E se non ci fosse un domani?

di iron_spider
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Darling, can't you hear me ***
Capitolo 2: *** How can I even try to go on? ***
Capitolo 3: *** Though I try, how can I carry on? ***
Capitolo 4: *** Nothing else can save me ***



Capitolo 1
*** Darling, can't you hear me ***




[ATTENZIONE!] In questa storia vi saranno menzioni e descrizioni più o meno esplicite di suicidio, soprattutto nel terzo capitolo. La storia si mantiene prevalentemente su un tono da commedia paradossale, ma le suddette scene potrebbero urtare la sensibilità del lettore, quindi procedete nella lettura consapevoli di ciò.
[Rating originale: T+]



 
 
 
Darling can’t you hear me

 
 
 
“Tony!” grida Peter dall’ingresso, dove il fuoco non è ancora arrivato. “Tony, ti prego!”

Il carosello completa un altro giro e Tony non riesce più a vederlo. Si aggrappa al suo fenicottero tossendo un poco. Il fumo si sta facendo sentire. “Peter, esci subito di qui!” grida. “Non voglio che tu veda!” Perché diavolo ha dovuto seguirlo?

“No, no!” grida Peter, la voce che cede al panico. Le fiamme si avvicinano un po’ troppo a lui e il cuore di Tony ha un singhiozzo. “No, Tony, non è-- senti, so che ti sta succedendo qualcosa, so che hai bisogno di aiuto--”

“Ragazzino, devi-- devi andartene!” Sa come deve sembrare: bruciare una giostra mentre ci sei sopra non è esattamente una mossa equilibrata. Si chiede se funzionerà. Il fuoco è l’esatto opposto del ghiaccio. Lui è bloccato nel ghiaccio. Sono bloccati nel ghiaccio. Magari questa è la soluzione. Magari domani sarà il suo ultimo oggi.

Tossisce di nuovo, e riesce a malapena a vedere. La sua testa si fa leggera, e il calore aumenta sempre più. Ha paura di come sarà… si è bruciato in passato, ma mai fino a questo punto. I muri attorno a lui stanno iniziando a crollare e il soffitto sembra sul punto di cedere.

“Tony, non ti lascio morire!” grida Peter. “Non posso, non posso!”

Tony fa un altro giro e socchiude gli occhi quando vede la determinazione sul volto di Peter. Il suo cuore sprofonda… sa cosa accadrà dopo, anche se non ha ancora vissuto questa versione dei fatti. “No!” grida. “Esci di qui, andrà tutto bene!”

“No!” grida Peter.

Tony è troppo in alto su quel cazzo di fenicottero per saltar giù rapidamente e calmare Peter. Ci prova comunque e si sgancia, ma quando finisce di nuovo il giro vede Peter che digrigna i denti, preparandosi a correre nel fuoco. No. Maledizione, no. Quell’altro idiota-- cazzo, quando è successo si è sentito morire e non gli sta nemmeno simpatico. Ma Peter… Peter no. Non può vederlo. C’è già stato Titano, e Titano è abbastanza. Non può vederlo di nuovo, non può.

“No, Peter!” grida Tony, ancora lottando per scendere e uscire di lì senza morire, senza qualche orribile ustione di terzo grado, ma quando rotola giù sul pavimento metallico della giostra quella gira di nuovo, offrendogli un perfetto scorcio di Peter che si slancia tra le fiamme.


 
§

 
“Bene,” dice Tony, pescando la busta di un rosso brillante dalla pila della posta. “Pepper.”

“Che c’è?” risponde lei, da qualche parte in fondo al corridoio.

“Ne ho abbastanza,” dice lui, fissando la busta. Nederland. Di nuovo. Chiunque sia, sta sprecando un fottio di carta, e si è decisamente guadagnato la sua attenzione.

“Di che?” chiede Pepper. “Di tutto? Di ogni cosa? Non pensavo ti arrendessi così facilmente.”

“Nah,” dice lui, tagliando la busta e trovandoci dentro la stessa dannata lettera che ha ricevuto tutte le altre volte. “Nederland, Colorado.”

“Davvero?” chiede lei. “Di nuovo?”

“Numero settantacinque, baby,” dice Tony, scorrendo le parole scritte. “E credo che finalmente mi abbiano convinto.”

Pepper svolta l’angolo, sembrando confusa. È al settimo mese e dal terzo ha preso l’abitudine di indossare solo suoi giacchetti e felpe oversize. Tony la trova assolutamente adorabile, e si distrae per un istante prima di vederla inclinare la testa nella sua direzione. “Hai davvero intenzione di andare?” gli chiede. “Nel senso, non è un problema, è solo strano che ti abbiano dovuto costringere.”

Lui assottiglia gli occhi. “Non mi stanno-- lo sai che è difficile costringermi, ma questa roba… sono-- sono affascinato. Buste rosso fuoco, lo stesso invito scritto a mano ogni singolo giorno per settantacinque giorni? Un riconoscimento per mio padre? Adesso? In più, abbiamo dato un’occhiata a questa Nederland…”

“Sì, e sembra il tuo incubo,” dice Pepper. “La Festa dell’Uomo Congelato?”

“Già, dovrei portarmi appresso Steve,” dice Tony, picchiettandosi la busta sul mento. “Comunque, l’abbiamo mancato di un paio di mesi.”

Pepper alza gli occhi al cielo. “Quindi ci andrai veramente?”

“Sì,” risponde Tony. “A meno che tu non voglia.”

“No, non ho problemi,” ribatte lei. “Solo, non voglio che ti irriti se dovesse rivelarsi… stupido. È per questo che facciamo una cernita per gli eventi.

Ormai ne è abbastanza convinto. Settantacinque è un bel numero tondo, e decisamente esagerato, e poi deve scoprire che diavolo sta succedendo. “Non c’è mai una data su queste cose, quindi farò semplicemente un voletto fino lì e…”

“Potresti inviare una lettera di risposta e chiedere,” dice Pepper, poggiandosi al muro. “O, che so, mandare una mail. È assurdo che non l’abbiano fatto. O chiamare. Come le persone normali.”

“Nah, non c’è gusto,” risponde Tony.

Pepper sbuffa, alzando gli occhi al cielo.

“Non sarò molto reperibile,” dice Tony. “Questa città è, diciamo, grande come il Complesso, quindi non credo che avrò molti agganci.”

“Beh, invita Peter,” suggerisce lei. “Si annoia da morire ed è irrequieto, May non sa più dove mettere le mani.”

Tony s’illumina. “Buona idea. Magari porto anche Rhodey e Happy, se possono.”

“Sì,” dice Pepper. “Ti prego, porta Happy, sta andando fuori di testa ultimamente.”

“Sì, ho sentito le voci,” dice Tony. “Sei sicura che non sia un problema se vado? Non voglio sembrare un padre assente ancor prima che la signorina arrivi.”

“Per favore,” dice Pepper. “Come se potresti mai essere-- non voglio neanche ripeterlo. No, non è un problema, e ti farà bene per capire a cosa vanno incontro i tuoi stagisti quando li mandi a investigare gli eventi a cui ti invitano.”

Tony libera una risata.

“In più, mi aspetta quella settimana di riunioni e sai quanto mi faccia piacere che adesso abbiano tutti paura di me. È fantastico, porto avanti un sacco di lavoro.”

“Come se non avessero sempre avuto paura di te.”

Invia un paio di messaggi alle persone che potrebbero accompagnarlo, e forse tutto ciò gli interessa così tanto perché sembra un po’ un mistero, o un’avventura, o qualcosa del genere. Le cose vanno bene, da quando hanno sconfitto Thanos. Molto, molto meglio, da quando hanno ripristinato il mondo e riportato tutti indietro. Lui e Pepper si sono sposati, Peter è stato ammesso all’università e Tony lo vede ogni giorno, il che è decisamente una delle parti migliori, se deve essere sincero. Ogni tanto il mondo o New York sono in pericolo, con loro grande disappunto, ma nulla di grave, nulla che richieda mai più di una o due notti per essere risolto.

Le lettere sono state… una seccatura. Dei vistosi segnali irritanti che Tony aveva inizialmente scambiato per delle ingiunzioni della biblioteca risalenti ai giorni del MIT.

Ma erano inviti. Richiedevano la sua presenza a una cerimonia di premiazione dove quel maledetto di Howard avrebbe dovuto ricevere uno stupido trofeo per qualche stronzata. A Nederland [1], Colorado, che sembrava giusto una città saltata fuori da un romanzo di Stephen King.

Tony le aveva ignorate. Dopotutto, riceveva molte richieste del genere. Ma continuavano ad arrivare. Ancora. E ancora. Ogni giorno identiche, anche la formulazione era esattamente la stessa; cavolo, anche il modo in cui le parole erano scritte era lo stesso. Era troppo strano e la cosa si era fatta strada nel suo cervello. Il suo telefono vibra, con un messaggio da Peter.

Oh cavolo ti stai arrendendo alle lettere?? Andiamo in quel posto strambo?? Sì certo che vengo con te, non vedo l’ora!

 
§
 

Partono il giorno seguente, e Tony si ricorda che Rhodey fa le valigie per due giorni di vacanza come se stesse partendo per tre settimane. Happy sembra entusiasta di tornare a ricoprire il ruolo di guardia del corpo di Tony Stark, anche se non è per questo che l’ha invitato, e Peter sta praticamente facendo i salti di gioia per quanto è su di giri. Tony ha fatto un paio di vacanze col ragazzo da quando hanno rimesso a posto il mondo, trattandolo come se avesse poco più di cinque anni e non diciassette e portandolo qua e là tra parchi e zoo, ma a Peter non sembra importare dove vanno, fintantoché sono insieme. Tony non riesce a capire se stia vivendo un momento difficile al pensiero di doversi trasferire per l’università, ma da quando ha saputo la notizia si è fatto più protettivo del solito, e l’ha visto ogni giorno da quando la scuola è finita per le vacanze di Pasqua.

Non possono prendere un aereo fino a Nederland perché non è abbastanza grande da avere un aeroporto, quindi volano fino a Denver, e a causa di un paio di ritardi riescono a raggiungere la stazione di noleggio auto solo alle nove di sera, con qualche difficoltà a causa di tutti i bagagli. Il freddo punge la pelle di Tony come mille aghi e si srotola giù le maniche, tirando su il cappuccio.

“Peter, hai portato la giacca pesante, vero?” chiede, voltandosi verso di lui.

“Sì, papà,” risponde Peter.

“Non prenderti gioco della mia apprensione.”

“È veramente tardi. È per questo che odio volare,” dice Happy, trascinando con rabbia la sua valigia. “Perché ce ne siamo stati fermi sulla pista per quasi un’ora? Perché? Lo voglio sapere.”

“Uno dei grandi misteri della vita,” risponde Tony, trattenendo una risata nel fissare il profilo irato delle spalle di Happy. “Dai, dovresti essere abituato ai ritardi, sei mio amico.”

“Noleggio io la macchina,” dice Rhodey. “Non mi fido di nessuno di voi per guidare su queste stradine di montagna.”

“Ok, sono offeso,” dice Tony. “Posso guidare su qualsiasi terreno.”

“Puoi contare su di me,” dice Happy. “Ho guidato ovunque. E intendo ovunque.”

“Parlavo principalmente del ragazzino,” dice Rhodey, lanciando un’occhiata da sopra la spalla a Peter nel raggiungere il bancone.

“So guidare benissimo, ma non posso ancora noleggiare un’auto,” dice Peter, incrociando le braccia. “Dovresti saperlo.”

“So anche che non fai mai ciò che ti si dice,” replica Rhodey.

Tony si schiarisce la gola. “Ho detto a May che non ti avrei perso tra i monti, Peter, quindi…”

“Oddio, sono un adulto responsabile,” sbotta Peter, rivolgendo a Tony un’occhiata insofferente.

Tutti e tre scoppiano a ridere. Anche la donna del noleggio ride. Peter non ride neanche un po’.

Noleggiano una Ford che ha l’aria di essere in giro sin dalla prima presidenza Bush, e inizia a nevicare. All’inizio in modo lieve, poi più intenso, tanto intenso che Rhodey prende a guidare come se avesse ottant’anni e rischiasse di vedersi revocare la patente. La neve riluce in modo anomalo nel buio peggiorandolo ulteriormente; Tony riesce a malapena a vedere gli alberi ai lati della strada, o la strada stessa, se è per questo. Non ha molta esperienza con la neve, e ha ancora dei flashback di guerra su quel maledetto schianto in Tennessee e la quasi-adozione di Harley. Cerca comunque di appianare la sua paranoia riguardo a qualunque cosa potrebbe succedere alla macchina o ai suoi occupanti, ed è lieto che Peter e Happy sembrino distratti da un qualche gioco sul cellulare di Peter.

“No,” dice Happy. “Dai, usa il doppio colpo, ragazzino.”

“Preferisco conservarli,” risponde Peter. “Per quelli grossi e verdi.”

“Guarda che dico a Bruce che gli vuoi rifilare un doppio colpo,” dice Tony, tenendo gli occhi sulla strada.

“Nah, sembrano più alieni.”

“Odio questa merda,” bofonchia Rhodey. “Avrei dovuto far guidare te.”

“Magari se fossimo partiti prima…”

“Piantala, sei fortunato ad avermi qui.”

“Lo sai che ti voglio bene,” dice Tony, rivolgendo un sogghigno alla solita scontrosità di Rhodey. “Ti voglio così bene che ho preso delle stanze comunicanti!”

Rhodey fa una pausa. Rimane in silenzio. L’unico suono è il pew pew degli spari dal cellulare di Peter. Tony sa che Rhodey vorrebbe girarsi per guardarlo storto, ma che ha troppa paura di staccare gli occhi dalla meraviglia invernale attorno a loro che minaccia di stritolarli.

“Che diavolo vuol dire--”

“Beh, ‘comunicante’ vuol dire--”

“Tony--”

“Vuol dire che alloggiamo al Rifugio del Pioniere, l’unico bed and breakfast in città, che si trova nello stesso parcheggio dell’alimentari e di un vagone-bar [2]. Avevano solo due stanze quando ho chiamato stamattina, quindi io sto con Peter e tu con Happy.”

“Ti prego, dimmi che abbiamo letti separati.”

“Ma per favore,” dice Happy dal sedile posteriore. “Sarebbe un onore dormire nel mio stesso letto.”

“Sì, letti separati, quindi non è questa la tua occasione, Hap,” dice Tony. Si schiarisce la gola. “Per fortuna ci siamo persi la Festa dell’Uomo Congelato.”

Hanno fatto tutti una ricerca su Nederland quando Tony ha cominciato a ricevere quelle lettere, e hanno scoperto che quel posto è fottutamente bizzarro. Carino, ma molto bizzarro. È piccolo, raccolto tra le montagne, e sembra rimasto indietro a vent’anni fa. E poi c’è la Festa dell’Uomo Congelato. Che è in memoria di un tizio che è in criogenia dal 1989 [1]. L’intera città si dà ai festeggiamenti per un giorno, con ogni sorta di strane attività, come tuffi nel ghiaccio, gare di bevuta, un ballo di gala dove tutti si vestono di blu e gite nel luogo dove il vecchio è ancora congelato. È bizzarro. Hanno concordato tutti sul fatto che fosse bizzarro.

“Meno male che ce lo siamo risparmiato,” dice Rhodey.

“Ho cercato dei video,” interviene Happy. “Ci sono un sacco di montanari ubriachi, a quella festa.”

Tony ride per il suo fare accusatorio, come se fosse colpa sua. “Sì, da come la descrivi sembrerebbe proprio una festa,” commenta.

“Già,” rincara Peter.

“Non una festa per te,” dice Tony, indicandolo da sopra la spalla. “Comunque, sarà per la prossima volta.” Il suo cellulare gracchia un annuncio, e dà un’occhiata alla mappa luminosa che ha in grembo. “Ok, ti stai avvicinando,” dice. “La strada fa una curva a destra, basta che la segui.”

“Cristo,” impreca Rhodey, mentre inizia a girare, e Tony sente le gomme faticare a far presa sullo strato viscido e gelato della strada. “Ho la sensazione che ci pentiremo di questo viaggio.”

 
§

 
La neve non è più così fitta quando entrano in città, e non appena Tony scorge il parcheggio vuoto su cui incombono i lampioni ha l’impressione di trovarsi in un film horror.

“Immagino che non abbiano molta movida,” osserva, guardandosi intorno.

“Sono abbastanza sicuro che quell’edificio laggiù si chiami Carosello della Felicità,” dice Peter, sporgendosi del suo sedile come un bimbo per guardare fuori dal finestrino.

“Chissà se è davvero un carosello,” dice Happy, seguendo il suo sguardo.

“Hai detto Rifugio del Pioniere, vero?” chiede Rhodey.

“Sì, eccolo lì,” dice Tony, indicando l’edificio in mezzo al parcheggio accanto a un ponte e un corso d’acqua, col vagone-bar a qualche metro.

“Crollo non appena arriviamo in stanza,” dice Happy. “Scusa, Rhodey.”

“Non fa niente, non avevo programmi,” risponde Rhodey.

“Siete sicuri che sia quello?” chiede Peter, inclinandosi in avanti mentre Rhodey entra nel parcheggio. “Sembra molto piccolo.”

“Già, non mi sorprendo che abbiamo delle stanze comunicanti,” dice Happy.

“Sì, è questo,” risponde Tony. “Era la nostra unica opzione, spero non ti dispiaccia.”

“No, no,” dice Peter. “È perfetto. Questo posto è stranissimo.”

Tony si gira per guardarlo e ha una strana sensazione, come se lo stesse trascinando in una trappola. Questo posto e quel che ne hanno visto finora – e immagina di averlo visto quasi tutto – ha una strana atmosfera, come se ci fosse qualcosa in agguato dietro ogni angolo. È troppo tranquillo. Sa che è un paesino, ma, cazzo, è troppo strano che non ci sia assolutamente nessuno in giro. Peter lo fissa di rimando, come se intuisse i suoi pensieri, e Tony replica con un sorriso cercando di smorzare il suo nervosismo, probabilmente causato da lui stesso.

Rhodey parcheggia e spegne il motore. La macchina si fa silenziosa.

“Porta dentro Peter,” dice Rhodey. “Happy e io prendiamo i bagagli mentre fate il check-in.”

“Uh, tu porti la tua roba,” dice Happy, scendendo dalla macchina. Rhodey alza gli occhi al cielo ma scende a sua volta, e Tony lancia un’occhiata a Peter.

“Su, andiamo,” lo incita. Peter annuisce e scendono entrambi, chiudendo le portiere. Superano Rhodey e Happy e Tony si guarda intorno. Le montagne sembrano giganti appostati nel buio, e li circondano su tutti i lati.

Peter gli dà una piccola spinta con spalla. “Tutto bene?”

“Questo posto è strano,” dice Tony, facendo una smorfia mentre spinge la porta d’ingresso del rifugio. L’interno sembra abbastanza accogliente, come una piccola baita di montagna, con un fuoco scoppiettante di fronte a due sedie confortevoli che sembrano più vecchie di lui. Vorrebbe davvero aver portato un’armatura, o la sua maledetta nanotecnologia, e tira fuori il telefono dalla tasca.

Nessun servizio. Si lascia sfuggire un lamento.

“Pete, a te prende? Il mio è morto.”

Peter guarda il suo telefono. “Ugh, no… nulla.”

“Merda,” sospira Tony. Quello… non è un buon segno. Non lo rallegra affatto. Dovrà decisamente farsi un giro in città e trovare un posto dove ci sia almeno un po’ di segnale. Superano un paio di colonne decorate e, finalmente, vedono un altro volto umano che non sia del loro gruppo.

La donna dietro al bancone della reception sembra sulla sessantina, con la stanchezza che si intravede nelle linee tese attorno ai suoi occhi. Indossa una camicetta rosa pallido e rivolge loro un tenue sorriso quando li vede avvicinarsi. Peter continua a pestare energicamente le dita sul touch-screen del telefono, e Tony posa le mani sul bancone.

“Salve, gente,” dice la donna. “Come posso esservi utile?”

“Salve,” dice Tony, col fugace pensiero che sia un qualche robot di Westworld determinato a ucciderli. Sa che la donna dovrebbe riconoscerlo; la maggior parte della gente lo fa, che lui lo voglia o meno, ma nei suoi occhi non c’è nulla a suggerire che saprebbe distinguerlo da un qualsiasi ubriacone per strada. Si schiarisce la gola. “Uh, ho preso due stanze, a nome Stark, dovrebbero essere… comunicanti.”

“Ah, sì,” dice lei, sfogliando uno spesso libro di cuoio. “Vi stavo aspettando. Siete gli ultimi a registrarvi stanotte… avete le stanze rosso mattone e blu tempesta. Le riconoscete dalle targhette sui muri.” Prende due grosse chiavi appese al muro dietro di lei e gliele porge con un sorriso. “Siete a posto.”

“Tutto qui?” chiede Tony, sollevando le sopracciglia.

“Tutto qui,” dice la donna, proprio mentre Rhodey e Happy entrano rumorosamente dalla porta. “Godetevi la festa, ragazzi. Provate il gelato dell’Uomo Congelato.”

Tony la fissa. Festa? Uomo Congelato? No, quello schifo è passato. Magari hanno il gelato tutto l’anno? Non ha intenzione di approfondire la cosa. Guarda Peter e anche lui la sta fissando, col naso arricciato. “Uh, certo,” dice Tony. “Sembra… sembra molto… invitante.”

“Lo è,” dice lei, annuendo.

Tony stringe i denti dietro un sorriso forzato e annuisce di rimando, prendendo le chiavi e tamburellando sul bancone. Allunga un braccio verso Peter per guidarlo via da lì, sentendo chissà perché un picco di protettività nei suoi confronti, e raggiungono Rhodey e Happy.

“A qualcun altro stanno venendo i brividi?” chiede Happy, guardandosi intorno.

“Non ne hai la minima idea,” dice Tony, scuotendo la testa.

 
§

 
Provano a usare i telefoni nelle loro stanze, ma ogni volta che chiamano al di fuori del motel vengono reindirizzati alle altre stanze, il che causa qualche incidente coi numeri sbagliati, che Tony gestisce molto meglio di Happy. Alla fine, rinunciano dopo aver chiamato la reception tre volte di fila.

Pianificano di alzarsi alle nove e incontrarsi mezz’ora dopo nella hall per iniziare la ricerca di quel maledetto indirizzo su tutte le settantacinque lettere.

I muri sono così sottili che Tony può sentire ogni singola parola che si scambiano Happy e Rhodey; si lava il viso e rientra nella zona notte, infilandosi nel letto più vicino alla porta. La loro stanza è piccola e sembra antiquata, come una baita abbandonata in mezzo al bosco. Molti piumini, una grande sedia di pelle nell’angolo, un cucinino con una stufa a gas e il frigo più vecchio che Tony abbia mai visto. Peter è già nell’altro letto e fissa sconsolato il telefono, che mette immediatamente sul comodino quando nota che Tony lo sta guardando.

“Ancora nessun servizio,” dice. “Avrei dovuto scrivere a May in macchina.”

“Stessa cosa per Pepper,” dice Tony, spegnendo la luce. “Avrei dovuto immaginarlo… questo posto sembrava la porta dell’Inferno dalle foto-- sapevo che non mi sarei dovuto fidare di tutta questa neve-- non dovrebbe nevicare ancora così tanto--”

“Ti stai davvero preoccupando? Cioè, sul serio?” chiede Peter. Tony si volta a guardarlo: ha le coperte tirate su fino al mento e i suoi occhi rilucono nel buio. La luna proietta una strana luce bluastra da dietro le tende e fa apparire i capelli di Peter dello stesso colore, come un riflesso sott’acqua.

“No,” mente Tony. “Va tutto bene. Domani andiamo a questa cavolo di cerimonia, prendiamo quel premio così posso gettarlo nella spazzatura, pranziamo qui, diamo un’occhiata al vagone-bar--”

“Magari facciamo un giro sullo ski lift?”

Tony sorride. “Se vuoi.”

“Sì. Sì, mi piacerebbe.”

“Ok, allora ci andiamo,” dice Tony. “Adesso dormi, domani dobbiamo riuscire a fare tutto, perché ce ne andiamo di qui il mattino dopo, sul presto.”

“Ok,” dice Peter, accomodandosi meglio sul cuscino. “’Notte, Tony.”

“’Notte, ragazzino.”

L’ultima cosa che ricorda di sentire, oltre al respiro di Peter, è qualcosa che si rompe nella stanza di Happy e Rhodey. È troppo stanco per andare a controllare, e scivola lentamente nel sonno.

 
§

 
Si sveglia di soprassalto al suono degli ABBA.
 
So when you’re near me, darling can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 
Sente Peter lamentarsi e muoversi e si copre l’orecchio col cuscino, ma la canzone continua a risuonare nell’aria, trapassando federa e piume e facendosi strada direttamente nel suo cranio. Sospira, lanciando il cuscino ai piedi del letto.

“Non ricordavo neanche che avessi messo una sveglia,” dice Peter, stropicciandosi gli occhi.

“Neanch’io,” bofonchia Tony, riluttante anche solo a mettersi seduto.

Peter emette un altro lamento, girandosi sulla schiena. “Dio, per un attimo mi ero dimenticato dove fossimo.”

“Anch’io,” dice Tony. Sta odiando il se stesso di ieri, quello disposto a lasciare il calore di sua moglie incinta per trascinare qui tre delle persone che ama di più a causa di un premio per quel maledetto di Howard, che al momento se la starà probabilmente ridendo dall’oltretomba.

Si strofina gli occhi e si sporge per trovare l’interruttore del dannato aggeggio preistorico intento a urlare SOS. Preme all’incirca sei tasti, ma sembra solo farsi più forte.

“Prova a spaccarla,” dice Peter, ancora raggomitolato tra le coperte.

“Stai parlando col Vendicatore di ferro, non con quello verde.”

Peter sorride mentre Tony solleva la sveglia e la gira. “Mi sa che ti manca Bruce,” dice Peter.

“Non più del solito,” ribatte Tony, cercando di concentrarsi mentre il ragazzo prova con tutta probabilità a trascinarlo in una discussione emotiva.

“Continui a menzionarlo,” osserva Peter.

“È un ottimo riferimento,” replica Tony. Trova un piccolo tasto rosso dietro uno sportelletto, e quando lo preme la musica cessa.

“Grazie a Dio,” sospira Tony, rimettendo quell’affare accanto alla lampada.

“Thor e lui dovrebbero tornare a casa più spesso,” dice Peter.

“Thor e chi?” chiede Tony, guardandolo. “Dio?”

Peter alza gli occhi al cielo. “Quando torniamo dirò a Bruce di chiamarti.”

“Ok, smettila di organizzare incontri come se fossimo bambini e smettila di poltrire, stiamo perdendo tempo.” Peter lo fissa e Tony batte le mani. “Forza, vestiti.”

“Subito,” dice Peter, stiracchiandosi un po’. “Despota.”

“Esatto,” replica Tony, scrocchiandosi il collo. “Sono io il capo.” Si alza, e quando si avvicina al muro sente Believe di Cher trapelare da dietro la parete, insieme alle imprecazioni di Happy e Rhodey. Ride tra sé e sé, e giusto quando sta per entrare in bagno la porta comunicante si spalanca e Happy fa irruzione col suo glorioso pigiama a righe, fissandoli alternatamente.

“C’è uno sportelletto sul retro,” lo informa Tony, quando Happy incontra il suo sguardo. “Con un tastino rosso. Ci tengono a far svegliare per bene la gente.”

“Grazie,” sospira Happy, ruotando gli occhi. “Cristo santo. Prima quello stupido bicchiere, adesso questo. No, non credo nella vita dopo l’amore.” [3]

 
§

 
Stanno camminando lungo il corridoio, stretti nel loro gruppetto, e Rhodey sbadiglia per la quinta volta nell’arco di cinque minuti.

“Hai dormito bene?” gli chiede Tony. “Comodo?”

“Sì, il letto era, uh… molto solido.”

“Adoro Cher, ma non voglio svegliarmi mai più così,” dice Happy. “Non ricordo neanche di aver messo una sveglia.”

“A noi sono toccati gli ABBA,” dice Peter, “ma ero già abbastanza sveglio perché Tony russa.”

“Ah, bugia,” dice Tony, dandogli un colpetto sul braccio. “Dormo come un bambino. Un bravo bambino. Silenzio assoluto. Un po’ di bavetta.”

Tutti scoppiano a ridere a quelle parole.

“Uhm, Tony, tutti i presenti hanno, uno, dormito almeno una volta con te vicino e, due, parlano con Pepper ogni giorno.”

Tony si acciglia. “Beh, allora tutti i presenti--”

Un’inserviente esce dalla porta che stanno superando e rivolge loro un sorriso. “Vi serve qualcosa, ragazzi? Ho delle mentine in più nel carrello!” Lo trascina fuori dalla stanza, indicandolo ad enfatizzare.

“Oh, no,” comincia Happy. “Siamo…”

“Prendo una mentina,” dice Peter, sorridendo contento.

“Certo, caro,” dice lei, pescandone un paio dalla ciotola e mettendole nel suo palmo teso. “Spero che vi divertiate alla festa! Ci sono le corse delle bare tra giusto dieci minuti sulla Main Street! Forse fate in tempo!”

Tony si ferma. Questa è la seconda menzione, da parte di uno degli abitanti, di quella roba del tizio morto congelato. Deve saperne di più, nonostante l’apprensione che sente nel cuore. “È-- è ancora-- c’è di nuovo la Festa dell’Uomo Congelato?”

“Di nuovo?” ride lei. “È oggi, tesoro!”

Tony ha l’impressione che gli abbiano perforato un polmone.

“Oh, Dio,” dice Rhodey, scuotendo la testa. “Cosa?”

“Wow, Tony,” dice Happy. “Come hai fatto? Allora immagino che andremo a questa festa, ragazzino,” dice poi, dando di gomito a Peter, che sembra fin troppo esaltato.

“Ok,” dice Tony, con un sospiro.

“Andate, andate,” dice la donna. “Sembrate dei campioni pronti per la corsa delle bare!”

“Wow,” dice Tony, con un gran sorriso, per poi riprendere a camminare con gli altri che lo tallonano. Maledetta Festa dell’Uomo Congelato – di nuovo – che diavolo ha questo posto?

“Non riesco a credere che l’abbiamo beccata, in qualche modo,” dice Rhodey, guardando in cagnesco Tony. “Hai detto che quella roba c’era stata mesi fa.”

“Magari sarà divertente?” chiede Peter, con aria speranzosa.

“Non perdetevi il ‘gioco degli scoppiati’ stasera prima di cena!” esclama la donna, dietro di loro. “È come il ‘gioco delle coppie’ [4], ma meglio!”

“Non abbiamo i requisiti!” le grida in risposta Tony, sorridendo da sopra la spalla.

“Grazie lo stesso per la dritta!” dice Peter, salutandola con la mano.

“Non ci posso… credere,” dice Rhodey. “Festa dell’Uomo Congelato, arriviamo.”

“Non fare il fatalista,” lo rimbrotta Tony.

Entrano nella hall. Una serie di piccole esplosioni si innesca nella testa di Tony, perché, cazzo, non riesce a credere a quello che sta vedendo. Non sa se sta avendo un’allucinazione o meno, e si ferma di botto, con gli altri tre che lo tamponano. Il suo cuore martella in modo irregolare. Non è possibile, non è possibile.

“Tony, ma che-- porca troia.”

Tony vorrebbe far eco all’esternazione di Rhodey, ma la sua voce si perde a metà tra lo shock e il disgusto.

Justin Hammer è nella hall, con una camicia hawaiiana del tutto fuori luogo con questo maledetto clima e un sogghigno da stronzetto stampato in faccia. Ha un cestino pieno di quel che potrebbe definire solo roba a casaccio, e se la ride mentre tende una mano come se si stesse presentando di fronte a un pubblico adorante.

“Ehi, Tony,” dice, ridendo di nuovo. “Come butta?”

“Che diavolo succede?” chiede Tony, con un tremito stridulo nella voce. “Dovresti essere in prigione, dovresti essere ovunque ma non qui. Ovunque. Perché diavolo sei… qui? Quando io sono qui?”

“Sono la tua giuria,” dice Justin, e ha lo stesso aspetto che aveva anni fa, ancora magro come un chiodo, un po’ più trasandato. Fa un passo avanti, poggiando il cestino sullo spesso tappeto ai loro piedi. Afferra un mazzo di fiori dall’aria appassita e lo spinge tra le braccia di Tony. “Vorremmo – e con noi intendo me – farti i nostri onori,” dice, e aggiunge un orsetto dell’Uomo Congelato sopra i fiori. Tony non sa neanche perché cazzo gli stia permettendo di porgergli le cose. Si sente come un maledetto uomo congelato. “E onorarla per essere il primo e unico figlio del grande Howard Stark – l’uomo più intelligente mai esistito al mondo.”

Tony assottiglia gli occhi.

Justin aggiunge una scatola già aperta di biscottini alla menta tra le braccia di Tony. “Ed ecco il mio dono più prezioso – no, non i biscotti – ovvero un braccialetto di seta che mi ha dato la mia ex e che ho spezzato per condividerlo con te. Come i braccialetti dell’amicizia! Io e te! J e T!” Si muove rapidamente, legando con uno stretto nodo il nastro sfilacciato al polso sinistro di Tony. Fa un passo indietro, ammirando la sua opera, e Tony tira via la mano. Non ha tempo di pensare a toglierselo, perché una voce si leva alle sue spalle.

“Uh,” dice Peter, molto vicino alla spalla di Tony, come se stesse cercando di proteggerlo. “Cosa… cosa succede?”

A quelle parole, Tony esce dal suo stato confusionale. “Uh, già, bella domanda, eh?”

“Basta, chiamo la polizia,” dice Rhodey.

“Oh, Cristo, loro sono davvero con te?” chiede Justin, ritraendosi un po’ e arricciando il naso. “Hai portato altra gente? Pensavo che ti stessero solo insolitamente vicino.”

“Senti, stronzo--”

“Sì, siamo con lui…”

Tony lascia cadere i fiori, il peluche e i biscotti nel cestino abbandonato, e le sue onde cerebrali fanno breccia oltre il muro di shock, riuscendo finalmente a mettere insieme i pezzi. “Aspetta. Frena. Sei stato tu?

“Io vorrei tornare al punto in cui dovresti essere in prigione,” dice Happy.

“Buona condotta,” dice Justin, con le mani sui fianchi. “Sono un ragazzo a modo.”

“Sì, e appunto per questo non-- non mi torna,” dice Tony, scuotendo la testa.

“Chiama chi vuoi, sono stato una manna dal cielo per quella prigione,” dice Justin. “Volontariato, rappresentazioni di Shakespeare, programmi con la chiesa, non manca niente, bello.”

Tony non si è mai lasciato turbare troppo da questo verme, ma adesso il suo cuore sta prendendo quell’andamento intermittente che si innesca all’avvicinarsi di un attacco di panico. Guarda la faccia viscida di Justin e si sente rivoltare lo stomaco. “Chiama chi vuoi?” chiede. “Sono sicuro che sai benissimo che non possiamo chiamare proprio nessuno in questo inferno di neve; Peter e io non abbiamo linea da ieri sera e immagino che sia lo stesso per voi due.” Guarda Rhodey e Happy e loro annuiscono rassegnati.

“Ecco, riguardo al tuo entourage,” dice Justin, sembrando ancora disgustato. “Non mi aspettavo che avresti portato, uh, gente.”

Tony sente un dolore improvviso materializzarsi al centro della sua fronte. “Non ti--”

Justin tasta le proprie tasche. “Uh, non ho alcun regalo per loro – oh, sì, tieni un pacchetto di vigorsol [5], ragazzino,” dice, lanciando a Peter una confezione di gomme. Peter la afferra di riflesso, e guarda Tony con occhi confusi. “Devi essere pulito e splendente, so che Tony Stark ha grandi aspettative per le persone che non sono perfette.”

Tony socchiude gli occhi, sentendo montare la rabbia. “Prima di tutto, il ragazzo è-- otto miliardi la persona che tu potresti mai essere, e non ti meriti neanche di guardarlo—secondo: perfetto? Tu pensi di sfiorare anche solo il confine della decenza? Ti comporti come se avessi giusto un paio di difetti, nulla di che?”

“Su, Tony, non ti scaldare così…”

Tony si sta decisamente scaldando. “Deve esserci una sorta di polizia locale, qui intorno…”

“Sì, tipo--”

“Ehi, ehi,” dice Justin, prendendo il braccio di Tony, e questi lo strattona via all’istante. “Se pensi che ci sia sotto qualcosa di losco, la cosa più furba da fare sarebbe seguirmi. No? No? Sei Iron Man, cavolo, potresti farmi fuori in un colpo solo.”

Tony non è assolutamente Iron Man, al momento. Ha rimosso l’alloggio per nanoparticelle quando Pepper è rimasta incinta, perché le sue narici fumavano ogni volta che la guardava, ed era già abbastanza furiosa che ce l’avesse ancora al matrimonio. Ma al momento vorrebbe non essersela tolta, perché Justin Hammer è una maledetta minaccia per la società e non è incline a credere a quella stronzata della buona condotta neanche per un istante.

“Tornando alla mia prima, terrificante realizzazione… hai allestito tu tutta quella storia della premiazione?” chiede Tony, mortalmente serio. “Tu?”

“Io e sei persone circa,” dice Justin, sfregandosi il naso. “Non c’è stato bisogno di convincerli più di tanto… ah, domanda lampo, non hai gradito i regali? Mi faccio un promemoria.”

“Quella merda inutile che hai portato?” chiede Tony, abbassando lo sguardo verso il cestino. “A proposito: ragazzino, non mangiare quella gomma.” Si volta e sorprende Peter intento ad aprirne una, per poi annuire e gettarla nel cestino all’angolo.

“Merda inutile, ok, non hai gradito,” dice Justin, annuendo. “Va bene, vuoi seguirmi o dobbiamo scatenare una rissa qui? Perché se volete una rissa, sto per-- darmela a gambe e tentare la sorte domani…”

Tony si gira, incontrando gli occhi di Rhodey. Ha combattuto in prima persona contro i maledetti droni di Justin e sa quanto sia pericoloso quell’imbecille. Tony non sospetta che ci sia qualcosa di losco, sa che c’è, ma sa anche che non lo scoprirà continuando quello scontro verbale. Non gli piace l’idea di mettere in pericolo gli altri, ma a quanto pare l’ha già fatto portandoli qui, ed è l’ultima cosa che avrebbe voluto. Cosa potrebbe mai voler combinare Hammer a Nederland? Perché allestire questa farsa? A quello può rispondere: non sarebbe mai venuto, se l’avesse saputo prima. Avrebbe allertato l’FBI e fatto spedire quello stronzo a Seagate [6].

Quindi perché lo vuole qui? Cosa ci guadagna? Deve scoprirlo.

“Ok,” dice Tony. “Io andrò con lui, e voi…”

“… con te,” dice Rhodey, guardandolo come se fosse impazzito.

“No--”

“Uh, sì,” dice Happy.

“Non ce ne andremo--”

“Tu no di certo,” dice Tony, indicando Peter. “Neanche per sogno, non se ne parla, ragazzino.” È da quando Peter è tornato che vorrebbe metterlo in una teca di cristallo, e il suo cuore sprofonda anche solo a vederlo mettere un piede in fallo.

Ma Peter è dannatamente testardo, proprio come lui.

“No, mi dispiace, vengo con te,” dice Peter, alzando il mento e sembrando più piccolo di quanto sia, e ciò non fa che aumentare la preoccupazione che scorre nelle vene di Tony.

“Tony, suvvia,” dice Justin. “Non ho intenzione di-- senti, nessuno è in pericolo! Voglio solo mostrarti il mio omaggio a tuo padre… darti un modesto premio di fronte a un mucchio di spettatori…” Tossisce, con gli occhi che guizzano qua e là, per poi tornare su Tony. “Poi possiamo goderci la Festa dell’Uomo Congelato! Non sei felice che sia oggi? Oggi, di tutti i giorni? Cavolo, io lo sono. Potremmo fare i Tuffi Polari dopo la cerimonia, è sempre divertente, soprattutto con quei costumi. La sposa cadavere coi capelli rossi; magari stavolta vince lei.”

“Non-- non voglio sentire più nulla riguardo a quella maledetta festa di stramboidi-- pensavo che l’avremmo evitata del tutto…”

“Oh,” dice Justin in un sibilo, con un lieve sussulto. “Allora spero che ti ci abituerai…”

“Andiamo,” dice Peter, facendo un paio di passi verso la porta.

“Peter,” dice Tony, seguendolo rapido.

“So chi è quel tizio,” dice Peter, scoccando un’occhiata a Justin da sopra la spalla di Tony. “E come ho già detto, vengo con te.”

Justin ha minacciato il ragazzino quando Tony non sapeva nemmeno chi fosse. Il drone di Hammer era lì, e un Peter in miniatura gli si è piazzato davanti con una maschera di Iron Man. Tony ci pensa, a volte, pensa a tutto ciò che non avrebbe se non fosse arrivato in tempo per salvarlo. Guarda gli occhi ribelli di Peter e sa che potrà pestare i piedi e dare di matto quanto vuole, ma non lo farà schiodare dal suo fianco. Serra la mascella e Peter di rilassa un poco nel realizzare che Tony non ha intenzione di opporsi, con un sorriso a farsi strada sul suo volto.

“Okay,” dice Tony, fissando Justin e facendo un secco gesto in avanti con il capo. “Andiamo, idiota, e facciamola finita.”

“Devo mostrarvi un po’ di belle cose,” dice Justin, svolazzando attorno a loro. Recupera una giacca appesa alla statua di un orso polare accanto alla porta e la indossa. “Stiamo organizzando questa cerimonia da… più tempo del previsto.”

Tony si è stufato delle sue stronzate. “Ah-ha,” commenta, lanciando un’occhiata agli altri da sopra la spalla. Happy e Rhodey sembrano stizziti, con le sopracciglia costantemente aggrottate. Peter sembra pronto a uno scontro, nonostante abbia un brivido non appena mettono piede fuori. Sta nevicando come quando sono arrivati in città, ma Justin avanza come se ci facesse a malapena caso.

“Fidatevi, questo posto è uno splendore,” dice Justin, facendo un cenno verso il paesaggio bianco e brillante intorno a loro. “Spero che ve ne innamoriate. Io l’ho fatto. Ho avuto… molto tempo per innamorarmene.”

C’è un palco allestito tra il motel e il negozio di alimentari, con attorno circa una cinquantina di persone. Si sta svolgendo quello che sembra una specie di gara di costumi, e sul palco c’è una sposa dai capelli rossi. Tony lancia un’occhiata a Justin, ma lui non sta neanche guardando in quella direzione. Ci sono due bambine con una bancarella accanto al motel, intente a vendere fiori appassiti che luccicano ai raggi del sole. Delle decorazioni sono arrotolate ai lampioni e appese su ogni edificio in vista. Tutto segue lo stesso tema: l’Uomo Congelato. C’è uno spiazzo con un’insegna su cui si legge – e lo legge due volte, per esserne sicuro – “bowling con tacchini di ghiaccio”. Dove la gente gioca a bowling. Con dei tacchini ghiacciati.

Questo posto è fottutamente strano.

“Questo posto è davvero strano,” dice Rhodey, mentre seguono Justin lungo la strada.

“Puoi dirlo forte,” sospira Tony. Justin si schiarisce rumorosamente la gola. Non c’è molto traffico, qui, ma c’è un sacco di gente, la maggior parte con delle bevande in mano, la metà delle quali ha un’insolita tinta blu. Un cane con un costume da scheletro li sorpassa correndo, e un bambino con un costume abbinato lo insegue urlando “Jeff! Jeff!”

“Chi chiama il suo cane Jeff?” chiede Happy, con scherno.

“Me lo chiedo sempre,” dice Justin. “Ogni volta.”

“Si comporta in modo strano,” sussurra Peter, rivolgendosi a Tony.

“Lui è strano,” replica Tony. “Questo posto è strano, lui è strano, questa cazzo di vacanza è strana… ci aspettano un sacco di cose strane, ragazzo, in questi dieci minuti in cui starò al suo gioco prima di levare le tende.”

Peter sorride. A volte Tony rimane sconvolto al pensiero di quanta fiducia quel ragazzino riponga in lui, a prescindere dalla situazione, ma gli dà anche un motivo per essere sempre all’altezza delle sue aspettative.

“Eccoci qua,” dice Justin, sbracciandosi nell’indicare davanti a loro. C’è un grande edificio in un’altra piazza subito dietro lo scarico merci, e sembra una sorta di teatro o auditorium. La neve si è ammassata sul tetto spiovente ed è scivolata lungo le guglie, ammucchiandosi in grossi cumuli nell’area recintata attorno all’edificio.

“Che diavolo è quello?” chiede Rhodey, e Tony segue il suo sguardo, vedendo dove li sta portando Justin.

“Allora, non le ho fatte tutte io,” annuncia Justin, e ha l’aria di essere sul punto di saltellare mentre apre il cancello. Tony vede ciò che sta guardando Rhodey: delle cazzo di sculture di ghiaccio. Cinque, per la precisione.

“Io non mi vanterei di averne fatta neanche una,” lo sbeffeggia Happy.

“Wow, si un critico d’arte e scultura?” ride Justin, fissandolo.

“Uh, sono d’accordo con lui,” dice Tony. “Fanno schifo, Hammer, sembrano-- alieni mollicci, e io li ho visti, gli alieni…” Justin si ferma di fronte all’ultima, guardandola adorante. “Chi dovrebbe essere?” chiede Tony, affiancandolo. “William Howard Taft [7]?”

“No, ma come? William-- no, questo è Howard Stark, amico mio, è lui, in carne ed ossa! E, beh, ghiaccio.”

Tony lo guarda fisso. Sente Rhodey strozzare una risata dietro di lui, e Peter che sussurra qualcosa ad Happy. E poi guarda la statua. Quel coso di ghiaccio, che si sta già sciogliendo, sembra più Wilson Fisk [8] che quel maledetto di suo padre. E ha un’espressione assurda, come se fosse costipato. Sospira, indeciso tra ridere perché Howard si sarebbe indignato terribilmente per questo coso di ghiaccio mostruoso e andare in escandescenze perché Justin li sta prendendo in giro e non ha ancora capito il motivo.

Si gira, vedendo Happy che fa una foto a quell’affare. Poi Peter si mette in posa lì accanto. Rhodey nota la faccia di Tony e soffoca una risata.

“Wow,” dice Tony, senza inflessione. “Questo da solo è abbastanza per farti tornare in prigione.”

“Cosa?” chiede Justin. “Questo è uno dei miei lavori migliori.”

“Ok,” dice Tony, scuotendo la testa. “Adesso ce ne andiamo per davv--”

“No, no, no,” dice Justin. “No, andiamo… lì dentro, ti darò il premio e i certificati che abbiamo fatto, vedrai che non ti sto dicendo stronzate, te lo prometto.”

“Certo, ci crederò quando lo vedrò,” dice Tony. “Muoviti, non sono un grande fan della neve…”

“Venite, venite, è di qua, seguitemi,” dice Justin, e questa è la sua ultima opportunità, si ripromette mentalmente Tony. Non sa perché non gli stia ancora dando una botta in testa per poi buttarlo nel portabagagli dell’auto a noleggio.

“Dobbiamo entrare dalla porta sul retro,” dice Justin, qualche passo avanti a loro mentre zigzaga sul marciapiede fino a una porta di legno con sopra un poster dell’Uomo Congelato. Li accompagna dentro e Tony sbuffa, avanzando mentre entrano in fila indiana.

“Siamo in una cucina,” dice, lanciando un’occhiata ai fornelli e ai frigoriferi. “Vuoi farci una torta? È quello il premio? Perché a Howard piacevano solo le torte di meringhe al limone…”

Si gira giusto in tempo per vederlo, per vedere Justin che assesta un violento spintone ad Happy… Happy urta contro Peter e Rhodey e tutti e tre cadono a terra dentro un… merda. Merda.

Tony fa per muoversi, ma è troppo lento, e Justin sbatte la porta del freezer, intrappolando i tre all’interno. Abbassa la temperatura, facendola crollare a picco, poi Tony gli rifila un diretto sul naso. Si slancia verso la porta, ma c’è un cazzo di codice da inserire, e si sente prendere dal panico-- la faccia di Peter è oltre l’oblò, con gli altri due dietro, e stanno mimando delle parole che Tony non riesce a sentire, e lui sta entrando nel panico--

“Oh, perché l’hai dovuto fare?” dice Justin, con le dita a stringersi il naso. “Cristo santo, Tony…”

“Falli uscire,” dice Tony, gesticolando verso la porta davanti alla quale si è appena messo Justin. “Ora. Ora! Ora e non ti ammazzo.” Gli serve l’armatura, cazzo se gli serve, con l’armatura potrebbe rompere la maniglia, ma così com’è non può fare nulla, non può aiutarli…

“Devo parlarti, e questo è l’incoraggiamento che ti serviva per ascoltarmi.”

“L’unico incoraggiamento che sento è quello a spaccarti la testa,” replica Tony. Il suo battito cardiaco è alle stelle, e continua a guardare alternatamente tra l’oblò del freezer e la faccia da idiota di Justin. Gli altri stanno cercando di aprire la porta dall’interno, ma quella non cede.

“Ascoltami e li faccio uscire,” dice Justin, impiastrandosi di sangue nel tentativo di asciugarselo con la mano. “Posso spiegarti in breve, e mi servono delle garanzie da parte tua--”

“Tu da me non avrai un cazzo--”

“Allora li lascio morire,” dice Justin, scrollando le spalle. “E tu dovrai guardare. Non c’è modo di aprire la porta, se non con il codice nella mia testa; questa città fa sul serio, quando c’è da congelare qualcosa. Non puoi neanche rompere il vetro, è rinforzato. Puoi uccidermi se vuoi, non m’importa, non mi fa alcuna differenza.”

Tony sente un brivido lungo la schiena e digrigna i denti. Si sente sul punto di vomitare. Sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi di questo stronzo, lo sapeva, deve imparare a fidarsi del suo istinto. “Hai un minuto,” dice, cercando di tenere sotto controllo il respiro. “Poi accetterò la tua offerta.” Sa che non può permetterselo. Potrebbe provare a indovinare il codice, provare tutte le combinazioni, ma ci vorrebbe troppo tempo.

“Hai visto il film Il Giorno della Marmotta?”

“Non hai più un minuto,” ringhia Tony.

“Ok, fammi-- ti propongo un compromesso, così ti sfoghi un po’: io ti dico cosa succede e tu puoi prendermi per il collo e-- strozzarmi se ti arrabbi, ma devi lasciarmi parlare…”

Tony sussulta, guardandolo storto. “Mi sembra… un po’ troppo perverso…”

Justin ghigna, inclinando di lato la testa. “Già, lo facevo con la mia ex…”

“Stanno morendo assiderati!” grida Tony, avanzando verso di lui.

“Fallo e basta!”

Al momento sembra davvero una buona idea, e Tony avanza ancora, piazzando le mani ai lati del collo di Justin. I suoi occhi guizzano di nuovo verso l’oblò del freezer, dal quale Peter, Rhodey e Happy lo stanno fissando preoccupati. Guarda di nuovo Justin. “Parla.”

Justin sospira. “Ti stavo prendendo per il culo, prima, con quella roba di Howard. Dovevo farti venire qui. Il Giorno della Marmotta. Ci sono dentro. Questo posto, questo… inferno ghiacciato-- sì, ok, sì, sono evaso di prigione, è stata una mossa… davvero ragguardevole, se posso--” Tony digrigna i denti e sposta le mani verso il collo di Justin, e questi annuisce. “Ok, ok… la mia ex mi ha aiutato, ha detto di incontrarla qui… e poi ha iniziato ad accadere. Il giorno è questo. Ho vissuto questo giorno mille volte, e ancora, e ancora.”

“Di che diavolo stai parlando?” chiede Tony, col sangue che gli ribolle.

“Come il Giorno della Marmotta. Il tempo si è letteralmente fermato su questo giorno. Per circa… Cristo, credo che adesso siano più o meno cento giorni. Vivo un intero giorno, e poi, dovunque io sia a mezzanotte, mi risveglio all’istante nel mio letto al motel. Sono l’unico che se ne rende conto. Nessun altro lo sa, non ne sono… consapevoli. Ma siamo bloccati, l’intera città è bloccata.”

Tony scuote la testa a quelle parole. Non ha nessun senso. Sono solo altre stronzate. I suoi amici e il suo ragazzino stanno soffrendo mentre Justin si inventa altre storie idiote.

“Uh… per esempio, sono, uh… andato a letto con questa donna, Angela, dell’alimentari, e nel loop successivo si è-- si è semplicemente dimenticata, è stato come se mi incontrasse per la prima volta…”

“… probabilmente si stava solo pentendo della sua pessima scelta, e il tuo minuto è quasi finito…”

“… è lo stesso giorno, ripetuto, in ogni dettaglio. Gabe con la camicia arancione macchiata di burro d’arachidi. Il bowling coi tacchini e Darrel che si rompe la mano. Jeff e il cane. Hai preso i miei ultimi orsetti gommosi! Sembra che ti piacciano! Sono bloccato, tutta la città è bloccata, ma, come ti ho detto, sono l’unico a saperlo. Una sorta di… inferno magico. Ho ucciso delle persone, ho scopato-- con molte persone…”

Tony sospira, roteando gli occhi.

“… e tutto si resetta. A mezzanotte si resetta e mi sveglio alle otto di mattina. Non lo sa nessuno, cazzo, solo io. Non posso andarmene, ogni volta che ci provo la tempesta si intensifica fuori dai confini della città e devo tornare indietro o… morire là fuori. Succede sempre qualcosa, ogni singola volta. Magari è sereno, ma non appena varco il confine mi trovo in una bufera, o c’è una frana o una valanga o mi investe una cazzo di macchina. La gente può entrare, ma non può uscire e viene semplicemente… assorbita nel giorno.”

“Cristo-- Santo,” dice Tony. Ne ha abbastanza. “Apri la porta e falli uscire. Falli--”

“No,” dice Justin. “Non lo faccio finché non accetti di aiutarmi-- ti ho mandato le lettere per un motivo, non sapevo neanche se ti fossero arrivate-- internet qui è una merda. Tutti hanno il via cavo e non si riesce a inviare nulla, ho dovuto provare alla vecchia maniera…”

“Se sei l’unico a ricordartelo, come diavolo faccio io ad aiutarti?” chiede Tony, molto tentato dallo strangolare quella testa di cazzo, se solo Peter non lo stesse guardando. Mentre muore assiderato. Dio Cristo.

“Perché sei un genio. Perché puoi fare di tutto, anche in un giorno solo.”

Tony guarda di nuovo nell’oblò. Si sono allontanati, adesso, e Happy e Rhodey sono ai lati di Peter, intenti a sfregargli le braccia. Cazzo, no, non può permettere che continui. “Ti aiuto,” dice, dando una spinta a Justin mentre si ritrae da lui. “Ti aiuto. Adesso falli uscire.”

Gli occhi di Justin quasi strabuzzano fuori dalla sua testa. “Davvero?”

“Davvero. Ora apri quella dannata porta.”

Justin lo fissa per un istante, socchiudendo gli occhi. “Mignolino?”

Tony è davvero. A un passo dall’ammazzarlo. Avvolge il suo mignolo attorno a quello di Justin e quasi glielo spezza, poi ritira la propria mano. Nella cucina si gela, non riesce neanche immaginare quanto faccia freddo nel freezer. “Apri. La porta.”

Justin gli lancia un’occhiataccia, si scrocchia le dita e si accosta al tastierino. Digita 4387, che Tony memorizza giusto in caso, poi spalanca la porta. Tony cerca di impedire al proprio cuore di battergli così forte nelle orecchie e spinge Justin da parte, afferrando il braccio di Peter e trascinandolo fuori da quel cazzo di freezer. Il colorito del ragazzino è bluastro e Tony lo stringe a sé, spronando a uscire anche Happy e Rhodey e tirandoli verso la porta principale. Si toglie il giacchetto e lo avvolge attorno alle spalle tremanti di Peter, guardando Happy che sbatte con rabbia la porta del freezer.

“Cazzo,” dice Rhodey. “È stato tremendo.”

“State bene?” chiede Tony, spostando lo sguardo dall’uno all’altro.

“Tremendo,” dice Happy, fissando in cagnesco Justin. “Come ha detto lui… tremendo, cazzo.”

“Ragazzino,” dice Tony, piegando un poco le ginocchia per guardarlo negli occhi. I suoi denti stanno battendo e anche lui guarda storto Justin, ma scuote la testa. Tony non riesce a capire se voglia dire non sto bene o sono incazzato nero, ma in ogni caso non gli piace. Gli sfrega la schiena stropicciandogli i vestiti, cercando di generare un po’ di calore.

“Bene,” dice Justin, battendo le mani. “Come disse un tizio dei cartoni animati molto attraente, ci sono anch’io [9], quindi--”

Tony vede rosso. Non ne può più di queste cazzate. Aggira Peter e copre la distanza che lo separa da Justin con un pugno in faccia. Di nuovo. Lo fa senza pensarci, vede semplicemente tre delle persone a cui tiene di più al mondo al freddo e tremanti e il suo cervello si scollega, ma non rimpiange la propria scelta. Si tira indietro, strofinandosi le nocche e battendo le palpebre.

“Cristo!” guaisce Justin, cadendo all’indietro contro il muro. “Di nuovo? Di nuovo?”

Tony si volta, poggia un braccio sulle spalle di Peter e fa cenno agli altri di seguirlo. “Piazziamoci davanti a un fuoco per una ventina di minuti… poi ce ne andiamo da questa merda di posto.”

“Finalmente, una cazzo di decisione sensata,” dice Rhodey, aprendo la porta.

Arrancano fuori e Tony è perfettamente consapevole della neve che vien giù a capofitto, più forte di prima, anche se tutti gli idioti della Festa dell’Uomo Congelato sono ancora intenti nelle loro futili attività. Tira su il cappuccio a Peter e torce il collo per controllarlo, cercando di non farsi prendere dal panico.

“Non è niente,” dice Peter, ancora battendo i denti. “Sto bene.”

“Certo,” dice Tony. Peter trema troppo per i suoi gusti, e Happy e Rhodey avanzano di buona lena per sfuggire a quel freddo. Maledetto Justin Hammer.

“Ce-- ce ne andiamo?” chiede Peter, poggiandosi a Tony.

“Dovete scaldarvi un po’, poi ce ne andiamo,” dice Tony. “Scusa se ti ho trascinato fuori in questa dannata missione, ragazzino.”

“No, non--”

“Ehi!” arriva la voce di Justin alle loro spalle. “Ehi, ehi, hai giurato col mignolino di…”

Sssì, ci sentiamo domani,” dice Tony, realizzando le implicazioni di quell’affermazione in luce delle stronzate di Justin.

“Cristo santo, Tony!” grida Justin. “Sei una maledetta spina nel culo, lo sai?”

“Sì, me lo dicono spesso,” dice Tony, mentre attraversano la strada.

“Che ti ha detto?” chiede Happy. “Che voleva?”

“Pensavo stessi per strozzarlo,” dice Rhodey. Superano un gruppo di ragazzini imbacuccati, tutti impegnati a canticchiare una strana canzone su un certo vecchio Bredo.

“Sì, in tuo onore,” dice Tony. Sfrega il braccio di Peter quando avverte un altro brivido che lo scuote. Tony ha un freddo cane, senza giacca, ma il ragazzino è più importante. Accelera leggermente il passo, ignorando tutti i richiami di Justin che sfumano in lontananza. “Ve lo dico quando siamo in stanza. Nonostante la-- l’ampia varietà di cose che abbiamo visto e affrontato, non ci crederete mai.”

Accendono un fuoco nella stanza di Tony e questi vi fa sedere Peter proprio di fronte, ammucchiandogli addosso almeno dieci coperte. Fa una cioccolata calda per tutti e tre, probabilmente troppo calda, ma ne sembrano grati. Se ne stanno seduti lì a godersi il calore mentre Tony li guarda ansioso e atterrito dal fatto che tutto ciò sia accaduto proprio davanti ai suoi occhi. Non ha già rischiati troppe volte di perderli? Non ha idea del perché lo sopportino ancora. È sollevato che Pepper non sia lì. Se Justin avesse abbassato la sua temperatura corporea anche di un solo grado, vista la sua condizione Tony l’avrebbe sicuramente ucciso.

Non appena si sono ripresi, si lascia cadere sul letto e riassume la ridicola storia di Justin. Lo guardano tutti dai loro posti sul tappeto, come bimbi dell’asilo che ascoltano una favola, e si sente un imbecille a ripetere sul serio quelle parole. Quel pazzoide criminale è evaso di prigione – chissà come – e l’ha trascinato in qualche folle complotto. Ci dev’essere dietro altro. Ciò che gli ha raccontato non può essere vero.

“Giusto?” chiede Tony. “Nel senso: non è reale.”

Rhodey alza gli occhi al cielo, prendendo un altro sorso dalla sua tazza. “Che motivazione avrebbe?” gli chiede. “Lo fa solo per romperti le palle?”

“Non ne ho idea,” dice Tony.

“Magari vuole che lo aiuti a fuggire,” dice Peter. “Non so, farlo uscire di qui perché non si sente sicuro. Forse spera che tu possa farlo sparire dai radar.”

“Forse.”

“O magari,” interviene Happy, con enfasi, “è vero, cazzo. E c’è un loop temporale. E quell’idiota è bloccato qui e adesso ha bloccato anche noi. Perché è una persona orribile.”

“No, deve volerci indurre a fare qualcosa,” dice Rhodey. Scocca un’occhiata a Tony. “Se è in un loop… come hai fatto a ricevere le sue lettere? Eh? Se dice che le cose possono entrare ma non uscire.”

“Magari il loop sa--” comincia Happy.

“Il loop sa?” chiede Rhodey, alzando le sopracciglia.

“Magari il loop sa,” dice Happy, più forte, “che le lettere attirano gente, quindi permette loro di uscire per intrappolare più persone.”

Tony guarda Peter, che sposta gli occhi dall’uno all’altro. Può quasi vederlo mentre cerca di ricostruire un filo conduttore nella sua testa.

“E come avremmo fatto a prenotare il motel?” chiede Rhodey, guardando Tony. “Come potrebbero ricordarsene? O ricordarsi di noi?”

“Beh, la signora in effetti continuava a dire la data sbagliata al telefono…” dice Tony. “Pensavo che fosse solo… distratta, con quell’aria di montagna, non so…”

“Se questa storia è vera allora adesso stiamo, insomma… viaggiando nel tempo,” dice Peter.

Ecco, a quelle parole Tony sente salire la nausea, considerando cosa hanno passato per essere lì sani e salvi in questo momento. Peter scuote la testa e Tony la scuote di rimando. Non vuole decisamente pensarci.

“Potrebbe essere il motivo per cui quassù non c’è linea,” dice Happy, spostandosi un po’ più vicino al fuoco. “Perché il loop non vuole.”

“Stai dando a questo loop delle caratteristiche un po’ troppo umane,” dice Tony.

È passato troppo tempo da quando Tony ha sentito la voce di Pepper, e quel fatto inizia a snervarlo. Guarda il suo telefono. Ancora nessun servizio, ma fissa quella foto adorabile di lei accanto alla sua nuova armatura, incinta di sei mesi mentre fissa il congegno con un cipiglio di disapprovazione. È decisamente lei a fargli mantenere l’equilibrio, a farlo andare avanti. Si tira su, per poi alzarsi in piedi. Arruffa i capelli di Peter mentre aggira il letto e tutti lo guardano con aria preoccupata.

“Dove vai?” chiede Happy.

“Rimanete qui,” dice Tony, indicandoli. “Vedo se riesco a chiamare Pepper dalla reception.”

“Urla se succede qualcosa”” dice Peter, con gli occhi un po’ sgranati.

“Hammer non mi rapirà,” dice Tony, scuotendo la testa nella loro direzione. “In ogni caso, non credo che tre ghiaccioli umani mi sarebbero molto utili…”

“Ehi, potrei disintegrare quel tizio, e lo farò, con o senza spara-ragnatele--”

“Senti, non sai quello che so io sul Giorno della Marmotta--”

“Lo distruggiamo, Tony, siamo abbastanza arrabbiati--”

“Ok, ok,” dice Tony, sollevando i palmi. “Siete tutti molto forti e molto incazzati… torno subito.”

 
§

 
Quando arriva lì, al bancone c’è la stessa donna, e lui cerca di stamparsi in faccia la sua espressione più affascinante. Si avvicina sorridendo, e lei ricambia appena.

“Uh, per caso potrei usare il vostro telefono?” chiede, cercando di suonare normale e non disperato. “Non ho segnale quassù e ho mia moglie a casa, incinta di sette mesi…”

“Oh, dove siete?”

“Viviamo a New York,” dice Tony, annuendo.

“Oh, sette mesi… non è un buon momento per lasciarla sola!” dice la donna.

Tony si mette istantaneamente sulla difensiva, come a comando, e si schiarisce la gola. “Beh, è decisamente in grado di cavarsela da sola… gestisce la sua azienda, è una tosta e non ha davvero bisogno di me, non era previsto che-- senta, potrei usare il telefono? Per favore?”

“Mi dispiace, caro,” dice lei, scuotendo la testa. “Solo i dipendenti sono autorizzati a usare il nostro telefono, il frigorifero nella stanza del personale, la nostra lavastoviglie…”

Tony sente una vampata d’irritazione. Sta forse chiedendo di usare la loro dannata lavastoviglie? “Neanche per mia moglie incinta?” chiede, stringendo i denti.

“Desolata,” dice lei.

La fissa per un istante, ma lei non vacilla, e ha la tentazione di chiederle se sappia chi è lui o cosa ha fatto, o se è stata una delle persone scomparse quando il mondo è finito, ma tiene tutto per sé. Tamburella con le dita sul bancone un paio di volte, annuendo verso di lei, e conclude che è decisamente arrivato il momento di togliere il disturbo.

 
§

 
Radunano le loro cose, e dopo che Tony si è assicurato che tutti siano ben coperti, caricano la macchina e si avviano fuori città.

Solo che Nederland ha tutt’altri piani.

“È il loop,” dice Happy, dal sedile posteriore, mentre si avvicinano lentamente a quelli che sembrano sei ranger davanti a una montagna di neve.

“Zitto,” replica Rhodey.

“Dicevo per dire.”

Tony si gira per guardare Peter, che sembra preoccupato. Cristo, vorrebbe non averlo trascinato qui. Ma questa deve essere una coincidenza, giusto? Non può essere altrimenti. Non può essere! È solo il brutto tempo.

Rhodey abbassa il finestrino, e uno dei ranger più anziani si avvicina chinandosi per parlargli.

“Mi dispiace, amico!” gli dice. “La strada è completamente bloccata. Stiamo mandando una squadra, ma probabilmente non la libereremo prima di domattina.”

“Domattina?” chiede Rhodey, impassibile.

“Il loop…” mormora Peter.

Tony si gira di nuovo, stavolta guardando Happy. “Non influenzarlo,” gli dice.

Happy alza le mani, cercando di mostrarsi innocente, e Tony assottiglia gli occhi.

“Siete sicuri?” chiede Rhodey. “No pensate di riuscire a liberarla, uh… prima, magari?”

“Niente da fare,” dice il ranger. “Domani potrete partire, se quella grossa bufera non arriva a spazzarci via tutti. Ma se tornate in città, oggi è festa… abbiamo aperto il padiglione ghiaccia-cervello, la gara di sostituzione di pneumatici ghiacciati, la gara delle magliette ghiacciate…”

“Potreste informare la gente di quando sarà possibile andarsene?” chiede Tony, sporgendosi in modo che il ranger possa vederlo. Ne ha abbastanza della parola “ghiacciato”, non vuole sentirla mai più in vita sua.

“Certo che sì,” dice il ranger, annuendo felice. “Adesso divertitevi! Buona Festa dell’Uomo Congelato!”

Tony sente il fastidio trasudargli da ogni poro.

 
§

 
Tornano nelle loro maledette stanze, sconfitti, con la sensazione di non esserne mai usciti. Rimettono a posto la loro roba, accendono di nuovo il fuoco e Tony bandisce la parola loop. In seguito, se ne stanno seduti in un relativo silenzio, controllando i telefoni in cerca di almeno una scintilla di segnale, ma, ovviamente, non hanno fortuna. Tony è ancora in paranoia e teme che il ragazzino abbia freddo, così lo avvolge nel piumone e si siede poi per terra tra i due letti, sforzandosi di pensare.

“Perché mi vuole qui?” chiede Tony alla stanza. “Solo per torturarmi?”

“Quindi pensi davvero che stia mentendo?” chiede Happy. “Che si sia inventato tutta quella storia assurda?”

“Sì.”

“Sappiamo che la magia esiste, Tony,” dice Rhodey.

“Eddai, Rhodey, non mettertici pure tu.”

“Dico per dire.”

Tony si affonda i palmi negli occhi. “No, Justin Hammer è un idiota e uno stronzo e anche un criminale, un-- un evaso… sul serio, abbiamo gli estremi per farlo arrestare. Ma in ogni caso… ci sa fare con la tecnologia, non con la magia.”

“Ci dev’essere qualcos’altro sotto,” dice Peter, dalla sua pila di coperte. “Ci dev’essere un motivo per cui ti ha fatto venire qui… insomma, se pensi che la storia non sia vera.”

“Esatto,” dice Tony. “Qualunque cosa stia facendo, sta mettendo in pericolo l’intera città, ne sono sicuro.” Potrebbe avere in testa di tutto, e Tony ha visto di cosa è capace. E non lo aiuterà, che lui cerchi di convincerlo con l’inganno o meno. Sospira tra sé. “Secondo me, è ora di pranzo,” dice, alzandosi e scrocchiandosi il collo. “O ora del brunch. Comunque, sto morendo di fame. Troviamo qualcosa in città che sia commestibile e non congelato.”

 
§

 
Non appena mettono piede fuori dal motel, c’è Justin ad aspettarli. È seduto su una panchina, mezzo ricoperto di neve, con una giacca più pesante di quella che indossava poco fa, e ha un paio di punti a strappo appiccicati alla meglio sul ponte del naso. Tony ha un mancamento quando lo vede, e sbuffa superandolo a passo di marcia mentre afferra il braccio di Peter per trascinarlo con sé.

“Ehi…” comincia Happy, ma Tony agita con forza le braccia, incitando lui e Rhodey a seguirlo perché non ha alcuna intenzione di dargli retta. No, neanche per sogno; il piano è mangiare qualcosa, farsi un giro, cenare, fare una dormita e poi svegliarsi e andarsene. E non appena arriveranno in un posto dove prende il cellulare, chiamare gli sbirri per recuperare quello stronzo e riportarlo da dove è venuto.

“Non puoi ignorarmi!” grida Justin, non appena Tony convince Happy e Rhodey a fare esattamente quello. “Allora vi seguo, stronzi-- beh, tre stronzi e un ragazzino, ma sono sicuro che anche il bimbo è uno stronzo, visto che va in giro con voi stronzi…”

Tony prende un grosso respiro dal naso e guarda Peter, che scuote la testa in risposta. “Vedete qualcosa?” chiede Tony. “A parte la roba di quel cretino congelato? Un ristorante normale?”

“C’è una buona pizzeria sulla terza strada,” dice Justin, e sembra che si stia avvicinando. Li sta decisamente seguendo. “Finiranno il salame piccante tra un’ora, quindi dovremmo sbrigarci.”

Tony accelera il passo. “Chi odia la pizza? Tutti noi.”

Peter assottiglia gli occhi. “Hmm…”

“No. La odii.”

Iniziano ad attraversare velocemente la strada, e Tony sente i passi di Justin proprio dietro di loro. Non si gira.

“Sulla terza c’è anche una tavola calda, ma il loro roastbeef è scaduto, credo… Dio, non sono mai andato al bagno così tanto…”

“Ok,” dice Rhodey, voltandosi. “Senti, coso--”

“No, non ingaggiare,” dice Tony, prendendo Rhodey per l’avambraccio e cercando di farlo continuare a camminare.

Justin ride, e Rhodey quasi sibila a Tony, anche se lo raggiunge comunque. “Non possiamo continuare a ignorarlo, ci sta seguendo.”

“Ti ricordi che prima ci ha scaraventati in un freezer, Tony?” chiede Happy.

“Oh, pure troppo.”

“Credo che non ne stiamo parlando abbastanza. O che non lo stiamo picchiando abbastanza, per quello.”

“Attenti, la macchina rossa sta per sbandare e salire sul marciapiedi,” dice Justin.

Tony fa un verso derisorio mentre attraversano la strada, ma sente uno stridio quando sono nel mezzo. Si gira di colpo, camminando all’indietro, e vede una macchina rossa che viene sbalzata leggermente in aria nel passare sopra il marciapiedi. Si raddrizza rapidamente per poi dare gas e sparire a tutta birra dietro l’angolo, evitando di investire due persone che sembrano venire dalla gara di costumi di prima. Tony e gli altri si fermano per un istante, fissando Justin, che per i gusti di Tony ha una faccia fin troppo soddisfatta.

Deve aver visto quella macchina che guidava in modo pericoloso in precedenza.

Continuano a camminare.

“C’è anche un posto chiamato Il Rospo Arrosto, ma Gina e suo marito Eric sono là, ubriachi – di già – e stanno per litigare come al solito… il purè di patate non vale il fastidio, credetemi…”

Justin è davvero bravo a inventarsi cazzate al volo, Tony deve riconoscerglielo. Arrivano dall’altro lato della strada e gira a sinistra, lontano dal teatro dove quelle cazzo di sculture di ghiaccio sono ancora in costruzione, e vede un piccolo diner proprio dietro l’angolo. “Diner!” esclama. “Rhodey, tu adori mangiare ai diner.”

“Perfetto,” dice Happy.

“Finché posso mangiarmi un panino al prosciutto, per me va bene,” dice Rhodey, cercando di rifilare un’occhiata noncurante a Justin. Tony non sa per quanto ancora potrà far finta che non esista, o per quanto potrà resistere alla tentazione di dargli un altro pugno in faccia, specialmente se, cazzo, continua a seguirli.

“Dai, Pete,” lo incita.

“Dobbiamo fare qualcosa per quel tizio,” dice Peter sottovoce, vicino all’orecchio di Tony. “Tenterà di sicuro di fare qualcos’altro…”

Tony lo incalza, superando gli altri due mentre salgono le scalette del diner, e con la coda dell’occhio capta Justin muoversi rapidamente, come un maledetto scarafaggio. “Senti, l’ultima volta mi ha preso alla sprovvista, ma non permetterò che vi faccia di nuovo qualcosa--”

“Mi preoccupo per te,” dice Peter, con occhi grandi e agitati mentre Tony apre la porta facendo suonare la campanella. “Riguarda te, sta cercando di-- non sapeva neanche che noi fossimo qui, la cosa del freezer era un ricatto, per te.”

“Andrà tutto bene, ragazzo,” dice Tony, strizzando la spalla di Peter. Si volta verso la donna con in mano i menù, con indosso degli orecchini a forma di ghiacciolo. “Uh, quattro.”

“Da questa parte,” dice lei.

“E poi ci sono io!” grida Justin, e Rhodey si affretta a chiudere la porta prima che possa entrare. “E voglio sedermi in un posto molto preciso!”

“Gesù Cristo,” bofonchia Happy.

“Dovremo ammazzarlo,” dice Rhodey, mentre si allontanano da lui.

“Allettante, ma speriamo che non ce ne sia bisogno,” dice Tony.

Praticamente tutti i clienti del ristorante indossano costumi per quella stronzata dell’uomo congelato, e sono loro a sentirsi fuori posto. Tony non sa come affrontare la situazione - e non è normale, per lui. Di solito sarebbe in grado di formulare un piano, metterlo in pratica, risolvere il problema, ma l’ultima volta che è stato così nel pallone… è stato per Thanos. La prima volta. La volta della cenere. E ha avuto bisogno di tutti – di tutti quelli che erano rimasti – per raccogliere i pezzi del suo cuore distrutto e resettare il mondo. Justin Hammer non è assolutamente ai livelli della prugna rinsecchita, e Tony odia il fatto di non sapere cosa cazzo stia succedendo o come gestirlo, come fermarlo. Se quella dannata strada non fosse chiusa, starebbero già tornando a casa.

Tony scivola di lato sulla panca del loro tavolo e Peter scivola accanto a lui, con Happy e Rhodey che prendono posto di fronte a loro. Tony segue il loro sguardo e gli occhi furiosi di Rhodey mentre Justin, a quanto pare, si siede proprio dietro di lui. Si tolgono i cappotti, e Tony appallottola il proprio sulle gambe.

La cameriera posa i menù di fronte a loro e comincia a parlare. Tony sente Justin recitare quel che dice in sincrono con lei.

“Benvenuti al Ned’s Diner,” dicono entrambi; la voce di Justin è un po’ più bassa, ma è così vicino alla nuca di Tony che lui riesce a sentire ogni parola. “Offriamo la colazione tutto il giorno, in caso vi piacciano i pancake, e abbiamo i migliori mirtilli della città; gli speciali di oggi sono la zuppa di vongole e i panini al tonno, insieme a…”

Si interrompe. Anche Justin si interrompe, per poi sussurrare, “oh, aspettate.”

Il cuore di Tony sta battendo troppo forte per stare solo ordinando il suo dannato pranzo. Brunch. Fa lo stesso.

“Oh, aspettate,” dice la cameriera, e anche Justin riprende a parlare. “La zuppa è finita. Quindi per lo speciale abbiamo… il minestrone.” Sospira. Justin sospira. “Vi porto l’acqua?”

“Avete, uh, dell’alcol?” chiede Happy, coi palmi poggiati sulla sua tovaglietta.

“Hanno Stella Artois e Budweiser,” dice Justin, troppo forte. “Ma hanno probabilmente finito la Bud circa un’ora fa perché è passato di qui Michael, giusto?”

La cameriera lo guarda storto, per poi riportare l’attenzione su di loro. “Uh… domani ci arriva un’altra partita.”

“Una Stella per lui,” dice Tony, indicando Happy. “E acqua per gli altri, e quest’uomo non è con noi.”

Lei annuisce, guarda Justin come se fosse una qualche demone, e si allontana. Tony non ce la fa più – sa che Justin è un maledetto demone – e si volta, realizzando che quell’idiota è molto più vicino di quanto ritenga opportuno. Preferirebbe avere un continente di mezzo. O un intero pianeta.

“Stai infrangendo una promessa,” dice Justin sollevando il mento e scuotendo il mignolo, prima che Tony possa dire qualcosa.

“Oh, scusa, ho promesso a me stesso che non avrei mai più fatto promesse a chi ha tentato di uccidermi.”

“Ti prego,” dice Justin, scuotendo le mani. “È stata tutta opera di quel bruto, io volevo solo--”

“Risparmiatelo,” dice Tony. “Cazzo, hai anche il coraggio di--”

“Non sappiamo se stai dicendo la verità,” dice Peter, all’improvviso, torcendo l’orlo della giacca tra le dita. “Riguardo a questa… storia del loop. Magari stai mentendo per costringere Tony a fare qualcosa per ucciderlo e… e a me… a me non sta bene.”

Tony sente il cuore scaldarsi un poco.

“Esatto, stronzetto,” dice Happy.

“Non sta bene a nessuno di noi,” dice Rhodey. “Quindi il mio piano è riempirti di botte adesso--”

“Wow, se solo avessi saputo che volevi portarti appresso le tue guardie del corpo… questo è… questo è tuo figlio? Il figliol prodigo? Sapevo che probabilmente avevi un paio di bastardini in giro per il mondo, ma--”

Tony sente la rabbia divampare di nuovo, ma Peter parla prima che possa cominciare a insultarlo.

“Dicci solo la verità,” dice Peter, e Tony è certo di non aver mai sentito così tanto veleno nella sua voce. A volte vorrebbe che quel ragazzino non fosse così ingenuo. Non pensa che Justin abbia la minima intenzione di dir loro la verità, e Peter rimarrà deluso.

Justin sospira di nuovo, guardandosi intorno. Indica una donna anziana al bancone, con indosso un lungo vestito bianco e macchiato. Tony non riesce a capire se sia un costume o meno. “Patty, laggiù, sta per ricevere il suo milk-shake alla fragola… ma lo rovescerà quasi subito. Al primo sorso. Guardate.”

Tony assottiglia gli occhi, ma non ci vuole così tanto come pensava. Il cameriere arriva e poggia quello che sembra indiscutibilmente un milk-shake alla fragola di fronte alla donna. Lei ringrazia con un cenno, lui si allontana. Al primo sorso inclina un po’ troppo il bicchiere verso di lei, e una grossa e densa goccia trabocca atterrandole in grembo.

“Huh,” grugnisce Rhodey.

“Insomma,” dice Tony. “Era facile da prevedere. Sembra proprio… quel tipo di persona.”

“Drin drin,” dice Justin,

La campanella della porta tintinna. Si girano tutti a guardare.

“Cristo santo, Martha,” dice Justin, dando una pacca sulla spalla a Tony.

“Cristo santo, Martha,” dice il tizio appena entrato, scrollandosi la neve dalla giacca.

“Quante volte vuoi dimenticarti il portafogli?” dice Justin.

“Quante volte vuoi dimenticarti il portafogli?” chiede l’uomo, mentre quella che Tony presume essere Martha lo guarda accigliata.

“Ok, Tony,” dice Happy. “Il loop è reale. Oppure è un veggente.”

Tony si gira per fulminarlo, ma Happy ha già assunto quell’espressione di quando è assolutamente convinto di qualcosa. “No,” replica. “Ci riesce in qualche altro modo. Con qualche congegno.”

“Nessun congegno. Sto dicendo la verità, idioti. Perché dovrei inventarmi qualcosa del genere? Che ci guadagno? Porta sul retro… due bambini con la giacca rossa stanno per entrare. Con l’aria di chi non vuole farsi vedere.”

Succede puntualmente: due ragazzini aprono circospetti la porta sul retro, giusto uno spiraglio, e si guardano intorno come se si stessero nascondendo da qualcuno. Scivolano dentro e si siedono al tavolo più vicino alla porta e, ovviamente, indossano delle giacche rosse abbinate.

“Ok,” dice Tony, strofinandosi le tempie. “Non importa.”

“Stanno per cambiare la stazione radio… stars shining bright above you…”

Tony si sente come dentro un cartone animato, perché tutti loro osservano il cameriere cambiare stazione sulla vecchia radio, e subito Mama Cass inizia a cantare smielata, decisamente meglio di quanto stia facendo Justin.

“Stars shining bright above you…”

“…night breezes seem to whisper…”

“…I love you…”

“Smettila di cantare,” dice Tony, col cervello pronto a esplodere. “Smettila adesso.”

“La mia ex dice che canto benissimo,” dice Justin, con aria offesa.

“Ti ha mentito,” sputa fuori Rhodey.

Justin sospira. “Sto facendo tutto ciò perché lo conosco. Come le mie tasche. Ho girato questa città in lungo e in largo, ancora e ancora. Costantemente. Merda, per quasi tre mesi. Siamo bloccati nello stesso giorno da tre mesi. Siamo tre mesi indietro rispetto al mondo… sono stato ovunque, ho fatto e visto tutto, conosco i nomi di tutti…”

Tony ne ha abbastanza. Si gira per fronteggiare Justin faccia a faccia. “Non ti credo neanche per un secondo, non so che diavolo stai facendo, perché diavolo hai dovuto coinvolgermi, perché diavolo sono stato così stupido da venirmene a fare una scampagnata quassù con tre delle persone più care che ho per invischiarle in chissà quale cazzo di complotto probabilmente mortale che stai architettando… ma non voglio saperne niente.”

“Tony, suvvia--”

“No, stronzo,” dice Tony, ribollendo di rabbia. “Non è passato neanche un anno. Da tutto quello schifo, da quando… da quando…” Vede il deserto rosso e spoglio di Titano. Vede la cenere nell’aria. Sente la voce di Peter che si spezza e sfuma nel nulla. Mi dispiace. Vede il mondo lacerato in due, un mondo che hanno salvato per miracolo. Una realtà che hanno cambiato per miracolo. Lancia una rapida occhiata a Peter e si ricorda di quando non c’era, di quando era sparito, di quando metà del dannato universo era sparita. Di come ogni gesto sembrava un’agonia perché avevano perso. Perché, per un po’, avevano dovuto convivere con quella perdita perché non sapevano come rimediare. E ricorda quanto è stato vicino, quanto Steve e Thor e Bruce e tutti quelli che erano rimasti, quanto sono stati vicini a morire. Combattendo per le persone che amavano.

Sono immersi in una bolla di tranquillità da quando tutto si è sistemato, da quando Tony si è tolto il gesso e Steve ha ripreso a vedere e Sam a camminare senza problemi. Le cicatrici ci sono ancora, per tutti loro, anche sotto la superficie, e a volte la sua paura e la sua ansia minacciano di divorarlo vivo. Non può perdere nessuno – non di nuovo – non Pepper a casa, non le persone che sono al tavolo con lui, non i membri della sua squadra, e ciò include anche i membri onorari, cioè un certo gruppo di cretini, un certo stregone, una certa coppia di insetti, una certa Pantera Nera e tutta la sua famiglia.

Tony ne ha abbastanza. Non dopo tutto quello che hanno passato. Non ha intenzione di tollerare un altro rischio simile… specialmente non da parte di Justin Hammer.

Cerca di rimettere in ordine i pensieri. “Da quando abbiamo sistemato quella testa di cazzo viola,” conclude. “Ne abbiamo passate tante. Tutti noi. Ho perso questo ragazzino, ho dovuto riportarlo indietro… e adesso è tornato e non voglio perderlo di nuovo, non per colpa di quello che ti frulla per la testa. Ho una moglie incinta a casa--”

“Sì, e non la rivedrai mai più se non mi aiuti,” dice Justin, ogni traccia di scherno e ilarità evaporata dal suo volto. “Ormai ci sei dentro. Non m’importa se non mi credi. Se non inizi a risolvere tutto ora – nel senso di adesso – ti dimenticherai ogni cosa domattina.” Scuote la testa e guarda Peter. “Anch’io sono scomparso, piccoletto. Proprio dentro la mia cazzo di cella. So cos’hai passato in quel posto. Quel senso di torpore. Sono sembrati decenni, eh? Beh, quando mi sono rimaterializzato in prigione, ho capito che dovevo uscire… godermi appieno la vita. Quindi ho convinto la mia ex ad aiutarmi, mi ha portato qui e adesso sono bloccato in un altro inferno. Si potrebbe chiamare karma.” Guarda di nuovo Tony. “Comunque tu voglia chiamarlo, ci sei dentro. Quindi se vuoi appellarti alla tua… testardaggine firmata Stark, beh… ci riprovo domani.” Scuote la testa e si alza, allontanandosi verso la porta.

Ovviamente si ferma sulla soglia, girandosi. “State attenti alla Chevrolet verde, avrà un ritorno di fiamma stasera sul tardi e farà avere un infarto a una vecchia signora nel parcheggio, ci sarà gente che accorrerà, è un grosso evento… non fatevi calpestare. Uh… state lontani dal padiglione ghiaccia-cervello, le noccioline sono contaminate, non vorrei che vi prendesse la diarrea… uhm… l’alimentari oggi chiuderà prima per mancanza di personale, quindi se avete bisogno di qualcosa, prendetelo prima delle sette.” Punta l’indice contro di loro, per poi andarsene.

La cameriera ritorna, posando sul tavolo l’acqua e la birra di Happy. Tony si volta, affondando la testa tra le mani.

“Uh,” dice Peter, presumibilmente alla cameriera. “Può darci un altro minuto?”

 
§

 
Il loro pranzo non è male. Il suo panino al tonno è abbastanza buono, a Peter piacciono le sue crocchette di pollo e Happy beve due birre. Rhodey continua a fissare Tony, e Tony lo ignora. Fanno un giro in centro, alla ricerca del Carosello della Felicità, e ci salgono per quella che sembra un’ora. Sono gli unici quattro.

Tony fa su e giù su un cervo dall’aria fatiscente, in contemplazione della propria vita. Gli sono successe una sacco di cose del cazzo. A tutti loro. Deve capire cosa sta architettando Justin, che tipo di armi ha nascosto qui, in che modo li sta raggirando. Sta facendo qualcosa di pericoloso, e sta cercando di distrarli per non farsi scoprire.

“Beh, insomma,” dice Happy, seduto su un coniglio dall’aria rabbiosa. “Immagino che il lato positivo è – se sta davvero accadendo – che penseremo sempre che sia il primo giorno. Quindi non sarà come se… se fossimo bloccati, come lui.”

“Non sta accadendo,” dice Tony, aggrappandosi alle corna del cervo. “Domani sarà… domani, e ce ne andremo. E faremo arrestare Justin per essere uno stronzo. Tra le altre cose.” Sospira, scuotendo la testa. Vorrebbe sapere che diavolo sta combinando quello stronzo.

“Tony,” chiede Peter. È accanto a lui, su quello che sembra un fenicottero, non ne è certo. “Stai, uh… stai bene?”

“Certo,” risponde Tony, cercando di rianimarsi, perché non vuole che il ragazzino si preoccupi per lui. “Solo… solo altri tre giri su quest’affare e starò bene.”

 
§

 
Bazzicano gli eventi della Festa dell’Uomo Congelato perché non c’è nient’altro da fare, visto che la maledetta strada è ancora bloccata. Sono andati a controllare. Tre volte. Vanno in biblioteca e cercano di usare internet, ma Justin aveva ragione sulla velocità e sulle mail che non funzionano, venendo rinviate istantaneamente al mittente. Tony prova a non avere un attacco di panico. Non si avvicinano nemmeno all’alimentari o al padiglione ghiaccia-cervello, perché Tony non vuole vedere avverarsi altre cose dette da Justin, ma vengono comunque a sapere della donna che ha avuto un infarto nel parcheggio.

“Penso ancora che sia un trucco,” dice Tony, mentre tornano al motel dopo cena. “Magari sta viaggiando nel tempo. Sappiamo che è possibile.”

“Merda, non dovrebbe avere la tecnologia per farlo,” dice Rhodey.

“Non vuol dire che non ce l’abbia,” dice Tony. “È una copertura per qualcos’altro. Non so cosa.” Si sta immaginando ogni sorta di scenario negativo.

“Continuo ad aspettarmi di vederlo comparire di nuovo,” dice Peter, guardandosi intorno mentre entrano nella hall.

“Se lo vedi, dagli un pugno in faccia,” bofonchia Tony. “Hap, puoi accompagnarlo in stanza? Noi facciamo quella cosa.”

“Certo, ricordatevi di gridare se vi serve aiuto,” dice Happy.

“Arriviamo subito.”

“Ok, ragazzi, ho tutto sotto controllo,” dice Rhodey, alzando le mani. “Sono in grado di flirtare con una donna.”

“Una donna di montagna robotica,” sussurra Tony, sbirciando da dietro l’angolo. È lì. “Ok, vai,” dice, facendo un cenno a Rhodey. “Io mi nascondo qui. La parola d’ordine è ancora ‘padiglione ghiaccia-cervello’?”

“Dio, suppongo di sì,” dice Rhodey. Tony gli fa un segno di ok col pollice e annuisce, scacciando Happy e Peter verso l’altro capo del corridoio. Happy alza gli occhi al cielo, ma Peter sembra ancora preoccupato, e Tony scommette che ormai si sta pentendo di quella loro vacanza in mezzo alla neve. Fa loro un cenno di saluto e li osserva sparire in fondo al corridoio, mentre ascolta Rhodey che flirta in modo opinabile e spera che funzioni per davvero. Quasi si aspetta di vedere Justin entrare a passo di danza, e tiene d’occhio la porta per sicurezza. Ma lo stronzo non si fa vivo.

“Oh, certo,” dice Rhodey. “Abbiamo passato… davvero troppo tempo nel padiglione ghiaccia-cervello…”

Tony svicola rapido da dietro l’angolo, chinandosi e tenendosi basso, e vede che in qualche modo Rhodey è riuscito a far uscire la donna da dietro il bancone per portarla vicino al fuoco. Tony si sposta velocemente in un punto in cui non possono vederlo e dà un’occhiata al bancone: niente telefono. Forse è meglio, riuscirebbero di certo a sentirlo da lì, e procede verso la stanza sul retro. Non c’è nessun altro dentro, e vede una piccola scrivania nell’angolo, con sopra un telefono accanto a un paio di raccoglitori.

Ci si avvicina di corsa, prendendo rapidamente posto e digitando il numero di Pepper. Spera che Rhodey sia in grado di mandare avanti la messa in scena il tempo necessario per una breve chiacchierata, e sente il telefono squillare una, due volte prima che lei risponda.

“Pronto?”

Dio, è così bello sentire la sua voce.

“Tesoro, sono io.”

“Tony? Oddio, pensavo che non avresti mai chiamato.”

“Il segnale quassù fa schifo,” dice lui, guardandosi alle spalle. “Io e Rhodey stiamo praticamente compiendo una rapina per fare questa chiamata. Stiamo distraendo la receptionist folle del motel.”

“Cosa? Perché--”
“Senti, non ho molto tempo, domani provo da qualche altra parte…” Domani. Pensa a Justin. A tutta la situazione. A tutte quelle stronzate, e non sa cosa dirle. Potrebbe non essere nulla. Probabilmente non è nulla. Ma non ne ha idea, e sapendo com’è fatto questo posto si sente in dovere di rassicurarla almeno un po’. “Uh, la premiazione per mio padre è stata una fregatura, ma c’è la festa di quel tizio congelato… immagino che l’abbiano rimandata o la stiano ripetendo, non so… quindi forse è a questo che si riferiva l’invito.”

“Ma che diamine, sul serio? Sei andato fin laggiù per niente?”

“Già, quindi penso che rimarremo un paio di giorni, Pete vuole migliorare con gli sci, quindi sfrutteremo la situazione. Per te va bene?”

“Certo,” dice lei. “So che ti divertirai.”

“Divertimento è il mio secondo nome,” dice lui.

“Allora tienimi aggiornata.”

“Ovvio,” dice, in ansia riguardo a come potrà farlo. Dio, gli manca. Non è passato chissà quanto, ma ogni istante lontano da lei sembra un’eternità. Diventa davvero un mollaccione, con le persone che ama. “Tu stai bene?”

“Ho comprato quel cuscino che volevo,” dice lei. “Quindi la qualità del mio sonno è migliorata del cinquanta percento.”

“Bene,” dice lui, sorridendo tra sé. “È un bel numero.”

“Lo penso anch’io,” dice lei, suonando compiaciuta.

“Ti amo. Di’ alla piccola che manca a papà.”

“Ti amo anch’io. Non preoccuparti, le ricordo costantemente che esisti.”

“Bene, ha bisogno di saperlo.”

Pepper trattiene una risata. “Dormi bene, tesoro.”

“Anche tu.”

Attaccano entrambi e Tony rimane ansiosamente in ascolto. Cerca di captare la conversazione di Rhodey, il battito del proprio cuore. Riesce a sentire l’amico che parla e prende un respiro, chinandosi e affrettandosi ad uscire così come è entrato. Dà una rapida occhiata a Rhodey nel passare, sollevando i pollici, per poi spiccare in una corsetta giusto nel caso la donna segua la direzione del suo sguardo.

Svolta l’angolo e vede Peter che lo aspetta sulla soglia.

“Sei riuscito a parlarci?” chiede, aprendo un po’ di più la porta.

“Sì,” risponde Tony, scompigliandogli i capelli mentre entra.

 
§

 
Rhodey rimane bloccato là fuori per altri dieci minuti a parlare dei pro e dei contro della Festa dell’Uomo Congelato, e poco più tardi si ritrovano tutti nella stanza di Tony e Peter a guardarsi a vicenda, perché sono tutti pronti ad andare a letto e Happy ha preso a promuovere in sordina la teoria del loop. Tony vorrebbe che la piantasse. “Andrà tutto bene,” dice, sedendosi sulla sponda del suo letto. “Ci sveglieremo, la strada sarà libera e ce ne andremo a casa. Semplice. Poi chiameremo l’FBI e faremo loro perquisire la città in cerca di cosa sta tramando Justin.”

“Giusto,” dice Happy. “E se siamo bloccati nel loop, non lo sapremo--”

“Basta parlare del loop, per favore,” dice Tony.

“Okay,” dice Rhodey, con un sospiro. “Uh… svegliaci quando ti svegli tu. Non mettiamo una sveglia, l’abbiamo disattivata.

Tony guarda la loro. “Ah, anche noi,” dice. “Quindi chi si sveglia per primo sveglia gli altri.”

“Se sono io, non urlatemi contro,” dice Peter, indicandoli.

“Dai, ragazzino, è successo solo una volta,” dice Happy.

“Ok, che nessuno urli a Peter,” dice Tony. “E adesso… pausa. Ora della nanna. Ne abbiamo bisogno. Domani ci sveglieremo con un bel po’ di cose normali da fare.”

“Buonanotte,” dicono assieme Happy e Rhodey, ciabattando nella stanza contigua e chiudendo la porta dietro di loro.

Peter sospira, mettendosi sotto le coperte. Tony si avvicina alla porta, assicurandosi che sia chiusa a chiave, per poi spegnere le luci principali lasciando accesa solo l’abat-jour.

“Ti sei lavato i denti, ragazzino?” chiede Tony. “E ti sei messo la felpa come avevamo detto, vero?”

“Sì, papà,” dice Peter, raggomitolandosi ancora nel suo giaciglio di coperte, tanto che Tony vede a malapena il suo volto. “Entrambe le cose. Mi sono messo il pigiama pesante perché voglio stare al caldo per sempre.”

Tony scuote la testa, tornando indietro e mettendosi a letto. Spegne la lampada, si corica e prende a fissare i pannelli di legno sul soffitto.

“Sei preoccupato?” chiede Peter.

“No,” risponde Tony, rapido. “No. Decisamente no.”

“Quindi decisamente sì.”

Tony sospira. “Sono preoccupato esattamente come lo sei tu per l’università.”

Peter mugugna qualcosa tra sé. “Non… non sono preoccupato.”

“Certo, certo, certo,” dice Tony. Si gira sul fianco per guardare Peter “Quando non saremo occupati coi piani malvagi di Hammer, parleremo dell’università in ogni dettaglio. E hai davanti uno che in quel campus ci regnava.”

Peter sbuffa. “Ok. Ma non… non sono preoccupato.”

“Ok, sbruffone,” dice Tony.

“Buonanotte, Tony,” dice Peter. “Speriamo di non essere in un loop.”

“Non ci siamo,” dice Tony. “Proprio… proprio no.”

 
§

 
So when you’re near me, darling can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 
Tony apre di scatto gli occhi. Sente Peter lamentarsi e muoversi e afferra con forza il cuscino, con la tentazione di coprirsi l’orecchio. Ma non si muove, e la canzone continua a risuonare nell’aria. Il suo cuore sta battendo fin troppo forte.

“Non ricordavo neanche che avessi messo una sveglia,” dice Peter, stropicciandosi gli occhi.

“Io?” chiede Tony, schiarendosi la voce. “Merda, ragazzino, bello scherzo… pure la stessa canzone?”

Peter emette un mugolio. “La stessa canzone di cosa?”

“Di ieri,” dice Tony. “Come diavolo ci sei riuscito?”
 
When you’re gone
How can I even try to go on?
When you’re gone
Though I try how can I carry on?
 
Si allunga per prendere quell’affare come ricorda di aver fatto ieri, e lo spegne.

Peter si gira sulla schiena. “Dio, per un attimo mi ero dimenticato dove fossimo.”

Tony guarda nella sua direzione, con un brivido che gli corre lungo la schiena. L’ha detto anche ieri. Così come di non ricordare di aver messo una sveglia.

“Peter,” dice Tony, lentamente. “Hai addosso la felpa?”

“No,” dice Peter. “Ma forse dovrei. Il riscaldamento non è granché qui.”

Ok. Niente panico. Non può entrare nel panico. Non è così che funziona. Se fossero in un loop, non si ricorderebbe nulla di ieri. Justin è l’unico a poterlo ricordare. Tutti gli altri non possono. Quindi, se fossero in un loop, non ricorderebbe nulla. Semplice. Questo è uno scherzo, il ragazzino gli sta facendo uno scherzo. Il loop non è reale. Non è reale.

“Non hai il pigiama pesante?” chiede Tony, esitando.

Peter assottiglia gli occhi nel guardarlo. “Come fai a sapere che l’ho portato? Avrei decisamente dovuto metterlo…”

“Quindi ti sei cambiato stanotte, eh?” chiede Tony, inclinando la testa. “Hai armeggiato con la radio, con la canzone, ti sei cambiato i vestiti… bello scherzo, scemo.”

Peter continua a fissarlo come se gli fosse spuntata una seconda testa. “Hai, per caso… dormito male? Stai ancora sognando?”

Le note smorzate di Believe di Cher trapelano dal muro comune, e risuonano come le trombe dell’Apocalisse. Tony alza lo sguardo verso il muro e sente Happy e Rhodey agitarsi e bisticciare tra loro, poi si volta verso Peter.

“Che c’è?” dice lui.

“Li hai coinvolti?” chiede Tony.

Peter adesso sembra preoccupato, quello stronzetto, e porta le gambe oltre la sponda del letto. “Che succede?” gli chiede.

Tony lo fissa. Lo fissa e continua a fissarlo. Non si sente in un loop temporale. Perché non è possibile. Non è reale. Guarda se stesso: indossa lo stesso pigiama di ieri sera. Ma ha portato un solo pigiama. Non è un indizio. Gli serve un indizio. Peter non cede. Tony si alza in piedi, occhieggiando il ragazzo, e aggira il letto. “Va bene, alzati. Vestiti.”

Peter lo osserva, per poi scrocchiarsi il collo. “Subito, despota.”

Tony si volta di scatto per guardarlo, e in quel mentre la porta si apre. La musica aumenta e Happy entra, con addosso il suo dannato pigiama a righe. Tony lo fissa. Anche Peter lo fissa.

“’Giorno,” dice Tony.

“Uh, sì,” dice Happy. “Sai come spegnere questa macchina infernale? Prima il bicchiere rotto, adesso questo. Non credo nella vita dopo l’amore.”

Tony vacilla sotto il peso di quella frase orribile e familiare. “Non è divertente. Non è affatto divertente. Uno scherzo fallito.”

“È troppo presto per gli scherzi,” dice Happy, con un sospiro. “Questa maledetta sveglia--”

“Ehi, loop temporale!” grida Tony. “Esilarante! Voi siete esilaranti. Farmi sentire matto è la parte migliore, non so come vi siate coordinati, considerando che non c’è linea, il che mi fa pensare che vi siate messi a confabulare mentre dormivo.”

Happy guarda Peter, indicando Tony. “Di che sta parlando?”

“Ah-ha ah-ha,” sillaba Tony. “Non ho intenzione di darvela vinta… spegni quella sveglia.”

“Non sappiamo come,” dice Rhodey, sporgendo la testa dalla porta. “Come avete spento la vostra? Si sentivano gli ABBA.”

Tony li fissa. Normalmente Peter a questo punto dello scherzo starebbe già sghignazzando. E la faccia di Happy lo tradisce sempre. Rhodey è sempre impassibile, quindi lo ignora, ma gli altri due… non sono bravi a fare scherzi. Ma non mostrano alcun segno rivelatore.

“L’ha spenta Tony,” dice Peter. “Non, uh… non so, sembrava sapere come fare.”

“Tony, e dai,” dice Rhodey. “Ti piace davvero così tanto Cher?”

Tony continua a fissarli. Aspetta e li fissa. La sua mente gli sembra il motore di una vecchia auto, sputacchiante e inceppato, incapace di superare un dosso sulla strada. Inizia a muoversi prima di poterci pensare, marciando in mezzo a Rhodey e Happy verso la loro sveglia, sussultando per quanto forte Cher gli sta urlando addosso. La gira rapidamente, apre lo sportelletto sul retro e la disattiva, inondandoli di silenzio. La rimette a posto e si raddrizza, tormentandosi l’angolo della bocca con la lingua.

“Grazie,” dice Happy. “Ma che ti prende?”

Tony torna nella propria stanza, sentendosi come se stesse barcollando in un sogno o qualcosa di simile. È sull’orlo di qualcosa – del panico, probabilmente – e si guarda attorno.

“Non mi state… facendo uno scherzo?” chiede, sollevando le sopracciglia.

“Che tipo di scherzo?” chiede Rhodey, scuotendo la testa. “Il fatto che siamo venuti in questa cittadina di montagna innevata per un premio per tuo padre? Perché, insomma, è--”

“Fermo,” dice Tony, alzando i palmi. “Ieri. Descrivetemi ieri.”

Adesso lo stanno tutti guardando con occhi colmi di preoccupazione, ma non ha tempo di pensarci, così scuote la testa e le mani e cerca di distoglierli da quella linea di pensiero. “Sto bene. Sto bene, ditemi che vi ricordate di ieri.”

“Lungo volo, ritardi del cavolo,” dice Happy.

“Rhodey che guidava molto bene,” dice Peter.

“Grazie, ragazzo.”

Tony si sfrega il petto. Si guarda i piedi. Ha l’impressione che a questo punto gli avrebbero detto che è uno scherzo. Si guarda attorno: non c’è modo di intuire qualcosa dall’aspetto della stanza, hanno rimesso tutto a posto quando sono tornati dalla loro fuga mancata. I vestiti di Peter sono la spia più evidente. Tony sa che indossava una felpa, un paio di pantaloni completamente diversi e una maglietta a maniche lunghe. Prova a osservare il camino, cerca di immaginare come apparissero i ciocchi la sera prima quando hanno spento il fuoco… ma persino la sua memoria non è così buona.

“Tony,” dice Rhodey, avvicinandosi. “Stai bene? Hai bisogno di qualcosa?”

Peter sembra nervoso. “Possiamo saltare la cerimonia di premiazione se non ti senti…”

Tony si copre il volto con le mani. “No, no, no,” mormora. “No, non sta accadendo.”

“Tony…”

“Ti senti male?”

“Justin Hammer!” esclama Tony, lasciando scivolar via le mani. “Justin. Hammer.”

Tutti lo fissano. Il resto delle parole si rifiuta di uscire. Sembra folle, uscendosene a caso con Justin Hammer. Non sa cosa diavolo gli sta passando per la testa, ma si gira e si fionda fuori dalla stanza, in corridoio.

L’inserviente di ieri esce da una porta dall’altro lato del corridoio e gli sorride. “Ti serve qualcosa, caro? Ho delle mentine in più nel carrello!” Lo trascina fuori dalla stanza, indicandolo ad enfatizzare.

Gesù Cristo. Anche questo se lo ricorda. Scuote la testa verso di lei e continua a camminare a passi pesanti lungo il corridoio. Non sa se chi sta cercando sia già qui, o se ci sarà mai. Sa che è ancora in pigiama e può già sentire il freddo che si insinua attraverso le pareti, e quando svolta nella hall vede il maledetto Justin Hammer che oltrepassa la porta.

Il volto di Justin s’incrina quando lo vede, e sembra confuso. I punti a strappo di ieri sono spariti. Il primo istinto di Tony è quello di dargli un altro pugno su quella faccia da idiota, ma ci ripensa.

“Oggi è ieri?” gli chiede. “Sono nel loop? Non mentirmi. Non osare mentirmi, maledizione.”

“Porca troia,” dice Justin. Un ghigno si allarga sulla sua faccia, facendo ritornare Tony sulla decisione di non prenderlo a pugni. “Porca troia, te lo ricordi? Anche loro se lo ricordano? Porca troia.”

“Porca troia, no, non se lo-- oh, Cristo,” dice Tony, coprendosi la faccia con le mani. “Oddio, no.” Si sente male. Si sente male, si sente male. Sta per collassare.

“Ci sei dentro con me!” dice Justin, puntandogli il dito contro. “Festa dell’Uomo Congelato per sempre! Justin e Tony! J e T!”

A quel punto Tony gli dà davvero un pugno in faccia, facendolo cadere all’indietro. Justin si stringe il naso e fa una risata spezzata, guardandolo dal basso. “Oh, cavoli,” dice. “Chissà quante volte lo farai. Ma ne è valsa la pena.”

Tony sente di dover vomitare. Gli altri tre non lo sanno. Non si ricordano. È intrappolato qui, in questa cazzo di Nederland, lontano da Pepper e con Justin… in un dannato loop temporale. Non può accadere sul serio, non può accadere, non a lui, non dopo tutte le cazzo di cose che ha passato.

“Come ci sei riuscito?” esala Tony, col cuore che gli scoppia nel petto. “Come diavolo sei riuscito a farmi questo?”

Justin si rimette in sesto, asciugandosi un po’ di sangue dal naso. “Non ho fatto un cazzo, se escludi pregare moltissimo di non essere più solo… è destino, è Gesù, è la cosa più bella che mi sia capitata da… da un fottio di tempo. Adesso devi aiutarmi!”

Tony non riesce a pensare, cazzo, a respirare, sta per avere un attacco di panico. Guarda di nuovo Justin. “Tre mesi? Ci sei dentro da tre mesi?”

“Un’ eternità,” dice Justin.

“Ehm,” si sente la voce di Peter. “Che… che succede?”

Tony si volta e vede loro tre all’imbocco del corridoio. “Uh, già, bella domanda, eh?” dice, e si insulta mentalmente per aver ripetuto ciò che ha detto ieri.

“Chiamo la polizia,” dice Rhodey.

Justin ride forte, tirando su col naso. “Diglielo, amico. Di’ loro che ci sei dentro. Sono intrappolati nella loro piccola bolla e anche tu lo sei, ma tu ne ricorderai ogni singolo secondo. Alla faccia dell’incentivo.”

Tony cerca di non svenire. Cerca di prepararsi. Magari hanno solo una grave… amnesia-- no, cazzo, non può ingannarsi così.

“Ci sono dentro,” dice, scuotendo la testa, e ascolta Justin ridere di nuovo.

Si sente perduto. Come se avesse sbagliato qualcosa. Ci è dentro. È in trappola, e lo sa. Se ne ricorderà ogni maledetto secondo, e l’unica altra persona a ricordarselo è Justin. Hammer.

Tony è dentro al maledetto loop.
 

 
 


Tradotto da What if there was no tomorrow? © iron_spider

Note di traduzione:

[1] Nederland esiste veramente, così come la Festa dell’Uomo Congelato che vi si svolge. E anche tutte le assurde attività elencate successivamente sono reali [wiki].
[2] Vagone-bar: un tipo di bar molto di moda negli USA, ricavato appunto da un vagone di un treno o di un tram in disuso.
[3] Happy cita, storpiandolo, un verso della canzone di Cher: I believe in life after love.
[4] Era un gioco di parole tra “newly wed game” e “newly dead game”.
[5] La marca originale era Trident, credo semi-sconosciuta in Italia, e l’ho sostituita con una più familiare.
[6] Seagate è una prigione fittizia che compare/viene menzionata nelle serie tv Marvel Luke Cage, The Defenders e Iron Fist. In Luke Cage fa la sua comparsa anche Justin Hammer, appunto come detenuto.
[7] Il 27° Presidente degli Stati Uniti. Consiglio di vederne una foto [link] per capire l’osservazione di Tony e il dialogo successivo.
[8] Storica nemesi di Spider-Man, iconico per la sua notevole stazza [link].
[9] In originale Hammer citava Shang di Mulan con “let’s get down to business”, che purtroppo in italiano non è stata tradotta letteralmente, e l’ho quindi sostituito con “ci sono anch’io” di Jim Hawkins ne Il Pianeta del Tesoro.

N.B.1. L’intera storia è dichiaratamente ispirata al film Groundhog Day (Ricomincio da capo in italiano), al quale infatti fa svariati riferimenti, a partire dall’attore Bill Murray fino alla radiosveglia che trasmette un brano di Cher (I Got You Babe di Sonny&Cher nel film). Il Giorno della Marmotta in sé esiste, ed è una festività statunitense [wiki].
N.B.2.
 La punteggiatura inglese differisce da quella italiana e anche la sintassi e la prosodia sono diverse, così ho scelto di “interpretare” i cosiddetti e numerosi dashes — (lineette) originali a seconda del contesto, mutuandoli in doppio trattino -- in caso di brusca interruzione della frase, classici … tre puntini per una normale sospensione, e trattino semplice – per gli incisi, cercando così di mantenere il senso originale facilitando al contempo la lettura in traduzione.

Note della traduttrice:

Salve a tutti!
Questa è una traduzione della storia di iron_spider “What if there was no tomorrow?”, pubblicata su AO3.

Disclaimer: Trovate l’account dell’autrice e la storia originale cliccando sui rispettivi link in fondo al capitolo. Allego [qui] uno screenshot del permesso datomi da iron_spider per la traduzione; se non doveste riuscire a visualizzarlo, trovate [qui] l’originale (quarta pagina di commenti sull’ultimo capitolo della storia, in calce alla recensione che le ho lasciato. Il mio nickname su AO3 è _Lightning_ / Lightning070).

Spero che la lettura sia stata gradita, e che abbiate apprezzato sia la storia, che la sua traduzione :) Ho optato per un approccio fedele nei concetti ma più libero nella forma, così da renderla più scorrevole e familiare in lingua italiana.

Il prossimo capitolo arriverà presto (è al momento in fase di revisione), e spero che continuerete a leggere e seguire la storia <3
Grazie a voi e grazie a iron_spider!
@iron_spider Should you drop by, thank you for allowing me to translate your story, I hope you’ll appreciate my efforts :)

-Light- (trovate [qui] il mio account ufficiale su EFP)

P.S. Ho seguito alla lettera il regolamento di EFP riguardante le traduzioni, nel rispetto dell’autrice e del suo lavoro… ma errare è umano, quindi se doveste notare delle mie mancanze in proposito non esitate a dirmelo: provvederò subito a rimediare!



Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare queste traduzioni altrove, anche se creditate e anche con link all'originale su EFP.

©iron_spider 
©_Lightning_

©Marvel
 

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Capitolo 2
*** How can I even try to go on? ***


How can I even try to go on?


 
Sono tutti in pizzeria, adesso. Tony ha un mucchio di salame piccante [1] in un piatto davanti a sé, e invece di mangiare il calzone, o qualunque altra cosa Happy gli abbia ordinato, continua a fissare il piatto. Justin continua a blaterare all’infinito riguardo a Dio-sa-cosa. Hanno già spiegato la situazione agli altri nella hall, mentre uscivano dalla hall, in corridoio, sulla soglia della stanza, e mentre si toglievano il pigiama per rendersi presentabili.

Tony tira il piatto più vicino a sé. Sbatte le palpebre, fissandolo, e poi guarda Justin. “Gesù Cristo,” dice, quando la realizzazione lo colpisce.

Justin socchiude gli occhi, fissandolo. “No, Justin Hammer.”

“Sono stato io a far finire il salame piccante?” chiede Tony.

Justin sbuffa divertito. “No, questo è il tuo primo loop, te lo giuro,” sghignazza. “Avevo pensato di prenderti in giro, tipo: oh, Tony, sei bloccato da cinquant’anni! Ma non sarei riuscito a portare avanti lo scherzo, e sono troppo felice per il fatto che io e te siamo finalmente sulla stessa barca.”

Tony sospira, ciondolando la testa. “Ti odio, cazzo.”

“Quindi hai intenzione di…” Peter si interrompe, guardando con ansia Tony e i piatti di fronte a loro, “Uh… di tenerti quel salame piccante?”

“Sì,” dice Tony, tirando il piatto ancor più vicino a sé. Non sa perché stia diventando così territoriale nei suoi confronti. Probabilmente sta uscendo fuori di testa.

“Quindi… non capisco,” dice Happy, scambiando un’occhiata con Rhodey. “Siamo tutti in un loop temporale?”

“L’intera città lo è,” dice Justin, sbriciolando qua e là mentre mangia.

“E non a causa tua,” dice Rhodey.

“Cazzo, no,” dice Justin. “Cristo, perché diavolo vorrei farmi questo?”

“Perché diavolo fai qualsiasi cosa?” lo fulmina Happy.

“Siamo tutti bloccati nel loop,” interviene Tony, prima che si scateni una rissa. “Solo che… per qualche-- tremendo, orribile-- maledetto motivo, Justin e io riusciamo… a ricordarcelo. Abbiamo fatto tutto questo ieri. La Festa dell’Uomo Congelato, svegliarci con Cher e gli ABBA…”

“… e tu hai allestito la cerimonia di premiazione?” chiede Peter, guardando Justin.

“Sì, è stato lui, quel grosso stronzo bugiardo,” dice Tony, guardandolo storto.

“E il giorno si sta ripetendo da mesi,” dice Peter, spostando lo sguardo tra Tony e Justin.

Un altro orrore. “Sì,” dice Tony. “Hai detto qualcosa riguardo ai viaggi nel tempo ieri, quando hai saputo di questa storia, e avevi più o meno--”

“Cazzo, qui è gennaio,” ride Justin. “E a quanto pare nel mondo reale è fine marzo? Assurdo.”

Happy emette un lamento. “Gesù, mi sento male.”

“Quindi sei bloccato?” chiede Peter. “Insomma, sei bloccato e ricordi di esserlo, ma domani, uh, noi tre e il resto della città ci resetteremo… e basta?”

“Bingo,” dice Justin.

Tony odia il modo in cui lo dice. Rimangono in silenzio. Rhodey prende un sorso d’acqua, abbassando lo sguardo sul tavolo. Happy fissa duramente Justin. Peter sembra nervoso, teso, con gli occhi che scattano qua e là. Respira deglutendo un paio di volte nel tentativo di nasconderlo, poi scuote la testa.

È strano, ma la sua preoccupazione ha un effetto calmante su Tony. Gli dà qualcosa su cui concentrarsi, invece della propria rabbia repressa e paranoia. Deve rimanere concentrato: deve farlo per loro, non per se stesso. Per Pepper e per Colei-che-ancora-deve-essere-nominata. Non può perdersi la nascita della sua prima figlia, assolutamente no, e non per colpa delle pagliacciate di Justin. Tony ha sconfitto un Titano, può risolvere anche un loop temporale. Anche se vorrebbe avere con sé il resto della squadra per aiutarlo a gestire il tutto, ha comunque accanto tre delle persone più intelligenti che conosca.

Allunga una mano, posandola sul polso di Peter. “Calmati,” gli dice.

Peter incontra i suoi occhi. “Non sei preoccupato?”

Tony mangia una fetta di salame. Poi ne mangia altre due. “Ti sembro preoccupato?” Spinge il piatto al centro del tavolo. “Andrà bene… riusciremo a risolvere tutto.” Non sa se sta dicendo stronzate – forse sì – ed è fottutamente preoccupato. Ma non ha intenzione di farlo sapere a Peter-Appena-Tornato-dalla-Morte, non se riesce a impedirlo.

Cerca di formulare un piano nella sua testa. Lavora meglio se ha una scadenza: gli piace accettare la sfida e cercare di anticiparla, e questa gli sembra un momento ideale per accettare una sfida. Due settimane. Visualizza mentalmente quelle parole, quel lasso di tempo, e lo scolpisce nella pietra. Due settimane, è tutto ciò che è disposto a concedersi.

Guarda in direzione di Justin, che sta ancora mangiando come un infante. Tony socchiude gli occhi, disgustato. “Ehi, imbecille,” dice. Justin alza lo sguardo, chiaramente abituato a quell’appellativo nei suoi confronti. “Sai dove possiamo usare un telefono senza essere disturbati? Abbiamo dovuto inventarci uno stratagemma assurdo con la signora della reception e adesso non ne ho alcuna voglia. E non ho visto cabine telefoniche in giro.”

Justin annuisce, a bocca piena, per poi leccarsi le dita. Rhodey emette un lamento schifato, distogliendo lo sguardo. Tony si concentra sul proprio cibo e fa lo stesso, spostando il piatto verso Peter.

“Sì, so dove trovarlo,” dice Justin. “È al teatro.”

“Dove ci hai rinchiusi nel freezer?” chiede Happy, sollevando le sopracciglia. “Sì, mi ricordo bene quella parte della storia.”

Justin sbuffa. “Non preoccuparti, non lo farò di nuovo.”

Tony scambia uno sguardo con gli altri. Non pensa di aver mai visto Rhodey così incupito, e non è cosa da poco. “Uh, ok,” dice Tony, rivolgendosi a Justin. “Perché se lo fai…”

“Mi uccidi,” dice Justin, annuendo. “Lo so. E la morte è una scocciatura, anche se solo per un giorno. Prendetevi delle scatole da asporto, ok? Io vado al bagno dei maschietti.”

Tony non vuole neanche immaginare cosa stia frullando in testa a Justin dopo essere rimasto bloccato lì così a lungo.

“Dovremmo chiamare gli altri Vendicatori,” dice Rhodey. “Questa cosa è più grossa di noi.”

“Rischierebbero di dimenticare tutto anche loro,” dice Peter.

“Allora perché tu no?” chiede Happy, gesticolando. “Perché tu ricordi? Perché anche lui? Perché noi no? O chiunque altro.”

“Non ne ho idea,” dice Tony, spiluccando ancora dal proprio piatto. “Magari è il karma, per tutti i miei peccati. Dio. Dai, ragazzino, ti porto a questo telefono così puoi chiamare May e dirle che questa gita durerà per tutte le vacanze di Pasqua.” Così non si preoccuperà troppo. Così non

penserà che Tony abbia rapito suo nipote.

Tony sa che dovrà dirlo a Pepper, prima o poi. È già stato via per qualche giorno senza che lei si preoccupasse, ma adesso è diverso, ed è pericoloso.

Due settimane. Sta tirando la corda. Ma deve farcela in due settimane.

 
§
 

Tony riesce a sentire Peter che parla con May dentro l’ufficio e si sente quasi sopraffare dal senso di colpa. Si lascia sprofondare un po’ nella sua poltroncina di pelle consunta e sospira. Loro quattro se ne stanno seduti nell’ultima fila di un piccolo teatro fatiscente – la parte dell’edificio che non sono riusciti a vedere ieri quando Justin si esibito nel numero del freezer.

“Quindi cosa accadrebbe se, per esempio…” riflette Happy, guardando Justin, “Se chiamassimo Capitan America qui? A parte spedire te all’altro mondo per averci trascinato in questo casino?”

“Come dicevo prima: ho visto un sacco di persone arrivare in città,” dice Justin. “Ma è tutto molto singolare… di solito arrivano di notte, così possono prendere una stanza. E poi il giorno dopo – il loro primo giorno completo – iniziano il loop. Vengono assorbiti dal giorno. Quindi se fate venire qui Stelle-E-Strisce, arriverebbe probabilmente a fine giornata e inizierebbe il loop a mezzanotte.”

“Ci ricorderemmo di averlo visto?” chiede Rhodey. “Dal momento che – Dio – siamo già nel nostro loop?”

“In realtà non sono sicuro,” dice Justin. “Ho visto questo tizio che è venuto fin qui per cercare il nipote, e la prima notte è stata normale, si sono ritrovati, baci e abbracci e tutto il resto, ma il giorno dopo è successo: il nipote si è buggato. Si ricordava di essere qui, ma l’altro no.
Perché per lui l’arrivo dello zio si era cancellato, e si è resettato, ma lo zio se lo ricordava perché non aveva ancora vissuto il suo primo giorno, il suo primo loop. Quindi è come se la loro riunione fosse effettivamente avvenuta in senso cosmico, ma si fosse cancellata dalla memoria del nipote. Capito?”

“No,” risponde Rhodey, scuotendo il capo.

“Non so,” dice Justin, scrollando le spalle. “Sarebbe potuta andare in entrambi i modi. Che il ragazzo si ricordasse e lui no.”

Tony si sfrega le tempie. “Questo è… un inferno. Letteralmente un purgatorio.”

“Non dirlo a me,” dice Justin, puntando i piedi sul sedile di fronte a lui.

“Come hai fatto ad appropriarti di questo posto?” chiede Happy, guardandosi attorno. “Hai le chiavi e tutto. Hai i codici per quei cazzo di freezer.”

Justin fa una risatina. “Oh, prima di fare qualsiasi altra cosa, mi alzo ogni mattina per venire qui e fare amicizia con l’adorabile coppietta di anziani che gestisce questo posto. Tecnicamente, lavoro qui. Sentivo di aver bisogno di un campo-base oltre al motel, e loro avevano messo un annuncio per il personale… Dio li fa e poi li accoppia. Sono piuttosto impegnati ad aiutare per l’Uomo Congelato, quindi cercavano qualcuno di fidato per pulire qui e assicurarsi che tutto funzioni a dovere. In più, hanno un telefono funzionante che ho usato per chiamare la mia ex, anche se non ci sono mai riuscito.”

Fidato,” sbuffa Tony. “Ti è mai capitato di non riuscire a convincerli?”

“Oh, sì, un po’ di volte,” dice Justin, tirando appena su col naso.

“Non dirmi che hai…”

“Sì, li ho uccisi,” dice Justin, scrollando semplicemente le spalle.

Tony si ritrae. Sono seduti a un paio di poltroncine da lui, ma, di nuovo, gli sembra troppo vicino.

“Sei un pezzo di merda,” dice Rhodey. “Non potevi trovare un altro posto come base?”

“Ma mi piace questo,” dice Justin, facendo un gesto verso il teatro dimesso. “Comunque, stanno bene. Oggi.”

Tony lo fissa per un lungo momento, e ripensa alle regole assurde di questo maledetto loop. Si sporge in avanti, dà una pacca sul braccio a Justin e si alza in piedi.

“Che c’è?” dice Justin, alzando lo sguardo.

“Vieni qui.”

Justin lo segue nel corridoio centrale, un paio di file più in basso, e quando si volta a guardarlo sta sorridendo come un idiota. Tony alza gli occhi al cielo.

“Non voglio che tu uccida nessuno,” gli dice.

“Dai, ma che dici?” ride Justin.

“No. Non fa ridere,” dice Tony, negando col capo. “Devi promettermelo. Perché potremmo risolvere tutto questo da un momento all’altro – per caso o di proposito, che cazzo ne so – ma se qualcuno muore in quell’ultimo loop, è morto per sempre. E se fai morire qualche innocente per sempre, tu sarai morto per sempre. E se è uno dei miei… riavvio questo cazzo di loop per ammazzarti più volte. Chiaro?”

“Ok, ok--”

“No, devi prometterlo,” dice Tony. Sa che non può minimamente fidarsi di Justin, ma deve avere almeno qualche garanzia. “Se uccidi qualcuno, ho chiuso. Affondo con la nave… o lascio te nella polvere.”

Justin lo fissa per qualche secondo, con in faccia un’espressione che Tony non riesce a riconoscere. “Sei fortunato ad avere degli amici,” dice.” Si schiarisce la gola. “Va bene. Niente omicidi. Posso accettarlo. Ma se avviene per sbaglio, non dare la colpa a me: chissà che diavolo dovremo fare per risolvere questa merda.”

“D’accordo,” dice Tony, proprio mentre Peter svolta l’angolo entrando nella platea. Tony supera Justin per andargli incontro. “Tutto bene?” gli chiede. Per quanto possa andare bene, insomma. Cristo.

Peter annuisce. “Sì, uh… May non ha detto nulla perché sono con te.”

Ecco, quello lo fa sentire davvero uno schifo, ma si risolve a non commentare.

“Le ho detto che probabilmente continuerò a chiamare da questo numero perché non c’è linea quindi… uh, ricordami solo che l’ho detto,” dice Peter, schiarendosi la gola. Tony detesta il fatto che stia già iniziando ad avere il terrore dell’inevitabile reset, e vorrebbe poter risolvere il tutto in un solo giorno, per il loro bene. Peter si guarda intorno. “Allora, qual è il piano?”

“Piccoletto, non ho avuto un piano per tutto questo tempo,” dice Justin, puntando le mani sui fianchi.

“Forse è per questo che sei ancora bloccato,” dice Peter, deridendolo. Happy soffoca una risata e Tony sente un fiotto d’orgoglio quando Justin sembra accusare il commento.

“Hai una mappa di questo posto?” chiede Tony, tornando indietro per sedersi e dando a Peter una pacca d’elogio sul braccio.

“Del teatro?” chiede Justin.

“Sì, del teatro, voglio ristrutturarlo,” dice Tony, alzando gli occhi al cielo. “No, idiota, della città, Nederland.”

“Oh, oh,” dice Justin. “Sì, in effetti… dammi un secondo.” Sparisce dietro l’angolo e si allontana, e Peter gli scocca un’occhiataccia nel sedersi accanto a Tony.

“May sta bene?” chiede Tony. “Nel senso, in generale. Tutto a posto, uh… a parte per suo nipote bloccato in un loop temporale?”

“Sta bene,” dice Peter, anche se i suoi occhi sono ancora nervosi, come se temesse di non vederla più. “Uh, lei e Pepper si sono viste, credo che siano diventate entrambe dipendenti dallo Shirley Temple [2], al momento.”

“Ah, giusto, niente più serate da sommelier,” dice Tony.

“Già.”

“Pepper non ci cascherà ancora per molto,” dice Happy. “Se vai dal panettiere e ci metti più del dovuto, è già pronta a darti per disperso.”

“Uh, si fida di me,” dice Tony, sapendo fin troppo bene che ha ragione, e che si preoccupa sul serio. E non ha tutti i torti. “Credo di aver guadagnato abbastanza tempo, ho una scadenza in testa… merda, non possiamo farci fregare così.”

“Intendi tu,” dice Rhodey. “Siamo praticamente inutili. Ci resetterai ogni mattina come giocattolini a molla. Scommetto che inizieremo ben presto a snervarti.”

Tony non vuole pensarci, perché sa di doverlo vivere. Oggi è stato già abbastanza brutto. Rivolge loro un sorriso. “Non potreste mai snervarmi. Hammer, d’altro canto…”

Parlando del diavolo, Justin spunta di nuovo fuori sventolando un foglio di carta logoro e scribacchiato. “Allora, ho segnato tutti i posti che ho già controllato – ah, non c’è di che, so esattamente cosa state pensando…”

“Quindi sono i posti che dovremo controllare di nuovo, che bello,” dice Tony, mentre Justin spiega la mappa.

“… ma c’è un gruppo di baite ai margini della città a cui non mi sono esattamente avvicinato, perché sono lontane e fa freddo e non ho voglia di andarci.”

“Dove diavolo sarebbe la tua volontà di andartene di qui?” chiede Rhodey, incrociando le braccia sul petto.

“Ehm, ho deciso di lasciare quella parte a, uh, Tony,” dice Justin, sorridendo.

Tony rotea gli occhi. “Ok, un gruppo di baite. Sembra un buon punto di partenza. Non credo di poter, uh, convincere voi tre a rimanere qui--”

“No.”

“Non direi.”

“Assolutamente no.”

“Immaginavo,” dice Tony, facendo leva sui braccioli per alzarsi in piedi. Sente un brutto presentimento solleticarlo alla base della nuca, e cerca di non pensarci.

“Car-sharing?” chiede Justin, sollevando le sopracciglia. “La mia macchina è un rottame, l’ho rubata mentre venivo qui…”

“Cristo, non lo voglio neanche nella macchina a noleggio, Tony,” dice Rhodey. “Ho firmato un contratto. Un contratto vincolante.

Justin sbuffa. “Senti, rimarrete qui abbastanza a lungo: quella macchina è tua, ormai.”

 
§

 
Stanno tornando al motel, e Tony riesce a percepire l’umore cupo che ha preso il sopravvento su tutti, tranne che su Justin. Guarda avanti e incrocia gli occhi di Peter, e questi, invece di costringerlo a tirargli fuori a forza cosa c’è che non va, scambia un’occhiata con Happy e Rhodey e lo confessa di sua sponte.

“Non voglio dimenticarmi tutto a fine giornata,” gli dice. Guarda di nuovo gli altri, e Happy abbassa gli occhi, stringendo le labbra in una linea sottile. Peter si rivolge di nuovo a Tony. “Nessuno vuole.”

Tony sente una stretta al cuore e scuote la testa. “Pete…”

“Sappiamo che non puoi farci nulla,” dice Happy. “Solo che… è tremendo, sapere che sta per succedere, sapere che saremo completamente… superflui e inutili in questa situazione infernale.”

“Quelle sono le ultime parole con cui vi chiamerei,” dice Tony, guardandoli tutti. “Più qualcosa del tipo: eroici, intelligenti, molto, molto speciali--”

“Ti saremo d’intralcio, Tony,” dice Rhodey, troppo serio per i suoi gusti, a dispetto della serietà di tutta la situazione. “Ogni giorno dovrai raccontarci tutto da capo, spiegarci perché Hammer è qui, ci dovrai convincere… quando dovresti pensare ad aggiustare questo casino. Dovrai dirci le stesse cose, di nuovo e di nuovo e di nuovo. È tremendo, è veramente… tremendo.”

“Sentite,” dice Tony, mentre attraversano la strada. “Voi tre-- non importa. È così e basta. Ho bisogno di voi, so che ho bisogno di voi per risolvere tutto. Deve pur rimanere qualcosa nelle vostre teste tra un loop e l’altro, qualche ricordo… credetemi.” Sospira, con un cenno del capo, e prega che funzioni davvero così. “Credetemi e basta, ok?”

“Ci proveremo,” dice Peter, sconsolato.

Tony non riesce a elaborare un discorso d’incoraggiamento abbastanza vivace, perché l’intera situazione è folle, è quasi peggio di alcuni dei peggiori pasticci in cui si è cacciato. Ha la sensazione che il trauma di quello che hanno passato con Thanos sia ormai scritto nel loro sangue: quelle immagini continuano a ripetersi in un filmino dell’orrore nelle loro teste. Tony non può perdere di nuovo Peter, non può vedere Rhodey di nuovo ferito, non può mettere di nuovo in pericolo Happy. Rhodey è altrettanto protettivo, Happy forse anche di più, e Peter ha già perso così tanto in vita sua che probabilmente aver visto Tony a un passo dalla morte sta amplificando al limite la sua paranoia.

Questa è l’ultima. Cosa. Che ci voleva.

“Va bene,” dice Justin, accelerando quando vede la macchina. “Io sto davanti--”

“Sì, col cazzo,” dice Tony, fulminandolo.

“Ehm, io so dove andare, e tu no…”

“Ho la mappa, cretino,” dice Tony. Lancia un’occhiata a Happy e Peter, che hanno l’inconveniente di dover condividere con lui il sedile posteriore. “In realtà, preferirei legarti al tettuccio…”

“Non fa niente,” dice Happy. “Pete si siede in mezzo.”

“Mi dispiace, ragazzino,” dice Tony.

“Non fa niente,” dice Peter, lanciando un’occhiataccia a Justin che dice tutto l’opposto di “niente”.

Justin sospira, sedendosi dietro a Tony, e questi sale a sua volta. Detesta il fatto che Justin sia – quasi – dalla loro parte adesso, e anche se sta nevicando in modo piuttosto intenso sente il proprio calore corporeo che minaccia di soffocarlo. Una volta allacciata la cintura, abbassa il finestrino e sporge fuori la mano, acchiappando qualche fiocco nel palmo.

Rhodey ingrana la retromarcia e si rivolge a Tony. “Dove andiamo, navigatore?”

Prima che lui possa rispondere, Justin s’intromette. “Già, navigatore, dove andiamo?”

Tony gli scocca un’occhiata storta dallo specchietto. “Imbocca la strada principale,” dice, studiando la mappa. “Poi gira a sinistra al secondo semaforo.”

“Va bene,” dice Rhodey, uscendo dal suo posto e dirigendosi all’uscita del parcheggio.

“Spero che là fuori ci sia qualcosa,” dice Happy, e Tony può vederlo inclinarsi in avanti per indirizzare l’affermazione a Justin, oltre il povero Peter seduto in mezzo a loro. “Non vorrei perdere tempo in stronzate.”

“Qualcuno sa che cavolo c’è là fuori?” chiede Justin. “Di sicuro non io. È per questo che ci stiamo andando, magari c’è qualche… cazzo di talismano magico--”

Succede in fretta. Così in fretta che Tony ha a malapena il tempo di rendersene conto. Di sicuro non ha tempo per pensare, non ha tempo per reagire: vede un lampo rosso, sente Justin gridare aspetta! ma non c’è tempo di aspettare, Rhodey non ha tempo di indietreggiare, non ha spazio per avanzare. La dannata macchina rossa li sperona come se stesse andando a cento all’ora, e tutto ciò che Tony riesce a sentire è dolore. Quel tipo di dolore allucinante che lo invade, che divampa dentro di lui, ma il suo braccio-- il braccio-- il suo cazzo di braccio--

Poi ci sono solo dei lampi--

Dolore--

Delle grida, delle grida-- crede di sentire qualcun altro, adesso--

Il suo braccio-- il suo dannato braccio, cazzo, che è successo--

È altrove ora, è tutto sfocato, c’è del bianco, del sangue, ferro nella sua bocca, Cristo, dove sono, dove sono--

È stordito, ha le vertigini. Il suo braccio, che è successo al suo braccio, dove--

Peter, Rhodey, Happy, crede di dire i loro nomi, crede di parlare, sente delle mani su di lui che lo tengono giù--

Non riesce a vedere, cazzo, non riesce a vedere--

“Dov’è? Dov’è, dov’è, vi prego!”

La voce di Peter.

Quanto tempo è passato? Cristo santo, Tony non riesce a pensare… è su qualcosa, qualcosa è sopra di lui, il suo braccio, il suo braccio, il braccio buono, stavolta, non quello del guanto, il cazzo di braccio buono--

La sua vista è sfocata, sa che la sua coscienza sta oscillando dentro e fuori… dentro e fuori…

Dentro e fuori…

Fuori…

Fuori…

La cazzo--

Di macchina rossa--

Si sente come un nervo scoperto, rotto e in fiamme, come se la testa fosse dieci volte più grande di quanto dovrebbe. Sta morendo, sta morendo per forza--

“Tony, oddio, andrà tutto bene…”

Sbatte le palpebre. Non riesce a vedere. È come se fossero passati ottocento anni. Prova a stringere il pugno destro, ma-- ma--

“Tony. Tony.”

GIORNO TRE

Si sveglia con un sobbalzo sulle note di quella cazzo di SOS. È di nuovo nel letto del motel. È un altro giorno. Si sente come se stesse per avere un infarto e si stringe immediatamente il braccio, tastandolo fino al polso, fino alle nocche. Si passa la mano sulla fronte. È qui. È tutto intero.

Deglutisce a forza e cerca a tentoni la sveglia urlante, girandola per premere il tasto e interrompere la canzone. Peter si lamenta debolmente, rigirando la faccia nel cuscino, e Tony si mette in piedi, barcollando verso la stanza contigua. Scivola dentro, va in punta di piedi in mezzo ai letti in cui Rhodey e Happy stanno ancora dormendo e disattiva rapidamente la loro sveglia prima che scateni Cher nel mondo. Prende le chiavi dell’auto dal comò, e lì accanto vede il fondo del bicchiere che si è rotto la prima notte. Deglutisce di nuovo a forza.

Rientra nella sua stanza, col cuore ancora a mille, e coglie Peter che lo fissa con occhi appannati. Chiude la porta il più piano possibile e vi si accascia contro, sospirando.

“Che succede?” chiede Peter, con la voce roca del mattino. “Hai… hai impostato tu la sveglia?”

“No,” dice Tony. Un’ondata di tristezza lo assale, come un dolore fantasma in tutto il suo corpo. Il maledetto incidente d’auto, e le loro voci prima di quella follia che gli riecheggiano nelle orecchie: dovrai dirci le stesse cose, di nuovo e di nuovo e di nuovo. Per un lungo istante non sa cosa dire, come dirlo, come approcciare questo giorno nuovo e fottuto e spaccato in questo mondo nuovo e fottuto che è in realtà un purgatorio.

“Stai bene?” chiede Peter, adesso un po’ più chiaramente, tirandosi su coi gomiti. “Hai una faccia.”

Tony si schiarisce la gola. “Uh, torna a dormire, ragazzo,” gli dice. “Quell’affare è scattato troppo presto, abbiamo-- abbiamo ancora tempo prima, fino a, uh… alla premiazione.”

Peter annuisce, ma non sembra del tutto convinto. Tony si sente stanco – fottutamente esausto – e non sa come funziona tutto ciò, se sia come non dormire affatto, se sia ancora stanco per quello che… per qualunque cosa sia successa ieri, anche se i segni fisici sono scomparsi.

L’incidente è stato grave, è stato un disastro, non ricorda di essere mai stato messo così male se non a un soffio dalla morte o mentre era ubriaco fradicio.

“Ho fatto un brutto sogno,” dice Peter, piano, con la voce che si incrina sull’ultima parola. “È stato… strano, come quelli… quelli che facevo prima, hai presente?”

L’attenzione di Tony si distoglie dai suoi ragionamenti attuali per concentrarsi su Peter. Sa a cosa si riferisce: i sogni che ha avuto dopo l’Avvoltoio, e quelli quando è tornato, mentre cercava di riprendere a vivere dopo essere morto. Si avvicina a lui e si siede sulla sponda del suo letto, guardandolo dall’alto. “Che hai sognato?” gli chiede.

Peter abbassa lo sguardo, distogliendolo. “Non mi ricordo molto, era più… più una sensazione, solo-- ero ferito, sentivo il sangue, sapevo che eri lì ma non riuscivi a vedermi, e anche tu eri ferito… è stato-- non lo so, è stato solo-- insomma, sono contento di esserne uscito,” dice, con un sorriso tirato.

Il cuore di Tony sta martellando di nuovo. Quel sogno somiglia decisamente all’incidente di ieri. Non si sente pronto a spiegargli tutto, non adesso, vuole andare a parlare con Justin per avere più dettagli, ma sembra davvero che dei pezzi di ciò che è accaduto siano sospesi nella testa di Peter. “Non, uh… non ricordi altro?” gli chiede.

Peter scuote la testa.

Tony lascia andare un respiro. “Beh, ora è finito,” dice. “Stiamo bene.”

“Stiamo bene,” ripete Peter. Sbadiglia, ondeggiando un po’. “Mi svegli quando dobbiamo andare?”

“Certo,” dice Tony, allungando una mano ad arruffargli i capelli.

“Ok,” risponde Peter. Rivolge a Tony una strana occhiata, come se non gli credesse, e Tony pensa al loop e a ciò che lascia nelle persone che non sanno di esserci dentro. Merda, vorrebbe riuscire a scovare questa cosa, a capire come funziona… ma la magia si nasconde, l’ha capito nell’ultimo paio d’anni. Opera tra le pieghe del tempo e dello spazio, invisibile ad occhi come i suoi.

Peter si gira e affonda di nuovo nel cuscino, e Tony lo guarda per un istante prima di alzarsi e raggiungere la valigia. Guarda i vestiti che si è messo ieri e scuote la testa, mettendoli da parte e scegliendone altri. Col cazzo che starà al gioco delle ripetizioni. Si impone di fare tutto nel modo più diverso possibile, dovesse finire per ucciderlo.

Il che… probabilmente accadrà.

Sospira. Va in bagno e si sciacqua la faccia per quasi dieci minuti prima di vestirsi e scivolare cautamente in corridoio senza svegliare di nuovo Peter. Non ricorda in che stanza ha detto di essere Justin, e per un istante inorridisce al pensiero di essere nel suo stesso motel. Non sa neanche se sia qui al momento, potrebbe essere via… a uccidere la coppietta di anziani in quel dannato teatro.

Tony sospira di nuovo, e lancia uno sguardo in fondo al corridoio.

“Oh, Cristo, eccoti qua,” dice la voce di Justin. Tony si volta e lo vede arrivare dalla direzione della hall. Si pianta le mani sui fianchi.

“Non stavi uccidendo nessuno, vero?” gli chiede, anche se avrebbe un milione di altre domande, al momento.

Justin sbuffa, avvicinandosi e fermandosi di fronte a lui. “No! Certo che no! Una promessa è una promessa, no? E Cristo, dopo quel che ti è successo ieri… merda, amico--” Fa una risatina. “È stato, uh…”

“Non è successo a tutti?” chiede Tony. “Incidente d’auto, giusto?”

“Sì, quella cazzo di macchina rossa,” dice Justin, schioccando la lingua. “Già, eravamo tutti messi piuttosto male… nel senso, io ero il secondo messo peggio, a dirla tutta, ma tu… cazzo, tu te la sei vista brutta--”

“Non vedevo più niente,” dice Tony, ricordando la confusione, il dolore. “Il mio braccio--”

“Il tuo braccio,” ride Justin. “Il tuo braccio… era mozzato, bello. È stato disgustoso. Avevi, tipo, mezzo braccio. E continuavi a svenire perché-- insomma, hai avuto un trauma cranico tremendo, danni cerebrali, ti sei sfondato la fronte…”

Tony ha senso di nausea. Non perché lo ha vissuto, che già di per sé… è tremendo, ma ancor più perché gli altri hanno dovuto vederlo in quello stato. “Ma non sono morto?”

“Ci sei andato vicino, ma niente,” dice Justin, scuotendo il capo. “Cristo, è stato un bagno di sangue. Il ragazzino è andato fuori di testa, Rhodey piangeva, Happy era aggrappato a te… Dio, è stato-- insomma, sono bloccato qui da tre mesi e non ho mai visto nulla del genere… nulla di così terrificante--”

“Ok,” lo ferma Tony, scuotendo la testa. Pensa di chiedere cosa sia successo a loro, come fossero ridotti, ma si trattiene. “Cristo. Ma non dovevi sapere quel che sarebbe accaduto? Maledizione.”

“Senti, vi avevo avvertiti di quella dannata macchina rossa,” dice Justin. “Non sono mai uscito da quel parcheggio in quell’esatto momento, merda. Comunque stiamo bene.”

“No, adesso abbiamo perso un altro giorno e loro sono traumatizzati,” dice Tony, gesticolando in direzione delle porte.

“Stanno bene,” dice Justin, scandendo le parole. “È un nuovo giorno. Ho fatto certe cose che vorrei poter dimenticare, credimi.”

“Beh, io penso che loro trattengano qualcosa,” dice Tony. Justin inclina la testa. “Peter ha fatto un incubo, e assomigliava molto a quello che è successo ieri.”

“Ah, davvero?”

“Davvero.”

“Strano,” dice Justin, annuendo.

Tony lo fissa. “Non… non lo trovi interessante? Non è qualcosa su cui, non so, dovremmo indagare?”

“Insomma, forse?” chiede Justin. “Che intendi fare? Andare in giro a chiedere alla gente che sogni ha fatto ultimamente? Ok che sono strani, Tony, ma non--”

“Va bene, fa niente,” dice Tony, alzando gli occhi al cielo. Si trascina le mani sul volto e si appoggia al muro. “Maledizione, ma come sopporti questi reset? Non so come cazzo fare, è come un colpo di frusta.”

“Già, ci sono abituato,” dice Justin. “Stavamo andando a controllare quelle baite prima che la macchina rossa venisse a fotterci. Stesso piano? Vuoi svegliare il tuo entourage?”

Tony pensa inizialmente che, sì, li vuole con lui, si sente più forte e più capace con loro vicino, ma poi ripensa alla breve descrizione che Justin ha fatto di ieri, di quel che è successo… e se oggi le cose andassero storte-- e poi scuote la testa. “No,” dice, schiarendosi la gola. “Andiamoci da soli.”

“Solo noi due,” dice Justin, con un ampio sorriso. “Ah, finalmente come volevo io.”

Tony fa una smorfia, scuotendo la testa. “Non costringermi ad ammazzarti.”

 
§

 
“Hai intenzione, uh… di immetterti?” chiede Justin, rivolgendosi a lui dal sedile del passeggero. “Non c’è nessuno per strada.”

“Non ti ricordi che--”

“Ma non c’è nessuno in giro.”

“Quel testa di cazzo è sbucato dal nulla,” dice Tony. Justin sospira, ma sorprendentemente non interviene di nuovo, il che fa interrogare Tony sull’entità delle sue ferite dopo l’incidente. Controlla tutti gli specchietti, guarda fuori dal finestrino, e poi si immette il più velocemente possibile, superando a tutta birra il semaforo verde e svoltando l’angolo. “Quanto sono lontane queste baite? In termini di tempo.”

“Ah, il tempo,” dice Justin, facendosi assorto.

“Niente battute sul tempo,” dice Tony. “O sui loop. O qualsiasi cosa assomigli a un loop. O sulla neve. O su gente morta congelata. Regole di base.”

“Riesci ad uccidere il divertimento in ogni cosa.”

“Tornando alla mia prima domanda,” dice Tony.

“Non saprei, forse un quarto d’ora,” dice Justin. “Non ci sono mai andato. Non ne ho mai visto… il motivo. Non c’è nulla da fare, solo gente comune a cui probabilmente non importa della festa.”

“Potrebbe essere la tana del male,” dice Tony. “La persona che ha fatto questo potrebbe starsene lassù a guardarti da una stanza ipertecnologica. Probabilmente ha messo telecamere ovunque.”

“Ok, questa mi sembra paranoia,” dice Justin. “Quassù il segnale fa schifo. In effetti non dovrebbe fare così schifo.”

“Già, probabilmente fa parte del gioco,” dice Tony, con gli occhi sulla strada davanti a loro. La neve è ammassata ai lati, e cerca di non pensare troppo al fatto che qui, al momento, è gennaio. Continua a sperare che una di queste volte si risveglierà a New York. Come dopo un lunghissimo sogno. Cristo, tutto può succedere. Lancia una rapida occhiata a Justin e alza gli occhi al cielo di riflesso: non gli piace stare da solo con lui, e neanche stare con lui e basta, e odia il fatto che di tutte le persone in questo cazzo di mondo sia bloccato in un loop infinito con un simile stronzo.

“Stavo per chiederti se hai dei nemici, poi mi sono ricordati chi sei e quanto sarebbe stupida come domanda,” dice Tony, stringendo un po’ troppo forte il volante. “Nemico numero uno, a rapporto.”

“Anthony, credi davvero che-- merda, sei stato tu?” chiede Justin. “È un trucco? Mi hai raggirato?”

“Nah, non mi verrebbe mai in mente una cosa del genere,” dice Tony. “Il che mi ricorda che, se l’avessi fatto io, mi sarebbe servito un aiutino da un certo stregone, quindi forse dovrei provare a chiamarlo.”

“Uno stregone, bello, bello,” dice Justin. “Cristo, vorrei saper usare la magia. Avrebbe reso l’evasione molto, uh… molto più semplice.”

“Ok, visto che siamo improbabili soci in questo macello,” dice Tony, fermandosi a un semaforo rosso, “Come hai fatto, esattamente?”

“Oh, parliamo da soci?” chiede Justin. “È simile a essere amici?”

Tony lo fissa, e Justin scoppia a ridere.

“Va bene, ci arriveremo. Uh… l’evasione, ecco, non è stata nulla di che, la mia ex era una secondina tempo fa e conosceva il posto a menadito, in più ha convinto un paio di pezzi grossi ad aiutarmi. Ci sono voluti circa tre mesi di pianificazione, pensavo che ne sarebbe valsa la pena, cazzo… e invece mi sono beccato tre mesi di spazzatura per tutto il fastidio.”

“Oh, povero te,” dice Tony, rimettendo in moto quando scatta il verde. “Hai mai pensato che saresti dovuto, uh, rimanere in prigione?”

“Nah,” dice Justin, con un ghigno. “Non faceva per me.”

“Sì, che faceva per te,” dice Tony. “Un’accoppiata perfetta.”

“Quando ti scorderai della nostra scaramuccia, eh?” chiede Justin. “Insomma, non era niente di personale--”

Tony si lamenta più forte che può. “Smetti di parlare. Sono stanco della tua voce.”

“Mi dispiace, Tony,” dice Justin. “Sono sinceramente, follemente, profondamente dispiaciuto.”

“Lascia perdere,” dice Tony. “Sei un cattivo di bassa lega. Più o meno in fondo alla catena alimentare.”

“Così mi ferisci.”

“Perché diavolo la tua ex non è venuta a riprenderti?” chiede Tony, rivolgendogli uno sguardo. “Hai detto che non sei riuscito a contattarla. Perché non ti ha contattato lei?”

“Oh, sono sorpreso che mi stessi ascoltando.”

Tony si sente ribollire il sangue. È come un maledetto bambino. Tira un profondo respiro e scuote la testa, concentrandosi sulle strade ghiacciate, e Justin sbotta a ridere.

“Beh, ho perso il mio cellulare usa-e-getta mentre venivo qui, quindi non sa dove chiamarmi, e quando ho chiamato il numero che mi ha dato lei era disattivato. Ero un po’ preoccupato che gli sbirri l’avessero acciuffata, non-- non è esattamente una cittadina modello.”

“Certo che non lo è, se era impegnata con te,” dice Tony.

“Speriamo che non sia morta,” dice Justin, con una scrollata di spalle.

Un procione sbuca di fronte alla macchina e Tony schiaccia il freno il più delicatamente e velocemente possibile per non slittare fuori strada. Il suo battito cardiaco ha un’impennata e l’animale schizza via nel bosco. Tony prende un respiro, riprendendo velocità e ringraziando Dio che non ci fosse nessuno dietro di loro.

“Cristo santo,” esala. “Non ne posso più di questo cazzo di posto.”

 
§

 
Le baite sembrano innocue, e non c’è nulla d’interessante o bizzarro da vedere. Non sembrano case infestate, ma neanche villette di lusso, si collocano in una via di mezzo. Tony e Justin bussano alle porte e parlano con un paio di persone, ma non c’è nulla che li metta in allarme, e Tony pensa di essere diventato abbastanza bravo a individuare chi ha cattive intenzioni. Due baite sono vuote e altre due sembrano abbandonate, e s’intrufolano in una di esse in cerca di indizi.

Indizi. Cristo santo, è finito in una puntata di Scooby Doo.

“Non riesco a credere che tu non sia mai venuto quassù,” dice Tony, in mezzo alla camera da letto di una delle baite. “Questo posto sembra… perfetto per il cattivone di turno-- tipo te…”

“Uh, io non sono cattivo,” dice Justin. “Sono furbo.”

Tony alza gli occhi al cielo.

“E quassù non c’è niente,” dice Justin, ribaltando una sedia a dondolo. Una nuvola di polvere si solleva e aleggia nell’aria, e Tony tossisce nel mezzo, guardandolo storto.

“Abbiamo ufficialmente deciso che questo loop è indirizzato a te?” chiede Tony.

“Oh, adesso decidiamo insieme cosa è ufficiale? Perché--”

“Hammer.”

“Penso di sì,” dice Justin. “Non lo so. Insomma, adesso ne fai parte anche tu.”

Tony scuote la testa, spaziando lo sguardo fuori dalla finestra. “Merda,” dice. Non vuole ammettere di non avere idea di cosa fare, ma non ne ha davvero idea. L’unico pensiero che riesce a formulare è che dovrebbe tornare al motel prima che gli altri pensino che l’abbiano rapito o qualcosa del genere. “Va bene, questo contiamolo come un buco nell’acqua. Usciamo di qui.”

“Almeno possiamo cancellarlo dalla mappa,” dice Justin, mentre si dirigono verso la porta.

Sembra che stia nevicando più forte e Tony lo percepisce come un presagio, un segno negativo rispetto ai loro progressi, o alla loro assenza. Si guarda indietro da sopra la spalla e Justin lo sta fissando con una strana espressione, ma è complesso stabilire se sia davvero una strana espressione o solo la sua solita faccia da idiota. Gli riesce difficile dispiacersi per lui, e reprime quel sentimento non appena fa capolino nella sua mente. Sa che Justin si dev’essere pur cacciato in questo casino in qualche modo, e si chiede ancora se non sappia più di quanto abbia rivelato.

Tony segue le loro impronte mentre avanzano nella neve verso la macchina, e un uomo esce da due case di distanza rispetto a quella in cui si sono appena introdotti, rivolgendo loro una strana occhiata. Tony non può fare a meno di notarlo, e si gira verso Justin, che sta palesemente cercando di evitare lo sguardo del nuovo arrivato.

“Ehi!” grida l’uomo, ma sta guardando Justin, non Tony.

Justin non risponde.

“Ti ho già visto da qualche parte?” chiede l’uomo, socchiudendo gli occhi. È magro, coi capelli scuri e indossa delle bretelle e un ampio cappotto; Tony si gira a guardare di nuovo Justin. “Sembri-- mi sembra di averti già visto prima.” Li fissa, sembrando un po’ turbato.

“No, siamo appena arrivati in città,” dice Justin, agitando a mezz’aria la mano. “Non-- non ti ho mai visto in vita mia.”

“Hmm. Mi fai un’impressione familiare.”

“O magari fa solo impressione?” chiede Tony, mentre la faccia di Justin diventa risentita.

“Non sei mai venuto da queste parti?” chiede l’uomo. “Sei appena--”

“No,” sbotta Justin. “Tony, apri la macchina.”

Tony lo squadra, assottigliando lo sguardo. “Justin, questo signore sta cercando di parlare con te.”

Tony,” dice Justin, strattonando la maniglia della portiera. “Ci sono delle persone che ci aspettano, ricordi? E probabilmente sono in ansia per--”

Tony piazza le mani sul tettuccio dell’auto. “Poi voglio la storia completa,” sussurra, in tono brusco.

“E va bene,” sibila Justin.

“Mi spiace, amico!” grida Tony, alzando il braccio in direzione dell’uomo. “Magari ha solo un viso molto comune.” Apre la portiera e Justin si fionda letteralmente all’interno, e Tony non vuole sapere che cazzo abbia combinato a questo tizio, ma immagina che non sia affatto qualcosa di grandioso.

Avvia il motore e si allontana di gran carriera, osservando Justin che guarda fuori dal finestrino mentre si allontanano dall’agglomerato di baite. Lo fissa con più interesse di quello che abbia mai provato nei suoi confronti da quando ha scoperto della sua esistenza, e Justin esala un sospiro.

“Allora, che gli hai fatto?” chiede Tony. “L’hai ucciso? Per gioco?”

Justin emette un verso infastidito. “No, non l’ho ucciso. Ci sono andato a letto. Un paio di volte. Un tipetto interessante, solo che l’ultima volta le cose si sono fatte un po’ troppo strane e non-- non voglio un bis. Magari hai ragione con quella storia dei sogni. Oh, magari mi ha sognato...”

Tony scuote la testa schifato. “Dio, non voglio immaginarti come un essere dotato di una vita sessuale. Quasi preferivo un omicidio.”

“Oh, io ho una vita sessuale. Hai presente quando mi strangolavi--”

“Hammer.”

“Lo so che ti--”

“Ci mando a sbattere,” dice Tony, stringendo con forza il volante. “Lo faccio.”

“Non vorrai turbare i tuoi amichetti,” dice Justin, mentre prendono una curva. “Quel ragazzino… da quando hai un istinto paterno? Pensavo che l’unico contesto in cui qualcuno ti avrebbe chiamato ‘paparino’ fosse--”

Tony sterza bruscamente e la macchina sbanda e scoda da destra a sinistra, mettendo a tacere Justin prima che quella frase disgustosa possa uscire dalla sua bocca altrettanto disgustosa.

Justin sospira. “Vedi quel ragazzino… come tuo figlio? Tony Stark che prende in casa un randagio?”

“Non è un randagio,” sputa fuori Tony. “Ha una zia a cui sono molto affezionato, e comunque chiudi quella cazzo di bocca: non ho intenzione di parlarti di Peter.”

“Adorabile,” dice Justin, reclinandosi sul proprio sedile. “Giochi al genitore con sua zia. Zia? Non ha più i genitori?” Fa un verso sorpreso, e si sporge verso di lui oltre il cruscotto. “Tony, li hai uccisi tu? Non è così che si adotta un bambino, Stark, ci sono delle procedure--”

“Sono serio,” dice Tony, girandosi a guardarlo. “Ti ammazzo e getto il tuo cadavere nel fiume. Poi ricominciamo, per me va bene.”

“Che è successo alla regola di non uccidere? Per me non vale?”

“Per te non vale nulla,” dice Tony. “Tu sei il jolly.”

Justin sembra pavoneggiarsi un po’ a quelle parole, e a Tony quasi viene un conato. “Sembra un complimento.”

“Non lo è.”

“Lo sembra.”

“Chiudi quella cazzo di bocca.”

 
§

 
Tony sente la voce di Happy mentre camminano verso l’ingresso del motel, prima ancora di aprire la porta. Rimbomba e riecheggia, e Tony è sicuro che l’intera città riesca a sentirlo.

È alto più o meno così, col pizzetto, bell’uomo… Cristo, dovete conoscere Tony Stark…

Justin fa un sorrisino rivolgendosi a Tony mentre procedono sul vialetto. “Vedo che ispiri una certa lealtà,” dice, guardandolo da capo a piedi.

“Non so cosa stai cercando di implicare, ma, di nuovo…”

“… chiudi quella cazzo di bocca, giusto.” Fa il gesto di chiudersi le labbra con una zip, e Tony alza gli occhi al cielo mentre entrano dalla porta principale.

Gli altri tre sono al bancone della reception e girano di scatto la testa quando la campanella della porta tintinna. Una miriade di emozioni attraversa i loro volti, ma stanno tutti gridando, e a Tony è subito chiaro quale sia quella più intensa.

“Ma che diavolo sta succedendo--”

“Tony, stavamo impazzendo, questo tizio ti ha rapito? Ti ha--”

Rhodey agguanta saldamente Justin per il bavero della giacca e lo spinge all’indietro fino a inchiodarlo al muro. “Che cazzo ci fai qui, Hammer?” ringhia, e per un secondo Tony si preoccupa, subito prima che gli occhi di Justin scattino nella sua direzione, con un piccolo sogghigno ad attraversargli le labbra. A quel punto Tony non è più preoccupato, ma solo disgustato, e infastidito, e decisamente esaurito.

“Rhodey, calmati,” dice, avvicinandosi e poggiandogli una mano sulla spalla.

“Tony,” dice Rhodey, sempre fissando Justin. “Che succede? Perché questo stronzo è qui? Dove sei andato?”

“Lascialo andare, si sta divertendo pure troppo,” dice Tony.

Rhodey socchiude gli occhi e allenta piano la presa, senza smettere di fissarlo.

“Tony, stai bene?” chiede Happy, di fianco a lui e con Peter subito dietro. “Merda, stavamo impazzendo… sei sparito di colpo-- insomma, il ragazzino ha dato di matto, quindi io ho dato di matto, ma avevamo una ragione per dare di matto--”

“Io questo tizio lo conosco,” dice Peter, affiancando Tony con aria sospettosa. “Ero-- lui stava…”

Tony lo tira vicino a sé, con quella sensazione d’impotenza che gli torce di nuovo le viscere.

“Questa è la parte migliore, eh?” chiede Justin, scrollando le spalle in direzione di Tony. “Sono davvero contento di non avere gente con me.”

Tony sospira, scuotendo la testa. “Non sei d’aiuto.”

“Tony,” dice Happy. “Sei con lui? Con… cazzo, con Justin Hammer?”

“Oh, no,” dice Justin, tendendo le mani, “Non mi dispiacerebbe, ma non stiamo in--”

Tony sibila, quasi sputa e agita freneticamente le mani in direzione di Justin. Il che sembra… decisamente sospetto, se ne rende conto non appena capta gli altri tre che lo osservano. Lancia un’occhiataccia a Justin, gli volta le spalle e fa cenno a Rhodey di accostarsi.

“Che sta succedendo?” chiede lui, esitante.

Tony sospira. “Ti fidi di me?”

 
§

 
Spiega tutto da capo, di nuovo. Dovrebbe redigere una sorta di copione, ma la cosa peggiore è che non avrebbe neanche bisogno di scriverselo, perché presto sarà in grado di recitarlo a memoria, parola per parola. È dura, osservare le loro facce mentre realizzano cosa succede, e ancor di più dire loro che hanno già fatto tutto ciò in precedenza, e che probabilmente dovranno farlo di nuovo. Dice loro dell’incidente d’auto, dell’eterna festa dell’uomo congelato, dove loro sono andati a cercarlo loro quando è scomparso.

“Ho una richiesta,” dice Peter, dopo aver chiarito tutto. Tony concentra su di lui la propria attenzione e Peter deglutisce a forza, a occhi bassi. “Potresti, uh… insomma, lo capisco, tutto questo è tremendo e probabilmente è-- difficile da gestire quando ti svegli tutte le volte nella stessa situazione, soprattutto dopo una cosa come l’incidente, solo che—insomma-- potresti non… sparire così?” chiede, schiarendosi la gola. “Per favore?”

“Già,” dice Happy. “Non è stato bello. Per nessuno di noi.”

“Specialmente se non possiamo chiamarti,” dice Rhodey, scuotendo la testa.

Lancia un’occhiata d’intesa con Peter, e Tony si sente un egoista: ultimamente si è concentrato solo sulle proprie perdite, su quanto sia stata dura stare senza Peter, su come si è sentito quando l’ha perso e su quanto sia diventato iperprotettivo da quando è tornato, ma Peter-- merda, Peter ha perso i suoi genitori e suo zio, e non ha nemmeno finito la scuola. Tony è diventato la sua figura paterna, nessuno può negarlo e nessuno ci prova neanche più, quindi riesce a immaginare come dev’essere stato svegliarsi e scoprire che era scomparso senza la minima idea di dove fosse andato. Tony sa che se morisse farebbe soffrire Happy e Rhodey, sa cosa proverebbero e non sarebbe affatto piacevole, ma sa anche che per Peter sarebbe diverso. Si sente investire da un’ondata di paura e vergogna e ci annega per un istante, rabbrividendo per la propria insensibilità, poi si schiarisce la gola, abbracciando brevemente Peter.

“Scusa, mi dispiace,” dice con voce un po’ rotta, arruffandogli i capelli. “Non ero lucido.”

“Non fa niente,” dice Peter contro la spalla di Tony, ricambiando l’abbraccio. “Insomma, quell’incidente… sembra--”

“Non è una scusante,” dice Tony, scostandosi e guardandolo in faccia. “Non lo farò di nuovo,” dice poi, a tutti loro. Questi annuiscono e lui cerca di venire a patti con le sue decisioni di merda e con il loro perdono istantaneo, e realizza che deve far meglio di così, a prescindere dal fatto che sappiano cosa stia succedendo o meno.

“Ma che famigliola adorabile,” dice Justin, dietro di loro. “Sono toccato.”

“Sì, in testa,” dice Happy. “Come facciamo a sapere che non è stato lui?”

“Perché persino io non mi odio così tanto,” dice Justin. “Non avrei mai scelto come giorno la Festa dell’Uomo Congelato, vi pare? O Nederland, se è per questo. Magari Orlando, o la Epcot [3] per il cibo e il vino… o Maui-- o Key West [4], so che c’è là un bar dove si entra nudi–”

“Perché letteralmente-- ogni cosa che esce dalla tua bocca deve essere una schifezza?” chiede Tony, guardandolo male.

“Oh, giusto,” dice Justin, raddrizzandosi un po’. “Per il bene di tuo figlio, cercherò di non fare battute vietate ai minori.”

Peter lancia a Tony un’occhiata strana, e lui scuote la testa.

“Quindi, cosa facciamo?” chiede Rhodey.

Sempre la stessa, dannata domanda. Tony si sente un idiota, a starsene lì nella hall del motel, ma si sentirebbe ancor più idiota a starsene nel bel mezzo della propria stanza, soprattutto se con loro ci fosse anche Justin. Non vuole che Justin veda dove dormono – anche se ha la sensazione che sia inevitabile, e quello stronzo ha probabilmente già dormito in ogni singolo letto. Ha avuto abbastanza tempo e libertà per farlo.

Tony scuote la testa.

“Pensi che sia qualcosa nascosto sulle montagne?” chiede Peter. “Come in Indiana Jones, magari qualcuno è alla ricerca del Graal, o qualcosa del genere?”

“Credo che mi accorgerei se ci fosse una cazzo ricerca del Graal in corso,” dice Justin, alzando gli occhi al cielo.

“Prima di tutto, perché diavolo la tua ex ha scelto questo posto?” chiede Happy. “Non è esattamente un hotel a cinque stelle. Non ti ci vedo, qui.”

“E questo è esattamente il perché,” dice Justin, indicandolo. “Chi vorrebbe mai essere catturato? Sapevo che non sareste venuti a cercarmi qui, se mi foste venuti a cercare.”

“La sua ex è un vicolo cieco a meno che non venga anche lei qui, ma poi rimarrebbe intrappolata qui come noi,” dice Tony. “E anche se fosse, non sappiamo se sarebbe in grado di ricordare come me.”

“Non ci sono indizi sul perché tu ricordi?” chiede Rhodey. “Ti ha fatto qualcosa? Ti ha baciato?”

Tony sospira, e Justin ridacchia. “No,” dice Tony. “Non ne abbiamo idea.”

“Tu ed io siamo connessi,” dice Justin. “Probabilmente è per questo.”

“E tu e la tua ex non lo siete?” gli chiede Peter.

Justin scrolla le spalle. “Certo che lo siamo. Forse riuscirebbe a ricordare anche lei, se fosse qui. Chi lo sa! Quel che so… è che sarebbe sicuramente una threesome memorabile, non credi, Tony?”

“Ti ricordi quante volte ti ho picchiato il primo giorno?” chiede Tony. “Possiamo aggiungerne altre, per me ve bene.”

Justin fa di nuovo il segno di chiudersi la bocca con una zip, ma ha l’aria di avere dei… pensieri, e Tony rabbrividisce, guardando poi gli altri. “La ricerca del ‘Graal’… potrebbe essere una buona pista, in un posto come questo. Merda-- la città potrebbe essere sotto un incantesimo, magari c’è qualcosa nascosto qui e comunque non abbiamo altre idee, penso che dovremmo almeno provarci.” Guarda di nuovo Justin, con riluttanza. “Hai perlustrato le montagne?”

“Ho sciato un po’,” dice Justin.

Tony rotea gli occhi e si rivolge di nuovo agli altri. “Ok, mettetevi giacche e scarpe più pesanti, nessuno morirà assiderato davanti a me.”

 
§

 
Si inerpicano fino al lago, senza trovare nulla. È completamente ghiacciato e Tony non permette agli altri di avvicinarsi a meno di due metri dal ghiaccio per paura che si rompa e muoiano congelati, e, con suo grande disappunto, è persino preoccupato che succeda a Justin. Si mettono a cercare in giro il più possibile, finché non hanno l’impressione di giocare a nascondino con un fantasma, e Tony detesta il fatto che potrebbe essere così. Questa roba potrebbe essere qualsiasi cosa. La ricerca del Graal, come ha detto Peter: un qualche antico artefatto che ha lanciato un incantesimo sulla povera, piccola Nederland sperduta in mezzo alla neve, trascinando con sé qualche povero stronzo per partecipare all’evento. Potrebbe essere un fantasma, bloccato qui in attesa di essere trovato. Potrebbe essere una strega o uno stregone che sta facendo casino senza alcun buon motivo, o perché vi è costretto…

Tony si accorge di essere rimasto indietro, in fondo al gruppo, e che sta digrignando i denti così forte che sembrano sul punto di rompersi. Ci sono fin troppe possibilità e nessun modo per portarle alla luce, nessuna guida; solo pericolo, solo irritazioni e loop e circoli e una rinascita mattutina per Peter, Rhodey e Happy in attesa di spiegazioni che lui non è in grado di dare. Non sa se quei reset stiano interferendo con le loro menti, confondendo i loro ricordi, e non sa se il fatto che lui ricordi ogni dettaglio gli stia fottendo il cervello più di quanto ne sia cosciente.
Troppe domande. Troppe risposte mancanti.

Si spingono più in alto nelle montagne, dove i sentieri non sono segnati e non c’è più nessuno in giro. La paranoia di Tony schizza a livelli cosmici e si fa silenzioso tenendo gli occhi bene aperti, nel tentativo di attenuare la propria ansia, ma non riesce a smettere di cercare pericoli, di cercare un significato nascosto in ogni parola di Justin, di pensare che ogni passo che fanno potrebbe condurli alla rovina. Questa situazione lo fa sentire piccolo, insignificante, incapace, come una formica bloccata sotto la lente d’ingrandimento di un bimbetto in attesa del sole.

Trovano un’apertura nelle montagne, a circa metà strada dalla cima, e sembra una grotta. Per un istante il mistero sembra assottigliarsi, aprendo la strada a nuove possibilità. Una cazzo di grotta: dev’esserci qualcosa dentro. Un qualche indizio.

Ma c’è solo neve. Umidità, neve mezza sciolta, un fondo inamovibile, niente scale o porte segrete. Niente. Nessuno.

“Merda,” dice Rhodey dall’imbocco della grotta, voltandosi a guardarli. Lui e Peter sono gli unici a non avere il fiatone. Scambia un’occhiata con Happy, colma di timore, di velata paura, di incredulità. Di solito Tony riesce a leggere Rhodey abbastanza bene, e quell’espressione sembra parlare: Rhodey non sa in cosa credere, ma si fida di Tony, quindi deve credere anche al suo racconto. Ma l’assenza di indizi inizia a farsi sentire, Tony glielo legge negli occhi. Non può dargli torto, cazzo.

“Che facciamo adesso?” chiede Peter. “Continuiamo a salire?”

“Voi andate, io mi fermo qui,” dice Happy, sedendosi. “Questo è troppo per me, e non sappiamo nemmeno cosa stiamo cercando.”

“Torniamo indietro,” dice Justin, scrollandosi della neve dalla spalla. Gira rapidamente su se stesso, guardandosi bene intorno, poi scuote la testa. “Qui non c’è nulla.”

La schiettezza con cui lo dice mette in allarme Tony. “Come facciamo a saperlo?” chiede. “Il Graal-- l’affare – qualunque cosa sia – potrebbe essere sepolto in questa cazzo di montagna. Potremmo dover scavare per tre giorni anche solo per trovarlo.”

“Tre giorni, una settimana, non lo sapremo mai,” dice Justin. “E poi… non troveremo nulla.”

“Che dovremmo fare?” chiede Happy, alzando al cielo le mani. “Dar fuoco alla città? Setacciare le ceneri?”

Ceneri. Tony sussulta, e Happy ha l’aria di rimpiangere la propria scelta di parole, con gli occhi che scattano in direzione di Peter.

“Voglio farci uscire di qui,” dice lui, alzando il mento. “Continuerò a cercare, a fare qualunque cosa.” C’è paura nella sua voce e nel suo sguardo, ma il ragazzo è prima di tutto un eroe, e Tony sa che non smetterà mai di provarci.

Prima ha già mentito per addolcire la pillola, e non può togliere speranza a Peter.

“Credo che se ci fosse qualcosa qui lo sapremmo, ragazzino,” dice Tony. “Insomma… questo è evidentemente un incantesimo. Un qualche tipo di magia, lo sappiamo. Penso che-- ci sarebbe stato un qualche tipo di segnale, se fossimo vicini a un indizio. Specialmente per me e Justin. E io non sento nulla,” dice, sperando che si beva quella stronzata. Si volta a guardare Justin, sbarrando appena gli occhi sperando che capisca l’antifona. “Tu?”

“No,” dice Justin, rapido, abile nel mentire. “Sì, penso che-- che lo sapremmo.”

“Torniamo indietro,” dice Tony.

“Non manca molto a fine giornata,” dice Peter, sostenendo lo sguardo di Tony.

Tony sa cosa intende: non manca molto al nuovo giorno, allo stesso giorno, al giorno in cui loro non ricorderanno nulla e dovranno ricominciare da capo. Non c’è niente che può dire per migliorare la cosa, o per renderla meno vera, e cerca di non trasalire di fronte a quel fatto.

“Dai, ragazzino,” gli dice. “Sfruttiamola al meglio.”

 
§

 
Sembra una corsa a ostacoli verso la morte, e il fatto che la morte li circondi non è d’aiuto. La discesa è ripida e terrificante, e Tony diventa particolarmente furioso quando oltrepassano il lago privo d’indizi, soprattutto perché gli idioti della festa dell’uomo congelato sono lì, impegnata nella gara dei Tuffi Polari – ovvero nuotare sotto il ghiaccio sperando di non morire. Magari questo loop è un castigo divino per la loro stupidità – e magari Dio li ha in grazia e farà finire il loop in un giorno in cui nessuno rimarrà mutilo o morirà. Tony non sa perché diavolo lui e Justin abbiano l’onore – la maledizione – di ricordarsi tutto. O perché Justin abbia dovuto trascinarlo qui, in primis.

Quando tornano in città, ci sono decine di palloncini blu e grigi che fluttuano appesi ai lampioni, e la macchina rossa passa in velocità; Tony, solo a vederla, si sente ribollire il sangue. Il cane Jeff continua a scorrazzare qua e là coi bambini che lo inseguono, le bambine stanno ancora vendendo fiori appassiti, Martha e suo marito stanno ancora litigando. Justin rivolge un’occhiata lasciva alla sposa cadavere coi capelli rossi, e Tony non vuole neanche immaginare cosa sia successo tra i due.

Trovano il ristorante più costoso della città, che si rivela essere un posto specializzato in pesce chiamato Dockspree [5], e Tony lascia loro ordinare ciò che vogliono. Prende a Peter due porzioni di tortino al cioccolato fuso, e cerca di partecipare con brio alla discussione che si solleva tra lui e Happy riguardo ad aromi artificiali e zuccheri.

Le ore ticchettano via e loro si dirigono infine verso il motel, quando inizia a far buio e le decorazioni vengono tirate giù. Le strade sono vuote e tutto sembra molto simile a quando sono arrivati qui per la prima volta, con quella sensazione inquietante che aleggia traslucida nell’aria, posandosi su Tony come un sudario.

Justin cerca i loro occhi mentre scendono dalla macchina per raggiungere il motel. “Credo che questa sia l’ora in cui fa entrare la gente,” dice.

“Chi?” chiede Happy. “Il loop?”

“Il loop, la città, uguale,” dice Justin. “È come un’ora di punta. È l’unico momento in cui ho visto o sono venuto a sapere di persone in arrivo.”

“Potremmo provare ad andarcene?” chiede Tony. “Pensi che funzionerebbe?”

“Non funziona mai,” dice Justin, spingendo la porta. “Credo che sia addirittura più difficile all’ora di punta: sta cercando di risucchiare altra gente, non di perderla.” Una volta dentro sospira, sfregandosi le braccia. “Beh, uh… ok, ci vediamo domani.” Li supera e si dirige verso il secondo corridoio, dietro il loro.

“Tutto qua?” grida Rhodey, con la voce che echeggia assieme allo scoppiettio del fuoco nell’angolo. “È tutto quello che hai da dire?”

“Non c’è molto da dire,” dice Justin, girandosi e continuando a camminare aprendo le braccia. “Non vedo l’ora di avere un altro primo incontro rissoso, domani.” Si gira di nuovo e scompare in fondo al corridoio.

“Merda,” dice Rhodey, rivolto a Tony. “Quanto cazzo lo odio.”

 
§

 
Provano a lasciare la città, tanto per provare, anche se Tony sa che non funzionerà. E ovviamente, due minuti dopo che hanno imboccato la strada, quando un po’ d’ottimismo ha iniziato a sbocciare in lui, la macchina sputacchia e si ferma, costringendoli a riportarla a spinta verso la maledetta Nederland.

Quando tornano, viene loro in mente un’altra opzione da provare.

“Magari così lo freghiamo,” dice Peter.

Si siedono tutti davanti al fuoco, con Rhodey e Happy che rinunciano alla solita routine non andando a dormire nella loro stanza. Mancano sette minuti a mezzanotte e Tony non si è mai sentito così sveglio ed esausto allo stesso tempo. È come se ogni singolo errore che abbia mai commesso fosse tornato indietro per perseguitarlo e morire con lui, nel buio e nella neve.

“Non funzionerà,” dice Happy, guardandolo.

“Non lo sappiamo,” dice Tony, deciso a mantenere viva la più piccola scintilla di speranza. “Non ne abbiamo idea.”

“Niente funzionerà,” dice Happy.

Rhodey si fa più vicino al fuoco. “Non abbiamo fatto neanche un passo avanti,” dice. “E come facciamo? Cristo santo, ci servirebbe prima di tutto un manuale d’istruzioni, anche senza considerare che tu devi occuparti di noi come… pazienti con l’amnesia.”

“Peter ha fatto quel sogno,” dice Tony, con gli occhi che sfrecciano verso l’orologio. Tre minuti. “Credo che voi siate in grado di trattenere parte di ciò che accade. È nelle vostre teste, ne sono sicuro. Fidatevi, dovete fidarvi.”

“È tremendo,” dice Peter, con le lacrime nella voce, e lascia ricadere la testa. “È tremendo, tra-- tra pochi minuti non-- saremo--”

Tony gli posa un braccio sulle spalle e lo avvicina a sé, e Happy gli stringe la spalla dall’altro lato. “Riuscirò a risolvere tutto,” dice Tony, mentre il terrore li assale al pensiero di quante altre volte si ripeterà questa esatta scena. “Ce la farò.”

“Sei da solo,” dice Peter, alzando lo sguardo verso di lui. “È come se non fossimo davvero qui.”

“No,” dice Tony, “Non sono solo, voi siete qui, e non ci vuole mai molto a convincervi--”

“E May è a casa-- e Ned e MJ-- e oddio, Pepper, Pepper e il bambino… oddio, e se rimaniamo bloccati per--”

Quello è il suo inferno personale, e Peter riesce a scovarlo anche senza indicazioni. “Non lo saremo,” dice Tony, interrompendolo. “Non rimarremo bloccati, te lo prometto.”

Tony,” comincia Peter.

E poi tutto cambia.

GIORNO QUATTRO

È come l’impulso di un telecomando. È un battito di ciglia, come statico sulla radio che lascia di colpo posto a un nuovo canale. Tony si sveglia nel suo letto, nella stessa stanza. Con SOS.
 
So when you’re near me, darling, can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 
Rimane sdraiato lì, senza ascoltare davvero la musica, senza davvero svegliarsi, senza provare davvero a rimettersi a dormire. Rimane a crogiolarsi nel terrore, nell’incredulità, e si chiede cosa abbia fatto per meritarsi questo. Non è mai stato un grande fan di se stesso, anche dopo aver operato i cambiamenti più grandi e aver raccolto attorno a sé un buon team di supporto. Ma non pensa di essere davvero un essere umano così schifoso da dover rimaner bloccato in all’infinito nella neve con Justin Hammer.
Torce il piumino tra le mani.
 
When you’re gone
How can I even try to go on?
When you’re gone
Though I try how can I carry on?
 
Sembra fatto apposta, cazzo [6]. Come fa ad andare avanti? Non è un tipo che si arrende. Il momento in cui è stato più vicino ad arrendersi è stato dopo aver perso contro Thanos, e Peter era sparito, metà dell’universo era sparito, ma anche allora era riuscito a rimettersi in piedi per aiutare a risolvere tutto. E adesso… questo. Merda. Fissa il soffitto. Reset, ripeti, reset, ripeti. Anche i suoi pensieri sono gli stessi.

Peter emette un lamento dall’altro letto. “Non ricordavo neanche che avessi messo una sveglia.”

A Tony viene da piangere. Non dice nulla. Fissa il soffitto ancora e ancora e si chiede cosa accadrebbe se non si muovesse per tutto il giorno. Se non parlasse, se diventasse catatonico, se spaventasse a morte tutti quanti: magari cambierebbe qualcosa, se quel maledetto loop capisse che non ha intenzione di stare al suo gioco.

“Dio, per un attimo mi ero dimenticato dove fossimo,” dice Peter, girandosi sulla schiena.

Tony l’ha portato lì. L’ha derubato. Ha derubato anche May, le ha portato via suo nipote. L’ha praticamente rapito, cazzo. Anche Happy e Rhodey. Ha messo fine alle loro vite. Si perderà la nascita di sua figlia. Non la vedrà crescere. E chiunque verrà a cercarlo quando capirà che è sparito rimarrà bloccato con lui. Lo deruberà della sua vita, lo strapperà a tutto ciò che si è lasciato dietro per venire a salvare il culo a lui.

Fissa il soffitto finché non gli bruciano gli occhi.
 
So when you’re near me, daring can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 
“Tony?” chiede Peter, e lui lo sente vagamente mentre si alza dal letto. “Tony? Che ti succede?”

Tony si copre il volto con le mani. Sente che tra due secondi scoppierà a piangere come un bambino e si schiarisce la gola, scuotendo la testa. “Niente,” risponde.

È come se non fossimo davvero qui.

Sente Peter avvicinarsi e sedersi sulla sponda del letto. “Stai piangendo? Ti dà fastidio la sveglia?”

“No, non sto--”

“La spengo,” dice Peter. “Dev’essere preimpostata.”

Tony affonda le dita nelle palpebre, e vede le stelle. Sente Peter alzarsi di nuovo e armeggiare con quello stupido orologio.

“C’è uno sportelletto sul retro,” dice Tony, la voce attutita dalle mani. Non sa cosa fare, non ha un piano, tutto ciò che ha sono le immagini terrificanti di qualche secondo fa, di ieri sera, di stasera o quel che diavolo è: quella sensazione tetra e sospesa nell’aria sopra di loro, le lacrime negli occhi di Peter, la rassegnazione nella voce di Happy. Tony può immaginare cosa penseranno e come si sentiranno quando gli spiegherà di nuovo cosa sta succedendo. È come se qualcuno li avesse privati delle loro azioni, delle loro abilità. Lo odia. Odia il fatto di non sapere come risolvere tutto.

Ripensa a Justin e una parte di lui vorrebbe pestarlo a morte. Vorrebbe spaccargli quella maledetta faccia da idiota e cancellarla dall’esistenza per avergli fatto questo. Ma l’altra parte, con suo orrore, prova empatia per Justin, perché sono entrambi bloccati in quest’inferno e hanno la condanna di ricordarselo. Tony non vuole sentirsi così, non vuole avere neanche un briciolo di compassione per lui, ma continua a saltar fuori nella sua testa in bella vista. Sono diventati una squadra, nel bene e nel male. Decisamente nel male. Non c’è nessun altro che riterrebbe un compagno peggiore, se non forse Thanos. O magari Obadiah. O suo padre.

La musica si interrompe e sente Peter che gli posa una mano sul braccio. Tony sta piangendo, solo un po’, con le lacrime calde che si raccolgono sotto le sue dita, strabordando, e non sa come fermarsi, come mettere a posto le cose. Non sa se cominciare a raccontare adesso la sua maledetta storia, o se incontrarsi prima con Justin, e puntualmente sente Cher che prende a cantare nell’altra stanza.

“Tony?” chiede Peter. “Che succede? Hai avuto un incubo, stai-- stai avendo un attacco d’ansia? Perché se ce l’hai, fai come mi dici sempre, respira, concentrati sul presente, concentrati su di me, calmati…”

Peter è un ragazzo sveglio, perché questo è un attacco d’ansia. Decisamente. Non ne ha uno da un po’, perché finora è stato tutto tranquillo, e quasi non l’ha riconosciuto. L’ha preso alla sprovvista, in qualche modo, è arrivato in una forma diversa e più subdola, che l’ha paralizzato. Ma Peter l’ha riconosciuto per quello che è.

“Respira, dentro e fuori, stai bene, va tutto bene e tu stai bene,” dice Peter, stringendogli il polso. Sa che il ragazzino è sempre preoccupato per il suo cuore da quando gli ha parlato dell’entità di tutti i suoi problemi, e sente le dita di Peter tastare qua e là per trovargli il polso. Sa come deve percepirlo: fluttuante, irregolare. Deve calmarsi, diamine, e pensare ai fatti.

La porta comunicante si apre; non la sente davvero, ma lo immagina perché Cher si fa più forte.

C’è un istante di silenzio. “Ehi, che gli prende?” chiede Happy.

“Va tutto bene,” dice Peter, rapido, stringendogli ancora il polso.

“Sta bene?” chiede Happy. “Che succede?”
 
What am I supposed to do
Sit around and wait for you
Well I can’t do that
And there’s no turning back
 
“Sta bene, sta benissimo,” dice Peter.

“Rhodes, Tony ha qualcosa che non va.”

Deve pensare ai fatti. Deve affrontare questa cosa come un’indagine, deve scomporla. Respira a fondo. Fatti. Fatti. Fatti. Dev’esserci un motivo per cui sono bloccati proprio in questo giorno. La Festa dell’Uomo Congelato. È l’unica cosa rilevante collegata ad oggi.

“Ok, l’ho trovato,” dice Rhodey, dall’altra stanza. “Ci sono, ci sono, un momento.”

La musica cessa.

Tony abbassa le mani e guarda Peter. Sembra un po’ impaurito, e sta chiaramente cercando di mantenere la calma per il suo bene; Happy e Rhodey si avvicinano, con occhi preoccupati. Tony si aggrappa con la mano alla spalla di Peter, e lui gli stringe l’avambraccio mentre si tira su a sedere.

“Oggi è la Festa dell’Uomo Congelato,” dice.

Tutti lo guardano socchiudendo gli occhi.

“No,” dice Rhodey. “No, l’abbiamo mancata.”

Tony ha la tentazione di alzarsi e andarsene, ma sa che non può. Tutto questo deve avere a che fare con questa maledetta festa idiota, e non ha intenzione di lasciarli indietro, né di farli preoccupare più di quanto non siano già. Deve avere tutto a che fare con questa merda di Festa dell’Uomo Congelato. Deve essere quella.

Una traccia di paura gli blocca la gola al pensiero di dover spiegare di nuovo tutto. È come essere intrappolato in fondo a un pozzo, o guardare dentro la canna di un fucile. Ma non vuole fare nulla senza di loro.

Deglutisce a fatica, guardandoli. “Vi fidate di me?”

 
§

 
Racconta da capo tutto. Loro sono riluttanti. Racconta ancora. Li vede cedere, e parla dell’incidente, di ieri, del primo giorno, di quel maledetto di Justin, della truffa della premiazione e di ogni singolo dettaglio. L’inconveniente col freezer, il bicchiere rotto, lo sportelletto dietro la sveglia, la Festa dell’Uomo Congelato. Sente il proprio petto irrigidirsi in preda ai conati, e ha l’impressione di dover vomitare.

“E non so come aggiustarlo,” dice Tony, con le lacrime agli occhi. “Non so cosa stracazzo fare, non so come salvarci, ma… ho un’idea, credo che dovremmo… unirci alla città? A questa stupida festa? Non so se funzionerà. Non lo so affatto, so solo-- che dobbiamo provarci. E ho bisogno che voi mi crediate.”

Si immagina una nuvola cupa, nel giorno in cui non gli crederanno, quando non ci riusciranno, quando lui non riuscirà a convincerli e perderà la loro fiducia, e spera che non sia oggi, spera che saranno schierati al suo fianco, dove sono stati per tutto questo tempo, e i suoi occhi sfrecciano avanti e indietro tra loro tre e sa che sembra pregarli, che sembra pazzo, come se avesse preso freddo o avesse una carenza d’ossigeno al cervello, o chissà cosa, ma tutto ciò che riesce a pensare è vi prego, vi prego, vi prego, aiutatemi a riprenderci le nostre vite.

“Ti credo,” dice Peter. “Certo… certo che ti credo. Ti crediamo,” dice, guardando gli altri due da sopra la spalla.

“È stato Justin,” dice Rhodey. “Ne sono sicuro.”

Tony scuote la testa. “No, è-- è uno stronzo, ma non vuole essere qui. Non è lui.” Odia saperlo, e il fatto di crederci ciecamente.

“Merda, allora,” dice Rhodey, agitando le mani e guardando Happy. “Merda.”

“Mi ha steso come un birillo?” chiede Happy. “E poi… ci ha chiuso in un freezer?”

“Sì, è stato il primo giorno,” dice Tony. “La sua tattica persuasiva.”

“Potrebbe farlo di nuovo,” dice Happy.

“Se lo fa, è morto.”

“Ritornerebbe semplicemente il giorno dopo, giusto?” chiede Rhodey. “Funziona così?”

Tony sospira. “Lo ucciderò in modo orribile se vi torce un capello, e lo sa.”

“Cristo,” dice Rhodey, piantandosi le mani sui fianchi e fissando il soffitto. “In quanti casini dobbiamo andare a ficcarci?”

“Credimi, non faccio che pensarci,” dice Tony.

Stanno in silenzio per un secondo, e Tony si massaggia le tempie, cercando di eliminare il mal di testa che si sta formando nel suo cranio.

“Quindi pensi che prendere parte agli eventi dell’uomo congelato ci aiuterà?” chiede Peter, gli occhi enormi mentre annuisce speranzoso.

“Forse,” risponde Tony, fissandolo.

“Allora andiamo-- andiamo a prendere Hammer,” dice Peter. “Facciamolo.”

“Ok,” dice Happy. “Andiamo.”

 
§

 
“Va bene,” dice Justin, poggiato allo stipite della porta. “Insomma-- va bene, non ho esattamente preso parte da quando sono qui… piuttosto l’ho-- bazzicato un po’, sapete, ho guardato la gente…”

“Non vogliamo saperlo,” dice Tony. “Ci stai?”

“Sì, probabilmente non funzionerà se non partecipiamo entrambi,” commenta Justin, e il modo in cui lo dice irrita Tony oltre ogni dire. Non sarebbe in questo macello se non fosse per lui. Ogni volta che ci pensa, vorrebbe non aver mai aperto quelle lettere.

“Datemi il tempo di vestirmi.”

Justin scivola di nuovo nella sua stanza lasciando aperto uno spiraglio, e quando Tony sbircia all’interno vede che quello stronzo è riuscito a mettere sottosopra la stanza nelle poche ore trascorse dall’ultimo reset. Scambia un’occhiata con gli altri e scuote la testa, incoraggiandoli a rimanere in corridoio invece di entrare nel covo di quello stramboide.

“Sei andato a fare base al teatro?” chiede Tony, incrociando le braccia sul petto.

“Ho deciso di riposarmi, stamattina,” risponde Justin. “Mi sono svegliato, ho affrontato il terrore esistenziale e ho pensato che voi foste già usciti… mi occupo domani di Kelly e Todd.”

“O più tardi,” dice Tony. “Giusto in caso ci serva il telefono.” Sa che deve convincere Peter a chiamare di nuovo May: il pensiero che il tempo scorra normalmente fuori da questo buco infernale lo perseguita, e gli si accappona la pelle se pensa che May si sta preoccupando per Peter, o Pepper per lui stesso. Se pensa alla squadra che si chiede cosa diavolo sia successo… sono stati tutti molto uniti dopo quello che hanno passato, e sa che se riuscissero a tracciare i suoi spostamenti e venissero a cercarlo, rimarrebbero bloccati anche loro. Ricordandoselo o meno. Entrambe le opzioni sono terribili.

“Tutte queste telefonate…” dice Justin. Esce di nuovo, infagottato in due camicie a quadri, un paio di jeans e un’ampia giacca, e chiude la porta dietro di sé. “Ok, avete un piano? Che volete fare prima?”

“Dio,” dice Tony, già temendo ciò che li aspetta. “Andiamo a vedere cosa sembra più semplice. Dovremo probabilmente fare tutto.”

“Potrebbero volerci un paio di giorni,” osserva Justin.

Ciò causa un’evidente reazione negli altri tre, che realizzano di dover sentire la stessa spiegazione ancora e ancora e ancora finché non avranno finito. E potrebbe anche non funzionare, potrebbe non servire a niente, potrebbero sprecare il loro dannato tempo prendendo parte a questa stupida festa.

Ma devono provarci.

“Andiamo a trovare un programma delle attività da qualche parte,” dice Happy, con uno sbuffo. “Andiamo, Cristo, e iniziamo questo schifo.”

 
§

 
Sono seduti a un tavolo da picnic con circa altri venti concorrenti, ognuno con una grossa tazza contenente una poltiglia ghiacciata di fronte a sé. Happy ha l’aria di voler essere ovunque piuttosto che qui, e sorprendentemente l’espressione di Justin è quasi identica.

“A me viene subito il mal di testa da gelato,” dice Happy, inclinandosi in avanti e cercando gli occhi di Tony.

“Non scommettiamo su di te, allora,” dice Tony. “Bene. Buono a sapersi.”

“Dobbiamo solo essere i più veloci?” chiede Peter, accanto a lui. Le sue mani si agitano ansiose attorno alla sua tazza, e Tony non può dargli torto per non volerla toccare. È freddissima e non è consentito indossare guanti durante la gara.

“Da quel che ho capito,” risponde Tony, guardandosi intorno. Alcune persone alla fine del tavolo si stanno scaldando come se stessero per entrare sul ring, o qualcosa di simile, e Tony spera che almeno uno del proprio gruppo riesca a vincere questa roba. Non sa come funzioni (e si chiede quante altre volte dovrà pensare questa frase) ma spera che non debbano essere lui o Justin a vincere se quella è davvero la cazzo di chiave per uscire da quest’esperienza terrificante.

“Va bene, gente,” dice la signora che dirige la pagliacciata, in piedi su una sedia all’altro capo del tavolo. “Quando suona la campana, iniziate a bere.”

I giudici, o quel che sono, prendono a incombere alle loro spalle e Tony alza gli occhi al cielo, scambiando poi una breve occhiata con Justin.

“Mi brucerò la lingua,” dice Tony. “Tipo un’ustione fredda.”

“Possiamo farcela,” dice Rhodey. “Che diamine, abbiamo ucciso un Titano.”

“Giusto, giusto,” dice Tony, annuendo. “Abbiamo fatto anche quello.”

“Possiamo farcela a bere qualcosa di molto freddo,” dice ancora Rhodey.

“Certo,” concorda Tony. “Certo che sì.” Guarda alla sua destra e vede Peter fare una smorfia nel fissare la propria tazza.

La campana suona.

Tony afferra la propria tazza e la inclina verso la bocca, sentendo all’istante il freddo che gli congela le punte delle dita. Avverte la massa fredda e viscida atterrare sulla sua lingua e quasi si strozza, ma la manda comunque giù, per poi strozzarsi sul serio, finendo per lanciar via la tazza senza neanche volerlo, e la guarda sfrecciare tra le teste di Rhodey e Happy, entrambi troppo presi a tracannare le loro poltiglie per accorgersene.

Tony è basito per la propria inettitudine e guarda Peter, che ricambia scrutandolo da dietro la sua tazza, per poi abbatterla sul tavolo, con le dita aperte e tremanti ma ancora strette attorno ad essa. Tony vede che dentro c’è ancora una discreta quantità di poltiglia e Peter s’imbroncia nel guardarla, senza però mollare la presa.

“Sono bloccato,” dice. “Le mie dita… sono incollato.”

“Ugh,” sospira Tony, sentendo Justin in preda ai conati accanto a lui. Si sporge e afferra i polsi di Peter, staccandogli con cautela le dita. “Dai, Spidey,” sussurra, e Peter si acciglia ancor di più.

Dichiarano vincitore qualcuno a metà del tavolo, e Rhodey libera un grido strozzato mentre lancia via la sua tazza, che va a colpire in pieno petto un tizio dietro a Justin. Justin mette giù la propria tazza giusto in tempo: i resti della bevanda respinta da Rhodey gli atterrano in testa. Happy, che sembrava decisamente di cattivo umore fino a pochi secondi prima, trattiene una risata alla sventura di Justin, coprendosi la faccia con le mani.

“Oh, bene,” dice Justin, girandosi a guardare Tony col ghiaccio blu che gli cola sulla fronte. “È stato… meraviglioso.”

 
§

 
Le mani di Tony sono sul punto di addormentarsi. O di staccarsi di netto. Le sente sprofondare nell’acqua gelata, come il suo cuore che gli sprofonda nelle viscere quando realizza, per la millesima volta, che sono bloccati a Nederland, Colorado, finché il sole non si spegnerà e il mondo non finirà.

“Quanto manca?” chiede Peter, accanto a lui, con un aria da derelitto e le mani ficcate nel secchio che prima conteneva probabilmente teste di pesce o qualcosa di egualmente orripilante.

“Non sai contare, ragazzino?” chiede Justin, già battendo i denti. “Tony, non gli hai insegnato a contare?”

Tony, Rhodey e Happy sbottano in un unisono “zitto”, e il picco di rabbia che attraversa Tony lo scalda un poco, anche se solo per un istante. Peter per un momento sembra molto compiaciuto, prima di ricordarsi di quanto ha freddo e tornare quindi a sfoggiare un’espressione abbattuta.

“Ancora trenta secondi!” annuncia il giudice, un uomo anziano con un lunga barba bianca, una sorta di cugino di Babbo Natale più magro e con un debole per le salopette.

“È un buon momento per dirvi che non ho idea di come si cambia una gomma?” chiede Justin.

Tony rotea gli occhi così tanto che quasi si fa male. “È il punto di questa cazzo di cosa, Hammer,” sbotta. “Cambiare una gomma ghiacciata, dannato imbecille--”

“Va bene, va bene--”

“Gesù,” dice Happy. “Sarà un lavoro coi fiocchi.”

“Perfetto!” annuncia il giudice. “Via! Cambiate quelle gomme ghiacciate!”

Tony ritrae le mani dal secchio con uno strattone e afferra la gomma nuova – o meglio, crede di farlo, ma ne è certo solo perché lo vede accader: non ha più la minima sensibilità nelle dita. La prende, la fissa e cerca di convincersi di non stare allucinando, per poi realizzare rapidamente che sta perdendo tempo. Si gira per mettersi al lavoro e vede la gomma di Rhodey schizzar via rotolando attraverso la linea disordinata di persone accanto a loro.

“Uh, ok,” dice Justin, sedendosi e girandosi a guardare Tony. Fa un gesto verso la biciclette e si alita sulle mani per scaldarle. “Già, non ne ho… la minima idea.”

 
§

 
Si stanno dirigendo verso la gara di magliette ghiacciate, quando Tony nota l’espressione tetra sul volto di Rhodey.

“Senti, lo so che fa tutto schifo, ma dobbiamo continuare,” dice Tony, dandogli un colpetto sul braccio.

“Lo so,” dice Rhodey, sbuffando un poco. “Pensavo solo che, sai… che avremmo continuato a prenderci cura dei nostri bisogni umani. Tipo pause per andare al bagno. Pause per scaldarci. Delle cazzo di-- pause per mangiare.”

Tony lo fissa. Guarda qua e là tra le attività che non hanno ancora completato: non hanno nemmeno ideato un dannato travestimento per la gara di costumi. “Hai bisogno di una pausa pranzo?”

Rhodey scrolla le spalle, ma Tony sa cosa vuol dire. Si volta verso Peter e Happy. “Abbiamo tutti bisogno di una pausa pranzo?”

“Sono incluso nel ‘tutti’?” chiede Justin. “Non mi stai neanche guardando.”

“Non sei assolutamente una priorità,” dice Tony, sempre senza guardarlo. “Pausa pranzo?” chiede di nuovo fissando alternatamente Happy e Peter.

“Non dobbiamo per forza--”

Tony alza gli occhi al cielo. “Ok.”

 
§

 
“Bene, e adesso porterà indietro il piatto, guardate,” dice Justin, gesticolando con una fetta di pane mangiata a metà

“No, non guardiamo,” dice Tony, prendendo un altro sorso di tè. Sono seduti in un piccolo cafè che da solo è più carino di mezza città, e Peter sembra essere al caldo, che è tutto ciò che gli interessa al momento.

“Non hai bisogno di mostrarci le prove,” dice Happy, con una traccia di disgusto. “Crediamo già a Tony.”

Gli occhi di Peter seguono comunque la ragazza che si sta dirigendo verso il bancone per lamentarsi del suo pranzo, proprio come predetto da Justin.

Tony abbassa lo sguardo sul programma degli eventi che ha mezzo accartocciato tra le mani, che non si sono ancora del tutto riprese dalla fallimentare gara per sostituire una gomma ghiacciata. Cerca di concentrarsi sul presente, su come risolvere il problema, non sul panico che minaccia di crescere, non su qualunque cosa che riguardi il mondo esterno o che potrebbero perdere. Non pensa a niente di tutto questo. Pensa al fatto che si stanno godendo il pranzo, che qui dentro sono al caldo che, spera, se c’è ancora un pizzico di fortuna rimasto in questo mondo, una di quelle stupide gare del cazzo potrebbe anche essere divertente.

“Oh, cavoli,” dice, scorrendo il dito sulla lista. “C’è una gara a chi mangia più ostriche. Oh.” Legge la frase completa. “Ostriche delle Montagne Rocciose [5]?”

“Testicoli,” dice subito Peter. “Quelli sono testicoli di toro.”

“Non sai contare, ma questo lo sai,” dice Justin, schioccando la lingua.

“Dagli fastidio un’altra volta, e ti ammazzo,” dice Tony. “Ti ficco diciassette ostriche delle Montagne Rocciose in gola, che ne dici?”

Justin solleva un sopracciglio e Tony emette un verso seccato. Ne ha davvero abbastanza di lui.

GIORNO CINQUE

“Aspettate,” dice Happy. “Quanti ne abbiamo fatti ieri?”

Tony è frenetico. Sa che Justin si presenterà alla porta da un momento all’altro, perché si sono accordati così ieri sera, e ha già convinto gli altri del loop e tutto il resto, tutto quanto, si è già rovinato gli occhi a forza di piangere, si è già quasi strappato i capelli perché tutto questo non sta funzionando.

“Tutti, tranne la lettura della setta dei poeti estinti perché non ci è venuto in mente nulla e il lancio di salmoni ghiacciati, ma non importa- non abbiamo vinto nulla,” dice, facendo avanti e indietro di fronte al proprio letto.

“Tony, sei sicuro che non sia un qualche trucco di Hammer?” chiede Rhodey. “Sembra il tipo di cosa che farebbe, inventarsi questa cosa del loop magico solo per ridicolizzarci da soli--”

“No,” dice Tony, scuotendo la testa. “No, no… è bloccato, e gli eventi dell’uomo congelato sono stati una mia idea-- deve tutto avere a che fare con questa roba dell’uomo congelato-- dev’esserci un motivo per cui è proprio questo giorno.”

Scuote di nuovo la testa, fissando i loro volti, prendendo nota del loro silenzio. Guarda Peter e ripensa a May, al mondo esterno. Peter è riuscito a parlarle ieri sera, e ha detto che sembrava tranquilla… ma sta cominciando a sospettare. Tony ne è sicuro. Sente che è tutta colpa sua, gli pesa addosso, lo soffoca e deve risolvere tutto, deve risolverlo--

“Tony, va tutto bene,” dice Peter, piano. “Siamo con te.”

Tony lascia andare il respiro e annuisce verso di lui. Guarda gli altri e loro annuiscono di rimando, ma c’è ancora un terrore familiare nei loro occhi. Gli credono – hanno fiducia in lui a dispetto di tutto – ma sa che forse si stanno chiedendo se non stia nascondendo loro qualcosa, edulcorando i fatti dicendo che ci sono stati cinque reset quando in realtà sono cinquanta.

Spera di non doverlo mai fare.

“Da dove cominciamo?” chiede Happy. “Qual è l’ordine del giorno?”

 
§

 
“Prova… a farci scivolare il braccio,” dice Tony, combattendo contro quella cazzo di maglietta ghiacciata che continua a sfuggirgli di mano. Non è semplicemente bagnata: è letteralmente congelata, con le pieghe e tutto il resto e dei piccoli ghiaccioli attaccati. È riuscito a infilarci dentro le braccia, ma non riesce a far passare la testa – continua a cercare di rimodellarla, ma non sta avendo molto successo. Ma in qualche modo, tra tutti loro, Justin è quello in vantaggio, e sembra che stia facendo meglio di tutti gli altri in gara.

“Sto congelando,” dice Justin, contorcendosi qua e là, col braccio sinistro nella manica, mentre il destro gli dà problemi. “Sto per morire.”

“Se morirai, sarà perché ti ammazzeremo noi,” dice Rhodey, piazzato là a torso nudo, avendo scelto di provare a scaldare la maglietta prima ancora di provare a mettersela. Tony non pensa che sia una strategia vincente, ma a quanto pare ormai non sa più un cazzo di niente. “Sembra che adesso possiamo farlo, e non sarebbe un problema.”

“Beh, questa è un’opinione non condivisa,” dice Justin, scoccando un’occhiataccia a Tony.

Tony riesce a sentire Peter che batte i denti e si gira a guardarlo, visto che non riesce comunque a cacciare la testa nella propria maglietta. Peter è un po’ più avanti di lui, con entrambe le braccia e la testa all’interno, ma solo le mani sbucano dalle maniche e la maglietta non cede.

“Pete?” lo chiama Tony, con una smorfia. “Tutto bene?”

“Benissimo,” dice Peter, tremando e tentando di far scendere la maglietta. “Veramente… benissimo.”

“Cristo, Tony,” dice Happy. “Ho appena rotto l’orlo della maglietta. Si è… semplicemente spezzato.”

Tony sta per rispondere, quando sente un lieve oh dietro di lui. Si gira e vede Peter, con le braccia infilate un po’ meglio nelle maniche rispetto a qualche secondo fa, ma c’è una linea di sangue che gli cola lungo il polso.

“Ok,” dice Tony. “Abbiamo finito.”

“No, sto bene,” dice Peter. “Ce l’ho quasi fatta.”

“Vedo del sangue e sto avendo dei flashback, abbiamo finito,” dice Tony, sentendo dello statico attraversargli il corpo mentre posa rapidamente la maglietta ai propri piedi.

GIORNO SEI

“Oggi andrà meglio,” dice Tony, mentre marciano attraverso la strada e verso la gara di sculture di ghiaccio. “Non faremo casino. Non proveremo di nuovo quella roba coi tacchini. Non oggi. Conosciamo i nostri limiti.”

“Già, quello è stato…” Justin si interrompe, scuotendo la testa. “Pensavo che avresti gestito meglio il tuo uccello, Haps.”

“Chiudi quella cazzo di bocca,” dice Happy, squadrandolo storto, anche se non ricorda di cosa sta parlando.

“Non riesco a credere che stia accadendo,” dice Peter, a braccia incrociate.

“Neanch’io, ragazzino,” dice Tony, con un sospiro. “Ringrazia Justin Hammer, che coinvolge le persone in eventi ai quali non vogliono essere coinvolti.”

“Senti, non sapevo che avresti portato gente,” dice Justin. “Volevo coinvolgere solo te. Non la tua famiglia di fortuna.” Sbuffa piano. “Certo, però è stato molto più semplice di quanto pensassi. Credono a tutto ciò che gli dici.”

“Non a tutto--”

“Decisamente non a tutto--”

“Mi dice bugie praticamente sempre--”

“Ok,” dice Tony. “Mi credono quando c’è bisogno.”

“E io penso ancora che tu c’entri qualcosa,” dice Happy, fissando in cagnesco Justin.

 
§

 
“Ok, respira,” dice Tony, con le mani sulla spalla e sulla schiena di Rhodey. “Respira e basta,”

“Sto respirando,” dice Rhodey, guardandolo male, per poi guardar male anche Justin. “Sei tu la testa di cazzo che ha fatto cadere quel dannato affare.”

“Non l’ho fatto cadere,” dichiara Justin, liquidando la cosa.

Le persone dietro di loro li stanno fissando come inebetiti, e Tony tira via Rhodey dalla neve rimettendolo in piedi, o meglio: su un piede, visto che tiene quello ferito sollevato. Questo tipo di cose – ovvero Rhodey che sbatte anche solo il mignolino – lo fa precipitare in un vortice di stress post-traumatico.

“Gli hai fatto cadere sopra una bara,” dice Happy. “Una bara con un cazzo di manichino dentro. Proprio addosso a lui.”

“Sul suo piede,” dice Justin, seguendo Peter che si posiziona sull’altro lato di Rhodey, mentre i tre zoppicano dal luogo della gara sulle bare verso il motel. “E comunque, stavamo andando troppo veloci.”

“Stavamo cercando di vincere,” dice Tony, tra i denti.

 
§

 
“Stava giocando al biliardino umano?” chiede l’infermiera.

“Sì, per la quinta volta… è rotto?” chiede Happy, stringendosi il braccio mentre è seduto sul lettino dell’unico piccolo ambulatorio di Nederland.

“Potrebbe essere solo una brutta storta,” dice l’infermiera, con un sorriso. “Torno subito, aspetti un momento.

“Aspetto, aspetto,” dice Happy, sussultando non appena esce dalla stanza.

Tony si è piazzato nell’angolo, appoggiato al muro, in uno stato di panico. Quel tipo di panico che gli scuote il cervello e lo paralizza sul posto, gli blocca tutte le funzioni motorie, come se fosse uno dei suoi robot con un guasto. Fissa Happy, il suo braccio probabilmente rotto, gli altri, tutti con un colorito bluastro sulle guance. Scommette che ce l’ha anche lui.

Ha fatto casino. Ha fatto casino ha fatto casino ha fatto casino--

“Tony,” dice Happy. “Ehi. Terra chiama Tony.”

“Sì?” chiede Tony, trovando i suoi occhi.

“Va tutto bene.”

“Invece no.”

“Probabilmente è solo una brutta storta.”

“Già, e non va bene.”

Si ricorda l’ultima volta che Happy è andato all’ospedale. È stato agghiacciante, e questo non ci si avvicina nemmeno, ma Tony non riesce a toglierselo dalla testa. Queste tre persone – non Justin, figurarsi – si sono tutte fatte male per colpa sua. E adesso ha fatto questo, cazzo.
La sua mente gli dice che domani staranno bene. Sarà come se non fosse mai accaduto.

Ma oggi è domani. Domani è oggi. E ancora e ancora e ancora e ancora e

GIORNO SETTE

Tony è nell’ufficio del teatro, con la voce di Pepper nell’orecchio. Si sente come se le stesse nascondendo qualcosa – perché le sta nascondendo qualcosa, e lo percepisce sulla punta della lingua. Sono in trappola, siamo in trappola, non tornerò più a casa.

“Allora, quando torni a casa?” gli chiede. “Non dev’esserci molto da fare lassù.”

“Oh, rimarresti sorpresa,” dice lui, premendosi le dita sulla tempia. “Uh… ci siamo divertiti, sì. Un sacco di persone mi riconosce, abbiamo incontrato molta gente del posto…” Lo dice perché è l’esatto opposto della verità; nessuno l’ha riconosciuto ed è strano, ma forse, semplicemente, non ci fanno troppo caso. Non lo sa e non gli importa. “Presto,” le dice. “Presto. Tu stai bene, vero? Bimba a posto?”

“Bimba a posto,” risponde Pepper. “Scalcia come una matta. Ti ho convinto sul nome Ava? Perché Ava Maria secondo me suona bene.”

“Solo perché vuoi sentirmi cantare quella canzone tutte le notti,” dice Tony, riferendosi ad Ave Maria. “Ami la mia interpretazione.”

“Non sei Andrea Bocelli, però…”

“Sono bravissimo, punto,” dice lui.

“Il nome, Tony!” lo richiama lei. “Dai!”

Ava Maria Stark. La figlia che non conoscerà mai perché è bloccato a Nederland, Colorado, fino alla morte. Morirà? Invecchierà? Cristo santo. Se questa è l’immortalità, non la vuole.

“Lo adoro,” risponde.

“Davvero?” chiede lei. “Adesso lo adori?”

“È perfetto,” dice lui, cercando di camuffare quel nodo alla gola per non tradirsi. “Ma decidiamo, uh, ufficialmente quando torno.”

“Ok,” dice lei. “Ma la chiamerò così. Quindi ci si abituerà.”

Tony sorride tra sé. “Ah, davvero?”

“Esatto,” dice Pepper. “Ava Maria Stark, sto parlando con tuo papà, è al telefono.”

Tony si schiarisce la gola. “Ok, ma-- continua a ricordarle che esisto.”

“Fidati, lo sa,” dice lei. “Ti amo.”

“Ti amo anch’io.”

Attaccano entrambi e Tony si asciuga gli occhi. Quando si gira, vede Peter appoggiato al muro in corridoio, appena fuori dall’ufficio. Ha parlato con May prima che lui chiamasse Pepper, e sta ancora facendo i conti con la storia del loop, visto che Tony l’ha convinto giusto un’ora fa.

Si alza in piedi, esce dall’ufficio e si avvicina a lui, mettendogli una mano sulla spalla. “Stai bene?”

Peter deglutisce rumorosamente, fissando un punto dietro di lui prima di guardarlo in volto. “Quante volte ce l’hai spiegato?” chiede.

“Oggi è il settimo giorno,” risponde Tony. “Solo, uh… solo sette giorni.” Cerca di non farli sembrare un’eternità, anche se lo sembrano.

“Non… non di più?” chiede Peter. “Non ci mentiresti mai al riguardo, vero?”

“May sarebbe decisamente preoccupata e arrabbiata se fossero di più,” dice Tony. “E, uh… a parte questo-- ho chiamato Strange, prima di chiamare Pepper. Non ha risposto.” Tony si è quasi sentito scoppiare il cuore nel petto, mentre aspettava che il suo telefono smettesse di squillare. E, ciliegina sulla torta: quel mago da strapazzo non ha la segreteria telefonica. Che stronzo.

“Ci riproverai?” chiede Peter.

Tony detesta vederlo così sperduto. Quello non è Peter: Peter è uno che sa sempre cosa fare, pieno di gioia e ottimismo, e questa situazione lo sta consumando. “Sì, ci proverò,” risponde, stringendogli la spalla. “Ora andiamo a… soffrire,” continua. “So che Justin è uno stronzo, ma non preoccuparti, lo tengo d’occhio io.”

Peter continua a fissarsi le punte dei piedi, scuotendo la testa, per poi guardare Tony. “Mi dispiace che stia succedendo a te,” dice. “Vorrei riuscire a ricordare anch’io.”

“Non voglio sentire ‘mi dispiace’ da te,” dice Tony, mettendogli un braccio sulle spalle e guidandolo verso la platea. “Merda, a me dispiace: questa è l’ultima cosa che avrei voluto, io volevo solo prenderci una pausa, divertirci… magari trovare qualche cattivo di bassa lega da far acciuffare a Spider-Man, roba così. Non pensavo che Nederland nascondesse qualcosa del genere.”

“Ne usciremo,” dice Peter, mentre svoltano l’angolo per ricongiungersi agli altri. “So che ce la faremo.”

Il ci farai uscire tu è sottinteso, o forse no, forse è la voce nella testa di Tony che vuole che abbia sempre il pieno controllo della situazione, di tutto ciò che sta accadendo, ma scorge negli occhi di Peter la fiducia e la sicurezza che il ragazzo ripone in lui, e sa che è una sua responsabilità. Justin non farà un bel niente, e loro, per qualche assurda volontà cosmica, saranno sempre all’oscuro di tutto. Non sa cosa diavolo potrebbe accadere, ancora.

Peter si siede sull’ultima poltroncina della fila, accanto a Happy, e Tony rimane in piedi con le mani sui fianchi.

“Questa roba dell’uomo congelato non sta funzionando,” dice. “Non stavamo-- non stiamo concludendo nulla, proprio… nulla.”

“Mi sono davvero rotto il braccio?” chiede Happy.

“Già,” risponde Tony. “Rhodey, tu hai avuto un trauma cranico mentre cercavi di fare una scultura di ghiaccio, Peter, tu ti sei quasi mozzato un dito al lancio del salmone, non chiedermi come, è stato-- un film dell’orrore, e Hammer… è quasi morto soffocato con le ostriche delle montagne rocciose. Il che mi ha fatto ridere, ma fa lo stesso.”

“Non sono--”

“Sì, Peter, so cosa sono,” lo interrompe Tony, puntandogli contro il dito.

“Il tuo ragazzino è fissato,” dice Justin, assottigliando gli occhi.

“No, è solo una miniera di informazioni,” replica Tony. “Comunque, voglio cambiare approccio, credo che… se non è il giorno, allora forse è il luogo. Magari a questa città serve qualcosa.”

“Serve qualcosa?” chiede Rhodey. “Tipo cosa? Che possiamo offrirle, da soli? Certo, se avessimo accesso al mondo esterno… ma con quel dannato loop, se è davvero come dici--”

“Credo che sia qualcosa che possiamo darle noi, da soli,” dice Tony. “Una sorta di… volontariato.”

Justin emette un sonoro lamento, reclina all’indietro la testa e alza gli occhi al cielo.

“Ovviamente detesti il volontariato,” dice Happy. “Ovviamente detesti anche solo l’idea di aiutare qualcuno.”

“Non possiamo aiutare queste persone,” dice Justin, raddrizzandosi e scuotendo il capo verso Tony. “Se ricordi bene, qui sono io quello che ha sofferto più a lungo, e conosco questi stronzi--”

“Li conosci superficialmente, giusto per decidere se ucciderli o andarci a letto,” dice Tony. “Ci sono molte opportunità per aiutarli, qui: abbiamo visto di persona che alcuni di loro si sono fatti male in questa festa dell’uomo congelato, sappiamo che altri hanno avuto un infarto, sappiamo che una macchina va in giro ad ammazzare gente--”

“Noi non siamo morti,” dice Justin, indicandolo. “Quasi. Ma non siamo morti.”

“Ci sono un sacco di cose che potremmo fare,” continua Tony, ignorandolo.” “E magari-- magari è per questo. È per questo che ha fatto in modo che anch’io ricordassi, perché questo stronzo non avrebbe mai fatto nulla di ciò che voleva.”

Justin fa un verso derisorio.

“Io ci sto, per qualunque cosa,” dice Happy. “Non voglio rimanere bloccato qui, e non voglio che ci rimaniate voi…”

“Neanch’io,” dice Rhodey. “Non voglio stare con questo deficiente un secondo più del necessario, e neanche voi.”

“Andiamo, non sono poi così male,” dice Justin, con una risata.

“Dobbiamo uscire di qui,” dice Peter, determinato.

“Va bene,” dice Tony, col petto che si stringe per l’emozione. “Su, diamoci da fare.”

“Ugh, Cristo,” dice Justin. “Non sarà divertente.”

 
§

 
Tony corre più veloce che può, ma il cane è più veloce. I bambini gli stanno alle calcagna e il resto del gruppo gli va dietro, a parte Peter, che è un paio di passi avanti a lui.

Stanno tutti gridando la stessa cosa:

“Jeff! Jeff! Vieni qui, Jeff!”

Il cane col costume da scheletro è nero, screziato di marrone, e sembra un cucciolo gigante; Tony non è neanche sicuro che sappia di chiamarsi Jeff.

“Voi avete-- dei biscotti o qualcosa del genere?” chiede Rhodey, ansimando mentre corre, coi passi che sprofondano con un risucchio nella neve.

“Sa che lo stiamo inseguendo!” grida uno dei bambini. “Non si avvicina! Rimane a un paio di metri e se li fa tirare!”

“Non glieli dare, bimbo!” grida Tony. “Fallo avvicinare! Sei tu il capo! Sei tu l’alfa!”

“Ce l’ho quasi!” grida Peter, accelerando.

“Non cadere!” grida Tony. “Non scivolare, eh!” Davanti a sé vede scenari terribili, col ragazzino che inciampa in vari modi spaccandosi inevitabilmente la testa, invece Peter va in scivolata come un giocatore di baseball, taglia la strada al cane e lo fa correre dritto tra le sue braccia.

“Oh, Cristo,” grida Happy col fiatone, fermandosi slittando appena. “Grazie a Dio.”

Tony raggiunge il ragazzo sull’erba e lo osserva ridere mentre il cane gli lecca la faccia, raggomitolandosi sulle sue gambe.

“Ciao, Jeff,” dice Peter, sorridendo e dando delle pacche sul dorso del cane. “Ehi, bello!”

Tony sorride tra sé, scuotendo la testa.

 
§

 
“Come mai dei fiori appassiti?” chiede Peter alla bambina, mentre lei li sistema ordinatamente nei vasi.

“Per la Festa dell’Uomo Congelato,” risponde lei.

Tony e Peter sono seduti con lei e sua sorella sulle loro sedioline formato bambino, mentre Rhodey e Happy sono intenti a indirizzare gente verso di loro per comprare i ninnoli. Justin se ne sta in piedi dietro di loro, con le braccia conserte sul petto, e Tony non perde occasione per girarsi e guardarlo storto.

“Questo è, uh, il primo anno che li fate?” chiede ancora Peter.

La bambina più grande gli sorride. “Io l’ho fatto l’anno scorso, ma mia sorella era troppo piccola. Adesso può, quindi li facciamo insieme.”

“E i vostri genitori sanno che siete qui fuori da sole?” chiede Tony, pensando che la sua futura figlia avrà costantemente con sé un corpo di guardia o un supereroe.

“I loro genitori sono di là, a giocare al biliardino umano,” afferma Justin, facendo scattare il mento in quella direzione. “Il padre è il tizio col parka viola.”

“Quello che ha rotto il braccio a Happy?” chiede Tony.

“Proprio lui.”

“Papà ha rotto il braccio a qualcuno?” chiede la più piccola, fissando Justin da sopra la spalla di Tony.

“No,” risponde Tony, schiarendosi la gola.

“Va bene,” dice Happy, incitando un gruppo di circa cinque persone verso la bancarella. “Ecco altri clienti di rilievo.”

Peter si rigira uno dei fiori tra le dita, facendo scintillare i brillantini alla luce del sole.

 
§

 
Tony trasporta la busta di salame piccante come se fosse colma d’oro. Peter gli tiene aperta la porta della pizzeria e Tony ignora il verso lamentoso di Justin dal fondo del gruppo. Si avvicina deciso al bancone e suona il campanello, rimanendo in piedi in attesa. Il cameriere più vicino di gira e guarda prima lui, poi la busta, poi di nuovo lui.

“Senta,” comincia Tony, poggiando la busta sul bancone. “C’è un negozietto sulla Terza strada, e sembra che stiano chiudendo l’attività. Forse la città dovrebbe occuparsene e cercare di aiutarli-- comunque, hanno un surplus di salame piccante e voi… no. Stiamo spartendo la roba, un po’ alla volta-- ma se vi serve altro, ricordatevi: Mario è sulla Terza.”

“Mario è sulla Terza,” ripete il cameriere, fissando imbambolato la busta.

“Bene,” dice Tony, dando una pacca sul bancone. “Perfetto.” Si gira e fa un cenno agli altri, e Justin emette un altro lamento, spingendo la porta per uscire.

“Bel lavoro, Tony,” dice Rhodey, dandogli una pacca sulla spalla.

“Già,” dice Happy. “Era importantissimo.”

Peter sta masticando qualcosa e Tony gli dà di gomito. “Che stai mangiando?”

Peter sogghigna.

“Ne hai rubato uno?

“Forse.”

Tony scuote la testa, ma non può evitare di sorridere. “Se gliene serve uno, ragazzino, ti giuro…”

 
§

 
“Scusi!” Tony riesce a sentire Peter che grida. “Scusi, signore!”

“Che c’è?” sbotta il tizio, e Tony assottiglia lo sguardo, scoccando un’occhiata a Rhodey. Sono entrambi accovacciati dietro l’angolo in un vicoletto vicino al parcheggio, mentre Happy e Justin sono nascosti dall’altro lato. Sono vicini allo stupido padiglione ghiaccia-cervello e le grida e il frastuono arrivano fin lì come se ci fossero dentro, con le noccioline contaminate e tutto il resto.

Hanno pedinato lo stronzo con la macchina rossa fin qui, e per quanto a Tony non piaccia porre Peter in prima linea, sta facendo un buon lavoro nell’attirare l’attenzione di quella testa di cazzo.

“Credo che le sia caduto qualcosa,” dice Peter. “Sembra caduto dalla sua tasca. Credo fossero dei soldi.”

“Oh, merda,” dice il tizio. “Grazie, piccoletto.”

“Di niente, amico,” dice Peter, in tono compiaciuto.

Tony guarda in direzione di Justin, che in verità sembra felice di prendere parte in questa particolare azione per aiutare la città. Sembra concentrato, e Tony si rabbuia per un istante, anche se hanno riconfermato la regola del non uccidere: il tipo è uno stronzo che rischia di ammazzare qualcuno in ogni cazzo di loop che sono costretti a sopportare, ma Tony non vuole esattamente ucciderlo. Forse se fosse stato più cosciente delle proprie condizioni e di quelle degli altri dopo l’incidente, sarebbe più propenso a un istinto omicida.

Ma per ora, una bella ripassata sarà sufficiente.

Sentono i passi dell’uomo dietro l’angolo, e non appena entra nel suo campo visivo Tony balza allo scoperto e lo stende con un diretto sul muso. Gli fa lo sgambetto, mandandolo al tappeto, e Justin e Rhodey gli assestano un paio di calci prima che Happy metta a segno un altro pugno. Tony cerca di non scostarli con troppa forza mentre afferra quell’idiota per il colletto, tirandolo in piedi con uno strattone. È un ragazzo giovane dall’aria nervosa, e i suoi occhi sono sbarrati e impauriti.

“Senti, stronzo,” dice Tony. “Farai meglio a guidare come tua nonna per il resto della giornata e per il resto della tua vita, se vuoi continuare a vivere, capito? Voglio che ti fermi agli stop, senza bruciarli-- e voglio che qualcuno ti suoni per quanto riparti piano quando è verde…”

“Uh… uh…”

“Finirai per investire qualcuno se non vai più piano, cazzo,” dice Tony, scuotendolo, e sente un già! dietro di sé da parte di Happy. Justin interviene e con un pugno gli fa perdere la presa sul ragazzo; si gira infastidito, con un cenno di disapprovazione. Il ragazzo batte le palpebre, stordito, e Tony gli pianta un pugno sul petto per inchiodarlo a terra. “Mi sono spiegato? Iron Man ti romperà il culo se vai sopra i venti all’ora qui intorno. Non me ne frega un cazzo di quale sia il limite di velocità. Sono stato chiaro?”

“Chiarissimo,” dice il ragazzo, asciugandosi il sangue dal naso.

“Bene.”

“Gliene do un altro,” dice Justin, appoggiandosi alla spalla di Tony.

“No,” lo ferma lui. “Indietro. Ora.”

“Cosa-- cosa ci fa Iron Man a Nederland?” annaspa il ragazzo, fissandolo.

“Credimi, Speedy [8], mi sto facendo la stessa domanda.”

 
§

 
“Signora,” dice Tony, prendendo per mano l’anziana donna e guidandola verso l’alimentari. “Si è fatta controllare, ultimamente? Ha fatto un check-up medico?” Lancia un’occhiata alla Chevrolet che ha avuto un ritorno di fiamma un giorno sì e l’altro pure, e vede Rhodey che parla col proprietario.

Lei lo squadra da dietro le ampie lenti che fanno apparire i suoi occhi due volte più grandi di quanto siano, e rimane a bocca aperta. “Cielo, ma tu sei Tony Stark,” dice, stringendogli un po’ più forte la mano.

“Beh, sì,” dice lui, con un ampio sorriso. “Sa, lei è la prima a riconoscermi. O… che ammette di avermi riconosciuto-- comunque, sì.”

“Oh, adoro Iron Man, caro,” dice lei, rivolgendogli un sorriso smagliante. “Sei il mio preferito da un bel po’ di tempo, hai salvato mia nipote nel Queens nel 2010, quando quegli orribili robot hanno attaccato la città.”

“Ah, davvero?” chiede Tony, mentre salgono sul marciapiedi. Scocca un’altra occhiata a Justin e Rhodey, chiedendosi cosa penserebbe quella donna se sapesse che il creatore dei suddetti robot fosse ad appena qualche metro da lei. La guida dentro l’alimentari, dove vede Peter e Happy che stanno dando una mano per evitare che il negozio debba chiudere in anticipo come al solito. “Beh, Iron Man è qui, e Iron Man le sta dicendo di farsi controllare al più presto quel cuore d’oro che si ritrova.”

“Ho rimandato gli appuntamenti,” dice, con le luci al neon del negozio che le illuminano il volto. “Pensi che ci sia qualcosa che non va?”

Lui fa un verso esitante, sempre tenendole la mano. “Hmm, può darsi,” dice, ripensando agli altri giorni, quando ha visto quella poveretta accasciata sull’asfalto del parcheggio, con mezza città che si precipitava ad aiutarla rischiando di travolgere chiunque sul suo cammino. “Io ho problemi di cuore, bisogna tenerli d’occhio. Mi farei controllare – giusto per essere sicuri – cerchi di ricordarselo, ok? Se lo ricordi. Abbastanza da sognarselo stanotte, va bene?”

“Oh, faccio dei sogni molto vividi,” dice, e forse l’occhiata che gli rivolge è un po’ lasciva, non saprebbe dirlo.

“Oh, wow,” ride, dandole una lieve pacca sulla mano. “Anch’io.”

Sente un forte scoppio all’esterno e si girano entrambi di colpo per guardare.

“Cos’è stato?” chiede la donna, allarmata.

“Nulla,” dice Tony, tornando a guardarla. “Tutto bene?”

“Sto bene,” dice lei, increspando la fronte. “Solo-- è stato un rumore molto forte.”

Tony è lieto che stavolta fosse abbastanza lontana e non sia stato troppo forte.

 
§

 
Tony non sa se riusciranno a ricordare. Se la pista dei sogni è davvero una pista o solo una speranza vana nella sua testa, un filo al quale si aggrappa che potrebbe non condurre da nessuna parte. Ma mentre siedono nella sala da pranzo del rifugio mangiando zuppa e formaggio grigliato, spera di non sbagliarsi… spera che ciò che hanno fatto oggi non sia stato inutile. Che rimarrà in qualche modo con le persone che hanno aiutato, che le guiderà nel loop di domani, come una vocina insistente simile alla propria che li sospinge nella giusta direzione.

“È stato tremendo,” dice Justin, giocherellando con la cannuccia.

“Che problema hai?” chiede Rhodey. “Sul serio?”

“Sociopatico,” dice Tony, scrollando le spalle.

“Queste persone sono insignificanti,” dice Justin sporgendosi in avanti come se stesse rivelando loro un segreto. “Non valgono il nostro tempo.”

“È per questo che sei bloccato,” dice Peter, pacatamente. “Non hai alcuna empatia, sei… insomma, credo che tutto questo stia cercando di insegnarti qualcosa. E tu non vuoi impararlo.”

“E allora perché Tony è bloccato?” chiede Justin, alzando le sopracciglia. “Che deve imparare lui?”

“Beh, lui aspetta un bambino, e magari l’universo sta cercando di insegnargli a essere paziente appaiandolo con un poppante come te,” risponde semplicemente Peter.

Tony esplode in una sonora risata, mentre Rhodey ne soffoca una e Happy si copre la bocca con le mani, sorridendo. Tony mette con slancio un braccio sulle spalle di Peter e gli pianta un bacio in testa. “Questo è uno dei tuoi momenti più alti, Pete.”

“Grazie!”

“Sì, ridete pure,” dice Justin. “Siete comunque bloccati. Siete bloccati!”

“Magari se ti decidessi a prendere parte ai nostri progetti di gruppo…” osservaTony, inclinando la testa verso di lui.

“Ho già preso abbondantemente parte,” dice Justin. “Sapevo come aggiustare la macchina di quel tizio, oggi.”

“Sì, certo,” dice Rhodey. “Stavi solo cercando di farla scoppiare più in fretta.”

Tony stringe un altro po’ la spalla di Peter prima di lasciarlo andare, riprendendo a mangiare il suo formaggio grigliato. La prospettiva di domani – un altro oggi – aleggia grave su di loro.

 
§

 
La voce di Peter attraversa il buio nel bel mezzo della notte, e Tony riesce a malapena a vederlo nell’altro letto, sotto il suo mucchio di coperte.

“Domani, dimmi che sai di Sandwich il cane.”

Tony socchiude gli occhi. “Sandwich il cane?”

“Il suo vero nome è Blaise, è un corgi che ho trovato il giorno in cui mi hai detto di questo viaggio,” dice Peter. “Ho rintracciato i suoi padroni via Facebook, ma l’ho chiamato Sandwich perché si è mangiato il panino che avevo con me.”

Per qualche ragione, quella storia gli fa venire le lacrime agli occhi. La vita di Peter, prima che lui gliela portasse via – prima che lo trascinasse qui cacciandolo in tutto questo. Detesta sapere che domani sarà sempre lo stesso, e per quanto voglia credere che gli sforzi di oggi faranno scorrere di nuovo il tempo, sciogliendo il loop e lasciandoli in pace, sa che la delusione è solo all’orizzonte. Spera e spera ancora… Dio, spera di sbagliarsi.

“Il cane Sandwich,” dice Tony, schiarendosi la gola. “Capito.”

Una settimana di questo è abbastanza. Si meritano di uscirne. Si meritano di uscire di lì, cazzo, di uscire dall’errore che Justin ha commesso e che sta scontando. E merda, se dovesse uscire Tony farà quel che deve, lo sbatterà in prigione e farà in modo che ci rimanga.

Ma facci uscire. Facci uscire. Falli uscire.

 

 




Tradotto da What if there was no tomorrow di © iron_spider

Note di traduzione:

[1] Il salame piccante è quello che gli anglosassoni chiamano “pepperoni” (no, non quel Pepperony :P) e che si vede sempre sulle loro “pizze standard”.
[2] Lo Shirley Temple è un cocktail analcolico e non ho idea di quanto sia noto in Italia o se sia conosciuto con questo nome (sono piuttosto ignorante sull’argomento), quindi ho mantenuto come in originale.
[3] La Epcot è una sezione di Disney World, famosa appunto per il cibo e il vino.
[4] Key West è un’isola nellarcipelago della Florida, famosa per i suoi locali notturni.
[5] Ho scelto di lasciare il nome originale. Letteralmente vuol dire “Banchetto/Baldoria sul Molo”.
[6] Si riferisce ai versi della canzone di Cher: “Se non ci sei più / Come posso anche solo provare ad andare avanti? / Se non ci sei più / Anche se ci provo, come faccio ad andare avanti?”
[7] Le Rocky Mountain Oysters sono una specialità tipica del Colorado (e sono realmente ciò che dice Peter).
[8] In originale Tony lo chiama speed demon, letteralmente “demone della velocità”, e in senso lato “uno a cui piace guidare veloce”. Per evitare una traduzione verbosa, ho preferito riferirmi a Speedy Gonzales, facendo leva sul vizio di Tony per soprannomi e citazioni della cultura pop.

Note Della Traduttrice:

Cari Lettori,
eccovi il secondo capitolo in traduzione, che in un certo senso è stato più ostico per svariati motivi, non ultimi i molti giochi di parole che spero di aver reso al meglio.
Considerando il diverso layout e la diversa lunghezza media dei capitoli su EFP rispetto a AO3, questo capitolo è stato diviso in due (l'originale sfiorava le 70 pagine Word e avevo addirittura difficoltà a caricarlo), rispettando la logica originaria dell'autrice nella scelta del titolo del successivo. Non è stato ovviamente intaccato in alcun modo il senso della storia.

Grazie a tutti coloro che leggono, recensiscono e che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite <3 Sappiate che ogni commento è gradito, sia in riferimento alla storia che alla traduzione, e che verrà inoltrato tramite me anche all'autrice originale <3
A presto col prossimo capitolo, e nel frattempo auguro a tutti una buona visione di Endgame ;)
 
-Light-

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Capitolo 3
*** Though I try, how can I carry on? ***


Though I try, how can I carry on?



GIORNO OTTO
 

So when you’re near me, darling can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 

Tony apre di scatto gli occhi e sente il cuore sprofondare. La disperazione lo afferra di nuovo e deglutisce a fatica, scuotendo il capo mentre ascolta Peter che si muove e si lamenta come sempre.

“Non ricordavo neanche che avessi messo una sveglia.”

Tony libera un respiro. Si tira su, si allunga facendo scrocchiare le ossa e gira la sveglia, interrompendo la musica.

Peter si gira sulla schiena. “Dio, per un attimo mi ero dimenticato dove fossimo.”

Tony rimane seduto sul bordo del letto, la testa affondata tra le mani. I primi momenti, all’inizio di ogni loop, sono la parte che lo fa stare peggio: si sente come se il mondo intero lo stesse lasciando indietro, come se lui non fosse più in grado di gestire niente e nessuno. Vorrebbe solo sdraiarsi e non alzarsi mai più.

“Peter,” lo chiama. “Uh-- la sveglia ha suonato un po’ troppo presto, puoi tornare a dormire. Io devo andare a fare una cosa.”

Quando rialza lo sguardo vede Peter che lo scruta sospettoso. Tony non riesce a costringersi a dire tutto adesso, non ci riesce: ripensa al cane Sandwich e a ciò che Peter aveva prima che lui lo portasse qui e si sente spezzare il cuore, come se tutto gli stesse crollando attorno e non potesse far nulla per impedirlo. Non può fare nulla.

“Che devi fare?” chiede Peter, sembrando un po’ più sveglio.

“Una cosa in città, ma torno subito,” dice lui. “E se ti preoccupi, vai al teatro dall’altra parte della strada e aspettami, io ti raggiungerò lì.”

Peter si mette seduto, poggiandosi sui gomiti. “Il teatro-- cosa… cosa succede?”

“Non posso dirtelo adesso,” dice Tony, con voce fragile. “Ma c’è qualcosa… qualcosa. Sta succedendo qualcosa. Te lo dico dopo. Ora devo, devo…” Si mette in piedi. Non sa cosa debba fare, non ha idea di cosa abbia in testa, si sente come se a quel punto tutto si fosse rotto definitivamente e non riesce a spiegarselo, non riesce a spiegarselo adesso, tutti i suoi fallimenti-- deve continuare ad aiutare-- ma non può semplicemente sparire di fronte al ragazzino, non come ha già fatto prima. “Sto bene,” dice, incontrando lo sguardo di Peter. Sente Cher nell’altra stanza. “Sto bene, tu stai bene, gli altri stanno bene… sta succedendo qualcosa, ma adesso non-- non posso, devo fare una cosa ma andrà tutto bene. Sto-- sto bene.”

“Non mi sembra,” dice Peter, alzandosi dal letto.

“Sto bene,” dice Tony, affrettandosi verso la propria valigia. La sua mente barcolla, perché non l’ha lasciata lì la sera prima, ma, cazzo, dovrebbe saperlo perché il loop-- il loop-- il maledetto loop… La rivolta in cerca di vestiti pesanti e in quel mentre la porta comunicante si apre, con Believe che risuona più forte.

La comparsa di Happy lo fa entrare ancor più nel panico e sa che è un egoista, che deve dirglielo, deve farlo, e dovrà dirglielo ancora mille volte, un milione; finalmente hanno la chiave dell’immortalità e vuol dire rimanere bloccati nello stesso giorno a Nederland, è meglio della fonte della giovinezza…

Si accascia per terra e si preme con forza la giacca sul volto, scoppiando in lacrime. Si odia, odia piangere, odia tutto quanto. Gli manca Pepper, vuole Pepper.

“Ehi, ehi, ehi, che succede?” chiede Happy. “Rhodey!”

“Tony,” lo chiama Peter, e sente le sue mani sulle spalle.
 

I need time to move on
I need a love to feel strong
‘Cause I’ve got time to think it through
And maybe I’m too good for you
 

“Tony, che succede?” gli arriva la voce di Rhodey. “Stai bene?”

Tony scosta la giacca dal volto, incontrando gli occhi di Peter. “Hai. Uh… hai salvato un corgi, l’hai chiamato Sandwich. Il giorno che ti ho detto di questo viaggio.”

Gli occhi di Peter si assottigliano e Tony si lascia sfuggire un lieve singhiozzo, cercando di non sembrare un infante.

“Come fai a saperlo?” chiede Peter.

Tony si sente stringere il cuore e scuote la testa. Sposta lo sguardo in modo da vederli tutti. “Vi fidate di me?”


 
§

 
“Allora, si è strozzato anche stavolta?” chiede Tony, quando Justin li raggiunge.

“Non si è strozzato,” dice Justin. “L’ho salvato per un pelo, gli ho detto di mangiare più piano, tutto a posto.”

“Bene,” dice Tony, sospirando. Ha l’impressione che oggi il suo cuore non stia funzionando a dovere, e gli altri sono ancora in agitazione per ciò che ha rivelato loro prima, dal suo bozzolo di panico accartocciato sul pavimento del motel. Ha fatto in modo che Peter chiamasse di nuovo May, e odia sentirlo mentire, specialmente senza sapere riguardo a cosa, di preciso. Sa che presto verranno smascherati, e che si troverà a dover fare i conti con qualcuno – May, Pepper, la squadra e chi per loro – che si presenterà qui all’ “ora di punta” rimanendo bloccato perché lui non è stato in grado di risolvere il rompicapo del loop. Teme quel giorno. Teme il momento in cui le loro voci dall’altro capo del telefono non saranno disposte a credere alle sue bugie e al suo procrastinare per non rivelare quel che cazzo sta succedendo.

“Otto giorni,” dice Happy, per la terza o quarta volta nell’ultima ora. “Cristo.”

“Che altro dobbiamo fare?” chiede Peter, spalla a spalla con Tony.

“Non sono sicuro,” dice lui, facendo un altro passo malfermo sul marciapiedi. La neve inizia a dargli sui nervi, il freddò gli dà sui nervi, le cazzate dell’uomo congelato sparse ovunque gli danno sui nervi. Osserva i bambini e Jeff correre lungo la strada e si schiarisce la gola. Nulla di ciò che hanno fatto ieri è servito a qualcosa. Nelle teste della gente non rimane nulla, nulla che li aiuti a ricordare, e la visione intermittente di vederli riscuotersi e collaborare perché anche loro ricordano si sta spegnendo nel suo cervello, come una fiamma battuta dal vento.

Si sente di nuovo sul punto di piangere e si sente la persona più debole del pianeta, senza alcuna idea né scopo. Ha bisogno di un segno.

Stanno camminando lungo una serie di vetrine a un paio di strade dal caos centrale di Nederland; qui gli eventi dell’uomo congelato sono un po’ più attutiti, anche se comunque troppo invadenti per i gusti di Tony.

“Sembrate proprio un gruppo di ballo,” dice una voce femminile. Tony alza lo sguardo e vede una donna davanti a sé, sull’entrata di un negozio con vetrine ampie e luminose che recano la scritta GEMMA - SCUOLA DI BALLO in lettere rosa.

Tony si ferma, osservandola. Ha i capelli neri e indossa una lunga gonna ondeggiante che sfiora il pavimento sporco. “Sei Gemma?” le chiede.

“Sì,” risponde lei. “Siete interessati a una lezione gratuita? In onore del vecchio Bredo, ovviamente.”

“È il tizio congelato,” borbotta Justin. “E certo che siamo interessati. Certo che sì.”

“Uh,” comincia Happy. “Non dovremmo aiutare--”

“Aspetta,” dice Tony, e Happy ammutolisce.

Forse è questo il segno. Forse. È la prima volta che qualcuno propone loro qualcosa in esclusiva da quando sono arrivati, e Pepper vuole che impari a ballare da… da sempre. Forse è per questo che sono bloccati. Forse sono qui per imparare qualcosa di nuovo. Forse ci sono altre possibilità in giro che non hanno ancora scoperto. E forse questa è una di esse.

“Cosa?” chiede Happy.

“Facciamolo,” dice Tony. “Balliamo.”

“Ballare?” chiede Rhodey. “Tony… so che ne stai passando tante, ma--”

“No, no,” si volta, sollevando le sopracciglia. “Magari è qualcosa che dobbiamo fare.”

“Ballare il liscio?” chiede Peter, a occhi sbarrati.

“Ballare il liscio.”

 
§

 
“Un due tre, un due tre… forza, ragazzi!”

“Non avevo mai pensato di ritrovarmi a ballare con te,” dice Happy, aggrappato alla mano destra di Tony e con l’altra attorno alla sua vita. “Lo dico a Pepper.”

“Beh, io lo dico alla polizia,” dice Rhodey. Anzi, grida. Tony non può permettersi di guardare nella sua direzione, perché sta ballando con Justin e non riuscirebbe a trattenersi dal ridere. “Questo è tradimento, Tony.”

“Come se avrebbe mai lasciato ballare con me il piccoletto,” dice Justin, volteggiando qua e là con Rhodey. “Sapevi che sarebbe toccato a te o Hogan.”

Peter sta ballando con l’insegnante e continua a fissarsi i piedi, apparentemente impegnato a tenersi il più possibile discosto da lei.

“Bel lavoro, Peter,” dice lei.

“Signorina Gemma,” dice Tony. “Quanto ci vuole per diventare esperti? Lo chiedo per un amico.”

“Esperti?” ride lei.

“Tony…” Happy si interrompe, strizzandogli la mano mentre compiono una giravolta.

“Scommetto che, di questo passo, saremo già abbastanza bravi in un paio d’ore…”

“Tony,” dice Rhodey.

“Meraviglioso, Tony,” dice Justin, muovendo i fianchi. “Un’altra grandiosa idea firmata Stark.”

Tony emette un verso rassegnato, scuotendo la testa.

“Ti ammazzerà,” dice Happy.

“Tornerò semplicemente in vita domani.” Abbassa lo sguardo. “Hap, non pestarmi i piedi. Dai, regola numero uno.”

“Piantala.”

 
§

 
“Perché abbiamo scelto proprio il soufflé?” chiede Tony, inginocchiandosi di fronte al forno per fissare quella roba infernale che rischia di collassare, esattamente come la sua vita.

“Ha detto di voler provare la cosa più difficile, no?” dice lo chef. “Ha pagato abbastanza.”

“Non voglio che collassi.”

“Il nostro sembra venuto bene,” dice Peter. Con suo orrore, stavolta è in coppia con Justin, ma, stranamente, non sembrano cavarsela troppo male. Come prima cosa hanno fatto del pollo fritto, poi una cheesecake, e adesso un soufflé.

“Sono un ottimo cuoco, ragazzo,” dice Justin, un po’ troppo compiaciuto.

“Saremo dei veri esperti con queste tre ricette tra… presto,” dice Tony.

“Sì, vedremo,” dice Rhodey, per poi sospirare. “Il nostro è appena collassato.”

“Dai, Rhodey!” esclama Tony, alzando le mani.

“Non rompere,” dice Happy. “Succederà anche al tuo.”

“Non portarmi sfiga.”

 
§

 
C’è molto silenzio.

“Mi sento al circolo del cucito,” dice Rhodey, accostandosi alla spalla di Tony.

“Circolo di macramè,” sussurra Tony.

Il posto è giusto dietro al Carosello della Felicità, e la maggior parte delle persone presenti è sopra i sessant’anni. Si era aspettato un corso di cucito, ha sempre voluto imparare, ma gli è toccato il macramè. Che va bene uguale. È impegnato a realizzare una sorta di arazzo, ascoltando la donna in bianco che ogni tanto dà loro istruzioni a bassa voce.

“Che ci facciamo con questa roba?” sussurra Justin. “Eh? A che ci--”

“Shhh!” sibila sonoramente Happy. “Sto cercando di concentrarmi, imbecille.”

Tony lancia un’occhiata a Peter e vede che è almeno… dieci passi avanti a loro, forse di più. Ha intessuto dei ninnoli dorati qua e là e l’intreccio gli arriva fin sotto le ginocchia. Alza lo sguardo, sorridendo.

“Cristo, ragazzino, sei un genietto.”

“Sono bravo con queste cose,” dice Peter, con un gran sorriso.

C’è qualche istante di silenzio, poi Justin sbotta a ridere. “Questo sembra un giocattolo erotico,” dice, sollevando il proprio lavoro.

Tutti gli altri smettono di sorridere.

 
§

 
Sono seduti nella stanza di servizio del teatro, e stanno guardando Il Giorno della Marmotta [1]. Non c’è nulla di più surreale. A Nederland hanno scovato un piccolo Blockbuster [2] dove si possono ancora noleggiare delle videocassette, e adesso sono intenti a guardare Bill Murray che ruba la marmotta andando a schiantarsi con l’auto.

Peter lancia un’occhiata a Tony e si agita sul vecchio divano di cuoio.

“Quindi… non ucciderti,” dice Happy. “Evidentemente non funziona.”

Tony non sa cosa potrebbe funzionare qui. Ma non vuole uccidersi. Non vuole pensarci, soprattutto con Peter vicino a lui, soprattutto con Pepper che lo aspetta là fuori e con una figlia in arrivo. È comunque inutile… certo, se morisse il loop potrebbe spezzarsi. E poi sarebbe morto, cazzo. Ha paura di rischiare, e spera che non sia quello che vuole il loop.

“Eh eh, anche lui si è beccato Cher,” ridacchia Happy, riferendosi al film.

Bill Murray muore fulminato di proposito nella vasca da bagno. Si fa investire da un camion. Si butta da un campanile. Andie McDowell e l’altro tipo vedono il suo corpo e lo compiangono, e Tony sente i brividi lungo la schiena. Questa roba non è una commedia, specialmente se ci sei dentro.

“Stava cercando di farlo diventare una persona migliore,” dice Peter. “Doveva… doveva smetterla di impegnarsi così tanto per convincere lei e… ed essere semplicemente una persona… normale, una brava persona.” Lancia un’occhiata affilata a Justin.

“Che c’è?” chiede lui, alzando le mani al cielo. “Io sono già fantastico, non so di che diavolo tu stia parlando.”

“Non usciremo mai di qui,” bofonchia Rhodey, scuotendo la testa.

 
§

 
Si mettono a imparare un po’ di greco con l’aiuto di un vecchietto nel padiglione degli alcolici, una delle lingue per cui Tony ha sempre provato un certo interesse. Riescono a diventare abbastanza bravi con le sculture di ghiaccio, o almeno molto più bravi di Justin con quella ridicola statua di “Howard”. Imparano a suonare il pianoforte grazie a una signora di nome Gina, il cui figlio è occupato con la gara di costumi dell’uomo congelato.

Tony si chiede se sia abbastanza.

GIORNO NOVE

Quella mattina, cerca di non avere un attacco di panico. Li porta a fare colazione e glielo dice lì. Non sa per quante altre volte sarà in grado di sopportare il colpo al cuore che lo coglie quando vede le loro espressioni. E poi la paura, la rabbia, lo scetticismo quando vedono Justin, quando la storia di Tony riceve conferma.

Cercano di imparare altre cose. Cucinano di nuovo, realizzano delle sculture di ghiaccio più complesse e riescono persino a vincere la gara. Peter parla con May al telefono, e Tony parla con Pepper quella sera, attorno alle dieci.

“È un viaggio piuttosto lungo,” dice lei, circospetta.

“Sì, ci stiamo divertendo,” dice lui, schiarendosi la gola.

“Sicuro?” chiede lei. “Sicuro che… non stia succedendo qualcosa?”

“Nah,” dice lui. “Va tutto bene, ci stiamo solo… prendendo una bella pausa.”

“Vorrei essere lì con te,” dice lei, dolcemente.

Lui sussulta appena, come se l’avessero colpito, e annuisce tra sé. “Vorrei che fossi sempre con me. Odio… odio stare lontano da te, lo sai. Mi piace stare a casa quando sto poco bene, con te che mi segui ovunque.”

“Anche al bagno.”

“Anche al bagno,” ride lui.

“Beh, fammi sapere quando state per tornare,” dice lei. “Vi farò una festa di benvenuto.”

“Grazie, tesoro,” dice Tony, schiarendosi di nuovo la voce. “Ti, uh… ti faccio sapere.”

 
§

 
Tony e Justin se ne stanno nel corridoio del motel, in fondo e di fronte alla finestra, da dove riescono a vedere appieno l’“ora di punta”. Quell’oscurità anomala, ultraterrena, le strade deserte, tutte le luminarie della Festa dell’Uomo Congelato sparite.

“Dobbiamo provare di nuovo a scappare,” dice Tony, guardando oltre il vetro appannato.

Justin sospira, in modo inusuale. “Per quanto vogliamo credere che funzionerà, ho la sensazione che questa cosa serva solo a catturare nuove persone, non a… a farle uscire.”

“Dovremmo comunque provare,” dice Tony. Detesta l’idea di lasciarsi sfuggire delle opportunità, ma detesta anche quella di morire assiderati là fuori perché il loop si rifiuta di lasciarli andare. Dovrebbe costruire una cazzo di armatura. Ma poi gliene servirebbero cinque. E sa che in questo posto non troverebbe i componenti adatti, neanche nella discarica. Ci hanno guardato.

“Ehi, uh,” dice Justin, esitando. “Insomma, mi… mi dispiace.”

Tony solleva lo sguardo. Completamente scioccato. “Ehm… siamo scivolati in un universo parallelo? Perché non ce la faccio a gestire altre schifezze magiche.”

Justin scuote la testa, senza guardarlo. “È che non ho davvero… immagino di aver pensato solo a me stesso, quando ti ho chiamato.”

“Ma davvero?” chiede Tony, accigliandosi. Non sa cosa diavolo stia succedendo.

“È solo… non lo so, merda, insomma, per tutto il tempo sono stato qui da solo e l’unica cosa che ho continuato a fare è stata mandarti quelle lettere. Farmi qualche giro, fare casino con la gente, ma… tu ci hai provato con tutto te stesso,” dice, ridendo, ma è una risata vuota. “Non lo so, come dicevo mi… mi dispiace di averti coinvolto.”

Tony non ha intenzione di dire non fa niente, perché non è vero, ma sa quanto Justin sia un bugiardo ogni cazzo di giorno della sua vita, e, in modo abbastanza scioccante, adesso sembra sincero.

“So che hai delle persone a cui tieni e… e che ne hai portate alcune con te, e che odii vederle bloccate qui, e-- merda, avrei dovuto dirti di venire da solo,” dice Justin. “O magari--” ride di nuovo, ma ha un’espressione amara in volto. “Magari avrei dovuto provare a cavarmela da solo. So che è per colpa di qualcosa che ho fatto io che ci sei dentro anche tu, intendo con il cazzo di fatto di… di ricordare.” Alza lo sguardo, incrociando i suoi occhi. “Non so cosa, ma devo essere stato io. Non ho idea di cosa cazzo sia, ma lo so.”

“Stai cercando di… ingannarmi?” chiede Tony. “Di farmi dispiacere per te o stronzate simili?”

“No, stavo solo… ripensando a tutto,” dice lui. “Forse sono io quello a cui dispiace. Nel senso… davvero.”

Tony lo fissa, per poi spostare di nuovo lo sguardo fuori dalla finestra. Non sa che diavolo gli stia succedendo, e perché si stia davvero dispiacendo per questo maniaco, e prende a fissare il parcheggio vuoto. “Ne usciremo,” dice, senza girarsi. “Ne usciremo, probabilmente ti prenderò a pugni un altro paio di volte e poi te ne tornerai in prigione.” A quel punto si gira a guardarlo. “Ma ti farò uscire di qui.”

GIORNO DIECI
 

So when you’re near me, darling can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 

Tony si copre il volto con le mani. Per un breve istante, pondera se non rimanere sdraiato lì per non alzarsi mai più. Lasciar scorrere i giorni ancora e ancora facendo andare nel panico gli altri, senza fare più alcuno sforzo. Ci pensa intensamente. Si chiede cosa succederebbe.

Ma deve alzarsi.

Peter emette un lamento dall’altro letto. “Non ricordavo neanche che avessi messo una sveglia.”

“Già,” dice Tony, schiarendosi la voce. Si sporge di lato e spegne meccanicamente la sveglia. “Sì, è, uh… è per me, devo andare a fare una cosa.” Si alza, gettando le gambe oltre la sponda del letto. “Dammi un paio di minuti, torno subito… uh, dormi ancora un po’, ok, ragazzino?”

Peter si sposta un poco e assottiglia gli occhi nella sua direzione. Tony cerca di non farci caso, di non guardarlo: compie le azioni che ha fatto finora, andando di soppiatto nell’altra camera per spegnere la sveglia prima che Rhodey e Happy la sentano. Deve portare avanti il piano per imparare nuove cose, deve provarci di nuovo, migliorarsi, e gli piange il cuore al pensiero di coinvolgerli di nuovo, di costringerli a fare stronzate per loro inutili che potrebbero però essere la chiave di tutto per lui.

Non guarda Happy e Rhodey e torna subito nella sua stanza, dove Peter sta ancora torcendo il collo per seguire i suoi movimenti. Gli strascichi di sonno fanno capolino nei suoi occhi, ma è comunque attento, e Tony gli rivolge un rapido sorriso. Non vuole avere un altro crollo nervoso, né nascondergli altri segreti, ma il suo cervello sta avendo un malfunzionamento e non riesce a trovare un modo per comportarsi come dovrebbe. Nulla gli dà il coraggio di cui avrebbe disperatamente bisogno. Deve solo rimanere concentrato. Andrà a incontrare Justin, farà un paio di cosette, poi tornerà qui.

Rivolge un’occhiata a Peter e sente qualcosa rompersi dentro di lui. Questo è il Peter che ancora non sa nulla; è come se morisse ogni giorno, come tutti loro, con il Peter che conosceva la sera prima e per tutto ieri scomparso per sempre. Lo rivuole indietro, rivuole indietro le loro cazzo di vite, e non sa cosa fare, che strada prendere, niente, niente ha più senso ormai.

“Che succede?” chiede Peter, lentamente, sollevandosi sui gomiti.

Tony lo fissa. Vede tutte le possibilità, tutte le versioni passate e future. La sua mente è un coacervo di statico e incertezza, ma si avvicina comunque al letto di Peter, fermandovisi accanto.

“Devi fidarti di me,” dice Tony. E di solito a quelle parole segue un racconto, quel racconto, ma stavolta gli si incastra in gola come un principio di raffreddore.

“Posso venire con te?” chiede Peter.

Tony non sa cosa ha intenzione di fare, o perché non lo voglia con sé in questo momento, ma ha una brutta sensazione che gli solletica la nuca. Non riesce a identificarne i motivi; non ha intenzione di fare nulla di pericoloso, magari tornerà alla sala da ballo, o imparerà un altro paio di pezzi al pianoforte, o cercherà un posto dove imparare a suonare la chitarra. Ma qualcosa lo sta spingendo a tenerli fuori da tutto questo… solo per adesso.

“Non ancora,” dice Tony. “Ma tornerò tra… un’ora, al massimo. Ok? Puoi… dirlo agli altri da parte mia?”

“Non mi piace,” dice Peter, incupendosi.

“Neanche a me, ragazzino,” sospira Tony. “Ma devi fidarti.”

 
§

 
“Quindi avevi paura che succedesse qualcosa mentre pattinavamo sul ghiaccio?” chiede Justin, ondeggiando di fianco a lui. I loro pattini sono un po’ troppo larghi, e ciò non facilita per nulla le cose. Ma non c’è nessuno a guidarli e Tony in passato è andato a pattinare abbastanza spesso da ritenere di potercela fare da solo. In un’oretta potrebbe diventare veramente bravo. Sicuro.

“Non sapevo che saremmo andati a pattinare, l’abbiamo deciso insieme.”

“Vuoi dire che tu l’hai deciso e mi hai trascinato con te? Perché è questo che-- aspetta… Anthony, questo è un appuntamento?”

“Oh, Cristo santo,” dice Tony, alzando gli occhi al cielo e allontanandosi da lui. Tenta con tutto se stesso di non cadere per non mettersi in ridicolo, ma sente Justin che lo tallona, ridendo.

“Su, dimmi di più su questi tuoi presentimenti… o sentimenti…”

Tony scuote la testa, senza il minimo desiderio di parlargli in generale, ma ha quella sensazione assillante appiccicata addosso. “A volte non ti sembra di… uh… di poter vedere tutte le possibilità in un colpo solo? Nel senso, tutte le cose che potrebbero succedere… che sono successe e che accadranno?”

“Sì,” dice Justin, col fiato corto mentre fatica a tenere il passo. “Ma credo che sia solo suggestione… insomma, questa è una situazione di merda, veramente, veramente di merda e ci siamo bloccati dentro-- insieme…"

“Capito,” dice Tony. Pattinano fino all’altra riva del lago, con la neve che vortica attorno a loro. Ci sono poche altre persone sul ghiaccio, la maggior parte della città è impegnata come al solito negli eventi della festa.

“Sei già piuttosto bravo,” commenta Justin, tornando nel campo visivo di Tony. Si muove all’indietro, cercando di formare un otto con le lame, ma fallisce epicamente, pur ridacchiando.

“Andavo spesso a pattinare con mia madre,” dice Tony. Si schiarisce la gola, con davanti un piccolo flash del Rockefeller Center e di quel cappotto rosso che lei portava spesso. Faceva sempre oscillare le loro mani unite avanti e indietro mentre pattinavano, tenendo lui dal lato del muro per sicurezza.

Justin è a circa tre metri da lui, e adesso ha in faccia un’espressione assente, come se fosse intento ad ascoltare qualcosa. Poi sbianca, guardandosi i piedi.

“Che c’è?” chiede Tony, accigliandosi.

“Oh, cazz--” comincia Justin, e si interrompe, sparendo di colpo. Tony batte le palpebre, fissando per un secondo la zona d’aria adesso vuota, chiedendosi se non stia avendo un guasto neurale, poi vede la falla nel ghiaccio proprio dov’era Justin fino a un istante prima e connette i pezzi.

“Merda, merda,” impreca, pattinando fin lì, col cuore che gli sbatacchia nel petto. Cerca di andare più veloce e inciampa, cadendo in avanti, e per un istante teme di sprofondare nel ghiaccio anche lui. Sente gli scricchiolii, e si può quasi immaginarsi mentre soffoca, mentre affoga, ed è quello che sta succedendo a Justin proprio ora, proprio ora, oddio, oddio

“Ehi, amico, spostati!” Tony sente una voce dietro di lui, ma si trascina comunque in avanti, togliendosi la giacca e affondando il braccio nell’acqua.

“Justin!” grida. “Justin!” Spalanca gli occhi, cercando di vedere qualcosa, ma l’acqua è torbida, lattiginosa e mortalmente fredda, così fredda che ha l’impressione che il suo braccio sia già congelato. Sente altre grida dietro di lui, ma non le ascolta, risucchia un respiro e sprofonda un altro po’ nel buco, immergendo la testa e cercando di aprire gli occhi sott’acqua. La sua testa, le spalle, le braccia, adesso è sott’acqua con quasi tutto il busto e ha una paura folle di cadere, di perdere l’appoggio, ma agita le mani nell’acqua, cercando di trovare Justin, di afferrarlo.
Non può semplicemente lasciarlo morire, non può, anche se il freddo lo punge ovunque con mille aghi avvelenati, finché qualcuno non lo afferra per le gambe tirandolo indietro. Tossisce quando è di nuovo a contatto con l’aria, con la neve, e cerca di divincolarsi dalle mani di chi lo trattiene, ma sono troppe, e lo trascinano via. Ha un freddo cane.

“No, no,” dice in un lamento, coi denti che battono. “Devo--”

“La polizia sta arrivando, amico,” dice la stessa voce di prima, con le braccia agganciate sotto quelle di Tony per portarlo sulla terraferma. I pattini di Tony solcano il ghiaccio davanti a lui, intaccandolo. “Non dare loro due corpi da ritrovare, invece di uno solo.”

“Cazzo, sta affogando…” dice Tony, lottando contro la sua presa.

Arrivano sull’erba secca e innevata, in mezzo agli spettatori, quelli che hanno deciso che vedere qualcuno caduto nel ghiaccio fosse un evento abbastanza eccitante da abbandonare il padiglione ghiaccia-cervello.

“Lascia che se ne occupi chi di dovere…”

Tony riesce finalmente a scrollarsi di dosso l’uomo, cadendo sul fianco. Si allunga verso i lacci dei suoi pattini, cercando di scioglierli con le dita congelate. Gli stanno ancora battendo i denti e in quel momento si sente estremamente piccolo, il che entra in contrasto con ciò che dice dopo: “Sa chi sono io?”

L’uomo, grosso e corpulento, con addosso un mantello da scheletro, sembra un montanaro. Osserva Tony per un lungo istante, inclinando il capo. “Iron Man.”

“Esatto,” dice Tony, ancora intento a lottare coi lacci, continuando a guardare il punto in cui è scomparso Justin. Un gruppo di persone con indosso giacche uguali superano le altre, correndo sul ghiaccio.

“Non vedo l’armatura,” dice l’uomo.

“Già,” dice Tony, con l’amarezza che gli morde la lingua. “Il peggior errore della mia vita.”

Si sente impotente a starsene seduto lì senza far nulla, quando era lui quello a essere con Justin… è lui ad essere con Justin in questa cazzo di situazione da incubo. Osserva un paio di poliziotti che allargano il buco, con uno che si immerge per metà, poi un altro con indosso una muta da sub supera correndo lui e gli spettatori sulla riva.

Tony rimane a guardare. Sembrano passare secoli. Non sa perché si sia arreso, perché se ne stia seduto lì con un solo pattino, come un idiota; infine li vede trascinare un corpo fuori dall’acqua. Tony si affretta a togliersi l’altro pattino e si fionda verso di loro, scivolando sui calzini fradici, col montanaro che gli urla appresso.

“Stia indietro!” grida un poliziotto non appena si avvicina, mentre gli altri trasportano Justin verso il luogo in cui si sono raggruppati i curiosi. Tony non sa cosa pensare, e sente che ogni giorno che passa in questo posto si porta via un pezzettino della sua sanità mentale. Li segue, rischiando di cadere almeno cento volte, e si chiede perché non stiano tentando di rianimarlo qui, sulla sponda del lago ghiacciato. Vede che lo stanno portando verso la stazione di polizia, dietro la pista da bowling coi tacchini ghiacciati, e riesce ad avvicinarsi abbastanza da vedere il volto di Justin.

I suoi occhi sono sbarrati, e la sua pelle è blu.

 
§

 
Lo rianimano per dieci minuti. Sembrano dieci anni. Un medico è arrivato fin lì, dall’ambulatorio che hanno visitato nelle precedenti versioni di questo maledetto giorno, ed è lui a dare lo stop.

“Avete… avete finito?” chiede Tony, fissandolo.

“Mi dispiace, signore.”

Tony scuote la testa. Non ha idea di dove sia la sua mente. Si guarda intorno e vede i loro volti, con la sconfitta negli occhi e le spalle incurvate. Batte rapidamente le palpebre. “Avete finito? Veramente? Cos’è, adesso, il vostro nuovo uomo congelato?”

“Signore, ci abbiamo provato…”

Tony libera un brusco respiro, portando le dita alle tempie. “Potrebbe essere ancora vivo. È ibernato, cazzo.”

“L’effetto della temperatura dell’acqua, combinato con la mancanza d’aria--”

La porta dietro di loro si apre rapidamente e Tony si volta, vedendo Rhodey, Peter e Happy che entrano.

“Uh, scusatemi…”

“No, sono-- sono con me,” dice Tony. Barcolla lievemente sul posto, al contempo turbato e sollevato dalla loro improvvisa comparsa.

“Tony, cosa…” Rhodey si interrompe quando guarda il tavolo, proprio mentre i poliziotti coprono velocemente il volto di Justin col lenzuolo, dichiarandolo ufficialmente morto. “Quello era… Hammer? Justin Hammer?”

Tony si sente sul punto di vomitare. Guarda di nuovo il medico. “Siete sicuri?” gli chiede.

“Siamo sicuri.”

“Tornerò… più tardi,” dice. “Per occuparmi di tutto.”

“Non ha famiglia, oltre lei?”

Tony sospira, scuotendo la testa. “Non ne ho idea, lo conosco… lo conoscevo appena…” Scuote di nuovo la testa. Non sa che diavolo dire, o pensare, niente. “Devo andare, ripasso… ripasso più tardi.” Incrocia brevemente lo sguardo di Rhodey prima di spingere la porta, ritrovandosi di nuovo al freddo.

“Che sta succedendo-- perché diavolo Hammer è qui--”

“Come ha fatto a-- Cristo, cosa è successo--”

“Tony, stai bene?”

Si sente sull’orlo della follia. Vorrebbe scoppiare a piangere, urlare, farsi prendere dall’ira e spaccare tutto. Non vuole affrontare tutto questo, non sa come fare, odia Hammer e ciò che ha fatto, ma non lo vuole morto, e ieri sera si stava effettivamente comportando come un normale essere umano e adesso è morto, adesso è morto, cazzo.

Si copre la faccia con le mani, risucchiando un respiro. “Tornerà domani,” mormora tra sé. Vero? Vero? Funziona così. E stavolta ovviamente non sarà così. E ovviamente la morte di Justin finirà per tormentarlo per il resto della sua cazzo di vita. Ovviamente, è proprio ciò che quel maledetto di Hammer vorrebbe. Tony ha la tentazione di correre di nuovo dentro e prendere a pugni il suo corpo senza vita, per poi crollarci sopra in lacrime.

“Tony, stai congelando,” dice Rhodey, con la mano sul suo braccio. “Sei senza scarpe… torniamo al motel, ci spiegherai tutto--”

“Non mi va di spiegarlo,” dice Tony, prima ancora di rendersene conto. Ma è davvero così, la sola idea di spiegare tutte volte quella dannata storia è sempre terrificante, ma adesso è dieci volte peggio, è l’ultima cosa che vuole fare. Vorrebbe chiamare Pepper e scoppiare a piangere al telefono, ma la sua parte razionale e ancora in grado di funzionare lo dissuade in un sussurro: non mentre sei in questo stato.

“Ok,” dice Rhodey.

“Tony, andiamo… torniamo indietro e basta, così ti metti davanti al fuoco,” dice Happy.

Tony lascia scivolar via le sue mani congelate, e nota l’espressione del ragazzino – paura, preoccupazione, panico – e cerca di tornare in sé.

“Ok. Ok.”

 
§

 
Il silenzio si instaura tra loro come le mura di una fortezza, tenendo lui dentro e loro fuori. Riesce a sentire unicamente i loro respiri, lo scoppiettio del fuoco, il fruscio delle coperte che gli hanno messo addosso ogni volta che si muove. Peter è seduto per terra accanto a lui, mentre Rhodey e Happy sono sul suo letto. Riesce a percepire i loro sguardi su di sé, pesanti e attenti, mentre cercano di capire come diavolo sono finiti lì e come estorcergli un racconto. Lui ha un copione, ma non sa come recitarlo e non vuole, non ha più voglia di farlo.

“Tony,” lo chiama Rhodey.

“Ecco, uh… sta succedendo qualcosa,” dice Tony, schiarendosi la voce. “Sta succedendo qualcosa qui, in questa merda di città, e c’entra-- c’entrava…” Scuote di nuovo la testa, col cuore che gli sprofonda. Non può crollare per Justin Hammer. Non per Justin Hammer. “C’entrava Hammer. Ma, uh… non voglio parlarne.”

“Tony,” dice di nuovo Rhodey. “Non siamo-- abbiamo il diritto di sapere cosa sta succedendo.”

“Certo,” dice Tony, guardandoli. “Certo che sì. Ma ho bisogno che mi lasciate… in pace. Ve lo dico domani. Ve lo dico domani.”

 
§

 
La giornata passa. Tony evita a tutti i costi la stazione di polizia e l’obitorio. Happy ha visto che il corpo di Justin è stato spostato lì. Fanno colazione. Pranzano. Cenano. Fanno tutto in silenzio, mangiano in silenzio, tornano al motel in silenzio. Odia quello che sta facendo, odia come si sente, quello che sta passando.

Coglie Peter che parla con Happy, quando Tony è un paio di passi avanti a lui, lo sente dire che non vede l’ora di tornare a casa. E quella notte, quando ognuno è nel proprio letto, finisce anche per piangere in silenzio, per tutto ciò che hanno perso, per tutto ciò che non avranno mai più. E per quel bastardo di Justin Hammer.

GIORNO UNDICI


So when you’re near me, darling can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 

Tony si sveglia di soprassalto.

Peter emette un lamento dall’altro letto. “Non ricordavo neanche che avessi messo una sveglia.”

Tony scosta bruscamente di lato piumino e lenzuola, cadendo quasi a faccia avanti quando si alza dal letto. Il suo cuore è impazzito, va a singhiozzi, sussultando.

“Tony?” chiede Peter. “Che cosa--”

“Un secondo,” dice Tony, lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla e intercettando lo sguardo spaurito di Peter. Fa un cenno nella sua direzione, cercando di tenere a bada il panico pur sapendo che non ci sta riuscendo, come tutto ciò che ha fatto qui finora. La sua mente è frenetica, così come i suoi movimenti, e non sa cosa cazzo stia facendo, ma esce dalla stanza inseguito dal verso though I try how can I carry on.

Si fionda in pigiama lungo il corridoio, fino alla porta di Justin, e deve bussare una sola volta e attendere solo un breve momento prima di vederla spalancarsi.

Justin è lì, in piedi, con un gran sorriso stampato in faccia.

Tony è congelato sul posto, nonostante sia al chiuso, relativamente al caldo, lontano dalla neve e da tutti gli eventi di quel cretino di ghiaccio.

“Hai pianto?” chiede Justin. “Anthony Stark, ti sei disperato per me?” ride, reggendosi alla maniglia della porta, sbilanciato sui talloni. “Oh, mio Dio, vorrei averti visto. Sai, credo che abbiamo fatto progressi… ok, tu sei un eroe, non ti piace la morte, ma ora che siamo, come dire, in confidenza…”

Tony vede-- dello statico. Sente dello statico. Lo percepisce sulla punta delle dita, e ha l’impressione che, probabilmente, sta perdendo la capacità di valutare le sue azioni prima di metterle in pratica. La sua rabbia divampa all’improvviso, scaldandogli le orecchie, e spintona Justin all’indietro con tutta la forza che ha.

“Oh, merda,” esala lui, inciampando all’indietro. La sua stanza è ancora una volta un disastro, e quando cade all’indietro inciampa in una borsa da viaggio, sbattendo la testa contro la sponda in ottone del letto. Tony sente uno schiocco, e lo vede accasciarsi a terra.

Oh, no.

“Ehi,” lo chiama, ancora fermo sulla soglia. “Ehi, idiota. Alzati.”

Nulla. Nessun movimento. Oh, no, cazzo.

“Hammer,” dice Tony. “Non sei morto di nuovo. Non di nuovo. Se mi stai prendendo per il culo ti ammazzo veramente.” Se non l’ho già fatto.

Non si muove. Tony serra la mascella e scavalca un cumulo della sua roba, preparandosi a vederlo rialzarsi di scatto per spaventarlo, o qualcosa del genere. Ma lui rimane immobile, anche quando Tony gli cerca il battito – un battito inesistente – lungo il collo. Non c’è. Tony sente un sudore freddo inondargli la fronte e gli cerca anche il polso. Niente. Si è spezzato l’osso del collo.

Lo lascia andare e la mano di Justin si abbatte a terra, sul tappeto.

Tony sbotta a ridere. Si siete sui talloni, strofinandosi gli occhi. Ride di nuovo. Se prima si sentiva pazzo, non sa come dovrebbe sentirsi ora, ma in effetti non sa neanche cosa diavolo stia succedendo in generale.

“Tony?” sente la voce di Happy, in fondo al corridoio.

“Tony?” Adesso è quella di Rhodey.

“È andato di qua, credo, non sono sicuro…” Peter.

Tony rimane seduto lì. È all’inferno. Sono tutti all’inferno. Guarda lo stupido cadavere di Justin e gli dà un colpetto, ridendo di nuovo. È morto per davvero, cazzo. Di nuovo. L’ha ucciso lui. Può succedere di tutto. Non si stupirebbe se arrivassero degli alieni a deporgli dentro delle uova. O se il tizio morto congelato – dovunque sia – tornasse in vita in veste di zombie per terrorizzare tutti coloro che si prendono gioco della sua dipartita. O se l’intera città saltasse in aria.

Guarda di nuovo Justin, e poi le sue mani. Non sono ancora riuscite a risolvere nulla. Non ancora. Ma perché è morto di nuovo? Perché dovrebbe succedere qualcosa di così surreale e improbabile? Non ha fatto altro che dargli una spinta.

“Magari dobbiamo morire tutti e due,” dice Tony, deglutendo a fatica. Questa cosa li vuole morti? Li farà rimanere morti? Perché non gli va molto a genio. Non può fare questo a Pepper, o a sua figlia, o al ragazzino o a Happy o a Rhodey o alla squadra. Non è più così cocciuto da sostenere che non ha persone che hanno bisogno di lui: è vero, e adesso lo sa. Ma se deve morire, per vivere… tanto vale provare. Non si fida più di tanto di questo posto o di questo cazzo di loop, ma è già con un piede nella fossa ed è pronto a tentare qualsiasi cosa.

Sente un’esclamazione sorpresa dietro di lui. Un coro, in realtà.

“Tony, ma che cazzo?”

Tony punta le mani contro il tappeto e si mette in piedi. “Sì, l’ho ucciso,” dice, facendo un cenno verso Justin. “Ha provato ad aggredirmi, quindi…”

“Quello è… Justin Hammer?” chiede Rhodey.

“Già,” dice Tony. “Era qui per uccidermi.” Sa che dovrebbe fare qualcosa, non gli piace l’idea che trovino il suo corpo, né di affrontare tutta la situazione, anche se la dimenticheranno comunque. Sa che tutto ciò rimarrà nel passato, solo un’ombra sui giorni futuri, e detesta questo fatto – detesta persino pensarci. Sente la paura nel proprio cuore, ma è in sordina, soppiantata dalla preoccupazione per loro.

“Cristo, Tony-- uh…” Rhodey lo aggira, entrando nella stanza.

“Stai indietro, ragazzino,” dice Happy.

“Non è il primo cadavere che vedo.”

“Insomma, se è stata legittima difesa non dovremmo avere problemi,” dice Rhodey. “Credo che ci siano delle telecamere in corridoio, probabilmente hanno ripreso tutto. Cristo…”

Tony sibila tra sé, sapendo cosa mostreranno le telecamere, ma comunque non gli importa più di tanto.

“Cazzo, dobbiamo… chiamare la polizia? Non mi sono mai trovato in una situazione simile,” dice Rhodey, guardando Happy.

“Non guardare me-- Peter, smettila di cercare di entrare.”

“Vado io,” dice Tony, ritenendo che farli rimanere qui sia una buona distrazione. Si schiarisce la gola, cercando di non cedere – andrà bene, andrà bene – e dà una pacca sulla spalla a Peter, senza incrociare il suo sguardo. “Torno, uh… torno subito.”

“Tony, stai bene?” chiede Rhodey. “So che… insomma, anche se era lui--”

“Sto bene,” dice Tony, tirando leggermente su col naso.

Non sta per niente bene.

 
§

 
Ripensa al Giorno della Marmotta. Ripensa a Happy che diceva non ucciderti, e cerca di non farsi riecheggiare in testa quelle parole in un loop infinito. Pensa – spera – che l’edificio del teatro sia abbastanza alto da fare il suo lavoro, ma si arrampica sulla guglia del tetto per sicurezza.

Non l’ha mai fatto in questo modo. È stato sul punto di sacrificarsi molte volte, ma mai così e, cazzo, non vuole farlo. Ma continua a ripetersi che non è reale, che non rimarrà così, che è solo un mezzo per raggiungere un fine.

Non si lascia tempo di pensare ancora, o non lo farà più. Si butta.

È rapido.

GIORNO DODICI

“Perché stiamo cercando di rifarlo se la prima volta non ha funzionato?” grida Justin, ansimando mentre corrono. “Perché dovremmo farlo di proposito? È un metodo del cazzo, comunque.”

“Magari devi farlo tre volte, o qualcosa del genere!” grida Tony, rischiando di inciampare in una radice nascosta dalla neve.

Magari riusciranno a cadere e ammazzarsi prima che l’orso li raggiunga.

“Farà male!” grida Justin, subito dietro di lui.

“Almeno nessuno troverà i nostri corpi!” grida lui di rimando, schivando un albero.

“Potremmo anche non morire subito!”

“Oh, penso proprio di sì,” dice Tony, con l’orso che ringhia e ruggisce, sempre più vicino.

“E allora perché—diavolo-- stiamo correndo?”

Tony sussulta, guardandosi alle spalle. L’orso li sta raggiungendo, e Justin fa una smorfia. Iniziano entrambi a urlare, correndo più veloce.

Ok, questo è stato un errore.

GIORNO TREDICI

“Un po’ di calore corporeo,” mormora Justin. C’è della brina tra i suoi capelli e sulle ciglia. “Dai.”

“No,” replica Tony, tremando. “Stiamo cercando. Di morire.”

Il suo cervello si sta spegnendo. Sono nel freezer da… cinque ore, probabilmente. Di più. Ma non lo sa nessuno. Sono qui, ed è tutto ciò che importa.

“Lo fai per me?” prega Justin, cercando di sorridere.

“Dio. No.”

Chiude gli occhi. Spera che tutto questo serva a qualcosa, cazzo. Avevano pensato di lasciarsi morire assiderati nella foresta, ma… non volevano ripetere l’episodio dell’orso – non di nuovo.

Si inclina un po’ troppo a destra e fa cadere una busta di piselli surgelati. Ha troppo freddo per guardare. Justin chiude gli occhi.

GIORNO QUATTORDICI

Justin è già morto. Tony non vuole neanche pensarci. Si è messo sul carosello da quando si sono alzate le fiamme. Su e giù, su e giù, su e giù.

Poi la sente. Quella cosa che non è ancora accaduta, quella che ha temuto finora, la cosa più orribile che potrebbe succedere. Il suo cuore sprofonda nel vedere Peter che corre all’interno.

“Tony!” grida Peter dall’ingresso, dove il fuoco non è ancora arrivato. “Tony, ti prego!”

Il carosello completa un altro giro e Tony non riesce più a vederlo. Si aggrappa al suo fenicottero tossendo un poco. Il fumo si sta facendo sentire. “Peter, esci subito di qui!” grida. “Non voglio che tu veda!” Perché diavolo ha dovuto seguirlo? Non vuole che qualcuno dei suoi lo veda così, ma in particolare non il ragazzino.

“No, no!” grida Peter, la voce che cede al panico. Le fiamme si avvicinano un po’ troppo a lui e il cuore di Tony ha un singhiozzo. “No, Tony, non è-- senti, so che ti sta succedendo qualcosa, so che hai bisogno di aiuto--”

“Ragazzino, devi-- devi andartene!” Sa come deve sembrare: dare fuoco a una giostra mentre ci sei sopra non è esattamente una mossa equilibrata. Si chiede se funzionerà. Il fuoco è l’esatto opposto del ghiaccio. Lui è bloccato nel ghiaccio. Sono bloccati nel ghiaccio. Le ultime due volte c’entrava il congelamento. Magari questa è la soluzione. Magari domani sarà il suo ultimo oggi.

Tossisce di nuovo, e riesce a malapena a vedere. La sua testa si fa leggera, e il calore aumenta sempre più. Ha paura di come sarà… si è bruciato in passato, ma mai fino a questo punto. I muri attorno a lui stanno iniziando a crollare e il soffitto sembra sul punto di cedere.

“Tony, non ti lascio morire!” grida Peter. “Non posso, non posso!”

Tony fa un altro giro e socchiude gli occhi quando vede la determinazione sul volto di Peter. Il suo cuore sprofonda… sa cosa accadrà dopo, anche se non ha ancora vissuto questa versione dei fatti. E non può accadere. Non può accadere, cazzo. “No!” grida. “Esci di qui, andrà tutto bene!”

“No!” grida Peter.

Tony è troppo in alto su quel cazzo di fenicottero per saltar giù rapidamente e calmare Peter. Ci prova comunque e si sgancia, ma quando finisce di nuovo il giro vede Peter che digrigna i denti, preparandosi a correre nel fuoco. No. Maledizione, no. Justin, quando è successo a lui la prima volta-- cazzo, si è sentito morire e non gli sta nemmeno simpatico. Ma Peter… Peter no. Non può vederlo. C’è già stato Titano, e Titano è abbastanza. Non può vederlo di nuovo, non può.

“No, Peter!” grida Tony, ancora lottando per scendere e uscire di lì senza morire, senza qualche orribile ustione di terzo grado, ma quando rotola giù sul pavimento metallico della giostra quella gira di nuovo, offrendogli un perfetto scorcio di Peter che si slancia tra le fiamme. L’intero piano è irrilevante, adesso – Peter è l’unica cosa che conta, e Tony rotola giù dal carosello, cadendo sul pavimento. Si sente la testa leggera, ha le vertigini, e il soffitto alla sua destra crolla, col muro che cede e le finestre che esplodono facendo piovere vetri ovunque.

Tony si rimette in piedi, con gli occhi che lacrimano, e perlustra la stanza con lo sguardo. Affonda la faccia nell’incavo del gomito.

“Tony!” grida Peter, ma lui non riesce a vederlo.

“Pete, dove sei?”

C’è troppo fuoco. Troppo fumo. Ma Tony fa comunque un paio di passi: lo vede, vicino al muro, e si precipita verso di lui, ma poi succede: Peter grida, la mano alta sopra la sua testa, e il soffitto crolla proprio sopra di lui.

“No!” grida Tony, con voce spezzata. “Peter!”

Non pensava che il fuoco avrebbe attecchito così, aveva fatto in modo che sembrasse un incidente e i proprietari erano abbastanza lontani da non venir coinvolti, ma adesso si sente sul punto di un infarto, perché l’intero edificio sta collassando e il ragazzino è là dentro. Tossisce, trattenendo il respiro, e si ripara la testa con l’avambraccio mentre altri detriti lo colpiscono. Si affretta verso di lui e vede Peter che si rialza da solo, spingendo via le macerie del soffitto e delle pareti solo per essere investito da altre, e si piega su un ginocchio quando si abbattono con un boato sulla sua schiena.

Tony non riesce a pensare, c’è troppa roba tra lui e Peter, ma scalcia per farsi strada e riesce finalmente a portarsi al suo fianco. Ma Peter è forte, e si libera da solo. Tony gli afferra rapidamente il braccio, sostenendolo per il resto del percorso e spegnendo con le mani i punti in cui la sua manica ha preso fuoco. La strada più rapida è bloccata e sforza gli occhi, non riuscendo a vedere nulla; si muove per pura memoria muscolare, spinto dalla paura per quel ragazzino ansimante accanto a lui. Si fanno largo attorno alla giostra, inciampando su altre macerie che cadono, col soffitto che frana sul carosello, scivolando a bloccar loro la strada. Tony si tira su la maglietta con la mano libera, a coprire la bocca, e finalmente distingue il profilo della porta sul retro in mezzo al fumo.

 
§

 
Si fermano solo brevemente all’ambulatorio, perché Peter vuole uscire di lì il prima possibile. Tony sa che si sta comportando in modo scostante perché è infuriato per ciò che è accaduto, è spaventato, innervosito e chissà cos’altro. Non può dargli torto, e il suo stesso senso di colpa minaccia di annegarlo da un momento all’altro. Forniscono loro dell’ossigeno, e lo stesso medico della prima dipartita di Justin dice che entrambi hanno inalato molto fumo, ma che sembrano stare bene. Solo qualche ustione di primo grado, che viene trattata sul posto. In teoria, la polizia dovrà interrogarli più tardi, ma sembra che i sospetti stiano ricadendo su qualche filo elettrico difettoso. Esattamente come voleva lui.

Tony non pensa a Justin o a dove sia il suo corpo, vuole solo riportare il ragazzino in stanza per farlo riposare.

“Che diavolo stavi facendo?” chiede Rhodey, con le braccia incrociate sul petto come un padre arrabbiato. “Perché cazzo sei corso via così-- perché eri lì-- e l’incendio--”

“Non posso spiegarvi nulla,” dice Tony, senza guardare Peter, che sta prendendo dei respiri profondi accanto a lui. Hanno ancora delle chiazze di fuliggine sulla pelle, e hanno entrambi bisogno di una doccia.

“Sei fuori di testa?” chiede Happy. “È per colpa… è per colpa della neve? So che non ami la neve, ma siamo qui da appena un giorno, pensavo ci volesse di più.”

Tony sussulta. È stanco. È fottutamente esausto, di tutto. Si sfrega gli occhi, cercando di pensare, di pensare alla sua prossima mossa.

“Peter,” dice Happy. “Che c’è?”

Tony riapre gli occhi e guarda di lato, verso Peter: il suo volto è contratto, e sta facendo dei respiri brevi, superficiali, con una mano artigliata al petto.

“Peter,” dice Tony, posandogli una mano sulla spalla. “Stai bene?”

Gli occhi di Peter trovano i suoi e vi legge la paura, quel tipo di paura che gli ghiaccia il sangue nelle vene. Poi Peter risucchia un respiro spezzato e si accascia contro di lui, col braccio inerte contro il suo ventre.

“Ehi, ehi--”

C’è un profondo silenzio. Tony riesce a sentire solo la propria voce e il battito del suo cuore che schizza alle stelle.

“Peter. Peter.”

Lo fa stendere per terra. Lo scuote. Peter non sta respirando regolarmente, non respira affatto, finché non tira un grosso respiro strozzato per poi fermarsi di nuovo. Tony trova a tentoni il suo polso, che è debole, sottile, oscillante, come quello del suo cuore nei primi giorni del reattore arc.

La voce di Rhodey trapela oltre il velo di silenzio assordante. “… Tony! Tony? Che succede? Sta andando in--”

“Non sono sicuro-- hanno detto-- hanno detto che stava bene…” Scuote la testa e inizia le compressioni toraciche, contando meccanicamente e fissando in faccia il ragazzo. Non ha neanche più il certificato di rianimazione ma ricorda i passaggi e cerca di concentrarsi: questo è il ragazzino, è il ragazzino, deve-- deve fare qualcosa…

Si danno il cambio quando inizia ad affaticarsi, e Rhodey riesce meglio di lui, visto che non è rimasto coinvolto in un cazzo di incendio. Tony lo osserva, con un terrore crescente nel cuore. Dai, Peter. Dai, Peter, svegliati, Peter. Lo ripetono in una cantilena, come un mantra scaramantico.

Quando inizia a passare troppo tempo, il cuore di Tony scivola via.

Rhodey interrompe il terzo ciclo. Guarda in direzione di Tony. Anche Happy lo guarda, ed entrambi hanno in faccia quell’espressione di chi non vuole turbarlo, come se sapessero cosa stia succedendo. C’è anche una profonda tristezza lì, perché anche loro vogliono bene a Peter… no-- no…

“Dobbiamo riportarlo all’ambulatorio,” dice Tony, avviandosi, ma Rhodey gli piazza una mano sul petto.

“Tony.”

“Quel dottore, può… può aiutarlo--”

“Tony,” dice ancora Rhodey. La sua voce si spezza, la sua facciata si sgretola. “Tony, è--”

“No, non lo è, non è niente,” dice lui, cercando di spingere da parte Rhodey per raggiungere Peter, ma Happy si frappone.

“Credo che…” Happy tira su col naso, guardandosi brevemente indietro, poi mette le mani sulle spalle di Tony. “Intossicazione da fumo… ne ho sentito parlare e--”

“No, non può essere,” dice Tony, spingendolo via, ma quando vede di nuovo il volto di Peter capisce. È senza vita, con la testa reclinata all’indietro, la bocca schiusa. Ha ancora chiazze di fuliggine ovunque, anche in faccia, ma è pallido, e il suo corpo è esanime. Tony si siede sul bordo del letto e gli prende il polso, premendovi le dita. Non vi è neanche un battito debole, niente. Si allunga per cercarlo sul collo… nulla.

Tony è paralizzato. Si sente ancora addosso un intenso calore. Dev’essere andato in arresto cardiaco. Aveva inalato più fumo di quanto pensassero quegli stupidi medici di montagna.

“No, non può… non può essere--”

“Dio,” esala Rhodey. “Dobbiamo chiamare--”

“Non chiameremo sua zia,” dice Tony. “No.”

“Tony,” dice Happy, accostandosi a lui. “So che… so quanto gli vuoi bene e non ci posso credere neanch’io, ma dobbiamo… dobbiamo affrontare--” Sospira, scuotendo la testa. “Se n’è andato, è--”

“Non dirlo,” mormora Tony.

Sente salire la nausea. Non Peter, non lui, e Tony sente le lacrime che gli salgono agli occhi, scivolandogli lungo in volto mentre fissa quel ragazzino di solito così pieno di vita e adesso steso lì, immobile. Inala un respiro e scuote la testa, stringendo i denti, e si ricorda di dove sono. Delle circostanze.

Questo non è l’ultimo loop. Non può permetterlo.

“Uscite,” ordina.

“Cosa?” chiede Rhodey.

“Uscite, dovete uscire di qui,” dice Tony, schiarendosi la voce senza staccare gli occhi da Peter.

“Tony.”

“Per favore,” dice Tony, chiudendo gli occhi. “Voglio… lasciateci da soli, voglio che ve ne andiate.”

“Tony, lui è--”

“Lo so!” grida lui, con voce roca, troppo forte, e si gira per vedere se Peter abbia reagito, ma è uguale a prima. Ancora morto.

Peter Parker è morto. Di nuovo. E adesso non c’è un modo per salvarlo. A parte quello che Tony già conosce, e non vuole più muoversi, non vuole respirare, non vuole fare nulla che possa risolvere il loop. Perché adesso ne ha bisogno. Ha bisogno di un’altra possibilità.

“Lo so,” ripete Tony. Ha la tentazione di dire loro tutto, ma ci ripensa. Non riuscirebbe a sopportarlo. Si sente sul punto di rompersi in mille pezzi, e deglutisce a fatica. “Mancano sei ore a fine giornata. Farò quello che-- fatemi-- fatemi solo--” La sua voce traballa e abbassa lo sguardo, sfuggendo i loro.

“Ok,” dice Rhodey. “Ok.”

 
§

 
Tony non ha alcuna risposta per tutto ciò. Non sa cosa lo abbia ucciso, perché sia morto, ma sa che ha a che fare con l’incendio, quindi sa anche che è colpa sua. Intossicazione da fumo… i suoi polmoni e il suo cuore non hanno retto. Il ragazzino è forte, è Spider-Man, ma Tony lo ha ridotto così.

Sistema il corpo inerte del ragazzo, lo adagia sul lato del letto dove dorme di solito. Poi chiude a chiave entrambe le porte, nel caso che Happy e Rhodey dovessero provare a fare qualcosa. Sa come deve sembrare. Sembra che abbia perso completamente la testa, che sia uscito di senno nel momento in cui si è trovato di fronte a un’altra versione del mondo senza Peter Parker, e sa che a questo punto potrebbe davvero collassare.

Si avvicina, si inginocchia di fianco al letto come se stesse pregando e prende la mano di Peter tra le sue.

“Doveva capitare a me,” sussurra. “Doveva capitare a me, dannazione. Sono io il debole di cuore qui, non tu. Tu sei quello giovane, sono io il vecchio, tu dovresti-- non questo,” dice, piano. “Non questo, qualunque cosa ma non questo, so che te l’ho già detto.” Culla la mano di Peter, le sue dita molli, e lo guarda. Prima non aveva avuto un corpo, solo cenere, solo dolore e il testardo ottimismo che sarebbe arrivato qualcosa a risolvere tutto, a cambiare tutto e a farlo uscire di lì. Su Titano era rimasto seduto nello stesso punto per quelli che gli erano sembrati decenni, pregando e sperando, sperando e implorando che Peter tornasse in qualche modo in vita, o che morisse lui stesso. All’epoca non sapeva neanche se Pepper fosse viva, e si era sentito distrutto. Spezzato.

Anche adesso si sente così, ma ora ha un corpo, che un tempo conteneva lo spirito vivace di Peter, e continua a fissarlo, con quell’ottimismo insistente che riecheggia in fondo alla sua testa. Potrebbe svegliarsi. È proprio qui. Potrebbe succedere qualsiasi cosa. Ma non succede. Non succede.

Tony non si muove, tiene stretta la mano di Peter e chiude gli occhi, con le lacrime bollenti che non cessano mai, e ben presto riesce a malapena a respirare dal naso.

“Non so se ricorderai nulla di tutto questo,” dice Tony, con la gola che gli fa male e la testa che pulsa, aprendo gli occhi e guardando di nuovo Peter. “Non ho idea di come diavolo funzioni questa roba, se ne conserverai un ricordo anche se sei morto, non lo so… e so che dopo questo potresti avere della rabbia latente, o un po’ di quella tua brevettata permalosità alla Peter Parker, ma te lo dico lo stesso… a volte vorrei non esserti mai andato a cercare, ragazzino. Sei-- sei troppo buono, e io sono solo un-- un mercante di morte o qualcosa del genere. Un portasfortuna. Spider-Man non ha bisogno di me, tu sei… sei bravo già da solo, sai quello che stai facendo. Guarda in cosa ti ho portato.”

Stringe per un istante la mano di Peter al petto, sporgendosi con l’altra per pulire un po’ di fuliggine dalla sua guancia. Una volta ha fatto quello stesso gesto, quello che fanno i padri, senza nemmeno pensarci: gli aveva pulito uno sbaffo giallo di senape sulla guancia col pollice… e Peter l’aveva odiato, aveva fatto un verso schifato e gli aveva scacciato via la mano, ma stava comunque ridendo, e sorridendo, e l’aveva preso in giro dicendo che May aveva fatto la stessa identica cosa a colazione. Tony aveva replicato prontamente che doveva piantarla di mangiare come un bimbo dell’asilo, ma in quel momento aveva saputo, dal profondo del cuore, che ci era dentro fino al collo. Che Peter era ormai parte integrante della sua famiglia, un punto fisso, un contratto firmato. Aveva visto il futuro, tutti i possibili futuri, e includevano Peter che faceva da fratello maggiore a qualunque bambino Stark-Potts venuto dopo di lui, aiutandolo coi compiti, rincorrendolo qua e là per il Complesso, tenendolo in braccio quando sarebbe stato ancora piccolo e fragile e appena nato, perché Tony si fidava ciecamente di quel ragazzo.

E adesso è morto di fronte a lui.

Stringe di nuovo la mano di Peter fra le sue, poggiando la fronte contro le sue nocche. “Fa’ che non sia l’ultimo loop,” dice, a bassa voce. “Ho bisogno di questo ragazzino. È… è troppo importante, maledizione, per May, per i suoi amici, per Ned e MJ… Pepper gli vuole bene, Happy gli vuole bene, merda, Happy non vuole bene nemmeno a me ma al ragazzino sì… e il mondo ha bisogno di lui, è un eroe-- è l’eroe, Peter-- Peter farebbe qualunque cosa per salvare le persone. Per fare la cosa giusta.” E tutto questo ne è un perfetto esempio, e a Tony fa male il cuore. Prende un respiro tremolante. “Questo non può essere l’ultimo loop perché non posso vivere senza di lui. Punto e basta.”

Sono passate due settimane. Questo è il quattordicesimo giorno, la sua scadenza. E non avrebbe potuto fallire in modo peggiore.

 
§

 
Rhodey e Happy a un certo punto provano a entrare, e Tony crede di sentire anche un’altra voce, ma non tentano di buttar giù la porta, quindi non è costretto a difendere la sua scelta di rimanere seduto là dentro col corpo senza vita del ragazzino. Scende l’oscurità, si fa più buio, e Peter non torna. Tony rimane nello stesso punto, si sente debole e piccolo e disperato, ma non si muove. Si limita ad aggrapparsi alla mano di Peter, e prega per un altro loop. Solo un altro. Me ne serve un altro.

11:58

“Dai, Pete,” sussurra, guardandolo in volto.

11:59

“Torna indietro.”

GIORNO QUINDICI
 

So when you’re near me, darling can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 

Tony apre di scatto gli occhi.

Peter emette un lamento dall’altro letto. “Non ricordavo neanche che avessi messo una sveglia.”

Un sorriso si fa strada sul volto di Tony, così ampio che quasi fa male, e serra con forza gli occhi con una lacrima che gli corre lungo la tempia. È vivo. Peter è vivo, è tornato, hanno avuto la loro seconda possibilità. Il sollievo lo fa sentire leggero, incorporeo, più giovane di quanto non sia mai stato, e prende un profondo respiro prima di gettare le gambe oltre il bordo del letto per poi quasi collassare per terra.

Senza il quasi. Collassa veramente, con le ginocchia che gli cedono di colpo, impattando col tappeto.

“Tony!” esclama Peter, e lo sente scansar via le coperte e alzarsi, mettendogli una mano sulla spalla.

Quei maledetti ABBA strillano ancora in sottofondo, ma a Tony non importa, e quando Peter lo issa in piedi, prima che possa dire qualunque cosa, lo abbraccia con impeto.

“Ehi,” ride Peter, dandogli una pacca sulla schiena. “Ehi, che hai? Che succede? Incubo? Ma sono gli ABBA questi?”

Tony libera un piccolo sbuffo, cercando di non svenire per il sollievo di vedere che Peter è qui, che Peter è vivo, e può abbracciarlo e parlargli ed essere con lui in una stanza dove non è morto, cazzo, e per una volta, per una sola volta in questo inferno di ripetizioni, è veramente contento di avere un altro loop--

“Sì, sono gli ABBA,” dice Tony, ridendo e stringendolo forte. “Sì, è stato un incubo.”

“Ero morto?” chiede Peter, esitante ma diretto.

Il cuore di Tony ha un sussulto e si scosta da lui, ancora con le mani sulle sue spalle. “Te lo ricordi?” chiede.

“Titano? Quello?” chiede Peter, con occhi enormi, come se non fosse sicuro del perché di quella domanda.

Tony si schiarisce la gola. Ovviamente ha pensato a quello. La prima volta che è morto. La seconda è stata cancellata, è perduta, non tornerà. Se Peter sarà mai in grado di ricordare qualcosa dei loop, spera che non sia l’incendio, e tutto ciò che è successo dopo. “Sì,” risponde, e lo abbraccia di nuovo. “Scusa se ti abbraccio di primo mattino. È strano.” Gli trema la voce.

“Io adoro gli abbracci.”

Tony trattiene una risata. “Sì, lo so benissimo.” Le sue emozioni stanno traboccando, sopraffacendolo, e sa che sta perdendo la testa, che ormai è più che pazzo, e si sente come se ci fosse una marea di cose che deve dire e che non ha ancora detto. A tutti, alle persone che ama, e ne ha tre qui con sé. Si scosta di nuovo, vedendo che Peter lo guarda ansiosamente. “Pete, volevo solo dirti che sei… sei il migliore. Sei un supereroe anche quando non sei Spider-Man, mi fai essere una persona migliore, sei un genio e una persona meravigliosa, una persona buona, e ti voglio bene. Sono… sono davvero fortunato ad averti con me.” Lo scuote leggermente.

“Anch’io ti voglio bene,” dice Peter, assottigliando gli occhi. “Perché mi stai dicendo tutto questo?”

“Perché,” dice Tony, proprio mentre la porta comunicante si apre all’ingresso di Happy, con Cher che arriva fin lì mischiandosi con SOS. “Sto perdendo completamente la testa.”

 
§

 
“E quella volta nell’84,” dice Tony. “Con le bottiglie di vodka?”

“Sì,” dice Happy, sorridendo. “Sì, mi ricordo.”

“Sei fantastico,” dice Tony, stringendogli la spalla. “Sei il mio uomo di punta, mi conosci come le tue tasche, sai sempre quello che mi passa per la testa e-- ti voglio bene.”

“Anch’io ti voglio bene, Tony…”

“Come mai questa sagra dell’amore?” chiede Rhodey, seduto accanto a Peter sul letto di Tony.

“Tu sei il prossimo, amico,” dice Tony, indicandolo da sopra la spalla, ma proprio in quel momento si sente bussare alla porta. Tony sa già che probabilmente è Justin, maledizione, e il “probabilmente” diviene certezza quando bussano di nuovo, in modo più insistente. “Aspetta, idiota!” grida Tony.

“Tony, sei migliore di così,” dice Rhodey, rimproverandolo.

“Sta avendo una fase,” sussurra Peter.

“Ed è una scusa per urlare alla donna delle pulizie?”

“Non è la donna delle pulizie,” interviene Tony, alzando gli occhi al cielo. Inciampa nei suoi stivali, rischiando di cadere, per poi raggiungere Rhodey e prendergli il viso tra le mani. “Sei il mio migliore amico. La mia vita è… è fuori fase senza di te al mio fianco. Mi fido di te, ti voglio un bene dell’anima e non avrei superato il mio periodo al MIT – e molti altri – senza di te--” Bussano un’altra volta.

“Va bene, va bene,” dice sbrigativo Rhodey, dandogli una pacca sulla mano, ma è decisamente arrossito.

Tony va infine alla porta, afferrando una giacca nel mentre. Apre la porta e indossa la giacca, trovandosi di fronte Justin che se ne sta lì imbronciato come un amante respinto.

“Non riesco a credere che tu mi abbia ucciso di nuovo.”

“È stato un incidente,” dice Tony, superandolo per entrare in corridoio.

“Mi hai ficcato la testa nel cesso a forza.”

“Sì, ma non volevo ucciderti,” dice Tony, da sopra la spalla.

“Ma che cazzo?” grida Rhodey, dietro di loro. “Che cazzo…”

“Oh, ciao,” dice Justin.

“Oh, ciao?

“Tony, dove stai andando?” chiede Justin, ignorando platealmente l’indignazione di Rhodey.

“A fare le mie cose,” dice Tony, percorrendo il corridoio diretto alla hall.

“Tony!”

“Ehi, ma che cazzo-- cosa-- Hammer-- dove stai--”

“Ma che cazzo succede?

“Tranquilli, è docile come un cerbiattino o come… una piccola lontra,” li informa Tony, spingendo la porta d’ingresso e uscendo nel freddo.

 
§

 
“Tony, parlami. Che ti succede? Ci stai spaventando.”

Tony continua a fare il suo angelo di neve. Muove braccia e gambe avanti e indietro, fissando il cielo azzurro e terso finché Peter non si avvicina ancora, eclissando il sole. Socchiude gli occhi e lo guarda come se fosse pazzo.

Perché è pazzo.

“Peter,” dice Tony, iniziando quella conversazione che ha già fatto tante volte. “Ti fidi di me?”

“Certo,” dice Peter.

“Siamo in un loop temporale. Io sono Bill Murray. Mi ricordo tutto, e voi no, siamo… siamo intrappolati. Siamo in trappola, ragazzino. Ho fatto queste cose mille volte. E mille ancora. E ancora e ancora e ancora. Non so come uscirne. Quindi… mi arrendo. Adesso faccio angeli di neve. E basta.”

Riesce a sentire Justin che discute con Rhodey e Happy da qualche parte lungo la strada, con le voci che si fanno man mano più forti.

Peter lo guarda fisso. “Cosa?”

“Lo so.”

“No, intendevo… cosa?

“Già.”

Continua a fare il suo angelo di neve.

GIORNO SEDICI

“Non riesco a credere che tu abbia rivelato il tuo indirizzo in TV,” sbuffa Justin. “Idiota.”

“Zitto, cretino,” dice Tony. “Sto raccontando… una storia.”

Si appoggia ridendo alla spalla di Justin. La sua vista è sfocata e il suo cervello - il suo cervello è fritto. Sta bevendo grappa [3]. Grappa! Non beve grappa da secoli. E sa di torta di mele. Sta sorridendo così tanto che gli fa male la faccia. Gli mancano gli altri, ma non sa dove siano. Si ricorda a malapena di essere uscito dalla stanza.

“Quindi poi li ho, uh…” biascica Tony, “Li ho presi tutti, anche se avrei potuto portarne solo quattro. Perché sì, cavolo. Nessun passeggero o hostess lasciato indietro. Mi manca un sacco Jarvis.”

“Sì, ho sentito che è successo,” dice Justin, e lo vede con dei contorni decisamente sfocati. “L’ho visto… in TV. Nella guardiola del secondino.”

“Huh.”

“Già.” Sbadiglia sonoramente, e a lungo. “Sono contento che tu sia qui.”

“Anch’io. Aspetta, no.”

Justin abbaia una risata. “Beccato.”

“No, odio questo posto,” dice Tony, guardandosi intorno nella penombra del bar. Oh. Allora sono nel vagone-bar. Guarda di nuovo Justin. “E odio te.”

“Pfft. Mi sopporti.”

“Esatto.”

La porta si apre e il luogo viene inondato di luce; Tony solleva una mano a bloccarla come se fosse un vampiro.

“Eccolo qua.”

“Tony, ma che cazzo?” sbotta Happy. “Cos’è, adesso ti sbronzi con questo tizio?”

All’improvviso Justin viene sbalzato in aria e Tony cade di faccia sul sedile su cui era seduto fino a un secondo fa, e quando alza lo sguardo vede che è Peter ad averlo sollevato di peso da terra, inchiodandolo al muro.

“Non mi fido a lasciarti ubriacare con lui,” dice Peter, incenerendo Justin con lo sguardo.

“Ecco, questo è il mio ragazzo,” dice Tony, indicandolo. “È forte, eh?”

“Forte?” uggiola Justin. “Ma che cazzo? Gli ha iniettato qualcosa? Questo non è-- è… assurdo--”

“Spider-Man,” dice Tony, puntandogli contro il dito.

Peter, Rhodey e Happy si girano di scatto verso di lui, in un misto di paura, rabbia pungente e delusione.

Tony fa un verso noncurante, scacciandoli con un gesto. “Va tutto bene. Tutto… bene. Tanto qui nessuno è reale.”

GIORNO DICIASSETTE

Tony è sdraiato nella neve, quasi come l’altro giorno – l’altro oggi – quando stava facendo angeli di neve. Solo che stavolta c’è lo skilift bloccato proprio sopra di lui e gli altri quattro sono lassù, a guardarlo con occhi impauriti.

Il livello di dolore che sta sopportando è-- è semplicemente… oltraggioso. È l’unica cosa che riesce a pensare. Questa intera esperienza è oltraggiosa.

Si è rotto una gamba. Al cento per cento.

“Tony!” grida Peter. “Tony, sto--”

“Non. Saltare. Giù!” grida lui di rimando. Sa che quel ragazzino è Spider-Man, ma non è pronto per vederlo morire di nuovo. Mai più. Un gruppo di persone si sta radunando attorno a lui, con alcuni che si inginocchiano a parlargli, ma lui non risponde e continua semplicemente a fissare i suoi amici e Justin su quel maledetto skilift sopra di lui, chiedendosi se non sia una qualche allegoria che non riesce a interpretare. Non sa se ci riuscirà mai.

Il solito dottore inutile si affretta a raggiungerlo, accovacciandosi accanto a lui.

“Mi lasci qui,” dice, senza neanche guardarlo. “Vivo qui, adesso.”

GIORNO DICIOTTO

Sono seduti sul palco di fronte a una discreta folla, e Tony individua i volti di Peter, Rhodey e Happy in seconda fila, che lo fissano con una strana trepidazione mista ad ansia, come se non sapessero più bene chi sia.

“E Justin – prossima domanda per il Gioco degli Scoppiati – Tony vorrebbe avere un funerale sfarzoso?”

“Sapete, guardandolo così,” comincia Justin, portando alle labbra il microfono, “potreste pensare che voglia un funerale in grande, di lusso, ma Tony è un uomo semplice. Anche se non è esattamente così che appare, considerando la sua… rilevanza sociale. Ma il suo unico desiderio per la sua estrema festa sarebbe qualcosa di intimo con le persone a cui tiene di più.

“Tony?”

Tony gira la sua lavagnetta bianca, sulla quale si leggono le parole QUALCOSA DI INTIMO CON LE PERSONE A CUI TENGO DI PIÙ.

“Wow,” dice il presentatore. “Vi conoscete davvero bene, nei minimi dettagli, sembra.”

“Siamo in confidenza.”

Hanno guardato questo gioco più e più volte. Hanno memorizzato le domande, dicendosi le rispettive risposte, e quando vincono quell’enorme, stupido trofeo, Tony sente chiudersi quel buco a forma di Nederland scavato nel suo cuore. Anche se solo per la durata di quel loop.

“Cazzo, sto andando fuori di testa,” dice tra sé quella notte, nel suo letto, col trofeo accanto a lui.

GIORNO DICIANNOVE

È nella piazza centrale, circondato da luci blu. Forse è di nuovo un po’ brillo. È seduto su una cassa recuperata da qualcuno, perché sta parlando da molto tempo e la maggior parte della gente è qui, intenta ad ascoltare rapita la sua storia.

“Quindi voi siete prigionieri! Nella vostra stessa città! E non lo sapete, ma… ma ora sì, perché volevo che lo sapeste. Perché sto cercando di risolvere questo schifo. E quante altre volte volete che accada?” dice, poggiando i gomiti sulle ginocchia. “Insomma, siete intrappolati… non avete una vita, fuori dalla Festa dell’Uomo Congelato? Fuori da Nederland?”

Tutti lo fissano.

“Intendo… non avete famiglia? Là fuori, da qualche parte? Un cugino a New York, vostra madre a… a Omaha, non saprei.”

Non gli sembra di essere stato convincente, ma sembra… che stiano ascoltando. Si mette in piedi. “Qualcuno di voi ha visto Il Giorno della Marmotta? Dovete… ribellarvi!” Alza in aria entrambe le mani, guardandosi intorno e incontrando facce impensierite. “Dovete solo concentrarvi – intensamente – e… e ricordarvi ciò che vi sto dicendo ora. Imprimetevelo nel cervello. Ascoltate Iron Man… ascoltate--”

“Ah, ecco!” esclama un giovane con una maglietta dell’Uomo Congelato. “Ecco dove ti ho già visto!”

Tony lascia ricadere la testa.

Morirà qui.

Ancora. E ancora. E ancora.

GIORNO VENTI

“Pepper?”

“Oh, mio Dio, Tony,” dice lei, mentre lui preme con forza il telefono contro l’orecchio. “Tony, cos’è successo? Dove siete? May e io stiamo impazzendo, non avete più chiamato, non riusciamo a rintracciare i vostri cellulari, che sta succedendo? Siete feriti? È successo qualcosa, vi hanno rapiti? Cosa posso…”

Tony chiude gli occhi, strizzandoli, con la testa che ciondola pesantemente in avanti e il busto inclinato sul tavolo. Tira un respiro e sente la stanchezza nelle ossa, la sconfitta che gli irrigidisce le spalle. “Siamo in trappola,” gracchia, scuotendo la testa. “Li ho fatti finire in una trappola. Sono stato io, cazzo, li ho fatti venire qui… è colpa mia. È colpa mia. Non ti vedrò mai più. Non-- non vedrò mai nostra figlia.”

“Cosa?” chiede Pepper. “Tony--”

“Se vuoi risposarti, puoi farlo,” dice Tony, tra i singhiozzi, risucchiando un respiro. “Fai-- fai solo registrare la mia morte così puoi, insomma, fare ciò che vuoi. So che ti piace quel tizio, Chris, della contabilità… va bene, davvero, è un brav’uomo. O Steve. Insomma, Steve è Capitan America. Sarebbe-- sarebbe una buona scelta-- o Nataša, se vuoi… si prenderebbe comunque cura della bimba meglio di--”

“Tony, ascoltami. Ascoltami. Concentrati.”

Lui rimane in silenzio, asciugandosi qualche lacrima prima che ne cadano altre.

“Dimmi cosa sta succedendo. Tutto quanto.”

“Sono il Giorno della Marmotta,” dice, in fretta. “Sono… nel Giorno della Marmotta. Sono Bill Murray. Le lettere erano-- non c’è nessuna cerimonia di premiazione, ha fatto tutto Justin Hammer… è bloccato nel loop, vive lo stesso giorno qui, in questa città, ancora e ancora e ancora, ed era l’unico a ricordarselo e gli serviva aiuto-- è solo questo posto, il mondo esterno va avanti normalmente-- ma in qualche modo, in qualche… cazzo di modo, sono finito qui e ricordo anch’io. Peter, Rhodey e Happy-- si dimenticano come tutti gli altri, ogni notte. Scocca la mezzanotte e ricominciamo dal mattino, con quei cazzo di… ABBA in sottofondo, e Cher… Justin è morto un paio di volte, anch’io sono morto un paio di volte, Peter è morto… una volta…”

“Tony. O mio Dio.”

“Non so come risolverlo,” esala Tony, e vuole disperatamente tornare da lei, vuole disperatamente stringerla a sé e parlarle e riavere la sua vita-- la loro vita, quella per cui hanno lottato, che si sono guadagnati. Vuole riportare Peter a May. May, alla quale ha promesso che avrebbe tenuto suo nipote al sicuro. In passato hanno usato l’espressione “fare assieme i genitori” [4] e adesso l’ha delusa, ha deluso Peter. Vuole riportare Rhodey e Happy da dove sono venuti, nel mondo reale e non qui, non nel freddo Colorado, in una gabbia di morte ammuffita, ma non può… non ci riesce. È perduto. Può risolvere ogni tipo di problema, ma non questo. “Nessuno può uscire, e se qualcuno entra rimane-- rimane a sua volta intrappolato, non ricordano--”

“Ma tu ricordi?”

“Non so perché,” dice lui, asciugandosi di nuovo gli occhi. “Pep, lo-- lo so che ho fatto un sacco di cose, e ho risolto problemi che credevamo irrisolvibili, ma questo… mi sta esaurendo, amore, non riesco-- non ho fatto alcun progresso, nessuno. Ma vorrei-- ti prego, di’ a May che Peter sta bene. Solo… che non so come riportarlo lì, da lei, dove dovrebbe essere, ma sta… sta bene. E ti amo.”

“Tony--”

“Ti amo tantissimo,” ripete, e gli sembra un addio. Non la vedrà mai più. “Ho avuto la fortuna di averti sempre accanto, sono-- sono stato fortunato ad aver passato così tanto tempo con te e sei la persona più incredibile del mondo--”

“Ti amo,” dice lei, con la voce che si spezza. “Ti aiuterò.”

Si sente tremare il cuore. “Pepper… non puoi venire qui. Non puoi, nessuno può, verrete solo risucchiati in questo maledetto loop e non voglio che succeda a nessun altro.”

“Ti amo, Tony,” dice lei, stavolta più chiara e forte. “Ti aiuterò.”

GIORNO VENTIDUE

“Va bene,” dice Tony, dal posto del guidatore, mentre si avvicinano al confine della città. Il suo cuore batte così forte che ha la sensazione che l’intera macchina possa sentirlo. “Vado e basta.”

“Tony, ti adoro, ma non funzionerà,” dice Justin, dal sedile di mezzo.

“Non dire che mi adori, e funzionerà,” dice Tony. Si volta verso Rhodey, sul sedile del passeggero.

“Mi fido di te,” dice lui. “Forse è la volta buona.”

“Non hai detto che non volevi che morisse qualcun altro?” chiede Justin. “Perché se ci proveremo, qualcuno morirà. O anche tutti quanti.”

“Avremmo potuto lasciarti qui e basta,” dice Happy.

“Esatto,” dice Tony, girandosi per vedere il sedile posteriore. Guarda Peter e ripensa a quando l’ha visto morto nella stanza del motel. Non vuole vederlo morire assiderato, né sfigurato in un qualche orribile incidente d’auto. Ma non hanno alternative. Questa è l’unica che hanno. Devono provarci di nuovo.

“Stiamo bene,” dice Peter. “Va tutto bene.”

“Ok,” dice Tony, voltandosi di nuovo. Dà gas e sorpassa quella linea metaforica, imboccando la strada che conduce fuori città. Sta trattenendo il respiro… non può essere così facile, non può essere così facile…

No. Non è così facile.

La neve ruggisce sul versante della montagna per poi cadere in un pesante velo, atterrando sopra la macchina come un autobus, o un camion. Si riversa sopra al parabrezza e oscura completamente la visuale. Tony preme a fondo l’acceleratore, e la macchina si muove un poco prima di bloccarsi e spegnersi.

Tony sbatte le mani sul volante, digrignando i denti per trattenere le urla che vorrebbe liberare.

“Te l’avevo detto,” dice Justin. “No?”

“Stai zitto.”

GIORNO VENTISETTE

“Correte, forza!” dice Tony, assicurandosi che Peter sia accanto a lui mentre si fiondano attraverso la neve, fuori città. Trascinano le loro valigie, che sbatacchiano mentre corrono, e Tony affonda nella neve ad ogni passo. “Andate! Andate più veloce che potete!”

“Hai intenzione di correre… fino a Denver?” ansima Happy, lanciando un’occhiataccia a Tony mentre avanzano.

“Sì! Cristo!”

“Non funzionerà!”

“Zitto! Chiameremo aiuto non appena saremo in un posto dove prende!”

“Tony, non-- ah!”

Tony inchioda con uno stridio quando sente l’esclamazione di Rhodey, e quando si gira lo vede riverso sul fianco, intento a stringersi la caviglia. “Che succede, che hai?”

“Mi sono slogato la caviglia,” dice Rhodey, con sguardo incredulo.

“Non ci credo,” dice Happy, col fiatone. “Non ci credo.”

Justin si piega in avanti, dandosi una pacca sulle ginocchia prima di scoppiare in una risata isterica.

“Stai zitto,” dice Tony, indicandolo minaccioso.

“Dammi una mano, ragazzino, vedo se riesco a poggiare il piede,” dice Rhodey.

Peter si avvicina, lo issa in piedi e si passa il braccio di Rhodey attorno al collo. “Ok, reggiti a me.”

“Bene, riesco a-- ah… oh, merda, no, è come-- è come quella volta, Tony, al secondo anno…”

Non è decisamente ciò che vorrebbe sentire Tony. Si rimette in piedi, fissando Peter che cerca di mantenere in piedi Rhodey. È riuscito a ricostruirgli delle gambe, a rimetterlo in piedi, ma non ha gli strumenti adatti qui… li ha cercati, cazzo, ma non c’è nulla di utile da nessuna parte e sembra fatto apposta, da chiunque abbia architettato il tutto.

“Lasciatemi qui e andate,” dice Rhodey, e Peter lo guarda accigliato.

“No,” dice Tony, abbattuto. “No, proveremo… proveremo di nuovo domani.”

GIORNO TRENTASEI

È buio. È l’ora di punta. Tony ha bevuto sette tazze di caffè e Rhodey continua a tenerlo d’occhio con fare nervoso. Justin è seduto su un barile rovesciato, intento a limarsi le unghie. Non c’è nessuno in giro, e la città sta assumendo quell’aria spettrale tipica di quest’ora del giorno.

Il giorno. Il giorno dei giorni. Il maledetto giorno dal quale non riescono a scappare. Hanno provato a fuggire a piedi, per quanto lenti, ma Peter è svenuto. Senza alcuna ragione apparente. Hanno rubato un furgone e hanno cercato di fuggire rapidamente, evitando la valanga, ma hanno sbandato sulla strada ghiacciata, precipitando sul crinale sottostante. Sono riusciti ad abbandonare il veicolo prima che cadesse in un’esplosione di fiamme, e la polizia li ha trattenuti prima che potessero spostarsi a piedi.

Hanno provato a scalare la montagna, più volte, ma è sempre finita in tragedia, ancora e ancora e ancora. Hanno scovato un piccolo aereo da trasporto quando hanno esplorato la zona oltre le baite, e Tony non ama ripensare a com’è andata a finire quella volta. Dopo un po’, hanno quasi avuto l’impressione che quel maledetto loop stesse anticipando i loro piani, fermandoli ancor prima di arrivare sulla strada… hanno affrontato un incendio al motore, una parata fuori programma, una quarantena, una rissa, un allarme bomba… tutto quello che poteva accadere è accaduto.

Peter se ne sta seduto in disparte, su una panchina di cemento sul ciglio della strada.

“Ci proviamo di nuovo?” chiede Happy, in piedi di fianco a Rhodey.

“Sì,” dice Tony. “Datemi un secondo.” Si avvicina alla panchina, captando il clacson di un’auto in lontananza, e scompiglia i capelli di Peter. “Tutto ok, ragazzino?”

“Avevi ragione, l’altra volta,” dice Peter. “Riguardo a-- al fatto di preoccuparmi per l’università. Avevo paura di… di lasciare te e May, di lasciare New York e non-- non riuscire più a essere Spider-Man, o dover essere Spider-Man da qualche altra parte, e quindi la gente si sarebbe chiesta perché Spider-Man si fosse trasferito, e a New York avrebbero pensato che li stessi abbandonando per qualche ragione, ma adesso… non importa più. Perché non uscirò mai di qui.” Scuote la testa, fissando il suolo. “A quanto pare, ho già perso molti giorni di scuola, e insomma… non lo so, ci stavo solo pensando.”

Tony fissa la sua nuca. Ultimamente ha oscillato tra un vivace ottimismo e il disfattismo più nero, ma questo-- questo gli fa venir voglia di portare Peter fuori di qui più di quanto abbia mai voluto prima. È diventato un po’ ossessivo, soprattutto dopo che hanno raggiunto la quota di Un Mese, ma adesso ha un breve momento di lucidità. “Ehi,” gli dice, posandogli una mano sulla spalla. “Continueremo a provare ogni giorno. E alla fine incapperò in qualcosa, perché è così che funziona di solito… e risolveremo anche la questione della scuola. Su, quello è niente, non è che un-- una buca sulla strada. Ok? Ok? Ci sono qua io, farò in modo che--”

Sente lo stridio delle gomme di un’auto dietro l’angolo e smette di parlare, con tutti che si girano in direzione del suono.

“Se è di nuovo quel dannato Chet--”

“No, non è una macchina rossa,” dice Tony, socchiudendo gli occhi e osservandola accelerare.

E fermarsi esattamente di fronte a loro.

È una piccola macchina blu, coi finestrini oscurati, e Tony quasi muore sul colpo quando si apre la portiera del guidatore e vede uscire Pepper. Ha l’impressione che il mondo intero si fermi, come se non ci fosse nulla di reale a parte lei, e anche se è passato meno di un mese, gli sembra enormemente più incinta di prima. Si sente inchiodato a terra, incapace di muoversi, di fare qualsiasi cosa che non sia fissarla a bocca aperta mentre aggira la macchina, con gli occhi puntati su di lui. Nell’ultimo periodo si è ridotto a un coacervo di emozioni contrastanti, ma in questo momento è bloccato tra il voler collassare in lacrime e il saltellare qua e là in preda alla gioia. È lì, riesce a vederla. Però è qui.

“Porca troia,” dice Happy.

“Oh, mio Dio,” dice Rhodey.

Justin scivola dietro un lampione. E Peter non dice nulla, anche se i suoi occhi sono dilatati, come se non credesse a quello che sta vedendo.

“Pep…” comincia Tony, ma lei scuote la testa, avvicinandosi a lui e prendendogli le mani.

“Non me ne vado senza di te,” dice lei. “E senza di voi. Anche tu, Hammer. E me ne andrò sicuramente di qui… perché questa bambina non nascerà in Colorado. O dentro un loop temporale.”

Tony la fissa. Non sa cosa dire, cosa pensare. Ma, per la prima volta da molto tempo, ha l'impressione che la parte più ottimista di lui stia avendo la meglio.
 


 
Tradotto da What if there was no tomorrow di © iron_spider

 
Note di traduzione:
 
[1] Come accennato, il titolo italiano del film è Ricomincio da capo, ma per coerenza con la storia ho preferito mantenere la traduzione letterale che richiama la festività.
[2] In originale, il negozio si chiama Family Video, e l’ho sostituito con un equivalente un po’ più familiare e comunque esistente negli USA.
[3] In originale, Tony beve moonshine, che è un tipo di liquore generico prodotto in casa, spesso clandestinamente. Essendo la grappa un liquore prodotto comunemente in casa in Italia, ho optato per questa traduzione.
[4] L’espressione originale era co-parenting, tradotta a volte come co-genitori, che ritengo francamente orrenda; ho scelto di usare una perifrasi che rendesse il concetto.


Note Della Traduttrice:

Ehilà, rieccomi ad aggiornare questa traduzione dopo la devastazione che è stata Endgame, sperando che, nella sua estrema stravaganza, possa distogliere i pensieri di chi legge dagli ultimi sviluppi del MCU.
Questo, come accennato nello scorso capitolo, è un capitolo "aggiunto", poiché quello originale era troppo pesante e lungo per essere caricato come capitolo unico. Il titolo è stato scelto da me, ma è in linea con gli eventi e richiama comunque il testo della canzone scelto dall'autrice, che tra l'altro cita proprio questo verso in questa sezione. Il layout, ho dimenticato di specificarlo prima, rispecchia quello originale della storia, con le indicazioni dei giorni in maiuscolo non distanziate dal testo.
Sono abbastanza sicura che il rating arancione sia adatto, ma fatemi sapere se ritenete opportuno alzarlo, considerando le menzioni esplicite e descrizioni di suicidio e morte presenti, anche se non "reali".

Grazie a tutti coloro che seguono e leggono la storia, e un grazie particolare a _Atlas_ che ha commentato gli scorsi capitoli di quest'ultimo, folle progetto :')
A presto, col capitolo finale,

-Light-

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Capitolo 4
*** Nothing else can save me ***


Nothing else can save me





 
Tony si è sentito fuori gioco per la maggior parte del tempo che ha passato intrappolato qui, andando a destra quando sarebbe dovuto andare a sinistra, dicendo sempre la cazzo di cosa sbagliata, con tutto ciò che aveva attorno che continuava a consumargli quei pochi neuroni che gli rimanevano in testa. Ma vedere lei qui – sua moglie, la sua Pepper, la sua bellissima, incredibile Pepper, lo fa andare nel panico più puro e assoluto. Ha bisogno di lei, è vero – è l’unica a parlare la sua lingua, l’unica a farlo sentire una persona reale, viva e in grado di funzionare – ed è felice. Felice di vederla, di averlo accanto a lui, sulla stessa lunghezza d’onda.

Ma è qui. In questo loop infernale di neve e uomini congelati. È bloccata anche lei, adesso.

“Devi andartene subito,” le dice, stringendole le mani. “Forse puoi uscire perché non hai ancora vissuto il primo loop.”

“Cosa ho appena detto?” chiede lei, lasciandolo andare e facendo un cenno verso la macchina. “Sei messo peggio di quanto pensassi, se credi che me ne andrei mai senza di te.”

“Oh, mio Dio,” esala Tony. Si fa scivolare la fede nuziale su e giù lungo il dito, sentendo un suono acuto nelle orecchie.

“E tu,” dice Pepper, indicando il lampione dietro il quale fa ancora capolino Justin. “Dovrei farti a pezzi, Hammer, sei fuori di testa?”

“Con chi stai parlando?” chiede Justin, cercando di farsi ancora più piccolo.

“Oh, lo sai perfettamente,” dice Pepper, alzando la voce. Tony la guarda come se non fosse reale, mentre si cinge il pancione con un braccio fulminando Justin, e la sua espressione che si ammorbidisce quando si volta a guardare Peter. Si china leggermente, sfiorandogli il volto. “Ho dovuto fare di tutto per impedire a May di venire con me. Ma sa cosa sta succedendo, e ti vuole bene, e probabilmente mi raggiungerà se non torneremo entro i prossimi due giorni.”

“Grandioso!” dice Tony, alzando le braccia al cielo. “Grandioso! Entrambi i Parker in pericolo! Esattamente quello che volevo!”

“A quanto pare ha continuato a impazzire progressivamente da quando è iniziato tutto,” dice Happy, avvicinandosi. “Ma non possiamo aiutarvi perché-- cazzo-- è come se sparissimo ogni giorno. Ci resettiamo, come un videogioco.”

“E accadrà anche a te…” dice Justin, indicando Pepper.

“… ma non domani, giusto?” chiede Rhodey. “Dovrebbe avere ancora un giorno intero.”

“Giusto,” esala Tony. “Ed è per questo che dovrebbe andarsene…”

“Tony--”

“Pepper--”

“Dovremmo andarcene tutti insieme,” dice Justin, uscendo allo scoperto. “Forse… perché… non so, non ho mai avuto a che fare con niente di simile prima, ma forse, visto che non ha ancora vissuto un intero giorno, forse… forse…”

“Basta forse,” dice Tony, seguendo il suo ragionamento. “Proviamoci, ci sto.”

“Ok,” dice Pepper, guardandolo con occhi enormi mentre gli altri si raggruppano attorno a loro. “Prendiamo le vostre cose o--”

“Non importa,” dice Tony, scuotendo la testa. “Possiamo sempre ricomprarle. Nessuno ha portato roba a cui è affezionato, vero? Pete?”

Tutti fanno cenno di no con la testa, anche Peter, ma Tony non riesce a capire se stia nascondendo qualcosa che non vuole rivelare. Conclude che se ci fosse qualcosa di importante glielo direbbe, quindi procede a mettere in atto il piano. Si sente come se mezzo cervello gli stesse colando dalle orecchie, e non vuole pensare a cosa farà effettivamente una volta usciti da questo cazzo di posto. Si sente come quelle persone che vanno in prigione… internato, come se pensasse di dover stare qui e non fosse sicuro di come vivere altrove.

Ma sa che deve lasciarsi alle spalle questa convinzione. Questa non è la sua vita, non è qui che deve stare, o dove devono stare gli altri… dove devono stare Pepper e sua figlia. Questo posto non è rilevante nel suo schema, non vivrà qui per sempre. No, no, neanche per sogno.

“Vuoi che guidi io?” chiede Pepper, mentre si avvicinano alla macchina.

Non sa come risponderle, considerando tutti gli incidenti che hanno avuto e l’ampia varietà di ferite subite da tutti loro, a prescindere da dove fossero seduti. Lo manda nel panico per un istante, mentre cerca di decidere, ma è lei a risolvere la cosa.

“Guido io,” conclude, avviandosi al sedile anteriore.

“Ok,” dice lui, senza la minima idea di cosa voglia davvero fare. Lancia un’occhiata agli altri, realizzando che quella macchina è troppo piccola, e si schiarisce la gola. “Ok, dobbiamo ammucchiarci come facevamo al college, Rhodey, quando avevamo sempre una macchina troppo piccola ed eravamo troppi…”

Rhodey reclina all’indietro il collo, roteando gli occhi.

“Tony--” lo chiama Pepper.

“Peter, mi dispiace, tu sei il più piccolo, quindi entrano prima loro e tu ti stendi sopra,” dice Tony, tamburellando sul finestrino posteriore mentre Pepper si accinge ad avviare l’auto.

“Ok,” dice lentamente Peter, accigliandosi.

“Tony,” lo chiama di nuovo Pepper.

“Justin, tu ti metti dal lato dei piedi, non mi fido ti te.”

Justin sfodera un’espressione orripilata, così come gli altri. “Tony, questa è una cosa tremenda--”

“Per favore,” dice Tony, agitando le mani. “Preferirei che tu non fossi affatto nella macchina, ma sai che ho finito per--”

“Tony…”

“Pep?” chiede lui, guardandola da sopra la spalla.

“Hai finito per? Per cosa?”

Pepper lo guarda da dentro l’abitacolo. “È finita la benzina,” dice. Batte rapidamente le palpebre, scuotendo la testa, e lui aggira l’auto per controllare di persona. Lei si reclina sul sedile, tenendosi la pancia con una mano e gesticolando verso l’indicatore del serbatoio, che è sotto al livello minimo. “Non capisco, avevo più di mezzo serbatoio--”

“Funziona così, qui,” dice Tony, a voce troppo alta, abbattendo due volte il palmo sul tettuccio della macchina mentre sente le sue speranze affievolirsi. “Questo-- è come tutte le altre cose che ci sono successe per colpa del loop--”

“Cristo…” Pepper si interrompe, picchiettando invano con l’unghia sull’indicatore. “Questo è-- è semplicemente--”

“Prendiamo la nostra,” dice Justin.

“La mia,” dice Rhodey.

“Tu non dovresti neanche venire con noi,” conclude Happy, mentre si avviano in quella direzione senza curarsi di Pepper e Tony. “Questo casino è colpa tua, tanto per cominciare, non saremmo neanche qui se…”

Tony alza lo sguardo e vede Peter di fianco alla macchina, che li aspetta. Gli fa un piccolo sorriso, prendendo Pepper per mano e aiutandola a scendere, per poi chiudere la portiera senza dire una parola e seguire gli altri.

“È bello rivederti,” le dice Peter, sorridendo timidamente, e Pepper lo stringe a sé, abbracciandolo mentre camminano e dandogli un bacio sulla testa.

“Anch’io sono contenta, caro,” dice. “A dispetto della situazione.”

Tony li osserva, mordicchiandosi il labbro inferiore mentre si avvicinano al punto in cui l’auto è parcheggiata, e dove gli altri tre stanno ancora discutendo.

“May sta… sta bene?” chiede Peter. “Per davvero?”

“Sta bene,” dice Pepper, mentre inizia a nevicare più forte. “È solo preoccupata. Ma le ho detto che non sarei tornata senza di te, e ho tutte le intenzioni di tornare.”

“Riusciremo a risolvere tutto,” dice Tony, con la voce che si sfalda perché, Cristo, devono farcela, devono risolvere tutto, l’ha saputo per tutto questo cazzo di tempo ma adesso lo sa più che mai. Si chiede se Pepper sapesse che vederla, vederla qui, l’avrebbe rimesso in moto.

Rhodey si siede al posto di guida, indirizzando nel mentre un brusco stai zitto a Justin, ma Tony avverte già il fallimento nell’aria prima ancora che avvenga. Non sa se anche quello sia colpa del loop, quelle avvisaglie che lo preparano alla delusione, perché l’ha avvertito più volte subito prima di fallire.

Sente il motore faticare ad avviarsi, e osserva il linguaggio corporeo di Rhodey, che sembra mettere tutta la forza che ha in corpo nel girare la chiave. La neve si accumula tra i loro capelli e sulle loro spalle.

“No, no,” dice Rhodey, in una cantilena.

“Di nuovo?” esclama Happy. “Di nuovo? È proprio come hai detto tu… è accaduto come--”

“Non mi sorprende,” dice Justin, scrollando le spalle.

Tony ha la tentazione di voltarsi e dargli un pugno in faccia, ma non vuole lasciarsi andare così di fronte a sua moglie incinta: l’atmosfera qui è già abbastanza disturbante senza aggiungerci anche la violenza.

“E se ce ne andassimo a piedi?” chiede Pepper.

Tony tende una mano e un mucchietto di neve si accumula sul suo palmo aperto nel giro di pochi secondi, e scuote la testa. “Potremmo. Forse noi potremmo. Ma non tu.”

“Tony--”

“Non mi piace nemmeno l’idea di far andare a piedi loro, perché so cosa cazzo succede quando ce ne andiamo a piedi,” dice Tony. Si ricorda ognuno di quei momenti terribili, il gelo nelle ossa, e quando alza lo sguardo vede un fulmine ramificarsi nel cielo in lontananza. “E guarda adesso…” dice, indicandolo. Scuote la testa. “No. Finisce qua, siamo fuori. Dentro. Basta così.”

Rhodey sta ancora cercando di avviare la macchina. “No, devo provarci ancora, ci riuscirò.”

“Rhodes…”

“Tony, maledizione, non possiamo arrenderci--”

Tony si avvicina a lui e si allunga dentro la macchina, scuotendolo per la spalla. “Funziona così,” dice, mentre il cielo tuona e la neve si fa sempre più fitta. Sente il cuore dibattersi nel petto e si guarda intorno, con crescente preoccupazione. “Andiamo dentro, forza. Andiamo.”

Rhodey lascia ricadere la testa. Tony sa come deve essere sentirsi riversare addosso tutte quelle informazioni sconosciute– o meglio, le cose che dice loro, quelle che non si ricordano. Quelle che hanno vissuto e che hanno dimenticato. Non vogliono crederci, vogliono credere che questa volta – che per loro è la prima – sarà quella giusta. E fine. Tony si sente spezzare il cuore ogni cazzo di volta.

“Va bene,” dice Rhodey, togliendo sconfitto la chiave.

 
§

 
“Dove sta andando?” chiede Pepper, mentre Justin cerca di svicolare via lungo il corridoio.

“Uh, so di non essere il tuo preferito,” dice Justin, voltandosi e indicandola. “Sono riuscito a… conquistare in parte Tony, e ora mi difende dagli altri, ma tu-- tu…” non completa la frase, e continua lungo il corridoio più rapidamente che può, sparendo alla vista.

“Domani ti voglio al massimo della forma, Hammer!” grida Tony. “Lavoreremo più di quanto abbiamo mai fatto finora!”

Non ottiene risposta, e un pesante senso di fastidio e sconfitta aleggia sul gruppo mentre si avviano alla loro stanza. Trasportano i bagagli di Pepper: una piccola borsa da viaggio e una valigia gigantesca che pesa più di Peter.

“Non dirmi che ti ha davvero conquistato,” dice Pepper.

“È complicato.”

“Tony.


“Sai cosa non è complicato? Il fatto che tu non dovresti essere qui.”

Rhodey si schiarisce rumorosamente la gola, ma Tony rimane focalizzato su Pepper, che riesce a sembrare minacciosa anche mentre cammina ondeggiando lungo il corridoio.

“Non potevo lasciarti qui, Tony, non dopo quella telefonata.”

“Perché non hai mandato qualcun altro?” chiede Tony, portando in alto la mano libera. “Chiunque altro. Steve. Natasha. Gregory, della sicurezza.”

“Greg non sarebbe stato adatto,” interviene Happy. “Non-- non ha la stoffa per questo tipo di cose.”

“Tu sei una mia responsabilità,” dice Pepper. “Siamo io e te, siamo noi da quando ci siamo conosciuti e l’abbiamo scolpito nella pietra quando ci siamo sposati, Tony--”

“Uh, siamo arrivati,” dice Peter.

“Perché mai qualcuno dovrebbe riuscirci meglio di me?” dice Pepper, quasi gridando.

“Sei incinta!” dice Tony, scaldandosi per dover constatare l’ovvio.

“Non vuol dire che sia incapace!

“Prendigli la valigia, ragazzo,” dice Rhodey. “Li ho già visti in questo stato--”

“Sì, anch’io,” dice Peter, e anche se Tony non lo sta guardando, sente che gli scolla la valigia dalle mani.

“So che non sei incapace,” dice Tony, prendendo a gesticolare adesso che può, e scorge gli altri che si allontanano lentamente dal suo campo visivo, chiudendo la porta dietro di loro. “Sei… sei l’opposto. La gente dice quelle stronzate sulla loro altra metà, sui loro partner, ma tu… con te è vero, sei tutto ciò di buono che ho--”

“Tony--”

“So che sei in grado fare tutto, ma Cristo, Pep, non voglio mettere te e nostra figlia in pericolo, questo è esattamente il contrario di ciò che voglio. Ho coinvolto già Peter, Happy e Rhodey, tre persone a cui-- a cui tengo tantissimo, bloccate in questo… abisso--” La sua voce si spezza e si copre la bocca, distogliendo gli occhi. “Ho dovuto vederli… soffrire, farsi male e morire, dimenticare tutto ogni-- ogni giorno e non riesco… non riesco--”

Lei fa un passo avanti, circondandolo con le braccia, e lui deve sforzarsi di non crollare. “Mi dispiace, amore,” mormora, baciandogli la guancia. “Mi dispiace, ma dovevo… dovevo venire a prenderti. Dovevo farlo. Ho dovuto discutere coi piloti e con ogni posto di blocco che ha tentato di fermarmi, ma… dovevo venire qui. Non potevo mandare qualcun altro sapendo in che condizioni eri, non potevo… dovevo essere io.”

Lui sospira, affondando il volto nel suo collo. Sa di essere tra l’incudine e il martello, e lo detesta, ma si trova a capirla; non la vuole qui ma è riconoscente, è grato di essere di nuovo tra le sue braccia.

Non è più capace di fare nulla, ormai.

 
§

 
Quando entrano finalmente in stanza, Happy, Rhodey e Peter sono seduti sul letto di quest’ultimo, confabulando tra loro, e alzano di scatto la testa al loro ingresso come se li avessero sorpresi a fare qualcosa di sbagliato.

“Che succede?” chiede Tony, tenendo aperta la porta a Pepper per poi chiuderla alle loro spalle. “Perché ci guardate così, è successo qualcosa? Justin non è qui, no? Nascosto sotto il letto…”

“No,” risponde Peter. Abbassa lo sguardo, sollevando i piedi. “Almeno non credo.”

Tutti e tre smuovono il letto, ma non succede niente. Tony calcia la sua valigia lì sotto, per sicurezza. Ma non succede nulla.

“Siamo solo preoccupati per quello che ci succederà domattina,” dice Rhodey. “Quando ci sveglieremo, come ogni giorno… solo che adesso Pepper è qui.”

Tony sposta il peso da un piede all’altro, ricordando la storia di Justin su quello zio e il nipote. Non sa se raccontargliela, ripetendo quello che ha detto riguardo al nipote che si era buggato quando aveva visto che suo zio era lì. Percepisce altri minuscoli pezzi di se stesso che si sfaldano al pensiero di vedere i suoi amici “buggarsi”, o qualunque altra cosa potrebbe accadergli, e si fissa la punta delle scarpe.

“Vorremmo solo ricordare,” sospira Happy, come se avesse raggiunto il proprio limite di sopportazione, anche se per lui è passato solo un giorno. “Insomma, dopo tutto quello che ci ha detto Tony… Dio, vogliamo solo che finisca. Per lui e per noi.”

Tony si schiarisce la voce, preparandosi a dire qualcosa, non sa bene cosa, ma in quel momento Pepper si fa avanti, fermandosi di fronte a loro.

“Venite qui,” dice, facendo loro un cenno.

Si alzano tutti, un po’ confusi, e non appena sono in piedi Pepper li abbraccia tutti e tre, stringendoli a sé. Tony li osserva, mentre la confusione dipinta sui loro volti si trasforma in sollievo, e chiudono gli occhi ricambiando l’abbraccio e allentando un po’ della tensione che aleggia nella stanza.

“Qualunque cosa sia, la risolveremo,” dice Pepper, passando le dita tra i capelli di Peter. “Andrà tutto bene, non-- oh.” Ride, ritirando una mano e posandola sulla sua pancia.

“Che succede?” gracchia Tony, con tutte le sue peggiori paure che riemergono prendendo a sciamare attorno a lui. Avverte un senso di vertigine e barcolla appena sul posto. “Cosa… è--”

“Sta solo scalciando,” dice Pepper, sorridendo e guardandolo da sopra la spalla. Si volta di nuovo mentre Tony si avvicina, e prende la mano di Peter posandola sul pancione. “Anche voi, su,” dice, invitando Happy e Rhodey. “L’avete mai sentita scalciare?”

“Solo una volta,” risponde Happy. “Ma forse era ancora troppo--”

“No, quella volta non conta,” ride Pepper.

Dio, la sua risata. Quel suono gli riempie le orecchie, bloccando fuori tutto il resto mentre guarda le loro reazioni nel sentir scalciare sua figlia. Si sente sopraffatto, nel guardare la tenerezza di quel momento, la gioia nei loro occhi, il modo in cui Pepper guida le loro mani per seguire i movimenti della bimba.

Tony libera un sospiro tremante, con gli occhi un po’ appannati. Magari, dopotutto, c’è speranza.

 
§

 
Poco dopo, Peter chiede loro se deve trasferirsi da Happy e Rhodey, ma entrambi gli dicono di no, e Tony omette il fatto che, comunque, si risveglierebbe nel suo letto il mattino dopo. È convinto che, in modo inconscio, Peter lo sappia già.

La paura si fa più insistente man mano che il tempo scorre, nonostante sua moglie sia a letto con lui, vicina. Le ha solo chiesto di parlare – sussurrando, perché Peter dorme – e di dirgli tutto. Mancano cinque minuti a mezzanotte e non vuole dirle che il nuovo giorno sta arrivando, lo stesso giorno, con elementi sconosciuti che incombono all’orizzonte.

Se anche gli altri non avessero parlato con Pepper, sarebbe convinto di stare avendo un’allucinazione.

“May e Natasha mi hanno aiutata con la stanza della bimba,” gli dice. “Tasha continuava a chiedermi dove fossi e ho continuato a rifilarle scusa. In effetti ho, uh – ce l’ho in borsa.”

“Mh?”

“Diciamo che l’ho ingannata – e non è cosa da poco, lo so – le dicevo di quando la bambina sarebbe cresciuta, che ci saremmo preoccupati, sai… un po’ di paranoia proiettata nel futuro, e alla fine mi ha portato un piccolo localizzatore che Clint usa coi suoi figli. Ha detto che probabilmente ti saresti comunque inventato qualcosa di simile – e poi l’ho connesso al suo telefono senza che se ne accorgesse.”

Tony le sorride, scuotendo la testa.

“Ho pensato che… avremmo potuto provare a inviare un segnale e vedere che succede. Se succederà qualcosa. Anche se penso che finirebbe per precipitarsi qui.” Scrolla le spalle. “Non lo so.”

“Ho pensato di farli venire tutti qui,” mormora Tony, con gli occhi che scattano verso l’orologio a seguire il tempo che sta per scadere. “Ma ho… ho capito, in questo tempo che abbiamo passato qui, che non è una lotta. Non c’è una battaglia, è… qualcos’altro. Ma non so cosa.”

Pepper annuisce, con un brillio negli occhi. “Quindi immagino che non avrei dovuto portare la valigetta dell’armatura?”

Tony quasi si strozza. “Hai--”

“Sì.”

“È per questo che hai… che la tua valigia pesa una tonnellata?”

Lei annuisce, sorridendo.

“Wow, sei-- sei-- nei secoli dei secoli… la cosa più bella di questo mondo.” Si sporge verso di lei, prendendole il viso tra le mani, e la bacia con impeto sentendola ridere contro la sua bocca. “Hai fatto bene,” sussurra poi. “Anche se non è una battaglia, troverò un modo per usarla.”

Lei gli rivolge un gran sorriso, poi i suoi occhi si soffermano sul suo polso. Allunga una mano, staccando qualcosa dalla sua pelle per poi lasciarlo andare con uno schiocco. Lui assottiglia gli occhi, seguendo il suo sguardo e sentendo il cuore che accelera i battiti.

“Cosa… cos’è questo?”

Tony lo guarda, e anche nel buio riesce a vederlo, ora che l’ha messo a fuoco. Tutto sembra scomparire attorno a lui, lasciando posto solo al suo istinto e al ricordo di quel primo giorno, il primissimo giorno, e il puro, scioccante orrore di vedere Justin nella hall coi suoi stupidi regali, quei cazzo di regali… e il braccialetto che gli aveva annodato al polso, l’altra metà di quello che aveva lui, il braccialetto di cui Tony si è dimenticato quasi subito. Non ci aveva più fatto caso. Fino ad ora.

I suoi vestiti si resettano ogni giorno. Non dovrebbe averlo ancora addosso. Non dovrebbe essere possibile. È morto – è morto, cazzo – e ha ancora questo fottuto braccialetto addosso. Sin dal primo giorno. Day number one [1]. Merda, ha perso il braccio destro, mozzato nell’incidente d’auto… se quest’affare fosse stato sul braccio destro, sarebbe ricomparso il giorno dopo? Può perdere un braccio… ma non questo braccialetto?

È chiaro che ha un qualche tipo di amuleto magico al polso sinistro. Il suo braccio difettoso. Il braccio del Guanto.

La sua mente inizia a lavorare frenetica. Ha la bocca secca. Si sente male.

Lo indossano entrambi: lui e Justin. È l’unica cosa che li contraddistingue… a parte cosa? Che entrambi ricordano, cazzo. Dev’essere per questo, è per questo che ricorda, che ricordano entrambi. Un cazzo di maledetto bracciale magico, che è sempre stato sotto i suoi occhi.

Respira a fatica dalla bocca, fissando il braccialetto, fissando Pepper che fissa il braccialetto.

“Ma che cazz--"

GIORNO TRENTASETTE
 
So when you’re near me, darling can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 
Tony apre di colpo gli occhi, e prima di poter formulare qualunque pensiero, Pepper si alza di scatto nel letto.

“Che diavolo è stato?” chiede. “Ho… ho sbattuto le palpebre e poi è… è cambiato tutto--”

Tony sta respirando con difficoltà, sta perdendo il controllo – Pepper è qui, è qui, è un nuovo giorno – ma Peter sta per svegliarsi. E quel cazzo di braccialetto. Si guarda il polso… e l’impossibile diventa possibile. Perché diavolo lo sta ancora indossando-- come ha fatto a non accorgersene-- e che cazzo significa? Significa quel che pensa? Il fatto di ricordare… è questo il motivo? Ha ragione? Gli sembra un incubo. Che diavolo vuol dire tutto questo in relazione a Justin?

Tony scambia una rapida occhiata colma di panico con Pepper. È scioccante che lei ricordi, ma era già al corrente del loop, quindi è ovvio che se ne ricordi, e per lei sarà così ogni mattina… penserà che è il primo giorno, il primo giorno di una serie infinita, e si chiede cosa le accadrà, cosa accadrà alla bambina – scuote la testa nella sua direzione, cercando di trasmetterle come si sente, le sue paure, per poi affrettarsi a spegnere la sveglia.

“Peter si--”

“Sta per svegliarsi,” dice Tony, girando la sveglia e disattivando la musica.

Ma ormai non “sta per” fare nulla, perché Peter è già seduto nel letto, e fissa ad occhi sbarrati Pepper.

“Tony, cosa-- Pepper, come-- quando è…” porta una mano alla tempia, sussultando appena. “Ho-- sto per-- è successo qualcosa?”

Tony sta per dare di matto ed è tentato di inventarsi qualche balla, di dirgli che è arrivata stanotte, ma sa che essere sinceri è la mossa migliore e ha l’impressione, a giudicare dalla faccia di Peter, che si stia buggando. Quella realizzazione lo colma di paura. Non ha idea di cosa significhi, ma non può essere nulla di buono.

Si alza di corsa dal letto e si avvicina a lui, sedendosi lì accanto e prendendolo delicatamente per le spalla. “Ragazzo, guardami,” gli dice, e porta una mano al suo volto per costringerlo a incontrare i suoi occhi. Peter sta tremando, chiaramente sconcertato e confuso, e Tony gli dà una pacca sulle spalle, scompigliandogli poi i capelli. “Ascolta, devi credermi… ascoltami e basta, ti fidi di me, giusto?”

“Certo,” dice Peter, con voce tremante. “Io-- lei non era qui, ma-- ma era-- non… non sono sicuro, forse è stato un sogno.”

Tony sente Cher che canta nell’altra stanza e sa cosa sta per succedere, sa che sta per avere tre persone buggate da gestire invece di una sola, e vorrebbe che Pepper potesse aiutarlo, perché sa come rapportarsi con loro, soprattutto con Happy, ma è proprio la sua presenza a causare quel cazzo di bug. Le lancia un’occhiata e vede che li sta osservando, combattuta, poi concentra di nuovo la sua attenzione su Peter.

“Che sta succedendo?” chiede Peter, lentamente, e in quel momento si apre la porta.

Happy inchioda sul posto, notando immediatamente Pepper, e Tony si sente sopraffare, è vicino ad arrendersi, ma non può arrendersi di fronte a loro.

“Hap, non sei impazzito,” gli dice. “C’è uno sportelletto sul retro della sveglia, aprilo e manda Cher a quel paese, poi porta qui Rhodey. Devo spiegarvi un po’ di cose.”

 
§

 
Racconta loro tutto. Questa è la prima volta in cui si concentra davvero nel riepilogare la storia, gli eventi dell’inferno che hanno vissuto finora. Ma sente che finalmente hanno una traccia – una vera traccia, anche se non ha idea di dove li condurrà. Fa sedere Peter, Happy e Rhodey e spiega loro tutto – ogni dettaglio – e fa intervenire Pepper riguardo alla sua chiamata disperata e al viaggio che ha affrontato, costellato dagli ostacoli creati dal loop. Perché sapeva chiaramente che Pepper stava arrivando, e che la sua volontà era incrollabile. Niente l’avrebbe fermata.

“E poi ci siamo accorti di questo,” dice Tony, passando un dito tremante sulla parte interna del braccialetto. Non ha idea di come non se ne sia accorto prima, ma classifica il fatto come un’altra delle stronzate del loop. Si chiede quanto sia potente, cos’altro può fare, cosa riesce a influenzare. Sembrerebbe una forza potente quanto Thanos, e il pensiero gli dà la nausea. Fa un sospiro.

“Cos’è?” chiede Happy. “Non è--”

“È il braccialetto che ti ha dato Justin,” dice Peter. “Il primo giorno.”

A quel punto la confusione svanisce dai loro volti, ogni segno del bug sostituito da chiarezza e determinazione. È grato che si fidino di lui, nonostante ciò comporti una grande responsabilità. Pensa che per loro può sopportare quel peso.

“I nostri vestiti si resettano ogni giorno, quindi non dovrei averlo ancora addosso,” dice Tony. “E cosa differenzia Justin e me dagli altri? Il fatto di ricordare tutto.”

“E avete entrambi un pezzo di quel bracciale,” dice Peter. “Stai dicendo… pensi che il bracciale sia… un amuleto magico o qualcosa del genere? Che vi fa ricordare i loop?”

“Già,” dice Tony. “Non so se ho ragione, ma… non lo so. Non trovo un altro motivo, e mi sembra un’ottima spiegazione per la domanda che ho continuato a farmi da quando mi sono svegliato ricordando e voi no.”

“Maledizione,” dice Rhodey, lasciando ricadere la testa in avanti. “Quello stronzo. Non-- non riesco a crederci.”

Tony trasalisce appena. Odia la sua mente e il suo istinto, ma dà immediatamente a Justin il beneficio del dubbio. Un mese fa ci avrebbe creduto all’istante, si sarebbe fiondato fuori dalla stanza per dargli un pugno in gola, ma adesso – che Dio lo aiuti – non crede che Justin sapesse quello che stava facendo quando gli ha dato il braccialetto.

“Tony,” dice Pepper. “Non credi che sia stato lui? Che ti abbia coinvolto di proposito? Conosco quella faccia. Ti ha ingannato per portarti qui, lo sappiamo, non puoi escludere che ti abbia dato quel bracciale perché sapeva che ti avrebbe permesso di ricordare, se è davvero quello a cui serve.”

“Tony,” dice Rhodey. “Non ti metterai dalla sua parte?”

“Dalla sua parte?” chiede Tony, inclinando il capo. “No. Non ci sono parti. Nessuna parte. Solo--”

“Solo?” chiede Happy, sollevando le sopracciglia. “Dopo tutto quello che ci hai detto? Tu sei morto, il ragazzino è morto… di nuovo--”

Tony sospira, guardando Peter. Lui scuote la testa, storcendo un poco la bocca. Si guarda intorno, scruta gli altri come se si stesse preparando a dire ciò che deve, poi tira su le spalle. “Deve avere un motivo, se non ci crede.”

“Sei troppo ingenuo, Peter,” dice Happy. “Ti vogliamo bene, ragazzo, ma vorrei ricordarti che Hammer ti ha quasi ucciso prima ancora che arrivassi al liceo. Sì, mi ricordo quel fatto, anche se a quanto pare mi hanno formattato più volte del mio pc.”

Tony scuote la testa. Non importa cosa stia accadendo: devono andare a parlare con Justin del braccialetto. Allunga una mano, arruffando i capelli di Peter in un silenzioso ringraziamento per il suo voto di fiducia, poi si alza in piedi. “Voi state bene? Non vi sta andando ancora in pappa il cervello? Perché ci eravate vicini, e intendo molto vicini.”

“Andiamo parlargli?” chiede Peter.

“Sì,” risponde Tony. “Andiamo a parlargli.”

 
§

 
“Che cazzo è questo, Hammer?” chiede Tony, piantando il polso in faccia a Justin. “Un braccialetto dell’amicizia, eh? È per questo che ricordo tutto? Un pensierino adorabile per me, eh? È per questo?”

Tony si concentra al massimo nei momenti che seguono per valutare se quell’idiota stia mentendo. Sono tutti di fronte alla sua porta come una squadra d’assalto, e nonostante sia consapevole di aver imparato a leggere meglio Justin da quando sono bloccati qua, sa anche che è un abile bugiardo.

Osserva gli occhi di Justin che mettono a fuoco il braccialetto dopo qualche istante, e poi un’espressione di puro sconcerto si delinea sul suo volto, un qualcosa di molto simile a paura. Sembra preso alla sprovvista, ma non per essere stato smascherato: Tony conosce quella faccia, conosce ogni emozione che l’ha attraversata in quest’inferno ghiacciato, e tutto ciò non è un frutto del suo innato, insistente ottimismo. Tony ne è certo. Justin non sapeva di indossare ancora il braccialetto, e tantomeno che servisse per ricordare.

Justin gli prende il polso e lo osserva scioccato.

“Non prenderci in giro, Hammer, sappiamo tutto--” comincia Rhodey.

“Che diavolo succede?” chiede Justin, ignorandolo e guardando invece Tony. “Come-- te l’ho dato il primo giorno--”

“Non mi stai prendendo per il culo, vero?” chiede Tony, assottigliando gli occhi.

“Credi che sia per questo che tu ricordi tutto?” chiede Justin. “Un… un coso magico?”

“Come sapevi di dovermelo dare?”

“Tony,” dice Pepper, in un avvertimento.

“Non lo sapevo, stavo solo… facendo lo stupido, pensavo fosse carino e che ti stesse bene e ho-- insomma, mi piaceva l’idea di indossarlo entrambi, non lo so…”

Tony lo fissa, osservandolo entrare nel panico, osservando la gamma di emozioni che lo attraversa, e maledizione, gli crede. Non sa se dovrebbe farlo, ma richiama i momenti prima di morire, la conversazione in corridoio, quella volta del bar e, Dio, Tony si odia, e odia il fatto di aver trovato una connessione e un modo per simpatizzare con Justin dopo essere rimasto intrappolato con lui a Nederland, ma gli crede. Ormai lo conosce.

“Tony-- come hai-- merda, devi credermi, non ho idea di-- come fai a dire che è questo a farci ricordare… solo perché lo indossiamo entrambi-- Tony, Cristo, io non--”

“Calmati,” dice Tony, facendo un passo indietro. Non afferma apertamente che Justin stia dicendo la verità perché vorrebbe evitare la valanga di urla che gli si riverserebbe addosso, e cerca di rammentare che diavolo abbia detto Justin quando gli ha dato quegli stupidi regali il primo giorno.

… un braccialetto di seta che mi ha dato la mia ex e che ho spezzato per condividerlo con te. Come i braccialetti dell’amicizia!

Tony sente di nuovo quel suono insistente nell’orecchio e avverte un senso di vertigine, come se lui fosse il pezzo di un puzzle e l’intero universo si stesse spostando attorno a lui mentre si avvicina alla verità. Pepper si sporge per prendergli la mano, e quel calore gli fa ritrovare l’equilibrio. Peter gli stringe la spalla.

“Che hai? Tony?”

“Hammer, dove hai preso il bracciale?” chiede Pepper, apparentemente in grado di leggergli nel pensiero e di percepire le sue emozioni. “Da dove salta fuori?”

Justin batte rapidamente le palpebre, squadrandoli a turno. “Uh, me l’ha dato la mia ex. Dopo che sono evaso.”

“Oh, mio Dio,” esala Tony, e sente gli altri parlottare.

“E perché è la tua ex?” chiede Pepper, lentamente, come se anche lei ci stesse arrivando.

“Oh,” ridacchia Justin, poggiandosi allo stipite. “Beh, la tradivo. Un sacco.”

“Cristo,” dicono all’unisono Tony e Pepper. Tony si volta a guardarla e lei sgrana gli occhi, scuotendo la testa.

“Ci stiamo arrivando tutti?” chiede Rhodey. “Perché io ci sono arrivato.”

“È stata lei,” dice Pepper. “È stata lei, Tony… Hammer, la tua maledetta ex-- ti ha intrappolato qui perché sei un deficiente. È stata lei.”

“Regina?” Justin ride. “No.”

“Regina ,” dice Tony. “Palesemente. Sei stupido? No, non rispondere. Hai detto che hai provato a contattarla, ma lei aveva – qual era la scusa del cavolo – perso il telefono? Era scollegato?”

“Scollegato.”

“Sì, ok, quello… è per questo che non risponde,” dice Tony, incrociando le braccia sul petto mentre inizia a camminare avanti e indietro. “È per questo che ti sta ignorando, cazzo, perché è stata lei a mollarti in questa brutta copia di un film di Bill Murray.”

“Non è-- no, non è possibile.”

“Sa usare la magia?” chiede Happy. “Cazzo, avevi una fidanzata magica che hai tradito e non te ne sei mai accorto?”

“Cosa? Magia? Non è possibile, insomma, no, non-- non che io sappia…”

“Non che tu sappia,” borbotta Tony, girandosi verso di lui. Guarda Pepper e gli altri, e detesta il fatto che siano rimasti bloccati qui a causa di Justin – beh, in realtà sono comunque bloccati qui a causa sua, ma a quanto pare, se sono sulla pista giusta, sono letteralmente bloccati a causa sua, perché il maledetto loop è stato conseguenza diretta dei suoi errori.

“Hai una sua foto?” chiede Pepper.

Justin a quelle parole si raddrizza, mettendosi sulla difensiva. “Hai intenzione di fare un profiling magico alla mia ex basandoti su una sua foto?”

“Vogliamo controllarla,” dice Tony, reggendo il gioco di Pepper. Allunga una mano, dando a Justin una spinta sulla spalla, ma badando a non spingere troppo forte, visto che l’ultima volta l’ha ammazzato proprio così. “Dai, dai, so che il tuo telefono non muore prima delle due del pomeriggio, non provarci.”

Justin sbuffa ma si volta, rientrando nella sua stanza a soqquadro per recuperare il telefono dal comodino. “Bimbo-ragno, so che Tony ti farà guardare, quindi per favore non scorrere verso destra, o i tuoi occhi innocenti-- ehm, non scorrere neanche a sinistra…”

Tony gli sottrae il telefono e Peter lo fissa, scandalizzato.

“Bimbo-ragno?” chiede, orripilato. “Tony, gli hai--”

“Sì, scusa, ragazzino, ero ubriaco, ma non fa nulla,” dice Tony. Prende a fissare la foto quando Happy lo colpisce duramente sulla spalla.

“Non fa nulla?” gli chiede. “Proteggi l’identità del ragazzino con la tua vita e poi rimani bloccato in un loop temporale e la riveli a Justin Hammer, un cattivo dichiarato?”

“Cattivo dichiarato?” ride Justin.

“Cattivo di bassa lega,” dice Tony. Gli altri si raggruppano attorno a lui, con Peter e Happy ancora decisamente furiosi, e guardano tutti il telefono. La donna assomiglia a una professoressa che conosceva al MIT: ha corti capelli rossi a incorniciarle il volto, è pallida, con occhi azzurri e brillanti, e fissa l’obiettivo con un sorriso un po’ malizioso.

“Non si capisce se è una strega o meno,” dice Rhodey. “Però è bella.”

“Già, grazie,” dice Justin, alzando il mento.

“Non è certo merito tuo,” dice Pepper, fulminandolo.

Tony gli restituisce il telefono. Inizia a preoccuparsi, adesso, ma è convinto che abbiano ragione su di lei, quindi deve rimanere concentrato. “Dicci tutto,” intima a Justin. “Perché ti ha dato il braccialetto, perché diavolo l’hai tradita, come ti ha fatto evadere, tutto quanto.”

Justin emette un verso seccato, ma sono tutti sulla stessa barca, una squadra, e Tony incrocia le braccia sul petto in attesa dei dettagli. Justin scrolla la testa, roteando gli occhi, poi comincia a palleggiare il telefono da una mano all’altra. Di rimando, Tony prende a giocherellare con la sua fede nuziale, facendola scorrere sull’anulare.

“Uh… l’ho tradita perché io… sono io, e mi ha beccato con tre donne in tre occasioni diverse, poi con un uomo, e alla fine ci siamo lasciati, ma sembrava… sembrava tutto a posto!”

“Non è mai tutto a posto,” dice Pepper.

Justin le lancia un’occhiataccia. “Comunque sia, siamo rimasti in contatto, anche durante le nostre divergenze, Tony-- insomma, stavo per sposarla, quindi… ci conoscevamo molto bene e mi ha sempre aiutato a uscire dai guai…”

“Oddio,” dice Happy, guardando Tony.

“Ed era una guardia a Seagate prima che ci andassi in villeggiatura, era al corrente di quel casino con Luke Cage [2]… ha messo fuori gioco un paio di persone, ha fatto esplodere qualcosa e mi ha fatto evadere con una barca, aiutando altra gente così che non si mettessero solo sulle mie tracce…”

“Cristo,” dice Tony. “Bene. Meraviglioso.”

“Quando ti ha dato il bracciale?” chiede Pepper, mostrando segni d’impazienza.

“Non appena siamo arrivati in un posto sicuro,” dice Justin, toccando a disagio l’oggetto. “Uh, stavamo per dividerci… io dovevo venire qui. Ha detto che era un… portafortuna.”

“Ah, non c’è dubbio,” dice Rhodey, fissandoli. “Io sono convinto. Scommetto che ha usato migliaia di volte la magia in tua presenza e tu sei stato abbastanza idiota da non accorgertene.”

Justin inclina di lato la testa. “Insomma, è molto fortunata. Ha avuto l’aspetto di una ventenne negli ultimi quindici anni. E l’evasione, merda… quella è sembrata magia, davvero, ho pensato un centinaio di volte che avrei mandato tutto all’aria, ma continuavo a uscire da brutte situazioni dalle quali teoricamente non sarei dovuto uscire…”

Tony porta le mani al volto, coprendosi gli occhi per trattenersi dallo strangolare a morte Justin. Non ha idea di cosa gli stia prendendo. Si sente in subbuglio. Una parte di lui è dubbiosa, un’altra è certa, un’altra è spaventata e preoccupata di essere in un vicolo cieco, e un’altra vorrebbe urlare e festeggiare e fare i salti di gioia, abbracciando e baciando chiunque gli capiti a tiro. Sono due passi avanti, sotto ogni punto di vista, e vuole andare fino in fondo.

“Andiamo a vestirci,” dice Tony, interrompendo Justin.

“Che succede?” chiede Justin.

“Vestitevi e basta,” dice Tony, senza curarsi di lui. “Adesso si cambia prospettiva.”

 
§

 
Si preparano e Tony sente di nuovo quel suono nell’orecchio. Si chiede se il suo corpo non abbia deciso di andare definitivamente in shutdown in seguito a tutti quegli attacchi di nervi, o per aver pensato troppo.

“Quindi userai l’armatura portatile?” chiede Happy, dall’altra stanza.

“Sì, andrò in ricognizione,” dice Tony, infilandosi la maglietta. “Vedo se riesco a trovare una via di fuga.” Vuole volare abbastanza in alto per cercare di uscire dalla maledetta bolla magica e sbucare dall’altra parte. Vorrebbe provare a far uscire anche gli altri, ma deve prima fare un tentativo con uno di loro. Non sa chi, e il pensiero di dover scegliere lo fa sentire male: teme cosa potrebbe accadere nel tentativo.

“Secondo me la sua ragazza è nascosta da qualche parte in città,” dice Peter, indossando la sua seconda giacca e guardandosi intorno. “Così può tenerlo d’occhio, no? Controllare che la magia funzioni.”

Tony gli rivolge un cenno d’assenso. “Ben detto, ragazzo, è probabile. È… è una buona pista, dovremmo iniziare a perlustrare i dintorni per trovarla.”

“Io ci credo, a questa storia,” interviene Rhodey, dall’altra stanza. “Ma come accidenti ha fatto Hammer non realizzare che, uno, la sua fidanzata è una dannata strega e, due, che era qui in città? È rimasto qui in eterno, ha cercato ovunque… deve averla vista per forza.”

“È un idiota,” dichiara Happy, anticipando Tony che stava per dire lo stesso.

“Peter ha ragione,” dice Pepper, sedendosi sul letto e dondolando i piedi mentre li aspetta. “Ho parlato con Strange e ha detto che, se è un incantesimo, chi lo ha lanciato deve per forza essere qui vicino.”

Tony si blocca. Si gira. Prende un grosso respiro e cerca di impedire al proprio cervello di esplodere. Le punta contro l’indice. “Hai parlato con Strange?” chiede, sforzandosi di non gridare.

Pepper non sembra turbata. “Sì.”

Tony la fissa. Gli altri tacciono. Happy fa capolino dalla porta comunicante.

“E quindi?” chiede Tony, alzando di una tacca la voce. Si guarda intorno, allargando le braccia. “Dov’è? Dov’è lui? Potrebbe risolvere tutto questo macello con una cavolo di frase in latino!”

“Aveva da fare.”

Tony ha l’impressione che l’universo si stia ripiegando su se stesso, o qualcosa del genere, il che sarebbe in linea con quello che sta accadendo adesso a Nederland. Cerca di non urlare. Cerca con tutto se stesso di non urlare. “Da fare?” urla. “Da fare? Qui c’è da fare. Noi abbiamo da fare, proprio qui! E perché non me l’hai detto prima? Con chi altri hai parlato?”

“Questo casino-- sono successe molte cose da quando gli ho parlato, Tony, e sto cercando di gestire tutto, gravidanza inclusa, quindi--”

“Ok,” dice Tony, sfregandosi gli occhi. “Ok, va-- va bene, adesso sono ancora più certo che la sua ragazza sia qui intorno ad osservare la sua opera. Prenderò a calci in culo Strange quando tornerò a casa.”

Quando tornerai a casa,” dice Peter, sorridendo.

“Quando torneremo a casa,” dice Tony.

“Perfetto,” dice Happy, battendo le mani mentre lui e Rhodey entrano nella stanza. “Troviamola! È sicuramente in città.”

 
§

 
“Sicuramente non è in città,” sbuffa Justin, mentre entrano nella hall. “L’avrei notata.”

“Probabilmente è invisibile,” dice Peter.

“Invisibile?” chiede Justin, rivolgendosi a Tony con occhi sbarrati. “Non è possibile. Non è possibile.”

“O magari ha preso le sembianze di qualcun altro,” dice Pepper. “Nascosta in piena vista.”

Tony tiene aperta la porta per tutti e sospira quando l’aria gelida lo colpisce. Capta in lontananza la canzoncina dell’uomo congelato, sente i bambini che chiamano Jeff, vede i fiori appassiti che luccicano al sole.

“Quindi lo diamo per buono?” chiede Justin. “Diamo la colpa a Regina?”

“Ha senso, cretino, e non abbiamo altri indizi, quindi lo diamo per buono,” dice Tony, uscendo e aumentando la presa sulla valigetta dell’armatura. “Hai fatto incazzare pesantemente una donna, così tanto da convincerla a intrappolarti in questo girone infernale per un lasso di tempo indefinito, e ha senso, è logico, e io ci credo.”

“Anch’io,” dice Pepper, guardando male Justin.

“E adesso hai un’armatura,” dice Justin, guardando la valigetta nella mano di Tony. “Un vecchio modello, ma… aspetta, vuoi far saltare in aria qualcosa? Spaventare quelli che giocano a bowling coi tacchini? Vendicarti del tipo col parka?”

Tony socchiude gli occhi. Elabora rapidamente un piano tra sé, cercando di spingere da parte le sue emozioni. “Rhodey,” dice poi, indicandolo senza distogliere lo sguardo da Justin, “andrà con te…”

“Eh?” chiede Rhodey, girando di scatto la testa verso di lui.

“… a cercare la tua ragazza. Partiamo dal presupposto che abbia mantenuto il suo aspetto e che si stia nascondendo; in caso contrario, domani ricominciamo da capo con l’idea che si sia trasformata in qualcun altro. Rhodey, sei quello di cui mi fido di più per tenerlo in riga.”

Rhodey si discosta da Justin, incrociando le braccia. “Va bene.”

“Pep, tu e Happy rimarrete in città a controllare che non ci sia nulla di sospetto, perché se è così potente come pensiamo…”

“È molto potente,” dice Justin, inarcando le sopracciglia.

Tutti emettono un verso disgustato, e Tony alza gli occhi al cielo.

“… come stavo dicendo, se è-- se è una strega e ci sta tenendo d’occhio, potrebbe sapere che la stiamo braccando e potrebbe mettersi in gioco in prima persona per vedere cosa stiamo facendo. Ve ne occuperete voi due.”

“Ok…” dice Pepper, anche se non sembra esattamente d’accordo.

“Penso io a lei,” dice Happy, affiancando Pepper. “E anche a tutto il resto.”

Tony sospira, deglutendo a forza. “Pete, tu vieni con me nel mio… tentativo di fuga. Odio farlo, non volevo scegliere nessuno di voi perché non so che cazzo accadrà, ma ho pensato… che Spider-Man fosse il più indicato se dovessimo… precipitare da una grande altezza. E si spera che le eventuali magie non mi ridurranno così male da impedirmi di prenderti al volo.” Si sente la testa leggera solo a dirlo, come se così facendo stesse dando idee alla strega. Lo innervosisce sapere che c’è qualcuno dietro il loop, qualcuno di reale e concreto, con un volto; sa che non ne ha avuto conferma, non ancora, ma sa che hanno ragione. Sa che hanno imboccato la strada giusta, quella con una fine dove lei li sta probabilmente aspettando, ma non sa ancora come arrivarci.

Peter raddrizza le spalle e fa un cenno d’assenso. “Ok. Ok, va bene. E mi fido di te, andrà… andrà tutto bene, funzionerà.”

“Beh, ne dubito,” dice Tony, con un sorriso triste. “Ma dobbiamo provarci.”

“Non ti toglierai il braccialetto, vero?” chiede Justin, con gli occhi che scattano verso il polso di Tony.

“Oh, credi che sia questo a farmi ricordare?” lo punzecchia Tony. “Adesso ci credi?”

“Forse.”

Tony ci ha pensato. Togliersi il bracciale, lasciar trascorrere un giorno e poi venir resettato, ma non porterebbe a nulla. Non si sentirebbe più come si è sentito per tutto questo tempo, perché non sarebbe in grado di ricordarsi nient’altro. E tornerebbe indietro di un mese intero. Sicuramente avrebbe modo di riprendere fiato, ma perderebbe tutte le emozioni che lo spingono disperatamente verso la via di fuga che hanno cercato di raggiungere finora.

“No,” dice. “Non lo toglierò.”

 
§

 
“Capo,” dice FRIDAY. “È bello sentire la sua voce.”

“Anche la tua,” replica Tony, e sa che Peter riesce a sentire la sua emozione mentre parla. Cerca di non affidarsi così tanto alle armature perché sa quali sono le implicazioni, ma tornare dentro una di loro dopo essersi sentito così stupidamente impotente per così tanto tempo gli fa quasi vedere le ginocchia metalliche.

“Hai istallato FRIDAY anche nella vecchie armature?” chiede Peter.

“È in rete, quindi viene caricata su ogni mio dispositivo, vecchio o nuovo,” dice Tony.

“Puoi chiamare fuori di qui?” chiede Peter.

“Ci ho provato subito,” dice Tony, maledicendo di nuovo Strange. “Ho chiamato il nostro stregone preferito, ma, qualunque cosa stia facendo, non è certo preoccuparsi per noi.”

“Immagino che chiamare chiunque altro non avrebbe molto senso, eh?”

Tony sospira vedendo cambiare la sua espressione. L’armatura prende a monitorare i segni vitali di Peter in automatico, e Tony vede i battiti del suo cuore che accelerano. È stanco di vedere il ragazzo in questa situazione, e ha intenzione di porre rimedio in modo eclatante quando torneranno a casa. Missioni congiunte tra Iron Man e Spider-Man, una montagna di roba nuova per la sua stanza al MIT – merda, devono fare i conti anche con quello. Le sue paure riguardo all’università, di trasferirsi, e tutto il tempo che hanno perso.

Tony si ferma di colpo e si prende un momento per apprezzare il fatto che sta pensando al futuro. Come se potessero davvero riuscire ad arrivarci.

“Vorrei che Pepper avesse portato anche la mia tuta,” dice Peter, torcendosi le mani.

“Sì, così non sarebbe mai riuscita a impedire a May di venire con lei.”

Peter annuisce, spostando il peso da un piede all’altro. Una folata di vento li colpisce, facendo cadere i fiocchi di neve in orizzontale per un secondo, e Peter si stringe nella giacca. Si sono spostati dietro agli enormi alberi vicino al lago dove Justin è morto la prima volta, perché Tony vuole evitare di scatenare il caos andandosene in giro nelle vesti di Iron Man. Sa che lo vedranno comunque in volo, e di sicuro lo vedranno anche fallire.

“Ho l’impressione che tu non riponga grandi speranze in questo piano,” osserva Peter, riuscendo in qualche modo a leggergli nel pensiero anche se il suo volto è nascosto dalla maschera.

“Non abbiamo avuto molta fortuna, finora,” dice Tony, anche se è rincuorato dal fatto di avere finalmente una delle sue armature addosso. Magari quello è un tipo di fortuna a cui non sta dando abbastanza importanza. Sospira, facendo un passo verso Peter. “FRIDAY mi avvertirà se l’armatura dovesse avere problemi, quindi se dovesse succedere farò dietrofront, sperando di tornare a terra senza precipitare.”

“Beh, finché non muoio, non dovrei avere problemi,” dice Peter, annuendo un po’ incerto. “Guarisco in fretta, ho la guarigione accelerata.

Tony socchiude gli occhi, anche se Peter non può vederlo. “Uh, e se ti rompi le ossa si salderanno male, lo sai.” [3]

“Sì, ma, insomma,” comincia Peter, mordendosi il labbro inferiore. “Poi starò… bene il giorno dopo. Domani. Il domani di oggi.”

“E se non ci fosse un domani?” chiede Tony. Scuote la testa e odia il fatto che questa non sia una conversazione faccia a faccia, così solleva la piastra frontale. Peter raddrizza le spalle. “Intendo… e se domani non fosse oggi? E se questo fosse l’ultimo loop e ti giochi le gambe? O, Dio ce ne scampi, qualcosa-- qualcos’altro…” Stringe i pugni nell’armatura e ne sente gli scatti metallici. È per questo che non riusciva a scegliere con chi provare a fuggire per primo: non poteva essere Pepper perché è incinta, e perché se l’avesse lasciata cadere di nuovo – di nuovo – non sarebbe sopravvissuto. E Peter, Happy e Rhodey… vuole loro così bene che non sa più cosa fare quando si sofferma troppo a pensarci: un affetto così grande comporta una perdita altrettanto grande. Ma Peter… è una sua responsabilità. Non può permettere che gli accada qualcosa. Non riuscirebbe a sopportarlo. Vuole porre fine al loop, più di qualunque altra cosa, ma non commettendo un errore fatale.

“Capo, le consiglio di prendere un respiro profondo, il suo battito cardiaco è troppo rapido.”

“Tony, tu sei il migliore,” dice Peter, facendogli un cenno col capo. “Sei… sei davvero il migliore. Hai fatto così tanto per me e non-- non penso… so che non ti senti così ottimista adesso. Lo capisco, soprattutto dopo quello che ci hai raccontato, ma… non so, sento che ne usciremo. Tutti interi, intendo, non… non rompendoci il collo o le gambe. E anche se questa cosa non funziona penso… penso che riusciremo comunque a farcela.”

“Cosa te lo fa pensare?” chiede Tony, con voce tremante, e detesta il fatto di suonare come un bambino quando è lui l’adulto.

“Non riesco a dirlo con certezza,” dice Peter. “Ho solo… un presentimento.”

Tony si fida di Peter, quasi sempre, quasi quanto Peter si fida di lui. Il ragazzino ha un buon cuore e un ottimo intuito, e forse è quella ritrovata speranza nella sua testa che lo sta facendo guardare al futuro. A una via d’uscita.

“Bene,” dice Tony, annuendo e chiudendo di nuovo la piastra frontale. Le schermate si accendono, e vede Peter annuire di rimando. “Aggrappati a me, e ti avverto se perdiamo quota. Ma sei un ragazzino sveglio: probabilmente te ne accorgerai prima tu.”

“Ok,” dice Peter.

Tony lo afferra il più saldamente possibile e decolla, coi propulsori che suonano in modo strano qui, dove non li ha mai sentiti prima.

“Fri,” chiama. “Fammi sapere se c’è qualcosa di strano. Intendo qualunque cosa.”

“Ricevuto, capo. Per ora, decolliamo senza problemi.”

Osserva Nederland rimpicciolire sotto di loro, con gli stivali di Peter che ondeggiano nel vuoto. Alcune persone che li notano, e attiva lo zoom riconoscendo dei volti familiari che li indicano, saltando su e giù. FRIDAY si premura di individuare Pepper e Happy, che li stanno osservando dal centro della piazza.

“Fri, hai sott’occhio il passaggio per uscire?” chiede Tony, continuando a salire.

“Sì, capo. Vi state avvicinando allo spazio aereo prestabilito. Mancano cinque metri.”

“Pete, tutto bene?”

“Sì!” grida Peter, sorridendo mentre guarda in basso e la città si fa sempre più piccola.

“Capo.”

Gli occhi di Tony scattano di lato. “Cosa?”

“Non-- Non sono sicura-- qualcosa-- qualcosa…” Gli schermi sfarfallano un poco e il cuore di Tony sprofonda. Inverte subito la rotta e vola verso il punto da cui sono partiti, a terra, stringendo saldamente Peter.

“Fri, qual è il problema?”

“Che succede?” grida Peter.

“Non-- Non lo-- Non lo so--” Gli schermi sfarfallano di nuovo, i propulsori si spengono per un istante e sono in caduta libera.

“Merda! Merda!” grida Tony. Passa all’alimentazione d’emergenza e riprende il controllo, accelerando la discesa. “C’è qualcosa che non va con l’armatura, lo sapevo, cazzo--”

“L’armatura funziona-- tutti i cilindri, tutti i processi sono-- non sono sicura-- fuori dalla mia--”

Gli schermi sfarfallano ancora, i propulsori crepitano e la neve inizia a cadere più fitta. Tony stringe i denti. Normalmente, quando l’armatura ha un problema, riceve tutti gli avvisi e le notifiche sugli schermi. Stavolta, niente.

“Reggiti forte, Pete,” dice Tony, scattando in avanti come una stella cadente.

Peter esegue, riparando il volto contro la sua spalla. Tony non sente più la voce di FRIDAY, e gli schermi vanno e vengono, come quelli di un vecchio computer morente. I propulsori singhiozzano, e sono a circa cinque metri da terra quando tutto si oscura. Non vede nulla, solo nero, sa solo che lui è in una cazzo di armatura di metallo e Peter no, quindi si raggomitola attorno a lui più che può, reggendogli la testa e preparandosi all’impatto.

Si schiantano attraverso un albero e poi, fortunatamente, in un mucchio di neve. Non è neve solida, ed è molta, così affondano completamente prima di fermarsi. È un bel po’ che non si ritrova in un’armatura spenta, e non riesce a sentire nulla fuori dal casco. Non sente Peter che si muove.

Il suo battito cardiaco accelera rapidamente e cerca a tentoni attorno a sé, trovando le spalle di Peter. Non riesce a fare nulla, conciato così, e sta entrando nel panico, respira a fatica…

Poi gli schermi tornano a illuminarsi, e riesce di nuovo a vedere.

“Apri,” dice, velocemente. “Fammi uscire.”

L’armatura si ritira dal suo corpo e Tony si trascina in avanti, urtando Peter. “Ragazzino? Ragazzino?”

“Sto bene,” si lamenta Peter. “Sto bene.”

Sono in un cavolo di buco a forma di armatura, e manciate di neve continuano a cadere loro addosso. Peter sussulta, e c’è una rivolo di sangue che gli esce da una ferita sulla fronte.

“Ti sei tagliato,” dice Tony, tirandogli indietro i capelli.

“Anche tu,” dice Peter, alzando lo sguardo.

“Usciamo di qui,” dice Tony. Si arrampicano fuori, con la neve che frana e cede, poi Peter lo aiuta a issare fuori anche l’armatura. Si accasciano entrambi nella neve, e Tony non ha una giacca e sta congelando; neanche la sua cocente delusione riesce a scaldarlo.

“Ci riproviamo?” chiede Peter, fissandolo.

Tony sbuffa piano. “No. L’armatura ha smesso di funzionare senza alcuna cavolo di ragione e non eravamo neanche vicini a uscire di qui. Abbiamo avuto fortuna ad atterrare dove siamo atterrati. Sei ancora ottimista? Tutto questo ti sembra positivo?”

Peter si asciuga il sangue con la mano prima che gli coli nell’occhio e lo guarda. “Non so. Magari gli altri hanno trovato qualcosa.”

 
§

 
“Non abbiamo trovato nulla,” dice Pepper. “Nessuno fa niente di strano, o meglio… per gli standard di Nederland.”

“A nessuno sembrava importare che stessimo ficcando il naso in giro,” dice Happy.

“Dov’è Justin?” chiede Tony, guardandosi intorno mentre sente la gente nel padiglione ghiaccia-cervello che schiamazza. “Dov’è Rhodey?”

“Siamo qui,” dice Rhodey, avvicinandosi affiancato da un Justin decisamente giù di morale. “Si sta comportando da stronzetto. Il piano-Iron Man non ha funzionato?”

“No, non ci hai visti cadere dal cielo?” chiede Tony.

“Cristo, no, ero troppo occupato con lui,” dice Rhodey, spintonando via Justin.

“Ascoltate, mi servono più occhi,” dice lui. “Mi sento positivo, c’è molto terreno da coprire ma sento che possiamo farcela, se lavoriamo insieme.”

Tony sbuffa, alzando lo sguardo al cielo. “Va bene, ma prima troviamo dei punti a strappo per il taglio di Peter--”

“Ehm, è praticamente guarito.”

“È uguale.”

“Tu ne hai più bisogno di me,” dice Peter, piantandosi le mani suoi fianchi. “E ti serve un cappotto. E probabilmente un caffè aiuterebbe.”

Tony tortura la sua fede nuziale. “Gesù, va bene.”

“Perfetto!” esclama Justin, illuminandosi e battendo le mani. “Siamo la squadra vincente, riusciremo di sicuro a trovare Regina, ora che siamo insieme.”

GIORNO TRENTOTTO
 
So when you’re near me, darling can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 
Ormai la delusione e il fallimento fanno parte delle ossa di Tony.

Pepper si alza di scatto sul letto, guardandosi intorno. “Che diavolo è stato?” chiede. “Ho… ho sbattuto le palpebre e poi è… è cambiato tutto--”

Tony si copre il volto con le mani. Il primo, vero loop di Pepper. Lei sa, ma non sa. Sa, ma non sa. Peter sta per svegliarsi. Non sono riusciti a trovare nulla ieri, non hanno trovato nulla, non una singola traccia di Regina, e sono rimasti a cercare fino a mezzanotte, cazzo, oltre l’ora di punta, hanno perso cognizione del tempo mentre girovagavano alla ricerca della donna che ha fatto questo, della donna che li ha sbattuti in questo inferno. Non gliene fa una colpa: Justin è una testa di cazzo, ciò che le ha fatto è terribile, ma vorrebbe che avesse impedito a Justin di dare a lui l’altra metà del bracciale. Perché ha permesso che loro venissero coinvolti? Perché non ha impedito loro di venire sin dal principio?

Hanno persino attivato il piccolo localizzatore che Natasha ha dato a Pepper, e, invece di accendersi come avrebbe dovuto, è rimasto inerte e immobile. Persino la tecnologia spionistica è sprecata in questo cazzo di posto, e nonostante Tony gli abbia inveito contro stritolandolo tra le mani, non è servito a nulla.

Non è servito a nulla.

“Tony,” sussurra Pepper, e sente le sue mani addosso. “Tony, tesoro… che hai?”

Lui scopre il volto, con le lacrime che si accumulano nei suoi occhi nel guardarla. “Questo è il tuo secondo loop, Pep. È già successo ieri.”

Lei lo fissa. Scruta il suo volto. “Cosa?” chiede. “Davvero? Di già? Ma abbiamo appena--”

“È così che funziona, cazzo,” dice lui, trattenendo un respiro e asciugandosi gli occhi. “Butti via la tua vita.” Deglutisce a fatica e pensa a Peter, cercando di ritrovare un equilibrio per il suo bene. Si alza a sedere, guarda dall’altro lato della stanza e vede Peter seduto sul suo letto, che fissa ad occhi sbarrati Pepper.

“Tony, cosa-- Pepper, come-- quando è…” porta una mano alla tempia, sussultando appena. “Ho-- sto per-- è successo qualcosa?”

“Oddio, Tony,” dice Pepper, continuando a stringergli la spalla. “Stai bene? Riesci a-- hai bisogno di--”

“No,” dice Tony, asciugandosi di nuovo gli occhi. “No, ce la faccio.”

 
§

 
Portano Happy e Rhodey nella stanza e Tony spiega loro la situazione, sforzandosi di non piangere nel mentre. Pepper non è del tutto convinta di aver già vissuto un loop ed è costretto a spiegarlo anche a lei, fornendo i dettagli come prova. La bambina scalcia di nuovo e hanno un momento simile a quello della notte in cui Pepper è arrivata, e Tony è costretto ad andare in bagno invece di rimanere a guardare, perché non riesce a sopportarlo. Non ci riesce.

Si guarda allo specchio. È migliore di così, dovrebbe essere in grado di risolvere tutto questo, ma adesso, a causa dei suoi cazzo di fallimenti, anche sua moglie incinta è bloccata qui. Non avrebbe potuto fare di peggio.

Senza pensarci troppo, si sporge in avanti e dà con tutta la sua forza un pugno allo specchio, guardandolo creparsi attorno alla sua mano. Il dolore è acuto, caldo; fa una smorfia, flettendo le dita e osservando la scia di sangue che cola lungo le linee del suo palmo. Barcolla all’indietro e cerca di resettarsi da solo, senza togliersi quel maledetto bracciale.

Non so, sento che ne usciremo. Tutti interi, intendo, non… non rompendoci il collo o le gambe. E anche se questa cosa non funziona penso… penso che riusciremo comunque a farcela.

Tony deglutisce a forza, annuendo tra sé. Recupera un asciugamano, trasalendo nel tenerlo con la mano insanguinata, e rientra nella stanza.

“Andiamo,” dice, rivolto agli altri ancora intenti a coccolare il pancione di Pepper. “Dobbiamo… dobbiamo prepararci.”

 
§

 
Tony si poggia al muro fuori dalla porta di Justin mentre lui si prepara, inciampando nella sua roba, facendo troppo rumore e parlando troppo. Come al solito.

“Quindi oggi, come avevi detto, ci concentriamo sull’ipotesi che lei si sia trasformata,” dice Justin. “Potrebbe essere chiunque.”

“Magari concentrati sulle persone con cui sei andato a letto,” bofonchia Tony.

“Tesoro, come va la mano?” chiede Pepper, sfiorandogli la spalla.

“Bene,” risponde lui.

“Oh!” esclama Justin, apparendo sulla soglia. “Ok. Regina adorava la roba Disney. Io la odio, ma forse… sta prendendo per il culo me, sta giocando con me. Quindi, magari, possiamo rompere il loop con un ‘bacio del vero amore’.”

Tony ne dubita, ma a questo punto proverebbe di tutto. Guarda Pepper e si inclina verso di lei, prendendole il volto con la mano buona per baciarla. Non l’ha fatto davvero da quando è arrivata, solo una volta, e gli sembra un qualcosa di speciale che si sta concedendo. Lei sospira contro le sue labbra, come se anche lei lo avesse aspettato, poi si separano coi nasi che ancora si sfiorano.

“Oh, beh, immagino che anche questo vada bene,” dice Justin, sparendo di nuovo nella sua stanza.

Anche questo va bene?” insiste Rhodey, prima che Tony possa dire qualcosa. “Stai dicendo che-- pensavi che fossi tu--”

“No!” grida Justin, ancora fuori campo. “Insomma, chissà, non è successo nulla, quindi…”

“Cristo santo, Hammer,” dice Happy, scambiando un’occhiata con Peter.

Tony ormai si è abituato alle sceneggiate di Justin e sospira, posando il capo sulla spalla di Pepper. “Avevamo pensato che… che tutto questo avesse a che fare con lui che deve imparare una lezione,” dice. “Quindi--”

“Sì, ti ho sentito mentre lo raccontavi a loro,” dice lei, ridendo. “Avete deciso di ballare il liscio e cucinare quiches.”

Lui alza lo sguardo. “Soufflés, tesoro. Sono molto più impegnativi delle quiches, credimi.”

“Justin non deve imparare a cucire o a pattinare sul ghiaccio, niente del genere,” dice Pepper. “Deve imparare una vera lezione. Dovrebbe parlare con uno specialista.”

Tony ride, sbirciando da sopra la spalla e dentro la stanza, dove Justin sta scavalcando la sua valigia borbottando tra sé, con la giacca infilata a metà.

“Già… chissà perché, dubito che lui sarebbe d’accordo.”

 
§

 
Passano l’intera giornata a cercare in giro. Mangiano al volo, e interrogano chiunque incontrano in modo così insistente che la polizia li intercetta per sapere che diavolo stiano facendo. Tony conclude che non hanno nulla da perdere, quindi dice loro che la ragazza di Justin è scomparsa, gliela descrive e li mette sulle sue tracce, mentre loro cercano di capire se ha preso le sembianze di qualcun altro. Girano a destra e a manca, su e giù, ovunque, e si ritrovano a partecipare alla gara del Morto Felice solo per vedere più da vicino i giudici.

Tony sta impazzendo. È impazzito. È a metà tra i due stati mentali, rimbalzando dall’uno all’altro come la pallina di un flipper. Nel suo petto si agita di nuovo un pizzico di speranza, se mai c’è stata, e si chiede se non siano sulla strada sbagliata, l’ennesima delle tante. Forse la ragazza di Justin non c’entra nulla. Forse tutto questo è puramente casuale. Forse non riusciranno mai a capire il perché. Forse sono bloccati qui per sempre.

Visitano la baracca criogenica, facendo la fila con molte altre persone. È piccola, nulla di imponente, in legno massiccio come una piccola baita di tronchi, ma dentro si gela. Tony tiene per mano Pepper mentre la attraversano, e i suoi occhi trovano la foto dell’uomo congelato in persona, Bredo Morstoel [4]. Sembrava un vecchietto simpatico. Innocuo, ignaro che un qualche incantesimo maligno avrebbe rovinato la festa in suo onore.

In teoria, il suo corpo è posto in un grande freezer criogenico di fronte a loro, ma non riescono a vedere all’interno per verificarlo. Peter si accosta assottigliando gli occhi, e Justin si guarda intorno con fare guardingo, come se là dentro ci fosse nascosto qualcos’altro. A Tony sembra strano che tutto ciò sia il motivo della festa. Quest’uomo. Questo tizio morto che è stato congelato per essere trasferito qui. Quest’uomo che non aveva la minima idea che la sua veglia funebre sarebbe durata più di cinquant’anni.

Tony si ferma di fronte all’addetto alla sicurezza, un tizio dall’aria annoiata, e intercetta il suo sguardo.

“Perché lo tenete ancora congelato?” gli chiede. “Tutta la sua famiglia è morta da tempo.”

L’uomo scrolla le spalle. “Fa parte della città, ormai. Rimarrà qui per sempre, così com’è.”

Tony stringe i denti, e sente un brivido che non ha nulla a che fare con la temperatura della baracca. Lancia un’occhiata agli altri. “Forza, andiamo… andiamo via.”

 
§

 
Continuano la ricerca finché non si fa buio, poi Tony passa il comando a Pepper perché è così esausto da non reggersi in piedi.

Si presentano allo studio dell’unico psicologo in città e, invece di opporsi, Justin ci prende gusto. Pure troppo.

“E insomma,” dice Justin, soffiandosi il naso. “Non è colpa mia se mia madre era così. Non è colpa mia. È colpa mia se lei era così e mi ha fatto diventare così? Forse. È colpa mia se essere migliore degli altri è uno dei miei scopi nella vita? Forse, ma non so come cambiare. Non so come… aprirmi, ogni volta che lo faccio vengo respinto. I presenti possono confermarlo. A parte Pepper, con lei non mi aprirei mai, perché mi detesta.”

“Oh, mio Dio,” grugnisce Rhodey. “Ma perché siamo qui?”

“Giusto, perché loro sono qui?” chiede lo psicologo. “So che non sono un semplice supporto morale… stai cercando di convincere anche loro, Justin? Che sei più di quanto credi di essere?”

“In realtà solo Tony,” dice Justin, scoccandogli uno sguardo adorante. Tony alza gli occhi al cielo, e lui scoppia a ridere. “Gli altri sono solo un entourage accessorio, ma Tony… sì, lui è un argomento a parte che vorrei approfondire, se possibile.”

“Posso andare?” chiede Peter, alzando l’indice. “Devo… sgranchirmi le gambe.”

“Sei esonerato,” dice Justin.

“No, non lo sei,” dice Tony, guardando Peter negli occhi. “Non te ne vai là fuori da solo, e dobbiamo tenere d’occhio--”

“Io vado con lui,” dice Happy, rapido, afferrando Peter per il braccio e issandolo in piedi di peso per poi spingerlo fuori. Tony sospira, guardandosi intorno e notando l’espressione corrucciata di Rhodey.

Pepper si sporge a dargli un bacio sulla guancia. “Scusa se vi ho portati qui, tesoro,” dice.

“Fa niente,” dice Tony, giocherellando con la fede nuziale sul dito. “Ormai non fa differenza.”

“Adesso, Tony,” dice Justin, sfregandosi le mani. “Tony e Stark ed io… è una lunga storia.”

GIORNO TRENTANOVE
 
You seem so far away, though you are standing near
You made me feel alive, but something died, I fear
I really tried to make it out, I wish I understood
What happened to our love – it used to be so good
 
What am I supposed to do?
Sit around and wait for you
Well I can’t do that
And there’s no turning back
 
Entrambe le canzoni stanno suonando in contemporanea. Lui se ne sta seduto in silenzio. O meglio, se ne sta sdraiato in silenzio. Sul pavimento in mezzo ai due letti. Li sta guardando tutti dal basso – Peter, Pepper, Rhodey e Happy, raggruppati attorno a lui e intenti a parlargli. Non riesce davvero a sentirli perché non si sta concentrando – sente solo le due canzoni che si mescolano tra loro riempendogli la testa. La sua marcia funebre. Gli ABBA e Cher. In un certo senso, gli sembra appropriato.

Sente un debole bussare alla porta. Sa che è Justin. È qui da un po’, è quasi ora di incontrarsi. Pepper gli tocca la guancia, Peter lo scuote per la spalla, Happy e Rhodey gli stanno gridando contro.

Ha spiegato loro tutto. E poi è collassato. Perché ne ha abbastanza, ne ha abbastanza di tutto questo, ne ha abbastanza, non vuole più stare a questo gioco. Non si può vincere, lo sta uccidendo, sono in trappola. A questo punto potrebbe essere anche lui un uomo congelato. Fatti da parte, Bredo.

“Concentrati, Tony!” dice Peter, e Rhodey batte le mani.

“Stiamo bene, Tony, stiamo bene, non devi fare così,” dice Rhodey.

“Ti crediamo, Tony,” dice Happy, con la mano sul suo ginocchio. “Stai bene, devi-- stai bene, alzati.”

Tony porta una mano a coprirsi gli occhi. Sta cominciando a riacquistare un po’ di chiarezza. Non può abbandonarli, non può arrendersi di fronte a loro, anche se dentro di sé si è già arreso.

“Tony, va tutto bene,” dice Peter. “Stai bene.”

La mano di Pepper si posa sulla sua. “Penso io ad Hammer.”

“Non ucciderlo,” dice Tony, con voce spezzata. Sente Justin che bussa e la sua voce oltre la porta. Dai, Tony! Fammi entrare!

“Non lo ucciderò,” dice Pepper.

Tony sente ancora quel suono acuto e prolungato nelle orecchie, ma adesso riesce a sentire anche il resto. Deve alzarsi, ma ancora non trova la forza. Non può affrontare un altro giorno, un altro fallimento. Quella luce nei loro occhi quando mettono in dubbio le sue parole per poi crederci, a poco a poco.

Sente la porta che si apre.

“Oh, ehi, Pepper, Tony può uscire a giocare?”

“Dobbiamo portarti da uno psicologo.”

“Uh, sì, l’abbiamo fatto. Non ha funzionato. Beh, è stata una bella chiacchierata. Ma eccoci qui!”

“Cristo,” dice Pepper. “Ok, Tony dice-- dice che tutto ciò ha a che fare con la tua ex? Che ti ha portato lei qui? È la nostra versione?”

“È la nostra versione.”

“Quindi lei cosa vorrebbe che cambiassi? Di te stesso, intendo. Cosa odiava di te?”

“La tua arroganza,” dice Tony, mettendosi a sedere. “La tua impazienza. Il fatto che sei acido con le persone. Il modo in cui usi e sfrutti gli altri, gettandoli via quando non ti servono più. Non sei gentile, sei… rozzo, quando parli con gli altri. Sei dannatamente egoista.”

Pepper lo fissa, Justin lo fissa, tutto lo fissano.

“Oh, beh,” dice Justin. “Sembra che io abbia un paio di cosette su cui lavorare.”

 
§

 
Orbitano tutti attorno a Tony come se fosse ferito, ma cercano di comportarsi come se non lo stessero davvero facendo. Rimangono un paio di passi dietro di lui, comunque vicini, mentre Justin è un po’ più in là, intento a scusarsi con la gente che Tony gli indica. In effetti sembra che stia avendo delle conversazioni piacevoli, ma ciò non risolleva il morale a Tony. Neanche un po’.

Si distacca da loro per sedersi su una panchina a ridosso del marciapiedi. Si sfila e rimette la fede dal dito, passandosela da un palmo all’altro. Tutti e quattro lo tengono d’occhio a distanza, come se stessero cercando di non farlo in modo palese, e distolgono lo sguardo altrettanto in fretta.

“Ti piacerà un sacco, te lo assicuro,” dice Rhodey, spingendo Peter per la spalla. “Tony e io ci siamo divertiti un mondo.”

“E Spider-Man?” chiede Peter.

“Solo perché sei all’università non vuol dire che devi startene recluso lì,” dice Happy. “E poi, non sei l’unico supereroe in circolazione, ragazzino.”

“Prima dovremmo farlo uscire di qui,” grida Tony, rivolto a loro.

“Beh, Justin si sta scusando,” dice Happy. “Magari funziona.”

È quello che hanno detto di tutto il resto. Tony si sente male. Sa che non funzionerà. Niente funziona, qui. Se la sua ex è la responsabile, Justin l’ha fatta incazzare abbastanza da condannare lui e tutti gli stronzi che gli stanno attorno a vivere in questo puzzle irrisolvibile. E gli stronzi includono lui, sua moglie, e la sua famiglia. Un paio di scuse non bastano. Un paio di buone azioni fatte spontaneamente non la convinceranno a perdonarlo, non le faranno dimenticare l’offesa. Justin è quello che è, e non cambierà mai. Tony lo sa. Ha visto Justin Hammer prendere decisioni da vicino, e l’unica persona a cui pensa è se stesso.

Sente di nuovo quel suono nelle orecchie, e la sua fede nuziale cade pesantemente nel suo palmo, come un tizzone rovente contro la sua pelle. Fissa una chiazza d’erba secca per terra, circondata dalla neve. Si identifica con essa. Una rappresentazione di com’è adesso agli occhi di qualsiasi dio lo stia guardando, di Regina che li osserva. Congelato. Morto.

“… e un giorno diventerai uno scienziato di fama mondiale e avrai più soldi di Tony,” dice Pepper, ridendo. Tony la guarda camminare sul ciglio del marciapiedi a un paio di passi dagli altri, chinandosi a sfiorare un girasole che è inspiegabilmente spuntato in mezzo alla neve. Porta una mano a stringersi il pancione mentre si piega, e lui la osserva, pensando a sua figlia e a tutto ciò che hanno passato e a tutto ciò che vorrebbe avere nella vita. Poi sente l’anello che cade sul marciapiedi, rotolando via.

“Merda,” bofonchia, alzandosi e seguendo la sua traiettoria. Si sente congelato sul posto e l’anello supera gli altri rotolando, fermandosi oltre Pepper e il girasole che dondola nel vento.

“lo prendo io,” dice Peter.

“Faccio io, sono più vicina,” dice Pepper, lanciando a Tony un’occhiata che suona come giochi ancora con quel coso? “E poi, gliel’ho preso prima io.”

“Scusa, tesoro,” dice Tony, facendo un paio di inutili passi avanti. Il suo cuore sta battendo rapido, come una tempesta che si avvicina. Non sa perché, non riesce a capire cosa stia succedendo nella sua testa. Si chiede se tornerà mai ad essere se stesso.

“Pep, sei incinta,” dice Rhodey, muovendosi anche lui nella sua direzione.

Pepper gli fa un cenno seccato. “Incinta, non incapace.”

I secondi successivi sembrano avvenire in una sorta di vuoto, e Tony sente la sua vista restringersi a tunnel, con l’impressione di muoversi attraverso del catrame o del cemento fresco. Sente lo stridio della macchina quando svolta bruscamente l’angolo, e prima ancora di realizzarlo, sa cosa sta per accadere: vede un lampo rosso, vede dove è diretto quello stronzo, con la macchina fuori controllo che esce dalla sua corsia, e il cuore di Tony quasi si ferma mentre scatta in una corsa nel tentativo di raggiungere lei, di salvarla, di fermare tutto. La macchina è diretta proprio verso Pepper, la sua Pepper, incinta, e non può sopportarlo, non riesce ad accettarlo, è così vicino, ma troppo lontano, e la macchina è troppo veloce, i loro avvertimenti non sono rimasti nella testa di quel tizio maledetto ed è tornato a rovinare la vita di Tony…

Stanno tutti urlando, tutti quanti, e Peter riesce quasi a raggiungerla prima che Justin la spinga fuori dalla traiettoria. La macchina impatta contro di lui scagliandolo via come una bambola di pezza. Tony si arresta di colpo, scioccato, individuando rapidamente Pepper, riversa nell’erba ma ancora intera, e non c’è sangue, non c’è sangue, e fa rapidamente il conto degli altri tre prima che la macchina si schianti contro un lampione, col clacson che esplode assordante.

Tony si precipita verso Pepper, e vede che stringe il suo anello in mano.

“Tesoro,” la chiama con voce spezzata quando la raggiunge, con gli altri dietro di lui. “Tesoro, stai-- ti senti bene-- sei--”

“Justin,” dice lei. “Mi… mi ha spinto via. Dobbiamo… dobbiamo vedere se--”

“Giusto,” dice Tony, tremando mentre la aiuta a rimettersi in piedi. Sta stringendo il suo anello come un’ancora di salvezza e si affrettano tutti verso il punto in cui Justin è accasciato nell’erba in una posizione scomposta. La sua gamba è piegata e respira affannato, con respiri spezzati, stringendosi il busto. Tony mantiene la presa sul braccio di Pepper, timoroso di lasciarla andare, e nota di sfuggita lo sguardo colmo d’orrore di Peter. Ha cercato di tenerli lontani dalla morte in tutti i modi e questo… questo è accaduto troppo vicino a Pepper. Decisamente troppo vicino. E adesso Justin sta morendo di nuovo. Nel modo peggiore.

L’ha salvata. L’ha salvata, l’ha deciso, ha scelto di farlo… l’ha raggiunta prima di tutti loro. Consapevole del rischio.

“Tony, è… è…”

Tony la lascia e si accovaccia, chinandosi su Justin. I suoi occhi sono offuscati e sta respirando dalla bocca, con un rivolo di sangue che gli cola sul mento.

“Ehi,” dice Tony, toccandogli la guancia e cercando di riportarlo in sé. Si sente sul punto di infartare. “Ehi, Justin. Ehi, guardami.”

Justin deglutisce a stento e incontra lo sguardo di Tony. Sussulta appena. “Pep-- Pepper sta--”

“Sta bene,” dice Tony, guardando lei. “Sta-- hai--”

“Justin,” dice lei, inginocchiandosi e posandogli una mano sul braccio. “Grazie… grazie.”

Justin sorride debolmente, sollevando appena l’angolo delle labbra. Tossisce e sembra far male, e Tony non sa cosa fare. Gli occhi di Justin si appannano di nuovo, e risucchia un paio di respiri spezzati. “Dai… chiama la bimba… Justine.” Prende un altro respiro stentato, l’ultimo, e la sua testa si accascia contro la sua mano.

Il clacson risuona ancora in sottofondo.

“È… è...” balbetta Peter, con voce fioca.

“Sì,” gracchia Tony, adagiandogli la testa sull’erba.

“Cristo,” esala Happy. “Cristo, ha--”

“Non ci posso credere,” dice Pepper. “Non… non pensavo…”

“Neanch’io,” dice Rhodey. “Credevo fosse uno stronzo, ma immagino… che neanche i più grandi stronzi lasciano che una donna incinta venga investita, se possono evitarlo.” Sospira.

Tony non riesce a smettere di fissare il volto di Justin. Morto di nuovo. Morto di nuovo, ma ha salvato Pepper al posto loro.

“Vado a vedere… cosa è successo a quel cretino nell’auto,” dice Rhodey.

Tony si sente la bocca secca e gli sembra che stia nevicando più forte. Non sa cosa fare. Si sente perso, e Pepper si siede accanto a lui, posando la testa sulla sua spalla.

“Non fartene una colpa,” gli dice, prendendogli la mano. La gente inizia ad avvicinarsi a loro, urlando, gridando, creando il caos.

Tony ha l’impressione di avere un malfunzionamento. Justin è morto. Una macchina ha quasi investito Pepper. Ha quasi… ha quasi assistito alla scena – ha quasi dovuto vederla.

Chiude gli occhi, prendendo un respiro profondo, e quando li riapre…

Quando li riapre…

È solo. Completamente solo. Non c’è nessuno qui – nessuno – né Justin morto, né Pepper, né Peter, né Rhodey, né Happy, né la macchina fumante, né il clacson – né i cittadini – tocca il terreno, la sua mano affonda nella neve e non c’è niente, nessuno, l’intera città è sparita, cazzo. È da solo a Nederland. Una città fantasma.

Si rimette in piedi a fatica, respirando dalla bocca, e fa un giro su se stesso a occhi sbarrati. La neve cade lentamente, come lo sfondo maestoso in un vecchio film.

È impazzito. Alla fine è impazzito. Ha perso il senno, l’ha perso per sempre.

“C’è nessuno?” grida, girandosi di nuovo attorno. “Ehi? Pep? Peter? Happy? Rhodey… sono ancora qui? Siete invisibili? Riuscite… riuscite a sentirmi? Merda.”

I padiglioni dell’uomo congelato sono vuoti, con i teli che ondeggiano al vento. I fiori appassiti sono caduti dalla bancarella, le sculture di ghiaccio sono finite a metà e si stanno sciogliendo. È solo. È completamente solo.

Finché non si volta di nuovo.

Regina se ne sta in mezzo alla piazza, rimirandosi le unghie. È esattamente come nella foto di Justin, solo i suoi capelli sono leggermente più lunghi. Indossa un vestito nero e osserva intenta la propria mano prima di scrocchiarsi il polso e alzare lo sguardo verso di lui. Non sembra sorpresa di vederlo e sbadiglia nell’avvicinarsi a lui.

Tony barcolla all’indietro, con gli occhi così sgranati da fargli male. “Ti sto… ti sto allucinando?”

Lei ridacchia. “No, carino. È bello vederti, finalmente. Nel senso, dal vivo, di fronte a me. Coi miei occhi. Mi sembra di essere stata quel tizio per anni.”

Tony inclina la testa. “Cosa, uh… aspetta. Avevi preso le sembianze di qualcun altro? Avevamo--”

“Sì, ci avevi preso, Iron Man,” dice lei, guardandosi di nuovo un’unghia e mordicchiandola brevemente. “E l’armatura è stata un tocco di classe, sono stata fiera della tua ragazza. Non potevo farvi allontanare troppo, certo, ma è stato bello vedervi volare.”

La mente di Tony è in subbuglio, inciampa su se stessa nel tentativo di tenere il passo. Si sfrega una mano sul petto. “Uh. Cristo. Scusa, ma, uh… non ero neanche sicuro che avessimo ragione, sul fatto che fossi tu, sto… sono confuso--”

“Non preoccuparti, ora è finita,” dice lei, approcciandolo fino a portarsi molto vicino a lui, e gli toglie un po’ di neve dai capelli. “È fatta. È morto.” Distoglie lo sguardo da lui, sollevando un sopracciglio e schiarendosi la voce.

Un brivido improvviso scuote Tony. “Cosa?”

“È finita.”

“Vuoi che rimanga morto? Stavi… stavi aspettando che… scegliesse come morire?”

Lei deglutisce, incrociando le braccia sul petto e puntando lo sguardo a terra. Sposta un mucchietto di neve con lo stivale e serra la mascella. “Finalmente ha avuto una morte altruista. Non so se l’avrebbe fatto per uno di voi, forse per te sì, ma non… credo che avrebbe esitato. Ma lei, non poteva-- non poteva permetterlo… mi ha sorpreso, non pensavo ne fosse in grado, ma immagino… che farla venire qui abbia portato a una conclusione, eh?” Ride con una punta d’amarezza. “Non ha mai voluto figli, prima. Magari si è intenerito perché si tratta di tuo figlio.”

Tony porta una mano a stringersi la radice del naso. “Cristo, io… Dio. Aspetta. Aspetta. Sono rimasto al fatto che lo lasci morire per sempre anche se sai che ha fatto qualcosa di buono. Sono rimasto là.”

“Non pensavo che Justin sarebbe mai riuscito a fare qualcosa del genere,” dice lei, scrollando le spalle. “Ha avuto fortuna.”

“Fortuna?” chiede Tony. “Lo torturi per mesi, lo lasci morire un paio di volte, e poi lo fai morire sul serio? Dov’è la fortuna?”

Lei non lo guarda, e i suoi capelli ondeggiano al vento. Sembra essere sul punto di prendere una decisione, e si schiarisce di nuovo la voce. Tony si sente a sua volta sull’orlo del panico, e si morde le labbra. Tony sa che deve fare qualcosa di importante, ma non sa come.

“Senti, uh, non so quanto ci hai osservati da vicino, ma quando parla di te ha sempre questo sguardo,” dice Tony, imponendo alla sua voce di non vacillare. “Nel senso… si illumina davvero.”

Lei lo guarda assottigliando gli occhi.

“Sono serio,” dice lui.

“Ah, davvero?” chiede lei. “E che ha detto sul fatto di tradirmi? Anche quello lo fa sbrilluccicare?”

Tony scuote la testa. È difficile difendere Justin Hammer, cazzo, questo è poco ma sicuro, ma sembra che lei stia cercando di convincersi a farlo rimanere morto, e lui non può accettarlo. Minimamente. “Senti, so che quel tizio è un idiota. Lo so. Ma devono… devono esserci stati dei bei momenti. Per quanto siete stati insieme?”

Lei fa un piccolo sorriso, ticchettando la punta dello stivale nella neve. “Beh, lo conosco da una vita. Non lo definirei un amore sin da bambini, ma… quasi. Siamo cresciuti nella stessa strada, siamo andati alle stesse scuole… abbiamo perso contatto dopo il liceo ma l’ho ritrovato all’università e… non so.”

Sta effettivamente arrossendo. Mentre parla di Hammer.

“E il primo appuntamento?” chiede Tony. “Il primo vero appuntamento, non quelle cretinate da bambini.”

“Beh, ci siamo baciati la prima volta a undici anni,” dice lei, alzando lo sguardo come se stesse cercando di ricordare.

Tony mugugna tra sé, socchiudendo gli occhi. “Mh… ok.”

“Ma il primo appuntamento… è stato all’università. È stato molto dolce, eravamo entrambi a un rave e mi ha offerto metà della sua cocaina, poi abbiamo dato fuoco alla casa.”

Tony la guarda fisso. “Oh,” dice. “Oh, sì, certo… davvero-- davvero dolce.”

Lei scrolla le spalle, ma sta ancora sorridendo.

“Mi ha detto che alla luce del fuoco sembravo Paris Hilton,” dice lei. “All’epoca era molto dolce.”

Cristo santo.

“Non sapeva che tu potessi… usare la magia?” chiede Tony, esitante.

“Avrebbe dovuto,” dice Regina. “Ho fatto in modo che gli accadessero molte cose che altrimenti non sarebbero mai accadute. E mentre facevamo sesso fluttuavamo in aria e lui diceva che era merito della sua abilità erotica.”

“Oddio,” dice Tony, coprendosi gli occhi.

“L’ho lasciato perdere molto tempo fa,” dice lei. “Non riuscivo a credere che mi avesse tradito così. Ne abbiamo passate tante. Gli sono sempre rimasta accanto, in ogni casino. E poi questo.”

“Senti,” dice Tony, temendo di perderla. “Ascolta. Credo che quello che hai fatto qui, per lui… sia stato buono. Gli ha insegnato qualcosa.”
“Davvero? Perché io--”

“So che te ne stavi nascosta da qualche parte a controllare la situazione, ma per mia sfortuna ho avuto un posto in prima fila. E magari non conosco Justin come lo conosci tu, ma lo conosco, ci ho avuto a che fare… e qui l’ho visto cambiare. Non l’ho mai sentito parlare come quella volta nel corridoio dell’albergo e oggi-- quello-- merda, lui e Pepper si odiano. È lei che l’ha fatto arrestare.”

“Lo so,” dice Regina.

“E guarda cosa ha fatto,” dice Tony, facendo un cenno verso il punto dov’erano prima, con un lieve brivido che lo raggela. “Sapeva che sarebbe potuto succedere di tutto in qualsiasi momento. Potevamo inciampare su un sassolino e risolvere il loop, per quanto ne sapevamo. Ma l’ha fatto comunque.”

Lei non dice nulla, guarda in lontananza, con i capelli che si agitano al vento.

“Si merita di tornare in prigione, e farò in modo che accada se… se avrai pietà, se lo lasci vivere. Ma credo che alla fine tu sia riuscita a inculcargli qualcosa in quella testa dura. E penso-- penso che sia una persona migliore proprio per questo. Lo penso davvero. E magari si merita qualche schiaffone, sicuro… merda, forse qualcos’altro, credo che quello gli piacerebbe troppo--”

Lei ride appena, scuotendo la testa.

“Ma non si merita di morire. E credo che tu lo sappia. Te lo leggo in faccia, non vuoi ucciderlo.”

Lei sospira, incontrando di nuovo i suoi occhi. Si mordicchia le unghie per qualche secondo, squadrandolo da capo a piedi. “Credo che tu l’abbia aiutato,” dice infine.

“Eh?”

“Ti ho permesso di venire… ti ho concesso di poter ricordare – che idiota, rompere il talismano per dartene un pezzo…” Sospira, roteando gli occhi. “Te l’ho concesso perché ho pensato che, in quanto migliore amico di Justin, avresti potuto aiutarlo.”

Tony emette un verso incredulo. “In quanto cosa, scusa?”

“Sei il migliore amico di Justin,” ripete lei. “Non ha più smesso di parlare di te da quando ti ha conosciuto.”

“Io? Io?” Tony tossisce, lei ride, lui barcolla all’indietro, scuotendo la testa. “Devo-- devo-- ok, non lo so. Lascialo vivere e basta, non voglio che muoia.”

Lei lo fissa.

“E so che tu non vuoi ucciderlo. Sei incazzata, credi di volerlo fare, ma… non vuoi davvero. Tu ami quel cretino.”

Lei guarda di nuovo in lontananza, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Lo scruta guardinga, e lui si innervosisce per un istante. “Va bene,” dice poi, schioccando le dita.

GIORNO QUARANTA
 
I’ve paid my dues
Time after time
I’ve done my sentence
But committed no crime
And bad mistakes
I’ve made a few
I’ve had my share of sand kicked in my face
But I’ve come through
 
Tony emette un lamento proprio mentre Freddie Mercury inizia a cantare il famoso ritornello, e poi sente un fiotto di paura che gli inonda il cuore. Si mette lentamente a sedere, con ogni terminazione nervosa che gli va a fuoco: la luce nella stanza è diversa. Le tende sono aperte, e fuori riesce a scorgere una forte pioggia che cade in diagonale, ma non ci sono tuoni, non che riesca a sentire. Pepper è accanto a lui nel letto, e si sta svegliando a poco a poco con la musica. Si guarda la mano: ha la fede nuziale al dito. Ma nessun braccialetto. Il braccialetto è sparito.

Il suo cuore aumenta i battiti. Guarda dall’altra parte della stanza e vede Peter nell’altro letto, con le sopracciglia aggrottate, e Happy è accanto a lui, e si sta alzando stropicciandosi gli occhi. Tony si sporge dal letto e vede Rhodey raggomitolato ai piedi del comodino, ancora addormentato.

Tony deglutisce a fatica, come in trance. Si allunga cercando a tentoni la sveglia, la gira e interrompe la musica. Non sono gli ABBA. Non sono loro. È tutto… è tutto diverso. Loro sono diversi.

“Tony…” mormora Pepper, girandosi sul fianco per guardarlo.

Si china su di lei, posandole un bacio morbido sulle labbra. “Oddio,” sussurra. La bacia di nuovo.

Ma Justin. Deve capire cosa è successo a Justin. Raggiunge l’altra sponda del letto, ma non deve andare lontano: Justin è lì. Ai piedi del letto, per terra. Dorme come un sasso. Tony osserva il suo petto che si alza e si abbassa, emettendo un paio di buffi versi nel sonno. È vivo.

Tony ricade a sedere, con la mano premuta al centro del petto.

“Tony,” lo chiama Peter.

“Pete,” risponde lui. “Stai bene? Tutto ok?”

Peter lo guarda, con la debole luce del mattino che filtra dalla finestra lambendo il suo volto. “Mi ricordo,” dice. “Oddio-- ricordo-- oddio. Tutto. Mi ricordo tutto.”

Tony lo fissa per un tempo che sembra infinito. Osserva Happy che si raddrizza completamente, respirando a fatica dalla bocca.

“Anch’io,” annuncia. “Merda. Ogni… singolo loop, me li ricordo tutti. Cristo.”

Tony ha le vertigini. Si guarda alle spalle e Pepper annuisce.

“Non è molto,” dice lei. “Ma ricordo anch’io.”

Tony torna sul suo lato del letto e quasi capitombola a terra per raggiungere Rhodey. Lo prende per la spalla e lo scuote, forte, svegliandolo di colpo con un respiro trattenuto.

“Cosa?” esclama Rhodey. “Cosa… cosa… oh.”

“Oh?” chiede Tony, scuotendolo di nuovo. “Oh, cosa?”

“Cazzo,” esala Rhodey.

“Ok, va bene,” dice Tony, lasciandosi ricadere all’indietro sul letto. Fissa il soffitto, sbattendo lentamente le palpebre. Non sa cosa pensare. Si sente come se stesse per scivolare in un coma. Sente un calore diffuso, come se non avesse più un corpo. Non sa cosa stia accadendo.

Regina. Ha fermato quel cazzo di loop.

“L’incendio,” dice Peter. “La… l’armatura… tutte le volte che ci hai dovuto dire-- oddio, tutte quelle volte--”

“Già,” dice Tony, fissando ancora il soffitto.

Pepper si alza a sedere accanto a lui, posandogli una mano sul petto. “Stai bene?” gli chiede.

“La bimba sta bene?” chiede Tony, guardando in alto, congelato. Ha caldo, ma è congelato. Il suo corpo non funziona. Il suo cervello va a rilento.

“Sta bene,” dice Pepper, e gli prende una mano portandosela sul pancione. Lui chiude gli occhi, risucchiando un respiro.

“Cristo, Tony,” dice Rhodey. “Cristo, abbiamo… abbiamo fatto un mucchio di cazzate. Siamo qui da un’eternità.”

“Uh…” si leva la voce di Justin. Tony apre gli occhi sedendosi di nuovo, e sia lui che Pepper si sporgono per guardarlo. Si sta reggendo al bordo del letto e gli altri tre smettono di parlottare, lasciandogli la scena. Gli occhi di Justin scattano dall’uno all’altro. “Ehm. Sono qui. Nella vostra stanza.”

“Proprio così,” dice Tony.

“Cosa… l’incidente d’auto,” dice, guardando Pepper.

“Ho parlato con lei,” dice Tony. “Con Regina.”

La mascella di Justin cede. “Porca troia.”

Tony pondera se rivelargli che si è battuto per salvargli la vita, che le ha fatto cambiare idea, che le ha impedito di prendere quella decisione, anche se già dall’inizio non ne sembrava troppo convinta. Ma non dice nulla. Sorride e basta, scuotendo la testa, con l’impressione di stare per scoppiare in lacrime. “È finita,” dice. “Ci ha liberati.”

 
§

 
Tutti ricordano. Tutti quelli che incontrano. Tutti quanti. E, a quanto pare, il tempo ha ripreso a scorrere a Nederland, perché non nevica più. Non fa neanche così freddo. Ma piove, e mentre trasportano le loro cose nella hall si fa loro incontro Regina, fradicia da capo a piedi. Justin inciampa nei suoi stessi passi, e trattengono tutti il respiro quando lei fa un semplice gesto a mezz’aria e di colpo è di nuovo asciutta.

“Come diavolo hai fatto a non capire che fosse una strega?” chiede Happy.

“A sua discolpa,” dice Regina, “non ho mai fatto nulla di così eclatante di fronte a lui.

Tony fa capolino dalla porta d’ingresso, osservando la gente che corre frenetica qua e là, parlando senza sosta. Si guarda alle spalle e vede la donna alla reception che confabula concitata con altre tre persone, gesticolando animatamente.

“Quindi l’hai fatto sapere a tutti, eh?” chiede Tony.

“Già,” dice lei, e non sembra pentirsi di ciò che ha fatto. “Sei fortunato, pasticcino,” dice poi, guardando Justin. “Tony non ha voluto farti morire.”

Justin si volta a guardarlo e Tony sbuffa, con un cenno di sufficienza.

“Ah, davvero?”

“Non ti voglio sulla coscienza, e neanche su quella di Pepper,” dice Tony. “Tutto qui.”

“Sicuro?” chiede Justin. “Non hai--”

“No,” dice Tony, interrompendolo, a prescindere dal resto dalla frase. “E francamente, lei-- lei si merita delle scuse,” dice, indicando Regina.

Justin lancia una breve occhiata a Tony prima di rivolgersi a Regina, e con loro sorpresa si fa improvvisamente timido, calciando per terra e sfregandosi la nuca. “Riri, io… lo sai che sono un idiota.”

“Lo sei,” dice lei, allungando una mano per raddrizzargli il colletto. “Ma credo che ti darò una seconda possibilità.”

“Porca-troia,” dice Tony, ridendo. “Sul serio? Sul serio? Dopo… dopo tutto questo, dopo che eri pronta a ucciderlo?”

“La nostra relazione funziona così,” ride Justin.

“Voi potete andare,” dice Regina. “A lui ci penso io.”

Tony socchiude gli occhi, guardando gli altri per poi tornare a fissare lei e Justin. “Mh. Non lo… non hai intenzione di ucciderlo mentre non guardiamo, vero?”

“Ooh, ci tiene davvero,” dice Regina, e Justin gli lancia uno di quegli sguardi che – Cristo santo.

“Ok, come vi pare, non mi importa,” dice Tony. “Aspetta. Voglio sapere solo una cosa. Hai detto che eri in città, giusto?” le chiede.

“Esatto.”

“Con l’aspetto di qualcun altro?”

“Ero il signor Tommy Beamer, nelle baite fuori città,” dice lei, gonfiando il petto e sollevando le sopracciglia.

“Porca troia,” dice Justin. “Non ci credo! Ecco perché era così strano! Lo sapevo! È fantastico, baby.”

“Il tizio con cui sei andato a letto?” chiede Tony, con respiro che gli si inceppa. “Quello che abbiamo visto là fuori con… con le bretelle?”

“Ero io!” dice lei, con un ghigno.

“Oh, Gesù,” dice Tony, sfregandosi gli occhi. “Oh, Signore.” Non vuole pensarci. Per niente. Mai.

“Hai una macchina?” le chiede Justin. “O ci fai uscire con la magia? Ci sono un sacco di cose che potremmo fare.”

“Prendete la mia macchina,” dice Pepper, facendosi avanti, afferrando la mano di Justin e piazzandogli le chiavi nel palmo. “Dirò che ho avuto un incidente e pagherò l’assicurazione.”

“Beh, ecco… grazie-- grazie, Pepper,” dice Justin, sollevando le chiavi.

“Già, grazie,” dice Regina. “La strada è bella, molto scenografica. Preferisco quella, piuttosto che teletrasportarmi. Scommetto che anche voi apprezzerete molto il panorama.”

Tony non pensa che sia in grado di capire quanto effettivamente apprezzeranno il panorama nel lasciarsi alla spalle questa maledetta città. Tira discretamente Justin per la spalla e lo fa distaccare un poco dal gruppo. Capta Peter che chiede a Regina qualcosa sul loop, e Tony spera che nessuno di loro la faccia incazzare al punto da farle cambiare idea sul lasciarli andare.

Dà a Justin una pacca sulla schiena, e lui raddrizza la testa.

“Ormai mi ami. È palese.”

“Hai un’opinione troppo alta di te stesso,” replica Tony.

“Ma tu hai sicuramente un’opinione più alta di me dopo quello che abbiamo passato. Giusto? Giusto?”

Tony sospira. “Grazie per aver salvato Pepper.”

“Beh, sembrava che nessuno di voi sarebbe riuscito a salvarla, e non potevo… insomma, anche se eravamo nel loop non potevo… lasciare che--”

“Lo so,” dice Tony, stringendogli la spalla. “Grazie.”

“Sì, beh… prego. Scusa per questo casino, davvero. Hai una bella famigliola e… mi dispiace che vi siate trovati invischiati nei nostri problemi di coppia.”

“Non ho mai visto dei problemi di coppia così problematici,” dice Tony. “Mai in vita mia. Voi vincete il primo posto.”

Justin annuisce, ma sta sorridendo.

“Sai che dovrò darti la caccia là fuori, vero?” chiede Tony, spingendo da parte i sentimentalismi. “E poi ti spedirò dritto in prigione.”

Justin incontra il suo sguardo, con un cenno del capo. “Ci conto.”
 
§

 
Pepper si mette alla guida dell’auto a noleggio di Rhodey, e nessuno si oppone. Caricano la loro roba nel portabagagli e imboccano la strada che conduce fuori città, ignorando il pandemonio che si è scatenato in seguito alla scoperta dell’Eterna Festa dell’Uomo Congelato. Tony è un po’ riluttante a lasciare Justin con Regina, ma quando li vede intenti a sbaciucchiarsi dallo specchietto retrovisore, pronti a salire nella macchina di Pepper, smette di darsi pensiero.

La pioggia non è forte, né eccessiva, e forma un arcobaleno nel cielo mentre lasciano Nederland. Le strade sono scivolose e Pepper guida al massimo a venti all’ora, mentre tutti trattengono il respiro in attesa che accada qualcosa.

Non è possibile che stiano uscendo. Non è possibile.

“Cristo, se ne usciamo davvero, non avrò mai la forza di dargli la caccia,” dice Tony, tormentando di nuovo la sua fede nuziale. Si ferma, memore di quello che è successo l’ultima volta.

“Non preoccuparti, amore,” dice Pepper. “Ho messo il localizzatore di Natasha nella loro macchina.”

Tony si volta lentamente verso di lei, sollevando le sopracciglia.

“Wow,” dice Happy.

“Oh, mio Dio--”

“Sei un genio del crimine, Pep--”

“Sai che sei la migliore, vero?” chiede Tony. “Lo sai?”

“Ovviamente,” risponde Pepper, sorridendo tra sé.

Rimangono in silenzio mentre procedono, e Tony si schiarisce la gola per romperlo.

“Qui è dove siamo caduti nel burrone,” dice Peter, indicando fuori dal finestrino.

“Cristo, è stranissimo ricordarsi tutto…”

“Già, non è il massimo…”

Tony si copre la bocca con il palmo. Sente il cuore che gli batte nelle orecchie ed è sul punto di perdere il controllo. Di impazzire. Sente SOS che gli risuona in testa. Sta per svegliarsi nel suo cazzo di letto da un momento all’altro. Stanno per fallire, stanno per morire.

Ma Pepper continua ad avanzare.

E ad avanzare.

E ad avanzare.

“Tony,” dice Peter, sporgendosi in avanti. “Non… non siamo mai arrivati più lontani di così.”

Tony prende un grosso respiro. Annuisce. Sta per entrare in shock, sopraffatto dall’emozione. Le lacrime strabordano dagli occhi e gli scivolano lungo le guance mentre fissa la strada che continua a dipanarsi di fronte a loro. Non c’è nulla a bloccarla. Niente neve, niente barriere, niente a fermarli.

Peter poggia la fronte sulla sua spalla, afferrandogli il braccio. Rhodey si sporge verso di lui e gli scuote l’altra spalla, e Happy ride, dandogli una pacca sul petto.

“Stiamo uscendo,” sussurra Pepper. “Per davvero.”

Tutti i loro cellulari tornano in vita, in un coro ininterrotto di squilli, suonerie e notifiche che riempie la macchina.

Si stanno lasciando Nederland alle spalle. Se ne stanno andando.
 


TRE SETTIMANE DOPO
 
“Dobbiamo giocare a scacchi ogni volta che vieni a trovarmi?”

“Forse,” dice Tony, muovendo il proprio cavallo.

“Che palle,” dice Justin. “Sai che non sono bravo.”

“Sì, è per questo che mi piace.”

Tony si guarda intorno. La stanza delle visite è piuttosto affollata oggi, con figlie che visitano i padri, fratelli che visitano i fratelli. È riuscito a far sistemare Justin in un posto che sembra un country club di massima sicurezza, e potrà sperare nella libertà vigilata tra una decina d’anni. Tony si sente un po’ in colpa per averlo fatto incarcerare di nuovo dopo che è stato in trappola così a lungo, ma poi si ricorda del piccolo Peter e del drone che l’ha quasi ucciso, e non si sente più così in colpa. Ma in effetti ha salvato Pepper, di qui il country club.

“Dipingi ancora?” chiede Tony.

“Sì,” risponde Justin, in tono un po’ scontroso, come se non volesse ammetterlo. “Ho dipinto un cigno oggi. Il migliore del corso.”

“Che classe,” sorride Tony.

Justin fissa la scacchiera, ma non fa alcuna mossa. “Come sta la bambina?”

“Bene,” dice Tony. “È puntuale, ci avviciniamo alla data prevista. Abbiamo fatto una playlist per la nascita che non include nessun brano degli ABBA. Sto recuperando un po’ di tempo perso. Abbiamo scelto Ava, il nome è approvato.”

“Mi piace,” sorride Justin.

“Vedi ancora Regina?” chiede Tony. Sa che potrebbe farlo uscire di qui facilmente grazie alla magia, considerando che ha tenuto in pugno una città del Colorado come se nulla fosse, ma non l’ha ancora fatto.

“Sissignore,” dice Justin. “Ho la visita coniugale giovedì e sto facendo il conto alla rovescia.”

Tony tossicchia, annuendo. “Che schifo, ma buon per voi. Hai intenzione di fare la tua mossa?”

“Con te? Sei finalmente pronto?”

“Non hai imparato nulla?” chiede Tony. “proprio nulla? Perché ho contrattato per la tua vita?”

“Come sei carino--”

“Non sei cambiato… di una virgola. Dopo tutto quello che è successo.”

Justin soffoca una risata, sollevando uno dei suoi pedoni; scruta Tony e poi fa una mossa davvero, davvero pessima. Tony ride, sfregandosi le mani.

“Oh, grandioso,” dice Justin.

“Migliorerai,” dice Tony, mangiandogli il pedone.

“Sai a cosa continua a pensare?” chiede Justin, poggiandosi col gomito sul tavolo e puntando malinconicamente lo sguardo fuori dalla finestra. “Avremo sempre Nederland.”

“Cristo-Iddio, no,” dice Tony, con una smorfia d’orrore. “Non era Parigi. Non siamo in Casablanca. Tu non sei--”

“Tony. Avremo sempre Nederland.”

Tony lo fulmina con lo sguardo, e detesta essersi affezionato a lui.

 
§

 
Si sono radunati tutti nella sala comune al Complesso, con dei cartoni di pizza sparsi qua e là, e Tony sente Happy e Rhodey che mettono a soqquadro la cucina mentre cercano di fare una cheesecake. Hanno detto agli insegnanti di Peter che è stato rapito – che è stato sequestrato insieme a Tony da dei terroristi che volevano sbarazzarsi di Iron Man e, fortunatamente, è stata una scusa sufficiente per consentirgli di recuperare tutti i compiti persi e permettergli di diplomarsi in tempo. Hanno deciso di aiutarlo tutti, e stasera stanno finendo l’intervista di scienze che ha fatto con Bruce, alcune relazioni su dei libri e la pubblicità fasulla con Steve che gli farà guadagnare qualche credito extra.

“Va bene, forza,” dice Tony, puntando la telecamera verso Steve e Peter, con Natasha e May che ridono sul divano dietro di lui. “Mi serve un po’ più di verve. Soprattutto da parte tua, Rogers, Peter è perfetto.”

Peter gli rivolge un sorriso smagliante.

“Chi ti ha nominato regista?” chiede Steve. “Pensavo fosse Clint, avevamo deciso così.”

“Clint è impegnato con le mappe!” urla Clint, dalla sala da pranzo. “Smettila di dargli fastidio, Steve.”

“Non gli sto dando fastidio.”

“Peter,” esclama Thor, dal divano accanto a May. “A te è piaciuto questo romanzo? Questo Cime Tempestose?

“È bello,” annuisce Peter. “Molto dark.”

“L’ha letto davvero,” dice Natasha, facendo un cenno verso Thor. “Aveva molto da dire al riguardo quando è arrivato qui.”

“È disturbante,” dice Thor.

“Beh, non vuol dire che non sia bello,” dice Tony, guardandoli da sopra la spalla. Intercetta lo sguardo di May e stringe un po’ i denti. “Per te, uh… va bene tutto questo? Il fatto… di-- di aiutarlo coi compiti?”

“Certo,” dice May, ridendo. “Finché lavorate e io ho il permesso di… stare qui,” dice lei, scoccando un’occhiata laterale a Thor.

“Capito,” dice Tony, facendole l’occhiolino.

“Ti sto dando un sacco di informazioni qui, ragazzino,” dice Bruce, ancora spaparanzato sulla poltrona col portatile sulle gambe. “Farai un figurone.”

“Grazie,” dice Peter, con un gran sorriso, per poi guardare Tony.

“Perfetto,” dice lui. “Attori, prego… Steve, non bruciamola.” Preme il pulsante per registrare. “Ok, azione.”

Steve si volta in modo drammatico verso Peter, dandogli un colpetto sulla spalla come se fossero in un cartone animato degli anni ’50. “Ehi, giovanotto--”

“Cheesecake!” grida Happy, mentre lui e Rhodey entrano nella stanza, uno con la torta e l’altro con una pila di piatti.

“Oh, dai!” esclama Steve. “Questa era la volta buona, me lo sentivo.”

“Pausa merenda!” annuncia Tony, spegnendo di nuovo la telecamera.

Mangiano, continuano a lavorare sui progetti di Peter, mangiano di nuovo, e alla fine Tony li sospinge tutti verso le rispettive stanze, dichiarando finita la giornata. Va a controllare Pepper, che a quanto pare sta facendo uno dei suoi bagni infiniti, poi si dirige di nuovo in sala comune per mettere in ordine. Nota che Peter è lì, intento a contemplare il loro lavoro.

“Ora della nanna, ragazzino,” dice Tony. “May non ti ha chiamato?”

“Sì, è appena passata per la buonanotte,” dice Peter, chinandosi sulla mappa che Clint stava disegnando per lui.

“Birdman ha fatto un buon lavoro?” chiede Tony, avvicinandosi.

“Mi sento un po’ in colpa perché state facendo quello che dovrei fare io,” dice Peter, sedendosi sul bordo del tavolo.

“Non devi,” dice Tony, scuotendo la testa. “Hai contribuito a tutto, ti stanno solo aiutando. Hai perso molto tempo, proprio alla fine dell’anno, avevi un sacco di grossi progetti da finire e non ti avremmo mai piantato in asso.”

Peter annuisce, dondolando i piedi. Ha una strana espressione, e Tony gli dà una piccola spinta, spalla contro spalla. “Tutto bene?” chiede.

Peter lo guarda. “Credo, dopo tutto quello che ho fatto e di cui abbiamo parlato da quando siamo tornati, di non aver più… così tanta paura di andare all’università.”

“Oh, è un bene,” dice Tony. “È un bene. E ricordati: ho tre jet privati. Se vuoi passare a casa, devi solo chiedere.”

Peter annuisce, serrando la mascella. Rimane in silenzio.

“C’è qualcos’altro?” chiede Tony.

“Tutti i miei ricordi di Nederland sono… non so come definirli. È come se li ricordassi e li avessi vissuti, ma li sento condensati. Come se il tempo che è passato fosse stato… più breve, per me? Di quello che è stato realmente? Non so come descriverlo. Ma continuo a pensare… a te, a quello che hai passato. Quando non potevamo aiutarti. Ricordo che non potevo aiutarti. Ricordo di essere stato… di essermi sentito inutile.”

“Non sei mai stato inutile,” dice Tony. “Non potresti mai esserlo, nessuno di voi.”

“Continuo a pensarci,” dice Peter. “E dopo tutto quello che hai passato… lo so che l’ho già detto, ma mi dispiace che tu abbia dovuto vivere anche tutto questo.”

“Non è colpa tua, ragazzo,” dice Tony, scompigliandogli i capelli. Di solito quel semplice gesto basta a farlo calmare, ma adesso si volta a guardarlo con occhi seri.

“Ti senti mai come se fossi ancora là?” gli chiede. “Perché… anche coi miei ricordi sfasati, a volte mi sveglio e penso… penso di essere ancora lì.”

Tony sospira, lasciando scivolare la mano sulla spalla di Peter. Ricorda chiaramente la consistenza del piumino di cotone. Il modo in cui le lenzuola si sfilavano da sotto il materasso ai piedi del letto. Il soffitto bitorzoluto. Lo spiffero dalla finestra. I ciocchi spenti nel camino. SOS. SOS. SOS.

“Ogni mattina Pepper deve ricordarmi che sono qui,” dice Tony, guardandolo. “Probabilmente dovrà continuare a farlo per un po’. Non riuscirò mai più ad ascoltare gli ABBA, quindi quei film di Mamma Mia sono… fuori discussione, anche se amo Meryl Streep.”

Peter trattiene una risata, abbassando gli occhi.

“Nei primi due giorni non riuscivo a smettere di pensarci, ma adesso… sto bene. Sto bene, so che siamo qui, al sicuro, che Justin è vivo e in prigione e, cosa abbastanza terrificante, credo che adesso siamo amici? Che macello.”

“Ma tu stai bene?” chiede Peter. “Insomma… starai bene.”

Tony annuisce. Sono al Complesso, con le loro famiglie. Peter andrà all’università, Rhodey e Happy adesso sanno cucinare. La piccola Ava si sta preparando a entrare in scena.

“Sì,” risponde Tony. “Staremo bene. Adesso fila a letto, su.”

Peter sorride appena, gli dà una pacca sulla mano e scende dal tavolo. “’Notte, Tony.”

“’Notte, ragazzino,” dice Tony. Lo guarda attraversare la sala comune e svoltare in corridoio, e sta giusto per fare un po’ d’ordine per poi raggiungere Pepper, quando davanti alla TV si apre un cavolo di portale da cui sbuca Stephen Strange.

Tony lo fissa incredulo.

“Tony,” dice Strange, spazzandosi via qualcosa dalle spalle mentre il portale si chiude. “Mi cercavi?”

Tony lo guarda come se non fosse reale, a bocca aperta di fronte alla sua apparizione fuori luogo. “No,” dice. “No, no. Sei in ritardo. Sei tipo… in ritardo di un mese e qualche settimana. Nel senso, davvero in ritardo, così in ritardo che il problema ce lo siamo risolto da soli. Non grazie a te e alla mancanza della tua segreteria telefonica.”

“Beh, ero impegnato,” dice Strange, e Tony nota che la sua stupida divisa da stregone è impolverata. “Avevo da fare.”

“Oh, certo,” dice Tony, agitando una mano a mezz’aria. “Il tuo famoso impegno.”

“Ho dato a Pepper le informazioni che avevo. Non sei la mia priorità assoluta, sai.”

Tony sbuffa, scrutandolo da capo a piedi. “Wow. Wow. Non cambi mai, eh?” Si avvicina a lui, piazzandogli una mano sulle spalle e tirandoselo dietro. “Sai che c’è? Per quel commento, ti becchi la storia completa.”

“Uh, no, ero solo passato a controllare--”

“Colpa tua, mi dispiace,” dice Tony, trascinandolo in salotto. “Siediti sulla poltrona, io mi stendo sul divano, sai, mi metto comodo. Se apri un portale per fuggire, ti corro dietro. Sono molto atletico, non mettermi alla prova.”

“Buon Dio,” borbotta Strange, mentre Tony lo mette a sedere facendo pressione sulle spalle. “Va bene, allora mi farò due--”

“Parto dall'inizio,” esordisce Tony, sdraiandosi sul divano con le braccia incrociate dietro la testa e le gambe distese. “Tutto è cominciato con gli ABBA.”

 


~ F I N E ~
 

Tradotto da What if there was no tomorrow di © iron_spider  


Note di traduzione:
 
[1] In originale, Tony usa l’espressione “day numero uno”, quindi ho semplicemente riconvertito da italiano a inglese in traduzione.
[2] Si riferisce all’evasione di Luke Cage da Seagate, nella serie Marvel The Defenders.
[3] È un riferimento a un'altra storia dell'autrice in cui, a causa della guarigione accelerata di Peter, le ossa del suo braccio rotto si saldano dolorosamente nel modo sbagliato.
[4] Bredo Morstoel è realmente l’“uomo congelato” di Nederland-> [info]
N.B. La caratterizzazione di Justin Hammer in questa storia è basata, oltre che su Iron Man 2, anche su [questo] suo cameo nella one-shot Marvell All Hail The King.

Note della traduttrice:

Cari Lettori,
eccoci giunti alla fine di questa stramba, folle storia :)
Personalmente mi sono divertita un mondo a tradurla, e spero abbiate apprezzato le mie scelte in termini di forma, stile e dialoghi e che in generale sia stata una lettura gradevole.

Ringrazio tantissimo _Atlas_ e Alley che hanno recensito gli scorsi capitoli, oltre a tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle loro liste <3 Vi ringrazio anche a nome di iron_spider, che ha espresso il proprio entusiasmo per il progetto e che informerò subito del completamento della traduzione.
Probabilmente non sarà l'ultima sua storia che traduco, ne ho già adocchiate un altro paio, quindi rimanete sintonizzati <3

Spero a presto,

-Light-

 
 

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