Living The Dream

di Soul Mancini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Calling ***
Capitolo 2: *** Starlight ***
Capitolo 3: *** Back To Where I Belong ***
Capitolo 4: *** On Tour ***
Capitolo 5: *** Hall Of Fame ***
Capitolo 6: *** In The Same Room ***
Capitolo 7: *** Decision ***
Capitolo 8: *** Threads, Anger & Uncertain Future ***
Capitolo 9: *** The Great Pretender ***



Capitolo 1
*** Calling ***


Mylash







I
 
Calling

 
 
 
 
“Fatemi pensare… a chi potremmo chiedere?” rifletteva Duff mentre rollava una canna con fare esperto.
“Che ne dite di proporlo ad Axl?” scherzò Matt, facendoci scoppiare a ridere.
Dal canto mio, me ne stavo stravaccato in una poltroncina rosso fuoco e strimpellavo distrattamente la mia chitarra. Anche se non lo davo a vedere, ero entusiasta di aver rincontrato i miei due ex colleghi e non vedevo l’ora di trovare gli elementi mancanti per fondare una vera band con loro. Nonostante l’esperienza con i Guns N’ Roses, che ci aveva rovinato e diviso, nessuno di noi aveva ancora gettato la spugna.
“Beh, io ho sentito parlar bene di un tale che si chiama Myles Kennedy. Cioè, l’ho visto dal vivo una volta e spacca” se ne uscì il batterista, rompendo il silenzio che si era creato nella stanza.
“Chi?!” lo apostrofai, confuso.
“Myles Kennedy, sì, ce l’ho presente. Insomma, non è tanto famoso, ma aveva una band abbastanza forte con cui ha aperto per vari artisti… e gira voce che sia amico dei Creed” spiegò Duff mentre accendeva la sua stecca d’erba. “Chi vuole favorire?”
Matt si sporse subito verso di lui e, non appena il bassista prese il primo tiro, gli strappò lo spinello dalle mani per prendere una boccata di fumo. “Quindi siamo d’accordo, gli chiediamo se è interessato a un provino.”
“Datemi un paio di giorni e lo chiamo” affermai. “Come hai detto che si chiama? Mike…?”
“Myles Kennedy” ripeté Duff con uno sbuffo. “Molla quella fottuta chitarra e segnalo, no?”
Storsi il naso e, in tutta risposta, improvvisai un assolo sotto gli sguardi esasperati degli altri due.
 
Lasciai che il telefono squillasse per qualche attimo, mentre giocherellavo con il filo arricciato della cornetta. Duff e Matt mi avevano incuriosito, cominciavo a domandarmi cos’avesse questo Myles di così speciale da aver catturato la loro attenzione.
“Pronto?” rispose una voce indefinita dopo il terzo squillo.
“Pronto, parlo con Myles Kennedy?”
“Sì, sono io” confermò lui in tono pacato.
“Probabilmente ti hanno avvisato che in questi giorni avresti ricevuto una mia chiamata: sono Slash.”
Dall’altro capo del telefono ci fu un istante di silenzio, poi Myles si fece nuovamente sentire: “Oh, molto piacere, Slash. Sono onorato di fare la tua conoscenza. A cosa devo questa chiamata?”.
Quel tizio aveva un grande autocontrollo; probabilmente si aspettava di parlare con il mio manager o un qualche altro mio diretto collaboratore anzi che direttamente con me, eppure non si era lasciato destabilizzare.
“Non so se lo sai, in ogni caso te lo spiego: io, Duff McKagan e Matt Sorum ci siamo da poco ritrovati e abbiamo deciso di mettere su una band. Siamo in cerca di un cantante e abbiamo sentito parlare molto bene di te, quindi volevamo proporti un provino, se sei interessato alla cosa.”
“Wow, grazie, siete stati molto gentili a pensare a me! Non è una proposta che si riceve tutti i giorni, insomma, è un incarico importante e così su due piedi mi prendi alla sprovvista.”
Sollevai un sopracciglio. “In ogni caso si tratta solo di una prova, non sarai costretto a prendere parte al progetto se non lo vorrai.”
“Certo, ovvio… o magari non vi piace come canto!” tentò di sdrammatizzare, lasciandosi sfuggire una risatina dal suono inaspettatamente dolce.
Non ribattei, non mi pareva il caso; del resto non conoscevo per niente Myles e non sapevo neanche come cantasse. Magari faceva schifo davvero.
“In ogni caso… sai, io abito a Spokane, è parecchio lontano da Los Angeles, quindi se decidessi di venire sarebbe perché ne sono veramente convinto, non mi sembra il caso di fare un viaggio a vuoto. Se mi concedete qualche giorno per pensarci…”
“Ma certo, non ti preoccupare, prenditi il tempo che ti serve. Io intanto ne parlo con i ragazzi e nei prossimi giorni ti faccio avere maggiori dettagli sul tipo di gruppo che vorremmo mettere su… perché, sai, nemmeno noi abbiamo ancora le idee chiare, ci siamo riuniti con il solo intento di fare musica.”
“Avete fatto benissimo e sono molto contento per voi! Bene, grazie mille per la chiamata e per la proposta, appena avrò deciso ti farò sapere. Davvero, sono onorato di aver ricevuto questa proposta, vi ringrazio di cuore.” La sua voce era colma d’entusiasmo e questo mi fece sorridere; dopotutto questo Myles sembrava simpatico.
Ci salutammo e io avvisai subito Duff e Matt della cosa. Chissà come sarebbe andata a finire.
 
 
♫ ♫ ♫
 
 
Il tour bus sfrecciava per l’ampia autostrada e il leggero rombo del motore faceva da sottofondo alle nostre chiacchiere. Seduto accanto al finestrino, osservavo il passaggio che mi scorreva di fianco e nel frattempo conversavo con Mark, mentre Brian e Flip battibeccavano per chissà quale motivo e discutevano su cosa ascoltare in radio.
Avevo fatto bene ad accettare la loro proposta ed entrare nella band, da quando avevamo fondato gli Alter Bridge la mia vita era totalmente cambiata. Mi ero dovuto abituare in fretta a essere sotto i riflettori e seguire dei ritmi di lavoro molto serrati, ma grazie ai miei amici la cosa non mi era pesata poi tanto.
“Fermo!” strillò a un certo punto Flip, facendo sobbalzare pure me e Mark. Il batterista aveva fatto uno scatto in avanti verso Brian, che si era immobilizzato con la mano sulla rotellina della radio.
“Sono i Guns, solleva il volume!” esclamò Mark con un sorriso.
Non potei fare a meno di sorridere a mia volta nel sentire il ritornello di Welcome To The Jungle. Adoravo quella canzone, l’avevo praticamente imparata a memoria nel primo periodo in cui era uscita e mi ricordava la mia adolescenza.
Mi tornò in mente anche la surreale telefonata con Slash avvenuta solo qualche anno prima: il mio cuore aveva fatto le capriole quando avevo realizzato di essere al telefono con uno dei miei miti. Proprio con lui, non con il suo manager.
“Myles, perché sorridi come un ebete da un minuto buono?” mi domandò Brian, osservandomi con circospezione.
Mi riscossi all’improvviso. “No, niente, stavo pensando… a quando Slash mi ha chiesto di entrare nella sua band” ammisi candidamente.
Il viso di Mark divenne pallido. “Slash ti ha chiesto di entrare nel suo gruppo?”
“E tu non hai accettato?!” sbottò Flip accostandosi a noi.
“Sei serio?” si indignò anche Brian, incrociando le braccia al petto.
Sospirai. “Beh, no, non ho accettato, altrimenti non sarei qui. Un giorno Slash mi ha chiamato e…” presi a raccontare.
“Proprio lui?” mi interruppe Mark sgranando gli occhi.
“Sì, proprio lui. Dicevo: mi ha chiamato e mi ha chiesto se mi andava di fare un provino per la band che lui, Duff e Matt Sorum stavano mettendo su, gli attuali Velvet Revolver. Io gli ho detto che ci dovevo pensare e alla fine sono giunto alla conclusione che non ero la persona più adatta per il loro gruppo, forse…”
“Forse ti sei sottovalutato come fai sempre” commentò Flip in tono di rimprovero.
“No, no, è che… non lo so, secondo me le cose non dovevano andare così. Infatti penso che Scott Weiland per loro sia perfetto; è quello giusto, non lo possiamo negare.”
“E non te ne sei mai pentito? Voglio dire, sono tre ex Guns, non ti sei mai chiesto come sarebbe andata se avessi accettato?” mi chiese Brian.
Scossi la testa. “Sinceramente no. Ora ho la mia band, mi trovo bene e sono a posto così.” Mi lasciai sfuggire un sorriso e osservai i miei tre compagni uno per uno; non potevo che sentirmi fortunato di aver trovato il mio equilibrio con loro.
“Beh, meglio per noi, ci siamo accaparrati un cantante talentuoso!” esclamò Flip, battendo una pacca sulla spalla sia a Brian che a Mark.
“Ci puoi contare” concordò il chitarrista, strizzandomi l’occhio.
Arrossii appena, non ero abituato a tutti quei complimenti e quegli elogi. “Siete troppo buoni, voi tre!”
 
“Pronto?” risposi con voce titubante, in equilibrio precario su una sedia. Con la mano destra stringevo il telefono, mentre sotto il braccio sinistro reggevo un pesante e impolverato scatolone. Per non rischiare di perdere l’equilibrio o mollare la presa, lo poggiai allo schienale della sedia, sperando che il legno non si spaccasse.
Non ero decisamente nella posizione adatta per rispondere a una chiamata dal mittente sconosciuto, ma ormai avevo imparato che non dovevo perdermi niente, poteva trattarsi di una telefonata di lavoro. A volte era così, altre volte si trattava solo di qualche inopportuno call center.
“Pronto, Myles?”
“Sì, sono io” confermai. Dovevo cercare di stare immobile per non perdere l’equilibrio appena ritrovato.
“Sono Slash.”
Ero indeciso se scoppiare a ridere o lanciare un grido: era la terza volta che il chitarrista dei Guns N’ Roses mi chiamava nel giro di otto anni, e quel giorno mi aveva sorpreso mentre facevo le pulizie profonde in casa. Stavo per cadere da una sedia, avevo tra le braccia uno scatolone ricoperto di polvere ed ero al telefono con Slash.
“Oh, ciao! Ormai le nostre chiamate sono diventate un’abitudine… come stai?” risposi con entusiasmo, dopo un primo attimo di spaesamento.
Lui dall’altro capo del telefono ridacchiò. “Ma no, dai, ti ho chiamato solo un’altra volta” ribatté col suo solito tono pacato. Potevo quasi affermare di averci fatto l’abitudine.
“Mmh… no, questa è la terza volta che ti sento. La prima è stata nel 2002, quando mi hai contattato per chiedermi di entrare nei Velvet Revolver. La seconda è stata due anni fa, quando me lo avete chiesto nuovamente perché Scott Weiland era andato via” gli ricordai, mentre mi prodigavo in maldestri giochi di prestigio per sostenere il peso dello scatolone. Non avrei resistito ancora a lungo in quella posizione, come potevo fare?
“Davvero ti ho chiamato nel 2002?” si sorprese lui. “Non me lo ricordo.”

“Ne sono sicurissimo. Ehm… Slash?”
“Sì?”
“Puoi aspettare un attimo in linea? Sono in piedi su una sedia con uno scatolone che pesa più di me… e non mi vorrei rompere l’osso del collo” gli spiegai con una risata nervosa. Non stavo facendo una gran bella figura, me ne rendevo conto, ma avevo rischiato di scivolare già diverse volte e non ne potevo più.
“Certo” affermò Slash in tono gentile, per nulla perplesso.
Poggiai il telefono sulla scatola e scesi con cautela a terra, poi posai quel fardello sul pavimento accanto agli altri oggetti che avevo portato giù dall’armadio. Ripresi in mano l’apparecchio e lo accostai all’orecchio ma, giusto per aggravare la mia situazione già critica, venni colto da un violento starnuto.
“Tutto bene?” mi domandò il chitarrista in tono vagamente preoccupato.
“Sì, è che sto selezionando un po’ di roba vecchia che ho in casa ed è da stamattina che porto giù cartoni pieni di polvere. Ecco, è per questo che ho starnutito… ma ovviamente a te non importa, scusa.” Ero davvero mortificato, gli stavo facendo perdere tempo e sicuramente, se mi aveva contattato con l’intento di propormi qualcosa, ora ci aveva già ripensato.
Invece lui rise appena. “Ma figurati, non è un problema. Comunque ti ho chiamato per parlarti di una cosa, ma se disturbo posso farmi sentire in un altro momento.”
“Macché, ora ti posso ascoltare” lo rassicurai. Decisi di uscire in giardino e godermi un po’ d’aria pulita, prima che la polvere mi facesse di nuovo starnutire.
“Come forse sai, sto lavorando a un disco solista e per questo ho collaborato con molti cantanti. A dire il vero l’album è quasi pronto, ma ci sono due tracce per cui non ho trovato nessuno e mi sei venuto in mente tu. Non ti ho mai sentito cantare, ma ormai sei diventato popolare per via delle voci che girano sulla collaborazione con i Led Zeppelin.”
Mentre uscivo dalla porta d’ingresso e venivo investito dai ristoratori raggi del sole, non potei fare a meno di sorridere. “Oddio, grazie, sei stato gentile a pensare a me. E, sì, i membri dei Led Zeppelin mi hanno chiesto già tempo fa di partire in tour con loro, ma non c’è mai stato nulla di concreto e definito. Tornando a noi: prenderei volentieri parte al tuo progetto, certo! Se mi fai avere le tracce, provo a combinarci qualcosa e registrarci sopra una demo.” Accettai senza esitazioni e con calma, ma il cuore mi batteva a mille: sarei potuto entrare a far parte dell’album solista di Slash, un mostro sacro della chitarra!
“Bene, allora ti mando tutto. Grazie mille e… sono molto fiducioso.”
A quelle parole mi si formò un groppo in gola e dovetti deglutire prima di rispondere. “Spero di non deluderti.”
Gli dettai un indirizzo e-mail a cui avrebbe potuto inviare il materiale su cui mi sarei dovuto basare, poi ci salutammo e io lo ringraziai almeno un’altra decina di volte.
“Ti lascio alle tue pulizie domestiche” mi disse prima di chiudere la chiamata, e io scoppiai a ridere.
Ero al settimo cielo. La prima cosa a cui pensai fu chiamare i ragazzi degli Alter Bridge per comunicare loro la bella notizia; in quei giorni erano parecchio impegnati con la reunion dei Creed, ma mi avevano dato il permesso di disturbarli ogni volta che ne avessi avuto bisogno.
Cercai il numero di Mark in rubrica e feci partire la chiamata.
“Myles?” mi rispose lui al secondo squillo. Ecco, sapevo di poter sempre contare su di lui.
“Oh cazzo, Mark! Ho appena accettato di collaborare con Slash al suo album solista!” esclamai, lasciandomi finalmente andare alla gioia.
“Stai scherzando?!” sbottò lui sorpreso.
“Tutto vero, ho appena finito di parlare al telefono con lui!”
“Okay, ora lo dico agli altri. Ragazzi, indovinate cos’ha combinato Myles!”
Percepii le voci di Flip e Brian in lontananza, ma non capii le loro parole.
“Ha accettato di collaborare con Slash al suo album solista!”
Al mio orecchio giunse un tonfo secco, poi un grido di esultanza. “Porca puttana, Myles, bel colpo!” strillò Flip.
“Grazie, ma ancora non c’è nulla di certo” gli spiegai con una risata.
“Ah, ma non rompere le palle, Slash rimarrà ipnotizzato da te! E non iniziare a farti prendere dalla paranoia, mi raccomando!” mi ammonì il batterista.
“Va bene, però vorrei chiedervi una cosa: posso mandare le demo a voi prima di spedirle a lui? Le ascolterete? Così avrò un altro parere e mi sentirò più sicuro, ci tengo molto.”
“Ma certo, che domande fai?”
“Passami il telefono, lo voglio sentire anch’io!” Sentii Brian protestare finché non riuscì a strappare l’apparecchio dalle mani di Flip. “Congratulazioni, Myles!” esclamò poi.
“Grazie, grazie! Ma scusate, vi veniva così difficile mettere il vivavoce? Almeno potreste parlare tutti con me senza lotte all’ultimo sangue!” gli feci notare tra le risate.
Quanto mi mancavano, tutti e tre.
“Vabbè, ci hai colto alla sprovvista.”
Risi di gusto e festeggiai al telefono con loro ancora per un po’. La mia giornata di pulizie aveva assunto tutto un altro significato.
 
 
 
 
♠ ♠ ♠
 
 
Ed eccomi qui, con il primo capitolo di questa folle idea! So che probabilmente in questo sito e nel mondo in generale A NESSUNO piace la coppia SlashxMyles, ma vabbè, so di essere strana :D in effetti è una cosa un po’ bizzarra!
Ho cominciato ad appassionarmi al personaggio di Myles già diversi mesi fa, poi il mio mondo si è completamente stravolto quando ho seguito il concerto di Slash, Myles Kennedy & The Conspirators in diretta su Virgin Radio, l’8 marzo di quest’anno (e che sofferenza non esserci stata di persona, tra il pubblico, al Fabrique T.T). E, come sempre quando entro in fissa con qualcosa, mi sono informata.
Ora sto leggendo pure il libro autobiografico di Slash – confesso di non essere una fan dei Guns N’ Roses, ma il suo progetto solista mi piace ALLA FOLLIA, come si è intuito *-*
Bene, ora la smetto di parlare di me e passo alle doverose spiegazioni:
-      Slash ha lasciato i Guns a metà anni Novanta. Nei primi Duemila, ha deciso con Matt e Duff (rispettivamente ex batterista e bassista dei Guns N’ Roses) di formare una nuova band, chiamata Velvet Revolver. Nel 2002 Slash ha davvero chiamato Myles (allora non ancora molto famoso) per chiedergli di entrare nella band, ma lui rifiutò.
-      Quando, inizialmente, i tre membri dei Velvet Revolver ironizzano sul fatto che potrebbero chiedere ad Axl di essere il loro cantante, si riferiscono ad Axl Rose, cantante dei Guns N’ Roses, mal sopportato da tutti gli altri membri. Infatti è proprio a causa sua e del suo atteggiamento capriccioso e dispotico che Duff, Slash e Matt (e tanti altri prima e dopo di loro) hanno lasciato la band.
-      Myles nel 2004 ha fondato gli Alter Bridge insieme agli ex componenti dei Creed: Mark Tremonti (chitarra), Brian Marshall (basso) e Scott “Flip” Philips (batteria).
-      Nel 2009 gli Alter Bridge sono entrati in una sorta di pausa perché Mark, Brian e Flip si stavano dedicando a una sorta di reunion dei Creed; Myles, approfittando del momento, decise di accettare la proposta di Slash a collaborare per il suo primo album solista. Ma di questo parleremo meglio nel prossimo capitolo ^^
-      In quegli anni è vero che Myles stava collaborando con alcuni membri dei Led Zeppelin per un (forse) tour o per scrivere del materiale insieme, ma non se n’è mai saputo granché, evidentemente il progetto non è andato in porto.
Tutte queste informazioni – che forse alcuni di voi conoscevano già – le ho date perché mi sembrava giusto distinguere realtà da quello che mi sono inventata XD e per rendere la storia accessibile anche a chi non ha molta dimestichezza con questi personaggi! Spero che le prossime NdA possano essere più brevi, ahahahah!
Ultima cosa: la storia si intitola come l’ultimo album di Slash, Myles Kennedy & The Conspirators del 2018 ^^
Grazie a chiunque sia giunto fin qui e a chi deciderà di seguirmi in questa folle avventura! Spero che la storia sia di vostro gradimento :3
Alla prossima settimana!!! ♥
 
 
 
EDIT 11/01/2021:
Già da un po’ di tempo avevo in mente di revisionare questa piccola long, a cui tengo davvero tantissimo. Ringrazio Bessie e il suo contest per avermene dato la possibilità, o meglio, per vermi dato la spinta e il pretesto di cui avevo bisogno per mettermici seriamente.
Credo che arriverò in fondo alla classifica anche stavolta XD so che non è un granché, forse lo stile è un po’ più acerbo rispetto a ora, ma per me presentare a qualcuno la mia prima Mylash è sempre un immenso piacere *-*
 
 

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Capitolo 2
*** Starlight ***









II
 

Starlight
 
 
 
 
 
“Allora? Cosa ne pensate?”
Ero molto in ansia all’idea di sentire il parere dei miei amici, non tanto perché avessi paura di loro, ma perché avevo lavorato giorno e notte sul materiale che mi aveva fornito Slash; quasi non avevo dormito per quarantotto ore, ci avevo messo tutto me stesso, ma temevo che il risultato non fosse soddisfacente.
“Cosa vuoi che ti dica, Myles? È fottutamente perfetta, pazzesca, alla tua altezza. Slash rimarrà sicuramente senza parole” ribatté Mark in tono ovvio, dall’altro capo del telefono.
Rimasi per qualche istante imbambolato a fissare lo schermo del mio computer, aperto sulla casella della posta elettronica. Poi mi resi conto che ancora stavo trattenendo il fiato e allora espirai bruscamente. “Grazie” mormorai, davvero riconoscente.
“Ora che hai finito questa dannata demo, puoi farci il favore di inviarla a Slash e poi riposare? Da quanto tempo non chiudi occhio?” mi apostrofò Flip.
Sorrisi e impostai il vivavoce – come, per fortuna, avevano fatto anche i miei amici – per poter utilizzare il pc mentre conversavo con loro. “Beh, sì, non ho dormito tanto… ma sto bene, sul serio, non mi sento tanto affaticato. E ora che ho finito sto meglio, non potevo convivere col pensiero di avere un lavoro in sospeso!”
Mentre parlavo, avevo cliccato sul pulsante rispondi sotto l’e-mail che mi aveva mandato Slash e avevo cercato il file audio da allegare. Ora non mi restava che lasciarlo caricare.
“Sempre il solito” mi rimproverò bonariamente Brian.
“A voi come sta andando?” domandai, giusto per cambiare discorso; avevo bisogno di pensare ad altro.
“Noi ce la passiamo bene, ci divertiamo. Avevi dubbi?” rispose Mark con una risatina.
“Devo ammettere che mi manca lavorare con voi” confessai con una leggera nota malinconica nella voce.
“La cosa è reciproca…”
“Ma non fare tanto il melodrammatico, altrimenti ci commuoviamo, piantiamo in asso Scott Stapp e torniamo da te” aggiunse Flip ironico. Ecco, come al solito aveva rovinato l’atmosfera.
Ridacchiai. “Sei un disastro, Philips” gli dissi.
“Te lo mandiamo volentieri, tanto non fa che rompere e disturbare” lo rimbeccò Brian.
“Sei in cerca di guai, Marshall?”
“Ce l’ho a fianco, il guaio!”
“Smettetela di fare gli idioti, altrimenti tolgo il vivavoce e me ne vado” li minacciò Mark.
“Ehm… ragazzi” richiamai la loro attenzione.
“Sì?” risposero all’unisono.
“Ho caricato il file, devo solo cliccare invia.”
“Schiaccia quel pulsante, cazzo!” esultò il batterista.
“Fratello, siamo con te!” cinguettò Brian.
Presi un respiro profondo.
Click.
L’e-mail era stata inviata.
“È partita, cazzo!” strillai.
“Oh, bene! Adesso Slash potrà rifarsi le orecchie!” ribatté Mark entusiasta.
Di colpo sentii i muscoli sciogliersi e rilassarsi, la tensione scivolare via dal mio corpo, la mente sgomberarsi. Non sapevo come sarebbe andata, ma avevo dato tutto me stesso anche quella volta e potevo dire di averci provato. Ormai era andata, potevo soltanto sperare in un parere positivo da parte di Slash.
 
 
♫ ♫ ♫
 
 
Quella sera, quando accedetti alla posta elettronica, rimasi abbastanza sorpreso nel constatare che Myles mi aveva già inviato la traccia audio con la sua demo. Insomma, ci eravamo sentiti meno di una settimana prima, era stato davvero rapidissimo.
Curioso di sentirlo cantare, non persi tempo e scaricai subito il file; nel frattempo tamburellavo con le dita sul piano della scrivania, impaziente. Ormai da anni sentivo parlar bene di quel tipo, doveva essere bravo per davvero se Jimmy Page e John Paul Jones dei Led Zeppelin gli avevano chiesto di collaborare, quindi le mie aspettative erano molto alte. Speravo fosse il cantante giusto per quella traccia, soprattutto: non vedevo l’ora di ultimare il mio disco e non mi andava di ricominciare la ricerca da capo.
Non appena il file fu salvato nel mio computer, mi fiondai subito ad aprirlo, senza esitare un attimo.
Una voce inaspettatamente dolce e delicata, colma di profonda emozione, si sparse per la stanza, irradiata dalle casse ai lati del computer. Mentre la ascoltavo rapito, non potei fare a meno di chiedermi se seriamente appartenesse al ragazzo con cui avevo parlato al telefono. Pareva così diversa, così passionale, potente e vellutata allo stesso tempo.
Non avevo mai sentito nulla del genere.
 
 
In the distance
Light years from tomorrow
Far beyond yesterday
She is watching
Heart aching with sorrow
She is broken, as she waits

Hoping when all is said and done
We learn to love and be as one
 
 
Avevo già deciso: era lui quello giusto. Adoravo alla follia il suo timbro, il suo modo di interpretare ciò che cantava, il testo… tutto. Era travolgente.
La mia idea si consolidò ancora di più quando il ritornello esplose, potente come la voce di Myles, del tutto inaspettato.
 
 
Oh Starlight, don't you cry
We're gonna make it right before tomorrow
Oh Starlight, don't you cry
We're gonna find a place where we belong
(where we belong)
And so you know, you'll never shine alone
 
 
Era a dir poco pazzesco, dovevo chiamarlo al più presto e chiedergli di venire a Los Angeles per registrarla.
Non ero un tipo che si emozionava facilmente, eppure quella semplice demo, registrata in maniera approssimativa, era riuscita a commuovermi e infiltrarsi negli angoli più remoti del mio cuore.
Misi in play Starlight almeno tre o quattro volte prima di riuscire a darci un taglio e tornare alla realtà; a ogni nuovo ascolto, carpivo una sfumatura della voce di Myles che prima non avevo colto e rimanevo sbalordito.
Afferrai il cellulare e feci partire la chiamata al suo numero senza esitazione. Probabilmente era inopportuno disturbarlo alle nove di sera, di certo aveva altro da fare, ma sentivo il bisogno di dirgli subito ciò che mi passava per la testa.
Forse, inconsciamente, avevo anche bisogno di accertarmi che la persona all’altro capo del telefono fosse davvero quel talentuoso cantante.
“Pronto?” rispose l’ormai familiare voce di Myles dopo qualche squillo.
“Ehi, sono Slash, ho appena sentito la demo” esordii senza troppi giri di parole.
“Buonasera. Ah… davvero? Che te ne pare? Ti avviso già che è registrata così, un po’ a caso, perché in realtà doveva essere una prova ma alla fine è venuta bene. E se noti qualche imperfezione o incertezza è perché ci ho lavorato in poco tempo, sai, ero molto ispirato e mi sono lasciato trascinare, ma così facendo forse il risultato ha perso di qualità…” prese a sproloquiare, le parole mi giungevano fitte e nervose.
“Ehi, ehi, fermo, tranquillo!” tentai di frenarlo. “Non ti devi giustificare, okay? E poi io non ho notato imperfezioni o incertezze o quello che hai detto, anzi: ciò che ho sentito è fottutamente strabiliante, pazzesco. Per quanto mi riguarda, possiamo anche fissare un appuntamento per vederci e parlarne… o anche registrarla direttamente.”
Alle mie parole seguì qualche attimo di silenzio. “Mi stai dicendo che mi vuoi all’interno del tuo album?” chiese conferma Myles in tono esitante.
“Tu devi stare nel mio album” chiarii in tono deciso.
“Grazie, io sono… oddio, sono contentissimo, davvero!” esclamò, la sua voce era intrisa di gioia.
Sorrisi. “Anche io lo sono,” ammisi, “e, se sei d’accordo, vorrei registrare con te anche l’altro brano di cui ti avevo parlato.”
“Ma certo, mi farebbe molto piacere! Appena riesco ti raggiungo a Los Angeles, d’accordo?”
“D’accordo. Allora ci aggiorniamo nei prossimi giorni per organizzarci meglio e… Myles?”
“Sì?”
Mi attorcigliai una ciocca di capelli tra le dita, leggermente a disagio. “Grazie mille per aver accettato e complimenti, mi fa davvero piacere averti nel disco.” Probabilmente ero arrossito, non ero abituato a espormi tanto e portare fuori ciò che pensavo in modo così diretto. Per fortuna ero da solo.
Quando chiudemmo la chiamata, mi guardai attorno spaesato, come se mi fossi appena risvegliato da un sogno. Il mio occhio cadde sullo schermo del computer, dove la traccia di Starlight ancora era aperta, in pausa; la schermata del lettore musicale occupava tutto il monitor, come a voler attirare la mia attenzione con prepotenza.
Prima che potessi rendermene conto, avevo già messo in play e mi ritrovai a sorridere come un ebete, ancora e ancora, per l’ennesima volta quella sera.
 
L’avevo invitato nella mia sala prove poco distante da casa. Quel giorno mi ci ero recato di mattina presto – tanto non avevo dormito granché e avevo voglia di suonare un po’ nell’attesa.
La sera prima Myles mi aveva comunicato che era giunto a Los Angeles e che gli sarebbe piaciuto molto vedermi il giorno stesso, ma era davvero troppo stanco per pensare di uscire dall’albergo. Da quando avevo ricevuto quella chiamata, una sottile e inspiegabile ansia si era fatta strada in me. Eppure ero abituato a quel tipo di incontri, non avevo nessun motivo per essere agitato; la cosa mi infastidiva non poco.
Ero seduto su una poltroncina con una chitarra tra le braccia e stavo cercando di riportare alla mente una vecchia canzone dei Velvet Revolver, quando mi avvisarono che Myles era arrivato. Mi misi in piedi, abbandonai il mio strumento sul divano – me lo sarei volentieri portato appresso – e uscii lentamente dalla stanza. Nel piccolo andito inondato dal sole mattutino, in piedi accanto alla finestra, si stagliava una figura snella e slanciata, alta all’incirca quanto me e completamente abbigliata di nero. Myles aveva un viso dolce, illuminato da un lieve sorriso e incorniciato da lunghi capelli castani; indossava una giacca in pelle molto semplice e dei jeans neri.
La mia prima impressione di lui fu coerente con l’idea che mi ero fatto: un ragazzo mite e alla mano, dal viso simpatico e uno stile non troppo studiato. Mi colpì, mi intrigò da subito.
“Buongiorno Slash! Come stai?” mi salutò educatamente, venendomi subito incontro e tendendomi la mano.
“Ehi! Tutto bene, tu? È un piacere conoscerti, signor Kennedy” ribattei con un leggero tono ironico. Mi ero subito reso conto che Myles a volte aveva degli atteggiamenti un po’ troppo formali e la cosa mi divertiva, quindi avevo deciso di dargli corda. Gli strinsi la mano e mi accorsi che la sua presa era forte e sicura, tipica di chi ci sapeva fare con la gente.
“Tutto bene, grazie. Il viaggio mi ha stancato, era da un po’ che non mi spostavo da casa, ma ho trovato un bel sole ad accogliermi qui in California. Quindi okay!”
“Vieni, andiamo a sederci nella saletta” lo invitai, facendogli strada fino alla stanza in cui mi trovavo fino a poco prima. Quando mi voltai verso di lui, lo trovai che si guardava intorno con interesse e stupore. Posava i suoi occhi azzurri – li avevo da subito trovati particolari e intensi, quegli occhi – sulle mie chitarre poste sui cavalletti o appese alle pareti, sugli spartiti gettati in ogni angolo e sparsi perfino sul pavimento, sui poster dei miei idoli, sugli scaffali stracolmi di CD e vinili, fino agli amplificatori addossati da una parte. Lo scrutai di sottecchi, sebbene gli occhiali scuri che indossavo gli impedissero di capire la traiettoria del mio sguardo, e sorrisi tra me e me nel vederlo così entusiasta e meravigliato.
“Accomodati” gli dissi cortesemente, prendendo posto sul divano e imbracciando la mia chitarra.
“Oh, certo. Scusa, mi sembrava poco carino sedermi prima che tu mi dessi il permesso” borbottò con le guance leggermente rosse, mentre si posizionava su una poltroncina di fronte a me.
Risi. “Ma dici sul serio? Myles, non ti devi porre problemi con me, non mi piace tutta questa formalità. Sentiti libero di fare quello che vuoi” misi in chiaro le cose. In realtà nel primo periodo mi tenevo distaccato con le persone con cui lavoravo e cercavo di inquadrarle prima di dare eccessiva confidenza, ma quel ragazzo mi era parso in ansia e mi ero sentito in dovere di rassicurarlo.
Myles mi sorrise. “Grazie, davvero.”
“Allora, siamo qui per rifinire bene il lavoro che ci attende nei prossimi giorni” cominciai, arrivando dritto al punto.
“Se ti va possiamo cominciare a registrare anche oggi, io mi sono preparato parecchio” affermò subito Myles.
Sollevai la mano destra, con cui fino a poco prima stavo strimpellando. “Ehi, calma, non c’è fretta! Prima ce la suoniamo e proviamo insieme, che dici?”
Myles annuì.
“E poi ti vorrei anche far sentire l’altra traccia in cui dovremmo collaborare. Anzi, se ti fa piacere posso farti sentire tutto l’album, che dici?”
Lui si illuminò e mi regalò un sorriso raggiante. “Dici davvero?”
Era impossibile non essere contagiati dall’entusiasmo che Myles sprigionava, trasmetteva una gran voglia di fare solo a guardarlo.
“Ci tengo a sapere il tuo parere” ammisi, stringendomi nelle spalle.
Suonammo Starlight quasi senza deciderlo; mentre chiacchieravamo del più e del meno, mi venne spontaneo suonare gli accordi di quel brano e Myles iniziò a canticchiare. Come mi aveva detto, era davvero pronto: sapeva tutto il testo e padroneggiava la linea vocale senza esitazioni. Io lo ascoltai, ipnotizzato dalla sua voce così particolare e intensa. Lo osservai: teneva la schiena dritta e ondeggiava appena a ritmo, lo sguardo era perso nel vuoto e teneva le mani abbandonate in grembo.
Ancora una volta ringraziai mentalmente i miei occhiali scuri, che nascondevano i miei occhi colmi di commozione e leggermente lucidi. Raramente mi ero emozionato sentendo qualcuno cantare e di certo non fremevo dalla voglia di darlo a vedere, non ero il tipo.
“Volevi capire se funzionava? Ora ti sei chiarito tutti i dubbi!” commentò Myles con una risatina, mentre io eseguivo le ultime note del brano.
“Ce l’abbiamo!” esultai, mentre un sorriso si allargava sul mio viso – l’ennesimo, da quando avevamo cominciato a suonare. “Sono sempre più convinto di aver fatto bene a chiedere a te.”
“Wow, grazie di cuore!”
“Ora ti faccio sentire anche l’altra” affermai. “Spero che ti ispiri e ti piaccia. Se poi riesci a cantarci sopra già nel prossimi giorn, beh, tanto di cappello.”
Calò il silenzio per qualche istante, in cui io e Myles ci osservammo seri, poi lui scoppiò a ridere. “Tanto di cappello! Era una battuta?” chiese, accennando al mio adorato cilindro che avevo indossato anche quel giorno.
Solo allora mi resi conto del mio involontario gioco di parole e risi a mia volta, sfiorando la tesa del mio cappello con una mano. “Ti giuro, non l’ho detto apposta!”
“Beh, tornando seri…” si ricompose Myles, mettendo su una faccia che di serio non aveva niente. “Dai, fammi sentire, sono curioso di vedere cosa porterai fuori dal cilindro.”
Fu il mio turno di scoppiare a ridere come un idiota. “Cominci a piacermi davvero, Kennedy.”
“Per così poco?” si sminuì, trattenendo a stento le risate.
All’improvviso mi venne un’idea e d’impulso gli chiesi: “Hai programmi per la giornata?”.
“No, sapevo di dover venire qui e non ho preso impegni con nessuno, al massimo potrei fare una passeggiata al mare più tardi. Perché?”
“Che ne dici di pranzare assieme? Così abbiamo più tempo per lavorare, anche nel pomeriggio” buttai lì, mantenendo un tono leggero.
“Oh, certo, mi farebbe molto piacere!” accettò subito.
Si era sciolto, ora aveva un modo di fare molto più spontaneo. Scrutai ancora una volta i suoi occhi azzurri e i movimenti rapidi con cui sistemava le ciocche lisce dietro le orecchie. Gli donavano tanto, quei capelli lunghi e un po’ ribelli.
Inspiegabilmente, ero contento di trascorrere l’intera giornata con lui.
 
 
♫ ♫ ♫
 
 
Oh Starlight, don't you cry
We're gonna make it right before tomorrow
Oh Starlight, don't you cry
We're gonna find a place where we belong
(where we belong)
And so you know, you'll never shine alone
 
 
Sollevai lo sguardo dal foglio su cui era stampato il testo e istintivamente cercai quello di Slash. Come al solito le lenti scure mi impedivano di leggere i suoi occhi, ma ormai lo conoscevo abbastanza bene per capire i suoi stati d’animo.
Era incredibile quanto avessimo legato nell’ultimo periodo, io e lui eravamo sulla stessa lunghezza d’onda e avevamo condiviso tanto. Talmente tanto che lui aveva insistito per essere presente alle registrazioni della mia parte vocale in Starlight, nonostante non fosse necessario. Ma Slash era fatto così: quando si impegnava in un progetto, ne curava ogni aspetto e ogni sfaccettatura, lo voleva veder nascere e prendere forma passo dopo passo.
E anche il ritornello era stato fatto.
Quando uscimmo dallo studio, quel giorno, ero euforico e profondamente soddisfatto.
“Com’è andata?” chiesi a Slash una volta fuori.
“Secondo te com’è andata? Sei pazzesco, Myles!” sentenziò con entusiasmo. Il suo tono era come sempre contenuto, ma in esso si udiva quella punta di gioia che avevo imparato a riconoscere.
Felice come non mai, mi lasciai trascinare dall’emozione del momento e strinsi Slash in un abbraccio fraterno. “Grazie di cuore per avermi coinvolto!”
Lui ricambiò appena, visibilmente in imbarazzo, e allora interruppi subito quel contatto. Sapevo che il chitarrista non era una persona particolarmente affettuosa ed espansiva, quindi non me la presi. Non era stato infastidito dal mio gesto, semplicemente era fatto così.
“Domani Back From Cali?” mi chiese.
“E sia!” affermai.
Quel giorno cenammo insieme, a Slash non piaceva l’idea che rimanessi da solo. Non che avessi problemi, Los Angeles era una città ricca di vita e avrei senz’altro trovato qualcosa da fare. Tuttavia non rifiutai, ormai avevamo stretto una bella amicizia e passare il mio tempo con lui non mi dispiaceva.
Era surreale. Tutti pensavano che il leggendario chitarrista dei Guns N’ Roses fosse una persona burbera e diffidente, eppure con me era stato sempre gentile e dolce. Mi sentivo fortunato, forse perché ero consapevole di essere uno dei pochi ad averlo conosciuto davvero.
 
 
 
 
♠ ♠ ♠
 
 
Ed eccoci giunti alla conclusione del secondo capitolo! Sono davvero emozionata di star pubblicando questa storia, ci ho messo tanto impegno e non vedevo l’ora di farvela leggere *-* Spero che la vicenda stia appassionando anche voi!
Per chiunque non conoscesse Starlight, vi lascio qui il link di YouTube per poterla sentire. Ve lo consiglio perché è ME-RA-VI-GLIO-SA, io me ne sono follemente innamorata non appena l’ho sentita:
https://www.youtube.com/watch?v=-BTad4tTdrE
Vi lascio anche il link dell’altra canzone che Myles ha registrato nel primo album di Slash, e che ho nominato alla fine del capitolo, ovvero Back From Cali:
https://www.youtube.com/watch?v=ZisXBHZzKQ4
(Pensate un po’, proprio mentre scrivo queste NdA sul canale TV di Virgin Radio è partita una canzone di Slash e Myles ♥.♥)
Allora, è vero che Myles ha preparato la demo di Starlight da inviare a Slash in pochi giorni, tanto che il chitarrista si è sorpreso della sua rapidità! È vero anche che Myles ha raggiunto Slash a Los Angeles… per il resto è tutta farina del mio sacco XD comprese le freddure di Myles riguardo il cilindro di Slash, sì!
Che ve ne pare del loro primo incontro e del rapporto che si sta creando tra i due? Ditemi, sono curiosa! ^^
Ringrazio tutti i miei lettori, quelli silenziosi e soprattutto i miei fedeli recensori, che riescono sempre a darmi la carica e la fiducia che altrimenti non avrei! :3
Alla prossima settimana (piccola comunicazione: gli aggiornamenti d’ora in poi saranno spostati al martedì) ♥
 
 
 

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Capitolo 3
*** Back To Where I Belong ***





III

 
Back To Where I Belong

 
 

 
You'll have to carry me back from Cali
I don't care if you think I'm to blame
You'll have to carry me back to where I belong
You'll have to carry me back from Cali
The angel city where the devils play
You'll have to carry me back to where I belong
 
Yeah...
If you can hear me tonight
If you can hear me tonight
If you can hear me tonight
If you can hear me tonight
I've lost my way, I'm so alone
And all I want is to come home
 
 
Il cursore che indicava lo scorrere del brano si avvicinava rapido all’estremità destra dello schermo. Io e Myles ascoltavamo in silenzio la nostra Back From Cali, fresca di mixing; doveva essere ancora rifinita in alcuni punti, ma tutto sommato era pronta.
Ed era molto convincente.
Mentre le ultime note risuonavano nella stanza, scambiai uno sguardo complice e soddisfatto con Myles. Nel frattempo lui sorrideva raggiante e annuiva di tanto in tanto.
Mi accostai al pc per chiudere la finestra del lettore multimediale e poi mi voltai nuovamente verso di lui. “Allora?”
“Allora?” ripeté, stringendosi nelle spalle.
“Il risultato finale ti convince?” lo interrogai.
Lui piegò appena la testa di lato, facendo oscillare i suoi capelli. “Io sono qui per servirti, questo è il tuo album. A te piace?”
Dio solo sapeva quanto desiderassi giocare con quelle ciocche ribelli, per poi sistemargliele dietro l’orecchio. Non sapevo definire quello che mi capitava da quando avevo incontrato Myles per la prima volta: mi veniva difficile stargli lontano, lo trovavo adorabile; certe volte non riuscivo a staccare gli occhi dal suo viso, prestavo attenzione ai suoi gesti e trovavo che avesse un carattere splendido.
Tutto questo non mi piaceva affatto: mi era capitato tante volte di interessarmi in quel modo a delle ragazze, ma erano sempre state delle donne, appunto. Ero certo di non essere attratto dagli uomini, quindi quella faccenda doveva concludersi al più presto, mi dovevo dare una calmata.
“Slash, ci sei? Non mi hai ancora risposto” mi fece notare Myles in tono divertito, riportandomi alla realtà.
“Eh… sì, la domanda. Qual era?” caddi dalle nuvole, un po’ imbarazzato.
Lui scoppiò a ridere e mi batté un’amichevole pacca sulla spalla. “Ti piace la canzone?”
“Certo, che domande.”
Myles d’un tratto si incupì e si lasciò sfuggire un sospiro; aveva abbassato lo sguardo e giocherellava con una ciocca di capelli.
“Ehi… che c’è?” gli domandai preoccupato.
“Niente, stavo pensando che presto dovrò tornare a casa e mi dispiace, mi stavo abituando a questa routine e Los Angeles mi piace molto” ammise.
“Puoi rimanere qui quanto tempo vuoi, non ti mando via” gli dissi d’istinto. Non lo feci presente, ma l’idea che presto se ne sarebbe andato faceva male anche a me.
“Sarebbe bello, ma non posso: sto lavorando al mio album solista e ho bisogno di concentrazione. Però, se ti va, ogni tanto posso tornare a trovarti.”
Sorrisi. “Te l’ho detto, per me non c’è nessun problema! Allora, Kennedy, resti per cena?” gli proposi, giusto per sviare il discorso e risollevargli l’umore. Ormai quella di pranzare e cenare insieme era diventata un’abitudine.
“Oggi non posso, ho già preso degli impegni con alcuni amici. Ma prima di andare ti devo dare una cosa.” Myles mise su un’espressione enigmatica e si diresse verso la poltroncina dove aveva riposto la custodia della sua chitarra.
“Una cosa? A me?” mi sorpresi, non capendo dove volesse andare a parare. “Mi hai comprato un regalo?”
“Più o meno, se così lo vuoi definire” borbottò lui con una risatina.
Poco dopo tornò da me con due custodie di CD tra le mani e me le consegnò. “Da parte mia e dei ragazzi” spiegò.
Mi rigirai i dischi tra le mani con profondo interesse: erano gli album degli Alter Bridge. “Wow.”
“Il primo è One Day Remains, è del 2004, mentre Blackbird è del 2007. Mi sembrava carino regalarteli, dato che non conosci tanto bene la mia band” spiegò, indicando prima una e poi l’altra custodia.
“Grazie, li ascolterò stasera stessa” mormorai, accennando un sorriso. In realtà ero fuori di me dalla gioia e avrei voluto stringere Myles in un abbraccio, ma mi tenni distaccato. Già mi trovavo in una situazione di merda e il cervello mi si ingarbugliava quando stavo con lui, dovevo limitare i nostri contatti fisici.
“Stasera? Non ne hai abbastanza di me?” scherzò Myles.
Non ne avevo mai abbastanza di lui.
Scossi il capo. “Ma io sono curioso” mi giustificai con una risata.
“Va bene, va bene!”
 
La prima cosa che feci quella sera appena rientrai in casa fu inserire One Day Remains nello stereo. Le due canzoni che Myles aveva registrato con me non mi bastavano più, ero curioso di scoprire cos’altro era in grado di fare.
Come constatai leggendo i titoli sul retro della custodia, il primo brano si chiamava Find The Real e aveva un sound abbastanza aggressivo ma non eccessivamente pesante – almeno questa fu la mia prima impressione.
Quando Myles cominciò a cantare, il mio cuore perse un battito: la sua voce era così energica e potente… no, non mi stancava mai. Come poteva pensare che ne avessi abbastanza di lui?
Mi sentivo in colpa a lasciarmi trascinare da quei pensieri, non avrei mai e poi mai dovuto ascoltarli. Ma non ero mai stato bravo ad appigliarmi alla ragione, la maggior parte delle volte agivo d’istinto, di cuore.
Mentre la prima traccia dell’album volgeva al termine e cedeva il posto a One Day Remains, presi una decisione: avrei chiesto a Myles di accompagnarmi nel tour di promozione dell’album. Del resto era in grado di cantare qualsiasi cosa.
 
“Allora, c’è quella canzone di cui mi sfugge il nome, era più o meno al centro dell’album… ecco, e mi è rimasta in testa.”
Myles passò un polpastrello sulle corde della chitarra acustica con fare pensoso. “Metalingus?”
“No, era qualcosa che diceva… forse c’era un broken da qualche parte” mi sforzai di ricordare.
Quella mattina mi ero svegliato con un brano degli Alter Bridge in testa e, quando Myles mi aveva raggiunto sul portico di casa mia, gliel’avevo subito detto.
Il cantante si illuminò. “Ah, allora è Broken Wings, infatti è la traccia numero sei! Non renderà tanto con la chitarra acustica, ma posso provare a cantarla” affermò, per poi eseguire gli accordi giusti al primo colpo.
 
 
On broken wings I'm falling
And it won't be long
The skin on me is burning
By the fires of the sun
On skinned knees
I'm bleeding
And it won't be long
I've got to find that meaning
And I'll search for so long
 
 
Canticchiò e suonò il ritornello con disinvoltura, quasi come se io non ci fossi. Il sole tiepido del mattino gli accarezzava le braccia, lasciate scoperte da una canottiera nera.
“Sì, è quella” confermai. “Il tuo amico Mark non è male alla chitarra, sai?” buttai lì, giusto per esprimere un giudizio in più sugli album degli Alter Bridge. Non potevo soffermarmi solo su di lui e sommergerlo di complimenti.
“Lo penso anch’io, è anche un compositore pazzesco. Glielo riferirò!”
“Tu partiresti con me?”
Bel modo di fare una proposta, complimenti Slash. Pensare prima di parlare non sarebbe un male.
Myles sollevò la testa di scatto. “Partire? In che senso?”
Scoppiai a ridere. “Intendo in tour. Okay, aspetta, facciamo che riparto da capo!”
“Oh… il tour per la promozione del disco?” s’informò, curioso.
“Sì, esatto. Sai, penso che tu saresti adatto per cantare di tutto, incluse le canzoni dell’album e, beh, pensavo di inserire in scaletta anche dei brani dei Guns N’ Roses.”
Myles spalancò gli occhi per lo stupore – la sua espressione era estremamente tenera. “Pensi che potrei cantare i Guns?”
Scrollai le spalle e schiacciai nel posacenere la sigaretta che stavo fumando. “Nel caso, Axl dovrebbe sentirsi onorato.”
“Non dire fesserie: lui è un’icona, interpretare i suoi brani non è una cosa da tutti” obiettò subito in tono serio.
“Non da tutti, ma da te sì. Credimi” ribadii, sicuro di ciò che dicevo.
Nonostante tutto ciò che era accaduto e il modo in cui si erano logorati i rapporti tra noi, rispettavo Axl ed ed ero fermamente convinto che nessuno potesse avere la sua attitudine. Solo il sorprendente talento di Myles era in grado di potrarmi ad affermare qualcosa del genere.
“Così mi metti in imbarazzo!”
Sbuffai e lo osservai con la coda dell’occhio. “Che palle. Dunque, accetti?”
“Così, su due piedi, ti direi di sì… ma posso prendermi qualche giorno per pensarci?”
“Eh no, ormai hai accettato, non si può più tornare indietro” lo presi in giro.
“Me lo hai chiesto solo perché ti ho detto che mi dispiaceva tornare a casa, eh? Di’ la verità, non ti vuoi liberare di me!” mi punzecchiò con un sorrisetto furbo.
Oddio, sì. Avrei fatto qualsiasi cosa per vedere quel sorriso ogni giorno per i mesi successivi.
Dovevo smetterla!
“Potrebbe essere… ma comportati bene, mi raccomando. Stai avendo a che fare con un personaggio importante” mi pavoneggiai in tono ironico, assumendo una posa da VIP vissuto.
“Ora sono inquietato” continuò a reggere il gioco lui.
“Lo so, faccio paura. Quindi, accetti di partire con me?” tornai a bomba sull’argomento, troppo impaziente di sentire la risposta.
Se mi avesse detto di no, ci sarei rimasto troppo male.
“E va bene, ti seguirò” accettò con un enorme sorriso a increspargli le labbra.
Avrei voluto esultare per la gioia, ma non lo feci. Non potevo e non dovevo. “E vuoi aiutarmi anche nei provini per scegliere batterista e bassista?”
“Volentieri! Ma tutto questo a una condizione.”
Aggrottai le sopracciglia. “Sarebbe?”
“Oggi andiamo a fare una passeggiata al mare!”
“Myles, ne abbiamo già parlato: non posso andare a zonzo per Los Angeles a mio piacimento, la gente mi riconosce e mi perseguita” gli ricordai.
“E dai, siamo rintanati qui da un tempo indefinito, ci stiamo fossilizzando peggio di due dinosauri!” tentò di convincermi, sporgendosi appena verso di me.
“Cos’hai contro i dinosauri? A me piacciono. Erano delle creature molto interessanti.” Incrociai le braccia al petto con fare indignato.
“Ma che…? Vabbè, comunque, il mare fa bene alle vie respiratorie, e quindi è perfetto per me, che sono un cantante.” Myles continuava a insistere e la cosa non mi sorprese, avevo imparato a conoscere anche l’aspetto più testardo di lui.
“Il mare di Los Angeles è inquinato, non fa bene” replicai prontamente. In quanto a testardaggine, non sapevo chi dei due fosse il peggiore.
“Vabbè, dai, non fa niente se non ti va. Ci posso andare da solo” affermò senza alcuna traccia di rabbia o risentimento nella voce.
Sollevai gli occhi al cielo; una parte di me mi suggeriva di lasciarlo fare, ma non volevo nemmeno che restasse da solo.
E non volevo che mi lasciasse da solo.
“Senti, va bene, vengo con te al mare” mi arresi con uno sbuffo.
Myles mi scoccò un’occhiata soddisfatta. “Sono un Sagittario, Slash. I Sagittario prima o poi ottengono quello che vogliono!”
Scoppiai a ridere. “Vaffanculo!”
 
 
♫ ♫ ♫
 
 
“Ma sul serio tu ti avvolgi così tra giubbotti, sciarpe e simili ogni volta che esci?” mi chiese Todd perplesso, mentre armeggiavo con la zip del mio cappotto pesante.
“In quanto cantante, devo proteggermi da tutto ciò che potrebbe danneggiare la mia voce. Hai idea dell’umidità che c’è qua fuori? E se mi ammalassi ora, nel bel mezzo del tour?” ribattei, spiegando pazientemente il mio punto di vista.
“Sì, va bene… io intanto scendo e fumo una sigaretta” borbottò il bassista, seguendo Brent all’esterno dell’auto.
Io finii di rivestirmi, poi aprii lo sportello e raggiunsi i miei amici di fronte all’ingresso dell’albergo. Mi bastò dar loro un’occhiata per capire che erano tutti distrutti quanto me.
Il tour per la promozione di Slash stava andando alla grande e ormai avevamo superato la metà delle date previste. Un successo del genere sarebbe stato da festeggiare, ma forse eravamo tutti troppo vecchi per cose del genere ed era per quello che, dopo ogni concerto, non vedevamo l’ora di metterci a letto.
Le nostre fesserie da rockstar le avevamo già fatte a tempo debito.
“C’è un freddo assurdo” brontolai, stringendomi le braccia attorno al corpo.
“Vai dentro, no?” mi suggerì Brent in tono ovvio.
“No, aspetto voi.”
Posai lo sguardo prima sul batterista, poi su Todd e infine mi soffermai su Slash. Era ancora strano per me vederlo senza occhiali scuri, in genere li indossava sempre, ma di sera rischiava di inciampare da qualche parte se non li toglieva.
“Cos’hai da guardare?” borbottò il chitarrista aggrottando le sopracciglia.
“Sto per dire una cazzata” lo avvertii, prendendo a sghignazzare.
“Adesso sono curioso” dichiarò Todd.
“Prima di partire per questo tour, non avevo idea di che occhi avessi. Cioè, il taglio, il colore…”
Brent e Todd scoppiarono a ridere fragorosamente e io subito li ammonii, facendo notare loro che stavano facendo troppo baccano ed era notte fonda.
Slash intanto si esibiva in una smorfia contrariata. “Ma… ma che cazzo dici? E io che ti facevo una persona seria” brontolò, incrociando le braccia al petto.
“No, dico davvero, non avevo mai cercato una tua foto senza occhiali!” proseguii, contagiato dalle risate generali.
Ovviamente non era vero, mi era capitato di vedere qualche scatto del suo viso sgombro da ogni barriera, ma a ben pensarci potevo contare quegli episodi sulle dita di una mano.
“Myles, sei un mito!” esclamò Todd, battendomi una vigorosa pacca sulla schiena. Per fortuna indossavo un giubbotto pesante che attutì il colpo, altrimenti mi avrebbe spezzato in due.
Quando tutti ebbero finito di fumare, entrammo nella hall dell’albergo completamente deserta, fatta eccezione per un receptionist che fissò il suo sguardo su Slash e ci osservò passare con la bocca semiaperta.
“Buonasera! Tutto bene?” gli chiese Todd in tono innocente.
Brent mi diede di gomito. “Che coglione” borbottò al mio orecchio.
Trattenni una risata.
“Ah? Eh? Sì. Buonasera” farfugliò il tizio per poi arrossire.
Raggiungemmo il nostro piano, ma prima che potessi andare alla ricerca della mia stanza – già mi ero scordato dove si trovasse – Todd mi posò una mano sulla spalla. “Ti va di passare un attimo da me?”
“Hai visto che ore sono?”
Ma il bassista non attese oltre e mi spinse dentro la sua camera. Era una stanza grande e spaziosa, dai mobili scuri e palesemente costosi.
“Perché?” gli chiesi, poggiando la schiena a una parete. Non mi piaceva essere trascinato a quel modo, per giunta senza sapere il motivo.
“Siediti” mi invitò lui, prendendo posto sul bordo del materasso da una piazza e mezzo.
Lo affiancai, senza smettere di lanciargli occhiate dubbiose e interrogative. “Sono stanco però.”
“Farò in fretta. Allora… hai notato come ti guarda Slash?”
Strabuzzai gli occhi, confuso. Dal momento che non avevo capito dove volesse andare a parare, ripiegai su una battuta: “Perché, tu in genere riesci a capire la traiettoria del suo sguardo?”.
Todd rise. “Che stronzo! No, davvero, cazzate a parte… non lo hai notato?”
Mi strinsi nelle spalle. “Non ho notato niente di strano o insolito, lui è sempre lo stesso.”
“Ah, quindi è sempre stato così” insinuò in tono vagamente malizioso.
Ero confuso e, anzi, quella conversazione iniziava a darmi sui nervi. Tuttavia mantenni la calma. “Ti prego, spiegati meglio.”
“Ti guarda sempre, ti studia. Quando ti vede solo da una parte, fa di tutto per avvicinarsi e attaccare bottone con te, senza dare troppo nell’occhio. Quando parli ti ascolta con interesse e sorride sempre… e, te lo assicuro, Slash non sorride mai!”
Todd doveva essere ubriaco.
“Io non ho notato tutte queste cose” ammisi, “ma di sicuro è perché io e lui abbiamo stretto una forte amicizia.”
“Mi piace la tua innocenza.”
Allora capii cosa stesse cercando di dirmi. Scossi il capo e mi misi in piedi. “Senti Todd, non per essere sgarbato, ma penso che tu ti stia facendo strane idee, film mentali che non esistono né in cielo né in terra. Lasciamo perdere, siamo entrambi stanchi” lo liquidai, avviandomi alla porta d’uscita.
“È un modo carino per mandarmi al diavolo?”
“È un modo carino per dirti che non c’è nulla di cui preoccuparsi, puoi metterti l’anima in pace.”
Quando mi ritrovai in camera mia, sdraiato sul letto, ripensai alle parole del bassista. Più ci riflettevo, più mi parevano assurde: Slash mi voleva bene, punto, non si sarebbe mai potuto interessare a me in altri modi.
Anche perché, nel caso ciò fosse accaduto, non l’avrei mai potuto ricambiare.
 
 
♫ ♫ ♫
 
 
Quella notte mi sentivo più solo del solito e non riuscivo a dormire. Mi rigirai ancora una volta tra le coperte, osservai un raggio di luna che filtrava tra le pesanti tende alle finestre.
Erano così fredde, quelle coperte, e il letto sembrava così grande.
Ormai non lo potevo più negare a me stesso: Myles mi mancava quando non era con me, avevo bisogno di lui, mi rendeva completo. Quanto avrei voluto averlo accanto, fargli posare la testa sul mio petto e coccolarlo, passare le dita tra quei capelli lunghi. Volevo solo un po’ di calore, dimostrare a Myles quanto mi facesse stare bene anche solo il fatto di vederlo sorridere.
Sospirai e chiusi gli occhi. Anche quella notte, invece, l’avrei passata solo con i miei pensieri.
 
 
 
 
♠ ♠ ♠
 
Ciao e benvenuti alla fine di questo capitolo! ^^
Allora, che ne pensate? Vi sta piacendo come si sta evolvendo il rapporto tra Slash e Myles?
A me personalmente dispiace per come sto facendo soffrire il chitarrista, però è anche interessante entrare nella sua psicologia. E… diciamo che in questa storia lo sto facendo più romantico di quanto in realtà non sia XD mi piace l’idea che la presenza di Myles lo faccia completamente rimbecillire e rammollire!
Slash, ti voglio bene :3
Già nello scorso capitolo vi ho lasciato il link di Back From Cali, di cui vi ho parlato qui, così oggi vi faccio ascoltare Broken Wings degli Alter Bridge, la canzone che nel mio immaginario ha colpito Slash:
https://www.youtube.com/watch?v=1xICZAQ7GBQ
Non è bellissima? *-*
Passando ai riferimenti a cose realmente accadute:
-      Slash non aveva davvero mai sentito gli Alter Bridge prima di lavorare con Myles, quindi mi sembrava una cosa carina che il cantante gli regalasse gli album... anche se non ho la certezza che sia andata così XD
-      Todd Kerns (bassista) e Brent Fitz (batterista) sono i Conspirators, ovvero coloro che completano la band del progetto solista di Slash. Lavorano con lui dal primo tour, anche se sono stati coinvolti nelle registrazioni in studio solo a partire dal secondo album, Apocaliptic Love. Negli anni successivi si è unito alla formazione anche il chitarrista ritmico Frank Sidoris, ma ai tempi in cui è ambientata questa scena ancora non c’era.
Spero di essere riuscita a chiarire i vostri eventuali dubbi e che il capitolo vi sia piaciuto! Vi ringrazio per il costante e preziosissimo supporto, attendo il vostro parere e vi do appuntamento alla settimana prossima!!! ♥
 
 
 

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Capitolo 4
*** On Tour ***


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IV

 

On Tour

 

 

 

 

Non che la questione mi preoccupasse più di tanto, ero convinto che Todd avesse preso un granchio, ma ormai il bassista mi aveva messo la pulce nell’orecchio e quella mattina, appena svegliato, le sue parole mi tornarono in mente.

Secondo lui, Slash si era invaghito di me. Eppure non mi era sembrato di scorgere dei segnali e quindi, per quanto mi riguardava, l’argomento era chiuso.

Mi venne quasi da ridere quando quella mattina raggiunsi i ragazzi per la colazione: si trovavano attorno a un tavolo tondo coperto da una tovaglia color panna, in un angolo della sala per la colazione. Come il resto dell’albergo, la grande stanza aveva un aspetto curato, la luce filtrava dalle leggere tende rosse tirate davanti a degli enormi finestroni, e si rifletteva sulle pareti bianche.

“Perché ridi? Ancora per quella storia dei miei occhi che non avevi mai visto?” borbottò Slash, mentre mi sedevo accanto a Todd e ridacchiavo tra me.

Diedi di gomito al bassista, che mi lanciò un’occhiata complice e sghignazzò. “No, niente, scusa” cercai di porre rimedio.

“Questi due non ce la raccontano buona” commentò Brent in tono piatto, per poi sbadigliare.

Dal canto suo, Slash si limitò a sollevare gli occhi al cielo e rimestare il suo caffè nella tazzina.

Io avevo optato per una spremuta d’arancia e uno yogurt bianco con i cereali, mi piacevano le colazioni semplici e leggere.

“Ragazzi, vi devo fare una proposta” dichiarò Slash serio.

Tesi le orecchie, curioso di sapere cosa ci volesse dire.

“Dato che mi sono reso conto di trovarmi…” cominciò, ma venne bruscamente interrotto da una voce acuta e stridula che gridava il suo nome. Gettai furtivamente un’occhiata alle mie spalle e scorsi una ragazzina alta e fin troppo magra, sui vent’anni, venire verso di noi a passo di marcia. Mi accorsi subito che indossava abiti costosi, all’ultimo grido, e non aveva un capello fuori posto; probabilmente si trattava della figlia di una famiglia ricca, lo si capiva sia dall’aspetto, sia dal fatto che si trovasse in un albergo di lusso.

Slash le lanciò una rapida occhiata e d’istinto si passò una mano accanto all’occhio destro. Lo conoscevo abbastanza bene per sapere che si sentiva a disagio senza i suoi occhiali scuri, ormai divenuto un accessorio fisso quando interagiva con i fan.

“Oh, ma tu sei veramente Slash dei Guns N’ Roses, oddio!” strillò la ragazzina una volta giunta di fronte a noi; tese una mano al chitarrista e attese che lui gliela stringesse. “Piacere, Melissa Stones, figlia di Aaron Stones, è un imprenditore molto famoso.”

“Non lo conosco” tagliò corto Slash.

“Oddio, sono così emozionata di averti incontrato! Possiamo fare una foto?” chiese allora la ragazza, passandosi una mano tra i capelli rossi tinti.

Aveva un che di ambiguo, quella tizia: voleva dare l’impressione di essere emozionata e ammirata di fronte a un chitarrista famoso, ma il suo atteggiamento sicuro e spavaldo lasciava trasparire quanto, in realtà, fosse piena di sé.

Io, Todd e Brent ci scambiammo un’occhiata stranita e decidemmo di farci gli affari nostri. Ma proprio mentre afferravo il mio bicchiere con l’ultimo goccio di spremuta, la ragazza mi sventolò il suo cellulare davanti agli occhi. “Potresti scattare la foto?”

Slash si lasciò sfuggire un leggero sospiro che colsi soltanto io. Sorrisi divertito, sperando che quel gesto sembrasse cordiale agli occhi della fan. “Ma certo, ovvio!”

Afferrai l’apparecchio e lo puntai sui due, mentre Melissa si accostava a Slash e gli circondava le spalle con un braccio; lui non si mosse, rimase seduto e a dirla tutta sembrava piuttosto a disagio, come se non sapesse bene che posa e che espressione assumere. Per questo, nelle due foto che scattai, la sua faccia seria faceva a pugni con l’enorme sorriso da pubblicità di dentifricio della ragazza.

“Fatto” affermai, per poi restituire il cellulare alla proprietaria. “Ieri sei venuta a vederci?” le chiesi, giusto per fare conversazione.

Lei mi scoccò un’occhiata confusa, come se avesse capito solo in quel momento che anch’io ero un musicista, poi scosse il capo. “Non sono in vacanza, papà mi ha portato con sé ma in realtà è un viaggio di lavoro. E poi ai concerti c’è troppa confusione, gente che spinge, trogloditi sudaticci… che schifo!” spiegò lei in tono sprezzante, accentuando il suo disgusto con un cenno della mano.

“Se tutti la pensassero come te, non avrebbe senso fare i concerti” le fece notare Slash piccato. Ecco, era prevedibile: non perdeva mai la calma, ma quando si sfioravano argomenti a lui cari non mancava mai di far sapere il suo parere.

Melissa gli rivolse un’occhiata superba, di chi la sa lunga. “Dici così perché la vivi dal palco, senza gente che ti sta addosso, sei servito e riverito e hai un camerino tutto per te quando finisci di suonare.”

Lui non cambiò espressione, ma poggiò un gomito sul tavolo e si grattò il mento, fingendo di riflettere sulle sue parole. “Quindi tu pensi che io nella mia vita non sia mai stato a un concerto, tra il pubblico?”

Mi stavo divertendo un sacco, io e Todd non facevamo che darci di gomito e scambiarci piccoli colpetti sotto il tavolo.

Brent intanto teneva il cellulare incollato alla faccia e rideva senza ritegno, fingendo fosse per qualche messaggio che gli era arrivato.

Melissa strabuzzò gli occhi indignata e stava per ribattere, ma una voce maschile alle nostre spalle attirò la sua attenzione: “Tesoro, andiamo”.

“Arrivo, papà!” ribatté subito Melissa, allontanandosi da noi senza neanche degnarci di un saluto.

La scrutai con la coda dell’occhio mentre andava via con un signore di mezza età vestito di tutto punto, con un completo elegante.

Io, Todd e Brent cominciammo a sghignazzare, mentre Slash riprese a spazzolare via il suo pancake come se nulla fosse.

“Però era simpatica” commentai infine.

“Devo ammettere che la conversazione si faceva interessante” mugugnò il chitarrista. “Comunque, vi devo ancora fare quella proposta, se solo questa ragazzina non mi avesse interrotto…”

“Siamo tutt’orecchi!” lo esortò Todd.

“Siccome mi trovo bene a suonare con voi, pensavo che potremmo registrare un album insieme per il mio progetto solista, se vi va. Insomma, questa formazione funziona…”

“Ci sto, al tuo servizio! Finché morte non ci separi! Posso continuare a cantare Lemmy ai concerti?” lo interruppe Todd entusiasta e con un enorme sorriso stampato in faccia.

Brent scoppiò a ridere, divertito dalla reazione del bassista, poi annuì. “Certo, Slash, se ti fidi del mio operato io ci sono.”

Io intanto sorridevo come un ebete, felice di quella opportunità, ma non reagii in maniera esagerata o troppo esplicita perché dopotutto non era nella mia natura.

“Myles?” Slash puntò i suoi occhi scuri carichi di aspettative su di me e accennò un sorriso.

“Certo, lo sai che per me va benissimo.”

“Non ci sono problemi per i tuoi Alter Bridge, vero?” s’informò, preoccupato.

“Cercherò di conciliare tutti gli impegni ed esserci sia per voi che per loro. Ti dirò, mi piace l’idea di destreggiarmi tra i due progetti, almeno non mi annoio!” lo rassicurai.

“Sei mitico!” Todd mi diede una delle sue solite pacche sulla spalla.

Slash invece si limitò a rivolgermi un’occhiata riconoscente e soddisfatta.

 

Era incredibile: avevamo appena terminato il tour per la promozione del suo album, avevamo suonato ovunque e per una fitta serie di concerti, eppure Slash suonava e componeva pure sulla via di casa. Stazionava su un sedile del tour bus con la sua chitarra tra le braccia, un auricolare all’orecchio sinistro e un’espressione concentrata.

In fondo lo capivo, anche io non mi ero fermato durante quel periodo e nei momenti liberi componevo per gli Alter Bridge; era un continuo scambio di materiale tra me e Mark, ci eravamo impegnati tanto e io non vedevo l’ora di vedere il nostro terzo album pubblicato, così da poter partire in tour con loro.

Ero fatto così: non ero nemmeno tornato da un viaggio e già pensavo a quello successivo.

“Myles?” mi richiamò il chitarrista, la voce appena udibile sopra il rombo del motore.

“Dimmi.”

“Vieni qui” mi invitò gentilmente.

Diedi un’occhiata attorno a me: Brent giocava col suo cellulare e aveva le cuffie alle orecchie, mentre Todd sonnecchiava con la testa poggiata contro il finestrino. Mi alzai, mi avvicinai a Slash e presi posto accanto a lui, poi gli lanciai un’occhiata interrogativa, curioso di sapere perché mi avesse convocato.

“Mi è venuta un’idea per una canzone. Vuoi sentire?”

Afferrai l’auricolare che mi porgeva e lo infilai all’orecchio. Il filo delle cuffiette era abbastanza corto e ciò mi imponeva di stare molto vicino a Slash, così gli chiesi: “Ti disturbo? Riesci a suonare anche con me che ti sto praticamente addosso?”.

“Non ti preoccupare.” Detto questo, eseguì un giro di accordi che mi entrò subito nel cuore, pienamente nel suo stile e con un pizzico di malinconia che gli conferiva un che di magico.

Sorrisi. “Wow, è stupendo. Oh sì, registralo e fammelo avere, già non vedo l’ora di lavorarci su!” Il mio entusiasmo però venne smorzato da un pensiero che si affacciò nella mia mente: il mio amico aveva composto quella melodia così triste proprio in quel momento, dopo la conclusione del tour… forse si sentiva giù di morale e la cosa mi dispiaceva parecchio.

“Ehi” cercai di cominciare il discorso, ma non sapevo bene come continuare.

“Sì?”

“Ti… ti dispiace che il tour sia finito?”

Slash scollegò gli auricolari dalla chitarra e mise via il suo strumento, poi tornò a concentrarsi su di me. “Sai bene che amo viaggiare, è ovvio che mi dispiace. Però è stato bello, mi sono trovato bene” ammise con una semplicità disarmante.

Ridacchiai. “Ti mancheremo, quindi?”

Lui arrossì, si voltò e finse di guardare fuori dal finestrino nella speranza che non lo notassi; tipico di Slash. “Beh… sì. Ma ci vedremo per il disco, insomma, e ci terremo in contatto” borbottò.

Avevo indagato abbastanza per capire che il chitarrista era davvero triste, ecco spiegata la vena malinconica della sua composizione. O forse non era quello il motivo… Slash era così enigmatico, pensavo di conoscerlo bene, ma in fondo che ne potevo sapere?

“Grazie ancora per avermi coinvolto, non avrei mai pensato di finire in un progetto del genere” dissi.

“Smetterai mai di ringraziarmi per qualsiasi cosa?” mi rimbeccò in tono divertito.

Mi imbronciai. “Ero serio, hai rovinato l’atmosfera.”

Lui ridacchiò. “Dopotutto mi mancherai, sì.”

“Anche tu, Slash.”

 

 

 

 

“Ma che cazzo di problemi mentali ha quell’imbecille? Cazzo, ho fatto bene ad andarmene dai Guns, quel ciccione di merda me la paga!” Steven passeggiava per la sala prove, mentre il fumo gli usciva dalle orecchie.

“Steve, ti prego, datti una calmata” lo implorai, roteando gli occhi con fare esasperato.

“Io mi dovrei calmare?! Quella merda con i piedi di Axl decide di non partecipare alla cerimonia di premiazione, ci avvisa meno di una settimana prima e io non mi dovrei incazzare? Spiegami, chi dovrebbe cantare quel giorno? Tu?” Il batterista mi si era piazzato di fronte e si era puntato le mani sui fianchi.

“Adler, per favore, ragiona!” intervenne Matt, affiancandolo. “Sappiamo tutti e quattro che Axl è un coglione, è inutile prendercela ancora con lui, adesso abbiamo un problema più grande da risolvere: trovare un sostituto che sia in grado di cantare le nostre canzoni e che sia disponibile nei prossimi giorni.”

“Questa è la frase più lunga e sensata che ti abbia mai sentito dire” lo prese in giro Duff, accostandosi a noi per prendere parte alla discussione.

“Fottiti” grugnì il batterista, poi incrociò le braccia al petto e ci guardò uno per uno. “Allora, avete qualche proposta?”

Per un attimo calò il silenzio nella stanza.

Certo che avevo il nome adatto: Myles, ovviamente. Lui sapeva cantare i brani dei Guns, lo aveva fatto un sacco di volte ed era sempre stato eccellente, sarebbe stato il sostituto perfetto di Axl. Tuttavia tenni per me quelle considerazioni, non mi sembrava il caso di mettere Myles in mezzo a quella faccenda, anche perché i miei colleghi si sarebbero potuti infastidire, in particolare Duff e Matt. Avevo messo da parte i Velvet Revolver, di cui facevano parte anche loro, per concentrarmi sulla mia carriera al fianco di Myles; sebbene sapessi che loro non erano arrabbiati per questo, volevo evitare che si irritassero.

Rimasi in silenzio, fingendo di rifletterci su.

“Quel coglione, deve solo ringraziare di non avermi di fronte!” sbottò all’improvviso Steven, facendoci sobbalzare; si allontanò di botto da noi e accese una sigaretta con movimenti rapidi e frenetici.

“Ancora con questa storia di Axl?” lo rimproverò Duff con uno sbuffo.

“Oltre a essere uno stronzo per averci piantato in asso, mi ha anche gettato merda addosso con quel post! Ma che cazzo vuole?”

Mi lasciai sfuggire un sospiro. “Ti sei accorto che abbiamo cambiato argomento?”

“A voi non fa incazzare?”

“Lasciamolo perdere e pensiamo noi a un sostituto, tanto la sua scatola cranica vuota non ci sarebbe di nessun aiuto” sentenziai, tornando a concentrarmi su Matt e Duff.

“Sempre il solito pezzo di merda, Slash” borbottò Steven in tutta risposta. Tra me e lui era così: ci conoscevamo da una vita e non era passato un giorno in cui non ci fossimo insultati, ma in fondo ci volevamo un sacco di bene ed eravamo inseparabili.

“MI è venuta un’idea!” saltò su Matt, illuminandosi.

Feci un cenno per invitarlo a proseguire.

“E se chiedessimo al tuo amico Myles? Lui ha già avuto esperienze di questo tipo ed è fottutamente bravo. Spero solo che possa accettare nonostante il poco preavviso.”

Volevo gridare di gioia e abbracciare Matt, quelle parole mi avevano incendiato il cuore; volevo Myles, lo volevo accanto a me durante la cerimonia di premiazione della Rock‘N’Roll Hall Of Fame, ed ero immensamente grato al mio collega per averlo proposto.

“Giusto, ottima idea! Slash, tu che ne pensi? Pensi che potrebbe essere disponibile?” concordò Duff, annuendo soddisfatto.

Anche lui era d’accordo. Mio dio, quanto li adoravo! Nonostante l’entusiasmo, rimasi imperturbabile. “Non lo so, ma tentar non nuoce, glielo posso chiedere.”

“Ma almeno sei d’accordo?” mi chiese Duff, scrutandomi con perplessità.

“Certo, se l’ho scelto come mio cantante un motivo ci sarà. Vado a chiamarlo” sentenziai.

Steven, dal suo angolino accanto alla porta, si schiarì la gola per attirare la nostra attenzione. “Ovviamente nessuno si è degnato di chiedere a me.”

“Tu pensa a incazzarti con Axl, che noi pensiamo al resto.” Mentre mi incamminavo verso l’uscita e gli passavo di fronte, gli diedi una leggera spallata, che lui ricambiò con una spinta.

Una volta all’esterno, la prima cosa che feci fu accendere una sigaretta. La seconda fu cercare il numero di Myles in rubrica e stare per qualche secondo incantato a fissarlo, assorto nei miei pensieri.

Era da un pezzo che non lo sentivo per telefono, avevo avuto modo di sentire la sua voce solo nelle demo che mi aveva inviato di recente; era parecchio impegnato con il tour di promozione per il terzo album degli Alter Bridge, anche se mi aveva rivelato che in quel periodo le acque si erano un po’ calmate ed era riuscito a riposarsi.

Mi mancava tantissimo, da quando mi ero separato da lui non avevo fatto altro che pensarci. Ci avevo provato in tutti i modi, a togliermelo dalla testa, ma ogni giorno la mia mente tornava a lui, ripercorreva i bei momenti trascorsi insieme durante il tour, la sensazione che provavo nello stare vicino a lui, l’intesa incredibile che si creava tra noi quando stavamo su un palco. E quel sorriso così dolce da farmi impazzire.

Per quanto riguardava i dischi degli Alter Bridge, li avevo consumati a furia di ascoltarli.

Feci partire la chiamata e avvicinai il cellulare all’orecchio. Mentre ascoltavo i monotoni e regolari squilli susseguirsi, ripensai al modo in cui ci eravamo salutati: Myles mi aveva stretto forte in un abbraccio e l’aveva prolungato per diversi secondi, mi aveva dimostrato tutto l’affetto che provava per me, e io finalmente mi ero lasciato andare, godendomi appieno quel contatto. L’avevo ricambiato con trasporto, avevo inspirato il suo profumo dolce, mi ero quasi lasciato sfuggire delle lacrime di tristezza all’idea di non vederlo più per un lungo periodo.

E poi l’avevo allontanato quasi di botto, perché stavo sbagliando tutto. Non potevo attribuire un significato alternativo a un abbraccio tra amici, non era giusto nei suoi confronti e nemmeno nei miei.

E soprattutto…

Non potevo assolutamente permettere che si accorgesse di quanto lo desiderassi, delle reazioni che la sua vicinanza provocava nel mio corpo.

Mi facevo schifo.

“Ehi, Slash!” La voce di Myles esplose nel mio orecchio, interrompendo il flusso dei miei pensieri.

“Oh… Myles!” farfugliai, scombussolato. “Ho bisogno di te.”

Perché suonava tanto come una romanticheria da quattro soldi?

“In che senso?”

“Per un concerto,” chiarii subito, “verresti a suonare con me e i Guns per la Rock’N’Roll Hall Of Fame? Axl ci ha tirato un bidone…”

“Cosa? No, Slash, non posso accettare! È troppo per me!”

Il cuore mi sprofondò nel petto.

 

 

 

 

 

OOOOHHH, MA CHE CUCCIOLO SLASH *___*

Scusate, non è da me lasciarmi andare a fluffosità nei confronti del nostro riccioluto chitarrista, ma dopo questi suoi pensieri è impossibile non volergli tirare le guanciotte :3

Ok, mi ricompongo XD

Cosa ne pensate di questo capitolo? Io devo dire che mi sono sorpresa parecchio mentre lo scorrevo: l’ho scritto prima di leggere il libro di Slash, eppure avevo azzeccato già molte cose riguardo alla caratterizzazione dei personaggi (per esempio Steven Adler).

E a proposito… IL MIO ADORATO STEVEN *___*

Per chi non lo sapesse, lui è il primissimo batterista dei Guns N’ Roses, prima dell’ingresso di Matt Sorum nel 1990, ed è stato allontanato dalla band per i suoi problemi con la droga.

Vi devo alcune informazioni per quanto riguarda l’ultima scena, anche se alcuni di voi sapranno già questa storia.

Nel 2012 i GN’R sono stati inseriti nella Rock’N’Roll Hall Of Fame. Alla cerimonia di introduzione, da quel che ho capito, hanno partecipato Slash, Duff, Matt, Steven e Gilby Clarke (ex chitarrista ritmico dei Guns). La partecipazione di Axl Rose, invece, è rimasta in sospeso fino a pochi giorni prima della fatidica serata, quando ha poi pubblicato un lungo post in cui afferma di non voler partecipare e spiega i suoi motivi per cui ha preso questa decisione. Nel caso lo voleste leggere, vi lascio qui il link:

https://metalitalia.com/articolo/guns-n-roses-axl-rose-rifiuta-lintroduzione-nella-rock-and-roll-hall-of-fame/

Quando Steven si lamenta che il cantante gli ha gettato merda addosso, si riferisce a questo passaggio del suddetto post:

Steven è venuto allo show che abbiamo tenuto nel 2006 all’Hard Rock di Las Vegas, l’ho invitato al nostro after-party e siamo stati ripagati con le sue successive interviste piene di bugie su una reunion. Lezione imparata.

Ovviamente non posso garantirvi che questo sia vero, mi limito a copiare ciò che trovo su internet ^^

Ho anche dedotto che Steven fosse parecchio arrabbiato per questa cosa, dal momento che ha commentato: “È una vergogna, una cosa molto triste. […] È irrispettoso non solo nei confronti della band, degli altri quattro membri originali, ma anche verso i nostri fan”. Leggendo poi la biografia di Slash, ho scoperto che in effetti Steven e Axl non sono mai andati particolarmente d’accordo.

Infine, altra cosa reale: Slash afferma di non essere stato lui a proporre Myles come cantante per l’esibizione di quel giorno, così ho cercato di indagare i motivi dietro a questo gesto, ovviamente a modo mio. Queste le parole del chitarrista: “Sono stati gli altri ragazzi a suggerire Myles come cantante, e io ho pensato fosse una grande idea”.

Molti di voi sanno già com’è andata a finire, ma per chi invece non conosce questa storia, lascio la suspense: Myles accetterà o no?

Anche stavolta mi sono dilungata abbastanza, quindi lascio a voi la parola, nella speranza che la storia continui a piacervi! E ringrazio DI CUORE i miei lettori e recensori per il continuo supporto :3

Alla prossima settimana!!!

 

 

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Capitolo 5
*** Hall Of Fame ***


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V

 

Hall Of Fame

 

 

 

 

“Slash!”

Quando sentii quella voce che chiamava il mio nome, con quell’inflessione dolce e delicata, mi fece sussultare e mi voltai di scatto. Mi era mancato così tanto!

Myles era appena entrato nel backstage e mi regalava un sorriso a trentadue denti. Era lì, davanti a me, dopo troppi mesi di lontananza; mesi in cui non avevo posato lo sguardo sul suo bel viso, non avevo goduto della sua vicinanza, battibeccato e chiacchierato con lui. Non avevo sentito il suono della sua voce canticchiare distrattamente o quello della sua chitarra, leggero ma sicuro. Non avevo sentito la sua risata contagiosa e cristallina che faceva ridere anche me.

Mi avvicinai a lui cautamente, cercando di non dare troppo nell’occhio e di non esplodere in qualche reazione esagerata, ma quando gli fui di fronte non mi diede neanche il tempo per aprir bocca ed esclamò: “Amico, dammi un abbraccio!”. Detto questo, mi si gettò addosso e mi strinse a sé con affetto.

Io rimasi interdetto, come al solito, e non seppi bene come reagire; istintivamente ricambiai la stretta, come l’ultima volta che ci eravamo salutati, ma poi mi ricordai che non me lo potevo permettere, non mi potevo lasciar andare in quel modo. Per fortuna il nostro contatto durò molto poco, Myles si staccò da me e piegò appena la testa di lato. “Allora, come stai? Io sono arrivato da qualche minuto, sono un po’ stanco.”

“Io abbastanza bene. Ci hai salvato, grazie per essere venuto” replicai riconoscente. “Non hai portato nessuno dei tuoi? Mark o qualcun altro?”

Lui scosse la testa. “Ho chiesto ai ragazzi, ma con così poco preavviso non si sono potuti organizzare. Vabbè, non è un problema” mi rassicurò.

Annuii poco convinto. Non mi andava tanto a genio che avesse fatto il viaggio da solo e che non avesse nessuno con cui passare il tempo, dovevo fare in modo di stargli vicino e coinvolgerlo.

“Vieni, ti presento gli altri” affermai, facendogli strada verso il camerino che ci era stato fornito per l’occasione.

“Pensi che riuscirò a suonare con voi anche se non abbiamo mai provato?” mi chiese Myles mentre mi camminava accanto.

Lo scrutai con la coda dell’occhio e notai la sua espressione pensosa e scettica; forse quest’esibizione gli metteva ansia, del resto non era stato facile convincerlo ad accettare. All’inizio il suo era stato un categorico no, avevo dovuto insistere un po’ e fargli capire che tutti noi ci fidavamo di lui, e infine si era convinto perché non sopportava l’idea di lasciarci senza un cantante in un giorno così importante.

“Penso proprio di sì, non è la prima volta che canti i brani dei Guns e si può dire che li conosci meglio di me” affermai sicuro.

“Eppure sono sicuro che la gente non mi vedrà di buon occhio, voleva vedere Axl in quest’occasione” si rabbuiò lui.

Scossi il capo, irritato anche solo dal nome del mio vecchio collega. “Axl Rose ha deciso di non venire e per questo i nostri fan sono incazzati con lui, ma non se la prenderanno con te. E, nel caso, li lasceremo dire.”

Lui non replicò e si limitò a scrollare le spalle, ma la sua espressione rimase corrucciata.

Una volta davanti alla porta ben chiusa del camerino, mi fermai e mi sfilai gli occhiali scuri, che ovviamente avevo indossato anche in quell’occasione, poi guardai Myles dritto negli occhi. “Ti prego, basta essere in ansia, stai tranquillo. In qualunque modo andrà, a noi starà bene e deve essere così anche per te. Me lo prometti?” Avevo iniziato il discorso in tono fermo e quasi piatto, ma poi avevo addolcito il tono della voce.

Lui sostenne il mio sguardo, nei suoi occhi celesti si leggeva un leggero disagio, poi le sue labbra si incurvarono in un dolce sorriso. “Va bene, ci proverò!”

Mi costrinsi a distogliere lo sguardo da lui e aprii la porta del camerino; una volta all’interno, mi guardai attorno e notai che Duff, Matt e Steven – quest’ultimo impegnato nel rollare una stecca d’erba – stavano amabilmente conversando con Flea, il bassista dei Red Hot Chili Peppers.

“Ehi Slash, come butta?” mi salutò non appena mi vide, accennando un mezzo sorriso.

Gli rivolsi un cenno, poi mi schiarii la gola per attirare l’attenzione. “Ragazzi, questo è…” cominciai ad annunciare, ma venni interrotto da Duff.

“Myles Kennedy, giusto? Molto piacere!” esclamò infatti il bassista, posizionandosi davanti a noi in un attimo e tendendo una mano al mio cantante.

Lui sorrise educato e gliela strinse. “Sì, sono io. È un onore conoscerti!”

Duff sorrise. “Slash ci ha parlato così tanto di te, che ormai la leggenda sei diventato tu!”

Non potei fare a meno di arrossire; Duff era un coglione, avrei voluto prenderlo a schiaffi. “Non è vero che ne parlo così tanto, sei uno stronzo” bofonchiai sulla difensiva.

Anche Steven a quel punto si era avvicinato a noi e aveva scambiato una stretta di mano con Myles. Quest’ultimo abbassò lo sguardo e ridacchiò imbarazzato. “Ma dai, non sono un argomento di conversazione così interessante. Del resto siete voi a entrare nella Hall Of Fame!”

“Tu sei il cantante dei…?” intervenne Flea, accostandosi a noi e ispezionando Myles con lo sguardo.

Il ragazzo era diventato l’attrazione di tutti, sicuramente si sentiva in imbarazzo nell’essere al centro dell’attenzione.

“Degli Alter Bridge” rispose col suo solito fare cortese.

“Alter Bridge… okay, penso di aver capito. Mi raccomando, fai un buon lavoro con le parti di Axl” disse il bassista, per poi avviarsi verso l’uscita.

“Ma dico, hai mai visto un video in cui si esibisce dal vivo? È un mostro, quella merda di Rose dovrebbe baciare il terreno dove passa!” gli gridò dietro Steven, scatenando le risate generali. Il batterista ancora non aveva smaltito la rabbia nei confronti di Axl e ogni tanto si faceva prendere dalle emozioni.

Myles mi lanciò un’occhiata preoccupata e io capii che dovevo fare qualcosa per aiutarlo, non gli piaceva avere tanti sguardi addosso.

“Vieni Myles, siediti pure” lo invitai, facendo cenno verso l’enorme divano ad angolo dove stazionava Matt. Quest’ultimo si presentò a Myles non appena prendemmo posto, uno di fianco all’altro.

Io e il cantante cominciammo subito a chiacchierare del più e del meno, come al solito, e di tanto in tanto gli altri intervenivano nella conversazione. All’interno della stanza si respirava un’atmosfera tranquilla e distesa, nulla a che vedere con i backstage dei concerti dei Guns, più di vent’anni prima.

Qualche minuto dopo sentimmo bussare alla porta e Steven andò ad aprire.

“Myles Kennedy è già arrivato?” domandò un roadie, sbirciando all’interno della stanza.

Il diretto interessato si mise in piedi. “Sono io.”

“Dovrebbe rilasciare un’intervista” gli comunicò l’uomo.

Myles annuì e lo seguì subito all’esterno. Quando la porta si richiuse, avvertii un vuoto quasi doloroso nella stanza. Sospirai.

Steven mi raggiunse e si stravaccò nello spazio vuoto accanto a me, lanciò un’occhiata a Duff e Matt che battibeccavano tra loro dall’altra parte della stanza, poi posò il suo sguardo indagatore su di me.

Mi accigliai. “Che cazzo hai da guardare?”

“Quanto ti piace?”

“Di cosa stai parlando?”

Lui assunse un’aria cospiratoria e si sporse verso di me. “Quel Kennedy. Sei completamente innamorato di lui.”

Strabuzzai gli occhi e sentii un tuffo al cuore. Come poteva Steven essersene accorto? Si notava davvero così tanto? Non mi andava affatto di affrontare quell’argomento. “Vaffanculo” borbottai soltanto.

“Ah, colpito e affondato! Vuota il sacco, Hudson!”

“Non mi piace” cercai di negare.

“Andiamo, vuoi prendermi per il culo? Sei diventato un’altra persona da quando lui è in questa stanza, te lo mangi con gli occhi, stai attento alle parole che usi… ah, se questo non è amore!” cinguettò il mio amico con sguardo sognante.

Sbuffai, cercando di rimanere impassibile. “Ne possiamo parlare in un altro momento?”

In realtà ero molto in ansia: non pensavo che i miei sentimenti verso Myles si notassero tanto, avevo fatto di tutto per tenerli nascosti. E se lui se ne fosse accorto? E se stessi rovinando tutto?

“No, ne parliamo qui e adesso, gli altri non stanno facendo caso a noi. Allora?” mi incalzò ancora Steven.

Quanto era testardo! Era per quello che l’amicizia tra me e lui era sempre andata avanti con successo: io mi tenevo tutto dentro, lui insisteva finché non portavo tutto fuori.

“Ti prego, dimmi che non si nota così tanto” farfugliai infine, arreso.

“Io lo noto perché ti conosco da una vita, ma non penso che qualcun altro ci abbia fatto caso, specie Myles. Quindi, si può sapere in che rapporti siete? Lo ammiri e basta o te lo vuoi anche scopare?”

Gli mollai una gomitata e lo incenerii con lo sguardo. “Ma sei rincoglionito?”

“Però non mi hai risposto” mi fece notare, massaggiandosi le costole laddove l’avevo colpito.

Mi morsi il labbro inferiore, indeciso su che parole utilizzare. Era la prima volta che esprimevo a parole quei sentimenti dopo due anni che li provavo, non sapevo bene nemmeno io come definirli e come averci a che fare.

“Allora… sì, lo so che sembra una cosa ridicola, ma penso di…”

Amarlo.

“Pensi di…?”

Deglutii. “Essere interessato a lui. In tutti i sensi.”

Steven strabuzzò gli occhi. “Oh, merda… sei attratto da un uomo?”

“Non… non sono solo attratto, Myles è… insomma, mi piace il suo carattere… sto meglio quando c’è lui” biascicai. Ormai il mio viso era in fiamme e, senza quasi accorgermene, avevo acceso una sigaretta.

Steven si raddrizzò sul divano e mi guardò dritto negli occhi, attraverso la nuvola di fumo che mi fluttuava di fronte al viso, poi mi batté piano una pacca sulla spalla. Era tremendamente serio. “Cazzo, sei nella merda. Però… secondo me è una cosa bellissima. Non ti avevo mai sentito parlare così, guardare qualcuno in quel modo.”

Presi una boccata di fumo. “Sei serio?! Non è bellissimo, è solo un fottuto casino. Ci ho messo un secolo ad accettare questa cosa, ancora mi sento in colpa quando penso a Myles in un… certo modo.”

Era surreale: mi ero portato a letto un numero indefinito di donne e ne avevo sempre parlato senza alcun filtro e alcun problema, eppure quando si trattava di Myles era come se si risvegliasse una parte inedita di me, che mi portava a proteggere quei sentimenti e ciò che li riguardava. Che mi portava a proteggere Myles.

“Perché non glielo dici?” se ne uscì Steven dopo qualche secondo di riflessione.

Scoppiai a ridere. “Okay, l’ho capito, mi prendi per il culo. Secondo te potrei mai fare una cosa del genere e rischiare di rovinare tutto? Myles è etero e in ogni caso non prova nessun interesse nei miei confronti, le cose devono rimanere come sono.” Ammettere ad alta voce quella verità mi feriva nel profondo; ciò che faceva più male era la consapevolezza di dover stare accanto a Myles senza poterlo toccare e stringere, senza poter godere del suo calore.

Afferrai una birra posta sul tavolino basso di fronte a me e la aprii. Avevo bisogno di alcol.

“Quindi soffrirai in silenzio per il resto dei tuoi giorni? Slash, secondo me è una cazzata, se ti confidassi con Myles ti potrebbe aiutare lui stesso…”

“No” lo interruppi bruscamente. “Non voglio che cambi punto di vista su di me, che si allontani per paura che io faccia qualcosa di troppo. Non lo voglio intimorire, sono disposto a stare in silenzio pur di averlo ancora accanto come ora.” Solo quando arrivai alla fine del discorso mi resi conto di aver usato un tono estremamente sdolcinato e che gli occhi mi pizzicavano appena.

“Posa quella cazzo di birra” mi ordinò Steven.

Feci come mi diceva e schiacciai anche il mozzicone nel posacenere. Un istante dopo il mio amico mi stringeva in un forte abbraccio; quel gesto bastò a farmi capire che Steven, il mio migliore amico da una vita, era dalla mia parte e mi sosteneva.

“Non so se sia la droga o la vecchiaia ad averti rincoglionito così, ma quando fai questi discorsi da innamorato sei un tesoro!” commentò, tra sincero e divertito, mentre scioglievamo l’abbraccio.

Gli diedi una leggera spinta e scoppiammo a ridere come due idioti.

Quella chiacchierata mi era servita per schiarirmi le idee.

 

“E la volta che ho sfondato la porta a vetri perché non mi ero accorto che c’era?” biascicò Steven, scoppiando a ridere subito dopo. Era ubriaco marcio, in piedi e in equilibrio precario su una sedia, e si era appena scolato chissà quale superalcolico contenuto in un bicchierino.

Ridacchiai e tastai il cuscino del divano accanto a me, in cerca del mio cilindro che avevo abbandonato da qualche parte. Trovai solo il braccio di Duff che, complice la sbronza, era crollato in un sonno profondo.

Già, eravamo tutti brilli, me incluso; del resto quello era un giorno da festeggiare degnamente, i Guns N’ Roses erano ufficialmente entrati a far parte della storia del rock.

“Di chi è questo cilindro?” La voce impastata di Myles giunse alle mie orecchie, anche se non riuscivo a vederlo.

“Mio!” risposi.

Poco dopo un barcollante Myles entrò nel mio campo visivo: sul viso aveva dipinto un enorme sorriso storto e si era infilato il mio cappello in testa. Era la prima volta che lo vedevo così ubriaco e mi faceva una gran tenerezza.

Presi a sghignazzare senza ritegno e non riuscivo a smettere, non c’era verso.

“Votate il signor Kennedy alle prossime elezioni del presidente!” strillò qualcuno dal fondo della stanza, forse era uno dei Red Hot Chili Peppers, o forse era Billie Joe Armstrong. Chiunque fosse, era ubriaco almeno quanto me.

Afferrai Myles per un braccio e lo trascinai sul divano, senza smettere di ridere, poi gli sfilai il mio cappello dalla testa. Lui non oppose resistenza, debole com’era, e lasciò ciondolare la testa finché non la abbandonò sulla mia spalla.

Oddio, cosa stava succedendo? Va bene, avevo esagerato con l’alcol, ma ero ancora in me, abbastanza per rendermi conto che uno dei miei più grandi sogni si stava realizzando.

“Myles?”

Mmh?”

“Tu in che albergo alloggi?”

“Albergo? No, io sono venuto in aereo! Ehm… se vedi qualche gatto avvisami, devo dargli da mangiare” prese a vaneggiare, per poi scoppiare a ridere e posarmi una mano sul petto.

Quanto era adorabile in quello stato? Se da sobrio lo amavo, da sbronzo mi faceva impazzire ancora di più. E poi avevo il suo corpo contro il mio, come mai era capitato prima.

“Va bene, ho capito, allora vieni in albergo con noi, dobbiamo continuare i festeggiamenti” farfugliai.

“Slash, Myles, voi mi fate da testimoni di nozze quando… nozze, oddio, nozze, che bel suono ha questa parola!” esclamò Steven con un sorriso sghembo; dopodiché scese piano dalla sedia, si avvicinò a un vaso di fiori abbandonato in un angolo e ci vomitò dentro.

“Io non voglio vomitare” mugolò Myles in tono lamentoso, stringendosi di più a me.

Gli passai un braccio attorno alle spalle. “No, tu non vomiterai. Andiamo, ti porto in albergo” affermai. Mi sentivo un po’ più lucido, riuscii perfino ad alzarmi con successo e aiutare Myles a fare lo stesso.

“Dobbiamo festeggiare ancora?” mi chiese Myles, sorreggendosi a me.

“Certo” lo rassicurai.

Con un leggero calcio svegliai Duff, che si mise a sedere di botto con gli occhi sbarrati, poi trascinai Steven per un braccio mentre ancora si puliva il muso con la manica della maglietta. Matt era sparito, forse era in bagno, comunque non me ne preoccupai.

Dovevamo tornare in hotel e Myles sarebbe venuto con me, non sapevo dove alloggiasse e in ogni caso non l’avrei mai lasciato da solo in quelle condizioni pietose.

“Slash?”

“Sì?”

“Sono venuto in aereo o in treno?”

“Non lo so, che differenza fa?”

“Eh… forse… devo rispondere a Mark.”

“Va bene, poi gli rispondi.”

“E i gatti dove sono?”

Scoppiai a ridere e mi esibii in un miagolio. Myles miagolò a sua volta e ridacchiò. Dovetti trattenermi con tutte le mie forze per non impossessarmi delle sue labbra e baciarlo fino a togliergli il respiro. Mio dio, mi stava mandando fuori di testa.

Per fortuna la presenza di Steven e Duff alle nostre spalle mi impedì di compiere gesti avventati.

Ma gli posai le labbra su una guancia, solo per un istante, sicuro che Myles l’avrebbe rimosso dalla sua memoria; lui mi abbracciò e infilò le dita tra i miei capelli.

Stavo benissimo in quel momento, nonostante fosse solo un’illusione. Il giorno dopo stargli lontano sarebbe stato ancora più doloroso.

 

 

 

 

 

Ciao a tutti, buon martedì a tutti (o forse dovrei dire buon mercoledì, visto l’orario in cui aggiorno XD)

Come anticipato, ecco a voi la famosa cerimonia di introduzione alla Hall Of Fame! Ci sono alcuni fatti che rispecchiano la realtà e altri che invece si discostano. Cercherò di riassumerli:

-        Myles all’inizio era davvero tentato di non partecipare ala R’N’RHOF, ecco le sue parole: "Era troppo per me, quindi all'inizio ho pensato di non farlo, ma più ci pensavo e più mi dicevo che dovevo dare il meglio di me”.

-        Alla cerimonia, anche se non l’ho menzionato, c’era anche Gilby Clarke.

-        Ho inserito Flea dei Red Hot Chili Peppers perché anche loro erano presenti alla cerimonia di premiazione del 2012.

-        Ho nominato anche Billie Joe Armstrong dei Green Day perché è stato lui a fare il discorso introduttivo ai Guns. Tra l’altro si è dovuto subire l’ira del pubblico, che ha preso a fischiare e insultare Axl per la sua assenza XD povero Billie, e lui che c’è finito in mezzo!

-        Ho fatto ubriacare un po’ tutti in questa scena XD anche Duff, che in realtà si è disintossicato e ripulito tanti anni fa (l’ha dovuto fare per motivi di salute, e a quanto so non se n’è pentito)… mentre Slash, beh, nella sua autobiografia dichiara di essersi ripulito nel 2006. Comunque era divertente vedere tutti ubriachi e quindi okay :D

Spero vi sia piaciuta la scenetta tra Slash e Steven, il nostro innocente e disastroso biondino! Personalmente è un personaggio che amo, e mi piace anche l’amicizia tra lui e Slash. Per questo l’ho scelto per il momento di confidenza del chitarrista ^^

Altra cosa che non c’entra niente con la storia, ma ho voglia di condividerla con voi: HO COMPRATO I TRE CD DI SLASH, MYLES & THE CONSPIRATORS *___* non avete idea della mia gioia quando oggi ho aperto il pacco e li ho presi in manoooo!

Ora la smetto di vaneggiare e vi lascio, sperando che anche questi frammenti vi siano piaciuti! Attendo i vostri commenti, se vi va :3

Alla prossima settimana!!!

 

 

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Capitolo 6
*** In The Same Room ***


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VI

 

In The Same Room

 

 

 

 

La prima cosa che avvertii fu un lancinante mal di testa, che mi riscosse con prepotenza dal sonno; qualsiasi speranza di riposare ancora, si infranse in quel momento.

Dovevo darci un taglio con l’alcol, sopportare gli effetti del post-sbronza stava diventando difficile per me.

Man mano che riprendevo conoscenza, mi rendevo conto di diversi dettagli: prima di tutto avevo scalciato via le coperte, che ora avvolgevano soltanto le mie gambe e lasciavano il resto del corpo a contatto con l’aria fresca. Tuttavia non rabbrividii, avevo una fonte di calore alla mia sinistra, alla quale ero addossato e che mi intiepidiva il fianco e parte della schiena.

Cercai di trovare una risposta a quella presenza, ma il mio cervello non voleva saperne di funzionare; allora mi scostai appena dalla persona sdraiata accanto a me, mi voltai lentamente e schiusi gli occhi, permettendo alla luce del mattino di ferirli.

Allora il mio cuore perse un battito, mentre i ricordi della sera precedente mi ripiombavano addosso come una pioggia di proiettili.

Myles, proprio lui, il mio Myles. Era supino sul materasso, stipato in un angolino, immerso in un sonno profondo e sereno, come suggeriva il suo viso disteso e il suo corpo privo di tensioni. I capelli lunghi e scarmigliati erano sparsi sul cuscino candido, in netto contrasto con la sua pelle fin troppo pallida, e la leggera maglia nera a maniche lunghe che gli fasciava il corpo si sollevava e abbassava all’altezza del petto, regolare, al ritmo del suo respiro.

Per me, di buon mattino e in pieno stato confusionale, quella era una visione talmente celestiale da essere scioccante. Avevo dormito accanto a lui, mi ci ero rannicchiato contro, mi ero beato del suo calore.

Avevo trovato una marea di scuse per fare in modo di portarlo in camera mia, la sera prima: non sapevo quale fosse il suo albergo e non mi andava di lasciarlo da solo; una volta giunto al mio hotel avrei potuto chiedere una stanza tutta per lui, ma ero troppo sbronzo e stanco per pensarci, e poi avevo capito che Myles aveva bisogno di aiuto e assistenza, mi sentivo più sicuro a monitorarlo durante la nottata. Queste erano le scuse che mi ero raccontato e che anche in quel momento continuavo ad accampare, ma ero talmente ridicolo che mi veniva spontaneo ridere di me stesso.

Immerso com’ero nei miei pensieri, quasi non mi accorsi che avevo preso a fissare Myles con insistenza: lasciavo scorrere il mio sguardo sul suo corpo, lo esaminavo in ogni suo dettaglio affinché si imprimesse nella mia memoria. Un’occasione del genere non sarebbe mai più capitata, dovevo approfittarne.

Quanto avrei voluto far scorrere anche le mie dita sulla sua pelle così perfetta… ma ancora una volta mi trattenni, non potevo, avrei rischiato di svegliarlo.

Desideroso di stare a contatto con lui, decisi di godermi fino all’ultimo quel momento e mi rannicchiai nuovamente contro di lui, poggiando la testa sulla sua spalla e inspirando il suo profumo delizioso. Myles, nell’inconsapevolezza del sonno, si fece ancora più vicino a me fino a ritrovarsi con il petto premuto contro la mia schiena.

Io avvertii un intenso calore infiammare ogni singola cellula del mio corpo, ero in imbarazzo ma allo stesso tempo quel gesto era tutto ciò che speravo. Mi imposi di reprimere i miei istinti più viscerali, presi un respiro profondo, tentai di rilassare i muscoli e mi portai una mano sul petto, all’altezza del cuore: batteva all’impazzata, faceva pulsare ancora più forte le mie tempie già devastate.

Potevo ridurmi in quelle condizioni alla veneranda età di quarantasette anni? Io, Slash, la leggendaria rockstar che non aveva mai temuto niente, che non si lasciava ammorbidire da niente, ero preda di una stupida cotta come un adolescente in crisi ormonale, e non muovevo un dito per concretizzare questo curioso e sconosciuto sentimento.

Oh, sì che avevo fatto qualcosa, invece… proprio la sera prima, mi ero lasciato andare a una stronzata di cui mi ero subito pentito. Una volta in camera, complice l’alcol che annebbiava il mio buon senso, avevo baciato Myles. Era stato un gesto fugace, gli avevo sfiorato le labbra per pochi istanti, prima che lui corresse in bagno a vomitare. In quel momento avevo ringraziato di cuore i suoi conati, che mi avevano distolto dal commettere qualche altra cazzata; stordito, l’avevo seguito all’interno della piccola stanza e l’avevo sorretto, tenendogli indietro i capelli mentre lui si liberava lo stomaco dall’eccessiva quantità di alcol ingerita.

In fondo era stato divertente prendermi cura di lui, rispondere ai suoi sproloqui deliranti e aiutarlo a stendersi sul letto… ma ovviamente la mia più grande speranza era che al suo risveglio nessun ricordo riemergesse nella sua mente, non era il caso che venisse a sapere cos’avevo fatto, approfittandomi della sua debolezza.

Mentre quelle riflessioni mi affollavano la mente, accompagnate dal furioso martellare del mal di testa, avevo preso a giocare con una ciocca dei capelli di Myles quasi in maniera automatica, lasciandola scorrere tra le mie dita e avvicinandola al mio viso.

Non c’era nulla da fare: mi stavo rimbambendo.

 

 

 

 

Nonostante mi fossi svegliato, i miei sensi erano ovattati come se mi trovassi all’interno di una bolla isolante. Io, da solo, con il mio mal di testa lancinante.

Non sapevo quanto avessi bevuto la notte prima, ma una cosa era certa: da quando avevo smesso di abusare di alcol, tanti anni prima, non lo reggevo più tanto bene.

Quando aprii gli occhi e mi gettai un’occhiata attorno, mi accorsi subito che mi trovavo in una stanza sconosciuta, abbastanza lussuosa e luminosa. Giacevo sul materasso di un letto matrimoniale – il bianco delle lenzuola mi accecò non appena vi posai lo sguardo – e avevo freddo, qualche brivido mi increspava la pelle.

Non ero solo, mi resi subito conto di una presenza alla mia sinistra, anche se mi ci volle un po’ per voltarmi in quella direzione e scoprire la sua identità.

Slash era appollaiato sul bordo del materasso e stringeva una chitarra tra le braccia, lo riconobbi nonostante mi stesse dando le spalle, e allora ricordai un po’ di cose: la cerimonia di premiazione della Rock’N’Roll Hall Of Fame. Già, e poi cos’era successo? Come ci ero finito in camera con Slash? O forse era lui a trovarsi nella mia… ah, non ci capivo più niente, e di certo il dolore pressante che provavo alla testa non mi aiutava a ragionare e ricordare.

Mi lasciai sfuggire un mugugno lamentoso e tentai di arrotolarmi ancora di più nelle coperte per vincere il freddo. Questo attirò l’attenzione del chitarrista, che si sfilò entrambi gli auricolari e ruotò il busto per potermi osservare. “Buongiorno” mormorò in tono vagamente divertito.

“Buongiorno” biascicai, incrociando i suoi occhi scuri, stanchi almeno quanto i miei. “Ho fame. Cosa è successo ieri?”

“Mah, niente di che, diciamo che… abbiamo alzato un po’ il gomito, tutti quanti.”

“Grazie per avermelo detto, non l’avevo notato” borbottai sarcastico. “Intendo: cos’è successo mentre ero ubriaco? Non ricordo niente…”

“Non lo so, dimmi quello che ti ricordi e io provo a ricostruire il resto. Anche se non ti assicuro niente, sai, non ero proprio lucido.”

Mi concentrai per cercare di richiamare alla mente le scene della sera prima. “Allora, ricordo la nostra esibizione, che se non sbaglio è andata bene, e il pubblico che se la prendeva con Axl durante il discorso d’apertura di Billie Joe… poi ricordo che eravamo tutti insieme nel backstage, abbiamo cominciato a brindare e festeggiare, abbiamo riso un sacco… e fine, non ricordo altro. Non so dove sono e nemmeno come ci sono arrivato.” Feci spallucce.

Slash annuì. “È comprensibile, eri talmente fuori controllo che non hai fatto che delirare. Comunque, questa è la mia stanza d’albergo e sono le tre del pomeriggio.”

Mi passai una mano sulla fronte con fare esasperato. “Oddio, scusami, non volevo invadere così i tuoi spazi! Insomma, sei stato costretto a dormire con me…” Ero mortificato, lo conoscevo abbastanza bene per sapere che era un tipo riservato e raramente lasciava entrare qualcuno nei suoi ambienti personali.

“A te ha dato fastidio?” mi interruppe, diretto come sempre.

Mi sciolsi in un sorriso rassicurante. “Io? Ma figurati, nessun problema, lo dicevo per te!”

Slash sollevò un sopracciglio, segno che stava soppesando le parole da pronunciare. “In realtà non ero obbligato a ospitarti, potevo anche lasciarti in corridoio” commentò con finta noncuranza.

Scoppiai a ridere. “Certo, con tanto di bicchiere vuoto per chiedere l’elemosina!”

“Tuttavia,” proseguì lui, continuando la sua scenetta, “ho deciso di compiere questo gesto di carità nei tuoi confronti perché sono una persona generosa… e poi non penso che agli altri ospiti dell’albergo interessasse il contenuto del tuo stomaco.”

Strabuzzai gli occhi, in parte per la sorpresa, in parte per una fitta lancinante alla tempia destra. “Ho vomitato? Oh mio dio, ecco perché mi sento così vuoto qui” mormorai, posandomi una mano all’altezza dello stomaco.

“Chiamo e ci facciamo portare qualcosa in camera, nemmeno io ho mangiato” propose Slash, mettendosi in piedi e abbandonando la sua chitarra poco distante da me. Lo seguii con lo sguardo mentre circumnavigava il letto e sollevava la cornetta del telefono, posto sul comodino alla mia destra. “Cosa ti va di mangiare?”

Ci riflettei un attimo. “Non lo so. Qualcosa di pesante e malsano, tipo… un kebab.”

“Bene. Io invece mi butterò sul dolce” affermò lui.

“Come al solito” osservai.

Una volta terminata la chiamata, il chitarrista tornò a sedersi al suo posto e mi lanciò un’occhiata.

“Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere a tutto ciò. Insomma, mi hai portato qui, hai dovuto sopportare i miei conati, poi ti ho invaso il letto… ti ho rovinato la serata” ammisi, sinceramente dispiaciuto. Slash era sempre molto gentile e disponibile con me, ma nell’ultimo periodo mi pareva di starne approfittando un po’ troppo.

“Stai scherzando, vero?!”

“No, non scherzo. E poi mi sono rovinato la reputazione…”

“Quale reputazione?”

Ci scambiammo un’occhiata e io scoppiai a ridere, contagiando poi anche lui. “Ma che stronzo, e io che mi preoccupo!” lo rimbeccai.

“Dai, stammi a sentire!” Slash si fece nuovamente serio. “Quali parole devo usare per farti capire che non mi disturbi?”

Gli sorrisi, riconoscente. “Grazie, sei un amico.”

In quel momento sentimmo bussare alla porta e il chitarrista si mise in piedi per andare a controllare chi fosse. Dal canto mio, gli diedi le spalle e mi tirai le coperte fin sopra la testa, sperando di passare inosservato allo sguardo del nuovo arrivato. Mi sentivo un po’ a disagio nell’essere in quella stanza, più che altro mi domandavo cosa avrebbe potuto peensare un’altra persona se mi avesse trovato nella stanza di Slash.

Quest’ultimo intrattenne una breve conversazione con il cameriere che era venuto a consegnarci il pranzo, poi richiuse la porta e tornò a sedersi accanto a me con un grande vassoio in mano.

“Dobbiamo mangiare a letto?” m’informai, perplesso.

“Se la cosa non ti disturba…”

Scostai a fatica le lenzuola dal mio corpo, poi feci leva sui gomiti e mi sollevai con lentezza, sperando che il mio mal di testa momentaneamente assopito non si risvegliasse di colpo. Mi misi a sedere con la schiena contro la testiera del letto, passai una mano tra i miei capelli arruffati – più tardi avrei chiesto al mio amico se per caso avesse una spazzola in più – e infine spostai lo sguardo su Slash, che mi osservava in attesa.

“Ieri non ho sporcato in giro, vero?” chiesi all’improvviso.

Lui piegò la testa di lato. “In che senso?”

“Non ti ho vomitato addosso o, che so, per terra…” precisai.

“Ma ti pare il momento di parlarne, con tutto questo cibo davanti ai nostri occhi?” mi rimproverò indignato, poi entrambi scoppiammo a ridere come due idioti.

Mangiammo con avidità e io sentii quel fastidioso vuoto all’altezza dello stomaco che si colmava e scompariva.

Restammo tutto il pomeriggio e buona parte della serata rintanati in quella stanza, tra musica, chiacchiere, risate e antidolorifici per il mal di testa. Eravamo distrutti e spossati ma, come al solito, ne approfittammo per lavorare al nuovo materiale, perfezionare quello che avevamo già scritto e crearne di nuovo.

Solo verso le sei, dopo essermi dato una sistemata e aver fatto una doccia, ebbi il coraggio di mettere il naso fuori dalla stanza: non potevo permettermi di restare ancora lì, dovevo raggiungere al più presto gli Alter Bridge, sarei dovuto ripartire quella stessa notte.

Prima di lasciare l’albergo, strinsi Slash in un abbraccio e lo ringraziai di cuore per avermi coinvolto in quella splendida avventura; avrei voluto salutare e ringraziare anche gli altri della band, ma di loro non c’era traccia in giro e, a essere sincero, non sapevo nemmeno se alloggiassero in quello stesso hotel.

Una volta in taxi, diretto verso il mio alloggio – in cui in realtà non avevo alloggiato per niente, vi avevo solo appoggiato i bagagli – ricevetti una chiamata da Todd.

“Ehi” risposi, schiarendomi la gola.

“Myles! Com’è andata ieri? Gira voce che avete spaccato tutto!” esordì il bassista con il suo solito entusiasmo.

“Oh sì, devo ammettere che è andata abbastanza bene, ci siamo divertiti!”

“E scommetto che avete festeggiato alla grande!”

Annuii, poi mi ricordai che il mio amico non poteva vedermi. “Sì, talmente tanto che non ricordo nulla di cosa è successo dopo il concerto…” ammisi.

Todd si esibì in un fischio di approvazione. “Che figata, e dire che io non ti ho mai visto ubriaco!”

Risi. “Non ti sei perso niente, fidati! Slash dice che deliravo e mi ha pure dovuto assistere mentre… insomma, svuotavo il mio stomaco.”

“Si è preso cura di te?”

“Esatto, mi ha anche fatto dormire in camera sua perché non ero nelle condizioni per tornare nel mio albergo” raccontai.

“Ah, ma pensa un po’… e, fammi indovinare, aveva un letto matrimoniale in cui avete dormito insieme” insinuò il bassista in tono malizioso.

Sbuffai; non lo sopportavo quando si comportava così, mi veniva quasi voglia di chiudergli il telefono in faccia. “Todd, quante volte ti devo dire…”

“Andiamo, Myles, come puoi essere così ingenuo?” mi interruppe lui. “Slash è riservatissimo, non lascia entrare nemmeno le mosche in camera sua, però ha concesso a te di dormire nel suo stesso letto. Questo cosa ti porta a pensare?”

“Che si fida di me, perché siamo amici” affermai, ed era proprio ciò che pensavo.

“Sì, vabbè, lasciamo perdere… e dimmi, chi hai incontrato nel backstage della Hall Of Fame?”

Così cambiammo finalmente argomento e prendemmo a chiacchierare del più e del meno.

Una volta terminata la conversazione, persi lo sguardo fuori dal finestrino. In fondo Slash mi sarebbe mancato, era sempre piacevole trascorrere un po’ di tempo con lui.

Ma l’idea di stare di nuovo in compagnia dei miei Alter Bridge mi elettrizzava ancora di più.

 

 

 

 

 

Buon lunedì a tutti, lettori miei!

Eh sì, questa settimana ho aggiornato un giorno prima, e non a caso 😉 non vi anticipo altro, ma occhio a questa categoria o al mio profilo, potrebbe apparire una piccola sorpresa :D

Cooomunque… stavolta non ho grandi spiegazioni da dare, ma sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate! Secondo voi c’è speranza che Myles ricambi Slash? O per lui è veramente un semplice amico?

Grazie di cuore per essere ancora qui e per il supporto, sapere che la storia vi sta piacendo mi rende davvero felice :3

Alla prossima settimana… o forse no? O forse ci si vede un po’ prima? Eheheh

 

 

 

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Capitolo 7
*** Decision ***


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VII

 

Decisions

 

 

 

 

Mi sentivo uno straccio, era la prima volta dopo anni e anni che mi ritrovavo a letto con la febbre e una brutta influenza. Ciò che mi faceva davvero uscire di testa era la consapevolezza di essere in tour e non potermi astenere dal mio lavoro di cantante, ma la debolezza e il raffreddore mi impedivano di dare il meglio di me sul palco; mi sentivo in colpa nei confronti dei miei fan e degli altri membri della band.

Mi ero rintanato nella mia camera d’albergo quel pomeriggio, intenzionato ad avvolgermi nelle coperte e dormire fino all’ora del concerto, ma l’arrivo di un messaggio sul cellulare mi portò a rivalutare i miei piani.

Era Slash.

 

Come va? Ancora febbricitante? Se hai bisogno di qualcosa, puoi chiedere a me J

 

Sorrisi e optai per un messaggio vocale come risposta, dal momento che non avevo nessuna voglia di scrivere: “Sei in hotel? Se vuoi andare in giro per la città o qualcosa del genere non farti problemi, io me la posso cavare”.

La mia voce faceva schifo, come avrei fatto a cantare quella sera?

La sua risposta non tardò ad arrivare.

 

In realtà non ho molta voglia di uscire, sono un po’ stanco. E ho già finito con le interviste che avevo in programma.

 

Mi misi seduto sul letto e mi schiarii la gola prima di registrare una nota vocale da inviargli. “Se ti va puoi passare da me a farmi compagnia… se non hai paura di essere contagiato! Vieni, ti apro la porta!”

Neanche un minuto più tardi sentii bussare, allora mi misi in piedi e mi accostai alla porta. “Chi è?”

“Il dottor Hudson” rispose Slash in tono divertito.

Lo feci entrare e notai che si era portato appresso la sua chitarra, come al solito.

“Salve, signor Kennedy. Allora, com’è il suo attuale stato di salute?”

Sorrisi appena e tornai a sedermi sul bordo del letto, invitando Slash a fare lo stesso. “Altalenante, ma in questo momento tendente al miglioramento. Però ho una voce di merda, vero?”

Il mio amico mi lanciò un’occhiata stranita. “Stai scherzando? Questi concerti stanno andando benissimo.”

Scossi la testa. “Tu dici? A me non sembra. Andando avanti di questo passo, sarai costretto a cantare al posto mio!” scherzai.

“Pensi che non ne sarei in grado? Ti ricordo che nei Guns facevo parte dei cori” mi punzecchiò lui, fingendosi offeso e incrociando le braccia al petto.

“Bene, allora prego, fammi sentire: ti sei portato pure la chitarra appresso, ora cantami qualcosa” lo sfidai con un sorrisetto furbo.

“No no, non credo proprio” borbottò lui, abbassando lo sguardo.

“Ah, vedi? Slash non ha il coraggio, Slash non ha il coraggio!” cantilenai, poi afferrai il pacco di fazzoletti posato sul comodino e ne estrassi uno per soffiarmi il naso. Detestavo tutto ciò.

“Sì che ho il coraggio, stronzetto, solo che adesso non sono ispirato ed è da tanto che non canto, sono fuori allenamento.”

“Tutte scuse” lo apostrofai, sempre più divertito dalla situazione.

Lui allora sbuffò. “Posso provare a farti i cori, se canti una canzone che sia alla mia portata…”

Subito mi entusiasmai, per quanto le poche forze che avevo me lo permettessero. “Dici davvero? Lo faresti? Io ci sto, che canzone vuoi che canti?”

“Mah, una dei Guns…”

“Tipo? Don’t Cry o qualcosa del genere?” incalzai.

“Va benissimo quella.”

Mentre lui imbracciava la sua chitarra, io mi schiarii la voce e mi augurai che la mia povera gola infiammata non giocasse brutti scherzi.

Quando Slash suonò le prime note del brano, che conoscevo fin troppo bene, mi venne spontaneo sorridere e iniziare a battere una mano sul ginocchio per tenere il tempo.

“Ma sai che non mi ricordo bene neanche il testo?” ammise con una risata, senza smettere di suonare l’intro.

“Vabbè, dai, inventalo. Io dovrei cantare la linea vocale alta, giusto?”

“Non lo so, canta quello che vuoi.”

“Va bene. Io ci provo, ma sappi che se farai schifo non sarai il solo!”

Dopo poco iniziai a cantare, tenendo un volume di voce abbastanza basso – sia perché non era il caso di sforzarmi troppo, sia perché ero curioso di sentir cantare Slash. Peccato che lui, con la scusa di tenere lo sguardo abbassato, non stava affatto cantando.

“Dai, fai i cori, altrimenti non ha senso!” lo rimproverai scherzosamente con una pacca sulla spalla, tra un verso e l’altro della strofa.

“Entro nel ritornello, d’accordo?”

Gli rivolsi un’occhiata scettica e continuai a cantare.

Giunto al ritornello, osservai di sottecchi Slash e notai che era arrossito non appena aveva iniziato a cantare la sua parte.

 

Don’t you cry tonight

I still love you baby

 

Decisi di fare un esperimento e smisi di cantare di colpo, lasciando Slash da solo per il secondo don’t you cry tonight.

Lo ascoltai attentamente e dovetti ammettere che non aveva una brutta voce, non era nemmeno stonato. Poi lui, resosi conto di cos’era successo, si interruppe bruscamente e mi incenerì con lo sguardo. “Non fare mai più una cosa del genere, Myles Richard Kennedy!”

Scoppiai a ridere, poi ripresi a cantare come se nulla fosse.

 

Don’t you cry tonight

There’s a heaven above you baby

 

Ma non riuscii ad arrivare al termine del ritornello, era troppo per la mia povera gola che decise di ribellarsi: iniziai a tossire senza ritegno.

Slash smise di suonare e mi guardò con aria tronfia. “È il karma, piccolo mio!”

“Vaffanculo” borbottai, tra un colpo di tosse e l’altro.

Per fortuna mi ripresi in fretta, bevvi un sorso d’acqua e tornai a rivolgere la mia attenzione a Slash; lui mi scrutava con fare apprensivo e leggermente preoccupato, aveva messo via la sua chitarra e aveva preso a giocare con una ciocca dei suoi capelli scuri e arricciati.

“Tutto bene? Hai bisogno di qualcosa?” mi chiese.

“No, tranquillo, purtroppo ho ancora la gola irritata ma nulla di grave. Comunque… canti bene, perché non fai i cori anche nei nostri concerti?” gli proposi, sincero.

Lui scosse la testa, in imbarazzo per i complimenti appena ricevuti. “Todd è un bravo cantante, ci pensa lui. Comunque, a proposito dei Guns…”

Mmh?” mi incuriosii subito.

“Sei il primo a cui lo dico. In pratica si parlava di una reunion della band in formazione originale, Axl se n’è uscito con questa idea già diverso tempo fa e ha contattato me, Duff e Matt Sorum – ovviamente da Steven sta alla larga, non lo sopporta – e noi ancora non abbiamo dato una risposta.”

Quella confidenza mi spiazzò, non mi sarei mai aspettato una notizia del genere, soprattutto dal momento che i membri dei Guns N’ Roses già da decenni non riuscivano a stare nella stessa stanza senza riempirsi di insulti a vicenda, soprattutto Axl e Slash. Soppesai bene le parole prima di pronunciarle. “Wow! Beh, mi sembra una cosa interessante, cioè, se a tutti va bene si potrebbe fare. Ci stai pensando?”

“Inizialmente avevo scartato l’idea senza neanche ragionarci su, mi è sembrata una pessima idea e ho pensato che fosse una trovata di Axl perché ormai la band sta andando a puttane e lui vuole incrementare il suo fottuto patrimonio e il suo fottutissimo ego. Poi però mi sono domandato: e se ci riprovassimo? In fondo tutti noi siamo legati ai Guns e alle canzoni che abbiamo scritto, forse le cose potrebbero andare meglio ora che siamo tutti più grandi e maturi. L’unica cosa che mi blocca, come ben sai, è l’atteggiamento di Axl negli ultimi anni; hai visto come si è comportato anche per la Hall Of Fame, no?”

Annuii, in effetti non era una decisione così facile da prendere come poteva sembrare. “Magari, se riuscissi a convincere anche gli altri, potreste provarci seriamente. Se le cose dovessero andare male, sareste tu, Duff e Matt contro Axl.”

Slash prese a giocherellare con le corde della sua chitarra, poggiata sul materasso accanto a lui. “Non lo so, ci voglio pensare ancora. Comunque a me non servirebbe una reunion dei Guns per essere soddisfatto di ciò che faccio, questo progetto con te mi piace… e se dovessi accettare, non sarebbe certo per i soldi.”

Gli regalai un enorme sorriso. “Non ne dubito. Qualsiasi scelta farai, io sarò pronto a supportarti. E se hai bisogno di parlarne, per ragionarci su o per avere un parere esterno, io sono qui!”

Slash si illuminò e si sciolse a sua volta in un sorriso. “Grazie.”

Ma a interrompere quel bel momento ci pensò un  mio vigoroso starnuto, che fece sobbalzare Slash; poi entrambi scoppiammo a ridere.

“Ti immagini se durante il concerto di stasera mi succede una cosa del genere?” dissi, recuperando un fazzoletto.

“Praticamente il nostro pubblico farà la doccia gratis” commentò.

Gli mollai un pugno sul braccio e ridacchiai. “Che stronzo!”

 

 

 

 

Ehi Myles,

    ti sembrerà strano ricevere una lettera da me, che raramente mi esprimo in questo modo e preferisco parlare guardando il mio interlocutore negli occhi. Insomma, Slash che scrive una lettera… chi se lo aspetterebbe?

Ma ormai mi conosci abbastanza bene per sapere che, quando si tratta di questioni delicate e molto personali, perdo subito tutto il coraggio e la faccia tosta, pur di non portare fuori quello che ho dentro mi chiudo nel silenzio e svio il discorso.

Forse sto divagando, e anche questo non è da me.

Il fatto è che da anni sono tormentato da qualcosa di gigantesco, che ho tentato in tutti i modi di reprimere senza successo, ed è giunto il momento che tu lo sappia.

Non farò grandi giri di parole, non mi va e non serve, ma mi voglio assicurare che in questo momento, mentre leggi queste righe, tu sia da solo e tranquillo, perché sono consapevole che resterai sconvolto. Prenditi tutto il tempo che vuoi per assimilare ciò che leggerai e, per favore, fai in modo che nessuno oltre me e te lo venga a sapere.

Okay. Myles, ti amo. Da sempre, da quando ti ho conosciuto.

L’ho detto, ora lo sai anche tu.

So cosa stai pensando in questo momento, pensi che tutto questo sia uno scherzo di cattivo gusto… credimi, anch’io lo vorrei, invece è la fottuta verità con cui mi ritrovo a fare i conti ogni giorno.

Sappi che non mi aspetto nulla da te, so bene che questi sentimenti non sono ricambiati, quindi non ti preoccupare per me: se mi devi rifiutare, non porti scrupoli e fallo, puoi anche insultarmi se ti fa sentire meglio. Capirò.

Anzi, sai cosa ti dico? Non sei obbligato a rispondermi o a farmi sapere che hai letto, fai come se nulla fosse successo; penso che in questo modo ci risparmieremo entrambi un bel po’ di sofferenza.

L’unica cosa in cui spero è che questa confessione non cambi l’idea che tu hai di me, che non modifichi il nostro rapporto e non ti porti a diffidare. Non essere spaventato da me, non potrei mai fare qualcosa contro la tua volontà, io sono sempre io e vorrei che anche tu fossi sempre tu. Non sarà facile, all’inizio mi guarderai con disgusto e forse proverai pena per me, ma spero che col tempo ti lascerai questa storia alle spalle.

Te l’ho voluto dire perché per me era ormai diventato un peso troppo grande e difficile da sopportare, e perché mi sembrava corretto essere sincero con te.

Se sei giunto fin qui e non hai distrutto questa lettera, grazie. E grazie anche per essermi amico ogni giorno, la tua presenza è indispensabile per me.

S.

 

 

Quando staccai la penna dal foglio, la mano mi tremava leggermente. Non sapevo cosa mi avesse portato a mettere per iscritto quelle parole, a confessare quei miei sentimenti come se mi stessi rivolgendo a Myles, ma ne avevo sentito un profondo bisogno. Volevo parlargliene, fargli sapere ogni singola cosa, ero stufo di quella farsa che andava avanti da troppi anni e mi faceva stare sempre peggio; mi sentivo un vigliacco e un bugiardo, non ce la facevo più.

Volevo consegnargliela, quella lettera, dovevo prendere coraggio. Peccato che alla sola idea mi si accapponava la pelle, non riuscivo neanche a immaginare cosa ne sarebbe seguito.

Dovevo farlo quel giorno stesso, era la nostra ultima data del tour e molto presto ci saremmo dovuti separare.

Ci sarei riuscito?

Ripiegai il foglio e lo infilai nella tasca della giacca, in modo da averlo a portata di mano nel momento giusto, quando avrei trovato il coraggio.

Dovevo, volevo dargliela. In quelle poche righe avevo impresso tutto me stesso, come non sarei riuscito a fare nemmeno a parole. Era abbastanza squallido, lo dovevo ammettere, soprattutto da parte di una persona che si aggirava intorno alla cinquantina d’anni, ma era l’unica soluzione possibile al momento.

 

Mi chiusi la porta alle spalle, sospirai e abbandonai la mia chitarra in un angolo. Erano così fredde quelle pareti, nonostante il sole vi battesse ogni giorno con insistenza.

Il tour era finito, ero tornato a casa, da solo. Lontano da Myles.

La prima cosa che feci fu sedermi al tavolo della cucina, accendere una sigaretta e tirare fuori la lettera dalla tasca della giacca. Ma seriamente avevo creduto di potergliela dare? Ero davvero stato così ingenuo da credere di potermela cavare così? Quelle parole, quel fottuto pezzo di carta… era tutto fottutamente ridicolo e patetico.

Perché dire la verità a Myles, poi? Per farlo soffrire, vederlo soffrire e stare male a mia volta? Per vederlo allontanarsi sempre più da me? No, non aveva alcun senso, quelli erano dei demoni che dovevo affrontare da solo.

Posai il foglio sul piano del tavolo e vi passai la mano sopra, poi rilessi quelle parole – come se, nel corso di quei due giorni, non le avessi già imparate a memoria.

Mi venne da ridere e piangere insieme. Mi facevo schifo.

E così risi mestamente, mi presi in giro e mi insultai da solo, mentre le lacrime si riversavano fuori dai miei occhi, una dietro l’altra, una più stupida dell’altra. Erano anni che non piangevo, ma quella volta… quella volta stavo davvero male.

Le gocce salate piovvero sul foglio, distorcendo il tratto già incerto dell’inchiostro. Preso da un moto di rabbia, afferrai quel fottuto pezzo di carta e lo feci a pezzi, lo divisi e lo stracciai infinite volte, fino a renderlo una malinconica pioggia di coriandoli.

Poi mi passai una mano sugli occhi con fare sprezzante, pentito per essere scoppiato a piangere come un adolescente alla sua prima cotta. Mio dio, non ero affatto una persona matura. Avevo lavorato tanto su me stesso per imparare a mantenere il controllo, ma a quanto pareva non era servito a nulla, soltanto a illudere me stesso.

Mi alzai e andai in cerca di qualcosa da bere; sarebbe andato bene tutto, purché alcolico. Ripescai dal frigo una bottiglia di Jack Daniel’s, che subito stappai e iniziai a consumare con avidità. L’avrei volentieri fatta fuori nel giro di un minuto.

Afferrai il mio cellulare, soffiai via i frammenti della lettera che vi erano finiti sopra e feci partire una chiamata.

Il destinatario rispose dopo tre squilli.

“Sì?”

Tirai su col naso. “Duff, hai presente la proposta che ci ha fatto Axl? Quella di tornare a suonare tutti insieme nei Guns?”

“Sì, certo. Ma tu come mai tiri su col naso?” mi domandò in tono scettico e preoccupato.

“No, niente, prima ho starnutito” mi affrettai a giustificarmi. “Comunque… io penso che accetterò.”

“Cosa? Ma sei rincoglionito? Tu ad Axl non lo puoi nemmeno vedere, perché dovresti tornare a lavorare con lui?” sbottò il bassista.

“Ho bisogno di prendermi una pausa da tutto ciò, ricominciare, provare a ricostruire quello che si è deteriorato.”

…e tenere lontano dalla mia mente il pensiero di Myles.

 

 

 

 

 

Ehilà! Finalmente aggiorno questa storia, la settimana mi è sembrata davvero lunga e farmi sentire da queste parti mi era mancato!

Avete notato la nuova categoria??? Eh??? FINALMENTE sono riuscita a farla aprire dall’amministrazione, sono contentissima *-* adesso Slash, Myles e i Conspirators hanno uno spazio tutto loro!!!

Comunque… per chi non lo sapesse (ma la cosa mi sembra abbastanza improbabile), vi linko qui la canzone dei Guns N’ Roses che i due stavano cantando nella prima scena, ovvero Don’t Cry:

https://www.youtube.com/watch?v=zRIbf6JqkNc

Per quanto riguarda la faccenda dei cori, ho letto da qualche parte che Slash ne facesse parte nei Guns, ma siccome questi ultimi non mi piacciono molto non ve lo so dire con certezza, non ho mai guardato neanche un loro live su YouTube e non mi sono mai informata approfonditamente. Nel caso, correggetemi se sbaglio e mi scuso ancora una volta con i fan dei GN’R ^^

Che ne pensate di questo finale? Voi facevate il tifo affinché Slash desse la lettera a Myles?

Non sono mai riuscita a trovare con certezza il vero motivo per cui Slash sia voluto tornare nei Guns qualche anno fa, ma gli ho voluto dare una mia personale interpretazione alla cosa – tra l’altro era funzionale alla trama, quindi grazie Gins per esservi riuniti XD

Grazie a chi continua a seguirmi e leggermi, grazie a chi crede in me, spero di non deludervi :3

Alla prossima settimana!!!

 

 

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Capitolo 8
*** Threads, Anger & Uncertain Future ***


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VIII
 
Threads, Anger & Uncertain Future
 

 
 
 
Non ero per niente soddisfatto di com’erano andate le prove quel giorno. Ciò che mi irritava maggiormente era che la mia performance canora era stata penosa e non sapevo spiegarmi il motivo; inoltre avevo continui capogiri e un insistente mal di testa che non mi dava tregua da giorni.
Mi lasciai andare su un divanetto con un pesante sospiro e mi presi la testa tra le mani, sperando che la sala prove smettesse di girarmi attorno come fossi su una giostra.
Mark fu il primo a raggiungermi, dopo aver poggiato la sua chitarra in un angolo: mi affiancò sul divano e mi rivolse uno sguardo colmo di preoccupazione, ma non disse nulla.
Conoscevo bene quell’espressione e già sapevo cosa sarebbe successo di lì a breve: i ragazzi mi dovevano dire qualcosa e, a giudicare dal silenzio che regnava nella stanza, non era qualcosa di positivo.
“Allora, Myles,” cominciò Brian in tono pacato, mentre ancora armeggiava con il cavo del suo basso, “non ci hai ancora raccontato del tuo ultimo tour con Slash, com’è andata?”
Sbadigliai sonoramente; mi veniva davvero difficile tenere gli occhi aperti e il capo sollevato. “Bene, anche se… è stato parecchio stancante.”
“Lo abbiamo notato” borbottò Mark.
“Intendi dire per come ho cantato oggi? Lo so, è stata una merda, ma abbiate pazienza: non ho avuto nemmeno il tempo di posare le valigie e sono subito corso qui per le prove, non mi sembrava giusto farvi aspettare” cominciai a giustificarmi, davvero dispiaciuto.
“Ecco, miravamo proprio a questo” ammise Flip, diretto come al solito; il batterista ci raggiunse e si sedette sul pavimento ai piedi di Mark, poi puntò il suo sguardo tagliente e serio su di me. “Myles, seriamente, pensi di poter andare avanti così per tutta la vita? Da quanto tempo non prendi una pausa? Parti in tour con Slash e nel frattempo componi con noi, torni a casa e subito prove con Alter Bridge, registrazione dell’album, tour. E mentre stai con noi, pensi già alle nuove canzoni per l’album di Slash, e così via. Capiamo la tua buona volontà e la tua grande ispirazione, ma non ti sembra di esagerare un po’?”
Mi accigliai. “Flip, apprezzo la tua preoccupazione, ma se permetti ho quasi cinquant’anni e penso di poter decidere da solo cosa fare della mia vita” gli feci notare, cercando di mantenere la calma, ma la verità era che quel giorno – complice la stanchezza – mi sentivo particolarmente suscettibile e forse non era il momento giusto per affrontare una conversazione del genere.
“Quello che Flip sta cercando di dirti,” prese la parola Brian, “è che siamo preoccupati per te, oltre che per il tuo rendimento come cantante. Insomma, siamo tuoi amici, è normale che soffriamo nel vederti così.”
Misi su un sorriso forzato. “Siete molto carini, davvero, ma non vi preoccupate: so bene come gestire questa situazione.”
Mentre pronunciavo quelle parole, però, non ne ero del tutto certo: in genere avevo sempre tenuto sotto controllo i miei mille impegni, ma in alcuni momenti – come quello – sentivo come se la mia carriera da musicista stesse prendendo il sopravvento su di me. Forse era anche l’effetto dell’età che avanzava, del resto non avevo più la mente e il corpo di un ragazzino di vent’anni, anche se lo spirito era rimasto lo stesso di tanti anni prima.
“A me non sembra che tu sia così organizzato” brontolò Flip con fare dubbioso.
“Ah, no? Nel caso ve lo steste domandando, non lascerò mai gli Alter Bridge per colpa della stanchezza, potete dormire sonni tranquilli” cominciai a irritarmi, cosa che non era assolutamente da me.
“Non abbiamo dubbi, ma forse… ecco… dovresti allentare un pochino la presa su almeno uno dei due progetti, tutto qui. Perché questi ritmi rischiano di soffocarti” intervenne Mark, lanciandomi qualche occhiata di sfuggita.
Quelle parole furono la goccia che fece traboccare il vaso e persi la pazienza. “Fatemi capire: dal momento che rallentare il ritmo con gli Alter Bridge è fuori discussione – cosa su cui vi do ragione – mi state chiedendo di lasciar perdere per un po’ il progetto con Slash?! Ma che problemi avete? È il suo progetto, cazzo, non lo posso lasciare nella merda e non posso prendere una decisione da solo! E poi perché dovrei farlo? Per restare a casa a dormire mentre lui si incazza con me e cerca un sostituto?” sbottai, infervorandomi sempre più, parola dopo parola.
“Invece ti sembra meglio distruggerti con le tue stesse mani? Oppure, peggio ancora, mollare gli Alter Bridge per andare a fare il cantante di Slash?” ribatté subito Flip, scattando in piedi.
“Flip, calmati” tentò di placare gli animi Brian, ma senza successo.
“Sei geloso per caso, Scott Philips?” sbottai, giusto per il gusto di provocarlo e gridargli contro. La verità era che ero troppo stanco per controllarmi e capire l’inutilità di quella discussione.
“Perché dovrei? A me non fotte niente se suoni col chitarrista dei Guns N’ Roses, lo sai benissimo, a patto che questo non rovini la nostra band!”
“Basta, piantatela entrambi!” tentò di intervenire nuovamente Brian, ma anche quella volta lo ignorammo.
“Io infatti non rovino nulla, sono stato chiaro fin dall’inizio: il progetto con lui non avrebbe mai compromesso gli Alter Bridge, voi venite prima di tutto il resto! Ho sempre rispettato questa promessa, quindi non vedo dove sia il problema!” Mi dava fastidio che Flip o chiunque altro riportasse fuori questa questione, peraltro già chiarita anni e anni prima, perché mettevo anima e corpo in entrambi i progetti e avevo fatto il possibile per esserci per tutti. In quel momento era come se il mio lavoro venisse sminuito.
“Però, Myles, il fatto che tu ti divida tra noi e lui non ti sta facendo tanto bene come speravi. Tu stesso hai detto che gli Alter Bridge sono la priorità, quindi…” prese la parola Mark.
Sentire il chitarrista andarmi contro mi mandò su tutte le furie. Proprio lui, uno dei miei migliori amici, colui che mi aveva spinto ad accettare la proposta di Slash e mi aveva promesso di sostenermi sempre, qualsiasi fossero le mie scelte. Mi alzai dal divano e squadrai Mark dall’alto in basso, offeso. “Parli tu, che hai fondato i Tremonti. Proprio tu, che mi hai consigliato di non farmi sfuggire quest’occasione con uno dei miei idoli. Per quale motivo, poi? Perché sono stanco oggi e ho cantato di merda, eppure sapete benissimo che domani sarò di nuovo in forma, dopo una bella dormita. Grazie per la fiducia, voi sì che siete dei buoni amici.”
“Scusaci se abbiamo osato preoccuparci per la tua salute. E scusaci se ti abbiamo fatto notare che sei a terra già da diverso tempo” rispose mestamente Mark, stringendosi nelle spalle.
“Ripensa bene a quello che mi hai detto oggi, perché non sono belle cose” aggiunse Flip, occupando il posto che avevo lasciato libero sul divano e incrociando le braccia al petto.
“Bene, adesso basta per davvero. Myles, forse è il caso che torni a casa e ti rilassi un po’… te la senti di guidare con questo brutto mal di testa? Se vuoi ti posso accompagnare” si offrii Brian, utilizzando quel tipico tono irritante con cui si parla ai bambini capricciosi.
Lo incenerii con lo sguardo, infastidito da quel suo atteggiamento condiscendente. “Grazie, ma me la cavo da solo, non ho bisogno della scorta. Sai, ho quasi cinquant’anni, posso decidere di tornare a casa senza la supervisione di mamma e papà” sputai prima di lasciare la stanza, rivolgendo ai ragazzi solo un breve cenno di saluto.
Per quel giorno ne avevo abbastanza, ero incazzato con me stesso perché non ero riuscito a cantare in maniera dignitosa e con i miei amici perché pensavano di avere in mano le risposte per migliorare la mia vita. Le cose mi andavano bene così.
Non mi resi conto di quanto fossi stanco finché non mi sdraiai a letto. Mi addormentai quasi subito, nonostante fossero soltanto le nove e mezza di sera.
 
Il mattino seguente mi svegliai alle dieci, fatto a cui non ero per niente abituato. L’orario che troneggiava a caratteri cubitali fu la prima cosa che notai sullo schermo del mio cellulare quando lo afferrai; subito sotto un avviso mi comunicò che avevo un messaggio non letto da parte di Mark. Lo aprii e feci scorrere velocemente lo sguardo tra quelle poche righe.
 
Ci dispiace per come sono andate le cose ieri sera, forse abbiamo un po’ esagerato… e hai ragione quando dici che ci dobbiamo fare i cazzi nostri. È il caso di incontrarci da qualche parte pet chiarire questa cosa
 
Sorrisi amaramente e mi diedi dell’idiota: non ero più arrabbiato per quella discussione, anzi, mi ero reso conto di essermi comportato da vero stronzo con i ragazzi. Insomma, loro si erano preoccupati per me, come solo dei veri amici fanno, e io avevo sbraitato contro di loro per il solo gusto di farlo e dar voce alla mia stanchezza.
 
Ci vediamo direttamente alle prove stasera… scusatemi, ieri non c’ero proprio con la testa, ho fatto lo stronzo!
 
Digitai in fretta e mi rigirai tra le coperte, ancora con il cellulare in mano. Quella mattina non avevo nessuna voglia di alzarmi.
Non appena aprii internet, una notizia catturò subito la mia attenzione: i Guns N’ Roses si sarebbero riuniti in formazione quasi originale per dei concerti e, forse, un nuovo album. La cosa non mi sorprese affatto, del resto Slash me ne aveva parlato… ma poi non mi aveva fatto più sapere niente, non ero a conoscenza del fatto che avesse accettato, e questo mi portò a sospettare che si trattasse di una fake news. Insomma, il mio amico si era confidato con me e mi aveva promesso di tenermi aggiornato sulla questione, ma era ormai da giorni che non si faceva sentire. Qualche giorno prima gli avevo anche inviato un messaggio per fargli sapere che avevo trovato una sua maglietta in mezzo ai miei vestiti, mentre svuotavo la valigia del tour, ma non mi aveva risposto. Insolito da parte sua.
Decisi di chiamarlo per chiedere conferma sulla notizia dei Guns e per capire se fosse tutto a posto; senza sollevarmi dal letto, mi portai il cellulare all’orecchio e mi schiarii la voce. Gli squilli si susseguirono a vuoto e io attesi, ma Slash non rispose.
Che stesse ancora dormendo? No, non era da lui.
Cominciai a pormi tante, troppe domande: se il mio amico era davvero dentro i Guns, questo l’avrebbe tenuto molto impegnato. Avrebbe comunque portato avanti il nostro progetto? Io, Todd e Brent eravamo stati solo un rimpiazzo per lui in attesa di tornare al suo gruppo di origine, o ci avrebbe comunque incluso nei suoi piani?
Il fatto di non poterlo chiedere direttamente a Slash mi metteva ansia.
E se ciò in cui speravano i ragazzi degli Alter Bridge si stesse avverando?
 
 
♫ ♫ ♫
 
 
Avevamo appena terminato il soundcheck – mi piaceva, era uno dei miei momenti preferiti – e io me ne stavo in disparte nel backstage, con la mia chitarra tra le braccia, ad ascoltare i miei compagni di band chiacchierare. Tornare assieme ai Guns era stato bello, nonostante i numerosi problemi che si erano presentati durante l’arco delle prove pre-tour: in fondo eravamo sempre noi e, anche se con qualche anno in più, i nostri caratteri erano rimasti gli stessi. Così come i nostri battibecchi e i nostri scontri.
Quel giorno tutto filava liscio, ma io non riuscivo a essere contento; era da un pezzo che non riuscivo a portare fuori il mio solito entusiasmo, solo la mia chitarra era in grado di tirarmi su di morale. Speravo che nessuno dei miei compagni di band se ne rendesse conto, in fondo ero una persona abbastanza tranquilla pure quando ero contento, ma le occhiate fugaci ed eloquenti che mi lanciavano Axl e Duff mi indicavano che loro avevano intuito qualcosa.
Certo, quei due si facevano gli affari loro; se ci fosse stato Steven, mi avrebbe ronzato intorno e rotto le palle finché non avessi sputato il rospo. A volte Steven mi mancava, dopotutto era il mio migliore amico e sarebbe stato bello suonare con lui.
A pochi metri da me, Axl stava conversando con Frank, il batterista; non lo conoscevo affatto, dato che era entrato nei Guns solo una decina di anni prima, ma sembrava un tipo a posto.
“Comunque è impossibile imitare il sound dei Guns N’ Roses” stava commentando Axl, probabilmente riferendosi a qualcosa del soundcheck appena tenuto.
“Beh, bisogna ammettere che molto del merito è tuo, in fondo la tua voce e la tua presenza scenica sono un marchio di fabbrica della band” ribatté il batterista con un mezzo sorriso.
Dovetti riconoscere che Frank aveva ragione, ma ero troppo distratto per capire se stesse parlando sinceramente o dicesse quelle cose solo per tenersi buono Axl.
Quest’ultimo annuì. “Sinceramente non riesco a capire chi cerca di imitare me e la mia band. Prendi per esempio quel Myles Kennedy…”
A quel nome, le orecchie mi si drizzarono e mi concentrai subito sulle parole del cantante. Non potevo crederci: avevo fatto di tutto per dimenticarlo, avevo evitato le sue chiamate e raramente avevo risposto ai suoi messaggi, fin quando il mio amico aveva quasi del tutto smesso di cercarmi. Questo non mi faceva stare affatto meglio, ma averlo fuori dalla mia quotidianità lo allontanava anche dai miei pensieri.
E ora lo sentivo nominare da Axl.
“…insomma, bravo, ha una bella voce e penso che le sue versioni delle nostre canzoni siano ben fatte, ma in quanto a presenza scenica e coinvolgimento del pubblico ha ancora tanto da imparare” spiegò Axl con il suo classico tono da chi la sa lunga.
Slash, respira, mantieni la calma… reprimi l’impulso di avvicinarti a lui e spaccargli la chitarra in testa…
“Mi sa che questo Myles non ti sta molto simpatico” disse Frank con una risatina.
“Non te lo so dire, non lo conosco, però…” Axl assunse un fare cospiratorio e abbassò il tono della voce nella speranza che non lo sentissi. “Mi sembra un arrampicatore sociale. Slash gli ha proposto di prendere parte al suo progetto e adesso lui è passato da essere il frontman di una band underground a essere un cantante richiestissimo, che partecipa a tutti gli album che gli vengono proposti. Insomma, io non lo conosco, ma ho paura che possa rovinare Slash e mollarlo non appena troverà qualcosa di meglio, che gli faccia guadagnare più soldi e più fama.”
Fuori di me dalla rabbia, in due falcate mi ritrovai davanti a lui e mi sfilai pure gli occhiali scuri, in modo che Axl mi potesse guardare dritto negli occhi. Lo sapevo che era fatto così, diceva sempre quello che pensava, ma alla mia pazienza c’era un limite.
Come osava parlare di Myles in quel modo? Non lo conosceva affatto, non aveva neanche lontanamente idea di che persona fantastica fosse.
“Cosa? Fammi capire: cosa hai detto su Myles?” ringhiai.
Il cantante si esibì in un gesto noncurante con la mano. “Ah, Slash, hai sentito. Beh, quello che ho detto, niente di più e niente di meno.”
Quel suo atteggiamento mi mandava in bestia.
“Ma come cazzo ti permetti? Non lo conosci, non sai di che cosa stai parlando e non hai neanche idea di quanto Myles si impegni per il mio progetto. Quando non sai, ti conviene tacere!”
“Scusa se mostro una certa preoccupazione nei tuoi confronti, amico mio. Sei sempre stato un tipo abbastanza ingenuo, dovresti guardarti le spalle più spesso e indagare sulla gente con cui hai a che fare” sentenziò Axl mentre si accendeva una sigaretta.
“La tua preoccupazione ficcatela su per il culo, perché io non so che farmene. Sono già stufo di queste tue uscite da ragazzina del cazzo, impara a rispettare il lavoro altrui e scendi dal piedistallo, non sei l’unico bravo cantante sulla faccia della Terra.” Mi sorpresi di quanto, nonostante stessi ribollendo di rabbia, riuscissi a mantenere la calma; avrei volentieri preso a pugni Axl in quel momento.
Poteva parlar male di chiunque, gettare merda addosso a me e al mio operato, ma con Myles non si doveva azzardare.
“Ragazzi, dateci un taglio” cercò di intervenire timidamente Frank, che intanto aveva fatto un passo indietro.
Ma Axl lo ignorò e continuò a rivolgersi a me. “D’accordo, mi farò gli affari miei. Comunque il fatto che tu sia tornato nei Guns, nonostante il tuo progetto solista, la dice lunga.”
“Su che cosa, scusa? Ma davvero pensi di essere così indispensabile per la mia vita? Io non l’ho fatto per te, non l’ho fatto perché non sono soddisfatto dei miei Conspirators e non l’ho fatto per i soldi, ma perché tengo a questo gruppo e a queste canzoni. Del resto quello che ha tirato avanti la baracca nonostante si fosse sfasciata sei tu, poi ti sei accorto che le entrate erano diminuite.”
Forse stavo esagerando.
Axl non diede di matto, non era da lui. Mi rivolse semplicemente un’occhiata sprezzante e si avviò verso una porta che, molto probabilmente, conduceva al suo camerino. Prima di uscire di scena, si voltò nella mia direzione e concluse, in tono calmo ma tagliente: “Pensala come vuoi. Comunque sappi che questo Myles Kennedy ha rotto il cazzo, mi sono stancato di vederlo ovunque, è onnipresente e di certo non è in grado di rimpiazzarmi”.
Avrei voluto gridargli dietro che pure lui aveva rotto il cazzo e che Myles valeva molto più di lui, ma Axl se ne andò e mi lasciò così, a schiumare di rabbia.
La cosa più grave e umiliante era che, in tutto questo, avevo difeso Myles come un fidanzatino geloso e avevo messo su una scenata vergognosa che aveva attirato l’attenzione di tutti i presenti.
E io che mi ero illuso di averlo dimenticato o di poterlo dimenticare.
“Ehi, tutto bene?” mi domandò Frank, poggiandomi una mano sulla spalla.
Me la scrollai subito di dosso, posai la mia chitarra in un angolo e cominciai subito a cercare la via d’uscita: avevo bisogno di respirare aria pulita, uscire e mettere in ordine i pensieri.
Anche quel giorno – ormai capitava troppo spesso – mi domandai se tornare a suonare nei Guns N’ Roses fosse stata la scelta giusta.
Ero incazzato nero, confuso e profondamente triste, e quella sera avrei riversato tutte quelle emozioni sul pubblico, filtrate attraverso il suono della mia chitarra.
 
 
 
 

 
E siamo giunti al penultimo capitolo della storia! Un bel traguardo, direi, dato che quest’idea nasceva come una one shot XD
Che pensate di queste scene, in cui i nostri due ragazzi sono separati?
Non so bene perché, ma ho sempre pensato che gli Alter Bridge fossero in pensiero per il loro Myles, soprattutto da quando ha iniziato a lavorare con Slash e quindi il doppio della fatica ^^ diciamo che il loro litigio in qualche modo è anche tremendamente adorabile x’3
Per quando riguarda il pov Slash… oookaaay, diciamo che ho dato libero sfogo alla poca simpatia che provo per Axl XD non so se effettivamente pensa queste cose su di Myles (mi auguro di no, altrimenti se la deve vedere con me u.u), però mi è parso di capire che dice le cose che pensa senza peli sulla lingua, così l’ho usato come pretesto per far fare a Slash la scenata da fidanzatino geloso, come lui stesso l’ha definita XD
Grazie a tutti coloro che ancora sono qui, non smetterò mai di ringraziarvi per avermi seguito in quest’avventura fino alla fine :3
Alla settimana prossima!!!
 
 

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Capitolo 9
*** The Great Pretender ***


The Great Pretender

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IX

 
The Great Pretender
 
 
 
 
Un infinito susseguirsi di campi e bassi arbusti tutti uguali sfilava al di là del finestrino, alla mia sinistra, mentre il mio sguardo era immerso tra le righe di un libro; quando i ritmi del tour si facevano sfiancanti, leggere era un ottimo metodo per rilassarsi.
Anche Mark, Flip e Brian parevano distrutti, tanto che avevano finito per sonnecchiare ai loro posti, tranne il bassista che armeggiava col suo cellulare.
Un vibrare nella tasca della mia giacca attirò la mia attenzione, così lasciai andare il libro sulle mie ginocchia e portai fuori il telefono; Slash mi stava chiamando.
Sorrisi, piacevolmente sorpreso: era da measi che non lo sentivo, non aveva più risposto ai miei messaggi né tantomeno mi aveva chiamato. L’unica informazione che mi aveva dato era che il nostro progetto sarebbe continuato nonostante la reunion con i Guns N’ Roses, il che mi aveva rassicurato parecchio.
Non ce l’avevo con lui dopotutto, sapevo com’era fatto e a volte si rinchiudeva nel suo mondo o si lasciava assorbire dai suoi impegni; non aveva deciso di ignorarmi, non l’aveva fatto intenzionalmente.
“Pronto?” risposi.
“Ehi Myles, come stai?” mi domandò lui col suo solito tono calmo, che però tradiva un certo entusiasmo. Un po’ mi era mancato, dovevo ammetterlo.
“Slash! Io tutto bene, piuttosto… tu? Era da un po’ che non ti facevi sentire!”
Lui ridacchiò. “Eh, lo so, è stato un periodo molto intenso. Noi dei Guns eravamo un po’ arrugginiti, ti lascio solo immaginare quanto abbiamo dovuto provare per rimetterci in carreggiata.”
“Spero di riuscire a esserci almeno per una vostra data” ammisi, sebbene sapessi che sarebbe stato difficile incastrare quell’impegno con il lavoro degli Alter Bridge.
“A me farebbe molto piacere, puoi anche portare i tuoi ragazzi e ne potrebbe uscire una serata carina! Comunque… stai lavorando a qualche nuovo brano? Perché io ho già un po’ di materiale pronto.”
Mi illuminai. “Stai dicendo che dopo il tour con i Guns hai intenzione di fare un nuovo album solista?”
Slash rise, probabilmente divertito dal mio grande entusiasmo. “Dipende anche da te e dai tuoi impegni, non posso mica creare un album senza il mio cantante! Sto solo dicendo che ho del materiale su cui potremmo lavorare, poi se vediamo che funziona potremmo mettere insieme un album.”
“Okay, manda tutto, sono curioso!” tagliai corto, già pronto a mettermi al lavoro.
“Per caso stavi aspettando questa chiamata con ansia?”
Quella domanda mi lasciò un attimo perplesso. “Perché me lo chiedi?” feci con una mezza risata nella voce.
“Sei scattato come una molla appena ti ho comunicato le mie intenzioni!”
Entrambi scoppiammo a ridere.
“È vero,” convenni, “ed è vero anche che aspettavo questa chiamata, volevo capire se fossi ancora vivo e tutto intero!”
“Ma figurati, sono sopravvissuto praticamente a qualunque cosa! Comunque grazie per la preoccupazione e per aver deciso di collaborare con me nonostante la mia incostanza.”
Sorrisi. “Ognuno ha i suoi difetti.”
Dopo un breve scambio di battute, misi giù con un grande sorriso sulle labbra. Ora anche quella questione in sospeso si era risolta e avevo tante nuove bozze su cui lavorare.
Era una bella giornata.
 
 
♫ ♫ ♫
 
 
In fondo era così che doveva andare, avrei dovuto capirlo fin dall’inizio.
Io e Myles saremmo sempre stati amici, migliori amici, ma nulla di più. Era una consapevolezza che avevo maturato durante il tour con i Guns N’ Roses e, in fin dei conti, non me ne dispiacevo poi tanto. Certo, avere Myles al mio fianco e nascondere ciò che provavo non sarebbe stato facile, ma ce la potevo fare. Avevo la musica – il mio più grande amore –, gli amici… e il tempo avrebbe curato le mie ferite.
Ero sempre stato fin troppo sensibile e questa mia caratteristica mi aveva portato tante volte a sbagliare, ma in quel momento, all’età di cinquantatré anni, mi sentivo abbastanza forte da tener testa ai miei demoni.
“Sai, c’è un posto qui in Italia che mi piace particolarmente, forse ne hai sentito parlare” disse Myles mentre, appena scesi dal palco, tamponavamo il nostro viso e i nostri capelli zuppi di sudore con degli asciugamani.
Ci pensai su un attimo e gli lanciai un’occhiata. “Penso me ne avessi parlato tu stesso, ma adesso non mi viene in mente.”
“Il lago di Como” spiegò.
Mi illuminai. “Ah, sì! Quello dove hanno ambientato quel classico della letteratura, come si chiama? Quello con il tizio e la tizia che non riuscivano a sposarsi, ho visto il film qualche anno fa…”
Myles scoppiò a ridere. “I Promessi Sposi!”
“Ah, ecco!”
“Ci sei mai stato?”
Scossi la testa. “Non conosco molto bene l’Italia.”
“Domani, dato che non dobbiamo partire subito, ci potremmo fare un salto!” propose, raggiante.
“Sei fuori, Myles? Hai un giorno libero e non ti riposi?” intervenne Frank, il nostro secondo chitarrista, con fare stranito.
“Invece è una bella proposta” lo contraddisse Todd, che infatti era profondamente interessato alla nostra conversazione.
“Anche a me, mi piacerebbe andarci” ammisi con sincerità.
“Todd, tu non sei stato invitato” precisò Myles in tono scherzoso. “Io stavo parlando solo con Slash!”
Il bassista incrociò le braccia al petto e assunse un’aria teatralmente minacciosa. “Bene, grazie, me ne ricorderò. Non fa nulla, starò in albergo a dormire!”
“Veramente qui il capo sono io!” feci notare con una risata.
“Ma l’idea di andare al lago è stata mia!” si oppose Myles in tono scherzoso.
“Ma il lago non è tuo!” gracchiò Todd.
Frank intanto ci osservava confuso, o forse era soltanto stanco.
“Cosa mi sono perso?” si intromise Brent, raggiungendoci con diverse bottiglie di birra fresca tra le mani, per poi distribuirne una a ciascuno.
“Stanno organizzando una gita per domani” spiegò il chitarrista.
“Davvero? Quanto si paga per partecipare?” scherzò il batterista.
“Nulla di che, devi solo donare un organo” ironizzò Myles.
“Allora, io ci andrò a una sola condizione: dobbiamo trovare un punto non troppo affollato, altrimenti rischio di essere riconosciuto e avere un’orda di fan alle calcagna” dissi, facendomi serio.
Myles mi sorrise dolcemente. “Ovvio! Vedrai, ti piacerà!”
Ricambiai il sorriso e non potei fare a meno di pensare che Myles era un raggio di sole nella mia vita.
“Fuori ci sono due gradi, non ci sarà nessuno al lago” commentò Brent.
“Ma quindi voi venite o no?” mi rivolsi agli altri musicisti.
Frank scosse la testa, mentre Todd esclamò: “Ma certo!”.
“Se mi sveglio, sì” borbottò Brent.
“Oh, ma piantala di fare l’orso, sei in Italia e vuoi rimanere in albergo a dormire?” lo apostrofò il bassista, lanciandogli un’occhiataccia.
“Io so solo che voglio dormire, a prescindere dal luogo in cui mi trovo” rispose l’altro con un’alzata di spalle.
Così i due cominciarono a battibeccare e punzecchiarsi come al solito.
 
 
The mask you wear is only your disguise
To hide the tears that fall inside
 
Quel giorno mi ero svegliato con quei due versi in testa, facenti parte di una delle ballad del nostro nuovo album, ovvero The Great Pretender. Non era la prima volta che quel brano mi rimaneva in testa, non appena avevo composto la melodia portante mi ero reso conto di quanto fosse fottutamente geniale e quanto funzionasse… ma quel giorno fu proprio quella frase a imprimersi nei miei pensieri.
Quando Myles me l’aveva fatta leggere, ne ero rimasto subito colpito e mi ci ero rispecchiato, anche se avevo evitato di farglielo sapere. Era proprio così che mi sentivo quando pensavo alla situazione tra me e lui: ogni giorno, che ci ritrovassimo in studio o in tour, ero costretto a indossare una maschera per apparire sempre tranquillo. Già, ma in realtà era una farsa, perché era difficile controllare le emozioni quando posavo il mio sguardo su Myles.
Se solo avesse saputo quanta sofferenza si nascondeva dietro il mio atteggiamento assorto e taciturno. Lui pensava che fossi fatto così, che non ci fosse da preoccuparsi, e in parte aveva ragione.
La nebbia, che ci aveva accompagnato per tutto il viaggio e che ancora non aveva deciso di dissiparsi sotto il tiepido sole, mi portava a formulare questi tristi pensieri, mentre perdevo lo sguardo sulla superficie del lago ovattata dalla foschia. C’era una calma surreale in quel luogo, il silenzio era interrotto solo dalle risate di Myles, Brent e Todd alle mie spalle e un’impercettibile brezza fredda s’infiltrava sotto la mia giacca pesante.
Myles era così allegro, così ignaro di tutto. Ormai mi ero arreso all’idea che non avrebbe mai saputo dei miei sentimenti, ma a volte – come quel giorno – mi sentivo in colpa per quanto spudoratamente gli mentissi. Mi sentivo proprio un great pretender, un grande impostore. Però alcune bugie, se vengono raccontate a fin di bene, possono essere perdonate, no?
“Ehi.” La voce di Myles alle mie spalle precedette il tocco leggero della sua mano sul mio braccio. La cosa non mi sorprese, mi ero già reso conto di avere qualcuno accanto.
“Ehi” risposi in tono piatto.
“Tutto bene? Questo posto è un paradiso, non trovi?”
Decisi di ignorare la prima domanda. “È bellissimo, hai ragione, mi mette voglia di suonare e comporre.”
Myles mosse qualche passo in avanti, poi si voltò per sbirciare la mia espressione. “C’è qualcosa che non va” sentenziò.
Mi sorpresi di quanto fosse capace di leggermi dentro, come solo i miei migliori amici riuscivano a fare. Comunque negai tutto: “No, è tutto okay”.
“Pensi di prendermi per il culo? Ti conosco. Non insisterò per sapere a cosa pensi, però voglio almeno sapere che posso fare per tirarti su di morale.”
Sorrisi appena. “Ti ho detto che sto bene!”
“Ma tu dici sempre il contrario di quello che pensi.”
Mi imbronciai. “Non è vero.”
“Comunque… mi dispiace che tu sia di malumore proprio oggi, che ci troviamo nel mio luogo d’Italia preferito. Se parlarne ti può aiutare, io sono qui” si offrì in tono apprensivo e sincero, e dai suoi occhi celesti traspariva una dolce preoccupazione.
Myles era sempre in grado di strapparmi il cuore dal petto e farlo sciogliere. Sorrisi e, preso da un impulso irrefrenabile, mi lasciai andare a un piccolo gesto d’affetto: fingendomi affascinato dagli anelli che indossava, gli afferrai una mano. “Oddio, che figo questo con il serpente! È nuovo?”
Lui annuì, per niente a disagio; ormai conosceva il mio modo di agire e non si poneva troppe domande.
“In realtà ce l’ho già da un po’, ma non lo uso spesso perché ho paura di perderlo o rovinarlo” spiegò.
Feci scorrere l’indice sull’incisione del gioiello, che ritraeva appunto un bellissimo serpente, e senza sollevare lo sguardo cominciai a parlare. “Sai, ci sono giorni in cui penso di essere finalmente arrivato a un punto stabile della mia vita, in cui mi sento a posto e felice… e altri in cui invece sto da schifo, mi sembra di non aver combinato nulla di buono, forse perché sono un insoddisfatto cronico. I guai più grandi li combino con le persone che mi stanno attorno: ho un sacco di cose per la testa e per il cuore, ma non vengono mai fuori e chi mi circonda non riesce a decifrarmi, perché non mi faccio decifrare. Sono… a volte mi sento un po’… patetico.”
Erano rari i momenti in cui riuscivo ad aprirmi così, a portar fuori le mie debolezze. Forse quelle parole non avrebbero spiegato a Myles per filo e per segno la mia situazione, ma era una chiave per comprendere almeno il mio stato d’animo.
Il mio amico sospirò; sentivo il suo sguardo addosso, anche se io non avevo il coraggio di sollevare il mio. Ancora gli stavo stringendo la mano – un fatto che per lui poteva sembrare involontario, ma che io avevo programmato.
“Penso che tutti si sentano così ogni tanto, me compreso. Siamo esseri umani, abbiamo paura di sbagliare e per questo siamo insicuri. Ancora di più se si è una leggenda – tu sei finito per diventarlo, anche per le persone che ti stanno accanto – e la gente si aspetta grandi cose. Ma non farti rapire il cervello da queste stronzate perché non ne hai bisogno, hai un grande cuore e, se hai il coraggio di seguirlo, lui non ti tradirà mai. E sei circondato da tante persone che ti vogliono bene, in primis noi della band, ed è così anche se a volte diventi asociale o se rompi le palle perché pensi di avere sempre ragione o perché vuoi fare le cose come dici tu.” Nell’ultima parte del discorso, la voce di Myles era passata da seria a scherzosa.
Adoravo anche questo di lui: non aveva peli sulla lingua, né quando si parlava di emozioni serie e sentimenti, né quando c’era da evidenziare qualche difetto. Era completamente genuino.
Con il sorriso sulle labbra e la commozione a scaldarmi il cuore, non potei fare a meno di trascinarlo più vicino a me e stringerlo in un abbraccio. Lui lo ricambiò subito, con affetto, senza alcuna esitazione.
“Grazie” mormorai. Stavo da dio tra le sue braccia e sì, stavolta ne ero certo: quello mi sarebbe bastato. Perché Myles mi voleva davvero bene e mi sarebbe stato sempre accanto.
“Foto!” strillò Todd a pochi centimetri da noi, distruggendo quel momento idilliaco.
L’avrei volentieri affogato.
Io e Myles sciogliemmo l’abbraccio e lo guardammo confusi.
“Facciamoci un selfie, tutti e quattro insieme, con il lago alle nostre spalle!” propose il bassista con entusiasmo.
“Non ci stiamo, e se ci stessimo non si vedrebbe il lago” commentai.
“Invece sì, perché qualche minuto fa è passato un venditore ambulante e ho comprato questo” intervenne Brent, comparendo alle spalle di Todd e mostrandoci fieramente un bastone per i selfie.
Myles scoppiò a ridere. “E va bene, che foto sia! Slash con i suoi Conspirators!”
“Che sempre cospirano alle mie spalle!” aggiunsi con una risata.
Brent montò il suo cellulare su quell’aggeggio infernale di forma allungata e ci mettemmo in posa per la foto; il batterista si trovava alla mia destra, mentre Myles era appollaiato contro di me alla sinistra. Circondai le spalle a entrambi, ma rafforzai la stretta su quelle del cantante in modo da averlo più vicino. Lui rideva e scambiava battute con gli altri, ignaro di tutto, mentre io lasciavo che quel contatto lenisse la mia anima.
“Slash, cazzo, sorridi! Sembri di ritorno da un funerale!” sbottò Todd.
“O ti devo fare il solletico?” aggiunse Myles.
Stavo per accettare di buon grado, ma alla sola idea mi lasciai scappare una risata. “E va bene, sorrido, ma solo per omologarmi a voi, gente poco seria!”
“Adesso dite Como” ci incitò Brent.
La foto venne bene e io avevo un bel sorriso, molto naturale. Sì, perché in quel momento, con una serie di date ad attendermi, circondato da degli amici veri e con l’uomo che amavo stretto a me, avevo un buon motivo per sorridere.
 
 
 
 

 
 
E siamo giunti alla fine di quest’avventura! Lo so, lo so: molti di voi mi vorranno picchiare perché la storia non è finita bene e la Mylash non si è concretizzata, ma cercate di capire, quando ho concepito questa storia ho subito pensato che dovesse finire così, nella mia mente non c’erano alternative – anche perché nella mia mente Myles non ricambia i sentimenti di Slash, se avessi fatto che il chitarrista gli confessava i suoi sentimenti sarebbe stata una depressione, invece ho optato per un finale volutamente aperto, né tutto bianco e né tutto nero.
Ma non disperate! Per gli shipper della Mylash ho in serbo una piccola sorpresa che arriverà martedì prossimo, non vi anticipo niente ma… è qualcosa di profondamente collegato a questa piccola long ^^
Per quanto riguarda gli eventi narrati qui… per chi non lo sapesse, è vero che Myles, Slash e i Conspirators sono tornati a lavorare insieme una volta terminato il tour dei Guns N’ Roses, e hanno sfornato un nuovo figlioletto, Living The Dream – album che dà il titolo alla storia. Ed è proprio da qui che ho estratto il brano di cui parlo in questo capitolo, The Great Pretender. A voi il link per chi non la conoscesse:
https://www.youtube.com/watch?v=j8sp0oaYAxc
L’ultima scena è ambientata in Italia, proprio in corrispondenza del concerto che si è tenuto al Fabrique di Milano l’8 marzo di quest’anno, che ho seguito in diretta su Virgin Radio e che mi ha rubato il cuore. Tutto è cominciato da lì per me e mi sembrava carino finisse lì, durante quei giorni ^^
Poi… ho letto in un’intervista che il luogo dell’Italia preferito da Myles è il lago di Como (ma non penso abbia mai visitato l’Italia da cima a fondo, perché tra i posti del nostro Paese è davvero impossibile scegliere) e quindi mi sembrava carino che ci portasse i suoi compagni di band! Ho adorato scrivere questa scena ^^
Vi lascio a una foto di Slash, Myles, Frank, Brent e Todd, perché questi cinque sono davvero adorabili e mi va di
inserirli u.u

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Infine ci tengo a fare un ringraziamento speciale ai miei fantastici lettori, che mi hanno seguito in questa pazza idea in questo fandom così bizzarro! Kim 
WinterNight, alessandroago_94 e sheswanderlust, senza di voi non sarebbe stato lo stesso!!! :3
Alla prossima e… tenete d’occhio la categoria ;)
 
 

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