Di umana Commedia

di pamina71
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Angeli ***
Capitolo 3: *** Objet de mon amour ***
Capitolo 4: *** Una giornata differente ***
Capitolo 5: *** Un tavolo e una sedia ***
Capitolo 6: *** Parentele ***
Capitolo 7: *** Luci ***
Capitolo 8: *** La lentezza ***
Capitolo 9: *** Dialoghi ***
Capitolo 10: *** Pane imburrato ***
Capitolo 11: *** Se non fosse impossibile ***
Capitolo 12: *** Cominciamo bene ***
Capitolo 13: *** Capricci ***
Capitolo 14: *** Come una freccia ***
Capitolo 15: *** Dietro la porta ***
Capitolo 16: *** Mercimonio ***
Capitolo 17: *** La sposina ***
Capitolo 18: *** Un gentiluomo non corre ***
Capitolo 19: *** Anges Gardiens ***
Capitolo 20: *** Dalla parte sbagliata ***
Capitolo 21: *** Invano ***
Capitolo 22: *** Quattro giorni ***
Capitolo 23: *** Come Pollicino ***
Capitolo 24: *** Piani e progetti ***
Capitolo 25: *** Tre nomi ***
Capitolo 26: *** Notti ***
Capitolo 27: *** Il piano ***
Capitolo 28: *** A casa! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


1. Prologo.

 

L'anziano nobiluomo si lasciò cadere su una della panchine dell'Allée de la Petite Venise, un delizioso angolo dei giardini della Reggia di Versailles.

- Mio nipote Augustin è un imbecille.

Fu il lapidario commento all'amico di una vita. Poi continuò.

- Se suo padre, mio fratello François, fosse ancora vivo, lo avrebbe diseredato. Non dico che la mia pronipote sarebbe stata più felice con una vita da donna normale, ma chi può saperlo? E' venuta su così squinternata, con l'educazione che ha ricevuto…

E si soffermò ad osservare la ragazza che seguiva da presso il corteo di dame di Maria Antonietta. In realtà già da un po' di tempo ne accompagnava con lo sguardo i passi, scrutandone non visto le espressioni. In fondo, nessuno prestava attenzione ad un vecchio come lui, a Corte, erano tutti troppo impegnati a spettegolare degli amori della Regina o del Conte di Artois, per notarlo. Il che gli dava agio di seguire i cambi di umore della nipote. Brava a dissimulare, per carità, ma non sempre. Non quando era convinta che tutte le dame le dessero le spalle. Nei rari momenti in cui abbassava la guardia, qualcosa che somigliava alla frustrazione le compariva in viso. Come se attendesse qualcosa di più dalla vita.

Anche a Palazzo Jarjayes la vedeva dar segni di insofferenza. Sempre attenta a curare l'educazione di quella ragazzina, quella Rosalie, che si era tenuta in casa, sempre precisa, sempre ligia alle richieste paterne. Eppure ogni tanto qualche moto di irritazione le sfuggiva, o anche più di un moto. Quasi tre anni prima, il duello con il Duca De Germaine. Ora, le battute taglienti alla Polignac. Gli pareva pronta a esplodere, come una bomba con la miccia troppo corta.

E non aveva migliore impressione da André, quel ragazzo che Augustin, nella sua miope intenzione di dare un esempio e un'amicizia ad Oscar, le aveva messo accanto. Possibile che nessuno, oltre a lui, si accorgesse che era innamorato perso della ragazza con cui trascorreva gran parte del proprio tempo? Sarebbe stato sufficiente prestare attenzione a come la guardava, ed alle occhiate di fuoco che rivolgeva a chiunque osasse mirarla in modo poco meno che appropriato. Come se fossero pochi, quelli che le osservavano le gambe nella divisa bianca!

Anche lui pareva sul punto di esplodere per la tensione della situazione.

 

Il Generale in congedo De Jarjayes strinse gli occhi al sole di quella giornata di luglio. Il sole era girato, e ora faceva capolino tra le fonde degli alberi, colpendogli fastidiosamente il volto. Sbuffando, si rese conto che l'astro, spostandosi solo leggermente, lo aveva di fatto costretto ad alzarsi ed a cercare una nuova panchina.

Mentre arrancava a fatica, poggiato al bastone con il pomolo in argento cesellato, ebbe un'improvviso momento di illuminazione.

Si rivolse al Maggiore De Noailles:

- Come il sole ha fatto con noi oggi, così possiamo fare noi con mia nipote. E con quel ragazzo che non ha il coraggio di dichiararsi. Una piccola variazione, una spintarella e potrebbero alzarsi dalla panchina su cui si sono seduti troppo a lungo.

Il vecchio, con notevole perspicacia aumentata dagli anni, molti, di frequentazione, aggiunse:

- E contando sulla tendenza del Colonnello Oscar a rimettere le cose a posto, potremmo anche aggiustare qualche spiacevole situazione.

- Maggiore, siete sempre illuminante!

Concluse Jarjayes sedendosi con soddisfazione all'ombra.

- Grazie, Generale. Ma ora dobbiamo elaborare una strategia.

 

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Capitolo 2
*** Angeli ***


2. Angeli

 

Oscar si lasciò letteralmente cadere sulla sedia di fronte alla sua scrivania nell'ufficio che le spettava alla Reggia.

Un'altra giornata inutile appresso a Maria Antonietta. Spesa a seguirla nelle sue passeggiate. Una sorveglianza non necessaria. Le ronde ai confini dei giardini erano più che sufficienti a garantirle l'incolumità. Che lei dovesse camminarle a pochi passi era un'ulteriore forma di controllo, del tutto superflua.

La infastidiva ammetterlo, ma si sentiva frustrata da quelle giornate tutte uguali, per le quali metà degli ufficiali di Francia la invidiava. Eppure, si sentiva avvilita. Non si era esercitata per anni, né continuava a farlo, per impiegare così il proprio tempo. Non avrebbe nemmeno desiderato passare le proprie giornate sul campo di battaglia, le sarebbe bastato...cosa? Cosa avrebbe voluto? Un po' di movimento, che la sua spada fosse veramente utile alla Francia.

André, seduto su una poltroncina accanto alla finestra, la osservava di sguincio. Era consapevole che qualcosa la stesse tormentando. Non solo l'amore per Fersen, ma qualcosa che riguardava se stessa ed il proprio ruolo a Corte. Un dubbio sottile, che, come una crepa in un affresco, ne stava minando la solida impeccabilità. Per il momento era l'unico a vedere l'incrinatura. Ma quanto sarebbe durato?

Oscar si alzò con un sospiro.

- Andiamo a casa, per oggi ho finito.

C'era rassegnazione, in quelle parole. André pensò che, se non fosse intervenuto presto un qualche tipo di cambiamento, Oscar avrebbe presto cercato nuove strade. Con buona pace del Generale e dei suoi propositi.

 

Il mattino seguente, Oscar riaprì la porta del proprio ufficio con poco entusiasmo. L'idea di un'altra mattinata di scartoffie seguita da un'ulteriore passeggiata per le Allées dei Giardini, per quanto belle fossero, non le sorrideva affatto.

Si fermò sorpresa. Una bottiglia giaceva coricata sulla scrivania. Era chiusa con un tappo di sughero e ceralacca. Al suo interno, un foglio arrotolato. Incollato al posto dell'etichetta, un indirizzo: "All'Attenzione di Oscar François de Jarjayes e André Grandier. Da affrontare insieme".

Sollevò la bottiglia con la mano destra e, dopo averla esaminata, la passò ad André, che pensò che forse le sue speranze erano state esaudite. Poi la aprì, ma non gli riuscì di estrarre il foglio arrotolato che conteneva. Troppo in fondo.

Guardò Oscar, con una muta domanda. Lei assentì. Afferrò il collo e lo sbatté contro il bordo del tavolo. Una volta frantumato, poté estrarre il foglio arrotolato stretto e trattenuto da un nastrino rosso.

Svolsero il piccolo plico ed ai loro occhi apparve un angelo, un San Michele, forse, con grandi ali e la spada sguainata nella mano destra. Sotto il piede sinistro, il maligno.

In basso a destra, un nome ed un indirizzo: Eulalie Bijard1, Rue du Bourg Tibourg.

Si guardarono: non c'era bisogno di parlare. Era sottinteso che quella sera, terminato il turno alla reggia, sarebbero andati a cercare la donna indicata sul foglio. In primo luogo, per capire di cosa si trattasse, se fosse una sfida, un tranello, una soffiata. In secondo luogo, per pura e semplice curiosità. Certo, si rendevano conto entrambi del potenziale pericolo. Ma André aveva veduto quel bagliore negli occhi di lei, la possibilità di fare qualcosa di differente, per rischioso che potesse essere. Né il timore di un'imboscata, né la paura avrebbero potuto fermarla. Quel messaggio aveva riacceso il suo sguardo.

Fosse quel che fosse, avrebbero seguito la pista.

 

Rue du du Bourg Tibourg era una via piccola del Marais, quartiere popolare e affollato. Per recarvisi, Oscar aveva smesso la divisa per indossare un abito semplice, quasi borghese, non fosse stato per la qualità eccellente della stoffa con cui era fatto. Ciononostante, lei ed André spiccavano nella pur variegata umanità che affollava le vie nella tiepida serata primaverile.

Si sedettero ad un tavolo in una locanda, e dopo aver ordinato del vino, cominciarono a guardarsi intorno. Non c'erano donne, tranne un paio di prostitute sedute accanto a due paffuti commercianti. Avrebbero dovuto chiedere all'oste, senza dare troppo nell'occhio.

Non sapevano nulla della donna indicata nel messaggio. Tentarono con l'approccio che avevano concordato ed Oscar chiese al rubizzo locandiere se la conoscesse: - Il mio amico qui l'ha incontrata domenica, e non riesce a levarsela dalla testa. Sapete com'è...- disse, indicando Andrè.

L'oste sorrise con aria complice ma ammise di non aver mai udito quel nome.

- Sicuro che ti abbia dato il nome giusto, ragazzo? - chiese, poi allontanandosi.

Finirono il loro vino con calma, poi avrebbero fatto un giro vedendo di venirne a capo. Mentre bevevano scambiandosi poche parole, si guardarono intorno. Ad un tavolo sedeva un gruppo di ragazzi molto giovani che bevevano come uomini fatti. Non dovevano essere molto più vecchi di quanto fossero loro due quando Oscar era entrata nelle Guardie Reali. Ed anche loro parlavano di salario. Pure tra il popolo si cresceva in fretta.

Videro entrare una bimbetta smunta con una brocca in mano. Parlò con l'oste che gliela riempì e, mentre la piccola si avviava lentamente con il suo carico, con l'attenzione di chi non doveva versarne nemmeno una goccia, segnò il debito. Uno dei ragazzi, alto e con i capelli neri, le aprì la porta.

Lo sentirono fare un commento sprezzante, mentre si risedeva: - Porta al padre il vino che lo renderà ancora una volta una bestia.

Gli altri scossero la testa e fecero dei commenti che vennero coperti da una discussione iniziata dal tavolo di un gruppo di giocatori di carte.

Oscar ed André terminarono il loro vino in un silenzio meditabondo, poi uscirono.

Il quartiere era povero ma non miserevole, e nel caldo tramonto estivo ancora molti bambini giocavano per le strade. Provarono a chiedere se conoscessero Madame Eulalie, ma nessuno pareva conoscerla.

Non si rivolsero invece alle donne che, approfittando dell'ultima luce del giorno, rammendavano o ricamavano corredi su ordinazione sedute in piccoli crocchi.

Provarono a cogliere stralci di conversazioni, ad udire pronunciare quel nome, ma nulla.

Si guardarono, giunti al termine della strada, e decisero che sarebbero tornati un altro giorno.

 

Sulla via del ritorno, André suggerì che forse avrebbero dovuto rivolgersi alla Parrocchia. - Avranno bene un registro, no? E se è una frequentatrice assidua, magari non servirà nemmeno consultarlo.

- Ci andremo domani – disse Oscar, con una vivacità che non le vedeva da tempo.

 

1 Eulalie, detta Lalie, è un personaggio de "L'Assommoir" di Zola, che mi angoscia da quando ho letto il libro, ai tempi del Liceo. La si trova nel capitolo XII.

 

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Capitolo 3
*** Objet de mon amour ***


3. Objet de mon amour

 

La giornata era trascorsa come al solito. Esattamente come al solito. Maria Antonietta, che pur si sforzava disperatamente di divertirsi, nella realtà dei fatti trascinava giornate sempre uguali, di chiacchiere e pettegolezzi con le dame. La sera, quando Oscar con il suo rigore morale era fuori dal suo salotto privato, giocava a carte con Madame de Polignac ed i suoi amici. Ma non era felice.

Oscar però era distratta. Continuava a ripensare alla sera precedente. Aveva come l'impressione che le fosse sfuggito qualcosa. Ma cosa? Ogni tanto ne aveva parlato con André, in quel pomeriggio interminabile. Anche lui tornava con la mente all'enigma che era stato loro sottoposto.

 

Oscar era pronta a lasciare la reggia, aveva già chiuso alle spalle la porta dell'ufficio. Si avviò lungo il corridoio, vedeva André attenderla nei pressi della grande porta vetrata per scortarla a recuperare le cavalcature per dirigersi immediatamente verso Parigi.

- Comandant, prego attendete! - Una voce affannata la raggiunse, insieme al ticchettio di scarpe femminili.

Si voltò con aria seccata, già immaginando cosa significasse quel richiamo.

Vide una cameriera della Regina andarle incontro a passo svelto, più di quanto l'etichetta consentisse. Recava in mano un foglio piegato.

- Sua Maestà richiede la Vostra presenza per il concerto di stasera.

Disse la ragazza inchinandosi compita, con aria sollevata per essere riuscita a condurre a termine l'incarico. Madame de Polignac sapeva essere severissima anche con le cameriere di Sua Maestà, in caso di errore.

Oscar scorse rapida il biglietto. Non poteva sottrarsi. Parigi avrebbe dovuto attendere.

Fece un cenno con la mano ad André, che già aveva varcato la soglia.

Annuì alla ragazza, che colse un fuggevole moto di stizza sul bel viso del Comandante.

- Dite che ci sarò. - la sentì dire freddamente, per poi rientrare in fretta nell'ufficio, seguita dal suo attendente (quanto era grazioso, quel giovane dai capelli scuri!), che chiuse il battente alle loro spalle, lasciandola sola a riprendere fiato prima di riprendere la via verso gli appartamenti della Regina, meditando sul fatto che vi potessero essere persone scontente di essere invitate ad un concerto.

 

Il concerto fu per Oscar un patimento. Non poté che passare il tempo a guardare come la Contessa di Polignac creasse attorno a Maria Antonietta una rete di sussurri, di amicizie false, di personaggi che le andava presentando per richiedere poi che trovassero un ruolo a corte.

Una rabbia sorda le era montata dentro, impedendole persino di gustare quel piacere per lei essenziale che era la musica. Più di una volta aveva dovuto trattenersi dal fare un commento velenosi, ed in una occasione André era intervenuto con una scusa per allontanarla prima che si lasciasse sfuggire qualche parola di troppo.

Come Dio volle, la serata volse infine al termine, ed Oscar poté lasciare infine la compagnia di Sua Maestà. Non aveva nessuna voglia di percorrere la strada fino a Palazzo Jarjayes, ma la allettava ancora meno l'idea di rimanere tra i cortigiani.

Il percorso a cavallo le diede modo di sfogarsi con André, che le prestò ascolto, pur tentando di spiegare il suo punto di vista, meno incline a perdonare gli errori che Maria Antonietta stava commettendo. Era sua opinione che la giovane Regina fosse troppo sventata, troppo facile a concedere favori e regalìe, e che questo avrebbe alla lunga danneggiato la Francia.

Giunti a Palazzo, entrambi avevano voglia solamente di togliersi dalle spalle quella giornata cupa, con un bicchiere della staffa nel salottino che ormai pareva destinato a questo scopo, dove si trovava sempre un ottimo armagnac per placare gli animi inquieti.

Si sedettero sulle solite poltroncine, alla luce fioca di un paio di doppieri, ognuno col proprio bicchiere in mano. Proprio la luce fioca fece sì che si accorgessero solo quando ormai avevano pressoché terminato i bicchieri che, poggiata a terra di fianco al camino, giaceva una bottiglia coricata. Fu André a notarla, ed a raccoglierla.

Come quella precedente, era chiusa con la ceralacca. Anche questa volta un'etichetta incollata riportava il destinatario: André Grandier.

La sollevò, mostrandola ad Oscar.

- Questa volte è tutto tuo. - gli rispose sorridendo.

- Mi chiedo come riescano a depositarle esattamente dove stiamo per arrivare.

- Scopriremo anche quello, ne sono certa. Ma ora guardiamo cosa c'è su quel foglio.

André ruppe la bottiglia. La carta questa volta recava solo dei versi:

Objet de mon amour,

Je te demande au jour

Avant l'aurore;

Et quand le jour s'en fuit,

Ma voix pendant la nuit

T'appelle encore.”

e un nome: Madame Camille Forestier1, Rue Saint-Honoré.

La prima a parlare fu Oscar: - Questa volta ti toccherà salvare una dama indifesa! - gli disse scherzando.

André le rivolse un sorriso sghembo, poi si fece serio.

- Io credo di aver già sentito questi versi. Credo che siano tratti da un'opera.

- Pare anche a me, anche se non riesco a collocarli. Domani, quando andremo a Parigi, passeremo dal nostro vecchio Maestro di Musica. Ci saprà sicuramente dire a che opera appartengono. Sempre che non ci venga in mente.

- Probabile. Dormendoci su magari ci rammenteremo il tema musicale, e riusciremo a capire quale sia il melodramma da cui è tratto.

Oscar rimase meditabonda.

- Mi chiedo il senso di questa cosa. Indizi improbabili, per portarci a Parigi. Nome e indirizzo, e va bene. Ma perché un disegno, dei versi? Perché non farci sapere che cosa hanno fatto queste donne, o cosa hanno subito?

- Sei preoccupata? Vuoi lasciar stare? Credevo che ti facesse piacere, anche per distoglierti dalla monotonia delle giornate a Corte.

- Sono preoccupata, soprattutto ora che abbiamo ricevuto il secondo messaggio. Però non voglio abbandonare. Anzi, ancora di più occorre scoprire cosa sta accadendo.

- E chi riesce a lasciare queste bottiglie in ufficio e a casa, con tale sfrontatezza.

- Questo mi pare il punto minore. Basta far credere sia un presente, o pagare un domestico. Ma non dobbiamo lasciare correre. Domattina andrò a Corte, ma dopo un rapido passaggio di consegne ci recheremo subito a Parigi. Voglio sapere che sta succedendo.

- Anche io. - Rispose André, consapevole che la curiosità leggera del primo messaggio era stata sostituita da una preoccupazione che avrebbe potuto essere ben fondata. E, nello stesso tempo, felice che quella serie di curiosi indizi avesse risvegliato in Oscar lo spirito vivo che sempre l'aveva contraddistinta e che la Corte stava poco a poco smorzando.

Triste, opaca. Così stava diventando. Ed ora nuovamente limpida e vivace. Il misterioso messaggero era riuscito ove lui aveva fallito. Doveva essergliene grato.

 

Prima di mezzogiorno erano già sulla via che da Versailles conduceva a Parigi. Oscar aveva sbrigato in maniera rapida le proprie incombenze, e lasciato a Girodelle la gestione quotidiana della Guardia.

Alla luce del giorno la faccenda appariva un po' meno inquietante, e i due cavalieri percorsero il tragitto conversando in maniera serena.

- Mentre tu sbrigavi le tue cose, io sono andato a cercare il maestro di Canto di Sua Maestà, ben sapendo che stamattina Maria Antonietta non avrebbe preso lezione.

Oscar lo guardò di traverso per la frecciatina alla regina, ma non disse nulla, lasciandolo continuare.

- E' un'aria di Gluck, dall'Orfeo e Euridice2. La intona Orfeo. Cosa significhi, però, non saprei.

- Orfeo mi fa pensare a qualcuno di scomparso, rapito...Lo scopriremo a breve, siamo in vista delle mura. 

E tacquero, entrando nella cerchia cittadina, pronti ad attraversare le vie strette per passare oltre la Senna e raggiungere Rue Saint-Honoré.

 

 

 

 

1   Il nome è quello della storica non-fidanzata del commissario Adamsberg nei romanzi di Fred Vargas. Micro-omaggio.

2  L'aria di Orfero (Objet de mon amour), che all'epoca era cantata da un castrato (contralto nella prima esecuzione del 1762, soprano in quella del 1769. Solo nel 1774, edizione francese, viene eseguita da un haut- contre (controtenore). Dal XIX secolo la parte di Orfeo sarà spesso affidata alle donne.

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Capitolo 4
*** Una giornata differente ***


4. Una giornata differente

 

Smontarono da cavallo di fonte ad una casa borghese, un palazzetto lindo e ben tenuto.

Sull'uscio incontrarono una servetta che, con un paniere in mano, stava uscendo dalla stessa dimora.

- Conosci Madame Forestier? - chiese Oscar, mettendole una moneta in mano.

- Certamente, Monsieur. - rispose la ragazzina, accennando una riverenza. - Era una cantante d'opera, prima di sposarsi. Ma da un paio d'anni è sempre triste, sapete. Suo figlio è partito soldato, ed è morto al fronte. Ma lei non si rassegna, continua ad aspettare che torni. Secondo me né uscita un pochino di senno, sapete. Ma è tanto gentile. Mi regala sempre il pane che avanza, da portare a casa, sapete.

André gettò un'occhiata ad Oscar al di sopra della ragazzina. Questa storia spiegava la scelta del brano riportato sul messaggio. Ma poneva un'altra questione:quale ruolo avrebbero potuto rivestire, in questo caso? Si sarebbero aspettati di dover indagare...a meno che la morte del figlio non fosse avvenuta in maniera sospetta, o che lei sospettasse in una fuga, una diserzione.

In ogni caso, non pareva di dover prestare una particolare attenzione all'arrivo da Madame Forestier. Un'attempata signora innocua, da quanto avevano potuto sapere.

Salirono sino al secondo piano, dove vennero accolti nell'appartamento che si apriva a destra della scala da una cameriera alquanto paffuta e sorridente, che li fece accomodare in un salottino dal mobilio un tantino antiquato, con le pareti ricoperte da piccoli acquerelli che ritraevano paesaggi agresti, e che si avviò per chiamare la padrona e per preparare un tè.

Dopo alcuni minuti fece il suo ingresso una donnina vestita con una certa ricercatezza fuori moda, dalla sguardo gentile, che entrò camminando a piccoli passettini titubanti.

Arrivò con un sorriso di circostanza sul volto, che quando sollevò la sguardo su André divenne quasi estatico. Entrambi rimasero esterrefatti quando allargò la bocca in un'espressione felice, mentre una lacrima le spuntava dall'angolo dell'occhio, per poi incamminarsi alla volta del ragazzo a braccia aperte!

- Caro, caro, caro! Paul, caro! - esclamò abbracciandolo.

André, preso alla sprovvista, non seppe che altro fare, se non rispondere all'abbraccio.

- Lo sapevo, ne ero sicura, che si sbagliavano. Una madre lo sa, lo sente, quando un figlio muore. E io ero certa che tu fossi vivo!

Poi si staccò e lo allontanò per guardarlo meglio.

- Ti trovo bene. Ma, insomma, quei capelli così lunghi! Non mi pare il caso!

A Oscar scappò quasi da ridere. Tutte uguali! Non riabbracciava il presunto figlio da chissà quanto, e lo rimproverava per la pettinatura!

- E chi é quest'ufficiale che è con te?

André dovette improvvisare, ma preferì non discostarsi troppo dalla realtà: - Lavoro per lui ora, é il Capitano de Jarjayes. Sono il suo attendente.

Oscar salutò la dama con un inchino. Si sentiva in dovere di giustificare un'assenza tanto lunga: - Siamo rientrati a Parigi appena ieri.

- Allora adesso resterai a casa per un bel po', nevvero?

André non ebbe cuore di rispondere, fu Oscar a trovare una scusa, anche se non ebbe il coraggio di smentire le sue convinzioni: - Purtroppo già stasera ripartiremo per Bordeaux. Ma presto faremo ritorno.

- Vi fermerete a pranzo, spero?

- Solamente Paul. - Le rispose ancora. - Io debbo assentarmi. Ti attendo per quell'impegno che abbiamo preso per il pomeriggio...

Oscar guardò il suo amico, cercando un assenso negli occhi verdi. Da un lato la imbarazzava troppo rimanere con la donna, dall'altro una parte di lei sentiva confusamente che forse gli avrebbe fatto piacere restare con una figura materna, che a lui orfano doveva essere mancata, nonostante l'affetto di nonna Marie.

- Passerò tra due ore, tieniti pronto.

 

Più tardi, lo vide uscire dal portone. Non pareva infastidito.

- Le ho promesso che tornerò a salutarla al ritorno da Bordeaux. Tra due settimane.

- Non ti pesa dover tornare?

- No. Poveretta. Non ha saputo rassegnarsi. Eppure, è simpatica. Racconta un'infinità di buffi aneddoti. E' davvero una donna di spirito. Non sarà gravoso tornare a farle visita. E poi, ha una cuoca favolosa!

- Ovviamente il pranzo ha avuto un suo peso nella scelta di tornare! Adesso però andiamo a cercare il prevosto per il secondo messaggio. - Gli rispose Oscar, ridendo.

Giunsero a Saint Gervasa mentre stavano per iniziare i Vespri.

Seguirono il parroco in canonica, e quando si furono accomodati, chiesero di Madame Eulalie Bijard.

- Perché vi interessa Eulalie? - domandò con voce grave il religioso. Aveva lo sguardo preoccupato.

- Ci è giunta una segnalazione anonima. Solo il nome e la via. Non sappiamo altro.

- Ecco perché l'avete chiamata Madame. Comunque il vostro intervento sarà più che benvenuto.

Lo guardarono stupiti.

- Eulalie, anzi Lalie, come la conoscono tutti, ha nove anni. Ha nove anni e un padre ubriacone. Che si beve tutto il salario, lasciando i figli senza cibo. La madre è morta anni fa, probabilmente per una percossa più violenta del solito. Ma nessuno è mai riuscito a provarlo. Da allora Lalie si occupa dei fratellini e della casa, come una piccola madre. Fa quello che può. Ma il fabbro Bijard approfitta di ogni occasione per rimproverarla e batterla. Ho provato a parlargli, ma non sente ragioni.

Oscar sospirò.

Ancora un bambino vittima di violenza e fame. Che gliel'avessero indicata perché a conoscenza di come aveva reagito per il piccolo Pierre? In ogni caso, chi aveva lasciato lo strano messaggio sapeva che non sarebbe rimasta indifferente.

Così come sapeva che André somigliava al figlio di madame Forestier.

- Accompagnateci a casa sua. - Intimò al prevosto. - Voglio vedere questo padre degenere e fare due chiacchiere con lui.

- Vi avverto, non è un tipo facile.

- Non preoccupatevi. Sapremo tenerlo a bada.

Uscirono dalla parrocchia e percorsero poche centinaia di passi, sino al palazzo posto di fianco all'osteria in cui avevano cenato la volta precedente. Alcuni dei ragazzi che aveva visto bere stazionavano sotto l'insegna con aria spavalda.

Il parroco si rivolse a uno di loro:

- Alain, sai se Lalie è in casa?

- Si, e anche i fratelli. Invece quel porco del padre non c'è.

- Ma come parli?

- Parlo come devo, Padre. Potrebbe nutrire i tre figli, con quello che spende per bere. Invece sono pelle e ossa. E picchia Lalie con godimento. La ucciderà, come ha fatto con sua madre. Io ho solo quindici anni, ma appena sarò più robusto gliela farò pagare. Ah, se la pagherà! - Riprese il ragazzo, con un lampo rabbioso negli occhi scuri.

E, in tutta franchezza, Oscar sentì di dargli ragione.

- Alain, accompagna questi signori da Lalie. Vediamo se si può fare qualcosa per lei.

Il ragazzo li guardò in tralice. Pareva poco convinto, e in verità aveva visto ben pochi adulti darsi da fare per aiutare quei tre bambini.

Scosse le spalle e si avviò. Salì le scale che si aprivano sul promo portone alla loro destra, seguito da André e da Oscar. Passando di fronte ad un uscio del secondo piano, si affacciò:

- Mamma, vado a vedere dome stanno i Bijard.

- Sì, caro, certo. Ma oggi non ho nulla da mandare a Lalie… disse la donna, senza affacciarsi alla porta.

- Va bene, mamma.

Salirono ancora, sino all'ultimo piano. Un piano miserabile, in una casa povera ma non troppo malridotta. La casa, perché i bambini erano peggio che miseri.

 

 

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Capitolo 5
*** Un tavolo e una sedia ***


La settimana prossima potrei avere qulche problema con gli aggiornamenti-

Mi scuso in anticipo con chi mi segue.

 

5. Un tavolo e una sedia

 

Madame de Polignac passeggiava accanto a Maria Antonietta, senza ascoltare realmente ciò che la Regina le diceva, intenta ad osservare la propria ombra nel sole del tramonto, pavoneggiandosi per l'ampiezza del panier che vedeva in silhouette sul brecciolino delle allées.

Le faceva piacere che quel giorno non ci fosse il Comandante Oscar a seguire il codazzo di dame, sempre così severa, con quello sguardo carico di disapprovazione. Non che la regina se ne accorgesse, troppo presa a cicalare. Ma talvolta, chiedendole un'opinione, il tono secco tradiva il pensiero dietro le parole sempre troppo cortesi e misurate.

Ma prima o poi, ne era sicura, il giovane soldato sarebbe sbottato, cacciandosi in qualche guaio, così come aveva fatto con il Duca di Guisa. Non restava che attenderla (attenderlo?) al varco. O, magari, provocarne la reazione.

Ma un richiamo un po' più acuto di Maria Antonietta la riscosse, e si affrettò a regolare il proprio passo ed i propri pensieri su quelli di Sua Maestà.

Nemmeno si accorse di passare davanti a due anziani aristocratici seduti su una delle panche in pietra.

- Ho notato che vostra nipote oggi non ha fatto che un rapido passaggio a Corte.

Jarjayes si limitò ad annuire. Qualcuno avrebbe detto che inalberava un sorriso sornione, qualcun altro che il sole in faccia lo costringeva ad una smorfia.

 

Ben altra scena veniva illuminata dallo stesso sole in una mansarda di Rue du Bourg Tibourg. Un appartamento di due stanze, quella su cui si apriva la porta di ingresso, che fungeva da cucina e, come lasciava intuire un pagliericcio gettato in un angolo, da stanza per i tre bambini che in quel momento si accalcavano in un angolo, e una seconda nella quale si intravvedeva un vero letto, dove presumibilmente dormiva il padre.

Unici mobili, un tavolo ed una sedia (Una sola?, pensò Oscar, e i bambini mangiano per terra?), una piccola credenza un po' zoppa, ed un comodino accanto al letto del padre.

Ma tutto pulito, lindo, come se la piccola Lalie facesse le veci della madre, come aveva raccontato il parroco. Quanto a lei, dimostrava meno dei suoi nove anni. Era magra, sottile, con un colorito pallido nel quale spiccavano i grandi occhi grigi, cerchiati di scuro per la pessima alimentazione. Da una manica spuntava un braccino magro che mostrava il segno bluastro di cinque dita.

I due fratellini non parevano così emaciati e sofferenti. Lalie aveva preso il posto della madre, anche come vittima scarificale, probabilmente. Quando rientrava ubriaco, aveva bisogno di una femmina da massacrare1, pensò Oscar.

Fece cenno al ragazzino vicino di casa, Alain, di accostarsi ai tre piccoli Bijard e di tranquillizzarli. Lui si chinò per avere gli occhi all'altezza di quelli di Lalie.

- Questi signori hanno saputo che avete fame, e sono qui per aiutarvi.

Astuto, pensò André, a non nominare il padre e le sue vessazioni.

La piccola annuì e guardò le mani di Oscar. Vuote.

- Non ti ho portato nulla, ora. Vorrei capire quale sia il modo migliore di soccorrervi. Magari pagare qualcuno che vi porti i pasti, oppure – prese fiato, conscia di stare per fare un'affermazione rischiosa – spostarvi per qualche tempo dove possano curarsi di voi.

Gli occhi di Lalie si spalancarono.

- No, Monsieur, vi prego, no. Preferisco non aver da mangiare che abbandonare mio padre.

Furono in tre a guardarla straniti. Alain più degli altri, giacché conosceva la situazione nei dettagli.

- Lo so, tutti dicono che è cattivo. Ma non è vero. Non è lui ad essere cattivo. E' 'alcool che ha in corpo che agisce.2

Una frase quasi da adulta. Che li bloccò tutti quanti.

Erano saliti all'ultimo piano di quel palazzo convinti di uscirne con tre bambini da sistemare da qualche parte, ed ora non sapevano davvero come regolarsi.

Fu Oscar a chinarsi, allora.

- Non vorresti passare qualche giorno in una scuola, dove si occuperebbero di te, e tornare a casa quando questi segni saranno passati?

- No, Monsieur. - Rispose Lalie sicura, scuotendo la testa. - Ora sono io la donna di casa. Faccio i mestieri, mi occupo dei piccoli. E la casa non si abbandona.

Il soldato non seppe cosa ribattere ad una logica così ferrea, seppure, a suo avviso, sbagliata. Voltò il capo verso André, che le fece cenno con una mano. Oscar si alzò, lo raggiunse, e parlottarono per un poco, talvolta scuotendo la testa, talvolta annuendo. Poi tornò dalla piccola, sebbene avesse uno sguardo poco convinto.

- Facciamo così. Per adesso ti accontento. Rimarrete qui.

Il visetto smunto si illuminò.

- Ma alle mie condizioni. Vi farò portare pranzo e cena. Per te e per i tuoi fratelli. Alain e sua madre controlleranno che vi arrivino. Che li mangiate. Che tuo padre non li venda per pagarsi il vino. Fino qui hai capito?

- Sì, ho capito. Ma lui?

- Io mi occupo di voi. Lui può decidere come spendere i suoi soldi, se vuol bere o se vuol mangiare. Se preferisce bere, affari suoi. Non ammetto che vi affami. E non ammetto che vi malmeni. Non mi importa se è vostro padre. Se vi picchia ancora, vi verrò a prendere.

- Ci verrete a prendere?

- Sì, e vi porterò altrove.

La bambina si fermò a riflettere, combattuta tra il senso del dovere e la prospettiva di sfuggire alle percosse.

- Le botte non fanno bene né a te, né ai tuoi fratelli. Adesso aspetta qui, sta per arrivare la cena.

Si allontano, verso la porta, seguita da André e dal ragazzino che, appena usciti, sbottò:

- Ma li lasciate lì? Siete matti?

Fu André a rispondere:

- No, non siamo matti. Ma portarli via urlanti, come se fossimo noi gli aguzzini, non porterebbe da nessuna parte. Adesso aspetteremo il padre, e gli diremo due parole. Intanto, scendiamo un attimo a casa tua, vuoi? Così risponderemo alle tue domande.

Alain li precedette immusonito, e li fece entrare in casa.

Oscar si rivolse alla madre, una donna che doveva essere stata bella, ma precocemente invecchiata dalle privazioni, con tutta la gentilezza possibile.

- Madame, vorreste essere così cortese da seguire per noi quei bambini nei prossimi giorni? Vi sarei grato se poteste controllare che mangino tutto quello che l'oste porterà loro. E magari far loro un bagno, mi paiono molto trascurati.

- Ma certamente, rispose la donna.

- André, quanto viene pagata una balia al giorno?

- Non ne ho assolutamente idea. - rispose lui recuperando la sacchetta con le monete3. - Ma direi che questo potrebbe essere un compenso equo per una settimana disse, estraendo una somma che alla donna parve esorbitante e porgendogliela.

Oscar le sorrise.

- Mi informerò e se non dovesse essere sufficiente provvederò.

- Sarà più che sufficiente, Monsieur. - Rispose la donna, dignitosa.

Poi André si rivolse al ragazzino, porgendo anche a lui due monete d'argento. Quella era una famiglia povera, ma non avrebbero accettato elemosine. E avrebbero speso i soldi in maniera oculata, senza sprecarli.

- Tu hai un compito delicato. Tieni d'occhio Bijard padre. Non appena arriverà a casa ubriaco e inizierà a battere la piccola, precipitati all'indirizzo che ti scriverò. Lì abita una sorella del Comandante, che provvederà ad informarci. Non appena possibile verremo a prendere i bambini e li porteremo via. Con questo abbiamo risposto alle tue questioni di prima?

- Si, Monsieur. Mi pare una soluzione buona.

- Adesso andiamo dall'oste. - disse Oscar, inchinandosi alla donna. - Madame, buona serata.

- Buona serata, Monsieur, e grazie.

Si chiusero la porta alle spalle, udendo ancora una frase:

- Alain, bada a Diane, per favore. Io scendo a comprare da mangiare. Questi soldi sono una benedizione.

 

- E mi raccomando – concluse Oscar rivolta all'oste – tutti i giorni tre piatti a pranzo e tre a cena. Niente vino al padre. Non con il mio denaro. Dovessi venire a saperlo vi farò chiudere questa baracca.

L'oste annuì. Non aveva dubbi che quel ragazzino gallonato avrebbe mantenuto la parola.

- Adesso portateci la cena, e indicateci Bijard, se dovesse passare

 

 

 

 

1 Questa frase è tradotta direttamente da Zola. Anche l'atteggiamento di Lalie viene ripreso da quello del romanzo.

2  Anche questa espressione viene da Zola. Invece nell'Assommoir il padre compie cose ben peggiori di quanto abbia raccontato io.

3  Gli aristocratici lasciavano il denaro al segretario o ad altri dipendenti, non lo maneggiavano direttamente se non raramente.

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Capitolo 6
*** Parentele ***


6. Parentele.

 

L'oste si chinò a togliere i piatti vuoti, e sussurrò con tono cospiratore.

- Bijard è quello entrato ora, che si è seduto accanto alla porta.

André ed Oscar si girarono ad osservarlo. Magro, con il colorito paonazzo del grande bevitore, mani grandi, occhi acquosi.

- Monsieur, per cortesia – riprese l'oste – se potete non danneggiatemi la sala.

Oscar annuì e si levò in piedi. I due giovani si avviarono verso il fabbro che si stava bevendo il denaro destinato a nutrire i figli.

- Monsieur Bijard? - chiese senza che la voce tradisse la rabbia che covava in corpo.

L'uomo levò uno sguardo quasi vacuo.

- Dovrei parlarvi. Mi occorrerebbe un lavoro un po' particolare, e mi hanno raccomandato di rivolgermi a voi. Possiamo parlarne fuori?

Il fabbro li seguì barcollante, curioso di sapere cosa dovesse fabbricare di così misterioso. Il soldatino che gli si era rivolto aveva l'aria angelica, ma chissà cosa nascondeva. Certo, di lui ci si poteva fidare. Per un bel gruzzolo, avrebbe taciuto su qualsiasi cosa.

Appena mise piede nel cortiletto che serviva di deposito all'osteria si sentì afferrare per il bavero e sbatter al muro senza tanti riguardi.

- Tu, brutto porco. Prova ancora a picchiare i tuoi figli e tu ammazzo. Ti sgozzo come il maiale che sei. - Gli sibilò all'orecchio il biondo, mentre l'altro lo immobilizzava tenendogli un braccio sotto la gola.

- I figli sono miei e ne faccio ciò che voglio. - riuscì a rantolare.

- Ah, sì? - udì, mentre un pugno allo stomaco gli toglieva il respiro. Si rese conto che il ragazzo coi capelli scuri lo mollava e si accasciò a terra, seduto sui talloni. Un colpo a mani unite del biondo lo raggiunse alla nuca. Cadde bocconi.

- Non sei Dio. I figli non sono tuoi. E noi ti teniamo d'occhio.

Poi udì i passi che ritornavano verso l'osteria.

- Bastardi. - riuscì a pensare prima di perdere i sensi.

 

La strada per Palazzo Jarjayes pareva particolarmente lunga, in quella calda sera di luglio. Nessuno dei due aveva voglia di parlare. Il dubbio di aver sbagliato li attanagliava. La decisione di lasciare i bambini col padre, adesso che erano al buio e le cose parevano meno rassicuranti. E se il padre avesse dato in escandescenze peggiori del solito? Se li avesse massacrati prima che potessero intervenire?

Dubbi che li tormentavano sulla strada, e continuarono ad attanagliarli una volta in casa. Nemmeno il solito bicchiere della staffa nel loro salottino pareva tranquillizzarli.

Erano ancora seduti pensierosi, abbastanza silenziosi, con l'armagnac non terminato poggiato sul tavolino di fronte a loro, quando la porta si aprì con lentezza e fece il suo ingresso il Generale in congedo, reggendosi faticosamente al bastone col manico in argento che ormai non lasciava più.

- Buonasera, zio. - Lo salutò Oscar.

- Buonasera a voi. Vi trovo un po' troppo taciturni, per una così bella serata.

- La notte è decisamente piacevole – rispose André – ma la giornata ha portato situazioni poco amene, che continuano a galleggiare nei nostri pensieri.

- Vedo. Oggi avete lasciato la Reggia per recarvi a Parigi, non è vero? Qualche minaccia alle loro Maestà?

- No, nulla del genere. Casi singoli, persone con problemi da affrontare.

- Non del tutto risolti, a quanto posso capire.

- No, non del tutto – Sospirò Oscar. - E con il dubbio di aver sbagliato a non perseverare.

L'anziano ufficiale la guardò. Sopracciglia aggrottate, labbra contratte. Era evidente che qualcosa di serio la stesse tormentando.

- Le scelte che facciamo ci rispecchiano. Anche se avete paura di aver commesso un errore, so che avete scelto con coscienza. E proprio la vostra preoccupazione attuale testimonia la vostra coscienziosità.

I due giovani alzarono lo sguardo e lo fissarono.

- Non vi dirò di dormire serenamente e di non crucciarvi. Ma di utilizzare i pensieri che verranno a visitarvi per pensare ad una strategia.

Detto questo, si alzò con fatica e si avviò verso la porta.

 

Dopo una notte particolarmente lunga e penosa, entrambi si prepararono per recarsi alla Reggia con un discreto anticipo sul solito, quasi si fossero messi d'accordo. E persino come se anche Rosalie si fosse adeguata. La trovarono già sveglia ad attenderli alla tavola della colazione.

Oscar si sentì in colpa per quanto stesse trascurando la ragazzina. Per gli impegni a Versailles, dapprima, per i messaggi e le nuove incombenze che questi portavano appresso, in quei giorni. Si attardò dunque un poco più a lungo di quanto pensasse di fare. Ascoltò il resoconto dei progressi scolastici di Rosalie, complimentandosi con lei per la costanza con cui si stava impegnando. Presto avrebbe dovuto mantenere la promessa fattale e portarla a Versailles. Le aveva detto che l'avrebbe condotta alla reggia per cercare l'assassina della madre adottiva, sperando che il tempo necessario a renderla una vera piccola dama le facesse dimenticare i propositi di vendetta, ma così non era stato. Continuava a nutrire trucidi desideri di morte.

E nello stesso tempo si comportava come una qualsiasi fanciulla desiderosa di apprendere e di compiacere chi le stava pagando gli studi. Diligente e attenta, stava crescendo e sbocciando. Chissà, magari, nell'immensa folla della reggia avrebbe trovato un giovane che la volesse in moglie, anziché la donna che desiderava eliminare. In fondo, sarebbe stato davvero improbabile1 incontrarla tra le migliaia di persone che, come formiche, percorrevano ogni giorno gli interminabili corridoi.

Esattamente l'opposto di quanto accadeva a Lalie, che incontrava il proprio aguzzino ogni giorno. E questo pensiero le ricordò le ansie della notte. Bijard si sarebbe trattenuto? Oppure la sua sfuriata della sera precedente lo aveva provocato mettendo la bimba ancora più in pericolo? Non le rimaneva che attendere. Se Alain avesse avvisato la sorella, lo avrebbe saputo presto.

 


1  Ho sempre dei dubbi enormi nell'utilizzare la parola “probabilità” ed i suoi derivati. Sebbene si faccia usualmente risalire la nascita della disciplina al carteggio tra Pascal e Fermat, quindi alla metà del XVI secolo, le pubblicazioni con i teoremi più conosciuti /attualmente) sono dell'inizio del XVII secolo. Quindi è una matematica molto avanzata, che non so quanto fosse nota tra le persone di media cultura all'epoca dei fatti.

E' come se, ambientandola ai giorni nostri, li facessi parlare serenamente del Principio di Indeterminazione di Heisenberg.

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Capitolo 7
*** Luci ***


7. Luci

 

La sera era giunta, si era trasformata in una notte stanca che era trascolorata in una nuova alba senza nessuna notizia da Parigi.

Oscar non sapeva se preoccuparsi ulteriormente o se concedersi il lusso di rilassarsi. Ne parlò con André durante un attimo di quiete tra un'esercitazione delle Guardie Reali ed una delle passeggiate della Regina. Lui seppe rassicurarla, fiducioso che il fabbro Bijard fosse riuscito a trattenersi. André, per quanto fosse più concreto di lei nei giudicare la situazione della Francia, pareva sempre nutrire una fiducia maggiore della sua rispetto alla possibilità di ravvedersi delle persone.

Tuttavia, le suggerì di passare, la sera, da Rue du Bourg Tibourg, per una verifica. Solo per tranquillizzarla. Un passaggio rapido, magari giusto chiedendo al ragazzino del piano di sotto, Alain.

Oscar apprezzò il suggerimento. André sapeva sempre come affrontare i problemi che le si ponevano in maniera logica e senza farla sentire come una ragazzina. Sapeva come contenere la sua preoccupazione più grande: quella di essere giudicata non come un soldato, ma per quello che era, una giovane donna. Non temeva di essere scoperta: la farsa del nome, del fatto che le si rivolgessero chiamandola Monsieur, e tutto il resto era solo un'enorme segreto di Pulcinella. Tutta la corte era a conoscenza di chi realmente fosse. Proprio per questo temeva che le venisse rinfacciata una qualche debolezza femminile. Proprio per quel motivo badava a non dare alcun adito a critiche. Proprio questa paura la teneva sempre così rigida e frenata. André era l'unico che non si poneva alcun problema riguardo alla sua persona, viveva il suo essere una donna soldato con naturalezza estrema, nonostante fosse palese che giudicasse un errore la scelta del Generale. E che forse proprio per questo sapeva sempre come consigliarla al meglio. Per questo e per la sua lucidità di giudizio nei confronti della società.

 

Ancora una volta si trovarono a percorrere la via verso la città nel tardo pomeriggio estivo. Il sole illuminava i covoni che gli ultimi contadini stavano sistemando con cura. Era un paesaggio pacifico che placava i sensi ed i pensieri, dopo le frivolezze di corte. Oscar immaginava solo vagamente quali fossero le reali condizioni di vita di quegli uomini e ne aveva un'idea piuttosto edulcorata. La visita alla casa di Lalie era stato un bagno gelido di realtà, ma non aveva idea di quanti fossero davvero a vivere in quelle condizioni.

Appena imboccarono la via si imbatterono in Alain e nei suoi amici, seduti a ciondolare sugli scalini di una casa sul lato all'ombra della via. Appena li vide il ragazzino scattò in piedi.

- Tutto tranquillo. - Rispose alla muta domanda che gli veniva rivolta.

- E il cibo?

- L'oste si comporta in modo onesto. I pasti arrivano, e non manda su vino.

Mancò poco che ad Oscar scappasse un sospiro di sollievo.

- Ci siete riusciti. - Riprese Alain. - Forse.

- Come, forse? - chiese André.

- Non mi fido. Tutto qui.

- Nemmeno noi, se è per questo. Altrimenti non saremmo venuti.

- Ma io lo tengo d'occhio. Non lascio Lalie da sola. Ha solo due anni in più di mia sorella.

- Bravo. Il tuo comportamento è molto ammirevole.

Il ragazzino si strinse nelle spalle.

- C'è poco da ammirare. Qui dobbiamo darci una mano tutti quanti. Altrimenti facciamo una brutta fine.

Oscar annuì.

- Spero di non avere notizia da parte tua, a breve.

 

Rientrarono a Palazzo Jarjayes abbastanza tardi, dopo aver cenato fuori dal calore soffocante che stagnava nella cerchia delle mura, in una delle guinguettes che costellavano le pendici di Montmartre. Oltre che per la frescura, erano sempre vivacemente affollati perché la loro posizione permetteva di vendere vino senza pagare la tassa di ingresso alla città. E forse avevano leggermente esagerato con i pichet di rosso.

Il palazzo era già quasi del tutto addormentato, solo le ultime cameriere passavano alacri. Con la testa ovattata, si separarono immediatamente per recarsi ognuno nella propria stanza, senza concedersi il rituale del salottino. E così non videro che, ad attenderli, era posata un'altra bottiglia chiusa con la ceralacca e contenente un foglio arrotolato.

 

Nemmeno la mattina seguente vi si recarono. E così rimase sul tavolino per i successivi tre giorni. Maria Antonietta aveva deciso all'improvviso di dare un piccolo trattenimento. Così lo aveva definito. Nella realtà, era una festa da ballo di discreta entità. Non certamente paragonabile ai grandi balli di corte, ma vi avrebbero partecipato decine di invitati. Così oscar si era trovata ad organizzare in tutta fretta il servizio d'ordine, richiamando in servizio alcune guardie, preparando turni, predisponendo percorsi di ronda. Non era rientrata a casa, la prima sera, troppo stanca e preoccupata per poter anche solo pensare di ripercorrere il tragitto che la separava da Palazzo Jarjayes.

E la seconda sera dovette assistere alla festa. Odiava quei balli. A dire la verità, detestava due cose. L'eccessiva ostentazione del divertimento che caratterizzava quelle serate, con la conseguente esagerazione nel bere, nell'abbigliarsi, nella ricerca della seduzione. E probabilmente la infastidiva ancora di più il fatto che la situazione mettesse ancora più in rilievo il suo essere ibrido. Avrebbe dovuto essere un uomo, e comportarsi come tale. Avrebbe dovuto ballare con le dame, e trarne soddisfazione. Mentre il risultato finale era sempre una grande irritazione, cui si aggiungeva la preoccupazione per il comportamento della Regina.

Era esattamente l'insieme di sensazioni che provava in quel momento, mentre, in compagnia di André, stava scendendo verso la sala da ballo dopo aver controllato che le guardie fossero ai rispettivi posti. Si attardò un attimo ad osservare madame de Polignac che sussurrava qualcosa ad una sua amica. Se possibile, quella donna da sola aveva il potere di irritarla più di tutta la situazione messa insieme. Un'avida arrivista, ma abilissima nel raggirare Sua maestà.

Si riscosse, e si costrinse a riportare lo guardo sulla sala. Così facendo, colse con la coda dell'occhio qualcosa di anomalo. Non avrebbe saputo dire cosa. Uno scintillio anomalo, forse. Quanto bastava per prestare attenzione al grande lampadario che sovrastava la scala. Stava ondeggiando. La fune dorata che lo tratteneva (un pensiero fugace le attraversò la mente: Una fune? Perché non una catena?) si stava sfilacciando. Pochi istanti ed avrebbe ceduto. André stava passando proprio sotto al lume in quel momento. L'azione precedette il pensiero.

Si lanciò alle sue spalle, e lo spinse giù lungo gli scalini. Scivolarono colpendo più volte il marmo con le spalle, le guance, le ginocchia. Ma prima di giungere al fondo si udì uno schianto accompagnato dall'infrangersi di centinaia di cristalli.

Giacquero per qualche istante a terra, ancora tramortiti. Urletti di spavento delle dame giungevano alle loro orecchie, e sopra tutti, il richiamo di Maria Antonietta:

- Oscar! Oscar! State bene?

Lei si levò lentamente reggendosi sulle mani e sulle ginocchia, per poi sedersi un attimo sui talloni. Andrè fece più fatica, il polso sinistro gli doleva parecchio, ed era scivolato malamente con addosso anche il peso di Oscar, ed al momento faticava parecchio a muovere il ginocchio destro.

Videro giungere presso di loro Girodelle ed un paio di altre guardie, con l'intenzione di aiutarli a rialzarsi. Oscar alzò lo sguardo per assicurare Sua Maestà di sentirsi bene ed incrociò gli occhi della Contessa di Polignac. Era fisso, e si vedeva la mascella serrata, in un'espressione dura e, nel contempo, infastidita. Anche André si volse nella stessa direzione, ed ebbe la stessa impressione. Anche a lui parve seccata, come qualcuno cui va a monte un progetto.

Quando si furono rialzati, con una certa lentezza, si trovarono di fianco Maria Antonietta che aveva sceso lo scalone con la maggiore rapidità permessale dal panier e dalle scarpine in seta. Mise una mano sul braccio di Oscar, più scossa di quanto non fossero le due vittime dell'incidente.

- State bene?

- Certamente, Maestà. Qualche livido, nulla di più.

- Prendetevi le giornata libera, domani. Anzi, prendetevi tutto il tempo che vi occorre.

- Non credo sia necessario, Maestà.

La regina si voltò verso Girodelle in un fruscìo di gonne.

- E Voi cercate di capire come possa essere successo.

- Come vorrete che sia accaduto. La corda si è sfilacciata. - si intromise la Polignac. - Non cercate complotti ove non ve ne sono.

- Strano. - la corresse Girodelle - proprio ier l'altro, passando da qui, ho veduto alcuni valletti sostituire le funi di tutti i lampadari del piano.

- Allora l'avranno fermata male – interloquì ancora la Contessa – sappiamo tutti come la servitù sia approssimativa.

Oscar le lanciò un'occhiata feroce.

- Girodelle indagherà. Così ho deciso. - Chiuse Maria Antonietta. - Questo incidente non mi convince. Ed ora, andiamo. - Disse, allontanandosi nella direzione da cui stava giungendo il dottor Lassonne, avvisato da qualche rapido valletto.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** La lentezza ***


8. La lentezza

 

Oscar si sedette al tavolino su cui una solerte cameriera aveva già posto il necessario per la colazione, in attesa di Andrè, che arrivò poco dopo, zoppicando vistosamente. Proprio a cagione della sua ferita, aveva fatto approntare a piano terra, di fronte alla vetrata spalancata che dava sul giardino

- Ti fa molto male?

- Non troppo. Faccio fatica a salire e scendere le scale, ma per il resto me la cavo.

- Quindi non puoi nemmeno montare a cavallo. Tu resterai a casa un altro paio di giorni, non solo oggi.

- Ma…

- Nessun ma. Sei ferito a causa mia. Sono convinta che quel lampadario fosse un tranello della Polignac. E sono io che le do fastidio, mica tu.

- Ovviamente le dai fastidio. Più che fastidio, persino. Con le raccomandazioni che fai a Sua Maestà, ultimamente, non ti sei certo guadagnata le sue simpatie. E, a differenza di quei pochi altri che tentano di ricondurla alla ragione, a te dà retta. Almeno un pochino. E questo ti rende terribilmente invisa alla Contessa.

- Appunto.

- E proprio per questo non posso lasciarti andare a Corte da sola.

- Ti assicuro che non sarò mai sola. Farò in modo che Girodelle o una delle Guardie sia sempre con me.

- E anche io. - Aggiunse una voce decisa, che giungeva dalla porta.

Il generale in congedo stava giungendo appoggiandosi al bastone, evidentemente rientrando dalla passeggiata mattutina che gli era solita.

- So perfettamente di non sembrare la persona più adatta, ma la mia lentezza mi dà modo di osservare quello che mi accade attorno. Anche ciò che a voi, talvolta, sfugge.

Il vecchio fece un sorriso sghembo.

- Come, ad esempio, il fatto che nel salottino c'è un'altra di quelle bottiglie che ultimamente vi turbano così tanto.

Poi si godette il risultato che gli era riuscito di ottenere.

- Non crederete per caso che nessuno noti i vostri maneggi? Giungono bottiglie,e voi due iniziate a sparire la sera, ad andare a Parigi un giorno dopo l'altro. Forse potete farla in barba a mio nipote Augustin, così preso dall'esercito che non si accorge cosa gli accade in casa. Ma io sono vecchio, sono lento, ed ho agio di osservare quanto avviene.

I due giovani rimasero senza parole. Credevano di essere passati inosservati.

- Allora? Debbo andare io a prendere il messaggio?

Solo allora Oscar si riscosse, e si diresse rapidamente verso il salottino, dove la bottiglia campeggiava sul tavolino posto di fronte alle due poltroncine.

Una volta tornata indietro, vide l'anziano militare recarsi nuovamente verso la porta che conduceva al giardino.

- Zio! - Lo chiamò – Non volete sapere di cosa si tratta?

Il Generale levò una mano senza voltarsi. Il gesto indicava chiaramente che la cosa non lo interessava. O che forse ne sarebbe venuto a conoscenza in qualche altra maniera.

Oscar volse lo sguardo alla bottiglia. Rimase per un attimo a fissarla, prima di romperne il collo ed estrarre il foglio contenuto all'interno. Lo aprì e si sedette accanto ad André per osservarlo.

Una copia di un'acquaforte, forse tratta da un volume. Un uomo in ricche vesti, al centro del disegno, reggeva un bambino, un infante, con la mano sinistra, ed una spada nella destra. Al suo cospetto, due donne: una in lacrime ed una dall'atteggiamento beffardo.

- Il giudizio di Salomone1…- sussurrò André.

L'interpretazione del disegno pareva chiara. Non vi era parò un'indicazione visibile del destinatario.

Allora girò il foglio e rimasero entrambi di sasso.

L'indirizzo era quello di Palazzo Jarjayes e, sotto, compariva il nome di Rosalie Lamorlière. Ad Oscar mancò il fiato. Cosa significava?

André attese che si riprendesse, prima di rivolgerle nuovamente la parola.

- Rosalie è qui. Chiediamoglielo.

 

La trovarono nel giardino, seduta all'ombra di una pergola, con un libro in mano. Presero l'argomento alla larga, iniziando a raccontare di alcuni “casi” introdotti da un indizio curioso.

- L'ultimo suggerimento è arrivato da poco, e fa riferimento al giudizio di Salomone.

La giovanetta alzò lo sguardo, che appariva sereno e non pareva dubitare che la cosa la riguardasse.

- E sul retro proseguì Oscar - era riportato il tuo nome.

Rosalie sbiancò, si morse il labbro inferiore, e alcune lacrime si affacciarono agli angoli degli occhi. Ormai si erano abituati alla facilità con cui cedeva al pianto. Probabilmente una grande sensibilità unita alle dure condizioni di vita dei sui primi anni l'avevano resa decisamente incline al melodramma.

Attesero che il parossismo di pianto cessasse, per poi interrogarla dolcemente.

- Sai a cosa potrebbe riferirsi?

La ragazzina annuì. Poi si deterse le lacrime con un fazzolettino di batista, sospirò e iniziò a parlare.

- Credo di saperlo. Chiedo scusa di non avervi mai detto nulla, ma era una cosa che volevo cancellare dai miei ricordi. Vi giuro, non ho mentito. Volevo dimenticare.

- Dimenticare cosa?

- Ecco, mia madre, prima di morire, mi confessò...mi disse… - Si interruppe per un nuovo singhiozzo – che non era la mia vera madre.

Una serie di singulti la scosse, mentre André ed Oscar la osservavano con gli occhi spalancati, senza aver nulla da dire di fronte ad una tale ammissione.

- La mia vera madre è un'aristocratica. Il suo nome è Martine Gabrielle. - Concluse, quasi urlando. Poi si alzò e corse verso il palazzo, veloce quanto poteva esserlo con l'abito che indossava.

La osservarono andar via.

- Quindi il nostro messaggero lo sapeva. E' a conoscenza di una cosa che riguarda Rosalie di cui eravamo all'oscuro persino noi. - Osservò André.

- Non posso dire che la cosa mi rassicuri. - Rispose Oscar.

- Non fa piacere neanche a me. E pensa come può sentirsi quella povera ragazza.

- Ha detto di volerlo dimenticare.

- Ma è corretto che sappia.

- Allora saprai cosa fare domani e negli altri giorni in cui il ginocchio ti terrà fermo.

- Cercherò di capire chi è questa Martine Gabrielle. E se la troverò, le dirò il nome completo se e solo se vorrà davvero saperlo.

- Davvero pensi che nessuna curiosità farà in modo che te lo chieda?

- Non lo so. Davvero sono dubbioso. Provo ad immaginare come si senta, ma non riesco ad immaginarlo. Io sono orfano, ma so chi ho perduto. Lei no.

- Anch'io sono perplessa… ma forse al suo posto vorrei sapere chi sono in realtà. E vorrei chieder conto alla mia madre naturale dell'abbandono. Perché non l'ha voluta?

- Una figlia illegittima, suppongo. Non credo ci voglia una grande fantasia.

Oscar rimase un momento pensierosa. Che un figlio fuori dal matrimonio fosse un problema quasi sempre solo per la madre era risaputo, ma non si era mai fermata a considerare accuratamente la portata di quella consuetudine. Gli uomini erano più o meno liberi di comportarsi a loro piacimento, il discredito, il danno sarebbero ricaduti sulle spalle delle loro amanti. E avrebbero macchiato il destino dei figli. Rosalie aveva patito la fame, per queste consuetudini.

 

Il mattino seguente, Oscar si recò alla Reggia, mentre André si apprestava al noioso compito di controllare vecchi registri nobiliari.

Dopo aver sbrigato le consuete incombenze del mattino, mentre le Guardie si recavano agli allenamenti, si intrattenne con l'ufficiale per parlare dell'incidente occorsale con il lampadario.

- La corda era evidentemente stata manomessa. L'ho conservata, nel caso ci dovesse servire. Si vedono chiaramente le fibre tagliate per più di metà spessore. Non erano sfilacciate per il lungo utilizzo.

- Ma non si sa chi sia stato, immagino.

- Evidentemente, no. Ho verificato il mio ricordo, le funi erano state sostituite da non più di due giorni. Ma chiunque avrebbe potuto passare nottetempo per danneggiarle. Oppure farsi passare per un valletto o, perché no, una cameriera, e danneggiarle fingendo una manutenzione.

- D'altra parte, chi ci interessa è il mandante.

- E Voi avete un sospetto, vero?

- Si, ma non posso provarlo. Lo sguardo deluso della Polignac era molto indicativo. Lo dico a Voi, perché so di potermi fidare.

- Quella donna non piace nemmeno a me. Sta danneggiando le Francia, la Regina, le casse della Corte.

- Teniamola d'occhio. Vediamo se si tradisce. Oggi la incontreremo comunque.

 

 

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Capitolo 9
*** Dialoghi ***


9. Dialoghi

 

- Oscar, sono felice di vedervi! - fu l'accoglienza sollevata di Maria Antonietta.

- Vi ringrazio, Maestà. Anch'io sono lieta di essere tornata a scortarvi.

- Non vedo André, però.

- Purtroppo non riesce ancora a montare a cavallo. Per un paio di giorni dovrà svolgere qualche incarico sedentario.

La Contessa di Polignac storse il naso. - Non vedo perché preoccuparsi di un attendente che ha avuto un piccolo incidente…

Il Comandante delle Guardie la guardò con odio. - Forse perché é stato vittima di un attentato rivolto a qualcun altro? - Chiese con sarcasmo.

- Via, che parolone, attentato.

- Non è un termine vano – si intromise Girodelle – la corda era stata effettivamente tagliata.

- Quindi non lo si potrebbe definire altrimenti. E non sappiamo chi fosse la vittima designata.

Oscar tacque un attimo

- Quindi non possiamo scartare nessuna ipotesi, né trascurare di indagare.

La Contessa si irrigidì. Non aveva valutato attentamente le conseguenze. Credeva che il piano sarebbe riuscito, che si sarebbe tolta dai piedi per qualche tempo, se non per sempre, quel piccolo ufficiale puritano, per poter agire indisturbata nei propri maneggi nei confronti della Regina. Invece, non solo non era riuscita nel proprio intenti, ma aveva dato il via ad una serie di indagini e domande scomode.

Jarjayes stava diventando un intralcio sempre più fastidioso. Era opportuno liberarsene.

Si era distratta con questi pensieri, e non aveva udito la conclusione del discorso tra Oscar e Maria Antonietta. Una svista imperdonabile. Si avviò con leggerezza insieme alle altre dame, indossando il suo sorriso di circostanza.

Poco distante, il Generale in congedo De Jarjayes osservava la scena senza che nessuno facesse caso a lui. Come aveva detto il giorno precedente, era troppo vecchio per essere notato. La corte non si accorgeva dei suoi sguardi acuti, così come non si faceva caso alla sua fatica, alle smorfie di dolore che talvolta accompagnavano i suoi passi.

 

André alzò lo sguardo dai volumi polverosi e si stirò voluttuosamente. Non era abituato a rimanere seduto così a lungo, e aveva bisogno di sgranchirsi.

Si levò dalla sedia e scese verso il giardino per fare due passi. Vide Rosalie, seduta su una delle panche di pietra all'ombra delle querce con un libro in mano. Prendeva seriamente la propria istruzione, così come le aveva raccomandato Oscar. La raggiunse.

- Io ero stufo di stare curvo su quei volumi. Hai voglia di una breve passeggiata?

- Ti costringo ad un lavoro ingrato, mi dispiace.

- Non hai nulla di cui scusarti, Rosalie. Lo faccio volentieri, perché so che si tratta di una cosa importante per te.

- No, ti sbagli. A me non interessa sapere chi sia la mia vera madre. Per me maman è morta sotto le ruote di quella carrozza.

- Io credo che tu stia fingendo, anche con te stessa. Ti interessa, invece. Magari anche solo per chiederle cosa l'abbia spinta ad affidarti a Madame Lamorlière.

Di proposito evitò di usare il termine abbandonare.

La ragazzina rimase in silenzio a lungo.

- Non c'è molto da chiedere. Sono una figlia illegittima. Vorrei sapere come mai ha scelto proprio maman. Forse la conosceva, forse sapeva che sarebbe stata una brava madre. Ma in realtà non mi interessa davvero saperne il nome completo.

Contrariamente alle aspettative di André, non scoppiò in lacrime. Anzi, un'espressione dura le si dipinse in volto. Davvero non le importava molto di quella genitrice assente.

 

Oscar rientrò a casa prima del tramonto. Le giornata alla Reggia, pur piena, le era parsa lunga e priva di nerbo senza la compagnia di André. Voleva raccontargli quanto scoperto con Girodelle, e le parole della Polignac. Ed era curiosa di sapere se avesse trovato qualcosa nei polverosi volumi pieni di nomi.

Lo trovò ad attenderla presso la vetrata al pianterreno, con due calici di Sauternes già pronti. E fu davvero felice dell'accoglienza.

- Bentornata. Scoperto qualcosa?

- Quello che aspettavo. Fune tagliata, e nessun testimone. Ma nulla di più. Però, sentendone parlare, la Polignac si è irrigidita e ha minimizzato il fatto. Sono sempre più convinta che la sua longa manus sia dietro a questo evento ed abbia agito per lei.

Disse, mentre si liberava della giacca, della spada e si accomodava al tavolo.

Bevve un lungo sorso prima di chiedere:

- E a te come è andata?

- Ho cercato, ma non ho trovato nulla. Ma ci sono ancora altri volumi da controllare. Ho fatto una lunga pausa per parlare con Rosalie. Temevo fosse addolorata. Invece è più irata che altro. Non ama l'idea di incontrare la sua madre naturale, non la perdona, non la vuol nemmeno comprendere. Non l'ha detto apertamente, ma la considera una poco di buono.

- Per lei potrebbe essere l'occasione per entrare in una vera famiglia.

- Non le interessa. Dal suo punto di vista, ha già avuto una famiglia. So quel che pensi, ma in questo momento non le importa la possibilità di fare il suo ingresso in una famiglia aristocratica.

- Più avanti potrebbe riconsiderare la cosa. Per quanto mi riguarda, può rimanere qui anche a vita, ma io non posso offrire più che la finzione di essere una lontana parente.

- E' troppo giovane per queste considerazioni. Continuo le ricerche, poi quando saprò cosa dirle attenderemo di vedere la sua reazione.

Il dialogo venne interrotto dal rumore di una carrozza.

Il Generale in pensione ne scese con difficoltà, aiutato da un valletto, e si diresse verso i due giovani. Si sedette, André avrebbe potuto giurarlo, quasi cigolando, tanto le articolazioni erano irrigidite, e si fece subito servire un bicchiere, che scolò senza tante cerimonie.

- Interessante, oggi, la Contessa. Appena ve ne siete andati dopo quel discorso sulla fine del lampadario, ha addotto una scusa e si è allontanata verso i propri appartamenti. Dopo una mezzora, una cameriera ne è uscita recando un messaggio. L'ho fatta seguire. E' rimasta nel borgo di Versailles. L'ha consegnata a qualcuno che vive nella stessa casa del medico, il Dottor Poincaré. Tocca a voi scoprire di chi si tratti.

- Benissimo, domani andrò ad informarmi. Da Parigi, invece, nessuna novità?

- No, per fortuna. Mai come in questo caso, nessuna nuova, buona nuova.

 

A cena, furono raggiunti anche dal Generale e da sua moglie Marguerite. Oscar era felice di avere la madre a casa per alcuni giorni. Erano talmente rare le occasioni per godere della sua presenza. Quella assurda richiesta di Maria Antonietta di averla come dama di compagnia aveva stravolto completamente la vita della Contessa. Era sempre a Corte, spesso stravolta dalla stanchezza per le lunghe veglie che il suo ruolo le imponeva.

- Ho ricevuto una lettera da Louise Héléne1. A giorni verrà in visita, col marito e la cognata, M.lle de Norpois.

Oscar non vedeva da tempo la sorella, e non poteva certo dire di conoscerla. Maritata al Marchese di Norpois, viveva a Nevers dal giorno delle nozze. Ma in fondo era lieta di quel diversivo, soprattutto perché questo pareva rendere felice Madame de Jarjayes. E pensò che altra compagnia femminile avrebbe fatto del bene a Rosalie.

E questo avrebbe aumentato le visite nel palazzo avito di Josephine, la sorelle che lei preferiva.

Si prospettava un bel periodo, pensò mentre si alzava da tavola.

Fu in quel momento che un rumore di zoccoli attirò la sua attenzione.

 

 

 

1 In tutte le mie storie, ricalco la stessa struttura familiare, in parte recuperata dal manga, in parte di mia invenzione. Josephine (1754, sposata con Louis Antoine Savinien de Liancourt – due figlie ed un figlio);

Hortense (1752), sposata con Maxence Reymond De La Rolancy – diventerà madre di Loulou);

Louise Hélène (1751, sposata al marchese di Norpois due figli maschi ed una figlia);

Constance (1750, sposata a Lord Henry Middleton);

Geneviève (1748, vedova, 3 figli maschi e due figlie femmine).

Josephine ed Hortense sono i due nomi di sorelle citati dalla Ikeda nel manga e nelle stoire gotiche. Per molti nomi invece rendo omaggio a libri e film amati.

 

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Capitolo 10
*** Pane imburrato ***


10. Pane imburrato

 

Oscar riconobbe la livrea che l'uomo smontato da cavallo indossava. Era un dipendente di Palazzo Liancourt, dove viveva Josephine. Pessime notizie in arrivo da Parigi, dunque.

Lei ed André si precipitarono fuori.

- Un ragazzino è arrivato a Palazzo. Ha detto di avvisarvi che Bijard è rientrato ubriaco, e ha ricominciato.

- Vengo subito. - Disse Oscar. Poi si rivolse ad alcuni domestici che si erano affacciati. - Sellate il mio cavallo.

- Veniamo subito – la corresse André.

- Ma come fai? Hai il ginocchio dolorante.

- Non importa, è bendato strettamente. Lalie ed i suoi fratelli sono importanti. Vorrà dire che rimarrò a casa qualche giorno in più, dopo. - disse, con tono determinato.

Oscar lo capiva. Immaginò che anche lui si fosse tormentato sulla scelta fatta esattamente quanto lei. Impossibile lasciarlo indietro.

- Hai ragione. Andiamo.

 

Arrivarono in Rue du Bourg Tibourg ad una velocità eccessiva per una strada così piccola ed affollata. Alain era sul portone ad attenderli, con aria visibilmente tirata. Quando li vide arrivare si fece accosto per raccontare quanto stava accadendo.

- E' arrivato sbronzo come non mai, è salito, l'ho sentito urlare. Poi se ne è andato, ha chiuso la porta, e da fuori si sente solamente il piagnucolio di Henriette di tanto in tanto.

Nel frattempo sia Andrè, con grande fatica, che Oscar, erano smontati da cavallo e lo osservavano da vicino.

Il ragazzino era terrorizzato. Non lo diceva, ma si capiva che, nonostante la sbruffonaggine, non avesse osato aprire la porta per la paura di trovarsi di fronte un cadaverino.

- Adesso saliamo. Tu resta qui.

E si avviarono. Non di corsa, ma lentamente. Un poco per la fatica di André, un poco per ritardare il più possibile il momento di entrare che si prospettava terribile.

 

- Mi avete mandato a chiamare, Contessa?

La Polignac lo guardò con la stessa espressione che rivolgeva a valletti e cameriere, un misto di disprezzo e di noia.

- Ho un lavoro per voi. Solito compenso.

- Al vostro servizio, Madame. - Disse l'uomo. Era alto, con il portamento da militare, il fisico di chi era abituato a passare ore muovendosi e combattendo.

- C'è un giovane ufficiale, qui a Corte. Estremamente fastidioso. - Aggiunse, e mentre lo diceva mosse il ventaglio come a scacciare un insetto fastidioso.

- Devo liberarmene. Mi affido alla vostra discrezione. Per il resto, mezzi e modi a vostra scelta. Ma non dilungatevi troppo.

- Contate su di me, Contessa.

Poi si inchinò e si allontanò.

 

Oscar si fermò davanti alla porta dei Bijard. André la raggiunse poco dopo. Tesero le orecchie. Non si udiva nulla. Afferrò la maniglia e provò ad aprire. Come aveva detto Alain, il fabbro aveva chiuso a chiave prima di andarsene. Ma il legno era sottile, le cerniere malferme.

Oscar si allontanò e colpì con un calcio violento la serratura, che cedette.

Nella prima stanza, illuminata a malapena dal sole che stava tramontando su Parigi, vide i due figli piccoli seduti sul pagliericcio, che la guardavano con aria impaurita, spaventati dal rumore della porta che si apriva.

- Tranquilli, bambini. La porta era bloccata, abbiamo fatto rumore.

Mentre diceva questo ai piccoli, entrò. André fece il suo ingresso, e si avvicinò a loro, andando vicino al pagliericcio, dove si mise alla loro altezza, chiedendo dove fosse Lalie.

- Di là - Disse Henriette.

Si alzarono, ed andarono verso l'uscio accostato che separava la cucina da quella che era la stanza da letto. Qui videro Lalie, che pareva appoggiata al montante del letto1, ma con gli occhi chiusi, ed il capo chino. Una posa innaturale.

Si avvicinarono piano, e si avvidero che in realtà la piccola era legata al letto. Le manine erano fissate ai polsi con una cordicella che gliele teneva dietro la schiena, leggermente sollevate, e che si ancorava al pomolo sinistro del letto.

Una seconda corda le legava le caviglie, talmente stretta che i piedini erano violacei. Oscar cadde sulle ginocchia, e si affaccendò con la spada per tagliare quei lacci crudelmente tirati. André si affaccendò invece per liberarle le manine.

Una volta liberata, si afflosciò sulle gambe di Oscar, che tremava di rabbia e di paura. Non riusciva a comprendere se fosse viva. Era tiepida, ma non riusciva a sentirne il polso. André le mise il fodero della spada accanto alle labbra. Si appannava un pochino. Respirava. Allora provò a chiamarla, senza gridare per non spaventarla troppo. Le scosse con delicatezza la guancia magra.

Lalie, un poco alla volta, iniziò a sbattere le palpebre, e si stupì di vedere in casa quel soldato che era passato alcuni giorni prima, che la reggeva tra le braccia.

- Cosa succede? - chiese con voce flebile.

- Siamo venuti a prenderti per farti curare i piedini.

- Ma non posso andare, papà ha bisogno di me.

Fu André a chinarsi su di lei, con estrema gentilezza.

- Vero, ha bisogno di te per badare ai fratellini. Ma non puoi aiutarlo con queste gambine malate, ti pare? Le corde ti hanno fatto male.

Lalie annuì, con il faccino triste.

- Ma le altre volte poi il male passava da solo.

Oscar strinse i pugni, mentre André cercava di inventarsi una risposta.

- Ma forse oggi ha stretto troppo. Quindi gli abbiamo parlato, e lo abbiamo convinto a lasciarti venire con noi. E verranno anche Jules ed Henriette.

Poi si rese conto che a quel punto la bambina si sarebbe attesa di essere rimandata a casa, una volta guarita, oppure che il padre passasse a trovarla.

Oscar si accorse dei dubbi di André.

- Tuo padre dice che così potrai rimanere un poco più a lungo in una bella casa, ed imparare anche delle cose.

Detestava mentire alla bambina. Ma a cosa sarebbe servito ribadire che il padre era un mostro? Lei lo aveva sempre giustificato, così come raccontava il prevosto, e così sarebbe accaduto ancora.

- Potrà venire a trovarti quando vorrà.

Se riuscirà a scoprire dove siete, pensò intanto.

Nel frattempo, André era andato a cercare Alain per dirgli di cercare una carrozza, ed era risalito per accompagnare Oscar ed i bambini sull'uscio. Prese Henriette in braccio, dando l'altra mano a Jules, mentre lei teneva in collo Lalie.

La piccola comitiva non passò inosservata lungo le scale e sul portone che dava su Rue du Bourg Tibourg. Ma non vi furono altro che sussurri. Tutto sommato, nessuno pensava che Bijard fosse un buon padre. Non era usuale vedere famiglie smembrate a quel modo, ma i piccoli parevano sereni.

Solo Alain, chiudendo lo sportello della carrozza, osò chiedere dove li portassero.

Gli rispose André, a voce alta, in modo che lo udissero anche i curiosi.

- Meglio che tu non sappia. Così il padre non potrà rivalersi su di te per sapere qualcosa. Nè su chi era presente.

Il cocchiere fece schioccare la frusta e si misero in marcia.

 

I bambini non erano mai saliti su una vettura di piazza, e lo stupore li tenne impegnati lungo tutto il viaggio. Breve, a dire il vero.

La carrozza si arrestò in Rue Saint-Honoré.

André scese faticosamente per primo, aiutando i bambini, giacchè anche Lalie aveva voluto provare a camminare.

Oscar diede un Luigi d'oro al conducente, comprando così il suo silenzio sulla loro destinazione, poi si avviarono verso il palazzetto d'angolo. Al secondo piano, bussarono con cautela, data l'ora tarda.

- Chi è? - domandò una voce femminile, con accento timoroso.

- Sono Paul.

- Ma benedetto ragazzo, ci avete spaventate a morte! - Rispose la cameriera, aprendo la porta - Avreste potuto avvisare!

- No, credo di no, rispose André, lasciando intravvedere la piccola comitiva.

- Nel frattempo, era giunta anche Madame Forestier, con ancora in testa la cuffietta da notte.

- Caro, fatti abbracciare! Sei tornato prima!

- Si, maman. Come vedete, abbiamo un'emergenza da affrontare.

I bambini erano rimasti in un angolo, soverchiati da quello che a loro pareva un lusso sfrenato. Jules, con un piedino scalzo, stava tastando la morbidezza del tappeto su cui si trovava. La donna li guardò con attenzione, soffermandosi sugli abiti rattoppati, sulla magrezza, e sui lividi che coprivano le gambe di Lalie. Il suo spirito pratico prevalse.

- Benissimo, Anne, porta per favore del latte caldo per questi piccoli ospiti. E del pane imburrato. Noi ci serviremo un bicchiere di vino.

E, con queste parole, fece un gesto per invitare tutti ad accomodarsi al tavolo da pranzo.

Poi, rivolgendosi ad Oscar si scusò per l'abbigliamento poco adeguato.

- Non fatevene un cruccio, Madame. Siamo stati noi ad arrivare ad un'ora poco urbana. Ma, vedete, questi bambini hanno bisogno di un luogo dove stare per un poco.

Non aggiunse che, nelle loro conversazioni, avevano anche pensato che alla donna avrebbe fatto bene occuparsi di qualcuno di reale, anziché del figlio perduto della cui mancanza non voleva accorgersi.

- Paul parla di Voi con grande affetto, e mi ha descritto il vostro gran cuore. Non credo vogliate lasciarli nella situazione in cui stanno. La madre è morta, il padre – e qui Oscar si avvicinò per sussurrarle i dettagli – beve e li picchia, per non dire di peggio.

Madame Forestier, tutt'altro che stupida, aveva supposto dall'inizio che glielo avrebbero chiesto.

- Ovviamente sì. Per questa notte possono dormire nel tuo letto, Paul. Tu dovrai arrangiarti sul canapè.

- Non preoccupatevi per me, maman. Rispose André, con una naturalezza sconcertante. - Noi due dobbiamo cercare una persona.

Nel dire questo, si alzarono. Presero commiato dai bambini insonnoliti e dalle due donne, poi uscirono.

 

1  Questa parte è fortemente ispirata dall'Assommoir.

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Capitolo 11
*** Se non fosse impossibile ***


11. Se non fosse impossibile.

 

André ed Oscar rientrarono con una nuova vettura di piazza a Rue du Bourg Tibourg. Era già tardi, l'osteria si stava svuotando degli uomini che l'indomani avrebbero dovuto recarsi al lavoro, e la strada appariva più buia.

Si infilarono dunque nel portone, e salirono lentamente, soprattutto André cui il ginocchio pulsava dolorosamente, la scala fino al sottotetto. Davanti alla porta dei Bijard trovarono Alain seduto a terra nella penombra.

- Come stanno?

- Sono al sicuro. Come ti ho detto, non posso dirti dove siano. Ma alcune donne amorevoli se ne occuperanno. Niente più fame, freddo, botte.

Il ragazzino si illuminò. - Vado a dirlo a mia madre. Era così in ansia!

- Alain, aspetta! - lo trattenne Oscar.

- Noi ci fermiamo ad aspettare il fabbro. Se non senti nulla, vorrà dire che non è rientrato, quindi domattina passa da qui che ti darò un incarico da svolgere.

- Va bene. - E si dileguò giù per le scale.

Oscar ed André entrarono nell'appartamento. Pareva ancora più scarno, illuminato solo dalla luna piena che entrava dalla finestra. Si guardarono intorno. Non c'erano molti posti dove sistemarsi ad attendere Bijard.

Dovettero sedersi sul materasso gibboso che faceva da giaciglio per i tre bambini. Si misero affiancati sul lato lungo, con la schiena poggiata al muro scrostato. Andrè, con il ginocchio dolorante, si sistemò nell'angolo tra le due pareti, per poter mettere un cuscino sotto la gamba.

 

L'alba li trovò addormentati. Andrè aveva il capo poggiato all'incrocio delle due pareti, ed Oscar si era accasciata di lato, con la testa sul suo omero destro. La luce ebbe la meglio sulla stanchezza, e poco alla volta si destarono. La fatica, la condivisione delle preoccupazioni e della storia che pareva avviarsi alla conclusione li stava avvicinando, ed Oscar non provò imbarazzo1 alcuno in quel risveglio. Trovarono una brocca d'acqua, con la quale poterono sciacquarsi il viso.

Il fabbro non era ancora rientrato. La cosa li sconcertava. Avrebbe lasciato Lalie tutta la notte in quella situazione? Legata al letto mentre le gambine soffrivano e diventavano blu? Il pensiero li irritò ancora di più.

Più tardi arrivò Alain. Ad Oscar piacque molo il suo atteggiamento serio, attento verso le richieste che gli venivano fatte, nonostante la posa un po' sbruffoncella. Gli chiese di procurarsi, dal prevosto, una penna ed un paio di fogli. Quando il ragazzo tornò con quanto richiesto, compilò due biglietti e glieli affidò, insieme ad una moneta d'argento, dandogli indicazioni su dove consegnare.

Prima di partire, il ragazzo si rivolse ancora una volta a loro:

- State attenti. Se rientra, lo fa di solito verso quest'ora.

Oscar annuì ed Alain partì con passo agile e rapido.

 

Attesero ancora un'oretta, scandita dal campanile più vicino, cui facevano eco quelli i tutta la città, soprattutto dalla torre di Notre Dame, per poi vedere arrivare barcollando Bijard. L'uomo entrò spalancando la porta con un colpo sgraziato e chiamando a gran voce Lalie, da cui voleva la colazione. Si fermò di botto vedendo in casa propria l'ufficialino biondo che lo aveva atterrato giorni prima in compagnia del suo amico. Allungò il collo per vedere ove fossero i bambini.

- Dove sono i miei figli?

- Lontano da te e dalla tua brutalità.

- Non potete portarli via.

- Ah, no? A me pare di averlo già fatto. - gli rispose Oscar.

- Li rivoglio! - Esplose allora l'uomo, avanzando con passo malfermo.

- Non pensarci nemmeno. Quei bambini cresceranno in una casa calda, senza nessuno che li pesti a sangue. Ci saranno delle persone amorevoli ad occuparsi di loro.

- E chi? Le suore di un orfanotrofio?

- Non saprai nulla da me. E non dovrai nemmeno azzardarti a cercarli. Se io venissi a sapere che hai provato ad avvicinarti te la farei pagare molto cara.

- Ma che… - e, tentando di raggiungerla per colpirla, Bijard incespicò e cadde in ginocchio, battendo dolorosamente un polso.

André ed Oscar lo raggiunsero, lo stesero a terra e gli legarono le mani dietro la schiena. Un nodo solido ed abbastanza stretto. Poi, mentre si dimenava ed imprecava, fecero altrettanto con le caviglie. Lo rovesciarono sulla schiena.

- Come si sta? Ti piace essere legato come un salame? Come Lalie?

- Cosa volete fare?

- Niente. Proprio niente. Ti lasciamo qui. Prima o poi qualcuno ti troverà.

Ed uscirono, lasciandosi alla spalle un Bijard furioso che si agitava cercando di liberarsi e riempiendoli di improperi e di insulti. Chiusero la porta, sapendo che quando gli abitanti del palazzo si fossero stancati dei suoi lamenti sarebbero andati a vedere cosa stesse accadendo e lo avrebbero liberato.

 

La prima cosa che fecero fu recarsi dal prevosto, e spiegare cosa fosse accaduto ai bambini, per essere certi che non avrebbe fatto domande e che avrebbe difeso la loro sicurezza. Gli lasciarono poi alcune monete d'oro da far avere alla famiglia di Alain.

Ripresero i cavalli, ed attraversarono la Senna, per poi svoltare verso ovest verso l'École des Cadets-gentilshommes, attraverso Rue de Grenelle, dove lasciarono le cavalcature all'ingresso per poi chiedere di parlare con il Generale Claude-Louis de Saint Germain, una vecchia conoscenza di suo padre.

L'incontro non fu particolarmente lungo, durò forse una mezz'ora, ma Oscar ed André ne uscirono con aria decisamente soddisfatta.

 

- Allora, avete visto il Comandante Jarjayes? - chiese l'uomo.

- Oggi non é venuto alla Reggia. Quindi per stasera non se ne fa nulla.

- Maledizione! Quindi occorre attendere una settimana. Madame de Polignac non vuole che agiamo quando la sorveglianza é affidata al Maggiore Girodelle, e da domani sarà lui ad occuparsene. Non si fida di quel damerino. Troppo fedele a Jarjayes.

- La Contessa non sarà contenta del rinvio.

- E' stata lei a dettare le regole. Se ne farà una ragione. D'altra parte ormai sarà già informata che oggi non si è presentato. E, poi, cosa vuoi che cambi in una settimana? Quella donna vuole sempre le cose troppo in fretta.

 

Il pomeriggio era passato velocemente, a casa di Madame Forestier. Oscar ed André vi si erano recati per vedere se la donna fosse in grado di gestire serenamente i tre bambini, e ne avevano avuto una piacevole conferma. I tre piccoli erano stati lavati e rivestiti, il maschietto con gli abiti che erano stati di Paul, e le bimbe con quelli che Oscar aveva fatto mandare dalla sorella con il messaggio inviato la mattina attraverso Alain.

Nutriti e coccolati dalla cantante e dalle sue cameriere, stavano giocando tranquilli in quella che era stata destinata ad essere la loro stanza, mentre Oscar si era accoccolata vicino a loro per farsi raccontare se fossero contenti di trovarsi lì.

André, cui il ginocchio impediva di fare altrettanto, e Madame Forestier li osservavano dalla porta.

- Ma quanti anni ha il tuo comandante?

André sorrise. - Non molti.

- Già – osservò la donna. - Non ha neppure un accenno di baffetti. E non ha nemmeno cambiato voce.

Lui si strinse nelle spalle. Cosa poteva rispondere?

- Se non fosse impossibile, giacché è un ufficiale, direi che è una ragazza. Con quella voce da mezzosoprano…

- Questa sarebbe proprio grossa, non credete?

- Sì, persino per questi tempi. Hai ragione, Paul. Immagino che vi tratterrete per cena, vero?

Aggiunse poi, a voce più alta, rivolgendosi ad entrambi.

- Mi farebbe molto piacere. E' stata una vita molto ritirata e solitaria, la mia, ultimamente. Anche se da oggi sarà tutto differente.

Oscar le sorrise, dicendo che sarebbe stata onorata di accettare l'invito.

 

Lasciarono la casa di Madame Forestier quando era già buio. Avevano cenato, salutato i bambini e ripreso i cavalli. Il cielo era nuvoloso, non si vedevano le stelle. Tuoni lontani iniziarono a farsi sentire. L'aria si era raffreddata2, incominciarono a sentire quasi freddo. Se avesse iniziato a piovere avrebbero dovuto fermarsi. Il buio, la strada resa scivolosa, eventuali lampi che avrebbero spaventato i cavalli, ed André che non riusciva a far forza con il ginocchio.

Quasi a confermare i loro dubbi, un lampo trapassò il nero di fronte a loro.

 

 

1Nel manga pare che Oscar abbia meno problemi nel contatto con André. Come nota ad esempio nella scena in cui lo vede a petto nudo, ricorda di esservisi poggiata innumerevoli volte.

2Nel luglio 1777 le minime scesero sino a circa 11°C (misurate a Paris Montsouris). Vedasi http://meteo-climat-bzh.dyndns.org/Releves-1-7-Paris-Juillet-1777.php

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Capitolo 12
*** Cominciamo bene ***


12. Cominciamo bene.

 

Grosse gocce di pioggia iniziarono a cadere all'improvviso. Poche, e diradate, dapprima. Ma nel giro di pochi istanti si trasformarono in un violento acquazzone estivo. In quel punto erano del tutto allo scoperto, la strada costeggiava un placido canale. Se questo li metteva al riparo dal rischio dei fulmini che avrebbero potuto cadere sugli alberi, li lasciava completamente esposti alla furia dell'acqua.

Continuarono faticosamente ad avanzare, col capo chino contro il temporale. Poi arrivò qualche frammento di ghiaccio, seguito da altri, sempre più numerosi e grossi.

La grandine li colpiva sulle braccia e sulle gambe, dolorosamente. E infastidiva i cavalli, sempre più irritati e desiderosi di sottrarsi a quel tormento. I chicchi di grandine rendevano scivolosa la strada buia e fangosa.

Occorreva trovare un riparo in tempi brevi. Sulla sinistra dell'argine una diramazione conduceva ad una grossa fattoria costituita da più edifici. La casa padronale, gli alloggi dei lavoranti, stalle e fienili. André ed Oscar si diressero verso il più vicino, un grosso fienile dalle pareti in pietra e con il soffitto alto. La porta era sufficientemente larga per permettere l'ingresso dei cavalli, che sistemarono vicino all'ingresso. Con quel tempaccio, non c'era di certo il rischio che scappassero.

Si misero a frugare nelle bisacce, per recuperare i mantelli e cercare un acciarino. Alla luce di un lampo, trovarono una lanterna appesa accanto alla porta, ma ci vollero numerosi tentativi per riuscire ad accenderla con l'acciarino umido.

Quando ebbero infine un po' di luce si avvidero si trovavano in una grande stanza senza pareti interne, con alcuni ganci alle pareti, ai quali appesero le giacche fradice per farle asciugare. Non vi erano camini, e non osarono accendere fuochi per via dei frammenti di paglia presenti ovunque. Oltre metà del pavimento era occupata da una collinetta di fieno che verso il fondo raggiungeva quasi il soffitto.

Piccole finestre quadrate, prive ovviamente di vetri e riquadrate da una piccola inferriata a forma di croce, si aprivano verso la notte. André si soffermò ad esaminare la situazione da una di queste aperture.

- Per fortuna il grano è già stato raccolto. Ma per gli albero da frutto sarà un disastro.

La grandine si stava depositando in uno strato bianco, ed il rumore dei chicchi che cadevano sul terreno si sommava al battere ritmico di quelli che colpivano il tetto di legno, con un suono sordo. Il suono di nuova fame che arrivava sulla Francia. Rimase ancora un attimo ad osservare il temporale, poi si voltò verso Oscar e si avvide che stava tremando. Entrambi avevano ancora indosso le giacche di stoffa pesante, zuppe d'acqua.

André sfilò la propria, e la invitò a fare altrettanto. Le appesero ad una serie di ganci allineati tra due finestrelle, allargandole bene sugli uncini per farle asciugare. I tessuti pesanti avevano più o meno protetto le camicie, mentre sulle gambe sentivano il tessuto umido delle culottes, ma accendere un fuoco era un'idea da escluere.

Si avvicinarono ai cavalli, che liberarono dalle selle, poi presero i due mantelli che tenevano nelle bisacce. Poi si portarono nella zona dove si trovava il fieno, per tentare di riscaldarsi e dormire un poco. Era la seconda notte che si sarebbero trovati a trascorrere scomodamente, ed il pensiero non era per nulla incoraggiante.

Oscar prese il mantello per avvolgervisi, ma André la fermò.

- Così non ti scalderai, e non riposerai. E nemmeno io.

Le si avvicinò, e lei notò che la sua andatura era ancora più faticosa di quanto non fosse la sera prima. Avrebbe dovuto stare a riposo, ed invece si strapazzava da più di ventiquattrore.

- E allora, che si fa?

Ma intanto aveva disposto il proprio mantello su un mucchio di fieno che aveva appiattito.

- Ci mettiamo qui, schiena contro schiena. Il tuo mantello ci servirà da coperta. Senza doppi fini.

- Lo so. Ti conosco, mi fido. Non avresti nemmeno avuto bisogno di precisarlo.

André, che stava sistemando il giaciglio improvvisato, si limitò ad annuire. In realtà stava pensando che forse Oscar non aveva del tutto ragione di fidarsi. Da qualche tempo si stava rendendo conto che il suo interesse per lei era mutato. Cominciava ad accorgersi di quanto la trovasse bella, di quanto si sentisse attratto. Insomma, era consapevole del fatto che ne era innamorato. Era stato onesto dicendole che non aveva doppi fini, ma gli piaceva l'idea di dormirle accanto, così come era successo la notte prima. Per quanto scomodo, era stato un momento molto piacevole.

Si sistemarono, coprendosi con il mantello di Oscar. Rimasero per qualche tempo ad ascoltare il rumore della grandine, poi la stanchezza accumulata ebbe la meglio

 

Oscar si svegliò quando la prima luce dell'alba le colpì gli occhi entrando dalla finestrella ad est. Rimase un attimo con le palpebre chiuse, era ancora stanca ed avrebbe preferito dormire ancora. Poi realizzò di sentire un peso sul punto vita. Che cosa avrebbe potuto essere? Poi comprese che André si era rigirato e, in pratica, la stava abbracciando.

A rigore, avrebbe dovuto sentirsi irritata. O, almeno, così le avevano insegnato. Lei era intoccabile, per chiunque e soprattutto per un roturier. Invece, a dispetto di tutto, quel contatto le piaceva. Si sentiva protetta. Ogni tanto, le era capitato di pensare con un sentimento vago che forse avrebbe potuto essere un accenno di invidia, o un sottile malessere riguardo al suo stato, alle notti di chi si amava, a cosa significasse un abbraccio. Ebbene, nonostante non la legasse ad André che un affetto fraterno, in quel momento si sentiva protetta, serena, in breve si sentiva bene.

Rimase immobile, mentre si rendeva conto che anche Andrè si stava destando. Si accorse che, non appena lui si avvide di stringerla, si premurò di scostarsi e girarsi dall'altra parte. Solo allora Oscar cominciò a fare qualche movimento, e si mise seduta.

Il sole stava sorgendo, e si affrettarono a ripartire, per essere a Palazzo Jarjayes in breve tempo, cambiarsi d'abito e recarsi alla Reggia.

 

Poco prima del tramonto erano nuovamente diretti verso Palazzo Jarjayes, questa volta in carrozza, dopo la giornata trascorsa a servizio della Regina. Stavano discutendo delle notizie avute da Girodelle. Un uomo era uscito dalla Reggia, diretto verso la casa del borgo di Versailles nelle quale supponevano abitasse la mano armata della Polignac. In realtà, si era fermato e trattenuto nella vicina osteria, dove aveva parlato con parecchie persone, per cui il soldato che lo aveva seguito non aveva saputo individuare un possibile sospetto. Oscar avrebbe certamente scelto un altro. La giovane recluta che Girodelle aveva inviato era sicuramente affidabile, me di sicuro non l'avrebbe definito una cima.

Superarono il cancello della tenuta, ed in breve tempo furono in vista dell'ingresso. Nello spiazzo antistante la scalinata giocavano due bambini di una decina d'anni, che si volsero a guardare i due nuovi arrivati.

- Mia sorella è arrivata. - dedusse Oscar, prima di scendere, e di osservare a sua volta come André faticasse a osare i piedi sul predellino.

- Domani stai a casa, non provare ad opporti. D'altra parte, devi finire quel lavoro di ricerca.

- Già, l'ho un poco trascurato.

Intanto, i due ragazzini erano scomparsi nel palazzo. Si avviarono verso l'interno dove una cameriera li scortò sino alla biblioteca, dove Louise Héléne, moglie del Marchese di Norpois, sedeva avvolta in un severo abito verde scuro. Aveva quattro anni più di Oscar, ma pareva fossero molti di più. La postura rigida, l'acconciatura raccolta, la facevano apparire vecchia e leggermente arcigna. Accanto a lei, una giovane donna dall'aria altrettanto severa, con un abito blu notte ricamava compita.

- Buongiorno, sorella, ben arrivata. - le si rivolse Oscar, mentre André si esibiva in un leggero inchino. - Mademoiselle De Norpois – disse poi.

- Ben arrivata a Voi. Vedo che ancora conducete una vita da militare, come nostro padre desidera.

Oscar non seppe che rispondere ad una simile ovvietà.

- Mi limito a compiere il mio dovere.

- Dovere che presenta anche qualche vantaggio, direi.- si intromise con un sorriso triste la cognata, mentre il giovane Generale la guardava con tanto d'occhi, senza capire ove volesse andare a parare.

- Come potersi muovere liberamente, non dover rincasare la notte, senza render conto a nessuno. Mentre le donne normali non possono fare un passo se non accompagnate.

Ecco cos'era. Invidia. Non che fosse la prima volta. Le donne, in genere, erano assoggettate a padri e mariti, mentre a lei era concessa in effetti una libertà d'azione assolutamente fuori dal comune.

- Avete ragione. Ho una discreta fortuna, sebbene talvolta la debba pagare con qualche cicatrice di troppo.

La giovane rimase in silenzio, rendendosi conto di essersi spinta un po' troppo in là. Non solo con la giovane soldato (Il giovane soldato? Come si doveva dire?), ma anche con Louise Hélène, che non avrebbe approvato quei commenti. Si sarebbe presa una bella lavata di capo, più tardi.

Oscar prese congedo, adducendo come scusa il fatto di dover controllare gli studi di Rosalie, mentre André la seguiva commentando sottovoce:

- Cominciamo bene.

 

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Capitolo 13
*** Capricci ***


13. Capricci.

 

Oscar si immerse con gratitudine nella tinozza di rame. Aveva tenuto indosso la divisa e le fasce per ben tre giorni, e il busto ne portava i segni. Sarebbe andata più tardi a salutare Rosalie ed informarsi dei suoi progressi. Nelle ultime settimane le pareva che il tempo le scappasse via tra le dita come sabbia. E che, nonostante ciò, ci fosse sempre qualcosa ancora da fare o qualcuno di cui occuparsi. E sua sorella e la cognata avevano un bel dire che la sua vita fosse libera e, di conseguenza, facile e felice. Era certamente indipendente, ma molto più complessa di quanto potessero immaginare-

Si sistemò meglio nell'acqua tiepida, chiedendosi se avrebbe voluto far cambio, e rispondendosi di no. Non avrebbe di certo saputo sopportare il controllo, o, peggio, gli ordini di un marito. Era abituata a comandare e farsi obbedire. Sapeva gestire il proprio denaro. Non sarebbe mai tornata indietro. E poi… sottomettersi ai “doveri coniugali”? Era cosciente del proprio temperamento. Non si sarebbe mai piegata. Un sorriso sghembo le segnò il visto. Non avrebbe nemmeno garantito per l'incolumità del possibile coniuge.

 

Rosalie era sussiegosa con Oscar. Rispondeva a tutte le domande che le venivano poste sulla guerra dei cento anni, ma non diceva altro che riguardasse le sue ultime giornate.

Non era la prima volta. Era già capitato che, sentendosi trascurata in favore della Regina e degli impegni a corte, facesse una scenata che si sarebbe potuta definire di gelosia. Comprensibilmente, giacché ormai Oscar era la sua unica famiglia. Né la consolò l'idea che l'indomani André sarebbe rimasto a Palazzo, per cercare nel blasonario nobiliare il nome completo di sua madre. Ed ancora meno le piacque l'idea che Mademoiselle De Norpois avrebbe passato la giornata con loro, mentre Louise Hélène si sarebbe recata a Corte con la Madre e con Oscar. Vedeva in quella giovane nobile di provincia qualcuno che avrebbe potuto rubarle il tempo e le attenzioni di cui godeva.

A nulla valevano, in quei casi, le assicurazioni che non era così, i ragionamenti sul ruolo di Comandante delle Guardie Reali con i relativi obblighi, le blandizie ed i rimproveri. Le sarebbe passato nel giro di un paio di giorni, pensò André.

 

E invece i fatti dimostrarono che André aveva torto. Dopo cinque giorni la ragazzina era ancora intrattabile. Gli aveva impedito di consultare il blasonario, rispondeva con freddezza alle due aristocratiche di Nevers, era scontrosa con tutti ed indisponente.

Il giovane riteneva una fortuna che il ginocchio gli avesse permesso di riprendere il proprio ruolo come attendente dopo una sola giornata di riposo. Meglio compilare scartoffie che sopportare i malumori di Rosalie. Ma non aveva alcuna intenzione di farsi rovinare la serata. Era di ottimo umore, seduto su una panca sotto la grande quercia che ombreggiava il prato ben curato, dopo la cena. Oscar lo raggiunse. Anche lei pareva avere una buona disposizione d'animo. I giorni trascorsi le avevano fatta vedere in una luce nuova gli ultimi avvenimenti, e si sentiva soddisfatta per aver risolto la vita dei tre piccoli Bijard e di Madame Forestier.

Rimasero in silenzio a godersi il sole che tramontava. Oscar stava pensando al fatto che in quei giorni la loro amicizia si era in qualche modo ulteriormente rinsaldata. Non aveva provato imbarazzo nelle situazioni in cui si erano trovati, e che qualcun altro avrebbe potuto trovare quasi scabrose. Qualcuno come Louise Hélène. Il pensiero divagò verso la sorella. Non se la ricordava così chiusa e bigotta, negli anni in cui viveva a Palazzo. La vita di provincia l'aveva cambiata, l'aveva resa infelice ed astiosa. Il tedio della vita di campagna l'aveva spinta a diventare critica, a giudicare tutto e tutti con il proprio metro.

Un paio di volte le aveva anche rivolto qualche allusione a quanto fosse sbagliato (inopportuno, per la precisione) che si rivolgesse ad André con tanta familiarità, che lo trattasse quasi da pari. Le aveva detto che “la gente” avrebbe potuto malignare su di loro. Come se già non accadesse. Si stava rovinando l'umore, con questi pensieri, che le ricordavano come molti vedessero nella loro amicizia qualcosa di sporco.

Quelle meditazioni le avevano fatto abbassare il capo. Si accorse che stava osservando sovrappensiero l'erba ai propri piedi. Sollevò la testa per rivolgere gli occhi al sole, e si avvide che un cavallo stava entrando al cancello ancora aperto.

Strizzò gli occhi per osservare meglio e il suo umore precipitò. Un messo reale. L'avrebbero richiamata a Versailles e non ne aveva voglia. Ma era suo dovere obbedire ai richiami di Sua Maestà.

- La Regina richiede la Vostra Presenza1. Dovete raggiungerla alla Reggia. Ha intenzione di recarsi a Parigi.

- Ci sarò. - Rispose Oscar, poi congedò il messo e si alzò per andare a rimettersi la divisa.

Andrè la seguì in casa, per darsi una sistemata.

Ma Rosalie la pensava diversamente:

- Avevate promesso di ricontrollare i miei esercizi di grammatica!

- Lo so, ma la Regina ha chiesto di me!

- La Regina la regina! Non sapete dire altro! Ma lei è piena di servitori e di persone che si occupano di lei. Io ho solo Voi!

- Ho dei doveri da compiere, Rosalie!

- Anche nei miei confronti! Avevate promesso, ed ora un capriccio di quella donna vale più della promessa fatta a me!

Oscar sospirò. La ragazzina aveva ragione. Si sentiva in colpa. L'aveva presa in casa, le aveva assicurato che si sarebbe occupata di lai, ma era quasi sempre fuori.

- Senti, che ne dici di venire alla Reggia con noi?

- Davvero posso?

- Certamente. André, fai preparare la carrozza.

E si diresse verso la propria stanza.

Passando, incrociò lo sguardo di Louise Hélène, carico di riprovazione.

- Non mi pare appropriato. Dargliela vinta, così, dopo un capriccio. Quella ragazzina non imparerà mai a stare al suo posto.

- Ormai è fatta. Domani mi potrete raccontare nel dettaglio come suggerite di provvedere alla sua educazione. Ora, con permesso.

 

In carrozza, André ed Oscar sedevano vicini, Rosalie di fronte a loro. Ognuno di loro pareva perso nei propri pensieri. Il sole era ormai tramontato, e la notte si stendeva lungo la strada e sulle campagne.

- Non capisco una cosa, però – esordì lei, con un'aria perplessa.

- Oggi, Maria Antonietta aveva un impegno ufficiale con un concerto. Non capisco perché mi abbia fatta convocare.

- La Polignac l'avrà convinta a disertarlo. - Rispose André con una smorfia rassegnata. Non aggiunse altro, non aveva voglia di litigare con Oscar, sebbene fosse estremamente infastidito da quel cambio di programma, repentino e spiacevole.

La carrozza si trovava in un punto nel quale la strada era fiancheggiata da una fitta siepe di rovi a sinistra, mentre a destra un boschetto copriva la luce della luna. Quando il cocchiere si trovò davanti tre uomini con il volto coperto non poté fare altro che fermare il mezzo, mentre i cavalli spaventati scalpitavano. Gli occupanti della carrozza furono sballottati vigorosamente.

Chiedendosi cosa stesse accadendo, André ed Oscar aprirono gli sportelli per scendere, uno da un lato ed uno dall'altro. Furono però afferrati da qualcuno che li trascinò fuori, facendoli cadere a terra, separati dal copro della carrozza.

Oscar vide che accanto a sé era arrivato un altro assalitore, mentre pareva che la strada fosse libera.

- Rosalie! Salvati, vai via! Cocchiere, parti!

Ma il postiglione giaceva svenuto per un colpo ricevuto sulla tempia.

La ragazzina rimase tremante, nascosta tra le tende dei finestrini, ad osservare Oscar che, rialzatasi, si batteva contro i due uomini, tenendoli entrambi impegnati. André, dal canto suo, stava duellando con il terzo e pareva stesse avendo la meglio, nonostante i movimenti rapidi della scherma gli forzassero il ginocchio ferito.

In condizioni normali, si sarebbe liberato molto più rapidamente dell'avversario, che non era certamente un grande spadaccino. Invece, gli ci vollero alcuni minuti per ferirlo alla mano destra e fargli cadere l'arma di mano.

Solo allora poté accorrere in soccorso di Oscar, Si stava battendo con energia, ma il buio le giocò un brutto scherzo e, non vedendo una radice sporgente, cadde sulla strada. Mentre aveva entrambe le mani a terra, per rialzarsi, il più alto dei due uomini la colpì al braccio sinistro, all'altezza dell'omero. Urlò di dolore, crollando col ventre a terra.

Il suo assalitore si sollevò in tutta la sua statura, per finirla, ma si udì un colpo e l'uomo cadde a terra, riverso.

Tre soldati delle Guardie Reali arrivarono a cavallo, mentre Girodelle, abbassava la pistola.2.

Un giovane sergente scese da cavallo per bloccare l'uomo che era stato ferito da André, che stava cercando di scappare strisciando sotto la siepe di rovi. Invece, il più altro dei tre assalitori si era dato alla fuga tra gli alberi non appena udito il colpo di pistola. I due soldati che ancora erano in sella scesero precipitosamente per inseguirlo, il sottobosco era troppo fitto per permettere loro di proseguire.

Girodelle si avvicinò ad Oscar per sincerarsi delle sue condizioni. La ferita non era particolarmente grave, ma il rischio di setticemia era dietro l'angolo. Aiutò André a farla salire sulla carrozza, dando l'ordine al sergente si sostituire il cocchiere.

- Come siete arrivato sin qui? - gli chiese l'attendente.

- Come d'accordo con Oscar, un nostro uomo pedinava quello che è fuggito nel bosco. Lo ha veduto unirsi agli altri, lo ha seguito, ed è tornato a Versailles par darci indicazioni. Ma tutto questo ci ha ritardati parecchio.

- Non ditelo nemmeno. Il vostro intervento è stato vitale.

- Ora andate.

 

 

1  Rispetto al manga, ho anticipato questa scena perché mi occorre che avvenga prima del ritorno di Fersen.. La scenata di Rosalie invece è molto simile a quanto accade nel manga.

2  Nel manga, il salvatore è Fersen. Ai fini della mia storia, è più efficace che sia Girodelle.

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Capitolo 14
*** Come una freccia ***


14. Come una freccia1.

 

Alla Reggia non occorreva mai attendere il gazzettino ufficiale affinché le informazioni si diffondessero. Ma la notizia del ferimento del Comandante Oscar si sparse in ancor meno tempo. Al petit lever2 Re Luigi era già informato dai primi chirurghi riguardo quanto accaduto, l'agguato, le cure prestate da Lassonne, la prognosi.

All'ingresso dei “gens de qualité” ormai tutti gli aristocratici ne erano a conoscenza.

Le voci si rincorrevano per tutto il palazzo, ingigantendosi o sminuendosi come onde a seconda dei capannelli di nobili tra i quali si spostavano. Qualcuno rammentò la caduta del lampadario di poco tempo prima. Qualcun altro cominciò a sussurrare, in privato, un nome.

Fu la prima cosa che Maria Antonietta udì al risveglio, prima ancora del Buongiorno di rito.

Girodelle, che già aveva informato il Re, fu convocato alla presenza della Regina immediatamente, e le espose i fatti mentre le venivano acconciati i capelli. Madame de Polignac era presente, e sussultò all'udire che il suo uomo di fiducia era pedinato da alcuni giorni.

Provò a sminuire la cosa, adducendo il fatto che probabilmente si fosse trattato di un semplice tentativo di rapina.

- Mi spiace, Contessa – le rispose l'ufficiale, cortese ma freddo – il fatto che qualcuno in abbigliamento da Messo Reale sia giunto a Palazzo Jarjayes convocando espressamente il Comandante è prova del contrario. Si è trattato di un agguato.

Maria Antonietta era visibilmente turbata.

- Ed il loro piano è quasi riuscito.

- Purtroppo sì, Maestà. Per una serie di eventi che hanno giocato a favore degli assalitori: il fatto che fossero in carrozza, per poter far arrivare alla Reggia anche Mademoiselle Rosalie, André ancora un poco claudicante per l'incidente del lampadario, tutti fattori che ne hanno sancito il vantaggio.

- Ma la perspicacia della vostra spia ha rovesciato le sorti dell'assalto.

- Fortunatamente, sì, mia Regina.

 

Nello stesso momento, Oscar ancora dormiva il sonno artificiale del laudano. Il dottor Lassonne aveva ricucito la ferita sul bicipite sinistro. Non era particolarmente profonda, e non aveva lesionato alcun tendine, ma la sepsi era pur sempre in agguato.

André era rimasto su una poltrona accanto al letto, nel caso si fosse svegliata. Alla fine la stanchezza aveva avuto il sopravvento, e si era assopito in una scomoda posizione.

Si svegliò di soprassalto quando venne aperta la porta della stanza, e fece il suo ingresso Madame de Jarjayes, con un'espressione tesa sul volto, seguita da Louise Hélène.

Madame Marguerite rivolse uno sguardo gentile ad André, ringraziandolo per la sua presenza costante. La figlia, invece, mormorò qualcosa sull'opportunità che si fosse fermato nella stanza sino all'alba.

La Contessa si piegò sul letto per controllare il respiro della ferita, e le accarezzò la mano sinistra. Il contatto, seppur lieve, dovette infondere un dolore al braccio, poiché Oscar ebbe una smorfia per poi svegliarsi.

- Buongiorno, Madre. Sono felice di vedervi, ma non è nulla. Non era necessario che vi precipitate qui.

- Le voci a Versailles erano preoccupanti. Anche la Regina era in pensiero per te.

- Alla Reggia le notizie corrono incontrollate. E' solo un piccolo taglio. Anche tu, André, sei rimasto su quella poltroncina scomoda.

- Lo sai che anche con un graffio ci può essere pericolo di sepsi. Dovevo rimanere a controllare che non salisse la febbre.

- A quanto pare mi è andata bene. Me la caverò con una cicatrice per fare il paio con quella del braccio destro. - Ironizzò Oscar.

La sorella la guardò stupita:

- Non è la prima volta?

- Certo che no, e nemmeno credo che sia l'ultima. E' un dato di fatto del mestiere delle armi. Ci si fa male.

Madame Marguerite cambiò discorso.

- Girodelle ha detto che nel pomeriggio verrà a riferire sulla caccia al fuggitivo.

- Dubito che lo troveranno – si inserì André – credo abbia degli appoggi in alto loco.

- Credo anch'io. Ormai sarà al sicuro chissà dove.

 

La piccola Charlotte de Polignac era venuta a conoscenza da poco dell'accaduto, e si era precipitata in cerca della Contessa.

- Madre, madre!

- Calmati, Charlotte. Una ragazza di nobile lignaggio non corre in questa maniera. E non alza la voce. - Le rispose freddamente.

- Ma, è importante! Avete sentito cosa è successo al Comandate Oscar! Lo hanno ferito, stanotte!

- Ebbene, mia cara, non vedo come questa notizia possa affannarti in tal modo.

- Stanotte mi sono svegliata, perché ho udito dei rumori provenire dal salottino, e ho visto Monsieur Cassel, in mantello e stivali, e gli stivali parevano insanguinati, oltre che polverosi.

- Ma cosa vai dicendo? Avrai sognato! Non sono certo solita ricevere Monsieur Cassel la notte. - La riprese la Contessa. La piccola Charlotte tacque.

- Piuttosto, pensa a farti bella e a ripassare i passi del minuetto per la prossima festa. Ho intenzione di presentarti un pretendente. Un ottimo partito.

- Ma, madre! Ho undici anni! E' troppo presto per sposarmi.

- Decido io se è presto o tardi. Tu pensa solo che è un grande onore. E' molto vicino alla famiglia reale.

 

Il giorno seguente, Oscar si trovava nella sala delle vetrate, che erano state completamente aperte. Si godeva la leggera brezza che rinfrescava un poco la giornata estiva, seduta su una poltroncina con il braccio sinistro immobilizzato da una stretta fasciatura.

Accanto a lei, André sedeva di fronte ad un tavolo contenente i pesanti tomi degli elenchi nobiliari. Stava controllando da un paio d'ore le pagine fitte di nomi e dati scritte da differenti arzigogolate calligrafie, quando si interruppe con aria perplessa, per poi sospirare.

- Trovato?

- Temo di sì, anche se spero di no.

- Sarebbe a dire?

- Guarda tu stessa.

Oscar si alzò e si mise alle sue spalle.

Yolande Martine Gabrielle, 8 settembre 1749, da Jean François Gabriel, conte di Polastron, signore di Nuoueille, Venerque e Grépiac e Jeanne Charlotte Hérault.

- Non dirmi che è quella Polastron?

- Temo proprio di sì.

- Come facciamo a dirglielo?

- Dire cosa? - Chiese con una vocetta acuta Mademoiselle de Norpois.

La cognata di Louise Hélène era una ragazza di natura lieve e curiosa, strettamente trattenuta dai continui rimproveri della cognata, che a Palazzo Jarjayes, riuscendo spesso a sfuggirle, poteva manifestare più facilmente il proprio temperamento. Ed era giunta in un modo ed un momento inopportuno, accompagnata da Rosalie che si stava legando a lei, per vicinanza di età.

La ragazzina, vedendo e riconoscendo i grossi volumi rilegati, si avvicinò al tavolo.

André si mise di traverso, per impedirle di leggere. Preferiva dirglielo, cercando di addolcire un poco la crudezza della notizia, anziché metterla di fronte alla realtà letta su un registro.

- Mademoiselle De Norpois, avremmo necessità di conferire per un momento con Mademoiselle Rosalie. In privato.

- Ma, forse, potrei…

- No – la interruppe Oscar. - Non potreste.

La giovane fece una riverenza ed uscì.

Rosalie si voltò, pallida in volto.

- Avete dunque trovato mai madre?

- Sì. - Le rispose André. - Ma adesso devi dirci se vuoi saperlo oppure rimanere all'oscuro come sostenevi alcuni giorni fa.

- Ci ho pensato a lungo. Avete ragione voi. Preferisco sapere il suo nome. Chiunque essa sia.

- Non è una persona qualunque.

 

Rosalie aveva pianto a lungo per quell'atroce scherzo del destino. La sua madre adottiva uccisa dalle ruote della madre naturale. Dover riconoscere di discendere da colei che avrebbe voluto uccidere.

Ci sarebbero voluti giorni per potersene fare una ragione, quindi nessuno commentò quando non la si vide scendere per la cena. Oscar aveva dato precise istruzioni: che non la si disturbasse in alcun modo per quella sera. Ma dall'indomani il ritmo quotidiano di lezioni ed attività avrebbe dovuto riprendere. Credeva fermamente nel potere taumaturgico del rimanere occupati ed attivi.

Ma la nube che gravava sulla sua giovane amica la turbava. Si era quindi rifugiata presto nel salottino insieme ad André, non appena Madame Marguerite aveva detto di volersi ritirare per la notte.

Fu quindi stupita quando udì bussare, per poi veder apparire il vecchio zio, che entrò reggendosi al bastone.

- Qualcuno ha lasciato questa qui fuori. - Disse, agitando con l'altra mano una bottiglia.

 


1 Citazione da Fabrizio de André.

2  A 8 heures, heure du petit lever, le premier valet, qui a passé la nuit au pied du baldaquin du roi sur un lit d'appoint, s'approche de celui-ci et Murmure “Sire voici l'heure”. Suivaient les premiers chirurgiens, qui examinaiente le Roi.

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Capitolo 15
*** Dietro la porta ***


15. Dietro la porta

 

Oscar fece cenno al Generale in congedo di entrare ed accomodarsi.

Il vecchio avanzò a fatica, con la mano destra sul bastone e la sinistra che stringeva la bottiglia. Nel tempo che impiegò a raggiungere la poltrona, André gli aveva versato un bicchiere.

L'ex ufficiale si accomodò faticosamente, e poi strinse l'oggetto poggiandolo sul ginocchio.

- Do ut des - sorrise sornione. - Se la volete, dovete raccontarmi cosa bolle in pentola.

I due giovani si guardarono. I loro occhi si dissero che potevano fidarsi. Fu Oscar a raccontare nei dettagli quanto avevano vissuto. Il Generale ascoltò in silenzio, per poi commentare che la cosa era molto curiosa, che avevano agito bene e che trovava interessante il fatto che avessero risolto due situazioni scomode in un'unica soluzione, mettendo i piccoli Bijard a casa di Madame Forestier.

Dopo aver posto qualche domanda su Rosalie, propose di aprire il nuovo messaggio.

Se ne incaricò Andrè, che poi lo estrasse con cura. Si chinarono in tre su quel foglio. Riproduceva un antico vaso greco, un'immagine di Medea1, nell'atto di sgozzare i figli. Al di sotto, l'indicazione che il destinatario era Oscar, ed un nome: Charlotte Aglaé2 de Polignac.

Per quale motivo veniva indicato il nome della ragazza? Perché Medea? Cosa aveva in mente la madre? Perché la Polignac tornava nuovamente in quei messaggi?

Avrebbero comunque dovuto attendere ancora qualche giorno, prima di tornare alla Reggia. Oscar non si era ancora del tutto ripresa, e non avrebbe potuto svolgere le proprie mansioni. La sola cosa confortane era costituita dal fatto che, per quanto la Contessa fosse avida ed arrampicatrice, era risaputo che viziasse e venerasse la sola figlia femmina, che stava cominciando a mostrare un caratterino di tutto rispetto.

Il Generale si incaricò comunque di raccogliere eventuali pettegolezzi per conto loro, mentre Oscar accarezzava l'idea di andare a controllare come stessero i piccoli Bijard.

 

E così fece, due giorni dopo. La mattina, dopo aver avuto parere positivo dal Dottor Lassonne, salì in carrozza con André e si recò in città, nonostante le proteste della nonna e le recriminazioni di Louise Hélène. Ma voleva controllare che i ragazzi fossero a posto, al sicuro e ben trattati. E, non ultimo, voleva uscire da Palazzo Jarjayes. La madre era rimasta un paio di giorno, prima di essere richiamata dai doveri a Corte. E, in tutta franchezza, la sorella si era dimostrata una donna chiusa, bacchettona e provinciale che non riusciva a comprendere del tutto. Rosalie era diventata chiusa e preoccupata, dopo la coperta di chi fosse sua madre, e Mademoiselle De Norpois aveva lo spessore di un foglio di carta. Uscire era divenuta una necessitò, nonostante la ferita. Avrebbe fissato il braccio al petto, come promesso al medico, e si sarebbe concessa una giornata serena.

 

Infatti il pranzo a Madame Forestier fu sereno e divertente. I bambini, sereni e finalmente paffutelli, si erano dimostrati spiritosi, avevano cantato, giocato e avevano voluto mostrare i piccoli progressi fatti in quelle poche settimane. Madame, a sua volta, era rifiorita. Avere qualcuno di cui occuparsi le aveva dato una nuova ragione di vivere, non era più la donna triste e smunta che ricordavano.

Dopo aver lasciato casa Forestier, tornarono in Rue du Bourg Tibourg per vedere se il giovane Alain avesse ricevuto la lettera di Ammissione all' École des Cadets-gentilshommes. Lasciarono la carrozza nei pressi del Palais Royal, per non dare troppo nell'occhio, e si avviarono a piedi.

Alain non era a casa, stava facendo qualche lavoretto per risparmiare qualche soldino. Madame De Soisson li accolse con gratitudine. Aveva compreso immediatamente che la possibilità di entrare all'Accademia veniva da quel giovane ufficiale, ed era felice che il suo figliolo potesse avere un futuro ed un mestiere.

I due giovani lasciarono la casa tranquillizzati sull'avvenire del ragazzino. Scesero le scale serenamente, ed appena usciti dal portone si trovarono di fronte il fabbro Bijard. Si squadrarono per un momento. Poi l'uomo, a voce alta, li accusò, rivolto agli avventori dell'osteria, che bevevano sulle panche esterne, di aver rubato i figli.

Il suo vociare li sorprese, e non ebbero modo di ribattere, perché si trovarono scrutati da parecchi occhi. L'uomo aveva già raccontato più volt il furto dei suoi bambini, ed ebbe gioco facile nell'avere la folla dalla sua parte.

André ed Oscar si trovarono in breve circondati. La folla cercò di strattonarli, tirò le giacche, provò ad afferrarli. Oscar urlava a gran voce di lasciare andare André. Proprio il suo vociare attirò alcuni dei facinorosi, che tentarono di trascinarla via. Riuscì a svincolarsi, e si sentì afferrare per il polso da André, che le urlò di sbrigarsi, e la trascinò da parte. Mani varie la trattenevano, così come cercavano di bloccare lui. Le cuciture della giacca alla spalla cedettero, i decori delle maniche si sfrangiarono, dovette davvero divincolarsi violentemente per riuscire a sfuggire a quell'assalto, ferendosi ulteriormente il braccio dolorante. André riuscì ad aprirsi un varco tra coloro che li attaccavano, per infilarsi in un vicolo, che immaginava lo avrebbe portato verso l'Hotel De Sully. E che invece, dopo pochi passi, svoltava verso Rue des Rosiers. Non smisero di correre, ma videro che la strada che stavano percorrendo li stava portando verso altri ribelli. Andrè vide un portone aperto alla loro destra, e vi si infilò dentro, trascinandosi appresso Oscar.

Ma non si avviò verso le scale interne, né lo chiuse per bloccare gli inseguitori. Invece, girò a destra di botto e, spingendola con forza, fece in modo di incuneare entrambi nello spazio triangolare tra il muro ed il battente3.

André si addossò al muro umido ed attirò vicino Oscar, con la schiena di lei che quasi gli toccava il petto. Erano entrambi ancora ansanti per la corsa, storditi dal rumore, dalla folla. A lei non era chiaro perché si fosse infilato in quello che le pareva una trappola, ma decise di fidarsi.

E si rese quasi immediatamente conto che André aveva ragione. Udì rumore di passi, il vociare di alcuni uomini furibondi che li cercavano, poi il portone venne sbattuto con violenza, chiudendoli in una bolla protetta. Li udì sorpassare il loro nascondiglio, e dirigersi vero le scale per cercarli. Non si voltarono nemmeno, non presero neanche in considerazione l'ipotesi che non fossero saliti.

Oscar fece per uscire, ma Andrè la trattenne. Le era alle spalle, ed ormai, in quello spazio angusto, il suo petto le poggiava sulla schiena.

Le portò le labbra vicinissime all'orecchiò e le sussurrò pianissimo di aspettare, di attendere che tutto fosse calmo. Lei annuì lentamente e si dispose ad attendere.

Poco alla volta il respiro si fece regolare, la paura dell'aggressione cominciò a scemare, e iniziò a notare i particolari. Il legno del portone era screpolato, la vernice un poco scrostata in alcuni punti. Era un edificio con alcuni appartamenti, che aveva visto tempi migliori. L'angolo in cui si trovavano era umido e buio, ma non sporco.

Poi iniziò a prestare attenzione a se stessa. Solo in quel momento si accorse che André la stava trattenendo con il braccio sinistro, che le attraversava il petto come una bandoliera, mentre la mano le poggiava sull'anca destra. Sentiva il suo respiro, sia come soffio leggero tra i capelli, sia attraverso le spinte leggere che le premevano sulla schiena.

Mano a mano che si calmava, iniziò anche a prestare attenzione ai suoni: udiva le voci di quelli che li stavano cercando, il pianto di un neonato sopra le loro teste, rumori indistinti nelle strade. Infine arrivò il rumore di passi pesanti che ridiscendevano e si facevano sempre più vicini. Passarono e li superarono; anche questa volta il portone non venne nemmeno considerato.

Attesero ancora qualche momento, poi André la lasciò andare, e con la mano che prima la teneva spinse lentamente il battente. Per entrambi fu quasi spiacevole lasciare quella bolla di sicurezza, quel momento in cui si erano sentiti vicini come non accadeva da tempo.

Una volta in strada, che videro libera, si mossero rapidi per tornare al luogo ove avevano lasciato la carrozza, tagliando per Rue des Écouffes.

 

 

 

2 La vera figlia della Polignac si chiamava Aglaé Louise Françoise Gabrielle de Polignac, ne ho quindi utilizzato una parte del nome in questo racconto. Venne effettivamente maritata a dodici anni al Duc de Guiche et de Gramont. Utilizzerò dunque la grafia Guiche per indicare l'aristocratico che la Charlotte del manga non vuole sposare.

3 Trucco usato più di una volta da Luc Besson nel film Lèon.

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Capitolo 16
*** Mercimonio ***


15. Mercimonio

 

Oscar sospirò. Dopo la cena era uscita nel giardino di Palazzo Jarjayes. Non aveva molta voglia di parlare con la sorella e con la di lei cognata, Mademoiselle de Norpois.

A giornata era stata piena di eventi, a partire dal sereno pranzo con i piccoli Bijard, che l'aveva rasserenata e tranquillizzata, per terminare con la visita a casa del Dottor Lassonne, cui aveva dovuto chiedere di rimettere un punto alla ferita dopo l'inseguimento per le vie del Marais. Senza contare ciò che l'aveva scombussolata più di tutto: l'abbraccio di André dietro la porta. Non avrebbe saputo esprimere a parole ciò che quel tocco aveva suscitato in lei, ma percepiva confusamente che era stato portatore di un turbamento sconosciuto. Non spiacevole, anzi. Ma aveva la vaga sensazione che quel turbamento non avrebbe dovuto esserci. Aveva provato qualcosa di fuori luogo, cui non sapeva dare un nome.


Per questo preferiva rimanere sola. Louise Hélène era stata a Versailles, durante il giorno, e le sue chiacchiere ed i commenti l'avevano stordita ed infastidita. Sentir parlare con entusiasmo e sprezzo alternati di ciò che vedeva quotidianamente da anni l'aveva infastidita in un modo che non avrebbe creduto possibile, ed aveva preferito allontanarsi.

Dopo alcuni minuti vide invece arrivare André. Pur consapevole di non aver compreso la sensazione che le aveva suscitato, si rese conto di essere felice di vederlo. Raramente la sua presenza le risultava fastidiosa.

Si sedette sul banco di pietra che si trovava di fronte a quello su cui stava Oscar, e le chiese se la spalla le dolesse.

- No, non più di ieri. Tra un paio di giorni potrò rientrare a Corte.

- Non è esattamente quello che ha detto il medico . - Ribatté lui.

- Touché. Però rischio di più se resto a casa e provo a risolvere l'inattività forzata a modo mio.

André fece una risatina. - Vero anche questo.

Poi alzò lo sguardo verso il palazzo e disse, abbassando la voce: - Parenti di Nevers in avvicinamento da est.

- Faccio in tempo a fuggire?

- No, ci hanno veduti. Qualche minuti poi accampi la scusa della ferita e te la svigni.

Le due donne giunsero presso di loro, e Louise Hélène si accomodò accanto ad Oscar, mentre Mademoiselle de Norpois si sedette al fianco di André.

- Non vi ho detto che oggi ho avuto uno scambio con la Contessa di Polignac. E' venuta da me per informarsi della vostra salute. Mi è parsa seriamente preoccupata per la vostra persona.

- Oh, non ne dubito. - Rispose Oscar. - Visto che è la mandante della mia aggressione, vorrà sapere quando dovrà riprovarci.

- Lo avevate già detto. Eppure, per quanto mi sia parsa un'arrivista, non aveva l'aria dell'assassina.

- Vi stupireste nel sapere quanti criminali hanno un aspetto rispettabile.

Il dialogo venne interrotto dall'arrivo di Rosalie. André si levò in piedi, cedendole galantemente il posto. Un breve sguardo di disappunto attraversò gli occhi di Mademoiselle de Norpois, che però si riscosse subito.

- A me hanno invece raccontato un pettegolezzo sulla Contessa.

La cognata la rimbeccò: - Non dovete dar credito ai pettegolezzi, lo sapete bene.

- Ah, ma questo era sulla bocca di tutti, e me lo ha confermato vostra sorelle Josephine. Pare che la figlia della Polignac sposerà presto un Duca, il Duca de Guiche et de Gramont.

- Ma non è davvero possibile. - Ribatté Oscar.

- Lo danno tutti per certo, invece. - Ribadì, piccata, la ragazza. - Pare ci sia già la data del fidanzamento.

- Sul serio - riprese Oscar - mi sembra davvero impossibile. Charlotte de Polignac ha undici anni.

Questo argomento riuscì a tacitare le sue interlocutrici, ma fu André a parlare, invece.

- Odio doverti contraddire. Ma purtroppo mi pare esattamente il tipo di azione che la Contessa metterebbe in atto per la propria scalata sociale. E sicuramente il Duca De Guiche non si tirerebbe indietro, anzi. Mi pare esattamente il tipo di uomo che non si farebbe alcuno scrupolo ad impalmare una ragazzina.

Un silenzio diverso scese sul gruppetto, questa volta. Ognuno meditava per proprio conto quanto aveva appena udito. Il pensiero di quel matrimonio orrendo si legava per ognuno di loro a pensieri differenti.

Louise Hélène riandò con la memoria al ribrezzo che provò nei primi incontri con il marito.

Mademoiselle De Norpois pensò a se stessa, a quale futuro l'attendesse. Non era fidanzata e Versailles avrebbe potuto significare trovare un buon partito. Così credeva, prima di lasciare Nevers. Adesso si stava domandando cosa sarebbe accaduto se il buon partito di cui tanto aveva udito palare e di si era convinta si sarebbe rivelato disgustoso come quel Duca. Aveva sempre ammantato il concetto con molti pensieri sentimentali. Ora le venne il dubbio, per la prima volta in vita sua, che la famiglia potesse avere programmi diversi.

Oscar cercò di ricordare i matrimoni delle sorelle. Non tutti erano stati felici. Ma era troppo piccola e troppo poco interessata a quel tipo di cosa per ricordarsi chiaramente cose le ragazze avessero pensato o provato. Si ricordava solo dell'ultimo, quello di Josephine, al più vicina a lei come età. Ma il futuro marito era giovane e bello. Lei era stata felice di quelle nozze. Ma forse non era stato così per tutte. Ringraziò mentalmente il padre per averla trasformata in soldato e averle risparmiato il destino del matrimonio. Quel lieve disagio che confessava a se stessa quando si rendeva conto di provare qualcosa per Fersen era certamente preferibile a quanto le si stava prospettando in quei minuti.

André, invece, stava considerando quanto gli usi dell'aristocrazia fossero legati al mantenimento di possedimenti e titoli, sino a far mercimonio celle figlie. Tra il popolo, invece, che non aveva patrimoni da proteggere, ci si sposava per amore. Riandò col pensiero ai suoi genitori, e all'atmosfera gioiosa di casa sua. Provò a sorvolare su cosa, ne era ogni giorno più sicuro, stava provando per Oscar.

Rosalie sospirò. Sapeva di essere al sicuro. Suo tutore era Oscar, e mai l'avrebbe mandata in sposa contro la sua volontà. Finse che non le importasse di Charlotte.

André si alzò, e si incamminò verso casa. Fatti due passi, si fermò: - Abbiamo un piano da approntare.

Oscar comprese il richiamo e, dopo essersi scusata, lo seguì.


- Questa volta non so davvero cosa fare. Come posso impedire un matrimonio?

- Forse questa volta è indirizzato solo a te perché puoi intervenire presso la Regina.

Oscar alzò gli occhi.

- E il fatto che si tratti di un matrimonio ci dà tempo per agire.

- Hai ragione. Possiamo pensare con calma. E agire con criterio.

- Inoltre credo che salvare Charlotte ci aiuti anche, in qualche modo, con Rosalie. Non so come, ne perché, ma il fatto che due lettere si riferiscano alle due figlie della Polignac abbia un senso più profondo di quanto appaia.

- Non basta che abbiano la stessa madre^

- Credo che ci sia altro. Salvando una, facciamo qualcosa per l'altra, e viceversa. Come, non mi è chiaro. Per cui partirei dal dato di fatto più certo che abbiamo. Il matrimonio.

- Tra due giorni potrò tornare a Corte. Nel frattempo, possiamo cercare altre informazioni su De Guiche. In fondo, di lui conosciamo poco più che voci.

- Ottima idea. Ora però vatti a riposare. La giornata è stata lunga, e hai di nuovo perso sangue.

- Buonanotte, André.

 

 

Rieccomi. Mi scuso per l'estremo ritardo nella pubblicazione.

A volte la realtà si mette di mezzo

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Capitolo 17
*** La sposina ***


17. La sposina

 

Di nuovo a Versailles. Oscar si sorprese a pensare un finalmente.

Non che le fosse mancata l'atmosfera della Reggia, ma la forzata inattività le aveva fatto più male che bene. Da sempre, preferiva l'azione.

E comprendere come sventare quel matrimonio le pareva ora estremamente urgente.

Il primo impegno dopo aver organizzato le esercitazioni ed i turni della Guardia Reale fu recarsi a rendere omaggio a Sua Maestà. Maria Antonietta si trovava al Petit Trianon, come sua consuetudine. In quel momento era circondata dalle dame, come spesso accadeva. Oscar trovava sempre più difficile vederla da sola. Se l'unica soluzione per proteggere Charlotte si fosse rivelata parlare alla Regina, avrebbe dovuto chiedere un appuntamento privato.

Vide Madame Jarjayes tra le dame di compagnia della Regina, e si avvide che sua madre mostrava un viso stanco e tirato. Non era semplice, per lei, reggere i ritmi della giovane sovrana. Le feste, le serate trascorse a giocare a carte, talvolta l'attesa dell'alba nei giardini: tutto ciò non era certo nello spirito di Madame, e la sua età le rendeva vieppiù pesante il dovere di assistervi. Dopo aver omaggiato Maria Antonietta, Oscar la affiancò. Si fermarono qualche istante a parlare, approfittando del fatto che l'arrivo della Contessa di Polignac aveva ritardato la partenza della Regina per la passeggiata. Madame Marguerite non si lamentò, anzi, si premurò di rassicurare la figlia sul proprio stato di stanchezza, sebbene i segni attorno agli occhi la smentissero.

Vennero però interrotte da André, che recava un messaggio di Girodelle: era attesa dal Generale Bouillet per conferire a proposito di una qualche parata prevista di lì a poco. Cosa non rara, in quel periodo in cui il fratello delle Regina, Giuseppe II1, si trovava a Parigi. Sebbene non amasse sfarzo e feste, era stato organizzato un certo numero di eventi in suo onore, soprattutto con l'avvicinarsi della partenza.


La riunione con Bouillet si era protratta a lungo, ed Oscar stava percorrendo con André il lungo viale che conduceva al Grand Canal. Un'ombra colorata attrasse la sua attenzione. Dietro al basamento di una statua, vide la giovane Charlotte de Polignac2 che la osservava. Le si avvicinò con gentilezza.

- Mademoiselle Charlotte, buongiorno. Cosa fate qui tutta sola?

- Ecco, io…. So che siete stato ferito. E...e...io credo...io temo….

- E' stata vostra madre, Mademoiselle. Lo so. E non ve ne faccio una colpa. - rispose Oscar con tono gentile.

La ragazzina scoppiò a piangere, aggrappandosi alla mano che le porgeva.

- Ero così in pensiero per Voi.

Non aggiunse che era anche preoccupate per la propria sorte. Pensò che aveva sempre pensato che un giorno sarebbe andata in sposa. Ma più avanti, molto più avanti. E che avrebbe sposato un giovane ufficiale, coraggioso e attraente. Qualcuno come Oscar, forse. Di sicuro non quel vecchio che le faceva ribrezzo.

Il Comandante la risollevò, e cercò le parole adatte per consolarla.

- Non temete, nessuno vi incolpa per ciò che vostra madre potrebbe aver fatto.

La fanciulla singhiozzò ancora un poco, poi cercò di ricomporsi. Quando si fu asciugata gli occhi con un fazzoletto di pizzo, si incamminò tristemente verso il Palazzo.

Una volta incamminati nel verso opposto, André fu il primo a parlare:

- Povera bambina. Per quanto non abbia detto nulla, é evidente che è molto turbata. E non solo per la tua aggressione.

Dopo aver proseguito alcuni minuti in silenzio, intravidero in lontananza il gruppo che circondava Sua Maestà. Come al solito, era attorniata di persone giovani e apparentemente felici. Un poco in disparte, riconobbero la Contessa di Polignac, intenta a parlare con un uomo alto e dalle spalle larghe3. Quando furono più vicini, si accorsero che era proprio il Duca De Guiche et de Gramont. Oscar deglutì e strinse i pugni. Sapeva di doversi trattenere. Il misterioso messaggero le aveva affidato un compito, e non poteva permettersi di fallire per la sua impulsività.

Si fermò in un punto dal quale poter osservare agevolmente sia Maria Antonietta sia il Duca. Andrè le sussurrò qualcosa, ed il gesto venne notato dalla Polignac.

- Colonnello, vedo che siete tornato tra noi. Pronto4 ad osservare tutto ciò che accade e a commentarlo con il vostro attendente.

- Pronto a osservare per proteggere Sua Maestà.

- Già, dimenticavo. Voi siete serio ed integerrimo. Non indulgete ai piccoli piaceri che si concede il resto della Corte. Soprattutto non al pettegolezzo.

- Debbo saper distinguere tra notizie ed indiscrezioni. Fa parte del mio incarico.

- Certo, certo. Ma voi esibite con ostentazione la vostra indifferenza ai nostri piccoli piaceri. Con ostentazione offensiva.

- Madame, non pensavo che la mia indifferenza vi toccasse. Farò subito ammenda. Mi si dice che presto diventerete una suocera. Risponde a verità?

La Contessa strinse la mascella. Messa in quel modo, la cosa la invecchiava parecchio. Nessuno aveva osato ricordarle che anche il suo stato sarebbe mutato, oltre a quello di Charlotte.

André fece un passo avanti. Non voleva che Oscar si spingesse troppo oltre.

Intervenne il Duca De Guiche: - Già, a quanto pare, sono un uomo fortunato. Oltre ad una sposina deliziosa, avrò anche una suocera affascinante.

- Più una bambina, che una sposina. - Rispose Oscar a denti stretti.

- Non ditemi che anche voi siete tra quei moralisti che pensano che Charlotte sia troppo giovane. - Ribatté l'altro, con un sardonico sorriso storto.

- Ebbene, sì. - Ammise Oscar. - E dunque?

Il Duca si strinse nelle spalle.

- Tutti vi descrivono come freddo ed irreprensibile. Come uno che non si diverte. Anzi – il sorriso crebbe ancora – alcuni dicono addirittura che voi siate una donna. Una donna fredda. Algida.

- Come dicevo, occorre distinguere tra verità e pettegolezzo. - rispose Oscar, sollevando in un mezzo sorriso un angolo della bocca.

Il Duca si rivolse verso André:

- Parlano anche di voi due. Girano voci….su una vostra possibile relazione. In entrambi i casi.

Il giovane non si scompose per nulla.

- Qualcuno direbbe che l'importante è che se ne parli5. Ottima scusa perché le giovani donne mi cerchino.

Risposta quantomai appropriata, ma Oscar riuscì a sentirsi piccata per questa uscita.

- Quindi voi non disdegnate le giovani donne, Monsieur?

- Certo che no. - Rispose André. - Ma, appunto, parlo di giovani donne. Non di fanciulle impuberi.

De Guiche cambiò espressione. Da sorrisetto complice, la bocca si atteggiò a smorfia sdegnosa. Che impudenza, quel roturier! Pari al suo padrone.

Volse loro le spalle e si allontanò a lunghi passi.

 

 

-

 

1 Giuseppe II fu in visita alla sorella dal 1 aprile al 2 agosto 1777

2 Nel manga una scena simile a questa è ambientata durante una festa alla Reggia.

3 Mi attengo all'immagine dell'anime. Nei quadri dell'epoca, Antoine Louis Marie de Gramont oltre ad essere ben più giovane (nato anche lui come Oscar nel 1755), ha l'aria molto più minuta Inoltre non sarà nominato duca De Guiche nel 1780. E il di lui padre, Antoine Adrien Charles, sarebbe stato troppo anziano. Probabilmente la Ikeda ha fatto una crasi tra i due.

4 Mi rifaccio al manga, di cui continuo a preferire l'edizione francese, nel quale la Polignac al momento si rivolge ad Oscar sempre al maschile

5 Dorian Gray sarebbe stato proprio adatto A Versailles, non vi pare?

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Capitolo 18
*** Un gentiluomo non corre ***


18. Un gentiluomo non corre

 

Oscar si avvicinò lentamente alla Regina. Aveva ottenuto un appuntamento con Maria Antonietta per parlare della piccola Charlotte, e sperava che non venisse disatteso.

Maria Antonietta stava suonando l'arpa, ed attese rispettosamente che terminasse l'esecuzione, per poi lodarla con calore. Sapeva Hinner aveva fama di insegnate severo1.

- Di cosa volevate parlarmi, Oscar?

- In realtà, vorrei parlarvi non di me, bensì di un'altra persona.

La Regina la guardò interessata, e provò ad esporre il proprio turbamento per quelle nozze, senza accennare al messaggio ricevuto.

- Ma, Oscar!

Esclamò Sua Maestà, sinceramente stupita.

- Chiedermi una cosa del genere...annullare un permesso di matrimonio già concesso. E concesso ad un'amica fidata, per di più…

- Ma, Maestà, ripensate a Voi stessa, al Vostro arrivo a Corte. Eravate spaventata, eppure eravate già ben più grande di Mademoiselle Charlotte. State pensando alla Vostra amica Polignac, ma mettetevi nei panni di quella bimba….

- No, Oscar. Non è possibile. E, per di più, debbo dirvi che apprezzo vi siate data tanta pena, anche se la Contessa non sarebbe d'accordo con me. Ma non sapete di che parlate, permettetemi di dirvelo.

Oscar sollevò un sopracciglio.

- La vostra condizione di...soldato, non vi mette in grado di comprendere ciò di cui parlate. Le nozze vi sono in qualche modo precluse, quindi le temete, anche per interposta persona.

Il giovane Comandante arrossì in maniera vistosa.

Maria Antonietta le si avvicinò e le posò una mano sull'avambraccio.

- Non è così crudele cOme sembra. Tra qualche settimana, o qualche mese, Charlotte sarà nuovamente serena, e ringrazierà la sorte per il matrimonio che le è toccato.

Oscar pensò che la stessa vita della Regina contraddiceva le sue parole. Pensò che se fosse stata felice e soddisfatta delle sorte che le era toccata non si sarebbe fidata della Polignac e non avrebbe passato tanto tempo al tavolo do gioco.

Ma, come molte altre volte, non disse nulla.

Maria Antonietta si alzò, si mosse vivacemente per la stanza, e si preparò al commiato, con la leggerezza che la contraddistingueva.

Ad Oscar non restò che inchinarsi in una riverenza di saluto..

 

La sera, Oscar raggiunse André e il Generale in congedo nel salottino.

- La Regina non ha intenzione di intervenire presso il Re. Non possiamo contare su di lei. Occorre trovare un altro sistema.

- L'unico fatto positivo disse André – sta nel fatto che le nozze sono fissate per ottobre. Quindi abbiamo un poco di tempo per elaborare un piano migliore.

- Ma non possiamo andare troppo per le lunghe. - Riprese lei.

- Possiamo però contare sul fatto che la Polignac non si aspetta interferenze – si inserì il Generale- può attendersi chiacchiere, maldicenze, ma non che qualcuno agisca sul serio.

- Inoltre - disse André – pare che questo matrimonio la stia distraendo da noi. Stamane ho parlato con Girodelle. L'uomo di guardia allo scagnozzo delle Contessa riferisce che non vi sono movimenti. Non ha più ricevuto incarichi, passa le giornate alla taverna.

- E questo è un fattore positivo. Ma come agire? - Si interrogò Oscar.

- E inoltre – soggiunse André – in tutto questo, non dobbiamo dimenticarci che abbiamo anche ricevuto un messaggio riferito a Rosalie. Anche lei è figlia della Polignac. Le bottiglie sono arrivate a breve distanza. Quindi c'è un nesso...ma quale?

- Immagino che proteggendo una delle ragazze, proteggeremo anche l'altra...eppure non vedo come.

Il discorso venne interrotto dalla giovane Mademoiselle de Norpois, che entrò nella stanza attraverso la portafinestra lasciata aperta.

Oscar la guardò accigliata, decisamente infastidita da una presenza estranea in quella che considerava una propria stanza, cui accedere sostanzialmente dietro invito. Ma la ragazza parve non accorgersene, e si accomodò su una delle poltroncine, mentre i due uomini accennavano a alzarsi in piedi per salutarla convenientemente.

- Non voglio certamente disturbare, continuate tranquillamente la vostra discussione.

- In realtà, stavamo esaminando una questione legata alle mie mansioni, che trovereste sicuramente estremamente tediosa. - Le rispose Oscar. - Ed eravamo per giunta ad un punto morto, quindi non fatevene un cruccio.

- Oh, molto, bene, in tal caso. - Rispose Mademoiselle de Norpois. Si guardò intorno con aria smarrita. Talvolta pareva davvero molto più giovane della sua età. Forse per il fatto di essere cresciuta in campagna, forse per la rigida educazione impostale.

- Ecco, mi chiedevo se poteste intercedere presso vostra sorella perché mi dia il permesso di venire a Corte in occasione dei festeggiamenti per la partenza di Sua Altezza Giuseppe II.

Oscar tacque un momento. Quella giovinetta non le piaceva, ma certi atteggiamenti di Louise Hélène la infastidivano ancora di più.

- Certamente. Farò in modo che possiate venire con me ed André. Avevo comunque intenzione di recarmici con Mademoiselle Rosalie. Potrete esservi reciprocamente di compagnia.

La ragazza sospirò di felicità, poi si levò dalla sedia e, con una riverenza, si avviò verso le proprie camere, per pensare alla toeletta da indossare. Sulla soglia, si fermò un attimo per osservare le tre figure sedute. Per un attimo, si attardò su André. Sapeva che non era nobile, ma lo trovava comunque estremamente avvenente. Forse avrebbe potuto danzare con lui.

Al Generale non sfuggì quello sguardo un po' troppo lungo per non essere sconveniente. Ci mancava solo una stupidina innamorata a sproposito! Ma ebbe anche l'acume di notare che anche Oscar se ne era resa conto, e stava a sua volta fissando Mademoiselle con occhi gelidi.

Reazione interessante, considerò tra sé e sé.

 

Ed il giorno dei festeggiamenti infine giunse. La settimana precedente era stata un susseguirsi di incombenze, ovunque.

A Corte, i preparativi per il banchetto ed il ballo fervevano, costringendo Oscar e la Guardia Reale ad aumentare le attenzioni verso gli innumerevoli estranei che entravano dai cancelli per portare vettovaglie, stoviglie, vino e altri accessori per la festa. I carri andavano controllati, le persone pure.

Inoltre occorreva organizzare con attenzione le ronde per la serata e le guardie agli ingressi.

Il che voleva dire scartoffie, problemi, piccoli e grandi disguidi.

A palazzo Jarjayes, Louise Hélène, e Mademoiselle de Norpois parevano in preda alla stessa frenesia, che pareva aver contagiato anche la tranquilla Rosalie. Stoffe, sarti, parrucchieri. Le scarpine i tinta, il ventaglio da scegliere. L'abito che Mademoiselle decideva in un modo e che per la cognata era sempre troppo scollato. Nonna Marie che tentava di mediare, con scarso successo, contentandosi di poter decidere come le pareva a proposito della mise di Rosalie.

Una situazione che in certi momenti faceva rimpiangere ad Oscar il lavoro a Versailles, mentre pareva divertire enormemente André, che si godeva i battibecchi trattenendo a stento un sorriso monello, che irritava ancora di più la sorella di Oscar.

Eppure, come Dio volle, infine arrivò il momento in cui la carrozza uscì dalla cancellata in ferro di Palazzo Jarjayes per raggiungere la Corte.

La Reggia era al massimo del suo splendore, con i viali dei giardini illuminati da lanterne e fiaccole, i saloni che risplendevano per le migliaia di candele che i servitori erano passati ad accendere pazientemente, i cortigiani con abiti e parrucche adeguate all'importanza dell'evento.

Oscar si aggirava per i viali, controllando con lo sguardo quanto avveniva, i movimenti delle dame, lo scambio di complimenti veri e fasulli su gioielli ed abiti, i commenti degli aristocratici.

Eppure, le pareva che qualcosa non andasse. Non sapeva dire cosa fosse. Un dettaglio, qualcosa aveva colpito il suo occhio, non abbastanza profondamente da essere ricordato, ma in maniera sufficiente da turbarla. Qualcosa sfuggiva all'ordinato caos della festa, nella luce livida del crepuscolo. Si voltò a guardare Andrè, per capire se anche lui avesse notato qualcosa. In affetti, pareva che fosse come in ascolto. Gli occhi verdi osservavano rapidi le innumerevoli persone, e sembravano inquieti.

Poi lo vide fissare un punto, e seguì il suo sguardo.

Ed allora comprese cosa le fosse sembrato fuori posto. Partirono entrambi correndo. Tre giovani cortigiane, che sino ad un attimo prima li stavano osservando e discutendo su quanto sarebbe stato piacevole ricevere un invito per una danza, accolsero esterrefatte quella partenza. Poi, una di loro vide cosa stava accadendo e lasciò scivolare a terra il ventaglio.

Oscar superò il Duca d'Angouleme, che sussurrò sprezzante “Un gentiluomo non corre.”.

 

 

-

1 Tra gli insegnanti di arpa di Maria Antonietta figura il tedesco Philippe Joseph Hinner, con il quale la regina fece notevoli progressi; Hinner dette delle lezioni alla Regina dal 1774 al 1783 e fu poi sostituito da Christen Hochbrücker.

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Capitolo 19
*** Anges Gardiens ***


19. Anges Gardiens

 

Sulla una delle due scalinate1 note come Escalier des Cent Marches, vuote poichè tutti i cortigiani si erano già recati al Parterre Bas dove era previsto uno spettacolo, una figuretta stava tentando di salire sulla balaustra del secondo terrazzo, ostacolata dal panier della gonna e dagli scivolosi scarpini di raso. Se li sfilò, ed uno cadde sulla ghiaia sottostante.

Dal basso era difficile coglierne con precisione i movimenti, ma le intenzioni parevano chiare. A corte si sussurrava da qualche giorno a proposito dei suoi pianti in pubblico, della Contessa col volto tirato, di quelle nozze che tanto facevano discutere, dividendo le opinioni dell'aristocrazia in due fazioni.

Ma ora la fanciulla stava mettendo sotto gli occhi impietriti di tutti la propria disperazione, evidenziando con il suo gesto come per lei la morte fosse meglio di quel matrimonio, tacitando tutti.

Oscar stava salendo la scalinata più in fretta possibile, tallonata da André che, un poco alla volta, riuscì a raggiungerla e superarla. Arrivati al terrazzo, rallentarono sin quasi a fermarsi.

Charlotte li aveva veduti, e si era voltata verso di loro. Gli occhi grandi, pieni di lacrime e cerchiati di nero, la luce del sole prossimo al tramonto che illuminava i ricami in oro dell'abito esageratamente sontuoso, i capelli scarmigliati. Tutto contribuiva a rendere tragica quell'esile figuretta.

- Non voglio sposarmi. - Ribadì la ragazzina.

- Non siamo qui per questo. - rispose Oscar.

- No, voi volete salvarmi, lo so. Ma se mi salvate, dovrò sposare il Duca.

Fu André a parlare. - Non è detto. Non se ci giochiamo bene le nostre carte.

La giovinetta lo guardò, mentre una lacrima le scendeva lungo la gota. Anche Oscar gli rivolse un'occhiata perplessa.

- Possiamo avvicinarci?

Charlotte assentì con il capo.

Lentamente, si avvicinarono. Oscar si mise alla sua sinistra, ad una distanza tale da poterla raggiungere in caso avesse provato a lanciarsi nel vuoto, André alla sua destra.

Al di sotto, si stava radunando una piccola folla. Anche Madame di Polignac era tra quelle persone.

Guardando in basso, la ragazza si chiese come mai non fosse salita. Lo aveva fatto il Comandante, lo aveva fatto l'attendente. Lei no. E nemmeno De Guiche. Non che ci tenesse, ma questo gesto le dava vieppiù l'idea di non valere nulla, se non come merce di scambio.

Oscar si sedette sulla balaustra. Le porse la mano.

- Non voglio scendere.

- Non è per farvi scendere. E' solo per tenervi. Rimarremo qui sino a quando servirà.

Anche Andrè si fece più vicino, e mise in modo da poterla afferrare per la caviglia, se la stanchezza l'avesse fatta scivolare. Per il momento Charlotte mostrava un invidiabile equilibrio. Sembrò lasciarsi convincere e lasciò che Oscar le prendesse la mano sinistra.

 

La folla col naso in su aumentava. Nessuno provava a salire per raggiungerli, nessuno osava urlare consigli. A breve il sole sarebbe tramontato, rendendoli quasi invisibili.

Tra gli altri aristocratici, la Contessa di Polignac attendeva, stringendo tra le mani il ventaglio sin quasi a spezzarlo. Eppure non si risolveva a salire, né a dire qualcosa alla figlioletta.

Il Duca de Guiche et De Gramont era invece più indietro, lo sguardo tirato, quasi furibondo. Offeso per l'insolenza di quella bambina, che invece di essere lusingata per le sue attenzioni stava creando un putiferio senza precedenti a Corte.

Charlotte si sarebbe attesa che la madre ed il “fidanzato” salissero le scale. Invece non si mossero.

Solo il Comandante Oscar ed il suo attendente erano lì con lei. Gli altri la osservavano. Solo loro rimanevano al suo fianco. Delusa? Non avrebbe saputo dirlo. Conosceva l'ambizione della madre, era abituata alla sua freddezza, Del promesso sposo non le importava, anzi era felice che non si muovesse.

Vide arrivare la Regina. Maria Antonietta si muoveva con il seguito di dame, tutte affrettandosi come potevano con gli scomodi scarpini e gli abiti à la française. Anche Oscar le osservava, ed incrociò lo sguardo di Madame Marguerite. La Contessa De Jarjayes le diceva che stava facendo la cosa giusta, che difendere quella bimba era il proprio dovere.

La sovrana alzò lo sguardo e si rivolse alla fanciulla, rompendo il rigido protocollo con la voce alta e resa stridula dalla preoccupazione. Ma poteva mai attenervisi in quel momento?

- Charlotte, vi prego, scendete.

- No, Maestà, non posso. Non fino a che non avrò garanzia che il matrimonio non si farà.

La folla sospirò, a quell'uscita. Maria Antonietta si sentì colpevole. Ripensò alla richiesta di Oscar, e si rivide minimizzare la paura della ragazzina. Evidentemente, anche alla luce del fatto che al momento fosse sulla scala, sapeva. E lei aveva minimizzato le preoccupazioni del suo Comandante, pensando derivassero dalla sua strana vita, che attribuisse a Charlotte paure che erano invece sue.

Madame Polignac era sempre più tesa. Perché quel dannato soldatino non la obbligava a scendere, prendendola di peso?

- Comandante, portatela giù, cosa aspettate?

Oscar guardò verso la donna.

- Mademoiselle Charlotte non sta facendo nulla di male, perché io intervenga. Mi limito a tenerla affinché non scivoli.

Qualcuno colse un leggero sarcasmo nella voce.

 

Mentre il tramonto lasciava spazio alla luce livida del crepuscolo, arrivò camminano lentamente il Re Luigi XVI, in compagnia di Giuseppe II e del suo seguito.

Qualcuno lo aveva avvertito di quanto stesse avvenendo. Ma non gli avevano spiegato quanto la Contessina fosse giovane, né ora, né alla firma del permesso di nozze. Minuscola, lassù sul terrazzo. Si sentì preso in giro. Nemmeno la Regina lo aveva avvisato. D'altra parte, era amica di quella madre sciagurata, che aveva combinato delle nozze tanto poco equilibrate.

- Contessina, fidatevi di me.

Gli aristocratici si volsero verso la voce. Un mormorio corse di bocca in bocca. Era intervenuto addirittura il Re!

- Garantisco che annullerò il premesso al matrimonio. Ora, ve ne supplico, scendete.

Charlotte si inchinò con grazia dall'alto della sua pericolosa posizione. Si voltò verso Oscar, con gli occhi infine sorridenti. Le lacrime avevano segnato il trucco sul volto, rendendola una tragica bambola.

Si apprestò a scendere, ma nel farlo il piede sudato nella calza di seta slittò verso l'esterno. Con la mano sinistra in quella di Oscar, roteò il braccio libero tentando di mantenere l'equilibrio. Ma scivolò in malo modo, cadendo verso l'esterno, e battendo le ginocchia.

André fu rapido ad afferrarla per la caviglia destra, e la fanciulla rimase appesa in quella posizione disarticolata, retta da due angeli guardiani che la tenevano come una bambola rotta, mentre un grido unanime si levava dal giardino sottostante. Lentamente, con cura, la sollevarono e la poggiarono sul terrazzo, al sicura.

Il Conte di Polignac, l'unico che, non visto, era salito parzialmente lungo l'escalier. Si precipitò verso la figlia, le si inginocchiò di fronte, e la abbracciò.

Anche André ed Oscar si concedettero il piccolo lusso di rilassarsi, infine, dopo quegli interminabili minuti.

Si girarono verso la scala ed iniziarono la discesa verso il Parterre Bas, mentre il Conte, dopo aver preso in braccio Charlotte, si incamminava verso la Reggia. Sua moglie si avviò a sua volta, con passo lento e le guance rigate di lacrime.

I Cortigiani la lasciarono passare e, lentamente, alcuni di loro si allontanarono dal Duca De Guiche, mostrando apertamente riprovazione. Così mutevole era il loro pensiero. L'uomo si allontanò a grandi falcate, guardando con astio verso Oscar che stava scendendo la scalinata. Non potendo prendersela con il Re, le attribuiva la colpa di quel matrimonio ormai svanito.

Luigi porse il braccio alla consorte. - Ora sì che possiamo festeggiare – disse ad una Maria Antonietta ancora pallida e scossa.

Giuseppe II si rivolse al conte de Mercy: - Ditemi, mio caro amico, ma è sempre così presso questa corte?

- Sempre, Maestà.

 

 

1 Nel manga si vede chiaramente Charlotte in piedi sulla balaustra della scalinata, uno dei due rami della Scalinata dei Conto Scalini (Escaliers des Cent Marches) che inquadrano l'Orangerie, le cui volte misurano 13 metri. Non è così ripida come lascia intendere la Ikeda, ma costituisce una caduta già pericolosa.

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Escalier_des_cent_marches-orangerie_Exterior_of_the_Palace_of_Versailles.JPG

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Capitolo 20
*** Dalla parte sbagliata ***


20. Dalla parte sbagliata

 

André ed Oscar scesero lentamente la scalinata. Ad attenderli, presso gli ultimi gradini, c'era una tremante Rosalie, che prese loro una mano ciascuno, portandosele al viso.

- Grazie, grazie…

Sussurrò, mentre i singhiozzi le scuotevano le spalle.

- L'avete salvata…

Solamente loro tre sapevano che vi era ben di più, dietro quelle lacrime, che il sollievo per una ragazzina scampata al pericolo. Era la gratitudine di una sorella. E per la prima volta lei stessa si stava rendendo conto che quella scoperta in qualche maniera l'aveva segnata, più di quanto le facesse piacere ammettere.

Videro arrivare un'altra figura, e riconobbero Girodelle, che avanzava portando al seguito un cameriere con un vassoio, recante una bottiglia e alcuni bicchieri.

- Dopo un momento così, ci vuole qualcosa di forte.

Disse, con un sorriso che voleva stemperare la tensione. André gli fu grato. Ci voleva un gesto che interrompesse il circolo dei pensieri, e che li riportasse alla normalità.

Il cameriere riempì quattro bicchieri, che tutti, tranne Rosalie, svuotarono rapidamente. Venne nuovamente versato il liquore ambrato, poi fu Oscar a sorridere.

- Questo è l'ultimo. In teoria saremmo in servizio.

Gli altri risero, e iniziarono a parlare dei dettagli delle guardie e delle ronde.

 

Oscar si svegliò sentendosi come se non avesse dormito. La cena ed i festeggiamenti si erano prolungati fino alle ore piccole, ed alla fine aveva preferito pernottare nella stanza adiacente al suo ufficio, dove un letto spartano aveva appunto lo scopo di offrire ricovero al Comandate delle Guardie. Ma non era quello a non averla fatta riposare. Le emozioni della sera prima erano tornate a visitare i suoi sogni, rendendola inquieta.

Spostò il lenzuolo e si sollevò a sedere. Doveva prepararsi, anche se non ne aveva alcuna voglia. Vestirsi, e darsi una sistemata. Poi lasciar entrare Andrè perché si rasasse. Già, perché i precedenti comandanti avevano fatto in modo che per i loro attendenti ci fosse un letto da campo1 da utilizzare in questi frangenti. Ma nel loro caso, André lo aveva sistemato in ufficio per ovvi motivi.

Con indosso la divisa, aprì la porta per chiamarlo. Si era addormentano quasi vestito, con indosso camicia e pantaloni, e giaceva scomposto sul lettuccio accostato alla parete. La mano destra penzolava fin quasi a toccare il pavimento, e il lenzuolo giaceva ammucchiato a terra, a causa del gran caldo estivo.

Oscar si chinò su di lui per svegliarlo. Rimase un attimo ad osservarlo. Un accenno di barba gli velava i lineamenti, ed era un dettaglio cui stava sempre molto attento, per cui dovette riconoscere che così non lo aveva praticamente mai visto. Un'ombra più scura sotto gli occhi denunciava che il riposo non era stato sufficiente. I capelli erano arruffati, e anche quelli che la mattina tirava accuratamente per poterli raccogliere in un ordinato codino ora apparivano mossi e disordinati. La camicia, aperta fin dove possibile e scomposta lasciava vedere una parte dei muscoli del torace.

Lei si riscosse un attimo. Cosa le stava succedendo? Osservare così il suo amico, intromettendosi nella sua intimità. Era scorretto. Eppure, le pareva che una vago sentimento senza nome, a metà tra la tenerezza ed il languore, l'avesse presa allo stomaco. Non era certo affetto fraterno, quello. Somigliava più a quello che aveva provato, talvolta, osservando Fersen e la Regina di sottecchi.

Poco avvezza all'introspezione, si diede della sciocca donnicciola, e mise la mano sulla spalla del suo attendente, scuotendolo leggermente per svegliarlo.

André si sorprese non poco nel vedersela così vicina al proprio viso, nel momento del risveglio. Attribuì il suo strano sguardo a quanto era accaduto la notte precedente, ed andò a prepararsi nella stanza attigua, parlando allegramente per distrarla da quelli che credeva fossero brutti pensieri, e ponendo l'accento sul fatto che, dall'indomani, avrebbero avuto un settimana libera.

 

Otto giorni più, tardi, erano nuovamente nello stesso ufficio. Rinfrancati dal periodo di riposo, che avevano trascorso quasi sempre all'aperto, a cavallo e nei boschi, le incombenze quotidiane parevano più leggere. Anche una ritrovata intesa aveva fatto sì che il rientro a Corte fosse meno gravoso. Ad André pareva di esser tornato indietro di alcuni anni, quando ancora la vita di palazzo le dicerie e le preoccupazioni non li avevano cominciato ad allargare la distanza tra loro.

Dopo aver sovrinteso alle esercitazioni delle nuove reclute, Oscar si incamminò per un giro dei giardini. Non che ci fosse mai nulla di effettivamente pericoloso, ma riteneva meglio farsi vedere dai cortigiani.

I viali erano lunghi, e perlustrarli insieme ad André, che riusciva sempre ad essere informato di molti piccoli pettegolezzi, e a riferirglieli con quel suo tono arguto, mentre incrociavano e salutavano chi ne era l'oggetto, poteva essere un'attività divertente, quando era dell'umore giusto, come in quel mattino luminoso.

Presso il Grand Bassin incontrarono la Regina con il suo corteo di dame. Avevano appena fatto una gita in barca nel bacino artificiale, ed erano sorridenti ed ilari.

Maria Antonietta le si rivolse con gentilezza.

- Abbiamo sentito la vostra mancanza, qui a Corte.

- Me sono onorato, Maestà. Ma so di avervi lasciata in buone mani.

- Certamente. Voi sapete essere efficiente anche quando non siete presente.

Oscar ringraziò con un inchino.

Una giovane dama Stava fissando lei ed André con insistenza.

- Siete stati molto all'aperto, in questi giorni, vedo. Dovete fare attenzione, o rovinerete il vostro incantevole incarnato.

Fu la Contessa di Polignac ad intervenire.

- Suvvia, Duchessa. Il nostro Comandante ha ben altre preoccupazioni, che il proprio incarnato. - Disse, nascondendo poi un risolino dietro al ventaglio.

- E, ditemi – intervenne la Regina, - a proposito, di preoccupazioni, come sta vostra madre?

- Mia madre? Credo stia bene… perché me lo chiedete?

- Oscar, ieri non si è sentita bene. Abbiamo fatto venire il medico che ha attribuito alla stanchezza eccessiva il leggero malore.

- E ora dov'è?

- Ma a Palazzo Jarjayes. E' rientrata ieri nel pomeriggio.

- Ieri pomeriggio ero a casa. E non è mai arrivata.

Intervenne la giovane dama che aveva espresso il commento sull'incarnato di Oscar:

- L'ho accompagnata io stesso alla carrozza. Era una di quelle della reggia, con lo stemma reale.

- E chi la guidava?

- Non saprei. Un cocchiere qualsiasi. Con la livrea di palazzo. E due valletti, anche loro con la livrea reale.

- Era da sola?

- No, è salita anche la sua cameriera personale, sapete, quella donna con gli occhi molto scuri.

- Constance?

La dama annui.

- E avete visto in che direzione si è diretta la carrozza.

- In effetti no. Quando l'ho vista comodamente installata sui sedili mi sono allontanata.

Oscar era pallida, quasi livida. Si voltò verso André, con una muta domanda negli occhi. Lui rispose con un leggero cenno di diniego. No, non era possibile che Madame Marguerite fosse rientrata a casa senza che loro ne fossero al corrente.

- Chiedo il permesso di allontanarmi da Corte.

- Ma certo, concesse la Regina.

Si volto, ed iniziò a percorrere il viale a lunghe falcate, che presto si trasformarono in una corsa, seguita da André. Si stava recando alle scuderie, per montare a cavallo e rientrare al più presto a Palazzo Jarjayes.

André le afferrò un gomito.

- Aspetta!

Lei si voltò furente, con le lacrime quasi pronte a scendere.

- Aspettare, cosa?

- Sappiamo già che tua madre non è tornata a casa. Passare da Palazzo Jarjayes sarebbe solo una perdita di tempo.

Aveva ragione, ovviamente. Oscar annuì.

- Andiamo a parlare ai cocchieri, vieni.

Una deviazione, e si trovarono nella sala dove i cocchieri reali attendevano che i loro servigi fossero richiesti. André ne conosceva alcuni, poteva chiedere senza farli mettere sulla difensiva. Vedendo arrivare il Comandante, gli uomini scattarono in piedi.

- Scusate. Ieri, nel pomeriggio, qualcuno di voi ha accompagnato Madame Jarjayes a casa?

Si udì un mormorio fitto di negazioni.

Un giovane dal sorriso franco però parlò:

- No, ma l'ho vista partire. Guidava quello nuovo.

- Quello nuovo, chi sarebbe?

- Oggi non c'è. Ha preso servizio ieri. Uno di Chartres, ha detto. Ma oggi già non si è visto. Eppure il lavoro qui non è affatto male.

- Come si chiama? Lo sai?

- Charles, ma il cognome non lo so.

- Che aspetto ha?

- Non troppo alto, non grasso, occhi castani. Uno che non si fa notare.

- Va bene così, controlleremo sui libri paga. Grazie.

- Ancora una cosa. Ieri ho pensato che era evidente che fosse nuovo, perché uscendo dai cancelli è andato dalla parte sbagliata2, verso Meudon.

Si allontanarono. André aveva parlato di libri paga, ma entrambi sapevano che non vi avrebbero trovato nessun nome. Quell'uomo si era mescolato ai cocchieri appositamente.

 

 

1  Come già avevo segnalato nel cap. 14, anche le premier valet de Re dormiva su un letto da campo (Lit d'appoint) nella stanza del Re (questo dettaglio, si vede nella serie “Versailles”, che è una strana commistione di dettagli precisissimi e svarioni epocali).

2  Senza entrare nei dettagli, in questa storia Palazzo Jarjayes si trova ipoteticamente a nord di Versailles ed Ovest di Parigi, verso Malmaison.

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Capitolo 21
*** Invano ***


21. Invano

 

E difatti, nessun nuovo dipendente era stato registrato.

Il pensiero di entrambi corse agli uomini che la Contessa aveva usato in altre occasioni, e non ne furono certo riconfortati. Si diressero verso l'ufficio di Oscar, dove aveva fatto convocare sia Girodelle che il Generale in pensione.

Quando si furono sistemati e André ebbe spiegato in modo conciso cosa fosse accaduto, poiché lei era presa in un suo vortice di pensieri cupi, il suo sottoposto confermò quello che già sapevano. Lo sgherro di Madame si era apparentemente diretto altrove.

- Non ha usato le solite persone – intervenne il vecchio. - Faccia già vedute, qualcuno avrebbe potuto accorgersi dei suoi maneggi. Ha trovato braccia nuove.

Oscar annuì. Suo zio aveva ragione, e questo complicava le cose.

Perdipiù, con suo padre lontano per una missione, sentiva in pieno la responsabilità di capofamiglia provvisorio. Toccava a lei risolvere la situazione, e dubitava di riuscirci.

Girodelle propose di far partire in perlustrazione piccole squadre composte da due o tre uomini della Guardia Reale, per cercarla o cercare indizi. L'idea pareva buona, e venne subito approvata.

André diede un altro suggerimento: - Occorre anche cercare tra i rigattieri. Che qualcuno non abbia provato a vendere i suoi gioielli.

- E' una possibilità, in effetti. - Concluse il generale. - Sia qui che a Parigi, qualcosa salterà fuori.

- Si, ma quale indossava, ieri?

- Chiederemo alle dame della Regina, loro sono estremamente attente a questi dettagli.

Decisero quindi di dividersi, per organizzare immediatamente le loro azioni.

Girodelle si recò nel proprio ufficio, per decidere come organizzare le piccole squadre di ricerca, che sarebbero partite di lì a un'ora.

André andò a cercare la sorelle di Oscar, perché la notizia non le giungesse attraverso i pettegolezzi di palazzo, per poi informarsi sui gioielli indossati da Madame Marguerite.

Quando i due uomini furono usciti, Oscar rimase sola con l'anziano gentiluomo.

- La ritroverai, vedrai. Ho grande fiducia nelle tue capacità.

- Non so se sia ben riposta. E' una grande responsabilità, soprattutto ora che mio padre si trova lontano da Parigi. Spero di ritrovarla, e presto, prima che le accada qualcosa.

- La ritroverai. Sei perfettamente in grado di risolvere questa situazione.

- Che si è venuta a creare per causa mia. Se avessi agito diversamente, la Contessa di Polignac non si sarebbe vendicata su mia madre.

- E cosa avresti voluto fare? Tirar giù la bambina dalla balaustra e consegnarla alla madre ed al marito? No, hai fatto ciò che dovevi, ed André con te.

Oscar tacque.

- La vendetta è colpa di chi si vendica, non di chi subisce la vendetta. Non è tua responsabilità il modo in cui quella donna decide di agire. E so che tua madre sarebbe d'accordo con me. So per certo che era scandalizzata per il matrimonio. Dunque, smetti di crucciarti e passa all'azione.

Non ci fu tempo per una risposta. Un lieve tocco alla porta li informò che Louise Hélène era giunta.

Si accomodò sulla seggiola, composta e seria come suo solito.

La informarono brevemente di quanto fosse accaduto. Oscar non fu capace di un preambolo che addolcisse la notizia, e la sorella sbiancò quando venne a sapere la cosa. Ma non si lasciò andare a scene di disperazione. Rimase in silenzio e le ci volle qualche momento perché il respiro le tornasse normale.

Quando alzò lo sguardo, i suoi occhi avevano un'espressione decisa che la faceva somigliare al padre.

- Come volete agire?

Il Generale in congedo riassunse in poche parole il piano di azione

- Benissimo. Ed io, come posso essere d'aiuto?

- Rappresentando le nostre orecchie a corte. Appena la voce del rapimento si sarà diffusa, correranno fiumi di pettegolezzi. E, tra errori e falsità, potrebbe esserci qualche notizia interessane. Od anche solo un frammento di notizia.

- Saprò discernere. Ed ora, andate. Trovatela.

 

Oscar e Girodelle partirono a capo di sei piccole squadre di tre uomini ciascuna, lungo la strada che si dirigeva verso Meudon. Dopo circa un miglio, si apriva una biforcazione, alla quale i due ufficiali si divisero, alla ricerca di notizie, interrogando i contadini al lavoro nei campi, cercando tracce lungo la carrareccia, passando a far domande di fattoria in fattoria. Era ormai metà pomeriggio, quando avevano lasciato la Reggia, restavano poche ore prima che il buio impedisse loro di proseguire.

André invece, in compagnia del solo Generale De Jarjayes, si apprestava a interrogare i rigattieri specializzati in gioielli. Nel solo borgo di Versailles, ve ne erano quattro.

Occorreva passare a visitarli, prima che chiudessero per la cena. Madame de Lamballe aveva confermato che Marguerite de Jarjayes indossava al collo un nastro in velluto cui era appeso un cammeo da cui pendevano tre perle. Alle orecchie, due piccoli cammei abbinati, anch'essi con dei pendenti in perla. Li possedeva da decenni, erano stati il dono del marito per il loro fidanzamento, e li indossava spesso.

Non aveva però notato quali anelli portasse alle dita, né avevano saputo dirlo le altre dame della Regina. Quindi sarebbero andati a cercare solamente la parure di cammei. Louise Hélène aveva messo a frutto le lezioni di disegno riproducendoli sommariamente in un acquerello abbastanza preciso, con il quale avrebbero potuto chiedere informazioni con maggior precisione.

 

Si ritrovarono a Palazzo Jarjayes dopo il cala del sole, stanche e frustrati. Girodelle aveva declinato l'invito comprendendo che fosse meglio lasciar sola la famiglia, ed era ripartito con gli uomini della Guardia Reale.

La notizia del rapimento aveva portato sconcerto anche tra la servitù, e l'intero palazzo pareva avvolto in una quiete innaturale, la stessa che lo pervadeva nei momenti gravi, quando un lutto od una malattia sospendevano temporaneamente il fervere incessante delle attività.

La governante Marie, dopo aver pianto tutte le proprie lacrime, aveva deciso che fosse suo dovere che a palazzo tutto procedesse senza intoppi, e fece comunque servire la cena, consumata quasi in silenzio, raccogliendo solo di tanto in tanto i brandelli di qualche informazione reperita in giornata. Nemmeno André aveva ottenuto nulla. Ma era improbabile che il rapitore vendesse proprio nel piccolo borgo i gioielli sottratti alla Contessa, col rischio di farsi prendere. Il giorno dopo, avrebbe battuto Parigi, dove era più probabile che li avesse portati. Quindi anche lui era meditabondo e taciturno.

Ma la più abbattuta di tutti era la piccola Rosalie, affranta oltre ogni dire.

Il peso di saper sua madre responsabile di un tale gesto pareva averla schiacciata. Non piangeva nemmeno, rigirando il cibo nel piatto con la forchetta e l'aria mesta.

Il sollievo che, suo malgrado, l'aveva colta nel sapere che Charlotte fosse scampata a quell'orrendo matrimonio solo una settimana prima, aveva lasciato il posto ad una rabbia sorda. Non bastava che quella donna avesse ucciso la sua madre adottiva, ora stava facendo del male alla sua benefattrice. E sapere che era stata lei ad averla partorita le dava la nausea.

 

Il secondo giorno di ricerche non fu migliore, trascorse anch'esso invano su entrambi i fronti. Ed anche la seconda sera, si ritrovarono a Palazzo stanchi e sfiduciati.

Oscar si concesse un bicchiere ristoratore ne salottino con André, così come erano soliti fare nei giorni sereni. Ma la tensione e la stanchezza ebbero la meglio. Si addormentò con il bicchiere in mano, provata dalla preoccupazione, dalla notte trascorsa insonne, rosa dalla paura di sbagliarsi e non riuscire a ritrovarla.

André le sfilò il calice di cristallo dalla mano, le allungò le gambe sul divanetto e le mise un cuscino sotto il capo, prima di uscire portandosi via il candeliere. Si raccomandò affinché nessuno la disturbasse, e chiuse silenziosamente la porta. Avrebbe voluto restare con lei, ma era consapevole che sarebbe stato un comportamento inappropriato.

Scacciò i pensieri inopportuni e si diresse verso la propria stanza.

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Capitolo 22
*** Quattro giorni ***


22. Quattro giorni

Quattro giorni erano passati. Quattro giorni di ansia, quattro giorni di preoccupazione e vane ricerche.

Le ricerche del Generale in pensione sui castelli posseduti dalla Contessa di Polignac non aveva dato frutti. Non solo non pareva avere possedimenti attorno a Meudon, ma pareva che tutto i suoi terreni fossero concentrati verso est.1 Non che questo potesse essere indicativo, sicuramente avrebbe potuto chiedere aiuto nell'impresa criminosa. Ma a chi? Al Duc de Guiche? Pareva avesse interrotto del tutto i rapporti con la Contessa, e dopo la sciagurata notte del tentato suicidio di Charlotte non si era più allontanato dai suoi possedimenti a Pontoise.

Le ricerche di Oscar accompagnata di Girodelle non erano state meglio. Nessun indizio, pareva nessuno avesse notato la carrozza, non i contadini al lavoro, non gli osti, nemmeno i ragazzini che talvolta le rincorrevano agli incroci per chiedere una moneta dai ricchi occupanti.

André non aveva avuto maggior successo con i rigattieri, e Luoise Hélène aveva raccolto solo qualche voce preoccupata e qualche pettegolezzo.

Non era quindi strano che l'atmosfera a Palazzo Jarjayes fosse triste e preoccupata. Anche la servitù era taciturna, in ambasce per la sorte di quella padrona dolce e silenziosa che era Madame Marguerite. La nonna di André aveva introdotto l'abitudine di un rosario serale con lo scopo di intercedere presso il Signore per il suo ritorno a casa. Oscar non nutriva fiducia in quel rimedio religioso, ma era grata alle cameriere per l'amore che mostravano verso sua madre.


La mattina del quinto giorno Oscar si alzò, e si vestì con gesti meccanici. Stava per uscire quando sentì bussare alla porta. Una cameriera portava un vassoio con la colazione, ed André la seguiva da presso.

- Sono venuto a controllare che tu mangi.

- Non ne ho voglia.

- Lo so, ma devi essere in forza. Non faresti un buon servizio a tua madre se la trovassimo, ci fosse bisogno di combattere e tu fossi senza forze.

Lei lo guardò. Aveva ragione. Saggio André, aveva ragione, come sempre.

Si piegò a quella forzatura, e iniziò a sgranocchiare qualcosa di malavoglia, scoprendo che in realtà aveva una fame da lupi. E, alla fine, dovette ammettere suo malgrado che si sentiva davvero molto meglio. E persino più ottimista.


Madame Marguerite si alzò dal letto. Aveva dormito poco, un sonno inquieto ed interrotto da incubi. I suoi carcerieri non la stavano trattando male, le lasciavano cibo ed acqua, anzi persino il vino, la stanza era confortevole e, a parte la noia, non avrebbe potuto lamentarsi.

Pareva che i rapitori la volessero in buona salute, probabilmente per chiedere un riscatto alla famiglia. Dalla finestra aveva compreso di trovarsi in alto, in una specie di torre, dalla quale poteva osservare il tetto di un corpo di fabbrica più basso. In qualche modo, le ricordava il Castello di Vincennes, anche se questo si trovava al centro di un grande parco. Oltre il muro, si intravvedeva un piccolo borgo, che non avrebbe saputi riconoscere.

Sospirò, e si sedette dinanzi alla toeletta, per lasciarsi pettinare da Constance. Essere insieme dava sicurezza alle due donne, e poter parlare della loro situazione aveva il potere di tranquillizzarle. Confidavano che la cosa si sarebbe risolta, o con il pagamento, o perché Oscar le avrebbe trovate. Anche se, come più volte le era tornato in mente, il fatto che, in un qualche punto del percorso, la carrozza avesse fatto dietro-front, la preoccupava non poco, sebbene non ne avesse ancora fatto parola con Constance.


Rosalie lasciò che Oscar raggiungesse il proprio ufficio e si avviò verso la galleria degli specchi, certa che vi avrebbe incontrato la Contessa. Era ancora relativamente presto, almeno per le usanze dei cortigiani, e sperava che avrebbe potuto parlarle senza testimoni in giro.

Si affrettò lungo i corridoi, senza badare a camminare come richiesto a corte, col tipico passo scivolato, anzi quasi correndo e facendo rumoreggiare i tacchi degli scarpini. Dopo aver svoltato in un corridoio, quasi andò a sbattere contro la Contessa in persona. Sola.

La Polignac la guardò con disprezzo.

- Potreste almeno scusarvi.

La ragazzina tentennò. Il discorso che si era preparata proprio non le tornava in mente, sotto gli occhi freddi di quella donna.

Si concentrò.

- Sono venuta a cercarvi per chiedervi di liberare Madame Jarjayes. In cambio... in cambio... ecco sono disposta a tornare da Voi.

La Contessa non capì.

- Mademoiselle, siete pazza. Oppure volete raggirarmi. In ogni caso, non ho intenzione di darvi credito.

Scostò la gonna con un gesto al contempo elegante e imperioso, e si allontanò, senza rumore.

Rosalie si accasciò a terra, squassata dai singhiozzi. Non solo sua madre l'aveva abbandonata in fasce, ma l'aveva umiliata e derisa. Rifiutata nuovamente.


André ed Oscar si trovavano nel suo ufficio da comandante. Le incombenze quotidiane andavano svolte in ogni caso, sebbene sia Girodelle che gli altri sottoposti cercassero di alleggerirne il carico. Inoltre passare regolarmente dalla reggia le permetteva di essere informata con regolarità di eventuali progressi, anche se fino a quel momento erano stati irrisori.

Un soldato si affacciò.

- C'è qui Monsieur Malaussène. Sostiene che sia urgente.

L'uomo era uno dei rigattieri che avevano la propria bottega nel borgo di Versailles. André aveva visitato il suo negozio alcuni giorni prima.

- Ho fermato un malfattore che cercava di vendere questi.

Poggiò sulla scrivania un involto di velluto e lo aprì con cautela. Apparvero un cammeo di grandi dimensioni, da cui pendevano tre perle barocche di buona qualità, e due cammei più piccoli, simili al precedente, ognuno con una sola perla a fare da decorazione.

Oscar sussultò. La collana e gli orecchini di Madame Marrguerite. Mancava solo in nastro di velluto cui era appeso il ciondolo.

Chi glieli aveva presi avrebbe potuto portarli da lei. Finalmente una novità interessante.

- E ora dov'è il ladro?

- Nel mio retrobottega. Chiuso a chiave e sorvegliato a vista da mio figlio.

- Andiamoci ora.

La bottega di Monsieur Malaussène era poco distante, e vi arrivarono velocemente. Per una fortunata coincidenza, al momento era ancora vuota, a parte Vincent Malaussène, che sostava a gambe aperte e braccia conserte dinanzi una porta.

Vedendo arrivare il padre accompagnato da un ufficiale della Guardia Reale e da un altro giovane si scostò.

- Lo teniamo qui.

Oscar annuì e il rigattiere scostò il battente.

Il retrobottega altro non era che una stanza piccola ed angusta, a malapena illuminata da una finestrella larga un paio di spanne. Dapprima lei ed André ebbero l'impressione che non vi fosse nessuno. Poi, appena gli occhi si furono abituati alla penombra, scorsero una figuretta rannicchiata in un angolo.

- Non picchiatemi più. Ve li lascio, anche senza soldi.

André ed Oscar si guardarono. Quello di certo non era il rapitore.

Lo fecero alzare, e passare nel locale principale. Una volta in piedi, si resero conto di quanto fosse piccolo. Non dimostrava più di una decina di anni. Era scalzo e lacero, e gli abiti erano troppo corti per la sua statura.

- Chi ti ha dato quei gioielli da vendere?

Il ragazzino sospirò. Di nuovo le stesse domande. E lo avrebbero battuto ancora. Magari messo in prigione.

- Nessuno. L'ho già detto.

- E come li hai avuti?

- Non gli avrebbero creduto: - Li ho trovati.

Oscar ed André si guardarono. Non era irragionevole. Magari erano stati nascosti in maniera approssimativa.

- E dove?

- Per la strada.

- Visto? Cosa vi avevo detto? Sta mentendo – Intervenne Malaussène.

Oscar levò una mano per zittirlo.

- Per strada, dove?

Verso Roquencourt. Negli incroci, non tutti insieme. Erano sparsi. Mi hanno fatto pensare alla storia di Pollicino.



Le vacanze mi hanno regalato un attimo di pace.

Buon Natale a tutt* , godetevi questi giorni!

Pamina


1  Licenza poetica

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Capitolo 23
*** Come Pollicino ***


 

23. Come Pollicino

     

Il ragazzino non era mai salito a cavallo quindi, una volta rassicuratosi del fatto che né il soldato biondo, né il suo amico dai capelli neri gli avrebbero fatto del male, si stava davvero godendo la passeggiata.

Arrivati nei pressi del bivio per Roquencourt si sporse per indicare un punto con la mano.

- Laggiù è dove ho trovato il primo!

Oscar volle capire meglio: - Il primo?

- Il primo orecchino. Come vi avevo detto, non era tutto insieme. Uno qui, uno al bivio successivo. Quello grosso era molto più avanti. Per questo ho pensato alla storia di Pollicino.

Lei ed André si guardarono.

- La direzione era questa. Tua madre avrà buttato prima gli orecchini, sperando di non dover fare lo stesso con il ciondolo da collo.

Oscar si fermò a riflettere.

- Ma a Versailles hanno detto che la carrozza è partita verso Meudon.

- Hai detto bene. E' partita. Proprio perché noi avremmo chiesto la direzione. Sono andati verso Meudon, dopodiché sono tornati indietro. Altrimenti avremmo compreso subito dove fossero diretti.

Aspetta che arriviamo ai prossimi incroci, e capirò se la mia intuizione ha un senso.- Poi si voltò verso il bambino. - Michel, continua a farci strada.

Si avviarono nuovamente, Oscar con fare pensieroso mentre André si rivolgeva al ragazzino.

- Cosa facevi in giro quando li hai trovati?

Michel esitò: - Sono andato a rubare frutta. D'estate è più facile riuscire a mangiare.

La frase li fece sentire a disagio.

- Quanti siete in famiglia?

- Io, la mamma e due sorelle. La mamma lavora alla locanda. Riesce a portarci degli avanzi, ma non sempre. Non riusciamo mai a toglierci del tutto la fame, però. Per quello volevo vendere i gioielli. - Concluse, con voce colpevole.

- Non temere, ti pagherò io per avermeli fatti ritrovare. E ti darò di più di quanto avresti ottenuto da Malaussène.

Il ragazzo sorrise. Poi proseguirono in silenzio per una decina di minuti.

Ben presto raggiunsero un secondo bivio. La strada maestra proseguiva verso nordest, mentre a sinistra partiva una piccola carrareccia secondaria.

Michel indicò un punto dopo la diramazione. - Era là.

Non avrebbe potuto essere altrimenti, poiché conoscevano quel punto. La stradina conduceva solo ad una fattoria, e, dopo un lungo giro, portava all'ingresso posteriore dei possedimenti di Palazzo Jarjayes.

Erano stati imbrogliati per bene.

Oscar si morse il labbro inferiore. Non riusciva a perdonarsi un'ingenuità di tale portata.

André si rivolse a Michel.

- Andiamo avanti. Anche se comincio a credere di sapere dove stiamo andando.

Lo aiutò a rimontare sul cavallo di Oscar, poi si avviarono e proseguirono lungo la strada, che da quel punto era fiancheggiata da platani ombrosi. Dopo forse un mezzo miglio, il ragazzo indicò una casupola sulla destra, dove l'intonaco parzialmente scrostato lasciava intravvedere i mattoni, il camino sbilenco pareva sul punto di cadere, e pochi panni erano stesi ad asciugare su un filo teso tra due piante.

Io abito lì – disse sorridendo. - La mamma lavora alla locanda che si vede laggiù in fondo.

Oscar gli arruffò i capelli, per mascherare l'imbarazzo. Era già passata davanti a quella bicocca, ma non vi aveva mai buttato più di un'occhiata distratta. Anche André si mosse sulla sella, a disagio.

- Come si chiamano le tue sorelline?

- Marie e Anne, ma noi la chiamiamo Ninon. Ora saranno in giro a spigolare.

Se la domanda aveva voluto dissipare il disagio, la conseguenza era stata invece quella di aumentarlo. Ma il bambino non se ne accorse, e, presa un poco di confidenza, si mise a raccontare alcuni episodi buffi che riguardavano lui e le sorelline. Questo fece trascorrere il tempo sino all'incrocio successivo.

- E' qui che ho trovato il gioiello più grosso. Appena dopo quella grossa quercia.

La strada proseguiva diretta verso nordest.

André parlo: - Esattamente quello che temevo.

Michel lo guardò con aria interrogativa, ma fu Oscar ad esprimere i suoi dubbi.

- Non riesco a capire cosa ti preoccupi.

- Hai presente dove porta questa strada?

- Sì, certo, verso Amiens.

- E passa da Pontoise.

Oscar ricordò quello che era stato detto sul Duca De Guiche.

- Non è stata la Contessa. Ci siamo fatti trarre in inganno anche su questo. Abbiamo dato per scontato che fosse lei, dopo i sospetti per l'agguato. Ma anche il Duca ha i suoi buoni motivi per avercela con te. - Disse André. Poi si rivolse a Michel:

Tu abiti qui vicino. Puoi tornare a casa da solo? Ti prometto che domani passeremo a pagarti per i gioielli. Per ora... - alzò gli occhi verso Oscar, che annuì – prendi questo.

Prese la sacchetta1 e gli diede due monete d'oro.

Il bambino sgranò gli occhi, ringraziò e corse verso casa.

Oscar sospirò: - Andiamo a vedere il castello del Duca.

 

La Contessa di Polignac non riusciva a togliersi dalla testa l'incontro con la giovane che viveva a casa del Comandante Oscar. Non riusciva a spiegarsene la ragione. Raramente qualcosa era in grado di scalfire la sua imperturbabilità. Eppure una frase le si era fissata in mente. Tornare da voi. Tornare...perché? Non ricordava di averla mai incontrata prima. Eppure qualcosa non tornava.

Si alzò nervosamente: - Colette! Colette! Dove sei?

La cameriera arrivò trafelata, certa di venire punita.

- Sono qui, Madame.

- Devi dirmi al più presto come si chiama la ragazza che vive con il Comandante Jarjayes.

- Vado, Madame. - E si allontanò con un inchino.

 

Marguerite De Jarjayes passeggiava inquieta nella sua stanza. La prigionia la rendeva estremamente nervosa, sebbene cercasse di tranquillizzarsi. La ragione le diceva che non sarebbe cambiato nulla, se si fosse messa a strepitare, e anni impiegati a mantenere l'adeguato contegno a corte le avevano insegnando a dissimulare, ma era estremamente faticoso, in quel momento. Avrebbe voluto essere capace di arrabbiarsi, di reagire con la veemenza che sempre aveva veduto in Oscar, ma riconosceva di non averne il carattere.

Sospirò e riprese a camminare, mentre Constance la guardava inquieta. Se almeno avesse potuto uscire da quella stanza, se avesse potuto avvisare qualcuno di dove si trovava, si sarebbe sentita meglio.

In quel momento si aprì la porta. Di solito da quell'uscio entrava solo la cameriera che le portava il cibo, ma in quel momento fece il suo ingresso un uomo alto ed elegante, dallo sguardo freddo.

Madame Marguerite lo riconobbe, più di una volta si erano incontrati a corte.

L'uomo fece un rapido inchino. - Spero non vi stiano trattando male.

- Duca. - Rispose lei con una breve riverenza, dandosi immediatamente delle stupida. Fare la riverenza al suo rapitore.

- Non è mia intenzione ferirvi o malmenarvi. Voglio solo trattenervi per un tempo indefinito, per dare una lezione a vostro figlio.

- Una lezione indiretta. Molto onorevole. - Commentò sarcastica.

- Se sia onorevole o meno non sono affari vostri, Madame. - Rispose, acido. - Ma vedo che non vi interessa la mia compagnia, quindi vi saluto.

E si diresse vero la porta, che aprì a metà, prima di voltarsi.

- Oscar mi ha umiliato pubblicamente, permettendo ad una bambina di rompere il fidanzamento, e lasciando che mi si dipingesse addosso la fama di essere orribile. E lo ha fatto in modo tale da non permettermi nemmeno di sfidarlo a duello. Perché mi ha offeso compiendo quello che le dame definiscono un nobile gesto.

Varcò la soglia e sbatté la porta alle sue spalle.

 

- No, no, NO! Fermati e ragiona.

André prese Oscar per le spalle e la fece voltare. Lei rispose guardandolo con rabbia:

- C'è mia madre lì dentro!

- Non lo sappiamo con certezza. Potrebbero averla spostata. Ma lì ci sono parecchi uomini armati, il palazzo è pieno di servitori e quella torre centrale non è certo luogo dove si possa arrivare in due, con una spada e una pistola. Vuoi salvare tua madre o farti ammazzare?

Oscar si fermò.

Odiava ammetterlo, ma André aveva ragione. Avrebbero dovuto scoprire se Madame de Jarjayes fosse ancora lì, e dove.

- Ma come facciamo ad entrare ?

- Ho un'idea. Torniamo a Corte e ti racconto strada facendo.

 


1   All'epoca gli aristocratici non tenevano personalmente il denaro.

 

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Capitolo 24
*** Piani e progetti ***


 

24. Piani e progetti

     

Madame di Polignac vide arrivare la sua cameriera, Colette, che si dirigeva verso di lei con passo veloce. Aveva evidentemente saputo il nome che la Contessa desiderava conoscere. Si scostò un attimo dal piccolo corteo di dame che seguivano Maria Antonietta, in modo da poter ricevere in tranquillità la notizia.

Chinò il capo verso la ragazza, minuta e talmente stanca da parere sul punto di svenire, che portava le informazioni. Rimase per poco in quella posizione, il tempo per ascoltare una manciata di sillabe.

Poi si portò una mano alla gola, indietreggiò e andò a sedersi su una delle panchine di pietra che adornavano il viale.

Fece un gesto sfarfallante con l'altra mano, e Colette comprese di doversene andare.

La Morlière. Rosalie La Morlière. I ricordi ed i rimpianti le scesero addosso come l'acqua di un'onda si rifrange su uno scoglio.

Era giovane, ingenua e inesperta, quando si era lasciata sedurre dalle attenzioni di quell'uomo. Bello, affascinante, con un eloquio perfetto e un nome altisonante. Qualche mese, anzi, non più di alcune settimane, e si era ritrovata incinta e disperata. Il futuro padre era già sposato, ed inoltre, aveva scoperto, manteneva una donna da cui aveva già avuto una figlia, per tacere il fatto che si stava già stancando di quella giovinetta graziosa, ma inesperta e troppo appiccicosa.

Sospirò.

La realtà dei fatti era stata cruda. Una figlia non voluta, troppa indecisione per ricorrere ad un aborto, e così aveva dovuto nascondersi nella casa di villeggiatura, in campagna, per partorire lontano da sguardi indiscreti.

La bambina sarebbe stata destinata all'orfanotrofio, se la donna con cui Valois, questo il nome dell'uomo, aveva già una figlia, accecata dall'amore che provava per lui, parendole impossibile che la figlia dell'amato crescesse in un luogo simile, si offrisse di prenderla con sé.

Aveva accettato. Non avrebbe potuto esserci soluzione migliore.

Si alzò, e passeggiando cercò un angolo solitario del parco.

La bambina, che aveva chiamato Rosalie, sarebbe cresciuta con una madre amorevole. Quella donna era fin troppo gentile ed amabile. Non avrebbe fatto mancare nulla alla bambina. E così era stato, per alcuni mesi.

Poi, in un duello, Valois era morto. Anzi, pensò la Contessa, con la sua mente ora adulta, si era fatto uccidere.

Lo aveva pianto, poi il dolore era passato e lei aveva avuto una nuova opportunità. Un matrimonio, una vita differente.

Non si era più informata sulla figlia.

Non si era posta alcuna domanda su cosa sarebbe capitato alla Madame La Morlière, alle bambine, in seguito alla morte di Valois. Non aveva mai supposto che le tre sventurate fossero cadute in miseria.

Non avrebbe mai pensato che la pezzente morta sotto le ruote della sua carrozza fosse proprio colei che si era fatta carico della sua bambina. Che l'aveva nutrita privandosi del necessario. Che era vissuta e morta di stenti.

E ora una figlia la odiava per il matrimonio che aveva cercato di imporle e l'altra, pur sapendo chi fosse sua madre, preferiva vivere a Palazzo Jarjayes e la credeva una rapitrice, offrendole la propria presenza come riscatto.

Si appoggiò al basamento in marmo di una statua.

Pianse, come non le capitava da anni.

 

Il Duca De Guiche e De Gramont si sedette su una delle poltroncine nel salotto ampio e lussuoso. L'interno del castello, ristrutturato come volevano gli ultimi dettami del rococò, non aveva nulla della austerità esterna, se non in alcune zone che ricordavano la sua origine come piccola fortezza. Era, anzi, un invito alla mollezza ed ai piaceri. Piaceri che il nobiluomo non si lesinava affatto. Sapeva come trarre godimento e diletto, e ne aveva avuto, sino ad allora, i mezzi economici necessari.

- Duca, cosa avete intenzione di fare con Madame Jarjayes? - chiese il suo segretario, che lo attendeva con aria deferente.

- Nulla. E' vecchia.- Rispose pigramente, prendendo una piccola albicocca paffuta dal cestino dinanzi a lui.

- Non comprendo. Allora perché l'avete presa?

- Per due ragioni. Innanzitutto, per dare una lezione al figlio. Mi fa piacere vedere che, con tutta la sua sicumera, ancora non abbia capito che si trova qui. La piccola deviazione è stata un trucco efficace. Perdipiù – si interruppe per sputare il nocciolo – è talmente convinto che sia stata la Polignac da non fare nemmeno altre ipotesi.

Prese un secondo frutto.

- In secondo luogo, il danno inflittomi con la rottura del fidanzamento è anche di natura economica. Le mie finanze si stanno esaurendo. La piccola Charlotte, oltre ad un bel visino, avrebbe portato una cospicua dote, ed un aggancio sicuro alle finanze reali, attraverso la madre.

Fece un gesto con la mano, come a cacciare una mosca.

- Invece, nulla. Chiederò dunque un riscatto alla famiglia. E' una delle più ricche di Francia, ed a quanto ne so, le loro sostanze sono oculatamente amministrate. Quindi pagheranno per riavere la donna a casa. Così avrò la doppia soddisfazione di ricavare denaro ed umiliare ulteriormente il giovane Comandante, perché non avrà liberato la madre con un'azione eroica, ma con la vil pecunia.

Il Duca allungò le gambe dinanzi a se, e rise.

Il segretario fece un cenno di ammirazione per il padrone.

 

Oscar si sfilò nervosamente la cintola con la spada, e si sedette alla scrivania nel proprio ufficio.

André la osservava: ne comprendeva perfettamente il nervosismo, sapeva che avrebbe voluto fare irruzione con un intero plotone e radere al suolo il castello del Duca. Ma non sarebbe stato possibile.

Attese qualche secondo che sbollisse, per riuscire a parlarle in modo da avere tutta la sua attenzione.

La guardò strofinare le mani sulle cosce, con le spalle contratte e la fronte aggrottata, osservare i fogli sulla scrivania sena vederli veramente, sospirare ed infine sistemarsi un poco più comodamente sulla sedia.

Allora parlò.

- Penso di avere un'idea per entrare nel castello.

Lei gli rivolse uno sguardo grato.

- Ti ascolto.

- Come sai, il Duca è un discreto libertino, e a Corte si parla con una certa insistenza di certe sue feste, che di solito si svolgono proprio nella tenuta di Pontoise.

André era sempre ben informato. Raccoglieva confidenze e pettegolezzi, sia dalla nobiltà che dalle persone che vi gravitavano attorno, per la gentilezza con cui ascoltava, per i modi che mai lasciavano all'interlocutore la fastidiosa impressione di essere giudicati, per la leggerezza che a volte emanava, in deciso contrasto con l'austerità di Oscar.

- Ebbene, tra tre giorni si terrà proprio uno di questi ricevimenti.

- E tu vorresti andarci? Dubito che potremmo ricevere un biglietto di invito.

Lui rise.

- Sapevo che avresti detto così. E inoltre il tuo atteggiamento serio e rigido non sarebbe affatto ben visto.

- Dunque, cosa suggerisci?

- Tra gli invitati abituali vi sono alcuni uomini cui la tua famiglia è legata. E uno dei tuoi tenenti. Io e te potremmo intrufolarci come cocchieri di uno di essi.

Oscar si fermò a riflettere. L'idea non era affatto male. La servitù attendeva nei pressi delle cucine, e nessuno vi badava. Avrebbero potuto entrare ed esplorare il castello.

Le parrucche avrebbero potuto camuffarli abbastanza da permetter loro di non essere notati.

Un unico dubbio la tormentava: avrebbero potuto fidarsi?

Lo espresse a voce alta.

André sospirò: era la pecca principale del suo piano.

Il tenente, per quanto dissoluto, non era una persona malvagia. Amava godere della vita e questo lo aveva già cacciato in qualche guaio, però.

Sulle altre due persone, un conte e suo figlio, avrebbero dovuto informarsi meglio dallo zio.

- Almeno, il tenente è sotto i tuoi occhi quasi quotidianamente, però. - Concluse.

- Abbiamo tre giorni. Informiamoci a dovere, poi decideremo.

In quel momento, si udì bussare alla porta.

 

 

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Capitolo 25
*** Tre nomi ***


 

25. Tre nomi

     

Louise Hélène entrò nel piccolo ufficio, salutò e si rivolse subito ad André.

- Ho ricevuto il tuo messaggio. Ci sono novità, vista la tua urgenza di vedermi?

Il giovane annuì, e si affrettò a illustrare le scoperte delle ultime ore.

- Queste sì che sono novità. Sono molto felice che abbiate un probabile covo. Mi pare però che riuscire ad entrarvi presenti delle difficoltà. O sbaglio?

Fu Oscar a rispondere.

- E' esatto. Dovremo intrufolarci con l'inganno.

- Ed è per questo che vi ho chiamata, Madame – riprese André. - Non possiamo certo entrare con le guardie. Abbiamo intenzione di entrare come cocchieri o lacchè di qualcuno degli invitati alle petites soirées del Duca.

Louise Hélène sollevò le sopracciglia. Anche lei aveva udito parlare di quei festini, e le voci che le erano giunte erano abbastanza allarmanti.

- E abbiamo tre candidati al ruolo di padroni alle cui dipendenze fingerci servitori. Uno di questi è il Tenente d'Angers. So che voi avete legato con la madre, durante la vostra permanenza a Versailles. E' ai comandi di Oscar, ma è sfuggente e non ci è chiaro se potremmo fidarci.

La Dama inspirò profondamente, e strinse le labbra, pensierosa.

- No. Non fidatevi.

La guardarono.

- E' vero, ha avuto modo di parlare a lungo con Madame Marie Jeanne, che si è confidata con me proprio perché provengo da un ambiente estraneo alla Corte. E, sulla scorta di quanto mi ha detto, vi suggerisco di non fidarvi. Sta dilapidando la fortuna di famiglia, e da quando il padre è morto ed è in pieno possesso delle proprie sostanze non ascolta i consigli di nessuno. Anzi, se fossi in voi lo terrei d'occhio anche sotto altri punti di vista. Scandali e duelli sono sempre in agguato, con lui.

Oscar annuì. Il giovane sottufficiale era sempre sottotono, pronto ad obbedire, ma senza iniziative, e tendeva a presentarsi con lo sguardo stanco e gli occhi cerchiati di chi aveva trascorso una notte brava. Non che fosse l'unico.

Ma gli ufficiali non potevano sindacare su cosa facessero i sottoposti durante le proprie ore di libertà.

- E quali sarebbero gli altri candidati?

Oscar glielo disse. Ed aggiunse che avevano intenzione di chiedere allo zio.

- Anche su questi fate bene a volervi informare meglio. Certamente non sono stinchi di santo. D'altra parte, per entrare dal Duca occorre che sia qualcuno che non detti sospetti in quell'ambiente. E quindi, inaffidabile per definizione.

Si levò in piedi.

- Vado a continuare la mia opera di spionaggio, nel caso dovesse venirmi in mente qualche nome ve lo farò sapere.

- Grazie.

Rimasti soli, André sbuffò rumorosamente, esclamando: - Fuori uno! Speriamo di aver miglior fortuna con le informazioni del Generale.

-Speriamo davvero. Andiamo a cercarlo. A quest'ora sarà con il suo amico, nel parco.

 

Rosalie, intanto, a palazzo Jarjayes, si stava macerando nei peggiori pensieri.

Si dava della stupida, per il gesto compiuto. In tal modo, non solo non era stata per niente utile a Madame Jarjayes, ma aveva sia svelato la propria condizione sia messo nei guai Oscar. Quanto era stata avventata! Aveva posto i propri segreti, e non solo, nelle mani della Contessa. E chissà quale uso ne avrebbe fatto, quella donna arrivista e malvagia.

Fu scossa da un brivido, nonostante il calore di quella giornata estiva. Una lacrima scivolò lungo la gota. Rosalie lasciò che cadesse a bagnare il corpetto dell'abito.

Per quanto vi rimuginasse da ore, non era riuscita a trovare soluzioni. Aveva messo la risposta a tutto in mano alla Polignac, ed ora non rimaneva che attendere. Per quanto, e che cosa, ormai non era più nelle sue facoltà.

 

Ancora una volta André si muoveva con Oscar per le Allées del parco della Reggia. Per quanto i giardini fossero eleganti e meravigliosamente curati, si sorprese a chiedersi quante migliaia di volte avessero percorso quei viali. Quanti passi, quante accidenti di noiose miglia avessero già compiuto sotto gli alberi frondosi. In quel momento, comprendeva perfettamente i moti di stizza che talvolta vedeva in Oscar per la ripetitività dei propri gesti, per la vacuità di quanto li circondava. Avvezzo all'autocontrollo, non tradì i propri pensieri neanche con un guizzo delle labbra, ma si concesse un divertito disprezzo per quanto vedeva.

In particolare, la sua attenzione venne attirata da un gruppo di giovani dame, strette a cerchio attorno a qualcosa, o qualcuno. L'assieparsi delle gonne a panier costituiva una palizzata di seta da cui sarebbe stato difficoltoso uscire, mentre i parasole e le parrucche alte rendevano difficoltoso capire cosa o chi fosse oggetto di tanta attenzione. Un uomo, sicuramente. Alto. Si scorgeva talvolta il capo muoversi tra piume e riccioli.

Proseguirono oltre il gruppetto rumoroso, seguiti dai risolini delle dame, avvicinandosi al punto in cui, al fresco e su una panchina strategica per osservare l'andirivieni dei cortigiani, era solito sedere il Generale in pensione.

- Buonasera, miei cari. - Li salutò il vecchio. La forma con cui li aveva apostrofati derivava dalla preoccupazione che destava in lui vederli così tirati e preoccupati; non era certamente suo costume rivolgersi con tali smancerie.

- Buonasera, zio. Oggi è stata una giornata fruttuosa. E forse questo tardo pomeriggio potrebbe aiutare ancora.

- Molto bene. Raccontatemi.

Fu André a fare un resoconto rapido ma puntuale, terminando con quanto Louise Hélène aveva riferito riguardo al Tenente d'Angers.

Il Generale annuì, poi chiese .

- E quali sarebbero i due nomi cui avresti pensato?

- So che non sono persone troppo affidabili. D'altra parte, se intendiamo cercare l'aiuto di qualcuno che frequenti il Duca non possiamo aspettarci persone di specchiata serietà. Un frequentatore assiduo è Jules de Rohan-Guéméné1. So che ha avuto rapporti d'affari con il padre di Oscar, e so che sua moglie è una lontana parente di Madame.

Il Generale tirò le labbra..

- Vero. Ma è capace di tenere un segreto come io saprei volare. Non è una scelta del tutto sbagliata, perché nonostante la tendenza alla crapula rimane, sotto sotto, un buon diavolo. Ma è davvero poco affidabile. Lo terrei come ultima scelta. L'altro nome?

- Choiseul. Non il Maresciallo, suo fratello.

Il vecchio scosse la testa.

- No, per carità, no. Assolutamente non adatto. Lo sarebbe stato, anni fa. Ma i debiti lo hanno corroso. E' avido e marcio quanto le sue finanze. La scelta migliore, per ora, pare essere Rohan-Guéméné.

Il Generale poggiò entrambe la mani sul bastone, e si accinse ad alzarsi. André si avvicinò per aiutarli, ma un gesto del militare lo fermò.

- Fin che riesco, preferisco fare da solo.

- Torniamo a Palazzo Jarjayes. Voglio pensare. Magari mi sovviene qualche altro nome. Altrimenti, domattina andrò a parlare col Duca. Non ci negherà il suo aiuto, anche se potrebbe essere un complice poco avveduto.

 


1    Il nome è reale, il suo intervento nella storia del tutto irrealistico. L'ho scelto solo per la parola Rohan.

 

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Capitolo 26
*** Notti ***


26. Notti

     

In quella che sarebbe stata ricordata come le notte più calda di quell'estate, André si rigirò nel lette per l'ennesima volta.

Pensieri contrastanti gli agitavano la mente, impedendogli il sonno. Era felice di aver trovato chi avrebbe potuto introdurli dal Duca, era sollevato all'idea di poter finalmente liberare Madame Marguerite. Sapeva di aver pensato un buon piano per liberare quella donna che negli anni era riuscita a fargli sentire un po' meno la mancanza di sua madre, con la sua dolcezza e la pacata sollecitudine di cui lo aveva circondato.

Si sentiva però meschino per il fastidio che provava per la maniera in cui si erano risolte le cose. Non amava quel sentimento miserabile di invidia e rivalsa che gli opprimeva il petto. Eppure non riusciva a scacciare il senso di fastidio che quell'aiuto insperato gli procurava.

Doveva ammetterlo, il sentimento verso di lei che ormai non poteva più negare a se stesso gli aveva fatto sperare che il piano da lui elaborato li avvicinasse ancora più di quanto le avventure degli ultimi tempi non avessero fatto. In quelle poche settimane la distanza che il servizio di Oscar alla reggia aveva scavato tra loro si era a poco a poco ridotta. E la consapevolezza che quello che provava non poteva più essere definito affetto fraterno, né amicizia, lo aveva portato a nutrire qualche irragionevole speranza.

Alimentata ulteriormente negli ultimi giorni. Le sue intuizioni, il piano, che aveva ideato per liberare Madame, ma che avrebbero potuto avere anche qualche positivo risultato collaterale.

E invece...

Si girò dall'altro lato, rovesciò il cuscino, che gli dava fastidio, scostò i capelli dalla nuca.

La sera precedente, stava discutendo con Oscar ed il Generale a proposito di altri possibili candidati al ruolo di “cavallo di Troia” per permettere l'ingresso nel castello del Duca De Guiche e De Gramont. quando era stata annunciata una visita.

- Non voglio vedere nessuno. - aveva ribattuto Oscar, secca.

La cameriera aveva risposto che l'ospite se lo aspettava, ma era venuto ad offrire i suoi servigi in quel momento difficile.

Oscar aveva sospirato, accettando a malincuore l'intervento non richiesto. Non era stato previsto, ma non era certamente nelle condizioni rifiutare l'aiuto di chicchessia.

Nemmeno si era voltata verso la porta per ricevere l'ospite.

- Buonasera. Avrei voluto tornare a farvi visita in un momento migliore. - aveva esordito una voce dal leggero accento straniero.

Solo allora si era girata, e con lei André aveva sollevato lo sguardo.

- Conte di Fersen. Cosa fate qui?

- Sono tornato per seguire alcuni affari per conto di mio padre. E per cercare moglie. - Aveva risposto, serio.

- Ma non è di questo che voglio parlare. La prima cosa che ho saputo arrivando a Versailles, è stata la notizia di quanto accaduto. Quindi mi metto al vostro servizio.

Oscar non aveva risposto. André aveva immaginato che stesse elaborando la notizia della ricerca di una sposa. Un ulteriore colpo, in un momento tanto delicato.

Ma era stato il pragmatismo del Generale a prendere il sopravvento.

- In che rapporti siete con il Duca e G?uriche e De Gramont

- Posso dire di non conoscerlo.

Il vecchio militare aveva annuito.

- Benissimo. Ora vi dico cosa dovrete fare.

 

I due giorni successivi erano trascorsi tra gli abboccamenti di Fersen con alcuni aristocratici della cerchia del duca, contatti tra lui ed Oscar ridotti all'osso, nella finzione che non ci fosse nemmeno amicizia, e seguendo gli accordi presi a Palazzo Jarjayes.

La sera della festa, lei ed André si presentarono all'appartamento che il Conte aveva preso in affitto a Parigi con largo anticipo.

Li attendeva un sarto che aveva preparato in tutta fretta per entrambi una livrea da lacchè di colore verde oliva, pronto a dare gli ultimi ritocchi.

Quando ebbero modo di vedersi, nonostante la tensione, scappò loro un sorriso. Vestiti in maniera identica, con in capo una parrucca che dava loro un aspetto curioso, si sentivano alquanto ridicoli.

- Allora, ricordati che io sono Jacques. E tu non parli francese, e sei Lennart.

Oscar annuì. Sebbene avesse un nome nordico, avevano preferito non utilizzarlo. Troppo riconoscibile. Come la sua voce. Avrebbe fatto la parte del servitore svedese, di fronte al quale, sicuri di non essere compresi, gli altri avrebbero potuto lasciar scappare qualche informazione importante.

Arrivò Fersen, davanti al quale entrambi si inchinarono, mentre lui rispose con un sorriso divertito.

- Oscar, ricordatevi che “vieni” si dice “komma”. E' l'unica cosa che vi interesserà sapere in svedese. Per il resto dirò cose a caso, rivolgendomi a voi come Lennart.

- Benissimo.

- La carrozza senza insegne è già qui sotto. Il nostro cocchiere sa già dove fermarsi ed attendere il cambio – intervenne André – così potrete sia rientrare a Parigi, oppure la vostra carrozza potrà tornare a riprendervi, a seconda di come si svolgeranno le cose.

 

Il castello del Duca era illuminato quasi a giorno. La maggior parte degli ospiti, tutti uomini1, era già arrivata. Fersen scese dalla carrozza, ferma di fronte all'ingresso. Il veicolo proseguì verso il cortile retrostante, e i due lacchè che stavano in piedi sul piano degli staffieri raggiunsero la zona antistante le cucine, dove un numero imprecisato di servitori dei vari ospiti chiacchierava con un boccale in mano.

Non riconobbero i due nuovi arrivati, e si fecero intorno curiosi.

- Io sono Jacques, e lui si chiama Lennart, e non capisce il francese. Siamo al servizio del Conte di Fersen.

- Ah, lo svedese.

- E ha avuto bisogno di portarsi i domestici da casa? - Constatò un rubizzo cocchiere

André fece spallucce.

- Pare che sia particolarmente affezionato a questo ragazzino. - disse, recuperando un paio di bicchieri, e porgendone uno ad Oscar, che rispose con un - MeRci – detto appoggiando particolarmente sulla r.

Gli altri sorrisero, e non fecero più caso a loro, che si sedettero su una panca posta accanto alle cucine e iniziarono a guardarsi intorno.

Il loro obiettivo era riuscire ad entrare nel palazzo, e carpire informazioni su dove si trovasse Madame. Oscar tirò per la manica André. Era sulle spine ed avrebbe voluto entrare subito. Il giovane fece un gesto con la mano per dirle di attendere. La pazienza non era esattamente nelle sue corde, ed in una situazione del genere non sarebbe stata in grado di reggere a lungo. Ma, come avevano concordato, sapendo che il festino si sarebbe protratto sino all'alba, la prima parte della serata avrebbe dovuto essere dedicata a capire come muoversi.

André bevve un sorso dal boccale, e osservò il gruppo di domestici chiacchierare- Era evidente che si conoscevano, dal modo di fare si evinceva una frequentazione di quel luogo protratta nel tempo: sapevano dove trovare il vino e le stoviglie, avevano chiamato una o due cameriere per nome, richiesto a gran voce del pollo, come se sapessero che era parte del menu e che ne avrebbero potuto avere.

DI lì a poco, uscirono due ragazze dalla cucina. Evidentemente, la cena era cominciata e le sguattere potevano permettersi un attimo di riposo. Finito il taglio delle verdure, prima di riprendere il lavoro lavando i piatti, uscivano a respirare un po' d'aria fresca, dopo il calore delle cucine.

André si alzò per cedere loro il posto sulla panca, ed Oscar fece lo stesso. Le due giovinette furono piacevolmente sorprese dal gesto.

Una delle due, una biondina i cui riccioli non volevano saperne di stare compostamente sotto la cuffietta, rivolse loro la parola.

- Non vi ho mai veduti qui.

- Siamo venuti con il conte di Fersen. E' svedese, e da poco arrivato a Parigi. Io sono stato appena assunto. Invece lui, - e indicò Oscar – è venuto con lui dalla Svezia. Si chiama Lennart, e non capisce il francese.

Le due ragazzine assunsero un'aria delusa. Pareva tanto giovane e carino. Ma anche il suo amico non era male, con quegli occhi verdi.

- Io sono Henriette. E lei Jeanne, mia sorella.

Oscar le osservava con attenzione, cercando di assumere l'aria stupita di chi prova a barcamenarsi in un discorso che non comprende.

- Mi hanno detto che queste feste sono frequenti.

Henriette assunse un'aria seccata.

- Oh, sì, e sono spaventosamente faticose. Il Duca prima ci fa pulire tutto il palazzo, poi dobbiamo cucinare per tutti i suoi amici, e per le ragazze che invita, e infine il giorno dopo dobbiamo pulire il disastro che i suoi amici ubriachi hanno fatto, i letti che hanno usato, il vomito....una vera schifezza.

Concluse la ragazza, con tono disgustato.

- Deve essere terribile – le rispose André, con aria comprensiva.

Le due ragazze annuirono.

- E per fortuna, per nostra enorme fortuna, noi abbiamo le lentiggini. Così il Duca non ci ritiene abbastanza belle per dedicarci le sue attenzioni. E durante le serate non saliamo al piano nobile, quindi nessuno dei suoi amici ci vede. Quindi viviamo in maniera abbastanza tranquilla, nonostante tutto.

- Io vi trovo graziose, invece. - Disse André con uno dei suoi sorrisi.

La ragazzina arrossì. Non era abituata ai complimenti.

Oscar invece osservava incuriosita. Conosceva la gentilezza del suo amico, e aveva avuto modo di osservare cameriere e gentildonne che ne subivano il fascino. Ma non aveva mai osservato con tanta attenzione il suo modo di fare. Ne provò un leggero fastidio. Se si fosse fermata ad esaminare cosa provava, forse vi avrebbe dato il nome di gelosia. Ma non era avvezza a osservare i propri stati d'animo in momenti normali, figurarsi in un tale frangente.

Si accorse di aver perso per un attimo il filo del discorso, e lo riprese nel momento in cui Henriette stava raccontando che talvolta il Duca chiudeva una ragazza in una stanza, sempre la stessa.

- Ma adesso vi tiene una dama di una certa età, e la sua cameriera.

Sia André che Oscar si irrigidirono.

- Una dama? - chiese con fare stupito.

- Sì, è qui da alcuni giorni. - Disse, indicando in alto con il mento - Ma stavolta - aggiunse a voce più bassa - il Duca non va da lei né di giorno, né di notte.

Due grosse mani calarono sulle loro spalle.

- Allora, la prima sera qui e già vi accaparrate le ragazze? - chiese un vocione gioviale e leggermente ubriaco.

Gli altr si misero a ridere.

- Anche tu, se fossi una ragazza, preferiresti loro due a te stesso – disse una voce sguaiata.

Le due cameriere, vedutesi al centro dell'attenzione, sgattaiolarono all'interno.

 


1   Mi rifaccio a “Non mi attirano i piaceri innocenti” della Sgorbati Bosi.

 

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Capitolo 27
*** Il piano ***


27. Il piano

     

Oscar si defilò dalla discussione, mentre André si rivolse conciliante agli altri domestici, facendosi versare dell'altro vino. Quando la conversazione venne accentrata da un cocchiere alto e magro, decisamente belloccio, che raccontava le sue ultime conquiste amorose, anche lui si trasse poco a poco in disparte.

Era ora di agire. Si infilarono nella cucina. Non erano certi di passare del tutto inosservati, poiché, se era vero che talvolta i lacchè vi accedevano, non era una cosa del tutto usuale. Infatti, il cuoco, diede loro l'ordine di sloggiare in fretta, ma senza prestare eccessiva attenzione alla direzione presa una volta scacciati. Solo Henriette, nella fumosa confusione della cucina, si rese conto che stavano andando verso l'interno del palazzo, dopo aver afferrato al volo una candela poggiata su una bugia ammaccata.

Si ritrovarono un un piccolo disimpegno, dal quale si dipartivano una scala di servizio che saliva verso i piani alti, una rampa in discesa che evidentemente portava alla cantina, ed un piccolo uscio. Lo aprirono. Un piccolo corridoio nascosto, di quelli che percorrevano le magoni nobiliari per permettere ai domestici di andare e venire inosservati, si allungava alla loro sinistra.

Senza nemmeno parlare, si incamminarono per quella via, era un'opzione che avevano già considerato in fase di elaborazione del piano. Le scale di servizio erano rischiose, le possibilità di incontrare un cameriere erano troppo elevate.

Percorsero l'angusto corridoio sino a che non trovarono una scala, che percorsero silenziosamente. Dopo due strette rampe si trovarono all'altezza del piano nobile, che superarono. Già avevano supposto che la stanza di Madame Marguerite non avrebbe potuto trovarsi su quel livello, e il gesto di Henriette, che aveva accennato verso l'alto, era stato una conferma. Quindi salirono ancora. Al piano superiore, uscirono e si trovarono lungo un corridoio sul quale si aprivano le stanze della servitù. Il palazzo era basso, sul quale svettava la torre, l'antico mastio medievale che era stato lasciato quasi come in origine.

Sentendosi abbastanza sicuri di non incontrare nessuno, si avventurarono lungo il passaggio, cercando l'armadio nel quale venivano tenute le divise da cameriera. In fondo al corridoio, un armadio massiccio, con un'anta socchiusa faceva bella mostra di sé. Lo aprirono. Era stipato di abiti grigi da donna, ,mentre nel cassetto inferiore giacevano le cuffiette ed i grembiuli.

Ne presero due, e ripercorsero all'indietro il cammino sino alla scala, che ridiscesero. Si ritrovarono nuovamente al piano nobile, e dovettero uscire dalle scale di servizio. Si ritrovarono nella biblioteca, e guardando dalla finestra compresero che si trovavano a sinistra della torretta centrale. Il banchetto si stava svolgendo ancora più a sinistra, quindi si sentirono relativamente tranquilli. Erano convinti che Madame si trovasse in una stanza proprio nel grande torrione, residuo delle prime edificazioni del castello, che incombeva con la sua mole tozza sulla leggerezza delle ali rinascimentali.

Si avviarono, lentamente, in quella direzione.

Attraversarono altre due sale, controllando sempre che nessuno vi si fosse appartato con una delle ragazze. Non dovevano rischiare essere scoperti, anche perché quasi del tutto disarmati, non avendo potuto agganciare la spada con la divisa da lacchè, ed affidandosi solo ad uno stiletto ciascuno, nascosto nelle capienti tasche della giacca.

Si ritrovarono davanti alla vecchia scalinata medievale, che saliva avvitandosi verso i piani più alti dell'antico mastio. Non era chiusa da alcuna porta, ed Oscar, ansiosa di ritrovare la madre, si avviò per prima, seguita da André, che prima di avviarsi a sua volta, diede un'ultima occhiata circospetta. Dovettero però rallentare considerevolmente l'andatura, poichè la loro salita, sugli scalini di pietra locale, si stava dimostrando più rumorosa del previsto.

Giunsero dapprima ad un pianerottolo con una piccola porta in legno scuro, ancora socchiusa. La candela che avevano portato non faceva che un piccolo cerchio di luce. Da quel poco che illuminava, si accorsero che non vi era molto da vedere. Un piccolo salotto, che di giorno doveva essere un meraviglioso punti di vista sul giardino che si estendeva ampio attorno al palazzo, e nulla di più. Se Madame si trovava nella torre, sicuramente era più in alto.

Si ritrassero e ricominciarono a salire. Al piano di sopra, la porta era chiusa, e la serratura appariva nuova. Oscar trattenne il fiato. Estrasse lo stiletto dalla tasca, lo tolse dal fodero e lo introdusse nel foro. Non ci volle molto per farla scattare. Il rumore fu debole, ma nel silenzio del luogo risuonò come uno sparo.

Madame Marguerite si svegliò di soprassalto. Un suono forte l'aveva sorpresa nel sonno leggero che, in quei giorni, riusciva a concedersi. Vide la porta socchiudersi, ed una fiammella che tremolava oltre il legno del battente.

Trattenne il fiato, timorosa di quanto sarebbe potuto accadere. Un braccio abbigliato con una giacca azzurra si sporse reggendo una bugia. Strano, pensò, i domestici di casa indossavano un grigio perla. Due colori che, però, potevano facilmente confondersi, La cameriera, Constane, non si era accorta di nulla.

La Contessa si sollevò a mezzo, allarmata. Una figura snella entrò in silenzio, guardandosi attorno, subito seguita da un secondo personaggio, che, seppure nella luce fioca della candela, pareva vestito nella stessa maniera.

Li vide avvicinarsi poco alla volta, lentamente. La preoccupazione la stava attanagliando in maniera sempre più forte, sino a che non incontrò lo sguardo della persona che era entrata per prima. E lei quegli occhi li conosceva.

- Oscar...

La figlia sorrise, annuì e poi si mise l'indice davanti alle labbra, suggerendole il silenzio. André si fece avanti, sorridendo a Madame, Le porsero i due abiti da cameriera, sussurrando che erano lì per portarla via. Fu Marguerite a svegliare Constance, per non spaventarla. Poi si ritirarono dietro un paravento, per indossare le divise che avevano ricevuto.

Appena furono pronte, in un tempo che ad Oscar parve lunghissimo, perché temeva che non sarebbero riusciti a defilarsi prima che partissero i primi ospiti, iniziarono la discesa. Prima Oscar, poi la madre seguita dalla cameriera, ed infine André.

Silenziosi e cauti, arrivarono sino al piano nobile. Ritornarono di stanza in stanza sino alla biblioteca, dove si fermarono. Risalire come all'andata o accelerare, restando sullo stesso piano, ma rischiando di farsi scorgere?

Questo era il piano originario, ma Oscar iniziava a temere che non fosse la cosa migliore.

- Nessuno fa caso alla servitù. Fidati.

Constance annuì.

- Madame, perdonatemi – riprese poi, recuperando da un tavolino un piatto colmo di mirabelle profumate e mettendoglielo in mano. Accese un candeliere a tre bracci, e lo diede alla ragazza.

- Andate, rapide, decise, come se foste molto indaffarate e prendete la porticina nascosta.

Constance sapeva come riconoscere le aperture dedicate al passaggio di cameriere e valletti. Si avviarono, con l'aria indaffarata, superarono una stanza la cui porta aperta lasciava scorgere la sala del banchetto. Nessuno fece caso a loro. La ragazza aprì la porta, ed entrambe si infilarono in quello stretto uscio.

André sospirò di sollievo, e mise una mano sulla schiena di Oscar. Toccava a loro. Presero l'andatura rapida di quando a Corte non volevano essere disturbati. Anche loro poterono raggiungere l'uscita. Il colore delle loro livree avrebbe potuto essere scambiato per il grigio del Palazzo, e nessuno fece caso al loro passaggio.

Madame Marguerite e Constance li stavano aspettando. Ripresero la formazione precedente, con Oscar in testa ed André alla retroguardia. Con cuore più leggero iniziarono a percorrere il corridoio poco illuminato. Superarono una prima porta sulla sinistra, poi Oscar, Madame e Constance oltrepassarono la seconda, che aveva di fronte una seconda apertura alla loro destra. Mentre André vi passava accanto, l'uscio si aprì, ed una ragazza che rideva con toni acuti irruppe nell'angusto passaggio, separandolo dalle tre donne. La giovane, spinse il battente che aveva di fronte, e vi entrò a mezzo. Un uomo con un candeliere in mano la seguiva, anche lui allegro, e probabilmente leggermente ubriaco.

Osservò senza vederle davvero quelle che credeva due cameriere, poi il suo sguardo si soffermò su André. Non sarebbe corretto dire che lo riconobbe. Un vago pensiero, una rimembranza. Lo aveva già visto, e la sua mente lo posizionava altrove, non tra i propri valletti.

Ma forse non sarebbe accaduto nulla, se lo stesso André non avesse compreso di trovarsi di fronte al Duca stesso. Si bloccò di colpo. Non si inchinò, non tenne la porta. Non recitò completamente il suo ruolo.

Si osservarono vicendevolmente per un lungo momento, mentre la ragazza si voltava a chiedere con insistenza di fare in fretta. Madame Jarjayes si avvide di qualcosa. Si fermò. André le fece cenno di andare. Il Duca guardò nella sua direzione, la riconobbe e comprese.

Mosse un passo verso la Contessa, e venne strattonato sul braccio destro.

- Lasciami, tu!

André gli rispose pacatamente. - Non ci penso nemmeno. - Poi alzò la voce – Andate, forza! -

Le tre donne affrettarono il passo, per quanto potevano.

La mano sinistra del giovane bloccava il braccio del Duca in una stretta potente. Nella mano destra comparve invece lo stiletto. Glielo puntò alla carotide, mentre lo sospingeva indietro, dentro la stanza.

- Noi ce ne andremo, e voi non farete nulla per trattenerci.

De Guiche non era certo in soldato, non sapeva maneggiare agevolmente un'arma, né era coraggioso. Ma l'ira è un potente alleato. Cercò di ribellarsi, di afferrare la mano che stringeva l'affilato pugnale. Non vi riuscì, invece del manico o del polso dell'avversario strinse la mano, cosicché fu solo capace di ferirsi il muscolo adduttore del pollice, che iniziò a sanguinare copiosamente.

- Tu...tu...cosa...tu, cosa hai fatto?

André guardò il sangue colare sul prezioso marmo del pavimento. Poi si diede alla fuga. Entrò nel corridoio, scese la scale a precipizio. Attraversò la cucina, ed uscì.

Madame e Constance erano già nella carrozza senza insegne, che li attendeva verso il cancello di servizio. Oscar era già in piedi sul piano degli staffieri. Corse, e saltò su il più in fretta possibile. Il cocchiere era già pronto. Partirono rapidamente, mentre da una carrozza del tutto identica scendevano due figure, una estremamente magra, con l'aria allampanata di un adolescente ed una più robusta. Jacques e Lennart, coloro che davvero si chiamavano così, fecero un cenno di intesa e si avviarono per mescolarsi alla servitù in attesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

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Capitolo 28
*** A casa! ***


28. A casa!

     

Mentre la carrozza usciva dal cancello, nel palazzo si stava creando un notevole trambusto. Il Duca era rientrato nella sala del banchetto, con la mano sanguinante ed urlando di essere stato tradito.

Voleva sapere come fosse entrato quel plebeo che stava sempre insieme al Comandante Jarjayes, e forse anche lo stesso giovane ufficiale, sebbene non lo avesse veduto.

Sbraitava, e faceva un sacco di chiasso, ma di fatto non pareva intenzionato a seguirli. Non di persona. Fersen lo osservava con attenzione, cercando di mostrarsi stupito. Sapeva che fingere un'espressione credibilmente sorpresa era estremamente difficile. Il Duca mandò a chiamare un tipo che lo svedese trovò losco e pericoloso, un uomo segaligno, con l'espressione fredda. De Guiche lo trasse in disparte,gli parlò, e l'altro uscì rapido, senza degnare nessuno di uno sguardo.

Solo allora l'aristocratico si sedette, e lasciò che una delle ragazze gli pulisse la ferita e lo fasciasse.

- Chi di voi ha al proprio seguito dei lacchè in tenuta azzurra?

Fersen rispose con l'aria tranquilla.

- Io. La mia servitù è abbigliata in azzurro.

- Come avete osato introdurre in casa mia qualcuno che volesse farmi del male? Io vi ospito, e questo è il vostro modo di ricambiare?

- Non capisco, sinceramente. Sono qui con due soli lacchè. Conosco da poco Jacques, il francese, ma mi pare affidabile. E Lennart è venuto con me dalla Svezia. Gli affiderei la mia stessa vita.

De Guiche lo osservò.

- Ritengo che abbiate invece introdotto qui De Jarjayes e il suo attendente.

- Non potrei mai tradire così la fiducia di un ospite.

- Lo vedremo. Li sto facendo condurre qui.

Seguirono alcuni secondi di imbarazzato silenzio. Poi due figure fecero il loro ingresso. Uno era un ragazzo molto giovane, lentigginoso, e dalle sopracciglia si intuivano i capelli rossi. L'altro era un bell'uomo dagli occhi scuri.

Vagamente simili ad Osar ed André nella struttura fisica, anche se ad un attento esame non li si sarebbe potuti confondere. Esame che nessuno aveva avuto la necessità di effettuare.

Il Conte di Fersen si alzò. Aveva l'aria risentita.

- L'ospitalità dell'aristocrazia francese è molto decaduta, durante la mia assenza. Mai avrei creduto di essere insultato in questa maniera. Comprendo le vostre motivazioni, ma non le giustifico.

Fece un inchino rigido, e se ne andò sussiegoso, seguito da Lennart e Jacques.

 

La carrozza proseguì sino al primo bivio. Lì, sulla strada che si dipartiva a destra, una seconda vettura era in attesa. Oscar ed André scesero, aprirono lo sportello ed aiutarono Madame ad uscire.

- Salite sull'altra, presto.

Non appena lei e Constance ebbero cambiato mezzo di trasporto, il cocchiere spostòla prima carrozza poco più avanti, e la guidò sull'erba che costeggiava il viale alberato. Aiutò a staccare i cavalli, sui quali Oscar ed André si affrettarono a salire. Poi tornò alla seconda vettura, pronto a partire

Intanto, due servitori sdi Palazzo Jarjayes assicurarono una sottile corda tra due alberi, in modo da creare un ostacolo, appena prima del bivio.

Nel buio, era pressoché invisibile, ed avrebbe rallentato eventuali inseguitori.

Partirono in due direzioni differenti, con l'idea di ritrovarsi a palazzo nel più breve tempo possibile. Madame avrebbe percorso la via più diretta.

 

Oscar scese da cavallo, lasciando l'animale alle cure di uno stalliere, e si precipitò verso l'interno del palazzo, dove Madame Jarjayes stava ricevendo gli abbracci e le congratulazioni di Louise Hèlène, di nonna Marie, del Generale in pensione, circondata dalla servitù sollevata, mentre Rosalie, in disparte, cercava di trattenere le lacrime. Si fermò sulla soglia, con la parrucca in una mano, l'aria accaldata e lo sguardo felice.

Dopo qualche istante apparve André, con i capelli già liberi, che si era tolto la giacca azzurra e la trascinava dietro di sé, lasciandola strisciare sul pavimento.

Madame Marguerite, benché evidentemente stanca, si alzò per andar loro incontro. Oscar fece per fermarla, ma sua madre le Ande vicino e, cosa che non faceva da tempo, l'abbracciò.

- Grazie. - sussurrò piano.

Poi si staccò lentamente e si rivolse verso André, cui prese le mani.

- Anche a te.

Lui abbassò lo sguardo. Da quando era giunto a palazzo, nonna Marie e Madame avevano rivestito, insieme, il ruolo che era stato di sua madre, in modi differenti, completandosi a vicenda. LA amava di un affetto sincero, ed era felice di ave contribuito a salvarla.

Louise Hélène, con il senso pratico che la contraddistingueva, decise per tutti che era ora di andare a letto.

Prese Madame sottobraccio, e la accompagnò verso le sue stanze. Oscar si chiese per un istante se la sorella non fosse gelosa. Ma non ebbe tempo di approfondire il pensiero, perché si udì una carrozza, dalla quale scese rapido il Conte di Fersen.

- Allora, tutto a posto? - Chiese.

Oscar annuì.

- Mia madre è già salita a riposare.

- il Duca ha mandato tre uomini al vostro inseguimento. Ovviamente il trucco della corda ha funzionato, si sono lanciati verso la carrozza, e sono rovinati a terra. Uno dei cavalli si è ferito, ed uno scagnozzo di De Guiche si è fratturato il braccio. Gli altri sono partiti alla vostra ricerca, ma non sapendo esattamente dove fosse casa vostra non vi hanno raggiunti.

Si stiracchiò soddisfatto.

- Ho mangiato e bevuto fin troppo. Ma domani mi dovete un brindisi.

- Ovvio che sì. - Rispose André ridendo.

Il Conte fece un gesto di commiato con la mano, poi si voltò.

- Ah, dimenticavo. Ovviamente Jacques si premurerà di far girare a Versailles la notizia di quanto accaduto prima ancora che sorga il sole.

 

Quando Oscar arrivò alla Reggia, tutti sapevano che durante la notte aveva liberato la madre dal Duca De Guiche et De Gramont. I più libertini deridevano pubblicamente l'accaduto, i più moralisti stigmatizzavano il comportamento dell'aristocratico. In ogni caso, la sua reputazione aveva subito un tracollo peggiore di quello successivo al tentato suicidio della piccola Charlotte.

La Regina andò a congratularsi con lei, raccomandandosi di riferire a Madame che avrebbe potuto rientrare al suo servizio solo quando si fosse sentita sufficientemente in forze. E le diede due giorni di congedo, per trascorrerli con la madre.

La giornata passò tranquilla. Dopo le emozioni della notte, Oscar non ebbe modo di trovare noiose le passeggiate di Maria Antonietta e del suo entourage.

Il salvataggio fu la scusa scelta da alcune damigelle per avvicinare André e farsi narrare l'accaduto. Più avvicinabile del Comandante, invariabilmente gentile, oltreché, al momento, circonfuso di eroismo, rappresentava un oggetto di indubbio fascino ai loro occhi.

L'unico che pareva inquietarsi leggermente per una possibile vendetta del Duca era il vecchio Generale. Ma Oscar era certa che non avrebbe toccato ne sua madre, né alcuna delle donne che vivevano a Palazzo. Inoltre aveva fatto in modo che numerosi servitori fossero sempre presenti. Ma non considerava un altro rapimento una minaccia seria.

L'arrivo di suo padre era previsto per la settimana seguente.

In ogni caso, sarebbe stata a casa due giorni. Avrebbe sorvegliato di persona.

 

Furono dei momenti piacevoli. Passate le preoccupazioni, Oscar finalmente era riuscita a dormire ed a rilassarsi. Si era goduta appieno la vicinanza della madre, e la serenità di Palazzo Jarjayes. Al tramonto del secondo giorno, sedeva con André nel giardino. L'indomani sarebbero rientrati a Versailles, e dopo la tensione dell'ultima settimana voleva trascorrere ancora qualche momento di quiete.

Si stupì udendo un rumore di zoccoli, e di ruote di una carrozza. Non attendevano nessuno, Fersen era passato il giorno prima a riscuotere il suo brindisi, ed alcuni amici di famiglia avevano già fatto visita a Madame in orari più consoni.

Alzò lo sguardo, e vide tre soldati della Guardia Reale a cavallo ed una carrozza chiusa, nera. Quelle che si usavano per trasferire i detenuti.

Riconobbe Langlois, che teneva lo sguardo basso e pareva imbarazzato. Aveva in mano un foglio.

- Il Duca De Guiche et De Gramont ha portato lagnanza verso Monsieur Grandier. Sostiene di essere stato ferito.

Oscar li guardò senza essere capace di proferire parola. André si sentì sbiancare.

- Dobbiamo trasferirlo alla Prison De La Force, in attesa del processo.

- No! - gridò Oscar, alzandosi di scatto.

- Si, invece – Rispose André, fingendo una sicurezza che era ben lungi dall'avere. - Vado. So che saprai tirarmi fuori.

- Ma non dirlo neanche. Entra in casa e restaci.

Lui la guardò.

- Non intendo fuggire. Non era che un graffio. Mentre lui teneva prigioniera tua madre. Lui è un Duca, io un roturier. Ma voglio ristabilire la giustizia.

Si rivolse a Langlois: - Andiamo.

 

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