Alice, la Mediatrice

di milly92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1: Adattarsi e Adattatori ***
Capitolo 2: *** Day 2: Questione di sostegno ***
Capitolo 3: *** Day 3: I litigi sotto la pioggia non sono come quelli dei film ***
Capitolo 4: *** Di cotte e di crude ***
Capitolo 5: *** La vida es un Carnaval ***
Capitolo 6: *** Day 6: Esprimi un Desiderio! ***
Capitolo 7: *** Day 7: Save The Date ***
Capitolo 8: *** Day 8: Pasticci e Pasticcieri ***
Capitolo 9: *** Day 9: Distrazione, Attrazione ***
Capitolo 10: *** Day 10: Confusione ***
Capitolo 11: *** Day 11: Vaffanculo! ***
Capitolo 12: *** Day 12-13: E’ stato un incidente ***
Capitolo 13: *** Day 14: Da mediatrice ad assistente a.... ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***
Capitolo 15: *** PARTE 2 -Prologo - Day 0: Da Londra a Milano fino a Dublino. ***
Capitolo 16: *** Day 1: Dall'altra parte della scrivania ***
Capitolo 17: *** Day 2: Passato Presente ***
Capitolo 18: *** Day 3: Questione di Ex ***
Capitolo 19: *** Day 4: L'utilità dei Social Network ***
Capitolo 20: *** Days 5-6: Segreti a fin di bene ***
Capitolo 21: *** Day 7: Merito Tante Cose Belle ***
Capitolo 22: *** Capitolo 7 Days 8- 9: Happy Days ***
Capitolo 23: *** Day 10: From Belfast with wine ***
Capitolo 24: *** Day 11: La tradizione dei compleanni movimentati must go on ***
Capitolo 25: *** Days 12- 14: Quello che succede dopo le quattro del mattino... ***
Capitolo 26: *** Day 14: Agire o non agire, questo è il dilemma. ***
Capitolo 27: *** Days 15- 18: Quello che succede a Galway non resta a Galway ***
Capitolo 28: *** Days 19-24: From Belfast with bad news ***
Capitolo 29: *** Days 25-26: Wind of change ***
Capitolo 30: *** Days 27-28: Goodbye ***
Capitolo 31: *** Epilogo - Giorno per Giorno ***



Capitolo 1
*** Day 1: Adattarsi e Adattatori ***


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Alice, La Mediatrice

Capitolo 1

Day 1: Adattarsi e Adattatori

 

“Quando ho saputo che l’azienda avrebbe assunto una mediatrice culturale ho tirato un sospiro di sollievo. Insomma, me la sono sempre cavata con l’inglese, ma quando ho saputo che questa volta i ragazzi avrebbero studiato anche spagnolo sono rimasto decisamente sorpreso... E ci tengo a lavorare bene con te, quindi eviterò la solita battutina in stile ‘tanto basta aggiungere solo una S a fine parola’. In sintesi, grazie Alice, mi dispiace dirti che quando si tratterà di avere a che fare con il team spagnolo ti romperò davvero le scatole”.

Saverio Caponi mi era subito sembrato il classico Direttore disponibile e alla mano e per fortuna con quel discorso, fatto ad ora di pranzo il giorno del mio arrivo a Londra, me lo confermò.

Ero partita da Roma senza sapere bene cosa aspettarmi perché avevo semplicemente fatto domanda per questo lavoro tramite il sito dell’azienda, dopo una segnalazione della mia amica.

Mi aveva detto che la Emperor Travel cercava una mediatrice culturale per un soggiorno in Inghilterra di due settimane, per fare da traduttrice tra il team italiano e quello spagnolo ospite degli inglesi.

Dei ragazzi tra i quattordici e i diciotto anni, accompagnati costantemente da dei group leader, sarebbero stati i protagonisti di quella esperienza, avrebbero studiato inglese e spagnolo, visitato le città vicine al college e ottenuto un attestato a fine esperienza, come ogni vacanza studio che si rispetti.

Così, appena laureata da circa un mese, avevo tentato la fortuna e avevo fatto domanda per poi essere contattata nel giro di una settimana.

“Tranquillo, sono qui per questo. Amo il mio lavoro, anche se come saprai sono alla prima esperienza se escludiamo qualche tirocinio” risposi, mentre giocherellavo con un pezzo di insalata.

“Meglio, così hai più pazienza e l’entusiasmo avrà la meglio sulla stanchezza, almeno all’inzio. Non so se hai mai partecipato a queste vacanze studio, ma i ritmi sono assurdi, te lo dico”.

“No, solo che me ne hanno parlato. Però non capisco... Voglio dire, ci sarà da mediare anche sul tardi? Ad esempio, dopo le dieci di sera?”.

Probabilmente Saverio non mi rise in faccia per educazione e per professionalità, per questo si limitò a sorridere con un fare quasi paterno, nonostante avesse solo sette anni più di me.

“Dove ci sono io con gli spagnoli devi esserci tu. Se c’è un problema, se c’è un cambio di programma all’ultima ora o se c’è semplicemente una serata organizzata da loro, io avrò bisogno di te. Ecco perché non avrai un giorno libero mentre i group leader sì. Il tuo lavoro qui non sa farlo nessuno. Sei indispensabile per la riuscita del viaggio, ecco perché sono onesto e trasparente sin da ora. Sentiti libera di dire parolacce quando vuoi! Le accetto volentieri, per me se uno dice parolacce significa che non ce la fa più, e se non ce la fa più è perché sta lavorando tanto e di sicuro bene” disse senza giri di parole, per poi aprire una birra e riempire il mio bicchiere. “Finché non arrivano i ragazzi possiamo farlo” aggiunse, con tanto di occhiolino.

Ero sorpresa.

Era il mio capo quello che mi stava parlando in questo modo?

“Sarò sincera, non sei il direttore che mi aspettavo” borbottai, un po’ a disagio.

Ero abituata ad avere un rapporto formale con i miei superiori e questo trentadueenne con un po’ di barbetta e gli occhiali in stile hipster sembrava tutto fuorché rigido e dedito alle regole.

“Perché stiamo bevendo birra a ora di pranzo e ti ho appena invitata ad usare un linguaggio scurrile, se necessario?” osservò.

“Non ho ancora bevuto...”.

“Oh, dovresti farlo se questi primi cinque minuti di conversazione ti hanno sorpreso”.

Risi di cuore, felice di avere a che fare con una persona alla mano e schietta, così obbedì e bevvi un sorso generoso di birra.

“Ora sei pronta per firmare il contratto! Davvero, scusami se ti sto sembrando strano o fuori luogo, solo che il nostro lavoro è così stressante ed intenso che è impossibile svolgerlo se non si ha confidenza e ci si trova bene”.

Annuii, accennando un sorriso.

“Immagino. Non tanto io ma di sicuro gli altri arriveranno esausti a fine turno dopo due settimane passate con degli adolescenti...”.

“Oh, no, fidati, anche tu. Ad esempio, gli altri group leaders sono in viaggio al momento, mentre tu inizierai a lavorare ora. Ci sono mille email di cui devi spiegarmi il contenuto, poi alle quattro ho un breve meeting con Laura Rosales, la team leader degli spagnoli. Pronta?”.

“S-sì” borbottai per poi iniziare a mangiare, più che altro per stoppare il flusso di notizie con cui Saverio mi stava sommergendo.

Ebbi appena il tempo di mangiare un boccone del mio hamburger che Mario e Elena, rispettivamente l’activity e la team leader, entrarono in mensa.

Il primo aveva il compito di organizzare le varie attività per i ragazzi, l’altra dirigeva il gruppo come una sorta di vice del Direttore.

“Allora, quanto ti ha spaventato da uno a dieci?” attaccò subito Elena, dandomi ulteriore prova della sua parlantina proprio come quando, tre ore prima, ero arrivata al college e lei mi aveva accolta con una montagna di domande.

“Undici” biascicai, falsa intimorita.

“Ma dai Alice, ti divertirai con noi!” esclamò Mario. “Dobbiamo programmare una serata tutta spagnola, mi raccomando!”.

“Oh, certo”.

“Mario, non dire stronzate, lo sai che non avrà nemmeno il tempo di respirare, pensaci tu a queste idiozie”.

Di nuovo mi tuffai nel mio hamburger e lo mangiai abbastanza velocemente, mentre loro parlavano della distribuzione delle divise per i group leader, degli zaini, delle camere, delle liste...

“Tu non avrai la maglietta rossa che daremo agli altri, che fortunata” disse Saverio. “E’ un’esperienza che non auguro a nessuno, quattordici giorni con jeans e polo sono asfissianti”.

“Oh, bene”.

“Ti è andata di lusso, Alì!” disse Mario, con una cadenza tipica campana, ed io annuii senza sapere cosa altro dire e, per fare qualcosa, presi una mela rossa dal vassoio.

Il mio compito era comunicare e in quel momento mi sentivo sppraffatta dai pensieri, tanto da non riuscire ad esprimerli.

 

Dopo aver firmato il contratto, tradotto il contenuto di alcune email della Santo Domingo, l’ente per cui lavorava il team spagnolo, e aver fatto da mediatrice tra Saverio e Laura Rosales, mi fu detto che potevo starmene in camera fino ad ora di cena – ovviamente ciò significava le 18.30 –.

A quell’ora metà degli ottanta ragazzi sarebbe giunta al college, mentre gli altri erano attesi prima di mezzanotte.

“Ti avviso, quando arriveranno tutti i group leader, che da ora in poi chiamerò GL, ti aspetto alla riunione, devi conoscerli” mi aveva detto Saverio.

Io avevo annuito e poi ero fuggita in direzione dell’uscita dell’ufficio, quasi timorosa di un suo eventuale cambio di idea.

Avevo due ore libere ed ero intenzionata a passarle dormendo visto che a quanto pare avrei lavorato ogni giorno fino a dopo la mezzanotte.

Mi sentivo strana, ero eccitata perché l’incontro con Laura e il direttore era stato una figata pazzesca – Laura era di Siviglia e aveva quell’accento Andaluso che amo da morire – ma allo stesso tempo non sapevo cosa aspettarmi.

Saverio, Mario ed Elena sembravano ok, ma dovevo ancora conoscere i quattro GL e la Dottoressa.

Saremmo stati uno staff di quasi dieci persone, avremmo convissuto per due settimane a stretto contatto...

Ero una persona che aveva bisogno dei suoi spazi e temevo di fallire, di perdere le staffe sotto pressione.

Mi dissi di non pensarci e optai per una doccia veloce.

Prima di tutto mi tolsi il badge che recitava

 

Name/Nombre: Alice Sebastiani

Job/Trabajo: Mediatrice Culturale

 

Nome e professione era tutto ciò che gli altri potevano sapere di me, era il mio compito farmi valere, farmi apprezzare, collaborare per rendere l’ambiente di lavoro piacevole.

Ripensai a quando, in Erasmus, non mi ero trovata bene con le mie coinquiline e la mia salvezza erano state due amiche spagnole.

La storia si sarebbe ripetuta?

Avrei stretto più amicizia con la Rosales e i suoi colleghi?

Alice, piantala che sei ridicola! Vivi il momento!

Lasciai che l’acqua calda lavasse via non solo le impurità di ore e ore di viaggio ma anche i miei pensieri, così, esausta e ancora in biancheria intima mi appoggiai sul letto e chiusi gli occhi.

Avevo i muscoli delle spalle tesi più che mai come ogni volta che affrontavo un viaggio e avevo dei pensieri ansiosi, poi per fortuna riuscii a scacciarli via e mi addormentai, seppur per una sola ora e quindici minuti.

Di nuovo, rapidamente, come avevo fatto quella mattina prima di andare all’aeroporto di Fiumicino, indossai dei jeans, una maglietta a righe, le Adidas, il badge, spalmai un velo di fondotinta e di mascara sulla faccia e mi avviai verso la mensa, che distava circa cinquecento metri dalla zona dei dormitori.

Il campus che ci ospitava faceva parte dell’immenso Queen’s College, sembrava davvero uno dei tipici college da film inglese con enormi zone verdi ed edifici bianchi ed enormi con la bandiera inglese esposta.

Purtroppo la mensa e i dormitori erano distanti, mentre l’edificio in cui si sarebbero tenute le lezioni di inglese e spagnolo era a cento metri dalla mensa.

Con lo zainetto rosso in spalla che mi avevano dato in dotazione insieme al badge mi sentivo una scolaretta che si appresta a iniziare il primo giorno di scuola, anche se ormai per me lo studio era, almeno momentaneamente, un ricordo, visto che aveva da poco concluso il ciclo di studi magistrale e potevo considerarmi un’ “adulta”.

Sì, ero un’adulta, avevo tutto sotto controllo... Sì, tutto!

Bip Bip.

Abbasai lo sguardo e vidi il mio cellulare che si spegneva a causa della batteria scarica.

Per fortuna avevo chiamato già a casa per dire che era tutto ok, lo avrei ricaricato con calma quella sera una volta in camera...

“Cazzo, l’adattatore!”.

Mi bloccai di scatto nel bel mezzo del marciapiede, a circa cinquanta metri dalla mensa, mentre dicevo: “Chi idiota parte per l’Inghilterra e non porta con sè l’adattore?” e, allo stesso tempo, una persona che evidentemente era alle mie spalle mi veniva addosso per la mia brusca fermata.

“Ehiii!”.

“Oh, scusami!”.

Io e la persona ci scontrammo, mi appoggiai al muro per non cadere e lei invece barcollò, evitando non so come di cadere.

Era un ragazzo dal naso aquilino, pallido, non molto alto e indossava la maglia rossa dell’azienda.

“E’ ok ma fà più attenzione, per fortuna non c’erano i miei ragazzi con me” disse, piuttosto severo.

“Oh, sei un group leader, vero?” dissi, imbarazzata.

Lui annuì.

Di poche parole il ragazzo, a quanto pare.

“Io sono Alice, piacere. La mediatrice culturale”.

“La che?”.

Offesa, feci una smorfia: il mio era un mestiere come tanti, non di certo uno di quelli super fighi con il titolo tradotto in inglese giusto per sembrare ancora più irraggiungibili.

“La me-dia-tri-ce culturale” rispiegai pazientemente.

“Ah, mediatrice! A causa del viaggio sto così fuso che avevo capito meretrice, ecco perché ero confuso” ridacchiò, con un palese accento romano. “Salvatore, comunque. Piacere. Faccio questo mestiere da cinque anni e non ho mai sentito parlare di una mediatrice nel team!”.

“E’ un’eccezione, oltre agli inglesi ci sono gli spagnoli e l’azienda aveva bisogno di una traduttrice. Diciamo che è un esperimento... Scusami comunque, mi sono bloccata nel bel mezzo della strada perché ho appena ricordato di aver dimenticato l’adattore e il mio cellulare è appena morto”.

“Azzò, sei perspicace, Alice la Mediatrice. Spero non dimentichi le traduzioni delle parole così come dimentichi le cose essenziali”.

Aveva ragione. Uno sconosciuto, un collega che mi conosceva da mezzo minuto aveva già notato la mia tendenza ad andare nel pallone e dimenticare le cose importanti nei momenti critici.

Non potevo di certo prendermela, aveva fatto una giusta osservazione.

“Guarda il lato positivo: non sono una group leader e non posso dimenticare cose fondamentali come uno dei ragazzi che mi ha chiesto di andare in bagno o cose così”.

“Positivissimo, eh. Senti, ce l’ho io l’adattatore comunque, dopo cena te lo do” disse, burbero ma disponibile.

“Davvero?”.

“E che te pare che sto a scherzà? Ma sei romana pure te o sbaglio?”.

“No, no. Sì!”.

“No o sì?”.

“No, non mi sembra tu stia scherzando. Sì, nel senso che sono di Roma”.

“E allora aiutiamoci tra compaesani, io abito in provincia da come avrai capito”.

“Grazie mille, Salvatore. Mi stai salvando!”.

“Sì Alice, ma stai attenta che mancano ancora tredici giorni, eh”.

Di nuovo non ebbi il coraggio di ribattere ed annuii, seguendolo fino a mensa.

Questo è un lavoro in cui va avanti chi è pronto e sveglio e io dovevo fare del mio meglio per non addomentarmi sulla scrivania, ne ero sicura.

Fui accolta da una miriade di testoline che si agitavano, borbottavano cose, alcune bionde, altre scure, altre già tinte e decolorate nonostante la giovane età.

La mensa era la stessa di cinque ore prima eppure mi sembrava diversa, improvvisamente allegra e magica, con l’atmosfera tipica di un posto pieno di persone provenienti da luoghi diversi che si ritrovano in un nuovo paese tutti insieme, consapevoli del fatto che il destino li ha uniti per qualche suo magico scherzo e che questa esperienza li marcherà per il resto della loro vita.

“Londra 2017”, ecco cosa stavano vivendo, ed io avevo il privilegio di essere lì, per ora testimone ma forse piano piano sarei stata in grado di diventare anche una di quelle che passa all’azione e dà un contributo al viaggio.

I ragazzi sembravano allegri e spensierati nonostante la giornata di viaggio con vari scali, mentre Saverio, seduto al tavolo centrale con Mario, Elena, Salvatore e una ragazza alta e magra, sembrava diverso, più consapevole e serio.

“Alice, hai conosciuto Salvatore, vedo” mi accolse il direttore, mentre prendevo posto.

“Sì, mi ha già salvato la vita”.

“Non ho dubbi, lo conosco da quando ha iniziato ed è il migliore collaboratore che abbia mai avuto, ti risolve un problema in tre secondi. Dopo ciò, scusami Nadia, la tua presentazione ora sembrerà scialba ma non è colpa mia se sei arrivata con Super Salvatore. Lei è Alice, la nostra mediatrice culturale”.

“Io avevo capito meretrice culturale, pensa” lo apostrofò Salvatore, ridendo.

Saverio sgranò gli occhi e poi scoppiò a ridere, battendo il cinque con il collega mentre Nadia mi porgeva la mano e si presentava.

“Piacere”

“Piacere!”.

Nadia sembrava più grande di me ed Elena, aveva i lunghi capelli scuri raccolti in una coda e un trucco perfetto che evidenziava gli occhi a mandorla.

“Ora manca solo il gruppo di Bari e quello di Napoli, con Clara e Luca. Arriveranno per le dieci, il tempo di sistemare i ragazzi, dare i pacchetti con la cena, distribuire le chiavi e ci riuniamo tutti, per mezzanotte credo. Benvenuti al Queen’s College” ironizzò Saverio.

Per tutta la cena ci raccontò di alcune sue esperienze divertenti vissute negli ultimi dieci anni e la mia ammirazione per lui crebbe esponenzialmente perché non è da tutti farsi avanti e diventare direttore prima dei trenta anni e rimanere comunque una persona disponibile e alla mano.

 

Avevo accompagnato Salvatore nella sua stanza, nell’edificio C, per fargli recuperare l’adattatore e poi ci eravamo diretti nella mia stanza, nell’edificio E,  per mettere il telefono in carica.

Vederlo riaccendersi mi fece sentire meglio oltre che a farmi capire quanto siamo dipendenti dalla tecnologia, così tirai un sospiro di sollievo.

“Con questo ti sei guadagnato un rifornimento di caffè per tutta la durata del soggiorno” esclamai, improvvisamente rinvigorita nonostante fosse serata inoltrata.

“Bella cosa, caffè inglese, evvai”.

Salvatore aveva un’ironia tutta sua, un’ironia vera, per niente velata, condita di black humor, cosa che non apprezzavo molto ma dopotutto dovevo sottostare alle regole e ringraziarlo per l’enorme favore visto che quando sei fuori per lavoro il telefono è essenziale.

“Hai ragione, scegli tu, qualsiasi cosa”

“Qualsiasi cosa? Soldi, allora”.

“Hai beccato l’unica cosa...”.

“...Che qui non ha nessuno, lo so. Altrimenti non saremmo qui quasi a mezzanotte a lavorare dopo una giornata assurda. Scegli tu, Alì, non mi offendo”.

Gli sorrisi e ci avviammo verso l’uscita della stanza.

“Immagina la scena, io che torno in camera, prendo il caricatore e impreco...”, uscii dalla stanza, di spalle, mentre chiudevo la porta a chiave, “perché il coso non entra nel buco...”.

Mi voltai per andarmene e vidi il corridoio pieno di ragazzine che stavano entrando in camera e, evidentemente sconvolte per ciò che avevo detto e perché c’era un maschio che stava uscendo con me dalla mia  stanza, mi fissavano, incredule.

Qualcuna ridacchiava in maniera sfrontata, qualcuna ripeteva, sconvolta, “coso” e “buco”, mentre io arrossivo come una matta, portandomi una mano alla bocca, e Salvatore sembrava impassibile come ogni volta che era con i ragazzi.

“Ragazze! Si parla di prese e adattatori, eh. Io... Sono la vostra mediatrice culturale, Alice. A domani!” esclamai, ancora rossa in volto, prima di seguire Salvatore verso l’uscita del mini appartamento.

“Dì la verità, vista la scena, tra “cosi” e “buchi” questa volta Alice la Meretrice ci calzava alla perfezione!” ridacchiò lui, ridendo da solo alla sua battuta.

Sospirai e mi chiesi a quante figuracce sarei arrivata entro la fine di quella giornata.

 

 

Clara e Luca erano arrivati insieme alla Dottoressa, la squadra era al completo.

Clara era una ragazza bella robusta con i capelli neri e cortissimi mentre Luca sembrava irradiare fiumi di energie nonostante l’ora, aveva un piccolo accenno di cadenza campana e si presentò a tutti con una vigorosa stretta di mano.

Saverio sembrava rilassato ma deciso, ci guardava come un professore  guarda i suoi alunni il primo giorno di lezione.

Eravamo nella cucina del primo piano dell’Edificio N, dove Saverio, Mario e Elena alloggiavano e da quel momento in poi quel posto sarebbe stato la nostra sala riunioni.

La stanza era arredata con mobili bianchi e un tavolo nero per sei persone, un paio di divanetti e una finestra abbastanza grande che si affacciava sul giardino retrostante all’edificio.

Ognuno prese posto su una sedia o su un divano, senza proferire parola, così il direttore si schiarì la voce, bevve un sorso d’acqua e ci guardò uno ad uno.

“Allora, benvenuti. Da quel che ho visto saremmo una grande squadra, ne sono sicuro! GL, Nadia, Clara, Salvatore e Luca, confido in voi per la riuscita del viaggio, so che siete quasi tutti alla prima esperienza ma a pelle mi avete dato una buona impressione. Come vi ho detto io sono il Direttore, Mario si occuperà delle varie attività e Elena vi dirigerà come squadra, per qualsiasi cosa rompete le scatole a lei e non a me. Poi, Giada, la nostra dottoressa, arrivata circa venti minuti fa, salve!” – qui una ragazza sotto i trenta che se ne stava in un angolo ci salutò con la mano, non l’avevo proprio notata -, “E infine, la novità. Ragazzi, visto che non so un’acca di spagnolo, ho richiesto una mediatrice culturale, e l’azienda mi ha procurato Alice che già si è sorbita da oggi mille email e un incontro tra me e la Rosales, che domani conoscerete. Quindi rispetto a lei siete indietro di qualche ora di lavoro!”.

Tutti risero, qualcuno mi porse la mano, io mi limitai a fare cenni e a sorridere, dimenticando già i nomi associati ai volti.

“Ora vi spiegherò il programma di domani, dieci minuti e vi lascio in pace. Alice, la colazione è alle sette e trenta fino alle otto e trenta, regolati tu, basta che sei alle nove nell’ufficio dove hai firmato il contratto. Puoi andare”.

“Oh, ok. Allora... Ciao a tutti, è stato un piacere!” mi congedai, cercando di celare il mio entusiasmo.

Ero stanchissima nonostante la pennichella e non vedevo l’ora di dormire almeno sette ore.

Mi sentivo in colpa nei confronti dei poveri GL e della Dottoressa che avevano avuto un viaggio più lungo del mio con decine di ragazzi a cui badare e che dovevano ancora stare in riunione, solo che magari in futuro a me sarebbe toccato andare a dormire dopo di loro per qualche motivo o l’altro, il karma di sicuro non me l’avrebbe fatta passare liscia.

Quando tornai nella mia stanza ero in uno stato assurdo, strano, inspiegabile causato dalle varie emozioni vissute quella giornata.

Mi sembrava di star vivendo in un film tragicomico e avrei tanto voluto il mio copione per sapere bene cosa fare, ma a quanto pare la situazione era molto pirandelliana ed io ero ancora in cerca del mio autore.

 

*°*°*°*°*°*

Salve a tutti!

Non so se qualcuno si ricorda di me, in passato ero solita infestare questa sezione con i miei scleri poi ho avuto un periodo intenso a causa della laurea magistrale e dei miei primi tre lavori.

Questo progetto è proprio ispirato ad una mia esperienza lavorativa – no, non ero una mediatrice culturale purtroppo – così, essendomi trovata bene con i colleghi, ho deciso di dare vita a questa storia, aggiungendo di tanto in tanto qualche aneddoto realmente accaduto.

Se vi va potete indovinare piano piano ciò che è successo e cosa no, visto che è il primo capitolo vi dico che la questione dell’adattatore è vera XD non auguro a nessuno di essere circondata da un gruppo di ragazzine che ti guardano male perché stai uscendo dalla tua stanza con un collega...

Non so cosa dire, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto,

se vi va fatemi sapere cosa ne pensate :D

A mercoledì con il capitolo 2, ecco una piccola anticipazione:

“Ma sono in pigiama e senza nemmeno il reggiseno!” protestai, con la testa ancora annebbita dalla sonnolenza, ma per fortuna lui era già scomparso e non aveva sentito la mia idiozia delle sei e cinquantacinque.

 

Grazie per essere arrivati fino a qui, a presto!

Milly.

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Capitolo 2
*** Day 2: Questione di sostegno ***


Day 2: Questione di sostegno

Capitolo 2

Day 2: Questione di sostegno

 

Si stava davvero bene sotto le coperte, al caldo.

Evidentemente, nonostante fosse luglio, fuori c’erano al massimo diciotto gradi.

Mi sembrava di stare su una nuvola, stavo facendo un sogno strano che non avrei mai ricordato...

Mi rigirai sul fianco destro e mi accoccolai meglio sotto il piumone, beandomi di quella sensazione ti tepore e calma.  

Din. Din. Din.Din. Din. Din. Din.

Avendo il sonno leggero, aprii gli occhi di scatto.

Avevo forse cambiato sveglia senza rendermene conto?

Din. Din. Din. Din. Din. Din.

No, non era la mia sveglia, il mio cellulare non stava emettendo alcun suono, erano solo le sei e cinquanta!

Cosa stava succedendo? Era forse una strana sveglia collettiva del college?

Din. Din Din. Din. Din.

Il suono era progressivo, diventava sempre più forte e non era di certo un piacere per le orecchie di chi si è appena svegliato.

Iniziavo a sentire dei passi fuori la porta, delle ragazze che strepitavano e dicevano cose tipo “Incendio” e “Allarme”.

Queste parole mi invasero come un secchio d’acqua ghiacciata, misi le pantofole e aprii la porta di scatto.

Era davvero scoppiato un incendio?

Cosa dovevo fare?

L’edificio era zeppo di ragazzi minorenni ed io non avevo mai frequentato alcun corso di pronto soccorso o simili!

In un battibaleno, mentre ero presa dall’incretezza, mi ritrovai davanti il group leader di Napoli di cui non ricordavo il nome.

“Prova antincendio! Aiutami, dì alla ragazze del tuo piano di uscire dall’edificio!” mi disse concitato.

“Ma sono in pigiama e senza nemmeno il reggiseno!” protestai, con la testa ancora annebbita dalla sonnolenza mista alla paura, ma per fortuna lui era già scomparso e non aveva sentito la mia idiozia delle sei e cinquantacinque.

Presi un bel sospiro pensando “questi inglesi! Prova antincendio il primo giorno!” e iniziai a bussare freneticamente alla porta delle ragazze che non erano ancora uscite dalla stanza.

“Ragazze, è tutto ok, è solo una prova antincendio per la vostra sicurezza” dissi non so quante volte. “Uscite, su!”.

Qualcuna si vergognava a scendere in pigiama, qualcun altra era con l’accappatoio...

Non so come riuscii a farle scendere tutte nel giro di due minuti e ci trovammo il team inglese e quello spagnolo che ci indicavano la via del cortile, dove evidentemente c’erano tutti.

Morta di vergogna per il mio pigiama con Batman disegnato sulla zona del seno che ovviamente pendeva per la mancanza di sostegno e per i miei capelli di sicuro cespugliosi, raggiunsi Saverio e la dottoressa che se ne stavano in un angolo del cortile.

Una rapida occhiata in giro mi diede l’impressione che ero l’unica appena sveglia, tutti erano già vestiti o almeno erano in condizioni decenti, nessuna era in pigiama come me e tutte le loro chiome erano pettinate.

La group leader alta e slanciata era addirittura truccata!
“Buongiornissimo, caffè?” mi prese in giro Saverio, vedendomi  arrivare così sconvolta e con un passo da zombie.

Incrociai le braccia per non mettere in mostra il seno penzolante e lo guardai senza capire.

“Perché gli altri dello staff sembrano...?”.

“Preparati?”.

“Sì”.

Egli annuì con aria grave e la Dottoressa si intromise con un: “Se può consolarti io non ne sapevo niente come te”, anche se era già vestita.

Notando il mio sguardo incredulo dopo aver visto che era in jeans felpa aggiunse: “Stavo medicando una ragazza che ieri si è fatta male”.

“Ah, ok”.

“Ieri in riunione ho congedato Giada dopo aver congedato te e ho annunciato ai GL che ci sarebbe stata questa prova, ho distibuito le chiavi universali per ogni edificio ad ognuno di loro per aprire le porte delle camere dei ragazzi... Avevamo solo cinque minuti per fare tutto. Scusami, ma ho già rischiato dicendolo a loro, nessuno oltre me avrebbe dovuto saperlo, dovevo essere discreto” spiegò Saverio, a voce bassissima, come se il team degli stranieri potesse comprenderlo.

“Va bene” assentii, mogia.

Ecco il primo svantaggio di non essere una group leader, in casi come questi mi sarei ritrovata svantaggiata di fronte all’ignoto mentre tutti già erano al corrente di ciò che sarebbe successo.

Mi voltai e vidi Salvatore che riuniva i suoi ragazzi, proprio come gli altri.

Il GL di Napoli – come si chiamava? Perché ero pessima con i nomi? – batteva il cinque con alcuni ragazzi e sorrideva in maniera rassicurante e in quel momento pensai che avrei tanto voluto avere quella solarità.

Le altre due ragazze invece sembravano stanche e infastidite come me mentre raggruppavano i ragazzi e rispondevano a domande evidentemente sciocche, data la loro espressione falsamente paziente.

“Secondo me siamo fortunate, voglio dire, siamo qui a svolgere la nostra professione senza la responsabilità dei ragazzi, nel senso, sì siamo responsabili, soprattutto io, ma se uno non si trova non è colpa nostra” mi disse Giada, sorridendomi in maniera enigmatica.

“Fidatevi, siete quelle che hanno più responsabilità di tutti” le ricordò Saverio, deciso. “Oh, ecco la tipa della security”.

Una signora che mi ricordava tanto la Signorina Trinciabue del film “Matilda sei mitica!”, con tanto di divisa scura, alta e bella possente, fischiò con il suo fischetto rosso e urlò di prestarle attenzione.

Improvvisamente, il mormorio cessò e i ragazzi smisero di lamentarsi per la sveglia assurda e brutale.

Un lampo di agitazione e ansia dilagò nei nostri sguardi.

“Attenzione per favore! Avete impiegato 317 secondi per evacuare, quasi cinque minuti e mezzo. Qualcuno di voi sarebbe morto di sicuro se fosse stato un vero incendio! Si può sempre migliorare! Buona giornata!” urlò, prima di scomparire nel retro del cortile.

Mi voltai verso Saverio, il quale si passò una mano sulla faccia in un modo che lo rendeva decisamente buffo.

“Ve lo devo tradurre?” disse, ironico.

“La prova si rifarà” borbottai, tetra.

Lui annuì, Giada alzò gli occhi al cielo e io sbuffai.

“GL, raggruppate i ragazzi e conduceteli in camera!” esclamò il direttore, avvicinandosi agli altri con passo da marcia.

Io e Giada stavamo per tornare in camera quando vidi il GL che poco prima mi aveva detto di svegliare le ragazze avvicinarsi a noi, ovviamente ancora sorridente.

“Ciao, Luca” disse la dottoressa.

Ah, ecco come si chiamava!

“Ciao Giada. Ri-ciao, Alice. Volevo ringraziarti per aver svegliato le ragazze del tuo piano, probabilmente senza il tuo aiuto i 317 secondi sarebbero stati 370 e di sicuro la signorina Trinciabue ci avrebbe ammazzato!” esclamò.

“Anche tu l’hai associata alla Trinciabue?” domandai, colpita.

“Sì, è identica!”.

“Vero! Figurati comunque, quando posso sono lieta di darvi una mano, il vostro lavoro davvero deve essere pesantissimo” dissi, continuando a tenere le braccia incrociate sul petto.

“Esatto, vale lo stesso per me” si aggregò Giada, cordiale.

Luca scrollò le spalle.

“Ma dai, di sicuro sarete cariche di lavoro anche voi. Ci vediamo a colazione!” si congedò, prima di raggiungere i suoi ragazzi al centro del cortile.

Io e Giada, così, tornammo sui nostri passi.

“Luca è sempre così sorridente, come fa? Abbiamo viaggiato insieme, ci siamo incontrati allo scalo a Bologna ed era super energico nonostante avesse già un volo alle spalle con venticinque ragazzi sotto la sua responsabilità” mi raccontò, mentre superavamo orde di adolescenti in fila che protestavano per la mancanza di tempo per prepararsi prima di colazione.

“Non saprei, onestamente non ricordavo nemmeno il suo viso e  il suo nome. Sono una frana, i ricordi di ieri sono offuscati” ammisi con una smorfia di vergogna.

“E’ normale, poi hai viaggiato da sola, non sei stata a contatto con nessuno di noi. Mi sa che oggi ci conosceremo meglio, le altre ragazze mi sembrano simpatiche!” osservò, cordiale.

“Sì, anche a me. E’ bello lavorare insieme se ci si trova bene”.

“Esatto! Beh, io corro in camera, sto nella N, ci vediamo tra poco a mensa”.

“Certo, a dopo”.

La salutai con la mano, pensando che fosse alla mano e simpatica, e svoltai a destra verso l’edificio E.

La giornata era iniziata in maniera decisamente movimentata.

 

 

“Vediamo chi siete in realtà, colleghi...”.

Erano le nove e dieci del tre luglio, io e il resto dello staff eravamo nel nostro piccolo ufficio e aspettavamo l’arrivo di Saverio ed Elena per ricevere le istruzioni su cosa fare ora che i ragazzi stavano svolgendo il test di inglese, seguito da quello di spagnolo, per dare prova delle proprie conoscenze ed essere smistati in una classe del proprio livello.

Mario, che sembrava una bomba di energia peggio di Luca, si era seduto su una sedia ed aveva iniziato a prendere i nostri curricula da una cartella.

“Alice Sebastiani, nata l’otto luglio del novantadue, laureata con centosette su centodieci in Lingue e Culture straniere.... Che noia” sentenziò, facendomi una linguaccia come se fosse un bambino dispettoso. 

“Ma quindi tra cinque giorni compi gli anni?” disse Nadia, incuriosita.

“Sì”.

“Preparati, offri da bere a tutti, eh” disse Salvatore.

“Eh, minimo, mi raccomando!” aggiunse Clara.

“Dipende... Non vi conosco, se mi sarete simpatici sì, altrimenti mi ubriacherò da sola” li presi in giro.

Fingevo di fregarmene, invece per me quella era una questione di vitale importanza dato che ogni compleanno mi ritrovavo con il mio gruppo di amici e mangiavamo qualcosa insieme mentre ripercorrevamo le tappe dell’anno appena trascorso.

Questa volta sarei stata da sola, in un altro Paese, con gente che conoscevo da meno di una settimana.

“Ci amerai!” stabilì Mario, prima di prendere un altro curriculum. “Giada De Stefano, Dottoressa in Medicina con centocinque su centodieci, nata il sette settembre dell’ottantanove... Noia. Ma un curriculum divertente, qui? Niente?”.

“Leggici il tuo!” propose Luca.

“Nah, io manco ce l’ho il curriculum, troppa fatica”.

“Salve ragazzi, eccoci, scusate il ritardo, abbiamo avuto la conferma che la prova antincendio si terrà tra una settimana esatta” ci interruppe Saverio, entrando in ufficio con Elena al suo fianco.

Entrambi posarono gli zaini su delle sedie e ci invitarono a prendere posto, così ci sedemmo in posti a caso meglio che potemmo visto che le sedie a disposizione erano insufficienti.

Io finii sulla moquette polverosa tra Nadia e Salvatore, mentre Mario prese posto sulla scrivania dove c’era il computer e gli altri se ne stavano seduti sulle sedie.

Il silenzio era teso, si vedeva che nonostante gli sforzi di creare un ambiente informale ci conoscevamo da troppo poco tempo per stare del tutto tranquilli.

“Mario, alzati e fai mettere Alice al tuo posto, mi serve vicino al computer” disse rapidamente Saverio.

Mi alzai di scatto, resistendo all’impulso di scacciare via la polvere dai miei pantaloni neri, e Mario mi diede una pacca sulla spalla.

Da come si comportava dedussi che aveva già lavorato con il capo in passato.

“Bene, iniziamo. Parlando della prova antincendio, per me siete stati bravi, è la prima volta che la fate e siete stati rapidi contando che non conoscete i ragazzi e che l’allarme è scattato dieci minuti prima dell’ora concordata. Tra sette giorni, però, mi raccomando, dovrà essere la perfezione!”.

Annuimmo seppur scoraggiati al pensiero di dover iniziare di nuovo la giornata così, poi lui ed Elena passarono ad elencare le attività del giorno e gli orari per i GL.

Sarebbe stata una giornata tranquilla: test di lingua, pranzo, laboratorio di fotografia o di basket, cena, serata a tema.

Il bello sarebbe iniziato il giorno successivo con la prima escursione di un giorno.

“Quindi ora chi ieri è arrivato tardi firmerà i contratti e tutto il resto, poi durante la pausa sorveglierete i ragazzi e li accompagnerete di nuovo in classe per il test di spagnolo. Mario, tu pensa alla serata, prepara qualcosa di decente! Alice, tu invece hai solo un semplice ma importante ruolo per stamattina... Entra nella mia casella di posta, stampa tutte le mail in spagnolo e su un post it mi scrivi un breve riassunto e me lo lasci sulla mia scrivania. Chiaro?”.

Deglutii prima di annuire fermamente.

“Chiaro. Quanto tempo ho?”.

“Tranquilla, tutta la mattinata. Oggi invece di nuovo riunione con la Rosales, ti deve presentare il team della Santo Domingo”.

“Va bene”.

Mi passò un foglio con le credenziali del suo account email e mi indicò il computer aziendale.

Sentivo gli occhi dello staff su di me, mi sembrava strano dover svolgere un ruolo totalmente diverso da quello degli altri, però mi finsi disinvolta e mi apprestai ad accendere il computer.

Nel giro di venti minuti Clara e Luca ricevettero lo zaino e le varie maglie rosse dopo aver firmato il contratto per ultimi, essendo arrivati tardi la sera precedente, e mostrarono felici le loro divise.

“Corro un attimo in bagno per cambiarmi” esclamò entusiasta Clara, esibendo la polo come se fosse un trofeo.

Alzai lo sguardo dal computer e le sorrisi, intenerita da quella scena.

“Vi invidio, la vorrei anche io!”.

Dal canto suo, Luca scrollò le spalle, si tolse la maglia blu che l’azienda aveva fornito loro per il viaggio e indossò quella rossa.

Notai che non era magro, aveva un po’di pancetta ed era bello robusto, cosa che non si vedeva da vestito.

Ero così presa da questa analisi che non mi accorsi che mi aveva lanciato la polo blu dicendo “Allora tieni!” con una risata.

Imbarazzata, con la maglia che quasi mi copriva la testa, mi ridestai e protestai con un: “Ma anche no!” e gliela rilanciai.

Mario la afferrò e disse: “Bella Luca, quando non vuoi fare la ronda facciamo indossare questa maglia a un cuscino e ti sostituiamo”.

“Perché non farlo già ora?”.

Avevano più o meno lo stesso accento campano, nulla di troppo marcato, anzi, ma sentirtli parlare mi metteva allegria e mi ricordava le estati passate da mia zia a Sorrento quando ero adolescente, prima che si ammalasse.

L’arrivo di un’email mi ridestò e mi fece tornare al mio lavoro e cercai di concentrarmi sul mio lavoro, senza badare ai due Napoletani che iniziavano a legare e cercavano di trovare posti e conoscenze in comune.

 

 

Dodici email dopo, il cortile del college si riempì di adolescenti reduci dal test di ingresso di inglese.

Sbadigliai sonoramente senza riuscire a controllarmi e feci un po’ di stretching con la schiena.

“Prenditi una pausa, vuoi un caffè?” mi domandò Saverio, che aveva iniziato a leggere le note che gli avevo lasciato.

Se ne stava seduto dall’altra parte della scrivania, di fronte a me, e la sua aria era sempre più perplessa mano a mano che leggeva il contenuto della posta.

“Sì, magari. Lo vuoi anche tu?”.

“Lo prenderò con gli inglesi tra poco, grazie. Prenditi pure tutta la durata della pausa, non sto ricevendo altro, finisci qui, io incontro gli inglesi e poi andiamo dagli spagnoli. Davvero, se senti di avere bisogno di cinque minuti interrompi pure, non voglio tenerti incollata qui per sempre. Fumi?”.

“No...”.

“Inizia ora così avrai la scusa della pausa sigaretta, quella è sacra. E non farmi un discorso sui polmoni che si danneggiano che ti licenzio!”.

“Assolutamente, dopotutto il fumo uccide solo, come recitano i pacchetti di sigarette”.

“Così mi piaci”.

Mi alzai, presi lo zaino e lo salutai, agognando un po’ di aria fresca e un caffè.

Certo, non avrei assaggiato l’espresso di casa mia, ma in quel momento avevo bisogno di caffeina in qualsiasi forma e in qualsiasi modo.

Ero appena uscita dal bar del college, un po’ rigenerata, che mi ritrovai Luca e Clara davanti, in uno stato evidente di preoccupazione.

“Non riusciamo a trovare Chiara” disse subito Clara, guardandosi intorno come se aspettasse di vederla spuntare da un momento all’altro.

“Cosa? Non era in classe?”.

“Sì ma le amiche dicono di averla vista in ansia dopo il test di inglese e non la trovano...” disse Luca.

“Il campus è grande!” aggiunse Clara, sempre più ansiosa.

“Ragazzi, tranquilli, sarà in bagno”.

“No, abbiamo controllato”.

“Se mi dite come è fatta questa ragazza vi do una mano, la pausa è appena iniziata” provai ad incoraggiarli.

Stranamente non mi sentivo agitata, forse perché Chiara non faceva parte del mio gruppo e non era mio dovere assicurarmi che stesse in un determinato posto in un determinato momento.

“E’ Veneta, ha i capelli rossi e ricci, abbastanza minuta” mi informò Luca.

Annuii, pur non capendo come potesse essermi d’aiuto la sua provenienza. Forse per l’accento?

“Non ci sono molte rosse, no? E’ più facile da trovare. Scambiamoci i numeri e dividiamoci, così ci avvisiamo se è qualcosa”.

“Saverio ha creato il gruppo Whatsapp”.

“Perfetto, non ho avuto modo di vedere...”.

Clara andò verso i giardini, io andai verso i piani superiori e Luca verso quelli inferiori.

Non ebbi nemmeno il tempo di dirmi “sto praticamente passando la mia pausa svolgendo il lavoro altrui”, in quel momento trovare Chiara sembrava la mia priorità.

Non la conoscevo, non l’avevo mai vista, eppure sentivo che compiere quel  gesto mi avrebbe aiutato a integrarmi e a vivere meglio quell’esperienza lavorativa.

Mi sentivo sicura, l’istinto per fortuna non mi suggerì nessuna idea assurda in cui Chiara se ne fuggiva senza dire nulla.

Forse la prova antincendio a sorpresa aveva esaurito la mia dose di ansia e pessimismo per quella giornata.

Seguii le indicazioni della toilette del terzo piano e lo trovai vuoto, così mi azzardai verso l’ultimo piano, il quarto.

Il corridoio era vuoto, non c’erano lezioni lì, eppure ebbi appena il tempo di girare a destra che vidi una ragazzina dai capelli rossi con una camicia in tartan blu che se ne stava seduta per terra, con le braccia che circondavano le gambe.

Scrissi un rapido “trovata, quarto piano” nel gruppo e poi mi avvicinai con cautela, accennando un saluto con la mano.

Quando lei mi vide esitò un secondo, poi rilassò le gambe e le incrociò.

“Chiara, giusto?” domandai, sedendomi al suo fianco.

Lei alzò lo sguardò e annuì.

“Luca e Clara ti cercavano” dissi semplicemente.

“Sei un’altra group leader?” chiese, con una vocina fin troppo bassa.

“No, sono la mediatrice culturale, per mediare tra noi e gli spagnoli”.

“Ah ok. Io non so niente di spagnolo... Non voglio fare il test”.

“Cosa? Per questo sei qui?” azzardai, sforzandomi di non avere il tono di chi giudica ma semplicemente quello di una persona curiosa e che vuole fare conversazione.

“Io ho finito il primo anno di scientifico con tutti nove in pagella e odio non sapere niente di spagnolo. Non voglio fare figuracce!” si lamentò Chiara, battendo un pugno sulla gamba.

Spalancai gli occhi e mi sforzai di rimanere pacata. Dovevo ricordare che Chiara poteva avere al massimo quindici anni, dieci anni in meno a me, che anche io a quell’età avevo una percezione sbagliata delle cose...

Il fatto che si stesse aprendo con me senza il minimo sforzo, poi, mi dava sicurezza.

Forse era proprio il mio non essere una GL che la faceva sentire più a suo agio.

“Chiara, lo spagnolo è stato introdotto come sperimentazione, nessuno lo parla, qui. Pensa che sono qui proprio per questo motivo! Quindi nessuno si aspetta che tu risponda bene alle domande. Verrai inserita nel livello A1 e brava come sei dopo due settimane di studio porterai a casa un A2, ne sono sicura” la incoraggiai.

Eppure, la ragazza non diceva niente.

Guardava fisso di fronte a sé, con un’aria fin troppo pensierosa, poi tirò su con il naso e mi guardò in un modo che quasi mi metteva in soggezione.

“Ti svelo un segreto” aggiunsi, seria più che mai.

Immediatamente, Chiara mutò atteggiamento, cambiò posizione e mi guardò, in attesa.

“Ora il mio lavoro è tradurre, ma al primo compito in classe, al primo anno di liceo, presi quattro e mezzo!”.

La rossa sgranò gli occhi, incredula.

“Ma davvero?”.

“Sì. Fu una batosta, così mi impegnai e migliorai. Io partivo da quattro e mezzo ma tu devi ancora iniziare a studiare questa lingua! Quindi figurati, andrai benissimo e io posso aiutarti se vuoi, sono a tua disposizione”.

Improvvisamente, la ragazza mi sorrise apertamente, animata da una nuova speranza.

Non so cosa cambiò, so solo che si alzò e io la imitai, seppur con un po’ di difficoltà perché mi si era addormentata una gamba.

In quell’istante comparve Luca, piuttosto agitato e con il fiatone.

Ci guardava, sollevato e confuso allo stesso tempo perché Chiara sembrava più calma.

“Dove si tiene il test?” gli domandò semplicemente, come se non avesse cercato di nascondersi da tutti contemplando di non sostenerlo.

“Al primo piano, aula 123”.

“Ok, vado. Grazie, Alice!”.

Chiara scomparve in direzione delle scale e Luca mi guardò senza capire mentre trovavo un modo poco imbarazzante per combattere la gamba addormentata.

“E’ la classica ragazza brava a scuola che ha paura di fallire di fronte all’ignoto. Doveva solo essere rassicurata” minimizzai, guardando l’orologio, salvo poi ritrovarmi su una gamba sola, come poi mi consgliava sempre la nonna in questi casi.

“Ma come hai fatto?! Cioè, è venuta fin qui, era ovvio che non volesse essere trovata!” constatò Luca, così preso dall’accaduto da non badare alle mie mosse buffe.

“In questi casi forse una non- group leader può fare magie, cosa devo dirti”.

La situazione era troppo divertente, Luca sembrava non capacitarsi della situazione e io mi sentivo rinvigorita dall’accaduto mentre me ne stavo su una gamba a mò di gru, come se Chiara mi avesse trasmesso un po’ più di fiducia in me stessa.

“Le ho detto che posso aiutarla se ha problemi con la nuova lingua” minimizzai.

“Boh. Comunque, cosa cavolo stai facendo su una gamba sola?” disse, ridendo.

“Gamba addormentata”.

“Ah, tutto regolare. Davvero, come hai fatto...”.

Era bello vederlo pieno di dubbi, non so perché mi stavo divertendo un mondo e ciò continuò quando incontrammo una Clara sorpresa che ci disse di aver trovato Chiara al primo piano fuori l’aula del test.

“Dovremmo chiamarlo “Effetto Alice”, Clara” ironizzò Luca, prima di lasciarmi spiegare nuovamente la situazione.

 

 

Dopo la riunione con la Rosales in cui conobbi Javier, Alejandro, María e Paula, il pranzo, altre email da tradurre e la cena ero davvero K.O.

Agognavo il mio letto come se fosse qualcosa che non vedevo da secoli e mi sentivo stupida nel vedere i GL ancora pieni di energie, o almeno così sembrava.

Ci trovavamo in una sala del campus adibita a discoteca in occasione della serata organizzata per i ragazzi e per fortuna le sedie erano decisamente comode, non come quella dell’ufficio su cui ero stata seduta ore ed ore.

“Per me si drogano, non c’è altra soluzione” disse Giada mentre guardava i GL che se ne stavano con i ragazzi, seduta al mio fianco all’inzio della serata “C’è posta per te” in cui i ragazzi si scrivevano messaggi tra un ballo e l’altro.

“Probabile. Come ti è andata oggi? Tante visite?” domandai, giusto per tenermi sveglia.

Giada annuì, sconsolata.

“Una col mal di gola, una con la febbre, una con la medicazione da cambiare, uno che si è ferito dopo la partita di basket...”.

“Ed è solo il primo giorno”.

“Ecco, hai capito!”.

“Ragazze, prendete, attaccatevi alla maglietta un bigliettino con un nome fasullo, partecipate anche voi al gioco!” ci interruppe Mario, attaccandoci di malo modo degli adesivi su una spalla.

Abbassai lo sguardo e lessi “Giulietta”, mentre a Giada era capitata “Elettra”.

“Uh, cose da letterati, in pratica” osservai.

“Che bello essere associata a un complesso, come se non ne avessi già abbastanza” ironizzò la dottoressa, alzando gli occhi al cielo.

“Per tua fortuna pochi lo sanno, invece la mia Giulietta è più soggetta a battutine...”.

“Ahò, da meretrice a Gulietta, che salto de qualità! Vabbè, conta che tutti toccano le zinne a Giulietta come porta fortuna quindi stiamo là” s’intromise Salvatore, che si era appena seduto al nostro tavolo.

Alle sue spalle, Saverio si stava sganasciando dalle risate e Mario aggiunse: “Per non parlare del famoso “Giulietta è una zoccola” detto dai tifosi napoletani in una partita contro il Verona....”.

“Vi giuro che sto sentendo Shakespeare che si rivolta nella tomba” sentenziai, sospirando.

“Se siete così intelligenti vi sfido a fare battute su Andromaca!” disse Nadia, che era appena arrivata e evidentemente non aveva apprezzato la scenetta.

Non avevo avuto modo di parlarle molto in quelle ventiquattro ore ma la mia gratitudine nei suoi confronti crebbe esponenzialmente.

I ragazzi fissarono il nome sulla sua maglietta, imbarazzati, ma ovviamente a guastare la festa ci pensò Luca.

“No dai, non tocchiamo Andromaca, poverina. Ragazzi, avete visto “Troy”?”.

“Luca, ti ringrazio ma evita che con questo titolo ambiguo ci ritroviamo l’ennesima battutina sulla questione Mediatrice- Meretrice” lo stoppai, sorridendo in maniera falsamente gentile.

Lui alzò le mani.

“Come vuoi... Giulietta”.

“Non si può fare nemmeno una battuta, oh” si lamentò Salvatore, guardandomi male.

“Dai ragazzi, Lasciamo stare in pace Alice... Andiamo a prendere in giro Clara che si è beccata Saffo!”.

“No vi prego...” biascicai, ma parlai al vento visto che i ragazzi erano andati in direzione di Clara che stava ballando con alcuni dei suoi ragazzi e avevano iniziato a farle degli scherzi.

“Dici che è così che si tengono svegli?” mormorai, scioccata.

“Probabile. Andiamo a prenderci un bicchiere d’acqua e illudiamoci che sia un drink, dai” propose Giada, alzandosi.

Annuii, seguendola fino al bar dove un barman ci passò dell’acqua in un bicchiere da drink con tanto di cannuccia colorata e fazzoletto, quasi come per darci la parvenza di un contenuto alcolico, e ci fermammo a bere con tutta tranquillità vicino a un gruppo di ragazzi che aveva deciso di non ballare.

Mario in quel momento prese una valanga di messaggi da un cilindro appogiato sul tavolo centrale e andò verso il microfono, iniziando a leggere i nuovi contenuti.

Di colpo, tutti i ragazzi smisero di ballare e si posizionarono attorno a lui, curiosi al massimo.

Romeo, ti conosco da poco ma già mi piaci! Ooooh! Amleto, sei fidanzato? Brave ragazze, dritte al sodo! Gertrude, ma quanto te la credi? Calme ragazze, mi raccomando! Oh, questa è bella! Grazie, Giulietta, oggi mi hai salvato due volte, se fosse dipeso da te Romeo non sarebbe morto. Grazie per il tuo sostegno. Ragazzi, Giulietta è del nostro staff, ehehe....”.

Ovviamente, tutti i ragazzi iniziarono a curiosare i nomi delle ragazze dello staff, qualcuno mi indicò, altri ridevano, il tutto mentre io mi dicevo di non arrossire e mi portavo una mano alla bocca.

Senza sapere come, incrociai lo sguardo di Luca che se ne stava a pochi passi me.

Lui alzò il pollice in mia direzione e mi fece l’occhiolino, con tanto di sorriso incoraggiante.  

 

*°*°*°*

Ed eccoci qui con il capitolo due!

Prima di tutto, ci tenevo a ringraziare di cuore chi mi ha dedicato un po’ del suo tempo per farmi conoscere le sue impressioni sul primo capitolo e chi ha letto/iniziato a seguire la storia :D

Sono stata così contenta che in questi giorni, anche grazie all’ispirazione, ho scritto moltissimo e mi sono portata avanti in vista della partenza di agosto.

Detto ciò... Che dire, la situazione piano piano sta ingranando, tutti si iniziano a conoscere e Alice ha avuto modo di dare il suo contributo al gruppo tra una prova antincendio e una ragazzina momentaneamente introvabile.

Dal capitolo 3 entreremo nel vivo dell’azione, promesso!

Come sempre, eccovi un’anticipazione:

 

Io me ne stavo dietro a tutto vicino Clara, la quale non perse tempo per avvicinarsi.

“Mi è dispiaciuto sentire ciò che ti ha detto Luca” bisbigliò.

 

Cosa succederà?

E cosa ne pensate dei personaggi conosciuti fino ad ora?

Fatemi sapere ^_^

A Lunedì :D

 

Milly.

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Capitolo 3
*** Day 3: I litigi sotto la pioggia non sono come quelli dei film ***


Day 3: I litigi sotto la pioggia non sono come quelli dei film

Capitolo 3

Day 3: I litigi sotto la pioggia non sono come quelli dei film


“Sì, sabes que ya llevo rato mirándote, tengo que bailar contigo hoy...”.

“Vi que tu mirada ya estaba llamándome, muéstrame el camino que yo voyyyyy...” continuai automaticamente quando il telefono di Mario iniziò a squillare, il giorno dopo a colazione.

Accompagnai il tutto con uno sbadiglio e mi tuffai in quella tazza di liquido orrendo che per gli inglesi era caffè con un po’ di latte mentre gli altri membri dello staff guardavano male me e Mario, il quale si era allontanato per rispondere.

“La canti pure?!” domandò Nadia, che come sempre alle sette e cinquanta del mattino era in grado di esibire un trucco perfetto con tanto di eyeliner messo perfettamente in stile Adele e uno smoky eye da far paura.

“L’abbiamo cantata tutti nelle nostre teste, io ho solo avuto il coraggio di cantarla ad alta voce” la rimbeccai.

“Alì, così mi scadi” disse Salvatore prima di dare un morso al suo toast con burro e marmellata.

“Mi sa che ti sono scaduta nel primo istante in cui mi hai conosciuto” borbottai, cercando di non essere tragica.

“E pure c’hai ragione”.

“Chi è Alice? Lei è Giulietta!” s’intromise Clara, che dalla sera prima aveva accettato il nomignolo di Saffo con tanta energia.

Udendo ciò, quasi mi strozzai con un pezzo di croissant e non riuscii a non guardare in direzione di Luca, che però non diede alcun segno di cambiamento mentre spalmava la marmellata sul suo toast.

Avevo pensato al suo gesto carino, era stato palesemente lui, non c’era altra spiegazione!

Mi aveva fatto piacere perché mi ero sentita considerata parte integrante del gruppo e speravo che questo effetto non svanisse.

Il mio flusso di pensieri fu interrotto dall’arrivo di Saverio che portava tra le mani il vassoio con la colazione in maniera stanca, come se fosse qualcosa che faceva per inerzia.

Prese posto di fronte a me e disse un fiacco: “Buongiorno. Ho un mal di testa...”.

Un coro di “Buongiorno” fu sopraffatto da Giada che si offriva di dargli qualcosa per farlo stare meglio visto che ci toccava il primo giorno di escursione a Londra.

“Sì, mangio qualcosa e poi prendo un Oki. Ragazzi, vi sono chiari i punti discussi ieri in riunione?”.

I GL annuirono e così feci io.

“Alice, cosa fai? Stai con noi tutta la giornata o dopo l’escursione con gli spagnoli te ne vai?”.

“Sto con voi”.

“Ok, puoi fare un giro da sola nel pomeriggio senza di noi visto che faremo un walking tour della città con gli inglesi”.

Annuii, allietata da quella prospettiva perché del tempo da sola, magari a Trafalgar Square o a Piccadilly, era ciò che mi ci voleva.

Già sognavo un caffè da Costa, sola con i miei pensieri e con il tempo per fare qualche chiamata e inviare qualche messaggio alle mie amiche che ormai mi davano per dispersa.

“Poi ceneremo insieme da qualche parte, daremo un budget ai ragazzi per cenare da soli e torneremo qui per le nove”.

Ci fu un generale mormorio di assenso e ognuno tornò alla propria colazione.

Si vedeva che iniziavamo ad essere stanchi, la riunione in cui Saverio ci spiegava come si sarebbe svolta l’escursione e spiegava ai GL cose di base come far attraversare la strada ai ragazzi in una città come Londra era finita all’una passate, dopo la serata “C’è Posta per Te”, quindi ognuno aveva dormito poco più di cinque ore.

Io, che avevo dovuto rendermi presentabile e fare anche lo shampoo, avevo dormito quattro ore e mezzo.

In più, come se non bastasse, iniziavo ad avere la sensazione di conoscere quelle persone da troppo tempo, mi sembrava assurdo che quello fosse il terzo giorno di permanenza nel college.

Evidentemente, alla fine delle due settimane, mi sarebbe sembrato di conoscere tutti da una vita.

 

Mi ritrovai in pullman seduta vicino ad una ragazzina silenziosa, con Nadia e Luca seduti davanti a me e Saverio alla mia destra.

Giada, Clara e Mario erano sull’altro pullman con i rimanenti quaranta ragazzi.

Ne approfittai per provare a schiacciare un pisolino e notai quanto potesse essere comodo un pullman quando si hanno molte ore di sonno arretrato.

Chiusi gli occhi, beandomi dell’improvvisa mancanza di luce intorno a me, mi sentii subito rilassata...

Io, Alice Sebastiani, quella che aveva problemi a dormire in hotel o in una casa nuova, trovavo il pullman comodo!

Cosa stava succedendo?

Mi stavo abituando ad uno stile di vita precario, privo di comfort, cosa che non credevo possibile visto che ero pur sempre la ragazza che a casa dormiva con ben due cuscini posizionati in un modo strategico e che odiava tutte le lenzuola che non erano di cotone in estate e flanella in inverno.

“Alice, scusami. Alice, scusami, puoi svegliarti?”.

La voce di Saverio mi raggiunse da lontano, quando ero ormai partita per il mondo dei sogni.

Quanto era passato? Un’ora? Dieci minuti?

Aprii gli occhi di scatto e vidi Saverio che mi scuoteva con un braccio mentre Clara e Luca si erano voltati e ci guardavano interessati, come se fossimo i protagonisti di un film.

“Sì?” biascicai, ancora più addormentata che sveglia.

“Ho Javier in linea, mi ha chiamato per dirmi una cosa, puoi parlarci tu? Non capisco!”.

Mi passò il telefono con forza e quasi me lo attaccò vicino all’orecchio.

Sperai di essere sveglia e ricettiva e di non fare figuracce.

“Hola Javier, soy Alice. Dime todo y lo voy a decir a Saverio”.

“Hola Alice. Sì, claro. Tenemos un problema, el conductor dice que es mejor si aparca cerca de Westminster y no cerca de Piccadilly Circus como dice el programa. Podrías decirselo también al vuestro conductor, por favor? Así que nos encontramos en el mismo lugar”.

La voce di Javier era sensuale e coinvolgente come sempre ma, ovviamente, da perfetto abitante dell’Andalucia parlava senza fermarsi un secondo, ignorava le s e accorciava le parole... Un incubo per una che era reduce da un pisolino come me.

“Sì, vale, se lo voy a decir ahora. Hay otro que tengo que comunicar?”.

“No, esto es. Gracias, nos vemos dentro de diez minutos”.

“Vale, gracias. Hasta pronto”.

Staccai la telefonata e notai che tutti mi guardavano come se fossi un’aliena, specialmente i due GL che mi vedevano nel vivo dell’azione per la prima volta.

“Che figa la nostra interprete!” esclamò Clara, con un tono quasi di ammirazione.

“Da sveglia rendo meglio” mormorai, imbarazzata.

“Dopo voglio vederti dal vivo mentre interagisci con loro, hai un ottimo accento!” aggiunse Luca, sorridendomi.

“E voi ora ve ne siete resi conto, sono tre giorni che questa poverina si sgola per spiegarmi tutto. Dai, che ha detto Javier?” domandò Saverio, impaziente.

“Il loro autista ha consigliato di farli scendere a Westminster e non più a Piccadilly, dobbiamo avvisare anche il nostro autista”.

Lui subitò scattò per comunicare con il conducente ed io sospirai, sforzandomi di rimanere lucida. “Javier ha anche detto che ci vedremo tra dieci minuti, è vero? Siamo già arrivati?”.

“Sì, dopotutto abitiamo giusto un po’ fuori Londra, ci vuole poco... Quando dormi poi il tempo vola” mi fece notare Clara, sarcastica come sempre.

“Eh lo so. Sono crollata...”.

“Dovresti sforzarti un po’ di più per abituarti a questi ritmi, come abbiamo fatto noi” osservò Luca, prima di voltarsi e sedersi normalmente.

“Scusami se non ho il tuo stesso orologio biologico, ma forse sono stanca perché ieri ho reso di più e come qualcuno mi ha fatto notare gli ho parato il culo ben due volte”.

Nel momento in cui finii di parlare me ne pentii, mi sarei morsa la lingua se avessi potuto.

Era una cosa da dire? Attaccarsi così di fronte ad una costatazione?

Era vero, dovevo abituarmi ai ritmi, tutti già ci erano riusciti tranne me ed io mi offendevo se me lo facevano notare.

Aspettavo un’eventuale replica che però non venne: Luca non disse altro e tornò ad ascoltare la musica con le cuffiette nell’orecchio, come se io non esistessi.

Arrabbiata, offesa, mi voltai istintivamente verso il direttore che disse semplicemente: “Tranquilla, devi fregartene solo del mio giudizio e stai andando bene”.

Annuii e poi mi misi a sedere meglio, con la schiena dritta e la testa piena di insulti per me stessa e per il signorino che mi stava di fronte.

 

Alle dieci eravamo davanti Buckingham Palace e Javier chiese cortesemente ai ragazzi di riunirsi attorno a lui.

Fui costretta ad aiutarlo perché solo una decina di ragazzi conoscevano le basi dello spagnolo, gli altri conoscevano solo l’inglese e al massimo un po’ di francese.

Javier era un mio coetaneo, da quel che sapevo studiava alla Complutense di Madrid per un Master ma era originario di Cordoba.

Era il tipico ragazzo del sud della Spagna scuro di pelle e di capelli ma aveva degli occhi di un verde intenso che avevano già un fan club tutto loro tra le ragazzine.

Si faceva chiamare Javi e il suo nome rimbombava dal giorno precedente in tutte le aree del campus, da quando le ragazzine avevano avuto modo di vederlo prima del test.

Diceva in continuazione “maravilloso” e ormai tutti se ne erano resi conto, così qualche ragazzino lo prendeva in giro mentre le sue fan ribadivano che di “maravilloso” nel campus c’era solo lui.

“Javi, yo voy a traducir lo que tu dices, vale?” domandai, dicendogli che avrei tradotto ciò che lui diceva sull’edificio.

“Vale”. Richiamò l’attenzione dei ragazzi e poi iniziò a parlare. “Buckingham Palace es la dimora oficial del Rey o del la Reina de Inglaterra, a partir de 1837, cuando empezó el reino de la Reina Victoria”.

“Buckingham Palace è la dimora ufficiale dei sovrani d’Inghilterra a partire dal 1837, quando iniziò il regno della regina Victoria...”.

Me ne stavo così, alla destra di Javi, lui ogni tanto mi sorrideva ed io mi sentivo finalmente in pace.

Tradurre, sia testi che discorsi, mi ha sempre rilassato.

Adoro farlo, mi piace impegnarmi per rendere una traduzione nel miglior modo possibile e in quel momento ne avevo davvero bisogno come calmante.

Alla fine della presentazione, quando Javi disse che potevamo fare qualche foto  per poi andare verso la National Gallery, addirittura scappò un piccolo applauso da parte dei ragazzi ed io mi sentii lusingata.

“Aspettate, una foto per il sito!” disse Mario, venendoci incontro quando io e Javi ci stavamo per separare.

“Foto?” domandò lo spagnolo.

Sorridemmo verso il cellulare dell’activity leader, Javi appoggiò una mano sulla mia spalla e si separò quando Mario ci diede l’ok.

Dopo qualche minuto in cui tutti si fecero delle foto davanti al Palazzo, in particolar modo nello stesso raggio d’azione delle guardie, tutti e ottanta i ragazzi furono ridivisi per squadre e formarono una lunga coda di adolescenti con un group leader davanti, uno dietro e due ai lati, pronti a vigilarli durante il percorso verso la National Gallery e Trafalgar Square.

Io me ne stavo dietro a tutto vicino Clara, la quale non perse tempo per avvicinarsi.

“Mi è dispiaciuto sentire ciò che ti ha detto Luca” bisbigliò, guardandosi attorno per evitare che qualcuno sentisse. “Io non lo penso, poi tu hai iniziato a lavorare prima di noi e mi rendo conto che tradurre email e discorsi è diverso dall’avere a che fare con i ragazzi...”.

“Clara, è tutto ok” la fermai, decisa a non creare rumors e disagi nell’ambiente di lavoro. “Mi sono difesa, basta”.

“Certo, certo, hai fatto benissimo. Giulia, in fila per due, non scappare davanti!” aggiunse, avvicinandosi ad una ragazza, così io ne approfittai per andarmene un po’ più avanti e starmene per conto mio.

 

Alle due del pomeriggio ero, finalmente, sola.

Avrei potuto camminare fino al Big Ben e fare qualche foto ma ero così desiderosa di pace che entrai nel Costa Coffee di Piccadily e ordinai un espresso.

Chiamai mia madre per raccontarle qualcosa del lavoro, mandai dei messaggi vocali ad Anna e Maria, le mie migliori amiche, per aggiornarle un po’ la situazione, poi provai a capire cosa mi stava succedendo.

Ero in un nuovo ambiente, ce la stavo mettendo tutta per lavorare bene, Saverio mi faceva sentire sicura e tutelata perché era chiaro, comprensivo ma schietto.

Amavo il mio lavoro, solo che dormivo poco e, sì, dovevo ammetterlo, mi sentivo inadeguata perché vedevo i GL pieni di energie a tutte le ore.

Mi sentivo un po’ inferiore, li invidiavo, volevo rendere come loro.

Anche Giada, tuttavia, sembrava sulla mia lunghezza d’onda e ciò mi consolava un po’ perché mi faceva capire che ero umana dopotutto e c’era qualcuno che rispondeva al duro lavoro nel mio stesso modo.

Sì, forse i nostri lavori erano diversi, i GL potevano avere un momento di svago mentre i ragazzi erano liberi in giro per la città o mentre erano a lezione mentre io e Giada non avevamo schemi, potevamo lavorare in qualsiasi momento, magari anche di notte se necessario, quando eravamo già andate a dormire.

Constatare ciò mi fece sentire meglio.

“Non sono inferiore a nessuno e mi sto facendo in due per il bene dell’azienda” mi dissi mentalmente, mentre sorseggiavo il caffè.

“Hola Alice, nos vemos otra vez”.

Sentii qualcuno appoggiare la mano sulla mia spalla e nel riflesso della vetrina che dava sulla strada vidi Javi.

Mi voltai e gli sorrisi.

Gli chiesi cosa stesse facendo lì e mi disse che stava prendendo un caffè da portare con Laura visto che avevano il Taxi a breve per tornare al campus, gli inglesi erano appena arrivati per il loro turno e avrebbero occupato il loro posto in pullman al ritorno.

Mentre parlava, pensai che era decisamente buffo il modo in cui Javi pronunciava il mio nome: “Alise”.

Non potevo dirgli nulla, dopotutto tutti lo chiamavano “Avi” senza aspirare la Jota e lui non diceva niente, anzi, ci rideva su.

“Siediti pure mentre Laura prende i caffè” lo invitai cordialmente, indicandogli la sedia.

Javi non se lo fece ripetere due volte, accettò di buon grado e prese posto.

“Che ci fai qui tutta sola?” chiese, probabilmente curioso visto che in tre giorni mi aveva sempre visto con qualcuno dello staff al mio fianco.

“Sono in pausa visto che il mio compito è tradurre solo lo spagnolo. Fino ad ora di cena sono libera” dissi, non riuscendo a non celare l’entusiasmo.

“Oh. Se lo avessi saputo non avrei prenotato il taxi con Laura, avremmo potuto fare un giro insieme, muoio dalla voglia di fare una passeggiata senza dover fare da guida turistica”.

“E io muoio dalla voglia di fare un giro senza dover tradurre ciò che dici” ironizzai. “Possiamo rimediare uno di questi giorni” aggiunsi.

Javi sorrise e disse il suo solito “Maravilloso!” seguito da “Oh, Luca!”.

Mi voltai di scatto e vidi che di fronte a noi, dall’altra parte della vetrina, c’era Luca con un gruppo di suoi ragazzi.

Avevano smesso di camminare e si erano fermati a guardarci, quasi come se fossimo uno spettacolo interessante e raro.

Alzai la mano in segno di saluto, lui fece un segno di riconoscimento con il capo per poi indicare ai suoi ragazzi un negozio di fronte, come se non si fosse mai distratto.

“Sarà impegnato ancora...”.

“No, ora i ragazzi sono liberi per pranzo, solo che gli piace stare con loro” spiegai, il che era vero visto che spesso e volentieri Luca si confondeva con i suoi ragazzi, amava giocare e scherzare con loro.

“Hola, Alice!”.

Laura Rosales, la dirigente del team spagnolo, era come sempre perfettamente vestita in un modo casual ma elegante, con i lunghi capelli buondi legati in uno chignon.

Aveva in mano due caffè da asporto e sembrava di fretta.

“Buenas tardes, Laura”.

Mi ripeté ciò che mi aveva detto Javi e nel giro di due minuti lasciarono il locale per andare verso il taxi che forse li stava già aspettando.

Presi un bel respiro e decisi di concentrarmi sulle ultime gocce di caffè ormai freddo che mi rimanevano, mentre osservavo il mio riflesso attraverso la vetrina.

I capelli ramati frutto di una tinta ormai scolorita erano un po’ disordinati a causa della pioggerella di quella mattina, il volto era truccato pochissimo e si vedevano le occhiaie, ma per fortuna avevo dei tratti da bambina a causa della sua forma un pochino rotondetta e di conseguenza la stanchezza non mi invecchiava.

Non so perché mi sentivo diversa, come se quella riflessa di fronte a me non fossi io.

“Che idiota” borbottai, prima di finire in un unico sorso il resto del caffè.

 

 

Rientrammo poco dopo le ventuno e Saverio ci graziò dicendoci che la riunione serale in cui ci avrebbe illustrato il programma della domenica avrebbe avuto luogo subito, in modo da consentirci di riposarci per il giorno successivo.

Tentai di dirmi che era una cosa casuale, che non lo stava facendo per farmi dormire di più dopo la scenata del pullman, dopotutto lui aveva iniziato la giornata con il mal di testa, ma non ci riuscii.

Continuavo a pensare alla faccia di Luca, al suo sguardo nei miei confronti attraverso la vetrina di Costa, al mio mix di pensieri contrastanti nei confronti del lavoro svolto.

“Ci vediamo in sala riunione tra quindici minuti. Scrivetelo nel gruppo” aggiunse Saverio, rivolto a me e Nadia, le uniche rimaste al suo fianco quando ci ritrovammo nella zona centrale del campus, in mezzo ai vari edifici dove alloggiavamo. “Attenzione che ci sono gli inglesi e gli spagnoli che stanno invitando tutti a bere qualcosa con loro ma vi consiglio di rifiutare, meglio farci vedere lucidi e non ubriachi, ricordatevi che siamo prima di tutto collaboratori” ci ammonì severamente. “A tra poco”.

Io a Nadia facemmo un cenno affermativo e lei si apprestò a scrivere l’informazione nel gruppo per poi avviarsi verso il suo edificio.

Io mi recai a destra, verso la E, e ovviamente mi ritrovai di fronte Luca che parlava con George, uno dei componenti del team inglese.

Feci un sorriso di circostanza nei loro confronti e presi le chiavi per entrare nella struttura.

Senza volerlo, ascoltai la conversazione e udii George invitare Luca per una birra.

“A beer? Why not!” ripose lui.

Mi bloccai, senza sapere cosa fare.

Evidentemente Luca non aveva letto i messaggi di Nadia nel gruppo, non mi sembrava il tipo di persona che non rispetta gli ordini del proprio coordinatore.

Cosa dovevo fare?

Farmi gli affari miei e fingere di non aver sentito o avvertirlo?

Se non avesse dato retta a Saverio anche lui per una volta non sarebbe stato impeccabile, ma d’altronde ne andava anche dell’armonia del gruppo visto che in tre giorni il nostro capo sembrava decisamente felice del lavoro svolto dalla sua squadra.

Fu per questo che mi scusai per l’intromissione e, voltandomi, appoggiai una mano sulla spalla di Luca.

Lui si voltò e mi guardò come se stessi facendo qualcosa di inappropriato.

“Scusami, volevo solo dirti che ci sono delle novità sul gruppo riguardo stasera, se puoi dare subito un’occhiata...”.

“Ok, grazie” borbottò, prima di voltarsi nuovamente verso George.

Dicendomi di aver fatto la mia buona azione della giornata, così, corsi nella mia stanza, presi adattore e caricabatteria, feci una doccia lampo di davvero quattro minuti scarsi e indossai i pantaloni della tuta e un maglione grigio visto che c’era di nuovo quella insopportabile pioggerellina e la temperatura era di circa diciotto gradi.

Alle nove e ventidue ero in sala riunione con quasi tutto il team, eccetto Giada, Salvatore e Luca.

Clara e Nadia sonnecchiavano su uno dei divani ed io, decisa a dare prova della mia energia, presi posto su una sedia abbastanza scomoda in modo da non favorire eventuali sbadigli.

“Se questi si sbrigano andiamo tutti in camera per le ventidue” sbuffò Saverio, alzando gli occhi al cielo.  “Questo mal di testa del cavolo non vuole proprio saperne di lasciarmi in pace”.

“Si staranno facendo una doccia” ipotizzai.

“Tu te la sei fatta di sicuro, profumi, ora”.

“Ora, eh” stetti al gioco. “Lo so, prima puzzavo di pioggia inglese”.

“Ne sei consapevole, meno male”.

Scoppiammo a ridere e in quel momento pensai che senza Saverio probabilmente avrei già avuto un crollo nervoso.

Era il capo ideale per me, ne ero sicura, e speravo davvero di riuscire a soddisfarlo dal punto di vista delle sue aspettative nei miei confronti.

Salvatore e Giada entrarono insieme dopo qualche secondo, scusandosi per il ritardo, e il capo ci contò mentalmente per poi dire: “Uffa, manca ancora Luca, chiamatelo. Non esiste che debba aspettarvi per le riunioni! Io so già tutto per quanto riguarda domani, se siamo qui è per voi!” sbraitò, improvvisamente nervoso.

Giada si offrì di chiamarlo ma inutilmente: non rispondeva.

“Chi abita nel suo edificio? Non ho le chiavi universali a portata di mano, mi serve qualcuno che abbia la chiave di accesso” disse quindi Saverio, portandosi una mano in faccia per la stanchezza.

“Io” dissi, iniziando a temere il peggio.

“E allora vai e riporta quello scemo qui. Aspetta che ti dico la stanza...”. Saverio si alzò, prese dei fogli in un cassetto e iniziò a leggere freneticamente. “E18”.

“Ok, corro” dissi e mi volatilizzai dopo aver preso il telefono.

Non sapevo cosa pensare... Quell’idiota aveva ignorato il mio avviso?

George capiva un po’ di italiano, non potevo parlargli chiaro e tondo e, inoltre, non era compito mio tenerlo sulla retta via, non era uno di quei ragazzini che si perdevano e per cui dovevamo svenarci pur di ritrovarli.

Era un adulto, un venticinquenne come lo sarei stata io a breve, era qui per lavorare e non per andare a ubriacarsi con quelli degli altri staff!

Per fortuna non mi fu difficile trovarlo: era con George e Alejandro in una porzione di prato di fronte al nostro edificio, se ne stavano nascosti in una zona dove non giungeva la luce dei lampioni.

Il tempo faceva schifo e se ne stavano all’aperto?

E se fossero passati dei ragazzi? Li avrebbero visti così, intenti a bere?

Non era normale!

Riuscivo ad ascoltare le loro risate, qualche “Fuck” misto a qualche “Joder” e alzai gli occhi al cielo, dicendomi di avere pazienza.

Mi avvicinai a quella zona con in mano il cellulare che mi faceva da lampada mentre cercavo di non farlo bagnare con la pioggia, giusto per annunciare la mia presenza, e come effetto li feci spaventare.

“Oh, it’s you, Alice! You scared us!” urlò George, prima di ridere e riportarsi la bottiglia di birra verso la bocca.

“Yes. I am sorry but I need to speak to Luca” dissi, facendogli segno di avvinarsi.

Lui, con un’espressione stranita, si alzò di malavoglia e si avvicinò.

I due tipi continuavano a guardarci così mi spostai a circa una decina di metri di distanza , obbligandolo a seguirmi.

“Che succede?” chiese, impazientemente.

“Succede che ti ho detto di leggere i messaggi sul gruppo e evidentemente non lo hai fatto!”.

“Ho la batteria scarica...”.

“Ma allora vai in camera e trovi una soluzione, pensi che sia deficiente se ti ho detto di leggerli? La riunione sta avendo luogo ora e Saverio ci ha detto che non vuole che accettiamo di bere con gli inglesi e gli spagnoli” spiegai rapidamente, immaginando già il direttore che spazientito ci raggiungeva e scopriva il misfatto.

“E perché mai? Tu oggi stavi bevendo qualcosa con Javi e non mi pare ti abbia fatto una paternale” replicò lui, con una faccia tosta che mi diede ai nervi.

Avrei voluto tirargli un pugno dritto in faccia in modo da demolirgli quel naso perfetto che si ritrovava, ma mi limitai a stringere il pugno destro fino a dar diventare le nocche bianche.

“Tralasciando che non sono affari tuoi, io ho semplicemente incontraro Javi ed ero nel mio tempo libero. Tu sei in servizio, hai una riunione a cui partecipare e se Saverio ti vede così ti fa nero. E’ alcool, non capisci? Non vuole che si dica in giro che beviamo quando il nostro dovere è essere responsabile per i ragazzi...”.

“Il nostro, semmai” mi corresse.

Era serio?

Cosa ci faceva quel pugno fermo, perché non agivo?

Ma soprattutto, perché non capiva di aver fatto una cazzata e non agiva per porvi rimedio?

“Senti, magari non sarò la diretta responsabile dei ragazzi ma lavoro anche io per la riuscita del viaggio. E quando perderai di vista il prossimo, non osare venire a piangere da me, mi limiterò a svolgere il mio lavoro e basta. Ah... Giusto per fartelo presente, al momento io sembro una group leader e tu un ragazzino di tredici anni. Dirò a Saverio che non ti ho trovato, fà quel che ti pare” sbottai, di sicuro rossissima in volto.

In una sola giornata quell’idiota era stato in grado di farmi perdere il controllo ben due volte e non glielo potevo permettere.

Mi voltai, dandogli le spalle, e mi avviai di nuovo verso la sala riunione a passo di marcia, senza badare alla pioggia che si faceva sempre più insistente e mi stava facendo bagnare tutta.

“Alice, aspetta! Alice!”.

Continuai a camminare, arrivai all’edificio e mi bloccai perché, uffa!, non avevo le chiavi di ingresso.

Battei un piede a terra per la frustrazione, decidendo di inviare un messaggio per chiedere a qualcuno di venire ad aprire, ma in un battibaleno mi ritrovai Luca di fronte, a sua volte con i capelli quasi interamente bagnati e la maglia rossa dell’azienda con chiazze di pioggia.

“Ho detto ai ragazzi di non dire che ero con loro. Alice” mi afferrò per le spalle e mi portò sotto una specie di portico alla nostra destra, dove la pioggia non poteva colpirci ulterioremente, “Hai ragione. Hai ragione su tutto, ho sbagliato. Io... oggi ero nervoso, avevo davvero bisogno di una birra, tu non c’entri nulla”.

“Tu non hai il diritto di sparare sentenze su di me! Mi hai fatto incazzare di brutto!”.

“Scusami. Mi sa che abbiamo dei caratteri simili, io tendo a non voler dare ragione alla gente anche se sto di star sbagliando. Non volevo fare la figura dell’idiota con i ragazzi... Tu sei dolcissima, mi hai avvertito ed è ufficialmente la terza volta che mi aiuti. Stai tremando” aggiunse, vedendo che quasi battevo i denti a causa del mix freddo, pioggia e semplice maglione non molto pesante.

“E’ o-ok, ora rientro...”.

Si tolse lo zaino dalle spalle, lo aprì e ne estrasse una felpa rossa dell’azienda fin troppo gigantesca per i miei gusti.

“Mettila, altrimenti ti ammali”.

“Cosa? No, ora invio un messaggio, ci aprono la porta...”.

“Non farti pregare. E dopo stasera meriti di essere identificata come una group leader più che mai. Mi sa che il rosso ti dona” disse, incoraggiante.

Decisi di non farmi abbindolare dalle sue parole, mi limitai a prendere la felpa e ad indossarla, beneficiando subito della  piacevole sensazione di calore che mi stava donando.

“Voglio tu sappia che sono arrabbiata con te...”.

“Lo so”.

“E non ti aiuterò più”.

“Fai bene. Ora tocca a me aiutarti” mormorò, sorridendomi e rivelando una dentura candida e perfetta. “Grazie. Non c’è bisogno che parli con Saverio, mi giustifico io” sussurrò, prima di prendermi per un braccio e trascinarmi di nuovo verso l’entrata dell’edificio. “Ma se vuoi dirgli la verità, fai pure”.

“Io voglio solo stare tranquilla...”.

Luca mi guardò di sbieco e annuì debolmente, provando a riparare entrambi dalla pioggia.

“Per quanto mi riguarda, quel treno ormai è partito” sentenziò. “Oh, guarda! Nello, aprici e poi fila a letto!” urlò, rivolto a un ragazzino dall’altra parte della porta che evidentemente cercava di sgaiattolare da qualche altra parte.

Il cosiddetto Nello sbiancò e ci aprì la porta, intimorito.

“Luca, io...”.

“Fila a letto, Nello” gli intimò lui, perentorio.

“Sì, certo”.

Presi un bel respiro e mi passai una mano tra i capelli di sicuro umidissimi e schifosi .

“Andiamo a questa riunione...” mormorai, ormai senza forze sotto tutti i punti di vista.

“Sembri davvero una GL con la felpa rossa, Alice la Group Leader!”.

Mi voltai di scatto e lo guardai male mentre lui se la rideva.

Chi si credeva di essere?

Prima mi trattava male e poi faceva l’amicone, come se nulla fosse.

“Non mi abbindolerai, Luca” chiarii, seria più che mai.

Ovviamente, invece di avere una reazione normale, lui sorrise di nuovo e mi fece l’occhiolino.

“Lo so. Questo è il bello!”.

 

 

 

*°*°*°

Buon pomeriggio a tutti :D

Come promesso eccomi qui con il nuovo capitolo!

Le cose iniziano a movimentarsi, no? Litigi, problemi, questioni varie... Dopo solo tre giorni!

Ecco cosa succede quando si lavora quasi ventiquattro ore su ventiquattro tutti insieme xD

Un grazie speciale va alla gentilissima Delia Bluetales per aver letto il capitolo e avermi fatto notare degli errori, mi ha aiutato davvero tantissimo ad accelerare il processo di pubblicazione <3

Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate :D

A lunedì prossimo, poi ci sarà una pausa perché parto per Praga <3

Un bacio,

 milly.

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Capitolo 4
*** Di cotte e di crude ***


capppp4

Capitolo 4

Day 4: Di cotte e di crude

 

Il cinque luglio iniziò inaspettatamente bene per me.

Dopo i casini pre riunione, io e Luca avevamo raggiunto gli altri dicendo che lui aveva perso il telefono per questo non sapeva della riunione e che io lo avevo aiutato a ritrovarlo, così Saverio si era ammorbidito e in venticinque minuti di orologio ci aveva spiegato tutto sulla gita del giorno successivo.

Alle ventidue e trentacinque, con mio sommo stupore, ero andata a dormire e con circa nove ore di sonno mi sentivo felice e rinvigorita, pronta a conquistare il mondo.

Avevo le energie anche per truccarmi in un modo un po’ più eleborato rispetto al solito fondotinta e mascara, legai i capelli in una treccia e mi avviai verso la mensa.

“Buongiorno!” esordii, sedendomi al tavolo con gli altri.

Salvatore disse: “Buongiorno, Alì, ti vedo bene stamattina” prima di bere un sorso di caffè.

“Non mangi?” aggiunse Nadia, che quella mattina aveva optato per un makeup da pin up con ombretto nude, eyeliner e rossetto rosso. Evidentemente aveva notato che non reggevo il vassoio con la colazione tra le mani e mi ero seduta senza fare il solito chiasso per far incastrare il vassoio con gli altri presenti sul tavolo.

“Oggi ho un cameriere d’eccezione” annunciai, indicando con il pollice alle mie spalle, dove Luca sostava, alzato, con la mia colazione.

Appoggiò il tutto sul tavolo, accompagnato da un “Per lei, signorina” che sapeva tanto di presa in giro e prese posto al mio fianco, sotto lo sguardo curioso di Clara, Nadia e Salvatore.

“E tu? Non ce l’hai il vassoio?” chiese Clara, tuttavia ridacchiando per quella scenetta.

“Certo che ce l’ho. Ho preso tutto a doppio per non fare due viaggi. Grazie” aggiunse, prendendo una bella quantità di toast dal mio vassoio e ridendosela un mondo.

“E a cosa dobbiamo ‘sto servizio di classe?” chiese Salvatore, squadrandoci.

“Devo farmi perdonare. Ieri a causa mia si è beccata pioggia, freddo e vento” spiegò semplicemente Luca, guardandomi di sbieco.

“Che gentiluomo! Salvatò, prendi esempio!” disse Nadia, facendogli una linguaccia.

“Anche Salvatore lo è, anche se mi prende sempre in giro” rivelai.

“Io non ti prendo in giro, ti descrivo, Alì” ribattè lui, fin troppo pacato.

Luca scoppiò a ridere e gli fece il tipico gesto di chi vuole battere il cinque e Salvatore lo accontentò mentre io, incredula, mi fingevo sconvolta e imbronciata.

“Mi dispiace, Luca, stavo per perdonarti ma dopo questa la strada è ancora lunga” sentenziai, falsamente concitata, mentre iniziavo a mangiare latte e cereali.

“Giustissimo, non ti dò torto” stette al gioco lui.

“Sì, Alì, però nun te gasà e non darmi punizioni eh, io non te la porto la colazione e non ti faccio lo schiavetto”.

“Buongiornissimo, ragazzi, vi vedo arzilli stamattina”.

La voce un po’ profonda di Saverio annunciò il suo arrivo e quello di Mario ed Elena.

Alle loro spalle, Giada stava arrivando con la colazione.

“Sì, Alice è in vena di scherzi” la buttò lì Nadia.

Lui mi guardò sorpreso e poi prese posto.

“Ragazzi, entro domani dovete portarmi tutti i moduli che vi ho dato con i numeri dei ragazzi, le loro stanze e via dicendo” disse Elena.

I GL annuirono e dopo che Giada si fu seduta non si sentì ulteriore rumore, impegnati come eravamo a rifocillarci in vista di un’ulteriore giornata fuori.

 

 

Dopo pranzo i ragazzi si stavano rilassando ad Hyde Park ed io ne approfittai per stendermi sul prato con Nadia.

Volevamo goderci un po’ di sole visto che finalmente, dopo giorni di pioggia e freddo, la temperatura aveva toccato i venticinque gradi.

Inoltre, mi sembrava carino passare del tempo con lei visto che avevo avuto modo di parlare di più con Clara e Giada.

Non avevo ancora capito come inquadrarla, mi sembrava disponibile con i ragazzi ma non molto disinvolta con noi.

Forse perché, dopo Saverio, era la più grande visto che aveva trentuno anni e noi avevamo dai ventitré ai ventotto anni, oppure c’era qualche altra spiegazione che non conoscevo.

“Quindi tra tre giorni è il tuo compleanno?” mi domandò curiosa, probabilmente ricordando il momento in cui Mario aveva letto i nostri curricula.

Sorpresa per la sua memoria, annuii.

“Sì”.

“E quanti ne compi?”.

“Venticinque”.

“Beata te. Sei giovane, non fare gli errori che ho fatto io alla tua età” mi ammonì, mentre inforcava gli occhiali da sole.

Stava forse iniziando ad aprirsi con me?

Non so perché ma questa cosa mi lusingava, quasi come quando Chiara aveva iniziato a parlare del suo problema nei confronti del test di spagnolo.

“Quali errori, se posso sapere?” domandai, un pochino timorosa nel chiedere qualcosa di personale.

Tuttavia, Nadia non sembrava assolutamente restia a parlare della sua vita, anzi, si mise un po’ più comoda, appogiò la testa sul suo zaino come se fosse un cuscino e iniziò a raccontare.

“Avevo trovato un ottimo lavoro come truccatrice a Milano. Io sono dell’Abruzzo, avevo un fidanzato da cinque anni. Mi trasferii ma lui mi disse che non ce la faceva a vivere una storia a distanza, mi chiamava mille volte al giorno, io avevo anche trovato un lavoro per lui lì visto che lavorava part time... Ma niente. Mi convinsi, mollai tutto e qualche anno dopo mi ha anche lasciato, ora vive con una tua coetanea in Toscana. A quanto pare il problema non era il trasferimento” disse amaramente, incrinando un po’ il tono.

“Ma che stronzo!” mi lasciai scappare, indignatissima.

Alle nostre spalle, un gruppo di ragazzini rise udendomi dire ciò e io mi tappai le mani con la bocca, per poi chiedere scusa.

“Sì, ma io ero ingenua. Pensavo solo ad una vita con lui, dicendomi che magari seppur disoccupati saremmo stati felici... Ma l’amore non basta, Alice. Ci vuole il rispetto, il rispetto per i sogni altrui, se non ci si appoggia l’un l’altro si distrugge tutto. Io ora ho trentuno anni, faccio qualche lavoretto come make up artist e ho uno stupidissimo canale Youtube quando potrei essere conosciuta a Milano. Tutti adoravano come lavoravo...” sospirò. “Invece sono qui, a provare un nuovo lavoro giusto per guadagnare qualche centinaia di euro”.

Non sapevo cosa  dire.

In pochi miuti Nadia mi aveva rivelato il perché della sua apparenza un po’ malinconica, la sua diffidenza, la sua disillusione.

Ecco cosa pensava quella ragazza ogni volta che la beccavo con lo sguardo perso nel vuoto o quando era costretta ad alzarsi così presto e ad andare a dormire così tardi per svolgere un lavoro che non era mai stato nei suoi piani.

Io ero lì, alla mia prima esperienza lavorativa, piena di sogni ed illusioni come se tutto mi fosse dovuto e invece lei mi aveva riportato con i piedi alla realtà.

Come ogni cosa nella mia vita, toccava a me sudarmela e far sì che ciò accadesse.

“Nadia, mi dispiace tanto! Però conosci la tua strada, sai la tua vocazione, e non è da poco. E’ da quando ti conosco che ti invidio perché sfoggi un trucco bellissimo, si vede che sei brava” provai a tirarla su, onesta.

“Mi rilassa truccarmi, è un modo per esprimere come mi sento”.

“Per questo quando c’era la prova antincendio hai osato con lo smokey eye?”.

Lei si lasciò scappare una risata genuina dopo tanta pesantezza e mi fece sentir meglio vederla così.

“Non ci avevo fatto caso, che coincidenza! Che memoria hai!”.

“Come la tua, visto che ricordi la mia data di nascita”.

“Ah no, lo ricordo solo perché é il giorno in cui dovrebbe venirmi il ciclo”.

Risi di cuore a mia volta, sentendo di aver in qualche modo legato con lei, nonostante la breve chiacchierata.

“Festeggeremo a dovere durante la riunione serale, promesso” rivelai, mettendomi a sedere.

“Davvero? Ti stiamo simpatici, quindi?”.

“Abbastanza, dai” concessi, mentre lei si alzava a sua volta e, così, senza motivo, mi abbracciava.

“Scusami se ti sono sembrata una frignona ma ieri ho visto una foto di quel coglione su Facebook e avevo bisogno di parlarne” rivelò.

“Quando vuoi puoi parlarne quanto vuoi” la rassicurai, sentendo un improvviso moto di affetto nei suoi confronti.

La vita è strana, incontri persone con cui non condividi nulla e poi, dopo qualche scambio di parole, senti di aver stabilito una connessione emotiva con lei.

“Ehi, abbracciate anche meee!”.

Come un uragano, Mario si fiondò addosso a noi e ci strinse in un abbraccio stritolacostole, mentre Giada immortalava il tutto con il cellulare dicendo: “Questa finisce direttamente sul sito!”.

“Carenza di affetto, Mario?” lo presi in giro quando ci lasciò finalmente stare.

Lui, un omaccione che sembrava quasi un orsetto di peluche quando voleva fare il simpatico, annuì con convinzione.

“Sì. Stasera vengo a trovarvi per darvi la buonanotte così mi passa”.

Giada si sbellicò dalle risate e lui aggiunse: “Vale anche per te, giochiamo al dottore...”.

“Giada, fossi in te gli prescriverei una bella supposta” ironizzò Nadia.

“Guarda che love is love Nadia, per me non c’è problema!”.

“E allora perché non vai a dare la buonanotte anche a Luca, Salvatore e Saverio?”.

“Oh, ma lo ha già fatto, colleghe” s’intromise Luca, spuntando alle nostre spalle da chissà dove.

Evidentemente aveva finito di giocare a calcio con i ragazzi, sembrava un po’ sudato.

“Sì, ci siamo strapazzati di coccole!” confermò Mario, abbracciando Luca e dandogli un bacio sulla guancia fin troppo sonoro. “E stasera ballerà la salsa con me!”.

“Non ti allargare...”.

“Salsa?” domandai, seppur continuando a ridere per la scenetta di quei due.

Erano favolosi, erano subito diventati amici ed erano sempre sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguarda il mettersi in mostra e fare battutine.

“Sì, stasera la serata è organizzata da Javier e i ragazzi dovranno imparare a ballare la salsa. Anche noi, ovviamente” sottolineò l’activity leader, puntando il dito contro ognuno di noi.

“Ehi, ho vissuto sei mesi a Siviglia e avevo una coinquilina sudamericana. Il venerdì andavamo sempre in un locale  a ballare la salsa, quindi non ho bisogno di imparare” ammisi, sentendomi per una volta un po’ più esperta e meno impacciata.

“Hai capito la mediatrice!”.

Mario mi strinse la mano come se mi stesse conferendo un titolo d’onore e Luca si voltò a guardarmi.

“Mai ballato salsa! Mi insegni?” domandò.

“Oh, certo”.

“Allora hai un ballo prenotato stasera, mi raccomando!”.

“Lo metterò nella mia agenda...” borbottai, imbarazzata.

Speravo se ne dimenticasse perché la prospettiva di ballare salsa con lui davanti a ottanta adolescenti mi metteva un po’ in ansia.

Ero pur sempre Alice, magari per l’emozione gli avrei pestato un piede o cose simili.

“Io vengo prima di te, sono l’activity leader” protestò Mario, prendendomi per mano e facendomi alzare con forza. “Balliamo ora!”.

“Che?”.

“Ma vi state divertendo senza il vostro capo, non ho capito?”.

La voce di Saverio ci riportò alla realtà, tutti tranne Mario ci bloccammo, salvo poi tirare un sospiro di sollievo quando vedemmo il direttore sorridere.

“Cosa sta succedendo?”.

“Alice mi insegna la salsa!”.

“Eh, e poi la mettete sulla pasta?”.

Salvatore completò il quadretto, ovviamente.

Tutto lo staff era lì, pronto a guardare me e Mario che improvvisavamo un balletto con i fiocchi, come se fossimo negli anni ’60 e tutti si fossero raggruppati di fronte ad unica televisione con lo scopo di vedere lo stesso programma tanto atteso.

Ignorai la battuta di Salvatore e guardai Mario.

“Davvero vuoi che ti insegni?” chiesi.

“Certo che sì, ora, così stasera non faccio la figuraccia” mi spiegò.

“Ok, vieni qua...”.

Giada prese il telefono tra le mani e nel giro di poco si diffusero le note di “Propuesta indecente” di Romeo Santos.

“Ma questa è una bachata” protestai, con le mani di Mario già tra le mie.

Notai che qualche ragazzo curioso iniziava a guardarci e la cosa mi metteva ansia.

“Arrangiatevi!” ribadì la dottoressa.

Sospirai e guardai Mario negli occhi.

“Allora, iniziamo con il passo base. Tieni le mani tra le mie così, poi io vado avanti con il piede e tu indietro...”.

“Oh, Salsa?”.

Mi bloccai e vidi Javi che si era appena avvicinato e ci guardava incuriosito, con le braccia incrociate come se si stesse impegnando per vedere eventuali errori.

“Sì, Mario quiere aprender” spiegai, bloccandomi di colpo.

“Tu sabes bailar la salsa, Alice?”.

“Sì, viví en Sevilla y los viernes por la tarde iba a bailar salsa con mi compañera de piso...”.

Con decisamente poca nonchalance, Javi si avvicinò a me e Mario e lo allontanò come se fosse una mosca poca gradita.

Quando parlavamo in spagnolo sembravamo escludere gli altri e la cosa non mi piaceva perché mi sembrava di sentirmi diversa da loro e non volevo escluderli.

“I was dancing with Mario” dissi quindi, in modo che tutti potessero capire.

Sorpreso dal code switching, Javi alzò le mani e sorrise in direzione di Mario come per chiedergli scusa e si spostò.

“Tienes razón, descúlpame, Mario. Pero esta tarde puedes bailar conmigo cuando voy a enseñar a los chicos como se baila, Alice?” domandò.

Annuii e lui si congedò con un sorriso, tornando dall’altra parte del parco dove c’erano gli spagnoli.

“Alice, hai appena meritato mille punti di fedeltà nei confronti del gruppo se hai pensato a far rispettare Mario invece di ballare col toro spagnolo” osservò Saverio, fin troppo sorpreso per i miei gusti.

“Spagnolo, italiano... Non è stato corretto, questo conta”.

“Così si fa” approvò Luca, fin troppo allegro.

“Bene, iniziamo? Giada, rimetti la canzone?”.

Giada obbedì e per cinque gloriosi minuti provai a insegnare il passo base al povero Mario che, purtroppo, non sembrava molto portato per la salsa.

 

 

Rientrammo in college per ora di cena abbastanza rilassati e tranquilli perché alla fine i ragazzi avevano avuto molto tempo libero e ci eravamo solo stancati per arrivare a piedi a Tower Bridge.

Il giorno dopo avrebbero avuto le lezioni e nessuna escursione quindi dovevamo assolutamente usare quel giorno per ricaricarci il più possibile e, soprattutto, riposare i piedi.

I miei erano super gonfi dopo i chilometri fatti in quei giorni, così non me ne fregai minimamente e mi presentai a mensa con delle infradito visto che nel giro di un paio di ore avrei ballato la salsa e non volevo fare figuracce.

Per fortuna, anche Giada sembrava dello stesso avviso, anzi, mi aveva prestato una crema dalla consistenza molto fresca da applicare per ridurre il gonfiore.

Nessuno badò alla nostra scelta di stile discutibile, presi come erano alla novità  della serata salsa.

“Devo ammetterlo, mi hai sorpreso” mormorò Luca mentre eravamo in fila in mensa.

“In che senso?”.

“Pensavo avresti ballato con Javi... Voglio dire, io al tuo posto non mi sarei lasciato perdere l’occasione di ballare con María o Paula” ammise con aria fin troppo malandrina.

Scrollai le spalle e mi finsi interessata a cosa c’era per cena, con l’espositore del cibo a pochi passi da me.

“Io non sono te, evidentemente. Un ballo è solo un ballo. E credo che Javi sia troppo sopravvalutato, conosco ragazzi spagnoli molto più affascinanti” rivelai.

“Beh, magari è anche un modo per avvicinarsi di più a qualcuno e capire se c’è chimica, è anche una scusa per stringere a te una persona e sentire i vostri cuori che battono in sincrono, per sussurrarle qualcosa di carino all’orecchio” sussurrò, abbassandosi al mio livello visto che era almeno quindici centimetri più alto di me.

Deglutii e mi scostai, fingendomi disinvolta nonostante il mio cervello mi stesse palesemente dicendo: “Quando sussurra la sua voce è illegale”.

“Romantici voi napoletani, lo stereotipo è vero” cercai di sviare l’argomento.

Era per questo che mi aveva invitato a ballare? O lo aveva dimenticato?

Di certo io non mi sarei avvicinata a lui se non si fosse rifatto avanti.

“No, è falso, sono io che sono un’eccezione”.

“Oh, devo ridarti la felpa” cambiai discorso come una stupida.

Perché cambiavo argomento? Perché non ero a mio agio?

“No, tienila”.

“Come? Ma te l’hanno data in dotazione, se fa freddo...”.

“Alice, ieri ero a mezze maniche, ricordi? Abbiamo una concezione di freddo diversa, io e te. Ridammela quando sarò stato perdonato” la mise sullo scherzo, prima di accorgersi che era giunto il suo turno per chiedere il cibo.

Lo guardai, senza sapere cosa pensare.

La sera prima mi aveva fatto arrabbiare, certo, ma mi era già passata nel momento in cui avevamo detto quella bugia in riunione, macchiandoci di quel peccato insieme.

Forse era meglio non farglielo sapere, mi dissi, perché nonostante tutto quella giornata si era comportato bene e a me piaceva avere a che fare con un Luca gentile, mi metteva di buonumore.

“Allora potrei non dartela mai più. La felpa” specificai, visto che per la seconda volta in quella giornata dietro di noi c’era un pubblico indesiderato che poteva capire fischi per fiaschi.

Luca accennò una risata e scrollò le spalle prima di avviarsi verso la sala dove tutti stavano già mangiando.

 

 

Con un top nero, una gonna rossa svolazzante – l’unica che avevo portato con me – e le immacabili Adidas bianche, mi presentai nella solita sala del campus che veniva adibita a discoteca, trenta minuti prima dell’arrivo degli altri perché Javi voleva provare con me prima della serata.

Lo trovai vicino la console, indossava la solita maglietta verde della Santo Domingo che cascava a pennello con la sua pelle olivastra ma aveva cambiato i pantaloni, erano più classici e contrastavano con lo stile sportivo della parte superiore dell’outfit.

“Hola”.

“Hola, Alice!”.

Mi avvicinai alla console e lui sembrò a suo agio, come se non lo avessi scacciato qualche ora prima.

“Scusami per prima, ma Mario ci teneva e...”.

“No, Alice, la colpa è mia. Non ho nemmeno chiesto il permesso per interrompervi, che maleducato” mi stoppò, alzando una mano per farmi segno di non continuare a scusarmi. “Tendo ad essere impulsivo a volte”.

“E’ ok, davvero. Allora, cosa hai in mente per stasera? Niente di complicato, mi raccomando” dissi, un po’ nervosa davanti a quella prospettiva.

Amavo ballare la salsa, il primo venerdì che andai a ballare con le mie coinquiline mi sentii coinvolta in un modo assurdo e ballai come non mai nella mia vita con gente sconosciuta, pur non conoscendo i passi.

Settimana dopo settimana imparai ad essere più disinvolta e sei mesi dopo salutai il signor Francisco, il proprietario, con un nodo al cuore.

La salsa era uno stile di vita ma per me era un rifugio dalla normalità, quando la ballavo significava che non ero a casa e che potevo essere libera, fuori dagli schemi.

“No, tranquilla, insegneremo il passo base” mi rassicurò, prima di scegliere una canzone latina e invitarmi a ballare porgendomi il braccio.

Esitante, mi dissi di non fare figuracce e afferrai il braccio, per poi ritrovarmi con la sua mano sulla schiena e l’altra tra la mia.

“Uno, dos, tres, vamos...”.

Era abbastanza bravo, dovevo riconoscerlo, il passo base era così semplice che riuscimmo a non sbagliare nulla al primo tentativo.

Lui guidava le danze, andava con il piede in avanti e io, al contrario, andavo indietro.

Alla fine mi fece anche fare una giravolta con tanto di casquet e mi rialzai sorridente seppur leggermente sudata.

L’aria per me già si era surriscaldata ed era un bel cambiamento rispetto al gelo degli ultimi giorni.

“Sei brava!” constatò, battendo le mani. “Paula e María sono pessime, ero preoccupato perché non sapevo con chi far vedere l’esempio”.

“Grazie ma sono arrugginita...”.

Dieci minuti dopo, mentre riprovavamo una canzone diversa, un flash alle nostre spalle ci fece sobbalzare.

Ci bloccammo e vidi Mario che ci aveva scattato una foto, tutto soddisfatto.

“Questa finisce nel gruppo, singnorina” ridacchiò, prima di avvicinarsi a Javi e battere il cinque.

Forse era quello il loro modo per chiarirsi?

Funzionava così, tra i maschi?

Fatto sta che per il resto della serata si parlarono nel loro inglese stentato senza problemi, ridendo e scherzando come al loro solito.

“Vuoi una mano con la traduzione per organizzarvi?” mi offrii volontaria, facendomi aria con la mano visto il caldo improvviso che provavo per l’eccessivo movimento.

“No, tranquilla, ci capiamo in inglese, facciamo entrambi schifo, al massimo uso il napoletano...”.

Alzai gli occhi al cielo per quello stereotipo e ne approfittai per bere dell’acqua e riprendermi prima dell’effettivo inizio della serata.

Presi posto su una sedia e recuperai il cellulare, così vidi la foto che Mario aveva inviato: io e Javi ce ne stavamo stretti e stavamo facendo il casquet finale.

La sua didascalia recitava: “Ecco cosa significa fare la mediatrice!” e Clara aveva replicato con l’emoji del fuoco.

Già immaginavo eventuali commenti, e la mia conferma ci fu quando Saverio inviò l’emoji del toro e Giada inviò una faccina ammiccante.

“Lavoravamo per i ragazzi” replicai, inviando rapidamente il messaggio, ma ormai erano le venti e trenta e a breve tutti sarebbero arrivati in sala con i loro gruppi.

Ne approfittai per starmene seduta e bere tanta acqua, tanto da dover scappare in bagno per fare la pipì.

Quando tornai eccoli lì, quasi tutti i ragazzi con i rispettivi GL che prendevano posto sulle sedie e sui divanetti della sala che già esibiva le luci psicheliche nonostante fosse ancora giorno.

Delle ragazze mi videro entrare in sala e mi accolsero con vari “Wow, Alice con la gonna!” a cui replicai scrollando le spalle.

Clara e Nadia non furono da meno, mettendomi un’ansia assurda con tutte le loro aspettative, invece i ragazzi stavano con le loro squadre.

“Non capisco, ti ho assunto per fraternizzare con uno spagnolo in particolare?” disse la voce di Saverio alle mie spalle.

Mi voltai e lo vidi con il sorriso sotto ai baffi, mi stava prendendo in giro con gusto e si stava anche divertendo.

“Mi hai fatto assumere per mediare e a quanto pare anche questo è incluso nel pacchetto. Prenditela con María e Paula, sono incapaci a ballare la salsa e Javi si è dovuto accontentare di me” replicai, guardandolo negli occhi.

“A parte che María e Paula possono permettersi tutto perché sono bellissime, Javi non si sta proprio accontentando. Ti avverto” aggiunse, questa volta più serio e facendomi segno di avvicinarmi.

Clara e Nadia si allontanarono all’istante, fingendosi interessate a qualcosa dall’altra parte della sala, così mi ritrovai da sola con Saverio.

“Su cosa?”.

“Alice, non siamo bambini. Mezzo campus parla di te e Javi che ieri ve ne stavate da Costa...”.

“Cosa? Io ero da Costa, lui era con Laura e si è solo fermato un momento...”.

“Non mi importa. Ho visto come ti guarda, non gli sei indifferente. Valuta tu cosa fare ma io non voglio saperne niente, se vi beccano ciò inciderà sulla tua valutazione finale. Fai ciò che vuoi ma discretamente, ok?”  argomentò, serio più che mai, poggiandomi una mano sulla spalla. “Io ti ho già inquadrato, mi basta poco per capire la mia squadra e so che siete tutti bravi, tu compresa. Sei preparata, sei alla prima esperienza ma non stai compiendo nessun errore da principiante. Non sono nessuno per dirtelo ma non fare cazzate, se proprio devi fai attenzione che qui anche i muri hanno le orecchie. Attenzione, non te lo sto dicendo in quanto donna, ai ragazzi ho fatto subito questo discorso in privato” spiegò, questa volta più pacato perché evidentemente percepiva il mio disappunto nel mio sguardo.

“Javi non mi interessa, non sono una di quelle povere stupide  che vede uno straniero e impazzisce. Non che siano affari di qualcuno se non miei, ma per me è un semplice collega” replicai freddamente, toccata nel profondo.

Saverio comprese di non aver scatenato una reazione positiva in me perché annuì con aria grave.

“Dovevo dirtelo, Alice. Mi darai ragione, lui proverà ad avere una storia o quello che è con te. Ora vai, e scusami ancora” mi congedò con una pacca sulla spalla.

“Ok” biascicai, voltandomi subito.

Ero così presa da quel discorso e dall’accaduto in generale che a stento seguii gli avvenimenti: i ragazzi che si ragguppavano attorno a Javi, lui che spiegava cosa avremmo fatto e poi mi chiamava per una dimostrazione.

Entusiasti, i ragazzi fecero un applauso ma io mi concentrai solo su alcune ragazzine che ridacchiavano e mormoravano cose tra di loro in modo di sicuro maligno.

Davvero quei ragazzi che ci avevano visto da Costa avevano fatto girare quel rumor sulla base di nulla?

Non so come mi avvicinai a Javi e ballai, ero molto distaccata, la mia testa era altrove, e per fortuna prima che potessi rendermene conto avevamo finito di mostrare come si ballava ed io mi dileguai tra la folla senza dire niente.

Clara, Nadia e Giada facevano segno di apprezzamento da lontano ma non sapevano di star peggiorando la situazione, dandomi ai nervi.

Mi dava fastidio essere considerata la donna che manda tutto al diavolo per un uomo, per uno spagnolo per di più, come se non ne avessi mai visto uno in vita mia.

Inoltre, in che senso ciò avrebbe inciso sulla mia valutazione?

“E’ brava ma si è scopata uno spagnolo, cattiva donna, deve solo badare al suo dovere”.

Era sessista!

Davvero aveva fatto lo stesso discorso ai ragazzi ma in privato? E perché mai? Lo aveva fatto solo riguardo le spagnole o in generale?

Avevo i miei dubbi.

Che senso aveva tutto ciò?

Inoltre, nel mio contratto non c’era nulla riguardo questo punto.

Certo, non era indicato avere una storia sul posto di lavoro, ma mi offendeva avere avuto un ammonimento così duro e diretto, come se fossi stata io quella che aveva costretto Javi a ballare con me.

Inoltre, da Costa non era successo nulla, ma a questo punto non ero nemmeno libera di prendere un caffè con un collega?

Immersa in questi pensieri, mi avvicinai al bancone per prendere dell’acqua, mentre Javi invitava i ragazzi a ballare e a mettersi in gioco.

Sperai vivamente che non mi chiedesse di ballare di nuovo, così optai per mantenere un profilo basso nella zona bar.

Avevo appena svuotato il bicchiere che vidi, a qualche metro di distanza, Luca porgere la mano a Paula, che aveva le fattezze della tipica spagnola mora con la pelle abbronzata.

Lei rise e afferrò il braccio con decisione, prima di lasciarsi trascinare al centro della pista con Salvatore e Clara che li imitavano.

Risi amaramente, dandomi della stupida: a quanto pare non avevo più un ballo prenotato.

Di nuovo, forse per la terza o la quarta volta, qualcosa che faceva Luca mi turbava e questa volta avevo una voglia matta di piangere.

Rapidamente, cercando di non dare nell’occhio mentre tutti si approcciavano al ballo, uscii dalla sala e lasciai che una ventata di aria gelida mi frustasse il viso e il corpo coperto da abiti troppo leggeri per affrontare una tipica serata londinese di inizio luglio.

Non mi importava, sapevo solo che c’era qualcosa nel mio stomaco che si stava attorcigliando in maniera decisamente fastidiosa, che mi sentivo piena di rabbia e delusione e che avrei volentieri cacciato un urlo per liberarmi da quelle sensazioni.

Nella mia testa vari pezzi di conversazioni, sentimenti e informazioni si stavano mescolando in maniera randomica, sapevo solo che tutto ciò portava a una conclusione.

Mi voltai, con le braccia attorno alle spalle, e vidi da lontano Luca che faceva volteggiare Paula per poi stringerla a sé, in un ballo che della salsa non aveva proprio nulla.

In quel momento fui investita da una sorta di secchiata di acqua gelida e tutto divenne chiaro: il discorso di Saverio non mi aveva colpito per Javi, bensì perché poteva applicarsi a Luca.

Non potevo negarlo, avevo una cotta per quel ragazzo dal sorriso luminoso che aveva il potere di migliorare il mio umore anche solo parlandomi di qualsiasi cosa.

Ero forse di nuovo adolescente? Mi bastavano meno di quattro giorni per prendermi una sbandata per qualcuno?

Eppure era così, mi sentivo decisamente attratta da lui e ne avevo avuto la prova quando mi aveva sussurrato quelle cose all’orecchio ad ora di cena.

La sua opinione sembrava contare molto per me e la sua presenza mi bastava per stare tranquilla e rilassata, quando non litigavamo, il che a quanto pare accadeva spesso.

Io tendevo a litigare molto con la gente quando mi interessava la sua opinione e quando non mi sentivo tranquilla in loro presenza.

Quella constatazione cambiava tutto il mio percorso lì, ne ero sicura: non mi prendevo una sbandata da circa un anno e, ovviamente, il destino lo aveva fatto succedere durante una situazione delicata come la mia prima esperienza lavorativa.

Mi portai una mano tra i capelli e presi un bel respiro per prepararmi a tornare dentro, ma sentii qualcuno afferrarmi la mano.

Mi voltai di scatto e, di nuovo, era Saverio.

Mi guardava con aria dispiaciuta, grave, sembrava davvero sentirsi fuori luogo per la prima volta da quando lo conoscevo.

“Alice, sono stato uno stupido, delicatezza zero...”.

“No, avevi ragione. Meglio ribadire certe cose” sussurrai e, non so come, ci ritrovammo stretti in un abbraccio quasi fraterno che per qualche secondo mi diede un po’ di pace dalla guerra che stava avendo luogo nella mia testa e, soprattutto, nel mio cuore.

 

 

*°*°*°

In ritardissimo, lo so, ma rieccomi.

Sono state settimane strane, sono stata una settimana fuori e al ritorno ho avuto mille cose a cui badare ma ora eccomi qui, pronta a dare un seguito alle vicende di Alice e lo staff.

Siamo entrate nel punto vivo della storia: Alice ha capito di essere cotta di Luca!

Come proseguirà?

Come si comporterà di fronte ad una cotta per uno che vedrà per sole due settimane?

E Luca, invece? So perfettamente che lo conosciamo pochissimo ma piano piano lui e gli altri avranno modo di esporsi, proprio come è successo con Nadia in questo capitolo.

Eccovi uno spoiler dal capitolo 5 che posterò venerdì:

 

“Ieri ti ho cercato per invitarti ma stavi con Saverio...” borbottò, un po’ a disagio.

“Mi stava dicendo delle cose per oggi. Tu eri con Paula, comunque, no?” obiettai, di nuovo senza potermi controllare.

 

A presto e grazie a chi legge! <3

Milly.

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Capitolo 5
*** La vida es un Carnaval ***


5ali

Capitolo 5

Day 5: La vida es un Carnaval

 

A volte la vita ti fa qualche favore sotto una forma che a prima vista può sembrare negativa.

Il favore in questione, quel lunedì sei luglio, per me fu essere costretta a starmene chiusa in ufficio ad aiutare Saverio con una questione di rilevante importanza.

Quel sabato il programma prevedeva una visita di due giorni ad Oxford e i ragazzi avrebbero alloggiato in un hotel dal sabato alla domenica pomeriggio, poi saremmo tornati in college.

C’era stato un problema con la prenotazione dell’autobus e con il numero delle camere – gli inglesi avevano ordinato 80 singole quando poi in realtà le camere erano doppie – e il team era così indaffarato che Saverio si era preso carico di aggiustare la situazione.

Quella mattina ero scesa a colazione per ultima per starmene in santa pace visto che non mi andava di rivedere Luca e volevo rimandare il più possibile il momento in cui avrei dovuto parlargli o anche solo vederlo.

 Avevo trangugiato il tutto in dieci minuti scarsi e Saverio mi aveva trovato seduta sul prato vicino all’ufficio, in attesa che si facessero le nove.

“Alice! Ma che fine hai fatto? Dove eri a colazione?” chiese, avvicinandosi rapidamente.

Sembrava preoccupato come non mai ma sollevato nell’avermi trovato.

Io, che stavo ascoltando una delle registrazioni delle mie migliori amiche che rispondevano ai miei drammi della sera precedente, alzai lo sguardo e gli sorrisi per rassicurarlo.

“Scusami, ho fatto tardi, sono arrivata alle otto e dieci. Stavo aspettando le nove...” spiegai, indicando l’orologio.

Lui annuì e prese posto al mio fianco, continuando a guardarmi con attenzione.

“Alice, se c’è qualche problema dopo ieri, devi dirmelo” esclamò, deciso più che mai. “Ti conosco da cinque giorni ma mi sono già affezionato a te e mi odierei nel caso in cui tu ti sentissi a disagio a causa mia”.

Colpita nel profondo, mi lasciai scappare un sorriso di gratitudine e riconoscenza sincero più che mai e mi portai instintivamente una mano al cuore.

“Saverio! Sei il migliore capo del mondo, davvero. E’ tutto ok, sto bene e ho capito il tuo discorso. Se ti sembro un po’ giù non è a causa tua, ho avuto delle notizie poco piacevoli riguardo la mia migliore amica e mi dispiace starle lontano in un momento delicato” mentii, sentendomi uno schifo per la bugia inventata.

Consocendomi, almeno quel giorno mi sarei comportata non proprio come al solito, quindi era meglio avere già una scusa pronta per giustificare eventuali momenti di incazzature e cose simili.

Se dovevo sorbirmi qualche scenetta in cui Luca faceva l’idiota con Paula, tanto valeva avere già una scusa per giustificare il mio istinto omicida.

“Oh, mi dispiace... Le cattive notizie non vengono mai da sole, purtroppo. E’ successo un casino” e qui mi spiegò l’avvenimento catastrofico.

Per sua fortuna avevo qualche esperienza nell’organizzazione dei viaggi e di planning in generale, frutto di circa tre anni di esperienza come organizzatrice di viaggi nel mio gruppo di amici, così fui ben lieta di dargli una mano e mettere a frutto ore di telefonate con le compagnie aeree e dei padroni dei vari appartamenti in cui avevamo alloggiato.

Il colpo di fortuna fu avere un ufficio tutto mio per l’occasione, visto che da noi non c’era il telefono e la struttura ci concesse l’uso del telefono fisso e di un portatile.

Avevo la possibilità di concentrarmi su un problema che non mi riguardava, starmene lontana da certe fonti di distrazioni e sentirmi meglio per l’eventuale risoluzione di un problema: cosa potevo chiedere di meglio quel lunedì grigio e piovoso?

 

 

L’ufficio che mi fu assegnato quella mattina era una piccola reggia: niente moquette, il pavimento era in parquet, era più grande della mia stanza ed aveva una sedia comodissima insieme a qualche divano super soffice in pelle bianca.

Secondo me non era un semplice ufficio, forse durante l’anno era la sala professori che insegnavano al Queen’s College.

Fatto sta che per starmene più comoda presi il portatile e mi appoggiai sul divano, presi il telefono e mi apprestai a fare un enorme giro di chiamate.

Di fronte a me, Saverio aspettava con ansia, mi dava qualche suggerimento, sclerava con me quando mi mettevano in attesa con la musichetta.

Ogni tanto Elena ci raggiungeva per avere ulteriori istruzioni da Saverio riguardo cosa dovevano fare i GL e a come far andare avanti la giornata in quella situazione di emergenza, ci dava qualche suggerimento o ci portava del caffè.

Fuori la poggia batteva brutalmente contro le finestre di vetro del college, creava un sottofondo malinconico alle nostre conversazioni piene di dubbi e ansie ma a me piaceva quell’atmosfera, la trovavo perfetta per il mio umore del momento e mi faceva rilassare allo stesso tempo.

Ho sempre amato la pioggia mentre me ne stavo a casa, al caldo, mi ha sempre regalato una sensazione di beatitudine che non so spiegarmi.

“Non ci credo, è fatta! La tizia dell’hotel ci ha dato l’ok, 40 camere doppie e per scusarsi dà una stanza con letto matrimoniale a te, Saverio, al costo di una singola. Dobbiamo pagare una differenza di cinquecento sterline, ma credo che sia il meglio che potessi fare” urlai alle undici e quaranta, dopo quasi tre ore di telefonate, litigate e attese.

Ero rossa in viso, tremante, ma mai quanto Saverio che dilatò le pupille come se avessi vinto alla lotteria, urlò un: “Sìììììì!” e mi si avvicinò.

Non so con quale dinamica riuscì ad alzarmi dal divano e a sollevarmi come se fossimo una coppia di novelli sposi, urlando: “Alice sei grande! Alice for president!” e scuotendomi in un modo che mi fece quasi venire le vertigini.

“Saverio, grazie ma... Aiuto, Saverio!” protestai, ma lui non si arrese.

Si fece forza e mi condusse all’ascensore, scese al primo piano e, continuando a tenermi tra le sue braccia, varcò la soglia dell’ufficio dove stavano gli altri.

Ovviamente era toccato a me spingere la porta per farla aprire e consentirci di passare.

Tutti stavano svolgendo le varie mansioni a cui il capo non poteva dedicarsi quella mattina, così, al “Ragazzi, problema risolto!” di Saverio si voltarono e rimasero di stucco nel vederlo tutto fiero mentre mi teneva sollevata. “Dopo tre ore, la nostra mediatrice ha davvero risolto il problema creato da quel team di cretini! Sabato si va ad Oxford grazie a lei! Te lo dico davanti a tutti, per ringraziarti ti cedo la mia camera lussuosa”.

Si levò un coro di: “Alice! Alice! Alice!” con tanto di applauso, Mario venne in soccorso di Saverio che stava per morire a causa del mio peso e lo aiutò, prendendo metà del mio corpo sulle sue spalle.

“Ragazzi grazie, vi voglio bene ma mettetemi giù...”.

“Ok”.

Mario mollò la presa, Saverio a stento se ne accorse in tempo e come risultato quasi mi ritrovai a sbattere con il sedere per terra, mi salvai solo grazie all’appoggio delle mani sul pavimento.

“Oddio, scusa!”.

“Mariooooo!” protestai, con una smorfia di dolore.

“Ma è colpa mia se pesi due quintali?”.

“Mario, coglione!” sbraitò Saverio. “Alice possiamo farla fuori alla fine del soggiorno, ora ci serve” ironizzò.

Li guardai male, senza riuscire a sollevarmi, e per fortuna Giada venne in mio soccorso, preoccupata.

“Ti sei fatta male?” chiese premurosa, mentre gli altri due le facevano spazio.

“No, no, solo un brutto atterraggio” sospirai, lasciandole afferrare la mia mano per aiutarmi a rialzarmi.

Mi appoggiai al muro e notai che sentivo solo le gambe indolenzite insieme alla zona lombare, ma niente di più.

L’unico problema erano i tre gradini che conducevano alla zona interna dell’ufficio, posto a distanza dal piccolo ingresso.

Giada mi aiutò a scendere e poi presi posto sulla sedia, dicendomi che ormai ero condannata a non fare una cosa in modo normale nemmeno sotto tortura.

“Va meglio?” chiese Saverio.

“Sì”.

“Ok allora. Andiamo ad Oxford ragazzi, popopopo....” urlò Mario, facendo ridere tutti, prima di voltarsi e abbracciarmi. “Grazie, eravamo davvero nella merda, come hai fatto?”.

“Sarà l’effetto Alice, come lo chiamo io”.

Mi irrigidii.

Luca si era avvicinato, ovviamente di buonumore, e si era inginocchiato per stare alla mia stessa altezza visto che me ne stavo seduta.

“Nessun effetto Alice, basta impegnarsi” minimizzai, sentendo improvvisamente la gola arida.

Lui annuì e Mario si allontanò, chiamato da Elena.

“Sicura di star bene? E’ stata una brutta quasi-caduta” osservò, per poi accarezzarmi una guancia con fare fraterno e portare una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Quel gesto mi fece irrigidire, non mi sentivo ancora pronta nello stargli così vicino dopo aver realizzato cosa provavo per lui.

“Sto bene, sono di coccio, davvero” borbottai, distogliendo lo sguardo.

“Non avevo dubbi. Sei grande, hai salvato il viaggio ad Oxford!”.

“Saremmo andati comunque, Luca, ho solo anticipato un po’ i tempi”.

“Smettila di sminuirti. Io ti guardo e vedo una che si fa in quattro per il gruppo, non sei l’organizzatrice dei viaggi, così come non sei un’animatrice, eppure ieri hai salvato la serata salsa e ora hai riprenotato l’hotel...”.

“La serata salsa l’avete salvata voi con il vostro entusiasmo nel ballare, io ho fatto una dimostrazione di qualche minuto scarso” sbottai, senza riuscire a trattenermi.

Perché tornare a quel punto?

Perché rivangare i ricordi pessimi della sera precedente?

Lui parve captare la mia ostilità ma non mutò atteggiamento.

“Ieri ti ho cercato per invitarti ma stavi con Saverio...” borbottò, un po’ a disagio.

“Mi stava dicendo delle cose per oggi. Tu eri con Paula, comunque, no?” obiettai, di nuovo senza potermi controllare.

“Sì, ma avrei preferito la maestra di ballo della serata”.

“Avresti potuto dirglielo. La gente non legge nella mente, può solo interpretare ciò che vede” dichiarai, decisa come non mai.

Lessi una sorta di lampo nei suoi occhi ma non poteva fregarmene di meno: che senso aveva tenersi tutto dentro?

“Hai ragione, d’ora in poi seguirò il tuo consiglio” annuì, sforzandosi di sembrare normale.

Mi diede una pacca sulla spalla e tornò al suo dovere, mentre gli altri si avvicinavano per dirmi una parola carina o ringraziarmi per il lavoro svolto.

“Allora è vero che qualcosa la sai fa, Alì” esclamò Salvatore, forse sorridendomi in maniera sincera per la prima volta da quando ci conoscevamo.

“Qualcosina, dai” concessi, accennando un sorriso a mia volta.

 

 

L’hotel in cui avevamo prenotato le camere per il weekend ad Oxford era davvero stupendo, era a  quattro stelle ed aveva una bellissima spa di cui, volendo, avremmo potuto usufruire.

Per questo ad ora di pranzo non si parlava d’altro: stanchi come eravamo, immaginare di passare anche solo un’ora in una vasca idromassaggio sembrava un sogno.

“Io non capisco come sia venuto questo lampo di genio all’azienda, voglio dire, Oxford è a due ore da qui, potevamo tranquillamente farci un giorno, e invece... Mai vista una cosa simile” esclamò il capo tra un boccone e l’altro.

Ora che la prenotazione era assicurata e non era più un dato incerto, tutti guardavamo le foto dell’hotel come se fosse un sogno se messo a confronto con il modesto college in cui vivevamo.

“Saverio, ma davvero mi cedi questa stanza?” esclamai, buttandogli in faccia la foto della camera deluxe riservata a lui come regalo dell’hotel.

“Certo che no”.

“Va bene, mi basta che mi ringrazi prima di dormire tra quelle soffici coperte...”.

“E chi ti dice che ci dormo? Potrei por...” si bloccò, probabilmente memore della conversazione della notte precedente e ricordando che non era nemmeno il caso di scherzarci su.

Tuttavia, compresi tutto e mi limitai a guardarlo con finta aria di disappunto.

“Ma a noi non è andata male, cioè, una camera standard è pur sempre da sogno” sottolineò Nadia, quasi con gli occhi a forma di cuore. “Se non siete i tipi che rubano i prodotti omaggio dateli a me, questi come minimo ti danno prodotti della Lush...”.

“Della che...?” domandò Luca.

Lush-ia stare” disse Clara, scatenando le risate della parte femminile del tavolo.

Io, Giada e Nadia le facemmo segno di approvazione per la battuta mentre i ragazzi ci guardavano come se fossimo matte.

“Ora sapete come ci sentiamo quando fate le vostre battutine” commentò Giada, prima di prendere un pezzo di pane e addentarlo.

“Ma davvero non possiamo usufruire della spa? Nemmeno quando i ragazzi dormono?” domandò supplicante Luca, che non smetteva di guardare la foto della sala benessere.

“Perché secondo te i ragazzi dormiranno... Non possiamo creare disagi all’hotel, dobbiamo sorvegliare i ragazzi. Cioè, voi dovete farlo, io ci andrò alla spa”.

“Ma io e Giada che non abbiamo il compito di sorvegliare...?” domandai, giusto per metterlo in difficoltà.

“Sì, abbiamo capito che vuoi andartene nella vasca idromassaggio con lo spagnolo, ammettilo” ridacchiò Mario.

Calò una sorta di silenzio imbarazzante ed io lo fulminai con lo sguardo.

“Lo spagnolo?” chiesi, quasi sprezzante.

“Mario, il viaggio è con il team inglese”.

“E allora Alice che viene a fare?”.

“Il lunedì ci sarà una gita con gli spagnoli, come la organizziamo se io non traduco le email e parlo con loro al telefono quando chiamano Saverio?” sbottai.

“Tralasciando questo, Alice ci ha salvato il sedere oggi e non merita nemmeno di visitare Oxford?” domandò Luca, guardando male Mario per la prima volta da quando lo conoscevo.

L’activity leader comprese di aver esagerato perché alzò le mani in segno di resa, guardò verso il coordinatore che ricambiò lo sguardo come a dire “hai esagerato”.

“E ci terrei a ribadire una volta per tutte che io e certi spagnoli non abbiamo alcun rapporto di natura non professionale. Sono la prima a cui piace ridere e scherzare ma già dei ragazzini ci hanno visti da Costa e pensano chissà cosa quando lui stava aspettando il suo capo, quindi evitiamo di alimentare certi gossip, grazie” sentenziai.

Tutti annuirono e Luca abbassò la testa, evidentemente colpevole visto che lui era con il gruppo di adolescenti che ci aveva visto.

“Detto ciò, parliamo di cose serie. Domani a mezzanotte sarà il mio compleanno e vorrei festeggiare con voi durante la riunione, comprando qualcosa da bere e da mangiare” spiegai, cambiando decisamente tono e sforzandomi di risultare più animata possibile.

“Certo, riunione straordinaria per Alice!” esclamò Elena, decisamente gasata.

Probabilmente era felice per il cambio di argomento che avevo fornito, evitando che l’aria diventasse ancora più pesante.

“Allora ti stiamo davvero simpatici” constatò Nadia, facendomi l’occhiolino.

“Ma sì, dai”.

“Possiamo festeggiare alla mezzanotte dell’ora italiana? Perché io avrei sonno” mi prese in giro Saverio.

“Porta sfiga fare gli auguri prima!”.

“Auguri, Alice” esclamò Salvatore, facendo ridere tutti. uelQUel QU

 

Quel pomeriggio, i ragazzi erano impegnati con le attività dei laboratori a cui si erano iscritti e a me, ovviamente, toccò occuparmi del materiale che non avevo avuto modo di tradurre quella mattina.

Mario era in palestra con Javi e George per cercare di reperire il materiale per la serata “’90 contro ‘2000”, Saverio ed Elena parlavano con uno dei resposabili dell’azienda tramite Skype, Giada scriveva i verbali delle visite fatte fino ad ora, i GL sorvegliavano i tre diversi laboratori con gli altri dei vari team.

Di nuovo, lavorare mi consentì di concentrarmi su ciò che dovevo fare senza ulteriori pensieri, mi diede una strana energia che, ovviamente, venne incanalata nel modo sbagliato quando, alzando lo sguardo da un post it, vidi che Luca si era appena seduto di fronte a me, dove di solito c’era il capo.

“L-Luca!” esclamai, sorpresa nel vedermi il suo bel viso di fronte così, senza preavviso.

“Ali, ehi. Ti ho spaventato?” chiese, con quel maledetto sorriso che apprezzavo fin troppo ma che ogni volta era in grado di distrarmi.

“No, ero solo concentrata” minimizzai, indicando il foglio su cui stavo lavorando.

“I ragazzi erano tranquilli, noi siamo quattro, i laboratori sono tre, mi sono preso qualche minuto per portarti uno snack, li stavano distribuendo al laboratorio di cucina” disse, porgendomi una confezione di Bounty. “Ti piace il cocco? Mica sei allergica?”.

“Ma grazie! Lo adoro”.

In effetti avevo fame, così aprii la confezione, presi uno dei due pezzi e gli porsi l’altro.

“Cosa? Ma è per te”.

“Uno è più che sufficiente”.

Senza troppi complimenti, così, prese il secondo pezzo e lo addentò.

“Ti stavi annoiando al laboratorio?” domandai, giusto per fare conversazione.

“No, ma...” esitò, portandosi una mano tra i capelli scuri e guardandosi intorno. Sembrava combattuto, come se si trattasse di un affare di stato. Alla fine sembrò risolvere la sua piccola guerra interiore e mi guardò negli occhi. “Paula non mi ha mollato un secondo, mi ha chiesto di cucinare il gas qualcosa...”.

Gazpacho?”.

“Quello che è, con lei e poi... Mi ha chiaramente fatto capire che stanotte avrei potuto andare in camera sua senza problemi” rivelò, un po’ imbarazzato.

Quasi mi strozzai con il pezzo di Bounty che stavo masticando, mi ci volle una buona dose di concentrazione per deglutire senza rimanerci secca.

Mi fiondai a bere quasi tutta l’acqua che avevo nella mia bottiglina e lui mi guardò, in attesa.

“E brava Paula. Cosa pensi di fare? Cioè, so che non sono affari miei...” cercai di ricompormi, cercando di ignorare le fitte al mio stomaco per quella notizia.

Perché me ne stava parlando?

Mi voleva forse morta?

Mi era bastato vederli ballare la sera prima per andare in bestia e per ridurre il mio fegato in una poltiglia, non avevo bisogno di ulteriori dettagli.

“Alice, che domande! Dai, lo so che Saverio ha fatto anche a voi il discorso sulla professionalità e tutto il resto, io amo questo lavoro, amo stare a contatto con i ragazzi e di certo non rischierei una brutta valutazione nel caso qualcuno mi scoprisse con lei. Voglio dire, non è nemmeno discreta, mi ha palpato il sedere mentre prendevo degli ingredienti!” rivelò, alzando gli occhi al cielo.

Avevo quasi gli occhi fuori dalle orbite, incredula per il modo di porsi di Paula in un ambiente lavorativo, ma allo stesso tempo la invidiai perché il sedere di Luca non era affatto male ed io stessa mi ero scoperta a fissarlo qualche volta quando, durante qualche escursione, mi era capitato davanti.

“Ma se non fosse per le regole? Avresti accettato?” decisi di insistere, spinta dalla voglia di saperne di più.

“No. Paula è bellissima ma non mi suscita interesse. Ieri stavamo scherzando su chi ballasse la salsa nel peggiore dei modi, per questo l’ho invitata” anticipò, come se avesse capito dove volevo andare  a parare.

Abbassai lo sguardo e finsi interesse per la penna che stavo utilizzando fino a poco prima.

“Non devi giustificarti con me...”.

“No, devo. Ti avevo chiesto un ballo poi non mi sono fatto vivo. E’ che ho visto la foto con Javi nel gruppo e mi sentivo un asino a confronto, cioè, lo sono ma...”.

“Luca” lo interruppi, “Non mi sono goduta nemmeno un istante del ballo con Javi, non ero nemmeno in me. Hai ragione, Saverio ha fatto anche me quel discorso e lo ha fatto ieri, credeva che Javi ci stesse provando e che io stessi al gioco”.

“Javi ci sta provando con te, Alice. Ti guarda...”.

“Vi siete fissati voi e questo “ti guarda..!” esclamai, esasperata. “Al massimo sì, mi guarda, ma non fa altro, fino a prova contraria è Paula che ci ha provato”.

“Perché non gliene hai dato l’opportunità, fidati. Devi rivedere le foto di ieri, durante il casquet ti ha guardato in un modo pieno di... Desiderio, ecco”.

“A me non potrebbe interessare di meno. Siamo qui per lavorare, non per lasciarci distrarre da storie e cose simili” ribadii, sentendo le pernacchie che mi facevo da sola nel mio cervello per l’incoerenza di quello che stavo dicendo, visto che non riuscivo a non staccare gli occhi dal ragazzo che mi stava di fronte e per qualche istante avevo anche immaginato una scena da film in cui lui buttava per l’aria tutti i fogli della scrivania per tuffarcisi sopra con me, mentre mi baciava selvaggiamente e faceva vagare le sue mani sotto la mia maglietta...

“Ma se incontrassi qualcuno che ti piace?” insisté lui. “Che faresti?”.

“E tu? Che faresti?”.

“Non si risponde a una domanda con una domanda! Comunque... Beh, in maniera discreta, ma ci proverei”.

“Io... Beh, da indecisa cronica come sono aspetterei una sua prima mossa per essere sicura. E’ sbagliato, lo so”.

Luca sorrise e appoggiò una mano sulla mia, con la stessa aria malandrina che gli avevo visto dipinto in faccia il giorno prima.

“Allora dobbiamo dedurre che non siamo super integri, solo che Paula e Javi non ci interessano”.

Scoppiai a ridere  e, mio malgrado, annuii.

Aveva maledettamente ragione perché nella realtà alternativa del mio cervello lui mi aveva appena sbattuto contro il muro, mi stava baciando il collo e tra un bacio e l’altro mi sussurrava cose eccitanti all’orecchio.

“Se Saverio sapesse...” sussurrai.

“E’ umano anche lui e per me qualche cotta qui ce l’ha a sua volta”.

“Cosa? E con chi?”.

Luca fece un segno negativo con la testa, con l’aria di chi scende dalle nuvole.

“Vedremo se il tempo mi darà ragione o no” sentenziò, finendo finalmente l’ultimo pezzo di cioccolato al cocco e guardandomi con aria furba.

Scossi il capo, sospirando, e per fare qualcosa lessi di nuovo uno dei post it su cui stavo riassumendo i punti della gita al London Eye che si sarebbe tenuta quella settimana.

“Penso sia meglio tornare, tra venti minuti il laborario finirà” esclamò lui, guardando l’orologio e poi alzandosi. “Spero di non averti disturbato”.

“No, mi ci voleva una pausa” lo rassicurai.

Luca si aprì in un sorrisone e si avviò verso la porta, salvo poi girarsi.

“Promettiamoci di dirci chi ci piace, che dici? Così possiamo sostenerci a vicenda e capire se ne vale la pena o no” propose, come se stessimo parlando di una partita a scacchi.

Sorpresa, annuii, per poi vederlo scomparire una volta uscito.

“Ehii Luca, scusami, mi piaci tu, che dici, ne vale la pena?” mormorai impercettibilmente, prima di buttare la testa sulla scrivania e circondarla con le braccia, come ero solita fare al liceo durante le ore di greco.

 

Mentre i ragazzi si sfidavano nel gioco ’90 contro ‘2000 – cosa non proprio giusta secondo me perché i ragazzi nati nel 1999 erano solo una ventina e il resto erano nati tra il 2000 e il 2003 – io, Giada e Nadia progettavamo la serata successiva.

“Avremo un’escursione quindi potrò comprare da bere e da mangiare” dissi, improvvisamente più rinvigorita e decisamente più energica rispetto ai miei standard.

La situazione era cambiata: avrei passato la serata con i miei colleghi simpatici e la mia cotta del momento che, almeno, aveva respinto le avances di una spagnola bellissima.

Non ero più triste né per l’imminente “quarto di secolo” né per la mancanza dei miei cari, anche perché avrei festeggiato a dovere al ritorno con amici e familiari.

Ora ero lì, in una zona periferica di Londra, e dovevo solo pensare a godermi la giornata.

“Comprare? Divideremo!” obiettò Giada.

“Cosa? No, il compleanno è mio”.

“Ma vogliamo contribuire, l’alcool costa un botto” disse Nadia, decisa.

“Ma parliamo di qualche birra, Nadia, non possiamo bere chissà cosa in servizio. E poi ci tengo, se fossi stata a casa avrei speso almeno un centinaio di euro per una pizza con i miei amici, non si discute” la zittii, decisa.

Non era orgoglio o altro, di solito in base alla mia disponibilità economica offrivo qualcosa ai miei amici e quell’anno non avevo problemi a pagare qualcosa da bere e da mangiare ai miei colleghi.

In più era un modo per avere una riunione diversa, più allegra!

“Io sono libera domani, quindi se vuoi posso truccarti” si offrì Nadia.

Con lei iniziava la piccola serie di giorni liberi che i GL potevano prendersi e si era offerta perché nessuno sembrava volere il sei luglio.

“Davvero? Voglio dire, sarà una cosa super casual, ma anche un trucco base fatto da te sarà spettacolare” mi emozionai, agitando i pugni come una deficiente.

“Ma dai, mi lusinghi!”.

“Sei bravissima!” mi diede man forte Giada. “Alice sarà uno splendore!”.

Abbracciai Nadia, felice, e in quel momento gli altri GL presero posto con noi.

“Abbiamo appena deciso i giorni liberi” annunciò Clara, “E questi due cretini si sono presi uno sabato e l’altro domenica così se ne stanno in hotel a rilassarsi” sbottò, indicando Salvatore e Luca.

“Detto così suona male, è lei che ha detto “Saverio, mi prendo venerdì” e noi abbiamo pensato in grande” si difese Luca.

“Non è colpa nostra se non sei sveglia, Clara” ribatté Salvaotore.

“Devo dire che è emozionanate vederti insultare qualcuno che non è Alice” osservò Giada, facendoci ridere.

“Siete dei culoni” dissi a mia volta. “Potrete godervi la spa!”.

“Alì, detto sinceramente... Puoi farlo anche tu, la sera sarai libera, dai” disse Salvatore, pratico.

“Ma non ho il costume! Voi avete portato il costume per venire in Inghilterra?” chiesi, incredula.

“No, ma si compra. Domani i ragazzi avranno del tempo libero e noi provvederemo. Non ci credo, domenica potrò dormire fino a tardi in quel letto super morbido...” esclamò Luca, chiudendo gli occhi e gustandosi la scena nella sua mente.

“Fortunelli. Sperate che i ragazzi non si facciano male” sbottò Giada,  incrociando le braccia.

“Andrà tutto bene. Deve andare bene” sottolineai.

Ci fu un generale mormorio di assenso mentre Mario annunciava la gara di ballo: tutti ballavano tranne un ragazzo del ’90 e uno del ‘2000 che potevano porre fine alle danze solo indovinando il titolo della canzone.

“Invito anche il nostro staff a non starsene spiaggiato in un angolo, GL, dottoressa, mediatrice, direttore, su! Tutti a ballare!” esclamò, facendoci segni frenetici per invitarci ad alzarci.

George, Alejandro, Javi, Paula e María si avvicinarono al tavolo per invogliarci ad alzarci, María trascinò con sé Salvatore, Alejandro prese Giada, George prese Clara, Paula si avvicinò a Luca che però si scostò, facendomi battere il cuore a mille perché già li immaginavo mentre si strusciavano al centro della pista.

“Alice, quieres bailar conmigo?” disse Javi, con quegli occhi verdi che mi fissavano come se volessero intrapporlarmi ai suoi.

“I asked her to dance with me, sorry. Maybe later” si intromise Luca, senza darmi modo di replicare.

Incredula, trattenni il fiato e riuscii a stento a dire “Descúlpame!” mentre avvertivo la mano di Luca avvolgere la mia con decisione e trascinarmi al centro della pista.

La canzone era “La vida es un carnaval” di Celia Cruz e pensai che al momento si adattava perfettamente alla mia vita e alla mia situazione.

Luca mi appoggiò un braccio attorno alla vita, prese la mia mano tra la sua e iniziammo a ballare goffamente, più che altro perché io mi sentivo rigida come un pezzo di legno.

Nonostante ciò, in cuor mio speravo che nessuno indovinasse la canzone in modo da lasciarci così per ore.

“Ehi, ballerina di salsa, sciogliti” sussurrò, mentre mi faceva volteggiare su me stessa e poi mi riattirava a sé, in modo da farmi ritrovare stretta più che mai al suo corpo.

“Dovrei forse ringraziarti per aver scacciato Javi?” chiesi, senza riuscire a guardarlo negli occhi.

Mi sentivo indifesa, incapace di mascherare i miei sentimenti e alzare lo sguardo probabilmente mi avrebbe tradita.

“Dovresti. Grazie a me non hai dovuto fare la cattiva e rifiutarlo...”.

“Non mi hai lasciato molta scelta”.

“Ora ti lamenti?!” domandò, incredulo.

“No. Un ballo è solo un ballo, no?”.

Luca, che probabilmente non apprezzava il mio guardare altrove, mi portò una mano sul viso in modo da obbligarmi a starmene col volto di fronte al suo e mi guardò negli occhi, poi strinse di più la presa attorno alla mia vita.

“No” disse semplicemente, prima di far sparire la sua testa nell’incavo della mia spalla.

Ce ne restammo così, muovendoci sul posto come il più stupido dei lenti mentre io non sapevo davvero cosa pensare.

Todo aquel que piense,
que la vida es desigual,
tiene que saber que no es así,
que la vida es un hermosura,
hay que vivirla.

Todo aquel que piense,
que está solo y que está mal
tiene que saber que no es así,
que en la vida no hay nadie solo
y  siempre hay alguien

 

Circondai il suo collo con le braccia, stringendolo a me senza guardarlo negli occhi e lui, in un secondo, mi posò un delicatissimo bacio sulla spalla, così delicato da farmi dubitare se fosse successo o meno.

Come succede sempre nei momenti più belli, proprio in quel momento il ragazzino del ’99 indovinò il titolo della canzone e fummo costretti a separarci, senza guardarci negli occhi.

Tutta la sala rideva ed esultava per quella sfida vinta, mentre io non sapevo cosa pensare, cosa dire, come comportarmi nel momento in cui Mario chiamò Luca per farsi aiutare.

Me ne stavo così, immobile in mezzo alla pista, senza cavaliere ma con una porzione dei miei pensieri che nonostante tutto gli apparteneva.

 

 

 

*°*°*°*

Ormai  sempre in ritardo, sì, scusatemi.

A quanto pare nonostante tutti i miei programmi ci si mette qualche lavoretto occasionale a cui non posso rinunciare e così mi slitta la programmazione ^^’

Come sempre,  grazie a chi è arrivato fin qui, ormai siamo nel vivo della storia e Alice è davvero nel pallone, ha una cotta, non sa come comportarsi.

Grazie a Delia Bluetales che come sempre legge i capitoli in anteprima e mi aiuta a correggere gli errori e grazie a tutti voi che state leggendo la storia capitolo dopo capitolo!

Ai nuovi lettori, spero di conoscere la vostra opinione <3

Eccovi un’anticipazione:

“Luca, onestamente... Se vuoi parlare di Paula trova qualcuno a cui interessi, magari uno dei ragazzi” sbottai, prendendo la bottiglia di vino e gettandola con troppa energia nella spazzatura.

“Alice...”.

“Luca, io e te non ci conosciamo” lo bloccai, parandomi le mani davanti per bloccarlo.

 

Cosa succederà? Vi dico solo che ci saranno i festeggiamenti del compleanno di Alice :D

A lunedì,

milly.

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Capitolo 6
*** Day 6: Esprimi un Desiderio! ***


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Capitolo 6

Day 6: Esprimi un Desiderio!

 

Come ci vedevano i ragazzi?

Questa era la domanda che mi posi il sette luglio, quando mancavano circa quindici ore al mio venticinquesimo compleanno.

Noi passavamo la giornata con loro, li avevamo inquadrati dopo quasi una settimana di conoscenza, sapevamo chi era il più furbo, chi era il più sveglio, chi era il più tranquillo...

Ma loro, cosa sapevano di noi?

Cosa credevano di sapere?

Cosa pensavano di noi?

Iniziai a domandarmelo quando, in attesa per il mio turno a mensa per la colazione, beccai stralci di una conversazione tra due ragazzine di circa sedici anni.

Forse non mi avevano visto a pochi passi da loro, forse non badavano a me o forse non se ne fregavano.

“... Ma se ho capito bene Alice vive proprio in Spagna! Ecco perché fa la traduttrice. Si vedeva che era amica già da prima di Javi, forse si stavano frequentando in Spagna”.

“Sì, ma hai visto ieri? E’ palese, c’è qualcosa tra lei e Luca”.

“Vero. Ieri al laboratorio, stando a ciò che ha detto Ilenia, Paula gli ha toccato il sedere! Ma lui la snobba”.

“Ha ballato con lei però, durante la serata salsa”.

“Vuoi comparare quel ballo a quello di ieri? Dai, quei due nascondono qualcosa”.

Chiusi gli occhi, dicendomi che ero proprio messa male e che per la prima volta nella mia vita ero al centro di qualche gossip.

A scuola e all’università ero sempre anonima, non ero mai al centro dell’attenzione, al massimo facevo scalpore quando non mi presentavo a lezione e tutti si insospettivano perché era inusuale.

Qui, invece, tra colleghi spagnoli e colleghi napoletani sembravo essere l’unica persona che era fonte di gossip.

In cuor mio, stavo ancora cercando di riprendermi dalla sensazione di beatitudine, eccitazione e incredulità che avevo provato tra le braccia di Luca e rimanere concentrata era dura, quindi quelle voci non mi aiutavano per nulla.

Presi un respiro, mi spostai a destra delle ragazze e finalmente mi videro, mutando espressione come se al loro fianco ci fosse un fantasma.

“Ragazze, chiedete e vi sarà detto” sussurrai, falsamente tranquilla. “Ho vissuto in Spagna per sei mesi ma vivo a Roma e sono laureata in Lingue e culture straniere, ecco perché parlo spagnolo. Conosco Javi e Luca da sei giorni come voi e sono single, non ho storie con nessuno. Si può ballare con un collega anche senza averci una storia” spiegai, sforzandomi di sorridere in maniera pacata senza risultare falsa.

Cercavo di scacciare la parte del mio cervello che mi diceva “Però dai, anche solo vedendovi ballare hanno percepito qualcosa, deve esserci un’intesa tra voi” per non assecondarlo, ma una cosa del genere mi rendeva felice perché voleva dire che non ero solo io la pazza che aveva percepito la differenza rispetto a quando avevo ballato la salsa con Javi.

Le due ragazze, imbarazzatissime per la figuraccia, annuirono ripetutamente e mi sorrisero.

“Oh, sì, scusaci! Circolavano queste voci... Ad esempio, è vero che Nadia è una youtuber?”.

“Nel caso di Nadia le voci sono vere. Vedete i suoi video e fate circolare il nome del canale, merita” la sponsorizzai, sincera più che mai, “Ma nel mio caso no. C’è altro che volete sapere?”.

“Sì! I tuoi capelli sono davvero di questo colore?”.

Sforzandomi di non ridere, feci un cenno negativo. “No, ragazze. I miei capelli naturali sono castano cenere, non ramati”.

“Te lo avevo detto, guarda le sopracciglia!”.

Non riuscendo a trattenermi, scoppiai a ridere vigorosamente e loro si accodarono a me, poi le superai per andare a prendere la colazione e loro rimasero al loro posto, evidentemente per far circolare le nuove notizie.

Presi dei toast e un cappuccino e mi avviai al solito tavolo che ormai nessuno occupava più perché era dello staff, aggregandomi a tutto il gruppo già presente, tranne Salvatore e Saverio.

Quando feci rumore come al solito con il vassoio, Luca alzò lo sguardo dalla sua colazione e mi sorrise.

Io ricambiai, prima di portarmi nervosamente una ciocca di capelli dietro le orecchie.

“Delle ragazzine stavano facendo gossip e mi hanno chiesto se è vero che hai un canale su Youtube” dissi a Nadia, che nonostante il giorno libero aveva deciso di venire a fare colazione con noi. “Ho detto di sì e le ho invitate a guardare e condividere il canale”.

Nadia si lasciò sfuggire un “Oh, che carina, grazie!” e si dimostrò interenerita.

“Facevano gossip?” domandò Elena.

“Sì, ad esempio mi hanno chiesto se il mio colore di capelli è naturale. Poi circolano voci secondo cui io vivo in Spagna e conosco Javi da prima di venire qui” esclamai, alzando gli occhi al cielo.

“Si sono fissati, eh”.

“Direi...”.

“Oggi il gossip lo faccio io, in pullman. Prendo il microfono e do la notizia bomba che tutti aspettano!” esclamò Mario, sfregadosi le mani con fare quasi maligno.

“Sarebbe?” chiesi, incuriosita.

“Che io e un membro dello staff ci amiamo e presto usciremo allo scoperto”.

“Vabbé ma questa è facile” osò Clara. “Siete tu e Luca!”.

Scoppiammo a ridere e Luca si alzò di scatto, andò alle spalle di Mario e lo abbracciò. “Amore, finalmente hai fatto coming out, ora potremmo passeggiare liberamente per il campus mano nella mano senza più nasconderci. Mi presenti i tuoi?”.

“Certo amore, tanto avremo lo stesso volo al ritorno, te li presento in aeroporto”.

“Dì a tua mamma di prepararmi una frittatina, ci vuole dopo due settimane fuori”.

“Ma pure due amore. Anzi, frittatina. Da oggi ti chiamerò così!”.

“Quanto vi shippo!” disse Clara, fingendosi commossa e portandosi un tovagliolo vicino agli occhi, con noi che facevamo un applauso di approvazione.

Addirittura Mario provò a dare un falso bacio a Luca che però si scostò dicendo: “Ehi, non ti allargare” tra le risate generali.

Alla nostra destra, un gruppo di ragazzini ci guardava senza capire e io mi dissi che poi non dovevamo lamentarci se davanti a queste sceneggiate loro capivano fischi per fiaschi.

Allo stesso tempo, mentre Nadia si congedava dicendo che tornava in stanza per riposarsi, ricevemmo un messaggio di Saverio che ci avvertiva che per un imprevisto si sarebbe presentato in ufficio alle dieci.

Chiamò Elena e le disse cosa dovevamo fare, così lei si appuntò tutto e ci guardò, pronta a dirigere il tutto per una volta.

 

 

Non so cosa mi aspettassi dopo la serata in cui io e Luca avevamo ballato, ma di certo non mi aspettavo il nulla.

Mi stavo lasciando coinvolgere, la mia mente vagava in confini reconditi in cui passavamo più tempo insieme, però il problema era che, fondamentalmente, di tempo non ne avevamo nemmeno per noi stessi.

Lui correva da un ufficio all’altro perché uno dei suoi ragazzi non si era presentato a lezione, io avevo qualche questione da chiarire con la Rosales, proprio come Salvatore che aveva saltato la colazione perché dei ragazzi del suo gruppo non si erano svegliati in tempo e lui era andato a cercarli, furioso.

A sei giorni dall’inizio del viaggio, i ragazzi si conoscevano abbastanza bene, facevano le ore piccole per incontrarsi clandestinamente e inizavano a essere ingestibili, anche perché non dormendo a sufficienza creavano disagi alla nostra tabella di marcia.

Eravamo nel bel mezzo dell’avventura e si percepiva benissimo: io mi ero beccata una cotta per un collega, figuriamoci cosa erano in grado di fare un gruppo di adolescenti!

Solo Saverio, quella mattina, sembrava di buonumore ed io non ne capivo il perché visto che c’erano almeno tre disastri in corso, senza contare il team spagnolo non aveva ancora inviato il programma per quel pomeriggio.

Chi correva da un lato, chi era in ritardo, chi si sforzava di non dire parolacce e lui se ne stava placido e tranquillo con il cellulare in mano.

“Saverio, scusami, ho parlato con la Rosales...” lo interruppi, concitata.

Gli ci volle qualche istante per ascoltarmi e recepire il messaggio.

“Allora?”.

“Tutto ok, alla fine ha capito che doveva prenotare per tutto lo staff e non solo per cinque di noi”.

“Perfetto, grazie” mi liquidò, senza domande e senza aggiungere altro.

“Ma del programma non c’è ancora l’ombra...”.

“E allora vai a chiederlo, no? Stare qui non lo farà spuntare magicamente”.

“Non sapevo fosse mio compito chiederlo, di solito mi limito a tradurlo”.

“E mandaci Elena”.

Era strano, troppo strano: il capo, di solito super attento e disponibile, sembrava avere altro per la testa.

Non osai dire altro e mi avviai al primo piano, dove Elena stava aiutando Luca con la ricerca dello studente mancante, un certo Giacomo.

“Lo so che hai altro per la testa, Elena, ma dovresti sollecitare la Rosales per il programma di oggi. Me lo ha detto Saverio”.

Elena mi guardò come se fossi impazzita. “Ma Saverio sa che non parlo spagnolo e Laura fa schifo in inglese” precisò.

“Lo so. Oggi sembra... diverso” constatai, scrollando le spalle.

“Comunque appena risolviamo qui vieni con me e traduci per me, ok?” domandò, avviandosi verso il corridoio dove c’erano le aule.

“Ok”.

Il tempo di fare due passi e ci ritrovammo Luca che camminava vicino a Giacomo, un diciassettenne occhialuto e magrissimo. Gli teneva un braccio attorno le spalle e parlava in maniera concitata; quando ci vede fece un segno come a dire “è tutto ok” e proseguì, probabilmente diretto verso l’aula di inglese in cui Giacomo aveva lezione.

Vederlo così serio ma deciso, appassionato, mi fece stringere lo stomaco e battere il cuore più forte che mai.

Non avevo dubbi, tra tutti lui era il group leader che amava davvero ciò che faceva, si vedeva da come rideva con i ragazzi, da come loro riuscivano ad aprirsi con lui, a prenderlo in considerazione e a renderlo partecipe di tutto.

Era una caratteristica frequente nei ragazzi che mi piacevano: il mio ex, Giuseppe, era un ingegnere informatico che amava alla follia ciò che faceva, proprio come Claudio, il ragazzo con cui ero uscita per qualche mese un anno e mezzo prima, che portava avanti l’azienda di famiglia con onore riuscendo a scavalcare i fratelli maggiori.

Tendevo a prendermi sbandate per gli uomini sicuri di sé ma che sapevano lasciarmi i miei spazi, non avrei mai potuto prendere in considerazione un maschilista che tendeva a trattarmi come un giocattolo della sua collezione che doveva stare dove e quando diceva lui.

Tuttavia, che senso aveva fare questi discorsi con Luca?

Non c’era nulla tra noi e tra otto giorni ci saremmo detti addio.

“Allora direi che possiamo andare dalla Rosales”.

La voce squillante di Elena mi riportò alla realtà, sussultai e mi affrettai ad annuire e a seguirla fino al secondo piano, davanti alla porta su cui vigeva la scritta “Dirección”.

 

 

Meno otto ore al mio compleanno e mi ritrovai su un battello sul Tamigi per una minicrociera, con Laura Rosales alla mia destra che si faceva fare un book fotografico dal povero Javi.

Eravamo stati divisi in due gruppi, quaranta ragazzi su un battello con quattro membri dello staff mentre gli altri quaranta erano in giro per un po’ di shopping e nel giro di un’ora ci avrebbero sostituito.

Io ero capitata con Clara, Saverio e Salvatore, mentre Giada, Luca, Mario ed Elena erano in giro per la città.

Durante il cambio, la mia missione era entrare nel primo supermercato che mi capitava a tiro e fare scorta di birra e cibo.

Ripensai ai miei ventiquattro anni: cosa avevo fatto?

Tralasciando un viaggio a Madrid, avevo solo studiato e pensato alla tesi, che miseria!
Dodici mesi di esami, libri impolverati, ricevimenti e speranze.

Dodici mesi in cui avevo chiuso qualche amicizia, iniziato qualche altra e nulla di più.

Dodici mesi conclusi così, sul Tamigi, con la mia cotta del momento che girava la città con una come Paula e Javi che mi sorrideva ogni tanto.

“Javi, scusami ancora per... Tutto. Sono stati dei giorni assurdi, non ho avuto un momento libero” dissi quindi, appena Laura si avvicinò  all’estremità del battello per ulteriori foto.

Non volevo specificare il perché delle scuse e fu una mossa giusta perché lui capì subito.

Abbassò lo sguardo, intimidito, e scosse il capo.

Era davvero bello, pensai, e il fascino non gli mancava.

Perché non mi ero presa una sbandata per lui?

Non volevo peccare di presunzione ma a questo punto ci saremmo già ritrovati a limonare selvaggiamente tra una pausa e l’altra e sarei stata decisamente più tranquilla.

“No, scusami tu. Sono stato insistente e magari ti ho pure messo a disagio con  i colleghi. Laura ha fatto un bel discorsetto a me e Paula sull’essere professionali, davvero”.

“A te e Paula...?”.

“Tutti parlavano  della sua pacca sul... Sedere di Luca”.

“Oh”. Paula era stata rimproverata da Laura... E nella mia mente, ciò si traduceva solo con una cosa: ora che il capo non era lì a sorvegliarla, lei per dispetto si stava dando alla pazzia gioia.

Presi un bel respiro e mi dissi di stare calma. “Tu non sei stato inopportuno o altro, davvero. Sei gentilissimo” lo rassicurai, in un modo comunque educato che speravo gli facesse capire che era tutto ok ma era meglio non provarci ulteriormente.

“Mi fa piacere”.

Ci sorridemmo, lui sembrò voler dire altro, poi si fermò e tornò a guardare verso il Tamigi, Tower Bridge e la Cattedrale di St. Paul.

“Se ho capito bene... Brava”.

Mi voltai e vidi che Saverio se ne stava seduto proprio dietro di noi, compiaciuto.

“Se vuoi l’ultima notte però ti concedo una scappatella col toro” disse, facendo l’occhiolino.

“Se permetti, nessuno mi deve concedere nulla...” ribattei, stando al gioco.

Lui annuì, guardandomi quasi con aria fiera. “Non so quante donne lo avrebbero friendzonato, al posto tuo, Alì”.

Friendzonato... Che parolone. Tu, piuttosto! Che hai oggi? Sei... Diverso” osservai.

Saverio si lasciò scappare una risata e fece spallucce.

“Ho avuto buone notizie, tutto qui. Tu, piuttosto! Tra... Sette ore e quaranta ti fai vecchia, confermati i festeggiamenti?”.

“Confermati, confermati. Dopo devi aiutarmi, ho bisogno del tuo zaino”.

“A disposizione”.

 

 

Scendemmo dal battello e tra quell’orda di quaranta ragazzi riuscii a beccare Paula che se ne stava stretta al braccio di Luca.

Gli stava sussurrando qualcosa, di sicuro nel suo inglese da quattro soldi, e lui ascoltava, interessato.

“Brava Paula, questa sera te lo porti pure in camera” pensai, improvvisamente irata come non mai.

Odiavo sentirmi così, io non tendevo mai a cambiare umore così frequentemente.

Non riuscivo a smettere di guardarli, il loro linguaggio corporeo mi mandò in bestia nel momento in cui Luca rise e lei gli circondò una spalla col braccio con confidenza.

“Idiota, pensa ai tuoi ragazzi, che group leader sei, eh?” pensai.

“Alice, andiamo, tra poco i ragazzi avranno un’ora libera e andiamo al supermercato!” mi ricordò Clara.

Per la seconda volta in quella giornata, qualcuno fu costretto a ridestarmi dai miei pensieri.

Annuii e la seguii di malavoglia, cercando di darmi una calmata perché non era possibile diventare così idiota in una situazione del genere.

Sembravo una delle partecipanti a quei programmi trash in cui la fidanzata di turno vede il suo ragazzo con un’altra.

Non ero una di loro e, soprattutto, io e Luca non eravamo niente, niente di niente.

Presa da questo turbine di pensieri mi ritrovai, non so nemmeno io come, nel supermercato più vicino nel giro di venti minuti, con Clara, Saverio e Salvatore che ancora discutevano sulla questione “No, dividiamo la spesa”.

Li lasciai parlare, pensai solo a riempire il carrello di birre e vino, patatine, muffins e dolcetti vari.

Tremai quando vidi dall’altra parte degli scaffali dei ragazzini del nostro gruppo che evidentemente erano lì per sopperire alla mancanza di cibo spazzatura, ma per fortuna Salvatore, a pochi passi da me, giunse in mio soccorso, si parò davanti il piccolo carrello e pensò a mettere in superfice gli snack in modo da coprire le bibite.

“Anni di pratica” minimizzò, quando lo guardai come a dire: “Mi salvi sempre!”.

Fingendoci interessati a quali patatine scegliere, aspettammo che i ragazzi si allontanassero prima di continuare il nostro giro.

Arrivata alla cassa, scacciai letteralmente tutti e pagai trenta sterline, salvo poi richiamarli e distribuire gli alcolici negli zaini di tutti.

Era fatta, avevo preso tutto, candeline incluse, ma ero ormai nell’atmosfera pre compleanno in cui iniziavo a sentirmi strana, nostalgica, addirittura un po’ ansiosa...

 

 

Paula non si era staccata da Luca fino ad ora di cena, quando lui prese posto con noi.

Io finii rapidamente il mio piatto di riso e mi alzai, visto che Nadia mi aspettava in camera sua per truccarmi.

Avevamo l’appuntamento per le otto, così decisi di andare in camera e farmi prima una doccia e lo shampoo.

La serata sarebbe stata gestita dagli inglesi, quindi salvo eccezioni al momento non avevo nulla da fare dal punto di vista lavorativo.

“Fai con calma Alice, al massimo se è qualcosa ti chiamo” mi disse Saverio.

“Sei gentile perché stasera si beve?” lo presi in giro.

“Ovvio, da domani torno a trattarti male”.

Gli feci una smorfia e mi alzai, sentendo lo sguardo di tutti fisso sulla mia nuca.

Certo, forse mi odiavano perché me la stavo svignando,  però stavo organizzando la serata anche per loro.

Non vedevo l’ora di poter farmi una doccia con calma senza correre e di usare qualche prodotto in più per i capelli visto che per la mancanza di tempo mi ero ridotta a usare solo lo shampoo e ad asciugarli in fretta e furia, a volte lasciandoli un po’ umidi.

Quando entrai nella stanza quasi inciampiai per la presenza di qualcosa per terra, mi abbassai e vidi che era una maschera per il viso.

 

“Le cleaners mi hannno fatto entrare nell’edificio.

Applicala seguendo le istruzioni ;).

Nadia”

“Oh, Nadia!” esclamai, sorpresa.

Beh, forse non avevo una bella cera e a causa dei ritmi frenetici il mio viso non vedeva un po’ di crema da giorni e Nadia non voleva truccare un viso ruvido, oppure semplicemente era un tesoro e io non la meritavo affatto.

Rapidamente, scattai la foto al prodotto e gliela inviai ringraziandola, per poi dedicarmi finalmente a me stessa e a una missione impossibile: rilassarmi e stare tranquilla.

 

Nadia era davvero un tesoro, mi dissi quando mi ritrovai seduta nella sua stanza, nello stesso edificio della sala riunioni.

Avevamo messo le bibite in frigo e poi subito si era precipitata a prepararmi la base trucco con qualche crema.

Il suo modo di truccarmi mi rilassava, aveva dei pennelli morbidissimi che mi regalavano delle carezze magiche e dei prodotti meravigliosi.

Nel giro di quaranta minuti mi guardai allo specchio e spalancai gli occhi, sorpresa.

Ero io quella con i capelli in ordine e con un trucco nude ma d’effetto?

“Nadia ma... Cioè, non ho nemmeno mezza occhiaia, hai prosciugato il correttore?” domandai, avvicinandomi per guardare i dettagli, sempre più incredula.

“Più o meno. Hai bei lineamenti, con poco sforzo potresti davvero essere perfetta tutti i giorni” mi fece notare.

“Ma io di solito mi trucco, è che qui non ho mai tempo... Preferisco dormire fin quando posso” ammisi.

Lei rise e poi mi sistemò i capelli con cura.

Sembrava tranquilla, forse era l’effetto che le faceva truccare qualcuno, come succedeva a me quando traducevo.

“Dai, andiamo a preparare il cibo, per le dieci la serata finirà”.

“Ma faccio io, tu goditi il tuo giorno libero fino all’ultimo!”.

Mi ci volle tutta la forza del mondo per convincerla a starsene in santa pace, alla fine accettò e chiamai Saverio, che mi disse che era tutto ok e potevo evitare di presentarmi alla serata “Maschi contro femmine”.

Ne ero felice, perché per il mio bene dovevo imparare ad allontanarmi da Luca in modo da stare tranquilla e non crearmi false  aspettative.

 

 

Quando lo staff si riunì erano ormai  le undici passate, visto che qualcuno aveva dovuto controllare i ragazzi e altri avevano avuto problemi vari come chiavi che non si trovavano e ragazzi che litigavanotra loro.

Mi sentivo un po’ a disagio visto che io me ne stavo un po’ più tranquilla, vestita e truccata decentemente e loro ovviamente erano palesemente stanchi dopo una giornata piena di problemi e lavoro.

“Dai, sedetevi, ora ci riprendiamo un po’. Iniziamo con le birre?” proposi.

Nadia e Clara fecero per alzarsi ma io le stoppai.

“Faccio io!”.

Distribuii una birra ciascuno con patatine, muffins  e mini sandwich e vederli entusiasti per un piccolo cambiamento rispetto alle solite riunioni mi fece bene al cuore.

In un certo senso, non eravamo lì per me ma per celebrare tutto ciò che avevamo passato in quei sei giorni e che bene o male ci aveva unito in uno spirito di squadra.

Quando venne il momento di prendere la mia birra, un mano mi bloccò il braccio con delicatezza, mi voltai di scatto e vidi che era Luca.

Con la sua solita aria gentile, fece in modo da farmi allontanare dal tavolo, mi spostò la sedia per farmi sedere e iniziò a versare la birra in un bicchiere.

“Festeggiata, ora ci prendiamo noi cura di te” esclamò, porgendomelo.

Presi il bicchiere e mi sforzai di sorridere, quando in realtà avrei solo voluto sapere cosa aveva combinato con la quella spagnola.

“Comunque, prima che Alice diventi vecchia...”.

“Ehi!”.

“...Ci conviene parlare di domani” esclamò Saverio, guardando l’orologio.

Tutti annuirono e iniziammo a prestargli attenzione tra un sorso di birra e l’altro.

“Lezioni come al solito la mattina, pranzo e poi dritti ad Oxford Street, dove i ragazzi potranno fare shopping dove vogliono, visto che continuano a chiederlo. Questo, con il team inglese. Poi, con lo spagnolo, dalle diciassette alle diciotto e trenta, visita al Madame Tussauds. Ceneremo in città e torneremo dopo le ventuno come al solito. Non ci separeremo, saremo tutti insieme, quindi mi raccomando, specialmente al museo delle cere cercate di sorvegliare i ragazzi, non devono fare idiozie... Da oggi è iniziato il declino totale e ve ne siete accorti. Ci sono i gruppetti,  si credono amici da sempre e non esiteranno a fare cazzate per mettersi in mostra. Domande? Bene. Torniamo alla vecchiaia di Alice!” mi prese in giro.

“Io non invecchio, miglioro” mi difesi.

Li guardai uno ad uno e pensai per un istante ai miei genitori, a mia sorella, alle mie migliori amiche, al mio gruppo di amici... Per una volta non avrei spento le candeline con loro, per la prima volta mamma non mi aveva preparato la torta ed io non avevo perso giorni e giorni a cercare l’outfit perfetto per il compleanno.

Eppure il destino mi aveva fatto trovare un gruppo di gente allegra che condivideva la mia passione per i viaggi e con un grande spirito di adattamento e sacrificio.

“Grazie per essere qui, davvero. Ci conosciamo da una settimana ma mi sembra di conoscervi da molto di più” li ringraziai, sincera come non mai.

Quel gruppo di spostati poteva mai avere una reazione normale?

Certo che no.

Mario urlò “Abbraccio sandwich!” e si precipitò addosso a me, seguito dagli altri sette, con il risultato che mi ritrovai compressa tra un mucchio di gente che mi stringeva e dava vita al cosiddetto “Sandwich alle Alici”.

“Alice! Alice! Alice!” esclamarono, quasi come se fossimo allo stadio.

“Mancano pochi minuti, le candeline, su!” esclamò concitata Elena.

Prese la torta preconfezionata che avevo preso al supermercato e le candeline multicolore, ne prese giusto tre e le iniziò a posizionare sul dolce.

Io non sapevo cosa fare, nei minuti pre compleanno ero sempre imbambolata, come persa tra due mondi: il passato e ciò che sarà.

Ripensai alla sera del mio ventiquattresimo compleanno, quando a mezzanotte i miei amici mi avevano fatto trovare un cornetto con una candelina, alla vacanza last minute con la mia famiglia perché non avevo soldi per andare fuori con le ragazze, all’esame di Storia dell’Opinione Pubblica Europea che mi aveva destabilizzato psicologicamente, a quel “Conferisco il titolo di Dottoressa Magistrale...” che tanto avevo agognato...

Ed eccomi lì, con tutti che si davano da fare per me.

“Tre.. Due... Uno... Auguri Alice! Tanti auguri a teee, tanti auguri a te...”.

Saverio mi venne incontro con la torta e le candeline, l’appoggiò sul tavolo e mi disse: “Esprimi un desiderio”.

Avevo tanto da chiedere, ma mi ritrovai solo a pensare: “Per una volta voglio provare qualcosa di unico, non mi importa come e dove, voglio semplicemente sentirmi al settimo cielo e piena di speranza!” prima di spegnere le candeline.

Ci fu il solito applauso di rito, tutti mi abbracciarono e  riempirono dei soliti baci sulle guance a mò di auguri e, forse per suggestione, mi sembrò che l’abbraccio di Luca fosse il più lungo di tutti.

Lo strinsi a mia volta, seguendo il mio istinto, e quando ci separammo mi fece il solito occhiolino che ormai lo contraddistingueva.

“Sarà un grande anno per te, ne sono sicuro”.

“Magari” borbottai, con un’alzata di spalle. “Apriamo il vino, dai!”.

Mi passarono una bottiglia di rosso, la aprii facendo sì che il tappo colpisse accindentalmente Clara e bevemmo con tanto di brindisi.

“Tanti auguri a me... Ma il brindisi va a voi che vi state comportando come una famiglia, grazie di tutto!” esclamai, prima di bere il contenuto in un sorso, facendo ridere Salvatore.

“E come una famiglia ti abbiamo preso un pensierino” esclamò Elena, prendendo un pacchetto da un cassetto.

Era una busta di Forever21 ed io, incredula, mi portai le mani alla bocca.

“Tralasciando che non sei più 21, speriamo ti piaccia” disse Salvatore.

“Ragazzi” esclamai, toccata, tanto da ignorare la battuta, “Siete un tesoro, non dovevate!”.

“Così avrai un nostro ricordo” disse Saverio, gentile come non mai.

“Oh!”.

Mandai un bacio verso tutti e mi precipitai ad aprire il pacchetto, scoprendo che si trattava di un carinissimo mini abito azzurro con delle maniche velate.

“Ma è stupendo!” esclamai, davvero senza parole.

“Provalo, vai in bagno, vediamo come ti sta! Così se non va bene abbiamo sette giorni per cambiarlo”.

“Sì, poi sei anche truccata, sarai una bomba!” esclamò Nadia.

“Ah, ecco perché eri più carina” mi prese in giro Mario.

Ero così presa dall’emozione e da mille sentimenti contrastanti che non badai alle loro solite battutine, andai in bagno e ringraziai il cielo di aver avuto il tempo di passare rapidamente la lametta sulle gambe dopo una settimana.

Stavo iniziando i miei venticinque anni così, in un bagno, mentre mi cambiavo d’abito per provarne uno di Forever21.

Mi spogliai, presi il vestito, pregai in tutte le lingue che conoscevo che mi andasse bene e lo infilai, sentendomi subito fasciata da quel tessuto morbido.

Mi andava bene, era più stretto verso il seno e scendeva morbido sui fianchi.

Ovviamente, le scarpe da ginnastica che avevo non c’entravano nulla, ma me ne fregai e uscii dal bagno super sorridente, sotto lo sguardo felice e soddisfatto di tutti.

“Ma che bella!”.

“Sei stupenda!”.

“Fotooo! Metto l’autoscatto!” esclamò prontamente Mario, che era il più social di tutti.

Mise l’autoscatto mi fece posizionare al centro e tutti si strinsero a me, sorridendo.

“Aspetta, la torta, reggila!” aggiunse Nadia, premurosa, porgendomela, facendo arrabbiare Mario che fu costretto a rimettere il conto alla rovescia.

Dieci secondo dopo, con facce buffe e divertite, eccola lì, la foto che attestava che, davvero, ci stavamo divertendo in modo semplice e genuino.

Finimmo di bere e di mangiare e poco prima dell’una dei rumori insistenti al piano superiore ci fecero capire che dei ragazzi si stavano dando alla pazza gioia.

“Andate pure, pulisco io” dissi quindi, rendendomi conto che domani si lavorava ed era già tardi.

“Vado io” disse Salvatore.

“Ti accompagno” si aggregò Clara.

“Voi altri andate, ragazzi, davvero. Grazie ancora per il regalo, lo adoro!” esclamai.

Elena e Nadia provarono ad aiutarmi ma feci loro segno di andarsene, così seguorno gli altri.

Presi varie lattine vuote, residui di carte e quando mi voltai per andare verso la pattumiera sobbalzai nel vedere che anche Luca era lì, stava raccogliendo i bicchieri.

“Luca, vai con gli altri” dissi.

“No, non è giusto che tu stia da sola. Poi oggi non ci siamo proprio visti... Il vestito l’ho scelto io con Paula, è stata lei a consigliarci Forever21 quando ha saputo del regalo” spiegò, fin troppo rapidamente, quasi saltando qualche sillaba.

“Che gentile” commentai, desiderando solo di muovermi e di uscire da lì.

Un monologo su Paula non me lo meritavo proprio!

Presi i coltelli e le posate di plastica e li gettai nell’apposito contenitore.

“Non ti sta simpatica, eh?” osservò.

“Luca, onestamente... Se vuoi parlare di Paula trova qualcuno a cui interessi, magari uno dei ragazzi” sbottai, prendendo la bottiglia di vino e gettandola con troppa energia nella spazzatura.

“Alice...”.

“Luca, io e te non ci conosciamo” lo bloccai, parandomi le mani davanti per bloccarlo.

Lui mi si avvicinò, fronteggiandomi, incuriosito.

“No?”.

“No! Non so niente di te, così come tu non sai niente di me...”.

“Forse non so cosa hai fatto nella tua vita fino ad ora, ma so che sei nata l’otto luglio del novantadue, che sembri insicura ma hai una decisione e una determinazione di ferro, che non sai startene calma se sai che c’è qualcosa che ti turba, che sei super appassionata di ciò che fai, che sei buffissima in certi momenti ma è ciò che ti rende unica, so anche che mentre lavori sorridi ogni tanto senza motivo e... Ah, che odi i cetriolini degli hamburger. Dimmi, quindi, non so niente di te e...?”.

Abbassai le mani, sorpresa, e mi appoggiai con le mani al tavolo retrostante.

“E... Non mi piacciono le persone incoerenti” sussurrai, sentendo di star dicendo una cazzata colossale.

“Ok, e cosa c’entra con me?”.

“C’entra! Dici che non ti piace Paula e poi sembrate pappa e ciccia” esclamai, a voce più alta del dovuto, tanto che poi mi tappai una mano con la bocca.

“E questo ti infastidisce?” domandò.

“No, no! E’ che...”. Non sapevo cosa dire, sentivo la gola secca, come se avessi ingerito del vetro, probabilmente ero arrossita e sembravo paonazza. “Prima vieni nell’ufficio a dire che lei non ti piace, che non manderesti tutto all’aria per lei, e poi...”.

“Infatti non mi piace, Alice” sussurrò, fin troppo convinto.

“Ma dai! Si vede lontano un miglio! Ridi alle sue battute, oggi te ne stavi incollato a lei...” puntualizzai, infervorata, lasciando ogni parvenza di decenza umana.

Oggi, infatti. L’ho assecondata perché ci ha aiutato con il regalo e più te lo vedo addosso e più mi convinco di aver fatto bene. Ma gli altri giorni, Alice...”.

“Gli altri giorni cosa?” lo sfidai, senza capire.

Luca esitò, si guardò intorno, si inumidì le labbra e poi mi guardò dritto negli occhi.

“Ieri ti ho proposto di dirci chi ci interessava, no?” disse lentamente, abbassando il tono. “E io ora voglio onorare questa proposta”.

“Dicendomi che ti sei sbagliato e che ti piace Paula” finii per lui, alzando gli occhi al cielo.

Mi bloccai così, lo sguardo rivolto verso l’alto, le braccia aperte e immobili.

Senza dire altro, Luca mi aveva preso il volto tra le mani e mi aveva baciato, appoggiando le sua labbra sulle mie con tutto fuorché discrezione e coinvolgendomi in un bacio inizialmente timido.

Dopo non so quanti secondi si separò, appoggiando la sua fronte contro la mia e continuando a guardarmi, questa volta sorridendo con tenerezza.

“Mi piaci tu, Alice. Tu. Forse da quando abbiamo litigato sotto la pioggia, non lo so... So solo che quando devo pensare  a lavorare ti cerco con lo sguardo e oggi la mia priorità era coinvolgere tutti per il regalo” sussurrò, in un modo che però per me risultò come un urlo.

Ero immobile, senza parole.

Possibile?

Uno che mi piace che prova lo stesso e me lo dice quasi subito?

Stavo forse sognando?

“Luca... Ma no, voglio dire, le cose non tornano, tu...”.

“Cosa non torna? Alice tu mi stai distraendo e io odio sentirmi così, mi sembra di non avere il controllo della situazione, del mio lavoro! Ecco perché magari ho fatto l’idiota, pensavo di sbagliarmi ma non è così. Mi stai facendo impazzire, Alice” confessò, riavvicinandosi di nuovo al mio volto e ribaciandomi con slancio.

Decisamente tra le nuvole, con il cuore che mi martellava in petto, gli circondai il collo con le braccia e lo strinsi a me mentre rispondevo al bacio con una passione che non credevo di possedere.

Finii seduta sul tavolo alle mie spalle, con Luca che continuava a non separarsi da me e scendeva a darmi piccoli baci verso il collo.

“Penso sia palese che mi piaci anche tu” sussurrai, con il fiato corto, quando si separò da me.

Il cuore mi si riempì di gioia quando vidi il suo volto mutare, diventare pieno di felicità.

“No, non è palese, fidati, temevo mi rifiutassi” borbottò, facendomi ridere. “Domani pomeriggio saremo tutti liberi mentre i ragazzi fanno shopping, vieni con me a fare un giro?” propose, mentre mi aiutava a scendere dal tavolo.

“Non temi che ci vedano?”.

“Non mi importa di rischiare, poi tanto Oxford Street è immensa. Voglio davvero passare del tempo con te senza nessuno tra le scatole” mi implorò, per poi stringermi a sé.

“Va bene” acconsentii, decisamente frastornata e incredula.

Mi lasciai stringere e appoggiai la testa sulla sua spalla, mentre lui mi posava di nuovo un bacio sulla spalla, questa volta più sicuro di sé, come aveva fatto quando avevamo ballato.

I miei venticinque anni erano iniziati davvero bene.

 

 

*°*°*°°*

Lunedì, nuovo capitolo!

Eh sì, andiamo subito al sodo... Luca ci sta, eccome se ci staaa!

Cosa ne pensate? Io ho fangirlato molto mentre scrivevo, ho cambiato mille volte idea e alla fine ecco qui il capitolo nella sua versione definitiva.

Alice è piena di dubbi, fa la gelosa, poi decide di non farci caso, e poi... Tadà, Luca onora la sua promessa di dirle chi gli piace.

Cosa succederà ora?

Vi dico solo che per vari motivi il settimo capitolo è il mio preferito.

Grazie a chi continua a seguire la storia, non siate timidi e fatemi sapere che ve ne sembra della piega che stanno prendendo le cose, su!

A lunedì,

milly.

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Capitolo 7
*** Day 7: Save The Date ***


7save

Capitolo 7

Day 7: Save the Date

 

Aprii gli occhi ancor prima del suono della sveglia e cercai di fare mente locale, confusa più che mai.

Avevo sognato?

Luca mi aveva baciato, aveva detto che gli piacevo, il tutto nella sala riunioni dove chiunque avrebbe potuto beccarci, poi mi aveva accompagnato fino alla mia stanza dove, rapidamente, sperando che nessuna ragazzina del mio piano aprisse la porta, mi aveva baciato con tanto di “Buonanotte, domani mattina vengo da te verso le sette, ok?”, mi aveva stretto a sé per l’ultima volta e se ne era andato, salvo poi voltarsi e farmi quell’occhiolino che ormai era il suo marchio.

Sospirai, mi voltai su un fianco e vidi il vestito azzurro di Forever21 su una gruccia, appoggiato vicino l’armadio.

No, non era un sogno.

Mi misi a sedere e mi sforzai di non pensare alla realtà che di sicuro mi avrebbe punto come una marea di spilli.

Tralasciando la precarietà della situazione visto che tra una settimana esatta io e Luca non avremmo più condiviso il luogo in cui ci trovavamo e che magari quel pomeriggio, passando del tempo insieme, saremmo tornati a litigare e ci saremmo mandati a quel paese, stavamo andando contro la regola di Saverio e se ci avessero beccati ciò avrebbe inciso sulla nostra valutazione finale.

Ne valeva la pena?

Ripensai alla sensazione di gioia che avevo provato in quei minuti gloriosi in cui mi aveva baciato e mi aveva stretto a sé e conclusi che, sì, ne valeva la pena visto che non mi sentivo così viva da tanto.

Ragion per cui mi alzai rapidamente e mi affrettai a prepararmi visto che nel giro di trenta minuti Luca avrebbe bussato alla mia porta.

Lottai contro la doccia per non bagnare i capelli visto che avevano ancora una piega decente e mi sforzai di rendermi più presentabile usando un po’ di trucco in più.

Per fortuna, alle sei e cinquanta, ero già pronta perché lui bussò alla porta in netto anticipo.

Sentivo le gambe che mi tremavano, mi affrettai ad aprire senza fare domande stupide come “Chi é?” per non far sentire la sua voce alle ragazzine che avevano la stanza nel mio stesso corridoio.

Quando me lo ritrovai davanti sorrisi senza riuscire a controllarmi, lo feci entrare e senza fregarmene lo abbracciai, con il risultato che ci trovammo stretti contro la porta.

“Buon compleanno, Alice” sussurrò al mio orecchio, mentre mi stringeva a sua volta.

“Grazie... per l’ennesima volta” ironizzai, separandomi da lui. 

Lui si guardò intorno, osservò la stanza dalle mura beige in tinta con l’armadio e la scrivania e si soffermò a guardare il vestito.

“La tua camera è più carina della mia, l’ala dell’edificio dei ragazzi è più rozza” osservò.

“Non oso immaginare, già questa non è un granché” provai a fare conversazione.

Per tenermi impegnata controllai lo zaino e ripescai il badge dalla scrivania, salvo poi guardarlo di nuovo.

“Vuoi sederti?” proposi, indicando stupidamente il letto.

Lui assunse un’aria furba e mi si avvicinò.

“Eviterei, Alice. Meglio questa” indicò la sedia della scrivania – ringraziai mentalmente il fatto di averla svuotata dai vestiti il giorno prima – e prese posto, per poi prendermi per un braccio e trascinarmi su di sè.

Mi ritrovai seduta sulle sue gambe, con le sue braccia che circondavano le mie.

“Ciao” sussurrai imbarazzata, visto che i nostri visi se ne stavano a pochi centimetri di distanza.

“Ciao” ribadì lui. “Quando ti imbarazzi sei... Non lo so, non so descriverlo... Adorabile”.

“Ma no, non sono imbarazzata...”.

“Ah, no?”.

“Vuoi perdere tempo a litigare?” lo provocai, appoggiando le braccia sulle sue spalle belle larghe che erano uno degli elementi della sua fisicità che adoravo.

“No, Ali. Non voglio perdere tempo con te, nemmeno un minuto” dichiarò, questa volta serio, senza smettere di guardarmi negli occhi. “Non vedo l’ora di stare con te, oggi... Sembrerà sciocco, ma a causa tua ho dormito pochissimo”.

“E’ una cosa carina” sottolineai, per poi accarezzargli una parte del volto senza riuscire a controllarmi. Non aveva barba, i capelli castano scuro gli circondavano il viso un po’ ovale e contrastavano con gli occhi verdi e la pelle un po’ abbronzata. “Io... Mi sento felice”.

“Anche io. E fortunato! Tra tanti nomi sei capitata tu... che fortuna”.

Avrei potuto fare la scema e fare qualche smorfia, ma mi limitai a continuare  a guardarlo, fino a che la distanza tra noi fu nulla, i nostri nasi si sfiorarono e ci ribaciammo.

Fu un bacio lento ma deciso, come quello di due persone che vogliono godersi nel migliore dei modi ogni istante a loro disposizione.

Sentivo le sue mani che mi sostenevano, per poi passare ad accarezzarmi i capelli, mentre io le tenevo sul suo petto, come se mi fossi ancorata a lui.

Lo sentivo quasi timoroso, come se temesse di spingersi troppo oltre e la cosa mi sorprese perché ero perfettamente cosciente del fatto che non avrei avuto la forza di respingerlo.

Mi beavo dei suoi baci sul collo, erano in grado di trasmettermi una sorta di energia elettrica in tutto il corpo, e ricambiai avvicinando al suo orecchio.

“No!” mi bloccò, facendomi sobbalzare.

“Cos...?”.

“Alice, sei fantastica ma quello è il mio punto debole e... Insomma, tra venticinque minuti devo essere con i ragazzi e...”.

“E...?” lo presi in giro.

“Insomma, sono un gentiluomo ma così facendo non mi aiuti, vorrei evitare di saltarti addosso e farti pensare...”.

Si stava letteralmente imbarazzando, non sapeva cosa dire ed io mi alzai, decidendo di lasciargli i suoi spazi.

“Luca, è tutto ok e, diciamolo, ci attraiamo reciprocamente. Stai tranquillo” lo calmai, sedendomi di fronte a lui, cercando a mia volta di riprendermi da quella breve ma intensa pomiciata.

“Giuro che pagherei per poter starmene tranquillo qui, con te. Ho pensato ad un gioco per conoscerci meglio” aggiunse, cambiando argomento.

“Addirittura!”.

“Addirittura”.

“Sono curiosa, nessuno aveva fatto una cosa simile per me. Non vedo l’ora di saperne di più sul celebre Luca Antonini. Per ora so solo che adora il suo lavoro come group leader, che viene da Napoli, che sotto sotto sembra essere un romanticone, che occasionalmente ha bisogno di una birra, sembra avere un cuore grande e... Che bacia molto bene”.

Ero davvero io quella che si stava prendendo la libertà di flirtare così bene?

Evidentemente Luca apprezzò la mia sfrontataggine perché si alzò e mi venne incontro, fino a sedersi al mio fianco.

“Io dovrei aggiungere alla lista di ciò che so su di te che hai un potere innato di stuzzicarmi con delle semplici parole” esclamò.

“Davvero?”.

“Davvero...”.

Non so precisamente la dinamica con cui ci ritrovammo stesi sul letto, abbracciati.

Avevo la testa sul suo petto e sentivo il suo cuore battere forte.

Mi strinse più forte a sé e mi lasciò un bacio tra i capelli, prima di giocare con una ciocca.

“Alice, la mia tentatrice” ironizzò, ma come risposta si beccò una cuscinata in faccia.

 

Tornare alla realtà del college fu davvero dura, a partire dalle mille strategie per far sì che nessuna delle ragazze vedesse Luca uscire dalla mia stanza fino al far finta di nulla a colazione.

Stupide regole, stupide formalità, stupidi sentimenti... Stupida voglia di sentirsi meno soli.

Mi ritrovai ad annuire durante varie conversazioni ma senza dire la mia o ribattere in maniera intelligente tanto che mi sentivo sopra una nuvola e feci colazione in modo piuttosto silenziosa, proprio come Nadia che leggeva qualcosa sul cellulare di tanto in tanto mentre mangiava.

Mi sforzavo di non guardare Luca – ci eravamo seduti appositamente lontani – e osservavo gli altri.

Clara sonnecchiava, Salvatore sembrava assente come Nadia, Giada mangiava, Elena rispondeva a qualche messaggio vocale, Mario come al solito faceva lo scemo dandoci fastidio.

“Allora, Alice, come ti sembrano questi venticinque anni, eh?” domandò Clara.

Quasi non sputai per aria i cereali! Mi contenni e vidi subito che Luca si era voltato a guardarmi.

“Oh beh, bene direi, tranquilli più che altro” mentii.

“Tranquilli? Allora oggi dobbiamo movimentarteli un po’!”.

Incredula, mi voltai verso Luca che sorrideva beffardo. Mi stava forse prendendo in giro?

“Non credo si possa fare molto” stetti al gioco, guardandolo di striscio, come se la cosa non mi riguardasse.

“Ci proveremo” insisté, senza smettere di guardarmi.

“Però è stato bello festeggiare ieri sera, siamo un bel gruppo” disse Nadia, cordiale.

“Sì, un gruppo molto unito” continuò Luca.

Il bello è che chi non sapeva i retroscena poteva semplicemente pensare ad un suo essere carino nei confronti del gruppo, infatti Clara disse: “Oh, Luca, siamo sentimentali oggi!” ed io cercai di sminuire il tutto con un: “Ma sì, siamo davvero un bel gruppo, mi avete fatto sentire a casa! Anzi, se mi inviate la foto la posto per ricordo!”.

Subito Mario, il re dei social del gruppo, si affrettò ad inviarmi la foto della sera prima più altre di cui non ne sapevo nulla.

Mi sorpresi nel vedere quella in cui spegnevo le candeline perché si vedeva Luca che mi guardava e sorrideva genuinamente.

Quella di gruppo era fantastica, tutti in posa ma naturali, tutti avevano le divise tranne me, Giada e Saverio come al solito ed io sembravo davvero spensierata.

Non decisi nemmeno di aggiungere un filtro, quella foto doveva rimanere così, naturale.

La postai, taggai tutti e poi, rapidamente, scrissi un messaggio alle mie migliori amiche che meritavano di sapere.

“Novità, ha detto che gli piaccio e ci siamo baciati.. Più di una volta! ;)” scrissi rapidamente nel nostro gruppo Whatsapp.

Sapevo che avrei scatenato il delirio e che non avrei avuto modo di replicare ma dovevano sapere, dovevano condividere questo momento con me.

“Che carini che siamo” disse Nadia, mentre guardava la foto. Guardò l’orologio e afferrò il vassoio con la colazione ormai finita. “Ragazzi, sono le otto e dieci,corro un attimo in camera perché ho dimenticato una cosa e torno per portare i miei ragazzi in classe” disse.

“Vai a girare un tutorial?” la presi in giro.

“Mi hai scoperto! Che bella che eri ieri. Anche oggi, eh” esclamò, in un moto di affetto tale che mi si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia prima di andarsene.

“Eh meno male” ridacchiai.

Notai che erano tutti visibilmente stanchi, infatti finirono di mangiare poco dopo per andare a stendersi nel prato o sulle panchine retrostanti alla mensa, dove i ragazzi si raggruppavano prima di andare a lezione.

Sembrava tutto fatto di proposito e non me lo spiegavo.

In più, Saverio non si era visto e io non sapevo quanto avrei dovuto lavorare quella mattina.

Ritrovandoci da soli, Luca si spostò di fronte a me.

“Sei uno scemo” borbottai.

Lui subito capì che parlavo dei suoi riferimenti e scrollò le spalle.

“Adoro quando cerchi di fare la finta tonta, davvero”.

“Cazzo!”.

“Cosa...?”.

“Ieri ho lasciato i vestiti in bagno, nella sala riunioni... Dovrei andare a riprenderli, tanto manca tempo alle nove” esclamai.

“Dovrei prenderteli io visto che è per colpa mia se li hai lasciati lì” disse.

“Non ti vantare troppo, Antonini”.

“Eddai...”.

“Ok, si, un po’ è colpa tua. Potresti aiutarmi trovandomi qualcuno che abbia le chiavi dell’edificio, ad esempio”.

“A disposizione, signorì”.

“Mi piace quando fai il napoletano...” sussurrai, più che altro per non far ascoltare nulla ad eventuali ragazzini.

“Buono a sapersi” mormorò, guardandomi intensamente, tanto da farmi venire la pelle d’oca e fingermi disinvolta mi costò molto.

Uscimmo dalla mensa e per fortuna, su una panchina di fronte al prato, incontrammo Salvatore che subito ci prestò la chiave dell’edificio.

“Non sei costretto a venire con me...” esclamai, quando andai in direzione dei dormitori.

Ritrovarci da solo era rischioso, sapevo che davanti a una sua dimostrazione d’affetto non mi sarei tirata indietro e avremmo rischiato grosso.

“Faccio il bravo” disse, probabilmente capendo il perché della mia preoccupazione.

“Io ancora devo realizzare. Non ci sto capendo niente” ammisi, voltandomi e trovando il coraggio di guardarlo in faccia.

“Beh, nemmeno io. E’ tutto così surreale. Sembra tutto complesso, non credi? Ma forse in fondo è più semplice di quel che sembra” disse, vago.

“Cosa vuoi dire?”.

“Ci stiamo avvicinando ma ci conosciamo da una settimana e...”.

Esitai e subito mi bloccai, afferrandolo per un polso con decisione approfittando dell’assenza di gente dello staff e dei ragazzi.

In più, eravamo in una zona con varie piante e giardini quindi potevamo nasconderci.

Vedendo quel gesto fermo, Luca sembrò non capire.

“Chiariamo una cosa, Luca. Non devi fare finti discorsi carini per imbambolarmi, non sono quel tipo di ragazza. Siamo onesti! Sì, ci conosciamo da sette giorni e tra altri sette io andrò a Roma e tu a Napoli. Tutto semplice, niente di complesso, io non sono la ragazza che ti perseguiterà o che ha aspettative dopo ieri sera” esclamai, visto che mi ero sentita in dovere di dire quelle cose non appena c’era stato un accenno di discorso pseudo complesso.

Lui sembrò sorpreso da quel discorso, nel senso che mi guardò come se fossi strana.

“Alice... Stavo per dire che in realtà è semplice perché ci conosciamo da poco ma c’è chimica tra di noi e quella non scatta dopo un tot di tempo, o c’è o non c’è” sottolineò.

Arrossii e mi portai una mano alla bocca, abbassando lo sguardo per poi tornare a camminare.

“Lo penso anche io ma ciò non cambia ciò che ho detto”.

“Hai ragione e io non ho mai pensato che tu fossi il tipo di ragazza che si riempie di chissà quali aspettative, anzi, a questo punto mi sa che le mie sono più alte delle tue...”.

“Ma dai! Luca, godiamoci il presente” lo incoraggiai, alzando gli occhi e vedendo che mi guardava in un modo che ispirava fiducia.

Lo spinsi verso una zona piena di piccoli cespugli e mi strinsi a lui come per confermare che ero sempre la stessa della sera prima e lui parve gradire perché mi afferrò per un fianco e ricambiò la stretta.

Quando arrivammo all’edificio lui mi aspettò fuori, così aprii il piccolo portone di ingresso, mi avviai al primo piano ed entrai nella sala riunioni.

Aprii la porta di scatto, decisa nel fare in fretta, ed entrai rapidamente.

Tuttavia, mi bloccai di scatto quando mi si parò davanti una scena che non dimenticherò mai e poi mai, nemmeno sotto l’effetto di qualche procedura intensiva o ipnosi.

C’era una ragazza stesa sul divano con un ragazzo sopra di lei e i due stavano pomiciando selvaggiamente, tanto che le gambe di lei erano attorno alla vita di lui.

“Ahhh!!” urlai senza riuscire a contenermi, per poi scappare fuori dalla sala.

“Alice, che cazzo...?!”.

Mi coprii la mano con la bocca, rossa come un peperone, con il cuore che mi batteva a mille, indecisa se riprendermi o continuare a dileguarmi.

“Alice...”.

Mi voltai e vidi che Nadia e Saverio non stavano meglio di me, entrambi con i volti arrossati – probabilmente per altre cause – gli abiti stropicciati e via dicendo.

Per una volta, lei non aveva il rossetto...

“Ragazzi, scusate, ieri ho dimenticato i vestiti che indossavo prima di provare l’abito e volevo prenderli visto che mancano una trentina di minuti alle nove. Scusate, ho chiesto la chiave dell’edificio a Salvatore...” biascicai, quasi mangiando alcune parole per l’imbarazzo.

“Avresti dovuto avvisarmi! Vivo io qui, è come se io venissi nella sala del tuo piano!” esclamò Saverio.

“Ma non ti ho visto a colazione! Sei sempre così pieno di cose da fare che non volevo disturbarti per una cosa scema...”.

“Alice ha ragione. La colpa è nostra” sussurrò Nadia, senza avere la forza di guardarmi negli occhi.

“Perché non vi siete chiusi in una stanza? Qui la porta non ha la chiave!” osservai. “Avrebbe potuto beccarvi chiunque...”.

“No! Chiunque no! Nessuno ha la chiave...”.

“Oltre a Nadia anche Mario ed Elena vivono qui” gli feci notare. “Comunque scusatemi e tranquilli che sarò super discreta” mormorai, anche se non riuscivo a capacitarmene visto che Saverio era quello che mi diceva di non fare cazzate e mi aveva avvertito sulle relazioni con i colleghi.

Certo, io ero dalla parte del torto visto che avevo pomiciato a mia volta con un collega, solo che è strano vedere il tuo capo predicare bene e razzolare male.

“Dopo, in ufficio, possiamo parlare?” aggiunse il capo, improvvisamente più docile.

“Certo, come sempre” dissi, prima di guardarli un’ultima volta, entrare di nuovo nella sala, prendere i vestiti e uscire.

Non dissi niente a Luca – avrei voluto tanto, davvero, soprattutto per dirgli che non eravamo gli unici a star combinando qualcosa che andava contro il regolamento – ma Saverio era colui che dal primo giorno mi aveva supportato e non meritava una bastardata simile.

Volevo saperne di più e non creare pasticci visto che mi bastavano quelli creati fino a quel momento.

Così, quando Luca mi vide un po’ accigliata, dissi semplicemente che pensavo a quanto sarebbe stata dura concentrarsi sul lavoro.

Io tornai in camera per posare i vestiti e lui tornò al campus per raccogliere i suoi ragazzi e portarli in classe.

Le immagini di Saverio e Nadia che si stringevano freneticamente mi inondavano la testa e pensavo ad un eventuale evento simile tra me e Luca.

E se ci avessero scoperto?

Nessuno dei due era il capo, nessuno ci avrebbe tutelato!

Valutazione negativa e via, lavoro perso, nessuna possibilità di essere richiamati.

Ne valeva la pena?

Era la seconda volta che me lo chiedevo ma con una prospettiva diversa nel giro di meno due ore.

Nadia non avrebbe avuto alcuna valutazione negativa, pensai, arrabbiata, mentre io dovevo pensarci mille volte dopo che per un anno non avevo avuto alcuna gioia in ambito sentimentale.

In tutto ciò, il mio cellulare stava andando a fuoco visto i mille messaggi delle mie amiche che volevano saperne di più.

Cosaaaa?

Lo sapevo!
E raccontaci dai!

Comunque ho visto la foto su Facebook e ho capito perché ti interessa, furbacchiona!
E’ davvero bellissimo!

 

Presi un bel respiro e, provando a schiarirmi la mente, feci una registrazione in cui riassumevo tutto, tralasciando la questione di Saverio, per poi tornare verso il campus.

 

 

Stavo confrontando il testo di un’email con ciò che avevo tradotto per confrontare il tutto quando vidi Saverio spuntare dalla porta con in mano un fazzoletto con su un mega cookie con scaglie di cioccolato.

Eravamo soli, tutti erano in giro con i ragazzi visto che era già l’ora della pausa.

Lui prese posto di fronte a me e appoggiò il biscotto al mio lato con gentilezza.

“Per te. A quanto pare questo è il meglio che ti danno se in caffetteria chiedi qualcosa di dolce per una che compie gli anni” si scusò.

Sorrisi per il pensiero e alzai lo sguardo.

“Grazie. Vuoi forse corrompermi...?” ironizzai.

Il mio capo prese un bel respiro e si guardò intorno prima di guardarmi in faccia con aria grave.

“Alice, il mio destino qui è farti delle paternali e poi tornare sulla retta via. Ti ho aggredito come un pazzo, non te lo meritavi, semplicemente mi comporto così quando le cose non vanno come dico io” si scusò, colpevole. “Cosa avrai pensato di me? “Questo stronzo mi fa il discorsetto se uno spagnolo mi invita a ballare e poi lo becco addosso a una mia collega”. Lo so che è così” insisté quando finsi di dissimulare. “E hai ragione. Hai ragione, Alice!”.

“Saverio, tu non devi giustificarti con me, basta che ciò non vada a sfavore di Nadia perché so quanto sia un periodo critico per lei e...”.

“Pensi che non lo sappia? Pensi che...”. Saverio si passò una mano in volta e poi strinse un pugno più forte che mai sulla scrivania. Esitò e poi tornò sui suoi passi. “E’ successo tutto all’improvviso, Alice, due giorni fa, dopo la solita riunione. Io da quando l’ho vista ne sono rimasto colpito ma lei è sempre così schiva, silenziosa... Nei vari momenti liberi abbiamo avuto modo di chiacchierare e una volta abbiamo pranzato insieme, a Londra, quando voi avete scelto di mangiare da un’altra parte. Non so come due giorni fa sono uscito fuori per fumare, voi eravate già tutti nelle vostre stanze, e lei era lì, fumava a sua volta. Non ricordo che ci siamo detti, so solo che l’ho accompagnata in camera sua  e lei mi ha baciato. Lei, Alice! Ci credi? Io no, non ancora! E sono due giorni che sono allegro ma con la testa tra le nuvole perché mi sembra di conoscerla da una vita” spiegò rapidamente, infervorato come non lo avevo mai visto.

Aveva gli occhi lucidi attraverso gli occhiali, un’aria da hipster sentimentale e l’aria di chi sta vivendo un sogno e non se ne capacita.

Vedendolo così mi sentii commossa e felice per lui perché si vedeva che era qualcosa di profondo e non una classica storiella.

“Vivete anche nella stessa regione, no?” azzardai, speranzosa.

Lui parve illuminarsi udendo questa informazione.

“Sì. Lei sembra decisa a vedermi anche al ritorno...”.

“Mi fa piacere per voi”.

“Alice, se mi stai giudicando...”.

“Saverio, non ti giudico. Nadia mi ha raccontato un po’ della sua vita e merita un po’ di felicità e tu... Beh, non conosco la tua vita sentimentale, ma ti vedo più tranquillo tranne quando mi urli contro” -  qui rise di cuore - “Quindi non mi sembra male. Farò il tifo per voi e terrò la bocca chiusa” promisi.

“In realtà pensavamo di dirlo al gruppo”.

Avevo appena preso un pezzetto di cookie e quasi mi strozzai udendo ciò.

Tossii, feci fatica ad ingoiare il tutto e alla fine lo guardai con gli occhi dilatati.

“Che?”.

“Sì. Diciamocelo, come te chiunque potrebbe beccarci ed è meglio essere onesti. Staremo più tranquilli...”.

“E, scusami, quando parlavi di valutazioni negative in questi casi...?”.

Volevo sapere, morivo dalla voglia di capire se il discorso di Saverio era lineare o a convenienza.

“Capisco dove vuoi andare a parare. Se hai notato io mi riferivo in particolare agli spagnoli, agli inglesi, perché sono quelli che non lavorano per la nostra azienda e potrebbero denunciarci alle risorse umane in qualsiasi momento. Tra di noi intesi come facenti parte della Emperor Travel, beh, se ci fidiamo non c’è problema”.

Annuii, comprendendo solo in parte il suo discorso perché qualche giorno fa la situazione era decisamente più seria, ora tutto sembrava sorridergli in seguito all’ “effetto Nadia”.

“Dai che domenica ti danno pure la camera doppia, fa proprio al caso tuo” lo presi in giro, senza commentare l’informazione che mi aveva dato.

“Tralasciando che Nadia lavorerà come tutti, la camera la lascio a te che hai salvato la gita, ricordi?”.

“No, avevi detto che era tua quando siamo tornati in ufficio...”.

“Alì, dai, su, non farti pregare. E’ tua, scherzavo. Non lo faccio perché ora potresti sputtanarmi...”.

“Ah, no?”.

“No, portati qualcuno pure tu. Mario mi sembra proprio bisognoso di coccole, facci un pensierino”.

“Lo farò” lo presi in giro, giusto per deviare l’attenzione su altri colleghi.

Detto ciò si alzò con un “Bella chiacchierata”, alzò il pollice e uscì, dicendomi che dopo avrebbe letto gli appunti che gli avrei lasciato.

Quando sentii il rumore della porta che si era chiusa, la realtà mi piombò addosso.

Nel giro di tre giorni avrei avuto una camera d’hotel doppia tutta per me, una camera super lussuosa, in un hotel con spa e Luca, per uno scherzo del destino, aveva la domenica libera.

Andai in panico, e non perché lui sembrava il tipo che di fronte a una simile congiunzione astrale mi avrebbe proposto insistentemente di fare qualcosa, più che altro perché io non sapevo cosa volessi.

Ero preoccupata, quando Luca mi stava vicino perdevo il controllo e temevo che, lasciandomi andare, qualcuno ci avrebbe scoperti.

Il mio cervello, in un secondo, mi propinò scene in cui qualche ragazzino non si sa come ci vedeva, o qualche membro del team inglese, in cui non potevamo tutelarci...

E fu la fine della mia pace.

 

“Raggiungimi qui”.

Non so come ero riuscita a starmene per i fatti miei dicendo che nel tempo libero avrei cercato una libreria mentre Luca già se ne era andato, raggiungendo il posto di cui mi aveva inviato la localizzazione.

Era a trecento metri da me, così, a malincuore obbedii e seguii il percorso, più che altro perché non sapevo cosa fare.

Saverio ci avrebbe parlato quella sera della sua storia con Nadia e io ero ancora indecisa su cosa fare.

“Eccoti!”.

Non ebbi nemmeno il tempo di dire qualcosa che Luca mi stava stringendo a sé con una dolcezza mai vista, in un modo che quasi mi faceva scomparire tra le sue enormi e salde braccia.

“Ehi” sussurrai, quando ci ritrovammo faccia  a faccia.

“Finalmente soli!”.

Sembrava decisamente su di giri, entusiasta e mi guardava in attesa.

“Ti va di prendere qualcosa da bere?” propose.

Era così emozionato e trepidante che mi sentivo in colpa per il mio stato d’animo non proprio adatto all’occasione.

Annuii e mi sentii strana quando mi prese per mano, conducendomi fino ad un bar a un centinaio di metri da dove eravamo.

Quel gesto mi mise ansia, lui sembrava troppo coinvolto nonostante ci fossimo solo dati qualche bacio e io, nel momento in cui stavamo per entrare nel locale, esitai.

Cosa dovevo fare?

Non sapevo bene cosa, ma non volevo assolutamente passare per pazza.

“Luca, non pensi che stiamo correndo troppo?” domandai, con un nodo in gola che quasi mi impediva di parlare.

Lentamente, separai le nostre mani e mi sentii mortificata quando lui mi guardò senza capire.

“Cosa?”.

“Sì, insomma...”.

“Alice, stiamo andando a prendere qualcosa al bar” mi ricordò gentilmente.

“Ho paura, Luca” ammisi quindi, non riuscendo a guardarlo in faccia.

“Paura?”.

Non potevo vederlo ma suonava sorpreso e intimorito.

“Di cosa?”.

“Di tutto! Che ci scoprano, di rimanere delusa per qualcosa, di...”.

“Di metterti in gioco” concluse lui per me. “Guardami, Alice”.

Trepidante, alzai il volto e vidi tanta amarezza dipinta sul suo volto.

“Non devi cacciare scuse se hai cambiato idea o hai visto che non ti interesso, non siamo bambini” esclamò, sforzandosi di essere pacato.

Feci un cenno negativo. “No! Non è questo... Tu sei capace di farmi stare tranquilla e serena, stamattina non credevo ai miei occhi quando sei venuto in camera, è che...”.

Mi bloccai.

Tradire Saverio o passare per pazza?

Lui avrebbe comunque detto la verità a tutti, no, quella sera? Che senso aveva non spiegare l’origine di quel caos se comunque nel giro di poche ore lo avrebbe scoperto?

“Stamattina, in sala riunione, ho beccato... Saverio e Nadia. Si baciavano...”.

“Cosa?”.

“Sì. Saverio ce lo dirà stasera, lui e Nadia sembrano avere intenzioni serie, si trovano bene, ma tutto ciò che io ho visto in quel momento è stato qualcuno che scopriva me e te nella stessa situazione e qui nessuno dei due è il capo, nessuno ci può tutelare, hai sentito Saverio”.

Luca sembrava scioccato, confuso, si portava la mano alla testa, mi guardava incredulo.

“Hai capito che... Io non ne valgo la pena”.

“Luca, non dire così... Sono andata in panico!”.

“E io sono qui per questo! Se ti va possiamo essere l’uno l’ancora dell’altro, se hai qualche preoccupazione io sono qui per te” disse, quasi sussurrando.

Mi si avvicinò, mi prese per mano e mi strinse a sè gentilmente, accarezzandomi pacatamente la schiena.

“Io amo il mio lavoro come te, Alice, ma solo starti vicino lo rende migliore” sussurrò al mio orecchio.

Non riuscii a trattenermi, non ero tranquilla nonostante i suoi tentativi, così mi separai gentilmente e ci guardammo.

“Stai per piangere...?” domandò, esitante.

“Io... Se devo esserci voglio esserci dentro fino al collo, per ora non me la sento” dissi, con un’orribile voce nasale.

Luca lasciò ogni contatto e sospirò.

“Come vuoi, Alice. Calmati, ci vediamo a cena” esclamò, senza insistere o senza pregarmi.

Lentamente si allontanò da me, fece qualche passo, si voltò in mia direzione e poi continuò a guardare avanti, mentre io maledicevo ogni singola cellula del mio corpo che mi rendeva così nervosa e sensibile.

Che bel compleanno.

 

Tutti, a cena, sembravano allegri e tranquilli.

Mi cantarono per l’ennesima volta “Tanti auguri!”, tanto che i ragazzi di vari gruppi mi si avvicinarono e mi fecero gli auguri a loro volta.

Io ovviamente fingevo di stare calma e Luca sembrava ancora più coinvolto dai suoi ragazzi, Nadia mi lanciava delle occhiate ansiose ed io mi sforzavo di sorriderle e Saverio sembrava innaturalmente giocherellone.

Non vedevo l’ora di tornare in camera e dormire ma, ovviamente, c’era la riunione serale, prevista per le dieci.

I GL erano già nella sala riunioni con Elena e Saverio perché stavano organizzando la divisione delle camere una volta giunti in hotel ad Oxford ed io, Mario e Giada non avevamo niente da fare nell’arco di tempo precedente all’incontro, così mi andai a fare una doccia e alle 21.45 ero fuori all’edificio con loro.

“Alice, è successa una cosa carinissima!” mi accolse Giada, seduta su una panchina.

“Cosa?” mi informai, prendendo posto al suo fianco.

Mario se ne stava seduto davanti a noi e sembrava a sua volta piacevolmente animato da quel misterioso accaduto. “Lo abbiamo appena saputo, è successo oggi. Hai presente Mirko, quello della squadra di Luca?”.

“Sì, quello che ballava con Enzo, no?”.

“Esattamente! Praticamente oggi Luca lo ha incontrato durante il tempo libero, tutto solo... Si è confidato e gli ha detto di avere una cotta per Enzo ma temeva di esporsi”.

“Sì!” continuò Giada. “Luca gli ha detto di non pensare alle conseguenze, di vivere il momento, di dare retta ai suoi sentimenti... Lo ha aiutato, ha chiamato Enzo dicendolo di venire ad coffee shop, così lui si è ritrovato Mirko, li ha lasciati parlare e li abbiamo beccati vicini in pullman, abbracciati!”.

“Noo, che carini!” esclamai, desiderando in cuore mio di avere la stessa leggerezza e voglia di mettersi in gioco di due adolescenti.

“Sì, abbiamo la prima coppietta, mi sa!”.

“E’ appena finita la prima settimana, ora spunteranno come i funghi” disse profeticamente Mario, con l’aria di chi la sapeva lunga e io mi chiesi se sapesse di Saverio e Nadia visto che sembrava essergli molto amico.

“Non c’è cosa più romantica di una storia vissuta in una vacanza studio” sospirò Giada, quasi con gli occhi che le brillavano. “La consapevolezza di avere poco tempo a meno che non si abiti vicini o sia pronti a una storia a distanza amplifica il tutto di dieci volte, i sentimenti sono più veri che mai, si vive bene ogni istante...”.

Presi il cellulare e finsi di aver ricevuto un messaggio, troppo  emotiva per sentire quel discorso.

Mi sentivo in colpa come non mai, pensavo a Luca, al mio essere un po’ troppo rigida e paurosa...

Lui aveva dato dei consigli preziosi ad un ragazzo che li aveva seguiti e ora aveva al suo fianco colui per cui si era beccato una cotta, mentre io me ne stavo così, immobile, persa nella teoria e nell’astratto di varie possibilità.

Nel giro di pochi minuti lo vidi uscire dall’edificio con il resto dello staff, che sembrava parecchio provato e stanco.

Lo guardai e lui mi rivolse un breve cenno, prima di scroccare una sigaretta a Saverio.

“Tu fumi?” domandò Clara, incredula, mentre accendeva a sua volta una sigaretta.

Luca scrollò le spalle. “Occasionalmente, non ho il vizio ma ogni tanto mi rilassa” spiegò.

“Ragazzi, pausa sigaretta e poi riunione, ho una cosa da dirvi” disse Saverio, concitato.

Guardai Nadia e la vidi quasi sobbalzare al solo pensiero, così mi avvicinai a lei e con una scusa ci allontanammo un po’ dal gruppo.

“Andrà bene” sussurrai.

Lei mi guardò e si torturò le mani, incerta.

“Mi odio. Mi sono messa in una situazione...” boccheggiò, alzando gli occhi al cielo.

“Nadia, se ho capito bene ci tieni a lui, vero?” domandai.

“Molto. Non lo so, mi sembra di conoscerlo da secoli e... Alice, mi fa sentire al sicuro, rispettata, mi credi?” chiese.

“Sì, Nadia, e sono felice per voi”.

“Scusami per oggi, chissà che avrai pensato...”.

Mi lasciai scappare una risata e lei mi imitò, poi le passai un braccio attorno la spalla e lei mi sorrise, un po’ più serena.

 

Appurato ciò che c’era da fare in vista del London Eye e dell’organizzazione degli ultimi dettagli per Oxford, Saverio si prese una pausa e guardò Nadia.

Tutti erano con le energie al minimo, poco reattivi, e probabilmente il capo se ne rese conto.

Si avvicinò alla group leader, la strinse a sé e, senza darle il tempo di muoversi, le stampò un bacio in bocca.

Le reazioni furono prevedibili: Clara scattò in avanti, aguzzando la vista, Salvatore quasi si strozzò con una birra, Luca sobbalzò e poi mi guardò impercettibilmente, Elena si portò una mano alla bocca, Giada disse: “Eeeeeeh?” e Mario gongolò soddisfatto dicendo: “Lo sapevo!”.

Quando si separò da Nadia ci guardò, annuendo.

“Sì, abbiamo una storia da due giorni. Sì, va contro le regole... Ma oggi Alice ci ha beccato e abbiamo deciso di rendere partecipe tutto il gruppo perché sappiamo che ci sosterrete, basta non farlo sapere agli altri team”.

Rossa in volto – e non per il blush – Nadia annuì timidamente.

“Ci troviamo bene e non sarà una cosa passeggera, ecco perché ve ne parliamo. E sono stata io ad iniziare il tutto, Saverio è stato sulle sue” spiegò, alzandosi e prendendo la mano del direttore tra le sue.

Quel gesto mi fece commuovere e pensai a quando, poche ore prima, Luca aveva fatto lo stesso con me.

“E braviiii!” urlò Mario, gettandosi addosso ai due, seguito da Clara ed Elena.

Salvatore era evidentemente sotto shock e Luca sembrava indeciso sul da farsi, alla fine optò per una pacca sulla spalla e una frase di circostanza, salvo poi sedersi di nuovo e prendersi a sua volta una delle varie birre avanzate dalla sera prima.

“Mi hanno fatto un bel regalo di compleanno” ironizzai io, facendo ridere tutti, mentre, dentro di me, non mi andava proprio di ridere.

 

*°*°*°*

Dopo secoli sono di nuovo qui, scusate.

Non aggiorno da quasi due mesi ma ho un motivo ben preciso: a metà settembre sono stata convocata come insegnante di spagnolo e ho realizzato il mio “sogno”, mi sono trasferita dalla Campania all’Emilia Romagna e piano piano ho raggiunto la cattedra completa, inizialmente la situazione era precaria perché avevo poche ore... Quindi tra trasferimenti, treni, ricerca della casa, il lavoro e tutto il resto non avevo la tranquillità e il tempo per aggiornare.

Ora sono qui, con uno dei miei capitoli preferiti e spero davvero che vi sia piaciuto, ci tengo molto.

Non abbandonerò Alice, piano piano aggiornerò e continuerò a scrivere, ora sono al capitolo 10.

Che ne dite? Fatemi sapere :D

Ecco uno spoiler per farmi perdonare ehhe:

“Dipende, non so se Saverio mi cerca” dissi, riluttante, spostandomi di qualche passo.

“Non ci ha detto nulla...”.

Luca, hello! Welcome to the kitchen lab!” esclamò Paula, nel suo inglese che non esitava a celare l’accento spagnolo.

Vedendola così entusiasta mi irrigidii.

“Ma, dopotutto, se Saverio mi vuole me lo farà sapere” conclusi, tornando al mio posto.

 

A presto <3

Milly.

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Capitolo 8
*** Day 8: Pasticci e Pasticcieri ***


8pasticci

Capitolo 8

Day 8: Pasticci e Pasticcieri

 

Non ero tranquilla e non ne capii il motivo visto che come al solito avevo agito seguendo la logica e ciò che mi sentivo di fare e mi faceva sentire più al sicuro.

A fine riunione avevo visto Nadia sorridere a Saverio mentre lui le porgeva un bicchiere di acqua e quella stupida immagine non mi si toglieva dalla mente.

Un gesto così, semplice, può dire tante cose: lui vuole prendersi cura di lei, lei è felice di averlo al suo fianco.

Il gruppo mi aveva sorpreso, quando ce ne eravamo andati, durante il breve percorso che ci separava dai vari edifici in cui alloggiavamo, tutti avevano detto parole carine e dolci, nessuno aveva sparlato della nuova coppietta che si era creata.

Probabilmente era in quel momento che tutto il castello di convinzioni che mi portavo dietro crollò silenziosamente, facendomi venire mille dubbi.

Ovviamente io e Luca alloggiavamo nell’edificio E, così, senza dire nulla, ci eravamo ritirati insieme: lui aveva preso la chiave, aprendo il portone principale, e mi aveva fatto passare con gentilezza prima di avviarsi verso la sua camera e dirmi un semplice “Buonanotte”.

Non ero serena, mi ero voltata almeno un paio di volte senza vederlo dietro di me e mi dissi che ero davvero una gran stupida.

Davvero pretendevo che mi seguisse dopo il modo in cui mi ero comportata?

Stendermi a letto, quel letto dove ci eravamo coccolati poco più di dodici ore prima, fu una tortura perché mi sembrava ancora di sentire il suo cuore battere forte mentre mi stringeva.

Il mio problema, alla fine, era stato l’eventuale giudizio altrui, non l’eventuale valutazione negativa, e ora che avevo avuto la prova della fiducia del gruppo ero più serena e mi tormentavo per ciò che non avevo.

Non mi cambiai, non mi struccai, non feci nulla per minuti interi fino ad appurare che, se volevo agire, dovevo farlo in fretta visto che mancavano quindici minuti alle ventitré.

Presi un bel respiro ed uscii dalla stanza, pronta a scendere al piano sottostante.

 

Non ricordo precisamente come mi ritrovai di fronte alla  stanza E18, ma bussai rapidamente, sperando che nessuno dei ragazzi si affacciasse.

Ero nervosa, trepidante, emozionata, ma anche spaventata e intimorita.

Da questo momento tutto sarebbe cambiato, in positivo o negativo, e avrei dovuto facci i conti una volta per tutte.

Luca aprì la porta nel giro di pochi istanti e quando mi vide assunse un’aria interrogativa, mentre io volevo sprofondare sotto terra perché se ne stava solo con dei pantaloncini, con la sua pancetta in bella vista e i capelli un po’ umidi.

Rapidamente, si affacciò, vide che non c’era nessuno e mi fece segno di entrare senza dire nulla, evidentemente per non far sentire a nessuno le nostre voci.

“Scusami per l’improvvisata, lo so che è tardi e che starai morendo di sonno, sarò breve” dissi subito, con aria di scuse.

Mi ci volle uno sforzo enorme per non balbettare e deconcentrarmi vista la situazione.

“Dimmi” si limitò a dire, tuttavia gentile come sempre.

Mi guardai le scarpe per guadagnare tempo ma poi capii di dover risultare decisa, così lo guardai.

“Sono una stupida. Oggi sono andata in panico... Ho sbagliato, lo so. Mi è bastato vedere Nadia e Saverio così tranquilli e i ragazzi che li supportavano per capire che temevo solo eventuali loro reazioni. E’ un’idiozia, lo so, e ciò ti farà cambiare ancora più idea su di me ma dovevo dirtelo. Non ci parliamo da otto ore e ciò ha avuto un impatto negativo sulla mia giornata. Scusami per oggi” dissi, seppur indugiando ed esitando di tanto in tanto.

Lui mi ascoltò, le braccia incrociate, lo sguardo deciso, e si limitò a dire un: “Ok”.

“Ok? Non hai altro da dire...?”.

Luca scrollò le spalle e con mia somma sorpresa accennò un sorriso amaro.

“Hai detto che sono io quello che ha sempre fatto tutto, quindi ora lascio fare a te” decretò.

“E infatti ti ho detto cosa mi è successo, perché mi sono comportata così...”.

“Ed io ho capito”.

“E non hai nulla da dire...?”.

“Mi sono scocciato di dire, Alice”.

“Va bene. Buonanotte...” sbottai, dandogli le spalle e dirigendomi di nuovo verso la porta, salvo poi fermarmi e rivoltarmi. “Anzi, no! No! Non me ne se vado non mi dici qualcosa in più che “ok”, se stasera dobbiamo chiuderla qui voglio che sia con una spiegazione, come ho fatto io oggi” esclamai decisa, non pronta a vedere il ricordo di Luca scivolare via dai miei ricordi.

Luca mi si avvicinò, facendomi ritrovare stretta contro la porta.

Ricordare che solo quella mattina ci eravamo abbracciati in quella posizione mi fece male al cuore.

“Voglio vederti agire, Alice, non hai capito? Come mi hai detto qualche giorno fa? Che una persona non può capire le intenzioni di qualcuno, le deve sapere ed io non posso capire cosa vuoi da me se non me lo dimostri!” spiegò supplichevole, senza smettere di respirare in una maniera così accelerata che sentivo il suo fiato sul suo collo.

“Io voglio passare questi giorni con te, averti al mio fianco quando è possibile perché ho capito che non me ne frega degli altri ma solo di ciò che tu pensi di me”.

“Sono stato male oggi” mormorò, togliendosi dei capelli umidi dalla fronte.

“Scusami...”.

“Ma se servirà a stare bene ora non me ne frega” aggiunse cautamente, cingendomi la vita con le mani e avvicinandomi a sé.

Volevo agire, in quel momento, subito, con urgenza, così lo attirai a me a mia volta appoggiando le mani sul suo viso e lo baciai, sentendo le farfalle nello stomaco quando lui rispose subito al mio gesto e schiuse le labbra per consentirmi di approfondire il contatto.

Ci ritrovammo schiacciati contro la porta, io lo stringevo a me mentre gli accarezzavo il petto e lui faceva vagare la mano sui miei fianchi, al di sotto della maglietta.

In quel momento capii che non mi importava di nulla se non di vivere ogni momento possibile con lui mentre svolgevo il mio lavoro di mediatrice, ero pronta a mettermi in gioco con tutta me stessa perché ne valeva decisamente la pena.

“Vedi? Ci siamo solo noi, gli altri non esistono” sussurrò mentre mi lasciava una scia di baci tra la guancia e la spalla, insistendo sul collo, cosa che ormai sapeva che apprezzavo particolarmente.

“Siamo solo noi” ribadii, al settimo cielo.

“Maledetta, ora non mi farai dormire...” disse, seppur sorridendo e senza mollare la presa sui miei fianchi.

Con l’altra mano disegnò il contorno del mio viso, mi accarezzò i capelli, senza smettere di guardarmi come se fossi un quadro che apprezzava fin troppo.

“E se dormissi qui?” azzardai, presa dall’enfasi del momento.

Lo vidi disorientato, quasi impaurito, cosi feci un cenno col capo.

“Che idiota, ti darei fastidio, già ieri si è dormito poco...” borbottai, rossa in volto per la figuraccia.

“No! Alice, non dire stupidaggini! E’ che... Insomma, averti al mio fianco tutta la notte mi farebbe fare pensieri non proprio casti e, insomma, non voglio che tu pensi che...”.

“Luca, sono una donna adulta, consenziente ed attratta da te e a tua volta non mi stai rendendo le cose facili visto che sei mezzo nudo” ironizzai, accennando con lo sguardo al suo torace. “Non diciamoci stupidaggini, insomma, mi sembra palese che nella nostra situazione qualcosa scatterà per la volontà di entrambi! Non devi trattenerti con me, sii te stesso e... Non è male sapere che mi desideri” aggiunsi, stringendomi a lui.

Si calò su di me, sorpreso come non mai, e mi baciò con passione mentre tracciava il profilo della mia sagoma.

“Ti desidero, Alice, probabilmente da quando ti ho visto” disse deciso.

“Anche io... Da quando ci siamo urlati cose a caso sotto la pioggia, probabilmente” ridacchiai.

Continuavamo a baciarci come due adolescenti, finimmo sul letto con io che lo sovrastavo e, senza controllarmi, lasciai che mi togliesse la maglietta.

Mi guardò con sorpresa e dolcezza prima di attirarmi a sé e farmi stendere al suo fianco, così ci ritrovammo viso contro viso, pelle contro pelle.

“Se ti fa piacere in hotel, domenica, ho la camera deluxe...” la buttai lì, senza riuscire a trattenere quell’informazione.

Mi sentivo troppo audace, il sentirmi desiderata e coccolata faceva decisamente bene alla mia predisposizione nei suoi confronti in quella situazione e, ovviamente, il fatto che lui si stesse comportando in maniera gentile contribuiva non poco.

“Non era di Saverio?” chiese, incredulo.

“No, me l’ha ceduta per aver salvato la gita”.

“Mi farebbe piacere, anche se magari finiamo a dormire come due vecchi per la stanchezza” ironizzò.

“Ma io infatti mi riferivo a questo” lo presi in giro.

Fu bello vederlo ridere di gusto, genuinamente, mentre mi prendeva una mano e la intrecciava alla sua.

Quel gesto mi fece rabbrividire in senso positivo e mi fece rilassare del tutto, tanto che chiusi gli occhi.

“Cinque minuti e me ne vado” promisi.

“Puoi rimanere anche fino al sedici luglio. E non lo dico perché sei senza maglietta” mi rassicurò, prendendo la mia t-shirt e porgendomela con gentilezza.

La indossai di nuovo, senza sapere cosa dire, mentre lui si stendeva meglio e mi faceva segno di accoccolarmi sul suo petto.

Decisi di assecondarlo, tolsi le scarpe e mi appoggiai sentendo, di nuovo, il suo battito.

 

Quella mattina ringraziai il mio orologio biologico che alle sei e un quarto mi fece riaprire gli occhi.

Luca era al mio fianco, con i capelli ormai asciutti e un po’ crespi, forse per la mancanza di gel o spazzola, sempre senza maglietta, che mi stringeva a sé in un modo che mi fece battere forte il cuore.

Erano anni che non mi svegliavo così, dalla vacanza a Madrid con il mio ex.

“Luca... Scusami, corro in camera mia” sussurrai dolcemente, senza riuscire ancora a togliere la sua mano che mi cingeva la vita.

Lui aprì gli occhi e mi sorrise, per poi mettersi a sedere con gli occhi ancora impastati dal sonno.

“Ci siamo addormentati” constatò, sbadigliando.

“Sì, e decisamente in fretta. Questo lavoro...”.

“Ci mette k.o., maledizione”.

“Oggi niente escursione, magari ci va meglio”.

“Lo spero...”.

Mi alzai, stiracchiandomi, e lui mi imitò, per poi abbracciarmi con dolcezza da dietro.

“Sarà dura fare finta di niente” sospirò, stringendomi con decisione.

Chiusi gli occhi, beandomi di quel contatto, e poi mi voltai, trovando il suo volto di fronte al mio che mi scrutava, quasi con curiosità.

“Ricorda in che condizioni sono appena sveglia e sarà più facile” ironizzai, meritandomi uno sguardo di pura disapprovazione.

 

 

Più la gita ad Oxford si avvicinava e più spuntavano i problemi dal punto di vista amministrativo e ovviamente Saverio non era in sé.

Quel giovedì mattina mi trascinò in lungo e in largo per i vari uffici e fui costretta a sorbirmi tutti i battibecchi con gli inglesi.

Saverio arrabbiato che doveva controllarsi di essere educato era un vero spettacolo: mentre ascoltava si tratteneva dal fare smorfie, stringeva i pugni e se doveva alzare gli occhi al cielo si girava per qualche secondo per non darlo a vedere.

“Deficienti incapaci” sbottò quindi a metà mattinata, mentre il cortile dell’istituto si riempiva di ragazzi che avevano finalmente la tanto agognata pausa.

“Abbiamo fatto il possibile, Saverio, andrà bene” lo rassicurai.

“Sì ma non è tollerabile lo stesso, prima l’hotel, poi il pullman, ora un casino per la cena del sabato ad Oxford! Non si può lavorare così!”.

“Hai ragione...”.

“Ovvio che ho ragione”.

Stizzita, non aggiunsi altro.

“Ho bisogno di caffè, lo vuoi?” domandò, quando passammo davanti a Luca e Nadia che chiacchieravano tra loro mentre sorvegliavano dei ragazzi che se ne stavano seduti su delle panchine.

“No, grazie. Perché non te lo prendi con Nadia? Posso guardare io i ragazzi, non stanno facendo niente di che” mi offrii volontaria.

“Alice, il mio rapporto con Nadia non deve cambiare lo status quo delle cose, sta svolgendo il suo lavoro” mi ricordò, tuttavia con una nota di amarezza nella voce.

“Hai ragione. Allora ve lo vado a prendere io, ve lo porto e lo bevete mentre fate due chiacchiere qui, in cortile, così ti calmi” stabilii e, senza dire altro, mi dileguai, mentre lui mi diceva che ero impazzita.

Da dove usciva quella disponibilità? Era un gesto davvero altruista?

Sì, o, almeno, quasi.

Capivo perfettamente il dilemma di Saverio, la voglia di trascorrere del tempo con Nadia, volevo aiutarli perché mi rivedevo in loro e avrei tanto voluto passare del tempo con Luca semplicemente per avere una vera conversazione con lui.

Non ci conoscevamo, davvero, per nulla!

Cosa faceva a Napoli?

Studiava, lavorava?

Aveva dei fratelli?

Qual era il suo sogno?

Mi ripromisi di dare una risposta a queste domande al più presto, quel giorno, mentre ordinavo i caffè e li portavo in cortile.

Nadia mi guardò, stupita, mentre Saverio scuoteva il capo con disapprovazione – ma era evidentemente divertito – ed io facevo segno a Luca di seguirmi.

Lui mi guardò in maniera interrogativa quando ci sedemmo su una panchina dal lato opposto del cortile, vicino a dei ragazzi che si scattavano dei selfie e ridevano come matti.

“Saverio ha sbottato di grosso con gli inglesi quindi lo faccio calmare un attimo. Mi ringrazierete tutti” puntualizzai.

Luca levò un sopracciglio e mi fissò.

“Che magnanima che sei” commentò, falsamente lusinghiero.

“Vero?”.

“Dai, dillo che era una scusa...”.

“Per cosa?”.

“Per passare del tempo con me, qui, nell’angolo più remoto del cortile con dei ragazzi così presi dalle foto che non si accorgerebbero nemmeno se ci buttassimo l’uno addosso all’altra” osservò, appoggiando una mano sulla panchina e sfiorando impercettibilmente la mia mano, che avvicinai ancora di più alla sua.

“Sì, ma non mi sembra che tu ti stia lamentando” lo punzecchiai.

“Assolutamente no. E dovrei rimproverarti...”.

Lo guardai interrogativa, più seria del dovuto e lui comprese di dover essere più specifico perché avvicinò la bocca al mio orecchio e sussurrò: “...Perché se chiudo gli occhi ho impressa l’immagine di te senza maglia”.

Rabbrividii e mi fu difficile mantenere la calma mentre se ne stava a pochi centimetri da me, con il suo dopobarba dal profumo che apprezzavo fin troppo e il suo ginocchio che sfiorava il mio.

Mi alzai di scatto e lui sembrava divertito dalla cosa.

“Così non ci arriviamo vivi a stasera, signorino” sbottai, puntandogli l’indice contro.

“No, hai ragione. Facciamo così” disse serio, agitando le mani in maniera quasi convulsa mentre sembrava articolare chissà quale pensiero, “A fine pausa io e gli altri andiamo a controllare che tutti siano in classe. Io fingerò di metterci un po’ di più e ci incontriamo nei bagni del quarto piano, nessuno si trova mai in quella zona”.

“Saverio mi cercherà subito... Ho del lavoro da finire. A differenza mia tu sei più autonomo, io praticamente gli vivo dietro” sospirai, cercando di non immaginarci mentre pomiciavamo come selvaggi in un posto squallido come il bagno.

“Allora a pranzo” tentò, “Magari non in un bagno” si corresse, evidentemente comprendendo dalla mia espressione che non era l’ideale.

“Vedremo” mormorai, prima di ridere vista la sua espressione dubbiosa e insicura.

 

 

“Stasera serata recitazione e ovviamente noi saremo i primi a dare il buon esempio” esclamò Mario a ora di pranzo, interrompendo il silenzio misto a qualche precoce sbadiglio.

“In che senso?” domandò Clara, prima di mangiare una manciata di patatine fritte, seguita da un mormorio di assenso.

Mario era evidentemente felice per la suspense ottenuta perché gongolò soddisfatto e si strofinò le mani con fare diabolico.

“Avete presente quando, a Miss Italia, le concorrenti vedono la scena di un film e devono imitarla con degli attori?”.

“Ma chi cazzo vede Miss Italia?” borbottò Salvatore.

“Salvo, ma c’è una cosa che ti rende felice?” chiese Giada, dubbiosa, facendoci ridere tutti.

Salvatore non rispose, preso alla sprovvista, e Mario ne approfittò per continuare il discorso. “Dicevo, anche i ragazzi vedranno una scena e a turno dovranno imitarla. Inizieremo noi con una scena di gruppo, dai! Suggerimenti?”.

“Una scena che coinvolga tutti? Mi sembra impossibile” osservò Nadia, “Siamo troppi”.

“Esatto, magari meglio tre scene con massimo tre persone a testa” propose Elena.

“Ma tutti insieme era più divertente” mise il broncio l’activity leader, incrociando le braccia.

“L’esperto sei tu, dai, dicci cosa stavi pensando” si intromise Saverio, piuttosto severo, come a voler dire che non dovevamo osare intrometterci visto che ognuno aveva il proprio ambito e nessuno doveva interferire con il campo degli altri.

“Lo scoprirete tra qualche ora! Oggi i ragazzi hanno i vari laboratori quindi saranno con gli inglesi e gli spagnoli e noi possiamo prenderci un’oretta per provare”.

“Tradotto: non ne hai ancora idea” ridacchiò Elena, dandogli una pacca sulla spalla con aria ilare.

Per tutta risposta, Mario prese il bicchiere di acqua ormai vuoto e fece finta di rovesciarglielo in testa, facendo davvero scivolare qualche residuo di acqua tra i capelli.

“Mario, deve esserci qualcuno a sorvegliare i ragazzi! Nel caso succedesse qualcosa sarebbe la loro parola contro la nostra” gli ricordò Saverio pazientemente.

“Posso farlo io” mi offrii.

“E anche io” disse Giada.

“Non volete partecipare?” domandò Mario, imbronciato.

“Possiamo fare delle comparse! Così partecipiamo ma diamo comunque uno sguardo ai ragazzi”.

“Esatto!” le diedi man forte, più che altro sollevata dal non dover partecipare a qualche scenetta dopo essermi messa in gioco con la salsa.

Mario non parve convinto e felice ma Saverio sì, infatti ci diede l’ok e disse che dalle quattro alle cinque toccava a noi fare qualche giro tra i ragazzi.

 

 

Vedere Luca che giocava a calcio con i ragazzi nell’ora libera prima dell’inizio dei laboratori mi fece sentire strana.

Me ne stavo seduta sul prato con Giada, Salvatore faceva l’arbitro, Nadia e Clara parlavano con alcuni loro ragazzi, Saverio ne approfittava per riposarsi un po’ sull’erba e Mario e Elena controllavano dei documenti.

La giornata era abbastanza calda, io indossavo una semplice maglia di cotone e quasi mi sentivo sudare.

Luca non sembrava fregarsene della temperatura, correva agilmente da una parte del prato all’altra, rubava la palla ai ragazzi più grossi e la passava ai più minuti, io lo guardavo, esasiata, e mi rendevo conto di non sapere nemmeno cosa facesse in Italia, quando non lavorava come group leader.

Era una sensazione strana per me, perché avevo sempre catalogato qualcuno in base alle sue passioni, al suo lavoro, ai suoi gusti messi in confronto ai miei...

Era ciò che mi aiutava a fare una lista, a vedere i pro e i contro, ad analizzare tutto per capire la compatibilità.

Questa volta stavo avendo a che fare con una scatola chiusa e, tuttavia, la cosa mi piaceva perché non sentivo pressioni di alcun tipo.

Tuttavia, volevo provare a saperne di più su di lui, scoprire eventuali cose che avevamo in comune e riderci su, volevo davvero sentirmi ancora più connessa a lui.

Lo vidi passare la palla a un ragazzo di massimo quindici anni che prese l’occasione al volo, trovandosi vicino la porta, tirò e fece goal con la gioia della sua squadra che esultò, facendo scatenare un enorme boato.

Felice, Luca gli corse incontro, lo sollevò e se lo trascinò così per qualche decina di metri, poi lo lasciò agli amici che gli si gettarono addosso e, sudato, corse verso la parte di campo in cui c’ero io e si tolse la malgietta, lanciandomela.

Sorpresa, spalancai gli occhi e vidi che mi guardava sforzandosi di sembrare normale ma sapevo che fosse una cosa mirata, studiata, con il fine di ottenere qualche effetto su di me.

“Hai un vizio, eh? Lo hai fatto anche il primo giorno” dissi, falsamente disinvolta.

“Sì. Ne sono cambiate di cose, eh” rispose, falsamente vago. “Cristian, dammi il cambio, entra il campo!” gridò in direzione di un ragazzone alto almeno un metro e ottanta che scattò su, emozionato ed esultante.

Prese posto al mio fianco mentre gli tendevo la maglietta, la prese e lanciò un’occhiata a Giada che se ne stava al mio fianco.

“Stanco? Dopo venti minuti al massimo?” lo presi in giro, sforzandomi di guardargli il viso e non il torso nudo.

Si voltò verso di me – si vedeva lontano un miglio che si stava sforzando di comportarsi normalmente senza dare nell’occhio – si passò la lingua sulle labbra e scrollò le spalle. “Conservo delle energie, non si sa mai, qui”.

“Addirittura?”.

“Mentre voi fate gli scemi vado a farmi un caffè, sperando che nessuno si faccia male”.

La voce di Giada ci riportò alla realtà e ridemmo per mascherare l’evidente nervosismo.

La vedemmo allontanarsi in direzione della caffetteria per poi voltarci l’uno verso l’altro.

“Pensi di provocarmi?” sussurrai, rigida.

“Ci sto riuscendo?”.

“Pensa solo che potrei fare lo stesso con te”.

“Non vedo l’ora”.

La tensione tra noi era palpabile, di sicuro ci saremmo buttati l’uno sull’altra in quel momento se non avessimo avuto tutti quegli spettatori.

“Inventiamo di dover fare il bucato, ora, i laboratori iniziano tra trentacinque minuti” mi supplicò in un soffio, deciso.

“Cosa? Saverio non ci lascerà mai andare!”.

“Proviamoci. Lo facciamo davvero, ma almeno possiamo starcene un po’ in pace, sto impazzendo senza poterti nemmeno sfiorare o parlarti apertamente senza dovermi trattenere”.

“Luca...”.

Ma fu inutile, in tre secondi lo vidi alzarsi e raggiungere Saverio, il quale si era svegliato e guardava i ragazzi giocare.

Il capo esitò, guardò l’orologio, mormorò qualcosa e poi Luca se ne andò, vittorioso.

“Andiamo, alle quattro meno cinque dobbiamo essere di nuovo qui” disse, quando fu abbastanza vicino.

Incredula, mi alzai, presa da un’ondata di giubilo, e corremmo in direzione del campus senza riuscirci a contenere.

Luca era a pochi passi da me, quando fummo abbastanza lontani da tutti si voltò e mi prese per mano, con sicurezza.

C’era il sole pomeridiano che ci faceva da sfondo, gli rendeva i capelli scuri leggermente ramati, in modo da farlo sembrare il prototipo umano di qualcosa di divino.

“Quanto sei bello” mi lasciai sfuggire, senza potermi trattenere oltre, e avvertii la stretta di mano aumentare.

Sembrava imbarazzato, tuttavia fissò il suo sguardo su di me e mormorò: “Senti chi parla”.

Non dicemmo altro, emozionati, quasi corremmo per prendere i nostri vestiti e portarli in lavanderia, dove c’erano le apposite lavatrici che avrebbero lavorato al posto nostro.

“Questo posto mi ricorda una scena di Friends” dissi, mentre lui dosava il detersivo con cura.

“Oh, quella in cui Rachel e Ross vanno in lavanderia e lei non sa come fare il bucato?” domandò, per poi selezionare le modalità di lavaggio.

“Sì! Lei lo bacia e lui va contro non so cosa e cade... Ho sempre amato quella sitcom, in inverno vedevo gli episodi mentre bevevo cioccolata calda o mangiavo biscotti, mentre fuori pioveva, e mi sentivo al sicuro” confessai.

“Io lo vedevo con mia nonna!” disse, nostalgico. “Spesso andavo a fare i compiti da lei e prima che iniziasse un episodio mi portava pane e nutella, non del semplice pane, quello appena sfornato da lei, e mi diceva “muoviti che mo’ iniziano i sei amici, a’ nonna”. Amava Joey, ovviamente”.

“Che bello, avrai dei ricordi magnifici! La mia viveva a Sorrento e la vedevo poco, l’altra è morta prima della mia nascita”.

Luca annuì e non so come ci ritrovammo seduti sui gradini di ingresso della lavanderia, deserta a quell’ora del primo pomeriggio.

C’era un gran silenzio, l’unico rumore in sottofondo era quello della lavatrice in funzione.

“Sì, diceva che ero il suo nipotino prediletto, guai a chi mi toccava. Amavo vederla cucinare gli struffoli, la pastiera, i casatelli, la delizia al limone... Preferivo questo ai compiti, onestamente, sarà per questo che sono un pasticciere. Mi dispiace per le tue nonne...”.

Scrollai le spalle, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“Almeno non ho sofferto per il distacco, dai. Quindi sei pasticciere? Wow! E’ assurdo, ti conosco da una settimana e non sapevo che mestiere facessi!” dissi, stupita.

Immaginai Luca vestito di bianco, coperto da farina, mentre decorava dei dolci con grande impegno e sorrisi spontaneamente.

“Abbiamo parlato di altro” minimizzò. “Sorpresa?”.

“Un po’. Non so perché ma vedendo quanto sei bravo con i ragazzi ti immaginavo tipo educatore, professore di educazione fisica, oppure maestro” rivelai, immaginandolo dietro una cattedra, con il solito sorriso che lo distingueva, mentre chiamava qualcuno alla lavagna.

“Ma dai! Maestro, io! Ho fatto l’albeghiero e non mi hanno bocciato solo perché ero bravissimo in cucina, in italiano e in inglese, per il resto non ero per nulla brillante. Non volevo nemmeno proseguire oltre la qualifica del terzo anno, pensa! Poi mi hanno convinto a proseguire, ho avuto soddisfazioni, e a diciannove anni ho iniziato a lavorare” spiegò.

“E, scusa, cosa ci fai qui, allora?”.

“Ho cambiato luogo di lavoro... Lavoravo in una pasticceria al Vomero dove ormai non mi trovavo bene, era come se fossi il dirigente del laboratorio dove facevamo delle sperimentazioni ma sottopagato. Mi sono scocciato e ho scoperto che in una pasticceria che apprezzavo molto, vicino al Teatro San Carlo, cercava un nuovo dirigente per rinnovare un po’ il menù, dopo non so quante prove mi hanno detto che da fine agosto mi avrebbero assunto, ho firmato il contratto, mi sono licenziato... Ed eccomi qui per guadagnare qualcosa nel frattempo”.

Più Luca parlava, più volevo sapere qualcosa in più sulla sua vita.

Il ragazzo con cui inizialmente mi ero scontrata, quello che mi aveva fatto arrabbiare varie volte, ora era lì, seduto di fronte a me, sincero.

Me l’ero presa quando mi aveva detto che dovevo abituarmi ai loro ritmi e non sapevo che in realtà per lui svegliarsi alle sei e trenta era quasi un privilegio, abituato com’era ad essere a lavoro già alle cinque.

Lavorava da sei anni, sei anni passati così, senza orari decenti, ma alimentati dalla passione per ciò che faceva, ed io in quella prima settimana mi ero lamentata per la stanchezza, io che stavo lavorando per la prima volta in vita mia.

“Mi sento stupida” ammisi quindi, deglutendo.

“Per cosa?” chiese, senza capire.

Lentamente, passò un braccio attorno alle mie spalle, mi strinse a sè e poi mi guardò come se fossi un quadro interessante.

“Me la sono presa con te quando mi dicesti che dovevo abituarmi ai ritmi... Non sapevo del tuo lavoro, di tutte le ore che passi in pasticceria, io...”.

“Alice” mi interruppe, appoggiando l’indice sulla mia bocca. “Facciamo due mestieri diversi, abbiamo esperienze diverse, pensi che io all’inizio fossi contento di svegliarmi alle quattro, dover andare a dormire presto, rinunciare alle uscite con gli amici? Ci si abitua e ti auguro di non dover più fare questi orari”.

“Ti ammiro” dissi senza giri di parole, presa dal suo racconto.

“E io ammiro te. Quando ti vedevo tradurre ciò che diceva Javi sembravi così entusiasta, fiera, piena di energie... Non nascondevo che pensavo che fosse dovuto anche a lui” ridacchiò.

“Gelosone”.

“Ha parlato quella che se mi vedeva parlare con Paula andava in tilt...”.

Non ce ne rendemmo conto ma il tempo volò, la centrifuga finì e ci rassegnammo ad appoggiare i vestiti vicino le nostre finiestre per farli asciugare visto che non avevamo trenta minuti di tempo per l’asciugatrice.

Sulla via del ritorno, alle quattro meno dieci, Luca mi trascinò dietro un edificio pieno di alberi e cespugli e mi ritrovai stretta contro un muro con lui che mi stringeva a sé.

“Come devo fare con te? Il tempo vola, hai questa capacità di non farmi rendere conto del tempo che passa, vorrei passare ore ed ore con te” sussurrò, per poi abbracciarmi. “Mi piace parlare con te, scoprire nuove cose...”.

“Lo so... Stasera, dopo la riunione, vieni da me” dissi, decisa.

“Non vedo l’ora”.

Ci baciammo, era un bacio colmo di urgenza, desiderio, un bacio che voleva suggellare ciò che ci eravamo detti e che voleva confermare che sì, ci trovavamo bene, e non solo fisicamente.

Io sentivo di essere sulla via del non ritorno, ero sempre più attratta da quel ragazzo e il pensiero di incontrarlo quella sera, senza fretta e pressioni, mi emozionava sempre di più.

 

Fu un pomeriggio sereno, senza pressioni. Io e Giada ci divertimmo un mondo ad andare in giro per i laboratori, notammo che ormai eravamo delle figure di riferimento per i ragazzi nonostante non fossimo delle group leader.

Ci acclamarono come se fossimo degli ospiti d’onore, durante il laboratorio di cucina notai che molti ci tenevano a farmi assaggiare piatti tipici spagnoli da loro preparati, come se io potessi dare un giudizio più valido rispetto a Paula e Alejandro.

Paula si guardava intorno, sorpresa di vedere me e la dottoressa al posto di Luca e gli altri, infatti, mentre i ragazzi si adoperavano per provare a fare la crema catalana, mi si avvicinò e mi chiese dov’era Luca.

Quando le risposi che era alle prove con il resto dello staff annuì e si allontanò, dubbiosa.

Dal canto mio, serena più che mai – Luca aveva ragione, era Paula ad essere ossessionata da lui – aiutai i ragazzi a destreggiarsi con i vari ingredienti con piacere.

Ci fu un coro di “Alice! Alice, vieni un secondo?” che si ripeteva ogni due minuti e Alejandro ne era soddisfatto perché non era molto bravo in cucina e spesso invece di aiutare era un disastro.

C’era chi, a quattordici anni, non aveva mai cucinato un uovo, chi non sapeva dosare gli ingredienti, ed io ero lì, pronta a dare una mano nel mio piccolo.

Pensavo a cosa avrebbe detto Luca nel vedermi così, in vesti che erano più sue che mie, sperai che tornasse presto.

Alle cinque, eccolo lì, che varcò la soglia della cucina gentilmente offerta dal college, con il solito sorrisone stampato in faccia e l’immancabile maglia rossa addosso.

In quel momento io ero troppo presa dall’aiutare Lino, un diciassettenne alto e di statura abbastanza grossa, che aveva combinato non so quanti casini in quella prima ora.

“Guarda, è semplice, rompere un uovo non fa schifo, dai!” stavo dicendo, dovendo iniziare dall’inizio perché aveva rovesciato il contenuto della sua ciotola per terra, senza volerlo, e io gli avevo dato una mano a pulire.

“Lo so, ma a casa mia abbiamo una cameriera, i miei viaggiano sempre” spiegò, rattristito.

Dai vestiti e dalle scarpe super costose e dai viaggi che gli avevo sentito nominare in quei giorni potevo dedurre quanto Lino fosse ricco.

“E fatti insegnare qualcosa, è divertente” lo spronai.

Presi due uova, le ruppi entrambe, poi gli diedi lo zucchero e gli dissi di pesare la giusta quantità.

“Mi rubi il mestiere, mediatrice?” disse Luca, fingendosi arrabbiato.

“Alice sarebbe un’ottima group leader!” rispose Lino, ovviamente non potendo capire a cosa si riferisse sul serio Luca.

“Ecco, vedi? Zitto”.

“No, no, continua” ridacchiò, divertito.

“Dipende, non so se Saverio mi cerca” dissi, riluttante, spostandomi di qualche passo.

“Non ci ha detto nulla...”.

Luca, hello! Welcome to the kitchen lab!” esclamò Paula, nel suo inglese che non esitava a celare l’accento spagnolo.

Vedendola così entusiasta mi irrigidii.

“Ma, dopotutto, se Saverio mi vuole me lo farà sapere” conclusi, tornando al mio posto.

Vidi Luca quasi trattenere una risata seguita da un’occhiata che stava a dire “Calmati” per poi informarsi su cosa stavamo cucinando.

Non disse il suo mestiere, come evidentemente non lo aveva detto durante il primo laboratorio di cucina, quello in cui Paula gli aveva palpato il sedere e lo aveva invitato in camera sua, forse per non porsi in una situazione di superiorità.

Entrambi ci occupammo di Lino, gli insegnammo le cose basilari e l’aiuto di Luca fu fondamentale per fare tutto nella sola ora restante.

Vederlo così dedito al lavoro, mentre faceva battute che facevano ridere Lino e lo incoraggiavano, mi fece realizzare ancora di più in che grande pasticcio mi stavo cacciando.

Un gran bel pasticcio, dolce, di quelli che mangeresti a volontà senza fermarti, nemmeno in nome della decenza.

 

 

Alla fine avevamo recitato una scena carina tratta da “La vita è bella” – quella della celebre “Maria, la chiave!” – e per rendere il tutto più divertente Saverio e Nadia avevano rappresentato i protagonisti.

Luca e Mario avevano interpretato il dottore che dice al protagonista “Sette minuti!” e il signore del cappello, noi altri eravamo delle semplici comparse.

I ragazzi si impegnarono per interpretare al meglio scene tratte da Grease, Titanic, High School Musical e probabilmente fu la serata più riuscita di tutte.

Erano felici, tanto che prima di andarsene avevano voluto cantare delle canzoni tratte dai musical che gli avevamo fatto interpretare ed io mi lasciai prendere la mano e diedi il mio contributo a “Summer Nights”, sentendola un po’ mia.

La riunione fu più allegra del solito, eravamo tutti soddisfatti e in più guardavamo con gli occhi a cuoricini Saverio che casualmente passava il braccio attorno alle spalle di Nadia o le cedeva il bicchiere di birra.

Poi, quando per magia il capo disse “Va bene, è tutto, possiamo andare”, verso le undici, io e Luca fummo i primi a scattare dalla sedia.

Ci eravamo seduti vicini sullo stesso divano e ci eravamo sfiorati così tante volte senza volerlo che, nei piccoli momenti di caos o distrazione generale, ci eravamo scambiati occhiate fugaci.

Corremmo verso l’edificio E a passo svelto, timorosi di un eventuale problema che avrebbe potuto indurci a dividerci, e appena ci ritrovammo in un corridoio vuoto gli sussurrai all’orecchio: “Camera mia”.

Luca mi guardò e sorrise, quasi incredulo, per poi abbracciarmi da dietro e stringersi a me.

“Non vedo l’ora...”.

Come due bambini che scappano dall’asilo, entrammo nel corridoio della mia stanza, silenziosi, aprii la porta mentre mi guardavo in giro e appena si aprì lo gettai dentro, così che male che andasse le ragazze del mio piano avrebbero visto solo me.

Quando mi chiusi la porta alle mie spalle, vidi che Luca stava chiudendo le tendine della finestra.

“E perché le chiudi? Sta per succedere qualcosa di scandaloso?” domandai, fingendomi tonta.

“Sì, tanto, tanto scandaloso” replicò lui, avvicinandosi a me in modo da trovarci faccia a faccia, respiro contro respiro.

“Oggi è stato bellissimo parlare, scoprire cose nuove su di te” sussurrai, accarezzandogli il volto con tutta la dolcezza che sentivo dentro di me.

“Sì! Mi sembrava di conoscerti da anni, sarà che hai parenti Campani...”.

“Ma che c’entra, scemo”.

“Scemo?”.

“Sì, scemo”.

“Hai ragione, sono proprio scemo. Qui, in una camera, con una collega, di notte, contro le regole...”.

Si calò su di me, mi baciò e poi si separò, guardandomi negli occhi.

“Siamo scemi, tanto, ma chi se ne frega...” gli diedi man forte, prima di attirarlo a me con decisione.

Sembravamo avere una sorta di accordo tacito, eravamo sulla stessa lunghezza d’onda: volevamo di più, avevamo perso due giorni, avevamo l’urgenza di conoscerci più a fondo.

In quel momento smisero le chiacchiere e, dopo un’intera giornata, passammo all’azione dopo provocazioni, occhiate, frasi sussurrate all’orecchio.

Non mi era mai successo prima di quel momento ma Luca aveva la capacità di mandarmi fuori controllo semplicemente toccandomi, attirandomi a sè, sfiorandomi una parte a caso del mio corpo.

Mi tolsi la maglietta e lui mi imitò, per poi far sì che mi ancorassi a lui e trascinandomi sul letto, dove passò a dedicarsi con fin troppa dovizia allo spazio compreso tra il mio collo e il mio seno mentre io, impaziente, riuscivo finalmente a tastare senza vergogna quel sedere perfetto che si ritrovava.

“Complimenti” borbottai, sentendomi audace più che mai.

“Complimenti a te, sei magnifica, mi stai mandando in tilt...”.

Un po’ più energica, mi misi a sedere e presi il suo volto tra le mani, lo ribaciai senza esitare nemmeno un istante e poi condussi le sue mani sul gancetto del reggiseno.

Comprese l’invito e obbedì, slacciandolo, poi ci separammo e mi vide togliermelo lentamente.

“Alice, mi sembra scontato ma preferisco chiederlo, vuoi...?”.

“Sì” lo interruppi subito, decisa.

Gettai il reggiseno per aria, mi sbottonai i jeans e lui mi aiutò a sfilarmeli, poi lo aiutai a sua volta a fare lo stesso con i suoi.

Era visibilmente eccitato e la cosa mi lusingava, possibile che riuscissi a sortire un simile effetto su un ragazzo che ritenevo molto più affascinante e bello di me?

Luca era dolcissimo ma passionale, mi faceva sentire desiderata, rispettata.

Mi sfilò il resto dell’intimo con delicatezza, toccandomi in un modo tale da farmi desiderare di più, sempre di più, tanto da ridurmi ad uno stato frenetico in cui non volevo altro che unirmi a lui.

Lo attirai su di me con decisione, senza smettere di baciarlo, toccarlo, lasciarmi toccare con decisione, quando un suono fastidioso ci fece sussultare.

Luca spalancò gli occhi, sbuffò, si mise a sedere di malavoglia mentre diceva “Cazzo, il mio telefono...”.

Con l’aria di chi è infastidito ma teme il peggio ripescò il cellulare dai pantaloni che se ne stavano sulla moquette e disse “Cazzo, è Saverio!” pieno di terrore.

Si schiarì la voce, rispose subito, ma non ebbe nemmeno il tempo di dire “Saverio, dimmi” che lui lo interruppe con un fiume di parole.

Io lo guardavo, lui così, solo in boxer, alzato, inquieto, ed io che iniziavo a sentire freddo e mi coprivo col lenzuolo.

Luca staccò la telefonata, nero in volto, il respiro pesante.

“Che è successo?” domandai, preoccupata.

Luca si infilò la maglia in mezzo secondo e poi mi guardò, con aria funebre.

“Uno della mia squadra, Giulio, si è rotto un braccio. Dobbiamo correre all’ospedale”.

 *°*°*°*

Scusatemi, come al solito la vita da "adulta" tra lavoro, casa e mille cose da fare prende il sopravvento ma alla fine aggiorno sempre :D

Allora, capitolo interessante!

Alice capisce il suo "errore" e fa un passo indietro, Luca comprende tutto e passano un pomeriggio piacevole, conosciamo qualche dettaglio in più sulla vita di Luca e a fine giornata... Eheh.

Poverini, sono stati sfortunati.

Cosa succederà ora?

Fatemi sapere che ne pensate!
Grazie a chi continua a leggere <3 

a presto (dico davvero!)

Milly.

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Capitolo 9
*** Day 9: Distrazione, Attrazione ***


9alice
Capitolo 9 

Day 9: Distrazione, Attrazione


Fu una lunga notte.

Egoisticamente, pensai, non è stata lunga nel senso che speravo.

Luca mi aggiornava appena poteva con qualche messaggio, ma anche solo arrivare all’ospedale fu un’impresa visto che non eravamo al centro di Londra.

Lui, Saverio e Giada tornarono al college alle quattro e mezza del mattino, morti, con Giulio che si scusava ripetutamente e si dava del cretino, aggiungendo ogni volta dettagli raccapriccianti alla sua caduta mentre correva per il corridoio e poi scivolava.

A notare tutto era stata Clara, che aveva chiamato subito Giada, la quale aveva avvertito Saverio.

“Dove cazzo stavi, Luca, eh? Un po’ di ronda potevi farla, che diamine, non era nemmeno mezzanotte!” gli aveva urlato lui, per poi scusarsi visto che Giulio non dormiva nel suo stesso edificio bensì in quello di Clara.

Quindi, quella mattina, a colazione, Saverio si presentò a tavola per qualche minuto, dicendo che visto che si avvicinava il weekend ad Oxford dovevamo essere tutti riposati allo stesso modo e che Luca e Giada avrebbero dormito fino a mezzogiorno.

“Saverio, vai a dormire anche tu” disse subito Elena, posandogli affettuosamente una mano sul braccio, “Qui ci penso io”.

“Elena, sono il coordinatore, non dire idiozie”.

“Da stanco non ci servi, onestamente. Vai, ci vediamo a pranzo” insisté, “Dimmi solo le scadenze di oggi”.

Saverio sembrava deciso a rimanere, poi si lasciò convincere, ci diede degli ordini, disse a Salvatore e a Nadia di dividersi la squadra di Luca per portarla a lezione e mi chiese di aiutare i ragazzi con qualsiasi necessità, di conseguenza avrei svolto i miei compiti da mediatrice quel pomeriggio.

Annuii, rassicurante, e gli dissi a mia volta di andare a dormire.

 

Rividi Luca quando mancavano circa dieci minuti a mezzogiorno, mentre me ne stavo per i corridoi per controllare che tutto fosse ok e che nessuno dei ragazzi desse fastidio durante le lezioni.

Mi piaceva fare la group leader per una volta, lo trovavo divertente, i ragazzi mi chiedevano informazioni e mi facevano sentire apprezzata per quel che facevo. Era un lavoro diverso rispetto allo stare chiusa tutto il pomeriggio o la mattina in una stanza, davanti al pc, con Saverio che veniva a controllarmi.

“Ehi!” sussurrai quando mi ritrovai Luca a pochi passi di distanza da me.

Lui, che esibiva occhiaie non proprio piacevoli da vedere, mi sorrise e aprì la porta di un’aula vuota, facendomi segno di raggiungerlo rapidamente.

Provai a non ricordare la situazione decisamente bollente in cui ci eravamo ritrovati la sera prima ma mi fu impossibile nel momento in cui mi ritrovai stretta a lui, con il suo dolce respiro sul suo collo.

Alzai lo sguardo e lo baciai, godendomi ogni istante, sentendomi bene con me stessa quando lui schiudeva le labbra per approfondire il bacio e mi stringeva come era solito fare, deciso ma comunque delicato, in un modo che non saprei descrivere.

Era una stretta che sembrava voler dire sia “Sono qui per te” sia “Quanto mi sei mancata, starei così tutto il giorno”.

“Come sta Giulio?” chiesi.

“Ora bene. La madre è furiosa, però. Dice che era mio compito stare lì e sorvegliare il figlio per evitare che ciò accadesse...”.

“Ma era dopo le attività,  Luca. Anche se avessi fatto la ronda comunque avresti potuto essere in un altro posto, lui non sta nel tuo edificio”.

“La madre non può saperlo, Alice. Ho sbagliato, mi sono distratto...”.

D’istinto, mi ritrassi dalla sua presa e alzai le mani, colpita dalla durezza di quelle parole.

Non potevo fare a meno di sentirmi anche colpevole perché mentre noi stavamo disobbedendo alle regole principali del nostro lavoro un ragazzino si era fatto male.

Certo, aveva disobbedito anche lui, ma l’equipe della vacanza studio prevedeva un medico per questi casi mentre per il nostro caso particolare non c’era una figura pronta a rimediare al casino che stavamo combinando.

“Non ti distrarrò più” esclamai.

“Alice, non dire idiozie. Non sto incolpando te!” sussurrò deciso, attirandomi di nuovo a sé cingendomi la vita con entrambe le braccia. “In più Saverio ci dice di fare la ronda solo quando c’è caos e stando a Clara ieri l’edificio era tranquillo e lo era anche il nostro. E’ solo che, comprendimi, questo lavoro mi piace, i ragazzi mi vogliono bene e se vedo uno di loro in ospedale con un braccio rotto mi sento uno schifo”.

Aveva l’aria triste, non era allegro e spensierato come sempre, mi faceva tenerezza.

“Domani andiamo ad Oxford e domenica hai il giorno libero...” replicai per tirarlo su, circondandogli il collo con le braccia e lasciandogli una serie di baci sul viso fino ad arrivare alle labbra. Lo sentii rilassarsi e stringersi di più a me per poi lasciare che la mano vagasse sotto la mia maglietta. “Io avrò la camera deluxe...” aggiunsi.

Per tutta risposta, non so come, mi ritrovai stretta contro il muro con Luca che mi baciava intensamente, come se non facesse altro da tutta la vita, mi sussurrava parole dolci all’orecchio, regalandomi dei brividi di eccitazione lungo la schiena.

“Sarà dura lavorare ancora di più dopo lo spettacolo che ho visto stanotte” borbottò quando si decise a separarsi da me ed io protestai internamente.

“Lavora bene e non fare casini così non ti disturbano e lo spettacolo può continuare” lo presi in giro mentre mi sistemavo la maglietta che ormai mi arrivava all’altezza del reggiseno.

“Stasera no, purtroppo” sospirò, passandosi una mano tra i capelli, come per aggiustarli. “Voglio fare la ronda visto che domani a mezzanotte sarò libero”.

“Ovvio, mi riferivo a domani” mi affrettai a ribadire, rossissima in volto per tutta quella malizia che stavo esprimendo con mia somma sorpresa.

Tendevo ad aprirmi così tanto solo quando raggiungevo un livello di confidenza ed initmità altissimo invece con Luca mi veniva decisamente naturale nonostante ci conoscessimo da poco più di una settimana.

“Ti giuro che vorrei passare da te stasera”.

“Luca, siamo qui per lavorare” gli ricordai, ricomponendomi, per poi fargli cenno di uscire dall’aula e che io lo avrei seguito.

Con passo  trascinato, come se gli costasse lasciare il comfort dell’aula, annuì e se ne andò ma non lo fece prima di correre verso di me, baciarmi un’ultima volta e sorridermi come era solito fare.

Dal canto mio, imbambolata, con le gambe molli, impiegai qualche istante per riprendermi, farmi coraggio e uscire, proprio mentre la campanella annunciava la fine delle lezioni.

 

Ad ora di pranzo Giada mi raccontò nei dettagli la nottataccia in ospedale, la paura che aveva provato nel vedere il suo incubo peggiore avverarsi, la forza che aveva cercato di infondere al ragazzo e a Saverio che, nonostante tutto, non era una roccia come voleva sembrare.

Dietro il trentenne deciso, a tratti duro, a volte un po’ dispotico e strafottente si celava un uomo sensibile e premuroso, dedito al suo lavoro.

Se avessi dovuto immaginare Saverio, Luca, Giada e Giulio in taxi durante la corsa in ospedale avrei immaginato di tutto tranne Saverio che chiedeva a Giulio di stare tranquillo e cercava di consolarlo stringendolo a sé per quanto il braccio rotto glielo consentisse.

Incredula, quando ascoltai questa versione dei fatti, mi voltai e vidi il capo mangiare svogliatamente mentre Nadia sembrava sussurrargli parole dolci e incoraggianti.

“E’ una persona d’oro” constatai, quasi commossa.

“Sì. E’ stato deciso ma premuroso, ci ha portato il caffè, ha rimproverato Luca ma poi gli ha detto che capiva la situazione, è stato group leader anche lui, queste cose succedono sempre”.

Annuii, cercando di immaginare la scena, ma riuscivo solo a ricordare il momento in cui ero vulnerabile e accaldata tra le braccia di Luca e avevo egoisticamente maledetto il cellulare che squillava.

“Però è stato bello sostituirvi, oggi. Cioè, non frinterdermi, per gli altri sarà stato brutto dover badare a più ragazzi del solito ma io ho scoperto che mi piace fare la group leader” ammisi. “Le ragazze che mi guardavano con più fiducia e mi raccontavano cose personali mi hanno messo di buonumore, poi, oh, è figo dare qualche ordine e vederli che scattano per obbedire”.

“Sì, ti ci vedo come group leader, solo che sei troppo sensibile”.

“Eh?”.

“Ma sì, dai, sei troppo beneducata e pacata, con questi ci vogliono le maniera forti! Vero, Elena?”.

“Cosa?”.

“Alice è troppo buona per fare la group leader”.

“Temo di sì. Meglio come mediatrice culturale”.

Mi finsi offesa ma con mio sommo stupore Luca intervenne nella discussione con un cipiglio divertito.

“Avete ragione, Alice è troppo buona e sensibile! Solo che è anche quella che il primo giorno ha convinto Chiara a non avere paura del corso di spagnolo, ha spiegato a Lino come fare la crema catalana con tanta pazienza... Ispira fiducia e questa è la prima qualità per una persona responsabile di un gruppo di minorenni” mi difese, per poi guardarmi in un modo che mi mise in soggezione.

Per una parte di me lo diceva perché voleva fare ulteriormente colpo, l’altra pensò che fosse adorabile e resistette all’impulso di stringerlo forte  a me lì, a pranzo, davanti a tutti.

“Ne parli come se fossi cotto” ridacchiò Elena, guardandoci incuriosita.

“Ma infatti”.

“Sono solo oggettivo e debitore, mi ha aiutato tante volte” ribadì Luca, alzando le mani e poi tornando a dedicarsi al suo pranzo.

Io, imbambolata, invece di pensare a qualcosa di concreto pensavo a come definire Luca in relazione a me.

Amante? Ma no!

Ragazzo? Ovvio che no!

Ragazzo che frequentavo? No...

Lui era Luca, semplicemente Luca, e sapevo che dopo quell’esperienza quel nome avrebbe assunto il significato connesso a una determinata categoria di uomini.

Quale, di preciso?

Non potevo ancora saperlo, il tempo mi avrebbe aiutato a trovare tutte le risposte piano piano, passo dopo passo, momento dopo momento trascorso con lui.

Magari il giorno dopo, ad Oxford, saremmo finiti a letto insieme per poi concludere tutto una volta appagata quella passione che ci divorava ma a me non interessava assolutamente visto che quel ragazzo mi stava facendo sentire bene come non mi succedeva da tempo.

Il mio difetto era sempre stato badare alle relazioni in base al futuro e alle qualità di tempo trascorsa insieme, non “perdere tempo” con qualcuno se la situazione non mi sembrava favorevole a qualche sviluppo sin da subito, essere troppo riflessiva.

Quanti ragazzi mi avevano attratto ma non erano stati presi in considerazione solo perché erano degli evidenti casi difficili da gestire?

Avevo sempre cercato la sicurezza, la noia, la voglia di sentirsi al sicuro e protetta perdendomi il brivido dell’incertezza e dell’avventura.

Luca, per me, in quel momento della mia vita, era tutto ciò, era il pass per uscire dalla comfort zone e dalle mie certezze per tuffarmi in un nuovo mondo fatto di insicurezze ma brividi ed eccitazione.

In più, sembrava rispettarmi e comprendermi come pochi avevano fatto prima di lui.

Per questo, senza sapere cosa dire o fare dopo quel suo slancio di gentilezza, optai per un sorriso in sua direzione e tornai al mio pranzo.

 

Ovviamente il pomeriggio, a circa sedici ore dalla partenza per Oxford, toccò a me stare vicino a Saverio e aiutarlo con il planning degli ultimi dettagli.

Lui era evidentemente provato dalla stanchezza, sbadigliava, aveva gli occhi lucidi e spesso si appoggiava sulla poltrona ad occhi chiusi mentre parlavo per spiegargli qualcosa.

“Se mi dai una lista di cose da fare provvedo a tutto con Elena e te ne vai a dormire” lo implorai dopo due ore di sbadigli e imprechi.

“Non c’è nessuna lista. Dobbiamo solo ricontrollare tutto per filo e per segno!”.

“E allora va tutto bene perché abbiamo confermato il pullman per andata e ritorno, i posti in hotel con cena e pranzo inclusi e le escursioni da fare, abbiamo prenotato la sala conferenze per il ballo di sabato sera... E’ tutto sotto controllo”.

“Abbiamo dimenticato qualcosa” insisté lui, incrociando le braccia.

“Saverio sei stanco e sei paranoico, è tutto ok, fidati di me”.

“E se succede qualche casino, Alice? Dico all’azienda “Mi sono fidato di Alice Sebastiani, venticinquenne alla prima esperienza lavorativa?”, che ne pensi?” sbottò, come se avessi detto un’assurdità.

Incredula, mi inalberai – sia letteralmente alzando il busto con il petto all’infuori che metaforicamete – e sbattei un pugno sul tavolo con decisione, facendolo sobbalzare.

“A quanto pare l’esperienza non garantisce nulla visto che qui al comando ci sei tu con vari anni di lavoro alle spalle eppure è toccato a me sistemare i tuoi guai” replicai freddamente, per poi alzarmi con aria quasi teatrale e uscire a passo svelto dall’ufficio, con la testa in cui mi rimbombava Ora ti licenzia, ora ti licenzia, ora ti licenzia!

Passai davanti a Mario ed Elena che mi guardarono allibiti, evidentemente dopo aver ascoltato la conversazione visto i nostri toni non proprio pacati, e andai verso l’uscita dell’edificio.

Ovviamente pioveva, così fui costretta a rimanere nell’atrio.

Ero offesa, davvero avevo dato l’anima a Saverio in quei nove giorni, mi ero ammazzata la vista per stare ore al pc a leggere e tradurre mille email, avevo corso dietro lui e la Rosales per far sì che si comprendessero (e avevo anche contribuito a fargli fare bella figura perché in certe occasioni avevo smorzato i suoi toni un po’ maleducati mentre traducevo ciò che mi diceva) e avevo presenziato a noiosissime riunioni.

Come se non bastasse, avevo salvato la gita che si sarebbe tenuta il giorno dopo, avevo contribuito alla serata salsa, avevo coperto il lavoro dei group leader sia durante il laboratorio di cucina che quella mattina...

Tutti facevano un solo lavoro lì, io ne facevo almeno tre!

E no, venivo trattata male perché ero una neolaureata alla prima esperienza!

Perché avevo descritto Saverio come una persona d’oro ad ora di pranzo? Cosa avevo fumato, di grazia?

La stanchezza di quei giorni mi si caricò addosso come un carico di polvere da sparo, mi sentivo elettrica, fumante, pronta ad esplodere.

Che dovevo fare? Mancava un’ora alla cena, Saverio non mi aveva richiamato, io ero soddisfatta della mia sfuriata ma la parte responsabile del mio cervello mi dava della stupida.

Ero immersa nelle mille considerazioni quando vidi Giulio passarmi vicino.

Mi guardò, esitante, senza sapere cosa dire o fare visto che non avevamo confidenza ed evintemente io per lui ero semplicemente “quella che traduce quando ci sono gli spagnoli”.

“Giulio, ciao, come stai?” mi informai subito.

Era un ragazzino snello, biondo, con grandi occhiali con la montatura nera e l’aria svagata.

Sembrò quasi sorpreso nel vedere che lo conoscevo, tanto che esitò prima di mormorare un “bene” accompagnato da una scrollata di spalle.

“Non sei ai laboratori?”.

“Non è possibile farli per me, con un braccio rotto non posso fare nulla”.

“Vuoi che ti faccia compagnia?” mi offrii.

“Ho detto a Luca che andavo in bagno e sarei tornato presto”.

“Se ti va posso avvisarlo io”.

Giulio esitò poi annuì.

“Mi sembri simpatica” commentò, continuando a scrutarmi, “Va bene”.

Gli sorrisi e inviai un messaggio a Luca in cui gli comunicavo tutto, poi gli feci cenno di prendere posto dietro un banchetto posto a pochi metri da noi.

“Ti prego, non chiedermi del braccio” disse subito, supplichevole come non mai.

“No, figurati. Immagino tu sia stanco di parlarne”.

“Non stanco ma umiliato. Tutti hanno lavorato il doppio a causa mia” sbottò, melodrammatico. “E io sono il tipo di ragazzo che non causa mai problemi”.

“Non parlare di problemi, queste cose succedono in vacanza studio, ecco perché abbiamo anche un dottore nello staff” puntualizzai, pacata.

“Non mi importa, tutti mi trattano come uno scemo e ho visto che tutti avete dovuto sostituire Luca. Già a casa...” si zittì, scuotendo la testa e quasi mordendosi la lingua.

Immaginai tante parole pensate ma non espresse, magari aveva una situazione familiare non proprio idilliaca e i genitori avevano deciso di mandarlo qui per concedergli due settimane di pace dallo stress dell’ambiente familiare.

“Giulio, è tutto ok. Qui succedono dieci cose al secondo, tra qualche ora l’attenzione sarà su qualcun altro” lo rassicurai, sentendomi improvvisamente raddolcita da quel ragazzino dall’aria spaurita.

“Sembri sincera”.

“Lo sono”.

“Alice, che fai con Giulio?”.

Sobbalzai, ritrovandomi alle spalle Saverio e Luca che ci osservavano.

“Non può fare nessun laboratorio così...”.

“Così niente. Giulio, vai con Luca. Alice, abbiamo del lavoro da terminare”.

Cosa fare? Obiettare?

Discutere davanti a Giulio, che magari avrebbe travisato il tutto e pensato che eravamo ai ferri corti a causa sua?

Mi voltai verso il ragazzo e gli sorrisi, felice di vederlo ricambiare mentre si apprestava a seguire il suo group leader, per poi seguire il mio, di leader, nella buona e nella cattiva sorte.

In effetti quell’esperienza si stava dimostrando un po’ come il matrimonio visto che c’erano momenti meravigliosi e inaspettati seguiti da discussioni aspre, momenti difficili, cose dette in faccia in maniera poco carina seguite da tante scuse e promesse di fare meglio, insieme.

Camminammo in silenzio fino all’ufficio, dove Elena mi guardò incoraggiante.

“Alice, non pensare a questo scemo” disse subito, avvicinandosi e dandomi una carezza sul braccio.

“Elena...”.

“Zitto, Saverio. Lo fai sempre, tutte le volte che incontri un lavoratore valido! Vedi lo scansafatiche di turno? Lo assecondi, lo prendi per il culo, ci giochi a carte insieme al parco durante le escursioni e poi lo mandi a quel paese dando una valutazione negativa. Vedi la persona nella media, normale? Ad esempio, una come Clara? Dai qualche consiglio, qualche rimprovero, stop. Vedi una persona brava? Gli rompi i maroni, ti scontri, gli fai perdere il controllo perché pretendi ancora di più, ma Alice questo non può saperlo, non ancora, almeno, perché sono sicura che continuerete a lavorare insieme” sbottò, accalorata, continuando a mantenere la pressione sul mio braccio.

Era visibilmente stanca, con le occhiaie, forse parlava anche in seguito alla frenesia causata da una giornata assurda, eppure mi sembrava la voce della verità. “Saverio è colui che mi ha fatto patire le pene dell’inferno fino alla scorsa estate, quando poi, con mia somma sorpresa, mi ha segnalato come Team Leader. Credevo mi odiasse...”.

“Ma io ti odio, Elena, è per questo che ti ho dato un lavoro carico di responsabilità”.

“Vedi? Lascialo perdere, tutto ciò che ti ha detto è causato dal fatto che sei bravissima in ciò che fai. Scommetto che quando hai mediato con gli spagnoli hai omesso tante frasi maleducate” disse, con l’aria di chi la sapeva lunga.

“Beh, sì” ammisi, annuendo.

“Ti ringrazio a nome di tutti. Ora, Saverio, come sostiene Alice, abbiamo controllato tutto, dobbiamo solo partire domani”.

Il coordinatore mi guardò, esitante, per poi compiere un gesto decisamente inaspettato: mi diede una pacca sulla spalla, una pacca che si prolungò e divenne un abbraccio.

Mi strinse a sè con fare fraterno, massaggiandomi la schiena.

“Sono felice di averti visto cacciare le palle, prima” mormorò. “Temevo non le avessi. Mi hai fatto svegliare. Grazie”.

“Saverio, ma stai bene?” borbottai, preoccupata.

“No, sono distrutto”.

Si allontanò e mi guardò, serio.

“Ho parlato con Elena e abbiamo concordato che per stasera vado a dormire dopo cena e dopo la riunione.  Alejandro, Javi e George staranno con i ragazzi, Elena andrà a controllare insieme a Mario verso le nove passate... Poi rientreranno per le dieci visto che domani partiamo presto. E’ inutile che vieni alla riunione, stasera, tanto dovrai solo lavorare dal computer per tradurre le email per lunedì”.

“Solo perché abbiamo discusso non devi regalarmi niente” sentenziai, incrociando le braccia.

“Alice, pensi davvero che ti risparmierei qualcosa in un momento di crisi? Non ce ne è bisogno, davvero”.

Non proprio convinta, annuii.

“Vogliamo ripetere tutto il piano della gita per l’ultima volta?” chiesi, incoraggiante.

Saverio mi guardò e poi, dopo aver scambiato un’occhiata con Elena, annuì, facendomi segno di seguirlo.

Obbedii, sentendomi un po’ più tranquilla.

 

Avevamo cenato, Luca aveva preso posto al mio fianco e in brevissimi momenti in cui eravamo da soli in corridoio o nel retro della mensa non aveva esitato a stringermi a sé per qualche istante.

Quella situazione mi faceva sentire frustrata più che mai perché non riuscivo a stargli vicino e poi a far finta di nulla quando tornavamo dagli altri.

Per distrarmi, al rientro in college, avevo parlato con Nadia, mentre Luca e Salvatore si scambiavano informazioni sul nuovo iphone in uscita e litigavano con Mario che era un grande sostenitore di chissà quale marca coreana.

“Ti vedo strana” disse, guardandomi in faccia per quello che le era possibile visto che il sole era tramontato da un pezzo e la luce dei lampioni era un po’ fioca.

“In che senso? Se ti riferisci alla litigata...”.

“No, no” ridacchiò. “Hai fatto bene, davvero. E’ un caso assurdo quell’uomo!” esclamò, passandosi le mani tra i capelli. “Intendo... Non lo so, non sembri quella dei primi giorni”.

“Certo, forse perché sono più esaurita” sghignazzai.

Nadia non rispose, mi guardò a lungo per poi scrollare le spalle, accelerare il passo e infastidire Saverio che se ne stava a pochi passi da noi, dandogli un lieve pugno sulla spalla e dicendo “Lo sai che sei scemo, sì?”.

Vederli così, ironici, complici, mi fece venire la pelle d’oca e il mio sguardo vagò in direzione di Luca che, vedendo ciò, si era voltato a sua volta verso di me.

Mi fissò intensamente, sorrise, io ricambiai l’occhiata e lui, spavaldo, si scusò con Salvatore e mi si avvicinò.

“Ti salti la riunione, eh?” borbottò.

“Ordini superiori” esclamai, alzando le mani.

“Così recuperi sonno...”.

“Sì, non ho di meglio da fare, tanto”.

Lo avevo detto innocentemente, ma apparentemente Luca travisò il significato di quelle parole perché assunse un’espressione maliziosa.

“Giusto, meglio dormire se non si ha un buon motivo per stare svegli”.

“Eh. Io stasera non ce l’ho...”.

Stasera” puntualizzò, e lì lo guardai con un’occhiata assassina, per fargli capire che si stava sbilanciando troppo e che chiunque avrebbe potuto sentirci.

“Vai a fare la ronda, và” dissi quindi, falsamente indifferente.

“Ci vado, ci vado...”.

 

Tutti erano in riunione mentre io mi godevo una bella doccia calda e il profumo dei capelli appena lavati e asciugati con un po’ più di cura del solito, visto che ne avevo l’occasione.

I ragazzi non mancavano di aggiornarmi nel gruppo Whatsapp mandando foto cretine di Clara seduta per terra per chissà quale motivo, Giada seduta sulla poltrona che avevamo condiviso spesso e che fingeva di abbracciare un fantasma, Saverio che mi faceva gestacci...

Era presto per i nostri standard, abituati come eravamo a finire di cenare per le 19.30 e a dedicarci alla serata dalle 20 in poi, era strano essere in riunione ancor prima delle 21.

Avevo appena finito di asciugare i capelli, ancora in accapatoio, quando sentii bussare alla porta.

I ragazzi erano alla serata con gli inglesi e gli spagnoli, ma i miei colleghi erano in riunione, chi poteva mai essere....?

“Domenica sono libero quindi ho partecipato fino alla parte che riguarda sabato e la serata disco finisce per le 22.30...”.

Luca esordì così, entrando rapidamente, per poi prendere il mio volto tra le mani e baciandolo come se non aspettasse altro da ore ed ore.

Indietreggiai, spingendo la porta con una specie di calcio per chiuderla in fretta, per poi sorridere mentre mi baciava e allacciare le braccia attorno al suo collo.

“Che bello, mi ero rassegnata a non vederti fino a domani sera” sussurrai, stringendolo forte a me come se temessi che potesse scappare da un momento all’altro.

“Anche io...”. Mi baciò il collo, risalì verso una guancia, centrò la bocca, per poi giocherellare con il mio accappatoio, indeciso. “Appena mi hanno detto che potevo andare ho pensato a te, non sono nemmeno passato in camera per una doccia”.

“Ma chi se ne frega, la facciamo insieme, magari”.

Ero partita, definitivamente.

Luca era lì, disponibile, senza fretta per quasi due ore, tutto per me, deciso a stare lì, con me, contro ogni regola e responsabilità.

Udendo le mie parole gli si accese lo sguardo in un modo nuovo, eccitato, malizioso.

“Alice...”.

Per tutta risposta condussi la sua mano vicino la cintura in vita dell’accappatoio e gliela feci slacciare, per poi gettare l’indumento per terra e sbrigarmi a spogliarlo.

Percepivo la sua frenesia aumentare, spingersi oltre, finalmente senza ostacoli ed interruzioni.

Assecondò i miei movimenti, per poi aiutarmi finché non si ritrovò a sua volta nudo, bello, deciso, faccia contro faccia, respiro contro respiro.

Eravamo affannati come se avessimo corso per chissà quanti chilometri, l’urgenza si poteva percepire senza equivoci mentre ci toccavamo e assecondavamo i movimenti dell’altro.

Quei pochi giorni in cui ci eravamo avvicinati e stuzzicati si facevano sentire come se avessero avuto la durata di anni ed anni.

Tra di noi c’era una tensione enorme, impossibile da nascondere, anche perché non avevamo assolutamente voglia di giocare e prenderci in giro, lo avevamo fatto fin troppe volte ed era giunto il momento di assaporare l’altro al cento per cento, senza freni e inibizioni.

Stava per succedere, lo sapevamo entrambi, fremevamo perché per tutta la giornata non avevamo fatto altro che pensarci a vicenda, a quello che stava per succedere la sera prima ma che poi non si era più verificato.

Lo attirai su di me, provando un sospiro di sollievo quando avvertii la sua pelle calda a contatto con la mia mentre mi accarezzava il corpo, gentile come sempre seppur impaziente.

Lo baciai un’ultima volta per poi decidermi a fargli spazio tra le mie gambe, senza smettere di mantenere il contatto visivo con lui.

“Luca” dissi semplicemente, mentre si fiondava a baciarmi il seno, lo sterno, quel punto del collo che mi mandava su di giri come non mai per poi unirsi a me, in un modo che dopo pochi secondi mi fece subito sospirare di sollievo.

Ero fin troppo partecipe, mi abbandonai ai miei sensi e arrivai ad incitarlo seppur con toni bassi, cosa che non ero solita fare.

Luca sembrava apprezzare, mi ascoltava, riusciva comunque a essere il solito nonostante la situazione di profonda intimità ed eccitazione.

Mi assecondò, facendomi ritrovare su di lui.

“Sei fantastica... Continua così”.

Mi abbandonai a me stessa, non pensando a nulla che non fosse quel mix di piacere e adrenalina che stavo provando, trovando il mio ritmo e felice di sapere che anche lui stava apprezzando quel gesto, salvo poi ritrovarmi al suo fianco vari minuti dopo, sudata ma decisamente appagata come non mi succedeva da fin troppo tempo.

Non era stata una cosa romantica, non c’erano stati preamboli o frasi fatte, non c’erano promesse, eravamo semplicemente noi stessi, due persone che si conoscevano da nove giorni e che erano a più stretto contatto da soli tre.

“Non ci credo” sussurrai a fatica, cercando di riprendere fiato, sudata e con dei capelli appiccicati contro la fronte.

“Sei... Non ho parole” borbottò lui, stringendomi a sé e lasciandomi un dolce bacio sui capelli.

Mi appoggiai sulla sua spalla, con una mano intrecciata alla sua con una dolcezza inaudita, in un gesto che mi ricordava tanto i tempi dell'adolescenza.

Non avevo aspettative su di lui, non avevo avuto il tempo di pensare a noi come una cosa sola, per una volta tutto si era verificato invece di essere solo immaginato e dovevo dire che preferivo di gran lunga ciò.

Rimanemmo così, pelle contro pelle, con un ricordo memorabile in più riguardo quelle due settimane indimenticabili.

 

*°*°*°

Ritorno col botto!
Sì sono ancora viva – ovviamente mi riferisco a chi ha avuto la pazienza di aspettare questo nuovo capitolo -.

Non so cosa dire se non che la “real life” negli ultimi due mesi ha assorbito tutte le mie energie, che per una volta ho sentito il bisogno di disconnettermi da tutto e di pensare solo all’altro mio mondo, quello quotidiano.

Comunque, sorpresi? Delusi?

Mai due personaggi delle mie storie si sono dati da fare con così tanta rapidità ma Luca e Alice sono due casi a parte, hanno una chimica e una tensione assurda e ciò doveva succedere.

Non so che dire, spero ci sia ancora qualcuno disposto a farmi sapere cosa ne pensa, anche se, sì, non me lo merito xD

Grazie a chi leggerà e continua a seguirmi <3

A presto (promesso!),

milly.

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Capitolo 10
*** Day 10: Confusione ***


10ali

Capitolo 10

Day 10: Confusione

 

“Dovremmo fermarci...”.

“Dovremmo, sì”.

“Davvero...”.

“Ti stai forse annoiando?”.

“No, è questo il problema. Ma abbiamo dormito solo quattro ore e...”.

“Alice, non capisci, per me è un complimento. Vorresti uno che ti faccia andare a dormire dopo due minuti?”.

Spalancai gli occhi, con Luca che se ne stava beato su di me, e lo colpii leggrmente sul braccio.

“Sei uno stupido. Uno stupido che ci sa troppo fare, però...” sospirai, così senza rendermene conto ci stavamo baciando di nuovo, ignari del fatto che nel giro di dieci minuti la sveglia ci avrebbe interrotto.

Luca era andato a controllare i suoi ragazzi, seppur con grande disappunto, dopo le dieci e poi era tornato per le undici visto che era tutto sotto controllo e Saverio gli aveva detto che poteva andare a domire.

Dormire, certo.

Senza nemmeno pensarci ci eravamo ritrovati sotto la minuscola doccia della mia stanza, insieme, e ci eravamo di nuovo lasciati andare, questa volta più consapevoli e sulla stessa onda.

Ci eravamo addormentati verso l’una e alle sei meno qualcosa ci eravamo svegliati, ritrovandoci così, stretti, come se tutto il resto non esistesse.

Avvertii la mano di Luca che esplorava il mio corpo con calma e mi morsi il labbro quando avvertii il suo tocco in un punto eccessivamente sensibile.

“Luca!” sibilai, seppur con gli occhi chiusi e godendomi quella sensazione.

“Lo so che non ti lamenterai” ribadì sicuro lui, continuando indisturbato mentre posava le sue labbra ovunque.

In effetti non mi lamentai affatto, anzi, pochi minuti dopo lo ringraziai con un “Stasera ricambio” che lo fece sghignazzare come un matto.

“No, non devi sentirti obbligata” disse poi, quando si sistemò ai miei lati. “Stasera niente programmi, come ieri: avevamo deciso di non vederci ed eccoci qui...” ribadì, accarezzandomi i capelli con dolcezza.

“In effetti hai ragione. Però dobbiamo andare nella vasca idromassaggio!”.

“Sì. Ti voglio nuda, lì”.

“Vedremo”.

“Ma ci pensi a quanti passi abbiamo fatto in dieci giorni? Se ti avessi incontrato fuori da questo contesto...”.

Si zittì, pensieroso, in un modo che fece risuonare ancora di più il fastidioso rumore della sveglia.

Sapevo perfettamente cosa avrebbe voluto dire: difficilmente una mediatrice e un pasticciere si sarebbero incontrati al di fuori del contesto lavorativo e probabilmente non ci saremmo nemmeno calcolati, pensando di essere troppo diversi.

Invece lì, in un paese straniero, nella fredda Inghilterra, avevamo trovato il nostro punto di incontro, ci eravamo conosciuti e avevamo accelerato tutto, ritrovandoci in quel minuscolo letto insieme.

“Corri, torna nella tua stanza” esclamai, alzandomi di scatto.

Di malavoglia si alzò e cercai di comportarmi in maniera naturale nonostante fosse di schiena, nudo.

Sì – pensai – il suo sedere era ancora meglio al naturale.

Quando si voltò mi girai altrove a mia volta e mi affrettai a rivestirmi, sentendomi decisamente piena di energie e voglia di vivere.

“In pullman ti metti vicino a me? Non c’è niente di male, possiamo condividere le cuffie e sentire la musica insieme...” propose mentre si infilava la polo.

Quel pensiero così dolce, genuino, mi fece sorridere e mi fece accettare di buon grado.

“Come due adolescenti” sottolineai, ricordando i tempi delle gite del liceo, quelli in cui facevamo a gara a chi si siedeva nei sediolini in fondo al pullman, sentendoci super trasgressivi.

“Come due adolescenti, sì”.

Ormai vestito, mi attirò a sè per i fianchi e mi baciò con una dolcezza inaudita, una dolcezza che non credevo possibile dopo quel vortice di passione scatenata in cui ci eravamo buttati.

Ricambiai il bacio, sentendomi al sicuro tra le sue braccia, come se non stessi infrangendo alcuna regola.

“Sono stato benissimo e so che staremo ancora meglio, Alice la Mediatrice” mormorò al mio orecchio, facendomi rabbrividire.

“Anche io, Luca. Una meraviglia” enfatizzai. “Ora però corri che ti beccano, su”.

“Chi mi deve beccare? Sono io il group leader...”.

“Buffone!”.

Ridendo lo spinsi fuori la porta, ma lui si riaffacciò per un ultimo bacio prima di procedere verso le scale che conducevano al suo piano.

Una volta sola mi appiattii contro la porta, con il respiro corto, il battito accelerato, ancora incredula per tutto ciò che era successo nelle ultime otto ore.

 

Il viaggio verso Oxford fu tranquillo, in parte perché eravamo tutti stanchi e provati da tutti quei giorni lavoro e di escursioni.

Saverio e Nadia se ne stavano seduti davanti me e Luca, mentre Clara, Salvatore, Giada, Mario ed Elena erano nell’altro pullman.

Il programma della giornata era abbastanza intenso: arrivo in hotel, sistemazione, pranzo, escursione della città, cena e poi la tanto attesa serata a cui Mario stava lavorando da vari giorni: il Ballo nella sala conferenze dell’hotel.

Secondo Mario  quello era il momento giusto per organizzare un Ballo visto che i ragazzi si conoscevano e i giochi erano fatti visto che mancavano solo quattro giorni al rientro a casa.

Ogni volta che lo diceva mi si stringeva lo stomaco in una morsa dolorosissima ma comunque cercavo di non darlo a vedere e giravo lo sguardo altrove.

Ovviamente, anche noi eravamo invitati a partecipare ed io ringraziai il cielo che mi avessero regalato il vestito azzurro per il mio compleanno dato che non avevo di certo messo in valigia abiti eleganti.

I ragazzi dello staff si erano trovati in difficoltà, ma per fortuna tutti avevano almeno una camicia in valigia e l’avrebbero abbinata a dei semplici pantaloni.

Stavo appunto pensando a quella sera, ai ragazzi vestiti in maniera più elegante del solito, quando dalle cuffie partì “Thinking Out Loud” di Ed Sheeran.

Voltai lo sguardo verso Luca, che mi fece l’occhiolino.

“Stasera la metteranno sicuro” mormorò, togliendosi la cuffia ed io lo imitai.

“Dici?”.

“Ma sì. La ballerai con me?” domandò, imitando una sorta di occhiata da cucciolo.

“Vedremo. Poi magari finisce come l’ultima volta che ti sei prenotato per un ballo” ironizzai, ricordando la serata salsa in cui lui aveva invitato Paula e io ci ero rimasta malissimo.

“Naah”. Si avvicinò al mio orecchio, per non farsi udire dagli altri, e sussurrò: “Tu il sedere lo palpi meglio di Paula. Dai più soddisfazione”.

“Ah, te lo ricordi però, eh”.

“Nella vita si ricordano due cose: quelle belle e quelle brutte, Ali. Mi dispiace” ironizzò.

“E non si ricordano quelle cose che ci lasciano indifferenti quindi, bene o male, un segno te lo ha lasciato” puntualizzai, forse più severa del dovuto.

Lui sgranò gli occhi, sembrava sul punto di dire qualcosa, poi decise di rimanere in silenzio e rimproverò un ragazzo seduto dietro di noi che urlava come un matto perché stava prendendo in giro dei compagni juventini.

Avrei tanto voluto sapere cosa mi stava per dire ma, non so nemmeno io perché, presi le cuffie e ascoltai le ultime note della canzone.

 

L’hotel era davvero magnifico come nelle foto, anzi, forse di più.

Salutai la receptionist dicendo chi ero e lei ricordò subito il mio nome visto le lunghe chiacchierate per accordarci e, assurdo, mi diede anche la chiave della camera deluxe facendomi capire che Saverio aveva comunicato il cambio di stanza a mio favore.

Esibii la chiave con aria fiera, sotto lo sguardo incredulo di Salvatore, Clara e Giada, e corsi a vederla visto che per fortuna non mi toccava aiutare i ragazzi a sistemarsi.

Andai al terzo piano, passai la card vicino lo spazio apposito per far aprire la porta e la aprii, emozionata.

Mai in venticinque anni di vita qualcuno mi aveva ospitato in una camera lussuosa, ero sempre finita in ostelli, bed and breakfast o hotel a tre stelle al massimo grazie a qualche coupon.

Eccitata, chiusi gli occhi, feci qualche passo, li riaprii e... Meraviglia.

Il letto era king size, color beige, con le pareti dorate con delle decorazioni bordeaux, un sofà dai toni chiari, un frigo bar, un’elegante scrivania in legno...

Il bagno era enorme, c’era una vasca a forma rotonda con dei prodotti profumatissimi, il lavandino aveva un getto particolare e c’erano vari specchi.

Mi sentivo come una bambina il giorno di Natale, non riuscivo a realizzare di avere una stanza così tutta per me e che tutto ciò si stava verificando nel momento in cui avevo un flirt con Luca.

Rapidamente, dopo aver posato il piccolo trolley, pettinai i capelli, misi un po’ di rossetto, presi posto sul letto e provai a fare un selfie decente, che mi rendesse giustizia e allo stesso tempo inquadrasse una buona parte della stanza.

Vari tentativi dopo ottenni un selfie discreto in cui sorridevo e lo inviai a Luca, scrivendogli : “Io e Miss Deluxe ti aspettiamo”.

La sua risposta non si fece attendere.

“Siete illegali!”.

Sorrisi tra me e me e mi tuffai sul comodo letto, serena come non mai.

 

“Tu hai la Deluxe, Ali, quindi stasera se riusciamo perché non organizziamo qualche ora tra ragazze? Una sorta di breve pigiama party, possiamo comprare qualche maschera, farci le unghie... Il tuo bagno è magnifico!”.

Ad ora di pranzo, mentre pranzavamo in un parco, mi ritrovai circondata da Nadia, Clara e Giada.

Mi pentii immediatamente di aver mostrato loro la mia camera con tanto orgoglio, come se fosse una sorta di bambino prodigio di cui io ero la madre.

A parlare era stata proprio Nadia, la quale mi sorrideva in maniera accattivante mentre prendeva posto al mio fianco insieme alle altre.

Istintivamente mi passai una mano tra i capelli, chiaro segno del fatto che quella proposta mi avesse allarmato.

“Scusa, tu e Saverio non ne approfitterete per farvi le coccole nell’idromassaggio?” ironizzai, cercando di pensare rapidamente ad una scusa.

Non volevo essere il tipo di ragazza che dimenticava le amiche per un tipo, ma onestamente non si era creato un legame super profondo con loro tre, solo con Nadia riuscivo a parlare un po’ di più.

“Fantascienza. E’ tutto preoccupato per i danni che potrebbero fare degli adolescenti in un hotel, di notte”.

“Ah. E, scusa, voi non dovete fare la veglia?” aggiunsi, falsamente disinvolta.

“Beh, sì, ma sai, fino ad una certa ora” disse Clara.

“Sembra che tu non voglia passare la serata con noi!” sottolineò Nadia, guardandomi profondamente. “Vuoi passarla forse tutta sola?”.

Lo disse con un tono che mi parve sospetto, non era ingenuo, sembrava studiato, programmato.

Che avesse capito tutto?

Possibile?

“No, no. Ragazze, vediamo come si mette la situazione e decidiamo, io vorrei prima vedere se si può usare l’idromassaggio. Che mettete per il ballo?”.

Subdola, cambiai argomento e per fortuna Giada e Clara abboccarono mentre Nadia, dal canto suo, non parve convinta perché continuò a studiarmi con insistenza.

Quando Salvatore si avvicinò per mostrarci una mosca che aveva trovato nel suo panino, lei mi prese per un braccio e mi trascinò dietro un albero, lontano da occhi indiscreti.

“Che succede?” domandai, tuttavia sentendo il cuore battere a mille.

“Succede che sei una bugiarda. Sei diversa da giorni, ti allontani per fare il bucato con Luca, vi vedo uscire insieme da un’aula vuota, stamattina l’ho visto correre nella sua stanza mentre portavo una cosa a una delle mie ragazze... E tu sei l’unica che abita nell’edificio E oltre lui. Per non parlare oggi in pullman, siate più discreti se volete farci scemi!” sbottò, guardandomi seriamente con l’aria di chi non si aspettava un comportamento simile da una persona.

Abbassai lo sguardo, colpevole, sentendomi cretina e in colpa perché Nadia si era confidata con me in passato.

“Io ho beccato te e tu hai beccato me...” conclusi, colpevole, alzando gli occhi e vedendo il suo sguardo accendersi.

“Hai ragione! Ma perché non me ne hai parlato? Forse mi sono fatta mille film in testa ma credevo che ci fosse una sorta di rapporto tra noi” ammise, prendendo le mie mani tra le sue.

Le strinsi, sentendomi uno schifo, e scrollai le spalle.

“Nadia, mi ha baciato al mio compleanno” rivelai, quasi tremando al solo ricordo.

Ovviamente, le ci volle meno di un secondo per fare due più due, infatti subito mi fissò come se fossi un’eretica e sgranò la bocca.

“Quindi... Quindi quando ci hai beccato già avevi anche tu una storia con un collega!”.

“Zitta, per l’amor del cielo!” la implorai, ma ormai era fatta: Nadia mi aveva afferrato, stretto a sé e buttato per terra, mentre mi insultava seppur in maniera scherzosa.

“Scema! E brava! Non ho parole!”.

“Nadiaaa! Non è come sembra! Proprio dopo avervi visto sono andata nel panico e ho chiuso...”.

“Eh?”.

“Sì! Dovevamo vederci durante l’escursione e io gli ho detto che non me la sentivo, poi vedendo te e Saverio accettati dal gruppo ho cambiato idea e ci siamo riavvicinati. Sono quattro giorni, alla fine”.

“Quattro giorni in cui ve la spassate”.

“Senti chi parla!”.

Mi ci volle un po’ per rialzarmi e liberarmi dalla sua presa che era passata dall’offesa all’euforica e così lei mi seguì.

“Quindi? E’ una cosa seria o...?”.

“Nadia!”.

“Capito, non ne avete parlato”.

Deglutii e guardai verso il resto del parco, verso la cima degli alberi e le nuvole minacciose che li sovrastavano.

“Vediamo come va. Una volta travisai il suo discorso e gli dissi che non ero qui per trovarmi un fidanzato e che non avevo aspettative...”.

Lei annuì, poi mi appoggiò una mano sul braccio con fare quasi materno.

“Certe cose sono più semplici dell’apparenza, Ali. Se vi trovate bene...”.

“Ma non lo so. Cioè, passiamo la giornata a lavorare ed è normale che così facendo, attraendoci, la sera abbiamo voglia di...”.

“Saltarvi addosso” concluse per me.

“Ecco. Solo una volta abbiamo parlato seriamente e con calma, io non so come sarebbe uscire con lui, conoscerlo. E’ una cosa primordiale, Luca è una scatola che posso aprire di pochi centimetri una volta al giorno, non so come sarà una volta aperta tutta. Potrei trovare una bella sorpresa o una orrenda... Si vede che per te e Saverio è diverso”.

La ragazza mi sorrise dolcemente e fece un cenno negativo con il capo, con l’aria di chi la sapeva lunga.

“No, Ali, no. Semplicemente abbiamo più esperienza e sappiamo che davanti a una chimica e a un affetto come il nostro è da pazzi precludersi la strada. Anche noi alla vostra età abbiamo fatto come voi ed ecco perché, sei- sette anni dopo, davanti ad una persona che ci fa sentire bene, non fuggiamo più e ce la giochiamo senza paure. Provateci, parlatene... Napoli e Roma non sono lontanissime, anzi, siete adulti, lavorate! Frequentatevi al di fuori, chissà cosa potrebbe succedere”.

“Ma ciò andrebbe contro...”.

“Contro cosa? A ciò che gli hai detto? Ti muore dietro, si vede lontano un miglio, magari aspetta qualche tuo cenno su questo argomento e ha paura di parlartene”.

Non sapevo cosa dire, onestamente.

Parlare con un’altra persona, ammettere che tutto ciò che si stava verificando negli ultimi giorni era vero e non semplicemente frutto della mia immaginazione, apriva un gigantesco scenario di problemi a cui avevo fatto finta di non pensare.

Io, quella che pensava sempre a tutto, fingevo di non badare al fatto che tra quattro giorni avrei salutato la persona con cui ero andata a letto la sera prima.

Come avrei reagito?

Conoscendomi, non sarei stata in grado di finire tutto così senza nemmeno averne parlato prima, per dare un punto di chiusura a quella che aveva l’aria di essere una semplice storiella estiva.

Per tutta risposta, abbracciai Nadia e lei comprese come mi sentivo, perché mi strinse a sua volta e mi diede una pacca sulla spalla.

“Andrà tutto come deve andare. Non posso dirti che andrà bene, ma la vita ha un modo tutto suo per far tornare i conti, fidati” mi rassicurò dolcemente.

 

Parlare con Nadia, raccontare a qualcuno come mi sentivo, cosa stava succedendo, mi aveva donato uno strano senso di tranquillità, di leggerezza, perché ora stavo nascondendo il segreto a una persona in meno.

In più, ne avevo approfittato per passare più tempo con le ragazze tra un’escursione e l’altra, avevamo fatto dei selfie stupidi ed io mi ero rilassata un po’ perché erano tutti inglesi e non dovevo tradurre nulla.

Mi ero presa il mio tempo mentre visitavamo il Museum of Oxford, senza correre, senza l’ansia di dover mediare con la Rosales, e quando giunse il momento di vestirsi, dopo cena, fui privilegiata perché non avendo altro da fare potei tornare in camera per sistemarmi dopo una giornata di gite e camminate intense.

Negli ultimi due giorni ero stata privilegiata, avevo lavorato meno, quindi temevo che al rientro avrei dovuto dare il triplo del solito per rimediare al tempo passato senza i miei consueti doveri.

Ebbi il tempo di riposarmi per una quindicina di minuti, poi mi truccai un po’ e aggiustai i capelli legandoli in uno chignon.

Indossai l’abito di Forever21 che i ragazzi mi avevano regalato per il compleanno e ebbi appena il tempo di finire di prepararmi che Luca mi annunciò il suo imminente arrivo tramite un messaggio, così aprii la porta e gli consentii di entrare subito, senza aspettare fuori.

Indossava dei jeans, una camicia e una giacca scura e aveva i capelli più ordinati del solito.

“Che eleganza” commentai, avvicinandomi e, senza riuscire a trattenermi, passai le mani sulle sue spalle e sulle sue braccia.

“Senti chi parla” mi rimbeccò, posandomi un bacio sul collo.

“Non sono pronta, devo mettere il rossetto” mormorai, seppur apprezzando le sue attenzioni, tanto da chiudere gli occhi.

“Ora non ti serve...”.

“Luca”.

Lo bloccai mentre provava a baciarmi e lui sembrò turbato da quel gesto così strano rispetto al solito.

“Cosa? Ho sbagliato qualcosa?”.

“No, no. E’ tardi, dobbiamo andare... Tanto tra tre ore sei libero” dissi, sforzandomi di sorridere.

Dal canto suo sembrava turbato, perché continuò a fissarmi senza capire.

“Ho fatto qualcosa di sbagliato? Sono stato troppo... Audace?” domandò, preoccupato. “Fino ad ora ti faceva piacere, volevo solo darti un bacio”.

“No, Luca, no, anzi, sei stato dolcissimo” lo rassicurai. “E’ che... Nadia sa. Ci ha scoperto”.

Ovviamente parve decisamente sorpreso, non se lo aspettava, solo che non reagì in maniera tragica come mi aspettavo.

“Come...?”.

Gli feci cenno di sedersi sul letto, obbedì e lo imitai, sedendomi al suo lato e voltandomi verso di lui.

“Ci ha osservato, tuttto qui. Ci ha visto andare a fare il bucato insieme, stamattina ti ha visto correre nella tua stanza... Tranquillo, è dalla nostra parte. Solo che...”.

“Che...?”.

“Mi ha fatto pensare, Luca. Cosa siamo? Nel senso, sono la prima ad aver posto dei paletti in questa situazione, ma la fine delle due settimane è vicina e io non so cosa pensare”.

“Alice, possiamo non parlarne proprio ora?”.

Levai un sopracciglio, incredula.

Lui era sempre pronto ad accogliere ogni mia richiesta, era il primo a cui piaceva esporsi, perché ora si tirava indietro?

La cosa ebbe subito un effetto irritante su di me, tanto che mi alzai di scatto e lo fronteggiai.

“Puoi essere onesto, verrò comunque a letto con te stanotte” lo presi in giro, senza riuscire a celare un tono pieno di collera.

Spalancò la bocca e si alzò a sua volta.

“Sei seria? Tralasciando che ieri sei stata tu a saltarmi addosso appena sono entrato in camera tua, davvero credi che...”.

“Che cosa? Guarda caso ora, a poche ore dal tuo giorno libero, ti chiedo un’opinione e tu ti tiri indietro...”.

“Non ti sfiora il cervello l’idea che io possa dire qualcosa di positivo ma che non so come ti farebbe reagire?”.

“Cosa?”.

“Io non so cosa ti abbiano fatto gli altri uomini che hai conosciuto ma non sopporto questa tua caratteristica che ti fa sempre pensare al peggio! Avrai frequentato degli stronzi ma io non sono uno di loro! Ti volevo dire che stavo pensando di farmi qualche giorno a Roma dopo la fine del viaggio ma volevo parlartene con calma, senza fretta, senza pressioni, ed ecco che tu subito pensi a male! Non ci sto a passare per lo stronzo di turno, no”.

In dieci giorni non lo avevo mai visto così, mai.

Era un comportamento strano, che non gli donava, mi sembrava di vedere tutta la rabbia dipinta sul suo volto in un modo che glielo trasfigurava.

Era accigliato, offeso, tanto che non si premurò di non sbattere forte la porta quando uscì, lasciandomi così, immobile, stordita, come se avessi fatto qualcosa di orribile ad una persona che non lo meritava.

In un solo istante, compresi che in tutto ciò il problema era solo uno: non sapevo cosa volevo.

 

La sala ricevimenti era maestosa, decorata con festoni colorati e addirittura qualche candela che donava un’atmosfera più chic.

In fondo c’era la pista da ballo e all’ingresso c’erano numerosi tavolini rotondi, con delle rose come centrotavola.

Notai subito Luca che parlava con dei ragazzi e li spronava a ballare e mi maledii mentalmente perché normalmente avrei fatto di tutto per stare con un ragazzo come lui.

“Alì, allora sei presente!”.

Mi voltai di scatto e vidi che a parlare era stato Salvatore.

Sembrava diverso senza la solita divisa rossa, anche lui era più elegante del solito con pantaloni e camicia.

“Sono sempre presente” ribadii, sospirando. Non avevo proprio voglia delle sue battutine, onestamente.

“Non direi, sembri assente ultimamente”.

“Forse faccio solo meno figuracce”.

“E pure c’hai ragione!” ridacchiò, alzando il cinque come ad invitarmi a batterlo.

Obbedii e lo vidi allontanarsi, così presi un bel respiro e presi posto dietro uno dei tavolini con aria annoiata.

“Alice bella, ho preparato una playlist fantastica!” esclamò emozionato Mario, prendendo posto di fronte a me.

Lui, poverino, aveva evidentemente lavorato fino a quel secondo perché aveva ancora la divisa.

“Sì?”.

“Sì!”.

“Mario, ma come fai ad essere sempre così sorridente e felice?” dissi tutto d’un tratto, senza nemmeno sapere il perché.

In un ambiente di gente stanca, che dormiva poco, Mario era sempre un raggio di sole pronto ad illuminare il momento più buio anche solo con la sua presenza.

Lui mi guardò serio, forse per la prima volta da quando ci conoscevamo.

“Sai cosa diceva Klingemann?” mi domandò, mantenendo il contatto visivo.

“No...”.

A prenderla sul serio, c'è da finire al manicomio; io però la prendo da pagliaccio, e proseguo il prologo fino alla tragedia” recitò a memoria.

Lo fissai, stupita – da Mario non ti aspetti queste citazioni – e lui sorrise amaramente.

“Sorridere non significa essere felice, Ali, ma cerco di affrontare tutto con un’attitudine positiva tanto, triste o no, le cose succedono comunque e si va avanti. Io scelgo di proseguire col sorriso”.

“Wow” sussurrai, sorridendogli sinceramente. “Hai tanto da insegnarmi”.

Lui scrollò le spalle e sorrise. “Non prenderti troppo sul serio”.

“Io ci provo ma poi faccio casini e...”.

“I casini si fanno comunque, no? Ma ci insegnano molto, io se sono così è proprio perché ho passato la vita, fino ai venticinque anni, a preoccuparmi. Cosa ne ho ricavato? Nulla”.

Colpita, annuii e posai una mano sul suo braccio con fare amichevole.

“Hai ragione, grazie per la lezione. Sei un grande!”.

Soddisfatto, Mario rise e poi, guardando verso la console, capì che c’era bisogno del suo aiuto perché si scusò e scappò nella direzione opposta.

I ragazzi erano tutti super eleganti, mi chiedevano di scattare loro mille foto, anche le ragazze mi raggiunsero e ci facemmo mille complimenti a vicenda per lo stile degli abiti visto che era strano vedersi senza jeans e maglietta.

La serata ebbe inizio, tutti iniziarono a ballare con grande entusiasmo e la sala si riempì di dolci note musicali e della voce di Mario che invitava tutti al centro della sala.

Vidi Nadia fregarsene e invitare Saverio a ballare, seguita da Salvatore che invitò Clara e, con un piccolo senso di disappunto, notai Luca avvicinarsi a Giada e invitarla a ballare.

La canzone era proprio “Thinking out loud”, quella di cui parlavamo in pullman, e provai un nodo fortissimo allo stomaco mentre vedevo Giada accettare e loro due stringersi al centro della pista da ballo.

Poche volte mi ero sentita stupida come quella sera, perché mi ero lasciata prendere per un istante dalla rabbia e avevo riversato tutti i miei problemi del passato su un ragazzo che non c’entrava assolutamente nulla e che si comportava sempre bene con me.

Mi allontanai, andando al lato opposto della pista, e vidi Giulio da solo, con il suo braccio rotto super ingombrante.

“Non si può ballare con un braccio rotto, vero?” chiesi.

Giulio si voltò, sorpreso come non mai che qualcuno gli stesse rivolgendo la parola in un momento in cui non sembrava esserci spazio per gli imperfetti.

“Alice! No, non direi”.

“Senti, chi se ne frega delle regole? Vieni, balla con me, ci muoviamo semplicemente sul posto!”.

Stavo rigettando tutta la mia frustrazione e i miei dubbi su un ragazzino, ma poco importava, lo vidi sorridere per il semplice fatto di essere stato calcolato così mi obbedì subito, avvicinandosi alla pista e iniziando a dondolare sul posto, mentre io appoggiavo un braccio sulla spalla con il braccio buono.

Tutti ci guardavano e Giulio sembrava felice e soddisfatto, forse perché stava ballando con una più grande,  e in cuor mio pensai che forse una cosa giusta l’avevo fatta quella sera.

 

 

Non aspettai la fine della serata per tornare in camera.

Saverio già stava dando mille indicazioni per la notte e, egoisticamente, temevo mi avrebbe coinvolto in uno dei turni quando ero già di cattivo umore anche senza la mancanza di sonno.

Non pensai nemmeno all’idromassaggio, volevo solo dormire in quel gigantesco letto, da sola, e svegliarmi con un umore migliore nella migliore delle ipotesi.

Avrei voluto ammettere che mi sentivo una stupida, una stupida che non sapeva quel che faceva, ma era troppo tardi ormai e temevo di riavvicinarmi a Luca per poi combinare altri casini.

Tra di noi io ero quella che fino a quel momento aveva scombussolato le carte in tavola quando andava tutto bene, ogni volta, e oltre a non riuscire a perdonarmelo, non sapevo nemmeno il perché delle mie azioni.

Inoltre, Giada era tornata al nostro tavolo elogiando la bravura e la sensualità di Luca ed avevo dovuto trattenermi per risultare sciolta e disinvolta come se nulla fosse, infatti Nadia mi aveva guardato preoccupata e mi aveva trascinato in bagno per sapere come stavo, anche se io avevo fatto la mummia come al solito ed ero stata molto vaga.

Quindi, alle undici ero già a letto, seppur senza un briciolo di sonno.

Mi rigiravo a destra e a sinistra, sentendo la testa pesante...

E capii che al momento volevo solo sentirmi rassicurata dal collega con cui ero anche andata a letto la sera prima.

Era una sensazione strana, non lo volevo per andarci a letto – o almeno non solo – bensì per sentirmi al sicuro, bene con me stessa...

 

Se ti va di passare da me per parlare ti aspetto.

Scusami...

 

Scrissi il messaggio così, senza pensarci, e lo inviai senza fregarmene delle conseguenze.

Conseguenze che, un’ora dopo, ebbero un effetto.

Luca era lì, di fronte la mia porta, ed io lo feci entrare.

“Giada voleva uscire a fare un giro visto che sono libero ora” disse subito, lo sguardo basso.

Deglutii e sospirai.

“Scusami, allora vai”.

“Alice, non fare la stupida... Lo sei stata abbastanza, per stasera”.

Mi prese per la vita e cercò le mie labbra, baciandomi con una decisione che non aveva mai usato prima.

“Come devo fare con te?”.

“Forse  fai troppo. Nel senso... Luca” esordii, stringendo i pugni e stando un po’ rigida, “Io non ci sto capendo nulla. So solo che mi fa piacere averti qui e mi fai stare bene. Se ti va di dormire qui, al mio fianco, sei il benvenuto”.

Mi aspettavo domande inquisitorie, musi lunghi, ma lui iniziò a svestirsi fino a rimanere in boxer, si avvicinò al letto e lo disfò, prendendo posto.

“Vieni, dormi con me”.

Incredula, lo seguii e presi posto al suo fianco, per poi accoccolarmi tra le sue braccia.

“Luca...”.

“Alice, non voglio litigare, per favore. Sono qui, per te. Ti basta?”.

“E’ più di quanto potessi chiedere, stasera”.

“Domani parliamo”.

“Va bene. Scusami ancora. Sei la cosa migliore che mi potesse capitare in questi giorni”.

Lentamente,  senza rispondere, Luca appoggiò le labbra sulla mia fronte e mi lasciò un bacio lieve seppur super caloroso, per poi stringermi a sè in un modo che mi fece sentire accettata e al sicuro.

Chiusi gli occhi istantaneamente e mi beai del calore che veniva emenato dal suo corpo, dicendomi che ero stata fin troppo fortunata.

 

 

Ore tre del tredici luglio, la calma dell’hotel fu interrotta dal rumore di qualcosa di rotto.

Io e Luca dormivamo beatamente, non sentimmo nulla, ma ovviamente all’orecchio vigile di Saverio non sfuggì nulla.

Nadia, che dormiva con lui, si svegliò a sua volta e insieme corsero al terzo piano, quello sopra il loro, perché il rumore sembrava provenire da lì.

Un gruppo di ragazzi era responsabile della rottura di un costoso vaso in ceramica e, ovviamente, nessuno voleva dire chi era stato.

“Sapete che vi dico?” sbottò il coordinatore, arrabbiato. “Domani mattina giochiamo al Grande Fratello”.

Nadia lo guardò, senza capire, ancora assonnata.

“Cosa...?”.

“Ci sono le telecamere ovunque, ragazzi. Vedremo un po’ i movimenti di questi corriodoi nelle ultime ore così scopriremo il responsabile e pagherà i danni”.

Inutile dire che la faccia di Nadia sbiancò: sapeva che la mia camera era in quel piano e che, di sicuro, Saverio avrebbe visto Luca entrare e uscire varie volte.

*°*°*°

Eccomi di nuovo qui, in ritardo ma in anticipo rispetto agli ultimi standard.

Siamo verso la fine, gente, e iniziamo a fare i conti con ciò che è successo nei capitoli precedente.

Solito tira e molla per Alice e Luca, con una nuova alleata: Nadia.

Cosa succederà ora?

Saverio scoprirà tutto? E se sì, come reagirà?

Lo scopriremo presto!

Grazie ai nuovi lettori e recensori, siete unici, grazie davvero!

Un bacio,

milly.

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Capitolo 11
*** Day 11: Vaffanculo! ***


11ali

Capitolo 11

Day 11: Vaffanculo!

 

Fu un risveglio piuttosto dolce se paragonato alla tragedia della sera prima.

Mi ero svegliata presto come al solito perché anche se c'erano email da tradurre dovevo comunque accompagnare i ragazzi in giro per l’ultimo giorno in città e mi sentivo rinvigorita dopo una nottata di sonno partcolarmente tranquilla.

Vedere Luca che dormiva beato nel letto king size mi intenerì, quasi pensai che dormire semplicemente l’uno accanto all’altra, come era successo la notte del mio compleanno, ci avesse unito più del dovuto.

Feci una doccia rapida e, quando tornai in camera per prendere i vestiti, vidi che Luca si era svegliato a sua volta e si era messo a sedere.

“Ti ho svegliato...?” domandai, preoccupata visto che era il suo giorno libero.

Lui, con i capelli arruffati e un sorriso genuino, scosse il capo.

“No, deve essere l’abitudine, ormai”.

“Vero... Senti, io devo andare, ma tu resta a dormire, goditi la stanza per me” mormorai, prima di avvvicinarmi alla valigia che non avevo disfatto per scegliere cosa mettere.

In men che non si dica, lui si era alzato e mi aveva raggiunto, abbracciandomi da dietro.

“Dormire accanto a te non mi fa bene” sospirò, appoggiando il mento sulla mia spalla.

Mi irrigidii di colpo per poi rilassarmi appena mi posò qualche bacio tra le spalle e il collo.

“Perché?” domandai, cercando di non sospirare.

“Ho fatto una marea di sogni spinti” confessò, lasciando che una mano vagasse sotto la maglia del pigiama, all’altezza dei fianchi.

Deglutii, dicendomi che non potevo reggere una giornata senza di lui se iniziava a fare così.

“E cosa succedeva...?” chiesi, non riuscendo a trattenermi.

Come ogni volta che eravamo vicini, dimenticavo cosa dovevo fare nel giro di un’ora e tutto girava solo attorno a lui, a noi, al suo modo di toccarmi e farmi provare piacere.

“Tante cose” rispose, vago, ma sottolineando il concetto arrivando al mio seno e accarezzandolo con audacia.

“E con chi facevi queste cose?”.

“Con te, ovviamente”.

Non riuscendo a resistere, mi voltai, trovandomelo faccia a faccia, e lo spinsi sul letto per poi mettermi a cavalcioni su di lui.

“Ti autorizzo a... Mostrarmi un sogno a piacere, anzi, il  più eccitante. Posso presentarmi a colazione anche tra un’ora” borbottai frettolosamente e, per sottolineare il concetto, mi tolsi la maglia e restai nuda dalla vita in su.

La reazione di Luca fu quella che speravo visto che si fiondò a baciarmi i seni quasi con devozione per poi togliermi il resto del pigiama mentre io lo spogliavo a sua volta.

Era bello guardarlo mentre era in uno stato di eccitazione, sembrava diverso, più reale, meno controllato del solito ragazzo di sempre.

Adoravo vederlo mentre si perdeva nella contemplazione del mio corpo e si dedicava a me in un modo decisamente certosino.

“Se devo sceglierne uno” sussurrò contro il mio orecchio, “Direi quello in cui ci davamo dentro in un bagno”.

“In un bagno...?”.

“Esattamente”.

Ci volle più a dirsi che a farsi: in trenta secondi eravamo in bagno, io seduta sul ripiano vicino al lavandino e lui di fronte a me che mi sussurrava complimenti espliciti e coloriti mentre arrotolavo le gambe attorno alla sua vita.

“Stasera scelgo io” gli ricordai ridacchiando mentre era già dentro di me, con un ritmo decisamente più frenetico del solito.

“Con piacere”.

“Oh, quello c’è di sicuro... Oh!”.

Ce ne stavamo così, ancorati uno all’altra, come se il litigio della sera precedente non fosse mai esistito nella realtà dei fatti.

Sentivo di star per espolodere per il piacere, Luca era troppo per i miei standard e mi coinvolgeva in un modo tale che mi risultava difficile trattenermi e non essere rumorosa in modo molesto.

C’erano comunque decine di minorenni nelle stanze vicine e noi eravamo lì, menefreghisti, irresponsabili, colti da una passione sfrenata che non ci faceva ragionare.

“Ti piacciono i miei sogni, eh?”.

“Meglio questa realtà...”.

Ma la realtà era un’altra, quella che stava avendo luogo a pochi piani di distanza da noi.

 

 

“Saverio, è un’idea stupida, sai, telecamere e minorenni non vanno d’accordo” esclamò Nadia nello stesso istante in cui io ero con Luca.

Saverio si stava infilando le scarpe, arrabbiato per l’accaduto di quella notte.

“No, ti sbagli. Avresti ragione se li avessi ripresi io, qui si tratta delle telecamere dell’hotel. Ne stai facendo un caso di stato”.

“Almeno guarda tutto prima tu e poi chiami i ragazzi”.

“Ma perché!”.

“Saverio...”.

“Mi nascondi qualcosa?”.

Rapida come non mai, Nadia finse di non sentire e scappò in bagno con il cellulare in mano.

Mi stava chiamando, ma ovviamente io ero impegnata in ben altri affari e il cellulare era l’ultimo dei miei pensieri.

“Nadia, allora? Che mi nascondi?”.

Nadia non sapeva che fare, memore della discussione tra me e Saverio di soli due giorni prima.

Più che altro, sapeva che il danno maggiore per lui sarebbe stata la mancanza di fiducia del mio non dirgli nulla dopo tutto ciò che avevamo passato.

Sveglia com’era, intuì il perché del mio non rispondere, visto che solitamente ero sempre vigile, così agì d’istinto dopo essersi guardata allo specchio.

Era ancora in reggiseno così, di scatto, tolse l’intimo e uscì dal bagno.

Saverio era di spalle mentre leggeva qualcosa sul display del cellulare.

“Eccomi”.

“Finalment...oh. Nadia...”.

“Eddai! Stanotte torniamo al campus, poi ci saranno i giorni pre partenza e tu sarai super impegnato, anche io, saltiamo la colazione...”.

“Nadia, non p....”.

Ma Nadia lo aveva già afferrato per mano e lo aveva spinto sul letto, baciandolo con dolcezza.

“Maledizione!”.

 

Tornare alla realtà dopo quella parentesi da sogno fu davvero dura.

Rivestirsi con Luca che faceva lo scemo, diceva battutine esplicite e non perdeva tempo per abbracciarmi o attirarmi a sé fu davvero difficile perché mi trovavo divisa tra il piacere e il comfort di una camera lussuosa e la prospettiva di una giornata in giro con degli adolescenti rumorosi come non mai.

“Stasera ti voglio carica” ridacchiò, steso sul letto, con la testa appoggiata su una mano, mentre io prendevo il cellulare.

“Cosa? Quattro chiamate perse da Nadia?”.

Ovviamente l’Alice irrispettosa scomparve in un battibaleno e diede il cambio a quella ansiosa che sapeva di non essere stata una lavoratrice modello nelle ultime ore.

“Se fosse stato urgente sarebbe venuta fin qui” provò a tranquillizzarmi Luca, mettendosi a sedere.

“Nel dubbio corro a colazione” decisi, prendendo rapidamente tutti gli accessori e urtando contro un mobiletto, facendomi male tanto da chiudere gli occhi e iniziare a saltellare su una gamba sola.

“Alice! Calma!”.

“Devo scappare”.

“Non così, calma!”.

Mi si avvicinò e iniziò a massaggiarmi la gamba che avevo urtato, mentre io, impaziente, sbuffavo e mi maledicevo.

“Non mi calmo”.

“Non puoi fare così, Alice. Non hai fatto niente di male, basta. Ora con calma scendi giù a colazione e dici che eri stanchissima” esclamò deciso.

Lasciai che mi massaggiasse ancora e quando il dolore fu minore gli sorrisi.

“Hai ragione”.

“Ho sempre ragione!”.

Mi baciò e mi passò lo zaino e il cellulare.

“Sarà una bella giornata!”.

“Per te sì, che sei nella mia king size...”.

"E per te sarà una bella serata, con la mia king size...".

Incredula per quella battutaccia poco raffinata - ma abbastanza veritiera, dovevo ammetterlo - , afferrai uno dei cuscini del divano e glielo gettai addosso, ma lui si scansò e corse verso di me per vendicarsi, solo che ero davvero al limite del tempo e dovevo uscire in pochi istanti.

Mi feci forza ed uscii rapidamente, mi avvicinai all’ascensore da pigrona qual ero e mentre l’attesi udii le voci di Saverio e Nadia.

Saverio mi vide e si bloccò, sembrava parecchio più rilassato del solito.

“Anche tu in ritardo, Alice?” domandò, sorpreso. “Ieri te ne sei andata presto! Luca è libero, ci sono solo Salvatore, Clara, Mario ed Elena con i ragazzi?”.

Deglutii, sentendomi colpevole più che mai.

“Sì, scusami, non ho sentito la sveglia, scendo con voi” mi affrettai a dire, ignorando l’ascensore ormai sul pianerottolo.

“Ok ma voglio vedere la camera a cui ho rinunciato per te”.

Mi bloccai.

Luca poteva nascondersi come facevamo ai tempi delle gite del liceo, ma il problema vero e proprio era che, come una deficiente, non avevo preso la tessera per entrare, gliel’avevo lasciata.

Come giustificare il tutto?

Dovevo dire di averla persa? La sorveglianza avrebbe fatto il suo dovere e sarebbe emerso tutto, accidenti!

“Stasera, su, ora ho fame”.

“Ma che avete stamattina, tutte voi? Siete strane... Ti ho ceduto la camera e voglio vedere ciò che mi perdo”.

“Non ho niente, ho solo fame!”.

Ma mentre dicevo queste parole sentii uno scatto, mi voltai cautamente e vidi che la porta era aperta di un millimetro.

Luca aveva capito tutto, ne ero sicura!

E evidentemente era corso a nascondersi, no?

Dovevo fidarmi di lui, era sveglio, spesso lo era molto più di me, così mi voltai e mi finsi scioccata, avvicinandomi alla porta.

“Saverio, mi hai salvato, stavo per lasciare la porta aperta! Maledetta me! Entrate, su, rapidi che ho fame!”.

“Ma sei scema...!”.

Animata dalla complicità con Luca non badai agli insulti e mi limitai ad entrare, trovando la tessera sul mobiletto vicino all’ingresso.

Dove si era nascosto?

Dovevo avere fiducia, sarebbe andato tutto bene, pochi secondi e me la sarei scampata.

Saverio ammirava ogni dettaglio e Nadia mi guardava con comprensione, come a dirmi che era tutto ok, eppure io non mi sentivo tranquilla affatto.

Mentre mi dicevo che di sicuro Luca era in uno degli armadi o sotto il letto gigantesco, Saverio andò verso il bagno.

Volevo solo che se ne andasse il più presto possibile, avevo un’ansia assurda!

Mi voltai approfittando del fatto che il coordinatore fosse di spalle ma non vidi nessun segno della presenza di Luca.

Si era forse dileguato?

No.

No, non si era dileguato perché appena tornai alla realtà dopo qualche momento di perlustrazione mi ritrovai in bagno e vidi che Luca se ne stava appoggiato alla vasca, ancora in boxer, mentre controllava quella che sembrava la didascalia di una confezione di shampoo.

Sorrideva nervosamente e Saverio lo fissava, senza capire.

Poi prese un bel respiro, sembrò ragionarci e guardò prima lui, poi me.

“Il bucato insieme, i balli, il ragazzo che si fa male perché tu ovviamente sei impegnato altrove... E magari quando hai beccato me e Nadia già te la facevi con lui”.

Queste furono le dure parole di Saverio, non ci fu altro, se non il rumore di alcuni prodotti sul lavandino che caddero per terra perché li aveva urtati senza volerlo, come se improvvisamente fosse dieci volte più grosso, come il nostro segreto.

Si dileguò, deluso, uscì sbattendo la porta e Nadia lo seguì dopo averci lanciato un’occhiata di comprensione.

Incredula per ciò che era successo mi voltai verso Luca, con la bocca semi spalancata.

“Se il tuo piano era dire la verità in maniera così plateale potevi evitare di aiutarmi con la chiave della porta”  lo rimproverai subito, furente.

Lui mi guardò, piegando un po’ la testa di lato.

“L’ho deciso quando ho capito di non avere scampo. Che senso ha, Alice? Siamo liberi, ora, come lui e Nadia”.

“Ma lui e Nadia sono in una vera relazione, io non voglio mettere tutto a rischio  per qualcosa di...”.

“Indefinito? Astratto? Ma vaffanculo, Alice!”.

Si alzò di scatto e andò a passo di marcia verso i suoi vestiti, che iniziò a indossare rapidamente.

“Luca, non ci siamo capiti...”.

“No, non ci siamo proprio capiti Alice, hai ragione, per te sono praticamente un pezzo di carne con cui fare sesso selvaggio”.

“No! E poi che parli a fare tu che prendi decisioni così importanti come rivelarci al nostro capo senza il mio consenso! Non mi piace chi prende decisioni per me!”.

“Questo l’ho capito. Ti piace comandare, sei una di quelle che sa solo dare ordini e non ascolta anche le richieste dell’altro...”.

Si infilò la camicia della sera prima, poi le scarpe, il tutto con movimenti quasi robotici.

“Cosa? Luca ma sei impazzito? Ora passo io dalla parte del torto?”.

“Sì! Un’altra al posto tuo avrebbe visto il positivo in questo gesto, avrebbe pensato che magari l’ho fatto perché sono sicuro di te e che stiamo bene, e invece no, tu badi solo all’opinione che il capo avrà di te e a ciò che vuoi impormi di fare. Non funziona così” sbottò, puntandomi l’indice contro. “Ora vai pure che ti avranno dato per dispersa, chissà cosa penseranno gli altri, eh”.

“Prendimi pure in giro...”.

“No. Non ti prendo in giro Alice, non lo farei mai. Sto solo descrivendo come sei e credevo che qualcosa fosse cambiato dopo stanotte, invece no”.

Non dissi nulla, sentivo la voce tremare mentre lo stomaco si ribaltava in un modo che quasi mi faceva male.

“Cosa vuoi da me...?” chiesi infine, sforzandomi di non mostrarmi turbata.

“Niente, ora come ora proprio niente. Per me finisce qui, sempre se abbiamo mai iniziato”.

Prese la giacca, il cellulare e uscì senza voltarsi indietro nemmeno per mezzo secondo.

Forse non avevo capito nulla di lui, ma una cosa la sapevo: non aveva visto la vera me ed io ero spaventata dall’aver visto il vero lui in quegli ultimi secondi.

 

Arrivai nella hall quando ormai tutti erano pronti per finire l’ultimo giro di escursioni della giornata.

Subito, come un lampo, Saverio mi vide e mi raggiunse.

Temevo avrebbe urlato lì, davanti a tutti, invece si limitò a porgermi una borsa contenente un pc portatile.

“Ci sono varie email a cui rispondere, ti ho lasciato tutte le istruzioni. Ci vediamo starsera”.

“Saverio...”.

“Ti avevo detto che mi servivi qui per tradurre le email per i prossimi giorni”.

“Non c’entra, volevo... Scusarmi”.

“Non penso tu debba scusarti con me ma con chi nel suo giorno libero decide comunque di venire in giro per la città con noi. Poi parliamo” spiegò, indicando con lo sguardo dietro di lui.

In effetti Luca era lì, con una maglia a righe e dei jeans che lo facevano sembrare uno dei ragazzi, e parlava con Giada.

“Quindi lui viene con voi e io sto qui...”.

“... A svolgere il tuo lavoro, sì. Hai diritto al pranzo con gli altri clienti, noi torniamo per le sedici e poi ci mettiamo in viaggio”.

Annuii, senza aggiungere altro, e mi voltai quando avvertii una mano calda stringermi il braccio.

Nadia era lì, sempre presente, con un sorriso mesto dipinto in faccia.

“Ali, ho fatto di tutto, davvero. Stanotte dei ragazzi hanno rotto un vaso e Saverio voleva vedere cos’era successo tramite telecamere. Era successo al tuo piano e per evitare che lo facesse e vedesse Luca entrare e uscire da camera tua ho fatto di tutto, per questo ti ho chiamato stamattina”.

Sorrisi debolmente e l’abbracciai con calore.

“Grazie, davvero”.

“Poi ne parliamo, ok?”.

“Certo”.

La stavano chiamando e fu costretta ad andarsene, così se ne andò e io rimasi lì, a stomaco vuoto, con il cervello pieno di pensieri e un computer con cui lavorare.

 

Alle sedici avevo gli occhi che mi bruciavano per la stanchezza e un mega brufolo che mi era spuntato nei pressi della fronte, probabilmente a causa del mega hamburger olioso che avevo divorato  a pranzo con mille patatine fritte.

Controllai il lavoro svolto di malavoglia e salvai il file con tutti gli appunti per il coordinatore.

Dopo pranzo avevo sistemato quei pochi abiti usati e i miei prodotti, la valigia era pronta, così mi distesi per l’ultima volta su quel letto magnifico e morbido che avrei portato volentieri con me.

Cosa era successo alla mia vita?

Cosa era rimasto della studentessa incerta di pochi mesi prima?

Dove avevo trovato l’audiacia di gettarmi in una storia di quattro giorni e qualche ora con un collega che però mi sembrava decisamente più lunga?

Il tempo mi sembrava amplificato, scorreva lento, come se ogni secondo durasse mezz’ora.

Ero in Inghilterra da soli undici giorni, possibile?

Ormai ero abituata a sentire voci straniere ovunque, era l’italiano che quasi mi suonava strano se sentito da qualche bocca che non fosse del team.

Chiusi gli occhi, mi parve di rivivere tutte le scene vissute con Luca, quel primo bacio, l’appuntamento nemmeno iniziato, i baci nella sua stanza, il nostro punzecchiarci...

Cosa volevo?

Saverio alla fine aveva reagito meglio del previsto, perché avevo urlato contro Luca?

... Perché era qualcuno che mi sorprendeva in tutti i sensi e che non riuscivo a controllare, ecco perché.

Ero una fifona, ancora, e forse non nutrivo sentimenti, forse solo una forte attrazione.

Non sapevo nulla, niente di niente.

Sbuffai quando sentii il cellulare squillare, risposi e Saverio mi disse che dovevo scendere e partire con loro.

Con un nodo alla gola, tipico di chi sa che sta per entrare nella fase cruciale di un processo, raccattai i miei ultimi oggetti personali e salutai la stanza che mi aveva ospitato per quarantotto ore.

Scesi nella hall e diedi subito il pc a Saverio, il quale mi salutò con un cenno.

“Sei con me, Nadia e Mario nel pullman numero uno” disse senza preamboli, tuttavia prendendo il mio trolley con gentilezza.

“Saverio, non abbiamo divorziato, non devi...”.

“Non montarti la testa, Alice. E’ ancora il giorno libero di Luca e mi ha chiesto di stare nello stesso pullman di Giada”.

Alzai le mani e roteai gli occhi, sbuffando, e mi limitai a seguirlo con aria passiva dopo aver salutato la gentilissima receptionist.

Tra i due pullman c’era la tipica aria allegra di una gita appena conclusa, piena di entusiasmo mista a una stanchezza strana, euforica.

Luca aveva gli occhiali da sole e sorrideva, gesticolava, prendeva in giro uno dei ragazzi.

 Senza badare a nessuno salii sul pullman e presi posto ma il capo mi bloccò.

“Ti siedi al mio fianco, dobbiamo parlare” sentenziò.

Annuii, rassegnata, così dieci minuti dopo eravamo partiti tutti, pronti per tornare verso la periferia di Londra.

Dietro me e Saverio, Nadia e Mario ridacchiavano su non so quale avvenimento della giornata.

Dopo aver dato le solite istruzioni – “Allacciate la cintura! Non mangiate! Non fate chiasso!” – Saverio si fece spazio al mio fianco e mi guardò in un modo strano.

Sembrava volermi giudicare, severo, poi però rise.

“Perché ridi?”.

“Perché io ti prendevo in giro per la camera deluxe ma davvero l’hai sfruttata bene”.

“Saverio!”.

Scosse il capo e mi poggiò una mano sulla spalla, con un fare diverso, più fraterno.

“Non sto per rimproverarti”.

“L’ho capito, anche se non è coerente con il discorso che mi facesti riguardo Javier” gli ricordai.

“Sì, perché il discorso è sempre lo stesso: Javier è spagnolo, lo avrebbe detto all’altro team, qui se la voce non si diffonde è tutto ok”.

“Allora prega che nessuno lo dica a Paula...”.

Fu una lunga chiacchierata, scontata ma positiva per me che me ne ero stata zitta tutto il giorno a rimuginare.

Non dissi altro che la realtà dei fatti e alla fine scoprii che lui già sapeva tutto.

“Te l’ha detto Luca” indovinai quindi, rassegnata.

“Non solo”.

“Nadia!”.

“Ecco. Alice, lo hai ferito, profondamente. Sai quando voi ragazze vi illudete su uno e poi scoprite che voleva solo portarvi a letto...?”.

Spalancai la bocca, incredula.

Era quindi ciò che ne era emerso della questione?

Come sono melodrammatici certi ragazzi, assurdo!

“Non mi sembra proprio questo il caso, davvero” lo interruppi. “Semplicemente lui prima dice che va tutto bene così, senza etichette, poi se ne esce dicendo che pensa al futuro e io passo per stronza se oso dire che ciò che c’è tra noi non è una relazione vera e propria, al momento. Se è così melodrammatico avrà vissuto malissimo le tipiche storielle estive, da adolescente”.

“Non ti credo, Alice. Ora ironizzi e fai la dura ma non sei così spietata...”.

“Spietata? Realista, al massimo”.

“La realtà fa così schifo da essere spietata. Stiamo lì. Comunque se vuoi parlare dimmi tutto senza problemi”.

Mi appoggiai con forza contro lo schienale e mi massaggiai la tempia lentamente.

“Forse sarebbe stato meglio se lo avessi scoperto attraverso le telecamere, così lui non avrebbe fatto l’eroe e...”.

“Che fai, ti torturi, ora?”.

“No. Voglio alleviare i sensi di colpa”.

“Impara a conviverci che ora inizia il boom, gli ultimi giorni saranno un casino e anche se tra due giorni non avrai più nulla da tradurre, l’ultimo giorno mi servirà una mano con la sorveglianza”.

Feci un cenno affermativo e mi voltai verso il finestrino, gesto che fece comprendere a Saverio che per ora era tutto e che non avevo voglia di parlare d’altro.

 

Ritornammo al college alle diciotto passate e ad attenderci ci fu il team spagnolo, prontissimo per l’ennesima serata organizzata visto che mandare a letto i ragazzi subito dopo cena era sconsigliabile: di sicuro, reduci dalle esperienze della gita, sarebbero sgaiattolati fuori dalle stanze per organizzare pigiama party e festicciole.

Trovandomi davanti, fui la prima a scendere e salutai sia la Rosales che Javier, Paula e gli altri.

Paula ovviamente mi squadrò e parve sorpresa nel vedere Luca scendere dall’altro pullman.

Provai a recuperare il mio trolley ma Javier mi aiutò prontamente, riuscendo a prenderlo in pochi secondi nonostante fosse incastrato.

“Grazie, Javi”.

“Tutto bene il viaggio?” domandò, cordiale.

“Movimentato” mi limitai a dire, mentre prendevo il bagaglio.

“Qui ci siamo annoiati da morire! Ma per fortuna stasera c’è la serata quiz”.

“Fidati, saremo tutti k.o.” ammisi, sottolineando il tutto con uno sbadiglio alquanto sonoro che lo fece ridere.

Ci fu il solito caos mentre ognuno recuperava la propria squadra e dava ordini precisi riguardo le ore successive: cena, serata e poi tutti a letto visto che il giorno seguente ci sarebbe stato il test finale di inglese e quello di spagnolo.

Io mi beai come non mai del fatto di non avere una squadra da accudire e mi avviai verso gli alloggi trascinandomi dietro il trolley e lo sguardo mi cadde su Giada che rideva mentre parlava con Luca.

Ancora?

Ma cosa era successo? Mi ero persa qualcosa?

Sì, avevano ballato insieme, poi lei gli aveva chiesto di fare due passi, ma poi?

La situazione mi fu chiarita a cena da Nadia, visto che fummo le prime a prendere posto al solito tavolo.

“Giada è partita con la testa da quando hanno ballato ieri sera! Infatti lo ha invitato a fare due passi ma lui era da te, ovviamente” mi informò cautamente, guardandosi intorno per appurare che nessuno ci stesse spiando.

“E oggi invece...Fiesta!” sospirai, immaginando quanto avessero fatto i cretini ad Oxford visto che lui era libero e lei, in quanto dottoressa, doveva intervenire solo in caso di infortunio.

“Hanno riso e parlato tutto il tempo, sì, ma per me lui lo fa per farti ingelosire”.

“Ingelosire! Infastidirmi, impartirmi una lezione, forse, ma qui non siamo all’asilo... Non può pretendere nulla da me e visto che a quanto pare l’ho deluso e mi ha anche mandato a quel paese, beh, ci vado e me ne sto lì per i fatti miei, senza essere disturbata da nessuno”.

Proprio in quel momento entrarono entrambi in mensa, vicini vicini, e lui portava tra mani un enorme vassoio con il cibo di entrambi, come aveva fatto con me circa una settimana prima.

“Mi sa che non ci riuscirai” sussurrò la group leader, prima di fingere un sorriso falso nei confronti dei due.

Io mi limitai a un cenno e sperai che cambiassero tavolo ma no, erano lì, vicino a noi, intenti nel parlare di chissà quale fantomatico avvenimento avvenuto nelle ultime ore.

Luca non mi degnò di uno sguardo e passò il cibo a Giada con gentilezza, mentre io mi fingevo interessata alle mie uova e alla mia insalata.

Solo dodici ore prima stavamo facendo sesso ed ora eccoci lì, come due estranei.

Per fortuna, l’arrivo del resto del gruppo portò un po’ di distrazione, anche perché Saverio decise di fare lì la riunione, visto come eravamo stanchi dopo il weekend fuori.

Ci disse che il giorno successivo saremmo stati lì, senza escursioni, per far fare il test di inglese la mattina e quello di spagnolo il pomeriggio, e ne avremmo approfittato per preparare un video di addio per i ragazzi, composto da foto e video messaggi.

Ovviamente io dovevo stare sia con il team sia con gli spagnoli, che novità.

Il giorno successivo, invece, ci toccava stare fuori tutto il giorno, cenare fuori, tornare, mostrare il video e tornare per la partenza.

Udendo ciò, il mio cuore accelerò e realizzai che, sì, quell’avventura stava volgendo al termine.

Sentii gli occhi lucidi, lo stomaco contorcersi e non riuscii a controllarmi: mi affrettai ad asciugare qualche lacrima prima di farmi notare.

 

Portai con me quello spirito nostalgico e alla serata quiz non ero molto presente.

Ero confusa, mi sembrava di aver sbattuto il cervello da qualche parte, non riuscivo a seguire le domande che venivano poste ai ragazzi e a ridere delle risposte come facevano tutti.

Giulio, che ormai mi seguiva come una mascotte, cercava di farsi aiutare ma io non ero in grado di dargli un aiuto concreto.

Erano ormai le dieci meno venti quando Nadia mi accarezzò un braccio e mi disse: “Vai a prendere un po’ d’aria, tranquilla”.

Annuii e uscì dalla grande sala del campus che era stata adibita per l’occasione, prendendo un bel respiro.

Arrivata a metà rampa di scale decisi di prendere posto e di bere un sorso d’acqua, agognando il letto come non mai.

“Tra poco tocca a me fare le domande, andiamo, su...”.

“Aspetta, però!”.

Alzai lo sguardo.

Era tutto così ovvio, banale, scontato, che ritrovarmelo davanti non fu altro che una semplice conferma, come quando vedi una telenovela e sai già dal primo episodio chi se la farà con chi.

A metà della rampa di scala precedente c’erano Luca e Giada abbracciati e lei lo aveva appena fermato per baciarlo con passione.

Non riuscii a trattenermi, deglutii e poi finsi di schiarirmi la voce, facendoli sobbalzare.

Giada mi guardò, portandosi una mano alla bocca, invece Luca rimase fermo, senza dire nulla.

“Prego, tolgo il disturbo, proprio come hai fatto tu stamattina, Luca” sbottai, sorrisi falsamente e, alzandomi, scesi le scale e andai verso l’atrio, sentendo le domande di Giada che si affollavano nel suo cervello.

 

*§*§*§*§

Ed eccoci qui, terzultimo capitolo, gente!

Le cose stanno decisamente cambiando, non trovate?

Saverio sa tutto, l'ha presa bene e Alice e Luca si sono "separati" per l'ennesima volta.

Che ne pensate?

Alice cosa prova per Luca secondo voi?

Grazie a chi continua a seguire questo mio piccolo sclero <3 

A presto,

milly.

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Day 12-13: E’ stato un incidente ***


12al

Capitolo 12

Day 12/13: E’ stato un incidente

 

Ritornata nella sala dove si stava svolgendo il quiz ero stata in silenzio e solo alla fine avevo raccontato gli ultimi sviluppi a Nadia.

Lei, stizzita, mi aveva ricordato che Giada probabilmente non sapeva nulla e che non aveva colpe se non essersi presa una sbandata per Luca ed io avevo semplicemente annuito.

Alla fine della serata ero subito andata nella mia camera nella speranza di non incontrare Luca e mi ero messa a dormire, svegliandomi circa sette ore dopo un po’ più tranquilla e rilassata.

Ci avevo riflettuto: non ero stata molto sensibile per come mi ero espressa con Luca, avevo davvero sminuito la nostra “relazione”, ma lui aveva sbagliato nel cercare subito un’altra compagnia senza nascondersi.

Non eravamo dei liceali!

Consapevole di ciò, mi preparai per affrontare la giornata nel migliore dei modi, dicendomi di contare prima fino a dieci prima di parlare.

Andai verso la mensa, presi una colazione più abbondante del solito, mangiai e poi mi alzai, ancor prima che arrivassero gli altri, per andarmene sul prato e stare al sole, visto che la giornata prometteva bene.

Misi gli occhiali da sole, usai lo zaino rosso come cuscino e mi distesi, felice di avere almeno quaranta minuti di pace.

Pace che, ovviamente, durò pochissimo.

“Ali”.

Stessa intonazione, stessa voce, la solita che mi aveva chiamato così in numerose occasioni, anche quelle più intime.

Mi irrigidii e fui felice di avere gli occhiali che mi mascheravano lo sguardo, anche se durò poco visto vhe Luca non esitò a muoversi ad alzarli per obbligarmi a guardarlo.

Seccata, mi misi a sedere, ora senza gli occhiali da sole come schermo.

“Sì?” dissi semplicemente, in un tono non proprio simpatico.

Luca si mise a sedere, le ginocchia al petto e le braccia che circondavano le gambe.

“Scusami” disse in un soffio.

“Per cosa?”.

Ero cattiva, sadica, non volevo far capire di aver capito tutto.

“Lo sai”.

“No, non lo so...”.

Mi guardò in maniera esplicita, come a dirmi che era impossibile non saperlo, poi prese un bel respiro e si accinse a parlare.

“Ho detto tutto a Giada, le ho detto dei giorni passati con te... Ieri sera, dopo la serata. Non te lo negherò, stavo per andare in camera sua, ma non mi andava. Tu sei stata onesta e lo apprezzo, evidentemente non ti interesso abbastanza, non lo so, ma...”.

“Smettila!”.

Quasi urlai, non potendone più di quel fiume di parole dopo il modo in cui si era comportato.

Che fare?

Urlare? Litigare?

No. Non me la sentivo, non ero pronta, avere informazioni addizionali non migliorava la situazione.

“Cosa vuoi da me?” sbottai, senza capire.

“Non voglio lasciarti andare. Dobbiamo parlare, capire...”.

“Capire cosa?”.

“Ora che Saverio sa non abbiamo ostacoli, possiamo...”.

“Pensi ancora a questo? Per te è questo il problema?!”.

Ritornavamo ancora a quel punto? Davvero credeva che per me si limitasse tutto all’apparire, al fare bella figura col capo?

“Beh...”.

“Ne riparliamo quando avrai capito” sentenziai, ristendendomi, inforcando di nuovo gli occhiali e non aggiungendo altro, lapidaria.

Evidentemente Luca capì perché non disse altro e sentii i suoi passi allontanarsi da me, forse una volta per tutte.

 

Presa dall’ansia delle ultime cose da fare, feci da cavia per i video di addio.

Persi più tempo del dovuto, obbedii ad ogni richiesta, mi immischiai in affari che non mi riguardavano, feci il possibile per starmene con il team spagnolo e quello inglese invece di badare a quello italiano, anche se alla fine verso mezzogiorno fui costretta a tornare in ufficio.

Notai che si stava celebrando una sorta di festa-riunione e mi domandai il perché.

“Che succede?” chiesi, facendomi strada con difficoltà visto che c’erano almeno tre persone che se ne stavano sul pavimento a giocare, ridere, lanciarsi cose a caso e a fare una sorta di lotta molto infantile.

“E’ l’ultima volta che staremo in ufficio tutti insieme” mi ricordò Clara, come se fosse una cosa matematica.

Spalancai gli occhi, colpita, ed annuii facendo mente locale: era vero, accidenti!

Tra l’escursione del giorno successivo e l’organizzazione della partenza non ci sarebbero stati più momenti in ufficio, niente più mattinate passate al computer mentre tutti erano di ronda durante le lezioni e Saverio passava a controllarmi, niente più Luca che veniva a portarmi i Bounty tra un laboratorio e l’altro...

Il mio sguardo cadde improvvisamente su di lui e forse capì a cosa mi riferivo, chissà, fatto sta che mi sorrise debolmente.

Giada intercettò il tutto e si limitò a guardarmi, io mi voltai e scrollai le spalle, così mi si avvicinò.

Silenziosa, mi appoggiò una mano sulla spalla, mentre tutti tornavano alle loro ludiche occupazioni.

“Non ne sapevo nulla” disse, chiarissima seppur sussurrando.

“Lo so. Tranquilla”.

“Giuro che ci siamo solo baciati e ho lasciato per...”.

La zittii con un abbraccio, per nulla ipocrita, ero semplicemente presa da una strana marea di emozioni che al momento mi sembrava tutto stupido ed irrilevante.

Giada non aveva idea di nulla, ci aveva provato ed aveva beccato Luca in un momento particolare, alla fine non aveva nessuna colpa.

“Sicura?”.

“Certo”.

Mi strinse a sua volta e poi tornò verso Mario che voleva provare a fare la verticale per non perdere la scommessa con Elena.

Sembrava tutto caotico ma allo stesso tempo calmo, calmo perché i ragazzi a breve avrebbero finito il test di inglese e iniziato quello di spagnolo dopo pranzo e solo il giorno seguente ci avrebbero riempito di pensieri come loro solito, tra un’escursione e l’altra, caotico perché eravamo noi ad essere agitati per la stanchezza, la fine del viaggio e tutto ciò che si era aggiunto al nostro bagaglio culturale, personale ed educativo.

Mi appoggiai su uno dei gradini vicino la porta e vidi Saverio raggiungermi per poi prendere posto al mio fianco.

“Sai, pensavo” mormorò, guardando fisso davanti a sé, come se non vedesse davvero Clara mangiare dei crackers mentre Luca cercava di toglierglieli di mano, “Che dopotutto questa cagata della mediatrice non è stata una cattiva idea”.

Stupita, mi voltai verso di lui.

“Mi stai forse... Promuovendo, boss?”.

Si girò, guardandomi finalmente in faccia e facendo l’occhiolino. “Sì, se non teniamo in conto che ti sei scopata selvaggiamente un collega”.

“Idiota, sei un idiota!” urlai, ma ormai già lo stavo abbracciando mentre chiamavo Nadia a gran voce per bloccarlo e non farlo scappare.

“Alice ha ragione. Non so cosa sia successo ma sei un idiota!” mi appoggiò subito lei, ridendo a crepapelle mentre lo stringeva a sé.

“Weeee, bacio, bacio, bacioooo!” s’intromise Mario, emerso dalla sua dolorosissima verticale da vincitore.

“Shh, per l’amor del cielo, se ci sentono gli al...”.

Ma ormai Saverio si era zittito perché Nadia gli aveva piantato un bacio in piena bocca con aria spensierata e Mario immortalava il tutto, minacciando di far finire la foto incriminata sui social.

 

Quella sera ci fu l’ultima serata organizzata dal team inglese, visto che quella successiva sarebbe stata dedicata ad una cena a Londra seguita dalla visione del video di arrivederci e dalla’organizzazione della partenza.

Vedevo i poveri group leader già provati al solo pensiero di ciò che gli spettava nel giro di poco più di ventiquattro ore: controllo delle stanze per cercare eventuali danni, bagagli, ronda, poi due ore prima della partenza erano tenuti a ritirare tutte le chiavi delle stanze e restituirle a Saverio, il quale sarebbe rimasto in struttura per ancora due settimane.

A cena Clara faceva una lista di cose da fare, Nadia sembrava preoccupata, Salvatore sembrava pensieroso, Luca mangiava in silenzio.

Io li guardavo, reduce dalla fine ufficiale del mio lavoro visto che tutto era stato organizzato, le email erano state tradotte e riassunte, ci toccava solo vivere l’ultima parte di ciò per cui avevamo lavorato tanto.

“Alice, non osare andare a dormire domani senza aver aiutato” disse Saverio con aria minacciosa, mentre finiva di mangiare il suo sandiwich.

“L’ho mai fatto?” chiesi, offesa.

“Beh, sì, lo hai fatto sabato dopo il ballo, non ti ho visto aiutare quando è finito”.

A parlare era stato proprio Luca, con mia somma sorpresa.

Mi guardava con aria sprezzante, come aveva fatto i primi giorni di viaggio. Eravamo tornati a quel punto?

No, almeno io, no, non avrei fatto la mocciosa abbassandomi al suo livello.

“Ma che ne sai, scusami, non sono una dei tuoi ragazzi che puoi controllare sempre” ribadii senza scompormi, seppur con tanta fatica.

“Penso di aver incrociato Alice nei corridoi” mi sostenne Clara, guardando male Luca.

Poverina, doveva avere i ricordi così annebbiati a causa dei turni estenuanti che di certo aveva confuso quell’informazione con un’altra visto che io ero davvero andata subito in camera.

Le sorrisi per ringraziarla e Luca ci fissò, senza aggiungere altro, sotto lo sguardo di disapprovazione di Saverio.

“Se permetti, Luca, tocca a me rimproverarvi e ricordarvi le cose, non ho bisogno di un vice. Ricorda che io so sempre tutto” esclamò, con il tono di chi sostiene che per lui la discussione è ormai conclusa.

Luca abbassò il capo e si finse interessato al suo piatto, mentre il tavolo diventava così silenzioso da essere quasi imbarazzante.

La cena proseguì così, senza nessuna conversazione, e invece di tornare in stanza durante l’oretta libera che i ragazzi avevano prima della serata fummo costretti a registrare gli ultimi saluti generali insieme agli altri due team.

Come risultato, alle venti e trenta ero stanca morta, taciturna, come gran parte del gruppo.

Me ne stavo in una zona isolata della solita sala adibita a discoteca per l’ultima serata “Un messaggio per te” quando, per la seconda volta da quando era iniziata la giornata, Luca mi si avvicinò.

Appena lo vidi, decisamente stufa e non disposta ad ascoltare un ulteriore insulto, mi alzai di scatto e mi allontanai.

“Alice...”.

“Cosa mi rimprovererai ora?” lo sbeffeggiai, alzando gli occhi al cielo, sacastica come non lo ero da un bel po’.

Lui, immobile, mi guardò bonariamente.

“Non l’hai capito?”.

“Cosa?”.

“Da stupido quale sono pensavo di usare la tecnica dei primi giorni. E’ litigando che ci siamo avvicinati”.

“Ed è litigando che ci siamo allontanati. Litighiamo solo, Luca, non è una cosa sana” gli ricordai, sentendo quasi il fiato mancarmi.

“Ma litighiamo per cose stupide, voglio dire, siamo in un contesto particolare e ...”.

“No, Luca, no. Non troviamo un accordo, discutiamo,  mi hai offeso a morte e io cerco il rispetto in ogni situazione. Tu mi hai mandato a quel paese ieri, ti ho accontentato e ora ti comporti così... Non fare il bambino” sbottai, esasperata, seppur con la voce tremante.

Sospirò pesantemente, trattenendomi per un braccio.

“Ero arrabbiato e non è da me, mi sono sentito una nullità. Però immagino che se devo pregarti non ci sia nulla da fare” aggiunse, rabbuiato.

“Io non riesco a dare affetto se mi sento offesa, tradita...”.

“E’ più semplice, Alice, hai capito che non provi nulla per me” sentenziò e, con un ultimo sorrise triste, si allontanò, lasciandomi lì senza sapere cosa dire.

 

 

Glorioso, uggioso, incerto iniziò l’ultimo giorno di permanenza al Queen’s College, quel posto che piano piano era entrato nella nostra routine, con la sua mensa troppo lontana dai dormitori e dai mille alberi che ti causavano l’allergia se eri allergico al polline e alle graminacee.

Due settimane sembravano due mesi per tutte le avventure vissute e il pensiero di tornare a casa, con i nostri orari, le nostre routine, ci sembrava assurdo, fuori dal comune.

Esisteva davvero un mondo normale, senza Saverio che dava indicazioni, adolescenti pronti a discutere e a disobbedire e colleghi con il sorriso sempre pronto anche se stanco e provato dall’aver dormito al massimo cinque ore?

Il solo pensarlo mi sembrava decisamente strano.

Con questi pensieri mi ritrovai a seguire la massa in giro per Londra, senza ascoltare le guide turistiche, senza fare tesoro di quelle preziose informazioni.

La giornata passò fin troppo velocemente per i miei gusti e mi ritrovai il pomeriggio con due ore libere, prima della partenza verso il ristorante dove avremmo cenato tutti insieme per l’ultima volta.

Nadia ovviamente l’avrebbe passata con Saverio – dovevano parlare – e Clara voleva raggiungere per l’ultima volta Piccadilly Circus insieme a Giada ed Elena.

Mi ritrovai da sola nei pressi di Trafalgar Square e appena vidi la National Gallery i miei occhi si illuminarono: ecco il posto felice dove potevo starmene in pace, di certo nessuno avrebbe pensato di andare in un museo, erano tutti presi dallo shopping.

Decisi di prendere prima un caffè visto che si prospettava una nottata priva di sonno dato che dovendo tornare a Roma sarei partita con il gruppo di Napoli che aveva l’aereo alle nove, così entrai in un café nelle vicinanze del museo e pensai solo a godermi del tempo in tranquillità senza pensieri.

Mi ero seduta da circa quindici minuti quando il mio cellulare iniziò a squillare, rivelando una chiamata di Saverio.

Vedendo il suo nome apparire sul display presi un enorme sospiro e dissi, sarcastica: “Poteva mai durare la pace?”.

Risposi e il fiume di parole che ne seguì fu decisamente poco chiaro, assurdo, ma ebbe il potere di farmi mancare il respiro e correre via dal bar come un’ossessa.

 

Corsi verso il semaforo che c’era nei pressi di Buckingham Palace come non avevo mai corso in vita mia prima di quel momento.

Urtai non quante persone, senza scusarmi, senza sentire le loro proteste, senza sentire l’affanno e il sudore che ormai avevano preso pieno possesso del mio corpo.

Non pensai nemmeno al percorso da fare, probabilmente lo ricordavo da quando lo avevamo fatto qualche giorno prima, fatto sta che seppi di essere arrivata  a destinazione quando vidi un’ambulanza che bloccava il traffico e tante magliette rosse raggruppate a pochi metri di distanza.

“Alice!”.

La prima a notarmi fu Nadia e mi corse incontro, forse per evitare una mia scenata davanti a tutti.

“Come sta, che è successo?” urlai, sentendomi quasi le forze mancare di fronte alla visione sterile di quel grande furgoncino bianco.

Nadia mi afferrò per le braccia e provò a farmi stare immobile, rassicurante.

“Ricordi Mirko ed Enzo, i ragazzi che probabilmente si sono messi insieme una decina di giorni fa?”.

“Sì, ma cosa c’entrano?”.

“Hanno discusso, pensantemente, ed Enzo tutto arrabbiato ha... Ha attraversato col rosso” sussurrò, deglutendo pesantemente.

“Cosa?!”.

“Sì... Luca era lì e ovviamente non ha perso tempo, è corso per evitare la catasrofe. Avevano quasi attraversato del tutto quando una macchina è passata e...”.

“Non fare la tragica, non l’hanno investito, è Luca che è ruzzolato per provare a saltare e non essere investito”.

Saverio ci aveva raggiunto e aveva concluso il racconto con serietà, severo, forse per non lasciarsi trasportare dalla paura.

Vide il vuoto nei miei occhi, la paura, e forse per non vederli più mi strinse a sé mentre singhiozzavo e mi agitavo tutta.

“Al massimo si è rotto un braccio, stai tranquilla”.

“Ma lo avete visto?!”.

“Giada lo ha soccorso e ha chiamato l’ambulanza, è tutto ok...”.

“Non dire bugie!”.

“Davvero!”.

Non voleva dirmi altro, anche se lo implorai di farlo, non si sbilanciò affatto dicendo di non avere ulteriori informazioni perché in questi casi non bisogna toccare la vittima fino all’arrivo dei soccorsi.

Sentivo gli occhi del gruppo su di me, probabilmente notarono la mia reazione fin troppo emotiva, ma non vi badai così iniziai ad attendere notizia a braccia incrociate contro un muro.

L’unico ad avvicinarsi fu Salvatore e fu quasi presa dall’istinto di urlargli contro che non era il momento per una delle sue battutacce.

“Pensavo che il vostro fosse solo un flirt ma si vede che c’è qualcosa in più” disse subito, senza nemmeno chiedermi qualcosa di più formale e “normale”.

“Cosa?” chiesi, incredula.

“Alice, si vede lontano un miglio che c’è qualcosa tra voi” disse. “Sono qui se vuoi parlare”.

Avrei potuto negare, ma quel era il senso?
Mi vergognavo di ciò che provavo?

No.

Quindi mi limitai ad annuire e a ringraziarlo, tornando però per i fatti miei, senza alimentare in nessun modo la conversazione.

Finalmente, nel giro di qualche minuto, i paramedici uscirono dall’ambulanza e Saverio e Giada si affrettarono a raggiungerli mentre tutti noi ce ne stavamo con il fiato sospeso.

Probabilmente quelli furono i secondi più lunghi di tutta la mia vita, mi parve passato un secolo quando si riavvicinarono a noi per parlare.

“Allora?” domandai.

“Sta bene, risponde a tutti gli stimoli, si è solo slogato il polso per proteggersi durante l’impatto e faranno qualche controllo perché ha perso coscienza per poco. Giada e Alice andranno con lui in ospedale, stasera tornerete in taxi al college. Salvatore, a te va l’incarico di prendere il gruppo di Luca oltre al tuo”.

Io e Giada obbedimmo e subito ci affrettammo a raggiungere il nostro collega.

 

Era una situazione tragicomica, del tipo “Lui, lei e l’altra”.

Era tutto così assurdo, senza senso, malettamente tragicomico per certi versi che mi ritrovai a ridere in maniera quasi schizofrenica poco dopo, mentre io e la dottoressa ce ne stavamo sedute nella sala di attesa.

Ovviamente, lei mi guardò senza parole per questo mio gesto ed io mi scusai agitando le mani per minimizzare.

“Perdonami, Giada, ma ti rendi conto?!”.

Confusa, mi fissò senza sapere cosa dire.

“Cioè?”.

Mi alzai, troppo carica di adrenalina per riuscire a stare ferma, camminai avanti ed indietro e poi iniziai a gesticolare come una matta mentre provavo a spiegarmi.

“Luca finisce in ospedale e chi lo accompagna? Quella con cui ha avuto una brevissima storia e quella che ha baciato ieri, che guarda caso è anche una dottoressa. Sembra una barzelletta” mormorai.

Giada si morse un labbro e si agitò sulla sedia.

“Io non avevo idea, ti ripeto”.

Notai che sembrava ancora più mortificata ma allo stesso tempo seccata e mi resi conto che era stata fin troppo calma e placida per i miei gusti nonostante avesse scoperto che il tipo che sembrava voler passare del tempo con lei in realtà lo stava facendo solo per ripiego.

Lo percepii guardando il suo viso, sembrava davvero sul punto di fingere così tanto da minacciare di scoppiare da un momento all’altro.

“Scusami. Voglio dire, forse ti sei sentita usata ma non è così, avrai davvero colpito Luca, di certo gli sarai sembrata più sana di mente di me” ammisi,prendendo posto a fatica e guardandola con aria di scuse.

“Non voglio immischiarmi” sbottò, d’un tratto più decisa.

“Ma Giada...”.

“E’ sempre così, sono quella con cui esci per ripicca, poi ovviamente al momento debito tutti se ne vanno dall’altra. Non fraintendermi, Luca per me non è altro che un ragazzo carino, ma ciò ha riaperto vecchie ferite. A medicina ti insegnano come mettere i punti di sutura e vorrei fosse facile ricucire tutto anche con una cosa astratta come i sentimenti”.

Non sapevo cosa dire, onestamente, visto che non la conoscevo affatto.

Per me era sempre stata la ventottenne diligente del gruppo, simpatica ma pronta a soccorrerti, ed ora eccola lì, fragile, esposta, come punizione per una sera in cui aveva provato a svagarsi.

Decisi di cingerle le spalle con un braccio e sorriderle e lei sembrò acccettare il gesto in silenzio, senza ulteriori scenate.

Ero consapevole del fatto che al posto suo avrei almeno sbottato a lungo con qualche compagno di avventura, mi sarei buttata giù, invece lei era lì, composta, pronta a soccorrere chi l’aveva bidonata.

Restammo così, tra un caffè schifoso della caffetteria e dei sorsi d’acqua, finché un dottore non ci disse con un mezzo sorriso che era tutto ok.

 

Ricordo i momenti successivi in maniera poco chiara, come se li avessi visti da spettatrice e non da protagonista.

Facevo tutto in maniera autonoma, senza pensarci, meccanicamente, ero concentrata solo sul viso di Luca.

Appena era uscito dalla stanza dove lo avevano visitato lo avevo guardato con ansia e felcità, lui mi aveva sorriso, un po’ colpevole, e mi aveva accarezzato il braccio con la mano non fasciata mentre Giada scambiava delle informazioni con i dottori.

In quell’istante avevo solo voglia di trascinarlo da qualche parte senza spettatori per urlargli contro che era un pazzo, che ci aveva fatto un brutto scherzo, per poi avvinghiarmi a lui come un koala e non lasciarlo andare più.

Purtroppo ci toccava prendere subito un taxi e tornare al college con i sensi di colpa perché non eravamo presenti e non stavamo aiutando nella parte fondamentale dell’avventura: l’ultima sera, quella con più pathos di tutte, quella in cui si tira un bilancio, si scattano foto sceme e si fanno promesse che non verranno mai mantenute.

Io, però, in quel momento, sentivo di volerne fare e volerne mantenere davvero tante.

Raggiunsi questa consapevolezza quando Luca strinse la mia mano nel taxi, seduto tra me e Giada, ed io mi sentii lo stomaco in subbuglio come quando mi aveva baciato la prima volta.

Ovviamente, la dottoressa finse di non farci caso e chiamò Saverio per comunicare gli ultimi sviluppi e chiedere come comportarsi.

“Dobbiamo tornare al campus, se poi riesci andiamo alla visione del filmato di addio quando tornano dalla cena. Io vado in camera mia, se hai bisogno mi chiami” sentenziò, professionale ma ovviamente molto fredda.

Luca annuì, ringraziandola, e quando arrivammo a destinazione fu un sollievo uscire dall’aria pesante che si era creata nell’abitacolo.

Senza dire nulla, Giada si avviò verso camera sua e io guardai Luca in attesa di non so precisamente cosa.

“Vai pure in camera tua, sto bene” disse, iniziando a camminare.

No, non potevo, non ce l’avrei fatta a starmene in camera mia con il pensiero di lui solo, ferito...

Ed egoisticamente, volevo di nuovo averlo al mio fianco come più di ventiquattro ore prima.

Per questo lo guardai e, senza dire nulla, gli cinsi la vita con un braccio.

“Non essere sciocco. Non ti libererai di me, questa sera”.

“Io non vorrei mai liberarmi di te”.

Non risposi, deglutendo, fino a che non ci ritrovammo in camera sua, quella che ci aveva ospitato la sera in cui tutto era davvero iniziato tra di noi.

“Hai bisogno di qualcosa in particolare?” chiesi, cauta.

“No, dopo mi cambio la maglia, ma...”.

Sospirando, presi posto di fianco a lui e lo guardai negli occhi, senza distogliere lo sguardo.

“Ti ho visto nudo, abbiamo fatto cose indecenti più di una volta, cose che qualcuno definirebbe “porcate”, ci siamo ritrovati così eccitati da non capire nulla, lo abbiamo fatto sul ripiano di un lavandino di un bagno facendo fatica a non farci sentire da un mucchio di adolescenti e ora, che fai, il timido, come se non ti avessi già visto senza maglia?” chiesi, incredula.

Per la prima volta dopo ore e ore Luca si lasciò scappare un sorriso malandrino e scosse il capo.

“Alice... Se non fossi k.o. mi sarei già eccitato sentendoti parlare così”.

“Idiota”.

Senza aggiungere altro, lo aiutai a togliersi con cautela la polo rossa e, senza che lui dicesse nulla, andai in bagno e bagnai la spugna che usava per farso la doccia, applicando un po’ di bagnoschiuma.

Senza nemmeno chiedergli il permesso, gliela passai sulle spalle, sulla schiena, sulle braccia, sul torace, per poi risciacquarla e ripassarla di nuovo.

Lo sentivo teso, poi improvvisamente più rilassato, tanto che a un certo punto chiuse gli occhi.

“Dove tieni le maglie?” domandai, ma lui mi fermò, si stese sul letto e mi fece segno di stendermi al suo fianco.

“Solo per cinque minuti, per favore, ricordiamoci come è iniziata”.

“Allora è iniziata?” domandai cautamente, visto che lo aveva negato poco più di ventiquattro ore prima.

“Sì, Ali. C’eravamo dentro fino al collo...”.

Mi appoggiai alla sua spalla e gli accarezzai il petto, sentendomi improvvisamente più felice.

“Ci siamo dentro fino al collo” bisbigliai.

Luca si mise a sedere e, incredulo, domandò: “Davvero?”.

“Inutile negarlo, Luca. Forse dovevi finire al pronto soccorso per farmelo capire, ho corso per Londra come una matta perché non sapevo come stavi e sapere che da domani potrei non vederti più mi fa paura”.

“Scusami per le cattiverie che ti ho detto, le ho pensate per un secondo, davvero. Sono stato un cretino a stare dietro a Giada, mi è costato molto fare finta di nulla con te” si scusò, profondamente serio.

“Io voglio solo tu sappia che all’inizio mi importava dell’opinione altrui, poi è cambiato tutto, il mio essere così incerta è dovuto al fatto che non so cosa potrebbe succedere tra noi. Onestamente, dopo oggi, non avrei problemi a baciarti davanti a tutti, colleghi, ragazzi, spagnoli, inglesi...”ammisi.

“Magari domani, in aeroporto, ma per ora possiamo iniziare qui, in privato...”.

Fu una sensazione meravigliosa vedere il suo volto abbassarsi all’altezza del mio, raggiungere prima il mio collo, baciarlo, per poi salire sempre più su fino a sfiorare la bocca e farla sua con un gesto cauto ma sensuale, che mi rapì ancor prima di iniziare.

Restammo lì, persi in un bacio che sembrava infinito per ritrovarci, mentre fuori scoppiava il solito temporale londinese che faceva da sottofondo musicale ai nostri gesti.

Mi sentivo persa anche io, disorientata, anche se forse fino a quel momento non ero mai stata più decisa e felice riguardo qualcosa, tanto da non sentire su di me il peso delle decisioni che avrei dovuto prendere il giorno dopo tra un volo e l’altro.

 

*°*°°*

Siamo agli sgoccioli, gente!

Il prossimo sarà l’ultimo capitolo, seguito da un piccolo epilogo.

Che ne pensate?

Un po’ di dramma ci voleva ;)

Fatemi sapere le vostre opinioni, io cercherò di essere più rapida possibile anche se purtroppo maggio è il periodo più stressante e impegnativo per chi lavora come insegnante.

Grazie a chi continua a seguire la storia e ai nuovi arrivati <3

Baci, a presto!

Milly.

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Capitolo 13
*** Day 14: Da mediatrice ad assistente a.... ***


Day 14: Da mediatrice ad assistente a....
"E chiudendo gli occhi immagino, immagino Fiumicino,
tu che parti per un viaggio e io
che annaffio le piante aspettando il tuo ritorno

con lo sguardo perso
tra le nuvole ed il telefono che suona ,

non rispondo, è ancora presto..."


Capitolo 13
Day 14: Da mediatrice ad assistente a....


Entrammo nella sala video in punta di piedi per non attirare troppo l'attenzione su di noi ma fu inutile visto che, udendo il rumore della porta, una decina di teste si era voltata in nostra direzione con aria curiosa.
Era ovvio, i ragazzi avevano saputo del loro group leader che si era ferito e volevano saperne di più.

Falsamente disinvolti, io e Luca prendemmo posto in fondo, lontano dallo staff, mentre di fronte a noi si vedevano le immagini di quei giorni scorrere davanti a noi, accompagnate da canzoni fifn troppo nostalgiche.
Ad ogni gita avevo associato un avvenimento in particolare: il primo litigio con Luca, la prima chiacchierata confidenziale con Nadia, il povero Javier che mi chiedeva di aiutarlo a spiegare i passi ai ragazzi, la mia gelosia nei confronti di Paula che ci provava con Luca...
Tutto stava per finire e faticavo ad accettarlo, tanto che fui costretta a sopprimere le lacrime per evitare di fare un'ulteriore scenata davanti a tutti.
Anche senza Luca ci sarei comunque rimasta male al pensiero di dover lasciare tutte le abitudini che mi ero imposta con tanta forza di volontà, come quella di riuscire ad alzarmi all'alba senza protestare o cenare alle diciotto.

Che bella evoluzione che avevo avuto, da quella che dimentica di portare l'adattatore in Inghilterra a quella che fa mille scenate in un solo giorno!
Senza fregarmene di nulla, mentre il video volgeva al termine, appoggiai la testa sulla spalla di Luca.
Era un gesto innocente e a me non andava più di mettere in crisi il nostro rapporto per il giudizio altrui; qualcuno ci notò ma Luca sembrava soddisfatto seppur incredulo ed io gli sorrisi. Era ciò che contava, non dovevo e non volevo pensare ad altro per complicarmi la vita.

Entrando in aula avevamo notato Saverio al telefono a pochi passi dall'entrata ed evidentemente la telefonata si protrasse per svariati minuti visto che rientrò giusto in tempo per la parte finale, quella in cui il coordinatore ringrazia lo staff e i ragazzi e li invita a tornare l'anno successivo.
Fu con grande orgoglio che sentii "... E un applauso a colei che, se volete, può tradurvi "Despacito". Grazie, Alice la Mediatrice!" seguito da un fragoroso applauso che mi rese fiera come non mai.
Mandai baci a tutti mentre improvvisavo un buffo inchino e, seppur goffa, mi sentii anche fiera del mio operato. Dopotutto era il mio primo incarico, non avevo mai lavorato prima di quel momento, pensavo di potermi ritenere soddisfatta per il modo in cui avevo gestito la parte professionale dell'incarico.
Saverio non si era mai lamentato del mio operato, aveva apprezzato tutto, gli avevo dato una mano durante i meeting ed era sempre andato tutto bene.

Mentre mettevo piede fuori al campus per tornare verso i dormitori, percepii chiaramente le ombre della notte avvolgermi insieme a tutte le responsabilità che mi toccavano per l'ultima parte del soggiorno.
L'ultima notte era quella in cui venivano testate tutte le capacità acquisite nelle due settimane precedenti, visto che toccava partire spesso ad orari barbari, far sbrigare i ragazzi che dovevano finire di fare i bagagli e dover ritirare le chiavi delle loro stanze almeno due ore prima della partenza.
Ufficialmente ero libera dai miei impegni ma ovviamente non sarei stata con le mani in mano, ne ero certa, avrei aiutato i colleghi in difficoltà.
Infatti, proprio come certezza ufficiale di ciò, vidi Saverio venirmi incontro con un'aria più stanca e preoccupata che mai, evidenti occhiaie bluastre e il passo che non era sicuro e stabile come al solito.
Non si fermò, mi fece cenno di continuare a camminare con lui e mi porse un foglio, burbero più che mai.
"Dovrei licenziare te e quel deficiente per tutti i casini di oggi e non solo ma in qualche modo verrete anche premiati" disse, falsamente sprezzante. "Ero al telefono con una dei resposabili, un group leader non può viaggiare da solo se ferito, tu domani hai la tratta Londra- Roma ma ti farai anche Roma - Napoli, alloggerai in un hotel e poi torni a casa. Prego".
Impiegai un po' per connettere quell'insieme di informazioni date in maniera non proprio chiara, così aprii il foglio e vidi che si trattava delle prenotazioni dell'aereo e dell'hotel. Ben trecento sterline di volo, evidentemente causate dalla prenotazione fatta all'ultimo secondo. Probabilmente l'azienda voleva tutelare il tutto e sperava che la questione si chiudesse senza reclami o denunce, ma conoscendo Luca sapevo che non avrebbe detto nulla ai genitori dei ragazzi che avevano causato l'incidente.
"Saverio, ma Luca sta bene..."obiettai, senza capire.
"E' comunque reduce da farmaci e ha una mano inutilizzabile. Per legge deve avere un'assistente. Non dirmi che ti dispiace..." mi canzonò, per poi farmi l'occhiolino.
Ecco, quanto non sopportavo questa sfaccettatura di Saverio! Prima incazzato, poi burlone, poi allusivo.... Anche se in effetti io al suo posto avrei dato di matto nella stessa situazione, non avrei saputo gestire il tutto con la sua freddezza.
"Mia madre mi ammazzerà ma pazienza".
"Non ci crede nessuno, Alice".
Alzai gli occhi al cielo e poi mi voltai verso di lui. Si parlava quasi sempre e solo di me, ma fino a prova contraria era lui quello che stava per salutare una ragazza per cui aveva perso la testa.
"Tralasciando me, tu piuttosto? Hai parlato con Nadia?" mi informai, preoccupata.
Udendo quel nome il volto del capo mutò, anche se non saprei dire se in bene o in male.
"Sì. Continueremo a sentirci e ci proveremo".
"Non avevo dubbi. Qua finisce che tra pochi anni ci invitate al matrimonio" ironizzai e, ovviamente, lui mi spinse provando a farmi cadere.
"Così sarete ancora più belli, tutti e due infortunati".
"Scemo! Non fare l'evasivo, sono sicuro che ce la farete".
Come al solito, cambiò atteggiamento e mi strinse leggermente a sé. "Va bene dai, vai a dare  la bella notizia a Mr. Infortunato. Anzi, Sfortunato, visto con chi se la fa".
Fu il mio turno provare a spingerlo mentre mi liberavo dalla stretta e mi allontanai per raggiungere Luca che camminava a vari passi di distanza da noi, circondato da uno stormo di ragazzini preoccupati per la sua salute.
"... L'unico modo per farmi stare tranquillo è ricordare cosa dovete mettere nel bagaglio a mano e cosa in quello da stiva. Tutti i prodotti per il corpo, per il viso e per i capelli nel bagaglio da stiva, intesi? Ricordate che se ci fermano ai controlli perdiamo tempo e perdiamo l'aereo" stava dicendo, un po' in ansia.
Sorrisi nel vederlo così attento e premuroso, aspettai che il gruppo si dileguasse per raggiungerlo e guardarlo con l'aria di chi la sapeva lunga.
"Che c'è?" chiese, sospettoso.
"C'è che sei fortunato, hai un'assistente visto il tuo infortunio!" risposi, restando sul vago e fingendo di non saperne di più.
"Come? Ma io sto bene! Non ho nulla...".
"E' quello che ho detto anche io".
Luca si lasciò scappare l'espressione tipica di chi ha capito tutto e non può crederci, tanto che mi afferrò per un braccio e mi condusse dietro uno degli alberi che facevano da cornice al percorso che conduceva ai dormitori.
"Sei seria? Tu....?".
"Sì. Devo ancora dirlo ai miei" confessai, porgendogli il foglio con la prenotazione.
Incredulo, mi strinse a sè e mi guardò con il tipico sguardo di chi ha vinto qualcosa per puro caso.
"Mi verrai a trovare in hotel?".
"Scherzi?".
Gli ci volle un po' per lasciarmi andare e improvvisamente tutto, inclusi i doveri pre partenza, sembrarono più leggeri da sopportare.
Avevamo avuto il privilegio di avere un altro giorno per noi prima di separarci ed entrambi sapevamo che non volevamo gettarlo all'aria, ne avremmo fatto tesoro perché era un'occasione imperdibile.
Per questo, con più grinta del dovuto, andammo nei vari edifici a dare le ultime dritte ai ragazzi del gruppo di Napoli e poi ci avviammo verso la famosa sala riunioni per le ultime informazioni.
Incontrammo Clara, Nadia e Salvatore che parlottavano tra loro e si bloccarono nell'istante in cui ci videro.
Normalmente avrei avuto qualche reazione esagerata, invece mi limitai a stringere  a me Luca e a dire: "Scommetto che avete saputo che io sarò la sua assistente".
"Sì. E brava Alì, ti sei fatta il tipo e torni con lui al suo paese" mi prese in giro Salvatore. "Per essere una che ha dimenticato l'adattatore, ti sei adattata fin troppo bene in queste due settimane".
"Grande, Salvatò, mi sei piaciuto!" esclamò Luca, battendo il cinque con la mano non fasciata.
Quell'episodio mi ricordò uno scambio di battute simile che aveva avuto luogo subito dopo il primo litigio tra me e Luca, quando lui mi aveva portato la colazione a tavola e Salvatore aveva fatto la sua solita battutina, piaciuta a tal punto che Luca gli aveva fatto segno di battere il cinque. Possibile che fosse successo solo una decina di giorni prima?
Clara e Nadia ridevano come le matte e io feci loro una smorfia prima di andare in loro direzione e abbracciarle.
"Io comunque l'avevo capito, furbacchiona. Sempre insieme segretamente, anche la sera dell'incidente del ragazzino..." disse la prima, facendomi l'occhiolino.
"Ehm...".
"Che fate qui, scansafatiche?".
Saverio uscì dall'ufficio e ci guardò con aria dispotica, facendo sobbalzare Clara.
"Saverio, stavo giusto...".
"Cosa, Clara? Idioti, venite qui, non vi ho ancora detto le valutazioni. Lo sapete che ci sono le valutazioni e che se la vostra non sarà positiva non potrete tornare in futuro, vero?".
Idioti, scansafatiche... Più Saverio ci insultava, più voleva provare a dimostrarci il suo affetto, ormai avevo capito che era fatto così.
In silenzio, entrammo, occupando i soliti posti, con Mario ed Elena che già lavoravano agli arrivi del giorno dopo, con la differenza che Luca si premurò di prendermi per mano e nessuno osò obiettare, anzi, qualcuno ci guardò con affetto.
Saverio fu l'unico a non sedersi, iniziò a camminare per la stanza. Indossava dei pantaloncini e una maglietta nera, probabilmente quello era il suo pigiama e si era preso la briga di liberarsi dai soliti pantaloni lunghi e soffocanti.
"Giada dorme, la valutazione del dottore non dipende da me quindi l'ho lasciata dormire. Comunque... Prima di dirvi le mie valutazioni, voglio sapere la mia. Ditemi tutto".
Ci guardammo senza sapere cosa dire, presi alla sprovvista da quelle parole. Per una volta ci era concesso giudicare lui? Sul serio?
Vedendoci sbalorditi, incrociò le braccia e si fermò.
"Anche io ho bisogno di migliorare, solo perché vi coordino non significa che il mio operato sia perfetto. Fatevi avanti, su" insisté.
L'unico ad alzare la mano fu Salvatore.
"Dimmi".
"Forse sei un po' troppo poco esigente quando siamo in giro, gli altri coordinatori con cui ho lavorato sono più rigidi sull'ordine dei ragazzi, li vogliono divisi per gruppi mentre a te non dispiace farli mescolare" azzardò.
Ovviamente eravamo tutti senza parole: gli stava rinfacciando il non essere rigido?
Saverio, tuttavia, annuì. "Grazie Salvatore. Ti dirò, so di questo difetto ma non mi piace imporre ai ragazzi di non chiacchierare con ragazzi di altri gruppi mentre andiamo in giro. Ditemi, cos'altro?".
Nessuno si fece avanti, così lui sospirò e si puntò un dito contro.
"Niente? Ve lo dico io. Ho sbagliato nel mettervi in guardia riguardo eventuali relazioni e poi ho fatto di peggio, vi ho aggredito quando non ve lo meritavate, a volte sono brusco... La verità è che in genere mi capita sempre uno staff nella norma, due group leader bravi, uno eccellente, un paio scansafatiche. Qui siete stati tutti dei gran lavoratori e ho amato il rapporto che si è creato tra di noi, ci siamo capiti subito. Mi sembra di conoscervi da secoli! Quindi dò nove a tutti, spero continuiate a lavorare per l'azienda e di rivedervi presto" concluse. "Inoltre, spero davvero che Elena riesca a diventare coordinatrice l'anno prossimo, io l'ho segnalata e spero vada tutto a buon fine".
Elena, sorpresa, emerse dai mille fogli che stava controllando e arrossì. "Cosa?" chiese, alquanto spiazzata.
"Sì, avevi dei dubbi? Dovete sapete che sei anni fa questa ragazza fece il suo primo turno come group leader, eravamo a Dublino, io ero coordinatore da solo un anno. Una lavoratrice instancabile, fu in grado di portare in college ben trentacinque ragazzi da sola! Due anni fa l'ho segnalata come team leader e ora merita di andare avanti".
"Ma tu sei un pazzo, anzi, hai continuato a trattarmi male per tutto il soggiorno e...".
"Elena, se ti tratta male significa che di te gliene frega, me lo hai detto tu, ricordi?" domandai, ricordando il litigio prima della partenza per Oxford.
"Allora non se ne frega di me, mi tratta bene" osservò Nadia, facendo ridere tutti mentre Saverio ed Elena si abbracciavano con Mario che ovviamente si intrometteva.
Guardai quella scena piena di emozione e non riuscii a non commuovermi, seguita da Clara.
Quella era davvero, davvero l'ultima volta che eravamo tutti insieme nella stessa stanza.

Avendo l'aereo alle nove, alle cinque del mattino  i pullman con cui se ne sareebbero andate Clara, Nadia e Giada erano già in partenza.
La scena sembrava davvero apocalittica: ragazzi che piangevano, gente preoccupata, promesse di vedersi presto...
Giada era silenziosa, avvolta in una mega felpa scura, aspettava il momento di salire e evidentemente di tornare a dormire per un altro paio d'ore.
Mi avvicinai e, senza darle alcun preavviso, l'abbracciai.
"Spero sia tutto ok, io...".
"Alice, non ha senso, non ci rivedremo più, ma figurati, non m'importa" minimizzò, per poi spostarsi e salutarmi con la mano.
Probabilmente anche io avrei risposto così, ma comunque ci rimasi male e mi voltai verso Clara e Nadia.
Clara si sporse verso di me e mi abbracciò con calore.
"Mi raccomando, non sparire" si raccomandò, baciandomi una guancia.
"Nemmeno tu!".
Mi voltai verso Nadia, la quale aveva gli occhi lucidi come non mai, con il labbro inferiore che tremava a intermittenza.
"Lo hai salutato?" sussurrai, appoggiandole una mano sulla spalla.
Annuì. "Ho finito di fare i bagagli e sono andata da lui... Siamo stati insieme fino ad ora" spiegò, riuscendo a stento a parlare. "Non mi sono mai sentita così, te lo giuro, io pianterei i ragazzi in asso e correrei da lui".
"Due settimane e sarà da te" la rassicurai, abbracciando anche lei e accarezzando la schiena. "Scommetto che non è qui perché non ce la faceva a dire addio".
Ma mi sbagliavo: mi bastò girarmi per vedere che stava correndo in nostra direzione, come in quelle scene da film in cui l'eroe corre verso la sua amata.
Spalancai la bocca e mi spostai giusto in tempo, perché Saverio aveva praticamente oscurato Nadia gettandoglisi addosso, fregandosene dei ragazzi che guardavano il tutto senza parole.
"Io ti conosco da due settimane ma mi hai sconvolto la vita, Nadia. Ti amo e non me ne frega niente se te lo dico così, non potevo non dirtelo! Ti amo e il trenta luglio sarò sotto casa tua per portarti a cena, capito?" disse, senza premurarsi di abbassare i toni.
Nadia era senza parole, piangeva, lo stringeva a sé, e i ragazzi si risvegliarono dai loro piccoli drammi causati dai vari addii perché scoppiarono in un applauso fragoroso e numerosi fischi di approvazione.
Voltandomi, vidi alcuni dei due team stranieri raggiungerci, con la faccia di chi non capisce cosa stia succedendo e non lo tollera.
"Cazzo! Ragazzi, scusate ma ci sono gli altri team" esclamai.
Subito, Saverio si scostò da una Nadia ancora emozionata che diceva a sua volta "Ti amo" a ripetizione e si voltò, premurandosi di fare il disinvolto.
Io mi voltai verso Luca e lui si limitò a farmi l'occhiolino.

Alle otto toccò a me, Salvatore e Luca partire.
Con due ore scarse di sonno, eravamo tutti stremati, senza sapere bene cosa dire e fare.
I ragazzi erano più tranquilli perché almeno sarebbero partiti insieme, arrivati a Roma avremmo salutato il gruppo di Salvatore e poi ci toccava proseguire per Napoli.
Posai la mia valigia in pullman e tornai da Saverio, Elena e Mario, tutti esausti come noi, avvolti in tute sformate e ancora con le ciabatte ai piedi. La giornata ovviamente sembrava uggiosa e rifletteva perfettamente il nostro umore del momento.
"Alle due arriverà il nuovo mediatore e poi alle tre iniziano ad arrivare i vari gruppi. Conosceremo l'equivalente maschile di Alice" disse Mario, giusto per dire qualcosa.
"Speriamo sia meno rompiballe e che non si faccia una storia con una GL..." mi prese in giro Saverio.
"Ehi, ho visto la foto, il pensierino ce lo faccio io!" s'intromise Elena.
"Deve essere una caratteristica dei mediatori, se non sono belli non li fanno laureare" mi difese Luca.
"Ma va, va...".
Saverio fece un gesto con la mano e poi, ovviamente, come succede sempre nel codice di comportamento maschile, non so come finirono a darsi pacche sulle spalle, a chiamarsi "fratello" e via dicendo.
Salutare quei tre fu davvero dura. Ripensai a quando, due settimane prima, mi avevano accolto in college tutta impaurita, avevano fatto battutine come al solito, Saverio aveva visto la foto del mio badge e aveva detto "E' photoshoppata, vero?".
L'Alice di allora immaginava solo problemi e ansie, per fortuna c'erano stati anche momenti indimenticabili alternati a discussioni che, in un modo o nell'altro, mi avevano fatto crescere.
"Ciao, ragazzi. E' stato un piacere" dissi quindi, abbracciando tutti e soffermandomi quando arrivai a Saverio. "Chiamami pure prima dell'appuntamento, ti dò qualche consiglio".
Invece di mandarmi a quel paese, annuì contento e fu così che mi ritrovai seduta in pullman, con quei tre che diventavano sempre più piccoli a causa della distanza.

"Ciao, Alì. Ricorda l'adattatore l'anno prossimo!".
Fu così che Salvatore, arrivati a Roma verso le tredici, mi salutò.
"E tu non dimenticare mai a casa la tua simpatia" gli avevo risposto io, ridendo.
Salutare Salvatore, la prima persona che avevo conosciuto oltre Saverio, Mario ed Elena, era il chiaro segno che tutto era finito.
Mi chiedevo che senso avrebbero avuto le giornate fino a quel momento, senza le sue battutine e osservazioni molto perspicaci.

Guardai l'aeroporto di Fiumicino che ci circondava, sempre caotico come al solito e pensai che nel giro di poche ore sarei arrivata a Napoli.
Il piano era far tornare Luca a casa per salutare i suoi e poi farlo venire in hotel da me.
Ovviamente, a Capodichino fummo accolti da numerose famiglie super ansiose e felici di rivedere i loro pargoli, signore che ci acclamavano come se fossimo degli eroi e nonni super premurosi che ci facevano mille domande.
Stanca come ero, capii poco e niente e rischiai di addormentarmi in taxi.
Tutto davanti a me procedeva rapidamente, non avevo le forze per essere totalmente partecipe e cosciente, tanto che appena arrivata in hotel ebbi a stento le energie di avvisare i miei e crollai, risvegliandomi tre ore dopo, quando Luca mi raggiunse.
"Stanca?" chiese, sbadigliando a sua volta.
Era un po' spettinato, ma rispetto a me profumava e aveva abiti puliti, tanto che mi sembrava assurdo vederlo con la camicia e non con la solita maglia rossa.
"Eh... E sporca. Corro a lavarmi, scusami, mi sono add...".
Se ne fregò del mio stato perché mi strinse a sé e mi baciò con trasporto, in un modo così sensuale che quasi mi fece risvegliare tutti i sensi.
"Qui non si corre, non siamo più al lavoro. Calma, fai tutto con calma, io sono qui".
"Va bene. Tu ci credi che è finita?" chiesi, spaesata.
"No. Lì ho conosciuto te, ora siamo qui insieme... Non è finita, Alice. E' finita la parte noiosa e stressante, al massimo".
Mi piaceva quella visione delle cose, metteva tutto in una prospettiva diversa.
Con un po' di malizia, mi spogliai davanti a lui e gli feci l'occhiolino prima di andare in bagno, godendomi la sua espressione rapita.
Quando tornai, mi accoccolai contro di lui, parlammo un po' e, stremati dalla giornata super intensa, ci addormentammo abbracciati.

La mattina dopo, dopo una rapida colazione, tornammo in stanza per usufruire al meglio le ultime quattro ore prima del check out.
Ero visibilmente eccitata all'idea di tornare tra le sue braccia, sentirlo su di me senza fretta, senza ansie,senza preoccupazioni.
Lui sembrava dello stesso avviso perché già in ascensore non esitò a provocarmi, baciandomi la spalla lasciata nuda dal top che indossavo e sussurrandomi cose poco caste all'orecchio.
Arrivati in stanza, lo spinsi con foga sul letto e mi misi a cavalcioni su di lui, guidando le sue mani sul mio corpo.
"Abbiamo riposato, mi aspetto grandi cose" ridacchiai, mentre la sua mano non infortunata si addentrava al di sotto del reggiseno.
"L'ho fatto per cavalleria, io non avrei avuto problemi ieri sera ma ti volevo attiva" scherzò.
"Sono molto attiva, tanto".
"Oh, lo spero bene...".
Mi liberai del top e del reggiseno, poi passai all'azione con la sua camicia, prima di baciargli il petto e armeggiare vicino la chiusura dei pantaloni.
Ero in fibrillazione, erano passati solo due giorni da quando eravamo andati a letto insieme l'ultima volta ma mi sembrava una vita.
Nel giro di pochi istanti, Luca ribaltò le posizioni e si ritrovò su di me, bello, deciso, sensuale come non mai.
"Non voglio lasciarti andare, Alice, dimmi che troveremo un modo" mi supplicò, con la fronte contro la mia.
Il suo respiro era in sincrono con il mio, mi sembrava dieci volte più accentuato, come il battito del mio cuore che quasi rischiava di esplodere fuori dal petto.
"Lo troveremo, Luca, lo troveremo...".
Ci credevo davvero, il pensiero di averlo nella mia quotidianità era meraviglioso e non vi avrei rinunciato per nulla al mondo.
Mi liberai degli ultimi indumenti e con grande soddisfazione avvertii di nuovo le nostre pelli a contatto, il suo respiro eccitato, il mio volerlo dentro di me subito, senza dover aspettare oltre.
Dire che fu bellissimo sarebbe riduttivo, in effetti.
Eravamo in sincrono, come se ci conoscessimo da una vita, e la cosa non poteva non rendermi più sicura della mia decisione: avrei fatto di tutto per tornare spesso a Napoli e lui di sicuro sarebbe venuto da me, ci potevamo alternare, era ancora estate...
Ne stavamo appunto parlando quando il mio cellulare squillò, facendoci sobbalzare e riportandoci alla noiosa realtà, quella in cui la gente non è vicina come lo eravamo noi  e per comunicare era costretta a usare mezzi come il telefono.
"Non rispondo" dissi subito, decisa a non separarmi dalla sua stretta e a godermi fino in fondo ogni istante insieme.
"Dai, magari è importante" mi convinse.
Sbuffando, recuperai il telefono e vidi che il numero era sconosciuto ed era di Milano.
"Milano" dissi, senza capire, e Luca scrollò le spalle.
"Rispondi, magari è importante" mi spronò.
Sbuffando, annuii e mi decisi a premere sul pulsante verde del display.
"Pronto?".
"Alice Sebastiani?" mi domandò una voce femminile sconosciuta, con un forte accento che non sapevo distinguere.
"Sì, chi parla?" chiesi, immaginando si trattasse della telefonata di routine di qualche operatore che mi voleva dalla sua parte.
"Sono Monica, la contatto dalla Emperor Travel. Lei ieri ha finito il suo primo turno come mediatrice culturale al Queen's College, giustoo?".
"Sì...".
Improvvisamente sentii la gola secca come non mai e andai in panico, perché per farmi una domanda simile a contratto ormai concluso c'era di sicuro qualcosa che non avevo fatto bene.
"Abbiamo ricevuto le valutazioni, abbiamo visto il suo nove e volevamo proporle uno stage retribuito presso la nostra azienda, nella sede di Milano".
Incredula, mi voltai verso Luca che attendeva una spiegazione visto che nel giro di venti secondi mi aveva visto passare da un'espressione scocciata, a una impaurita a una indecifrabile.
Fu in quell'esatto momento che realizzai che non sempre è un bene avere tutto ciò che solo due settimane prima avresti voluto con tutto il cuore.


*°*°*°*
Eccomi qui, dopo mille casini, il computer rotto che mi ha costretto a riscrivere tutto...
Avevo finito di scrivere il capitolo a metà giugno, proprio nel giorno dell'anniversario in cui mi avevano chiamato un anno fa per fare la GL. Carino, vero?
Peccato che poi, boom!, il pc ha dato problemi, io ero ancora fuori per lavoro, quindi eccomi qui ora a casa, dopo aver riscritto il tutto in soli due giorni.
Merito un premio? XD
Niente, dopo quasi un anno finalmente ho finito questa storia, manca solo un piccolo epilogo, è il bello è che qualche settimana fa l'azienda per cui lavoro mi ha richiamato e partirò per l'Irlanda :) diciamo che è un cerchio che si chiude (magari succede qualcosa di interessante e inizio a scrivere la parte 2, no, dai, scherzo!).
Che dire, Alice&Co mi hanno tenuto compagnia, sono pur sempre il ricordo del mio ex staff che già so mi mancherà moltissimo e spero che vi sia piaciuto questo capitolo.
Fatemi sapere, a breve metterò l'epilogo.
Grazie a tutti coloro che hanno letto e recensito e ancora grazie a DELIA per aver letto la maggior parte dei capitoli e per avermi dato una mano con le correzioni.
Che dire, grazie, grazie, grazie <3
a presto,
milly.

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


EPILOGO
Epilogo


Capisci di essere grande quando inizi ad essere parte attiva della cosiddetta "Stagione dei matrimoni", con tutte le responsabilità che ne seguono come l'organizzazione dell'addio al nubilato, la scelta del vestito da damigella e l'acquisto del costoso regalo per gli sposi.
Questo matrimonio ha praticamente inghiottito tutto il mio stipendio, ma guardando la sposa felice, l'abito che mi calza a pennello e tutta la gioia che mi circonda al momento non me ne pento.
Ne è valsa la pena rinunciare a varie pause pranzo per organizzare il tutto e calmare la sposa che da Capodanno - il giorno in cui ha ricevuto la fatidica proposta - non fa altro che chiedermi pareri per qualsiasi cosa.
Ed ora eccoci qui, a fine agosto, in un piccolo ma pittoresco paesino dell'Abruzzo che per fortuna si distingue per le temperature fresche e non disumane come quelle Milanesi a cui siamo abituati.
"Sei bellissima" dico, portandomi una mano sul cuore per enfatizzare il tutto.
Magnifica ed elegante nel suo semplice abito avorio, Nadia si volta verso di me e mi guarda, radiosa.
"Grazie. Grazie di tutto Alice, so di averti fatto impazzire in questi otto mesi, scusami...".
"Smettila, fidati che è stato quel rincitrullito del tuo fidanzato a rompermi le scatole ogni santo giorno" ci scherzo su, aggiustandole una ciocca di capelli un po' ribelle.
"Chi l'avrebbe mai detto due anni fa! Noi che ci ritroviamo a Milano...".
"Tesoro, ti ricordo che appena hai saputo del mio stage hai fatto di tutto per trovare lavoro lì".
"Dettagli, ho solo forzato il destino".
"No, quello lo ha fatto Saverio che ha fatto di tutto per trovare posto nella sede di Milano".
Udendo il nome dell'uomo che sta per sposare, gli occhi le brillano.
E' bellissima, i capelli scuri avvolti in uno chignon imperfetto, il trucco leggero e naturale e l'abito che le lascia le spalle scoperte.
Sembra nata per essere una sposa.
"Vado a controllare come sta" aggiungo, prendendo la pochette e vedendo che la porta si è aperta, rivelando sua madre e sua sorella.
Mi congedo con un sorriso e scendo al primo piano dell'hotel dove i due hanno alloggiato - seprarati ovviamente - visto che non abitano nella stessa città e per non offendere nessuno ne hanno scelta un'altra abruzzese, molto carina e facile da raggiungere per i loro parenti.
Busso alla porta, pensando a quanti ricordi condivido con lui e Nadia solo negli hotel, ed entro.
Saverio se ne sta seduto sul letto già vestito di tutto punto, è teso, non sorride, mi guarda a stento appena mi faccio viva.
"Non è fuggita, tranquillo" dico subito, cercando di alleggerire l'atmosfera.
"Cretina".
"Pure!".
Scuoto il capo e vado di fronte a lui, prendendo una mano tra le mie e stringendola con calore. Il pensiero che a breve su quella mano brillerà una fede mi rende emozionata perché ho visto la storia nascere sotto i miei occhi ed è bello vedere una storia che per una volta non ha una fine ma un bellissimo inizio.
"Andrà tutto bene e tra due ore sarà tua moglie. Te lo dice quella che due anni fa ci aveva visto giusto sulle tue nozze, anche se tu come risposta l'hai spinta e hai fatto il deficiente come al solito".
Io e Saverio, superata la fase in cui per me era solo il "capo", ora ci insultiamo quotidianamente, soprattutto durante le ore di treno che dobbiamo farci in inverno per promuovere i viaggi studio in giro per l'Italia.
E' pur sempre il capo del mio dipartimento, devo sempre stare lì a tradurre cose per lui, ma dal punto di vista umano siamo più uniti che mai.
Siamo fatti così, lui mi ha visto nei miei momenti peggiori durante l'infinito stage durato quasi un anno, io l'ho visto crescere e diventare un uomo migliore nel corso della sua storia con Nadia.
Al momento, è uno dei miei migliori amici e non so spiegarmi come ciò sia possibile, forse perché è una delle poche persone che mi è stata vicino durante il difficile periodo di adattamento al Nord, quando avevo pochi soldi e fin troppe cose da risolvere, non solo dal punto di vista economico.
"Deficiente ci sei tu" mi rimbecca, prendendo un bel respiro.
"Ti voglio bene anche io, eh".
Alza lo sguardo e, come al solito, cambia umore nel giro di poco.
"Ti invidio perché l'hai vista" sussurra, emozionato.
"Tra mezz'ora tocca a te" gli ricordo, indicando l'orologio appoggiato sul comodino.
Si lascia scappare un sorriso, poi si alza e gli aggiusto la cravatta blu.
"Sembra la fine di un'era" affermo, nostalgica.
Saverio annuisce, poi tocca a lui guardarmi negli occhi con serietà.
"Abbiamo già affrontato la fine di un'era e te la sei cavata. Questa sarà migliore" dice, deciso e convinto.
Deglutisco, pensando alla fine di quell'era... Io che mi chiudevo in me stessa, pensavo di aver sbagliato tutto, ero l'ultima a lasciare l'ufficio perché non volevo tornare a casa e stare da sola tra le quattro mura del mio monolocale, lui e Nadia che c'erano sempre per me, mi trascinavano in giro per la città durante il weekend e mi supportavano come due fratelli.
"Sì. Lo sarà".
"Perché non hai portato coso con te, oggi? Lui si porterà cosa, me lo ha confermato".
Davanti a queste parole, un anno prima avrei sbroccato di brutto, ma ora non posso che scrollare le spalle, serena.
"Tralasciando che già è rientrato al lavoro, non m'importa, non devo dimostrare niente a nessuno. Sono felice finalmente e questo è ciò che conta" ribadisco.
"Sei troppo saggia".
Qualcuno bussa alla porta, vado ad aprire e vedo Mario ed un'elegantissima Elena entrare nella stanza, tutti belli e perfetti nei loro abiti da cerimonia.
"Siete favolosi!".
Baci, abbracci, esclamazioni buffe per scacciare il nervosismo... Tutto ciò mi riempie di gioia, così decido di tornare verso la camera di Nadia per stare con le altre damigelle che ormai dovrebbero già essere arrivate per le foto da fare prima di andare in chiesa.
Decido di prendere l'ascensore per non stancarmi già a causa delle scarpe dal tacco altissimo, attendo il suo arrivo, le porte si aprono e nel giro di mezzo secondo eccolo lì con la sua fidanzata.
Vedendomi, Luca resta impassibile e cede il passo alla bellissima ragazza dai capelli rossi che da più di un anno gli ha rubato il cuore, Camilla.
Lei, mozzafiato nel suo abito lungo ed aderente, mi sorride con aria di circostanza, evidentemente nervosa al solo pensiero di avermi lì, di fronte a lei.
"Ciao Luca, ciao Camilla" li saluto educatamente, decisa a dimostrare il mio essere tranquilla e finalmente felice per la piega che ha preso la mia vita senza ostentare nulla.
Come tutte le volte che è nervoso, Luca si passa una mano tra i capelli.
Luca, quello che ha insistito per vivere una storia a distanza.
Luca, quello per cui fuggivo a Napoli durante il weekend nonostante gli orari assurdi a lavoro e i pochissimi soldi che guadagnavo.
Luca, quello che dopo sei mesi ha iniziato a essere diverso, a darmi buca, a essere più evasivo che mai.
Luca, quello che dopo nove mesi mi ha rivelato di avermi tradito con una del suo paese, Camilla Buonfiore, e che mi ha fatto rimproverare da mezzo condominio per il disturbo recato dalle mie urla.
"Ciao" dice, senza nemmeno degnarsi di dire il mio nome.
"Ciao, Alice".
Camilla si porta una mano nei pressi del viso giusto per farmi vedere un bellissimo anello al suo anulare sinistro ed io, invece di prendermela, soffoco a stento una risata.
Se c'è una cosa che ho imparato in questi ultimi anni è che quando una situazione ti fa stare bene sei così felice da non aver bisogno di farlo sapere a tutti.
"Ci vediamo dopo in chiesa, sono la damigella d'onore e la sposa mi aspetta" spiego con calma, entrando in ascensore.
"Certo, ciao".
Una volta da sola, scoppio a ridere, incredula per quella scena patetica.
Camilla se lo è preso, che senso ha farmi vedere l'anello, teme che me lo riprenda?
Certo che no, non ci tengo.
Prendo il telefono e vedo un messaggio non letto.

Maurizio:
Grazie per non avermi fatto recitare la parte del tuo accessorio solo per ripicca, anche se prima o poi dovrai ufficializzare la cosa, sono sei mesi che ci vediamo! <3

Sorrido tra me e me e, presa da un momento di felicità, lo chiamo.
"Pronto?".
"Ciao, fidanzato".
"Come mi hai chiamato?".
La voce calda di Maurizio è decisamente sorpresa e la cosa mi fa ridere.
"Ho ufficializzato la cosa, no? Scusa se non te lo chiedo con le rose in mano" esclamo ridendo.
Maurizio ride a sua volta, senza parole. "Toccava a me...".
"No, sono io che ti ho chiesto di uscire all'inzio, no?".
"Che c'entra!".
Se c'è una cosa che ho imparato in questi utltimi due anni è quella di vivere e non aspettare che le cose vadano come voglio, bensì mettermi in azione per far sì che ciò succeda.
Nadia aveva ragione quando mi faceva vari discorsi sul vivere il presente e non rinunciare a certe occasioni e oggi, in onore del suo matrimonio, ci tengo a mettere in pratica l'insegnamento più grande della mia vita... Fino ad ora!

FINE

*°*°*°*°
Dopo quasi un anno questa storia giunge al termine ed è con grande emozione che devo cliccare su "completa".
I miei personaggi per me sono sempre vivi, dopo un po' diventano delle persone vere e Alice per me meritiva il meglio, il meglio inteso come crescita personale.
La vita vera è così, si cresce, si conoscono persone, alcune restano con noi e altre si perdono durante il percorso, solo che per fortuna c'è un sempre un lato postivo: ognuno alla fine ci lascia un insegnamento, ci fa capire tante cose e ci rende una persona migliore, anche se ci fa esasperare e ci mette a dura prova.
Alice e Luca e Saverio e Nadia sono inizialmente due coppie che si formano quasi contemporaneamente, nello stesso luogo, nella stessa occasione.
E' Alice quella che scopre senza volerlo Saverio e Nadia, è Nadia quella che vede certi comportamenti strani e capisce ciò che succede ad Alice.
Nadia si era trasferita a Milano e ci aveva rinunciato per il fidanzato dell'epoca, poi, dopo questo lavoro estivo, scopre che Alice ha uno stage lì e si rimette in gioco.
Non lo fa per Saverio: lui ha il suo lavoro in un'altra sede, la raggiunge in un altro momento perché crede in lei e vuole renderla felice, è pronto per un nuovo inizio al suo fianco.
Luca... Beh, Luca alla fine è un bravo ragazzo che a quanto pare agisce subito e senza pensarci ed evidentemente con Camilla gli è successo ciò che gli era capitato con Alice. Loro due sono diversi, i vari capitoli lo hanno evidenziato, Alice ha provato ad avere sia la carriera che l'amore ma non ha funzionato. Però ci ha provato ed ora, dopo tante sofferenze, sembra aver trovato la felicità con Maurizio.
Il resto del gruppo non c'è perché non si è creato un legame speciale, inevitabilmente ognuno ha preso la sua strada, ma Mario ed Elena ci sono sempre, non potevano mancare in un'occasione simile.
Che dire, queste spiegazioni sono più lunghe dell'epilogo xD
Io vi ringrazio per aver seguito questa storia e spero non ci siate rimasti male per il finale :)
Fatemi sapere,
un bacione.
La vostra Milly.

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Capitolo 15
*** PARTE 2 -Prologo - Day 0: Da Londra a Milano fino a Dublino. ***


parte 2
PARTE 2
Provaci di nuovo, Alice.

Prologo
Day 0: Da Londra a Milano fino a Dublino.

"A me questa estate non sembra estate. Voglio dire, niente mondiali, niente tormentone estivo! Vero, Alice?".
La voce di Mario mi fece sobbalzare, presa com'ero dalla visione magnifica del fiume Liffey poco prima del tramonto.
"Mario, stiamo ancora lavorando, l'estate non è per noi ma per chi sta al mare, chi se ne frega" gli ricordai.
Mi aspettavo una delle sue solite battutine, invece Mario mi sorprese prendendomi per un braccio e obbligandomi  a guardarlo in faccia.
"Senti, Alice, è da quando ci siamo rivisti in aeroporto che sei così acida! Io non ho intenzione di passare un mese così con te che fai la musona. Sai che ti dico? Sei un'ingrata!" sbraitò, alzando i toni.
"Cosa?!" esclamai, offesa più che mai.
Mario, quello che ti rideva in faccia se lo offendevi, mi stava sgridando. Cosa stava succedendo?
"Sì. Sei un'ingrata! Sai quanto ci abbiamo messo io ed Elena per far parte della parte "superiore" dello staff? Anni! Tu arrivi, dopo due settimane ti offrono uno stage, a fine giugno vieni presa e vieni spedita a Dublino a fare la Mediatrice - Collaboratrice del Coordinatore, con tanto di diritto a occuparti tu di tutte le questioni con gli spagnoli senza dover stare lì a tradurre mille email e cosa fai? Ti lamenti. Ti lamenti! Alice, guadagni duecento euro a turno più di me, un anno fa non sapevi nemmeno di questa azienda e....".
"Mario, per favore".
Vedendomi rabbuiata lui si bloccò e, senza aggiungere altro, si placò.
"Io sto così da aprile, non c'entra il lavoro, era per dire, ho altro per la testa..." mi giustificai.
"Luca non deve influire più sulla tua vita. Ha sbagliato, lui ora sta bene e devi essere felice per te stessa".
"Non è facile. Da luglio ad aprile ho fatto tutto in funzione di lui e ora mi sento persa".
"Ci siamo noi a guidarti" mi rassicurò, abbracciandomi con fare fraterno.
"Non ho dubbi" ammisi, sentendomi un po' più rasserenata.
Il discorso di Mario era il tipico discorso che ti farebbe un fratello maggiore, visto che lui c'era stato l'anno prima quando ero arrivata al college vicino Londra quasi impaurita e me ne ero andata con una pseudo storia d'amore con un collega e tante speranze.
"Ma devi capire che se sto in questa posizione lavorativa è per pura fortuna, il college bilingue ha avuto successo e l'azienda ha capito di dover estendere questa sperimentazione, molti non conoscono lo spagnolo e...".
"Alice! Stai zitta, lo so!" sbuffò, scompigliandomi i capelli con fare dispettoso.
"Che succede qui?".
Ci voltammo e ci ritrovammo davanti il nostro capo, Saverio Capone, che esibiva la solita aria seccata.
"Alice fa la stupida".
"Non avevo dubbi".
"Ne riparliamo domani alla reunion delle dieci. Sii puntuale" lo ammonii.
In quanto Mediatrice - Coordinatrice avevo mille responsabilità in più, ero responsabile di tutte le attività svolte con il team inglese e quello spagnolo e quindi allegerivo di molto il carico di lavoro di Saverio.
Rispetto all'anno precedente i miei doveri non erano più statici come il stare quasi sempre davanti a un pc a tradurre email per il capo, questa volta collaboravo direttamente con gli altri team per elaborare il programma e lo comunicavo.
In più avevo il privilegio di avere un Mediatore al mio fianco a cui dare i compiti più semplici, quindi lo staff era diramato in due: group leader guidati dal direttrice e il mediatore coordinato da me. Sapevo solo il nome del mio aiutante, Maurizio Castellani, e che lo avrei conosciuto il giorno successivo.
Di conseguenza, ero io che "invitavo" Saverio alle riunioni, avevo il diritto di convocare tutti quando lo ritenevo giusto e non ero più la sua interprete.
"Alice, ma parla come mangi, riunione va bene!".
Mi lasciai scappare una risata e forse solo in quel momento realizzai in cosa mi ero cacciata, di nuovo.
Riunioni folli, orari assurdi, ragazzini iperattivi, ma anche amicizie improbabili,  serate indimenticabili, momenti così strani e unici da legare persone sconosciute tra loro.
"Sono felice di essere di nuovo qui con voi, ragazzi. Sono pronta per Dublino 2018!" decisi di dire per non farli preoccupare.
Sapevo che in fondo erano davvero preoccupati per me e ci tenevano a farmi stare bene, così mi stampai in faccia un sorriso e li invitai a prendere una birra - una Giuinness, ovviamente - per celebrare l'inizio di quella stagione lavorativa.

*°*°*°*
Quando l'ispirazione chiama, chiama.
Reduce dalla mia seconda esperienza come group leader sono felice di comunicarvi che Alice avrà un continuo e sto già scrivendo il secondo capitolo. Il tutto sarà ambientato durante l'estate 2018,ovvero l'estate prima del matrimonio di Saverio e Nadia, quando Alice e Luca si sono lasciati da poco.
Il 27 agosto pubblicherò il primo capitolo, lo troverete sempre qui perché ho intenzione di togliere il "Completa" e renderla una storia in due parti, così tutti coloro che hanno seguito la storia non la "perdono" di vista.
Che dire, fatemi sapere se vi va di seguire la seconda parte, ci saranno tante novità.
Ci vediamo il 27 :D
Un bacio,
milly.

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Capitolo 16
*** Day 1: Dall'altra parte della scrivania ***


Day 1: Dall'altra parte della scrivania.
Capitolo 1
Day 1: Dall'altra parte della scrivania.


26 Luglio 2018

Come ogni volta che si trattava di dire addio, non riuscivo a non essere pacata e razionale, mi lasciavo sempre andare con frasi strappalacrime o ridevo per il nervosismo.
Avevo salutato tutti, solo Maurizio era l'unico rimasto al mio fianco perché avremmo preso la stessa navetta per tornare a Termini e poi ognuno si sarebbe diretto a casa propria.
"Andiamo?" mi chiese, un po' incerto.
Esitai, guardando l'aeroporto di Fiumicino per l'ultima volta, con un'enorme carica positiva visto che ogni avventura iniziava sempre da lì e in un modo o in un altro ogni volta che ci tornavo ero una persona diversa.
"Aspetta" susurrai. "Quando usciremo da qui saremo presi da telefonate, orari delle navette, mille pensieri... Voglio approfittarne per dirti ora che ti ringrazio perché mi hai dimostrato di essere una persona meravigliosa e non so come avrei fatto senza di te".
Maurizio sgranò gli occhi, quasi incredulo per quella mia ammissione e, un po' goffamente, fece un movimento strano che gli fece cadere la valigia.
Ridemmo e non so come ci ritrovammo stretti in un abbraccio dolce, che probabilmente voleva dire tante cose, più di quelle che ci eravamo già detti.
Non me ne ero ancora resa conto, ma a pochi passi da noi c'era Luca con la sua squadra che ci guardava.

28 Giugno 2018

Il verso dei gabbiani fu l'unica cosa fastidiosa del mio risveglio, quel freddo giovedì di fine giugno.
Era tutto calmo nonostante fosse un giorno importante: nel giro di circa sette ore il college avrebbe iniziato a riempirsi di adolescenti provenienti da tutte le parti d'Italia accompagnati dai rispettivi Group Leader, coloro che erano in carico di gestire i ragazzi in ogni momento del soggiorno, controllare che fosse tutto ok e aiutarli in caso di necessità.
Dopo una lunga dormita mi sentivo pronta ad affrontare i miei doveri di   Coordinatrice Mediatrice e le parole di Mario mi avevano fatto bene visto che mi ero ricordata dei progressi fatti in un anno.
Avevo lavorato come un mulo, mi ero trasferita da Roma a Milano per uno stage nell'azienda per cui avevo lavorato come Mediatrice ed ero finita per essere una sorta di tuttofare: dal caffè alle fotocopie al rispondere alle telefonate...
Solo a maggio, dopo quasi dieci mesi di lavoro, mi avevano proposto un contratto di tre anni come Mediatrice e Promoter delle vacanze studio.
Nel giro di un mese la mia vita era cambiata, anche perché mi ero ritrovata con un'ulteriore proposta di incarico per quanto riguardava il soggiorno in Irlanda, quella che mi rendeva, appunto, Coordinatrice Mediatrice .
Senza sapere come, mi ero ritrovata all'infinita riunione della Stagione 2018 con tutti i coordinatori, i team leader e gli Activity Leader, ovvero la parte "superiore" e fissa di ogni staff.
Io, quella che l'anno prima aveva dimenticato di portare in Inghilterra una cosa stupida come l'adattatore, avrei dovuto coordinare la parte del soggiorno che riguardava l'avere a che fare con gli stranieri sotto tutti gli aspetti, dalle escursioni alle serate a tema.
Come se non bastasse,  avrei avuto anche un Mediatore a cui affidare i compiti più semplici, come tradurre le parole di una guida durante un'escursione.
Per questo, cercando di non andare nel pallone, decisi di soffermarmi sulle cose positive di quel nuovo incarico, ricordandomi che ce la potevo fare.
Stavo facendo colazione quando mi resi conto che Saverio e Amanda, la nuova Team Leader, mi cercavano con lo sguardo mentre reggevano i vassoi con sopra le loro colazioni.
Alzai la mano per farmi notare così mi raggiunsero e presero posto di fronte a me.
"Buongiorno!" esclamai.
"Buongiorno" replicò Amanda, una ragazza di ventinove anni alla sua prima esperienza come Team Leader.
"Buongiorno. Alice, fai ridere con questa camicetta".
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, guardando male Saverio.
Mi andava bene essere oggetto di battutine davanti a chi mi conosceva, solo che Amanda non era una di noi e dubitavo lo sarebbe diventato, lo avevo capito da quando si era presentata alla riunione generale di due settimane prima e aveva esordito dicendo che era felicissima di essere diventata Team Lader perché così poteva "lasciare tutte le cose da fare ai Group Leader, non fare più ronde notturne e andare a dormire presto", seguita da una risata per nulla divertente.
Noi eravamo una squadra pronta ad aiutarci, lei era lì per comandare.
Quindi, per questo non volevo apparire come una sorta di anello debole della catena visto che rispetto a lei anche io avevo il dovere di coordinare qualcuno e tante responsabilità.
"Che ti devo dire, almeno ci sarà qualcosa di divertente in questa giornata impegnativa" provai a zittirlo subito, cercando di celare la mia disapprovazione.
"Non siamo in ufficio a Milano, lo dico per te, poi non è pratica...".
"Saverio, tra un'ora ho la prima vera riunione importante della mia vita in cui conto davvero qualcosa e se voglio andarci con una stupida camicetta ci andrò, ok?" lo zittii definitivamente. "Non ho l'obbligo della divisa, dopotutto".
"Certo, scusa".
Cosa? Si era appena scusato con me? Possibile?
"Figurati".
"Wow Alice, hai zittito Saverio! Sei una peperina!" ridacchiò Amanda, in un modo che mi fece arrabbiare ancora di più.
"Non ti ci abituare, non succede mai e probabilmente non succederà più" le ricordai, decisa.
"Buongiorni amici!".
Sospirai di sollievo nel vedere che anche Mario ci aveva raggiunto per colazione, sapevo che la sua presenza avrebbe reso l'aria decisamente più leggera.
Gli feci cenno di battere il cinque - era il nostro modo di dirci che era davvero tutto ok dopo la discussione della sera prima - e lui obbedì con entusiasmo.
"Mario, io dopo la riunione solo libera fino alle tre perché poi arriva il nuovo mediatore, che dici, stiliamo la lista di attività per le varie serate a tema così poi le propongo agli irlandesi e agli spagnoli?" proposi.
"Certo!".
Sapevo quanto Mario amasse proporre nuove attività e coinvolgere più gente possibile per rendere le serate un vero successo, per questo ero felice di lavorare con lui e allontanarmi dalla compagnia di Amanda, visto che mi sembrava inutile.
Mangiammo tutti insieme, poi alle nove e venticinque mi alzai.
"Ragazzi, inizio ad avviarmi" mi congedai.
"Aspetta, vengo con te" disse Saverio, facendomi cenno di non muovermi e mangiando l'ultimo boccone del toast con burro e marmellata.
Annuii, così qualche minuti dopo uscimmo insieme dalla grande mensa del Joyce's College, diretti verso la struttura dove si sarebbero tenute le lezioni di inglese e di spagnolo e dove c'erano i vari uffici.
"Non volevo offenderti, era solo una battutina, sai, quelle che io e te ci diciamo da ormai un anno" mi disse subito, alquanto preoccupato.
Eccolo lì, il solito coordinatore che prima lanciava la bomba e poi, comprendendo l'errore, correva a scusarsi per aggiustare la situazione.
"Lo so, Saverio, ma non mi va di essere derisa così davanti ad Amanda. Ieri in aereo mi ha fatto tutto un discorso sui nostri ruoli, era gerarchico! Lei crede di essere il capo del mondo, non è una alla mano come lo siamo noi, non è...".
"...Elena" terminò lui per me, annuendo tristemente. "Hai ragione, Alice, ma Elena ora ha il suo college da coordinare e dobbiamo andare avanti. Tu sei stata fortunata ad avere un bel gruppo alla prima esperienza ma le cose non stanno così, l'anno scorso siamo stati l'eccezione. Ora conosceremo i nuovi Group Leader e magari siamo fortunati così Amanda sarà in minoranza, solo che io devo collaborare con lei e non posso fare altro che provare ad andarci d'accordo".
"Va bene, solo che... Mi sembra scontato dirlo ma non voglio che sappia degli avvenimenti dell'anno scorso".
"No, Alice, scherzi? Non le direi mai che sto con una Group Leader conosciuta l'anno scorso o che ti eri messa con...".
"Ecco, ci siamo capiti".
Non volevo sentire il suo nome, faceva ancora male il solo pensarlo, figuriamoci ascoltarlo.
Sapevo che aveva fatto di nuovo domanda per lavorare nello staff ed era finito a Barcellona, con mio grande sollievo.
Saverio capì che non bisognava nemmeno accennare l'esistenza di Luca, così mi fece segno di seguirlo una volta entrati nel grande edificio dove si sarebbero tenute sia le lezioni sia le varie attività.
"Seguimi" disse semplicemente, avviandosi verso il primo piano.
Obbedii e mi ritrovai in un ufficio con due scrivanie in legno, due computer e una finestra molto luminosa che dava sul parco dove i ragazzi avrebbero fatto ricreazione.
"Benvenuta nel tuo ufficio" disse poi, sorridendo speranzoso, in attesa della mia rezione.
"Cosa?".
"Hai bisogno del tuo ufficio, Alice! Tu e il mediatore potrete lavorare qui in santa pace. E' da una settimana che prego la direzione di darci un ufficio extra e ci sono riuscito. L'insistenza ripaga, ricordalo sempre, e ricorda che meriti di stare dall'altra parte della scrivania" spiegò.
Incredula, mi portai una mano alla bocca e mi guardai attorno: da lì a un mese quello sarebbe stato il mio ufficio.
Io avevo un ufficio! Io, quella che gironzolava per gli uffici degli altri senza meta fissa avrei avuto la mia scrivania!
Senza parole, abbracciai Saverio e iniziai a saltellare per la gioia, felice come non mai.
"Non ci credo" esclamai, improvvisamente ancora più esaltata per ciò che stava iniziare nel giro di poche ore.
"Te lo meriti. Te lo meriti perché quando sono arrivato alla sede di Milano ti ho visto gironzolare da scrivania a scrivania senza fermarti un secondo, andavi avanti perché dovevi ma si vedeva che ti chiedevi "Quando avrò un ufficio tutto mio?" e che allo stesso tempo ti stavi arrendendo. Vederti così mi ha fatto stare male, Ali! Questo è un nuovo inizio, poi da settembre lavoreremo insieme, gireremo insieme per le varie scuole d'Italia... Meriti un inizio appropriato, senza essere alla ricerca di una scrivania tutta tua" sentenziò, prima di sciogliere l'abbraccio e aprire un cassetto, rivelando una bella scorta di block notes, penne, post it e planner.
Probabilmente ricordava tutte le volte in cui mi era toccato andare in giro per cartolibrerie per fare scorta di materiali per l'ufficio in cui mi perdevo nella scelta di materiali originali.
Ero senza parole per tutte quelle accortezze visto che negli ultimi mesi avevo imparato a cavarmela da sola.
Ora che era di nuovo lui il mio "capo" mi sentivo più protetta, tutelata, e non vedevo l'ora di renderlo fiero di me, questa volta senza intoppi, senza drammi sentimentali e gente che finiva all'ospedale.
"Ti renderò fiera di me" riuscii soltanto a dire, fin troppo commossa da tutta quella premura.
"Non ho dubbi. Comunque dopo pranzo ti aspetto in cortile, c'è un'altra sorpresa".
"Mi fai paura, Saverio! Non dirmi che Nadia...".
"No, Nadia continua a lavorare da Sephora e andrà in ferie ad inizio agosto, lo sai. E' un'altra sorpresa".
Annuii, decidendo di fidarmi di lui, per poi guardare l'orologio e spalancare gli occhi.
"Manca poco alla riunione, andiamo!".
"Ma che palle, Alì!".

La riunione andò bene, tutti sembravano essere d'accordo sulla maggior parte dei punti e non ci furono particolari problemi, così me ne andai nel mio ufficio nuovo di zecca con Mario per programmare varie attività da proporre nel meeting del giorno successivo.
Tra queste, quello che più ci aveva entusiasmato era lo Speed Date che avrebbe avuto luogo la sera successiva: i ragazzi provavano a conoscersi nel giro di due minuti e poi passavano al compagno successivo, per una durata di un'ora.
Anche noi come Staff ci saremmo messi in gioco, e la cosa ci fece ridere fin troppo.
"Immagina lo speed date tra Amanda e Saverio" aveva detto Mario.
"Non oso immaginare!".
"Però il nostro sarà il più figo, Alì!".
"Ovvio".
Così, alle dodici e trenta ci avviammo verso la mensa e un'ora dopo fui trascinata con forza fuori per andare verso il cortile per la cosiddetta "Sorpresa".
"Io non capisco! Che sorpresa può mai essere?" sbottai, infastidita perché avevo mangiato in fretta e furia un ottimo dolcetto al cacao. "Ho letto i nomi del resto dello staff e non li conosco, Elena è a Londra, Nadia è a Milano...".
"Sai, Alice" mi interruppe Saverio, fingendo di non ascoltarmi, "Questa volta i ragazzi saranno di più, cento, divisi per quattro Group Leader".
"Lo so, Saverio, ti ho trascritto io i loro dati...".
"Ma in casi come questi, soprattutto quando hai quasi tutto lo staff alla prima esperienza, puoi richiederne uno in più, uno che sostituisca gli altri quando hanno la giornata libera o quando c'è un emergenza".
"Ok, quindi...?".
"Quindi...Oh, ecco il taxi!".
In un battibaleno Saverio e Mario corsero in direzione dell'auto come due bambini che corrono verso fiumi di cioccolatini, urlando cose a caso che non riuscivo a comprendere.
La portiera si aprì, vidi prima una valigia, poi un bagaglio a mano, poi Saverio che si buttava addosso a qualcuno e poi mi sembrò di essere tornata un anno indietro, quando mi fermai nel bel mezzo del Queen's College perché avevo notato che il cellulare si stava spegnendo e avevo ricordato di aver dimenticato l'adattatore, salvo poi ritrovarmi qualcuno che mi veniva addosso per la mia frenata brusca.
Salvatore era lì, sempre lo stesso, che sorrideva in evidente imbarazzo visto il suo essere timido e di poche parole e poi mi faceva un cenno da lontano.
"Salvatore!" urlai, con la stessa enfasi di chi nota da lontano il suo attore preferito.
Corsi in sua direzione e mi portai una mano alla bocca, incredula nell'averlo lì di fronte a me.
Mi ero rassegnata a non avere al mio fianco persone come Nadia, Clara ed Elena, mi ritenevo già fin troppo fortunata nel poter lavorare con Saverio e Mario, eppure ecco lì Salvatore, il primo Group Leader che avevo conosciuto.
"So tutto da due settimane, Alì, ma mi hanno detto di non dirtelo!" si giustificò, sorridendomi, imbarazzato più che mai mentre gli gettavo le braccia al collo e lo stringevo a me.
Mi sentivo molto legata al ricordo di Salvatore, forse perché da quando lo avevo conosciuto fino a quando lo avevo salutato all'aeroporto di Fiumicino avevo vissuto una sorta di stramba favola che purtroppo aveva avuto una fine non proprio lieta.
"Che idioti! E' una bellissima sorpresa!" urlai, probabilmente con voce fin troppo stridula.
"Lo sapevo" disse Saverio.
"Ne ero certo" diede man forte Mario.
Entrambi presero i bagagli del ragazzo e ci fecero segno di seguirlo verso la sua stanza, così restammo a due passi da loro.
"Come stai? Io mi sono trasferita altrimenti ti avrei detto volentieri di beccarci a Roma" spiegai, per far capire che non lo avevo snobbato visto che abitavamo abbastanza vicino.
"Lo so, Alì, Saverio mi ha accennato qualcosa. Lavorate insieme, hai fatto lo stage con l'azienda, brava".
"Sì... Tu, piuttosto?".
Scrollò le spalle e fece un sorriso amaro. "Campo contratto dopo contratto, faccio un po' di tutto, questo è il mio unico lavoro abituale".
Mi sentii colpevole al pensiero di aver ottenuto un contratto di tre anni con la nostra azienda quando lui lavorava per la stessa da anni ed anni, quindi decisi di non dire altro.
"Capisco...".
"Senti, non so' bravo a fare finta di niente, ho notato che non posti più cose co' Luca, non so' fatti miei ma non so cosa posso chiedere o meno visto che non ci vediamo da un po'" disse rapidamente, con l'aria di chi vuole togliersi un pensiero subito.
Non potevo biasimarlo, dopotutto l'anno prima lui ci aveva salutati entrambi in aeroporto mentre ce ne stavamo mano nella mano.
Salii i gradini che portavano ai dormitori e deglutii.
"Siamo stati insieme fino ad aprile, poi mi ha confessato di avermi tradito con una con cui poi si è messo. E' stato difficile far quadrare tutto visto che io lavoravo a Milano, ma almeno ci abbiamo provato" risposi, cercando di controllarmi.
Salvatore si bloccò, incredulo, e mi afferrò per un polso.
Saverio si fermò vedendo che non stavamo proseguendo e io gli chiesi la stanza in modo da raggiungerli nel giro di qualche minuto.
"Ma che fijo de 'na mignotta!".
"Lo so, Salvatore, ma non posso farci nulla, devo andare avanti. Non ne voglio parlare" ammisi, sincera più che mai.
Salvatore annuì e mi accarezzò un braccio.
"Io so' un tipo di poche parole ma so ascoltare, Alì. Quando hai bisogno ne possiamo parlà" si offrii, premuroso.
"Lo so, grazie".
In silenzio, avanzammo verso il suo dormitorio e pensai che, dopotutto, avevo già un alleato in più.

Tutto ciò che sapevo del Mediatore che lavorava con me era che si chiamava Maurizio Neri, aveva ventisette anni, aveva frequentato la mia stessa Università e che l'anno precedente aveva lavorato come Mediatore come me in un college al centro di Londra.
Il fatto che non fosse inesperto mi tranquillizzava molto ma ero nervosa all'idea di doverlo coordinare quando avevamo iniziato questo mestiere nello stesso anno.
Volevo andare ad accoglierlo come avevamo fatto con Salvatore ma Amanda ci teneva a farlo in prima persona visto che l'anno precedente aveva lavorato nel suo staff, quindi lo attesi in ufficio.
Alle quindici e trenta sentii bussare alla porta, così presi posto con la schiena il più dritta possibile e dissi "Avanti".
Vidi che dietro la porta c'era un ragazzo alto nella media, con i capelli castani ricci e gli occhi celati da un paio di occhiali che gli conferiva un'aria abbastanza intellettuale.
"Ciao! Maurizio, giusto?" domandai, alzandomi e porgendogli la mano.
"Sì, piacere".
"Io sono Alice, piacere, la Coordinatrice Mediatrice".
Maurizio mi sorrise nervosamente così gli feci cenno di prendere posto, obbedì.
"Hai posato i bagagli?" mi informai.
"Sì, le stanze sono bellissime, non me lo aspettavo".
"Nemmeno io, quelle dell'anno scorso erano molto più minimal".
"Esattamente! Dove eri?".
"Al Queen's College" risposi.
"Io al Piccadilly".
"Eri al centro, io ero un po' più in periferia... Hai mangiato? Mi rendo conto che sei arrivato a un orario un po' scomodo" domandai gentilmente, ricordando la fame matta che avevo avuto l'anno prima quando ero arrivata senza aver pranzato.
"No, sto bene, grazie, ho mangiato in aereo, mi hanno dato la prima classe" ammise, alquanto sorpreso.
"Sì, lo so, ho insistito io visto che io, il Coordinatore e gli altri dello staff abbiamo volato in prima classe" rivelai, ricordando i mille casini vissuti nel periodo delle prenotazioni.
Maurizio sembrava davvero preso alla sprovvista, infatti mi fissò come se fossi un'aliena.
"Sono sorpreso".
"Si vede" ridacchiai. "Allora, questo è il nostro ufficio. Questa è la  tua scrivania" esclamai, indicando quella al fianco della mia. "Se ti va ti faccio fare un tour del college così inizi ad orientarti".
Il ragazzo annuì e si alzò.
"Per stasera sei libero, i ragazzi arriveranno dalle cinque a mezzanotte e noi non parteciperemo alla riunione con i group leader perché domani abbiamo varie riunioni ma da domani sera saremo in riunione con loro".
Mi sentivo fin troppo professionale, era strano avere lì qualcuno pronto ad ascoltarmi e a fare ciò che gli dicevo perché il mio lavoro era proprio quello.
Uscimmo dall'ufficio, gli mostrai l'ufficio del resto del gruppo e le aule dove si sarebbero tenute le lezioni, la mensa e, infine, la solita cucina- ufficio dove si sarebbero tenute le riunioni serali, cosa per cui Saverio aveva lottato molto.
"Dobbiamo sentirci a casa tra noi e non penso ci riusciremmo in un posto senza divani e fornelli" mi aveva spiegato una settimana prima.
Bussai e vi trovai Saverio, Amanda, Mario e Salvatore che prendevano un caffè.
"Il Dipartimento di Mediazione è al completo, vi presento Maurizio" esordii, sentendomi stranamente strana nel vedere che eravamo due team distinti ma allo stesso tempo uniti e che io avevo davvero  voce in capitolo quella volta.
"Noi ci conosciamo già, vero, Maury?" disse Amanda, facendo l'occhiolino.
Sentendosi chiamare così, il povero ragazzo rabbrividì e capii che non era la prima volta che la donna lo chiamava così.
"Piacere, Saverio, sono il Direttore. Se Alice ti sembra pazza, tranquillo, ci vedi bene, lo è" esclamò, guardandomi con aria soddisfatta.
"A me è sembrata fin troppo gentile" disse Maurizio.
"Questo è il primo segno distintivo dei pazzi, caro Maurizio. Sembrano tutti carini e poi ti ritrovi a rispondere a messaggi assurdi alle tre di notte. Piacere, Mario, l'Activity Leader".
"Sì, vabbè, qui siamo tutti pazzi, alla fine. Salvatore, il group leader di riserva".
"Come vedi sono molto amata dai miei colleghi, Maurizio. Confido in te" ironizzai, scuotendo il capo con finta disapprovazione.
Maurizio rise, forse per scaricare un po' il nervosismo iniziale, poi agitò una mano in segno di saluto. "Piacere di conoscervi, spero lavoreremo bene insieme".
"Di sicuro. Qui la prima regola è parlare in faccia, Maurizio, quindi non esitare a dirci qualsiasi cosa. Anzi, a tal proposito...".
Saverio si alzò e andò verso una mensola su cui era poggiata una scatola. "Questa è la nostra scatola dei suggerimenti. Ogni sera la svuotiamo insieme prima della riunione e leggiamo cosa c'è che non va, sentitevi liberi di scrivere qualsiasi cosa, anche in anonimo".
Pensai subito ad una lamentela nei confronti di Amanda ma decisi di essere paziente e di darle un'opportunità.
"Va bene. Direi che ci meritiamo un caffè anche noi, Maurizio, lo faccio subito" dissi cordialmente, facendogli segno di sedersi.
"Oh, grazie, Alice".
"Ali, cara, voglio provare il tuo caffè, se lo fai meglio di Saverio incarico te di farlo la mattina, che dici?".
Mi sforzai di non far cadere il caffè in polvere mentre Amanda parlava ma ormai non potevo farci nulla: era molto difficile farmi cambiare idea quando qualcuno mi stava antipatico.
"La Team Leader sei tu, Amanda, e visto che fino a che i ragazzi non saranno a scuola non avrai nulla da fare l'addetta al caffè sei tu" mi anticipò Saverio.
"E perché, scusami, Mario cosa farà? E Salvatore, che non avrà una squadra sua?".
"Posso farlo io, non c'è problema" s'intromise timidamente Maurizio.
Lo stoppai con un cenno, incredula per ciò che le mie orecchie stavano sentendo.
"Amanda, perdonami, è da quando siamo partiti che sento battutine sul tuo non fare nulla ora che sei Team Leader, solo che un conto sono le battutine un conto è la realtà. Sai che abbiamo dei Group Leader alla prima esperienza, vero? Confideranno in te, sarai la loro guida" sbottai, seppur il più pacatamente possibile.
Probabilmente la donna non si aspettava questa reazione da parte mia perché incrociò le braccia e mi guardò male.
"Qui non si può nemmeno scherzare..." sbraitò. "E per dimostrarvelo andrò a chiamare i ragazzi che dovranno arrivare per prima e vedere dove stanno".
"Amanda, sono ancora in aereo, non possono risponderti" le ricordò Mario, ma lei ormai era uscita con una finta camminata fiera.
Tutti mi guardavano come se fossi la colpevole.
"Oh, andiamo! Ho detto ciò che pensavate tutti!" mi difesi, per poi mettere la moka sul fuoco e iniziare a prendere i bicchieri.
"Nessuno ha osato parlarle così l'anno scorso" rivelò Maurizio e ciò mi fece pensare che piano piano gli avrei chiesto più informazioni possibili sulla Team Leader.

Alle diciotto e trenta, poco prima di cena, il mio dibattito con Amanda era stato l'avvenimento più eclatante di quel giorno.
Avevamo conosciuto Gabriele e Monica, due group Leader, rispettivamente di Palermo e Brindisi, ma mancava ancora tanta gente all'appello.
Mentre mi dirigevo verso la mensa notai un ragazzo alto che se ne stava al fianco di Mario, entrambi camminavano dalla parte opposta del marciapiede e parlottavano tra loro, ridendo ogni tanto.
Non ebbi nemmeno il tempo di guardarli meglio che un "Ehi, Ali, vieni a conoscere il dottore" mi fece trasalire.
Giusto, il dottore!
Ero così imbarazzata per il ricordo della povera Giada dell'anno precedente che non avevo nemmeno pensato alla presenza del medico nello staff.
Agitai la mano in segno di saluto e mi avvicinai, trovandomi davanti un uomo sulla trentina abbastanza curato e sorridente.
"Ciao! Io sono Alessandro, piacere" mi disse, stringendomi la mano con sicurezza.
"Piacere, Alice" risposi.
"Lei è la nostra Coordinatrice Mediatrice" mi presentò Mario.
Non ebbi il tempo di dire altro che la mia attenzione fu catturata da un "Hola, Alice" che mi sembrava di ricordare.
Mi voltai e vidi che alle mie spalle, identico all'anno precedente, forse solo un po' più abbronzato, c'era un sorridente Javi.
"Hola, Javi".
Per fortuna non si perse in chiacchiere e se ne andò verso la mensa, lasciandomi con il pensiero che era confermato che, anche quell'anno, c'erano un belloccio e uno spagnolo, l'unica cosa diversa ero io che non ero proprio predisposta a finire nei casini.
Dimenticavo, purtroppo, che nei casini ci puoi finire anche a causa di terzi.

*°*°*°*
Rieccoci qui! :D
Come promesso, eccomi qui, pronta a raccontare gli avvenimenti del secondo anno di lavoro di Alice con l'Emperor Travel.
Ci sono tante novità, nuovi personaggi, ma soprattutto nuove dinamiche visto che ora Alice, Saverio, Mario e Salvatore si sono riuniti e avranno a che fare con uno staff tutto nuovo.
Questa volta il racconto non coprirà solo le prime due settimane ma ben quattro visto che Alice&Co lavoreranno per due turni, ovvero da fine giugno a fine luglio.
Inizialmente verranno narrati i giorni singoli, poi si passerà a capitoli che ricoprono dai due ai quattro giorni.
Non so cosa dire, se non che:
- Tornerà almeno un personaggio della prima parte ;)
- Le dinamiche sembreranno le stesse ma poi saranno l'opposto
- Per una volta avremo uno staff con dei personaggi "stronzi", dimenticate il gruppo che va d'amore e d'accordo all'unanimità
- L'amicizia sarà ancora di più la chiave di tutto.
Aggiornerò tra una settimana, quindi il 3 settembre, e nel frattempo vi lascio qualche anticipazione:

Purtroppo per me il coordinatore era un uomo che non osava fare scenate in pubblico e quindi avrei solo potuto sperare in un resoconto molto dettagliato.
Amanda sembrò inghiottire un limone ed annuì, mesta ed infastidita.


"Oh, scusami, devo raggiungere gli altri! Me lo dici dopo" inventai, alzandomi di fretta tanto da quasi cadere come una deficiente.
Mi ressi vicino ad un altra panchina, ma sentii indistantamente Javi ridacchiare.


"Tu non conosci nessuno ma a me sembra che qualcuno sappia tante cose su di te e se ne voglia approfittare".
"Parla chiaro, che cavolo!".

A presto, fatemi sapere cosa ve ne sembra di questo nuovo inizio :D
Baci,
milly.

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Capitolo 17
*** Day 2: Passato Presente ***


Passato Presente
Capitolo 2
Day 2:Passato Presente


Prima di partire mi ero informata sulle condizioni della struttura in cui avremmo alloggiato e quando avevo saputo che avrei avuto una cucina tutta per me visto che mi sarei trovata in un piano senza ragazzini avevo fatto i salti di gioia.
Nessuno mi avrebbe disturbato e avrei avuto la cucina a disposizione per fare il caffè, senza dovermi accontentare dell'acqua colorata che avrebbero servito a mensa.
Per questo, rinvigorita da otto ore di sonno piene senza adolescenti urlanti nei dintorni, la mattina del secondo giorno mi svegliai con calma e andai a prepararmi il caffè.
Riposata com'ero, nemmeno i versi dei gabbiani mi davano fastidio e decisi di godermi quella sensazione finché potevo visto che sicuramente nel giro di qualche giorno mi sarei sentita stanca come non mai.
"Se non ti fidi del caffè di Amanda vieni a prendere il mio" scrissi rapidamente a Saverio mentre mi preparavo.
La prospettiva di scambiare due chiacchiere con lui prima dell'inizio ufficiale della vacanza studio era decisamente allettante e probabilmente un po' terapeutica.
Era il primo giorno di lavoro ufficiale dopo il giorno degli arrivi, io non avevo idea di come fossero gli ultimi membri dello staff che erano arrivati dopo le undici e volevo sentirmi rassicurata un'ultima volta dal mio capo su ciò che avrei fatto a breve.
Fui felice di leggere che mi avrebbe raggiunto nel giro di dieci minuti, così andai a preparare il tutto e lo accolsi con un bellissimo aroma di caffè che invadeva la bellissima cucina - soggiorno.
Alla mia destra c'era una bellissima vetrata da cui si vedeva il fiume Liffey in lontananza e solo vedere tutto ciò mi riempiva di speranze e mi metteva di buonumore.
"Ti sei persa una riunione assurda, ieri"  esordì Saverio, mentre versavo il caffè in un bicchiere di carta.
"Cioè? Che è successo?" chiesi, mentre facevo lo stesso con il mio bicchiere e poi zuccheravo entrambi.
"Ovviamente i Group Leader erano stremati dopo una giornata di viaggio ed Amanda faceva battutine assurde, del tipo "Monica, ti chiami come la mia migliore amica, andremo d'accordo" o "Luigi, avevo un ex che si chiamava come te, fai attenzione". Sono davvero preoccupato" ammise, bevendo un sorso.
"Ma come ha fatto a diventare Team Leader? L'anno scorso era un semplice membro dello staff, no?" domandai, incuriosita dal successo di una persona non proprio empatica come Amanda in un mondo in cui l'umanità e la comprensione sono la chiave di tutto.
"E' sotto l'ala protettiva di Clemente Astori" mi informò il coordinatore, come se ciò bastasse a spiegare e a chiudere la questione.
"Chi?".
"Non conosci Clemente?" chiese, incredulo.
"No".
"Ma come...". Saverio finì di bere il caffè e mi guardò con aria critica. "E' quell'omaccione che prese posto vicino a noi alla riunione di inizio stagione".
"Ma chi, il calabrese con la maglia di Game of Thrones che si definiva "The King in the South" e che inveiva contro gli adolescenti raccontando tutte le storie che gli sono successe in questi anni?" chiesi, allibita dal ricordo di quell'uomo bassino e a pochi passi dalla calvizie completa che pensava che fossi una Group Leader.
"Esattamente. E' molto amico di Amanda, si sono conosciuti cinque anni fa quando lei ha iniziato questo lavoro e diciamo che non hanno altri amici nel settore, Clemente fa sempre in  modo di lavorare con lei e da anni la segnala come Team Leader, questa volta le è andata bene visto il posto lasciato vuoto da Elena".
"E perché non lavora con lui, scusa?".
"Perché lui ha già un Team Leader di fiducia e ovviamente non avrebbe mai sacrificato l'equilibrio del suo team per Amanda. Sa che è... Particolare".
"Eppure l'ha segnalata per rovinare noi" brontolai, ripensando ai pochi ma significativi momenti memorabili di Amanda che non mi erano piaciuti affatto.
Forse ero troppo critica, forse non ero abituata ad avere a che fare con persone non gentili e pacate quando lavoravo all'estero, solo che ero sollevata dal vedere che non ero l'unica a notare qualcosa di strano in lei: Saverio faceva quel mestiere da anni ed anni ed aveva la mia stessa sensazione.
"Pensiamo solo che starà con noi solo due settimane, poi ne verrà un altro" mi ricordò.
Annuii, poco convinta.

Arrivata in mensa presi il mio solito yogurt con i cereali e una brioche, snobbai con un sorrisone il caffè acquoso che volevano propinarmi e mi avvicinai al tavolo dove c'erano Salvatore, Mario, Gabriele, Monica e due Group Leader che non avevo ancora avuto l'occasione di conoscere.
"Ciao a tutti! Io sono Alice, la Coordinatrice Mediatrice" mi presentai, dopo aver posato la colazione sul tavolo. In lontananza vidi Maurizio che ci cercava con lo sguardo e gli feci segno di raggiungerci.
"Ciao, io sono Luigi" si presentò un ragazzo sorridente e dalla pelle molto abbronzata.
"Io sono Cristina" si presentò una ragazza dall'accento siciliano, con lunghissimi capelli scuri molto ricci.
"Ciao a tutti" disse Maurizio, agitando la mano in segno di saluto.
"Lui è il nostro Mediatore" aggiunsi. Mi rendeva fiero presentarlo ogni volta, non sapevo nemmeno io il perché.
Nel giro di poco vidi la parte restante del team entrare, capitanato da un'ostinata Amanda che prese posto a capotavola e ci guardò come se fossimo delle formichine da analizzare in un laboratorio.
"Chi di voi è alla prima esperienza?" domandò subito, con aria investigativa.
Monica e Cristina alzarono la mano, un po' intimidite.
"Bene, sapete a cosa corrisponde ogni figura dello staff? Tipo, se vi dico Activity Leader, a cosa pensate?".
Le ragazze sembravano stupite da quella domanda così stupida, a tal punto che vidi Cristina sopprimere a stento una risata.
"Ci hanno spiegato la struttura dello staff durante il corso di formazione. E' colui che si occupa di tutte le attività che riguardano i ragazzi" .
"Oh, hanno fatto una cosa buona, almeno! Io sono la Team Leader come avrete capito ieri in riunione e vi ricordo che oggi dovrete darvi da fare con la compilazione del modulo stanze e la raccolta delle carte di identità della vostra squadra".
"Amanda, l'assegnazione squadra ci sarà oggi dopo pranzo, quindi tutto slitta di un po'. Ve lo dirò io, ragazzi, tranquilli. A  proposito, mi accompagni a prendere una cosa in ufficio, quando finiamo?" s'intromise prontamente Saverio, con una finta voce calma che non lasciava presagire nulla di buono.
Aveva uno sguardo improvvisamente più attento, sottile, tipico dei momenti in cui scovava un momento di crisi e stava cercando la soluzione giusta per porvi rimedio senza creare troppi danni.
So che sbagliavo, ma la prospettiva di un suo rimprovero nei confronti di Amanda mi esaltava non poco, avrei spiato quel momento mentre assaporavo una montagna di pop corn se avessi potuto.
Purtroppo per me il coordinatore era un uomo che non osava fare scenate in pubblico e quindi avrei solo potuto sperare in un resoconto molto dettagliato.
Dal canto suo Amanda sembrò inghiottire un limone particolarmente aspro ed annuì controvoglia, mesta ed infastidita.
Visto che il programma della giornata era il classico del primo giorno - test di inglese e spagnolo per stabilire il livello dei ragazzi, pranzo, escursione, cena e attività serale - ci ritrovammo tutti in ufficio mentre i ragazzi erano già in classe dopo il discorso di presentazione e di benvenuto di Patrick, il direttore della scuola di lingue.
"Alice, Maurizio, state un'oretta con noi, poi vi lascio alle vostre cose" ci aveva detto Saverio poco prima della fine della colazione, quindi entrambi ce ne stavamo nell'ufficio del resto dello staff, in un angolo, in attesa del ritorno di Saverio e Amanda.
"Amanda non è mai stata rimproverata, lei e Clemente, il nostro coordinatore, erano pappa e ciccia" mi confidò Maurizio a bassa voce.
Solitamente sembrava molto riservato, con il suo sguardo attento, ma in quell'occasione sembrava desideroso di condividere qualche dettaglio in più e onestamente a me faceva piacere perché ero curiosa di sapere sempre più cose riguardo questo Clemente.
"Immagino la situazione fosse molto diversa da questa" azzardai.
Maurizio annuì. "Molto. Vedo molta professionalità, quando lavori con Clemente..." si zittì, timoroso di aggiungere altro e lasciandomi nel dubbio.
Poco dopo Saverio rientrò con un'Amanda che fingeva di essere tranquilla e prese posto su una sedia al centro della stanza.
Tutti lo imitarono, qualcuno finì sul pavimento e ciò mi ricordò tantissimo la prima riunione in ufficio di un anno prima, quando Mario aveva spiato i nostri curricula, c'era stata la distribuzione delle magliette, Luca mi aveva lanciato la sua facendo qualche battutina stupida...
Il solo ricordò mi causò un brivido e quasi sobbalzai, per poi lasciarmi invadere da alcuni brividi di freddo.
"Stai bene?" domandò Maurizio, confuso da quel comportamento.
Annuii, non riuscendo a dire altro, e mi sforzai di ascoltare.
"Finalmente ci siamo tutti! Ieri, prima della riunione, ho congedato i mediatori quindi ora ci siamo tutti. Quest'anno c'è la novità del doppio mediatore, quindi siamo a quota undici, siamo la metà di una squadra di ragazzi, direi" annunciò Saverio, gasato come solo lui sapeva esserlo all'inizio di ogni avventura.
Annunciò il programma, disse che per qualsiasi cosa riguardo i team stranieri dovevano rivolgersi a me, poi iniziò la distribuzione delle magliette che a noi non toccava, come al solito bastavano i nostri zainetti rossi.
Fu con grande sollievo che uscii per andare nel nostro ufficio per organizzare l'escursione del pomeriggio e distrarmi un po', mi sentivo stupida nel lasciarmi condizionare da vecchi ricordi.
Non potevo vivere così e rivivere ogni cosa giorno dopo giorno considerando che avrei anche festeggiato il compleanno lì come l'anno precedente e non potevo permettermi il lusso di diventare nostalgica perché sarebbe stato un anno dal primo bacio con Luca.
Mi imposi di entrare in modalità "Produttività a mille" e feci sedere Maurizio di fronte a me, mentre gli illustravo il planning fino a domenica.
"Tutto bene?" mi domandò ancor prima di farmi iniziare.
"Sì, perché?" chiesi, facendo finta di non capire.
"Prima hai avuto un brivido e sembravi strana".
Minimizzai con una risatina e scossi la mano per fare un cenno di dinego.
"E' tutto ok, Maurizio. Ora, oggi pomeriggio, dopo pranzo, ci sarà un rapido tour del centro della città e sarà con il team inglese, conosci Dublino?" mi informai, prendendo una mappa dal cassetto e cercando i punti di interesse per quel pomeriggio.
"Non ci sono mai stato".
"Nemmeno io. Per oggi faremo vedere solo due punti di interesse: la statua di Joyce e quella di Wilde, Greg spiegherà qualcosina e poi i ragazzi avranno del tempo libero. Io non ci sarò, devo stare qui a pianificare le gite del weekend con i due responsabili stranieri, dopo te li presento. Ti andrebbe di cercare dei fun facts da aggiungere alla spiegazione?" proposi, speranzosa.
Ne avevo parlato con Saverio in aereo e lui sembrava entusiasta all'idea di arricchire così le escursioni.
"Sarebbe fighissimo!"esclamò, sorpreso da quell'idea.
"Mi fa piacere, cerchiamo di rendere le cose un po' più dinamiche. Ovviamente le dirai in inglese" aggiunsi.
"Certo. Devo ammettere che mi sembra tutto molto più allettante rispetto all'anno scorso, stare ore a tradurre email era assurdo".
"A chi lo dici, io preferisco la mediazione dal vivo, spesso non era semplice far capire Saverio e gli altri due team...".
"Sai quante volte ho omesso le parolacce del mio capo?".
"Esatto! Abbiamo vissuto la stessa cosa! Era assurdo!".
Qualcuno bussò alla porta e ci interruppe, così mi ritrovai davanti Sandy McPearson e Jimena Alvarez, i due responsabili degli altri due staff.
Vedere Maurizio che parlava inglese e spagnolo e provava a fare conversazione mi riempì di orgoglio, sentivo che mi avevano affiancato una persona molto competente e ne ero davvero felice e quasi mi dispiacque perdermi le escursioni per stare in ufficio ma sapevo a cosa andavo incontro quando avevo firmato il contratto e pensai alla gita del giorno successivo, a Galway, in cui avrei avuto modo di fare gruppo con tutti e conoscerli meglio.

A ora di pranzo iniziarono ad emergere le prime caratterische dello staff: Luigi era un chiacchierone instancabile, Monica sembrava una divoratrice insaziabile di insalata, Gabriele sembrava il classico tipo che diventava taciturno quando aveva fame e inziava a parlare dopo essersi "ricaricato", Cristina era spesso circondata dai ragazzi con cui aveva viaggiato e che sembravano già essersi affezionati a lei.
Inoltre, il dottore, Alessandro, sembrava essere il solito belloccio amico di tutti e dalle mille esperienze, tanto da riuscire a intromettersi in ogni discorso con facilità.
"Volevo visitare l'Irlanda da anni, solo che quando potevo davo la precedenza ad altri continenti, così mi ritrovo a conoscere bene New York e a ignorare Dublino" disse Alessandro.
"New York, originale" lo prese in giro Saverio.
"E' una tappa obbligatoria, ma sono stato anche in Sud Africa, in Nuova Zelanda, in Colombia...".
"Perdonami, ma allora se hai tutti questi soldi che ci fai qui?" domandò schiettamente Mario, senza farsi problemi.
Alessandro scrollò le spalle e sorrise con l'aria di chi ha ascoltato la stessa domanda milioni di volte.
"Da quando lavoro come medico generico non ho molto tempo libero e volevo fare questa esperienza di lavoro e visitare un posto nuovo allo stesso tempo".
"Il tuo studio è chiuso a fine giugno?" chiese Salvatore, indagatore.
"Sì. Mi dà il cambio un collega... Ma cosa sono queste domande? Ditemi delle vostre professioni, piuttosto".
Il tutto mi sembrò molto schivo, onestamente, così smisi di seguire la conversazione e passai a quella in cui Luigi ci raccontava gli aneddoti più divertenti della sua vacanza dell'anno precedente a Parigi.
Finii di pranzare presto e uscii dalla mensa poco dopo Saverio, pronto a organizzare la divisione in squadre nel giro di pochi minuti, subito dopo pranzo.
"Stasera mi devi aggiornare" dissi semplicemente in modo eloquente, facendogli capire che morivo dalla curiosità di sapere tutto della discussione con Amanda.
"Certo, posso concederti cinque minuti prima della videochiamata con Nadia".
"Me li farò bastare".
Tornai in ufficio con una buona prospettiva, così mi preparai al meglio per l'organizzazione delle gite dei due giorni successivi.

Era quasi ora di cena quando decisi di recarmi verso la mensa, in attesa del rientro dei ragazzi e dello staff.
Le riunioni erano andate bene, ero sempre più felice di avere a che fare con persone che mi ascoltavano senza interrompermi e mi trattavano alla pari, mi sentivo accettata e rispettata.
Ero su una delle panchine del college, un po' assonnata, quando vidi che a pochi passi da me c'era Javi.
L'anno precedente mi aveva dato qualche segnale di interesse ed io lo avevo snobbato, quindi ero un po' stranita dal dover averci a che fare anche se non era successo nulla ed entrambi eravamo degli adulti che sapevano come ci si comportava in determinate situazioni.
Onestamente non sapevo quanto sapesse riguardo gli avvenimenti dell'anno precedente, ma nel caso in cui avesse saputo qualcosa di certo non era per colpa mia visto che ero stata fin troppo cauta con il non condividere nessuna informazione con gli altri staff.
"Alice, che coincidenza, eh?*" disse, prendendo posto al mio fianco. "Aspetti anche tu gli altri?".
Sembrava gentile e pacato come sempre e la cosa non poteva che rassicurarmi.
"Sì, dovrebbero tornare a breve. Come stai?" dissi, più che altro per colmare l'imbarazzo che percepivo. Non sapevo nemmeno io il perché ma in quel momento era come se quei dodici mesi non fossero mai trascorsi ed io fossi di nuovo la ragazza che doveva badare ai pettegolezzi delle ragazzine che ci avevano visto ballare alla lezione di salsa.
"Bene, anche se questa volta mi secca dover stare lontano da casa... Non vedo l'ora di partire con la mia ragazza, ad Agosto".
Lo disse in un modo molto pomposo e mirato, con un tono totalmente diverso dal modo in cui aveva parlato a quel momento e ciò mi fece chiaramente capire che non vedeva l'ora di farmelo sapere, come una sorta di rivincita.
Ero abbastanza sorpresa, tuttavia cercai di non fare la figura dell'idiota.
"E dove ve ne andate di bello?" chiesi semplicemente.
Tuttavia, non ebbe il tempo di rispondere perché vidi spuntare Cristina con la sua squadra.
Presi la palla al balzo, desiderosa di evadere da quella situazione, e per far capire che avevo visto qualcuno salutai la group leader.
"Oh, scusami, devo raggiungere gli altri! Me lo dici dopo" inventai, alzandomi di fretta tanto da quasi cadere come una deficiente.
Mi ressi vicino ad un altra panchina, ma sentii indistantamente Javi ridacchiare.
Perché me la prendevo tanto? Perché scappavo quando poi di lui, onestamente, non mi interessava un fico secco?
Perché Javi era qualcosa a cui non avevo badato per dare retta a quel deficiente di Luca e mi doleva averlo trattato in maniera superficiale, nonostante la sua simpatia e gentilezza.
Una dopo l'altra, le conseguenze delle scelte passate si addossavano su di me ed io non ne potevo più, avrei tanto preferito iniziare da zero e scegliere un percorso più superficiale e meno tortuoso.
Scossi il capo come per provare a scacciare quei pensieri e mi diressi verso la group leader.
Cristina controllò che la squadra stesse in ordine in fila per due e poi si voltò verso di me, sorridendo.
"Come è andato il tour?" mi informai, lieta di far vagare la mia mente verso altri lidi.
"Benissimo! Dublino sembra molto bella, più informale di Londra ma non è una cosa negativa, per me" rispose Cristina.
"Devo ancora visitarla, pensa! Ho visto giusto qualcosa il giorno prima del vostro arrivo" ammisi.
Piano piano gli altri gruppi iniziarono ad avviarsi verso la mensa e alle sette eravamo tutti pronti per cenare.
"L'appuntamento per la serata Speed Date è alle nove meno un quarto e finirà per le dieci e un quarto" ci ricordò Saverio mentre eravamo tutti impegnati a mangiare, stanchi dopo la lunga giornata. "Togliendo Mario che dovrà coordinare il tutto, noi saremo in dieci e daremo l'esempio, faremo anche noi vari speed dates tra noi, è un modo per conoscerci un po'. A fine serata direte alle vostre squadre che domani la colazione è dalle sette alle otto meno un quarto perché alle otto si parte, ci vorranno un paio d'ore per arrivare a Galway. Stasera vi aspetto in ufficio alle undici meno un quarto per la riunione".
"E ho concordato con Saverio" specificò Amanda, sempre con la solita aria di chi ha ingerito qualcosa di molto aspro, "Che domani, al ritorno, vi toccherà fare il check delle stanze dei ragazzi".
I group leader annuirono, sollevati dal non doverli fare dopo la serata.
Io non ebbi nemmeno un po' di pausa post cena visto che raggiunsi il team spagnolo in vista della serata insieme a Maurizio e Mario.
Dovevamo organizzare la sala comune che avevamo a disposizione, spostare dei tavolini per permettere a cento ragazzi di sedersi, mentre Javi e un suo collega, Andrés, si occupavano della musica che avrebbe fatto da sottofondo.
Alle otto e trentacinque, tutte e quattro le squadre erano in sala, pronte ad ascoltare il discorso di Mario che avrebbe presentato ufficialmente lo staff.
Era un momento emozionante, era quello in cui tutto iniziava per davvero ufficialmente dopo tanto lavoro.
"Benvenuti ufficialmente al Joyce's College, ragazzi! Io sono Mario, l'activity leader, e ho l'onore di presentarvi il nostro staff! I group leader al centro, prego!".
Gabriele, Monica, Luigi e Cristina andarono al centro della stanza e Mario li presentò, poi toccò a Salvatore, poi ad Amanda, poi a me e a Maurizio, poi Alessandro e, ovviamente, tutti insieme chiedemmo un applauso per Saverio.
Una volta spiegata la dinamica dello speed date - ogni due minuti avremmo cambiato partner - anche noi ci sistemammo in un angolo, seduti per terra.
Io ridevo, quelle dinamiche erano assurde perché per una volta sembravamo anche noi dei ragazzini pronti a mettersi in gioco e a farsi conoscere.
Mario usò il suo cellulare per riprodurre il suono di una campanella che dava l'inizio al primo incontro e il caso mi fece ritrovare di fronte a Salvatore.
"Hai due minuti per stupirmi e dirmi qualcosa di te che non so" lo scimmiottai, fin troppo divertita dalla situazione.
Tuttavia Salvatore era serio, fin troppo, più del solito, in un modo che mi diede a pensare.
"Alì, fai attenzione, non voglio che ti ritrovi dietro a un deficiente come l'anno scorso" disse, deciso più che mai.
Sorpresa, lo guardai senza capire. In effetti quello era un modo per stupirmi a tutti gli effetti.
"Scusami?" chiesi, sicura di aver sentito male.
Salvatore esitò, torturandosi le mani, poi si voltò verso di me e mi guardò negli occhi con aria serissima.
"Oggi, mentre i ragazzi erano in giro durante il tempo libero, sono entrato da Starbucks per un caffè e ho origliato delle cose... Non voglio condizionarti, non ti dirò i nomi, ma stai attenta e ricorda che il grande amore non si trova in vacanza studio, ormai lo avrai capito" disse rapidamente, visto che il tempo scorreva.
"Ma cosa hai origliato se io non conosco nessuno?" chiesi, stupita.
"Tu non conosci nessuno ma a me sembra che qualcuno sappia tante cose su di te e se ne voglia approfittare".
"Parla chiaro, che cavolo!".
"Alì, stai attenta al dottore" rivelò infine, non riuscendo a trattenersi. "Penso sappia tutto di te e Luca... Dopo ti spiego".

Io e Saverio avevamo deciso di incontrarci subito dopo lo Speed Date, prima della riunione, ma quando ci trovammo faccia a faccia era evidente che parlare della sua strigliata nei confronti di Amanda fosse decisamente l'ultimo dei nostri problemi.
Entrai in ufficio con il passo pesante, probabilmente pallida in volto e con l'aria di chi non ha proprio voglia di farsi due risate.
"Alice, devo parlarti subito" disse lui, appena prese posto al mio fianco.
Inviò un messaggio sul gruppo in cui spostava la riunione alle undici e mi guardò con aria grave, con l'espressione di chi non sa da dove iniziare.
"Fai parlare prima me, ti prego" lo supplicai, con gli occhi lucidi, scossa dalla chiacchierata avuta con Salvatore.
Vedendomi in quello stato, probabilmente Saverio capì che si trattava di qualcosa di serio e mi lasciò parlare.
Stavo scoppiando, dovevo assolutamente confidarmi con qualcuno che mi conosceva e che c'era sempre stato per me.
"Oggi, durante il tempo libero, Salvatore ha incontrato Amanda e Alessandro, parlavano di me. Amanda sa tutto del mio passato con Luca! E sai perché? Perché Luca lavora con Clemente a Barcellona e a quanto pare gli ha raccontato tutto! E' uno stronzo! Lei lo avrà raccontato per vendicarsi per ieri, il commento di Alessandro, poi, te lo lascio immaginare...".
Ero partita definitivamente, il solo ripetere le parole di Salvatore mi faceva male ed ero scoppiata in lacrime per la rabbia nei confronti sia del mio ex sia di uno sconosciuto che osava giudicarmi senza conoscermi.
"Ha detto: "Buono a sapersi, se non si fa problemi a scopare con gente dello staff mi fa piacere", ti rendi conto?" aggiunsi, disgustata.
Ovviamente, il coordinatore era senza parole per tutta quella successione di eventi e provò a dire qualcosa con aria consolatoria, senza celare un volto indignato e disgustato dalla pochezza di certe persone.
Odiavo essere sempre quella che aveva e causava problemi - al momento la riunione non stava ancora avendo luogo a causa mia - ma quella volta ero così vulnerabile che non riuscii a controllarmi.
Non so quanto tempo passai a tremare, probabilmente dando voce a tante lacrime represse per farmi forza, e quel Santo di Saverio restò in silenzio e a dirmi piccole parole di conforto.
Solo quando, a ormai dieci minuti dalla riunione, riuscì a calmarmi un po', Saverio fu costretto a dirmi la sua brutta notizia.
"Non può essere peggiore della mia" commentai, con una bruttissima voce nasale, respirando forte per calmarmi.
"Eh...".
"Sputa il rospo" esclamai, preoccupata da quel verso.
"Non so come dirtelo, Alice, è da oggi che provo a dirtelo ma...".
"Che succede?" sbottai, infastidita da quella suspence.
Saverio deglutì e mi prese per mano, stringendola forte.
"Oggi ho avuto le nomine del secondo turno e...".
Ancor prima che finisse di parlare, avevo già capito tutto con un tonfo al cuore.
"... Tra i group leader c'è anche Luca".
Non ricordo bene come reagii, so solo che mi mancava il fiato e che non ero pronta per passare da "Londra 2017: Alice e Luca tornano a casa insieme" a "Dublino 2018: Alice e Luca, ex da tre mesi, tornano a lavorare insieme".

* le conversazioni in grassetto sono quelle che in realtà hanno luogo in spagnolo ma che evito di tradurre quando sono un po' più lunghe per non appesantire il testo con la traduzione.

*°*°*°*
Ciao a tutti!
Spero che la vostra estate sia stata molto più movimentata della mia e che il rientro a lavoro/scuola/università non sia traumatico.
Che dire, finalmente entriamo nel vivo della storia e si iniziano a delineare un po' le varie sottotrame che leggeremo: Amanda non proprio gentile, Alessandro decisamente deficiente, Saverio/Mario e Salvatore pronti a supportare Alice in ogni momento. Ovviamente, ce ne saranno altre :D
Io ora ho iniziato a scrivere il capitolo 10 e quindi state sicuri che non abbandonerò la storia, inizierò solo ad aggiornare ogni due settimane visto che lunedì prossimo mi tocca ritrasferirmi e avrò un po' di cose da fare tra casa nuova e (si spera) il ritorno a lavoro.
Come sempre vi lascio qualche anticipazione!

La reazione fu prevedibile: tutti sobbalzarono quasi, per poi guardare o me o la diretta interessata.
Io, con le gambe tremanti, mi alzai e andai vicino Saverio, cercando di mostrarmi sicura.
Amanda era sbiancata e guardava tutti con aria offesa e tradita.


Lui abbassò il capo e si passò una mano tra i capelli - abitudine che ormai odiavo in un uomo - con aria sicura, di sicuro certo di star compiendo un gesto d'effetto.
"Sì, ma non avrei anche potuto dirti tranquillamente che sei bellissima. Buonanotte, Coordinatrice Mediatrice".

A domenica 16!
Un abbraccio,
la vostra milly.

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Capitolo 18
*** Day 3: Questione di Ex ***


3
Capitolo 3
Day 3: Questione di Ex



"Perchè sei così stronzo? Dire a tutti i tuoi colleghi di noi... Non ho parole"
"Non sapevo che il mio ex fosse deficiente fino a questo punto"
"Bravo, complimenti".

Avevo scritto e riscritto non so quanti messaggi presa dall'ira ma alla fine mi ero addormentata stremata a causa delle lacrime, senza aver inviato nulla, e mi svegliai turbata più che mai, con gli occhi ancora gonfi e segnati da occhiaie profonde.
Il pensiero che tutto il team potesse scoprire il mio passato con Luca e la certezza di rivederlo nel giro di due settimane mi causavano ansia, paura, rabbia visto che perme lavorare a Dublino era un'occasione per cambiare aria e concentrarmi su altri aspetti della mia vita.
Non ero pronta, accidenti, non ero pronta a doverci lavorare insieme, a dover fare finta di nulla, a vederlo mentre telefonava a quella Camilla...
Soprattutto, non ero pronta ad affrontare una lunga giornata lavorativa in compagnia di tante persone appena conosciute che probabilmente mi giudicavano senza conoscere i fatti e, soprattutto, senza conoscere me.
Come di consueto, alle sette e un quarto entrai in cucina, con i capelli aggiustati in modo poco accurato e una t-shirt dei Pink Floyd e mi ritrovai davanti Mario e Saverio.
Mario aveva appena preparato il caffè e Saverio mi porse un vassoio con dei croissants, probabilmente rubati dalle cucine.
"Ragazzi..." dissi, incredula e un po' in colpa.
"Alice, ieri non capivo perché stessi così durante la riunione ma ora so tutto. Sono una banda di deficienti, da Luca a Amanda" disse Mario, comprensivo, porgendomi un bicchiere di caffè con fare premuroso.
"Io odio stare così e non voglio creare problemi allo staff" stabilii, decisa a non fare la figura della scema piagnucolona.
Mario mi sorrise, comprensivo, mi strinse a sé con un braccio e mi depose un bacio sulla fronte con fare materno.
"I problemi non li crei tu, al massimo li crea chi riporta agli altri informazioni private su di te" mi corresse Saverio, invitandomi a sedere.
"Ho sbagliato, non dovevo risponderle male il primo giorno...".
"No, Alice, non c'entri tu. Lei odia vedere che sei una di cui mi fido perché vede in noi la complicità lavorativa che aveva con Clemente, non a caso è successo tutto dopo che l'ho rimproverata. Sai cosa mi ha detto? "E scusa, perché Alice può dare ordini a Maurizio senza chiedertelo?". Per lei qui è una questione di chi comanda di più, non di collaborazione" mi spiegò pazientemente.
"Non devi tenerti tutto dentro ma non devi nemmeno farle capire che sai. Hai noi dalla tua parte, ha tradito la nostra fiducia, il karma la farà nera" mi appoggiò Mario, sedendosi al mio fianco.
"Mi sembra di essere tornata al liceo, quando l'oca della classe se la prendeva con me per delle stupidaggini" brontolai.
"Ma questa non è una stupidaggine, purtroppo. So che terrai duro e che sarai professionale quando...".
".... Quando improvvisamente Dublino diventerà Londra 2017 2.0 con me e Luca che lavoriamo insieme?" terminai la frase per Saverio, intimorita al solo pensiero.
Lui sbuffò e mi afferrò il braccio, obbligandomi a guardarlo negli occhi.
"Senti, ti ho visto sopravvivere a Milano con seicento euro al mese e pochissimi aiuti economici da parte dei tuoi, con uno stage infinito che ti ha reso decisamente poco felice mentre vivevi una storia d'amore a tratti snervante. Tu sei quella che due giorni dopo essere stata lasciata ha fatto una presentazione coi fiocchi. Sai perché hai avuto un contratto di tre anni, Alice? Per quella presentazione, hai dimostrato tutta la tua essenza, tutto il tuo essere sveglia e attenta ai dettagli. Quindi ora puoi fare tutto, puoi vivere questo mese lavorativo come sai fare tu senza lasciare che ciò ti intacchi, ok?".
"Dovevi fare il life coach, capo" dissi, commossa.
Ricordai che se odiavo il ricordo di Luca adoravo quello di Saverio, Mario, Nadia e Salvatore, li avevo conosciuti tutti nello stesso momento e di conseguenza non dovevo maledire un momento della mia vita che mi aveva portato a conoscere persone fantastiche.
Fu così che mi limitai ad annuire e a stare in loro compagnia per ricordare che avevo degli amici stupendi pronti a darmi forza in ogni momento.


Ero in pullman, seduta vicino a Maurizio, con Mario, Saverio, Cristina e Luigi e cinquanta ragazzi che non la smettevano di cantare Galway Girl da quando eravamo partiti.
Avevo voglia di urlare a quei mocciosetti di smetterla, che probabilmente se non fosse stato per la canzone non avrebbero nemmeno saputo dove si travasse Galway, ma optai per provare a essere calma e tranquilla ascoltando un po' di musica grazie alle mie fidate cuffiette.
Tuttavia, vidi che Maurizio si voltò verso di me e chiese: "Tutto bene, Alice?".
"Sì, perché?".
Per la prima volta da quando lo conoscevo, Maurizio sembrava essersi tolto la solita maschera accondiscendente e mi guardò con aria preoccupata.
"Credo di sapere cosa sta succedendo e voglio dirti che sono dalla tua parte, non perché sei una mia superiore ma perché è davvero una situazione ingiusta" rivelò, piano, come se ammetere ciò rappresentasse un grande sforzo.
"E cosa starebbe succedendo?" chiesi, falsamente sicura di me stessa.
Maurizio si guardò attorno con aria circospetta e poi bisbigliò: "Amanda sta raccontando cose della tua vita privata allo staff. Non so se siano vere o false ma è il principio che è sbagliato".
Deglutii, avendo la conferma dell'operato malvagio della team leader.
"Io ho capito che probabilmente fa così per ripicca ma non è giusto, voglio dire....".
"Maurizio" lo bloccai, cercando di avere una voce ferma quando invece la sentivo decisamente stridula e tremante, "Per favore. So già qualcosa ma ora non ho la forza di ascoltare considerando che ci aspetta una giornata di lavoro in cui saremo tutti molto a contatto. Magari me lo dici al ritorno, va bene?" azzardai, lottando contro me stessa.
Il ragazzo mi guardò in un modo nuovo, strano, ma lusinghiero, sembrava diviso tra il sorpreso e l'ammirato.
"Hai ragione Alice, scusami, è che conoscendo la persona in questione voglio agire nell'interesse dei buoni. Siamo una squadra, no?".
"Sì, lo siamo. Grazie, davvero".
Ci guardammo con un mezzo sorriso e poi, come se nulla fosse, entrambi iniziammo ad ascoltare musica.
Alle dieci eravamo nella bella e coloratissima Galway, pronti a sfidare il tempo che minacciava pioggia secondo dopo secondo.
Ovunque, sia vicino i balconi delle case sia vicino i negozi, c'erano tantissime fioriere, il corso principale portava al centro commerciale e c'erano tantissimi artisti di strada all'opera che se ne infischiavano del maltempo.
Mostrammo i vari punti di interesse - ovviamente tutti erano interessati solo al pub in cui era stato girato il video di Galway Girl e chiedevano indicazioni per riuscire a vedere le case che si vedono alla fine del video - e a ora di pranzo i Group Leader diedero ai ragazzi la notizia tanto attesa: quella della durata del tempo libero, che si sarebbe esteso fino alle sedici e trenta, orario del rientro.
Alcuni andarono in un pub con Saverio e Mario, invece io mi limitai a mangiare il mio pranzo a sacco su una panchina del centro commerciale per ripararmi dalla pioggia che ormai batteva incessante contro le piccole stradine della città e per starmene tranquilla per un po'.
"Ehi, Alice".
Mi ero alzata per buttare la confezione del panino quando mi ritrovai di fronte l'allegra e riccioluta Cristina.
Mi sorrideva in modo rassicurante, sembrava davvero una persona buona e simpatica e il modo in cui mi stava guardando sembrava confortevole.
"Cristina, ciao" risposi, sorpresa nel vederla da sola. "Gli altri?".
"Finivano di pranzare e poi andavano a vedere le casette del video di Galway Girl. Io ti stavo cercando, in realtà" ammise, un po' intimidita.
Sembrava indecisa sul da farsi, mi guardava esitante e si torturava le mani.
"Dimmi pure, qualche problema?".
"Sì, ma non per me. Per te. Non so come parlartene visto che ci conosciamo a stento...".
Mentre parlava, sapevo già dove volesse andare a parare: si trattava di Amanda, ne ero sicura, lo sentivo in ogni cellula del mio corpo e onestamente sentivo di non essere pronta ad affrontare la realtà.
"Maurizio mi ha detto che ha provato a parlartene e che non ti andava di parlarne ma io sono una testa dura e voglio provare a tutelarti perché so cosa stai passando"  disse, supplichevole.
ll suo approccio era decisamente strano, non ebbi modo di dire nulla che continuò a parlare a raffica.
"E' dall'escursione di ieri pomeriggio che Amanda si lascia scappare delle indiscrezioni su di te. Oggi la cosa è peggiorata, eravamo a pranzo e ha iniziato a raccontare di una tua presunta storia con un group leader con cui hai lavorato... Io sono senza parole, Alice! Davvero, da donna a donna, è decisamente disgustoso raccontare cose personali...".
"Non lo ha saputo da me, per quel che può valere" dissi, senza riuscire nemmeno a fermarla per il dolore che avvertivo nei pressi dello stomaco.
Mi si stava attorcigliando, contorcendo, in un modo decisamente poco piacevole.
Ovviamente Cristina sembrava sotto shock, probabilmente la sua mascella le sarebbe caduta a terra se fosse stato possibile.
Probabilmente immaginava una situazione in cui Amanda mi era "amica" e mi stava tradendo, non che stesse riportando informazioni personali senza averle sapute da me.
"Come scusa?" chiese, incredula.
"Eh. Il mio ex, questo che stava nel mio staff, sta lavorando con un suo amico. Gli avrà spifferato tutto e...".
Non riuscii a contenermi e gli occhi mi si riempirono inesorabilmente di lacrime come era successo poco più di dodici ore prima. Tutto quel giro di informazioni che partiva da quello che fino a tre mesi prima era il mio grande amore mi faceva male come non mai.
"E' tutto un casino" bofonchiai, sentendomi una stupida nel fare una scenata del genere davanti ad una sconosciuta.
"Alice". Cristina mi appoggiò le mani sulle spalle e mi guardò, provando a guardarmi in maniera incoraggiante. "Parli con una che ha avuto una relazione con un idiota sposato e non ne sapeva niente. Posso capire perfettamente i tuoi casini".
Nei momenti che seguirono mi ritrovai in uno dei bagni del centro commerciale in una valle di lacrime con Cristina che mi ascoltava e mi passava dei fazzoletti.
"... Così un giorno lui confessa di amare un'altra, io faccio una scenata, mi ritrovo da sola come non mai e lui parte per Barcellona e... Parla di me, di noi! Che schifo! E Amanda è un essere orribile, davvero, che senso ha raccontare cose private? Pensa di fare bella figura a mie spese?".
La ragazza annuì, dispiaciuta.
"Alice, parla come se ti conoscesse da una vita e cerca di far ridere la gente alle tue spalle, ma posso assicurarti che nessuno le ha dato retta infatti l'argomento è morto subito, solo Alessandro partecipava".
"Lo so, me l'hanno già detto ieri... Deve essere un coglione" stabilii, soffiandomi il naso. "Fatto sta che devo fare qualcosa, ne parlo con Saverio ma so che mi darà ragione".
"Sì. Vi ammiro, si vede che siete amici ma ciò non vi rende meno professionali".
Mi asciugai le lacrime per l'ennesima volta, poi guardai la ragazza che mi stava pazientemente affiancando in un momento super critico.
"Scusami, ho parlato solo io! Se ti va di sfogarti riguardo il tuo ex puoi parlarmene tranquillamente".
"Lo so. Mi dai davvero l'impressione di una bravissima persona! Se ti va possiamo andare a prenderci una birra e fare due chiacchiere".
L'idea di uscire da quel posto, prendere area e fare qualcosa di tipico come bere una Guinness di primo pomeriggio mi sembrava molto più allettante rispetto al piangermi addosso e rischiare di incontrare Amanda con gli occhi rossi e gonfi, così accettai e corsi a risciacquarmi il viso e a ritruccarmi rapidamente.
Mi ci volle un po', per le due passate ero pronta, così io e Cristina ci avviammo verso il pub più vicino, collocato in una piccola stradina e con un'insegna poco vistosa, in modo da non farci beccare dai ragazzi.
Era un pub molto più informale rispetto ai classici locali di Dublino, più standard rispetto a quello con musica tipica e mille decorazioni in cui ero andata il giorno dell'arrivo.
Non c'era tantissima luce, la finestra che dava sulla strada era piccolina così scegliemmo una posizione strategica per non farci notare.
Ordinammo le due birre, poi, visto che il panino del pranzo a sacco non era stato granché, ci lasciammo persuadere dal menù e ordinammo del pollo grigliato con delle patatine.
"Ce lo meritiamo, il cibo della mensa non mi piace e probabilmente spesso farò la fame" ridacchiò Cristina.
"Hai ragione, ingurgitiamo calorie finché possiamo".
Quella ragazza mi dava un senso di familiarità strano, mi sembrava di trovarmici a mio agio e di conoscerla da tanto, non sapevo nemmeno io il perché.
"Ora sì che posso parlare del mio ex, questo pollo è così buono che non mi incazzerò come al solito. Niente, ci siamo conosciuti perché abbiamo dei conoscenti in comune e abbiamo subito legato... Nel giro di un mese facevamo coppia fissa, io ero davvero felice perché sembrava capirmi al volo, era molto gentile. Un bel giorno, quattro mesi dopo, durante un weekend in montagna - vivevamo in due città diverse - lui compie l'errore di lasciare il cellulare sul tavolino quando va in bagno. Inizia a squillare e... C'era scritto "Amore" con tanto di foto del loro matrimonio come sfondo".
Il sorriso amaro di Cristina la diceva lunga sulla sua sofferenza dei mesi precedenti e mi sorprendeva il modo in cui riusciva a parlarmene senza mostrare segni di emozione.
"Non so che dire, deve essere stato orribile" dissi, incredula.
Lei annuì con aria grave.
"Sai, quando scopri che lui ha un'amante è dura, ma quando scopri che sei tu l'amante senza nemmeno saperlo... E' un casino. Perché sei innamorata, perché ti incolpi, perché dal punto di vista etico ti sei immischiata in un matrimonio" spiegò. "Ma non me ne frega" aggiunse, bevendo un sorso di birra. "Ho lottato contro me stessa, ce l'ho messa tutta e piano piano ne sono uscita".
Quel discorso mi ricordava tantissimo il primo dialogo che avevo avuto con Nadia, le sue parole e i suoi racconti di vita ci avevano unito a tal punto di farla trasferire a Milano da me e in cuor mio speravo di aver trovato un'altra alleata e compagna di avventure.
"Ti ammiro tanto. Propongo un brindisi. A noi!" proposi, alzando il bicchiere con aria decisa.
"A noi".

Uscire dal pub e sfidare la pioggia per andare a vedere le case che si vedono alla fine del videoclip di Galway Girl fu una piccola pazzia che servì a farmi calmare un po'.
Faceva abbastanza freddo, temevo il mio ombrello non avrebbe retto a tutto quel vento, eppure farci le foto davanti a quella carinissima location e poi addirittura un video con la canzone in sottofondo, fregandocene dei passanti che ridevano, mi fece decisamente bene
L'orario di ritrovo venne troppo in fretta, eppure quando mi ritrovai con tutto lo staff nel luogo di incontro mi sentivo decisamente più calma.
"Grazie di tutto" sussurrai a Cristina una volta arrivate a destinazione.
"Grazie a te, mi sono divertita da morire, oggi!".
"Sei scomparsa, ci hai proprio snobbato" mi apostrofò Mario, dandomi una mega pacca sulla spalla, quasi facendomi cadere.
"Ehi! C'è un motivo. Quanto tempo abbiamo prima della partenza?" chiesi rapidamente.
Mario guardò la situazione dei group leader che si informavano sullo stato della propria squadra e disse "Ad occhio e croce anche venti minuti, mancano molti ragazzi".
"Bene".
Lo trascinai in un punto dove Saverio stava fumando da solo e li guardai con la stessa aria di chi ha delle notizie.
"Scusate se ne parlo ora ma non so quando potremmo averne il tempo visto che al ritorno avremo un po' da fare".
"Spara" borbottò Saverio.
"La situazione è peggiorata. A pranzo, la nostra cara collega ha spiattellato la mia storia davanti a tutti con l'intento di deridermi, senza ovviamente dire che la conosce clandestinamente. Cristina me lo è venuto a dire, era preoccupata...".
Saverio scosse il capo e battè un piede per terra, incredulo.
"Voglio che la questione si chiuda stasera, ragazzi, non voglio gossip e non voglio disturbarvi ancora. Ho già deciso cosa fare ma ovviamente vorrei il vostro parere".
Ascoltarono la mia idea e Saverio mi diede l'ok, augurandosi a sua volta di porre fine a quella questione fin troppo spinosa.
In pullman avrei tanto avuto voglia di chiarire con Maurizio visto che quella mattina gli avevo detto che ne avremmo riparlato, solo che passai tutto il tragitto a parlare con i responsabili degli altri due team per i soliti problemi di organizzazione in vista della gita di due giorni a Belfast del weekend successivo.
"Non ti sto invidiando" ridacchiò Maurizio quando riemersi dall'ennesima telefonata.
Guardò i miei appunti dalla grafia ballerina a causa dei movimenti del pullman e notò la mia disperazione.
"Domani te li ordino io, che dici?".
"Se ci capisci qualcosa...".
"In famiglia sono io quello che oltre a tradurre qualsiasi cosa interpreta anche la grafia delle ricette del medico, posso farcela".
"Grazie, Maurizio. Stasera dopo la riunione riparliamo di stamattina, ti va?" domandai.
"Certo".
Ritornati in college, io peregrinai da un ufficio all'altro per inviare le ultime email per la conferma dell'hotel con Maurizio che mi faceva da assistente mentre il resto dello staff faceva il controllo camere.
Giusto poco prima di cena riuscimmo ad illustrare il quadro della situazione a Saverio, con Amanda che ascoltava come se il tutto la riguardasse.
"Quindi come al solito i ragazzi dormiranno nelle camere doppie, ne ho prenotate cinquanta, e ho chiesto le singole per noi. L'hotel è questo, l'azienda mi aveva dato una scelta limitata e credo sia il migliore per posizione e costi".
Saverio fece un cenno affermativo.
"E il pullman?".
"Lo ha già prenotato il team spagnolo. Per ogni cosa faremo fifty fifty".
"Va bene ma tu chiedi comunque tutte le email di conferma e inviamele, ok?".
"Sì, boss".
"Lo sai che non mi fido".
Sbuffai, esasperata dalla mania di controllo di Saverio.
"Lo so, è per questo che venerdì pretendo un meeting generale in cui controlleremo tutto, dettaglio per dettaglio. Ti va bene alle dieci e trenta?".
"Alice, la regola numero uno qui è che non si pretende nulla" s'intromise subito Amanda, quasi puntandomi l'indice contro.
Incredula, la guardai accigliata e quasi sentii i ragazzi tremare per lo scambio di battute che ci sarebbe stato a breve.
"Certo che si pretende, Amanda. Si pretende il massimo e io credo di starlo dando visto che ho passato tutto il viaggio di ritorno al telefono e ora ho finito di organizzare tutto, quindi pretendo anche un riscontro con i miei colleghi" risposi rapidamente,  sforzando di controllarmi.
"Calmati, oh" mi apostrofò.
"Tu dovresti calmarti, in realtà".
"Ragazze, una bella camomilla e ci calmiamo tutti, che dite?" domandò Mario, mettendosi nel mio campo visivo e oscurando Amanda, quasi come se temesse che la picchiassi.
"Io sono calma. Comunque, andate pure a cena, finisco una cosa e vengo".
Per fortuna tutti mi ascoltarono, così, rimasta sola con Maurizio, lo guardai con un'aria malandrina che mi apparteneva raramente.
"Mi dai un foglio?" chiesi.
Me lo porse nel giro di qualche istante, poi mi guardò con aria interrogativa mentre scrivevo qualcosa e riponevo il foglio nella scatola dei suggerimenti.
"Stasera, in riunione, vedrai".

Dopo una cena fin troppo silenziosa e priva di battutine ci recammo alla serata Quiz organizzata dal team spagnolo.
Non fu un successo come lo Speed Date e ciò ci fece capire che dovevamo intrometterci di più nelle decisioni degli altri responsabili, dato che le loro scelte erano viste e riviste.
"Domani durante il tempo libero dell'uscita organizziamo qualche altra cosa coinvolgente, la serata di lunedì deve essere una vera e propria bomba" stabilì Mario, fin troppo scosso dalla serata piatta.
"Va bene" acconsentii, con la testa già pronta ad affrontare la riunione.
Guardandomi attorno, quella sera, mi ero resa conto di non conoscere i nuovi arrivati tranne Cristina e volevo porvi rimedio una volta chiusa la questione con Amanda che stava incanalando tutte le mie energie.
Quando ci ritrovammo tutti in ufficio fremevo, temevo di dire qualche cazzata, ma ormai c'ero dentro e dovevo agire per il mio bene e per la tranquillità del gruppo.
"Allora, giornata intensa, per fortuna ci siamo riposati un po' durante il tempo libero dei ragazzi. Consegnate i fogli del check delle camere ad Amanda, per favore" iniziò Saverio.
Amanda era già seduta dietro al tavolo, prontissima ad esaminare il lavoro dei GL.
Controllava il tutto con aria da detective, dava giudizi e faceva battutine come al solito non adatte al contesto.
"Bene, chi ha consegnato può iniziare a sedersi".
Sentii una morsa allo stomaco quando Saverio prese la scatola dei suggerimenti, la aprii e si finse sorpreso nel vedere un biglietto.
"Abbiamo un suggerimento, ragazzi. E' anche firmato" disse.
Improvvisamente, tutti si zittirono e probabilmente tutti riuscivano a percepire il battito accelerato del mio cuore.
Maurizio, seduto al mio fianco, mi strinse il braccio per incoraggiarmi ed io lo guardai, probabilmente intimorita.
"Credo che una Team Leader debba cercare di tenere il team unito, non dividerlo raccontando cose private di una persona agli altri. Alice" lesse, lentamente.
La reazione fu prevedibile: tutti sobbalzarono quasi, per poi guardare o me o la diretta interessata.
Io, con le gambe tremanti, mi alzai e andai vicino Saverio, cercando di mostrarmi sicura.
Amanda era sbiancata e guardava tutti con aria offesa e tradita.
"Mi dispiace non aver avuto modo di conoscervi in questi due giorni, ma sono stata presa da questioni personali che ovviamente avevo scelto di tenere fuori da questo ambiente" iniziai, respirando quasi a fatica. "Spero che questo episodio ci unisca, comunque. Allora, è da ieri che due di voi mi hanno raccontato ciò che Amanda dice in giro di me ma vi assicuro che ciò che è uscito dalla sua bocca è entrato a causa di terzi, io e lei non siamo amiche, solo colleghe, e non so nulla della sua vita privata come lei non dovrebbe sapere della mia".
"Amanda, cosa hai da dire? Ci sarà una spiegazione, no?" intervenne Saverio, serissimo.
"Ma cosa dite, io...".
"Cosa diciamo? Amanda, hai passato la pausa pranzo a ridere di Alice e del suo passato" sbottò Cristina, alzandosi e mettendosi al mio fianco.
"E ieri stavi a fa lo stesso, ti ho sentito" aggiunse Salvatore, con un'occhiata assassina.
Il volto della ragazza divenne rossissimo, sembrava davvero senza parole.
"Stanno dicendo la verità?" incalzò Saverio, spazientito, incrociando le braccia.
"Io posso confermare, ero a pranzo con Cristina, oggi, e Amanda era con noi. Non ho apprezzato, infatti come avrai visto non ti abbiamo dato corda" disse Luigi, per nulla esitante.
"C'ero anche io, confermo" disse Gabriele.
"Confermo" aggiunse Monica.
"Allora? Amanda, ho un gruppo di visionari o cosa?".
"Oh, Saverio, ovviamente sei dalla parte della tua pupilla! Vogliamo dirla tutta? Diciamola! Tu, Alice, Mario e Salvatore siete una casta a parte, siete amici, ci escludete...".
Quasi quasi potevo sentire il rumore degli specchi che graffiavano a causa del suo tentativo di arrampicarcisi.
Saverio la guardò come se fosse pazza.
"Scusate, qualcuno qui si è sentito escluso? Ditemelo senza problemi".
"No, anzi, mi sento trattato come un'amico di vecchia data" confermò Gabriele.
"Se, vabbè... Ora tutti amici perché c'è il capo presente... Siete un gruppo a parte e venerate Alice, pendete dalle sue labbra!" urlò Amanda.
"Se ricordo bene, Amanda" s'intromise Maurizio, guardola dritta negli occhi, "L'anno scorso Clemente pendeva dalle tue labbra, giudicava il nostro lavoro in base alla tua simpatia nei nostri confronti. Qui la musica è diversa, lavoro con Alice non so quante ore al giorno e non ha gli sconti che avevi tu l'anno scorso".
"Gli sconti? Ma sei pazzo?" urlò la Team Leader, inorridita.
"So di cosa parlo ma sono professionale e non dico altro, a differenza tua. Almeno io parlerei di cose che ho visto, tu non sai niente della storia di Alice, non la sa nessuno".
Guardai Maurizio con un'ammirazione pazzesca, dopotutto si stava esponendo per me, una che conosceva da poco più di quarantotto ore!
"Fammi capire, tu parli di me perché in sintesi non ti piace non essere in confidenza con Saverio e non avere "sconti"?" chiesi, inviperita come non mai.
"Ma che dici...".
"E allora parla chiaro perché non ci sto capendo nulla! Ti avrò risposto male un paio di volte ma solo perché dai l'impressione di una persona pronta solo a comandare!" aggiunsi, stizzita.
"Comandare? Io? E tu che pretendi cose, indici riunioni...".
"Senti, non ti capisco. Indire riunione e pretendere che tutti ci siano è una cosa fondamentale per la riuscita delle attività perché dobbiamo essere tutti aggiornati. E' una conseguenza del mio lavoro, capisci? Voi non mi vedete ma mentre voi svolgete il vostro lavoro io devo svolgere il mio, che comprende far andare d'accordo spagnoli, inglesi e Saverio, rispettare le esigenze e le idee di tutti. Questo significa Mediare. Mediare, non Comandare!".
"Amanda, i mediatori hanno davvero tante responsabilità e ci aiutano da morire. Qual è il punto? Ti sembra normale ciò che hai fatto? Cosa vuoi, diventare amica ed ottenere favoritismi? Qui non funziona da me, non quando coordino io".
"Io raccontavo storie vere su Alice per fare amicizia, sapete, fare gossip è un modo per unire la gente, lo dice uno studio...".
"Alle mie spalle, ridendo della mia vita, immagino" conclusi per lei, schifata da morire.
Le avrei volentieri tirato un ceffone ma mi placai.
"Forse. Tanto si è capito che non ci sopportiamo" replicò Amanda, sulla difensiva.
"Non siamo all'asilo, Amanda! Se non mi sopporti mi ignori, stop".
"Io non posso fare finta di nulla, Amanda!" s'intromise Saverio. "Questa tua azione finirà sul tuo fascicolo, è gravissima. Ora hai dodici giorni per confermarmi il contrario altrimenti dovrò dire che non sei adatta per questo ruolo".
Da rossa, Amanda divenne bianca come un lenzuolo e non osò proferire parola.
"Comunque, visto che ormai sapete, sì, vi confermo che ciò che vi ha detto è vero. L'anno scorso ho lavorato a Londra con Saverio, Mario e Salvatore, ho conosciuto un ragazzo dello staff e abbiamo iniziato una storia durata fino a tre mesi fa. Ora lui è a Barcellona e probabilmente ha diffuso la nostra storia, non so cosa dire. A me tutto ciò non fa ridere ma, ehi, punti di vista" sdrammatizzai, per poi tornare al mio posto, seguita da Cristina.
"Anche io sto con una group leader conosciuta l'anno scorso. Conviviamo, ci siamo trasferiti a Milano con tanti sacrifici dopo che Alice ha iniziato uno stage presso la nostra azienda. La mia ragazza, che aveva lavorato in passato in quella città, vedendo Alice ha deciso di riprovarci e io ho passato mesi e mesi ad attendere il trasferimento alla sede di Milano. Siamo amici, ne abbiamo vissute tante in un solo anno, e se ho chiesto di lavorare con lei è perché so di cosa è capace. Ciò vi crea problemi?" spiegò Saverio, esponendosi con mia grande sorpresa.
"No, anzi, siete uniti e date più sicurezza a chi è alla prima esperienza come me" disse Monica.
"Bene. Ora, se non ci sono altre questioni, possiamo passare alla vera e propria riunione".
"Scusatemi per avervi sottratto del tempo ma dovevo" mi scusai.
Tutti mi sorrisero e Amanda restò zitta fino alla fine, dimostrando di essere una persona che si fa grande solo alle spalle degli altri.

Era ormai mezzanotte passata quando fummo liberi di tornare in camera, ormai esausti.
"Grazie per il supporto" sussurrai a Cristina, abbracciandola.
Lei mi fece l'occhiolino e ricambiò la stretta.
"Domani pranziamo tutti insieme, così ci conosciamo davvero tutto, che dici?" propose Luigi, dopo aver fatto un enorme sbadiglio.
"Certo!".
Essermi confidata e aver parlato chiaro con Amanda mi faceva davvero sentire più leggera e ottimista, così, tornando verso la mia stanza, affrettai il passo per raggiungere Maurizio.
"Ora sai ciò che volevo raccontarti" dissi, un po' incerta.
"Sì. Non deve essere facile, tornare a fare questo lavoro un anno dopo, fare attività che avrai condiviso con lui..." immaginò, riflessivo come non mai.
"Ecco perché il primo giorno sembravo strana".
"Lo avevo intuito. Non sei sola, comunque, e lui ha sbagliato di grosso nel dire cose vostre in giro".
"Lo ha detto al coordinatore con cui ha sempre lavorato Amanda, lavorano insieme. Il caso a volte è un bastardo. Sai, stando ai documenti che sono arrivati, lavorerà qui al prossimo turno".
Maurizio si bloccò e mi fissò, senza parole.
"Alice, mi dispiace...".
Scrollai le spalle, provando a sorridere.
"Capita. Sapevo quel che facevo, un anno fa, anzi, più o meno ma... Fa nulla, si va avanti".
"Sei forte, si vede".
"Grazie per oggi, per tutto, mi hai difeso in un modo che mi ha davvero lasciato senza parole" ammisi di cuore, convinta di avere davanti un ragazzo d'oro.
"Dovevo e volevo farlo. Buonanotte, Alice" disse, ormai arrivati nella zona dei dormitori.
" 'Notte, Maurizio" lo salutai.
Un po' più tranquilla, decisa a farmi una bella dormita, aprii la porta del corridoio dove c'era la mia camera e restai stupita nel trovarmi di fronte il dottore, Alessandro.
"E' successo qualcosa?" chiesi, senza capire.
Come faceva a sapere la mia stanza?
Alessandro indossò il suo sorriso migliore per scuotere il capo e fare finta di nulla.
"No. Volevo solo dirti in privato che sono dalla tua parte...".
"Potevi dirmelo in riunione, davanti a tutti" replicai, incredula per la sua faccia tosta dopo ciò che mi aveva raccontato Salvatore.
Lui abbassò il capo e si passò una mano tra i capelli - abitudine che ormai odiavo in un uomo - con aria sicura, di sicuro certo di star compiendo un gesto d'effetto.
"Sì, ma non avrei anche potuto dirti tranquillamente che sei bellissima. Buonanotte, Coordinatrice Mediatrice".
Come se nulla fosse se ne andò, voltandosi prima di aprire la porta del corridoio e lanciandomi un'ultima occhiata, sicuro di sé.
Io, incredula, riuscivo solo a pensare a una cosa: quell'essere mi credeva davvero così stupida?!


*°*°*°
Bene bene, con un po' di ritardo visto che questa settimana sono tornata a lavoro, ma sono qui con uno dei capitoli più esplosivi e movimentati.
Cosa ne pensate? Amanda è una stronza, sì, ma anche Luca non scherza e Alessandro è un deficiente.
Se avete fiducia in Alice, state tranquilli dopo l'ultima scena del capitolo ;)
Sono curiosa di sapere le vostre supposizioni e le vostre previsioni... Cosa succederà ora?
Come sempre vi lascio degli spoiler:

Per fortuna erano tutti impegnati a cercare posti buoni in cui poter mangiare qualcosa con quel budget, così riuscii a leggere il contenuto senza farmi notare.
"Cena con me, stasera"
"Che dici?" sussurrò, cercando di essere convincente, appoggiando una mano sulla mia schiena e muovendola leggermente, come ad accarezzarla.


"Ciao Alice, ciao Salvatore".
Sobbalzammo, vedendo due ragazze della squadra di Gabriele che ci guardavano divertiti mentre io reggevo il body e lui lo esaminava.
"Ciao ragazze. Non è per me" precisai, decidendo di scongiurare subito eventuali congetture.



A venerdì prossimo!
milly.

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Capitolo 19
*** Day 4: L'utilità dei Social Network ***


4social
Capitolo 4
Day 4: L'Utilità dei Social Network

La cosa bella di quella domenica fu potersi svegliare alle nove visto che la gita del giorno era a Dublino e noi avevamo il college in centro.
L'appuntamento era alle dieci e trenta nella hall, quindi ebbi tutto il tempo di farmi una lunghissima doccia, asciugare i capelli con più calma e truccarmi un po'.
Era solo il quarto giorno ma percepivo già la differenza del lavoro svolto fino a quel momento visto che ero abbastanza stanca, avevo delle occhiaie paurose e qualche brufoletto da stress sul viso.
Inviai un messaggio a Maurizio per invitarlo a bere il caffè con noi visto l'atto di lealtà nei miei confronti della sera prima, così alle dieci mi ritrovai in cucina con lui e Saverio.
Quando entrambi arrivarono il caffè era già pronto, così li accolsi con un sorriso per far capire che era tutto ok e che da quel momento non avrei più dato problemi con la questione che riguardava Amanda.
Ero decisa a non dire nulla di Alessandro perché davvero rischiavo di essere noiosa, ripetitiva e aprire questioni inutili: nel caso in cui avesse continuato, lo avrei zittito a modo mio.
"Era un anno che sognavo di parlare in faccia ad Amanda, ho dormito davvero serenamente stanotte" si confidò Maurizio, quando ci ritrovammo tutti e tre seduti a tavola.
Sorrideva in modo sincero e la cosa gli donava rispetto al suo essere sempre serio e composto.
"Immagino. Mi hai sorpeso, fino ad ora sembravi davvero fin troppo silenzioso" ammise Saverio. "Sono contento perché ieri è emerso che possiamo essere un buon gruppo, i ragazzi sono stati leali".
"Sì, non me lo aspettavo" dissi. "E sono felice di averne parlato e di aver chiuso la questione, non riuscivo ad essere me stessa al cento per cento".
"Questa te la traduco io, Maurizio: significa che ora passeremo dei bei guai".
"Almeno sono dei bei guai, non brutti" ridacchiò Maurizio, per poi finire di bere il caffè.
Quando scesi nella hall mi appoggiai su uno dei divanetti vicino la reception visto che mancavano cinque minuti all'orario concordato e per riunire tutti e cento i ragazzi ci sarebbe voluto un po', solo che fu una mossa sbagliata visto che Alessandro non perse tempo e prese posto al mio fianco con una mossa felina.
"Buongiorno" esclamò, con il solito sorriso a non so quanti denti.
"Buongiorno" risposi.
"Ci tenevo a dirti che ieri sei stata molto maleducata" sussurrò, cercando un contatto visivo che gli negai.
"Cioè?".
"Io ti dico che sei bellissima e tu mi lasci andare così, senza nemmeno invitarmi a fare due chiacchiere" sibilò, avvicinandosi a me in modo da sussurrarmi questa frase all'orecchio, forse credendosi sensuale.
"Forse perché non sono interessata a fare due chiacchiere, e nemmeno una. Meglio zero" risposi, alzandomi dopo avergli rifilato un sorrisino di falsa cortesia e raggiungendo Salvatore che mi stava facendo segno di avvicinarmi.
Alessandro ci seguì con lo sguardo e mi finsi disinvolta mentre ringraziavo Salvatore.
"Te sta a dà fastidio?" chiese, con l'aria di chi ha capito tutto, mentre ci avvicinavamo verso una zona un po' meno chiassosa.
"Ieri l'ho trovato fuori camera mia...  Si spreca in complimenti e battutine, pensa di avere a che fare con una bambola gonfiabile, probabilmente. Lo sai solo tu, non voglio creare altri fastidi. Se continua gli parlo chiaro" stabilii.
"Ma come fai? Io 'mpazzirei col pensiero di rivede' una ex e lavorarci 'nsieme, ora te devi sorbì pure a questo...".
Esitai, senza sapere bene cosa dire.
Il pensiero di rivedere Luca e ricordare tutte le cose spiacevoli mi ammazzava, non potevo negare di non pensarlo più e di fare ancora sogni ormai proibiti su di noi, in un universo parallelo in cui tornava da me e lo perdonavo come se nulla fosse.
Non sapevo cosa fare, sapevo solo che ce la dovevo fare.
"Voglio solo pensare a stare in compagnia, lavorare e tutto il resto..." risposi, nemmeno più di tanto sicura.
"Quello stronzo de Luca merita de sapè che sei corteggiata, glielo dico io".
"No, Salvatore, no. Non è una gara, farei la parte della disperata... Mi dispiace solo di non riuscire a pensare ad altri, vorrei potermi già sentirmi libera di... Spassarmela con un altro, giusto per non pensare più solo a lui, ma temo sia presto. Ma che dico, queste sono cose che non dovrei dire ad alta voce, scusami" ammisi, arrosendo come una pazza.
Salvatore era una persona così discreta, silenziosa, che a volte dimenticavo potesse avere delle opinioni e pensare male di me.
"Hai tutto il diritto di spassartela, Alì, magari non qui per evitare altri casini".
"Giuro non è per nulla nei miei pensieri, mi basta aver sbagliato una volta".
"Non hai sbagliato, te sei innammorata, tutto qui".
Annuii, sentendomi un po' meno stupida. "Un giorno mi parlerai anche tu della tua vita" dissi.
"A tal proposito, oggi mi servirebbe il tuo aiuto per fare un regalo...".
"Che regalo?".
"Vedrai".
"Va bene, conta pure su di me".
Intrigata dalla prospettiva di sapere qualcosa di più sulla vita di Salvatore, mi diressi verso il resto dello staff, quasi pronto a partire dopo aver distribuito il pranzo a sacco ai ragazzi.
Era una domenica non molto fredda, ogni tanto spuntava il sole e dovevamo toglierci le felpe che ci riparavano costantemente dalla minaccia di pioggia.
Prendemmo il tram e ci preparammo per il nostro tour, che prevedeva alcune tappe importanti per la storia di Dublino come la statua di Molly Malone, figura leggendaria e di riferimento per la città.
"Non ti ho chiesto se possiamo parlare della sospetta seconda attività di Molly e del modo di dire "The tart with a cart", mi rimproverano?" chiese Maurizio, preoccupato, mentre il team inglese dava informazioni generali.
"Ma no, poi lo dici in inglese, non possono rimproverarti" lo rassicurai.
"Ok, boss".
Sentirsi chiamare così mi fece bene, così guardai Maurizio con aria fiera mentre diceva i fun facts riguardo la statua e spiegava la frase "The tart with a cart", ovvero "La prostituta con un carrello", rivolta a Molly per il suo seno prorompente e per le dicerie secondo cui oltre ad essere pescivendola fosse anche una prostituta.
I ragazzi gli applaudirono e subito si fiondarono ad ascoltare l'omonima canzone dei "The Dubliners", curiosi, visto che era tra il materiale citato.
"Le tue spiegazioni battono di gran lunga quelle degli inglesi, sembri un vero professore, riesci a catturare la loro attenzione in un secondo" mi complimentai, ammirata per il modo in cui i ragazzi avevano continuato a fargli domande anche dopo il suo intervento.
"In realtà è ciò che faccio, cioè, ho fatto e spero di continuare a fare. Ho insegnato in un liceo a Milano negli ultimi anni" rivelò, un po' imbarazzato. "Ti ringrazio".
"Davvero?" chiesi, stupita da quell'informazione.
"Sì. Ho avuto la fortuna di fare la primina e laurearmi alla magistrale a ventitrè anni, giusto in tempo per l'abilitazione... L'ho fatto per caso ma lo  adoro, infatti nel frattempo sto anche facendo il dottorato, voglio insegnare all'Università".
"Si vede. Perché non me lo hai detto prima?".
"Non lo so, non ne ho mai avuto l'occasione...".
Avere un professore - dottorando giovane e appassionato come Maurizio doveva essere bello, non sembrava nemmeno molto severo, ad essere onesti.
La mattinata volò rapidamente, così ad ora di pranzo ci riunimmo tutti in un piccolo parco per pranzare insieme, meno stanchi rispetto al solito grazie alla sveglia che ci aveva svegliato più tardi.
Amanda, che per tutta la giornata era stata per conto proprio, probabilmente capì di non doversi escludere per salvare la faccia, così prese posto non lontano da me e iniziò a parlare un po' con tutti.
"Ogni volta che vedrò una di voi con il carrello con dentro i pranzi a sacco vi chiamerò Molly Malone, vi ho avvisato" esclamò Luigi. "Tipo, Monica, oggi sei stata fantastica nella hall, una Molly Malone d'eccezione".
Monica scosse la testa in segno di diapprovazione. "Vuoi che ci prendiamo a pesci in faccia?".
"Dipende, se fai la Molly Malone prostituta va bene" s'intromise Gabriele.
"Ragazzi...." l'interruppe Saverio.
Tutti esitarono, temendo un rimprovero.
"... Che battute scontate, ho tanto da insegnarvi!" terminò, scatenando risate generali.
Forse fu in quel momento che si creò davvero l'identità del gruppo e tutti si sentirono a proprio agio nell'essere se stessi senza fregarsene di un eventuale giudizio.
Parlai di più con i ragazzi, scoprii che Luigi studiava economia, Gabriele cercava lavoro e nel frattempo faceva il dog sitter, Monica studiava giurisprudenza ed aveva una grande passione per la danza.
"Stasera è prevista la cena fuori, no? Dove ceniamo?" chiese Cristina, guardando con aria non proprio affamata il solito panino al formaggio.
"Dove vogliamo, abbiamo dieci euro di budget a persona".
Sospirai davanti al pensiero di cenare con qualcosa di buono e a stento notai che Alessandro, spuntato non so come al mio fianco, mi aveva gettato un foglietto accartocciato nella busta dove c'era il resto del cibo.
Per fortuna erano tutti impegnati a cercare posti buoni in cui poter mangiare qualcosa con quel budget, così riuscii a leggere il contenuto senza farmi notare.
"Cena con me, stasera"
"Che dici?" sussurrò, cercando di essere convincente, appoggiando una mano sulla mia schiena e muovendola leggermente, come ad accarezzarla.
Mi scansai, guardandolo male per quel gesto non richiesto.
"Certo che ceno con te, ma in presenza del resto della squadra. Ti prego di smetterla" dissi, decisa più che mai.
"Non mi arrendo".
Che sbruffone! Era davvero così convinto? Chi si credeva di essere? Ovviamente lui ignorava il mio essere al corrente delle sue intenzioni, quindi credeva che a breve mi sarei lasciata convincere da quello scialbo "corteggiamento".
"Seguimi".
Non me ne fregava di essere vista, dovevo chiarire al più presto perché essere trattata così, come un pezzo di carne pronto ad andare a letto con chiunque, era poco lusinghiero.
Ero libera di andare a letto con chiunque, certo, ma in base alla mia scelta, non di certo per assecondare i pensieri sessisti di un deficiente che credeva di potermi fare scema solo perché era oggettivamente bello.
Subito obbedì, credendo in un mio cambio di idea, e mi seguì fino ad una panchina un po' lontana da orecchie indiscrete.
"Alessandro, parliamoci chiaro, pensi che io sia deficiente?" chiesi, sprezzante e piuttosto incazzata.
Colto alla sprovvista, Alessandro mi guardò senza capire.
"Cosa?".
"Non fare il finto tonto! Senti, so tutto. So che quando Amanda ti ha raccontato di me e del mio ex in vacanza studio hai espresso piacere nel sapere che "scopavo con lo staff". Vuoi negarlo? Ammettilo, ammetti che stai facendo tutte queste scenate perché pensi di trovarmi nuda nel tuo letto, stasera" sbottai, infastidita al massimo.
Incrociai le braccia e alzai il mento, godendomi la sua espressione idiota.
"Non è così, Alice. Ti sbagli, cerco di essere carino perché...".
"Perché?".
Contro ogni mio pronostico, Alessandro restò in silenzio per qualche istante, si schiarì la voce e mi guardò.
Credevo avrebbe opposto un minimo di resistenza, invece probabilmente non aveva voglia di perdersi in finte scenate e false dichiarazioni perché sbuffò e alzò gli occhi al cielo, non proprio soddisfatto.
"Ora so che non sei la credulona ingenua che crede Amanda, sei una tosta. Scusami".
Avevo sentito bene? Aveva forse -seppur tacitamente - ammesso che avevo ragione?
"Ecco, non lo sono. L'importante è che tu la smetta, farò finta di nulla" ribadii.
"Grazie".
Mi sorrise debolmente e poi tornò dal resto del gruppo, così lo seguii, cercando di risultare normale.
Vidi Saverio che, a una cinquantina di passi da noi, faceva la solita videochiamata della pausa pranzo con Nadia e mi dissi che tutto ciò che volevo era un rapporto come il loro, chiaro, cristallino, pieno di affetto e di comprensione, capace di resistere alla distanza.
"Ehi, ma che è successo?".
Riemersi dai miei pensieri quando Cristina mi parlò, quando tutti si erano divisi in gruppetti e parlottavano tra loro.
"Intendi con Alessandro?" sussurrai.
"Sì, sembravi incazzata quando vi siete allontanati...".
"Lo ero. Voleva provarci per portarmi a letto dopo aver saputo di Luca, credeva fossi una facile da... Adescare" rivelai, senza riuscire a trattenermi.
Le mostrai il biglietto e le raccontai i dettagli, cosa che la fece inorridire come non mai.
"Uomini! Pensano di avere delle cretine pronte a cadere ai loro piedi..." commentò, inacidita.
"Più che altro è l'idea di essere usata come un oggetto che mi fa schifo" borbottai, amareggiata.
"Alice, ricordi che dobbiamo organizzare meglio la serata di domani?" chiese Mario, spuntato con Maurizio alle mie spalle.
"Sì, lo ricordo".
"Vi lascio al vostro lavoro" si congedò Cristina.
"Dopo ti raggiungo io" le promisi.
"Hai trovato la bff, eh?" mi scimmiottò Mario, sedendosi al mio fianco.
"I miei primi bff sarete sempre voi" gli ricordai, pensando a quanto fossi felice di averli lì con me.

Mancavano un paio di ore alla cena quando mi ritrovai davanti il negozio di Victoria Secret's con Salvatore.
Ero sorpresa perché si era avviato prima di me, quando stavo ancora cercando idee con i ragazzi, quindi mi aveva inviato la posizione del negozio.
"Intimo?" chiesi, senza sapere bene cosa dire.
Salvatore annuì.
"Per la tua... Ragazza?" azzardai, visto che per me la sua vita era un buco nero.
"No, che dici, Alì, voglio comprà un tanga pe' me" mi prese in giro.
"Scusami, non so nulla della tua vita privata" mi difesi.
"Sì, c'ho una ragazza da poco meno de un annetto e le vorrei fare un regalo carino" sintetizzò, facendomi segno di entrare.
Lo seguii, pensando a quanto fosse assurda quella situazione visto che da quando ci conoscevamo non si era mai verificata una situazione così... Intima.
Fondamentalmente il nostro rapporto era molto semplice: la nostra confidenza si basava sul suo prendermi in giro constantemente, poi non ci eravamo più visti ed ora si comportava con me come se fosse una sorta di guardia protettiva, facendomi quasi mancare il periodo in cui una giornata non poteva dirsi conclusa senza una sua battuta nei miei confronti.
Ora, ritrovarsi in un negozio per comprare un regalo alla sua ragazza, era una bella novità e volevo essere utile.
Quando mi fece capire di volerle comprare un body sexy, passai all'azione.
"Che taglia ha?" chiesi, fingendomi professionale.
"Una terza".
"Coppa?".
"Mo' vuoi troppo, Alì".
"Scusa, la coppa è importante" sottolineai.
"Ma una terza è una terza, non esiste 'na coppa standard?" domandò, non capendo l'importanza della questione.
"No. Come è il suo seno, sapresti dirmi più o meno la forma?".
"Come il tuo, Alì, magari un po' più piccolo, credo" osservò, guardandomi di sbieco.
Quella cosa mi fece ridere come non mai e lo fissai, divertita.
"Una terza A o B, allora" azzardai, cercandolo.
Ne presi uno bordeaux, con vari ricami in pizzo, e glielo porsi.
"Potrebbe andare?" chiesi.
"Me piace".
"Ciao Alice, ciao Salvatore".
Sobbalzammo, vedendo due ragazze della squadra di Gabriele che ci guardavano divertite mentre io reggevo il body e lui lo esaminava.
"Ciao ragazze. Non è per me" precisai, decidendo di scongiurare subito eventuali congetture.
Loro risero e si allontanarono, lasciandoci decisamente perplessi.
"Sono destinata a fare figuracce con te. Ricordi l'anno scorso, quando mi prestasti l'adattatore e delle ragazze ti videro uscire dalla mia stanza?" esclamai, nostalgica.
Come faceva raramente, Salvatore mi mostrò un sorriso che addirittura scopriva i denti.
"Sì. Ci conosciamo da poco ma abbiamo bei ricordi" sintetizzò. "M'hai convinto, mediatrì, lo compro".
"La tua ragazza è fortunata" decretai, per poi guardare il prezzo del body."...E deve davvero averti rubato il cuore" commentai.
"Ne vale la pena per lei, sempre" ammise, con uno sguardo così innamorato che mi fece tenerezza.
Anche i più duri alla fine si scioglievano, pensai.
"E' assurdo. Quando ho conosciuto te e Saverio mi sembravate così duri, eppure guardatevi, innamorati, pronti a fare di tutti per chi amate" dissi.
Salvatore si avviò verso la cassa e mi guardò, con aria malandrina.
"Quando abbiamo conosciuto te eri una ragazza quasi terrorizzata dal suo compito, e anche un po' sbadata, poi ti sei innamorata, sei cresciuta... Ora sei una che si fa rispettà e manda a quel paesi gli stronzi" osservò, forse per non farmi sentire da meno.
"Cosa...?".
"Vi ho visto, Alì. Alessandro è tornato con la coda tra le gambe, ho visto che espessione avevi mentre gli parlavi. Ho capito che gli hai parlato chiaro, scommetto che ti ha rotto le scatole".
Parlava in un italiano quasi perfetto rispetto al solito dialetto romano che lo contraddistingueva e la cosa mi fece riflettere.
Per prendermi in giro usava il romano, per parlarmi sul serio usava l'italiano.
"Voleva che cenassi con lui, non me la sono sentita di continuare a essere presa in giro da un coglione, ho già fin troppe pressioni addosso. Meglio chiudere la questione subito, così si concentra su altre".
Salvatore pagò e uscimmo, presi da un'enorme folata di vento.
"Lo ami ancora, vero?" chiese, cauto come non mai.
Mi bloccai, sentendomi paralizzata da quella domanda.
Quando vieni lasciata, soprattutto quando sei stata tradita, tutti ti si scagliano in arringhe in cui ti ricordano quanto tu valga e quanto lui sia un deficiente, solo che nessuno si preoccupa di chiederti come ti senti tu.
Ti dicono come dovresti sentirti, al massimo, ed io ero così provata dal recitare la parte di Wonder Woman da tre mesi a quella parte che mi stupii di fronte a una domanda semplice come quella.
"Sì, credo. Lo sogno ancora, ricordo il suo profumo, ricordo la gioia di rivederlo in lontananza mentre mi aspettava, quando il treno arrivava alla stazione di Napoli... Mi ci vorrà un po'" sussurrai, sforzandomi di non piangere per l'ennesima volta.
"Ti ci vorrà quello che ti ci vorrà, poi incontrerai un ragazzo meraviglioso" mi rassicurò lui, ricordandomi un po' mia madre quando mi raccontava le favole prima di addormentarmi.
Feci spallucce, incerta, e lui mi strinse a sé con fare quasi paterno, in una mossa che probabilmente suggellò ancora di più la nostra amicizia.

C'era solo una cosa da fare quando avevo qualche pensiero per la testa: perdere tempo con Mario e lasciarmi trascinare in una delle sue birichinate, che potevano andare dal fare qualche scherzo al finire coinvolti in un progetto impegnativo, come realizzare un certo tipo di video con i ragazzi come protagonisti.
Quella sera fui fortunata perché, quando mi avvicinai a lui, lo trovai impegnato a contemplare il famoso Temple Bar.
"A che pensi?" chiesi, curiosa.
"Vorrei fare una foto epica, che condivida l'essenza di questa città mista all'essenza di essere un Activity Leader" rispose, concentrato.
"Te la scatto io" mi offrii, volenterosa. "Tanto manca un po' all'ora di cena".
"Ma chi se ne frega degli orari, devi uscire da questi schemi, Alice. Dimmi, che faccio?".
Ci pensai, poi lo sguardo mi cadde sulla felpa della divisa che portava allacciata attorno alla vita.
"Ci sono! Super Mario al Temple Bar!".
Senza lasciargli il tempo di dire nulla, tolsi la felpa dalla sua vita e gliela sistemai sulle spalle, allacciandola davanti a mo' di mantello.
"Fai una posa da supereroe, dai!".
Mi aspettavo delle critiche, eppure l'Activity Leader sembrò intrigato da quella proposta, tanto da mettersi in posa più e più volte.
Il risultato fu decisamente positivo: il rosso della divisa si abbinava al rosso tipico del bar, la luce tenue che precedeva il tramonto dava un bel tocco all'immagine e l'espressione del paffuto Mario era decisamente super divertente, sembrava credersi davvero un supereroe.
"Che figa, la posto subito!" esclamò, facendo uscire la parte super social che era il lui.
Non lo sapevo ancora, ma quella semplice foto salvò il resto della mia permanenza a Dublino.
Infatti, ad ora di cena, mentre ero impegnata in un'accesa discussione in cui sostenevo di odiare i musical e di apprezzarne solo qualcuno, criticata da una Monica alquanto decisa a difenderli, sentii varie esclamazioni provenienti dall'estremo del tavolo, dove c'erano Mario e Saverio.
Allarmata, alzai lo sguardo, prima di vedere Mario che correva verso di me per poi trascinarmi in un punto recondito del locale.
"Ma che ti prende?" chiesi, spaventata.
Sembrava paonazzo, reggeva il cellulare in mano e poi me lo mostrò.
"Leggi!" esclamò, puntandomi lo schermo quasi sotto al naso.
"Leggo, leggo, un attimo".
Presi l'oggetto e vidi che c'era la foto che gli avevo scattato.
"Leggi i commenti!" continuò, quasi squittendo.
Cliccai sull'opzione dei commenti, continuando a non capire.

Luca Antonini: Bella Mario, sei sempre sul pezzo! Salutami Dublino, spero di visitarla un giorno!
Mario Caloni: Come un giorno? Starai qui con noi al secondo turno, no?
Luca Antonini: No, non ho ricevuto nessuna convocazione, deve esserci stato un errore.
Il mio cuore saltò un battito e la mia mano tremava mentre gli restituivo il telefono.
Mario mi guardò, gioioso, mentre Saverio ci raggiungeva.
"Non verrà, c'è stato un errore" sussurrai, incredula.
"Di solito odio quando fanno questi errori, ma ne sono felice" esclamò Saverio.
"Sì, Ali, non verrà, non sei contenta?".
Annuii, davvero senza parole, perché mi sembrava di essere stata miracolata.
Era un segno del destino, forse era un'occasione in più per andare avanti e tornare ad essere me stessa, più sorridente che mai.
Improvvisamente, tutto mi sembrò più luminoso e leggero, e pensai che per una volta i social network erano stati davvero utili.

*°*°*
In ritardo, ma ci sono!
L'ultimo mese è stato assurdo, per fortuna tutto si è concluso e ora ho la certezza di avere un contratto lavorativo fino al prossimo anno, quindi sono finalmente serena e pronta a dedicarmi alla pubblicazione di tutti i capitoli.
La stesura procede bene e me ne mancano pochi da scrivere :D
Allora, che ne dite?
Luca non andrà a Dublino, Alice affronta il medico e Salvatore è dalla sua parte come non mai...
Secondo voi, cosa succederà ora?
Preparatevi perché nel prossimo capitolo si parlerà del ritorno di un vecchio personaggio.
Se vi va di farmi sapere che ne pensate sono qui, pronta a leggere le vostre opinioni!
A venerdì prossimo!

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Capitolo 20
*** Days 5-6: Segreti a fin di bene ***


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Capitolo 5

Days 5- 6 : Segreti a fin di bene

"Perfetto! Allora confermato alle diciassette? Benissimo! Non ci credo ma... Ci Vediamo tra due giorni! Un abbraccio, tesoro!".

Maurizio mi guardò quasi senza parole quando mi vide staccare la telefonata e tornare dietro la scrivania con un sorrisone stampato in faccia.

Non potevo biasimarlo, probabilmente in cinque giorni che mi conosceva non mi aveva mai visto così raggiante ed entusiasta per qualcosa.

Fuori il tempo annunciava una giornata grigia e fredda, dal cortile si poteva scorgere qualche studente che se ne stava seduto su una panchina avvolto in una felpona invernale, solo che io, finalemente, sentivo tanta positività e allegria invadermi, tanto da non potermi contenere affatto.

"Maurizio, quanto sei bravo con i segreti a fin di bene?" indagai, squadrando il suo viso dai tratti fin troppo angelici con aria attenta, come se fossi alla ricerca di quell'un per cento di furbizia che poteva fare al caso mio.

La sola domanda mise il ragazzo a disagio visto che quasi iniziò a sudare freddo e a torturarsi le mani in un modo che mi parve eccessivo.

"Non molto, Ali" ammise, dando conferma al mio sospetto.

"Sì, ma è una cosa davvero a fin di bene. Saresti il mio complice perfetto, si tratta comunque di mediare e organizzarsi, nulla di diverso dal solito, solo senza Jimena e gli altri tra le scatole" lo supplicai, cercando di essere convincente.

"Alice, cosa stai combinando? Perché ridi da stamattina e sei... Così?" chiese infine, cauto ma fin troppo sorpreso, cercando di non offendermi.

"Vieni, andiamoci a prendere un caffè, tanto dobbiamo incontrare gli spagnoli tra un'ora" proposi, guardando l'orologio dopo aver controllato la mia agenda che lui teneva sempre ordinata e aggiornata.

"Posso dire che mi fai paura?" borbottò, seguendomi.

"Io sono sempre così, in realtà. Mi hai solo conosciuto in un momento no" ammisi, cercando di restare solare.

Arrivati al bar, ordinammo entrambi un cappuccino e ci sedemmo dietro uno dei tanti tavolini che i ragazzi avrebbero occupato a breve durante l'intervallo.

"Fino ad ora ho avuto a che fare con un' Alice precisa, puntuale, simpatica, incazzata, ma mai così solare" rivelò Maurizio, guardandomi come se mi vedesse sul serio per la prima volta. "Forse dico una stronzata, ma qualsiasi cosa ti abbia detto Mario ieri, a cena, ti ha fatto bene".

Annuii, pensando a quanto fossero vere le sue parole.

Dopo tanto tempo avevo finalmente dormito tranquillamente senza ansie e paure ed ero felicissima di poter proseguire il mio percorso lavorativo senza la minaccia della presenza di Luca che incombeva.

"Ha saputo che c'è stato un errore e il mio ex non lavorerà con noi. Mi dispiace se hai avuto a che fare con una me un po'... Noiosa, ma ti giuro che ora conoscerai la vera me" promisi, decisa a onorare quelle parole.

In cinque giorni avevo affrontato Amanda, zittito Alessandro ed evitato la minaccia di lavorare con Luca per un colpo di fortuna, quindi mi sentivo più positiva che mai ed ero decisa a mostrarlo a tutti.

"Noiosa? Alice, sei iperattiva, sempre pronta a scattare, non dire stupidaggini. Piuttosto, la cosa misteriosa...?".

"Ero al telefono con Nadia, la ragazza di Saverio" rivelai, guardandomi attorno con aria circospetta per accertarmi che nessuno fosse nelle vicinanze. "Devi sapere che l'anno scorso, il giorno del mio compleanno, li beccai mentre si baciavano in ufficio" iniziai a raccontare, divertita da quelle reminescenze che sembravano essere accadute anni fa e non solo dodici mesi prima.

Quanto eravamo diversi, quanto ci conoscevamo poco e, soprattutto, come ci sembrava enorme il peso di avere una relazione segreta con un collega!

"Quindi festeggiasti il compleanno con lo staff?".

"Sì. Capiterà anche questa volta... E' l'otto, saremo a Belfast. Comunque, fui la prima a scoprire tutto e alla fine si confidarono anche con il resto del gruppo. A fine vacanza studio lui le corse incontro dicendole che l'amava e appena lui è tornato, due settimane dopo, sono andati a cena insieme come lui le aveva promesso e non si sono più lasciati. Durante tutto l'anno ci sono stati per me e ora che è quasi il loro anniversario voglio esserci io per loro".

"Cosa stai organizzando...?".

Bevvi un sorso di cappuccino e feci l'occhiolino, entusiasta per ciò che avevo pianificato con tanta cura.

"Saverio non sa nulla, ma mercoledì sera cenerà con la sua fidanzata e a mezzanotte, quando scoccherà il loro anniversario, saranno insieme" rivelai, gasata per la faccia che avrebbe fatto Saverio nel vedere Nadia di fronte a lui.

"Cosa? Ma come... Alice, è contro le regole, nessuno può entrare qui...".

"Nadia sarà una semplice turista che ha affittato un alloggio da mercoledì sera a venerdì mattina. Il nostro college consente anche ai turisti di alloggiare, qual è il problema?" chiesi, fingendo di non capire.

"Sei un genio del male!".

"Dell'amore, semmai. Quando non c'entro io" ridacchiai.

"Sì, ma cosa c'entro io?" chiese poi, senza capire.

Gli puntai l'indice contro con fare falsamente minaccioso.

"Tu da qui a mercoledì sarai il mio complice. Dovrai coprirmi, giustificarmi, metti pure parole spagnole a caso quando mi giustifichi se necessario, lui ti crederà. Questa sorpresa deve riuscire, capito?" domandai, supplichevole.

Al momento non potevo essere felice per la mia situazione sentimentale ma almeno potevo esserlo per due dei miei più cari amici che fino a quel momento avevano lottato tanto per stare insieme.

"Perché io e non Mario o Salvatore che lo conoscono bene?" chiese il ragazzo.

"Salvatore ci aiuterà, discreto com'è non sarà un problema, ma Mario non può saperlo, in tre secondi farebbe sapere tutto. Hai visto come è... Esplosivo" spiegai.

"Mi sento quasi onorato, anche se spaventato dall'idea di mandare tutto a monte".

"Andrà bene. Guarda, ho organizzato tutto. Nadia arriverà in aeroporto alle diciassette, sarà qui massimo per le diciotto. Quel pomeriggio ci sarà la visita alla National Gallery of Ireland, tu andrai, io dovrò restare in college. Martedì, durante la solita uscita pomeridiana, compreremo delle candele elettriche visto che quelle vere faranno scattare l'allarme anti incendio, giusto per dare atmosfera alla stanza, così io mercoledì le darò a Nadia e lei le metterà in camera. Quando tornerete, i ragazzi avranno circa un'oretta libera per prepararsi visto che è prevista la cena in quel ristorante chic che si affaccia sul fiume".

Maurizio spalancò gli occhi, incredulo. "E' per questo che hai insistito per far mettere la cena mercoledì?".

"Sì" ammisi, fiera di essere riuscita a convincere il team spagnolo e quello irlandese.

"Scusa, ma i posti sono contati, come facciamo a far mangiare Nadia?".

Scrollai le spalle, come se la risposta fosse la più semplice del mondo.

"Le cedo il mio posto. Non mi importa di mangiare in un ristorante chic, non ho nemmeno l'obbligo di stare con il team a cena, compro qualcosa a caso e mi godo la vista del fiume, ci sarà il tramonto a quell'ora" spiegai, cercando di non farne una questione di stato.

"Se non ceni tu non ceno nemmeno io" stabilì Maurizio, deciso.

"Ma non dire stupidaggini! Mi fai arrabbiare se lo fai, devi cenare con gli altri e non privarti di qualcosa a causa mia".

"Allora significa che ti farò arrabbiare, dopotutto sei il mio capo e dovrò pur farti perdere le staffe qualche volta. Ho più piacere a mangiare qualcosa a caso con te al tramonto che mangiare qualcosa di chic in un posto fighettino con gli altri" rivelò, sincero come non mai.

"Sei uno scemo. Non ti valuterò positivamente solo perché fingi di fare il galantuomo..." borbottai, non sapendo bene come rispondere ad una frase carina come la sua.

"Galantuomo? Un galantuomo si sarebbe offerto di darti la sua cena, io ti sto proponendo di mangiare insieme street food, senza cederti nulla" precisò.

Non riuscii a ribattere, un po' incredula a causa di quelle affermazioni così diverse da quelle del Maurizio sempre sotto le righe e silenzioso che avevo avuto modo di conoscere.

Mi dissi che quattro giorni erano pochi per conoscere qualcuno e io ero l'esempio lampante di chi in certi casi ha bisogno di un po' di tempo prima di essere se stesso.

"Non capisco il nesso, onestamente. Abbiamo lavorato tanto per riuscire a prenotare in quel ristorante, almeno uno di noi dovrebbe goderne i benefici".

"Ti sembra così assurda l'idea che mi vada di cenare con te?".

Era il secondo giorno di fila che un ragazzo mi proponeva di cenare insieme, eppure sapevo che Maurizio non aveva secondi fini, voleva solo essere gentile e non far dividere la squadra di mediazione.

"No. Ne sono lusingata" cedetti, per poi bere un generoso sorso di cappuccino giusto per avere la bocca impegnata.

"Amo i momenti "liberi" durante questi viaggi, di solito sono i più autentici. Comunque davvero non ho parole per tutto il da fare che ti stai dando per i tuoi amici, devi proprio adorarli".

"Li adoro quando sono insieme perché così Saverio non mi rompe le scatole" ironizzai. "Ecco!" sbuffai, affrettandomi a prendere il block notes e a fingere di mostrare qualcosa al mio collega visto che Saverio stava venendo in nostra direzione.

Maurizio mi resse il gioco, annuii e poi lo prese in mano, squadrandolo con finta aria professionale.

"Vita da mediatori, eh. Bravi, bravi, continuate a poltrire, mi raccomando" ci prese in giro Saverio appena si fu avvicinato.

Aveva la solita aria di chi è stanco ma è deciso a dare il massimo in ogni caso viste le tante cose da fare e il poco tempo per farle.

"E tu, allora? Poltrisci con noi al bar?" ribattei.

"No. Sono venuto a darvi una buona notizia. Finalmente l'azienda ha deciso di farci aprire il nostro conto al bar, da oggi non dobbiamo più pagarci la roba qui. C'è un limite, massimo quattro euro al giorno per persona, ma meglio di nulla. Che avete preso? Così ve li faccio rimborsare".

"Due cappuccini, grazie".

"Non mi ringraziare, da oggi voi porterete le nostre ordinazioni in ufficio, ve lo anticipo" sghignazzò il coordinatore.

"Giusto perché non facciamo nulla, giusto?" stetti al gioco.

"Esattamente".

"Comunque, visto che non facciamo nulla, dobbiamo aggiornarti sulle ultime proposte per le uscite di queste settimane. Alle undici parliamo con gli spagnoli riguardo le prenotazioni di Belfast, se mi dai le ordinazioni vi portiamo il caffè in ufficio e te ne parliamo" dissi, pratica.

Ogni volta che c'erano delle decisioni da approvare andavo in ansia finché non avevo l'ok di Saverio, era più forte di me.

"Va bene".

Saverio parlò con l'addetto del bar, diede già le sue ordinazioni e ci riportò i nostri soldi.

"Vi aspetto in ufficio con la roba".



"Dite cheese! Bella la servitù, eh?".

Fummo accolti nell'ufficio dei group leader con Mario che ci stava puntando contro la fotocamera del cellulare, tronfio nel vederci carichi di caffè, capuccini e chi più ne ha più ne metta.

"Questa finisce sulla pagina Facebook, così i genitori sapranno il nostro duro lavoro" asserì Saverio.

"Che non si dica che il gruppo di Mediazione non si spreca per il resto dello staff" sottolineò Maurizio.

"Vi auguro degli espressi schifosi che vi facciano passare la giornata in bagno" ironizzai, posando finalmente il cartone gigantesco con cinque bevande fumanti su un tavolo.

"Espresso irlandese e sigaretta sono gli ingredienti di base per una dieta detox, non lo sapevi?" stette al gioco Alessandro, probabilmente per cercare di guadagnare punti.

Mi guardava con quell'aria furbetta che mi dava ai nervi, se ne stava lì, al centro dell'ufficio, probabilmente senza fare nulla, come se fosse lui il capo di tutto e di tutti e come se ogni cosa gli fosse dovuta solo perché si trattava di lui.

"Non fumo, quindi...".

"Io fumo, invece. Dopo pausa sigaretta, che dici?" s'intromise Amanda, prendendo il suo caffé e guardando Alessandro con aria ammiccante.

"Nemmeno io fumo, era una battuta" si scusò il Dottore.

"Beh, allora vi lascio alla vostra pausa caffè".

Mi allontanai per non stare tra i piedi, se Amanda voleva provarci con Alassandro di certo io non l'avrei ostacolata.

"Alice, illustra a tutti le novità di cui dovevi parlarmi, così vediamo anche Mario che ne pensa e siamo tutti informati" mi chiese Saverio, facendomi spazio vicino la sua scrivania.

Annuii, sedendomi sulla scrivania, mentre tutti gli altri continuavano a sorseggiare caffé in silenzio.

"Allora, si pensava di prenotare il ristorante chic mercoledì e di uscire per la zona di Temple Bar il giovedì" iniziai, pregando mentalmente che a Saverio andasse bene.

"La cena chic inizialmente era organizzata per venerdì, perché abbiamo cambiato?".

"Questione di disponibilità" dissi subito.

Maurizio mi guardava con aria preoccupata e la cosa mi metteva un'ansia assurda addosso.

"Il mercoledì è possibile avere una sala grande tutta per noi, mentre venerdì dobbiamo mescolarci con il resto delle persone e non è proprio bello considerando che siamo più di cento" aggiunsi. "Poi ieri parlavamo con Mario di fare anche una sorta di photobooth con il fiume sullo sfondo e metterlo sulla pagina facebook, è più semplice farlo con una sala privata".

"Per me va bene, possiamo lavorare meglio così" mi appoggiò Mario.

Saverio ci pensò un attimo, poi valutò la cosa e alla fine annuì.

"Va bene, puoi confermare".

Sentii un macigno scivolarmi via dallo stomaco e annotai tutto sul block notes.

"Si lavorava meglio quando non c'erano i social, ora devi dimostrare anche ai genitori che i figli si divertono" sbuffò Amanda.

"Scusa, ma da quando sei nell'azienda?" chiese Saverio, voltandosi verso di lei con uno scatto.

"Cinque anni".

"Cinque anni fa avevamo già la pagina facebook...".

"Che devo dirti, noi l'abbiamo introdotta tardi".

"Ma sono belle cose, dai, l'idea del photobooth è fighissima a prescindere, sono bei ricordi per i ragazzi" s'intromise Alessandro, guardando prima Amanda, poi me.

Evitai il suo sguardo e feci finta di leggere qualcosa tra i miei appunti mentre Amanda, colpita, non sapeva come rispondere.

"Comunque, confermata anche l'uscita di giovedì?" dissi dopo vari minuti di silenzio, giusto per rianimare la riunione.

"E venerdì quindi andrebbe fatto il pizza party?".

"Sì".

"Va bene".

"Non ho altro da dire" mi congedai, spostandomi verso Maurizio. "Tra pochi minuti abbiamo l'incontro con l'altro staff, se ti va bene andiamo e gli comunichiamo che sei d'accordo".

Saverio annuì e annunciò che era l'ora di firmare alcuni verbali, così uscimmo e ci recammo verso la sala riunione che si trovava al terzo piano.

"Amanda ci sta provando con Alessandro, hai notato?" domandò il mediatore, con l'aria di chi è quasi sconvolto ma divertito dalla situazione.

"Sì, ce li vedo bene, insieme" commentai.

Maurizio ridacchiò e io lo imitai, ben decisa a non rivelare il discorsetto avuto con lui il giorno prima.



Quel lunedì fu davvero stressante a causa dei soliti problemi in vista delle prenotazioni per Belfast, che ovviamente mi lasciarono con l'amaro in bocca.

Era una maledizione, ogni anno, quando si trattava della trasferta di due giorni in un'altra città, avevamo centinaia di problemi che ci facevano perdere non so quanto tempo.

Fu con la morte nel cuore che poco prima di cena, quando tutti rientrarono dalla visita allo Store della Guinness, annunciai a Saverio che non c'era stato verso di avere undici camere singole per lo staff.

"Ovviamente visto che siamo dispari la singola è tua, le due group leader dovranno andare in camera insieme e a me resta Amanda. Già vedo internet pieno di foto mie mentre dormo, sempre se non mi ammazza nel sonno" mi lamentai, cercando di soffocare i rumori del mio stomaco che reclamava la cena.

Probabilmente il mio discorso era molto infantile, solo che la stanchezza e la fame non mi aiutavano ad essere un'adulta coscienziosa che non si lamenta.

Saverio firmò dei documenti che ripose in una cartellina e mi guardò, con una leggerezza che non gli apparteneva.

"Domani me la vedo io, fino a prova contraria parlo bene l'inglese e non ho bisogno di un mediatore. Con tutto il rispetto, tu e Maurizio state lavorando così tanto che mi sento quasi sollevato da ogni carico di lavoro, domani mi ci vuole una bella discussione con questi irlandesi" decretò, fiero del suo operato.

"Lo so che vuoi farlo perché hai paura di Amanda" ironizzai, felice nel vederlo così carico e per il complimento che aveva fatto al mio staff dopo le numerose prese in giro che, come al solito, servivano a precisare in modo non convenzionale il suo affetto.

"No. Se la soluzione non si trova, diamo la singola ad Amanda, così col cavolo che ci accusa ancora di favoritismi, io me ne vado in camera con Mario e se per te va bene fai il sacrificio di dividere la stanza con il tuo mediatore, non mi fido del dottore".

Ero davvero incredula per quella soluzione trovata così, come se nulla fosse, vista la rigida policy che divideva colleghi e colleghe.

"Io non ho problemi ma Amanda lo capirebbe subito...".

"Amanda è così assetata di potere che non baderà a nulla. Che c'è, non vuoi dividere la stanza col mediatore?" mi prese in giro. "O davvero preferisci il dottore?".

"Io sono semplicemente stufa di essere oggettificata come donna attira sesso, lo so che stai pensando a cosa è successo ad Oxford" sbottai, uscendo dall'ufficio e sbattendo rumorosamente la porta.

Era successo tutto in un secondo, la sua frase aveva fatto scattare un fastidioso "clic" nel mio cervello che mi aveva riportato indietro di mesi e mesi, ai vecchi schemi che tanto mi avevano bloccato ai tempi della relazione ancora segreta con il mio ex.

Che diamine mi era preso? Saverio scherzava tutto il tempo, perché diavolo mi ero innervosita ed ero diventata paonazza? Mi pentii all'istante del mio scatto di rabbia ma ormai era troppo tardi, tornare sui miei passi mi sembrava da vigliacchi.

Andai in mensa a passo di marcia e a stento scambiai due parole con qualcuno, seppellendo la faccia nel solito piatto di carne e patatine fritte che già mi stavano gonfiando come non mai.

Mi persi tutte le conversazioni e a stento risposi a Mario riguardo gli ultimi dettagli della serata "Cruciverba", che consisteva nel dividere i ragazzi in due squadre e far completare un cruciverba chiamando una persona alla volta.

Mi sentivo davvero un'idiota perché una singola connessione fatta nel mio cervello mi aveva portato a rispondere male alla persona che mi aveva sostenuto più di tutti in quei mesi.

Fu per questo che, con la coda tra le gambe e un'aria che cercava di mostrare quanto fossi dispiaciuta, seguii Saverio fuori la mensa alle diciannove e trenta, un'ora prima della serata.

Stava camminando in direzione dei dormitori, così gli corsi incontro e lo bloccai per un braccio.

Dovevo essere forte, non dovevo piangere e fargli pietà, volevo essere matura chiedendo scusa e spiegandogli tutto.

Saverio si girò e mi guardò.

"La pecorella nera torna all'ovile?" chiese, sprezzante.

"So che non hai tempo da perdere ma voglio spiegarti tutto...".

"Senti, qui i problemi li abbiamo tutti, non sei l'unica che è stata mollata o ad essere in crisi. Tra tre giorni è il mio anniversario con Nadia, non ci sarò per lavoro ed è da ieri che è strana, quindi se permetti ho anche io le mie cose da risolvere" sbottò, liberandosi del mio braccio con uno strattone e proseguendo per la sua strada.

Mi dissi che aveva ragione ma non avevo voglia di tornare indietro, così, senza dire nulla e con gli occhi lucidi per ciò che avevo scatenato, presi posto su una panchina e decisi di aspettare così le venti e trenta, da sola con i miei pensieri.

"Alice, sei qui, ero in pensiero...!".

Mi voltai e vidi Maurizio che prendeva posto al mio fianco, preoccupato.

"E perché?" domandai, sforzandomi di risultare normale, anche se la mia voce non riuscii a celare una nota isterica.

"Sei stata muta tutto il tempo e hai quasi rincorso Saverio quando si è alzato".

"Abbiamo discusso, sono una stupida".

"Quell'uomo ha un potere così grande su di te che quasi quasi penserei che ne sei innamorata. Oddio, non dirmi che lo sei" esclamò, portandosi una mano alla bocca quando lo guardai di scatto, con un'espressione strana.

"Ma cosa dici! E' semplicemente una delle poche persone su cui posso fare affidamento ora che sono lontana da Roma, in più è grazie a lui che sono migliorata in questo lavoro" spiegai.

"Ci sono stati problemi con le stanze?" domandò, andando ad intuito.

"In un certo senso... Domani ti racconto, che dici? Ora ho solo voglia di farmi una doccia".

"Ma certo, scusami, non voglio essere inopportuno, è solo che a volte sento di avere confidenza con te, di poterti chiedere cose come ad un'amica".

"E ne sono felice, davvero".

Mi alzai, lui mi passò lo zaino che avevo perennemente con me e lo salutai con un cenno, prima di tornare verso i dormitori.

In quei giorni ero davvero un mare incomprensibile e pericoloso, prima calmo, poi in tempesta, poi piatto, poi turbolento...

Mi dovevo calmare ma non sapevo come, avevo tanti pensieri per la testa e odiavo che fossero tutti causati da chi al momento era felice con la sua nuova ragazza e probabilmente contava i giorni per tornare da lei.

Fu così che feci una doccia rapida, diedi una mano durante la serata, partecipai passivamente alla riunione serale e andai a dormire, sfinita dal mio turbine di pensieri.

Il mio primo pensiero, l'indomani, fu mandare il solito messaggio a Saverio per chiedergli di venire a prendere il caffè, solo che non invitai nessun altro perché volevo spiegarmi senza terzi tra i piedi.

Quando lo vidi entrare in cucina, alle sette spaccate, tirai un respiro di sollievo e gli sorrisi in maniera genuina.

"Grazie per essere venuto" esclamai, affrettandomi a versare il caffè nel solito bicchiere di carta e a zuccherarlo.

Bevvi il mio come se fosse uno shot e poi mi decisi a parlare.

"La mia sfuriata di ieri sera è stata insensata e da pazzi, scusami. Posso spiegarti?" chiesi, cauta, misurando ogni parola.

Saverio annuì prima di bere un sorso.

"Non sono mai stata la tipa che si fa una storia con uno quasi sconosciuto e forse, senza volerlo, il mio cervello ogni volta mi punisce per ciò che ho fatto con Luca perché se non lo avessi fatto ora tutto sarebbe più semplice. Sono scattata sulla battutina sul dottore perché in realtà lui voleva provarci pensando che fossi una facile e ieri, dopo vari atteggiamenti, l'ho zittito. Mi sembra di essere un oggetto, quella che se la fa con chiunque" spiegai cautamente, cercando di utilizzare un tono neutrale e non quello da vittima che avevo usato in passato.

Come c'era da aspettarsi, l'espressione dell'uomo cambiò repentinamente appena iniziai a spiegare le mie ragioni.

"Salvatore ha ascoltato tutta la conversazione tra lui e Amanda quando lei gli ha raccontato dell'anno scorso e il suo commento è stato una cosa del tipo "buono a sapersi che scopa con lo staff". La sera dopo me lo sono ritrovato fuori la mia camera, voleva fare il figo, mi ha detto che sono bellissima e se ne è andato, il giorno dopo ha continuato a fare il buffone, voleva che cenassi con lui.... Non ho retto più e gli ho detto che sapevo tutto e se ne è andato con la coda tra le gambe" continuai, con aria non proprio divertita.

"Perché non me lo hai detto?" mi rimproverò Saverio, rammaricato per ciò che gli avevo raccontato.

"Perché sono stufa di creare problemi, di dover essere sempre al centro dell'attenzione perché prima discuto con una e poi con un altro! Mi sono sentita peggio di quando mi dicesti di fare attenzione a Javi" ammisi, rivivendo quasi quella sera dell'anno prima nella mia mente dato che era stata quella in cui, tra i tanti casini, avevo capito di avere una cotta per Luca.

"Ma non sono problemi, in primo luogo, e poi non li crei tu!".

Esitai, prendendo tempo per riordinare i pensieri.

"Non li creo io, forse li crea la mia identità in quanto donna. Scommetto che quando Luca ha divulgato i fatti nostri nessuna ragazza ha pensato "ci sta con tutte, è uno facile, ora ci provo". Quando tu hai raccontato di stare con una che lavorava con te nessuno ha detto nulla, ma scommetto che la storia di una Coordinatrice che sta con un group leader scatenerebbe gossip".

"Alice, tu pensi troppo. E scommetto che tutto questo è scattato quando ti ho proposto di condividere la stanza con Maurizio per lasciare la singola ad Amanda, perché nella tua testa hai subito immaginato una situazione simile a quella dell'anno scorso, quando ho trovato Luca nella tua stanza e tutto il resto. Devi smetterla di vivere in funzione dell'anno scorso, paragonare ogni esperienza a quella precedente, ogni viaggio qui è bello per qualcosa di nuovo che succede! Cosa dovrei fare io, essere musone perché non c'è Nadia? Resisto e apprezzo le piccole cose, come questo nostro rito del caffè prima di andare a colazione...".

Aveva ragione, ovvio.

"Forse dopo queste due settimane riuscirò a non fare più paragoni, non lo so" borbottai, senza sapere bene cosa dire visto che ogni volta che mi confidavo con il mio capo passavo dall'essere piena di cose da dire all'essere più calma, svuotata da ciò che mi affliggeva.

"Spero di sì. Lo devi a te stessa, Alice, fai tanti passi avanti ma poi torni sempre indietro e non va bene" mi rimproverò, critico ma allo stesso tempo genuino come solo lui poteva essere.

"Hai ragione. Con Nadia come va? Ieri sembravi preoccupato" chiesi, dicendomi di dover fare comunque la parte di chi non sa nulla.

Saverio scrollò le spalle e finì di bere il suo caffé, esitando un po'.

"Mi ha rassicurato, dice solo che è stanca e stressata, forse ho ingigantito io le cose" minimizzò, sforzandosi di mostrarsi sicuro.

"Sei stanco e stressato anche tu. Andrà bene, Nadia è pazza di te, non sai quante volte ho dovuto sorbirmi chiacchiere infinite sul tuo essere un fidanzato meraviglioso e bla bla bla" lo scimmiottai, facendolo sorridere.

"E' la cosa migliore che potesse capitarmi, Alice, e so che capiterà anche a te quando meno te lo aspetti. Ora, voglio proporti una mattinata alla Alice e Saverio vecchio stile" propose, divertito al solo pensiero.

"Cioè?".

"Qualsiasi cosa tu debba fare fatti sostituire da Maurizio, io e te occupiamo il vostro ufficio e mi aiuti mentre cerco di fare il miracolo con l'hotel. Ci stai?" chiese, improvvisamente energico.

Era il suo modo per farmi capire che era tutto ok, che non ce l'aveva mai avuta con me e che eravamo quelli di sempre, anzi, che un po' gli mancavano i vecchi tempi in cui ci toccava risolvere insieme problemi giganteschi armati di un pizzico di fortuna e tanta pazienza.

"Ci sto!".

Battemmo il cinque per suggellare il patto e mi dissi che qualunque fosse stato l'esito, era bello poter contare su di lui.



Fu una mattinata fin troppo impegnativa tra telefonate chilometriche, le mille facce buffe di Saverio incazzato e il nostro imprecare non proprio educato ogni volta che ci dicevano di chiamare tra dieci minuti.

La giornata piena di sole e abbastanza calda, così diversa da quella precedente, contrastava con lo spirito uggioso e guerriero dell'ufficio, in cui regnava il caos.

Alle dodici e cinque, dopo tre ore di tentennamenti, ci fu la conferma ufficiale: avevamo perso la battaglia, le stanze non ci sarebbero state concesse e dovevamo tornare al piano B.

Ovviamente Saverio era incazzato nero per la sua battaglia persa e, conoscendolo, sapevo che a breve si sarebbe impuntato su qualche sciocchezza pur di averla vinta su qualcosa.

Il ritorno in ufficio dagli altri fu davvero, davvero diverso rispetto a quello del giorno in cui avevamo sistemato la faccenda con l'hotel di Oxford: niente urla, solo una sorta di marcia funebre scandita dai nostri passi.

"Che dici, diciamo già da ora la sorpresa ad Amanda?" chiesi. "Così da qui a sabato non fa altri interventi a sproposito e sta tranquilla".

"Va bene, traiamo almeno una gioia da questa sconfitta".

I ragazzi subito capirono che non c'era nulla da festeggiare quando ci videro entrare, ci guardarono, in attesa, poi il coordinatore scosse il capo in modo negativo.

"Niente da fare, torneremo ai tempi del liceo anche noi e avremo un compagno di stanza" annunciò Saverio. "Scegliete voi con chi stare, l'unica regola da rispettare è group leader con group leader, mediatore con mediatore, così per qualsiasi emergenza state insieme. Io sto con Mario, Alessandro, se ti va bene stai con Salvatore. Amanda?" la richiamò, facendo sì che la Team Leader alzasse lo sguardo.

"Sì?".

"Siamo in undici, quindi qualcuno deve avere la singola e ho pensato di... Premiare te, mi piace come stai lavorando ultimamente".

Se avessi potuto, avrei riso a crepapelle visto che era proprio evidente quanto Saverio stesse mentendo, ma ovviamente Amanda non vi badò, era troppo presa dall'essere stata premiata per qualcosa e di essere superiore a noi comuni mortali.

"Grazie, Saverio" disse, prima di guardarci con aria di superiorità e passarsi una mano tra i capelli.

"Bene, preparatevi che tra poco finiscono le lezioni".

Tutti obbedirono all'ordine di Saverio, iniziando a riporre fogli e documenti vari negli zaini, mentre io mi avvicinai a Maurizio e gli feci segno di seguirmi fuori.

"A quanto pare saremo compagni di stanza. Ti va bene?" chiesi.

"Certo! Spero vada bene a te, sono un po' disordinato ma per una sola notte forse puoi passarci su" ironizzò, tranquillizzandomi. "Ma c'entra con la questione del litigio di ieri?".

Annuii, un po' imbarazzata. "Più o meno... Appena abbiamo cinque minuti di pace te lo spiego, l'importante è che per te vada bene".

"Non dire stupidaggini, Alice. A quanto pare questa settimana trascorreremo più tempo insieme, non è male come idea contando che, almeno io, lavoro bene con te".

"No, ma figurati, ci mancherebbe!".

"Guarda, questa ne è la prova" ridacchiò, mostrandomi la foto del giorno prima in cui io e lui portavamo i caffè alla squadra ed eravamo decisamente buffi.

Sorrisi vista la foto stramba ma che in un certo senso poteva riassumere la nostra situazione: lavoravamo insieme, cercavamo di lavorare bene ma ogni tanto sbandavamo a causa di qualche imprevisto.

*°*°*°


Buona domenica!

Eccoci di nuovo qui con uno dei miei capitoli preferiti visto che preannuncia un breve ma interno ritorno... Quello di Nadia!

Il prossimo capitolo è uno dei miei preferiti e spero lo adorerete come l'ho adorato io.

La storia prosegue, Alice ha già affrontato un po' di problemi ma ora sembra che tutto stia per migliorare, che ne pensate?

Fatemi sapere, a presto!

Milly.

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Capitolo 21
*** Day 7: Merito Tante Cose Belle ***


Day 7: Merito Tante Cose Belle
Capitolo 6
Day 7: Merito Tante Cose Belle
Quel mercoledì mi svegliai con aria beata, tanto che nemmeno i versi dei gabbiani che puntualmente si sentivano a qualsiasi ora del giorno mi diedero fastidio.
Nel giro di meno di dodici ore avrei riabbracciato Nadia, la dolce e forte ragazza che da un anno a quella parte era una sorta di mentore per me, quella che un mese dopo il mio arrivo a Milano aveva mollato tutto per trasferirsi nella stessa città, trovare lavoro nell'ambito che amava e una casa.
Probabilmente, senza di lei non ce l'avrei fatta a superare tutte le avversità dei mesi precedenti.
Il giorno in cui Luca si era presentato a casa mia per dirmi la verità sul tradimento, era stata lei la prima a capire che c'era qualcosa che non andava visto che ero scomparsa dalla circolazione e non rispondevo ai messaggi.
Si era presentata fuori casa mia, di sabato pomeriggio, e se ne era andata direttamente il lunedì mattina, accompagnandomi al lavoro dopo avermi trattato come una bambina bisognosa di cure e tanto amore.
Mi aveva asciugato i capelli, me li aveva pettinati, aveva scelto cosa farmi indossare... Come se non bastasse, aveva attraversato mezza Milano durante la pausa pranzo per non lasciarmi sola.
Non avrei mai pensato di poter volere bene a un'amica conosciuta quasi per caso un anno prima, ma ormai lei era inevitabilmente più presente rispetto alle mie amiche storiche.
Nadia non era una semplice amica, era uno spirito guida, una presenza costante, un'anima bella sotto ogni aspetto che meritava ogni felicità possibile e immaginabile.
Nel giro di poco avrei scoperto una novità assurda che mi avrebbe reso il tacere ancora più difficile e avrebbe mandato all'aria una giornata di lavoro, ma non potevo ancora saperlo.
Erano le sette meno venti, quindi in Italia erano le otto meno venti e probabilmente Nadia era in metro per l'ultimo turno di lavoro da Sephora prima del giorno di ferie che aveva ottenuto con tanta fatica.
Registrai un audio chilometrico -con tanto di gabbiani in sottofondo - in cui le raccontavo come mi sentivo per tutto quel piano che avevamo elaborato e lei era decisamente su di giri all'idea di visitare Dublino e fare una sorpresa al suo ragazzo.
A stento ebbi il tempo di prepararmi e quasi arrivai in ritardo al classico appuntamento pre colazione con Saverio, dove fingere fu davvero dura.
Lui aveva la testa tra le nuvole e me ne accorsi dal suo parlare poco e niente, fino a quando non esordì dicendo: "Ieri era un anno da quando io e Nadia, da semplice Coordinatore e Group Leader, pranzammo insieme dopo qualche giorno di occhiate, attenzioni e battutine. Stanotte, dopo poco mezzanotte, sarà il nostro anniversario, quello del momento in cui lei ebbe tanto coraggio da baciarmi dopo la riunione. Io non ce l'avrei mai fatta, non avrei mai osato pensare di suscitare dell'interesse in lei... Se non fosse stato per lei, probabilmente ora sarei il solito me cinico e sprezzante. Bisogna osare nella vita, Alice, sempre".
Mi ci volle una forza sovrumana per fingere di non sapere nulla e limitarmi a guardarlo con aria felice.
"Quindi" continuò lui, "Ieri pomeriggio ho osato in un modo che non avrei mai creduto di osare. Io mi fido di te, sarai pure scema e tutto ma sei fedele e leale, manterrai il segreto, vero?".
Esitai, senza sapere bene cosa dire.
Un altro segreto? Già stavo scoppiando nel tenere per me quello di Nadia, non potevo mantenerne un altro!
Il problema, però, era la mia eccessiva curiosità che mi portò a dire di sì.
Saverio esitò, prese un bel respiro, poi si voltò e frugò in una tasca del suo giubbino.
Mi portai una mano alla bocca quando capii tutto e lui mi fece segno di tacere.
Era una scatolina di velluto blu che, aperta, mostrava un meraviglioso anello con una pietra verde acqua.
"Colpo di scenaaaa! Saverio diventa pazzo e chiede ad Alice di sposarlo!".
Sobbalzai, maledicendo quel cretino di Mario che era entrato a sorpresa in cucina, con la solita aria svagata ma felice e un mega sorrisone.
"Mario, tu lo sai?" chiesi, andando quasi in panico.
"Certo che lo so, Ali. Ero con lui quando lo ha comprato! Questo pazzo all'improvviso si è fermato davanti a una gioielleria e mi ha detto di entrare. E' stato un momento epico per la nostra amicizia, sono il suo braccio destro da anni ed anni ed essere lì in quel momento...". Mario era visibilmente felice per Saverio, tanto da abbracciarlo e stampargli un bacio rumoroso sulla guancia, cosa che ovviamente lo fece respingere.
"E' una cosa bellissima, Saverio. Per quanto dovrò mantenere il segreto? Sai che Nadia è una mia carissima amica" dissi, quasi supplichevole.
"Non lo so. Lo farò quando me la sentirò, deve essere una cosa speciale fatta in un momento speciale, non perché devo".
Esternamente sorridevo, ma dentro stavo avendo una sorta di crisi: prima di tutto, Mario sapeva e a breve avrebbe dovuto fingere di non sapere davanti a Nadia in persona, poi, Saverio stesso cosa avrebbe fatto nel vedere la sua amata lì, a sorpresa, per il loro anniversario, dopo averle comprato un anello?
E, soprattutto: come avrei fatto a fare finta di nulla con Nadia pur sapendo una cosa così bella?
Dovevo stare calma o almeno dovevo provarci.
"Ma perché mi hai messo in una situazione del genere? Io sono felicissima per voi ma io e Nadia ci sentiamo sempre, mi sento uno schifo già solo per la bugia che dovrò dirle!" protestai.
"Non è una bugia, è un'omissione".
Annui, sconfortata, visto che mi aspettava una giornata piena di omissioni.


Visto che avevo bisogno di supporto, raccontai della sorpresa non solo a Salvatore ma anche a Cristina, che ormai era l'unica di cui potevo fidarmi tra i nuovi arrivati.
Glielo confidai quando io e Maurizio andammo in ufficio per portare il caffé a tutti, approfittando del fatto che il coordinatore fosse fuori per esigenze varie.
"Ma è una cosa bellissima" esclamò lei, decisamente euforica.
"Sì, solo che dobbiamo essere cauti e far riuscire il tutto, capito? Se hai dubbi e io non ci sono mandami un messaggio o ne parli con Salvatore o Maurizio, solo con loro".
"Oddio, mi sento parte di una società segreta" ammise Cristina, torturandosi le mani. "Cosa devo fare precisamente?".
"Oggi, quando andrete al museo, cerca di tenermi aggiornata il più possibile e fammi sapere quando state per tornare in college" dissi.
"Va benissimo".
"Non sto nella pelle, davvero!".
"Ma quindi la conosceremo? Saverio ce la presenterà? Voglio dire, non è contro le regole?" domandò la ragazza, un po' confusa.
Scrollai le spalle, un po' incerta.
"Nadia paga il suo alloggio come gli altri turisti che ci sono, non stiamo abusando dell'alloggio. Non so cosa dirti, Saverio saprà bene cosa fare, io per questo ho detto la verità solo alle persone fidate" ammisi, cercando di non aggiungere ulteriori preoccupazioni nella mia testa.
"Amanda è tutta felice per la questione della stanza, quindi non penso darà problemi" ragionò Cristina, provando a rassicurarmi.
"Vero. Che ti devo dire, vediamo come vanno le cose, non so cos'altro fare".
"Hai già fatto fin troppo, Ali".
Risi perché me lo aveva detto con'aria troppo buffa, ma era vero visto che stavo davvero rischiando tutto per dei miei amici.
"Cristina, vieni un secondo?" la chiamò Luigi, così lei fu costretta ad andarsene e io tornai nel mio ufficio.
Trovai il mio planner settimanale ben organizzato grazie a Maurizio che era in grado di decifrare la mia grafia disordinata e lessi cosa mi mancava quando un dettaglio catturò la mia attenzione.
Mercoledì 4 Luglio 2018:
Ore 20.00 Dinner Reservation: Sophie's.
E per noi andrebbe bene fish&chips? Fammi sapere :D M.
Aveva preso fin troppo sul serio l'idea della cena da outsiders mentre tutti cenavano da Sophie's e la cosa mi lasciava senza parole, anche perché continuavo a sentirmi in colpa visto che il posto per lui c'era.
Ci stavo giusto pensando quando lui entrò in ufficio, intento nel controllare chissà cosa al cellulare.
"Fish and chips?" chiesi, mostrando il planner.
Maurizio sorrise ed annuì, per poi sedersi vicino a me.
"Sì, io lo adoro, tu?".
"Mi piace, ma tranquillo, quello che troviamo prendiamo senza ansia" provai a dissuaderlo.
"Tu hai organizzato un mondo di cose, lascia che ne faccia una io".
"Certo. Vai lì e siediti con loro, stasera...".
"Ali, se non mi vuoi tra i piedi parla chiaro, perché è ciò che mi sembra tu stia provando a dirmi da ieri" esclamò, ferito dalle mie parole, tanto da cambiare espressione e mostrarsi piuttosto basito per il mio comportamento.
"No, no! Maurizio, no!" esclamai, scuotendo energicamente il capo e alzandomi, arrivando ad appoggiarmi alla parte di scrivania vicino a lui. "Scusami se ti ho dato questa impressione, semplicemente non voglio farti perdere nulla perché sei un collaboratore eccezionale e meriti una cena in un posto bello come quello".
Il ragazzo sembrò cambiare espressione e si riaddolcì.
"Quindi merito una cena speciale?" chiese, sorridendo in un modo nuovo, con una parte del sorriso sbilanciata verso la parte destra del viso.
"Certo".
"Una cena col mio capo con la visione del Liffey al tramonto è perfetta, allora. Possiamo andare anche al Mc Donald's, scegli tu, scegliamo al momento, che dici?".
In un altro momento della mia vita avrei approfondito la questione, avrei provato a capire il perché di quelle affermazioni, ma in quel momento evitai visto che non volevo immischiarmi in situazioni strane e desideravo solo normalità.
Sapevo solo che Maurizio sembrava davvero sempre più in gamba e dolce, uno di quelli vecchia scuola di cui ormai avevano gettato lo stampino.
"Va benissimo. Riguardo oggi, Salvatore e Cristina sanno tutto, se al museo c'è qualche emergenza puoi parlarne con loro" cambiai argomento, tornando dietro la scrivania.
"Ok. Abbiamo già fatto tutto per oggi e domani, dobbiamo passare a organizzarci per le attività di venerdì?".
Scrollai le spalle. "Bisogna solo ordinare le pizze e le bibite, ma sai cosa ti dico? Oggi non ho voglia di andare dagli altri responsabili e ascoltarli su una questione così semplice, possiamo farlo domani... Non lo so" sbuffai.
"Alice, perché non siete al meeting riguardo la serata cinema?".
Saverio entrò di botto in ufficio, senza bussare e con un'aria piuttosto arrabbiata.
Vedendolo così arrabbiato mi sorpresi e guardai il mio planner.
"Non c'è nessuna riunione stamattina" dissi, sicura di me.
"Ah sì? E perché quell'irlandese odioso è entrato in ufficio e ha chiesto perché gli italiani non si sono presentati?" urlò, prendendo il planner e facendomi entrare nel panico visto che si poteva intuire che non avrei partecipato alla cena.
Lesse, accigliato, mentre Maurizio correva a prendere il quaderno dove annotava tutto e da cui prendeva tutte le informazioni che trascriveva in bella copia sul planner.
"Accidenti, c'era, Alice! Non so perché ma non ho trascritto...".
"Maurizio, vieni fuori con me. Alice, alza il culo e va in riunione".
"Saverio, non parlare così ad Alice, urla a me, non a lei...".
"Maurizio, è tutto ok" lo tranquillizai, prendendo la borsa e andando dritta spedita verso l'ufficio riunioni, preoccupata per la sorte del mio aiutante.
Cosa voleva fare Saverio? Perché voleva parlare con lui e non con me?
Ero così in ansia che a stento mi resi conto di essere arrivata, mi scusai e dissi di aver segnato l'orario sbagliato prima di prendere posto e provare a prendere appunti, ignorando gli sguardi di rimprovero.
Quando, a mezzogiorno, uscii dalla riunione, vidi che i due stavano chiacchierando amichevolmente.
"Vedo che non lo hai ammazzatto" dissi, freddamente.
Saverio passò un braccio attorno alle spalle del mediatore e sorrise.
"E' tutto ok, Maurizio si è solo un po' distratto. Dovrei ammazzare te, un buon Coordinatore controlla sempre tutto".
"Lo avrei fatto se non fossi stata impegnata con te a compiere il miracolo delle stanze, ieri" ribattei, punta sul vivo visto che si stava attaccando la mia professionalità.
Aveva ragione, dopotutto mi ero distratta con la questione di Nadia, solo che ero troppo fiera per ammetterlo e dargli ragione.
"Dovrei fare una sintesi della riunione a Maurizio" aggiunsi.
Saverio sospirò e, senza lasciarmi alcuna opzione, mi si avvicinò e mi strinse a sé in un abbraccio goffo, con Maurizio che rideva. "Non è successo niente, scema, continua così".
"Ti odio".
Saverio rise e fece segno a Maurizio di seguirmi, poi scomparve nel suo ufficio lasciandomi senza parole mentre entravo nel nostro e chiudevo le spalle.
"Ma che gli è preso?" sbottai. "Mica ha cambiato idea perché gli hai spifferato di Nadia?" chiesi, già nel panico.
"Ehi, no, no! Mi credi capace di fare una cosa simile?".
Scrollai le spalle, senza sapere cosa dire.
"Semplicemente mi ha preso in simpatia, mi sono scusato e si è messo a parlare...".
Ero un po' sorpresa ma decisi di non obiettare e passai alla riunione, mostrandogli i miei appunti.


L'aereo sta partendo ora, arriverò almeno un'ora dopo, assurdo!
Arrivata al tardo pomeriggio, credevo davvero che non ce l'avrei fatta a vedere la fine di quel tunnel chiamato attesa.
Ero in ansia, ero arrivata ad un punto in cui sapevo che i ragazzi erano già usciti dal museo e di Nadia non c'era ancora l'ombra nonostante fosse arrivata in aeroporto.
La chiamavo in continuazione, controllavo i movimenti degli altri attraverso le informazioni di Cristina e gli altri, andavo avanti e indietro per la reception con aria preoccupata.
Tanto lavoro, tanta pianificazione buttati all'aria per un aereo che ha deciso di fare ritardo!
Finalmente, alle diciotto e trenta, Nadia mi chiamò per dirmi che era quasi arrivata stando a ciò che le aveva detto il tassista.
Allo stesso tempo, Maurizio mi disse che erano quasi arrivati in struttura, mancavano poco più di trecento metri.
"E' finita, addio effetto sorpresa" mi dissi, battendo un pugno sul mio ginocchio mentre me ne stavo seduta nella hall.
Guardai davanti a me visto che c'era una vetrata che dava sulla strada e vidi un taxi fermarsi, così mi affrettai ad uscire dalla struttura e a guardarmi a destra e a sinistra.
Potevo vedere già in lontanza una massa di gente e le divise rosse dello staff, fermi al semaforo.
"Cazzo, fa che Saverio stia lontano, ti prego!" dissi, rivolta a chissà quale divinità.
Mi avvicinai al taxi e vidi una preoccupata Nadia uscire con il suo bagaglio a mano.
Mi ero immaginata un momento indimenticabile in cui ci salutavamo come due sceme che non si vedevano da anni - e non solo da una settimana - solo che la mia fantasia fu distrutta dalla realtà in cui il tempo rischiava di far saltare il duro lavoro e la programmazione di giorni e giorni.
"Nadia! Sono a meno di duecento metri, dobbiamo muoverci" dissi, rapida, prendendo il trolley e facendole segno di seguirmi.
"Maledetti aerei" sbottò lei, in ansia come non mai, quasi inciampando mentre scendeva dal taxi e salutava l'autista.
"Corri, corri!" la incitai, fino a farla entrare in college.
Lei si stava recando verso la reception per il check in ma io la trascinai per un braccio verso il cortile.
"Non puoi fare il check in ora, perché stanno arrivando e ti vedranno tutti" le ricordai, mentre la facevo entrare in un piccolo stanzino in cui c'erano dei bidoni della differenziata e chiudevo le ante.
Probabilmente a causa dell'ansia, Nadia scoppiò in una risata fragorosa, mi cercò con le mani visto che eravamo al buio e mi strinse a sé in un modo buffo visto che eravamo strette, contro dei bidoni dell'immondizia, al buio.
"Alice, come devo fare con te, da quando ti conosco mi hai trascinato in mille avventure!" sussurrò, continuando a ridere.
"Avvenure di merda" sentenziai, visto l'odore poco carino che veniva dal bidone dell'organico, per poi ridere a mia volta e ricambiare la stretta. "C'è mancato poco, fammi vedere a che punto stanno".
Chiamai Maurizio e per fortuna subito mi rispose, diligente come sempre.
"Ali, dove siete?" chiese, preoccupato.
"In cortile, chiuse insieme all'immondizia. Non sto scherzando. Voi?".
"Che?!".
"Poi ti spiego, dove sta Saverio?".
"E' qui con noi, non so che vuole fare" rispose, preoccupato.
"Allora, Nadia deve registrarsi in reception e poi andare in camera, ho bisogno che lui vada o in ufficio o al massimo in sala comune e ci resti per un po' visto che ci vorrà almeno una decina di minuti. Mi affido a te, fammi uno squillo quando possiamo andare, ok?".
"Ok, ricevuto!".
Staccai la chiamata e notai che Nadia continuava a ridacchiare in un modo che la rendeva decisamente buffa visto che le avevo puntato contro il display del cellulare per fare luce.
Quando capì che la stavo guardando lei scrollò le spalle per giustificarsi. "E' che io e te non facciamo mai le cose normali che fanno due amiche, sempre in missione, sempre con qualcosa che c'entra con il prendere treni, aerei, trasferirsi..." spiegò, divertita.
"Ehi, qualche volta mi hai truccato e fatto i capelli, è una cosa normale da fare tra amiche, no?" stetti al gioco, per poi sobbalzare visto che il cellulare aveva appena squillato. "Forza, è il momento, ti prendo io il trolley così sei più veloce".
"Che ansia" squittì la ragazza, prima di uscire e correre verso la reception.
La seguii, guardandomi attorno con aria circospetta, prima di rendermi conto che Maurizio mi aveva scritto.
"E' in camera sua, voleva fare una doccia, dobbiamo essere tutti pronti a scendere per le 19.30".
"Ok, grazie".
Alzai lo sguardo, vidi Nadia che dava il documento di identità, firmava, poi, finalmente, le diedero la chiave della stanza.
Tirai un sospiro di sollievo e mi avvicinai, curiosa.
"Stanza?".
"Terzo piano, edificio uno, stanza tre" disse, leggendo sulla card che fungeva da chiave.
"Sei nel mio piano, sarà perché è tutto libero... E' ottimo perché invece Saverio è nell'edificio due, vieni in ascensore" decretai, iniziando finalmente a respirare.
Cliccai sul pulsante dell'ascensore e in circa dieci secondi si aprì, così salimmo e cliccai sul pulsante del terzo piano.
Per fortuna non c'erano ragazzini in giro, si vedeva che erano tutti chiusi in camera per farsi belli in vista della cena chic.
Fu una corsa assurda, mi sembrava davvero di star camminando sul filo del rasoio e solo quando riuscimmo ad entrare in camera di Nadia riuscii a respirare di sollievo.
"Ce l'abbiamo fatta" dissi, incredula, per poi abbracciare la mia amica e stringerla forte, probabilmente realizzando solo in quel momento che lei era davvero lì con noi e nonostante il suo non essere una group leader aveva potuto prendere parte, anche se poco, all'esperienza di Dublino 2018.
"Non ci credo!".
"Per fortuna non puzzi, puoi incontrare Saverio" la presi in giro e lei mi spinse via, tuttavia con affetto, per poi iniziare ad odorarsi per verificare ciò che avevo detto.
"Lo chiamo, vedo se è uscito dalla doccia e gli dico che deve venire urgentemente da me per un problema, ti fai trovare in cucina" dissi, senza darle il tempo di replicare.
"Che ansia, mi sembra di non vederlo da una vita" esclamò lei, facendosi aria con la mano nonostante la temperatura fosse abbastanza bassa.
Aprì la borsetta mentre prendevo il cellulare dalla tasca e si affrettò a ritoccare cipria e rossetto, in meno di un secondo.
Presi il cellulare e trovai un messaggio sul gruppo dello staff, risalente a un quarto d'ora prima.
Saverio: Stasera tutti senza divisa e un po' più eleganti del dovuto, è un posto in cui si richiede un minimo di dress code.
Non vi badai e mi affrettai a telefonargli, sperando in una risposta breve che, per fortuna, non si fece attendere.
"Che vuoi, Ali?".
"Puoi venire un secondo in cucina da me?".
"E perché?".
"E' un'emergenza, c'è una ragazza in lacrime, è del gruppo di Cristina, non vuole farsi vedere da nessuno, ha detto che si sente al sicuro solo con te, le ispiri sicurezza, non so che è successo..." dissi, con Nadia che mi guardava incredula e si copriva la bocca per non far sentire la risata che cercava di soffocare.
Sapevo che mettendo in mezzo uno dei ragazzi Saverio non si sarebbe tirato indietro e ci avrebbe raggiunto.
"Un secondo e arrivo" sentenziò, per poi staccare la chiamata.
"Che cucciolo il mio amore, è un coordinatore perfetto" sospirò Nadia, con gli occhi letteralmente pieni d'amore mentre si guardava allo specchio per sistemarsi i capelli.
"Sei perfetta, non so come fai ogni volta a fare qualsiasi cosa e a essere sempre così in perfette condizioni" la rimproverai affettuosamente, prima di spingerla letteralmente verso la porta.
"Aspetta, mi fai lasciare la chiave qui, fammela prendere!".
"Tanto sappiamo entrambe che non userai questa stanza".
"Ma ci sono i miei vestiti, sciocca".
Rapidamente, ci recammo verso la cucina dove ogni giorno preparavo il caffè e la feci accomodare sul divano che c'era sulla sinistra, in modo da nasconderla a prima vista.
Ebbi appena il tempo di farla sedere che vidi Saverio che era a pochi passi dalla stanza.
"Sta venendo" squittii, quasi più emozionata di Nadia, la quale fece un piccolo saltello prima di sedersi composta, le gambe accavallate e un'aria più felice che mai.
Saverio aveva preso sul serio la questione del dress code perché indossava una camicia e dei jeans più carini rispetto a quelli trasandati che ormai gli facevano da divisa, con tanto di scarpe un po' più eleganti.
Aprii la porta, sforzandomi di essere seria.
"Scusami se ti ho distubrato ma è urgente, non so cosa fare" dissi, mentre entrava. "Questa ragazza vuole solo te...".
Nadia - che se ne stava girata verso la finestra - si voltò e fece l'occhiolino al suo ragazzo.
"Alice ha ragione, voglio solo te e non ho esitato a farmi Milano- Dublino per rivederti per il nostro anniversario" sussurrò, quasi emozionata.
Saverio era paralizzato, guardava la sua ragazza come se fosse un'apparizione mistica e spalancò la bocca, incredula.
Nadia si alzò e lo raggiunse, appoggiando le braccia sulle sue spalle.
"Mi riconosci o mi hai dimenticato già dopo sette giorni? Sono io, Nadia, quella che è venuta fin qui per festeggiare insieme il nostro anniversario. Me ne vado venerdì mattina" spiegò, accarezzandogli i capelli con un fare così dolce che quasi mi faceva venire voglia di piangere per la commozione.
L'uomo sembrò riemergere dallo stato di trance e le si gettò addosso, quasi seppellendola tra le sue braccia e lasciandole un bacio tra i capelli.
"Amore mio, ma cosa... Non ci credo..." esclamò, per poi prendere il suo viso tra le mani e baciarla.
"Scusate, vi lascio alle vostre cose, ci vediamo a cena" provai ad andarmene, sentendo di star invadendo un momento di privacy così importante.
Saverio si separò e si voltò verso di me, prendendo la ragazza per mano come se temesse che se ne andasse o scomparisse da un momento all'altro.
"Lo hai organizzato tu?" chiese, senza parole.
"Beh, sì. Sapevo quanto Nadia fosse triste nello starti lontana per l'anniversario, ho visto che era possibile ospitare altri turisti, ho trovato un volo super economico e ho deciso di farvi questo regalo per ringraziarvi per tutto ciò che avete fatto per me negli ultimi mesi. Non dimenticherò mai tutte le volte in cui mi siete stati vicini, mi avete fatto uscire contro la mia volontà, avete rinunciato a tanti weekend per me... Questo è il mio modo per ringraziarvi" spiegai, felice nel vederli lì, insieme, davanti a me, belli e felici come sempre.
"Io non so cosa dire..." esclamò il coordinatore, davvero commosso.
"Non devi dire nulla, al massimo ora sai perché oggi ero un po' distratta. E' stata un'impresa, l'aereo era in ritardo. Nadia verrà a cena con noi, le cedo il mio posto, è tutto organizzato. Ecco perché ho insistito nel mettere la cena oggi e l'uscita a Temple Bar domani, così siete più liberi".
"Ecco perché Maurizio ha scritto quella cosa del fish and chips sul planner... Alice, sei...".
"Sei il nostro angelo custode e siamo felici di averti come amica" finì Nadia per lui.
Non so come ma ci ritrovammo stretti in un abbraccio prima che io decidessi di lasciarli soli e andare a cambiarmi, visto che avevo meno di trenta minuti per rendermi un po' più presentabile.
Ero davvero felice per la sorpresa riuscita e mi sentivo davvero in pace con me stessa come non mi sentivo da tempo, così riuscii a prepararmi con calma e decisi di rispettare comunque il dress code indossando un abitino rosso a maniche lunghe con degli stivaletti, vista la temperatura che non andava oltre i quindici gradi.
Legai i capelli in uno chignon in maniera molto rapida, misi l'unico paio di orecchini che avevo e aggiustai un po' il trucco di quella mattina, aggiungendo solo un rossetto un po' più scuro del solito.
Era una sensazione strana, mi sentivo leggera dopo mesi e mesi, era una sensazione che avevo dimenticato.
Avevo voglia di ridere e stare tranquilla senza arrabbiarmi e devo dire che la mise super eccentrica di Amanda - un tubino che lasciava poco spazio all'immaginazione, color argento pailettato con un paio di scarpe dal tacco alto abbinate - contribuì al mio umore.
"Sei bellissima!" le dissi, sentendomi un po' ipocrita ma senza rimpianti.
Lei sorrise e si tolse una ciocca di capelli dalle spalle.
"Grazie. Ehi, Alex!" esclamò, snobbandomi per andare incontro al dottore che era appena arrivato nella hall, facendo una bella figura nel suo completo scuro, anche se trovavo la sua cravatta decisamente eccessiva.
"Alice, quanto sei bella!" si complimentò Ludovica, una delle ragazze del gruppo di Luigi.
"Sei una bomba!" concordò Vittoria, un'altra dello stesso gruppo.
"Grazie, ragazze. Siete bellissime anche voi" risposi.
Cercai con lo sguardo i miei complici della giornata e vidi che si erano tutti riuniti in un punto, vicino i divanetti.
Cristina era davvero bella nella sua tuta elegante nera e Salvatore e Maurizio sembravano diversi con delle camicie indosso e dei pantaloni diversi dai soliti jeans.
Tutti avevamo ricevuto l'email con la richiesta di portare con noi un cambio formale ma probabilmente nessuno pensava che sul serio ci sarebbe stato concesso non indossare le solite divise rosse.
"Ehii" esclamai, avvicinandomi al gruppetto.
"Ehilà, che figa che sei!" esclamò Cristina.
"Senti chi parla!".
"Sei bellissima, Alice" disse Maurizio, guardandomi come se mi vedesse per la prima volta.
"Stai benissimo anche tu, Maurizio. Che eleganza, Salvatore! La sorpresa è riuscita, è tutto ok e non so come ringraziarvi, davvero" esclamai, finendo, non so come, a battere il cinque con tutti.
"Ma quindi voi non cenate con noi?" chiese Cristina, intristita.
"No. Cioè, Maurizio potrebbe ma si rifiuta... Non possiamo chiedere una cena extra, l'azienda non deve saperlo" specificai. "Noi mangeremo street food vestiti così" ironizzai.
"Faccio questo lavoro da anni ma non ho mai visto dei gesti così carini, complimenti" si congratulò Salvatore.
Ci scambiammo un'occhiata d'intesa e poi ci voltammo, curiosi, visto che Saverio era appena sceso nella hall con Nadia e sembrava volersi fare piccolo piccolo.
Sorrideva con imbarazzo, sembrava più goffo, forse doveva ancora metabolizzare il tutto, chissà, ma l'importante era che fosse andato tutto ok.


Arrivati fuori da Sophie's, il coordinatore sembrava ancora indeciso sulla questione della cena a cui io e Maurizio non avremmo partecipato.
"Insomma, pago io la cena extra e l'azienda non saprà nulla, no?" si offrì, teso alla sola idea di escludere chi aveva fatto il possibile per fargli quella sorpresa.
"Saverio, stai tranquillo! Ci siamo già organizzati, saliamo dopo per il photobooth, mandaci un messaggio quando è il momento, stai tranquillo e goditi la cena" rispose Maurizio, quasi con aria impaziente.
Dopo qualche altro tentativo, l'uomo si decise e raggiunse gli altri group leader, lasciandoci soli davanti alla prospettiva di una cena da touristi senza pretese.
"Allora" dissi, guardandomi attorno, "Cosa vuoi?".
"Che tu scelga cosa mangiare in fretta perché ho fame" rispose lui, gentile.
Esitai, guardando le opzioni che avevo nelle vicinanze: fish and chips, panini, kebab...
"Senti, che ne dici di un bel panino con degli stick al formaggio e schifezze simili?" proposi infine, vedendo una catena di fast food che sembrava fare al caso nostro.
"Speravo lo dicessi" disse, sollevato. "Andiamo!".
Attraversammo la strada e poi entrammo nel negozio, mescolandoci con la folla di gente vestita in modo informale che era lì per mangiare qualcosa rapidamente.
"Ci sono i posti, vogliamo sederci qui e dopo contempliamo il Liffey? Il sole dovrebbe tramontare alle nove e mezza, riusciamo a vedere il tramonto".
"Va bene" risposi, seguendo il ragazzo vicino ad un tavolino per due. "Grazie per aver pagato, non avresti dovuto, è stata un'idea mia....".
"No, la tua idea era escludermi" mi prese in giro, facendo l'occhiolino in un modo che non era sexy ma divertente, a tratti adorabile.
"Scemo! Non era per escluderti, era per...".
"Lo so, l'ho detto perché sei troppo buffa quando te la prendi per qualcosa. L'ho notato, sembri una bambina dispettosa ogni volta" mi fece notare, godendosela un mondo per l'espressione di risposta: ero, ovviamente, coperta da quell'espressione di cui lui parlava e mi stavo rendendo ridicola, così mi coprii il volto con le mani.
"No, non coprirti, dai!".
Mangiammo abbastanza rapidamente, affamati come eravamo, poi tornammo vicino al fiume e prendemmo posto su una panchina, proprio vicino l' Ha' Penny Bridge.
La luce del tramonto rendeva la visione magica, con tutte le luci che si riflettevano tra le acque e i turisti che facevano mille foto.
Mi lasciai scappare un brivido di freddo perché nella fretta di fare tutto non avevo pensato a portare una giacca e Maurizio subito se ne accorse, tanto da togliersi la sua con aria premurosa e apoggiandomela sulle spalle.
"Ma dai, tranquillo" protestai, solo che lui fece un cenno di negazione e mi impedì di togliermelo.
"Alice, mi permetti di essere gentile?".
"Ma non capisco, lo sei troppo, voglio dire...".
"Anche se in passato qualcuno ti ha ferito non devi impedire a chi vuole essere gentile di esserlo. Ci ho messo un po' ad impararlo ma finalmente l'ho capito".
"Come lo hai capito? Scusa se chiedo, ma tu sai qualcosa di me, io non so nulla..." chiesi, incuriosita da quel ragazzo che ogni giorno sembrava diverso, più completo ai miei occhi, con più sfaccettature.
Lui fece un cenno. "No, hai ragione. Parlo sempre poco di me, non so mai cosa dire, non mi sembra di essere interessante, non mi conformo alla massa" rivelò, imbarazzato.
"Proprio per questo sembri interessante" ammisi, senza pensarci due volte.
"Beh, per rispondere alla tua domanda, ho imparato a non dover impedire alle persone di essere gentile con me due anni fa, alla fine della mia ultima storia. Sono stato lasciato con mille scuse, la verità è che lei amava un altro, e per un periodo mi sono isolato. Un giorno, in giro, ho incontrato due dei miei amici che mi hanno invitato a guardare la partita pur sapendo che non seguo il calcio. L'ho preso come un invito che celava molto di più dell'apparenza e da quel momento mi sono aperto, mi sono confidato e loro si sono arrabbiati perché non gli ho consentito di essere d'aiuto. Da allora non cerco più di impedire a qualcuno di essere gentile con me, significa che in un certo modo me lo merito, e tu devi fare lo stesso. Non puoi solo andare in giro a fare cose belle per i tuoi amici, meriti di avere qualche gesto carino a tua volta". Lo disse con sicurezza, come se mi conoscesse da più di sette giorni, in un modo che mi restò decisamente impresso.
"Hai ragione" sussurrai, incredula per la bellezza di quel discorso. "E' che a volte voglio così tanto essere circondata da affetto e cose belle che dimentico che le belle azioni si possono anche ricevere".
"Si possono ricevere e tu le meriti tutte. Non ho mai lavorato in un ambiente così calmo e tranquillo, sei una leader fuori dal comune, meriti tante soddisfazioni".
"Maurizio, ma hai bevuto...?".
"Vedi? Qualcuno ti dice cose belle e tu le mascheri con l'ironia. Non va bene. Dì: "Merito tante cose belle", su" mi incoraggiò, guardandomi negli occhi con decisione.
"Sai che non lo farò" risposi, ridacchiando.
"Merito tante cose belle" disse quindi lui, fingendo di non sentirmi.
"Cos...?".
"Merito tante cose belle. Non la smetto finché non mi imiti! Merito tante cose belle! Merito tante cose belle!".
Si alzò e si affacciò sul fiume, alzando un po' la voce. "Merito tante cose belle!".
"Abbassa la voce!".
"No, più mi ignori e più la alzo. Merito...".
Esasperata, lo raggiunsi e chiusi gli occhi, vergognosa come non mai, mentre dicevo a mia volta: "Merito tante cose belle!".
"Brava, continua".
"No, dai...".
Maurizio sembrava ulteriormente diverso rispetto a poco prima, sembrava ancora di più se stesso, più audace, con una strana luce che gli brillava negli occhi che gli conferiva un'aria diversa.
"L'importante è iniziare. Dillo ogni mattina allo specchio, quando ti svegli, e vedi che sembrerà tutto migliore" mi rassicurò, appoggiando una mano sulla mia spalla, un po' incerto.
Lo lasciai fare, non mi ritrassi, mi sentivo al sicuro e in una sorta di favola che a breve sarebbe finita, non appena ci saremmo tolti i nostri vestiti un po' più eleganti e saremmo tornati alla solita riunione serale.
Finii con l'appoggiarmi al suo petto, con lui che mi stringeva, imponendomi di non pensare, di non rovinare tutto con le solite etichette che ero solita dare a tutto.
"Merito tante cose belle" sussurrai.
Non potevo vederlo, ma ero certa che Maurizio stesse sorridendo mentre mi stringeva un po' di più a sé.


Dall'alto del terrazzo dove si era tenuta la cena, Saverio e Nadia riuscivano a vederci visto che eravamo proprio di fronte al ristorante.
Entrambi fumavano una sigaretta, visto che ormai mancava solo il dessert e i ragazzi erano al picco del loro essere social, con mille dirette, foto e video.
"Se la chiami per fare il photobooth stasera dormi da solo" lo minacciò Nadia, seria.
Saverio le diede un bacio sulla fronte e fece un cenno di dinego.
"Pensi che sia scemo? Oggi ho parlato con quel ragazzo e ho capito che è davvero preso da lei. E'intelligente, ha capito la situazione di Alice e non le sta mettendo fretta. Ti rendi conto che è così intelligente da averla trascinata ad un appuntamento senza farglielo capire? Un genio. Lei ultimamente sembra diversa, ero sicuro che riportarla in vacanza studio le avrebbe fatto bene" disse, felice più che mai.
"Alice sembra una tipa tutta testa ma alla fine lascia sempre spazio ai sentimenti... Guardali quanto sono carini" esclamò, indicando le nostre figure abbracciate.
L'uomo prese il cellullare, zoommò un po' e scattò una foto a noi che ce ne stavamo stretti l'uno all'altra.
"Chissà, se son rose fioriranno, gli farà piacere avere una foto ricordo".
"Che stalker".
"La stalker è lei, ricordi che ci beccò mentre ci baciavamo?! Ricambio il favore".
Quella sera tutto ci sembrò fatato, magico, come un sogno di una notte di mezza estate pronto a dissolversi nel nulla allo scoccare della mezzanotte, solo che per mia fortuna non fu così visto che sette mesi dopo Saverio mi mostrò quella foto.


*°*°*
Salve a tutti!
Finalmente ho un pomeriggio libero e ne approfitto per aggiornare :)
Questo è uno dei miei capitoli preferiti perché torna Nadia<3, Saverio rivela le sue "intenzioni" e Maurizio e Alice hanno modo di conoscersi un po' di più.
Sappiamo già dall'epilogo della prima parte che esattamente un anno dopo questi eventi Maurizio e Alice si fidanzeranno e ora sappiamo sette mesi dopo questo capitolo Saverio mostrerà la foto ad Alice... Quindi, che succederà nel frattempo?
Non tutto è come sembra e nulla è mai scontato, ricordatelo!
Grazie a chi legge, noto una mancanza di commenti e capisco tutto, ma se c'è qualcosa che vi spinge a seguire questa storia fatemelo sapere :)
come sempre ecco qualche spoiler:
"Ho solo restituito la cravatta a un collega, Saverio, calmati" sbottò, rifilandogli un'occhiata non proprio amichevole e poi facendo finta di nulla mentre prendeva un coltello per spalmare il burro su un toast.
"Avresti potuto farlo in privato" esclamò il dottore, rosso in viso ed evidentemente furente.
"Avrei potuto, certo, ma quando visto che al mio risveglio non c'eri più?" chiese la donna, con aria falsamente innocente.


"Maurizio, ho parlato a caso, non devi allestire un pigiama party per me, davvero" lo rassicurai, pacata.
"E' una cosa che voglio fare, mi fa piacere. Per una volta voglio vederti versione mostro con la faccia piena di schifezze, sei sempre fin troppo carina" obiettò, facendomi sgranare gli occhi in un modo che lo fece ridere.

A presto!
milly.

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Capitolo 22
*** Capitolo 7 Days 8- 9: Happy Days ***


7happy

Capitolo 7

Days 8- 9: Happy Days

Probabilmente giovedì cinque luglio fu la giornata più felice rispetto a tutti i ventotto giorni che passai a Dublino.
Mi svegliai un po' più riposata del solito visto che Saverio aveva colto la palla al balzo durante la trentina di minuti di libertà che avevamo dato ai ragazzi dopo cena e aveva fatto la riunione, in modo da lasciarci già liberi una volta rientrati in college.
Ero così serena che presi il cellulare e guardai le foto della sera prima per capire se era tutto vero e con grande sorpresa appurai che, sì, era tutto vero e non avevo sognato nulla.
C'era una foto in cui io e Nadia ce ne stavamo in posa, fingendoci dive, un selfie con Nadia e Saverio in cui io facevo la faccia buffa, una foto in cui abbracciavo Cristina, una in cui Luigi e Gabriele avevano preso in braccio me e Cristina e noi protestavamo... Infine, c'era un selfie con Maurizio, scattato prima della fine della cena, in cui lui mi stava palesemente stringendo a sé.
Avevo un sorriso enorme, quasi stentavo a riconoscermi e la cosa mi faceva un po' paura.
Dopo l'ennesimo sbadiglio mi decisi ad andare a farmi una bella doccia per scacciare via i pensieri, solo che, ovviamente, ebbi l'effetto contrario visto che fui assediata da mille idee diverse.
"Cosa cazzo è stata la serata di ieri? Sembrava un appuntamento!" esclamai, a gran voce, come se qualcuno potesse sentirmi. "Ma cosa ne posso sapere io? Voglio dire, mi sto facendo tanti film in testa per nulla, Maurizio è solo stato gentile. Certo, ha pagato tutto lui, mi ha riparato dal freddo, ma non ha osato fare mezza mossa!".
Decisa a restare di quell'idea, mi soffermai solo sul pensiero di Nadia che aveva ancora ventiquattro ore da passare con noi e che probabilmente avremmo avuto del tempo da passare insieme visto che Saverio sarebbe stato impegnato con alcune faccende in vista di Belfast mentre io dovevo solo occuparmi della parte riguardante le pizze per la cena del giorno seguente.
Quando uscii dalla doccia controllai l'orario sul cellulare e vidi di aver ricevuto un nuovo messaggio.
Maurizio: Caffè insieme da me?
Sospirai, incerta, tamponai i capelli bagnati con l'asciugamano e alla fine ripresi il cellulare in mano, rispondendo in maniera affermativa.
Mi concentrai solo sul prepararmi, indossai rapidamente dei jeans e una t-shirt bianca e scesi al piano di sotto, dove c'era la cucina vicino la camera di Maurizio.
Stavo scendendo le scale che conducevano al piano inferiore quando mi trovai di fronte ad Alessandro che correva verso il piano in cui mi trovavo io, con l'aria sconvolta di chi si è appena svegliato ma deve correre.
Indossava la camicia e i pantaloni della sera precedente, i capelli tutti disordinati ed aveva tutta l'aria di chi non vuole farsi beccare.
Mi sforzai di restare seria e dissi: "Buongiorno" in un modo che cercava di essere naturale ma che non riuscii a celare un piccolissimo accenno di divertimento.
Alessandro era davvero sorpreso per l'avermi incontrato, probabilmente era l'ultima cosa che voleva, per questo non riuscii a non fare altro che un piccolo cenno e a scappare ancora più forte di prima.
Quando lo superai e mi ritrovai sulla rampa di scale successiva non riuscii a non ridere, tanto da dovermi coprire la bocca con la mano per non farmi sentire.
Corsi in direzione della cucina di Maurizio e lo trovai già lì, indaffarato dietro ai fornelli.
"Buongiorno, capo" esordì, facendo un sorriso fin troppo ampio.
"Buondì! Non puoi capire che scoop ho!" esclamai, provando un'agitazione simile a quella che avevo provato al liceo quando si scopriva chi aveva avuto una storia con chi dopo la festa di fine anno.
"Cosa è successo?" chiese lui, sorpreso nel vedermi così elettrizzata, mentre appoggiava la macchinetta con il caffè sul tavolo e prendeva dei bicchieri.
"Mentre venivo qui ho incontrato Alessandro che tornava in camera sua, tutto scalmanato, con addosso i vestiti di ieri sera" lo informai, non riuscendo a restare seria.
Maurizio spalancò gli occhi e scoppiò a ridere, con l'aria di chi ha fatto due più due.
"Pensi che abbia passato la notte da Amanda?" domandò, per poi prendere lo zucchero.
"Penso proprio di sì. Si era capito che lei voleva provarci ed evidentemente lui ieri si è lasciato conquistare da quel look molto spavaldo".
"Onestamente, non mi piaceva proprio...".
Gli lanciai un'occhiata di puro scherno mentre lo diceva, per nulla convinta da quell'affermazione.
"Non dire bugie! Voglio dire, non era proprio raffinata ed io un vestito così non lo metterei nemmeno per Capodanno, ma non puoi negare che stesse davvero bene, ha un fisico pazzesco" sottolineai, visto che erano passati i tempi in cui credevo alle bugie di un uomo che voleva minimizzare la bellezza di una donna.
"Stava bene ma non mi piaceva".
"Quindi non l'hai spogliata con gli occhi appena l'hai vista, certo" lo presi in giro, scettica.
"No perché non ce n'era bisogno, era quasi tutto in bella mostra" replicò con aria furba, servendomi il caffè.
"Sì, vabbé...".
"Personalmente preferisco giocare con l'immaginazione, c'è più gusto. Comunque mi sono divertito ieri, è stata una serata davvero bella" cambiò argomento, prendendo posto al mio fianco e facendo ironicamente cin cin con il caffè.
"Sì, davvero, non mi sembrava di essere al lavoro" commentai, per poi bere la bevanda.
"Potremmo replicare a Belfast, voglio dire, saremo anche compagni di stanza e non avremo turni di sorveglianza da fare come gli altri, che ne dici?" propose, cauto e speranzoso, come se il solo chiederlo gli costasse un enorme sforzo.
Esitai, quasi sentendo la gola improvvisamente secca e incapace di pronunciare alcun suono.
"Veramente visto che sabato notte scatterà il mio compleanno pensavo di passarlo in maniera tranquilla, con del vino, qualche commedia e magari una maschera per il viso, non mi sento in vena di festeggiamenti" rivelai, sperando capisse subito il mio umore senza insistere.
Volevo distrarmi e non pensare al compleanno magico dell'anno precedente, quando avevo festeggiato con lo staff, ricevendo in dono il bellissimo abito di Forever21 che ormai non avevo più il coraggio di indossare insieme ad uno spettacolare primo bacio con Luca.
"Se ti fa piacere ti faccio compagnia, altrimenti ti lascio la camera ed esco, non ti fare problemi" rispose subito Maurizio, comprensivo come al solito.
"Oh, no, no, se non ti secca possiamo guardare qualcosa insieme, ma ti avverto che si tratterà di qualche commedia alla Bridget Jones".
"Ho due sorelle, Alice, sarà una passeggiata. Nessuno dovrebbe passare il compleanno da solo" mi ricordò, bonario.
"Ma no, anzi, facendo questo lavoro ogni anno lo passerò con fin troppe persone" ironizzai. "Andiamo a colazione?" aggiunsi poi, guardando l'orologio che segnava quasi le sette e trenta.
"Sì, lavo un secondo la macchinetta, se non ti dispiace".
"Certo, fai pure".
Lo aspettai e poi insieme ci avviammo verso la mensa, dove vidi la mia cara amica con un colpo al cuore. Stava seduta a tavola con il resto dello staff e chiacchierava mentre Saverio era impegnato a dire chissà cosa a dei ragazzini.
"Buongiorno!" esclamai, posando il vassoio della colazione e abbracciando Nadia.
"Buongiorno, tesoro" rispose lei, ricambiando la stretta e facendomi posto al suo fianco.
Mi accomodai, sentendo davvero di essere tornata indietro di un anno, e appurai che Nadia stava raccontando tutte le disavventure di Londra 2017.
"Non vorrei portarvi sfortuna ma devo dire che siete fortunati, l'anno scorso avevamo dei ragazzi molto più... Drammatici, ecco. Una coppia litigò e fece quasi finire un group leader sotto una macchina, una si nascose perché non voleva fare brutta figura alle lezioni di spagnolo, uno si ruppe un braccio!" elencò, guardandosi attorno e vedendo i ragazzi che dormicchiavano o mangiavano in silenzio, stanchi morti com'erano.
"Nadia, vediamo prima cosa combinano a Belfast, poi giudichiamo" le ricordò Luigi, incrociando le dita.
"Vero! Speriamo bene!" asserì Monica, preoccupata.
Alessandro arrivò prendendo posto in silenzio, senza nemmeno salutarci, ed arrivai a pensare che quell'anno la sua figura era piuttosto inutile visto che per fortuna non c'erano stati ammalati, solo qualche caso di tosse e un po'di influenza. Poco dopo, Saverio tornò da noi, informandoci che dei ragazzi volevano fare a tutti i costi una serata karaoke.
"Oggi ci penso un po' e vedo quando potremmo inserirla" disse Mario, pensieroso.
"Domenica dopo la gita?" proposi.
"In effetti abbiamo la serata lib...".
Mario non ebbe modo di finire la frase perché una raggiante Amanda fece il suo ingresso in mensa, con in mano una cravatta.
"Alex, tieni, stamattina sei corso via così in fretta che l'hai dimenticata da me" disse con finta nonchalance, porgendo l'oggetto al dottore, il quale era davvero senza parole e sembrava sul punto di volersi sotterrare.
Sgranai gli occhi e, non riuscendomi a trattenere, mi voltai verso Maurizio che mi guardò come a dire: "Avevi ragione!".
Davanti a quella scena palesemente esibizionista, Saverio si schiarì la voce e guardò Amanda, la quale si era appena seduta con tanto di mega sbadiglio, come per sottolineare il concetto "Non ho chiuso occhio".
"Amanda, probabilmente penserai che sono un'ipocrita visto che sono qui con la mia ragazza che è stata una group leader del mio staff in passato, ma devo dirti di tenere le tue... Storie, ecco, private. Non voglio che giungano gossip ai team stranieri" le consigliò.
Amanda lo guardò come se la cosa non la riguardasse.
"Ho solo restituito la cravatta a un collega, Saverio, calmati" sbottò, rifilandogli un'occhiata non proprio amichevole e poi facendo finta di nulla mentre prendeva un coltello per spalmare il burro su un toast.
"Avresti potuto farlo in privato" esclamò il dottore, rosso in viso ed evidentemente furente.
"Avrei potuto, certo, ma quando visto che al mio risveglio non c'eri più?" chiese la donna, con aria falsamente innocente.
Eravamo tutti attoniti di fronte a quello scambio di battute, ci sembrava di essere spettatori di una telenovela argentina che solo noi avevamo l'opportunità di guardare.
"Significa che d'ora in poi starò molto più attento e vigile" chiuse la questione Alessandro, sprezzante.
Possibile? Era così stronzo da dormire con Amanda e poi fuggirsene senza salutarla, come se non fosse comunque una sua collega?
"Sentite, per favore, vi consiglio di sbrigarvi la questione da soli, in privato" consigliò Saverio, preoccupato per l'andazzo della conversazione.
"Non hai capito, Saverio? Lui d'ora in poi sarà molto più attento e vigile, ovvero fingerà che io non esista. Qui ti sbagli, caro" disse Amanda, per poi continuare a guardare il ragazzo con aria quasi diabolica e poi tornare alla sua colazione.
Cadde un silenzio imbarazzante, un silenzio che non c'era mai stato prima di quel momento.


Una volta in ufficio, controllai rapidamente le ultime cose per Belfast, mi accordai per la prenotazione delle pizze per la sera successiva e finalmente, con il permesso di un Saverio indaffarato in una videochiamata con una dei capi dell'azienda, ebbi il tempo di prendere un caffè con Nadia, mentre Maurizio era in ufficio ed era pronto a comunicarmi qualsiasi emergenza.
"Sai, non voglio intromettermi, ma sento che è anche un po' l'anniversario della nostra amicizia, giorno più, giorno meno. Ricordo ancora la tua faccia sconvolta quando Saverio si decise a dire tutto al resto del gruppo..." ricordai, nostalgica.
Nadia annuì, sorridente come non mai.
"Se penso a tutto quel che è stato e al fatto che ora sono qui con voi..." sospirò, accarezzandomi un braccio.
"Dì la verità, con la scena di oggi a colazione ti è venuta voglia di restare" ironizzai.
La ragazza scoppiò a ridere in maniera così genuina che quasi mi venne voglia di imitarla.
"Siete un bel gruppo, ma sarà che siete molti, non vedo un'unità generale, vi vedo divisi più in gruppetti" osservò.
Annuii, mentre zuccheravo il mio cappuccino e guardavo distrattamente le persone che ordinavano al bar.
"Sì. E' stato un inizio davvero difficile per me, ora inizio a respirare un po', mi sembrava di avere il mondo contro" ammisi, rabbrividendo al solo pensiero di tutti i casini affrontati nei primi giorni.
"Immagino! Guarda, quella Amanda è incommentabile, ma Luca è stato di ben lunga il peggiore. Come ha potuto spifferare gli affari vostri a quel Clemente?" esclamò Nadia, indignata come non mai.
"Forse la sua vera natura è questa, forse... Non lo so, non ci voglio pensare".
"Però ho visto che Maurizio ti sostiene, sembra un ottimo collaboratore" aggiunse, guardandomi in un modo più mirato, attento.
"Lo è" affermai. "Mi sta aiutando molto".
"Stamattina, prima di colazione, mi ha chiesto consigli su delle maschere di bellezza per il tuo compleanno, mi ha detto che sa che lavoro da Sephora e mi ha spiegato che vorresti trascorrerlo in tranquillità con vino, maschere di bellezza e qualche commedia" mi informò. Sembrava cauta, come se quella non fosse un'informazione data giusto per fare conversazione ma avesse uno scopo ben preciso.
Ero decisamente incredula, non pensavo che il mediatore potesse arrivare al punto di chiedere a una sconosciuta informazioni sulle maschere di bellezza solo perché avevo accennato qualcosa.
"Non so cosa dire" rivelai, colpita.
"Io saprei cosa dirti, basta che non ti metti a fare l'Alice testarda e non ti torturi con mille pensieri".
"Ehi, come... Va bene" asserii, arrendendomi, tanto da alzare le mani all'aria come quelle di un ladro beccato dalla polizia.
"Ecco, brava. Senti, io voglio solo che tutta la questione di Luca non ti impedisca di guardarti intorno. Lui ora è felice e dovrai esserlo anche tu, prima o poi. Non pensare a nulla, non farti problemi, se una situazione ti fa sentire bene vivila senza paranoie" disse lentamente, in un modo che quasi ricordava una maestra che spiega qualcosa per l'ennesima volta.
Avrei potuto dirle che si sbagliava, che era un discorso inutile, ma la verità era che volevo che la strana euforia delle ultime ore si protraesse il più possibile, per questo mi arresi e non dissi altro che un semplice: "Va bene".
"Davvero?".
"Davvero. Hai ragione".
"Ok, devo dire che mi aspettavo mille discorsi scemi prima di farti capitolare, ma ne sono felice".
"Scema!".


Quando mi toccò tornare in ufficio, vidi che Amanda se ne stava da sola fuori l'edificio, intenta nel fumare una sigaretta con aria decisamente nervosa.
Poteva essere il mio momento, potevo avere finalmente la mia vendetta, ignorarla, magari andare a dire in giro che stava male per il comportamento di Alessandro... Solo che io non ero lei e vederla così mi faceva male al cuore.
Probabilmente non aveva pretese riguardo la loro storia ma comunque era brutto risvegliarsi e scoprire che la persona con cui hai passato la notte se ne è andata senza avvisarti, come se tutto l'accaduto non si fosse mai verificato.
"Amanda, tutto ok?" chiesi, per poi maledirmi dopo tre secondi per la mia eccessiva disponibilità.
Amanda aspirò, buttò la cenere per terra e poi cacciò il fumo dalla bocca con finta aria tranquilla.
"Alice, non è aria" mi liquidò, acida, come se avessi fatto chissà quale commento inappropriato.
"Volevo solo... Lascia stare" sbottai, offesa dal suo porsi in maniera così maleducata quando cercavo di essere civile nonostante ciò che aveva fatto nei miei confronti.
Entrai nell'edificio, come se non fosse successo nulla, diretta dal resto dello staff per un controllo generale con Mario circa le ultime attività che dovevamo programmare solo che per le scale incontrai Alessandro che parlava con una ragazzina piuttosto spaventata.
Era la prima volta che lo vedevo nel suo ruolo di medico, onestamente, forse perché ero spesso assente e partecipavo poco a tutte le attività che organizzavo visto che poi dovevo sempre occuparmi di quelle successive.
"... Sarà stato un po' lo stress di questi giorni, abbiamo camminato molto. Se vuoi posso dire alla tua insegnante che hai bisogno di un po' di riposo" stava dicendo con un tono piuttosto rassicurante.
Feci finta di nulla e mi avviai al piano superiore, sentendo che era mio dovere starne fuori e non badare agli affari altrui.
Avvisai Maurizio del mio ritorno e con grande gioia vidi che aveva aggiornato il planner, così lo invitai ad andare in ufficio da Mario per programmare le attività di martedì.
Accettò e mi seguì, con il suo inseparabile taccuino su cui annotava tutto.
Entrammo in ufficio e notammo che lo staff era piuttosto rilassato: Gabriele dormicchiava seduto per terra, appoggiato al muro, mentre Luigi e Monica chiacchieravano e Cristina ascoltava qualcosa al cellulare.
Mario lavorava al computer e quando ci vide ci salutò con un cenno, così prendemmo posto vicino la sua scrivania.
"Siamo qui per pianificare l'attività di martedì" lo informai. "Cosa proponi?".
Il ragazzo digitò qualcosa, chiuse il programma che stava usando e poi ci squadrò, prima con aria pensierosa, poi decisa.
"Ci vuole un classico, ragà. Che dite della serata disco con tanto di messaggi? Ballano e nel frattempo danno dei bigliettini a noi e li leggiamo" propose, entusiasta. "Non li abbiamo proprio fatti ballare, dobbiamo cambiare rotta".
"Per me va bene".
"E se proponessimo agli irlandesi di fare qualche lezione di base di Irish Dance?" intervenne Maurizio.
"Se lo sanno fare, perché no" concordò Mario, colpito dall'idea.
"Va bene, allora domani in riunione chiediamo e ti facciamo sapere" dissi, mentre il mediatore al mio fianco annotava tutto con fin troppa rapidità. "Ti lasciamo alle tue cose".
"Sto facendo già il video di addio, mi anticipo già usando le foto scattate fino ad ora" spiegò, per poi mettere le cuffie e sparire nel suo mondo da Activity Leader.
Io e Maurizio ci alzammo giusto in tempo per vedere Saverio e Nadia entrare.
Ridevano per chissà cosa, lui le sussurrò qualcosa all'orecchio mentre le poggiava un braccio attorno alle spalle e lei annuì, per poi lasciargli un lieve bacio sulla guancia.
Vederli così continuava a sembrarmi assurdo visto che era tutto frutto di tanta organizzazione e lavoro "Nascosto".
"Siete una bellissima coppia" esclamò Monica, riemersa dalla sua chiacchierata.
"E voi siete un bellissimo gruppo. Poche persone sarebbero state comprensive come voi nel ritrovarsi un'intrusa a bordo, non so come ringraziarvi" rispose Nadia, sincera e grata.
"Si vede che sei una di noi, peccato non averti avuto nello staff" diede man forte Luigi, cordiale.
La ragazza sorrise con aria felice a tutti, proprio come il suo ragazzo che ora si stava abituando a non essere imbarazzato e a non sentirsi fuori luogo.
"Ho una proposta" esclamò Mario, riemergendo dal suo computer con la sua consueta aria elttrizzata di chi ha vinto alla lotteria. "Stasera la riunione sarà presidiata da Nadia! Dovrà studiare tutta la giornata di domani e poi ce la dovrà spiegare!".
"Ma che dici, Mario?!".
Ma era troppo tardi: si levò un coro di "Nadia, Nadia!" a cui partecipai volentieri, con tanto di mani che battevano a ritmo e la mia amica che si nascondeva le mani con il viso, imbarazzata.
"Ci sto, stasera mi riposo, anzi, farò delle domande" asserì Saverio, avvicinandosi a Mario e schiacciando il cinque per congratularsi per l'idea.
"Vi odio!".


La giornata trascorse tra varie emergenze di salute visto che una ragazza del gruppo di Gabriele si era beccata l'influenza e un ragazzo di quello di Monica aveva avuto ben tre episodi di epistassi, in più io ero stata indaffarata con gli ultimi accertamenti circa le prenotazioni per Belfast in vista del meeting generale della mattina successiva a cui avremmo partecipato tutti, inclusi Saverio e il resto del nostro staff.
Quando, dopo cena, giunse il momento di rilassarsi a Temple Bar mentre i ragazzi uscivano, sfruttando l'ora e mezza di libertà, non mi sembrava vero poter avere il tempo di bere una birra e fare due chiacchiere con tutti.
"Birra al Temple Bar?" proposi, non appena tutti i ragazzini corsero verso quelle ore di libertà, felici di poter fare per un po' ciò che volevano senza ordini.
"Sì, ci sta!" esclamò Cristina, seguita dagli altri group leader.
"E' una cosa che volevo fare da tempo, la toglierò finalmente dalla mia bucket list" approvò Maurizio.
"Poi me la fai leggere" dissi, prima di pentirmene all'istante visto che era una cosa molto personale e non avevo alcun diritto di intromettermi.
Tuttavia, Maurizio sembrò decisamente tranquillo al riguardo, visto che annuì.
"Ci vediamo dopo, ragazzi" ci salutò Saverio, senza ulteriori cerimonie, prendendo Nadia per mano.
Lei ci salutò con la mano rimasta libera e lo seguì, con aria sempre più felice e sognante.
Invece Amanda fece un cenno ad Alessandrò e lo trascinò con sé quasi con forza, con un'aria dura che sembrava quella di una maestra pronta a punire severamente chi le ha lanciato il gessetto addosso.
Luigi osservò il tutto con le sopracciglia levate e l'aria di chi è felice di non essere al suo posto, poi allargò le braccia fino a stringere a sé Monica e Cristina e indicò il bar con un cenno della testa.
"E per noi poveri sfigati che non abbiamo storie e relazioni clandestine, la birra ci aspetta!" sentenziò, con l'approvazione di Gabriele.
Ci facemmo largo tra la folla che c'era per tutto il bar, formata da chi aveva già da bere e ascoltava la band che si stava esibendo dal vivo e chi invece aspettava il suo turno per ordinare.
L'atmosfera era allegra seppur un po' cupa a causa del buio contrastato solo da forti luci rosse, ci volle un bel po' di pazienza per metterci in fila per ordinare da bere.
Impiegammo un po' per riuscire ad avere le nostre ordinazioni, poi corremmo in direzione di un tavolo appena lasciato vuoto da un gruppo di amici, tanto che rischiammo di rovesciare a terra il contenuto dei nostri bicchieri.
"Non ci credo!" esclamai, appena il mio bicchiere colmo di Guinness toccò la superfice in legno del tavolo.
"Quella tizia maleducata mi stava quasi investendo, e puzzava" si lamentò Monica.
"Ragazzi, brindisi! Ai cuori perennemente solitari anche in vacanza studio, anche se vista la faccia di Amanda, meglio così!" esclamò Gabriele, alzando il suo bicchiere e invitandoci a fare lo stesso.
"Sii!".
Brindammo, poi bevemmo un sorso generoso, godendoci quel momento di apparente relax in cui potevamo essere dei ventenni in vacanza e non dei lavoratori.
"Comunque, io oggi ho provato a calmare Amanda ma non mi ha proprio dato modo di parlare. Volevo provare a essere gentile ma mi ha mandato a quel paese, quindi ho ripensato a ciò che ha fatto e me ne sono fregata" dissi, scrollando le spalle.
"Ma perché, scusa, visto ciò che ti ha fatto non è il caso che tu sia gentile con lei" mi fece notare Monica.
"Immagino tu abbia empatizzato con lei" provò a comprendermi Luigi, dopo aver bevuto un sorso generoso di birra.
Annuii, sincera. "Sì, per un istante ho capito la sua situazione, poi grazie ai suoi modi di fare sono rinsavita".
"Comunque lo stronzo qui è Alessandro" sentenziò Maurizio, con un tono che di certo non ammetteva repliche. "E' stato davvero maleducato".
"Sì, è vero. Quel ragazzo è strano, sembra avere dei segreti, non ha legato con nessuno di noi" concordò Gabriele.
"Sì, prova solo a fare il piacione ma non sa relazionarsi perché parte sempre dal presupposto di essere più figo e bravo di tutti. Odio i tipi così" borbottò Cristina.
"Confermo" dissi.
Restammo a chiacchierare di altre cose per una mezz'oretta, poi, verso le dieci, Luigi e Gabriele espressero il desiderio di fare un giro per la zona.
"Finisco qui e vi raggiungo" dissi, non potendo uscire dal bar prima di aver finito visto che il bicchiere era di vetro. Avevo commesso l'errore di ordinare una pinta e non metà come al solito e lo stomaco non proprio pieno vista la cena non abbondante non mi aiutava a finirla subito.
"Andate, resto io con lei, poi ci dite dove siete" mi diede man forte Maurizio.
"Sicuri?" chiese Cristina, incerta.
"Sì, faccio subito, iniziate ad avviarvi" la rassicurai.
Vidi il resto del gruppo annuire e poi andarsene, poi mi voltai verso il mediatore e sorrisi, un po' incerta.
"Sono una frana, non la finirò mai" mi lamentai, indicando il bicchierone pieno per meno della metà.
"Vuoi che la beva io?" si offrii, come se nulla fosse.
"Ti va?".
"Certo, poi la Guinness è molto leggera, scivola che è una bellezza".
Sollevata, gli porsi il bicchiere e lui lo prese.
"Comunque per sabato è tutto sistemato, ho chiesto consiglio a Nadia e ha dato lei delle maschere, quella ragazza è un negozio di cosmetici ambulante".
Finsi di non saperlo e abbassai il capo, ridacchiando davanti a quell'informazione. Iniziavo a non sapere più cosa e come fare con la sua eccessiva premura e gentilezza nei miei confronti, era davvero troppo e mi sentivo in colpa.
"Maurizio, ho parlato a caso, non devi allestire un pigiama party per me, davvero" lo rassicurai, pacata.
"E' una cosa che voglio fare, mi fa piacere. Per una volta voglio vederti versione mostro con la faccia piena di schifezze, sei sempre fin troppo carina" obiettò, facendomi sgranare gli occhi in un modo che lo fece ridere.
Era lui o la birra a parlare? Lo diceva di proposito o senza ragione?
Non sapevo come rispondere e, ovviamente, scelsi l'opzione più stupida e infantile della storia.
"Scusami, mi scappa la pipì, cerco il bagno" inventai, alzandomi di scatto e correndo non so dove, per poi decidere di cercare davvero i cartelli indicatori del bagno per risultare credibile.
Mi sentivo il battito accelerato, le guance rosse e di certo ciò non aveva a che fare con la Guinness.
Una volta trovato il bagno mi guardai allo specchio e vidi il mio volto un po' sconvolto, dal colorito vivace, e la cosa mi diede a pensare.
Perché Maurizio si comportava così, accidenti? Perché era dannatamente carino,gentile e.... Flirtava?
Ripensai alla sera prima, quando aveva insistito per pagare la cena, mi aveva riparato dal freddo, mi aveva detto quelle cose carine e poi mi aveva stretto a sé, era tutto tranquillo, certo, l'unica che non lo era ero io.
Decisi di andare comunque in bagno, chiusi la porta della toilette per creare un muro tra me e il mondo reale.
Respirai a fatica, incerta, mi appoggiai alla porta e chiusi gli occhi per calmarmi.
"E se prova a baciarmi?" mi chiesi. "Magari sabato sera, dopo aver bevuto vino...".
Provai ad immaginare la situazione, io e lui seduti vicino, su un comodo letto matrimoniale, mentre bevevamo vino e i protagonisti del film che avevo scelto si baciavano dopo un momento fin troppo romantico.
Dipinsi nella mia testa Maurizio che rideva - non so perché, senza occhiali - per una mia battuta, rispondeva in un modo tra il dolce e il sexy e poi si sporgeva verso il mio viso, inclinando la testa.
Era sempre più vicino, sempre più vicino... Ed io? Nella mia fantasia non lo scansavo, anzi, lo lasciavo fare e collaboravo al gesto fin troppo, poi riaprii gli occhi e mi sentii una pazza per ciò che stavo facendo.
"Alice, fidati, non sei pronta e hai solo bisogno d'affetto ma non perderai anche Maurizio. Sbagliare in vacanza studio è umano, perseverare è da cretine" mi dissi, ritornando alla realtà con un brivido.


Ovviamente, il resto della serata fu strano come non lo era mai stato visto che mi ostinai a far finta di nulla e feci delle corse assurde per raggiungere gli altri.
Per stare tranquilla, monopolizzai Cristina e finimmo a farci foto stupide per la città, mentre gli altri passeggiavano e chiacchieravano oppure fotografavano di nascosto Saverio e Nadia quando li beccavano in giro e mandavano le foto nel gruppo.
Avrei voluto raccontare l'accaduto alla Group Leader, ma mi dissi che ammetterlo ad alta voce avrebbe creato un precedente e volevo evitare che ciò si verificasse.
Quindi, quando tornammo in college, pronti per la riunione, pensai solo che dovevo andare a dormire al più presto e rigenerarmi per non fare figuracce alla riunione del giorno seguente.
La riunione fu divertente visto che Nadia sul serio provò ad illustrare la situazione del giorno seguente e Saverio si finse indignato e la bocciò, con Mario che riprendeva il tutto con il cellulare.
"Così lo mostrerò al video che farò per il loro matrimonio" sussurrò al mio orecchio, entusiasta.
"Farai l'Activity Leader anche in quell'occasione?" lo presi in giro.
"Certo!".
Con grande sollievo, poco prima di mezzanotte riuscii a tornare in camera visto che avevo la sveglia alle cinque per salutare Nadia, la quale aveva l'aereo alle sette e trenta del mattino dovendo recarsi a lavoro per il turno pomeridiano.
Ero stanca morta ma la visione dell'alba irlandese mi fece sentire partecipe di qualcosa di magico, che poche persone avevano l'opportunità di vedere.
Ero ancora in pigiama ovviamente, quando scesi, e trovai Nadia e Saverio seduti su uno dei divani vicino la reception, in attesa del taxi che l'avrebbe condotta all'aeroporto.
"Ehi, buondì" esclamai, mentre mi avvicinavo.
"Ehiii" mi salutò la mia amica.
Saverio, come c'era da aspettarsi, era muto, immobile, riusciva solo a tenere stretta a sé la sua ragazza.
"Mi dispiace doverti salutare, mi ero abituata ad averti qui" mi lamentai, triste come non mai di fronte alla prospettiva di non averla più nei paraggi.
"Questi sono i patti, lo sapevamo" mormorò lei, cercando di farsi forza.
"Ma quando ci rivediamo? Io il ventotto torno a Roma, tu sarai in Abruzzo, subito partite...".
"Penso dopo Ferragosto".
Annuii. "Mi consolerò a casa con un po' di amatriciana e tante ore di sonno" ironizzai.
"Mi raccomando, controllami questo scemotto, non voglio vederlo abbattuto dopo la mia partenza".
"Mi lasci in compagnia di Alice, come posso non essere abbattuto?" sbottò Saverio, obbligandosi ad essere il solito antipatico invece di mostrare i veri sentimenti.
"E' per questo che vi sto per lasciare soli finché il taxi non sarà qui" mi congedai.
Purtroppo, meno di cinque minuti dopo, l'auto era fuori la struttura e Nadia fu costretta ad alzarsi con sommo rammarico.
Uscii fuori con lei, con Saverio alle nostre spalle che si ostinava a portarle il bagaglio a mano, in modo da poterla salutare un'ultima volta.
"Fai buon viaggio, ci vediamo presto" la salutai, abbracciandola come se fosse l'ultimo abbraccio che avevo a disposizione.
"Grazie di tutto, Ali, grazie a te abbiamo avuto un anniversario unico" esclamò lei, quasi con la voce commossa.
"Grazie a voi per essere sempre con me".
Mi spostai e mi allontanai per lasciare loro privacy, finché Nadia non salì sul taxi e ci salutò con la mano.
Ricambiammo il saluto a lungo, finché il taxi non scomparve tra le luci nostalgiche dell'alba e Nadia divenne un bel ricordo da aggiungere a quelli di quell'estate.
Saverio rimase immobile, come se la sua vitalità se ne fosse andata insieme alla sua ragazza, così gli lasciai il suo tempo di metabolizzare la cosa.
Mi sembrava di vivere in un racconto di avventura, con il cielo rosa e azzurro che ci circondava e le strade deserte, popolate solo dalla macchina di qualche lavoratore.
Erano ormai le sei meno un quarto quando, ancora immobili e in silenzio, avvistammo il furgoncino che riforniva i croissant per la colazione, probabilmente l'unica cosa buona e gustosa della mensa.
Il loro odore ci riempì le narici e improvvisamente, complice la cena scarsa della sera prima, mi venne un'enorme voglia di anticipare la colazione.
"Aspettami" dissi, appena avvistai Michelle, la signora bionda e pienotta che ci serviva il cibo durante i pasti. Stava parlando con il fattorino mentre alcuni ragazzi portavano dentro le prime casse piene di cibo.
Sentivo lo sguardo del coordinatore su di me, probabilmente si stava domandando cosa cavolo stavo combinando mentre mi vedeva parlare con Michelle ed ebbe la risposta quando mi vide andare in sua direzione con in mano due croissant al cioccolato.
"Seguimi" dissi, sentendomi ribelle più che mai.
Rientrammo nella hall e gli feci segno di andare in cortile, dove presi posto su un muretto e gli porsi uno dei due croissant con aria sbarazzina.
"Alice, ma cosa...?".
"Non dirmi che non è venuta fame anche a te! Ho inventato che due ragazze che stavano male avevano bisogno di mangiare qualcosa prima di prendere una medicina" spiegai, scrollando le spalle, per poi addentare un pezzo di croissant con l'aria di chi non mangia da settimane.
Saverio alzò lo sguardo verso il cielo rosato e poi prese posto al mio fianco, guardandomi di sottecchi.
"Non devi fare queste cose per me, sto bene, è stato già troppo averla qui e non saprò mai come ringraziarti, non dovevi spendere tutti quei soldi per i biglietti" sussurrò, con la voce bassa rispetto al suo tono squillante e deciso.
"E' stata un'offerta assurda e comunque anche a me ha fatto bene rivederla. Ti sei scelto una ragazza d'oro, furbacchione, non vedo l'ora che sappia del tuo bell'anello" ironizzai, dandogli una pacca sulla spalla.
Saverio sorrise di sbieco e diede un morso al croissant, improvvisamente più animato.
"Ti voglio bene, Ali".
"Siamo sentimentali, eh! Te ne voglio anche io, davvero".
Restammo così, con le luci dell'alba sempre più intense che ci facevano da sfondo mentre ce ne stavamo seduti su un muretto a mangiare dolci come due bambini affamati.
Dublino 2018, quell'esperienza così strana e contraddittoria, per noi fu anche questo: un momento per apprezzarci di più e capire il valore dell'amicizia.



*°*°*

Un altro dei miei capitoli preferiti <3

Salve a tutti!

Eccoci qui, con un'Alice finalmente più serena e dei pucciosissimi Nadia e Saverio.

Cosa ne pensate dei nuovi sviluppi, soprattutto della parentesi Amanda- Alessandro?

Fatemi sapere le vostre considerazioni :D

Come sempre ecco qualche spoiler:



Alla luce della lampada il volto di Maurizio prese un po' di colore e il suo sguardo divenne un po' più schivo.

"No, Alice, ho sbagliato io, avevo bevuto, ero nella fase in cui ero un po' brillo e non ci ho pensato due volte" si scusò, lottando a lungo per mantenere il contatto visivo.

"Scherzi? Non hai fatto niente...".



"E aiutami di nuovo, voglio scendere".

Maurizio si alzò, rise di gusto insieme a me mentre mi afferrava ed io lo stringevo con forza e poi, un po' traballante, mi appoggiò sul pavimento.

"Ecco qui".



Poi, inesorabilmente, la notifica: "Luca Antonini sta seguendo la diretta" e in quel momento restituii il cellulare al proprietario, facendo finta di nulla.

Di sicuro aveva cliccato per sbaglio, mi dissi.



Vi dico solo che si parlerà del 26esimo compleanno di Alice ;)

A presto!
Milly.

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Capitolo 23
*** Day 10: From Belfast with wine ***


Day 10: From Belfast with wine

Day 10: From Belfast with wine

Il sabato mattina ci ritrovammo catapultati in pullman ancor prima delle otto del mattino per poter fare il check in in hotel verso le dieci e iniziare le escursioni della giornata per le undici.
Ero assonnata come non mai, iniziavo a sentire pesantemente la stanchezza di dieci giorni di lavoro sulle spalle anche se per fortuna lo ero di meno rispetto all'anno prima, abituata com'ero a mantenere i ritmi assurdi delle giornate lavorative a Milano.
Per questo dormii per tutta la durata del viaggio senza nemmeno dovermi sforzare, crollai appena seduta senza nemmeno sentirmi infastidita dalle urla dei group leader che imponevano ai ragazzi di stare seduti e allacciare le cinture.
Essendoci poco traffico, riuscimmo ad arrivare alle dieci meno un quarto e, in uno slancio di furbizia, vedendo che il resto dello staff si stava sforzando di far fare ai ragazzi un ingresso ordinato e decoroso, corsi nella hall e mi presentai a Patricia, la dipendente con cui avevo parlato fin troppo per organizzare il tutto.
Mi feci dare la chiave della stanza e feci segno a Maurizio di seguirmi quando ormai tutti erano entrati.
"104, eccoci qui" esclamai, dopo aver percorso varie stanze al primo piano.
Quando aprimmo la porta ci ritrovammo davanti ad una stanza fin troppo luminosa, dalle pareti bianche con il piumone marrone scuro che contrastava con l'ambiente chiaro e il gigantesco letto matrimoniale che avremmo condiviso.
"Da che parte preferisci dormire?" chiesi, con falsa aria disinvolta.
"E' uguale".
"Ok, mi prendo il lato a destra se per te va bene".
"Certo".
Ci guardammo, poi come se nulla fosse tornammo ad occuparci dei nostri bagagli.
Dall'uscita a Temple Bar le cose tra noi erano un po' diverse visto che non sembravamo a nostro agio, dopotutto io ero letteralmente scappata via dopo che mi aveva fatto un semplice complimento e poi avevo fatto finta di niente.
Mi avviai verso il bagno e notai che non era male, era pulito ed era pieno di prodotti omaggio.
"Poi magari ci organizziamo per gli orari del bagno" dissi, giusto per fare un po' di conversazione visto che quel silenzio morto tra noi sembrava decisamente innaturale.
"Sì, sì, vai prima tu, io sono rapido, non ci sono problemi. Ora scusami ma mi cercava Gabriele, vado a vedere che vuole, ci vediamo nella hall per l'escursione?".
"Certo, ciao".
Seguii con lo sguardo la figura di Maurizio che schizzava via alla velocità della luce e mi buttai sul letto a peso morto, maledicendomi per i miei comportamenti da bambina che peggioravano solo la situazione.
Maurizio era un bravo ragazzo, non mi aveva fatto nulla, anzi, era stato fin troppo dolce con me, non meritava di essere ricambiato con un comportamento acido e da bambina spaventata, non da ormai donna prossima a compiere ventisei anni.
Ventisei anni!
Non riuscii a non pensare all'anno precedente, quando, il sette luglio, dopo il giro sul Tamigi andai a comprare la roba per festeggiare il compleanno.
In quel momento nessuno sapeva nulla tra i nuovi dello staff ed ero decisa a far restare le cose così, senza preparativi e cose in grande stile.
Sarebbe stata una serata come tante, di certo non la prima né l'ultima visto che di sicuro l'otto luglio di ogni anno a seguire avrei continuato a lavorare per l'azienda.
Mi stiracchiai un po' e mi rialzai con fatica vista la comodità del letto, mi pettinai, mi sciacquai il viso e mi truccai un po' visto che la sveglia delle sei non mi aveva proprio lasciato né il tempo né la voglia di fare qualcosa oltre lavarmi e vestirmi.
Quando scesi nella hall vidi una Cristina fin troppo agitata che mi veniva incontro, con i lunghi capelli ricci che le rimbalzavano sulle spalle e un sorriso entusiasta.
"La camera è troppo bella, vero?" esclamò, come se fosse la prima volta che soggiornava in un hotel.
"Nella norma, ci sono hotel migliori" risposi, facendo mentalmente il paragone con quello bellissimo e di lusso dell'anno precedente.
"Ma come... Comunque oggi durante il tempo libero usciamo?" mi propose, continuando ad essere entusiata in un modo che mi faceva paura.
Che era successo, le piaceva Belfast?
Probabilmente comprese il mio essere un po' sorpresa perché scrollò le spalle e disse: "Qui c'è il museo del Titanic e sono felice di vederlo, adoro quel film" come se fosse la cosa più naturale del mondo.
"Ah, ok. Io non riesco ad andare oltre la parte in cui la nave inizia ad allagarsi... Comunque certo, facciamo un giro" dissi, restando sul vago.
Lei annuì e poi fu costretta a tornare dal suo gruppo per vedere quanti mancavano in vista dell'escursione.
Dal canto mio come al solito mi misi ad aspettare che tutti fossero pronti per partire, sforzandomi di restare sveglia e vigile.
Una volta partiti, arrivammo al Museo del Titanic facendo un percorso che ci diede anche modo di vedere il fiume Lagan e la Torre dell'Orologio, l'Albert Clock e la visita si protrasse per circa un'ora e mezza, quando era ormai ora di pranzo.
All'una ritornammo in hotel per mangiare per poi continuare la visita della città, solo che Saverio mi chiamò a rapporto poco dopo pranzo.
"Che succede?" chiesi, prospettando qualche imprevisto.
"Parlavo con Sandy al telefono poco fa e mi ha detto che dovremmo prenotare il film da vedere entro oggi e non lunedì stesso perché altrimenti rischiamo di trovare le sale con pochi posti e meno film. Mi dispiace ma ti conviene restare qui , mi sono fatto dare la password del computer e puoi lavorare direttamente dalla tua stanza. Se ti metti in contatto con lui o con qualche altro membro del team irlandese ti fai dire i film, me li dici e nel giro di un'ora al massimo ti facciamo dire quanti posti per ogni film" mi spiegò lui, con la sua solita aria da "Mi dispiace ma ti tocca farlo".
Annuii, per nulla sorpresa e alla fine nemmeno troppo arrabbiata perché preferivo stare a lavorare con tutte le comodità invece che ammazzarmi i piedi.
"Certo" asserii.
Fu così che poco dopo salutai tutti con la promessa di rivederci a cena e me ne andai in camera, sentendomi un po' come quelle ragazze che fanno viaggi di lavoro e sono costrette ad essere tutte professionali anche nei periodi di pausa.


Visto che alle cinque avevo finito di prenotare e di comunicare il tutto a tutti i vari team, decisi che mi meritavo una doccia rilassante visto che il rientro in hotel degli altri era previsto per le diciotto e trenta.
Mi venne da sorridere quando pensai all'ingenuità e a tutte le aspettative che avevo un anno prima, quando Nadia mi truccò ed io persi tempo a riempire la cucina di dolci e birre.
Ed ora? Ora non avevo detto a nessuno del mio compleanno ed ero decisa a viverlo come se fosse un giorno qualunque, senza badare a tutti i passi avanti che avevo fatto nella mia vita.
Forse volevo solo abbassare le mie aspettative visto che avevo perso una persona che era stata importante per me in quel giorno, fatto sta che ero decisa a passare una giornata tranquilla.
Per questo mi presentai a cena con calma, sorridente dopo la doccia rigenerante e presi posto al tavolo di Cristina, Monica, Luigi, Gabriele e Maurizio.
"Sei una stronza, profumi! Noi siamo in condizione pietose, pioveva, ci siamo bagnati tutti e stanotte ci tocca anche una ronda infinita" piagnucolò Monica, mentre addentava la sua solita insalata con pomodori come se fosse una bistecca.
"Tesoro, avrei fatto volentieri a cambio con voi, il tizio del cinema con cui ho parlato non capiva un tubo" le rammentai.
"Ma quindi possiamo scegliere noi che film vedere?" chiese speranzoso Luigi. "Io voglio vedere il nuovo film degli Incredibili!".
Gabriele lo guardò male e fece finta di spingerlo, mentre noi facevamo un "Buuu!" non molto maturo.
"Non lo so" risposi, scrollando le spalle.
"Comunque ti sei persa un momento epico" ridacchiò Cristina, abbassando improvvisamente la voce.
Non finii nemmeno di dire la frase che si attivò il radar "gossip" del gruppo, con gli altri group leader che scoppiavano a ridere e ad annuire.
"Sì! Passeggiavamo e abbiamo visto da lontano Amanda che dava un ceffone ad Alessandro" mi informò Gabriele.
"Poi lei se ne è andata e lui è rimasto immobile e quando ci ha visto ha cambiato strada" continuò Luigi.
"Deve esserci qualche altra cosa sotto" ragionai, prima di tagliare una salsiccia e mangiarne un pezzettino.
"Stanno dando davvero troppo spettacolo, si vede che sono due personalità esuberanti" disse Maurizio, per poi tornare a dedicarsi alla cena.
Non sapendo cosa dire, annuii e poi guardai in direzione dei due che erano seduti allo stesso tavolo di Saverio, Mario e Salvatore. Sembravano tranquilli, forse fin troppo placati, nessuno di loro rideva e scherzava e la cosa sembrava strana.
Appena finimmo di cenare iniziò il turno di sorveglianza dei poveri group leader visto che l'hotel non ci aveva lasciato nessuno spazio per poter organizzare qualcosa, ma per fortuna i ragazzi erano felici di avere del tempo per loro senza stressarsi e camminare.
Io tornai in camera e vidi che Maurizio mi stava seguendo.
Continuava ad essere taciturno e la cosa non mi piaceva affatto, così, dopo aver preso un po' di coraggio, appena ci ritrovammo da soli in camera mi decisi a fare qualcosa per far tornare le cose come erano prima visto che erano due giorni che limitavamo le interazioni al minimo.
Non riuscivo a starmene lì senza far nulla, mi mancava vederlo ridere o rispondermi in un modo sorprendente come era solito fare, per questo presi posto sul letto mentre lui sembrava un po' a disagio e lo guardai.
"Mi dispiace, sono stata una stronza" dissi tutto d'un fiato, sperando di riuscire ad avere una conversazione lucida e tranquilla senza fraintendimenti.
Maurizio si voltò e lasciò perdere il suo cellulare, prendendo posto di fronte a me.
"Per cosa?" chiese, incredulo.
"Dai, sono due giorni che siamo... Diversi. Da quando sono fuggita come una deficiente nel bagno del bar" gli ricordai, sperando di non dover aggiungere altri particolare per fargli capire a cosa mi riferivo.
Alla luce della lampada il volto di Maurizio prese un po' di colore e il suo sguardo divenne un po' più schivo.
"No, Alice, ho sbagliato io, avevo bevuto, ero nella fase in cui ero un po' brillo e non ci ho pensato due volte" si scusò, lottando a lungo per mantenere il contatto visivo.
"Scherzi? Non hai fatto niente...".
"Ti ho fatto un complimento dopo essere rimasto da solo con te con uno stupido pretesto, dopo che la sera prima ho fatto di tutto per cenare con te e mi sono comportato come se fosse un appuntamento. Lo so che lo hai pensato" ribatté, serio.
"Io ho partecipato a tutto questo, Maurizio" gli ricordai.
"Ma magari lo hai fatto per educazione...".
"Credimi, non mi farei stringere da nessuno per tutto quel tempo senza volerlo".
"Non capisco, voglio dire, rispetto al complimento che ti ho fatto non è nulla...".
"Maurizio, spiegati bene" lo invitai, cercando di mantenere la calma e di rendere onore alla ventiseienne che sarei diventata a breve.
Il ragazzo si torturò le mani e poi si sistemò meglio sul letto, finendo seduto a gambe incrociate di fronte a me.
"Sono stati dei giorni strani, voglio dire, sarà che abbiamo tanto in comune, ci troviamo bene insieme... Forse mi sei piaciuta più del dovuto ultimamente ma so che non mi filiresti nemmeno di striscio e poi hai i tuoi casini, e di sicuro non baderesti a un altro collega dopo la tua esperienza. Questi due giorni mi hanno fatto bene, già mi piaci di meno" concluse, sforzandosi di ridere alla fine del discorso per sdrammatizzare il tutto, ma rosso come un peperone.
Non mi aspettavo tutto quel discorso, onestamente, ero fin troppo lusingata dalla sua sincerità e mi sembrava assurdo aver chiarito con calma.
"Non devi dire così. Se spegnessi il cervello e decidessi di infischiarmene di tutto probabilmente staremmo già pomiciando dall'inizio di questo discorso, anzi, probabilmente ti avrei risposto al bar, senza scappare. Questo per dirti che non è vero che non ti filerei nemmeno di striscio".
Io che parlavo chiaro con un ragazzo senza nascondermi dietro a storie di unicorni e animali fantastici pur di evitare casini? Possibile?
"Alice, smettila. Non devi dirmi queste cose per provare a salvare la situazione, è tutto ok, non è successo nulla" ribadì lui, fermo e deciso come poche volte lo era stato.
"Sono onesta, Maurizio" sussurrai.
Per confermare ciò che stavo dicendo mi avvicinai a lui e lo abbracciai, stringendo le braccia attorno al collo e appoggiando la testa sul suo petto, sentendo il suo cuore accelerare un po'.
Fantasticai su quanto sarebbe stato affascinante alzare il viso e baciarlo ma non mi mossi di un centimetro, sentendo la sua stretta aumentare attorno alle mie spalle.
"Se ti andrà di chiamarmi dopo questo mese mi farebbe piacere rivederti. Ora ti causerei solo problemi" continuai a sussurrare, come se il dirlo così, tra le sue braccia, lo rendesse meno reale.
"Ora quello lusingato sono io" ribadì lui, incredulo.
"Ma smettila!".
Alzai lo sguardo e gli accarezzai il viso, mentre continuava a stringermi a sé come se fossi la sua ancora di salvezza dopo un naufragio nel bel mezzo dell'oceano.
In sintesi, ci eravamo detti che non eravamo indifferenti l'uno all'altra e che non volevamo rovinare il tutto mentre lavoravamo e mentre io ero ancora presa dalla rottura con il mio ex?
Probabile.
Quando ci separammo Maurizio sembrava davvero rincuorato e tornò ad essere quello di sempre, tanto da prendere il suo portatile e mostrarmi una bottiglia di vino e tutte le maschere che gli aveva dato Nadia.
"Non l'ho dimenticato" rivelò, scovando nella borsa per trovare un apribottiglia per poi cacciare anche dei calici di plastica.
"Non so cosa dire, hai preso tutto alla lettera!" esclamai, sorpresa come non mai nel vedere la bottiglia e tutto il resto.
"Certo, anche se dovrai spiegarmi come si fa una maschera".
"Sul serio vuoi...?".
"Ovvio!".
"Nooo!".
Scoppiai in una risata fragorosa mentre guardavo le costose maschere di cui Nadia si era privata per me e appurai che erano due esfolianti e due idratanti.
"Sei sicuro?" chiesi, quasi minacciadolo con tutte le confezioni in mano a mo' di mazzo di carte.
"Sicurissimo. Voglio la pelle liscia come quella di un bambino".
Sospirai, incredula vista la situazione divertente e leggera rispetto a quella pesante dei giorni precedenti ma decisamente felice per la piega che avevano preso le cose in quel momento.
"Allora devi prima riempire quei calici, ci vuole un minimo di percentuale di alcool per sopravvivere a questa esperienza!" ordinai.
"Mi hai letto nel pensiero!".
Andai in bagno per recuperare tutto l'occorrente da usare prima di spalmare la maschera e sentii il rumore del tappo della bottiglia di vino.
"Ecco qui, quasi festeggiata" esclamò Maurizio poco dopo, porgendomi un calice di vino.
"Brindisi?" proposi.
Lui fece un cenno affermativo.
"Al capo migliore che abbia mai avuto che spero di rivedere a Milano" disse, lentamente, quasi pesando ogni parola.
Gli sorrisi e brindammo, prima di vuotare il tutto in quasi un sorso.
"Qui non si inizia finché i calici non sono vuoti" gli ricordai, così terminammo il tutto quasi insieme, sghignazzando in maniera poco adulta. "Ok. Ora possiamo passare ai nostri visi... Solo che i tuoi capelli sono troppo lunghi, aspetta".
Il ragazzo mi guardò rovistare nel mio beauty case quasi con terrore, come se temesse che cacciassi le forbici per tagliargli quelli in eccesso, ma di certo non si aspettava vedermi estrarne un cerchietto rosso con cui ero solita togliermi i capelli dal viso quando mi struccavo.
"Cosa...?".
"Shhh".
Chiuse gli occhi, impaurito, e quando li riaprì vidi che gli avevo messo il cerchietto in testa in modo da togliere i capelli ribelli dal viso.
"Dì pure addio alla tua virilità" lo presi in giro mentre mi guardava male e osservava con ulteriore terrore il detergente per il viso che avevo appena preso.
"Ora lavati il viso con questo e risciacqua, così il viso sarà pronto per la maschera esfoliante".
"Me ne sto già pentendo...".
Lo guardai svolgere tutti i passaggi e poi lo aiutai ad asciugarsi il viso con delicatezza, tamponando, senza strofinarsi l'asciugamano in faccia come stava facendo lui.
"Ora applicherò la maschera" lo informai.
"Farà male...?".
"Ma sei scemo?!".
"Non lo so, so solo che le mie sorelle sono così sadiche con i prodotti, scelgono sempre quelli che fanno più male...".
Iniziai a spalmargli il prodotto sul viso ed era divertente vederlo quasi tremare per ogni minima cosa.
"Ecco! Ora devono passare dieci minuti, aspetta che la metto anche io" dissi alla fine, cercando di non ridere di fronte alla sua faccia verde. "Sei Hulk!" lo scimmiottai.
"Hulk triste!" ribatté lui, imitando la classica mossa di Hulk , per poi guardarmi mentre lavavo il viso e applicavo il prodotto.
Quando fui verde a mia volta decidemmo di immortalare il momento con un selfie in cui reggevamo i calici di vino.
"Se la pubblichi ti ammazzo, ti dò tre come votazione" lo minacciai quando guardai i nostri volti scemi.
"E' più di quel che speravo di ottenere, capo!".
Mentre ridevamo i nostri cellulari squillavano come matti a causa dello staff che si scambiava informazioni, noi eravamo così presi dal momento e dal ridere per quella stupidaggine che non ce ne rendemmo conto.
Ovviamente, dieci minuti dopo, rimuovere il prodotto fu quasi un impresa per lui visto che lo maledì non so quante volte insieme alla frase "Pensa se fossi una donna, che incubo!".
"Ora ci vuole l'idratante" gli ricordai, dopo averlo aiutato a togliere anche gli ultimi residui che gli erano sfuggiti. "Sei fortunato perché è una semplice maschera in tessuto".
"Cioé?".
Per farglielo capire presi la confezione, l'aprii e gli mostrai la maschera in tessuto che riprendeva proprio la forma del viso.
"Bisogna semplicemente applicarla sul volto e lasciarla così per quindici minuti" spiegai, avvicinandomi al suo viso e attaccando la maschera con calma.
Sentivo il suo respiro vicinissimo al mio, era una sensazione strana, lo guardai negli occhi e notai per la prima volta - forse per la vicinanza e la mancanza dei soliti occhiali - che erano di un castano particolare, con delle sfumature verdognole.
Forse per l'imbarazzo mi sorrise ed io ricambiai, prima di concentrarmi sull'applicazione e decidermi a finire.
"Ecco qui" dissi, facendolo voltare verso lo specchio.
"Vabbé almeno questo me la copre, la faccia, non la peggiora" ironizzò, per poi porgermi la mia, come per invitarmi a fare lo stesso.
Obbedii e ci scattammo il secondo selfie di rito, facendo facce ancora più sceme e, ovviamente, riempimmo di nuovo i calici, finendo la bottiglia.
Mezz'ora dopo, lui stava seduto sul wc ed io sul ripiano del lavandino, eravamo decisamente brilli a causa della mezza bottiglia di vino a testa e stavamo parlando di cose non molto sensate.
"Ma lo sai che la prima vera volta che mi sono ubriacata... Cioè, ubriacata ubriacata, non come ora, avevo ventitré anni?" rivelai, sentendomi il viso in fiamme.
"Io a ventitré anni ho fumato la prima canna, ero in Spagna" ribatté lui, quasi con aria sognante.
"Anche io ero in Spagna!".
"Chissà cosa sarebbe successo se ci fossimo ubriacati come ora ma in Spagna...".
"Non siamo ubriachi, siamo brilli, ahah" gli ricordai, provando a scendere dal lavandino. Mi sentii la terra mancare sotto ai piedi, la testa che mi girava e mi bloccai, spalancando gli occhi. "Come ho fatto a salire fin qui? E' altissimo!" constatai, chiudendo gli occhi, come se stessi sul Monte Bianco e non a mezzo metro da terra.
"Forse ti ho aiutato io...".
"E aiutami di nuovo, voglio scendere".
Maurizio si alzò, rise di gusto insieme a me mentre mi afferrava ed io lo stringevo con forza e poi, un po' traballante, mi appoggiò sul pavimento.
"Ecco qui".
Ripescò il cellulare e poi sembrò rinsavire, forse a causa dei mille messaggi che i ragazzi avevano lasciato sul gruppo.
"Vado a prendere una cosa in camera, aspettami qui" mi ordinò, alzandosi e chiudendo la porta del bagno.
"Perché chiudi la porta? Non devo fare la pipì" urlai, per poi ridere. In effetti, il suono della parola "pipì" era decisamente buffo, più lo ripetevo e più mi suonava strano.
Pescai a mia volta il cellulare e vidi che, senza accorgermene, il tempo era volato.
Altro che film alla Bridget Jones, il film lo avevamo fatto noi! Avevamo trascorso due ore a fare gli scemi, mancavano pochi secondi a mezzanotte.
Rapidamente, il display del cellulare passò dalle 23:59 a mezzanotte ed io ebbi appena il tempo di dirmi "Cazzo, ho ventisei anni!", ancora così, brilla, seduta sul pavimento del bagno, che la porta si aprì.
"Alice, vieni!".
Seguii Maurizio per poi restare sorpresa nel trovarmi davanti tutto lo staff, al buio, con al centro Saverio che reggeva una torta con su un ventisei dai mille colori che fungeva da candelina e spargeva luce nel resto della stanza.
"Sorpresa!" urlarono tutti in coro, così forte da farmi reggere alla parete.
"Ragazzi! Ma non l'ho detto a nessuno!" dissi stupidamente, visto che evidentemente essere riservata non era servito a nulla, qualcuno aveva diffuso la notizia e si era anche premurato di organizzarmi una sorpresa con tanto di torta nonostante la ronda da fare.
"Peccato che qualcuno di noi lo sapesse già" mi prese in giro Saverio, facendo l'occhiolino con la sua solita aria furba.
Mi porse la torta e mi disse di esprimere un desiderio, proprio come aveva fatto l'anno scorso.
Un desiderio?
Ne avevo a bizzeffe ma mi sembravano tutti inutili, quindi pensai solo: "Voglio essere di nuovo felice" mentre spegnevo le candeline per poi rialzare lo sguardo verso tutti che mi stavano cantando "Tanti auguri a te".
Notai che Mario se ne stava con il cellulare puntato in mia direzione e urlò: "Alice, per il tuo compleanno sei in diretta su Facebook!", facendomi vergognare come una matta.
Nonostante il vino che mi faceva girare un po' lo stomaco, mentre Maurizio accendeva finalmente le luci della stanza e Monica cercava un piano su cui tagliare la torta, mi avvicinai al coordinatore con aria ancora stupita.
"Sei stato tu?" chiesi, abbracciandolo.
"Ho avuto qualche collaboratore, ma l'idea principale è partita dal tuo mediatore. Io ovviamente pensavo già di fare qualcosa ma lui è stato il vero ideatore. Auguri, Alice, pensa che ci vedremo quasi tutti i giorni come lo è stato per tutti i tuoi venticinque".
Cercava di essere scherzoso ma sapevo che in realtà ci teneva alla nostra amicizia, così lo ringraziai e lo strinsi un'ultima volta a me prima di voltarmi verso lo staff che iniziava a darmi gli auguri singolarmente.
"Ragazzi, non so cosa dire, grazie davvero! E' davvero una gioia vedervi qui, non voglio nemmeno pensare al fatto di salutarvi tra quattro giorni perché mi sembrate degli amici di lunga data. Grazie" dissi, poggiando una mano sul cuore e cercando di parlare in maniera fluente, senza prendermi le pause che ero solita prendermi dopo aver bevuto.
Tutti mi fecero un fragoroso applauso e Salvatore mi portò una bottiglia di spumante che aprii con non poca difficoltà.
"Foto di gruppo! Chi mi presta il cellulare?" urlò Mario, appoggiando il cellulare che, imperterrito, continuava a mandare in diretta ciò che stavamo facendo.
Seguirono momenti di caos perché Monica era sul punto di tagliare la torta ma Cristina la prese e me la mise tra le mani mentre tutti si raggruppavano attorno a me...
Non avevo mai ricevuto una festa a sorpresa e sapere che delle persone a me sconosciute fino a dieci giorni fa erano lì per me, durante l'orario di lavoro, mi riempiva di gioia.
Mentre aspettavamo lo scatto dell'autoscatto, sorrisi, gioiosa, per poi aiutare Monica con la torta e distibuirla a tutti.
Era al cioccolato, banale ma la mia preferita, così ne gustai un pezzo con avidità, facendo i complimenti a tutti.
Mario non mi lasciava stare, improvvisamente si agitò per qualcosa e mi corse incontro, per poi dire: "Alice, Clara e Nadia stanno seguendo la diretta!" e puntarmi il cellulare in faccia per l'ennesima volta.
"Ciao, ragazze!".
"Ti fanno gli auguri!".
"Grazie! Aspetta" esclamai, prendendo il cellulare e vedendo con i miei occhi il contenuto dei loro messaggi.
Clara: Ali, pensare che un anno fa eravamo tutti insieme! Che bello vedere che sei con Saverio e gli altri, auguri!
Nadia: Ancora auguri tesoro, controlla il cellulare ;)
Poi, inesorabilmente, la notifica: "Luca Antonini sta seguendo la diretta" e in quel momento restituii il cellulare al proprietario, facendo finta di nulla.
Di sicuro aveva cliccato per sbaglio, mi dissi.
"Ragazze, grazie per i messaggi, si sente la vostra mancanza!" esclamai quindi, facendo finta di nulla.
"Ora mangiamo la torta! Siamo in gita a Belfast, siamo nella camera del team di Mediazione, Alice e Maurizio. Sapete, Alice è la Coordinatrice Mediatrice, ora! Ecco perché siamo stati costretti a farle la festa a sorpresa, finiva che licenziava Maurizio...".
Sapevo perfettamente il perché di tutti quei particolari condivisi, Mario nel suo piccolo voleva farmi avere una piccola rivincita e far vedere che stavo bene.
Decisi di liberare la mente e di essere me stessa mentre continuava a inquadrarmi, così lasciai che Cristina e Gabriele mi abbracciassero, salvo poi essere interrotti da Luigi e Maurizio che iniziarono a dire "Replichiamo la foto dell'altra sera" e, senza dire nulla, mi afferrarono in modo da reggermi entrambi a mo' di poltrona, mentre Salvatore rideva e scattava la foto.
"Mario, però ora posa quel coso e festeggia con noi!" urlai, così lui appoggiò il telefono in un modo strategico per far sì che continuasse a mandare tutto in diretta mentre si univa a noi e prendeva il suo pezzo di torta.
Era ormai l'una meno un quarto quando Saverio, dispiaciuto, fece cenno agli altri di dover tornare a lavorare per l'ultima parte della ronda notturna.
Quando lasciarono la stanza mi toccò ordinare tutto e con sommo dispiacere notai che la torta era andata a ruba e non c'era nemmeno una briciola da mangiare il giorno dopo per colazione.
"Grazie, davvero, Saverio mi ha detto che l'idea è partita da te" esclamai, finalmente con lo stomaco che mi dava meno problemi.
Maurizio scrollò le spalle e fece un cenno come a diminuire il suo operato.
"Sono felice che sia andata tutto bene, abbiamo rischiato di non farcela in tempo a causa del vino".
"Ma davvero! Certo che ci siamo divertiti...".
Continuammo a guardarci imbarazzati mentre facevamo le solite cose di routine prima di andare a dormire, fino a quando non mi disse di andare a cambiarmi per prima.
Quando tornai lui era già in pigiama - indossava dei pantaloncini con una maglia a mezze maniche abbinata - ed io quasi mi vergognai nel mostrarmi con il pigiama lilla che indossavo.
Presi posto nel letto e lui andò a lavarsi i denti, tornando poco dopo.
"Tra due settimane saremo di nuovo qui" sussurrai, senza sapere da dove provenisse quel pensiero.
"Sì. Sono curioso, ogni giorno qui è un'avventura, figurati tra due settimane..." rispose Maurizio, rigido, steso sulla schiena, come se non osasse muoversi o invadere la mia parte del letto.
"Hai ragione" asserii, voltandomi e mettendomi su un fianco, in modo da vederlo meglio.
Mi sentivo a mio agio nonostante dividere il letto fosse, almeno per me, una questione molto intima.
Il mediatore voltò lo sguardo e decise di mettersi al suo fianco a sua volta, guardandomi negli occhi.
"E' stata una serata... Strana" sussurrò, trovando a stento le parole, timoroso.
Annuii, mordendomi un labbro per l'imbarazzo.
"Sì. Tutto ciò che ho detto l'ho detto sul serio, credimi" rivelai.
"Anche io".
Ci guardammo per qualche altro secondo, incerti, poi la ragione prevalse sulle nostre menti e ci augurammo la buonanotte, senza aggiungere altro.
Presi sonno subito a causa del vino, senza controllare il messaggio che mi aveva mandato Nadia e tanto da non sentire nemmeno l'arrivo di un messaggio che si verificò una decina di minuti dopo.

Luca: Tanti auguri, Alice. 
Non so se ci hai pensato, ma io non ho dimenticato il nostro primo bacio di un anno esatto fa, non rimpiango niente e sono felice di averti avuto nella mia vita. 
Ho visto la diretta di Mario e sono felice di vederti così allegra, lo staff sembra simpatico, io sono a Barcellona e purtroppo non è lo stesso, non vedo l'ora di tornare a casa domani. 
Dì a Saverio che è il capo numero uno e lo sto rimpiangendo. 
Ancora buon compleanno, meriti il meglio.


*°*°*°*°
Ultimo aggiornamento del 2018!
E' stato un anno importante, faticoso, soddisfacente dal punto di vista lavorativo e personale.
Auguro a tutti un 2019 pieno di soddisfazioni e crescita <3
Tornando al capitolo, che dirvi, è davvero uno dei miei preferiti (lo dico un po' con tutti... Il fatto è che AMO questa seconda parte, se non si è capito).
Alice senza nemmeno rendersi conto fa un passo avanti, manda al diavolo le sue paranoie e riconosce in Maurizio una persona che in futuro potrebbe fare al caso suo mentre lui – si è capito – è cotto di lei.
Sì, ma perché allora, stando a cosa sappiamo, questi due iniziano ad uscire insieme solo a febbraio?
Lo scopriremo ;D se vi va di dirmi le vostre teorie, ditemi pure.
Il compleanno di Alice è sempre un evento particolare e spero di averlo reso bene, mi sono divertita molto a descrivere il tutto.
Che dire, io ho scritto tutto e mi manca solo l'epilogo, spero di conoscere il vostro parere e di aggiornare presto!
Ancora auguri per un felice Anno Nuovo,
milly.

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Capitolo 24
*** Day 11: La tradizione dei compleanni movimentati must go on ***


Day 11: La tradizione dei compleanni movimentati must go on
Day 11: La tradizione dei compleanni movimentati must go on
Aprii gli occhi cinque minuti prima della sveglia, così la disattivai e mi voltai verso Maurizio, che dormiva beato a pancia in giù, con un'espressione così tranquilla che sembrava un ragazzino un po' troppo cresciuto.
I capelli mossi gli ricadevano morbidi sul viso e incorniciavano il naso leggermente lungo e le labbra non proprio sottili.
Forse quella fu la prima volta che lo guardai davvero come uomo e non come collaboratore/ragazzo dolce e premuroso.
Non era il tipo di ragazzo che ti fermi a guardare quando passa per strada ma aveva un fascino tutto suo che si triplicava quando ti sorrideva o si impegnava per fare qualcosa, visto lo sguardo serio e appassionato che aveva.
Ero ancora stordita per quelle specie di confessioni del giorno prima e mi domandai da quando ero un'adulta che parlava chiaro e non faceva mille giri di parole.
D'altra parte pensai che probabilmente il mio strano interesse nei confronti di Maurizio sarebbe svanito a breve perché se ero riuscita a restare calma e a non andare oltre pur avendo condiviso un letto con lui significava che dopotutto non c'era chissà quale interesse.
"Ma chi se ne frega, piantala, sciroccata!" pensai, e così mi alzai per andare a farmi una doccia in modo da lasciargli subito il bagno.
Quando rientrai, già vestita di tutto punto, lo trovai seduto sul letto con le gambe incrociate e con aria smarrita.
"Buongiorno" esclamai, reggendo in mano il beauty case per truccarmi in stanza e non occupare ulteriormente il bagno.
"Buongiorno" sbadigliò lui, strofinandosi gli occhi.
"Il bagno è libero" lo informai, per poi avvicinarmi allo specchio e prendere i pochi trucchi che avrei usato quella mattina.
Maurizio grugnì qualcosa in risposta e poi scomparve, facendomi capire che non era per niente una persona che riesce ad essere sveglia e vigile appena alzata.
Rapidamente mi truccai poi subito ordinai le mie cose che avevo sparso per la camera e le riposi nel bagaglio a mano, visto che non avrei avuto più modo di farlo fino a quel pomeriggio.
Decisi di aspettare Maurizio per educazione così presi posto sulla sedia coordinata alla scrivania e presi il cellulare, curiosa come ogni anno di vedere chi mi aveva fatto gli auguri.
Con sorpresa, vidi che Nadia mi aveva regalato mezza giornata in una spa con lei con tanto di massaggio della durata di trenta minuti in uno dei centri benessere migliori di Milano, con un messaggio :"Così elimini tutto lo stress post Dublino".
Gasatissima, lessi tutti i messaggi della mia famiglia, delle mie amiche di Roma, poi, ovviamente, beccai quello di Luca che mi causò un mix tra una risata e un conato di vomito.


Una volta arrivata a colazione mi avvicinai subito al tavolo dove c'era Saverio, per fortuna ancora vuoto.
"Ventiseienne, ciao, hai visto quante rughe ti sono spuntate stanotte?" mi salutò lui, ammiccante.
"Eh. Capo, ho un messaggio per te" dissi, porgendogli il telefono, con lo screen aperto sulla chat di Luca.
"Ah, sei uno stronzo...".
"Scemo, quello è l'ultimo messaggio che gli ho inviato ad aprile e a cui non ha avuto il coraggio di rispondere. Leggi l'ultimo".
Obbedii poi, una volta letto, mi guardò.
"Coglione. Il fatto di aver avuto quel deficiente di Clemente come coordinatore ora è solo frutto del karma, ma non capisco cosa c'entri mettermi in mezzo, si vede che non sa cosa dire o scrivere. Ho un'idea per la risposta" aggiunse, facendo la solita faccia con le sopracciglia corrugate e l'aria pensierosa tipica di quando stava elaborando una strategia.
"Vaffanculo?" proposi, con aria angelica.
"No, visto che mi ha messo in mezzo registro io un audio in cui dico qualche stronzata e poi alla fine tu lo ringrazi. Vedendo l'audio andrà in panico e secondo me risponderà tra ore ed ore".
"Sei un sadico!".
"Sono solo il meglio per i miei amici" si difese lui, alzando il cinque e obbligandomi a batterlo.
"Va bene, dai...".
Si schiarì la voce e cliccò sul pulsante verde per registrare un audio.
"Ciao Luca, è bello vedere che sono ancora così importante per te a tal punto di inserirmi nel messaggio di auguri per Alice. So di essere il numero uno, tranquillo! Comunque dai, sono sicuro che non è andata male come dici, buon rientro". Qui mi guardò ed io dissi semplicemente "Comunque grazie per gli auguri, ciao".
Inviò ed io chiusi gli occhi, conscia della bomba che avevamo inviato.
"Grazie". Ero sincera, davvero senza di lui probabilmente avrei rischiato di esaurirmi per uno stupido messaggio.
"Quando vuoi" rispose, sincero. "Mi dispiace solo che ora inizierà la parte assurda del viaggio, magari giovedì mattina, prima dell'arrivo dei nuovi gruppi, possiamo chiacchierare un po'".
"Ma certo".
Di cosa voleva chiacchierare? Insomma, parlavamo sempre, ogni giorno, non capivo molto bene la situazione ad essere onesti.
Comunque, parlare con lui era una cosa che avevo imparato ad apprezzare molto nel corso dell'ultimo anno perché era sempre onesto, non era l'amico che ti dice balle pur di farti felice, metteva sempre la sua esperienza a mia disposizione e forse era per questo che era il primo vero amico maschio che avessi mai avuto.
Ovviamente quando arrivò il resto del gruppo lo staff non esitò a cantare "Tanti auguri a te" seguito da tutti i ragazzi delle loro squadre con tanto di applausi che ci fecero ottenere delle occhiatacce da parte del resto dei turisti.
"Ragazzi, ricordate che stasera c'è la serata karaoke e voi dovete partecipare, lo staff deve esibirsi in almeno due canzoni" ci informò Mario, severo come era solito esserlo solo quando si trattava di ricordarci di prendere parte alle attività.
Se ne stava alzato tra i nostri due tavoli e ci guardava con decisione, così capii che voleva già i titoli.
"Possiamo comunicarti tutto a pranzo?" chiesi, con lo stesso tono in cui al liceo chiedevo a un docente di spostare l'interrograzione, sperando in una risposta positiva.
"Va bene, non oltre il pranzo, però, devo cercare le basi" concesse l'activity leader, come se mi stesse graziando.
Per questo, durante l'ora di pranzo, mentre mangiavamo in un parco con i ragazzi che erano liberi fino alle quindici, Monica e Cristina proposero di cantare insieme "Wannabe" delle Spice Girls.
"Faremo una figura di merda ma che ce ne frega, sarà divertente!" esclamò Cristina, battendo le mani con aria fin troppo entusiasta.
"Alla fine siamo qui per divertirci, sarà un bel ricordo" diede man forte Monica.
Erano così entusiaste e allegre che non me la sentii di dire di no, anche perché dal giorno dopo sarei stata molto meno presente in vista della fine del turno, dovendo aiutare Saverio a organizzare già tutto il materiale per lo staff che sarebbe giunto giovedì.
"Va bene, mi avete convinto" accettai, coprendomi la mano col viso per la vergogna mentre cantavo con la mia voce non proprio angelica davanti a cento adolescenti che non erano nemmeno nati quando la canzone fu trasmessa in radio la prima volta.
"Sii! Corriamo a dirlo a Mario!" esclamò Monica, con Cristina al seguito che sembrava aver vinto alla lotteria.
Sembravano due ragazzine al parco e la cosa mi diede un po' di allegria visto che, inevitabilmente, avevo passato la mattinata a controllare il messaggio inviato a Luca che, ovviamente, non era stato né visualizzato né ascoltato.
Non contava nemmeno il fatto che fosse in viaggio come scusa perché di sicuro era già arrivato a Napoli.
Sapevo di non contare più per lui dal punto di vista sentimentale, ma sapevo anche che alla fine si sentiva uno schifo per quello che mi aveva fatto visto che per tutto aprile aveva continuato a cercare di sapere come stessi, contattando me e arrivando a chiederlo a Saverio e Nadia quando lo ignoravo.
L'unica cosa che mi faceva piacere era sapere che la sera prima aveva visto che atmosfera c'era con lo staff e che ora ero al comando di qualcosa a differenza sua che evidentemente aveva passato due settimane alla mercé di quel Clemente.
Mi alzai per sgranchirmi un po' le gambe quando vidi che Alessandro mi stava venendo incontro, con una strana espressione dipinta in volto.
Sembrava meno strafottente del solito, meno sicuro di sé stesso, come se non fosse sicuro di ciò che mi stava per dire.
"Ehi Alice" disse, esitando un po'. "Posso parlarti?" chiese, quasi temendo la risposta.
"Sì, dimmi" risposi, seppur un po' stranita da quella richiesta.
Mi fece segno di seguirlo lontano da occhi indiscreti e obbedii, cercando di dimostrarmi disinvolta e non preoccupata dal fatto che tutti lo vedessero allontanarsi con me. Non mi trasmetteva mai un senso di tranquillità, lo associavo sempre a problemi, casini e, in effetti, avevo ragione perché mi fissò con aria colpevole prima di parlare.
"Mi dispiace..." iniziò, cercando di trovare le parole giuste.
"Per cosa?" domandai, confusa. Si riferiva ancora alla questione di una settimana prima o aveva combinato qualche altro casino?
"Hai visto cosa è successo con Amanda, io pensavo che lei volesse la storia di una notte ma poi ha insistito e io... Io le ho detto che non potevamo continuare perché... L'ho fatto solo per fare ingelosire te, perché sei tu quella che mi ha colpito dal primo giorno" rivelò, non avendo il coraggio di guardarmi in faccia e fissando l'erba del prato. Aveva una vocina bassa, odiosa, cosa che era un ulteriore aggravante.
"Alessandro, sono una persona educata e ci tengo al mio lavoro altrimenti ti avrei già colpito io ma con un bel ceffone. Ma sei coglione? Ma perché non parli in faccia? Ti sembra il modo di affrontare le cose? Quanti anni hai, dodici?" esclamai, incredula di fronte a tutto quel comportamento da moccioso che mi urtava da morire.
Amanda già mi odiava, poi ci si metteva anche lui con questi comportamenti infantili ed era davvero la fine.
"Ma non ho mentito! Sì, ti ho usato come scusa, ma non è una bugia, davvero tu sei quella che...".
"Oh, ma piantala! Io non ti ho proprio colpito, per te sono stata solo quella che se la fa con i colleghi e che magari poteva spassarsela con te, non provare a farmi sentire "speciale" o stronzate simili, non attacca. Sei assurdo! E sei un codardo, andartene così dalla sua stanza senza salutarla, ma sei serio?" inveii.
Di sicuro ero rossissima in volto visto che mi sentivo accaldata, dovevo incanalare la voglia di mollargli un ceffone per il suo modo di comportarsi e di mettermi in mezzo quando ci eravamo scambiati a stento quattro frasi in più di dieci giorni.
"Comunque, mi stupisce che tu me l'abbia detto" aggiunsi, iniziando a temere il peggio.
"In caso Amanda ti dica qualcosa.... Sei una pazza, comunque" sentenziò, guardandomi in un modo che mi spaventò, vedevo quasi i suoi occhi azzurri luccicare in maniera sinistra verso di me.
"Pazza?!".
"Sì! Mi stai aggredendo in un modo...".
"Forse perché non è la prima volta che ti comporti male con me".
"E magari non è nemmeno l'ultima" disse con aria minacciosa, fin troppo arrabiato, prima di lanciarmi un'ultima occhiata assassina e andarsene, lasciandomi con il terrore di qualche ulteriore colpo basso.
Restai immobile, incredula per ciò che avevo sentito, mentre il resto dello staff sembrava tranquillo seppur stanco come al solito in quella domenica abbastanza calda.


Ero inquieta dopo la chiacchierata con Alessandro, a tal punto di perdermi nei miei pensieri mentre qualcuno mi parlava o dimenticando di rispondere.
Non vedevo l'ora di tornare a Dublino, non vedevo l'ora che quelle due settimane finissero perché nonostante mi fossi affezionata a Cristina, Monica, Luigi e Gabriele, Amanda e Alessandro mi avevano decisamente rotto le scatole con i loro comportamenti.
Non erano fatti per stare in gruppo, cercavano di primeggiare, di farsi notare, creavano solo problemi a chi cercava di stare tranquillo e svolgere il suo lavoro.
Fu per questa ragione che sul pullman per il ritorno sorpresi tutti sedendomi vicino ad Amanda, inclusa lei che mi guardava come se avessi la peste e la sua faccia non smetteva di dire tacitamente "Cosa diamine vuoi?".
Maurizio era sorpreso, forse perché già dall'ora di pranzo ero stata distante e scostante, così gli dissi che avevo delle cose da dire alla Team Leader e lui annuì, poco convinto.
Ovviamente, Amanda mi guardava con aria di sufficienza e a stento tolse le cuffiette dalle orecchie per ascoltarmi, comprendendo che avevo qualcosa da dire.
Intorno a noi i ragazzi facevano chiasso, cantavano, solo pochi dormivano e i group leader come al solito faticavano a farli stare calmi ma io ero così presa da ciò che stavo per dire che non sentivo alcun rumore oltre a quello dei miei pensieri.
"Amanda, non ci girerò intorno, Alessandro mi è venuto a dire cosa ti ha detto e ti posso assicurare che è una scusa, anzi, lui all'inizio voleva provarci con me solo perché pensava che fossi predisposta ad avere storie con gente dello staff" snocciolai quasi a memoria a causa di tutte le volte che mi ero ripetuta quelle parole in testa.
Lei mi fissò come se fossi stupida e rise con evidente sarcasmo.
"E secondo te io non l'avevo capito?" chiese, guardandomi come se fossi stupida. "Non darti importanza Alice, questa è una questione tra me e lui" aggiunse.
Ero alquanto sorpresa dal suo comportamento ma onestamente non me ne lamentai visto che l'ultima cosa che volevo era l'ennesima discussione.
"Certo, fatto sta che è un bambino e gliel'ho detto, ho detto che non si fa come ha fatto lui, è stato patetico, andarsene prima dalla tua stanza... Sai che ha risposto? Che sono pazza" la informai, sentendo di nuovo il sangue ribollire nel rivivere quella scena.
Come se avessi detto che la terra è piatta, la Team Leader mi fissò con aria decisamente stranita. "Cosa? Mi hai... Difeso?" chiese, incredula.
"Perché fai quella faccia? Si è comportato di merda".
"Onestamente, visti i nostri precedenti mi sembra strano, stai tramando qualcosa?" domandò subito, come se fosse la soluzione più plausibile.
Senza parole per quell'affermazione, scoppiai a ridere come se mi avesse raccontato una barzelletta.
"Amanda, onestamente non ho nemmeno il tempo di fare una piega decente ai capelli, figuriamoci quello di tramare qualcosa. Odio vedere certi comportamenti maschili e gli ho detto che ne penso, tutto qui. Non ci conosciamo ma fidati, non sono quel tipo di persona" risposi semplicemente.
"Beh, allora, grazie".
Ci guardammo ed io chiesi a Monica, che si era momentaneamente seduta vicino a Maurizio, di fare di nuovo cambio posto, sentendomi un po' più leggera.


Alle sei del pomeriggio eravamo di nuovo a Dublino, sollevati per il successo della gita con trasferta senza alcun danno in hotel, senza feriti e senza malati.
Avevamo solo un'ora per prepararci per il karaoke visto che poi c'era la cena, così io, Monica, Cristina, Amanda, Luigi e Gabriele ci recammo nella sala dove si sarebbe tenuto il karaoke per provare le nostre canzoni con Mario che aveva pazientemente cercato sia le nostre basi sia quelle dei ragazzi .
Ero piena di vergogna, non avevo mai cantato in pubblico se non alla mia festa di laurea, ma all'epoca ero mezza ubriaca e avevo ricordi vaghi dell'accaduto.
"Ma cosa cantate voi?" chiesi, curiosa, a Luigi e Gabriele che ormai si erano guadagnati l'appellativo di "Cip e Ciop" visto che sembravano una sola entità, sempre insieme e pronti a farci ridere per qualsiasi sciocchezza.
Alla mia domanda risero con aria malandrina.
"Felicità" risposero in coro, per poi continuare a ridere.
"Quella di Al Bano e Romina?!" domandai, senza parole.
"Sì, Ali, Gabriele farà Romina e gli abbiamo anche procurato vestiti e parrucca" mi informò Mario, divertito al massimo. "Questo Karaoke resterà negli annali della Emperor Travel".
"Ora che ci penso, voglio vestitmi da Britney Spears, ho il tubino che ho messo alla cena chic che va alla grande" disse Amanda.
"Perché, cosa canti?" chiese Cristina.
Con soddisfazione, Amanda si tolse una ciocca dalle spalle e disse: "Womanizer".
La guardai e risi, portandomi una mano alla bocca con aria incredula: sbaglio o voleva dare una lezione ad Alessandro cantando una canzone che è palesemente rivolta ad un donnaiolo senza cuore?
"Grande!" dissi, sincera.
Lei mi sorrise e mi fece l'occhiolino e probabilmente quella fu l'unica volta in cui ci trovammo in sintonia per qualcosa durante la permanenza a Dublino.
"Allora noi dobbiamo vestirci da Spice Girls anche se siamo solo in tre" esclamò Cristina.
"Sì, ma dopo, ora provate, su, iniziamo proprio con la vostra" si intromise Mario, guardando preoccupato l'orario sul display delle cellulare. "Abbiamo poco più di quarantacinque minuti!".
Obbedimmo, scusandoci, e subito ci mettemmo al lavoro.
Fu un'impresa titanica riuscire a cantare in maniera quantomeno ascoltabile e stare al passo col testo ma tutto fu ricompensato dalle prove di Luigi e Gabriele che ci lasciarono senza fiato per le troppe risate.
Erano davvero comicissimi, si immedesimavano, facevano dei gesti unici...
Ci ritrovammo a urlare "Bacio, bacio!" a fine esibizione per prenderli in giro e Luigi davvero si sporse verso Gabriele che lo respinse.
Stavamo guardando le prove di Amanda quando percepii il cellulare che squillava; mi allontanai sperando che non fosse qualche emergenza e quando vidi il nome sul display sentii lo stomaco attorcigliarsi.
Luca.
Luca mi stava chiamando, possibile? Aveva forse sbagliato numero?
Non mi telefonava dall'ultima volta che avevamo litigato e da allora non si era più fatto vivo. Le ultime parole che gli avevo detto in quell'occasione, probabilmente, erano state: "Sei uno stronzo di merda e il karma ti farà pentire di quello che mi hai fatto" e il solo pensiero mi faceva vergognare un po' perché non ero stata pacata e signorile come mi ero imposta di fare, per non lasciargli soddisfazione.
Così, imponendomi di risultare normale e tranquilla, uscii dalla sala per non essere disturbata dalla canzone e risposti con un: "Pronto?" che mi imposi di far uscire naturale e non tremolante e impaurito.
"Ehi, ciao, festeggiata!".
La sua voce era quella di sempre, calda, dolce, tanto che fui costretta a sedermi per terra per non cedere a causa delle gambe che mi tremavano.
"Ciao" risposi, continuando a fare il possibile per risultare naturale. "A cosa devo questa chiamata?".
"E' il tuo compleanno, no?".
Presi un bel respiro e chiusi gli occhi, sforzandomi di stare calma.
"Non dovevi, il messaggio è stato fin troppo sufficiente".
"Lo so, è che... Non so spiegarti, ieri ho visto la diretta, le foto con il tuo staff, nei ricordi mi è comparsa la foto che pubblicasti un anno fa in occasione del tuo compleanno... Sai, ora che ho lavorato a Barcellona posso fare il paragone e, non so, sembra che dove ci sei tu c'è allegria e un'atmosfera positiva, senza di te questo lavoro non è un granché" spiegò, parlando lentamente, scegliendo le parole con cura. "Poi al ritorno ho pensato al nostro ritorno dell'anno scorso... Tutta un'altra storia".
"Ma che c'entra? Di sicuro avrai avuto Camilla ad attenderti in aeroporto" sbottai, prima di rimproverarmi mentalmente perché rischiavo di perdere le staffe.
"No, Camilla era al lavoro. Ma non è questo il punto, Alice, il punto è che ora che sono passati tre mesi dalla mia decisione....".
"Tre mesi? Luca, la decisione l'hai già presa a gennaio, quando ti sei scopato quella a mia insaputa" lo bloccai, non riuscendo a controllarmi.
"Ma mi fai finire?! Dicevo, ora che è passato del tempo volevo dirti che mi rendo sempre più conto di ciò che ho perso tradendoti. Sono felice, assolutamente, ma la cosa strana è che con te era tutto diverso, tu sei diversa, non sei scontata, sai rendere tutto magico in un modo tutto tuo, sapevi trasformare un weekend in un mese per tutta la gioia che mi davi. Volevo solo fartelo sapere perché ho sempre l'impressione di averti lasciato senza averti detto tutto, senza averti fatto sapere quanto tu abbia contato per me. Ancora oggi vedo delle cose che mi fanno pensare a te e per un secondo penso di dirtelo e poi penso a cosa ho fatto... Ad esempio, qualche settimana fa in pasticceria c'erano dei turisti spagnoli e io ho pensato a quando tu salvavi subito la situazione mediando con gli spagnoli, omettendo le parolacce di Saverio, a quando camminavamo mano nella mano e degli spagnoli ci chiedevano informazioni e il tuo viso si accendeva di passione... Quella passione l'ho vista ieri, mentre tutti ti stavano attorno, ti abbracciavano, si vede che in pochi giorni hai dato loro tanto. So che ti ho fatto soffrire ma non pensare che per me sia stata facile. Almeno tu hai me da incolpare, io ho solo me stesso".
Più Luca parlava più le lacrime mi invadevano silenziosamente il viso mentre cercavo di essere forte. Non poteva dirmi quelle cose, non mi sarei mai sentita dispiaciuta per lui perché la situazione era davvero pietosa e dovevo essere forte e ferma nel ricordargli tutte le cazzate che aveva combinato ultimamente con tanto di danni che avevano rischiato di manomettere la mia tranquillità sul posto di lavoro.
"Ti sei incolpato anche per aver spifferato la nostra storia a quelli del tuo staff? Io mi sono ritrovata la Team Leader che raccontava di noi a tutto lo staff, l'avrà saputo dal tuo coordinatore, e per fortuna nessuno le ha dato retta, solo quel deficiente del dottore che voleva portarmi a letto perché pensava che me la facessi con gente del team a caso. Ho passato dei giorni di inferno a causa tua!" sbottai, ma ormai parlavo da sola perché, com'era prevedibile, Luca aveva staccato la chiamata, probabilmente non sapendo come affrontare le mie parole che non erano ipocrite e dolci come il suo discorso.
Arrabbiata, andai a recuperare il suo messaggio e ne scrissi un altro.
Stronzo, ti rendi conto?! Prima o poi dovrai dirmi cosa ti passava per la testa! Se vuoi parlare solo di quel che dici tu non chiamarmi più!
Lo inviai in fretta e furia e poi mi coprii il volto con le mani, sentendo il mondo crollarmi addosso con tutto il suo peso.
Era un idiota, un irresponsabile, un bambino a cui piaceva da morire giocare con le parole e con i sentimenti altrui per poi scomparire nel momento più importante, quando c'è da parlare chiaro.
"Ali, vieni a pr... Ma che succede?!".
Mario, che era venuto a chiamarmi, si bloccò nel vedermi seduta in quella posizione strana, con le mani che mi tremavano.
"Succede che la prossima volta che pensi di fare una diretta, risparmiatela, per favore. Scusami, io ho provato, fai riprovare le altre" mi congedai, alzandomi a fatica e allontanandomi di scatto, sperando di non incontrare nessuno durante il tragitto perché non volevo farmi vedere in quello stato di collera.
Ripresi il cellulare e inviai rapidamente un messaggio nel gruppo dello staff, dicendo che avevo avuto un contrattempo e che non avrei cenato, li avrei raggiunti direttamente alla serata.
Respirai a lungo mentre camminavo, provando a calmarmi, ma l'unica cosa che ottenni fu solo la voglia di sfogarmi in qualche modo.
Tornai nella hall del college, girai a destra, scesi al piano inferiore e subito mi ritrovai davanti la maestosa palestra che era diventata famosa tra i ragazzi che spesso la sera andavano a fare qualche esercizio.
Era grande, con numerose cyclette, pesi e sacchi da boxe.
Appena vidi questi ultimi, gli occhi mi si illuminarono e, come una furia, presi un paio di guantoni neri e li indossai.
Uno, due, tre, quattro... Probabilmente ero scoordinata e stavo sbagliando tutto, magari avrei accusato le conseguenze dei miei movimenti sbagliati in seguito, ma non me ne importava perché volevo solo liberarmi e scaricare tutta la rabbia nei confronti di quel cretino in un modo almeno un po' salutare, senza andare a piagnucolare dai miei amici come al solito.
Per me il sacco da boxe rappresentava Luca e tutte le false promesse e le prese in giro di cui ero stata vittima da quando avevamo deciso di iniziare una storia a distanza.
"Un calcio bello forte per quando non mi sei venuto a prendere in stazione e nevicava. Nevicava a Napoli, capisci che evento? Io ero felice e invece mi sono beccata il raffreddore a furia di aspettarti perché non mi avevi avvisato. Sai perché non mi avevi avvisato? Perché eri già con la tua amante!" urlai, approfittando del fatto che fossero tutti a cena e non c'erano ragazzi nella sala comune vicino la palestra.
"Un pugno per quella volta in cui dovevi venire a Milano e poi mi hai dato buca. Sei venuto lì solo tre volte, una delle quali per mollarmi! Un altro pugno per oggi perché sei un coglione senza palle! Un calcio per il giorno di Pasqua, quando ti pesava il culo venire a Roma... Perché eri già impegnato con quella!".
Ero adrenalinica, più davo pugni e calci e più avevo voglia di darne altri visto che ricordavo dettagli pietosi della nostra storia.
Possibile? Possibile che l'essere stata con lui mi avesse solo resa più stronza? No. Mi aveva reso più accomodante, più comprensiva, solo che al momento mi sembravano tutte note negative che non contribuivano al miglioramento della mia personalità.
Quando, trenta minuti dopo, mi accasciai per terra, esasusta, mi sentivo davvero svuotata e più tranquilla, come se quell'insolita attività fisica mi avesse aiutato a far scomparire tutto il risentimento.


Tornata in camera per una doccia rapida, appurai di avere quaranta minuti prima dell'inizio della serata così mi diedi una mossa e quando avevo ancora i capelli umidi mi ritrovai Cristina e Monica sulla soglia della stanza.
Cristina era palesemente vestita come Mel B, con i ricci e voluminosi capelli sciolti, un top giallo fluo e dei pantaloni neri, mentre Monica era vestita da Mel C, con un top arancio e dei pantaloni da ginnastica blu con le strisce bianche lungo la lunghezza della gamba.
"Alice, ma cosa è successo? Perché non eri a cena?" chiese Monica, preoccupata, mentre reggeva quello che mi sembrava un top.
"Non mi sentivo bene, ora va meglio, tranquille" inventai, cercando di convincerle con un sorriso. "State benissimo vestite così!".
Cristina esultò e fece una sorta di balletto sul posto.
"Tu devi essere Geri Haliwell, ti abbiamo recuperato un top simile a quello che ha lei nel video" mi spiegò, prendendo il top dalle mani dell'altra group leader. "Con dei pantaloni skinny neri o dei leggings saresti perfetta".
"Grazie, che carine! Di chi è il top?".
"Di Marika della mia squadra" disse Cristina.
"Allora finisco di asciugare i capelli e mi vesto" mi congedai, salutandole e affrettandomi a prepararmi.
Compresero che ero a stretto con i tempi e mi salutarono a loro volta, senza smettere di sorridermi e mandarmi baci.
Erano davvero carine e premurose, pensai mentre il calore del phon mi accarezzava il viso. Nel giro di tre giorni avrei dovuto salutarle e la prospettiva non era molto allettante, sarebbe stato davvero difficile riabituarsi subito ad un nuovo team.
Rapidamente, lasciai i capelli al naturale, mi truccai con un rossetto color mattone e un ombretto dorato abbastanza luminoso, mi vestii e mi venne da ridere quando mi guardai allo specchio.
"The show must go on" mi dissi, sforzandomi di essere tranquilla e di non pensare agli ultimi avvenimenti.
Mi ero lamentata fin troppo in quegli ultimi mesi e odiavo correre sempre dai miei amici per qualsiasi cosa, quindi mi ero ripromessa di raccontare tutto a Nadia e Saverio in un secondo luogo.
La cosa che più mi premeva, al momento, era scusarmi con Mario per il modo in cui gli avevo urlato contro.
Lo trovai vicino la console, mentre controllava il volume dei microfoni con aria attenta e sistemava i vari fili per non farli intrecciare tra loro.
Avevo tra le mani una confezione di Twix, il suo snack preferito, che avevo appositamente comprato al distibutore della sala comune per provare a farmi perdonare più rapidamente.
Mi avvicinai e gli porsi lo snack dicendo: "Per il mio activity leader preferito. Scusami, sono una cretina e tu sei l'ultima persona che merita di essere trattato così! Mi hai preso in un momento di profonda rabbia ma giuro che non succederà più" e poi guardandolo con aria speranzosa.
Mario mi guardò con aria diffidente e poi prese il Twix, lo squadrò per bene e poi me lo batté sul braccio come se fosse una ciabatta.
Risi di cuore e lo incitai mentre chiedevo ancora scusa, poi lo abbracciai.
"Ci resto male quando mi tratti di merda, è da quando ci siamo rivisti che mi preoccupo per te e voglio che lavori serenamente, non pensavo di farti danno con la diretta" esclamò, stringendomi a sua volta e accarezzandomi la schiena.
"La colpa non è della tua diretta, è di quel coglione, mi ha telefonato ma è tutto ok" sintetizzai quando mi separai da lui, sciogliendo la stretta.
"Ricorda, Alice... "La vita và presa come viene", no?".
"Sì, ma per citare Troisi, "A me viene sempre una chiavica", onestamente".
"Tu che citi Troisi! Ti perdono, ti sei salvata in calcio d'angolo!".
Fare pace con Mario era sempre meraviglioso, aveva una capacità di comprensione mai vista e ti faceva sentire fortunata nell'essergli amico.
"Perdonata?" chiesi quindi, speranzosa.
"Perdonata".
Tuttavia, decisi di continuare nell'opera di perdono e gli dissi che mi sarei occupata io delle foto, così mi trovai una postazione adatta vicino al piccolo palco ricoperto da una moquette rossa e non mi mossi di lì finché non arrivò anche il resto dello staff.
"Ecco la Spice Girl Mancante! Vieni, Ali, foto, foto! Ma dobbiamo farla con Huji Cam così sembrerà davvero degli anni Novanta!" esclamò Cristina, che secondo me era stata una di quelle bambine che avevano la camera tappezzata di poster delle Spice Girls e comprava tutti i Cioé.
Monica mi trascinò sul palchetto e disse: "Facciamo una posa figa!", mentre Luigi ci aspettava pazientemente con il cellulare il mano, pronto a scattare.
Alla fine riuscimmo ad avere una foto decente e lasciammo il palco alla prima esibizione, quella di "Felicità".
Fu un'interpretazione divertentissima perché Luigi e Gabriele provavano a fare la voce in falsetto dei rispettivi cantanti, con tanto di movenze così assurde da sembrare reali.
Luigi insisté e alla fine della canzone fece finta di baciare Gabriele, con la gioia di tutti che si lasciarono coinvolgere in un applauso lunghissimo, con tanto di fischi e urla.
Ero così presa dalla mia missione di scattare foto memorabili che riuscii a pensare solo alla serata e la cosa mi lasciò relativamente tranquilla rispetto alle ore precedenti.
I ragazzi si esibirono con canzoni più contemporanee - era anche ovvio - e quindi ascoltammo "Perfect", "Shape of you", "Traicionera" ed altre.
Quando venne il nostro turno, ero stranamente tranquilla perché ero entrata nell'ottica del "siamo qui per divertirci" e pensai solo a fare un po' di spettacolo.
Vedevo Saverio e Salvatore in prima fila che battevano le mani e urlavano chissà cosa e alla fine, quando ci posizionammo tutte e tre vicine con le mani in alto, scoppiò un applauso fragoroso, c'era addiritutta chi chiedeva il bis.
Probabilmente, l'esibizione più professionale fu quella di Amanda che aveva davvero una bella voce e si muoveva come una pop star.
Notai chiaramente i riferimenti ad Alessandro - lo indicò varie volte mentre diceva "Womanizer" - e mi lasciai scappare un sorriso.
Mi voltai verso di lui e lo notai guardarmi con aria interrogativa, tanto che lo sentii dire "Che cazzo ti ridi?".
Smisi subito, sentendomi un po' stupida, e tornai a badare all'esibizione.


Per il resto della serata mi sentii inquieta, osservata, era una sensazione che non mi piaceva affatto sommata alla giornata pesante che avevo avuto.
Mi sembrava assurdo pensare che quella mattina mi ero svegliata al fianco di Maurizio, per tutta la giornata non gli avevo quasi dato retta e la cosa mi faceva sentire colpevole.
Per questo durante la riunione presi posto al suo fianco, provando a fare due chiacchiere ma ricevendo in risposta solo qualche cenno finché, con una scusa, si avvicinò a Salvatore per dirgli chissà cosa.
Confusa, restai al mio posto e presi appunti.
Non diedi retta al resto dello staff alla fine dell'incontro, anche perché erano tutti impegnati con la raccolta dei biglietti del cinema per la successiva e ne approfittai per seguire Maurizio che fu il primo a congedarsi e ad augurare la buonanotte a tutti.
Arrivai con lui fino all'ascensore ma, vedendomi, lui fece finta di nulla e preferì usare le scale.
"Maurizio, perché cambi strada? Non vieni in ascensore con me?" chiesi innocentemente, senza capire il perché di tutto quello strano modo di agire.
Per la prima volta da quando lo conoscevo, lui mi guardò con aria di sfida, senza riuscire a celare una sorta di ira che gli trasfigurava i lineamenti solitamente gentili.
"No, grazie, penso ti farebbe piacere andare in ascensore con altri, tipo Alessandro" esclamò, furente, stringendo i pugni.
"Cosa?!" sbottai, spalancando la bocca in un modo non proprio intelligente.
"Alice, basta! Tu mi dici tante cose carine e poi...".
"Poi cosa?".
"Ma come! E' da oggi che stai in disparte con lui, poi guardacaso ti vedo in pullman con Amanda quando non te la sei mai pensata, poi a cena mancate entrambi..." elencò, rapido come una furia.
"A cena sono mancata per...".
"Per cosa? Dai, vediamo che ti inventi!".
"Tralasciando che non devo giustificarmi con te, ero in palestra per scaricare l'ansia post litigio con il mio ex" sbottai, sentendo quasi di star cacciando fumo dalle orecchie.
"Alessandro mi ha detto ben altro...".
"Scusami, tu ti fidi di Alessandro e non di ciò che io sto dicendo?" chiesi, decisamente senza parole.
"Io mi fido di ciò che vedo! Tu sei libera di fare ciò che vuoi ma non illudermi con discorsi del cazzo quando non ti fai problemi con tipi con Alessandro! Ed ora lasciami solo, ti auguro buon compleanno, magari lo festeggi ancora con il dottore!" rispose lui, pestando un piede per terra per la frustrazione prima di correre al piano inferiore.
"Io non illudo proprio nessuno, perché diavolo pensi a quello che ti dice quello?" urlai in risposta, ma nessuno mi rispose.
Senza fiato e sotto shock per la conversazione avuta, pensai solo che non vedevo l'ora che tutto quel casino finisse al più presto.
Che bel compleanno!


*°*°*°*°
Nuovo capitolo, nuovi casini, nuovi intrecci.
Spero che il vostro anno sia iniziato alla grande, in ogni caso ci sono io a tenervi compagnia con un aggiornamento più "rapido" del solito.
Ovviamente sarebbe assurdo dire che Alice ha già rimosso Luca e lui non le rende le cose semplici con la sua telefonata. Vederla "In azione" con il nuovo staff gli ha fatto ricordare ulteriormente cosa ha perso, oltre alle due settimane spiacevoli a Barcellona, così fa una mossa azzardata chiamandola per poi non avere il coraggio di affrontarla al cento per cento.
Maurizio, invece, si lascia condizionare da Alessandro e crede alla sua versione dei fatti...
Che dirvi, il Dottore è uno dei personaggi che non ci mancherà affatto!
A breve inizierà il secondo turno , sono curiosa di sapere come immaginate il nuovo staff.
Fatemi sapere cosa ne pensate, vi lascio come sempre qualche spoiler:


"Io e te siamo sempre vicini, ci assentiamo insieme e ci mandiamo occhiate eppure non è successo niente o sbaglio?" lo bloccai,
 sentendomi come un avvocato che ha appena trovato il dettaglio che gli farà vincere la causa.


"Una volta mi hanno detto che quello che succede dopo le quattro del mattino non esiste" dissi, 
senza aprire gli occhi e beandomi del calore di quell'abbraccio.
"Allora sopprimerò la voglia che ho di baciarti perché non voglio che non esista. 
E te lo sto dicendo perché comunque questa frase non esisterà più" rispose lui, 
con una voce roca che gli donava, per i miei gusti.


A presto!
Milly.

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Capitolo 25
*** Days 12- 14: Quello che succede dopo le quattro del mattino... ***


Days 12- 14: Quello che succede dopo le quattro del mattino...
Capitolo 10
Days 12- 14: Quello che succede dopo le quattro del mattino...
Gli ultimi giorni di quelle due settimane furono decisamente fuori dal comune e per fortuna l'inizio dei miei ventisei anni non fu simile al resto dell'anno, altrimenti sarei davvero impazzita.
La lite telefonica con Luca aveva fatto scattare in me la consapevolezza che spesso tendevo a darmi mille colpe quando le persone si comportavano male con me ma in realtà la questione si poteva riassumere semplicemente con un diretto e liberatorio "Sono tutti stronzi e basta".
Ero davvero senza parole per ciò che mi aveva detto Maurizio, sia per il suo credere a quel farabutto di Alessandro sia per il suo accusarmi, quasi come se fossi un oggetto di sua proprietà che doveva rispettare le sue aspettative.
Non sapevo cosa fare e nell'indecisione, per non combinare nulla, optai per un semplice "niente", dicendomi di dovermi prima calmare.
Tendevo a seguire sempre questo schema nei momenti difficili e me ne rendevo conto ma non riuscivo ad agire diversamente, piena di lavoro e preoccupazioni a causa degli ordini sempre più difficile da gestire di Sandy e Jimena.
Presa com'ero da tutte queste questioni, non chiesi nemmeno a Saverio di raggiungermi per il solito caffè, tanto da farlo preoccupare e chiamarmi.
"Ehi, temevo non ti fossi svegliata" si scusò appena risposi, con la voce ancora assonnata.
"No, tranquillo, me la sono presa con calma, sono un po' stanca" mi giustificai, fingendo uno sbadiglio per provare ciò che stavo dicendo.
"Posso venire? Ho bisogno di un caffé, sarà una giornataccia" mi supplicò, sbadigliando a sua volta.
"Certo, certo, vieni, devo solo mettere le scarpe e sono pronta".
Sospirai, dicendomi che dovevo impegnarmi per non fargli capire nulla visto che volevo tenermi tutto per me per il momento anche se era una lotta assurda visto che Saverio riusciva sempre a farmi sentire a mio agio e a farmi confidare.
Quandi uscii dalla stanza lo trovai già in cucina, intento nel preparare la moka.
Si vedeva che era stanco, aveva delle occhiaie bluastre che non promettevano nulla di buono e sembrava muoversi a rilento.
"Buongiorno. Scusami ma stamattina il risveglio è stato traumatico" lo salutai, avvicinandomi e facendogli segno di lasciare stare visto che ci avrei pensato io.
Non si fece pregare e andò sul divano, socchiudendo gli occhi.
"Non me lo dire, dopo la riunione una ragazza del gruppo di Luigi lo ha chiamato per dirgli che un'altra era svenuta ed è stato un caos, a quanto pare ha avuto un calo di zuccheri, le amiche dicono che mangia pochissimo, fuma solo... Poi ha vomitato, ho dovuto disturbare Cristina per darle una mano a togliersi la maglia tutta sporca, Alessandro ha suggerito di farla dormire con una delle group leader per tenerla sotto controllo. Ho dormito meno di tre ore e oggi ho tutta la modulistica per il nuovo gruppo da compilare..." raccontò, sfinito.
"Io sono avanti con l'organizzazione, mi manca solo la riunione per metterci d'accordo per l'ultima sera, quindi oggi posso aiutarti" mi offrii, preoccupata nel vederlo così.
Ecco di nuovo il mio solito schema che si ripeteva: qualcosa mi andava male? Benissimo, perché affrontarlo quando potevo farmi in quattro per Saverio e impegnarmi per occuparmi di mansioni che non erano di mia competenza?
Non c'era nulla da fare, ero fatta così e mi odiavo ma allo stesso tempo facevo di tutto per evadere dalla mia vita e occuparmi dei problemi degli altri.
"Magari, grazie, ho bisogno di un paio di occhi in più, Mario è impegnato con il video di addio e non mi fido molto di Amanda".
Quella prospettiva capitava nel momento giusto visto che non chiedevo altro che essere utile a chi lo meritava davvero e avere una tregua dai drammi pseudo adolescenziali che stavano avendo luogo in quei giorni, inoltre ero molto più tranquilla visto che Saverio, stanco morto com'era, non avrebbe notato eventuali stranezze tra me e Maurizio.
Così, poco dopo ci avviammo verso la mensa per fare colazione e notai che c'era un senso di stanchezza generale tipico del terzultimo giorno del turno, tanto che Cristina aveva la testa appoggiata alla mano e Alessandro sbadigliava in continuazione.
"Cri, tutto bene? Ho saputo del casino di stanotte, come sta la ragazza?" chiesi, non osando immaginare tutta la paura provata quella notte.
Cristina scrollò le spalle, senza sapere bene cosa dire. "Aveva la pressione bassa, glicemia bassissima... Non mangia quasi niente, dice che il cibo spazzatura di qui la fa ingrassare! Ha dormito con me e stamattina andava meglio, prima le ho preso io una brioche, del latte con i cereali e ha promesso di mangiare, meglio non stare lì a guardarla, la prenderebbe come una mancanza di fiducia" sintetizzò, per poi dare un morso al suo toast.
"Speriamo, magari possiamo tenerla d'occhio in maniera discreta" ipotizzai, "Posso farlo io, basta che me la indichiate".
Continuavo a caricarmi di impegni e sapevo il perché, ma non riuscivo a farne a meno e me ne convinsi quando incrociai lo sguardo di Maurizio, che non riuscii a decifrare.
Durò mezzo secondo, poi abbassò lo sguardo sulla sua colazione con un'aria che non gli donava proprio.
"Sì, è quella seduta al terzo tavolo a destra, mora, con la coda di cavallo e la felpa verde" rispose Luigi, preoccupato a sua volta.
Annuii, finii di mangiare e mi congedai subito, alzandomi.
"Oggi devo dare una mano a Saverio con i documenti del nuovo turno quindi sarò nell'altro ufficio, ti lascio scritto ciò che devi fare sul planning, mi avvio già" dissi rapidamente a Maurizio, sforzandomi di essere professionale.
"Oh, ok" disse lui in risposta quando mi ero già alzata per andarmene.
Rapidamente, arrivai nel nostro ufficio, vidi le scadenze e gli scrissi di ricontrollare il numero di biglietti per la serata cinema e di sentire da Jimena e Sandy che idee avevano per l'ultima serata, poi andai nell'ufficio del resto dello staff, dove Saverio era già all'opera.
"Senti, facciamo così: andiamo in un altro ufficio, mi dici cosa devo fare e nel frattempo ti riposi. Oggi abbiamo la visita a Phoenix Park, poi puoi riposarti ancora lì" proposi, non riuscendolo a vedere più assonnato che sveglio. "Poi hai tutto il tempo di correggere".
Esitante, il coordinatore sembrò valutare la mia proposta, prese un foglio, annotò qualcosa, prese una cartellina zeppa di fogli e mi fece cenno di seguirlo.
Obbedii, pronta a perdermi in una marea di dati, nomi e studenti da dividere in stanze, persone a cui nel giro di pochi giorni avrei potuto dare un volto e che avrebbero sostituito tutte quelle con cui avevo a che fare ora.
Egoisticamente, da un lato non vedevo l'ora anche se mi dispiaceva per i group leader che erano davvero dolci e comprensivi e avevano dimostrato di essere molti uniti, solo che la prospettiva di non dovermi più preoccupare di Amanda e Alessandro era fin troppo allettante.
Dovevo essere forte e pensare che tutto sarebbe finito a breve, ero pronta per il nuovo inizio.
Con calma, una volta arrivati in un ufficio piccolo ma luminoso, ascoltai attentamente cosa dovevo fare e stilai una to- do list, felice di appurare che fare tutto mi avrebbe occupato tutta la mattinata.
Eppure, non riuscivo a non pensare alla discussione della sera prima, prima con rabbia, poi con risentimento, poi con tristezza.
La verità era che non stavo agendo per non perdere un ulteriore alleato, solo che non era giusto starmene lì, confinata in ufficio ed evitare di dire ciò che non vedevo l'ora di sputare fuori.
Mentre lavoravo, Saverio se ne stava steso su un divanetto e si riposava, prima vigile, poi profondamente addormentato.
Non riuscii a resistere e gli scattai una foto per poi inviarla a Nadia, scrivendo: "E io lavoro al posto suo!".
Erano ormai le undici e mezzo quando la porta dell'ufficio si spalancò e spuntò quell'uragano di Mario, chiassoso come al solito e con in mano il cellulare, che ormai sembrava far parte del suo corpo visto che non lo lasciava mai stare.
"Ali, muoviti, ascoltami" disse, iper attivo come sempre, "Ricordi che oggi a Phoenix Park abbiamo il laboratorio video e i ragazzi devono...".
"...Realizzare la sigla di un telefilm famoso dividendosi in quattro gruppi, sì. E allora?" finii la frase per lui, senza capire il punto della situazione.
"E allora io sono avanti con il video di addio, avevo tempo libero e ho deciso che anche noi come staff faremo una sigla, ma una tutta nostra, senza basarci su uno show" spiegò lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Mi mostrò un foglio che doveva essere una sorta di sceneggiatura, in cui si leggeva cosa doveva fare ogni persona o ogni gruppo di persone.
A causa della voce massiccia dell'activity leader, il coordinatore si svegliò biascicando un "Vaffanculo!" fin troppo deciso, per poi mettersi seduto e stiracchiarsi.
"Mario sei una piaga, ma perché ti crei lavori extra?" chiese.
"Perché io e gli altri activity leader stiamo facendo una gara a chi cura di più la pagina facebook ed Elena sarà la coordinatrice che giudicherà la migliore a fine stagione e modestamente io con le foto delle esibizioni dell'altra sera e questo sarò in netto vantaggio" rispose Mario con semplicità, scrollando le spalle.
"Come mi manca Elena" sospirai.
Saverio, dal canto suo, sospirò comprendendo di non poter fare nulla contro la decisione di Mario per questo si limitò a scrollare le spalle e a prendere il foglio dalle mie mani.
"Ah bella la scena in cui io fingo di dare ordini e voi obbedite. Ci sto, fatemi riprendere un attimo e partecipo. Ali a che stai?" domandò poi, continuando a sbadigliare.
"Ho sistemato i ragazzi nelle camere e trascritto i dati della nuova parte di staff, bisogna solo assegnare le camere ai group leader" dissi, mostrandogli la lista su cui avevo cancellato le cose che avevo fatto.
"Ok, questo possiamo farlo fare ad Amanda".
Andammo in caffetteria per il solito espresso delle undici, corsi in bagno per darmi una sistemata ai capelli e per mettere un po' di rossetto visto che dovevamo girare la scena in cui io portavo ben tre caffè a Saverio con tanto di inchino, con alcune persone che ovviamente ci guardavano, incuriosite.
In seguito, andammo in ufficio dove dovevamo girare una scena tutti insieme in cui eravamo in cerchio e facevamo una sorta di gioco della bottiglia per stabilire chi doveva fare il bucato con tutte le nostre divise, usciva Luigi e lo sommergevamo di magliette, poi toccò alla scena dedicata proprio ai Mediatori.
Maurizio era silenzioso e lo divenne ancora di più quando andammo nel nostro ufficio con Mario alle calcagna - non mi sorpresi nel capire che voleva pubblicare anche i dietro le quinte - che reggeva un pesante dizionario di inglese.
"La scena è molto semplice, ragà!" ci spiegò lui, mentre cercava la luce migliore. "State seduti dietro la scrivania, Maurizio finge di fare una domanda e tu fai un'espressione incazzata e lo punisci colpendolo col dizionario".
"Bella rappresentazione del reparto di Mediazione. Magari potessi colpire gli altri col dizionario..." sospirai, controllando il mio riflesso nel display del cellulare e poi prendendo posto dietro la scrivania.
Maurizio rise nervosamente, senza dire altro.
"Pronti?".
Annuimmo, così anche il mediatore si mise di fronte a me e Mario si sistemò mentre ci inquadrava con la videocamera del cellulare, dicendo "Azione".
La scena mi venne fin troppo naturale, tanto che l'activity leader lodò la mia espressione incazzata definendola "Vera" e Maurizio finse un riso nervoso che non gli donava affatto e che mi faceva venire voglia di prenderlo sul serio a pugni.


Vedere la nostra sigla in anteprima sul tablet di Mario mentre ce ne stavamo a Phoenix Park e i ragazzi correvano felici e spensierati per pensare alle varie idee per realizzare il loro video fu davvero divertente.
Come soundtrack, l'activity leader aveva scelto una canzone di cui ignoravo l'esistenza, "Il cielo d'Irlanda" di Fiorella Mannoia, una canzone dal ritmo incalzante e una melodia che infondeva allegria e speranza.
Appena le note della canzone iniziarono a diffondersi, comparve il titolo, "Storia di uno Staff", scritto in Rosso, colore che richiamava le divise dell'azienda, e la particolarità era che il video era tutto in bianco e nero se non per le nostre maglie rosse. Addirittura anche la mia e quella di Maurizio risultavano di quel colore!
Il video iniziava con un primo piano di Saverio nella scena in cui io gli portavo il caffè, con sotto scritto "Saverio Capone as Il Coordinatore", seguito da una parte in cui fingeva di dare ordini e tutti obbedivamo.
Poi, l'inquadratura passò ad una Amanda che guardava in chissà quale direzione mentre giocava con una penna ed ovviamente uscì la scritta "Amanda Salerni as La Team Leader", seguita da una parte in cui prima leggeva dei fogli e poi li gettava in aria con nonchalance.
Mi fece davvero strano leggere il mio nome nella scena con Maurizio, seguita da una in cui ero evidentemente stata ripresa senza saperlo visto che stavo controllando qualcosa su un quaderno e poi... Sbadigliavo! Che classe, che bella figura come al solito, ma devo dire che mi rappresentava molto.
Poi era il turno dei group leader che ridevano, giocavano tra loro per poi correre insieme stile Baywatch come se dovessero salvare chissà chi e si scopriva che quel qualcuno era Mario, circondato da Salvatore che scuoteva il capo con disapprovazione e Alessandro che provava a rianimarlo, salvo poi scoprire che era tutto uno scherzo visto che Mario saltava su e faceva la verticale.
Alla fine c'era la scena in cui eravamo in cerchio e devo dire che il risultato, concentrato in due minuti di sigla, era davvero fenomenale.
"Hai un talento naturale per queste cose, Mario!" si complimentò Monica, entusiasta, seguita da numerosi complimenti degli altri.
Per un istante pensai a quel video applicato allo staff dell'anno precedente e mi sentii lo stomaco ingarbugliarsi, per questo scacciai quell'idea e mi guardai intorno, mentre un gruppo di adolescenti rideva e si metteva in posa per fare una ripresa.
Avevamo comunicato tutto in anticipo, quindi i ragazzi si erano portati gli accessori necessari per la sigla che avevano scelto, infatti vidi alcuni con degli ombrelli in mano e pensai subito a quella di Friends.
Il vastissimo Phoenix Park era tutto a nostra disposizione, potevamo fare qualsiasi cosa mentre tutti erano impegnati con i video, così decisi di avventurarmi alla ricerca di qualche cervo dato che il parco era noto proprio per la presenza di questi animali.
Il resto dello staff ne approfittò per schiacciare un pisolino, così mi avviai verso quelle enorme lande desolate di verde che si potevano incontrare dopo la parte iniziale più popolata.
Stremata, dopo una ventina di minti di cammino arrivai in una zona dove c'era qualche turista, nei pressi di una collinetta su cui c'era un'enorme croce color oro, ma dei cervi non c'era nemmeno l'ombra.
"Anche tu cerchi i cervi?".
Mi ero appena seduta e cercavo di stendermi usando lo zainetto come cuscino quando udii l'inconfondibile voce di Maurizio alle mie spalle.
Esitai, prendendo un bel respiro per calmarmi prima di voltarmi e guardarlo freddamente.
"Cerco semplicemente un po' di pace e di silenzio" risposi, diffidente.
Il ragazzo non sembrava sorpreso dal mio atteggiamento, tanto che prese posto di fronte a me e mi guardò, incerto.
"Anche io sono qui perché cercavo un po' di pace, ma non di silenzio, o almeno non da parte tua. Alice, urlami contro, dimmi ciò che pensi di me, ma non ignorarmi, mi sento uno schifo, ieri ero stanco e...".
"Sono stanca anche io, Maurizio, sono stanca di sentire stronzate. Devo lavorare altre due settimane con te quindi preferisco ignorarti ma almeno essere professionale" lo interruppi, gelida come lo ero stata poche volte nella mia vita.
Non poteva comportarsi così, non poteva urlarmi di illuderlo e poi di criticarmi perché aveva creduto a quel deficiente di Alessandro per poi tornare con la coda tra le gambe e provare a impietosirmi.
"Puoi non essere professionale visto che con te non lo sono stato" mi ricordò, mesto, probabilmente ricordandosi della figuraccia faccia.
Sospirai, esasperata. Sentivo un grande fiume di parole affollarmi la mente e non sapevo da dove iniziare visto che erano ore ed ore che il mio cervello mi diceva cose a caso sul suo comportamento per renderlo ancora più cretino ai miei occhi.
"Partiamo dal presupposto che ognuno è libero di fare ciò che vuole se non è un partner e non deve essere giudicato per eventuali sue scelte, sei stato un coglione. Ma un coglione grande, immenso, di quelli epici! Ti ho aperto il mio cuore, abbiamo passato dei momenti che io giudico molto intimi, ti ho fatto capire che mi farebbe piacere rivederti al di fuori di questo contesto e tu che fai? Credi a quel deficiente? Lo sai che voleva portarmi a letto già la terza sera solo perché pensava che fossi una che se la fa con tutto lo staff? Ha smesso solo quando gli ho detto che doveva finirla e che avevo capito il suo gioco! Poi mi ha messo in mezzo nelle sue vicende con Amanda, ecco perché ho dovuto chiarire! Eppure con chi ho cenato io? Con chi mi sono confidata? Con chi ero alla mezzanotte del mio compleanno? Di certo non con lui!".
Se avevo iniziato in sordina, alla fine del discorso ero arrivata ad urlare quasi a pieni polmoni, incollerita, senza più filtri.
Volevo vedere Maurizio morire di vergogna, diventare di mille colori, scomparire o farsi piccolo piccolo, invece lui sospirò e annuì.
"Ti chiedo scusa. Il problema è che uno come Alessandro ti toglie l'autostima, mi sembrava tutto così chiaro quando vi ho visti sempre vicini, vi siete assentati insieme, poi lui ti mandava occhiate durante le esibizioni...".
"Io e te siamo sempre vicini, ci assentiamo insieme e ci mandiamo occhiate eppure non è successo niente o sbaglio?" lo bloccai, sentendomi come un avvocato che ha appena trovato il dettaglio che gli farà vincere la causa.
Il ragazzo aprì la bocca e la richiuse stupidamente.
Io lo guardavo con aria di sfida, sperando di fargli provare almeno un minimo di quello che mi aveva causato in quelle ore, ma alla fine lui non riuscì a ribattere e restò in silenzio.
"Quando avrai una risposta me la dici, nel frattempo vado a cercare i cervi" mi congedai, sentendo che ormai la voglia di riposare era andata a farsi benedire e alzandomi, lasciandolo lì in mezzo al prato, vicino alla collinetta con la montagna che sembrava essersi creata tra noi.


Passai il resto della giornata per i fatti miei, sistemando qualche dettaglio dei vari programmi e finendo per vedere Ocean's 8 alla serata cinema, decisa a disconnettere il cervello da tutto e da tutti per almeno due ore.
Quando fu il turno della riunione, ascoltai tutto con il cervello altrove e poi mi ritrovai a festeggiare il sedicesimo compleanno di una delle ragazze della squadra di Monica visto che in quanto staff le avevamo regalato una torta al cioccolato.
I due giorni successivi furono così intensi che non ebbi tempo di pensare alle varie questioni personali che affliggevano il mio strambo mondo e li trascorsi a fare letteralmente la schiavetta di Saverio che ormai, quando poteva, cercava di esonerare Amanda dicendole che essendo roba riguardanti le successive due settimane non poteva essergli d'aiuto.
Passammo ore ed ore a provare la soluzione migliore per le varie stanze visto che il mio planning non andava bene e a farli coincidere con le stanze dei group leader, in modo da distribuirne almeno uno per piano, poi fu il turno di comunicare alla mensa le intolleranze alimentari dei ragazzi e dello staff, visto che una group leader era allergica al lattosio e una al glutine.
Arrivati a mercoledì sera, dopo la cena di fine turno, io mi stavo chiedendo come era possibile che le due settimane fossero finite, quelle due settimane che erano iniziate in modo così pseudo drammatico che mi sembrava fosse passato un secolo.
Tuttavia, percepii un cambiamento nel mio modo di agire: mi sentivo disumanizzata, consapevole che quella fosse la fine e che al massimo in futuro avrei beccato qualcuno di loro in qualche altra città europea.
Davanti ai miei occhi, Mario presentava le sigle dei ragazzi ed io riuscivo solo ad applaudire, fiera di me stessa per quei cambiamenti forse un po' disumanizzanti ma positivi.
Ero felice di aver portato a termine il lavoro delle prime settimane con professionalità e senza danni, senza discussioni con Saverio e senza aver fatto la vittima.
Avevo agito, mi ero fatta valere, ero stata onesta con chi mi aveva creato problemi senza nascondermi dietro un finto buonismo che non mi apparteneva più e non avevo pesi sul cuore, anche se era stata dura esporsi e mostrarsi per ciò che ero.
Solo una lacrima mi solcò il viso mentre guardavo di nuovo il video dello staff e poi quello di addio fatto da Mario e non mi premurai di asciugarla, volevo che fosse lì come testimone del fatto che ora potevo contenermi ed essere meno malinconica del solito ma comunque mantenendo la prova dei sentimenti che provavo, sentimenti di affetto e di grande simpatia nei confronti di chi mi aveva strappato un sorriso.
Guardai Luigi e Gabriele che ridevano tra le lacrime mentre nel video si vedeva il loro saluto molto sui generis, Monica che abbracciava Cristina e si sorridevano e pensai che li avrei tenuti lì con me volentieri, ma non si poteva.
Alla fine della proiezione, Saverio salì sul piccolo palchetto insieme a Jimena e Sandy per ringraziarci e tutti noi, che piano piano l'avevamo raggiunto, alla fine chiedemmo un applauso per lui.
Ricordo quelle scene come quelle di un film in bianco e nero, forse perché segnarono un passaggio fondamentale in me in quanto membro della Emperor Travel: quello da lavoratrice affettuosa e attaccata a tutti a lavoratrice affettuosa ma consapevole dell'eventuale distacco.
"Ragazzi, a chi serve una mano per il check out delle stanze? Non ho altro da fare, voglio aiutarvi" mi offrii alla fine della serata, anche se me ne sarei andata volentieri a letto viste le ultime quarantotto ore di fuoco.
"A me, per favore. Partiamo alle due e non ho fatto i bagagli" disse Cristina con aria supplichevole.
Era stanca, lo potevo percepire dai suoi gesti e dagli occhi che quasi le si socchiudevano.
"Ma certo, dimmi pure".
Ci accordammo e decidemmo che io avrei fatto il check out mentre lei si preparava la valigia, ovviamente il tutto in maniera tacita e discreta.
Mi ritrovai a vestire i panni della group leader e come al solito fu piacevole, anche se un po' strano visto che non conoscevo perfettamente i nomi di tutti i componenti del gruppo.
Finii a mezzanotte passata e andai in camera di Cristina, trovandola intenta nel piegare le ultime cose. Mi offrii di aiutarla per finire prima e lei accettò di buon grado, sfinita com'era.
"Grazie, Ali, mi stai salvando. Sono stremata, non so come farò a gestire la trasferta in aeroporto" sussurrò, sbadigliando.
"Tranquilla, io domani posso dormire un po' prima dei nuovi arrivi. Volevo solo dirti che Saverio ci aspetta in ufficio per i saluti e le valutazioni" risposi.
Lei annuì poi, di punto in bianco, la vidi con gli occhi lucidi e mi strinse in un abbraccio caloroso, un abbraccio che definirei da aeroporto, uno di quelli di chi sa che probabilmente non ti rivedrà presto.
"Da quando ti ho visto mi hai ispirato fiducia, ne ho avuto la conferma quando ci siamo confidate a Galway. Sei speciale, Ali, ti ho visto lavorare con calma e tranquillità, ammiro il tuo rapporto di amicizia e rispetto con il coordinatore, avresti potuto approfittarne ma sei stata sempre la prima a lavorare, anche ora, non hai nulla da fare e sei qui... Io mi sono affezionata a te, ti considero un'amica" esclamò, senza smettere di stringermi e iniziando a piangere.
Ascoltando quelle parole non riuscii a trattenermi e scoppiai in lacrime anche io, memore dei piccoli ma importanti momenti che avevamo condiviso e probabilmente per scaricare tutte le tensioni accumulate in quei lunghi giorni di lavoro. Ripensai a quando ci eravamo confidate a Galway, alla sua storia, al nostro pranzo in quel pub e a tutte le risate che avevamo condiviso, all'esibizione di vari giorni prima... Cristina era un po' un equivalente di Nadia, seppur meno chioccia e saggia, ma dopotutto era una mia coetanea e come me aveva ancora tanto da capire su questo strambo gioco che è la vita.
Poco dopo ci recammo in ufficio per una rapida riunione visto che i tempi stringevano e non mi sorpresi nel vedere la solita espressione emozionata di Saverio a fine turno.
"Allora, eccoci qui" esordì, mentre si puliva gli occhiali con un piccolo panno e provava a fingersi disinvolto. "Non mi abituo mai a dire addio allo staff! Sono passate due settimane, ci siamo conosciuti e devo dire che sono soddisfatto del gruppo dei group leader, siete stati molto attenti e responsabili ma soprattutto una continua fonte di risate e di leggerezza, cosa che non guasta quando hai alle spalle quattordici ore di lavoro". Qui ovviamente non esitò a guardare Luigi e Gabriele che ridacchiarono prima di battere il cinque. "Ovviamente giudicherò solo la parte di staff che se ne andrà stasera. Per quanto riguarda te, Amanda, ti ho detto poco fa come la penso e ti invito a dirmi a tua volta il tuo giudizio su di me. Alessandro, come al solito non sta a me valutare l'operato dei dottori".
Amanda mi sembrava stanca, non più la solita battagliera con cui avevo discusso varie volte, era struccata, con i capelli legati in una coda scomposta e sembrava aver acquisito dieci anni in un secondo.
"Come ti ho detto, io e te abbiamo una concezione di Team Leader diversa. Detto ciò, grazie per i consigli e mi scuso per certi miei errori" dichiarò decisa ma un po' annoiata. "Io penso che tu stia sbagliando nel prendere questo lavoro così seriamente, prima o poi ti verrà un infarto, tutto qui".
"Nella tua critica io vedo solo un complimento" ribatté Saverio, sorridendole in un modo che avrebbe meritato un applauso.
"Raga ve faccio un caffé, che dite? Dovete viaggià de notte, ci sta".
A interrompere il silenzio ci pensò un Salvatore piuttosto assonnato che si alzò senza ricevere risposta e si mise all'opera.
Era una scena così strana e contrastante con il contesto che tutti scoppiammo a ridere.


Salutare tutti fu strano e magico allo stesso tempo per noi che dovevamo restare fino alla fine di luglio.
C'era Cristina che partiva alle due, Monica e Gabriele alle tre e Luigi alle quattro.
Ovviamente, i ragazzi piangevano, si scambiavano promesse, venivano ad abbracciarci con calore....
"Ci sentiamo, promesso" sussurrai a Cristina, abbracciandola per l'ennesima volta, con Mario che si comportava come al solito e si intrometteva stringendoci a sua volta.
Ogni volta che un pullman partiva, sembrava una sorta di conto alla rovescia come quello di un Capodanno visto che a breve, come a inizio anno, ci sarebbe stato un nuovo equilibrio.
Salutai i ragazzi con grande affetto e quando anche l'ultimo pullman divenne un puntino in mezzo alla strada illuminata dalla fioca luce dell'alba ci sembrò che tutto fosse improvvisamente nuovo, diverso.
Stranamente, lo paragonai al tramonto della sera in cui ero arrivata, pronta ad iniziare.
Ero davvero così stanca che mi sembrava di vivere in un mondo parallelo, dove tutto era diverso ed era concesso.
Alessandro non si sforzò nemmeno di dirmi "Ciao" mentre Amanda, sorprendendomi, mi strinse lievemente a sé e disse: "Ciao Alice" in un modo abbastanza gentile e fuori dalle sue corde.
Dopo quel gesto mi sentii strana, a tal punto da arrivare a pensare che, sì, all'inizio Amanda era stata una stronza ma che forse le dovevo un favore perché senza volerlo mi aveva fatto capire come si stava comportando Luca ed io mi ero regolata di conseguenza.
Piano piano tutti i pullman scomparvero, dando ufficialmente fine a quelle due settimane strambe ma di rilievo, almeno per quanto riguarda la mia storia.
Vidi lo staff andare a dormire con grande fretta ma io mi appoggiai su una panchina vicino la struttura ed esitai, rapita dai colori di un nuovo giorno che prendeva forma.
Sentii una mano sulla mia spalla ma non mi girai.
"Sono così felice che non sia toccato anche a te andare via... Averti ancora qui è straordinario, ho due settimane per farmi perdonare".
Conoscevo la voce, continuai a non voltarmi, come se avessi paura di spezzare un incantesimo.
"Io sono stanca di essere arrabbiata" dissi semplicemente, sospirando.
Avvertii Maurizio cingermi la vita con le braccia e, senza pensarci, appoggiai le mie mani sulle sue, chiudendo gli occhi e sentendo il suo respiro sul mio collo.
La mia parte più segreta chiedeva disperatamente un bacio unico ma lento su quel punto, per questo la mia parte più razionale si sorprese nel percepire un bacio lieve e gentile sulla guancia.
Mi sentivo pronta per un nuovo inizio spumeggiante e a ripartire da zero, lasciando via la negatività provata negli ultimi giorni che non mi aveva proprio fatto bene, anzi, mi aveva danneggiato parecchio.
"Una volta mi hanno detto che quello che succede dopo le quattro del mattino non esiste" dissi, senza aprire gli occhi e beandomi del calore di quell'abbraccio.
"Allora sopprimerò la voglia che ho di baciarti perché non voglio che non esista. E te lo sto dicendo perché comunque questa frase non esisterà più" rispose lui, con una voce roca che gli donava, per i miei gusti.
"Magari in futuro, prima delle quattro del mattino...".
"Oh, magari. Se mi dici quando lo aggiungo al planner...".
Come potevamo punzecchiarci così senza cedere e lasciarci andare, almeno per una volta? Non ero abituata a ciò, onestamente, ma da una parte lo apprezzavo visto che ero sempre dell'idea di non compiere mosse affrettate.
Fatto sta che quell'alba, con la sua magia e le sue non- confessioni, segnò anche l'alba di un periodo di cambiamenti per noi e per il modo in cui ci relazionavamo.


*°*°*°**


Salve gente!
Molto più rapida rispetto ai soliti standard eccomi qui con un capitolo fresco fresco!
Vi comunico che ho ufficialmente finito di scrivere la storia e, se vi va, sarò più rapida nell'aggiornare.
Fatemi sapere!
Il primo turno è finito, ora si inizia con il secondo e sembrano esserci delle "novità" tra Maurizio e Alice nonostante i vari problemi che hanno avuto.
Che ne pensate?
Come al solito vi lascio qualche spoiler:
Mi stampò un bacio su quel punto, seguito da altri piccoli nella zona circostante mentre le nostre mani intrecciate contininuavano a sfregarsi e a un certo punto, non riuscendo a trattenermi, ne portai una nei pressi del mio seno.


"Volevo farlo a Galway, dopo averti portato a pranzo, ma...".
"Cosa?".
Cosa succederà?
Preparatevi che ci sono delle novità in arrivo, eheh!
A presto,
milly.

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Capitolo 26
*** Day 14: Agire o non agire, questo è il dilemma. ***


Day 14: Agire o non agire, questo è il dilemma.
Capitolo 11
Day 14: Agire o non agire, questo è il dilemma.
Dopo ben sette ore di sonno, poco prima di pranzo mi ritrovai in cortile con Saverio mentre Mario, Salvatore e Maurizio erano ancora nelle loro camere a riposarsi e a rinfrescarsi in vista dell'inizio del nuovo turno di lavoro.
Ce la stavamo prendendo comoda perché gli arrivi sarebbero iniziati a partire dalle sedici, quindi per ora il massimo che avremmo dovuto fare era monitorare le partenze e gli arrivi di ogni gruppo e accertarci che non ci fossero problemi, ritardi o valigie smarrite.
Con indosso i nostri outfit peggiori ma comodi, io e il coordinatore ci stavamo godendo quelle poche ore di libertà con grande calma, stremati dalle due settimane precedenti.
Ce ne stavamo seduti sui gradini delle scale che portavano alla lavanderia, Saverio fumava una sigaretta con estrema lentezza ed io me ne stavo in silenzio, pensierosa, senza sapere bene cosa dire.
"Secondo me devi aggiornarmi un po', Alice" iniziò lui dopo un po', premurandosi di non alzare la voce visto che a quell'ora il college era super silenzioso.
"Dici? Come mai?" chiesi, un po' evasiva.
Avevo una gran voglia di confidarmi con lui ma non sapevo bene cosa dirgli perché, fondamentalmente, nemmeno io sapevo bene cosa pensare in quel momento.
Temevo di risultare stupida, di essere quella che ogni anno si becca una cotta per un collega e che si distrae a causa di ciò.
"Ovviamente non pretendo che tu ti confidi con me se non ti va, solo che negli ultimi giorni ti ho visto proprio smarrita, a volte arrabbiata... Non avevamo il tempo di fare nulla quindi non ti ho chiesto come va" si scusò, appoggiando una mano sul mio braccio mentre accennava un sorriso di circostanza.
Confusa com'ero e provata dalle ultime vicende decisi di non opporre resistenza ed annuii.
"Finisci la sigaretta e ci andiamo a prendere un caffè, ormai è questa la nostra tradizione, no?" proposi, infischiandomene della mia tuta extra large e dei capelli disordinatissimi.
Saverio accettò di buon grado, finì di fumare e mi seguì fino alla famosa cafffetteria che tante volte aveva ospitato le nostre chiacchiere e buona parte dei momenti più belli ed iconici dei quattordoci giorni precedenti.
"Sai, ancora riesco a credere di aver parlato qui, proprio a questo tavolo, con Nadia, una decina di giorni fa. Eppure forse lei, che è stata qui solo due giorni, ha subito intuito qualcosa, mi ha fatto un discorso strano..." iniziai appena prendemmo posto, con i nostri espresso e dei muffin al cioccolato che troneggiavano davanti a noi.
Dal canto suo, l'uomo fece un sorriso consapevole. "Lei capisce sempre tutto, ha capito prima di me che fossimo perfetti insieme..." ridacchiò. "Mi dici che succede?".
Sembrava davvero curioso e intrigato, mi guardava in un modo penetrante che stranamente mi rassicurava perché sentivo di essere al sicuro e di potermi confidare.
"Onestamente, Saverio, queste due settimane ho avuto pochissimi attimi di pace... Alessandro mi ha anche messo in mezzo nelle vicende tra lui e Amanda...".
Gli raccontai tutto con dovizia di particolari - più parlavo più il suo volto diventava incredulo, tanto che in certi punti del resoconto spalancò la bocca con gli occhi fuori dalle orbite - e poi esitai, arrivando alla parte che più mi confondeva, più mi rendeva vulnerabile e incerta.
Gli raccontai della litigata con Luca, poi venne il momento di dire qualcosa su Maurizio.
"Poi... Volevo chiederti, secondo te, se un ragazzo fa sempre il carino con te, fa di tutto per essere gentile, si ingelosisce per una cosa che non esiste nemmeno e poi ti dice che ti bacerebbe ma non lo fa... Ti sta prendendo in giro, no?" dissi. Mi stavo fingendo disinvolta, disinteressata, solo che era la prima volta che parlavo ad alta voce dei nostri trascorsi e ciò lo rendeva tutto decisamente più vero.
"Se il ragazzo in questione sa che sei reduce da una storia non andata a buon fine e sa che potrebbe essere rifiutato visto che è un tuo collaboratore come il tuo ex, forse si comporta così perché vuole che sia tu a fare la prima mossa. E lo dico perché avevo già intuito tutto da quando ha rinunciato alla cena chic per stare con te".
Saverio scoprì le carte così, con naturalezza, come chi ha già analizzato tutto e si fa una propria opinione al riguardo.
Ci aveva osservato in silenzio e ora mi stava dicendo la sua opinione con garbo, sorprendendomi.
"Dopo il litigio con Luca è cambiato qualcosa o lo ami ancora?" mi domandò con aria seria.
"Non penso di amarlo più. Non posso dire che non tremerei nel rivederlo qui di fronte a me ma dopo le sue parole, dopo il suo solito comportamento fatto di apprezzamenti salvo poi scomparire quando si tratta di affrontare un problema, è come se qualcosa fosse cambiato. Forse anche perché c'è stata una chiusura, non lo so... Ma ciò che provo è cambiato, ne sono sicura, riesco finalmente a disprezzarlo per davvero e a capire che non fa per me".
Ci fu un breve silenzio durante il quale ripensai a ciò che avevo detto senza averci mai pensato fino a quel momento, con il mio amico che mi guardava, sorpreso.
"Direi che il primo grande passo lo hai fatto" esclamò, quasi come se fosse fiero di ciò.
Scrollai le spalle, piena di sentimenti contrastanti davanti a quell'ammissione.
"Sai, la cosa che più mi è mancata durante la storia con Luca è stata il sentirmi sicura, protetta, rassicurata. Io ero quella che doveva essere forte sempre, in ogni istante... Quando ho dormito da sola per la prima volta in quella mansarda schifosa in cui vivevo all'inizio l'ho chiamato, sono scoppiata a piangere dopo un po' e mi ha detto che non dovevo fare così e dovevo essere forte. Grazie al cazzo, lo so! Lui non capiva, non si è mai immedesimato e io pensavo di essere troppo complicata e difficile, che era normale. In questi giorni mi sono confrontata con una persona che mi ha capito, mi ha reso le cose semplici, è stata complice sotto tutti gli aspetti... Gli ho detto che al di fuori di Dublino sarebbe bello rivederci e lui concorda, ma, non so, una parte di me crede sia impossibile...".
"...Pensare già di essere andata avanti e di aver incontrato qualcuno che potrebbe piacerti? No, Alice, no. E' tutto normale e onestamente, tralasciando la stronzata di Alessandro, io vi vedo bene insieme, avete sintonia e, diciamolo, lui è attratto da te, l'ho capito quando avete cenato da soli, quando è venuta Nadia" mi interruppe Saverio, deciso.
Arrossii al ricordo di quella sera, quando, per la prima volta dopo mesi, tutto mi era sembrato più semplice e bello.
"Non ti sto dicendo di buttartici addosso, solo di non precluderti nulla".
"Sembri Nadia, lei mi ha fatto lo stesso discorso dieci giorni fa".
"Sempre detto che è troppo avanti!".
"Per te, sì, decisamente".
Ecco lì, il classico momento di serietà tra noi era finito ma mi aveva infuso un po' più di coraggio nel vedere le cose più chiaramente.
Non ero una visionaria, anche Saverio – la persona più schietta e diretta del mondo – aveva notato qualcosa e ciò mi rassicurò perché lo strano rapporto tra me e Maurizio non era indeifnito e poteva essere percepito agli occhi di un osservatore esterno.
"Praticamente in queste due settimane sei stata la Lady Mary Crawley della situazione" osservò alla fine del nostro confronto, non riuscendo a non sghignazzare dopo tutte le informazioni che avevo condiviso con lui nell'ultima ora.
Ero davvero sorpresa dal fatto che lui conoscesse Downton Abbey ma non obiettai, presa com'ero dal resoconto degli ultimi avvenimenti e da come tutto ciò mi aveva fatto sentire.
"Nel senso che sono una rompiscatole con manie di protagonismo?" chiesi, accigliata.
"Non solo, per tutti i... Corteggiatori".
"Ma che dici, sono sfigata come Edith" sospirai, iniziando a sentire un lieve mal di testa viste le poche ore di sonno non proprio serene e piene.
"Ricorda che Edith sposa un Marchese e si prende la sua rivincita".
"L'unico Marchese con cui sto per avere a che fare al momento è la causa di tanti crampi e questi brufoli" brontolai, indicando una serie di piccoli vulcani che mi erano spuntati nei pressi del mento.
"E direi anche del tuo caratteraccio! Volevo essere di conforto!".




Stanchi, un po' storditi, decisamente stravolti, pranzammo tutti insieme, perdendoci nei ricordi dei momenti clou delle settimane appena trascorse e poi ci andiammo a preparare per accogliere i nuovi arrivati. Avendo una group leader allergica al lattosio e una celiaca, Saverio era preoccupato perché ciò portava ulteriori complicazioni nella richiesta dei pasti.
Onestamente, esausta com'ero, non ero nemmeno ansiosa di conoscere i nuovi collaboratori.
Andai nella mia stanza, passai non so quanto tempo sotto la doccia e quando fui pronta con degli abiti un po' più consoni al lavoro e con i capelli ordinati, mi stesi sul letto in attesa delle quattro.
Tuttavia, la mia pace durò poco visto che qualcuno bussò alla porta nonostante non aspettassi visite, così mi alzai di malavoglia, scoordinata come non mai e aprii la porta, ritrovandomi davanti un Maurizio con aria quasi imbarazzata.
Evidentemente anche lui era reduce da una doccia rigenerante perché aveva i capelli ricci più morbidi ed elastici del solito che emanavano un profumo nuovo o che forse non avevo mai notato prima.
"Ehi!" dissi, sorpresa.
"Ciao, Ali. Disturbo?" chiese con un po' di insicurezza.
"No, no. Entra pure".
Entrò, si guardò intorno, con le lunghe braccia che pensolavano lungo i fianchi, chiaro segno del fatto che non sapesse cosa fare in quei pochi metri quadri.
"Accomodati pure" dissi, così prese posto sulla sedia posta vicino la scrivania ed io lo imitai, appoggiandomi sul letto.
"Grazie. Alice, se sono qui è perché.... Non mi sono ancora spiegato per bene per la questione di Alessandro e... Beh, ricordo di averti detto delle cose, all'alba, anche se ero morto di sonno e...".
"Se te le vuoi rimangiare...".
"No, non potrei mai".
Mi sentivo le mani sudare, il respiro accelerato, probabilmente non pronta per un confronto.
"Allora dimmi" sussurrai, provando a restare tranquilla.
Maurizio annuì, torturandosi le mani prima di appoggiarle sulle gambe e alzare lo sguardo verso di me.
"Mi dispiace aver creduto a quello, soprattutto mi dispiace averti detto quelle cose, è stato un gesto maschilista dettato solo da... Gelosia, credo. Lo so che tra noi non c'è niente, solo che forse ho sperato in qualcosa dal tuo compleanno. Io capisco la tua situazione, Alice, non oserei fare gesti sconsiderati...".
"Maurizio" lo bloccai, scuotendo il capo. "Sei davvero gentile, solo che nel momento in cui vedi che la tua compagnia mi fa piacere puoi... Sbilanciarti, altrimenti, se c'è qualcosa da scoprire, non lo scopriremo mai".
Ero davvero io quella che stava parlando?
Sorpreso, il ragazzo esitò, agitando una gamba con aria ansiosa.
"Scusami, Alice, ma se tu pensi al tuo ex io non voglio rimanerci male" obiettò cautamente, quasi come se temesse una mia reazione. Quasi mi sembrò di vedere la faccia di Saverio dire un sicuro "Te l'avevo detto, scema!".
Maurizio, come me, si stava classificando come una persona estremamente cauta che riflette prima di buttarsi nelle cose e non potevo dire di non dargli ragione. Potevo capire la sua insicurezza nei confronti di un bel ragazzo come il dottore, io ero quella che un anno prima si era sentita così nei confronti di Paula, inoltre ero ben decisa a farmi scivolare tutto addosso visto che era palese che lui si fosse pentito dei suoi gesti.
"Qualche giorno fa ho discusso di brutto con lui e... Ho capito di non amarlo più, probabilmente perché c'è stata la chiusura che mancava. Poi, stamattina, ho...". Mi bloccai, timorosa di essere sincera e di espormi, tanto da abbassare lo sguardo. "Quando mi hai abbracciato ed eri seduto dietro di me, ho pensato che avrei tanto voluto...".
"Cosa?".
Maurizio sembrava intrigato, preso, non più sotto controllo come lo era sempre. Voleva spingermi a dire di più e non vedevo l'ora di accontentarlo perché volevo esporre ciò che sentivo senza remore.
"Che mi baciassi, sul collo, visto che la tua bocca era vicinissima a quel punto. Forse lì ho capito che ho chiuso con il mio ex, non lo so, so solo che mi sento di nuovo libera...".
Lo sguardo del ragazzo si accese improvvisamente, si alzò e, con una calma che mi tenne con il fiato sospeso, prese posto dietro di me, stringendomi a sè come aveva fatto quella mattina ma con ulteriore sicurezza, se possibile.
Forse era più tranquillo dopo le mie parole, forse davvero era così gentile e pacato da non riuscire a fare una mossa senza sapere come la pensassi riguardo il mio ex.
Deglutii, sentendo improvvisamente caldo, e come quella mattina appoggiai le mani sulle sue, ma questa volta intrecciandole alle mie e chiudendo gli occhi.
Il suo respiro era vicino al mio, sentivo la sua bocca sempre più vicina finché non avvertii il tocco delle sue labbra su un punto del mio collo, un tocco così delicato ma che allo stesso tempo avvertivo come un marchio infuocato.
Mi stampò un bacio su quel punto, seguito da altri piccoli nella zona circostante mentre le nostre mani intrecciate contininuavano a sfregarsi e a un certo punto, non riuscendo a trattenermi, ne portai una nei pressi del mio seno.
Erano mesi che non ero in intimità con un uomo e quei gesti per me avevano una carica erotica elevatissima, probabilmente anche a causa del pre ciclo che mi rendeva sempre più eccitata del dovuto.
"Non essere timido, tocca pure" sussurrai, liberando la mano destra dalla sua e portandola sui suoi capelli. Erano morbidi, profumati, inebrianti...
Obbedendo, con una calma che quasi mi uccideva, Maurizio fece passare la mano al di sotto della mia maglietta e mi accarezzò la stoffa del reggiseno.
I suoi baci erano così carichi di erotismo che lottai per non gemere, mentre cercavo di stare tranquilla e di non trascinare l'altra sua mano tra le mie gambe, proprio mentre avvertivo i miei capezzoli indurirsi grazie al tocco sensuale del ragazzo.
A un certo punto, non potendone più, mi voltai di scatto, ritrovandomelo di fronte.
Subito tolse le mani, percependo quel gesto affrettato come un rifiuto, ma io gli sorrisi e gli circondai il viso con le mani.
Entrambi avevamo il fiatone come se avessimo corso per non so quanto solo che per la prima volta da quando ci conoscevamo riuscivamo a guardarci negli occhi con aria intenerita, finalmente sincera, senza maschere.
"Ecco cosa intendevo" dissi quindi, con lo sguardo basso per l'imbarazzo.
"Devo ammetterlo, al tuo "tocca pure" credevo di non aver capito bene...".
"Ci vuole un po' di iniziativa, insomma, non posso fare il tuo capo anche ora!" lo presi in giro.
Maurizio rise per poi appoggiare la mano sul mio volto e avvicinarlo al suo con delicatezza, deciso a mantenere il contatto visivo. I nostri volti erano arrossati, avevamo il fiato corto e le mani tremanti, come se fosse la prima volta che ci vedevamo per davvero, senza filtri, senza imposizioni, senza gerarchie imposte dalla nostra professione, senza le solite scadenze e le giornate organizzate minuto per minuto dal nostro ormai odiato planner.
Eravamo solo noi o almeno lo eravamo per qualche altro minuto, fino a quando l'arrivo del nuovo staff non ci avrebbe riportato alla solita routine in cui eravamo intrappolati dai nostri contratti. Mancavano cinque gloriosi minuti alle sedici e li trascorremmo così, immobili, probabilmente increduli dato che nessuno di noi si sarebbe sognato un plot twist del genere solo qualche giorno prima.
"Ammetto che sei il primo ragazzo a cui chiedo di toccarmi le tette senza che ci sia stato almeno un bacio. Non siamo molto ordinari".
"Forse è ciò che potrebbe renderci straordinari, non credi?".
Risi e lo abbracciai, stringendolo forte a me e perdendomi nel suo profumo di muschio bianco.
"Andiamoci con calma, vediamo come vanno le cose... Ma sono felice di... Tutto" sussurrai, con la testa nell'incavo della sua spalla mentre lui mi accarezzava la schiena.
"Anche io, Alice, non ne hai idea...".
Quel momento idilliaco fu interrotto da una chiamata di Saverio che ovviamente ci fece sbuffare fin troppo rumorosamente perché era ufficialmente finito il momento di pausa tra i due turni, durato esattamente dodici ore.
"Sì, arrivo. Ok".
Staccai la chiamata, presi la borsa e feci segno al ragazzo di scendere visto che era arrivato il primo group leader con il team leader.


Antonio Scarsoni, chiamato Toni da tutti, era un uomo di trentacinque anni alto, molto magro, con una folta barba nera e uno sguardo smorto.
Non guardava mai negli occhi il suo interlocutore, aveva sempre lo sguardo indirizzato altrove e dopo pochi minuti la cosa diventava quasi imbarazzante perché sembrava stesse parlando con qualcuno alle tue spalle.
Parlava poco, si presentò stringendoci semplicemente la mano, cenò con noi e rispose solo alle nostre domande con qualche monosillabo.
"Questo non è proprio l'anno dei Team Leader, eh?" bofonchiai scoraggiata appena lui si alzò per andare a prendere dell'acqua.
Mi dispiaceva essere il tipo di persona che sparlava di qualcuno appena conosciuto ma non riuscivo a capacitarmi della strana sorte che si stava abbattendo sul nostro staff.
Come per confermare quel mio pensiero, Enzo, il nuovo group leader, tornò dal bagno ed esordì con un: "Andiamo a letto presto stasera, no?".
"Certo, ti preparo anche latte e biscotti se vuoi" lo prese in giro Saverio, facendo ridere Mario e Salvatore.
Arrivammo al punto in cui Salvatore risultava molto più chiacchierone di Toni e ciò era davvero, davvero il colmo.
Mi concentrai sul mio pasticcio di patate per non esprimere alcuna considerazione per poi offrirmi di fare l'accoglienza a un altro gruppo appena arrivato con due group leader.
"Vengo con te, ho finito" si offrì Maurizio quando dissi a Saverio di finire con calma il suo pasto dato che avevo tutto sotto controllo.
Mi sembrò di vedere un piccolo sorrisino sul volto del capo ma non vi badai e mi affrettai a prendere le mie cose.
"Falli accomodare nella sala comune, ci sono già i sacchetti con la cena e dite ai group leader che se vogliono possono ancora mangiare qui, nel frattempo date voi un'occhiata ai ragazzi" disse quest'ultimo.
"Va bene".
Ci recammo verso la sala comune, dall'altra parte del campus, fianco a fianco, un po' imbarazzati visto che era la prima volta che ci trovavamo da soli da quando ci eravamo ritrovati nella mia stanza, fino a ritrovarci davanti allo spiazzale dove a breve avrebbe fatto capolino il pullman con tutti i nuovi arrivati.
Ci sedemmo su una panchina e ci guardammo, un po' a disagio.
"Le premesse non sono ottime ma supereremo anche questo turno" sussurrò il ragazzo. "Probabilmente domani sarà un caos ma... Pensavo, mi farebbe piacere fare due passi con te a Galway, sabato. Nessuna ansia, nessuna pressione, vorrei solo...".
"Va bene" lo interruppi, intenerita dal fatto che sembrasse davvero incerto, deciso a non mettermi fretta.
Mi sorrise e si slanciò verso di me, abbracciandomi forte tanto quasi da farmi togliere il fiato.
Adoravo i suoi abbracci, erano genuini, pieni d'affetto, mi facevano sentire meno sola.
Ero piena di dubbi ma sapevo solo di volermela giocare piano ma senza restare ferma e rischiare di perdere qualcosa che poteva essere davvero prezioso per me.
Ci separammo giusto in tempo per l'arrivo del pullman da cui emersero una trentina di adolescenti e Bruno e Alba, provenienti rispettivamento da Imola e Cagliari.
Ci presentammo cercando di mostrarci cordiali e disponibili, come se ora fosse iniziato tutto anche per noi, e Bruno mi parve particolarmente provato dal viaggio mentre Alba sembrava essersi appena svegliata, vulcanica com'era.
Aveva corti capelli ricci e rossi, degli occhiali fin troppo grandi e dei bermuda di jeans non proprio consoni alla temperatura irlandese.
Quando mi presentai, lei spalancò gli occhi e si lasciò scappare un risolino.
"Alice? Ma allora è vero, sei proprio tu!" disse.
"Scusami, ci conosciamo?" domandai, confusa.
Alba si prese qualche istante di pausa per squadrarmi per bene e poi fece un cenno negativo, senza smettere di sorridere.
"No, è che domenica ho finito il primo turno a Barcellona e quando un mio collega ha saputo che sarei venuta qui mi ha detto che ti avrei incontrato... Ti ha descritto come "la migliore delle mediatrici", lavori per l'azienda a Milano, eh? Noi avevamo un mediatore sprucido, faceva mille casini, diceva che era colpa del caldo... Che scema, il collega si chiama Luca Antonini, un ragazzo d'oro! Comunque, io sono Alba". Disse tutto questo in circa dodici secondi, parlava a manetta e questa caratteristica non le rendeva affatto giustizia.
"Sì, lo conosco" tagliai corto, pensando che gli effetti di quelle due settimane a Barcellona continuavano a protrarsi intorno a me.
Per fortuna Alba sembrava non sapere altro e ciò mi indusse a pensare che probabilmente Luca avesse detto di noi solo a Clemente.
Decisa a fare finta di nulla, aspettai che i ragazzi scaricassero i bagagli dal pullman e poi feci segno a tutti di seguirci in sala comune.
Una volta che tutti si furono accomodati, proposi ad Alba e Bruno di andare a cena, loro accettarono e così mandai Maurizio con loro a mostrargli la mensa ed io restai da sola con i ragazzi.
Trenta facce tra i quattordici e i diciotto anni erano lì che mi fissavano, così mi affrettai ad avvicinarmi al carrello con su le loro cene e lo trascinai di fronte a loro.
"Buonasera! Io sono Alice, coordino la Mediazione dei vari staff e sono felice di conoscervi. Qui trovate la cena, prendetela pure" esordii per poi accomodarmi in un angolo, mentre i ragazzi ringraziavano e Mario veniva a darmi una mano.


Alle ventitré e trenta eravamo tutti in ufficio, io, Maurizio, Salvatore, Mario, Saverio, Toni, Enzo, Bruno, Alba e i nuovi arrivati Guglielmo, Sara e Claudia, la dottoressa.
Io e Salvatore stavamo bevendo un po' di Coca Cola per tenerci su mentre Saverio spiegava un po' le regole generali e faceva firmare qualche documento.
"So' tutti strani... La celiaca ha detto dieci volte che è celiaca. Nun sei solo celiaca, sei rompipalle, ma questo non lo dici, eh" sussurrò Salvatore, riferendosi ad Alba che in circa cinque ore e mezzo si era già guadagnata la fama di chiacchierona instancabile.
"Lei parla troppo, quell'altro non parla proprio... Si compensano, su" provai ad essere obbiettiva, sospirando.
"Te lo dico io, Alì, ci sono turni funesti dove tutti so' strani, succedono le peggio disgrazie e questo è uno di questi, mo' sento".
Scrollai le spalle poi gli feci cenno di andare e unirci al gruppo giusto per non fingerci esclusi.
L'argomento del momento era una certa Priscilla a cui non era stata recapitata la valigia in aeroporto e faceva parte del gruppo degli ultimi arrivati capitanati da Sara.
Guardai Salvatore, incredula, e lui ricambiò l'occhiata come a dire "Vedi? Inizia a succedere di tutto" proprio mentre Saverio faceva il mio nome.
"Sì?" chiesi.
"C'è un supermercato aperto sempre, per favore, tu e Maurizio andate ora a comprare dentifricio, spazzolino, bagnoschiuma e shampoo per questa ragazza in attesa dell'arrivo della valigia. Vi mando la posizione sul gruppo" disse, "Io nel frattempo finisco di dare indicazioni allo staff".
Mi sembrava strano visto che nelle ultime ore avevo avuto ruoli un po' più importanti e pensai che forse, visto che era ormai la terza esperienza per me, per il coordinatore ero pronta a prendermi qualche responsabilità in più.
"Ok".
Mi alzai, seguita dal mediatore, presi i soldi che Saverio mi stava dando dopo averli prelevati dalla cassaforte e salutammo gli altri.
"Saverio sembra fidarsi di noi o sbaglio?" domandò Maurizio dopo aver controllato la posizione del supermarket, che distava circa settecento metri dal college.
Era una notte abbastanza fredda nonostante fosse luglio inoltrato, il cielo era limpido e stellato e in generale c'era un'atmosfera tranquilla, tipica delle serate di Dublino durante i giorni che precedevano il weekend.
"Ma no, sei qui solo perché temeva per la mia incolumità, sai, è pieno di ubriaconi qui" lo presi in giro, abbottonando la felpa rossa che avevo espressamente richiesto per quei giorni dato che le mie erano tutte in lavanderia.
"Come? Ma no, tra i due qui sei tu quella più cazzuta, probabilmente io scapperei a gambe levate..." stette al gioco lui con un risolino nervoso.
Eravamo vicino uno dei ponti su cui ci si affacciava il Liffey, un punto molto vicino a quello in cui ero il giorno dell'arrivo. I riflessi della città, le mille luci multicolori e i suoi riflessi si dipingevano tra le scure acque del fiume e come ogni volta mi sembrava magico.
Ascoltando la risposta mi fermai, incrociando le braccia.
"Sai solo parlare, Maurizio, non lo faresti mai".
"Cosa? Mi stai dicendo che...".
"Parli, parli, parli... Dovresti agire e basta".
Mi divertivo a vedere le sue azioni e reazioni, con lui potevo essere me stessa senza essere trattata come quella bisognosa di aiuto e di comprensione, mi faceva sentire libera e in certi casi spensierata come non mi succedeva da fin troppo tempo.
Lui sembrava davvero preso da quel discorso, tanto da prenderlo seriamente.
"Agire spesso altera gli equilibri" sussurrò, fermandosi a sua volta e avvicinandosi, posizionato di fronte a me.
"Se si alterano non sono poi così tanto degli equilibri, no?".
Rise e mi appoggiò una mano sulla spalla facendomi sussultare per quel contatto improvviso.
"Volevo farlo a Galway, dopo averti portato a pranzo, ma...".
"Cosa?".
"Shh, voglio agire, non ne posso più. Maledetto Saverio che... Oh, insomma, non me ne frega...".
La sua mano passò dalla mia spalla alla mia guancia e mi attirò di più a sé, fissando il suo sguardo nel mio.
Lentamente si avvicinò al mio viso, come per chiedermi il permesso, e con una lentezza quasi esasperante appoggiò le labbra sulle mie mentre io, come reazione, ancoravo totalmente le braccia attorno al suo collo per sentirlo più vicino.
Il rumore delle auto, il chiacchiericcio dei passanti, il rumore del tram, tutto scomparve dai miei sensi, tutto ciò che non aveva a che fare con il ragazzo che mi stava stringendo a sé, la sua pelle contro la mia e le farfalle nello stomaco che mi stava causando.
Maurizio mi baciava con una dolcezza che si abbinava perfettamente al suo modo di porsi nei miei confronti, io rispondevo con fin troppo entusiasmo, sentendo che avrei voluto tenerlo lì con me, senza dovermi allontanare per le prossime ore.
Dal mio viso, la mano passò in vita per un vano tentativo di far aderire i nostri corpi ancora di più.
Non so come riuscimmo a separarci, entrambi senza fiato, ma quando lo guardai negli occhi vidi qualcosa che mi piaceva molto: sembrava... Felice.
Lo strinsi a me e non per quanto restammo così, quasi dimenticando che eravamo lì per una commissione e non per fatti nostri.
"Pensavo non ti andasse di baciarmi" mormorai, quando ritrovammo la forza di metterci in cammino, stretti l'una all'altra come se ci conoscessimo da una vita.
"Scherzi? Mi va da settimane, Ali, ma onestamente non credevo di avere speranze..." ammise, finalemente sicuro di sé.
"Posso capire il perché ma io so solo che ultimamente mi sento una persona nuova e sono sicura che tu abbia molto a che vedere con ciò" rivelai, ancora incredula per tutti quegli accaduti delle ultime ore.
"Non ti farò pressioni Alice, volevo solo farti capire che, beh, anche io so farmi avanti".
"Oh, questo l'ho visto!".
Finalmente arrivati al supermercato, ci sbrigammo a fare la piccola spesa e, vedendo che era passato un bel po' di tempo, mi affrettai a scrivere sul gruppo che prima ci eravamo persi e poi avevamo trovato tanta fila.
Appena fuori il negozio, Maurizio mi porse una confezione di cioccolatini mentre mi abbracciava da dietro, lasciandomi fin troppo sorpresa.
Era rotonda, con su scritti numerosi gusti accompagnati dalla foto corrispondente.
"Cosa....?".
"Ho pensato che ti ci voglia un altro po' di dolcezza, sei pur sempre il mio capo e volevo corromperti" sussurrò contro il mio orecchio, per poi baciarmi una guancia.
"Ma sei reale...?" esclamai, incredula, voltandomi in modo da trovarmelo di fronte.
"Direi di sì. Mi hai stregato, Alice" sussurrò, mentre questa volta ero io a baciarlo e a stringermi a lui, senza riuscire a celare una certa passione, tanto che mi ci volle un po' per separarmi da lui e restare razionale.
"Direi che...".
"Dobbiamo tornare, sì... E' quasi l'una, accidenti!".
Affrettammo il passo, ridendo per le bugie che avremmo raccontato, proprio mentre il mio cellulare squillava avvertendomi di aver ricevuto un messaggio.
Saverio: Accetterò questo vostro ritardo solo
se poi mi racconti cosa è successo ;)
Sorrisi, pensando che questo turno avrebbe potuto essere interessante nonostante lo staff non proprio simpatico.


*°*°*°
Rieccomi!
Capitolo di svolta: arriva il nuovo staff e , sì, Maurizio e Alice iniziano a darsi una mossa dopo due settimane di chiacchiere, momenti carini e strani allo stesso tempo.
Preparatevi a dei momenti di crisi tra Salvatore e Alba xD
Inoltre, ora entriamo ufficialmente nel vivo della storia, preparatevi perché non manca molto alla fine!
Come sempre vi lascio qualche spoiler:
"La mia giornata è già addolcita" sussurrò, lasciandomi un bacio su una guancia, per poi sospirare sul mio collo. "Alice, collabora, allontanati, sii un po' più antipatica, mi rendi tutto così... Difficile".


"Che cazzo, Alice, sei insistente! Posso avere i miei momenti no o dobbiamo per forza giocare a fare i migliori amici sempre e comunque? Sto coordinando questo caos da quasi venti giorni e voglio un momento da solo, in santa pace, senza gente petulante tra i coglioni, intesi?" esclamò, continuando ad ingnorarmi e a non guardarmi in faccia.


Stavo pensando all'eventualità di baciarlo quando la porta si aprì di scatto e comparve un Saverio alquanto agitato ma risoluto.


Cosa ne pensate?
Fatemi sapere,
a presto,
milly.

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Capitolo 27
*** Days 15- 18: Quello che succede a Galway non resta a Galway ***


Days 15- 18: Quello che succede a Galway non resta a Galway
Capitolo 12
Days 15- 18: Quello che succede a Galway non resta a Galway
Non mi svegliavo così felice ed entusiasta dal giorno in cui era arrivata Nadia, tanto da non badare alle scarse cinque ore di sonno e al fastidioso verso dei gabbiani che ormai era una componente fissa della mia routine.
Sapevo di dovermi calmare, essere razionale, eppure non riuscivo a non essere emozionata, incredula e felice per gli avvenimenti che avevano avuto luogo la sera prima.
Ero felice dopo non so quanti mesi, non volevo farmi illusioni ma il solo fatto di avere un'intesa con qualcuno dopo il mio ex mi sembrava magnifico, una sorta di miracolo che non credevo possibile dopo i mesi orribili che avevo trascorso.
Sbadigliando, mi misi a sedere e guardai una foto scattata la sera prima, dopo la riunione, in cui io e Maurizio sorridevamo, radiosi.
C'erano mille punti che avrei potuto criticare, i miei brufoli, le occhiaie, ma non m'importava perché non sorridevo così da tempo e mi era mancata quella sensazione di libertà di poter scegliere qualcuno e credere in qualcosa.
"Cazzo, sono le sette meno venti!" urlai quando mi resi conto del tempo perso sotto quelle calde coperte.
Mi alzai e mi fiondai sotto la doccia, per poi premurarmi di coprire almeno quei brufoli con un trucco giornaliero e rapido visto che per le sette e dieci Saverio mi aspettava in cucina.
Uscii dalla stanza e andai in cucina con passo rapido visto che ero in ritardo ma vi trovai già il coordinatore seduto lì con due espresso del bar sul tavolo.
"Buongiornissimo, Alice! Avevamo finito il caffé così ho rimediato" spiegò. Sembrava decisamente allegro, come lo era stato ieri alla fine della riunione.
"Grazie! Siamo di ottimo umore, vedo, sei felice per il nuovo staff esplosivo?" lo presi in giro, prendendo posto al suo fianco.
Tralasciando gli avvenimenti personali, il primo giorno di un nuovo inizio era sempre stranamente emozionante perché le carte si rimescolavano, tutto poteva succedere e la curiosità circa il futuro imminente riempiva numerosi scenari nella nostra mente.
"No. Sono felice per due membri del vecchio staff che ieri sono tornati dal supermarket radiosi e non si sono separati un attimo" mi rimbeccò, facendo l'occhiolino con l'aria di chi la sapeva lunga.
Vedendomi senza parole e probabilmente arrossita, lui mi guardò con serietà obbligandomi a guardarlo in faccia.
"Era da marzo che non ti vedevo così, Ali, fidati sei... Diversa. Fidati di me" esclamò, sorridendomi con aria quasi paterna. "Non voglio che tu mi dica nulla, solo di provare a continuare a stare così" continuò, deciso.
L'anno prima aveva scoperto gli altarini in un modo poco carino, proprio come io avevo scoperto la sua relazione per caso e quella volta, pur sapendo che si trattasse di una cosa ancora indefinita, non volevo far ripetere la situazione.
"E se io volessi dirti qualcosa...?" domandai, stupendolo non poco visto che evidentemente si aspettava il mio silenzio stampa.
"Ti ascolterei con grande partecipazione" rispose, incredulo, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
Risi di cuore e bevvi il caffè, scrollando le spalle.
"Ieri pomeriggio ci siamo chiariti ulteriormente e io gli ho fatto capire che non deve essere sempre timoroso di agire... Ieri sera, quando siamo usciti, mi ha baciato e poi mi ha comprato dei cioccolatini al supermercato" mi confidai, ancora incredula nel dire ad alta voce ciò che era successo.
"Mi piace questo tipo, Ali. Non lo so, lo percepisco, sembra fatto proprio per te, tu hai bisogno di qualcuno che ti dia sicurezze ma allo stesso tempo ti lasci essere indipendente e lui mi sembra così. Sono felice, spero che le cose possano evolversi".
"Lo vorrei tanto... So quali errori non devo commettere ora e ne sono felice, inoltre so che comunque vada ho fatto dei grandi passi avanti e ne sono felice. Le vacanze studio sono terapeutiche" ironizzai.
"Lo dici a me? Ho comprato un anello di fidanzamento quando un anno fa il massimo della mia vita era una bella maratona di BoJack Horseman con tanto di Pringles alla cipolla, tanto a nessuno fregava del mio alito".
Udendo quell'affermazione mi illuminai, ricordando un particolare che avevo rimosso, presa com'ero dalla mia vita al momento.
"Giusto! Ma... Insomma, ti ho fatto venire Nadia e non le hai fatto la proposta?" lo rimproverai, ricordando tutte le aspettative che avevo avuto nell'arrivo della mia amica una volta sapute le intenzioni del suo ragazzo.
"No. Sarebbe stato banale, non credi? Saprò io il momento giusto e sarà perfetto" disse, deciso al massimo.
In cuor mio immaginavo quel momento con gioia e non vedevo l'ora che la cosa si verificasse, sia per vederli felici e innamorati come non mai, pronti per un futuro migliore insieme, sia per essere un po' la zia dei loro eventuali figli.
Già per me quella coppia era una famiglia, poi se avessero avuto dei bambini mi sarei sentita legittimata a viziarli come se fossero dei nipotini.
"Confido in te ma ti do' tempo entro la fine dell'anno. La mia amica merita di sapere tutto".
"Lo so meglio di te, scema. Dai, muoviamoci, ricorda di comprare il caffè...".
"Potresti rimandarmi al supermercato con Maurizio" lo presi in giro, gaia come lo ero stata poche volte negli ultimi tempi.
"Non te ne approfittare!".


Come un film che si ripete, ci fu la prima riunione con lo staff, la firma dei contratti e la distribuzione delle magliette, cosa che confermò le peculiarità dello staff.
Toni annuiva ad ogni parola senza dire nulla, Alba parlava a raffica e compensava il suo silenzio, gli altri si guardavano un po' intimoriti, la dottoressa appena poteva cacciava uno dei libri per un concorso imminente e sperava di non avere casi gravi da gestire.
Finito il discorso di presentazione di Saverio, feci segno a Maurizio di seguirmi in ufficio e fu con grande soddisfazione che aprii la finestra e respirai aria fresca dopo l'atmosfera chiusa dell'altro ufficio.
Presi i cioccolatini che lui mi aveva regalato la sera prima e li appoggiai sulla tavola con un mezzo sorriso.
"Sono ancora qui? Fossi in te li avrei finiti già" osservò.
Percepivo una grande tensione tra noi, era come se, seppur memori di ciò che era successo, ci sentivamo comunque indecisi sul da farsi, come due adolescenti timorosi di aver solo sognato quel bacio della sera prima.
"Ehi! Te li ho lasciati per addolcire la tua giornata e non lo apprezzi nemmeno?" esclamai, prendendone uno per ripicca e poi ficcandomelo in bocca con grande entusiasmo.
Probabilmente ero molto goffa perché rise e poi mi si avvicinò con cautela, quasi incerto.
"La mia giornata è già addolcita" sussurrò, lasciandomi un bacio su una guancia, per poi sospirare sul mio collo. "Alice, collabora, allontanati, sii un po' più antipatica, mi rendi tutto così... Difficile".
Rabbrividii e, ancora alzata, mi ancorai a lui, cingendogli i fianchi e chiudendo gli occhi. "A me ora sembra tutto più facile" dissi semplicemente.
Senza premeditarlo, ognuno cercò le labbra dell'altro, finendo stretti contro la parete ai lati della finestra.
Il suo modo di baciarmi era un qualcosa di unico, sembrava si sforzasse di comunicarmi quanto avesse voglia di tenermi lì, stretta contro di lui, con le mani che mi stringevano il viso come per non farmi scappare via.
Mi sfiorava la bocca con dolcezza per poi mordicchiarmi il labbro inferiore in un modo che onestamente mi mandava in tilt, mentre io appoggiavo le mani sul suo petto e provavo a conoscere un po' meglio quel corpo a me sconosciuto, un corpo su cui avrei fatto volentieri affidamento nei momenti più bui.
Risposi al bacio con grande passione, fino a che non mi ritrovai sulla scrivania, con le gambe attorcigliate contro il suo bacino.
"Dovremmo...".
"Sì...".
"Cosa?".
"Ma che ne so, Ali...".
Toc toc.
Non so cosa sarebbe successo se Jimena non avesse bussato alla porta, fatto sta che gettai Maurizio nel piccolo bagno dell'ufficio, mi sistemai subito dietro la scrivania e le dissi di entrare, cercando di non risultare paonazza e di respirare normalmente.
Da quell'episodio, però, le cose sembrarono andare con più calma, in un modo che non saprei descrivere precisamente ma che mi tranquillizzò molto considerando che non volevo perdere il senno e andarci piano, essere cosciente e capire la situazione.
Io ero sulle mie, decisa ad andarci piano e con calma per squadrare la situazione e lui sembrava dello stesso avviso, tanto da preparare una sorta di primo appuntamento carinissimo quando ci ritrovammo a Galway, quella domenica, dopo un'inversione di gite dovute alla mancanza di disponibilità dei pullman.
Eravamo in un piccolo ristorante in centro, molto luminoso grazie alla luce che filtrava dalle ampie vetrate e alla giornata soleggiata, diversa da quella burrascosa di due settimane prima.
Sapendo le sue intenzioni, avevo indossato una camicia un po' più carina e mi ero truccata di più e lui a sua volta era molto più formale visto che indossava una camicia azzurra nonostante i soliti jeans.
Saverio sapeva tutto quindi ero tranquilla, non mi sembrava di star facendo qualcosa di sbagliato, anzi, ero serena.
"Devo dire che è un passo da gigante pranzare qui rispetto a quel posto in cui siamo andati in occasione della cena mancata da Sophie's" osservai mentre aspettavamo il nostro pranzo, stranamente per nulla nervosa.
Era come se fossi a casa mia con una persona fidata, non mi sentivo sotto giudizio e nemmeno in ansia.
"Quella sera è stata la prima serata indimenticabile da quando sono qui" osservò lui, imbarazzato. "Ero nervoso, tu non hai fatto altro che farmi capire che volevi farmi cenare con gli altri!" mi rimproverò, seppur affettuosamente.
Ricordando quel giorno - mi sembrava fosse passato un secolo - sorrisi con nostalgia. "No, mi sentivo solo in colpa... Avevi l'opportunità di cenare lì e volevi cenare in un posto a caso con me, non capivo, pensavo fosse dovuto al tuo non volermi deludere in qualche modo visto che sono la Coordinatrice Mediatrice".
"Non volevo deludere me e perdere l'occasione di stare in tua compagnia. Non riuscivo a capirti bene, Ali, eri sempre diversa, presa da tante cose, poi quando ti ho visto affannarti per Nadia e Saverio ho capito chi sei davvero".
"E chi sono...?" chiesi, sarcastica di fronte a quella osservazione un po' presuntuosa, visto che io da ventisei anni a quella parte non mi ero ancora capita.
Maurizio mi guardò, prendendo una mano e stringendola prima di accarezzarla con lentezza e dolcezza.
"Sei la persona che mi crea tanti problemi ultimamente per quanto sono distratto" ammise, mentre io stringevo la sua mano di rimando.
Era una sensazione magnifica stare lì, senza ansia, senza problemi, con un piccolo contatto come quello che mi faceva stare tranquilla e calma come non lo ero da tempo.
"Fortuna che sono il tuo capo, allora" ironizzai, ancora stupita nel definirmi tale.
Tuttavia ero nell'umore tipico di chi si sente a suo agio e pronto a dire qualsiasi cosa, presa dal momento e dalla fiducia nei confronti di chi ha di fronte.
"Sai, io non pensavo saremmo arrivati a questo punto. Cioè, non siamo da nessuna parte, solo, insomma, ci siamo avvicinati molto ultimamente, no?" chiesi conferma, cercando di non fare una figuraccia.
Maurizio annuì.
"Quindi... Insomma, ti chiedo solo di dirmi tutto perché è evidente che ci troviamo bene e sarebbe un peccato perderci di vista" continuai, sentendo improvvisamente caldo, quasi da avere le mani sudate e ondate di calore che si diramavano a partire dal mio volto probabilmente rossissimo.
"Alice, io non voglio perderti di vista, non so spiegarlo... Non voglio dire cose scontate ma tu mi capisci e mi fai stare bene, le ore con te volano" rispose subito, prima di alzarsi e stringermi brevemente a sé.
Ricambiai la stretta, un po' imbarazzata.
"E' successo tutto così in fretta..." riflettei, perdendomi nel suo sguardo celato dagli onnipresenti occhiali che gli conferivano un'aria da nerd.
"Non sai quanto ho faticato per controllarmi e non provarci la sera del tuo compleanno, il vino per fortuna mi ha scoraggiato".
"No, Maurizio, semplicemente sapevi la situazione e sei stato corretto con me, non lo dimenticherò. Sei un gentiluomo. E non credere che io sia il tipo di persona che dimentica qualcuno in poco tempo, non è da me, ma...".
"Ti vedo diversa" mi interruppe, scusandosi con un gesto della mano. "Venti giorni fa non eri così, si vedeva lontano un miglio che avevi un macigno sul cuore, poi, dopo che è venuta Nadia, mi sei sembrata più tranquilla".
"Sì. Voglio essere felice, tutto qui" ammisi, seppur sussurrando, come se fosse una richiesta oscena.
Ci sorridemmo e finalmente il nostro pranzo fu servito, così mangiammo riuscendo finalmente a distrarci un po' e a parlare con più tranquillità per poi uscire a fare una passeggiata.
Ero leggera come un palloncino, Galway mi sembrava mia, pronta a sorridermi e a rendermi felice, tanto che in un momento di spensieratezza non ci pensai due volte e afferrai la mano del mediatore.
Sorpreso ma di certo non offeso, lui si fermò e intrecciò le mie dita alle sue, con calma, prima di indicare il mare di fronte a noi.
Eravamo arrivati in una zona abbastanza vicino al centro in cui si poteva proprio vedere il mare attraverso una zona a strapiombo, ci sedemmo e fu con felicità che avvertii il suo busto dietro di me: si era seduto e mi stava stringendo a sé, lasciandomi un bacio tra i capelli.
"Voglio restare sempre così. Insomma, non si può essere più felici di così, non credi?" chiesi retorica, voltandomi e ritrovandomi il suo volto a pochi centimetri dal mio.
Si stava alzando un po' di vento ma non ce ne importava, eravamo pronti a tutti così, abbracciati, contro chiunque.
"Potremmo esserlo. Io e te, in giro per Milano, mentre attendiamo la nostra fila per mangiare in quel nuovo ristorante che ha appena aperto e poi, in perfetto nostro stile, molliamo tutto per un hamburger mangiato mentre guardiamo i Navigli... Non ti piacerebbe?" propose, allietato anche solo dall'immagine di quel pensiero felice mentre giocherellava con una ciocca dei miei capelli.
Per tutta risposta lo strinsi a me, con la testa contro il suo petto e lui che mi accarezzava la schiena con dolcezza, come se non facesse altro da una vita.
Avevo paura invece di godermi il momento e provare semplicemente ad essere felice perché se ero stata male per uno per cui ero sempre stata indecisa e dubbiosa, non osavo immaginare il ritorno alla realtà dopo aver passato tanto tempo con una persona chiara, dolce e premurosa che mi non mi aveva fatto mettere nulla in discussione.
"Se ci sei tu mi piace tutto. Riesci a farmi sentire.... Non te lo so descrivere, vorrei solo che non finisse mai" risposi, infischiandomene di applicare filtri o di recitare un ruolo.
Quel ragazzo mi aveva vista struccata, in pigiama, addormentata, triste, scazzata, allegra, impegnata, dubbiosa, tutto in poco più di due settimane, che senso aveva fingermi una persona impostata in un modo che non mi apparteneva?
Per tutta risposta, Maurizio mi strinse forte a sé.
Non so come ma ci ritrovammo stesi sull'erba, abbracciati, io con la testa appoggiata sul suo petto e lui che giocherellava con le nostre mani intrecciate.
"Mi sento felice" rivelò, prima di aumentare la presa ancora di più e facendomi beare della sensazione di tranquillità e affetto che mi stava circondando.
Non risposi perché ero in una situazione in cui avrei potuto cacciare fuori un fiume di parole e volevo evitare di fare la figura della logorroica, per questo mi limitai ad alzare lo sguardo e a lasciare che mi baciasse dolcemente, sentendo un moto di calore nei pressi dello stomaco quando vidi che mi guardava con tenerezza prima di calarsi su di me.
Sapevo di volere di più da lui, non potevo negarlo, ma volevo controllarmi e restare lucida per poi agire quando il momento sarebbe stato un po' più opportuno, senza rischi di eventuali e ulteriori delusioni.
Certo, starmene stesa su un prato con lui che mi sovrastava non mi aiutava - quando avvertii la sua presa su un fianco pregai internamente che continuasse con il suo tocco gentile ma deciso - ma cercavo di fare il possibile per restare lucida.
Ci guardavamo, lui un po' stranito nel vedermi da un'altra prospettiva, io divertita e dilettata da quel pomeriggio fuori dal comune, ma non osò spingersi oltre se non continuando a baciarmi e a stringermi a sé.
L'orario di ritrovo con il resto delle persone venne troppo velocemente e a malincuore andammo al punto di ritrovo, dove trovammo un Saverio spazientito e non proprio di buonumore.
Ritornare alla realtà in cui non cercavo la mano di Maurizio per stringerla a me fu un po' strano ma mi concentrai sul mio amico per distrarmi.
Mentre i group leader si sforzavano di ripescare tutti i ragazzi in giro per Galway, io mi avvicinai al coordinatore.
"Hai una faccia..." sussurrai, incredula nel vederlo così.
Saverio accese una sigaretta che di sicuro era una delle tante fumate quel giorno e annuì, aspirando il fumo e poi gettandolo via con un gesto liberatorio.
"Quella Alba io l'ammazzo prima del tempo, non ce la faccio, è una piaga! Non conosce la privacy, mi ha seguito fuori al pub mentre parlavo con Nadia, nella sua testolina bacata era divertente farmi dei video! Si stava facendo beccare a bere birra dai ragazzi, poi parla sempre, sempre, non ne posso più! Quelli delle risorse umane quest'anno me l'hanno fatta grossa" sbottò, battendo un pugno per terra per la frustrazione. "E Toni? Un pesce lesso, non serve a nulla, guarda il vuoto, sta nel suo mondo... La dottoressa! Oh, la cara dottoressa, probabilmente crede di essere il dottor Nowzaradan visto che mi ha detto che bere birra e mangiare patatine a pranzo non fa bene! Ma va, non lo sapevo, ecco a che serve la laurea in medicina!".
Era paonazzo, nervoso al massimo, tanto che per provare a calmarlo gli misi le mani sulle spalle dato che non smetteva di muoversi in maniera forsennata.
"Calma. Sei stanco e vedi tutto nero, devi calmarti, mancano ancora dieci giorni, capisci?".
Mi aspettavo mille reazioni ma non di certo quella in cui sbuffava e si allontanava senza dirmi nulla, come se avessi detto qualcosa di insensato.
Alzai gli occhi al cielo e quando mi voltai vidi Mario che mi guardava con aria comprensiva, come a dirmi che ci aveva provato a sua volta ma la cosa non era andata come voleva lui.
Non aggiunsi altro, semplicemente mi accomodai su una panchina vuota in attesa dell'arrivo del pullman e osservai le dinamiche del nuovo gruppo.
"Ma vi siete perse ragazzeeee? Aspettate che alla prossima gita mi perdo con voi" stava urlando Alba, felice come se avesse ricevuto una botta in testa che le aveva cancellato tutti i pensieri negativi.
Scossi il capo, immaginandola in gruppo con Luca e quel Clemente e iniziai a capire il perché dell'esperienza negativa del mio ex.
Il malumore di Saverio si trascinò anche in riunione visto che disse l'essenziale e ci congedò subito.
"Non l'ho mai visto così, dovresti parlargli" suggerì Maurizio, accigliato, mentre eravamo sulla soglia della porta.
Annuii per poi sorridergli. "Caffè da me, domani?" proposi.
Maurizio mi fece cenno di guardarmi alla mia destra e notai Alba che ci guardava, per poi fingere di essere interessata a qualche altra cosa.
Onestamente non me ne fregava nulla, erano passati i tempi in cui nascondevo ciò che provavo e pur essendo discreta non volevo sbagliare come in passato, quindi scrollai le spalle.
Maurizio parve comprendere ed annuì, facendomi un occhiolino prima di andarsene verso la sua stanza mentre io rientravo in ufficio e fingevo di dare una mano a sistemare dei documenti.
Piano piano, i fumatori scesero in cortile per l'ultima sigaretta della giornata, Mario ci salutò insieme a Salvatore e, a ormai mezzanotte, riuscii a restare da sola con il mio amico che continuava a non guardarmi in faccia e la cosa mi dava sui nervi in un modo assurdo perché il suo essere così ostinato a non parlarmi quando eravamo ormai confidenti di vecchia data mi turbava non poco.
Era di spalle, di fronte alla vetrata che dava sulla città persa nel caos della domenica sera.
"Ali, puoi andare, buonanotte" mi congedò rapidamente.
"Io non vado da nessuna parte, voglio capire che succede! Lo sai che con me puoi parlare" gli ricordai pazientemente, avvicinandomi a lui e guardandolo insistentemente.
"Che cazzo, Alice, sei insistente! Posso avere i miei momenti no o dobbiamo per forza giocare a fare i migliori amici sempre e comunque? Sto coordinando questo caos da quasi venti giorni e voglio un momento da solo, in santa pace, senza gente petulante tra i coglioni, intesi?" esclamò, continuando ad ingnorarmi e a non guardarmi in faccia.
Offesa, alzai le mani, indignata.
"Io non ho mai giocato, Saverio, sono felice di sapere che tu lo stai facendo così mi adeguo. Vaffanculo, và" sbottai, prendendo il mio zaino e la mia felpa come una furia e uscendo dall'ufficio, arrabbiata nera per quel comportamento maleducato e rude che non potevo giustificare.
Petulante, io? Petulante?
Corsi al piano terra con furia per scaricare la tensione ma fu inutile, ero senza parole, sorpresa, tanto da fermarmi vicino a Salvatore una volta arrivata in cortile. Se ne stava da solo a fumare e quando mi notò mi fece un cenno.
"Ma che è successo a Saverio?" sbottai, ancora con il fiatone e l'ira che mi scorrevano in corpo.
"Lo sa lui, sta così da oggi..." mi rispose, scrollando le spalle. "'Sto turno fa schifo, Alì, so 'na banda de scemi".
Sospirai e annuii, guardando in lontananza i group leader che ridevano, correvano per il cortile e quasi si menavano per chissà cosa mentre Alba commentava il tutto e li riprendeva con il cellulare.
"Sei un po' scomparsa, ultimamente" aggiunse il group leader, indagatore.
"Sono successe un po' di cose" mi giustificai, evasiva.
Stare lì con Salvatore aveva un effetto calmante al momento perché era il tipo di persona che parlava genuinamente, senza falsi filtri e secondi fini.
"Ho visto come ti guarda il mediatore, ma mi faccio i fatti miei".
"Se ci sono novità ti racconto" promisi, senza negare ma senza nemmeno perdermi in particolari che era poco opportuno condividere.
Poco dopo mi ci volle uno sforzo enorme per andare in camera mia e non passare da Maurizio, provai a rilassarmi con una doccia chilometrica ma non servì a molto perché ero comunque irritata da Saverio e dal ciclo che, puntuale come al solito, aveva deciso di presentarsi nel momento meno opportuno.
Per questo, dolorante, nervosa con i crampi che non mi davano tregua e felice solo davanti alla prospettiva di non avere escursioni il giorno successivo, mi misi a letto e mi addormentai all'istante, esausta.
Il giorno dopo alzarsi fu un'impresa visto che avevo la schiena a pezzi, mal di pancia e mal di testa: stavo vivendo il momento che più temevo da quando avevo visto le date di partenza.
L'anno prima ero stata molto fortunata ma stando un mese fuori quella volta ero costretta a farmi forza e a lavorare, correndo da un posto all'altro, in una situazione che mi rendeva instabile e anche rompiscatole.
Vedendomi con i pantaloni da tuta, i capelli legati in una coda non proprio perfetta, un gigantesco brufolo sul mento e udendo il mio "Ahia" quando presi posto, Maurizio subito comprese.
"Sempre grazie ai numerosi esempi pratici delle mie sorelle penso di sapere che succede. Devo procurarti una borsa d'acqua calda...?" domandò, ironico ma cercando di essere delicato come sempre.
"No, mi basta un caffè" bofonchiai.
"Subito!".
Vederlo all'opera mi fece sorridere, mi guardava mentre preparava la caffettiera e faceva un sorrisino particolare che non gli avevo mai visto dipinto in faccia fino a quel momento.
"Ecco qui" sussurrò pochi minuti dopo, porgendomi il solito bicchiere di carta che sostituiva le nostre amate tazzine.
"Grazie, mio eroe" ironizzai.
"Puoi mandarmi in giro per i vari uffici se ti va, non lo prenderò come un abuso di potere... Vederti così mi fa male al cuore, sono abituato a vederti schizzare per la struttura come se non facessi altro da tutta la vita" aggiunse, accarezzandomi un braccio con premura per poi bere il suo caffé.
"Spero che oggi Jimena e Sandy siano un po' più tranquilli. Sto sognando una spa, te lo giuro, ho il collo tutto teso" mi lamentai, ricordando le richieste assurde dei responsabili degli altri staff di quei giorni.
"Posso farti un massaggio io, se ti va, magari oggi quando i ragazzi avranno dei laboratori".
Inutile dirlo, guardai Maurizio con l'aria di chi non crede alle sue orecchie visto che la sua proposta aveva scatenato in me immagini non proprio caste e tranquille: eccomi, pronta ad avere le sue mani su di me, mentre dalla schiena scendevano sempre più giù...
"Ho detto una stronzata, scusami" si affrettò a dire, scuotendo il capo. "Non sembra una proposta proprio innocente quando ci eravamo promessi altro, non ci ho pensato".
Sembrava davvero imbarazzato, la cosa era davvero divertente perché in quel momento sembrava un ragazzino imbranato e non un adulto ventisettenne, per questo mi sporsi verso di lui e gli accarezzai i capelli con dolcezza, godendomi quel suo sguardo da cucciolo indifeso che tanto mi piaceva.
"Se per te era innocente ci credo, poi non è che sia proprio l'ideale cadere in tentazione visto che ho il ciclo... Vorrei davvero un tuo massaggio, un semplice massaggio" dichiarai.
Sussurravo, era un qualcosa che mi sentivo di dire così, senza urlare, come per farlo restare il nostro piccolo segreto e probabilmente ciò aveva un effetto su Maurizio visto che sospirava un po' più pesantemente.
Stavo pensando all'eventualità di baciarlo quando la porta si aprì di scatto e comparve un Saverio alquanto agitato ma risoluto.
"Buongiorno" esclamò, per poi puntare il dito verso il ragazzo. "Maurizio, devo parlarti. Alice, oggi Maurizio starà con me, mi serve una mano per Belfast, tu pensa al resto".
Basita, fissai quello che credevo un mio grande amico con incredulità, senza parole.
"Cosa? Ora mi togli anche il lavoro...? Posso sapere cosa ti ho fatto?" urlai, senza riuscire a contenermi.
"Niente, Alice, proprio niente. Almeno tu...".
"Cosa?".
"Non ho tempo da perdere, Maurizio, nel mio ufficio alle nove".
Rapido come era venuto, il coordinatore se ne andò e ci lasciò di nuovo soli con un'atmosfera totalmente opposta alla precedente e una scia di domande che mi frullavano in testa e che non avevano risposta.
*°*°*°*
Buonasera!
Eccomi con il capitolo che apre la parte "clou" e "finale" di questa seconda parte.
Alice e Maurizio si sono avvicinati parecchio ma Saverio inizia a comportarsi in maniera strana. Cosa sarà successo?
Vi avviso che mancano pochissimi capitoli alla fine, solo tre più epilogo.
Fatemi sapere le vostre opinioni se vi va, vedo che purtoppo ci sono molti lettori silenziosi ma sono felice di vedere i numeri dei preferiti aumentare. Grazie!
Eccovi qualche spoiler come al solito:
La rabbia per quei giorni di stress e solitudine si faceva sentire ed io non ne potevo più, onestamente, perché mi ero risvegliata dopo un'apparente salto di qualità in cui la mia vita finalmente sembrava essere meno cupa e seriosa.
"Sì, sono un cafone e anche bugiardo, ecco perché devi lasciarmi spiegare tutto".


"Non ho parlato di amore" mi corresse, severo. "Non siamo in una fiaba, qui esistono persone che capiscono di essere legate da qualcosa e il resto si vedrà".
"Il mio "resto" fa sempre schifo, ma non c'è problema, il problema qui non è Maurizio, sono io che per l'ennesima volta ho pensato come una stupida che qualcosa potesse cambiare" ribattei subito, piccata e arrabbiata per passare sempre per quella che crede nelle favole.


"Alice, non ce la faccio a vederti così" mormorò, sincero.
"Così come? Sto bene" minimizzai.


A presto!
Milly.






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Capitolo 28
*** Days 19-24: From Belfast with bad news ***


Days 19-24: From Belfast with bad news
Capitolo 13
Days 19-24: From Belfast with bad news
Senza sapere come, mi ritrovai in una realtà dei fatti in cui Salvatore era l'unica persona sempre presente al mio fianco, a partire dal lunedì in cui Saverio aveva chiesto a Maurizio di andare nel suo ufficio.
Fu un cambiamento strano, assurdo, che non mi piacque affatto visto che improvvisamente mi sembrò di essere esclusa da non so quale segreto che non poteva essermi detto da nessuno.
Mario stesso, in primis, mi evitava come la peste e certe volte aveva addirittura attaccato bottone con Alba pur di non parlarmi e la cosa ovviamente mi turbò non poco.
Maurizio divenne una sorta di fantasma sempre impegnato, a stento rispondeva ai miei messaggi e passava la vita dietro a Saverio mentre io perdevo ore ed ore dietro ai capricci di Jimena e Sandy rispetto al primo turno, probabilmente a causa di qualche recensione negativa di qualche genitore.
Passavo le mie giornate in ufficio, con Salvatore che veniva a trovarmi senza sapere nulla - almeno da parte mia - della mia situazione, sembrava essere felice di stare lì e fare due chiacchiere, probabilmente a causa del suo iniziare ad essere davvero stanco dopo più di venti giorni di lavoro e del suo non riuscire a tollerare elementi del nuovo staff come quella chiacchierona instancabile di Alba.
Per questo, dopo una settimana strana, in cui ero davvero paonazza e frustrata, ritrovarmi a Belfast nella mia camera singola non fu proprio un piacere, considerando che Alba era proprio nella camera di fronte alla mia e potevo sentire i suoi toni soavi a qualsiasi ora. 
Parlava sempre, continuamente, quando non lavorava mandava diecimila messaggi vocali agli abitanti di mezzo globo terrestre e se non parlava, ovviamente, ascoltava musica e cantava.
Dopo un'ora passata di fronte a lei ero già esausta.
"Voi uscite, io sto qui e mi sbrigo la questione dei biglietti del cinema per lunedì, giusto?" chiesi telegraficamente un paio d'ore dopo l'arrivo a Saverio, il quale stava pranzando con una calma disturbante che mi dava ai nervi.
L'hotel era il solito di due settimane prima ma di certo io non ero più la stessa, messa alla prova dalla settimana più stramba tra tutte quelle vissute in vacanza studio dall'anno prima.
Era assurdo ritrovarsi ogni giorno a pranzo e cena con gente che non parlava e gente che diceva stupidaggini ogni tre secondi, per non parlare della dottoressa che aveva il cattivo vizio di ricordarti telegraficamente tutti i tuoi pasti precedenti e darti la sua non richiesta opinione.
Dal canto mio, iniziavo a fare il conto alla rovescia e non vedevo l'ora di tornare a Roma: che senso aveva stare lì, lavorare come un mulo senza il conforto di un gruppo di colleghi uniti, senza avere la consolazione dei miei amici e della persona che mi interessava al momento?
Ovviamente, anche Nadia era più evasiva che mai e la cosa mi dava ai nervi perché era davvero tutto molto sospetto e non sapevo che pensare.
"Esatto. Ci vediamo a cena" rispose Saverio, tornando al suo pranzo come se nulla fosse e senza nemmeno guardarmi in faccia.
"Poi mi dirai cosa ti ho fatto perché non tollero il tuo atteggiamento, davvero mi hai deluso, è da Galway che ti comporti così" sbottai minacciosa, prima di dargli le spalle e andarmene al mio tavolo dato che gli altri stavano arrivando.
Quando presi posto notai che Saverio se ne stava immobile, immerso in chissà quale pensieri, ed io cercai di non lasciarmi persuadere dalla solita ondata di rabbia che mi pervadeva ogni volta che lo provocavo per avere una risposta che puntualmente non arrivava.
Per questo, scazzata, mangiai rapidamente e me ne andai in camera a svolgere il mio lavoro, decisa come ero a finire presto per farmi un pisolino e per dimenticare tutto e tutti almeno momentaneamente.


"Ciao, Alice".
Persa nei miei pensieri com'ero, mi parve assurdo sentire la voce di Maurizio che mi stava salutando.
Mi girai di scatto eppure lo vidi lì, alle mie spalle, avvolto dalle tenebre che travolgevano la terrazza dell'hotel in cui mi ero rifugiata per sfuggire alle urla di Alba mentre faceva la ronda più caciara della storia.
"Ciao" risposi, voltandomi di nuovo verso il paesaggio di fronte a me e stringendomi ulteriormente nel plaid che mi stava dando calore in quel freddo sabato di fine luglio.
"Posso...?" chiese pacatamente, avvicinandosi e indicando la parte di pavimento al mio fianco.
"Se non ti fa più schifo starmi vicino, certo" lo beffeggiai, ferita come non mai per il suo atteggiamento.
Ricordare tutte le volte in cui mi ero avvicinata a lui dopo la promessa del massaggio ed ero stata puntualmente liquidata non era proprio confortante per me, infatti due giorni dopo avevo smesso anche solo di provarci.
Sentendo la mia frecciatina Maurizio sospirò pesantemente e, suo malgrado, mi guardò negli occhi.
"Non mi potrebbe mai fare schifo starti vicino, Alice, l'unico che qui fa schifo sono io. Ti devo delle spiegazioni, se me lo concedi" mi supplicò, appoggiando la mano sulla mia gamba, come per impedirmi di andare via.
"No, non ti concedo niente, come tu non mi hai concesso due chiacchiere in questi giorni. Sei stato un vero cafone".
La rabbia per quei giorni di stress e solitudine si faceva sentire ed io non ne potevo più, onestamente, perché mi ero risvegliata dopo un apparente salto di qualità in cui la mia vita finalmente sembrava essere meno cupa e seriosa.
"Sì, sono un cafone e anche bugiardo, ecco perché devi lasciarmi spiegare tutto".
Maurizio non sembrava affatto convincente, anzi, aveva l'aria di chi è combattuto e deve fare qualcosa solo perché deve.
"Se mi fai parlare saprai anche perché Saverio è strano con te" aggiunse pacatamente, sapendo di toccare un nervo scoperto che probabilmente mi avrebbe fatto cambiare idea.
Lo fissai di sottecchi, scettica come poche volte.
"E che c'entra, scusa?" chiesi.
"C'entra perché lui non vuole che tu soffra e ha scoperto una cosa che ho omesso...".
Il mio atteggiamento cambiò repentinamente mentre udivo quella risposta inaspettata, tanto che mi voltai verso di lui, incredula.
"Mi prendi in giro...?" chiesi. 
Maurizio non era il tipo di ragazzo che ometteva qualcosa, era una persona fin troppo trasparente e sincera anche se ultimamente mi aveva ferito e non poco.
"No, fidati, anche se lui crede così".
L'atmosfera cambiò repentinamente, ero decisa a scoprire le ragioni che si celavano dietro il suo comportamento e sapere che cosa era successo a Saverio, capire il perché del suo comportamento assurdo, erano delle ragioni sufficienti per ascoltare Maurizio.
"Dimmi" lo incitai quindi, seppur mesta perché quelle parole non lasciavano presagire nulla di buono.
Il mediatore sembrò colpito da quella affermazione, mi sembrava quasi che avesse preferito un rifiuto dato che aprire bocca gli costò molto.
Si avvicinò ancora di più a me e, cautamente, mi accarezzò il viso.
"Non avrei mai detto di interessarmi a qualcuno qui, in questo contesto. L'anno scorso è stato tutto così assurdo e pieno di gente matta da legare che sono tornato a casa felice del fatto che tutto fosse finito. Ero tranquillo, deciso a pensare solo alle mie cose, poi sei spuntata tu. Nella mia mente la Mediatrice Coordinatrice era una donna molto più grande di me, magari antipatica... Mi hai colpito da quando hai risposto male ad Amanda il primo giorno, Alice. In poche ore hai avuto il coraggio di fare qualcosa che io non ero stato in grado di fare in due settimane! Quando ci siamo avvicinati ero così preso da tutto che... Beh, ho quasi messo in un cassetto il fatto di... Dover partire per l'Argentina, per il dottorato, tra meno di un mese. Tornerò a fine gennaio".
Il suo racconto era stato prima cauto, dolce, poi improvvisamente più pieno di pause ed esitazioni.
Mi stringeva le mani convulsamente, probabilmente timoroso del fatto che io potessi alzarmi di scatto e fuggirmene all'improvviso, invece io ero lì, immobile, incapace di emettere alcun suono.
Quelle parole mi avevano colpito come un cuscino che sembra leggero come una piuma e che poi, all'improvviso, una volta acquisita la velocità, ti colpisce così forte da farti cadere.
Vedendo il mio silenzio, continuò a parlare, un po' più animato dalla mancanza di reazioni negative da parte mia.
"Mi sono fregato da solo, con Saverio. Sai che dobbiamo consegnare i nostri curricula... Per caso si è ritrovato a vedere il mio e ha letto che avevo già messo l'esperienza semestrale in Argentina. Ha voluto sapere spiegazioni e mi ha fatto una partaccia, mi ha chiamato deficiente perché mi sono avvicinato a te pur sapendo di dover star via metà anno e mi ha detto che avevo tempo fino a domani per parlartene, altrimenti te lo avrebbe detto lui. Ecco perché ti stava lontano, ti è amico e non tollera omettere delle cose...".
Più Maurizio parlava, più io tacevo.
Avrei voluto dire tante cose, dirgli che avrebbe dovuto parlare prima, dirmelo, non tenerselo per sé mentre parlavamo di vederci dopo l'esperienza lavorativa...
"Va bene, divertiti in Argentina" dissi semplicemente, più passiva-aggressiva che mai.
Gli lanciai la coperta addosso e mi alzai, diretta con finta aria fiera verso l'uscita perché di parlare, urlare e arrabbiarmi non ne avevo voglia, avevo già dato fin troppo negli ultimi mesi.
"Alice, ti prego, dimmi qualcosa, io voglio parlarne con te, trovare un modo...".
Più lui parlava, più io mi allontanavo, sentendo una grande rabbia mista a delusione montare dentro di me.
Mi imposi di non reagire e di non farmi vedere turbata mentre scendevo ai piani inferiori, diretta nemmeno io sapevo dove.
Sentivo le voci dei miei colleghi che chiacchieravano mentre facevano la ronda in modo ovattato, come se fossero anni luce lontani da me.
Eppure, la risposta del mio vagabondare la seppi quando bussai alla stanza 212 e un Saverio come al solito avvolto in tuta e felpa mi aprì la porta, cambiando espressione in maniera notevole appena capì che ero io e che non sembravo proprio allegra.
Non dovevo dire nulla perché lui, vedendomi con gli occhi lucidi e l'espressione distrutta, comprese tutto al volo e mi fece entrare rapidamente, chiudendo con cautela la porta alle mie spalle.
"Perché, perché tutte a me?" urlai, stridula, senza potermi più contenere.
Ero di fronte a chi mi conosceva e mi voleva bene, oltre ad una persona che mi aveva sostenuto sempre nei numerosi momenti negativi dell'ultimo anno.
Caloroso come poche volte da quando lo conoscevo, Saverio mi guardò con comprensione e mi avvolse a sé con le sue braccia, accarezzandomi la testa con dolcezza, come un padre premuroso.
Leggevo nei suoi occhi un velo di scuse, come se fosse anche lui colpevole di qualcosa. Aspettò che dicessi altro ma poi, quando ciò non avvenne, si schiarì la voce come per prepararsi a parlare.
"Alice, scusami, scusami per tutto ma tenermi tutto dentro è stata dura... Fidati, posso capire, ci sono rimasto male io appena l'ho scoperto! Doveva dirtelo subito, dal principio, non è giusto...".
"Perché non posso mai essere felice, perché? Il destino mi prende in giro, l'anno scorso ero io quella che doveva andarsene e ora...".
Non riuscii a placarmi e iniziai a singhiozzare pesantemente, ritrovandomi non so come seduta sul letto di Saverio, stretta a lui che mi faceva da cuscino e da roccia.
"Doveva dirmelo! Doveva! Mi sarei distaccata subito, ora... E' la presa in giro che mi urta, capisci?" mi lamentai, scossa come poche volte nella mia vita.
"Lo so, lo so. Ecco cosa gli ho detto, le stesse identiche parole e lui era mortificato!".
"Mortificato un corno...".
In quel momento compresi che il nostro corpo poteva riuscire a tollerare solo una dose di delusione ed amarezza all'anno visto che io non riuscivo più a contenerne, sentivo una sorta di malessere che conoscevo già e la cosa non mi piaceva perché sapevo anche come mi sarei sentita in seguito.
"Era tutto troppo tranquillo per essere normale" aggiunsi, provando a mettermi a sedere e tirando su con il naso, dando uno spettacolo non proprio carino. "Sono stata bene, non avevo pressioni, doveva esserci qualche fregatura. Con quale faccia tosta parlava di eventuali uscite a Milano!" sbottai, scuotendo il capo con rabbia.
Saverio mi passò un pacco di fazzoletti che aveva sul comodino e poi esitò, con la faccia di chi non sa bene come esprimere un pensiero.
"Però, Alice, non devi vederla così. Ha sbagliato nel non dirlo ma se davvero ne vale la pena sei mesi passano in fretta" mi fece ragionare, cauto come poche volte da quando lo conoscevo. "Le situazioni ideali e perfette da film non esistono, se ne vale la pena bisogna lottare".
"Sono stufa di lottare" sottolineai, "Sei stato fortunato, hai aspettato solo due settimane per rivedere Nadia, l'anno scorso. E poi non ne facciamo un caso di stato, Maurizio è carino ma non merita altre attenzioni".
"Eppure ci stai di merda, Ali. Pensaci, con calma...".
Mi alzai e mi avvicinai alla finestra da cui potevo vedere un piccolo giardino e il cielo un po' nuvoloso di quella fredda sera d'estate che mi stava segnando come non mai, nervosa al massimo.
"Ha aspettato una settimana, mi ha ignorato, cosa devo pensare?".
"Che preferiva non parlarti piuttosto che deluderti. Si è confidato con me, Alice, e ti posso assicurare che sei nei suoi pensieri come una persona importante, non sai quante volte l'ho beccato a guardare le vostre foto e non sai quante volte ha passato ore intere a parlarmi di te. Si sente uno schifo e ha addiritura cercato dei voli nel mezzo dei sei mesi per venire in Italia ma costano quanto un rene, lo sai?".
"Saverio... E' tutta apparenza" mormorai, affranta. Smisi di dargli le spalle e lo guardai a stento, intimorita dal suo sguardo su di me perché sapevo che mi conosceva bene. "L'amore non esiste, qui, tu e Nadia siete l'eccezione".
"Non ho parlato di amore" mi corresse, severo. "Non siamo in una fiaba, qui esistono persone che capiscono di essere legate da qualcosa e il resto si vedrà".
"Il mio "resto" fa sempre schifo, ma non c'è problema, il problema qui non è Maurizio, sono io che per l'ennesima volta ho pensato come una stupida che qualcosa potesse cambiare" ribattei subito, piccata e arrabbiata per passare sempre per quella che crede nelle favole.
Paziente come poche volte lo era stato, Saverio mi si avvicinò, posando una mano sulla mia spalla, senza distogliere lo sguardo dal mio.
"Ora ti devi calmare, Alice, sono sicuro che a breve potrai avere una prospettiva sulla questione. Capisci perché mi sono comportato così? Pensa se vi foste comportati normalmente, il peso di un'altra settimana passata in sintonia sarebbe stato asfissiante".
Annuii, mesta.
"Penso che andrò in camera mia e ti prego, dì ad Alba di fare la ronda lontano dalla mia camera che è insopportabile" sbottai, esausta.
Saverio annuii e mi accompagnò alla porta, riabbracciandomi ancora una volta. "Nadia è stata silenziosa a causa mia, scusaci" soffiò nel mio orecchio, accarezzando una spalla.
Feci un gesto indecifrabile e lo strinsi a mia volta prima di uscire e provare a sorridergli, seppur con poco successo.
Optai per le scale, dovevo scendere solo due piani, immersa nei miei pensieri com'ero a stento notai che fuori la mia porta, seduto come se stesse facendo l'elemosina, c'era proprio Maurizio.
Sbuffai sonoramente e alzai gli occhi al cielo, sentendo che non ero pronta ad avere una discussione in quel momento così funesto per me.
Aveva i capelli un po' appiattiti, probabilmente a causa dell'umidità che c'era fuori al terrazzo, lo sguardo dispiaciuto e l'aria di chi farebbe di tutto pur di farsi perdonare.
"Alice, per favore, parliamone" mi implorò, alzandosi appena mi vide all'ingresso del corridoio e correndomi incontro con urgenza, come se da ciò dipendesse l'esito della sua vita.
"Non c'è niente da dire, Maurizio" risposi.
Mi avvicinai alla porta e presi la tessera per entrare ma lui, come se nulla fosse, mi strinse a sé afferrandomi la vita da dietro mentre io per tutta risposta lo strattonavo e mi allontanavo.
"Senti, non è successo niente, non è che devi giurarmi fedeltà eterna per due bacetti, vai in Argentina e fai le tue cose come io le farò a Milano, tutto qui" lo sminuii, aprendo la porta e sorpassando la soglia rapidamente. "Ti auguro una buona notte, ora sì che puoi fare sogni tranquilli".
Senza premurarmi di essere carina o gentile gli sbattei la porta in faccia e mi affrettai a correre sotto la doccia per non avere tentazioni e riaprirla per provare a sentire le sue ragioni.
In quel momento volevo sentire solo le mie ragioni e volevo avere il diritto di sentirmi triste senza avere nessuno tra le scatole.


"Troppo figa la ronda stanotte, ho pescato due che stavano per entrare nella camera di due ragazze, io mi sono nascosta e quando quelle hanno aperto la porta ho urlato "Boom!" , capite? Che sfizio, raga, che sfizio!".
La tentazione di zittire Alba gettandole del thé caldo addosso era molto forte visto che continuavo a non essere di buonumore e avevo un mal di testa pazzesco, anche se per fortuna il solo scambiare uno sguardo con il povero Salvatore che non ne poteva più mi diede un pizzico di buonumore.
"Alba, e te stai zitta? So' undici giorni che non chiudi quella bocca, della tua ronda non ce ne frega un cazzo, io ieri ho stoppato un festino in piena regola ma mica ve lo vengo a dì! So' le sette e trenta di domenica mattina, abbi pietà di noi!" esclamò, non potendone più, quando la ragazza iniziò a fare un vero e proprio elenco dei momenti indimenticabili - secondo il suo giudizio - della sera prima.
"Oh, ma che cazzo dici? Io parlerò tanto, ma tu non parli proprio" si difese Alba, alzando ulteriormente il tono in un modo da far quasi impallidire i presenti.
"Quindi se parlo ora un motivo ce sarà!".
"Ragazzi, calma, calma!".
Saverio intervenne, incredulo per quel battibecco, anche se evidentemente gli costava molto stare in una zona neutrale e non schierarsi con Salvatore.
"Rispetto, e che diamine!" esclamò, in un modo così teatrale che mi rese impossibile essere seria, tanto che mi alzai e mi finsi interessata a chissà cosa per non far vedere che stavo ridacchiando.
"Alice, a proposito, vieni qui" mi richiamò all'attenzione Saverio, con un tono totalmente diverso da quello appena usato.
"Sì?" chiesi.
"Solita storia, non mi fido molto di Toni quindi, per favore, puoi restare qui e sbrigare delle faccende burocratiche per me? Sai quante scartoffie ci sono alla fine di ogni turno e sono con l'acqua alla gola, siamo indietro con i verbali delle riunioni, dovresti prendere quelli delle settimane scorse e adattarli ai contenuti attuali, che dici?".
Sembrava nervoso all'idea di chiedermi ciò ma non capiva che mi faceva un favore visto che così facendo potevo starmene per conto mio senza rompiscatole tra i piedi.
"No problem, inizio subito!" esclamai, allettata dall'idea di finire presto e avere qualche oretta di sonno da fare prima della partenza.
"Sei un angelo, Alice" rispose lui, più gentile del dovuto, tanto da sorridermi.
Lo sapevo perché lo faceva ma la cosa non mi aiutava visto che sentirmi compatita era ancora peggio che essere indifferente, ma cercai di non badarci.


Alle undici e trenta avevo finito di sistemare i documenti e mi ero dedicata alla solita doccia super calda e rilassante con tanto di karaoke pazzo e sfrenato, solita cosa che tendevo a fare quando stavo affrontando un momento no.
Ebbi a stento il tempo di vestirmi che sentii qualcuno alla porta bussare e dire "Room Service!".
Sorpresa, aprii la porta e mi ritrovai Maurizio di fronte che sorrideva, imbarazzato, mentre reggeva una rosa in mia direzione.
"Le rose non si mangiano, al mio paese, e nemmeno a Belfast. Si mettono in bocca in Argentina per ballare il tango, al massimo" lo apostrofai, decisissima a chiudergli la porta in faccia.
Era rimasto anche lui in hotel? Possibile ?
Come se mi avesse letto nel pensiero scosse il capo, ostinandosi a sorridere.
"Ho appena finito, eravamo in centro e Saverio mi ha autorizzato a tornare prima. Alice, per favore, fammi entrare" mi supplicò. Aveva sorriso per la mia frecciatina con l'aria di chi sa di essere nel torto e vuole fare di tutto per rimediare.
Mise un piede tra la porta e lo stipite per impedirmi di chiuderla e fece un balzo in avanti per entrare per poi porgermi la rosa.
"Non era meditato, giuro. L'ho vista in un giardino e l'ho presa, mi sono anche punto, su, solo per questo dovresti accettarla!" spiegò, guardandomi con quelli che definirei occhi da cucciolo indifeso.
Sbuffai, presi la rosa e lo guardai con aria di presa in giro.
"Soddisfatto?".
"No, certo che no. Sai da quanto tempo sono diviso tra due fuochi?" domandò retorico, incrociando le braccia e fissandomi con aria seria.
"Non mi interessa!" risposi.
"Ti interessa perché ti prendi la briga di allontanarti da me per dimostrarmi qualcosa, non sei indifferente nei confronti di questa situazione, Alice".
"Non sono indifferente alle prese in giro, sì, mi urtano non poco" ribattei, puntandogli l'indice contro a mia volta con aria seria, fin troppa, onestamente.
Cosa voleva fare? Chiedere ancora scusa? A che pro? Le sue scuse non mi servivano a nulla, con le sue scuse non ci avrei fatto nulla di concreto per andare avanti nella mia vita.
"Non è una presa in giro" si difese, sospirando. "Una presa in giro prevede meditazione, organizzazione... Io non ho previsto di essere preso da te, Alice, eppure è successo. Un giorno andava tutto bene, l'altro mi sono ritrovato a difendere una sconosciuta senza nemmeno sapere perché, una sconosciuta che dopo cinque giorni ha finalmente deciso di sorridere, gettare la maschera di persona incazzata col mondo e mostrarmi tutta la sua bellezza nell'attuare piani che avrebbero avuto luogo tra Dublino e Milano. Mi hai conquistato, ho fatto il possibile per fare l'indifferente ma non ce l'ho fatta! Io... Mi hai preso alla sprovvista! Non era meditato, nella mia testa dovevo venire qui, lavorare, tornare a casa, fare i bagagli e ripartire! Tutto doveva andare secondi piani, capisci? Io adoro pianificare tutto, lo ricordi? Sono quello che ti tiene in ordine il planner! Eppure a causa tua ho dimenticato di inserire una riunione, una volta, ed ora sta succedendo la stessa cosa nella mia vita... Tu sei quella riunione che non ho inserito in agenda ma a cui non posso mancare!".
Parlando, si avvicinò a me e mi prese il volto tra le mani con forza e decisione, in un modo che non gli avevo mai visto usare prima d'ora.
Per me lui era pacato, misurato nei gesti, deciso in modo razionale, non era il tipo che fa una cosa perché vuole e lo ha deciso sul momento, quindi quel gesto mi sorprese non poco ma mi riportò al tempo stesso indietro di una settimana, a quando ci eravamo ritrovati a stretto contatto per l'ultima volta.
Mi baciò con trasporto, continuando a stringere il mio volto tra le mani come per impedirmi di fuggire via, cosa che non avevo intenzione di fare in nessun modo: tutta la mia decisione era scomparsa nel momento in cui aveva parlato, anche se mi sentivo una stupida che si lascia rabbonire dalle prime parole carine che un ragazzo le dice.
Ero stata stupida e cieca per mesi, che senso aveva quel minuto in più?
Lo strinsi a me mentre lasciavo che approfondisse il bacio, accarezzandomi il volto e facendomi trovare seduta sul letto.
Si chinò su di me e quando si separò mi abbracciò con slancio, respirando profondamente tra i miei capelli.
"Io non sono come mi vedi" sussurrò al mio orecchio, con un tono quasi risentito.
Non dissi nulla, mi limitai a guardarlo con aria interrogativa.
"Io sono... Sono abituato a pensare solo per me, ad agire per il mio bene, vivo da solo da quando ho iniziato l'univeristà, pensare solo a me mi fa comodo e quando ho saputo dell'Argentina sono stato al settimo cielo, tanto i miei sono abituati ad avermi lontano e non avevo altre persone a cui pensare. Ora... Ora sento che partirò con un peso sullo stomaco" rivelò, passandosi una mano tra i capelli e sedendosi al mio fianco.
"Nessun peso, Maurizio, davvero... Usciremo da qui e in breve avremo rimosso come ci sentiamo ora, questo è l'effetto vacanza-studio, lo stesso che capita ai ragazzi che sono qui con noi".
Non ci credevo, onestamente, ma volevo fare la parte della dura che sa gestire la situazione.
"Non abbiamo sedici anni, Alice. Io so che vale la pena vederci, frequentarci...".
"Come Saverio e Nadia?" lo presi in giro, scuotendo il capo.
"Certo!".
"Ma per favore!".
Mi misi il capo tra le mani, esausta da tutte quelle parole che non ci avrebbero condotto da nessuna parte.
Il pensiero di paragonarci a Nadia e Saverio era assurdo e ci tenevo a specificarlo: era assurdo perché nessuno poteva eguagliarli, nessuno aveva lo spirito di sacrificio che avevano avuto loro e, soprattutto, nella mia visione dei fatti un amore così era davvero raro e io non mi sentivo di avere quella fortuna nel trovarne e viverne uno simile.
"Non voglio lasciarti andare" mi supplicò, accarezzandomi una ciocca di capelli con dolcezza.
"Io voglio qualcuno che sia presente, Maurizio, non voglio vivere di nuovo l'incubo di essere distante...".
"La lontananza è una cosa, Alice, la distanza ne è un'altra. Io sento che pur stando in un altro continente continuerei a sentirti vicina. Sei mesi passano in fretta, davvero, restiamo in contatto, proviamoci... Non ci costa nulla".
Scossi il capo, non convinta da quelle parole seppur così dolci. Dire una cosa era diverso dal metterlo in pratica ed io ero davvero spaventata dal fidarmi di qualcuno che a breve avrebbe vissuto altre avventure e nel giro di poco sarebbe scomparso.
Sarebbe stato umiliante, non volevo sentirmi di nuovo come l'eroina che ci prova e poi resta a mani vuote e con la testa piena di pensieri e problemi.
"Mi costa. Sei tanto dolce ma... Non lo so, forse sto dando troppa importanza a tutto come al solito, solo che davvero sono stata bene con te pur conoscendoti poco e temo di restare a fissare il telefono in attesa di una videochiamata che non arriverà mai" ammisi, non trovando il coraggio di guardarlo negli occhi.
Maurizio si lasciò scappare un sorrisino ironico e mi prese una mano tra le sue.
"Alice, parli come se qui a metterti in gioco fossi solo tu. Perché? Può succedere anche a te di tornare a Milano e trovarti qualcuno, qui non rischi solo tu, eppure io sto decidendo comunque di continuare ciò che c'è tra noi, credo valga di più di tutte le mie paranoie. Se non va, non va, ma se per sei mesi riusciamo a non perderci... Sai che vittoria?".
"Maurizio...".
"Se poi non ti va e hai solo scuse non c'è nessun problema, basta dirlo" tagliò corto, probabilmente deluso dal mio continuare ad obiettare.
"Mi andrebbe così tanto che ho paura a morte di farlo, capisci?" piagnucolai, scuotendo il capo in maniera disperata.
Lui mi strinse a sé, mi accarezzò le spalle e poi mi guardò un'ultima volta.
"Questa frase ti ha tradito, Alice. Pensaci, non voglio riempirti la testa di parole. Vado a fare i bagagli".
Così tranquillo come era venuto, il mediatore uscì dalla mia stanza rifilandomi un'ultima occhiata e poi se ne andò, lasciandomi in un totale senso di vuoto che non sapevo spiegarmi.


Ebbi la sensazione di star vivendo una giornata lunghissima quando mi ritrovai alla serata karaoke, una volta ritornati a Dublino.
Per fortuna non vi avevo preso parte e nessuno mi aveva rotto le scatole affinché cambiassi idea, anche perché già vedere Alba e Toni che cantavano insieme "Anima mia" sul palco mi sembrava una punizione sufficiente.
Mi trascinai fino alla zona della sala in cui c'erano i divanetti per provare a stare più comoda quando vidi Saverio raggiungermi con aria seria.
Reggeva un bicchiere di aranciata, me lo porse con gentilezza e si lasciò scappare un sorriso che onestamente mi lasciò un po' interdetta.
"Alice, non ce la faccio a vederti così" mormorò, sincero.
"Così come? Sto bene" minimizzai.
Scosse il capo e si torturò le mani per qualche secondo, poi parlò con il tono di chi sa di cosa sta parlando e vuole farlo con estrema cautela.
"Quello che hai scoperto non deve frenarti. Passa questi quattro giorni con lui e alla fine decidi, trattenerti non serve a nulla, ci stai male comunque. Ti prego, fallo per te, azzera tutto e non confrontare queste settimane con quelle dell'anno scorso!" esclamò, accarezzandomi un braccio con fare fraterno.
Forse ero davvero esausta, forse ero davvero arrivata al limite o forse ero davvero stufa di impormi un copione da seguire, fatto sta che sospirai e guardai avanti, in direzione di Maurizio che ascoltava le canzoni e batteva le mani a ritmo di musica mentre ridacchiava con Mario.
"Penso spesso a come sarebbe lasciarmi andare con lui. Mi chiedo che tipo è, se è passionale, se è dolce, se avremmo chimica, o anche solo semplicemente come sarebbe starmene stretta a lui per un tempo infinito, mentre fuori sorge l'alba... E' sempre controllato, non so che pensare".
"Sembra tu stia parlando di te. Siete simili... Osa tu e vedi che ti seguirà, fidati di me. Cos'hai da perdere?".
Il fatto di riuscire a parlare così tranquillamente con Saverio era indice della grande confidenza che avevamo raggiunto e la cosa mi tranquillizzava come non mai.
Ero così insicura a tal punto da avere bisogno del consenso altrui?
"Io già così penso molto a lui, figuriamoci se la cosa dovesse svilupparsi...".
"Pensi comunque molto, Ali, tanto vale pensarci per qualcosa degno di nota".
Guardai Saverio di sbieco e lui alzò i pollici come per approvare, cosa che mi fece ridere non poco.
"Che turno di merda, Savé" dissi infine per cambiare argomento, vedendo la dottoressa che duettava con Salvatore.
"Puoi dirlo forte!".
La serata continuò per un'altra oretta, poi ci trascinammo tutti in sala riunioni per un breve resoconto della giornata successiva.
Lottai contro me stessa ma non riuscii a non essere gentile e premurosa con Maurizio, arrivando al punto di servirgli dei biscotti e, mentre nessuno ci guardava, appoggiandogli una mano sulla gamba. In quel momento lui sussultò leggermente prima di guardarmi, sorpreso e sorridente, con l'aria di chi non crede ai suoi occhi.
Parlare con Saverio mi aveva fatto immaginare delle possibilità che, presa dall'ira, avevo escluso a priori, ma ventiquattro ore dopo la rivelazione del segreto dell'Argentina mi sentivo già un po' più leggera.
A fine riunione mi sentii improvvisamente euforica e il fatto che Maurizio avesse preso la mia mano tra le sue di nascosto mentre tutti firmavano il verbale mi aiutò ad essere più sciolta.
"Andiamo, devo darti il planner" dissi con finta aria disinvolta e, senza lasciare la sua mano, lo trascinai verso l'ascensore.
Lui era evidentemente sorpreso, tanto da guardarmi con gli occhi spalancati e un'aria da pesce lesso che non gli donava affatto.
Durante tutto il percorso continuammo a mantenerci per mano come due bambini che stanno scoprendo qualcosa insieme per la prima volta, era una sensazione che mi faceva sentire viva, gioiosa, tutto il contrario delle ore successive.
Era forse un bene smettere di pensare, certe volte?
Quando mi apprestai ad aprire la porta della stanza, Maurizio mi abbracciò da dietro e mi strinse a sé. "Posso sapere che ti è successo?" chiese, tra il curioso e il divertito.
"Io e te pensiamo sempre... Per una volta siamo noi stessi, senza paranoie, senza casini, vediamo come va" proposi, euforica, già confortata dalle sue mani che si insinuavano sotto la mia maglietta.
Potevo sentire il suo livello di attenzione nei confronti del mondo esterno calare per concentrarsi solo su di me, su di noi.
"Va bene. Sarà bello non pensare insieme" mormorò.
Aprii la porta della camera e, contro ogni aspettativa, restammo imbambolati uno di fronte all'altro prima di ridacchiare e baciarci con slancio.
Forse, per la prima vera volta da quando ci conoscevamo, eravamo davvero noi, senza barriere, senza imposizioni.
Mentre avvertivo Maurizio baciarmi e stringermi a sé con sempre più slancio, tanto da far attaccare il mio viso al suo in un modo asimmetrico, io giocavo con i suoi ricci e toccavo le sue spalle larghe, forse il primo vero dettaglio che avevo notato di lui.
Non ci eravamo mai spinti oltre una semplice pomiciata adolescenziale e quella novità del potersi sentire tranquilli e indisturbati ci faceva sentire euforici come non mai.
"Spogliami" ordinai, bisognosa di sentirlo su di me e di esplorare il suo corpo.
"Alice..." sospirò, con un tono affannato ma che non presagiva nulla di buono.
"Che c'è?" chiesi, quasi disturbata da una affermazione che non fosse "Subito, certo, ora!".
Lui si bloccò e mi guardò negli occhi, mortificato.
"Non ho preservativi con me" sbuffò, infastidito dalla sua dimenticanza in una situazione così cruciale.
Davanti a quell'affermazione mi sentii stupida nello starmene lì, pronta, provocatoria, con le gambe attorcigliate al suo busto e l'interno coscia che già pulsava al pensiero di averlo a breve dentro di me, bello, possente, magari per un po' di tempo , magari – nei miei sogni – fino allo sfinimento.
"Ok, nemmeno io..." sospirai, delusa.
"Posso andare in farmacia , faccio subito...".
"No, no, onestamente è tardi e per quando vai e torni l'atmosfera non sarà la stessa. Fa nulla" provai a minimizzare, sentendomi un po' ipocrita.
Avevo davvero voglia di stare lì con lui ma evidentemente non era destino.
"Però posso sfruttare comunque l'atmosfera se per te va bene...".
Sembrava deciso a rimediare alla sua mancanza e la cosa mi sorprese: mi attirò di nuovo a sé, baciandomi con maestria, per poi accarezzarmi una caviglia, risalire fino alla coscia e andare verso l'interno di essa.
Mi accarezzò in quella zona e mi fissò, esitante, come a chiedermi il consenso; quando compresi le sue intenzioni spalancai gli occhi e mi ritrassi, forse a causa della magia che era scomparsa per quel piccolo dettaglio che mi aveva detto.
"Dai, direi che non era destino" sussurrai, ritraendomi con cautela.
"Sono uno stupido...".
Sorrisi dolcemente e gli accarezzai il volto, scuotendo il capo con decisione.
"No, in un certo senso è dolce, se non ne hai significa che non credevi di averne bisogno, in effetti sono stata io quella irruenta che ti ha trascinato qui" gli ricordai.
"Ma non c'entra, ho comunque fatto la figura del quindicenne di turno che...".
"Shhh".
Murizio sembrava davvero preso per quella sorta di mancanza che aveva pregiudicato la nostra sera ed io ero decisa a calmarlo perché non ne aveva nessuna colpa.
Lo strinsi a me e lasciai che ricambiasse la stretta con dolcezza.
"Mi basta dormire abbracciati, ti va?" proposi.
"Non che sia lo stesso, eh...".
"Scemo!".
Gli gettai addosso un cuscino ma, stanchi come eravamo, davvero ci ritrovammo stesi l'uno al fianco dell'altra, questa volta stretti e non a distanza come due settimane prima a Belfast.
"Ho già un meraviglioso ricordo dell'Irlanda, Ali, ed è grazie a te" mormorò, abbracciandomi da dietro e posando un bacio sulla spalla.
"Io vorrei avere anche un bel ricordo di Milano, grazie a te..." ammisi, senza filtri.
"Avremo anche quello, ne sono sicuro".
Cullati dalle incertezze ci addormentammo nel giro di poco, speranzosi come poche volte nelle nostre vite.


*°*°*°*
Capitolo nuovo, intrecci nuovi, scoperte nuove.
Salve a tutti!
Come state?
Io cerco sempre di sopravvivere ai mille impegni quotidiani ma non dimentico mai di tornare qui e aggiornare questa storia.
Siamo davvero agli sgoccioli e ogni capitolo porta con sé novità che pregiudicano gli equilibri.
Maurizio rivela il segreto che lo ha portato ad essere distante e Saverio è sempre più mamma-chioccia nei confronti di Alice.
Cosa ne pensate?
Io mi sforzo sempre di rendere il tutto "verosimile" , il comportamento di Alice in primis, quindi mi chiedo sempre cosa ne pensate.
Fatemi sapere :D
Come sempre ecco qualche spoiler:
"Sì ma perché sembravi pronta, evidentemente non lo sei. Non far sì che Maurizio paghi le conseguenze di ciò che ha fatto Luca, lui merita di conoscerti per quella che sei davvero" spiegò saggiamente.
"E chi sono io, davvero?" chiesi esasperata, fissando il vuoto come in attesa di trovare una risposta.


"Stasera niente sfighe" lo ammonii, ridacchiando, mentre premevo il pulsante dell'ascensore.


"Sai" sussurrò, "Forse mi trasferisco anche io a Milano... Il lavoro a Napoli nell'agenzia di animazione non fa più per me, è cambiato il dirigente e ho un contratto schifoso".


A presto!
Milly.

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Capitolo 29
*** Days 25-26: Wind of change ***


Days 25-26: Wind of change
Capitolo 14
Days 25-26: Wind of change
Quando riaprii gli occhi avvertii un respiro regolare ma intenso al mio fianco, mi girai e vidi un Maurizio alquanto angelico che dormiva beato mentre mi stringeva a sé con un braccio.
Come me, doveva essere stanco morto, tanto da emanare suoni che quasi sfioravano il russare e in cuor mio mi chiesi se anche io fossi risultata così molesta dato che mi era stato detto che quando ero davvero stanca russavo.
Lentamente, mi scostai dalla sua presa e mi misi a sedere, osservandolo: era bello, non di quel tipo di bellezza innaturale e artificiosa, era umano, vero, con i suoi piccoli difetti che ai miei occhi, però, scomparivano.
Era stato gentile, non mi aveva forzato a rischiare in mancanza di precauzioni e mi aveva assecondato.
Un dubbio, uno di quelli assordanti e stupidi che ti prendono quando sei ancora tra la veglia e il sonno, mi assalì: forse non gli piacevo abbastanza? Era sempre troppo pacato, spesso dovevo incitarlo io, non prendeva mai l'iniziativa...
Certo, una volta incentivato partecipava eccome, solo che il dover essere sempre la prima a fare la prima mossa mi faceva pensare che forse non era chissà quanto attratto da me.
Presa com'ero da questi pensieri, nemmeno mi accorsi del suo risveglio.
Erano le sette meno un quarto ed entrambi sembravamo soggetti ad una ormai sveglia naturale che anticipava quella reale e fastidiosa che ci obbligava ad alzarci tutte le mattine.
"Buongiorno. Siamo pensierose, stamattina?" domandò, sporgendosi verso di me e lasciandomi un bacio sulla guancia.
Quel particolare così bambinesco fu il dettaglio che misto alla stanchezza e alla mancanza di caffeina mi fece scattare su come una bambina rabbiosa che non ha ottenuto ciò che sperava per Natale.
Mi scostai sotto il suo sguardo incredulo.
"Ho sbagliato qualcosa?" chiese, senza capire.
Mi alzai, legai i capelli in uno chignon disordinato e soffiai come un gatto annoiato mentre aprivo la finestra, salvo poi pentirmene visto i gabbiani che rompevano le scatole, fastidiosissimi, con i loro versi.
"Ci stavo pensando, Maurizio... Sei sempre molto carino e gentile ma a volte ho l'impressione che... Che tu non mi voglia abbastanza. Siamo qui perché ieri ti ci ho trascinato io, ci siamo baciati perché ti ho quasi sfidato con una frase, sei stato in grado di starmi lontano una settimana pur di mantenere il tuo segreto. Mi conosci da solo poco più di tre settimane ma, insomma, mi sembra inutile fare grandi discorsi quando evidentemente non ti attraggo più di tanto" dissi tutto d'un fiato, senza pentirmi di nemmeno una sillaba.
Mi mancava essere corteggiata a dovere, sentirmi voluta, stuzzicata...
Ascoltando il mio discorso la faccia di Maurizio cambiò repentinamente, passò dall'incredulità al sarcasmo in una frazione di pochi secondi, poi si alzò a sua volta e, rapidamente, si infilò le scarpe.
Una volta finito mi venne vicino e mi puntò l'indice contro, arrabbiato.
"Ma come ti devo prendere? All'inizio sono stato insistente, per farti mezzo complimento al bar te ne sei fuggita in bagno! Da lì ho capito che evidentemente così facendo ti avrei oppresso e sono stato più cauto! E nemmeno ti va bene?" sbottò, senza parole, portandosi una mano alla testa. "E' normale che così facendo attiri solo stronzi che ti mettono le corna!".
Prese rapidamente i pochi effetti personali che aveva in quella stanza e uscì sbattendo la porta, lasciandomi lì, senza parole, con l'aria di chi si sente un'emerita idiota.


Cosa mi era preso?
Mi sentivo come la persona che, di fronte alla possibilità di essere felice seppur per poco, manda tutto all'aria per la paura di ciò che l'aspetta.
Mi stavo forse autosabotando?
Trovai la risposta nel mio mentore nonché fidato amico quando ci incontrammo per il solito appuntamento pre colazione con il caffé.
"Terzultimo caffé insieme prima di colazione, ci credi?" domandò, evidentemente per rompere il mio silenzio.
Sapevo di non avere una bella cera, dei capelli orribili e delle occhiaie bluastre ma non c'era molto che potessi fare al riguardo, inquieta com'ero.
"No, questo mese è volato" risposi, mentre rigiravo lo zucchero nel caffé per la millesima volta.
"Sì, ne sono successe di cose. Ora che abbiamo fatto delle chiacchiere circonstanziali, puoi dirmi gentilmente che ti è successo? Non è andata bene ieri sera...?".
Cercava di celarlo, ma era curioso , tanto curioso, a tal punto di avvicinarsi a me.
"No" sussurrai, seppur felice di poterne parlare con qualcuno.
"Come no? Insomma, vi ho visto, ve ne siete andati subito, quasi correndo...".
"Ci mancava la materia prima" riassunsi, massaggiandomi una tempia.
Saverio, che non poteva sapere a cosa mi riferivo, sgranò gli occhi e si tappò la bocca con le mani, incredulo e con aria alquanto ilare.
"Ma come! Scherzi? Cioè, quanti anni ha,ventisette, ventotto...? Se inizia così, a quaranta come fa? Deve riempirsi di pilloline blu?!" chiese, senza parole. "Però, ehi, meglio così, voglio dire, almeno lo hai scoperto subito, poi...".
"Saverio ma che hai capito!" lo interruppi, facendo un cenno negativo con la testa, disperata per il suo subito pensare a male.
"Come che ho capito? Tu hai detto...".
"Intendevo che non avevamo i preservativi. Ti posso assicurare che dopo pochi minuti di azione lui era più che pronto ad... Agire. E ora abbiamo litigato" spiegai, affranta.
"E ci credo! Avete perso una sera solo per una dimenticanza, potevi venire da me".
"Ma anche no, tesoro" lo scimmiottai, imbarazzata al solo pensiero. "E non abbiamo litigato per questo. Stamattina l'ho accusato di... Corteggiarmi poco, di essere sempre pronto a far sì che sia io a fare la prima mossa e lui mi ha ricordato che io sono stata la prima a fuggire quando ha provato a essere carino, quindi ha cambiato registro per paura di forzarmi" ammisi.
Più ne parlavo, più realizzavo di essere stata una cretina nel pretendere un certo comportamento da chi in primis conoscevo da poco e che poi già si era dimostrato gentile con me ed era poi stato respinto.
Come al solito in quelle situazioni di confidenze a tu per tu, il mio amico mi guardò e scrollò le spalle.
"Non sei ancora pronta, ecco la verità. Venticinque giorni fa ti struggevi per il tuo ex, ora hai trovato una persona interessante ma magari senza volerlo applichi ancora un vecchio schema in cui lo confronti con chi fa parte del tuo passato. Tu e Luca siete stati rapidi nel conoscervi in tutto e per tutto, e guarda caso, ora rimproveri a Maurizio una sorta di lentezza che dopo tre settimane vi ha condotto a piccoli risultati. Lui non è Luca, Ali, e andarci piano non può che farti bene se stai ancora così. Forse è meglio che non sia successo nulla" rifletté, cauto, lasciandomi decisamente perplessa.
"Ma se ieri mi incoraggiavi..." obiettai, finendo di bere il mio espresso e gettando il bicchiere di carta nel contenitore apposito.
In quel momento un parere esterno era fondamentale per me e averne uno ballerino che cambiava idea ogni tre secondi non era l'ideale.
"Sì ma perché sembravi pronta, evidentemente non lo sei. Non far sì che Maurizio paghi le conseguenze di ciò che ha fatto Luca, lui merita di conoscerti per quella che sei davvero" spiegò saggiamente.
"E chi sono io, davvero?" chiesi esasperata, fissando il vuoto come in attesa di trovare una risposta.
"Sei una persona che può dare tanto amore nelle condizioni giuste. Ora sei così, troppo presa dal modo in cui ti hanno trattato per renderti conto che chi ti sta vicino non lo fa con cattive intenzioni".
Incrociai le braccia e non dissi nulla, troppo presa dal provare a capire il garbuglio di emozioni che avevo dentro di me.


Quel lunedì fu fatale per i miei nervi ormai fin troppo presi dalle mille riunioni con Sandy e Jimena come capi del dipartimento di mediazione straniero, tanto che arrivai a ora di cena con una voglia matta di piangere in uno stanzino, al buio, senza farmi vedere da nessuno.
I group leader e il team leader non potevano capirmi essendo lì da solo dieci giorni ma io davvero sentivo il peso, la stanchezza e l'esaurimento di venticinque giorni passati a svegliarmi presto, andare a letto tardi, essere sempre attiva e attenta alle esigenze di due gruppi diversi – tre, se aggiungiamo che il team spagnolo e quello irlandese avevano le loro divergenze – e fare la parte della collaboratrice sempre sorridente e disponibile.
Avevo esaurito tutti i "No te preocupes" e i "Don't worry" che avevo a disposizione e non sapevo più come reggere anche se mancavano solo due giorni e mezzo.
Per fortuna la serata cinema venne in mio soccorso: non c'era bisogno del mio aiuto, così Saverio mi autorizzò a non partecipare alla visione del film e a starmene per i fatti miei per quel paio di orette.
Vidi con la coda dell'occhio Maurizio entrare nella sala dove avrebbero proiettato Gli Incredibili 2 e scrollai le spalle, memore della giornata che aveva passato a lavorare evitandomi, arrivando a passare del tempo con Mario con la scusa di aiutarlo con il video di addio.
Non eravamo molto lontani dal Liffey, così mi incamminai per ammirare la parte di Dublino che mi aveva accompagnato in quel viaggio sin dall'inizio e che non mi avrebbe mai abbandonata, almeno nei miei ricordi.
Senza riuscire a controllarmi, ripensai allo stato d'animo in cui ero all'inizio di quell'avventura, al mio rispondere male a Mario e mi sembrò di non aver fatto progressi.
Era assurdo, stare in compagnia di Maurizio aveva alleviato i miei problemi e ora che tutto sembrava cadere a pezzi sentivo di star tornando indetro, ad un vero e proprio regresso.
Per una volta decisi di essere me stessa e mi lasciai sconvolgere da un pianto liberatorio che durò minuti e minuti, uno di quelli che più piangi, più ti ricorda altre cose brutte che vorresti dimenticare e non rivivere mai più.
Ero inevitabilmente sola, con un cuore rotto e la speranza di far aggiustare tutto sotto zero, non mi sentivo in grado di aiutarmi sotto nessun aspetto.
Non ne potevo più di aiutarmi sempre da sola, volevo riuscirci con calma, in compagnia di qualcuno in grado di capirmi... Sentivo di aver esaurito la forza che avevo avuto sin dal trasferimento e non sapevo come fare.
Per un po' avevo riposto tutte le speranze in Dublino solo che ora che si avvicinava il momento di tornare alla solita vita da Alice Sebastiani e non di Alice, La Mediatrice mi sentivo non pronta, impaurita, anche perché tornando a Roma non avrei avuto i miei amici di Milano al mio fianco e nessuno poteva capirmi meglio di loro.
Gli amici di Roma ormai erano persone a cui volevo bene ma che vedevo sempre per un semplice aperitivo o per un'uscita a Natale o in estate, non avevano idea di come fosse davvero la mia vita.
Iniziai a pensare che quando sei una persona che è abituata a fare tutto da sola e a contare solo sulle tue forze, arriva un momento della tua vita in cui tutto il peso delle decisioni di ogni singolo giorno si fa così pesante e insopportabile che non ce la fai più e ti senti schiacchiare sempre più insistentemente senza poterci fare nulla.
"L'Argentina è una possibilità da due anni, è una certezza da dieci mesi ed è il mio sogno di una vita. Conosco te da venticinque giorni e mi hai quasi fatto passare l'entusiasmo per ciò che aspetto da praticamente sempre solo perché so che lì non c'è un'altra Alice, ti rendi conto? E poi devo sentirmi dire che non ti corteggio abbastanza! Forse non lo faccio perché so che così ci avvicineremo di più e ci starò male il triplo".
Il cuore mi balzò in gola quando udii la voce di Maurizio alle mie spalle, una voce diversa da quella che ero abituata a sentire, più rigida e rancorosa rispetto a quella chiara e tranquilla di ogni giorno.
Stavo ancora piangendo quindi non mi girai, mi limitai ad asciugarmi gli occhi con un polso, insicura come non mai.
"Oggi ho pensato anche io che forse ti ho detto quelle parole per autosabotarmi" sussurrai con un'orribile voce di pianto.
Avvertii il rumore dei passi del ragazzo e poi la sua presenza alle mie spalle: mi cinse i fianchi con le sue braccia e mi strinse a sé con vigore, anche se io continuavo a piangere senza riuscire a smettere, sentendomi decisamente stupida.
"Io e te siamo molto simili, Ali, è questo il problema. Siamo due anime indipendenti che viaggiano spesso, sono lontane dagli affetti e hanno ricevuto tante delusioni... Io voglio pensare che ci siamo incontrati per guardarci dall'esterno e migliorare, ognuno è un po' il riflesso dell'altro. Pensaci! Entrambi romani, laureati nelle stesse lingue, entrambi mediatori, entrambi stabiliti a Milano, siamo due persone abituate ad andare per la loro strada e a mettersi in gioco... Solo che arriva un punto in cui la strada bisogna percorrerla con qualcuno, no?" provò a farmi ragionare. "Non la si può percorrere con chiunque quindi, secondo me, se si trova un valido compagno di viaggio si può fare uno sforzo e affrontare tutti i casi della vita per provare a continuare il viaggio insieme".
Un brivido di freddo mi scosse abbastanza violentemente e lui mi strinse ancora più forte a sé, suggellando le sue parole con un bacio che dalla guancia passò al bordo delle labbra fino a centrarle in pieno, aspettando il mio permesso.
Lo baciai rapidamente, a stampo, per poi guardarlo negli occhi nonostante il mio evidente stato non proprio tranquillo.
"Il problema è proprio il viaggio, Maurizio. Già ora mi sembri indispensabile, figuriamoci...".
"Alice, non pensare che per me sia più semplice. Davvero, davvero! Credimi! E' una cosa che devo fare ma ti giuro che sarò presente e ti dirò tutto, ho troppa stima di te per mentirti. Fidati di me, ti prego!" mi interruppe.
Cosa potevo mai fare?
Aveva ragione, eravamo troppo simili e potevamo farci del male , solo che in quel momento mi sentivo così grata nell'averlo lì, esposto per me nonostante il litigio di dodici ore prima che decisi di zittire i miei pensieri e di annuire semplicemente.
Mi sorrise e si calò su di me per baciarmi di nuovo, questa volta con più slancio, tanto da quasi alzarmi da terra per l'enfasi che ci stava impiegando.
Con le braccia ancorate attorno al suo collo, lo strinsi a me tanto da far aderire i nostri corpi.
"E' una promessa, allora?" chiesi, seria.
"Sì, lo è. Davvero" rispose. "Saverio ci autorizza a tornare in struttura, se vogliamo, se ha bisogno ci chiama ma è tutto tranquillo" aggiunse, questa volta un po' malizioso, tanto da appoggiare una mano sotto la mia maglia e sfiorare il reggiseno.
Aveva un'aria diversa, imbarazzata ma decisa a proseguire per quella via fatta di sfacciataggine che non gli guastava affatto.
"Davvero?" chiesi, falsamente sorpresa.
"Davvero. Il pensiero di perdere una serata a mettere il broncio mi mandava fuori di testa... Come se non bastasse, ho una voglia matta di fare l'amore con te, signorina" sussurrò, ribaciandomi e sfiorando il seno con le dita.
"Mi piaci quando fai così" lo provocai.
In un secondo, tutto ciò che mi stava facendo piangere lacrime amare era scomparso, contava solo il fatto che quel ragazzo mi stesse mandando su di giri anche solo parlando.
"Da quando ci conosciamo, in realtà. Se vuoi saperlo, immaginare di stare con te,tenerti stretta, darti piacere e vederti godere è una fantasia proibita che ho da quando abbiamo dormito vicini a Belfast" continuò.
Sentivo il respiro corto per l'eroticità che mi trasmetteva quel mucchio di parole mirate, proprio perché la sera prima ci eravamo andati vicino mi sentivo ancora più vogliosa di unirmi a lui e dimenticare tutto ciò che di brutto c'era stato in quelle ore.
"Forse ora non è poi così proibita" dissi, accarezzandogli quei ricci ribelli e notando quanto fosse succube dei miei gesti e delle mie parole.
"Lo spero".
Mi prese per mano, sorridendo, impaziente, mi condusse verso il ciglio della strada e fermò un taxi , lasciandomi stupita.
Disse rapidamente il nome della via del nostro alloggio al conducente e posò una mano sulla mia gamba, accarezzandola con insistenza.
Io sorridevo a mia volta e, nello slancio del momento, lo strinsi a me.
Arrivammo dopo tanto tempo per i nostri gusti e quando scendemmo dal taxi il contrasto con l'aria gelida rispetto al caldo dell'abitacolo ci sembrò abissale.
"Direi camera mia, la tua ci porta sfiga" dichiarò Maurizio appena entrammo nella hall.
"Stasera niente sfighe" lo ammonii, ridacchiando, mentre premevo il pulsante dell'ascensore.
Il momento in cui mi preoccupavo del giudizio altrui per una storia con uno dello staff mi sembrava lontano anni luce, ero così presa dal momento che nemmeno pensai di dover essere discreta , tanto mancavano pochi giorni e tutti i contatti lavorativi si sarebbero dissolti nel nulla.
Non me ne fregava di niente e di nessuno, solo di starmene in santa pace con il ragazzo che avevo di fronte a me.
Non ricordo precisamente gli attimi precedenti all'arrivo in camera, so solo che ero un po' nervosa ma allo stesso tempo grata, incredula, mi sentivo leggera, pronta ad ogni evenienza solo se in compagnia di quel ragazzo che era sempre nei miei pensieri negli ultimi giorni.
Con la sua solita gentilezza, Maurizio passò a baciarmi il collo mentre mi appoggiavo sul suo letto, con la testa appoggiata al suo petto.
"Ti voglio, Ali" disse, sovrastandomi e fissandomi negli occhi con decisione.
"Ti voglio anch'io" risposi.
Percepivo tutto ovattato, la realtà mi sembrava quella di un sogno in cui tutto sembra vivido ma sai che stai sognando, i gesti del ragazzo erano cauti e studiati, tipici di chi cerca di metterti a tuo agio.
Apprezzai così tanto il suo modo di fare che per un istante bloccai il suo viso tra le mie mani, mentre se ne stava steso su di me.
"Ho detto un mucchio di stronzate, stamattina, e per farmi perdonare ti dico che... Quando è previsto il tuo ritorno?" .
"Il trentuno gennaio" rispose, senza capire.
"Ok, quindi ti dico che se saremo ancora in contatto, il primo febbraio sei invitato a cena, alle venti, al mio ristorante di Milano preferito" sentenziai, non sentendo al momento il peso di tutto quel tempo che ci avrebbe diviso.
"Che sarebbe...?".
"Lo saprai... Il primo gennio, sempre se saremo ancora in contatto".
"Questo è un ricatto! Mi farò sentire solo per saperlo!".
"E' un dolce ricatto, dai...".
"Direi di sì, maledetta...".
Si rifiondò su di me e tornò a baciarmi, voluttuoso, prima di spogliarmi lentamente mentre io facevo lo stesso con lui.
Non ci dicemmo altro, ogni sguardo ed ogni gesto ci dicevano più di mille parole ed era un'esplosione di tenerezza e voglia di stare in contatto senza più limiti, fiduciosi nel fatto che forse ciò un giorno sarebbe diventata la nostra realtà.
Mi guardò con ammirazione quando mi ritrovai nuda di fronte a lui e in quel momento, lo ricordo con precisione, mi sentii davvero bella e apprezzata.
Quando venne il momento di iniziare davvero ad amarci mi sentii svuotata da ogni pensiero o preoccupazione, per me esisteva solo lui, bello, forte, vigoroso, un amante generoso e rispettoso ma comunque passionale.
"Oh, Ali..." rantolò con gli occhi chiusi, quando lo accolsi finalmente dentro di me.
Ero sconvolta dal suo ritmo dolce ma deciso e da una scarica di adrenalina di cui avevo dimenticato l'esistenza, avevo un sorriso perennemente stampato in faccia perché avevo dimenticato che si potesse condividere un'esperienza così intima con qualcuno in un modo così delicato e coinvolgente, lento, senza corse e gesti animaleschi.
Maurizio, non c'era nulla da fare, oltre che ad essere un ragazzo dai modi galanti era anche un amante premuroso, tanto che potevo percepire il suo sforzarsi di prolungare il tutto il più possibile per soddisfarmi.
Svariati minuti dopo iniziai ad incitarlo senza inibizioni, persa in un mondo di dissoluzione e piacere che assorbiva tutti i miei sensi e li amplificava.
Furono dei momenti meravigliosi che ci dimostravano che dopotutto la nostra sintonia e la nostra chimica andavano ben oltre la professionalità e quando ci ritrovammo stesi l'uno al fianco dell'altro, alla fine, eravamo decisamente senza fiato per l'esperienza appena condivisa.


Toc. Toc. Toc.
Sobbalzai, svegliandomi di scatto, senza nemmeno ricordare subito tutti gli avvenimenti della sera prima.
Mi voltai e vidi Maurizio al mio fianco che continuava a dormire beato senza muoversi nemmeno di un millimetro, così mi affrettai ad alzarmi e ad andare ad aprire alla porta, premurandomi di mostrare solo il volto.
Era Saverio, un Saverio fin troppo compiaciuto da quando, circa otto ore prima, in riunione, aveva sghignazzato come un matto nel vedere me e Maurizio entrare in ufficio insieme, in ritardo, e con l'aria decisamente tra lo sconvolto e il sognante.
Sorrideva e reggeva in mano due bicchierini con del caffé dentro mentre mi faceva l'occhiolino con aria furba.
"Buongiorno" dissi, sforzandomi di minimizzare l'imbarazzo che percepivo in quel momento.
"Buongiornissimo, volevo ricordarti che sono le sette meno dieci e chissà perché non mi hai scritto per il caffè" mi disse lui, sornione. "Per questo te l'ho portato... In doppia dose, come credo sia la dose di cosacce che hai fatto ieri sera".
Era troppo gasato eppure, pur avendo immaginato tutto, restava una cosa che avevo fatto io, non lui! Possibile che fossimo ad un punto tale della nostra amicizia in cui era normale gioire per i bei momenti dell'altro? O forse era felice perché si era liberato di Alice la Piagnona che lo tormentava da aprile?
Non potevo saperlo, fatto sta lo guardai male ma ovviamente lui continuò ad avere un'espressione da deficiente patentato.
Decisi di ignorare la faccenda e sibilai un semplice: "Grazie! Ci vediamo a colazione!" ma appena aprii un po' di più la porta per prendere i bicchieri lui fece qualche passo in avanti, idiota più del solito, e squadrò la situazione: Maurizio si era svegliato e sembrava davvero intimorito dalla voce del suo capo .
Si mise a sedere, senza sapere cosa dire, ma il coordinatore alzò il pollice in segno di approvazione e gli sorrise apertamente.
"Hai passato un bel guaio, Maurì! Scusami per l'intrusione ma è un anno che dovevo farlo, da quando questa si intrufulò nel mio ufficio e mi beccò con Nadia" si scusò, per poi voltarsi e avviarsi verso la porta. "Io ovviamente non so nulla, ragazzi, ma nel caso in cui lo sapessi, beh, sarei davvero felice e approverei" esclamò, seguito dal rumore della porta che si chiudeva.
Scossi il capo, incredula, mentre Maurizio scoppiò in una risata fragorosa e prese il caffé che gli stavo porgendo, ringraziandomi con un bacio.
Era a dorso nudo, con le lenzuola tutte stropicciate che lo coprivano a tratti e in quel momento mi parve più che bello che mai, tanto che mi sembrò assurdo averci condiviso una serata e poi una notte indimenticabile.
Mi sentivo strana, tranquilla, non mi stavo riempendo di dubbi amletici e ne ero felice, mi sembrava di essere nella testa di una persona davvero rilassata ed entusiasta per ciò che era successo.
"Sono stata bene" rivelai, avvicinandomi di più a lui fino al punto di accoccolarmi contro il suo petto e lasciarmi stringere.
"Anche io. Benissimo.... Dovevo provarci già a Belfast, al tuo compleanno, avremmo recuperato del tempo, che dici?" ironizzò.
"Dipende da quanto saresti stato capace dopo tutto quel vino" lo presi in giro a mia volta, prima di alzare lo sguardo e godermi la sua espressione falsamente offesa.
"Signorina, come osa?".
"Oso eccome...".
Ci volle poco per finire di nuovo stretti l'uno all'altra, avvinghiati in modo quasi da fonderci in una morsa incredibile, intenti nel baciarci e sfiorarci in un modo che di casto non aveva nulla, fino a quando l'odiosa sveglia non ci riportò alla realtà dei fatti in cui, se volevamo mangiare qualcosa, dovevamo darci una mossa.
"Potremmo passare qui la pausa pranzo, che dici?" propose lui , facendomi sorridere in maniera alquanto incredula visto che sembrava star seguendo il mio consiglio nell'essere più spontaneo e propositivo.
"Perché no. Mi piaci quando ti sciogli un po' e non temi un rifiuto" ammisi, mentre mi legavo i capelli e mi apprestavo ad andare in bagno.
"Se dici così ne approfitto e non ti dò tregua" .
"See!".
Lottammo un po' visto che sembrava offeso e non voleva farmi andare nell'altra stanza e si placò solo quando lo abbracciai e gli sussurrai: "Come andrà, andrà, ma non ero così felice da tempo".
Mi si sciolse il cuore nel vedere la sua espressione rincuorata e partecipe, tanto che arrivai a ringraziare l'addetto alle risorse umane e il caso che quell'anno mi avevano concesso di incontrare una persona così.


A colazione tutti fremevano perché iniziava la solita parte burrascosa dell'esperienza: i preparativi.
Stando alla faccia imbronciata e seccata di Mario potevo ben capire quanto fosse seccato per la poca collaborazione ricevuta dallo staff e un po' mi sentii in colpa perché ultimamente lo avevo proprio ignorato.
Ero tutta sorrisi, addirittura Alba mi sembrava più sopportabile, per questo ne approfittai per sedermi vicino all'Activity Leader e dargli un piccolo sulla spalla con fare affettuoso.
"Mario, buondì. Ti vedo un po' giù di corda, tutto bene?" dissi.
"No, Ali. Ho mille cose da fare... E qui fanno tutti schifo" esclamò, senza fregarsene di essere sentito, tanto i ragazzi stavano parlando in maniera fin troppo rumorosa di un gruppetto di studenti che aveva fatto chiasso tutta la notte.
"Ho notato...".
"Tu inclusa, a stento mi saluti" mi accusò.
Incassai il colpo in silenzio poi, senza riuscire a trattenermi, lo afferrai per un braccio e lo obbligai ad uscire dalla mensa.
Dovevo parlargli, spiegargli tutto, che ero stata assente soprattutto con me stessa in quei giorni e che avevo sbagliato molte cose.
"Ho evitato tutti, Mario. Non per mia volontà! Jimena e Sandy sono stati un incubo dopo le prime due settimane e ho avuto un po' di casini, sono stata assente ma mi scuso e voglio esserci al cento per cento per te. Sto già aiutando Saverio con i verbali, ci sarò anche per te, so che Toni non ti aiuta" lo tranquillizzai, sentendomi uno schifo perché quell'anno era iniziato proprio con una nostra discussione.
Stavamo forse "crescendo" come amici? Di solito i rapporti in cui si discute sono quelli più messi alla prova e più soggetti ad evoluzione.
Lo abbracciai per convincerlo della veridicità delle mie parole e lui ricambiò la stretta.
"Sai" sussurrò, "Forse mi trasferisco anche io a Milano... Il lavoro a Napoli nell'agenzia di animazione non fa più per me, è cambiato il dirigente e ho un contratto schifoso".
Mi portai una mano alla bocca, senza parole. "Mi dispiace, lasciare la propria terra è dura ma sai che se verrai avrai una squadra pronta a soccorrerti e ad aiutarti" provai a rincuorarlo, immaginando quanto fosse dura lasciare la propria città a trenta e più anni senza averla mai lasciata prima se non per periodi brevi.
In quel momento, il suo accenno ai duecento euro in più a turno che percepivo in più a lui di tre settimane prima non mi parve casuale dato che aveva appenna ammesso di avere problemi lavorativi. Mi sentii dispiaciuta e compresi meglio la sua posizione al momento.
"Grazie. Vedi, noi siamo uno staff, uno staff vero, uno che dura tutto l'anno, anno dopo anno, non solo due settimane! Per questo quando ti comporti in maniera strana con me ci resto male" rivelò, onesto come lo era sempre, anzi, cristallino.
Davanti alla bellezza di quelle parole mi venne da commuovermi e gli accarezzai un braccio, annuendo.
"Hai perfettamente ragione, oggi mi faccio perdonare davvero, lo faccio per il mio forse-futuro-amico-Milanese!".
Rise di cuore, annuì e poi mi fece cenno di tornare a mensa, dove tutti ci guardarono senza capire ma non mi premurai di dare spiegazioni, proprio come loro non si premuravano di essere un po' più empatici e collaborativi.


Concentrarsi, rispondere alle pretese di Jimena, annuire davanti ai discorsi prolissi di Sandy e dare una mano a Mario con il video di addio non fu semplice, tanto che arrivai alle dodici e trenta stremata.
Sbadigliavo, avevo la testa tra le nuvole, ero in uno stato così pietoso che Saverio – tornato nei suoi panni di coordinatore che pretende la perfezione – mi guardava male e arrivò al punto di avvicinarsi mentre uscivo dall'ufficio e prendermi in disparte.
"Sono stato buono e disponibile ma ora devi ricomporti, Alice, non ti darò la valutazione che credevo di darti se hai intenzione di finire questo turno come una deficiente che non capisce nemmeno in che mese siamo" sbraitò, furioso come quando si trattava di qualcosa che gli stava a cuore.
Deglutii , colpevole, e ovviamente feci cadere il planner, la cartellina e la borsa a causa di un gesto maldestro. Mi abbassai per prenderli, maledicendomi, poi riemersi e lo guardai, annuendo. "Hai ragione, scusami. Sono solo esausta e gli spagnoli e gli irlandesi sono insopportabili! Arrivo a fine giornata che non so in che lingua mandarli a quel paese mentalmente... Ti dispiace se invece di venire a pranzo dormo un'oretta?" chiesi implorante, pensando al povero Maurizio che forse aveva chissà quali aspettative e invece si sarebbe ritrovato uno zombie al mio posto.
"Sì, così ti ricomponi. Ma il tuo amico pranza con me, non voglio distrazioni!".
Alzai gli occhi al cielo e annuii, così lo salutai e andai in direzione del mediatore che mi aspettava fuori la porta dell'ufficio.
"Ho sentito tutto" disse, comprensivo. "Vai a riposarti, ti conservo un panino".
Mi fece l'occhiolino e mi fu difficile resistere all'impulso di non abbracciarlo lì, davanti a tutti, con Alba a pochi metri da noi che brontolava perché aveva fame e "Non vedeva l'ora di mangiarsi dieci pizze di fila nella sua città" dopo il cibo odioso della mensa.
Ero distrutta, sì, eppure per la prima volta dopo non so quanto sentivo una strana leggerezza mista a frivolezza che mi dava la forza di assentarmi per ricaricarmi senza fregarmene del giudizio altrui, e questa fu la più grande vittoria di quell'esperienza.
The future's in the air 
I can feel it everywhere 
Blowing with the wind of change 

Take me to the magic of the moment 
On a glory night 
Where the children of tomorrow dream away 
in the wind of change 

Walking down the street 
Distant memories 
Are buried in the past forever 


*°*°*°*°*°
Penultimo capitolo, gente!
Nel prossimo ci sarà il gran finale e poi un epilogo che ci farà sapere cosa è successo dall'estate del 2018 a quella del 2020... Andremo nel futuro ;) Si accettano scommesse!
Io inizio già a essere nostalgica, non so come farò senza Alice e gli altri.
Grazie a chi continua a inserire questa storia tra i preferiti, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, soprattutto ora che siamo agli sgoccioli.
Come sempre vi lascio qualche spoiler.... Attenzione all'ultimo :D
"L'ultimo giorno di solito non te la cavi molto bene e volevo sapere come stavi" ammise, serio come poche volte nella sua vita.
In un istante rividi davanti a me l'incidente di Luca, le mie lacrime, il rientro in college in taxi...


"Ali... E tu? Sai cosa significa dover partire e... Oh!".
Aveva aperto il quaderno e aveva visto che ai lati di ogni pagina c'era una frase che si riferiva a qualcosa che avevamo vissuto o a qualche citazione in particolare.


Luca si passò una mano tra i capelli come suo solito e poi si appoggiò allo stipite della porta, obbligandomi ad indietreggiare.
"Sono stato geloso di quel mediatore, vi ho visto all'aeroporto, lo sai? Stai con lui ora?" domandò, insistente.


A presto!
Milly.

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Capitolo 30
*** Days 27-28: Goodbye ***


Days 27-28: Goodbye
Capitolo 15
Days 27-28: Goodbye
Aprii gli occhi a causa della mia ormai sveglia "Naturale" e del verso dei gabbiani che proveniva da fuori la mia finestra, ormai mio fedele compagno di disavventura.
Alzai lo sguardo e vidi che me ne stavo appoggiata sul petto di Maurizio, il quale si stringeva a me e respirava profondamente, sempre più tranquillo e beato.
Ricordai gli avvenimenti della sera prima in cui dopo la riunione io e lui ci eravamo presi un'ora di calma in cui avevamo chiacchierato, scherzato con dei ragazzi in corridoio, aiutato una ragazza con la lavatrice da fare e mi sentii rinata, non ero ansiosa per l'imminente addio e sentivo di essermi imbarcata in qualcosa più grande di me ma che ne valeva la pena.
Sospirai dolcemente e, senza riuscire a trattenermi, accarezzai il petto di Maurizio, svegliandolo.
"Ehi, buondì" biascicò, con un solo occhio aperto.
"Buondì" risposi, stringendolo a me. "Scusa se ti ho svegliato... Ho anticipato di poco la sveglia, mi perdoni?".
Lui sbadigliò e poi mi fissò, falsamente pensieroso. "No" sentenziò, prima di ricoprire il volto con le lenzuola e provare a nascondersi. "Sono stanco!".
"Nemmeno se ti faccio il caffè?".
"No. Capo, oggi me la prendo di festa" ironizzò, prima di mettersi a sedere e imprigionarmi sotto di sé, stampandomi un bacio in una zona indefinita tra il naso e la guancia.
"Ti licenzio!".
"Non potresti mai!".
"Oh, sì!".
"Quello di solito me lo dici in separata sede...".
"Coglione!".
La magia fu interrotta da quella fastidiosa sveglia di cui odiavo ormai la suoneria falsamente dolce, ormai lo associavo al tono passivo aggressivo di Jimena quando voleva dire qualcosa di cattivo senza fare effettivamente la parte della cattiva di turno.
"Oggi ultima riunione, ce la possiamo fare" sussurrai, più che per incoraggiare me che lui.
"Se iniziamo bene la giornata, sì".
Non ebbi nemmeno il tempo di replicare che Maurizio mi stava lasciando una scia di baci dalla fronte al naso, fino alla bocca, poi giù fino al collo... E ancora più giù, fino a guardarmi con aria furba come per chiedermi il permesso di proseguire.
"No, dai...".
"Se non ti va è un conto, ma se lo fai per la nostra assurda routine ti rassicuro: ieri ho parlato con Saverio e ha detto che gli bastava vederci in ufficio alle nove".
"Hai calcolato tutto?" chiesi incredula, alzandomi di scatto, tanto da farlo separare da me e imbarazzarlo un po' per quel mio improvviso cambio di tono. Il fatto che non me ne fregassi di un certo dettaglio – lui che chiede al nostro coordinatore il permesso di saltare la colazione per stare con me – mi fece capire l'avanzamento del mio livello di maturazione nei confronti della nostra situazione lavorativa.
Scrollò le spalle e annuì.
"Sì. Volevo stare più tempo con te, ti dispiace?" si scusò, abbassando lo sguardo senza sapere cosa fare di preciso.
Mi resi conto di risultare esagerata così scossi il capo e lo attirai a me per fargli capire che era tutto ok e che mi fidavo della sua parola e fu un sogno vederlo reagire subito, baciandomi con slancio e facendomi ristendere con gentilezza sul materasso, per poi togliermi gentilmente la canotta e i pantaloncini.
"Se salto la colazione per te deve essere indimenticabile" ghignai con gli occhi chiusi, sospirando già perché avvertivo le sue dolci labbra sul mio ventre che già fremeva ad ogni tocco.
"Fino ad ora mi sei sembrata sempre fin troppo soddisfatta, signorina" mi ricordò, compiaciuto.
Eravamo già così in confindenza, possibile? In quell'istante mi sembrò di conoscerlo da molto più di un mese, la familiarità con cui mi guardava in maniera rassicurante era sbalorditiva, mi sembrava di aver già superato la parte iniziale in cui si fa di tutto per risultare impeccabili agli occhi dell'altro e si finge di essere diversi.
Eravamo veri, ognuno aveva visto l'altro morto di sonno, con i capelli improponibili, affamato come non mai per il cibo scadente della mensa e ciò ci rendeva il compito più semplice: forse, al contrario, una volta usciti di lì ognuno avrebbe avuto l'occasione di vedere l'altro in maniera più formale e curata dopo aver visto la parte vera, cruda, della personalità in tutte le condizioni stressanti possibili.
Mi avvicinai a lui e lo strinsi forte contro di me, sentendo l'urgenza di sentire il suo cuore battere contro il mio ancor prima di pensare alla bellezza di ciò che stava per succedere.


"Vale, creo que es todo. Nos vemos después, pero para mi no tenemos otras cosas que establecer. Gracias a todos".
Con queste parole, alle dieci, Jimena ci congedò dopo averci riassunto in maniera dettagliata e noiosa tutti i feedback ricevuti tramite i social e l'app della sua azienda durante quel lungo mese.
Per una volta, sembrava stravolta anche lei: i capelli scuri, solitamente piastrati e ordinati, erano raccolti in una coda e indossava pantaloni comodi al posto delle solite gonne accompagnate da scarpe col tacco.
Mi avvicinai, la salutai, strinsi la mano anche a Sandy, feci un cenno a Javier che in quelle settimane si era limitato a esistere parlando il meno possibile e uscii dalla sala riunioni il prima possibile, seguita da Maurizio.
Avevo iniziato quell'esperienza con una preparazione minuziosa, ero sempre attenta a tutti i dettagli, ero stata in ansia a tal punto da indossare una camicetta alla prima riunione!
Risi ripensando a quel dettaglio che mi aveva anche fatto discutere con il coordinatore e abbassai lo sguardo sulla maglietta arancio molto basica e anonima che avevo indossato a quell'ultimo incontro.
"Io devo dare una mano a Mario, ci vediamo dopo?" chiese il mediatore quando ci trovammo a pochi passi dall'ufficio dei group leader.
Annuii e lo guardai allontanarsi, perdendomi nella contemplazione della sua figura alta e slanciata che da lontano lo faceva passare ancora per un ragazzino cresciuto troppo in fretta.
"Caffé" dissi tra me e me e mi avviai al bar, sentendo il bisogno di riprendermi un po' e ricaricarmi in vista dell'ultimo giorno.
Era davvero quasi finito tutto e non me ne rendevo conto, non ero in lacrime, non ero nostalgica... Ero solo tanto, tanto stanca e provata sotto molti punti di vista.
Possibile che fossi maturata in quei trenta giorni?
Ero pronta per continuare a fare questo lavoro con professionalità senza lasciare che le questioni personali intaccassero il mio operato?
Esitai, incerta. Certo, questa volta lo staff era davvero penoso e non me ne fregava dei nuovi arrivati – non vedevo l'ora di mangiare cibo fritto senza lo sguardo della dottoressa fisso su di me – ma anche con quello precedente ero stata brava a distaccarmi.
"Sì, magari per l'anno prossimo riesco a non portarmi a letto qualche collaboratore" ironizzai, sentendomi senza speranza.
Ordinai un cappuccino e presi posto per poi sentirmi qualcuno alle spalle che mi tirava una ciocca di capelli.
"Ehiii!".
"Alice, ci sei mancata a colazione!".
Alzai gli occhi al cielo mentre Saverio prendeva posto di fronte a me e mi guardava con l'aria di chi vuole prenderti in giro ma in realtà se ne frega di te in senso positivo.
"Voi no" ribattei con una smorfia.
"E ci credo! Questo mediatore deve essere proprio un amante di serie A...".
"Saverio, che vuoi?" tagliai corto, conoscendo ormai i suoi modi di fare come le mie tasche.
Il capo cambiò espressione e mi fissò con serietà, accarezzandomi un braccio.
"L'ultimo giorno di solito non te la cavi molto bene e volevo sapere come stavi" ammise, serio come poche volte nella sua vita.
In un istante rividi davanti a me l'incidente di Luca, le mie lacrime, il rientro in college in taxi...
"Sto bene, Saverio. Non ci crederai ma sto imparando a scindere le cose, non sono emotiva come lo ero un tempo, riesco a essere razionale, anche se mi fa paura. Mi sento meno umana!" mi confidai,dando voce a un pensiero che mi affliggeva da un po'.
Lentamente, Saverio avvicinò la sedia a me e mi abbracciò con calore, arrivando ad appoggiare la testa sulla mia con fare paterno.
"Sei pronta, Alice. Ti vedo e noto una professionista che ha imparato tante lezioni e da cui non voglio separarmi, farò il possibile per averti di nuovo con me, l'anno prossimo. Hai coordinato tutto in maniera impeccabile anche se ho notato la stanchezza finale, è normale".
Sentii il cuore allargarsi per la gioia e ricambiai la stretta, incredula.
"Io non te lo dimostro mai ma davvero ci tengo alla tua opinione, ti stimo troppo e sei un esempio formidabile per me" ammisi di cuore, sforzandomi di non singhiozzare.
"E io ci tengo alla tua. Mi ricordi sempre che devo pensare a lasciarmi andare e a godermi le mie emozioni... Ci compensiamo".
Alzai lo sguardo, ci sorridemmo e pensai che da quel momento in poi tutto sarebbe cambiato in positivo, almeno professionalmente.
"Per quanto riguarda l'altra questione... Dimmi tutto, se vuoi. Come vanno le cose?" s'informò, cauto più del solito.
Era così, se si trattava di faccende personali mi lasciava i miei tempi e i miei spazi, non era ficcanaso e ci teneva a farmi capire che potevo sfogarmi con lui anche senza averlo costantemente alle costole.
Bevvi un sorso di cappuccino e feci spallucce, vaga. "Va bene, solo che credo di aver capito come stanno le cose e non mi danno l'anima per l'addio. Lui per me è un'incognita che nel presente mi ha aiutato a dimenticare il mio ex, ma per il futuro chi può saperlo. Ne sono cosciente e ciò mi fa quasi paura, non è da me reagire così" ragionai, dando voce a un pensiero che mi affliggeva da un po'.
Saverio era sorpreso, forse si aspettava un mio monologo su quanto mi sentivo male al pensiero di dire addio a Maurizio per almeno sei mesi, eppure mi sorrise e sostenne il mio sguardo.
"Per le cose belle ci vuole tempo" dichiarò.
"Senti chi parla! Mister-ti-compro-un-anello-dopo-un-anno!" lo scimmiottai, gesticolando in maniera poco educata.
"Ma di che parli? Ho impiegato trentatré anni per avere una cosa bella nella mia vita come Nadia, più tempo di così!".
"Non dovevi fare il coordinatore, Saverio, dovevi fare l'avvocato... Del diavolo!".
"Tu saresti stata la mia praticante perfetta, allora, Miss-non-mi-metterò-mai-più-con-uno-dello staff!".
"E infatti non mi sono messa con Maurizio" obiettai con aria furba.
Ci guardammo, interdetti, per poi scoppiare a ridere come due scemi, beccandoci mille occhiatacce da parte degli altri presenti che stavano approfitttando di una pausa per bere un caffè o leggere un libro.
In quel momento prendemmo davvero coscienza del nostro feeling e del nostro essere in sintonia, seppur su due pianeti diversi e opposti, tanto da trovarci bene tutto l'inverno successivo, quando ci trovammo a lavorare fianco a fianco per l'ennesima volta anche se con mansioni diverse.


Aiutai Mario con le ultime mansioni finali e fu un bel momento per riconnetterci un po' dopo tutti i momenti che avevamo passato separati, presi dai nostri drammi personali e professionali.
Gli mancava la canzone del video di addio e lo convinsi a scegliere "Alive" di James Graeme, una canzone che sentivo molto vicina a me sia per la bellezza della melodia sia per il testo che sentivo un po' mio e che volevo condividere con tutti visto che nessuno la conosceva.
"E' bellissima, Ali! La metterò stasera alla serata di addio, dopo cena!" disse entusiasta l'activity leader, rendendomi felice per quel suo modo di reagire alle cose sempre entusiasmante, come se fosse un bambino che vede la neve o il mare per la prima volta.
"Bene. Ci credi che siamo alla fine?" sussurrai,sentendo un brivido lungo la schiena.
Personalmente, la discussione che avevamo avuto quattro settimane prima mi sembrava lontana anni luce e , cosa importante, ripensando all'Alice che ero stata, gli diedi ragione per la strigliata nei miei confronti.
Mario annuì e si lasciò scappare uno sbadiglio. "Sì e onestamente ne sono felice, odio lavorare con degli stupidi" sbottò, indicando con il mento i group leader che si rubavano a vicenda delle patatine rubate a loro volta in cucina e risalenti ai pacchetti del pranzo di una delle ultime escursioni.
"Ci credo..." gli diedi man forte.
"Ho avuto novità da Milano, comunque. Ho due colloqui presso delle agenzia di eventi, vado a stare da Saverio visto che casa sua sarà libera fino a settembre" mormorò, con un tono di voce molto più basso del solito , quasi come se avesse paura che il solo pronunciare quelle parole potesse cancellare la realtà dei fatti.
Sgranai gli occhi per la sorpresa e per la felicità, davvero incredula per la rapidità con cui si stavano sviluppando le cose per il mio amico.
"Ma è bellissimo!" esclamai, abbracciandolo con calore.
"Ali, non è detto che vada tutto bene e soprattutto mi fa paura tutto, il cambiamento, lasciare Napoli, cambiare stile di vita... Come hai fatto a mollare tutto a Roma per uno stage che non ti assicurava nulla?" domandò, serissimo.
Improvvisamente, il caos scomparve dalla stanza nonostante il chiasso infantile degli altri ed io scrollai le spalle, comprensiva al massimo verso i dubbi dell'activity leader.
Rividi davanti a me l'ultimo anno e trovai la forza di dare una risposta sincera, autentica e degna di chi mi stava di fronte, pieno di paure e dubbi.
"L'ho fatto, Mario, come lo farai tu. Non ci sono garanzie, è tutto un salto nel vuoto, mi dispiace dirtelo ma è così. Cambia tutto ma tu no, posso assicurartelo, semplicemente scropri mille lati della tua personalità che non hai mai avuto modo di conoscere fino ad ora. Tutto ti sembra difficile all'inizio, ti perdi per le strade, pensi all'accento delle persone della tua città che ti manca insieme al cibo con cui sei cresciuto, solo che poi un giorno ti svegli, cammini per strada, vedi quella persona che hai incontrato in un negozio qualche giorno prima, ricordi il volto della signora dell'edicola e capisci che in fondo non sei più un passante, sei parte attiva di tutto ciò... E tornare a casa sarà bello, apprezzerai i tuoi familiari ancora di più, solo che avrai un cuore più grande perché sarà in grado di contenere due case, due famiglie, quella vera e quella fatta di tutti coloro che ti supportano nella nuova città, passo dopo passo".
Mario sembrava colpito da quel discorso, tanto da sorridermi con affetto e accarezzarmi un braccio.
"Non dimenticare che io e gli altri ci siamo, insieme sarà tutto più semplice" aggiunsi, provando a rassicurarlo perché capivo il suo stato d'animo ed empatizzavo molto con lui, in quel momento più che mai.
"Grazie. Speriamo bene".
In un solo istante fui presa dalla consapevolezza di aver tenuto discorsi importanti con lui e Saverio nel giro di una mattinata e mi sentii improvvisamente colta da un sano senso di benessere e tranquillità.


Quando presi posto a cena nel ristorante che avevamo prenotato mi sentii improvvisamente libera, consapevole di aver fatto tutto ciò che c'era da fare e che il mio ruolo di mediatrice era ormai giunto alla fine.
Sospirai, sorrisi senza motivo e, voltandomi verso Maurizio, provai un senso di pace mai provato prima. Gli feci cenno di seguirmi e lui obbedì, preoccupato, fino a raggiungermi nel piccolo cortile del locale.
"Tutto bene?" chiese premurosamente, cingendomi la vita con un braccio.
"Sì".
Mi fermai, appoggiandomi contro un muretto e lo attirai a me, appoggiandomi sul suo petto; il modo in cui lui rispose prontamente al mio gesto accarezzandomi la schiena mi fece sentire protetta come non mai e fu in quell'istante che mi dissi che tutti i problemi di quei ventotto giorni erano serviti a molto e, soprattutto, a regalarmi un'esperienza indimenticabile che aveva risanato il mio status di persona perennemente triste e ansiosa.
"Alice, che hai?".
"Niente. Ho appena realizzato che non abbiamo ancora più nulla da fare e mi sento... Libera. Volevo condividere questo momento con te" sussurrai, alzando la testa e accarezzandogli quei ricci ribelli che tanto mi piacevano.
Come risposta ci ritrovammo persi in un bacio lento e lungo, un bacio che stava a significare che ora avevamo tutto il tempo per noi.
In quel momento pensai che la cosa a cui avrei più pensato con nostalgia di quel ragazzo erano la dolcezza e le attenzioni che mi dimostrava, anche con un gesto semplice con un bacio.
"Ali, voglio tu sappia che... Insomma, se potessi fermerei il tempo, resterei qui con te, partire mi sembra insensato" mi disse Maurizio, triste.
Mi stringeva a sé con decisione come per non farmi andare via e io facevo lo stesso, aggrappata a lui.
"Ho paura di proporti di vederci a Roma prima della tua partenza" confessai. La nostra città di origine era la stessa eppure non aveva mai menzionato un eventuale incontro lì.
"Sarò a Milano, sai, per le ultime cose da sbrigare con l'Università...".
Avrei voluto dire tante cose ma evitai, pensando che un gesto potesse aiutarmi meglio delle parole, così aprii il mio zainetto e ne estrassi un quadernino che gli porsi.
"Cos'è?" chiese, incredulo.
"Un regalo di arrivederci" sussurrai, provando a non commuovermi. "Io non so come andrà, Maurizio, ma tu mi hai fatto sentire apprezzata e importante come non mai, ti sarò per sempre grata, hai illuminato il momento più buio della mia vita" confessai, decisa a non tenermi tutto dentro come al solito.
"Ali... E tu? Sai cosa significa dover partire e... Oh!".
Aveva aperto il quaderno e aveva visto che ai lati di ogni pagina c'era una frase che si riferiva a qualcosa che avevamo vissuto o a qualche citazione in particolare.
"Ricorda: meriti solo cose belle!, Ricorda che ogni azione ha un suo perché e nessuna è banale, dopotutto sono successe cose belle anche quando abbiamo comprato uno spazzolino e del dentifricio di notte..., Qualsiasi sia il problema, non c'è nulla che un caffé non possa risolvere, Se bevi del vino non sederti sul lavandino del bagno, per ora non ci sono io ad aiutarti a scendere" lesse, incredulo tra risate e facce buffe. "Ma non ho parole! E' un pensiero....".
Si bloccò, deglutì, prese fiato e poi mi ritrinse a sé. "Io tornerò e tu mi porterai a cena come promesso, intesi?"chiese, deciso.
"Certo" lo rassicurai, felice del fatto che ricordasse ancora quella promessa fatta in un momento intimo e di frenesia in cui si direbbe di sì a tutto.
"Io per te ho questo" aggiunse, spostandosi per frugare nello zainetto ed estraendone un portachiavi con una bottiglia di vino. "Mi ricorda il tuo compleanno, il momento in cui ci siamo confessati un po' l'interesse reciproco" spiegò lentamente. "Mi sembra passata una vita, davvero".
Annuii, gli occhi lucidi come non mai e lo riabbracciai, dicendomi di farmi forza e beandomi della sua stretta decisa.
Quando ci decidemmo a tornare a cenare per fortuna gli altri stavano ancora mangiando,così ci affrettammo a darci una mossa e a finire il nostro cibo tra sorrisini e occhiate fugaci salvo poi prendere parte al momento musicale della serata, quello in cui il locale si trasformava in una sorta di discoteca e i ragazzi si scatenavano per un'oretta.
Me ne fregai del giudizio altrui e non opposi resistenza quando Maurizio mi prese per mano e mi trascinò in mezzo alla pista per ballare in mezzo al caos fatto di ragazzi, group leader e parte dei vari staff.
Per quei gloriosi minuti mi sentii un'altra, libera dal peso del lavoro svolto in quelle settimane e delle incombenze che mi mettevano ansia. Ero soddisfatta, stando alle parole di Saverio avevo coordinato il dipartimento di mediazione in maniera più che soddisfacente e in più avevo affrontato vari uragani come quello di Amanda.
Quando partì "Alive" mi lasciai trasportare dal ritmo incalzante della canzone e la ballai con più trasporto del dovuto, sentendo il testo parte della mia identità.
Ad un certo punto io e Maurizio ci ritrovammo a girare intorno come nella famosa scena del Titanic e probabilmente quello fu uno dei momenti più felici del mio 2018.
Il mio corpo si muoveva liberamente senza imposizioni e sentivo che anche il mio spirito era decisamente più leggero, come uno di quei palloncini che si vendono alle fiere.
Ovviamente, Mario riprendeva tutto tramite diretta e finì tutto sul grande schermo del locale, in modo da farci leggere i commenti super felici dei genitori che a breve avrebbero rivisto i loro pargoli dopo due settimane di lontananza.
"Inoltre, vi annuncio che la nostra pagina Facebook ha vinto il concorso come "Pagina più curata ed aggiornata" tra tutte quelle dei vari college, l'ho appena saputo!" urlò Mario, prendendo il telefono e interrompendo le danze con i suoi soliti modi affrettati e smaniosi quando si trattava di dire qualcosa che lo appassionava. "Vediamo qualche scatto!".
Io e il mediatore ci avvicinammo a Saverio e a Salvatore comprendendo l'importanza del momento e osservammo le foto proiettate dall'activity leader con grande orgoglio. Ne erano molte, tutte ben curate nei dettagli, spontanee ma di ottima qualità: dei ragazzi che correvano verso i tipici palazzi rossi di Temple Bar, alcuni che posavano al fianco della statua di Oscar Wilde con un bellissimo arcobaleno alle loro spalle, i group leader dello scorso turno che facevano una piramide umana come se fossero delle cheerleader, addirittura una, di cui non conoscevo l'esistenza, in cui io e Maurizio ce ne stavamo su un prato e controllavamo il nostro odiatissimo planner e un'altra del mio compleanno.
"Aspettati una cosa simile per il tuo matrimonio" ironizzai, facendo ridacchiare Saverio.
"Sempre se Nadia dice di sì".
"Sempre se ti decidi a farle la proposta".
"Pensa agli affari tuoi".
"No, penso dovremmo tutti pensare a Mario e ad aiutarlo se viene a stare a Milano" cambiai argomento, seria come non mai.
Saverio mi guardò, sorpreso del fatto che sapessi già tutto ed annuii con decisione. "E' scontato, gli ho detto che ha noi e che deve star tranquillo, anche se è tutta colpa tua".
"In che senso?".
"Ci hai fatto capire che cambiare è possibile, che non è giusto accontentarsi e dopo di te Nadia, io, ora Mario, abbiamo iniziato a credere in una vita migliore...".
"E' una bella colpa, no?".
"Sì. E' la stessa colpa per cui sto per andare in Argentina, ma giuro che torno" s'intromise Maurizio, guardando prima me poi il coordinatore.
Quel gesto mi sembrò strano – c'era forse più intesa di quel che credevo tra loro? - ma scrollai le spalle e continuai a vedere piccoli ricordi di quell'avventura sullo schermo, optando per zero nostalgia e rimpianti anche perché, onestamente, non ne avevo.


Dormimmo molto, più del dovuto, in effetti.
In tarda serata salutai i ragazzi a cui mi ero più affezionata, partecipaii alla riunione di addio con i group leader e mi premurai di fare il caffè a tutti ma visto che l'aereo dello "staff superiore" era previsto per le sedici del giorno dopo mi dissi che avevo fatto fin troppo avendo auitato con i verbali e i documenti finali al posto di Toni e salutai tutti prima di andare a dormire, verso l'una.
Fu un addio semplice, strette di mano, abbracci freddi, addirittura salutai l'antipatica dottoressa con un cenno della mano, anzi, di fronte ai suoi occhi mi premurai di rubacchiare dalla dispensa della cucina gli ultimi residui di junk food visto che non intendevo svegliarmi presto per fare colazione.
Mi sorprese vedere che Alba voleva parlarmi e vidi il tutto come una punizione divina ma, sperando di non doverci più lavorare insieme in futuro, mi fermai con aria interrogativa.
Aveva i ricci capelli avvolti in una coda disordinata ed evidenti occhiaie bluastre che non le donavano ma era comprensibile, anzi, io ero messa anche peggio a dirla tutta.
"Dimmi" la esortai, tra il curioso e il seccato.
Lei mi squadrò attentamente, come se mi vedesse per la prima volta, poi disse tutto d'un fiato: "Ma posso sapere cosa c'è tra te e Luca Antonini? Mi riempie di messaggi e in un modo o nell'altro vuole sapere di te, cosa fai... Ultimamente addirittura mi chiede che rapporto hai con Maurizio". Sembrava seccata, forse pensava di avere le attenzioni del bel group leader tutte per sé e che i messaggi avessero uno scopo ben diverso.
"E tu che gli hai risposto?" domandai, senza parole.
"Quello che credo, che avete una storia, vedo sempre che lui esce dalla tua camera ultimamente" mi rispose a tono, senza fregarsene della mia reazione.
Sorprendendo me stessa risi ed annuii vigorosamente senza farmi problemi. "Credi bene. Magari avessi incontrato uno come Maurizio al posto di Luca... E' il mio ex, dopo nove mesi mi ha lasciato perché mi ha tradito".
"Che stronzo!" esclamò Alba, sboccata ma onesta come al solito, portandosi le mani alla bocca.
"Eh sì. E deficiente pure, pensa di spiarmi attraverso di te?".
Era tardi, ero stanca, non avevo le energie sufficienti per indignarmi o arrabbiarmi con il mio ex, così mi limitai a guardare la group leader con una scrollata di spalle e lei, all'improvviso, mi abbracciò.
"Mi sei sempre sembrata una tosta, Alì, e mi dispiace non aver fatto amicizia. Antonini è uno stronzo, non gi rispondo più".
Questo è l'ultimo ricordo che ho di Alba. Non ci dicemmo altro, non raccontai a nessuno di quella rivelazione – quasi come se credessi che fosse frutto del troppo sonno arretrato – e me ne andai in camera, seguita da un Maurizio sempre più silenzioso che provò a comunicare con me attraverso i gesti, baciandomi con ardore, spogliandomi, possedendomi per la prima volta contro il muro, con ancora metà vestiti addosso e in modo più selvaggio del dovuto, come per farmi capire tutta la passione che si portava dentro dal nostro momento romantico ad ora di cena.
In quel momento lo vidi davvero per com'era, senza maschere, senza imposizioni, senza filtri e mi piacque da morire perché mi faceva sentire me stessa oltre che apprezzata e desiderata.
"Voglio che pensi a questa notte se andrai con qualcuna in Argentina" biascicai tra le sue spinte e il piacere che mi annebbiava il cervello. "Ne varrà la pena solo se sarà più eccitante di questo... Noi, sudati, tu che mi sbatti senza pietà e io che te lo lascio fare perché finalmente vedo il vero Maurizio, quello che potrebbe amarmi così sempre, tutti i giorni".
Usai il verbo "amare" imprudentemente, dettatata dalla passione del momento, ma Maurizio non si ritrasse, anzi, mi rispose in maniera ancora più concitatata della mia per farmi capire quanto lo eccitassero le mie parole.
Ci addormentammo così, poco dopo, ancora inebriati dal profumo dell'altro e dormimmo fino alle dieci del mattino, mangiammo le schifezze rubate in cucina ignorando i messaggi dei group leader che ci informavano dell'andazzo dei loro viaggi.
"Oggi deve essere un punto di inizio, non di fine" ruppe il silenzio Maurizio mentre bevevo un succo di frutta con fare svogliato.
"Lo spero" risposi.
Ci scambiammo uno sguardo triste ma consapevole e finimmo di mangiare, prima di separarci per fare i bagagli.
Non mi ci volle molto per mettere nel mio trolley i vari pantaloni e le magliette ormai sgualcite e pronte da essere usate solo in casa, riposi con un po' più di attenzione la camicetta bianca che avevo messo con entusiasmo il primo giorno e sorrisi pensando a quanto ero stata felice nel vedere il mio ruolo cambiato, migliorato insieme a tutte le nuove responsabilità del caso.
Non piansi, nemmeno quando andai nella cucina della zona comune per farmi un ultimo caffè in compagnia del coordinatore, per dare degna fine a quella tradizione.
Era tutto silenzioso, non c'era più il caos causato dalle urla degli adolescenti, mi sembrava di non sentire più nemmeno il verso dei gabbiani.
"Caffè a mezzogiorno, quanto siamo ribelli" osservò il coordinatore sorridendo in un modo sincero, autentico, che non gli avevo mai visto stampato in faccia in quell'occasione.
"Spero mi aiuti a svegliarmi, non riesco a parlare molto da stamattina" ammisi, guardando l'orologio per fare qualcosa.
"Ali, sei strana".
Annuii, consapevole di quell'osservazione perché io stessa non mi sentivo me stessa, memore della mia reazione alle parole di Alba e per la notte particolarmente erotica che avevo passato con Maurizio, era tutto troppo estremo e strano per i miei gusti.
"Sto facendo passi avanti, è l'ultimo giorno e non c'è stato nessun incidente e non sto facendo passi più lunghi della gamba" gli ricordai.
"Ma che brava".
Ci sedemmo, bevemmo il caffè in silenzio senza sapere bene cosa dirci finchè Saverio non si decise a prendere parola.
"A fine agosto lavoreremo insieme, no?" azzardò, pensieroso.
"Sì, per la prima volta" lo presi in giro.
"Scema! Voglio fare un discorso serio!".
Alzai le mani e lo lasciai parlare, curiosa di sapere cosa aveva da dirmi.
"Dicevo, lavoreremo gomito a gomito, spesso viaggeremo insieme per sponsorizzare le vacanze studio, contribuiremo alla realizzazione dei pacchetti viaggi, sarai sempre la mia mediatrice... Avremo il nostro ufficio e sappiamo che siamo una bella squadra. Inoltre, sarà un anno importante, io farò la fatidica domanda a Nadia e tu proverai a continuare la storia con Maurizio. Supportiamoci ancora, manteniamo questa tradizione del caffè prima di lavorare, sarà il nostro momento per confidarci e lavorare con la testa più serena" propose Saverio, cauto come se stesse davvero parlando di un affare di Stato.
Udendo ciò sorrisi in maniera quasi infantile ed annuii, allettata dalla proposta ma soprattutto dal valore che aveva attribuito a quella nostra tradizione dell'ultimo mese.
"Ci sto" asserii e, senza riuscire a trattenermi, mi avvicinai e lo strinsi a me con affetto. "Sei il migliore amico che non ho mai avuto" constatai, senza pensarci due volte.
"Sei la mia migliore amica da quando grazie a te ho passato l'anniversario con Nadia" disse, ricambiando la stretta con fare quasi paterno. "Nessuno avrebbe fatto ciò che hai fatto tu per noi, hai sostenuto Nadia prima del mio trasferimento e sei stata davvero un'amica nel farci ritrovare in un giorno così importante".
Dublino 2018 ci aveva regalato molte emozioni ma quel legame fu la conferma più sorprendente di tutte.
Un'ora dopo salutai il college con un nodo alla gola, memore di tutti i bei ricordi vissuti lì, e sperai vivamente di rivivere un'avventura altrettanto magica l'anno successivo.


Avendo lo stomaco annodato non pranzai ed essendo l'unica donna del gruppo fui costretta a ricoprire per la prima ed unica volta il ruolo di "madre" protettiva che assiste tutti e fa mille raccomandazioni, li aiuta con la valigia più pesante del dovuto e cose simili.
L'unico a non darmi problemi fu il silenzioso Toni – di cui ormai non ricordavamo nemmeno il cognome – mentre anche Salvatore, stanco, sembrava più chiacchierone ed insofferente del solito, tanto da lasciare la confezione di shampoo nel bagaglio a mano.
"Per una vorta so' io che ti rimprovero, Salvatò" gli dissi in romano, usando il dialetto per la primissima volta.
"Sto messo male, regà" si lamentò lui, facendo ridere tutti.
Ci imbarcammo con calma essendo in anticipo e aspettammo tutti lo stesso aereo: tutti atterravamo a Roma, poi da lì ognuno avrebbe fatto scalo o preso il treno per giungere a destinazione.
Salutai Salvatore e Mario con tanti abbracci e promesse – "Quando vengo a Roma ti scrivo" e "Fammi sapere come va a Milano"- e Saverio con il cipiglio della classica amica che vuole che tu ti sbrighi a fare una certa cosa.
"La vacanza è un ottimo modo per fare la proposta a Nadia" dissi, pedante come al solito perché volevo che la mia amica sapesse tutto al più presto.
"E' banale".
Ci salutammo con abbracci e la promessa di tenerci aggiornati mentre lui usciva dall'aeroporto e, come previsto, restammo solo io e Maurizio da soli, l'uno al fianco dell'altra, senza sapere come rapportarci nella realtà dei fatti di Roma, così lontani dalle terre irlandesi e da tutte le nostre promesse.
Come ogni volta che si trattava di dire addio, non riuscivo a non essere pacata e razionale, mi lasciavo sempre andare con frasi strappalacrime o ridevo per il nervosismo.
Avevo salutato tutti, solo Maurizio era l'unico rimasto al mio fianco perché avremmo preso la stessa navetta per tornare a Termini e poi ognuno si sarebbe diretto a casa propria.
"Andiamo?" mi chiese, un po' incerto.
Esitai, guardando l'aeroporto di Fiumicino per l'ultima volta, con un'enorme carica positiva visto che ogni avventura iniziava sempre da lì e in un modo o in un altro ogni volta che ci tornavo ero una persona diversa.
"Aspetta" susurrai. "Quando usciremo da qui saremo presi da telefonate, orari delle navette, mille pensieri... Voglio approfittarne per dirti ora che ti ringrazio perché mi hai dimostrato di essere una persona meravigliosa e non so come avrei fatto senza di te".
Maurizio sgranò gli occhi, quasi incredulo per quella mia ammissione e, un po' goffamente, fece un movimento strano che gli fece cadere la valigia.
Ridemmo e non so come ci ritrovammo stretti in un abbraccio dolce, che probabilmente voleva dire tante cose, più di quelle che ci eravamo già detti.
Non me ne ero ancora resa conto, ma a pochi passi da noi c'era Luca con la sua squadra che ci guardava.*
Il suo secondo turno come group leader era finito a sua volta quel giorno e il destino me lo fece trovare proprio lì, anche se io non avevo occhi che per il coordinatore.
Infischiandomene del nostro essere in un luogo pubblico guardai Maurizio negli occhi e lo baciai, consapevole che fosse l'ultima volta per il momento.
Anche lui sembrava esserne consapevole perché lasciò stare definitivamente la valigia e mi strinse a sé, con slancio, baciandomi con una passione eccitante e travolgente.
"Riguardo quello che hai detto ieri sera, non ci sarà nessuna Argentina, fidati. Ti aspetto" sussurrò , stringendo le mie mani tra le sue e baciandole con devozione.
Non riuscii a non trattenere le lacrime e mi fiondai tra le sue braccia.
"Ti aspetto anche io. Saranno sei lunghi mesi...".
"L'invito a cena è ancora valido?".
"Ma certo, stupido!".
Abbracciati, commossi, pieni di promesse, ci salutammo una volta giunti alla stazione di Termini, con il cuore un po' più leggero ma pieno di promesse.


3 agosto 2018
Faceva caldo in un modo assurdo, ero da sola a casa perché i miei erano via per l'anniversario ed io ne stavo approfittando per riposarmi un po' e godermi Roma senza l'ansia di dover far tutto in poco tempo visto che sarei tornata a Milano dopo tre settimane.
Ero in procinto di uscire e raggiungere le mie amiche per un pomeriggio in piscina quando bussarono alla porta, corsi ad aprire convinta che fosse la mia amica Bianca, sempre puntuale come al solito mentre io ero in ritardo perché avevo cambiato costume mille volte e non trovavo il mio prendisole preferito.
Aprii la porta della mia villetta di periferia con uno scatto e dissi: "Bianca, scusami, sono..." ma mi ammutolii vedendo la figura del ragazzo che avevo di fronte.
Mi sentii mancare la terra sotto ai piedi quando vidi che non si trattava di Bianca, bensì di Luca.
Cos'era successo? Eravamo indietro di un anno e non me ne ero accorta?
Volevo dire qualcosa di intelligente ma non riuscii a sputare altro che: "E tu che vuoi?".
Luca era diverso, più maturo da come lo ricordavo, i tratti da ragazzo che lo avevano caratterizzato l'anno prima ed avevano lasciato spazio a quelli da uomo con un po' di barba incolta.
"Alice, scusami, lo so che è tutto improvvisato, ma è da quando eri a Dublino che volevo vederti".
Cosa? Mi tradiva, mi lasciava, scompariva dalla mia vita e poi pretendeva di tornare così, farsi trovare a casa mia e uscirsene con scuse insensate?
"Camilla sa che sei qui?" chiesi subito, sforzandomi di non iniziare ad urlare cose insensate e cattive.
"Lo sai, Ali".
"Prego? Io non so niente, so che ci siamo lasciati e non capisco...".
"Per tutto luglio ti ho pensato, mi sei mancata... Non so che mi succede Ali, aiutami a capirlo" disse, con una faccia di bronzo che avrei schiaffeggiato allegramente senza farmi alcuno scrupolo.
Sgranai gli occhi, convinta davvero di star sognando.
"Per questo chiedevi di me ad Alba?" sbottai, disgustata.
"Sì! Insomma, lei è così chiacchierona e credevo che....".
"Che cosa, Luca, che cosa? Senti, smettila, non so che ti passa per la testa ma io sono andata avanti e un deficiente come te non mi fa bene".
Speravo con tutto il cuore che la signora della villetta di fronte non si affacciasse e non mi sentisse urlare perché mi era bastato fare una figuraccia con i miei vicini a Milano, dove nessuno per fortuna mi conosceva.
Luca si passò una mano tra i capelli come suo solito e poi si appoggiò allo stipite della porta, obbligandomi ad indietreggiare.
"Sono stato geloso di quel mediatore, vi ho visto all'aeroporto, lo sai? Stai con lui ora?" domandò, insistente.
"Tu sei fuori! Ma come osi! Mi molli e pretendi di controllarmi e sapere cosa faccio?" strillai, spingendolo via con la forza ma senza riuscirci.
"No, solo che so che era il tuo modo di farmi ingelosire, mi hai visto e....".
"Cosa? Io non ne so niente, il mondo non gira intorno a te....!".
"No, ma il tuo sì, ne sono sicuro".
Senza darmi il tempo di fare nulla mi strinse a sé, deciso, e mi piantò le sue labbra sulle mie, baciandomi dopo circa cinque mesi.
Attorno a noi gli uccellini cinguettavano, il sole si ergeva fiero, illuminandoci, dando vita a delle ombre che avrei fatto di tutto per tenere nascoste con me mentre me ne stavo lì, pietrificata e combattuta sul da farsi.
Nel frattempo, il mio cellulare squillava rivelando vari messaggi.
"Mi manchi un casino, Ali. Quasi quasi mollo Milano e torno a casa per il weekend, che dici?".
Ma io non potevo sentirlo, presa com'ero dal rumore assurdo di tutte le mie convinzioni che traballavano e rischiavano di crollare con un tonfo pesante.


*parte che si ricollega alla prima parte del primo capitolo


*°*°*°*
Ultimo capitolo con un finale diverso dal previsto.
Cosa farà Alice? Cosa sceglierà?
Mi duole davvero dire addio definitivamente a questa storia e so che postare l'Epilogo sarà difficile, ma pazienza.
Cosa succederà secondo voi? Si accettano scommesse!
Per l'epilogo nessuna anticipazione, sarà più lungo del solito e sapremo cosa succederà fino al 2020, quindi faremo un salto nel futuro ;)
Un bacio, a presto!
Milly.

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Capitolo 31
*** Epilogo - Giorno per Giorno ***


Epilogo - Giorno per Giorno
Epilogo
Giorno per giorno
22 Dicembre 2018
Sbadigliai sonoramente e controllai le ultime cose da fare prima del breve ma intenso periodo di ferie che mi spettava, sfogliando l'agenda controvoglia.
L'ufficio era cosparso di luci e addobbi natalizi a causa di Lina, la dipendente più rompiscatole di tutte, ma io non sentivo molto la magia del Natale dentro di me.
Prendere il treno per Roma il giorno dopo e ritornare il ventisei mi sembrava assurdo visto che l'anno precedente, seppur da stagista, avevo avuto il privilegio di tornare a lavorare il tre gennaio.
Spuntai un po' di cose fatte e mi decisi a finire di fare le ultime, non badando alla pausa pranzo, per partire con serenità, quando un Saverio allegro più che mai mi si parò di fronte e mi sorrise in un modo che quasi mi faceva paura. Solo due ore prima lo avevo visto rimproverare lo stagista di turno, che gli prendeva?
"Che vuoi? Sto lavorando" sbottai, alzando lo sguardo di malavoglia.
"Alice, è ora di pranzo! Continua così e a fine anno la fascia di Miss Acidità sarà tua" mi rimbrottò seppur affettuosamente, cosa che mi faceva ancora più strano, onestamente.
"Senti, non torturarmi, dimmi cosa devo fare e lo faccio. Tra dodici ore torno a Roma e non ho ancora fatto i bagagli e comprato i regali di Natale...".
"Mi sono deciso, Ali!" m'interruppe, evidentemente non ascoltando le mie solite chiacchiere disperate, "A Capodanno darò l'anello a Nadia".
Avrei potuto fare mille battutine, dire cose del tipo "Sempre se lo vuole" e simili, ma me ne infischiai e mi portai una mano alla bocca, raddolcita.
Negli ultimi mesi lui e la mia amica erano diventati ufficialmente una coppia perfetta, che agisce in sincrono ma senza risultare smielata e ovviamente avevo continuato a dire a lui di sbrigarsi con la proposta.
"Era ora" sussurrai, prima di abbracciarlo.
"Lo so. Lo farò dopo la mezzanotte, con i fuochi d'artificio...".
"Ma al locale dove andremo?".
"Sì. Per favore, potresti provare a immortalare il momento in maniera discreta?".
Con gli occhi lucidi, emozionata come se si trattasse del mio matrimonio, annuii e sorrisi affettuosamente all'uomo che avevo di fronte, così diverso dall'uomo un po' cinico e quasi anaffettivo che avevo conosciuto quasi diciotto mesi prima.
Poi, infischiandomene delle cose da fare, delle scadenze, degli impegni, mi alzai e lo presi sottobraccio con aria affabile, sentendo di essere tornata ai nostri soliti momenti di confidenza che avevano sempre la meglio su tutto.
"Non dovevi lavorare?" mi chiese, ironico.
"Certo che devo lavorare, anzi, mi aspetta un lavoraccio... Farti rendere questo Capodanno unico senza farti sbagliare nulla altrimenti ti ammazzo!".
Saverio rise, felice come non mai, e mi strinse a sé con l'aria di chi ha capito tutto quando vide che lo stavo portando nel bar dell'azienda.
Noi, due caffé, le chiacchiere in sottofondo di chi si prendeva una meritata pausa e tutto poteva tornare al proprio posto senza problemi, in nome dei vecchi tempi e dei nuovi che sarebbero giunti.


31 Dicembre 2018
I miei genitori e quelli di Nadia, Saverio e Mario avevano deciso di venire da noi a Milano visto che dovevamo continuare a lavorare, così ci eravamo ritrovati a fare un mega cenone tutti insieme.
Fu una situazione tragicomica, mangiammo cibo della tradizione napoletana misto a quella delle tradizioni romane e abruzzesi, con i nostri genitori che diventavano amici e si raccontavano storie d'infanzia come se si conoscessero da anni e anni.
"Devo dirvi la verità, Alice nomina Saverio così tanto che credevo fosse il suo ragazzo, ho anche pensato che avesse mollato quel Luca per lui" ammise mia mamma, facendoci ridere tutti con gusto.
"Mamma, lo sai che io sceglierei Mario, è più simpatico" ironizzai.
Sentendo ciò Mario, che ormai aveva superato il periodo di adattamento ed era felicissimo presso l'agenzia di eventi di Milano che lo aveva assunto, mi si avvicinò e mi appoggiò una mano sulla spalla con l'aria di chi la sapeva lunga.
"E io ti direi di no, sei troppo antipatica".
"Gli opposti si attraggono!" cinguettò Nadia, ridendo.
"Ecco perché stai con quello scemo di mio figlio, cara, non c'è altra soluzione. Che tu sia benedetta!" esclamò la singora Capone, guardando la fidanzata del figlio come se fosse Beyoncé.
"Ora capite da chi ho preso il mio essere sempre molto affettuoso" sospirò Saverio, bevendo un goccio di vino con aria truce, mentre Nadia lo abbracciava.
Fu una cena divertente, mangiammo a volontà e in armonia come se fossimo una vera famiglia, poi, alle dieci, io e Nadia decidemmo di andare a prepararci per la serata post mezzanotte in una discoteca che sponsorizzava l'agenzia di Mario.
"Quindi non lo hai più sentito?".
La domanda di Nadia mi trafisse come cento spilli tutti insieme, rabbrividii e finsi di concentrarmi solo su una ciocca molesta di capelli che non voleva starsene al suo posto.
Scrollai le spalle e scossi il capo, improvvisamente rattristita.
"Nadia, gli ho confessato che ad Agosto, dopo solo otto giorni dopo averlo salutato, sono stata con il mio ex dopo ben tre mesi dalla nostra separazione... E' normale che sia scosso e che voglia il suo tempo quando mi stava aspettando seppur in un altro continente, anche se è stata una cosa di mezzo pomeriggio" risposi, rabbuiata.
In un secondo rividi davanti ai miei occhi il litigio con Luca dopo il suo bacio, il suo intrufolarsi in casa mia, lui che mi urlava le sue ragioni – che per me erano torti – e, infine, il mio cedere per l'ultima volta e cadere tra le sue braccia, prima di piangere per ore e cacciarlo di casa perché avevo capito che avevo messo tutto a rischio per nulla, perché per me quel ragazzo non contava più nulla e ne avevo finalmente avuto la prova definitiva.
Ero stata stupida, per quegli insipidi minuti ero tornata ad assere l'Alice disperata dei mesi precedenti e avevo lasciato che la parte di me che aveva sofferto l'avesse vinta su tutti i progressi fatti a luglio anche grazie al mio mediatore.
Non dimenticherò mai la sensazione di delusione provata dopo, capire di aver tradito la fiducia di Maurizio per qualcosa che ormai non esisteva più dentro il mio cuore era terribile e avevo avuto il coraggio di confessarlo solo dopo mesi e mesi.
"Non dovevi farlo" disse la mia amica, decisa. "Non gli devi spiegazioni, non è il tuo ragazzo...".
"Al posto suo avrei voluto saperlo, Nadia, soprattutto nel caso in cui riesca ad andare avanti e a voler provare a stare con me al ritorno" sussurrai.
"Sì, ma ora che manca poco...".
"Un mese esatto" sospirai.
"Ecco! Rischi di... Insomma, Alice, fatti furba, se per te Luca non significa più nulla non eri tenuta a rovinare le cose tra voi!".
"Non è così, Nadia".
Decisi di lasciare i capelli sciolti e aiutai la ragazza a chiudere la cerniera del bellissimo vestito color bronzo che aveva deciso di indossare.
"Maurizio è in Argentina e sin dall'inizio è stato più presente che mai, mi ha scritto un'email bellissima in cui parlava di noi, di ciò che è stato, di ciò che potrebbe essere... Lo sento davvero vicino a me nonostante tutto, omettere l'incontro con Luca sarebbe stata una carognata. Sono fiduciosa, e se non si fa viva sono decisa a parlargli quando tornerà, perché rivederlo con quel macigno sul petto non era proprio una cosa che mi sentivo di fare, non se lo merita" mi spiegai cautamente, sforzandomi di non piangere al pensiero di non ricevere più messaggi da parte sua.
Nadia mi guardò e mi abbracciò, affettuosa come sempre. "Scusami, hai ragione. Andrà tutto bene, succederanno tante cose belle!".
"Oh, anche a te" risposi, senza riuscire a trattenermi.
1 Gennaio 2019
"Buon anno!"
Nelle mie fantasie più impronunciabili allo scattare della mezzanotte Maurizio sarebbe entrato in sala e mi avrebbe baciato alla Ryan Atwood, ma questa era la vita vera, la vita in cui io e lui eravamo in due continenti diversi e non ci sentivamo da settimane. Eppure, mai come in quel momento, sentivo il suo ricordo e la sua presenza più vividi che mai dentro di me.
Ogni cosa mi ricordava lui e il suo amabile sorriso.
Presi il cellulare, pur sapendo che a Buenos Aires fossero ancora le otto di sera, e scrissi rapidamente un messaggio.


Ciao dal 2019.
Capisco il tuo silenzio ma ci tengo a dirti che anche 
nel futuro ti penso ancora e, se ti va, ci sarò al tuo ritorno.
Ti avevo promesso che il 1 gennaio avresti saputo
 qual è il mio ristorante preferito... 
Se ti andrà di saperlo te lo dirò. Un bacio.
La tua Alice.
Lo inviai senza pensarci due volte e avvertii Mario prendermi per mano.
"Ali, muoviti, prepara il telefono, Saverio sta portando Nadia fuori alla terrazza per farle la proposta!" disse concitato, quasi tirandomi con forza.
"Sì, sì, vengo!" risposi, muovendomi a impostare la telecamera.
Impiegammo un po' a raggiungere il luogo stabilito a causa della gente ma alla fine ce la facemmo in tempo perché la coppia stava semplicemente guardando quel bellissimo spettacolo pirotecnico.
Nadia tremava per il freddo, così, con naturalezza, Saverio le appoggiò la sua giacca sulle spalle, poi iniziò a parlare.
Appostati dietro una delle pareti che davano sulla terrazza io e Mario guardavamo il tutto con aria imbambolata e i cellulari rivolti verso i nostri amici.
Saverio parlava, sorrideva imbarazzato, poi, alla fine, si inginocchiò e aprii la scatolina con l'anello comprato cinque mesi prima a Dublino.
Vedendo quella scena non riuscii a resistere e scoppiai in lacrime, emozionatissima, seguita a ruota dal mio amico, tanto che fu difficile riuscire a registrare senza far traballare la schermata.
Ovviamente Nadia si portò le mani alla bocca, si agitò, pianse, toccò Saverio come per rendersi conto che fosse vero, fatto di carne ed ossa, prima di urlare "Sì! Certo che sì! Mille volte sì!", inginocchiarsi a sua volta – ricordandomi tanto Monica e Chandler di Friends – e baciarlo dopo che lui le ebbe messo l'anello al dito.
Finimmo di riprendere, scattammo qualche foto un po' scura e poi restammo così, immobili, per non disturbarli.
"E' stato magnifico" constatai, ancora in lacrime.
"Sì. L'amore esiste, Ali".
Quella constatazione mi scaldò il cuore e annuii, abbracciandolo.


1 Febbraio 2019
Faceva freddo, tanto freddo, a tal punto che tremavo come una foglia nonostante le mille maglie, il cappotto super caldo e la sciarpa enorme che indossavo.
Il pensiero di uscire dall'ufficio e dover camminare fino alla fermata della metro mi faceva impazzire ma dovevo farmi coraggio, così indossai il cappello alla francesina che avevo comprato poche settimane prima, i guanti, la sciarpa e mi apprestai a prendere la borsa.
"Damigella, io vado, ci vediamo domani!" esclamò Saverio, salutandomi con la mano e correndo via come un lampo.
Sospirai, da quando Nadia mi aveva scelto come damigella d'onore mi chiamava sempre così e la cosa a lavoro mi imbarazzava. Inoltre, come al solito c'erano alcuni membri dei vari team che non vedevano di buon occhio la nostra confidenza e non perdevano tempo nel diffondere voci poco carine sul nostro conto.
Damigella!
Sì, ero una di quelle damigelle che se la cavavano da sole, senza cavaliere ed erano appesantite dalle mille richieste della propria dama. Non che non volessi bene a Nadia ma ultimamente andava in crisi per ogni cosa e starle dietro risultava sempre più complicato perché non sapevo cosa dirle per rassicurarla.
Come per confermare questo pensiero, il mio cellulare squillò e mi ritrovai a leggere un suo messaggio.
"Sono al bar vicino l'ufficio, ho bisogno di un consiglio, ti prego!".
Alzai gli occhi al cielo e mi imposi di essere gentile e carina come Nadia lo era sempre stata con me, il fatto che quel giorno fosse un giorno particolare che non era andato come avevo immaginato era un problema mio, non suo, e non dovevo incolparla se così facendo mi stava portando via dal mio piano per la serata composto da sushi da asporto, "La verità è che non gli piaci abbastanza" e del vino.
"Certo, arrivo" risposi.
"Tavolo 12, ho già ordinato il tuo solito spritz".
Sospirai e mi avviai verso il bar, squadrando il mio riflesso nelle vetrine davanti cui passavo. 
Vedevo una ragazza improvvisamente più matura, i tratti da bambina che avevano sempre caratterizzato il mio viso un po' rotondetto stavano scomparendo lasciando la traccia di una giovane donna pronta ad emergere. Forse anche il taglio un po' più corto e le tracce di trucco un po' più pesante davano il loro contributo, chissà.
Entrai nel bar destreggiandomi tra la solita folla del venerdì sera e iniziai la ricerca della mia amica, avvicinandomi alla zona del tavolo dodici.
Non la vedevo, non c'era traccia della sua chioma corvina e delle sue tinte labbra sempre molto marcate.
Arrivata al tavolo undici mi voltai verso il dodici e vidi che era occupato da un uomo che si guardava intorno.
Una seconda occhiata e l'uomo si voltò verso di me.
Aveva una folta chioma riccia e una barba incolta, il naso un po' lungo e un sorriso gentile.
"Alice!".
Improvvisamente le gambe mi tremarono e fui costretta ad appoggiarmi al tavolo per non cadere, l'espressione sorpresa e la faccia di chi non crede ai suoi occhi.
"Maurizio?".
Pronunciai il suo nome in modo flebile, quasi inaudibile, mentre lui si alzava e mi veniva incontro.
Improvvisamente la folla cessò di essere rumorosa, non sentivo nulla oltre al suono delle parole di chi mi stava di fronte.
Maurizio era più elegante del solito, indossava una camicia sotto ad un maglione scuro e dei pantaloni eleganti, mi si avvicinò con cautela e mi accarezzò una guancia come se fossi fatta di vetro.
"Non dici niente?" chiese, quasi imbarazzato.
Cosa dovevo fare, saltare di gioia o dirgli che era uno stronzo perché non mi aveva più degnato di mezzo messaggio da quando aveva saputo la verità su me e Luca?
Il calore del bar e della folla era troppo così, non riuscendo a resistere, gli voltai le spalle e uscii dal locale, in ansia e accalorata.
Presi posto su una panchina e lui mi seguì, sedendosi al mio lato.
"Credevo non volessi più avere a che fare con me. Chi tace acconsente" sussurrai, sentendo un grande nodo alla gola.
"Sì, ma acconsente a cosa? Non lo sapevo nemmeno io, Ali, finché non è venuto il momento di ripartire e di realizzare che avrei potuto rivederti" rispose cauto, cercando di mantenere il contatto visivo.
"Ho sbagliato ma potevi rispondere, a Capodanno...".
"Ci sono stato male, mettiti nei miei panni".
"Ti ho giustificato per mesi, davvero, ma ora mettiti tu nei miei panni, credevo non ti avrei rivisto se non per caso, magari in metro, e...".
La voce mi si spezzò e, senza riuscire a trattenermi, iniziai a versare un mare di lacrime tanto da sentirmi stupida e infantile come non mai.
Mi alzai, celando il viso, e prontamente Maurizio mi seguì, afferrandomi per le braccia e obbligandomi a guardarlo.
"Non volevo farti piangere! Sono uno scemo, ho organizzato questa sorpresa con Nadia e Saverio perché non avevo la forza di contattarti e invece ti ho sconvolto! Scusami, davvero. Quando mi hai rivelato di te e Luca ero convinto di un vostro ritorno di fiamma" si giustificò, cauto come non mai.
Feci cenno di no e pescai un fazzoletto nella borsa per asciugarmi il viso.
"Te l'ho detto dopo mesi... Quando è successo ho avuto la conferma del fatto che non lo amavo più e mi sono odiata per avergli ceduto, ho capito che era finito tutto e....".
"Basta, Ali. Il tuo ex ci ha già danneggiato abbastanza. Io so solo che sono di nuovo a Milano e che mi sei mancata da morire anche se ci siamo conosciuti solo per un mese" m'interruppe, asciugandomi una lacrima con dolcezza e stringendomi a sè con decisione, pronto a non farmi andare più via.
Quell'abbraccio fu terapeutico, sentii tutta la sua voglia di rivedermi, provare a conoscermi di nuovo, riavermi al suo fianco di nuovo nella quotidianità questa volta nel mondo vero, non in quello un po' plastificato della vacanza studio.
Ricambiai la stretta con energia e continuai a piangere, sentendo che in quel modo avrei chiuso definitivamente con il passato e sarei stata pronta a vivere nel bel presente che mi aspettava.
"Sbaglio o devi dirmi il tuo ristorante preferito e portarmi a cena?" sussurrò contro il mio orecchio, facendomi ridere tra le lacrime.


8 marzo 2019
Sentivo gli occhi di Saverio e Nadia fissi su di noi mentre prendevamo i piatti per il dessert.
Ci avevano appena mostrato la foto che ci avevano scattato a Dublino di nascosto e noi ci eravamo imbarazzati non poco visto che, un mese dopo esserci rivisti, eravamo in una fase strana in cui ci frequeventavamo ma le cose andavano con estrema lentezza a causa del mio voler fare tutto bene senza fretta.
"Nadia, spiegami perché hai voluto questi due alla nostra serata tra donne, è la nostra festa!" esclamai appena Maurizio e Saverio iniziarono a prendere in giro la mia torta mimosa.
"Così il signorino qui mi perdonerà quando non saprà nulla del mio addio al nubilato" rispose la futura sposa, ammiccante.
Maurizio sorrise incerto come ogni volta che si accennava al matrimonio: io ero la damigella d'onore e lui evidentemente non sapeva se saremmo arrivati insieme ad agosto, il mese delle nozze.
"Scherza pure ma ricorda che il mio lo organizzerà Mario..." disse Saverio, stuzzicandola.
"Sì, ho sentito che ha fatto scappare tutte le spogliarelliste di Milano" inventai.
La serata fu piacevole e verso le undici la coppia ci lasciò soli, tornando a casa in vista della solita sveglia minacciosa del giorno dopo.
Non era la prima volta che eravamo soli da me ma quella sera tutto sembrava diverso, più nitido.
Mi finsi impegnata con le stoviglie da lavare, poi Maurizio mi si avvicinò e mi cinse la vita con le braccia.
Chiusi gli occhi e lasciai che mi stringesse a sè, comprendendo il perché di quei gesti.
"L'Argentina ti ha reso più sensuale" sghignazzai quando avvertii un lieve bacio sul collo.
"Milano ti ha reso un po' fredda" ammise lui, mesto.
Deglutii, colpita, e mi voltai di scatto.
"Milano non c'entra niente, Maurizio" dissi, decisa.
"E cosa c'entra? Mi sento come un mostro, quasi tremi se provo a starti più vicino, non pretendo niente che non ti vada di fare, solo che ho paura di non piacerti più" confessò.
Mentre parlava ripensavo a tutte le nostre uscite dell'ultimo mese, al nostro riavvicinarci con calma, godendoci ogni istante senza l'ansia di una separazione imminente.
Lo guardai. Con la barba meno folta di quella di un mese prima era davvero affascinante e amavo il suo corpo flessuoso, le sue gambe atletiche, le sue mani che reclamavano gentilmente il mio corpo...
"Mi piaci fin troppo, Maurizio. Non so perché ma cerco di andare con calma perché... Quando ci siamo lasciati andare, a Dublino, mi hai rivelato il tuo segreto. Temo la cosa si possa ripetere" confessai, dando voce al pensiero che mi assillava da non poco.
Notai uno sguardo di comprensione sul volto del ragazzo e mi si avvicinò di nuovo, scuotendo il capo. "Ti giuro su ciò che vuoi che sono qui".
Sospirai e gli appoggiai delicatamente le braccia attorno al collo, senza smettere di mantenere il contatto visivo.
"Per favore, qualsiasi cosa sia successa in Argentina, qualsiasi cosa, dimmela, iniziamo col piede giusto" lo supplicai.
"Quindi vuoi iniziare?" sottolineò, sornione. "Comunque te l'ho detto Alice, niente, niente di niente. Sai che non ero lì per divertirmi, ho viaggiato molto, scritto la tesi e ho stretto molte amicizie, stop. Nessun flirt, nessuna storia, niente di niente".
"Forse non me ne sono resa conto, ma voglio iniziare da luglio..." sussurrai, stringendolo a me.
"Non sai quanto sono felice di averti qui, di vederti, di averti nella mia vita...".
Ci baciammo per suggellare quelle parole, a lungo, dolcemente, come se fosse la prima volta.
Sentivo il mio cuore esplodere di felicità, finalmente le mie stupide ragioni non avevano più spessore dei miei sentimenti e non prevalevano più su di loro.
"Però, ti prego, non corriamo, non roviniamo tutto con stupide etichette, continuiamo ad essere noi stessi" lo implorai quando fu chiaro ad entrambi che quella sera saremmo andati oltre come se fosse la prima volta.
"Non m'importa delle etichette, per me tu sei l'unica ed è ciò che conta" rispose, separandosi da me per accarezzarmi una guancia e sorridermi con emozione.
"Sei il solo ed unico e credo tu lo abbia capito, ormai" mormorai, sentendo di non avere chissà quanto fiato in gola.
"Da quando ti sei messa a piangere quando mi hai rivisto".
"Piangevo perché sei uno scemo, non si fa così...".
"Vuoi già litigare?".
Scoppiammo a ridere e lo condussi nella mia stanza come se fosse la cosa più giusta ed assoluta dell'universo, l'unica verità accettabile in un mondo fatto di caos e problemi.
28 agosto 2019
"Ma cosa ci fai qui? Non stavi ultimando la tesi a Milano?" domandai, sconvolta.
Ero scesa nella hall dell'albergo che mi aveva ospitato per il matrimonio di Saverio e Nadia e mi ero ritrovata davanti Maurizio, quello che circa dodici ore prima avevo definito ufficialmente "Il mio fidanzato" dopo sette mesi di intensa frequentazione, dichiarazioni di affetto reciproco fin troppo palesi e momenti indimenticabili per la loro intensità.
Maurizio mi sorrise, bello come non mai con indosso una camicia bianca e dei jeans scuri, per poi avvicinarsi a me e baciarmi con slancio, senza dire nulla.
"Ecco qui, ora che sei la mia fidanzata vuoi sapere tutto e controllarmi, che noia!" ironizzò, prima di cingermi la vita con le braccia e stringermi come se potessi sfuggirgli via da un momento all'altro.
Risi e poi lo guardai negli occhi, per poi prenderlo per mano e portarlo su uno dei divanetti della hall.
"Sei arrabbiato perché ti ho definito "fidanzato" al telefono...?" chiesi.
Lui scosse il capo e appoggiò una mano sulla mia, stringendola con affetto.
"No, sono solo arrabbiato per le tempistiche. Se me lo avessi detto un giorno prima....".
Era ironico, potevo percepirlo, proprio come potevo capire che era lì per una semplice voglia di vedermi ora che avevamo fatto il grande passo.
"Sono stata felice così. Non dovevo dimostrare niente a nessuno e sapevo quanto tu fossi occupato con la tesi del dottorato, non me la sentivo di trascinarti qui per tre giorni, distrarti...".
"Ali, scherzavo. Mi conosci, quando si tratta di te divento meno razionale, dopo la tua telefonata di ieri non potevo starmene a Milano senza te... Che ne dici se prolunghiamo questi giorni abruzzesi, solo io e te?".
Era una proposta troppo allettante per dire di no, il pensiero di stare con lui in un'altra regione senza l'ansia del lavoro mi riempiva il cuore di dolcezza e felicità.
Mi sentivo leggera come un palloncino, a tal punto da accettare senza nemmeno pensarci due volte per poi appoggiarmi sul suo petto mentre mi teneva stretta a sé, pronto a non lasciarmi mai.
Penso sia inutile dire che quel giorno stesso ci scambiammo il nostro primo e autentico "Ti amo", sotto le luci soffuse del tramonto mentre eravamo in spiaggia a goderci l'alba della nostra storia.
13 Agosto 2020
"Eccoli, eccoli!".
Ero stanca morta e intontita dopo aver dormito in aereo eppure non stentai a riconoscere le voci sorprese ed eccitate di Saverio e Nadia.
"Ma non ci credo, sono venuti davvero!" esclamai, felice come non mai, notandoli a circa una ventina di metri di distanza.
"Credevo scherzassero!" mi diede man forte Maurizio, accelerando il passo.
Storditi dal cambio climatico – dopotutto a Dublino c'erano solo dodici gradi contro i quaranta di Milano – e dal carico di lavoro che ancora ci turbava nonostante tutto si fosse concluso, io e il mio fidanzato corremmo in direzione dei nostri amici.
Ripensandoci, era meglio rivedere Saverio subito, senza avere il pensiero fisso di ciò che mi avrebbe detto e di cosa aveva saputo sul mio operato.
"Ragazzi!".
"Eccola, l'usurpatrice del mio trono, la Coordinatrice a mie spese!".
Diretto, semplice, preciso, Saverio non si smentiva mai, nemmeno a trentasei anni suonati.
"Non è colpa mia se hai preferito badare a una sola bambina invece che a un centinaio di adolescenti per tutta l'estate" lo presi in giro affettuosamente, prima di dire: "Ecco la principessa di zia Alice!".
Tra i due coniugi c'era una carrozzina blu in cui c'era una bellissima bambina di soli due mesi, Emma.
Rivedendo il suo faccino dolce, i capelli scurissimi come quelli della mamma e il sorrisino di chi sembra già capire la magia degli aeroporti ricordai tutti i momenti magici che ci aveva regalato seppur da lontano, come tutte le volte che ci svegliavamo e Nadia ci riempiva di foto della piccola.
Grazie alla sua nascita io ero stata proposta e poi accettata come "supplente" di Saverio che non se la sentiva di partire con una bambina appena nata, così a mia volta mi ero ritrovata coinvolta in una sfida più grande di me che avevo superato solo grazie al costante aiuto di Maurizio, Mario e Salvatore. 
Mi sarei rifiutata di partire senza di loro e l'addetta alle risorse umane aveva compreso alla perfezione la situazione di emergenza.
"Per favore, andiamo, la bambina è stata fin troppo esposta a germi di ogni tipo qui, su" disse Saverio.
"Ma la smetti? E' figlia tua, ha l'aeroporto nei geni, non le succederà nulla e l'abbiamo vaccinata" gli ricordò pazientemente Nadia.
Abbracciai la mia amica mentre Maurizio dava una pacca sulla spalla al neo papà e ci avviammo verso l'uscita.
Raggiungemmo l'auto e ci avviammo verso casa sotto il sole ardente di Agosto che scaldava anche i nostri cuori, felici come eravamo di essere di nuovo a casa con i nostri amici.


"E' stata dura, eh?".
Per nostra fortuna, Emma era molto tranquilla e quella sera ci lasciò cenare in pace mentre mangiavamo una pizza nel bilocale che io e Maurizio condividevamo da circa sei mesi.
Saverio continuava a guardarmi in modo strano, mi metteva in soggezione anche se non riusciva a smettere di essere il solito e a fare battutine.
"Non sai quanto. Abbiamo avuto dei genitori stronzissimi, una buona percentuale di ragazzini viziati... Per fortuna Cristina è stata una group leader fantastica, mi sono permessa di segnalarla come team leader" risposi, commossa mentre ripensavo alla gioia di aver incontrato una delle mie colleghe preferite.
"Ora non lo ammetterà mai ma è stata fenomenale, ha gestito bene i momenti di panico ed era amata da tutti" mi diede man forte Maurizio.
"Non avevamo dubbi. Saverio non ha nemmeno pensato alla sua scelta, ti ha pensato in automatico" mi incoraggiò Nadia, accarezzandomi il braccio.
Mi aspettavo qualche battutina che, però, non fu pronunciata.
"Posso chiederti perché io e non Mario o Salvatore?" domandai, dando voce ad un quesito che mi ponevo da quel caldo giovedì in cui avevo saputo della mia sorte come Coordinatrice.
Molto tranquillamente Saverio ingoiò il boccone, si pulì le mani e incrociò il mio sguardo.
"Ho semplicemente pensato: a chi lascerei Emma per un mese e mezzo? E ho pensato a te. Salvatore è un grande, bravissimo, ma gli manca un po' la gentilezza e il voler comunicare tipico di chi eseguisce comandi roboticamente. Mario è troppo innamorato di quel che fa, strappargli la carica di activity leader sarebbe un danno per tutti.... Tu conosci tre lingue, sei brava a farti capire, hai una componente umana invidiabile ma allo stesso tempo hai una capacità di problem solving molto elevata. Sei il futuro dell'azienda, ormai lo dicono tutti in ufficio" mi spiegò, lasciandosi sfuggire un sorriso soddisfatto, come quello di chi scopre un diamante grezzo che sfugge all'occhio degli altri.
Senza parole spalancai gli occhi, emozionata. "Anche quando non fai il turno con me devi darmi la votazione finale, oh! Non so cosa dire...".
"Dì che ti è piaciuto coordinare tutto, su" ridacchiò Nadia. "Ma ci pensi? Nell'estate del 2017 eri alla prima esperienza, ci siamo conosciute, eravamo entrambe un po' perse, ed ora, quattro anni dopo eccoci qui, tu coordinatrice, io con Emma, entrambe con un uomo fenomenale al nostro fianco...".
Quanta verità, pensai. Quante cose possono cambiare in quattro anni?
Annuii e mi voltai verso Maurizio. "E' stato la mia roccia quando stavo per dare di matto" dissi.
Lui mi strinse a sé e mi diede un bacio sulla guancia, prima che il pianto di Emma ci allarmasse tutti, riportandoci alla realtà dei fatti.
Mi sentivo stranamente leggera come un palloncino come ogni volta che tornavamo da una vacanza studio, avevo davanti a me il resto di agosto da passare in vacanza con il mio grande amore e poi di nuovo in ufficio per la Emperor Travel, questa volta ancora più consapevole e determinata a dare del mio meglio.
L'arrivo di un messaggio mi distrasse dalle urla di Emma, così presi il cellulare e lo lessi.


Salvatore: Alì, ti sei scordata di restituirmi l'adattatore!
Scoppiai a ridere, poi sorrisi tra me e me: ad adattarmi mi ero adattata e fin troppo, ma, per fortuna, certe cose non cambiano mai.
La vecchia Alice, quella pasticciona, impacciata, che si presenta di corsa alle prove di evacuazione in pigiama senza reggiseno e che va nel Regno Unito senza adattore era ancora lì dentro di me ed ero determinata nel fare il possibile per continuare a farla vivere in eterno.
Fine

E così la storia di Alice è appena finita ufficialmente ma, secondo il mio punto di vista, è iniziata davvero solo ora.

I primissimi capitoli della prima parte sono abbastanza autobiografici ma poi, piano piano, Alice ha preso vita indipendentemente da me e ha dato vita a un personaggio diverso da quello che tendo a descrivere.
Sono "fiera" di lei, perché sembra assurdo ma mi ha insegnato tanto: a prendermi meno sul serio, a farmi valere anche nei momenti bui, a credere in certi legami che nascono per caso e sono sempre più forti giorno dopo giorno.
Non so cosa dire, il finale si è scritto da sè ed è stato un processo molto naturale.
Alice cresce, inizia a lavorare seriamente per la sede di Milano della Emperor Travel e nel frattempo vive mesi tumultuosi tra il confessare la verità a Maurizio su quel pomeriggio passato con Luca e l'aiutare i suoi più cari amici con le future nozze.
Sì, Alice ci è "ricascata" con Luca. Perché?
Perché è umana, perché non ha avuto una degna chiusura con lui e ha preferito cedere piuttosto che iniziare un'avventura con Maurizio senza essere certa di tutto al cento per cento.
Il mese che ha trascorso in compagnia del mediatore le ha dato tante piccole gioie ma la realtà, purtroppo, è sempre diversa e lei le ha tentate tutte per trovare la sua strada. Spero davvero che la cosa non vi abbia sconvolto ma la vita è così ^^
Passando a Saverio, ho personalmente amato scrivere di lui e i suoi siparietti con la sua nuova migliore amica. I fidanzati vanno e vengono, un Saverio c'è sempre (tranne quando si arrabbia xD).
Volevo renderlo padre alla fine perché in fin dei conti anche se è sempre burbero è pur sempre un uomo che dedica ogni estate della sua vita al benessere di tanti adolescenti... E grazie a lui Alice può provare l'esperienza di "coordinare" tutto, non solo il reparto di mediazione, con i fidati Maurizio, Mario e Salvatore.
Che dire, grazie a tutti i lettori, a coloro che mi hanno spronato e alla mia fedele lettrice ineedofthem!
Se vi va di lasciarmi il vostro parere ci sono sempre e leggerò con piacere.
Grazie e a presto!
La vostra milly.



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