardo di pura disapprovazione.
Più la gita ad Oxford si avvicinava e più spuntavano i
problemi dal punto di vista amministrativo e ovviamente Saverio non era in sé.
Quel giovedì mattina mi trascinò in lungo e in largo per i
vari uffici e fui costretta a sorbirmi tutti i battibecchi con gli inglesi.
Saverio arrabbiato che doveva controllarsi di essere educato
era un vero spettacolo: mentre ascoltava si tratteneva dal fare smorfie,
stringeva i pugni e se doveva alzare gli occhi al cielo si girava per qualche
secondo per non darlo a vedere.
“Deficienti incapaci” sbottò quindi a metà mattinata, mentre
il cortile dell’istituto si riempiva di ragazzi che avevano finalmente la tanto
agognata pausa.
“Abbiamo fatto il possibile, Saverio, andrà bene” lo
rassicurai.
“Sì ma non è tollerabile lo stesso, prima l’hotel, poi il
pullman, ora un casino per la cena del sabato ad Oxford! Non si può lavorare
così!”.
“Hai ragione...”.
“Ovvio che ho ragione”.
Stizzita, non aggiunsi altro.
“Ho bisogno di caffè, lo vuoi?” domandò, quando passammo
davanti a Luca e Nadia che chiacchieravano tra loro mentre sorvegliavano dei
ragazzi che se ne stavano seduti su delle panchine.
“No, grazie. Perché non te lo prendi con Nadia? Posso
guardare io i ragazzi, non stanno facendo niente di che” mi offrii volontaria.
“Alice, il mio rapporto con Nadia non deve cambiare lo status
quo delle cose, sta svolgendo il suo lavoro” mi ricordò, tuttavia con una
nota di amarezza nella voce.
“Hai ragione. Allora ve lo vado a prendere io, ve lo porto e
lo bevete mentre fate due chiacchiere qui, in cortile, così ti calmi” stabilii
e, senza dire altro, mi dileguai, mentre lui mi diceva che ero impazzita.
Da dove usciva quella disponibilità? Era un gesto davvero
altruista?
Sì, o, almeno, quasi.
Capivo perfettamente il dilemma di Saverio, la voglia di
trascorrere del tempo con Nadia, volevo aiutarli perché mi rivedevo in loro e
avrei tanto voluto passare del tempo con Luca semplicemente per avere una vera
conversazione con lui.
Non ci conoscevamo, davvero, per nulla!
Cosa faceva a Napoli?
Studiava, lavorava?
Aveva dei fratelli?
Qual era il suo sogno?
Mi ripromisi di dare una risposta a queste domande al più
presto, quel giorno, mentre ordinavo i caffè e li portavo in cortile.
Nadia mi guardò, stupita, mentre Saverio scuoteva il capo con
disapprovazione – ma era evidentemente divertito – ed io facevo segno a Luca di
seguirmi.
Lui mi guardò in maniera interrogativa quando ci sedemmo su
una panchina dal lato opposto del cortile, vicino a dei ragazzi che si
scattavano dei selfie e ridevano come matti.
“Saverio ha sbottato di grosso con gli inglesi quindi lo
faccio calmare un attimo. Mi ringrazierete tutti” puntualizzai.
Luca levò un sopracciglio e mi fissò.
“Che magnanima che sei” commentò, falsamente lusinghiero.
“Vero?”.
“Dai, dillo che era una scusa...”.
“Per cosa?”.
“Per passare del tempo con me, qui, nell’angolo più remoto
del cortile con dei ragazzi così presi dalle foto che non si accorgerebbero
nemmeno se ci buttassimo l’uno addosso all’altra” osservò, appoggiando una mano
sulla panchina e sfiorando impercettibilmente la mia mano, che avvicinai ancora
di più alla sua.
“Sì, ma non mi sembra che tu ti stia lamentando” lo
punzecchiai.
“Assolutamente no. E dovrei rimproverarti...”.
Lo guardai interrogativa, più seria del dovuto e lui comprese
di dover essere più specifico perché avvicinò la bocca al mio orecchio e
sussurrò: “...Perché se chiudo gli occhi ho impressa l’immagine di te senza
maglia”.
Rabbrividii e mi fu difficile mantenere la calma mentre se ne
stava a pochi centimetri da me, con il suo dopobarba dal profumo che apprezzavo
fin troppo e il suo ginocchio che sfiorava il mio.
Mi alzai di scatto e lui sembrava divertito dalla cosa.
“Così non ci arriviamo vivi a stasera, signorino” sbottai,
puntandogli l’indice contro.
“No, hai ragione. Facciamo così” disse serio, agitando le
mani in maniera quasi convulsa mentre sembrava articolare chissà quale
pensiero, “A fine pausa io e gli altri andiamo a controllare che tutti siano in
classe. Io fingerò di metterci un po’ di più e ci incontriamo nei bagni del
quarto piano, nessuno si trova mai in quella zona”.
“Saverio mi cercherà subito... Ho del lavoro da finire. A
differenza mia tu sei più autonomo, io praticamente gli vivo dietro” sospirai,
cercando di non immaginarci mentre pomiciavamo come selvaggi in un posto
squallido come il bagno.
“Allora a pranzo” tentò, “Magari non in un bagno” si
corresse, evidentemente comprendendo dalla mia espressione che non era
l’ideale.
“Vedremo” mormorai, prima di ridere vista la sua espressione
dubbiosa e insicura.
“Stasera serata recitazione e ovviamente noi saremo i primi a
dare il buon esempio” esclamò Mario a ora di pranzo, interrompendo il silenzio
misto a qualche precoce sbadiglio.
“In che senso?” domandò Clara, prima di mangiare una manciata
di patatine fritte, seguita da un mormorio di assenso.
Mario era evidentemente felice per la suspense ottenuta
perché gongolò soddisfatto e si strofinò le mani con fare diabolico.
“Avete presente quando, a Miss Italia, le concorrenti vedono
la scena di un film e devono imitarla con degli attori?”.
“Ma chi cazzo vede Miss Italia?” borbottò Salvatore.
“Salvo, ma c’è una cosa che ti rende felice?” chiese Giada,
dubbiosa, facendoci ridere tutti.
Salvatore non rispose, preso alla sprovvista, e Mario ne
approfittò per continuare il discorso. “Dicevo, anche i ragazzi vedranno una
scena e a turno dovranno imitarla. Inizieremo noi con una scena di gruppo, dai!
Suggerimenti?”.
“Una scena che coinvolga tutti? Mi sembra impossibile”
osservò Nadia, “Siamo troppi”.
“Esatto, magari meglio tre scene con massimo tre persone a
testa” propose Elena.
“Ma tutti insieme era più divertente” mise il broncio
l’activity leader, incrociando le braccia.
“L’esperto sei tu, dai, dicci cosa stavi pensando” si
intromise Saverio, piuttosto severo, come a voler dire che non dovevamo osare
intrometterci visto che ognuno aveva il proprio ambito e nessuno doveva
interferire con il campo degli altri.
“Lo scoprirete tra qualche ora! Oggi i ragazzi hanno i vari
laboratori quindi saranno con gli inglesi e gli spagnoli e noi possiamo
prenderci un’oretta per provare”.
“Tradotto: non ne hai ancora idea” ridacchiò Elena, dandogli
una pacca sulla spalla con aria ilare.
Per tutta risposta, Mario prese il bicchiere di acqua ormai
vuoto e fece finta di rovesciarglielo in testa, facendo davvero scivolare
qualche residuo di acqua tra i capelli.
“Mario, deve esserci qualcuno a sorvegliare i ragazzi! Nel
caso succedesse qualcosa sarebbe la loro parola contro la nostra” gli ricordò
Saverio pazientemente.
“Posso farlo io” mi offrii.
“E anche io” disse Giada.
“Non volete partecipare?” domandò Mario, imbronciato.
“Possiamo fare delle comparse! Così partecipiamo ma diamo
comunque uno sguardo ai ragazzi”.
“Esatto!” le diedi man forte, più che altro sollevata dal non
dover partecipare a qualche scenetta dopo essermi messa in gioco con la salsa.
Mario non parve convinto e felice ma Saverio sì, infatti ci
diede l’ok e disse che dalle quattro alle cinque toccava a noi fare qualche
giro tra i ragazzi.
Vedere Luca che giocava a calcio con i ragazzi nell’ora
libera prima dell’inizio dei laboratori mi fece sentire strana.
Me ne stavo seduta sul prato con Giada, Salvatore faceva
l’arbitro, Nadia e Clara parlavano con alcuni loro ragazzi, Saverio ne
approfittava per riposarsi un po’ sull’erba e Mario e Elena controllavano dei
documenti.
La giornata era abbastanza calda, io indossavo una semplice
maglia di cotone e quasi mi sentivo sudare.
Luca non sembrava fregarsene della temperatura, correva
agilmente da una parte del prato all’altra, rubava la palla ai ragazzi più
grossi e la passava ai più minuti, io lo guardavo, esasiata, e mi rendevo conto
di non sapere nemmeno cosa facesse in Italia, quando non lavorava come group
leader.
Era una sensazione strana per me, perché avevo sempre
catalogato qualcuno in base alle sue passioni, al suo lavoro, ai suoi gusti
messi in confronto ai miei...
Era ciò che mi aiutava a fare una lista, a vedere i pro e i
contro, ad analizzare tutto per capire la compatibilità.
Questa volta stavo avendo a che fare con una scatola chiusa
e, tuttavia, la cosa mi piaceva perché non sentivo pressioni di alcun tipo.
Tuttavia, volevo provare a saperne di più su di lui, scoprire
eventuali cose che avevamo in comune e riderci su, volevo davvero sentirmi
ancora più connessa a lui.
Lo vidi passare la palla a un ragazzo di massimo quindici
anni che prese l’occasione al volo, trovandosi vicino la porta, tirò e fece
goal con la gioia della sua squadra che esultò, facendo scatenare un enorme
boato.
Felice, Luca gli corse incontro, lo sollevò e se lo trascinò
così per qualche decina di metri, poi lo lasciò agli amici che gli si gettarono
addosso e, sudato, corse verso la parte di campo in cui c’ero io e si tolse la
malgietta, lanciandomela.
Sorpresa, spalancai gli occhi e vidi che mi guardava
sforzandosi di sembrare normale ma sapevo che fosse una cosa mirata, studiata,
con il fine di ottenere qualche effetto su di me.
“Hai un vizio, eh? Lo hai fatto anche il primo giorno” dissi,
falsamente disinvolta.
“Sì. Ne sono cambiate di cose, eh” rispose, falsamente vago.
“Cristian, dammi il cambio, entra il campo!” gridò in direzione di un ragazzone
alto almeno un metro e ottanta che scattò su, emozionato ed esultante.
Prese posto al mio fianco mentre gli tendevo la maglietta, la
prese e lanciò un’occhiata a Giada che se ne stava al mio fianco.
“Stanco? Dopo venti minuti al massimo?” lo presi in giro,
sforzandomi di guardargli il viso e non il torso nudo.
Si voltò verso di me – si vedeva lontano un miglio che si
stava sforzando di comportarsi normalmente senza dare nell’occhio – si passò la
lingua sulle labbra e scrollò le spalle. “Conservo delle energie, non si sa
mai, qui”.
“Addirittura?”.
“Mentre voi fate gli scemi vado a farmi un caffè, sperando
che nessuno si faccia male”.
La voce di Giada ci riportò alla realtà e ridemmo per
mascherare l’evidente nervosismo.
La vedemmo allontanarsi in direzione della caffetteria per
poi voltarci l’uno verso l’altro.
“Pensi di provocarmi?” sussurrai, rigida.
“Ci sto riuscendo?”.
“Pensa solo che potrei fare lo stesso con te”.
“Non vedo l’ora”.
La tensione tra noi era palpabile, di sicuro ci saremmo
buttati l’uno sull’altra in quel momento se non avessimo avuto tutti quegli
spettatori.
“Inventiamo di dover fare il bucato, ora, i laboratori
iniziano tra trentacinque minuti” mi supplicò in un soffio, deciso.
“Cosa? Saverio non ci lascerà mai andare!”.
“Proviamoci. Lo facciamo davvero, ma almeno possiamo starcene
un po’ in pace, sto impazzendo senza poterti nemmeno sfiorare o parlarti
apertamente senza dovermi trattenere”.
“Luca...”.
Ma fu inutile, in tre secondi lo vidi alzarsi e raggiungere
Saverio, il quale si era svegliato e guardava i ragazzi giocare.
Il capo esitò, guardò l’orologio, mormorò qualcosa e poi Luca
se ne andò, vittorioso.
“Andiamo, alle quattro meno cinque dobbiamo essere di nuovo
qui” disse, quando fu abbastanza vicino.
Incredula, mi alzai, presa da un’ondata di giubilo, e
corremmo in direzione del campus senza riuscirci a contenere.
Luca era a pochi passi da me, quando fummo abbastanza lontani
da tutti si voltò e mi prese per mano, con sicurezza.
C’era il sole pomeridiano che ci faceva da sfondo, gli
rendeva i capelli scuri leggermente ramati, in modo da farlo sembrare il
prototipo umano di qualcosa di divino.
“Quanto sei bello” mi lasciai sfuggire, senza potermi
trattenere oltre, e avvertii la stretta di mano aumentare.
Sembrava imbarazzato, tuttavia fissò il suo sguardo su di me
e mormorò: “Senti chi parla”.
Non dicemmo altro, emozionati, quasi corremmo per prendere i
nostri vestiti e portarli in lavanderia, dove c’erano le apposite lavatrici che
avrebbero lavorato al posto nostro.
“Questo posto mi ricorda una scena di Friends” dissi,
mentre lui dosava il detersivo con cura.
“Oh, quella in cui Rachel e Ross vanno in lavanderia e lei
non sa come fare il bucato?” domandò, per poi selezionare le modalità di
lavaggio.
“Sì! Lei lo bacia e lui va contro non so cosa e cade... Ho
sempre amato quella sitcom, in inverno vedevo gli episodi mentre bevevo
cioccolata calda o mangiavo biscotti, mentre fuori pioveva, e mi sentivo al
sicuro” confessai.
“Io lo vedevo con mia nonna!” disse, nostalgico. “Spesso
andavo a fare i compiti da lei e prima che iniziasse un episodio mi portava
pane e nutella, non del semplice pane, quello appena sfornato da lei, e mi
diceva “muoviti che mo’ iniziano i sei amici, a’ nonna”. Amava Joey,
ovviamente”.
“Che bello, avrai dei ricordi magnifici! La mia viveva a
Sorrento e la vedevo poco, l’altra è morta prima della mia nascita”.
Luca annuì e non so come ci ritrovammo seduti sui gradini di
ingresso della lavanderia, deserta a quell’ora del primo pomeriggio.
C’era un gran silenzio, l’unico rumore in sottofondo era
quello della lavatrice in funzione.
“Sì, diceva che ero il suo nipotino prediletto, guai a chi mi
toccava. Amavo vederla cucinare gli struffoli, la pastiera, i casatelli, la
delizia al limone... Preferivo questo ai compiti, onestamente, sarà per questo
che sono un pasticciere. Mi dispiace per le tue nonne...”.
Scrollai le spalle, portandomi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
“Almeno non ho sofferto per il distacco, dai. Quindi sei
pasticciere? Wow! E’ assurdo, ti conosco da una settimana e non sapevo che
mestiere facessi!” dissi, stupita.
Immaginai Luca vestito di bianco, coperto da farina, mentre
decorava dei dolci con grande impegno e sorrisi spontaneamente.
“Abbiamo parlato di altro” minimizzò. “Sorpresa?”.
“Un po’. Non so perché ma vedendo quanto sei bravo con i
ragazzi ti immaginavo tipo educatore, professore di educazione fisica, oppure
maestro” rivelai, immaginandolo dietro una cattedra, con il solito sorriso che
lo distingueva, mentre chiamava qualcuno alla lavagna.
“Ma dai! Maestro, io! Ho fatto l’albeghiero e non mi hanno
bocciato solo perché ero bravissimo in cucina, in italiano e in inglese, per il
resto non ero per nulla brillante. Non volevo nemmeno proseguire oltre la
qualifica del terzo anno, pensa! Poi mi hanno convinto a proseguire, ho avuto
soddisfazioni, e a diciannove anni ho iniziato a lavorare” spiegò.
“E, scusa, cosa ci fai qui, allora?”.
“Ho cambiato luogo di lavoro... Lavoravo in una pasticceria
al Vomero dove ormai non mi trovavo bene, era come se fossi il dirigente del
laboratorio dove facevamo delle sperimentazioni ma sottopagato. Mi sono
scocciato e ho scoperto che in una pasticceria che apprezzavo molto, vicino al
Teatro San Carlo, cercava un nuovo dirigente per rinnovare un po’ il menù, dopo
non so quante prove mi hanno detto che da fine agosto mi avrebbero assunto, ho
firmato il contratto, mi sono licenziato... Ed eccomi qui per guadagnare
qualcosa nel frattempo”.
Più Luca parlava, più volevo sapere qualcosa in più sulla sua
vita.
Il ragazzo con cui inizialmente mi ero scontrata, quello che
mi aveva fatto arrabbiare varie volte, ora era lì, seduto di fronte a me,
sincero.
Me l’ero presa quando mi aveva detto che dovevo abituarmi ai
loro ritmi e non sapevo che in realtà per lui svegliarsi alle sei e trenta era
quasi un privilegio, abituato com’era ad essere a lavoro già alle cinque.
Lavorava da sei anni, sei anni passati così, senza orari
decenti, ma alimentati dalla passione per ciò che faceva, ed io in quella prima
settimana mi ero lamentata per la stanchezza, io che stavo lavorando per la
prima volta in vita mia.
“Mi sento stupida” ammisi quindi, deglutendo.
“Per cosa?” chiese, senza capire.
Lentamente, passò un braccio attorno alle mie spalle, mi
strinse a sè e poi mi guardò come se fossi un quadro interessante.
“Me la sono presa con te quando mi dicesti che dovevo
abituarmi ai ritmi... Non sapevo del tuo lavoro, di tutte le ore che passi in
pasticceria, io...”.
“Alice” mi interruppe, appoggiando l’indice sulla mia bocca.
“Facciamo due mestieri diversi, abbiamo esperienze diverse, pensi che io
all’inizio fossi contento di svegliarmi alle quattro, dover andare a dormire
presto, rinunciare alle uscite con gli amici? Ci si abitua e ti auguro di non
dover più fare questi orari”.
“Ti ammiro” dissi senza giri di parole, presa dal suo
racconto.
“E io ammiro te. Quando ti vedevo tradurre ciò che diceva
Javi sembravi così entusiasta, fiera, piena di energie... Non nascondevo che
pensavo che fosse dovuto anche a lui” ridacchiò.
“Gelosone”.
“Ha parlato quella che se mi vedeva parlare con Paula andava
in tilt...”.
Non ce ne rendemmo conto ma il tempo volò, la centrifuga finì
e ci rassegnammo ad appoggiare i vestiti vicino le nostre finiestre per farli
asciugare visto che non avevamo trenta minuti di tempo per l’asciugatrice.
Sulla via del ritorno, alle quattro meno dieci, Luca mi
trascinò dietro un edificio pieno di alberi e cespugli e mi ritrovai stretta
contro un muro con lui che mi stringeva a sé.
“Come devo fare con te? Il tempo vola, hai questa capacità di
non farmi rendere conto del tempo che passa, vorrei passare ore ed ore con te”
sussurrò, per poi abbracciarmi. “Mi piace parlare con te, scoprire nuove
cose...”.
“Lo so... Stasera, dopo la riunione, vieni da me” dissi,
decisa.
“Non vedo l’ora”.
Ci baciammo, era un bacio colmo di urgenza, desiderio, un
bacio che voleva suggellare ciò che ci eravamo detti e che voleva confermare
che sì, ci trovavamo bene, e non solo fisicamente.
Io sentivo di essere sulla via del non ritorno, ero sempre
più attratta da quel ragazzo e il pensiero di incontrarlo quella sera, senza
fretta e pressioni, mi emozionava sempre di più.
Fu un pomeriggio sereno, senza pressioni. Io e Giada ci
divertimmo un mondo ad andare in giro per i laboratori, notammo che ormai
eravamo delle figure di riferimento per i ragazzi nonostante non fossimo delle
group leader.
Ci acclamarono come se fossimo degli ospiti d’onore, durante
il laboratorio di cucina notai che molti ci tenevano a farmi assaggiare piatti
tipici spagnoli da loro preparati, come se io potessi dare un giudizio più
valido rispetto a Paula e Alejandro.
Paula si guardava intorno, sorpresa di vedere me e la
dottoressa al posto di Luca e gli altri, infatti, mentre i ragazzi si
adoperavano per provare a fare la crema catalana, mi si avvicinò e mi chiese
dov’era Luca.
Quando le risposi che era alle prove con il resto dello staff
annuì e si allontanò, dubbiosa.
Dal canto mio, serena più che mai – Luca aveva ragione, era
Paula ad essere ossessionata da lui – aiutai i ragazzi a destreggiarsi con i
vari ingredienti con piacere.
Ci fu un coro di “Alice! Alice, vieni un secondo?” che si
ripeteva ogni due minuti e Alejandro ne era soddisfatto perché non era molto
bravo in cucina e spesso invece di aiutare era un disastro.
C’era chi, a quattordici anni, non aveva mai cucinato un
uovo, chi non sapeva dosare gli ingredienti, ed io ero lì, pronta a dare una
mano nel mio piccolo.
Pensavo a cosa avrebbe detto Luca nel vedermi così, in vesti
che erano più sue che mie, sperai che tornasse presto.
Alle cinque, eccolo lì, che varcò la soglia della cucina
gentilmente offerta dal college, con il solito sorrisone stampato in faccia e
l’immancabile maglia rossa addosso.
In quel momento io ero troppo presa dall’aiutare Lino, un
diciassettenne alto e di statura abbastanza grossa, che aveva combinato non so
quanti casini in quella prima ora.
“Guarda, è semplice, rompere un uovo non fa schifo, dai!”
stavo dicendo, dovendo iniziare dall’inizio perché aveva rovesciato il
contenuto della sua ciotola per terra, senza volerlo, e io gli avevo dato una
mano a pulire.
“Lo so, ma a casa mia abbiamo una cameriera, i miei viaggiano
sempre” spiegò, rattristito.
Dai vestiti e dalle scarpe super costose e dai viaggi che gli
avevo sentito nominare in quei giorni potevo dedurre quanto Lino fosse ricco.
“E fatti insegnare qualcosa, è divertente” lo spronai.
Presi due uova, le ruppi entrambe, poi gli diedi lo zucchero
e gli dissi di pesare la giusta quantità.
“Mi rubi il mestiere, mediatrice?” disse Luca, fingendosi
arrabbiato.
“Alice sarebbe un’ottima group leader!” rispose Lino,
ovviamente non potendo capire a cosa si riferisse sul serio Luca.
“Ecco, vedi? Zitto”.
“No, no, continua” ridacchiò, divertito.
“Dipende, non so se Saverio mi cerca” dissi, riluttante,
spostandomi di qualche passo.
“Non ci ha detto nulla...”.
“Luca, hello! Welcome to the kitchen lab!” esclamò
Paula, nel suo inglese che non esitava a celare l’accento spagnolo.
Vedendola così entusiasta mi irrigidii.
“Ma, dopotutto, se Saverio mi vuole me lo farà sapere”
conclusi, tornando al mio posto.
Vidi Luca quasi trattenere una risata seguita da un’occhiata
che stava a dire “Calmati” per poi informarsi su cosa stavamo cucinando.
Non disse il suo mestiere, come evidentemente non lo aveva
detto durante il primo laboratorio di cucina, quello in cui Paula gli aveva
palpato il sedere e lo aveva invitato in camera sua, forse per non porsi in una
situazione di superiorità.
Entrambi ci occupammo di Lino, gli insegnammo le cose
basilari e l’aiuto di Luca fu fondamentale per fare tutto nella sola ora
restante.
Vederlo così dedito al lavoro, mentre faceva battute che
facevano ridere Lino e lo incoraggiavano, mi fece realizzare ancora di più in
che grande pasticcio mi stavo cacciando.
Un gran bel pasticcio, dolce, di quelli che mangeresti a
volontà senza fermarti, nemmeno in nome della decenza.
Alla fine avevamo recitato una scena carina tratta da “La
vita è bella” – quella della celebre “Maria, la chiave!” – e per rendere il
tutto più divertente Saverio e Nadia avevano rappresentato i protagonisti.
Luca e Mario avevano interpretato il dottore che dice al
protagonista “Sette minuti!” e il signore del cappello, noi altri eravamo delle
semplici comparse.
I ragazzi si impegnarono per interpretare al meglio scene
tratte da Grease, Titanic, High School Musical e probabilmente fu la
serata più riuscita di tutte.
Erano felici, tanto che prima di andarsene avevano voluto
cantare delle canzoni tratte dai musical che gli avevamo fatto interpretare ed
io mi lasciai prendere la mano e diedi il mio contributo a “Summer Nights”,
sentendola un po’ mia.
La riunione fu più allegra del solito, eravamo tutti
soddisfatti e in più guardavamo con gli occhi a cuoricini Saverio che
casualmente passava il braccio attorno alle spalle di Nadia o le cedeva il
bicchiere di birra.
Poi, quando per magia il capo disse “Va bene, è tutto,
possiamo andare”, verso le undici, io e Luca fummo i primi a scattare dalla
sedia.
Ci eravamo seduti vicini sullo stesso divano e ci eravamo
sfiorati così tante volte senza volerlo che, nei piccoli momenti di caos o
distrazione generale, ci eravamo scambiati occhiate fugaci.
Corremmo verso l’edificio E a passo svelto, timorosi di un
eventuale problema che avrebbe potuto indurci a dividerci, e appena ci
ritrovammo in un corridoio vuoto gli sussurrai all’orecchio: “Camera mia”.
Luca mi guardò e sorrise, quasi incredulo, per poi
abbracciarmi da dietro e stringersi a me.
“Non vedo l’ora...”.
Come due bambini che scappano dall’asilo, entrammo nel
corridoio della mia stanza, silenziosi, aprii la porta mentre mi guardavo in
giro e appena si aprì lo gettai dentro, così che male che andasse le ragazze
del mio piano avrebbero visto solo me.
Quando mi chiusi la porta alle mie spalle, vidi che Luca
stava chiudendo le tendine della finestra.
“E perché le chiudi? Sta per succedere qualcosa di
scandaloso?” domandai, fingendomi tonta.
“Sì, tanto, tanto scandaloso” replicò lui, avvicinandosi a me
in modo da trovarci faccia a faccia, respiro contro respiro.
“Oggi è stato bellissimo parlare, scoprire cose nuove su di
te” sussurrai, accarezzandogli il volto con tutta la dolcezza che sentivo
dentro di me.
“Sì! Mi sembrava di conoscerti da anni, sarà che hai parenti
Campani...”.
“Ma che c’entra, scemo”.
“Scemo?”.
“Sì, scemo”.
“Hai ragione, sono proprio scemo. Qui, in una camera, con una
collega, di notte, contro le regole...”.
Si calò su di me, mi baciò e poi si separò, guardandomi negli
occhi.
“Siamo scemi, tanto, ma chi se ne frega...” gli diedi man forte,
prima di attirarlo a me con decisione.
Sembravamo avere una sorta di accordo tacito, eravamo sulla
stessa lunghezza d’onda: volevamo di più, avevamo perso due giorni, avevamo
l’urgenza di conoscerci più a fondo.
In quel momento smisero le chiacchiere e, dopo un’intera
giornata, passammo all’azione dopo provocazioni, occhiate, frasi sussurrate
all’orecchio.
Non mi era mai successo prima di quel momento ma Luca aveva
la capacità di mandarmi fuori controllo semplicemente toccandomi, attirandomi a
sè, sfiorandomi una parte a caso del mio corpo.
Mi tolsi la maglietta e lui mi imitò, per poi far sì che mi
ancorassi a lui e trascinandomi sul letto, dove passò a dedicarsi con fin
troppa dovizia allo spazio compreso tra il mio collo e il mio seno mentre io, impaziente,
riuscivo finalmente a tastare senza vergogna quel sedere perfetto che si
ritrovava.
“Complimenti” borbottai, sentendomi audace più che mai.
“Complimenti a te, sei magnifica, mi stai mandando in
tilt...”.
Un po’ più energica, mi misi a sedere e presi il suo volto
tra le mani, lo ribaciai senza esitare nemmeno un istante e poi condussi le sue
mani sul gancetto del reggiseno.
Comprese l’invito e obbedì, slacciandolo, poi ci separammo e
mi vide togliermelo lentamente.
“Alice, mi sembra scontato ma preferisco chiederlo,
vuoi...?”.
“Sì” lo interruppi subito, decisa.
Gettai il reggiseno per aria, mi sbottonai i jeans e lui mi
aiutò a sfilarmeli, poi lo aiutai a sua volta a fare lo stesso con i suoi.
Era visibilmente eccitato e la cosa mi lusingava, possibile
che riuscissi a sortire un simile effetto su un ragazzo che ritenevo molto più
affascinante e bello di me?
Luca era dolcissimo ma passionale, mi faceva sentire
desiderata, rispettata.
Mi sfilò il resto dell’intimo con delicatezza, toccandomi in
un modo tale da farmi desiderare di più, sempre di più, tanto da ridurmi ad uno
stato frenetico in cui non volevo altro che unirmi a lui.
Lo attirai su di me con decisione, senza smettere di
baciarlo, toccarlo, lasciarmi toccare con decisione, quando un suono fastidioso
ci fece sussultare.
Luca spalancò gli occhi, sbuffò, si mise a sedere di
malavoglia mentre diceva “Cazzo, il mio telefono...”.
Con l’aria di chi è infastidito ma teme il peggio ripescò il
cellulare dai pantaloni che se ne stavano sulla moquette e disse “Cazzo, è
Saverio!” pieno di terrore.
Si schiarì la voce, rispose subito, ma non ebbe nemmeno il
tempo di dire “Saverio, dimmi” che lui lo interruppe con un fiume di parole.
Io lo guardavo, lui così, solo in boxer, alzato, inquieto, ed
io che iniziavo a sentire freddo e mi coprivo col lenzuolo.
Luca staccò la telefonata, nero in volto, il respiro pesante.
“Che è successo?” domandai, preoccupata.
Luca si infilò la maglia in mezzo secondo e poi mi guardò,
con aria funebre.
“Uno della mia squadra, Giulio, si è rotto un braccio.
Dobbiamo correre all’ospedale”.
*°*°*°*
Scusatemi, come al solito la vita da "adulta"
tra lavoro, casa e mille cose da fare prende il sopravvento ma alla
fine aggiorno sempre :D
Allora, capitolo interessante!
Alice capisce il suo "errore" e fa un passo
indietro, Luca comprende tutto e passano un pomeriggio piacevole,
conosciamo qualche dettaglio in più sulla vita di Luca e a fine
giornata... Eheh.
Poverini, sono stati sfortunati.
Cosa succederà ora?
Fatemi sapere che ne pensate!
Grazie a chi continua a leggere <3
a presto (dico davvero!)
Milly.
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Capitolo 9 *** Day 9: Distrazione, Attrazione ***
9alice
Capitolo 9
Day 9: Distrazione, Attrazione
Fu una lunga notte.
Egoisticamente, pensai, non è stata lunga
nel senso che speravo.
Luca mi aggiornava appena poteva con
qualche messaggio, ma anche solo arrivare all’ospedale fu un’impresa visto che
non eravamo al centro di Londra.
Lui, Saverio e Giada tornarono al college
alle quattro e mezza del mattino, morti, con Giulio che si scusava
ripetutamente e si dava del cretino, aggiungendo ogni volta dettagli
raccapriccianti alla sua caduta mentre correva per il corridoio e poi
scivolava.
A notare tutto era stata Clara, che aveva
chiamato subito Giada, la quale aveva avvertito Saverio.
“Dove cazzo stavi, Luca, eh? Un po’ di
ronda potevi farla, che diamine, non era nemmeno mezzanotte!” gli aveva urlato
lui, per poi scusarsi visto che Giulio non dormiva nel suo stesso edificio
bensì in quello di Clara.
Quindi, quella mattina, a colazione,
Saverio si presentò a tavola per qualche minuto, dicendo che visto che si
avvicinava il weekend ad Oxford dovevamo essere tutti riposati allo stesso modo
e che Luca e Giada avrebbero dormito fino a mezzogiorno.
“Saverio, vai a dormire anche tu” disse
subito Elena, posandogli affettuosamente una mano sul braccio, “Qui ci penso
io”.
“Elena, sono il coordinatore, non dire
idiozie”.
“Da stanco non ci servi, onestamente. Vai,
ci vediamo a pranzo” insisté, “Dimmi solo le scadenze di oggi”.
Saverio sembrava deciso a rimanere, poi si
lasciò convincere, ci diede degli ordini, disse a Salvatore e a Nadia di
dividersi la squadra di Luca per portarla a lezione e mi chiese di aiutare i
ragazzi con qualsiasi necessità, di conseguenza avrei svolto i miei compiti da
mediatrice quel pomeriggio.
Annuii, rassicurante, e gli dissi a mia
volta di andare a dormire.
Rividi Luca quando mancavano circa dieci
minuti a mezzogiorno, mentre me ne stavo per i corridoi per controllare che
tutto fosse ok e che nessuno dei ragazzi desse fastidio durante le lezioni.
Mi piaceva fare la group leader per una
volta, lo trovavo divertente, i ragazzi mi chiedevano informazioni e mi
facevano sentire apprezzata per quel che facevo. Era un lavoro diverso rispetto
allo stare chiusa tutto il pomeriggio o la mattina in una stanza, davanti al
pc, con Saverio che veniva a controllarmi.
“Ehi!” sussurrai quando mi ritrovai Luca a
pochi passi di distanza da me.
Lui, che esibiva occhiaie non proprio
piacevoli da vedere, mi sorrise e aprì la porta di un’aula vuota, facendomi
segno di raggiungerlo rapidamente.
Provai a non ricordare la situazione
decisamente bollente in cui ci eravamo ritrovati la sera prima ma mi fu
impossibile nel momento in cui mi ritrovai stretta a lui, con il suo dolce
respiro sul suo collo.
Alzai lo sguardo e lo baciai, godendomi
ogni istante, sentendomi bene con me stessa quando lui schiudeva le labbra per
approfondire il bacio e mi stringeva come era solito fare, deciso ma comunque
delicato, in un modo che non saprei descrivere.
Era una stretta che sembrava voler dire sia
“Sono qui per te” sia “Quanto mi sei mancata, starei così tutto il giorno”.
“Come sta Giulio?” chiesi.
“Ora bene. La madre è furiosa, però. Dice
che era mio compito stare lì e sorvegliare il figlio per evitare che ciò
accadesse...”.
“Ma era dopo le attività, Luca. Anche
se avessi fatto la ronda comunque avresti potuto essere in un altro posto, lui
non sta nel tuo edificio”.
“La madre non può saperlo, Alice. Ho
sbagliato, mi sono distratto...”.
D’istinto, mi ritrassi dalla sua presa e
alzai le mani, colpita dalla durezza di quelle parole.
Non potevo fare a meno di sentirmi anche colpevole
perché mentre noi stavamo disobbedendo alle regole principali del nostro lavoro
un ragazzino si era fatto male.
Certo, aveva disobbedito anche lui, ma
l’equipe della vacanza studio prevedeva un medico per questi casi mentre per il
nostro caso particolare non c’era una figura pronta a rimediare al casino che
stavamo combinando.
“Non ti distrarrò più” esclamai.
“Alice, non dire idiozie. Non sto
incolpando te!” sussurrò deciso, attirandomi di nuovo a sé cingendomi la vita
con entrambe le braccia. “In più Saverio ci dice di fare la ronda solo quando
c’è caos e stando a Clara ieri l’edificio era tranquillo e lo era anche il
nostro. E’ solo che, comprendimi, questo lavoro mi piace, i ragazzi mi vogliono
bene e se vedo uno di loro in ospedale con un braccio rotto mi sento uno
schifo”.
Aveva l’aria triste, non era allegro e
spensierato come sempre, mi faceva tenerezza.
“Domani andiamo ad Oxford e domenica hai il
giorno libero...” replicai per tirarlo su, circondandogli il collo con le
braccia e lasciandogli una serie di baci sul viso fino ad arrivare alle labbra.
Lo sentii rilassarsi e stringersi di più a me per poi lasciare che la mano
vagasse sotto la mia maglietta. “Io avrò la camera deluxe...” aggiunsi.
Per tutta risposta, non so come, mi
ritrovai stretta contro il muro con Luca che mi baciava intensamente, come se
non facesse altro da tutta la vita, mi sussurrava parole dolci all’orecchio,
regalandomi dei brividi di eccitazione lungo la schiena.
“Sarà dura lavorare ancora di più dopo lo
spettacolo che ho visto stanotte” borbottò quando si decise a separarsi da me
ed io protestai internamente.
“Lavora bene e non fare casini così non ti
disturbano e lo spettacolo può continuare” lo presi in giro mentre mi sistemavo
la maglietta che ormai mi arrivava all’altezza del reggiseno.
“Stasera no, purtroppo” sospirò, passandosi
una mano tra i capelli, come per aggiustarli. “Voglio fare la ronda visto che
domani a mezzanotte sarò libero”.
“Ovvio, mi riferivo a domani” mi affrettai
a ribadire, rossissima in volto per tutta quella malizia che stavo esprimendo
con mia somma sorpresa.
Tendevo ad aprirmi così tanto solo quando
raggiungevo un livello di confidenza ed initmità altissimo invece con Luca mi
veniva decisamente naturale nonostante ci conoscessimo da poco più di una
settimana.
“Ti giuro che vorrei passare da te
stasera”.
“Luca, siamo qui per lavorare” gli ricordai, ricomponendomi, per poi fargli cenno di
uscire dall’aula e che io lo avrei seguito.
Con passo trascinato, come se gli
costasse lasciare il comfort dell’aula, annuì e se ne andò ma non lo fece prima
di correre verso di me, baciarmi un’ultima volta e sorridermi come era solito
fare.
Dal canto mio, imbambolata, con le gambe
molli, impiegai qualche istante per riprendermi, farmi coraggio e uscire,
proprio mentre la campanella annunciava la fine delle lezioni.
Ad ora di pranzo Giada mi raccontò nei
dettagli la nottataccia in ospedale, la paura che aveva provato nel vedere il
suo incubo peggiore avverarsi, la forza che aveva cercato di infondere al ragazzo
e a Saverio che, nonostante tutto, non era una roccia come voleva sembrare.
Dietro il trentenne deciso, a tratti duro,
a volte un po’ dispotico e strafottente si celava un uomo sensibile e
premuroso, dedito al suo lavoro.
Se avessi dovuto immaginare Saverio, Luca,
Giada e Giulio in taxi durante la corsa in ospedale avrei immaginato di tutto
tranne Saverio che chiedeva a Giulio di stare tranquillo e cercava di
consolarlo stringendolo a sé per quanto il braccio rotto glielo consentisse.
Incredula, quando ascoltai questa versione
dei fatti, mi voltai e vidi il capo mangiare svogliatamente mentre Nadia
sembrava sussurrargli parole dolci e incoraggianti.
“E’ una persona d’oro” constatai, quasi
commossa.
“Sì. E’ stato deciso ma premuroso, ci ha
portato il caffè, ha rimproverato Luca ma poi gli ha detto che capiva la
situazione, è stato group leader anche lui, queste cose succedono sempre”.
Annuii, cercando di immaginare la scena, ma
riuscivo solo a ricordare il momento in cui ero vulnerabile e accaldata tra le
braccia di Luca e avevo egoisticamente maledetto il cellulare che squillava.
“Però è stato bello sostituirvi, oggi.
Cioè, non frinterdermi, per gli altri sarà stato brutto dover badare a più
ragazzi del solito ma io ho scoperto che mi piace fare la group leader” ammisi.
“Le ragazze che mi guardavano con più fiducia e mi raccontavano cose personali
mi hanno messo di buonumore, poi, oh, è figo dare qualche ordine e vederli che
scattano per obbedire”.
“Sì, ti ci vedo come group leader, solo che
sei troppo sensibile”.
“Eh?”.
“Ma sì, dai, sei troppo beneducata e
pacata, con questi ci vogliono le maniera forti! Vero, Elena?”.
“Cosa?”.
“Alice è troppo buona per fare la group
leader”.
“Temo di sì. Meglio come mediatrice
culturale”.
Mi finsi offesa ma con mio sommo stupore
Luca intervenne nella discussione con un cipiglio divertito.
“Avete ragione, Alice è troppo buona e
sensibile! Solo che è anche quella che il primo giorno ha convinto
Chiara a non avere paura del corso di spagnolo, ha spiegato a Lino come fare la
crema catalana con tanta pazienza... Ispira fiducia e questa è la prima qualità
per una persona responsabile di un gruppo di minorenni” mi difese, per poi
guardarmi in un modo che mi mise in soggezione.
Per una parte di me lo diceva perché voleva
fare ulteriormente colpo, l’altra pensò che fosse adorabile e resistette
all’impulso di stringerlo forte a me lì, a pranzo, davanti a tutti.
“Ne parli come se fossi cotto” ridacchiò
Elena, guardandoci incuriosita.
“Ma infatti”.
“Sono solo oggettivo e debitore, mi ha
aiutato tante volte” ribadì Luca, alzando le mani e poi tornando a dedicarsi al
suo pranzo.
Io, imbambolata, invece di pensare a qualcosa
di concreto pensavo a come definire Luca in relazione a me.
Amante? Ma no!
Ragazzo? Ovvio che no!
Ragazzo che
frequentavo? No...
Lui era Luca, semplicemente Luca, e sapevo
che dopo quell’esperienza quel nome avrebbe assunto il significato connesso a
una determinata categoria di uomini.
Quale, di preciso?
Non potevo ancora saperlo, il tempo mi
avrebbe aiutato a trovare tutte le risposte piano piano, passo dopo passo,
momento dopo momento trascorso con lui.
Magari il giorno dopo, ad Oxford, saremmo
finiti a letto insieme per poi concludere tutto una volta appagata quella
passione che ci divorava ma a me non interessava assolutamente visto che quel
ragazzo mi stava facendo sentire bene come non mi succedeva da tempo.
Il mio difetto era sempre stato badare alle
relazioni in base al futuro e alle qualità di tempo trascorsa insieme, non
“perdere tempo” con qualcuno se la situazione non mi sembrava favorevole a
qualche sviluppo sin da subito, essere troppo riflessiva.
Quanti ragazzi mi avevano attratto ma non
erano stati presi in considerazione solo perché erano degli evidenti casi
difficili da gestire?
Avevo sempre cercato la sicurezza, la noia,
la voglia di sentirsi al sicuro e protetta perdendomi il brivido
dell’incertezza e dell’avventura.
Luca, per me, in quel momento della mia
vita, era tutto ciò, era il pass per uscire dalla comfort zone e dalle mie
certezze per tuffarmi in un nuovo mondo fatto di insicurezze ma brividi ed
eccitazione.
In più, sembrava rispettarmi e comprendermi
come pochi avevano fatto prima di lui.
Per questo, senza sapere cosa dire o fare
dopo quel suo slancio di gentilezza, optai per un sorriso in sua direzione e
tornai al mio pranzo.
Ovviamente il pomeriggio, a circa sedici
ore dalla partenza per Oxford, toccò a me stare vicino a Saverio e aiutarlo con
il planning degli ultimi dettagli.
Lui era evidentemente provato dalla
stanchezza, sbadigliava, aveva gli occhi lucidi e spesso si appoggiava sulla
poltrona ad occhi chiusi mentre parlavo per spiegargli qualcosa.
“Se mi dai una lista di cose da fare
provvedo a tutto con Elena e te ne vai a dormire” lo implorai dopo due ore di
sbadigli e imprechi.
“Non c’è nessuna lista. Dobbiamo solo
ricontrollare tutto per filo e per segno!”.
“E allora va tutto bene perché abbiamo
confermato il pullman per andata e ritorno, i posti in hotel con cena e pranzo
inclusi e le escursioni da fare, abbiamo prenotato la sala conferenze per il
ballo di sabato sera... E’ tutto sotto controllo”.
“Abbiamo dimenticato qualcosa” insisté lui,
incrociando le braccia.
“Saverio sei stanco e sei paranoico, è
tutto ok, fidati di me”.
“E se succede qualche casino, Alice? Dico
all’azienda “Mi sono fidato di Alice Sebastiani, venticinquenne alla prima
esperienza lavorativa?”, che ne pensi?” sbottò, come se avessi detto un’assurdità.
Incredula, mi inalberai – sia letteralmente
alzando il busto con il petto all’infuori che metaforicamete – e sbattei un
pugno sul tavolo con decisione, facendolo sobbalzare.
“A quanto pare l’esperienza non garantisce
nulla visto che qui al comando ci sei tu con vari anni di lavoro alle spalle
eppure è toccato a me sistemare i tuoi guai” replicai freddamente, per poi
alzarmi con aria quasi teatrale e uscire a passo svelto dall’ufficio, con la
testa in cui mi rimbombava Ora ti licenzia, ora ti licenzia, ora ti
licenzia!
Passai davanti a Mario ed Elena che mi
guardarono allibiti, evidentemente dopo aver ascoltato la conversazione visto i
nostri toni non proprio pacati, e andai verso l’uscita dell’edificio.
Ovviamente pioveva, così fui costretta a
rimanere nell’atrio.
Ero offesa, davvero avevo dato l’anima a
Saverio in quei nove giorni, mi ero ammazzata la vista per stare ore al pc a
leggere e tradurre mille email, avevo corso dietro lui e la Rosales per far sì
che si comprendessero (e avevo anche contribuito a fargli fare bella figura
perché in certe occasioni avevo smorzato i suoi toni un po’ maleducati mentre
traducevo ciò che mi diceva) e avevo presenziato a noiosissime riunioni.
Come se non bastasse, avevo salvato la gita
che si sarebbe tenuta il giorno dopo, avevo contribuito alla serata salsa,
avevo coperto il lavoro dei group leader sia durante il laboratorio di cucina
che quella mattina...
Tutti facevano un solo lavoro lì, io ne
facevo almeno tre!
E no, venivo trattata male perché ero una neolaureata
alla prima esperienza!
Perché avevo descritto Saverio come una
persona d’oro ad ora di pranzo? Cosa avevo fumato, di grazia?
La stanchezza di quei giorni mi si caricò
addosso come un carico di polvere da sparo, mi sentivo elettrica, fumante, pronta
ad esplodere.
Che dovevo fare? Mancava un’ora alla cena,
Saverio non mi aveva richiamato, io ero soddisfatta della mia sfuriata ma la
parte responsabile del mio cervello mi dava della stupida.
Ero immersa nelle mille considerazioni
quando vidi Giulio passarmi vicino.
Mi guardò, esitante, senza sapere cosa dire
o fare visto che non avevamo confidenza ed evintemente io per lui ero
semplicemente “quella che traduce quando ci sono gli spagnoli”.
“Giulio, ciao, come stai?” mi informai
subito.
Era un ragazzino snello, biondo, con grandi
occhiali con la montatura nera e l’aria svagata.
Sembrò quasi sorpreso nel vedere che lo
conoscevo, tanto che esitò prima di mormorare un “bene” accompagnato da una
scrollata di spalle.
“Non sei ai laboratori?”.
“Non è possibile farli per me, con un
braccio rotto non posso fare nulla”.
“Vuoi che ti faccia compagnia?” mi offrii.
“Ho detto a Luca che andavo in bagno e
sarei tornato presto”.
“Se ti va posso avvisarlo io”.
Giulio esitò poi annuì.
“Mi sembri simpatica” commentò, continuando
a scrutarmi, “Va bene”.
Gli sorrisi e inviai un messaggio a Luca in
cui gli comunicavo tutto, poi gli feci cenno di prendere posto dietro un
banchetto posto a pochi metri da noi.
“Ti prego, non chiedermi del braccio” disse
subito, supplichevole come non mai.
“No, figurati. Immagino tu sia stanco di
parlarne”.
“Non stanco ma umiliato. Tutti hanno
lavorato il doppio a causa mia” sbottò, melodrammatico. “E io sono il tipo di
ragazzo che non causa mai problemi”.
“Non parlare di problemi, queste cose
succedono in vacanza studio, ecco perché abbiamo anche un dottore nello staff”
puntualizzai, pacata.
“Non mi importa, tutti mi trattano come uno
scemo e ho visto che tutti avete dovuto sostituire Luca. Già a casa...” si
zittì, scuotendo la testa e quasi mordendosi la lingua.
Immaginai tante parole pensate ma non
espresse, magari aveva una situazione familiare non proprio idilliaca e i
genitori avevano deciso di mandarlo qui per concedergli due settimane di pace
dallo stress dell’ambiente familiare.
“Giulio, è tutto ok. Qui succedono dieci
cose al secondo, tra qualche ora l’attenzione sarà su qualcun altro” lo
rassicurai, sentendomi improvvisamente raddolcita da quel ragazzino dall’aria
spaurita.
“Sembri sincera”.
“Lo sono”.
“Alice, che fai con Giulio?”.
Sobbalzai, ritrovandomi alle spalle Saverio
e Luca che ci osservavano.
“Non può fare nessun laboratorio così...”.
“Così niente. Giulio, vai con Luca. Alice,
abbiamo del lavoro da terminare”.
Cosa fare? Obiettare?
Discutere davanti a Giulio, che magari avrebbe
travisato il tutto e pensato che eravamo ai ferri corti a causa sua?
Mi voltai verso il ragazzo e gli sorrisi,
felice di vederlo ricambiare mentre si apprestava a seguire il suo group
leader, per poi seguire il mio, di leader, nella buona e nella cattiva sorte.
In effetti quell’esperienza si stava
dimostrando un po’ come il matrimonio visto che c’erano momenti meravigliosi e
inaspettati seguiti da discussioni aspre, momenti difficili, cose dette in
faccia in maniera poco carina seguite da tante scuse e promesse di fare meglio,
insieme.
Camminammo in silenzio fino all’ufficio,
dove Elena mi guardò incoraggiante.
“Alice, non pensare a questo scemo” disse
subito, avvicinandosi e dandomi una carezza sul braccio.
“Elena...”.
“Zitto, Saverio. Lo fai sempre, tutte le
volte che incontri un lavoratore valido! Vedi lo scansafatiche di turno? Lo
assecondi, lo prendi per il culo, ci giochi a carte insieme al parco durante le
escursioni e poi lo mandi a quel paese dando una valutazione negativa. Vedi la
persona nella media, normale? Ad esempio, una come Clara? Dai qualche consiglio,
qualche rimprovero, stop. Vedi una persona brava? Gli rompi i maroni, ti
scontri, gli fai perdere il controllo perché pretendi ancora di più, ma Alice
questo non può saperlo, non ancora, almeno, perché sono sicura che continuerete
a lavorare insieme” sbottò, accalorata, continuando a mantenere la pressione
sul mio braccio.
Era visibilmente stanca, con le occhiaie,
forse parlava anche in seguito alla frenesia causata da una giornata assurda,
eppure mi sembrava la voce della verità. “Saverio è colui che mi ha fatto
patire le pene dell’inferno fino alla scorsa estate, quando poi, con mia somma
sorpresa, mi ha segnalato come Team Leader. Credevo mi odiasse...”.
“Ma io ti odio, Elena, è per questo che ti
ho dato un lavoro carico di responsabilità”.
“Vedi? Lascialo perdere, tutto ciò che ti
ha detto è causato dal fatto che sei bravissima in ciò che fai. Scommetto che
quando hai mediato con gli spagnoli hai omesso tante frasi maleducate” disse,
con l’aria di chi la sapeva lunga.
“Beh, sì” ammisi, annuendo.
“Ti ringrazio a nome di tutti. Ora,
Saverio, come sostiene Alice, abbiamo controllato tutto, dobbiamo solo partire
domani”.
Il coordinatore mi guardò, esitante, per
poi compiere un gesto decisamente inaspettato: mi diede una pacca sulla spalla,
una pacca che si prolungò e divenne un abbraccio.
Mi strinse a sè con fare fraterno,
massaggiandomi la schiena.
“Sono felice di averti visto cacciare le
palle, prima” mormorò. “Temevo non le avessi. Mi hai fatto svegliare. Grazie”.
“Saverio, ma stai bene?” borbottai,
preoccupata.
“No, sono distrutto”.
Si allontanò e mi guardò, serio.
“Ho parlato con Elena e abbiamo concordato
che per stasera vado a dormire dopo cena e dopo la riunione. Alejandro,
Javi e George staranno con i ragazzi, Elena andrà a controllare insieme a Mario
verso le nove passate... Poi rientreranno per le dieci visto che domani
partiamo presto. E’ inutile che vieni alla riunione, stasera, tanto dovrai solo
lavorare dal computer per tradurre le email per lunedì”.
“Solo perché abbiamo discusso non devi
regalarmi niente” sentenziai, incrociando le braccia.
“Alice, pensi davvero che ti risparmierei
qualcosa in un momento di crisi? Non ce ne è bisogno, davvero”.
Non proprio convinta, annuii.
“Vogliamo ripetere tutto il piano della
gita per l’ultima volta?” chiesi, incoraggiante.
Saverio mi guardò e poi, dopo aver
scambiato un’occhiata con Elena, annuì, facendomi segno di seguirlo.
Obbedii, sentendomi un po’ più tranquilla.
Avevamo cenato, Luca aveva preso posto al
mio fianco e in brevissimi momenti in cui eravamo da soli in corridoio o nel
retro della mensa non aveva esitato a stringermi a sé per qualche istante.
Quella situazione mi faceva sentire
frustrata più che mai perché non riuscivo a stargli vicino e poi a far finta di
nulla quando tornavamo dagli altri.
Per distrarmi, al rientro in college, avevo
parlato con Nadia, mentre Luca e Salvatore si scambiavano informazioni sul
nuovo iphone in uscita e litigavano con Mario che era un grande sostenitore di
chissà quale marca coreana.
“Ti vedo strana” disse, guardandomi in
faccia per quello che le era possibile visto che il sole era tramontato da un
pezzo e la luce dei lampioni era un po’ fioca.
“In che senso? Se ti riferisci alla
litigata...”.
“No, no” ridacchiò. “Hai fatto bene,
davvero. E’ un caso assurdo quell’uomo!” esclamò, passandosi le mani tra i
capelli. “Intendo... Non lo so, non sembri quella dei primi giorni”.
“Certo, forse perché sono più esaurita”
sghignazzai.
Nadia non rispose, mi guardò a lungo per
poi scrollare le spalle, accelerare il passo e infastidire Saverio che se ne
stava a pochi passi da noi, dandogli un lieve pugno sulla spalla e dicendo “Lo
sai che sei scemo, sì?”.
Vederli così, ironici, complici, mi fece
venire la pelle d’oca e il mio sguardo vagò in direzione di Luca che, vedendo
ciò, si era voltato a sua volta verso di me.
Mi fissò intensamente, sorrise, io
ricambiai l’occhiata e lui, spavaldo, si scusò con Salvatore e mi si avvicinò.
“Ti salti la riunione, eh?” borbottò.
“Ordini superiori” esclamai, alzando le
mani.
“Così recuperi sonno...”.
“Sì, non ho di meglio da fare,
tanto”.
Lo avevo detto innocentemente, ma
apparentemente Luca travisò il significato di quelle parole perché assunse
un’espressione maliziosa.
“Giusto, meglio dormire se non si ha un
buon motivo per stare svegli”.
“Eh. Io stasera non ce l’ho...”.
“Stasera” puntualizzò, e lì lo
guardai con un’occhiata assassina, per fargli capire che si stava sbilanciando
troppo e che chiunque avrebbe potuto sentirci.
“Vai a fare la ronda, và” dissi quindi,
falsamente indifferente.
“Ci vado, ci vado...”.
Tutti erano in riunione mentre io mi godevo
una bella doccia calda e il profumo dei capelli appena lavati e asciugati con
un po’ più di cura del solito, visto che ne avevo l’occasione.
I ragazzi non mancavano di aggiornarmi nel
gruppo Whatsapp mandando foto cretine di Clara seduta per terra per chissà
quale motivo, Giada seduta sulla poltrona che avevamo condiviso spesso e che
fingeva di abbracciare un fantasma, Saverio che mi faceva gestacci...
Era presto per i nostri standard, abituati
come eravamo a finire di cenare per le 19.30 e a dedicarci alla serata dalle 20
in poi, era strano essere in riunione ancor prima delle 21.
Avevo appena finito di asciugare i capelli,
ancora in accapatoio, quando sentii bussare alla porta.
I ragazzi erano alla serata con gli inglesi
e gli spagnoli, ma i miei colleghi erano in riunione, chi poteva mai
essere....?
“Domenica sono libero quindi ho partecipato
fino alla parte che riguarda sabato e la serata disco finisce per le 22.30...”.
Luca esordì così, entrando rapidamente, per
poi prendere il mio volto tra le mani e baciandolo come se non aspettasse altro
da ore ed ore.
Indietreggiai, spingendo la porta con una
specie di calcio per chiuderla in fretta, per poi sorridere mentre mi baciava e
allacciare le braccia attorno al suo collo.
“Che bello, mi ero rassegnata a non vederti
fino a domani sera” sussurrai, stringendolo forte a me come se temessi che
potesse scappare da un momento all’altro.
“Anche io...”. Mi baciò il collo, risalì
verso una guancia, centrò la bocca, per poi giocherellare con il mio
accappatoio, indeciso. “Appena mi hanno detto che potevo andare ho pensato a
te, non sono nemmeno passato in camera per una doccia”.
“Ma chi se ne frega, la facciamo insieme,
magari”.
Ero partita, definitivamente.
Luca era lì, disponibile, senza fretta per
quasi due ore, tutto per me, deciso a stare lì, con me, contro ogni regola e
responsabilità.
Udendo le mie parole gli si accese lo
sguardo in un modo nuovo, eccitato, malizioso.
“Alice...”.
Per tutta risposta condussi la sua mano
vicino la cintura in vita dell’accappatoio e gliela feci slacciare, per poi
gettare l’indumento per terra e sbrigarmi a spogliarlo.
Percepivo la sua frenesia aumentare,
spingersi oltre, finalmente senza ostacoli ed interruzioni.
Assecondò i miei movimenti, per poi
aiutarmi finché non si ritrovò a sua volta nudo, bello, deciso, faccia contro
faccia, respiro contro respiro.
Eravamo affannati come se avessimo corso
per chissà quanti chilometri, l’urgenza si poteva percepire senza equivoci
mentre ci toccavamo e assecondavamo i movimenti dell’altro.
Quei pochi giorni in cui ci eravamo avvicinati e stuzzicati
si facevano sentire come se avessero avuto la durata di anni ed anni.
Tra di noi c’era una tensione enorme, impossibile da
nascondere, anche perché non avevamo assolutamente voglia di giocare e
prenderci in giro, lo avevamo fatto fin troppe volte ed era giunto il momento
di assaporare l’altro al cento per cento, senza freni e inibizioni.
Stava per succedere, lo sapevamo entrambi,
fremevamo perché per tutta la giornata non avevamo fatto altro che pensarci a
vicenda, a quello che stava per succedere la sera prima ma che poi non si era
più verificato.
Lo attirai su di me, provando un sospiro di
sollievo quando avvertii la sua pelle calda a contatto con la mia mentre mi
accarezzava il corpo, gentile come sempre seppur impaziente.
Lo baciai un’ultima volta per poi decidermi
a fargli spazio tra le mie gambe, senza smettere di mantenere il contatto
visivo con lui.
“Luca” dissi semplicemente, mentre si
fiondava a baciarmi il seno, lo sterno, quel punto del collo che mi mandava su
di giri come non mai per poi unirsi a me, in un modo che dopo pochi secondi mi
fece subito sospirare di sollievo.
Ero fin troppo partecipe, mi abbandonai ai
miei sensi e arrivai ad incitarlo seppur con toni bassi, cosa che non ero
solita fare.
Luca sembrava apprezzare, mi ascoltava,
riusciva comunque a essere il solito nonostante la situazione di profonda
intimità ed eccitazione.
Mi assecondò, facendomi ritrovare su di
lui.
“Sei fantastica... Continua così”.
Mi abbandonai a me stessa, non pensando a
nulla che non fosse quel mix di piacere e adrenalina che stavo provando, trovando
il mio ritmo e felice di sapere che anche lui stava apprezzando quel gesto, salvo
poi ritrovarmi al suo fianco vari minuti dopo, sudata ma decisamente appagata
come non mi succedeva da fin troppo tempo.
Non era stata una cosa romantica, non
c’erano stati preamboli o frasi fatte, non c’erano promesse, eravamo
semplicemente noi stessi, due persone che si conoscevano da nove giorni e che
erano a più stretto contatto da soli tre.
“Non ci credo” sussurrai a fatica, cercando
di riprendere fiato, sudata e con dei capelli appiccicati contro la fronte.
“Sei... Non ho parole” borbottò lui,
stringendomi a sé e lasciandomi un dolce bacio sui capelli.
Mi appoggiai sulla sua spalla, con una mano intrecciata alla
sua con una dolcezza inaudita, in un gesto che mi ricordava tanto i tempi
dell'adolescenza.
Non avevo aspettative su di lui, non avevo avuto il tempo di
pensare a noi come una cosa sola, per una volta tutto si era verificato invece
di essere solo immaginato e dovevo dire che preferivo di gran lunga ciò.
Rimanemmo così, pelle contro pelle, con un
ricordo memorabile in più riguardo quelle due settimane indimenticabili.
*°*°*°
Ritorno
col botto!
Sì sono ancora viva – ovviamente mi riferisco a chi ha avuto la pazienza di
aspettare questo nuovo capitolo -.
Non
so cosa dire se non che la “real life” negli ultimi due mesi ha assorbito tutte
le mie energie, che per una volta ho sentito il bisogno di disconnettermi da
tutto e di pensare solo all’altro mio mondo, quello quotidiano.
Comunque,
sorpresi? Delusi?
Mai
due personaggi delle mie storie si sono dati da fare con così tanta rapidità ma
Luca e Alice sono due casi a parte, hanno una chimica e una tensione assurda e
ciò doveva succedere.
Non
so che dire, spero ci sia ancora qualcuno disposto a farmi sapere cosa ne
pensa, anche se, sì, non me lo merito xD
Grazie
a chi leggerà e continua a seguirmi <3
A
presto (promesso!),
milly.
|
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Capitolo 10 *** Day 10: Confusione ***
10ali
Capitolo 10
Day 10: Confusione
“Dovremmo
fermarci...”.
“Dovremmo,
sì”.
“Davvero...”.
“Ti
stai forse annoiando?”.
“No,
è questo il problema. Ma abbiamo dormito solo quattro ore e...”.
“Alice,
non capisci, per me è un complimento. Vorresti uno che ti faccia andare a
dormire dopo due minuti?”.
Spalancai
gli occhi, con Luca che se ne stava beato su di me, e lo colpii leggrmente sul
braccio.
“Sei
uno stupido. Uno stupido che ci sa troppo fare, però...” sospirai, così senza
rendermene conto ci stavamo baciando di nuovo, ignari del fatto che nel giro di
dieci minuti la sveglia ci avrebbe interrotto.
Luca
era andato a controllare i suoi ragazzi, seppur con grande disappunto, dopo le
dieci e poi era tornato per le undici visto che era tutto sotto controllo e
Saverio gli aveva detto che poteva andare a domire.
Dormire, certo.
Senza
nemmeno pensarci ci eravamo ritrovati sotto la minuscola doccia della mia
stanza, insieme, e ci eravamo di nuovo lasciati andare, questa volta più
consapevoli e sulla stessa onda.
Ci
eravamo addormentati verso l’una e alle sei meno qualcosa ci eravamo svegliati,
ritrovandoci così, stretti, come se tutto il resto non esistesse.
Avvertii
la mano di Luca che esplorava il mio corpo con calma e mi morsi il labbro
quando avvertii il suo tocco in un punto eccessivamente sensibile.
“Luca!”
sibilai, seppur con gli occhi chiusi e godendomi quella sensazione.
“Lo
so che non ti lamenterai” ribadì sicuro lui, continuando indisturbato mentre
posava le sue labbra ovunque.
In
effetti non mi lamentai affatto, anzi, pochi minuti dopo lo ringraziai con un
“Stasera ricambio” che lo fece sghignazzare come un matto.
“No,
non devi sentirti obbligata” disse poi, quando si sistemò ai miei lati.
“Stasera niente programmi, come ieri: avevamo deciso di non vederci ed eccoci
qui...” ribadì, accarezzandomi i capelli con dolcezza.
“In
effetti hai ragione. Però dobbiamo andare nella vasca idromassaggio!”.
“Sì.
Ti voglio nuda, lì”.
“Vedremo”.
“Ma
ci pensi a quanti passi abbiamo fatto in dieci giorni? Se ti avessi incontrato
fuori da questo contesto...”.
Si
zittì, pensieroso, in un modo che fece risuonare ancora di più il fastidioso
rumore della sveglia.
Sapevo
perfettamente cosa avrebbe voluto dire: difficilmente una mediatrice e un
pasticciere si sarebbero incontrati al di fuori del contesto lavorativo e
probabilmente non ci saremmo nemmeno calcolati, pensando di essere troppo
diversi.
Invece
lì, in un paese straniero, nella fredda Inghilterra, avevamo trovato il nostro
punto di incontro, ci eravamo conosciuti e avevamo accelerato tutto,
ritrovandoci in quel minuscolo letto insieme.
“Corri,
torna nella tua stanza” esclamai, alzandomi di scatto.
Di
malavoglia si alzò e cercai di comportarmi in maniera naturale nonostante fosse
di schiena, nudo.
Sì
– pensai – il suo sedere era ancora meglio al naturale.
Quando
si voltò mi girai altrove a mia volta e mi affrettai a rivestirmi, sentendomi
decisamente piena di energie e voglia di vivere.
“In
pullman ti metti vicino a me? Non c’è niente di male, possiamo condividere le
cuffie e sentire la musica insieme...” propose mentre si infilava la polo.
Quel
pensiero così dolce, genuino, mi fece sorridere e mi fece accettare di buon
grado.
“Come
due adolescenti” sottolineai, ricordando i tempi delle gite del liceo, quelli
in cui facevamo a gara a chi si siedeva nei sediolini in fondo al pullman,
sentendoci super trasgressivi.
“Come
due adolescenti, sì”.
Ormai
vestito, mi attirò a sè per i fianchi e mi baciò con una dolcezza inaudita, una
dolcezza che non credevo possibile dopo quel vortice di passione scatenata in
cui ci eravamo buttati.
Ricambiai
il bacio, sentendomi al sicuro tra le sue braccia, come se non stessi
infrangendo alcuna regola.
“Sono
stato benissimo e so che staremo ancora meglio, Alice la Mediatrice” mormorò al mio orecchio, facendomi
rabbrividire.
“Anche
io, Luca. Una meraviglia” enfatizzai. “Ora però corri che ti beccano, su”.
“Chi
mi deve beccare? Sono io il group leader...”.
“Buffone!”.
Ridendo
lo spinsi fuori la porta, ma lui si riaffacciò per un ultimo bacio prima di
procedere verso le scale che conducevano al suo piano.
Una
volta sola mi appiattii contro la porta, con il respiro corto, il battito
accelerato, ancora incredula per tutto ciò che era successo nelle ultime otto
ore.
Il
viaggio verso Oxford fu tranquillo, in parte perché eravamo tutti stanchi e
provati da tutti quei giorni lavoro e di escursioni.
Saverio
e Nadia se ne stavano seduti davanti me e Luca, mentre Clara, Salvatore, Giada,
Mario ed Elena erano nell’altro pullman.
Il
programma della giornata era abbastanza intenso: arrivo in hotel, sistemazione,
pranzo, escursione della città, cena e poi la tanto attesa serata a cui Mario
stava lavorando da vari giorni: il Ballo nella sala conferenze dell’hotel.
Secondo
Mario quello era il momento giusto per
organizzare un Ballo visto che i ragazzi si conoscevano e i giochi erano fatti
visto che mancavano solo quattro giorni al rientro a casa.
Ogni
volta che lo diceva mi si stringeva lo stomaco in una morsa dolorosissima ma
comunque cercavo di non darlo a vedere e giravo lo sguardo altrove.
Ovviamente,
anche noi eravamo invitati a partecipare ed io ringraziai il cielo che mi
avessero regalato il vestito azzurro per il mio compleanno dato che non avevo
di certo messo in valigia abiti eleganti.
I
ragazzi dello staff si erano trovati in difficoltà, ma per fortuna tutti
avevano almeno una camicia in valigia e l’avrebbero abbinata a dei semplici
pantaloni.
Stavo
appunto pensando a quella sera, ai ragazzi vestiti in maniera più elegante del
solito, quando dalle cuffie partì “Thinking Out Loud” di Ed Sheeran.
Voltai
lo sguardo verso Luca, che mi fece l’occhiolino.
“Stasera
la metteranno sicuro” mormorò, togliendosi la cuffia ed io lo imitai.
“Dici?”.
“Ma
sì. La ballerai con me?” domandò, imitando una sorta di occhiata da cucciolo.
“Vedremo.
Poi magari finisce come l’ultima volta che ti sei prenotato per un ballo”
ironizzai, ricordando la serata salsa in cui lui aveva invitato Paula e io ci
ero rimasta malissimo.
“Naah”.
Si avvicinò al mio orecchio, per non farsi udire dagli altri, e sussurrò: “Tu
il sedere lo palpi meglio di Paula. Dai più soddisfazione”.
“Ah,
te lo ricordi però, eh”.
“Nella
vita si ricordano due cose: quelle belle e quelle brutte, Ali. Mi dispiace”
ironizzò.
“E
non si ricordano quelle cose che ci lasciano indifferenti quindi, bene o male,
un segno te lo ha lasciato” puntualizzai, forse più severa del dovuto.
Lui
sgranò gli occhi, sembrava sul punto di dire qualcosa, poi decise di rimanere
in silenzio e rimproverò un ragazzo seduto dietro di noi che urlava come un matto
perché stava prendendo in giro dei compagni juventini.
Avrei
tanto voluto sapere cosa mi stava per dire ma, non so nemmeno io perché, presi
le cuffie e ascoltai le ultime note della canzone.
L’hotel
era davvero magnifico come nelle foto, anzi, forse di più.
Salutai
la receptionist dicendo chi ero e lei ricordò subito il mio nome visto le
lunghe chiacchierate per accordarci e, assurdo, mi diede anche la chiave della camera
deluxe facendomi capire che Saverio aveva comunicato il cambio di stanza a mio favore.
Esibii
la chiave con aria fiera, sotto lo sguardo incredulo di Salvatore, Clara e
Giada, e corsi a vederla visto che per fortuna non mi toccava aiutare i ragazzi
a sistemarsi.
Andai
al terzo piano, passai la card vicino lo spazio apposito per far aprire la
porta e la aprii, emozionata.
Mai
in venticinque anni di vita qualcuno mi aveva ospitato in una camera lussuosa,
ero sempre finita in ostelli, bed and breakfast o hotel a tre stelle al massimo
grazie a qualche coupon.
Eccitata,
chiusi gli occhi, feci qualche passo, li riaprii e... Meraviglia.
Il
letto era king size, color beige, con le pareti dorate con delle decorazioni
bordeaux, un sofà dai toni chiari, un frigo bar, un’elegante scrivania in
legno...
Il
bagno era enorme, c’era una vasca a forma rotonda con dei prodotti
profumatissimi, il lavandino aveva un getto particolare e c’erano vari specchi.
Mi
sentivo come una bambina il giorno di Natale, non riuscivo a realizzare di
avere una stanza così tutta per me e che tutto ciò si stava verificando nel
momento in cui avevo un flirt con
Luca.
Rapidamente,
dopo aver posato il piccolo trolley, pettinai i capelli, misi un po’ di
rossetto, presi posto sul letto e provai a fare un selfie decente, che mi
rendesse giustizia e allo stesso tempo inquadrasse una buona parte della
stanza.
Vari
tentativi dopo ottenni un selfie discreto in cui sorridevo e lo inviai a Luca,
scrivendogli : “Io e Miss Deluxe ti aspettiamo”.
La
sua risposta non si fece attendere.
“Siete
illegali!”.
Sorrisi
tra me e me e mi tuffai sul comodo letto, serena come non mai.
“Tu
hai la Deluxe, Ali, quindi stasera se riusciamo perché non organizziamo qualche
ora tra ragazze? Una sorta di breve pigiama party, possiamo comprare qualche
maschera, farci le unghie... Il tuo bagno è magnifico!”.
Ad
ora di pranzo, mentre pranzavamo in un parco, mi ritrovai circondata da Nadia,
Clara e Giada.
Mi
pentii immediatamente di aver mostrato loro la mia camera con tanto orgoglio,
come se fosse una sorta di bambino prodigio di cui io ero la madre.
A
parlare era stata proprio Nadia, la quale mi sorrideva in maniera accattivante
mentre prendeva posto al mio fianco insieme alle altre.
Istintivamente
mi passai una mano tra i capelli, chiaro segno del fatto che quella proposta mi
avesse allarmato.
“Scusa,
tu e Saverio non ne approfitterete per farvi le coccole nell’idromassaggio?”
ironizzai, cercando di pensare rapidamente ad una scusa.
Non
volevo essere il tipo di ragazza che dimenticava le amiche per un tipo, ma
onestamente non si era creato un legame super profondo con loro tre, solo con
Nadia riuscivo a parlare un po’ di più.
“Fantascienza.
E’ tutto preoccupato per i danni che potrebbero fare degli adolescenti in un
hotel, di notte”.
“Ah.
E, scusa, voi non dovete fare la veglia?” aggiunsi, falsamente disinvolta.
“Beh,
sì, ma sai, fino ad una certa ora” disse Clara.
“Sembra
che tu non voglia passare la serata con noi!” sottolineò Nadia, guardandomi
profondamente. “Vuoi passarla forse tutta sola?”.
Lo
disse con un tono che mi parve sospetto, non era ingenuo, sembrava studiato,
programmato.
Che
avesse capito tutto?
Possibile?
“No,
no. Ragazze, vediamo come si mette la situazione e decidiamo, io vorrei prima
vedere se si può usare l’idromassaggio. Che mettete per il ballo?”.
Subdola,
cambiai argomento e per fortuna Giada e Clara abboccarono mentre Nadia, dal
canto suo, non parve convinta perché continuò a studiarmi con insistenza.
Quando
Salvatore si avvicinò per mostrarci una mosca che aveva trovato nel suo panino,
lei mi prese per un braccio e mi trascinò dietro un albero, lontano da occhi
indiscreti.
“Che
succede?” domandai, tuttavia sentendo il cuore battere a mille.
“Succede
che sei una bugiarda. Sei diversa da giorni, ti allontani per fare il bucato
con Luca, vi vedo uscire insieme da un’aula vuota, stamattina l’ho visto
correre nella sua stanza mentre portavo una cosa a una delle mie ragazze... E
tu sei l’unica che abita nell’edificio E oltre lui. Per non parlare oggi in
pullman, siate più discreti se volete farci scemi!” sbottò, guardandomi
seriamente con l’aria di chi non si aspettava un comportamento simile da una
persona.
Abbassai
lo sguardo, colpevole, sentendomi cretina e in colpa perché Nadia si era
confidata con me in passato.
“Io
ho beccato te e tu hai beccato me...” conclusi, colpevole, alzando gli occhi e
vedendo il suo sguardo accendersi.
“Hai
ragione! Ma perché non me ne hai parlato? Forse mi sono fatta mille film in
testa ma credevo che ci fosse una sorta di rapporto tra noi” ammise, prendendo
le mie mani tra le sue.
Le
strinsi, sentendomi uno schifo, e scrollai le spalle.
“Nadia,
mi ha baciato al mio compleanno” rivelai, quasi tremando al solo ricordo.
Ovviamente,
le ci volle meno di un secondo per fare due più due, infatti subito mi fissò
come se fossi un’eretica e sgranò la bocca.
“Quindi...
Quindi quando ci hai beccato già avevi anche tu una storia con un collega!”.
“Zitta,
per l’amor del cielo!” la implorai, ma ormai era fatta: Nadia mi aveva
afferrato, stretto a sé e buttato per terra, mentre mi insultava seppur in
maniera scherzosa.
“Scema!
E brava! Non ho parole!”.
“Nadiaaa!
Non è come sembra! Proprio dopo avervi visto sono andata nel panico e ho
chiuso...”.
“Eh?”.
“Sì!
Dovevamo vederci durante l’escursione e io gli ho detto che non me la sentivo,
poi vedendo te e Saverio accettati dal gruppo ho cambiato idea e ci siamo
riavvicinati. Sono quattro giorni, alla fine”.
“Quattro
giorni in cui ve la spassate”.
“Senti
chi parla!”.
Mi
ci volle un po’ per rialzarmi e liberarmi dalla sua presa che era passata
dall’offesa all’euforica e così lei mi seguì.
“Quindi?
E’ una cosa seria o...?”.
“Nadia!”.
“Capito,
non ne avete parlato”.
Deglutii
e guardai verso il resto del parco, verso la cima degli alberi e le nuvole
minacciose che li sovrastavano.
“Vediamo
come va. Una volta travisai il suo discorso e gli dissi che non ero qui per
trovarmi un fidanzato e che non avevo aspettative...”.
Lei
annuì, poi mi appoggiò una mano sul braccio con fare quasi materno.
“Certe
cose sono più semplici dell’apparenza, Ali. Se vi trovate bene...”.
“Ma
non lo so. Cioè, passiamo la giornata a lavorare ed è normale che così facendo,
attraendoci, la sera abbiamo voglia di...”.
“Saltarvi
addosso” concluse per me.
“Ecco.
Solo una volta abbiamo parlato seriamente e con calma, io non so come sarebbe
uscire con lui, conoscerlo. E’ una cosa primordiale, Luca è una scatola che
posso aprire di pochi centimetri una volta al giorno, non so come sarà una
volta aperta tutta. Potrei trovare una bella sorpresa o una orrenda... Si vede
che per te e Saverio è diverso”.
La
ragazza mi sorrise dolcemente e fece un cenno negativo con il capo, con l’aria
di chi la sapeva lunga.
“No,
Ali, no. Semplicemente abbiamo più esperienza e sappiamo che davanti a una
chimica e a un affetto come il nostro è da pazzi precludersi la strada. Anche
noi alla vostra età abbiamo fatto come voi ed ecco perché, sei- sette anni
dopo, davanti ad una persona che ci fa sentire bene, non fuggiamo più e ce la
giochiamo senza paure. Provateci, parlatene... Napoli e Roma non sono
lontanissime, anzi, siete adulti, lavorate! Frequentatevi al di fuori, chissà
cosa potrebbe succedere”.
“Ma
ciò andrebbe contro...”.
“Contro
cosa? A ciò che gli hai detto? Ti muore dietro, si vede lontano un miglio,
magari aspetta qualche tuo cenno su questo argomento e ha paura di parlartene”.
Non
sapevo cosa dire, onestamente.
Parlare
con un’altra persona, ammettere che tutto ciò che si stava verificando negli
ultimi giorni era vero e non semplicemente frutto della mia immaginazione,
apriva un gigantesco scenario di problemi a cui avevo fatto finta di non
pensare.
Io,
quella che pensava sempre a tutto, fingevo di non badare al fatto che tra
quattro giorni avrei salutato la persona con cui ero andata a letto la sera
prima.
Come
avrei reagito?
Conoscendomi,
non sarei stata in grado di finire tutto così senza nemmeno averne parlato
prima, per dare un punto di chiusura a quella che aveva l’aria di essere una
semplice storiella estiva.
Per
tutta risposta, abbracciai Nadia e lei comprese come mi sentivo, perché mi
strinse a sua volta e mi diede una pacca sulla spalla.
“Andrà
tutto come deve andare. Non posso dirti che andrà bene, ma la vita ha un modo
tutto suo per far tornare i conti, fidati” mi rassicurò dolcemente.
Parlare
con Nadia, raccontare a qualcuno come mi sentivo, cosa stava succedendo, mi
aveva donato uno strano senso di tranquillità, di leggerezza, perché ora stavo
nascondendo il segreto a una persona in meno.
In
più, ne avevo approfittato per passare più tempo con le ragazze tra
un’escursione e l’altra, avevamo fatto dei selfie stupidi ed io mi ero
rilassata un po’ perché erano tutti inglesi e non dovevo tradurre nulla.
Mi
ero presa il mio tempo mentre visitavamo il Museum of Oxford, senza correre,
senza l’ansia di dover mediare con la Rosales, e quando giunse il momento di
vestirsi, dopo cena, fui privilegiata perché non avendo altro da fare potei
tornare in camera per sistemarmi dopo una giornata di gite e camminate intense.
Negli
ultimi due giorni ero stata privilegiata, avevo lavorato meno, quindi temevo
che al rientro avrei dovuto dare il triplo del solito per rimediare al tempo
passato senza i miei consueti doveri.
Ebbi
il tempo di riposarmi per una quindicina di minuti, poi mi truccai un po’ e
aggiustai i capelli legandoli in uno chignon.
Indossai
l’abito di Forever21 che i ragazzi mi
avevano regalato per il compleanno e ebbi appena il tempo di finire di
prepararmi che Luca mi annunciò il suo imminente arrivo tramite un messaggio,
così aprii la porta e gli consentii di entrare subito, senza aspettare fuori.
Indossava
dei jeans, una camicia e una giacca scura e aveva i capelli più ordinati del
solito.
“Che
eleganza” commentai, avvicinandomi e, senza riuscire a trattenermi, passai le
mani sulle sue spalle e sulle sue braccia.
“Senti
chi parla” mi rimbeccò, posandomi un bacio sul collo.
“Non
sono pronta, devo mettere il rossetto” mormorai, seppur apprezzando le sue
attenzioni, tanto da chiudere gli occhi.
“Ora
non ti serve...”.
“Luca”.
Lo
bloccai mentre provava a baciarmi e lui sembrò turbato da quel gesto così
strano rispetto al solito.
“Cosa?
Ho sbagliato qualcosa?”.
“No,
no. E’ tardi, dobbiamo andare... Tanto tra tre ore sei libero” dissi,
sforzandomi di sorridere.
Dal
canto suo sembrava turbato, perché continuò a fissarmi senza capire.
“Ho
fatto qualcosa di sbagliato? Sono stato troppo... Audace?” domandò,
preoccupato. “Fino ad ora ti faceva piacere, volevo solo darti un bacio”.
“No,
Luca, no, anzi, sei stato dolcissimo” lo rassicurai. “E’ che... Nadia sa. Ci ha
scoperto”.
Ovviamente
parve decisamente sorpreso, non se lo aspettava, solo che non reagì in maniera
tragica come mi aspettavo.
“Come...?”.
Gli
feci cenno di sedersi sul letto, obbedì e lo imitai, sedendomi al suo lato e
voltandomi verso di lui.
“Ci
ha osservato, tuttto qui. Ci ha visto andare a fare il bucato insieme,
stamattina ti ha visto correre nella tua stanza... Tranquillo, è dalla nostra
parte. Solo che...”.
“Che...?”.
“Mi
ha fatto pensare, Luca. Cosa siamo? Nel senso, sono la prima ad aver posto dei
paletti in questa situazione, ma la fine delle due settimane è vicina e io non
so cosa pensare”.
“Alice,
possiamo non parlarne proprio ora?”.
Levai
un sopracciglio, incredula.
Lui
era sempre pronto ad accogliere ogni mia richiesta, era il primo a cui piaceva
esporsi, perché ora si tirava indietro?
La
cosa ebbe subito un effetto irritante su di me, tanto che mi alzai di scatto e
lo fronteggiai.
“Puoi
essere onesto, verrò comunque a letto con te stanotte” lo presi in giro, senza
riuscire a celare un tono pieno di collera.
Spalancò
la bocca e si alzò a sua volta.
“Sei
seria? Tralasciando che ieri sei stata tu a saltarmi addosso appena sono
entrato in camera tua, davvero credi che...”.
“Che
cosa? Guarda caso ora, a poche ore dal tuo giorno libero, ti chiedo un’opinione
e tu ti tiri indietro...”.
“Non
ti sfiora il cervello l’idea che io possa dire qualcosa di positivo ma che non
so come ti farebbe reagire?”.
“Cosa?”.
“Io
non so cosa ti abbiano fatto gli altri uomini che hai conosciuto ma non
sopporto questa tua caratteristica che ti fa sempre pensare al peggio! Avrai
frequentato degli stronzi ma io non sono uno di loro! Ti volevo dire che stavo
pensando di farmi qualche giorno a Roma dopo la fine del viaggio ma volevo
parlartene con calma, senza fretta, senza pressioni, ed ecco che tu subito
pensi a male! Non ci sto a passare per lo stronzo di turno, no”.
In
dieci giorni non lo avevo mai visto così, mai.
Era
un comportamento strano, che non gli donava, mi sembrava di vedere tutta la
rabbia dipinta sul suo volto in un modo che glielo trasfigurava.
Era
accigliato, offeso, tanto che non si premurò di non sbattere forte la porta
quando uscì, lasciandomi così, immobile, stordita, come se avessi fatto
qualcosa di orribile ad una persona che non lo meritava.
In
un solo istante, compresi che in tutto ciò il problema era solo uno: non sapevo
cosa volevo.
La
sala ricevimenti era maestosa, decorata con festoni colorati e addirittura
qualche candela che donava un’atmosfera più chic.
In
fondo c’era la pista da ballo e all’ingresso c’erano numerosi tavolini rotondi,
con delle rose come centrotavola.
Notai
subito Luca che parlava con dei ragazzi e li spronava a ballare e mi maledii
mentalmente perché normalmente avrei fatto di tutto per stare con un ragazzo
come lui.
“Alì,
allora sei presente!”.
Mi
voltai di scatto e vidi che a parlare era stato Salvatore.
Sembrava
diverso senza la solita divisa rossa, anche lui era più elegante del solito con
pantaloni e camicia.
“Sono
sempre presente” ribadii, sospirando. Non avevo proprio voglia delle sue
battutine, onestamente.
“Non
direi, sembri assente ultimamente”.
“Forse
faccio solo meno figuracce”.
“E
pure c’hai ragione!” ridacchiò, alzando il cinque come ad invitarmi a batterlo.
Obbedii
e lo vidi allontanarsi, così presi un bel respiro e presi posto dietro uno dei
tavolini con aria annoiata.
“Alice
bella, ho preparato una playlist fantastica!” esclamò emozionato Mario,
prendendo posto di fronte a me.
Lui,
poverino, aveva evidentemente lavorato fino a quel secondo perché aveva ancora
la divisa.
“Sì?”.
“Sì!”.
“Mario,
ma come fai ad essere sempre così sorridente e felice?” dissi tutto d’un
tratto, senza nemmeno sapere il perché.
In
un ambiente di gente stanca, che dormiva poco, Mario era sempre un raggio di
sole pronto ad illuminare il momento più buio anche solo con la sua presenza.
Lui
mi guardò serio, forse per la prima volta da quando ci conoscevamo.
“Sai
cosa diceva Klingemann?” mi domandò, mantenendo il contatto visivo.
“No...”.
“A prenderla sul serio, c'è da finire al manicomio;
io però la prendo da pagliaccio, e proseguo il prologo fino alla tragedia”
recitò a memoria.
Lo fissai, stupita – da Mario non ti aspetti queste
citazioni – e lui sorrise amaramente.
“Sorridere non significa essere felice, Ali, ma cerco di
affrontare tutto con un’attitudine positiva tanto, triste o no, le cose
succedono comunque e si va avanti. Io scelgo di proseguire col sorriso”.
“Wow”
sussurrai, sorridendogli sinceramente. “Hai tanto da insegnarmi”.
Lui
scrollò le spalle e sorrise. “Non prenderti troppo sul serio”.
“Io
ci provo ma poi faccio casini e...”.
“I
casini si fanno comunque, no? Ma ci insegnano molto, io se sono così è proprio
perché ho passato la vita, fino ai venticinque anni, a preoccuparmi. Cosa ne ho
ricavato? Nulla”.
Colpita,
annuii e posai una mano sul suo braccio con fare amichevole.
“Hai
ragione, grazie per la lezione. Sei un grande!”.
Soddisfatto,
Mario rise e poi, guardando verso la console, capì che c’era bisogno del suo
aiuto perché si scusò e scappò nella direzione opposta.
I
ragazzi erano tutti super eleganti, mi chiedevano di scattare loro mille foto,
anche le ragazze mi raggiunsero e ci facemmo mille complimenti a vicenda per lo
stile degli abiti visto che era strano vedersi senza jeans e maglietta.
La
serata ebbe inizio, tutti iniziarono a ballare con grande entusiasmo e la sala
si riempì di dolci note musicali e della voce di Mario che invitava tutti al
centro della sala.
Vidi
Nadia fregarsene e invitare Saverio a ballare, seguita da Salvatore che invitò
Clara e, con un piccolo senso di disappunto, notai Luca avvicinarsi a Giada e
invitarla a ballare.
La
canzone era proprio “Thinking out loud”, quella di cui parlavamo in pullman, e
provai un nodo fortissimo allo stomaco mentre vedevo Giada accettare e loro due
stringersi al centro della pista da ballo.
Poche
volte mi ero sentita stupida come quella sera, perché mi ero lasciata prendere
per un istante dalla rabbia e avevo riversato tutti i miei problemi del passato
su un ragazzo che non c’entrava assolutamente nulla e che si comportava sempre
bene con me.
Mi
allontanai, andando al lato opposto della pista, e vidi Giulio da solo, con il
suo braccio rotto super ingombrante.
“Non
si può ballare con un braccio rotto, vero?” chiesi.
Giulio
si voltò, sorpreso come non mai che qualcuno gli stesse rivolgendo la parola in
un momento in cui non sembrava esserci spazio per gli imperfetti.
“Alice!
No, non direi”.
“Senti,
chi se ne frega delle regole? Vieni, balla con me, ci muoviamo semplicemente
sul posto!”.
Stavo
rigettando tutta la mia frustrazione e i miei dubbi su un ragazzino, ma poco
importava, lo vidi sorridere per il semplice fatto di essere stato calcolato
così mi obbedì subito, avvicinandosi alla pista e iniziando a dondolare sul
posto, mentre io appoggiavo un braccio sulla spalla con il braccio buono.
Tutti
ci guardavano e Giulio sembrava felice e soddisfatto, forse perché stava
ballando con una più grande, e in cuor
mio pensai che forse una cosa giusta l’avevo fatta quella sera.
Non aspettai la
fine della serata per tornare in camera.
Saverio già
stava dando mille indicazioni per la notte e, egoisticamente, temevo mi avrebbe
coinvolto in uno dei turni quando ero già di cattivo umore anche senza la
mancanza di sonno.
Non pensai
nemmeno all’idromassaggio, volevo solo dormire in quel gigantesco letto, da
sola, e svegliarmi con un umore migliore nella migliore delle ipotesi.
Avrei voluto
ammettere che mi sentivo una stupida, una stupida che non sapeva quel che
faceva, ma era troppo tardi ormai e temevo di riavvicinarmi a Luca per poi
combinare altri casini.
Tra di noi io
ero quella che fino a quel momento aveva scombussolato le carte in tavola
quando andava tutto bene, ogni volta, e oltre a non riuscire a perdonarmelo, non
sapevo nemmeno il perché delle mie azioni.
Inoltre, Giada
era tornata al nostro tavolo elogiando la bravura e la sensualità di Luca ed
avevo dovuto trattenermi per risultare sciolta e disinvolta come se nulla
fosse, infatti Nadia mi aveva guardato preoccupata e mi aveva trascinato in
bagno per sapere come stavo, anche se io avevo fatto la mummia come al solito
ed ero stata molto vaga.
Quindi, alle
undici ero già a letto, seppur senza un briciolo di sonno.
Mi rigiravo a
destra e a sinistra, sentendo la testa pesante...
E capii che al
momento volevo solo sentirmi rassicurata dal collega con cui ero anche andata a
letto la sera prima.
Era una
sensazione strana, non lo volevo per andarci a letto – o almeno non solo –
bensì per sentirmi al sicuro, bene con me stessa...
Se
ti va di passare da me per parlare ti aspetto.
Scusami...
Scrissi
il messaggio così, senza pensarci, e lo inviai senza fregarmene delle
conseguenze.
Conseguenze
che, un’ora dopo, ebbero un effetto.
Luca
era lì, di fronte la mia porta, ed io lo feci entrare.
“Giada
voleva uscire a fare un giro visto che sono libero ora” disse subito, lo
sguardo basso.
Deglutii
e sospirai.
“Scusami,
allora vai”.
“Alice,
non fare la stupida... Lo sei stata abbastanza, per stasera”.
Mi
prese per la vita e cercò le mie labbra, baciandomi con una decisione che non
aveva mai usato prima.
“Come
devo fare con te?”.
“Forse fai troppo. Nel senso... Luca” esordii,
stringendo i pugni e stando un po’ rigida, “Io non ci sto capendo nulla. So
solo che mi fa piacere averti qui e mi fai stare bene. Se ti va di dormire qui,
al mio fianco, sei il benvenuto”.
Mi
aspettavo domande inquisitorie, musi lunghi, ma lui iniziò a svestirsi fino a
rimanere in boxer, si avvicinò al letto e lo disfò, prendendo posto.
“Vieni,
dormi con me”.
Incredula,
lo seguii e presi posto al suo fianco, per poi accoccolarmi tra le sue braccia.
“Luca...”.
“Alice,
non voglio litigare, per favore. Sono qui, per te. Ti basta?”.
“E’
più di quanto potessi chiedere, stasera”.
“Domani
parliamo”.
“Va
bene. Scusami ancora. Sei la cosa migliore che mi potesse capitare in questi
giorni”.
Lentamente,
senza rispondere, Luca appoggiò le
labbra sulla mia fronte e mi lasciò un bacio lieve seppur super caloroso, per
poi stringermi a sè in un modo che mi fece sentire accettata e al sicuro.
Chiusi
gli occhi istantaneamente e mi beai del calore che veniva emenato dal suo
corpo, dicendomi che ero stata fin troppo fortunata.
Ore
tre del tredici luglio, la calma dell’hotel fu interrotta dal rumore di
qualcosa di rotto.
Io
e Luca dormivamo beatamente, non sentimmo nulla, ma ovviamente all’orecchio
vigile di Saverio non sfuggì nulla.
Nadia,
che dormiva con lui, si svegliò a sua volta e insieme corsero al terzo piano,
quello sopra il loro, perché il rumore sembrava provenire da lì.
Un
gruppo di ragazzi era responsabile della rottura di un costoso vaso in ceramica
e, ovviamente, nessuno voleva dire chi era stato.
“Sapete
che vi dico?” sbottò il coordinatore, arrabbiato. “Domani mattina giochiamo al
Grande Fratello”.
Nadia
lo guardò, senza capire, ancora assonnata.
“Cosa...?”.
“Ci
sono le telecamere ovunque, ragazzi. Vedremo un po’ i movimenti di questi
corriodoi nelle ultime ore così scopriremo il responsabile e pagherà i danni”.
Inutile
dire che la faccia di Nadia sbiancò: sapeva che la mia camera era in quel piano
e che, di sicuro, Saverio avrebbe visto Luca entrare e uscire varie volte.
*°*°*°
Eccomi
di nuovo qui, in ritardo ma in anticipo rispetto agli ultimi standard.
Siamo
verso la fine, gente, e iniziamo a fare i conti con ciò che è successo nei
capitoli precedente.
Solito
tira e molla per Alice e Luca, con una nuova alleata: Nadia.
Cosa
succederà ora?
Saverio
scoprirà tutto? E se sì, come reagirà?
Lo
scopriremo presto!
Grazie
ai nuovi lettori e recensori, siete unici, grazie davvero!
Un
bacio,
milly.
|
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Capitolo 11 *** Day 11: Vaffanculo! ***
11ali
Capitolo 11
Day 11: Vaffanculo!
Fu
un risveglio piuttosto dolce se paragonato alla tragedia della sera prima.
Mi
ero svegliata presto come al solito perché anche se c'erano email da tradurre dovevo comunque accompagnare i
ragazzi in giro per l’ultimo giorno in città e mi sentivo rinvigorita dopo una
nottata di sonno partcolarmente tranquilla.
Vedere
Luca che dormiva beato nel letto king size mi intenerì, quasi pensai che
dormire semplicemente l’uno accanto all’altra, come era successo la notte del
mio compleanno, ci avesse unito più del dovuto.
Feci
una doccia rapida e, quando tornai in camera per prendere i vestiti, vidi che
Luca si era svegliato a sua volta e si era messo a sedere.
“Ti
ho svegliato...?” domandai, preoccupata visto che era il suo giorno libero.
Lui,
con i capelli arruffati e un sorriso genuino, scosse il capo.
“No,
deve essere l’abitudine, ormai”.
“Vero...
Senti, io devo andare, ma tu resta a dormire, goditi la stanza per me”
mormorai, prima di avvvicinarmi alla valigia che non avevo disfatto per
scegliere cosa mettere.
In
men che non si dica, lui si era alzato e mi aveva raggiunto, abbracciandomi da
dietro.
“Dormire
accanto a te non mi fa bene” sospirò, appoggiando il mento sulla mia spalla.
Mi
irrigidii di colpo per poi rilassarmi appena mi posò qualche bacio tra le
spalle e il collo.
“Perché?”
domandai, cercando di non sospirare.
“Ho
fatto una marea di sogni spinti” confessò, lasciando che una mano vagasse sotto
la maglia del pigiama, all’altezza dei fianchi.
Deglutii,
dicendomi che non potevo reggere una giornata senza di lui se iniziava a fare
così.
“E
cosa succedeva...?” chiesi, non riuscendo a trattenermi.
Come
ogni volta che eravamo vicini, dimenticavo cosa dovevo fare nel giro di un’ora
e tutto girava solo attorno a lui, a noi, al suo modo di toccarmi e farmi
provare piacere.
“Tante
cose” rispose, vago, ma sottolineando il concetto arrivando al mio seno e
accarezzandolo con audacia.
“E
con chi facevi queste cose?”.
“Con
te, ovviamente”.
Non
riuscendo a resistere, mi voltai, trovandomelo faccia a faccia, e lo spinsi sul
letto per poi mettermi a cavalcioni su di lui.
“Ti
autorizzo a... Mostrarmi un sogno a piacere, anzi, il più eccitante. Posso presentarmi a colazione
anche tra un’ora” borbottai frettolosamente e, per sottolineare il concetto, mi
tolsi la maglia e restai nuda dalla vita in su.
La
reazione di Luca fu quella che speravo visto che si fiondò a baciarmi i seni
quasi con devozione per poi togliermi il resto del pigiama mentre io lo
spogliavo a sua volta.
Era
bello guardarlo mentre era in uno stato di eccitazione, sembrava diverso, più
reale, meno controllato del solito ragazzo di sempre.
Adoravo
vederlo mentre si perdeva nella contemplazione del mio corpo e si dedicava a me
in un modo decisamente certosino.
“Se
devo sceglierne uno” sussurrò contro il mio orecchio, “Direi quello in cui ci
davamo dentro in un bagno”.
“In
un bagno...?”.
“Esattamente”.
Ci
volle più a dirsi che a farsi: in trenta secondi eravamo in bagno, io seduta
sul ripiano vicino al lavandino e lui di fronte a me che mi sussurrava complimenti
espliciti e coloriti mentre arrotolavo le gambe attorno alla sua vita.
“Stasera
scelgo io” gli ricordai ridacchiando mentre era già dentro di me, con un ritmo
decisamente più frenetico del solito.
“Con
piacere”.
“Oh,
quello c’è di sicuro... Oh!”.
Ce
ne stavamo così, ancorati uno all’altra, come se il litigio della sera
precedente non fosse mai esistito nella realtà dei fatti.
Sentivo
di star per espolodere per il piacere, Luca era troppo per i miei standard e mi
coinvolgeva in un modo tale che mi risultava difficile trattenermi e non essere
rumorosa in modo molesto.
C’erano
comunque decine di minorenni nelle stanze vicine e noi eravamo lì,
menefreghisti, irresponsabili, colti da una passione sfrenata che non ci faceva
ragionare.
“Ti
piacciono i miei sogni, eh?”.
“Meglio
questa realtà...”.
Ma
la realtà era un’altra, quella che stava avendo luogo a pochi piani di distanza
da noi.
“Saverio,
è un’idea stupida, sai, telecamere e minorenni non vanno d’accordo” esclamò
Nadia nello stesso istante in cui io ero con Luca.
Saverio
si stava infilando le scarpe, arrabbiato per l’accaduto di quella notte.
“No,
ti sbagli. Avresti ragione se li avessi ripresi io, qui si tratta delle
telecamere dell’hotel. Ne stai facendo un caso di stato”.
“Almeno
guarda tutto prima tu e poi chiami i ragazzi”.
“Ma
perché!”.
“Saverio...”.
“Mi
nascondi qualcosa?”.
Rapida
come non mai, Nadia finse di non sentire e scappò in bagno con il cellulare in
mano.
Mi
stava chiamando, ma ovviamente io ero impegnata in ben altri affari e il
cellulare era l’ultimo dei miei pensieri.
“Nadia,
allora? Che mi nascondi?”.
Nadia
non sapeva che fare, memore della discussione tra me e Saverio di soli due
giorni prima.
Più
che altro, sapeva che il danno maggiore per lui sarebbe stata la mancanza di
fiducia del mio non dirgli nulla dopo tutto ciò che avevamo passato.
Sveglia
com’era, intuì il perché del mio non rispondere, visto che solitamente ero
sempre vigile, così agì d’istinto dopo essersi guardata allo specchio.
Era
ancora in reggiseno così, di scatto, tolse l’intimo e uscì dal bagno.
Saverio
era di spalle mentre leggeva qualcosa sul display del cellulare.
“Eccomi”.
“Finalment...oh.
Nadia...”.
“Eddai!
Stanotte torniamo al campus, poi ci saranno i giorni pre partenza e tu sarai
super impegnato, anche io, saltiamo la colazione...”.
“Nadia,
non p....”.
Ma
Nadia lo aveva già afferrato per mano e lo aveva spinto sul letto, baciandolo
con dolcezza.
“Maledizione!”.
Tornare
alla realtà dopo quella parentesi da sogno fu davvero dura.
Rivestirsi
con Luca che faceva lo scemo, diceva battutine esplicite e non perdeva tempo
per abbracciarmi o attirarmi a sé fu davvero difficile perché mi trovavo divisa
tra il piacere e il comfort di una camera lussuosa e la prospettiva di una
giornata in giro con degli adolescenti rumorosi come non mai.
“Stasera
ti voglio carica” ridacchiò, steso sul letto, con la testa appoggiata su una
mano, mentre io prendevo il cellulare.
“Cosa?
Quattro chiamate perse da Nadia?”.
Ovviamente
l’Alice irrispettosa scomparve in un battibaleno e diede il cambio a quella
ansiosa che sapeva di non essere stata una lavoratrice modello nelle ultime
ore.
“Se
fosse stato urgente sarebbe venuta fin qui” provò a tranquillizzarmi Luca,
mettendosi a sedere.
“Nel
dubbio corro a colazione” decisi, prendendo rapidamente tutti gli accessori e urtando
contro un mobiletto, facendomi male tanto da chiudere gli occhi e iniziare a
saltellare su una gamba sola.
“Alice!
Calma!”.
“Devo
scappare”.
“Non
così, calma!”.
Mi
si avvicinò e iniziò a massaggiarmi la gamba che avevo urtato, mentre io,
impaziente, sbuffavo e mi maledicevo.
“Non
mi calmo”.
“Non
puoi fare così, Alice. Non hai fatto niente di male, basta. Ora con calma
scendi giù a colazione e dici che eri stanchissima” esclamò deciso.
Lasciai
che mi massaggiasse ancora e quando il dolore fu minore gli sorrisi.
“Hai
ragione”.
“Ho
sempre ragione!”.
Mi
baciò e mi passò lo zaino e il cellulare.
“Sarà
una bella giornata!”.
“Per
te sì, che sei nella mia king size...”.
"E per te sarà una bella serata, con la mia king size...".
Incredula
per quella battutaccia poco raffinata - ma abbastanza veritiera, dovevo
ammetterlo - , afferrai uno dei cuscini del divano e glielo gettai
addosso, ma lui si scansò e corse verso di me per vendicarsi,
solo che ero davvero al limite del tempo e dovevo uscire in pochi
istanti.
Mi
feci forza ed uscii rapidamente, mi avvicinai all’ascensore da pigrona qual ero
e mentre l’attesi udii le voci di Saverio e Nadia.
Saverio
mi vide e si bloccò, sembrava parecchio più rilassato del solito.
“Anche
tu in ritardo, Alice?” domandò, sorpreso. “Ieri te
ne sei andata presto! Luca è libero, ci sono solo Salvatore,
Clara, Mario ed Elena con i ragazzi?”.
Deglutii,
sentendomi colpevole più che mai.
“Sì,
scusami, non ho sentito la sveglia, scendo con voi” mi affrettai a dire,
ignorando l’ascensore ormai sul pianerottolo.
“Ok
ma voglio vedere la camera a cui ho rinunciato per te”.
Mi
bloccai.
Luca
poteva nascondersi come facevamo ai tempi delle gite del liceo, ma il problema
vero e proprio era che, come una deficiente, non avevo preso la tessera per
entrare, gliel’avevo lasciata.
Come
giustificare il tutto?
Dovevo
dire di averla persa? La sorveglianza avrebbe fatto il suo dovere e sarebbe
emerso tutto, accidenti!
“Stasera,
su, ora ho fame”.
“Ma
che avete stamattina, tutte voi? Siete strane... Ti ho ceduto la camera e
voglio vedere ciò che mi perdo”.
“Non
ho niente, ho solo fame!”.
Ma
mentre dicevo queste parole sentii uno scatto, mi voltai cautamente e vidi che
la porta era aperta di un millimetro.
Luca
aveva capito tutto, ne ero sicura!
E
evidentemente era corso a nascondersi, no?
Dovevo
fidarmi di lui, era sveglio, spesso lo era molto più di me, così
mi voltai e mi finsi scioccata, avvicinandomi alla porta.
“Saverio,
mi hai salvato, stavo per lasciare la porta aperta! Maledetta me! Entrate, su,
rapidi che ho fame!”.
“Ma
sei scema...!”.
Animata
dalla complicità con Luca non badai agli insulti e mi limitai ad entrare,
trovando la tessera sul mobiletto vicino all’ingresso.
Dove
si era nascosto?
Dovevo
avere fiducia, sarebbe andato tutto bene, pochi secondi e me la sarei scampata.
Saverio
ammirava ogni dettaglio e Nadia mi guardava con comprensione, come a dirmi che
era tutto ok, eppure io non mi sentivo tranquilla affatto.
Mentre
mi dicevo che di sicuro Luca era in uno degli armadi o sotto il letto
gigantesco, Saverio andò verso il bagno.
Volevo
solo che se ne andasse il più presto possibile, avevo un’ansia assurda!
Mi
voltai approfittando del fatto che il coordinatore fosse di spalle ma non vidi
nessun segno della presenza di Luca.
Si
era forse dileguato?
No.
No,
non si era dileguato perché appena tornai alla realtà dopo qualche momento di
perlustrazione mi ritrovai in bagno e vidi che Luca se ne stava appoggiato alla
vasca, ancora in boxer, mentre controllava quella che sembrava la didascalia di
una confezione di shampoo.
Sorrideva
nervosamente e Saverio lo fissava, senza capire.
Poi
prese un bel respiro, sembrò ragionarci e guardò prima lui, poi me.
“Il
bucato insieme, i balli, il ragazzo che si fa male perché tu ovviamente sei
impegnato altrove... E magari quando hai beccato me e Nadia già te la facevi
con lui”.
Queste
furono le dure parole di Saverio, non ci fu altro, se non il rumore di alcuni
prodotti sul lavandino che caddero per terra perché li aveva urtati senza
volerlo, come se improvvisamente fosse dieci volte più grosso, come il nostro
segreto.
Si
dileguò, deluso, uscì sbattendo la porta e Nadia lo seguì dopo averci lanciato
un’occhiata di comprensione.
Incredula
per ciò che era successo mi voltai verso Luca, con la bocca semi spalancata.
“Se
il tuo piano era dire la verità in maniera così plateale potevi evitare di
aiutarmi con la chiave della porta” lo
rimproverai subito, furente.
Lui
mi guardò, piegando un po’ la testa di lato.
“L’ho
deciso quando ho capito di non avere scampo. Che senso ha, Alice? Siamo liberi,
ora, come lui e Nadia”.
“Ma
lui e Nadia sono in una vera relazione, io non voglio mettere tutto a
rischio per qualcosa di...”.
“Indefinito?
Astratto? Ma vaffanculo, Alice!”.
Si
alzò di scatto e andò a passo di marcia verso i suoi vestiti, che iniziò a
indossare rapidamente.
“Luca,
non ci siamo capiti...”.
“No,
non ci siamo proprio capiti Alice, hai ragione, per te sono praticamente un
pezzo di carne con cui fare sesso selvaggio”.
“No!
E poi che parli a fare tu che prendi decisioni così importanti come rivelarci
al nostro capo senza il mio consenso! Non mi piace chi prende decisioni per
me!”.
“Questo
l’ho capito. Ti piace comandare, sei una di quelle che sa solo dare ordini e
non ascolta anche le richieste dell’altro...”.
Si
infilò la camicia della sera prima, poi le scarpe, il tutto con movimenti quasi
robotici.
“Cosa?
Luca ma sei impazzito? Ora passo io dalla parte del torto?”.
“Sì!
Un’altra al posto tuo avrebbe visto il positivo in questo gesto, avrebbe
pensato che magari l’ho fatto perché sono sicuro di te e che stiamo bene, e
invece no, tu badi solo all’opinione che il capo avrà di te e a ciò che vuoi
impormi di fare. Non funziona così” sbottò, puntandomi l’indice contro. “Ora
vai pure che ti avranno dato per dispersa, chissà cosa penseranno gli altri,
eh”.
“Prendimi
pure in giro...”.
“No.
Non ti prendo in giro Alice, non lo farei mai. Sto solo descrivendo come sei e
credevo che qualcosa fosse cambiato dopo stanotte, invece no”.
Non
dissi nulla, sentivo la voce tremare mentre lo stomaco si ribaltava in un modo
che quasi mi faceva male.
“Cosa
vuoi da me...?” chiesi infine, sforzandomi di non mostrarmi turbata.
“Niente,
ora come ora proprio niente. Per me finisce qui, sempre se abbiamo mai iniziato”.
Prese
la giacca, il cellulare e uscì senza voltarsi indietro nemmeno per mezzo
secondo.
Forse
non avevo capito nulla di lui, ma una cosa la sapevo: non aveva visto la vera
me ed io ero spaventata dall’aver visto il vero lui in quegli ultimi secondi.
Arrivai
nella hall quando ormai tutti erano pronti per finire l’ultimo giro di
escursioni della giornata.
Subito,
come un lampo, Saverio mi vide e mi raggiunse.
Temevo
avrebbe urlato lì, davanti a tutti, invece si limitò a porgermi una borsa
contenente un pc portatile.
“Ci
sono varie email a cui rispondere, ti ho lasciato tutte le istruzioni. Ci
vediamo starsera”.
“Saverio...”.
“Ti
avevo detto che mi servivi qui per tradurre le email per i prossimi giorni”.
“Non
c’entra, volevo... Scusarmi”.
“Non
penso tu debba scusarti con me ma con chi nel suo giorno libero decide comunque
di venire in giro per la città con noi. Poi parliamo” spiegò, indicando con lo
sguardo dietro di lui.
In
effetti Luca era lì, con una maglia a righe e dei jeans che lo facevano
sembrare uno dei ragazzi, e parlava con Giada.
“Quindi
lui viene con voi e io sto qui...”.
“...
A svolgere il tuo lavoro, sì. Hai diritto al pranzo con gli altri clienti, noi
torniamo per le sedici e poi ci mettiamo in viaggio”.
Annuii,
senza aggiungere altro, e mi voltai quando avvertii una mano calda stringermi
il braccio.
Nadia
era lì, sempre presente, con un sorriso mesto dipinto in faccia.
“Ali,
ho fatto di tutto, davvero. Stanotte dei ragazzi hanno rotto un vaso e Saverio
voleva vedere cos’era successo tramite telecamere. Era successo al tuo piano e
per evitare che lo facesse e vedesse Luca entrare e uscire da camera tua ho
fatto di tutto, per questo ti ho chiamato stamattina”.
Sorrisi
debolmente e l’abbracciai con calore.
“Grazie,
davvero”.
“Poi
ne parliamo, ok?”.
“Certo”.
La
stavano chiamando e fu costretta ad andarsene, così se ne andò e io rimasi lì,
a stomaco vuoto, con il cervello pieno di pensieri e un computer con cui
lavorare.
Alle
sedici avevo gli occhi che mi bruciavano per la stanchezza e un mega brufolo
che mi era spuntato nei pressi della fronte, probabilmente a causa del mega
hamburger olioso che avevo divorato a
pranzo con mille patatine fritte.
Controllai
il lavoro svolto di malavoglia e salvai il file con tutti gli appunti per il
coordinatore.
Dopo
pranzo avevo sistemato quei pochi abiti usati e i miei prodotti, la valigia era
pronta, così mi distesi per l’ultima volta su quel letto magnifico e morbido
che avrei portato volentieri con me.
Cosa
era successo alla mia vita?
Cosa
era rimasto della studentessa incerta di pochi mesi prima?
Dove
avevo trovato l’audiacia di gettarmi in una storia di quattro giorni e qualche
ora con un collega che però mi sembrava decisamente più lunga?
Il
tempo mi sembrava amplificato, scorreva lento, come se ogni secondo durasse
mezz’ora.
Ero
in Inghilterra da soli undici giorni, possibile?
Ormai
ero abituata a sentire voci straniere ovunque, era l’italiano che quasi mi
suonava strano se sentito da qualche bocca che non fosse del team.
Chiusi
gli occhi, mi parve di rivivere tutte le scene vissute con Luca, quel primo
bacio, l’appuntamento nemmeno iniziato, i baci nella sua stanza, il nostro
punzecchiarci...
Cosa
volevo?
Saverio
alla fine aveva reagito meglio del previsto, perché avevo urlato contro Luca?
...
Perché era qualcuno che mi sorprendeva in tutti i sensi e che non riuscivo a
controllare, ecco perché.
Ero
una fifona, ancora, e forse non nutrivo sentimenti, forse solo una forte
attrazione.
Non
sapevo nulla, niente di niente.
Sbuffai
quando sentii il cellulare squillare, risposi e Saverio mi disse che dovevo
scendere e partire con loro.
Con
un nodo alla gola, tipico di chi sa che sta per entrare nella fase cruciale di
un processo, raccattai i miei ultimi oggetti personali e salutai la stanza che
mi aveva ospitato per quarantotto ore.
Scesi
nella hall e diedi subito il pc a Saverio, il quale mi salutò con un cenno.
“Sei
con me, Nadia e Mario nel pullman numero uno” disse senza preamboli, tuttavia
prendendo il mio trolley con gentilezza.
“Saverio,
non abbiamo divorziato, non devi...”.
“Non
montarti la testa, Alice. E’ ancora il giorno libero di Luca e mi ha chiesto di
stare nello stesso pullman di Giada”.
Alzai
le mani e roteai gli occhi, sbuffando, e mi limitai a seguirlo con aria passiva
dopo aver salutato la gentilissima receptionist.
Tra
i due pullman c’era la tipica aria allegra di una gita appena conclusa, piena
di entusiasmo mista a una stanchezza strana, euforica.
Luca
aveva gli occhiali da sole e sorrideva, gesticolava, prendeva in giro uno dei
ragazzi.
Senza badare a nessuno salii sul pullman e
presi posto ma il capo mi bloccò.
“Ti
siedi al mio fianco, dobbiamo parlare” sentenziò.
Annuii,
rassegnata, così dieci minuti dopo eravamo partiti tutti, pronti per tornare verso
la periferia di Londra.
Dietro
me e Saverio, Nadia e Mario ridacchiavano su non so quale avvenimento della
giornata.
Dopo
aver dato le solite istruzioni – “Allacciate la cintura! Non mangiate! Non fate
chiasso!” – Saverio si fece spazio al mio fianco e mi guardò in un modo strano.
Sembrava
volermi giudicare, severo, poi però rise.
“Perché
ridi?”.
“Perché
io ti prendevo in giro per la camera deluxe ma davvero l’hai sfruttata bene”.
“Saverio!”.
Scosse
il capo e mi poggiò una mano sulla spalla, con un fare diverso, più fraterno.
“Non
sto per rimproverarti”.
“L’ho
capito, anche se non è coerente con il discorso che mi facesti riguardo Javier”
gli ricordai.
“Sì,
perché il discorso è sempre lo stesso: Javier è spagnolo, lo avrebbe detto
all’altro team, qui se la voce non si diffonde è tutto ok”.
“Allora
prega che nessuno lo dica a Paula...”.
Fu
una lunga chiacchierata, scontata ma positiva per me che me ne ero stata zitta
tutto il giorno a rimuginare.
Non
dissi altro che la realtà dei fatti e alla fine scoprii che lui già sapeva
tutto.
“Te
l’ha detto Luca” indovinai quindi, rassegnata.
“Non
solo”.
“Nadia!”.
“Ecco.
Alice, lo hai ferito, profondamente. Sai quando voi ragazze vi illudete su uno
e poi scoprite che voleva solo portarvi a letto...?”.
Spalancai
la bocca, incredula.
Era
quindi ciò che ne era emerso della questione?
Come
sono melodrammatici certi ragazzi, assurdo!
“Non
mi sembra proprio questo il caso, davvero” lo interruppi. “Semplicemente lui
prima dice che va tutto bene così, senza etichette, poi se ne esce dicendo che
pensa al futuro e io passo per stronza se oso dire che ciò che c’è tra noi non
è una relazione vera e propria, al momento. Se è così melodrammatico avrà
vissuto malissimo le tipiche storielle estive, da adolescente”.
“Non
ti credo, Alice. Ora ironizzi e fai la dura ma non sei così spietata...”.
“Spietata?
Realista, al massimo”.
“La
realtà fa così schifo da essere spietata. Stiamo lì. Comunque se vuoi parlare
dimmi tutto senza problemi”.
Mi
appoggiai con forza contro lo schienale e mi massaggiai la tempia lentamente.
“Forse
sarebbe stato meglio se lo avessi scoperto attraverso le telecamere, così lui
non avrebbe fatto l’eroe e...”.
“Che
fai, ti torturi, ora?”.
“No.
Voglio alleviare i sensi di colpa”.
“Impara
a conviverci che ora inizia il boom, gli ultimi giorni saranno un casino e
anche se tra due giorni non avrai più nulla da tradurre, l’ultimo giorno mi
servirà una mano con la sorveglianza”.
Feci
un cenno affermativo e mi voltai verso il finestrino, gesto che fece
comprendere a Saverio che per ora era tutto e che non avevo voglia di parlare
d’altro.
Ritornammo
al college alle diciotto passate e ad attenderci ci fu il team spagnolo,
prontissimo per l’ennesima serata organizzata visto che mandare a letto i
ragazzi subito dopo cena era sconsigliabile: di sicuro, reduci dalle esperienze
della gita, sarebbero sgaiattolati fuori dalle stanze per organizzare pigiama
party e festicciole.
Trovandomi
davanti, fui la prima a scendere e salutai sia la Rosales che Javier, Paula e
gli altri.
Paula
ovviamente mi squadrò e parve sorpresa nel vedere Luca scendere dall’altro
pullman.
Provai
a recuperare il mio trolley ma Javier mi aiutò prontamente, riuscendo a
prenderlo in pochi secondi nonostante fosse incastrato.
“Grazie,
Javi”.
“Tutto
bene il viaggio?” domandò, cordiale.
“Movimentato”
mi limitai a dire, mentre prendevo il bagaglio.
“Qui
ci siamo annoiati da morire! Ma per fortuna stasera c’è la serata quiz”.
“Fidati,
saremo tutti k.o.” ammisi, sottolineando il tutto con uno sbadiglio alquanto sonoro
che lo fece ridere.
Ci
fu il solito caos mentre ognuno recuperava la propria squadra e dava ordini
precisi riguardo le ore successive: cena, serata e poi tutti a letto visto che
il giorno seguente ci sarebbe stato il test finale di inglese e quello di
spagnolo.
Io
mi beai come non mai del fatto di non avere una squadra da accudire e mi avviai
verso gli alloggi trascinandomi dietro il trolley e lo sguardo mi cadde su
Giada che rideva mentre parlava con Luca.
Ancora?
Ma
cosa era successo? Mi ero persa qualcosa?
Sì,
avevano ballato insieme, poi lei gli aveva chiesto di fare due passi, ma poi?
La
situazione mi fu chiarita a cena da Nadia, visto che fummo le prime a prendere
posto al solito tavolo.
“Giada
è partita con la testa da quando hanno ballato ieri sera! Infatti lo ha
invitato a fare due passi ma lui era da te, ovviamente” mi informò cautamente,
guardandosi intorno per appurare che nessuno ci stesse spiando.
“E
oggi invece...Fiesta!” sospirai, immaginando quanto avessero fatto i cretini ad
Oxford visto che lui era libero e lei, in quanto dottoressa, doveva intervenire
solo in caso di infortunio.
“Hanno
riso e parlato tutto il tempo, sì, ma per me lui lo fa per farti ingelosire”.
“Ingelosire!
Infastidirmi, impartirmi una lezione, forse, ma qui non siamo all’asilo... Non
può pretendere nulla da me e visto che a quanto pare l’ho deluso e mi ha anche
mandato a quel paese, beh, ci vado e me ne sto lì per i fatti miei, senza
essere disturbata da nessuno”.
Proprio
in quel momento entrarono entrambi in mensa, vicini vicini, e lui portava tra
mani un enorme vassoio con il cibo di entrambi, come aveva fatto con me circa
una settimana prima.
“Mi
sa che non ci riuscirai” sussurrò la group leader, prima di fingere un sorriso
falso nei confronti dei due.
Io
mi limitai a un cenno e sperai che cambiassero tavolo ma no, erano lì, vicino a
noi, intenti nel parlare di chissà quale fantomatico avvenimento avvenuto nelle
ultime ore.
Luca
non mi degnò di uno sguardo e passò il cibo a Giada con gentilezza, mentre io
mi fingevo interessata alle mie uova e alla mia insalata.
Solo
dodici ore prima stavamo facendo sesso ed ora eccoci lì, come due estranei.
Per
fortuna, l’arrivo del resto del gruppo portò un po’ di distrazione, anche
perché Saverio decise di fare lì la riunione, visto come eravamo stanchi dopo
il weekend fuori.
Ci
disse che il giorno successivo saremmo stati lì, senza escursioni, per far fare
il test di inglese la mattina e quello di spagnolo il pomeriggio, e ne avremmo
approfittato per preparare un video di addio per i ragazzi, composto da foto e
video messaggi.
Ovviamente
io dovevo stare sia con il team sia con gli spagnoli, che novità.
Il
giorno successivo, invece, ci toccava stare fuori tutto il giorno, cenare
fuori, tornare, mostrare il video e tornare per la partenza.
Udendo
ciò, il mio cuore accelerò e realizzai che, sì, quell’avventura stava volgendo
al termine.
Sentii
gli occhi lucidi, lo stomaco contorcersi e non riuscii a controllarmi: mi
affrettai ad asciugare qualche lacrima prima di farmi notare.
Portai
con me quello spirito nostalgico e alla serata quiz non ero molto presente.
Ero
confusa, mi sembrava di aver sbattuto il cervello da qualche parte, non
riuscivo a seguire le domande che venivano poste ai ragazzi e a ridere delle
risposte come facevano tutti.
Giulio,
che ormai mi seguiva come una mascotte, cercava di farsi aiutare ma io non ero
in grado di dargli un aiuto concreto.
Erano
ormai le dieci meno venti quando Nadia mi accarezzò un braccio e mi disse: “Vai
a prendere un po’ d’aria, tranquilla”.
Annuii
e uscì dalla grande sala del campus che era stata adibita per l’occasione,
prendendo un bel respiro.
Arrivata
a metà rampa di scale decisi di prendere posto e di bere un sorso d’acqua,
agognando il letto come non mai.
“Tra
poco tocca a me fare le domande, andiamo, su...”.
“Aspetta,
però!”.
Alzai
lo sguardo.
Era
tutto così ovvio, banale, scontato, che ritrovarmelo davanti non fu altro che
una semplice conferma, come quando vedi una telenovela e sai già dal primo
episodio chi se la farà con chi.
A
metà della rampa di scala precedente c’erano Luca e Giada abbracciati e lei lo
aveva appena fermato per baciarlo con passione.
Non
riuscii a trattenermi, deglutii e poi finsi di schiarirmi la voce, facendoli
sobbalzare.
Giada
mi guardò, portandosi una mano alla bocca, invece Luca rimase fermo, senza dire
nulla.
“Prego,
tolgo il disturbo, proprio come hai fatto tu stamattina, Luca” sbottai, sorrisi
falsamente e, alzandomi, scesi le scale e andai verso l’atrio, sentendo le
domande di Giada che si affollavano nel suo cervello.
*§*§*§*§
Ed eccoci qui, terzultimo capitolo, gente!
Le cose stanno decisamente cambiando, non trovate?
Saverio sa tutto, l'ha presa bene e Alice e Luca si sono "separati" per l'ennesima volta.
Che ne pensate?
Alice cosa prova per Luca secondo voi?
Grazie a chi continua a seguire questo mio piccolo sclero <3
A presto,
milly.
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Capitolo 12 *** Day 12-13: E’ stato un incidente ***
12al
Capitolo 12
Day 12/13: E’ stato un incidente
Ritornata
nella sala dove si stava svolgendo il quiz ero stata in silenzio e solo alla
fine avevo raccontato gli ultimi sviluppi a Nadia.
Lei,
stizzita, mi aveva ricordato che Giada probabilmente non sapeva nulla e che non
aveva colpe se non essersi presa una sbandata per Luca ed io avevo
semplicemente annuito.
Alla
fine della serata ero subito andata nella mia camera nella speranza di non
incontrare Luca e mi ero messa a dormire, svegliandomi circa sette ore dopo un
po’ più tranquilla e rilassata.
Ci
avevo riflettuto: non ero stata molto sensibile per come mi ero espressa con
Luca, avevo davvero sminuito la nostra “relazione”, ma lui aveva sbagliato nel
cercare subito un’altra compagnia senza nascondersi.
Non
eravamo dei liceali!
Consapevole
di ciò, mi preparai per affrontare la giornata nel migliore dei modi, dicendomi
di contare prima fino a dieci prima di parlare.
Andai
verso la mensa, presi una colazione più abbondante del solito, mangiai e poi mi
alzai, ancor prima che arrivassero gli altri, per andarmene sul prato e stare
al sole, visto che la giornata prometteva bene.
Misi
gli occhiali da sole, usai lo zaino rosso come cuscino e mi distesi, felice di
avere almeno quaranta minuti di pace.
Pace
che, ovviamente, durò pochissimo.
“Ali”.
Stessa
intonazione, stessa voce, la solita che mi aveva chiamato così in numerose
occasioni, anche quelle più intime.
Mi
irrigidii e fui felice di avere gli occhiali che mi mascheravano lo sguardo,
anche se durò poco visto vhe Luca non esitò a muoversi ad alzarli per
obbligarmi a guardarlo.
Seccata,
mi misi a sedere, ora senza gli occhiali da sole come schermo.
“Sì?”
dissi semplicemente, in un tono non proprio simpatico.
Luca
si mise a sedere, le ginocchia al petto e le braccia che circondavano le gambe.
“Scusami”
disse in un soffio.
“Per
cosa?”.
Ero
cattiva, sadica, non volevo far capire di aver capito tutto.
“Lo
sai”.
“No,
non lo so...”.
Mi
guardò in maniera esplicita, come a dirmi che era impossibile non saperlo, poi
prese un bel respiro e si accinse a parlare.
“Ho
detto tutto a Giada, le ho detto dei giorni passati con te... Ieri sera, dopo
la serata. Non te lo negherò, stavo per andare in camera sua, ma non mi andava.
Tu sei stata onesta e lo apprezzo, evidentemente non ti interesso abbastanza,
non lo so, ma...”.
“Smettila!”.
Quasi
urlai, non potendone più di quel fiume di parole dopo il modo in cui si era
comportato.
Che
fare?
Urlare?
Litigare?
No.
Non me la sentivo, non ero pronta, avere informazioni addizionali non
migliorava la situazione.
“Cosa
vuoi da me?” sbottai, senza capire.
“Non
voglio lasciarti andare. Dobbiamo parlare, capire...”.
“Capire
cosa?”.
“Ora
che Saverio sa non abbiamo ostacoli, possiamo...”.
“Pensi
ancora a questo? Per te è questo il problema?!”.
Ritornavamo
ancora a quel punto? Davvero credeva che per me si limitasse tutto
all’apparire, al fare bella figura col capo?
“Beh...”.
“Ne
riparliamo quando avrai capito” sentenziai, ristendendomi, inforcando di nuovo gli
occhiali e non aggiungendo altro, lapidaria.
Evidentemente
Luca capì perché non disse altro e sentii i suoi passi allontanarsi da me,
forse una volta per tutte.
Presa
dall’ansia delle ultime cose da fare, feci da cavia per i video di addio.
Persi
più tempo del dovuto, obbedii ad ogni richiesta, mi immischiai in affari che
non mi riguardavano, feci il possibile per starmene con il team spagnolo e
quello inglese invece di badare a quello italiano, anche se alla fine verso
mezzogiorno fui costretta a tornare in ufficio.
Notai
che si stava celebrando una sorta di festa-riunione e mi domandai il perché.
“Che
succede?” chiesi, facendomi strada con difficoltà visto che c’erano almeno tre
persone che se ne stavano sul pavimento a giocare, ridere, lanciarsi cose a
caso e a fare una sorta di lotta molto infantile.
“E’
l’ultima volta che staremo in ufficio tutti insieme” mi ricordò Clara, come se
fosse una cosa matematica.
Spalancai
gli occhi, colpita, ed annuii facendo mente locale: era vero, accidenti!
Tra
l’escursione del giorno successivo e l’organizzazione della partenza non ci
sarebbero stati più momenti in ufficio, niente più mattinate passate al
computer mentre tutti erano di ronda durante le lezioni e Saverio passava a
controllarmi, niente più Luca che veniva a portarmi i Bounty tra un laboratorio
e l’altro...
Il
mio sguardo cadde improvvisamente su di lui e forse capì a cosa mi riferivo,
chissà, fatto sta che mi sorrise debolmente.
Giada
intercettò il tutto e si limitò a guardarmi, io mi voltai e scrollai le spalle,
così mi si avvicinò.
Silenziosa,
mi appoggiò una mano sulla spalla, mentre tutti tornavano alle loro ludiche
occupazioni.
“Non
ne sapevo nulla” disse, chiarissima seppur sussurrando.
“Lo
so. Tranquilla”.
“Giuro
che ci siamo solo baciati e ho lasciato per...”.
La
zittii con un abbraccio, per nulla ipocrita, ero semplicemente presa da una
strana marea di emozioni che al momento mi sembrava tutto stupido ed
irrilevante.
Giada
non aveva idea di nulla, ci aveva provato ed aveva beccato Luca in un momento
particolare, alla fine non aveva nessuna colpa.
“Sicura?”.
“Certo”.
Mi
strinse a sua volta e poi tornò verso Mario che voleva provare a fare la
verticale per non perdere la scommessa con Elena.
Sembrava
tutto caotico ma allo stesso tempo calmo, calmo perché i ragazzi a breve
avrebbero finito il test di inglese e iniziato quello di spagnolo dopo pranzo e
solo il giorno seguente ci avrebbero riempito di pensieri come loro solito, tra
un’escursione e l’altra, caotico perché eravamo noi ad essere agitati per la
stanchezza, la fine del viaggio e tutto ciò che si era aggiunto al nostro
bagaglio culturale, personale ed educativo.
Mi
appoggiai su uno dei gradini vicino la porta e vidi Saverio raggiungermi per
poi prendere posto al mio fianco.
“Sai,
pensavo” mormorò, guardando fisso davanti a sé, come se non vedesse davvero
Clara mangiare dei crackers mentre Luca cercava di toglierglieli di mano, “Che
dopotutto questa cagata della mediatrice non è stata una cattiva idea”.
Stupita,
mi voltai verso di lui.
“Mi
stai forse... Promuovendo, boss?”.
Si
girò, guardandomi finalmente in faccia e facendo l’occhiolino. “Sì, se non
teniamo in conto che ti sei scopata selvaggiamente un collega”.
“Idiota,
sei un idiota!” urlai, ma ormai già lo stavo abbracciando mentre chiamavo Nadia
a gran voce per bloccarlo e non farlo scappare.
“Alice
ha ragione. Non so cosa sia successo ma sei un idiota!” mi appoggiò subito lei,
ridendo a crepapelle mentre lo stringeva a sé.
“Weeee,
bacio, bacio, bacioooo!” s’intromise Mario, emerso dalla sua dolorosissima
verticale da vincitore.
“Shh,
per l’amor del cielo, se ci sentono gli al...”.
Ma
ormai Saverio si era zittito perché Nadia gli aveva piantato un bacio in piena bocca
con aria spensierata e Mario immortalava il tutto, minacciando di far finire la
foto incriminata sui social.
Quella
sera ci fu l’ultima serata organizzata dal team inglese, visto che quella
successiva sarebbe stata dedicata ad una cena a Londra seguita dalla visione
del video di arrivederci e dalla’organizzazione della partenza.
Vedevo
i poveri group leader già provati al solo pensiero di ciò che gli spettava nel
giro di poco più di ventiquattro ore: controllo delle stanze per cercare
eventuali danni, bagagli, ronda, poi due ore prima della partenza erano tenuti
a ritirare tutte le chiavi delle stanze e restituirle a Saverio, il quale
sarebbe rimasto in struttura per ancora due settimane.
A
cena Clara faceva una lista di cose da fare, Nadia sembrava preoccupata,
Salvatore sembrava pensieroso, Luca mangiava in silenzio.
Io
li guardavo, reduce dalla fine ufficiale del mio lavoro visto che tutto era
stato organizzato, le email erano state tradotte e riassunte, ci toccava solo
vivere l’ultima parte di ciò per cui avevamo lavorato tanto.
“Alice,
non osare andare a dormire domani senza aver aiutato” disse Saverio con aria
minacciosa, mentre finiva di mangiare il suo sandiwich.
“L’ho
mai fatto?” chiesi, offesa.
“Beh,
sì, lo hai fatto sabato dopo il ballo, non ti ho visto aiutare quando è
finito”.
A
parlare era stato proprio Luca, con mia somma sorpresa.
Mi
guardava con aria sprezzante, come aveva fatto i primi giorni di viaggio.
Eravamo tornati a quel punto?
No,
almeno io, no, non avrei fatto la mocciosa abbassandomi al suo livello.
“Ma
che ne sai, scusami, non sono una dei tuoi ragazzi che puoi controllare sempre”
ribadii senza scompormi, seppur con tanta fatica.
“Penso
di aver incrociato Alice nei corridoi” mi sostenne Clara, guardando male Luca.
Poverina,
doveva avere i ricordi così annebbiati a causa dei turni estenuanti che di
certo aveva confuso quell’informazione con un’altra visto che io ero davvero
andata subito in camera.
Le
sorrisi per ringraziarla e Luca ci fissò, senza aggiungere altro, sotto lo sguardo
di disapprovazione di Saverio.
“Se
permetti, Luca, tocca a me rimproverarvi e ricordarvi le cose, non ho bisogno
di un vice. Ricorda che io so sempre
tutto” esclamò, con il tono di chi sostiene che per lui la discussione è
ormai conclusa.
Luca
abbassò il capo e si finse interessato al suo piatto, mentre il tavolo
diventava così silenzioso da essere quasi imbarazzante.
La
cena proseguì così, senza nessuna conversazione, e invece di tornare in stanza
durante l’oretta libera che i ragazzi avevano prima della serata fummo
costretti a registrare gli ultimi saluti generali insieme agli altri due team.
Come
risultato, alle venti e trenta ero stanca morta, taciturna, come gran parte del
gruppo.
Me
ne stavo in una zona isolata della solita sala adibita a discoteca per l’ultima
serata “Un messaggio per te” quando, per la seconda volta da quando era
iniziata la giornata, Luca mi si avvicinò.
Appena
lo vidi, decisamente stufa e non disposta ad ascoltare un ulteriore insulto, mi
alzai di scatto e mi allontanai.
“Alice...”.
“Cosa
mi rimprovererai ora?” lo sbeffeggiai, alzando gli occhi al cielo, sacastica
come non lo ero da un bel po’.
Lui,
immobile, mi guardò bonariamente.
“Non
l’hai capito?”.
“Cosa?”.
“Da
stupido quale sono pensavo di usare la tecnica dei primi giorni. E’ litigando
che ci siamo avvicinati”.
“Ed
è litigando che ci siamo allontanati. Litighiamo solo, Luca, non è una cosa
sana” gli ricordai, sentendo quasi il fiato mancarmi.
“Ma
litighiamo per cose stupide, voglio dire, siamo in un contesto particolare e
...”.
“No,
Luca, no. Non troviamo un accordo, discutiamo,
mi hai offeso a morte e io cerco il rispetto in ogni situazione. Tu mi
hai mandato a quel paese ieri, ti ho accontentato e ora ti comporti così... Non
fare il bambino” sbottai, esasperata, seppur con la voce tremante.
Sospirò
pesantemente, trattenendomi per un braccio.
“Ero
arrabbiato e non è da me, mi sono sentito una nullità. Però immagino che se
devo pregarti non ci sia nulla da fare” aggiunse, rabbuiato.
“Io
non riesco a dare affetto se mi sento offesa, tradita...”.
“E’
più semplice, Alice, hai capito che non provi nulla per me” sentenziò e, con un
ultimo sorrise triste, si allontanò, lasciandomi lì senza sapere cosa dire.
Glorioso,
uggioso, incerto iniziò l’ultimo giorno di permanenza al Queen’s College, quel
posto che piano piano era entrato nella nostra routine, con la sua mensa troppo
lontana dai dormitori e dai mille alberi che ti causavano l’allergia se eri
allergico al polline e alle graminacee.
Due
settimane sembravano due mesi per tutte le avventure vissute e il pensiero di
tornare a casa, con i nostri orari, le nostre routine, ci sembrava assurdo,
fuori dal comune.
Esisteva
davvero un mondo normale, senza Saverio che dava indicazioni, adolescenti
pronti a discutere e a disobbedire e colleghi con il sorriso sempre pronto
anche se stanco e provato dall’aver dormito al massimo cinque ore?
Il
solo pensarlo mi sembrava decisamente strano.
Con
questi pensieri mi ritrovai a seguire la massa in giro per Londra, senza
ascoltare le guide turistiche, senza fare tesoro di quelle preziose
informazioni.
La
giornata passò fin troppo velocemente per i miei gusti e mi ritrovai il
pomeriggio con due ore libere, prima della partenza verso il ristorante dove
avremmo cenato tutti insieme per l’ultima volta.
Nadia
ovviamente l’avrebbe passata con Saverio – dovevano parlare – e Clara voleva
raggiungere per l’ultima volta Piccadilly Circus insieme a Giada ed Elena.
Mi
ritrovai da sola nei pressi di Trafalgar Square e appena vidi la National
Gallery i miei occhi si illuminarono: ecco il posto felice dove potevo starmene
in pace, di certo nessuno avrebbe pensato di andare in un museo, erano tutti
presi dallo shopping.
Decisi
di prendere prima un caffè visto che si prospettava una nottata priva di sonno
dato che dovendo tornare a Roma sarei partita con il gruppo di Napoli che aveva
l’aereo alle nove, così entrai in un café nelle vicinanze del museo e pensai
solo a godermi del tempo in tranquillità senza pensieri.
Mi
ero seduta da circa quindici minuti quando il mio cellulare iniziò a squillare,
rivelando una chiamata di Saverio.
Vedendo
il suo nome apparire sul display presi un enorme sospiro e dissi, sarcastica:
“Poteva mai durare la pace?”.
Risposi
e il fiume di parole che ne seguì fu decisamente poco chiaro, assurdo, ma ebbe
il potere di farmi mancare il respiro e correre via dal bar come un’ossessa.
Corsi
verso il semaforo che c’era nei pressi di Buckingham Palace come non avevo mai
corso in vita mia prima di quel momento.
Urtai
non quante persone, senza scusarmi, senza sentire le loro proteste, senza
sentire l’affanno e il sudore che ormai avevano preso pieno possesso del mio
corpo.
Non
pensai nemmeno al percorso da fare, probabilmente lo ricordavo da quando lo
avevamo fatto qualche giorno prima, fatto sta che seppi di essere arrivata a destinazione quando vidi un’ambulanza che
bloccava il traffico e tante magliette rosse raggruppate a pochi metri di
distanza.
“Alice!”.
La
prima a notarmi fu Nadia e mi corse incontro, forse per evitare una mia scenata
davanti a tutti.
“Come
sta, che è successo?” urlai, sentendomi quasi le forze mancare di fronte alla
visione sterile di quel grande furgoncino bianco.
Nadia
mi afferrò per le braccia e provò a farmi stare immobile, rassicurante.
“Ricordi
Mirko ed Enzo, i ragazzi che probabilmente si sono messi insieme una decina di
giorni fa?”.
“Sì,
ma cosa c’entrano?”.
“Hanno
discusso, pensantemente, ed Enzo tutto arrabbiato ha... Ha attraversato col
rosso” sussurrò, deglutendo pesantemente.
“Cosa?!”.
“Sì...
Luca era lì e ovviamente non ha perso tempo, è corso per evitare la catasrofe.
Avevano quasi attraversato del tutto quando una macchina è passata e...”.
“Non
fare la tragica, non l’hanno investito, è Luca che è ruzzolato per provare a
saltare e non essere investito”.
Saverio
ci aveva raggiunto e aveva concluso il racconto con serietà, severo, forse per
non lasciarsi trasportare dalla paura.
Vide
il vuoto nei miei occhi, la paura, e forse per non vederli più mi strinse a sé
mentre singhiozzavo e mi agitavo tutta.
“Al
massimo si è rotto un braccio, stai tranquilla”.
“Ma
lo avete visto?!”.
“Giada
lo ha soccorso e ha chiamato l’ambulanza, è tutto ok...”.
“Non
dire bugie!”.
“Davvero!”.
Non
voleva dirmi altro, anche se lo implorai di farlo, non si sbilanciò affatto
dicendo di non avere ulteriori informazioni perché in questi casi non bisogna
toccare la vittima fino all’arrivo dei soccorsi.
Sentivo
gli occhi del gruppo su di me, probabilmente notarono la mia reazione fin
troppo emotiva, ma non vi badai così iniziai ad attendere notizia a braccia
incrociate contro un muro.
L’unico
ad avvicinarsi fu Salvatore e fu quasi presa dall’istinto di urlargli contro
che non era il momento per una delle sue battutacce.
“Pensavo
che il vostro fosse solo un flirt ma si vede che c’è qualcosa in più” disse
subito, senza nemmeno chiedermi qualcosa di più formale e “normale”.
“Cosa?”
chiesi, incredula.
“Alice,
si vede lontano un miglio che c’è qualcosa tra voi” disse. “Sono qui se vuoi
parlare”.
Avrei
potuto negare, ma quel era il senso?
Mi vergognavo di ciò che provavo?
No.
Quindi
mi limitai ad annuire e a ringraziarlo, tornando però per i fatti miei, senza
alimentare in nessun modo la conversazione.
Finalmente,
nel giro di qualche minuto, i paramedici uscirono dall’ambulanza e Saverio e
Giada si affrettarono a raggiungerli mentre tutti noi ce ne stavamo con il
fiato sospeso.
Probabilmente
quelli furono i secondi più lunghi di tutta la mia vita, mi parve passato un
secolo quando si riavvicinarono a noi per parlare.
“Allora?”
domandai.
“Sta
bene, risponde a tutti gli stimoli, si è solo slogato il polso per proteggersi
durante l’impatto e faranno qualche controllo perché ha perso coscienza per
poco. Giada e Alice andranno con lui in ospedale, stasera tornerete in taxi al
college. Salvatore, a te va l’incarico di prendere il gruppo di Luca oltre al
tuo”.
Io
e Giada obbedimmo e subito ci affrettammo a raggiungere il nostro collega.
Era
una situazione tragicomica, del tipo “Lui, lei e l’altra”.
Era
tutto così assurdo, senza senso, malettamente tragicomico per certi versi che
mi ritrovai a ridere in maniera quasi schizofrenica poco dopo, mentre io e la
dottoressa ce ne stavamo sedute nella sala di attesa.
Ovviamente,
lei mi guardò senza parole per questo mio gesto ed io mi scusai agitando le
mani per minimizzare.
“Perdonami,
Giada, ma ti rendi conto?!”.
Confusa,
mi fissò senza sapere cosa dire.
“Cioè?”.
Mi
alzai, troppo carica di adrenalina per riuscire a stare ferma, camminai avanti
ed indietro e poi iniziai a gesticolare come una matta mentre provavo a spiegarmi.
“Luca
finisce in ospedale e chi lo accompagna? Quella con cui ha avuto una brevissima
storia e quella che ha baciato ieri, che guarda caso è anche una dottoressa.
Sembra una barzelletta” mormorai.
Giada
si morse un labbro e si agitò sulla sedia.
“Io
non avevo idea, ti ripeto”.
Notai
che sembrava ancora più mortificata ma allo stesso tempo seccata e mi resi
conto che era stata fin troppo calma e placida per i miei gusti nonostante
avesse scoperto che il tipo che sembrava voler passare del tempo con lei in
realtà lo stava facendo solo per ripiego.
Lo
percepii guardando il suo viso, sembrava davvero sul punto di fingere così
tanto da minacciare di scoppiare da un momento all’altro.
“Scusami.
Voglio dire, forse ti sei sentita usata ma non è così, avrai davvero colpito
Luca, di certo gli sarai sembrata più sana di mente di me” ammisi,prendendo
posto a fatica e guardandola con aria di scuse.
“Non
voglio immischiarmi” sbottò, d’un tratto più decisa.
“Ma
Giada...”.
“E’
sempre così, sono quella con cui esci per ripicca, poi ovviamente al momento
debito tutti se ne vanno dall’altra. Non fraintendermi, Luca per me non è altro
che un ragazzo carino, ma ciò ha riaperto vecchie ferite. A medicina ti
insegnano come mettere i punti di sutura e vorrei fosse facile ricucire tutto
anche con una cosa astratta come i sentimenti”.
Non
sapevo cosa dire, onestamente, visto che non la conoscevo affatto.
Per
me era sempre stata la ventottenne diligente del gruppo, simpatica ma pronta a
soccorrerti, ed ora eccola lì, fragile, esposta, come punizione per una sera in
cui aveva provato a svagarsi.
Decisi
di cingerle le spalle con un braccio e sorriderle e lei sembrò acccettare il
gesto in silenzio, senza ulteriori scenate.
Ero
consapevole del fatto che al posto suo avrei almeno sbottato a lungo con
qualche compagno di avventura, mi sarei buttata giù, invece lei era lì,
composta, pronta a soccorrere chi l’aveva bidonata.
Restammo
così, tra un caffè schifoso della caffetteria e dei sorsi d’acqua, finché un
dottore non ci disse con un mezzo sorriso che era tutto ok.
Ricordo
i momenti successivi in maniera poco chiara, come se li avessi visti da
spettatrice e non da protagonista.
Facevo
tutto in maniera autonoma, senza pensarci, meccanicamente, ero concentrata solo
sul viso di Luca.
Appena
era uscito dalla stanza dove lo avevano visitato lo avevo guardato con ansia e
felcità, lui mi aveva sorriso, un po’ colpevole, e mi aveva accarezzato il
braccio con la mano non fasciata mentre Giada scambiava delle informazioni con
i dottori.
In
quell’istante avevo solo voglia di trascinarlo da qualche parte senza
spettatori per urlargli contro che era un pazzo, che ci aveva fatto un brutto
scherzo, per poi avvinghiarmi a lui come un koala e non lasciarlo andare più.
Purtroppo
ci toccava prendere subito un taxi e tornare al college con i sensi di colpa
perché non eravamo presenti e non stavamo aiutando nella parte fondamentale
dell’avventura: l’ultima sera, quella con più pathos di tutte, quella in cui si
tira un bilancio, si scattano foto sceme e si fanno promesse che non verranno
mai mantenute.
Io,
però, in quel momento, sentivo di volerne fare e volerne mantenere davvero
tante.
Raggiunsi
questa consapevolezza quando Luca strinse la mia mano nel taxi, seduto tra me e
Giada, ed io mi sentii lo stomaco in subbuglio come quando mi aveva baciato la
prima volta.
Ovviamente,
la dottoressa finse di non farci caso e chiamò Saverio per comunicare gli
ultimi sviluppi e chiedere come comportarsi.
“Dobbiamo
tornare al campus, se poi riesci andiamo alla visione del filmato di addio
quando tornano dalla cena. Io vado in camera mia, se hai bisogno mi chiami”
sentenziò, professionale ma ovviamente molto fredda.
Luca
annuì, ringraziandola, e quando arrivammo a destinazione fu un sollievo uscire
dall’aria pesante che si era creata nell’abitacolo.
Senza
dire nulla, Giada si avviò verso camera sua e io guardai Luca in attesa di non
so precisamente cosa.
“Vai
pure in camera tua, sto bene” disse, iniziando a camminare.
No,
non potevo, non ce l’avrei fatta a starmene in camera mia con il pensiero di
lui solo, ferito...
Ed
egoisticamente, volevo di nuovo averlo al mio fianco come più di ventiquattro
ore prima.
Per
questo lo guardai e, senza dire nulla, gli cinsi la vita con un braccio.
“Non
essere sciocco. Non ti libererai di me, questa sera”.
“Io
non vorrei mai liberarmi di te”.
Non
risposi, deglutendo, fino a che non ci ritrovammo in camera sua, quella che ci
aveva ospitato la sera in cui tutto era davvero iniziato tra di noi.
“Hai
bisogno di qualcosa in particolare?” chiesi, cauta.
“No,
dopo mi cambio la maglia, ma...”.
Sospirando,
presi posto di fianco a lui e lo guardai negli occhi, senza distogliere lo
sguardo.
“Ti
ho visto nudo, abbiamo fatto cose indecenti più di una volta, cose che qualcuno
definirebbe “porcate”, ci siamo ritrovati così eccitati da non capire nulla, lo
abbiamo fatto sul ripiano di un lavandino di un bagno facendo fatica a non
farci sentire da un mucchio di adolescenti e ora, che fai, il timido, come se
non ti avessi già visto senza maglia?” chiesi, incredula.
Per
la prima volta dopo ore e ore Luca si lasciò scappare un sorriso malandrino e
scosse il capo.
“Alice...
Se non fossi k.o. mi sarei già eccitato sentendoti parlare così”.
“Idiota”.
Senza
aggiungere altro, lo aiutai a togliersi con cautela la polo rossa e, senza che
lui dicesse nulla, andai in bagno e bagnai la spugna che usava per farso la
doccia, applicando un po’ di bagnoschiuma.
Senza
nemmeno chiedergli il permesso, gliela passai sulle spalle, sulla schiena,
sulle braccia, sul torace, per poi risciacquarla e ripassarla di nuovo.
Lo
sentivo teso, poi improvvisamente più rilassato, tanto che a un certo punto
chiuse gli occhi.
“Dove
tieni le maglie?” domandai, ma lui mi fermò, si stese sul letto e mi fece segno
di stendermi al suo fianco.
“Solo
per cinque minuti, per favore, ricordiamoci come è iniziata”.
“Allora
è iniziata?” domandai cautamente, visto che lo aveva negato poco più di
ventiquattro ore prima.
“Sì,
Ali. C’eravamo dentro fino al collo...”.
Mi
appoggiai alla sua spalla e gli accarezzai il petto, sentendomi improvvisamente
più felice.
“Ci
siamo dentro fino al collo”
bisbigliai.
Luca
si mise a sedere e, incredulo, domandò: “Davvero?”.
“Inutile
negarlo, Luca. Forse dovevi finire al pronto soccorso per farmelo capire, ho
corso per Londra come una matta perché non sapevo come stavi e sapere che da
domani potrei non vederti più mi fa paura”.
“Scusami
per le cattiverie che ti ho detto, le ho pensate per un secondo, davvero. Sono
stato un cretino a stare dietro a Giada, mi è costato molto fare finta di nulla
con te” si scusò, profondamente serio.
“Io
voglio solo tu sappia che all’inizio mi importava dell’opinione altrui, poi è
cambiato tutto, il mio essere così incerta è dovuto al fatto che non so cosa
potrebbe succedere tra noi. Onestamente, dopo oggi, non avrei problemi a
baciarti davanti a tutti, colleghi, ragazzi, spagnoli, inglesi...”ammisi.
“Magari
domani, in aeroporto, ma per ora possiamo iniziare qui, in privato...”.
Fu
una sensazione meravigliosa vedere il suo volto abbassarsi all’altezza del mio,
raggiungere prima il mio collo, baciarlo, per poi salire sempre più su fino a
sfiorare la bocca e farla sua con un gesto cauto ma sensuale, che mi rapì ancor
prima di iniziare.
Restammo
lì, persi in un bacio che sembrava infinito per ritrovarci, mentre fuori
scoppiava il solito temporale londinese che faceva da sottofondo musicale ai
nostri gesti.
Mi
sentivo persa anche io, disorientata, anche se forse fino a quel momento non
ero mai stata più decisa e felice riguardo qualcosa, tanto da non sentire su di
me il peso delle decisioni che avrei dovuto prendere il giorno dopo tra un volo
e l’altro.
*°*°°*
Siamo
agli sgoccioli, gente!
Il
prossimo sarà l’ultimo capitolo, seguito da un piccolo epilogo.
Che
ne pensate?
Un
po’ di dramma ci voleva ;)
Fatemi
sapere le vostre opinioni, io cercherò di essere più rapida possibile anche se
purtroppo maggio è il periodo più stressante e impegnativo per chi lavora come
insegnante.
Grazie
a chi continua a seguire la storia e ai nuovi arrivati <3
Baci,
a presto!
Milly.
|
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Capitolo 13 *** Day 14: Da mediatrice ad assistente a.... ***
Day 14: Da mediatrice ad assistente a....
"E chiudendo gli occhi immagino, immagino Fiumicino,
tu che parti per un viaggio e io
che annaffio le piante aspettando il tuo ritorno
con lo sguardo perso
tra le nuvole ed il telefono che suona ,
non rispondo, è ancora presto..."
Capitolo 13
Day 14: Da mediatrice ad assistente a....
Entrammo nella sala video in
punta di piedi per non attirare troppo l'attenzione su di noi ma fu
inutile visto che, udendo il rumore della porta, una decina di teste si
era voltata in nostra direzione con aria curiosa.
Era ovvio, i ragazzi avevano saputo del loro group leader che si era ferito e volevano saperne di più.
Falsamente disinvolti, io e Luca
prendemmo posto in fondo, lontano dallo staff, mentre di fronte a noi
si vedevano le immagini di quei giorni scorrere davanti a noi,
accompagnate da canzoni fifn troppo nostalgiche.
Ad ogni gita avevo associato un
avvenimento in particolare: il primo litigio con Luca, la prima
chiacchierata confidenziale con Nadia, il povero Javier che mi chiedeva
di aiutarlo a spiegare i passi ai ragazzi, la mia gelosia nei confronti
di Paula che ci provava con Luca...
Tutto stava per finire e faticavo
ad accettarlo, tanto che fui costretta a sopprimere le lacrime per
evitare di fare un'ulteriore scenata davanti a tutti.
Anche senza Luca ci sarei comunque rimasta male al pensiero di dover
lasciare tutte le abitudini che mi ero imposta con tanta forza di
volontà, come quella di riuscire ad alzarmi all'alba senza
protestare o cenare alle diciotto.
Che bella evoluzione che avevo
avuto, da quella che dimentica di portare l'adattatore in Inghilterra a
quella che fa mille scenate in un solo giorno!
Senza fregarmene di nulla, mentre il video volgeva al termine, appoggiai la testa sulla spalla di Luca.
Era un gesto innocente e a me non andava più di mettere in crisi
il nostro rapporto per il giudizio altrui; qualcuno ci notò ma
Luca sembrava soddisfatto seppur incredulo ed io gli sorrisi. Era
ciò che contava, non dovevo e non volevo pensare ad altro per
complicarmi la vita.
Entrando in aula avevamo notato
Saverio al telefono a pochi passi dall'entrata ed evidentemente la
telefonata si protrasse per svariati minuti visto che rientrò
giusto in tempo per la parte finale, quella in cui il coordinatore
ringrazia lo staff e i ragazzi e li invita a tornare l'anno successivo.
Fu con grande orgoglio che sentii
"... E un applauso a colei che, se volete, può tradurvi
"Despacito". Grazie, Alice la Mediatrice!" seguito da un fragoroso
applauso che mi rese fiera come non mai.
Mandai baci a tutti mentre
improvvisavo un buffo inchino e, seppur goffa, mi sentii anche fiera
del mio operato. Dopotutto era il mio primo incarico, non avevo mai
lavorato prima di quel momento, pensavo di potermi ritenere soddisfatta
per il modo in cui avevo gestito la parte professionale dell'incarico.
Saverio non si era mai lamentato
del mio operato, aveva apprezzato tutto, gli avevo dato una mano
durante i meeting ed era sempre andato tutto bene.
Mentre mettevo piede fuori al
campus per tornare verso i dormitori, percepii chiaramente le ombre
della notte avvolgermi insieme a tutte le responsabilità che mi
toccavano per l'ultima parte del soggiorno.
L'ultima notte era quella in cui
venivano testate tutte le capacità acquisite nelle due settimane
precedenti, visto che toccava partire spesso ad orari barbari, far
sbrigare i ragazzi che dovevano finire di fare i bagagli e dover
ritirare le chiavi delle loro stanze almeno due ore prima della
partenza.
Ufficialmente ero libera dai miei
impegni ma ovviamente non sarei stata con le mani in mano, ne ero
certa, avrei aiutato i colleghi in difficoltà.
Infatti, proprio come certezza
ufficiale di ciò, vidi Saverio venirmi incontro con un'aria
più stanca e preoccupata che mai, evidenti occhiaie bluastre e
il passo che non era sicuro e stabile come al solito.
Non si fermò, mi fece cenno di continuare a camminare con lui e mi porse un foglio, burbero più che mai.
"Dovrei licenziare te e quel
deficiente per tutti i casini di oggi e non solo ma in qualche modo
verrete anche premiati" disse, falsamente sprezzante. "Ero al telefono
con una dei resposabili, un group leader non può viaggiare da
solo se ferito, tu domani hai la tratta Londra- Roma ma ti farai anche
Roma - Napoli, alloggerai in un hotel e poi torni a casa. Prego".
Impiegai un po' per connettere
quell'insieme di informazioni date in maniera non proprio chiara,
così aprii il foglio e vidi che si trattava delle prenotazioni
dell'aereo e dell'hotel. Ben trecento sterline di volo, evidentemente
causate dalla prenotazione fatta all'ultimo secondo. Probabilmente
l'azienda voleva tutelare il tutto e sperava che la questione si
chiudesse senza reclami o denunce, ma conoscendo Luca sapevo che non
avrebbe detto nulla ai genitori dei ragazzi che avevano causato
l'incidente.
"Saverio, ma Luca sta bene..."obiettai, senza capire.
"E' comunque reduce da farmaci e ha
una mano inutilizzabile. Per legge deve avere un'assistente. Non dirmi
che ti dispiace..." mi canzonò, per poi farmi l'occhiolino.
Ecco, quanto non sopportavo questa
sfaccettatura di Saverio! Prima incazzato, poi burlone, poi
allusivo.... Anche se in effetti io al suo posto avrei dato di matto
nella stessa situazione, non avrei saputo gestire il tutto con la sua
freddezza.
"Mia madre mi ammazzerà ma pazienza".
"Non ci crede nessuno, Alice".
Alzai gli occhi al cielo e poi mi
voltai verso di lui. Si parlava quasi sempre e solo di me, ma fino a
prova contraria era lui quello che stava per salutare una ragazza per
cui aveva perso la testa.
"Tralasciando me, tu piuttosto? Hai parlato con Nadia?" mi informai, preoccupata.
Udendo quel nome il volto del capo mutò, anche se non saprei dire se in bene o in male.
"Sì. Continueremo a sentirci e ci proveremo".
"Non avevo dubbi. Qua finisce che
tra pochi anni ci invitate al matrimonio" ironizzai e, ovviamente, lui
mi spinse provando a farmi cadere.
"Così sarete ancora più belli, tutti e due infortunati".
"Scemo! Non fare l'evasivo, sono sicuro che ce la farete".
Come al solito, cambiò
atteggiamento e mi strinse leggermente a sé. "Va bene dai, vai a
dare la bella notizia a Mr. Infortunato. Anzi, Sfortunato, visto
con chi se la fa".
Fu il mio turno provare a spingerlo
mentre mi liberavo dalla stretta e mi allontanai per raggiungere Luca
che camminava a vari passi di distanza da noi, circondato da uno stormo
di ragazzini preoccupati per la sua salute.
"... L'unico modo per farmi stare
tranquillo è ricordare cosa dovete mettere nel bagaglio a mano e
cosa in quello da stiva. Tutti i prodotti per il corpo, per il viso e
per i capelli nel bagaglio da stiva, intesi? Ricordate che se ci
fermano ai controlli perdiamo tempo e perdiamo l'aereo" stava dicendo,
un po' in ansia.
Sorrisi nel vederlo così
attento e premuroso, aspettai che il gruppo si dileguasse per
raggiungerlo e guardarlo con l'aria di chi la sapeva lunga.
"Che c'è?" chiese, sospettoso.
"C'è che sei fortunato, hai
un'assistente visto il tuo infortunio!" risposi, restando sul vago e
fingendo di non saperne di più.
"Come? Ma io sto bene! Non ho nulla...".
"E' quello che ho detto anche io".
Luca si lasciò scappare
l'espressione tipica di chi ha capito tutto e non può crederci,
tanto che mi afferrò per un braccio e mi condusse dietro uno
degli alberi che facevano da cornice al percorso che conduceva ai
dormitori.
"Sei seria? Tu....?".
"Sì. Devo ancora dirlo ai miei" confessai, porgendogli il foglio con la prenotazione.
Incredulo, mi strinse a sè e mi guardò con il tipico sguardo di chi ha vinto qualcosa per puro caso.
"Mi verrai a trovare in hotel?".
"Scherzi?".
Gli ci volle un po' per lasciarmi
andare e improvvisamente tutto, inclusi i doveri pre partenza,
sembrarono più leggeri da sopportare.
Avevamo avuto il privilegio di
avere un altro giorno per noi prima di separarci ed entrambi sapevamo
che non volevamo gettarlo all'aria, ne avremmo fatto tesoro
perché era un'occasione imperdibile.
Per questo, con più grinta
del dovuto, andammo nei vari edifici a dare le ultime dritte ai ragazzi
del gruppo di Napoli e poi ci avviammo verso la famosa sala riunioni
per le ultime informazioni.
Incontrammo Clara, Nadia e Salvatore che parlottavano tra loro e si bloccarono nell'istante in cui ci videro.
Normalmente avrei avuto qualche
reazione esagerata, invece mi limitai a stringere a me Luca e a
dire: "Scommetto che avete saputo che io sarò la sua assistente".
"Sì. E brava Alì, ti
sei fatta il tipo e torni con lui al suo paese" mi prese in giro
Salvatore. "Per essere una che ha dimenticato l'adattatore, ti sei
adattata fin troppo bene in queste due settimane".
"Grande, Salvatò, mi sei piaciuto!" esclamò Luca, battendo il cinque con la mano non fasciata.
Quell'episodio mi ricordò
uno scambio di battute simile che aveva avuto luogo subito dopo il
primo litigio tra me e Luca, quando lui mi aveva portato la colazione a
tavola e Salvatore aveva fatto la sua solita battutina, piaciuta a tal
punto che Luca gli aveva fatto segno di battere il cinque. Possibile
che fosse successo solo una decina di giorni prima?
Clara e Nadia ridevano come le matte e io feci loro una smorfia prima di andare in loro direzione e abbracciarle.
"Io comunque l'avevo capito,
furbacchiona. Sempre insieme segretamente, anche la sera dell'incidente
del ragazzino..." disse la prima, facendomi l'occhiolino.
"Ehm...".
"Che fate qui, scansafatiche?".
Saverio uscì dall'ufficio e ci guardò con aria dispotica, facendo sobbalzare Clara.
"Saverio, stavo giusto...".
"Cosa, Clara? Idioti, venite qui,
non vi ho ancora detto le valutazioni. Lo sapete che ci sono le
valutazioni e che se la vostra non sarà positiva non potrete
tornare in futuro, vero?".
Idioti, scansafatiche... Più
Saverio ci insultava, più voleva provare a dimostrarci il suo
affetto, ormai avevo capito che era fatto così.
In silenzio, entrammo, occupando i
soliti posti, con Mario ed Elena che già lavoravano agli arrivi
del giorno dopo, con la differenza che Luca si premurò di
prendermi per mano e nessuno osò obiettare, anzi, qualcuno ci
guardò con affetto.
Saverio fu l'unico a non sedersi,
iniziò a camminare per la stanza. Indossava dei pantaloncini e
una maglietta nera, probabilmente quello era il suo pigiama e si era
preso la briga di liberarsi dai soliti pantaloni lunghi e soffocanti.
"Giada dorme, la valutazione del
dottore non dipende da me quindi l'ho lasciata dormire. Comunque...
Prima di dirvi le mie valutazioni, voglio sapere la mia. Ditemi tutto".
Ci guardammo senza sapere cosa
dire, presi alla sprovvista da quelle parole. Per una volta ci era
concesso giudicare lui? Sul serio?
Vedendoci sbalorditi, incrociò le braccia e si fermò.
"Anche io ho bisogno di migliorare,
solo perché vi coordino non significa che il mio operato sia
perfetto. Fatevi avanti, su" insisté.
L'unico ad alzare la mano fu Salvatore.
"Dimmi".
"Forse sei un po' troppo poco
esigente quando siamo in giro, gli altri coordinatori con cui ho
lavorato sono più rigidi sull'ordine dei ragazzi, li vogliono
divisi per gruppi mentre a te non dispiace farli mescolare"
azzardò.
Ovviamente eravamo tutti senza parole: gli stava rinfacciando il non essere rigido?
Saverio, tuttavia, annuì.
"Grazie Salvatore. Ti dirò, so di questo difetto ma non mi piace
imporre ai ragazzi di non chiacchierare con ragazzi di altri gruppi
mentre andiamo in giro. Ditemi, cos'altro?".
Nessuno si fece avanti, così lui sospirò e si puntò un dito contro.
"Niente? Ve lo dico io. Ho
sbagliato nel mettervi in guardia riguardo eventuali relazioni e poi ho
fatto di peggio, vi ho aggredito quando non ve lo meritavate, a volte
sono brusco... La verità è che in genere mi capita sempre
uno staff nella norma, due group leader bravi, uno eccellente, un paio
scansafatiche. Qui siete stati tutti dei gran lavoratori e ho amato il
rapporto che si è creato tra di noi, ci siamo capiti subito. Mi
sembra di conoscervi da secoli! Quindi dò nove a tutti, spero
continuiate a lavorare per l'azienda e di rivedervi presto" concluse.
"Inoltre, spero davvero che Elena riesca a diventare coordinatrice
l'anno prossimo, io l'ho segnalata e spero vada tutto a buon fine".
Elena, sorpresa, emerse dai mille fogli che stava controllando e arrossì. "Cosa?" chiese, alquanto spiazzata.
"Sì, avevi dei dubbi? Dovete
sapete che sei anni fa questa ragazza fece il suo primo turno come
group leader, eravamo a Dublino, io ero coordinatore da solo un anno.
Una lavoratrice instancabile, fu in grado di portare in college ben
trentacinque ragazzi da sola! Due anni fa l'ho segnalata come team
leader e ora merita di andare avanti".
"Ma tu sei un pazzo, anzi, hai continuato a trattarmi male per tutto il soggiorno e...".
"Elena, se ti tratta male significa
che di te gliene frega, me lo hai detto tu, ricordi?" domandai,
ricordando il litigio prima della partenza per Oxford.
"Allora non se ne frega di me, mi
tratta bene" osservò Nadia, facendo ridere tutti mentre Saverio
ed Elena si abbracciavano con Mario che ovviamente si intrometteva.
Guardai quella scena piena di emozione e non riuscii a non commuovermi, seguita da Clara.
Quella era davvero, davvero l'ultima volta che eravamo tutti insieme nella stessa stanza.
Avendo l'aereo alle nove, alle
cinque del mattino i pullman con cui se ne sareebbero andate
Clara, Nadia e Giada erano già in partenza.
La scena sembrava davvero apocalittica: ragazzi che piangevano, gente preoccupata, promesse di vedersi presto...
Giada era silenziosa, avvolta in
una mega felpa scura, aspettava il momento di salire e evidentemente di
tornare a dormire per un altro paio d'ore.
Mi avvicinai e, senza darle alcun preavviso, l'abbracciai.
"Spero sia tutto ok, io...".
"Alice, non ha senso, non ci
rivedremo più, ma figurati, non m'importa" minimizzò, per
poi spostarsi e salutarmi con la mano.
Probabilmente anche io avrei risposto così, ma comunque ci rimasi male e mi voltai verso Clara e Nadia.
Clara si sporse verso di me e mi abbracciò con calore.
"Mi raccomando, non sparire" si raccomandò, baciandomi una guancia.
"Nemmeno tu!".
Mi voltai verso Nadia, la quale aveva gli occhi lucidi come non mai, con il labbro inferiore che tremava a intermittenza.
"Lo hai salutato?" sussurrai, appoggiandole una mano sulla spalla.
Annuì. "Ho finito di fare i
bagagli e sono andata da lui... Siamo stati insieme fino ad ora"
spiegò, riuscendo a stento a parlare. "Non mi sono mai sentita
così, te lo giuro, io pianterei i ragazzi in asso e correrei da
lui".
"Due settimane e sarà da te"
la rassicurai, abbracciando anche lei e accarezzando la schiena.
"Scommetto che non è qui perché non ce la faceva a dire
addio".
Ma mi sbagliavo: mi bastò
girarmi per vedere che stava correndo in nostra direzione, come in
quelle scene da film in cui l'eroe corre verso la sua amata.
Spalancai la bocca e mi spostai
giusto in tempo, perché Saverio aveva praticamente oscurato
Nadia gettandoglisi addosso, fregandosene dei ragazzi che guardavano il
tutto senza parole.
"Io ti conosco da due settimane ma
mi hai sconvolto la vita, Nadia. Ti amo e non me ne frega niente se te
lo dico così, non potevo non dirtelo! Ti amo e il trenta luglio
sarò sotto casa tua per portarti a cena, capito?" disse, senza
premurarsi di abbassare i toni.
Nadia era senza parole, piangeva,
lo stringeva a sé, e i ragazzi si risvegliarono dai loro piccoli
drammi causati dai vari addii perché scoppiarono in un applauso
fragoroso e numerosi fischi di approvazione.
Voltandomi, vidi alcuni dei due
team stranieri raggiungerci, con la faccia di chi non capisce cosa stia
succedendo e non lo tollera.
"Cazzo! Ragazzi, scusate ma ci sono gli altri team" esclamai.
Subito, Saverio si scostò da
una Nadia ancora emozionata che diceva a sua volta "Ti amo" a
ripetizione e si voltò, premurandosi di fare il disinvolto.
Io mi voltai verso Luca e lui si limitò a farmi l'occhiolino.
Alle otto toccò a me, Salvatore e Luca partire.
Con due ore scarse di sonno, eravamo tutti stremati, senza sapere bene cosa dire e fare.
I ragazzi erano più
tranquilli perché almeno sarebbero partiti insieme, arrivati a
Roma avremmo salutato il gruppo di Salvatore e poi ci toccava
proseguire per Napoli.
Posai la mia valigia in pullman e
tornai da Saverio, Elena e Mario, tutti esausti come noi, avvolti in
tute sformate e ancora con le ciabatte ai piedi. La giornata ovviamente
sembrava uggiosa e rifletteva perfettamente il nostro umore del momento.
"Alle due arriverà il nuovo
mediatore e poi alle tre iniziano ad arrivare i vari gruppi.
Conosceremo l'equivalente maschile di Alice" disse Mario, giusto per
dire qualcosa.
"Speriamo sia meno rompiballe e che non si faccia una storia con una GL..." mi prese in giro Saverio.
"Ehi, ho visto la foto, il pensierino ce lo faccio io!" s'intromise Elena.
"Deve essere una caratteristica dei mediatori, se non sono belli non li fanno laureare" mi difese Luca.
"Ma va, va...".
Saverio fece un gesto con la mano e
poi, ovviamente, come succede sempre nel codice di comportamento
maschile, non so come finirono a darsi pacche sulle spalle, a chiamarsi
"fratello" e via dicendo.
Salutare quei tre fu davvero dura.
Ripensai a quando, due settimane prima, mi avevano accolto in college
tutta impaurita, avevano fatto battutine come al solito, Saverio aveva
visto la foto del mio badge e aveva detto "E' photoshoppata, vero?".
L'Alice di allora immaginava solo
problemi e ansie, per fortuna c'erano stati anche momenti
indimenticabili alternati a discussioni che, in un modo o nell'altro,
mi avevano fatto crescere.
"Ciao, ragazzi. E' stato un
piacere" dissi quindi, abbracciando tutti e soffermandomi quando
arrivai a Saverio. "Chiamami pure prima dell'appuntamento, ti dò
qualche consiglio".
Invece di mandarmi a quel paese,
annuì contento e fu così che mi ritrovai seduta in
pullman, con quei tre che diventavano sempre più piccoli a causa
della distanza.
"Ciao, Alì. Ricorda l'adattatore l'anno prossimo!".
Fu così che Salvatore, arrivati a Roma verso le tredici, mi salutò.
"E tu non dimenticare mai a casa la tua simpatia" gli avevo risposto io, ridendo.
Salutare Salvatore, la prima
persona che avevo conosciuto oltre Saverio, Mario ed Elena, era il
chiaro segno che tutto era finito.
Mi chiedevo che senso avrebbero avuto le giornate fino a quel momento, senza le sue battutine e osservazioni molto perspicaci.
Guardai l'aeroporto di Fiumicino
che ci circondava, sempre caotico come al solito e pensai che nel giro
di poche ore sarei arrivata a Napoli.
Il piano era far tornare Luca a casa per salutare i suoi e poi farlo venire in hotel da me.
Ovviamente, a Capodichino fummo
accolti da numerose famiglie super ansiose e felici di rivedere i loro
pargoli, signore che ci acclamavano come se fossimo degli eroi e nonni
super premurosi che ci facevano mille domande.
Stanca come ero, capii poco e niente e rischiai di addormentarmi in taxi.
Tutto davanti a me procedeva
rapidamente, non avevo le forze per essere totalmente partecipe e
cosciente, tanto che appena arrivata in hotel ebbi a stento le energie
di avvisare i miei e crollai, risvegliandomi tre ore dopo, quando Luca
mi raggiunse.
"Stanca?" chiese, sbadigliando a sua volta.
Era un po' spettinato, ma rispetto
a me profumava e aveva abiti puliti, tanto che mi sembrava assurdo
vederlo con la camicia e non con la solita maglia rossa.
"Eh... E sporca. Corro a lavarmi, scusami, mi sono add...".
Se ne fregò del mio stato
perché mi strinse a sé e mi baciò con trasporto,
in un modo così sensuale che quasi mi fece risvegliare tutti i
sensi.
"Qui non si corre, non siamo più al lavoro. Calma, fai tutto con calma, io sono qui".
"Va bene. Tu ci credi che è finita?" chiesi, spaesata.
"No. Lì ho conosciuto te,
ora siamo qui insieme... Non è finita, Alice. E' finita la parte
noiosa e stressante, al massimo".
Mi piaceva quella visione delle cose, metteva tutto in una prospettiva diversa.
Con un po' di malizia, mi spogliai
davanti a lui e gli feci l'occhiolino prima di andare in bagno,
godendomi la sua espressione rapita.
Quando tornai, mi accoccolai contro
di lui, parlammo un po' e, stremati dalla giornata super intensa, ci
addormentammo abbracciati.
La mattina dopo, dopo una rapida
colazione, tornammo in stanza per usufruire al meglio le ultime quattro
ore prima del check out.
Ero visibilmente eccitata all'idea
di tornare tra le sue braccia, sentirlo su di me senza fretta, senza
ansie,senza preoccupazioni.
Lui sembrava dello stesso avviso
perché già in ascensore non esitò a provocarmi,
baciandomi la spalla lasciata nuda dal top che indossavo e
sussurrandomi cose poco caste all'orecchio.
Arrivati in stanza, lo spinsi con foga sul letto e mi misi a cavalcioni su di lui, guidando le sue mani sul mio corpo.
"Abbiamo riposato, mi aspetto
grandi cose" ridacchiai, mentre la sua mano non infortunata si
addentrava al di sotto del reggiseno.
"L'ho fatto per cavalleria, io non avrei avuto problemi ieri sera ma ti volevo attiva" scherzò.
"Sono molto attiva, tanto".
"Oh, lo spero bene...".
Mi liberai del top e del reggiseno,
poi passai all'azione con la sua camicia, prima di baciargli il petto e
armeggiare vicino la chiusura dei pantaloni.
Ero in fibrillazione, erano passati
solo due giorni da quando eravamo andati a letto insieme l'ultima volta
ma mi sembrava una vita.
Nel giro di pochi istanti, Luca ribaltò le posizioni e si ritrovò su di me, bello, deciso, sensuale come non mai.
"Non voglio lasciarti andare, Alice, dimmi che troveremo un modo" mi supplicò, con la fronte contro la mia.
Il suo respiro era in sincrono con
il mio, mi sembrava dieci volte più accentuato, come il battito
del mio cuore che quasi rischiava di esplodere fuori dal petto.
"Lo troveremo, Luca, lo troveremo...".
Ci credevo davvero, il pensiero di
averlo nella mia quotidianità era meraviglioso e non vi avrei
rinunciato per nulla al mondo.
Mi liberai degli ultimi indumenti e
con grande soddisfazione avvertii di nuovo le nostre pelli a contatto,
il suo respiro eccitato, il mio volerlo dentro di me subito, senza
dover aspettare oltre.
Dire che fu bellissimo sarebbe riduttivo, in effetti.
Eravamo in sincrono, come se ci
conoscessimo da una vita, e la cosa non poteva non rendermi più
sicura della mia decisione: avrei fatto di tutto per tornare spesso a
Napoli e lui di sicuro sarebbe venuto da me, ci potevamo alternare, era
ancora estate...
Ne stavamo appunto parlando quando
il mio cellulare squillò, facendoci sobbalzare e riportandoci
alla noiosa realtà, quella in cui la gente non è vicina
come lo eravamo noi e per comunicare era costretta a usare mezzi
come il telefono.
"Non rispondo" dissi subito, decisa a non separarmi dalla sua stretta e a godermi fino in fondo ogni istante insieme.
"Dai, magari è importante" mi convinse.
Sbuffando, recuperai il telefono e vidi che il numero era sconosciuto ed era di Milano.
"Milano" dissi, senza capire, e Luca scrollò le spalle.
"Rispondi, magari è importante" mi spronò.
Sbuffando, annuii e mi decisi a premere sul pulsante verde del display.
"Pronto?".
"Alice Sebastiani?" mi domandò una voce femminile sconosciuta, con un forte accento che non sapevo distinguere.
"Sì, chi parla?" chiesi,
immaginando si trattasse della telefonata di routine di qualche
operatore che mi voleva dalla sua parte.
"Sono Monica, la contatto dalla Emperor Travel. Lei ieri ha finito il suo primo turno come mediatrice culturale al Queen's College, giustoo?".
"Sì...".
Improvvisamente sentii la gola
secca come non mai e andai in panico, perché per farmi una
domanda simile a contratto ormai concluso c'era di sicuro qualcosa che
non avevo fatto bene.
"Abbiamo ricevuto le valutazioni,
abbiamo visto il suo nove e volevamo proporle uno stage retribuito
presso la nostra azienda, nella sede di Milano".
Incredula, mi voltai verso Luca che
attendeva una spiegazione visto che nel giro di venti secondi mi aveva
visto passare da un'espressione scocciata, a una impaurita a una
indecifrabile.
Fu in quell'esatto momento che
realizzai che non sempre è un bene avere tutto ciò che
solo due settimane prima avresti voluto con tutto il cuore.
*°*°*°*
Eccomi qui, dopo mille casini, il computer rotto che mi ha costretto a riscrivere tutto...
Avevo finito di scrivere il capitolo
a metà giugno, proprio nel giorno dell'anniversario in cui mi
avevano chiamato un anno fa per fare la GL. Carino, vero?
Peccato che poi, boom!, il pc ha dato
problemi, io ero ancora fuori per lavoro, quindi eccomi qui ora a casa,
dopo aver riscritto il tutto in soli due giorni.
Merito un premio? XD
Niente, dopo quasi un anno finalmente
ho finito questa storia, manca solo un piccolo epilogo, è il
bello è che qualche settimana fa l'azienda per cui lavoro mi ha
richiamato e partirò per l'Irlanda :) diciamo che è un
cerchio che si chiude (magari succede qualcosa di interessante e inizio
a scrivere la parte 2, no, dai, scherzo!).
Che dire, Alice&Co mi hanno
tenuto compagnia, sono pur sempre il ricordo del mio ex staff che
già so mi mancherà moltissimo e spero che vi sia piaciuto
questo capitolo.
Fatemi sapere, a breve metterò l'epilogo.
Grazie a tutti coloro che hanno letto e recensito e ancora grazie a DELIA per aver letto la maggior parte dei capitoli e per avermi dato una mano con le correzioni.
Che dire, grazie, grazie, grazie <3
a presto,
milly.
|
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Capitolo 14 *** Epilogo ***
EPILOGO
Epilogo
Capisci
di essere grande quando inizi ad essere parte attiva della cosiddetta
"Stagione dei matrimoni", con tutte le responsabilità che ne
seguono come l'organizzazione dell'addio al nubilato, la scelta del
vestito da damigella e l'acquisto del costoso regalo per gli sposi.
Questo matrimonio ha
praticamente inghiottito tutto il mio stipendio, ma guardando la sposa
felice, l'abito che mi calza a pennello e tutta la gioia che mi
circonda al momento non me ne pento.
Ne è valsa la pena
rinunciare a varie pause pranzo per organizzare il tutto e calmare la
sposa che da Capodanno - il giorno in cui ha ricevuto la fatidica
proposta - non fa altro che chiedermi pareri per qualsiasi cosa.
Ed ora eccoci qui, a fine
agosto, in un piccolo ma pittoresco paesino dell'Abruzzo che per
fortuna si distingue per le temperature fresche e non disumane come
quelle Milanesi a cui siamo abituati.
"Sei bellissima" dico, portandomi una mano sul cuore per enfatizzare il tutto.
Magnifica ed elegante nel suo semplice abito avorio, Nadia si volta verso di me e mi guarda, radiosa.
"Grazie. Grazie di tutto Alice, so di averti fatto impazzire in questi otto mesi, scusami...".
"Smettila, fidati che
è stato quel rincitrullito del tuo fidanzato a rompermi le
scatole ogni santo giorno" ci scherzo su, aggiustandole una ciocca di
capelli un po' ribelle.
"Chi l'avrebbe mai detto due anni fa! Noi che ci ritroviamo a Milano...".
"Tesoro, ti ricordo che appena hai saputo del mio stage hai fatto di tutto per trovare lavoro lì".
"Dettagli, ho solo forzato il destino".
"No, quello lo ha fatto Saverio che ha fatto di tutto per trovare posto nella sede di Milano".
Udendo il nome dell'uomo che sta per sposare, gli occhi le brillano.
E' bellissima, i capelli
scuri avvolti in uno chignon imperfetto, il trucco leggero e naturale e
l'abito che le lascia le spalle scoperte.
Sembra nata per essere una sposa.
"Vado a controllare come
sta" aggiungo, prendendo la pochette e vedendo che la porta si è
aperta, rivelando sua madre e sua sorella.
Mi congedo con un sorriso
e scendo al primo piano dell'hotel dove i due hanno alloggiato -
seprarati ovviamente - visto che non abitano nella stessa città
e per non offendere nessuno ne hanno scelta un'altra abruzzese, molto
carina e facile da raggiungere per i loro parenti.
Busso alla porta, pensando a quanti ricordi condivido con lui e Nadia solo negli hotel, ed entro.
Saverio se ne sta seduto
sul letto già vestito di tutto punto, è teso, non
sorride, mi guarda a stento appena mi faccio viva.
"Non è fuggita, tranquillo" dico subito, cercando di alleggerire l'atmosfera.
"Cretina".
"Pure!".
Scuoto il capo e vado di
fronte a lui, prendendo una mano tra le mie e stringendola con calore.
Il pensiero che a breve su quella mano brillerà una fede mi
rende emozionata perché ho visto la storia nascere sotto i miei
occhi ed è bello vedere una storia che per una volta non ha una
fine ma un bellissimo inizio.
"Andrà tutto bene
e tra due ore sarà tua moglie. Te lo dice quella che due anni fa
ci aveva visto giusto sulle tue nozze, anche se tu come risposta l'hai
spinta e hai fatto il deficiente come al solito".
Io e Saverio, superata la
fase in cui per me era solo il "capo", ora ci insultiamo
quotidianamente, soprattutto durante le ore di treno che dobbiamo farci
in inverno per promuovere i viaggi studio in giro per l'Italia.
E' pur sempre il capo del
mio dipartimento, devo sempre stare lì a tradurre cose per lui,
ma dal punto di vista umano siamo più uniti che mai.
Siamo fatti così,
lui mi ha visto nei miei momenti peggiori durante l'infinito stage
durato quasi un anno, io l'ho visto crescere e diventare un uomo
migliore nel corso della sua storia con Nadia.
Al momento, è uno
dei miei migliori amici e non so spiegarmi come ciò sia
possibile, forse perché è una delle poche persone che mi
è stata vicino durante il difficile periodo di adattamento al
Nord, quando avevo pochi soldi e fin troppe cose da risolvere, non solo
dal punto di vista economico.
"Deficiente ci sei tu" mi rimbecca, prendendo un bel respiro.
"Ti voglio bene anche io, eh".
Alza lo sguardo e, come al solito, cambia umore nel giro di poco.
"Ti invidio perché l'hai vista" sussurra, emozionato.
"Tra mezz'ora tocca a te" gli ricordo, indicando l'orologio appoggiato sul comodino.
Si lascia scappare un sorriso, poi si alza e gli aggiusto la cravatta blu.
"Sembra la fine di un'era" affermo, nostalgica.
Saverio annuisce, poi tocca a lui guardarmi negli occhi con serietà.
"Abbiamo già affrontato la fine di un'era e te la sei cavata. Questa sarà migliore" dice, deciso e convinto.
Deglutisco, pensando alla
fine di quell'era... Io che mi chiudevo in me stessa, pensavo di aver
sbagliato tutto, ero l'ultima a lasciare l'ufficio perché non
volevo tornare a casa e stare da sola tra le quattro mura del mio
monolocale, lui e Nadia che c'erano sempre per me, mi trascinavano in
giro per la città durante il weekend e mi supportavano come due
fratelli.
"Sì. Lo sarà".
"Perché non hai portato coso con te, oggi? Lui si porterà cosa, me lo ha confermato".
Davanti a queste parole, un anno prima avrei sbroccato di brutto, ma ora non posso che scrollare le spalle, serena.
"Tralasciando che
già è rientrato al lavoro, non m'importa, non devo
dimostrare niente a nessuno. Sono felice finalmente e questo è
ciò che conta" ribadisco.
"Sei troppo saggia".
Qualcuno bussa alla
porta, vado ad aprire e vedo Mario ed un'elegantissima Elena entrare
nella stanza, tutti belli e perfetti nei loro abiti da cerimonia.
"Siete favolosi!".
Baci, abbracci,
esclamazioni buffe per scacciare il nervosismo... Tutto ciò mi
riempie di gioia, così decido di tornare verso la camera di
Nadia per stare con le altre damigelle che ormai dovrebbero già
essere arrivate per le foto da fare prima di andare in chiesa.
Decido di prendere
l'ascensore per non stancarmi già a causa delle scarpe dal tacco
altissimo, attendo il suo arrivo, le porte si aprono e nel giro di
mezzo secondo eccolo lì con la sua fidanzata.
Vedendomi, Luca resta
impassibile e cede il passo alla bellissima ragazza dai capelli rossi
che da più di un anno gli ha rubato il cuore, Camilla.
Lei, mozzafiato nel suo
abito lungo ed aderente, mi sorride con aria di circostanza,
evidentemente nervosa al solo pensiero di avermi lì, di fronte a
lei.
"Ciao Luca, ciao Camilla"
li saluto educatamente, decisa a dimostrare il mio essere tranquilla e
finalmente felice per la piega che ha preso la mia vita senza ostentare
nulla.
Come tutte le volte che è nervoso, Luca si passa una mano tra i capelli.
Luca, quello che ha insistito per vivere una storia a distanza.
Luca, quello per cui
fuggivo a Napoli durante il weekend nonostante gli orari assurdi a
lavoro e i pochissimi soldi che guadagnavo.
Luca, quello che dopo sei mesi ha iniziato a essere diverso, a darmi buca, a essere più evasivo che mai.
Luca, quello che dopo
nove mesi mi ha rivelato di avermi tradito con una del suo paese,
Camilla Buonfiore, e che mi ha fatto rimproverare da mezzo condominio
per il disturbo recato dalle mie urla.
"Ciao" dice, senza nemmeno degnarsi di dire il mio nome.
"Ciao, Alice".
Camilla si porta una mano
nei pressi del viso giusto per farmi vedere un bellissimo anello al suo
anulare sinistro ed io, invece di prendermela, soffoco a stento una
risata.
Se c'è una cosa
che ho imparato in questi ultimi anni è che quando una
situazione ti fa stare bene sei così felice da non aver bisogno
di farlo sapere a tutti.
"Ci vediamo dopo in chiesa, sono la damigella d'onore e la sposa mi aspetta" spiego con calma, entrando in ascensore.
"Certo, ciao".
Una volta da sola, scoppio a ridere, incredula per quella scena patetica.
Camilla se lo è preso, che senso ha farmi vedere l'anello, teme che me lo riprenda?
Certo che no, non ci tengo.
Prendo il telefono e vedo un messaggio non letto.
Maurizio:
Grazie per non avermi
fatto recitare la parte del tuo accessorio solo per ripicca, anche se
prima o poi dovrai ufficializzare la cosa, sono sei mesi che ci
vediamo! <3
Sorrido tra me e me e, presa da un momento di felicità, lo chiamo.
"Pronto?".
"Ciao, fidanzato".
"Come mi hai chiamato?".
La voce calda di Maurizio è decisamente sorpresa e la cosa mi fa ridere.
"Ho ufficializzato la cosa, no? Scusa se non te lo chiedo con le rose in mano" esclamo ridendo.
Maurizio ride a sua volta, senza parole. "Toccava a me...".
"No, sono io che ti ho chiesto di uscire all'inzio, no?".
"Che c'entra!".
Se c'è una cosa
che ho imparato in questi utltimi due anni è quella di vivere e
non aspettare che le cose vadano come voglio, bensì mettermi in
azione per far sì che ciò succeda.
Nadia aveva ragione
quando mi faceva vari discorsi sul vivere il presente e non rinunciare
a certe occasioni e oggi, in onore del suo matrimonio, ci tengo a
mettere in pratica l'insegnamento più grande della mia vita... Fino ad ora!
FINE
*°*°*°*°
Dopo quasi un anno questa storia giunge al termine ed è con grande emozione che devo cliccare su "completa".
I miei personaggi per me sono
sempre vivi, dopo un po' diventano delle persone vere e Alice per me
meritiva il meglio, il meglio inteso come crescita personale.
La vita vera è
così, si cresce, si conoscono persone, alcune restano con noi e
altre si perdono durante il percorso, solo che per fortuna c'è
un sempre un lato postivo: ognuno alla fine ci lascia un insegnamento,
ci fa capire tante cose e ci rende una persona migliore, anche se ci fa
esasperare e ci mette a dura prova.
Alice e Luca e Saverio e Nadia
sono inizialmente due coppie che si formano quasi contemporaneamente,
nello stesso luogo, nella stessa occasione.
E' Alice quella che scopre senza
volerlo Saverio e Nadia, è Nadia quella che vede certi
comportamenti strani e capisce ciò che succede ad Alice.
Nadia si era trasferita a Milano
e ci aveva rinunciato per il fidanzato dell'epoca, poi, dopo questo
lavoro estivo, scopre che Alice ha uno stage lì e si rimette in
gioco.
Non lo fa per Saverio: lui ha il
suo lavoro in un'altra sede, la raggiunge in un altro momento
perché crede in lei e vuole renderla felice, è pronto per
un nuovo inizio al suo fianco.
Luca... Beh, Luca alla fine
è un bravo ragazzo che a quanto pare agisce subito e senza
pensarci ed evidentemente con Camilla gli è successo ciò
che gli era capitato con Alice. Loro due sono diversi, i vari capitoli
lo hanno evidenziato, Alice ha provato ad avere sia la carriera che
l'amore ma non ha funzionato. Però ci ha provato ed ora, dopo
tante sofferenze, sembra aver trovato la felicità con Maurizio.
Il resto del gruppo non
c'è perché non si è creato un legame speciale,
inevitabilmente ognuno ha preso la sua strada, ma Mario ed Elena ci
sono sempre, non potevano mancare in un'occasione simile.
Che dire, queste spiegazioni sono più lunghe dell'epilogo xD
Io vi ringrazio per aver seguito questa storia e spero non ci siate rimasti male per il finale :)
Fatemi sapere,
un bacione.
La vostra Milly.
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Capitolo 15 *** PARTE 2 -Prologo - Day 0: Da Londra a Milano fino a Dublino. ***
parte 2
PARTE 2
Provaci di nuovo, Alice.
Prologo
Day 0: Da Londra a Milano fino a Dublino.
"A me questa estate non sembra estate. Voglio dire, niente mondiali, niente tormentone estivo! Vero, Alice?".
La voce di Mario mi fece sobbalzare, presa com'ero dalla visione magnifica del fiume Liffey poco prima del tramonto.
"Mario, stiamo ancora lavorando, l'estate non è per noi ma per chi sta al mare, chi se ne frega" gli ricordai.
Mi aspettavo una delle sue solite battutine, invece Mario mi sorprese
prendendomi per un braccio e obbligandomi a guardarlo in faccia.
"Senti, Alice, è da quando ci siamo rivisti in aeroporto che sei
così acida! Io non ho intenzione di passare un mese così
con te che fai la musona. Sai che ti dico? Sei un'ingrata!"
sbraitò, alzando i toni.
"Cosa?!" esclamai, offesa più che mai.
Mario, quello che ti rideva in faccia se lo offendevi, mi stava sgridando. Cosa stava succedendo?
"Sì. Sei un'ingrata! Sai quanto ci abbiamo messo io ed Elena per
far parte della parte "superiore" dello staff? Anni! Tu arrivi, dopo
due settimane ti offrono uno stage, a fine giugno vieni presa e vieni
spedita a Dublino a fare la Mediatrice - Collaboratrice del
Coordinatore, con tanto di diritto a occuparti tu di tutte le questioni
con gli spagnoli senza dover stare lì a tradurre mille email e
cosa fai? Ti lamenti. Ti lamenti! Alice, guadagni duecento euro a turno
più di me, un anno fa non sapevi nemmeno di questa azienda
e....".
"Mario, per favore".
Vedendomi rabbuiata lui si bloccò e, senza aggiungere altro, si placò.
"Io sto così da aprile, non c'entra il lavoro, era per dire, ho altro per la testa..." mi giustificai.
"Luca non deve influire più sulla tua vita. Ha sbagliato, lui ora sta bene e devi essere felice per te stessa".
"Non è facile. Da luglio ad aprile ho fatto tutto in funzione di lui e ora mi sento persa".
"Ci siamo noi a guidarti" mi rassicurò, abbracciandomi con fare fraterno.
"Non ho dubbi" ammisi, sentendomi un po' più rasserenata.
Il discorso di Mario era il tipico discorso che ti farebbe un fratello
maggiore, visto che lui c'era stato l'anno prima quando ero arrivata al
college vicino Londra quasi impaurita e me ne ero andata con una pseudo
storia d'amore con un collega e tante speranze.
"Ma devi capire che se sto in questa posizione lavorativa è per
pura fortuna, il college bilingue ha avuto successo e l'azienda ha
capito di dover estendere questa sperimentazione, molti non conoscono
lo spagnolo e...".
"Alice! Stai zitta, lo so!" sbuffò, scompigliandomi i capelli con fare dispettoso.
"Che succede qui?".
Ci voltammo e ci ritrovammo davanti il nostro capo, Saverio Capone, che esibiva la solita aria seccata.
"Alice fa la stupida".
"Non avevo dubbi".
"Ne riparliamo domani alla reunion delle dieci. Sii puntuale" lo ammonii.
In quanto Mediatrice - Coordinatrice avevo mille responsabilità
in più, ero responsabile di tutte le attività svolte con
il team inglese e quello spagnolo e quindi allegerivo di molto il
carico di lavoro di Saverio.
Rispetto all'anno precedente i miei doveri non erano più statici
come il stare quasi sempre davanti a un pc a tradurre email per il
capo, questa volta collaboravo direttamente con gli altri team per
elaborare il programma e lo comunicavo.
In più avevo il privilegio di avere un Mediatore al mio fianco a
cui dare i compiti più semplici, quindi lo staff era diramato in
due: group leader guidati dal direttrice e il mediatore coordinato da
me. Sapevo solo il nome del mio aiutante, Maurizio Castellani, e che lo
avrei conosciuto il giorno successivo.
Di conseguenza, ero io che "invitavo" Saverio alle riunioni, avevo il
diritto di convocare tutti quando lo ritenevo giusto e non ero
più la sua interprete.
"Alice, ma parla come mangi, riunione va bene!".
Mi lasciai scappare una risata e forse solo in quel momento realizzai in cosa mi ero cacciata, di nuovo.
Riunioni folli, orari assurdi, ragazzini iperattivi, ma anche amicizie
improbabili, serate indimenticabili, momenti così strani e
unici da legare persone sconosciute tra loro.
"Sono felice di essere di nuovo qui con voi, ragazzi. Sono pronta per Dublino 2018!" decisi di dire per non farli preoccupare.
Sapevo che in fondo erano davvero preoccupati per me e ci tenevano a
farmi stare bene, così mi stampai in faccia un sorriso e li
invitai a prendere una birra - una Giuinness, ovviamente - per
celebrare l'inizio di quella stagione lavorativa.
*°*°*°*
Quando l'ispirazione chiama, chiama.
Reduce dalla mia seconda
esperienza come group leader sono felice di comunicarvi che Alice
avrà un continuo e sto già scrivendo il secondo capitolo.
Il tutto sarà ambientato durante l'estate 2018,ovvero l'estate
prima del matrimonio di Saverio e Nadia, quando Alice e Luca si sono
lasciati da poco.
Il 27 agosto pubblicherò
il primo capitolo, lo troverete sempre qui perché ho intenzione
di togliere il "Completa" e renderla una storia in due parti,
così tutti coloro che hanno seguito la storia non la "perdono"
di vista.
Che dire, fatemi sapere se vi va di seguire la seconda parte, ci saranno tante novità.
Ci vediamo il 27 :D
Un bacio,
milly.
|
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Capitolo 16 *** Day 1: Dall'altra parte della scrivania ***
Day 1: Dall'altra parte della scrivania.
Capitolo 1
Day 1: Dall'altra parte della scrivania.
26 Luglio 2018
Come
ogni volta che si trattava di dire addio, non riuscivo a non essere
pacata e razionale, mi lasciavo sempre andare con frasi strappalacrime
o ridevo per il nervosismo.
Avevo
salutato tutti, solo Maurizio era l'unico rimasto al mio fianco
perché avremmo preso la stessa navetta per tornare a Termini e
poi ognuno si sarebbe diretto a casa propria.
"Andiamo?" mi chiese, un po' incerto.
Esitai,
guardando l'aeroporto di Fiumicino per l'ultima volta, con un'enorme
carica positiva visto che ogni avventura iniziava sempre da lì e
in un modo o in un altro ogni volta che ci tornavo ero una persona
diversa.
"Aspetta"
susurrai. "Quando usciremo da qui saremo presi da telefonate, orari
delle navette, mille pensieri... Voglio approfittarne per dirti ora che
ti ringrazio perché mi hai dimostrato di essere una persona
meravigliosa e non so come avrei fatto senza di te".
Maurizio
sgranò gli occhi, quasi incredulo per quella mia ammissione e,
un po' goffamente, fece un movimento strano che gli fece cadere la
valigia.
Ridemmo
e non so come ci ritrovammo stretti in un abbraccio dolce, che
probabilmente voleva dire tante cose, più di quelle che ci
eravamo già detti.
Non me ne ero ancora resa conto, ma a pochi passi da noi c'era Luca con la sua squadra che ci guardava.
Il verso dei gabbiani fu l'unica cosa fastidiosa del mio risveglio, quel freddo giovedì di fine giugno.
Era tutto calmo
nonostante fosse un giorno importante: nel giro di circa sette ore il
college avrebbe iniziato a riempirsi di adolescenti provenienti da
tutte le parti d'Italia accompagnati dai rispettivi Group Leader,
coloro che erano in carico di gestire i ragazzi in ogni momento del
soggiorno, controllare che fosse tutto ok e aiutarli in caso di
necessità.
Dopo una lunga dormita mi
sentivo pronta ad affrontare i miei doveri di Coordinatrice
Mediatrice e le parole di Mario mi avevano fatto bene visto che mi ero
ricordata dei progressi fatti in un anno.
Avevo lavorato come un
mulo, mi ero trasferita da Roma a Milano per uno stage nell'azienda per
cui avevo lavorato come Mediatrice ed ero finita per essere una sorta
di tuttofare: dal caffè alle fotocopie al rispondere alle
telefonate...
Solo a maggio, dopo quasi
dieci mesi di lavoro, mi avevano proposto un contratto di tre anni come
Mediatrice e Promoter delle vacanze studio.
Nel giro di un mese la
mia vita era cambiata, anche perché mi ero ritrovata con
un'ulteriore proposta di incarico per quanto riguardava il soggiorno in
Irlanda, quella che mi rendeva, appunto, Coordinatrice Mediatrice .
Senza sapere come, mi ero
ritrovata all'infinita riunione della Stagione 2018 con tutti i
coordinatori, i team leader e gli Activity Leader, ovvero la parte
"superiore" e fissa di ogni staff.
Io, quella che l'anno
prima aveva dimenticato di portare in Inghilterra una cosa stupida come
l'adattatore, avrei dovuto coordinare la parte del soggiorno che
riguardava l'avere a che fare con gli stranieri sotto tutti gli
aspetti, dalle escursioni alle serate a tema.
Come se non
bastasse, avrei avuto anche un Mediatore a cui affidare i compiti
più semplici, come tradurre le parole di una guida durante
un'escursione.
Per questo, cercando di
non andare nel pallone, decisi di soffermarmi sulle cose positive di
quel nuovo incarico, ricordandomi che ce la potevo fare.
Stavo facendo colazione
quando mi resi conto che Saverio e Amanda, la nuova Team Leader, mi
cercavano con lo sguardo mentre reggevano i vassoi con sopra le loro
colazioni.
Alzai la mano per farmi notare così mi raggiunsero e presero posto di fronte a me.
"Buongiorno!" esclamai.
"Buongiorno" replicò Amanda, una ragazza di ventinove anni alla sua prima esperienza come Team Leader.
"Buongiorno. Alice, fai ridere con questa camicetta".
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, guardando male Saverio.
Mi andava bene essere
oggetto di battutine davanti a chi mi conosceva, solo che Amanda non
era una di noi e dubitavo lo sarebbe diventato, lo avevo capito da
quando si era presentata alla riunione generale di due settimane prima
e aveva esordito dicendo che era felicissima di essere diventata Team
Lader perché così poteva "lasciare tutte le cose da fare
ai Group Leader, non fare più ronde notturne e andare a dormire
presto", seguita da una risata per nulla divertente.
Noi eravamo una squadra pronta ad aiutarci, lei era lì per comandare.
Quindi, per questo non
volevo apparire come una sorta di anello debole della catena visto che
rispetto a lei anche io avevo il dovere di coordinare qualcuno e tante
responsabilità.
"Che ti devo dire, almeno
ci sarà qualcosa di divertente in questa giornata impegnativa"
provai a zittirlo subito, cercando di celare la mia disapprovazione.
"Non siamo in ufficio a Milano, lo dico per te, poi non è pratica...".
"Saverio, tra un'ora ho
la prima vera riunione importante della mia vita in cui conto davvero
qualcosa e se voglio andarci con una stupida camicetta ci andrò,
ok?" lo zittii definitivamente. "Non ho l'obbligo della divisa,
dopotutto".
"Certo, scusa".
Cosa? Si era appena scusato con me? Possibile?
"Figurati".
"Wow Alice, hai zittito
Saverio! Sei una peperina!" ridacchiò Amanda, in un modo che mi
fece arrabbiare ancora di più.
"Non ti ci abituare, non succede mai e probabilmente non succederà più" le ricordai, decisa.
"Buongiorni amici!".
Sospirai di sollievo nel
vedere che anche Mario ci aveva raggiunto per colazione, sapevo che la
sua presenza avrebbe reso l'aria decisamente più leggera.
Gli feci cenno di battere
il cinque - era il nostro modo di dirci che era davvero tutto ok dopo
la discussione della sera prima - e lui obbedì con entusiasmo.
"Mario, io dopo la
riunione solo libera fino alle tre perché poi arriva il nuovo
mediatore, che dici, stiliamo la lista di attività per le varie
serate a tema così poi le propongo agli irlandesi e agli
spagnoli?" proposi.
"Certo!".
Sapevo quanto Mario
amasse proporre nuove attività e coinvolgere più gente
possibile per rendere le serate un vero successo, per questo ero felice
di lavorare con lui e allontanarmi dalla compagnia di Amanda, visto che
mi sembrava inutile.
Mangiammo tutti insieme, poi alle nove e venticinque mi alzai.
"Ragazzi, inizio ad avviarmi" mi congedai.
"Aspetta, vengo con te"
disse Saverio, facendomi cenno di non muovermi e mangiando l'ultimo
boccone del toast con burro e marmellata.
Annuii, così
qualche minuti dopo uscimmo insieme dalla grande mensa del Joyce's
College, diretti verso la struttura dove si sarebbero tenute le lezioni
di inglese e di spagnolo e dove c'erano i vari uffici.
"Non volevo offenderti,
era solo una battutina, sai, quelle che io e te ci diciamo da ormai un
anno" mi disse subito, alquanto preoccupato.
Eccolo lì, il
solito coordinatore che prima lanciava la bomba e poi, comprendendo
l'errore, correva a scusarsi per aggiustare la situazione.
"Lo so, Saverio, ma non
mi va di essere derisa così davanti ad Amanda. Ieri in aereo mi
ha fatto tutto un discorso sui nostri ruoli, era gerarchico! Lei crede
di essere il capo del mondo, non è una alla mano come lo siamo
noi, non è...".
"...Elena" terminò
lui per me, annuendo tristemente. "Hai ragione, Alice, ma Elena ora ha
il suo college da coordinare e dobbiamo andare avanti. Tu sei stata
fortunata ad avere un bel gruppo alla prima esperienza ma le cose non
stanno così, l'anno scorso siamo stati l'eccezione. Ora
conosceremo i nuovi Group Leader e magari siamo fortunati così
Amanda sarà in minoranza, solo che io devo collaborare con lei e
non posso fare altro che provare ad andarci d'accordo".
"Va bene, solo che... Mi sembra scontato dirlo ma non voglio che sappia degli avvenimenti dell'anno scorso".
"No, Alice, scherzi? Non le direi mai che sto con una Group Leader conosciuta l'anno scorso o che ti eri messa con...".
"Ecco, ci siamo capiti".
Non volevo sentire il suo nome, faceva ancora male il solo pensarlo, figuriamoci ascoltarlo.
Sapevo che aveva fatto di nuovo domanda per lavorare nello staff ed era finito a Barcellona, con mio grande sollievo.
Saverio capì che
non bisognava nemmeno accennare l'esistenza di Luca, così mi
fece segno di seguirlo una volta entrati nel grande edificio dove si
sarebbero tenute sia le lezioni sia le varie attività.
"Seguimi" disse semplicemente, avviandosi verso il primo piano.
Obbedii e mi ritrovai in
un ufficio con due scrivanie in legno, due computer e una finestra
molto luminosa che dava sul parco dove i ragazzi avrebbero fatto
ricreazione.
"Benvenuta nel tuo ufficio" disse poi, sorridendo speranzoso, in attesa della mia rezione.
"Cosa?".
"Hai bisogno del tuo
ufficio, Alice! Tu e il mediatore potrete lavorare qui in santa pace.
E' da una settimana che prego la direzione di darci un ufficio extra e
ci sono riuscito. L'insistenza ripaga, ricordalo sempre, e ricorda che
meriti di stare dall'altra parte della scrivania" spiegò.
Incredula, mi portai una mano alla bocca e mi guardai attorno: da lì a un mese quello sarebbe stato il mio ufficio.
Io avevo un ufficio! Io, quella che gironzolava per gli uffici degli altri senza meta fissa avrei avuto la mia scrivania!
Senza parole, abbracciai Saverio e iniziai a saltellare per la gioia, felice come non mai.
"Non ci credo" esclamai, improvvisamente ancora più esaltata per ciò che stava iniziare nel giro di poche ore.
"Te lo meriti. Te lo
meriti perché quando sono arrivato alla sede di Milano ti ho
visto gironzolare da scrivania a scrivania senza fermarti un secondo,
andavi avanti perché dovevi ma si vedeva che ti chiedevi "Quando
avrò un ufficio tutto mio?" e che allo stesso tempo ti stavi
arrendendo. Vederti così mi ha fatto stare male, Ali! Questo
è un nuovo inizio, poi da settembre lavoreremo insieme, gireremo
insieme per le varie scuole d'Italia... Meriti un inizio appropriato,
senza essere alla ricerca di una scrivania tutta tua" sentenziò,
prima di sciogliere l'abbraccio e aprire un cassetto, rivelando una
bella scorta di block notes, penne, post it e planner.
Probabilmente ricordava
tutte le volte in cui mi era toccato andare in giro per cartolibrerie
per fare scorta di materiali per l'ufficio in cui mi perdevo nella
scelta di materiali originali.
Ero senza parole per tutte quelle accortezze visto che negli ultimi mesi avevo imparato a cavarmela da sola.
Ora che era di nuovo lui
il mio "capo" mi sentivo più protetta, tutelata, e non vedevo
l'ora di renderlo fiero di me, questa volta senza intoppi, senza drammi
sentimentali e gente che finiva all'ospedale.
"Ti renderò fiera di me" riuscii soltanto a dire, fin troppo commossa da tutta quella premura.
"Non ho dubbi. Comunque dopo pranzo ti aspetto in cortile, c'è un'altra sorpresa".
"Mi fai paura, Saverio! Non dirmi che Nadia...".
"No, Nadia continua a lavorare da Sephora e andrà in ferie ad inizio agosto, lo sai. E' un'altra sorpresa".
Annuii, decidendo di fidarmi di lui, per poi guardare l'orologio e spalancare gli occhi.
"Manca poco alla riunione, andiamo!".
"Ma che palle, Alì!".
La riunione andò
bene, tutti sembravano essere d'accordo sulla maggior parte dei punti e
non ci furono particolari problemi, così me ne andai nel mio
ufficio nuovo di zecca con Mario per programmare varie attività
da proporre nel meeting del giorno successivo.
Tra queste, quello che
più ci aveva entusiasmato era lo Speed Date che avrebbe avuto
luogo la sera successiva: i ragazzi provavano a conoscersi nel giro di
due minuti e poi passavano al compagno successivo, per una durata di
un'ora.
Anche noi come Staff ci saremmo messi in gioco, e la cosa ci fece ridere fin troppo.
"Immagina lo speed date tra Amanda e Saverio" aveva detto Mario.
"Non oso immaginare!".
"Però il nostro sarà il più figo, Alì!".
"Ovvio".
Così, alle dodici
e trenta ci avviammo verso la mensa e un'ora dopo fui trascinata con
forza fuori per andare verso il cortile per la cosiddetta "Sorpresa".
"Io non capisco! Che
sorpresa può mai essere?" sbottai, infastidita perché
avevo mangiato in fretta e furia un ottimo dolcetto al cacao. "Ho letto
i nomi del resto dello staff e non li conosco, Elena è a Londra,
Nadia è a Milano...".
"Sai, Alice" mi
interruppe Saverio, fingendo di non ascoltarmi, "Questa volta i ragazzi
saranno di più, cento, divisi per quattro Group Leader".
"Lo so, Saverio, ti ho trascritto io i loro dati...".
"Ma in casi come questi,
soprattutto quando hai quasi tutto lo staff alla prima esperienza, puoi
richiederne uno in più, uno che sostituisca gli altri quando
hanno la giornata libera o quando c'è un emergenza".
"Ok, quindi...?".
"Quindi...Oh, ecco il taxi!".
In un battibaleno Saverio
e Mario corsero in direzione dell'auto come due bambini che corrono
verso fiumi di cioccolatini, urlando cose a caso che non riuscivo a
comprendere.
La portiera si
aprì, vidi prima una valigia, poi un bagaglio a mano, poi
Saverio che si buttava addosso a qualcuno e poi mi sembrò di
essere tornata un anno indietro, quando mi fermai nel bel mezzo del
Queen's College perché avevo notato che il cellulare si stava
spegnendo e avevo ricordato di aver dimenticato l'adattatore, salvo poi
ritrovarmi qualcuno che mi veniva addosso per la mia frenata brusca.
Salvatore era lì,
sempre lo stesso, che sorrideva in evidente imbarazzo visto il suo
essere timido e di poche parole e poi mi faceva un cenno da lontano.
"Salvatore!" urlai, con la stessa enfasi di chi nota da lontano il suo attore preferito.
Corsi in sua direzione e mi portai una mano alla bocca, incredula nell'averlo lì di fronte a me.
Mi ero rassegnata a non
avere al mio fianco persone come Nadia, Clara ed Elena, mi ritenevo
già fin troppo fortunata nel poter lavorare con Saverio e Mario,
eppure ecco lì Salvatore, il primo Group Leader che avevo
conosciuto.
"So tutto da due
settimane, Alì, ma mi hanno detto di non dirtelo!" si
giustificò, sorridendomi, imbarazzato più che mai mentre
gli gettavo le braccia al collo e lo stringevo a me.
Mi sentivo molto legata
al ricordo di Salvatore, forse perché da quando lo avevo
conosciuto fino a quando lo avevo salutato all'aeroporto di Fiumicino
avevo vissuto una sorta di stramba favola che purtroppo aveva avuto una
fine non proprio lieta.
"Che idioti! E' una bellissima sorpresa!" urlai, probabilmente con voce fin troppo stridula.
"Lo sapevo" disse Saverio.
"Ne ero certo" diede man forte Mario.
Entrambi presero i
bagagli del ragazzo e ci fecero segno di seguirlo verso la sua stanza,
così restammo a due passi da loro.
"Come stai? Io mi sono
trasferita altrimenti ti avrei detto volentieri di beccarci a Roma"
spiegai, per far capire che non lo avevo snobbato visto che abitavamo
abbastanza vicino.
"Lo so, Alì, Saverio mi ha accennato qualcosa. Lavorate insieme, hai fatto lo stage con l'azienda, brava".
"Sì... Tu, piuttosto?".
Scrollò le spalle
e fece un sorriso amaro. "Campo contratto dopo contratto, faccio un po'
di tutto, questo è il mio unico lavoro abituale".
Mi sentii colpevole al
pensiero di aver ottenuto un contratto di tre anni con la nostra
azienda quando lui lavorava per la stessa da anni ed anni, quindi
decisi di non dire altro.
"Capisco...".
"Senti, non so' bravo a
fare finta di niente, ho notato che non posti più cose co' Luca,
non so' fatti miei ma non so cosa posso chiedere o meno visto che non
ci vediamo da un po'" disse rapidamente, con l'aria di chi vuole
togliersi un pensiero subito.
Non potevo biasimarlo, dopotutto l'anno prima lui ci aveva salutati entrambi in aeroporto mentre ce ne stavamo mano nella mano.
Salii i gradini che portavano ai dormitori e deglutii.
"Siamo stati insieme fino
ad aprile, poi mi ha confessato di avermi tradito con una con cui poi
si è messo. E' stato difficile far quadrare tutto visto che io
lavoravo a Milano, ma almeno ci abbiamo provato" risposi, cercando di
controllarmi.
Salvatore si bloccò, incredulo, e mi afferrò per un polso.
Saverio si fermò
vedendo che non stavamo proseguendo e io gli chiesi la stanza in modo
da raggiungerli nel giro di qualche minuto.
"Ma che fijo de 'na mignotta!".
"Lo so, Salvatore, ma non posso farci nulla, devo andare avanti. Non ne voglio parlare" ammisi, sincera più che mai.
Salvatore annuì e mi accarezzò un braccio.
"Io so' un tipo di poche parole ma so ascoltare, Alì. Quando hai bisogno ne possiamo parlà" si offrii, premuroso.
"Lo so, grazie".
In silenzio, avanzammo verso il suo dormitorio e pensai che, dopotutto, avevo già un alleato in più.
Tutto ciò che
sapevo del Mediatore che lavorava con me era che si chiamava Maurizio
Neri, aveva ventisette anni, aveva frequentato la mia stessa
Università e che l'anno precedente aveva lavorato come Mediatore
come me in un college al centro di Londra.
Il fatto che non fosse
inesperto mi tranquillizzava molto ma ero nervosa all'idea di doverlo
coordinare quando avevamo iniziato questo mestiere nello stesso anno.
Volevo andare ad
accoglierlo come avevamo fatto con Salvatore ma Amanda ci teneva a
farlo in prima persona visto che l'anno precedente aveva lavorato nel
suo staff, quindi lo attesi in ufficio.
Alle quindici e trenta
sentii bussare alla porta, così presi posto con la schiena il
più dritta possibile e dissi "Avanti".
Vidi che dietro la porta
c'era un ragazzo alto nella media, con i capelli castani ricci e gli
occhi celati da un paio di occhiali che gli conferiva un'aria
abbastanza intellettuale.
"Ciao! Maurizio, giusto?" domandai, alzandomi e porgendogli la mano.
"Sì, piacere".
"Io sono Alice, piacere, la Coordinatrice Mediatrice".
Maurizio mi sorrise nervosamente così gli feci cenno di prendere posto, obbedì.
"Hai posato i bagagli?" mi informai.
"Sì, le stanze sono bellissime, non me lo aspettavo".
"Nemmeno io, quelle dell'anno scorso erano molto più minimal".
"Esattamente! Dove eri?".
"Al Queen's College" risposi.
"Io al Piccadilly".
"Eri al centro, io ero un
po' più in periferia... Hai mangiato? Mi rendo conto che sei
arrivato a un orario un po' scomodo" domandai gentilmente, ricordando
la fame matta che avevo avuto l'anno prima quando ero arrivata senza
aver pranzato.
"No, sto bene, grazie, ho mangiato in aereo, mi hanno dato la prima classe" ammise, alquanto sorpreso.
"Sì, lo so, ho
insistito io visto che io, il Coordinatore e gli altri dello staff
abbiamo volato in prima classe" rivelai, ricordando i mille casini
vissuti nel periodo delle prenotazioni.
Maurizio sembrava davvero preso alla sprovvista, infatti mi fissò come se fossi un'aliena.
"Sono sorpreso".
"Si vede" ridacchiai.
"Allora, questo è il nostro ufficio. Questa è la
tua scrivania" esclamai, indicando quella al fianco della mia. "Se ti
va ti faccio fare un tour del college così inizi ad orientarti".
Il ragazzo annuì e si alzò.
"Per stasera sei libero,
i ragazzi arriveranno dalle cinque a mezzanotte e noi non parteciperemo
alla riunione con i group leader perché domani abbiamo varie
riunioni ma da domani sera saremo in riunione con loro".
Mi sentivo fin troppo
professionale, era strano avere lì qualcuno pronto ad ascoltarmi
e a fare ciò che gli dicevo perché il mio lavoro era
proprio quello.
Uscimmo dall'ufficio, gli
mostrai l'ufficio del resto del gruppo e le aule dove si sarebbero
tenute le lezioni, la mensa e, infine, la solita cucina- ufficio dove
si sarebbero tenute le riunioni serali, cosa per cui Saverio aveva
lottato molto.
"Dobbiamo sentirci a casa
tra noi e non penso ci riusciremmo in un posto senza divani e fornelli"
mi aveva spiegato una settimana prima.
Bussai e vi trovai Saverio, Amanda, Mario e Salvatore che prendevano un caffè.
"Il Dipartimento di
Mediazione è al completo, vi presento Maurizio" esordii,
sentendomi stranamente strana nel vedere che eravamo due team distinti
ma allo stesso tempo uniti e che io avevo davvero voce in
capitolo quella volta.
"Noi ci conosciamo già, vero, Maury?" disse Amanda, facendo l'occhiolino.
Sentendosi chiamare
così, il povero ragazzo rabbrividì e capii che non era la
prima volta che la donna lo chiamava così.
"Piacere, Saverio, sono
il Direttore. Se Alice ti sembra pazza, tranquillo, ci vedi bene, lo
è" esclamò, guardandomi con aria soddisfatta.
"A me è sembrata fin troppo gentile" disse Maurizio.
"Questo è il primo
segno distintivo dei pazzi, caro Maurizio. Sembrano tutti carini e poi
ti ritrovi a rispondere a messaggi assurdi alle tre di notte. Piacere,
Mario, l'Activity Leader".
"Sì, vabbè, qui siamo tutti pazzi, alla fine. Salvatore, il group leader di riserva".
"Come vedi sono molto amata dai miei colleghi, Maurizio. Confido in te" ironizzai, scuotendo il capo con finta disapprovazione.
Maurizio rise, forse per
scaricare un po' il nervosismo iniziale, poi agitò una mano in
segno di saluto. "Piacere di conoscervi, spero lavoreremo bene insieme".
"Di sicuro. Qui la prima
regola è parlare in faccia, Maurizio, quindi non esitare a dirci
qualsiasi cosa. Anzi, a tal proposito...".
Saverio si alzò e
andò verso una mensola su cui era poggiata una scatola. "Questa
è la nostra scatola dei suggerimenti. Ogni sera la svuotiamo
insieme prima della riunione e leggiamo cosa c'è che non va,
sentitevi liberi di scrivere qualsiasi cosa, anche in anonimo".
Pensai subito ad una lamentela nei confronti di Amanda ma decisi di essere paziente e di darle un'opportunità.
"Va bene. Direi che ci
meritiamo un caffè anche noi, Maurizio, lo faccio subito" dissi
cordialmente, facendogli segno di sedersi.
"Oh, grazie, Alice".
"Ali, cara, voglio provare il tuo caffè, se lo fai meglio di Saverio incarico te di farlo la mattina, che dici?".
Mi sforzai di non far
cadere il caffè in polvere mentre Amanda parlava ma ormai non
potevo farci nulla: era molto difficile farmi cambiare idea quando
qualcuno mi stava antipatico.
"La Team Leader sei tu,
Amanda, e visto che fino a che i ragazzi non saranno a scuola non avrai
nulla da fare l'addetta al caffè sei tu" mi anticipò
Saverio.
"E perché, scusami, Mario cosa farà? E Salvatore, che non avrà una squadra sua?".
"Posso farlo io, non c'è problema" s'intromise timidamente Maurizio.
Lo stoppai con un cenno, incredula per ciò che le mie orecchie stavano sentendo.
"Amanda, perdonami,
è da quando siamo partiti che sento battutine sul tuo non fare
nulla ora che sei Team Leader, solo che un conto sono le battutine un
conto è la realtà. Sai che abbiamo dei Group Leader alla
prima esperienza, vero? Confideranno in te, sarai la loro guida"
sbottai, seppur il più pacatamente possibile.
Probabilmente la donna
non si aspettava questa reazione da parte mia perché
incrociò le braccia e mi guardò male.
"Qui non si può
nemmeno scherzare..." sbraitò. "E per dimostrarvelo andrò
a chiamare i ragazzi che dovranno arrivare per prima e vedere dove
stanno".
"Amanda, sono ancora in
aereo, non possono risponderti" le ricordò Mario, ma lei ormai
era uscita con una finta camminata fiera.
Tutti mi guardavano come se fossi la colpevole.
"Oh, andiamo! Ho detto
ciò che pensavate tutti!" mi difesi, per poi mettere la moka sul
fuoco e iniziare a prendere i bicchieri.
"Nessuno ha osato
parlarle così l'anno scorso" rivelò Maurizio e ciò
mi fece pensare che piano piano gli avrei chiesto più
informazioni possibili sulla Team Leader.
Alle diciotto e trenta,
poco prima di cena, il mio dibattito con Amanda era stato l'avvenimento
più eclatante di quel giorno.
Avevamo conosciuto
Gabriele e Monica, due group Leader, rispettivamente di Palermo e
Brindisi, ma mancava ancora tanta gente all'appello.
Mentre mi dirigevo verso
la mensa notai un ragazzo alto che se ne stava al fianco di Mario,
entrambi camminavano dalla parte opposta del marciapiede e parlottavano
tra loro, ridendo ogni tanto.
Non ebbi nemmeno il tempo di guardarli meglio che un "Ehi, Ali, vieni a conoscere il dottore" mi fece trasalire.
Giusto, il dottore!
Ero così
imbarazzata per il ricordo della povera Giada dell'anno precedente che
non avevo nemmeno pensato alla presenza del medico nello staff.
Agitai la mano in segno di saluto e mi avvicinai, trovandomi davanti un uomo sulla trentina abbastanza curato e sorridente.
"Ciao! Io sono Alessandro, piacere" mi disse, stringendomi la mano con sicurezza.
"Piacere, Alice" risposi.
"Lei è la nostra Coordinatrice Mediatrice" mi presentò Mario.
Non ebbi il tempo di dire altro che la mia attenzione fu catturata da un "Hola, Alice" che mi sembrava di ricordare.
Mi voltai e vidi che alle
mie spalle, identico all'anno precedente, forse solo un po' più
abbronzato, c'era un sorridente Javi.
"Hola, Javi".
Per fortuna non si perse
in chiacchiere e se ne andò verso la mensa, lasciandomi con il
pensiero che era confermato che, anche quell'anno, c'erano un belloccio
e uno spagnolo, l'unica cosa diversa ero io che non ero proprio
predisposta a finire nei casini.
Dimenticavo, purtroppo, che nei casini ci puoi finire anche a causa di terzi.
*°*°*°*
Rieccoci qui! :D
Come promesso, eccomi qui, pronta a raccontare gli avvenimenti del secondo anno di lavoro di Alice con l'Emperor Travel.
Ci sono tante novità, nuovi
personaggi, ma soprattutto nuove dinamiche visto che ora Alice,
Saverio, Mario e Salvatore si sono riuniti e avranno a che fare con uno
staff tutto nuovo.
Questa volta il racconto non
coprirà solo le prime due settimane ma ben quattro visto che
Alice&Co lavoreranno per due turni, ovvero da fine giugno a fine
luglio.
Inizialmente verranno narrati i giorni singoli, poi si passerà a capitoli che ricoprono dai due ai quattro giorni.
Non so cosa dire, se non che:
- Tornerà almeno un personaggio della prima parte ;)
- Le dinamiche sembreranno le stesse ma poi saranno l'opposto
- Per una volta avremo uno staff
con dei personaggi "stronzi", dimenticate il gruppo che va d'amore e
d'accordo all'unanimità
- L'amicizia sarà ancora di più la chiave di tutto.
Aggiornerò tra una settimana, quindi il 3 settembre, e nel frattempo vi lascio qualche anticipazione:
Purtroppo
per me il coordinatore era un uomo che non osava fare scenate in
pubblico e quindi avrei solo potuto sperare in un resoconto molto
dettagliato.
Amanda sembrò inghiottire un limone ed annuì, mesta ed infastidita.
"Oh, scusami, devo raggiungere
gli altri! Me lo dici dopo" inventai, alzandomi di fretta tanto da
quasi cadere come una deficiente.
Mi ressi vicino ad un altra panchina, ma sentii indistantamente Javi ridacchiare.
"Tu non conosci nessuno ma a me sembra che qualcuno sappia tante cose su di te e se ne voglia approfittare".
"Parla chiaro, che cavolo!".
A presto, fatemi sapere cosa ve ne sembra di questo nuovo inizio :D
Baci,
milly.
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Capitolo 17 *** Day 2: Passato Presente ***
Passato Presente
Capitolo 2
Day 2:Passato Presente
Prima
di partire mi ero informata sulle condizioni della struttura in cui
avremmo alloggiato e quando avevo saputo che avrei avuto una cucina
tutta per me visto che mi sarei trovata in un piano senza ragazzini
avevo fatto i salti di gioia.
Nessuno mi avrebbe
disturbato e avrei avuto la cucina a disposizione per fare il
caffè, senza dovermi accontentare dell'acqua colorata che
avrebbero servito a mensa.
Per questo, rinvigorita
da otto ore di sonno piene senza adolescenti urlanti nei dintorni, la
mattina del secondo giorno mi svegliai con calma e andai a prepararmi
il caffè.
Riposata com'ero, nemmeno
i versi dei gabbiani mi davano fastidio e decisi di godermi quella
sensazione finché potevo visto che sicuramente nel giro di
qualche giorno mi sarei sentita stanca come non mai.
"Se non ti fidi del caffè di Amanda vieni a prendere il mio" scrissi rapidamente a Saverio mentre mi preparavo.
La prospettiva di
scambiare due chiacchiere con lui prima dell'inizio ufficiale della
vacanza studio era decisamente allettante e probabilmente un po'
terapeutica.
Era il primo giorno di
lavoro ufficiale dopo il giorno degli arrivi, io non avevo idea di come
fossero gli ultimi membri dello staff che erano arrivati dopo le undici
e volevo sentirmi rassicurata un'ultima volta dal mio capo su
ciò che avrei fatto a breve.
Fui felice di leggere che
mi avrebbe raggiunto nel giro di dieci minuti, così andai a
preparare il tutto e lo accolsi con un bellissimo aroma di caffè
che invadeva la bellissima cucina - soggiorno.
Alla mia destra c'era una
bellissima vetrata da cui si vedeva il fiume Liffey in lontananza e
solo vedere tutto ciò mi riempiva di speranze e mi metteva di
buonumore.
"Ti sei persa una riunione assurda, ieri" esordì Saverio, mentre versavo il caffè in un bicchiere di carta.
"Cioè? Che è successo?" chiesi, mentre facevo lo stesso con il mio bicchiere e poi zuccheravo entrambi.
"Ovviamente i Group
Leader erano stremati dopo una giornata di viaggio ed Amanda faceva
battutine assurde, del tipo "Monica, ti chiami come la mia migliore
amica, andremo d'accordo" o "Luigi, avevo un ex che si chiamava come
te, fai attenzione". Sono davvero preoccupato" ammise, bevendo un
sorso.
"Ma come ha fatto a
diventare Team Leader? L'anno scorso era un semplice membro dello
staff, no?" domandai, incuriosita dal successo di una persona non
proprio empatica come Amanda in un mondo in cui l'umanità e la
comprensione sono la chiave di tutto.
"E' sotto l'ala
protettiva di Clemente Astori" mi informò il coordinatore, come
se ciò bastasse a spiegare e a chiudere la questione.
"Chi?".
"Non conosci Clemente?" chiese, incredulo.
"No".
"Ma come...". Saverio
finì di bere il caffè e mi guardò con aria
critica. "E' quell'omaccione che prese posto vicino a noi alla riunione
di inizio stagione".
"Ma chi, il calabrese con
la maglia di Game of Thrones che si definiva "The King in the South" e
che inveiva contro gli adolescenti raccontando tutte le storie che gli
sono successe in questi anni?" chiesi, allibita dal ricordo di
quell'uomo bassino e a pochi passi dalla calvizie completa che pensava
che fossi una Group Leader.
"Esattamente. E' molto
amico di Amanda, si sono conosciuti cinque anni fa quando lei ha
iniziato questo lavoro e diciamo che non hanno altri amici nel settore,
Clemente fa sempre in modo di lavorare con lei e da anni la
segnala come Team Leader, questa volta le è andata bene visto il
posto lasciato vuoto da Elena".
"E perché non lavora con lui, scusa?".
"Perché lui ha
già un Team Leader di fiducia e ovviamente non avrebbe mai
sacrificato l'equilibrio del suo team per Amanda. Sa che è... Particolare".
"Eppure l'ha segnalata
per rovinare noi" brontolai, ripensando ai pochi ma significativi
momenti memorabili di Amanda che non mi erano piaciuti affatto.
Forse ero troppo critica,
forse non ero abituata ad avere a che fare con persone non gentili e
pacate quando lavoravo all'estero, solo che ero sollevata dal vedere
che non ero l'unica a notare qualcosa di strano in lei: Saverio faceva
quel mestiere da anni ed anni ed aveva la mia stessa sensazione.
"Pensiamo solo che starà con noi solo due settimane, poi ne verrà un altro" mi ricordò.
Annuii, poco convinta.
Arrivata in mensa presi
il mio solito yogurt con i cereali e una brioche, snobbai con un
sorrisone il caffè acquoso che volevano propinarmi e mi
avvicinai al tavolo dove c'erano Salvatore, Mario, Gabriele, Monica e
due Group Leader che non avevo ancora avuto l'occasione di conoscere.
"Ciao a tutti! Io sono
Alice, la Coordinatrice Mediatrice" mi presentai, dopo aver posato la
colazione sul tavolo. In lontananza vidi Maurizio che ci cercava con lo
sguardo e gli feci segno di raggiungerci.
"Ciao, io sono Luigi" si presentò un ragazzo sorridente e dalla pelle molto abbronzata.
"Io sono Cristina" si presentò una ragazza dall'accento siciliano, con lunghissimi capelli scuri molto ricci.
"Ciao a tutti" disse Maurizio, agitando la mano in segno di saluto.
"Lui è il nostro Mediatore" aggiunsi. Mi rendeva fiero presentarlo ogni volta, non sapevo nemmeno io il perché.
Nel giro di poco vidi la
parte restante del team entrare, capitanato da un'ostinata Amanda che
prese posto a capotavola e ci guardò come se fossimo delle
formichine da analizzare in un laboratorio.
"Chi di voi è alla prima esperienza?" domandò subito, con aria investigativa.
Monica e Cristina alzarono la mano, un po' intimidite.
"Bene, sapete a cosa corrisponde ogni figura dello staff? Tipo, se vi dico Activity Leader, a cosa pensate?".
Le ragazze sembravano
stupite da quella domanda così stupida, a tal punto che vidi
Cristina sopprimere a stento una risata.
"Ci hanno spiegato la
struttura dello staff durante il corso di formazione. E' colui che si
occupa di tutte le attività che riguardano i ragazzi" .
"Oh, hanno fatto una cosa
buona, almeno! Io sono la Team Leader come avrete capito ieri in
riunione e vi ricordo che oggi dovrete darvi da fare con la
compilazione del modulo stanze e la raccolta delle carte di
identità della vostra squadra".
"Amanda, l'assegnazione
squadra ci sarà oggi dopo pranzo, quindi tutto slitta di un po'.
Ve lo dirò io, ragazzi, tranquilli. A proposito, mi
accompagni a prendere una cosa in ufficio, quando finiamo?" s'intromise
prontamente Saverio, con una finta voce calma che non lasciava
presagire nulla di buono.
Aveva uno sguardo
improvvisamente più attento, sottile, tipico dei momenti in cui
scovava un momento di crisi e stava cercando la soluzione giusta per
porvi rimedio senza creare troppi danni.
So che sbagliavo, ma la
prospettiva di un suo rimprovero nei confronti di Amanda mi esaltava
non poco, avrei spiato quel momento mentre assaporavo una montagna di
pop corn se avessi potuto.
Purtroppo per me il
coordinatore era un uomo che non osava fare scenate in pubblico e
quindi avrei solo potuto sperare in un resoconto molto dettagliato.
Dal canto suo Amanda
sembrò inghiottire un limone particolarmente aspro ed
annuì controvoglia, mesta ed infastidita.
Visto che il programma
della giornata era il classico del primo giorno - test di inglese e
spagnolo per stabilire il livello dei ragazzi, pranzo, escursione, cena
e attività serale - ci ritrovammo tutti in ufficio mentre i
ragazzi erano già in classe dopo il discorso di presentazione e
di benvenuto di Patrick, il direttore della scuola di lingue.
"Alice, Maurizio, state
un'oretta con noi, poi vi lascio alle vostre cose" ci aveva detto
Saverio poco prima della fine della colazione, quindi entrambi ce ne
stavamo nell'ufficio del resto dello staff, in un angolo, in attesa del
ritorno di Saverio e Amanda.
"Amanda non è mai
stata rimproverata, lei e Clemente, il nostro coordinatore, erano pappa
e ciccia" mi confidò Maurizio a bassa voce.
Solitamente sembrava
molto riservato, con il suo sguardo attento, ma in quell'occasione
sembrava desideroso di condividere qualche dettaglio in più e
onestamente a me faceva piacere perché ero curiosa di sapere
sempre più cose riguardo questo Clemente.
"Immagino la situazione fosse molto diversa da questa" azzardai.
Maurizio annuì.
"Molto. Vedo molta professionalità, quando lavori con
Clemente..." si zittì, timoroso di aggiungere altro e
lasciandomi nel dubbio.
Poco dopo Saverio
rientrò con un'Amanda che fingeva di essere tranquilla e prese
posto su una sedia al centro della stanza.
Tutti lo imitarono,
qualcuno finì sul pavimento e ciò mi ricordò
tantissimo la prima riunione in ufficio di un anno prima, quando Mario
aveva spiato i nostri curricula, c'era stata la distribuzione delle
magliette, Luca mi aveva lanciato la sua facendo qualche battutina
stupida...
Il solo ricordò mi causò un brivido e quasi sobbalzai, per poi lasciarmi invadere da alcuni brividi di freddo.
"Stai bene?" domandò Maurizio, confuso da quel comportamento.
Annuii, non riuscendo a dire altro, e mi sforzai di ascoltare.
"Finalmente ci siamo
tutti! Ieri, prima della riunione, ho congedato i mediatori quindi ora
ci siamo tutti. Quest'anno c'è la novità del doppio
mediatore, quindi siamo a quota undici, siamo la metà di una
squadra di ragazzi, direi" annunciò Saverio, gasato come solo
lui sapeva esserlo all'inizio di ogni avventura.
Annunciò il
programma, disse che per qualsiasi cosa riguardo i team stranieri
dovevano rivolgersi a me, poi iniziò la distribuzione delle
magliette che a noi non toccava, come al solito bastavano i nostri
zainetti rossi.
Fu con grande sollievo
che uscii per andare nel nostro ufficio per organizzare l'escursione
del pomeriggio e distrarmi un po', mi sentivo stupida nel lasciarmi
condizionare da vecchi ricordi.
Non potevo vivere
così e rivivere ogni cosa giorno dopo giorno considerando che
avrei anche festeggiato il compleanno lì come l'anno precedente
e non potevo permettermi il lusso di diventare nostalgica perché
sarebbe stato un anno dal primo bacio con Luca.
Mi imposi di entrare in
modalità "Produttività a mille" e feci sedere Maurizio di
fronte a me, mentre gli illustravo il planning fino a domenica.
"Tutto bene?" mi domandò ancor prima di farmi iniziare.
"Sì, perché?" chiesi, facendo finta di non capire.
"Prima hai avuto un brivido e sembravi strana".
Minimizzai con una risatina e scossi la mano per fare un cenno di dinego.
"E' tutto ok, Maurizio.
Ora, oggi pomeriggio, dopo pranzo, ci sarà un rapido tour del
centro della città e sarà con il team inglese, conosci
Dublino?" mi informai, prendendo una mappa dal cassetto e cercando i
punti di interesse per quel pomeriggio.
"Non ci sono mai stato".
"Nemmeno io. Per oggi
faremo vedere solo due punti di interesse: la statua di Joyce e quella
di Wilde, Greg spiegherà qualcosina e poi i ragazzi avranno del
tempo libero. Io non ci sarò, devo stare qui a pianificare le
gite del weekend con i due responsabili stranieri, dopo te li presento.
Ti andrebbe di cercare dei fun facts da aggiungere alla spiegazione?" proposi, speranzosa.
Ne avevo parlato con Saverio in aereo e lui sembrava entusiasta all'idea di arricchire così le escursioni.
"Sarebbe fighissimo!"esclamò, sorpreso da quell'idea.
"Mi fa piacere, cerchiamo di rendere le cose un po' più dinamiche. Ovviamente le dirai in inglese" aggiunsi.
"Certo. Devo ammettere
che mi sembra tutto molto più allettante rispetto all'anno
scorso, stare ore a tradurre email era assurdo".
"A chi lo dici, io preferisco la mediazione dal vivo, spesso non era semplice far capire Saverio e gli altri due team...".
"Sai quante volte ho omesso le parolacce del mio capo?".
"Esatto! Abbiamo vissuto la stessa cosa! Era assurdo!".
Qualcuno bussò
alla porta e ci interruppe, così mi ritrovai davanti Sandy
McPearson e Jimena Alvarez, i due responsabili degli altri due staff.
Vedere Maurizio che
parlava inglese e spagnolo e provava a fare conversazione mi
riempì di orgoglio, sentivo che mi avevano affiancato una
persona molto competente e ne ero davvero felice e quasi mi dispiacque
perdermi le escursioni per stare in ufficio ma sapevo a cosa andavo
incontro quando avevo firmato il contratto e pensai alla gita del
giorno successivo, a Galway, in cui avrei avuto modo di fare gruppo con
tutti e conoscerli meglio.
A ora di pranzo
iniziarono ad emergere le prime caratterische dello staff: Luigi era un
chiacchierone instancabile, Monica sembrava una divoratrice insaziabile
di insalata, Gabriele sembrava il classico tipo che diventava taciturno
quando aveva fame e inziava a parlare dopo essersi "ricaricato",
Cristina era spesso circondata dai ragazzi con cui aveva viaggiato e
che sembravano già essersi affezionati a lei.
Inoltre, il dottore,
Alessandro, sembrava essere il solito belloccio amico di tutti e dalle
mille esperienze, tanto da riuscire a intromettersi in ogni discorso
con facilità.
"Volevo visitare
l'Irlanda da anni, solo che quando potevo davo la precedenza ad altri
continenti, così mi ritrovo a conoscere bene New York e a
ignorare Dublino" disse Alessandro.
"New York, originale" lo prese in giro Saverio.
"E' una tappa obbligatoria, ma sono stato anche in Sud Africa, in Nuova Zelanda, in Colombia...".
"Perdonami, ma allora se hai tutti questi soldi che ci fai qui?" domandò schiettamente Mario, senza farsi problemi.
Alessandro scrollò le spalle e sorrise con l'aria di chi ha ascoltato la stessa domanda milioni di volte.
"Da quando lavoro come
medico generico non ho molto tempo libero e volevo fare questa
esperienza di lavoro e visitare un posto nuovo allo stesso tempo".
"Il tuo studio è chiuso a fine giugno?" chiese Salvatore, indagatore.
"Sì. Mi dà il cambio un collega... Ma cosa sono queste domande? Ditemi delle vostre professioni, piuttosto".
Il tutto mi sembrò
molto schivo, onestamente, così smisi di seguire la
conversazione e passai a quella in cui Luigi ci raccontava gli aneddoti
più divertenti della sua vacanza dell'anno precedente a Parigi.
Finii di pranzare presto
e uscii dalla mensa poco dopo Saverio, pronto a organizzare la
divisione in squadre nel giro di pochi minuti, subito dopo pranzo.
"Stasera mi devi
aggiornare" dissi semplicemente in modo eloquente, facendogli capire
che morivo dalla curiosità di sapere tutto della discussione con
Amanda.
"Certo, posso concederti cinque minuti prima della videochiamata con Nadia".
"Me li farò bastare".
Tornai in ufficio con una
buona prospettiva, così mi preparai al meglio per
l'organizzazione delle gite dei due giorni successivi.
Era quasi ora di cena quando decisi di recarmi verso la mensa, in attesa del rientro dei ragazzi e dello staff.
Le riunioni erano andate
bene, ero sempre più felice di avere a che fare con persone che
mi ascoltavano senza interrompermi e mi trattavano alla pari, mi
sentivo accettata e rispettata.
Ero su una delle panchine del college, un po' assonnata, quando vidi che a pochi passi da me c'era Javi.
L'anno precedente mi
aveva dato qualche segnale di interesse ed io lo avevo snobbato, quindi
ero un po' stranita dal dover averci a che fare anche se non era
successo nulla ed entrambi eravamo degli adulti che sapevano come ci si
comportava in determinate situazioni.
Onestamente non sapevo
quanto sapesse riguardo gli avvenimenti dell'anno precedente, ma nel
caso in cui avesse saputo qualcosa di certo non era per colpa mia visto
che ero stata fin troppo cauta con il non condividere nessuna
informazione con gli altri staff.
"Alice, che coincidenza, eh?*" disse, prendendo posto al mio fianco. "Aspetti anche tu gli altri?".
Sembrava gentile e pacato come sempre e la cosa non poteva che rassicurarmi.
"Sì, dovrebbero tornare a breve. Come stai?"
dissi, più che altro per colmare l'imbarazzo che percepivo. Non
sapevo nemmeno io il perché ma in quel momento era come se quei
dodici mesi non fossero mai trascorsi ed io fossi di nuovo la ragazza
che doveva badare ai pettegolezzi delle ragazzine che ci avevano visto
ballare alla lezione di salsa.
"Bene, anche se questa volta mi secca dover stare lontano da casa... Non vedo l'ora di partire con la mia ragazza, ad Agosto".
Lo disse in un modo molto
pomposo e mirato, con un tono totalmente diverso dal modo in cui aveva
parlato a quel momento e ciò mi fece chiaramente capire che non
vedeva l'ora di farmelo sapere, come una sorta di rivincita.
Ero abbastanza sorpresa, tuttavia cercai di non fare la figura dell'idiota.
"E dove ve ne andate di bello?" chiesi semplicemente.
Tuttavia, non ebbe il tempo di rispondere perché vidi spuntare Cristina con la sua squadra.
Presi la palla al balzo,
desiderosa di evadere da quella situazione, e per far capire che avevo
visto qualcuno salutai la group leader.
"Oh, scusami, devo raggiungere gli altri! Me lo dici dopo" inventai, alzandomi di fretta tanto da quasi cadere come una deficiente.
Mi ressi vicino ad un altra panchina, ma sentii indistantamente Javi ridacchiare.
Perché me la prendevo tanto? Perché scappavo quando poi di lui, onestamente, non mi interessava un fico secco?
Perché Javi era
qualcosa a cui non avevo badato per dare retta a quel deficiente di
Luca e mi doleva averlo trattato in maniera superficiale, nonostante la
sua simpatia e gentilezza.
Una dopo l'altra, le
conseguenze delle scelte passate si addossavano su di me ed io non ne
potevo più, avrei tanto preferito iniziare da zero e scegliere
un percorso più superficiale e meno tortuoso.
Scossi il capo come per provare a scacciare quei pensieri e mi diressi verso la group leader.
Cristina controllò che la squadra stesse in ordine in fila per due e poi si voltò verso di me, sorridendo.
"Come è andato il tour?" mi informai, lieta di far vagare la mia mente verso altri lidi.
"Benissimo! Dublino
sembra molto bella, più informale di Londra ma non è una
cosa negativa, per me" rispose Cristina.
"Devo ancora visitarla, pensa! Ho visto giusto qualcosa il giorno prima del vostro arrivo" ammisi.
Piano piano gli altri gruppi iniziarono ad avviarsi verso la mensa e alle sette eravamo tutti pronti per cenare.
"L'appuntamento per la serata Speed Date
è alle nove meno un quarto e finirà per le dieci e un
quarto" ci ricordò Saverio mentre eravamo tutti impegnati a
mangiare, stanchi dopo la lunga giornata. "Togliendo Mario che
dovrà coordinare il tutto, noi saremo in dieci e daremo
l'esempio, faremo anche noi vari speed dates tra noi, è un modo
per conoscerci un po'. A fine serata direte alle vostre squadre che
domani la colazione è dalle sette alle otto meno un quarto
perché alle otto si parte, ci vorranno un paio d'ore per
arrivare a Galway. Stasera vi aspetto in ufficio alle undici meno un
quarto per la riunione".
"E ho concordato
con Saverio" specificò Amanda, sempre con la solita aria di chi
ha ingerito qualcosa di molto aspro, "Che domani, al ritorno, vi
toccherà fare il check delle stanze dei ragazzi".
I group leader annuirono, sollevati dal non doverli fare dopo la serata.
Io non ebbi nemmeno un
po' di pausa post cena visto che raggiunsi il team spagnolo in vista
della serata insieme a Maurizio e Mario.
Dovevamo organizzare la
sala comune che avevamo a disposizione, spostare dei tavolini per
permettere a cento ragazzi di sedersi, mentre Javi e un suo collega,
Andrés, si occupavano della musica che avrebbe fatto da
sottofondo.
Alle otto e trentacinque,
tutte e quattro le squadre erano in sala, pronte ad ascoltare il
discorso di Mario che avrebbe presentato ufficialmente lo staff.
Era un momento emozionante, era quello in cui tutto iniziava per davvero ufficialmente dopo tanto lavoro.
"Benvenuti ufficialmente
al Joyce's College, ragazzi! Io sono Mario, l'activity leader, e ho
l'onore di presentarvi il nostro staff! I group leader al centro,
prego!".
Gabriele, Monica, Luigi e
Cristina andarono al centro della stanza e Mario li presentò,
poi toccò a Salvatore, poi ad Amanda, poi a me e a Maurizio, poi
Alessandro e, ovviamente, tutti insieme chiedemmo un applauso per
Saverio.
Una volta spiegata la
dinamica dello speed date - ogni due minuti avremmo cambiato partner -
anche noi ci sistemammo in un angolo, seduti per terra.
Io ridevo, quelle
dinamiche erano assurde perché per una volta sembravamo anche
noi dei ragazzini pronti a mettersi in gioco e a farsi conoscere.
Mario usò il suo
cellulare per riprodurre il suono di una campanella che dava l'inizio
al primo incontro e il caso mi fece ritrovare di fronte a Salvatore.
"Hai due minuti per stupirmi e dirmi qualcosa di te che non so" lo scimmiottai, fin troppo divertita dalla situazione.
Tuttavia Salvatore era serio, fin troppo, più del solito, in un modo che mi diede a pensare.
"Alì, fai attenzione, non voglio che ti ritrovi dietro a un deficiente come l'anno scorso" disse, deciso più che mai.
Sorpresa, lo guardai senza capire. In effetti quello era un modo per stupirmi a tutti gli effetti.
"Scusami?" chiesi, sicura di aver sentito male.
Salvatore esitò, torturandosi le mani, poi si voltò verso di me e mi guardò negli occhi con aria serissima.
"Oggi, mentre i ragazzi
erano in giro durante il tempo libero, sono entrato da Starbucks per un
caffè e ho origliato delle cose... Non voglio condizionarti, non
ti dirò i nomi, ma stai attenta e ricorda che il grande amore
non si trova in vacanza studio, ormai lo avrai capito" disse
rapidamente, visto che il tempo scorreva.
"Ma cosa hai origliato se io non conosco nessuno?" chiesi, stupita.
"Tu non conosci nessuno ma a me sembra che qualcuno sappia tante cose su di te e se ne voglia approfittare".
"Parla chiaro, che cavolo!".
"Alì, stai attenta
al dottore" rivelò infine, non riuscendo a trattenersi. "Penso
sappia tutto di te e Luca... Dopo ti spiego".
Io e Saverio avevamo deciso di incontrarci subito dopo lo Speed Date,
prima della riunione, ma quando ci trovammo faccia a faccia era
evidente che parlare della sua strigliata nei confronti di Amanda fosse
decisamente l'ultimo dei nostri problemi.
Entrai in ufficio con il
passo pesante, probabilmente pallida in volto e con l'aria di chi non
ha proprio voglia di farsi due risate.
"Alice, devo parlarti subito" disse lui, appena prese posto al mio fianco.
Inviò un messaggio
sul gruppo in cui spostava la riunione alle undici e mi guardò
con aria grave, con l'espressione di chi non sa da dove iniziare.
"Fai parlare prima me, ti prego" lo supplicai, con gli occhi lucidi, scossa dalla chiacchierata avuta con Salvatore.
Vedendomi in quello stato, probabilmente Saverio capì che si trattava di qualcosa di serio e mi lasciò parlare.
Stavo scoppiando, dovevo assolutamente confidarmi con qualcuno che mi conosceva e che c'era sempre stato per me.
"Oggi, durante il tempo
libero, Salvatore ha incontrato Amanda e Alessandro, parlavano di me.
Amanda sa tutto del mio passato con Luca! E sai perché?
Perché Luca lavora con Clemente a Barcellona e a quanto pare gli
ha raccontato tutto! E' uno stronzo! Lei lo avrà raccontato per
vendicarsi per ieri, il commento di Alessandro, poi, te lo lascio
immaginare...".
Ero partita
definitivamente, il solo ripetere le parole di Salvatore mi faceva male
ed ero scoppiata in lacrime per la rabbia nei confronti sia del mio ex
sia di uno sconosciuto che osava giudicarmi senza conoscermi.
"Ha detto: "Buono a sapersi, se non si fa problemi a scopare con gente dello staff mi fa piacere", ti rendi conto?" aggiunsi, disgustata.
Ovviamente, il
coordinatore era senza parole per tutta quella successione di eventi e
provò a dire qualcosa con aria consolatoria, senza celare un
volto indignato e disgustato dalla pochezza di certe persone.
Odiavo essere sempre
quella che aveva e causava problemi - al momento la riunione non stava
ancora avendo luogo a causa mia - ma quella volta ero così
vulnerabile che non riuscii a controllarmi.
Non so quanto tempo
passai a tremare, probabilmente dando voce a tante lacrime represse per
farmi forza, e quel Santo di Saverio restò in silenzio e a dirmi
piccole parole di conforto.
Solo quando, a ormai
dieci minuti dalla riunione, riuscì a calmarmi un po', Saverio
fu costretto a dirmi la sua brutta notizia.
"Non può essere peggiore della mia" commentai, con una bruttissima voce nasale, respirando forte per calmarmi.
"Eh...".
"Sputa il rospo" esclamai, preoccupata da quel verso.
"Non so come dirtelo, Alice, è da oggi che provo a dirtelo ma...".
"Che succede?" sbottai, infastidita da quella suspence.
Saverio deglutì e mi prese per mano, stringendola forte.
"Oggi ho avuto le nomine del secondo turno e...".
Ancor prima che finisse di parlare, avevo già capito tutto con un tonfo al cuore.
"... Tra i group leader c'è anche Luca".
Non ricordo bene come
reagii, so solo che mi mancava il fiato e che non ero pronta per
passare da "Londra 2017: Alice e Luca tornano a casa insieme" a
"Dublino 2018: Alice e Luca, ex da tre mesi, tornano a lavorare
insieme".
* le conversazioni in grassetto
sono quelle che in realtà hanno luogo in spagnolo ma che evito
di tradurre quando sono un po' più lunghe per non appesantire il
testo con la traduzione.
*°*°*°*
Ciao a tutti!
Spero che la vostra
estate sia stata molto più movimentata della mia e che il
rientro a lavoro/scuola/università non sia traumatico.
Che dire, finalmente
entriamo nel vivo della storia e si iniziano a delineare un po' le
varie sottotrame che leggeremo: Amanda non proprio gentile, Alessandro
decisamente deficiente, Saverio/Mario e Salvatore pronti a supportare
Alice in ogni momento. Ovviamente, ce ne saranno altre :D
Io ora ho iniziato a
scrivere il capitolo 10 e quindi state sicuri che non
abbandonerò la storia, inizierò solo ad aggiornare ogni
due settimane visto che lunedì prossimo mi tocca ritrasferirmi e
avrò un po' di cose da fare tra casa nuova e (si spera) il
ritorno a lavoro.
Come sempre vi lascio qualche anticipazione!
La reazione fu prevedibile: tutti sobbalzarono quasi, per poi guardare o me o la diretta interessata.
Io, con le gambe tremanti, mi alzai e andai vicino Saverio, cercando di mostrarmi sicura.
Amanda era sbiancata e guardava tutti con aria offesa e tradita.
Lui
abbassò il capo e si passò una mano tra i capelli -
abitudine che ormai odiavo in un uomo - con aria sicura, di sicuro
certo di star compiendo un gesto d'effetto.
"Sì, ma non avrei anche potuto dirti tranquillamente che sei bellissima. Buonanotte, Coordinatrice Mediatrice".
A domenica 16!
Un abbraccio,
la vostra milly.
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Capitolo 18 *** Day 3: Questione di Ex ***
3
Capitolo 3
Day 3: Questione di Ex
"Perchè sei così stronzo? Dire a tutti i tuoi colleghi di noi... Non ho parole"
"Non sapevo che il mio ex fosse deficiente fino a questo punto"
"Bravo, complimenti".
Avevo
scritto e riscritto non so quanti messaggi presa dall'ira ma alla fine
mi ero addormentata stremata a causa delle lacrime, senza aver inviato
nulla, e mi svegliai turbata più che mai, con gli occhi ancora
gonfi e segnati da occhiaie profonde.
Il pensiero che tutto il
team potesse scoprire il mio passato con Luca e la certezza di
rivederlo nel giro di due settimane mi causavano ansia, paura, rabbia
visto che perme lavorare a Dublino era un'occasione per cambiare aria e
concentrarmi su altri aspetti della mia vita.
Non ero pronta,
accidenti, non ero pronta a doverci lavorare insieme, a dover fare
finta di nulla, a vederlo mentre telefonava a quella Camilla...
Soprattutto, non ero
pronta ad affrontare una lunga giornata lavorativa in compagnia di
tante persone appena conosciute che probabilmente mi giudicavano senza
conoscere i fatti e, soprattutto, senza conoscere me.
Come di consueto, alle
sette e un quarto entrai in cucina, con i capelli aggiustati in modo
poco accurato e una t-shirt dei Pink Floyd e mi ritrovai davanti Mario
e Saverio.
Mario aveva appena
preparato il caffè e Saverio mi porse un vassoio con dei
croissants, probabilmente rubati dalle cucine.
"Ragazzi..." dissi, incredula e un po' in colpa.
"Alice, ieri non capivo
perché stessi così durante la riunione ma ora so tutto.
Sono una banda di deficienti, da Luca a Amanda" disse Mario,
comprensivo, porgendomi un bicchiere di caffè con fare premuroso.
"Io odio stare
così e non voglio creare problemi allo staff" stabilii, decisa a
non fare la figura della scema piagnucolona.
Mario mi sorrise, comprensivo, mi strinse a sé con un braccio e mi depose un bacio sulla fronte con fare materno.
"I problemi non li crei
tu, al massimo li crea chi riporta agli altri informazioni private su
di te" mi corresse Saverio, invitandomi a sedere.
"Ho sbagliato, non dovevo risponderle male il primo giorno...".
"No, Alice, non c'entri
tu. Lei odia vedere che sei una di cui mi fido perché vede in
noi la complicità lavorativa che aveva con Clemente, non a caso
è successo tutto dopo che l'ho rimproverata. Sai cosa mi ha
detto? "E scusa, perché Alice può dare ordini a Maurizio
senza chiedertelo?". Per lei qui è una questione di chi comanda
di più, non di collaborazione" mi spiegò pazientemente.
"Non devi tenerti tutto
dentro ma non devi nemmeno farle capire che sai. Hai noi dalla tua
parte, ha tradito la nostra fiducia, il karma la farà nera" mi
appoggiò Mario, sedendosi al mio fianco.
"Mi sembra di essere tornata al liceo, quando l'oca della classe se la prendeva con me per delle stupidaggini" brontolai.
"Ma questa non è una stupidaggine, purtroppo. So che terrai duro e che sarai professionale quando...".
".... Quando
improvvisamente Dublino diventerà Londra 2017 2.0 con me e Luca
che lavoriamo insieme?" terminai la frase per Saverio, intimorita al
solo pensiero.
Lui sbuffò e mi afferrò il braccio, obbligandomi a guardarlo negli occhi.
"Senti, ti ho visto
sopravvivere a Milano con seicento euro al mese e pochissimi aiuti
economici da parte dei tuoi, con uno stage infinito che ti ha reso
decisamente poco felice mentre vivevi una storia d'amore a tratti
snervante. Tu sei quella che due giorni dopo essere stata lasciata ha
fatto una presentazione coi fiocchi. Sai perché hai avuto un
contratto di tre anni, Alice? Per quella presentazione, hai dimostrato
tutta la tua essenza, tutto il tuo essere sveglia e attenta ai
dettagli. Quindi ora puoi fare tutto, puoi vivere questo mese
lavorativo come sai fare tu senza lasciare che ciò ti intacchi,
ok?".
"Dovevi fare il life coach, capo" dissi, commossa.
Ricordai che se odiavo il
ricordo di Luca adoravo quello di Saverio, Mario, Nadia e Salvatore, li
avevo conosciuti tutti nello stesso momento e di conseguenza non dovevo
maledire un momento della mia vita che mi aveva portato a conoscere
persone fantastiche.
Fu così che mi
limitai ad annuire e a stare in loro compagnia per ricordare che avevo
degli amici stupendi pronti a darmi forza in ogni momento.
Ero in pullman, seduta
vicino a Maurizio, con Mario, Saverio, Cristina e Luigi e cinquanta
ragazzi che non la smettevano di cantare Galway Girl da quando eravamo
partiti.
Avevo voglia di urlare a
quei mocciosetti di smetterla, che probabilmente se non fosse stato per
la canzone non avrebbero nemmeno saputo dove si travasse Galway, ma
optai per provare a essere calma e tranquilla ascoltando un po' di
musica grazie alle mie fidate cuffiette.
Tuttavia, vidi che Maurizio si voltò verso di me e chiese: "Tutto bene, Alice?".
"Sì, perché?".
Per la prima volta da
quando lo conoscevo, Maurizio sembrava essersi tolto la solita maschera
accondiscendente e mi guardò con aria preoccupata.
"Credo di sapere cosa sta
succedendo e voglio dirti che sono dalla tua parte, non perché
sei una mia superiore ma perché è davvero una situazione
ingiusta" rivelò, piano, come se ammetere ciò
rappresentasse un grande sforzo.
"E cosa starebbe succedendo?" chiesi, falsamente sicura di me stessa.
Maurizio si guardò
attorno con aria circospetta e poi bisbigliò: "Amanda sta
raccontando cose della tua vita privata allo staff. Non so se siano
vere o false ma è il principio che è sbagliato".
Deglutii, avendo la conferma dell'operato malvagio della team leader.
"Io ho capito che probabilmente fa così per ripicca ma non è giusto, voglio dire....".
"Maurizio" lo bloccai,
cercando di avere una voce ferma quando invece la sentivo decisamente
stridula e tremante, "Per favore. So già qualcosa ma ora non ho
la forza di ascoltare considerando che ci aspetta una giornata di
lavoro in cui saremo tutti molto a contatto. Magari me lo dici al
ritorno, va bene?" azzardai, lottando contro me stessa.
Il ragazzo mi guardò in un modo nuovo, strano, ma lusinghiero, sembrava diviso tra il sorpreso e l'ammirato.
"Hai ragione Alice,
scusami, è che conoscendo la persona in questione voglio agire
nell'interesse dei buoni. Siamo una squadra, no?".
"Sì, lo siamo. Grazie, davvero".
Ci guardammo con un mezzo sorriso e poi, come se nulla fosse, entrambi iniziammo ad ascoltare musica.
Alle dieci eravamo nella bella e coloratissima Galway, pronti a sfidare il tempo che minacciava pioggia secondo dopo secondo.
Ovunque, sia vicino i
balconi delle case sia vicino i negozi, c'erano tantissime fioriere, il
corso principale portava al centro commerciale e c'erano tantissimi
artisti di strada all'opera che se ne infischiavano del maltempo.
Mostrammo i vari punti di
interesse - ovviamente tutti erano interessati solo al pub in cui era
stato girato il video di Galway Girl e chiedevano indicazioni per
riuscire a vedere le case che si vedono alla fine del video - e a ora
di pranzo i Group Leader diedero ai ragazzi la notizia tanto attesa:
quella della durata del tempo libero, che si sarebbe esteso fino alle
sedici e trenta, orario del rientro.
Alcuni andarono in un pub
con Saverio e Mario, invece io mi limitai a mangiare il mio pranzo a
sacco su una panchina del centro commerciale per ripararmi dalla
pioggia che ormai batteva incessante contro le piccole stradine della
città e per starmene tranquilla per un po'.
"Ehi, Alice".
Mi ero alzata per buttare la confezione del panino quando mi ritrovai di fronte l'allegra e riccioluta Cristina.
Mi sorrideva in modo
rassicurante, sembrava davvero una persona buona e simpatica e il modo
in cui mi stava guardando sembrava confortevole.
"Cristina, ciao" risposi, sorpresa nel vederla da sola. "Gli altri?".
"Finivano di pranzare e
poi andavano a vedere le casette del video di Galway Girl. Io ti stavo
cercando, in realtà" ammise, un po' intimidita.
Sembrava indecisa sul da farsi, mi guardava esitante e si torturava le mani.
"Dimmi pure, qualche problema?".
"Sì, ma non per me. Per te. Non so come parlartene visto che ci conosciamo a stento...".
Mentre parlava, sapevo
già dove volesse andare a parare: si trattava di Amanda, ne ero
sicura, lo sentivo in ogni cellula del mio corpo e onestamente sentivo
di non essere pronta ad affrontare la realtà.
"Maurizio mi ha detto che
ha provato a parlartene e che non ti andava di parlarne ma io sono una
testa dura e voglio provare a tutelarti perché so cosa stai
passando" disse, supplichevole.
ll suo approccio era decisamente strano, non ebbi modo di dire nulla che continuò a parlare a raffica.
"E' dall'escursione di
ieri pomeriggio che Amanda si lascia scappare delle indiscrezioni su di
te. Oggi la cosa è peggiorata, eravamo a pranzo e ha iniziato a
raccontare di una tua presunta storia con un group leader con cui hai
lavorato... Io sono senza parole, Alice! Davvero, da donna a donna,
è decisamente disgustoso raccontare cose personali...".
"Non lo ha saputo da me,
per quel che può valere" dissi, senza riuscire nemmeno a
fermarla per il dolore che avvertivo nei pressi dello stomaco.
Mi si stava attorcigliando, contorcendo, in un modo decisamente poco piacevole.
Ovviamente Cristina sembrava sotto shock, probabilmente la sua mascella le sarebbe caduta a terra se fosse stato possibile.
Probabilmente immaginava
una situazione in cui Amanda mi era "amica" e mi stava tradendo, non
che stesse riportando informazioni personali senza averle sapute da me.
"Come scusa?" chiese, incredula.
"Eh. Il mio ex, questo che stava nel mio staff, sta lavorando con un suo amico. Gli avrà spifferato tutto e...".
Non riuscii a contenermi
e gli occhi mi si riempirono inesorabilmente di lacrime come era
successo poco più di dodici ore prima. Tutto quel giro di
informazioni che partiva da quello che fino a tre mesi prima era il mio
grande amore mi faceva male come non mai.
"E' tutto un casino" bofonchiai, sentendomi una stupida nel fare una scenata del genere davanti ad una sconosciuta.
"Alice". Cristina mi
appoggiò le mani sulle spalle e mi guardò, provando a
guardarmi in maniera incoraggiante. "Parli con una che ha avuto una
relazione con un idiota sposato e non ne sapeva niente. Posso capire
perfettamente i tuoi casini".
Nei momenti che seguirono
mi ritrovai in uno dei bagni del centro commerciale in una valle di
lacrime con Cristina che mi ascoltava e mi passava dei fazzoletti.
"... Così un
giorno lui confessa di amare un'altra, io faccio una scenata, mi
ritrovo da sola come non mai e lui parte per Barcellona e... Parla di
me, di noi! Che schifo! E Amanda è un essere orribile, davvero,
che senso ha raccontare cose private? Pensa di fare bella figura a mie
spese?".
La ragazza annuì, dispiaciuta.
"Alice, parla come se ti
conoscesse da una vita e cerca di far ridere la gente alle tue spalle,
ma posso assicurarti che nessuno le ha dato retta infatti l'argomento
è morto subito, solo Alessandro partecipava".
"Lo so, me l'hanno
già detto ieri... Deve essere un coglione" stabilii, soffiandomi
il naso. "Fatto sta che devo fare qualcosa, ne parlo con Saverio ma so
che mi darà ragione".
"Sì. Vi ammiro, si vede che siete amici ma ciò non vi rende meno professionali".
Mi asciugai le lacrime
per l'ennesima volta, poi guardai la ragazza che mi stava pazientemente
affiancando in un momento super critico.
"Scusami, ho parlato solo io! Se ti va di sfogarti riguardo il tuo ex puoi parlarmene tranquillamente".
"Lo so. Mi dai davvero
l'impressione di una bravissima persona! Se ti va possiamo andare a
prenderci una birra e fare due chiacchiere".
L'idea di uscire da quel
posto, prendere area e fare qualcosa di tipico come bere una Guinness
di primo pomeriggio mi sembrava molto più allettante rispetto al
piangermi addosso e rischiare di incontrare Amanda con gli occhi rossi
e gonfi, così accettai e corsi a risciacquarmi il viso e a
ritruccarmi rapidamente.
Mi ci volle un po', per
le due passate ero pronta, così io e Cristina ci avviammo verso
il pub più vicino, collocato in una piccola stradina e con
un'insegna poco vistosa, in modo da non farci beccare dai ragazzi.
Era un pub molto
più informale rispetto ai classici locali di Dublino, più
standard rispetto a quello con musica tipica e mille decorazioni in cui
ero andata il giorno dell'arrivo.
Non c'era tantissima
luce, la finestra che dava sulla strada era piccolina così
scegliemmo una posizione strategica per non farci notare.
Ordinammo le due birre,
poi, visto che il panino del pranzo a sacco non era stato
granché, ci lasciammo persuadere dal menù e ordinammo del
pollo grigliato con delle patatine.
"Ce lo meritiamo, il cibo della mensa non mi piace e probabilmente spesso farò la fame" ridacchiò Cristina.
"Hai ragione, ingurgitiamo calorie finché possiamo".
Quella ragazza mi dava un
senso di familiarità strano, mi sembrava di trovarmici a mio
agio e di conoscerla da tanto, non sapevo nemmeno io il perché.
"Ora sì che posso
parlare del mio ex, questo pollo è così buono che non mi
incazzerò come al solito. Niente, ci siamo conosciuti
perché abbiamo dei conoscenti in comune e abbiamo subito
legato... Nel giro di un mese facevamo coppia fissa, io ero davvero
felice perché sembrava capirmi al volo, era molto gentile. Un
bel giorno, quattro mesi dopo, durante un weekend in montagna -
vivevamo in due città diverse - lui compie l'errore di lasciare
il cellulare sul tavolino quando va in bagno. Inizia a squillare e...
C'era scritto "Amore" con tanto di foto del loro matrimonio come
sfondo".
Il sorriso amaro di
Cristina la diceva lunga sulla sua sofferenza dei mesi precedenti e mi
sorprendeva il modo in cui riusciva a parlarmene senza mostrare segni
di emozione.
"Non so che dire, deve essere stato orribile" dissi, incredula.
Lei annuì con aria grave.
"Sai, quando scopri che
lui ha un'amante è dura, ma quando scopri che sei tu l'amante
senza nemmeno saperlo... E' un casino. Perché sei innamorata,
perché ti incolpi, perché dal punto di vista etico ti sei
immischiata in un matrimonio" spiegò. "Ma non me ne frega"
aggiunse, bevendo un sorso di birra. "Ho lottato contro me stessa, ce
l'ho messa tutta e piano piano ne sono uscita".
Quel discorso mi
ricordava tantissimo il primo dialogo che avevo avuto con Nadia, le sue
parole e i suoi racconti di vita ci avevano unito a tal punto di farla
trasferire a Milano da me e in cuor mio speravo di aver trovato
un'altra alleata e compagna di avventure.
"Ti ammiro tanto. Propongo un brindisi. A noi!" proposi, alzando il bicchiere con aria decisa.
"A noi".
Uscire dal pub e sfidare
la pioggia per andare a vedere le case che si vedono alla fine del
videoclip di Galway Girl fu una piccola pazzia che servì a farmi
calmare un po'.
Faceva abbastanza freddo,
temevo il mio ombrello non avrebbe retto a tutto quel vento, eppure
farci le foto davanti a quella carinissima location e poi addirittura
un video con la canzone in sottofondo, fregandocene dei passanti che
ridevano, mi fece decisamente bene
L'orario di ritrovo venne
troppo in fretta, eppure quando mi ritrovai con tutto lo staff nel
luogo di incontro mi sentivo decisamente più calma.
"Grazie di tutto" sussurrai a Cristina una volta arrivate a destinazione.
"Grazie a te, mi sono divertita da morire, oggi!".
"Sei scomparsa, ci hai proprio snobbato" mi apostrofò Mario, dandomi una mega pacca sulla spalla, quasi facendomi cadere.
"Ehi! C'è un motivo. Quanto tempo abbiamo prima della partenza?" chiesi rapidamente.
Mario guardò la
situazione dei group leader che si informavano sullo stato della
propria squadra e disse "Ad occhio e croce anche venti minuti, mancano
molti ragazzi".
"Bene".
Lo trascinai in un punto dove Saverio stava fumando da solo e li guardai con la stessa aria di chi ha delle notizie.
"Scusate se ne parlo ora ma non so quando potremmo averne il tempo visto che al ritorno avremo un po' da fare".
"Spara" borbottò Saverio.
"La situazione è
peggiorata. A pranzo, la nostra cara collega ha spiattellato la mia
storia davanti a tutti con l'intento di deridermi, senza ovviamente
dire che la conosce clandestinamente. Cristina me lo è venuto a
dire, era preoccupata...".
Saverio scosse il capo e battè un piede per terra, incredulo.
"Voglio che la questione
si chiuda stasera, ragazzi, non voglio gossip e non voglio disturbarvi
ancora. Ho già deciso cosa fare ma ovviamente vorrei il vostro
parere".
Ascoltarono la mia idea e Saverio mi diede l'ok, augurandosi a sua volta di porre fine a quella questione fin troppo spinosa.
In pullman avrei tanto
avuto voglia di chiarire con Maurizio visto che quella mattina gli
avevo detto che ne avremmo riparlato, solo che passai tutto il tragitto
a parlare con i responsabili degli altri due team per i soliti problemi
di organizzazione in vista della gita di due giorni a Belfast del
weekend successivo.
"Non ti sto invidiando" ridacchiò Maurizio quando riemersi dall'ennesima telefonata.
Guardò i miei appunti dalla grafia ballerina a causa dei movimenti del pullman e notò la mia disperazione.
"Domani te li ordino io, che dici?".
"Se ci capisci qualcosa...".
"In famiglia sono io
quello che oltre a tradurre qualsiasi cosa interpreta anche la grafia
delle ricette del medico, posso farcela".
"Grazie, Maurizio. Stasera dopo la riunione riparliamo di stamattina, ti va?" domandai.
"Certo".
Ritornati in college, io
peregrinai da un ufficio all'altro per inviare le ultime email per la
conferma dell'hotel con Maurizio che mi faceva da assistente mentre il
resto dello staff faceva il controllo camere.
Giusto poco prima di cena
riuscimmo ad illustrare il quadro della situazione a Saverio, con
Amanda che ascoltava come se il tutto la riguardasse.
"Quindi come al solito i
ragazzi dormiranno nelle camere doppie, ne ho prenotate cinquanta, e ho
chiesto le singole per noi. L'hotel è questo, l'azienda mi aveva
dato una scelta limitata e credo sia il migliore per posizione e costi".
Saverio fece un cenno affermativo.
"E il pullman?".
"Lo ha già prenotato il team spagnolo. Per ogni cosa faremo fifty fifty".
"Va bene ma tu chiedi comunque tutte le email di conferma e inviamele, ok?".
"Sì, boss".
"Lo sai che non mi fido".
Sbuffai, esasperata dalla mania di controllo di Saverio.
"Lo so, è per
questo che venerdì pretendo un meeting generale in cui
controlleremo tutto, dettaglio per dettaglio. Ti va bene alle dieci e
trenta?".
"Alice, la regola numero
uno qui è che non si pretende nulla" s'intromise subito Amanda,
quasi puntandomi l'indice contro.
Incredula, la guardai accigliata e quasi sentii i ragazzi tremare per lo scambio di battute che ci sarebbe stato a breve.
"Certo che si pretende,
Amanda. Si pretende il massimo e io credo di starlo dando visto che ho
passato tutto il viaggio di ritorno al telefono e ora ho finito di
organizzare tutto, quindi pretendo anche un riscontro con i miei
colleghi" risposi rapidamente, sforzando di controllarmi.
"Calmati, oh" mi apostrofò.
"Tu dovresti calmarti, in realtà".
"Ragazze, una bella
camomilla e ci calmiamo tutti, che dite?" domandò Mario,
mettendosi nel mio campo visivo e oscurando Amanda, quasi come se
temesse che la picchiassi.
"Io sono calma. Comunque, andate pure a cena, finisco una cosa e vengo".
Per fortuna tutti mi
ascoltarono, così, rimasta sola con Maurizio, lo guardai con
un'aria malandrina che mi apparteneva raramente.
"Mi dai un foglio?" chiesi.
Me lo porse nel giro di
qualche istante, poi mi guardò con aria interrogativa mentre
scrivevo qualcosa e riponevo il foglio nella scatola dei suggerimenti.
"Stasera, in riunione, vedrai".
Dopo una cena fin troppo silenziosa e priva di battutine ci recammo alla serata Quiz organizzata dal team spagnolo.
Non fu un successo come
lo Speed Date e ciò ci fece capire che dovevamo intrometterci di
più nelle decisioni degli altri responsabili, dato che le loro
scelte erano viste e riviste.
"Domani durante il tempo
libero dell'uscita organizziamo qualche altra cosa coinvolgente, la
serata di lunedì deve essere una vera e propria bomba"
stabilì Mario, fin troppo scosso dalla serata piatta.
"Va bene" acconsentii, con la testa già pronta ad affrontare la riunione.
Guardandomi attorno,
quella sera, mi ero resa conto di non conoscere i nuovi arrivati tranne
Cristina e volevo porvi rimedio una volta chiusa la questione con
Amanda che stava incanalando tutte le mie energie.
Quando ci ritrovammo
tutti in ufficio fremevo, temevo di dire qualche cazzata, ma ormai
c'ero dentro e dovevo agire per il mio bene e per la
tranquillità del gruppo.
"Allora, giornata
intensa, per fortuna ci siamo riposati un po' durante il tempo libero
dei ragazzi. Consegnate i fogli del check delle camere ad Amanda, per
favore" iniziò Saverio.
Amanda era già seduta dietro al tavolo, prontissima ad esaminare il lavoro dei GL.
Controllava il tutto con aria da detective, dava giudizi e faceva battutine come al solito non adatte al contesto.
"Bene, chi ha consegnato può iniziare a sedersi".
Sentii una morsa allo
stomaco quando Saverio prese la scatola dei suggerimenti, la aprii e si
finse sorpreso nel vedere un biglietto.
"Abbiamo un suggerimento, ragazzi. E' anche firmato" disse.
Improvvisamente, tutti si zittirono e probabilmente tutti riuscivano a percepire il battito accelerato del mio cuore.
Maurizio, seduto al mio fianco, mi strinse il braccio per incoraggiarmi ed io lo guardai, probabilmente intimorita.
"Credo
che una Team Leader debba cercare di tenere il team unito, non
dividerlo raccontando cose private di una persona agli altri. Alice" lesse, lentamente.
La reazione fu prevedibile: tutti sobbalzarono quasi, per poi guardare o me o la diretta interessata.
Io, con le gambe tremanti, mi alzai e andai vicino Saverio, cercando di mostrarmi sicura.
Amanda era sbiancata e guardava tutti con aria offesa e tradita.
"Mi dispiace non aver
avuto modo di conoscervi in questi due giorni, ma sono stata presa da
questioni personali che ovviamente avevo scelto di tenere fuori da
questo ambiente" iniziai, respirando quasi a fatica. "Spero che questo
episodio ci unisca, comunque. Allora, è da ieri che due di voi
mi hanno raccontato ciò che Amanda dice in giro di me ma vi
assicuro che ciò che è uscito dalla sua bocca è
entrato a causa di terzi, io e lei non siamo amiche, solo colleghe, e
non so nulla della sua vita privata come lei non dovrebbe sapere della
mia".
"Amanda, cosa hai da dire? Ci sarà una spiegazione, no?" intervenne Saverio, serissimo.
"Ma cosa dite, io...".
"Cosa diciamo? Amanda,
hai passato la pausa pranzo a ridere di Alice e del suo passato"
sbottò Cristina, alzandosi e mettendosi al mio fianco.
"E ieri stavi a fa lo stesso, ti ho sentito" aggiunse Salvatore, con un'occhiata assassina.
Il volto della ragazza divenne rossissimo, sembrava davvero senza parole.
"Stanno dicendo la verità?" incalzò Saverio, spazientito, incrociando le braccia.
"Io posso confermare, ero
a pranzo con Cristina, oggi, e Amanda era con noi. Non ho apprezzato,
infatti come avrai visto non ti abbiamo dato corda" disse Luigi, per
nulla esitante.
"C'ero anche io, confermo" disse Gabriele.
"Confermo" aggiunse Monica.
"Allora? Amanda, ho un gruppo di visionari o cosa?".
"Oh, Saverio, ovviamente
sei dalla parte della tua pupilla! Vogliamo dirla tutta? Diciamola! Tu,
Alice, Mario e Salvatore siete una casta a parte, siete amici, ci
escludete...".
Quasi quasi potevo sentire il rumore degli specchi che graffiavano a causa del suo tentativo di arrampicarcisi.
Saverio la guardò come se fosse pazza.
"Scusate, qualcuno qui si è sentito escluso? Ditemelo senza problemi".
"No, anzi, mi sento trattato come un'amico di vecchia data" confermò Gabriele.
"Se, vabbè... Ora
tutti amici perché c'è il capo presente... Siete un
gruppo a parte e venerate Alice, pendete dalle sue labbra!" urlò
Amanda.
"Se ricordo bene, Amanda"
s'intromise Maurizio, guardola dritta negli occhi, "L'anno scorso
Clemente pendeva dalle tue labbra, giudicava il nostro lavoro in base
alla tua simpatia nei nostri confronti. Qui la musica è diversa,
lavoro con Alice non so quante ore al giorno e non ha gli sconti che
avevi tu l'anno scorso".
"Gli sconti? Ma sei pazzo?" urlò la Team Leader, inorridita.
"So di cosa parlo ma sono
professionale e non dico altro, a differenza tua. Almeno io parlerei di
cose che ho visto, tu non sai niente della storia di Alice, non la sa
nessuno".
Guardai Maurizio con
un'ammirazione pazzesca, dopotutto si stava esponendo per me, una che
conosceva da poco più di quarantotto ore!
"Fammi capire, tu parli
di me perché in sintesi non ti piace non essere in confidenza
con Saverio e non avere "sconti"?" chiesi, inviperita come non mai.
"Ma che dici...".
"E allora parla chiaro
perché non ci sto capendo nulla! Ti avrò risposto male un
paio di volte ma solo perché dai l'impressione di una persona
pronta solo a comandare!" aggiunsi, stizzita.
"Comandare? Io? E tu che pretendi cose, indici riunioni...".
"Senti, non ti capisco.
Indire riunione e pretendere che tutti ci siano è una cosa
fondamentale per la riuscita delle attività perché
dobbiamo essere tutti aggiornati. E' una conseguenza del mio lavoro,
capisci? Voi non mi vedete ma mentre voi svolgete il vostro lavoro io
devo svolgere il mio, che comprende far andare d'accordo spagnoli,
inglesi e Saverio, rispettare le esigenze e le idee di tutti. Questo
significa Mediare. Mediare, non Comandare!".
"Amanda, i mediatori
hanno davvero tante responsabilità e ci aiutano da morire. Qual
è il punto? Ti sembra normale ciò che hai fatto? Cosa
vuoi, diventare amica ed ottenere favoritismi? Qui non funziona da me,
non quando coordino io".
"Io raccontavo storie
vere su Alice per fare amicizia, sapete, fare gossip è un modo
per unire la gente, lo dice uno studio...".
"Alle mie spalle, ridendo della mia vita, immagino" conclusi per lei, schifata da morire.
Le avrei volentieri tirato un ceffone ma mi placai.
"Forse. Tanto si è capito che non ci sopportiamo" replicò Amanda, sulla difensiva.
"Non siamo all'asilo, Amanda! Se non mi sopporti mi ignori, stop".
"Io non posso fare finta
di nulla, Amanda!" s'intromise Saverio. "Questa tua azione
finirà sul tuo fascicolo, è gravissima. Ora hai dodici
giorni per confermarmi il contrario altrimenti dovrò dire che
non sei adatta per questo ruolo".
Da rossa, Amanda divenne bianca come un lenzuolo e non osò proferire parola.
"Comunque, visto che
ormai sapete, sì, vi confermo che ciò che vi ha detto
è vero. L'anno scorso ho lavorato a Londra con Saverio, Mario e
Salvatore, ho conosciuto un ragazzo dello staff e abbiamo iniziato una
storia durata fino a tre mesi fa. Ora lui è a Barcellona e
probabilmente ha diffuso la nostra storia, non so cosa dire. A me tutto
ciò non fa ridere ma, ehi, punti di vista" sdrammatizzai, per
poi tornare al mio posto, seguita da Cristina.
"Anche io sto con una
group leader conosciuta l'anno scorso. Conviviamo, ci siamo trasferiti
a Milano con tanti sacrifici dopo che Alice ha iniziato uno stage
presso la nostra azienda. La mia ragazza, che aveva lavorato in passato
in quella città, vedendo Alice ha deciso di riprovarci e io ho
passato mesi e mesi ad attendere il trasferimento alla sede di Milano.
Siamo amici, ne abbiamo vissute tante in un solo anno, e se ho chiesto
di lavorare con lei è perché so di cosa è capace.
Ciò vi crea problemi?" spiegò Saverio, esponendosi con
mia grande sorpresa.
"No, anzi, siete uniti e date più sicurezza a chi è alla prima esperienza come me" disse Monica.
"Bene. Ora, se non ci sono altre questioni, possiamo passare alla vera e propria riunione".
"Scusatemi per avervi sottratto del tempo ma dovevo" mi scusai.
Tutti mi sorrisero e
Amanda restò zitta fino alla fine, dimostrando di essere una
persona che si fa grande solo alle spalle degli altri.
Era ormai mezzanotte passata quando fummo liberi di tornare in camera, ormai esausti.
"Grazie per il supporto" sussurrai a Cristina, abbracciandola.
Lei mi fece l'occhiolino e ricambiò la stretta.
"Domani pranziamo tutti
insieme, così ci conosciamo davvero tutto, che dici?" propose
Luigi, dopo aver fatto un enorme sbadiglio.
"Certo!".
Essermi confidata e aver
parlato chiaro con Amanda mi faceva davvero sentire più leggera
e ottimista, così, tornando verso la mia stanza, affrettai il
passo per raggiungere Maurizio.
"Ora sai ciò che volevo raccontarti" dissi, un po' incerta.
"Sì. Non deve
essere facile, tornare a fare questo lavoro un anno dopo, fare
attività che avrai condiviso con lui..." immaginò,
riflessivo come non mai.
"Ecco perché il primo giorno sembravo strana".
"Lo avevo intuito. Non sei sola, comunque, e lui ha sbagliato di grosso nel dire cose vostre in giro".
"Lo ha detto al
coordinatore con cui ha sempre lavorato Amanda, lavorano insieme. Il
caso a volte è un bastardo. Sai, stando ai documenti che sono
arrivati, lavorerà qui al prossimo turno".
Maurizio si bloccò e mi fissò, senza parole.
"Alice, mi dispiace...".
Scrollai le spalle, provando a sorridere.
"Capita. Sapevo quel che facevo, un anno fa, anzi, più o meno ma... Fa nulla, si va avanti".
"Sei forte, si vede".
"Grazie per oggi, per
tutto, mi hai difeso in un modo che mi ha davvero lasciato senza
parole" ammisi di cuore, convinta di avere davanti un ragazzo d'oro.
"Dovevo e volevo farlo. Buonanotte, Alice" disse, ormai arrivati nella zona dei dormitori.
" 'Notte, Maurizio" lo salutai.
Un po' più
tranquilla, decisa a farmi una bella dormita, aprii la porta del
corridoio dove c'era la mia camera e restai stupita nel trovarmi di
fronte il dottore, Alessandro.
"E' successo qualcosa?" chiesi, senza capire.
Come faceva a sapere la mia stanza?
Alessandro indossò il suo sorriso migliore per scuotere il capo e fare finta di nulla.
"No. Volevo solo dirti in privato che sono dalla tua parte...".
"Potevi dirmelo in
riunione, davanti a tutti" replicai, incredula per la sua faccia tosta
dopo ciò che mi aveva raccontato Salvatore.
Lui abbassò il
capo e si passò una mano tra i capelli - abitudine che ormai
odiavo in un uomo - con aria sicura, di sicuro certo di star compiendo
un gesto d'effetto.
"Sì, ma non avrei anche potuto dirti tranquillamente che sei bellissima. Buonanotte, Coordinatrice Mediatrice".
Come se nulla fosse se ne
andò, voltandosi prima di aprire la porta del corridoio e
lanciandomi un'ultima occhiata, sicuro di sé.
Io, incredula, riuscivo solo a pensare a una cosa: quell'essere mi credeva davvero così stupida?!
*°*°*°
Bene bene, con un po' di
ritardo visto che questa settimana sono tornata a lavoro, ma sono qui
con uno dei capitoli più esplosivi e movimentati.
Cosa ne pensate? Amanda è una stronza, sì, ma anche Luca non scherza e Alessandro è un deficiente.
Se avete fiducia in Alice, state tranquilli dopo l'ultima scena del capitolo ;)
Sono curiosa di sapere le vostre supposizioni e le vostre previsioni... Cosa succederà ora?
Come sempre vi lascio degli spoiler:
Per
fortuna erano tutti impegnati a cercare posti buoni in cui poter
mangiare qualcosa con quel budget, così riuscii a leggere il
contenuto senza farmi notare.
"Cena con me, stasera"
"Che
dici?" sussurrò, cercando di essere convincente, appoggiando una
mano sulla mia schiena e muovendola leggermente, come ad accarezzarla.
"Ciao Alice, ciao Salvatore".
Sobbalzammo,
vedendo due ragazze della squadra di Gabriele che ci guardavano
divertiti mentre io reggevo il body e lui lo esaminava.
"Ciao ragazze. Non è per me" precisai, decidendo di scongiurare subito eventuali congetture.
A venerdì prossimo!
milly.
|
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Capitolo 19 *** Day 4: L'utilità dei Social Network ***
4social
Capitolo 4
Day 4: L'Utilità dei Social Network
La cosa bella di quella domenica fu
potersi svegliare alle nove visto che la gita del giorno era a Dublino
e noi avevamo il college in centro.
L'appuntamento era alle dieci e
trenta nella hall, quindi ebbi tutto il tempo di farmi una lunghissima
doccia, asciugare i capelli con più calma e truccarmi un po'.
Era solo il quarto giorno ma
percepivo già la differenza del lavoro svolto fino a quel
momento visto che ero abbastanza stanca, avevo delle occhiaie paurose e
qualche brufoletto da stress sul viso.
Inviai un messaggio a Maurizio per
invitarlo a bere il caffè con noi visto l'atto di lealtà
nei miei confronti della sera prima, così alle dieci mi ritrovai
in cucina con lui e Saverio.
Quando entrambi arrivarono il
caffè era già pronto, così li accolsi con un
sorriso per far capire che era tutto ok e che da quel momento non avrei
più dato problemi con la questione che riguardava Amanda.
Ero decisa a non dire nulla di
Alessandro perché davvero rischiavo di essere noiosa, ripetitiva
e aprire questioni inutili: nel caso in cui avesse continuato, lo avrei
zittito a modo mio.
"Era un anno che sognavo di parlare
in faccia ad Amanda, ho dormito davvero serenamente stanotte" si
confidò Maurizio, quando ci ritrovammo tutti e tre seduti a
tavola.
Sorrideva in modo sincero e la cosa gli donava rispetto al suo essere sempre serio e composto.
"Immagino. Mi hai sorpeso, fino ad
ora sembravi davvero fin troppo silenzioso" ammise Saverio. "Sono
contento perché ieri è emerso che possiamo essere un buon
gruppo, i ragazzi sono stati leali".
"Sì, non me lo aspettavo"
dissi. "E sono felice di averne parlato e di aver chiuso la questione,
non riuscivo ad essere me stessa al cento per cento".
"Questa te la traduco io, Maurizio: significa che ora passeremo dei bei guai".
"Almeno sono dei bei guai, non brutti" ridacchiò Maurizio, per poi finire di bere il caffè.
Quando scesi nella hall mi
appoggiai su uno dei divanetti vicino la reception visto che mancavano
cinque minuti all'orario concordato e per riunire tutti e cento i
ragazzi ci sarebbe voluto un po', solo che fu una mossa sbagliata visto
che Alessandro non perse tempo e prese posto al mio fianco con una
mossa felina.
"Buongiorno" esclamò, con il solito sorriso a non so quanti denti.
"Buongiorno" risposi.
"Ci tenevo a dirti che ieri sei stata molto maleducata" sussurrò, cercando un contatto visivo che gli negai.
"Cioè?".
"Io ti dico che sei bellissima e tu
mi lasci andare così, senza nemmeno invitarmi a fare due
chiacchiere" sibilò, avvicinandosi a me in modo da sussurrarmi
questa frase all'orecchio, forse credendosi sensuale.
"Forse perché non sono
interessata a fare due chiacchiere, e nemmeno una. Meglio zero"
risposi, alzandomi dopo avergli rifilato un sorrisino di falsa cortesia
e raggiungendo Salvatore che mi stava facendo segno di avvicinarmi.
Alessandro ci seguì con lo sguardo e mi finsi disinvolta mentre ringraziavo Salvatore.
"Te sta a dà fastidio?"
chiese, con l'aria di chi ha capito tutto, mentre ci avvicinavamo verso
una zona un po' meno chiassosa.
"Ieri l'ho trovato fuori camera
mia... Si spreca in complimenti e battutine, pensa di avere a che
fare con una bambola gonfiabile, probabilmente. Lo sai solo tu, non
voglio creare altri fastidi. Se continua gli parlo chiaro" stabilii.
"Ma come fai? Io 'mpazzirei col pensiero di rivede' una ex e lavorarci 'nsieme, ora te devi sorbì pure a questo...".
Esitai, senza sapere bene cosa dire.
Il pensiero di rivedere Luca e
ricordare tutte le cose spiacevoli mi ammazzava, non potevo negare di
non pensarlo più e di fare ancora sogni ormai proibiti su di
noi, in un universo parallelo in cui tornava da me e lo perdonavo come
se nulla fosse.
Non sapevo cosa fare, sapevo solo che ce la dovevo fare.
"Voglio solo pensare a stare in compagnia, lavorare e tutto il resto..." risposi, nemmeno più di tanto sicura.
"Quello stronzo de Luca merita de sapè che sei corteggiata, glielo dico io".
"No, Salvatore, no. Non è
una gara, farei la parte della disperata... Mi dispiace solo di non
riuscire a pensare ad altri, vorrei potermi già sentirmi libera
di... Spassarmela con un altro, giusto per non pensare più solo
a lui, ma temo sia presto. Ma che dico, queste sono cose che non dovrei
dire ad alta voce, scusami" ammisi, arrosendo come una pazza.
Salvatore era una persona
così discreta, silenziosa, che a volte dimenticavo potesse avere
delle opinioni e pensare male di me.
"Hai tutto il diritto di spassartela, Alì, magari non qui per evitare altri casini".
"Giuro non è per nulla nei miei pensieri, mi basta aver sbagliato una volta".
"Non hai sbagliato, te sei innammorata, tutto qui".
Annuii, sentendomi un po' meno stupida. "Un giorno mi parlerai anche tu della tua vita" dissi.
"A tal proposito, oggi mi servirebbe il tuo aiuto per fare un regalo...".
"Che regalo?".
"Vedrai".
"Va bene, conta pure su di me".
Intrigata dalla prospettiva di
sapere qualcosa di più sulla vita di Salvatore, mi diressi verso
il resto dello staff, quasi pronto a partire dopo aver distribuito il
pranzo a sacco ai ragazzi.
Era una domenica non molto fredda,
ogni tanto spuntava il sole e dovevamo toglierci le felpe che ci
riparavano costantemente dalla minaccia di pioggia.
Prendemmo il tram e ci preparammo
per il nostro tour, che prevedeva alcune tappe importanti per la storia
di Dublino come la statua di Molly Malone, figura leggendaria e di
riferimento per la città.
"Non ti ho chiesto se possiamo
parlare della sospetta seconda attività di Molly e del modo di
dire "The tart with a cart", mi rimproverano?" chiese Maurizio,
preoccupato, mentre il team inglese dava informazioni generali.
"Ma no, poi lo dici in inglese, non possono rimproverarti" lo rassicurai.
"Ok, boss".
Sentirsi chiamare così mi
fece bene, così guardai Maurizio con aria fiera mentre diceva i
fun facts riguardo la statua e spiegava la frase "The tart with a
cart", ovvero "La prostituta con un carrello", rivolta a Molly per il
suo seno prorompente e per le dicerie secondo cui oltre ad essere
pescivendola fosse anche una prostituta.
I ragazzi gli applaudirono e subito
si fiondarono ad ascoltare l'omonima canzone dei "The Dubliners",
curiosi, visto che era tra il materiale citato.
"Le tue spiegazioni battono di gran
lunga quelle degli inglesi, sembri un vero professore, riesci a
catturare la loro attenzione in un secondo" mi complimentai, ammirata
per il modo in cui i ragazzi avevano continuato a fargli domande anche
dopo il suo intervento.
"In realtà è
ciò che faccio, cioè, ho fatto e spero di continuare a
fare. Ho insegnato in un liceo a Milano negli ultimi anni"
rivelò, un po' imbarazzato. "Ti ringrazio".
"Davvero?" chiesi, stupita da quell'informazione.
"Sì. Ho avuto la fortuna di
fare la primina e laurearmi alla magistrale a ventitrè anni,
giusto in tempo per l'abilitazione... L'ho fatto per caso ma lo
adoro, infatti nel frattempo sto anche facendo il dottorato, voglio
insegnare all'Università".
"Si vede. Perché non me lo hai detto prima?".
"Non lo so, non ne ho mai avuto l'occasione...".
Avere un professore - dottorando
giovane e appassionato come Maurizio doveva essere bello, non sembrava
nemmeno molto severo, ad essere onesti.
La mattinata volò
rapidamente, così ad ora di pranzo ci riunimmo tutti in un
piccolo parco per pranzare insieme, meno stanchi rispetto al solito
grazie alla sveglia che ci aveva svegliato più tardi.
Amanda, che per tutta la giornata
era stata per conto proprio, probabilmente capì di non doversi
escludere per salvare la faccia, così prese posto non lontano da
me e iniziò a parlare un po' con tutti.
"Ogni volta che vedrò una di
voi con il carrello con dentro i pranzi a sacco vi chiamerò
Molly Malone, vi ho avvisato" esclamò Luigi. "Tipo, Monica, oggi
sei stata fantastica nella hall, una Molly Malone d'eccezione".
Monica scosse la testa in segno di diapprovazione. "Vuoi che ci prendiamo a pesci in faccia?".
"Dipende, se fai la Molly Malone prostituta va bene" s'intromise Gabriele.
"Ragazzi...." l'interruppe Saverio.
Tutti esitarono, temendo un rimprovero.
"... Che battute scontate, ho tanto da insegnarvi!" terminò, scatenando risate generali.
Forse fu in quel momento che si
creò davvero l'identità del gruppo e tutti si sentirono a
proprio agio nell'essere se stessi senza fregarsene di un eventuale
giudizio.
Parlai di più con i ragazzi,
scoprii che Luigi studiava economia, Gabriele cercava lavoro e nel
frattempo faceva il dog sitter, Monica studiava giurisprudenza ed aveva
una grande passione per la danza.
"Stasera è prevista la cena
fuori, no? Dove ceniamo?" chiese Cristina, guardando con aria non
proprio affamata il solito panino al formaggio.
"Dove vogliamo, abbiamo dieci euro di budget a persona".
Sospirai davanti al pensiero di
cenare con qualcosa di buono e a stento notai che Alessandro, spuntato
non so come al mio fianco, mi aveva gettato un foglietto accartocciato
nella busta dove c'era il resto del cibo.
Per fortuna erano tutti impegnati a
cercare posti buoni in cui poter mangiare qualcosa con quel budget,
così riuscii a leggere il contenuto senza farmi notare.
"Cena con me, stasera"
"Che dici?" sussurrò,
cercando di essere convincente, appoggiando una mano sulla mia schiena
e muovendola leggermente, come ad accarezzarla.
Mi scansai, guardandolo male per quel gesto non richiesto.
"Certo che ceno con te, ma in presenza del resto della squadra. Ti prego di smetterla" dissi, decisa più che mai.
"Non mi arrendo".
Che sbruffone! Era davvero
così convinto? Chi si credeva di essere? Ovviamente lui ignorava
il mio essere al corrente delle sue intenzioni, quindi credeva che a
breve mi sarei lasciata convincere da quello scialbo "corteggiamento".
"Seguimi".
Non me ne fregava di essere vista,
dovevo chiarire al più presto perché essere trattata
così, come un pezzo di carne pronto ad andare a letto con
chiunque, era poco lusinghiero.
Ero libera di andare a letto con
chiunque, certo, ma in base alla mia scelta, non di certo per
assecondare i pensieri sessisti di un deficiente che credeva di potermi
fare scema solo perché era oggettivamente bello.
Subito obbedì, credendo in
un mio cambio di idea, e mi seguì fino ad una panchina un po'
lontana da orecchie indiscrete.
"Alessandro, parliamoci chiaro, pensi che io sia deficiente?" chiesi, sprezzante e piuttosto incazzata.
Colto alla sprovvista, Alessandro mi guardò senza capire.
"Cosa?".
"Non fare il finto tonto! Senti, so
tutto. So che quando Amanda ti ha raccontato di me e del mio ex in
vacanza studio hai espresso piacere nel sapere che "scopavo con lo
staff". Vuoi negarlo? Ammettilo, ammetti che stai facendo tutte queste
scenate perché pensi di trovarmi nuda nel tuo letto, stasera"
sbottai, infastidita al massimo.
Incrociai le braccia e alzai il mento, godendomi la sua espressione idiota.
"Non è così, Alice. Ti sbagli, cerco di essere carino perché...".
"Perché?".
Contro ogni mio pronostico,
Alessandro restò in silenzio per qualche istante, si
schiarì la voce e mi guardò.
Credevo avrebbe opposto un minimo
di resistenza, invece probabilmente non aveva voglia di perdersi in
finte scenate e false dichiarazioni perché sbuffò e
alzò gli occhi al cielo, non proprio soddisfatto.
"Ora so che non sei la credulona ingenua che crede Amanda, sei una tosta. Scusami".
Avevo sentito bene? Aveva forse -seppur tacitamente - ammesso che avevo ragione?
"Ecco, non lo sono. L'importante è che tu la smetta, farò finta di nulla" ribadii.
"Grazie".
Mi sorrise debolmente e poi tornò dal resto del gruppo, così lo seguii, cercando di risultare normale.
Vidi Saverio che, a una cinquantina
di passi da noi, faceva la solita videochiamata della pausa pranzo con
Nadia e mi dissi che tutto ciò che volevo era un rapporto come
il loro, chiaro, cristallino, pieno di affetto e di comprensione,
capace di resistere alla distanza.
"Ehi, ma che è successo?".
Riemersi dai miei pensieri quando Cristina mi parlò, quando tutti si erano divisi in gruppetti e parlottavano tra loro.
"Intendi con Alessandro?" sussurrai.
"Sì, sembravi incazzata quando vi siete allontanati...".
"Lo ero. Voleva provarci per
portarmi a letto dopo aver saputo di Luca, credeva fossi una facile
da... Adescare" rivelai, senza riuscire a trattenermi.
Le mostrai il biglietto e le raccontai i dettagli, cosa che la fece inorridire come non mai.
"Uomini! Pensano di avere delle cretine pronte a cadere ai loro piedi..." commentò, inacidita.
"Più che altro è l'idea di essere usata come un oggetto che mi fa schifo" borbottai, amareggiata.
"Alice, ricordi che dobbiamo organizzare meglio la serata di domani?" chiese Mario, spuntato con Maurizio alle mie spalle.
"Sì, lo ricordo".
"Vi lascio al vostro lavoro" si congedò Cristina.
"Dopo ti raggiungo io" le promisi.
"Hai trovato la bff, eh?" mi scimmiottò Mario, sedendosi al mio fianco.
"I miei primi bff sarete sempre voi" gli ricordai, pensando a quanto fossi felice di averli lì con me.
Mancavano un paio di ore alla cena quando mi ritrovai davanti il negozio di Victoria Secret's con Salvatore.
Ero sorpresa perché si era
avviato prima di me, quando stavo ancora cercando idee con i ragazzi,
quindi mi aveva inviato la posizione del negozio.
"Intimo?" chiesi, senza sapere bene cosa dire.
Salvatore annuì.
"Per la tua... Ragazza?" azzardai, visto che per me la sua vita era un buco nero.
"No, che dici, Alì, voglio comprà un tanga pe' me" mi prese in giro.
"Scusami, non so nulla della tua vita privata" mi difesi.
"Sì, c'ho una ragazza da
poco meno de un annetto e le vorrei fare un regalo carino"
sintetizzò, facendomi segno di entrare.
Lo seguii, pensando a quanto fosse
assurda quella situazione visto che da quando ci conoscevamo non si era
mai verificata una situazione così... Intima.
Fondamentalmente il nostro rapporto
era molto semplice: la nostra confidenza si basava sul suo prendermi in
giro constantemente, poi non ci eravamo più visti ed ora si
comportava con me come se fosse una sorta di guardia protettiva,
facendomi quasi mancare il periodo in cui una giornata non poteva dirsi
conclusa senza una sua battuta nei miei confronti.
Ora, ritrovarsi in un negozio per comprare un regalo alla sua ragazza, era una bella novità e volevo essere utile.
Quando mi fece capire di volerle comprare un body sexy, passai all'azione.
"Che taglia ha?" chiesi, fingendomi professionale.
"Una terza".
"Coppa?".
"Mo' vuoi troppo, Alì".
"Scusa, la coppa è importante" sottolineai.
"Ma una terza è una terza, non esiste 'na coppa standard?" domandò, non capendo l'importanza della questione.
"No. Come è il suo seno, sapresti dirmi più o meno la forma?".
"Come il tuo, Alì, magari un po' più piccolo, credo" osservò, guardandomi di sbieco.
Quella cosa mi fece ridere come non mai e lo fissai, divertita.
"Una terza A o B, allora" azzardai, cercandolo.
Ne presi uno bordeaux, con vari ricami in pizzo, e glielo porsi.
"Potrebbe andare?" chiesi.
"Me piace".
"Ciao Alice, ciao Salvatore".
Sobbalzammo, vedendo due ragazze
della squadra di Gabriele che ci guardavano divertite mentre io reggevo
il body e lui lo esaminava.
"Ciao ragazze. Non è per me" precisai, decidendo di scongiurare subito eventuali congetture.
Loro risero e si allontanarono, lasciandoci decisamente perplessi.
"Sono destinata a fare figuracce
con te. Ricordi l'anno scorso, quando mi prestasti l'adattatore e delle
ragazze ti videro uscire dalla mia stanza?" esclamai, nostalgica.
Come faceva raramente, Salvatore mi mostrò un sorriso che addirittura scopriva i denti.
"Sì. Ci conosciamo da poco ma abbiamo bei ricordi" sintetizzò. "M'hai convinto, mediatrì, lo compro".
"La tua ragazza è fortunata"
decretai, per poi guardare il prezzo del body."...E deve davvero averti
rubato il cuore" commentai.
"Ne vale la pena per lei, sempre" ammise, con uno sguardo così innamorato che mi fece tenerezza.
Anche i più duri alla fine si scioglievano, pensai.
"E' assurdo. Quando ho conosciuto
te e Saverio mi sembravate così duri, eppure guardatevi,
innamorati, pronti a fare di tutti per chi amate" dissi.
Salvatore si avviò verso la cassa e mi guardò, con aria malandrina.
"Quando abbiamo conosciuto te eri
una ragazza quasi terrorizzata dal suo compito, e anche un po' sbadata,
poi ti sei innamorata, sei cresciuta... Ora sei una che si fa
rispettà e manda a quel paesi gli stronzi" osservò, forse
per non farmi sentire da meno.
"Cosa...?".
"Vi ho visto, Alì.
Alessandro è tornato con la coda tra le gambe, ho visto che
espessione avevi mentre gli parlavi. Ho capito che gli hai parlato
chiaro, scommetto che ti ha rotto le scatole".
Parlava in un italiano quasi perfetto rispetto al solito dialetto romano che lo contraddistingueva e la cosa mi fece riflettere.
Per prendermi in giro usava il romano, per parlarmi sul serio usava l'italiano.
"Voleva che cenassi con lui, non me
la sono sentita di continuare a essere presa in giro da un coglione, ho
già fin troppe pressioni addosso. Meglio chiudere la questione
subito, così si concentra su altre".
Salvatore pagò e uscimmo, presi da un'enorme folata di vento.
"Lo ami ancora, vero?" chiese, cauto come non mai.
Mi bloccai, sentendomi paralizzata da quella domanda.
Quando vieni lasciata, soprattutto
quando sei stata tradita, tutti ti si scagliano in arringhe in cui ti
ricordano quanto tu valga e quanto lui sia un deficiente, solo che
nessuno si preoccupa di chiederti come ti senti tu.
Ti dicono come dovresti sentirti,
al massimo, ed io ero così provata dal recitare la parte di
Wonder Woman da tre mesi a quella parte che mi stupii di fronte a una
domanda semplice come quella.
"Sì, credo. Lo sogno ancora,
ricordo il suo profumo, ricordo la gioia di rivederlo in lontananza
mentre mi aspettava, quando il treno arrivava alla stazione di
Napoli... Mi ci vorrà un po'" sussurrai, sforzandomi di non
piangere per l'ennesima volta.
"Ti ci vorrà quello che ti
ci vorrà, poi incontrerai un ragazzo meraviglioso" mi
rassicurò lui, ricordandomi un po' mia madre quando mi
raccontava le favole prima di addormentarmi.
Feci spallucce, incerta, e lui mi
strinse a sé con fare quasi paterno, in una mossa che
probabilmente suggellò ancora di più la nostra amicizia.
C'era solo una cosa da fare quando
avevo qualche pensiero per la testa: perdere tempo con Mario e
lasciarmi trascinare in una delle sue birichinate, che potevano andare
dal fare qualche scherzo al finire coinvolti in un progetto
impegnativo, come realizzare un certo tipo di video con i ragazzi come
protagonisti.
Quella sera fui fortunata perché, quando mi avvicinai a lui, lo trovai impegnato a contemplare il famoso Temple Bar.
"A che pensi?" chiesi, curiosa.
"Vorrei fare una foto epica, che
condivida l'essenza di questa città mista all'essenza di essere
un Activity Leader" rispose, concentrato.
"Te la scatto io" mi offrii, volenterosa. "Tanto manca un po' all'ora di cena".
"Ma chi se ne frega degli orari, devi uscire da questi schemi, Alice. Dimmi, che faccio?".
Ci pensai, poi lo sguardo mi cadde sulla felpa della divisa che portava allacciata attorno alla vita.
"Ci sono! Super Mario al Temple Bar!".
Senza lasciargli il tempo di dire
nulla, tolsi la felpa dalla sua vita e gliela sistemai sulle spalle,
allacciandola davanti a mo' di mantello.
"Fai una posa da supereroe, dai!".
Mi aspettavo delle critiche, eppure
l'Activity Leader sembrò intrigato da quella proposta, tanto da
mettersi in posa più e più volte.
Il risultato fu decisamente
positivo: il rosso della divisa si abbinava al rosso tipico del bar, la
luce tenue che precedeva il tramonto dava un bel tocco all'immagine e
l'espressione del paffuto Mario era decisamente super divertente,
sembrava credersi davvero un supereroe.
"Che figa, la posto subito!" esclamò, facendo uscire la parte super social che era il lui.
Non lo sapevo ancora, ma quella semplice foto salvò il resto della mia permanenza a Dublino.
Infatti, ad ora di cena, mentre ero
impegnata in un'accesa discussione in cui sostenevo di odiare i musical
e di apprezzarne solo qualcuno, criticata da una Monica alquanto decisa
a difenderli, sentii varie esclamazioni provenienti dall'estremo del
tavolo, dove c'erano Mario e Saverio.
Allarmata, alzai lo sguardo, prima di vedere Mario che correva verso di me per poi trascinarmi in un punto recondito del locale.
"Ma che ti prende?" chiesi, spaventata.
Sembrava paonazzo, reggeva il cellulare in mano e poi me lo mostrò.
"Leggi!" esclamò, puntandomi lo schermo quasi sotto al naso.
"Leggo, leggo, un attimo".
Presi l'oggetto e vidi che c'era la foto che gli avevo scattato.
"Leggi i commenti!" continuò, quasi squittendo.
Cliccai sull'opzione dei commenti, continuando a non capire.
Luca Antonini: Bella Mario, sei sempre sul pezzo! Salutami Dublino, spero di visitarla un giorno!
Mario Caloni: Come un giorno? Starai qui con noi al secondo turno, no?
Luca Antonini: No, non ho ricevuto nessuna convocazione, deve esserci stato un errore.
Il mio cuore saltò un battito e la mia mano tremava mentre gli restituivo il telefono.
Mario mi guardò, gioioso, mentre Saverio ci raggiungeva.
"Non verrà, c'è stato un errore" sussurrai, incredula.
"Di solito odio quando fanno questi errori, ma ne sono felice" esclamò Saverio.
"Sì, Ali, non verrà, non sei contenta?".
Annuii, davvero senza parole, perché mi sembrava di essere stata miracolata.
Era un segno del destino, forse era
un'occasione in più per andare avanti e tornare ad essere me
stessa, più sorridente che mai.
Improvvisamente, tutto mi
sembrò più luminoso e leggero, e pensai che per una volta
i social network erano stati davvero utili.
*°*°*
In ritardo, ma ci sono!
L'ultimo mese è stato
assurdo, per fortuna tutto si è concluso e ora ho la certezza di
avere un contratto lavorativo fino al prossimo anno, quindi sono
finalmente serena e pronta a dedicarmi alla pubblicazione di tutti i
capitoli.
La stesura procede bene e me ne mancano pochi da scrivere :D
Allora, che ne dite?
Luca non andrà a Dublino, Alice affronta il medico e Salvatore è dalla sua parte come non mai...
Secondo voi, cosa succederà ora?
Preparatevi perché nel prossimo capitolo si parlerà del ritorno di un vecchio personaggio.
Se vi va di farmi sapere che ne pensate sono qui, pronta a leggere le vostre opinioni!
A venerdì prossimo!
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Capitolo 20 *** Days 5-6: Segreti a fin di bene ***
5 6 segr
Capitolo 5
Days 5- 6 : Segreti a fin di
bene
"Perfetto! Allora
confermato alle diciassette? Benissimo! Non ci credo ma... Ci Vediamo
tra due giorni! Un abbraccio, tesoro!".
Maurizio mi guardò quasi
senza parole quando mi vide staccare la telefonata e tornare dietro
la scrivania con un sorrisone stampato in faccia.
Non potevo biasimarlo,
probabilmente in cinque giorni che mi conosceva non mi aveva mai
visto così raggiante ed entusiasta per qualcosa.
Fuori il tempo annunciava
una giornata grigia e fredda, dal cortile si poteva scorgere qualche
studente che se ne stava seduto su una panchina avvolto in una
felpona invernale, solo che io, finalemente, sentivo tanta positività
e allegria invadermi, tanto da non potermi contenere affatto.
"Maurizio, quanto sei
bravo con i segreti a fin di bene?" indagai, squadrando il suo
viso dai tratti fin troppo angelici con aria attenta, come se fossi
alla ricerca di quell'un per cento di furbizia che poteva fare al
caso mio.
La sola domanda mise il
ragazzo a disagio visto che quasi iniziò a sudare freddo e a
torturarsi le mani in un modo che mi parve eccessivo.
"Non molto, Ali"
ammise, dando conferma al mio sospetto.
"Sì, ma è una cosa
davvero a fin di bene. Saresti il mio complice perfetto, si tratta
comunque di mediare e organizzarsi, nulla di diverso dal solito, solo
senza Jimena e gli altri tra le scatole" lo supplicai, cercando
di essere convincente.
"Alice, cosa stai
combinando? Perché ridi da stamattina e sei... Così?"
chiese infine, cauto ma fin troppo sorpreso, cercando di non
offendermi.
"Vieni, andiamoci a
prendere un caffè, tanto dobbiamo incontrare gli spagnoli tra
un'ora" proposi, guardando l'orologio dopo aver controllato la
mia agenda che lui teneva sempre ordinata e aggiornata.
"Posso dire che mi fai
paura?" borbottò, seguendomi.
"Io sono sempre così,
in realtà. Mi hai solo conosciuto in un momento no" ammisi,
cercando di restare solare.
Arrivati al bar, ordinammo
entrambi un cappuccino e ci sedemmo dietro uno dei tanti tavolini che
i ragazzi avrebbero occupato a breve durante l'intervallo.
"Fino ad ora ho avuto a
che fare con un' Alice precisa, puntuale, simpatica, incazzata, ma
mai così solare" rivelò Maurizio, guardandomi come se mi
vedesse sul serio per la prima volta. "Forse dico una stronzata,
ma qualsiasi cosa ti abbia detto Mario ieri, a cena, ti ha fatto
bene".
Annuii, pensando a quanto
fossero vere le sue parole.
Dopo tanto tempo avevo
finalmente dormito tranquillamente senza ansie e paure ed ero
felicissima di poter proseguire il mio percorso lavorativo senza la
minaccia della presenza di Luca che incombeva.
"Ha saputo che c'è
stato un errore e il mio ex non lavorerà con noi. Mi dispiace se hai
avuto a che fare con una me un po'... Noiosa, ma ti giuro che ora
conoscerai la vera me" promisi, decisa a onorare quelle parole.
In cinque giorni avevo
affrontato Amanda, zittito Alessandro ed evitato la minaccia di
lavorare con Luca per un colpo di fortuna, quindi mi sentivo più
positiva che mai ed ero decisa a mostrarlo a tutti.
"Noiosa? Alice, sei
iperattiva, sempre pronta a scattare, non dire stupidaggini.
Piuttosto, la cosa misteriosa...?".
"Ero al telefono con
Nadia, la ragazza di Saverio" rivelai, guardandomi attorno con
aria circospetta per accertarmi che nessuno fosse nelle vicinanze.
"Devi sapere che l'anno scorso, il giorno del mio compleanno, li
beccai mentre si baciavano in ufficio" iniziai a raccontare,
divertita da quelle reminescenze che sembravano essere accadute anni
fa e non solo dodici mesi prima.
Quanto eravamo diversi,
quanto ci conoscevamo poco e, soprattutto, come ci sembrava enorme il
peso di avere una relazione segreta con un collega!
"Quindi festeggiasti il
compleanno con lo staff?".
"Sì. Capiterà anche
questa volta... E' l'otto, saremo a Belfast. Comunque, fui la prima a
scoprire tutto e alla fine si confidarono anche con il resto del
gruppo. A fine vacanza studio lui le corse incontro dicendole che
l'amava e appena lui è tornato, due settimane dopo, sono andati a
cena insieme come lui le aveva promesso e non si sono più lasciati.
Durante tutto l'anno ci sono stati per me e ora che è quasi il loro
anniversario voglio esserci io per loro".
"Cosa stai
organizzando...?".
Bevvi un sorso di cappuccino
e feci l'occhiolino, entusiasta per ciò che avevo pianificato con
tanta cura.
"Saverio non sa nulla,
ma mercoledì sera cenerà con la sua fidanzata e a mezzanotte,
quando scoccherà il loro anniversario, saranno insieme"
rivelai, gasata per la faccia che avrebbe fatto Saverio nel vedere
Nadia di fronte a lui.
"Cosa? Ma come...
Alice, è contro le regole, nessuno può entrare qui...".
"Nadia sarà una
semplice turista che ha affittato un alloggio da mercoledì sera a
venerdì mattina. Il nostro college consente anche ai turisti di
alloggiare, qual è il problema?" chiesi, fingendo di non
capire.
"Sei un genio del
male!".
"Dell'amore, semmai.
Quando non c'entro io" ridacchiai.
"Sì, ma cosa c'entro
io?" chiese poi, senza capire.
Gli puntai l'indice contro
con fare falsamente minaccioso.
"Tu da qui a mercoledì
sarai il mio complice. Dovrai coprirmi, giustificarmi, metti pure
parole spagnole a caso quando mi giustifichi se necessario, lui ti
crederà. Questa sorpresa deve riuscire, capito?" domandai,
supplichevole.
Al momento non potevo essere
felice per la mia situazione sentimentale ma almeno potevo esserlo
per due dei miei più cari amici che fino a quel momento avevano
lottato tanto per stare insieme.
"Perché io e non Mario
o Salvatore che lo conoscono bene?" chiese il ragazzo.
"Salvatore ci aiuterà,
discreto com'è non sarà un problema, ma Mario non può saperlo, in
tre secondi farebbe sapere tutto. Hai visto come è... Esplosivo"
spiegai.
"Mi sento quasi
onorato, anche se spaventato dall'idea di mandare tutto a monte".
"Andrà bene. Guarda,
ho organizzato tutto. Nadia arriverà in aeroporto alle diciassette,
sarà qui massimo per le diciotto. Quel pomeriggio ci sarà la visita
alla National Gallery of Ireland, tu andrai, io dovrò restare in
college. Martedì, durante la solita uscita pomeridiana, compreremo
delle candele elettriche visto che quelle vere faranno scattare
l'allarme anti incendio, giusto per dare atmosfera alla stanza, così
io mercoledì le darò a Nadia e lei le metterà in camera. Quando
tornerete, i ragazzi avranno circa un'oretta libera per prepararsi
visto che è prevista la cena in quel ristorante chic che si affaccia
sul fiume".
Maurizio spalancò gli
occhi, incredulo. "E' per questo che hai insistito per far
mettere la cena mercoledì?".
"Sì" ammisi,
fiera di essere riuscita a convincere il team spagnolo e quello
irlandese.
"Scusa, ma i posti sono
contati, come facciamo a far mangiare Nadia?".
Scrollai le spalle, come se
la risposta fosse la più semplice del mondo.
"Le cedo il mio posto.
Non mi importa di mangiare in un ristorante chic, non ho nemmeno
l'obbligo di stare con il team a cena, compro qualcosa a caso e mi
godo la vista del fiume, ci sarà il tramonto a quell'ora"
spiegai, cercando di non farne una questione di stato.
"Se non ceni tu non
ceno nemmeno io" stabilì Maurizio, deciso.
"Ma non dire
stupidaggini! Mi fai arrabbiare se lo fai, devi cenare con gli altri
e non privarti di qualcosa a causa mia".
"Allora significa che
ti farò arrabbiare, dopotutto sei il mio capo e dovrò pur farti
perdere le staffe qualche volta. Ho più piacere a mangiare qualcosa
a caso con te al tramonto che mangiare qualcosa di chic in un posto
fighettino con gli altri" rivelò, sincero come non mai.
"Sei uno scemo. Non ti
valuterò positivamente solo perché fingi di fare il galantuomo..."
borbottai, non sapendo bene come rispondere ad una frase carina come
la sua.
"Galantuomo? Un
galantuomo si sarebbe offerto di darti la sua cena, io ti sto
proponendo di mangiare insieme street food, senza cederti nulla"
precisò.
Non riuscii a ribattere, un
po' incredula a causa di quelle affermazioni così diverse da quelle
del Maurizio sempre sotto le righe e silenzioso che avevo avuto modo
di conoscere.
Mi dissi che quattro giorni
erano pochi per conoscere qualcuno e io ero l'esempio lampante di chi
in certi casi ha bisogno di un po' di tempo prima di essere se
stesso.
"Non capisco il nesso,
onestamente. Abbiamo lavorato tanto per riuscire a prenotare in quel
ristorante, almeno uno di noi dovrebbe goderne i benefici".
"Ti sembra così
assurda l'idea che mi vada di cenare con te?".
Era il secondo giorno di
fila che un ragazzo mi proponeva di cenare insieme, eppure sapevo che
Maurizio non aveva secondi fini, voleva solo essere gentile e non far
dividere la squadra di mediazione.
"No. Ne sono lusingata"
cedetti, per poi bere un generoso sorso di cappuccino giusto per
avere la bocca impegnata.
"Amo i momenti "liberi"
durante questi viaggi, di solito sono i più autentici. Comunque
davvero non ho parole per tutto il da fare che ti stai dando per i
tuoi amici, devi proprio adorarli".
"Li adoro quando sono
insieme perché così Saverio non mi rompe le scatole"
ironizzai. "Ecco!" sbuffai, affrettandomi a prendere il
block notes e a fingere di mostrare qualcosa al mio collega visto che
Saverio stava venendo in nostra direzione.
Maurizio mi resse il gioco,
annuii e poi lo prese in mano, squadrandolo con finta aria
professionale.
"Vita da mediatori, eh.
Bravi, bravi, continuate a poltrire, mi raccomando" ci prese in
giro Saverio appena si fu avvicinato.
Aveva la solita aria di chi
è stanco ma è deciso a dare il massimo in ogni caso viste le tante
cose da fare e il poco tempo per farle.
"E tu, allora?
Poltrisci con noi al bar?" ribattei.
"No. Sono venuto a
darvi una buona notizia. Finalmente l'azienda ha deciso di farci
aprire il nostro conto al bar, da oggi non dobbiamo più pagarci la
roba qui. C'è un limite, massimo quattro euro al giorno per persona,
ma meglio di nulla. Che avete preso? Così ve li faccio rimborsare".
"Due cappuccini,
grazie".
"Non mi ringraziare, da
oggi voi porterete le nostre ordinazioni in ufficio, ve lo anticipo"
sghignazzò il coordinatore.
"Giusto perché non
facciamo nulla, giusto?" stetti al gioco.
"Esattamente".
"Comunque, visto che
non facciamo nulla, dobbiamo aggiornarti sulle ultime proposte per le
uscite di queste settimane. Alle undici parliamo con gli spagnoli
riguardo le prenotazioni di Belfast, se mi dai le ordinazioni vi
portiamo il caffè in ufficio e te ne parliamo" dissi, pratica.
Ogni volta che c'erano delle
decisioni da approvare andavo in ansia finché non avevo l'ok di
Saverio, era più forte di me.
"Va bene".
Saverio parlò con l'addetto
del bar, diede già le sue ordinazioni e ci riportò i nostri soldi.
"Vi aspetto in ufficio
con la roba".
"Dite cheese! Bella la
servitù, eh?".
Fummo accolti nell'ufficio
dei group leader con Mario che ci stava puntando contro la fotocamera
del cellulare, tronfio nel vederci carichi di caffè, capuccini e chi
più ne ha più ne metta.
"Questa finisce sulla
pagina Facebook, così i genitori sapranno il nostro duro lavoro"
asserì Saverio.
"Che non si dica che il
gruppo di Mediazione non si spreca per il resto dello staff"
sottolineò Maurizio.
"Vi auguro degli
espressi schifosi che vi facciano passare la giornata in bagno"
ironizzai, posando finalmente il cartone gigantesco con cinque
bevande fumanti su un tavolo.
"Espresso irlandese e
sigaretta sono gli ingredienti di base per una dieta detox, non lo
sapevi?" stette al gioco Alessandro, probabilmente per cercare
di guadagnare punti.
Mi guardava con quell'aria
furbetta che mi dava ai nervi, se ne stava lì, al centro
dell'ufficio, probabilmente senza fare nulla, come se fosse lui il
capo di tutto e di tutti e come se ogni cosa gli fosse dovuta solo
perché si trattava di lui.
"Non fumo, quindi...".
"Io fumo, invece. Dopo
pausa sigaretta, che dici?" s'intromise Amanda, prendendo il suo
caffé e guardando Alessandro con aria ammiccante.
"Nemmeno io fumo, era
una battuta" si scusò il Dottore.
"Beh, allora vi lascio
alla vostra pausa caffè".
Mi allontanai per non stare
tra i piedi, se Amanda voleva provarci con Alassandro di certo io non
l'avrei ostacolata.
"Alice, illustra a
tutti le novità di cui dovevi parlarmi, così vediamo anche Mario
che ne pensa e siamo tutti informati" mi chiese Saverio,
facendomi spazio vicino la sua scrivania.
Annuii, sedendomi sulla
scrivania, mentre tutti gli altri continuavano a sorseggiare caffé
in silenzio.
"Allora, si pensava di
prenotare il ristorante chic mercoledì e di uscire per la zona di
Temple Bar il giovedì" iniziai, pregando mentalmente che a
Saverio andasse bene.
"La cena chic
inizialmente era organizzata per venerdì, perché abbiamo
cambiato?".
"Questione di
disponibilità" dissi subito.
Maurizio mi guardava con
aria preoccupata e la cosa mi metteva un'ansia assurda addosso.
"Il mercoledì è
possibile avere una sala grande tutta per noi, mentre venerdì
dobbiamo mescolarci con il resto delle persone e non è proprio bello
considerando che siamo più di cento" aggiunsi. "Poi ieri
parlavamo con Mario di fare anche una sorta di photobooth con il
fiume sullo sfondo e metterlo sulla pagina facebook, è più semplice
farlo con una sala privata".
"Per me va bene,
possiamo lavorare meglio così" mi appoggiò Mario.
Saverio ci pensò un attimo,
poi valutò la cosa e alla fine annuì.
"Va bene, puoi
confermare".
Sentii un macigno scivolarmi
via dallo stomaco e annotai tutto sul block notes.
"Si lavorava meglio
quando non c'erano i social, ora devi dimostrare anche ai genitori
che i figli si divertono" sbuffò Amanda.
"Scusa, ma da quando
sei nell'azienda?" chiese Saverio, voltandosi verso di lei con
uno scatto.
"Cinque anni".
"Cinque anni fa avevamo
già la pagina facebook...".
"Che devo dirti, noi
l'abbiamo introdotta tardi".
"Ma sono belle cose,
dai, l'idea del photobooth è fighissima a prescindere, sono bei
ricordi per i ragazzi" s'intromise Alessandro, guardando prima
Amanda, poi me.
Evitai il suo sguardo e feci
finta di leggere qualcosa tra i miei appunti mentre Amanda, colpita,
non sapeva come rispondere.
"Comunque, confermata
anche l'uscita di giovedì?" dissi dopo vari minuti di silenzio,
giusto per rianimare la riunione.
"E venerdì quindi
andrebbe fatto il pizza party?".
"Sì".
"Va bene".
"Non ho altro da dire"
mi congedai, spostandomi verso Maurizio. "Tra pochi minuti
abbiamo l'incontro con l'altro staff, se ti va bene andiamo e gli
comunichiamo che sei d'accordo".
Saverio annuì e annunciò
che era l'ora di firmare alcuni verbali, così uscimmo e ci recammo
verso la sala riunione che si trovava al terzo piano.
"Amanda ci sta provando
con Alessandro, hai notato?" domandò il mediatore, con l'aria
di chi è quasi sconvolto ma divertito dalla situazione.
"Sì, ce li vedo bene,
insieme" commentai.
Maurizio ridacchiò e io lo
imitai, ben decisa a non rivelare il discorsetto avuto con lui il
giorno prima.
Quel lunedì fu davvero
stressante a causa dei soliti problemi in vista delle prenotazioni
per Belfast, che ovviamente mi lasciarono con l'amaro in bocca.
Era una maledizione, ogni
anno, quando si trattava della trasferta di due giorni in un'altra
città, avevamo centinaia di problemi che ci facevano perdere non so
quanto tempo.
Fu con la morte nel cuore
che poco prima di cena, quando tutti rientrarono dalla visita allo
Store della Guinness, annunciai a Saverio che non c'era stato verso
di avere undici camere singole per lo staff.
"Ovviamente visto che
siamo dispari la singola è tua, le due group leader dovranno andare
in camera insieme e a me resta Amanda. Già vedo internet pieno di
foto mie mentre dormo, sempre se non mi ammazza nel sonno" mi
lamentai, cercando di soffocare i rumori del mio stomaco che
reclamava la cena.
Probabilmente il mio
discorso era molto infantile, solo che la stanchezza e la fame non mi
aiutavano ad essere un'adulta coscienziosa che non si lamenta.
Saverio firmò dei documenti
che ripose in una cartellina e mi guardò, con una leggerezza che non
gli apparteneva.
"Domani me la vedo io,
fino a prova contraria parlo bene l'inglese e non ho bisogno di un
mediatore. Con tutto il rispetto, tu e Maurizio state lavorando così
tanto che mi sento quasi sollevato da ogni carico di lavoro, domani
mi ci vuole una bella discussione con questi irlandesi" decretò,
fiero del suo operato.
"Lo so che vuoi farlo
perché hai paura di Amanda" ironizzai, felice nel vederlo così
carico e per il complimento che aveva fatto al mio staff dopo le
numerose prese in giro che, come al solito, servivano a precisare in
modo non convenzionale il suo affetto.
"No. Se la soluzione
non si trova, diamo la singola ad Amanda, così col cavolo che ci
accusa ancora di favoritismi, io me ne vado in camera con Mario e se
per te va bene fai il sacrificio di dividere la stanza con il tuo
mediatore, non mi fido del dottore".
Ero davvero incredula per
quella soluzione trovata così, come se nulla fosse, vista la rigida
policy che divideva colleghi e colleghe.
"Io non ho problemi ma
Amanda lo capirebbe subito...".
"Amanda è così
assetata di potere che non baderà a nulla. Che c'è, non vuoi
dividere la stanza col mediatore?" mi prese in giro. "O
davvero preferisci il dottore?".
"Io sono semplicemente
stufa di essere oggettificata come donna attira sesso, lo so che stai
pensando a cosa è successo ad Oxford" sbottai, uscendo
dall'ufficio e sbattendo rumorosamente la porta.
Era successo tutto in un
secondo, la sua frase aveva fatto scattare un fastidioso "clic"
nel mio cervello che mi aveva riportato indietro di mesi e mesi, ai
vecchi schemi che tanto mi avevano bloccato ai tempi della relazione
ancora segreta con il mio ex.
Che diamine mi era preso?
Saverio scherzava tutto il tempo, perché diavolo mi ero innervosita
ed ero diventata paonazza? Mi pentii all'istante del mio scatto di
rabbia ma ormai era troppo tardi, tornare sui miei passi mi sembrava
da vigliacchi.
Andai in mensa a passo di
marcia e a stento scambiai due parole con qualcuno, seppellendo la
faccia nel solito piatto di carne e patatine fritte che già mi
stavano gonfiando come non mai.
Mi persi tutte le
conversazioni e a stento risposi a Mario riguardo gli ultimi dettagli
della serata "Cruciverba", che consisteva nel dividere i
ragazzi in due squadre e far completare un cruciverba chiamando una
persona alla volta.
Mi sentivo davvero un'idiota
perché una singola connessione fatta nel mio cervello mi aveva
portato a rispondere male alla persona che mi aveva sostenuto più di
tutti in quei mesi.
Fu per questo che, con la
coda tra le gambe e un'aria che cercava di mostrare quanto fossi
dispiaciuta, seguii Saverio fuori la mensa alle diciannove e trenta,
un'ora prima della serata.
Stava camminando in
direzione dei dormitori, così gli corsi incontro e lo bloccai per un
braccio.
Dovevo essere forte, non
dovevo piangere e fargli pietà, volevo essere matura chiedendo scusa
e spiegandogli tutto.
Saverio si girò e mi
guardò.
"La pecorella nera
torna all'ovile?" chiese, sprezzante.
"So che non hai tempo
da perdere ma voglio spiegarti tutto...".
"Senti, qui i problemi
li abbiamo tutti, non sei l'unica che è stata mollata o ad essere in
crisi. Tra tre giorni è il mio anniversario con Nadia, non ci sarò
per lavoro ed è da ieri che è strana, quindi se permetti ho anche
io le mie cose da risolvere" sbottò, liberandosi del mio
braccio con uno strattone e proseguendo per la sua strada.
Mi dissi che aveva ragione
ma non avevo voglia di tornare indietro, così, senza dire nulla e
con gli occhi lucidi per ciò che avevo scatenato, presi posto su una
panchina e decisi di aspettare così le venti e trenta, da sola con i
miei pensieri.
"Alice, sei qui, ero in
pensiero...!".
Mi voltai e vidi Maurizio
che prendeva posto al mio fianco, preoccupato.
"E perché?"
domandai, sforzandomi di risultare normale, anche se la mia voce non
riuscii a celare una nota isterica.
"Sei stata muta tutto
il tempo e hai quasi rincorso Saverio quando si è alzato".
"Abbiamo discusso, sono
una stupida".
"Quell'uomo ha un
potere così grande su di te che quasi quasi penserei che ne sei
innamorata. Oddio, non dirmi che lo sei" esclamò, portandosi
una mano alla bocca quando lo guardai di scatto, con un'espressione
strana.
"Ma cosa dici! E'
semplicemente una delle poche persone su cui posso fare affidamento
ora che sono lontana da Roma, in più è grazie a lui che sono
migliorata in questo lavoro" spiegai.
"Ci sono stati problemi
con le stanze?" domandò, andando ad intuito.
"In un certo senso...
Domani ti racconto, che dici? Ora ho solo voglia di farmi una
doccia".
"Ma certo, scusami, non
voglio essere inopportuno, è solo che a volte sento di avere
confidenza con te, di poterti chiedere cose come ad un'amica".
"E ne sono felice,
davvero".
Mi alzai, lui mi passò lo
zaino che avevo perennemente con me e lo salutai con un cenno, prima
di tornare verso i dormitori.
In quei giorni ero davvero
un mare incomprensibile e pericoloso, prima calmo, poi in tempesta,
poi piatto, poi turbolento...
Mi dovevo calmare ma non
sapevo come, avevo tanti pensieri per la testa e odiavo che fossero
tutti causati da chi al momento era felice con la sua nuova ragazza e
probabilmente contava i giorni per tornare da lei.
Fu così che feci una doccia
rapida, diedi una mano durante la serata, partecipai passivamente
alla riunione serale e andai a dormire, sfinita dal mio turbine di
pensieri.
Il mio primo pensiero,
l'indomani, fu mandare il solito messaggio a Saverio per chiedergli
di venire a prendere il caffè, solo che non invitai nessun altro
perché volevo spiegarmi senza terzi tra i piedi.
Quando lo vidi entrare in
cucina, alle sette spaccate, tirai un respiro di sollievo e gli
sorrisi in maniera genuina.
"Grazie per essere
venuto" esclamai, affrettandomi a versare il caffè nel solito
bicchiere di carta e a zuccherarlo.
Bevvi il mio come se fosse
uno shot e poi mi decisi a parlare.
"La mia sfuriata di
ieri sera è stata insensata e da pazzi, scusami. Posso spiegarti?"
chiesi, cauta, misurando ogni parola.
Saverio annuì prima di bere
un sorso.
"Non sono mai stata la
tipa che si fa una storia con uno quasi sconosciuto e forse, senza
volerlo, il mio cervello ogni volta mi punisce per ciò che ho fatto
con Luca perché se non lo avessi fatto ora tutto sarebbe più
semplice. Sono scattata sulla battutina sul dottore perché in realtà
lui voleva provarci pensando che fossi una facile e ieri, dopo vari
atteggiamenti, l'ho zittito. Mi sembra di essere un oggetto, quella
che se la fa con chiunque" spiegai cautamente, cercando di
utilizzare un tono neutrale e non quello da vittima che avevo usato
in passato.
Come c'era da aspettarsi,
l'espressione dell'uomo cambiò repentinamente appena iniziai a
spiegare le mie ragioni.
"Salvatore ha ascoltato
tutta la conversazione tra lui e Amanda quando lei gli ha raccontato
dell'anno scorso e il suo commento è stato una cosa del tipo "buono
a sapersi che scopa con lo staff". La sera dopo me lo sono
ritrovato fuori la mia camera, voleva fare il figo, mi ha detto che
sono bellissima e se ne è andato, il giorno dopo ha continuato a
fare il buffone, voleva che cenassi con lui.... Non ho retto più e
gli ho detto che sapevo tutto e se ne è andato con la coda tra le
gambe" continuai, con aria non proprio divertita.
"Perché non me lo hai
detto?" mi rimproverò Saverio, rammaricato per ciò che gli
avevo raccontato.
"Perché sono stufa di
creare problemi, di dover essere sempre al centro dell'attenzione
perché prima discuto con una e poi con un altro! Mi sono sentita
peggio di quando mi dicesti di fare attenzione a Javi" ammisi,
rivivendo quasi quella sera dell'anno prima nella mia mente dato che
era stata quella in cui, tra i tanti casini, avevo capito di avere
una cotta per Luca.
"Ma non sono problemi,
in primo luogo, e poi non li crei tu!".
Esitai, prendendo tempo per
riordinare i pensieri.
"Non li creo io, forse
li crea la mia identità in quanto donna. Scommetto che quando Luca
ha divulgato i fatti nostri nessuna ragazza ha pensato "ci sta
con tutte, è uno facile, ora ci provo". Quando tu hai
raccontato di stare con una che lavorava con te nessuno ha detto
nulla, ma scommetto che la storia di una Coordinatrice che sta con un
group leader scatenerebbe gossip".
"Alice, tu pensi
troppo. E scommetto che tutto questo è scattato quando ti ho
proposto di condividere la stanza con Maurizio per lasciare la
singola ad Amanda, perché nella tua testa hai subito immaginato una
situazione simile a quella dell'anno scorso, quando ho trovato Luca
nella tua stanza e tutto il resto. Devi smetterla di vivere in
funzione dell'anno scorso, paragonare ogni esperienza a quella
precedente, ogni viaggio qui è bello per qualcosa di nuovo che
succede! Cosa dovrei fare io, essere musone perché non c'è Nadia?
Resisto e apprezzo le piccole cose, come questo nostro rito del caffè
prima di andare a colazione...".
Aveva ragione, ovvio.
"Forse dopo queste due
settimane riuscirò a non fare più paragoni, non lo so"
borbottai, senza sapere bene cosa dire visto che ogni volta che mi
confidavo con il mio capo passavo dall'essere piena di cose da dire
all'essere più calma, svuotata da ciò che mi affliggeva.
"Spero di sì. Lo devi
a te stessa, Alice, fai tanti passi avanti ma poi torni sempre
indietro e non va bene" mi rimproverò, critico ma allo stesso
tempo genuino come solo lui poteva essere.
"Hai ragione. Con Nadia
come va? Ieri sembravi preoccupato" chiesi, dicendomi di dover
fare comunque la parte di chi non sa nulla.
Saverio scrollò le spalle e
finì di bere il suo caffé, esitando un po'.
"Mi ha rassicurato,
dice solo che è stanca e stressata, forse ho ingigantito io le cose"
minimizzò, sforzandosi di mostrarsi sicuro.
"Sei stanco e stressato
anche tu. Andrà bene, Nadia è pazza di te, non sai quante volte ho
dovuto sorbirmi chiacchiere infinite sul tuo essere un fidanzato
meraviglioso e bla bla bla" lo scimmiottai, facendolo sorridere.
"E' la cosa migliore
che potesse capitarmi, Alice, e so che capiterà anche a te quando
meno te lo aspetti. Ora, voglio proporti una mattinata alla Alice e
Saverio vecchio stile" propose, divertito al solo pensiero.
"Cioè?".
"Qualsiasi cosa tu
debba fare fatti sostituire da Maurizio, io e te occupiamo il vostro
ufficio e mi aiuti mentre cerco di fare il miracolo con l'hotel. Ci
stai?" chiese, improvvisamente energico.
Era il suo modo per farmi
capire che era tutto ok, che non ce l'aveva mai avuta con me e che
eravamo quelli di sempre, anzi, che un po' gli mancavano i vecchi
tempi in cui ci toccava risolvere insieme problemi giganteschi armati
di un pizzico di fortuna e tanta pazienza.
"Ci sto!".
Battemmo il cinque per
suggellare il patto e mi dissi che qualunque fosse stato l'esito, era
bello poter contare su di lui.
Fu una mattinata fin troppo
impegnativa tra telefonate chilometriche, le mille facce buffe di
Saverio incazzato e il nostro imprecare non proprio educato ogni
volta che ci dicevano di chiamare tra dieci minuti.
La giornata piena di sole e
abbastanza calda, così diversa da quella precedente, contrastava con
lo spirito uggioso e guerriero dell'ufficio, in cui regnava il caos.
Alle dodici e cinque, dopo
tre ore di tentennamenti, ci fu la conferma ufficiale: avevamo perso
la battaglia, le stanze non ci sarebbero state concesse e dovevamo
tornare al piano B.
Ovviamente Saverio era
incazzato nero per la sua battaglia persa e, conoscendolo, sapevo che
a breve si sarebbe impuntato su qualche sciocchezza pur di averla
vinta su qualcosa.
Il ritorno in ufficio dagli
altri fu davvero, davvero diverso rispetto a quello del giorno in cui
avevamo sistemato la faccenda con l'hotel di Oxford: niente urla,
solo una sorta di marcia funebre scandita dai nostri passi.
"Che dici, diciamo già
da ora la sorpresa ad Amanda?" chiesi. "Così da qui a
sabato non fa altri interventi a sproposito e sta tranquilla".
"Va bene, traiamo
almeno una gioia da questa sconfitta".
I ragazzi subito capirono
che non c'era nulla da festeggiare quando ci videro entrare, ci
guardarono, in attesa, poi il coordinatore scosse il capo in modo
negativo.
"Niente da fare,
torneremo ai tempi del liceo anche noi e avremo un compagno di
stanza" annunciò Saverio. "Scegliete voi con chi stare,
l'unica regola da rispettare è group leader con group leader,
mediatore con mediatore, così per qualsiasi emergenza state insieme.
Io sto con Mario, Alessandro, se ti va bene stai con Salvatore.
Amanda?" la richiamò, facendo sì che la Team Leader alzasse lo
sguardo.
"Sì?".
"Siamo in undici,
quindi qualcuno deve avere la singola e ho pensato di... Premiare te,
mi piace come stai lavorando ultimamente".
Se avessi potuto, avrei riso
a crepapelle visto che era proprio evidente quanto Saverio stesse
mentendo, ma ovviamente Amanda non vi badò, era troppo presa
dall'essere stata premiata per qualcosa e di essere superiore a noi
comuni mortali.
"Grazie, Saverio"
disse, prima di guardarci con aria di superiorità e passarsi una
mano tra i capelli.
"Bene, preparatevi che
tra poco finiscono le lezioni".
Tutti obbedirono all'ordine
di Saverio, iniziando a riporre fogli e documenti vari negli zaini,
mentre io mi avvicinai a Maurizio e gli feci segno di seguirmi fuori.
"A quanto pare saremo
compagni di stanza. Ti va bene?" chiesi.
"Certo! Spero vada bene
a te, sono un po' disordinato ma per una sola notte forse puoi
passarci su" ironizzò, tranquillizzandomi. "Ma c'entra con
la questione del litigio di ieri?".
Annuii, un po' imbarazzata.
"Più o meno... Appena abbiamo cinque minuti di pace te lo
spiego, l'importante è che per te vada bene".
"Non dire stupidaggini,
Alice. A quanto pare questa settimana trascorreremo più tempo
insieme, non è male come idea contando che, almeno io, lavoro bene
con te".
"No, ma figurati, ci
mancherebbe!".
"Guarda, questa ne è
la prova" ridacchiò, mostrandomi la foto del giorno prima in
cui io e lui portavamo i caffè alla squadra ed eravamo decisamente
buffi.
Sorrisi vista la foto
stramba ma che in un certo senso poteva riassumere la nostra
situazione: lavoravamo insieme, cercavamo di lavorare bene ma ogni
tanto sbandavamo a causa di qualche imprevisto.
*°*°*°
Buona domenica!
Eccoci di nuovo qui con uno dei miei
capitoli preferiti visto che preannuncia un breve ma interno
ritorno... Quello di Nadia!
Il prossimo capitolo è uno dei miei
preferiti e spero lo adorerete come l'ho adorato io.
La storia prosegue, Alice ha già
affrontato un po' di problemi ma ora sembra che tutto stia per
migliorare, che ne pensate?
Fatemi sapere, a presto!
Milly.
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Capitolo 21 *** Day 7: Merito Tante Cose Belle ***
Day 7: Merito Tante Cose Belle
-
Capitolo 6
-
Day 7: Merito Tante Cose
Belle
-
Quel mercoledì mi svegliai
con aria beata, tanto che nemmeno i versi dei gabbiani che
puntualmente si sentivano a qualsiasi ora del giorno mi diedero
fastidio.
-
Nel giro di meno di dodici
ore avrei riabbracciato Nadia, la dolce e forte ragazza che da un
anno a quella parte era una sorta di mentore per me, quella che un
mese dopo il mio arrivo a Milano aveva mollato tutto per trasferirsi
nella stessa città, trovare lavoro nell'ambito che amava e una casa.
-
Probabilmente, senza di lei
non ce l'avrei fatta a superare tutte le avversità dei mesi
precedenti.
-
Il giorno in cui Luca si era
presentato a casa mia per dirmi la verità sul tradimento, era stata
lei la prima a capire che c'era qualcosa che non andava visto che ero
scomparsa dalla circolazione e non rispondevo ai messaggi.
-
Si era presentata fuori casa
mia, di sabato pomeriggio, e se ne era andata direttamente il lunedì
mattina, accompagnandomi al lavoro dopo avermi trattato come una
bambina bisognosa di cure e tanto amore.
-
Mi aveva asciugato i
capelli, me li aveva pettinati, aveva scelto cosa farmi indossare...
Come se non bastasse, aveva attraversato mezza Milano durante la
pausa pranzo per non lasciarmi sola.
-
Non avrei mai pensato di
poter volere bene a un'amica conosciuta quasi per caso un anno prima,
ma ormai lei era inevitabilmente più presente rispetto alle mie
amiche storiche.
-
Nadia non era una semplice
amica, era uno spirito guida, una presenza costante, un'anima bella
sotto ogni aspetto che meritava ogni felicità possibile e
immaginabile.
-
Nel giro di poco avrei
scoperto una novità assurda che mi avrebbe reso il tacere ancora più
difficile e avrebbe mandato all'aria una giornata di lavoro, ma non
potevo ancora saperlo.
-
Erano le sette meno venti,
quindi in Italia erano le otto meno venti e probabilmente Nadia era
in metro per l'ultimo turno di lavoro da Sephora prima del giorno di
ferie che aveva ottenuto con tanta fatica.
-
Registrai un audio
chilometrico -con tanto di gabbiani in sottofondo - in cui le
raccontavo come mi sentivo per tutto quel piano che avevamo elaborato
e lei era decisamente su di giri all'idea di visitare Dublino e fare
una sorpresa al suo ragazzo.
-
A stento ebbi il tempo di
prepararmi e quasi arrivai in ritardo al classico appuntamento pre
colazione con Saverio, dove fingere fu davvero dura.
-
Lui aveva la testa tra le
nuvole e me ne accorsi dal suo parlare poco e niente, fino a quando
non esordì dicendo: "Ieri era un anno da quando io e Nadia, da
semplice Coordinatore e Group Leader, pranzammo insieme dopo qualche
giorno di occhiate, attenzioni e battutine. Stanotte, dopo poco
mezzanotte, sarà il nostro anniversario, quello del momento in cui
lei ebbe tanto coraggio da baciarmi dopo la riunione. Io non ce
l'avrei mai fatta, non avrei mai osato pensare di suscitare
dell'interesse in lei... Se non fosse stato per lei, probabilmente
ora sarei il solito me cinico e sprezzante. Bisogna osare nella vita,
Alice, sempre".
-
Mi ci volle una forza
sovrumana per fingere di non sapere nulla e limitarmi a guardarlo con
aria felice.
-
"Quindi" continuò
lui, "Ieri pomeriggio ho osato in un modo che non avrei mai
creduto di osare. Io mi fido di te, sarai pure scema e tutto ma sei
fedele e leale, manterrai il segreto, vero?".
-
Esitai, senza sapere bene
cosa dire.
-
Un altro segreto? Già stavo
scoppiando nel tenere per me quello di Nadia, non potevo mantenerne
un altro!
-
Il problema, però, era la
mia eccessiva curiosità che mi portò a dire di sì.
-
Saverio esitò, prese un bel
respiro, poi si voltò e frugò in una tasca del suo giubbino.
-
Mi portai una mano alla
bocca quando capii tutto e lui mi fece segno di tacere.
-
Era una scatolina di velluto
blu che, aperta, mostrava un meraviglioso anello con una pietra verde
acqua.
-
"Colpo di scenaaaa!
Saverio diventa pazzo e chiede ad Alice di sposarlo!".
-
Sobbalzai, maledicendo quel
cretino di Mario che era entrato a sorpresa in cucina, con la solita
aria svagata ma felice e un mega sorrisone.
-
"Mario, tu lo sai?"
chiesi, andando quasi in panico.
-
"Certo che lo so, Ali.
Ero con lui quando lo ha comprato! Questo pazzo all'improvviso si è
fermato davanti a una gioielleria e mi ha detto di entrare. E' stato
un momento epico per la nostra amicizia, sono il suo braccio destro
da anni ed anni ed essere lì in quel momento...". Mario era
visibilmente felice per Saverio, tanto da abbracciarlo e stampargli
un bacio rumoroso sulla guancia, cosa che ovviamente lo fece
respingere.
-
"E' una cosa
bellissima, Saverio. Per quanto dovrò mantenere il segreto? Sai che
Nadia è una mia carissima amica" dissi, quasi supplichevole.
-
"Non lo so. Lo farò
quando me la sentirò, deve essere una cosa speciale fatta in un
momento speciale, non perché devo".
-
Esternamente sorridevo, ma
dentro stavo avendo una sorta di crisi: prima di tutto, Mario sapeva
e a breve avrebbe dovuto fingere di non sapere davanti a Nadia in
persona, poi, Saverio stesso cosa avrebbe fatto nel vedere la sua
amata lì, a sorpresa, per il loro anniversario, dopo averle comprato
un anello?
-
E, soprattutto: come avrei
fatto a fare finta di nulla con Nadia pur sapendo una cosa così
bella?
-
Dovevo stare calma o almeno
dovevo provarci.
-
"Ma perché mi hai
messo in una situazione del genere? Io sono felicissima per voi ma io
e Nadia ci sentiamo sempre, mi sento uno schifo già solo per la
bugia che dovrò dirle!" protestai.
-
"Non è una bugia, è
un'omissione".
-
Annui, sconfortata, visto
che mi aspettava una giornata piena di omissioni.
-
-
Visto che avevo bisogno di
supporto, raccontai della sorpresa non solo a Salvatore ma anche a
Cristina, che ormai era l'unica di cui potevo fidarmi tra i nuovi
arrivati.
-
Glielo confidai quando io e
Maurizio andammo in ufficio per portare il caffé a tutti,
approfittando del fatto che il coordinatore fosse fuori per esigenze
varie.
-
"Ma è una cosa
bellissima" esclamò lei, decisamente euforica.
-
"Sì, solo che dobbiamo
essere cauti e far riuscire il tutto, capito? Se hai dubbi e io non
ci sono mandami un messaggio o ne parli con Salvatore o Maurizio,
solo con loro".
-
"Oddio, mi sento parte
di una società segreta" ammise Cristina, torturandosi le mani.
"Cosa devo fare precisamente?".
-
"Oggi, quando andrete
al museo, cerca di tenermi aggiornata il più possibile e fammi
sapere quando state per tornare in college" dissi.
-
"Va benissimo".
-
"Non sto nella pelle,
davvero!".
-
"Ma quindi la
conosceremo? Saverio ce la presenterà? Voglio dire, non è contro le
regole?" domandò la ragazza, un po' confusa.
-
Scrollai le spalle, un po'
incerta.
-
"Nadia paga il suo
alloggio come gli altri turisti che ci sono, non stiamo abusando
dell'alloggio. Non so cosa dirti, Saverio saprà bene cosa fare, io
per questo ho detto la verità solo alle persone fidate" ammisi,
cercando di non aggiungere ulteriori preoccupazioni nella mia testa.
-
"Amanda è tutta felice
per la questione della stanza, quindi non penso darà problemi"
ragionò Cristina, provando a rassicurarmi.
-
"Vero. Che ti devo
dire, vediamo come vanno le cose, non so cos'altro fare".
-
"Hai già fatto fin
troppo, Ali".
-
Risi perché me lo aveva
detto con'aria troppo buffa, ma era vero visto che stavo davvero
rischiando tutto per dei miei amici.
-
"Cristina, vieni un
secondo?" la chiamò Luigi, così lei fu costretta ad andarsene
e io tornai nel mio ufficio.
-
Trovai il mio planner
settimanale ben organizzato grazie a Maurizio che era in grado di
decifrare la mia grafia disordinata e lessi cosa mi mancava quando un
dettaglio catturò la mia attenzione.
-
Mercoledì 4 Luglio 2018:
-
Ore 20.00 Dinner
Reservation: Sophie's.
-
E per noi andrebbe bene
fish&chips? Fammi sapere :D M.
-
Aveva preso fin troppo sul
serio l'idea della cena da outsiders mentre tutti cenavano da
Sophie's e la cosa mi lasciava senza parole, anche perché
continuavo a sentirmi in colpa visto che il posto per lui c'era.
-
Ci stavo giusto pensando
quando lui entrò in ufficio, intento nel controllare chissà cosa al
cellulare.
-
"Fish and chips?"
chiesi, mostrando il planner.
-
Maurizio sorrise ed annuì,
per poi sedersi vicino a me.
-
"Sì, io lo adoro,
tu?".
-
"Mi piace, ma
tranquillo, quello che troviamo prendiamo senza ansia" provai a
dissuaderlo.
-
"Tu hai organizzato un
mondo di cose, lascia che ne faccia una io".
-
"Certo. Vai lì e
siediti con loro, stasera...".
-
"Ali, se non mi vuoi
tra i piedi parla chiaro, perché è ciò che mi sembra tu stia
provando a dirmi da ieri" esclamò, ferito dalle mie parole,
tanto da cambiare espressione e mostrarsi piuttosto basito per il mio
comportamento.
-
"No, no! Maurizio, no!"
esclamai, scuotendo energicamente il capo e alzandomi, arrivando ad
appoggiarmi alla parte di scrivania vicino a lui. "Scusami se ti
ho dato questa impressione, semplicemente non voglio farti perdere
nulla perché sei un collaboratore eccezionale e meriti una cena in
un posto bello come quello".
-
Il ragazzo sembrò cambiare
espressione e si riaddolcì.
-
"Quindi merito una cena
speciale?" chiese, sorridendo in un modo nuovo, con una parte
del sorriso sbilanciata verso la parte destra del viso.
-
"Certo".
-
"Una cena col mio capo
con la visione del Liffey al tramonto è perfetta, allora. Possiamo
andare anche al Mc Donald's, scegli tu, scegliamo al momento, che
dici?".
-
In un altro momento della
mia vita avrei approfondito la questione, avrei provato a capire il
perché di quelle affermazioni, ma in quel momento evitai visto che
non volevo immischiarmi in situazioni strane e desideravo solo
normalità.
-
Sapevo solo che Maurizio
sembrava davvero sempre più in gamba e dolce, uno di quelli vecchia
scuola di cui ormai avevano gettato lo stampino.
-
"Va benissimo. Riguardo
oggi, Salvatore e Cristina sanno tutto, se al museo c'è qualche
emergenza puoi parlarne con loro" cambiai argomento, tornando
dietro la scrivania.
-
"Ok. Abbiamo già fatto
tutto per oggi e domani, dobbiamo passare a organizzarci per le
attività di venerdì?".
-
Scrollai le spalle. "Bisogna
solo ordinare le pizze e le bibite, ma sai cosa ti dico? Oggi non ho
voglia di andare dagli altri responsabili e ascoltarli su una
questione così semplice, possiamo farlo domani... Non lo so"
sbuffai.
-
"Alice, perché non
siete al meeting riguardo la serata cinema?".
-
Saverio entrò di botto in
ufficio, senza bussare e con un'aria piuttosto arrabbiata.
-
Vedendolo così arrabbiato
mi sorpresi e guardai il mio planner.
-
"Non c'è nessuna
riunione stamattina" dissi, sicura di me.
-
"Ah sì? E perché
quell'irlandese odioso è entrato in ufficio e ha chiesto perché gli
italiani non si sono presentati?" urlò, prendendo il planner e
facendomi entrare nel panico visto che si poteva intuire che non
avrei partecipato alla cena.
-
Lesse, accigliato, mentre
Maurizio correva a prendere il quaderno dove annotava tutto e da cui
prendeva tutte le informazioni che trascriveva in bella copia sul
planner.
-
"Accidenti, c'era,
Alice! Non so perché ma non ho trascritto...".
-
"Maurizio, vieni fuori
con me. Alice, alza il culo e va in riunione".
-
"Saverio, non parlare
così ad Alice, urla a me, non a lei...".
-
"Maurizio, è tutto ok"
lo tranquillizai, prendendo la borsa e andando dritta spedita verso
l'ufficio riunioni, preoccupata per la sorte del mio aiutante.
-
Cosa voleva fare Saverio?
Perché voleva parlare con lui e non con me?
-
Ero così in ansia che a
stento mi resi conto di essere arrivata, mi scusai e dissi di aver
segnato l'orario sbagliato prima di prendere posto e provare a
prendere appunti, ignorando gli sguardi di rimprovero.
-
Quando, a mezzogiorno, uscii
dalla riunione, vidi che i due stavano chiacchierando amichevolmente.
-
"Vedo che non lo hai
ammazzatto" dissi, freddamente.
-
Saverio passò un braccio
attorno alle spalle del mediatore e sorrise.
-
"E' tutto ok, Maurizio
si è solo un po' distratto. Dovrei ammazzare te, un buon
Coordinatore controlla sempre tutto".
-
"Lo avrei fatto se non
fossi stata impegnata con te a compiere il miracolo delle stanze,
ieri" ribattei, punta sul vivo visto che si stava attaccando la
mia professionalità.
-
Aveva ragione, dopotutto mi
ero distratta con la questione di Nadia, solo che ero troppo fiera
per ammetterlo e dargli ragione.
-
"Dovrei fare una
sintesi della riunione a Maurizio" aggiunsi.
-
Saverio sospirò e, senza
lasciarmi alcuna opzione, mi si avvicinò e mi strinse a sé in un
abbraccio goffo, con Maurizio che rideva. "Non è successo
niente, scema, continua così".
-
"Ti odio".
-
Saverio rise e fece segno a
Maurizio di seguirmi, poi scomparve nel suo ufficio lasciandomi senza
parole mentre entravo nel nostro e chiudevo le spalle.
-
"Ma che gli è preso?"
sbottai. "Mica ha cambiato idea perché gli hai spifferato di
Nadia?" chiesi, già nel panico.
-
"Ehi, no, no! Mi credi
capace di fare una cosa simile?".
-
Scrollai le spalle, senza
sapere cosa dire.
-
"Semplicemente mi ha
preso in simpatia, mi sono scusato e si è messo a parlare...".
-
Ero un po' sorpresa ma
decisi di non obiettare e passai alla riunione, mostrandogli i miei
appunti.
-
-
L'aereo sta partendo ora,
arriverò almeno un'ora dopo, assurdo!
-
Arrivata al tardo
pomeriggio, credevo davvero che non ce l'avrei fatta a vedere la fine
di quel tunnel chiamato attesa.
-
Ero in ansia, ero arrivata
ad un punto in cui sapevo che i ragazzi erano già usciti dal museo
e di Nadia non c'era ancora l'ombra nonostante fosse arrivata in
aeroporto.
-
La chiamavo in
continuazione, controllavo i movimenti degli altri attraverso le
informazioni di Cristina e gli altri, andavo avanti e indietro per la
reception con aria preoccupata.
-
Tanto lavoro, tanta
pianificazione buttati all'aria per un aereo che ha deciso di fare
ritardo!
-
Finalmente, alle diciotto e
trenta, Nadia mi chiamò per dirmi che era quasi arrivata stando a
ciò che le aveva detto il tassista.
-
Allo stesso tempo, Maurizio
mi disse che erano quasi arrivati in struttura, mancavano poco più
di trecento metri.
-
"E' finita, addio
effetto sorpresa" mi dissi, battendo un pugno sul mio ginocchio
mentre me ne stavo seduta nella hall.
-
Guardai davanti a me visto
che c'era una vetrata che dava sulla strada e vidi un taxi fermarsi,
così mi affrettai ad uscire dalla struttura e a guardarmi a destra e
a sinistra.
-
Potevo vedere già in
lontanza una massa di gente e le divise rosse dello staff, fermi al
semaforo.
-
"Cazzo, fa che Saverio
stia lontano, ti prego!" dissi, rivolta a chissà quale
divinità.
-
Mi avvicinai al taxi e vidi
una preoccupata Nadia uscire con il suo bagaglio a mano.
-
Mi ero immaginata un momento
indimenticabile in cui ci salutavamo come due sceme che non si
vedevano da anni - e non solo da una settimana - solo che la mia
fantasia fu distrutta dalla realtà in cui il tempo rischiava di far
saltare il duro lavoro e la programmazione di giorni e giorni.
-
"Nadia! Sono a meno di
duecento metri, dobbiamo muoverci" dissi, rapida, prendendo il
trolley e facendole segno di seguirmi.
-
"Maledetti aerei"
sbottò lei, in ansia come non mai, quasi inciampando mentre scendeva
dal taxi e salutava l'autista.
-
"Corri, corri!" la
incitai, fino a farla entrare in college.
-
Lei si stava recando verso
la reception per il check in ma io la trascinai per un braccio verso
il cortile.
-
"Non puoi fare il check
in ora, perché stanno arrivando e ti vedranno tutti" le
ricordai, mentre la facevo entrare in un piccolo stanzino in cui
c'erano dei bidoni della differenziata e chiudevo le ante.
-
Probabilmente a causa
dell'ansia, Nadia scoppiò in una risata fragorosa, mi cercò con le
mani visto che eravamo al buio e mi strinse a sé in un modo buffo
visto che eravamo strette, contro dei bidoni dell'immondizia, al
buio.
-
"Alice, come devo fare
con te, da quando ti conosco mi hai trascinato in mille avventure!"
sussurrò, continuando a ridere.
-
"Avvenure di merda"
sentenziai, visto l'odore poco carino che veniva dal bidone
dell'organico, per poi ridere a mia volta e ricambiare la stretta.
"C'è mancato poco, fammi vedere a che punto stanno".
-
Chiamai Maurizio e per
fortuna subito mi rispose, diligente come sempre.
-
"Ali, dove siete?"
chiese, preoccupato.
-
"In cortile, chiuse
insieme all'immondizia. Non sto scherzando. Voi?".
-
"Che?!".
-
"Poi ti spiego, dove
sta Saverio?".
-
"E' qui con noi, non so
che vuole fare" rispose, preoccupato.
-
"Allora, Nadia deve
registrarsi in reception e poi andare in camera, ho bisogno che lui
vada o in ufficio o al massimo in sala comune e ci resti per un po'
visto che ci vorrà almeno una decina di minuti. Mi affido a te,
fammi uno squillo quando possiamo andare, ok?".
-
"Ok, ricevuto!".
-
Staccai la chiamata e notai
che Nadia continuava a ridacchiare in un modo che la rendeva
decisamente buffa visto che le avevo puntato contro il display del
cellulare per fare luce.
-
Quando capì che la stavo
guardando lei scrollò le spalle per giustificarsi. "E' che io e
te non facciamo mai le cose normali che fanno due amiche, sempre in
missione, sempre con qualcosa che c'entra con il prendere treni,
aerei, trasferirsi..." spiegò, divertita.
-
"Ehi, qualche volta mi
hai truccato e fatto i capelli, è una cosa normale da fare tra
amiche, no?" stetti al gioco, per poi sobbalzare visto che il
cellulare aveva appena squillato. "Forza, è il momento, ti
prendo io il trolley così sei più veloce".
-
"Che ansia"
squittì la ragazza, prima di uscire e correre verso la reception.
-
La seguii, guardandomi
attorno con aria circospetta, prima di rendermi conto che Maurizio mi
aveva scritto.
-
"E' in camera sua,
voleva fare una doccia, dobbiamo essere tutti pronti a scendere per
le 19.30".
-
"Ok, grazie".
-
Alzai lo sguardo, vidi Nadia
che dava il documento di identità, firmava, poi, finalmente, le
diedero la chiave della stanza.
-
Tirai un sospiro di sollievo
e mi avvicinai, curiosa.
-
"Stanza?".
-
"Terzo piano, edificio
uno, stanza tre" disse, leggendo sulla card che fungeva da
chiave.
-
"Sei nel mio piano,
sarà perché è tutto libero... E' ottimo perché invece Saverio è
nell'edificio due, vieni in ascensore" decretai, iniziando
finalmente a respirare.
-
Cliccai sul pulsante
dell'ascensore e in circa dieci secondi si aprì, così salimmo e
cliccai sul pulsante del terzo piano.
-
Per fortuna non c'erano
ragazzini in giro, si vedeva che erano tutti chiusi in camera per
farsi belli in vista della cena chic.
-
Fu una corsa assurda, mi
sembrava davvero di star camminando sul filo del rasoio e solo quando
riuscimmo ad entrare in camera di Nadia riuscii a respirare di
sollievo.
-
"Ce l'abbiamo fatta"
dissi, incredula, per poi abbracciare la mia amica e stringerla
forte, probabilmente realizzando solo in quel momento che lei era
davvero lì con noi e nonostante il suo non essere una group leader
aveva potuto prendere parte, anche se poco, all'esperienza di Dublino
2018.
-
"Non ci credo!".
-
"Per fortuna non puzzi,
puoi incontrare Saverio" la presi in giro e lei mi spinse via,
tuttavia con affetto, per poi iniziare ad odorarsi per verificare ciò
che avevo detto.
-
"Lo chiamo, vedo se è
uscito dalla doccia e gli dico che deve venire urgentemente da me per
un problema, ti fai trovare in cucina" dissi, senza darle il
tempo di replicare.
-
"Che ansia, mi sembra
di non vederlo da una vita" esclamò lei, facendosi aria con la
mano nonostante la temperatura fosse abbastanza bassa.
-
Aprì la borsetta mentre
prendevo il cellulare dalla tasca e si affrettò a ritoccare cipria e
rossetto, in meno di un secondo.
-
Presi il cellulare e trovai
un messaggio sul gruppo dello staff, risalente a un quarto d'ora
prima.
-
Saverio: Stasera tutti
senza divisa e un po' più eleganti del dovuto, è un posto in cui si
richiede un minimo di dress code.
-
Non vi badai e mi affrettai
a telefonargli, sperando in una risposta breve che, per fortuna, non
si fece attendere.
-
"Che vuoi, Ali?".
-
"Puoi venire un secondo
in cucina da me?".
-
"E perché?".
-
"E' un'emergenza, c'è
una ragazza in lacrime, è del gruppo di Cristina, non vuole farsi
vedere da nessuno, ha detto che si sente al sicuro solo con te, le
ispiri sicurezza, non so che è successo..." dissi, con Nadia
che mi guardava incredula e si copriva la bocca per non far sentire
la risata che cercava di soffocare.
-
Sapevo che mettendo in mezzo
uno dei ragazzi Saverio non si sarebbe tirato indietro e ci avrebbe
raggiunto.
-
"Un secondo e arrivo"
sentenziò, per poi staccare la chiamata.
-
"Che cucciolo il mio
amore, è un coordinatore perfetto" sospirò Nadia, con gli
occhi letteralmente pieni d'amore mentre si guardava allo specchio
per sistemarsi i capelli.
-
"Sei perfetta, non so
come fai ogni volta a fare qualsiasi cosa e a essere sempre così in
perfette condizioni" la rimproverai affettuosamente, prima di
spingerla letteralmente verso la porta.
-
"Aspetta, mi fai
lasciare la chiave qui, fammela prendere!".
-
"Tanto sappiamo
entrambe che non userai questa stanza".
-
"Ma ci sono i miei
vestiti, sciocca".
-
Rapidamente, ci recammo
verso la cucina dove ogni giorno preparavo il caffè e la feci
accomodare sul divano che c'era sulla sinistra, in modo da
nasconderla a prima vista.
-
Ebbi appena il tempo di
farla sedere che vidi Saverio che era a pochi passi dalla stanza.
-
"Sta venendo"
squittii, quasi più emozionata di Nadia, la quale fece un piccolo
saltello prima di sedersi composta, le gambe accavallate e un'aria
più felice che mai.
-
Saverio aveva preso sul
serio la questione del dress code perché indossava una camicia e dei
jeans più carini rispetto a quelli trasandati che ormai gli facevano
da divisa, con tanto di scarpe un po' più eleganti.
-
Aprii la porta, sforzandomi
di essere seria.
-
"Scusami se ti ho
distubrato ma è urgente, non so cosa fare" dissi, mentre
entrava. "Questa ragazza vuole solo te...".
-
Nadia - che se ne stava
girata verso la finestra - si voltò e fece l'occhiolino al suo
ragazzo.
-
"Alice ha ragione,
voglio solo te e non ho esitato a farmi Milano- Dublino per rivederti
per il nostro anniversario" sussurrò, quasi emozionata.
-
Saverio era paralizzato,
guardava la sua ragazza come se fosse un'apparizione mistica e
spalancò la bocca, incredula.
-
Nadia si alzò e lo
raggiunse, appoggiando le braccia sulle sue spalle.
-
"Mi riconosci o mi hai
dimenticato già dopo sette giorni? Sono io, Nadia, quella che è
venuta fin qui per festeggiare insieme il nostro anniversario. Me ne
vado venerdì mattina" spiegò, accarezzandogli i capelli con un
fare così dolce che quasi mi faceva venire voglia di piangere per la
commozione.
-
L'uomo sembrò riemergere
dallo stato di trance e le si gettò addosso, quasi seppellendola tra
le sue braccia e lasciandole un bacio tra i capelli.
-
"Amore mio, ma cosa...
Non ci credo..." esclamò, per poi prendere il suo viso tra le
mani e baciarla.
-
"Scusate, vi lascio
alle vostre cose, ci vediamo a cena" provai ad andarmene,
sentendo di star invadendo un momento di privacy così importante.
-
Saverio si separò e si
voltò verso di me, prendendo la ragazza per mano come se temesse che
se ne andasse o scomparisse da un momento all'altro.
-
"Lo hai organizzato
tu?" chiese, senza parole.
-
"Beh, sì. Sapevo
quanto Nadia fosse triste nello starti lontana per l'anniversario, ho
visto che era possibile ospitare altri turisti, ho trovato un volo
super economico e ho deciso di farvi questo regalo per ringraziarvi
per tutto ciò che avete fatto per me negli ultimi mesi. Non
dimenticherò mai tutte le volte in cui mi siete stati vicini, mi
avete fatto uscire contro la mia volontà, avete rinunciato a tanti
weekend per me... Questo è il mio modo per ringraziarvi"
spiegai, felice nel vederli lì, insieme, davanti a me, belli e
felici come sempre.
-
"Io non so cosa
dire..." esclamò il coordinatore, davvero commosso.
-
"Non devi dire nulla,
al massimo ora sai perché oggi ero un po' distratta. E' stata
un'impresa, l'aereo era in ritardo. Nadia verrà a cena con noi, le
cedo il mio posto, è tutto organizzato. Ecco perché ho insistito
nel mettere la cena oggi e l'uscita a Temple Bar domani, così siete
più liberi".
-
"Ecco perché Maurizio
ha scritto quella cosa del fish and chips sul planner... Alice,
sei...".
-
"Sei il nostro angelo
custode e siamo felici di averti come amica" finì Nadia per
lui.
-
Non so come ma ci ritrovammo
stretti in un abbraccio prima che io decidessi di lasciarli soli e
andare a cambiarmi, visto che avevo meno di trenta minuti per
rendermi un po' più presentabile.
-
Ero davvero felice per la
sorpresa riuscita e mi sentivo davvero in pace con me stessa come non
mi sentivo da tempo, così riuscii a prepararmi con calma e decisi di
rispettare comunque il dress code indossando un abitino rosso a
maniche lunghe con degli stivaletti, vista la temperatura che non
andava oltre i quindici gradi.
-
Legai i capelli in uno
chignon in maniera molto rapida, misi l'unico paio di orecchini che
avevo e aggiustai un po' il trucco di quella mattina, aggiungendo
solo un rossetto un po' più scuro del solito.
-
Era una sensazione strana,
mi sentivo leggera dopo mesi e mesi, era una sensazione che avevo
dimenticato.
-
Avevo voglia di ridere e
stare tranquilla senza arrabbiarmi e devo dire che la mise super
eccentrica di Amanda - un tubino che lasciava poco spazio
all'immaginazione, color argento pailettato con un paio di scarpe dal
tacco alto abbinate - contribuì al mio umore.
-
"Sei bellissima!"
le dissi, sentendomi un po' ipocrita ma senza rimpianti.
-
Lei sorrise e si tolse una
ciocca di capelli dalle spalle.
-
"Grazie. Ehi, Alex!"
esclamò, snobbandomi per andare incontro al dottore che era appena
arrivato nella hall, facendo una bella figura nel suo completo scuro,
anche se trovavo la sua cravatta decisamente eccessiva.
-
"Alice, quanto sei
bella!" si complimentò Ludovica, una delle ragazze del gruppo
di Luigi.
-
"Sei una bomba!"
concordò Vittoria, un'altra dello stesso gruppo.
-
"Grazie, ragazze. Siete
bellissime anche voi" risposi.
-
Cercai con lo sguardo i miei
complici della giornata e vidi che si erano tutti riuniti in un
punto, vicino i divanetti.
-
Cristina era davvero bella
nella sua tuta elegante nera e Salvatore e Maurizio sembravano
diversi con delle camicie indosso e dei pantaloni diversi dai soliti
jeans.
-
Tutti avevamo ricevuto
l'email con la richiesta di portare con noi un cambio formale ma
probabilmente nessuno pensava che sul serio ci sarebbe stato concesso
non indossare le solite divise rosse.
-
"Ehii" esclamai,
avvicinandomi al gruppetto.
-
"Ehilà, che figa che
sei!" esclamò Cristina.
-
"Senti chi parla!".
-
"Sei bellissima, Alice"
disse Maurizio, guardandomi come se mi vedesse per la prima volta.
-
"Stai benissimo anche
tu, Maurizio. Che eleganza, Salvatore! La sorpresa è riuscita, è
tutto ok e non so come ringraziarvi, davvero" esclamai, finendo,
non so come, a battere il cinque con tutti.
-
"Ma quindi voi non
cenate con noi?" chiese Cristina, intristita.
-
"No. Cioè, Maurizio
potrebbe ma si rifiuta... Non possiamo chiedere una cena extra,
l'azienda non deve saperlo" specificai. "Noi mangeremo
street food vestiti così" ironizzai.
-
"Faccio questo lavoro
da anni ma non ho mai visto dei gesti così carini, complimenti"
si congratulò Salvatore.
-
Ci scambiammo un'occhiata
d'intesa e poi ci voltammo, curiosi, visto che Saverio era appena
sceso nella hall con Nadia e sembrava volersi fare piccolo piccolo.
-
Sorrideva con imbarazzo,
sembrava più goffo, forse doveva ancora metabolizzare il tutto,
chissà, ma l'importante era che fosse andato tutto ok.
-
-
Arrivati fuori da Sophie's,
il coordinatore sembrava ancora indeciso sulla questione della cena a
cui io e Maurizio non avremmo partecipato.
-
"Insomma, pago io la
cena extra e l'azienda non saprà nulla, no?" si offrì, teso
alla sola idea di escludere chi aveva fatto il possibile per fargli
quella sorpresa.
-
"Saverio, stai
tranquillo! Ci siamo già organizzati, saliamo dopo per il
photobooth, mandaci un messaggio quando è il momento, stai
tranquillo e goditi la cena" rispose Maurizio, quasi con aria
impaziente.
-
Dopo qualche altro
tentativo, l'uomo si decise e raggiunse gli altri group leader,
lasciandoci soli davanti alla prospettiva di una cena da touristi
senza pretese.
-
"Allora" dissi,
guardandomi attorno, "Cosa vuoi?".
-
"Che tu scelga cosa
mangiare in fretta perché ho fame" rispose lui, gentile.
-
Esitai, guardando le opzioni
che avevo nelle vicinanze: fish and chips, panini, kebab...
-
"Senti, che ne dici di
un bel panino con degli stick al formaggio e schifezze simili?"
proposi infine, vedendo una catena di fast food che sembrava fare al
caso nostro.
-
"Speravo lo dicessi"
disse, sollevato. "Andiamo!".
-
Attraversammo la strada e
poi entrammo nel negozio, mescolandoci con la folla di gente vestita
in modo informale che era lì per mangiare qualcosa rapidamente.
-
"Ci sono i posti,
vogliamo sederci qui e dopo contempliamo il Liffey? Il sole dovrebbe
tramontare alle nove e mezza, riusciamo a vedere il tramonto".
-
"Va bene" risposi,
seguendo il ragazzo vicino ad un tavolino per due. "Grazie per
aver pagato, non avresti dovuto, è stata un'idea mia....".
-
"No, la tua idea era
escludermi" mi prese in giro, facendo l'occhiolino in un modo
che non era sexy ma divertente, a tratti adorabile.
-
"Scemo! Non era per
escluderti, era per...".
-
"Lo so, l'ho detto
perché sei troppo buffa quando te la prendi per qualcosa. L'ho
notato, sembri una bambina dispettosa ogni volta" mi fece
notare, godendosela un mondo per l'espressione di risposta: ero,
ovviamente, coperta da quell'espressione di cui lui parlava e mi
stavo rendendo ridicola, così mi coprii il volto con le mani.
-
"No, non coprirti,
dai!".
-
Mangiammo abbastanza
rapidamente, affamati come eravamo, poi tornammo vicino al fiume e
prendemmo posto su una panchina, proprio vicino l' Ha' Penny Bridge.
-
La luce del tramonto rendeva
la visione magica, con tutte le luci che si riflettevano tra le acque
e i turisti che facevano mille foto.
-
Mi lasciai scappare un
brivido di freddo perché nella fretta di fare tutto non avevo
pensato a portare una giacca e Maurizio subito se ne accorse, tanto
da togliersi la sua con aria premurosa e apoggiandomela sulle spalle.
-
"Ma dai, tranquillo"
protestai, solo che lui fece un cenno di negazione e mi impedì di
togliermelo.
-
"Alice, mi permetti di
essere gentile?".
-
"Ma non capisco, lo sei
troppo, voglio dire...".
-
"Anche se in passato
qualcuno ti ha ferito non devi impedire a chi vuole essere gentile di
esserlo. Ci ho messo un po' ad impararlo ma finalmente l'ho capito".
-
"Come lo hai capito?
Scusa se chiedo, ma tu sai qualcosa di me, io non so nulla..."
chiesi, incuriosita da quel ragazzo che ogni giorno sembrava diverso,
più completo ai miei occhi, con più sfaccettature.
-
Lui fece un cenno. "No,
hai ragione. Parlo sempre poco di me, non so mai cosa dire, non mi
sembra di essere interessante, non mi conformo alla massa"
rivelò, imbarazzato.
-
"Proprio per questo
sembri interessante" ammisi, senza pensarci due volte.
-
"Beh, per rispondere
alla tua domanda, ho imparato a non dover impedire alle persone di
essere gentile con me due anni fa, alla fine della mia ultima storia.
Sono stato lasciato con mille scuse, la verità è che lei amava un
altro, e per un periodo mi sono isolato. Un giorno, in giro, ho
incontrato due dei miei amici che mi hanno invitato a guardare la
partita pur sapendo che non seguo il calcio. L'ho preso come un
invito che celava molto di più dell'apparenza e da quel momento mi
sono aperto, mi sono confidato e loro si sono arrabbiati perché non
gli ho consentito di essere d'aiuto. Da allora non cerco più di
impedire a qualcuno di essere gentile con me, significa che in un
certo modo me lo merito, e tu devi fare lo stesso. Non puoi solo
andare in giro a fare cose belle per i tuoi amici, meriti di avere
qualche gesto carino a tua volta". Lo disse con sicurezza, come
se mi conoscesse da più di sette giorni, in un modo che mi restò
decisamente impresso.
-
"Hai ragione"
sussurrai, incredula per la bellezza di quel discorso. "E' che a
volte voglio così tanto essere circondata da affetto e cose belle
che dimentico che le belle azioni si possono anche ricevere".
-
"Si possono ricevere e
tu le meriti tutte. Non ho mai lavorato in un ambiente così calmo e
tranquillo, sei una leader fuori dal comune, meriti tante
soddisfazioni".
-
"Maurizio, ma hai
bevuto...?".
-
"Vedi? Qualcuno ti dice
cose belle e tu le mascheri con l'ironia. Non va bene. Dì: "Merito
tante cose belle", su" mi incoraggiò, guardandomi negli
occhi con decisione.
-
"Sai che non lo farò"
risposi, ridacchiando.
-
"Merito tante cose
belle" disse quindi lui, fingendo di non sentirmi.
-
"Cos...?".
-
"Merito tante cose
belle. Non la smetto finché non mi imiti! Merito tante cose belle!
Merito tante cose belle!".
-
Si alzò e si affacciò sul
fiume, alzando un po' la voce. "Merito tante cose belle!".
-
"Abbassa la voce!".
-
"No, più mi ignori e
più la alzo. Merito...".
-
Esasperata, lo raggiunsi e
chiusi gli occhi, vergognosa come non mai, mentre dicevo a mia volta:
"Merito tante cose belle!".
-
"Brava, continua".
-
"No, dai...".
-
Maurizio sembrava
ulteriormente diverso rispetto a poco prima, sembrava ancora di più
se stesso, più audace, con una strana luce che gli brillava negli
occhi che gli conferiva un'aria diversa.
-
"L'importante è
iniziare. Dillo ogni mattina allo specchio, quando ti svegli, e vedi
che sembrerà tutto migliore" mi rassicurò, appoggiando una
mano sulla mia spalla, un po' incerto.
-
Lo lasciai fare, non mi
ritrassi, mi sentivo al sicuro e in una sorta di favola che a breve
sarebbe finita, non appena ci saremmo tolti i nostri vestiti un po'
più eleganti e saremmo tornati alla solita riunione serale.
-
Finii con l'appoggiarmi al
suo petto, con lui che mi stringeva, imponendomi di non pensare, di
non rovinare tutto con le solite etichette che ero solita dare a
tutto.
-
"Merito tante cose
belle" sussurrai.
-
Non potevo vederlo, ma ero
certa che Maurizio stesse sorridendo mentre mi stringeva un po' di
più a sé.
-
-
Dall'alto del terrazzo dove
si era tenuta la cena, Saverio e Nadia riuscivano a vederci visto che
eravamo proprio di fronte al ristorante.
-
Entrambi fumavano una
sigaretta, visto che ormai mancava solo il dessert e i ragazzi erano
al picco del loro essere social, con mille dirette, foto e video.
-
"Se la chiami per fare
il photobooth stasera dormi da solo" lo minacciò Nadia, seria.
-
Saverio le diede un bacio
sulla fronte e fece un cenno di dinego.
-
"Pensi che sia scemo?
Oggi ho parlato con quel ragazzo e ho capito che è davvero preso da
lei. E'intelligente, ha capito la situazione di Alice e non le sta
mettendo fretta. Ti rendi conto che è così intelligente da averla
trascinata ad un appuntamento senza farglielo capire? Un genio. Lei
ultimamente sembra diversa, ero sicuro che riportarla in vacanza
studio le avrebbe fatto bene" disse, felice più che mai.
-
"Alice sembra una tipa
tutta testa ma alla fine lascia sempre spazio ai sentimenti...
Guardali quanto sono carini" esclamò, indicando le nostre
figure abbracciate.
-
L'uomo prese il cellullare,
zoommò un po' e scattò una foto a noi che ce ne stavamo stretti
l'uno all'altra.
-
"Chissà, se son rose
fioriranno, gli farà piacere avere una foto ricordo".
-
"Che stalker".
-
"La stalker è lei,
ricordi che ci beccò mentre ci baciavamo?! Ricambio il favore".
-
Quella sera tutto ci sembrò
fatato, magico, come un sogno di una notte di mezza estate pronto a
dissolversi nel nulla allo scoccare della mezzanotte, solo che per
mia fortuna non fu così visto che sette mesi dopo Saverio mi mostrò
quella foto.
-
-
*°*°*
-
Salve a tutti!
-
Finalmente ho un pomeriggio
libero e ne approfitto per aggiornare :)
-
Questo è uno dei miei
capitoli preferiti perché torna Nadia<3, Saverio rivela le sue
"intenzioni" e Maurizio e Alice hanno modo di conoscersi un
po' di più.
-
Sappiamo già dall'epilogo
della prima parte che esattamente un anno dopo questi eventi Maurizio
e Alice si fidanzeranno e ora sappiamo sette mesi dopo questo
capitolo Saverio mostrerà la foto ad Alice... Quindi, che succederà
nel frattempo?
-
Non tutto è come sembra e
nulla è mai scontato, ricordatelo!
-
Grazie a chi legge, noto una
mancanza di commenti e capisco tutto, ma se c'è qualcosa che vi
spinge a seguire questa storia fatemelo sapere :)
-
come sempre ecco qualche
spoiler:
-
"Ho solo
restituito la cravatta a un collega, Saverio, calmati" sbottò,
rifilandogli un'occhiata non proprio amichevole e poi facendo finta
di nulla mentre prendeva un coltello per spalmare il burro su un
toast.
-
"Avresti potuto
farlo in privato" esclamò il dottore, rosso in viso ed
evidentemente furente.
-
"Avrei potuto,
certo, ma quando visto che al mio risveglio non c'eri più?"
chiese la donna, con aria falsamente innocente.
-
-
"Maurizio, ho
parlato a caso, non devi allestire un pigiama party per me, davvero"
lo rassicurai, pacata.
-
"E' una cosa che
voglio fare, mi fa piacere. Per una volta voglio vederti versione
mostro con la faccia piena di schifezze, sei sempre fin troppo
carina" obiettò, facendomi sgranare gli occhi in un modo che lo
fece ridere.
A presto!
milly.
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Capitolo 22 *** Capitolo 7 Days 8- 9: Happy Days ***
7happy
Capitolo 7
Days 8- 9: Happy Days
-
Probabilmente giovedì
cinque luglio fu la giornata più felice rispetto a tutti i ventotto
giorni che passai a Dublino.
-
Mi svegliai un po' più
riposata del solito visto che Saverio aveva colto la palla al balzo
durante la trentina di minuti di libertà che avevamo dato ai ragazzi
dopo cena e aveva fatto la riunione, in modo da lasciarci già liberi
una volta rientrati in college.
-
Ero così serena che presi
il cellulare e guardai le foto della sera prima per capire se era
tutto vero e con grande sorpresa appurai che, sì, era tutto vero e
non avevo sognato nulla.
-
C'era una foto in cui io e
Nadia ce ne stavamo in posa, fingendoci dive, un selfie con Nadia e
Saverio in cui io facevo la faccia buffa, una foto in cui abbracciavo
Cristina, una in cui Luigi e Gabriele avevano preso in braccio me e
Cristina e noi protestavamo... Infine, c'era un selfie con Maurizio,
scattato prima della fine della cena, in cui lui mi stava palesemente
stringendo a sé.
-
Avevo un sorriso enorme,
quasi stentavo a riconoscermi e la cosa mi faceva un po' paura.
-
Dopo l'ennesimo sbadiglio mi
decisi ad andare a farmi una bella doccia per scacciare via i
pensieri, solo che, ovviamente, ebbi l'effetto contrario visto che
fui assediata da mille idee diverse.
-
"Cosa cazzo è stata la
serata di ieri? Sembrava un appuntamento!" esclamai, a gran
voce, come se qualcuno potesse sentirmi. "Ma cosa ne posso
sapere io? Voglio dire, mi sto facendo tanti film in testa per nulla,
Maurizio è solo stato gentile. Certo, ha pagato tutto lui, mi ha
riparato dal freddo, ma non ha osato fare mezza mossa!".
-
Decisa a restare di
quell'idea, mi soffermai solo sul pensiero di Nadia che aveva ancora
ventiquattro ore da passare con noi e che probabilmente avremmo avuto
del tempo da passare insieme visto che Saverio sarebbe stato
impegnato con alcune faccende in vista di Belfast mentre io dovevo
solo occuparmi della parte riguardante le pizze per la cena del
giorno seguente.
-
Quando uscii dalla doccia
controllai l'orario sul cellulare e vidi di aver ricevuto un nuovo
messaggio.
-
Maurizio: Caffè insieme
da me?
-
Sospirai, incerta, tamponai
i capelli bagnati con l'asciugamano e alla fine ripresi il cellulare
in mano, rispondendo in maniera affermativa.
-
Mi concentrai solo sul
prepararmi, indossai rapidamente dei jeans e una t-shirt bianca e
scesi al piano di sotto, dove c'era la cucina vicino la camera di
Maurizio.
-
Stavo scendendo le scale che
conducevano al piano inferiore quando mi trovai di fronte ad
Alessandro che correva verso il piano in cui mi trovavo io, con
l'aria sconvolta di chi si è appena svegliato ma deve correre.
-
Indossava la camicia e i
pantaloni della sera precedente, i capelli tutti disordinati ed aveva
tutta l'aria di chi non vuole farsi beccare.
-
Mi sforzai di restare seria
e dissi: "Buongiorno" in un modo che cercava di essere
naturale ma che non riuscii a celare un piccolissimo accenno di
divertimento.
-
Alessandro era davvero
sorpreso per l'avermi incontrato, probabilmente era l'ultima cosa che
voleva, per questo non riuscii a non fare altro che un piccolo cenno
e a scappare ancora più forte di prima.
-
Quando lo superai e mi
ritrovai sulla rampa di scale successiva non riuscii a non ridere,
tanto da dovermi coprire la bocca con la mano per non farmi sentire.
-
Corsi in direzione della
cucina di Maurizio e lo trovai già lì, indaffarato dietro ai
fornelli.
-
"Buongiorno, capo"
esordì, facendo un sorriso fin troppo ampio.
-
"Buondì! Non puoi
capire che scoop ho!" esclamai, provando un'agitazione simile a
quella che avevo provato al liceo quando si scopriva chi aveva avuto
una storia con chi dopo la festa di fine anno.
-
"Cosa è successo?"
chiese lui, sorpreso nel vedermi così elettrizzata, mentre
appoggiava la macchinetta con il caffè sul tavolo e prendeva dei
bicchieri.
-
"Mentre venivo qui ho
incontrato Alessandro che tornava in camera sua, tutto scalmanato,
con addosso i vestiti di ieri sera" lo informai, non riuscendo a
restare seria.
-
Maurizio spalancò gli occhi
e scoppiò a ridere, con l'aria di chi ha fatto due più due.
-
"Pensi che abbia
passato la notte da Amanda?" domandò, per poi prendere lo
zucchero.
-
"Penso proprio di sì.
Si era capito che lei voleva provarci ed evidentemente lui ieri si è
lasciato conquistare da quel look molto spavaldo".
-
"Onestamente, non mi
piaceva proprio...".
-
Gli lanciai un'occhiata di
puro scherno mentre lo diceva, per nulla convinta da
quell'affermazione.
-
"Non dire bugie! Voglio
dire, non era proprio raffinata ed io un vestito così non lo
metterei nemmeno per Capodanno, ma non puoi negare che stesse davvero
bene, ha un fisico pazzesco" sottolineai, visto che erano
passati i tempi in cui credevo alle bugie di un uomo che voleva
minimizzare la bellezza di una donna.
-
"Stava bene ma non mi
piaceva".
-
"Quindi non l'hai
spogliata con gli occhi appena l'hai vista, certo" lo presi in
giro, scettica.
-
"No perché non ce
n'era bisogno, era quasi tutto in bella mostra" replicò con
aria furba, servendomi il caffè.
-
"Sì, vabbé...".
-
"Personalmente
preferisco giocare con l'immaginazione, c'è più gusto. Comunque mi
sono divertito ieri, è stata una serata davvero bella" cambiò
argomento, prendendo posto al mio fianco e facendo ironicamente cin
cin con il caffè.
-
"Sì, davvero, non mi
sembrava di essere al lavoro" commentai, per poi bere la
bevanda.
-
"Potremmo replicare a
Belfast, voglio dire, saremo anche compagni di stanza e non avremo
turni di sorveglianza da fare come gli altri, che ne dici?"
propose, cauto e speranzoso, come se il solo chiederlo gli costasse
un enorme sforzo.
-
Esitai, quasi sentendo la
gola improvvisamente secca e incapace di pronunciare alcun suono.
-
"Veramente visto che
sabato notte scatterà il mio compleanno pensavo di passarlo in
maniera tranquilla, con del vino, qualche commedia e magari una
maschera per il viso, non mi sento in vena di festeggiamenti"
rivelai, sperando capisse subito il mio umore senza insistere.
-
Volevo distrarmi e non
pensare al compleanno magico dell'anno precedente, quando avevo
festeggiato con lo staff, ricevendo in dono il bellissimo abito di
Forever21 che ormai non avevo più il coraggio di indossare insieme
ad uno spettacolare primo bacio con Luca.
-
"Se ti fa piacere ti
faccio compagnia, altrimenti ti lascio la camera ed esco, non ti fare
problemi" rispose subito Maurizio, comprensivo come al solito.
-
"Oh, no, no, se non ti
secca possiamo guardare qualcosa insieme, ma ti avverto che si
tratterà di qualche commedia alla Bridget Jones".
-
"Ho due sorelle, Alice,
sarà una passeggiata. Nessuno dovrebbe passare il compleanno da
solo" mi ricordò, bonario.
-
"Ma no, anzi, facendo
questo lavoro ogni anno lo passerò con fin troppe persone"
ironizzai. "Andiamo a colazione?" aggiunsi poi, guardando
l'orologio che segnava quasi le sette e trenta.
-
"Sì, lavo un secondo
la macchinetta, se non ti dispiace".
-
"Certo, fai pure".
-
Lo aspettai e poi insieme ci
avviammo verso la mensa, dove vidi la mia cara amica con un colpo al
cuore. Stava seduta a tavola con il resto dello staff e chiacchierava
mentre Saverio era impegnato a dire chissà cosa a dei ragazzini.
-
"Buongiorno!"
esclamai, posando il vassoio della colazione e abbracciando Nadia.
-
"Buongiorno, tesoro"
rispose lei, ricambiando la stretta e facendomi posto al suo fianco.
-
Mi accomodai, sentendo
davvero di essere tornata indietro di un anno, e appurai che Nadia
stava raccontando tutte le disavventure di Londra 2017.
-
"Non vorrei portarvi
sfortuna ma devo dire che siete fortunati, l'anno scorso avevamo dei
ragazzi molto più... Drammatici, ecco. Una coppia litigò e fece
quasi finire un group leader sotto una macchina, una si nascose
perché non voleva fare brutta figura alle lezioni di spagnolo, uno
si ruppe un braccio!" elencò, guardandosi attorno e vedendo i
ragazzi che dormicchiavano o mangiavano in silenzio, stanchi morti
com'erano.
-
"Nadia, vediamo prima
cosa combinano a Belfast, poi giudichiamo" le ricordò Luigi,
incrociando le dita.
-
"Vero! Speriamo bene!"
asserì Monica, preoccupata.
-
Alessandro arrivò prendendo
posto in silenzio, senza nemmeno salutarci, ed arrivai a pensare che
quell'anno la sua figura era piuttosto inutile visto che per fortuna
non c'erano stati ammalati, solo qualche caso di tosse e un po'di
influenza. Poco dopo, Saverio tornò da noi, informandoci che dei
ragazzi volevano fare a tutti i costi una serata karaoke.
-
"Oggi ci penso un po' e
vedo quando potremmo inserirla" disse Mario, pensieroso.
-
"Domenica dopo la
gita?" proposi.
-
"In effetti abbiamo la
serata lib...".
-
Mario non ebbe modo di
finire la frase perché una raggiante Amanda fece il suo ingresso in
mensa, con in mano una cravatta.
-
"Alex, tieni,
stamattina sei corso via così in fretta che l'hai dimenticata da me"
disse con finta nonchalance, porgendo l'oggetto al dottore, il quale
era davvero senza parole e sembrava sul punto di volersi sotterrare.
-
Sgranai gli occhi e, non
riuscendomi a trattenere, mi voltai verso Maurizio che mi guardò
come a dire: "Avevi ragione!".
-
Davanti a quella scena
palesemente esibizionista, Saverio si schiarì la voce e guardò
Amanda, la quale si era appena seduta con tanto di mega sbadiglio,
come per sottolineare il concetto "Non ho chiuso occhio".
-
"Amanda, probabilmente
penserai che sono un'ipocrita visto che sono qui con la mia ragazza
che è stata una group leader del mio staff in passato, ma devo dirti
di tenere le tue... Storie, ecco, private. Non voglio che giungano
gossip ai team stranieri" le consigliò.
-
Amanda lo guardò come se la
cosa non la riguardasse.
-
"Ho solo restituito la
cravatta a un collega, Saverio, calmati" sbottò, rifilandogli
un'occhiata non proprio amichevole e poi facendo finta di nulla
mentre prendeva un coltello per spalmare il burro su un toast.
-
"Avresti potuto farlo
in privato" esclamò il dottore, rosso in viso ed evidentemente
furente.
-
"Avrei potuto, certo,
ma quando visto che al mio risveglio non c'eri più?" chiese la
donna, con aria falsamente innocente.
-
Eravamo tutti attoniti di
fronte a quello scambio di battute, ci sembrava di essere spettatori
di una telenovela argentina che solo noi avevamo l'opportunità di
guardare.
-
"Significa che d'ora in
poi starò molto più attento e vigile" chiuse la questione
Alessandro, sprezzante.
-
Possibile? Era così stronzo
da dormire con Amanda e poi fuggirsene senza salutarla, come se non
fosse comunque una sua collega?
-
"Sentite, per favore,
vi consiglio di sbrigarvi la questione da soli, in privato"
consigliò Saverio, preoccupato per l'andazzo della conversazione.
-
"Non hai capito,
Saverio? Lui d'ora in poi sarà molto più attento e vigile, ovvero
fingerà che io non esista. Qui ti sbagli, caro" disse Amanda,
per poi continuare a guardare il ragazzo con aria quasi diabolica e
poi tornare alla sua colazione.
-
Cadde un silenzio
imbarazzante, un silenzio che non c'era mai stato prima di quel
momento.
-
-
Una volta in ufficio,
controllai rapidamente le ultime cose per Belfast, mi accordai per la
prenotazione delle pizze per la sera successiva e finalmente, con il
permesso di un Saverio indaffarato in una videochiamata con una dei
capi dell'azienda, ebbi il tempo di prendere un caffè con Nadia,
mentre Maurizio era in ufficio ed era pronto a comunicarmi qualsiasi
emergenza.
-
"Sai, non voglio
intromettermi, ma sento che è anche un po' l'anniversario della
nostra amicizia, giorno più, giorno meno. Ricordo ancora la tua
faccia sconvolta quando Saverio si decise a dire tutto al resto del
gruppo..." ricordai, nostalgica.
-
Nadia annuì, sorridente
come non mai.
-
"Se penso a tutto quel
che è stato e al fatto che ora sono qui con voi..." sospirò,
accarezzandomi un braccio.
-
"Dì la verità, con la
scena di oggi a colazione ti è venuta voglia di restare"
ironizzai.
-
La ragazza scoppiò a ridere
in maniera così genuina che quasi mi venne voglia di imitarla.
-
"Siete un bel gruppo,
ma sarà che siete molti, non vedo un'unità generale, vi vedo divisi
più in gruppetti" osservò.
-
Annuii, mentre zuccheravo il
mio cappuccino e guardavo distrattamente le persone che ordinavano al
bar.
-
"Sì. E' stato un
inizio davvero difficile per me, ora inizio a respirare un po', mi
sembrava di avere il mondo contro" ammisi, rabbrividendo al solo
pensiero di tutti i casini affrontati nei primi giorni.
-
"Immagino! Guarda,
quella Amanda è incommentabile, ma Luca è stato di ben lunga il
peggiore. Come ha potuto spifferare gli affari vostri a quel
Clemente?" esclamò Nadia, indignata come non mai.
-
"Forse la sua vera
natura è questa, forse... Non lo so, non ci voglio pensare".
-
"Però ho visto che
Maurizio ti sostiene, sembra un ottimo collaboratore" aggiunse,
guardandomi in un modo più mirato, attento.
-
"Lo è" affermai.
"Mi sta aiutando molto".
-
"Stamattina, prima di
colazione, mi ha chiesto consigli su delle maschere di bellezza per
il tuo compleanno, mi ha detto che sa che lavoro da Sephora e mi ha
spiegato che vorresti trascorrerlo in tranquillità con vino,
maschere di bellezza e qualche commedia" mi informò. Sembrava
cauta, come se quella non fosse un'informazione data giusto per fare
conversazione ma avesse uno scopo ben preciso.
-
Ero decisamente incredula,
non pensavo che il mediatore potesse arrivare al punto di chiedere a
una sconosciuta informazioni sulle maschere di bellezza solo perché
avevo accennato qualcosa.
-
"Non so cosa dire"
rivelai, colpita.
-
"Io saprei cosa dirti,
basta che non ti metti a fare l'Alice testarda e non ti torturi con
mille pensieri".
-
"Ehi, come... Va bene"
asserii, arrendendomi, tanto da alzare le mani all'aria come quelle
di un ladro beccato dalla polizia.
-
"Ecco, brava. Senti, io
voglio solo che tutta la questione di Luca non ti impedisca di
guardarti intorno. Lui ora è felice e dovrai esserlo anche tu, prima
o poi. Non pensare a nulla, non farti problemi, se una situazione ti
fa sentire bene vivila senza paranoie" disse lentamente, in un
modo che quasi ricordava una maestra che spiega qualcosa per
l'ennesima volta.
-
Avrei potuto dirle che si
sbagliava, che era un discorso inutile, ma la verità era che volevo
che la strana euforia delle ultime ore si protraesse il più
possibile, per questo mi arresi e non dissi altro che un semplice:
"Va bene".
-
"Davvero?".
-
"Davvero. Hai ragione".
-
"Ok, devo dire che mi
aspettavo mille discorsi scemi prima di farti capitolare, ma ne sono
felice".
-
"Scema!".
-
-
Quando mi toccò tornare in
ufficio, vidi che Amanda se ne stava da sola fuori l'edificio,
intenta nel fumare una sigaretta con aria decisamente nervosa.
-
Poteva essere il mio
momento, potevo avere finalmente la mia vendetta, ignorarla, magari
andare a dire in giro che stava male per il comportamento di
Alessandro... Solo che io non ero lei e vederla così mi faceva male
al cuore.
-
Probabilmente non aveva
pretese riguardo la loro storia ma comunque era brutto risvegliarsi e
scoprire che la persona con cui hai passato la notte se ne è andata
senza avvisarti, come se tutto l'accaduto non si fosse mai
verificato.
-
"Amanda, tutto ok?"
chiesi, per poi maledirmi dopo tre secondi per la mia eccessiva
disponibilità.
-
Amanda aspirò, buttò la
cenere per terra e poi cacciò il fumo dalla bocca con finta aria
tranquilla.
-
"Alice, non è aria"
mi liquidò, acida, come se avessi fatto chissà quale commento
inappropriato.
-
"Volevo solo... Lascia
stare" sbottai, offesa dal suo porsi in maniera così maleducata
quando cercavo di essere civile nonostante ciò che aveva fatto nei
miei confronti.
-
Entrai nell'edificio, come
se non fosse successo nulla, diretta dal resto dello staff per un
controllo generale con Mario circa le ultime attività che dovevamo
programmare solo che per le scale incontrai Alessandro che parlava
con una ragazzina piuttosto spaventata.
-
Era la prima volta che lo
vedevo nel suo ruolo di medico, onestamente, forse perché ero spesso
assente e partecipavo poco a tutte le attività che organizzavo visto
che poi dovevo sempre occuparmi di quelle successive.
-
"... Sarà stato un po'
lo stress di questi giorni, abbiamo camminato molto. Se vuoi posso
dire alla tua insegnante che hai bisogno di un po' di riposo"
stava dicendo con un tono piuttosto rassicurante.
-
Feci finta di nulla e mi
avviai al piano superiore, sentendo che era mio dovere starne fuori e
non badare agli affari altrui.
-
Avvisai Maurizio del mio
ritorno e con grande gioia vidi che aveva aggiornato il planner, così
lo invitai ad andare in ufficio da Mario per programmare le attività
di martedì.
-
Accettò e mi seguì, con il
suo inseparabile taccuino su cui annotava tutto.
-
Entrammo in ufficio e
notammo che lo staff era piuttosto rilassato: Gabriele dormicchiava
seduto per terra, appoggiato al muro, mentre Luigi e Monica
chiacchieravano e Cristina ascoltava qualcosa al cellulare.
-
Mario lavorava al computer e
quando ci vide ci salutò con un cenno, così prendemmo posto vicino
la sua scrivania.
-
"Siamo qui per
pianificare l'attività di martedì" lo informai. "Cosa
proponi?".
-
Il ragazzo digitò qualcosa,
chiuse il programma che stava usando e poi ci squadrò, prima con
aria pensierosa, poi decisa.
-
"Ci vuole un classico,
ragà. Che dite della serata disco con tanto di messaggi? Ballano e
nel frattempo danno dei bigliettini a noi e li leggiamo"
propose, entusiasta. "Non li abbiamo proprio fatti ballare,
dobbiamo cambiare rotta".
-
"Per me va bene".
-
"E se proponessimo agli
irlandesi di fare qualche lezione di base di Irish Dance?"
intervenne Maurizio.
-
"Se lo sanno fare,
perché no" concordò Mario, colpito dall'idea.
-
"Va bene, allora domani
in riunione chiediamo e ti facciamo sapere" dissi, mentre il
mediatore al mio fianco annotava tutto con fin troppa rapidità. "Ti
lasciamo alle tue cose".
-
"Sto facendo già il
video di addio, mi anticipo già usando le foto scattate fino ad ora"
spiegò, per poi mettere le cuffie e sparire nel suo mondo da
Activity Leader.
-
Io e Maurizio ci alzammo
giusto in tempo per vedere Saverio e Nadia entrare.
-
Ridevano per chissà cosa,
lui le sussurrò qualcosa all'orecchio mentre le poggiava un braccio
attorno alle spalle e lei annuì, per poi lasciargli un lieve bacio
sulla guancia.
-
Vederli così continuava a
sembrarmi assurdo visto che era tutto frutto di tanta organizzazione
e lavoro "Nascosto".
-
"Siete una bellissima
coppia" esclamò Monica, riemersa dalla sua chiacchierata.
-
"E voi siete un
bellissimo gruppo. Poche persone sarebbero state comprensive come voi
nel ritrovarsi un'intrusa a bordo, non so come ringraziarvi"
rispose Nadia, sincera e grata.
-
"Si vede che sei una di
noi, peccato non averti avuto nello staff" diede man forte
Luigi, cordiale.
-
La ragazza sorrise con aria
felice a tutti, proprio come il suo ragazzo che ora si stava
abituando a non essere imbarazzato e a non sentirsi fuori luogo.
-
"Ho una proposta"
esclamò Mario, riemergendo dal suo computer con la sua consueta aria
elttrizzata di chi ha vinto alla lotteria. "Stasera la riunione
sarà presidiata da Nadia! Dovrà studiare tutta la giornata di
domani e poi ce la dovrà spiegare!".
-
"Ma che dici, Mario?!".
-
Ma era troppo tardi: si levò
un coro di "Nadia, Nadia!" a cui partecipai volentieri, con
tanto di mani che battevano a ritmo e la mia amica che si nascondeva
le mani con il viso, imbarazzata.
-
"Ci sto, stasera mi
riposo, anzi, farò delle domande" asserì Saverio,
avvicinandosi a Mario e schiacciando il cinque per congratularsi per
l'idea.
-
"Vi odio!".
-
-
La giornata trascorse tra
varie emergenze di salute visto che una ragazza del gruppo di
Gabriele si era beccata l'influenza e un ragazzo di quello di Monica
aveva avuto ben tre episodi di epistassi, in più io ero stata
indaffarata con gli ultimi accertamenti circa le prenotazioni per
Belfast in vista del meeting generale della mattina successiva a cui
avremmo partecipato tutti, inclusi Saverio e il resto del nostro
staff.
-
Quando, dopo cena, giunse il
momento di rilassarsi a Temple Bar mentre i ragazzi uscivano,
sfruttando l'ora e mezza di libertà, non mi sembrava vero poter
avere il tempo di bere una birra e fare due chiacchiere con tutti.
-
"Birra al Temple Bar?"
proposi, non appena tutti i ragazzini corsero verso quelle ore di
libertà, felici di poter fare per un po' ciò che volevano senza
ordini.
-
"Sì, ci sta!"
esclamò Cristina, seguita dagli altri group leader.
-
"E' una cosa che volevo
fare da tempo, la toglierò finalmente dalla mia bucket list"
approvò Maurizio.
-
"Poi me la fai leggere"
dissi, prima di pentirmene all'istante visto che era una cosa molto
personale e non avevo alcun diritto di intromettermi.
-
Tuttavia, Maurizio sembrò
decisamente tranquillo al riguardo, visto che annuì.
-
"Ci vediamo dopo,
ragazzi" ci salutò Saverio, senza ulteriori cerimonie,
prendendo Nadia per mano.
-
Lei ci salutò con la mano
rimasta libera e lo seguì, con aria sempre più felice e sognante.
-
Invece Amanda fece un cenno
ad Alessandrò e lo trascinò con sé quasi con forza, con un'aria
dura che sembrava quella di una maestra pronta a punire severamente
chi le ha lanciato il gessetto addosso.
-
Luigi osservò il tutto con
le sopracciglia levate e l'aria di chi è felice di non essere al suo
posto, poi allargò le braccia fino a stringere a sé Monica e
Cristina e indicò il bar con un cenno della testa.
-
"E per noi poveri
sfigati che non abbiamo storie e relazioni clandestine, la birra ci
aspetta!" sentenziò, con l'approvazione di Gabriele.
-
Ci facemmo largo tra la
folla che c'era per tutto il bar, formata da chi aveva già da bere e
ascoltava la band che si stava esibendo dal vivo e chi invece
aspettava il suo turno per ordinare.
-
L'atmosfera era allegra
seppur un po' cupa a causa del buio contrastato solo da forti luci
rosse, ci volle un bel po' di pazienza per metterci in fila per
ordinare da bere.
-
Impiegammo un po' per
riuscire ad avere le nostre ordinazioni, poi corremmo in direzione di
un tavolo appena lasciato vuoto da un gruppo di amici, tanto che
rischiammo di rovesciare a terra il contenuto dei nostri bicchieri.
-
"Non ci credo!"
esclamai, appena il mio bicchiere colmo di Guinness toccò la
superfice in legno del tavolo.
-
"Quella tizia
maleducata mi stava quasi investendo, e puzzava" si lamentò
Monica.
-
"Ragazzi, brindisi! Ai
cuori perennemente solitari anche in vacanza studio, anche se vista
la faccia di Amanda, meglio così!" esclamò Gabriele, alzando
il suo bicchiere e invitandoci a fare lo stesso.
-
"Sii!".
-
Brindammo, poi bevemmo un
sorso generoso, godendoci quel momento di apparente relax in cui
potevamo essere dei ventenni in vacanza e non dei lavoratori.
-
"Comunque, io oggi ho
provato a calmare Amanda ma non mi ha proprio dato modo di parlare.
Volevo provare a essere gentile ma mi ha mandato a quel paese, quindi
ho ripensato a ciò che ha fatto e me ne sono fregata" dissi,
scrollando le spalle.
-
"Ma perché, scusa,
visto ciò che ti ha fatto non è il caso che tu sia gentile con lei"
mi fece notare Monica.
-
"Immagino tu abbia
empatizzato con lei" provò a comprendermi Luigi, dopo aver
bevuto un sorso generoso di birra.
-
Annuii, sincera. "Sì,
per un istante ho capito la sua situazione, poi grazie ai suoi modi
di fare sono rinsavita".
-
"Comunque lo stronzo
qui è Alessandro" sentenziò Maurizio, con un tono che di certo
non ammetteva repliche. "E' stato davvero maleducato".
-
"Sì, è vero. Quel
ragazzo è strano, sembra avere dei segreti, non ha legato con
nessuno di noi" concordò Gabriele.
-
"Sì, prova solo a fare
il piacione ma non sa relazionarsi perché parte sempre dal
presupposto di essere più figo e bravo di tutti. Odio i tipi così"
borbottò Cristina.
-
"Confermo" dissi.
-
Restammo a chiacchierare di
altre cose per una mezz'oretta, poi, verso le dieci, Luigi e Gabriele
espressero il desiderio di fare un giro per la zona.
-
"Finisco qui e vi
raggiungo" dissi, non potendo uscire dal bar prima di aver
finito visto che il bicchiere era di vetro. Avevo commesso l'errore
di ordinare una pinta e non metà come al solito e lo stomaco non
proprio pieno vista la cena non abbondante non mi aiutava a finirla
subito.
-
"Andate, resto io con
lei, poi ci dite dove siete" mi diede man forte Maurizio.
-
"Sicuri?" chiese
Cristina, incerta.
-
"Sì, faccio subito,
iniziate ad avviarvi" la rassicurai.
-
Vidi il resto del gruppo
annuire e poi andarsene, poi mi voltai verso il mediatore e sorrisi,
un po' incerta.
-
"Sono una frana, non la
finirò mai" mi lamentai, indicando il bicchierone pieno per
meno della metà.
-
"Vuoi che la beva io?"
si offrii, come se nulla fosse.
-
"Ti va?".
-
"Certo, poi la Guinness
è molto leggera, scivola che è una bellezza".
-
Sollevata, gli porsi il
bicchiere e lui lo prese.
-
"Comunque per sabato è
tutto sistemato, ho chiesto consiglio a Nadia e ha dato lei delle
maschere, quella ragazza è un negozio di cosmetici ambulante".
-
Finsi di non saperlo e
abbassai il capo, ridacchiando davanti a quell'informazione. Iniziavo
a non sapere più cosa e come fare con la sua eccessiva premura e
gentilezza nei miei confronti, era davvero troppo e mi sentivo in
colpa.
-
"Maurizio, ho parlato a
caso, non devi allestire un pigiama party per me, davvero" lo
rassicurai, pacata.
-
"E' una cosa che voglio
fare, mi fa piacere. Per una volta voglio vederti versione mostro con
la faccia piena di schifezze, sei sempre fin troppo carina"
obiettò, facendomi sgranare gli occhi in un modo che lo fece ridere.
-
Era lui o la birra a
parlare? Lo diceva di proposito o senza ragione?
-
Non sapevo come rispondere
e, ovviamente, scelsi l'opzione più stupida e infantile della
storia.
-
"Scusami, mi scappa la
pipì, cerco il bagno" inventai, alzandomi di scatto e correndo
non so dove, per poi decidere di cercare davvero i cartelli
indicatori del bagno per risultare credibile.
-
Mi sentivo il battito
accelerato, le guance rosse e di certo ciò non aveva a che fare con
la Guinness.
-
Una volta trovato il bagno
mi guardai allo specchio e vidi il mio volto un po' sconvolto, dal
colorito vivace, e la cosa mi diede a pensare.
-
Perché Maurizio si
comportava così, accidenti? Perché era dannatamente carino,gentile
e.... Flirtava?
-
Ripensai alla sera prima,
quando aveva insistito per pagare la cena, mi aveva riparato dal
freddo, mi aveva detto quelle cose carine e poi mi aveva stretto a
sé, era tutto tranquillo, certo, l'unica che non lo era ero io.
-
Decisi di andare comunque in
bagno, chiusi la porta della toilette per creare un muro tra me e il
mondo reale.
-
Respirai a fatica, incerta,
mi appoggiai alla porta e chiusi gli occhi per calmarmi.
-
"E se prova a
baciarmi?" mi chiesi. "Magari sabato sera, dopo aver bevuto
vino...".
-
Provai ad immaginare la
situazione, io e lui seduti vicino, su un comodo letto matrimoniale,
mentre bevevamo vino e i protagonisti del film che avevo scelto si
baciavano dopo un momento fin troppo romantico.
-
Dipinsi nella mia testa
Maurizio che rideva - non so perché, senza occhiali - per una mia
battuta, rispondeva in un modo tra il dolce e il sexy e poi si
sporgeva verso il mio viso, inclinando la testa.
-
Era sempre più vicino,
sempre più vicino... Ed io? Nella mia fantasia non lo scansavo,
anzi, lo lasciavo fare e collaboravo al gesto fin troppo, poi riaprii
gli occhi e mi sentii una pazza per ciò che stavo facendo.
-
"Alice, fidati, non sei
pronta e hai solo bisogno d'affetto ma non perderai anche Maurizio.
Sbagliare in vacanza studio è umano, perseverare è da cretine"
mi dissi, ritornando alla realtà con un brivido.
-
-
Ovviamente, il resto della
serata fu strano come non lo era mai stato visto che mi ostinai a far
finta di nulla e feci delle corse assurde per raggiungere gli altri.
-
Per stare tranquilla,
monopolizzai Cristina e finimmo a farci foto stupide per la città,
mentre gli altri passeggiavano e chiacchieravano oppure fotografavano
di nascosto Saverio e Nadia quando li beccavano in giro e mandavano
le foto nel gruppo.
-
Avrei voluto raccontare
l'accaduto alla Group Leader, ma mi dissi che ammetterlo ad alta voce
avrebbe creato un precedente e volevo evitare che ciò si
verificasse.
-
Quindi, quando tornammo in
college, pronti per la riunione, pensai solo che dovevo andare a
dormire al più presto e rigenerarmi per non fare figuracce alla
riunione del giorno seguente.
-
La riunione fu divertente
visto che Nadia sul serio provò ad illustrare la situazione del
giorno seguente e Saverio si finse indignato e la bocciò, con Mario
che riprendeva il tutto con il cellulare.
-
"Così lo mostrerò al
video che farò per il loro matrimonio" sussurrò al mio
orecchio, entusiasta.
-
"Farai l'Activity
Leader anche in quell'occasione?" lo presi in giro.
-
"Certo!".
-
Con grande sollievo, poco
prima di mezzanotte riuscii a tornare in camera visto che avevo la
sveglia alle cinque per salutare Nadia, la quale aveva l'aereo alle
sette e trenta del mattino dovendo recarsi a lavoro per il turno
pomeridiano.
-
Ero stanca morta ma la
visione dell'alba irlandese mi fece sentire partecipe di qualcosa di
magico, che poche persone avevano l'opportunità di vedere.
-
Ero ancora in pigiama
ovviamente, quando scesi, e trovai Nadia e Saverio seduti su uno dei
divani vicino la reception, in attesa del taxi che l'avrebbe condotta
all'aeroporto.
-
"Ehi, buondì"
esclamai, mentre mi avvicinavo.
-
"Ehiii" mi salutò
la mia amica.
-
Saverio, come c'era da
aspettarsi, era muto, immobile, riusciva solo a tenere stretta a sé
la sua ragazza.
-
"Mi dispiace doverti
salutare, mi ero abituata ad averti qui" mi lamentai, triste
come non mai di fronte alla prospettiva di non averla più nei
paraggi.
-
"Questi sono i patti,
lo sapevamo" mormorò lei, cercando di farsi forza.
-
"Ma quando ci
rivediamo? Io il ventotto torno a Roma, tu sarai in Abruzzo, subito
partite...".
-
"Penso dopo
Ferragosto".
-
Annuii. "Mi consolerò
a casa con un po' di amatriciana e tante ore di sonno"
ironizzai.
-
"Mi raccomando,
controllami questo scemotto, non voglio vederlo abbattuto dopo la mia
partenza".
-
"Mi lasci in compagnia
di Alice, come posso non essere abbattuto?" sbottò Saverio,
obbligandosi ad essere il solito antipatico invece di mostrare i veri
sentimenti.
-
"E' per questo che vi
sto per lasciare soli finché il taxi non sarà qui" mi
congedai.
-
Purtroppo, meno di cinque
minuti dopo, l'auto era fuori la struttura e Nadia fu costretta ad
alzarsi con sommo rammarico.
-
Uscii fuori con lei, con
Saverio alle nostre spalle che si ostinava a portarle il bagaglio a
mano, in modo da poterla salutare un'ultima volta.
-
"Fai buon viaggio, ci
vediamo presto" la salutai, abbracciandola come se fosse
l'ultimo abbraccio che avevo a disposizione.
-
"Grazie di tutto, Ali,
grazie a te abbiamo avuto un anniversario unico" esclamò lei,
quasi con la voce commossa.
-
"Grazie a voi per
essere sempre con me".
-
Mi spostai e mi allontanai
per lasciare loro privacy, finché Nadia non salì sul taxi e ci
salutò con la mano.
-
Ricambiammo il saluto a
lungo, finché il taxi non scomparve tra le luci nostalgiche
dell'alba e Nadia divenne un bel ricordo da aggiungere a quelli di
quell'estate.
-
Saverio rimase immobile,
come se la sua vitalità se ne fosse andata insieme alla sua ragazza,
così gli lasciai il suo tempo di metabolizzare la cosa.
-
Mi sembrava di vivere in un
racconto di avventura, con il cielo rosa e azzurro che ci circondava
e le strade deserte, popolate solo dalla macchina di qualche
lavoratore.
-
Erano ormai le sei meno un
quarto quando, ancora immobili e in silenzio, avvistammo il
furgoncino che riforniva i croissant per la colazione, probabilmente
l'unica cosa buona e gustosa della mensa.
-
Il loro odore ci riempì le
narici e improvvisamente, complice la cena scarsa della sera prima,
mi venne un'enorme voglia di anticipare la colazione.
-
"Aspettami" dissi,
appena avvistai Michelle, la signora bionda e pienotta che ci serviva
il cibo durante i pasti. Stava parlando con il fattorino mentre
alcuni ragazzi portavano dentro le prime casse piene di cibo.
-
Sentivo lo sguardo del
coordinatore su di me, probabilmente si stava domandando cosa cavolo
stavo combinando mentre mi vedeva parlare con Michelle ed ebbe la
risposta quando mi vide andare in sua direzione con in mano due
croissant al cioccolato.
-
"Seguimi" dissi,
sentendomi ribelle più che mai.
-
Rientrammo nella hall e gli
feci segno di andare in cortile, dove presi posto su un muretto e gli
porsi uno dei due croissant con aria sbarazzina.
-
"Alice, ma cosa...?".
-
"Non dirmi che non è
venuta fame anche a te! Ho inventato che due ragazze che stavano male
avevano bisogno di mangiare qualcosa prima di prendere una medicina"
spiegai, scrollando le spalle, per poi addentare un pezzo di
croissant con l'aria di chi non mangia da settimane.
-
Saverio alzò lo sguardo
verso il cielo rosato e poi prese posto al mio fianco, guardandomi di
sottecchi.
-
"Non devi fare queste
cose per me, sto bene, è stato già troppo averla qui e non saprò
mai come ringraziarti, non dovevi spendere tutti quei soldi per i
biglietti" sussurrò, con la voce bassa rispetto al suo tono
squillante e deciso.
-
"E' stata un'offerta
assurda e comunque anche a me ha fatto bene rivederla. Ti sei scelto
una ragazza d'oro, furbacchione, non vedo l'ora che sappia del tuo
bell'anello" ironizzai, dandogli una pacca sulla spalla.
-
Saverio sorrise di sbieco e
diede un morso al croissant, improvvisamente più animato.
-
"Ti voglio bene, Ali".
-
"Siamo sentimentali,
eh! Te ne voglio anche io, davvero".
-
Restammo così, con le luci
dell'alba sempre più intense che ci facevano da sfondo mentre ce ne
stavamo seduti su un muretto a mangiare dolci come due bambini
affamati.
-
Dublino 2018,
quell'esperienza così strana e contraddittoria, per noi fu anche
questo: un momento per apprezzarci di più e capire il valore
dell'amicizia.
*°*°*
Un altro dei miei capitoli
preferiti <3
Salve a tutti!
Eccoci qui, con un'Alice
finalmente più serena e dei pucciosissimi Nadia e Saverio.
Cosa ne pensate dei nuovi
sviluppi, soprattutto della parentesi Amanda- Alessandro?
Fatemi sapere le vostre
considerazioni :D
Come sempre ecco qualche
spoiler:
Alla luce della lampada
il volto di Maurizio prese un po' di colore e il suo sguardo divenne
un po' più schivo.
"No, Alice, ho
sbagliato io, avevo bevuto, ero nella fase in cui ero un po' brillo e
non ci ho pensato due volte" si scusò, lottando a lungo per
mantenere il contatto visivo.
"Scherzi? Non hai
fatto niente...".
"E aiutami di nuovo,
voglio scendere".
Maurizio si alzò, rise
di gusto insieme a me mentre mi afferrava ed io lo stringevo con
forza e poi, un po' traballante, mi appoggiò sul pavimento.
"Ecco qui".
Poi, inesorabilmente, la
notifica: "Luca Antonini sta seguendo la diretta" e in quel
momento restituii il cellulare al proprietario, facendo finta di
nulla.
Di sicuro aveva cliccato
per sbaglio, mi dissi.
Vi dico solo che si parlerà
del 26esimo compleanno di Alice ;)
A presto!
Milly.
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Capitolo 23 *** Day 10: From Belfast with wine ***
Day 10: From Belfast with wine
Day 10: From Belfast with
wine
-
Il sabato mattina ci
ritrovammo catapultati in pullman ancor prima delle otto del mattino
per poter fare il check in in hotel verso le dieci e iniziare le
escursioni della giornata per le undici.
-
Ero assonnata come non mai,
iniziavo a sentire pesantemente la stanchezza di dieci giorni di
lavoro sulle spalle anche se per fortuna lo ero di meno rispetto
all'anno prima, abituata com'ero a mantenere i ritmi assurdi delle
giornate lavorative a Milano.
-
Per questo dormii per tutta
la durata del viaggio senza nemmeno dovermi sforzare, crollai appena
seduta senza nemmeno sentirmi infastidita dalle urla dei group leader
che imponevano ai ragazzi di stare seduti e allacciare le cinture.
-
Essendoci poco traffico,
riuscimmo ad arrivare alle dieci meno un quarto e, in uno slancio di
furbizia, vedendo che il resto dello staff si stava sforzando di far
fare ai ragazzi un ingresso ordinato e decoroso, corsi nella hall e
mi presentai a Patricia, la dipendente con cui avevo parlato fin
troppo per organizzare il tutto.
-
Mi feci dare la chiave della
stanza e feci segno a Maurizio di seguirmi quando ormai tutti erano
entrati.
-
"104, eccoci qui"
esclamai, dopo aver percorso varie stanze al primo piano.
-
Quando aprimmo la porta ci
ritrovammo davanti ad una stanza fin troppo luminosa, dalle pareti
bianche con il piumone marrone scuro che contrastava con l'ambiente
chiaro e il gigantesco letto matrimoniale che avremmo condiviso.
-
"Da che parte
preferisci dormire?" chiesi, con falsa aria disinvolta.
-
"E' uguale".
-
"Ok, mi prendo il lato
a destra se per te va bene".
-
"Certo".
-
Ci guardammo, poi come se
nulla fosse tornammo ad occuparci dei nostri bagagli.
-
Dall'uscita a Temple Bar le
cose tra noi erano un po' diverse visto che non sembravamo a nostro
agio, dopotutto io ero letteralmente scappata via dopo che mi aveva
fatto un semplice complimento e poi avevo fatto finta di niente.
-
Mi avviai verso il bagno e
notai che non era male, era pulito ed era pieno di prodotti omaggio.
-
"Poi magari ci
organizziamo per gli orari del bagno" dissi, giusto per fare un
po' di conversazione visto che quel silenzio morto tra noi sembrava
decisamente innaturale.
-
"Sì, sì, vai prima
tu, io sono rapido, non ci sono problemi. Ora scusami ma mi cercava
Gabriele, vado a vedere che vuole, ci vediamo nella hall per
l'escursione?".
-
"Certo, ciao".
-
Seguii con lo sguardo la
figura di Maurizio che schizzava via alla velocità della luce e mi
buttai sul letto a peso morto, maledicendomi per i miei comportamenti
da bambina che peggioravano solo la situazione.
-
Maurizio era un bravo
ragazzo, non mi aveva fatto nulla, anzi, era stato fin troppo dolce
con me, non meritava di essere ricambiato con un comportamento acido
e da bambina spaventata, non da ormai donna prossima a compiere
ventisei anni.
-
Ventisei anni!
-
Non riuscii a non pensare
all'anno precedente, quando, il sette luglio, dopo il giro sul Tamigi
andai a comprare la roba per festeggiare il compleanno.
-
In quel momento nessuno
sapeva nulla tra i nuovi dello staff ed ero decisa a far restare le
cose così, senza preparativi e cose in grande stile.
-
Sarebbe stata una serata
come tante, di certo non la prima né l'ultima visto che di sicuro
l'otto luglio di ogni anno a seguire avrei continuato a lavorare per
l'azienda.
-
Mi stiracchiai un po' e mi
rialzai con fatica vista la comodità del letto, mi pettinai, mi
sciacquai il viso e mi truccai un po' visto che la sveglia delle sei
non mi aveva proprio lasciato né il tempo né la voglia di fare
qualcosa oltre lavarmi e vestirmi.
-
Quando scesi nella hall vidi
una Cristina fin troppo agitata che mi veniva incontro, con i lunghi
capelli ricci che le rimbalzavano sulle spalle e un sorriso
entusiasta.
-
"La camera è troppo
bella, vero?" esclamò, come se fosse la prima volta che
soggiornava in un hotel.
-
"Nella norma, ci sono
hotel migliori" risposi, facendo mentalmente il paragone con
quello bellissimo e di lusso dell'anno precedente.
-
"Ma come... Comunque
oggi durante il tempo libero usciamo?" mi propose, continuando
ad essere entusiata in un modo che mi faceva paura.
-
Che era successo, le piaceva
Belfast?
-
Probabilmente comprese il
mio essere un po' sorpresa perché scrollò le spalle e disse: "Qui
c'è il museo del Titanic e sono felice di vederlo, adoro quel film"
come se fosse la cosa più naturale del mondo.
-
"Ah, ok. Io non riesco
ad andare oltre la parte in cui la nave inizia ad allagarsi...
Comunque certo, facciamo un giro" dissi, restando sul vago.
-
Lei annuì e poi fu
costretta a tornare dal suo gruppo per vedere quanti mancavano in
vista dell'escursione.
-
Dal canto mio come al solito
mi misi ad aspettare che tutti fossero pronti per partire,
sforzandomi di restare sveglia e vigile.
-
Una volta partiti, arrivammo
al Museo del Titanic facendo un percorso che ci diede anche modo di
vedere il fiume Lagan e la Torre dell'Orologio, l'Albert Clock e la
visita si protrasse per circa un'ora e mezza, quando era ormai ora di
pranzo.
-
All'una ritornammo in hotel
per mangiare per poi continuare la visita della città, solo che
Saverio mi chiamò a rapporto poco dopo pranzo.
-
"Che succede?"
chiesi, prospettando qualche imprevisto.
-
"Parlavo con Sandy al
telefono poco fa e mi ha detto che dovremmo prenotare il film da
vedere entro oggi e non lunedì stesso perché altrimenti rischiamo
di trovare le sale con pochi posti e meno film. Mi dispiace ma ti
conviene restare qui , mi sono fatto dare la password del computer e
puoi lavorare direttamente dalla tua stanza. Se ti metti in contatto
con lui o con qualche altro membro del team irlandese ti fai dire i
film, me li dici e nel giro di un'ora al massimo ti facciamo dire
quanti posti per ogni film" mi spiegò lui, con la sua solita
aria da "Mi dispiace ma ti tocca farlo".
-
Annuii, per nulla sorpresa e
alla fine nemmeno troppo arrabbiata perché preferivo stare a
lavorare con tutte le comodità invece che ammazzarmi i piedi.
-
"Certo" asserii.
-
Fu così che poco dopo
salutai tutti con la promessa di rivederci a cena e me ne andai in
camera, sentendomi un po' come quelle ragazze che fanno viaggi di
lavoro e sono costrette ad essere tutte professionali anche nei
periodi di pausa.
-
-
Visto che alle cinque avevo
finito di prenotare e di comunicare il tutto a tutti i vari team,
decisi che mi meritavo una doccia rilassante visto che il rientro in
hotel degli altri era previsto per le diciotto e trenta.
-
Mi venne da sorridere quando
pensai all'ingenuità e a tutte le aspettative che avevo un anno
prima, quando Nadia mi truccò ed io persi tempo a riempire la cucina
di dolci e birre.
-
Ed ora? Ora non avevo detto
a nessuno del mio compleanno ed ero decisa a viverlo come se fosse un
giorno qualunque, senza badare a tutti i passi avanti che avevo fatto
nella mia vita.
-
Forse volevo solo abbassare
le mie aspettative visto che avevo perso una persona che era stata
importante per me in quel giorno, fatto sta che ero decisa a passare
una giornata tranquilla.
-
Per questo mi presentai a
cena con calma, sorridente dopo la doccia rigenerante e presi posto
al tavolo di Cristina, Monica, Luigi, Gabriele e Maurizio.
-
"Sei una stronza,
profumi! Noi siamo in condizione pietose, pioveva, ci siamo bagnati
tutti e stanotte ci tocca anche una ronda infinita" piagnucolò
Monica, mentre addentava la sua solita insalata con pomodori come se
fosse una bistecca.
-
"Tesoro, avrei fatto
volentieri a cambio con voi, il tizio del cinema con cui ho parlato
non capiva un tubo" le rammentai.
-
"Ma quindi possiamo
scegliere noi che film vedere?" chiese speranzoso Luigi. "Io
voglio vedere il nuovo film degli Incredibili!".
-
Gabriele lo guardò male e
fece finta di spingerlo, mentre noi facevamo un "Buuu!" non
molto maturo.
-
"Non lo so"
risposi, scrollando le spalle.
-
"Comunque ti sei persa
un momento epico" ridacchiò Cristina, abbassando
improvvisamente la voce.
-
Non finii nemmeno di dire la
frase che si attivò il radar "gossip" del gruppo, con gli
altri group leader che scoppiavano a ridere e ad annuire.
-
"Sì! Passeggiavamo e
abbiamo visto da lontano Amanda che dava un ceffone ad Alessandro"
mi informò Gabriele.
-
"Poi lei se ne è
andata e lui è rimasto immobile e quando ci ha visto ha cambiato
strada" continuò Luigi.
-
"Deve esserci qualche
altra cosa sotto" ragionai, prima di tagliare una salsiccia e
mangiarne un pezzettino.
-
"Stanno dando davvero
troppo spettacolo, si vede che sono due personalità esuberanti"
disse Maurizio, per poi tornare a dedicarsi alla cena.
-
Non sapendo cosa dire,
annuii e poi guardai in direzione dei due che erano seduti allo
stesso tavolo di Saverio, Mario e Salvatore. Sembravano tranquilli,
forse fin troppo placati, nessuno di loro rideva e scherzava e la
cosa sembrava strana.
-
Appena finimmo di cenare
iniziò il turno di sorveglianza dei poveri group leader visto che
l'hotel non ci aveva lasciato nessuno spazio per poter organizzare
qualcosa, ma per fortuna i ragazzi erano felici di avere del tempo
per loro senza stressarsi e camminare.
-
Io tornai in camera e vidi
che Maurizio mi stava seguendo.
-
Continuava ad essere
taciturno e la cosa non mi piaceva affatto, così, dopo aver preso un
po' di coraggio, appena ci ritrovammo da soli in camera mi decisi a
fare qualcosa per far tornare le cose come erano prima visto che
erano due giorni che limitavamo le interazioni al minimo.
-
Non riuscivo a starmene lì
senza far nulla, mi mancava vederlo ridere o rispondermi in un modo
sorprendente come era solito fare, per questo presi posto sul letto
mentre lui sembrava un po' a disagio e lo guardai.
-
"Mi dispiace, sono
stata una stronza" dissi tutto d'un fiato, sperando di riuscire
ad avere una conversazione lucida e tranquilla senza fraintendimenti.
-
Maurizio si voltò e lasciò
perdere il suo cellulare, prendendo posto di fronte a me.
-
"Per cosa?"
chiese, incredulo.
-
"Dai, sono due giorni
che siamo... Diversi. Da quando sono fuggita come una deficiente nel
bagno del bar" gli ricordai, sperando di non dover aggiungere
altri particolare per fargli capire a cosa mi riferivo.
-
Alla luce della lampada il
volto di Maurizio prese un po' di colore e il suo sguardo divenne un
po' più schivo.
-
"No, Alice, ho
sbagliato io, avevo bevuto, ero nella fase in cui ero un po' brillo e
non ci ho pensato due volte" si scusò, lottando a lungo per
mantenere il contatto visivo.
-
"Scherzi? Non hai fatto
niente...".
-
"Ti ho fatto un
complimento dopo essere rimasto da solo con te con uno stupido
pretesto, dopo che la sera prima ho fatto di tutto per cenare con te
e mi sono comportato come se fosse un appuntamento. Lo so che lo hai
pensato" ribatté, serio.
-
"Io ho partecipato a
tutto questo, Maurizio" gli ricordai.
-
"Ma magari lo hai fatto
per educazione...".
-
"Credimi, non mi farei
stringere da nessuno per tutto quel tempo senza volerlo".
-
"Non capisco, voglio
dire, rispetto al complimento che ti ho fatto non è nulla...".
-
"Maurizio, spiegati
bene" lo invitai, cercando di mantenere la calma e di rendere
onore alla ventiseienne che sarei diventata a breve.
-
Il ragazzo si torturò le
mani e poi si sistemò meglio sul letto, finendo seduto a gambe
incrociate di fronte a me.
-
"Sono stati dei giorni
strani, voglio dire, sarà che abbiamo tanto in comune, ci troviamo
bene insieme... Forse mi sei piaciuta più del dovuto ultimamente ma
so che non mi filiresti nemmeno di striscio e poi hai i tuoi casini,
e di sicuro non baderesti a un altro collega dopo la tua esperienza.
Questi due giorni mi hanno fatto bene, già mi piaci di meno"
concluse, sforzandosi di ridere alla fine del discorso per
sdrammatizzare il tutto, ma rosso come un peperone.
-
Non mi aspettavo tutto quel
discorso, onestamente, ero fin troppo lusingata dalla sua sincerità
e mi sembrava assurdo aver chiarito con calma.
-
"Non devi dire così.
Se spegnessi il cervello e decidessi di infischiarmene di tutto
probabilmente staremmo già pomiciando dall'inizio di questo
discorso, anzi, probabilmente ti avrei risposto al bar, senza
scappare. Questo per dirti che non è vero che non ti filerei nemmeno
di striscio".
-
Io che parlavo chiaro con un
ragazzo senza nascondermi dietro a storie di unicorni e animali
fantastici pur di evitare casini? Possibile?
-
"Alice, smettila. Non
devi dirmi queste cose per provare a salvare la situazione, è tutto
ok, non è successo nulla" ribadì lui, fermo e deciso come
poche volte lo era stato.
-
"Sono onesta, Maurizio"
sussurrai.
-
Per confermare ciò che
stavo dicendo mi avvicinai a lui e lo abbracciai, stringendo le
braccia attorno al collo e appoggiando la testa sul suo petto,
sentendo il suo cuore accelerare un po'.
-
Fantasticai su quanto
sarebbe stato affascinante alzare il viso e baciarlo ma non mi mossi
di un centimetro, sentendo la sua stretta aumentare attorno alle mie
spalle.
-
"Se ti andrà di
chiamarmi dopo questo mese mi farebbe piacere rivederti. Ora ti
causerei solo problemi" continuai a sussurrare, come se il dirlo
così, tra le sue braccia, lo rendesse meno reale.
-
"Ora quello lusingato
sono io" ribadì lui, incredulo.
-
"Ma smettila!".
-
Alzai lo sguardo e gli
accarezzai il viso, mentre continuava a stringermi a sé come se
fossi la sua ancora di salvezza dopo un naufragio nel bel mezzo
dell'oceano.
-
In sintesi, ci eravamo
detti che non eravamo indifferenti l'uno all'altra e che non volevamo
rovinare il tutto mentre lavoravamo e mentre io ero ancora presa
dalla rottura con il mio ex?
-
Probabile.
-
Quando ci separammo Maurizio
sembrava davvero rincuorato e tornò ad essere quello di sempre,
tanto da prendere il suo portatile e mostrarmi una bottiglia di vino
e tutte le maschere che gli aveva dato Nadia.
-
"Non l'ho dimenticato"
rivelò, scovando nella borsa per trovare un apribottiglia per poi
cacciare anche dei calici di plastica.
-
"Non so cosa dire, hai
preso tutto alla lettera!" esclamai, sorpresa come non mai nel
vedere la bottiglia e tutto il resto.
-
"Certo, anche se dovrai
spiegarmi come si fa una maschera".
-
"Sul serio vuoi...?".
-
"Ovvio!".
-
"Nooo!".
-
Scoppiai in una risata
fragorosa mentre guardavo le costose maschere di cui Nadia si era
privata per me e appurai che erano due esfolianti e due idratanti.
-
"Sei sicuro?"
chiesi, quasi minacciadolo con tutte le confezioni in mano a mo' di
mazzo di carte.
-
"Sicurissimo. Voglio la
pelle liscia come quella di un bambino".
-
Sospirai, incredula vista la
situazione divertente e leggera rispetto a quella pesante dei giorni
precedenti ma decisamente felice per la piega che avevano preso le
cose in quel momento.
-
"Allora devi prima
riempire quei calici, ci vuole un minimo di percentuale di alcool per
sopravvivere a questa esperienza!" ordinai.
-
"Mi hai letto nel
pensiero!".
-
Andai in bagno per
recuperare tutto l'occorrente da usare prima di spalmare la maschera
e sentii il rumore del tappo della bottiglia di vino.
-
"Ecco qui, quasi
festeggiata" esclamò Maurizio poco dopo, porgendomi un calice
di vino.
-
"Brindisi?"
proposi.
-
Lui fece un cenno
affermativo.
-
"Al capo migliore che
abbia mai avuto che spero di rivedere a Milano" disse,
lentamente, quasi pesando ogni parola.
-
Gli sorrisi e brindammo,
prima di vuotare il tutto in quasi un sorso.
-
"Qui non si inizia
finché i calici non sono vuoti" gli ricordai, così terminammo
il tutto quasi insieme, sghignazzando in maniera poco adulta. "Ok.
Ora possiamo passare ai nostri visi... Solo che i tuoi capelli sono
troppo lunghi, aspetta".
-
Il ragazzo mi guardò
rovistare nel mio beauty case quasi con terrore, come se temesse che
cacciassi le forbici per tagliargli quelli in eccesso, ma di certo
non si aspettava vedermi estrarne un cerchietto rosso con cui ero
solita togliermi i capelli dal viso quando mi struccavo.
-
"Cosa...?".
-
"Shhh".
-
Chiuse gli occhi, impaurito,
e quando li riaprì vidi che gli avevo messo il cerchietto in testa
in modo da togliere i capelli ribelli dal viso.
-
"Dì pure addio alla
tua virilità" lo presi in giro mentre mi guardava male e
osservava con ulteriore terrore il detergente per il viso che avevo
appena preso.
-
"Ora lavati il viso con
questo e risciacqua, così il viso sarà pronto per la maschera
esfoliante".
-
"Me ne sto già
pentendo...".
-
Lo guardai svolgere tutti i
passaggi e poi lo aiutai ad asciugarsi il viso con delicatezza,
tamponando, senza strofinarsi l'asciugamano in faccia come stava
facendo lui.
-
"Ora applicherò la
maschera" lo informai.
-
"Farà male...?".
-
"Ma sei scemo?!".
-
"Non lo so, so solo che
le mie sorelle sono così sadiche con i prodotti, scelgono sempre
quelli che fanno più male...".
-
Iniziai a spalmargli il
prodotto sul viso ed era divertente vederlo quasi tremare per ogni
minima cosa.
-
"Ecco! Ora devono
passare dieci minuti, aspetta che la metto anche io" dissi alla
fine, cercando di non ridere di fronte alla sua faccia verde. "Sei
Hulk!" lo scimmiottai.
-
"Hulk triste!"
ribatté lui, imitando la classica mossa di Hulk , per poi guardarmi
mentre lavavo il viso e applicavo il prodotto.
-
Quando fui verde a mia volta
decidemmo di immortalare il momento con un selfie in cui reggevamo i
calici di vino.
-
"Se la pubblichi ti
ammazzo, ti dò tre come votazione" lo minacciai quando guardai
i nostri volti scemi.
-
"E' più di quel che
speravo di ottenere, capo!".
-
Mentre ridevamo i nostri
cellulari squillavano come matti a causa dello staff che si scambiava
informazioni, noi eravamo così presi dal momento e dal ridere per
quella stupidaggine che non ce ne rendemmo conto.
-
Ovviamente, dieci minuti
dopo, rimuovere il prodotto fu quasi un impresa per lui visto che lo
maledì non so quante volte insieme alla frase "Pensa se fossi
una donna, che incubo!".
-
"Ora ci vuole
l'idratante" gli ricordai, dopo averlo aiutato a togliere anche
gli ultimi residui che gli erano sfuggiti. "Sei fortunato perché
è una semplice maschera in tessuto".
-
"Cioé?".
-
Per farglielo capire presi
la confezione, l'aprii e gli mostrai la maschera in tessuto che
riprendeva proprio la forma del viso.
-
"Bisogna semplicemente
applicarla sul volto e lasciarla così per quindici minuti"
spiegai, avvicinandomi al suo viso e attaccando la maschera con
calma.
-
Sentivo il suo respiro
vicinissimo al mio, era una sensazione strana, lo guardai negli occhi
e notai per la prima volta - forse per la vicinanza e la mancanza dei
soliti occhiali - che erano di un castano particolare, con delle
sfumature verdognole.
-
Forse per l'imbarazzo mi
sorrise ed io ricambiai, prima di concentrarmi sull'applicazione e
decidermi a finire.
-
"Ecco qui" dissi,
facendolo voltare verso lo specchio.
-
"Vabbé almeno questo
me la copre, la faccia, non la peggiora" ironizzò, per poi
porgermi la mia, come per invitarmi a fare lo stesso.
-
Obbedii e ci scattammo il
secondo selfie di rito, facendo facce ancora più sceme e,
ovviamente, riempimmo di nuovo i calici, finendo la bottiglia.
-
Mezz'ora dopo, lui stava
seduto sul wc ed io sul ripiano del lavandino, eravamo decisamente
brilli a causa della mezza bottiglia di vino a testa e stavamo
parlando di cose non molto sensate.
-
"Ma lo sai che la prima
vera volta che mi sono ubriacata... Cioè, ubriacata ubriacata, non
come ora, avevo ventitré anni?" rivelai, sentendomi il viso in
fiamme.
-
"Io a ventitré anni ho
fumato la prima canna, ero in Spagna" ribatté lui, quasi con
aria sognante.
-
"Anche io ero in
Spagna!".
-
"Chissà cosa sarebbe
successo se ci fossimo ubriacati come ora ma in Spagna...".
-
"Non siamo ubriachi,
siamo brilli, ahah" gli ricordai, provando a scendere dal
lavandino. Mi sentii la terra mancare sotto ai piedi, la testa che mi
girava e mi bloccai, spalancando gli occhi. "Come ho fatto a
salire fin qui? E' altissimo!" constatai, chiudendo gli occhi,
come se stessi sul Monte Bianco e non a mezzo metro da terra.
-
"Forse ti ho aiutato
io...".
-
"E aiutami di nuovo,
voglio scendere".
-
Maurizio si alzò, rise di
gusto insieme a me mentre mi afferrava ed io lo stringevo con forza e
poi, un po' traballante, mi appoggiò sul pavimento.
-
"Ecco qui".
-
Ripescò il cellulare e poi
sembrò rinsavire, forse a causa dei mille messaggi che i ragazzi
avevano lasciato sul gruppo.
-
"Vado a prendere una
cosa in camera, aspettami qui" mi ordinò, alzandosi e chiudendo
la porta del bagno.
-
"Perché chiudi la
porta? Non devo fare la pipì" urlai, per poi ridere. In
effetti, il suono della parola "pipì" era decisamente
buffo, più lo ripetevo e più mi suonava strano.
-
Pescai a mia volta il
cellulare e vidi che, senza accorgermene, il tempo era volato.
-
Altro che film alla Bridget
Jones, il film lo avevamo fatto noi! Avevamo trascorso due ore a fare
gli scemi, mancavano pochi secondi a mezzanotte.
-
Rapidamente, il display del
cellulare passò dalle 23:59 a mezzanotte ed io ebbi appena il tempo
di dirmi "Cazzo, ho ventisei anni!", ancora così, brilla,
seduta sul pavimento del bagno, che la porta si aprì.
-
"Alice, vieni!".
-
Seguii Maurizio per poi
restare sorpresa nel trovarmi davanti tutto lo staff, al buio, con al
centro Saverio che reggeva una torta con su un ventisei dai mille
colori che fungeva da candelina e spargeva luce nel resto della
stanza.
-
"Sorpresa!"
urlarono tutti in coro, così forte da farmi reggere alla parete.
-
"Ragazzi! Ma non l'ho
detto a nessuno!" dissi stupidamente, visto che evidentemente
essere riservata non era servito a nulla, qualcuno aveva diffuso la
notizia e si era anche premurato di organizzarmi una sorpresa con
tanto di torta nonostante la ronda da fare.
-
"Peccato che qualcuno
di noi lo sapesse già" mi prese in giro Saverio, facendo
l'occhiolino con la sua solita aria furba.
-
Mi porse la torta e mi disse
di esprimere un desiderio, proprio come aveva fatto l'anno scorso.
-
Un desiderio?
-
Ne avevo a bizzeffe ma mi
sembravano tutti inutili, quindi pensai solo: "Voglio essere di
nuovo felice" mentre spegnevo le candeline per poi rialzare lo
sguardo verso tutti che mi stavano cantando "Tanti auguri a te".
-
Notai che Mario se ne stava
con il cellulare puntato in mia direzione e urlò: "Alice, per
il tuo compleanno sei in diretta su Facebook!", facendomi
vergognare come una matta.
-
Nonostante il vino che mi
faceva girare un po' lo stomaco, mentre Maurizio accendeva finalmente
le luci della stanza e Monica cercava un piano su cui tagliare la
torta, mi avvicinai al coordinatore con aria ancora stupita.
-
"Sei stato tu?"
chiesi, abbracciandolo.
-
"Ho avuto qualche
collaboratore, ma l'idea principale è partita dal tuo mediatore. Io
ovviamente pensavo già di fare qualcosa ma lui è stato il vero
ideatore. Auguri, Alice, pensa che ci vedremo quasi tutti i giorni
come lo è stato per tutti i tuoi venticinque".
-
Cercava di essere scherzoso
ma sapevo che in realtà ci teneva alla nostra amicizia, così lo
ringraziai e lo strinsi un'ultima volta a me prima di voltarmi verso
lo staff che iniziava a darmi gli auguri singolarmente.
-
"Ragazzi, non so cosa
dire, grazie davvero! E' davvero una gioia vedervi qui, non voglio
nemmeno pensare al fatto di salutarvi tra quattro giorni perché mi
sembrate degli amici di lunga data. Grazie" dissi, poggiando una
mano sul cuore e cercando di parlare in maniera fluente, senza
prendermi le pause che ero solita prendermi dopo aver bevuto.
-
Tutti mi fecero un fragoroso
applauso e Salvatore mi portò una bottiglia di spumante che aprii
con non poca difficoltà.
-
"Foto di gruppo! Chi mi
presta il cellulare?" urlò Mario, appoggiando il cellulare che,
imperterrito, continuava a mandare in diretta ciò che stavamo
facendo.
-
Seguirono momenti di caos
perché Monica era sul punto di tagliare la torta ma Cristina la
prese e me la mise tra le mani mentre tutti si raggruppavano attorno
a me...
-
Non avevo mai ricevuto una
festa a sorpresa e sapere che delle persone a me sconosciute fino a
dieci giorni fa erano lì per me, durante l'orario di lavoro, mi
riempiva di gioia.
-
Mentre aspettavamo lo scatto
dell'autoscatto, sorrisi, gioiosa, per poi aiutare Monica con la
torta e distibuirla a tutti.
-
Era al cioccolato, banale ma
la mia preferita, così ne gustai un pezzo con avidità, facendo i
complimenti a tutti.
-
Mario non mi lasciava stare,
improvvisamente si agitò per qualcosa e mi corse incontro, per poi
dire: "Alice, Clara e Nadia stanno seguendo la diretta!" e
puntarmi il cellulare in faccia per l'ennesima volta.
-
"Ciao, ragazze!".
-
"Ti fanno gli auguri!".
-
"Grazie! Aspetta"
esclamai, prendendo il cellulare e vedendo con i miei occhi il
contenuto dei loro messaggi.
-
Clara: Ali, pensare che
un anno fa eravamo tutti insieme! Che bello vedere che sei con
Saverio e gli altri, auguri!
-
Nadia: Ancora auguri
tesoro, controlla il cellulare ;)
-
Poi, inesorabilmente, la
notifica: "Luca Antonini sta seguendo la diretta" e in quel
momento restituii il cellulare al proprietario, facendo finta di
nulla.
-
Di sicuro aveva cliccato per
sbaglio, mi dissi.
-
"Ragazze, grazie per i
messaggi, si sente la vostra mancanza!" esclamai quindi, facendo
finta di nulla.
-
"Ora mangiamo la torta!
Siamo in gita a Belfast, siamo nella camera del team di Mediazione,
Alice e Maurizio. Sapete, Alice è la Coordinatrice Mediatrice, ora!
Ecco perché siamo stati costretti a farle la festa a sorpresa,
finiva che licenziava Maurizio...".
-
Sapevo perfettamente il
perché di tutti quei particolari condivisi, Mario nel suo piccolo
voleva farmi avere una piccola rivincita e far vedere che stavo bene.
-
Decisi di liberare la mente
e di essere me stessa mentre continuava a inquadrarmi, così lasciai
che Cristina e Gabriele mi abbracciassero, salvo poi essere
interrotti da Luigi e Maurizio che iniziarono a dire "Replichiamo
la foto dell'altra sera" e, senza dire nulla, mi afferrarono in
modo da reggermi entrambi a mo' di poltrona, mentre Salvatore rideva
e scattava la foto.
-
"Mario, però ora posa
quel coso e festeggia con noi!" urlai, così lui appoggiò il
telefono in un modo strategico per far sì che continuasse a mandare
tutto in diretta mentre si univa a noi e prendeva il suo pezzo di
torta.
-
Era ormai l'una meno un
quarto quando Saverio, dispiaciuto, fece cenno agli altri di dover
tornare a lavorare per l'ultima parte della ronda notturna.
-
Quando lasciarono la stanza
mi toccò ordinare tutto e con sommo dispiacere notai che la torta
era andata a ruba e non c'era nemmeno una briciola da mangiare il
giorno dopo per colazione.
-
"Grazie, davvero,
Saverio mi ha detto che l'idea è partita da te" esclamai,
finalmente con lo stomaco che mi dava meno problemi.
-
Maurizio scrollò le spalle
e fece un cenno come a diminuire il suo operato.
-
"Sono felice che sia
andata tutto bene, abbiamo rischiato di non farcela in tempo a causa
del vino".
-
"Ma davvero! Certo che
ci siamo divertiti...".
-
Continuammo a guardarci
imbarazzati mentre facevamo le solite cose di routine prima di andare
a dormire, fino a quando non mi disse di andare a cambiarmi per
prima.
-
Quando tornai lui era già
in pigiama - indossava dei pantaloncini con una maglia a mezze
maniche abbinata - ed io quasi mi vergognai nel mostrarmi con il
pigiama lilla che indossavo.
-
Presi posto nel letto e lui
andò a lavarsi i denti, tornando poco dopo.
-
"Tra due settimane
saremo di nuovo qui" sussurrai, senza sapere da dove provenisse
quel pensiero.
-
"Sì. Sono curioso,
ogni giorno qui è un'avventura, figurati tra due settimane..."
rispose Maurizio, rigido, steso sulla schiena, come se non osasse
muoversi o invadere la mia parte del letto.
-
"Hai ragione"
asserii, voltandomi e mettendomi su un fianco, in modo da vederlo
meglio.
-
Mi sentivo a mio agio
nonostante dividere il letto fosse, almeno per me, una questione
molto intima.
-
Il mediatore voltò lo
sguardo e decise di mettersi al suo fianco a sua volta, guardandomi
negli occhi.
-
"E' stata una serata...
Strana" sussurrò, trovando a stento le parole, timoroso.
-
Annuii, mordendomi un labbro
per l'imbarazzo.
-
"Sì. Tutto ciò che ho
detto l'ho detto sul serio, credimi" rivelai.
-
"Anche io".
-
Ci guardammo per qualche
altro secondo, incerti, poi la ragione prevalse sulle nostre menti e
ci augurammo la buonanotte, senza aggiungere altro.
-
Presi sonno subito a causa
del vino, senza controllare il messaggio che mi aveva mandato Nadia e
tanto da non sentire nemmeno l'arrivo di un messaggio che si verificò
una decina di minuti dopo.
-
-
Luca: Tanti auguri,
Alice.
- Non so se ci hai pensato, ma io non ho dimenticato il nostro
primo bacio di un anno esatto fa, non rimpiango niente e sono felice
di averti avuto nella mia vita.
- Ho visto la diretta di Mario e sono
felice di vederti così allegra, lo staff sembra simpatico, io sono a
Barcellona e purtroppo non è lo stesso, non vedo l'ora di tornare a
casa domani.
- Dì a Saverio che è il capo numero uno e lo sto
rimpiangendo.
- Ancora buon compleanno, meriti il meglio.
-
-
*°*°*°*°
-
Ultimo aggiornamento del
2018!
-
E' stato un anno importante,
faticoso, soddisfacente dal punto di vista lavorativo e personale.
-
Auguro a tutti un 2019 pieno
di soddisfazioni e crescita <3
-
Tornando al capitolo, che
dirvi, è davvero uno dei miei preferiti (lo dico un po' con tutti...
Il fatto è che AMO questa seconda parte, se non si è capito).
-
Alice senza nemmeno rendersi
conto fa un passo avanti, manda al diavolo le sue paranoie e
riconosce in Maurizio una persona che in futuro potrebbe fare al caso
suo mentre lui – si è capito – è cotto di lei.
-
Sì, ma perché allora,
stando a cosa sappiamo, questi due iniziano ad uscire insieme solo a
febbraio?
-
Lo scopriremo ;D se vi va di
dirmi le vostre teorie, ditemi pure.
-
Il compleanno di Alice è
sempre un evento particolare e spero di averlo reso bene, mi sono
divertita molto a descrivere il tutto.
-
Che dire, io ho scritto
tutto e mi manca solo l'epilogo, spero di conoscere il vostro parere
e di aggiornare presto!
-
Ancora auguri per un felice
Anno Nuovo,
-
milly.
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Capitolo 24 *** Day 11: La tradizione dei compleanni movimentati must go on ***
Day 11: La tradizione dei compleanni movimentati must go on
Day 11: La tradizione dei
compleanni movimentati must go on
-
Aprii gli occhi cinque
minuti prima della sveglia, così la disattivai e mi voltai verso
Maurizio, che dormiva beato a pancia in giù, con un'espressione così
tranquilla che sembrava un ragazzino un po' troppo cresciuto.
-
I capelli mossi gli
ricadevano morbidi sul viso e incorniciavano il naso leggermente
lungo e le labbra non proprio sottili.
-
Forse quella fu la prima
volta che lo guardai davvero come uomo e non come
collaboratore/ragazzo dolce e premuroso.
-
Non era il tipo di ragazzo
che ti fermi a guardare quando passa per strada ma aveva un fascino
tutto suo che si triplicava quando ti sorrideva o si impegnava per
fare qualcosa, visto lo sguardo serio e appassionato che aveva.
-
Ero ancora stordita per
quelle specie di confessioni del giorno prima e mi domandai da
quando ero un'adulta che parlava chiaro e non faceva mille giri di
parole.
-
D'altra parte pensai che
probabilmente il mio strano interesse nei confronti di Maurizio
sarebbe svanito a breve perché se ero riuscita a restare calma e a
non andare oltre pur avendo condiviso un letto con lui significava
che dopotutto non c'era chissà quale interesse.
-
"Ma chi se ne frega,
piantala, sciroccata!" pensai, e così mi alzai per andare a
farmi una doccia in modo da lasciargli subito il bagno.
-
Quando rientrai, già
vestita di tutto punto, lo trovai seduto sul letto con le gambe
incrociate e con aria smarrita.
-
"Buongiorno"
esclamai, reggendo in mano il beauty case per truccarmi in stanza e
non occupare ulteriormente il bagno.
-
"Buongiorno"
sbadigliò lui, strofinandosi gli occhi.
-
"Il bagno è libero"
lo informai, per poi avvicinarmi allo specchio e prendere i pochi
trucchi che avrei usato quella mattina.
-
Maurizio grugnì qualcosa in
risposta e poi scomparve, facendomi capire che non era per niente una
persona che riesce ad essere sveglia e vigile appena alzata.
-
Rapidamente mi truccai poi
subito ordinai le mie cose che avevo sparso per la camera e le riposi
nel bagaglio a mano, visto che non avrei avuto più modo di farlo
fino a quel pomeriggio.
-
Decisi di aspettare Maurizio
per educazione così presi posto sulla sedia coordinata alla
scrivania e presi il cellulare, curiosa come ogni anno di vedere chi
mi aveva fatto gli auguri.
-
Con sorpresa, vidi che Nadia
mi aveva regalato mezza giornata in una spa con lei con tanto di
massaggio della durata di trenta minuti in uno dei centri benessere
migliori di Milano, con un messaggio :"Così elimini tutto lo
stress post Dublino".
-
Gasatissima, lessi tutti i
messaggi della mia famiglia, delle mie amiche di Roma, poi,
ovviamente, beccai quello di Luca che mi causò un mix tra una risata
e un conato di vomito.
-
-
Una volta arrivata a
colazione mi avvicinai subito al tavolo dove c'era Saverio, per
fortuna ancora vuoto.
-
"Ventiseienne, ciao,
hai visto quante rughe ti sono spuntate stanotte?" mi salutò
lui, ammiccante.
-
"Eh. Capo, ho un
messaggio per te" dissi, porgendogli il telefono, con lo screen
aperto sulla chat di Luca.
-
"Ah, sei uno
stronzo...".
-
"Scemo, quello è
l'ultimo messaggio che gli ho inviato ad aprile e a cui non ha avuto
il coraggio di rispondere. Leggi l'ultimo".
-
Obbedii poi, una volta
letto, mi guardò.
-
"Coglione. Il fatto di
aver avuto quel deficiente di Clemente come coordinatore ora è solo
frutto del karma, ma non capisco cosa c'entri mettermi in mezzo, si
vede che non sa cosa dire o scrivere. Ho un'idea per la risposta"
aggiunse, facendo la solita faccia con le sopracciglia corrugate e
l'aria pensierosa tipica di quando stava elaborando una strategia.
-
"Vaffanculo?"
proposi, con aria angelica.
-
"No, visto che mi ha
messo in mezzo registro io un audio in cui dico qualche stronzata e
poi alla fine tu lo ringrazi. Vedendo l'audio andrà in panico e
secondo me risponderà tra ore ed ore".
-
"Sei un sadico!".
-
"Sono solo il meglio
per i miei amici" si difese lui, alzando il cinque e
obbligandomi a batterlo.
-
"Va bene, dai...".
-
Si schiarì la voce e cliccò
sul pulsante verde per registrare un audio.
-
"Ciao Luca, è bello
vedere che sono ancora così importante per te a tal punto di
inserirmi nel messaggio di auguri per Alice. So di essere il numero
uno, tranquillo! Comunque dai, sono sicuro che non è andata male
come dici, buon rientro". Qui mi guardò ed io dissi
semplicemente "Comunque grazie per gli auguri, ciao".
-
Inviò ed io chiusi gli
occhi, conscia della bomba che avevamo inviato.
-
"Grazie". Ero
sincera, davvero senza di lui probabilmente avrei rischiato di
esaurirmi per uno stupido messaggio.
-
"Quando vuoi"
rispose, sincero. "Mi dispiace solo che ora inizierà la parte
assurda del viaggio, magari giovedì mattina, prima dell'arrivo dei
nuovi gruppi, possiamo chiacchierare un po'".
-
"Ma certo".
-
Di cosa voleva
chiacchierare? Insomma, parlavamo sempre, ogni giorno, non capivo
molto bene la situazione ad essere onesti.
-
Comunque, parlare con lui
era una cosa che avevo imparato ad apprezzare molto nel corso
dell'ultimo anno perché era sempre onesto, non era l'amico che ti
dice balle pur di farti felice, metteva sempre la sua esperienza a
mia disposizione e forse era per questo che era il primo vero amico
maschio che avessi mai avuto.
-
Ovviamente quando arrivò il
resto del gruppo lo staff non esitò a cantare "Tanti auguri a
te" seguito da tutti i ragazzi delle loro squadre con tanto di
applausi che ci fecero ottenere delle occhiatacce da parte del resto
dei turisti.
-
"Ragazzi, ricordate che
stasera c'è la serata karaoke e voi dovete partecipare, lo staff
deve esibirsi in almeno due canzoni" ci informò Mario, severo
come era solito esserlo solo quando si trattava di ricordarci di
prendere parte alle attività.
-
Se ne stava alzato tra i
nostri due tavoli e ci guardava con decisione, così capii che voleva
già i titoli.
-
"Possiamo comunicarti
tutto a pranzo?" chiesi, con lo stesso tono in cui al liceo
chiedevo a un docente di spostare l'interrograzione, sperando in una
risposta positiva.
-
"Va bene, non oltre il
pranzo, però, devo cercare le basi" concesse l'activity leader,
come se mi stesse graziando.
-
Per questo, durante l'ora di
pranzo, mentre mangiavamo in un parco con i ragazzi che erano liberi
fino alle quindici, Monica e Cristina proposero di cantare insieme
"Wannabe" delle Spice Girls.
-
"Faremo una figura di
merda ma che ce ne frega, sarà divertente!" esclamò Cristina,
battendo le mani con aria fin troppo entusiasta.
-
"Alla fine siamo qui
per divertirci, sarà un bel ricordo" diede man forte Monica.
-
Erano così entusiaste e
allegre che non me la sentii di dire di no, anche perché dal giorno
dopo sarei stata molto meno presente in vista della fine del turno,
dovendo aiutare Saverio a organizzare già tutto il materiale per lo
staff che sarebbe giunto giovedì.
-
"Va bene, mi avete
convinto" accettai, coprendomi la mano col viso per la vergogna
mentre cantavo con la mia voce non proprio angelica davanti a cento
adolescenti che non erano nemmeno nati quando la canzone fu trasmessa
in radio la prima volta.
-
"Sii! Corriamo a dirlo
a Mario!" esclamò Monica, con Cristina al seguito che sembrava
aver vinto alla lotteria.
-
Sembravano due ragazzine al
parco e la cosa mi diede un po' di allegria visto che,
inevitabilmente, avevo passato la mattinata a controllare il
messaggio inviato a Luca che, ovviamente, non era stato né
visualizzato né ascoltato.
-
Non contava nemmeno il fatto
che fosse in viaggio come scusa perché di sicuro era già arrivato a
Napoli.
-
Sapevo di non contare più
per lui dal punto di vista sentimentale, ma sapevo anche che alla
fine si sentiva uno schifo per quello che mi aveva fatto visto che
per tutto aprile aveva continuato a cercare di sapere come stessi,
contattando me e arrivando a chiederlo a Saverio e Nadia quando lo
ignoravo.
-
L'unica cosa che mi faceva
piacere era sapere che la sera prima aveva visto che atmosfera c'era
con lo staff e che ora ero al comando di qualcosa a differenza sua
che evidentemente aveva passato due settimane alla mercé di quel
Clemente.
-
Mi alzai per sgranchirmi un
po' le gambe quando vidi che Alessandro mi stava venendo incontro,
con una strana espressione dipinta in volto.
-
Sembrava meno strafottente
del solito, meno sicuro di sé stesso, come se non fosse sicuro di
ciò che mi stava per dire.
-
"Ehi Alice" disse,
esitando un po'. "Posso parlarti?" chiese, quasi temendo la
risposta.
-
"Sì, dimmi"
risposi, seppur un po' stranita da quella richiesta.
-
Mi fece segno di seguirlo
lontano da occhi indiscreti e obbedii, cercando di dimostrarmi
disinvolta e non preoccupata dal fatto che tutti lo vedessero
allontanarsi con me. Non mi trasmetteva mai un senso di tranquillità,
lo associavo sempre a problemi, casini e, in effetti, avevo ragione
perché mi fissò con aria colpevole prima di parlare.
-
"Mi dispiace..."
iniziò, cercando di trovare le parole giuste.
-
"Per cosa?"
domandai, confusa. Si riferiva ancora alla questione di una settimana
prima o aveva combinato qualche altro casino?
-
"Hai visto cosa è
successo con Amanda, io pensavo che lei volesse la storia di una
notte ma poi ha insistito e io... Io le ho detto che non potevamo
continuare perché... L'ho fatto solo per fare ingelosire te, perché
sei tu quella che mi ha colpito dal primo giorno" rivelò, non
avendo il coraggio di guardarmi in faccia e fissando l'erba del
prato. Aveva una vocina bassa, odiosa, cosa che era un ulteriore
aggravante.
-
"Alessandro, sono una
persona educata e ci tengo al mio lavoro altrimenti ti avrei già
colpito io ma con un bel ceffone. Ma sei coglione? Ma perché non
parli in faccia? Ti sembra il modo di affrontare le cose? Quanti anni
hai, dodici?" esclamai, incredula di fronte a tutto quel
comportamento da moccioso che mi urtava da morire.
-
Amanda già mi odiava, poi
ci si metteva anche lui con questi comportamenti infantili ed era
davvero la fine.
-
"Ma non ho mentito! Sì,
ti ho usato come scusa, ma non è una bugia, davvero tu sei quella
che...".
-
"Oh, ma piantala! Io
non ti ho proprio colpito, per te sono stata solo quella che se la fa
con i colleghi e che magari poteva spassarsela con te, non provare a
farmi sentire "speciale" o stronzate simili, non attacca.
Sei assurdo! E sei un codardo, andartene così dalla sua stanza senza
salutarla, ma sei serio?" inveii.
-
Di sicuro ero rossissima in
volto visto che mi sentivo accaldata, dovevo incanalare la voglia di
mollargli un ceffone per il suo modo di comportarsi e di mettermi in
mezzo quando ci eravamo scambiati a stento quattro frasi in più di
dieci giorni.
-
"Comunque, mi stupisce
che tu me l'abbia detto" aggiunsi, iniziando a temere il peggio.
-
"In caso Amanda ti dica
qualcosa.... Sei una pazza, comunque" sentenziò, guardandomi in
un modo che mi spaventò, vedevo quasi i suoi occhi azzurri luccicare
in maniera sinistra verso di me.
-
"Pazza?!".
-
"Sì! Mi stai
aggredendo in un modo...".
-
"Forse perché non è
la prima volta che ti comporti male con me".
-
"E magari non è
nemmeno l'ultima" disse con aria minacciosa, fin troppo
arrabiato, prima di lanciarmi un'ultima occhiata assassina e
andarsene, lasciandomi con il terrore di qualche ulteriore colpo
basso.
-
Restai immobile, incredula
per ciò che avevo sentito, mentre il resto dello staff sembrava
tranquillo seppur stanco come al solito in quella domenica abbastanza
calda.
-
-
Ero inquieta dopo la
chiacchierata con Alessandro, a tal punto di perdermi nei miei
pensieri mentre qualcuno mi parlava o dimenticando di rispondere.
-
Non vedevo l'ora di tornare
a Dublino, non vedevo l'ora che quelle due settimane finissero perché
nonostante mi fossi affezionata a Cristina, Monica, Luigi e Gabriele,
Amanda e Alessandro mi avevano decisamente rotto le scatole con i
loro comportamenti.
-
Non erano fatti per stare in
gruppo, cercavano di primeggiare, di farsi notare, creavano solo
problemi a chi cercava di stare tranquillo e svolgere il suo lavoro.
-
Fu per questa ragione che
sul pullman per il ritorno sorpresi tutti sedendomi vicino ad Amanda,
inclusa lei che mi guardava come se avessi la peste e la sua faccia
non smetteva di dire tacitamente "Cosa diamine vuoi?".
-
Maurizio era sorpreso, forse
perché già dall'ora di pranzo ero stata distante e scostante, così
gli dissi che avevo delle cose da dire alla Team Leader e lui annuì,
poco convinto.
-
Ovviamente, Amanda mi
guardava con aria di sufficienza e a stento tolse le cuffiette dalle
orecchie per ascoltarmi, comprendendo che avevo qualcosa da dire.
-
Intorno a noi i ragazzi
facevano chiasso, cantavano, solo pochi dormivano e i group leader
come al solito faticavano a farli stare calmi ma io ero così presa
da ciò che stavo per dire che non sentivo alcun rumore oltre a
quello dei miei pensieri.
-
"Amanda, non ci girerò
intorno, Alessandro mi è venuto a dire cosa ti ha detto e ti posso
assicurare che è una scusa, anzi, lui all'inizio voleva provarci con
me solo perché pensava che fossi predisposta ad avere storie con
gente dello staff" snocciolai quasi a memoria a causa di tutte
le volte che mi ero ripetuta quelle parole in testa.
-
Lei mi fissò come se fossi
stupida e rise con evidente sarcasmo.
-
"E secondo te io non
l'avevo capito?" chiese, guardandomi come se fossi stupida. "Non
darti importanza Alice, questa è una questione tra me e lui"
aggiunse.
-
Ero alquanto sorpresa dal
suo comportamento ma onestamente non me ne lamentai visto che
l'ultima cosa che volevo era l'ennesima discussione.
-
"Certo, fatto sta che è
un bambino e gliel'ho detto, ho detto che non si fa come ha fatto
lui, è stato patetico, andarsene prima dalla tua stanza... Sai che
ha risposto? Che sono pazza" la informai, sentendo di nuovo il
sangue ribollire nel rivivere quella scena.
-
Come se avessi detto che la
terra è piatta, la Team Leader mi fissò con aria decisamente
stranita. "Cosa? Mi hai... Difeso?" chiese, incredula.
-
"Perché fai quella
faccia? Si è comportato di merda".
-
"Onestamente, visti i
nostri precedenti mi sembra strano, stai tramando qualcosa?"
domandò subito, come se fosse la soluzione più plausibile.
-
Senza parole per
quell'affermazione, scoppiai a ridere come se mi avesse raccontato
una barzelletta.
-
"Amanda, onestamente
non ho nemmeno il tempo di fare una piega decente ai capelli,
figuriamoci quello di tramare qualcosa. Odio vedere certi
comportamenti maschili e gli ho detto che ne penso, tutto qui. Non ci
conosciamo ma fidati, non sono quel tipo di persona" risposi
semplicemente.
-
"Beh, allora, grazie".
-
Ci guardammo ed io chiesi a
Monica, che si era momentaneamente seduta vicino a Maurizio, di fare
di nuovo cambio posto, sentendomi un po' più leggera.
-
-
Alle sei del pomeriggio
eravamo di nuovo a Dublino, sollevati per il successo della gita con
trasferta senza alcun danno in hotel, senza feriti e senza malati.
-
Avevamo solo un'ora per
prepararci per il karaoke visto che poi c'era la cena, così io,
Monica, Cristina, Amanda, Luigi e Gabriele ci recammo nella sala dove
si sarebbe tenuto il karaoke per provare le nostre canzoni con Mario
che aveva pazientemente cercato sia le nostre basi sia quelle dei
ragazzi .
-
Ero piena di vergogna, non
avevo mai cantato in pubblico se non alla mia festa di laurea, ma
all'epoca ero mezza ubriaca e avevo ricordi vaghi dell'accaduto.
-
"Ma cosa cantate voi?"
chiesi, curiosa, a Luigi e Gabriele che ormai si erano guadagnati
l'appellativo di "Cip e Ciop" visto che sembravano una sola
entità, sempre insieme e pronti a farci ridere per qualsiasi
sciocchezza.
-
Alla mia domanda risero con
aria malandrina.
-
"Felicità"
risposero in coro, per poi continuare a ridere.
-
"Quella di Al Bano e
Romina?!" domandai, senza parole.
-
"Sì, Ali, Gabriele
farà Romina e gli abbiamo anche procurato vestiti e parrucca"
mi informò Mario, divertito al massimo. "Questo Karaoke resterà
negli annali della Emperor Travel".
-
"Ora che ci penso,
voglio vestitmi da Britney Spears, ho il tubino che ho messo alla
cena chic che va alla grande" disse Amanda.
-
"Perché, cosa canti?"
chiese Cristina.
-
Con soddisfazione, Amanda si
tolse una ciocca dalle spalle e disse: "Womanizer".
-
La guardai e risi,
portandomi una mano alla bocca con aria incredula: sbaglio o voleva
dare una lezione ad Alessandro cantando una canzone che è
palesemente rivolta ad un donnaiolo senza cuore?
-
"Grande!" dissi,
sincera.
-
Lei mi sorrise e mi fece
l'occhiolino e probabilmente quella fu l'unica volta in cui ci
trovammo in sintonia per qualcosa durante la permanenza a Dublino.
-
"Allora noi dobbiamo
vestirci da Spice Girls anche se siamo solo in tre" esclamò
Cristina.
-
"Sì, ma dopo, ora
provate, su, iniziamo proprio con la vostra" si intromise Mario,
guardando preoccupato l'orario sul display delle cellulare. "Abbiamo
poco più di quarantacinque minuti!".
-
Obbedimmo, scusandoci, e
subito ci mettemmo al lavoro.
-
Fu un'impresa titanica
riuscire a cantare in maniera quantomeno ascoltabile e stare al passo
col testo ma tutto fu ricompensato dalle prove di Luigi e Gabriele
che ci lasciarono senza fiato per le troppe risate.
-
Erano davvero comicissimi,
si immedesimavano, facevano dei gesti unici...
-
Ci ritrovammo a urlare
"Bacio, bacio!" a fine esibizione per prenderli in giro e
Luigi davvero si sporse verso Gabriele che lo respinse.
-
Stavamo guardando le prove
di Amanda quando percepii il cellulare che squillava; mi allontanai
sperando che non fosse qualche emergenza e quando vidi il nome sul
display sentii lo stomaco attorcigliarsi.
-
Luca.
-
Luca mi stava chiamando,
possibile? Aveva forse sbagliato numero?
-
Non mi telefonava
dall'ultima volta che avevamo litigato e da allora non si era più
fatto vivo. Le ultime parole che gli avevo detto in quell'occasione,
probabilmente, erano state: "Sei uno stronzo di merda e il karma
ti farà pentire di quello che mi hai fatto" e il solo pensiero
mi faceva vergognare un po' perché non ero stata pacata e signorile
come mi ero imposta di fare, per non lasciargli soddisfazione.
-
Così, imponendomi di
risultare normale e tranquilla, uscii dalla sala per non essere
disturbata dalla canzone e risposti con un: "Pronto?" che
mi imposi di far uscire naturale e non tremolante e impaurito.
-
"Ehi, ciao,
festeggiata!".
-
La sua voce era quella di
sempre, calda, dolce, tanto che fui costretta a sedermi per terra per
non cedere a causa delle gambe che mi tremavano.
-
"Ciao" risposi,
continuando a fare il possibile per risultare naturale. "A cosa
devo questa chiamata?".
-
"E' il tuo compleanno,
no?".
-
Presi un bel respiro e
chiusi gli occhi, sforzandomi di stare calma.
-
"Non dovevi, il
messaggio è stato fin troppo sufficiente".
-
"Lo so, è che... Non
so spiegarti, ieri ho visto la diretta, le foto con il tuo staff, nei
ricordi mi è comparsa la foto che pubblicasti un anno fa in
occasione del tuo compleanno... Sai, ora che ho lavorato a Barcellona
posso fare il paragone e, non so, sembra che dove ci sei tu c'è
allegria e un'atmosfera positiva, senza di te questo lavoro non è un
granché" spiegò, parlando lentamente, scegliendo le parole con
cura. "Poi al ritorno ho pensato al nostro ritorno dell'anno
scorso... Tutta un'altra storia".
-
"Ma che c'entra? Di
sicuro avrai avuto Camilla ad attenderti in aeroporto" sbottai,
prima di rimproverarmi mentalmente perché rischiavo di perdere le
staffe.
-
"No, Camilla era al
lavoro. Ma non è questo il punto, Alice, il punto è che ora che
sono passati tre mesi dalla mia decisione....".
-
"Tre mesi? Luca, la
decisione l'hai già presa a gennaio, quando ti sei scopato quella
a mia insaputa" lo bloccai, non riuscendo a controllarmi.
-
"Ma mi fai finire?!
Dicevo, ora che è passato del tempo volevo dirti che mi rendo
sempre più conto di ciò che ho perso tradendoti. Sono felice,
assolutamente, ma la cosa strana è che con te era tutto diverso, tu
sei diversa, non sei scontata, sai rendere tutto magico in un modo
tutto tuo, sapevi trasformare un weekend in un mese per tutta la
gioia che mi davi. Volevo solo fartelo sapere perché ho sempre
l'impressione di averti lasciato senza averti detto tutto, senza
averti fatto sapere quanto tu abbia contato per me. Ancora oggi vedo
delle cose che mi fanno pensare a te e per un secondo penso di
dirtelo e poi penso a cosa ho fatto... Ad esempio, qualche settimana
fa in pasticceria c'erano dei turisti spagnoli e io ho pensato a
quando tu salvavi subito la situazione mediando con gli spagnoli,
omettendo le parolacce di Saverio, a quando camminavamo mano nella
mano e degli spagnoli ci chiedevano informazioni e il tuo viso si
accendeva di passione... Quella passione l'ho vista ieri, mentre
tutti ti stavano attorno, ti abbracciavano, si vede che in pochi
giorni hai dato loro tanto. So che ti ho fatto soffrire ma non
pensare che per me sia stata facile. Almeno tu hai me da incolpare,
io ho solo me stesso".
-
Più Luca parlava più le
lacrime mi invadevano silenziosamente il viso mentre cercavo di
essere forte. Non poteva dirmi quelle cose, non mi sarei mai sentita
dispiaciuta per lui perché la situazione era davvero pietosa e
dovevo essere forte e ferma nel ricordargli tutte le cazzate che
aveva combinato ultimamente con tanto di danni che avevano rischiato
di manomettere la mia tranquillità sul posto di lavoro.
-
"Ti sei incolpato anche
per aver spifferato la nostra storia a quelli del tuo staff? Io mi
sono ritrovata la Team Leader che raccontava di noi a tutto lo staff,
l'avrà saputo dal tuo coordinatore, e per fortuna nessuno le ha dato
retta, solo quel deficiente del dottore che voleva portarmi a letto
perché pensava che me la facessi con gente del team a caso. Ho
passato dei giorni di inferno a causa tua!" sbottai, ma ormai
parlavo da sola perché, com'era prevedibile, Luca aveva staccato la
chiamata, probabilmente non sapendo come affrontare le mie parole che
non erano ipocrite e dolci come il suo discorso.
-
Arrabbiata, andai a
recuperare il suo messaggio e ne scrissi un altro.
-
Stronzo, ti rendi conto?!
Prima o poi dovrai dirmi cosa ti passava per la testa! Se vuoi
parlare solo di quel che dici tu non chiamarmi più!
-
Lo inviai in fretta e furia
e poi mi coprii il volto con le mani, sentendo il mondo crollarmi
addosso con tutto il suo peso.
-
Era un idiota, un
irresponsabile, un bambino a cui piaceva da morire giocare con le
parole e con i sentimenti altrui per poi scomparire nel momento più
importante, quando c'è da parlare chiaro.
-
"Ali, vieni a pr... Ma
che succede?!".
-
Mario, che era venuto a
chiamarmi, si bloccò nel vedermi seduta in quella posizione strana,
con le mani che mi tremavano.
-
"Succede che la
prossima volta che pensi di fare una diretta, risparmiatela, per
favore. Scusami, io ho provato, fai riprovare le altre" mi
congedai, alzandomi a fatica e allontanandomi di scatto, sperando di
non incontrare nessuno durante il tragitto perché non volevo farmi
vedere in quello stato di collera.
-
Ripresi il cellulare e
inviai rapidamente un messaggio nel gruppo dello staff, dicendo che
avevo avuto un contrattempo e che non avrei cenato, li avrei
raggiunti direttamente alla serata.
-
Respirai a lungo mentre
camminavo, provando a calmarmi, ma l'unica cosa che ottenni fu solo
la voglia di sfogarmi in qualche modo.
-
Tornai nella hall del
college, girai a destra, scesi al piano inferiore e subito mi
ritrovai davanti la maestosa palestra che era diventata famosa tra i
ragazzi che spesso la sera andavano a fare qualche esercizio.
-
Era grande, con numerose
cyclette, pesi e sacchi da boxe.
-
Appena vidi questi ultimi,
gli occhi mi si illuminarono e, come una furia, presi un paio di
guantoni neri e li indossai.
-
Uno, due, tre, quattro...
Probabilmente ero scoordinata e stavo sbagliando tutto, magari avrei
accusato le conseguenze dei miei movimenti sbagliati in seguito, ma
non me ne importava perché volevo solo liberarmi e scaricare tutta
la rabbia nei confronti di quel cretino in un modo almeno un po'
salutare, senza andare a piagnucolare dai miei amici come al solito.
-
Per me il sacco da boxe
rappresentava Luca e tutte le false promesse e le prese in giro di
cui ero stata vittima da quando avevamo deciso di iniziare una storia
a distanza.
-
"Un calcio bello forte
per quando non mi sei venuto a prendere in stazione e nevicava.
Nevicava a Napoli, capisci che evento? Io ero felice e invece mi sono
beccata il raffreddore a furia di aspettarti perché non mi avevi
avvisato. Sai perché non mi avevi avvisato? Perché eri già con la
tua amante!" urlai, approfittando del fatto che fossero tutti a
cena e non c'erano ragazzi nella sala comune vicino la palestra.
-
"Un pugno per quella
volta in cui dovevi venire a Milano e poi mi hai dato buca. Sei
venuto lì solo tre volte, una delle quali per mollarmi! Un altro
pugno per oggi perché sei un coglione senza palle! Un calcio per il
giorno di Pasqua, quando ti pesava il culo venire a Roma... Perché
eri già impegnato con quella!".
-
Ero adrenalinica, più davo
pugni e calci e più avevo voglia di darne altri visto che ricordavo
dettagli pietosi della nostra storia.
-
Possibile? Possibile che
l'essere stata con lui mi avesse solo resa più stronza? No. Mi aveva
reso più accomodante, più comprensiva, solo che al momento mi
sembravano tutte note negative che non contribuivano al miglioramento
della mia personalità.
-
Quando, trenta minuti dopo,
mi accasciai per terra, esasusta, mi sentivo davvero svuotata e più
tranquilla, come se quell'insolita attività fisica mi avesse aiutato
a far scomparire tutto il risentimento.
-
-
Tornata in camera per una
doccia rapida, appurai di avere quaranta minuti prima dell'inizio
della serata così mi diedi una mossa e quando avevo ancora i capelli
umidi mi ritrovai Cristina e Monica sulla soglia della stanza.
-
Cristina era palesemente
vestita come Mel B, con i ricci e voluminosi capelli sciolti, un top
giallo fluo e dei pantaloni neri, mentre Monica era vestita da Mel C,
con un top arancio e dei pantaloni da ginnastica blu con le strisce
bianche lungo la lunghezza della gamba.
-
"Alice, ma cosa è
successo? Perché non eri a cena?" chiese Monica, preoccupata,
mentre reggeva quello che mi sembrava un top.
-
"Non mi sentivo bene,
ora va meglio, tranquille" inventai, cercando di convincerle con
un sorriso. "State benissimo vestite così!".
-
Cristina esultò e fece una
sorta di balletto sul posto.
-
"Tu devi essere Geri
Haliwell, ti abbiamo recuperato un top simile a quello che ha lei nel
video" mi spiegò, prendendo il top dalle mani dell'altra group
leader. "Con dei pantaloni skinny neri o dei leggings saresti
perfetta".
-
"Grazie, che carine! Di
chi è il top?".
-
"Di Marika della mia
squadra" disse Cristina.
-
"Allora finisco di
asciugare i capelli e mi vesto" mi congedai, salutandole e
affrettandomi a prepararmi.
-
Compresero che ero a stretto
con i tempi e mi salutarono a loro volta, senza smettere di
sorridermi e mandarmi baci.
-
Erano davvero carine e
premurose, pensai mentre il calore del phon mi accarezzava il viso.
Nel giro di tre giorni avrei dovuto salutarle e la prospettiva non
era molto allettante, sarebbe stato davvero difficile riabituarsi
subito ad un nuovo team.
-
Rapidamente, lasciai i
capelli al naturale, mi truccai con un rossetto color mattone e un
ombretto dorato abbastanza luminoso, mi vestii e mi venne da ridere
quando mi guardai allo specchio.
-
"The show must go
on" mi dissi, sforzandomi di essere tranquilla e di non
pensare agli ultimi avvenimenti.
-
Mi ero lamentata fin troppo
in quegli ultimi mesi e odiavo correre sempre dai miei amici per
qualsiasi cosa, quindi mi ero ripromessa di raccontare tutto a Nadia
e Saverio in un secondo luogo.
-
La cosa che più mi premeva,
al momento, era scusarmi con Mario per il modo in cui gli avevo
urlato contro.
-
Lo trovai vicino la console,
mentre controllava il volume dei microfoni con aria attenta e
sistemava i vari fili per non farli intrecciare tra loro.
-
Avevo tra le mani una
confezione di Twix, il suo snack preferito, che avevo appositamente
comprato al distibutore della sala comune per provare a farmi
perdonare più rapidamente.
-
Mi avvicinai e gli porsi lo
snack dicendo: "Per il mio activity leader preferito. Scusami,
sono una cretina e tu sei l'ultima persona che merita di essere
trattato così! Mi hai preso in un momento di profonda rabbia ma
giuro che non succederà più" e poi guardandolo con aria
speranzosa.
-
Mario mi guardò con aria
diffidente e poi prese il Twix, lo squadrò per bene e poi me lo
batté sul braccio come se fosse una ciabatta.
-
Risi di cuore e lo incitai
mentre chiedevo ancora scusa, poi lo abbracciai.
-
"Ci resto male quando
mi tratti di merda, è da quando ci siamo rivisti che mi preoccupo
per te e voglio che lavori serenamente, non pensavo di farti danno
con la diretta" esclamò, stringendomi a sua volta e
accarezzandomi la schiena.
-
"La colpa non è della
tua diretta, è di quel coglione, mi ha telefonato ma è tutto ok"
sintetizzai quando mi separai da lui, sciogliendo la stretta.
-
"Ricorda, Alice... "La
vita và presa come viene", no?".
-
"Sì, ma per citare
Troisi, "A me viene sempre una chiavica",
onestamente".
-
"Tu che citi Troisi! Ti
perdono, ti sei salvata in calcio d'angolo!".
-
Fare pace con Mario era
sempre meraviglioso, aveva una capacità di comprensione mai vista e
ti faceva sentire fortunata nell'essergli amico.
-
"Perdonata?"
chiesi quindi, speranzosa.
-
"Perdonata".
-
Tuttavia, decisi di
continuare nell'opera di perdono e gli dissi che mi sarei occupata io
delle foto, così mi trovai una postazione adatta vicino al piccolo
palco ricoperto da una moquette rossa e non mi mossi di lì finché
non arrivò anche il resto dello staff.
-
"Ecco la Spice Girl
Mancante! Vieni, Ali, foto, foto! Ma dobbiamo farla con Huji Cam così
sembrerà davvero degli anni Novanta!" esclamò Cristina, che
secondo me era stata una di quelle bambine che avevano la camera
tappezzata di poster delle Spice Girls e comprava tutti i Cioé.
-
Monica mi trascinò sul
palchetto e disse: "Facciamo una posa figa!", mentre Luigi
ci aspettava pazientemente con il cellulare il mano, pronto a
scattare.
-
Alla fine riuscimmo ad avere
una foto decente e lasciammo il palco alla prima esibizione, quella
di "Felicità".
-
Fu un'interpretazione
divertentissima perché Luigi e Gabriele provavano a fare la voce in
falsetto dei rispettivi cantanti, con tanto di movenze così assurde
da sembrare reali.
-
Luigi insisté e alla fine
della canzone fece finta di baciare Gabriele, con la gioia di tutti
che si lasciarono coinvolgere in un applauso lunghissimo, con tanto
di fischi e urla.
-
Ero così presa dalla mia
missione di scattare foto memorabili che riuscii a pensare solo alla
serata e la cosa mi lasciò relativamente tranquilla rispetto alle
ore precedenti.
-
I ragazzi si esibirono con
canzoni più contemporanee - era anche ovvio - e quindi ascoltammo
"Perfect", "Shape of you", "Traicionera"
ed altre.
-
Quando venne il nostro
turno, ero stranamente tranquilla perché ero entrata nell'ottica del
"siamo qui per divertirci" e pensai solo a fare un po' di
spettacolo.
-
Vedevo Saverio e Salvatore
in prima fila che battevano le mani e urlavano chissà cosa e alla
fine, quando ci posizionammo tutte e tre vicine con le mani in alto,
scoppiò un applauso fragoroso, c'era addiritutta chi chiedeva il
bis.
-
Probabilmente, l'esibizione
più professionale fu quella di Amanda che aveva davvero una bella
voce e si muoveva come una pop star.
-
Notai chiaramente i
riferimenti ad Alessandro - lo indicò varie volte mentre diceva
"Womanizer" - e mi lasciai scappare un sorriso.
-
Mi voltai verso di lui e lo
notai guardarmi con aria interrogativa, tanto che lo sentii dire "Che
cazzo ti ridi?".
-
Smisi subito, sentendomi un
po' stupida, e tornai a badare all'esibizione.
-
-
Per il resto della serata mi
sentii inquieta, osservata, era una sensazione che non mi piaceva
affatto sommata alla giornata pesante che avevo avuto.
-
Mi sembrava assurdo pensare
che quella mattina mi ero svegliata al fianco di Maurizio, per tutta
la giornata non gli avevo quasi dato retta e la cosa mi faceva
sentire colpevole.
-
Per questo durante la
riunione presi posto al suo fianco, provando a fare due chiacchiere
ma ricevendo in risposta solo qualche cenno finché, con una scusa,
si avvicinò a Salvatore per dirgli chissà cosa.
-
Confusa, restai al mio posto
e presi appunti.
-
Non diedi retta al resto
dello staff alla fine dell'incontro, anche perché erano tutti
impegnati con la raccolta dei biglietti del cinema per la successiva
e ne approfittai per seguire Maurizio che fu il primo a congedarsi e
ad augurare la buonanotte a tutti.
-
Arrivai con lui fino
all'ascensore ma, vedendomi, lui fece finta di nulla e preferì usare
le scale.
-
"Maurizio, perché
cambi strada? Non vieni in ascensore con me?" chiesi
innocentemente, senza capire il perché di tutto quello strano modo
di agire.
-
Per la prima volta da quando
lo conoscevo, lui mi guardò con aria di sfida, senza riuscire a
celare una sorta di ira che gli trasfigurava i lineamenti solitamente
gentili.
-
"No, grazie, penso ti
farebbe piacere andare in ascensore con altri, tipo Alessandro"
esclamò, furente, stringendo i pugni.
-
"Cosa?!" sbottai,
spalancando la bocca in un modo non proprio intelligente.
-
"Alice, basta! Tu mi
dici tante cose carine e poi...".
-
"Poi cosa?".
-
"Ma come! E' da oggi
che stai in disparte con lui, poi guardacaso ti vedo in pullman con
Amanda quando non te la sei mai pensata, poi a cena mancate
entrambi..." elencò, rapido come una furia.
-
"A cena sono mancata
per...".
-
"Per cosa? Dai, vediamo
che ti inventi!".
-
"Tralasciando che non
devo giustificarmi con te, ero in palestra per scaricare l'ansia post
litigio con il mio ex" sbottai, sentendo quasi di star cacciando
fumo dalle orecchie.
-
"Alessandro mi ha detto
ben altro...".
-
"Scusami, tu ti fidi di
Alessandro e non di ciò che io sto dicendo?" chiesi,
decisamente senza parole.
-
"Io mi fido di ciò che
vedo! Tu sei libera di fare ciò che vuoi ma non illudermi con
discorsi del cazzo quando non ti fai problemi con tipi con
Alessandro! Ed ora lasciami solo, ti auguro buon compleanno, magari
lo festeggi ancora con il dottore!" rispose lui, pestando un
piede per terra per la frustrazione prima di correre al piano
inferiore.
-
"Io non illudo proprio
nessuno, perché diavolo pensi a quello che ti dice quello?"
urlai in risposta, ma nessuno mi rispose.
-
Senza fiato e sotto shock
per la conversazione avuta, pensai solo che non vedevo l'ora che
tutto quel casino finisse al più presto.
-
Che bel compleanno!
-
-
*°*°*°*°
-
Nuovo capitolo, nuovi
casini, nuovi intrecci.
-
Spero che il vostro anno sia
iniziato alla grande, in ogni caso ci sono io a tenervi compagnia con
un aggiornamento più "rapido" del solito.
-
Ovviamente sarebbe assurdo
dire che Alice ha già rimosso Luca e lui non le rende le cose
semplici con la sua telefonata. Vederla "In azione" con il
nuovo staff gli ha fatto ricordare ulteriormente cosa ha perso, oltre
alle due settimane spiacevoli a Barcellona, così fa una mossa
azzardata chiamandola per poi non avere il coraggio di affrontarla al
cento per cento.
-
Maurizio, invece, si lascia
condizionare da Alessandro e crede alla sua versione dei fatti...
-
Che dirvi, il Dottore è uno
dei personaggi che non ci mancherà affatto!
-
A breve inizierà il secondo
turno , sono curiosa di sapere come immaginate il nuovo staff.
-
Fatemi sapere cosa ne
pensate, vi lascio come sempre qualche spoiler:
-
-
"Io e te siamo
sempre vicini, ci assentiamo insieme e ci mandiamo occhiate eppure
non è successo niente o sbaglio?" lo bloccai,
- sentendomi come
un avvocato che ha appena trovato il dettaglio che gli farà vincere
la causa.
-
-
"Una volta mi hanno
detto che quello che succede dopo le quattro del mattino non esiste"
dissi,
- senza aprire gli occhi e beandomi del calore di
quell'abbraccio.
-
"Allora sopprimerò
la voglia che ho di baciarti perché non voglio che non esista.
- E te
lo sto dicendo perché comunque questa frase non esisterà più"
rispose lui,
- con una voce roca che gli donava, per i miei gusti.
-
-
A presto!
-
Milly.
|
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Capitolo 25 *** Days 12- 14: Quello che succede dopo le quattro del mattino... ***
Days 12- 14: Quello che succede dopo le quattro del mattino...
-
Capitolo 10
-
Days 12- 14: Quello che
succede dopo le quattro del mattino...
-
Gli ultimi giorni di quelle
due settimane furono decisamente fuori dal comune e per fortuna
l'inizio dei miei ventisei anni non fu simile al resto dell'anno,
altrimenti sarei davvero impazzita.
-
La lite telefonica con Luca
aveva fatto scattare in me la consapevolezza che spesso tendevo a
darmi mille colpe quando le persone si comportavano male con me ma in
realtà la questione si poteva riassumere semplicemente con un
diretto e liberatorio "Sono tutti stronzi e basta".
-
Ero davvero senza parole per
ciò che mi aveva detto Maurizio, sia per il suo credere a quel
farabutto di Alessandro sia per il suo accusarmi, quasi come se fossi
un oggetto di sua proprietà che doveva rispettare le sue
aspettative.
-
Non sapevo cosa fare e
nell'indecisione, per non combinare nulla, optai per un semplice
"niente", dicendomi di dovermi prima calmare.
-
Tendevo a seguire sempre
questo schema nei momenti difficili e me ne rendevo conto ma non
riuscivo ad agire diversamente, piena di lavoro e preoccupazioni a
causa degli ordini sempre più difficile da gestire di Sandy e
Jimena.
-
Presa com'ero da tutte
queste questioni, non chiesi nemmeno a Saverio di raggiungermi per il
solito caffè, tanto da farlo preoccupare e chiamarmi.
-
"Ehi, temevo non ti
fossi svegliata" si scusò appena risposi, con la voce ancora
assonnata.
-
"No, tranquillo, me la
sono presa con calma, sono un po' stanca" mi giustificai,
fingendo uno sbadiglio per provare ciò che stavo dicendo.
-
"Posso venire? Ho
bisogno di un caffé, sarà una giornataccia" mi supplicò,
sbadigliando a sua volta.
-
"Certo, certo, vieni,
devo solo mettere le scarpe e sono pronta".
-
Sospirai, dicendomi che
dovevo impegnarmi per non fargli capire nulla visto che volevo
tenermi tutto per me per il momento anche se era una lotta assurda
visto che Saverio riusciva sempre a farmi sentire a mio agio e a
farmi confidare.
-
Quandi uscii dalla stanza lo
trovai già in cucina, intento nel preparare la moka.
-
Si vedeva che era stanco,
aveva delle occhiaie bluastre che non promettevano nulla di buono e
sembrava muoversi a rilento.
-
"Buongiorno. Scusami ma
stamattina il risveglio è stato traumatico" lo salutai,
avvicinandomi e facendogli segno di lasciare stare visto che ci avrei
pensato io.
-
Non si fece pregare e andò
sul divano, socchiudendo gli occhi.
-
"Non me lo dire, dopo
la riunione una ragazza del gruppo di Luigi lo ha chiamato per dirgli
che un'altra era svenuta ed è stato un caos, a quanto pare ha avuto
un calo di zuccheri, le amiche dicono che mangia pochissimo, fuma
solo... Poi ha vomitato, ho dovuto disturbare Cristina per darle una
mano a togliersi la maglia tutta sporca, Alessandro ha suggerito di
farla dormire con una delle group leader per tenerla sotto controllo.
Ho dormito meno di tre ore e oggi ho tutta la modulistica per il
nuovo gruppo da compilare..." raccontò, sfinito.
-
"Io sono avanti con
l'organizzazione, mi manca solo la riunione per metterci d'accordo
per l'ultima sera, quindi oggi posso aiutarti" mi offrii,
preoccupata nel vederlo così.
-
Ecco di nuovo il mio solito
schema che si ripeteva: qualcosa mi andava male? Benissimo, perché
affrontarlo quando potevo farmi in quattro per Saverio e impegnarmi
per occuparmi di mansioni che non erano di mia competenza?
-
Non c'era nulla da fare, ero
fatta così e mi odiavo ma allo stesso tempo facevo di tutto per
evadere dalla mia vita e occuparmi dei problemi degli altri.
-
"Magari, grazie, ho
bisogno di un paio di occhi in più, Mario è impegnato con il video
di addio e non mi fido molto di Amanda".
-
Quella prospettiva capitava
nel momento giusto visto che non chiedevo altro che essere utile a
chi lo meritava davvero e avere una tregua dai drammi pseudo
adolescenziali che stavano avendo luogo in quei giorni, inoltre ero
molto più tranquilla visto che Saverio, stanco morto com'era, non
avrebbe notato eventuali stranezze tra me e Maurizio.
-
Così, poco dopo ci avviammo
verso la mensa per fare colazione e notai che c'era un senso di
stanchezza generale tipico del terzultimo giorno del turno, tanto che
Cristina aveva la testa appoggiata alla mano e Alessandro sbadigliava
in continuazione.
-
"Cri, tutto bene? Ho
saputo del casino di stanotte, come sta la ragazza?" chiesi, non
osando immaginare tutta la paura provata quella notte.
-
Cristina scrollò le spalle,
senza sapere bene cosa dire. "Aveva la pressione bassa, glicemia
bassissima... Non mangia quasi niente, dice che il cibo spazzatura di
qui la fa ingrassare! Ha dormito con me e stamattina andava meglio,
prima le ho preso io una brioche, del latte con i cereali e ha
promesso di mangiare, meglio non stare lì a guardarla, la
prenderebbe come una mancanza di fiducia" sintetizzò, per poi
dare un morso al suo toast.
-
"Speriamo, magari
possiamo tenerla d'occhio in maniera discreta" ipotizzai, "Posso
farlo io, basta che me la indichiate".
-
Continuavo a caricarmi di
impegni e sapevo il perché, ma non riuscivo a farne a meno e me ne
convinsi quando incrociai lo sguardo di Maurizio, che non riuscii a
decifrare.
-
Durò mezzo secondo, poi
abbassò lo sguardo sulla sua colazione con un'aria che non gli
donava proprio.
-
"Sì, è quella seduta
al terzo tavolo a destra, mora, con la coda di cavallo e la felpa
verde" rispose Luigi, preoccupato a sua volta.
-
Annuii, finii di mangiare e
mi congedai subito, alzandomi.
-
"Oggi devo dare una
mano a Saverio con i documenti del nuovo turno quindi sarò
nell'altro ufficio, ti lascio scritto ciò che devi fare sul
planning, mi avvio già" dissi rapidamente a Maurizio,
sforzandomi di essere professionale.
-
"Oh, ok" disse lui
in risposta quando mi ero già alzata per andarmene.
-
Rapidamente, arrivai nel
nostro ufficio, vidi le scadenze e gli scrissi di ricontrollare il
numero di biglietti per la serata cinema e di sentire da Jimena e
Sandy che idee avevano per l'ultima serata, poi andai nell'ufficio
del resto dello staff, dove Saverio era già all'opera.
-
"Senti, facciamo così:
andiamo in un altro ufficio, mi dici cosa devo fare e nel frattempo
ti riposi. Oggi abbiamo la visita a Phoenix Park, poi puoi riposarti
ancora lì" proposi, non riuscendolo a vedere più assonnato che
sveglio. "Poi hai tutto il tempo di correggere".
-
Esitante, il coordinatore
sembrò valutare la mia proposta, prese un foglio, annotò qualcosa,
prese una cartellina zeppa di fogli e mi fece cenno di seguirlo.
-
Obbedii, pronta a perdermi
in una marea di dati, nomi e studenti da dividere in stanze, persone
a cui nel giro di pochi giorni avrei potuto dare un volto e che
avrebbero sostituito tutte quelle con cui avevo a che fare ora.
-
Egoisticamente, da un lato
non vedevo l'ora anche se mi dispiaceva per i group leader che erano
davvero dolci e comprensivi e avevano dimostrato di essere molti
uniti, solo che la prospettiva di non dovermi più preoccupare di
Amanda e Alessandro era fin troppo allettante.
-
Dovevo essere forte e
pensare che tutto sarebbe finito a breve, ero pronta per il nuovo
inizio.
-
Con calma, una volta
arrivati in un ufficio piccolo ma luminoso, ascoltai attentamente
cosa dovevo fare e stilai una to- do list, felice di appurare
che fare tutto mi avrebbe occupato tutta la mattinata.
-
Eppure, non riuscivo a non
pensare alla discussione della sera prima, prima con rabbia, poi con
risentimento, poi con tristezza.
-
La verità era che non stavo
agendo per non perdere un ulteriore alleato, solo che non era giusto
starmene lì, confinata in ufficio ed evitare di dire ciò che non
vedevo l'ora di sputare fuori.
-
Mentre lavoravo, Saverio se
ne stava steso su un divanetto e si riposava, prima vigile, poi
profondamente addormentato.
-
Non riuscii a resistere e
gli scattai una foto per poi inviarla a Nadia, scrivendo: "E io
lavoro al posto suo!".
-
Erano ormai le undici e
mezzo quando la porta dell'ufficio si spalancò e spuntò
quell'uragano di Mario, chiassoso come al solito e con in mano il
cellulare, che ormai sembrava far parte del suo corpo visto che non
lo lasciava mai stare.
-
"Ali, muoviti,
ascoltami" disse, iper attivo come sempre, "Ricordi che
oggi a Phoenix Park abbiamo il laboratorio video e i ragazzi
devono...".
-
"...Realizzare la sigla
di un telefilm famoso dividendosi in quattro gruppi, sì. E allora?"
finii la frase per lui, senza capire il punto della situazione.
-
"E allora io sono
avanti con il video di addio, avevo tempo libero e ho deciso che
anche noi come staff faremo una sigla, ma una tutta nostra, senza
basarci su uno show" spiegò lui, come se fosse la cosa più
naturale del mondo.
-
Mi mostrò un foglio che
doveva essere una sorta di sceneggiatura, in cui si leggeva cosa
doveva fare ogni persona o ogni gruppo di persone.
-
A causa della voce massiccia
dell'activity leader, il coordinatore si svegliò biascicando un
"Vaffanculo!" fin troppo deciso, per poi mettersi seduto e
stiracchiarsi.
-
"Mario sei una piaga,
ma perché ti crei lavori extra?" chiese.
-
"Perché io e gli altri
activity leader stiamo facendo una gara a chi cura di più la pagina
facebook ed Elena sarà la coordinatrice che giudicherà la migliore
a fine stagione e modestamente io con le foto delle esibizioni
dell'altra sera e questo sarò in netto vantaggio" rispose Mario
con semplicità, scrollando le spalle.
-
"Come mi manca Elena"
sospirai.
-
Saverio, dal canto suo,
sospirò comprendendo di non poter fare nulla contro la decisione di
Mario per questo si limitò a scrollare le spalle e a prendere il
foglio dalle mie mani.
-
"Ah bella la scena in
cui io fingo di dare ordini e voi obbedite. Ci sto, fatemi riprendere
un attimo e partecipo. Ali a che stai?" domandò poi,
continuando a sbadigliare.
-
"Ho sistemato i ragazzi
nelle camere e trascritto i dati della nuova parte di staff, bisogna
solo assegnare le camere ai group leader" dissi, mostrandogli la
lista su cui avevo cancellato le cose che avevo fatto.
-
"Ok, questo possiamo
farlo fare ad Amanda".
-
Andammo in caffetteria per
il solito espresso delle undici, corsi in bagno per darmi una
sistemata ai capelli e per mettere un po' di rossetto visto che
dovevamo girare la scena in cui io portavo ben tre caffè a Saverio
con tanto di inchino, con alcune persone che ovviamente ci
guardavano, incuriosite.
-
In seguito, andammo in
ufficio dove dovevamo girare una scena tutti insieme in cui eravamo
in cerchio e facevamo una sorta di gioco della bottiglia per
stabilire chi doveva fare il bucato con tutte le nostre divise,
usciva Luigi e lo sommergevamo di magliette, poi toccò alla scena
dedicata proprio ai Mediatori.
-
Maurizio era silenzioso e lo
divenne ancora di più quando andammo nel nostro ufficio con Mario
alle calcagna - non mi sorpresi nel capire che voleva pubblicare
anche i dietro le quinte - che reggeva un pesante dizionario di
inglese.
-
"La scena è molto
semplice, ragà!" ci spiegò lui, mentre cercava la luce
migliore. "State seduti dietro la scrivania, Maurizio finge di
fare una domanda e tu fai un'espressione incazzata e lo punisci
colpendolo col dizionario".
-
"Bella rappresentazione
del reparto di Mediazione. Magari potessi colpire gli altri col
dizionario..." sospirai, controllando il mio riflesso nel
display del cellulare e poi prendendo posto dietro la scrivania.
-
Maurizio rise nervosamente,
senza dire altro.
-
"Pronti?".
-
Annuimmo, così anche il
mediatore si mise di fronte a me e Mario si sistemò mentre ci
inquadrava con la videocamera del cellulare, dicendo "Azione".
-
La scena mi venne fin troppo
naturale, tanto che l'activity leader lodò la mia espressione
incazzata definendola "Vera" e Maurizio finse un riso
nervoso che non gli donava affatto e che mi faceva venire voglia di
prenderlo sul serio a pugni.
-
-
Vedere la nostra sigla in
anteprima sul tablet di Mario mentre ce ne stavamo a Phoenix Park e i
ragazzi correvano felici e spensierati per pensare alle varie idee
per realizzare il loro video fu davvero divertente.
-
Come soundtrack, l'activity
leader aveva scelto una canzone di cui ignoravo l'esistenza, "Il
cielo d'Irlanda" di Fiorella Mannoia, una canzone dal ritmo
incalzante e una melodia che infondeva allegria e speranza.
-
Appena le note della canzone
iniziarono a diffondersi, comparve il titolo, "Storia di uno
Staff", scritto in Rosso, colore che richiamava le divise
dell'azienda, e la particolarità era che il video era tutto in
bianco e nero se non per le nostre maglie rosse. Addirittura anche la
mia e quella di Maurizio risultavano di quel colore!
-
Il video iniziava con un
primo piano di Saverio nella scena in cui io gli portavo il caffè,
con sotto scritto "Saverio Capone as Il Coordinatore",
seguito da una parte in cui fingeva di dare ordini e tutti
obbedivamo.
-
Poi, l'inquadratura passò
ad una Amanda che guardava in chissà quale direzione mentre giocava
con una penna ed ovviamente uscì la scritta "Amanda Salerni as
La Team Leader", seguita da una parte in cui prima leggeva dei
fogli e poi li gettava in aria con nonchalance.
-
Mi fece davvero strano
leggere il mio nome nella scena con Maurizio, seguita da una in cui
ero evidentemente stata ripresa senza saperlo visto che stavo
controllando qualcosa su un quaderno e poi... Sbadigliavo! Che
classe, che bella figura come al solito, ma devo dire che mi
rappresentava molto.
-
Poi era il turno dei group
leader che ridevano, giocavano tra loro per poi correre insieme stile
Baywatch come se dovessero salvare chissà chi e si scopriva che quel
qualcuno era Mario, circondato da Salvatore che scuoteva il capo con
disapprovazione e Alessandro che provava a rianimarlo, salvo poi
scoprire che era tutto uno scherzo visto che Mario saltava su e
faceva la verticale.
-
Alla fine c'era la scena in
cui eravamo in cerchio e devo dire che il risultato, concentrato in
due minuti di sigla, era davvero fenomenale.
-
"Hai un talento
naturale per queste cose, Mario!" si complimentò Monica,
entusiasta, seguita da numerosi complimenti degli altri.
-
Per un istante pensai a quel
video applicato allo staff dell'anno precedente e mi sentii lo
stomaco ingarbugliarsi, per questo scacciai quell'idea e mi guardai
intorno, mentre un gruppo di adolescenti rideva e si metteva in posa
per fare una ripresa.
-
Avevamo comunicato tutto in
anticipo, quindi i ragazzi si erano portati gli accessori necessari
per la sigla che avevano scelto, infatti vidi alcuni con degli
ombrelli in mano e pensai subito a quella di Friends.
-
Il vastissimo Phoenix Park
era tutto a nostra disposizione, potevamo fare qualsiasi cosa mentre
tutti erano impegnati con i video, così decisi di avventurarmi alla
ricerca di qualche cervo dato che il parco era noto proprio per la
presenza di questi animali.
-
Il resto dello staff ne
approfittò per schiacciare un pisolino, così mi avviai verso quelle
enorme lande desolate di verde che si potevano incontrare dopo la
parte iniziale più popolata.
-
Stremata, dopo una ventina
di minti di cammino arrivai in una zona dove c'era qualche turista,
nei pressi di una collinetta su cui c'era un'enorme croce color oro,
ma dei cervi non c'era nemmeno l'ombra.
-
"Anche tu cerchi i
cervi?".
-
Mi ero appena seduta e
cercavo di stendermi usando lo zainetto come cuscino quando udii
l'inconfondibile voce di Maurizio alle mie spalle.
-
Esitai, prendendo un bel
respiro per calmarmi prima di voltarmi e guardarlo freddamente.
-
"Cerco semplicemente un
po' di pace e di silenzio" risposi, diffidente.
-
Il ragazzo non sembrava
sorpreso dal mio atteggiamento, tanto che prese posto di fronte a me
e mi guardò, incerto.
-
"Anche io sono qui
perché cercavo un po' di pace, ma non di silenzio, o almeno non da
parte tua. Alice, urlami contro, dimmi ciò che pensi di me, ma non
ignorarmi, mi sento uno schifo, ieri ero stanco e...".
-
"Sono stanca anche io,
Maurizio, sono stanca di sentire stronzate. Devo lavorare altre due
settimane con te quindi preferisco ignorarti ma almeno essere
professionale" lo interruppi, gelida come lo ero stata poche
volte nella mia vita.
-
Non poteva comportarsi così,
non poteva urlarmi di illuderlo e poi di criticarmi perché aveva
creduto a quel deficiente di Alessandro per poi tornare con la coda
tra le gambe e provare a impietosirmi.
-
"Puoi non essere
professionale visto che con te non lo sono stato" mi ricordò,
mesto, probabilmente ricordandosi della figuraccia faccia.
-
Sospirai, esasperata.
Sentivo un grande fiume di parole affollarmi la mente e non sapevo da
dove iniziare visto che erano ore ed ore che il mio cervello mi
diceva cose a caso sul suo comportamento per renderlo ancora più
cretino ai miei occhi.
-
"Partiamo dal
presupposto che ognuno è libero di fare ciò che vuole se non è un
partner e non deve essere giudicato per eventuali sue scelte, sei
stato un coglione. Ma un coglione grande, immenso, di quelli epici!
Ti ho aperto il mio cuore, abbiamo passato dei momenti che io giudico
molto intimi, ti ho fatto capire che mi farebbe piacere rivederti al
di fuori di questo contesto e tu che fai? Credi a quel deficiente? Lo
sai che voleva portarmi a letto già la terza sera solo perché
pensava che fossi una che se la fa con tutto lo staff? Ha smesso solo
quando gli ho detto che doveva finirla e che avevo capito il suo
gioco! Poi mi ha messo in mezzo nelle sue vicende con Amanda, ecco
perché ho dovuto chiarire! Eppure con chi ho cenato io? Con chi mi
sono confidata? Con chi ero alla mezzanotte del mio compleanno? Di
certo non con lui!".
-
Se avevo iniziato in
sordina, alla fine del discorso ero arrivata ad urlare quasi a pieni
polmoni, incollerita, senza più filtri.
-
Volevo vedere Maurizio
morire di vergogna, diventare di mille colori, scomparire o farsi
piccolo piccolo, invece lui sospirò e annuì.
-
"Ti chiedo scusa. Il
problema è che uno come Alessandro ti toglie l'autostima, mi
sembrava tutto così chiaro quando vi ho visti sempre vicini, vi
siete assentati insieme, poi lui ti mandava occhiate durante le
esibizioni...".
-
"Io e te siamo sempre
vicini, ci assentiamo insieme e ci mandiamo occhiate eppure non è
successo niente o sbaglio?" lo bloccai, sentendomi come un
avvocato che ha appena trovato il dettaglio che gli farà vincere la
causa.
-
Il ragazzo aprì la bocca e
la richiuse stupidamente.
-
Io lo guardavo con aria di
sfida, sperando di fargli provare almeno un minimo di quello che mi
aveva causato in quelle ore, ma alla fine lui non riuscì a ribattere
e restò in silenzio.
-
"Quando avrai una
risposta me la dici, nel frattempo vado a cercare i cervi" mi
congedai, sentendo che ormai la voglia di riposare era andata a farsi
benedire e alzandomi, lasciandolo lì in mezzo al prato, vicino alla
collinetta con la montagna che sembrava essersi creata tra noi.
-
-
Passai il resto della
giornata per i fatti miei, sistemando qualche dettaglio dei vari
programmi e finendo per vedere Ocean's 8 alla serata cinema,
decisa a disconnettere il cervello da tutto e da tutti per almeno due
ore.
-
Quando fu il turno della
riunione, ascoltai tutto con il cervello altrove e poi mi ritrovai a
festeggiare il sedicesimo compleanno di una delle ragazze della
squadra di Monica visto che in quanto staff le avevamo regalato una
torta al cioccolato.
-
I due giorni successivi
furono così intensi che non ebbi tempo di pensare alle varie
questioni personali che affliggevano il mio strambo mondo e li
trascorsi a fare letteralmente la schiavetta di Saverio che ormai,
quando poteva, cercava di esonerare Amanda dicendole che essendo roba
riguardanti le successive due settimane non poteva essergli d'aiuto.
-
Passammo ore ed ore a
provare la soluzione migliore per le varie stanze visto che il mio
planning non andava bene e a farli coincidere con le stanze dei group
leader, in modo da distribuirne almeno uno per piano, poi fu il turno
di comunicare alla mensa le intolleranze alimentari dei ragazzi e
dello staff, visto che una group leader era allergica al lattosio e
una al glutine.
-
Arrivati a mercoledì sera,
dopo la cena di fine turno, io mi stavo chiedendo come era possibile
che le due settimane fossero finite, quelle due settimane che erano
iniziate in modo così pseudo drammatico che mi sembrava fosse
passato un secolo.
-
Tuttavia, percepii un
cambiamento nel mio modo di agire: mi sentivo disumanizzata,
consapevole che quella fosse la fine e che al massimo in futuro avrei
beccato qualcuno di loro in qualche altra città europea.
-
Davanti ai miei occhi, Mario
presentava le sigle dei ragazzi ed io riuscivo solo ad applaudire,
fiera di me stessa per quei cambiamenti forse un po' disumanizzanti
ma positivi.
-
Ero felice di aver portato a
termine il lavoro delle prime settimane con professionalità e senza
danni, senza discussioni con Saverio e senza aver fatto la vittima.
-
Avevo agito, mi ero fatta
valere, ero stata onesta con chi mi aveva creato problemi senza
nascondermi dietro un finto buonismo che non mi apparteneva più e
non avevo pesi sul cuore, anche se era stata dura esporsi e mostrarsi
per ciò che ero.
-
Solo una lacrima mi solcò
il viso mentre guardavo di nuovo il video dello staff e poi quello di
addio fatto da Mario e non mi premurai di asciugarla, volevo che
fosse lì come testimone del fatto che ora potevo contenermi ed
essere meno malinconica del solito ma comunque mantenendo la prova
dei sentimenti che provavo, sentimenti di affetto e di grande
simpatia nei confronti di chi mi aveva strappato un sorriso.
-
Guardai Luigi e Gabriele che
ridevano tra le lacrime mentre nel video si vedeva il loro saluto
molto sui generis, Monica che abbracciava Cristina e si sorridevano e
pensai che li avrei tenuti lì con me volentieri, ma non si poteva.
-
Alla fine della proiezione,
Saverio salì sul piccolo palchetto insieme a Jimena e Sandy per
ringraziarci e tutti noi, che piano piano l'avevamo raggiunto, alla
fine chiedemmo un applauso per lui.
-
Ricordo quelle scene come
quelle di un film in bianco e nero, forse perché segnarono un
passaggio fondamentale in me in quanto membro della Emperor Travel:
quello da lavoratrice affettuosa e attaccata a tutti a lavoratrice
affettuosa ma consapevole dell'eventuale distacco.
-
"Ragazzi, a chi serve
una mano per il check out delle stanze? Non ho altro da fare, voglio
aiutarvi" mi offrii alla fine della serata, anche se me ne sarei
andata volentieri a letto viste le ultime quarantotto ore di fuoco.
-
"A me, per favore.
Partiamo alle due e non ho fatto i bagagli" disse Cristina con
aria supplichevole.
-
Era stanca, lo potevo
percepire dai suoi gesti e dagli occhi che quasi le si socchiudevano.
-
"Ma certo, dimmi pure".
-
Ci accordammo e decidemmo
che io avrei fatto il check out mentre lei si preparava la valigia,
ovviamente il tutto in maniera tacita e discreta.
-
Mi ritrovai a vestire i
panni della group leader e come al solito fu piacevole, anche se un
po' strano visto che non conoscevo perfettamente i nomi di tutti i
componenti del gruppo.
-
Finii a mezzanotte passata e
andai in camera di Cristina, trovandola intenta nel piegare le
ultime cose. Mi offrii di aiutarla per finire prima e lei accettò di
buon grado, sfinita com'era.
-
"Grazie, Ali, mi stai
salvando. Sono stremata, non so come farò a gestire la trasferta in
aeroporto" sussurrò, sbadigliando.
-
"Tranquilla, io domani
posso dormire un po' prima dei nuovi arrivi. Volevo solo dirti che
Saverio ci aspetta in ufficio per i saluti e le valutazioni"
risposi.
-
Lei annuì poi, di punto in
bianco, la vidi con gli occhi lucidi e mi strinse in un abbraccio
caloroso, un abbraccio che definirei da aeroporto, uno di quelli di
chi sa che probabilmente non ti rivedrà presto.
-
"Da quando ti ho visto
mi hai ispirato fiducia, ne ho avuto la conferma quando ci siamo
confidate a Galway. Sei speciale, Ali, ti ho visto lavorare con calma
e tranquillità, ammiro il tuo rapporto di amicizia e rispetto con il
coordinatore, avresti potuto approfittarne ma sei stata sempre la
prima a lavorare, anche ora, non hai nulla da fare e sei qui... Io mi
sono affezionata a te, ti considero un'amica" esclamò, senza
smettere di stringermi e iniziando a piangere.
-
Ascoltando quelle parole non
riuscii a trattenermi e scoppiai in lacrime anche io, memore dei
piccoli ma importanti momenti che avevamo condiviso e probabilmente
per scaricare tutte le tensioni accumulate in quei lunghi giorni di
lavoro. Ripensai a quando ci eravamo confidate a Galway, alla sua
storia, al nostro pranzo in quel pub e a tutte le risate che avevamo
condiviso, all'esibizione di vari giorni prima... Cristina era un po'
un equivalente di Nadia, seppur meno chioccia e saggia, ma dopotutto
era una mia coetanea e come me aveva ancora tanto da capire su questo
strambo gioco che è la vita.
-
Poco dopo ci recammo in
ufficio per una rapida riunione visto che i tempi stringevano e non
mi sorpresi nel vedere la solita espressione emozionata di Saverio a
fine turno.
-
"Allora, eccoci qui"
esordì, mentre si puliva gli occhiali con un piccolo panno e provava
a fingersi disinvolto. "Non mi abituo mai a dire addio allo
staff! Sono passate due settimane, ci siamo conosciuti e devo dire
che sono soddisfatto del gruppo dei group leader, siete stati molto
attenti e responsabili ma soprattutto una continua fonte di risate e
di leggerezza, cosa che non guasta quando hai alle spalle quattordici
ore di lavoro". Qui ovviamente non esitò a guardare Luigi e
Gabriele che ridacchiarono prima di battere il cinque. "Ovviamente
giudicherò solo la parte di staff che se ne andrà stasera. Per
quanto riguarda te, Amanda, ti ho detto poco fa come la penso e ti
invito a dirmi a tua volta il tuo giudizio su di me. Alessandro, come
al solito non sta a me valutare l'operato dei dottori".
-
Amanda mi sembrava stanca,
non più la solita battagliera con cui avevo discusso varie volte,
era struccata, con i capelli legati in una coda scomposta e sembrava
aver acquisito dieci anni in un secondo.
-
"Come ti ho detto, io e
te abbiamo una concezione di Team Leader diversa. Detto ciò, grazie
per i consigli e mi scuso per certi miei errori" dichiarò
decisa ma un po' annoiata. "Io penso che tu stia sbagliando nel
prendere questo lavoro così seriamente, prima o poi ti verrà un
infarto, tutto qui".
-
"Nella tua critica io
vedo solo un complimento" ribatté Saverio, sorridendole in un
modo che avrebbe meritato un applauso.
-
"Raga ve faccio un
caffé, che dite? Dovete viaggià de notte, ci sta".
-
A interrompere il silenzio
ci pensò un Salvatore piuttosto assonnato che si alzò senza
ricevere risposta e si mise all'opera.
-
Era una scena così strana e
contrastante con il contesto che tutti scoppiammo a ridere.
-
-
Salutare tutti fu strano e
magico allo stesso tempo per noi che dovevamo restare fino alla fine
di luglio.
-
C'era Cristina che partiva
alle due, Monica e Gabriele alle tre e Luigi alle quattro.
-
Ovviamente, i ragazzi
piangevano, si scambiavano promesse, venivano ad abbracciarci con
calore....
-
"Ci sentiamo, promesso"
sussurrai a Cristina, abbracciandola per l'ennesima volta, con Mario
che si comportava come al solito e si intrometteva stringendoci a sua
volta.
-
Ogni volta che un pullman
partiva, sembrava una sorta di conto alla rovescia come quello di un
Capodanno visto che a breve, come a inizio anno, ci sarebbe stato un
nuovo equilibrio.
-
Salutai i ragazzi con grande
affetto e quando anche l'ultimo pullman divenne un puntino in mezzo
alla strada illuminata dalla fioca luce dell'alba ci sembrò che
tutto fosse improvvisamente nuovo, diverso.
-
Stranamente, lo paragonai al
tramonto della sera in cui ero arrivata, pronta ad iniziare.
-
Ero davvero così stanca che
mi sembrava di vivere in un mondo parallelo, dove tutto era diverso
ed era concesso.
-
Alessandro non si sforzò
nemmeno di dirmi "Ciao" mentre Amanda, sorprendendomi, mi
strinse lievemente a sé e disse: "Ciao Alice" in un modo
abbastanza gentile e fuori dalle sue corde.
-
Dopo quel gesto mi sentii
strana, a tal punto da arrivare a pensare che, sì, all'inizio Amanda
era stata una stronza ma che forse le dovevo un favore perché senza
volerlo mi aveva fatto capire come si stava comportando Luca ed io mi
ero regolata di conseguenza.
-
Piano piano tutti i pullman
scomparvero, dando ufficialmente fine a quelle due settimane strambe
ma di rilievo, almeno per quanto riguarda la mia storia.
-
Vidi lo staff andare a
dormire con grande fretta ma io mi appoggiai su una panchina vicino
la struttura ed esitai, rapita dai colori di un nuovo giorno che
prendeva forma.
-
Sentii una mano sulla mia
spalla ma non mi girai.
-
"Sono così felice che
non sia toccato anche a te andare via... Averti ancora qui è
straordinario, ho due settimane per farmi perdonare".
-
Conoscevo la voce, continuai
a non voltarmi, come se avessi paura di spezzare un incantesimo.
-
"Io sono stanca di
essere arrabbiata" dissi semplicemente, sospirando.
-
Avvertii Maurizio cingermi
la vita con le braccia e, senza pensarci, appoggiai le mie mani sulle
sue, chiudendo gli occhi e sentendo il suo respiro sul mio collo.
-
La mia parte più segreta
chiedeva disperatamente un bacio unico ma lento su quel punto, per
questo la mia parte più razionale si sorprese nel percepire un bacio
lieve e gentile sulla guancia.
-
Mi sentivo pronta per un
nuovo inizio spumeggiante e a ripartire da zero, lasciando via la
negatività provata negli ultimi giorni che non mi aveva proprio
fatto bene, anzi, mi aveva danneggiato parecchio.
-
"Una volta mi hanno
detto che quello che succede dopo le quattro del mattino non esiste"
dissi, senza aprire gli occhi e beandomi del calore di
quell'abbraccio.
-
"Allora sopprimerò la
voglia che ho di baciarti perché non voglio che non
esista. E te lo sto dicendo perché comunque questa frase non
esisterà più" rispose lui, con una voce roca che gli donava,
per i miei gusti.
-
"Magari in futuro,
prima delle quattro del mattino...".
-
"Oh, magari. Se mi dici
quando lo aggiungo al planner...".
-
Come potevamo punzecchiarci
così senza cedere e lasciarci andare, almeno per una volta? Non ero
abituata a ciò, onestamente, ma da una parte lo apprezzavo visto che
ero sempre dell'idea di non compiere mosse affrettate.
-
Fatto sta che quell'alba,
con la sua magia e le sue non- confessioni, segnò anche l'alba di un
periodo di cambiamenti per noi e per il modo in cui ci relazionavamo.
-
-
*°*°*°**
-
-
Salve gente!
-
Molto più rapida rispetto
ai soliti standard eccomi qui con un capitolo fresco fresco!
-
Vi comunico che ho
ufficialmente finito di scrivere la storia e, se vi va, sarò più
rapida nell'aggiornare.
-
Fatemi sapere!
-
Il primo turno è finito,
ora si inizia con il secondo e sembrano esserci delle "novità"
tra Maurizio e Alice nonostante i vari problemi che hanno avuto.
-
Che ne pensate?
-
Come al solito vi lascio
qualche spoiler:
-
Mi stampò un bacio su
quel punto, seguito da altri piccoli nella zona circostante mentre le
nostre mani intrecciate contininuavano a sfregarsi e a un certo
punto, non riuscendo a trattenermi, ne portai una nei pressi del mio
seno.
-
-
"Volevo farlo a
Galway, dopo averti portato a pranzo, ma...".
-
"Cosa?".
-
Cosa succederà?
-
Preparatevi che ci sono
delle novità in arrivo, eheh!
-
A presto,
-
milly.
|
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Capitolo 26 *** Day 14: Agire o non agire, questo è il dilemma. ***
Day 14: Agire o non agire, questo è il dilemma.
-
Capitolo 11
-
Day 14: Agire o non agire,
questo è il dilemma.
-
Dopo ben sette ore di sonno,
poco prima di pranzo mi ritrovai in cortile con Saverio mentre Mario,
Salvatore e Maurizio erano ancora nelle loro camere a riposarsi e a
rinfrescarsi in vista dell'inizio del nuovo turno di lavoro.
-
Ce la stavamo prendendo
comoda perché gli arrivi sarebbero iniziati a partire dalle sedici,
quindi per ora il massimo che avremmo dovuto fare era monitorare le
partenze e gli arrivi di ogni gruppo e accertarci che non ci fossero
problemi, ritardi o valigie smarrite.
-
Con indosso i nostri outfit
peggiori ma comodi, io e il coordinatore ci stavamo godendo quelle
poche ore di libertà con grande calma, stremati dalle due settimane
precedenti.
-
Ce ne stavamo seduti sui
gradini delle scale che portavano alla lavanderia, Saverio fumava una
sigaretta con estrema lentezza ed io me ne stavo in silenzio,
pensierosa, senza sapere bene cosa dire.
-
"Secondo me devi
aggiornarmi un po', Alice" iniziò lui dopo un po', premurandosi
di non alzare la voce visto che a quell'ora il college era super
silenzioso.
-
"Dici? Come mai?"
chiesi, un po' evasiva.
-
Avevo una gran voglia di
confidarmi con lui ma non sapevo bene cosa dirgli perché,
fondamentalmente, nemmeno io sapevo bene cosa pensare in quel
momento.
-
Temevo di risultare stupida,
di essere quella che ogni anno si becca una cotta per un collega e
che si distrae a causa di ciò.
-
"Ovviamente non
pretendo che tu ti confidi con me se non ti va, solo che negli ultimi
giorni ti ho visto proprio smarrita, a volte arrabbiata... Non
avevamo il tempo di fare nulla quindi non ti ho chiesto come va"
si scusò, appoggiando una mano sul mio braccio mentre accennava un
sorriso di circostanza.
-
Confusa com'ero e provata
dalle ultime vicende decisi di non opporre resistenza ed annuii.
-
"Finisci la sigaretta e
ci andiamo a prendere un caffè, ormai è questa la nostra
tradizione, no?" proposi, infischiandomene della mia tuta extra
large e dei capelli disordinatissimi.
-
Saverio accettò di buon
grado, finì di fumare e mi seguì fino alla famosa cafffetteria che
tante volte aveva ospitato le nostre chiacchiere e buona parte dei
momenti più belli ed iconici dei quattordoci giorni precedenti.
-
"Sai, ancora riesco a
credere di aver parlato qui, proprio a questo tavolo, con Nadia, una
decina di giorni fa. Eppure forse lei, che è stata qui solo due
giorni, ha subito intuito qualcosa, mi ha fatto un discorso
strano..." iniziai appena prendemmo posto, con i nostri espresso
e dei muffin al cioccolato che troneggiavano davanti a noi.
-
Dal canto suo, l'uomo fece
un sorriso consapevole. "Lei capisce sempre tutto, ha capito
prima di me che fossimo perfetti insieme..." ridacchiò. "Mi
dici che succede?".
-
Sembrava davvero curioso e
intrigato, mi guardava in un modo penetrante che stranamente mi
rassicurava perché sentivo di essere al sicuro e di potermi
confidare.
-
"Onestamente, Saverio,
queste due settimane ho avuto pochissimi attimi di pace... Alessandro
mi ha anche messo in mezzo nelle vicende tra lui e Amanda...".
-
Gli raccontai tutto con
dovizia di particolari - più parlavo più il suo volto diventava
incredulo, tanto che in certi punti del resoconto spalancò la bocca
con gli occhi fuori dalle orbite - e poi esitai, arrivando alla parte
che più mi confondeva, più mi rendeva vulnerabile e incerta.
-
Gli raccontai della litigata
con Luca, poi venne il momento di dire qualcosa su Maurizio.
-
"Poi... Volevo
chiederti, secondo te, se un ragazzo fa sempre il carino con te, fa
di tutto per essere gentile, si ingelosisce per una cosa che non
esiste nemmeno e poi ti dice che ti bacerebbe ma non lo fa... Ti sta
prendendo in giro, no?" dissi. Mi stavo fingendo disinvolta,
disinteressata, solo che era la prima volta che parlavo ad alta voce
dei nostri trascorsi e ciò lo rendeva tutto decisamente più vero.
-
"Se il ragazzo in
questione sa che sei reduce da una storia non andata a buon fine e sa
che potrebbe essere rifiutato visto che è un tuo collaboratore come
il tuo ex, forse si comporta così perché vuole che sia tu a fare la
prima mossa. E lo dico perché avevo già intuito tutto da quando ha
rinunciato alla cena chic per stare con te".
-
Saverio scoprì le carte
così, con naturalezza, come chi ha già analizzato tutto e si fa una
propria opinione al riguardo.
-
Ci aveva osservato in
silenzio e ora mi stava dicendo la sua opinione con garbo,
sorprendendomi.
-
"Dopo il litigio con
Luca è cambiato qualcosa o lo ami ancora?" mi domandò con aria
seria.
-
"Non penso di amarlo
più. Non posso dire che non tremerei nel rivederlo qui di fronte a
me ma dopo le sue parole, dopo il suo solito comportamento fatto di
apprezzamenti salvo poi scomparire quando si tratta di affrontare un
problema, è come se qualcosa fosse cambiato. Forse anche perché c'è
stata una chiusura, non lo so... Ma ciò che provo è cambiato, ne
sono sicura, riesco finalmente a disprezzarlo per davvero e a capire
che non fa per me".
-
Ci fu un breve silenzio
durante il quale ripensai a ciò che avevo detto senza averci mai
pensato fino a quel momento, con il mio amico che mi guardava,
sorpreso.
-
"Direi che il primo
grande passo lo hai fatto" esclamò, quasi come se fosse fiero
di ciò.
-
Scrollai le spalle, piena di
sentimenti contrastanti davanti a quell'ammissione.
-
"Sai, la cosa che più
mi è mancata durante la storia con Luca è stata il sentirmi sicura,
protetta, rassicurata. Io ero quella che doveva essere forte sempre,
in ogni istante... Quando ho dormito da sola per la prima volta in
quella mansarda schifosa in cui vivevo all'inizio l'ho chiamato, sono
scoppiata a piangere dopo un po' e mi ha detto che non dovevo fare
così e dovevo essere forte. Grazie al cazzo, lo so! Lui non capiva,
non si è mai immedesimato e io pensavo di essere troppo complicata e
difficile, che era normale. In questi giorni mi sono confrontata con
una persona che mi ha capito, mi ha reso le cose semplici, è stata
complice sotto tutti gli aspetti... Gli ho detto che al di fuori di
Dublino sarebbe bello rivederci e lui concorda, ma, non so, una parte
di me crede sia impossibile...".
-
"...Pensare già di
essere andata avanti e di aver incontrato qualcuno che potrebbe
piacerti? No, Alice, no. E' tutto normale e onestamente, tralasciando
la stronzata di Alessandro, io vi vedo bene insieme, avete sintonia
e, diciamolo, lui è attratto da te, l'ho capito quando avete cenato
da soli, quando è venuta Nadia" mi interruppe Saverio, deciso.
-
Arrossii al ricordo di
quella sera, quando, per la prima volta dopo mesi, tutto mi era
sembrato più semplice e bello.
-
"Non ti sto dicendo di
buttartici addosso, solo di non precluderti nulla".
-
"Sembri Nadia, lei mi
ha fatto lo stesso discorso dieci giorni fa".
-
"Sempre detto che è
troppo avanti!".
-
"Per te, sì,
decisamente".
-
Ecco lì, il classico
momento di serietà tra noi era finito ma mi aveva infuso un po' più
di coraggio nel vedere le cose più chiaramente.
-
Non ero una visionaria,
anche Saverio – la persona più schietta e diretta del mondo –
aveva notato qualcosa e ciò mi rassicurò perché lo strano rapporto
tra me e Maurizio non era indeifnito e poteva essere percepito agli
occhi di un osservatore esterno.
-
"Praticamente in queste
due settimane sei stata la Lady Mary Crawley della situazione"
osservò alla fine del nostro confronto, non riuscendo a non
sghignazzare dopo tutte le informazioni che avevo condiviso con lui
nell'ultima ora.
-
Ero davvero sorpresa dal
fatto che lui conoscesse Downton Abbey ma non obiettai, presa com'ero
dal resoconto degli ultimi avvenimenti e da come tutto ciò mi aveva
fatto sentire.
-
"Nel senso che sono una
rompiscatole con manie di protagonismo?" chiesi, accigliata.
-
"Non solo, per tutti
i... Corteggiatori".
-
"Ma che dici, sono
sfigata come Edith" sospirai, iniziando a sentire un lieve mal
di testa viste le poche ore di sonno non proprio serene e piene.
-
"Ricorda che Edith
sposa un Marchese e si prende la sua rivincita".
-
"L'unico Marchese con
cui sto per avere a che fare al momento è la causa di tanti crampi e
questi brufoli" brontolai, indicando una serie di piccoli
vulcani che mi erano spuntati nei pressi del mento.
-
"E direi anche del tuo
caratteraccio! Volevo essere di conforto!".
-
-
-
Stanchi, un po' storditi,
decisamente stravolti, pranzammo tutti insieme, perdendoci nei
ricordi dei momenti clou delle settimane appena trascorse e poi ci
andiammo a preparare per accogliere i nuovi arrivati. Avendo una
group leader allergica al lattosio e una celiaca, Saverio era
preoccupato perché ciò portava ulteriori complicazioni nella
richiesta dei pasti.
-
Onestamente, esausta
com'ero, non ero nemmeno ansiosa di conoscere i nuovi collaboratori.
-
Andai nella mia stanza,
passai non so quanto tempo sotto la doccia e quando fui pronta con
degli abiti un po' più consoni al lavoro e con i capelli ordinati,
mi stesi sul letto in attesa delle quattro.
-
Tuttavia, la mia pace durò
poco visto che qualcuno bussò alla porta nonostante non aspettassi
visite, così mi alzai di malavoglia, scoordinata come non mai e
aprii la porta, ritrovandomi davanti un Maurizio con aria quasi
imbarazzata.
-
Evidentemente anche lui era
reduce da una doccia rigenerante perché aveva i capelli ricci più
morbidi ed elastici del solito che emanavano un profumo nuovo o che
forse non avevo mai notato prima.
-
"Ehi!" dissi,
sorpresa.
-
"Ciao, Ali. Disturbo?"
chiese con un po' di insicurezza.
-
"No, no. Entra pure".
-
Entrò, si guardò intorno,
con le lunghe braccia che pensolavano lungo i fianchi, chiaro segno
del fatto che non sapesse cosa fare in quei pochi metri quadri.
-
"Accomodati pure"
dissi, così prese posto sulla sedia posta vicino la scrivania ed io
lo imitai, appoggiandomi sul letto.
-
"Grazie. Alice, se sono
qui è perché.... Non mi sono ancora spiegato per bene per la
questione di Alessandro e... Beh, ricordo di averti detto delle cose,
all'alba, anche se ero morto di sonno e...".
-
"Se te le vuoi
rimangiare...".
-
"No, non potrei mai".
-
Mi sentivo le mani sudare,
il respiro accelerato, probabilmente non pronta per un confronto.
-
"Allora dimmi"
sussurrai, provando a restare tranquilla.
-
Maurizio annuì,
torturandosi le mani prima di appoggiarle sulle gambe e alzare lo
sguardo verso di me.
-
"Mi dispiace aver
creduto a quello, soprattutto mi dispiace averti detto quelle cose, è
stato un gesto maschilista dettato solo da... Gelosia, credo. Lo so
che tra noi non c'è niente, solo che forse ho sperato in qualcosa
dal tuo compleanno. Io capisco la tua situazione, Alice, non oserei
fare gesti sconsiderati...".
-
"Maurizio" lo
bloccai, scuotendo il capo. "Sei davvero gentile, solo che nel
momento in cui vedi che la tua compagnia mi fa piacere puoi...
Sbilanciarti, altrimenti, se c'è qualcosa da scoprire, non lo
scopriremo mai".
-
Ero davvero io quella che
stava parlando?
-
Sorpreso, il ragazzo esitò,
agitando una gamba con aria ansiosa.
-
"Scusami, Alice, ma se
tu pensi al tuo ex io non voglio rimanerci male" obiettò
cautamente, quasi come se temesse una mia reazione. Quasi mi sembrò
di vedere la faccia di Saverio dire un sicuro "Te l'avevo detto,
scema!".
-
Maurizio, come me, si stava
classificando come una persona estremamente cauta che riflette prima
di buttarsi nelle cose e non potevo dire di non dargli ragione.
Potevo capire la sua insicurezza nei confronti di un bel ragazzo come
il dottore, io ero quella che un anno prima si era sentita così nei
confronti di Paula, inoltre ero ben decisa a farmi scivolare tutto
addosso visto che era palese che lui si fosse pentito dei suoi gesti.
-
"Qualche giorno fa ho
discusso di brutto con lui e... Ho capito di non amarlo più,
probabilmente perché c'è stata la chiusura che mancava. Poi,
stamattina, ho...". Mi bloccai, timorosa di essere sincera e di
espormi, tanto da abbassare lo sguardo. "Quando mi hai
abbracciato ed eri seduto dietro di me, ho pensato che avrei tanto
voluto...".
-
"Cosa?".
-
Maurizio sembrava intrigato,
preso, non più sotto controllo come lo era sempre. Voleva spingermi
a dire di più e non vedevo l'ora di accontentarlo perché volevo
esporre ciò che sentivo senza remore.
-
"Che mi baciassi, sul
collo, visto che la tua bocca era vicinissima a quel punto. Forse lì
ho capito che ho chiuso con il mio ex, non lo so, so solo che mi
sento di nuovo libera...".
-
Lo sguardo del ragazzo si
accese improvvisamente, si alzò e, con una calma che mi tenne con il
fiato sospeso, prese posto dietro di me, stringendomi a sè come
aveva fatto quella mattina ma con ulteriore sicurezza, se possibile.
-
Forse era più tranquillo
dopo le mie parole, forse davvero era così gentile e pacato da non
riuscire a fare una mossa senza sapere come la pensassi riguardo il
mio ex.
-
Deglutii, sentendo
improvvisamente caldo, e come quella mattina appoggiai le mani sulle
sue, ma questa volta intrecciandole alle mie e chiudendo gli occhi.
-
Il suo respiro era vicino al
mio, sentivo la sua bocca sempre più vicina finché non avvertii il
tocco delle sue labbra su un punto del mio collo, un tocco così
delicato ma che allo stesso tempo avvertivo come un marchio
infuocato.
-
Mi stampò un bacio su quel
punto, seguito da altri piccoli nella zona circostante mentre le
nostre mani intrecciate contininuavano a sfregarsi e a un certo
punto, non riuscendo a trattenermi, ne portai una nei pressi del mio
seno.
-
Erano mesi che non ero in
intimità con un uomo e quei gesti per me avevano una carica erotica
elevatissima, probabilmente anche a causa del pre ciclo che mi
rendeva sempre più eccitata del dovuto.
-
"Non essere timido,
tocca pure" sussurrai, liberando la mano destra dalla sua e
portandola sui suoi capelli. Erano morbidi, profumati, inebrianti...
-
Obbedendo, con una calma che
quasi mi uccideva, Maurizio fece passare la mano al di sotto della
mia maglietta e mi accarezzò la stoffa del reggiseno.
-
I suoi baci erano così
carichi di erotismo che lottai per non gemere, mentre cercavo di
stare tranquilla e di non trascinare l'altra sua mano tra le mie
gambe, proprio mentre avvertivo i miei capezzoli indurirsi grazie al
tocco sensuale del ragazzo.
-
A un certo punto, non
potendone più, mi voltai di scatto, ritrovandomelo di fronte.
-
Subito tolse le mani,
percependo quel gesto affrettato come un rifiuto, ma io gli sorrisi e
gli circondai il viso con le mani.
-
Entrambi avevamo il fiatone
come se avessimo corso per non so quanto solo che per la prima volta
da quando ci conoscevamo riuscivamo a guardarci negli occhi con aria
intenerita, finalmente sincera, senza maschere.
-
"Ecco cosa intendevo"
dissi quindi, con lo sguardo basso per l'imbarazzo.
-
"Devo ammetterlo, al
tuo "tocca pure" credevo di non aver capito bene...".
-
"Ci vuole un po' di
iniziativa, insomma, non posso fare il tuo capo anche ora!" lo
presi in giro.
-
Maurizio rise per poi
appoggiare la mano sul mio volto e avvicinarlo al suo con
delicatezza, deciso a mantenere il contatto visivo. I nostri volti
erano arrossati, avevamo il fiato corto e le mani tremanti, come se
fosse la prima volta che ci vedevamo per davvero, senza filtri, senza
imposizioni, senza gerarchie imposte dalla nostra professione, senza
le solite scadenze e le giornate organizzate minuto per minuto dal
nostro ormai odiato planner.
-
Eravamo solo noi o almeno lo
eravamo per qualche altro minuto, fino a quando l'arrivo del nuovo
staff non ci avrebbe riportato alla solita routine in cui eravamo
intrappolati dai nostri contratti. Mancavano cinque gloriosi minuti
alle sedici e li trascorremmo così, immobili, probabilmente
increduli dato che nessuno di noi si sarebbe sognato un plot twist
del genere solo qualche giorno prima.
-
"Ammetto che sei il
primo ragazzo a cui chiedo di toccarmi le tette senza che ci sia
stato almeno un bacio. Non siamo molto ordinari".
-
"Forse è ciò che
potrebbe renderci straordinari, non credi?".
-
Risi e lo abbracciai,
stringendolo forte a me e perdendomi nel suo profumo di muschio
bianco.
-
"Andiamoci con calma,
vediamo come vanno le cose... Ma sono felice di... Tutto"
sussurrai, con la testa nell'incavo della sua spalla mentre lui mi
accarezzava la schiena.
-
"Anche io, Alice, non
ne hai idea...".
-
Quel momento idilliaco fu
interrotto da una chiamata di Saverio che ovviamente ci fece sbuffare
fin troppo rumorosamente perché era ufficialmente finito il momento
di pausa tra i due turni, durato esattamente dodici ore.
-
"Sì, arrivo. Ok".
-
Staccai la chiamata, presi
la borsa e feci segno al ragazzo di scendere visto che era arrivato
il primo group leader con il team leader.
-
-
Antonio Scarsoni, chiamato
Toni da tutti, era un uomo di trentacinque anni alto, molto magro,
con una folta barba nera e uno sguardo smorto.
-
Non guardava mai negli occhi
il suo interlocutore, aveva sempre lo sguardo indirizzato altrove e
dopo pochi minuti la cosa diventava quasi imbarazzante perché
sembrava stesse parlando con qualcuno alle tue spalle.
-
Parlava poco, si presentò
stringendoci semplicemente la mano, cenò con noi e rispose solo alle
nostre domande con qualche monosillabo.
-
"Questo non è proprio
l'anno dei Team Leader, eh?" bofonchiai scoraggiata appena lui
si alzò per andare a prendere dell'acqua.
-
Mi dispiaceva essere il tipo
di persona che sparlava di qualcuno appena conosciuto ma non riuscivo
a capacitarmi della strana sorte che si stava abbattendo sul nostro
staff.
-
Come per confermare quel mio
pensiero, Enzo, il nuovo group leader, tornò dal bagno ed esordì
con un: "Andiamo a letto presto stasera, no?".
-
"Certo, ti preparo
anche latte e biscotti se vuoi" lo prese in giro Saverio,
facendo ridere Mario e Salvatore.
-
Arrivammo al punto in cui
Salvatore risultava molto più chiacchierone di Toni e ciò era
davvero, davvero il colmo.
-
Mi concentrai sul mio
pasticcio di patate per non esprimere alcuna considerazione per poi
offrirmi di fare l'accoglienza a un altro gruppo appena arrivato con
due group leader.
-
"Vengo con te, ho
finito" si offrì Maurizio quando dissi a Saverio di finire con
calma il suo pasto dato che avevo tutto sotto controllo.
-
Mi sembrò di vedere un
piccolo sorrisino sul volto del capo ma non vi badai e mi affrettai a
prendere le mie cose.
-
"Falli accomodare nella
sala comune, ci sono già i sacchetti con la cena e dite ai group
leader che se vogliono possono ancora mangiare qui, nel frattempo
date voi un'occhiata ai ragazzi" disse quest'ultimo.
-
"Va bene".
-
Ci recammo verso la sala
comune, dall'altra parte del campus, fianco a fianco, un po'
imbarazzati visto che era la prima volta che ci trovavamo da soli da
quando ci eravamo ritrovati nella mia stanza, fino a ritrovarci
davanti allo spiazzale dove a breve avrebbe fatto capolino il pullman
con tutti i nuovi arrivati.
-
Ci sedemmo su una panchina e
ci guardammo, un po' a disagio.
-
"Le premesse non sono
ottime ma supereremo anche questo turno" sussurrò il ragazzo.
"Probabilmente domani sarà un caos ma... Pensavo, mi farebbe
piacere fare due passi con te a Galway, sabato. Nessuna ansia,
nessuna pressione, vorrei solo...".
-
"Va bene" lo
interruppi, intenerita dal fatto che sembrasse davvero incerto,
deciso a non mettermi fretta.
-
Mi sorrise e si slanciò
verso di me, abbracciandomi forte tanto quasi da farmi togliere il
fiato.
-
Adoravo i suoi abbracci,
erano genuini, pieni d'affetto, mi facevano sentire meno sola.
-
Ero piena di dubbi ma sapevo
solo di volermela giocare piano ma senza restare ferma e rischiare di
perdere qualcosa che poteva essere davvero prezioso per me.
-
Ci separammo giusto in tempo
per l'arrivo del pullman da cui emersero una trentina di adolescenti
e Bruno e Alba, provenienti rispettivamento da Imola e Cagliari.
-
Ci presentammo cercando di
mostrarci cordiali e disponibili, come se ora fosse iniziato tutto
anche per noi, e Bruno mi parve particolarmente provato dal viaggio
mentre Alba sembrava essersi appena svegliata, vulcanica com'era.
-
Aveva corti capelli ricci e
rossi, degli occhiali fin troppo grandi e dei bermuda di jeans non
proprio consoni alla temperatura irlandese.
-
Quando mi presentai, lei
spalancò gli occhi e si lasciò scappare un risolino.
-
"Alice? Ma allora è
vero, sei proprio tu!" disse.
-
"Scusami, ci
conosciamo?" domandai, confusa.
-
Alba si prese qualche
istante di pausa per squadrarmi per bene e poi fece un cenno
negativo, senza smettere di sorridere.
-
"No, è che domenica ho
finito il primo turno a Barcellona e quando un mio collega ha saputo
che sarei venuta qui mi ha detto che ti avrei incontrato... Ti ha
descritto come "la migliore delle mediatrici", lavori per
l'azienda a Milano, eh? Noi avevamo un mediatore sprucido, faceva
mille casini, diceva che era colpa del caldo... Che scema, il collega
si chiama Luca Antonini, un ragazzo d'oro! Comunque, io sono Alba".
Disse tutto questo in circa dodici secondi, parlava a manetta e
questa caratteristica non le rendeva affatto giustizia.
-
"Sì, lo conosco"
tagliai corto, pensando che gli effetti di quelle due settimane a
Barcellona continuavano a protrarsi intorno a me.
-
Per fortuna Alba sembrava
non sapere altro e ciò mi indusse a pensare che probabilmente Luca
avesse detto di noi solo a Clemente.
-
Decisa a fare finta di
nulla, aspettai che i ragazzi scaricassero i bagagli dal pullman e
poi feci segno a tutti di seguirci in sala comune.
-
Una volta che tutti si
furono accomodati, proposi ad Alba e Bruno di andare a cena, loro
accettarono e così mandai Maurizio con loro a mostrargli la mensa ed
io restai da sola con i ragazzi.
-
Trenta facce tra i
quattordici e i diciotto anni erano lì che mi fissavano, così mi
affrettai ad avvicinarmi al carrello con su le loro cene e lo
trascinai di fronte a loro.
-
"Buonasera! Io sono
Alice, coordino la Mediazione dei vari staff e sono felice di
conoscervi. Qui trovate la cena, prendetela pure" esordii per
poi accomodarmi in un angolo, mentre i ragazzi ringraziavano e Mario
veniva a darmi una mano.
-
-
Alle ventitré e trenta
eravamo tutti in ufficio, io, Maurizio, Salvatore, Mario, Saverio,
Toni, Enzo, Bruno, Alba e i nuovi arrivati Guglielmo, Sara e Claudia,
la dottoressa.
-
Io e Salvatore stavamo
bevendo un po' di Coca Cola per tenerci su mentre Saverio spiegava un
po' le regole generali e faceva firmare qualche documento.
-
"So' tutti strani... La
celiaca ha detto dieci volte che è celiaca. Nun sei solo celiaca,
sei rompipalle, ma questo non lo dici, eh" sussurrò Salvatore,
riferendosi ad Alba che in circa cinque ore e mezzo si era già
guadagnata la fama di chiacchierona instancabile.
-
"Lei parla troppo,
quell'altro non parla proprio... Si compensano, su" provai ad
essere obbiettiva, sospirando.
-
"Te lo dico io, Alì,
ci sono turni funesti dove tutti so' strani, succedono le peggio
disgrazie e questo è uno di questi, mo' sento".
-
Scrollai le spalle poi gli
feci cenno di andare e unirci al gruppo giusto per non fingerci
esclusi.
-
L'argomento del momento era
una certa Priscilla a cui non era stata recapitata la valigia in
aeroporto e faceva parte del gruppo degli ultimi arrivati capitanati
da Sara.
-
Guardai Salvatore,
incredula, e lui ricambiò l'occhiata come a dire "Vedi? Inizia
a succedere di tutto" proprio mentre Saverio faceva il mio nome.
-
"Sì?" chiesi.
-
"C'è un supermercato
aperto sempre, per favore, tu e Maurizio andate ora a comprare
dentifricio, spazzolino, bagnoschiuma e shampoo per questa ragazza in
attesa dell'arrivo della valigia. Vi mando la posizione sul gruppo"
disse, "Io nel frattempo finisco di dare indicazioni allo
staff".
-
Mi sembrava strano visto che
nelle ultime ore avevo avuto ruoli un po' più importanti e pensai
che forse, visto che era ormai la terza esperienza per me, per il
coordinatore ero pronta a prendermi qualche responsabilità in più.
-
"Ok".
-
Mi alzai, seguita dal
mediatore, presi i soldi che Saverio mi stava dando dopo averli
prelevati dalla cassaforte e salutammo gli altri.
-
"Saverio sembra fidarsi
di noi o sbaglio?" domandò Maurizio dopo aver controllato la
posizione del supermarket, che distava circa settecento metri dal
college.
-
Era una notte abbastanza
fredda nonostante fosse luglio inoltrato, il cielo era limpido e
stellato e in generale c'era un'atmosfera tranquilla, tipica delle
serate di Dublino durante i giorni che precedevano il weekend.
-
"Ma no, sei qui solo
perché temeva per la mia incolumità, sai, è pieno di ubriaconi
qui" lo presi in giro, abbottonando la felpa rossa che avevo
espressamente richiesto per quei giorni dato che le mie erano tutte
in lavanderia.
-
"Come? Ma no, tra i due
qui sei tu quella più cazzuta, probabilmente io scapperei a gambe
levate..." stette al gioco lui con un risolino nervoso.
-
Eravamo vicino uno dei ponti
su cui ci si affacciava il Liffey, un punto molto vicino a quello in
cui ero il giorno dell'arrivo. I riflessi della città, le mille luci
multicolori e i suoi riflessi si dipingevano tra le scure acque del
fiume e come ogni volta mi sembrava magico.
-
Ascoltando la risposta mi
fermai, incrociando le braccia.
-
"Sai solo parlare,
Maurizio, non lo faresti mai".
-
"Cosa? Mi stai dicendo
che...".
-
"Parli, parli, parli...
Dovresti agire e basta".
-
Mi divertivo a vedere le sue
azioni e reazioni, con lui potevo essere me stessa senza essere
trattata come quella bisognosa di aiuto e di comprensione, mi faceva
sentire libera e in certi casi spensierata come non mi succedeva da
fin troppo tempo.
-
Lui sembrava davvero preso
da quel discorso, tanto da prenderlo seriamente.
-
"Agire spesso altera
gli equilibri" sussurrò, fermandosi a sua volta e
avvicinandosi, posizionato di fronte a me.
-
"Se si alterano non
sono poi così tanto degli equilibri, no?".
-
Rise e mi appoggiò una mano
sulla spalla facendomi sussultare per quel contatto improvviso.
-
"Volevo farlo a Galway,
dopo averti portato a pranzo, ma...".
-
"Cosa?".
-
"Shh, voglio agire, non
ne posso più. Maledetto Saverio che... Oh, insomma, non me ne
frega...".
-
La sua mano passò dalla mia
spalla alla mia guancia e mi attirò di più a sé, fissando il suo
sguardo nel mio.
-
Lentamente si avvicinò al
mio viso, come per chiedermi il permesso, e con una lentezza quasi
esasperante appoggiò le labbra sulle mie mentre io, come reazione,
ancoravo totalmente le braccia attorno al suo collo per sentirlo più
vicino.
-
Il rumore delle auto, il
chiacchiericcio dei passanti, il rumore del tram, tutto scomparve dai
miei sensi, tutto ciò che non aveva a che fare con il ragazzo che mi
stava stringendo a sé, la sua pelle contro la mia e le farfalle
nello stomaco che mi stava causando.
-
Maurizio mi baciava con una
dolcezza che si abbinava perfettamente al suo modo di porsi nei miei
confronti, io rispondevo con fin troppo entusiasmo, sentendo che
avrei voluto tenerlo lì con me, senza dovermi allontanare per le
prossime ore.
-
Dal mio viso, la mano passò
in vita per un vano tentativo di far aderire i nostri corpi ancora di
più.
-
Non so come riuscimmo a
separarci, entrambi senza fiato, ma quando lo guardai negli occhi
vidi qualcosa che mi piaceva molto: sembrava... Felice.
-
Lo strinsi a me e non per
quanto restammo così, quasi dimenticando che eravamo lì per una
commissione e non per fatti nostri.
-
"Pensavo non ti andasse
di baciarmi" mormorai, quando ritrovammo la forza di metterci in
cammino, stretti l'una all'altra come se ci conoscessimo da una vita.
-
"Scherzi? Mi va da
settimane, Ali, ma onestamente non credevo di avere speranze..."
ammise, finalemente sicuro di sé.
-
"Posso capire il perché
ma io so solo che ultimamente mi sento una persona nuova e sono
sicura che tu abbia molto a che vedere con ciò" rivelai, ancora
incredula per tutti quegli accaduti delle ultime ore.
-
"Non ti farò pressioni
Alice, volevo solo farti capire che, beh, anche io so farmi avanti".
-
"Oh, questo l'ho
visto!".
-
Finalmente arrivati al
supermercato, ci sbrigammo a fare la piccola spesa e, vedendo che era
passato un bel po' di tempo, mi affrettai a scrivere sul gruppo che
prima ci eravamo persi e poi avevamo trovato tanta fila.
-
Appena fuori il negozio,
Maurizio mi porse una confezione di cioccolatini mentre mi
abbracciava da dietro, lasciandomi fin troppo sorpresa.
-
Era rotonda, con su scritti
numerosi gusti accompagnati dalla foto corrispondente.
-
"Cosa....?".
-
"Ho pensato che ti ci
voglia un altro po' di dolcezza, sei pur sempre il mio capo e volevo
corromperti" sussurrò contro il mio orecchio, per poi baciarmi
una guancia.
-
"Ma sei reale...?"
esclamai, incredula, voltandomi in modo da trovarmelo di fronte.
-
"Direi di sì. Mi hai
stregato, Alice" sussurrò, mentre questa volta ero io a
baciarlo e a stringermi a lui, senza riuscire a celare una certa
passione, tanto che mi ci volle un po' per separarmi da lui e restare
razionale.
-
"Direi che...".
-
"Dobbiamo tornare,
sì... E' quasi l'una, accidenti!".
-
Affrettammo il passo,
ridendo per le bugie che avremmo raccontato, proprio mentre il mio
cellulare squillava avvertendomi di aver ricevuto un messaggio.
-
Saverio: Accetterò
questo vostro ritardo solo
-
se poi mi racconti cosa
è successo ;)
-
Sorrisi, pensando che questo
turno avrebbe potuto essere interessante nonostante lo staff non
proprio simpatico.
-
-
*°*°*°
-
Rieccomi!
-
Capitolo di svolta: arriva
il nuovo staff e , sì, Maurizio e Alice iniziano a darsi una mossa
dopo due settimane di chiacchiere, momenti carini e strani allo
stesso tempo.
-
Preparatevi a dei momenti di
crisi tra Salvatore e Alba xD
-
Inoltre, ora entriamo
ufficialmente nel vivo della storia, preparatevi perché non manca
molto alla fine!
Come sempre vi lascio qualche spoiler:
-
"La mia giornata
è già addolcita" sussurrò, lasciandomi un bacio su una
guancia, per poi sospirare sul mio collo. "Alice, collabora,
allontanati, sii un po' più antipatica, mi rendi tutto così...
Difficile".
-
-
"Che cazzo,
Alice, sei insistente! Posso avere i miei momenti no o dobbiamo per
forza giocare a fare i migliori amici sempre e comunque? Sto
coordinando questo caos da quasi venti giorni e voglio un momento da
solo, in santa pace, senza gente petulante tra i coglioni, intesi?"
esclamò, continuando ad ingnorarmi e a non guardarmi in faccia.
-
-
Stavo pensando
all'eventualità di baciarlo quando la porta si aprì di scatto e
comparve un Saverio alquanto agitato ma risoluto.
-
-
Cosa ne pensate?
-
Fatemi sapere,
-
a presto,
-
milly.
|
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Capitolo 27 *** Days 15- 18: Quello che succede a Galway non resta a Galway ***
Days 15- 18: Quello che succede a Galway non resta a Galway
-
Capitolo 12
-
Days 15- 18: Quello che
succede a Galway non resta a Galway
-
Non mi svegliavo così
felice ed entusiasta dal giorno in cui era arrivata Nadia, tanto da
non badare alle scarse cinque ore di sonno e al fastidioso verso dei
gabbiani che ormai era una componente fissa della mia routine.
-
Sapevo di dovermi calmare,
essere razionale, eppure non riuscivo a non essere emozionata,
incredula e felice per gli avvenimenti che avevano avuto luogo la
sera prima.
-
Ero felice dopo non so
quanti mesi, non volevo farmi illusioni ma il solo fatto di avere
un'intesa con qualcuno dopo il mio ex mi sembrava magnifico, una
sorta di miracolo che non credevo possibile dopo i mesi orribili che
avevo trascorso.
-
Sbadigliando, mi misi a
sedere e guardai una foto scattata la sera prima, dopo la riunione,
in cui io e Maurizio sorridevamo, radiosi.
-
C'erano mille punti che
avrei potuto criticare, i miei brufoli, le occhiaie, ma non
m'importava perché non sorridevo così da tempo e mi era mancata
quella sensazione di libertà di poter scegliere qualcuno e credere
in qualcosa.
-
"Cazzo, sono le sette
meno venti!" urlai quando mi resi conto del tempo perso sotto
quelle calde coperte.
-
Mi alzai e mi fiondai sotto
la doccia, per poi premurarmi di coprire almeno quei brufoli con un
trucco giornaliero e rapido visto che per le sette e dieci Saverio mi
aspettava in cucina.
-
Uscii dalla stanza e andai
in cucina con passo rapido visto che ero in ritardo ma vi trovai già
il coordinatore seduto lì con due espresso del bar sul tavolo.
-
"Buongiornissimo,
Alice! Avevamo finito il caffé così ho rimediato" spiegò.
Sembrava decisamente allegro, come lo era stato ieri alla fine della
riunione.
-
"Grazie! Siamo di
ottimo umore, vedo, sei felice per il nuovo staff esplosivo?" lo
presi in giro, prendendo posto al suo fianco.
-
Tralasciando gli avvenimenti
personali, il primo giorno di un nuovo inizio era sempre stranamente
emozionante perché le carte si rimescolavano, tutto poteva succedere
e la curiosità circa il futuro imminente riempiva numerosi scenari
nella nostra mente.
- "No.
Sono felice per due membri del vecchio
staff
che ieri sono tornati dal supermarket radiosi e non si sono separati
un attimo" mi rimbeccò, facendo l'occhiolino con l'aria di chi
la sapeva lunga.
-
Vedendomi senza parole e
probabilmente arrossita, lui mi guardò con serietà obbligandomi a
guardarlo in faccia.
-
"Era da marzo che non
ti vedevo così, Ali, fidati sei... Diversa. Fidati di me"
esclamò, sorridendomi con aria quasi paterna. "Non voglio che
tu mi dica nulla, solo di provare a continuare a stare così"
continuò, deciso.
-
L'anno prima aveva scoperto
gli altarini in un modo poco carino, proprio come io avevo scoperto
la sua relazione per caso e quella volta, pur sapendo che si
trattasse di una cosa ancora indefinita, non volevo far ripetere la
situazione.
-
"E se io volessi dirti
qualcosa...?" domandai, stupendolo non poco visto che
evidentemente si aspettava il mio silenzio stampa.
-
"Ti ascolterei con
grande partecipazione" rispose, incredulo, aggiustandosi gli
occhiali sul naso.
-
Risi di cuore e bevvi il
caffè, scrollando le spalle.
-
"Ieri pomeriggio ci
siamo chiariti ulteriormente e io gli ho fatto capire che non deve
essere sempre timoroso di agire... Ieri sera, quando siamo usciti, mi
ha baciato e poi mi ha comprato dei cioccolatini al supermercato"
mi confidai, ancora incredula nel dire ad alta voce ciò che era
successo.
-
"Mi piace questo tipo,
Ali. Non lo so, lo percepisco, sembra fatto proprio per te, tu hai
bisogno di qualcuno che ti dia sicurezze ma allo stesso tempo ti
lasci essere indipendente e lui mi sembra così. Sono felice, spero
che le cose possano evolversi".
-
"Lo vorrei tanto... So
quali errori non devo commettere ora e ne sono felice, inoltre so che
comunque vada ho fatto dei grandi passi avanti e ne sono felice. Le
vacanze studio sono terapeutiche" ironizzai.
-
"Lo dici a me? Ho
comprato un anello di fidanzamento quando un anno fa il massimo della
mia vita era una bella maratona di BoJack Horseman con tanto
di Pringles alla cipolla, tanto a nessuno fregava del mio alito".
-
Udendo quell'affermazione mi
illuminai, ricordando un particolare che avevo rimosso, presa com'ero
dalla mia vita al momento.
-
"Giusto! Ma... Insomma,
ti ho fatto venire Nadia e non le hai fatto la proposta?" lo
rimproverai, ricordando tutte le aspettative che avevo avuto
nell'arrivo della mia amica una volta sapute le intenzioni del suo
ragazzo.
-
"No. Sarebbe stato
banale, non credi? Saprò io il momento giusto e sarà perfetto"
disse, deciso al massimo.
-
In cuor mio immaginavo quel
momento con gioia e non vedevo l'ora che la cosa si verificasse, sia
per vederli felici e innamorati come non mai, pronti per un futuro
migliore insieme, sia per essere un po' la zia dei loro eventuali
figli.
-
Già per me quella coppia
era una famiglia, poi se avessero avuto dei bambini mi sarei sentita
legittimata a viziarli come se fossero dei nipotini.
-
"Confido in te ma ti
do' tempo entro la fine dell'anno. La mia amica merita di sapere
tutto".
-
"Lo so meglio di te,
scema. Dai, muoviamoci, ricorda di comprare il caffè...".
-
"Potresti rimandarmi al
supermercato con Maurizio" lo presi in giro, gaia come lo ero
stata poche volte negli ultimi tempi.
-
"Non te ne
approfittare!".
-
-
Come un film che si ripete,
ci fu la prima riunione con lo staff, la firma dei contratti e la
distribuzione delle magliette, cosa che confermò le peculiarità
dello staff.
-
Toni annuiva ad ogni parola
senza dire nulla, Alba parlava a raffica e compensava il suo
silenzio, gli altri si guardavano un po' intimoriti, la dottoressa
appena poteva cacciava uno dei libri per un concorso imminente e
sperava di non avere casi gravi da gestire.
-
Finito il discorso di
presentazione di Saverio, feci segno a Maurizio di seguirmi in
ufficio e fu con grande soddisfazione che aprii la finestra e
respirai aria fresca dopo l'atmosfera chiusa dell'altro ufficio.
-
Presi i cioccolatini che lui
mi aveva regalato la sera prima e li appoggiai sulla tavola con un
mezzo sorriso.
-
"Sono ancora qui? Fossi
in te li avrei finiti già" osservò.
-
Percepivo una grande
tensione tra noi, era come se, seppur memori di ciò che era
successo, ci sentivamo comunque indecisi sul da farsi, come due
adolescenti timorosi di aver solo sognato quel bacio della sera
prima.
-
"Ehi! Te li ho lasciati
per addolcire la tua giornata e non lo apprezzi nemmeno?"
esclamai, prendendone uno per ripicca e poi ficcandomelo in bocca con
grande entusiasmo.
-
Probabilmente ero molto
goffa perché rise e poi mi si avvicinò con cautela, quasi incerto.
-
"La mia giornata è già
addolcita" sussurrò, lasciandomi un bacio su una guancia, per
poi sospirare sul mio collo. "Alice, collabora, allontanati, sii
un po' più antipatica, mi rendi tutto così... Difficile".
-
Rabbrividii e, ancora
alzata, mi ancorai a lui, cingendogli i fianchi e chiudendo gli
occhi. "A me ora sembra tutto più facile" dissi
semplicemente.
-
Senza premeditarlo, ognuno
cercò le labbra dell'altro, finendo stretti contro la parete ai lati
della finestra.
-
Il suo modo di baciarmi era
un qualcosa di unico, sembrava si sforzasse di comunicarmi quanto
avesse voglia di tenermi lì, stretta contro di lui, con le mani che
mi stringevano il viso come per non farmi scappare via.
-
Mi sfiorava la bocca con
dolcezza per poi mordicchiarmi il labbro inferiore in un modo che
onestamente mi mandava in tilt, mentre io appoggiavo le mani sul suo
petto e provavo a conoscere un po' meglio quel corpo a me
sconosciuto, un corpo su cui avrei fatto volentieri affidamento nei
momenti più bui.
-
Risposi al bacio con grande
passione, fino a che non mi ritrovai sulla scrivania, con le gambe
attorcigliate contro il suo bacino.
-
"Dovremmo...".
-
"Sì...".
-
"Cosa?".
-
"Ma che ne so, Ali...".
-
Toc toc.
-
Non so cosa sarebbe successo
se Jimena non avesse bussato alla porta, fatto sta che gettai
Maurizio nel piccolo bagno dell'ufficio, mi sistemai subito dietro la
scrivania e le dissi di entrare, cercando di non risultare paonazza e
di respirare normalmente.
-
Da quell'episodio, però, le
cose sembrarono andare con più calma, in un modo che non saprei
descrivere precisamente ma che mi tranquillizzò molto considerando
che non volevo perdere il senno e andarci piano, essere cosciente e
capire la situazione.
-
Io ero sulle mie, decisa ad
andarci piano e con calma per squadrare la situazione e lui sembrava
dello stesso avviso, tanto da preparare una sorta di primo
appuntamento carinissimo quando ci ritrovammo a Galway, quella
domenica, dopo un'inversione di gite dovute alla mancanza di
disponibilità dei pullman.
-
Eravamo in un piccolo
ristorante in centro, molto luminoso grazie alla luce che filtrava
dalle ampie vetrate e alla giornata soleggiata, diversa da quella
burrascosa di due settimane prima.
-
Sapendo le sue intenzioni,
avevo indossato una camicia un po' più carina e mi ero truccata di
più e lui a sua volta era molto più formale visto che indossava una
camicia azzurra nonostante i soliti jeans.
-
Saverio sapeva tutto quindi
ero tranquilla, non mi sembrava di star facendo qualcosa di
sbagliato, anzi, ero serena.
-
"Devo dire che è un
passo da gigante pranzare qui rispetto a quel posto in cui siamo
andati in occasione della cena mancata da Sophie's"
osservai mentre aspettavamo il nostro pranzo, stranamente per nulla
nervosa.
-
Era come se fossi a casa mia
con una persona fidata, non mi sentivo sotto giudizio e nemmeno in
ansia.
-
"Quella sera è stata
la prima serata indimenticabile da quando sono qui" osservò
lui, imbarazzato. "Ero nervoso, tu non hai fatto altro che farmi
capire che volevi farmi cenare con gli altri!" mi rimproverò,
seppur affettuosamente.
-
Ricordando quel giorno - mi
sembrava fosse passato un secolo - sorrisi con nostalgia. "No,
mi sentivo solo in colpa... Avevi l'opportunità di cenare lì e
volevi cenare in un posto a caso con me, non capivo, pensavo fosse
dovuto al tuo non volermi deludere in qualche modo visto che sono la
Coordinatrice Mediatrice".
-
"Non volevo deludere me
e perdere l'occasione di stare in tua compagnia. Non riuscivo a
capirti bene, Ali, eri sempre diversa, presa da tante cose, poi
quando ti ho visto affannarti per Nadia e Saverio ho capito chi sei
davvero".
-
"E chi sono...?"
chiesi, sarcastica di fronte a quella osservazione un po'
presuntuosa, visto che io da ventisei anni a quella parte non mi ero
ancora capita.
-
Maurizio mi guardò,
prendendo una mano e stringendola prima di accarezzarla con lentezza
e dolcezza.
-
"Sei la persona che mi
crea tanti problemi ultimamente per quanto sono distratto"
ammise, mentre io stringevo la sua mano di rimando.
-
Era una sensazione magnifica
stare lì, senza ansia, senza problemi, con un piccolo contatto come
quello che mi faceva stare tranquilla e calma come non lo ero da
tempo.
-
"Fortuna che sono il
tuo capo, allora" ironizzai, ancora stupita nel definirmi tale.
-
Tuttavia ero nell'umore
tipico di chi si sente a suo agio e pronto a dire qualsiasi cosa,
presa dal momento e dalla fiducia nei confronti di chi ha di fronte.
-
"Sai, io non pensavo
saremmo arrivati a questo punto. Cioè, non siamo da nessuna parte,
solo, insomma, ci siamo avvicinati molto ultimamente, no?"
chiesi conferma, cercando di non fare una figuraccia.
-
Maurizio annuì.
-
"Quindi... Insomma, ti
chiedo solo di dirmi tutto perché è evidente che ci troviamo bene e
sarebbe un peccato perderci di vista" continuai, sentendo
improvvisamente caldo, quasi da avere le mani sudate e ondate di
calore che si diramavano a partire dal mio volto probabilmente
rossissimo.
-
"Alice, io non voglio
perderti di vista, non so spiegarlo... Non voglio dire cose scontate
ma tu mi capisci e mi fai stare bene, le ore con te volano"
rispose subito, prima di alzarsi e stringermi brevemente a sé.
-
Ricambiai la stretta, un po'
imbarazzata.
-
"E' successo tutto così
in fretta..." riflettei, perdendomi nel suo sguardo celato dagli
onnipresenti occhiali che gli conferivano un'aria da nerd.
-
"Non sai quanto ho
faticato per controllarmi e non provarci la sera del tuo compleanno,
il vino per fortuna mi ha scoraggiato".
-
"No, Maurizio,
semplicemente sapevi la situazione e sei stato corretto con me, non
lo dimenticherò. Sei un gentiluomo. E non credere che io sia il tipo
di persona che dimentica qualcuno in poco tempo, non è da me,
ma...".
-
"Ti vedo diversa"
mi interruppe, scusandosi con un gesto della mano. "Venti giorni
fa non eri così, si vedeva lontano un miglio che avevi un macigno
sul cuore, poi, dopo che è venuta Nadia, mi sei sembrata più
tranquilla".
-
"Sì. Voglio essere
felice, tutto qui" ammisi, seppur sussurrando, come se fosse una
richiesta oscena.
-
Ci sorridemmo e finalmente
il nostro pranzo fu servito, così mangiammo riuscendo finalmente a
distrarci un po' e a parlare con più tranquillità per poi uscire a
fare una passeggiata.
-
Ero leggera come un
palloncino, Galway mi sembrava mia, pronta a sorridermi e a rendermi
felice, tanto che in un momento di spensieratezza non ci pensai due
volte e afferrai la mano del mediatore.
-
Sorpreso ma di certo non
offeso, lui si fermò e intrecciò le mie dita alle sue, con calma,
prima di indicare il mare di fronte a noi.
-
Eravamo arrivati in una zona
abbastanza vicino al centro in cui si poteva proprio vedere il mare
attraverso una zona a strapiombo, ci sedemmo e fu con felicità che
avvertii il suo busto dietro di me: si era seduto e mi stava
stringendo a sé, lasciandomi un bacio tra i capelli.
-
"Voglio restare sempre
così. Insomma, non si può essere più felici di così, non credi?"
chiesi retorica, voltandomi e ritrovandomi il suo volto a pochi
centimetri dal mio.
-
Si stava alzando un po' di
vento ma non ce ne importava, eravamo pronti a tutti così,
abbracciati, contro chiunque.
-
"Potremmo esserlo. Io e
te, in giro per Milano, mentre attendiamo la nostra fila per mangiare
in quel nuovo ristorante che ha appena aperto e poi, in perfetto
nostro stile, molliamo tutto per un hamburger mangiato mentre
guardiamo i Navigli... Non ti piacerebbe?" propose, allietato
anche solo dall'immagine di quel pensiero felice mentre giocherellava
con una ciocca dei miei capelli.
-
Per tutta risposta lo
strinsi a me, con la testa contro il suo petto e lui che mi
accarezzava la schiena con dolcezza, come se non facesse altro da una
vita.
-
Avevo paura invece di
godermi il momento e provare semplicemente ad essere felice perché
se ero stata male per uno per cui ero sempre stata indecisa e
dubbiosa, non osavo immaginare il ritorno alla realtà dopo aver
passato tanto tempo con una persona chiara, dolce e premurosa che mi
non mi aveva fatto mettere nulla in discussione.
-
"Se ci sei tu mi piace
tutto. Riesci a farmi sentire.... Non te lo so descrivere, vorrei
solo che non finisse mai" risposi, infischiandomene di applicare
filtri o di recitare un ruolo.
-
Quel ragazzo mi aveva vista
struccata, in pigiama, addormentata, triste, scazzata, allegra,
impegnata, dubbiosa, tutto in poco più di due settimane, che senso
aveva fingermi una persona impostata in un modo che non mi
apparteneva?
-
Per tutta risposta, Maurizio
mi strinse forte a sé.
-
Non so come ma ci ritrovammo
stesi sull'erba, abbracciati, io con la testa appoggiata sul suo
petto e lui che giocherellava con le nostre mani intrecciate.
-
"Mi sento felice"
rivelò, prima di aumentare la presa ancora di più e facendomi beare
della sensazione di tranquillità e affetto che mi stava circondando.
-
Non risposi perché ero in
una situazione in cui avrei potuto cacciare fuori un fiume di parole
e volevo evitare di fare la figura della logorroica, per questo mi
limitai ad alzare lo sguardo e a lasciare che mi baciasse dolcemente,
sentendo un moto di calore nei pressi dello stomaco quando vidi che
mi guardava con tenerezza prima di calarsi su di me.
-
Sapevo di volere di più da
lui, non potevo negarlo, ma volevo controllarmi e restare lucida per
poi agire quando il momento sarebbe stato un po' più opportuno,
senza rischi di eventuali e ulteriori delusioni.
-
Certo, starmene stesa su un
prato con lui che mi sovrastava non mi aiutava - quando avvertii la
sua presa su un fianco pregai internamente che continuasse con il suo
tocco gentile ma deciso - ma cercavo di fare il possibile per restare
lucida.
-
Ci guardavamo, lui un po'
stranito nel vedermi da un'altra prospettiva, io divertita e
dilettata da quel pomeriggio fuori dal comune, ma non osò spingersi
oltre se non continuando a baciarmi e a stringermi a sé.
-
L'orario di ritrovo con il
resto delle persone venne troppo velocemente e a malincuore andammo
al punto di ritrovo, dove trovammo un Saverio spazientito e non
proprio di buonumore.
-
Ritornare alla realtà in
cui non cercavo la mano di Maurizio per stringerla a me fu un po'
strano ma mi concentrai sul mio amico per distrarmi.
-
Mentre i group leader si
sforzavano di ripescare tutti i ragazzi in giro per Galway, io mi
avvicinai al coordinatore.
-
"Hai una faccia..."
sussurrai, incredula nel vederlo così.
-
Saverio accese una sigaretta
che di sicuro era una delle tante fumate quel giorno e annuì,
aspirando il fumo e poi gettandolo via con un gesto liberatorio.
-
"Quella Alba io
l'ammazzo prima del tempo, non ce la faccio, è una piaga! Non
conosce la privacy, mi ha seguito fuori al pub mentre parlavo con
Nadia, nella sua testolina bacata era divertente farmi dei video! Si
stava facendo beccare a bere birra dai ragazzi, poi parla sempre,
sempre, non ne posso più! Quelli delle risorse umane
quest'anno me l'hanno fatta grossa" sbottò, battendo un pugno
per terra per la frustrazione. "E Toni? Un pesce lesso, non
serve a nulla, guarda il vuoto, sta nel suo mondo... La dottoressa!
Oh, la cara dottoressa, probabilmente crede di essere il dottor
Nowzaradan visto che mi ha detto che bere birra e mangiare patatine a
pranzo non fa bene! Ma va, non lo sapevo, ecco a che serve la laurea
in medicina!".
-
Era paonazzo, nervoso al
massimo, tanto che per provare a calmarlo gli misi le mani sulle
spalle dato che non smetteva di muoversi in maniera forsennata.
-
"Calma. Sei stanco e
vedi tutto nero, devi calmarti, mancano ancora dieci giorni,
capisci?".
-
Mi aspettavo mille reazioni
ma non di certo quella in cui sbuffava e si allontanava senza dirmi
nulla, come se avessi detto qualcosa di insensato.
-
Alzai gli occhi al cielo e
quando mi voltai vidi Mario che mi guardava con aria comprensiva,
come a dirmi che ci aveva provato a sua volta ma la cosa non era
andata come voleva lui.
-
Non aggiunsi altro,
semplicemente mi accomodai su una panchina vuota in attesa
dell'arrivo del pullman e osservai le dinamiche del nuovo gruppo.
-
"Ma vi siete perse
ragazzeeee? Aspettate che alla prossima gita mi perdo con voi"
stava urlando Alba, felice come se avesse ricevuto una botta in testa
che le aveva cancellato tutti i pensieri negativi.
-
Scossi il capo,
immaginandola in gruppo con Luca e quel Clemente e iniziai a capire
il perché dell'esperienza negativa del mio ex.
-
Il malumore di Saverio si
trascinò anche in riunione visto che disse l'essenziale e ci congedò
subito.
-
"Non l'ho mai visto
così, dovresti parlargli" suggerì Maurizio, accigliato, mentre
eravamo sulla soglia della porta.
-
Annuii per poi sorridergli.
"Caffè da me, domani?" proposi.
-
Maurizio mi fece cenno di
guardarmi alla mia destra e notai Alba che ci guardava, per poi
fingere di essere interessata a qualche altra cosa.
-
Onestamente non me ne
fregava nulla, erano passati i tempi in cui nascondevo ciò che
provavo e pur essendo discreta non volevo sbagliare come in passato,
quindi scrollai le spalle.
-
Maurizio parve comprendere
ed annuì, facendomi un occhiolino prima di andarsene verso la sua
stanza mentre io rientravo in ufficio e fingevo di dare una mano a
sistemare dei documenti.
-
Piano piano, i fumatori
scesero in cortile per l'ultima sigaretta della giornata, Mario ci
salutò insieme a Salvatore e, a ormai mezzanotte, riuscii a restare
da sola con il mio amico che continuava a non guardarmi in faccia e
la cosa mi dava sui nervi in un modo assurdo perché il suo essere
così ostinato a non parlarmi quando eravamo ormai confidenti di
vecchia data mi turbava non poco.
-
Era di spalle, di fronte
alla vetrata che dava sulla città persa nel caos della domenica
sera.
-
"Ali, puoi andare,
buonanotte" mi congedò rapidamente.
-
"Io non vado da nessuna
parte, voglio capire che succede! Lo sai che con me puoi parlare"
gli ricordai pazientemente, avvicinandomi a lui e guardandolo
insistentemente.
-
"Che cazzo, Alice, sei
insistente! Posso avere i miei momenti no o dobbiamo per forza
giocare a fare i migliori amici sempre e comunque? Sto coordinando
questo caos da quasi venti giorni e voglio un momento da solo, in
santa pace, senza gente petulante tra i coglioni, intesi?"
esclamò, continuando ad ingnorarmi e a non guardarmi in faccia.
-
Offesa, alzai le mani,
indignata.
-
"Io non ho mai giocato,
Saverio, sono felice di sapere che tu lo stai facendo così mi
adeguo. Vaffanculo, và" sbottai, prendendo il mio zaino e la
mia felpa come una furia e uscendo dall'ufficio, arrabbiata nera per
quel comportamento maleducato e rude che non potevo giustificare.
-
Petulante, io? Petulante?
-
Corsi al piano terra con
furia per scaricare la tensione ma fu inutile, ero senza parole,
sorpresa, tanto da fermarmi vicino a Salvatore una volta arrivata in
cortile. Se ne stava da solo a fumare e quando mi notò mi fece un
cenno.
-
"Ma che è successo a
Saverio?" sbottai, ancora con il fiatone e l'ira che mi
scorrevano in corpo.
-
"Lo sa lui, sta così
da oggi..." mi rispose, scrollando le spalle. "'Sto turno
fa schifo, Alì, so 'na banda de scemi".
-
Sospirai e annuii, guardando
in lontananza i group leader che ridevano, correvano per il cortile e
quasi si menavano per chissà cosa mentre Alba commentava il tutto e
li riprendeva con il cellulare.
-
"Sei un po' scomparsa,
ultimamente" aggiunse il group leader, indagatore.
-
"Sono successe un po'
di cose" mi giustificai, evasiva.
-
Stare lì con Salvatore
aveva un effetto calmante al momento perché era il tipo di persona
che parlava genuinamente, senza falsi filtri e secondi fini.
-
"Ho visto come ti
guarda il mediatore, ma mi faccio i fatti miei".
-
"Se ci sono novità ti
racconto" promisi, senza negare ma senza nemmeno perdermi in
particolari che era poco opportuno condividere.
-
Poco dopo mi ci volle uno
sforzo enorme per andare in camera mia e non passare da Maurizio,
provai a rilassarmi con una doccia chilometrica ma non servì a molto
perché ero comunque irritata da Saverio e dal ciclo che, puntuale
come al solito, aveva deciso di presentarsi nel momento meno
opportuno.
-
Per questo, dolorante,
nervosa con i crampi che non mi davano tregua e felice solo davanti
alla prospettiva di non avere escursioni il giorno successivo, mi
misi a letto e mi addormentai all'istante, esausta.
-
Il giorno dopo alzarsi fu
un'impresa visto che avevo la schiena a pezzi, mal di pancia e mal di
testa: stavo vivendo il momento che più temevo da quando avevo visto
le date di partenza.
-
L'anno prima ero stata molto
fortunata ma stando un mese fuori quella volta ero costretta a farmi
forza e a lavorare, correndo da un posto all'altro, in una situazione
che mi rendeva instabile e anche rompiscatole.
-
Vedendomi con i pantaloni da
tuta, i capelli legati in una coda non proprio perfetta, un
gigantesco brufolo sul mento e udendo il mio "Ahia" quando
presi posto, Maurizio subito comprese.
-
"Sempre grazie ai
numerosi esempi pratici delle mie sorelle penso di sapere che
succede. Devo procurarti una borsa d'acqua calda...?" domandò,
ironico ma cercando di essere delicato come sempre.
-
"No, mi basta un caffè"
bofonchiai.
-
"Subito!".
-
Vederlo all'opera mi fece
sorridere, mi guardava mentre preparava la caffettiera e faceva un
sorrisino particolare che non gli avevo mai visto dipinto in faccia
fino a quel momento.
-
"Ecco qui"
sussurrò pochi minuti dopo, porgendomi il solito bicchiere di carta
che sostituiva le nostre amate tazzine.
-
"Grazie, mio eroe"
ironizzai.
-
"Puoi mandarmi in giro
per i vari uffici se ti va, non lo prenderò come un abuso di
potere... Vederti così mi fa male al cuore, sono abituato a vederti
schizzare per la struttura come se non facessi altro da tutta la
vita" aggiunse, accarezzandomi un braccio con premura per poi
bere il suo caffé.
-
"Spero che oggi Jimena
e Sandy siano un po' più tranquilli. Sto sognando una spa, te lo
giuro, ho il collo tutto teso" mi lamentai, ricordando le
richieste assurde dei responsabili degli altri staff di quei giorni.
-
"Posso farti un
massaggio io, se ti va, magari oggi quando i ragazzi avranno dei
laboratori".
-
Inutile dirlo, guardai
Maurizio con l'aria di chi non crede alle sue orecchie visto che la
sua proposta aveva scatenato in me immagini non proprio caste e
tranquille: eccomi, pronta ad avere le sue mani su di me, mentre
dalla schiena scendevano sempre più giù...
-
"Ho detto una
stronzata, scusami" si affrettò a dire, scuotendo il capo. "Non
sembra una proposta proprio innocente quando ci eravamo promessi
altro, non ci ho pensato".
-
Sembrava davvero
imbarazzato, la cosa era davvero divertente perché in quel momento
sembrava un ragazzino imbranato e non un adulto ventisettenne, per
questo mi sporsi verso di lui e gli accarezzai i capelli con
dolcezza, godendomi quel suo sguardo da cucciolo indifeso che tanto
mi piaceva.
-
"Se per te era
innocente ci credo, poi non è che sia proprio l'ideale cadere in
tentazione visto che ho il ciclo... Vorrei davvero un tuo massaggio,
un semplice massaggio" dichiarai.
-
Sussurravo, era un qualcosa
che mi sentivo di dire così, senza urlare, come per farlo restare il
nostro piccolo segreto e probabilmente ciò aveva un effetto su
Maurizio visto che sospirava un po' più pesantemente.
-
Stavo pensando
all'eventualità di baciarlo quando la porta si aprì di scatto e
comparve un Saverio alquanto agitato ma risoluto.
-
"Buongiorno"
esclamò, per poi puntare il dito verso il ragazzo. "Maurizio,
devo parlarti. Alice, oggi Maurizio starà con me, mi serve una mano
per Belfast, tu pensa al resto".
-
Basita, fissai quello che
credevo un mio grande amico con incredulità, senza parole.
-
"Cosa? Ora mi togli
anche il lavoro...? Posso sapere cosa ti ho fatto?" urlai, senza
riuscire a contenermi.
- "Niente,
Alice, proprio niente. Almeno tu...".
-
"Cosa?".
-
"Non ho tempo da
perdere, Maurizio, nel mio ufficio alle nove".
-
Rapido come era venuto, il
coordinatore se ne andò e ci lasciò di nuovo soli con un'atmosfera
totalmente opposta alla precedente e una scia di domande che mi
frullavano in testa e che non avevano risposta.
-
*°*°*°*
-
Buonasera!
-
Eccomi con il capitolo che
apre la parte "clou" e "finale" di questa seconda
parte.
-
Alice e Maurizio si sono
avvicinati parecchio ma Saverio inizia a comportarsi in maniera
strana. Cosa sarà successo?
-
Vi avviso che mancano
pochissimi capitoli alla fine, solo tre più epilogo.
-
Fatemi sapere le vostre
opinioni se vi va, vedo che purtoppo ci sono molti lettori silenziosi
ma sono felice di vedere i numeri dei preferiti aumentare. Grazie!
-
Eccovi qualche spoiler come
al solito:
-
La rabbia per quei giorni
di stress e solitudine si faceva sentire ed io non ne potevo più,
onestamente, perché mi ero risvegliata dopo un'apparente salto di
qualità in cui la mia vita finalmente sembrava essere meno cupa e
seriosa.
-
"Sì, sono un cafone
e anche bugiardo, ecco perché devi lasciarmi spiegare tutto".
-
-
"Non ho parlato di
amore" mi corresse, severo. "Non siamo in una fiaba, qui
esistono persone che capiscono di essere legate da qualcosa e il
resto si vedrà".
-
"Il mio "resto"
fa sempre schifo, ma non c'è problema, il problema qui non è
Maurizio, sono io che per l'ennesima volta ho pensato come una
stupida che qualcosa potesse cambiare" ribattei subito, piccata
e arrabbiata per passare sempre per quella che crede nelle favole.
-
-
"Alice, non ce la
faccio a vederti così" mormorò, sincero.
-
"Così come? Sto
bene" minimizzai.
-
-
A presto!
-
Milly.
|
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Capitolo 28 *** Days 19-24: From Belfast with bad news ***
Days 19-24: From Belfast with bad news
-
Capitolo 13
-
Days 19-24: From Belfast
with bad news
-
Senza sapere come, mi
ritrovai in una realtà dei fatti in cui Salvatore era l'unica
persona sempre presente al mio fianco, a partire dal lunedì in cui
Saverio aveva chiesto a Maurizio di andare nel suo ufficio.
-
Fu un cambiamento strano,
assurdo, che non mi piacque affatto visto che improvvisamente mi
sembrò di essere esclusa da non so quale segreto che non poteva
essermi detto da nessuno.
-
Mario stesso, in primis, mi
evitava come la peste e certe volte aveva addirittura attaccato
bottone con Alba pur di non parlarmi e la cosa ovviamente mi turbò
non poco.
-
Maurizio divenne una sorta
di fantasma sempre impegnato, a stento rispondeva ai miei messaggi e
passava la vita dietro a Saverio mentre io perdevo ore ed ore dietro
ai capricci di Jimena e Sandy rispetto al primo turno, probabilmente
a causa di qualche recensione negativa di qualche genitore.
-
Passavo le mie giornate in
ufficio, con Salvatore che veniva a trovarmi senza sapere nulla -
almeno da parte mia - della mia situazione, sembrava essere felice di
stare lì e fare due chiacchiere, probabilmente a causa del suo
iniziare ad essere davvero stanco dopo più di venti giorni di lavoro
e del suo non riuscire a tollerare elementi del nuovo staff come
quella chiacchierona instancabile di Alba.
-
Per questo, dopo una
settimana strana, in cui ero davvero paonazza e frustrata, ritrovarmi
a Belfast nella mia camera singola non fu proprio un piacere,
considerando che Alba era proprio nella camera di fronte alla mia e
potevo sentire i suoi toni soavi a qualsiasi ora.
- Parlava sempre,
continuamente, quando non lavorava mandava diecimila messaggi vocali
agli abitanti di mezzo globo terrestre e se non parlava, ovviamente,
ascoltava musica e cantava.
-
Dopo un'ora passata di
fronte a lei ero già esausta.
-
"Voi uscite, io sto qui
e mi sbrigo la questione dei biglietti del cinema per lunedì,
giusto?" chiesi telegraficamente un paio d'ore dopo l'arrivo a
Saverio, il quale stava pranzando con una calma disturbante che mi
dava ai nervi.
-
L'hotel era il solito di due
settimane prima ma di certo io non ero più la stessa, messa alla
prova dalla settimana più stramba tra tutte quelle vissute in
vacanza studio dall'anno prima.
-
Era assurdo ritrovarsi ogni
giorno a pranzo e cena con gente che non parlava e gente che diceva
stupidaggini ogni tre secondi, per non parlare della dottoressa che
aveva il cattivo vizio di ricordarti telegraficamente tutti i tuoi
pasti precedenti e darti la sua non richiesta opinione.
-
Dal canto mio, iniziavo a
fare il conto alla rovescia e non vedevo l'ora di tornare a Roma: che
senso aveva stare lì, lavorare come un mulo senza il conforto di un
gruppo di colleghi uniti, senza avere la consolazione dei miei amici
e della persona che mi interessava al momento?
-
Ovviamente, anche Nadia era
più evasiva che mai e la cosa mi dava ai nervi perché era davvero
tutto molto sospetto e non sapevo che pensare.
-
"Esatto. Ci vediamo a
cena" rispose Saverio, tornando al suo pranzo come se nulla
fosse e senza nemmeno guardarmi in faccia.
-
"Poi mi dirai cosa ti
ho fatto perché non tollero il tuo atteggiamento, davvero mi hai
deluso, è da Galway che ti comporti così" sbottai minacciosa,
prima di dargli le spalle e andarmene al mio tavolo dato che gli
altri stavano arrivando.
-
Quando presi posto notai che
Saverio se ne stava immobile, immerso in chissà quale pensieri, ed
io cercai di non lasciarmi persuadere dalla solita ondata di rabbia
che mi pervadeva ogni volta che lo provocavo per avere una risposta
che puntualmente non arrivava.
-
Per questo, scazzata,
mangiai rapidamente e me ne andai in camera a svolgere il mio lavoro,
decisa come ero a finire presto per farmi un pisolino e per
dimenticare tutto e tutti almeno momentaneamente.
-
-
"Ciao, Alice".
-
Persa nei miei pensieri
com'ero, mi parve assurdo sentire la voce di Maurizio che mi stava
salutando.
-
Mi girai di scatto eppure lo
vidi lì, alle mie spalle, avvolto dalle tenebre che travolgevano la
terrazza dell'hotel in cui mi ero rifugiata per sfuggire alle urla di
Alba mentre faceva la ronda più caciara della storia.
-
"Ciao" risposi,
voltandomi di nuovo verso il paesaggio di fronte a me e stringendomi
ulteriormente nel plaid che mi stava dando calore in quel freddo
sabato di fine luglio.
-
"Posso...?" chiese
pacatamente, avvicinandosi e indicando la parte di pavimento al mio
fianco.
-
"Se non ti fa più
schifo starmi vicino, certo" lo beffeggiai, ferita come non mai
per il suo atteggiamento.
-
Ricordare tutte le volte in
cui mi ero avvicinata a lui dopo la promessa del massaggio ed ero
stata puntualmente liquidata non era proprio confortante per me,
infatti due giorni dopo avevo smesso anche solo di provarci.
-
Sentendo la mia frecciatina
Maurizio sospirò pesantemente e, suo malgrado, mi guardò negli
occhi.
-
"Non mi potrebbe mai
fare schifo starti vicino, Alice, l'unico che qui fa schifo sono io.
Ti devo delle spiegazioni, se me lo concedi" mi supplicò,
appoggiando la mano sulla mia gamba, come per impedirmi di andare
via.
-
"No, non ti concedo
niente, come tu non mi hai concesso due chiacchiere in questi giorni.
Sei stato un vero cafone".
-
La rabbia per quei giorni di
stress e solitudine si faceva sentire ed io non ne potevo più,
onestamente, perché mi ero risvegliata dopo un apparente salto di
qualità in cui la mia vita finalmente sembrava essere meno cupa e
seriosa.
-
"Sì, sono un cafone e
anche bugiardo, ecco perché devi lasciarmi spiegare tutto".
-
Maurizio non sembrava
affatto convincente, anzi, aveva l'aria di chi è combattuto e deve
fare qualcosa solo perché deve.
-
"Se mi fai parlare
saprai anche perché Saverio è strano con te" aggiunse
pacatamente, sapendo di toccare un nervo scoperto che probabilmente
mi avrebbe fatto cambiare idea.
-
Lo fissai di sottecchi,
scettica come poche volte.
-
"E che c'entra, scusa?"
chiesi.
-
"C'entra perché lui
non vuole che tu soffra e ha scoperto una cosa che ho omesso...".
-
Il mio atteggiamento cambiò
repentinamente mentre udivo quella risposta inaspettata, tanto che mi
voltai verso di lui, incredula.
-
"Mi prendi in giro...?"
chiesi.
- Maurizio non era il tipo di ragazzo che ometteva qualcosa,
era una persona fin troppo trasparente e sincera anche se ultimamente
mi aveva ferito e non poco.
-
"No, fidati, anche se
lui crede così".
-
L'atmosfera cambiò
repentinamente, ero decisa a scoprire le ragioni che si celavano
dietro il suo comportamento e sapere che cosa era successo a Saverio,
capire il perché del suo comportamento assurdo, erano delle ragioni
sufficienti per ascoltare Maurizio.
-
"Dimmi" lo incitai
quindi, seppur mesta perché quelle parole non lasciavano presagire
nulla di buono.
-
Il mediatore sembrò colpito
da quella affermazione, mi sembrava quasi che avesse preferito un
rifiuto dato che aprire bocca gli costò molto.
-
Si avvicinò ancora di più
a me e, cautamente, mi accarezzò il viso.
-
"Non avrei mai detto di
interessarmi a qualcuno qui, in questo contesto. L'anno scorso è
stato tutto così assurdo e pieno di gente matta da legare che sono
tornato a casa felice del fatto che tutto fosse finito. Ero
tranquillo, deciso a pensare solo alle mie cose, poi sei spuntata tu.
Nella mia mente la Mediatrice Coordinatrice era una donna molto più
grande di me, magari antipatica... Mi hai colpito da quando hai
risposto male ad Amanda il primo giorno, Alice. In poche ore hai avuto
il coraggio di fare qualcosa che io non ero stato in grado di fare in
due settimane! Quando ci siamo avvicinati ero così preso da tutto
che... Beh, ho quasi messo in un cassetto il fatto di... Dover
partire per l'Argentina, per il dottorato, tra meno di un mese. Tornerò a fine gennaio".
-
Il suo racconto era stato
prima cauto, dolce, poi improvvisamente più pieno di pause ed
esitazioni.
-
Mi stringeva le mani
convulsamente, probabilmente timoroso del fatto che io potessi
alzarmi di scatto e fuggirmene all'improvviso, invece io ero lì,
immobile, incapace di emettere alcun suono.
-
Quelle parole mi avevano
colpito come un cuscino che sembra leggero come una piuma e che poi,
all'improvviso, una volta acquisita la velocità, ti colpisce così
forte da farti cadere.
-
Vedendo il mio silenzio,
continuò a parlare, un po' più animato dalla mancanza di reazioni
negative da parte mia.
-
"Mi sono fregato da
solo, con Saverio. Sai che dobbiamo consegnare i nostri curricula...
Per caso si è ritrovato a vedere il mio e ha letto che avevo già
messo l'esperienza semestrale in Argentina. Ha voluto sapere
spiegazioni e mi ha fatto una partaccia, mi ha chiamato deficiente
perché mi sono avvicinato a te pur sapendo di dover star via metà
anno e mi ha detto che avevo tempo fino a domani per parlartene,
altrimenti te lo avrebbe detto lui. Ecco perché ti stava lontano, ti
è amico e non tollera omettere delle cose...".
-
Più Maurizio parlava, più
io tacevo.
-
Avrei voluto dire tante
cose, dirgli che avrebbe dovuto parlare prima, dirmelo, non tenerselo
per sé mentre parlavamo di vederci dopo l'esperienza lavorativa...
-
"Va bene, divertiti in
Argentina" dissi semplicemente, più passiva-aggressiva che mai.
-
Gli lanciai la coperta
addosso e mi alzai, diretta con finta aria fiera verso l'uscita
perché di parlare, urlare e arrabbiarmi non ne avevo voglia, avevo
già dato fin troppo negli ultimi mesi.
-
"Alice, ti prego, dimmi
qualcosa, io voglio parlarne con te, trovare un modo...".
-
Più lui parlava, più io mi
allontanavo, sentendo una grande rabbia mista a delusione montare
dentro di me.
-
Mi imposi di non reagire e
di non farmi vedere turbata mentre scendevo ai piani inferiori,
diretta nemmeno io sapevo dove.
-
Sentivo le voci dei miei
colleghi che chiacchieravano mentre facevano la ronda in modo
ovattato, come se fossero anni luce lontani da me.
-
Eppure, la risposta del mio
vagabondare la seppi quando bussai alla stanza 212 e un Saverio come
al solito avvolto in tuta e felpa mi aprì la porta, cambiando
espressione in maniera notevole appena capì che ero io e che non
sembravo proprio allegra.
-
Non dovevo dire nulla perché
lui, vedendomi con gli occhi lucidi e l'espressione distrutta,
comprese tutto al volo e mi fece entrare rapidamente, chiudendo con
cautela la porta alle mie spalle.
-
"Perché, perché tutte
a me?" urlai, stridula, senza potermi più contenere.
-
Ero di fronte a chi mi
conosceva e mi voleva bene, oltre ad una persona che mi aveva
sostenuto sempre nei numerosi momenti negativi dell'ultimo anno.
-
Caloroso come poche volte da
quando lo conoscevo, Saverio mi guardò con comprensione e mi avvolse
a sé con le sue braccia, accarezzandomi la testa con dolcezza, come
un padre premuroso.
-
Leggevo nei suoi occhi un
velo di scuse, come se fosse anche lui colpevole di qualcosa. Aspettò
che dicessi altro ma poi, quando ciò non avvenne, si schiarì la
voce come per prepararsi a parlare.
-
"Alice, scusami,
scusami per tutto ma tenermi tutto dentro è stata dura... Fidati,
posso capire, ci sono rimasto male io appena l'ho scoperto! Doveva
dirtelo subito, dal principio, non è giusto...".
-
"Perché non posso mai
essere felice, perché? Il destino mi prende in giro, l'anno scorso
ero io quella che doveva andarsene e ora...".
-
Non riuscii a placarmi e
iniziai a singhiozzare pesantemente, ritrovandomi non so come seduta
sul letto di Saverio, stretta a lui che mi faceva da cuscino e da
roccia.
-
"Doveva dirmelo!
Doveva! Mi sarei distaccata subito, ora... E' la presa in giro che mi
urta, capisci?" mi lamentai, scossa come poche volte nella mia
vita.
-
"Lo so, lo so. Ecco
cosa gli ho detto, le stesse identiche parole e lui era
mortificato!".
-
"Mortificato un
corno...".
-
In quel momento compresi che
il nostro corpo poteva riuscire a tollerare solo una dose di
delusione ed amarezza all'anno visto che io non riuscivo più a
contenerne, sentivo una sorta di malessere che conoscevo già e la
cosa non mi piaceva perché sapevo anche come mi sarei sentita in
seguito.
-
"Era tutto troppo
tranquillo per essere normale" aggiunsi, provando a mettermi a
sedere e tirando su con il naso, dando uno spettacolo non proprio
carino. "Sono stata bene, non avevo pressioni, doveva esserci
qualche fregatura. Con quale faccia tosta parlava di eventuali uscite
a Milano!" sbottai, scuotendo il capo con rabbia.
-
Saverio mi passò un pacco
di fazzoletti che aveva sul comodino e poi esitò, con la faccia di
chi non sa bene come esprimere un pensiero.
-
"Però, Alice, non devi
vederla così. Ha sbagliato nel non dirlo ma se davvero ne vale la
pena sei mesi passano in fretta" mi fece ragionare, cauto come
poche volte da quando lo conoscevo. "Le situazioni ideali e
perfette da film non esistono, se ne vale la pena bisogna lottare".
-
"Sono stufa di lottare"
sottolineai, "Sei stato fortunato, hai aspettato solo due
settimane per rivedere Nadia, l'anno scorso. E poi non ne facciamo un
caso di stato, Maurizio è carino ma non merita altre attenzioni".
-
"Eppure ci stai di
merda, Ali. Pensaci, con calma...".
-
Mi alzai e mi avvicinai alla
finestra da cui potevo vedere un piccolo giardino e il cielo un po'
nuvoloso di quella fredda sera d'estate che mi stava segnando come
non mai, nervosa al massimo.
-
"Ha aspettato una
settimana, mi ha ignorato, cosa devo pensare?".
-
"Che preferiva non
parlarti piuttosto che deluderti. Si è confidato con me, Alice, e ti
posso assicurare che sei nei suoi pensieri come una persona
importante, non sai quante volte l'ho beccato a guardare le vostre
foto e non sai quante volte ha passato ore intere a parlarmi di te.
Si sente uno schifo e ha addiritura cercato dei voli nel mezzo dei
sei mesi per venire in Italia ma costano quanto un rene, lo sai?".
-
"Saverio... E' tutta
apparenza" mormorai, affranta. Smisi di dargli le spalle e lo
guardai a stento, intimorita dal suo sguardo su di me perché sapevo
che mi conosceva bene. "L'amore non esiste, qui, tu e Nadia
siete l'eccezione".
-
"Non ho parlato di
amore" mi corresse, severo. "Non siamo in una fiaba, qui
esistono persone che capiscono di essere legate da qualcosa e il
resto si vedrà".
-
"Il mio "resto"
fa sempre schifo, ma non c'è problema, il problema qui non è
Maurizio, sono io che per l'ennesima volta ho pensato come una
stupida che qualcosa potesse cambiare" ribattei subito, piccata
e arrabbiata per passare sempre per quella che crede nelle favole.
-
Paziente come poche volte lo
era stato, Saverio mi si avvicinò, posando una mano sulla mia
spalla, senza distogliere lo sguardo dal mio.
-
"Ora ti devi calmare,
Alice, sono sicuro che a breve potrai avere una prospettiva sulla
questione. Capisci perché mi sono comportato così? Pensa se vi
foste comportati normalmente, il peso di un'altra settimana passata
in sintonia sarebbe stato asfissiante".
-
Annuii, mesta.
-
"Penso che andrò in
camera mia e ti prego, dì ad Alba di fare la ronda lontano dalla mia
camera che è insopportabile" sbottai, esausta.
-
Saverio annuii e mi
accompagnò alla porta, riabbracciandomi ancora una volta. "Nadia
è stata silenziosa a causa mia, scusaci" soffiò nel mio
orecchio, accarezzando una spalla.
-
Feci un gesto indecifrabile
e lo strinsi a mia volta prima di uscire e provare a sorridergli,
seppur con poco successo.
-
Optai per le scale, dovevo
scendere solo due piani, immersa nei miei pensieri com'ero a stento
notai che fuori la mia porta, seduto come se stesse facendo
l'elemosina, c'era proprio Maurizio.
-
Sbuffai sonoramente e alzai
gli occhi al cielo, sentendo che non ero pronta ad avere una
discussione in quel momento così funesto per me.
-
Aveva i capelli un po'
appiattiti, probabilmente a causa dell'umidità che c'era fuori al
terrazzo, lo sguardo dispiaciuto e l'aria di chi farebbe di tutto pur
di farsi perdonare.
-
"Alice, per favore,
parliamone" mi implorò, alzandosi appena mi vide all'ingresso
del corridoio e correndomi incontro con urgenza, come se da ciò
dipendesse l'esito della sua vita.
-
"Non c'è niente da
dire, Maurizio" risposi.
-
Mi avvicinai alla porta e
presi la tessera per entrare ma lui, come se nulla fosse, mi strinse
a sé afferrandomi la vita da dietro mentre io per tutta risposta lo
strattonavo e mi allontanavo.
-
"Senti, non è successo
niente, non è che devi giurarmi fedeltà eterna per due bacetti, vai
in Argentina e fai le tue cose come io le farò a Milano, tutto qui"
lo sminuii, aprendo la porta e sorpassando la soglia rapidamente. "Ti
auguro una buona notte, ora sì che puoi fare sogni tranquilli".
-
Senza premurarmi di essere
carina o gentile gli sbattei la porta in faccia e mi affrettai a
correre sotto la doccia per non avere tentazioni e riaprirla per
provare a sentire le sue ragioni.
-
In quel momento volevo
sentire solo le mie ragioni e volevo avere il diritto di
sentirmi triste senza avere nessuno tra le scatole.
-
-
"Troppo figa la ronda
stanotte, ho pescato due che stavano per entrare nella camera di due
ragazze, io mi sono nascosta e quando quelle hanno aperto la porta ho
urlato "Boom!" , capite? Che sfizio, raga, che sfizio!".
-
La tentazione di zittire
Alba gettandole del thé caldo addosso era molto forte visto che
continuavo a non essere di buonumore e avevo un mal di testa
pazzesco, anche se per fortuna il solo scambiare uno sguardo con il
povero Salvatore che non ne poteva più mi diede un pizzico di
buonumore.
-
"Alba, e te stai zitta?
So' undici giorni che non chiudi quella bocca, della tua ronda non ce
ne frega un cazzo, io ieri ho stoppato un festino in piena regola ma
mica ve lo vengo a dì! So' le sette e trenta di domenica mattina,
abbi pietà di noi!" esclamò, non potendone più, quando la
ragazza iniziò a fare un vero e proprio elenco dei momenti
indimenticabili - secondo il suo giudizio - della sera prima.
-
"Oh, ma che cazzo dici?
Io parlerò tanto, ma tu non parli proprio" si difese Alba,
alzando ulteriormente il tono in un modo da far quasi impallidire i
presenti.
-
"Quindi se parlo ora un
motivo ce sarà!".
-
"Ragazzi, calma,
calma!".
-
Saverio intervenne,
incredulo per quel battibecco, anche se evidentemente gli costava
molto stare in una zona neutrale e non schierarsi con Salvatore.
-
"Rispetto, e che
diamine!" esclamò, in un modo così teatrale che mi rese
impossibile essere seria, tanto che mi alzai e mi finsi interessata a
chissà cosa per non far vedere che stavo ridacchiando.
-
"Alice, a proposito,
vieni qui" mi richiamò all'attenzione Saverio, con un tono
totalmente diverso da quello appena usato.
-
"Sì?" chiesi.
-
"Solita storia, non mi
fido molto di Toni quindi, per favore, puoi restare qui e sbrigare
delle faccende burocratiche per me? Sai quante scartoffie ci sono
alla fine di ogni turno e sono con l'acqua alla gola, siamo indietro
con i verbali delle riunioni, dovresti prendere quelli delle
settimane scorse e adattarli ai contenuti attuali, che dici?".
-
Sembrava nervoso all'idea di
chiedermi ciò ma non capiva che mi faceva un favore visto che così
facendo potevo starmene per conto mio senza rompiscatole tra i piedi.
-
"No problem, inizio
subito!" esclamai, allettata dall'idea di finire presto e avere
qualche oretta di sonno da fare prima della partenza.
-
"Sei un angelo, Alice"
rispose lui, più gentile del dovuto, tanto da sorridermi.
-
Lo sapevo perché lo faceva
ma la cosa non mi aiutava visto che sentirmi compatita era ancora
peggio che essere indifferente, ma cercai di non badarci.
-
-
Alle undici e trenta avevo
finito di sistemare i documenti e mi ero dedicata alla solita doccia
super calda e rilassante con tanto di karaoke pazzo e sfrenato,
solita cosa che tendevo a fare quando stavo affrontando un momento
no.
-
Ebbi a stento il tempo di
vestirmi che sentii qualcuno alla porta bussare e dire "Room
Service!".
-
Sorpresa, aprii la porta e
mi ritrovai Maurizio di fronte che sorrideva, imbarazzato, mentre
reggeva una rosa in mia direzione.
-
"Le rose non si
mangiano, al mio paese, e nemmeno a Belfast. Si mettono in bocca in
Argentina per ballare il tango, al massimo" lo apostrofai,
decisissima a chiudergli la porta in faccia.
-
Era rimasto anche lui in
hotel? Possibile ?
-
Come se mi avesse letto nel
pensiero scosse il capo, ostinandosi a sorridere.
-
"Ho appena finito,
eravamo in centro e Saverio mi ha autorizzato a tornare prima. Alice,
per favore, fammi entrare" mi supplicò. Aveva sorriso per la
mia frecciatina con l'aria di chi sa di essere nel torto e vuole fare
di tutto per rimediare.
-
Mise un piede tra la porta e
lo stipite per impedirmi di chiuderla e fece un balzo in avanti per
entrare per poi porgermi la rosa.
-
"Non era meditato,
giuro. L'ho vista in un giardino e l'ho presa, mi sono anche punto,
su, solo per questo dovresti accettarla!" spiegò, guardandomi
con quelli che definirei occhi da cucciolo indifeso.
-
Sbuffai, presi la rosa e lo
guardai con aria di presa in giro.
-
"Soddisfatto?".
-
"No, certo che no. Sai
da quanto tempo sono diviso tra due fuochi?" domandò retorico,
incrociando le braccia e fissandomi con aria seria.
-
"Non mi interessa!"
risposi.
-
"Ti interessa perché
ti prendi la briga di allontanarti da me per dimostrarmi qualcosa,
non sei indifferente nei confronti di questa situazione, Alice".
-
"Non sono indifferente
alle prese in giro, sì, mi urtano non poco" ribattei,
puntandogli l'indice contro a mia volta con aria seria, fin troppa,
onestamente.
-
Cosa voleva fare? Chiedere
ancora scusa? A che pro? Le sue scuse non mi servivano a nulla, con
le sue scuse non ci avrei fatto nulla di concreto per andare avanti
nella mia vita.
-
"Non è una presa in
giro" si difese, sospirando. "Una presa in giro prevede
meditazione, organizzazione... Io non ho previsto di essere preso da
te, Alice, eppure è successo. Un giorno andava tutto bene, l'altro
mi sono ritrovato a difendere una sconosciuta senza nemmeno sapere
perché, una sconosciuta che dopo cinque giorni ha finalmente deciso
di sorridere, gettare la maschera di persona incazzata col mondo e
mostrarmi tutta la sua bellezza nell'attuare piani che avrebbero
avuto luogo tra Dublino e Milano. Mi hai conquistato, ho fatto il
possibile per fare l'indifferente ma non ce l'ho fatta! Io... Mi hai
preso alla sprovvista! Non era meditato, nella mia testa dovevo
venire qui, lavorare, tornare a casa, fare i bagagli e ripartire!
Tutto doveva andare secondi piani, capisci? Io adoro pianificare
tutto, lo ricordi? Sono quello che ti tiene in ordine il planner!
Eppure a causa tua ho dimenticato di inserire una riunione, una
volta, ed ora sta succedendo la stessa cosa nella mia vita... Tu sei
quella riunione che non ho inserito in agenda ma a cui non posso
mancare!".
-
Parlando, si avvicinò a me
e mi prese il volto tra le mani con forza e decisione, in un modo che
non gli avevo mai visto usare prima d'ora.
-
Per me lui era pacato,
misurato nei gesti, deciso in modo razionale, non era il tipo che fa
una cosa perché vuole e lo ha deciso sul momento, quindi quel gesto
mi sorprese non poco ma mi riportò al tempo stesso indietro di una
settimana, a quando ci eravamo ritrovati a stretto contatto per
l'ultima volta.
-
Mi baciò con trasporto,
continuando a stringere il mio volto tra le mani come per impedirmi
di fuggire via, cosa che non avevo intenzione di fare in nessun modo:
tutta la mia decisione era scomparsa nel momento in cui aveva
parlato, anche se mi sentivo una stupida che si lascia rabbonire
dalle prime parole carine che un ragazzo le dice.
-
Ero stata stupida e cieca
per mesi, che senso aveva quel minuto in più?
-
Lo strinsi a me mentre
lasciavo che approfondisse il bacio, accarezzandomi il volto e
facendomi trovare seduta sul letto.
-
Si chinò su di me e quando
si separò mi abbracciò con slancio, respirando profondamente tra i
miei capelli.
-
"Io non sono come mi
vedi" sussurrò al mio orecchio, con un tono quasi risentito.
-
Non dissi nulla, mi limitai
a guardarlo con aria interrogativa.
-
"Io sono... Sono
abituato a pensare solo per me, ad agire per il mio bene, vivo da
solo da quando ho iniziato l'univeristà, pensare solo a me mi fa
comodo e quando ho saputo dell'Argentina sono stato al settimo cielo,
tanto i miei sono abituati ad avermi lontano e non avevo altre
persone a cui pensare. Ora... Ora sento che partirò con un peso
sullo stomaco" rivelò, passandosi una mano tra i capelli e
sedendosi al mio fianco.
-
"Nessun peso, Maurizio,
davvero... Usciremo da qui e in breve avremo rimosso come ci sentiamo
ora, questo è l'effetto vacanza-studio, lo stesso che capita
ai ragazzi che sono qui con noi".
-
Non ci credevo, onestamente,
ma volevo fare la parte della dura che sa gestire la situazione.
-
"Non abbiamo sedici
anni, Alice. Io so che vale la pena vederci, frequentarci...".
-
"Come Saverio e Nadia?"
lo presi in giro, scuotendo il capo.
-
"Certo!".
-
"Ma per favore!".
-
Mi misi il capo tra le mani,
esausta da tutte quelle parole che non ci avrebbero condotto da
nessuna parte.
-
Il pensiero di paragonarci a
Nadia e Saverio era assurdo e ci tenevo a specificarlo: era assurdo
perché nessuno poteva eguagliarli, nessuno aveva lo spirito di
sacrificio che avevano avuto loro e, soprattutto, nella mia visione
dei fatti un amore così era davvero raro e io non mi sentivo di
avere quella fortuna nel trovarne e viverne uno simile.
-
"Non voglio lasciarti
andare" mi supplicò, accarezzandomi una ciocca di capelli con
dolcezza.
-
"Io voglio qualcuno che
sia presente, Maurizio, non voglio vivere di nuovo l'incubo di essere
distante...".
-
"La lontananza è una
cosa, Alice, la distanza ne è un'altra. Io sento che pur stando in
un altro continente continuerei a sentirti vicina. Sei mesi passano
in fretta, davvero, restiamo in contatto, proviamoci... Non ci costa
nulla".
-
Scossi il capo, non convinta
da quelle parole seppur così dolci. Dire una cosa era diverso dal
metterlo in pratica ed io ero davvero spaventata dal fidarmi di
qualcuno che a breve avrebbe vissuto altre avventure e nel giro di
poco sarebbe scomparso.
-
Sarebbe stato umiliante, non
volevo sentirmi di nuovo come l'eroina che ci prova e poi resta a
mani vuote e con la testa piena di pensieri e problemi.
-
"Mi costa. Sei tanto
dolce ma... Non lo so, forse sto dando troppa importanza a tutto come
al solito, solo che davvero sono stata bene con te pur conoscendoti
poco e temo di restare a fissare il telefono in attesa di una
videochiamata che non arriverà mai" ammisi, non trovando il
coraggio di guardarlo negli occhi.
-
Maurizio si lasciò scappare
un sorrisino ironico e mi prese una mano tra le sue.
-
"Alice, parli come se
qui a metterti in gioco fossi solo tu. Perché? Può succedere anche
a te di tornare a Milano e trovarti qualcuno, qui non rischi solo tu,
eppure io sto decidendo comunque di continuare ciò che c'è tra noi,
credo valga di più di tutte le mie paranoie. Se non va, non va, ma
se per sei mesi riusciamo a non perderci... Sai che vittoria?".
-
"Maurizio...".
-
"Se poi non ti va e hai
solo scuse non c'è nessun problema, basta dirlo" tagliò corto,
probabilmente deluso dal mio continuare ad obiettare.
-
"Mi andrebbe così
tanto che ho paura a morte di farlo, capisci?" piagnucolai,
scuotendo il capo in maniera disperata.
-
Lui mi strinse a sé, mi
accarezzò le spalle e poi mi guardò un'ultima volta.
-
"Questa frase ti ha
tradito, Alice. Pensaci, non voglio riempirti la testa di parole.
Vado a fare i bagagli".
-
Così tranquillo come era
venuto, il mediatore uscì dalla mia stanza rifilandomi un'ultima
occhiata e poi se ne andò, lasciandomi in un totale senso di vuoto
che non sapevo spiegarmi.
-
-
Ebbi la sensazione di star
vivendo una giornata lunghissima quando mi ritrovai alla serata
karaoke, una volta ritornati a Dublino.
-
Per fortuna non vi avevo
preso parte e nessuno mi aveva rotto le scatole affinché cambiassi
idea, anche perché già vedere Alba e Toni che cantavano insieme
"Anima mia" sul palco mi sembrava una punizione
sufficiente.
-
Mi trascinai fino alla zona
della sala in cui c'erano i divanetti per provare a stare più comoda
quando vidi Saverio raggiungermi con aria seria.
-
Reggeva un bicchiere di
aranciata, me lo porse con gentilezza e si lasciò scappare un
sorriso che onestamente mi lasciò un po' interdetta.
-
"Alice, non ce la
faccio a vederti così" mormorò, sincero.
-
"Così come? Sto bene"
minimizzai.
-
Scosse il capo e si torturò
le mani per qualche secondo, poi parlò con il tono di chi sa di cosa
sta parlando e vuole farlo con estrema cautela.
-
"Quello che hai
scoperto non deve frenarti. Passa questi quattro giorni con lui e
alla fine decidi, trattenerti non serve a nulla, ci stai male
comunque. Ti prego, fallo per te, azzera tutto e non confrontare
queste settimane con quelle dell'anno scorso!" esclamò,
accarezzandomi un braccio con fare fraterno.
-
Forse ero davvero esausta,
forse ero davvero arrivata al limite o forse ero davvero stufa di
impormi un copione da seguire, fatto sta che sospirai e guardai
avanti, in direzione di Maurizio che ascoltava le canzoni e batteva
le mani a ritmo di musica mentre ridacchiava con Mario.
-
"Penso spesso a come
sarebbe lasciarmi andare con lui. Mi chiedo che tipo è, se è
passionale, se è dolce, se avremmo chimica, o anche solo
semplicemente come sarebbe starmene stretta a lui per un tempo
infinito, mentre fuori sorge l'alba... E' sempre controllato, non so
che pensare".
-
"Sembra tu stia
parlando di te. Siete simili... Osa tu e vedi che ti seguirà, fidati
di me. Cos'hai da perdere?".
-
Il fatto di riuscire a
parlare così tranquillamente con Saverio era indice della grande
confidenza che avevamo raggiunto e la cosa mi tranquillizzava come
non mai.
-
Ero così insicura a tal
punto da avere bisogno del consenso altrui?
-
"Io già così penso
molto a lui, figuriamoci se la cosa dovesse svilupparsi...".
-
"Pensi comunque molto,
Ali, tanto vale pensarci per qualcosa degno di nota".
-
Guardai Saverio di sbieco e
lui alzò i pollici come per approvare, cosa che mi fece ridere non
poco.
-
"Che turno di merda,
Savé" dissi infine per cambiare argomento, vedendo la
dottoressa che duettava con Salvatore.
-
"Puoi dirlo forte!".
-
La serata continuò per
un'altra oretta, poi ci trascinammo tutti in sala riunioni per un
breve resoconto della giornata successiva.
-
Lottai contro me stessa ma
non riuscii a non essere gentile e premurosa con Maurizio, arrivando
al punto di servirgli dei biscotti e, mentre nessuno ci guardava,
appoggiandogli una mano sulla gamba. In quel momento lui sussultò
leggermente prima di guardarmi, sorpreso e sorridente, con l'aria di
chi non crede ai suoi occhi.
-
Parlare con Saverio mi aveva
fatto immaginare delle possibilità che, presa dall'ira, avevo
escluso a priori, ma ventiquattro ore dopo la rivelazione del segreto
dell'Argentina mi sentivo già un po' più leggera.
-
A fine riunione mi sentii
improvvisamente euforica e il fatto che Maurizio avesse preso la mia
mano tra le sue di nascosto mentre tutti firmavano il verbale mi
aiutò ad essere più sciolta.
-
"Andiamo, devo darti il
planner" dissi con finta aria disinvolta e, senza lasciare la
sua mano, lo trascinai verso l'ascensore.
-
Lui era evidentemente
sorpreso, tanto da guardarmi con gli occhi spalancati e un'aria da
pesce lesso che non gli donava affatto.
-
Durante tutto il percorso
continuammo a mantenerci per mano come due bambini che stanno
scoprendo qualcosa insieme per la prima volta, era una sensazione che
mi faceva sentire viva, gioiosa, tutto il contrario delle ore
successive.
-
Era forse un bene smettere
di pensare, certe volte?
-
Quando mi apprestai ad
aprire la porta della stanza, Maurizio mi abbracciò da dietro e mi
strinse a sé. "Posso sapere che ti è successo?" chiese,
tra il curioso e il divertito.
-
"Io e te pensiamo
sempre... Per una volta siamo noi stessi, senza paranoie, senza
casini, vediamo come va" proposi, euforica, già confortata
dalle sue mani che si insinuavano sotto la mia maglietta.
-
Potevo sentire il suo
livello di attenzione nei confronti del mondo esterno calare per
concentrarsi solo su di me, su di noi.
-
"Va bene. Sarà bello
non pensare insieme" mormorò.
-
Aprii la porta della camera
e, contro ogni aspettativa, restammo imbambolati uno di fronte
all'altro prima di ridacchiare e baciarci con slancio.
-
Forse, per la prima vera
volta da quando ci conoscevamo, eravamo davvero noi, senza barriere,
senza imposizioni.
-
Mentre avvertivo Maurizio
baciarmi e stringermi a sé con sempre più slancio, tanto da far
attaccare il mio viso al suo in un modo asimmetrico, io giocavo con i
suoi ricci e toccavo le sue spalle larghe, forse il primo vero
dettaglio che avevo notato di lui.
-
Non ci eravamo mai spinti
oltre una semplice pomiciata adolescenziale e quella novità del
potersi sentire tranquilli e indisturbati ci faceva sentire euforici
come non mai.
-
"Spogliami"
ordinai, bisognosa di sentirlo su di me e di esplorare il suo corpo.
-
"Alice..."
sospirò, con un tono affannato ma che non presagiva nulla di buono.
-
"Che c'è?"
chiesi, quasi disturbata da una affermazione che non fosse "Subito,
certo, ora!".
-
Lui si bloccò e mi guardò
negli occhi, mortificato.
-
"Non ho preservativi
con me" sbuffò, infastidito dalla sua dimenticanza in una
situazione così cruciale.
-
Davanti a quell'affermazione
mi sentii stupida nello starmene lì, pronta, provocatoria, con le
gambe attorcigliate al suo busto e l'interno coscia che già pulsava
al pensiero di averlo a breve dentro di me, bello, possente, magari
per un po' di tempo , magari – nei miei sogni – fino allo
sfinimento.
-
"Ok, nemmeno io..."
sospirai, delusa.
-
"Posso andare in
farmacia , faccio subito...".
-
"No, no, onestamente è
tardi e per quando vai e torni l'atmosfera non sarà la stessa. Fa
nulla" provai a minimizzare, sentendomi un po' ipocrita.
-
Avevo davvero voglia di
stare lì con lui ma evidentemente non era destino.
-
"Però posso sfruttare
comunque l'atmosfera se per te va bene...".
-
Sembrava deciso a rimediare
alla sua mancanza e la cosa mi sorprese: mi attirò di nuovo a sé,
baciandomi con maestria, per poi accarezzarmi una caviglia, risalire
fino alla coscia e andare verso l'interno di essa.
-
Mi accarezzò in quella zona
e mi fissò, esitante, come a chiedermi il consenso; quando compresi
le sue intenzioni spalancai gli occhi e mi ritrassi, forse a causa
della magia che era scomparsa per quel piccolo dettaglio che mi aveva
detto.
-
"Dai, direi che non era
destino" sussurrai, ritraendomi con cautela.
-
"Sono uno stupido...".
-
Sorrisi dolcemente e gli
accarezzai il volto, scuotendo il capo con decisione.
-
"No, in un certo senso
è dolce, se non ne hai significa che non credevi di averne bisogno,
in effetti sono stata io quella irruenta che ti ha trascinato qui"
gli ricordai.
-
"Ma non c'entra, ho
comunque fatto la figura del quindicenne di turno che...".
-
"Shhh".
-
Murizio sembrava davvero
preso per quella sorta di mancanza che aveva pregiudicato la nostra
sera ed io ero decisa a calmarlo perché non ne aveva nessuna colpa.
-
Lo strinsi a me e lasciai
che ricambiasse la stretta con dolcezza.
-
"Mi basta dormire
abbracciati, ti va?" proposi.
-
"Non che sia lo stesso,
eh...".
-
"Scemo!".
-
Gli gettai addosso un
cuscino ma, stanchi come eravamo, davvero ci ritrovammo stesi l'uno
al fianco dell'altra, questa volta stretti e non a distanza come due
settimane prima a Belfast.
-
"Ho già un
meraviglioso ricordo dell'Irlanda, Ali, ed è grazie a te"
mormorò, abbracciandomi da dietro e posando un bacio sulla spalla.
-
"Io vorrei avere anche
un bel ricordo di Milano, grazie a te..." ammisi, senza filtri.
-
"Avremo anche quello,
ne sono sicuro".
-
Cullati dalle incertezze ci
addormentammo nel giro di poco, speranzosi come poche volte nelle
nostre vite.
-
-
*°*°*°*
-
Capitolo nuovo, intrecci
nuovi, scoperte nuove.
-
Salve a tutti!
-
Come state?
-
Io cerco sempre di
sopravvivere ai mille impegni quotidiani ma non dimentico mai di
tornare qui e aggiornare questa storia.
-
Siamo davvero agli sgoccioli
e ogni capitolo porta con sé novità che pregiudicano gli equilibri.
-
Maurizio rivela il segreto
che lo ha portato ad essere distante e Saverio è sempre più
mamma-chioccia nei confronti di Alice.
-
Cosa ne pensate?
-
Io mi sforzo sempre di
rendere il tutto "verosimile" , il comportamento di Alice
in primis, quindi mi chiedo sempre cosa ne pensate.
-
Fatemi sapere :D
-
Come sempre ecco qualche
spoiler:
-
"Sì ma perché
sembravi pronta, evidentemente non lo sei. Non far sì che Maurizio
paghi le conseguenze di ciò che ha fatto Luca, lui merita di
conoscerti per quella che sei davvero" spiegò saggiamente.
-
"E chi sono io,
davvero?" chiesi esasperata, fissando il vuoto come in attesa di
trovare una risposta.
-
-
"Stasera niente
sfighe" lo ammonii, ridacchiando, mentre premevo il pulsante
dell'ascensore.
-
-
"Sai"
sussurrò, "Forse mi trasferisco anche io a Milano... Il lavoro
a Napoli nell'agenzia di animazione non fa più per me, è cambiato
il dirigente e ho un contratto schifoso".
-
-
A presto!
-
Milly.
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Capitolo 29 *** Days 25-26: Wind of change ***
Days 25-26: Wind of change
-
Capitolo 14
-
Days 25-26: Wind of
change
-
Quando riaprii gli occhi
avvertii un respiro regolare ma intenso al mio fianco, mi girai e
vidi un Maurizio alquanto angelico che dormiva beato mentre mi
stringeva a sé con un braccio.
-
Come me, doveva essere
stanco morto, tanto da emanare suoni che quasi sfioravano il russare
e in cuor mio mi chiesi se anche io fossi risultata così molesta
dato che mi era stato detto che quando ero davvero stanca russavo.
-
Lentamente, mi scostai dalla
sua presa e mi misi a sedere, osservandolo: era bello, non di quel
tipo di bellezza innaturale e artificiosa, era umano, vero, con i
suoi piccoli difetti che ai miei occhi, però, scomparivano.
-
Era stato gentile, non mi
aveva forzato a rischiare in mancanza di precauzioni e mi aveva
assecondato.
-
Un dubbio, uno di quelli
assordanti e stupidi che ti prendono quando sei ancora tra la veglia
e il sonno, mi assalì: forse non gli piacevo abbastanza? Era sempre
troppo pacato, spesso dovevo incitarlo io, non prendeva mai
l'iniziativa...
-
Certo, una volta incentivato
partecipava eccome, solo che il dover essere sempre la prima a fare
la prima mossa mi faceva pensare che forse non era chissà quanto
attratto da me.
-
Presa com'ero da questi
pensieri, nemmeno mi accorsi del suo risveglio.
-
Erano le sette meno un
quarto ed entrambi sembravamo soggetti ad una ormai sveglia naturale
che anticipava quella reale e fastidiosa che ci obbligava ad alzarci
tutte le mattine.
-
"Buongiorno. Siamo
pensierose, stamattina?" domandò, sporgendosi verso di me e
lasciandomi un bacio sulla guancia.
-
Quel particolare così
bambinesco fu il dettaglio che misto alla stanchezza e alla mancanza
di caffeina mi fece scattare su come una bambina rabbiosa che non ha
ottenuto ciò che sperava per Natale.
-
Mi scostai sotto il suo
sguardo incredulo.
-
"Ho sbagliato
qualcosa?" chiese, senza capire.
-
Mi alzai, legai i capelli in
uno chignon disordinato e soffiai come un gatto annoiato mentre
aprivo la finestra, salvo poi pentirmene visto i gabbiani che
rompevano le scatole, fastidiosissimi, con i loro versi.
-
"Ci stavo pensando,
Maurizio... Sei sempre molto carino e gentile ma a volte ho
l'impressione che... Che tu non mi voglia abbastanza. Siamo qui
perché ieri ti ci ho trascinato io, ci siamo baciati perché ti ho
quasi sfidato con una frase, sei stato in grado di starmi lontano una
settimana pur di mantenere il tuo segreto. Mi conosci da solo poco
più di tre settimane ma, insomma, mi sembra inutile fare grandi
discorsi quando evidentemente non ti attraggo più di tanto"
dissi tutto d'un fiato, senza pentirmi di nemmeno una sillaba.
-
Mi mancava essere
corteggiata a dovere, sentirmi voluta, stuzzicata...
-
Ascoltando il mio discorso
la faccia di Maurizio cambiò repentinamente, passò dall'incredulità
al sarcasmo in una frazione di pochi secondi, poi si alzò a sua
volta e, rapidamente, si infilò le scarpe.
-
Una volta finito mi venne
vicino e mi puntò l'indice contro, arrabbiato.
-
"Ma come ti devo
prendere? All'inizio sono stato insistente, per farti mezzo
complimento al bar te ne sei fuggita in bagno! Da lì ho capito che
evidentemente così facendo ti avrei oppresso e sono stato più
cauto! E nemmeno ti va bene?" sbottò, senza parole, portandosi
una mano alla testa. "E' normale che così facendo attiri solo
stronzi che ti mettono le corna!".
-
Prese rapidamente i pochi
effetti personali che aveva in quella stanza e uscì sbattendo la
porta, lasciandomi lì, senza parole, con l'aria di chi si sente
un'emerita idiota.
-
-
Cosa mi era preso?
-
Mi sentivo come la persona
che, di fronte alla possibilità di essere felice seppur per poco,
manda tutto all'aria per la paura di ciò che l'aspetta.
-
Mi stavo forse
autosabotando?
-
Trovai la risposta nel mio
mentore nonché fidato amico quando ci incontrammo per il solito
appuntamento pre colazione con il caffé.
-
"Terzultimo caffé
insieme prima di colazione, ci credi?" domandò, evidentemente
per rompere il mio silenzio.
-
Sapevo di non avere una
bella cera, dei capelli orribili e delle occhiaie bluastre ma non
c'era molto che potessi fare al riguardo, inquieta com'ero.
-
"No, questo mese è
volato" risposi, mentre rigiravo lo zucchero nel caffé per la
millesima volta.
-
"Sì, ne sono successe
di cose. Ora che abbiamo fatto delle chiacchiere circonstanziali,
puoi dirmi gentilmente che ti è successo? Non è andata bene ieri
sera...?".
-
Cercava di celarlo, ma era
curioso , tanto curioso, a tal punto di avvicinarsi a me.
-
"No" sussurrai,
seppur felice di poterne parlare con qualcuno.
-
"Come no? Insomma, vi
ho visto, ve ne siete andati subito, quasi correndo...".
-
"Ci mancava la materia
prima" riassunsi, massaggiandomi una tempia.
-
Saverio, che non poteva
sapere a cosa mi riferivo, sgranò gli occhi e si tappò la bocca con
le mani, incredulo e con aria alquanto ilare.
-
"Ma come! Scherzi?
Cioè, quanti anni ha,ventisette, ventotto...? Se inizia così, a
quaranta come fa? Deve riempirsi di pilloline blu?!" chiese,
senza parole. "Però, ehi, meglio così, voglio dire, almeno lo
hai scoperto subito, poi...".
-
"Saverio ma che hai
capito!" lo interruppi, facendo un cenno negativo con la testa,
disperata per il suo subito pensare a male.
-
"Come che ho capito? Tu
hai detto...".
-
"Intendevo che non
avevamo i preservativi. Ti posso assicurare che dopo pochi minuti di
azione lui era più che pronto ad... Agire. E ora abbiamo litigato"
spiegai, affranta.
-
"E ci credo! Avete
perso una sera solo per una dimenticanza, potevi venire da me".
-
"Ma anche no, tesoro"
lo scimmiottai, imbarazzata al solo pensiero. "E non abbiamo
litigato per questo. Stamattina l'ho accusato di... Corteggiarmi
poco, di essere sempre pronto a far sì che sia io a fare la prima
mossa e lui mi ha ricordato che io sono stata la prima a fuggire
quando ha provato a essere carino, quindi ha cambiato registro per
paura di forzarmi" ammisi.
-
Più ne parlavo, più
realizzavo di essere stata una cretina nel pretendere un certo
comportamento da chi in primis conoscevo da poco e che poi già si
era dimostrato gentile con me ed era poi stato respinto.
-
Come al solito in quelle
situazioni di confidenze a tu per tu, il mio amico mi guardò e
scrollò le spalle.
-
"Non sei ancora pronta,
ecco la verità. Venticinque giorni fa ti struggevi per il tuo ex,
ora hai trovato una persona interessante ma magari senza volerlo
applichi ancora un vecchio schema in cui lo confronti con chi fa
parte del tuo passato. Tu e Luca siete stati rapidi nel conoscervi in
tutto e per tutto, e guarda caso, ora rimproveri a Maurizio una sorta
di lentezza che dopo tre settimane vi ha condotto a piccoli
risultati. Lui non è Luca, Ali, e andarci piano non può che farti
bene se stai ancora così. Forse è meglio che non sia successo
nulla" rifletté, cauto, lasciandomi decisamente perplessa.
-
"Ma se ieri mi
incoraggiavi..." obiettai, finendo di bere il mio espresso e
gettando il bicchiere di carta nel contenitore apposito.
-
In quel momento un parere
esterno era fondamentale per me e averne uno ballerino che cambiava
idea ogni tre secondi non era l'ideale.
-
"Sì ma perché
sembravi pronta, evidentemente non lo sei. Non far sì che Maurizio
paghi le conseguenze di ciò che ha fatto Luca, lui merita di
conoscerti per quella che sei davvero" spiegò saggiamente.
-
"E chi sono io,
davvero?" chiesi esasperata, fissando il vuoto come in attesa di
trovare una risposta.
-
"Sei una persona che
può dare tanto amore nelle condizioni giuste. Ora sei così, troppo
presa dal modo in cui ti hanno trattato per renderti conto che chi ti
sta vicino non lo fa con cattive intenzioni".
-
Incrociai le braccia e non
dissi nulla, troppo presa dal provare a capire il garbuglio di
emozioni che avevo dentro di me.
-
-
Quel lunedì fu fatale per i
miei nervi ormai fin troppo presi dalle mille riunioni con Sandy e
Jimena come capi del dipartimento di mediazione straniero, tanto che
arrivai a ora di cena con una voglia matta di piangere in uno
stanzino, al buio, senza farmi vedere da nessuno.
-
I group leader e il team
leader non potevano capirmi essendo lì da solo dieci giorni ma io
davvero sentivo il peso, la stanchezza e l'esaurimento di venticinque
giorni passati a svegliarmi presto, andare a letto tardi, essere
sempre attiva e attenta alle esigenze di due gruppi diversi – tre,
se aggiungiamo che il team spagnolo e quello irlandese avevano le
loro divergenze – e fare la parte della collaboratrice sempre
sorridente e disponibile.
-
Avevo esaurito tutti i "No
te preocupes" e i "Don't worry" che avevo a
disposizione e non sapevo più come reggere anche se mancavano solo
due giorni e mezzo.
-
Per fortuna la serata cinema
venne in mio soccorso: non c'era bisogno del mio aiuto, così Saverio
mi autorizzò a non partecipare alla visione del film e a starmene
per i fatti miei per quel paio di orette.
-
Vidi con la coda dell'occhio
Maurizio entrare nella sala dove avrebbero proiettato Gli
Incredibili 2 e scrollai le spalle, memore della giornata che
aveva passato a lavorare evitandomi, arrivando a passare del tempo
con Mario con la scusa di aiutarlo con il video di addio.
-
Non eravamo molto lontani
dal Liffey, così mi incamminai per ammirare la parte di Dublino che
mi aveva accompagnato in quel viaggio sin dall'inizio e che non mi
avrebbe mai abbandonata, almeno nei miei ricordi.
-
Senza riuscire a
controllarmi, ripensai allo stato d'animo in cui ero all'inizio di
quell'avventura, al mio rispondere male a Mario e mi sembrò di non
aver fatto progressi.
-
Era assurdo, stare in
compagnia di Maurizio aveva alleviato i miei problemi e ora che tutto
sembrava cadere a pezzi sentivo di star tornando indetro, ad un vero
e proprio regresso.
-
Per una volta decisi di
essere me stessa e mi lasciai sconvolgere da un pianto liberatorio
che durò minuti e minuti, uno di quelli che più piangi, più ti
ricorda altre cose brutte che vorresti dimenticare e non rivivere mai
più.
-
Ero inevitabilmente sola,
con un cuore rotto e la speranza di far aggiustare tutto sotto zero,
non mi sentivo in grado di aiutarmi sotto nessun aspetto.
-
Non ne potevo più di
aiutarmi sempre da sola, volevo riuscirci con calma, in compagnia di
qualcuno in grado di capirmi... Sentivo di aver esaurito la forza che
avevo avuto sin dal trasferimento e non sapevo come fare.
-
Per un po' avevo riposto
tutte le speranze in Dublino solo che ora che si avvicinava il
momento di tornare alla solita vita da Alice Sebastiani e non di
Alice, La Mediatrice mi sentivo non pronta, impaurita, anche perché
tornando a Roma non avrei avuto i miei amici di Milano al mio fianco
e nessuno poteva capirmi meglio di loro.
-
Gli amici di Roma ormai
erano persone a cui volevo bene ma che vedevo sempre per un semplice
aperitivo o per un'uscita a Natale o in estate, non avevano idea di
come fosse davvero la mia vita.
-
Iniziai a pensare che quando
sei una persona che è abituata a fare tutto da sola e a contare solo
sulle tue forze, arriva un momento della tua vita in cui tutto il
peso delle decisioni di ogni singolo giorno si fa così pesante e
insopportabile che non ce la fai più e ti senti schiacchiare sempre
più insistentemente senza poterci fare nulla.
-
"L'Argentina è una
possibilità da due anni, è una certezza da dieci mesi ed è il mio
sogno di una vita. Conosco te da venticinque giorni e mi hai quasi
fatto passare l'entusiasmo per ciò che aspetto da praticamente
sempre solo perché so che lì non c'è un'altra Alice, ti rendi
conto? E poi devo sentirmi dire che non ti corteggio abbastanza!
Forse non lo faccio perché so che così ci avvicineremo di più e ci
starò male il triplo".
-
Il cuore mi balzò in gola
quando udii la voce di Maurizio alle mie spalle, una voce diversa da
quella che ero abituata a sentire, più rigida e rancorosa rispetto a
quella chiara e tranquilla di ogni giorno.
-
Stavo ancora piangendo
quindi non mi girai, mi limitai ad asciugarmi gli occhi con un polso,
insicura come non mai.
-
"Oggi ho pensato anche
io che forse ti ho detto quelle parole per autosabotarmi"
sussurrai con un'orribile voce di pianto.
-
Avvertii il rumore dei passi
del ragazzo e poi la sua presenza alle mie spalle: mi cinse i fianchi
con le sue braccia e mi strinse a sé con vigore, anche se io
continuavo a piangere senza riuscire a smettere, sentendomi
decisamente stupida.
-
"Io e te siamo molto
simili, Ali, è questo il problema. Siamo due anime indipendenti che
viaggiano spesso, sono lontane dagli affetti e hanno ricevuto tante
delusioni... Io voglio pensare che ci siamo incontrati per guardarci
dall'esterno e migliorare, ognuno è un po' il riflesso dell'altro.
Pensaci! Entrambi romani, laureati nelle stesse lingue, entrambi
mediatori, entrambi stabiliti a Milano, siamo due persone abituate ad
andare per la loro strada e a mettersi in gioco... Solo che arriva un
punto in cui la strada bisogna percorrerla con qualcuno, no?"
provò a farmi ragionare. "Non la si può percorrere con
chiunque quindi, secondo me, se si trova un valido compagno di
viaggio si può fare uno sforzo e affrontare tutti i casi della vita
per provare a continuare il viaggio insieme".
-
Un brivido di freddo mi
scosse abbastanza violentemente e lui mi strinse ancora più forte a
sé, suggellando le sue parole con un bacio che dalla guancia passò
al bordo delle labbra fino a centrarle in pieno, aspettando il mio
permesso.
-
Lo baciai rapidamente, a
stampo, per poi guardarlo negli occhi nonostante il mio evidente
stato non proprio tranquillo.
-
"Il problema è proprio
il viaggio, Maurizio. Già ora mi sembri indispensabile,
figuriamoci...".
-
"Alice, non pensare che
per me sia più semplice. Davvero, davvero! Credimi! E' una cosa che
devo fare ma ti giuro che sarò presente e ti dirò tutto, ho troppa
stima di te per mentirti. Fidati di me, ti prego!" mi
interruppe.
-
Cosa potevo mai fare?
-
Aveva ragione, eravamo
troppo simili e potevamo farci del male , solo che in quel momento mi
sentivo così grata nell'averlo lì, esposto per me nonostante il
litigio di dodici ore prima che decisi di zittire i miei pensieri e
di annuire semplicemente.
-
Mi sorrise e si calò su di
me per baciarmi di nuovo, questa volta con più slancio, tanto da
quasi alzarmi da terra per l'enfasi che ci stava impiegando.
-
Con le braccia ancorate
attorno al suo collo, lo strinsi a me tanto da far aderire i nostri
corpi.
-
"E' una promessa,
allora?" chiesi, seria.
-
"Sì, lo è. Davvero"
rispose. "Saverio ci autorizza a tornare in struttura, se
vogliamo, se ha bisogno ci chiama ma è tutto tranquillo"
aggiunse, questa volta un po' malizioso, tanto da appoggiare una mano
sotto la mia maglia e sfiorare il reggiseno.
-
Aveva un'aria diversa,
imbarazzata ma decisa a proseguire per quella via fatta di
sfacciataggine che non gli guastava affatto.
-
"Davvero?" chiesi,
falsamente sorpresa.
-
"Davvero. Il pensiero
di perdere una serata a mettere il broncio mi mandava fuori di
testa... Come se non bastasse, ho una voglia matta di fare l'amore
con te, signorina" sussurrò, ribaciandomi e sfiorando il seno
con le dita.
-
"Mi piaci quando fai
così" lo provocai.
-
In un secondo, tutto ciò
che mi stava facendo piangere lacrime amare era scomparso, contava
solo il fatto che quel ragazzo mi stesse mandando su di giri anche
solo parlando.
-
"Da quando ci
conosciamo, in realtà. Se vuoi saperlo, immaginare di stare con
te,tenerti stretta, darti piacere e vederti godere è una fantasia
proibita che ho da quando abbiamo dormito vicini a Belfast"
continuò.
-
Sentivo il respiro corto per
l'eroticità che mi trasmetteva quel mucchio di parole mirate,
proprio perché la sera prima ci eravamo andati vicino mi sentivo
ancora più vogliosa di unirmi a lui e dimenticare tutto ciò che di
brutto c'era stato in quelle ore.
-
"Forse ora non è poi
così proibita" dissi, accarezzandogli quei ricci ribelli e
notando quanto fosse succube dei miei gesti e delle mie parole.
-
"Lo spero".
-
Mi prese per mano,
sorridendo, impaziente, mi condusse verso il ciglio della strada e
fermò un taxi , lasciandomi stupita.
-
Disse rapidamente il nome
della via del nostro alloggio al conducente e posò una mano sulla
mia gamba, accarezzandola con insistenza.
-
Io sorridevo a mia volta e,
nello slancio del momento, lo strinsi a me.
-
Arrivammo dopo tanto tempo
per i nostri gusti e quando scendemmo dal taxi il contrasto con
l'aria gelida rispetto al caldo dell'abitacolo ci sembrò abissale.
-
"Direi camera mia, la
tua ci porta sfiga" dichiarò Maurizio appena entrammo nella
hall.
-
"Stasera niente sfighe"
lo ammonii, ridacchiando, mentre premevo il pulsante dell'ascensore.
-
Il momento in cui mi
preoccupavo del giudizio altrui per una storia con uno dello staff mi
sembrava lontano anni luce, ero così presa dal momento che nemmeno
pensai di dover essere discreta , tanto mancavano pochi giorni e
tutti i contatti lavorativi si sarebbero dissolti nel nulla.
-
Non me ne fregava di niente
e di nessuno, solo di starmene in santa pace con il ragazzo che avevo
di fronte a me.
-
Non ricordo precisamente gli
attimi precedenti all'arrivo in camera, so solo che ero un po'
nervosa ma allo stesso tempo grata, incredula, mi sentivo leggera,
pronta ad ogni evenienza solo se in compagnia di quel ragazzo che era
sempre nei miei pensieri negli ultimi giorni.
-
Con la sua solita
gentilezza, Maurizio passò a baciarmi il collo mentre mi appoggiavo
sul suo letto, con la testa appoggiata al suo petto.
-
"Ti voglio, Ali"
disse, sovrastandomi e fissandomi negli occhi con decisione.
-
"Ti voglio anch'io"
risposi.
-
Percepivo tutto ovattato, la
realtà mi sembrava quella di un sogno in cui tutto sembra vivido ma
sai che stai sognando, i gesti del ragazzo erano cauti e studiati,
tipici di chi cerca di metterti a tuo agio.
-
Apprezzai così tanto il suo
modo di fare che per un istante bloccai il suo viso tra le mie mani,
mentre se ne stava steso su di me.
-
"Ho detto un mucchio di
stronzate, stamattina, e per farmi perdonare ti dico che... Quando è
previsto il tuo ritorno?" .
-
"Il trentuno gennaio"
rispose, senza capire.
-
"Ok, quindi ti dico che
se saremo ancora in contatto, il primo febbraio sei invitato a cena,
alle venti, al mio ristorante di Milano preferito" sentenziai,
non sentendo al momento il peso di tutto quel tempo che ci avrebbe
diviso.
-
"Che sarebbe...?".
-
"Lo saprai... Il primo
gennio, sempre se saremo ancora in contatto".
-
"Questo è un ricatto!
Mi farò sentire solo per saperlo!".
-
"E' un dolce ricatto,
dai...".
-
"Direi di sì,
maledetta...".
-
Si rifiondò su di me e
tornò a baciarmi, voluttuoso, prima di spogliarmi lentamente mentre
io facevo lo stesso con lui.
-
Non ci dicemmo altro, ogni
sguardo ed ogni gesto ci dicevano più di mille parole ed era
un'esplosione di tenerezza e voglia di stare in contatto senza più
limiti, fiduciosi nel fatto che forse ciò un giorno sarebbe
diventata la nostra realtà.
-
Mi guardò con ammirazione
quando mi ritrovai nuda di fronte a lui e in quel momento, lo ricordo
con precisione, mi sentii davvero bella e apprezzata.
-
Quando venne il momento di
iniziare davvero ad amarci mi sentii svuotata da ogni pensiero o
preoccupazione, per me esisteva solo lui, bello, forte, vigoroso, un
amante generoso e rispettoso ma comunque passionale.
-
"Oh, Ali..."
rantolò con gli occhi chiusi, quando lo accolsi finalmente dentro di
me.
-
Ero sconvolta dal suo ritmo
dolce ma deciso e da una scarica di adrenalina di cui avevo
dimenticato l'esistenza, avevo un sorriso perennemente stampato in
faccia perché avevo dimenticato che si potesse condividere
un'esperienza così intima con qualcuno in un modo così delicato e
coinvolgente, lento, senza corse e gesti animaleschi.
-
Maurizio, non c'era nulla da
fare, oltre che ad essere un ragazzo dai modi galanti era anche un
amante premuroso, tanto che potevo percepire il suo sforzarsi di
prolungare il tutto il più possibile per soddisfarmi.
-
Svariati minuti dopo iniziai
ad incitarlo senza inibizioni, persa in un mondo di dissoluzione e
piacere che assorbiva tutti i miei sensi e li amplificava.
-
Furono dei momenti
meravigliosi che ci dimostravano che dopotutto la nostra sintonia e
la nostra chimica andavano ben oltre la professionalità e quando ci
ritrovammo stesi l'uno al fianco dell'altro, alla fine, eravamo
decisamente senza fiato per l'esperienza appena condivisa.
-
-
Toc. Toc. Toc.
-
Sobbalzai, svegliandomi di
scatto, senza nemmeno ricordare subito tutti gli avvenimenti della
sera prima.
-
Mi voltai e vidi Maurizio al
mio fianco che continuava a dormire beato senza muoversi nemmeno di
un millimetro, così mi affrettai ad alzarmi e ad andare ad aprire
alla porta, premurandomi di mostrare solo il volto.
-
Era Saverio, un Saverio fin
troppo compiaciuto da quando, circa otto ore prima, in riunione,
aveva sghignazzato come un matto nel vedere me e Maurizio entrare in
ufficio insieme, in ritardo, e con l'aria decisamente tra lo
sconvolto e il sognante.
-
Sorrideva e reggeva in mano
due bicchierini con del caffé dentro mentre mi faceva l'occhiolino
con aria furba.
-
"Buongiorno"
dissi, sforzandomi di minimizzare l'imbarazzo che percepivo in quel
momento.
-
"Buongiornissimo,
volevo ricordarti che sono le sette meno dieci e chissà perché non
mi hai scritto per il caffè" mi disse lui, sornione. "Per
questo te l'ho portato... In doppia dose, come credo sia la dose di
cosacce che hai fatto ieri sera".
-
Era troppo gasato eppure,
pur avendo immaginato tutto, restava una cosa che avevo fatto io, non
lui! Possibile che fossimo ad un punto tale della nostra amicizia in
cui era normale gioire per i bei momenti dell'altro? O forse era
felice perché si era liberato di Alice la Piagnona che lo tormentava
da aprile?
-
Non potevo saperlo, fatto
sta lo guardai male ma ovviamente lui continuò ad avere
un'espressione da deficiente patentato.
-
Decisi di ignorare la
faccenda e sibilai un semplice: "Grazie! Ci vediamo a
colazione!" ma appena aprii un po' di più la porta per prendere
i bicchieri lui fece qualche passo in avanti, idiota più del solito,
e squadrò la situazione: Maurizio si era svegliato e sembrava
davvero intimorito dalla voce del suo capo .
-
Si mise a sedere, senza
sapere cosa dire, ma il coordinatore alzò il pollice in segno di
approvazione e gli sorrise apertamente.
-
"Hai passato un bel
guaio, Maurì! Scusami per l'intrusione ma è un anno che dovevo
farlo, da quando questa si intrufulò nel mio ufficio e mi beccò con
Nadia" si scusò, per poi voltarsi e avviarsi verso la porta.
"Io ovviamente non so nulla, ragazzi, ma nel caso in cui lo
sapessi, beh, sarei davvero felice e approverei" esclamò,
seguito dal rumore della porta che si chiudeva.
-
Scossi il capo, incredula,
mentre Maurizio scoppiò in una risata fragorosa e prese il caffé
che gli stavo porgendo, ringraziandomi con un bacio.
-
Era a dorso nudo, con le
lenzuola tutte stropicciate che lo coprivano a tratti e in quel
momento mi parve più che bello che mai, tanto che mi sembrò assurdo
averci condiviso una serata e poi una notte indimenticabile.
-
Mi sentivo strana,
tranquilla, non mi stavo riempendo di dubbi amletici e ne ero felice,
mi sembrava di essere nella testa di una persona davvero rilassata ed
entusiasta per ciò che era successo.
-
"Sono stata bene"
rivelai, avvicinandomi di più a lui fino al punto di accoccolarmi
contro il suo petto e lasciarmi stringere.
-
"Anche io.
Benissimo.... Dovevo provarci già a Belfast, al tuo compleanno,
avremmo recuperato del tempo, che dici?" ironizzò.
-
"Dipende da quanto
saresti stato capace dopo tutto quel vino" lo presi in giro a
mia volta, prima di alzare lo sguardo e godermi la sua espressione
falsamente offesa.
-
"Signorina, come osa?".
-
"Oso eccome...".
-
Ci volle poco per finire di
nuovo stretti l'uno all'altra, avvinghiati in modo quasi da fonderci
in una morsa incredibile, intenti nel baciarci e sfiorarci in un modo
che di casto non aveva nulla, fino a quando l'odiosa sveglia non ci
riportò alla realtà dei fatti in cui, se volevamo mangiare
qualcosa, dovevamo darci una mossa.
-
"Potremmo passare qui
la pausa pranzo, che dici?" propose lui , facendomi sorridere in
maniera alquanto incredula visto che sembrava star seguendo il mio
consiglio nell'essere più spontaneo e propositivo.
-
"Perché no. Mi piaci
quando ti sciogli un po' e non temi un rifiuto" ammisi, mentre
mi legavo i capelli e mi apprestavo ad andare in bagno.
-
"Se dici così ne
approfitto e non ti dò tregua" .
-
"See!".
-
Lottammo un po' visto che
sembrava offeso e non voleva farmi andare nell'altra stanza e si
placò solo quando lo abbracciai e gli sussurrai: "Come andrà,
andrà, ma non ero così felice da tempo".
-
Mi si sciolse il cuore nel
vedere la sua espressione rincuorata e partecipe, tanto che arrivai a
ringraziare l'addetto alle risorse umane e il caso che quell'anno mi
avevano concesso di incontrare una persona così.
-
-
A colazione tutti fremevano
perché iniziava la solita parte burrascosa dell'esperienza: i
preparativi.
-
Stando alla faccia
imbronciata e seccata di Mario potevo ben capire quanto fosse seccato
per la poca collaborazione ricevuta dallo staff e un po' mi sentii in
colpa perché ultimamente lo avevo proprio ignorato.
-
Ero tutta sorrisi,
addirittura Alba mi sembrava più sopportabile, per questo ne
approfittai per sedermi vicino all'Activity Leader e dargli un
piccolo sulla spalla con fare affettuoso.
-
"Mario, buondì. Ti
vedo un po' giù di corda, tutto bene?" dissi.
-
"No, Ali. Ho mille cose
da fare... E qui fanno tutti schifo" esclamò, senza fregarsene
di essere sentito, tanto i ragazzi stavano parlando in maniera fin
troppo rumorosa di un gruppetto di studenti che aveva fatto chiasso
tutta la notte.
-
"Ho notato...".
-
"Tu inclusa, a stento
mi saluti" mi accusò.
-
Incassai il colpo in
silenzio poi, senza riuscire a trattenermi, lo afferrai per un
braccio e lo obbligai ad uscire dalla mensa.
-
Dovevo parlargli, spiegargli
tutto, che ero stata assente soprattutto con me stessa in quei giorni
e che avevo sbagliato molte cose.
-
"Ho evitato tutti,
Mario. Non per mia volontà! Jimena e Sandy sono stati un incubo dopo
le prime due settimane e ho avuto un po' di casini, sono stata
assente ma mi scuso e voglio esserci al cento per cento per te. Sto
già aiutando Saverio con i verbali, ci sarò anche per te, so che
Toni non ti aiuta" lo tranquillizzai, sentendomi uno schifo
perché quell'anno era iniziato proprio con una nostra discussione.
-
Stavamo forse "crescendo"
come amici? Di solito i rapporti in cui si discute sono quelli più
messi alla prova e più soggetti ad evoluzione.
-
Lo abbracciai per
convincerlo della veridicità delle mie parole e lui ricambiò la
stretta.
-
"Sai" sussurrò,
"Forse mi trasferisco anche io a Milano... Il lavoro a Napoli
nell'agenzia di animazione non fa più per me, è cambiato il
dirigente e ho un contratto schifoso".
-
Mi portai una mano alla
bocca, senza parole. "Mi dispiace, lasciare la propria terra è
dura ma sai che se verrai avrai una squadra pronta a soccorrerti e ad
aiutarti" provai a rincuorarlo, immaginando quanto fosse dura
lasciare la propria città a trenta e più anni senza averla mai
lasciata prima se non per periodi brevi.
-
In quel momento, il suo
accenno ai duecento euro in più a turno che percepivo in più a lui
di tre settimane prima non mi parve casuale dato che aveva appenna
ammesso di avere problemi lavorativi. Mi sentii dispiaciuta e
compresi meglio la sua posizione al momento.
-
"Grazie. Vedi, noi
siamo uno staff, uno staff vero, uno che dura tutto l'anno, anno dopo
anno, non solo due settimane! Per questo quando ti comporti in
maniera strana con me ci resto male" rivelò, onesto come lo era
sempre, anzi, cristallino.
-
Davanti alla bellezza di
quelle parole mi venne da commuovermi e gli accarezzai un braccio,
annuendo.
-
"Hai perfettamente
ragione, oggi mi faccio perdonare davvero, lo faccio per il mio
forse-futuro-amico-Milanese!".
-
Rise di cuore, annuì e poi
mi fece cenno di tornare a mensa, dove tutti ci guardarono senza
capire ma non mi premurai di dare spiegazioni, proprio come loro non
si premuravano di essere un po' più empatici e collaborativi.
-
-
Concentrarsi, rispondere
alle pretese di Jimena, annuire davanti ai discorsi prolissi di Sandy
e dare una mano a Mario con il video di addio non fu semplice, tanto
che arrivai alle dodici e trenta stremata.
-
Sbadigliavo, avevo la testa
tra le nuvole, ero in uno stato così pietoso che Saverio – tornato
nei suoi panni di coordinatore che pretende la perfezione – mi
guardava male e arrivò al punto di avvicinarsi mentre uscivo
dall'ufficio e prendermi in disparte.
-
"Sono stato buono e
disponibile ma ora devi ricomporti, Alice, non ti darò la
valutazione che credevo di darti se hai intenzione di finire questo
turno come una deficiente che non capisce nemmeno in che mese siamo"
sbraitò, furioso come quando si trattava di qualcosa che gli stava a
cuore.
-
Deglutii , colpevole, e
ovviamente feci cadere il planner, la cartellina e la borsa a causa
di un gesto maldestro. Mi abbassai per prenderli, maledicendomi, poi
riemersi e lo guardai, annuendo. "Hai ragione, scusami. Sono
solo esausta e gli spagnoli e gli irlandesi sono insopportabili!
Arrivo a fine giornata che non so in che lingua mandarli a quel paese
mentalmente... Ti dispiace se invece di venire a pranzo dormo
un'oretta?" chiesi implorante, pensando al povero Maurizio che
forse aveva chissà quali aspettative e invece si sarebbe ritrovato
uno zombie al mio posto.
-
"Sì, così ti
ricomponi. Ma il tuo amico pranza con me, non voglio distrazioni!".
-
Alzai gli occhi al cielo e
annuii, così lo salutai e andai in direzione del mediatore che mi
aspettava fuori la porta dell'ufficio.
-
"Ho sentito tutto"
disse, comprensivo. "Vai a riposarti, ti conservo un panino".
-
Mi fece l'occhiolino e mi fu
difficile resistere all'impulso di non abbracciarlo lì, davanti a
tutti, con Alba a pochi metri da noi che brontolava perché aveva
fame e "Non vedeva l'ora di mangiarsi dieci pizze di fila nella
sua città" dopo il cibo odioso della mensa.
-
Ero distrutta, sì, eppure
per la prima volta dopo non so quanto sentivo una strana leggerezza
mista a frivolezza che mi dava la forza di assentarmi per ricaricarmi
senza fregarmene del giudizio altrui, e questa fu la più grande
vittoria di quell'esperienza.
The
future's in the air
I
can feel it everywhere
Blowing
with the wind of change
Take
me to the magic of the moment
On
a glory night
Where
the children of tomorrow dream away
in
the wind of change
Walking
down the street
Distant
memories
Are buried
in the past forever
-
-
-
*°*°*°*°*°
-
Penultimo capitolo, gente!
-
Nel prossimo ci sarà il
gran finale e poi un epilogo che ci farà sapere cosa è successo
dall'estate del 2018 a quella del 2020... Andremo nel futuro ;) Si
accettano scommesse!
-
Io inizio già a essere
nostalgica, non so come farò senza Alice e gli altri.
-
Grazie a chi continua a
inserire questa storia tra i preferiti, mi piacerebbe sapere cosa ne
pensate, soprattutto ora che siamo agli sgoccioli.
-
Come sempre vi lascio
qualche spoiler.... Attenzione all'ultimo :D
-
"L'ultimo giorno
di solito non te la cavi molto bene e volevo sapere come stavi"
ammise, serio come poche volte nella sua vita.
-
In un istante rividi
davanti a me l'incidente di Luca, le mie lacrime, il rientro in
college in taxi...
-
-
"Ali... E tu? Sai
cosa significa dover partire e... Oh!".
-
Aveva aperto il
quaderno e aveva visto che ai lati di ogni pagina c'era una frase che
si riferiva a qualcosa che avevamo vissuto o a qualche citazione in
particolare.
-
-
Luca si passò una
mano tra i capelli come suo solito e poi si appoggiò allo stipite
della porta, obbligandomi ad indietreggiare.
-
"Sono stato
geloso di quel mediatore, vi ho visto all'aeroporto, lo sai? Stai con
lui ora?" domandò, insistente.
-
-
A presto!
-
Milly.
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Capitolo 30 *** Days 27-28: Goodbye ***
Days 27-28: Goodbye
-
Capitolo 15
-
Days 27-28: Goodbye
-
Aprii gli occhi a causa
della mia ormai sveglia "Naturale" e del verso dei gabbiani
che proveniva da fuori la mia finestra, ormai mio fedele compagno di
disavventura.
-
Alzai lo sguardo e vidi che
me ne stavo appoggiata sul petto di Maurizio, il quale si stringeva a
me e respirava profondamente, sempre più tranquillo e beato.
-
Ricordai gli avvenimenti
della sera prima in cui dopo la riunione io e lui ci eravamo presi
un'ora di calma in cui avevamo chiacchierato, scherzato con dei
ragazzi in corridoio, aiutato una ragazza con la lavatrice da fare e
mi sentii rinata, non ero ansiosa per l'imminente addio e sentivo di
essermi imbarcata in qualcosa più grande di me ma che ne valeva la
pena.
-
Sospirai dolcemente e, senza
riuscire a trattenermi, accarezzai il petto di Maurizio,
svegliandolo.
-
"Ehi, buondì"
biascicò, con un solo occhio aperto.
-
"Buondì" risposi,
stringendolo a me. "Scusa se ti ho svegliato... Ho anticipato di
poco la sveglia, mi perdoni?".
-
Lui sbadigliò e poi mi
fissò, falsamente pensieroso. "No" sentenziò, prima di
ricoprire il volto con le lenzuola e provare a nascondersi. "Sono
stanco!".
-
"Nemmeno se ti faccio
il caffè?".
-
"No. Capo, oggi me la
prendo di festa" ironizzò, prima di mettersi a sedere e
imprigionarmi sotto di sé, stampandomi un bacio in una zona
indefinita tra il naso e la guancia.
-
"Ti licenzio!".
-
"Non potresti mai!".
-
"Oh, sì!".
-
"Quello di solito me lo
dici in separata sede...".
-
"Coglione!".
-
La magia fu interrotta da
quella fastidiosa sveglia di cui odiavo ormai la suoneria falsamente
dolce, ormai lo associavo al tono passivo aggressivo di Jimena quando
voleva dire qualcosa di cattivo senza fare effettivamente la parte
della cattiva di turno.
-
"Oggi ultima riunione,
ce la possiamo fare" sussurrai, più che per incoraggiare me
che lui.
-
"Se iniziamo bene la
giornata, sì".
-
Non ebbi nemmeno il tempo di
replicare che Maurizio mi stava lasciando una scia di baci dalla
fronte al naso, fino alla bocca, poi giù fino al collo... E ancora
più giù, fino a guardarmi con aria furba come per chiedermi il
permesso di proseguire.
-
"No, dai...".
-
"Se non ti va è un
conto, ma se lo fai per la nostra assurda routine ti rassicuro: ieri
ho parlato con Saverio e ha detto che gli bastava vederci in ufficio
alle nove".
-
"Hai calcolato tutto?"
chiesi incredula, alzandomi di scatto, tanto da farlo separare da me
e imbarazzarlo un po' per quel mio improvviso cambio di tono. Il
fatto che non me ne fregassi di un certo dettaglio – lui che chiede
al nostro coordinatore il permesso di saltare la colazione per stare
con me – mi fece capire l'avanzamento del mio livello di
maturazione nei confronti della nostra situazione lavorativa.
-
Scrollò le spalle e annuì.
-
"Sì. Volevo stare più
tempo con te, ti dispiace?" si scusò, abbassando lo sguardo
senza sapere cosa fare di preciso.
-
Mi resi conto di risultare
esagerata così scossi il capo e lo attirai a me per fargli capire
che era tutto ok e che mi fidavo della sua parola e fu un sogno
vederlo reagire subito, baciandomi con slancio e facendomi ristendere
con gentilezza sul materasso, per poi togliermi gentilmente la
canotta e i pantaloncini.
-
"Se salto la colazione
per te deve essere indimenticabile" ghignai con gli occhi
chiusi, sospirando già perché avvertivo le sue dolci labbra sul mio
ventre che già fremeva ad ogni tocco.
-
"Fino ad ora mi sei
sembrata sempre fin troppo soddisfatta, signorina" mi ricordò,
compiaciuto.
-
Eravamo già così in
confindenza, possibile? In quell'istante mi sembrò di conoscerlo da
molto più di un mese, la familiarità con cui mi guardava in maniera
rassicurante era sbalorditiva, mi sembrava di aver già superato la
parte iniziale in cui si fa di tutto per risultare impeccabili agli
occhi dell'altro e si finge di essere diversi.
-
Eravamo veri, ognuno aveva
visto l'altro morto di sonno, con i capelli improponibili, affamato
come non mai per il cibo scadente della mensa e ciò ci rendeva il
compito più semplice: forse, al contrario, una volta usciti di lì
ognuno avrebbe avuto l'occasione di vedere l'altro in maniera più
formale e curata dopo aver visto la parte vera, cruda, della
personalità in tutte le condizioni stressanti possibili.
-
Mi avvicinai a lui e lo
strinsi forte contro di me, sentendo l'urgenza di sentire il suo
cuore battere contro il mio ancor prima di pensare alla bellezza di
ciò che stava per succedere.
-
-
"Vale, creo que es
todo. Nos vemos después, pero para mi no tenemos otras cosas que
establecer. Gracias a todos".
-
Con queste parole, alle
dieci, Jimena ci congedò dopo averci riassunto in maniera
dettagliata e noiosa tutti i feedback ricevuti tramite i social e
l'app della sua azienda durante quel lungo mese.
-
Per una volta, sembrava
stravolta anche lei: i capelli scuri, solitamente piastrati e
ordinati, erano raccolti in una coda e indossava pantaloni comodi al
posto delle solite gonne accompagnate da scarpe col tacco.
-
Mi avvicinai, la salutai,
strinsi la mano anche a Sandy, feci un cenno a Javier che in quelle
settimane si era limitato a esistere parlando il meno possibile e
uscii dalla sala riunioni il prima possibile, seguita da Maurizio.
-
Avevo iniziato
quell'esperienza con una preparazione minuziosa, ero sempre attenta a
tutti i dettagli, ero stata in ansia a tal punto da indossare una
camicetta alla prima riunione!
-
Risi ripensando a quel
dettaglio che mi aveva anche fatto discutere con il coordinatore e
abbassai lo sguardo sulla maglietta arancio molto basica e anonima
che avevo indossato a quell'ultimo incontro.
-
"Io devo dare una mano
a Mario, ci vediamo dopo?" chiese il mediatore quando ci
trovammo a pochi passi dall'ufficio dei group leader.
-
Annuii e lo guardai
allontanarsi, perdendomi nella contemplazione della sua figura alta e
slanciata che da lontano lo faceva passare ancora per un ragazzino
cresciuto troppo in fretta.
-
"Caffé" dissi tra
me e me e mi avviai al bar, sentendo il bisogno di riprendermi un po'
e ricaricarmi in vista dell'ultimo giorno.
-
Era davvero quasi finito
tutto e non me ne rendevo conto, non ero in lacrime, non ero
nostalgica... Ero solo tanto, tanto stanca e provata sotto molti
punti di vista.
-
Possibile che fossi maturata
in quei trenta giorni?
-
Ero pronta per continuare a
fare questo lavoro con professionalità senza lasciare che le
questioni personali intaccassero il mio operato?
-
Esitai, incerta. Certo,
questa volta lo staff era davvero penoso e non me ne fregava dei
nuovi arrivati – non vedevo l'ora di mangiare cibo fritto senza lo
sguardo della dottoressa fisso su di me – ma anche con quello
precedente ero stata brava a distaccarmi.
-
"Sì, magari per l'anno
prossimo riesco a non portarmi a letto qualche collaboratore"
ironizzai, sentendomi senza speranza.
-
Ordinai un cappuccino e
presi posto per poi sentirmi qualcuno alle spalle che mi tirava una
ciocca di capelli.
-
"Ehiii!".
-
"Alice, ci sei mancata
a colazione!".
-
Alzai gli occhi al cielo
mentre Saverio prendeva posto di fronte a me e mi guardava con l'aria
di chi vuole prenderti in giro ma in realtà se ne frega di te in
senso positivo.
-
"Voi no" ribattei
con una smorfia.
-
"E ci credo! Questo
mediatore deve essere proprio un amante di serie A...".
-
"Saverio, che vuoi?"
tagliai corto, conoscendo ormai i suoi modi di fare come le mie
tasche.
-
Il capo cambiò espressione
e mi fissò con serietà, accarezzandomi un braccio.
-
"L'ultimo giorno di
solito non te la cavi molto bene e volevo sapere come stavi"
ammise, serio come poche volte nella sua vita.
-
In un istante rividi davanti
a me l'incidente di Luca, le mie lacrime, il rientro in college in
taxi...
-
"Sto bene, Saverio. Non
ci crederai ma sto imparando a scindere le cose, non sono emotiva
come lo ero un tempo, riesco a essere razionale, anche se mi fa
paura. Mi sento meno umana!" mi confidai,dando voce a un
pensiero che mi affliggeva da un po'.
-
Lentamente, Saverio avvicinò
la sedia a me e mi abbracciò con calore, arrivando ad appoggiare la
testa sulla mia con fare paterno.
-
"Sei pronta, Alice. Ti
vedo e noto una professionista che ha imparato tante lezioni e da cui
non voglio separarmi, farò il possibile per averti di nuovo con me,
l'anno prossimo. Hai coordinato tutto in maniera impeccabile anche se
ho notato la stanchezza finale, è normale".
-
Sentii il cuore allargarsi
per la gioia e ricambiai la stretta, incredula.
-
"Io non te lo dimostro
mai ma davvero ci tengo alla tua opinione, ti stimo troppo e sei un
esempio formidabile per me" ammisi di cuore, sforzandomi di non
singhiozzare.
-
"E io ci tengo alla
tua. Mi ricordi sempre che devo pensare a lasciarmi andare e a
godermi le mie emozioni... Ci compensiamo".
-
Alzai lo sguardo, ci
sorridemmo e pensai che da quel momento in poi tutto sarebbe cambiato
in positivo, almeno professionalmente.
-
"Per quanto riguarda
l'altra questione... Dimmi tutto, se vuoi. Come vanno le cose?"
s'informò, cauto più del solito.
-
Era così, se si trattava di
faccende personali mi lasciava i miei tempi e i miei spazi, non era
ficcanaso e ci teneva a farmi capire che potevo sfogarmi con lui
anche senza averlo costantemente alle costole.
-
Bevvi un sorso di cappuccino
e feci spallucce, vaga. "Va bene, solo che credo di aver capito
come stanno le cose e non mi danno l'anima per l'addio. Lui per me è
un'incognita che nel presente mi ha aiutato a dimenticare il mio ex,
ma per il futuro chi può saperlo. Ne sono cosciente e ciò mi fa
quasi paura, non è da me reagire così" ragionai, dando voce a
un pensiero che mi affliggeva da un po'.
-
Saverio era sorpreso, forse
si aspettava un mio monologo su quanto mi sentivo male al pensiero di
dire addio a Maurizio per almeno sei mesi, eppure mi sorrise e
sostenne il mio sguardo.
-
"Per le cose belle ci
vuole tempo" dichiarò.
-
"Senti chi parla!
Mister-ti-compro-un-anello-dopo-un-anno!" lo scimmiottai,
gesticolando in maniera poco educata.
-
"Ma di che parli? Ho
impiegato trentatré anni per avere una cosa bella nella mia vita
come Nadia, più tempo di così!".
-
"Non dovevi fare il
coordinatore, Saverio, dovevi fare l'avvocato... Del diavolo!".
-
"Tu saresti stata la
mia praticante perfetta, allora,
Miss-non-mi-metterò-mai-più-con-uno-dello staff!".
-
"E infatti non mi sono
messa con Maurizio" obiettai con aria furba.
-
Ci guardammo, interdetti,
per poi scoppiare a ridere come due scemi, beccandoci mille
occhiatacce da parte degli altri presenti che stavano approfitttando
di una pausa per bere un caffè o leggere un libro.
-
In quel momento prendemmo
davvero coscienza del nostro feeling e del nostro essere in sintonia,
seppur su due pianeti diversi e opposti, tanto da trovarci bene tutto
l'inverno successivo, quando ci trovammo a lavorare fianco a fianco
per l'ennesima volta anche se con mansioni diverse.
-
-
Aiutai Mario con le ultime
mansioni finali e fu un bel momento per riconnetterci un po' dopo
tutti i momenti che avevamo passato separati, presi dai nostri drammi
personali e professionali.
-
Gli mancava la canzone del
video di addio e lo convinsi a scegliere "Alive" di James
Graeme, una canzone che sentivo molto vicina a me sia per la bellezza
della melodia sia per il testo che sentivo un po' mio e che volevo
condividere con tutti visto che nessuno la conosceva.
-
"E' bellissima, Ali! La
metterò stasera alla serata di addio, dopo cena!" disse
entusiasta l'activity leader, rendendomi felice per quel suo modo di
reagire alle cose sempre entusiasmante, come se fosse un bambino che
vede la neve o il mare per la prima volta.
-
"Bene. Ci credi che
siamo alla fine?" sussurrai,sentendo un brivido lungo la
schiena.
-
Personalmente, la
discussione che avevamo avuto quattro settimane prima mi sembrava
lontana anni luce e , cosa importante, ripensando all'Alice che ero
stata, gli diedi ragione per la strigliata nei miei confronti.
-
Mario annuì e si lasciò
scappare uno sbadiglio. "Sì e onestamente ne sono felice, odio
lavorare con degli stupidi" sbottò, indicando con il mento i
group leader che si rubavano a vicenda delle patatine rubate a loro
volta in cucina e risalenti ai pacchetti del pranzo di una delle
ultime escursioni.
-
"Ci credo..." gli
diedi man forte.
-
"Ho avuto novità da
Milano, comunque. Ho due colloqui presso delle agenzia di eventi,
vado a stare da Saverio visto che casa sua sarà libera fino a
settembre" mormorò, con un tono di voce molto più basso del
solito , quasi come se avesse paura che il solo pronunciare quelle
parole potesse cancellare la realtà dei fatti.
-
Sgranai gli occhi per la
sorpresa e per la felicità, davvero incredula per la rapidità con
cui si stavano sviluppando le cose per il mio amico.
-
"Ma è bellissimo!"
esclamai, abbracciandolo con calore.
-
"Ali, non è detto che
vada tutto bene e soprattutto mi fa paura tutto, il cambiamento,
lasciare Napoli, cambiare stile di vita... Come hai fatto a mollare
tutto a Roma per uno stage che non ti assicurava nulla?"
domandò, serissimo.
-
Improvvisamente, il caos
scomparve dalla stanza nonostante il chiasso infantile degli altri ed
io scrollai le spalle, comprensiva al massimo verso i dubbi
dell'activity leader.
-
Rividi davanti a me l'ultimo
anno e trovai la forza di dare una risposta sincera, autentica e
degna di chi mi stava di fronte, pieno di paure e dubbi.
-
"L'ho fatto, Mario,
come lo farai tu. Non ci sono garanzie, è tutto un salto nel vuoto,
mi dispiace dirtelo ma è così. Cambia tutto ma tu no, posso
assicurartelo, semplicemente scropri mille lati della tua personalità
che non hai mai avuto modo di conoscere fino ad ora. Tutto ti sembra
difficile all'inizio, ti perdi per le strade, pensi all'accento delle
persone della tua città che ti manca insieme al cibo con cui sei
cresciuto, solo che poi un giorno ti svegli, cammini per strada, vedi
quella persona che hai incontrato in un negozio qualche giorno prima,
ricordi il volto della signora dell'edicola e capisci che in fondo
non sei più un passante, sei parte attiva di tutto ciò... E tornare
a casa sarà bello, apprezzerai i tuoi familiari ancora di più, solo
che avrai un cuore più grande perché sarà in grado di contenere
due case, due famiglie, quella vera e quella fatta di tutti coloro
che ti supportano nella nuova città, passo dopo passo".
-
Mario sembrava colpito da
quel discorso, tanto da sorridermi con affetto e accarezzarmi un
braccio.
-
"Non dimenticare che io
e gli altri ci siamo, insieme sarà tutto più semplice"
aggiunsi, provando a rassicurarlo perché capivo il suo stato d'animo
ed empatizzavo molto con lui, in quel momento più che mai.
-
"Grazie. Speriamo
bene".
-
In un solo istante fui presa
dalla consapevolezza di aver tenuto discorsi importanti con lui e
Saverio nel giro di una mattinata e mi sentii improvvisamente colta
da un sano senso di benessere e tranquillità.
-
-
Quando presi posto a cena
nel ristorante che avevamo prenotato mi sentii improvvisamente
libera, consapevole di aver fatto tutto ciò che c'era da fare e che
il mio ruolo di mediatrice era ormai giunto alla fine.
-
Sospirai, sorrisi senza
motivo e, voltandomi verso Maurizio, provai un senso di pace mai
provato prima. Gli feci cenno di seguirmi e lui obbedì, preoccupato,
fino a raggiungermi nel piccolo cortile del locale.
-
"Tutto bene?"
chiese premurosamente, cingendomi la vita con un braccio.
-
"Sì".
-
Mi fermai, appoggiandomi
contro un muretto e lo attirai a me, appoggiandomi sul suo petto; il
modo in cui lui rispose prontamente al mio gesto accarezzandomi la
schiena mi fece sentire protetta come non mai e fu in quell'istante
che mi dissi che tutti i problemi di quei ventotto giorni erano
serviti a molto e, soprattutto, a regalarmi un'esperienza
indimenticabile che aveva risanato il mio status di persona
perennemente triste e ansiosa.
-
"Alice, che hai?".
-
"Niente. Ho appena
realizzato che non abbiamo ancora più nulla da fare e mi sento...
Libera. Volevo condividere questo momento con te" sussurrai,
alzando la testa e accarezzandogli quei ricci ribelli che tanto mi
piacevano.
-
Come risposta ci ritrovammo
persi in un bacio lento e lungo, un bacio che stava a significare che
ora avevamo tutto il tempo per noi.
-
In quel momento pensai che
la cosa a cui avrei più pensato con nostalgia di quel ragazzo erano
la dolcezza e le attenzioni che mi dimostrava, anche con un gesto
semplice con un bacio.
-
"Ali, voglio tu sappia
che... Insomma, se potessi fermerei il tempo, resterei qui con te,
partire mi sembra insensato" mi disse Maurizio, triste.
-
Mi stringeva a sé con
decisione come per non farmi andare via e io facevo lo stesso,
aggrappata a lui.
-
"Ho paura di proporti
di vederci a Roma prima della tua partenza" confessai. La nostra
città di origine era la stessa eppure non aveva mai menzionato un
eventuale incontro lì.
-
"Sarò a Milano, sai,
per le ultime cose da sbrigare con l'Università...".
-
Avrei voluto dire tante cose
ma evitai, pensando che un gesto potesse aiutarmi meglio delle
parole, così aprii il mio zainetto e ne estrassi un quadernino che
gli porsi.
-
"Cos'è?" chiese,
incredulo.
-
"Un regalo di
arrivederci" sussurrai, provando a non commuovermi. "Io non
so come andrà, Maurizio, ma tu mi hai fatto sentire apprezzata e
importante come non mai, ti sarò per sempre grata, hai illuminato il
momento più buio della mia vita" confessai, decisa a non
tenermi tutto dentro come al solito.
-
"Ali... E tu? Sai cosa
significa dover partire e... Oh!".
-
Aveva aperto il quaderno e
aveva visto che ai lati di ogni pagina c'era una frase che si
riferiva a qualcosa che avevamo vissuto o a qualche citazione in
particolare.
-
"Ricorda: meriti
solo cose belle!, Ricorda che ogni azione ha un suo perché e nessuna
è banale, dopotutto sono successe cose belle anche quando abbiamo
comprato uno spazzolino e del dentifricio di notte..., Qualsiasi sia
il problema, non c'è nulla che un caffé non possa risolvere, Se
bevi del vino non sederti sul lavandino del bagno, per ora non ci
sono io ad aiutarti a scendere" lesse, incredulo tra risate
e facce buffe. "Ma non ho parole! E' un pensiero....".
-
Si bloccò, deglutì, prese
fiato e poi mi ritrinse a sé. "Io tornerò e tu mi porterai a
cena come promesso, intesi?"chiese, deciso.
-
"Certo" lo
rassicurai, felice del fatto che ricordasse ancora quella promessa
fatta in un momento intimo e di frenesia in cui si direbbe di sì a
tutto.
-
"Io per te ho questo"
aggiunse, spostandosi per frugare nello zainetto ed estraendone un
portachiavi con una bottiglia di vino. "Mi ricorda il tuo
compleanno, il momento in cui ci siamo confessati un po' l'interesse
reciproco" spiegò lentamente. "Mi sembra passata una vita,
davvero".
-
Annuii, gli occhi lucidi
come non mai e lo riabbracciai, dicendomi di farmi forza e beandomi
della sua stretta decisa.
-
Quando ci decidemmo a
tornare a cenare per fortuna gli altri stavano ancora mangiando,così
ci affrettammo a darci una mossa e a finire il nostro cibo tra
sorrisini e occhiate fugaci salvo poi prendere parte al momento
musicale della serata, quello in cui il locale si trasformava in una
sorta di discoteca e i ragazzi si scatenavano per un'oretta.
-
Me ne fregai del giudizio
altrui e non opposi resistenza quando Maurizio mi prese per mano e mi
trascinò in mezzo alla pista per ballare in mezzo al caos fatto di
ragazzi, group leader e parte dei vari staff.
-
Per quei gloriosi minuti mi
sentii un'altra, libera dal peso del lavoro svolto in quelle
settimane e delle incombenze che mi mettevano ansia. Ero soddisfatta,
stando alle parole di Saverio avevo coordinato il dipartimento di
mediazione in maniera più che soddisfacente e in più avevo
affrontato vari uragani come quello di Amanda.
-
Quando partì "Alive"
mi lasciai trasportare dal ritmo incalzante della canzone e la ballai
con più trasporto del dovuto, sentendo il testo parte della mia
identità.
-
Ad un certo punto io e
Maurizio ci ritrovammo a girare intorno come nella famosa scena del
Titanic e probabilmente quello fu uno dei momenti più felici del mio
2018.
-
Il mio corpo si muoveva
liberamente senza imposizioni e sentivo che anche il mio spirito era
decisamente più leggero, come uno di quei palloncini che si vendono
alle fiere.
-
Ovviamente, Mario riprendeva
tutto tramite diretta e finì tutto sul grande schermo del locale, in
modo da farci leggere i commenti super felici dei genitori che a
breve avrebbero rivisto i loro pargoli dopo due settimane di
lontananza.
-
"Inoltre, vi annuncio
che la nostra pagina Facebook ha vinto il concorso come "Pagina
più curata ed aggiornata" tra tutte quelle dei vari college,
l'ho appena saputo!" urlò Mario, prendendo il telefono e
interrompendo le danze con i suoi soliti modi affrettati e smaniosi
quando si trattava di dire qualcosa che lo appassionava. "Vediamo
qualche scatto!".
-
Io e il mediatore ci
avvicinammo a Saverio e a Salvatore comprendendo l'importanza del
momento e osservammo le foto proiettate dall'activity leader con
grande orgoglio. Ne erano molte, tutte ben curate nei dettagli,
spontanee ma di ottima qualità: dei ragazzi che correvano verso i
tipici palazzi rossi di Temple Bar, alcuni che posavano al fianco
della statua di Oscar Wilde con un bellissimo arcobaleno alle loro
spalle, i group leader dello scorso turno che facevano una piramide
umana come se fossero delle cheerleader, addirittura una, di cui non
conoscevo l'esistenza, in cui io e Maurizio ce ne stavamo su un prato
e controllavamo il nostro odiatissimo planner e un'altra del mio
compleanno.
-
"Aspettati una cosa
simile per il tuo matrimonio" ironizzai, facendo ridacchiare
Saverio.
-
"Sempre se Nadia dice
di sì".
-
"Sempre se ti decidi a
farle la proposta".
-
"Pensa agli affari
tuoi".
-
"No, penso dovremmo
tutti pensare a Mario e ad aiutarlo se viene a stare a Milano"
cambiai argomento, seria come non mai.
-
Saverio mi guardò, sorpreso
del fatto che sapessi già tutto ed annuii con decisione. "E'
scontato, gli ho detto che ha noi e che deve star tranquillo, anche
se è tutta colpa tua".
-
"In che senso?".
-
"Ci hai fatto capire
che cambiare è possibile, che non è giusto accontentarsi e dopo di
te Nadia, io, ora Mario, abbiamo iniziato a credere in una vita
migliore...".
-
"E' una bella colpa,
no?".
-
"Sì. E' la stessa
colpa per cui sto per andare in Argentina, ma giuro che torno"
s'intromise Maurizio, guardando prima me poi il coordinatore.
-
Quel gesto mi sembrò strano
– c'era forse più intesa di quel che credevo tra loro? - ma
scrollai le spalle e continuai a vedere piccoli ricordi di
quell'avventura sullo schermo, optando per zero nostalgia e rimpianti
anche perché, onestamente, non ne avevo.
-
-
Dormimmo molto, più del
dovuto, in effetti.
-
In tarda serata salutai i
ragazzi a cui mi ero più affezionata, partecipaii alla riunione di
addio con i group leader e mi premurai di fare il caffè a tutti ma
visto che l'aereo dello "staff superiore" era previsto per
le sedici del giorno dopo mi dissi che avevo fatto fin troppo avendo
auitato con i verbali e i documenti finali al posto di Toni e salutai
tutti prima di andare a dormire, verso l'una.
-
Fu un addio semplice,
strette di mano, abbracci freddi, addirittura salutai l'antipatica
dottoressa con un cenno della mano, anzi, di fronte ai suoi occhi mi
premurai di rubacchiare dalla dispensa della cucina gli ultimi
residui di junk food visto che non intendevo svegliarmi presto
per fare colazione.
-
Mi sorprese vedere che Alba
voleva parlarmi e vidi il tutto come una punizione divina ma,
sperando di non doverci più lavorare insieme in futuro, mi fermai
con aria interrogativa.
-
Aveva i ricci capelli
avvolti in una coda disordinata ed evidenti occhiaie bluastre che non
le donavano ma era comprensibile, anzi, io ero messa anche peggio a
dirla tutta.
-
"Dimmi" la
esortai, tra il curioso e il seccato.
-
Lei mi squadrò
attentamente, come se mi vedesse per la prima volta, poi disse tutto
d'un fiato: "Ma posso sapere cosa c'è tra te e Luca Antonini?
Mi riempie di messaggi e in un modo o nell'altro vuole sapere di te,
cosa fai... Ultimamente addirittura mi chiede che rapporto hai con
Maurizio". Sembrava seccata, forse pensava di avere le
attenzioni del bel group leader tutte per sé e che i messaggi
avessero uno scopo ben diverso.
-
"E tu che gli hai
risposto?" domandai, senza parole.
-
"Quello che credo, che
avete una storia, vedo sempre che lui esce dalla tua camera
ultimamente" mi rispose a tono, senza fregarsene della mia
reazione.
-
Sorprendendo me stessa risi
ed annuii vigorosamente senza farmi problemi. "Credi bene.
Magari avessi incontrato uno come Maurizio al posto di Luca... E' il
mio ex, dopo nove mesi mi ha lasciato perché mi ha tradito".
-
"Che stronzo!"
esclamò Alba, sboccata ma onesta come al solito, portandosi le mani
alla bocca.
-
"Eh sì. E deficiente
pure, pensa di spiarmi attraverso di te?".
-
Era tardi, ero stanca, non
avevo le energie sufficienti per indignarmi o arrabbiarmi con il mio
ex, così mi limitai a guardare la group leader con una scrollata di
spalle e lei, all'improvviso, mi abbracciò.
-
"Mi sei sempre sembrata
una tosta, Alì, e mi dispiace non aver fatto amicizia. Antonini è
uno stronzo, non gi rispondo più".
-
Questo è l'ultimo ricordo
che ho di Alba. Non ci dicemmo altro, non raccontai a nessuno di
quella rivelazione – quasi come se credessi che fosse frutto del
troppo sonno arretrato – e me ne andai in camera, seguita da un
Maurizio sempre più silenzioso che provò a comunicare con me
attraverso i gesti, baciandomi con ardore, spogliandomi, possedendomi
per la prima volta contro il muro, con ancora metà vestiti addosso e
in modo più selvaggio del dovuto, come per farmi capire tutta la
passione che si portava dentro dal nostro momento romantico ad ora di
cena.
-
In quel momento lo vidi
davvero per com'era, senza maschere, senza imposizioni, senza filtri
e mi piacque da morire perché mi faceva sentire me stessa oltre che
apprezzata e desiderata.
-
"Voglio che pensi a
questa notte se andrai con qualcuna in Argentina" biascicai tra
le sue spinte e il piacere che mi annebbiava il cervello. "Ne
varrà la pena solo se sarà più eccitante di questo... Noi, sudati,
tu che mi sbatti senza pietà e io che te lo lascio fare perché
finalmente vedo il vero Maurizio, quello che potrebbe amarmi così
sempre, tutti i giorni".
-
Usai il verbo "amare"
imprudentemente, dettatata dalla passione del momento, ma Maurizio
non si ritrasse, anzi, mi rispose in maniera ancora più concitatata
della mia per farmi capire quanto lo eccitassero le mie parole.
-
Ci addormentammo così, poco
dopo, ancora inebriati dal profumo dell'altro e dormimmo fino alle
dieci del mattino, mangiammo le schifezze rubate in cucina ignorando
i messaggi dei group leader che ci informavano dell'andazzo dei loro
viaggi.
-
"Oggi deve essere un
punto di inizio, non di fine" ruppe il silenzio Maurizio mentre
bevevo un succo di frutta con fare svogliato.
-
"Lo spero"
risposi.
-
Ci scambiammo uno sguardo
triste ma consapevole e finimmo di mangiare, prima di separarci per
fare i bagagli.
-
Non mi ci volle molto per
mettere nel mio trolley i vari pantaloni e le magliette ormai
sgualcite e pronte da essere usate solo in casa, riposi con un po'
più di attenzione la camicetta bianca che avevo messo con entusiasmo
il primo giorno e sorrisi pensando a quanto ero stata felice nel
vedere il mio ruolo cambiato, migliorato insieme a tutte le nuove
responsabilità del caso.
-
Non piansi, nemmeno quando
andai nella cucina della zona comune per farmi un ultimo caffè in
compagnia del coordinatore, per dare degna fine a quella tradizione.
-
Era tutto silenzioso, non
c'era più il caos causato dalle urla degli adolescenti, mi sembrava
di non sentire più nemmeno il verso dei gabbiani.
-
"Caffè a mezzogiorno,
quanto siamo ribelli" osservò il coordinatore sorridendo in un
modo sincero, autentico, che non gli avevo mai visto stampato in
faccia in quell'occasione.
-
"Spero mi aiuti a
svegliarmi, non riesco a parlare molto da stamattina" ammisi,
guardando l'orologio per fare qualcosa.
-
"Ali, sei strana".
-
Annuii, consapevole di
quell'osservazione perché io stessa non mi sentivo me stessa, memore
della mia reazione alle parole di Alba e per la notte particolarmente
erotica che avevo passato con Maurizio, era tutto troppo estremo e
strano per i miei gusti.
-
"Sto facendo passi
avanti, è l'ultimo giorno e non c'è stato nessun incidente e non
sto facendo passi più lunghi della gamba" gli ricordai.
-
"Ma che brava".
-
Ci sedemmo, bevemmo il caffè
in silenzio senza sapere bene cosa dirci finchè Saverio non si
decise a prendere parola.
-
"A fine agosto
lavoreremo insieme, no?" azzardò, pensieroso.
-
"Sì, per la prima
volta" lo presi in giro.
-
"Scema! Voglio fare un
discorso serio!".
-
Alzai le mani e lo lasciai
parlare, curiosa di sapere cosa aveva da dirmi.
-
"Dicevo, lavoreremo
gomito a gomito, spesso viaggeremo insieme per sponsorizzare le
vacanze studio, contribuiremo alla realizzazione dei pacchetti
viaggi, sarai sempre la mia mediatrice... Avremo il nostro ufficio e
sappiamo che siamo una bella squadra. Inoltre, sarà un anno
importante, io farò la fatidica domanda a Nadia e tu proverai a
continuare la storia con Maurizio. Supportiamoci ancora, manteniamo
questa tradizione del caffè prima di lavorare, sarà il nostro
momento per confidarci e lavorare con la testa più serena"
propose Saverio, cauto come se stesse davvero parlando di un affare
di Stato.
-
Udendo ciò sorrisi in
maniera quasi infantile ed annuii, allettata dalla proposta ma
soprattutto dal valore che aveva attribuito a quella nostra
tradizione dell'ultimo mese.
-
"Ci sto" asserii
e, senza riuscire a trattenermi, mi avvicinai e lo strinsi a me con
affetto. "Sei il migliore amico che non ho mai avuto"
constatai, senza pensarci due volte.
-
"Sei la mia migliore
amica da quando grazie a te ho passato l'anniversario con Nadia"
disse, ricambiando la stretta con fare quasi paterno. "Nessuno
avrebbe fatto ciò che hai fatto tu per noi, hai sostenuto Nadia
prima del mio trasferimento e sei stata davvero un'amica nel farci
ritrovare in un giorno così importante".
-
Dublino 2018 ci aveva
regalato molte emozioni ma quel legame fu la conferma più
sorprendente di tutte.
-
Un'ora dopo salutai il
college con un nodo alla gola, memore di tutti i bei ricordi vissuti
lì, e sperai vivamente di rivivere un'avventura altrettanto magica
l'anno successivo.
-
-
Avendo lo stomaco annodato
non pranzai ed essendo l'unica donna del gruppo fui costretta a
ricoprire per la prima ed unica volta il ruolo di "madre"
protettiva che assiste tutti e fa mille raccomandazioni, li aiuta con
la valigia più pesante del dovuto e cose simili.
-
L'unico a non darmi problemi
fu il silenzioso Toni – di cui ormai non ricordavamo nemmeno il
cognome – mentre anche Salvatore, stanco, sembrava più
chiacchierone ed insofferente del solito, tanto da lasciare la
confezione di shampoo nel bagaglio a mano.
-
"Per una vorta so' io
che ti rimprovero, Salvatò" gli dissi in romano, usando il
dialetto per la primissima volta.
-
"Sto messo male, regà"
si lamentò lui, facendo ridere tutti.
-
Ci imbarcammo con calma
essendo in anticipo e aspettammo tutti lo stesso aereo: tutti
atterravamo a Roma, poi da lì ognuno avrebbe fatto scalo o preso il
treno per giungere a destinazione.
-
Salutai Salvatore e Mario
con tanti abbracci e promesse – "Quando vengo a Roma ti
scrivo" e "Fammi sapere come va a Milano"- e Saverio
con il cipiglio della classica amica che vuole che tu ti sbrighi a
fare una certa cosa.
-
"La vacanza è un
ottimo modo per fare la proposta a Nadia" dissi, pedante come al
solito perché volevo che la mia amica sapesse tutto al più presto.
-
"E' banale".
-
Ci salutammo con abbracci e
la promessa di tenerci aggiornati mentre lui usciva dall'aeroporto e,
come previsto, restammo solo io e Maurizio da soli, l'uno al fianco
dell'altra, senza sapere come rapportarci nella realtà dei fatti di
Roma, così lontani dalle terre irlandesi e da tutte le nostre
promesse.
-
Come ogni volta che si
trattava di dire addio, non riuscivo a non essere pacata e razionale,
mi lasciavo sempre andare con frasi strappalacrime o ridevo per il
nervosismo.
-
Avevo salutato tutti,
solo Maurizio era l'unico rimasto al mio fianco perché avremmo preso
la stessa navetta per tornare a Termini e poi ognuno si sarebbe
diretto a casa propria.
-
"Andiamo?" mi
chiese, un po' incerto.
-
Esitai, guardando
l'aeroporto di Fiumicino per l'ultima volta, con un'enorme carica
positiva visto che ogni avventura iniziava sempre da lì e in un modo
o in un altro ogni volta che ci tornavo ero una persona diversa.
-
"Aspetta"
susurrai. "Quando usciremo da qui saremo presi da telefonate,
orari delle navette, mille pensieri... Voglio approfittarne per dirti
ora che ti ringrazio perché mi hai dimostrato di essere una persona
meravigliosa e non so come avrei fatto senza di te".
-
Maurizio sgranò gli
occhi, quasi incredulo per quella mia ammissione e, un po'
goffamente, fece un movimento strano che gli fece cadere la valigia.
-
Ridemmo e non so come ci
ritrovammo stretti in un abbraccio dolce, che probabilmente voleva
dire tante cose, più di quelle che ci eravamo già detti.
-
Non me ne ero ancora resa
conto, ma a pochi passi da noi c'era Luca con la sua squadra che ci
guardava.*
-
Il suo secondo turno come
group leader era finito a sua volta quel giorno e il destino me lo
fece trovare proprio lì, anche se io non avevo occhi che per il
coordinatore.
-
Infischiandomene del nostro
essere in un luogo pubblico guardai Maurizio negli occhi e lo baciai,
consapevole che fosse l'ultima volta per il momento.
-
Anche lui sembrava esserne
consapevole perché lasciò stare definitivamente la valigia e mi
strinse a sé, con slancio, baciandomi con una passione eccitante e
travolgente.
-
"Riguardo quello che
hai detto ieri sera, non ci sarà nessuna Argentina, fidati. Ti
aspetto" sussurrò , stringendo le mie mani tra le sue e
baciandole con devozione.
-
Non riuscii a non trattenere
le lacrime e mi fiondai tra le sue braccia.
-
"Ti aspetto anche io.
Saranno sei lunghi mesi...".
-
"L'invito a cena è
ancora valido?".
-
"Ma certo, stupido!".
-
Abbracciati, commossi, pieni
di promesse, ci salutammo una volta giunti alla stazione di Termini,
con il cuore un po' più leggero ma pieno di promesse.
-
-
3 agosto 2018
-
Faceva caldo in un modo
assurdo, ero da sola a casa perché i miei erano via per
l'anniversario ed io ne stavo approfittando per riposarmi un po' e
godermi Roma senza l'ansia di dover far tutto in poco tempo visto che
sarei tornata a Milano dopo tre settimane.
-
Ero in procinto di uscire e
raggiungere le mie amiche per un pomeriggio in piscina quando
bussarono alla porta, corsi ad aprire convinta che fosse la mia amica
Bianca, sempre puntuale come al solito mentre io ero in ritardo
perché avevo cambiato costume mille volte e non trovavo il mio
prendisole preferito.
-
Aprii la porta della mia
villetta di periferia con uno scatto e dissi: "Bianca, scusami,
sono..." ma mi ammutolii vedendo la figura del ragazzo che avevo
di fronte.
-
Mi sentii mancare la terra
sotto ai piedi quando vidi che non si trattava di Bianca, bensì di
Luca.
-
Cos'era successo? Eravamo
indietro di un anno e non me ne ero accorta?
-
Volevo dire qualcosa di
intelligente ma non riuscii a sputare altro che: "E tu che
vuoi?".
-
Luca era diverso, più
maturo da come lo ricordavo, i tratti da ragazzo che lo avevano
caratterizzato l'anno prima ed avevano lasciato spazio a quelli da
uomo con un po' di barba incolta.
-
"Alice, scusami, lo so
che è tutto improvvisato, ma è da quando eri a Dublino che volevo
vederti".
-
Cosa? Mi tradiva, mi
lasciava, scompariva dalla mia vita e poi pretendeva di tornare così,
farsi trovare a casa mia e uscirsene con scuse insensate?
-
"Camilla sa che sei
qui?" chiesi subito, sforzandomi di non iniziare ad urlare cose
insensate e cattive.
-
"Lo sai, Ali".
-
"Prego? Io non so
niente, so che ci siamo lasciati e non capisco...".
-
"Per tutto luglio ti ho
pensato, mi sei mancata... Non so che mi succede Ali, aiutami a
capirlo" disse, con una faccia di bronzo che avrei
schiaffeggiato allegramente senza farmi alcuno scrupolo.
-
Sgranai gli occhi, convinta
davvero di star sognando.
-
"Per questo chiedevi di
me ad Alba?" sbottai, disgustata.
-
"Sì! Insomma, lei è
così chiacchierona e credevo che....".
-
"Che cosa, Luca, che
cosa? Senti, smettila, non so che ti passa per la testa ma io sono
andata avanti e un deficiente come te non mi fa bene".
-
Speravo con tutto il cuore
che la signora della villetta di fronte non si affacciasse e non mi
sentisse urlare perché mi era bastato fare una figuraccia con i miei
vicini a Milano, dove nessuno per fortuna mi conosceva.
-
Luca si passò una mano tra
i capelli come suo solito e poi si appoggiò allo stipite della
porta, obbligandomi ad indietreggiare.
-
"Sono stato geloso di
quel mediatore, vi ho visto all'aeroporto, lo sai? Stai con lui ora?"
domandò, insistente.
-
"Tu sei fuori! Ma come
osi! Mi molli e pretendi di controllarmi e sapere cosa faccio?"
strillai, spingendolo via con la forza ma senza riuscirci.
-
"No, solo che so che
era il tuo modo di farmi ingelosire, mi hai visto e....".
-
"Cosa? Io non ne so
niente, il mondo non gira intorno a te....!".
-
"No, ma il tuo sì, ne
sono sicuro".
-
Senza darmi il tempo di fare
nulla mi strinse a sé, deciso, e mi piantò le sue labbra sulle mie,
baciandomi dopo circa cinque mesi.
-
Attorno a noi gli uccellini
cinguettavano, il sole si ergeva fiero, illuminandoci, dando vita a
delle ombre che avrei fatto di tutto per tenere nascoste con me
mentre me ne stavo lì, pietrificata e combattuta sul da farsi.
-
Nel frattempo, il mio
cellulare squillava rivelando vari messaggi.
-
"Mi manchi un
casino, Ali. Quasi quasi mollo Milano e torno a casa per il weekend,
che dici?".
-
Ma io non potevo sentirlo,
presa com'ero dal rumore assurdo di tutte le mie convinzioni che
traballavano e rischiavano di crollare con un tonfo pesante.
-
-
*parte che si ricollega
alla prima parte del primo capitolo
-
-
*°*°*°*
-
Ultimo capitolo con un
finale diverso dal previsto.
-
Cosa farà Alice? Cosa
sceglierà?
-
Mi duole davvero dire addio
definitivamente a questa storia e so che postare l'Epilogo sarà
difficile, ma pazienza.
-
Cosa succederà secondo voi?
Si accettano scommesse!
-
Per l'epilogo nessuna
anticipazione, sarà più lungo del solito e sapremo cosa succederà
fino al 2020, quindi faremo un salto nel futuro ;)
-
Un bacio, a presto!
-
Milly.
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Capitolo 31 *** Epilogo - Giorno per Giorno ***
Epilogo - Giorno per Giorno
-
Epilogo
Giorno per giorno
-
-
22 Dicembre 2018
-
Sbadigliai sonoramente e
controllai le ultime cose da fare prima del breve ma intenso periodo
di ferie che mi spettava, sfogliando l'agenda controvoglia.
-
L'ufficio era cosparso di
luci e addobbi natalizi a causa di Lina, la dipendente più
rompiscatole di tutte, ma io non sentivo molto la magia del Natale
dentro di me.
-
Prendere il treno per Roma
il giorno dopo e ritornare il ventisei mi sembrava assurdo visto che
l'anno precedente, seppur da stagista, avevo avuto il privilegio di
tornare a lavorare il tre gennaio.
-
Spuntai un po' di cose fatte
e mi decisi a finire di fare le ultime, non badando alla pausa
pranzo, per partire con serenità, quando un Saverio allegro più che
mai mi si parò di fronte e mi sorrise in un modo che quasi mi faceva
paura. Solo due ore prima lo avevo visto rimproverare lo stagista di
turno, che gli prendeva?
-
"Che vuoi? Sto
lavorando" sbottai, alzando lo sguardo di malavoglia.
-
"Alice, è ora di
pranzo! Continua così e a fine anno la fascia di Miss Acidità sarà
tua" mi rimbrottò seppur affettuosamente, cosa che mi faceva
ancora più strano, onestamente.
-
"Senti, non torturarmi,
dimmi cosa devo fare e lo faccio. Tra dodici ore torno a Roma e non
ho ancora fatto i bagagli e comprato i regali di Natale...".
-
"Mi sono deciso, Ali!"
m'interruppe, evidentemente non ascoltando le mie solite chiacchiere
disperate, "A Capodanno darò l'anello a Nadia".
-
Avrei potuto fare mille
battutine, dire cose del tipo "Sempre se lo vuole" e
simili, ma me ne infischiai e mi portai una mano alla bocca,
raddolcita.
-
Negli ultimi mesi lui e la
mia amica erano diventati ufficialmente una coppia perfetta, che
agisce in sincrono ma senza risultare smielata e ovviamente avevo
continuato a dire a lui di sbrigarsi con la proposta.
-
"Era ora"
sussurrai, prima di abbracciarlo.
-
"Lo so. Lo farò dopo
la mezzanotte, con i fuochi d'artificio...".
-
"Ma al locale dove
andremo?".
-
"Sì. Per favore,
potresti provare a immortalare il momento in maniera discreta?".
-
Con gli occhi lucidi,
emozionata come se si trattasse del mio matrimonio, annuii e sorrisi
affettuosamente all'uomo che avevo di fronte, così diverso dall'uomo
un po' cinico e quasi anaffettivo che avevo conosciuto quasi diciotto
mesi prima.
-
Poi, infischiandomene delle
cose da fare, delle scadenze, degli impegni, mi alzai e lo presi
sottobraccio con aria affabile, sentendo di essere tornata ai nostri
soliti momenti di confidenza che avevano sempre la meglio su tutto.
-
"Non dovevi lavorare?"
mi chiese, ironico.
-
"Certo che devo
lavorare, anzi, mi aspetta un lavoraccio... Farti rendere questo
Capodanno unico senza farti sbagliare nulla altrimenti ti ammazzo!".
-
Saverio rise, felice come
non mai, e mi strinse a sé con l'aria di chi ha capito tutto quando
vide che lo stavo portando nel bar dell'azienda.
-
Noi, due caffé, le
chiacchiere in sottofondo di chi si prendeva una meritata pausa e
tutto poteva tornare al proprio posto senza problemi, in nome dei
vecchi tempi e dei nuovi che sarebbero giunti.
-
-
31 Dicembre 2018
-
I miei genitori e quelli di
Nadia, Saverio e Mario avevano deciso di venire da noi a Milano visto
che dovevamo continuare a lavorare, così ci eravamo ritrovati a fare
un mega cenone tutti insieme.
-
Fu una situazione
tragicomica, mangiammo cibo della tradizione napoletana misto a
quella delle tradizioni romane e abruzzesi, con i nostri genitori che
diventavano amici e si raccontavano storie d'infanzia come se si
conoscessero da anni e anni.
-
"Devo dirvi la verità,
Alice nomina Saverio così tanto che credevo fosse il suo ragazzo, ho
anche pensato che avesse mollato quel Luca per lui" ammise mia
mamma, facendoci ridere tutti con gusto.
-
"Mamma, lo sai che io
sceglierei Mario, è più simpatico" ironizzai.
-
Sentendo ciò Mario, che
ormai aveva superato il periodo di adattamento ed era felicissimo
presso l'agenzia di eventi di Milano che lo aveva assunto, mi si avvicinò e mi
appoggiò una mano sulla spalla con l'aria di chi la sapeva lunga.
-
"E io ti direi di no,
sei troppo antipatica".
-
"Gli opposti si
attraggono!" cinguettò Nadia, ridendo.
-
"Ecco perché stai con
quello scemo di mio figlio, cara, non c'è altra soluzione. Che tu
sia benedetta!" esclamò la singora Capone, guardando la
fidanzata del figlio come se fosse Beyoncé.
-
"Ora capite da chi ho
preso il mio essere sempre molto affettuoso" sospirò Saverio,
bevendo un goccio di vino con aria truce, mentre Nadia lo
abbracciava.
-
Fu
una cena divertente, mangiammo a volontà e in armonia come se
fossimo una vera famiglia, poi, alle dieci, io e Nadia decidemmo di
andare a prepararci per la serata post mezzanotte in una discoteca
che sponsorizzava l'agenzia di Mario.
-
-
"Quindi non lo hai più
sentito?".
-
La domanda di Nadia mi
trafisse come cento spilli tutti insieme, rabbrividii e finsi di
concentrarmi solo su una ciocca molesta di capelli che non voleva
starsene al suo posto.
-
Scrollai le spalle e scossi
il capo, improvvisamente rattristita.
-
"Nadia, gli ho
confessato che ad Agosto, dopo solo otto giorni dopo averlo salutato,
sono stata con il mio ex dopo ben tre mesi dalla nostra
separazione... E' normale che sia scosso e che voglia il suo tempo
quando mi stava aspettando seppur in un altro continente, anche se è stata una cosa di mezzo pomeriggio"
risposi, rabbuiata.
-
In un secondo rividi davanti
ai miei occhi il litigio con Luca dopo il suo bacio, il suo
intrufolarsi in casa mia, lui che mi urlava le sue ragioni – che
per me erano torti – e, infine, il mio cedere per l'ultima volta e
cadere tra le sue braccia, prima di piangere per ore e cacciarlo di
casa perché avevo capito che avevo messo tutto a rischio per nulla,
perché per me quel ragazzo non contava più nulla e ne avevo
finalmente avuto la prova definitiva.
-
Ero stata stupida, per
quegli insipidi minuti ero tornata ad assere l'Alice disperata dei
mesi precedenti e avevo lasciato che la parte di me che aveva
sofferto l'avesse vinta su tutti i progressi fatti a luglio anche
grazie al mio mediatore.
-
Non dimenticherò mai la
sensazione di delusione provata dopo, capire di aver tradito la
fiducia di Maurizio per qualcosa che ormai non esisteva più dentro
il mio cuore era terribile e avevo avuto il coraggio di confessarlo
solo dopo mesi e mesi.
-
"Non dovevi farlo"
disse la mia amica, decisa. "Non gli devi spiegazioni, non è il
tuo ragazzo...".
-
"Al posto suo avrei
voluto saperlo, Nadia, soprattutto nel caso in cui riesca ad andare
avanti e a voler provare a stare con me al ritorno" sussurrai.
-
"Sì, ma ora che manca
poco...".
-
"Un mese esatto"
sospirai.
-
"Ecco! Rischi di...
Insomma, Alice, fatti furba, se per te Luca non significa più nulla
non eri tenuta a rovinare le cose tra voi!".
-
"Non è così, Nadia".
-
Decisi di lasciare i capelli
sciolti e aiutai la ragazza a chiudere la cerniera del bellissimo
vestito color bronzo che aveva deciso di indossare.
-
"Maurizio è in
Argentina e sin dall'inizio è stato più presente che mai, mi ha
scritto un'email bellissima in cui parlava di noi, di ciò che è
stato, di ciò che potrebbe essere... Lo sento davvero vicino a me
nonostante tutto, omettere l'incontro con Luca sarebbe stata una
carognata. Sono fiduciosa, e se non si fa viva sono decisa a
parlargli quando tornerà, perché rivederlo con quel macigno sul
petto non era proprio una cosa che mi sentivo di fare, non se lo
merita" mi spiegai cautamente, sforzandomi di non piangere al
pensiero di non ricevere più messaggi da parte sua.
-
Nadia mi guardò e mi
abbracciò, affettuosa come sempre. "Scusami, hai ragione. Andrà
tutto bene, succederanno tante cose belle!".
-
"Oh, anche a te"
risposi, senza riuscire a trattenermi.
-
1 Gennaio 2019
-
"Buon anno!"
-
Nelle mie fantasie più
impronunciabili allo scattare della mezzanotte Maurizio sarebbe
entrato in sala e mi avrebbe baciato alla Ryan Atwood, ma questa era
la vita vera, la vita in cui io e lui eravamo in due continenti
diversi e non ci sentivamo da settimane. Eppure, mai come in quel
momento, sentivo il suo ricordo e la sua presenza più vividi che mai
dentro di me.
-
Ogni cosa mi ricordava lui e
il suo amabile sorriso.
-
Presi il cellulare, pur
sapendo che a Buenos Aires fossero ancora le otto di sera, e scrissi
rapidamente un messaggio.
-
-
Ciao dal 2019.
-
Capisco il tuo silenzio
ma ci tengo a dirti che anche
- nel futuro ti penso ancora e, se ti va,
ci sarò al tuo ritorno.
-
Ti avevo promesso che il
1 gennaio avresti saputo
- qual è il mio ristorante preferito...
- Se ti
andrà di saperlo te lo dirò. Un bacio.
-
La tua Alice.
-
Lo inviai senza pensarci due
volte e avvertii Mario prendermi per mano.
-
"Ali, muoviti, prepara
il telefono, Saverio sta portando Nadia fuori alla terrazza per farle
la proposta!" disse concitato, quasi tirandomi con forza.
-
"Sì, sì, vengo!"
risposi, muovendomi a impostare la telecamera.
-
Impiegammo un po' a
raggiungere il luogo stabilito a causa della gente ma alla fine ce la
facemmo in tempo perché la coppia stava semplicemente guardando quel
bellissimo spettacolo pirotecnico.
-
Nadia tremava per il freddo,
così, con naturalezza, Saverio le appoggiò la sua giacca sulle spalle,
poi iniziò a parlare.
-
Appostati dietro una delle
pareti che davano sulla terrazza io e Mario guardavamo il tutto con
aria imbambolata e i cellulari rivolti verso i nostri amici.
-
Saverio parlava, sorrideva
imbarazzato, poi, alla fine, si inginocchiò e aprii la scatolina con
l'anello comprato cinque mesi prima a Dublino.
-
Vedendo quella scena non
riuscii a resistere e scoppiai in lacrime, emozionatissima, seguita a
ruota dal mio amico, tanto che fu difficile riuscire a registrare
senza far traballare la schermata.
-
Ovviamente Nadia si portò
le mani alla bocca, si agitò, pianse, toccò Saverio come per
rendersi conto che fosse vero, fatto di carne ed ossa, prima di
urlare "Sì! Certo che sì! Mille volte sì!",
inginocchiarsi a sua volta – ricordandomi tanto Monica e Chandler
di Friends – e baciarlo dopo che lui le ebbe messo l'anello al
dito.
-
Finimmo di riprendere,
scattammo qualche foto un po' scura e poi restammo così,
immobili, per non disturbarli.
-
"E' stato magnifico"
constatai, ancora in lacrime.
-
"Sì. L'amore esiste,
Ali".
-
Quella constatazione mi
scaldò il cuore e annuii, abbracciandolo.
-
1 Febbraio 2019
-
-
Faceva freddo, tanto freddo,
a tal punto che tremavo come una foglia nonostante le mille maglie,
il cappotto super caldo e la sciarpa enorme che indossavo.
-
Il pensiero di uscire
dall'ufficio e dover camminare fino alla fermata della metro mi
faceva impazzire ma dovevo farmi coraggio, così indossai il cappello
alla francesina che avevo comprato poche settimane prima, i guanti,
la sciarpa e mi apprestai a prendere la borsa.
-
"Damigella, io vado, ci
vediamo domani!" esclamò Saverio, salutandomi con la mano e
correndo via come un lampo.
-
Sospirai, da quando Nadia mi
aveva scelto come damigella d'onore mi chiamava sempre così e la
cosa a lavoro mi imbarazzava. Inoltre, come al solito c'erano alcuni
membri dei vari team che non vedevano di buon occhio la nostra
confidenza e non perdevano tempo nel diffondere voci poco carine sul
nostro conto.
-
Damigella!
-
Sì, ero una di quelle
damigelle che se la cavavano da sole, senza cavaliere ed erano
appesantite dalle mille richieste della propria dama. Non che non
volessi bene a Nadia ma ultimamente andava in crisi per ogni cosa e
starle dietro risultava sempre più complicato perché non sapevo
cosa dirle per rassicurarla.
-
Come per confermare questo
pensiero, il mio cellulare squillò e mi ritrovai a leggere un suo
messaggio.
-
"Sono al bar vicino
l'ufficio, ho bisogno di un consiglio, ti prego!".
-
Alzai gli occhi al cielo e
mi imposi di essere gentile e carina come Nadia lo era sempre stata
con me, il fatto che quel giorno fosse un giorno particolare che non
era andato come avevo immaginato era un problema mio, non suo, e non
dovevo incolparla se così facendo mi stava portando via dal mio
piano per la serata composto da sushi da asporto, "La verità è
che non gli piaci abbastanza" e del vino.
-
"Certo, arrivo"
risposi.
-
"Tavolo 12, ho già
ordinato il tuo solito spritz".
-
Sospirai e mi avviai verso
il bar, squadrando il mio riflesso nelle vetrine davanti cui passavo.
- Vedevo una ragazza improvvisamente più matura, i tratti da bambina
che avevano sempre caratterizzato il mio viso un po' rotondetto
stavano scomparendo lasciando la traccia di una giovane donna pronta
ad emergere. Forse anche il taglio un po' più corto e le tracce di
trucco un po' più pesante davano il loro contributo, chissà.
-
Entrai nel bar
destreggiandomi tra la solita folla del venerdì sera e iniziai la
ricerca della mia amica, avvicinandomi alla zona del tavolo dodici.
-
Non la vedevo, non c'era
traccia della sua chioma corvina e delle sue tinte labbra sempre
molto marcate.
-
Arrivata al tavolo undici mi
voltai verso il dodici e vidi che era occupato da un uomo che si
guardava intorno.
-
Una seconda occhiata e
l'uomo si voltò verso di me.
-
Aveva una folta chioma
riccia e una barba incolta, il naso un po' lungo e un sorriso
gentile.
-
"Alice!".
-
Improvvisamente le gambe mi
tremarono e fui costretta ad appoggiarmi al tavolo per non cadere,
l'espressione sorpresa e la faccia di chi non crede ai suoi occhi.
-
"Maurizio?".
-
Pronunciai il suo nome in
modo flebile, quasi inaudibile, mentre lui si alzava e mi veniva
incontro.
-
Improvvisamente la folla
cessò di essere rumorosa, non sentivo nulla oltre al suono delle
parole di chi mi stava di fronte.
-
Maurizio era più elegante
del solito, indossava una camicia sotto ad un maglione scuro e dei
pantaloni eleganti, mi si avvicinò con cautela e mi accarezzò una
guancia come se fossi fatta di vetro.
-
"Non dici niente?"
chiese, quasi imbarazzato.
-
Cosa dovevo fare, saltare di
gioia o dirgli che era uno stronzo perché non mi aveva più degnato
di mezzo messaggio da quando aveva saputo la verità su me e Luca?
-
Il calore del bar e della
folla era troppo così, non riuscendo a resistere, gli voltai le
spalle e uscii dal locale, in ansia e accalorata.
-
Presi posto su una panchina
e lui mi seguì, sedendosi al mio lato.
-
"Credevo non volessi
più avere a che fare con me. Chi tace acconsente" sussurrai,
sentendo un grande nodo alla gola.
-
"Sì, ma acconsente a
cosa? Non lo sapevo nemmeno io, Ali, finché non è venuto il momento
di ripartire e di realizzare che avrei potuto rivederti" rispose
cauto, cercando di mantenere il contatto visivo.
-
"Ho sbagliato ma potevi
rispondere, a Capodanno...".
-
"Ci sono stato male,
mettiti nei miei panni".
-
"Ti ho giustificato per
mesi, davvero, ma ora mettiti tu nei miei panni, credevo non ti avrei
rivisto se non per caso, magari in metro, e...".
-
La voce mi si spezzò e,
senza riuscire a trattenermi, iniziai a versare un mare di lacrime
tanto da sentirmi stupida e infantile come non mai.
-
Mi alzai, celando il viso, e
prontamente Maurizio mi seguì, afferrandomi per le braccia e
obbligandomi a guardarlo.
-
"Non volevo farti
piangere! Sono uno scemo, ho organizzato questa sorpresa con Nadia e
Saverio perché non avevo la forza di contattarti e invece ti ho
sconvolto! Scusami, davvero. Quando mi hai rivelato di te e Luca ero
convinto di un vostro ritorno di fiamma" si giustificò, cauto
come non mai.
-
Feci cenno di no e pescai un
fazzoletto nella borsa per asciugarmi il viso.
-
"Te l'ho detto dopo
mesi... Quando è successo ho avuto la conferma del fatto che non lo
amavo più e mi sono odiata per avergli ceduto, ho capito che era
finito tutto e....".
-
"Basta, Ali. Il tuo ex
ci ha già danneggiato abbastanza. Io so solo che sono di nuovo a
Milano e che mi sei mancata da morire anche se ci siamo conosciuti
solo per un mese" m'interruppe, asciugandomi una lacrima con
dolcezza e stringendomi a sè con decisione, pronto a non farmi
andare più via.
-
Quell'abbraccio fu
terapeutico, sentii tutta la sua voglia di rivedermi, provare a
conoscermi di nuovo, riavermi al suo fianco di nuovo nella
quotidianità questa volta nel mondo vero, non in quello un po'
plastificato della vacanza studio.
-
Ricambiai la stretta con
energia e continuai a piangere, sentendo che in quel modo avrei
chiuso definitivamente con il passato e sarei stata pronta a vivere
nel bel presente che mi aspettava.
-
"Sbaglio o devi dirmi
il tuo ristorante preferito e portarmi a cena?" sussurrò contro
il mio orecchio, facendomi ridere tra le lacrime.
-
-
8 marzo 2019
-
Sentivo gli occhi di Saverio
e Nadia fissi su di noi mentre prendevamo i piatti per il dessert.
-
Ci avevano appena mostrato
la foto che ci avevano scattato a Dublino di nascosto e noi ci
eravamo imbarazzati non poco visto che, un mese dopo esserci rivisti,
eravamo in una fase strana in cui ci frequeventavamo ma le cose
andavano con estrema lentezza a causa del mio voler fare tutto bene
senza fretta.
-
"Nadia, spiegami perché
hai voluto questi due alla nostra serata tra donne, è la nostra
festa!" esclamai appena Maurizio e Saverio iniziarono a prendere
in giro la mia torta mimosa.
-
"Così il signorino qui
mi perdonerà quando non saprà nulla del mio addio al nubilato"
rispose la futura sposa, ammiccante.
-
Maurizio sorrise incerto
come ogni volta che si accennava al matrimonio: io ero la damigella
d'onore e lui evidentemente non sapeva se saremmo arrivati insieme ad
agosto, il mese delle nozze.
-
"Scherza pure ma
ricorda che il mio lo organizzerà Mario..." disse Saverio,
stuzzicandola.
-
"Sì, ho sentito che ha
fatto scappare tutte le spogliarelliste di Milano" inventai.
-
La serata fu piacevole e
verso le undici la coppia ci lasciò soli, tornando a casa in vista
della solita sveglia minacciosa del giorno dopo.
-
Non era la prima volta che
eravamo soli da me ma quella sera tutto sembrava diverso, più
nitido.
-
Mi finsi impegnata con le
stoviglie da lavare, poi Maurizio mi si avvicinò e mi cinse la vita
con le braccia.
-
Chiusi gli occhi e lasciai
che mi stringesse a sè, comprendendo il perché di quei gesti.
-
"L'Argentina ti ha reso
più sensuale" sghignazzai quando avvertii un lieve bacio sul
collo.
-
"Milano ti ha reso un
po' fredda" ammise lui, mesto.
-
Deglutii, colpita, e mi
voltai di scatto.
-
"Milano non c'entra
niente, Maurizio" dissi, decisa.
-
"E cosa c'entra? Mi
sento come un mostro, quasi tremi se provo a starti più vicino, non
pretendo niente che non ti vada di fare, solo che ho paura di non
piacerti più" confessò.
-
Mentre parlava ripensavo a
tutte le nostre uscite dell'ultimo mese, al nostro riavvicinarci con
calma, godendoci ogni istante senza l'ansia di una separazione
imminente.
-
Lo guardai. Con la barba
meno folta di quella di un mese prima era davvero affascinante e
amavo il suo corpo flessuoso, le sue gambe atletiche, le sue mani che
reclamavano gentilmente il mio corpo...
-
"Mi piaci fin troppo,
Maurizio. Non so perché ma cerco di andare con calma perché...
Quando ci siamo lasciati andare, a Dublino, mi hai rivelato il tuo
segreto. Temo la cosa si possa ripetere" confessai, dando voce
al pensiero che mi assillava da non poco.
-
Notai uno sguardo di
comprensione sul volto del ragazzo e mi si avvicinò di nuovo,
scuotendo il capo. "Ti giuro su ciò che vuoi che sono qui".
-
Sospirai e gli appoggiai
delicatamente le braccia attorno al collo, senza smettere di
mantenere il contatto visivo.
-
"Per favore, qualsiasi
cosa sia successa in Argentina, qualsiasi cosa, dimmela, iniziamo col
piede giusto" lo supplicai.
-
"Quindi vuoi iniziare?"
sottolineò, sornione. "Comunque te l'ho detto Alice, niente,
niente di niente. Sai che non ero lì per divertirmi, ho viaggiato
molto, scritto la tesi e ho stretto molte amicizie, stop. Nessun
flirt, nessuna storia, niente di niente".
-
"Forse non me ne sono
resa conto, ma voglio iniziare da luglio..." sussurrai,
stringendolo a me.
-
"Non sai quanto sono
felice di averti qui, di vederti, di averti nella mia vita...".
-
Ci baciammo per suggellare
quelle parole, a lungo, dolcemente, come se fosse la prima volta.
-
Sentivo il mio cuore
esplodere di felicità, finalmente le mie stupide ragioni non avevano
più spessore dei miei sentimenti e non prevalevano più su di loro.
-
"Però, ti prego, non
corriamo, non roviniamo tutto con stupide etichette, continuiamo ad
essere noi stessi" lo implorai quando fu chiaro ad entrambi che
quella sera saremmo andati oltre come se fosse la prima volta.
-
"Non m'importa delle
etichette, per me tu sei l'unica ed è ciò che conta" rispose,
separandosi da me per accarezzarmi una guancia e sorridermi con
emozione.
-
"Sei il solo ed unico e
credo tu lo abbia capito, ormai" mormorai, sentendo di non avere
chissà quanto fiato in gola.
-
"Da quando ti sei messa
a piangere quando mi hai rivisto".
-
"Piangevo perché sei
uno scemo, non si fa così...".
-
"Vuoi già
litigare?".
-
Scoppiammo a ridere e lo
condussi nella mia stanza come se fosse la cosa più giusta ed
assoluta dell'universo, l'unica verità accettabile in un mondo fatto
di caos e problemi.
-
28 agosto 2019
-
"Ma cosa ci fai qui?
Non stavi ultimando la tesi a Milano?" domandai, sconvolta.
-
Ero scesa nella hall
dell'albergo che mi aveva ospitato per il matrimonio di Saverio e
Nadia e mi ero ritrovata davanti Maurizio, quello che circa dodici
ore prima avevo definito ufficialmente "Il mio fidanzato"
dopo sette mesi di intensa frequentazione, dichiarazioni di affetto
reciproco fin troppo palesi e momenti indimenticabili per la loro
intensità.
-
Maurizio mi sorrise, bello
come non mai con indosso una camicia bianca e dei jeans scuri, per
poi avvicinarsi a me e baciarmi con slancio, senza dire nulla.
-
"Ecco qui, ora che sei
la mia fidanzata vuoi sapere tutto e controllarmi, che noia!"
ironizzò, prima di cingermi la vita con le braccia e stringermi come
se potessi sfuggirgli via da un momento all'altro.
-
Risi e poi lo guardai negli
occhi, per poi prenderlo per mano e portarlo su uno dei divanetti
della hall.
-
"Sei arrabbiato perché
ti ho definito "fidanzato" al telefono...?" chiesi.
-
Lui scosse il capo e
appoggiò una mano sulla mia, stringendola con affetto.
-
"No, sono solo
arrabbiato per le tempistiche. Se me lo avessi detto un giorno
prima....".
-
Era ironico, potevo
percepirlo, proprio come potevo capire che era lì per una semplice
voglia di vedermi ora che avevamo fatto il grande passo.
-
"Sono stata felice
così. Non dovevo dimostrare niente a nessuno e sapevo quanto tu
fossi occupato con la tesi del dottorato, non me la sentivo di
trascinarti qui per tre giorni, distrarti...".
-
"Ali, scherzavo. Mi
conosci, quando si tratta di te divento meno razionale, dopo la tua
telefonata di ieri non potevo starmene a Milano senza te... Che ne
dici se prolunghiamo questi giorni abruzzesi, solo io e te?".
-
Era una proposta troppo
allettante per dire di no, il pensiero di stare con lui in un'altra
regione senza l'ansia del lavoro mi riempiva il cuore di dolcezza e
felicità.
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Mi sentivo leggera come un
palloncino, a tal punto da accettare senza nemmeno pensarci due volte
per poi appoggiarmi sul suo petto mentre mi teneva stretta a sé,
pronto a non lasciarmi mai.
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Penso sia inutile dire che
quel giorno stesso ci scambiammo il nostro primo e autentico "Ti
amo", sotto le luci soffuse del tramonto mentre eravamo in
spiaggia a goderci l'alba della nostra storia.
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13 Agosto 2020
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"Eccoli, eccoli!".
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Ero stanca morta e intontita
dopo aver dormito in aereo eppure non stentai a riconoscere le voci
sorprese ed eccitate di Saverio e Nadia.
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"Ma non ci credo, sono
venuti davvero!" esclamai, felice come non mai, notandoli a
circa una ventina di metri di distanza.
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"Credevo scherzassero!"
mi diede man forte Maurizio, accelerando il passo.
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Storditi dal cambio
climatico – dopotutto a Dublino c'erano solo dodici gradi contro i
quaranta di Milano – e dal carico di lavoro che ancora ci turbava
nonostante tutto si fosse concluso, io e il mio fidanzato corremmo in
direzione dei nostri amici.
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Ripensandoci, era meglio
rivedere Saverio subito, senza avere il pensiero fisso di ciò che mi
avrebbe detto e di cosa aveva saputo sul mio operato.
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"Ragazzi!".
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"Eccola, l'usurpatrice
del mio trono, la Coordinatrice a mie spese!".
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Diretto, semplice, preciso,
Saverio non si smentiva mai, nemmeno a trentasei anni suonati.
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"Non è colpa mia se
hai preferito badare a una sola bambina invece che a un centinaio di
adolescenti per tutta l'estate" lo presi in giro
affettuosamente, prima di dire: "Ecco la principessa di zia
Alice!".
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Tra i due coniugi c'era una
carrozzina blu in cui c'era una bellissima bambina di soli due mesi,
Emma.
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Rivedendo il suo faccino
dolce, i capelli scurissimi come quelli della mamma e il sorrisino di
chi sembra già capire la magia degli aeroporti ricordai tutti i
momenti magici che ci aveva regalato seppur da lontano, come tutte le
volte che ci svegliavamo e Nadia ci riempiva di foto della piccola.
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Grazie alla sua nascita io
ero stata proposta e poi accettata come "supplente" di
Saverio che non se la sentiva di partire con una bambina appena nata,
così a mia volta mi ero ritrovata coinvolta in una sfida più grande
di me che avevo superato solo grazie al costante aiuto di Maurizio,
Mario e Salvatore.
- Mi sarei rifiutata di partire senza di loro e
l'addetta alle risorse umane aveva compreso alla perfezione la
situazione di emergenza.
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"Per favore, andiamo,
la bambina è stata fin troppo esposta a germi di ogni tipo qui, su"
disse Saverio.
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"Ma la smetti? E'
figlia tua, ha l'aeroporto nei geni, non le succederà nulla e
l'abbiamo vaccinata" gli ricordò pazientemente Nadia.
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Abbracciai la mia amica
mentre Maurizio dava una pacca sulla spalla al neo papà e ci
avviammo verso l'uscita.
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Raggiungemmo l'auto e ci
avviammo verso casa sotto il sole ardente di Agosto che scaldava
anche i nostri cuori, felici come eravamo di essere di nuovo a casa
con i nostri amici.
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"E' stata dura, eh?".
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Per nostra fortuna, Emma era
molto tranquilla e quella sera ci lasciò cenare in pace mentre
mangiavamo una pizza nel bilocale che io e Maurizio condividevamo da
circa sei mesi.
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Saverio continuava a
guardarmi in modo strano, mi metteva in soggezione anche se non
riusciva a smettere di essere il solito e a fare battutine.
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"Non sai quanto.
Abbiamo avuto dei genitori stronzissimi, una buona percentuale di
ragazzini viziati... Per fortuna Cristina è stata una group leader
fantastica, mi sono permessa di segnalarla come team leader"
risposi, commossa mentre ripensavo alla gioia di aver incontrato una
delle mie colleghe preferite.
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"Ora non lo ammetterà
mai ma è stata fenomenale, ha gestito bene i momenti di panico ed
era amata da tutti" mi diede man forte Maurizio.
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"Non avevamo dubbi.
Saverio non ha nemmeno pensato alla sua scelta, ti ha pensato in
automatico" mi incoraggiò Nadia, accarezzandomi il braccio.
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Mi aspettavo qualche
battutina che, però, non fu pronunciata.
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"Posso chiederti perché
io e non Mario o Salvatore?" domandai, dando voce ad un quesito
che mi ponevo da quel caldo giovedì in cui avevo saputo della mia
sorte come Coordinatrice.
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Molto tranquillamente
Saverio ingoiò il boccone, si pulì le mani e incrociò il mio
sguardo.
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"Ho semplicemente
pensato: a chi lascerei Emma per un mese e mezzo? E ho pensato a te.
Salvatore è un grande, bravissimo, ma gli manca un po' la gentilezza
e il voler comunicare tipico di chi eseguisce comandi roboticamente.
Mario è troppo innamorato di quel che fa, strappargli la carica di
activity leader sarebbe un danno per tutti.... Tu conosci tre lingue,
sei brava a farti capire, hai una componente umana invidiabile ma
allo stesso tempo hai una capacità di problem solving molto
elevata. Sei il futuro dell'azienda, ormai lo dicono tutti in
ufficio" mi spiegò, lasciandosi sfuggire un sorriso
soddisfatto, come quello di chi scopre un diamante grezzo che sfugge
all'occhio degli altri.
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Senza parole spalancai gli
occhi, emozionata. "Anche quando non fai il turno con me devi
darmi la votazione finale, oh! Non so cosa dire...".
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"Dì che ti è piaciuto
coordinare tutto, su" ridacchiò Nadia. "Ma ci pensi?
Nell'estate del 2017 eri alla prima esperienza, ci siamo conosciute,
eravamo entrambe un po' perse, ed ora, quattro anni dopo eccoci qui,
tu coordinatrice, io con Emma, entrambe con un uomo fenomenale al
nostro fianco...".
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Quanta verità, pensai.
Quante cose possono cambiare in quattro anni?
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Annuii e mi voltai verso
Maurizio. "E' stato la mia roccia quando stavo per dare di
matto" dissi.
-
Lui mi strinse a sé e mi
diede un bacio sulla guancia, prima che il pianto di Emma ci
allarmasse tutti, riportandoci alla realtà dei fatti.
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Mi sentivo stranamente
leggera come un palloncino come ogni volta che tornavamo da una
vacanza studio, avevo davanti a me il resto di agosto da passare in
vacanza con il mio grande amore e poi di nuovo in ufficio per la
Emperor Travel, questa volta ancora più consapevole e determinata a
dare del mio meglio.
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L'arrivo di un messaggio mi
distrasse dalle urla di Emma, così presi il cellulare e lo lessi.
-
-
Salvatore: Alì, ti sei
scordata di restituirmi l'adattatore!
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Scoppiai a ridere, poi
sorrisi tra me e me: ad adattarmi mi ero adattata e fin troppo, ma,
per fortuna, certe cose non cambiano mai.
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La vecchia Alice, quella
pasticciona, impacciata, che si presenta di corsa alle prove di
evacuazione in pigiama senza reggiseno e che va nel Regno Unito senza
adattore era ancora lì dentro di me ed ero determinata nel fare il
possibile per continuare a farla vivere in eterno.
Fine
E così la storia di
Alice è appena finita ufficialmente ma, secondo il mio punto di
vista, è iniziata davvero solo ora.
I primissimi capitoli
della prima parte sono abbastanza autobiografici ma poi, piano piano,
Alice ha preso vita indipendentemente da me e ha dato vita a un
personaggio diverso da quello che tendo a descrivere.
Sono "fiera" di
lei, perché sembra assurdo ma mi ha insegnato tanto: a prendermi
meno sul serio, a farmi valere anche nei momenti bui, a credere in
certi legami che nascono per caso e sono sempre più forti giorno
dopo giorno.
Non so cosa dire, il
finale si è scritto da sè ed è stato un processo molto naturale.
Alice cresce, inizia a
lavorare seriamente per la sede di Milano della Emperor Travel e nel
frattempo vive mesi tumultuosi tra il confessare la verità a
Maurizio su quel pomeriggio passato con Luca e l'aiutare i suoi più
cari amici con le future nozze.
Sì, Alice ci è
"ricascata" con Luca. Perché?
Perché è umana, perché
non ha avuto una degna chiusura con lui e ha preferito cedere
piuttosto che iniziare un'avventura con Maurizio senza essere certa
di tutto al cento per cento.
Il mese che ha trascorso
in compagnia del mediatore le ha dato tante piccole gioie ma la
realtà, purtroppo, è sempre diversa e lei le ha tentate tutte per
trovare la sua strada. Spero davvero che la cosa non vi abbia
sconvolto ma la vita è così ^^
Passando a Saverio, ho
personalmente amato scrivere di lui e i suoi siparietti con la sua
nuova migliore amica. I fidanzati vanno e vengono, un Saverio c'è
sempre (tranne quando si arrabbia xD).
Volevo renderlo padre
alla fine perché in fin dei conti anche se è sempre burbero è pur
sempre un uomo che dedica ogni estate della sua vita al benessere di
tanti adolescenti... E grazie a lui Alice può provare l'esperienza
di "coordinare" tutto, non solo il reparto di mediazione,
con i fidati Maurizio, Mario e Salvatore.
Che dire, grazie a tutti
i lettori, a coloro che mi hanno spronato e alla mia fedele lettrice ineedofthem!
Se vi va di lasciarmi il
vostro parere ci sono sempre e leggerò con piacere.
Grazie e a presto!
La vostra milly.
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