Il cuore d'oro di Smoothie Jay Andersen

di milla4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1- La fine ***
Capitolo 2: *** Captolo 2 - L'inizio ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1- La fine ***




 
*Capitolo 1 – La fine*
 
 

Corey Jeane era un bravo ragazzo, niente di speciale ma di lui nessuno aveva di che parlar male. Alto, atletico, appena ventenne, amava tutti gli sport che lo portassero a contatto con i ragazzi della sua età; non amava giudicare e non dava consigli se non richiesti. Aiutare il prossimo era una delle priorità che si era dato quando, all’età di sette anni, aveva visto in televisione quello che sarebbe diventato il suo idolo, anzi, l’idolo di tutti.

Smoothie Jay era stato solo un tranquillo uomo di circa trent’anni, che amava aiutare gli altri nel suo piccolo, donando alcune ore al volontariato e la cui stazza era proporzionale alla sua goffaggine, quando, nel mezzo di un devastante incendio, mentre tutti scappavano e cercavano un rifugio, lui era inciampato e aveva perso la ciabatta destra; nel cercarla aveva udito una piccola vocetta che veniva da una rimessa lì vicino e si era avvicinato con cautela. Entrato, ne uscì come un eroe popolare, il beniamino di tutti per aver salvato i tre bambini lì nascosti e per aver perso nell’incendio sua madre e sua moglie. Quando, circa dieci dopo, Corey seppe che sarebbe andato ad abitare nella casa accanto alla sua, lo prese come un segno del destino e come un invito a proseguire la sua missione.

Palloncini, magliette, libri… la legge del merchandising si era messa in modo per assicurarsi un guadagno da quella bella storia, ma Corey non aveva nulla da ridire, perché era il suo mito e ciò a cui avrebbe aspirato per il resto della vita. Doveva in qualche modo guadagnarsi da vivere, no? Essere un eroe non porta molto guadagno, soprattutto in un tempo come quello odierno dove più ci si mostrava disonesti e più si era qualcuno. 

Smoothie, invece, con la sua simpatia, il suo sorriso su quelle smunte guanciotte coperte da una fitta peluria biondastra e, soprattutto, con la sua goffaggine aveva conquistato il cuore di molti, se non di tutti. Famose erano le sue scivolate sui gradini del talk del giovedì sera, o la sua timidezza verso le donne: una volta, durante un’intervista da inviato, cadde per sbaglio nel lago cittadino, scatenando orde di risa entusiaste. Ma lui non era mai arrabbiato, godeva nel vedere felici gli altri. Certo, c’era chi lo denigrava per la sua presunta troppa esposizione pubblica, ma come fare a trasmettere dei valori senza parlarne al pubblico? Corey ne era certo, la via nella vita sarebbe stata quella di essere un buon cittadino e uno ottimo ragazzo. Da ben due anni faceva volontariato nell’ospedale del suo quartiere e aiutava animali indifesi del canile a passare i loro ultimi giorni nel miglior modo possibile. Per questo, quando dopo che l’uomo l’aveva invitato a prendere un the a casa sua e si era ritrovato rinchiuso in un antro segreto del seminterrato si era sentito totalmente smarrito. La testa gli pulsava incredibilmente e dalla bocca gli usciva un fiotto continuo di saliva, dovuto probabilmente alla droga usata per stordirlo, messa nel the. Cercò di muovere un braccio, ma indietro gli ritornò un rumore di catene: era stato incatenato alla parete. Corey cercò di guardarsi intorno, ma era troppo buio persino per capire se fosse sdraiato per terra o su un letto rigido, l’unica cosa che sapeva era che fosse nudo e che nessuno sapeva dove fosse. Aveva sonno e freddo, tastando intorno a lui non trovò coperte, nemmeno uno straccio, nulla di nulla. SI addormento rannicchiato su stesso.

Erano passate delle ore o pochi minuti quando sentì un rumore di strusciamento e improvvisamente della luce artificiale lo investì.
«Ben svegliato, mio buon amico» Smoothie lo guardava intensamente: l’uomo era sempre lo stesso, la sua aveva  polo color malva, un paio di pantaloni di velluto a coste larghe;  i suoi occhiali enormi erano sempre nella stessa posizione eppure lo disgustò vedere per la prima volta che, quegli occhi considerasti così espressivi erano in realtà pervasi da una malizia, da un qualcosa di sordido  ed indefinito al contempo, ma soprattutto, quello che lo sconvolse, furono quelle guance così secche che facevano da contorno ad un sorriso furbo e calcolatore. Questo era il vero SmoothieJay, questo era l’uomo che Corey aveva preso per modello in tutto quel tempo.

«Tieni, mettiti questo» gli lanciò una busta, con all’interno una coperta ruvida e grezza; indicò a destra «Lì c’è il secchio dove farai i tuoi escrementi» indicò a sinistra «lì c’è in materasso, la luce ti sarà fornita solo se farai ciò che ti dirò e ti dimostrerai degno della mia fiducia».
«Cosa vuoi? Da me, cosa cazzo vuoi?» il ragazzo sbottò, urlando.
Uno sbuffo «Cos’è questo linguaggio? Non volevi essere come Smoothie, l’imperfetto eroe cittadino?» Corey urlò disperato ma si accorse, guardandosi attorno che nessun suono avrebbe lasciato quel posto: tutto era stato insonorizzato in modo professionale.
«Tranquillo, ho già in mente una compagna adatta a te», Smoothie uscì fuori dall’antro prima che la busta gettatagli contro da Corey lo prendesse in volto e, poi spostò la scarpiera che fungeva da porta.

Passò una settimana in cui Corey poté vedere la luce soltanto durante l’orario dei pasti, cosa che lo stava distruggendo mentalmente, più di quell’attesa snervante per ciò che sarebbe dovuto accadere di lì a poco; poi, un giorno, non sapeva neanche più quale, si svegliò e con la mano sentì qualcosa di morbido e sodo al tempo stesso: ormai era abituato al buio, il senso del tatto era stato amplificato, riusciva a sentire l’umido delle pareti, il morbido bagnato del muschio,  dei viscidi pavimenti. Ma quella cosa era nuova, non l’aveva mai sentita prima e, la cosa lo fece sobbalzare dal terrore: si muoveva! Si allontano di scatto dal suo letto e si gettò nel punto più lontano che la catena gli consentisse: cosa gli aveva portato quel pazzo? Un cane? Un gatto mezzo morto? Che cavolo era?
Sentì dei mugolii molto simili ad una voce femminile. Non avrà…
Luce, Smoothie entrò; nel suo sguardò un’aria trionfante.
«Corey, ti presento Charlotte» il ragazzo si girò e quello che vide fu una giovane ragazza, di circa la sua età; era nuda e i lunghi capelli ondulati ne coprivano a mala pena il petto. Si era svegliata e negli occhi, oltre al residuo di barbeturici, vi era paura. Tanta paura. Corey voleva avvinarsi per calmarla ma, appena ci provò, lei si ritrasse. La conosceva, si disse, si era diplomata una classe dopo di lui,

«Bene, bene…vedo che avete fatto amicizia. Da oggi vi dovrete considerare marito e moglie» Si sfregò le mani.
«Potete cominciare a consumare il matrimonio.»
 

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Capitolo 2
*** Captolo 2 - L'inizio ***





*Capitolo 2 - L’inizio*
 
 
 
Lui era Albert “Smoothie” Jay Andersen figlio di una matura ragazza texana e di un padre che aveva deciso di scappare poco dopo la sua nascita. Di lui nessuno seppe più nulla e, nel tempo, Smoothie smise di anche di chiedere.
Aubrey Andersen aveva scovato il suo affascinante irlandese quando aveva già quarantuno anni e la sua famiglia già l’aveva annoverata tra le innumerevoli zitelle di quella generazione. Quando era tornata a casa da Boston con la pancia già grande di sei mesi, la famiglia si era chiesta se fosse un tumore quello che cresceva prepotentemente nella non più giovane Aubrey e che quell’irlandese che tanto declamava, e che non si era mai mostrato, fosse soltanto una foto presa da qualche parte. Ed invece solo tre mesi dopo era nato Smoothie e le chiacchiere in famiglia finirono all’istante. Quel bambino infatti era ciò che ogni madre voleva: era buono, non piangeva mai se non per fame, cosa più che accettabile, e si divertiva a giocare con quel poco che Aubrey si ricordava di comprargli. Sembrava poco sveglio ma era soltanto goffaggine la sua, amava aiutare il prossimo e non era raro vederlo tornare a casa con labbra spaccate o occhi neri.
Altro e allampanato, con i capelli radi e biondicci presi dalla madre e il naso schiacciato forse del padre irlandese, non era un ragazzo attraente né lui si considerava tale, ma non gli importava: era pieno di amici con cui divertirsi e… parlare.

«Claire, ti presento Smoothie Jay» la ragazza sorrise a Cole «È un tuo amico?», il ragazzo annuì «Che tenero!» esclamò la bionda cheerleader, fossilizzando il sorriso forzato che era noto sul viso di Albert. Non era la prima volta che le persone scambiavano la sua gentilezza per docilità o tenerezza: era nella natura delle cose, lui era l’amico con cui confidarsi e non quello con cui divertirsi.

Finite le superiori decise di non iscriversi ad un college; non amava studiare e l’ambizione non era qualcosa che facesse parte di lui. Passava le sue giornate tra il lavoro e il volontariato in varie associazioni della città.
«Non sarai mai qualcuno, morirai qui, in questa piccola cittadina, solo.»

«Nessuno vuole una persona senza ambizione, nessuno AMA una persona come te».
Sentiva quelle parole ripetersi giornalmente da almeno quindici anni, sua madre gli voleva bene e lui lo sapeva, solo che non trovava le parole giuste per dimostrarlo. Non era colpa sua.
Contrariamente a quanto prognosticato, Albert Jay Andersen si sposò con una graziosa cameriera del South Dakota, Emily O’Brien; erano una coppia felice gli Andersen, si erano conosciuti mentre lui lavorava nel negozio di antiquariato dello zio di lei. In realtà, voci insistenti mormoravano che lei avesse dei problemi legati ad un passato non proprio limpido, ma nessuna di esse venne mai confermata, né Emily diede mai prove per un dubbio.

Emily O’ Brian era una tipica ragazza del North del paese trapiantata al Sud, il suo accento, i suoi vestiti appariscenti; il suo essere espansiva e chiusa allo stesso tempo avevano subito colpito il commesso di Zio Arnie. Emily non lo conosceva, non sapeva chi fosse e non lo giudicava un perfetto amico, solo un ragazzo imbranato e, per lui, questo era un passo avanti. Fu lei a iniziare il corteggiamento fatto di battutine allusive volte a scalfire la timidezza del buon Smoothie, non ci volle molto tempo prima che lui le cedesse e dopo solo sei mesi divennero i signori Andersen.
Era felice Smoothie, aveva trovato una persona che lo capisse, con cui avrebbe formato una famiglia: sapeva che avrebbe avuto tre figli, non di più per non affaticare la sua giovane sposa. Sapeva che dovevano comprare casa perché il piccolo appartamento in affitto dove lui abitava non andava bene per una coppia sposata. Sapeva che doveva lavorare duramente e forse cercare un altro lavoro se voleva mantenere la sua futura famiglia.

Sapeva tante cose Smoothie.

Fu il 3 aprile quando uno strano odore entrò nella casa de Reverendo Thompson; erano le undici di sera e stava preparando il sermone per la domenica successiva quando delle urla inumane lo spenderò fuori di casa. Quello che vide sembrò preso direttamente dalle sue descrizioni dell’Inferno. La città, l’intera città stava bruciando; intere abitazioni erano state invase dalle fiamme e dal fumo, famiglie smembrate attendevano i propri cari sul ciglio della strada. Tra essi vi era la famiglia Andersen; Smoothie aspettava davanti la sua casa, le mani nei capelli, il fumo negli occhi, il puzzo nei capelli. Era lì davanti aspettando che i vigili del fuoco arrivassero mentre invocava il nome della sua novella sposa. Ma nulla.

Quella sera quel povero ragazzo perse una madre e una moglie durante la cena per il compleanno di quest’ultima ma acquistò una fama che gli sarebbe rimasta appiccicata per il resto della vita. Si stimava che con quel gesto avesse guadagnato almeno cinquecento mila dollari e che ne avrebbe guadagnati ancora se non avesse smesso con le ospitate televisive e se non fosse ritirato in un una modesta casa di una cittadina di periferia. Voleva ricostruirsi una vita, diceva, restare nell’anonimato.
Eppure qualche voce di sottofondo girava su alcune strane manie per il comando dell’Eroe Texano, soprattutto nel campo più intimo e privato e, che forse le voci di un presunto tradimento della moglie erano la causa dell’incendio della sua casa e, successivamente, dell’intera città. Ma come per la compianta Emily, voci di corridoio non potevano turbare l’aura di innocenza intorno a quel grande uomo che Smoothie era. La sua bontà commuoveva, i suoi continui guai attiravano: era più facile vederlo riverso sui gradini, o con un gelato colato sulla maglietta che su una comoda sedia a parlare. Le televisioni avevano fatto a gara per averlo. Era un ragazzo d’oro, quello che però nessuno voleva immaginare era che di quel ragazzo vi fosse soltanto una facciata. Perché di esso ormai non era rimasto nulla.

Se fuori sorrideva ai piccoli dell’asilo, dentro provava odio e astio per essere stato ingannato da quella puttana di Emily: non gli avrebbe dato mai dei figli perché non gli si era mai concessa. Il suo, come da lei ammesso dopo nemmeno un mese di matrimonio, era stato un qualcosa di facciata, per risollevare la sua reputazione; potevano fare vita separata, lei non avrebbe protestato se lui avesse avuto delle “amiche” come lui non avrebbe dovuto dire niente dei suoi. L’avrebbe potuta lasciare, certo, ma chi avrebbe perso la faccia, lei o lui? La degenerazione da uomo giusto a perdente era sempre in agguato.  E allora Albert aveva capito che nella vita, da quel momento in poi, avrebbe avuto il controllo su ogni cosa volesse. Aveva elimianto una madre sempre ubriaca e una moglie fedifraga in una sola volta; poi, aveva sfruttato il suo momento di gloria fino all’estremo atto. L’atto che avrebbe sancito la sua supremazia sulle ragazze che lo trattavano come un tenero cucciolo, sulla fiducia zuccherosa della gente, sul mondo che aveva soppresso per tanti anni la sua anima più nera.

Avrebbe comandato lui sulla vita e sulla morte, lui sarebbe stato un re, un carnefice, un giudice e aveva folle di vittime sacrificali che si buttavano ai suoi piedi quotidianamente. Ma il momento opportuno arrivò soltanto quando un suo ennesimo fan gli chiese di vedersi per chiedere qualche consiglio su come essere un corretto essere umano.
 
 
Dei due ragazzi di nessuno seppe più nulla.

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