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“Fatemi pensare… a
chi potremmo chiedere?” rifletteva Duff mentre rollava una
canna con fare
esperto. “Che ne dite di
proporlo ad Axl?” scherzò Matt, facendoci
scoppiare a ridere. Dal canto mio, me ne
stavo stravaccato in una poltroncina rosso fuoco e strimpellavo
distrattamente
la mia chitarra. Anche se non lo davo a vedere, ero entusiasta di aver
rincontrato i miei due ex colleghi e non vedevo l’ora di
trovare gli elementi
mancanti per fondare una vera band con loro. Nonostante
l’esperienza con i Guns
N’ Roses, che ci aveva rovinato e diviso, nessuno di noi
aveva ancora gettato
la spugna. “Beh, io ho sentito
parlar bene di un tale che si chiama Myles Kennedy. Cioè,
l’ho visto dal vivo
una volta e spacca” se ne uscì il batterista,
rompendo il silenzio che si era
creato nella stanza. “Chi?!” lo
apostrofai, confuso. “Myles Kennedy, sì,
ce l’ho presente. Insomma, non è tanto famoso, ma
aveva una band abbastanza
forte con cui ha aperto per vari artisti… e gira voce che
sia amico dei Creed”
spiegò Duff mentre accendeva la sua stecca d’erba.
“Chi vuole favorire?” Matt si sporse
subito verso di lui e, non appena il bassista prese il primo tiro, gli
strappò
lo spinello dalle mani per prendere una boccata di fumo.
“Quindi siamo
d’accordo, gli chiediamo se è interessato a un
provino.” “Datemi un paio di
giorni e lo chiamo” affermai. “Come hai detto che
si chiama? Mike…?” “Myles Kennedy”
ripeté Duff con uno sbuffo. “Molla quella fottuta
chitarra e segnalo, no?” Storsi il naso e, in
tutta risposta, improvvisai un assolo sotto gli sguardi esasperati
degli altri
due. Lasciai che il
telefono squillasse per qualche attimo, mentre giocherellavo con il
filo
arricciato della cornetta. Duff e Matt mi avevano incuriosito,
cominciavo a
domandarmi cos’avesse questo Myles di così
speciale da aver catturato la loro
attenzione. “Pronto?” rispose
una voce indefinita dopo il terzo squillo. “Pronto, parlo con
Myles Kennedy?” “Sì, sono io”
confermò lui in tono pacato. “Probabilmente ti
hanno avvisato che in questi giorni avresti ricevuto una mia chiamata:
sono
Slash.” Dall’altro capo del
telefono ci fu un istante di silenzio, poi Myles si fece nuovamente
sentire:
“Oh, molto piacere, Slash. Sono onorato di fare la tua
conoscenza. A cosa devo
questa chiamata?”. Quel tizio aveva un
grande autocontrollo; probabilmente si aspettava di parlare con il mio
manager
o un qualche altro mio diretto collaboratore anzi che direttamente con
me,
eppure non si era lasciato destabilizzare. “Non so se lo sai,
in ogni caso te lo spiego: io, Duff McKagan e Matt Sorum ci siamo da
poco
ritrovati e abbiamo deciso di mettere su una band. Siamo in cerca di un
cantante e abbiamo sentito parlare molto bene di te, quindi volevamo
proporti
un provino, se sei interessato alla cosa.” “Wow, grazie, siete
stati molto gentili a pensare a me! Non è una proposta che
si riceve tutti i
giorni, insomma, è un incarico importante e così
su due piedi mi prendi alla
sprovvista.” Sollevai un
sopracciglio. “In ogni caso si tratta solo di una prova, non
sarai costretto a
prendere parte al progetto se non lo vorrai.” “Certo, ovvio… o
magari non vi piace come canto!” tentò di
sdrammatizzare, lasciandosi sfuggire
una risatina dal suono inaspettatamente dolce. Non ribattei, non mi
pareva il caso; del resto non conoscevo per niente Myles e non sapevo
neanche
come cantasse. Magari faceva schifo davvero. “In ogni caso… sai,
io abito a Spokane, è parecchio lontano da Los Angeles,
quindi se decidessi di
venire sarebbe perché ne sono veramente convinto, non mi
sembra il caso di fare
un viaggio a vuoto. Se mi concedete qualche giorno per
pensarci…” “Ma certo, non ti
preoccupare, prenditi il tempo che ti serve. Io intanto ne parlo con i
ragazzi
e nei prossimi giorni ti faccio avere maggiori dettagli sul tipo di
gruppo che
vorremmo mettere su… perché, sai, nemmeno noi
abbiamo ancora le idee chiare, ci
siamo riuniti con il solo intento di fare musica.” “Avete fatto
benissimo e sono molto contento per voi! Bene, grazie mille per la
chiamata e
per la proposta, appena avrò deciso ti farò
sapere. Davvero, sono onorato di
aver ricevuto questa proposta, vi ringrazio di cuore.” La sua
voce era colma
d’entusiasmo e questo mi fece sorridere; dopotutto questo
Myles sembrava
simpatico. Ci salutammo e io
avvisai subito Duff e Matt della cosa. Chissà come sarebbe
andata a finire.
♫ ♫ ♫
Il tour bus
sfrecciava per l’ampia autostrada e il leggero rombo del
motore faceva da
sottofondo alle nostre chiacchiere. Seduto accanto al finestrino,
osservavo il
passaggio che mi scorreva di fianco e nel frattempo conversavo con
Mark, mentre
Brian e Flip battibeccavano per chissà quale motivo e
discutevano su cosa
ascoltare in radio. Avevo fatto bene ad
accettare la loro proposta ed entrare nella band, da quando avevamo
fondato gli
Alter Bridge la mia vita era totalmente cambiata. Mi ero dovuto
abituare in
fretta a essere sotto i riflettori e seguire dei ritmi di lavoro molto
serrati,
ma grazie ai miei amici la cosa non mi era pesata poi tanto. “Fermo!” strillò a
un certo punto Flip, facendo sobbalzare pure me e Mark. Il batterista
aveva
fatto uno scatto in avanti verso Brian, che si era immobilizzato con la
mano
sulla rotellina della radio. “Sono i Guns,
solleva il volume!” esclamò Mark con un sorriso. Non potei fare a
meno di sorridere a mia volta nel sentire il ritornello di Welcome To The Jungle. Adoravo quella
canzone, l’avevo praticamente
imparata a memoria nel primo periodo in cui era uscita e mi ricordava
la mia
adolescenza. Mi tornò in mente
anche la surreale telefonata con Slash avvenuta solo qualche anno
prima: il mio
cuore aveva fatto le capriole quando avevo realizzato di essere al
telefono con
uno dei miei miti. Proprio con lui, non con il suo manager. “Myles, perché
sorridi come un ebete da un minuto buono?” mi
domandò Brian, osservandomi con
circospezione. Mi riscossi
all’improvviso. “No, niente, stavo
pensando… a quando Slash mi ha chiesto di
entrare nella sua band” ammisi candidamente. Il viso di Mark
divenne pallido. “Slash ti ha chiesto di entrare nel suo
gruppo?” “E tu non hai
accettato?!” sbottò Flip accostandosi a noi. “Sei serio?” si
indignò anche Brian, incrociando le braccia al petto. Sospirai. “Beh, no,
non ho accettato, altrimenti non sarei qui. Un giorno Slash mi ha
chiamato e…”
presi a raccontare. “Proprio lui?” mi
interruppe Mark sgranando gli occhi. “Sì, proprio lui.
Dicevo: mi ha chiamato e mi ha chiesto se mi andava di fare un provino
per la
band che lui, Duff e Matt Sorum stavano mettendo su, gli attuali Velvet
Revolver. Io gli ho detto che ci dovevo pensare e alla fine sono giunto
alla
conclusione che non ero la persona più adatta per il loro
gruppo, forse…” “Forse ti sei
sottovalutato come fai sempre” commentò Flip in
tono di rimprovero. “No, no, è che… non
lo so, secondo me le cose non dovevano andare così. Infatti
penso che Scott
Weiland per loro sia perfetto; è quello giusto, non lo
possiamo negare.” “E non te ne sei mai
pentito? Voglio dire, sono tre ex Guns, non ti sei mai chiesto come
sarebbe
andata se avessi accettato?” mi chiese Brian. Scossi la testa.
“Sinceramente no. Ora ho la mia band, mi trovo bene e sono a
posto così.” Mi
lasciai sfuggire un sorriso e osservai i miei tre compagni uno per uno;
non
potevo che sentirmi fortunato di aver trovato il mio equilibrio con
loro. “Beh, meglio per
noi, ci siamo accaparrati un cantante talentuoso!”
esclamò Flip, battendo una
pacca sulla spalla sia a Brian che a Mark. “Ci puoi contare”
concordò il chitarrista, strizzandomi l’occhio. Arrossii appena, non
ero abituato a tutti quei complimenti e quegli elogi. “Siete
troppo buoni, voi
tre!” “Pronto?” risposi con
voce titubante, in equilibrio precario su una sedia. Con la mano destra
stringevo il telefono, mentre sotto il braccio sinistro reggevo un
pesante e
impolverato scatolone. Per non rischiare di perdere
l’equilibrio o mollare la
presa, lo poggiai allo schienale della sedia, sperando che il legno non
si
spaccasse. Non ero decisamente
nella posizione adatta per rispondere a una chiamata dal mittente
sconosciuto,
ma ormai avevo imparato che non dovevo perdermi niente, poteva
trattarsi di una
telefonata di lavoro. A volte era così, altre volte si
trattava solo di qualche
inopportuno call center. “Pronto, Myles?” “Sì, sono io”
confermai. Dovevo cercare di stare immobile per non perdere
l’equilibrio appena
ritrovato. “Sono Slash.” Ero indeciso se
scoppiare a ridere o lanciare un grido: era la terza volta che il
chitarrista
dei Guns N’ Roses mi chiamava nel giro di otto anni, e quel
giorno mi aveva sorpreso
mentre facevo le pulizie profonde in casa. Stavo per cadere da una
sedia, avevo
tra le braccia uno scatolone ricoperto di polvere ed ero al telefono
con Slash. “Oh, ciao! Ormai le
nostre chiamate sono diventate un’abitudine… come
stai?” risposi con
entusiasmo, dopo un primo attimo di spaesamento. Lui dall’altro capo
del telefono ridacchiò. “Ma no, dai, ti ho
chiamato solo un’altra volta” ribatté
col suo solito tono pacato. Potevo quasi affermare di averci fatto
l’abitudine. “Mmh… no, questa è
la terza volta che ti sento. La prima è stata nel 2002,
quando mi hai
contattato per chiedermi di entrare nei Velvet Revolver. La seconda
è stata due
anni fa, quando me lo avete chiesto nuovamente perché Scott
Weiland era andato
via” gli ricordai, mentre mi prodigavo in maldestri giochi di
prestigio per
sostenere il peso dello scatolone. Non avrei resistito ancora a lungo
in quella
posizione, come potevo fare?
“Davvero ti ho chiamato nel 2002?” si sorprese lui.
“Non me lo ricordo.” “Ne sono
sicurissimo. Ehm… Slash?” “Sì?” “Puoi aspettare un
attimo in linea? Sono in piedi su una sedia con uno scatolone che pesa
più di
me… e non mi vorrei rompere l’osso del
collo” gli spiegai con una risata
nervosa. Non stavo facendo una gran bella figura, me ne rendevo conto,
ma avevo
rischiato di scivolare già diverse volte e non ne potevo
più. “Certo” affermò
Slash in tono gentile, per nulla perplesso. Poggiai il telefono
sulla scatola e scesi con cautela a terra, poi posai quel fardello sul
pavimento accanto agli altri oggetti che avevo portato giù
dall’armadio.
Ripresi in mano l’apparecchio e lo accostai
all’orecchio ma, giusto per
aggravare la mia situazione già critica, venni colto da un
violento starnuto. “Tutto bene?” mi
domandò il chitarrista in tono vagamente preoccupato. “Sì, è che sto
selezionando un po’ di roba vecchia che ho in casa ed
è da stamattina che porto
giù cartoni pieni di polvere. Ecco, è per questo
che ho starnutito… ma
ovviamente a te non importa, scusa.” Ero davvero mortificato,
gli stavo facendo
perdere tempo e sicuramente, se mi aveva contattato con
l’intento di propormi
qualcosa, ora ci aveva già ripensato. Invece lui rise
appena. “Ma figurati, non è un problema. Comunque
ti ho chiamato per parlarti
di una cosa, ma se disturbo posso farmi sentire in un altro
momento.” “Macché, ora ti
posso ascoltare” lo rassicurai. Decisi di uscire in giardino
e godermi un po’
d’aria pulita, prima che la polvere mi facesse di nuovo
starnutire. “Come forse sai, sto
lavorando a un disco solista e per questo ho collaborato con molti
cantanti. A
dire il vero l’album è quasi pronto, ma ci sono
due tracce per cui non ho
trovato nessuno e mi sei venuto in mente tu. Non ti ho mai sentito
cantare, ma
ormai sei diventato popolare per via delle voci che girano sulla
collaborazione
con i Led Zeppelin.” Mentre uscivo dalla
porta d’ingresso e venivo investito dai ristoratori raggi del
sole, non potei
fare a meno di sorridere. “Oddio, grazie, sei stato gentile a
pensare a me. E,
sì, i membri dei Led Zeppelin mi hanno chiesto
già tempo fa di partire in tour
con loro, ma non c’è mai stato nulla di concreto e
definito. Tornando a noi:
prenderei volentieri parte al tuo progetto, certo! Se mi fai avere le
tracce,
provo a combinarci qualcosa e registrarci sopra una demo.”
Accettai senza
esitazioni e con calma, ma il cuore mi batteva a mille: sarei potuto
entrare a
far parte dell’album solista di Slash, un mostro sacro della
chitarra! “Bene, allora ti
mando tutto. Grazie mille e… sono molto fiducioso.” A quelle parole mi
si formò un groppo in gola e dovetti deglutire prima di
rispondere. “Spero di non
deluderti.” Gli dettai un
indirizzo e-mail a cui avrebbe potuto inviare il materiale su cui mi
sarei
dovuto basare, poi ci salutammo e io lo ringraziai almeno
un’altra decina di
volte. “Ti lascio alle tue
pulizie domestiche” mi disse prima di chiudere la chiamata, e
io scoppiai a
ridere. Ero al settimo
cielo. La prima cosa a cui pensai fu chiamare i ragazzi degli Alter
Bridge per
comunicare loro la bella notizia; in quei giorni erano parecchio
impegnati con
la reunion dei Creed, ma mi avevano dato il permesso di disturbarli
ogni volta che ne avessi avuto bisogno. Cercai il numero di
Mark in rubrica e feci partire la chiamata. “Myles?” mi rispose
lui al secondo squillo. Ecco, sapevo di poter sempre contare su di lui. “Oh cazzo, Mark! Ho
appena accettato di collaborare con Slash al suo album
solista!” esclamai,
lasciandomi finalmente andare alla gioia. “Stai scherzando?!”
sbottò lui sorpreso. “Tutto vero, ho
appena finito di parlare al telefono con lui!” “Okay, ora lo dico
agli altri. Ragazzi, indovinate cos’ha combinato
Myles!” Percepii le voci di
Flip e Brian in lontananza, ma non capii le loro parole. “Ha accettato di
collaborare con Slash al suo album solista!” Al mio orecchio
giunse un tonfo secco, poi un grido di esultanza. “Porca
puttana, Myles, bel
colpo!” strillò Flip. “Grazie, ma ancora
non c’è nulla di certo” gli spiegai con
una risata. “Ah, ma non rompere
le palle, Slash rimarrà ipnotizzato da te! E non iniziare a
farti prendere
dalla paranoia, mi raccomando!” mi ammonì il
batterista. “Va bene, però
vorrei chiedervi una cosa: posso mandare le demo a voi prima di
spedirle a lui?
Le ascolterete? Così avrò un altro parere e mi
sentirò più sicuro, ci tengo
molto.” “Ma certo, che
domande fai?” “Passami il
telefono, lo voglio sentire anch’io!” Sentii Brian
protestare finché non riuscì
a strappare l’apparecchio dalle mani di Flip.
“Congratulazioni, Myles!” esclamò
poi. “Grazie, grazie! Ma
scusate, vi veniva così difficile mettere il vivavoce?
Almeno potreste parlare
tutti con me senza lotte all’ultimo sangue!” gli
feci notare tra le risate. Quanto mi mancavano,
tutti e tre. “Vabbè, ci hai colto
alla sprovvista.” Risi di gusto e
festeggiai al telefono con loro ancora per un po’. La mia
giornata di pulizie
aveva assunto tutto un altro significato.
♠
♠ ♠
Ed eccomi qui, con
il primo capitolo di questa folle idea! So che probabilmente in questo
sito e
nel mondo in generale A NESSUNO piace la coppia SlashxMyles, ma
vabbè, so di
essere strana :D in effetti è una cosa un po’
bizzarra! Ho cominciato ad
appassionarmi al personaggio di Myles già diversi mesi fa,
poi il mio mondo si
è completamente stravolto quando ho seguito il concerto di
Slash, Myles Kennedy
& The Conspirators in diretta su Virgin Radio, l’8
marzo di quest’anno (e
che sofferenza non esserci stata di persona, tra il pubblico, al
Fabrique T.T).
E, come sempre quando entro in fissa con qualcosa, mi sono informata. Ora sto leggendo
pure il libro autobiografico di Slash – confesso di non
essere una fan dei Guns
N’ Roses, ma il suo progetto solista mi piace ALLA FOLLIA,
come si è intuito
*-* Bene, ora la smetto
di parlare di me e passo alle doverose spiegazioni: -Slash
ha
lasciato i Guns a metà anni Novanta. Nei primi Duemila, ha
deciso con Matt e
Duff (rispettivamente ex batterista e bassista dei Guns N’
Roses) di formare
una nuova band, chiamata Velvet Revolver. Nel 2002 Slash ha davvero
chiamato
Myles (allora non ancora molto famoso) per chiedergli di entrare nella
band, ma
lui rifiutò. -Quando,
inizialmente, i tre membri dei Velvet Revolver ironizzano sul fatto che
potrebbero chiedere ad Axl di essere il loro cantante, si riferiscono
ad Axl Rose,
cantante dei Guns N’ Roses, mal sopportato da tutti gli altri
membri. Infatti è
proprio a causa sua e del suo atteggiamento capriccioso e dispotico che
Duff, Slash
e Matt (e tanti altri prima e dopo di loro) hanno lasciato la band. -Myles
nel 2004 ha fondato gli Alter Bridge insieme agli ex componenti dei
Creed: Mark
Tremonti (chitarra), Brian Marshall (basso) e Scott
“Flip” Philips (batteria). -Nel
2009
gli Alter Bridge sono entrati in una sorta di pausa perché
Mark, Brian e Flip
si stavano dedicando a una sorta di reunion dei Creed; Myles,
approfittando del
momento, decise di accettare la proposta di Slash a collaborare per il
suo
primo album solista. Ma di questo parleremo meglio nel prossimo
capitolo ^^ -In
quegli anni è vero che Myles stava collaborando con alcuni
membri dei Led
Zeppelin per un (forse) tour o per scrivere del materiale insieme, ma
non se
n’è mai saputo granché, evidentemente
il progetto non è andato in porto. Tutte queste
informazioni – che forse alcuni di voi conoscevano
già – le ho date perché mi
sembrava giusto distinguere realtà da quello che mi sono
inventata XD e per
rendere la storia accessibile anche a chi non ha molta dimestichezza
con questi
personaggi! Spero che le prossime NdA possano essere più
brevi, ahahahah! Ultima cosa: la
storia si intitola come l’ultimo album di Slash, Myles
Kennedy & The
Conspirators del 2018 ^^ Grazie a chiunque
sia giunto fin qui e a chi deciderà di seguirmi in questa
folle avventura!
Spero che la storia sia di vostro gradimento :3 Alla prossima
settimana!!! ♥ EDIT 11/01/2021: Già da un po’ di tempo
avevo in mente di revisionare questa piccola long, a cui tengo davvero
tantissimo. Ringrazio Bessie e il suo contest per avermene dato la
possibilità,
o meglio, per vermi dato la spinta e il pretesto di cui avevo bisogno
per
mettermici seriamente. Credo che arriverò in
fondo alla classifica anche stavolta XD so che non è un
granché, forse lo stile
è un po’ più acerbo rispetto a ora, ma
per me presentare a qualcuno la mia prima
Mylash è sempre un immenso piacere *-*
“Allora? Cosa ne
pensate?” Ero molto in ansia
all’idea di sentire il parere dei miei amici, non tanto
perché avessi paura di
loro, ma perché avevo lavorato giorno e notte sul materiale
che mi aveva
fornito Slash; quasi non avevo dormito per quarantotto ore, ci avevo
messo
tutto me stesso, ma temevo che il risultato non fosse soddisfacente. “Cosa vuoi che ti
dica, Myles? È fottutamente perfetta, pazzesca, alla tua
altezza. Slash rimarrà
sicuramente senza parole” ribatté Mark in tono
ovvio, dall’altro capo del
telefono. Rimasi per qualche
istante imbambolato a fissare lo schermo del mio computer, aperto sulla
casella
della posta elettronica. Poi mi resi conto che ancora stavo trattenendo
il
fiato e allora espirai bruscamente. “Grazie”
mormorai, davvero riconoscente. “Ora che hai finito
questa dannata demo, puoi farci il favore di inviarla a Slash e poi
riposare?
Da quanto tempo non chiudi occhio?” mi apostrofò
Flip. Sorrisi e impostai
il vivavoce – come, per fortuna, avevano fatto anche i miei
amici – per poter
utilizzare il pc mentre conversavo con loro. “Beh,
sì, non ho dormito tanto… ma
sto bene, sul serio, non mi sento tanto affaticato. E ora che ho finito
sto
meglio, non potevo convivere col pensiero di avere un lavoro in
sospeso!” Mentre parlavo,
avevo cliccato sul pulsante rispondi sotto
l’e-mail che mi aveva mandato Slash e avevo cercato il file
audio da allegare.
Ora non mi restava che lasciarlo caricare. “Sempre il solito”
mi rimproverò bonariamente Brian. “A voi come sta
andando?” domandai, giusto per cambiare discorso; avevo
bisogno di pensare ad
altro. “Noi ce la passiamo
bene, ci divertiamo. Avevi dubbi?” rispose Mark con una
risatina. “Devo ammettere che
mi manca lavorare con voi” confessai con una leggera nota
malinconica nella
voce. “La cosa è
reciproca…” “Ma non fare tanto
il melodrammatico, altrimenti ci commuoviamo, piantiamo in asso Scott
Stapp e
torniamo da te” aggiunse Flip ironico. Ecco, come al solito
aveva rovinato
l’atmosfera. Ridacchiai. “Sei un
disastro, Philips” gli dissi. “Te lo mandiamo
volentieri, tanto non fa che rompere e disturbare” lo
rimbeccò Brian. “Sei in cerca di
guai, Marshall?” “Ce l’ho a fianco,
il guaio!” “Smettetela di fare
gli idioti, altrimenti tolgo il vivavoce e me ne vado” li
minacciò Mark. “Ehm…
ragazzi”
richiamai la loro attenzione. “Sì?”
risposero
all’unisono. “Ho caricato il
file, devo solo cliccare invia.” “Schiaccia quel
pulsante, cazzo!” esultò il batterista. “Fratello, siamo con
te!” cinguettò Brian. Presi un respiro
profondo. Click. L’e-mail era stata
inviata. “È partita,
cazzo!”
strillai. “Oh, bene! Adesso
Slash potrà rifarsi le orecchie!”
ribatté Mark entusiasta. Di colpo sentii i
muscoli sciogliersi e rilassarsi, la tensione scivolare via dal mio
corpo, la mente
sgomberarsi. Non sapevo come sarebbe andata, ma avevo dato tutto me
stesso
anche quella volta e potevo dire di averci provato. Ormai era andata,
potevo
soltanto sperare in un parere positivo da parte di Slash.
♫ ♫ ♫
Quella sera, quando
accedetti alla posta elettronica, rimasi abbastanza sorpreso nel
constatare che
Myles mi aveva già inviato la traccia audio con la sua demo.
Insomma, ci
eravamo sentiti meno di una settimana prima, era stato davvero
rapidissimo. Curioso di sentirlo
cantare, non persi tempo e scaricai subito il file; nel frattempo
tamburellavo
con le dita sul piano della scrivania, impaziente. Ormai da anni
sentivo parlar
bene di quel tipo, doveva essere bravo per davvero se Jimmy Page e John
Paul
Jones dei Led Zeppelin gli avevano chiesto di collaborare, quindi le
mie
aspettative erano molto alte. Speravo fosse il cantante giusto per
quella
traccia, soprattutto: non vedevo l’ora di ultimare il mio
disco e non mi andava
di ricominciare la ricerca da capo. Non appena il file
fu salvato nel mio computer, mi fiondai subito ad aprirlo, senza
esitare un
attimo. Una voce
inaspettatamente dolce e delicata, colma di profonda emozione, si
sparse per la
stanza, irradiata dalle casse ai lati del computer. Mentre la ascoltavo
rapito,
non potei fare a meno di chiedermi se seriamente appartenesse al
ragazzo con
cui avevo parlato al telefono. Pareva così diversa,
così passionale, potente e
vellutata allo stesso tempo. Non avevo mai
sentito nulla del genere.
In the distance Light
years from tomorrow Far
beyond yesterday She is
watching Heart
aching with sorrow She is
broken, as she waits Hoping
when all is said and done We
learn to love and be as one
Avevo già deciso:
era lui quello giusto. Adoravo alla follia il suo timbro, il suo modo
di
interpretare ciò che cantava, il testo… tutto.
Era travolgente. La mia idea si
consolidò ancora di più quando il ritornello
esplose, potente come la voce di
Myles, del tutto inaspettato.
Oh Starlight, don't you
cry We're
gonna make it right before tomorrow Oh
Starlight, don't you cry We're
gonna find a place where we belong (where
we belong) And so
you know, you'll never shine alone
Era a dir poco
pazzesco, dovevo chiamarlo al più presto e chiedergli di
venire a Los Angeles
per registrarla. Non ero un tipo che
si emozionava facilmente, eppure quella semplice demo, registrata in
maniera
approssimativa, era riuscita a commuovermi e infiltrarsi negli angoli
più
remoti del mio cuore. Misi in play Starlight
almeno tre o quattro volte prima
di riuscire a darci un taglio e tornare alla realtà; a ogni
nuovo ascolto,
carpivo una sfumatura della voce di Myles che prima non avevo colto e
rimanevo
sbalordito. Afferrai il
cellulare e feci partire la chiamata al suo numero senza esitazione.
Probabilmente
era inopportuno disturbarlo alle nove di sera, di certo aveva altro da
fare, ma
sentivo il bisogno di dirgli subito ciò che mi passava per
la testa. Forse,
inconsciamente, avevo anche bisogno di accertarmi che la persona
all’altro capo
del telefono fosse davvero quel talentuoso cantante. “Pronto?” rispose
l’ormai familiare voce di Myles dopo qualche squillo. “Ehi, sono Slash, ho
appena sentito la demo” esordii senza troppi giri di parole. “Buonasera. Ah…
davvero? Che te ne pare? Ti avviso già che è
registrata così, un po’ a caso,
perché in realtà doveva essere una prova ma alla
fine è venuta bene. E se noti
qualche imperfezione o incertezza è perché ci ho
lavorato in poco tempo, sai,
ero molto ispirato e mi sono lasciato trascinare, ma così
facendo forse il
risultato ha perso di qualità…” prese a
sproloquiare, le parole mi giungevano
fitte e nervose. “Ehi, ehi, fermo,
tranquillo!” tentai di frenarlo. “Non ti devi
giustificare, okay? E poi io non
ho notato imperfezioni o incertezze o quello che hai detto, anzi:
ciò che ho
sentito è fottutamente strabiliante, pazzesco. Per quanto mi
riguarda, possiamo
anche fissare un appuntamento per vederci e parlarne… o
anche registrarla
direttamente.” Alle mie parole
seguì qualche attimo di silenzio. “Mi stai dicendo
che mi vuoi all’interno del
tuo album?” chiese conferma Myles in tono esitante. “Tu devi
stare nel mio album” chiarii in
tono deciso. “Grazie, io sono…
oddio, sono contentissimo, davvero!” esclamò, la
sua voce era intrisa di gioia. Sorrisi. “Anche io lo
sono,” ammisi, “e, se sei d’accordo,
vorrei registrare con te anche l’altro
brano di cui ti avevo parlato.” “Ma certo, mi
farebbe molto piacere! Appena riesco ti raggiungo a Los Angeles,
d’accordo?” “D’accordo. Allora
ci aggiorniamo nei prossimi giorni per organizzarci meglio
e… Myles?” “Sì?” Mi attorcigliai una
ciocca di capelli tra le dita, leggermente a disagio. “Grazie
mille per aver
accettato e complimenti, mi fa davvero piacere averti nel
disco.” Probabilmente
ero arrossito, non ero abituato a espormi tanto e portare fuori
ciò che pensavo
in modo così diretto. Per fortuna ero da solo. Quando chiudemmo la
chiamata, mi guardai attorno spaesato, come se mi fossi appena
risvegliato da
un sogno. Il mio occhio cadde sullo schermo del computer, dove la
traccia di Starlight ancora era
aperta, in pausa;
la schermata del lettore musicale occupava tutto il monitor, come a
voler
attirare la mia attenzione con prepotenza. Prima che potessi
rendermene conto, avevo già messo in play e mi ritrovai a
sorridere come un
ebete, ancora e ancora, per l’ennesima volta quella sera. L’avevo invitato
nella mia sala prove poco distante da casa. Quel giorno mi ci ero
recato di
mattina presto – tanto non avevo dormito granché e
avevo voglia di suonare un
po’ nell’attesa. La sera prima Myles
mi aveva comunicato che era giunto a Los Angeles e che gli sarebbe
piaciuto
molto vedermi il giorno stesso, ma era davvero troppo stanco per
pensare di
uscire dall’albergo. Da quando avevo ricevuto quella
chiamata, una sottile e
inspiegabile ansia si era fatta strada in me. Eppure ero abituato a
quel tipo
di incontri, non avevo nessun motivo per essere agitato; la cosa mi
infastidiva
non poco. Ero seduto su una
poltroncina con una chitarra tra le braccia e stavo cercando di
riportare alla
mente una vecchia canzone dei Velvet Revolver, quando mi avvisarono che
Myles
era arrivato. Mi misi in piedi, abbandonai il mio strumento sul divano
– me lo
sarei volentieri portato appresso – e uscii lentamente dalla
stanza. Nel
piccolo andito inondato dal sole mattutino, in piedi accanto alla
finestra, si
stagliava una figura snella e slanciata, alta all’incirca
quanto me e
completamente abbigliata di nero. Myles aveva un viso dolce, illuminato
da un
lieve sorriso e incorniciato da lunghi capelli castani; indossava una
giacca in
pelle molto semplice e dei jeans neri. La mia prima
impressione di lui fu coerente con l’idea che mi ero fatto:
un ragazzo mite e
alla mano, dal viso simpatico e uno stile non troppo studiato. Mi
colpì, mi
intrigò da subito. “Buongiorno Slash!
Come stai?” mi salutò educatamente, venendomi
subito incontro e tendendomi la
mano. “Ehi! Tutto bene,
tu? È un piacere conoscerti, signor Kennedy”
ribattei con un leggero tono
ironico. Mi ero subito reso conto che Myles a volte aveva degli
atteggiamenti
un po’ troppo formali e la cosa mi divertiva, quindi avevo
deciso di dargli
corda. Gli strinsi la mano e mi accorsi che la sua presa era forte e
sicura,
tipica di chi ci sapeva fare con la gente. “Tutto bene, grazie.
Il viaggio mi ha stancato, era da un po’ che non mi spostavo
da casa, ma ho
trovato un bel sole ad accogliermi qui in California. Quindi
okay!” “Vieni, andiamo a
sederci nella saletta” lo invitai, facendogli strada fino
alla stanza in cui mi
trovavo fino a poco prima. Quando mi voltai verso di lui, lo trovai che
si
guardava intorno con interesse e stupore. Posava i suoi occhi azzurri
– li
avevo da subito trovati particolari e intensi, quegli occhi –
sulle mie
chitarre poste sui cavalletti o appese alle pareti, sugli spartiti
gettati in
ogni angolo e sparsi perfino sul pavimento, sui poster dei miei idoli,
sugli
scaffali stracolmi di CD e vinili, fino agli amplificatori addossati da
una
parte. Lo scrutai di sottecchi, sebbene gli occhiali scuri che
indossavo gli
impedissero di capire la traiettoria del mio sguardo, e sorrisi tra me
e me nel
vederlo così entusiasta e meravigliato. “Accomodati” gli
dissi cortesemente, prendendo posto sul divano e imbracciando la mia
chitarra. “Oh, certo. Scusa,
mi sembrava poco carino sedermi prima che tu mi dessi il
permesso” borbottò con
le guance leggermente rosse, mentre si posizionava su una poltroncina
di fronte
a me. Risi. “Ma dici sul
serio? Myles, non ti devi porre problemi con me, non mi piace tutta
questa
formalità. Sentiti libero di fare quello che vuoi”
misi in chiaro le cose. In
realtà nel primo periodo mi tenevo distaccato con le persone
con cui lavoravo e
cercavo di inquadrarle prima di dare eccessiva confidenza, ma quel
ragazzo mi
era parso in ansia e mi ero sentito in dovere di rassicurarlo. Myles mi sorrise.
“Grazie, davvero.” “Allora, siamo qui
per rifinire bene il lavoro che ci attende nei prossimi
giorni” cominciai,
arrivando dritto al punto. “Se ti va possiamo
cominciare a registrare anche oggi, io mi sono preparato
parecchio” affermò subito
Myles. Sollevai la mano
destra, con cui fino a poco prima stavo strimpellando. “Ehi,
calma, non c’è
fretta! Prima ce la suoniamo e proviamo insieme, che dici?” Myles annuì. “E poi ti vorrei
anche far sentire l’altra traccia in cui dovremmo
collaborare. Anzi, se ti fa
piacere posso farti sentire tutto l’album, che
dici?” Lui si illuminò e mi
regalò un sorriso raggiante. “Dici
davvero?” Era impossibile non
essere contagiati dall’entusiasmo che Myles sprigionava,
trasmetteva una gran
voglia di fare solo a guardarlo. “Ci tengo a sapere
il tuo parere” ammisi, stringendomi nelle spalle. Suonammo Starlight
quasi senza deciderlo; mentre
chiacchieravamo del più e del meno, mi venne spontaneo
suonare gli accordi di
quel brano e Myles iniziò a canticchiare. Come mi aveva
detto, era davvero
pronto: sapeva tutto il testo e padroneggiava la linea vocale senza
esitazioni.
Io lo ascoltai, ipnotizzato dalla sua voce così particolare
e intensa. Lo
osservai: teneva la schiena dritta e ondeggiava appena a ritmo, lo
sguardo era
perso nel vuoto e teneva le mani abbandonate in grembo. Ancora una volta
ringraziai mentalmente i miei occhiali scuri, che nascondevano i miei
occhi
colmi di commozione e leggermente lucidi. Raramente mi ero emozionato
sentendo
qualcuno cantare e di certo non fremevo dalla voglia di darlo a vedere,
non ero
il tipo. “Volevi capire se
funzionava? Ora ti sei chiarito tutti i dubbi!”
commentò Myles con una
risatina, mentre io eseguivo le ultime note del brano. “Ce
l’abbiamo!”
esultai, mentre un sorriso si allargava sul mio viso –
l’ennesimo, da quando
avevamo cominciato a suonare. “Sono sempre più
convinto di aver fatto bene a
chiedere a te.” “Wow, grazie di
cuore!” “Ora ti faccio
sentire anche l’altra” affermai. “Spero
che ti ispiri e ti piaccia. Se poi riesci
a cantarci sopra già nel prossimi giorn, beh, tanto di
cappello.” Calò il silenzio per
qualche istante, in cui io e Myles ci osservammo seri, poi lui
scoppiò a
ridere. “Tanto di cappello! Era una battuta?”
chiese, accennando al mio adorato
cilindro che avevo indossato anche quel giorno. Solo allora mi resi
conto del mio involontario gioco di parole e risi a mia volta,
sfiorando la
tesa del mio cappello con una mano. “Ti giuro, non
l’ho detto apposta!” “Beh, tornando
seri…” si ricompose Myles, mettendo su una faccia
che di serio non aveva
niente. “Dai, fammi sentire, sono curioso di vedere cosa
porterai fuori dal
cilindro.” Fu il mio turno di
scoppiare a ridere come un idiota. “Cominci a piacermi
davvero, Kennedy.” “Per così
poco?” si
sminuì, trattenendo a stento le risate. All’improvviso mi
venne un’idea e d’impulso gli chiesi:
“Hai programmi per la giornata?”. “No, sapevo di dover
venire qui e non ho preso impegni con nessuno, al massimo potrei fare
una
passeggiata al mare più tardi. Perché?” “Che ne dici di
pranzare assieme? Così abbiamo più tempo per
lavorare, anche nel pomeriggio”
buttai lì, mantenendo un tono leggero. “Oh, certo, mi
farebbe molto piacere!” accettò subito. Si era sciolto, ora
aveva un modo di fare molto più spontaneo. Scrutai ancora
una volta i suoi
occhi azzurri e i movimenti rapidi con cui sistemava le ciocche lisce
dietro le
orecchie. Gli donavano tanto, quei capelli lunghi e un po’
ribelli. Inspiegabilmente,
ero contento di trascorrere l’intera giornata con lui.
♫ ♫ ♫ Oh
Starlight, don't you
cry We're
gonna make it right before tomorrow Oh
Starlight, don't you cry We're
gonna find a place where we belong (where
we belong) And so
you know, you'll never shine alone
Sollevai lo sguardo
dal foglio su cui era stampato il testo e istintivamente cercai quello
di
Slash. Come al solito le lenti scure mi impedivano di leggere i suoi
occhi, ma
ormai lo conoscevo abbastanza bene per capire i suoi stati
d’animo. Era incredibile
quanto avessimo legato nell’ultimo periodo, io e lui eravamo
sulla stessa
lunghezza d’onda e avevamo condiviso tanto. Talmente tanto
che lui aveva
insistito per essere presente alle registrazioni della mia parte vocale
in Starlight, nonostante non fosse
necessario. Ma Slash era fatto così: quando si impegnava in
un progetto, ne
curava ogni aspetto e ogni sfaccettatura, lo voleva veder nascere e
prendere
forma passo dopo passo. E anche il
ritornello era stato fatto. Quando uscimmo dallo
studio, quel giorno, ero euforico e profondamente soddisfatto. “Com’è
andata?”
chiesi a Slash una volta fuori. “Secondo te
com’è
andata? Sei pazzesco, Myles!” sentenziò con
entusiasmo. Il suo tono era come
sempre contenuto, ma in esso si udiva quella punta di gioia che avevo
imparato
a riconoscere. Felice come non mai,
mi lasciai trascinare dall’emozione del momento e strinsi
Slash in un abbraccio
fraterno. “Grazie di cuore per avermi coinvolto!” Lui ricambiò appena,
visibilmente in imbarazzo, e allora interruppi subito quel contatto.
Sapevo che
il chitarrista non era una persona particolarmente affettuosa ed
espansiva,
quindi non me la presi. Non era stato infastidito dal mio gesto,
semplicemente era
fatto così. “Domani Back
From Cali?” mi chiese. “E sia!” affermai. Quel giorno cenammo
insieme, a Slash non piaceva l’idea che rimanessi da solo.
Non che avessi
problemi, Los Angeles era una città ricca di vita e avrei
senz’altro trovato
qualcosa da fare. Tuttavia non rifiutai, ormai avevamo stretto una
bella
amicizia e passare il mio tempo con lui non mi dispiaceva. Era surreale. Tutti
pensavano che il leggendario chitarrista dei Guns N’ Roses
fosse una persona
burbera e diffidente, eppure con me era stato sempre gentile e dolce.
Mi
sentivo fortunato, forse perché ero consapevole di essere
uno dei pochi ad
averlo conosciuto davvero.
♠ ♠ ♠
Ed eccoci giunti
alla conclusione del secondo capitolo! Sono davvero emozionata di star
pubblicando questa storia, ci ho messo tanto impegno e non vedevo
l’ora di
farvela leggere *-* Spero che la vicenda stia appassionando anche voi! Per chiunque non
conoscesse Starlight, vi lascio qui
il link di YouTube per poterla sentire. Ve lo consiglio
perché è
ME-RA-VI-GLIO-SA, io me ne sono follemente innamorata non appena
l’ho sentita: https://www.youtube.com/watch?v=-BTad4tTdrE Vi lascio anche il
link dell’altra canzone che Myles ha registrato nel primo
album di Slash, e che
ho nominato alla fine del capitolo, ovvero Back
From Cali: https://www.youtube.com/watch?v=ZisXBHZzKQ4 (Pensate un po’,
proprio mentre scrivo queste NdA sul canale TV di Virgin Radio
è partita una
canzone di Slash e Myles ♥.♥) Allora, è vero che
Myles ha preparato la demo di Starlight da
inviare a Slash in pochi giorni, tanto che il chitarrista si
è sorpreso della
sua rapidità! È vero anche che Myles ha raggiunto
Slash a Los Angeles… per il
resto è tutta farina del mio sacco XD comprese le freddure
di Myles riguardo il
cilindro di Slash, sì! Che ve ne pare del
loro primo incontro e del rapporto che si sta creando tra i due?
Ditemi, sono
curiosa! ^^ Ringrazio tutti i
miei lettori, quelli silenziosi e soprattutto i miei fedeli recensori,
che
riescono sempre a darmi la carica e la fiducia che altrimenti non
avrei! :3 Alla prossima
settimana (piccola comunicazione: gli aggiornamenti d’ora in
poi saranno
spostati al martedì) ♥
You'll have to carry me back from Cali I don't care if you
think I'm to blame You'll have to carry me
back to where I
belong You'll have to carry me
back from Cali The angel city where
the devils play You'll have to carry me
back to where I
belong Yeah... If you can hear me
tonight If you can hear me
tonight If you can hear me
tonight If you can hear me
tonight I've lost my way, I'm
so alone And all I want is to
come home
Il cursore che
indicava lo scorrere del brano si avvicinava rapido
all’estremità destra dello
schermo. Io e Myles ascoltavamo in silenzio la nostra Back
From Cali, fresca di mixing; doveva essere ancora rifinita in
alcuni punti, ma tutto sommato era pronta. Ed era molto
convincente. Mentre le ultime
note risuonavano nella stanza, scambiai uno sguardo complice e
soddisfatto con
Myles. Nel frattempo lui sorrideva raggiante e annuiva di tanto in
tanto. Mi accostai al pc
per chiudere la finestra del lettore multimediale e poi mi voltai
nuovamente
verso di lui. “Allora?” “Allora?”
ripeté,
stringendosi nelle spalle. “Il risultato finale
ti convince?” lo interrogai. Lui piegò appena la
testa di lato, facendo oscillare i suoi capelli. “Io sono qui
per servirti,
questo è il tuo album. A te piace?” Dio solo sapeva
quanto desiderassi giocare con quelle ciocche ribelli, per poi
sistemargliele
dietro l’orecchio. Non sapevo definire quello che mi capitava
da quando avevo
incontrato Myles per la prima volta: mi veniva difficile stargli
lontano, lo
trovavo adorabile; certe volte non riuscivo a staccare gli occhi dal
suo viso,
prestavo attenzione ai suoi gesti e trovavo che avesse un carattere
splendido. Tutto questo non mi
piaceva affatto: mi era capitato tante volte di interessarmi in quel
modo a
delle ragazze, ma erano sempre state delle donne,
appunto. Ero certo di non essere attratto dagli uomini, quindi quella
faccenda
doveva concludersi al più presto, mi dovevo dare una calmata. “Slash, ci sei? Non
mi hai ancora risposto” mi fece notare Myles in tono
divertito, riportandomi
alla realtà. “Eh… sì, la
domanda.
Qual era?” caddi dalle nuvole, un po’ imbarazzato. Lui scoppiò a ridere
e mi batté un’amichevole pacca sulla spalla.
“Ti piace la canzone?” “Certo, che domande.” Myles d’un tratto si
incupì e si lasciò sfuggire un sospiro; aveva
abbassato lo sguardo e
giocherellava con una ciocca di capelli. “Ehi… che
c’è?” gli
domandai preoccupato. “Niente, stavo
pensando che presto dovrò tornare a casa e mi dispiace, mi
stavo abituando a
questa routine e Los Angeles mi piace molto” ammise. “Puoi rimanere qui
quanto tempo vuoi, non ti mando via” gli dissi
d’istinto. Non lo feci presente,
ma l’idea che presto se ne sarebbe andato faceva male anche a
me. “Sarebbe bello, ma
non posso: sto lavorando al mio album solista e ho bisogno di
concentrazione.
Però, se ti va, ogni tanto posso tornare a
trovarti.” Sorrisi. “Te l’ho
detto, per me non c’è nessun problema! Allora,
Kennedy, resti per cena?” gli
proposi, giusto per sviare il discorso e risollevargli
l’umore. Ormai quella di
pranzare e cenare insieme era diventata un’abitudine. “Oggi non posso, ho
già preso degli impegni con alcuni amici. Ma prima di andare
ti devo dare una
cosa.” Myles mise su un’espressione enigmatica e si
diresse verso la
poltroncina dove aveva riposto la custodia della sua chitarra. “Una cosa? A me?” mi
sorpresi, non capendo dove volesse andare a parare. “Mi hai
comprato un
regalo?” “Più o meno, se
così
lo vuoi definire” borbottò lui con una risatina. Poco dopo tornò da
me con due custodie di CD tra le mani e me le consegnò.
“Da parte mia e dei
ragazzi” spiegò. Mi rigirai i dischi
tra le mani con profondo interesse: erano gli album degli Alter Bridge.
“Wow.” “Il primo è One Day Remains, è del 2004,
mentre Blackbird è del
2007. Mi sembrava carino
regalarteli, dato che non conosci tanto bene la mia band”
spiegò, indicando
prima una e poi l’altra custodia. “Grazie, li
ascolterò stasera stessa” mormorai, accennando un
sorriso. In realtà ero fuori
di me dalla gioia e avrei voluto stringere Myles in un abbraccio, ma mi
tenni
distaccato. Già mi trovavo in una situazione di merda e il
cervello mi si
ingarbugliava quando stavo con lui, dovevo limitare i nostri contatti
fisici. “Stasera? Non ne hai
abbastanza di me?” scherzò Myles. Non ne avevo mai
abbastanza di lui. Scossi il capo. “Ma
io sono curioso” mi giustificai con una risata. “Va bene, va bene!” La prima cosa che
feci quella sera appena rientrai in casa fu inserire One
Day Remains nello stereo. Le due canzoni che Myles aveva
registrato con me non mi bastavano più, ero curioso di
scoprire cos’altro era
in grado di fare. Come constatai
leggendo i titoli sul retro della custodia, il primo brano si chiamava Find The Real e aveva un sound
abbastanza aggressivo ma non eccessivamente pesante – almeno
questa fu la mia
prima impressione. Quando Myles
cominciò a cantare, il mio cuore perse un battito: la sua
voce era così
energica e potente… no, non mi stancava mai. Come poteva
pensare che ne avessi
abbastanza di lui? Mi sentivo in colpa
a lasciarmi trascinare da quei pensieri, non avrei mai e poi mai dovuto
ascoltarli. Ma non ero mai stato bravo ad appigliarmi alla ragione, la
maggior
parte delle volte agivo d’istinto, di cuore. Mentre la prima
traccia dell’album volgeva al termine e cedeva il posto a One Day Remains, presi una decisione:
avrei chiesto a Myles di
accompagnarmi nel tour di promozione dell’album. Del resto
era in grado di
cantare qualsiasi cosa. “Allora, c’è
quella
canzone di cui mi sfugge il nome, era più o meno al centro
dell’album… ecco, e
mi è rimasta in testa.” Myles passò un
polpastrello sulle corde della chitarra acustica con fare pensoso.
“Metalingus?” “No, era qualcosa
che diceva… forse c’era un broken
da
qualche parte” mi sforzai di ricordare. Quella mattina mi
ero svegliato con un brano degli Alter Bridge in testa e, quando Myles
mi aveva
raggiunto sul portico di casa mia, gliel’avevo subito detto. Il cantante si
illuminò. “Ah, allora è Broken
Wings,
infatti è la traccia numero sei! Non renderà
tanto con la chitarra acustica, ma
posso provare a cantarla” affermò, per poi
eseguire gli accordi giusti al primo
colpo.
On broken wings I'm
falling And it
won't be long The
skin on me is burning By the
fires of the sun On
skinned knees I'm
bleeding And it
won't be long I've
got to find that meaning And
I'll search for so long
Canticchiò e suonò
il ritornello con disinvoltura, quasi come se io non ci fossi. Il sole
tiepido
del mattino gli accarezzava le braccia, lasciate scoperte da una
canottiera
nera. “Sì, è
quella”
confermai. “Il tuo amico Mark non è male alla
chitarra, sai?” buttai lì, giusto
per esprimere un giudizio in più sugli album degli Alter
Bridge. Non potevo
soffermarmi solo su di lui e sommergerlo di complimenti. “Lo penso anch’io,
è
anche un compositore pazzesco. Glielo riferirò!” “Tu partiresti con
me?” Bel modo di fare
una proposta, complimenti
Slash. Pensare prima di parlare non sarebbe un male. Myles sollevò la
testa di scatto. “Partire? In che senso?” Scoppiai a ridere.
“Intendo in tour. Okay, aspetta, facciamo che riparto da
capo!” “Oh… il tour per la
promozione del disco?” s’informò,
curioso. “Sì, esatto. Sai,
penso che tu saresti adatto per cantare di tutto, incluse le canzoni
dell’album
e, beh, pensavo di inserire in scaletta anche dei brani dei Guns
N’ Roses.” Myles spalancò gli
occhi per lo stupore – la sua espressione era estremamente
tenera. “Pensi che
potrei cantare i Guns?” Scrollai le spalle e
schiacciai nel posacenere la sigaretta che stavo fumando.
“Nel caso, Axl
dovrebbe sentirsi onorato.” “Non dire fesserie:
lui è un’icona, interpretare i suoi brani non
è una cosa da tutti” obiettò
subito in tono serio. “Non da tutti, ma da
te sì. Credimi” ribadii, sicuro di ciò
che dicevo. Nonostante tutto ciò
che era accaduto e il modo in cui si erano logorati i rapporti tra noi,
rispettavo Axl ed ed ero fermamente convinto che nessuno potesse avere
la sua
attitudine. Solo il sorprendente talento di Myles era in grado di
potrarmi ad
affermare qualcosa del genere. “Così mi metti in
imbarazzo!” Sbuffai e lo
osservai con la coda dell’occhio. “Che palle.
Dunque, accetti?” “Così, su due piedi,
ti direi di sì… ma posso prendermi qualche giorno
per pensarci?” “Eh no, ormai hai
accettato, non si può più tornare
indietro” lo presi in giro. “Me lo hai chiesto
solo perché ti ho detto che mi dispiaceva tornare a casa,
eh? Di’ la verità,
non ti vuoi liberare di me!” mi punzecchiò con un
sorrisetto furbo. Oddio, sì. Avrei fatto qualsiasi cosa per vedere quel
sorriso ogni giorno per i mesi successivi. Dovevo smetterla! “Potrebbe essere… ma
comportati bene, mi raccomando. Stai avendo a che fare con un
personaggio
importante” mi pavoneggiai in tono ironico, assumendo una
posa da VIP vissuto. “Ora sono inquietato”
continuò a reggere il gioco lui. “Lo so, faccio
paura. Quindi, accetti di partire con me?” tornai a bomba
sull’argomento,
troppo impaziente di sentire la risposta. Se mi avesse detto
di no, ci sarei rimasto troppo male. “E va bene, ti
seguirò” accettò con un enorme sorriso
a increspargli le labbra. Avrei voluto
esultare per la gioia, ma non lo feci. Non potevo e non dovevo.
“E vuoi aiutarmi anche nei provini per scegliere batterista
e bassista?” “Volentieri! Ma
tutto questo a una condizione.” Aggrottai le
sopracciglia. “Sarebbe?” “Oggi andiamo a fare
una passeggiata al mare!” “Myles, ne abbiamo
già parlato: non posso andare a zonzo per Los Angeles a mio
piacimento, la
gente mi riconosce e mi perseguita” gli ricordai. “E dai, siamo
rintanati qui da un tempo indefinito, ci stiamo fossilizzando peggio di
due
dinosauri!” tentò di convincermi, sporgendosi
appena verso di me. “Cos’hai contro i
dinosauri? A me piacciono. Erano delle creature molto
interessanti.” Incrociai
le braccia al petto con fare indignato. “Ma che…?
Vabbè,
comunque, il mare fa bene alle vie respiratorie, e quindi è
perfetto per me,
che sono un cantante.” Myles continuava a insistere e la cosa
non mi sorprese,
avevo imparato a conoscere anche l’aspetto più
testardo di lui. “Il mare di Los
Angeles è inquinato, non fa bene” replicai
prontamente. In quanto a
testardaggine, non sapevo chi dei due fosse il peggiore. “Vabbè, dai, non fa
niente se non ti va. Ci posso andare da solo”
affermò senza alcuna traccia di
rabbia o risentimento nella voce. Sollevai gli occhi
al cielo; una parte di me mi suggeriva di lasciarlo fare, ma non volevo
nemmeno
che restasse da solo. E non volevo che
mi lasciasse da solo. “Senti, va bene,
vengo con te al mare” mi arresi con uno sbuffo. Myles mi scoccò
un’occhiata soddisfatta. “Sono un Sagittario,
Slash. I Sagittario prima o poi
ottengono quello che vogliono!” Scoppiai a ridere.
“Vaffanculo!”
♫
♫ ♫
“Ma sul serio tu ti
avvolgi così tra giubbotti, sciarpe e simili ogni volta che
esci?” mi chiese Todd
perplesso, mentre armeggiavo con la zip del mio cappotto pesante. “In quanto cantante,
devo proteggermi da tutto ciò che potrebbe danneggiare la
mia voce. Hai idea
dell’umidità che c’è qua
fuori? E se mi ammalassi ora, nel bel mezzo del tour?”
ribattei, spiegando pazientemente il mio punto di vista. “Sì, va
bene… io
intanto scendo e fumo una sigaretta” borbottò il
bassista, seguendo Brent
all’esterno dell’auto. Io finii di
rivestirmi, poi aprii lo sportello e raggiunsi i miei amici di fronte
all’ingresso dell’albergo. Mi bastò dar
loro un’occhiata per capire che erano
tutti distrutti quanto me. Il tour per la
promozione di Slash stava andando
alla grande e ormai avevamo superato la metà delle date
previste. Un successo
del genere sarebbe stato da festeggiare, ma forse eravamo tutti troppo
vecchi
per cose del genere ed era per quello che, dopo ogni concerto, non
vedevamo
l’ora di metterci a letto. Le nostre fesserie
da rockstar le avevamo già fatte a tempo debito. “C’è un
freddo
assurdo” brontolai, stringendomi le braccia attorno al corpo. “Vai dentro, no?” mi
suggerì Brent in tono ovvio. “No, aspetto voi.” Posai lo sguardo
prima sul batterista, poi su Todd e infine mi soffermai su Slash. Era
ancora
strano per me vederlo senza occhiali scuri, in genere li indossava
sempre, ma
di sera rischiava di inciampare da qualche parte se non li toglieva. “Cos’hai da
guardare?” borbottò il chitarrista aggrottando le
sopracciglia. “Sto per dire una
cazzata” lo avvertii, prendendo a sghignazzare. “Adesso sono curioso”
dichiarò Todd. “Prima di partire
per questo tour, non avevo idea di che occhi avessi. Cioè,
il taglio, il
colore…” Brent e Todd
scoppiarono a ridere fragorosamente e io subito li ammonii, facendo
notare loro
che stavano facendo troppo baccano ed era notte fonda. Slash intanto si
esibiva in una smorfia contrariata. “Ma… ma che
cazzo dici? E io che ti facevo
una persona seria” brontolò, incrociando le
braccia al petto. “No, dico davvero,
non avevo mai cercato una tua foto senza occhiali!”
proseguii, contagiato dalle
risate generali. Ovviamente non era vero,
mi era capitato di vedere qualche scatto del suo viso sgombro da ogni
barriera,
ma a ben pensarci potevo contare quegli episodi sulle dita di una mano. “Myles, sei un
mito!” esclamò Todd, battendomi una vigorosa pacca
sulla schiena. Per fortuna
indossavo un giubbotto pesante che attutì il colpo,
altrimenti mi avrebbe
spezzato in due. Quando tutti ebbero
finito di fumare, entrammo nella hall dell’albergo
completamente deserta, fatta
eccezione per un receptionist che fissò il suo sguardo su
Slash e ci osservò
passare con la bocca semiaperta. “Buonasera! Tutto
bene?” gli chiese Todd in tono innocente. Brent mi diede di gomito.
“Che coglione” borbottò al mio orecchio. Trattenni una
risata. “Ah? Eh? Sì.
Buonasera” farfugliò il tizio per poi arrossire. Raggiungemmo il
nostro piano, ma prima che potessi andare alla ricerca della mia stanza
– già
mi ero scordato dove si trovasse – Todd mi posò
una mano sulla spalla. “Ti va
di passare un attimo da me?” “Hai visto che ore
sono?” Ma il bassista non
attese oltre e mi spinse dentro la sua camera. Era una stanza grande e
spaziosa, dai mobili scuri e palesemente costosi. “Perché?”
gli chiesi,
poggiando la schiena a una parete. Non mi piaceva essere trascinato a
quel
modo, per giunta senza sapere il motivo. “Siediti” mi
invitò
lui, prendendo posto sul bordo del materasso da una piazza e mezzo. Lo affiancai, senza
smettere di lanciargli occhiate dubbiose e interrogative.
“Sono stanco però.” “Farò in fretta.
Allora… hai notato come ti guarda Slash?” Strabuzzai gli
occhi, confuso. Dal momento che non avevo capito dove volesse andare a
parare,
ripiegai su una battuta: “Perché, tu in genere
riesci a capire la traiettoria
del suo sguardo?”. Todd rise. “Che
stronzo! No, davvero, cazzate a parte… non lo hai
notato?” Mi strinsi nelle
spalle. “Non ho notato niente di strano o insolito, lui
è sempre lo stesso.” “Ah, quindi è sempre
stato così” insinuò in tono vagamente
malizioso. Ero confuso e, anzi,
quella conversazione iniziava a darmi sui nervi. Tuttavia mantenni la
calma.
“Ti prego, spiegati meglio.” “Ti guarda sempre,
ti studia. Quando ti vede solo da una parte, fa di tutto per
avvicinarsi e
attaccare bottone con te, senza dare troppo nell’occhio.
Quando parli ti
ascolta con interesse e sorride sempre… e, te lo assicuro,
Slash non sorride
mai!” Todd doveva essere
ubriaco. “Io non ho notato
tutte queste cose” ammisi, “ma di sicuro
è perché io e lui abbiamo stretto una
forte amicizia.” “Mi piace la tua
innocenza.” Allora capii cosa
stesse cercando di dirmi. Scossi il capo e mi misi in piedi.
“Senti Todd, non
per essere sgarbato, ma penso che tu ti stia facendo strane idee, film
mentali
che non esistono né in cielo né in terra.
Lasciamo perdere, siamo entrambi
stanchi” lo liquidai, avviandomi alla porta
d’uscita. “È un modo carino
per mandarmi al diavolo?” “È un modo carino
per dirti che non c’è nulla di cui preoccuparsi,
puoi metterti l’anima in
pace.” Quando mi ritrovai
in camera mia, sdraiato sul letto, ripensai alle parole del bassista.
Più ci
riflettevo, più mi parevano assurde: Slash mi voleva bene,
punto, non si
sarebbe mai potuto interessare a me in altri modi. Anche perché, nel
caso ciò fosse accaduto, non l’avrei mai potuto
ricambiare.
♫
♫ ♫
Quella notte mi
sentivo più solo del solito e non riuscivo a dormire. Mi
rigirai ancora una
volta tra le coperte, osservai un raggio di luna che filtrava tra le
pesanti
tende alle finestre. Erano così fredde,
quelle coperte, e il letto sembrava così grande. Ormai non lo potevo
più negare a me stesso: Myles mi mancava quando non era con
me, avevo bisogno
di lui, mi rendeva completo. Quanto avrei voluto averlo accanto, fargli
posare
la testa sul mio petto e coccolarlo, passare le dita tra quei capelli
lunghi.
Volevo solo un po’ di calore, dimostrare a Myles quanto mi
facesse stare bene
anche solo il fatto di vederlo sorridere. Sospirai e chiusi
gli occhi. Anche quella notte, invece, l’avrei passata solo
con i miei
pensieri.
♠ ♠ ♠
Ciao e benvenuti
alla fine di questo capitolo! ^^ Allora, che ne
pensate? Vi sta piacendo come si sta evolvendo il rapporto tra Slash e
Myles? A me personalmente
dispiace per come sto facendo soffrire il chitarrista, però
è anche
interessante entrare nella sua psicologia. E… diciamo che in
questa storia lo
sto facendo più romantico di quanto in realtà non
sia XD mi piace l’idea che la
presenza di Myles lo faccia completamente rimbecillire e rammollire! Slash, ti voglio
bene :3 Già nello scorso
capitolo vi ho lasciato il link di Back
From Cali, di cui vi ho parlato qui, così oggi vi
faccio ascoltare Broken Wings degli
Alter Bridge, la
canzone che nel mio immaginario ha colpito Slash: https://www.youtube.com/watch?v=1xICZAQ7GBQ Non è bellissima?
*-* Passando ai
riferimenti a cose realmente accadute: -Slash
non aveva davvero mai sentito gli Alter Bridge prima di lavorare con
Myles,
quindi mi sembrava una cosa carina che il cantante gli regalasse gli
album...
anche se non ho la certezza che sia andata così XD -Todd
Kerns (bassista) e Brent Fitz (batterista) sono i Conspirators, ovvero
coloro
che completano la band del progetto solista di Slash. Lavorano con lui
dal
primo tour, anche se sono stati coinvolti nelle registrazioni in studio
solo a
partire dal secondo album, Apocaliptic
Love. Negli anni successivi si è unito alla
formazione anche il chitarrista
ritmico Frank Sidoris, ma ai tempi in cui è ambientata
questa scena ancora non
c’era. Spero di essere
riuscita a chiarire i vostri eventuali dubbi e che il capitolo vi sia
piaciuto!
Vi ringrazio per il costante e preziosissimo supporto, attendo il
vostro parere
e vi do appuntamento alla settimana prossima!!! ♥
Non
che la questione mi preoccupasse più di tanto, ero convinto che Todd avesse
preso un granchio, ma ormai il bassista mi aveva messo la pulce nell’orecchio e
quella mattina, appena svegliato, le sue parole mi tornarono in mente.
Secondo
lui, Slash si era invaghito di me. Eppure non mi era sembrato di scorgere dei
segnali e quindi, per quanto mi riguardava, l’argomento era chiuso.
Mi
venne quasi da ridere quando quella mattina raggiunsi i ragazzi per la
colazione: si trovavano attorno a un tavolo tondo coperto da una tovaglia color
panna, in un angolo della sala per la colazione. Come il resto dell’albergo, la
grande stanza aveva un aspetto curato, la luce filtrava dalle leggere tende rosse
tirate davanti a degli enormi finestroni, e si rifletteva sulle pareti bianche.
“Perché
ridi? Ancora per quella storia dei miei occhi che non avevi mai visto?”
borbottò Slash, mentre mi sedevo accanto a Todd e ridacchiavo tra me.
Diedi
di gomito al bassista, che mi lanciò un’occhiata complice e sghignazzò. “No,
niente, scusa” cercai di porre rimedio.
“Questi
due non ce la raccontano buona” commentò Brent in tono piatto, per poi
sbadigliare.
Dal
canto suo, Slash si limitò a sollevare gli occhi al cielo e rimestare il suo
caffè nella tazzina.
Io
avevo optato per una spremuta d’arancia e uno yogurt bianco con i cereali, mi
piacevano le colazioni semplici e leggere.
“Ragazzi,
vi devo fare una proposta” dichiarò Slash serio.
Tesi
le orecchie, curioso di sapere cosa ci volesse dire.
“Dato
che mi sono reso conto di trovarmi…” cominciò, ma venne bruscamente interrotto
da una voce acuta e stridula che gridava il suo nome. Gettai furtivamente
un’occhiata alle mie spalle e scorsi una ragazzina alta e fin troppo magra, sui
vent’anni, venire verso di noi a passo di marcia. Mi accorsi subito che
indossava abiti costosi, all’ultimo grido, e non aveva un capello fuori posto;
probabilmente si trattava della figlia di una famiglia ricca, lo si capiva sia
dall’aspetto, sia dal fatto che si trovasse in un albergo di lusso.
Slash
le lanciò una rapida occhiata e d’istinto si passò una mano accanto all’occhio
destro. Lo conoscevo abbastanza bene per sapere che si sentiva a disagio senza
i suoi occhiali scuri, ormai divenuto un accessorio fisso quando interagiva con
i fan.
“Oh,
ma tu sei veramente Slash dei Guns N’ Roses, oddio!” strillò la ragazzina una volta giunta di
fronte a noi; tese una mano al chitarrista e attese che lui gliela stringesse.
“Piacere, Melissa Stones, figlia di Aaron Stones, è un imprenditore molto famoso.”
“Non
lo conosco” tagliò corto Slash.
“Oddio,
sono così emozionata di averti incontrato! Possiamo fare una foto?” chiese
allora la ragazza, passandosi una mano tra i capelli rossi tinti.
Aveva
un che di ambiguo, quella tizia: voleva dare l’impressione di essere emozionata
e ammirata di fronte a un chitarrista famoso, ma il suo atteggiamento sicuro e
spavaldo lasciava trasparire quanto, in realtà, fosse piena di sé.
Io,
Todd e Brent ci scambiammo un’occhiata stranita e decidemmo di farci gli affari
nostri. Ma proprio mentre afferravo il mio bicchiere con l’ultimo goccio di
spremuta, la ragazza mi sventolò il suo cellulare davanti agli occhi. “Potresti
scattare la foto?”
Slash
si lasciò sfuggire un leggero sospiro che colsi soltanto io. Sorrisi divertito,
sperando che quel gesto sembrasse cordiale agli occhi della fan. “Ma certo,
ovvio!”
Afferrai
l’apparecchio e lo puntai sui due, mentre Melissa si accostava a Slash e gli
circondava le spalle con un braccio; lui non si mosse, rimase seduto e a dirla
tutta sembrava piuttosto a disagio, come se non sapesse bene che posa e che
espressione assumere. Per questo, nelle due foto che scattai, la sua faccia
seria faceva a pugni con l’enorme sorriso da pubblicità di dentifricio della
ragazza.
“Fatto”
affermai, per poi restituire il cellulare alla proprietaria. “Ieri sei venuta a
vederci?” le chiesi, giusto per fare conversazione.
Lei
mi scoccò un’occhiata confusa, come se avesse capito solo in quel momento che
anch’io ero un musicista, poi scosse il capo. “Non sono in vacanza, papà mi ha
portato con sé ma in realtà è un viaggio di lavoro. E poi ai concerti c’è
troppa confusione, gente che spinge, trogloditi sudaticci… che schifo!” spiegò
lei in tono sprezzante, accentuando il suo disgusto con un cenno della mano.
“Se
tutti la pensassero come te, non avrebbe senso fare i concerti” le fece notare
Slash piccato. Ecco, era prevedibile: non perdeva mai la calma, ma quando si
sfioravano argomenti a lui cari non mancava mai di far sapere il suo parere.
Melissa
gli rivolse un’occhiata superba, di chi la sa lunga. “Dici così perché la vivi
dal palco, senza gente che ti sta addosso, sei servito e riverito e hai un
camerino tutto per te quando finisci di suonare.”
Lui
non cambiò espressione, ma poggiò un gomito sul tavolo e si grattò il mento,
fingendo di riflettere sulle sue parole. “Quindi tu pensi che io nella mia vita
non sia mai stato a un concerto, tra il pubblico?”
Mi
stavo divertendo un sacco, io e Todd non facevamo che darci di gomito e
scambiarci piccoli colpetti sotto il tavolo.
Brent
intanto teneva il cellulare incollato alla faccia e rideva senza ritegno,
fingendo fosse per qualche messaggio che gli era arrivato.
Melissa
strabuzzò gli occhi indignata e stava per ribattere, ma una voce maschile alle
nostre spalle attirò la sua attenzione: “Tesoro, andiamo”.
“Arrivo,
papà!” ribatté subito Melissa, allontanandosi da noi senza neanche degnarci di
un saluto.
La
scrutai con la coda dell’occhio mentre andava via con un signore di mezza età
vestito di tutto punto, con un completo elegante.
Io,
Todd e Brent cominciammo a sghignazzare, mentre Slash riprese a spazzolare via
il suo pancake come se nulla fosse.
“Però
era simpatica” commentai infine.
“Devo
ammettere che la conversazione si faceva interessante” mugugnò il chitarrista.
“Comunque, vi devo ancora fare quella proposta, se solo questa ragazzina non mi
avesse interrotto…”
“Siamo
tutt’orecchi!” lo esortò Todd.
“Siccome
mi trovo bene a suonare con voi, pensavo che potremmo registrare un album
insieme per il mio progetto solista, se vi va. Insomma, questa formazione
funziona…”
“Ci
sto, al tuo servizio! Finché morte non ci separi! Posso continuare a cantare Lemmy ai concerti?” lo interruppe Todd entusiasta e con un
enorme sorriso stampato in faccia.
Brent
scoppiò a ridere, divertito dalla reazione del bassista, poi annuì. “Certo,
Slash, se ti fidi del mio operato io ci sono.”
Io
intanto sorridevo come un ebete, felice di quella opportunità, ma non reagii in
maniera esagerata o troppo esplicita perché dopotutto non era nella mia natura.
“Myles?”
Slash puntò i suoi occhi scuri carichi di aspettative su di me e accennò un
sorriso.
“Certo,
lo sai che per me va benissimo.”
“Non
ci sono problemi per i tuoi Alter Bridge, vero?” s’informò, preoccupato.
“Cercherò
di conciliare tutti gli impegni ed esserci sia per voi che per loro. Ti dirò,
mi piace l’idea di destreggiarmi tra i due progetti, almeno non mi annoio!” lo
rassicurai.
“Sei
mitico!” Todd mi diede una delle sue solite pacche sulla spalla.
Slash
invece si limitò a rivolgermi un’occhiata riconoscente e soddisfatta.
Era
incredibile: avevamo appena terminato il tour per la promozione del suo album,
avevamo suonato ovunque e per una fitta serie di concerti, eppure Slash suonava
e componeva pure sulla via di casa. Stazionava su un sedile del tour bus con la
sua chitarra tra le braccia, un auricolare all’orecchio sinistro e
un’espressione concentrata.
In
fondo lo capivo, anche io non mi ero fermato durante quel periodo e nei momenti
liberi componevo per gli Alter Bridge; era un continuo scambio di materiale tra
me e Mark, ci eravamo impegnati tanto e io non vedevo l’ora di vedere il nostro
terzo album pubblicato, così da poter partire in tour con loro.
Ero
fatto così: non ero nemmeno tornato da un viaggio e già pensavo a quello
successivo.
“Myles?”
mi richiamò il chitarrista, la voce appena udibile sopra il rombo del motore.
“Dimmi.”
“Vieni
qui” mi invitò gentilmente.
Diedi
un’occhiata attorno a me: Brent giocava col suo cellulare e aveva le cuffie
alle orecchie, mentre Todd sonnecchiava con la testa poggiata contro il
finestrino. Mi alzai, mi avvicinai a Slash e presi posto accanto a lui, poi gli
lanciai un’occhiata interrogativa, curioso di sapere perché mi avesse
convocato.
“Mi
è venuta un’idea per una canzone. Vuoi sentire?”
Afferrai
l’auricolare che mi porgeva e lo infilai all’orecchio. Il filo delle cuffiette
era abbastanza corto e ciò mi imponeva di stare molto vicino a Slash, così gli
chiesi: “Ti disturbo? Riesci a suonare anche con me che ti sto praticamente
addosso?”.
“Non
ti preoccupare.” Detto questo, eseguì un giro di accordi che mi entrò subito
nel cuore, pienamente nel suo stile e con un pizzico di malinconia che gli
conferiva un che di magico.
Sorrisi.
“Wow, è stupendo. Oh sì, registralo e fammelo avere, già non vedo l’ora di
lavorarci su!” Il mio entusiasmo però venne smorzato da un pensiero che si
affacciò nella mia mente: il mio amico aveva composto quella melodia così
triste proprio in quel momento, dopo la conclusione del tour… forse si sentiva
giù di morale e la cosa mi dispiaceva parecchio.
“Ehi”
cercai di cominciare il discorso, ma non sapevo bene come continuare.
“Sì?”
“Ti…
ti dispiace che il tour sia finito?”
Slash
scollegò gli auricolari dalla chitarra e mise via il suo strumento, poi tornò a
concentrarsi su di me. “Sai bene che amo viaggiare, è ovvio che mi dispiace.
Però è stato bello, mi sono trovato bene” ammise con una semplicità disarmante.
Ridacchiai.
“Ti mancheremo, quindi?”
Lui
arrossì, si voltò e finse di guardare fuori dal finestrino nella speranza che
non lo notassi; tipico di Slash. “Beh… sì. Ma ci vedremo per il disco, insomma,
e ci terremo in contatto” borbottò.
Avevo
indagato abbastanza per capire che il chitarrista era davvero triste, ecco
spiegata la vena malinconica della sua composizione. O forse non era quello il
motivo… Slash era così enigmatico, pensavo di conoscerlo bene, ma in fondo che
ne potevo sapere?
“Grazie
ancora per avermi coinvolto, non avrei mai pensato di finire in un progetto del
genere” dissi.
“Smetterai
mai di ringraziarmi per qualsiasi cosa?” mi rimbeccò in tono divertito.
Mi
imbronciai. “Ero serio, hai rovinato l’atmosfera.”
Lui
ridacchiò. “Dopotutto mi mancherai, sì.”
“Anche
tu, Slash.”
♫♫♫
“Ma
che cazzo di problemi mentali ha quell’imbecille? Cazzo, ho fatto bene ad
andarmene dai Guns, quel ciccione di merda me la
paga!” Steven passeggiava per la sala prove, mentre il fumo gli usciva dalle
orecchie.
“Steve,
ti prego, datti una calmata” lo implorai, roteando gli occhi con fare
esasperato.
“Io
mi dovrei calmare?! Quella merda con i piedi di Axl
decide di non partecipare alla cerimonia di premiazione, ci avvisa meno di una
settimana prima e io non mi dovrei incazzare? Spiegami, chi dovrebbe cantare
quel giorno? Tu?” Il batterista mi si era piazzato di fronte e si era puntato
le mani sui fianchi.
“Adler,
per favore, ragiona!” intervenne Matt, affiancandolo. “Sappiamo tutti e quattro
che Axl è un coglione, è inutile prendercela ancora
con lui, adesso abbiamo un problema più grande da risolvere: trovare un
sostituto che sia in grado di cantare le nostre canzoni e che sia disponibile
nei prossimi giorni.”
“Questa
è la frase più lunga e sensata che ti abbia mai sentito dire” lo prese in giro Duff, accostandosi a noi per prendere parte alla
discussione.
“Fottiti”
grugnì il batterista, poi incrociò le braccia al petto e ci guardò uno per uno.
“Allora, avete qualche proposta?”
Per
un attimo calò il silenzio nella stanza.
Certo
che avevo il nome adatto: Myles, ovviamente. Lui sapeva cantare i brani dei Guns, lo aveva fatto un sacco di volte ed era sempre stato
eccellente, sarebbe stato il sostituto perfetto di Axl.
Tuttavia tenni per me quelle considerazioni, non mi sembrava il caso di mettere
Myles in mezzo a quella faccenda, anche perché i miei colleghi si sarebbero
potuti infastidire, in particolare Duff e Matt. Avevo
messo da parte i Velvet Revolver, di cui facevano
parte anche loro, per concentrarmi sulla mia carriera al fianco di Myles;
sebbene sapessi che loro non erano arrabbiati per questo, volevo evitare che si
irritassero.
Rimasi
in silenzio, fingendo di rifletterci su.
“Quel
coglione, deve solo ringraziare di non avermi di fronte!” sbottò all’improvviso
Steven, facendoci sobbalzare; si allontanò di botto da noi e accese una
sigaretta con movimenti rapidi e frenetici.
“Ancora
con questa storia di Axl?” lo rimproverò Duff con uno sbuffo.
“Oltre
a essere uno stronzo per averci piantato in asso, mi ha anche gettato merda
addosso con quel post! Ma che cazzo vuole?”
Mi
lasciai sfuggire un sospiro. “Ti sei accorto che abbiamo cambiato argomento?”
“A
voi non fa incazzare?”
“Lasciamolo
perdere e pensiamo noi a un sostituto, tanto la sua scatola cranica vuota non
ci sarebbe di nessun aiuto” sentenziai, tornando a concentrarmi su Matt e Duff.
“Sempre
il solito pezzo di merda, Slash” borbottò Steven in tutta risposta. Tra me e lui
era così: ci conoscevamo da una vita e non era passato un giorno in cui non ci
fossimo insultati, ma in fondo ci volevamo un sacco di bene ed eravamo
inseparabili.
“MI
è venuta un’idea!” saltò su Matt, illuminandosi.
Feci
un cenno per invitarlo a proseguire.
“E
se chiedessimo al tuo amico Myles? Lui ha già avuto esperienze di questo tipo
ed è fottutamente bravo. Spero solo che possa accettare nonostante il poco
preavviso.”
Volevo
gridare di gioia e abbracciare Matt, quelle parole mi avevano incendiato il
cuore; volevo Myles, lo volevo accanto a me durante la cerimonia di premiazione
della Rock‘N’Roll Hall Of Fame, ed ero immensamente
grato al mio collega per averlo proposto.
“Giusto,
ottima idea! Slash, tu che ne pensi? Pensi che potrebbe essere disponibile?”
concordò Duff, annuendo soddisfatto.
Anche
lui era d’accordo. Mio dio, quanto li adoravo! Nonostante l’entusiasmo, rimasi
imperturbabile. “Non lo so, ma tentar non nuoce, glielo posso chiedere.”
“Ma
almeno sei d’accordo?” mi chiese Duff, scrutandomi con
perplessità.
“Certo,
se l’ho scelto come mio cantante un motivo ci sarà. Vado a chiamarlo”
sentenziai.
Steven,
dal suo angolino accanto alla porta, si schiarì la gola per attirare la nostra
attenzione. “Ovviamente nessuno si è degnato di chiedere a me.”
“Tu
pensa a incazzarti con Axl, che noi pensiamo al
resto.” Mentre mi incamminavo verso l’uscita e gli passavo di fronte, gli diedi
una leggera spallata, che lui ricambiò con una spinta.
Una
volta all’esterno, la prima cosa che feci fu accendere una sigaretta. La
seconda fu cercare il numero di Myles in rubrica e stare per qualche secondo
incantato a fissarlo, assorto nei miei pensieri.
Era
da un pezzo che non lo sentivo per telefono, avevo avuto modo di sentire la sua
voce solo nelle demo che mi aveva inviato di recente; era parecchio impegnato
con il tour di promozione per il terzo album degli Alter Bridge, anche se mi
aveva rivelato che in quel periodo le acque si erano un po’ calmate ed era
riuscito a riposarsi.
Mi
mancava tantissimo, da quando mi ero separato da lui non avevo fatto altro che
pensarci. Ci avevo provato in tutti i modi, a togliermelo dalla testa, ma ogni
giorno la mia mente tornava a lui, ripercorreva i bei momenti trascorsi insieme
durante il tour, la sensazione che provavo nello stare vicino a lui, l’intesa
incredibile che si creava tra noi quando stavamo su un palco. E quel sorriso
così dolce da farmi impazzire.
Per
quanto riguardava i dischi degli Alter Bridge, li avevo consumati a furia di
ascoltarli.
Feci
partire la chiamata e avvicinai il cellulare all’orecchio. Mentre ascoltavo i
monotoni e regolari squilli susseguirsi, ripensai al modo in cui ci eravamo
salutati: Myles mi aveva stretto forte in un abbraccio e l’aveva prolungato per
diversi secondi, mi aveva dimostrato tutto l’affetto che provava per me, e io
finalmente mi ero lasciato andare, godendomi appieno quel contatto. L’avevo
ricambiato con trasporto, avevo inspirato il suo profumo dolce, mi ero quasi
lasciato sfuggire delle lacrime di tristezza all’idea di non vederlo più per un
lungo periodo.
E
poi l’avevo allontanato quasi di botto, perché stavo sbagliando tutto. Non
potevo attribuire un significato alternativo a un abbraccio tra amici, non era
giusto nei suoi confronti e nemmeno nei miei.
E
soprattutto…
Non potevo assolutamente
permettere che si accorgesse di quanto lo desiderassi, delle reazioni che la
sua vicinanza provocava nel mio corpo.
Mi
facevo schifo.
“Ehi,
Slash!” La voce di Myles esplose nel mio orecchio, interrompendo il flusso dei
miei pensieri.
“Oh…
Myles!” farfugliai, scombussolato. “Ho bisogno di te.”
Perché
suonava tanto come una romanticheria da quattro soldi?
“In
che senso?”
“Per
un concerto,” chiarii subito, “verresti a suonare con me e i Guns per la Rock’N’Roll Hall Of
Fame? Axl ci ha tirato un bidone…”
“Cosa?
No, Slash, non posso accettare! È troppo per me!”
Il
cuore mi sprofondò nel petto.
♠♠♠
OOOOHHH, MA CHE
CUCCIOLO SLASH *___*
Scusate, non è da me
lasciarmi andare a fluffosità nei confronti del
nostro riccioluto chitarrista, ma dopo questi suoi pensieri è impossibile non
volergli tirare le guanciotte :3
Ok, mi ricompongo XD
Cosa ne pensate di
questo capitolo? Io devo dire che mi sono sorpresa parecchio mentre lo
scorrevo: l’ho scritto prima di leggere il libro di Slash, eppure avevo
azzeccato già molte cose riguardo alla caratterizzazione dei personaggi (per
esempio Steven Adler).
E a proposito… IL
MIO ADORATO STEVEN *___*
Per chi non lo
sapesse, lui è il primissimo batterista dei Guns N’ Roses, prima dell’ingresso di Matt Sorum
nel 1990, ed è stato allontanato dalla band per i suoi problemi con la droga.
Vi devo alcune
informazioni per quanto riguarda l’ultima scena, anche se alcuni di voi
sapranno già questa storia.
Nel 2012 i GN’R sono
stati inseriti nella Rock’N’Roll Hall Of Fame. Alla cerimonia
di introduzione, da quel che ho capito, hanno partecipato Slash, Duff, Matt, Steven e Gilby Clarke
(ex chitarrista ritmico dei Guns). La partecipazione di
Axl Rose, invece, è rimasta in sospeso fino a pochi
giorni prima della fatidica serata, quando ha poi pubblicato un lungo post in
cui afferma di non voler partecipare e spiega i suoi motivi per cui ha preso
questa decisione. Nel caso lo voleste leggere, vi lascio qui il link:
Quando Steven si
lamenta che il cantante gli ha gettato merda addosso, si riferisce a questo
passaggio del suddetto post:
“Steven è venuto
allo show che abbiamo tenuto nel 2006 all’Hard Rock di Las Vegas, l’ho invitato
al nostro after-party e siamo stati ripagati con le
sue successive interviste piene di bugie su una reunion.
Lezione imparata.”
Ovviamente non posso garantirvi che questo sia vero, mi limito a
copiare ciò che trovo su internet ^^
Ho anche dedotto che Steven fosse parecchio arrabbiato per questa cosa,
dal momento che ha commentato: “È una vergogna, una cosa molto triste. […] È
irrispettoso non solo nei confronti della band, degli altri quattro membri
originali, ma anche verso i nostri fan”. Leggendo poi la biografia di
Slash, ho scoperto che in effetti Steven e Axl non sono
mai andati particolarmente d’accordo.
Infine, altra cosa reale: Slash afferma di non essere stato lui a
proporre Myles come cantante per l’esibizione di quel giorno, così ho cercato
di indagare i motivi dietro a questo gesto, ovviamente a modo mio. Queste le
parole del chitarrista: “Sono stati gli altri ragazzi a suggerire Myles come
cantante, e io ho pensato fosse una grande idea”.
Molti di voi sanno già com’è andata a finire, ma per chi invece non
conosce questa storia, lascio la suspense: Myles accetterà o no?
Anche stavolta mi sono dilungata abbastanza, quindi lascio a voi la
parola, nella speranza che la storia continui a piacervi! E ringrazio DI CUORE
i miei lettori e recensori per il continuo supporto :3
Quando sentii quella voce che chiamava il mio nome,
con quell’inflessione dolce e delicata, mi fece sussultare e mi voltai di
scatto. Mi era mancato così tanto!
Myles era appena entrato nel backstage e mi regalava
un sorriso a trentadue denti. Era lì, davanti a me, dopo troppi mesi di
lontananza; mesi in cui non avevo posato lo sguardo sul suo bel viso, non avevo
goduto della sua vicinanza, battibeccato e chiacchierato con lui. Non avevo
sentito il suono della sua voce canticchiare distrattamente o quello della sua
chitarra, leggero ma sicuro. Non avevo sentito la sua risata contagiosa e
cristallina che faceva ridere anche me.
Mi avvicinai a lui cautamente, cercando di non dare
troppo nell’occhio e di non esplodere in qualche reazione esagerata, ma quando
gli fui di fronte non mi diede neanche il tempo per aprir bocca ed esclamò:
“Amico, dammi un abbraccio!”. Detto questo, mi si gettò addosso e mi strinse a
sé con affetto.
Io rimasi interdetto, come al solito, e non seppi
bene come reagire; istintivamente ricambiai la stretta, come l’ultima volta che
ci eravamo salutati, ma poi mi ricordai che non me lo potevo permettere, non mi
potevo lasciar andare in quel modo. Per fortuna il nostro contatto durò molto
poco, Myles si staccò da me e piegò appena la testa di lato. “Allora, come
stai? Io sono arrivato da qualche minuto, sono un po’ stanco.”
“Io abbastanza bene. Ci hai salvato, grazie per
essere venuto” replicai riconoscente. “Non hai portato nessuno dei tuoi? Mark o
qualcun altro?”
Lui scosse la testa. “Ho chiesto ai ragazzi, ma con
così poco preavviso non si sono potuti organizzare. Vabbè, non è un problema”
mi rassicurò.
Annuii poco convinto. Non mi andava tanto a genio
che avesse fatto il viaggio da solo e che non avesse nessuno con cui passare il
tempo, dovevo fare in modo di stargli vicino e coinvolgerlo.
“Vieni, ti presento gli altri” affermai, facendogli
strada verso il camerino che ci era stato fornito per l’occasione.
“Pensi che riuscirò a suonare con voi anche se non
abbiamo mai provato?” mi chiese Myles mentre mi camminava accanto.
Lo scrutai con la coda dell’occhio e notai la sua
espressione pensosa e scettica; forse quest’esibizione gli metteva ansia, del
resto non era stato facile convincerlo ad accettare. All’inizio il suo era
stato un categorico no, avevo dovuto
insistere un po’ e fargli capire che tutti noi ci fidavamo di lui, e infine si
era convinto perché non sopportava l’idea di lasciarci senza un cantante in un
giorno così importante.
“Penso proprio di sì, non è la prima volta che canti
i brani dei Guns e si può dire che li conosci meglio di me” affermai sicuro.
“Eppure sono sicuro che la gente non mi vedrà di
buon occhio, voleva vedere Axl in quest’occasione” si
rabbuiò lui.
Scossi il capo, irritato anche solo dal nome del mio
vecchio collega. “Axl Rose ha deciso di non venire e
per questo i nostri fan sono incazzati con lui, ma non se la prenderanno con
te. E, nel caso, li lasceremo dire.”
Lui non replicò e si limitò a scrollare le spalle,
ma la sua espressione rimase corrucciata.
Una volta davanti alla porta ben chiusa del
camerino, mi fermai e mi sfilai gli occhiali scuri, che ovviamente avevo
indossato anche in quell’occasione, poi guardai Myles dritto negli occhi. “Ti
prego, basta essere in ansia, stai tranquillo. In qualunque modo andrà, a noi
starà bene e deve essere così anche per te. Me lo prometti?” Avevo iniziato il
discorso in tono fermo e quasi piatto, ma poi avevo addolcito il tono della
voce.
Lui sostenne il mio sguardo, nei suoi occhi celesti
si leggeva un leggero disagio, poi le sue labbra si incurvarono in un dolce
sorriso. “Va bene, ci proverò!”
Mi costrinsi a distogliere lo sguardo da lui e aprii
la porta del camerino; una volta all’interno, mi guardai attorno e notai che
Duff, Matt e Steven – quest’ultimo impegnato nel rollare una stecca d’erba –
stavano amabilmente conversando con Flea, il bassista
dei Red Hot Chili Peppers.
“Ehi Slash, come butta?” mi salutò non appena mi
vide, accennando un mezzo sorriso.
Gli rivolsi un cenno, poi mi schiarii la gola per
attirare l’attenzione. “Ragazzi, questo è…” cominciai ad annunciare, ma venni
interrotto da Duff.
“Myles Kennedy, giusto? Molto piacere!” esclamò
infatti il bassista, posizionandosi davanti a noi in un attimo e tendendo una
mano al mio cantante.
Lui sorrise educato e gliela strinse. “Sì, sono io. È un
onore conoscerti!”
Duff sorrise. “Slash ci ha parlato così tanto di te, che ormai la
leggenda sei diventato tu!”
Non potei fare a meno di arrossire; Duff era un coglione, avrei voluto
prenderlo a schiaffi. “Non è vero che ne parlo così tanto, sei uno stronzo”
bofonchiai sulla difensiva.
Anche Steven a quel punto si era avvicinato a noi e aveva scambiato una
stretta di mano con Myles. Quest’ultimo abbassò lo sguardo e ridacchiò
imbarazzato. “Ma dai, non sono un argomento di conversazione così interessante.
Del resto siete voi a entrare nella Hall Of Fame!”
“Tu sei il cantante dei…?” intervenne Flea,
accostandosi a noi e ispezionando Myles con lo sguardo.
Il ragazzo era diventato l’attrazione di tutti, sicuramente si sentiva in
imbarazzo nell’essere al centro dell’attenzione.
“Degli Alter Bridge” rispose col suo solito fare cortese.
“Alter Bridge… okay, penso di aver capito. Mi raccomando, fai un buon
lavoro con le parti di Axl” disse il bassista, per
poi avviarsi verso l’uscita.
“Ma dico, hai mai visto un video in cui si esibisce dal vivo? È un
mostro, quella merda di Rose dovrebbe baciare il terreno dove passa!” gli gridò
dietro Steven, scatenando le risate generali. Il batterista ancora non aveva
smaltito la rabbia nei confronti di Axl e ogni tanto
si faceva prendere dalle emozioni.
Myles mi lanciò un’occhiata preoccupata e io capii che dovevo fare
qualcosa per aiutarlo, non gli piaceva avere tanti sguardi addosso.
“Vieni Myles, siediti pure” lo invitai, facendo cenno verso l’enorme
divano ad angolo dove stazionava Matt. Quest’ultimo si presentò a Myles non
appena prendemmo posto, uno di fianco all’altro.
Io e il cantante cominciammo subito a chiacchierare del più e del meno,
come al solito, e di tanto in tanto gli altri intervenivano nella
conversazione. All’interno della stanza si respirava un’atmosfera tranquilla e
distesa, nulla a che vedere con i backstage dei concerti dei Guns, più di vent’anni
prima.
Qualche minuto dopo sentimmo bussare alla porta e Steven andò ad aprire.
“Myles Kennedy è già arrivato?” domandò un roadie,
sbirciando all’interno della stanza.
Il diretto interessato si mise in piedi. “Sono io.”
“Dovrebbe rilasciare un’intervista” gli comunicò l’uomo.
Myles annuì e lo seguì subito all’esterno. Quando la porta si richiuse,
avvertii un vuoto quasi doloroso nella stanza. Sospirai.
Steven mi raggiunse e si stravaccò nello spazio vuoto accanto a me,
lanciò un’occhiata a Duff e Matt che battibeccavano tra loro dall’altra parte
della stanza, poi posò il suo sguardo indagatore su di me.
Mi accigliai. “Che cazzo hai da guardare?”
“Quanto ti piace?”
“Di cosa stai parlando?”
Lui assunse un’aria cospiratoria e si sporse verso di me. “Quel Kennedy.
Sei completamente innamorato di lui.”
Strabuzzai gli occhi e sentii un tuffo al cuore. Come poteva Steven
essersene accorto? Si notava davvero così tanto? Non mi andava affatto di affrontare
quell’argomento. “Vaffanculo” borbottai soltanto.
“Ah, colpito e affondato! Vuota il sacco, Hudson!”
“Non mi piace” cercai di negare.
“Andiamo, vuoi prendermi per il culo? Sei diventato un’altra persona da
quando lui è in questa stanza, te lo mangi con gli occhi, stai attento alle
parole che usi… ah, se questo non è amore!” cinguettò il mio amico con sguardo
sognante.
Sbuffai, cercando di rimanere impassibile. “Ne possiamo parlare in un
altro momento?”
In realtà ero molto in ansia: non pensavo che i miei sentimenti verso
Myles si notassero tanto, avevo fatto di tutto per tenerli nascosti. E se lui
se ne fosse accorto? E se stessi rovinando tutto?
“No, ne parliamo qui e adesso, gli altri non stanno facendo caso a noi.
Allora?” mi incalzò ancora Steven.
Quanto era testardo! Era per quello che l’amicizia tra me e lui era
sempre andata avanti con successo: io mi tenevo tutto dentro, lui insisteva
finché non portavo tutto fuori.
“Ti prego, dimmi che non si nota così tanto” farfugliai infine, arreso.
“Io lo noto perché ti conosco da una vita, ma non penso che qualcun altro
ci abbia fatto caso, specie Myles. Quindi, si può sapere in che rapporti siete?
Lo ammiri e basta o te lo vuoi anche scopare?”
Gli mollai una gomitata e lo incenerii con lo sguardo. “Ma sei
rincoglionito?”
“Però non mi hai risposto” mi fece notare, massaggiandosi le costole
laddove l’avevo colpito.
Mi morsi il labbro inferiore, indeciso su che parole utilizzare. Era la
prima volta che esprimevo a parole quei sentimenti dopo due anni che li
provavo, non sapevo bene nemmeno io come definirli e come averci a che fare.
“Allora… sì, lo so che sembra una cosa ridicola, ma penso di…”
Amarlo.
“Pensi di…?”
Deglutii. “Essere interessato a lui. In tutti i sensi.”
Steven strabuzzò gli occhi. “Oh, merda… sei attratto da un uomo?”
“Non… non sono solo attratto, Myles è… insomma, mi piace il suo
carattere… sto meglio quando c’è lui” biascicai. Ormai il mio viso era in
fiamme e, senza quasi accorgermene, avevo acceso una sigaretta.
Steven si raddrizzò sul divano e mi guardò dritto negli occhi, attraverso
la nuvola di fumo che mi fluttuava di fronte al viso, poi mi batté piano una
pacca sulla spalla. Era tremendamente serio. “Cazzo, sei nella merda. Però…
secondo me è una cosa bellissima. Non ti avevo mai sentito parlare così,
guardare qualcuno in quel modo.”
Presi una boccata di fumo. “Sei serio?! Non è bellissimo, è solo un
fottuto casino. Ci ho messo un secolo ad accettare questa cosa, ancora mi sento
in colpa quando penso a Myles in un… certo modo.”
Era surreale: mi ero portato a letto un numero indefinito di donne e ne
avevo sempre parlato senza alcun filtro e alcun problema, eppure quando si
trattava di Myles era come se si risvegliasse una parte inedita di me, che mi
portava a proteggere quei sentimenti e ciò che li riguardava. Che mi portava a
proteggere Myles.
“Perché non glielo dici?” se ne uscì Steven dopo qualche secondo di
riflessione.
Scoppiai a ridere. “Okay, l’ho capito, mi prendi per il culo. Secondo te
potrei mai fare una cosa del genere e rischiare di rovinare tutto? Myles è
etero e in ogni caso non prova nessun interesse nei miei confronti, le cose
devono rimanere come sono.” Ammettere ad alta voce quella verità mi feriva nel
profondo; ciò che faceva più male era la consapevolezza di dover stare accanto
a Myles senza poterlo toccare e stringere, senza poter godere del suo calore.
Afferrai una birra posta sul tavolino basso di fronte a me e la aprii.
Avevo bisogno di alcol.
“Quindi soffrirai in silenzio per il resto dei tuoi giorni? Slash,
secondo me è una cazzata, se ti confidassi con Myles ti potrebbe aiutare lui
stesso…”
“No” lo interruppi bruscamente. “Non voglio che cambi punto di vista su
di me, che si allontani per paura che io faccia qualcosa di troppo. Non lo
voglio intimorire, sono disposto a stare in silenzio pur di averlo ancora
accanto come ora.” Solo quando arrivai alla fine del discorso mi resi conto di
aver usato un tono estremamente sdolcinato e che gli occhi mi pizzicavano
appena.
“Posa quella cazzo di birra” mi ordinò Steven.
Feci come mi diceva e schiacciai anche il mozzicone nel posacenere. Un
istante dopo il mio amico mi stringeva in un forte abbraccio; quel gesto bastò
a farmi capire che Steven, il mio migliore amico da una vita, era dalla mia
parte e mi sosteneva.
“Non so se sia la droga o la vecchiaia ad averti rincoglionito così, ma
quando fai questi discorsi da innamorato sei un tesoro!” commentò, tra sincero
e divertito, mentre scioglievamo l’abbraccio.
Gli diedi una leggera spinta e scoppiammo a ridere come due idioti.
Quella chiacchierata mi era servita per schiarirmi le idee.
“E la volta che ho sfondato la porta a vetri perché non mi ero accorto
che c’era?” biascicò Steven, scoppiando a ridere subito dopo. Era ubriaco
marcio, in piedi e in equilibrio precario su una sedia, e si era appena scolato
chissà quale superalcolico contenuto in un bicchierino.
Ridacchiai e tastai il cuscino del divano accanto a me, in cerca del mio
cilindro che avevo abbandonato da qualche parte. Trovai solo il braccio di Duff
che, complice la sbronza, era crollato in un sonno profondo.
Già, eravamo tutti brilli, me incluso; del resto quello era un giorno da
festeggiare degnamente, i Guns N’ Roses erano
ufficialmente entrati a far parte della storia del rock.
“Di chi è questo cilindro?” La voce impastata di Myles giunse alle mie
orecchie, anche se non riuscivo a vederlo.
“Mio!” risposi.
Poco dopo un barcollante Myles entrò nel mio campo visivo: sul viso aveva
dipinto un enorme sorriso storto e si era infilato il mio cappello in testa.
Era la prima volta che lo vedevo così ubriaco e mi faceva una gran tenerezza.
Presi a sghignazzare senza ritegno e non riuscivo a smettere, non c’era
verso.
“Votate il signor Kennedy alle prossime elezioni del presidente!” strillò
qualcuno dal fondo della stanza, forse era uno dei Red Hot Chili Peppers, o forse era Billie Joe
Armstrong. Chiunque fosse, era ubriaco almeno quanto me.
Afferrai Myles per un braccio e lo trascinai sul divano, senza smettere
di ridere, poi gli sfilai il mio cappello dalla testa. Lui non oppose
resistenza, debole com’era, e lasciò ciondolare la testa finché non la
abbandonò sulla mia spalla.
Oddio, cosa stava succedendo? Va bene, avevo esagerato con l’alcol, ma
ero ancora in me, abbastanza per rendermi conto che uno dei miei più grandi
sogni si stava realizzando.
“Myles?”
“Mmh?”
“Tu in che albergo alloggi?”
“Albergo? No, io sono venuto in aereo! Ehm… se vedi qualche gatto
avvisami, devo dargli da mangiare” prese a vaneggiare, per poi scoppiare a
ridere e posarmi una mano sul petto.
Quanto era adorabile in quello stato? Se da sobrio lo amavo, da sbronzo
mi faceva impazzire ancora di più. E poi avevo il suo corpo contro il mio, come
mai era capitato prima.
“Va bene, ho capito, allora vieni in albergo con noi, dobbiamo continuare
i festeggiamenti” farfugliai.
“Slash, Myles, voi mi fate da testimoni di nozze quando… nozze, oddio,
nozze, che bel suono ha questa parola!” esclamò Steven con un sorriso sghembo;
dopodiché scese piano dalla sedia, si avvicinò a un vaso di fiori abbandonato
in un angolo e ci vomitò dentro.
“Io non voglio vomitare” mugolò Myles in tono lamentoso, stringendosi di
più a me.
Gli passai un braccio attorno alle spalle. “No, tu non vomiterai.
Andiamo, ti porto in albergo” affermai. Mi sentivo un po’ più lucido, riuscii
perfino ad alzarmi con successo e aiutare Myles a fare lo stesso.
“Dobbiamo festeggiare ancora?” mi chiese Myles, sorreggendosi a me.
“Certo” lo rassicurai.
Con un leggero calcio svegliai Duff, che si mise a sedere di botto con
gli occhi sbarrati, poi trascinai Steven per un braccio mentre ancora si puliva
il muso con la manica della maglietta. Matt era sparito, forse era in bagno,
comunque non me ne preoccupai.
Dovevamo tornare in hotel e Myles sarebbe venuto con me, non sapevo dove
alloggiasse e in ogni caso non l’avrei mai lasciato da solo in quelle
condizioni pietose.
“Slash?”
“Sì?”
“Sono venuto in aereo o in treno?”
“Non lo so, che differenza fa?”
“Eh… forse… devo rispondere a Mark.”
“Va bene, poi gli rispondi.”
“E i gatti dove sono?”
Scoppiai a ridere e mi esibii in un miagolio. Myles miagolò a sua volta e
ridacchiò. Dovetti trattenermi con tutte le mie forze per non impossessarmi
delle sue labbra e baciarlo fino a togliergli il respiro. Mio dio, mi stava
mandando fuori di testa.
Per fortuna la presenza di Steven e Duff alle nostre spalle mi impedì di
compiere gesti avventati.
Ma gli posai le labbra su una guancia, solo per un istante, sicuro che
Myles l’avrebbe rimosso dalla sua memoria; lui mi abbracciò e infilò le dita
tra i miei capelli.
Stavo benissimo in quel momento, nonostante fosse solo un’illusione. Il
giorno dopo stargli lontano sarebbe stato ancora più doloroso.
♠♠♠
Ciao a tutti, buon martedì a tutti (o forse
dovrei dire buon mercoledì, visto l’orario in cui aggiorno XD)
Come anticipato, ecco a voi la famosa
cerimonia di introduzione alla Hall Of Fame! Ci sono alcuni fatti che rispecchiano
la realtà e altri che invece si discostano. Cercherò di riassumerli:
-Myles
all’inizio era davvero tentato di non partecipare ala
R’N’RHOF, ecco le sue parole: "Era troppo per me, quindi all'inizio ho
pensato di non farlo, ma più ci pensavo e più mi dicevo che dovevo dare il
meglio di me”.
-Alla cerimonia, anche se non l’ho
menzionato, c’era anche Gilby Clarke.
-Ho inserito Flea
dei Red Hot Chili Peppers perché anche loro erano
presenti alla cerimonia di premiazione del 2012.
-Ho nominato anche Billie Joe Armstrong dei Green Day perché è stato lui a fare il
discorso introduttivo ai Guns. Tra l’altro si è dovuto subire l’ira del
pubblico, che ha preso a fischiare e insultare Axl
per la sua assenza XD povero Billie, e lui che c’è finito in mezzo!
-Ho fatto ubriacare un po’ tutti in questa
scena XD anche Duff, che in realtà si è disintossicato e ripulito tanti anni fa
(l’ha dovuto fare per motivi di salute, e a quanto so non se n’è pentito)… mentre Slash, beh, nella sua autobiografia
dichiara di essersi ripulito nel 2006. Comunque era divertente vedere tutti
ubriachi e quindi okay :D
Spero vi sia piaciuta la scenetta tra
Slash e Steven, il nostro innocente e disastroso biondino! Personalmente è un personaggio
che amo, e mi piace anche l’amicizia tra lui e Slash. Per questo l’ho scelto
per il momento di confidenza del chitarrista ^^
Altra cosa che non c’entra niente con la
storia, ma ho voglia di condividerla con voi: HO COMPRATO I TRE CD DI SLASH,
MYLES & THE CONSPIRATORS *___* non avete idea della mia gioia quando oggi
ho aperto il pacco e li ho presi in manoooo!
Ora la smetto di vaneggiare e vi lascio,
sperando che anche questi frammenti vi siano piaciuti! Attendo i vostri
commenti, se vi va :3
La prima cosa che avvertii fu un
lancinante mal di testa, che mi riscosse con prepotenza dal sonno; qualsiasi
speranza di riposare ancora, si infranse in quel momento.
Dovevo darci un taglio con
l’alcol, sopportare gli effetti del post-sbronza stava diventando difficile per
me.
Man mano che riprendevo
conoscenza, mi rendevo conto di diversi dettagli: prima di tutto avevo
scalciato via le coperte, che ora avvolgevano soltanto le mie gambe e
lasciavano il resto del corpo a contatto con l’aria fresca. Tuttavia non
rabbrividii, avevo una fonte di calore alla mia sinistra, alla quale ero
addossato e che mi intiepidiva il fianco e parte della schiena.
Cercai di trovare una risposta a
quella presenza, ma il mio cervello non voleva saperne di funzionare; allora mi
scostai appena dalla persona sdraiata accanto a me, mi voltai lentamente e
schiusi gli occhi, permettendo alla luce del mattino di ferirli.
Allora il mio cuore perse un
battito, mentre i ricordi della sera precedente mi ripiombavano addosso come
una pioggia di proiettili.
Myles, proprio lui, il mio Myles.
Era supino sul materasso, stipato in un angolino, immerso in un sonno profondo
e sereno, come suggeriva il suo viso disteso e il suo corpo privo di tensioni.
I capelli lunghi e scarmigliati erano sparsi sul cuscino candido, in netto
contrasto con la sua pelle fin troppo pallida, e la leggera maglia nera a
maniche lunghe che gli fasciava il corpo si sollevava e abbassava all’altezza
del petto, regolare, al ritmo del suo respiro.
Per me, di buon mattino e in
pieno stato confusionale, quella era una visione talmente celestiale da essere
scioccante. Avevo dormito accanto a lui, mi ci ero rannicchiato contro, mi ero
beato del suo calore.
Avevo trovato una marea di scuse
per fare in modo di portarlo in camera mia, la sera prima: non sapevo quale
fosse il suo albergo e non mi andava di lasciarlo da solo; una volta giunto al
mio hotel avrei potuto chiedere una stanza tutta per lui, ma ero troppo sbronzo
e stanco per pensarci, e poi avevo capito che Myles aveva bisogno di aiuto e
assistenza, mi sentivo più sicuro a monitorarlo durante la nottata. Queste
erano le scuse che mi ero raccontato e che anche in quel momento continuavo ad
accampare, ma ero talmente ridicolo che mi veniva spontaneo ridere di me
stesso.
Immerso com’ero nei miei
pensieri, quasi non mi accorsi che avevo preso a fissare Myles con insistenza:
lasciavo scorrere il mio sguardo sul suo corpo, lo esaminavo in ogni suo
dettaglio affinché si imprimesse nella mia memoria. Un’occasione del genere non
sarebbe mai più capitata, dovevo approfittarne.
Quanto avrei voluto far scorrere
anche le mie dita sulla sua pelle così perfetta… ma ancora una volta mi
trattenni, non potevo, avrei rischiato di svegliarlo.
Desideroso di stare a contatto con
lui, decisi di godermi fino all’ultimo quel momento e mi rannicchiai nuovamente
contro di lui, poggiando la testa sulla sua spalla e inspirando il suo profumo
delizioso. Myles, nell’inconsapevolezza del sonno, si fece ancora più vicino a
me fino a ritrovarsi con il petto premuto contro la mia schiena.
Io avvertii un intenso calore
infiammare ogni singola cellula del mio corpo, ero in imbarazzo ma allo stesso
tempo quel gesto era tutto ciò che speravo. Mi imposi di reprimere i miei
istinti più viscerali, presi un respiro profondo, tentai di rilassare i muscoli
e mi portai una mano sul petto, all’altezza del cuore: batteva all’impazzata,
faceva pulsare ancora più forte le mie tempie già devastate.
Potevo ridurmi in quelle
condizioni alla veneranda età di quarantasette anni? Io, Slash, la leggendaria
rockstar che non aveva mai temuto niente, che non si lasciava ammorbidire da
niente, ero preda di una stupida cotta come un adolescente in crisi ormonale, e
non muovevo un dito per concretizzare questo curioso e sconosciuto sentimento.
Oh, sì che avevo fatto qualcosa,
invece… proprio la sera prima, mi ero lasciato andare a una stronzata di cui mi
ero subito pentito. Una volta in camera, complice l’alcol che annebbiava il mio
buon senso, avevo baciato Myles. Era stato un gesto fugace, gli avevo sfiorato
le labbra per pochi istanti, prima che lui corresse in bagno a vomitare. In
quel momento avevo ringraziato di cuore i suoi conati, che mi avevano distolto
dal commettere qualche altra cazzata; stordito, l’avevo seguito all’interno
della piccola stanza e l’avevo sorretto, tenendogli indietro i capelli mentre
lui si liberava lo stomaco dall’eccessiva quantità di alcol ingerita.
In fondo era stato divertente
prendermi cura di lui, rispondere ai suoi sproloqui deliranti e aiutarlo a
stendersi sul letto… ma ovviamente la mia più grande speranza era che al suo
risveglio nessun ricordo riemergesse nella sua mente, non era il caso che
venisse a sapere cos’avevo fatto, approfittandomi della sua debolezza.
Mentre quelle riflessioni mi
affollavano la mente, accompagnate dal furioso martellare del mal di testa,
avevo preso a giocare con una ciocca dei capelli di Myles quasi in maniera
automatica, lasciandola scorrere tra le mie dita e avvicinandola al mio viso.
Non c’era nulla da fare: mi stavo
rimbambendo.
♫♫♫
Nonostante mi fossi svegliato, i
miei sensi erano ovattati come se mi trovassi all’interno di una bolla
isolante. Io, da solo, con il mio mal di testa lancinante.
Non sapevo quanto avessi bevuto
la notte prima, ma una cosa era certa: da quando avevo smesso di abusare di
alcol, tanti anni prima, non lo reggevo più tanto bene.
Quando aprii gli occhi e mi
gettai un’occhiata attorno, mi accorsi subito che mi trovavo in una stanza
sconosciuta, abbastanza lussuosa e luminosa. Giacevo sul materasso di un letto
matrimoniale – il bianco delle lenzuola mi accecò non appena vi posai lo
sguardo – e avevo freddo, qualche brivido mi increspava la pelle.
Non ero solo, mi resi subito
conto di una presenza alla mia sinistra, anche se mi ci volle un po’ per
voltarmi in quella direzione e scoprire la sua identità.
Slash era appollaiato sul bordo
del materasso e stringeva una chitarra tra le braccia, lo riconobbi nonostante
mi stesse dando le spalle, e allora ricordai un po’ di cose: la cerimonia di
premiazione della Rock’N’Roll Hall Of Fame. Già, e
poi cos’era successo? Come ci ero finito in camera con Slash? O forse era lui a
trovarsi nella mia… ah, non ci capivo più niente, e di certo il dolore
pressante che provavo alla testa non mi aiutava a ragionare e ricordare.
Mi lasciai sfuggire un mugugno
lamentoso e tentai di arrotolarmi ancora di più nelle coperte per vincere il
freddo. Questo attirò l’attenzione del chitarrista, che si sfilò entrambi gli
auricolari e ruotò il busto per potermi osservare. “Buongiorno” mormorò in tono
vagamente divertito.
“Buongiorno” biascicai,
incrociando i suoi occhi scuri, stanchi almeno quanto i miei. “Ho fame. Cosa è
successo ieri?”
“Mah, niente di che, diciamo che…
abbiamo alzato un po’ il gomito, tutti quanti.”
“Grazie per avermelo detto, non
l’avevo notato” borbottai sarcastico. “Intendo: cos’è successo mentre ero
ubriaco? Non ricordo niente…”
“Non lo so, dimmi quello che ti
ricordi e io provo a ricostruire il resto. Anche se non ti assicuro niente,
sai, non ero proprio lucido.”
Mi concentrai per cercare di
richiamare alla mente le scene della sera prima. “Allora, ricordo la nostra
esibizione, che se non sbaglio è andata bene, e il pubblico che se la prendeva
con Axl durante il discorso d’apertura di Billie Joe… poi ricordo che eravamo tutti insieme nel backstage,
abbiamo cominciato a brindare e festeggiare, abbiamo riso un sacco… e fine, non
ricordo altro. Non so dove sono e nemmeno come ci sono arrivato.” Feci
spallucce.
Slash annuì. “È comprensibile,
eri talmente fuori controllo che non hai fatto che delirare. Comunque, questa è
la mia stanza d’albergo e sono le tre del pomeriggio.”
Mi passai una mano sulla fronte
con fare esasperato. “Oddio, scusami, non volevo invadere così i tuoi spazi!
Insomma, sei stato costretto a dormire con me…” Ero mortificato, lo conoscevo
abbastanza bene per sapere che era un tipo riservato e raramente lasciava
entrare qualcuno nei suoi ambienti personali.
“A te ha dato fastidio?” mi
interruppe, diretto come sempre.
Mi sciolsi in un sorriso
rassicurante. “Io? Ma figurati, nessun problema, lo dicevo per te!”
Slash sollevò un sopracciglio,
segno che stava soppesando le parole da pronunciare. “In realtà non ero
obbligato a ospitarti, potevo anche lasciarti in corridoio” commentò con finta
noncuranza.
Scoppiai a ridere. “Certo, con
tanto di bicchiere vuoto per chiedere l’elemosina!”
“Tuttavia,” proseguì lui,
continuando la sua scenetta, “ho deciso di compiere questo gesto di carità nei
tuoi confronti perché sono una persona generosa… e poi non penso che agli altri
ospiti dell’albergo interessasse il contenuto del tuo stomaco.”
Strabuzzai gli occhi, in parte
per la sorpresa, in parte per una fitta lancinante alla tempia destra. “Ho
vomitato? Oh mio dio, ecco perché mi sento così vuoto qui” mormorai, posandomi
una mano all’altezza dello stomaco.
“Chiamo e ci facciamo portare
qualcosa in camera, nemmeno io ho mangiato” propose Slash, mettendosi in piedi
e abbandonando la sua chitarra poco distante da me. Lo seguii con lo sguardo
mentre circumnavigava il letto e sollevava la cornetta del telefono, posto sul
comodino alla mia destra. “Cosa ti va di mangiare?”
Ci riflettei un attimo. “Non lo
so. Qualcosa di pesante e malsano, tipo… un kebab.”
“Bene. Io invece mi butterò sul
dolce” affermò lui.
“Come al solito” osservai.
Una volta terminata la chiamata,
il chitarrista tornò a sedersi al suo posto e mi lanciò un’occhiata.
“Mi dispiace che tu abbia dovuto
assistere a tutto ciò. Insomma, mi hai portato qui, hai dovuto sopportare i
miei conati, poi ti ho invaso il letto… ti ho rovinato la serata” ammisi,
sinceramente dispiaciuto. Slash era sempre molto gentile e disponibile con me,
ma nell’ultimo periodo mi pareva di starne approfittando un po’ troppo.
“Stai scherzando, vero?!”
“No, non scherzo. E poi mi sono
rovinato la reputazione…”
“Quale reputazione?”
Ci scambiammo un’occhiata e io
scoppiai a ridere, contagiando poi anche lui. “Ma che stronzo, e io che mi
preoccupo!” lo rimbeccai.
“Dai, stammi a sentire!” Slash si
fece nuovamente serio. “Quali parole devo usare per farti capire che non mi
disturbi?”
Gli sorrisi, riconoscente.
“Grazie, sei un amico.”
In quel momento sentimmo bussare
alla porta e il chitarrista si mise in piedi per andare a controllare chi
fosse. Dal canto mio, gli diedi le spalle e mi tirai le coperte fin sopra la
testa, sperando di passare inosservato allo sguardo del nuovo arrivato. Mi
sentivo un po’ a disagio nell’essere in quella stanza, più che altro mi
domandavo cosa avrebbe potuto peensare un’altra
persona se mi avesse trovato nella stanza di Slash.
Quest’ultimo intrattenne una
breve conversazione con il cameriere che era venuto a consegnarci il pranzo,
poi richiuse la porta e tornò a sedersi accanto a me con un grande vassoio in
mano.
“Dobbiamo mangiare a letto?” m’informai,
perplesso.
“Se la cosa non ti disturba…”
Scostai a fatica le lenzuola dal
mio corpo, poi feci leva sui gomiti e mi sollevai con lentezza, sperando che il
mio mal di testa momentaneamente assopito non si risvegliasse di colpo. Mi misi
a sedere con la schiena contro la testiera del letto, passai una mano tra i
miei capelli arruffati – più tardi avrei chiesto al mio amico se per caso
avesse una spazzola in più – e infine spostai lo sguardo su Slash, che mi
osservava in attesa.
“Ieri non ho sporcato in giro,
vero?” chiesi all’improvviso.
Lui piegò la testa di lato. “In
che senso?”
“Non ti ho vomitato addosso o,
che so, per terra…” precisai.
“Ma ti pare il momento di
parlarne, con tutto questo cibo davanti ai nostri occhi?” mi rimproverò
indignato, poi entrambi scoppiammo a ridere come due idioti.
Mangiammo con avidità e io sentii
quel fastidioso vuoto all’altezza dello stomaco che si colmava e scompariva.
Restammo tutto il pomeriggio e
buona parte della serata rintanati in quella stanza, tra musica, chiacchiere,
risate e antidolorifici per il mal di testa. Eravamo distrutti e spossati ma,
come al solito, ne approfittammo per lavorare al nuovo materiale, perfezionare
quello che avevamo già scritto e crearne di nuovo.
Solo verso le sei, dopo essermi
dato una sistemata e aver fatto una doccia, ebbi il coraggio di mettere il naso
fuori dalla stanza: non potevo permettermi di restare ancora lì, dovevo
raggiungere al più presto gli Alter Bridge, sarei dovuto ripartire quella
stessa notte.
Prima di lasciare l’albergo,
strinsi Slash in un abbraccio e lo ringraziai di cuore per avermi coinvolto in
quella splendida avventura; avrei voluto salutare e ringraziare anche gli altri
della band, ma di loro non c’era traccia in giro e, a essere sincero, non
sapevo nemmeno se alloggiassero in quello stesso hotel.
Una volta in taxi, diretto verso
il mio alloggio – in cui in realtà non avevo alloggiato per niente, vi avevo
solo appoggiato i bagagli – ricevetti una chiamata da Todd.
“Ehi” risposi, schiarendomi la
gola.
“Myles! Com’è andata ieri? Gira
voce che avete spaccato tutto!” esordì il bassista con il suo solito
entusiasmo.
“Oh sì, devo ammettere che è
andata abbastanza bene, ci siamo divertiti!”
“E scommetto che avete
festeggiato alla grande!”
Annuii, poi mi ricordai che il
mio amico non poteva vedermi. “Sì, talmente tanto che non ricordo nulla di cosa
è successo dopo il concerto…” ammisi.
Todd si esibì in un fischio di
approvazione. “Che figata, e dire che io non ti ho mai visto ubriaco!”
Risi. “Non ti sei perso niente, fidati!
Slash dice che deliravo e mi ha pure dovuto assistere mentre… insomma, svuotavo
il mio stomaco.”
“Si è preso cura di te?”
“Esatto, mi ha anche fatto
dormire in camera sua perché non ero nelle condizioni per tornare nel mio
albergo” raccontai.
“Ah, ma pensa un po’… e, fammi
indovinare, aveva un letto matrimoniale in cui avete dormito insieme” insinuò
il bassista in tono malizioso.
Sbuffai; non lo sopportavo quando
si comportava così, mi veniva quasi voglia di chiudergli il telefono in faccia.
“Todd, quante volte ti devo dire…”
“Andiamo, Myles, come puoi essere
così ingenuo?” mi interruppe lui. “Slash è riservatissimo, non lascia entrare
nemmeno le mosche in camera sua, però ha concesso a te di dormire nel suo
stesso letto. Questo cosa ti porta a pensare?”
“Che si fida di me, perché siamo
amici” affermai, ed era proprio ciò che pensavo.
“Sì, vabbè, lasciamo perdere… e
dimmi, chi hai incontrato nel backstage della Hall Of Fame?”
Così cambiammo finalmente
argomento e prendemmo a chiacchierare del più e del meno.
Una volta terminata la
conversazione, persi lo sguardo fuori dal finestrino. In fondo Slash mi sarebbe
mancato, era sempre piacevole trascorrere un po’ di tempo con lui.
Ma l’idea di stare di nuovo in
compagnia dei miei Alter Bridge mi elettrizzava ancora di più.
♠♠♠
Buon
lunedì a tutti, lettori miei!
Eh
sì, questa settimana ho aggiornato un giorno prima, e non a caso 😉 non vi anticipo altro,
ma occhio a questa categoria o al mio profilo, potrebbe apparire una piccola
sorpresa :D
Cooomunque… stavolta non ho grandi spiegazioni da dare,
ma sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate! Secondo voi c’è speranza che Myles ricambi Slash? O per lui è veramente un semplice
amico?
Grazie
di cuore per essere ancora qui e per il supporto, sapere che la storia vi sta
piacendo mi rende davvero felice :3
Alla
prossima settimana… o forse no? O forse ci si vede un po’ prima? Eheheh… ♥
Mi sentivo uno straccio, era la
prima volta dopo anni e anni che mi ritrovavo a letto con la febbre e una
brutta influenza. Ciò che mi faceva davvero uscire di testa era la
consapevolezza di essere in tour e non potermi astenere dal mio lavoro di
cantante, ma la debolezza e il raffreddore mi impedivano di dare il meglio di
me sul palco; mi sentivo in colpa nei confronti dei miei fan e degli altri
membri della band.
Mi ero rintanato nella mia camera
d’albergo quel pomeriggio, intenzionato ad avvolgermi nelle coperte e dormire
fino all’ora del concerto, ma l’arrivo di un messaggio sul cellulare mi portò a
rivalutare i miei piani.
Era Slash.
Come
va? Ancora febbricitante? Se hai bisogno di qualcosa, puoi chiedere a me J
Sorrisi e optai per un messaggio
vocale come risposta, dal momento che non avevo nessuna voglia di scrivere:
“Sei in hotel? Se vuoi andare in giro per la città o qualcosa del genere non
farti problemi, io me la posso cavare”.
La mia voce faceva schifo, come
avrei fatto a cantare quella sera?
La sua risposta non tardò ad
arrivare.
In
realtà non ho molta voglia di uscire, sono un po’ stanco. E ho già finito con
le interviste che avevo in programma.
Mi misi seduto sul letto e mi
schiarii la gola prima di registrare una nota vocale da inviargli. “Se ti va
puoi passare da me a farmi compagnia… se non hai paura di essere contagiato!
Vieni, ti apro la porta!”
Neanche un minuto più tardi
sentii bussare, allora mi misi in piedi e mi accostai alla porta. “Chi è?”
“Il dottor Hudson” rispose Slash
in tono divertito.
Lo feci entrare e notai che si
era portato appresso la sua chitarra, come al solito.
“Salve, signor Kennedy. Allora,
com’è il suo attuale stato di salute?”
Sorrisi appena e tornai a sedermi
sul bordo del letto, invitando Slash a fare lo stesso. “Altalenante, ma in
questo momento tendente al miglioramento. Però ho una voce di merda, vero?”
Il mio amico mi lanciò
un’occhiata stranita. “Stai scherzando? Questi concerti stanno andando
benissimo.”
Scossi la testa. “Tu dici? A me
non sembra. Andando avanti di questo passo, sarai costretto a cantare al posto
mio!” scherzai.
“Pensi che non ne sarei in grado?
Ti ricordo che nei Guns facevo parte dei cori” mi punzecchiò lui, fingendosi
offeso e incrociando le braccia al petto.
“Bene, allora prego, fammi
sentire: ti sei portato pure la chitarra appresso, ora cantami qualcosa” lo
sfidai con un sorrisetto furbo.
“No no, non credo proprio”
borbottò lui, abbassando lo sguardo.
“Ah, vedi? Slash non ha il
coraggio, Slash non ha il coraggio!” cantilenai, poi afferrai il pacco di
fazzoletti posato sul comodino e ne estrassi uno per soffiarmi il naso.
Detestavo tutto ciò.
“Sì che ho il coraggio,
stronzetto, solo che adesso non sono ispirato ed è da tanto che non canto, sono
fuori allenamento.”
“Tutte scuse” lo apostrofai,
sempre più divertito dalla situazione.
Lui allora sbuffò. “Posso provare
a farti i cori, se canti una canzone che sia alla mia portata…”
Subito mi entusiasmai, per quanto
le poche forze che avevo me lo permettessero. “Dici davvero? Lo faresti? Io ci
sto, che canzone vuoi che canti?”
“Mah, una dei Guns…”
“Tipo? Don’tCryo qualcosa del genere?” incalzai.
“Va benissimo quella.”
Mentre lui imbracciava la sua chitarra,
io mi schiarii la voce e mi augurai che la mia povera gola infiammata non
giocasse brutti scherzi.
Quando Slash suonò le prime note
del brano, che conoscevo fin troppo bene, mi venne spontaneo sorridere e
iniziare a battere una mano sul ginocchio per tenere il tempo.
“Ma sai che non mi ricordo bene
neanche il testo?” ammise con una risata, senza smettere di suonare l’intro.
“Vabbè, dai, inventalo. Io dovrei
cantare la linea vocale alta, giusto?”
“Non lo so, canta quello che
vuoi.”
“Va bene. Io ci provo, ma sappi
che se farai schifo non sarai il solo!”
Dopo poco iniziai a cantare,
tenendo un volume di voce abbastanza basso – sia perché non era il caso di
sforzarmi troppo, sia perché ero curioso di sentir cantare Slash. Peccato che
lui, con la scusa di tenere lo sguardo abbassato, non stava affatto cantando.
“Dai, fai i cori, altrimenti non
ha senso!” lo rimproverai scherzosamente con una pacca sulla spalla, tra un
verso e l’altro della strofa.
“Entro nel ritornello,
d’accordo?”
Gli rivolsi un’occhiata scettica
e continuai a cantare.
Giunto al ritornello, osservai di
sottecchi Slash e notai che era arrossito non appena aveva iniziato a cantare
la sua parte.
Don’tyoucrytonight
I still love you baby
Decisi di fare un esperimento e
smisi di cantare di colpo, lasciando Slash da solo per il secondo don’tyoucrytonight.
Lo ascoltai attentamente e
dovetti ammettere che non aveva una brutta voce, non era nemmeno stonato. Poi
lui, resosi conto di cos’era successo, si interruppe bruscamente e mi incenerì
con lo sguardo. “Non fare mai più una cosa del genere, Myles Richard Kennedy!”
Scoppiai a ridere, poi ripresi a
cantare come se nulla fosse.
Don’tyoucrytonight
There’s a heavenaboveyou
baby
Ma non riuscii ad arrivare al
termine del ritornello, era troppo per la mia povera gola che decise di
ribellarsi: iniziai a tossire senza ritegno.
Slash smise di suonare e mi
guardò con aria tronfia. “È il karma, piccolo mio!”
“Vaffanculo” borbottai, tra un
colpo di tosse e l’altro.
Per fortuna mi ripresi in fretta,
bevvi un sorso d’acqua e tornai a rivolgere la mia attenzione a Slash; lui mi
scrutava con fare apprensivo e leggermente preoccupato, aveva messo via la sua
chitarra e aveva preso a giocare con una ciocca dei suoi capelli scuri e
arricciati.
“Tutto bene? Hai bisogno di
qualcosa?” mi chiese.
“No, tranquillo, purtroppo ho
ancora la gola irritata ma nulla di grave. Comunque… canti bene, perché non fai
i cori anche nei nostri concerti?” gli proposi, sincero.
Lui scosse la testa, in imbarazzo
per i complimenti appena ricevuti. “Todd è un bravo cantante, ci pensa lui.
Comunque, a proposito dei Guns…”
“Mmh?”
mi incuriosii subito.
“Sei il primo a cui lo dico. In
pratica si parlava di una reunion della band in
formazione originale, Axl se n’è uscito con questa
idea già diverso tempo fa e ha contattato me, Duff e Matt Sorum
– ovviamente da Steven sta alla larga, non lo sopporta – e noi ancora non
abbiamo dato una risposta.”
Quella confidenza mi spiazzò, non
mi sarei mai aspettato una notizia del genere, soprattutto dal momento che i
membri dei Guns N’ Roses già da decenni non
riuscivano a stare nella stessa stanza senza riempirsi di insulti a vicenda,
soprattutto Axl e Slash. Soppesai bene le parole
prima di pronunciarle. “Wow! Beh, mi sembra una cosa interessante, cioè, se a
tutti va bene si potrebbe fare. Ci stai pensando?”
“Inizialmente avevo scartato
l’idea senza neanche ragionarci su, mi è sembrata una pessima idea e ho pensato
che fosse una trovata di Axl perché ormai la band sta
andando a puttane e lui vuole incrementare il suo fottuto patrimonio e il suo
fottutissimo ego. Poi però mi sono domandato: e se ci riprovassimo? In fondo
tutti noi siamo legati ai Guns e alle canzoni che abbiamo scritto, forse le
cose potrebbero andare meglio ora che siamo tutti più grandi e maturi. L’unica
cosa che mi blocca, come ben sai, è l’atteggiamento di Axl
negli ultimi anni; hai visto come si è comportato anche per la Hall Of Fame,
no?”
Annuii, in effetti non era una
decisione così facile da prendere come poteva sembrare. “Magari, se riuscissi a
convincere anche gli altri, potreste provarci seriamente. Se le cose dovessero
andare male, sareste tu, Duff e Matt contro Axl.”
Slash prese a giocherellare con
le corde della sua chitarra, poggiata sul materasso accanto a lui. “Non lo so,
ci voglio pensare ancora. Comunque a me non servirebbe una reunion
dei Guns per essere soddisfatto di ciò che faccio, questo progetto con te mi
piace… e se dovessi accettare, non sarebbe certo per i soldi.”
Gli regalai un enorme sorriso.
“Non ne dubito. Qualsiasi scelta farai, io sarò pronto a supportarti. E se hai
bisogno di parlarne, per ragionarci su o per avere un parere esterno, io sono
qui!”
Slash si illuminò e si sciolse a
sua volta in un sorriso. “Grazie.”
Ma a interrompere quel bel
momento ci pensò unmio vigoroso
starnuto, che fece sobbalzare Slash; poi entrambi scoppiammo a ridere.
“Ti immagini se durante il
concerto di stasera mi succede una cosa del genere?” dissi, recuperando un
fazzoletto.
“Praticamente il nostro pubblico
farà la doccia gratis” commentò.
Gli mollai un pugno sul braccio e
ridacchiai. “Che stronzo!”
♫♫♫
Ehi
Myles,
ti sembrerà strano ricevere una lettera da
me, che raramente mi esprimo in questo modo e preferisco parlare guardando il
mio interlocutore negli occhi. Insomma, Slash che scrive una lettera… chi se lo
aspetterebbe?
Ma
ormai mi conosci abbastanza bene per sapere che, quando si tratta di questioni
delicate e molto personali, perdo subito tutto il coraggio e la faccia tosta,
pur di non portare fuori quello che ho dentro mi chiudo nel silenzio e svio il
discorso.
Forse
sto divagando, e anche questo non è da me.
Il
fatto è che da anni sono tormentato da qualcosa di gigantesco, che ho tentato
in tutti i modi di reprimere senza successo, ed è giunto il momento che tu lo
sappia.
Non
farò grandi giri di parole, non mi va e non serve, ma mi voglio assicurare che
in questo momento, mentre leggi queste righe, tu sia da solo e tranquillo,
perché sono consapevole che resterai sconvolto. Prenditi tutto il tempo che
vuoi per assimilare ciò che leggerai e, per favore, fai in modo che nessuno
oltre me e te lo venga a sapere.
Okay.
Myles, ti amo. Da sempre, da quando ti ho conosciuto.
L’ho
detto, ora lo sai anche tu.
So
cosa stai pensando in questo momento, pensi che tutto questo sia uno scherzo di
cattivo gusto… credimi, anch’io lo vorrei, invece è la fottuta verità con cui
mi ritrovo a fare i conti ogni giorno.
Sappi
che non mi aspetto nulla da te, so bene che questi sentimenti non sono
ricambiati, quindi non ti preoccupare per me: se mi devi rifiutare, non porti
scrupoli e fallo, puoi anche insultarmi se ti fa sentire meglio. Capirò.
Anzi,
sai cosa ti dico? Non sei obbligato a rispondermi o a farmi sapere che hai
letto, fai come se nulla fosse successo; penso che in questo modo ci risparmieremo
entrambi un bel po’ di sofferenza.
L’unica
cosa in cui spero è che questa confessione non cambi l’idea che tu hai di me,
che non modifichi il nostro rapporto e non ti porti a diffidare. Non essere
spaventato da me, non potrei mai fare qualcosa contro la tua volontà, io sono
sempre io e vorrei che anche tu fossi sempre tu. Non sarà facile, all’inizio mi
guarderai con disgusto e forse proverai pena per me, ma spero che col tempo ti
lascerai questa storia alle spalle.
Te
l’ho voluto dire perché per me era ormai diventato un peso troppo grande e
difficile da sopportare, e perché mi sembrava corretto essere sincero con te.
Se
sei giunto fin qui e non hai distrutto questa lettera, grazie. E grazie anche
per essermi amico ogni giorno, la tua presenza è indispensabile per me.
S.
Quando staccai la penna dal
foglio, la mano mi tremava leggermente. Non sapevo cosa mi avesse portato a
mettere per iscritto quelle parole, a confessare quei miei sentimenti come se
mi stessi rivolgendo a Myles, ma ne avevo sentito un profondo bisogno. Volevo
parlargliene, fargli sapere ogni singola cosa, ero stufo di quella farsa che
andava avanti da troppi anni e mi faceva stare sempre peggio; mi sentivo un
vigliacco e un bugiardo, non ce la facevo più.
Volevo consegnargliela, quella lettera,
dovevo prendere coraggio. Peccato che alla sola idea mi si accapponava la
pelle, non riuscivo neanche a immaginare cosa ne sarebbe seguito.
Dovevo farlo quel giorno stesso,
era la nostra ultima data del tour e molto presto ci saremmo dovuti separare.
Ci sarei riuscito?
Ripiegai il foglio e lo infilai
nella tasca della giacca, in modo da averlo a portata di mano nel momento
giusto, quando avrei trovato il coraggio.
Dovevo, volevo dargliela. In
quelle poche righe avevo impresso tutto me stesso, come non sarei riuscito a
fare nemmeno a parole. Era abbastanza squallido, lo dovevo ammettere,
soprattutto da parte di una persona che si aggirava intorno alla cinquantina
d’anni, ma era l’unica soluzione possibile al momento.
Mi chiusi la porta alle spalle, sospirai
e abbandonai la mia chitarra in un angolo. Erano così fredde quelle pareti,
nonostante il sole vi battesse ogni giorno con insistenza.
Il tour era finito, ero tornato a
casa, da solo. Lontano da Myles.
La prima cosa che feci fu sedermi
al tavolo della cucina, accendere una sigaretta e tirare fuori la lettera dalla
tasca della giacca. Ma seriamente avevo creduto di potergliela dare? Ero
davvero stato così ingenuo da credere di potermela cavare così? Quelle parole,
quel fottuto pezzo di carta… era tutto fottutamente ridicolo e patetico.
Perché dire la verità a Myles,
poi? Per farlo soffrire, vederlo soffrire e stare male a mia volta? Per vederlo
allontanarsi sempre più da me? No, non aveva alcun senso, quelli erano dei
demoni che dovevo affrontare da solo.
Posai il foglio sul piano del
tavolo e vi passai la mano sopra, poi rilessi quelle parole – come se, nel
corso di quei due giorni, non le avessi già imparate a memoria.
Mi venne da ridere e piangere
insieme. Mi facevo schifo.
E così risi mestamente, mi presi
in giro e mi insultai da solo, mentre le lacrime si riversavano fuori dai miei
occhi, una dietro l’altra, una più stupida dell’altra. Erano anni che non
piangevo, ma quella volta… quella volta stavo davvero male.
Le gocce salate piovvero sul
foglio, distorcendo il tratto già incerto dell’inchiostro. Preso da un moto di
rabbia, afferrai quel fottuto pezzo di carta e lo feci a pezzi, lo divisi e lo
stracciai infinite volte, fino a renderlo una malinconica pioggia di
coriandoli.
Poi mi passai una mano sugli
occhi con fare sprezzante, pentito per essere scoppiato a piangere come un
adolescente alla sua prima cotta. Mio dio, non ero affatto una persona matura.
Avevo lavorato tanto su me stesso per imparare a mantenere il controllo, ma a
quanto pareva non era servito a nulla, soltanto a illudere me stesso.
Mi alzai e andai in cerca di
qualcosa da bere; sarebbe andato bene tutto, purché alcolico. Ripescai dal
frigo una bottiglia di Jack Daniel’s, che subito stappai e iniziai a consumare
con avidità. L’avrei volentieri fatta fuori nel giro di un minuto.
Afferrai il mio cellulare,
soffiai via i frammenti della lettera che vi erano finiti sopra e feci partire
una chiamata.
Il destinatario rispose dopo tre
squilli.
“Sì?”
Tirai su col naso. “Duff, hai
presente la proposta che ci ha fatto Axl? Quella di
tornare a suonare tutti insieme nei Guns?”
“Sì, certo. Ma tu come mai tiri
su col naso?” mi domandò in tono scettico e preoccupato.
“No, niente, prima ho starnutito”
mi affrettai a giustificarmi. “Comunque… io penso che accetterò.”
“Cosa? Ma sei rincoglionito? Tu
ad Axl non lo puoi nemmeno vedere, perché dovresti
tornare a lavorare con lui?” sbottò il bassista.
“Ho bisogno di prendermi una
pausa da tutto ciò, ricominciare, provare a ricostruire quello che si è
deteriorato.”
…e tenere lontano dalla mia mente il pensiero di Myles.
♠♠♠
Ehilà! Finalmente aggiorno questa storia, la
settimana mi è sembrata davvero lunga e farmi sentire da queste parti mi era
mancato!
Avete notato la nuova categoria??? Eh??? FINALMENTE
sono riuscita a farla aprire dall’amministrazione, sono contentissima *-*
adesso Slash, Myles e i Conspirators
hanno uno spazio tutto loro!!!
Comunque… per chi non lo sapesse (ma la cosa mi
sembra abbastanza improbabile), vi linko qui la canzone dei Guns N’ Roses che i due stavano cantando nella prima scena, ovvero Don’tCry:
Per quanto riguarda la faccenda dei cori, ho letto
da qualche parte che Slash ne facesse parte nei Guns, ma siccome questi ultimi
non mi piacciono molto non ve lo so dire con certezza, non ho mai guardato neanche
un loro live su YouTube e non mi sono mai informata approfonditamente. Nel caso,
correggetemi se sbaglio e mi scuso ancora una volta con i fan dei GN’R ^^
Che ne pensate di questo finale? Voi facevate il tifo
affinché Slash desse la lettera a Myles?
Non sono mai riuscita a trovare con certezza il
vero motivo per cui Slash sia voluto tornare nei Guns qualche anno fa, ma gli
ho voluto dare una mia personale interpretazione alla cosa – tra l’altro era funzionale
alla trama, quindi grazie Gins per esservi riuniti XD
Grazie a chi continua a seguirmi e leggermi, grazie
a chi crede in me, spero di non deludervi :3
Non ero per niente soddisfatto di
com’erano andate le prove quel giorno. Ciò che mi irritava maggiormente era che
la mia performance canora era stata penosa e non sapevo spiegarmi il motivo;
inoltre avevo continui capogiri e un insistente mal di testa che non mi dava
tregua da giorni. Mi lasciai andare su un divanetto
con un pesante sospiro e mi presi la testa tra le mani, sperando che la sala
prove smettesse di girarmi attorno come fossi su una giostra. Mark fu il primo a raggiungermi,
dopo aver poggiato la sua chitarra in un angolo: mi affiancò sul divano e mi
rivolse uno sguardo colmo di preoccupazione, ma non disse nulla. Conoscevo bene quell’espressione
e già sapevo cosa sarebbe successo di lì a breve: i ragazzi mi dovevano dire
qualcosa e, a giudicare dal silenzio che regnava nella stanza, non era qualcosa
di positivo. “Allora, Myles,” cominciò Brian
in tono pacato, mentre ancora armeggiava con il cavo del suo basso, “non ci hai
ancora raccontato del tuo ultimo tour con Slash, com’è andata?” Sbadigliai sonoramente; mi veniva
davvero difficile tenere gli occhi aperti e il capo sollevato. “Bene, anche se…
è stato parecchio stancante.” “Lo abbiamo notato” borbottò
Mark. “Intendi dire per come ho cantato
oggi? Lo so, è stata una merda, ma abbiate pazienza: non ho avuto nemmeno il
tempo di posare le valigie e sono subito corso qui per le prove, non mi
sembrava giusto farvi aspettare” cominciai a giustificarmi, davvero
dispiaciuto. “Ecco, miravamo proprio a questo”
ammise Flip, diretto come al solito; il batterista ci raggiunse e si sedette
sul pavimento ai piedi di Mark, poi puntò il suo sguardo tagliente e serio su di
me. “Myles, seriamente, pensi di poter andare avanti così per tutta la vita? Da
quanto tempo non prendi una pausa? Parti in tour con Slash e nel frattempo
componi con noi, torni a casa e subito prove con Alter Bridge, registrazione
dell’album, tour. E mentre stai con noi, pensi già alle nuove canzoni per
l’album di Slash, e così via. Capiamo la tua buona volontà e la tua grande
ispirazione, ma non ti sembra di esagerare un po’?” Mi accigliai. “Flip, apprezzo la
tua preoccupazione, ma se permetti ho quasi cinquant’anni e penso di poter
decidere da solo cosa fare della mia vita” gli feci notare, cercando di
mantenere la calma, ma la verità era che quel giorno – complice la stanchezza –
mi sentivo particolarmente suscettibile e forse non era il momento giusto per
affrontare una conversazione del genere. “Quello che Flip sta cercando di
dirti,” prese la parola Brian, “è che siamo preoccupati per te, oltre che per
il tuo rendimento come cantante. Insomma, siamo tuoi amici, è normale che
soffriamo nel vederti così.” Misi su un sorriso forzato.
“Siete molto carini, davvero, ma non vi preoccupate: so bene come gestire
questa situazione.” Mentre pronunciavo quelle parole,
però, non ne ero del tutto certo: in genere avevo sempre tenuto sotto controllo
i miei mille impegni, ma in alcuni momenti – come quello – sentivo come se la
mia carriera da musicista stesse prendendo il sopravvento su di me. Forse era
anche l’effetto dell’età che avanzava, del resto non avevo più la mente e il
corpo di un ragazzino di vent’anni, anche se lo spirito era rimasto lo stesso
di tanti anni prima. “A me non sembra che tu sia così
organizzato” brontolò Flip con fare dubbioso. “Ah, no? Nel caso ve lo steste
domandando, non lascerò mai gli Alter Bridge per colpa della stanchezza, potete
dormire sonni tranquilli” cominciai a irritarmi, cosa che non era assolutamente
da me. “Non abbiamo dubbi, ma forse…
ecco… dovresti allentare un pochino la presa su almeno uno dei due progetti,
tutto qui. Perché questi ritmi rischiano di soffocarti” intervenne Mark,
lanciandomi qualche occhiata di sfuggita. Quelle parole furono la goccia
che fece traboccare il vaso e persi la pazienza. “Fatemi capire: dal momento
che rallentare il ritmo con gli Alter Bridge è fuori discussione – cosa su cui
vi do ragione – mi state chiedendo di lasciar perdere per un po’ il progetto
con Slash?! Ma che problemi avete? È il suo progetto, cazzo, non lo posso
lasciare nella merda e non posso prendere una decisione da solo! E poi perché
dovrei farlo? Per restare a casa a dormire mentre lui si incazza con me e cerca
un sostituto?” sbottai, infervorandomi sempre più, parola dopo parola. “Invece ti sembra meglio
distruggerti con le tue stesse mani? Oppure, peggio ancora, mollare gli Alter
Bridge per andare a fare il cantante di Slash?” ribatté subito Flip, scattando
in piedi. “Flip, calmati” tentò di placare
gli animi Brian, ma senza successo. “Sei geloso per caso, Scott
Philips?” sbottai, giusto per il gusto di provocarlo e gridargli contro. La
verità era che ero troppo stanco per controllarmi e capire l’inutilità di
quella discussione. “Perché dovrei? A me non fotte
niente se suoni col chitarrista dei Guns N’ Roses, lo sai benissimo, a patto
che questo non rovini la nostra band!” “Basta, piantatela entrambi!”
tentò di intervenire nuovamente Brian, ma anche quella volta lo ignorammo. “Io infatti non rovino nulla,
sono stato chiaro fin dall’inizio: il progetto con lui non avrebbe mai
compromesso gli Alter Bridge, voi venite prima di tutto il resto! Ho sempre
rispettato questa promessa, quindi non vedo dove sia il problema!” Mi dava
fastidio che Flip o chiunque altro riportasse fuori questa questione, peraltro
già chiarita anni e anni prima, perché mettevo anima e corpo in entrambi i
progetti e avevo fatto il possibile per esserci per tutti. In quel momento era
come se il mio lavoro venisse sminuito. “Però, Myles, il fatto che tu ti
divida tra noi e lui non ti sta facendo tanto bene come speravi. Tu stesso hai
detto che gli Alter Bridge sono la priorità, quindi…” prese la parola Mark. Sentire il chitarrista andarmi
contro mi mandò su tutte le furie. Proprio lui, uno dei miei migliori amici,
colui che mi aveva spinto ad accettare la proposta di Slash e mi aveva promesso
di sostenermi sempre, qualsiasi fossero le mie scelte. Mi alzai dal divano e
squadrai Mark dall’alto in basso, offeso. “Parli tu, che hai fondato i
Tremonti. Proprio tu, che mi hai consigliato di non farmi sfuggire
quest’occasione con uno dei miei idoli. Per quale motivo, poi? Perché sono
stanco oggi e ho cantato di merda, eppure sapete benissimo che domani sarò di
nuovo in forma, dopo una bella dormita. Grazie per la fiducia, voi sì che siete
dei buoni amici.” “Scusaci se abbiamo osato
preoccuparci per la tua salute. E scusaci se ti abbiamo fatto notare che sei a
terra già da diverso tempo” rispose mestamente Mark, stringendosi nelle spalle. “Ripensa bene a quello che mi hai
detto oggi, perché non sono belle cose” aggiunse Flip, occupando il posto che
avevo lasciato libero sul divano e incrociando le braccia al petto. “Bene, adesso basta per davvero.
Myles, forse è il caso che torni a casa e ti rilassi un po’… te la senti di
guidare con questo brutto mal di testa? Se vuoi ti posso accompagnare” si
offrii Brian, utilizzando quel tipico tono irritante con cui si parla ai
bambini capricciosi. Lo incenerii con lo sguardo,
infastidito da quel suo atteggiamento condiscendente. “Grazie, ma me la cavo da
solo, non ho bisogno della scorta. Sai, ho quasi cinquant’anni, posso decidere
di tornare a casa senza la supervisione di mamma e papà” sputai prima di
lasciare la stanza, rivolgendo ai ragazzi solo un breve cenno di saluto. Per quel giorno ne avevo
abbastanza, ero incazzato con me stesso perché non ero riuscito a cantare in
maniera dignitosa e con i miei amici perché pensavano di avere in mano le
risposte per migliorare la mia vita. Le cose mi andavano bene così. Non mi resi conto di quanto fossi
stanco finché non mi sdraiai a letto. Mi addormentai quasi subito, nonostante
fossero soltanto le nove e mezza di sera. Il mattino seguente mi svegliai
alle dieci, fatto a cui non ero per niente abituato. L’orario che troneggiava a
caratteri cubitali fu la prima cosa che notai sullo schermo del mio cellulare
quando lo afferrai; subito sotto un avviso mi comunicò che avevo un messaggio
non letto da parte di Mark. Lo aprii e feci scorrere velocemente lo sguardo tra
quelle poche righe. Ci dispiace
per come sono andate le cose ieri sera, forse abbiamo un po’ esagerato… e hai
ragione quando dici che ci dobbiamo fare i cazzi nostri. È il caso di
incontrarci da qualche parte pet chiarire questa cosa Sorrisi amaramente e mi diedi
dell’idiota: non ero più arrabbiato per quella discussione, anzi, mi ero reso
conto di essermi comportato da vero stronzo con i ragazzi. Insomma, loro si
erano preoccupati per me, come solo dei veri amici fanno, e io avevo sbraitato
contro di loro per il solo gusto di farlo e dar voce alla mia stanchezza. Ci
vediamo direttamente alle prove stasera… scusatemi, ieri non c’ero proprio con
la testa, ho fatto lo stronzo! Digitai in fretta e mi rigirai
tra le coperte, ancora con il cellulare in mano. Quella mattina non avevo nessuna
voglia di alzarmi. Non appena aprii internet, una
notizia catturò subito la mia attenzione: i Guns N’ Roses si sarebbero riuniti
in formazione quasi originale per dei concerti e, forse, un nuovo album. La
cosa non mi sorprese affatto, del resto Slash me ne aveva parlato… ma poi non
mi aveva fatto più sapere niente, non ero a conoscenza del fatto che avesse
accettato, e questo mi portò a sospettare che si trattasse di una fake news.
Insomma, il mio amico si era confidato con me e mi aveva promesso di tenermi
aggiornato sulla questione, ma era ormai da giorni che non si faceva sentire.
Qualche giorno prima gli avevo anche inviato un messaggio per fargli sapere che
avevo trovato una sua maglietta in mezzo ai miei vestiti, mentre svuotavo la
valigia del tour, ma non mi aveva risposto. Insolito da parte sua. Decisi di chiamarlo per chiedere
conferma sulla notizia dei Guns e per capire se fosse tutto a posto; senza
sollevarmi dal letto, mi portai il cellulare all’orecchio e mi schiarii la
voce. Gli squilli si susseguirono a vuoto e io attesi, ma Slash non rispose. Che stesse ancora dormendo? No,
non era da lui. Cominciai a pormi tante, troppe
domande: se il mio amico era davvero dentro i Guns, questo l’avrebbe tenuto
molto impegnato. Avrebbe comunque portato avanti il nostro progetto? Io, Todd e
Brent eravamo stati solo un rimpiazzo per lui in attesa di tornare al suo
gruppo di origine, o ci avrebbe comunque incluso nei suoi piani? Il fatto di non poterlo chiedere
direttamente a Slash mi metteva ansia. E se ciò in cui speravano i
ragazzi degli Alter Bridge si stesse avverando?
♫
♫ ♫
Avevamo appena terminato il
soundcheck – mi piaceva, era uno dei miei momenti preferiti – e io me ne stavo
in disparte nel backstage, con la mia chitarra tra le braccia, ad ascoltare i
miei compagni di band chiacchierare. Tornare assieme ai Guns era stato bello,
nonostante i numerosi problemi che si erano presentati durante l’arco delle
prove pre-tour: in fondo eravamo sempre noi e, anche se con qualche anno in
più, i nostri caratteri erano rimasti gli stessi. Così come i nostri
battibecchi e i nostri scontri. Quel giorno tutto filava liscio,
ma io non riuscivo a essere contento; era da un pezzo che non riuscivo a
portare fuori il mio solito entusiasmo, solo la mia chitarra era in grado di
tirarmi su di morale. Speravo che nessuno dei miei compagni di band se ne
rendesse conto, in fondo ero una persona abbastanza tranquilla pure quando ero
contento, ma le occhiate fugaci ed eloquenti che mi lanciavano Axl e Duff mi
indicavano che loro avevano intuito qualcosa. Certo, quei due si facevano gli
affari loro; se ci fosse stato Steven, mi avrebbe ronzato intorno e rotto le
palle finché non avessi sputato il rospo. A volte Steven mi mancava, dopotutto
era il mio migliore amico e sarebbe stato bello suonare con lui. A pochi metri da me, Axl stava
conversando con Frank, il batterista; non lo conoscevo affatto, dato che era
entrato nei Guns solo una decina di anni prima, ma sembrava un tipo a posto. “Comunque è impossibile imitare
il sound dei Guns N’ Roses” stava commentando Axl, probabilmente riferendosi a
qualcosa del soundcheck appena tenuto. “Beh, bisogna ammettere che molto
del merito è tuo, in fondo la tua voce e la tua presenza scenica sono un
marchio di fabbrica della band” ribatté il batterista con un mezzo sorriso. Dovetti riconoscere che Frank
aveva ragione, ma ero troppo distratto per capire se stesse parlando
sinceramente o dicesse quelle cose solo per tenersi buono Axl. Quest’ultimo annuì. “Sinceramente
non riesco a capire chi cerca di imitare me e la mia band. Prendi per esempio
quel Myles Kennedy…” A quel nome, le orecchie mi si
drizzarono e mi concentrai subito sulle parole del cantante. Non potevo
crederci: avevo fatto di tutto per dimenticarlo, avevo evitato le sue chiamate
e raramente avevo risposto ai suoi messaggi, fin quando il mio amico aveva
quasi del tutto smesso di cercarmi. Questo non mi faceva stare affatto meglio,
ma averlo fuori dalla mia quotidianità lo allontanava anche dai miei pensieri. E ora lo sentivo nominare da Axl. “…insomma, bravo, ha una bella
voce e penso che le sue versioni delle nostre canzoni siano ben fatte, ma in
quanto a presenza scenica e coinvolgimento del pubblico ha ancora tanto da
imparare” spiegò Axl con il suo classico tono da chi la sa lunga. Slash, respira, mantieni la calma… reprimi l’impulso
di avvicinarti a lui e spaccargli la chitarra in testa… “Mi sa che questo Myles non ti
sta molto simpatico” disse Frank con una risatina. “Non te lo so dire, non lo
conosco, però…” Axl assunse un fare cospiratorio e abbassò il tono della voce
nella speranza che non lo sentissi. “Mi sembra un arrampicatore sociale. Slash
gli ha proposto di prendere parte al suo progetto e adesso lui è passato da
essere il frontman di una band underground a essere un cantante richiestissimo,
che partecipa a tutti gli album che gli vengono proposti. Insomma, io non lo
conosco, ma ho paura che possa rovinare Slash e mollarlo non appena troverà
qualcosa di meglio, che gli faccia guadagnare più soldi e più fama.” Fuori di me dalla rabbia, in due
falcate mi ritrovai davanti a lui e mi sfilai pure gli occhiali scuri, in modo
che Axl mi potesse guardare dritto negli occhi. Lo sapevo che era fatto così,
diceva sempre quello che pensava, ma alla mia pazienza c’era un limite. Come osava parlare di Myles in
quel modo? Non lo conosceva affatto, non aveva neanche lontanamente idea di che
persona fantastica fosse. “Cosa? Fammi capire: cosa hai
detto su Myles?” ringhiai. Il cantante si esibì in un gesto
noncurante con la mano. “Ah, Slash, hai sentito. Beh, quello che ho detto,
niente di più e niente di meno.” Quel suo atteggiamento mi mandava
in bestia. “Ma come cazzo ti permetti? Non
lo conosci, non sai di che cosa stai parlando e non hai neanche idea di quanto
Myles si impegni per il mio progetto. Quando non sai, ti conviene tacere!” “Scusa se mostro una certa
preoccupazione nei tuoi confronti, amico mio. Sei sempre stato un tipo
abbastanza ingenuo, dovresti guardarti le spalle più spesso e indagare sulla
gente con cui hai a che fare” sentenziò Axl mentre si accendeva una sigaretta. “La tua preoccupazione ficcatela
su per il culo, perché io non so che farmene. Sono già stufo di queste tue
uscite da ragazzina del cazzo, impara a rispettare il lavoro altrui e scendi
dal piedistallo, non sei l’unico bravo cantante sulla faccia della Terra.” Mi
sorpresi di quanto, nonostante stessi ribollendo di rabbia, riuscissi a
mantenere la calma; avrei volentieri preso a pugni Axl in quel momento. Poteva parlar male di chiunque,
gettare merda addosso a me e al mio operato, ma con Myles non si doveva
azzardare. “Ragazzi, dateci un taglio” cercò
di intervenire timidamente Frank, che intanto aveva fatto un passo indietro. Ma Axl lo ignorò e continuò a
rivolgersi a me. “D’accordo, mi farò gli affari miei. Comunque il fatto che tu
sia tornato nei Guns, nonostante il tuo progetto solista, la dice lunga.” “Su che cosa, scusa? Ma davvero
pensi di essere così indispensabile per la mia vita? Io non l’ho fatto per te,
non l’ho fatto perché non sono soddisfatto dei miei Conspirators e non l’ho
fatto per i soldi, ma perché tengo a questo gruppo e a queste canzoni. Del
resto quello che ha tirato avanti la baracca nonostante si fosse sfasciata sei
tu, poi ti sei accorto che le entrate erano diminuite.” Forse stavo esagerando. Axl non diede di matto, non era
da lui. Mi rivolse semplicemente un’occhiata sprezzante e si avviò verso una
porta che, molto probabilmente, conduceva al suo camerino. Prima di uscire di
scena, si voltò nella mia direzione e concluse, in tono calmo ma tagliente: “Pensala
come vuoi. Comunque sappi che questo Myles Kennedy ha rotto il cazzo, mi sono
stancato di vederlo ovunque, è onnipresente e di certo non è in grado di
rimpiazzarmi”. Avrei voluto gridargli dietro che
pure lui aveva rotto il cazzo e che Myles valeva molto più di lui, ma Axl se ne
andò e mi lasciò così, a schiumare di rabbia. La cosa più grave e umiliante era
che, in tutto questo, avevo difeso Myles come un fidanzatino geloso e avevo
messo su una scenata vergognosa che aveva attirato l’attenzione di tutti i
presenti. E io che mi ero illuso di averlo
dimenticato o di poterlo dimenticare. “Ehi, tutto bene?” mi domandò
Frank, poggiandomi una mano sulla spalla. Me la scrollai subito di dosso,
posai la mia chitarra in un angolo e cominciai subito a cercare la via
d’uscita: avevo bisogno di respirare aria pulita, uscire e mettere in ordine i
pensieri. Anche quel giorno – ormai
capitava troppo spesso – mi domandai se tornare a suonare nei Guns N’ Roses
fosse stata la scelta giusta. Ero incazzato nero, confuso e
profondamente triste, e quella sera avrei riversato tutte quelle emozioni sul
pubblico, filtrate attraverso il suono della mia chitarra.
♠♠♠
E
siamo giunti al penultimo capitolo della storia! Un bel traguardo, direi, dato
che quest’idea nasceva come una one shot XD Che
pensate di queste scene, in cui i nostri due ragazzi sono separati? Non
so bene perché, ma ho sempre pensato che gli Alter Bridge fossero in pensiero
per il loro Myles, soprattutto da quando ha iniziato a lavorare con Slash e
quindi il doppio della fatica ^^ diciamo che il loro litigio in qualche modo è
anche tremendamente adorabile x’3 Per
quando riguarda il pov Slash… oookaaay, diciamo che ho dato libero sfogo alla
poca simpatia che provo per Axl XD non so se effettivamente pensa queste cose su
di Myles (mi auguro di no, altrimenti se la deve vedere con me u.u), però mi è
parso di capire che dice le cose che pensa senza peli sulla lingua, così l’ho
usato come pretesto per far fare a Slash la scenata da fidanzatino geloso, come
lui stesso l’ha definita XD Grazie
a tutti coloro che ancora sono qui, non smetterò mai di ringraziarvi per avermi
seguito in quest’avventura fino alla fine :3 Alla
settimana prossima!!! ♥
Un
infinito susseguirsi di campi
e bassi arbusti tutti uguali sfilava al di là del
finestrino, alla mia
sinistra, mentre il mio sguardo era immerso tra le righe di un libro;
quando i
ritmi del tour si facevano sfiancanti, leggere era un ottimo metodo per
rilassarsi. Anche
Mark, Flip e Brian parevano
distrutti, tanto che avevano finito per sonnecchiare ai loro posti,
tranne il
bassista che armeggiava col suo cellulare. Un
vibrare nella tasca della mia
giacca attirò la mia attenzione, così lasciai
andare il libro sulle mie
ginocchia e portai fuori il telefono; Slash mi stava chiamando. Sorrisi,
piacevolmente sorpreso:
era da measi che non lo sentivo, non aveva più risposto ai
miei messaggi né
tantomeno mi aveva chiamato. L’unica informazione che mi
aveva dato era che il
nostro progetto sarebbe continuato nonostante la reunion con i Guns
N’ Roses,
il che mi aveva rassicurato parecchio. Non
ce l’avevo con lui dopotutto,
sapevo com’era fatto e a volte si rinchiudeva nel suo mondo o
si lasciava
assorbire dai suoi impegni; non aveva deciso di ignorarmi, non
l’aveva fatto
intenzionalmente. “Pronto?”
risposi. “Ehi
Myles, come stai?” mi
domandò lui col suo solito tono calmo, che però
tradiva un certo entusiasmo. Un
po’ mi era mancato, dovevo ammetterlo. “Slash!
Io tutto bene, piuttosto…
tu? Era da un po’ che non ti facevi sentire!” Lui
ridacchiò. “Eh, lo so, è
stato un periodo molto intenso. Noi dei Guns eravamo un po’
arrugginiti, ti
lascio solo immaginare quanto abbiamo dovuto provare per rimetterci in
carreggiata.” “Spero
di riuscire a esserci
almeno per una vostra data” ammisi, sebbene sapessi che
sarebbe stato difficile
incastrare quell’impegno con il lavoro degli Alter Bridge. “A
me farebbe molto piacere, puoi
anche portare i tuoi ragazzi e ne potrebbe uscire una serata carina!
Comunque…
stai lavorando a qualche nuovo brano? Perché io ho
già un po’ di materiale
pronto.” Mi
illuminai. “Stai dicendo che
dopo il tour con i Guns hai intenzione di fare un nuovo album
solista?” Slash
rise, probabilmente
divertito dal mio grande entusiasmo. “Dipende anche da te e
dai tuoi impegni,
non posso mica creare un album senza il mio cantante! Sto solo dicendo
che ho
del materiale su cui potremmo lavorare, poi se vediamo che funziona
potremmo
mettere insieme un album.” “Okay,
manda tutto, sono
curioso!” tagliai corto, già pronto a mettermi al
lavoro. “Per
caso stavi aspettando questa
chiamata con ansia?” Quella
domanda mi lasciò un
attimo perplesso. “Perché me lo chiedi?”
feci con una mezza risata nella voce. “Sei
scattato come una molla
appena ti ho comunicato le mie intenzioni!” Entrambi
scoppiammo a ridere. “È
vero,” convenni, “ed è vero
anche che aspettavo questa chiamata, volevo capire se fossi ancora vivo
e tutto
intero!” “Ma
figurati, sono sopravvissuto
praticamente a qualunque cosa! Comunque grazie per la preoccupazione e
per aver
deciso di collaborare con me nonostante la mia incostanza.” Sorrisi.
“Ognuno ha i suoi
difetti.” Dopo
un breve scambio di battute,
misi giù con un grande sorriso sulle labbra. Ora anche
quella questione in
sospeso si era risolta e avevo tante nuove bozze su cui lavorare. Era
una bella giornata.
♫
♫ ♫
In
fondo era così che doveva
andare, avrei dovuto capirlo fin dall’inizio. Io
e Myles saremmo sempre stati
amici, migliori amici, ma nulla di più. Era una
consapevolezza che avevo
maturato durante il tour con i Guns N’ Roses e, in fin dei
conti, non me ne dispiacevo
poi tanto. Certo, avere Myles al mio fianco e nascondere ciò
che provavo non
sarebbe stato facile, ma ce la potevo fare. Avevo la musica –
il mio più grande
amore –, gli amici… e il tempo avrebbe curato le
mie ferite. Ero
sempre stato fin troppo
sensibile e questa mia caratteristica mi aveva portato tante volte a
sbagliare,
ma in quel momento, all’età di
cinquantatré anni, mi sentivo abbastanza forte
da tener testa ai miei demoni. “Sai,
c’è un posto qui in Italia
che mi piace particolarmente, forse ne hai sentito parlare”
disse Myles mentre,
appena scesi dal palco, tamponavamo il nostro viso e i nostri capelli
zuppi di
sudore con degli asciugamani. Ci
pensai su un attimo e gli
lanciai un’occhiata. “Penso me ne avessi parlato tu
stesso, ma adesso non mi
viene in mente.” “Il
lago di Como” spiegò. Mi
illuminai. “Ah, sì! Quello
dove hanno ambientato quel classico della letteratura, come si chiama?
Quello
con il tizio e la tizia che non riuscivano a sposarsi, ho visto il film
qualche
anno fa…” Myles
scoppiò a ridere. “I
Promessi Sposi!” “Ah,
ecco!” “Ci
sei mai stato?” Scossi
la testa. “Non conosco
molto bene l’Italia.” “Domani,
dato che non dobbiamo
partire subito, ci potremmo fare un salto!” propose,
raggiante. “Sei
fuori, Myles? Hai un giorno
libero e non ti riposi?” intervenne Frank, il nostro secondo
chitarrista, con
fare stranito. “Invece
è una bella proposta” lo
contraddisse Todd, che infatti era profondamente interessato alla
nostra
conversazione. “Anche
a me, mi piacerebbe
andarci” ammisi con sincerità. “Todd,
tu non sei stato invitato”
precisò Myles in tono scherzoso. “Io stavo
parlando solo con Slash!” Il
bassista incrociò le braccia
al petto e assunse un’aria teatralmente minacciosa.
“Bene, grazie, me ne
ricorderò. Non fa nulla, starò in albergo a
dormire!” “Veramente
qui il capo sono io!”
feci notare con una risata. “Ma
l’idea di andare al lago è
stata mia!” si oppose Myles in tono scherzoso. “Ma
il lago non è tuo!” gracchiò
Todd. Frank
intanto ci osservava
confuso, o forse era soltanto stanco. “Cosa
mi sono perso?” si
intromise Brent, raggiungendoci con diverse bottiglie di birra fresca
tra le
mani, per poi distribuirne una a ciascuno. “Stanno
organizzando una gita per
domani” spiegò il chitarrista. “Davvero?
Quanto si paga per
partecipare?” scherzò il batterista. “Nulla
di che, devi solo donare
un organo” ironizzò Myles. “Allora,
io ci andrò a una sola
condizione: dobbiamo trovare un punto non troppo affollato, altrimenti
rischio
di essere riconosciuto e avere un’orda di fan alle
calcagna” dissi, facendomi
serio. Myles
mi sorrise dolcemente.
“Ovvio! Vedrai, ti piacerà!” Ricambiai
il sorriso e non potei
fare a meno di pensare che Myles era un raggio di sole nella mia vita. “Fuori
ci sono due gradi, non ci
sarà nessuno al lago” commentò Brent. “Ma
quindi voi venite o no?” mi
rivolsi agli altri musicisti. Frank
scosse la testa, mentre
Todd esclamò: “Ma certo!”. “Se
mi sveglio, sì” borbottò
Brent. “Oh,
ma piantala di fare l’orso,
sei in Italia e vuoi rimanere in albergo a dormire?” lo
apostrofò il bassista,
lanciandogli un’occhiataccia. “Io
so solo che voglio dormire, a
prescindere dal luogo in cui mi trovo” rispose
l’altro con un’alzata di spalle. Così
i due cominciarono a battibeccare
e punzecchiarsi come al solito.
The
mask you wear is only your disguise To
hide the tears that fall inside
Quel
giorno mi ero svegliato con
quei due versi in testa, facenti parte di una delle ballad del nostro
nuovo
album, ovvero The Great Pretender.
Non era la prima volta che quel brano mi rimaneva in testa, non appena
avevo
composto la melodia portante mi ero reso conto di quanto fosse
fottutamente
geniale e quanto funzionasse… ma quel giorno fu proprio
quella frase a
imprimersi nei miei pensieri. Quando
Myles me l’aveva fatta
leggere, ne ero rimasto subito colpito e mi ci ero rispecchiato, anche
se avevo
evitato di farglielo sapere. Era proprio così che mi sentivo
quando pensavo
alla situazione tra me e lui: ogni giorno, che ci ritrovassimo in
studio o in
tour, ero costretto a indossare una maschera per apparire sempre
tranquillo.
Già, ma in realtà era una farsa,
perché era difficile controllare le emozioni
quando posavo il mio sguardo su Myles. Se
solo avesse saputo quanta
sofferenza si nascondeva dietro il mio atteggiamento assorto e
taciturno. Lui
pensava che fossi fatto così, che non ci fosse da
preoccuparsi, e in parte
aveva ragione. La
nebbia, che ci aveva
accompagnato per tutto il viaggio e che ancora non aveva deciso di
dissiparsi
sotto il tiepido sole, mi portava a formulare questi tristi pensieri,
mentre
perdevo lo sguardo sulla superficie del lago ovattata dalla foschia.
C’era una
calma surreale in quel luogo, il silenzio era interrotto solo dalle
risate di
Myles, Brent e Todd alle mie spalle e un’impercettibile
brezza fredda
s’infiltrava sotto la mia giacca pesante. Myles
era così allegro, così
ignaro di tutto. Ormai mi ero arreso all’idea che non avrebbe
mai saputo dei
miei sentimenti, ma a volte – come quel giorno – mi
sentivo in colpa per quanto
spudoratamente gli mentissi. Mi sentivo proprio un great
pretender, un grande impostore. Però alcune bugie,
se vengono
raccontate a fin di bene, possono essere perdonate, no? “Ehi.”
La voce di Myles alle mie
spalle precedette il tocco leggero della sua mano sul mio braccio. La
cosa non
mi sorprese, mi ero già reso conto di avere qualcuno accanto. “Ehi”
risposi in tono piatto. “Tutto
bene? Questo posto è un
paradiso, non trovi?” Decisi
di ignorare la prima
domanda. “È bellissimo, hai ragione, mi mette
voglia di suonare e comporre.” Myles
mosse qualche passo in
avanti, poi si voltò per sbirciare la mia espressione.
“C’è qualcosa che non
va” sentenziò. Mi
sorpresi di quanto fosse
capace di leggermi dentro, come solo i miei migliori amici riuscivano a
fare.
Comunque negai tutto: “No, è tutto okay”. “Pensi
di prendermi per il culo?
Ti conosco. Non insisterò per sapere a cosa pensi,
però voglio almeno sapere
che posso fare per tirarti su di morale.” Sorrisi
appena. “Ti ho detto che
sto bene!” “Ma
tu dici sempre il contrario
di quello che pensi.” Mi
imbronciai. “Non è vero.” “Comunque…
mi dispiace che tu sia
di malumore proprio oggi, che ci troviamo nel mio luogo
d’Italia preferito. Se
parlarne ti può aiutare, io sono qui” si
offrì in tono apprensivo e sincero, e
dai suoi occhi celesti traspariva una dolce preoccupazione. Myles
era sempre in grado di
strapparmi il cuore dal petto e farlo sciogliere. Sorrisi e, preso da
un
impulso irrefrenabile, mi lasciai andare a un piccolo gesto
d’affetto:
fingendomi affascinato dagli anelli che indossava, gli afferrai una
mano.
“Oddio, che figo questo con il serpente! È
nuovo?” Lui
annuì, per niente a disagio;
ormai conosceva il mio modo di agire e non si poneva troppe domande. “In
realtà ce l’ho già da un po’,
ma non lo uso spesso perché ho paura di perderlo o
rovinarlo” spiegò. Feci
scorrere l’indice
sull’incisione del gioiello, che ritraeva appunto un
bellissimo serpente, e
senza sollevare lo sguardo cominciai a parlare. “Sai, ci sono
giorni in cui
penso di essere finalmente arrivato a un punto stabile della mia vita,
in cui
mi sento a posto e felice… e altri in cui invece sto da
schifo, mi sembra di
non aver combinato nulla di buono, forse perché sono un
insoddisfatto cronico.
I guai più grandi li combino con le persone che mi stanno
attorno: ho un sacco
di cose per la testa e per il cuore, ma non vengono mai fuori e chi mi
circonda
non riesce a decifrarmi, perché non mi faccio decifrare.
Sono… a volte mi sento
un po’… patetico.” Erano
rari i momenti in cui
riuscivo ad aprirmi così, a portar fuori le mie debolezze.
Forse quelle parole
non avrebbero spiegato a Myles per filo e per segno la mia situazione,
ma era
una chiave per comprendere almeno il mio stato d’animo. Il
mio amico sospirò; sentivo il
suo sguardo addosso, anche se io non avevo il coraggio di sollevare il
mio.
Ancora gli stavo stringendo la mano – un fatto che per lui
poteva sembrare
involontario, ma che io avevo programmato. “Penso
che tutti si sentano così
ogni tanto, me compreso. Siamo esseri umani, abbiamo paura di sbagliare
e per
questo siamo insicuri. Ancora di più se si è una
leggenda – tu sei finito per
diventarlo, anche per le persone che ti stanno accanto – e la
gente si aspetta
grandi cose. Ma non farti rapire il cervello da queste stronzate
perché non ne
hai bisogno, hai un grande cuore e, se hai il coraggio di seguirlo, lui
non ti
tradirà mai. E sei circondato da tante persone che ti
vogliono bene, in primis
noi della band, ed è così anche se a volte
diventi asociale o se rompi le palle
perché pensi di avere sempre ragione o perché
vuoi fare le cose come dici tu.”
Nell’ultima parte del discorso, la voce di Myles era passata
da seria a
scherzosa. Adoravo
anche questo di lui: non
aveva peli sulla lingua, né quando si parlava di emozioni
serie e sentimenti,
né quando c’era da evidenziare qualche difetto.
Era completamente genuino. Con
il sorriso sulle labbra e la
commozione a scaldarmi il cuore, non potei fare a meno di trascinarlo
più
vicino a me e stringerlo in un abbraccio. Lui lo ricambiò
subito, con affetto,
senza alcuna esitazione. “Grazie”
mormorai. Stavo da dio
tra le sue braccia e sì, stavolta ne ero certo: quello mi
sarebbe bastato.
Perché Myles mi voleva davvero bene e mi sarebbe stato
sempre accanto. “Foto!”
strillò Todd a pochi
centimetri da noi, distruggendo quel momento idilliaco. L’avrei
volentieri affogato. Io
e Myles sciogliemmo
l’abbraccio e lo guardammo confusi. “Facciamoci
un selfie, tutti e
quattro insieme, con il lago alle nostre spalle!” propose il
bassista con entusiasmo. “Non
ci stiamo, e se ci stessimo
non si vedrebbe il lago” commentai. “Invece
sì, perché qualche minuto
fa è passato un venditore ambulante e ho comprato
questo” intervenne Brent,
comparendo alle spalle di Todd e mostrandoci fieramente un bastone per
i
selfie. Myles
scoppiò a ridere. “E va
bene, che foto sia! Slash con i suoi Conspirators!” “Che
sempre cospirano alle mie
spalle!” aggiunsi con una risata. Brent
montò il suo cellulare su
quell’aggeggio infernale di forma allungata e ci mettemmo in
posa per la foto;
il batterista si trovava alla mia destra, mentre Myles era appollaiato
contro
di me alla sinistra. Circondai le spalle a entrambi, ma rafforzai la
stretta su
quelle del cantante in modo da averlo più vicino. Lui rideva
e scambiava
battute con gli altri, ignaro di tutto, mentre io lasciavo che quel
contatto
lenisse la mia anima. “Slash,
cazzo, sorridi! Sembri di
ritorno da un funerale!” sbottò Todd. “O
ti devo fare il solletico?”
aggiunse Myles. Stavo
per accettare di buon
grado, ma alla sola idea mi lasciai scappare una risata. “E
va bene, sorrido,
ma solo per omologarmi a voi, gente poco seria!” “Adesso
dite Como” ci
incitò Brent. La
foto venne bene e io avevo un
bel sorriso, molto naturale. Sì, perché in quel
momento, con una serie di date
ad attendermi, circondato da degli amici veri e con l’uomo
che amavo stretto a
me, avevo un buon motivo per sorridere.
♠♠♠
E
siamo giunti alla fine di quest’avventura! Lo so, lo so:
molti di voi mi vorranno
picchiare perché la storia non è finita bene e la
Mylash non si è concretizzata,
ma cercate di capire, quando ho concepito questa storia ho subito
pensato che
dovesse finire così, nella mia mente non c’erano
alternative – anche perché
nella mia mente Myles non ricambia i sentimenti di Slash, se avessi
fatto che
il chitarrista gli confessava i suoi sentimenti sarebbe stata una
depressione,
invece ho optato per un finale volutamente aperto, né tutto
bianco e né tutto
nero. Ma
non disperate! Per gli shipper della Mylash ho in serbo una piccola
sorpresa
che arriverà martedì prossimo, non vi anticipo
niente ma… è qualcosa di profondamente
collegato a questa piccola long ^^ Per
quanto riguarda gli eventi narrati qui… per chi non lo
sapesse, è vero che Myles,
Slash e i Conspirators sono tornati a lavorare insieme una volta
terminato il
tour dei Guns N’ Roses, e hanno sfornato un nuovo
figlioletto, Living The Dream
– album che dà il titolo alla storia. Ed
è proprio da qui che ho estratto il
brano di cui parlo in questo capitolo, The Great Pretender.
A voi il link
per chi non la conoscesse: https://www.youtube.com/watch?v=j8sp0oaYAxc L’ultima
scena è ambientata in Italia, proprio in corrispondenza del
concerto che si è
tenuto al Fabrique di Milano l’8 marzo di
quest’anno, che ho seguito in diretta
su Virgin Radio e che mi ha rubato il cuore. Tutto è
cominciato da lì per me e
mi sembrava carino finisse lì, durante quei giorni ^^ Poi…
ho letto in un’intervista che il luogo dell’Italia
preferito da Myles è il lago
di Como (ma non penso abbia mai visitato l’Italia da cima a
fondo, perché tra i
posti del nostro Paese è davvero impossibile scegliere) e
quindi mi sembrava
carino che ci portasse i suoi compagni di band! Ho adorato scrivere
questa scena
^^ Vi
lascio a una foto di Slash, Myles, Frank, Brent e Todd,
perché questi cinque
sono davvero adorabili e mi va di
inserirli u.u
Infine
ci tengo a fare un ringraziamento speciale ai miei fantastici lettori,
che mi
hanno seguito in questa pazza idea in questo fandom così
bizzarro! Kim WinterNight,
alessandroago_94 e sheswanderlust, senza di voi non sarebbe stato lo
stesso!!! :3 Alla
prossima e… tenete d’occhio la categoria ;) ♥