Alice,
La Mediatrice
Capitolo
1
Day
1: Adattarsi e Adattatori
“Quando ho
saputo che l’azienda avrebbe assunto una mediatrice culturale ho tirato un
sospiro di sollievo. Insomma, me la sono sempre cavata con l’inglese, ma quando
ho saputo che questa volta i ragazzi avrebbero studiato anche spagnolo sono
rimasto decisamente sorpreso... E ci tengo a lavorare bene con te, quindi
eviterò la solita battutina in stile ‘tanto basta aggiungere solo una S a fine
parola’. In sintesi, grazie Alice, mi dispiace dirti che quando si tratterà di
avere a che fare con il team spagnolo ti romperò davvero le scatole”.
Saverio Caponi
mi era subito sembrato il classico Direttore disponibile e alla mano e per
fortuna con quel discorso, fatto ad ora di pranzo il giorno del mio arrivo a
Londra, me lo confermò.
Ero partita da
Roma senza sapere bene cosa aspettarmi perché avevo semplicemente fatto domanda
per questo lavoro tramite il sito dell’azienda, dopo una segnalazione della mia
amica.
Mi aveva detto
che la Emperor Travel cercava una mediatrice culturale per un soggiorno in
Inghilterra di due settimane, per fare da traduttrice tra il team italiano e
quello spagnolo ospite degli inglesi.
Dei ragazzi tra
i quattordici e i diciotto anni, accompagnati costantemente da dei group
leader, sarebbero stati i protagonisti di quella esperienza, avrebbero studiato
inglese e spagnolo, visitato le città vicine al college e ottenuto un attestato
a fine esperienza, come ogni vacanza studio che si rispetti.
Così, appena
laureata da circa un mese, avevo tentato la fortuna e avevo fatto domanda per
poi essere contattata nel giro di una settimana.
“Tranquillo,
sono qui per questo. Amo il mio lavoro, anche se come saprai sono alla prima
esperienza se escludiamo qualche tirocinio” risposi, mentre giocherellavo con
un pezzo di insalata.
“Meglio, così
hai più pazienza e l’entusiasmo avrà la meglio sulla stanchezza, almeno
all’inzio. Non so se hai mai partecipato a queste vacanze studio, ma i ritmi
sono assurdi, te lo dico”.
“No, solo che me
ne hanno parlato. Però non capisco... Voglio dire, ci sarà da mediare anche sul
tardi? Ad esempio, dopo le dieci di sera?”.
Probabilmente
Saverio non mi rise in faccia per educazione e per professionalità, per questo
si limitò a sorridere con un fare quasi paterno, nonostante avesse solo sette
anni più di me.
“Dove ci sono io
con gli spagnoli devi esserci tu. Se c’è un problema, se c’è un cambio di
programma all’ultima ora o se c’è semplicemente una serata organizzata da loro,
io avrò bisogno di te. Ecco perché non avrai un giorno libero mentre i group
leader sì. Il tuo lavoro qui non sa farlo nessuno. Sei indispensabile per la
riuscita del viaggio, ecco perché sono onesto e trasparente sin da ora. Sentiti
libera di dire parolacce quando vuoi! Le accetto volentieri, per me se uno dice
parolacce significa che non ce la fa più, e se non ce la fa più è perché sta
lavorando tanto e di sicuro bene” disse senza giri di parole, per poi aprire
una birra e riempire il mio bicchiere. “Finché non arrivano i ragazzi possiamo
farlo” aggiunse, con tanto di occhiolino.
Ero sorpresa.
Era il mio capo
quello che mi stava parlando in questo modo?
“Sarò sincera,
non sei il direttore che mi aspettavo” borbottai, un po’ a disagio.
Ero abituata ad
avere un rapporto formale con i miei superiori e questo trentadueenne con un
po’ di barbetta e gli occhiali in stile hipster sembrava tutto fuorché rigido e
dedito alle regole.
“Perché stiamo
bevendo birra a ora di pranzo e ti ho appena invitata ad usare un linguaggio
scurrile, se necessario?” osservò.
“Non ho ancora
bevuto...”.
“Oh, dovresti
farlo se questi primi cinque minuti di conversazione ti hanno sorpreso”.
Risi di cuore,
felice di avere a che fare con una persona alla mano e schietta, così obbedì e
bevvi un sorso generoso di birra.
“Ora sei pronta
per firmare il contratto! Davvero, scusami se ti sto sembrando strano o fuori
luogo, solo che il nostro lavoro è così stressante ed intenso che è impossibile
svolgerlo se non si ha confidenza e ci si trova bene”.
Annuii,
accennando un sorriso.
“Immagino. Non
tanto io ma di sicuro gli altri arriveranno esausti a fine turno dopo due
settimane passate con degli adolescenti...”.
“Oh, no, fidati,
anche tu. Ad esempio, gli altri group leaders sono in viaggio al momento,
mentre tu inizierai a lavorare ora. Ci sono mille email di cui devi spiegarmi
il contenuto, poi alle quattro ho un breve meeting con Laura Rosales, la team
leader degli spagnoli. Pronta?”.
“S-sì” borbottai
per poi iniziare a mangiare, più che altro per stoppare il flusso di notizie
con cui Saverio mi stava sommergendo.
Ebbi appena il
tempo di mangiare un boccone del mio hamburger che Mario e Elena,
rispettivamente l’activity e la team leader, entrarono in mensa.
Il primo aveva
il compito di organizzare le varie attività per i ragazzi, l’altra dirigeva il
gruppo come una sorta di vice del Direttore.
“Allora, quanto
ti ha spaventato da uno a dieci?” attaccò subito Elena, dandomi ulteriore prova
della sua parlantina proprio come quando, tre ore prima, ero arrivata al
college e lei mi aveva accolta con una montagna di domande.
“Undici”
biascicai, falsa intimorita.
“Ma dai Alice,
ti divertirai con noi!” esclamò Mario. “Dobbiamo programmare una serata tutta
spagnola, mi raccomando!”.
“Oh, certo”.
“Mario, non dire
stronzate, lo sai che non avrà nemmeno il tempo di respirare, pensaci tu a
queste idiozie”.
Di nuovo mi
tuffai nel mio hamburger e lo mangiai abbastanza velocemente, mentre loro
parlavano della distribuzione delle divise per i group leader, degli zaini,
delle camere, delle liste...
“Tu non avrai la
maglietta rossa che daremo agli altri, che fortunata” disse Saverio. “E’
un’esperienza che non auguro a nessuno, quattordici giorni con jeans e polo
sono asfissianti”.
“Oh, bene”.
“Ti è andata di
lusso, Alì!” disse Mario, con una cadenza tipica campana, ed io annuii senza
sapere cosa altro dire e, per fare qualcosa, presi una mela rossa dal vassoio.
Il mio compito
era comunicare e in quel momento mi sentivo sppraffatta dai pensieri, tanto da
non riuscire ad esprimerli.
Dopo aver firmato
il contratto, tradotto il contenuto di alcune email della Santo Domingo, l’ente
per cui lavorava il team spagnolo, e aver fatto da mediatrice tra Saverio e
Laura Rosales, mi fu detto che potevo starmene in camera fino ad ora di cena –
ovviamente ciò significava le 18.30 –.
A quell’ora metà
degli ottanta ragazzi sarebbe giunta al college, mentre gli altri erano attesi
prima di mezzanotte.
“Ti avviso,
quando arriveranno tutti i group leader, che da ora in poi chiamerò GL, ti
aspetto alla riunione, devi conoscerli” mi aveva detto Saverio.
Io avevo annuito
e poi ero fuggita in direzione dell’uscita dell’ufficio, quasi timorosa di un
suo eventuale cambio di idea.
Avevo due ore
libere ed ero intenzionata a passarle dormendo visto che a quanto pare avrei
lavorato ogni giorno fino a dopo la mezzanotte.
Mi sentivo
strana, ero eccitata perché l’incontro con Laura e il direttore era stato una
figata pazzesca – Laura era di Siviglia e aveva quell’accento Andaluso che amo
da morire – ma allo stesso tempo non sapevo cosa aspettarmi.
Saverio, Mario
ed Elena sembravano ok, ma dovevo ancora conoscere i quattro GL e la
Dottoressa.
Saremmo stati
uno staff di quasi dieci persone, avremmo convissuto per due settimane a
stretto contatto...
Ero una persona
che aveva bisogno dei suoi spazi e temevo di fallire, di perdere le staffe
sotto pressione.
Mi dissi di non
pensarci e optai per una doccia veloce.
Prima di tutto
mi tolsi il badge che recitava
Name/Nombre:
Alice Sebastiani
Job/Trabajo:
Mediatrice Culturale
Nome e professione
era tutto ciò che gli altri potevano sapere di me, era il mio compito farmi
valere, farmi apprezzare, collaborare per rendere l’ambiente di lavoro
piacevole.
Ripensai a quando,
in Erasmus, non mi ero trovata bene con le mie coinquiline e la mia salvezza
erano state due amiche spagnole.
La storia si
sarebbe ripetuta?
Avrei stretto
più amicizia con la Rosales e i suoi colleghi?
Alice,
piantala che sei ridicola! Vivi il momento!
Lasciai che
l’acqua calda lavasse via non solo le impurità di ore e ore di viaggio ma anche
i miei pensieri, così, esausta e ancora in biancheria intima mi appoggiai sul
letto e chiusi gli occhi.
Avevo i muscoli
delle spalle tesi più che mai come ogni volta che affrontavo un viaggio e avevo
dei pensieri ansiosi, poi per fortuna riuscii a scacciarli via e mi
addormentai, seppur per una sola ora e quindici minuti.
Di nuovo,
rapidamente, come avevo fatto quella mattina prima di andare all’aeroporto di
Fiumicino, indossai dei jeans, una maglietta a righe, le Adidas, il badge,
spalmai un velo di fondotinta e di mascara sulla faccia e mi avviai verso la
mensa, che distava circa cinquecento metri dalla zona dei dormitori.
Il campus che ci
ospitava faceva parte dell’immenso Queen’s College, sembrava davvero uno dei
tipici college da film inglese con enormi zone verdi ed edifici bianchi ed
enormi con la bandiera inglese esposta.
Purtroppo la
mensa e i dormitori erano distanti, mentre l’edificio in cui si sarebbero
tenute le lezioni di inglese e spagnolo era a cento metri dalla mensa.
Con lo zainetto
rosso in spalla che mi avevano dato in dotazione insieme al badge mi sentivo
una scolaretta che si appresta a iniziare il primo giorno di scuola, anche se
ormai per me lo studio era, almeno momentaneamente, un ricordo, visto che aveva
da poco concluso il ciclo di studi magistrale e potevo considerarmi un’
“adulta”.
Sì, ero
un’adulta, avevo tutto sotto controllo... Sì, tutto!
Bip
Bip.
Abbasai lo
sguardo e vidi il mio cellulare che si spegneva a causa della batteria scarica.
Per fortuna
avevo chiamato già a casa per dire che era tutto ok, lo avrei ricaricato con
calma quella sera una volta in camera...
“Cazzo,
l’adattatore!”.
Mi bloccai di
scatto nel bel mezzo del marciapiede, a circa cinquanta metri dalla mensa,
mentre dicevo: “Chi idiota parte per l’Inghilterra e non porta con sè
l’adattore?” e, allo stesso tempo, una persona che evidentemente era alle mie
spalle mi veniva addosso per la mia brusca fermata.
“Ehiii!”.
“Oh, scusami!”.
Io e la persona
ci scontrammo, mi appoggiai al muro per non cadere e lei invece barcollò,
evitando non so come di cadere.
Era un ragazzo
dal naso aquilino, pallido, non molto alto e indossava la maglia rossa
dell’azienda.
“E’ ok ma fà più
attenzione, per fortuna non c’erano i miei ragazzi con me” disse, piuttosto
severo.
“Oh, sei un
group leader, vero?” dissi, imbarazzata.
Lui annuì.
Di poche parole
il ragazzo, a quanto pare.
“Io sono Alice,
piacere. La mediatrice culturale”.
“La che?”.
Offesa, feci una
smorfia: il mio era un mestiere come tanti, non di certo uno di quelli super fighi
con il titolo tradotto in inglese giusto per sembrare ancora più irraggiungibili.
“La
me-dia-tri-ce culturale” rispiegai pazientemente.
“Ah, mediatrice!
A causa del viaggio sto così fuso che avevo capito meretrice, ecco perché ero confuso” ridacchiò, con un palese
accento romano. “Salvatore, comunque. Piacere. Faccio questo mestiere da cinque
anni e non ho mai sentito parlare di una mediatrice nel team!”.
“E’
un’eccezione, oltre agli inglesi ci sono gli spagnoli e l’azienda aveva bisogno
di una traduttrice. Diciamo che è un esperimento... Scusami comunque, mi sono
bloccata nel bel mezzo della strada perché ho appena ricordato di aver
dimenticato l’adattore e il mio cellulare è appena morto”.
“Azzò, sei
perspicace, Alice la Mediatrice. Spero non dimentichi le traduzioni delle
parole così come dimentichi le cose essenziali”.
Aveva ragione.
Uno sconosciuto, un collega che mi conosceva da mezzo minuto aveva già notato
la mia tendenza ad andare nel pallone e dimenticare le cose importanti nei
momenti critici.
Non potevo di
certo prendermela, aveva fatto una giusta osservazione.
“Guarda il lato
positivo: non sono una group leader e non posso dimenticare cose fondamentali
come uno dei ragazzi che mi ha chiesto di andare in bagno o cose così”.
“Positivissimo,
eh. Senti, ce l’ho io l’adattatore comunque, dopo cena te lo do” disse, burbero
ma disponibile.
“Davvero?”.
“E che te pare
che sto a scherzà? Ma sei romana pure te o sbaglio?”.
“No, no. Sì!”.
“No o sì?”.
“No, non mi
sembra tu stia scherzando. Sì, nel senso che sono di Roma”.
“E allora
aiutiamoci tra compaesani, io abito in provincia da come avrai capito”.
“Grazie mille,
Salvatore. Mi stai salvando!”.
“Sì Alice, ma
stai attenta che mancano ancora tredici giorni, eh”.
Di nuovo non
ebbi il coraggio di ribattere ed annuii, seguendolo fino a mensa.
Questo è un
lavoro in cui va avanti chi è pronto e sveglio e io dovevo fare del mio meglio
per non addomentarmi sulla scrivania, ne ero sicura.
Fui accolta da
una miriade di testoline che si agitavano, borbottavano cose, alcune bionde,
altre scure, altre già tinte e decolorate nonostante la giovane età.
La mensa era la
stessa di cinque ore prima eppure mi sembrava diversa, improvvisamente allegra
e magica, con l’atmosfera tipica di un posto pieno di persone provenienti da
luoghi diversi che si ritrovano in un nuovo paese tutti insieme, consapevoli
del fatto che il destino li ha uniti per qualche suo magico scherzo e che
questa esperienza li marcherà per il resto della loro vita.
“Londra 2017”,
ecco cosa stavano vivendo, ed io avevo il privilegio di essere lì, per ora
testimone ma forse piano piano sarei stata in grado di diventare anche una di
quelle che passa all’azione e dà un contributo al viaggio.
I ragazzi
sembravano allegri e spensierati nonostante la giornata di viaggio con vari
scali, mentre Saverio, seduto al tavolo centrale con Mario, Elena, Salvatore e
una ragazza alta e magra, sembrava diverso, più consapevole e serio.
“Alice, hai
conosciuto Salvatore, vedo” mi accolse il direttore, mentre prendevo posto.
“Sì, mi ha già
salvato la vita”.
“Non ho dubbi,
lo conosco da quando ha iniziato ed è il migliore collaboratore che abbia mai
avuto, ti risolve un problema in tre secondi. Dopo ciò, scusami Nadia, la tua
presentazione ora sembrerà scialba ma non è colpa mia se sei arrivata con Super
Salvatore. Lei è Alice, la nostra mediatrice culturale”.
“Io avevo capito
meretrice culturale, pensa” lo apostrofò Salvatore, ridendo.
Saverio sgranò
gli occhi e poi scoppiò a ridere, battendo il cinque con il collega mentre
Nadia mi porgeva la mano e si presentava.
“Piacere”
“Piacere!”.
Nadia sembrava
più grande di me ed Elena, aveva i lunghi capelli scuri raccolti in una coda e
un trucco perfetto che evidenziava gli occhi a mandorla.
“Ora manca solo
il gruppo di Bari e quello di Napoli, con Clara e Luca. Arriveranno per le
dieci, il tempo di sistemare i ragazzi, dare i pacchetti con la cena,
distribuire le chiavi e ci riuniamo tutti, per mezzanotte credo. Benvenuti al
Queen’s College” ironizzò Saverio.
Per tutta la
cena ci raccontò di alcune sue esperienze divertenti vissute negli ultimi dieci
anni e la mia ammirazione per lui crebbe esponenzialmente perché non è da tutti
farsi avanti e diventare direttore prima dei trenta anni e rimanere comunque
una persona disponibile e alla mano.
Avevo
accompagnato Salvatore nella sua stanza, nell’edificio C, per fargli recuperare
l’adattatore e poi ci eravamo diretti nella mia stanza, nell’edificio E, per mettere il telefono in carica.
Vederlo
riaccendersi mi fece sentire meglio oltre che a farmi capire quanto siamo
dipendenti dalla tecnologia, così tirai un sospiro di sollievo.
“Con questo ti
sei guadagnato un rifornimento di caffè per tutta la durata del soggiorno”
esclamai, improvvisamente rinvigorita nonostante fosse serata inoltrata.
“Bella cosa,
caffè inglese, evvai”.
Salvatore aveva
un’ironia tutta sua, un’ironia vera, per niente velata, condita di black humor,
cosa che non apprezzavo molto ma dopotutto dovevo sottostare alle regole e
ringraziarlo per l’enorme favore visto che quando sei fuori per lavoro il
telefono è essenziale.
“Hai ragione,
scegli tu, qualsiasi cosa”
“Qualsiasi cosa?
Soldi, allora”.
“Hai beccato
l’unica cosa...”.
“...Che qui non
ha nessuno, lo so. Altrimenti non saremmo qui quasi a mezzanotte a lavorare
dopo una giornata assurda. Scegli tu, Alì, non mi offendo”.
Gli sorrisi e ci
avviammo verso l’uscita della stanza.
“Immagina la
scena, io che torno in camera, prendo il caricatore e impreco...”, uscii dalla stanza,
di spalle, mentre chiudevo la porta a chiave, “perché il coso non entra nel
buco...”.
Mi voltai per
andarmene e vidi il corridoio pieno di ragazzine che stavano entrando in camera
e, evidentemente sconvolte per ciò che avevo detto e perché c’era un maschio
che stava uscendo con me dalla mia
stanza, mi fissavano, incredule.
Qualcuna ridacchiava
in maniera sfrontata, qualcuna ripeteva, sconvolta, “coso” e “buco”, mentre io
arrossivo come una matta, portandomi una mano alla bocca, e Salvatore sembrava
impassibile come ogni volta che era con i ragazzi.
“Ragazze! Si
parla di prese e adattatori, eh. Io... Sono la vostra mediatrice culturale,
Alice. A domani!” esclamai, ancora rossa in volto, prima di seguire Salvatore
verso l’uscita del mini appartamento.
“Dì la verità,
vista la scena, tra “cosi” e “buchi” questa volta Alice la Meretrice ci calzava
alla perfezione!” ridacchiò lui, ridendo da solo alla sua battuta.
Sospirai e mi
chiesi a quante figuracce sarei arrivata entro la fine di quella giornata.
Clara e Luca
erano arrivati insieme alla Dottoressa, la squadra era al completo.
Clara era una
ragazza bella robusta con i capelli neri e cortissimi mentre Luca sembrava
irradiare fiumi di energie nonostante l’ora, aveva un piccolo accenno di
cadenza campana e si presentò a tutti con una vigorosa stretta di mano.
Saverio sembrava
rilassato ma deciso, ci guardava come un professore guarda i suoi alunni il primo giorno di
lezione.
Eravamo nella
cucina del primo piano dell’Edificio N, dove Saverio, Mario e Elena
alloggiavano e da quel momento in poi quel posto sarebbe stato la nostra sala
riunioni.
La stanza era
arredata con mobili bianchi e un tavolo nero per sei persone, un paio di
divanetti e una finestra abbastanza grande che si affacciava sul giardino
retrostante all’edificio.
Ognuno prese
posto su una sedia o su un divano, senza proferire parola, così il direttore si
schiarì la voce, bevve un sorso d’acqua e ci guardò uno ad uno.
“Allora,
benvenuti. Da quel che ho visto saremmo una grande squadra, ne sono sicuro! GL,
Nadia, Clara, Salvatore e Luca, confido in voi per la riuscita del viaggio, so
che siete quasi tutti alla prima esperienza ma a pelle mi avete dato una buona
impressione. Come vi ho detto io sono il Direttore, Mario si occuperà delle
varie attività e Elena vi dirigerà come squadra, per qualsiasi cosa rompete le
scatole a lei e non a me. Poi, Giada, la nostra dottoressa, arrivata circa
venti minuti fa, salve!” – qui una ragazza sotto i trenta che se ne stava in un
angolo ci salutò con la mano, non l’avevo proprio notata -, “E infine, la
novità. Ragazzi, visto che non so un’acca di spagnolo, ho richiesto una
mediatrice culturale, e l’azienda mi ha procurato Alice che già si è sorbita da
oggi mille email e un incontro tra me e la Rosales, che domani conoscerete.
Quindi rispetto a lei siete indietro di qualche ora di lavoro!”.
Tutti risero,
qualcuno mi porse la mano, io mi limitai a fare cenni e a sorridere,
dimenticando già i nomi associati ai volti.
“Ora vi
spiegherò il programma di domani, dieci minuti e vi lascio in pace. Alice, la
colazione è alle sette e trenta fino alle otto e trenta, regolati tu, basta che
sei alle nove nell’ufficio dove hai firmato il contratto. Puoi andare”.
“Oh, ok.
Allora... Ciao a tutti, è stato un piacere!” mi congedai, cercando di celare il
mio entusiasmo.
Ero stanchissima
nonostante la pennichella e non vedevo l’ora di dormire almeno sette ore.
Mi sentivo in
colpa nei confronti dei poveri GL e della Dottoressa che avevano avuto un
viaggio più lungo del mio con decine di ragazzi a cui badare e che dovevano
ancora stare in riunione, solo che magari in futuro a me sarebbe toccato andare
a dormire dopo di loro per qualche motivo o l’altro, il karma di sicuro non me l’avrebbe
fatta passare liscia.
Quando tornai
nella mia stanza ero in uno stato assurdo, strano, inspiegabile causato dalle
varie emozioni vissute quella giornata.
Mi sembrava di
star vivendo in un film tragicomico e avrei tanto voluto il mio copione per sapere
bene cosa fare, ma a quanto pare la situazione era molto pirandelliana ed io
ero ancora in cerca del mio autore.
*°*°*°*°*°*
Salve a tutti!
Non so se
qualcuno si ricorda di me, in passato ero solita infestare questa sezione con i miei scleri poi ho avuto un periodo
intenso a causa della laurea magistrale e dei miei primi tre lavori.
Questo progetto
è proprio ispirato ad una mia esperienza lavorativa – no, non ero una
mediatrice culturale purtroppo – così, essendomi trovata bene con i colleghi,
ho deciso di dare vita a questa storia, aggiungendo di tanto in tanto qualche
aneddoto realmente accaduto.
Se vi va potete
indovinare piano piano ciò che è successo e cosa no, visto che è il primo
capitolo vi dico che la questione dell’adattatore è vera XD non auguro a
nessuno di essere circondata da un gruppo di ragazzine che ti guardano male
perché stai uscendo dalla tua stanza con un collega...
Non so cosa
dire, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto,
se vi va fatemi
sapere cosa ne pensate :D
A mercoledì con
il capitolo 2, ecco una piccola anticipazione:
“Ma
sono in pigiama e senza nemmeno il reggiseno!” protestai, con la testa ancora
annebbita dalla sonnolenza, ma per fortuna lui era già scomparso e non aveva
sentito la mia idiozia delle sei e cinquantacinque.
Grazie per
essere arrivati fino a qui, a presto!
Milly.