Claire de Lune - Spin Off Trilogia della Luna

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Le origini e la storia.

 

 

 

Vi fu un tempo in cui gli dèi camminavano in mezzo agli esseri umani, in cui le genti ne idolatravano il passaggio… o ne temevano la comparsa.

Tra essi, noto come il Distruttore dei Mondi, come colui che avrebbe portato il Crepuscolo degli dèi, il Ragnarök, vi era Fenrir, il dio-lupo degli Asi, i mitici signori di Asghardr.

Morente e con le fauci bloccate da una spada, spada che lo stesso padre gli aveva inframmezzato alle zanne per ucciderlo, Fenrir si lasciò andare all’abbraccio di Madre senza perdersi nella follia. Così facendo, bloccò così il Crepuscolo degli dèi e, di fatto, le mire distruttive del padre.

Il piano di Loki, ordito per ingannare Padre Tutto così come il suo stesso figlio, fallì di fronte all’unica cosa che il dio degli Inganni non aveva saputo cogliere. E comprendere.

Su Midghardr, la Terra, patria degli esseri umani, vi erano coloro che Fenrir avrebbe difeso sempre e comunque, nei Nove Regni.

I suoi figli, generati da colei che più di tutti egli aveva amato, e Avya, il suo cuore, il suo unico, vero e imperituro amore.

Abbandonando la vita terrena per quella inconsistente ed eterna nell’abbraccio di Madre, Fenrir sapeva in cuor suo di non lasciare sola – o non protetta – la sua amata.

A lei lasciò, oltre ai gemelli Hati e Sköll, il potere di governare la Natura, di parlare con le creature viventi e la possibilità di interagire con i discendenti dei suoi figli.

Avya sarebbe vissuta a lungo, assieme a loro, pur se perseguitata da suo fratello Fryc e dalla sua cricca di Cacciatori, desiderosi di uccidere il frutto del suo corpo.

Lasciando la sua vita in piena consapevolezza per rifugiarsi nel ventre di Madre, Yggdrasil, Colei-Che-Tutto-Regge, Fenrir sapeva di aver fatto l’unico gesto rimastogli per proteggere coloro che amava.

Salvare i Nove Regni dall’annientamento totale, così da preservare le vite di Avya e dei loro figli.

Nello spirare, Fenrir pensò solo a questo, e la disfatta del padre Loki fu totale. Per quel giorno, per lo meno.

Secoli e millenni si affastellarono tra loro, da quel momento così infausto, e gli dèi persero progressivamente i loro corpi mortali – e i loro poteri – a favore delle religioni monoteiste, o della loro totale mancanza.

I Cacciatori, discendenti di Fryc, continuarono la loro Cerca segreta, sicuri di poter debellare una volta per tutte il frutto peccaminoso dell’unione tra il dio-demone Fenrir e la mortale Avya.

Al tempo stesso, però, i figli di Hati e Sköll, avuti dalle loro compagne umane Sylvi e Lyka prosperarono, evolvendosi, divenendo una nuova razza, una nuova stirpe.

Metà lupi, metà umani. Licantropi. Lupi mannari.

Branchi di licantropi si andarono a diffondere ogni dove, nelle terre di Albion, in seguito conosciute come Britannia dai Romani e come Impero Britannico e Gran Bretagna dalle genti che seguirono.

Di pari passo fecero i clan dei Cacciatori che, sempre nel più ristretto riserbo, li seguirono nel corso del tempo, tentando di porre fine alla loro dinastia, pur senza riuscirvi.

Molti lupi oltrepassarono i mari e si diffusero a est, verso le terre degli uomini-orso, i berserkir, per sfuggire ai Cacciatori e ai nuovi conquistatori di Albion.

Altri, invece, veleggiarono verso ovest, seguendo le rotte degli abili vichinghi, giungendo infine nel Vinland (Terranova - Canada), intorno all’anno 1000 d.C.

Lì si stabilirono e prosperarono, discendendo verso sud e ovest e raggiungendo le pianure sconfinate del Manitoba, prima, e le ampie praterie del centro degli attuali Stati Uniti, poi.

Il culto del dio-lupo dei lakota, Shung Manitu-Tanka, permise ai licantropi di trovare un luogo a loro congeniale, ove la loro unicità di uomini e bestie non fosse detestata, ma apprezzata e idolatrata.

Anche in quei luoghi ameni, e presso popolazioni umane loro amiche, giunsero però i Cacciatori, e questi fecero strage di lupi e di umani, rei di aver dato loro ospitalità.

Dietro la maschera dell’Esercito Nordista, armati di odio e vendetta nei loro confronti, i Cacciatori contribuirono alla fine dell’era del bisonte … così come a quella del lupo.

Falciarono sotto i colpi dei loro Winchester centinaia di migliaia di vite, sia tra i Nativi Americani – colpevoli di averli protetti – sia tra i licantropi.

I pochi mannari che riuscirono a scampare al massacro si diedero alla macchia. I branchi si sciolsero dopo aver perso gran parte delle élite di potere, e la grande forza dei clan venne a svanire.

Niente più Fenrir a guidare le genti, o Sköll a governare in vece del capoclan, o ancora Hati a protezione dei loro signori.

Delle Triadi di Potere non rimase quasi nulla, nella memoria delle genti.

Mentre, nelle loro terre d’origine, i clan prosperavano e si diffondevano, in America andarono scemando fin quasi a svanire.

Essere un licantropo divenne ancor più pericoloso che in passato, qualcosa da tenere maggiormente segreto rispetto alle vite precedenti.

Il solo parlarne agli umani divenne sacro tabù, l’affidarsi alla clemenza e disponibilità degli altri, una follia tra le più gravi.

La verità morì a poco a poco, con il diradare del sangue mannaro tra le popolazioni, e intere dinastie andarono con l’esaurirsi per mancanza di geni forti e prosperi.

Più di un secolo dopo quegli eventi catastrofici, un nuovo Ragnarök venne a bussare alla porta dei consapevoli. Con la rinascita dello spirito di Fenrir nel corpo della più potente wicca mai vista dalla nascita di Avya, si rischiò l’Apocalisse, ma di questo gli americani non seppero mai nulla.

Ciò che avviene oggi, in queste terre d’oltreoceano, ben si discosta dai branchi europei.

Dimentichi del loro passato e dei loro fratelli inglesi, i mannari americani hanno nemici ben diversi dai Cacciatori.

La totale mancanza di sapere, il vuoto totale che gravita alle loro spalle, è il primo scoglio da affrontare per sperare di sopravvivere.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


-1-

 

 

 

Aprile 2018 – Nei pressi di Clearwater (Columbia Britannica)

 

 

 

D’accordo, doveva decidersi a fermarsi.

Diversamente, il suo camper l’avrebbe abbandonata prima del tempo, lasciandola a metà strada tra Grande Roccia Rossa e Immensa Cascata Blu.

Aveva sempre avuto l’abitudine, in tenera età, di dare nomi idioti a ciò che vedeva intorno a sé ma, a essere onesta, quei luoghi dispersi nel nulla non la aiutavano a smettere quell’infantile gioco.

Non v’era anima viva da miglia e miglia, le uniche cose che poteva vedere dal parabrezza erano alberi, rocce e cascate, perciò…

Insomma, non era interamente colpa sua se le veniva spontaneo sproloquiare con se stessa e inventare cose a caso.

Per lo meno, Iris si disse questo, quando vide un ponte di tronchi e vi passò sopra a velocità ridotta, pensando immediatamente ad accampamenti indiani, falò e penne al vento.

«Ponte Capo Indiano…» mormorò tra sé, riprovando per l’ennesima volta a recuperare una stazione radio decente, in quella marea infinita di montagne e foreste che era la Columbia Britannica, in Canada.

Erano ormai due anni che girovagava senza sosta, con il suo fido e gigantesco camper, un Liner Plus 1130GMax della Concorde.

Alla ricerca di un luogo in cui stabilirsi o, almeno, in cui tentare di vivere per un po’ di tempo, aveva iniziato il suo viaggio da Los Angeles, spingendosi dapprima verso le Montagne Rocciose e poi verso nord, zigzagando, fino a oltrepassare il confine canadese.

Da quando i suoi genitori erano morti in un incidente stradale causato da un pazzo al volante, il mondo le era crollato addosso, ammaccandola ben bene.

L’aggressione subita poche settimane prima di quell’evento tragico, le era apparsa irrilevante, al confronto con quello che era avvenuto a suo padre e sua madre.

L’averli persi entrambi, e a causa di un paio di ragazzini della Los Angeles bene strafatti di cocaina, era stato traumatico, per lei. L’aveva mandata davvero a terra.

Solo la presenza degli zii e delle cugine, l’aveva salvata dalla follia… e da ciò che era seguito all’aggressione notturna di cui era stata vittima a poca distanza dal suo appartamento in Venice Beach, a L.A.

Ormai non pensava più a quel delinquente – mai trovato dalla polizia, tra l’altro – ma, su di sé, avrebbe portato per sempre il suo marchio, il suo lascito oscuro.

Iris lanciò solo una brevissima occhiata al taglio slabbrato che aveva sull’avambraccio destro, prima di dedicarsi nuovamente alla strada, che si stava inerpicando lungo la valle come un lungo serpente senza fine.

Stava costeggiando il North Thompson River pur senza vederlo, visto che si trovava oltre un basso dirupo a strapiombo e, entro breve, avrebbe incontrato la cittadina di Clearwater, dove avrebbe cercato un meccanico.

Nel frattempo, si sarebbe persa in contemplazione delle sue splendide cascate, dei meravigliosi laghi del Parco Nazionale della zona e dei suoi paesaggi mozzafiato. Dopotutto, quel luogo era famoso proprio per le sue meraviglie naturali.

Forse, se le fosse piaciuto il posto, avrebbe deciso di fermarsi per un po’. Viaggiare le piaceva, ma era anche gradevole poter scambiare quattro chiacchiere con i propri simili, ogni tanto.

Quando infine imboccò il Clearwater River Ridge, seppe di essere arrivata a destinazione, per quel giorno.

Aprì quindi il finestrino per inspirare l’aria frizzante di quel luogo – era un miracolo che non stesse nevicando, visto che la primavera stentava ad arrivare – e ne ammirò il meticoloso ordine.

Come tutti i paesini canadesi era pulito, ben organizzato, e la gente non sembrava pazza o sotto l’uso di sostanze stupefacenti, mentre guidava.

Inoltre, nessuno usava il clacson come estensione della mano sul volante.

Grazie al GPS integrato, individuò subito un meccanico, in cui avrebbero potuto sicuramente controllare quanti secondi di vita avesse ancora il suo pneumatico anteriore destro.

Da quello che aveva potuto constatare alla sua ultima fermata, tutti i santi del Paradiso dovevano essersi messi a intonare benedizioni, visto che era da circa settanta miglia che viaggiava come sulle uova.

D’altra parte, non ne aveva caricata una di scorta – accidenti a lei! – e l’unico sistema per sopravvivere era stato raggiungere il primo paese degno di tale nome che potesse averne di ricambio.

Quando, perciò, inforcò il cortile dell’Insight Tirecraft, si concesse un sospiro di sollievo… esattamente come lo pneumatico, che esalò l’ultimo respiro prima di esplodere.

Con un pssst a fare da colonna sonora al suo arrivo, e un progressivo affossamento del camper verso destra, Iris bloccò il suo mezzo nei pressi del parcheggio e, soddisfatta, uscì per ammirare il danno.

In quel mentre, uno dei meccanici raggiunse l’esterno – attirato certamente dal suono dello pneumatico – e, nel notare la giovane accanto al camper e il suo sguardo divertito, esordì dicendo: «A quanto sembra, ha tirato le cuoia al momento giusto.»

Sorridendo spontaneamente, Iris annuì all’indirizzo dell’uomo, barbuto e dal volto abbronzato, e disse: «Erano settanta miglia circa che viaggiavo con il patema d’animo, e i sensori del mio camper non mi hanno aiutata, ricordandomi con le loro lucette le condizioni pessime della gomma. Meno male che non ho dovuto fare delle salite impervie.»

«Non devo neppure chiederle se devo cambiarle lo pneumatico» ironizzò l’uomo, allungandole una mano. «Wilford Johnson, molto piacere. Sono il proprietario della baracca.»

Iris strinse la sua mano protesa, asserendo: «Iris Walsh, piacere mio. Sa per caso se, al Clearwater/Wells Gray Camping abbiano posto, in questo periodo? Camper a parte, mi piacerebbe fermarmi per un po’.»

Sorridendo, Wilford replicò: «Mio nipote e mia cognata gestiscono il campeggio. Provo a chiamare subito.»

«Molto gentile, grazie. Il posto è molto bello, e credo valga la pena di visitare questo scorcio di Canada» dichiarò Iris, poggiando le mani sui fianchi e guardandosi intorno.

Sì, quel posto le piaceva e, per qualche tempo, avrebbe potuto essere la sua casa.

Wilford, allora, chiamò uno dei suoi ragazzi perché si prendessero cura del camper di Iris e, nel contempo, telefonò a suo nipote per avere lumi circa le prenotazioni al camping.

All’okay di Wilford, Iris si tranquillizzò.

Non sapendo che altro fare – gli operai stavano uscendo per il break di mezzogiorno e il camper non sarebbe stato pronto che nel pomeriggio – si incamminò a piedi verso il centro, così da trovare un posto dove sgranocchiare qualcosa.

Dopo aver camminato con passo quieto per qualche centinaio di metri, si fermò dinanzi all’ingresso dello Strawberry Moose, un localino dall’aria affascinante e curiosa. L’insegna, oltre a essere enorme, era abbellita da una buffa renna rosa che sembrò darle il benvenuto.

Iris lasciò quindi che i morsi della fame avessero la meglio su di lei – come al solito – ed entrò nel locale in legno e vetro con un sorriso speranzoso in viso.

Ancora una volta, si era spinta a mangiare più tardi del necessario, indebolendosi più di quanto non avesse bisogno. Avrebbe dovuto darsi una regolata o, prima o poi, l’avrebbero trovata sdraiata in mezzo a una strada, priva di sensi.

La grande sala da pranzo era interamente in legno e, pur se un po’ spartana, denotava pulizia, ordine e  un senso di gradevole benvenuto. Apprezzò subito il tepore che le accarezzò la pelle, oltre all’indubbio aroma di cibo di quel luogo.

Il localino era davvero grazioso, e l’onnipresente renna rosa la faceva da padrone, così come i menù sfiziosi e coloratissimi posizionati a ventaglio su tutti i tavolini.

Una cameriera in tenuta bianca e rosa e con i pattini ai piedi si avvicinò a lei tutta sorridente e, palmare alla mano, la accompagnò a un tavolo prima di prendere la sua ordinazione e schettinare via veloce.

Iris sorrise di fronte a quella scena in stile anni ‘80 e, nel curiosare volti e persone presenti, cominciò a farsi un’idea del posto.

Era mezzogiorno passato, molti stavano fermandosi per il pranzo e, ben presto, quel locale sarebbe stato caotico e pieno di persone tra le più disparate.

Un luogo ideale per capire se, tra quella gente, avrebbe potuto sentirsi a proprio agio oppure no. Aveva davvero bisogno di capirlo, o non avrebbe potuto fermarsi in nessun modo, neppure in quel luogo apparentemente così grazioso.

Circa dieci minuti dopo aver ordinato, la stessa ragazza in rotelle tornò con il suo vassoio e, sempre sorridendo, le consegnò una bistecca al sangue e una generosa dose di verdura cotta.

Dopo averle lasciato lo scontrino, si involò verso uno dei tavoli che stava riempiendosi e, subito dopo di lei, altre due ragazze uscirono dalle cucine, tutte dotate di pattini.

Una di loro, aveva persino le corna rosa della renna dell’insegna.

Al bancone del bar comparve un giovane sui trent’anni, alto e piacente, dalla chioma fulva e gli occhi azzurri come il cielo che, immediatamente, ci diede dentro con la macchina del caffè.

Le chiacchiere presero a crescere d’intensità, come una marea che monti lentamente ma senza scampo e Iris, sorridendo tra sé, decise di lasciarsi travolgere.

Dando libero sfogo alla sua fame, lasciò che quel chiacchiericcio le facesse compagnia e, dopo il primo morso – la carne era ottima –mangiò di gusto e sperò che la fame passasse così come era venuta.

Scalpiccio di piedi, voci possenti, gran risate e dialoghi disparati la accompagnarono per tutta la durata del suo pranzo, ma fu solo quando giunse un piccolo tornado in miniatura, che levò il capo per la curiosità e il divertimento.

Una bimba dai capelli nerissimi e lisci, su cui spiccava un berretto da baseball, salutò con ampi gesti le cameriere per poi piazzarsi sicura a un tavolo d’angolo.

Lasciò quindi cadere la cartella a terra assieme al borsone della palestra e, tutta contenta, sorrise all’uomo al suo fianco, di certo più ombroso e serioso rispetto a lei.

Iris ne curiosò il volto abbronzato e dai lineamenti forti, in parte nascosti dalla barba scura e dai capelli lasciati un po’ lunghi e selvaggi intorno al collo taurino.

Era imponente, constatò dopo un attimo.

Le spalle erano davvero ampie, forse dovute al lavoro che svolgeva, o forse a causa di una cura maniacale per il proprio corpo, Iris non poteva saperlo.

Di sicuro, era un lavoratore indefesso; le sue mani apparivano ruvide e con le unghie cortissime. Portarle anche solo un poco più lunghe, avrebbe voluto dire rompersele di continuo.

Uno spaccalegna, forse?

Iris ipotizzò fosse possibile, visto che in zona erano presenti molte falegnamerie e piccole botteghe di artigiani del legno.

In ogni caso… perché continuava a fissarlo?

Tornando in fretta alla propria bistecca, Iris non poté comunque esimersi dall’ascoltare il trillante cicaleggio della bimba. Esso galleggiava nell’aria come un profumo speziato, solleticandola e incuriosendola.

Sorrise perciò spontaneamente quando, simile a una radio, ella iniziò a raccontare tutto della sua giornata a quello che, come Iris scoprì durante il suo monologo, era il padre.

Per tutto il tempo, Iris si aspettò di veder comparire anche la madre della ragazzina, ma nessuna donna giunse, se non una cameriera più intraprendente delle altre, che salutò la bimba prima di fissare con insistenza l’uomo.

La bambina le dispensò un sorriso cauto, mentre l’uomo si limitò a un ‘ciao, Alyssia’, e poco altro.

La giovane parve sospirare spazientita ma prese l’ordinazione e, poco dopo, questa venne servita da una delle ragazze dotate di schettini.

Molto più tardi e diversi monologhi dopo, a pranzo fu terminato, Chelsey – come scoprì Iris verso la fine del loro interludio – balzò dalla sedia e passò di tavolo in tavolo, salutando tutti i presenti.

Il padre la lasciò fare, guardandola con amorevole esasperazione.

Evidentemente, lì la conoscevano tutti, e quello strano ficcanasare non dava fastidio a nessuno.

Iris si aspettò di essere bellamente esclusa da quello strano rituale, essendo un’estranea, ma si sbagliò di grosso.

Tutta impegnata a finire le sue verdure, la giovane si sorprese, infatti, quando nel suo campo visivo comparvero gli stivaletti lucidi di Chelsey.

Levando il capo per la curiosità – la bambina profumava di muschio e di fiori – Iris le sorrise cordiale e disse: «Ehi, ciao…»

«Ciao a te. Sei nuova, vero?» rispose per contro Chelsey, inclinando il capo di scuri capelli per scrutarla con aperta curiosità con i suoi profondi occhi nocciola.

«Colpita e affondata. Vengo da Los Angeles» asserì allora Iris, accentuando il suo sorriso.

La bambina sgranò gli occhi, a quella notizia, esalando un ‘wow’ sorpreso e ammirato.

Già sul punto di chiederle altro, il vocione profondo del padre la fece sobbalzare, e un lento rossore si impadronì delle gote naturalmente bronzee della bimba. Che avesse sangue indigeno nelle vene?

Volgendosi entrambe in direzione del suono di quella voce – il padre si trovava al bancone del bar, intento a pagare le loro consumazioni – Chelsey sorrise contrita e disse a mezza voce: «Non disturbo, davvero!»

Poi, volgendosi speranzosa in direzione di Iris, aggiunse: «E’ vero che non disturbo?»

Iris sorrise maggiormente di fronte a quella richiesta di aiuto e, nell’annuire, lanciò poi un’occhiata all’uomo e disse: «Va tutto bene, sul serio.»

«Se le dà fastidio, la cacci pure. Chelsey deve imparare a farsi gli affari propri» brontolò l’uomo, tornando a parlare con il giovane al bancone del bar.

A quel punto, Iris e Chelsey si guardarono divertite e quest’ultima, afferrando la sedia libera al fianco dell’adulta appena conosciuta, asserì: «Papà non ama molto che io mi impicci degli affari degli altri, ma in fondo non faccio nulla di male, no? Tu avevi finito, vero? E due chiacchiere fanno piacere a tutti. Poi, qui a Clearwater girano un sacco di turisti, ed è bello sentire da dove vengono, cos’hanno fatto prima di venire qui e…»

Chelsey continuò per diversi minuti quel monologo sfacciato quanto delizioso, e Iris si perse in contemplazione di quegli occhi nocciola colmi di eccitazione e curiosità.

Non tentò minimamente di interromperla, annuendo alle sue esternazioni e rispondendo brevemente alle sue domande.

Era letteralmente affascinata da quell’autentica esplosione di energia formato bambina e, quando un’ombra calò su di loro, si sorprese non poco, sobbalzando in risposta.

Non si era affatto accorta dell’arrivo del padre di Chelsey!

Levando il capo fin quasi a farsi dolere al collo – quell’uomo era davvero alto! – Iris gli sorrise cauta e disse: «Sua figlia è un’autentica forza della natura, sa?»

«Un modo carino per dire che è una radio senza interruttore per lo spegnimento» replicò l’uomo, sorridendo per contro alla figlia, che non se la prese per il lieve rimbrotto.

«Ci rivedremo ancora, Iris Walsh di Los Angeles, allora? Sono sicura che il parco ti piacerà molto. Le cascate piacciono a tutti!» esclamò a quel punto la bambina, balzando via dalla sedia per afferrare la mano del padre.

L’uomo fissò scocciato la figlia, e Chelsey fece la lingua come per scusarsi.

«E’ un’impicciona. La scusi» brontolò a quel punto l’uomo, lanciando un’occhiata distratta a Iris.

«Nessun problema, davvero» replicò però la giovane, salutando poi con una mano Chelsey, che stava trascinando via con sé il padre. «A presto!»

«Ciao!» esclamò la bambina, sbracciandosi con la mano libera.

Il padre scosse il capo e, ancora, non la redarguì ma, nell’uscire dal bar, le ricordò alcune regole sull’educazione prima che lei gli ridesse in faccia con ironia.

Iris li seguì con lo sguardo finché non svanirono oltre l’angolo del risto-bar e, a quel punto, non trovò altri motivi per restare.

Pagò il tutto, ringraziando per il buon pranzo dopodiché, a passo tranquillo, tornò verso l’officina e si appoggiò al guard-rail per aspettare la riapertura.

Lì, lasciò che il sole le illuminasse la lunga chioma color biondo platino rilasciata sulle spalle. Suo padre le aveva sempre detto che sembravano raggi di luna.

Sospirando, Iris desiderò parlare con lui, in quel momento.

Le sarebbe piaciuto discorrere del suo viaggio, delle sue decisioni – indecisioni, per meglio dire –, di come avesse deciso giorno per giorno il suo itinerario, ma tutto ciò era ormai impossibile.

Il suono del suo cellulare la ridestò da quei tristi pensieri e, quando Iris notò chi fosse all’altro capo, sorrise spontaneamente.

«Zio Richard… ciao» esordì Iris, lanciando uno sguardo attorno a sé.

La foresta si inerpicava selvaggia su per i pendii, mentre il via vai delle auto procedeva placido e tranquillo, lungo la statale. Sì, era davvero un luogo pacifico e senza grosse pretese.

«Allora, come sta la mia nipote preferita?» replicò l’uomo all’altro capo.

Iris rise, asserendo: «Sono la tua unica nipote, zio. Comunque, sto bene. Sono in Canada, ora. Columbia Britannica.»

«Sei a caccia di vampiri, tesoro?» ironizzò l’uomo.

«Quelli sono a Forks, zio, nello Stato di Washington» ironizzò Iris, rammentando bene quanto Richard l’avesse presa in giro, a suo tempo, per la sua cotta per uno degli attori di Twilight.

«Oh, giusto. Strano che tu non sia lì. Non avevi detto che vi avresti fatto tappa?»

«Alla fine ho fatto il giro lungo, ma conto di andarci, prima o poi» dichiarò Iris, sistemandosi distrattamente una ciocca dei capelli ribelli.

Una folata di vento glieli aveva scompigliati e, visto che mal sopportavano qualsiasi tipo di elastico, spilla o altro, non poteva che portarli slegati.

«E… per l’altra cosa, come siamo messi?» si informò allora Richard, calando di un’ottava il tono della voce.

Iris dubitava che stesse chiamando da un luogo in cui altri avrebbero potuto sentirlo, ma sapeva bene quanto lo zio fosse turbato dal suo scomodo segreto.

In fondo, lo era anche lei.

Non sapeva un accidente di niente del suo involontario quanto ingombrante lato oscuro, e non aveva la più pallida idea di come avrebbe potuto risolvere il problema.

Non si trovavano dei cartelli, lungo la strada, dove stava scritto ‘sciamano pronto a tutto per voi’, oppure ‘studioso di stranezze, che più stranezze non si può’.

Il suo viaggio era iniziato anche per questo, non solo per tenere nascosto a parenti e amici ciò che le era successo quella notte, quando era stata aggredita.

Richard – e anche Iris, alla fine dell’opera – aveva pensato sarebbe stato meglio per lei sparire per un po’, inventarsi quel viaggio con la scusa di riprendersi dalla morte dei genitori.

Schiarirsi le idee era stato imperativo in ogni caso ma, in cuor suo, aveva anche sperato di poter trovare qualcuno con il suo stesso problema.

Costui – o costei – avrebbe potuto aiutarla a venire a capo di quel guaio e, magari, anche guarirla.

Nessuno dei due sapeva se esistesse una cura a ciò che entrambi definivano ‘disturbo’, ma era una cosa da tenere assolutamente nascosta.

Una notizia simile avrebbe scatenato il panico nell’opinione pubblica, Iris sarebbe quasi sicuramente finita in qualche laboratorio d’analisi, e la ditta ne avrebbe risentito.

Iris era la prima a non voler danneggiare ciò che i genitori avevano messo in piedi con così tanta fatica, e sapere che lo zio se ne stava prendendo cura, la rincuorava.

Essere l’azionista di maggioranza non l’aiutava, e ormai gli altri membri del Consiglio cominciavano a mordere il freno, sapendola lontana, ma lo zio era stato bravissimo a gestire ogni cosa.

Non poteva, in ogni caso, permettere che le cose proseguissero a quel modo a oltranza. In un modo o nell’altro, avrebbe dovuto trovare una soluzione al suo problema, oppure tornare a casa con esso, e con tutti i suoi dubbi a farle da mantello.

«Diciamo che, per ora, gironzolare per riserve indiane è servito a poco. Anche se ho fatto delle conoscenze interessanti» riassunse Iris, scrollando le spalle anche se lo zio non poteva vederla.

«Sono sicuro che, prima o poi, troverai qualcuno. Come è successo a te, sarà successo anche a qualcun altro, ti pare? Anche se immagino che nessuno pubblicizzi la cosa» tentò di rincuorarla lo zio.

«Per lo meno, ho degli indubbi vantaggi sul piano personale. Non devo temere che qualcuno mi infastidisca» cercò di ironizzare la giovane, scrutando la propria mano libera con espressione dubbiosa.

«E’ l’unica cosa che mi fa stare tranquillo, sapendoti lontana, anche se… come va, in quei giorni

«Me ne sto alla larga da tutti, non temere. Non voglio rischiare di fare del male a qualcuno. Anche per questo, ho sempre scelto destinazioni lontane dalle grosse città» rabbrividì leggermente Iris, rammentando fin troppo bene cosa era successo la prima volta che il problema si era palesato.

Aveva dato di matto, quando si era risvegliata il mattino seguente, nel bel mezzo del suo appartamento… distrutto da cima a fondo.

Incredula, aveva subito controllato le registrazioni del circuito interno delle telecamere che aveva fatto installare, e ciò che aveva visto l’aveva quasi mandata al manicomio.

Per giorni si era chiusa in se stessa, evitando le chiamate preoccupate dei genitori e dei parenti e, quando finalmente si era decisa a parlare, papà e mamma erano morti.

Il mondo si era frantumato sotto i suoi piedi e, quando aveva visto zio Richard in ditta, pronto a dirigere il Consiglio degli Azionisti per quella riunione straordinaria, aveva ceduto.

Gli aveva detto tutto, pur se all’inizio lui non aveva voluto – o potuto – crederle.

Già presagendo una simile reazione, gli aveva mostrato le registrazioni e, alla fine del video, lo zio era quasi svenuto sulla sua poltrona, incredulo e spaurito.

In silenzio, aveva poi estratto il disco dal computer, lo aveva chiuso nella sua cassaforte e le aveva fatto promettere di mantenere il segreto.

Naturalmente, Iris aveva accettato, lieta che lui le avesse creduto e non l’avesse scacciata come il mostro che era diventata.

Richard, allora, le aveva consigliato di partire, di stare alla larga da L.A. per un po’, di capire cosa le fosse successo senza dare troppo nell’occhio, mentre lui si sarebbe occupato della Walsh Inc.

Iris aveva assentito piena di gratitudine e, presenziando alla sua prima riunione come azionista di maggioranza – avendo ereditato le azioni dei genitori –, aveva lasciato la gestione delle sue quote associative nelle mani dello zio.

Al Consiglio era stato detto che Iris avrebbe continuato a seguire l’azienda in remoto, mentre Richard avrebbe presenziato fisicamente anche per lei alle riunioni.

Iris veniva per questo costantemente aggiornata sull’andamento aziendale e, prima di ogni consiglio direttivo, le copie degli ordini del giorno le venivano mandati sul suo palmare.

Se non ci fosse stato suo zio, quell’intero viaggio sarebbe stato infinitamente più complesso, forse impossibile da portare avanti.

«Sei una ragazza in gamba, Iris. Sono sicuro che ne salterai fuori» le ricordò Richard con tono affabile.

«Oppure, mi costruirò una baita in Alaska e svernerò lì per il resto dei miei giorni» replicò lei, salutandolo prima di chiudere la comunicazione.

Sospirando, Iris lanciò un’altra occhiata ai boschi, inspirò con forza il profumo della resina dei pini, ascoltò lo stormire delle fronde mosse dal vento… e lo scalpiccio di alcuni cervi muli nel bosco.

Poco importava, per una come lei, che fossero a diverse miglia di distanza, rispetto a dove si trovava in quel momento.

Un lupo mannaro poteva fare un sacco di cose, a ben vedere tranne, forse, vivere una vita normale.


 





N.d.A.: come promesso, eccoci all'inizio di una nuova avventura, stavolta incentrata su licantropi che non sanno nulla del proprio passato, e che devono imparare davvero 'da zero' a essere ciò che sono, con tutti i rischi che questo comporta.
In questo caso, sarete voi gli/le esperti/e, e non loro e, spesso e volentieri, vi ritroverete a dire 'ma perché non fa questo, o quello?'
La dura battaglia del sapere è dunque iniziata... vedremo chi ne uscirà vincitore! Buona lettura!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***



 

2.

 

 

 

 

I ragazzi di Wilford Johnson furono velocissimi nel cambiare lo pneumatico del camper di Iris.

Si complimentarono inoltre con lei per il mezzo super accessoriato – dotato, tra l’altro, di una Smart ForTwo nel gavone – così come per il suo lungo viaggio.

Percorrere quasi tremilacinquecento miglia, spaziando dalle Montagne Rocciose, lo Utah, il Colorado, Wyoming, il Montana e poi sconfinare a nord per attraversare il Manitoba, il Saskatchewan e infine la Columbia Britannica, non era da tutti.

Nell’attendere che il lavoro fosse ultimato, infatti, Iris si era sbilanciata a chiacchierare un po’ con loro, informandoli sul suo peregrinare per gli Stati dell’ovest e sulle prossime mete da raggiungere.

Quando infine poté riavere il camper, Iris salutò tutti con calore e, con calma, imboccò la via principale per dirigersi al camping.

Sì, quella gente le piaceva davvero e sarebbe stato un piacere fermarsi in quel luogo per un po’.

Il solo pensarlo la portò a ridere tristemente, e i pensieri le andarono alla Iris di un paio di anni prima, così come alle compagnie che aveva sempre frequentato prima di tutto.

Sarebbe stato impensabile, per lei, trovare piacevole la semplice compagnia di un meccanico, così come di una cameriera in un bar.

In questo, era stata molto superficiale e frivola, ma ciò che le era successo era almeno servito a darle la batosta necessaria per farla cadere con il didietro a terra. Questo le aveva fatto comprendere quanto, soldi e celebrità, fossero futili, se non erano conditi da un minimo di cervello e tanta, tantissima umiltà.

Senza avere certezze per il futuro, o dei genitori con cui condividere un destino comune, a cosa le erano serviti i suoi soldi e le sue amicizie? A nulla.

La vecchia Iris non avrebbe mai potuto affrontare da sola quell’impresa. Era stato perciò necessario sostituirla, darle il benservito, diventare qualcun altro. Qualcuno, lei sperava, di migliore.

«Di sicuro, avrei preferito maturare senza tutti questi grattacapi al seguito ma, visto che non ci posso fare niente…» brontolò lei con un mezzo sorriso.

Era inutile arrovellarsi sui difetti di un passato che non poteva cambiare, ma da cui poteva trarre il massimo per migliorarsi. Poteva solo sperare di essere diventata un poco più matura rispetto a come era stata in passato.

Fu con quell’atteggiamento pragmatico che si presentò all’entrata del camping. Oltrepassando l’alto arco di legno su cui capeggiava il nome del campeggio, avvicinò quindi il camper alla casupola in tronchi della reception, e lì parcheggiò.

Sulla veranda assolata, e seduto su una poltrona di vimini a leggere una rivista, Iris vide un giovane dai ricci capelli castani, su cui brillavano perfetti colpi di luce a far risaltare le chiome corte e ordinate e il viso piacente.

Era davvero affascinante – constatò Iris – e dal sorriso ampio, ma non fu quello a farle spalancare la bocca come un’idiota, non appena fu scesa dal camper.

Quel giovane sui trent’anni, dal fisico atletico e vestito come un boscaiolo… aveva il suo stesso odore.

Non era un odore umano, ma ferino. Sapeva di bosco, di selvatico e di animale e, quand’anche lui lo ebbe notato, il suo sorriso scemò un po’ per poi farsi quasi interrogativo. Guardingo.

Che neppure lui avesse mai incontrato prima un suo simile? Erano davvero così rari?

Iris bloccò i suoi passi accanto al suo mezzo, la mano stretta allo specchietto retrovisivo, mentre il giovane si alzava cauto dalla poltrona, gli occhi azzurri fissi sul suo viso.

Come ci si doveva comportare di fronte a un proprio simile?, si chiese tesa Iris, non sapendo cosa accidenti dire, o fare.

Il giovane dovette accorgersi della sua indecisione, o forse fu la vista della ferita slabbrata sul suo braccio – messa in evidenza dalla sua camicia a maniche corte – a metterlo in allarme.

Quella momentanea impasse venne perciò spezzata dal giovane che, sorridendole con maggiore convinzione, la invitò a entrare nella casupola, dicendole: «Benvenuta al camping di Clearwater. Lei deve essere miss Walsh. Zio Wilford ha chiamato poche ore fa per dirmi che sarebbe arrivata.»

«Sono io, in effetti. Lieta di fare la sua conoscenza, Mr Johnson» asserì cauta lei, salendo i due gradini di legno della veranda per poi entrare nella casetta di tronchi intrecciati.

Il giovane rise sommessamente, facendole strada e, nel chiudersi la porta a vetri alle spalle, replicò: «L’unico Mr Johnson che conosco, a parte lo zio, è mio padre Chuck. Io sono solo Lucas.»

«E io solo Iris» dichiarò a quel punto la giovane, allungando timidamente una mano nella sua direzione.

Lucas gliela prese con un certo vigore e, piegando leggermente su un lato il braccio ferito di Iris, sospirò e domandò spiacente: «Quando è successo?»

«Due anni fa» mormorò la giovane, sapendo bene a cosa si stesse riferendo.

Lasciando andare la presa, Lucas sospirò nuovamente e, nello scuotere il capo, mormorò: «Mi spiace davvero tantissimo. Deve essere stata una batosta coi fiocchi.»

Un groppo improvviso quanto enorme le bloccò la gola e Iris, portandosi le mani al volto nel tentativo di comprendere cosa non andasse, si ritrovò a sfiorare calde lacrime sulle sue gote.

Lucas, immediatamente, la fece sedere su una poltrona dal sedile imbottito a scacchi rossi e blu e, nell’allungarle una scatola di kleenex – che si trovava su una tozza scrivania di legno – asserì: «Okay, ho battuto tutti i record. Non avevo mai fatto piangere una ragazza in meno di un minuto.»

Iris si lasciò andare a un risolino un po’ isterico e, nel tamponarsi gli occhi, gorgogliò: «E’ la prima volta che… che parlo con qualcuno come me… scusa, non sapevo cosa fare, ed è venuto fuori il mio lato più molliccio.»

Lucas rise di quella spiegazione fatta di balbettii sconnessi e, accomodatosi che fu sulla poltrona vicina, replicò: «Due anni tutta sola nella tua testa, senza sapere che farne di quello che ti hanno lasciato in eredità, e senza che tu lo volessi, immagino? Va ancora bene se sei rimasta sana di mente!»

«Mio… mio zio lo sa» mormorò Iris, calmandosi gradatamente. Forse, la tempesta ormonale era terminata, e lei poteva tentare di non apparire solo una sciocca piagnucolosa.

«Un… senza pelo?» borbottò contrariato Lucas, accigliandosi immediatamente.

Lei assentì con vigore, immaginando che quel termine così strano indicasse coloro che non si trasformavano in lupi. Immediatamente, replicò: «Sta mantenendo il segreto dal giorno in cui gliel’ho detto. I miei genitori sono morti due settimane dopo la mia aggressione, e così… beh, c’era solo lui ad aiutarmi, quindi…»

«Beh, se ti copre da allora, è a posto» asserì cauto Lucas. «Hai parlato di un’aggressione. E’ così che ti hanno ferita? Che hai contratto il marchio?»

«Un ubriaco in un vicolo, mentre rientravo a casa. Mi ferì con quelle che, subito, credetti essere degli artigli di metallo. Sai, come quelli che usano i ninja nei film… ma non lo erano affatto» sospirò Iris, ora irritandosi leggermente. «Non so neanch’io perché lo pensai, visto che è assurdo il solo crederlo possibile, ma fu l’unica cosa sensata che mi venne in mente in quel momento.»

Ricordava perfettamente quella notte tremenda.

I suoi passi veloci lungo il vicolo, le sue imprecazioni a mezza bocca per aver fatto tardi e la paura, la terribile paura quando, dietro di lei, Iris aveva avvertito il suono di passi traballanti.

Non aveva fatto in tempo a prendere le chiavi per aprire la porta del palazzo dove abitava. L’uomo l’aveva afferrata a un braccio, urlandole di darle i suoi soldi, ma Iris aveva reagito.

Dopo aver estratto dalla borsetta lo spray al peperoncino, lo aveva diretto contro il volto barbuto dell’assalitore che, colto alla sprovvista, aveva ringhiato contro di lei, ferendola e sbattendola con violenza contro il muro.

Il colpo l’aveva tramortita a sufficienza da impedirle di vedere la fuga precipitosa dell’assalitore e, quando alcuni vicini l’avevano trovata – attirati dal caos nel vicolo – avevano subito chiamato l’ambulanza.

I giorni seguenti lei li aveva passati in casa, tentando di calmare le sue paure e mantenendo il segreto con i suoi genitori per non spaventarli. Il fatto che dovessero affrontare un lungo viaggio di lì a poco, l’aveva frenata.

Con il fare della luna piena, però, Iris si era resa conto di quanto, quell’aggressione, l’avesse cambiata. In cosa, soprattutto.

Il terrore si era sostituito allo sgomento di essere stata aggredita e, già sul punto di dire tutto a suo padre, il peggio era avvenuto.

Un maledetto incidente. Un ragazzino al volante dell’auto del padre, strafatto di cocaina, si era lanciato a occhi chiusi per l’autostrada, uccidendo se stesso, l’amico al suo fianco e gli incolpevoli genitori di Iris.

Il tutto si era ridotto a un articolo sul giornale, alle condogliante dei conoscenti, a un cospicuo risarcimento danni, a un veloce processo e al vuoto nel suo cuore.

In un attimo, i suoi genitori se n’erano andati e lei era rimasta sola, con il suo atroce segreto racchiuso in gola e con l’ansia di non sapere cosa fare.

Rivolgersi a zio Richard le era parsa l’unica soluzione e, se lui non fosse stato così gentile e premuroso, Iris sarebbe sicuramente impazzita.

«… e così, mi sono messa alla ricerca di qualcuno che potesse spiegarmi cosa fare, come guarire o, al peggio, come gestire ciò che sono» terminò di dire Iris, lanciando un’occhiata supplichevole agli occhi azzurro ghiaccio di Lucas.

Le spalle rilasciate contro lo schienale della poltrona, il giovane fischiò sorpreso e asserì: «Beh, direi che hai avuto un bel coraggio a metterti in gioco a questo modo, anche se non avevi alcuna certezza al tuo fianco.»

«Lo zio pensava che forse, allontanandomi da una città popolosa come L.A., avrei potuto trovare qualcuno disposto a parlarmi, se fossi stata nella condizione di scoprire qualcosa di concreto» gli spiegò Iris, facendo spallucce.

«Nei paesi piccoli la gente mormora e, se qualcuno è strano, lo si sa sempre» chiosò Lucas, sorridendo sghembo. «Nel mio caso, non vale molto, o meglio, non in questo senso ma, per un’altra persona, questo detto è valso eccome, anche se mai nessuno è giunto alla verità.»

«In che senso?» volle sapere Iris.

«Visto che non conosci nulla di ciò che sei, tanto vale che ti spieghi quel che so io, che ci sono nato, con questo graffiante segreto» ironizzò Lucas, facendola sorridere.

«Quindi, anche i tuoi genitori… ma non tuo zio! Non ho sentito alcun odore, su di lui!» esalò Iris, un po’ confusa.

«No, sono solo io, infatti. Non so dirti perché, e lo zio non sa niente della mia controparte pelosa, così come mio padre. Solo mia madre, Clarisse, ne è a conoscenza, visto che ho disintegrato la stanza da letto al mio primo… cambiamento. Mio padre era via per un seminario, in quel periodo, ma lei no. E vide.»

Iris ammiccò comprensiva, rammentando più che bene come aveva ridotto il suo appartamento, dopo la sua incredibile esibizione in versione pelosa. Grazie al cielo, aveva fatto montare dei muri insonorizzati perché le piaceva suonare il pianoforte, altrimenti chissà cosa avrebbero pensato i vicini!

«Quindi… cosa siamo?»

«Pelosi terminali, temo. Che io sappia, non si può invertire il processo e credimi, c’è chi ci ha provato in tutti i modi» le spiegò Lucas, intrecciando le mani in grembo. «La tizia cui accennavo prima, e che fece tanto chiacchierare il paese prima di sparire nel nulla. Sbarellò di brutto quando scoprì di essere un lupo mannaro e, solo a stento, riuscii a tenerla a freno per impedire che si gettasse sulla cittadina per inscenare un film horror in piena regola.»

Iris lo fissò sgomenta e Lucas, ombroso in viso, aggiunse: «Non mi piace sparlare della gente, ma Julia Sommers aveva davvero qualche problema caratteriale già prima di questa cosa. In paese era conosciuta da tutti come la ‘stramba Julia’ fin dai tempi del liceo. Era solita cacciarsi nei guai con piccoli atti di vandalismo e bullismo a scuola. Nessuno, neppure il suo fidanzato storico, Devereux, o i suoi genitori, sono mai riusciti a calmarla un po’.»

«E lei era…nata così?» tentennò Iris.

«No, fu ferita come te, pur se nel suo caso fu più una cosa voluta,… anche se Julia peccò di ingenuità nel farlo» scosse il capo Lucas. «Aveva all’incirca diciassette anni. Si recò in un bar di una città vicina per poter bere alcolici grazie a dei documenti falsi, visto che là nessuno la conosceva e, dopo aver incontrato un tizio del posto, lo frequentò per un po’. Durante uno dei loro festini a base di alcool e droghe, lui la sfidò a farsi sfregiare per diventare una lupa e lei, da sciocca, prese sottogamba la cosa e accettò.»

«Oddio…» ansimò sgomenta Iris.

«Naturalmente, il tizio si dileguò il giorno seguente senza mai farsi trovare e Julia, non appena raggiunse la prima luna piena e si rese conto di cosa le fosse successo, scappò nei boschi. Ovviamente, partecipai alla ricerca…» le spiegò Lucas, tastandosi il naso. «…e, quando avvertii il suo odore mescolato a quello del lupo, capii. Lei mi spiegò in lacrime la sciocchezza che aveva commesso e, colta dalla frenesia, mutò in lupo. Ciò la spinse verso gli umani che la stavano cercando e, solo combattendo contro di lei, riuscii a fermarla e a spiegarle come controllare la bestia.»

«Tu dovetti imparare da solo?»

«Mamma mi fu d’aiuto, visto che è un’insegnante di yoga. La concentrazione è tutto, in queste cose» ammiccò Lucas, tastando distrattamente il piccolo Buddha in argento che pendeva da un bracciale in caucciù che aveva al polso. «Comunque, Julia non accettò la sua duplice condizione, in un primo momento e, per anni, si intestardì nel cercare un rimedio per tornare ciò che era. Mise la testa a posto e si iscrisse all’università per studiare medicina, si mise stabilmente con Devereux che, a mio dire, dimostrò fin troppa pazienza, con lei e, infine, ebbero una figlia. Chelsey.»

Iris sgranò gli occhi nel sentir nominare quel nome in particolare e, dubbiosa, esalò: «Quanti anni ha la bambina?»

Lucas levò con curiosità un sopracciglio e, ironico, le domandò: «Sei stata allo Strawberry Moose, vero?»

«Sì» assentì Iris.

Ridacchiando, Lucas asserì: «Quella ragazzina è l’esatto contrario della madre. Se Julia era chiusa e ombrosa, lei è solare e aperta… e parla come una radio.»

«Già» annuì la giovane, riconoscendo in quella descrizione la figura di Chelsey. «Quindi, immagino che Devereux sia l’uomo che ho visto con lei. E sua madre?»

«Chi lo sa? Fuggì di casa quando Chelsey aveva solo tre anni e, da quel giorno, non si è più fatta viva. Nessuno sa se sia ancora tra noi, o se sia morta, perché non ha più dato notizie di sé e, per quanto la si sia cercata, non è mai stata trovata. Pur non essendo sposati, Devereux ha potuto tenere la bambina perché figurava come padre biologico sul certificato di nascita. Da quel che so, ha fatto togliere la genitorialità a Julia, dopo tre anni dalla sua fuga» le spiegò Lucas, scrollando una spalla. «Fossi stato in lui, neanche avrei tentato una vita insieme a lei, ma Dev ha sempre cercato di strapparla ai suoi incubi personali.»

«Un buon samaritano» chiosò Iris, vagamente sorpresa.

«Forse. Ma, da quando Julia se n’è andata, quella parte di lui è morta e sepolta. Dev è cambiato e, se gli si parla di Julia, lui non ha più una parola buona per lei. L’aver abbandonato la loro figlia lo ha stroncato. O gli ha aperto gli occhi, non so.»

Iris ripensò alla figura di Devereux, ai suoi chiari occhi grigi così colmi di ombre, al suo viso privo di un sorriso – se non per la figlia – e, di colpo, comprese.

Sì, aveva tutti i motivi del mondo per essere così accigliato. Una batosta del genere avrebbe irritato anche un santo.

«La bimba, o il padre, sanno di lei? Che era una lupa mannara, intendo.»

«No. Dev non ha mai saputo nulla, infatti sto tenendo d’occhio Chelsey nel caso cambi qualcosa. Sono l’unico, qui, che sia in grado di capire i segnali di un potenziale cambiamento» asserì Lucas, prima di aggiungere: «E tu, ora… se rimarrai a sufficienza per vederla crescere, ben inteso.»

Iris si ritrovò a sorridere al giovane e, scrutando le foto appese alle pareti, ammirò le bellezze del luogo pubblicizzate con abile maestria.

Aveva trovato un lupo mannaro come lei, qualcuno con cui poter parlare, una persona che poteva capirla davvero e, quant’era vero Iddio, non sarebbe di sicuro partita tanto presto!

Ritrovandosi perciò a sorridere, Iris dichiarò: «Di certo, mi avrai tua ospite per un bel po’. Ho un sacco di cose da chiederti, e da capire su me stessa.»

«Non ne so molto, ma spero di poterti essere d’aiuto. In due, sarà sicuramente più semplice affrontare questo casino» ammiccò Lucas.

Iris annuì con prontezza, allungandogli una mano come a stringere un patto di mutuo soccorso con lui.

Fu in quel momento che, a sorpresa, fece la sua comparsa un uomo sulla trentina, dai magnifici capelli bruni legati in una coda di cavallo e una folta barba a mascherarne i lineamenti.

Dal suo aspetto, avrebbe potuto essere il re dei falegnami d’America, o Mister Ascia d’Oro, tanto era virile nell’aspetto quanto affascinante nello sguardo e, per un istante, Iris ne rimase abbagliata.

L’attimo dopo, però, sorrise dispiaciuta perché, tanto ben di Dio era già di proprietà di qualcuno e, nello specifico, proprio di Lucas.

Il possente boscaiolo ammiccò a mo’ di saluto a Iris prima di piegarsi per un bacio leggero sulle labbra del giovane che, sorridendo a una sorpresa ospite, ammise: «Lui è Rock e, immagino tu lo abbia già capito, è il mio compagno.»

Iris non poté che esalare un sospiro e chiosare: «Che posso dire? Complimenti.»

I due uomini risero divertiti e Rock, nello scrutare curiosamente Iris, asserì: «Sei nuova, di qui. Non ti ho mai vista prima, altrimenti avrei potuto pensare di tornare etero.»

A quel punto fu il turno di Iris per ridere e Lucas, dando una pacca sul braccio al suo compagno, borbottò: «Non fare l’idiota, Rock. E’ una mia cliente, perciò sii gentile.»

«Ma io sono gentilissimo» replicò l’uomo. «Era assolutamente un complimento.»

Iris sorrise divertita di quello scambio di battute ma, tra sé, si domandò se quel Marcantonio conoscesse tutta la verità sul suo compagno, e come Lucas riuscisse a gestire la cosa.

Ciò che avvenne l’attimo successivo a quel pensiero, la mandò talmente in confusione da spingerla a strillare di sorpresa.

“Certo che sa tutto.”

«Oh, Dio mio!» esclamò Iris, sorprendendo Rock e facendo sorridere spiacente Lucas.

Portandosi una mano al cuore per il gran spavento, Iris fissò sgomenta e irritata il giovane licantropo dinanzi a lei che, per tutta risposta, disse: «Scusa, mi è venuto spontaneo. Lo facevo con Julia, a volte e, da quando se n’è andata, non ho più potuto farlo, come ben immaginerai.»

Rock lanciò un’occhiata veloce a entrambi, dopo quello strano scambio di battute, fece due più due e infine borbottò: «Ho idea che sia più di una tua cliente. E’ come te?»

«Già. Ma lei è stata mutata, esattamente come Julia. Anzi, Julia se l’era cercata, lei proprio no.»

Rock divenne scuro in volto, a quella notizia e, allungata una mano a Iris, brontolò: «Beh, se vuoi darmi il nome dello stronzo che ti ha fatto questo, lo ammazzerò per te. Detesto quando fanno del male a una donna.»

«Spiacente, non so chi sia, e la polizia non lo trovò mai» replicò Iris, pur accettando quella grande mano calda. «Grazie per il pensiero, comunque.»

Per quanto, contando sulla mera forza fisica, Iris fosse certa di poterlo battere con facilità, le fece piacere quell’offerta di aiuto incondizionata e la fece sentire meno sola. Meno abbandonata a se stessa.

Finalmente, dopo due anni di ricerche infruttuose, non solo trovava un lupo mannaro, ma anche un amico senza pelo, come aveva detto Lucas, pronto a coprirle le spalle.

Questo portò a nuove lacrime e a nuovi kleenex e Iris, nell’afferrarne un paio dalla scatola protesa da Lucas, borbottò: «Davvero… ti sto facendo battere tutti i record.»

«Puoi dirlo forte, Iris» ammiccò Lucas, mentre Rock le batteva comprensivo una mano sulla spalla.

***

Allora, Iris, vuoi scendere da quello scivolo, o devo venire su io per spingerti?

La voce del padre risuonò allegra attraverso il microfono dello smartphone, da cui stava visionando uno degli ultimi video fatti alla villa dello zio.

Sua madre stava ritta dietro di lei, in attesa che la figlia si lanciasse sullo scivolo tutto curve che Richard aveva fatto montare sulla sua piscina da venticinque metri.

Iris sorrise mesta nel vedere se stessa con quel volto così annoiato, quasi lo stare coi propri genitori le fosse venuto a noia troppo presto.

«Quanto sapevi essere sciocca, bella mia…» mormorò tra sé Iris, spegnendo il telefono per gettarsi lunga riversa sul suo letto.

La sera era giunta senza che lei se ne accorgesse e, dopo un frugale pasto a base di pasta e polpette, Iris aveva dato la buonanotte a Lucas – che l’aveva raggiunta per accordarsi per una visita guidata al parco – e si era chiusa dentro il suo camper.

In quel periodo, era sola nell’immensa area, se non si consideravano un paio di campeggiatori armati di tenda canadese e tanta, tanta passione.

Iris era incredula di fronte alla loro impressionante resistenza al freddo. Pur se in aprile, di notte quelle lande raggiungevano ancora temperature ragguardevoli al di sotto dello zero.

Lei, naturalmente, non avrebbe avuto problemi, visto che come lupo mannaro la sua temperatura si attestava stabilmente intorno ai quaranta gradi… ma loro?

Non poteva che ammirarli per il loro coraggio. O la loro insana follia.

Rigirandosi su un fianco, Iris scrutò il telefonino, non sapendo bene se chiamare lo zio per metterlo a conoscenza della novità, o attendere ancora un poco per essere certa di dargli notizie veramente buone.

Lucas aveva ammesso candidamente di aver imparato ciò che sapeva per esperienza diretta, e non perché istruito da qualcun altro. Inoltre, come lei in quei due anni, a parte la fantomatica Julia, neppure lui era mai venuto in contatto con qualche altro licantropo.

C’era la concreta possibilità che Lucas non conoscesse molte più cose di lei, sulla licantropia, di quante non ne avesse scoperte Iris stessa durante quei due anni di esperimenti.

Era forse perciò preferibile aspettare almeno una settimana per scoprire come, effettivamente, Lucas avrebbe potuto aiutarla. Nel frattempo, si sarebbe limitata a informare lo zio della sua permanenza a Clearwater.

«E’ inutile dargli false speranze, se non ve ne sono» mormorò tra sé, chiudendo gli occhi per un istante.

La foresta sembrava parlarle per sussurri, con il fruscio del vento a portare il mormorio degli abeti, l’odore degli ungulati alla ricerca di una tana per la notte e quello dei predatori alle loro calcagna.

Non fosse stato per questo, sarebbe certamente impazzita molto tempo prima.

Avere questo contatto indiretto ma privilegiato con il mondo della natura, la galvanizzava. La faceva sentire speciale, non soltanto strana e, per come erano messe le cose, era già qualcosa.

Le fosse rimasto solo questo, avrebbe avuto la certezza di avere un luogo in cui perdersi e in cui, forse, non sarebbe stata così fuoriposto.

«Dopotutto, però, Lucas è così da anni» mormorò tra sé, spegnendo le luci di cortesia per poi rintanarsi sotto una leggera coperta. «Imparerò anch’io e, alla fine, tornerò a casa.»

Sapeva di poterlo fare. Ora, ne aveva la forza. Le mancavano solo le nozioni per poter mettere in pratica la cosa.

 

 

 

N.d.A: ed ecco che fanno la loro apparizione Lucas, il nostro primo licantropo oltre a Iris, e Rock, il suo compagno senza pelo, ma che è a conoscenza di tutta la verità.

Scopriamo anche chi è la madre di Chelsey, e perché suo padre – Devereux – sia apparso a Iris un tantino distante e freddo. Chi non lo sarebbe, dopo il trattamento che Julia gli ha riservato?

P.s.: Per darvi un'idea di come sia il camper di Iris, vi lascio il link per poterlo visionare. (cliccare sulla parola "visionare")

E questa è Clearwater, con le sue cascate e il suo parco bellissimo. (cliccare su "Clearwater)

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 

3.

 

 

 

 

Era la quarta unghia rotta.

Nei tre giorni dacché era giunta a Clearwater, i suoi pellegrinaggi all’interno del parco l’avevano portata a compiere scalate e discese piuttosto impervie – e improbe per i comuni umani – causandole però alcune unghie rotte.

Il solo notarlo la fece sorridere tristemente.

Tutto era nato da un’unghia spezzata, alla fine dell’opera.

Fin da quando era bambina, i suoi genitori l’avevano resa partecipe delle loro opere filantropiche, portandola con loro nei Centri di Recupero per indigenti, o a servire pranzi caldi durante i Thanks Giving.

In quelle occasioni, si era resa disponibile a regalare i suoi giocattoli o, ove le era stato possibile, a suonare la sua piccola pianola giocattolo – da cui non si separava mai – per allietare i membri più giovani di questi gruppi di persone bisognose.

In seguito, nei centri sociali per giovani disadattati, aveva iniziato a insegnare i rudimenti della musica ai ragazzi e alle ragazze ivi ospitate, grazie all’utilizzo di semplici pianoforti, piccole pianole elettroniche o sgangherate chitarre da pochi dollari.

Divenendo adulta, quell’abitudine era rimasta e lei l’aveva convogliata in progetti personali, prestandosi gratuitamente all’insegnamento della musica nelle scuole dei quartieri più poveri, o per i figli di famiglie indigenti.

Queste sue attività erano sempre rimaste private, una sua prerogativa, niente affatto condivise con le sue amiche, poiché nessuna di loro si era mai interessata a simili problemi.

Il solo pensiero di parlare loro di ciò che aveva visto negli anni in quei luoghi di aggregazione, le era sempre sembrato folle. Nessuna di loro avrebbe capito.

Un’unghia spezzata le aveva confermato quelle paure, mettendo una pietra tombale sulle sue misere possibilità di essere capita e apprezzata per ciò che faceva.

Durante una cena di famiglia, Susan – figlia di una dei membri del Consiglio della Walsh Inc. – l’aveva bellamente presa in giro per le condizioni delle sue mani, paragonandole a quelle di un ragazzino che aveva incontrato per strada.

Il modo terribile in cui l’amica aveva etichettato il bambino, giudicandolo malamente senza conoscere nulla di lui, le aveva dato la conferma definitiva ai suo sospetti.

Se mai aveva anche solo pensato di potersi aprire con le amiche, aveva avuto la risposta ai suoi dubbi.

Non avrebbero mai capito quanto, quell’unghia rotta che si era procurata, le aveva riservato somme soddisfazioni.

Creare delle casette di legno colorate per accogliere degli uccellini, era stato divertente e rilassante, per lei, ma più ancora lo era stato vedere i sorrisi dei bambini che aveva aiutato a costruirle.

Iris aveva così deciso di mentire, addebitando quell’unghia rotta a un suo maldestro uso dell’arricciacapelli. Dirle una bugia le era sembrato più semplice che aprirle gli occhi di fronte alle verità della vita.

Da quel momento, due Iris nettamente diverse avevano convissuto malvolentieri l’una accanto all’altra, pestandosi vicendevolmente i piedi più volte. Inutili erano stati i tentativi dei suoi genitori di farle collimare in una sola persona; lei aveva sempre fatto di testa propria e, più di una volta, la Iris frivola aveva bastonato la Iris empatica per non avere problemi con le amiche.

Nel bene e nel male, aveva vissuto in due mondi nettamente separati, impedendo a entrambi di parlarsi vicendevolmente.

Da quando era diventata un lupo mannaro, però, entrambe quelle vite erano state accantonate a favore di un nuovo genere di comportamento.

Ora cercava di concentrarsi su ciò che era e su ciò che la circondava, tendando di venire a capo delle nuove sensazioni che la sua condizione le procurava, e sfruttando al meglio le sue capacità per conoscersi veramente, e una volta per tutte.

Grazie ai suoi nuovi sensi, riusciva ad apprezzare come mai prima tutto ciò che le stava attorno, ma ciò le causava anche seri problemi nel relazionarsi con le persone.

Era difficile stare loro vicino, quando il suo lupo chiedeva spazio… e succedeva spesso.

Quando perciò penetrò nel fitto bosco attorno a Clearwater assieme a Lucas, la consueta sensazione di pace la avvolse come in un abbraccio consolatorio.

Fu come ritrovare un vecchio amico, a cui aveva detto arrivederci poco tempo addietro.

I profumi erano potenti, muschiati, ricchi di vita e di diversità, e lei era in grado di dare un nome a ognuno di essi senza alcun problema.

Da questo punto di vista, ciò che le era successo poteva anche essere ritenuto un vantaggio enorme, ma stentava ancora a trovarvi altri lati positivi, oltre a quello più ovvio.

Non dover temere di essere aggredita da nessuno, se non da un suo simile, era uno dei pochi motivi che l’avevano convinta a partire senza ulteriori indugi. Anche suo zio si era sentito tranquillo solo per quel motivo.

Diversamente, non era sicura che se la sarebbe sentita di partire così bellamente.

Poteva bastare sapere di essere in grado di difendersi da sola, e di apprezzare la natura come mai le era accaduto in passato, per farle dimenticare la paura di ciò che era diventata? Davvero non lo sapeva, ma contava di riuscire a capirne qualcosa di più, grazie all’aiuto di Lucas.

«Allora? Come ti sembra?» le domandò la sua nuova guida e nuovo amico, fermo a pochi passi dal dirupo da cui si poteva scorgere la cascata che aveva reso famosa Cleawater.

Iris gli sorrise allegra, osservando la Helmcken Fall in tutto il suo splendore. Il suono prodotto dalle acque in caduta libera nell’anfiteatro naturale sottostante, era davvero assordante, ma le dava l’esatta idea della sua potenza. Solo un simile concentrato di energia avrebbe potuto creare quell’enorme voragine all’interno del fitto bosco.

Assentendo con vigore e, allargando le esili braccia per abbracciare ciò che la circondava, esalò: «E’ tutto così bello da essere quasi incredibile!»

«E puoi apprezzarlo al meglio, vero?» ammiccò lui, dandole di gomito.

Iris annuì nuovamente, sentendosi felice come non lo era mai stata, in quegli ultimi due anni.

Clearwater sembrava essere stata creata appositamente per darle le sicurezze che le erano mancate fino a quel momento. Il rapporto che era riuscita a sviluppare in così breve tempo con Lucas le dava l’esatta dimensione di ciò che le era mancato, dacché era partita da L.A.

Qualcuno che la capisse davvero, fino in fondo.

Per quanto suo zio si fosse dimostrato un’ancora di salvezza per più di un motivo, non aveva potuto darle alcuna certezza sul futuro, o spiegazioni su ciò che era diventata.

Lucas, al contrario, pur non contanto sulla verità nuda e cruda, era però come lei, ne comprendeva le ansie così come i timori, e poteva rispondere ai suoi dubbi con i propri, all’occorrenza.

Potersi confrontare a tutto tondo con una persona a quel modo, e senza dover tralasciare nulla, era di per sé eccezionale. Poterlo fare con qualcuno che, oltretutto, si apprezzava già molto, era la classica cigliegina sulla torta.

Lucas le aveva anche permesso di sentirsi meno in colpa, di fronte alle indubbie facilitazioni dovute alla sua condizione. Essendo come lei, aveva avuto gli stessi problemi a suo tempo e, proprio grazie al tempo, era venuto a patti con se stesso e aveva escogitato dei validi stratagemmi per sopperire agli scomodi vantaggi del loro essere dei mannari.

Spiare le conversazioni a distanza non le era mai piaciuto, per esempio e, spesso e volentieri, aveva rischiato di cacciarsi nei guai per parole ascoltate di straforo.

Infilare gli auricolari alle orecchie, spesso l’aveva aiutata, ma Lucas le aveva insegnato qualche valido trucco per distrarsi efficacemente ed evitare, così, di origliare senza volere.

Non che fosse del tutto sprovvista di una vena curiosa – alcune conversazioni le aveva ascoltate con divertimento, in passato – ma le era sempre sembrato ingiusto approfittarsene.

Inoltre, la gente di quel luogo le piaceva, e non voleva ficcanasare più del necessario.

Non essendo stagione turistica, al camping erano presenti pochissime persone, a parte lei, perciò tutti l’avevano notata gironzolare avanti e indietro per la via del centro.

Nessuno, però, era stato sfacciatamente curioso e, anzi, si erano tutti prodigati nell’aiutarla a scoprire gli scorci migliori del luogo e i posti in cui mangiare manicaretti.

Sì, i piccoli paesi potevano essere focolai di pettegolezzi, ma erano anche più veri e accoglienti delle città caotiche e dispersive come L.A., perciò lei non voleva ripagare quella gente approfittandosi di loro grazie ai suoi doni.

«Ci si sente meglio a non dover sempre soppesare le parole, o i gesti, vero?» ammiccò Lucas, che forse aveva seguito il filo dei suoi pensieri.

Da quello che le aveva detto, lui aveva scoperto di poterlo fare solo a causa della mente di Julia, così caotica e frenetica da averne udito i pensieri non appena si era trovato a poca distanza da lei.

Questo, aveva consentito a entrambi di confrontarsi silenziosamente anche in presenza di altri, in seguito, e ciò aveva permesso a Lucas di tenerla maggiormente sotto controllo.

Non che a conti fatti fosse servito, visto che Julia era infine scappata ma, almeno per un po’, la donna era stata accanto alla figlia e al compagno senza impazzire. O far loro del male.

«Anche il solo poter discutere con te di ciò che sento, è qualcosa di elettrizzante. Se anche non dovessi mai trovare una cura, sarei comunque soddisfatta, perché so di non essere più sola» ammise Iris. «Rock come la prese, quando glielo dicesti?»

«Beh, sulle prime non volle credermi, e dovetti usare le maniere forti, per convincerlo, ma sapevo di aver trovato la persona giusta a cui confessarlo» le spiegò Lucas, lanciando un sasso nel vuoto con fare distratto. Il suo sguardo era perso nell’orizzonte, immerso nei ricordi. «E’ una persona dalle vedute ampie. Un po’ perché essere ciò che siamo ci rende più aperti alle diversità ma, in generale, Rock ha sempre avuto una mentalità molto elastica.»

«Era questo che intendevi, dicendo che il paese è piccolo e la gente mormora? Le persone ebbero qualcosa da ridire, su di voi?» si informò Iris, poggiando i gomiti sulla staccionata di legno che proteggeva dal dirupo sotto di loro.

«Sai com’è… saremo anche nel ventunesimo secolo ma, finché non prendi la classica martellata sul dito, non sai mai cosa vuol dire davvero» ammise Lucas, facendo spallucce. «Sulle prime, chiacchierarono un po’ soprattutto perché, all’epoca dei fatti, io avevo solo diciannove anni, mentre Rock ventiquattro. Mi credevano troppo giovane per capire cosa volessi realmente, e lui fu visto come un approfittatore. Ma poi, vedendoci sempre insieme, capirono e lasciarono perdere le chiacchiere.»

«A L.A. è più facile passare inosservati… e commettere errori clamorosi!» ridacchiò Iris, scostando una ciocca dei capelli biondi dietro un orecchio. «Ricordo una volta in cui, con la mia amica Susan, ci imbattemmo in un bellissimo ragazzo, solo al bar, intento a bere un Martini Dry. Ammetto spudoratamente che giocammo alla morra cinese per accaparrarci il diritto di tentare un approccio e, quando vidi tornare Susy con la coda tra le gambe e l’aria scocciata, mi sentii un po’ meno male per aver perso. Quando però seppi il perché della débâcle, risi moltissimo e consolai la mia amica offrendole una birra. Il ragazzo era gay convinto, ed era in attesa del suo compagno. Comunque, fu così carino da ringraziare Susy per l’interessamento.»

Subito dopo aver raccontato quell’aneddoto, Iris si fece silenziosa e Lucas, battendole una mano sulla spalla, le domandò: «Non l’hai più sentita, dopo la tua partenza?»

«I primi due mesi, quasi tutti i giorni ma poi, vuoi per un impegno di lavoro, vuoi per appuntamenti vari, si è resa irreperibile. Abbiamo anche discusso per alcune sue scelte discutibili in ambito lavorativo, così le telefonate si sono diradate fino a scomparire. Sono quasi otto mesi che non la sento più» ammise Iris, senza acredine alcuna nella voce. «Non la biasimo. Lei deve mandare avanti la sua vita, e io la mia, per quel che posso. Inoltre, credo di non essere più la Iris che le era stata amica a L.A.»

«Se la tua Susan si lascia spaventare da qualche miglio di distanza, allora puoi anche farne a meno» replicò Lucas con un mezzo sorriso.

Iris si limitò a un assenso e, quasi senza accorgersene, si lasciò andare contro il fianco di Lucas, sospirando nell’osservare l’orizzonte sgombro di nubi.

Quando, però, si accorse di ciò che stava facendo, si scostò imbarazzatissima e, guardando spiacente Lucas, esalò: «Scusa davvero tantissimo! Non so perché l’ho fatto.»

Lucas, però, non diede adito di essersi offeso e, dopo averle fatto cenno di sedersi su un masso sporgente nelle vicinanze, la imitò e disse: «Sai, non so se funziona per tutti noi, ma in generale posso dire che, da quando sono così, le effusioni mi piacciono un sacco. E te lo dice uno che, da bambino, era persino restio a dare la mano alla mamma o al papà.»

Vagamente più tranquilla, Iris cercò di fare mente locale per rammentare episodi che potessero ricollegarsi a quanto detto da Lucas ma, ciò che trovò nella sua memoria, non la aiutò di certo.

«Con quanti conoscenti hai parlato, dopo il fattaccio ma, soprattutto, dopo la morte dei tuoi genitori? Ben pochi, da quel che ho capito, visto che sei partita quasi subito, no?» le fece notare Lucas, ammiccando.

«In effetti… dici che non avrei potuto accorgermi della differenza, se già da prima ero coccolona?»

«Esatto. Tuo zio ti ha giustamente consolata in due momenti della vita molto difficili e, immagino, i tuoi cugini e amici hanno fatto lo stesso durante le celebrazioni per la morte dei tuoi genitori. Niente di strano. Ma, in seguito, sei partita e hai cominciato a girovagare senza trovare nessuno con cui aprirti, perciò non hai mai potuto testare questo particolare in alcun modo.»

«E tu, come lo scopristi?» gli domandò Iris, poggiando il mento sulle ginocchia per poi guardarlo curiosa. «Cosa successe, quando mutasti?»

«Avevo dodici anni, quando successe. Mi svegliai a metà nottata, preda dei più brutti crampi che avessi mai provato prima. Credo di aver urlato un paio di volte – fu questo a svegliare la mamma – e, quando iniziai a vedere della peluria bianca comparirmi sulla pelle, svenni. So soltanto che, quando mi ripresi, mia madre era in un angolo della stanza, armata di scopa e con il volto bagnato di lacrime.»

Iris sgranò gli occhi, sgomenta, e mormorò: «Santo cielo…»

«Non feci in tempo a chiederle perché mi stesse guardando come se avessi le corna e la coda. I miei occhi si focalizzarono sulla stanza, sulle macchie umidicce e appiccicose che c’erano sul pavimento e, di colpo, ricordai. Stento a credere che due esseri umani possano piangere come piangemmo noi, ma successe» ironizzò Lucas, facendo spallucce.

«Io mi riguardai nel video di sorveglianza interno del mio appartamento, quindi capisco bene. C’è da uscirne pazzi» annuì Iris. «Quando lo mostrai a mio zio, fui lì lì per svenire di paura, ma lui prese il CDrom, lo nascose nella sua cassaforte e mi disse che avrebbe tenuto la bocca chiusa.»

«E’ importante avere qualcuno di cui fidarsi perché, non sapendo nulla di ciò che siamo, è dura andare avanti» annuì Lucas, stringendo le mani tra loro e sospirando pesantemente.

«A parte Julia e me, non c’è nessun altro che tu abbia conosciuto?» si informò a quel punto Iris.

«No. Ma non ho neppure mai avviato una ricerca su vasta scala come hai fatto tu. Stavo bene qui e non sentivo l’esigenza di cercare» ammise Lucas. «Forse, avrei dovuto dimostrare il tuo stesso coraggio e tentare di capire chi ero davvero, visto che io ci sono nato, così.»

«La scintilla è basilare. Se non scatta, non ne senti l’esigenza, e in me è scattata subito perché mi sentivo presa in giro da colui che mi aveva ridotta così» dichiarò Iris, facendo spallucce.

«Sì, forse hai ragione. Comunque, ho deciso di darti una mano. Anzi, di darci una mano per scoprire qualcosa di più. Anche Rock e mia madre si sono uniti alla causa. E qui finisco di rispondere alla tua altra domanda. Dopo quel fattaccio, ed essere venuti a patti con ciò che ero, decidemmo di tacere il segreto a mio padre  e di gestire la cosa giorno per giorno. Fu così che ci rendemmo conto entrambi che io cercavo sempre di più il contatto fisico con lei.»

«I lupi veri sono molto uniti, all’interno del branco, almeno stando ai documentari che ho visto dopo… beh, dopo il mio personale casino» convenne Iris, annuendo. «Può darsi che dipenda da quello?»

«E’ possibilissimo, e spiegherebbe questo mio cambiamento rep…»

Lucas non fece in tempo a terminare la frase che lui e Iris rizzarono le orecchie, incuriositi da dei passi leggeri lungo il sentiero che avevano utilizzato a loro volta per raggiungere il dirupo.

Poggiandosi un dito sulle labbra per imporle il silenzio, Lucas si alzò lentamente dalla roccia, subito imitata da Iris che, annusando l’aria, mormorò: «Umano.»

Lucas assentì, dandole ragione e, rilassandosi gradatamente, disse: «Devereux. Insieme a sua figlia.»

«Ah, sì? E perché sento solo un paio di piedi che camminano?»

Lucas si limitò a sorriderle divertito e, indicandole un punto preciso del bosco, si mise in attesa e osservò pensieroso senza dire nulla.

Non sapendo che altro fare, Iris fece finta di sistemare il proprio zaino – non potevano certo farsi scoprire entrambi a guardare il limitare del bosco come due falchi! – e, quando lo scalpiccio si fece più forte e vicino, levò il volto con aria fintamente sorpresa.

Devereux sembrava ancor più grosso, al limitare del bosco, con quelle spalle enormi che sorreggevano la figlia senza sforzo.

I capelli ondulati, neri come la pece e morbidamente lucidi, si sposavano alla perfezione con la pelle ambrata del viso, su cui cresceva una corta barba di un giorno o due.

Gli occhi, del colore dell’argento, si adombrarono un poco quando, nel raggiungere lo spiazzo antistante il dirupo, incontrarono le figure di Iris e Lucas. La bocca si piegò in una leggera smorfia.

Chelsey, invece, fu di tutt’altro avviso e, strillando eccitata, esclamò: «Papà, guarda! Sono Lucas e la nuova signorina di Los Angeles!»

«Dev… Chelsey…» li salutò Lucas, sollevando una mano con fare divertito.

«Johnson… miss Walsh… ti sei dato alle visite guidate private, ora?» domandò Devereux con tono vagamente insultante.

Iris si sorprese un poco ma non Lucas che, in barba al tono dell’amico, replicò: «Ho solo offerto le mie conoscenze del luogo a una turista molto simpatica, tutto qui.»

Dev parve voler dire altro, ma Chelsey lo obbligò a farla scendere dalla sua posizione privilegiata, impedendogli così di parlare.

La ragazzina, quindi, una volta guadagnato il terreno, raggiunse la coppia, li squadrò con attenzione e infine domandò: «Ma a te non piacciono gli uomini, Lucas?»

Iris scoppiò in una dolce risata di gola, di fronte a quella domanda così diretta mentre il giovane, spiazzato dalla ragazzina, esalò: «Beh, direi proprio di sì.»

«E allora perché sei qui, solo soletto con la signorina di Los Angeles, invece che con Rock?» chiese ingenuamente Chelsey.

Sfruttando l’imbeccata della figlia, Devereux soggiunse: «Sì, Lucas… come mai sei in giro con miss Walsh, invece di occuparti del tuo uomo?»

Quel nuovo attacco deliberato mise un po’ sulle spine Iris che, perdendo il suo sorriso, replicò cauta: «Lucas è stato così gentile da accompagnarmi, visto il mio senso dell’orientamento davvero pessimo. Tutto qui. Inoltre, ho conosciuto Rock giusto qualche giorno fa, perciò è al corrente che Lucas mi avrebbe fatto da guida.»

Chelsey non notò affatto il velato ammonimento nella voce di Iris e, sorridendole con candore, dichiarò con occhi luminosi: «Non è bellissimo? Io trovo che Rock sia un uomo davvero stupendo, anche se non gli piacciono le donne. In compenso, mi ha detto che sono una bella bambina.»

Iris le sorrise generosamente e dichiarò: «L’ho pensato anch’io, quando l’ho visto, e mi è spiaciuto un po’ scoprire che fosse già impegnato. E con lui, per di più.»

Ciò detto, indicò Lucas e Chelsey, annuendo con fare molto adulto, chiosò: «Avrò solo undici anni, ma certe cose le vedo bene anch’io, e posso dire che Rock è un gran bel pezzo d’uomo.»

«E con questo basta, Chelsey. Preferisco non sapere cosa ne pensi dei maschi di questa cittadina» gracchiò Devereux, divenuto un tantino pallido nel sentir parlare la figlia a quel modo.

L’astio nei confronti di Lucas sembrava essere stato superato, per il momento.

«Pensi di fermarti un po’, signorina di Los Angeles?» chiese allora Chelsey, spallucciando al richiamo del padre, come se non fosse preoccupata del suo ammonimento.

«Ma perché mi chiami così?» rise Iris, dando un buffetto sulla guancia a Chelsey.

Lei ridacchiò allegra e replicò: «Non ho mai conosciuto nessuno che venisse da una città cooosì grande, e perciò lo voglio sottolineare. Ma ammetto che è un po’ lungo, come soprannome. Iris è carino, visto che è il nome di un fiore, e a me piacciono tanto i fiori, però credo che dovrei sottolineare in qualche modo la tua provenienza e…»

Chelsey continuò nel suo monologo per qualche minuto, lasciando letteralmente interdetta Iris, e facendo irritare minuto dopo minuto Devereux che, a un certo punto, sbottò dicendo: «Chelsey, basta! Stai veramente esagerando.»

«Cavoli, l’ho rifatto» sbuffò la ragazzina, incrociando le braccia con fare scocciato. «Papà, però, anche tu, avvisami prima! Lo sai che parto a briglia sciolta e non riesco a bloccarmi da sola, perciò…»

Dev, allora, le mise indice e pollice sopra e sotto le labbra, gliele chiuse con fare esasperato e, piegando quel corpo enorme e altissimo, le diede un bacio sul capo, asserendo: «Parli davvero come una macchinetta. Ma da chi avrai preso, poi?»

«Da nonna Jennifer, poco ma sicuro. Lei…» iniziò col dire la bambina, prima di tapparsi la bocca da sola e ridere giuliva.

Iris rise divertita del suo gesto e disse: «Mia cugina Helen chiacchiera come te. Alle cene di famiglia, è quasi impossibile non assistere a un suo monologo di mezz’ora sulla cultura degli ortaggi da serra. La cosa, di per sé, è assurda, visto che è laureata in Economia, oltre a essere un ottimo manager, ma tant’è. Ha un amore incredibile per le piante.»

Sinceramente interessata e con occhi colmi di mille nuove domande, Chelsey disse: «Mi piacciono tanto le piante e gli ortaggi, oltre ai fiori. Allora, potrei andare d’accordo con tua cugina. Le piacciono i bambini, per caso? Sai, non vorrei infastidirla, visto che parlo così tanto, e perciò…»

Iris la abbracciò improvvisamente, colta da un sentimento tutto nuovo ma che, forse, le veniva dal suo essere per metà umana e per metà un animale della foresta.

«Dio, sei adorabile!» mormorò lei, lasciandosi invadere dal suo profumo.

Voleva stringere a sé quella bimba così solare, che sapeva sprigionare gioia da ogni poro, per assorbirne l’energia e al tempo stesso per proteggerla.

Chelsey rispose all’abbraccio con altrettanta spontaneità e, socchiudendo gli occhi, mormorò: «Sai, di solito il papà non lascia che le donne mi abbraccino. E’ molto geloso di me. Solo le mie due nonne possono farlo.»

Lanciando un’occhiata di sfida a un teso Devereux, in effetti proteso verso di loro con l’intento di separarle, Iris disse per contro: «Beh, dovrà strapparmi via a forza, perché ho tutta l’intenzione di abbracciarti ancora per un po’, se non ti spiace. La tua gioia è talmente bella e contagiosa che vorrei assaporarne un po’ anch’io.»

«Oh, a me piace essere abbracciata» chiosò Chelsey, scrutando da sopra una spalla il padre. «Il papà lo fa spesso, ma solo quando nessuno ci vede.»

A quel commento, Lucas si lasciò andare a un risolino e Dev, pur diventando rosso come un peperone, riuscì comunque a scoccargli un’occhiata talmente raggelante da azzittirlo subito.

«Credo che certi segreti dovresti tenerli per te e tuo padre, Chelsey» mormorò a quel punto Iris, scostandosi da lei e strizzandole l’occhio con complicità.

Non voleva infierire su quell’uomo. Dopotutto, aveva cresciuto un autentico angelo, anche se lui sembrava essere scorbutico come un orso.

«E’ ora di andare, Chelsey, o faremo tardi alla cena coi nonni» le ricordò a quel punto Devereux, sfiorandole una spalla con la mano.

«Sì, sì, andiamo pure» annuì la bambina. «Potrò venire a trovarti qualche volta, Iris di Los Angeles? Papà mi permette di girare da sola per Clearwater, visto che mi conoscono tutti e nessuno si attenterebbe mai a farmi del male.»

«Se il tuo papà ti darà il benestare, allora va bene» acconsentì Iris, lanciando un’ultima occhiata a Devereux, che annuì con lo stesso entusiasmo che avrebbe avuto nell’accettare l’invito di un branco di squilibrati.

«Allora, ci vediamo! E tu, Lucas, non dimenticarti di Rock!» esclamò soddisfatta Chelsey.

«Non potrei mai farlo, piccola Chelsey, credimi» la tranquillizzò il giovane, salutandoli nel vederli allontanarsi.

Quando furono a distanza di sicurezza, ben al di là del limitare dello spiazzo dove loro ancora si trovavano, Iris domandò: «Come mai tanta acredine?»

«E’ convinto che sia colpa mia, se Julia è scappata. Ovviamente, non conosce i motivi per cui le bazzicavo tanto intorno, e forse crede che io e lei abbiamo avuto una storia. Per questo mi ha punzecchiato a quel modo. Forse crede che io metta le corna a Rock, chissà.»

«Oh, ecco» annuì Iris. «E’ davvero assurdo che tu non possa dirgli la verità.»

«Non importa se Dev ce l’ha con me. Se Chelsey ha ereditato il marchio, avrò tutto il tempo di dirgli ogni cosa. Ora come ora, non ha bisogno di qualcun altro che gli dica ‘mi dispiace, la tua compagna era matta come un cavallo, ed è per questo che è scappata’.»

«Paese piccolo…» sospirò Iris, scuotendo il capo.

«… gente che mormora…» terminò per lei Lucas, assentendo al suo dire.

***

Iris era immersa nel piccolo motore della sua Smart FortTwo, intenta a rabboccare l’acqua dei tergicristalli, quando udì in lontananza lo scalpiccio di due paia di piedi.

I profumi erano troppo confusi dalle raffiche di vento, perché lei potesse coglierli appieno ma, quando percepì quello intenso di Chelsey, sorrise spontaneamente e levò il capo per salutarla.

Non appena vide che Devereux l’aveva accompagnata, però, il suo sorriso si spense un poco. Evidentemente, non si era fidato a lasciarla venire da sola.

Da una parte, ne plaudì la cautela; dopotutto, loro non si conoscevano affatto, e lasciare una ragazzina di undici anni con un’estranea – anche se all’interno di un campeggio – poteva essere pericoloso.

Dall’altra, si demoralizzò un poco; evidentemente, Dev concedeva davvero poca fiducia alle donne, visti i precedenti fallimentari.

Fatto buon viso a cattivo gioco, ritrovò la forza per raffazzonare un sorriso di benvenuto e, chiuso il cofano della piccola auto, si ripulì le mani in uno straccio che teneva nella tasca posteriore dei jeans e disse: «Benvenuti.»

Chelsey affrettò il passo, correndo sul selciato per essere la prima a raggiungerla e, osservando stupita la piccola automobile, esalò: «Ma è vera?»

«Altroché, e mi è servita in molte esplorazioni, in questi anni. Vedi? Riesco a infilarla nel gavone del camper, così posso trascinarla in giro per il mondo, durante i miei viaggi» le spiegò Iris, indicando l’enorme camper che, per dimensioni, rassomigliava più a un autobus.

Chelsey fissò l’impressionante mezzo bianco a righe beige e nere e, grattandosi pensierosa una guancia, borbottò: «Sei sicura che sia un camper, vero?»

Iris assentì divertita, dicendo: «Se vuoi, puoi salire e visitarlo comodamente da te.»

Ciò detto, si volse verso Devereux – che infine le aveva raggiunte – e, allungando una mano, disse: «Non mi ero ancora presentata ufficialmente. Sono Iris Walsh, molto piacere.»

Dev strinse la sua mano con una certa forza, replicando: «Devereux Saint Clair, piacere mio.»

Chelsey attese che le loro mani si fossero lasciate, per dire: «Iris ha detto che posso salire. Visto che ti ho promesso che avrei fatto la brava, ti chiedo; posso farci un giro dentro?»

Dev sospirò leggermente esasperato e assentì e Iris, nel vederla correre tutta felice verso la porta del camper, mormorò: «Le cose pericolose sono ben chiuse e al sicuro.»

Dopo un attimo, l’uomo sussurrò: «Grazie.»

Un po’ più tranquilla per avergli strappato quel ringraziamento, Iris lo pregò di accomodarsi al suo tavolino da campeggio, dotato di comode poltroncine apribili con tanto di porta bicchiere annesso al bracciolo.

Lui lo fece con aria stanca e Iris, nel servirgli del tè freddo che aveva preparato da poco, domandò: «Brutta giornata?»

«Non particolarmente ma, se non lo ha notato, mia figlia è un autentico vulcano di energia, e tenerle dietro sfianca… soprattutto se devi infilarci dentro anche il lavoro con cui la mantengo» borbottò Dev, accettando il tè prima di guardare il bicchiere con aria dubbiosa e domandare: «Ma che miscela è?»

«E’ ai frutti di bosco. Non è un infuso artificiale, ma naturale, che ho acquistato a Calgary, prima di venire qui.»

«Buono» mugugnò Dev, bevendone un altro sorso prima di squadrarla con aria indagatoria e dire: «Lei viaggia parecchio e, da quel che vedo, ne ha anche le possibilità.»

«E’ necessario che mi dia del lei? Mi sento un po’ a disagio» ammise Iris, scantonando per il momento la velata domanda.

Con una scrollata di spalle, Dev disse subito dopo: «Mi vorrei scusare con te per la sceneggiata dell’altro giorno, quando ti ho visto con Lucas. Ho un piccolo contenzioso con lui, ma tu non avevi alcuna colpa, e non dovevi finirci nel mezzo.»

«Nessun problema. Anche se non sembra, ho le spalle larghe» dichiarò Iris, accavallando le lunghe gambe. «Per rispondere alla tua non-domanda, sì, ho le finanze per mantenere questo mio viaggio itinerante. Sono una socia maggioritaria della Walsh Inc., che è un’azienda losangelina legata all’acciaio. I miei genitori ne erano co-proprietari assieme a mio zio ma quando loro morirono, due anni addietro, io decisi di prendermi una pausa per capire cosa volessi fare davvero. Mio zio, al momento, si occupa delle mie quote azionarie in seno al Consiglio e…»

Il bip del suo palmare, poggiato sul tavolino che li divideva, la interruppe e, scusandosi con Dev, Iris controllò il messaggio appena giunto.

Sorridendo appena, Iris mormorò: «Per l’appunto. Una circolare che la segretaria di mio zio mi ha inviato sui rendimenti dell’ultimo trimestre.»

Ciò detto, volse il palmare verso Dev che, però, aggrottò la fronte e replicò: «Non sono affari miei, davvero. Non c’era bisogno che tu mi raccontassi tutta la tua vita, sai?»

«Lo so, ma non voglio avere incomprensioni con nessuno e, visto che tu mi sembri particolarmente restio a fidarti delle persone, desidero solo dimostrarti che non sono una ladra in fuga, o cose simili» insistette Iris, mettendogli praticamente in mano il palmare.

Vistosi costretto a visionarlo, Devereux controllò quindi la circolare e, pagina dopo pagina, si ritrovò a sgranare leggermente gli occhi di fronte a ciò che vide.

Nel riconsegnare infine il palmare alla donna, mormorò: «Non si può dire che guadagnate male.»

«Direi di no. Mio zio è bravo a gestire gli interessi della famiglia. Molto più di me, temo, ed è anche per questo che sto cercando di capire cosa voglio fare di me e delle mie quote. E’ assurdo che sia proprio io ad avere la maggioranza in Consiglio» mormorò Iris, lanciando uno sguardo al contorno dei boschi.

Lì, tutto era tranquillo e seguiva il suo tran tran naturale, senza la frenesia o la follia infinita della città da cui lei proveniva.

Non c’erano vernissage a cui presenziare, serate di gala in cui farsi immortalare dai paparazzi, opere di beneficienza in cui mostrare il proprio volto solo per pubblicizzare la ditta.

Lei desiderava qualcosa in cui credere davvero e, per quanto la fonte di reddito che le veniva dalla ditta dei genitori le facesse comodo – e come negarlo! – sapeva bene che non era la vita che voleva.

I suoi studi universitari non si erano spesi in Economia o Marketing, ma in Studi Umanistici alla Berkeley University, a cui aveva aggiunto un Master in Musica. Lei desiderava insegnare, più che guidare un’azienda, e i suoi genitori si erano dichiarati disposti a farle seguire gli studi che più aveva amato.

Per quanto fosse stata superficiale con le sue amicizie, aveva realmente amato ciò che aveva intrapreso all’università, e gli unici momenti in cui si fosse mai sentita bene nella sua pelle, li aveva passati nei centri ricreativi per bambini.

Lì, aveva scoperto di saperci fare, con l’insegnamento. Spiegare ai bambini cosa ci fosse di bello, nell’andare a scuola o nello studiare, l’aveva fatta sentire utile.

Così come passare del tempo con loro, insegnando a suonare la chitarra o il pianoforte, due strumenti che aveva imparato a usare fin da piccola, le aveva dato lo sprone a continuare, a credere nei suoi sogni.

Aveva amato scorgere sui loro volti la gioia della comprensione e, in quei momenti, non si era sentita soltanto una scatola vuota e con un bel faccino.

Anche i suoi genitori avevano notato queste sue propensioni e, proprio per questo, l’avevano assecondata nei suoi studi.

Quando loro se n’erano andati, però, si era ritrovava con il peso delle loro azioni societarie sul collo, con l’incombenza di essere l’unica Walsh in Consiglio – zio Richard era fratello di sua madre – e di non avere idea di come gestire quel nome.

Per quanto tempo ancora avrebbe potuto pretendere che suo zio si occupasse di tutto? Non lo sapeva e, sempre più spesso, era stata tentata di vendere tutte le sue azioni e nascondersi per sempre nell’ombra.

Il fatto di sbarazzarsi del lavoro dei suoi genitori, però, le pesava più di tutto, e questo l’aveva sempre fermata. Era ingiusto ripagarli a quel modo dei loro sforzi.

«Guido una ditta di costruzioni. Fabbrichiamo case in legno per i facoltosi che se le possono permettere» disse di punto in bianco Dev, sorprendendo Iris. «Dirigo una trentina di uomini in tutto, tra falegnami, spaccalegna e ingegneri. Al cantiere vige il caos assoluto, all’apparenza, ma ognuno sa quel che fa… io so quel che faccio. E’ una bella sensazione sapere dove mettere i piedi. E le mani.»

«E’ quel che cerco di capire io» annuì Iris, sorridendogli appena. «Vorrei avere questa sicurezza, quando guardo i bilanci della mia ditta, e invece leggo solo numeri che capisco, certo, ma che non mi danno alcuno stimolo.»

«Allora, credo tu abbia già la tua risposta…» chiosò Devereux, prima di volgersi a mezzo quando udì la figlia discendere dal camper. «… ehi, giovane marmotta, cos’hai scoperto?»

Ridendo, Chelsey dichiarò: «Iris è ordinata e fa profumare tutto di limone. Forse, è maniacale come te, quanto a ordine. Ma tiene i libri in disordine sul letto. Però mi piace, perché così ho scoperto che ha letto anche Harry Potter.»

Iris rise, annuendo divertita, e ammise: «E’ il mio punto debole. Quando scelgo un libro, la mattina, lascio tutto in disordine fino a sera e, quando devo distenermi, prima sono costretta a rimettere tutto a posto.»

Sedendosi su una seggiola libera, Chelsey asserì: «Papà ha un vero caos, nello studio dove disegna le sue case… ma sono tutte bellissime, perciò va bene così, credo. Gli artisti creano in mezzo al disordine, giusto? Nei film, fanno sempre vedere i pittori nei loro studi super incasinati, perciò…»

Ancora una volta, Iris ascoltò in silenzio il lungo discorso della ragazzina che, a un certo punto, si interruppe per esclamare: «Rock! Ciao!»

Sia Iris che Dev si volsero a mezzo e, bello e possente, Rock si accostò a loro per poi salutarli e dire: «Dev, scusa il disturbo, ma ti vogliono in ditta. Hanno provato a chiamarti, ma evidentemente il tuo cellulare è staccato, e così…»

«… e così, hai fatto qualche chiamata in giro per sapere se mi avevano visto» terminò per lui Dev, controllando il suo cellulare. Era morto e sepolto. «Dovrò cambiarlo. La batteria dura due minuti e poi crolla senza scampo.»

«Dobbiamo andare?» mugugnò a quel punto Chelsey, guardando il padre con espressione spiacente.

Devereux ci pensò su un attimo, lanciò un’occhiata a Iris e infine disse: «Puoi rimanere con Iris, se lei non ha impegni, ma entro le cinque al massimo ti voglio a casa, è chiaro?»

«D’accordo, papà!» esclamò tutta giuliva la ragazzina. «Posso, vero, Iris?»

«Ma certo. Penserò io a riaccompagnarla, così non farà la strada al buio» promise la donna, lanciando un’occhiata piena di serietà a Dev, che assentì.

Rock levò un sopracciglio con evidente sorpresa, ma non disse nulla di fronte a Iris. Nell’allontanarsi con il suo capo, però, attese soltanto di aver raggiunto il pick-up e gli chiese: «Che novità è questa, Dev? Da quando in qua lasci la tua bimba a una donna che non siano le sue nonne?»

Dev sbuffò di fronte a quella domanda ironica e, nell’aprire la portiera della sua Jeep Wrangler nera, borbottò: «Non conta nulla, è chiaro?»

«Oh, certo. Sono sicuro che Alyssia non verrà mai a saperlo, perciò va bene» gli fece notare Rock, ammiccando.

Sospirando esasperato, Dev mormorò stancamente: «Non posso farci nulla se Alyssia non capisce che non voglio una donna nella mia vita ma, soprattutto, che non voglio lei

«Gliel’hai detto, o hai solo pensato di fare il burbero orso e basta, sperando che lei capisse?» sottolineò l’amico, dandogli una pacca sulla spalla. «A volte, bisogna parlar chiaro, e non soltanto tagliar fuori la gente dalla propria vita, Dev.»

«Tu e Lucas siete peggio di due comari» sbottò Dev, chiudendo la porta dalle Jeep per poi partire con una leggera sgommata.

Rock rise sommessamente e, con più flemma, salì sul suo pick-up per seguirlo alla ditta di costruzioni. Era inutile insistere, se Dev non ne voleva parlare.

Ma la cosa non sarebbe passata inosservata, poco ma sicuro.

 

 

 

 

 

 

N.d.A.: si cominciano a capire meglio il passato non proprio luminoso di Iris, oltre alla maturità di Chelsey e alla propensione di Dev nello scansare le donne.

Che dite, la visita di Chelsey a Iris come si concluderà?

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Capitolo 5
*** capitolo 4 ***


4.

 

 

 

Non appena Devereux si fu allontanato assieme a Rock, il sorriso di Chelsey si spense e, con un sospiro, si rivolse a Iris per domandare: «Secondo te il papà è tanto triste?»

Sinceramente sorpresa da quella domanda, la donna inclinò perplessa il capo e replicò: «Non lo conosco a sufficienza, Chelsey, perciò mi è difficile risponderti. Ma perché me lo chiedi? Credi che non sia felice?»

La bambina storse la bocca e, sprofondando nella comoda sedia da campeggio, borbottò: «Le nonne fanno finta di niente e, nella casa dove è cresciuta la mamma, non ci sono sue foto recenti, ma solo di quando io ero molto piccola. Lei mi tiene in braccio e sorride al fotografo, ma il papà guarda lei e sembra preoccupato.»

«Capisco. La tua nonna materna ti ha detto nulla di lei?» chiese cauta Iris.

Si era trovata altre volte in una situazione simile, durante le sue visite ai centri di recupero per l’infanzia ma mai, come in quel momento, desiderò essere d’aiuto.

Era mai possibile che i suoi nuovi istinti animali la portassero a essere più protettiva, quando si trattava di un cucciolo?

Era comunque chiaro che la bambina non aveva avuto occasioni di parlare di questo argomento con nessuno, e pareva intenzionata a farlo con lei.

Dopotutto, tutti la conoscevano, e forse Chelsey aveva intuito che nessuno avrebbe avuto il coraggio di parlarle con sincerità, mascherando – o addirittura omettendo – certe verità.

Lei che era un’estranea, e non poteva avere un partito preso nei confronti di nessuno, era la candidata ideale per quelle scomode domande.

Scrollando le spalle, Chelsey mormorò: «Nonna Jennifer dice che mamma Julia mi ha tanto voluto bene, ma che era malata e non è potuta rimanere con me. Nonno Graham, invece, non dice nulla e si limita a darmi tanti baci e abbracci, quando passiamo a trovarli.»

«I genitori di tuo padre, invece?»

«Loro non ne parlano, neanche quando io mi faccio insistente. Nonna Betty diventa muta come una tomba, e nonno Sam fa lo stesso, così rinuncio. Ma lo vedo che il papà è sempre turbato… e non è per il lavoro. Là, è felice.»

Il tono perentorio con cui Chelsey espresse il concetto fece sorridere Iris. Quella bambina così allegra e solare nascondeva una profondità davvero rara, per una ragazzina di undici anni.

Il fatto di essere cresciuta senza una madre, pur se in una famiglia apparentemente unita e che le aveva dispensato amore, l’aveva fatta maturare prima del tempo. Considerare come una priorità la felicità del padre, non poteva che renderle onore.

«Tu cosa pensi, invece?» si informò a quel punto Iris, volgendosi completamente verso di lei per poi poggiare gli avambracci sulle cosce, gli occhi verdi puntati su di lei con interesse.

La ragazzina la fissò smarrita, non sapendo bene cosa risponderle. Forse, era la prima volta in assoluto che le veniva chiesta una cosa del genere, e Iris si fece cogliere dal dubbio che, probabilmente, neppure avrebbe dovuto chiederglielo.

Anche se era abituata a trattare coi bambini, le sue esperienze si basavano su momenti passati con persone sempre nuove, e di cui lei non aveva una responsabilità diretta.

Discorrendo con Chelsey di quell’argomento così spinoso, invece, avrebbe stabilito una relazione molto più profonda e con una persona che, con tutta probabilità, avrebbe rivisto anche molte volte, in futuro.

Se la sentiva di prendersi un simile impegno? Era certa di essere pronta e, soprattutto, il padre cosa avrebbe detto, se mai avesse scoperto di quella loro chiacchierata?

Il punto, alla fine dell’opera, era solo uno. Chelsey le era piaciuta subito e, desiderava aiutarla.

Se il padre avesse avuto qualcosa da ridire, lo avrebbe affrontato, spiegandogli i suoi perché e le motivazioni che l’avevano spinta a risponderle.

Inoltre, dopo aver saputo della vera natura di sua madre, sentiva anche su di sé – come lo era per Lucas – il peso di proteggerla da un segreto che lei non aveva chiesto e di cui non sapeva nulla.

Giocherellando con le dita con fare nervoso, Chelsey alla fine disse: «Penso che nessuno mi dica la verità, perché pensano che io sia troppo piccola per capire. Ma vorrei che almeno fossero onesti sui suoi sentimenti per me.»

«Credi che non ti volesse bene?»

«Qual è la mamma che lascia la propria figlia, se le vuole bene?» protestò cocciutamente Chelsey.

«Forse, una mamma con così tanti problemi che, per paura di coinvolgere la figlia, preferisce lasciarla a qualcuno che possa prendersi cura di lei, senza trasmetterle così le sue paure e i suoi drammi» le propose con gentilezza Iris, sorridendole.

La bambina la fissò dubbiosa, ma non replicò alla sua affermazione. Di contro, disse: «Magari sbaglio, ma parlo così tanto perché almeno il papà non pensa alla mamma, mentre mi ascolta, e non torna a essere triste.»

La carezza, così come l’abbraccio, vennero spontanei, e Iris dovette rendersi conto con un pizzico di amarezza che, in quei gesti, v’era molto della lupa dentro di lei, piuttosto che della vecchia se stessa.

Lei aveva sempre apprezzato baci e abbracci, ma soltanto dalla sua famiglia, ritenendo quelli esterni a quella cerchia ristretta non veritieri, e forieri soltanto di troppi problemi.

Con tutta probabilità, era stata questa poca fiducia nel prossimo a far naufragare le sue misere avventure con i soli due ragazzi che avevano avuto il coraggio di sfidare la sorte con lei.

A ben vedere, gli unici a cui aveva dispensato quel genere di attenzioni, a parte la famiglia, erano stati i bambini di cui si era presa cura. Al pari della sua famiglia, quei bambini non avevano mai avuto secondi fini, nei suoi confronti.

Scostandosi da Chelsey quando ritenne di averle dispensato la giusta dose di comprensione, Iris disse: «Penso che lui sia contento quando esprimi te stessa, anche se magari fa la faccia esasperata e ti riprende. Non sarebbe così protettivo, se non ti volesse un bene dell’anima, ti pare?»

«Papà ha una bella risata, ma la si sente così poco!» si lagnò la bambina, stringendosi nuovamente a Iris e chiudendo gli occhi subito dopo. «Hai un buon profumo, sai? Sembra di stare nel bosco.»

«Grazie» mormorò Iris, facendosi attenta e ripromettendosi di chiedere lumi a Lucas circa i segni premonitori di un cambiamento imminente.

Non aveva idea se il suo odore fosse effettivamente più forte, rispetto a un comune umano, o se semplicemente, standole vicino, Chelsey potesse percepirlo senza problemi.

In ogni caso, il fatto stesso che percepisse il suo aroma naturale e lo associasse al bosco, poteva voler dire qualcosa.

In ogni caso, rimasero così, silenziose e abbracciate, per diversi minuti, minuti in cui la tranquillità del campeggio e i fruscii degli abeti del bosco poco distante fecero da contorno a quella pace ritrovata.

Quando infine Iris si scostò e sorrise a Chelsey, le domandò: «Ti piace la musica?»

«Molto. Papà mi ha detto che, se farò la brava, mi comprerà una chitarra per imparare a suonare» le rispose la bambina, sorridendo lieta.

Ammiccando, Iris allora le chiese: «E se cominciassimo da subito, con le lezioni?»

Chelsey balzò dalla sedia con il viso percorso dalla gioia più pura e, stringendosi le mani al petto, esclamò: «Tu hai una chitarra? E mi insegneresti?!»

Felice per quella reazione – vederla così triste l’aveva spinta ad agire perché si riprendesse – Iris si alzò a sua volta e, offrendole la mano, la portò con sé all’interno del camper, asserendo: «Non solo ho una chitarra, ma te la presterò volentieri, così vedrai se ti piace come strumento, o meno.»

«Mi piacerà. Mi piacerà di sicuro!» ciangottò felice la bambina, saltellando contenta.

Iris sorrise sollevata. Sembrava che il peggio fosse passato.

***

Concentrata sulla tastiera della chitarra mentre Iris le sistemava le dita per l’ennesima nota da imparare, Chelsey borbottò: «Non pensavo fosse così difficile… quando suonano in TV, sembra così semplice!»

La donna sorrise indulgente, replicando: «E’ come andare in bicicletta. Sembra una cosa impossibile, all’inizio, ma poi si impara.»

«Io ho tolto le rotelline a quattro anni» sottolineò Chesley con fare ghignante. «La mia amica Roxy, invece, solo a sette.»

«Hai dimostrato molto coraggio, allora» considerò Iris, indicandole lo spartito. «Ecco, ora sei pronta per fare la scala musicale che hai davanti.»

Lei assentì e cominciò con cautela, aggrottando la fronte per la concentrazione.

Il primo accordo venne un po’ stonato ma Chelsey ritentò e, al suo secondo approccio, riuscì a emettere un suono più puro.

Iris levò il pollice in segno di successo e la bambina, ringalluzzita, tentò con le altre note. Il risultato non fu eccelso, ma gli occhi nocciola di Chelsey brillavano di aspettativa e di eccitazione.

Sì, la chitarra sarebbe stato il suo strumento, non c’era alcun dubbio.

Iris, perciò, la lasciò provare e riprovare finché l’occhio non le cadde sull’orologio digitale del forno.

Erano le sedici e quarantadue.

Subito, Iris emise un fischio modulato quanto ansioso e Chelsey, accorgendosene, smise di strimpellare ed esalò: «E’ già ora?»

«Temo di sì e, se abiti lontano, siamo già in ritardo» gracchiò Iris, levandosi per andare verso la porta del camper per uscire di corsa.

Quando, però, lo fece, una folata di vento gelido e umido la investì con forza e Chelsey, nel rendersene conto, borbottò: «Neve.»

«Come, neve?» esalò la donna, voltandosi a mezzo per guardarla con aria stranita. «Ma è primavera!»

Con aria saputa, Chelsey replicò serafica: «Siamo solo ad aprile inoltrato, e qui può nevicare oggi e fare trenta gradi domani. Questa è neve, di sicuro.»

Anche Iris se ne rese conto, ovviamente. Il suo naso pizzicava da matti e l’aria era satura di ozono, segno che da qualche parte i fulmini si erano divertiti a ionizzare tutto il circondario.

Afferrata perciò la chiave della Smart, disse perentoria: «Beh, prima che venga giù il finimondo, è meglio se ti riporto a casa.»

«Posso chiamare nonna Betty. Fa la parrucchiera, qui a Clearwater, e può venire a prendermi» le propose Chelsey, poggiando a malincuore la chitarra sul tavolino da cucina del camper.

«Non voglio disturbare nessuno. Ho promesso a tuo padre che avrei pensato io, a te, e a ciò mi atterrò» replicò Iris, prima di aggiungere tra sé: “ci sono già troppe donne che lo hanno deluso, e io non voglio mettermi in coda. Figurarsi se voglio commettere gli stessi errori di un tempo!”

Non era mai stata famosa per la sua coerenza con gli uomini, e più di una volta si era divertita con loro, in alcuni casi in modo persino crudele.

In parte, per una sorta di ripicca tutta femminile, in cui lei aveva interpretato la parte della paladina delle donne e, in parte, perché non aveva mai desiderato impegnarsi con nessuno.

Lo avesse fatto per superficialità, totale mancanza di maturità o altro, non desiderava più essere così leggera nei suoi rapporti con il prossimo, foss’anche uno labile come quello che aveva con Devereux Saint Clair. Quella Iris era morta e sepolta, e lì doveva rimanere per sempre.

Chelsey, allora, la seguì all’esterno, guardò un poco preoccupata le nubi nere che si stavano addensando sulla cittadina e all’orizzonte, verso nord.

«Sarà brutta» constatò dopo alcuni attimi.

«Che bello» sbuffò Iris, invitandola a salire in fretta in auto.

Non appena la bambina vi fu salita, si guardò intorno piena di curiosità, allacciò la cintura e ridacchiò.

«Il papà non riuscirebbe a entrarci neanche volendo.»

«Eh, no. Lui è un po’ troppo alto e, per farcelo stare, dovremmo piegarlo in un due come un soprabito» ammise Iris, avviando il motore e facendo manovra alla svelta per uscire dal campeggio.

Chelsey rise della sua battuta e, nell’asciugarsi una lacrima di ilarità, si sporse dal finestrino per salutare la madre di Lucas, seduta sulla veranda a osservare il cielo.

Imitandola, Iris abbassò il finestrino e, dopo essersi fermata per un attimo, disse a  Clarisse: «Accompagno Chelsey a casa. Se non torno, chiamate i marines o la fanteria a cavallo, perché sarò sicuramente affogata in mezzo alla neve.»

Scoppiando a ridere, la donna replicò: «E’ per questo che noi usiamo i pick-up, da queste parti.»

«Non ci entrerebbe mai, un pick-up, nel mio camper» brontolò Iris, salutando la donna per poi avviarsi verso la strada principale. «Da che parte?»

«A destra, verso la rotonda, poi imbocca la Southern Yellowhead Highway, fino al bivio con Candle Creek Road» le spiegò Chelsey, indicando con ampi gesti del braccio.

«Andata» assentì Iris, immettendosi nel traffico.

I primi fiocchi di neve grossa e pesante, chiaramente mescolata ad acqua, iniziarono a cadere quando Iris imboccò Candle Creek Road, che si inerpicava verso i monti ricoperti di abeti fitti e scuri all’orizzonte.

Imprecando tra i denti, e facendo ridere sommessamente Chelsey, schivò un paio di scoiattoli troppo intraprendenti e, quando infine la bambina la indirizzò verso uno stradello, ringraziò di non dover valicare il monte per raggiungere la destinazione.

Oltre il crinale, il cielo era simile alla Fossa delle Marianne. Scuro, minaccioso e assai inquietante.

Quando, però, si fermò dinanzi a un’ampia casa di tronchi intrecciati, perse di vista la nevicata tardiva e il malumore per lasciarsi andare alla meraviglia.

L’abitazione di Devereux e Chelsey era semplicemente splendida.

Costruita su un ampio basamento in cemento armato e ricoperto di pietra intagliata con maestria, la casa si sviluppava su due piani e dava l’idea di essere solida e calda, oltre che accogliente.

Gli immensi tronchi usati per costruirla erano del loro colore naturale, un bel nocciola dorato, e la porta a vetri smerigliati – ampia e a due ante – era stata intagliata con motivi geometrici molto complessi.

Coprendosi la testa con le mani mentre i fiocchi di neve diventavano sempre più fitti e asciutti, Iris e Chelsey salirono i gradini in pietra fino alla veranda, coperta da un’ampia tettoria in tronchi.

Lì, Iris si guardò alle spalle e, con un pesante sospiro, esalò meravigliata: «Siete proprio immersi nel bosco.»

«A me piace molto. Fa tanto film d’avventura» celiò Chelsey, aprendo la porta con le chiavi che teneva in mano. «Vieni dentro. Si sarà già accesa la stufa.»

«Cosa?» mormorò sorpresa Iris.

Invitandola a entrare con un ampio e ironico gesto del braccio, Chelsey aggiunse: «La stufa a pellet. E’ programmata per accendersi se la temperatura scende sotto i diciotto gradi, in casa, e credo che… sì, è accesa.»

Iris, però, non guardò in direzione della stufa rettangolare nei pressi del muro portante quanto, piuttosto, all’ambiente in sé.

Quell’atrio era un piccolo gioiello di stile country canadese.

Le travature a intreccio del soffitto erano dello stesso color nocciola dell’esterno, da cui pendevano ampi lampadari in ferro battuto a otto bracci.

Una scala centrale conduceva al primo piano e al suo fianco, sulla destra, si estendevano una cucina a vista e un tinello, con una lunga tavola in legno e resina, oltre a un angolo bar corredato di sgabelli.

Sulla sinistra, invece, si trovavano ampi e generosi divani, tutti dalle tinte tenui del beige e del crema, oltre a uno schermo piatto di dimensioni ciclopiche e la famosa stufa a pellet decantata da Chelsey.

Poco più in là, contro il muro portante d’ingresso, era stato installato un tiro a segno per le freccette e, poco a lato, era sistemato un impianto stereo di tutto rispetto.

Ampi tappeti damascati ricoprivano il pavimento in parquet fino a raggiungere la scala, chiusa su entrambi i lati. A giudicare dalla porta visibile sul lato della cucina, era chiaro che, nel sottoscala, si trovasse un qualche genere di disimpegno.

Lanciando un’occhiata alla sua sinistra, tornò a guardare il salotto e, oltre esso, le ampie e spesse vetrate che scrutavano il bosco, distante dalla casa almeno una ventina di metri.

Sorridendo di fronte allo sguardo meravigliato della sua ospite, la ragazzina disse: «L’ha progettata e costruita papà, sai?»

«E’ davvero molto bella» mormorò ammirata Iris, continuando a guardarsi intorno con aria stupefatta.

Aveva visto centinaia, se non migliaia di ville da milioni di dollari, nella sua vita, come figlia di un imprenditore di successo ma, per la prima volta, era davvero senza parole.

Non era una casa-vetrina, uno specchio per le allodole per colpire al cuore – e fomentare l’invidia – di coloro che erano ospiti del proprietario.

Quella casa era un piccolo gioiello di architettura country e, soprattutto, sapeva di vita vissuta e di esperienze condivise, di amore vero e di senso di protezione.

Quei pensieri le riportarono alla mente i genitori e, sorridendo a Chelsey, disse: «Sei molto fortunata ad abitare in una casa così.»

«Roxy dice che siamo troppo isolati, ma a me piace. Dalla mia camera posso vedere le stelle e la luna, e mi piace un sacco. Sai che il mio papà mi ha regalato un telescopio?» disse Chelsey, tutta contenta. «Vieni. Te lo faccio vedere.»

Prima di muoversi, Iris si tolse le scarpette da ginnastica ormai fradice e si incamminò sul tappeto morbidissimo, salendo poi le scale in legno levigato stando ben attenta a non scivolare.

Chelsey, così, la attirò al primo piano fino a una stanza ampia e piena di colori, dove i poster di Ariana Grande la facevano da padrone.

I profumi predominanti erano l’abete e il cedro; il primo, proveniente dal bosco nelle vicinanze, il secondo, dai prodotti per la pulizia utilizzati da Devereux.

«Sei molto più ordinata di me alla tua età» chiosò Iris, ricordando bene i caos stratosferici lasciati sempre nella sua cameretta.

Chelsey le sorrise complice e ammise: «Cerco sempre di mettere in ordine per non pesare troppo su papà, ma a volte mi dimentico. Però, lui non mi dice mai niente, quando non metto a posto.»

«Fa bene, secondo me. Sa che non lo hai fatto di proposito» annuì Iris, uscendo con Chelsey dalla sua stanza per dirigersi verso una camera dirimpettaia.

Lo studio di Dev, scoprì subito dopo Iris.

Come le aveva detto in precedenza Chelsey, era immerso in un caos organizzato che faceva pensare agli artisti parigini.

Centinaia di fogli erano sparsi qua e là come silenziosi promemoria, mentre alcuni si trovavano sul piano inclinato su cui Devereux progettava.

Alle pareti, fotografie di case in costruzione o già montate recavano tutte delle firme a pennarello rosso, forse degli operai o dei clienti stessi.

Iris sorrise nell’ammirare alcuni bozzetti e, sfiorando delicatamente diversi fogli, mormorò: «Tuo padre ha davvero una mano eccezionale. Sono progetti bellissimi.»

«Si è laureato con il massimo dei voti. C’è una foto di me e mamma alla sua cerimonia di laurea, da qualche parte. So che c’è perché l’ho scovata una volta, mentre curiosavo tra la sua roba, ma non posso dire che l’ho vista, perché allora saprebbe che ho ficcato il naso dove non dovevo» fece la lingua Chelsey con fare birichino.

Iris non disse nulla, non sapendo se confortarla o dirle che non avrebbe dovuto farlo.

Era una situazione spinosa, e lei non aveva alcun diritto di ficcare il naso più del dovuto.

Lanciando uno sguardo fuori dalla finestra, Iris storse la bocca e borbottò: «Rimarrò affogata qui, ma non me la sento di lasciarti da sola, visto che tuo padre non è ancora arrivato.»

«Posso chiudermi dentro» tentennò Chelsey, accennando un sorriso che volle con tutto il cuore essere coraggioso.

Era chiaro che non era solita rimanere da sola in casa, pur se stava tentando di essere forte per non obbligarla a rimanere con lei a tutti i costi.

Iris perciò scosse il capo con determinazione e replicò: «Resterò a tenerti compagnia. Vedrai che dopo troveremo un sistema per liberare la mia micro-macchina.»

«Devi proprio prenderti un pick-up» soggiunse Chelsey, riaccompagnandola dabbasso.

***

Era in ritardo, dannatamente in ritardo e, quel che era peggio, non aveva ancora sostituito il suo scassatissimo cellulare, così non aveva potuto chiamare Chelsey per dirle di non aver paura, e che lui sarebbe rincasato presto.

Perché non si era fermato un maledettissimo minuto di più in ufficio, invece di scappare via a gambe levate dallo sguardo sdolcinato di Maureen? Avrebbe potuto infischiarsene come al solito e fare quella telefonata a casa.

Invece no. Le parole di Rock, sibilline quanto fuori luogo, gli si erano insinuate nella testa come un tarlo fastidioso per tutto il santo giorno e così, non avendo alcuna voglia di affrontare una femmina in calore, si era dileguato.

Senza pensare invece alla sua femmina, che lo attendeva tutta sola a casa.

Ammesso e non concesso che Iris avesse mantenuto la parola e l’avesse accompagnata fino a casa. E se invece, visto il maltempo, l’avesse trattenuta al campeggio per maggiore sicurezza?

Forse, avrebbe dovuto passare da lì, prima di andare a casa.

Forse…

«Maledizione!» imprecò Devereux, fissando rabbioso il suo inutile cellulare, infilato per metà nel suo marsupio e del tutto inservibile nella sua alta tecnologia. «Domani ti seppellisco. Lo giuro.»

Svoltando rabbiosamente nello stradello privato di casa sua, già pregando che la sua bambina non fosse rintanata in camera a piangere, Dev si stupì non poco nel notare quella sorta di micro-machine che Iris sosteneva fosse un’auto.

Bloccando la jeep dietro la sua vettura tascabile, Devereux scese senza badare alla mostruosa nevicata che stava cadendo dal cielo e infilò gli scarponi in uno strato di almeno trentacinque centimetri di neve fresca. Confuso, rimase un minuto buono a osservare quel mezzo che, in teoria, non avrebbe dovuto essere dinanzi a casa sua, e si chiese il perché della sua presenza.

A meno che…

Sgranando gli occhi, balzò sui gradini prima di catapultarsi contro la porta di casa, spalancarla e urlare: «Ehi, fagiolina! Sono tornato!»

L’attimo seguente un ‘bentornato, papà!’ si levò gioioso dall’angolo cucina e Dev, seguendo quel suono per lui così amato e speciale, notò subito qualcosa di anomalo.

Inusuale.

Imprevisto.

Una donna.

Iris era al fianco di Chelsey, e sembravano entrambe indaffarate a preparare qualcosa in cucina. Qualcosa che, a giudicare dal suo naso, aveva tutta l’aria di essere dannatamente buono.

Chiusosi lentamente la porta alle spalle, lasciando fuori l’aria umida e fredda della sera, Dev si tolse le scarpe per infilare le sue infradito – in casa, cascasse il mondo, le portava sempre – e, curioso, domandò: «Posso sapere cosa state combinando?»

«Ho pensato che sarebbe stato poco carino lasciarla sola, visto che non eri ancora arrivato, e Chelsey non riusciva a mettersi in contatto con te…» esordì Iris, allungandogli un cestino di vimini ricolmo di soffici polpette di patate, gratinate alla perfezione. «…così sono rimasta a farle compagnia. E ci è venuta voglia di preparare qualcosa da mangiare.»

Devereux infilò in bocca la polpetta, trovandola deliziosa ma, ancora troppo curioso per esprimere pareri in tal senso, frugò con lo sguardo il piano cottura e, subito, spalancò gli occhi.

«Qualcosa… da mangiare? Ce n’è per un reggimento!» esclamò Dev, lanciando un’occhiata dubbia sia a Iris che a Chelsey, che ridacchiò divertita.

«Oh, sono tutte cose che puoi congelare, ma Chelsey voleva imparare come si facevano, e così…» scrollò le spalle Iris, accennando un sorrisino. «Spero non ti dia fastidio. Mi sono approfittata della tua dispensa.»

«Se il resto è buono come questa polpetta, sei scusata» borbottò Dev, sopravanzandola per poi afferrare un cucchiaio e affondarlo in un’insalata di pasta dall’aspetto invitante.

Iris lo guardò dubbiosa quanto speranzosa ma, quando lui emise un ‘mmh’ pieno di sorpresa delizia, lei si sentì un tantino meglio.

In cucina ci aveva sempre saputo fare, anche grazie a sua madre che le aveva insegnato, e a sua nonna che aveva supervisionato come un mastino.

Afferrata una seconda polpetta di patate, Dev guardò la figlia e le domandò: «Sei stata bene, oggi?»

«Oh, sì, mi sono divertita molto e ho anche imparato a suonare la chitarra» disse Chelsey, sconcertando subito il padre. «Beh, ecco… ho iniziato a imparare.»

Dev, a quel punto, lanciò un’occhiata a Iris, alle polpette, e infine domandò: «Cuoca e musicista. Cos’altro sai fare?»

Scoppiando a ridere, Iris gli disse: «Te lo dirò se mi offrirai uno strappo fino al campeggio. Temo che la mia Smart non possa nulla contro venti e passa centimetri di neve.»

«Sono quasi trentacinque, al momento, e non mi va di rifare la Candle Creek Road finché non la ripuliscono. Questa neve è…» cominciò col dire Dev, prima di tappare le orecchie alla figlia e aggiungere: «… davvero bastarda, e non voglio trovarmici di notte. Neppure con una jeep.»

Chelsey rise di quell’atteggiamento protettivo e Iris, confusa, domandò: «Quindi, che faccio?»

«Puoi dormire qui. Abbiamo una stanza per gli ospiti» scrollò le spalle Dev. «Mi sembra il minimo offrirti un tetto sotto cui ripararti, visto che hai tenuto compagnia a Chelsey, invece di esserti limitata a lasciarla qui da sola.»

Poi, lanciando un’occhiata alla cucina, terminò di dire: «Inoltre, credo di doverti anche qualcosa per il servizio catering.»

«Quello è in omaggio» scrollò le spalle Iris, afferrando il cellulare che teneva nella tasca dei pantaloni. «Avviso Mrs Johnson della mia presenza qui per la notte. Non vorrei che si preoccupasse, visto che sa che sono uscita.»

Dev assentì e, mentre Iris telefonava, passeggiando pensierosa per l’atrio di casa, l’uomo si piegò per avere sott’occhio il viso di Chelsey e, a bassa voce, le domandò cospiratorio: «Tra me e te. Va veramente tutto bene?»

«Quanto sei sospettoso, papà. Sì, va tutto bene, e Iris è stata molto gentile con me. Mi ha detto che, se per te va bene, può darmi delle lezioni di chitarra nel dopo scuola» dichiarò Chelsey, sedendosi su uno sgabello del piano bar per fissarlo con aria divertita.

«A te va? Sì, insomma, di prendere lezioni da lei e tutto il resto» si informò a quel punto lui, dandole un colpetto sulla fronte con un dito.

Chelsey ridacchiò di quel gesto, che suo padre soleva fare fin da quando era piccola e, lanciata un’occhiata a Iris - che si trovava vicino alla porta d’entrata a parlottare con Clarisse - mormorò sottovoce: «Lo so che non è la mamma, sai? Non mi sono appiccicata a Iris perché voglio una mamma nuova. Mi incuriosisce, e la trovo simpatica. Non è una brutta cosa, vero?»

Dev aggrottò la fronte, a quelle parole, ma riuscì comunque a dire: «So che siamo solo noi due, tolti i nonni… però, se Iris ti piace, e lei ti tratta bene, è okay.»

Chelsey abbracciò suo padre di slancio e, contro la sua guancia, sussurrò: «Ti voglio un mondo di bene, papi, e sai fare bene sia la mamma che il papà. Però, vorrei fare amicizia con Iris, se non ti spiace. Sa tante cose belle, e mi piacerebbe imparare davvero a suonare.»

L’uomo la strinse a sé per un attimo, affondando il viso nei suoi neri capelli sparsi sulle spalle e, in un mormorio sommesso, disse: «Ti voglio bene anch’io, fagiolina.»

Quando si scostò dalla figlia, la mise a terra e, con un mezzo sorriso, aggiunse: «Coraggio, apparecchiamo, visto che la cena ci è stata gentilmente offerta dalle mani di Iris.»

Chelsey si mise subito all’opera e, quando Iris tornò in cucina, si mise ad aiutarla senza alcun problema, un dolce sorriso dipinto sul volto.

Per Dev fu strano vedere una donna al fianco della figlia, una donna totalmente diversa da Julia, sia nei colori che nella corporatura da rendere quell’immagine ancor più forte nella sua mente.

Fu però una cosa sola, a ferirlo, di quel quadretto insolito. Contrariamente a Julia, Iris la vedeva davvero. Vedeva Chelsey. Sentiva Chelsey.

Una donna che conosceva da poche ore, riusciva a essere migliore di una madre che aveva allattato al seno la figlia ed era rimasta con lei per tre anni.

“Perché non ti sei mai comportata così anche tu, Julia?”, pensò tra sé Dev, mettendo mano alle posate per dar loro un aiuto e tentando, al tempo stesso, di cacciare via quel pensiero fastidioso.

 

 

 

 

N.d.A.: Scopriamo che Chelsey non solo si preoccupa per la felicità del padre, ma che tenta in ogni modo di sopperire a ciò che, secondo lei, il comportamento della madre ha causato a Dev. Iris rimane molto colpita dalla profondità di Chelsey e sente sempre più impellente il desiderio di tenerla al sicuro e di proteggerla.

Anche per questo, la accompagna volentieri a casa e rimane con lei aspettando l’arrivo di Devereux.

La nevicata, però, complica tutto, ma permette a Dev di scoprire un lato nuovo della figlia e il fatto che, già ora, sta diventando una signorina coscenziosa e matura.

Rimanere sotto il tetto di Dev (non pensate male; per i canadesi è normale aiutarsi in casi simili) porterà a qualche guaio, secondo voi?

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


5.

 

 

 

 

Chelsey era già a letto da almeno un’ora, visto che il giorno seguente vi sarebbe stata scuola.

All’esterno, la tempesta di neve si era ridotta a una più tranquilla nevicata, con fiocchi che a stento raggiungevano la grandezza di un’unghia.

Il vento era calato fin quasi a sparire e ora, attraverso le ampie vetrate del pian terreno, era possibile scorgere uno spicchio di cielo, oltre la coltre di pini che circondavano la casa.

Quell’angolo di cielo stellato prometteva un abbassamento delle temperature, ma anche una bella giornata per il dì seguente. Forse, dopotutto, si sarebbe avverata la predizione di Chelsey. Un giorno da trenta gradi dopo una nevicata tardiva.

Sorseggiando una tisana alla melissa mentre Dev centellinava del whisky irlandese in un bicchiere panciuto, Iris mormorò: «Se mi posso permettere, hai tirato su una bambina splendida.»

«Grazie» replicò lui, stringendo con entrambe le mani il bicchiere per poi poggiarlo su un ginocchio. «Ci crederesti se ti dicessi che, quando arrivo a sera, ho le mani che mi tremano?»

«Immagino, non per il lavoro» ipotizzò lei, sorridendo a mezzo.

Lui rise sghembo e scosse il capo, asserendo: «Oh, no di certo. Devo ancora ringraziarti per le gentilezze che le hai tributato. Sa essere logorroica, quando vuole, e tu non avevi nessun obbligo verso di lei.»

Iris poggiò la tazza sul vicino tavolino in legno e, pensierosa, allungò gli avambracci sulle cosce, mormorando: «Chelsey mi è piaciuta subito, devo ammetterlo. Quando ero a L.A. mi è capitato spesso di frequentare dei centri per l’infanzia, perciò sono abituata a stare coi bambini, ma lei ha qualcosa di speciale… e non lo dico per fare colpo sul padrone di casa.»

Ciò detto, ammiccò e Devereux, ghignando, assentì al suo dire.

«Chelsey è ciarliera e simpatica con tutti, come ti sarai già accorta, ma non è mai arrivata a chiedermi di conoscere una persona adulta. Proprio mai. Perciò, la cosa mi ha sorpreso e sì, mi ha un tantino preoccupato.»

Iris assentì cauta e Dev, terminando di bere il suo whisky, le domandò: «Cosa ti ha raccontato quella comare di Lucas?»

La donna sorrise divertita nel sentirlo apostrofare Lucas a quel modo, ma il più seriamente posssibile disse: «Mi ha spiegato il perché della tua… tirata nei boschi, chiamiamola così, e ci ha tenuto a precisare che non aveva una tresca con la tua ex.»

«Coscientemente, lo so anch’io, visto che lui è tanto gay quanto io sono etero, ma…» borbottò Dev, poggiando a sua volta il bicchiere sul tavolino. «…non riesco a trovare una spiegazione logica del perché lui abbia passato tanto tempo assieme a Julia, prima che lei… che lei se ne andasse.»

“Come faccio a dirti che una tresca è l’ultima cosa che c’era tra di loro?”, pensò tra sé Iris, trovandosi combattuta tra il desiderio di dirgli la verità e l’obbligo di tacere.

«Forse, Julia poteva dire alcune cose a Lucas, ma non a te. Può darsi non se la sentisse, o avesse paura di un tuo biasimo» tentò cauta Iris, ritrovandosi gli occhi di ghiaccio di Dev puntati addosso.

«Con tutto il rispetto, ma tu non conoscevi lei, come non conosci noi. Detto ciò, credo sia ora di andare a nanna. Il whisky mi fa straparlare, e penso di essermi confidato a sufficienza, con un’estranea» sbottò Dev, levandosi dalla poltrona con fare rigido e offeso.

«Scusa, hai ragione» annuì Iris, accodandosi a lui prima di avvertire un pizzicore alle mani. «E’ già tanto che tu mi abbia accontentito a rimanere.»

«Da queste parti è normale prestare aiuto, specialmente con tempacci simili» scrollò le spalle Dev, salendo le scale dinanzi a lei e non accorgendosi, di conseguenza, della tensione palpabile sul viso di Iris.

Un pizzicore che non aveva nulla di buono spinse la giovane a guardare fuori dalla finestra, alla ricerca del cielo notturno e, tra sé, imprecò vistosamente dandosi dell’idiota.

Era mai possibile che si fosse dimenticata di…

A quanto pareva sì, perché lassù, bellissima e argentea, se ne stava una splendida luna piena, circondata dal mantello scuro della notte e dalle nubi ormai diradate della tempesta in disfacimento.

Stringendo le mani a pugno per l’ansia, si morse un labbro al pensiero di dover passare un’intera notte sotto lo stesso tetto con altre persone, persone del tutto incolpevoli e che non dovevano subire una sorte infausta a causa sua.

Perché diavolo non aveva pensato di controllare il lunario?! Perché non si era sincerata sul giorno esatto in cui vi sarebbe stata luna piena?

E dire che, prima di raggiungere Clearwater, era sempre stata assai sensibile, alla sua levata. Possibile che la giornata passata con Chelsey, insieme alle scampagnate con Lucas, l’avessero rilassata al punto tale da non notare una cosa così importante?

Forse, dopotutto, Lucas aveva ragione, e l’autocontrollo era vitale, per quelli come loro… ma come faceva a calmarsi, adesso?

Non era nel suo angolino protetto, ma tra persone quasi sconosciute e che lei non voleva ferire in alcun modo ma, soprattutto, non aveva alcun modo per allontanarsi da lì senza far nascere mille domande.

Come avrebbe fatto a superare la notte?

***

La casa era immersa nel più completo silenzio e, per quanto il letto in cui stava tentando di dormire fosse il più comodo che avesse mai provato, le era impossibile chiudere gli occhi.

Mentalmente, stava contando tutti i generi possibili di pecorelle, pur di non pensare alle due persone che dormivano a pochi passi di distanza da lei, potenziali vittime del lupo quale lei era.

Un tonfo sordo quanto improvviso spezzò il silenzio in cui era stata immersa fino a quel momento e, spaventata, Iris venne strappata al suo conteggio propiziatorio.

Allarmata, balzò a sedere sul letto per capire cosa fosse successo e, acuendo i sensi, cercò all’interno della casa dei potenziali rumori precursori di un pericolo.

Nel sentire un secondo tonfo, lanciò subito un’occhiata al bosco e tirò un sospiro di sollievo, chetandosi un poco. La neve, caduta copiosa fino a qualche ora prima, stava cadendo dai rami ripiegati dal suo peso.

«Dio mio che spavento…» mormorò sollevata Iris, ributtandosi sul letto per riprendere il suo mantra pecoroso.

Non appena chiuse gli occhi, però, il suo corpo si raggelò al suono indistinto di un mugolio, proveniente dalla vicina stanza di Chelsey.

Pur non volendo, lasciò che i suoi sensi si espandessero nuovamente, sperando che questo non risvegliasse la lupa e la facesse uscire dal suo corpo, non desiderata e non cercata.

Quando i suoi sensi acutizzati dall’ansia sfiorarono ciò che aleggiava attorno a Chelsey, si rese conto sgomenta della sua febbre alta e del suo malessere, e questo la spaventò.

Maledicendo la luna, la neve e persino la sua piccola auto, Iris si rigettò fuori dal letto e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza, indecisa sul da farsi.

Non poteva semplicemente fiondarsi nella camera di Chelsey per sapere come stava. Come avrebbe spiegato quel comportamento?

Ansiosa, quindi, afferrò il cellulare per chiamare Lucas perché venisse al più presto, ben più che certa che quello strano malessere avesse a che fare con la luna e la dubbia natura di Chelsey.

Quando, però, Iris scrutò lo schermo dello smartphone, si rese ben presto conto di una cosa spiacevolissima. Non c’era segnale.

Che la neve avesse danneggiato un ripetitore nella zona? Era possibile, visto che fino a poche ore prima aveva chiamato il campeggio senza alcun problema.

«Merda, merda, merda…» sussurrò sempre più agitata Iris, indecisa se correre dabbasso e usare il telefono fisso, oppure recarsi in sordina da Chelsey per tentare di calmarla.

Un altro rantolo, e il richiamo disperato rivolto al suo papà, le misero le ali ai piedi, chiudendo definitivamente la partita che aveva appena combattutto per trattenersi.

Uscendo praticamente di corsa dalla stanza da letto, si ritrovò nel corridoio un attimo prima di un assonnato quanto confuso Devereux.

Entrambi si guardarono senza capire bene cosa stesse succedendo ma, quando Dev si accorse delle condizioni della sua ospite, distolse in fretta lo sguardo e borbottò: «Forse dovresti rimetterti i jeans, se intendi girare per casa a quest’ora.»

Iris lanciò uno sguardo alle sue gambe, confusa, solo per rendersi conto che, in effetti, non solo indossava unicamente la sua maglietta e gli slip, ma che forse quel suo aspetto discinto poteva essere mal interpretato.

Annuendo in tutta fretta, perciò, tornò in camera, si infilò i pantaloni e uscì nuovamente, affacciandosi poi sulla porta della stanza di Chelsey per chiedere: «Sta male? L’ho sentita lamentarsi.»

«Devi possedere delle capacità di risveglio incredibili, visto che sei già pienamente operativa» gracchiò Dev, sbadigliando sonoramente prima di sfiorare con il dorso della mano la fronte febbricitante della figlia.

«Papà… ho male, tanto male…» si lagnò la bambina, guardandolo con occhi rossi e spaventati.

In barba a ciò che aveva appena detto a Iris, Dev osservò la figlia con sguardo più che sveglio e attento e, nel carezzarle il viso, le disse: «Ora ti vado a prendere un antipiretico per far abbassare questo febbrone, poi chiamo il dottor Seaver, va bene?»

«Se mi dici dov’è il numero, lo chiamo io, così tu puoi stare con lei…» propose Iris. “…e io posso chiamare Lucas senza che tu te ne accorga…”aggiunse poi tra sé.

«Non c’è bisogno che ti scomodi. Avete per caso giocato con l’acqua, ieri pomeriggio?» si informò Dev, dando un bacetto alla figlia prima di uscire dalla stanza assieme a Iris.

«No, affatto. Siamo state per la maggior parte del tempo nel camper, a suonare con la chitarra» gli spiegò Iris, scuotendo il capo e avviandosi con lui verso le scale.

Fu lì che Dev tentò di accendere la luce e, imprecando, si rese conto che mancava anche la corrente elettrica.

«Perfetto. Senza corrente, non va neppure il telefono fisso» si alterò Devereux, tornando sui suoi passi per entrare nel suo studio.

Iris lo seguì a ruota, non sapendo come avvisarlo che anche i cellulari erano fuori uso – doveva dirgli che era una nottambula malata di social network, forse? – quando, a sorpresa, Dev tirò fuori una vecchia radio a onde corte.

«E quella?»

«Non è insolito che avvengano dei black-out da queste parti, in inverno, perciò quasi tutti, a casa, abbiamo anche una radio per comunicare con il dottore, o con l’ufficio della polizia» le spiegò in fretta Dev, sistemando l’apparato sul suo tavolo da lavoro. «Essendo a batteria, funziona anche senza luce. Spero solo che… sì, c’è corrente. Bene.»

Sincronizzando il segnale, Dev chiamò quindi il locale centro medico, aperto anche di notte, e chiese del pediatra.

«Dev, sono Patty. Patty Simon. Al momento il pediatra è fuori per un’urgenza ma, non appena rientra, gli dico di passare da te. Per ora, se la febbre rimane alta, falle degli impacchi con acqua fredda e mantienila idratata. Passo.»

«Grazie, Patty. Ti farò sapere se l’emergenza rientra. Passo e chiudo» mormorò Dev, spegnendo temporaneamente la radio per non consumare le batterie.

Spiacente, Iris fece per dirgli qualcosa quando, a sorpresa e sgomentando entrambi, l’urlo di Chelsey frantumò il silenzio teso della notte e il loro già precario equilibrio mentale.

Subito, Dev si catapultò verso la porta, quasi travolgendo Iris che, solo a stento, riuscì a schivare quel proiettile umano di cento chili di muscoli.

Dopo aver recuperato l’equilibrio, comunque, lo seguì a ruota nella stanza adiacente, e ciò che vide la rese perfettamente consapevole che sì, Chelsey sarebbe diventata come la madre e sì, sarebbe toccato a lei aiutarla.

Quelle che squassavano il corpo della bambina non erano normali convulsioni, Iris lo sapeva bene.

Rammentava con fin troppa chiarezza il video in cui si era vista crollare a terra, come colpita da un maglio, e piegarsi fino a raggiungere angolazioni ritenute innaturali per un corpo umano, prima di spezzarsi e cambiare.

Era stato sconvolgente e persino terrificante e, per giorni interi, aveva faticato a venire a patti con ciò che aveva visto ma, alla fine, aveva dovuto accettarlo.

Chelsey stava per subire la stessa sorte, a quanto pareva, e lei era l’unica in grado di fare qualcosa.

Avvicinandosi perciò a Dev, che stava tentando di trattenere invano il corpo tremante della figlia, disse perentoria: «Allontanati da lei, Dev. Ci penso io.»

«Che diavolo dici, ragazza? Peserai quaranta chili coi vestiti, e vieni a dire a me, a suo padre, di allontanarmi? Non riusciresti neppure a evitarle di muovere una mano, figurarsi sopportare questi tremori!» le urlò contro Devereux con occhi iniettati di rabbia e paura.

“Non ce l’ha con te, è solo spaventato per lei” si disse tra sé Iris, non volendo prendere sul personale quel tono così furibondo e irrispettoso.

Ignorandolo, perciò, Iris si piegò verso Iris dal lato libero del letto e, gentilmente, le disse: «Chelsey, sono Iris. Mi senti? Non aver paura. Non lottare. Non sei da sola, davvero. Ti aiuterò io.»

La bambina volse a stento il viso verso di lei e, levando una mano scossa da violenti tremori, balbettò: «Urla…m-mi urla c-contro…»

«Lo so, lo so, ma tu asseconda la voce… credo sia meglio… se puoi, lasciati andare. Dovrebbe essere più facile.»

Lei, dopotutto, era svenuta per il troppo dolore e il resto era venuto da sé. Le ossa le si erano spezzate le une dopo le altre e il pelo, misto a un liquido viscido e giallastro, era scaturito dalla sua pelle cambiandole letteralmente i connotati.

Forse, svenendo, lasciandosi trasportare dal dolore e dal cambiamento, Chelsey avrebbe avuto il compito facilitato.

«Di cosa cavolo stai parlando?!» le urlò contro Dev, scansandola a forza da sua figlia.

La luna piena, unita alla bestia che urlava in lei e al bisogno di proteggere Chelsey, fecero muovere qualcosa dentro Iris che, furibonda, si scagliò verbalmente contro Dev, ringhiando con voce metallica: «Devo aiutarla

Devereux la fissò stralunato, a quel punto e, sgomento, gracchiò: «Cos’hanno i tuoi occhi?»

Iris non gli rispose e, tornando a scrutare Chelsey, le prese entrambe le mani e disse ancora: «Segui la mia voce, piccola. Forse, in due, riusciremo a combinare qualcosa di buono.»

La bambina fece per sorridere, ma una seconda ondata di tremori la colpì e, stavolta, la schiena le si inarcò a tal punto che Devereux cercò di trattenerla a forza perché non si spezzasse.

E’ sbagliato frenarla…

Quelle parole rimbalzarono nella sua mente come un bang sonico. Il tono accorato e premuroso di quella voce diede sufficienti sicurezze a Iris per agire perciò, non sapendo che altro fare, scansò le mani di Dev con la mera forza bruta, ringhiando: «Lasciala stare… deve muoversi come le dice il corpo.»

Ancora quella voce metallica, quegli occhi non più verdi ma azzurri come i lapislazzuli, notò sgomento e confuso Devereux. Ma che diavolo stava succedendo?

Non poco irritato per quella intromissione, lui tentò di tornare accanto alla la figlia, ma si ritrovò ad affrontare qualcosa per cui, forse, non era davvero pronto. Non in quel momento, per lo meno.

Iris si mosse con velocità inumana, ponendosi di fronte al corpo dolente di Chelsey e, allargando le braccia a formare una barriera esile ma apparentemente invalicabile, sibilò: «Non puoi toccarla, ora. E’ meglio per tutti se esci da qui

Devereux non la ascoltò e le afferrò un braccio per spostarla… ma lei non si mosse di un millimetro.

Questo, più ancora della sua strana velocità o degli occhi dagli strani colori, lo lasciò senza parole così come privo di forze e Iris, tornando un minimo in sé, mormorò: «Scusami. Non voglio farle del male, ma lei potrebbe farne a te, tra poco. Lasciami con lei. Farò di tutto per salvarla… ma tu non avvicinarti. E non odiarci, se puoi.»

Ciò detto, scansò la mano di Devereux – paralizzato a un passo da lei e con gli occhi spalancati per lo sconcerto – e tornò accanto a Chelsey, carezzandole il corpo e cercando di confortarla come meglio poté.

Dev non riuscì più ad aprire bocca, o a muovere muscolo, nei minuti seguenti. Ciò che il suo corpo stava registrando era così assurdo, così incredibile che solo a stento riusciva a restare cosciente per seguirlo attimo dopo attimo.

La sua bambina, la sua fagiolina, si stava letteralmente spezzando di fronte a lui, mentre una Iris in lacrime tentava di confortarla, dicendole che presto tutto sarebbe finito e che lei sarebbe stata meglio.

Come? Come avrebbe potuto stare meglio, con le ossa che dilatavano la sua pelle fin quasi a dilaniarla per…

Fu un attimo, e poi il mondo si capovolse nella sua mente.

Ciò che vide dinanzi a lui non era più una bambina incantevole, la sua bambina incantevole, ma un essere fatto di pelo e zanne e artigli.

Un lupo, ma molto più grande del normale, dotato di una folta pelliccia grigia e nera e che, con una goffaggine innaturale, cadde addosso a Iris, schiacciandola sul pavimento.

Invece di essere preoccupata, o terrorizzata, Iris si mise a ridere. Ridere e piangere insieme, a ben vedere, forse del tutto impazzita di fronte a quello scherzo della natura, a quella scena da film dell’orrore.

Il lupo che era sorto dal corpo dilaniato di sua figlia uggiolò, guardando Dev con occhi spauriti e dolenti.

Quest’ultimo, ancora incapace di dire o fare alcunché, si limitò a fissare quell’animale senza trovarvi nulla della figlia, senza capire dove diavolo fosse finita sua figlia.

Fu a questo punto che Iris si levò con facilità da terra, incurante del peso del lupo su di lei e, sospingendo delicatamente Dev fuori dalla stanza, disse: «Tornerà da te, ma non sarà più soltanto Chelsey. E ora, scusami ancora, ma vorrei…»

L’attimo seguente, Iris si dovette piegare a terra, preda di violenti tremori e, così come era successo per il corpo della sua bambina, anche quello di Iris si spezzò e mutò dinanzi a lui.

E questo, stranamente, fu davvero troppo, per Dev.

Tutto si fece buio, dinanzi a lui e, senza accorgersene, crollò a terra svenuto, lungo riverso sul pavimento.

Iris non poté che sincerarsi delle sue buone condizioni prima di allontanarsi spiacente dal suo corpo privo di sensi. In quel momento, era più importante prendersi cura di Chelsey.

Al resto, a tutto il maledettissimo resto, avrebbe pensato dopo.

***

Quando Dev si riprese, impiegò alcuni istanti prima di comprendere dove fosse. Era disteso lungo il corridoio di casa sua, con un gran mal di testa a tenergli compagnia, un bernoccolo notevole sulla nuca e nessuna idea del perché si trovasse lì.

Rialzandosi a fatica in piedi, si accigliò un poco quando vide la luce del sole penetrare dal rosone in fondo al corridoio. Visto che il sole era così altro, lui avrebbe già dovuto essere al lavoro, e Chelsey a scuola.

Il pensiero di Chelsey, al pari di una bomba atomica, fece esplodere nella sua mente una serie di immagini confuse e spaventose, tutte mescolate assieme e una più terrificante delle altre.

Ognuna di esse, comunque, terminava con sua figlia nelle forme di un lupo, al pari di una spiacente quanto risoluta Iris.

A quel punto, con estrema lentezza, volse lo sguardo verso la porta aperta della stanza della figlia, non sapendo esattamente cosa aspettarsi.

Tutta quella situazione era ben oltre il paradossale e, già il fatto di essersi risvegliato, in pigiama e sdraiato sul pavimento, non aiutava a renderla migliore.

Ugualmente guardò e, del tutto incapace di proferire parola, si avvicinò e scrutò basito le due figure abbracciate e distese sul pavimento di parquet della stanza di Chelsey.

Tutto era divelto, graffiato, squarciato o semplicemente distrutto, in quella splendida cameretta da signorina.

Niente si era salvato, a parte la bambina e la donna stese a terra, nude e abbracciate l’un l’altra in posizione fetale, la grande a proteggere la piccola, raggomitolata tra le sue braccia strette e sicure.

Fu quello a impedirgli di ammattire del tutto. La visione della dolce risolutezza con cui Iris stava proteggendo, anche nel sonno, la sua fagiolina, di nuovo bimba, di nuovo nelle sue fattezze tenere e pure, lo bloccò dall’urlare come un folle.

Sembrava davvero impossibile credere a ciò a cui aveva assistito quella notte. Normalmente si sarebbe dato del pazzo, al solo pensare che fosse realmente accaduto, eppure la camera distrutta e gli abiti in briciole sparsi per la stanza, parlavano chiaramente.

Il punto era accettarlo e, soprattutto, digerirlo senza ammattire, senza perdere il controllo e la testa.

Afferrando una coperta miracolosamente scampata al massacro, coprì entrambe per il timore che avessero freddo e, accucciatosi ai loro piedi, attese.

Attese che una di loro si svegliasse, attese l’attacco di panico o la crisi di nervi, attese semplicemente.

Perché, che altro potevi fare, se la tua bambina si tramutava di colpo in un lupo grande quanto un pony, e la donna che ti aveva cucinato i migliori manicaretti di sempre, era diventata come lei?

Passandosi le mani tra i capelli in disordine, Dev si domandò fuggevolmente cosa avrebbe potuto dire alle insegnanti, per scusarsi per la mancanza di Chelsey a scuola.

La febbre? Un raffreddore? Che cosa?

Dei movimenti sotto la coperta strapparono Dev a quei pensieri errabondi e, quando vide Iris nell’atto di alzarsi, mormorò roco: «Sei nuda come un verme, ti avverto.»

Lei si bloccò per un istante, rintuzzò la coperta sotto il mento e, poggiandosi su un gomito, mormorò: «B-buongiorno.»

«A te» borbottò Dev, lanciando poi un’occhiata a Chelsey. «Lei sta bene?»

«Il peggio è passato» mormorò Iris, carezzando con lo sguardo la figura addormentata della bambina. «Ora, immagino che tu voglia delle spiegazioni.»

«Sarebbe il caso. Cosa le hai fatto? E’ colpa tua?» le domandò in sequenza, pur senza alcuna acredine. Se era come immaginava, non solo Iris non c’entrava nulla, ma aveva appena salvato la sua bambina. Però… doveva chiedere. Doveva capire che diavolo era successo in quella casa.

Anche Iris dovette intuire ciò che era nascosto dietro alle domande di Dev, perché non si irritò affatto e scosse il capo, replicando: «Non è colpa mia, esattamente come per lei. Siamo ciò che siamo a causa di altri.»

Ciò detto, gli mostrò la ferita slabbrata sul braccio e aggiunse: «Fui aggredita e ferita da un lupo mannaro e, alla prima luna piena, divenni ciò che hai visto.»

«Da sola?» borbottò Devereux, sollevando un sopracciglio per la sorpresa.

Iris assentì. «Per questo, ho detto a tua figlia di lasciarsi andare al dolore. Io svenni, quella notte, e il mio corpo fece il resto. Sopravvissi. In seguito, mi misi in viaggio per capire chi ero, o se fosse possibile invertire la cosa… e infine giunsi qui.»

«E ti fermasti» aggiunse Dev, prima di spalancare gli occhi e gracchiare: «Lucas?»

Iris assentì ancora, mormorando spiacente: «Per questo, bazzicava attorno a Julia. Voleva aiutarla, poiché lei aveva subito volontariamente ciò che io ho ricevuto con la forza.»

Dev sgranò gli occhi, a quelle parole e, imprecando, picchiò un pugno sul pavimento, ringhiando: «Ma che le diceva la testa?! Avrebbe potuto dirmelo! Avvertirmi! Prepararmi per… per Chelsey!»

Iris lasciò che si sfogasse, pensandola esattamente come lui. Era stato irresponsabile lasciare un padre inerme, e una figlia inconsapevole, di fronte a un potenziale disastro come quello.

Per quanto Julia fosse stata impaurita e demoralizzata, avrebbe dovuto pensare anche – e soprattutto – alla sua bambina e al suo compagno, lasciati in balia di qualcosa che non si aspettavano potesse avvenire.

Le invettive di Devereux dovettero turbare il sonno di Chelsey perché, dopo alcuni attimi, la bambina si svegliò confusa per poi puntare i suoi occhioni nocciola sul viso ora sorridente di Iris.

«Iris… ma cosa…» mormorò la bambina, prima di rendersi conto della presenza del padre.

I suoi occhi si riempirono immediatamente di lacrime e Dev, prima che lei potesse dire – o pensare – qualsiasi cosa, si accucciò accanto alla figlia e, allungata una mano per carezzarle la guancia, mormorò: «Ciao, fagiolina. Come stai, stamattina?»

«Cos’è successo, papà?» piagnucolò la bambina.

«Ce lo faremo spiegare da Iris che, io credo, è quella che ne sa di più, tra noi tre ma, prima di tutto, mi sa che dovete vestirvi, perché avete fatto una festa un po’ incasinata, stanotte, a quanto pare» chiosò Dev, cercando di mettere dell’ironia nella sua voce per non spaventare la figlia.

Chelsey si guardò intorno spaventata e, inconsapevolmente, cercò Iris, abbracciandola stretta. Lei non si rifiutò e, anzi, la tenne stretta a sé, baciandole i capelli e mormorandole: «Va tutto bene. Il papà è tanto bravo che la rimetterà a posto, e io ti riprenderò i poster di Ariana Grande, va bene?»

«O-okay» balbettò la bambina.

Dev, a quel punto, si rialzò da terra e, guardando Iris, disse: «Mettiti una delle mie camice, visto che i tuoi vestiti sono a brandelli. Magra come sei, dovrebbe farti da abito.»

«Okay» disse a sua volta la donna, annuendo.

Ciò detto, Devereux scese dabbasso a passo lento, ancora un po’ frastornato e, non sapendo che altro fare, scaldò la macchina del caffè e preparò la colazione.

Con brevi parole, raccontò due frottole alla scuola e altrettante ai suoi dipendenti dopodiché, accomodatosi su una sedia, si scolò il suo primo caffè di giornata, ben sapendo che non sarebbe stato l’ultimo.

 

 

 

 

N.d.A.: direi che abbiamo capito almeno in parte il motivo per cui Iris si sentiva così attratta da Chelsey, e perché desiderasse starle vicino. L’istinto materno, nelle lupe, è molto forte, e questo influisce anche sui comportamenti inconsci di Iris. Anche se, ovviamente, non è l’unico motivo… ma ne parleremo in seguito.

Ora, resta da capire se Devereux avrà la forza per sopportare tutto ciò che Iris gli dirà. Come battesimo del fuoco non è stato dei migliori, voi che dite?

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


6.

 

 

 

 

Iris non sapeva se sentirsi più imbarazzata, tesa o semplicemente fuori di sé dall’ansia.

Era nella casa di un uomo che conosceva da quanto, cinque minuti?, e stava per spiegargli una delle cose più destabilizzanti e assurde che potessero esservi al mondo.

Inoltre, sentiva imperante il bisogno di aiutare la piccola Chelsey che, avvoltolata nella sua tuta da ginnastica bianca e rosa, sembrava un confetto, tanto era dolce e carina.

In tutta onestà, aveva pensato che Devereux sarebbe impazzito di rabbia, una volta rinvenuto dalla svenimento, ma le era stato chiaro fin da subito che l’amore per la figlia gli avrebbe impedito qualsiasi crisi di nervi.

Il punto era che, prima o poi, sconcerto, paura e confusione sarebbero eruttati anche nel suo cervello, ed era imperante che Iris gli spiegasse ciò che sapeva prima che questo avvenisse.

Il contraccolpo emotivo sarebbe stato più gestibile, o almeno lei lo sperava.

«E se non mi vorrà più?» domandò per la centesima volta la bambina, seduta su ciò che rimaneva del suo letto mentre Iris le sistemava i capelli in una treccia.

Come figlia unica, non si era mai occupata di fratelli o sorelle più piccoli, era sempre e solo stata lei la cocca di casa.

Certo, si era presa cura dei bambini nei centri diurni, ma solo dal punto di vista didattico e, anche con sua cugina Liza, si era trattato più di un rapporto alla pari, che tra ragazze di età diverse.

Ora, avere a che fare con la piccola Chelsey e sentirsi in dovere di aiutarla e, soprattutto, di essere la sua scialuppa di salvataggio nella tempesta in cui era finita suo malgrado, la faceva sentire strana.

Che dipendesse anche quello dalla sua doppia natura? Dopotutto, i lupi erano ferocemente protettivi nei confronti dei cuccioli del branco.

Sorridendo perciò alla bambina, Iris mormorò: «Non mi sembra che il tuo papà si sia comportato come una persona che volesse cacciarti via di casa.»

«Ma quando… quando sono…» tentennò lei, ricominciando a piangere.

Iris la abbracciò, replicando dolcemente: «Concedigli la paura del momento, Chelsey. Di certo, nessuno si aspetta che la propria bimba diventi un lupo enorme dall’oggi al domani, ti pare? Stamattina mi è parso molto più in sé.»

«Tu non mi lascerai sola, vero?»

«No di certo» e, nel dirlo, sapeva che era la pura verità. «Ma neppure tuo padre ti lascerà, credimi. E ora, scendiamo.»

La bambina assentì di malavoglia e Iris, nel darle la mano, si disse che, presentarsi alla tavola di un uomo con la sua camicia addosso e con solo un paio di sneaker ai piedi, non era il massimo, come presentazione.

Tant’era, comunque, non poteva farci niente, perciò avrebbe vestito i panni dell’avvocato difensore anche se sembrava appena scappata da un terremoto.

Cosa che, a livello psicologico, non si discostava molto dalla realtà, in ogni caso.

Era la prima volta che si trasformava dinanzi a uno spettatore e, di sicuro, non aveva previsto che quello spettatore fosse un perfetto sconosciuto, o quasi.

Dopo aver percorso assieme le scale e aver svoltato in direzione della cucina, Iris e Chelsey dovettero fermarsi per lo stupore, perché la tavola era imbandita come nel giorno di Natale.

Focaccine calde si affiancavano a brioche e biscotti secchi, mentre due cioccolate calde ancora fumanti le attendevano assieme a del pane già imburrato, con tanto di marmellate pronte per essere spalmate.

Devereux, seduto su uno sgabello del piano bar, i gomiti sulle ginocchia e il mento poggiato sulle mani aperte, balzò a terra non appena le vide e, arrossendo suo malgrado, borbottò: «A-avete fame?»

A ben pensarci, Iris aveva sempre fame, da quando era diventata un lupo mannaro e, per quanto si fosse sforzata, non era mai riuscita a reintegrare le energie perse.

In quei due anni di pellegrinaggio in giro per il continente, era arrivata a perdere quasi dieci chili di peso e, per una ragazza già magra come lei era dal principio, aveva prodotto un autentico cataclisma sul suo corpo.

Ora, appariva davvero troppo magrolina ed emaciata, anche per i suoi standard molto esigenti in fatto di linea.

Vedere tutto quel ben di Dio, quindi, le fece brontolare lo stomaco e, sorridendo imbarazzata, asserì: «Credo proprio che ci abbufferemo. Tu che dici, Chelsey?»

La bambina assentì e, non appena si sedette al suo solito posto, Dev la raggiunse e le sfiorò la fronte con una mano per controllare la febbre. La sua temperatura anomala, però, lo portò ad aggrottare subito la fronte.

«Pensavo che… che la febbre sarebbe passata, dopo… beh, dopo tutto questo…» tentennò lui, non sapendo come esprimersi al meglio.

Iris gli sorrise comprensiva e, invitandolo a sedersi, disse: «Ho chiesto a Lucas, e me l’ha confermato. Abbiamo una temperatura corporea più alta, rispetto agli altri. Si aggira intorno ai trentanove, quaranta gradi. Credo dipenda dal metabolismo accelerato, o qualcosa di simile. Immagino sia anche per questo che non riesco mai a reintegrare ciò che consumo.»

«Per questo sembri malata?» domandò Dev, accennando un sorrisino nervoso.

«Non sono mai stata robusta, ma ora sono sempre sottopeso e mi sento stanca e spossata il più delle volte. Credo dovrò chiedere a Lucas che dieta fa, perché lui mi sembra in perfetta salute» borbottò Iris, ingollando quasi tutta la cioccolata in un’unica sorsata. «Dio, che buona!»

Devereux tornò a sorridere appena, ora in maniera più disinvolta, e gliene versò un’altra dose.

«Papà…» mormorò Chelsey, attirando la sua attenzione.

Lui le sorrise con maggiore forza, le scostò una ciocca ribelle dal viso e disse: «Dimmi, fagiolina.»

Al solo sentire quel nomignolo, Chelsey minacciò di piangere ancora ma, facendosi coraggio, scacciò le lacrime e domandò: «Mi vuoi ancora bene?»

Dev sgranò gli occhi, sgomento alla sola idea che la sua bambina potesse aver temuto di non essere più amata e, dopo essersi levato dalla sedia, la abbracciò stretta e mormorò: «Sei e sarai sempre la mia bambina. Solo un po’ diversa, adesso.»

Iris li osservò con occhi colmi di emozione, sentendo il proprio cuore scoppiare di gioia. La sua lupa stava ululando felice, lieta che l’umano avesse accettato il lupo, e lei non poté che essere d’accordo.

Quando infine tornò a sedersi, lasciando che la figlia potesse mangiare più agevolmente, Dev scrutò Iris e le domandò: «Cosa puoi dirmi?»

«Ben poco, temo, ma posso assicurarti che, d’ora in poi, quando Chelsey muterà, non sentirà dolore. Sarà sempre un po’ traumatico da vedere, ma lei non avvertirà alcunché.»

Dev assentì cauto e Iris, spinta a parlare, aggiunse: «Da quel che ho capito, siamo legati alla luna piena e, a dir la verità, ieri notte è stata la prima volta in cui sono riuscita più o meno a controllare la mutazione. Lucas mi ha detto che è tutta questione di concentrazione, e che non è affatto obbligatorio mutare al richiamo della luna.»

«Richiamo… della luna?» ripeté Devereux, confuso.

Scrollando le spalle, sentendosi assai incompetente di fronte alle sue domande, Iris disse: «Non so in quale altro modo chiamarlo. Hai sentito le voci nella tua testa, vero, Chelsey?»

«La donna che mi chiamava. Sì. Dopo un po’, non urlava più, come dicevi tu» assentì la bambina.

«Neppure Lucas sa cosa sia, ma è convinto che sia strettamente legato a ciò che siamo. Vedila come una sorta di madre della specie, o qualcosa del genere» asserì Iris, gesticolando con le mani.

«E dopo?»

«Beh, ecco, dopo sei come al solito, e anche no. Sei sempre una persona che pensa come prima ma, in più, senti le cose in modo diverso. Per esempio, so che sei nervoso nonostante le apparenze, perché la tua sudorazione è accentuata e il battito del tuo cuore è accelerato» gli spiegò la donna, facendolo irrigidire per diretta conseguenza.

Devereux si annusò dubbioso e Iris, ridendo di questo comportamento molto naturale, aggiunse: «Non sudorazione cattiva. Sento solo che la tua pelle emette più vapore acqueo del normale. Tutto qui. Non puzzi, tranquillo.»

«Meno male!» gracchiò sgomento Dev, prima di lanciare un’occhiata alla figlia per domandarle: «Lo senti anche tu?»

Lei assentì e Dev, sospirando, si lasciò un po’ andare lungo la sedia, borbottando: «D’accordo. Super udito e super naso. Che altro?»

Iris sorrise divertita, grata che l’uomo tentasse di fare dello spirito per alleggerire la tensione e, scrollando le spalle, domandò: «Hai visto, no, stanotte? Corro piuttosto veloce, e posso bloccarti senza sforzo.»

«Cosa che mi irrita parecchio, ma soprassiederò» brontolò Dev. «Quindi, la mia fagiolina potrebbe sollevarmi con un dito in stile Hulk?»

«Non te lo so dire. Non abbiamo testato la sua forza, dopotutto, e non so come siano i bambini di lupo mannaro» ammise Iris.

Dev rabbrividì nell’udire quell’ultima parola e, passandosi nervosamente le mani tra i capelli, sbottò: «Cristo santo, ma come hai fatto a non dare di matto?»

Chelsey si rattrappì appena sulla sua sedia, e subito Dev allargò le braccia perché le salisse sulle ginocchia.

La bambina accettò l’invito e il padre, stringendola forte a sé, mormorò: «Ce la sto mettendo tutta, piccola, ma il tuo papà è solo umano, e ci mette un po’ a carburare. Dagli qualche minuto per riprendersi, okay?»

«Sì, papino» annuì la bambina, chiudendo gli occhi e assaporando il calore delle braccia del padre strette attorno a sé.

Iris sorrise comprensiva, mormorando: «Ho passato quasi due settimane chiusa in casa, dondolandomi seduta per terra, in mezzo al disastro che avevo combinato. Sembravo davvero pazza, credimi, e solo a stento sono riuscita a convincermi a uscire di casa. Successe il giorno in cui mi dissero che i miei genitori erano morti in un incidente.»

Dev sussurrò un ‘cazzo’ a fior di labbra e la donna, scrollando le spalle, aggiunse: «Non mi lasciai andare solo perché zio Richard mi disse che, indipendentemente da tutto, i miei genitori non avrebbero voluto che io, beh… mi abbandonassi all’oscurità. Secondo Lucas, se non ci fosse stato lui, avrei potuto trasformarmi in un momento qualsiasi, a causa del dolore provato. E allora sì che sarebbero stati guai.»

Non voleva usare le parole morte o prigionia di fronte a Chelsey, se riferita alla loro attuale condizione. Era assurdo crearle del panico inutile, quando c’erano già abbastanza cose da affrontare.

Annuendo, Dev baciò distrattamente i capelli della figlia, ancora seduta sulle sue gambe e abbracciata stretta a lui.

Era evidente quanto, quel contatto con qualcuno di così familiare, fosse corroborante per entrambi. Il cuore di Dev stava lentamente calmandosi, così come quello di Chelsey, fino a quel momento sfarfallante di nervosismo.

Contatto fisico. Lucas aveva dannatamente ragione. La lupa che era dentro di lei agognava a sua volta a un abbraccio, ma sarebbe stato maledettamente imbarazzante chiederne uno, in quel momento.

«Quindi, ora che facciamo?» domandò a quel punto Dev, indicando sia Iris che se stesso con aria inquisitoria.

Quell’uso del plurale fece molto piacere a Iris, che si sentì non solo presa in causa, ma anche accettata all’interno di quello che, fino a quel momento, era stato solo un duo padre/figlia.

Poco importava se Dev la vedeva solo come un veicolo per aiutare la figlia. Era bello non essere soli.

«Per prima cosa, dovremmo parlarne con Lucas. Lui ci è nato, con questa cosa, visto che si è trasformato come ha fatto Chelsey, e non da adulto come me e…»

Tappandosi la bocca per non proseguire, Iris si diede mentalmente dell’idiota per non aver pensato prima di parlare, ma Dev scosse il capo e aggiunse: «… e Julia, vero?»

Iris assentì spiacente e Chelsey, guardando dubbiosa sia il padre che Iris, domandò: «La mamma era come sono io ora? Per questo mi è successo?»

«A quanto pare sì, tesoro. Chiederemo a Lucas, non temere. Lui ci spiegherà e ci aiuterà» le promise Dev, cercando di infonderle delle certezze che, probabilmente, lui non aveva affatto.

***

Il rumore del motore della sua Smart la fece sorridere. Dopotutto, la nevicata non aveva fatto morire la batteria. Era già qualcosa.

Inoltre, il caldo di quella mattina aveva già fatto sciogliere gran parte della neve caduta la notte precedente, lasciando al suo posto del nevischio bagnato e scivoloso.

Niente di più facile, per un’auto del genere, che finire in un fosso o direttamente fuori strada.

Dev ci aveva visto giusto, convincendola a caricare la Smart sul suo pick-up, che utilizzava quando andava nei cantieri per lavorare.

Dopo aver disteso due scivoli dal cassone per poter far salire l’auto, Iris ve la posizionò dinanzi e, spento che ebbe il motore, ne discese e dichiarò: «Volevi sapere cosa posso fare, vero?»

«Perché so già che la risposta non mi piacerà?» si lagnò Devereux, accigliandosi.

Iris rise comicamente e spinse l’auto sugli scivoli senza alcuna fatica, portando Dev a imprecare e Chelsey a ridere.

Quando la Smart fu degnamente caricata, e gli scivoli sistemati al fianco, Iris chiuse il portellone del pick-up con una spinta e sorrise, mimando la posizione di Superman.

«Queste cose affonderebbero l’autostima di qualsiasi uomo» borbottò Dev, scuotendo il capo e salendo sul pick-up con aria funerea.

Iris rise nuovamente, trovando quel commento davvero comico, e la tenacia di Dev nel volersi dimostrare all’altezza della situazione, esemplare.

Era chiaro quanto tutta quella situazione lo stesse mettendo in difficoltà eppure, per la sua bambina, stava facendo di tutto per accettare ogni stranezza e, magari, riderci anche sopra.

Mentre Chelsey si sistemava accanto al padre, Iris prese posto sul lato della portiera e, sorridendo divertita, asserì: «Non devi abbatterti così, Devereux. Scommetto che, per essere solo un uomo, sei molto forte.»

Dev la fulminò con uno sguardo e, dopo aver messo in moto e fatto manovra, discese lungo lo stradello borbottando: «Non tirare troppo la corda, sottiletta.»

Chelsey rise di gusto ed esclamò: «Ha dato un nomignolo anche a te, Iris. E’ una buona cosa, no?»

«Oddio, paragonarmi a una fetta di formaggio spiattellata non è granché, come nomignolo, ma capisco che posso davvero sembrare tale, magra come sono» borbottò Iris, guardandosi le mani lunghe e sottili così come le gambe, davvero magre come sottilette.

La bambina, allora, si volse a guardare arcigna il padre e brontolò: «Trovale un altro nomignolo. L’hai offesa.»

«La chiamerò così finché non le avremo fatto mettere su peso, va bene?» propose allora Dev, ammiccando alla figlia.

Chelsey parve soppesare la cosa e, alla fine, si volse verso Iris e domandò: «Come vorresti essere chiamata, dopo?»

«Non ne ho idea. Papà mi chiamava angelo, da piccola, ma sai… i papà lo fanno. Tu, piuttosto, perché ti chiami fagiolina?» replicò Iris, curiosa.

Fu Dev a rispondere.

Con aria persa nei ricordi, mormorò: «Le feci vedere l’ecografia che facemmo quando… quando Julia la stava aspettando. Sembrava davvero un fagiolino e, da quel momento, Chelsey iniziò a correre per casa usando quella parola. Mi sembrò carina e gliela appioppai.»

«Volevo sapere se ero nata da qualcuno, e così il papà mi accontentò. All’epoca, ero una bambina molto sciocchina» dichiarò Chelsey con estrema serietà.

«Quanti anni avevi, scusa?»

«Cinque. Non avendo la mamma, non capivo come potessi essere la figlia di papà, e così…»

Iris la strinse a sé in un abbraccio spontaneo e, sorridendo, dichiarò: «Eri intelligentissima, altroché!»

Chelsey rise e Dev ringraziò mentalmente Iris per aver portato la figlia lontano da quel ricordo amaro.

Lo rammentava ogni giorno, premeva nella sua mente come un tarlo, a ricordargli quanto fosse stato stupido a fidarsi per così tanto tempo di una donna che non lo meritava.

Julia era sempre stata difficile, molto singolare ma lui, da bravo idiota, aveva pensato di essere l’unico in grado di poterla salvare da se stessa.

Forse, in qualche modo, ci era davvero riuscito, visto che non si era gettata da un ponte o non aveva affogato la sua bambina da piccola, ma non sapeva come stessero le cose in quel momento.

Ciò che però aveva fatto a Chelsey, aveva inaridito per sempre ogni stilla d’amore che aveva provato per lei.

Lui poteva accettare di essere stato lasciato, ci conviveva da otto anni e poteva conviverci per tutta la vita.

Ma la loro figlia? Come aveva potuto fare questo all’incolpevole Chelsey, lasciandola tra l’altro con un’eredità così pericolosa da gestire, e senza che lui ne fosse messo al corrente?

No, questo non glielo avrebbe mai perdonato. Per lui, Julia era morta.

***

Attraversando il paese ormai sgombro di neve, Dev imprecò sottilmente tra i denti quando, passando davanti allo Strawberry Moose, alcune persone lo additarono incuriosite, ridendo subito dopo.

«Ops» celiò Chelsey, sghignazzando.

«Cosa?» domandò Iris, incuriosita, guardandoli piena di domande inespresse.

«Paese piccolo…» brontolò Dev.

«…gente che mormora… lo so. E’ il detto preferito di Lucas. Ma che c’entra, adesso?» terminò di dire Iris, guardandosi intorno confusa.

«Tu. Sulla mia auto. Con la tua auto sul mio cassone. Fai due più due, sottiletta» sbuffò Devereux, imboccando la rotatoria per recarsi al camping.

«Non potresti avermi recuperato da un fosso? Da bravo samaritano quale sei?» ipotizzò Iris, cercando di sorridere divertita.

«E da quando in qua la gente non maligna per partito preso, senza sapere come stanno davvero le cose?» replicò irritato Dev.

«Sì, questo è vero, ma non ci trovo niente di male ad aiutare una persona a…» iniziò col dire Iris prima di bloccarsi, tapparsi la bocca per lo sgomento e mormorare tra le dita: «Hai una donna, forse? Oddio!»

«No che non ho una donna!» sbottò irritato Dev, mentre Chelsey rideva di gusto.

«Ad Alyssia piacerebbe, però» celiò la figlia, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del padre.

«Lavora allo Strawberry?» chiese in quel mentre Iris, notando subito dopo l’assenso di Chelsey.

«Sicuramente, glielo avranno già detto. Ma papà non le ha mai dato troppa confidenza, e lei ci rimane sempre male» confidò Chelsey, mentre Iris annuiva attenta.

«Ma dico, voi due! Farvi un po’ gli affaracci vostri, no?!» sbuffò Dev, avvampando d’imbarazzo.

Le due femmine esplosero in una calda risata complice e Devereux, nell’entrare nel campeggio, borbottò: «E poi mi domandano perché evito le donne come la peste. Parlate troppo, e a vanvera.»

Una nuova risata coinvolse le due e Dev, nel salutare Chuck all’entrata, evidentemente pronto per recarsi nella sua clinica veterniaria, disse: «Ti ho riportato una dispersa. Puoi mandarmi Lucas, così mi aiuta a scaricare l’auto?»

«Te lo mando subito. Bentornata, miss Walsh!» esclamò solare Chuck, cercando di fare finta di non notare la camicia che stava indossando Iris. Anche volendo, non avrebbe potuto passare per una delle sue neppure in mille anni.

Era chiaro come il sole che la camicia che stava indossando apparteneva a un uomo; le cadeva addosso come un sacco di patate e, pur con le maniche arrotolate, appariva comunque come un abito di ripiego.

Dev sbuffò, ripartendo di gran carriera per evitare che Chuck si spingesse a curiosare dentro l’auto, notando così le gambe nude della donna che aveva scortato fino a lì.

Lui le aveva notate eccome, ovviamente, perché non era cieco ed era ancora un uomo sano di corpo, se non di mente.

Sulla mente non era più tanto sicuro ma, se fosse sopravvissuto alle prime ventiquattr’ore, forse, nulla l’avrebbe più ammazzato.

Non era così che succedeva per le persone operate? Le prime ventiquatt’ore erano le più importanti. Anche se lui non aveva subito interventi di nessun genere, forse quella regola avrebbe potuto valere anche per lui.

Quando finalmente raggiunse il camper di Iris, lasciò perdere quei pensieri e parcheggiò in modo tale che la portiera dove si trovava la ragazza fosse accanto all’entrata del suo mezzo. Così, avrebbe potuto scendere senza che nessuno la vedesse.

Anche se erano presenti pochi avventori, per Dev erano già troppi. Un solo sguardo poteva formare una chiacchiera, e c’erano già fin troppe persone che lo avevano visto con Iris in una situazione potenzialmente esplosiva.

Non stava oggettivamente facendo nulla di male, ma non voleva avere problemi con le donne – pensava di avere già dato con gli interessi, in quel campo – e, in quel momento, la sua mente doveva essere concentrata solo sulla figlia.

Sapere di dover aver a che fare con Iris per via di Chelsey, che sembrava adorarla, era già un’impresa difficile da sostenere.

Non aveva bisogno che qualcun altro ci si mettesse in mezzo. E forse, dopotutto, avrebbe dovuto confrontarsi finalmente con Alyssia, come gli aveva consigliato a suo tempo Rock.

Cristo! Sembrava passato un secolo, eppure era trascorso solo un giorno. Era pazzesco come, in poco meno di venti ore, il mondo si potesse ribaltare.

«Papà… papà…» mormorò Chelsey, tentando di richiamare la sua attenzione.

Dev sobbalzò, si volse a guardarla e, nel notare che Iris non c’era già più, mormorò: «Dimmi, fagiolina.»

Indicando la portiera, Chelsey sghignazzò e disse: «C’è Lucas.»

Devereux allora sbuffò, scese dal pick-up e, scrutando un dubbioso Lucas, borbottò: «Aiutami a far scendere quella scatoletta, Maciste… poi, dovremo parlare un po’.»

«E’ successo, eh?» mormorò soltanto Lucas, accodandosi a Dev per scaricare la Smart.

«Già» disse soltanto Devereux, montando gli scivoli per poi sistemare il gancio di traino sulla parte posteriore dell’auto.

Così, almeno, avrebbero salvato le apparenze.

In quel mentre, Iris scese – finalmente vestita in modo apprezzabile – e, messasi al fianco di Chelsey, mormorò: «Come stanno andando le cose?»

«Papà è parecchio fuori. Dici che tornerà in sé?» domandò preoccupata la bambina.

«Credo proprio di sì. Quando hanno finito, di’ loro di salire sul camper. Io, intanto, preparo del caffè. Mi sa che dovremo parlare per un po’.»

«Ho di nuovo fame, Iris…»

«Anch’io, credimi. Ma ci faremo spiegare da Lucas come fare, va bene?» le strizzò un occhio lei, correndo nuovamente sul camper.

Chelsey la seguì con lo sguardo e, tra sé, sperò che Iris avesse nel suo freezer tante polpette di patate da far scaldare. Le erano piaciute un sacco.

***

Alla fine, Iris dovette scaldare non solo del caffè – a brocche – ma anche delle brioche perché la fame, nera e crudele, non concesse tregua sia a lei che a Chelsey.

A tal proposito, Lucas spiegò loro che, in quanto lupi, avrebbero dovuto aumentare l’apporto di proteine animali in quantità considerevole, così da abbattere lo stimolo della fame.

Dolci e pasta non facevano che aumentare il desiderio di mangiare, ma non saziavano mai completamente.

Zuccheri e carboidrati sarebbero serviti per mettere su peso, ma solo dopo una dose generosa di proteine animali per tacitare il lupo dentro di loro.

«E io che mi sono data alla pazza gioia, mangiando tutti i dolci che mi piacevano. Eppure, avrei dovuto notare che non mi facevano aumentare di peso» si lagnò Iris, sbocconcellando avidamente una brioche.

Lucas sorrise indulgente, asserendo: «Mia madre fece lo stesso errore, a suo tempo, rimpinzandomi di timballi di riso e cose simili. Restavo uno stecco su due gambe.»

Anche Dev intervenne, come colpito da un particolare, e asserì: «In effetti, per un certo periodo, pensai addirittura che tu fossi malato.»

«Le provammo tutte finché, un giorno, non le venne in mente di prepararmi una fiorentina al sangue, e lì capimmo. Naturalmente, mio padre ne rise per mesi, dicendomi che avevo sicuramente il verme solitario!» rise Lucas, tergendosi una lacrima d’ilarità.

«Immagino che dire la verità a un uomo tutto d’un pezzo come tuo padre, vi sia sembrata la scelta sbagliata, vero?» chiosò Dev, sorridendo a mezzo all’amico ritrovato.

«Beh, in effetti, dirgli che suo figlio diventa un bellissimo lupo bianco, sarebbe stato davvero folle» sottolineò Lucas, passandosi svogliatamente le unghie sulla maglia e facendo ridere Chelsey. «Onestamente, però, comincia a stancarmi il fatto di raccontargli sempre delle storie. Cioè, lo so che mio padre non concepisce neppure l’idea di guardare i film di fantascienza come Star Wars perché li reputa idioti, ma forse chiuderebbe un occhio, per suo figlio, se anche scoprisse che mette su pelo come Chubecca, o quasi.»

Dev sorrise a quel commento, dandogli ragione. Chuck Johnson era la persona più solida e coi piedi per terra che conoscesse.

Per lui esistevano solo e unicamente le cose tangibili, ciò che era logico e sensato e, tutto il resto, erano solo pagliacciate. Era buono come il pane, ma non si era mai lasciato traviare da nulla che non fosse fatto di solida materia, o debitamente giustificato dalla scienza.

Non a caso, era un ateo convinto. Il fatto che avesse sposato Clarisse, che invece era insegnante di Yoga e seguiva gli insegnamenti del Dalai Lama, era la cosa più sconvolgente che Clearwater avesse mai visto. Nessuno avrebbe dato un dollaro a quella coppia così agli antipodi, eppure aveva funzionato alla grande.

Era stata la conferma che gli opposti si attraevano davvero, e con gran successo.

«Ma perché siamo così, Lucas?» domandò a quel punto Chelsey, leccandosi subito dopo le dita ricoperte di glassa.

«Ottima domanda, Chelsey, ma non ne ho idea. Nel tuo caso, hai preso i geni di tua madre che, a sua volta, era stata ferita da un licantropo che decise di… beh, di contagiarla. Non so che altro termine trovare» ammise Lucas, scrollando le spalle. «Il caso di Iris è diverso, visto che il lupo in questione era ubriaco – e, per esserlo, doveva aver bevuto secchiate di alcol, visto che ho scoperto che lo reggiamo più che bene – e l’ha colpita involontariamente. Così come lei non ha chiesto di essere ferita.»

Sospirando, si indicò e aggiunse: «Il mio caso, infine, è più complicato ancora, visto che io ci sono nato, col gene, e senza che nessuno dei miei genitori fosse stato ferito da un licantropo, passandomi quindi il DNA modificato.»

«Consigli?» domandò a quel punto Dev. «Oggi passi, ma domani Chelsey deve tornare a scuola, e vorrei essere certo che non sbrani nessuno.»

«Non lo farei mai, papà!» sbottò Chelsey e, subito, i suoi occhi mutarono dal caldo color nocciola al più freddo grigio colomba.

«Ecco… era questo che intendevo. E’ successo anche a Iris, quando tentava di tenermi lontano da Chelsey. I loro occhi… mutano colore anche se sono ancora persone» disse Dev, rivolgendosi a Lucas.

Lui assentì pensieroso, dichiarando: «La rabbia aiuta la mutazione, così come la paura o l’ansia. Gli occhi sono il primo segnale di un cambiamento. Rock mi ha detto che anche la voce cambia, anche se io non me ne sono mai accorto.»

«Confermo. La voce di Iris era metallica, come se uscisse da un interfono scadente» assentì Dev, scrollando spiacente le spalle quando lei lo fissò sconcertata. «Scusa, ma è vero.»

«L’unico consiglio che posso dare a Chelsey è di contare fino a dieci. O a cento, se è particolarmente arrabbiata, e di non fissare direttamente una persona, se sente di non avere tutto sotto controllo» disse Lucas, sorridendo comprensivo alla bambina, che annuì coraggiosa. «Dovrai darti alla meditazione, temo, perché è l’unico modo veramente utile che ho trovato, negli anni, per trattenere rabbia e istinti. Sei anche un lupo, adesso, e dovrai sempre ricordartene. Gli altri saranno più deboli di te, anche i maschi grandi e grossi, perciò dovrai contenere i gesti e gli impulsi. Pensi di farcela?»

Chelsey guardò sia suo padre che Iris e, annuendo debolmente, tornò a rivolgersi a Lucas per dire: «Mi aiuterai anche tu, giusto?»

«Ma certo. E anche mia madre e Rock» la rassicurò Lucas. «Se vuoi, possiamo andare nel bosco per testare il tuo nuovo corpo. Immagino che tu non abbia scorrazzato per casa.»

«No, Iris si è trasformata e mi ha leccato il muso per liberarmi da quella cosa viscida che avevo addosso, quando sono riuscita a calmarmi, poi mi ha… detto di accucciarmi e di riposarmi, e così ho fatto» spiegò Chelsey, gesticolando nel parlare.

«Ottimo lavoro, Iris. Hai saputo calmare la bestia prima che potesse farsi del male» la plaudì Lucas, facendola sorridere.

«Sono andata a naso, onestamente, e pensavo che avere al fianco un altro lupo potesse aiutarla» ammise Iris, scrollando le spalle. «Certo, non è stato di aiuto a Dev, che non deve aver gradito molto la scena.»

Tastandosi il bernoccolo sulla nuca, l’uomo chiosò: «Sono andato giù come una pera cotta. Altra cosa che, unita allo spettacolo alla Hulk di stamattina, mi fa sentire molto poco maschio, al momento.»

Tutti risero di quel commento e Lucas, nel dargli una pacca sul braccio, dichiarò: «Rock ci ha ormai fatto l’abitudine. Puoi parlarne con lui.»

Devereux sospirò, si passò una mano sul viso e borbottò: «Coraggio, andiamo nel bosco. Ho bisogno di un battesimo del fuoco come Dio comanda, o non riuscirò a sbloccarmi. Al momento, sono in tilt.»

«Passerà, amico mio. Passerà» gli promise Lucas, sorridendogli.

Iris, a quel punto, si levò in piedi e disse: «Sarà il caso che prepari uno zaino. Stavolta, non partirò sguarnita.»

«Basterà che tu ti spogli, Iris» sottolineò Lucas, come se niente fosse.

Accigliandosi, Iris borbottò: «Davanti a voi? Neanche morta.»

Devereux non poté evitarlo. Fu più forte di lui. Accennò un ghigno beffardo e dichiarò: «Chi pensi ti abbia messo addosso la coperta, sottiletta?»

Iris lo fissò con espressione ai limiti dell’odio, i caldi occhi verdi divenuti ormai del colore dei lapislazzuli e, furibonda, sbuffò: «Questa me la pagherai cara, Devereux Saint Clair. Posso giurartelo.»

A quella minaccia, Dev scoppiò in una calda risata di gola e, suo malgrado, Iris dovette dare ragione a Chelsey.

La risata di Devereux era davvero splendida… anche se la stava prendendo bellamente in giro.

 

 

 

 

N.d.A: direi che Dev non se l’è cavata male e, anche se deve ancora mettere bene a fuoco la situazione, ha per il momento accantonato crisi di nervi, svenimenti o altro. Abbiamo inoltre scoperto – o riscoperto, visto che lo avevo già accennato nel terzo capitolo – che Lucas è un Fenrir, potendo contare su una candida livrea di lupo. Questo sottintenderà l’arrivo di altri Gerarchi? Lo scopriremo, ve lo prometto!

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 

7.

 

 

 

Alla fine, Iris si spogliò dietro un fitto cespuglio e, dopo aver sistemato i suoi abiti nello zaino e averlo appeso a un ramo basso, si piegò sulle ginocchia e mutò.

Ormai riusciva a farlo abbastanza bene, e senza fare troppi danni. Quando finalmente uscì allo scoperto, Dev fece un passo indietro prima di bloccarsi, guardarla con aria attenta e infine dire: «Sei un bel bestione, dopotutto. Così, non posso di certo chiamarti sottiletta.»

La Iris lupo snudò per un attimo i denti, prima di sedersi sul posteriore e aspettare paziente l’arrivo di Chelsey e Lucas, che stavano terminando di svestirsi.

Dev ne approfittò per affiancarla e, dandole una pacca leggera sulla testa, disse: «Scherzi a parte, grazie per quello che stai facendo per Chelsey. Io non avrei davvero saputo come raccapezzarmi, se fossi stato solo.»

Non potendo parlare, Iris si limitò a far ciondolare la lingua in quello che voleva essere un gesto distensivo, ma che portò Dev a ridere di nuovo.

«Sei davvero buffa, così» celiò lui, affondando però la mano nella sua gorgiera per continuare la carezza.

Evidentemente, Dev non si rendeva conto di aver a che fare ancora con una donna, e non con un cane troppo cresciuto.

Iris cercò quindi di non fare troppo caso alle scosse di piacere che le riverberarono lungo tutto il corpo e, concentrandosi sul bosco, ne ascoltò i suoni e gli odori.

V’erano delle prede, poco lontano, e gli unici escursionisti in zona erano distanti miglia, perciò non dovevano preoccuparsi di essere scoperti.

Quel controllo a tappeto della zona, però, si interruppe quando fece il suo ingresso in scena Lucas, nelle vesti di un lupo bianco davvero enorme, e della più piccola Chelsey che, al suo confronto, sembrava davvero minuscola.

«Beh, sì, non assomigli a un bue come pensavo» gracchiò Dev, squadrandolo da capo a piedi con espressione sgomenta.

Lucas, allora, imitò la postura di Iris, e così fece Chelsey, che però continuò a guardarsi curiosa nella sua nuova forma di lupo.

Inconsapevolmente, Dev si aggrappò alla spalla di Iris, quasi che le gambe avessero minacciato di abbandonarlo e, passandosi la mano libera sul viso, esalò: «Cristo santo! Beh, che posso dire? Chiamatemi John Dunbar1

Lucas se ne uscì con quella che sembrò essere una risata, per Iris, ma che alle orecchie di Dev assomigliò maggiormente a un abbaiare stentato e un tantino grottesco.

Devereux, sempre al fianco di Iris, cominciò a guardarli alternativamente con espressione sempre più curiosa e, alla fine, disse: «E’ interessante notare come tu, Lucas, sia interamente bianco, mentre loro due hanno i manti di diversi colori. Sai il perché? Forse perché tu ci sei nato, così? Nato nato, intendo, non come Chelsey.»

Lucas scrollò la testa e Dev, sbuffando, borbottò: «Oh, giusto. Niente voce. Quindi, che si fa ora?»

Lucas indicò il bosco con il muso e l’uomo, dubbioso, domandò: «Volete fare una passeggiata? Ma lascerete delle impronte!»

Il lupo bianco, allora, indicò il terreno col muso e Dev, seguendone lo sguardo, notò una cosa davvero curiosa e che, fino a quel momento, non aveva notato.

Non c’erano tracce. Come se i loro corpi enormi non pesassero nulla.

Dubbioso, Dev disse: «Non affondate nel terreno solido, anche se siete parecchio pesantucci.»

Iris gli diede una spallata, a quel commento e Dev, per poco, non venne catapultato a terra.

Rimettendosi diritto e guardandola male, Dev borbottò: «Ehi, lupacchiotta, non fare la noiosa. Sto cercando di capire!»

Lucas se ne uscì con un’altra delle sue risate e, con la zampa, forzò il terreno fino a creare un buco.

«Allora, ricapitoliamo. Siete in grado di non lasciare tracce sul terreno solido ma, se vi mettete a correre, le vostre unghie possono affondare nella terra. Afferrato. E la neve?»

Lucas indicò il buco nel terreno, e Dev assentì ancora. «Affondate anche lì. Quindi, se ho ben capito, il vostro essere dei lupi speciali ha dei bonus di qualche tipo, ma fino a un certo punto.»

Lucas-lupo assentì col muso dopodiché, senza altro da spiegare, si avviò nel bosco, subito seguito da Chelsey.

A quel punto, Dev si accodò e così pure fece Iris, che chiuse la fila di quella strana combriccola.

“Cerca di essere paziente, con lui, Iris. Dopotutto, ce la sta mettendo davvero tutta” disse Lucas, rivolgendosi alla donna.

“Sì, lo so. Ma sembra che si diverta a prendermi in giro” brontolò Iris per diretta conseguenza.

“Credimi, di solito Dev non è così, con le donne. E’ un autentico miracolo che rida e scherzi con te. Prendilo come un complimento, non come un insulto” le fece notare Lucas.

Sbuffando, Iris chiosò: “Farò finta che il nome sottiletta mi piaccia. Contento?”

“Non devo essere contento io, ma tu. Prendila con più filosofia. Sei troppo tesa, e noi non possiamo permettercelo.”

Lucas aveva ragione, lo sapeva anche lei, ma le machiavelliche attenzioni di Dev la lasciavano confusa e irritata, ed era una cosa che la mandava in bestia.

“Perché non recuperi il tuo zaino e torni donna? Terrò io compagnia a Chelsey, mentre tu la terrai a Dev. Credo si senta un po’ isolato, al momento.”

“Perché mai dovrei fargli da balia, scusa?!” protestò Iris, irritandosi ulteriormente. “Anch’io sento l’esigenza di camminare su quattro zampe, sai?!”

“Faremo una passeggiata notturna io e te, così ti insegnerò qualcosa che, al momento, per Chelsey è troppo… estremo.”

Fattasi subito attenta, Iris domandò: “Cosa intendi per… estremo?”

“Lo scoprirai stanotte, se avrai il coraggio di uscire con me.”

Iris sbuffò mentalmente e, senza dare alcun segnale, svoltò per tornarsene indietro e si rivestì in tutta fretta, maledicendo Lucas e le sue lusinghe da fata ammaliatrice.

Quando infine tornò dove aveva lasciato il gruppo, trovò solo Dev ad attenderla e, un po’ sorpresa, domandò: «Sono andati avanti?»

«Sì, ma io non sapevo quanto potessi sentire…» e nel dirlo si toccò il naso «… così mi sono fermato.»

«Oh. Grazie» mormorò Iris, incamminandosi nuovamente assieme a lui. «Lucas mi ha fatto notare che, forse, ti sentivi un po’ spaesato, in mezzo a tre lupi e senza nessuno con cui parlare.»

Lui rise seccamente, ma assentì.

«Credo ancora che, di colpo, mi risveglierò e troverò la mia fagiolina addormentata nel letto e te… beh, nella camera degli ospiti, immagino. Sono ancora fermo a quando ci siamo dati la buonanotte. Quello che è avvenuto dopo appartiene alla categoria del “che cazzo è successo?”

Quell’ammissione portò Iris a sorridere comprensiva e a sfiorare un braccio di Dev a mo’ di consolazione.

L’attimo dopo averlo fatto, però, imprecò e disse: «Scusa. E’ un’altra cosa da lupi, a quanto pare. Siamo appiccicosi, e tendiamo a toccare più del necessario le persone.»

Dev levò un sopracciglio con evidente sorpresa e, fattosi scuro in viso, borbottò: «Beh, allora Julia doveva essere l’eccezione che conferma la regola. Se quel che dice Lucas è vero, ed è stata ferita a diciassette anni, posso assicurarti che le sue smancerie nei miei confronti, o nei confronti di chiunque – figlia compresa – non sono aumentate dal prima al dopo.»

«Oh» mormorò sorpresa Iris. «Beh, io non me ne intendo di faccende pelose, ma posso dirti che, prima, non ero una che cercava il contatto a tutti i costi. Non ero una ragazza smancerosa, anche se stare con i bambini mi piaceva molto, rispetto alla compagnia degli adulti.»

A quel punto, Dev disse: «Beh, con Chelsey sei stata splendida, quindi questa cosa ti è rimasta. Gli adulti ti piacevano di meno per un motivo in particolare?»

Quel complimento inaspettato fece arrossire Iris che, distogliendo lo sguardo, si grattò nervosamente una guancia e borbottò: «Sentivo – e sento – il bisogno di proteggerla, di mettere al sicuro il suo mondo fatto di luce e di gentilezza. Non so come altro spiegartelo. Con gli adulti, invece, ero cauta e, spesso e volentieri, mai del tutto onesta, anche se non mi piace ammetterlo. Con l’eccezione della mia famiglia, ho sempre avuto difficoltà a relazionarmi con gli adulti.»

«Luce… e gentilezza?» ripeté con una certa ironia Dev.

Accigliandosi, Iris assentì con vigore, mugugnando: «Se tu che sei suo padre non riesci a vedere questo in lei, allora sei proprio scadente, come persona.»

Dev sbuffò e replicò caustico: «Certo che vedo questo, in lei! Mi stupisce che un’estranea veda queste cose, ecco perché ho riso.»

Iris arcuò le labbra all’ingiù e si fece muta, continuando a camminare davanti a sé senza più rivolgere la parola a Dev. Che anche Lucas andasse al diavolo, oltre a lui!

Non ne poteva più di fare la brava ragazza, in quel momento!

La mano le venne afferrata di colpo, portandola a voltarsi con aria arcigna ma, trovando solo gli occhi di ghiaccio di Dev profondamente contriti, si calmò e disse: «Dimmi. Cosa c’è?»

«Volevo chiederti scusa. Ancora. Faccio schifo nei rapporti interpersonali, soprattutto se riguardano il genere femminile» brontolò Dev, lasciandola andare perché riprendessero a camminare.

Lei assentì con fervore, asserendo: «Oh, credimi, l’ho notato. Dovresti prendere lezioni da Lucas, in questo senso.»

«Beh, questo sì che è un insulto» sottolineò Dev, levando un sopracciglio. «Non si dovrebbe mai porre a paragone un altro uomo, in questi casi.»

«Perché? Ti senti svilito nella tua virilità?» ironizzò Iris.

«Precisamente» sbuffò Dev, rizzando le spalle con fare molto maschio. «Non è bello sentirsi dire che un altro maschio è migliore di noi in qualcosa, foss’anche solo nel comportamento.»

Iris non poté impedirselo. Scoppiò a ridere, e lo fece con gran gusto.

Dev non le disse nulla, ma divenne molto, molto scuro in volto, tanto che Iris lo prese amichevolmente sottobraccio e disse: «Forza e coraggio, signor macho. Non stavo mettendo in dubbio le tue doti di uomo, ma solo il fatto che sei parecchio arrugginito, quanto al relazionarti con una donna.»

«E’ parecchio tempo che non mi relaziono con una donna, Iris. Credo di avere le mie ovvie ragioni» tenne a precisare Dev.

Iris sbatté le palpebre, leggermente confusa e, mordendosi il labbro, mormorò: «Qualsiasi relazione?»

Arrossendo lievemente, lui annuì e Iris, sinceramente impressionata, esalò: «Beh, complimenti per la tempra. Ma immagino avessi altro a cui pensare. Crescere una bambina piccola non deve essere semplice. Anche con tutti e quattro i nonni a dare una mano.»

Devereux assentì, rischiarandosi un poco in viso e, con tono pacato, disse: «Devo loro molto di più che un semplice grazie. Se non ci fossero stati, avrei dato fuori di matto molto prima del suo quarto compleanno.»

Iris assentì e, tra sé, si domandò come mai Julia si fosse comportata a quel modo.

Più elementi veniva a sapere su di lei, e più si convinceva che, dentro quella donna, vi fosse stato qualcosa di malato, che niente aveva avuto a che fare con la sua controparte mannara.

No, lì il lupo c’entrava poco con i suoi comportamenti. Era stata la donna ad abbandonare il letto coniugale e la figlia, non la lupa.

La lupa non avrebbe mai lasciato solo il proprio cucciolo.

Così è…

Ancora quella voce.

Iris si bloccò a metà di un passo per guardarsi intorno con espressione turbata e curiosa assieme e Dev, preoccupato, le domandò: «Che succede? Cos’hai sentito?»

Non sapendo bene quanto dire, la donna tentennò un poco prima di parlare ma, visto che Dev stesso aveva chiesto un battesimo del fuoco, ammise reticente: «Sento una voce, ogni tanto. Sono solo brevi frasi, niente di più, ma sembrano provenire da qui dentro.»

Nel dirlo, si toccò la tempia.

Dev si accigliò appena, scuotendo il capo e Iris, per spiegarsi meglio, aggiunse: «Come licantropo, posso parlare mentalmente con altri miei simili. Era così che Lucas teneva a bada Julia.»

Gli occhi di Devereux si spalancarono per la sorpresa, ma assentì cauto e ammise: «Questo spiegherebbe perché, a volte, aveva l’aria assente. Vai avanti. Che differenza c’è tra questa specie di chiamata privata e quel che senti tu?»

Grata nonostante tutto che lui avesse deciso di ascoltarla, Iris mormorò: «La voce viene da dentro di me, non da fuori. Un po’ come se la mia me stessa mi dicesse cose che io, in tutta coscienza, so di non conoscere. Solo che lo fa con una voce maschile.»

«E ora cosa ti ha detto?»

Iris storse il naso e, sbuffando, mugugnò: «Che era Julia a essere davvero strana, non il fatto che lei fosse diventata una lupa. Sarebbe scappata in ogni caso, licantropia o meno.»

«Tu credi a questa voce?» le domandò Devereux, serio in volto.

Lei assentì, non sapendo come deviare quella domanda. Era forse indelicato dirgli la verità ma, ormai, il danno era stato fatto anni addietro, e un uovo rotto non si poteva davvero più aggiustare.

«Mi ha detto come aiutare Chelsey.»

Dev si limitò ad assentire e, per qualche minuto, rimase nel più completo silenzio, silenzio che Iris non trovò necessariamente sconveniente ma molto, molto pesante.

Le spiaceva avergli causato un dolore, ma non sapere era forse peggio, in questi casi, visti soprattutto i precedenti legati a questa donna che non conosceva, ma che sembrava aver lasciato diversi scheletri nell’armadio, dietro di sé.

«E’ per questo che non apprezzavo molto gli adulti…» gettò fuori a forza, imponendosi di rispondere alla domanda di Dev, rimasta in sospeso.

Lui la guardò confuso e Iris proseguì dicendo: «Molte delle persone che conoscevo non mi hanno mai spinta a espormi come ora sto facendo con te. C’era molta ipocrisia, nel mondo in cui vivevo e, alla fine, mi sono abituata anch’io a essere così, e ho passato periodi davvero discutibili della mia vita a comportarmi da persona superficiale. Non mi piace ricordarmi com’ero. Coi bambini, però, sapevo di poter essere diversa, e mi piaceva essere così.»

Lui assentì. «Un mondo di frivolezze, immagino.»

«Tante. Papà e mamma erano buoni, con me, forse troppo, e così io ho finito con il marciarci dentro più del dovuto. Ero una ragazza pestifera, in alcuni casi.»

Dev accennò un sorriso e domandò: «Con gli uomini?»

Iris assentì con un risolino. «Ho fatto cose orribili, ad alcuni di loro. In questo, diventare un lupo mi ha aiutato a ricollegare il cervello – e i piedi – alla vita reale. Mi stavo davvero comportando come se non esistessero regole, per me.»

«Quando si è figli unici, può capitare. I genitori cercano di darti tutto e più di tutto e, a volte, esagerano» chiosò lui, scrollando le spalle.

Iris si limitò a un assenso, non sapendo bene se parlasse per se stesso, o di lui nei panni di padre. In ogni caso, sembrava aver provato su di sé la sensazione, anche se ora non sembrava né vanesio e neppure viziato.

Quando infine raggiunsero una radura nel mezzo del bosco, trovarono Lucas e Chelsey impegnati in qualcosa che assomigliava molto a un allenamento.

Il lupo bianco le stava mostrando come attaccare un tronco caduto e ricoperto di muschio, neanche fosse stato il suo peggior nemico.

Le zanne snudate facevano davvero paura, così come il ringhio e la vibrazione a bassa frequenza che il licantropo stava emettendo.

Chelsey, però, non sembrava minimamente impaurita quanto, piuttosto, affascinata. Sembrava rapita da quell’espressione primigenia di capacità tecniche e fisiche, e aveva occhi solo per Lucas, la loro guida.

Iris rabbrividì quando il lupo bianco attaccò il tronco e, inconsciamente, si pose dinanzi a Dev a braccia spalancate, come se sapesse che, ciò che stava emanando Lucas, avrebbe potuto ferirlo in qualche modo.

Quel gesto portò Lucas a bloccarsi e, curioso, domandò: “Perché hai fatto così, scusa?”

“Bella domanda. Ma credimi, visto da fuori, fai paura. L’aria sembra bruciare, attorno a te e, quando incameri la tua forza per colpire, la cosa si fa ancor più evidente.”

Lucas, allora, acuì lo sguardo e osservò Iris dinanzi a un Devereux quanto mai confuso. A ben vedere…

“In effetti, anche l’aria attorno a te sfrigola, e va a cozzare contro la mia. Lo vedi anche tu?”

Iris assentì dopo qualche attimo, mormorando: “E’ come se… se si trattenessero a vicenda. Secondo te che vuol dire?”

“A saperlo! Però, se ti è venuto istintivo proteggere Dev, qualcosa deve significare. A giudicare da come ti comporti con Chelsey, hai un forte istinto protettivo, perciò ci fideremo di questo e procederemo. Prova a concentrarti su di me e vediamo che succede.”

Iris assentì e, rivolgendosi a Dev, disse: «Fai qualche passo indietro. Proveremo una cosa.»

Dev annuì cauto e si fece indietro di almeno una decina di passi, e così pure fece Chelsey, che si sedette vicino al padre e osservò attenta la scena.

Iris, a quel punto, concentrò la sua mente e il suo sguardo su Lucas che, digrignando i denti, fece nuovamente esplodere l’aria attorno a sé, creando una sorta di aura trasparente e sfrigolante.

Poteva vedere perfettamente quell’aura e sembrava dannatamente pericolosa, come se, una volta lasciata andare a se stessa, potesse essere la causa di danni ingenti.

“Prova ad arrabbiarti usando me come obiettivo. Non troppo, grazie, ma almeno un pochino” propose a quel punto Iris, irrigidendosi già mentre proferiva quelle parole.

“Non mi piace molto, come idea. Non è meglio usare sempre il tronco?”

“Ho idea che, solo col tronco, combineremmo poco, al momento. Proviamo con qualcosa di vivo. Solo un colpetto, mi raccomando.”

Lucas allora assentì titubante e, canalizzando i suoi sentimenti rabbiosi verso Iris, la vide letteralmente rimbalzare via come un fuscello, finendo a diversi metri di distanza da dove si era trovata fino a un istante prima.

Interrompendo di colpo ogni emozione, Lucas zampettò lesto verso di lei mentre Dev e Chelsey, di corsa, raggiungevano Iris per sincerarsi delle sue condizioni.

Iris, a sua volta, si tastò dolorante e, nel notare del sangue su un lato della bocca, esalò: «E meno male che ti avevo detto un colpetto!»

“Scusa. E’ chiaro che non so dosare la mia forza. Come stai?”

Quelle scuse contrite furono seguite da un uggiolio e Iris, aiutata da Dev a rialzarsi, borbottò: «E’ lampante che quell’aura che vedevo ha veramente una sua pericolosità. Mi è sembrato di essere stata investita da un’auto.»

«Di che aura vai parlando? Io non vedo nulla» gracchiò Dev, affrettandosi a ripulirle il viso dal sangue con un fazzoletto.

«Credo sia visibile solo dai lupi» gli spiegò Iris. «Ce l’ho anch’io, ma non è stata sufficiente a proteggermi dal contraccolpo. E’ quindi lapalissiano che Lucas è molto più forte di me.»

“Forse, sei semplicemente impreparata a usare la tua, di aura.”

Iris scosse il capo, replicando: «Non so se è solo questo. La mia lupa è dannatamente più piccola di quanto non sia tu, e non penso che sia dovuto al fatto maschio-femmina. Nei lupi naturali, non saresti in grado di distinguere la differenza, a meno di non mettere la testa in mezzo alle zampe posteriori. C’è dell’altro.»

Così è…

Iris imprecò senza troppo riguardo, esclamando: «Ancora tu?! Ma chi diavolo sei?!»

“Che diavolo era, quella voce?” domandò Lucas, più che mai sorpreso.

Indicandolo neanche fosse la prova regina in un tribunale, Iris esclamò: «Allora non me la sono sognata! L’hai sentita anche tu!»

“Eccome! E mi dici che non sai chi sia?” esalò il lupo bianco, assai turbato.

Iris a quel punto assentì torva e, scrutandoli tutti con espressione confusa, mormorò: «Mi ha detto che è vero. Che c’è una correlazione tra la forza di Lucas e le sue dimensioni anomale. Solo, sembra che queste note a piè di pagina arrivino come segnali radio smorzati, neanche non fossimo sulla stessa lunghezza d’onda.»

Nessuno seppe che dire e, con quelle nuove, sconcertanti novità sul loro conto, decisero infine di tornare al camping. Per un giorno, avevano imparato fin troppo e, al tempo stesso, si erano confusi ancor di più le idee.

***

Armato di una rete da sei lattine di birra e cinque scatole di pizza, Rock fece il suo ingresso trionfale nella saletta comune del campeggio e, dopo aver poggiato il tutto sul tavolo, dichiarò: «Non ringraziatemi. So già che mi siete debitori.»

Iris e Chelsey gli sorrisero piene di delizia, mentre Dev e Lucas ebbero qualcosa da ridire sul servizio dozzinale.

Rock, comunque, non li stette a sentire e badò soltanto al genere femminile, offrendo a Chelsey una Coca-Cola e dando la pizza al salame piccante a Iris, a cui brillarono letteralmente gli occhi.

«E meno male che sono il tuo compagno, sennò cosa mi avresti lasciato? Le scatole di cartone?» si lagnò bonariamente Lucas.

«Questa signorina deve ingrassare o, presto o tardi, una folata di vento ce la porterà via. Tu non hai bisogno di salame piccante. Lei sì.»

«Ti adoro, Rock» biascicò Iris, affondando i denti in una succosa fetta di pizza.

«Anch’io ti adoro, Rock» si unì al coro Chelsey, divorando una fetta di pizza con la salsiccia.

Dev guardò la sua, ai quattro formaggi, e borbottò: «La volevo anch’io, con la carne.»

«Non essere schizzinoso. Hai sempre mangiato la quattro formaggi…» gli ricordò Rock, aprendo il proprio cartone con i frutti di mare.

«Magari, oggi volevo cambiare» sottolineò Devereux, pur afferrando con piacere il suo trancio di pizza dal cartone.

«Tu mangi la carne solo se cotta alla perfezione, e di certo non delle dozzinali salsicce, o dell’ancor più dozzinale salame piccante» lo prese in giro Rock, ammiccando all’indirizzo di una sorpresa Iris.

«Sei un estimatore della buona carne? Niente barbecue o robe simili?»

«Siete voi americani che rovinate la carne gettandola sulla fiamma viva. La carne va trattata con maggiore riguardo» sottolineò Dev, attaccando la seconda fetta di pizza.

«Vacci piano, con il ‘voi americani’. Si dà il caso che i Walsh discendano da un’antica famiglia irlandese, perciò di americano abbiamo solo la cittadinanza» sottolineò Iris, levando il dito a mo’ di maestrina.

Chelsey rise di quel comportamento e replicò: «La nostra famiglia è francese, invece. Nonna Betty dice che discendiamo direttamente dai re di Francia. Con Miss Fitz dobbiamo ancora studiare la storia europea, ma nonno Sam mi ha spiegato qualcosa e mi ha detto che, a un certo punto, il popolo francese ha preso il suo re e…»

Bloccandosi a metà della frase, fece un ghigno sadico e mimò il taglio del collo, facendo ridere tutti i presenti.

«Sì, mi sembra di ricordare qualcosa del genere» ammise Iris, ridacchiando.

In mezzo a quella risata collettiva, però, Chelsey disse funerea: «Farebbero qualcosa del genere anche a noi, se ci scoprissero? Per questo, Lucas, tu non lo dici al tuo papà? Perché è un veterinario? Pensi potrebbe fare esperimenti su di te?»

La risata si spense così come era nata e, tra sé, Lucas borbottò: “Benedetti bambini e le loro orecchie attente!”

“Ormai non è più una bambina, ma una giovane signorina a cui si è ribaltato il mondo. E’ ovvio che si chieda il perché di tanta segretezza” replicò Iris, conciliante.

Sospirando, Lucas annuì suo malgrado e, carezzando col dorso della mano la guancia di Chelsey, asserì: «Parlerò a breve con mio padre, visto che è ormai chiaro che sarebbe assurdo continuare a mentire. Tra le mie prossime uscite con Iris e quelle che, inevitabilmente, dovrò fare con te, comincerà a chiedersi cosa stia combinando, e non voglio che gli passino per la testa idee strane. Inoltre, è difficile dover sempre mentire a un familiare.»

«Quindi, potrò dire tutto a Roxy?» domandò speranzosa Chelsey.

Lucas dovette scuotere il capo e dire: «Mi spiace, ma è troppo presto, per lei. Lasciatevi il tempo di crescere. Alla vostra età le amicizie vanno e vengono come il passare delle stagioni e, anche se ora pensi che sia la tua amica per sempre, le cose potrebbero cambiare, e lei potrebbe non capire.»

Il viso della ragazzina si adombrò, a quelle parole, e la sua replica fu acida.

«Roxy capirebbe. Lei mi vuole bene.»

Fu Dev a intervenire, in quel frangente.

«Fagiolina, visto come stanno le cose, dobbiamo fare quel che ci dice Lucas. Nel bene e nel male, è quello che da più tempo sa di questa faccenda.»

Chelsey lo guardò con aperta sfida e, per Dev, fu difficile sostenere quel nuovo sguardo, quella nuova figlia che, a conti fatti, avrebbe potuto ribellarsi al suo potere genitoriale, se avesse voluto.

Devereux, però, non si fece minimamente intimidire dal piccolo lupo che stava strepitando dietro gli occhi della figlia e, lapidario, dichiarò: «Per ora è un no, Chelsey. Senza se e senza ma.»

«Antipatici. Tutti quanti» sbuffò lei, afferrando la sua fetta di pizza per poi andarsi a sistemare in una poltrona isolata, lontano dal tavolo degli adulti.

Guardando spiacente Dev, Lucas disse: «Mi dispiace, ma davvero non si può fare. La segretezza è vitale, in questi casi.»

«Lo so bene. Infatti, Chelsey si adeguerà, o le toglierò i CD di Ariana Grande, se farà la dispettosa» disse Dev, scatenando subito la figlia.

«Non lo faresti mai!» sbottò la ragazzina facendo tanto d’occhi.

«Lo farò, invece, se soltanto subodorerò un tuo qualche genere di ribellione. Mi spiace, fagiolina, ma il tempo dei giochi infantili è finito, per te. Mi fa star male il solo pensarlo, credimi, e ti avrei risparmiato volentieri questa grana, ma è toccata a te, e devi imparare a conviverci.»

Iris fece per replicare al suo tono così duro ma, scrutando il suo profilo e avvertendo il battere nervoso del suo cuore, fu certa che per Dev non fosse stato facile parlare a quel modo alla sua adorata figlia.

Doveva pesargli un sacco negarle qualcosa eppure, in quel frangente, Chelsey avrebbe dovuto ingoiare il boccone amaro e accettare la verità.

Non era più soltanto una bambina, ma anche una giovane licantropa, alle prese con un mondo che, non solo non sapeva nulla di loro ma che, con tutta probabilità, sarebbe inorridito al solo conoscere la loro realtà.

«Odio la mamma…» piagnucolò Chelsey, abbandonando il trancio di pizza sul bracciolo della poltrona per poi esplodere in un pianto dirotto.

Dev si levò in fretta dalla sedia per raggiungerla e, presala in braccio, iniziò a cullarla tenendola stretta tra le possenti braccia.

Negli occhi, lo stesso odio che Iris aveva sentito nella voce di Chelsey.

Se Julia fosse stata ancora viva, da qualche parte nel mondo, Iris era più che certa che avrebbe sentito quel livore scivolarle sulla pelle. E non era del tutto sicura che non se lo meritasse appieno.

N.d.A. cosa sarà la voce che avverte Iris nella sua mente? Un amico o un nemico? E Chelsey sarà in grado di mantenere il segreto, o si lascerà sfuggire qualcosa con l'amica?

(1) John Dunbar: nome del protagonista di "Balla coi Lupi", film con Kevin Costner. Per chi non lo avesse visto, il titolo richiama il nome che la tribù Lakota Sioux diede appunto a John Dunbar, soldato dell'Unione, dopo averlo visto "danzare" assieme a un lupo nella Prateria. Da qui la battuta di Dev, visto che è letteralmente circondato da lupi.

 


 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


8.

 

 

 

 

Alla fine, Chelsey rimase a casa da scuola per una settimana. Il crollo emotivo avuto al camping era perdurato per ben due ore e, per diretta conseguenza, Dev si era intestardito con il volerla portare a casa per curarla di persona.

E senza scocciatori al seguito.

Nessuno dei presenti aveva osato parlare od obiettare qualcosa ma, dopo sette giorni di assoluto silenzio – solo Rock aveva sentito Dev, e unicamente per constatare che non si sarebbe presentato in ditta – Iris si convinse nel voler tentare un approccio.

Era in ansia per Chelsey ma, a dirla tutta, anche per Devereux.

Chiudersi a riccio sui problemi poteva essere molto pericoloso, e poteva condurre a problemi ben più gravi di quelli da cui si era partiti.

Imboccando lo stradello che conduceva alla casa di Dev e Chelsey, quindi, non seppe bene cosa aspettarsi dalla coppia padre-figlia, ma ugualmente proseguì nei suoi intenti. Quando però vide due auto posteggiate dinanzi allo chalet, si domandò se non fosse il caso di tornare in un secondo momento.

Evidentemente, avevano già visite, e non era il caso di piombare ella stessa in casa di Dev per ficcare il naso.

L’uscita di gran carriera di Chelsey dalla casa, tutta sorridente e gesticolante, la bloccò però dal fare retromarcia e, posteggiato che ebbe la Smart in un angolino appartato, discese e sorrise alla bambina.

Chelsey non attese che Iris la raggiungesse. Balzò dalla veranda direttamente nel cortile, mettendo in mostra i suoi poteri di lupetta e, dopo aver corso velocemente verso di lei, la abbracciò con forza ed esclamò: «Che bello! Sei venuta!»

«Mi mancavi» ammise Iris, stringendola a sé per un istante prima di indicare le auto e domandare: «Avete ospiti? Posso tornare in un altro momento… e tu potresti evitare di usare i tuoi poteri…»

Chelsey però rise e, presala per mano, la indirizzò verso lo chalet asserendo: «Sono i nonni, e papà gli ha raccontato tutto. Ha detto che sarebbe stato sciocco mentire sulla loro unica nipote. Per questo non mi hai vista, in questi giorni. Ci è voluto un po’ per… far digerire tutta la faccenda.»

«Oh, capisco. E… sanno anche di me e Lucas, quindi?» domandò titubante la donna, non sapendo bene cosa preferire, se il totale anonimato o altri alleati in quella stramba avventura.

«Papà ha pensato che tanto valesse scoperchiare completamente il vaso. Spero tu non ne sia offesa. Lo ha fatto a fin di bene, e dei miei nonni ti puoi fidare assolutissimamente» mormorò la ragazzina, intrecciando le mani in preghiera.

«Se non cercheranno di impagliarmi, sarà già un risultato» cercò di ironizzare Iris, pur tremando dentro di sé.

Cosa doveva aspettarsi da dei completi estranei? Finché si trattava della loro nipotina, tutto poteva andare; ma lei? Nessuno li obbligava al voto del silenzio, se si trattava di un’estranea.

Quando, però, fece il suo ingresso nella casa e Chelsey sorrise orgogliosa nel presentarla, Iris si ritrovò circondata dalle braccia esili e calde di una donna di circa sessant’anni, piccola di statura ma dal cuore forte e indomito.

«Oh, cara… grazie per tutto quello che hai fatto!» esclamò la donna, prendendole poi il viso tra le mani per attirarla a sé e darle un bacetto affettuoso sulla fronte.

«Dio, mamma, dai… così la sconvolgi!» brontolò Dev, seduto sul divano a gambe e braccia larghe, del tutto rilassato e completamente padrone di sé.

E lei che aveva pensato di trovarli disperati e senza alcun appiglio cui aggrapparsi!

La donna – Betty, a questo punto, pensò Iris – si volse a mezzo e lanciò un’occhiata raggelante al figlio, replicando: «Sei tu che hai carta vetrata al posto del cuore, ragazzo. E’ giusto che io ringrazi colei che ha aiutato la mia fagiolina a superare i primi momenti nella sua nuova pelle!»

Alle spalle di Betty, un uomo alto e bruno, in tutto simile a Dev anche se più anziano e stempiato, allungò entrambe le mani per afferrare gentilmente quelle di Iris, asserendo: «I miei più vivi ringraziamenti, miss Walsh. Non sappiamo come ringraziarla.»

«Ah… beh, ecco…» tentennò lei, non sapendo bene come comportarsi.

Non sapeva esattamente cosa si era aspettata, entrando nello chalet, ma quella reazione non era tra quelle tanto paventate.

Guardando disperata Dev, si sentì dire in risposta: «Chiediti perché mi sono barricato in casa per tutta la settimana. E’ stato per salvarti da questi esaltati del ringraziamento.»

Un coro di ‘Dev! Ma insomma!’ si levò dai presenti ma lui, imperturbabile, si limitò a scrollare le spalle, aggiungendo: «E’ verissimo, invece, e lo state dimostrando soffocandola di attenzioni senza neppure pensare al suo disorientamento. Non vi siete neanche presentati, Cristo Santo!»

A quell’accenno, i quattro adulti dinanzi a Iris reclinarono imbarazzati il capo e Chelsey, mossa a pietà, disse: «Loro sono nonno Sam, nonna Betty, nonna Jennifer e nonno Graham.»

Iris allora accennò un sorriso un po’ teso e disse: «Beh, piacere di conoscervi. Spero di non aver disturbato, con la mia comparsata a sorpresa.»

Jennifer fu la prima a muoversi, dopo quel momentaneo imbarazzo corale e, presala sottobraccio, replicò: «Oh, no, affatto. Anzi, cavare notizie da quella bocca cucita del mio ex genero è quasi impossibile, perciò ci fa piacere averti qui. E scusaci per le reazioni cui sei stata testimone, ma la nostra Chelsey è così importante che, tutto ciò che la riguarda, ci emoziona.»

«Mi è parso evidente» assentì lei, lanciando un’altra occhiata a Dev, che si limitò a fare nuovamente spallucce.

Evidentemente, lui doveva essere ben più che abituato al quel genere di fratellanza tra nonni, perché non sembrava affatto sorpreso da tutta quella situazione strampalata.

Accomodandosi su una poltrona, Iris strinse le mani sulle ginocchia e, sorridendo nervosamente di fronte a quattro paia d’occhi assai attenti e scrupolosi, balbettò: «C-che volete s-sapere, dunque?»

I nonni di Chelsey si guardarono vicendevolmente, forse non sapendo quale di loro – a maggior diritto – avrebbe dovuto cominciare con le domande. Dopo una serie di sguardi indagatori, comunque, fu Jennifer a porre la prima domanda.

«Aiuterà ancora nostra nipote?»

Sbattendo le palpebre per la sorpresa, Iris assentì senza problemi. Quella era una risposta molto semplice da dare. «Ma certo. Non dovete avere alcun dubbio.»

Un sospiro collettivo di sollievo colse i nonni al gran completo e Sam, grato, disse: «E’ un piacere sapere che mio figlio non le ha tolto la voglia di aiutare la nostra piccola. Sa essere così indisponente, quando vuole.»

«Grazie, papà. Che bello essere apprezzati» biascicò Dev, sorseggiando irritato la sua birra.

«Ammettilo, ragazzo, non ci sai fare con le donne» gli fece notare Sam, levando un sopracciglio con evidente contrarietà.

«E ti chiedi anche il perché?» sbottò il figlio per diretta conseguenza. «Scusa, Jen, scusa, Graham, ma parliamoci chiaro. Julia mi ha dato una bella lezione di vita, in merito.»

«Oh, tesoro, non ti devi scusare. La prima a essere arrabbiata con lei, sono io» scosse una mano Jennifer. «Come mamma, le vorrò sempre bene, ma ciò non mi esime dall’essere anche furiosa per come si è comportata.»

Sam, comunque, scosse una mano per cancellare quel singolo episodio e asserì: «Capisco che con Julia non sia andata bene, ma avresti potuto essere felice con altre donne, in seguito, ma hai sempre nicchiato.»

«Magari non sono cose da affrontarsi di fronte a una persona a cui non interessa un accidente?» buttò lì Dev, lanciando un’occhiata vagamente imbarazzata a Iris.

Che si vergognasse delle sue remore a trovare una donna, dopo Julia? O c’era dell’altro che voleva tenere nascosto?

Iris si incuriosì non poco di fronte a un comportamento così ritroso e, decidendo di volersi prendere la famosa vendetta predetta a Dev, sorrise al quartetto di nonni e disse: «Oh, ma io sono interessata anche alla felicità di Dev, è ovvio, non solo a quella di Chelsey. Se sta bene uno, sta bene anche l’altro.»

«Ben detto, ragazza. L’ho sempre sostenuto, io, che la serenità in famiglia è basilare, per questo pensavo che Alyssia sarebbe andata bene, per il ragazzo» dichiarò Graham, lanciando un’occhiata saputa all’indirizzo di Devereux.

Incenerendo con lo sguardo Iris, ben comprendendo quale fosse il gioco della donna, lui replicò caustico: «Graham, sai benissimo perché Alyssia non va bene, …come nessun’altra di quelle che ci hanno provato con me, del resto.»

«E quale sarebbe il motivo? Rendici edotti» volle sapere Sam.

Anche Chelsey stava ascoltando con piacere e divertimento. Dev si sentì davvero preso in trappola, ma la rabbia era tale – constatò a sorpresa Iris – che parlò ugualmente.

Sospirando, si passò le mani tra i capelli e ammise con gelida amarezza: «Chelsey sarebbe stata un di più. E non ditemi che mi sogno le cose, perché il mio cervello funziona ancora bene, nonostante le stramberie di questi ultimi giorni. Conosco le ragazze di Clearwater molto meglio di voi, e so come la pensano. Magari avrebbero voluto un figlio, più avanti, e lei sarebbe stata messa in secondo piano, e questo non lo avrei mai permesso

«Ma Alyssia…» tentennò Betty.

«Alyssia più di tutte, mamma, non l’avrebbe mai accettata. Lei ha sempre voluto ciò che Julia aveva, e lo sai bene anche tu. Non giriamoci tanto intorno. Persino suo padre lo sa, perché è sempre stato lui a evitare che quelle due, assieme, finissero in galera» ammise Devereux, sorprendendo i quattro nonni.

Con tono amaro, l’uomo aggiunse: «Quando non vi dico le cose, esiste un perché. Alyssia e Julia erano sempre assieme, quando si cacciavano nei guai, o compivano qualche furtarello. Brutto da dire, visto che una delle due è la figlia del capo della polizia. Ma Alyssia Rochester era così e, ora che Julia non c’è più, cerca me perché sono il solo legame esistente con lei, con la sua metà oscura che era Julia. Io sono solo un mezzo, non un interesse reale, e Chelsey avrebbe finito per diventare la stessa cosa.»

Un silenzio pesante come piombo calò sulla casa e Chelsey, sedendosi al fianco del padre, gli strinse la mano a mo’ di conforto, quasi a volersi scusare per la loro insistenza.

Lui le sorrise a mezzo, dandole un buffetto sul naso e Iris, sentendosi tremendamente in colpa per essersi spinta così in là, mormorò: «Qualcuno vuole delle polpette di patate?»

«Io» disse subito Dev, alzando la mano. «Le ho finite, e ne ho un bisogno estremo, adesso.»

Alzandosi dalla poltrona come se fosse stata una molla, Iris prese con sé Chelsey perché la aiutasse e, una volta in cucina, mormorò: «Credi che le polpette basteranno per farmi perdonare, o devo fare qualcos’altro?»

«Che ne dici di torte di cioccolato a soufflé?»

«Oh, sì. Al microonde, impiegherò un attimo a farle» assentì Iris, mettendo mano alla dispensa.

Dopo quel colpo gobbo, non solo sentiva di essersi vendicata, ma di essere in debito con Dev. Aveva davvero esagerato, pur se incolpevolmente.

***

Salutando i nonni di Chelsey al pari della bambina e del padrone di casa, Iris reclinò il braccio non appena le due auto ebbero svoltato la curva, svanendo dietro la coltre di abeti.

A quel punto, lanciando un’occhiata preoccupata all’indirizzo di Dev, la donna si chiese cosa sarebbe successo a quel punto.

Le polpette di patate erano state accolte con favore, così come le piccole torte monodose preparate al microonde. Dev si era limitato però a mangiare nel più completo silenzio, e questo aveva forse spinto i genitori e gli ex suoceri ad andarsene nel primissimo pomeriggio.

Non avendo altro da fare all’esterno, Chelsey tornò in casa – subito seguita dai due adulti – e dichiarò: «Vado a sistemare la camera, va bene?»

«Sì» disse soltanto Dev, restando nell’atrio assieme a Iris che, non sapendo bene cosa fare, si strinse le mani dietro la schiena e guardò turbata il padrone di casa.

Questo, sbuffando leggermente, le indicò di tornare in salotto e disse: «Grazie per le polpette, comunque.»

«Di niente» mormorò lei, sedendosi sul divano.

Lui prese posto su una poltrona, accese l’enorme televisione da 65 pollici e, quando ebbe trovato un canale musicale, vi si stabilì e abbassò un poco il volume perché creasse solo un sottofondo, ma non impedisse di parlare.

Di cosa in particolare, Iris non ne aveva idea.

Le braccia poggiate sulle cosce e le mani intrecciate tra loro, lo sguardo di Dev era puntato sul pavimento di legno, ma Iris immaginò che non lo stesse realmente vedendo.

Sembrava piuttosto perso nei suoi pensieri, forse non in grado di mettere bene a parole ciò che voleva dirle ma, ugualmente, parlò.

«Da quando Julia se ne andò, quei quattro non fecero altro che stringersi attorno a noi come una rete di protezione» iniziò col dire Dev, con tono sommesso e, forse, un po’ esasperato. «Ammetto che, senza di loro, non sarei riuscito ad affrontare certe fasi della crescita di Chelsey ma, ora come ora, mi sento solo strangolare.»

«Scusa se ho insistito perché parlassero. Non avevo idea che vi fosse questo, dietro alla tua… ritrosia. Non avrei mai dovuto ficcare il naso.»

«No, in effetti…» asserì senza alcuna remora Dev, facendola tremare per un principio di rabbia. «… ma ammettiamolo; sei stata sbalestrata nel bel mezzo della mia famiglia senza averlo chiesto, esattamente come non hai chiesto quello sfregio e ciò che ha comportato.»

Iris si guardò l’avambraccio coperto da tessuto cicatriziale e assentì muta. No, non lo aveva chiesto, ci si era semplicemente trovata nel mezzo e aveva cercato di districarsi in quel ginepraio come meglio aveva potuto.

«Non mi va di parlare del passato, né tanto meno delle mie donne – o della loro totale assenza – ma, visto che ormai il vaso è stato aperto…»

«Non è necessario» sottolineò Iris.

Dev, però, scosse il capo e replicò: «Julia mi ha distrutto in molti modi, ma l’aver abbandonato Chelsey è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ho sempre creduto di poter essere l’unico a salvarla dai suoi incubi, dalle sue manie autodistruttive, pensando scioccamente che amandola abbastanza, accudendola e proteggendola, questo avrebbe fatto la differenza.»

Iris assentì, non sapendo come ribattere. Lei non aveva mai avuto al suo fianco un uomo capace di simili attenzioni e, pur se aveva avuto le sue esperienze, erano state tutte effimere come l’aria.

Ne era la riprova la totale assenza di interesse da parte dei suoi ex partner. Nessuno l’aveva cercata per chiederle dove fosse finita, o perché fosse partita.

Aveva condotto una vita essenzialmente vuota di sentimenti, a L.A., con l’unica eccezione dei genitori, degli zii e dei bambini dei centri diurni.

Si era divertita nell’essere la figlia di un potente industriale, e aveva goduto dei vantaggi portati da una simile posizione, limitandosi a fare quello che facevano le altre per il quieto vivere in società.

La sua parte più vera, più sensibile e più empatica l’aveva lasciata ai ragazzi dei centri di recupero e alle scuole pubbliche, ben lontane dal suo quotidiano scintillante e vacuo.

Non aveva mai voluto fonderli per paura di non essere capita.

Beh, quel viaggio era stato rivelatore anche in questo. Il fatto che neppure colei che aveva considerato la sua migliore amica avesse resistito più di qualche mese, senza vederla, era la riprova che neppure lei era stata molto brava nel gestirsi – o scegliersi – le compagnie.

Un bel boccone amaro da mandare giù.

«Julia non volle sposarsi, pur aspettando Chelsey, e io la accontentai anche in questo, decidendo che un po’ di libertà non avrebbe potuto che aiutarla a chetare le sue paure. Diedi il nome alla piccola, proteggendola a livello legislativo, ma ancora Julia non parve soddisfatta. Sapendo quel che so ora, ne comprendo i motivi… ma avrebbe dovuto fidarsi di me

Quelle ultime parole fecero tremare la voce di Dev, e dissero a Iris i veri motivi per cui, nel cuore dell’uomo, il tenero sentimento provato per la compagna era morto del tutto, sostituito dalla più totale indifferenza.

La verità – e la sua totale mancanza – era stata la mannaia che aveva sgozzato definitivamente quell’unione, riducendola in pezzi.

«Permettere ad Alyssia, come a qualsiasi altra donna, di avvicinarsi a Chelsey per poi rischiare la medesima sorte, mi sembrava inaccettabile. E, checché se ne dica, un uomo può vivere anche senza una donna» terminò di dire Devereux, passandosi una mano sul viso prima di rilassare la schiena contro il morbido schienale della poltrona.

Annuendo, Iris mormorò: «Nessun uomo della mia vita, tolti mio padre e mio zio, ha mai pensato di proteggermi sempre e comunque, indipendentemente dai miei errori. Questo viaggio, perciò, ha messo in evidenza quanto io mi sia crogiolata in queste certezze, finendo con il non impegnarmi nelle relazioni che avevo con gli altri. Davo per scontate le attenzioni degli altri, senza replicare in alcun modo.»

Dev assentì muto e Iris, sfiorando con un dito la pelle levigata della ferita da artiglio, aggiunse: «Ero una stupida egoista e una fifona, che non voleva far conoscere agli altri chi ero veramente. La Iris Walsh di L.A. era solo una donna che pensava a divertirsi grazie ai soldi di papà, e che si sentiva superiore alle persone presenti alle serate di gala o ai vernissage, e solo perché ero segretamente impegnata nel sociale. Avrei dovuto essere più onesta e ammettere ciò che facevo, invece di far finta di nulla, adeguarmi alla situazione e nascondere ciò che realmente pensavo.»

Nel dirlo, sorrise mesta e Dev, scuotendo il capo, replicò: «Ti sei accorta del tuo errore. Mi sembra già una buona cosa.»

«Già. Me ne sono resa conto solo perché ho perso la mia vita precedente per diventare una fuggiasca. Non ho avuto il coraggio di affrontare a casa il mio problema, e ho preferito squagliarmela» ammise Iris, irritandosi un poco. «Il viaggio per trovare una cura? Sì, forse ci credevo anche ma, dopo aver saputo di Julia, ho avuto modo di riflettere e, a conti fatti, cosa ho mai combinato di diverso? Ho abbandonato la ditta di famiglia nelle mani di mio zio che, per quanto capaci, non sono le mani di un Walsh. Mi sento come se avessi tradito i miei genitori, comportandomi così.»

Dev non parlò, si limitò ad assimilare le sue parole, soppesandole e cercando di comprenderle.

Alla fine, però, disse: «Non sei scappata, stavolta. Sei rimasta. Avresti potuto andartene alla prima avvisaglia di pericolo, lasciando me e Chelsey con il solo aiuto di Lucas. Avresti potuto farlo, e chi saremmo stati noi, per obiettare? Non siamo nessuno, per te. Eppure, sei qui

Iris si guardò intorno smarrita, sbattendo freneticamente le palpebre per non iniziare a piangere e Dev, con un sospiro, aggiunse: «Per quel che mi riguarda, la Iris di Clearwater non è una stupida egoista, e non credo lo fosse neppure quella di L.A. Quella ragazza era ancora acerba, credo. E poi, hai ammesso tu stesso che tuo zio è un tipo in gamba. Non hai tradito i tuoi genitori, ma hai lasciato la loro eredità nelle mani di una persona capace e che, quando tu non sei stata in grado di prendertene cura, si è impegnato per preservare il lascito di voi Walsh.»

La prima lacrima sfuggì alla gabbia delle palpebre senza che Iris se ne rendesse conto e, quando anche le altre seguirono la loro sorella, Dev si levò dalla poltrona per sedersi accanto ad Iris.

Lì, strinse un braccio attorno alle esili spalle della donna e, roco, mormorò: «Piangi pure, sottiletta. Immagino che avrai collezionato lacrime da spendere per un bel po’ di motivi. Prometto che non ti prenderò in giro.»

Lei fece per mandarlo al diavolo, ma dalla sua bocca uscì solo un rauco gracidio, seguito da un singhiozzo, e le tanto invocate lacrime ebbero finalmente il loro sfogo.

Dev lasciò che lei si appoggiasse completamente contro il suo petto e, quando Chelsey discese in fretta le scale, attirata da quel pianto, la bambina si accucciò al suo fianco, poggiando il capo sulle sue ginocchia.

Fu così che Iris lasciò che le lacrime e il rimorso uscissero dal suo corpo, permettendole di accettare i propri limiti e decidendo di mettersi in gioco per creare una nuova se stessa, una nuova Iris.

Forse avrebbe sbagliato nuovamente, e non sarebbe stata soddisfatta del risultato, ma avrebbe tentato. Con le sue sole forze, non grazie all’aiuto di papà e mamma.

Quando infine quello sfogo ebbe un termine, Dev le sfiorò il viso con un fazzoletto dopodiché, indicando il bagno, mormorò: «Sciacquati. Hai il viso tutto rosso.»

Iris assentì e si levò dal divano, ringraziando poi con un sorriso Chelsey.

Quando, però, Dev fu solo con sua figlia, si lasciò andare a un sospiro tremulo e mormorò: «Abbracciami, fagiolina.»

La figlia non se lo fece ripetere e, pur se non con la stessa intensità e durata, anche Dev pianse.

Pianse in silenzio, senza dire nulla, lasciando solo che quelle perle salate scaturissero dai suoi occhi, permettendogli di abbandonare una volta per tutte il suo risentimento.

Aveva odiato Julia, aveva desiderato vendicarsi, forse anche ucciderla per ciò che aveva fatto a lui e a Chelsey, ma ora si rendeva conto di quanto quei desideri fossero stati futili.

Lui non aveva perso nulla, poiché Chelsey era ancora al suo fianco. Lui la amava, e lei amava lui. Tanto gli bastava.

Da lì in poi, sarebbe stato tutto nuovo e, finalmente, avrebbe potuto dire di vedere le cose a mente sgombra.

Non più odio, non più rabbia repressa o finta rassegnazione. Solo Devereux. Solo Chelsey.

Quando, perciò, Iris tornò da loro, lui le rivolse un mezzo sorriso e disse: «Ti avevo promesso ‘niente battute’, ma cavoli… non hai proprio il viso adatto per piangere!»

Iris lo mandò debitamente al diavolo e Dev, con una risata, assentì e dichiarò: «Andiamo a prendere un gelato. Ne ho proprio voglia.»

«Anche se allo Strawberry c’è Alyssia?» domandò curiosa la figlia.

«Sarà una buona occasione per mettere in chiaro un paio di cose» annuì l’uomo, facendo spallucce.

Ciò detto, si levò dal divano e salì al piano superiore per cambiarsi.

Chelsey, allora, fissò divertita Iris e chiosò: «Direi che è okay.»

«Direi anch’io. Dopotutto, tuo padre non è impazzito, dopo quello che gli abbiamo scaricato addosso» ammiccò Iris in risposta al commento della ragazzina.

«Vorrei tanto vedere la mamma, adesso» disse Chelsey, sorprendendo non poco la donna, che la fissò con i chiari occhi verdi spalancati e pieni di domande.

La ragazzina scrollò le spalle e, seria in viso, dichiarò: «Vorrei poterle dire che, d’ora in poi, al papà ci penserò io, e che lei non è – né sarà – più la benvenuta tra noi. Stiamo bene lo stesso.»

Pur comprendendo il livore di Chelsey, Iris replicò: «Non sappiamo cosa l’abbia spinta davvero ad allontanarsi. Forse pensava che, abbandonandoti, saresti stata al sicuro. Dopotutto, Dev sarebbe stato con te, ti avrebbe protetto e amato.»

«Non ha pensato di dirmi di questo, però» mugugnò Chelsey, guardandosi le mani come se ne avesse paura. «Ho capito perché non posso dirlo a Roxy, o perché non posso rispondere alle ripicche di Buck, ma…»

«E’ tanto da chiedere a una bambina di undici anni, lo so.»

«Signorina. Io, beh, ecco… sai…» ammiccò Chelsey, arrossendo un poco.

Iris, allora, sorrise e replicò: «Oh, scusami. E da quando?»

«Tre settimane fa, e…» iniziò col dire Chelsey prima di interrompersi, guardare il cielo sgombro di nubi oltre le alte porta-finestre e domandare a Iris: «Perché solo adesso

«Forse, perché sei cambiata. Per l’appunto, non sei più una bambina, ma una signorina, perciò eri pronta» borbottò Iris, pensierosa. «Di per sé, avrebbe senso. Non sei più in fase prepuberale.»

Chelsey venne colta da un secondo, più preoccupante dubbio e, fissando vagamente ansiosa Iris, esalò: «Ma… sei io ce l’avevo nel sangue da quando sono nata, non è che ora diventerò grande e grossa come Lucas?!»

Iris pensò per un attimo al fisico statuario di Lucas che, pur non assestandosi sulle dimensioni incredibili di Rock, era assai alto e dalle spalle ampie.

Non sapendo davvero cosa rispondere alla ragazza, la donna asserì: «Beh, direi che non è il caso di preoccuparcene ora. Penso che dovremo pensare a cose più impellenti, adesso.»

«E cioè, quali?»

«Chiedere a Lucas di insegnarti a parlare mentalmente» dichiarò Iris, toccandosi la fronte. «Ho notato che non hai mai tentato di farlo.»

«Per la verità, sentivo dei bisbigli nella testa, mentre voi lo facevate, ma non riuscivo a inquadrarli, come se la mia radio fosse fuori portata» ammise Chelsey.

«Allora, prima di tutto, penseremo a quello» decise Iris, prima di udire dei passi sulle scale.

Volgendosi a mezzo, Iris dovette costringersi a non lasciar cadere la mascella, quando vide Dev in maniche di camicia e jeans schiariti.

Non sapeva esattamente perché, visto che lo aveva scorto più volte con quell’abbinamento, ma poteva essere colpa della camicia in raffinato cotone egiziano, dello stesso tono di grigio dei suoi occhi.

Di una cosa, comunque, era certa. Dev si era messo il profumo, il che la sconcertò parecchio e, al pari di Chelsey, storse il naso e borbottò: «Butta quell’eau de toilette

«Perché?» gracchiò Dev, puntando le mani sui fianchi con espressione burbera e fermandosi a metà della scalinata.

Anche Chelsey fu d’accordo con Iris e brontolò: «Copre il tuo odore, che è più buono, e mi pizzica il naso.»

Devereux guardò il soffitto con espressione esasperata e, sollevando le braccia come per mandarle a quel paese, tornò al piano superiore bofonchiando: «Mi ci mancavano pure due segugi in casa…»

***

Mezz’ora e sette boccette tra profumi, dopobarba e deodoranti dopo, riuscirono finalmente a partire dallo chalet e Iris, scrutando spiacente tutto ciò che avevano fatto togliere dal bagno di Dev, mormorò: «Scusa davvero tanto, ma non hai bisogno di quella roba.»

«Ti perdono solo per via delle polpette» sbuffò l’uomo, avviandosi lungo la via per scendere in paese. «Di sicuro, Rock sarà felicissimo di prendere i miei profumi e quant’altro. Spero soltanto che, su di lui, non farete le stesse storie.»

Sia Iris che Chelsey si dimostrarono degnamente imbarazzate e Dev, sospirando, esalò: «Sindacherete anche con lui?!»

«Beh, dopotutto, è uno dei pochi che sa di noi, e passeremo un sacco di tempo insieme, perciò…» tentennò la figlia, non sapendo dove guardare.

Dev masticò un’imprecazione indefinibile tra i denti e, dopo aver inchiodato la jeep accanto a un cassonetto, scese di buon passo, prese i vari flaconi e lì gettò via, risalendo subito dopo.

Non disse nulla, e le due passeggere non osarono fiatare ma, quando raggiunsero lo Strawberry Moose, fissò entrambe arcigno e ringhiò: «Sappiate una cosa. Adoro l’aglio e voi non mi costringerete a smettere di mangiarlo, è chiaro?»

«Limpido» annuirono entrambe con vigore.

«Bene» bofonchiò l’uomo, dirigendosi verso la porta del locale, subito seguito da una mogia Iris e una spiacente Chelsey.

Non appena furono all’interno del locale – piuttosto vuoto, a quell’ora del pomeriggio – il barista salutò Dev con un cenno della mano e un sorriso, cercando nel contempo di non ridere di fronte alle espressioni cupe delle due donne dietro di lui.

«Ehi, amico! Giorno di pausa?» celiò Cameron, mentre il gruppetto si avvicinava al banco dei gelati.

«Diciamo di sì» assentì vago Dev. «Coraggio, scegliete.»

Iris si sentì trattata alla stregua di una seconda figlia e, per qualche motivo, la cosa le diede un fastidio immenso ma, al tempo stesso, le scaldò il cuore.

Era da tempo che non si sentiva davvero parte di qualcosa, e i modi acerbi e un po’ goffi di Devereux le piacevano, anche se erano spesso venati di ironia nei suoi confronti.

«Cameron, puoi darmi una coppetta con cioccolato e vaniglia?» domandò Chelsey, scrutando golosa la distesa di gusti dinanzi a lei.

«Ti lanci verso nuove avventure, Sysy? Non hai mai provato gusti a base di crema…» ironizzò Cameron, preparandole il gelato.

«Sono grande, per i sorbetti» celiò Chelsey, prendendo di buon grado la sua coppetta.

«Per lei, signorina?»

«Solo Iris, grazie. Mi dia pure gli stessi gusti, ma aggiunga anche la granella di cioccolato» disse la donna, sorridendo generosamente.

«Ecco a lei, Iris.»

«Andate a sedervi» borbottò subito dopo Dev, scrutando sulla porta della cucina la figura alta e slanciata di Alyssa Rochester.

Cameron fece finta di nulla e, mentre Iris e Chelsey raggiungevano un tavolo d’angolo, Dev disse: «Preparami una coppetta con pistacchio e nocciola, mentre scambio due parole con Alyssia.»

Cameron assentì ma non si mosse, immaginando senza troppa difficoltà che le parole sarebbero state ben più di due e che, nel frattempo, il gelato avrebbe finito con lo sciogliersi, nell’attesa che lui finisse.

Dev, a quel punto, oltrepassò il bancone, si appoggiò allo stipite della porta della cucina e, dopo avervi sbirciato all’interno per capire se vi fossero orecchie in ascolto, disse: «Dimmi pure ciò che ti passa per la testa, Aly. Hai un’espressione che mi preoccupa.»

Lanciata solo un’occhiata veloce al tavolo di Iris e Chelsey, la donna replicò con una punta di veleno: «Serviva una straniera, per farti abbassare la guardia? O è il fatto che sia la classica bionda americana e un po’ svampita?»

Cosciente che Iris non solo stava ascoltando, ma che poteva percepire alla perfezione ogni loro parola, Dev sperò che avesse abbastanza sangue freddo per non esplodere e, scrollando le spalle, replicò: «Hai parlato con lei, per poter dire che è svampita? O ti basi sugli stereotipi della TV? Inoltre, cosa vuoi dire con ‘abbassare la guardia’? Non mi sembra di aver fatto sesso con lei in mezzo al paese, o cose simili, per portarti a dire scemenze simili.»

Cameron sollevò sorpreso le sopracciglia, a quelle parole ma, prima che uno dei due contendenti potesse accorgersi del suo malcelato interesse, afferrò una vaschetta mezza piena di gelato e si defilò in cucina con la scusa di volerla riempire.

Alyssia lo fissò ugualmente con espressione accigliata, ma non gli disse nulla, limitandosi a Dev come oggetto del suo astio.

«Dico soltanto che mi sembra assurdo mettere tua figlia nella condizione di illudersi, quando sappiamo entrambi che quella tizia tornerà a casa sua non appena si stancherà della campagna e di questo ambiente bucolico. Quelle di città sono tutte così.»

Dev, allora, sorrise divertito e asserì: «Altro stereotipo. E da dove ti viene questo improvviso interesse per Chelsey quando, fino a poche settimane fa, a parte un ‘ciao’ e un buffetto sul naso, non ti esprimevi, con lei? Devo ricordarti che, a suo tempo, consigliasti Julia di abortire?»

«La gente cambia» si limitò a scrollare le spalle lei.

«In così poco tempo?» ironizzò Devereux, sempre più incredulo di fronte al comportamento infantile della donna. «Aly, per rispetto verso tuo padre sono venuto a chiarire le cose con te, ma non mi obbligava di certo nessuno. Sei pregata di non dare fastidio alla mia amica Iris perché, a quanto pare, Chelsey le si è legata molto e, ciò che vuole mia figlia, lo può avere.»

«La stai viziando» sottolineò aspra Alyssia.

«Devo compensare ciò che le è venuto a mancare, non credi?»

Accusando il colpo, Alyssia replicò caustica: «Julia avrebbe dovuto seguire il mio consiglio e abortire. Non era pronta. E’ questo che l’ha allontanata da… da Clearwater.»

Quel leggero tentennamento – oltre alle parole terribili proferite da Alyssia – fece aggrottare la fronte di Dev, che ringhiò: «Allontanata …da te? Era questo che volevi dire? Se pensi che Julia fosse preoccupata di questo, ti sbagli. Certo, eravate amiche e tutto quel che vuoi, ma non eri indispensabile come, a quanto pare, lei lo era per il tuo equilibrio mentale.»

«Tu non sai niente di ciò che ci legava! Lei era mia amica!» sibilò Alyssia. «Lei non mi avrebbe mai lasciata qui da sola, se tu non l’avessi costretta a tenere Chelsey, e…»

Devereux scosse un braccio per bloccarne l’arringa e, furioso, dichiarò: «Aly, a Julia interessava sfruttare le persone. Punto. Ha sfruttato me come ha sfruttato te e, quando non le è più bastato quello che aveva qui, se n’è andata. Avere me non ti ridarà ciò che avevi con lei. Io non sono Julia. Non potrò mai essere ciò che lei era per te.»

La donna reclinò il capo e, torva, mormorò: «Tu non puoi capire.»

Ciò detto, si portò una mano al cuore e strinse, come se realmente sentisse dolore, come se il vuoto lasciato da Julia fosse tangibile, reale. Come se, andandosene, le avesse strappato via dal petto una parte di lei.

Dev sospirò e, perdendo ogni desiderio di infierire, terminò di dire: «Ti ha lasciato un vuoto dentro, lo so, ma non posso essere io a colmarlo. Mettiti il cuore in pace, Aly.»

Lei lo fissò malissimo ma non replicò e Dev, dopo un istante, tornò al banco dei gelati – dove Cameron era tornato alla chetichella – e infine raggiunse Iris e Chelsey al tavolo.

Nessuna delle due fiatò, limitandosi a terminare lentamente i loro gelati e Dev, sospirando nuovamente, borbottò: «Poi vi chiedete perché sto alla larga dalle donne? Come si fa ad avere a che fare con voi senza diventare pazzo?»

 

 

 

N.d.A.: Spaccato familiare e nuove conoscenze. A quanto pare, i nonni di Chelsey sono unanimemente concordi nel ritenere Iris una specie di eroina, e la cosa la lascia vagamente sconvolta.

Scopriamo inoltre perché Dev abbia sempre tenuto a distanza Alyssia. Non era davvero la donna adatta a lui, o alla figlia.

Stando così le cose, Alyssia lascerà perdere, o proseguirà nella sua personale battaglia contro i mulini a vento per riavere indietro un passato che non potrà mai tornare?

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


9.

 

 

 

Il sole si era levato da almeno un paio d’ore e la giornata prometteva di essere calda e piacevole, nonostante un leggero vento da nord portasse con sé il profumo freddo delle nevi alaskiane.

Aprile aveva lentamente lasciato il posto a maggio, diventando ogni giorno più tiepido e più conforme agli standard cui Iris era stata abituata per anni.

Non che dovesse più temere il freddo, grazie alla sua nuova termoregolazione, ma sarebbe parso strano anche in quelle lande che lei si avventurasse per le vie di Clearwater in canottiera e shorts.

«E così, pensi di fermarti per molto?» mormorò lo zio al telefono, mentre Iris sistemava sul letto il libro che avrebbe iniziato quella sera.

Trovava che ricominciare a leggere i gialli di Agatha Christie fosse una cosa positiva. Non ricordava quasi nulla, di quegli scritti, e voleva riprenderli in mano tutti. Inoltre, il solo fatto che le fosse tornata voglia di leggere, denotava quando, la sua nuova vita, stesse riprendendo un ritmo più normale e meno sincopato.

L’aria di Clearwater le faceva bene per più di un motivo, a quanto pareva.

«Credo di sì. Così potrò indagare meglio e scoprire se qualcuno sa qualcosa» asserì cauta Iris, infilando nel cassettone laterale il resto dei libri non scelti.

Non sapeva esattamente perché ma, dopo aver detto la verità a così tante persone, e in così poco tempo, aveva la necessità di trattenere per sé almeno qualche informazione.

Le sembrava di essersi esposta fin troppo e, anche se suo zio conosceva la verità su di lei e su Lucas, non era del tutto necessario che sapesse anche la storia di Chelsey e Julia.

Forse, se tutto fosse andato per il meglio, gliene avrebbe anche parlato, ma non in quel momento.

Trovava che approcciare le vicende della famiglia Saint Clair fosse davvero prematuro, perché forse suo zio non avrebbe compreso cosa la spingesse a rendersi tanto disponibile verso una bambina appena conosciuta.

Inoltre, ciò che era successo a Julia e Devereux era così privato e intimo che non se la sentiva di parlare per loro a terze persone.

Era già sufficiente accettare che Dev conosceva di lei un sacco di cose – fin troppe, per essere un uomo che conosceva sì e no da un mese – senza dover allargare oltre la cerchia di persone informate sui fatti.

Dalla sua, andava detto che neppure Dev si era risparmiato, quanto a confessioni, visto e considerato che si era ritrovato, gioco forza, in una cosa più grande di lui.

Scoprire da un giorno all’altro che la figlia, come secondo mestiere, faceva il lupo mannaro, non doveva essere facile per nessuno. Soprattutto se si considerava che, a lasciare questo discutibile lascito alla pargola, era stata l’ex compagna che lui mal sopportava.

«Beh, spero che la cosa si possa risolvere alla svelta. Qui manchi a tutti, Iris» le disse Richard. «Ringrazia Lucas da parte nostra per l’aiuto che ti sta dando.»

Non sapeva se era vero che mancava proprio a tutti, visto e considerato che, all’interno del Consiglio, alcuni erano stati restii ad accettarla come erede dei genitori – e delle loro quote. Ugualmente, però, Iris lo ringraziò per quelle parole e, dopo averlo pregato di salutarle le cugine e la zia, chiuse la chiamata e sospirò.

Lo sguardo le cadde fuori dal finestrino del camper, da cui si poteva scorgere la foresta immensa e sterminata.

Tutt’altro genere di panorama l’avrebbe accolta a L.A., se mai fosse tornata.

Già. Se fosse tornata.

Quel lungo e spesso infruttuoso viaggio le aveva permesso di allontanarsi da una città caotica che sempre meno sentiva come sua e, trovandosi in un luogo di pace come quello, la sensazione era aumentata fino a diventare imbarazzante.

Clearwater le piaceva e, anche se in un paese piccolo come quello, si era spesso preda di pettegolezzi – la quasi lite tra Dev e Alyssia era già diventata di dominio pubblico – il tutto era compensato dalle magnifiche atmosfere e dalla certezza che nulla durava per sempre.

Al prossimo pettegolezzo succoso, lei e Dev sarebbero passati di moda come il cambio di stagione negli armadi e le persone avrebbero smesso di sorriderle sornioni.

Certo, qualche battuta in tal senso – e la speranza di qualche commento succoso su Saint Clair – ci sarebbe comunque stata, ma tutto si sarebbe smorzato alla svelta.

Il solo pensiero la fece ridere e, nell’alzarsi dal divanetto per uscire dal camper dopo la sua lauta colazione – tre panini con burro di arachidi e prosciutto, accompagnati da un fiume di latte caldo – si stiracchiò e si preparò per la sua scampagnata.

Ormai, per lei, era diventata una consuetudine piacevolissima, e non vi era più sentiero che non conoscesse a menadito.

Il fatto non trascurabile di poterli percorrere con gli occhi di un lupo mannaro – e perciò carpirne i segreti come nessun esperto escursionista avrebbe mai potuto fare – le dava inoltre molte soddisfazioni.

Quel pomeriggio, come da programma, avrebbe accompagnato Chelsey nel bosco. Nell’attesa, però, avrebbe scelto il luogo più interessante, e sicuro, da percorrere e si sarebbe impegnata a preparare il necessario per un pic-nic.

Con loro, avrebbero portato anche la chitarra, unendo così l’utile – imparare a conoscere i propri corpi di lupo – al dilettevole, e cioè suonare.

L’idea di insegnarle a suonare la chitarra e, assieme a ciò, passeggiare per il bosco come lupi, le era venuta spontaneamente. Al primo esperimento, poi, ne era seguito un secondo e, visto che i loro tentativi erano risultati soddisfacenti, le due avevano proseguito.

Chelsey veniva da lei ogni qualvolta non doveva rimanere a scuola il pomeriggio e, insieme, si recavano nel bosco armate di compiti, chitarra e zaini per gli abiti.

Devereux si era dichiarato d’accordo – lieto che Chelsey potesse prendere piena coscienza d quella nuova parte di sé – e, più di una volta, si era unito a loro per quelle scampagnate fuori porta.

Forse, quel giorno, si sarebbe unito a loro. Chissà?

Uscita che fu dal camper, già pronta a mettersi all’opera, Iris dovette fermarsi sul predellino più basso della scaletta per osservare guardinga la figura di Alyssia Rochester, ferma a pochi passi da lei.

«Ah… buongiorno» disse cauta Iris, terminando di scendere.

Alyssia accennò un saluto col capo, prima di domandare: «Posso disturbarti per due chiacchiere?»

«Certo» assentì Iris. Due chiacchiere non avevano mai ammazzato nessuno, e lei poteva difendersi agevolmente, all’occorrenza. «Vuoi fare una passeggiata, o preferisci accomodarti?»

«Una passeggiata va bene» dichiarò Alyssia, annuendo.

Iris, allora, la raggiunse nello stradello inghiaiato e, con lei, si incamminò per raggiungere uno dei sentieri per famiglie che si snodavano dal campeggio verso la foresta e il lago limitrofo.

Non sapendo cosa aspettarsi, Iris rimase in silenzio, le mani in tasca, in attesa che Alyssia decidesse cosa dirle. Era indubbio il suo desiderio di esprimere a parola il suo disagio, ma Iris non aveva davvero idea in cosa questo desiderio si sarebbe tradotto.

Avrebbe pianto, o l’avrebbe ingiuriata a male parole?

Quando furono fuori dalla portata visiva dell’ufficio di Lucas e dirette verso il sentiero che conduceva al vicino lago, Alyssia esordì dicendo: «Immagino che Dev ti abbia parlato di me.»

«So che sei stata una grande amica di Julia, la sua ex compagna» mormorò Iris, non sapendo quanto spingersi in là.

«Sai di Julia?!» esalò sorpresa – e vagamente irritata – la donna, squadrandola con i suoi caldi occhi marroni.

Ad Iris tornarono in mente le spade laser dei guerrieri jedi; gli occhi di Alyssia erano brucianti e taglienti allo stesso modo.

«Chelsey mi racconta un sacco di cose, e alcune me le ha spiegate Devereux» ammise Iris, scrollando le spalle.

Alyssia, allora, rise sardonica e replicò: «Beh, non credere a tutto quello che ti dice, perché Dev è uno sporco bugiardo e farebbe di tutto per passare come la vittima della situazione.»

Accigliandosi leggermente, e decidendo di darle corda per capire dove volesse andare a parare, Iris mormorò sorpresa: «Dici che Julia non si è allontanata spontaneamente?»

«E’ ovvio che non se n’è andata di qui di sua spontanea volontà!» protestò Alyssia, accalorandosi. «Sono più che certa che Julia sarebbe rimasta accanto a Chelsey, se avesse potuto. Ovviamente, Dev non ti ha detto che ha cercato di internarla, vero?»

Giungendole quella notizia del tutto nuova, Iris scosse il capo con vigore e Alyssia, sorridendo trionfante, dichiarò: «L’hanno sempre creduta pazza, ma Julia era soltanto uno spirito libero. Dev non l’ha mai capito e ha sempre cercato di tarparle le ali, di farla diventare una sua creatura e, quando gli è sembrato di non poter ottenere altro, da lei, ha tentato di rinchiuderla in una rehab.»

Iris sbatté le palpebre confusa, e questo concesse ulteriore spazio di manovra alla sua interlocutrice.

Passandosi nervosamente una nella folta e liscia capigliatura color mogano, Alyssia si lappò le labbra, lanciò uno sguardo denso di ricordi al vicino lago – ove stavano navigando alcune barche di turisti – e mormorò: «Voglio solo avvertirti di stare attenta, perché potrebbe spogliarti di tutto ciò che hai – e che sei – prima di gettarti via senza alcun riguardo, esattamente come ha fatto con Julia.»

Iris rimase in silenzio finché non raggiunsero il bivio che conduceva nel bosco e lì, poggiatasi contro la staccionata che delimitava il sentiero che circumnavigava l’ampio lago, ne scrutò le acque limpide e color turchese.

In quel periodo dell’anno, e grazie alla giornata splendida, assomigliava a uno scampolo di cielo.

«Se Devereux è questo mostro di iniquità come lo dipingi, perché lo volevi per te?» le domandò infine Iris, volgendosi a mezzo per scrutarne il bel volto.

Se non fosse sempre stata accigliata e in lotta con il mondo, sarebbe stata una splendida ragazza dalle chiare radici nativa ma, stando così le cose, gran parte del suo fascino si eclissava.

Alyssia la fissò torva, di fronte a quella domanda, e replicò: «Io non mi sarei fatta imbrigliare da lui, e avrei saputo domarlo, non farmi domare

«Onestamente, non capisco tutta questa gran fatica, visto che sembri detestarlo. Ci sono uomini altrettanto affascinanti, in zona, e che richiederebbero meno sforzi, perciò te lo richiedo. Perché lui?» ribatté Iris, facendosi seria e concentrandosi sulle reazioni spontanee del corpo della donna.

Il suo cuore era ribollente, nel petto ansimante e gli occhi, due esili fessure scure, parevano quelli di una persona divorata da demoni davvero spaventosi.

«Ti ha già traviata, vedo. Non sono arrivata in tempo» le ritorse contro Alyssia, scuotendo il capo.

«No, guarda, sei proprio sul binario sbagliato» asserì Iris, facendo sorgere un sorriso beffardo sul suo viso. «Ho abbastanza cervello per fare due più due, anche se tu mi consideri una bionda svampita…»

A quell’accenno Alyssia avvampò, ma Iris continuò nella sua arringa.

«…Devereux non mi ha contagiata con nessun morbo di qualche tipo, non mi tiene prigioniera in cantina per i suoi scopi malvagi e io non sono un burattino nelle sue mani. Però, so riconoscere una donna ferita nell’orgoglio, e che non sa accettare la sconfitta.»

«Ti sbagli di grosso!» sbottò Alyssia, alterandosi ulteriormente e slanciando su un fianco il braccio sottile, come a voler scacciare un nemico. «Julia non si sarebbe mai lasciata alle spalle la figlia, se Dev non l’avesse costretta. E poi… e poi, eravamo troppo legate, perché lei mi abbandonasse senza una spiegazione. E’ solo colpa di Dev!»

Il dolore che Iris lesse negli occhi di Alyssia era reale, reale quanto folle e, per certi versi, pericoloso. Sì, lei credeva davvero in ciò che diceva. Riguardo a Julia, quanto meno, il che le dava un’idea sommaria di quanto la donna avesse distorto la realtà per poterla rendere accettabile ai suoi occhi ossessionati.

«E tu volevi averlo per te per poi vendicarti su di lui? Perché ti ha allontanato dalla tua migliore amica? Volevi questo?» le domandò Iris, mettendo infine le carte in tavola. «O c’è qualcosa di ancora più perverso, dietro le tue mire?»

«Non fidarti di lui. E’ solo un bugiardo» le disse soltanto Alyssia, volgendosi per tornare al campeggio senza concederle alcuna replica.

Iris si limitò a scrollare le spalle, non volendo crearsi problemi laddove non ve n’erano. Che Alyssia credesse pure a quel che voleva.

Non l’avrebbe rincorsa per lanciare un’arringa in difesa di Devereux, perché non avrebbe avuto alcun senso. Da quell’orecchio, a quanto pareva, Alyssia non avrebbe mai sentito.

Era chiaro quanto, la scomparsa di Julia, l’avesse turbata e avesse rotto il suo fragile equilibrio psicologico, ma lei non voleva entrare nel merito.

Certo, le avevano dato fastidio le parole espresse nei confronti di Dev, ma lei non era il suo paladino, e davvero non credeva che lui avesse bisogno di una protezione di qualche genere.

Inoltre, credeva che la sola idea lo avrebbe irritato e basta.

Tornandosene perciò in tutta calma al campeggio, Iris cercò di farsi passare l’irritazione provata ma, quando raggiunse la sua piazzola di sosta, non poté contenere l’ira nel notare gli pneumatici della Smart tagliati di netto.

L’odore di Alyssia era ovunque, perciò non poteva sbagliarsi sul fautore di un simile sgarbo. Ciò che la trattenne dall’andare immediatamente alla polizia fu che, in primis, la simpatica canaglia era la figlia del comandante e, in seconda istanza, lei non poteva dire di sentire il suo odore attorno all’auto.

Come avrebbe potuto dimostrarne la colpevolezza, senza prove?

La rabbia quindi crebbe e, quando vide Lucas avvicinarla con aria guardinga, non se ne stupì.

Potendo parlarsi mentalmente, non trovava strano che ne avesse percepito anche il malumore. In quel momento, con tutta probabilità, trasmetteva come una radio a tutto volume, e soltanto improperi a spron battuto.

«Sapevo che avrei dovuto fermarla…» sbuffò Lucas, prima ancora di chiederle lumi.

«Non c’è il divieto di accesso ai pedoni, visto che uno degli ingressi al parco si trova nel campeggio» scrollò le spalle Iris, guardando irritata le gomme a terra.

Quello scherzetto le sarebbe costato sui quattrocento dollari, più o meno, e non avrebbe neppure potuto sporgere denuncia.

«Avrei comunque dovuto prevederlo. In ogni caso, se pensa di passarla liscia, si sbaglia di grosso» sbottò l’uomo, avviandosi per tornare all’ufficio.

Iris lo seguì dappresso e replicò: «Mica possiamo andare alla polizia e dire che abbiamo sentito l’odore di Alyssia attorno all’auto, ti pare?»

«Faremo di meglio» le fece notare lui, indicando con il pollice una delle telecamere di sorveglianza del campeggio.

Iris sentì rifiorire la speranza al solo vederle e, preso sottobraccio Lucas, mormorò: «Sappi che ti sto adorando, adesso.»

Lui rise, ma disse torvo: «Il capo Rochester non sarà affatto contento, ma neppure sorpreso… e temo che questo costerà caro ad Aly. Ma non possiamo permetterle di infastidirti. Per cosa, poi?»

«Ah, sì… voleva mettermi in guardia dal naso lungo di Devereux. Dice che è un bugiardo, che mi ferirà così come ha ferito Julia, e altre baggianate simili» lo mise al corrente Iris, mettendo ironia e sconcerto nella sua voce. «Mi ha messo un po’ paura, ma non tanto per le parole, quanto per il fatto che sembra realmente convinta che sia tutta colpa di Dev. Il che mi porta a chiedermi perché lo voglia nella sua vita.»

«Come temevo, ti ha vista come una minaccia alle sue follie, e si è mossa di conseguenza» scosse il capo Lucas.

«Non riesco a capire se sia perversamente innamorata di Dev, o se sia semplicemente matta» asserì Iris, entrando in ufficio assieme a Lucas.

«Dubito che Alyssia, così come a suo tempo Julia, sia in grado di amare in maniera altruistica. Sanno possedere, questo sì, ma credo nient’altro.»

Ciò detto, controllò le registrazioni delle telecamere e, dopo aver individuato i fotogrammi che interessavano loro, li copiò su una chiavetta USB e borbottò: «Suo padre si incazzerà di brutto.»

«Non mi interessa sporgere denuncia e danneggiarla in qualche modo, ma non desidero neppure ripetere l’esperienza» sottolineò Iris.

Lucas la fissò con intensità, non sapendo se essere d’accordo con lei o meno ma, alla fine, disse: «Sarà più di quanto otterrai da lei.»

«Mi basta che se ne stia alla larga da me» scrollò le spalle la giovane.

«Quando lo saprà Dev, le strapperà i capelli dalla testa. Detesta queste tirate» chiosò Lucas, salendo sul suo pick-up, subito seguito a ruota da Iris.

«Beh, dovrà farsela passare, visto che non è a lui che hanno tagliato le gomme, ma a me

«Si incazzerà perché Alyssia l’ha usata come scusa per danneggiarti. Non ama questo genere di scaricabarile» le fece capire Lucas, ingranando la marcia.

Clarisse si volse incuriosita verso di loro mentre sistemava alcune aiole nei pressi dell’entrata del camping, e li guardò con espressione dubbiosa. Quando furono a tiro, domandò: «E’ successo qualcosa, ragazzi?»

«Alyssia ha colpito ancora» sbuffò Lucas.

La donna si accigliò visibilmente, guardò Iris e mormorò: «E’ per via di Devereux.»

Non fu una domanda, ma una constatazione, e questo irritò un poco Iris, che replicò scocciata: «Ma una donna, da queste parti, non può avere una sana relazione di amicizia con un uomo senza, per questo, finirci a letto?»

Clariss, allora, scoppiò in una calda risata, assentì ma disse per contro: «Certo, tesoro. Ma non è così succoso, come pettegolezzo.»

Iris scosse il capo, esasperata e, scuotendo il capo mentre Lucas ripartiva per raggiungere la stazione di polizia, si domandò se si sarebbe mai abituata a quel clima paesano.

Clearwater le piaceva, ma poteva fare benissimo a meno del suo ficcanasare continuo.

***

La stazione della Reale Polizia a Cavallo di Clearwater parve a Iris più un centro diurno per gli amici di paese, che un luogo in cui la legge veniva fatta rispettare.

La bassa costruzione a due piani era di un caldo color beige, che ben si sposava con il tetto color cioccolata in laminato.

Nei pressi dell’entrata, sormontata da una tettoia a doppio spiovente, un paio di auto erano posteggiate entro le strisce di delimitazione e Iris, nel passarvi accanto, percepì odore di dolciumi e di patatine fritte.

Che qualche ragazzino si fosse messo nei guai, e fosse finito sul sedile posteriore di una delle auto della polizia?

Lucas la guidò all’interno, indicandole il bancone dell’accettazione, dove una pingue signora dai tratti tipici dei Nativi Americani sorrise loro e domandò: «Cos’hai combinato, Lucas, per presentarti qui con una donna? Sei per caso rinsavito?»

Il giovane scoppiò a ridere per alcuni istanti, prima di asserire: «Mi spiace, Miriam, ma non è davvero successo. Sono qui perché abbiamo bisogno di parlare con il comandante Rochester.»

Accigliandosi un poco, la donna tornò a scrutare Iris per alcuni istanti e, dubbiosa, disse: «Se vuoi, ti mando l’ufficiale Lewis.»

Lucas scosse il capo e, funereo, mormorò a bassa voce: «No, Miriam. Abbiamo davvero bisogno di Jordan.»

A quel punto, Miriam scosse a sua volta il capo, sospirò e, nel pigiare un pulsante dell’interfono, borbottò: «Cos’altro avrà combinanto, quella benedetta ragazza?»

Iris non si stupì più di quel tanto, nel sentirla parlare a quel modo. A giudicare dal grado di psicosi di Alyssia, non doveva essere nuova a tirate simili, né al fatto che, a farne le spese, fosse una donna.

Il ronzio dell’interfono fece da contraltare alla voce profonda e vagamente stanca del comandante che, dopo aver ascoltato il rapido messaggio di Miriam, garantì la sua presenza nel breve decorrere di qualche minuto.

Lucas, allora, la ringraziò al pari di Iris e, assieme, andarono ad accomodarsi nella zona di attesa, mentre il vociare degli agenti al telefono si confondeva con il chiacchiericcio di chi stava attendendo.

Iris colse l’occasione per guardarsi un po’ intorno e, sulle bacheche appese ai muri, notò pubblicità di alcuni campeggi nella zona, un paio di denunce di scomparsa di cani da caccia e qualche depliant sui corsi di autodifesa.

“Non abbiamo i most wanted appesi ai muri, se era questo che stavi cercando” le trasmise Lucas, sorridendole a mezzo.

Lei accennò un sorrisino e replicò: “Non lo credevo davvero. Dopotutto, siamo in Canada.”

“Oh, credimi, abbiamo anche noi i nostri casi umani, ma in generale penso che siamo un tantino più controllati di voi.”

“Lo credo anch’io” assentì Iris, prima di venire incuriosita da un odore in particolare.

Non era propriamente quello di Alyssia, ma ne aveva dei tratti in comune e, quando levò il capo a scrutare il corridoio, vide un uomo sulla cinquantina avvicinarsi a loro con passo veloce.

Indossava la tipica divisa canadese dalla giubba rossa e i pantaloni scuri da cavaliere, oltre a stivali in pelle alti al ginocchio.

La fondina da pistola, che portava allacciata alla cintura, sembrava non essergli d’impaccio, nel suo incedere militaresco e, tra sé, Iris si disse che Liza, nel vederlo, sarebbe sicuramente impazzita.

Se c’era una cosa che adorava la sua cuginetta sedicenne, erano le divise. Per la Reale Polizia a Cavallo, poi, aveva un’autentica venerazione.

In quel momento, però, non erano lì per divertirsi, ma per parlare con Jordan Rochester di ciò che era appena avvenuto al campeggio.

Gli occhi neri dell’uomo non sembravano sorpresi di vederla e, quando invitò sia Lucas che lei nel suo ufficio, la giovane si domandò come si sarebbe svolta, quella chiacchierata informale.

Oltrepassata una porta a vetri satinati, Iris scorse un mobilio spartano, un paio di sedie dinanzi a una classica scrivania in ferro e legno, raccoglitori in plastica, diverse scartoffie un po’ ovunque e alcune foto appese alle pareti.

Stranamente, non vide foto della famiglia.

Dopo averli invitati a sedere, Rochester si accomodò sulla sua poltroncina da ufficio, si mosse leggermente sulle ruote e, poggiato un gomito sul sottobraccio di finta pelle della scrivania, dichiarò: «La signorina Iris Walsh, se non erro.»

«Sì, signore» assentì lei, sul chi vive.

«La mia centralinista mi ha detto che avevate bisogno di parlare con me personalmente. Ne deduco che il problema che vi assilla mi riguardi in qualche modo, e molto da vicino» disse ancora il comandante, lasciando scivolare fuori dalla bocca un amaro sospiro.

«Temo di sì» annuì Iris, lanciando un’occhiata a Lucas, che estrasse da una tasca la sua chiavetta USB.

Rochester, allora, si volse a mezzo, prese da un cassetto il suo notebook, lo accese e, mentre il computer si caricava con un sordo ronzio, domandò a Lucas: «Alyssia ha fatto qualcosa all’interno del tuo campeggio, ragazzo?»

Già sapeva che il problema dipendeva dalla figlia. Quante altre volte aveva dovuto coprirla, o pagare per i suoi errori? Iris davvero non lo sapeva, ma dubitava che le rughe sul volto dell’uomo dipendessero solo dall’età.

«E’ tutto visibile nel video di sorveglianza» si limitò a dire il giovane, ombroso in viso.

L’uomo sospirò ancora e, dopo aver inserito la chiavetta e avviato il video, divenne di ghiaccio. Era lampante quanto, ciò che stava vendendo, non fosse di suo gradimento, pur se forse non del tutto inaspettato.

Rochester non disse nulla fino alla fine del video e, quando questo si interruppe, scrutò Iris e domandò: «Vuole sporgere denuncia?»

«Vorrei soltanto non essere più fatta oggetto di un simile atto deliberato» replicò la giovane. «Non so perché sua figlia non mi abbia creduto, quando le ho detto che non sono interessata al signor Saint Clair, ma di certo non credo di meritare questo

Rochester assentì lentamente quanto stancamente, mormorando per contro: «Temevo che la faccenda di Devereux sarebbe saltata fuori, prima o poi. Ne è sempre stata ossessionata, in qualche modo.»

«Jordan… comandante Rochester…» si corresse alla svelta Lucas, sapendo bene che, entro quelle mura, l’uomo non era il suo vecchio allenatore di baseball, ma un agente della polizia. «…Alyssia ha deliberatamente danneggiato una mia cliente, all’interno del mio campeggio. E’ inaccettabile, e lo sa bene.»

«Ne sono consapevole, e Alyssia pagherà salato lo scotto di aver voluto comportarsi come una scellerata…» annuì l’uomo, con tono lapidario. «… ma, innanzitutto, vorrei scusarmi con lei, miss Walsh, per il gesto di mia figlia. Speravo che le terapie mediche e il lavoro l’avrebbero calmata ma, a quanto pare, i suoi problemi permangono.»

“Terapia? Questa non la sapevo. Tu ne eri al corrente?”, chiese Iris a Lucas, mentre ringraziava il comandante per le sue parole.

“Onestamente, neppure ci pensavo più. Alyssia seguì una terapia psicologica quando aveva sedici anni. Durò più o meno un anno e mezzo, se la memoria non mi inganna. Più tardi, quando Julia scappò, andò per qualche settimana a Vancouver, o così dissero. E’ chiaro che, invece, deve essere rientrata in clinica, visto che ha parlato al plurale.”

“Quindi, ho a che fare con una pazza?”

“Non so se sia il termine giusto. Non seguii attentamente la cosa perché, onestamente, Alyssia non era del mio giro, ma non credo che sia mai stata ritenuta malata di mente, se è questo che intendevi.”

Iris lasciò perdere la conversazione mentale con Lucas – era difficile parlare con lui e stare attenta alle parole del comandante – e, rivolta all’ufficiale di polizia, dichiarò: «So tenere a bada le donne gelose, mi creda, ma vorrei che vi fossero almeno i motivi a sostegno di questa gelosia, ecco tutto.»

L’uomo assentì ancora e, con un ultimo sguardo a Lucas, disse: «Faccia pure mandare il conto del gommista qui in ufficio. Penserò io a saldarlo. E’ il minimo che possa fare, visto che non ha intenzione di sporgere denuncia.»

Iris annuì senza dire altro e Lucas, nell’alzarsi assieme a lei, dichiarò: «Non potrà più entrare nel campeggio. Non me lo posso permettere.»

«Le dirò anche questo» annuì l’uomo, congedandoli poi con un saluto fiacco.

Usciti che furono dall’ufficio, la coppia si fermò per un istante nel piazzale per godersi la luce del sole e lì, quando fu certa che nessuno ascoltasse, Iris domandò: «Cos’è? Una tara?»

Lucas scrollò le spalle e, dopo averla invitata a salire sul pick-up e aver messo in moto, le disse: «La moglie di Rochester ebbe un crollo nervoso quando il fratellino di Alyssia annegò nel Dutch Lake. Aveva sei anni circa, mentre Aly ne aveva dieci. Da quel giorno, Sandra non fu mai più la stessa, e neppure Alyssia. La madre continuò a credere che il figlio fosse vivo, e che qualcuno glielo stesse tenendo nascosto, così avviò campagne di ricerca, richieste di aiuto alle contee vicine,… insomma, fece un gran putiferio per nulla e, come diretta conseguenza, Aly venne messa da parte per un fratello morto» le spiegò Lucas, sospirando pesantemente.

«Quindi, lei si è ritrovata a elemosinare l’amore della madre. E il padre?» mormorò Iris, sgranando leggermente gli occhi per la sorpresa.

«Era così attento a prendersi cura della moglie malata, e impedirle di farsi del male, che trascurò la sola figlia rimasta» ammise suo malgrado il giovane. «Qui subentrò Julia. Divennero buone amiche, durante il periodo delle scuole medie e, subito, Alyssia le si legò come un koala al proprio albero. A Julia questo fece molto piacere perché, notoriamente, amava essere idolatrata e trattata come una mezza divinità.»

Nel dirlo fu sprezzante quanto caustico e Iris si chiese se, in gioventù, anche Dev si fosse spinto ad adorarla al pari di una dea. Non ce lo vedeva a essere così sottomesso, ma le persone potevano subire molteplici cambiamenti, se spinte dall’amore.

«Puoi ben capire la sua infelicità, quando Julia decise di creare una famiglia con Dev. Si sentì abbandonata dalla sua unica figura di riferimento ma, ancora una volta, Julia seppe dimostrare tutta la sua doppiezza. Spinse Dev a vedere Alyssia come una sorta di sorella e, durante tutta la gravidanza, non avresti potuto vedere tre persone più affiatate e unite» mormorò Lucas, svoltando alla circolatoria per rientrare al campeggio.

«Devereux era così disponibile?» domandò sorpresa Iris.

«Dev amava Julia, e le avrebbe concesso qualsiasi cosa la rendesse felice e, effettivamente, fin quando la cosa funzionò, Alyssia fu dolce e carina con entrambi loro, e Julia sembrava al settimo cielo. Quando però lei se ne andò…»

«Alyssia dette la colpa a Dev, immagino» ipotizzò Iris, facendo due più due.

Lucas assentì, arrestando il pick-up dinanzi all’ufficio.

«I primi sei mesi furono orribili. Alyssia arrivò a stazionare sotto casa di Dev per urlargli tutta la sua rabbia, finché lui non la minacciò di farla sbattere al fresco, se non avesse smesso. Rochester, ovviamente, intervenne e lei smise di dargli fastidio… sul momento

«Immagino che cambiò idea» dichiarò Iris, senza timore di venire smentita.

Lucas scrollò le spalle con rassegnazione, scendendo dall’auto assieme alla giovane e, nell’accompagnarla al suo camper, mormorò: «Forse, Alyssia cominciò a pensare che, se fosse tornata a far parte della vita di Dev, avrebbe recuperato quella felicità che aveva provato durante la gravidanza di Julia, così cambiò bandiera e iniziò il corteggiamento. All’inizio, niente più che un semplice desiderio di tornare a essere sua amica ma, pian piano, la cosa prese altre forme, altre dimensioni… fino ad arrivare ad aggressioni verbali verso le donne che cercavano un approccio con lui. E a questo, per terminare in bellezza.»

«Un’ossessione, che si è trasformata in una perversione» mormorò Iris, assentendo grave. «Se lei non può essere felice al fianco di Dev, che deve prendere il posto di Julia nella sua mente contorta, allora Dev non può essere felice a prescindere, e ha creduto che, minacciando me, avrebbe danneggiato Devereux.»

«Temo sia andata così. Ovviamente, mi baso solo su ciò che ho visto e sentito, ma non credo di essere lontano dalla verità. Il problema è che, prima di oggi, è sempre stata abbastanza scaltra da non spingersi troppo oltre, con gli atteggiamenti, e perciò non ha mai rischiato di finire in galera, o peggio. Tagliarti le gomme è stata davvero un’azione disperata.»

Iris assentì e ringraziò Lucas per averla accompagnata. Lui le garantì che suo zio avrebbe sistemato gli pneumatici in giornata, così alla giovane non restò altro che rientrare nel suo camper per preparare i panini per il pic-nic di quel pomeriggio.

La faceva uscire di testa il fatto di essere stata presa di mira da un’invasata ma, più ancora, le dava noia pensare a quello che avrebbe detto Dev non appena l’avesse saputo.

Perché era più che sicura che Lucas, presto o tardi, gliel’avrebbe detto, o che Dev avrebbe saputo della sua visita privata al comandante della Polizia.

Devereux non era uno stupido, e avrebbe sicuramente collegato Alyssia alla sua improvvisa visita alla Polizia a Cavallo.

Rigirando i panini tra le mani mentre li incartava per bene, Iris chiuse gli occhi e, ripassando mentalmente i suoi gesti e le sue azioni, si chiese cosa avesse potuto scatenare le ire di Alyssia.

Certo, era stata vista spesso assieme a Dev e Chelsey, e il suo rientro al campeggio la mattina seguente la nevicata – con la sua auto sul pick-up di Devereux – non aveva contribuito a far scemare i pettegolezzi.

Aveva però sperato che, mantenendo un comportamento tranquillo e rilassato con l’uomo, la cosa sarebbe morta lì.

La chiacchierata di Dev con Alyssia, però, aveva forse spinto la donna a credere tutt’altro, e questo l’aveva scatenata come mai prima. Le sue continue uscite con Chelsey, poi, avevano dato il colpo di grazia al suo fragile equilibrio.

Il punto era che la sua lupa desiderava morderla, forse anche divorarla. Era difficile spiegare alla sua controparte ferina che non si potevano uccidere le persone e, soprattutto, non per delle mere offese.

Quando sentì bussare alla porticina del camper, perciò, desiderò mandare tutti al diavolo ma, non appena percepì l’odore di Clarisse Johnson, si chetò immediatamente e andò ad aprire.

La donna si presentò a lei con un contenitore di latta e un gran sorriso e Iris, nell’avvertire profumo di nocciole tostate e pasta frolla, sorrise istintivamente.

Fattala entrare, Iris le disse: «Se è qui per conto di Lucas, la ringrazio ma non ho bisogno di nulla.»

«Oh, il mio Lucas non può certo dirmi cosa fare, anche se ha la forza di dieci uomini e una bocca piena di denti aguzzi» ironizzò Clarisse, poggiando la torta sul piano cucina. «Ho saputo cos’ha combinato quella scapestrata, e volevo sapere se avevi bisogno di aiuto. Immagino che la tua lupa stia facendo un gran baccano, lì dentro.»

Ciò detto, si toccò la fronte e Iris, sospirando, assentì.

«Vuole vendicarsi e, in parte, le darei anche ragione, se non fosse che lei vorrebbe mangiarsela… ma credo sia tutt’ora illegale, in Canada, come in quasi tutti gli Stati della Terra, mangiarsi qualcuno per diletto» cercò di ironizzare la giovane, facendo sorridere Clarisse.

«Sì, Trudeau non ha ancora cambiato le leggi sull’omicidio, in effetti, e credo neppure gli altri premier in giro per il mondo. Per questo sono qui. Quando Lucas era ancora un bambino, e gestire la sua seconda natura era assai difficile, io gli davo una mano come potevo» le spiegò Clarisse, afferrando gentilmente le mani della giovane. «Vuoi respirare un po’ con me, in un luogo pacifico e rilassante?»

«Mi piacerebbe» annuì Iris, chetandosi un poco nell’affondare nei caldi occhi color cioccolata di Clarisse.

La donna, allora, la scortò fuori dal campeggio e, con calma, si andarono a sistemare in un prato poco distante, baciate dal sole e abbracciate dagli abeti che circondavano la zona.

Lì, Clarisse si sistemò nella posizione del loto e Iris, un po’ più a fatica, la imitò. Essere una lupa mannara le aveva dato un’elasticità maggiore, ma non era così pratica come Clarisse.

La donna le sorrise incoraggiante e, dopo aver chiuso gli occhi, le disse di seguire il suo ritmo respiratorio, cercando di mettere in risonanza i loro battiti cardiaci.

Iris non esitò a farlo e, serrate le palpebre, prese un bel respiro e si concentrò sul bisbiglio della vita che proveniva da Clarisse.

Ne ascoltò il respiro, il fluire del sangue attraverso il cuore calmo, la discesa e l’ascesa lungo vene e arterie, il deflusso e riflusso continuo e, pian piano, si chetò.

Ogni cosa venne ad annullarsi e, poco alla volta, la sua mente si lasciò andare a pensieri più sereni e luminosi.

Fu a quel punto che la strana voce che, ogni tanto, si faceva largo nel suo inconscio, tornò a fare capolino, dicendole: Iris… prestami orecchio…

La giovane, spaventandosi immediatamente, sobbalzò e crollò sulla schiena, sorprendendo Clarisse e facendola preoccupare per diretta conseguenza.

Ansimante e con gli occhi sgranati, Iris non cercò di allontanarsi da quella voce, però e, anzi, la chiamò dentro di sé a gran voce, urlando: “Chi sei?! Perché cerchi sempre di spaventarmi?!”

Non è il mio intento, fanciulla. Tutt’altro.

Quel tono pacato e vagamente antiquato la pacificò un poco e, rimessasi seduta, fece un cenno tranquillizzante a Clarisse prima di domandare cauta: “Quindi… chi saresti, per curiosità?”

Il tuo soffio di vita, fanciulla.

Iris sgranò nuovamente gli occhi, fissò Clarisse con aria stranita e domandò dubbiosa: «Che ne sa di anime o cose simili, Clarisse?»

«Un po’, perché?»

«E’ possibile che la mia voglia parlarmi?» replicò Iris con un sorriso un tantino nervoso.

Clarisse fece tanto d’occhi ma non si innervosì più di quel tanto e, facendosi pensierosa, mormorò: «Visto e considerato che hai due entità dentro di te, la donna e la lupa, può darsi che sia lei a volerti parlare.»

Così non è, fanciulla. Io permetto a donna e lupa di vivere. Madre mi concesse di tornare a vivere, quando decisi di camminare nuovamente tra i viventi ma, se tu non fossi divenuta licantropa, non ci saremmo mai parlati.

Iris ascoltò con estrema attenzione e, ripetendo parola per parola a Clarisse ciò che aveva ascoltato, la vide farsi più accigliata, quasi stesse cercando nella sua memoria nozioni legate a simili esternazioni.

La giovane, nel frattempo, domandò: “Fammi capire… sei la mia anima?”

Così è, fanciulla. Desidero porgerti le mie scuse se ho destabilizzato i tuoi equilibri, ma tentavo di essere d’aiuto. Purtroppo, non so ancora bene come restare in contatto con te, quando la tua mente è caotica. Quando hai praticato la meditazione, perciò, ne ho approfittato per approcciarti e renderti nota la mia presenza.

Ancora, Iris prese nota del suo dire e replicò: “Posso chiederti da dove salti fuori? Hai un modo di parlare assai antiquato.”

L’anima rise e, suo malgrado, Iris lo trovò assurdo quanto divertente. E pensare che lei aveva trovato strano trasformarsi in un lupo enorme! Questo come poteva catalogarlo, allora?

Giungo da un tempo in cui le spade e i guerrieri erano predominanti, e in cui i carri erano guidati da cavalli, non da macchine di ferro.

“Oookay… sei antico. Puoi dirmi qualche nome, giusto per capire a che epoca appartieni?”

Combattei nelle legioni che portarono Erik Ascia Insanguinata al potere.

Iris afferrò il suo cellulare dalla tasca, digitò quel nome in fretta e furia e, quando scoprì che era stato un sovrano norvegese insediatosi attorno al 930 d.C., comprese molte cose.

Non era strano che le parlasse in modo tanto arcaico, visto il periodo da cui, a quanto pareva, proveniva. La cosa strana è che la sua anima fosse stata, un tempo, un essere vivente.

Come diavolo funzionavano quelle cose? Si riceveva un premio, nell’aldilà, quindi si poteva tornare nel corpo di qualcun altro?

Lasciando però perdere quei pensieri per un altro momento, domandò: “Bene… sei stato un guerriero. Di che tipo?”

Talmente valoroso che, alla mia morte, il mio spirito si elevò e divenni un landvættir, un protettore delle genti.

“Fico… cioè, sì, insomma… incredibile” gracchiò Iris, non sapendo bene come comportarsi, in quella strana conversazione. Che diavolo era, poi, un landvættir?

A volte, proprio non comprendo il tuo modo di dialogare, ma sto cercando di imparare. Vi sono cose così inconsuete, in questo tempo!

“Puoi… vedere e sentire ciò che vedo e sento io?” domandò un tantino turbata Iris, non sapendo quanto essere contenta della cosa.

Solo a volte, e per brevi periodi. La tua mente è assai confusa, poiché non hai ancora trovato un equilibrio con la tua lupa. Perciò, ho tentato di intervenire. Per aiutare.

Iris assentì a più riprese, ancora alquanto frastornata e, guardando Clarisse, le spiegò più o meno ciò di cui aveva parlato con il landvættir dentro di sé.

La donna annuì più volte, asserendo meditabonda: «Nella religione giudaico-cristiana esiste un luogo chiamato Guph, dove si trovano le anime che attendono di reincarnarsi in un essere umano. Se diamo credito alla voce dentro di te, lui è rimasto in una sorta di camera di stasi fino a quando ha deciso di rinascere… e gli è stato permesso di farlo.»

La donna ha ragione… Madre è ciò, e molto altro.

«Lui parla di Madre. Tu sai cos’è?» domandò Iris, sentendosi un’ignorante totale.

«Beh, Madre può essere molte cose ma, trattandosi di un landvættir, che è una parola di origine norrena, posso dare per scontato che sia Yggdrasil che, nella mitologia nordica, rappresentava l’entità ultraterrena che sorreggeva i mondi» le spiegò Clarisse, tamburellandosi un dito sul mento.

Iris la guardò con espressione simile a una postulante di fronte alla propria divinità e la donna, scoppiando a ridere, scosse le mani ed esclamò: «Cara, non guardarmi così. Ho solo passato la mia fase new age molto di tempo fa, e l’argomento faceva parte della mia iniziazione ai riti pagani.»

«Immagino, prima che nascesse Lucas» chiosò Iris, sorridendole divertita.

«Oh, eccome. E’ così che conobbi Chuck. Lui era impegnato a tentare di salvare un cane da caccia, ferito da un branco di lupi, mentre io ero in compagnia di un gruppo di animalisti che voleva mettere i bastoni tra le ruote ai cacciatori, proprietari del cane» ironizzò Clarisse. «Sai quale fu la prima cosa che mi disse, vedendomi con i grandi cartelloni contro la caccia che stavo reggendo?»

«Non lo immagino davvero» scosse il capo Iris.

«Che la caccia serviva a mantenere l’equilibrio che, nei secoli, gli uomini avevano destabilizzato e che, se ciò non fosse avvenuto, nulla avrebbe funzionato nella foresta. Se era la bilanciatura di un torto, che io cercavo, dovevo andare altrove a protestare perché, in quei luoghi e con quegli uomini in particolare, non si stava facendo nulla di male.»

«Pragmatismo puro» esalò Iris, facendo tanto d’occhi.

Clarisse assentì, aggiungendo: «Naturalmente, io protestai lo stesso, asserendo che avrebbe dovuto essere l’uomo ad allontanarsi dalla Natura e quant’altro e, mentre Chuck sistemava le bende attorno alla zampa del cane, lui replicò che, per quanto io avessi ragione, sarebbe stato assurdo uccidere milioni di esseri umani per rendere possibile il mio desiderio.»

«Non fa una piega.»

«Mi fece inoltre capire che, se la Natura avesse desiderato la loro estinzione, era abbastanza forte per ridurli a cenere e sabbia. In ogni caso, Lei sarebbe sopravvissuta a qualsiasi loro errore» asserì Clarisse. «Fu così che capii che, oltre ai miei ciechi estremismi, poteva esservi anche altro. Volli conoscerlo, e lui desiderò conoscere me… e le nostre rispettive visioni si ampliarono un po’.»

Trovo assai strano che sia l’uomo a dover fare il mestiere del lupo.

“Beh… è un riflesso del progresso. Abbiamo fatto un po’ di pasticci, col passare del tempo, e adesso stiamo cercando di porvi rimedio, anche se poi commettiamo altri errori.”

Ho denotato questo particolare, fanciulla.

“Non puoi chiamarmi Iris? Fanciulla fa molto… vecchio stile.”

Sia come vuoi. Sei tu alla guida del vascello, per così dire.

“Oh… davvero?”

Sì. Io posso solo consigliare, oltre all’ovvio compito di darti la vita che tu stai egregiamente utilizzando, ma non posso imporre il mio pensiero.

“Per questo non sei mai riuscito a intervenire, in precedenza?”

Così è, Iris.

“Hai… avevi un nome in particolare, quando eri un guerriero?” domandò incuriosita Iris, trovando assurdo non poter interloquire con la sua anima senza usare il suo nome, visto che lui poteva farlo.

Non pronuncio più il mio nome da secoli ma, dacché ho memoria, il mio nome è stato Gunnar.

“Bene, allora sarai Gunnar, per me.”

Lieto di fare la tua conoscenza ufficiale, Iris.

“Puoi dirmi qualcosa di ciò che sono?”

Non sono addentro ai segreti della vostra razza, purtroppo, poiché ho dormito secoli senza mai muovermi da Madre, e non ho mai incontrato, nella mia unica vita, creature come voi. Sentii però parlare dei mannari nei canti popolari delle mie genti, e tutti parlavano di Fenrir il lupo e della forza immane dei suoi discendenti.

«Fenrir?» esalò ad alta voce Iris.

«Il dio-lupo degli Asi. Colui che scatenerà la fine del mondo» le spiegò Clarisse, incuriosita dal suo accenno.

Iris levò un sopracciglio con evidente ansia e replicò: «Beh, non è che la cosa mi renda particolarmente felice.»

Clarisse la guardò dubbiosa e Iris, risollevandosi, dichiarò: «Ho bisogno di una biblioteca. Il mio cellulare è quasi scarico e non ho voglia di mandarlo a terra consultando Wikipedia. Devo andare subito.»

La donna assentì, seguendola con espressione ombrosa e la giovane, nel notarlo, le domandò: «Qualcosa la turba?»

«Ripensavo a ciò che ti ho detto. A come io e Chuck ci siamo aperti l’uno all’altra, quando ci siamo conosciuti. Temo di avergli fatto un grave torto, tacendogli la verità su Lucas. Sono stata superba, pensando di poter essere l’unica a capirlo, e l’unica a essere in grado di aiutarlo» mormorò Clarisse, sorridendo tristemente.

Iris comprese perfettamente il suo stato d’animo e, nell’uscire dal campeggio con lei, chiosò: «Sono una campionessa di sbagli, perciò posso capirla benissimo. Ma ho anche scoperto che, a molti di questi sbagli, si può porre rimedio.»

«Beh, allora, visto che siamo sulla stessa barca, sarà il caso se mi dai del tu, ti pare?» ammiccò la donna, prendendola sottobraccio.

Iris fu più che d’accordo e, nell’attraversare la strada, si chiese fuggevolmente cosa sarebbe successo al pragmatico Chuck, quando avesse conosciuto la verità.

 

 

N.d.A.: capitolo un po’ lungo, ma che era necessario per inquadrare meglio il carattere di Alyssia e per scoprire, finalmente, chi stava chiacchierando nella mente di Iris. E’ comparso anche il nome di Fenrir, e con lui anche le ovvie paure legate al suo oscuro mito. Ci avviciniamo alla verità, ma non è del tutto a portata di mano… e Alyssia non è ancora stata messa a tacere.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


10.

 

 

 

 

Clarisse accompagnò Iris alla Clearwater Library, unico luogo nelle vicinanze ove avrebbero potuto trovare un buon rifornimento di libri e cancelleria.

Lì, le due donne si addentrarono immediatamente nel reparto dedicato alla mitologia europea, tentando di trovare una summa di ciò che Iris aveva sentito e compreso del suo strano dialogo con Gunnar.

Era già difficile accettare di aver parlato con la propria anima, ma non comprendere un accidente di ciò che lui le aveva detto fino a quel momento, era insopportabile.

Detestava dimostrarsi ignorante su qualche argomento, visto soprattutto che era laureata Studi Umanistici, anche se con una specializzazione in Educazione Musicale. Non era il suo campo, ma un po’ di Storia l’aveva studiata anche lei!

Il punto era solo uno, però; la sua anima non era appartenuta a Mozart, e neppure a Chopin, per cui brancolava nel buio riguardo a ciò che le aveva detto Gunnar.

Dopo aver acquistato quattro libri sull’argomento, oltre a una buona dose di cancelleria per mettere in piedi una sorta di grafico – Iris capiva meglio le cose, se metteva tutto su carta – tornò con Clarisse al campeggio e si mise a sedere al suo tavolino da campeggio.

Lì, passò ore a leggere assieme alla signora Johnson. Lucas ebbe anche il tempo di portare loro una merenda leggera; le osservò con aria confusa senza però ricevere spiegazioni in merito, perciò se ne andò con calma.

Da bravo maschio intelligente, sapeva che sarebbe stato interpellato solo a tempo debito.

Fu solo verso il mezzodì che entrambe le donne si dichiararono soddisfatte delle letture svolte, ma niente affatto pacificate nelle loro domande.

Iris prese il suo notes interamente pieno di appunti, scarabocchi e punti esclamativi, tamburellandovi sopra una matita con fare impaziente. Cos’era che le sfuggiva?

Dubbiosa, quindi, domandò alla sua coscienza: “Ci sei, Gunnar?”

Ovviamente. Dopo credi possa andare?

Iris rise e chiosò: “Giusto. Allora, fammi capire. Fenrir è una sorta di dio-demone, o qualcosa di simile.”

Il mito dice questo ma, come ben saprai, mito e realtà difficilmente sono la stessa cosa.

“Certo. Ma che legame può esserci tra questo dio e quel che siamo io e Lucas?”

Il fatto che, molto probabilmente, fate parte della stessa razza?

Iris storse il naso, borbottando: “Denoto una tua vena ironica. Eri una persona divertente, all’epoca?”

Mia moglie era convinta di sì.

“Buono a sapersi. Comunque… tolto il fatto che entrambi siamo canidi, cos’altro può unirci?”

Non posso saperlo ma oso credere che, essendo stato un dio, quella di dio-lupo non fosse la sua unica forma.

“Oh… pensi che possa aver… copulato con qualche donna umana, lasciando dietro di sé una prole mista?”

E’ possibile. Quanti miti esistono, al mondo, in cui dèi e umani si uniscono per generare figli?Ciò di cui sentii parlare io furono i suoi eredi, a ben vedere, non di lui nello specifico.

Iris scrisse in fretta sul block notes il nome di Fenrir, annotando la possibilità di una unione carnale con una donna umana, corredato da un bel punto di domanda.

Il mito parlava dei Figli di Fenrir, ma non accennava a nessuna umana, madre di questi pargoli. Vero era anche che, all’epoca, non esistevano i TG o i giornalisti d’assalto.

Se anche la madre di Hati e Sköll fosse stata una semplice umana, e non una titanessa di qualche genere, chi avrebbe potuto confutare quella notizia? Walter Cronkite1 non era nato così tanto tempo addietro e, di certo, non aveva potuto fare nessuno scoop, all’epoca.

Clarisse notò il suo appunto e, annuendo tra sé, disse: «Beh, Zeus ne aveva fatto un mestiere, no? Aveva più figli bastardi lui di non so quale altro dio, sempre stando al mito. Forse, neppure Odino ne aveva avuti così tanti.»

«Io sento parlare di Odino e penso a Anthony Hopkins. E’ un disastro» sospirò Iris, scuotendo il capo e passandosi le mani tra i capelli rilasciati sulle spalle.

Clarisse rise, dandole una pacca sulla spalla. «Dopotutto, i film Marvel sono famosi. E’ ovvio che la tua mente cerchi assonanze per qualcosa di così strano e fuori dal consueto.»

«Credo sia un eufemismo » ghignò Iris.

‘Strano’ e ‘fuori dal consueto’ non riflettevano neppure in minima parte ciò che stava provando in quel momento.

Non esiste nessuno, nel vostro tempo, addentro alla mitologia e allo spiritismo? Credo sarebbe la persona giusta da consultare, per misteri simili.

Iris ci pensò su e, rivolta a Clarisse, domandò: «Da queste parti ci sono degli sciamani veri? Sì, insomma, persone che sanno di spiriti e altro, ma che non siano dei ciarlatani pronti a spennare soldi ai turisti?»

«Bella domanda. Chiederò a Rock, visto che ha dei parenti nella tribù dei Piedi Neri. Forse, lui ne sa qualcosa» esalò Clarisse, facendo spallucce con aria spiacente.

«Oh… è un sanguemisto? Ecco perché è così bello!» sorrise Iris, sorpresa.

Clarisse allora rise e assentì. «Eh, sì, quel giovanotto è un vero spettacolo per gli occhi, e sono assai felice che sia il fidanzato del mio Lucas.»

“Supponiamo che sia vero che siamo legati a Fenrir o, comunque, a qualche creatura simile. Questo spiegherebbe il perché della nostra… singolarità.”

Avrebbe senso, Iris, ma non ero addentro ai misteri dell’occulto, quando ero in vita e, nel ventre di Madre, sono stato per diversi secoli in compagnia di me stesso e basta.

Iris si fece curiosa e domandò: “Niente pub e bevute con gli amici, tra spiriti?”

Siamo entità incorporee, e vaghiamo in Helheimr senza che alcuno possa impedircelo. Alcuni preferiscono la sua parte più lieta, e osservano il dipanarsi del tempo attraverso le polle della visione. Altri, invece, si annidano ove vengono imprigionati i reietti e i malfattori, al solo scopo di godere in eterno delle loro pene.

Iris strabuzzò gli occhi, segnò velocemente il nome indicato da Gunnar sul suo notes e chiese: “In… eterno?”

Il vostro Inferno cristiano, per intenderci.

“Oookay, capito. E tu dove ti eri sistemato? Al centro vacanze, o di fronte ad Alcatraz?”

A volte fatico davvero a comprenderti.

La giovane sorrise nonostante l’assurdità della discussione e replicò: “Sì, scusa, è che tutto questo mi lascia assai perplessa e molto, molto sconvolta. Volevo chiederti se ti trovavi vicino alle polle, o nei pressi delle prigioni.”

Io vagai per secoli nella vana ricerca dell’anima di mia moglie che, però, non riuscii mai a trovare. Alla fine, dando per scontato che fosse già riemersa in qualche corpo, o il suo spirito frantumatosi in mille altre anime, mi sistemai nei pressi di una polla. Lì, osservai sgomento le vostre guerre e quell’orribile nube di fuoco che si scatenò a est, distruggendo ogni cosa.

“La bomba atomica” mormorò Iris, immaginandosi senza fatica il suo sconcerto. Pur conoscendo i meccanismi che l’avevano creata, restava un’arma che sapeva creare in lei il panico puro.

Furono guerre disonorevoli, indegne di un guerriero.

“Hai ragione.”

Clarisse le sfiorò una spalla, riportandola nel mondo reale e Iris, sospirando, si passò una mano sulla fronte, esalando: «Questa cosa della chiacchierata mentale mi ha messo addosso una fame diabolica. Devo mangiare qualcosa – di nuovo – o sverrò.»

«Volevo appunto avvertirti che stavi diventando mortalmente pallida» la mise in guardia la donna, sorridendole comprensiva.

«Allora, è proprio il caso di staccare» mormorò Iris, levandosi in piedi dalla sua sedia da campeggio. «Dopotutto, è ora di pranzo, perciò…»

Le sue gambe, però, non furono d’accordo e, caracollando all’indietro, Iris finì con il sedere a terra sotto gli occhi sorpresi di Clarisse, che esalò: «Direi che sei arrivata al limite.»

Frastornata, Iris assentì, rise sommessamente ed esalò: «Beh, direi che ho toccato il fondo nel vero senso della parola!»

Clarisse rise con lei ma, quando vide giungere Devereux a passo di carica, si scansò preventivamente e stette a osservare la scena che le si parò dinanzi, gli occhi ridenti ma la bocca ben chiusa.

Lo sguardo plumbeo e gli occhi di ghiaccio iniettati di furia, Dev poggiò un cospicuo sacchetto di cibo da asporto sul tavolo e, fissata Iris con sguardo irritato, esclamò: «Che fai in terra? Adesso non ti reggi neppure più in piedi, sottiletta? La vuoi smettere di fare la dieta?!»

Piccata, Iris strinse i pugni e fece per rialzarsi, ma il suo corpo si rifiutò nuovamente di obbedirle, portandola a borbottare: «Ho fatto gli straordinari… non la dieta.»

«Santo cielo…» brontolò l’uomo, prendendola sotto le ascelle e sollevandola in piedi senza alcuno sforzo, neanche fosse stata veramente una sottiletta.

Voltatosi poi verso il sacchetto di cibo da asporto, Devereux ne estrasse una scatola piena di sandwich e la mise perentoriamente in mano a Iris, sbottando: «Siediti e mangia.»

Iris lo fissò malissimo, mostrando i denti con fare assai infantile, ma fece quanto ordinatole e, sbocconcellando il primo panino che trovò nella scatola, mugugnò: «Pofresfi effere più fentile.»

«Non si parla a bocca piena» la redarguì Dev, aprendole una lattina di tè alla pesca per poi metterglielo praticamente sotto il naso.

Clarisse osservò il tutto con aria divertita e, dopo aver dato una pacca sulla spalla a Dev, salutò Iris e se ne andò.

Poteva stare tranquilla, visto che Iris non sarebbe rimasta sola.

Terminato il primo panino in meno di un minuto, Iris se ne vide passare un secondo e, sempre fissando male il suo rifornitore di proteine e carboidrati, borbottò: «Mi domando come Chelsey sia potuta crescere così carina e dolce, con un orso come te.»

«Con lei sono un bon bon» replicò aspro l’uomo, afferrando un panino per sé e sistemandosi sulla sedia libera.

Lanciato poi uno sguardo ai libri sparsi sul tavolo e al notes aperto, ingollò il boccone e domandò: «Ti sei data alle letture forbite, sottiletta? Per questo ti sei spompata?»

Mangia il panino e non sbranarlo, pensò tra sé Iris, apprezzando i cetrioli al suo interno e la morbidezza del pane.

Questo particolare la portò a lanciare un’occhiata al sacchetto che aveva contenuto la scatola dei panini e, subito dopo, alla scatola stessa.

No, non era un panino da fast-food, visto che il contenitore in cui erano stati sistemati i panini era una semplice confezione in plastica della Tupperware.

La sua rabbia scemò di una tacca e, un poco più tranquilla, mormorò: «Se ti senti pronto per un’altra stranezza, posso dirti il perché di tutta questa apparecchiata.»

Dev rimase bloccato a metà di un morso, poggiò lentamente il panino su una coscia e, guardandola dubbioso, domandò: «E’ successo qualcosa di brutto?»

«Ehm, no. Solo di strano. Beh, ecco, di più strano rispetto ai nostri standard» gesticolò Iris, come se la licantropia – di per sé – non fosse già una cosa anomala.

L’uomo si accigliò appena ma disse: «Spara.»

Iris, allora, si toccò la fronte e spiegò a Dev ciò che aveva scoperto e chi vi fosse dentro di lei.

La cosa, dapprima, lo lasciò davvero sconcertato, tanto che Iris temette un suo svenimento ma, alla fine, Devereux si passò le mani sul viso pallido, prese un gran respiro e infine mormorò: «Beh, se non altro spiega perché, con Chelsey, sei stata fin da subito così protettiva e anche un tantino ossessiva.»

“E’ possibile?”

Probabilmente, sì. Devo aver accentrato sulla bambina il mio istinto protettivo, spingendoti a prenderla sotto la tua ala. Ma, in parte, viene anche da te. Sei una persona naturalmente altruista.

“Ma avevi detto che non potevi controllarmi.”

No, infatti. Ti ho solo dato un input. Tu lo hai seguito perché, a tua volta, ti sentivi spinta a proteggerla per via di ciò che le era successo.

“D’accordo. Lo abbiamo fatto insieme, quindi.”

Annuendo perciò a Dev, asserì: «Gunnar dice che è possibile che il suo ruolo di landvættir abbia acuito un istinto di protezione già insito in me, dandogli forza.»

Devereux si esibì in una risatina sgangherata, esalando: «Il fatto che tu possa parlare con la tua anima, e chiamarla per nome, credo sia la cosa più assurda di tutte!»

Iris non poté che ridere di quel commento, poiché a sua volta trovava davvero strano poterlo fare. A quel modo, anche l’ultimo residuo di rabbia svanì e, indicando il secondo panino ormai terminato, disse: «Non li hai comprati.»

«Dovevo preparare il mio pranzo e quello di Chelsey, stamattina… tanto valeva farne un po’ di più. Almeno, sarei stato sicuro che dentro ci sarebbe stata carne e non lattuga. Contavo di arrivare verso le undici e mezza, ma mi sono attardato al cantiere e sono arrivato solo ora» scrollò le spalle Dev, terminando il proprio sandwich per poi indicare l’orologio da polso, che segna quasi l’una del pomeriggio. «Voi californiane siete fissate con la dieta. Non bisogna fidarsi.»

«Ti ho detto che non faccio la dieta e, se proprio vuoi saperlo, da quando Lucas ci ha detto cosa mangiare, sono ingrassata di un chilo e mezzo» sottolineò Iris, accennando un sorrisino divertito.

Dev, allora, la guardò con attenzione ma, alla fine, sbuffò e scosse il capo, replicando: «Hai ancora le guance incavate, e sono sicuro che potrei contarti le costole, se fossi in costume da bagno.»

In effetti era vero ma, da due anni a questa parte, era la prima volta in cui metteva su un po’ di peso e, in qualche modo, pensava fosse una cosa positiva, da non sottovalutare.

Senza darle il tempo di replicare, però, Devereux le consegnò un altro panino, stavolta un hot-dog con tanto di salse grondanti e crauti, e borbottò: «Mangia ancora.»

Iris lo afferrò con uno strattone e, sbuffando, mugugnò: «Continuo a dirlo. Sei un orso. Ma grazie.»

Lui scrollò ancora le spalle, come se non riuscisse a sciogliere la tensione che sembrava pervaderlo e, quando parlò, Iris ne comprese il motivo.

«Mi hanno detto delle gomme. Scusa.»

«Chi ti ha chiamato?» si accigliò subito la giovane, fissandolo torva.

«Si dice il peccato, non il peccatore» cercò di ironizzare Dev.

«Logica da paesani…» sbuffò per contro Iris. «…comunque, non devi preoccupartene. Ho già sistemato tutto con il comandante, questa mattina.»

«Le parlerò, e le farò capire che deve lasciarti in pace» ribatté cocciuto l’uomo.

Facendo tanto d’occhi, Iris esalò: «Dio, ti prego, no! Già così, mi ha fatto una scenata assurda… se le parlassi di nuovo, verrebbe qui con un fucile per spararmi.»

«Che intendi dire con… scenata assurda?» sbottò l’uomo, assottigliando pericolosamente le palpebre.

Ops. Questo non glielo avevano detto.

Temo tu ti sia messa in un pessimo guaio.

“Grazie per averlo notato, Gunnar. Vuoi intervenire tu e salvarmi, visto che eri un guerriero?” ironizzò Iris.

Si tratterebbe di possessione, e io non mi permetterei mai. Inoltre, non saprei neppure se sia possibile o meno farlo.

“D’accordo, me la caverò da sola ma, se hai consigli, dimmi pure.”

L’uomo va sempre preso alla sprovvista. Abbiamo menti piuttosto lineari, in combattimento e, il miglior modo per gabbarci, è essere creativi.

“Creativi. Andiamo bene…” mugugnò tra sé Iris.

Allora, sarebbe stata creativa.

Senza dargli il tempo di proseguire con la sua arringa di domande, la giovane si levò in piedi, lo afferrò a una mano e disse: «Vieni con me.»

«Sei ancora debole, sottiletta» protestò Dev, pur alzandosi.

«Prendi con te il tuo quintale di panini e le bibite. Mangeremo in riva al lago» chiosò lei, prima di domandare: «Scusa, ma quanti panini mi hai fatto?»

«Una quindicina. Non so esattamente che appetito abbiate, voi lupacchiotte femmine, ma ho notato che Chelsey mangia parecchio, ultimamente» brontolò l’uomo, seguendola lungo il sentiero.

Iris sorrise nonostante tutto e, trascinando con sé Dev, tracciò mentalmente un piano di attacco per non farlo infuriare.

***

Dopo aver ingurgitato altri due panini – Dev aveva avuto dannatamente ragione, nel crederla ancora debole – Iris si accomodò sulla staccionata che delimitava il sentiero e, scrutando l’uomo dinanzi a sé, disse: «Allooora, Alyssia è venuta ad avvisarmi della tua pericolosità, dicendomi che sei un falso e un bugiardo, e che non avrei dovuto fidarmi di te.»

Lui sbuffò per diretta conseguenza. «Tze, …tipico.»

«Devo immaginare che la cosa si sia ripetuta con altre…» ipotizzò Iris, avendolo praticamente dato per scontato.

Dev assentì irritato, replicando: «Non è mai arrivata a tagliare le gomme a nessuna, ma si mise in mezzo quando… beh, quando tentai un approccio con una ragazza, sei-sette anni fa.»

«Del posto?» si informò Iris.

«La libraia. Immagino l’avrai vista, dato che le hai svaligiato il negozio» la mise al corrente Dev.

«Oh, carina. Ha un buon profumo» chiosò allora lei, facendo spallucce.

«Il che, detto da una ragazza-lupo, dovrebbe essere il più bello dei complimenti» celiò Dev, ammiccando al suo indirizzo.

Iris la prese bene, le piacque persino essere chiamata ragazza-lupo, perciò replicò con ironia: «Si ha un naso molto fine, sappilo. Comunque, che le disse?»

«Che l’avrei fatta soffrire, l’avrei fatta fuggire come Julia e cose simili. Vanessa resistette qualche mese ma poi, soffocata dalle continue ingiurie di Alyssia, decise di chiudere la cosa. Ammetto che non ci persi il sonno, ma mi diede fastidio che Aly avesse cospirato contro di me» le spiegò Dev, imitando Iris e sistemandosi sul bordo della staccionata, i piedi ben sistemati sulla traversina in legno.

«Stesse cose che ha detto a me» annuì Iris. «Ma è davvero possibile che il comandante non riesca a tenerla a bada? Lucas mi ha raccontato del loro lutto, però…»

«Lascio perdere la maggior parte delle volte perché, in fin dei conti, non ha mai realmente fatto del male a nessuno, e capisco che la situazione familiare dei Rochester sia di per sé già pessima, ma… non doveva infastidirti. E tu dovevi dirmelo.»

Quel tono accusatorio mise sul chi vive Iris, che replicò: «Non devo rendere conto a te di quel che mi succede, Devereux, perciò cala la tua cresta da gallo e guarda da un’altra parte. So cavarmela da sola.»

Dev, allora, imprecò e borbottò per contro: «Non pensi che possa sentirmi in colpa perché, a causa mia, lei ti ha dato fastidio? Soprattutto per un motivo inesistente?»

«Sei stato tu a tagliarmi le gomme? No. Quindi fattela passare» sbuffò Iris, pur apprezzando le sue attenzioni.

Non voleva essergli di peso, poiché Devereux aveva anche troppo a cui pensare. Crescere Chelsey con un simile segreto sulle spalle era già stressante, senza dover anche badare a una donna appena conosciuta e che, gioco forza, si era insediata nella sua vita ormai stravolta.

L’uomo, però, scosse il capo e mormorò: «Hai salvato mia figlia. Fosse anche solo per questo, non posso farmela passare.»

Iris allora sospirò, scese con un balzo dalla staccionata per porglisi di fronte e, poggiate le mani sulle ginocchia di Dev come a dare più peso alle sue parole, asserì: «Non cominciare con il ‘c’è una vita tra di noi’ o altre cose del genere. Non sei Gunnar, okay, e non siamo nel diciassettesimo secolo.»

Non ci sarebbe niente di male, a essere in debito per un motivo simile, sottolineò il diretto interessato.

«Non cominciare anche tu, Gunnar. Ne ho a sufficienza di affrontare un solo uomo alla volta» brontolò Iris, facendo sorridere appena Dev.

«Ho pietà per la tua povera anima» celiò l’uomo.

«Molto spiritoso. Comunque, davvero, non hai bisogno di sentirti in colpa per una follia commessa da qualcun altro. Essere ciò che sono mi permette di non correre pericoli, e non credo che Alyssia si arrischierà a fare altro, contro di me. Ha fatto la sua sceneggiata, e ora riceverà l’attenzione del padre. Credo che, alla fine, cercasse più questo, che altro.»

«Beh, di sicuro la otterrà, se era questo che voleva» borbottò Dev.

«Appunto. Tu preoccupati solo di Chelsey… e dei miei panini. Quelli, mi vanno bene» dichiarò a quel punto lei, facendolo ridere.

Devereux, scosse il capo di fronte alle sue parole, scese con un balzo dalla staccionata e, nel darle una pacca sulla schiena, chiosò: «Ho finito la pausa. Coraggio, torniamo al campo base. Oggi, mi sa che dovrete passeggiare per il bosco da sole. Al cantiere è arrivata una nuova grana, perciò dovrò saltare.»

Lei assentì ma, quando si mosse per tornare al campeggio con l’uomo, il vento si levò, portandole alle narici un profumo inconfondibile… e un odore di pericolo immediato.

«Abbassati, Dev!» gridò Iris, spingendolo con così tanta forza, e all’improvviso, da catapultare a terra l’uomo.

In quello stesso istante, mentre il corpo di Devereux toccava malamente il terreno, la carne di Iris venne trafitta da un proiettile e una frustata dolorosa quanto improvvisa riverberò nel suo corpo, facendola urlare di dolore.

 

 

 

 

N.d.A.: Chi avrà sparato? E perché? Con l’intento di colpire Devereux, o Iris?

1.Walter Cronkite: per chi non lo ricordasse, era il famoso giornalista che fece la telecronaca dell'allunaggio dell'Apollo 11

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


11.

 

 

 

 

Furono attimi di panico, di frenesia e di totale confusione ma, prima di tutto, Dev pensò a trascinare Iris verso terra, temendo un altro colpo, stavolta più preciso… e mortale.

Crollando in ginocchio sul terreno smosso e poi direttamente a terra, il viso a un palmo dal sentiero, Iris strinse i denti per il dolore – quanti recettori aveva, il suo corpo?! – e, in un soffio, sibilò: «Sta scappando… Alyssia sta scappando…»

«Alyssia?!» gracchiò Devereux, sgomento.

«Ho sentito il suo odore, Dev. E’ stato questo a mettermi in allarme. Assieme alla puzza della polvere da sparo. Ma ora non c’è più…» ansimò lei, tenendosi la spalla perforata e sanguinante.

Dev si arrischiò a tirarsela contro per permetterle di stare seduta e, la schiena ben premuta contro un cespuglio, le disse: «Scusa, ma devo controllare.»

Lei assentì e l’uomo, scostandole il colletto della camicetta, si accigliò e domandò: «E’ normale che faccia così?»

«Così, come?» si preoccupò lei, volgendo il capo a guardarsi la spalla.

Sotto i suoi occhi terrorizzati, la ferita da arma da fuoco stava letteralmente chiudendosi un millimetro alla volta e il sangue, copioso fino ad alcuni istanti prima, stava già smettendo di sgorgare.

«Oh, Dio, oh, Dio, oh, Dio…» iniziò a dire Iris, sgranando sempre di più gli occhi per la paura.

Dev non perse altro tempo e, caricatala tra le braccia, borbottò: «Non svenire, okay? Non crollarmi adesso!»

Lei assentì in preda al panico, ma le lacrime sgorgarono non richieste e Dev, affrettando il passo fin quasi a mettersi a correre, sussurrò: «Ce la puoi fare, sottiletta. Coraggio. Lucas ci aiuterà.»

«Ho paura, Devereux» ammise Iris, non riuscendo a comprendere perché il suo corpo stesse comportandosi a quel modo.

Che fine aveva fatto, il proiettile?

«Vorrei vedere. Ti hanno appena sparato» cercò di ironizzare lui. «Cristo, non pesi niente, ragazza. Altro che sottiletta. Dovrei chiamarti foglio di carta!»

Iris rise nonostante tutto, anche se la paura stava prendendo il sopravvento su tutto. Avvertiva senza sforzo il corpo estraneo dentro di sé muoversi come un serpente, così da stazionarsi in un luogo a lui più congeniale.

Il che non voleva dire, necessariamente, che fosse più congeniale anche per lei.

I continui sobbalzi provocati dalla corsa di Dev, poi, non facevano che peggiorare la sua sensazione di malessere e, quando finalmente ebbero raggiunto il campeggio, Iris ringraziò mentalmente il cielo.

Ancora un poco e avrebbe dato di stomaco.

Rallentando l’andatura, Dev puntò direttamente verso la casa dei Johnson, che si trovava all’interno del camping e, dopo aver bussato freneticamente alla porta, l’uomo esclamò: «Clarisse, ci sei? C’è bisogno di te!»

Iris percepì i movimenti della donna all’interno della casa ma, assieme a lei, avvertì anche altro, un odore che le era familiare ma che non apparteneva a Clarisse né, tanto meno, a Lucas.

Si trattava di Chuck Johnson che, inspiegabilmente, si trovava a casa, a quell’ora, e non al lavoro.

Questo la mise in allarme ma, tra la sensazione di malessere e il panico fin lì accumulati, non riuscì ad avvisare Devereux del pericolo.

La porta si aprì proprio mentre Iris afferrava la felpa dell’uomo per spingerlo ad allontanarsi e Dev, facendo tanto d’occhi, esalò: «Ah… Chuck. Che ci fai a casa?»

«Perché? Volevi darti alla pazza gioia con la mia Clary?» ironizzò l’uomo prima di notare Iris tra le sue braccia ma, soprattutto, il pallore spettrale di quest’ultima. «Che le è successo? Sta male?»

Anche Clarisse si affacciò alla porta e, vedendo Iris spaurita e pallida come un cencio, disse perentoria: «Portala in casa, Dev. Subito.»

Devereux non attese oltre e, incamminatosi all’interno, seguì fiducioso Clarisse mentre Chuck chiudeva la fila, dubbioso quanto preoccupato.

«Che è successo?» domandò nel frattempo Clarisse.

Dev, però, non rispose e, dopo aver depositato Iris sul divano indicatole dalla padrona di casa, guardò Chuck e infine le chiese: «Che vogliamo fare, Clarisse?»

La donna fissò esasperata l’uomo, la giovane stesa sul divano e infine, sbuffando, esalò: «Tua madre ha ragione. Hai la sensibilità di un pezzo di legno! Non sono cose che si possono affrontare così, su due piedi!»

«Solo perché ho detto la verità?!» replicò Devereux, puntandosi il pollice contro il torace con aria offesa.

Chuck li guardò in alternanza per diversi secondi, del tutto sconcertato da quel dialogo senza senso e, poggiate le mani sui fianchi, dichiarò: «Prima ho scherzato, Dev ma, se stai combinando qualcosa con la mia Clary…»

Dev arrossì come un peperone maturo, di fronte a quell’accusa per niente velata e, irritato, replicò: «Cristo, Chuck! Con tutto il rispetto, visto che Clarisse è una bella donna, ma ha quasi l’età di mia madre! Mi sembrerebbe di… di… no, guarda, preferisco non dirlo.»

Clarisse stessa scosse il capo con esasperazione e, fissando bieca il marito, sbottò: «Ti sembra che ti abbia mai dato l’idea di volermi cercare un altro uomo, Chuck?»

«Certo che no, però…» tentennò lui, prima di guardare Iris, che ora stava sudando copiosamente, e aggiungere: «… dovete spiegarmi lei. Perché non stiamo chiamando il dottore, in questo momento?»

Devereux sospirò, si passò una mano sul viso e disse: «Perché lei non può andare dal dottore. Forse, le saresti più utile tu.»

«Chi? Un veterinario?» scoppiò a ridere Chuck, mentre Clarisse fissava irritata Dev e Iris lo raggelava con un’occhiata febbricitante quanto astiosa.

«E’ inutile che mi fissiate a questo modo, signore. Continuare a mentirgli sarebbe assurdo, visto che ci serve la sua consulenza» replicò piccato Devereux.

Lucas scelse quel momento per entrare in casa e, sorpreso nel trovarli tutti in salotto, chiese: «Ma che fate?»

L’attimo seguente, però, vide Iris stesa sul divano ma, soprattutto, percepì Iris e ciò che non andava in quel quadretto senza senso.

Il suo cuore dal battito alterato, la sua paura genuina, la febbre che continuava a salire in risposta alla reazione immunitaria a un corpo estraneo, l’odore ferroso del sangue. Ignorando tutti, Lucas la raggiunge in pochi, rapidi passi e si accucciò accanto a lei. Istintivamente, poi, le annusò il collo prima di esalare: «Cosa diavolo ti hanno fatto, Iris? Chi ti ha sparato?»

«Fucile… Alyssia…» mormorò roca la giovane, cercando la mano di Lucas.

Lui gliela strinse con forza e, volgendosi accigliato verso il padre, disse: «Papà, devi operarla in clinica.»

«Ma cosa state vaneggiando, tutti quanti? Qualsiasi cosa abbia la ragazza, deve essere portata all’ospedale» asserì Chuck, del tutto serio in viso e pronto a prendere in mano le redini della situazione.

Lucas, però, non glielo permise. Prese in braccio Iris, si posizionò di fronte al padre e disse nuovamente: «Un proiettile preme vicino alla parete del cuore, per questo ha il respiro affannoso. Inibisce il corretto movimento del muscolo, portando il suo fisico a reagire. Ora come ora, sta tentando di mettere in sicurezza il cuore e di arginare il corpo estraneo che la sta danneggiando. Questo, però, fa muovere il proiettile troppo vicino alla membrana cardiaca, che rischia di essere lacerata. Devi operarla ora.»

Chuck lo ascoltò in silenzio per tutto il tempo e, quando il figlio ebbe terminato di parlare, domandò torvo: «E tu come sai tutto questo?»

Lucas allora sospirò, si lasciò andare a un triste sorriso e ammise: «Perché ho un piccolo segreto che ti ho tenuto nascosto fino a ora, ed è lo stesso segreto che rischia di uccidere Iris. Te ne parlerò… ma tu salvala, ti prego.»

L’uomo si limitò ad assentire e, volgendosi per uscire di casa assieme al nutrito gruppo di soccorritori, borbottò: «E’ interessante notare come tu e tua madre siate riusciti a tenere la bocca chiusa per sedici anni, ma sia bastata questa ragazza californiana per farvi diventare delle radio accese a tutto volume.»

Sia Lucas che Clarisse spalancarono gli occhi per la sorpresa, ma Chuck non diede altre spiegazioni e, ordinato al figlio di caricare Iris sul suo pick-up, continuò dicendo: «Clarisse, tu e Dev seguiteci con la tua auto. Lucas penserà a tenere ferma Iris.»

La donna assentì e, quando salì sulla sua Toyota Prius assieme a Devereux, borbottò: «Quell’uomo non finirà mai di sorprendermi.»

Dev si limitò a un mezzo sorriso, ma non disse nulla, lieto nonostante tutto che Chelsey fosse a pranzo dai nonni, in quel momento.

Lo preoccupava molto ciò che Lucas aveva detto circa le condizioni di salute di Iris e, in tutta onestà, aveva una gran voglia di mettere le mani attorno al collo di Alyssia.

Per questo, però, ci sarebbe stato tempo. Ora, dovevano pensare a Iris, e Chelsey non aveva bisogno di vederla in quelle condizioni così precarie.

***

Disposta sul tavolo operatorio della sala ove, solitamente, Chuck operava quadrupedi o creaturine alate, Iris era ormai a un passo dallo svenimento.

Non riusciva più a comprendere appieno ciò che stava succedendo intorno a sé. Percepiva soltanto lo sforzo compiuto dal suo corpo per eliminare il proiettile, così come il suo cuore in affanno, sfiancato dalla lotta per assorbire il corpo estraneo e renderlo innocuo.

Lentamente quanto inesorabilmente, la sua carne lo stava inglobando per proteggere il corpo ma, nel farlo, lo stava fondendo con le pareti esterne del cuore, rendendo sempre più prossimo un attacco cardiaco.

«Ora ti addormenteremo, Iris. Non temere, farò del mio meglio per farti riprendere» le spiegò Chuck, sistemandole la maschera per l’anestesia.

Lei ebbe sì e no il tempo di assentire, prima di cadere nell’oblio e Chuck, sospirando, controllò un’ultima volta il manuale che stava consultando ormai da diversi minuti.

«Speriamo che queste cifre siano giuste. L’anestesia sugli animali viene smaltita in un modo, mentre sugli umani in un altro» brontolò l’uomo, poggiando il libro su una scrivania prima di disinfettarsi mani e avambracci nel secchiaio della sala operatoria.

«Andrà bene» annuì Lucas, sistemandosi la mascherina dinanzi al volto. «Con tutta probabilità, il suo corpo starà cercando di mangiarsi il proiettile, ma è troppo vicino al cuore e questo è un pericolo.»

«Ti sei sparato, per saperlo?» borbottò Chuck, sistemandosi i guanti in lattice.

Raggiunto il tavolo operatorio, scrutò la spalla a malapena segnata da una cicatrice quasi completamente rimarginata, il tubo endotracheale che permetteva a Iris di respirare e, sospirando, afferrò il Betadine.

Dopo aver massaggiato con la spugna imbevuta di disinfettante la superficie da incidere, afferrò un bisturi e procedette con il taglio ma, quasi immediatamente, il corpo della giovane si rivoltò contro di lui.

«Ma che diavolo…»

La lacerazione appena compiuta da Chuck iniziò a richiudersi alle estremità, lentamente, come un fiore che si appresti al riposo notturno.

«Come temevo» sospirò Lucas, scuotendo il capo.

«Che intendi dire?» sbottò il padre, fissandolo in preda alla confusione.

Durante il viaggio verso la clinica veterinaria, Lucas aveva accennato al padre la sua reale natura e, per diretta conseguenza, Chuck aveva imprecato e gli aveva dato del matto.

L’attimo seguente, però, aveva mormorato di alcune favolette raccontategli dalla bisnonna, quando lui ancora era un bambino, e Lucas se n’era stupito enormemente.

Dacché ricordasse Lucas, il padre non gli aveva mai raccontato storie della buonanotte, poiché le aveva sempre ritenute delle assurdità inadatte a far dormire davvero un bambino.

In quel momento, però, si era ricordato delle favole della bisnonna, e di come fossero dannatamente simili alla storia raccontatagli dal figlio.

L’arrivo alla clinica aveva interrotto la loro chiacchierata ma, in quel momento, Lucas tornò sull’argomento e domandò: «La bis-bisnonna Lorainne cosa ti disse?»

«Di non farmi beffe delle leggende, visto che un nostro trisavolo era stato sia un uomo che un lupo, e aveva combattuto le prime guerre contro gli uomini bianchi, quando avevano tentato di conquistare il Nord» brontolò Chuck. «Col senno di poi, avrei dovuto prestarle più orecchio, ma ricordo molto poco delle sue storie. Questo strano comportamento, quindi, è legato a ciò che siete?»

«Mi sono tagliato molte volte con i coltelli, ma le ferite sono sempre scomparse nel giro di pochi minuti…» annuì Lucas, pensieroso. «…mentre Iris porta sul braccio la ferita da artiglio dell’uomo che l’ha trasformata in quello che è adesso. Posso solo dedurne che le normali lame non hanno molto effetto, su di noi, mentre i nostri artigli, sì.»

«Proporresti quindi di…» esalò il padre, sgranando gli occhi per lo sgomento.

Lucas impallidì al solo pensiero di dover usare i propri artigli su Iris ma assentì, mormorando: «La inciderò io e terrò aperto il torace, così che tu possa avvicinarti al cuore e rimuovere il tessuto che sicuramente si sarà già formato attorno al proiettile.»

«Cristo Santo…» gorgogliò l’uomo, prima di annuire freneticamente. «In ogni caso, sbrighiamoci. I suoi valori sono sempre più instabili.»

Lucas assentì e, concentrandosi sul proprio lupo, lasciò che le unghie della sua mano divenissero artigli sotto gli occhi sempre più sconcertati del padre.

L’uomo non disse nulla, e il figlio gliene fu grato, ma Lucas sapeva bene che, presto o tardi, entrambi avrebbero dovuto affrontare una bella chiacchierata.

Deglutendo a fatica, il giovane poggiò quindi l’artiglio sulla ferita a malapena richiusa sul torace di Iris e, facendo forza, affondò nella carne e nell’osso.

Lucas avrebbe rammentato per tutta la vita quella tremenda operazione, la sensazione di tenere letteralmente le mani dentro il corpo di Iris, mentre suo padre incideva il tessuto cicatriziale formatosi accanto al cuore per inglobare il proiettile.

Ore dopo, stremato ma soddisfatto, Lucas si ritrovò a sorridere a un preoccupato Rock che, in piedi accanto a loro, attendeva di vedere Iris per accertarsi che fosse davvero viva.

Quando era stato avvisato di presentarsi alla clinica di Chuck, aveva mollato tutto e si era catapultato a Clearwater come se fosse stato inseguito dai leoni. Simile a un tornado, quindi, si era infilato nel retro della clinica per non spaventare i clienti e lì, pallido e con lo sguardo vacuo, aveva trovato Chuck accanto al tavolo operatorio.

L’uomo l’aveva invitato a raggiungere la vicina sala d’attesa e, nell’entrarvi, Rock aveva visto Lucas in preda a un pianto silenzioso e Devereux impegnato a confortarlo.

Offrendogli un caffè, Rock domandò: «Come ti senti?»

«Meglio. Il cuore di Iris batte regolarmente, anche se non comprendo come abbia potuto sopportare l’operazione» dichiarò Lucas, sorprendendo non poco Rock.

«Che intendi dire?»

«Me ne sono accorto durante l’operazione, annusando l’aria… nel suo sangue non c’era una goccia di anestesia, eppure era incosciente, del tutto distaccata dal suo corpo» gli spiegò Lucas, ancora confuso.

Dev, che sedeva a qualche sedia di distanza nella sala d’attesa, si incuriosì non poco e disse: «Può essere per via di Gunnar, forse.»

«Di chi?» esalarono assieme sia Lucas che Rock.

Dev, allora, spiegò loro ciò che Iris aveva avuto il tempo di raccontargli e Lucas, sgranando gli occhi, gracchiò: «Beh, questa cosa è folle persino per me.»

«Non hai nessuno che chiacchiera nella tua testa?» domandò a quel punto Rock, sorridendo al compagno.

«Direi di no. Quindi, pensi sia stato lui?»

«L’unica che può risponderti è Iris, visto che…» iniziò col dire Dev, prima di bloccarsi – raggelato – non appena udì il grido disperato della giovane provenire dalla sala del post-operatorio.

Come un sol uomo Lucas, Dev e Rock si riversarono nella stanza, trovandovi Iris in preda a violenti brividi e a un pallore spettrale.

«Che le succede?!» sbraitò Devereux, afferrandole le braccia perché non toccasse la medicazione che le copriva la cicatrice lasciata da Lucas.

«E’ il dolore! Non riesce più a sopportarlo, e sembra che la morfina non faccia alcun effetto!» esclamò Lucas, afferrandole le gambe mentre Rock premeva con tutta la sua forza sui fianchi della giovane.

Rock e Dev ebbero circa tre secondi per cantare vittoria, prima di venire catapultati contro il muro della clinica, sbalzati come bambole di pezza dalla forza disumana di Iris.

Lucas non ebbe il tempo di controllare le loro condizioni, perché abbandonare Iris avrebbe voluto dire lasciare campo libero a un licantropo fuori di sé.

Si gettò per questo sul lettino, bloccandole braccia e gambe con le proprie e, ai limiti del pianto, esclamò: «Iris, ti prego, resisti! Mi senti?»

E’ preda di un dolore insopportabile, e la sua lupa grida per uscire. La volontà di Iris è del tutto concentrata sul non farla scappare, sul non mutare forma!

Lucas sobbalzò nell’udire quella voce maschile penetrare nella sua mente e, titubante, domandò: “Sei Gunnar? La sua anima senziente?”

Così è, giovane licantropo.

“Sei tu che hai permesso ad Iris di affrontare l’operazione?”

Così è. Sentivo che, se non fossi riuscito ad allontanarla da quello che stava succedendo, non avrebbe mai sopportato lo shock di ciò che stavate per farle, così l’ho strappata temporaneamente dal piano del reale.

“Lo prenderò per un sì. Ma ora non puoi fare più nulla, per lei?”

Già quel che ho fatto va molto al di là di ciò che potrei fare normalmente. Proseguire oltre le avrebbe impedito di tornare, e sarebbe rimasta in coma fino alla morte. Ora, purtroppo, deve patire i dolori causati dall’operazione, senza nulla che possa alleviarli.

Lucas imprecò tra sé e si maledisse per la propria superficialità.

Essendo sempre stato l’unico mannaro nella sua tranquilla esistenza, e avendo sempre condotto una vita ritirata, non aveva mai sentito l’esigenza di conoscere qualcosa di più su ciò che era.

L’aiuto di sua madre e la presenza di Rock lo avevano fatto sempre sentire appagato, ma era ormai chiaro che le sue lacune erano davvero troppe, oltre che pericolose per tutti loro.

Ciò che era accaduto a Iris, avrebbe potuto succedere a lui in qualsiasi altro frangente. Per un incidente stradale, una brutta caduta nei boschi, per qualsiasi maledetto motivo.

Non sapeva come comportarsi in casi del genere, e questo rischiava di far perdere la vita a Iris, divorata da dolori così lancinanti che persino Lucas stentava a capire come riuscisse a sopportarli.

Quando, poi, iniziò ad avvertire l’aura di Iris farsi sempre più forte e sempre più vibrante, seppe che la lupa stava avendo la meglio.

Se fosse andata avanti così, avrebbe distrutto la clinica unicamente con il potere sprigionato dal suo corpo, esattamente come avevano sperimentato un mese addietro, nella foresta.

«Non lascerò che ti divori, Iris, te lo prometto» mormorò Lucas, chiudendo gli occhi per poi sdraiarsi accanto a lei e tenerla stretta con braccia e gambe.

Con la propria aura inglobò quella della giovane perché non sfuggisse al suo controllo e, poco per volta, i tremori violenti di Iris iniziarono a scemare.

Dev e Rock, in quel mentre, si rialzarono vagamente storditi ma incolumi e, nello scorgere Lucas sul lettino, quest’ultimo domandò: «Sta meglio?»

«E’ allo stremo» mormorò Lucas, preoccupato. «Dev, devi portare qui Chelsey. Iris ha bisogno di un altro lupo, al suo fianco.»

Lui parve restio ad accettare, forse spaventato all’idea di mettere la figlia di fronte a una simile situazione di pericolo ma, dopo alcuni attimi, accettò e si dileguò dalla stanza.

Rock, a quel punto, si avvicinò e disse: «E’ la riprova di ciò che ti ho sempre detto. Devi trasformarmi, Lucas. Non puoi continuare a essere solo.»

«Guarda cosa sta patendo Iris, per via di ciò che le hanno fatto!» protestò Lucas, scuotendo furiosamente il capo. «Non ti condannerò mai a una vita simile!»

«Mi sembra di essere abbastanza sano di mente e di corpo per poter decidere da solo» replicò serio Rock. «Nonna arriverà domani da Blue River e, visto che lei è tutt’ora uno sciamano dei Piedi Neri, le chiederemo ciò che sa. Sono più che sicuro che ci aiuterà. Lei è saggia e sente molte cose che, le persone normali, non avvertono. Così, spiegherai a lei perché ti ostini a non farmi diventare come te. Forse, lei ti crederà… o tu crederai a lei.»

Lucas accennò un’imprecazione, ma non ritenne necessario dire a Rock che non credeva molto a cose del genere.

In quel momento non voleva discutere con il suo compagno e, di certo, non per una motivazione simile. Rock, però, parve intuirlo perché, cocciuto, aggiunse: «Mi darà ragione, una volta saputa la verità. Dovrai rassegnarti, bello mio.»

***

Quando Iris riaprì gli occhi, il dolore che l’aveva ridestata nella clinica e che, per poco, non l’aveva stroncata in pochi istanti, era quasi del tutto sparito.

Sentiva qua e là delle ammaccature di poco conto ma, tutto sommato, era nulla in confronto a ciò che aveva patito – quando? – al suo primo risveglio.

Come ti senti, ora?

“Meglio. Grazie per avermi allontanata. Come hai capito che l’anestesia non avrebbe fatto effetto?”

Ho pensato alla ferita che ti ha trasformato, e ai tagli che ti sei fatta in precedenza, così ho capito che il bisturi non avrebbe permesso al dottore di lavorare su di te. Non era l’arma da taglio giusta. Inoltre, forse tu non te ne sei mai accorta, ma gli analgesici che prendevi ogni tanto per i tuoi dolori mestruali, non facevano mai effetto. Le emicranie e i crampi ti passavano per conto loro, non grazie ai componenti chimici ingeriti, così ho preferito agire d’istinto e fidarmi di quanto avevo capito della tua anatomia complessa.

“Non posso che ringraziarti. Ma cos’era il luogo in cui ci siamo ritrovati?”

E’ il posto in cui risiedo io di solito. Credo si possa definire subconscio.

“Quindi, la mia… essenza, chiamiamola così, si può allontanare dal corpo fisico?”

E’ ciò che stava insegnandoti Clarisse. Se non ho capito male, si chiama meditazione profonda. Portati alle estreme conseguenze, corpo e anima possono scollegarsi per qualche tempo. Ho sfruttato questa possibilità per permetterti di essere operata ma, a un certo punto, ho dovuto farti tornare perché, diversamente, non ti saresti più risvegliata.

“Grazie, Gunnar. Senza di te non sarei sopravvissuta.”

E’ comunque vitale che scopriate qualcosa di più sulla vostra razza o, in un’altra occasione, qualcuno potrebbe morire. Gli spiriti della fanciulla e dell’uomo al tuo fianco sono comuni anime candide, non sono senzienti come me e non sarebbero di alcun aiuto, in un caso simile.

“Fanciulla… e uomo al mio fianco?” esalò Iris, prima di accorgersi dell’effettiva presenza di qualcuno accanto a lei.

Annusando l’aria – visto che erano totalmente immersi nell’oscurità – Iris percepì sia Lucas che Chelsey e, curiosa, se ne chiese il motivo.

Ti hanno vegliato per permetterti di riprenderti dal tuo post-operatorio piuttosto traumatico. A quanto pare le loro auree, combinate con la tua, ti hanno permesso di sciogliere i nodi creati dai recettori del dolore.

“Dovrò sdebitarmi” sorrise tra sé Iris, sollevandosi lentamente per non svegliare i suoi due angeli custodi.

Sgattaiolando fuori dal letto su cui l’avevano sistemata, Iris uscì alla chetichella dalla stanza e solo per trovarsi nel corridoio al primo piano della casa di Dev.

Sorpresa, si guardò intorno come per sincerarsi di non essersi sbagliata, ma gli odori di Chelsey e Dev la investirono di prepotenza, confermandoglielo.

Dabbasso, avvertì la presenza assopita di Clarisse, Chuck e Rock, ma non quella di Dev che, neanche tanto a sorpresa, si trovava – ben sveglio – in cucina, alle prese con un caffè.

Iris preferì non chiedersi quanti ne avesse bevuti.

All’esterno era buio pesto, segno che la notte doveva essere assai profonda. Era passata mezza giornata, quindi, da quando le avevano sparato?

Sì, all’incirca dodici ore, le confermò Gunnar.

Iris si tastò il petto, da cui proveniva ancora il fastidio maggiore. Sollevatasi la maglia del camice chirurgico che qualcuno le aveva fatto indossare, sgranò leggermente gli occhi nel notare la lunga e profonda cicatrice che si trovava sullo sterno.

Appariva rosea e perfettamente sana, ma Iris sapeva bene che sarebbe rimasta lì per sempre, fino al suo ultimo respiro.

Nei due anni in cui era stata un lupo, si era tagliuzzata più volte con i coltelli, e aveva scoperto che quelle ferite in particolare non lasciavano alcuna traccia.

Aveva anche scoperto suo malgrado come l’argento poco andasse d’accordo con lei, dando voce alle antiche leggende sui lupi mannari tanto decantate nei racconti dell’orrore.

Si era così dovuta liberare di gran parte dei suoi gioielli e, a malincuore, aveva dovuto sistemare in un cofanetto gli oggetti della madre, impossibilitata a indossarli.

Quella lacerazione che aveva sul torace, quindi, doveva sicuramente essere stata prodotta da Lucas. Dubitava che il dottor Johnson possedesse strumenti in argento, o che avessero chiesto a Chelsey di squartarla come un pesce.

Il suo stomaco brontolò all’improvviso, spezzando quei pensieri e ricordandole che erano ore che non metteva qualcosa sotto i denti. Sospirando di fronte a tanta insensibile ingordigia, scese a piedi scalzi dalle scale, raggiunse il pian terreno e si avviò verso la cucina.

Seduto al piano bar con una tazza fumante di caffè, Dev quasi lasciò cadere tutto di mano, non appena vide Iris appoggiata al mancorrente e con un mezzo sorriso a illuminarle il viso.

L’attimo seguente, mollò ogni cosa sul ripiano in legno e la raggiunse a grandi passi, esalando: «Ma che ci fai alzata?!»

Lei gli intimò di non urlare, poggiando un dito sulle sue labbra e, sorridendo appena, mormorò: «Sto meglio. Molto meglio. Ma ho fame.»

«Sei… sicura?»

Iris assentì e Dev, lasciandosi andare a un sospiro di sollievo, la strinse a sé in un abbraccio stanco quanto sollevato.

La giovane se ne stupì un poco, ma ne fu lieta. Non era affatto spiacevole quel tepore, così come il profumo che la avvolgeva come una coperta. Fortunatamente, Dev aveva smesso di usare profumi, perché l’odore della sua pelle era dannatamente molto più buono senza aromi artificiali a coprirlo.

Purtroppo, però, l’abbraccio durò fin troppo poco e, quando lui si scostò per accompagnarla in cucina, Iris fu tentata di chiedergli il bis.

La lupa lo desiderava, e un po’ anche la donna.

Nel notare la sua leggera zoppia, però, la sua mente si preoccupò all’istante e, turbata, domandò: «Cosa ti sei fatto?»

«Non te lo ricordi?» le domandò lui, curioso.

Al diniego di lei, allora Devereux replicò: «Ho inciampato nel tuo lettino post-operatorio perché ero mezzo addormentato, così sono capitombolato a terra.»

Mente, borbottò Gunnar. Tu potevi anche essere sconvolta dal dolore, ma io no.

“Oh… e quindi?”

Lo hai sbalzato contro il muro della sala post-operatoria della clinica, quando hai dato di matto e loro hanno cercato di calmarti.

A quell’accenno, Iris sgranò gli occhi e impallidì di colpo, portando Dev a esalare: «Cristo, non mi svenire, eh?!»

Una lacrima rabbiosa si insinuò tra le palpebre socchiuse di Iris che, stringendosi le braccia al petto, mormorò furiosa: «Non devi mai metterti in mezzo, quando un licantropo non si controlla, Dev!»

«Come? Che cosa…» cominciò col dire l’uomo prima di fissarla malissimo e borbottare: «Ehi, di’ un po’, coso là dentro! Finiscila di fare le spiate! Non è necessario che la tua padroncina sappia proprio tutto!»

Coso, a chi?!, ringhiò Gunnar nella mente di Iris.

“Buono, a cuccia… non ho bisogno anche di un mal di testa. Lo sai che Devereux fa così. Ormai dovresti averlo capito, no?”

Non è detto che mi piaccia, però…

Sedendosi al tavolo, Iris sospirò e disse: «Non farlo più, per favore.»

Dev non le rispose, però, limitandosi a consegnarle una tazza enorme di cioccolata calda e dal profumo inebriante.

Lei la accolse con un sorriso, mentre l’uomo metteva a scaldare una padella per prepararle un hamburger.

«Grazie per aver permesso a Chelsey di aiutarmi.»

Lui scrollò le spalle noncurante ma, qualche istante dopo, si volse a mezzo per dirle con tono estremamente serio: «Mi hai salvato la vita. Mi sembrava il minimo.»

«Sai, credo che in effetti quella pallottola fosse destinata a te, e non a me» dichiarò Iris, sorprendendolo un poco.

«Da cosa lo deduci?»

«Se mi avesse voluta morta, avrebbe continuato a spararmi, una volta avermi centrato col primo sparo, invece è scappata in preda al terrore, lasciando…» disse Iris, prima di spalancare gli occhi e aggiungere: «Ha lasciato cadere il fucile sul colle da cui ha sparato!»

Dev a quel punto assentì, dichiarando: «Subito dopo avervi portati qui, ho mandato Chuck e Rock a controllare il punto da cui presumevo fosse partito il colpo, e hanno effettivamente trovato un fucile. Lo hanno imbustato, e ora si trova nelle mani del comandante Rochester.»

Iris sgranò gli occhi, a quella notizia, ed esalò preoccupata: «Cosa… cosa gli avete raccontato?»

«Che sei stata ferita di striscio a una spalla, e che Chuck ti ha curata direttamente al camping, visto che il taglio era lieve. Dovrai solo mettere una fasciatura posticcia, quando parlerai con Rochester» le spiegò Dev, il volto ridotto a una maschera di gelo.

«Devereux…» tentennò Iris, non sapendo come interpretare quello sguardo.

«Sei quasi morta, in clinica e, quando ti sei risvegliata, urlavi come se ti stessero squartando un pezzetto alla volta…» sibilò Dev, passandosi una mano sul viso per il nervosismo e la rabbia. «…perciò, stavolta, non venirmi a dire che non devo sentirmi in colpa, è chiaro?!»

Iris lasciò perdere la cioccolata e raggiunse subito Devereux. Spense il fuoco sotto la padella per non bruciare la carne, ormai dimenticata, e strinse in un abbraccio l’uomo, mormorando: «Sei arrabbiato, e lo sono anch’io, ma non penserò mai che sia colpa tua. Mai

Poggiando il capo sul torace di Dev, Iris ne percepì il battito frenetico, l’adrenalina nel sangue, la paura che ne irrigidiva i muscoli e, stringendo ulteriormente, aggiunse: «Sono viva, okay? Viva

Lui replicò finalmente alla stretta e, tremando per l’eccessiva tensione accumulata, mormorò: «Solo per puro caso, … Cristo, senti qua! Sei pelle e ossa…»

«Temo che il mio chilo e mezzo recuperato tanto a fatica, sia andato perso tutto oggi» cercò di ironizzare Iris, scostandosi delicatamente da lui.

Dev guardò l’hamburger, scrutò lei e infine dichiarò lapidario: «Credimi. Riuscirò a farti ingrassare. Fosse l’ultima cosa che faccio.»

Stranamente, trovò quella frase così assurda la più bella che avrebbero mai potuto dirle perciò, annuendo, tornò a sedersi al tavolo mentre Dev si impegnava ai fornelli.

Era davvero strano come potesse manifestarsi l’affetto, ma Iris era sicura che quello lo fosse, sincero e disinteressato. Perciò, bellissimo.





N.d.A.: Iris è salva, ma sicuramente non dimenticherà mai ciò che le è successo. Anche per questo, scoprire chi realmente sono, diventa sempre più impellente e Lucas, che si è tenuto "nascosto" fino a ora, credendo che potesse bastare, comprende il suo errore e le limitazioni di ciò che non ha compiuto fino a quel momento.
Devereux, a sua volta, rimane scioccato da ciò che è accaduto, e la vista di Iris ferita lo colpisce nel profondo. La sua decisione di "metterla all'ingrasso" sarà solo dettata dal desiderio di saperla in salute, o nasconderà altro?
Alla prossima, per le nuove scoperte dei nostri amici!

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


 

12.

 

 

 

 

Il volto del comandante Rochester era terreo, quando Iris e Devereux entrarono nel suo ufficio alla centrale di polizia.

Quando l’uomo li aveva chiamati, il giorno successivo allo sparo, si era dichiarato sorpreso di non aver ancora visto giungere Iris per una denuncia, ma lei lo aveva rassicurato.

Non avrebbe denunciato Alyssia, ma avrebbe chiesto in cambio che la donna venisse mandata in una clinica psichiatrica perché fosse curata una volta per tutte.

Il comandante l’aveva rassicurata in tal senso; Rochester aveva già preso accordi perché Alyssia fosse inviata in una delle migliori cliniche di Vancouver. Ugualmente, però, aveva richiesto la sua presenza per parlarle a quattr’occhi e, quando Iris aveva chiuso la chiamata, Dev le aveva imposto la sua presenza, senza se e senza ma.

Ancora troppo stanca per replicare, la giovane aveva accettato e, non appena vestita, era salita sul pick-up di Dev per raggiungere Clearwater.

In quel momento, accomodandosi di fronte alla scrivania del comandante, Iris mormorò all’indirizzo dell’ufficiale: «Cominceranno a pensare che mi caccio sempre nei guai.»

Rochester accennò un mezzo sorriso ma, scuotendo il capo, replicò stancamente: «Dubito fortemente che ci sia qualcuno, in tutta Clearwater, che possa pensarlo. Davvero non capisco i motivi che la spingono a rinunciare a un’accusa, miss Walsh. Ne avrebbe tutti i diritti, e io meno di tutti le impedirei di ottenere ciò che le spetta, e cioè giustizia. Il fucile che Chuck Johnson mi ha portato appartiene a mia figlia. Glielo regalai io diversi anni fa. Così come la pallottola che hanno recuperato nel terreno. Le rigature sono quelle del fucile di Alyssia. Quindi… perché

«Il tutto si è risolto con una ferita di striscio al braccio…» asserì lei, mostrando alcuni giri della fasciatura posticcia che aveva sistemato sul braccio. «… e un po’ di sana paura, perciò posso anche soprassedere. Non ha senso infierire su una persona chiaramente disturbata e che, invece di finire in galera, ha un bisogno estremo di essere aiutata a guarire. Le sbarre di una cella non la aiuterebbero a lenire ciò che la disturba così nel profondo, e onestamente non me la sento di spedire in un prigione una persona che non è cosciente di ciò che fa.»

Rochester assentì più volte, massaggiandosi il centro della frontre con fare stanco e, lapidadio, mormorò: «La clinica di Vancouver che ho contattato ha ottime referenze e, se vorrà, le dirò con chi parlare per averne la certezza. Ho chiesto per lei il trattamento sanitario più restrittivo e, va da sé, se non rispetterà le direttive, non rivedrà mai più la luce del sole. La farò arrestare immediatamente e chiederò la sua deposizione in merito a questo incidente, così che nessuno possa contestare la mia richiesta.»

Annuendo, Iris intrecciò le mani e mormorò: «Mi basta ma, se preferisce metterlo nero su bianco, sono anche disposta a controfirmarglielo.»

Il comandante, però, scosse il capo e replicò: «Ha già dimostrato fin troppa pazienza e clemenza, con mia figlia. Non voglio ulteriormente danneggiarla, facendole passare mezza giornata qui per attendere scartoffie su scartoffie da firmare. Se avrò bisogno di qualche firma, le farò consegnare i documenti direttamente al campeggio, va bene?»

«D’accordo» mormorò Iris, levandosi in piedi. Dev, dietro di lei, le si pose al fianco e, torvo, squadrò il comandante, come in attesa di scuse.

Lei, però, gli diede di gomito e, salutando Rochester, uscì dall’ufficio quasi trascinandosi dietro l’uomo.

Solo nel cortile, Devereux ebbe il coraggio di lagnarsi per il dolore al costato e, fissandola bieco, gracchiò: «Ma che ti è preso?! Avrebbe potuto anche scusarsi maggiormente, no!?»

«Non mi importa, Devereux, davvero. Non ti sei accorto che quell’uomo era sull’orlo di una crisi di nervi?» replicò Iris, salendo sul suo pick-up.

Dev la fissò confuso e lei, con un sospiro, ammise: «Già, forse non l’hai notato davvero. Il suo cuore era indebolito, così come le sue funzioni interne. Ho percepito molte tossine nel suo sangue, come se non fosse in salute, e i suoi nervi erano tesi allo spasimo. Non so quanto dipenda da Alyssia, e quanto da una sua condizione pregressa, ma il comandante sta davvero rischiando l’esaurimento.»

Chetatosi un poco, Devereux imboccò la strada principale per tornare a casa e, nello scrutare le auto dinanzi a sé, mugugnò: «Non chiedermi di essere dispiaciuto.»

«Non te lo chiederò» gli concesse lei, sorridendo a mezzo quando i suoi occhi registrarono un tic sulla sua guancia.

Era chiaro quanto, tutta quella situazione, stesse facendo irritare Devereux, eppure si era trattenuto dall’esplodere solo perché lei glielo aveva chiesto.

V’erano dimostrazioni di fiducia più grandi di questa, forse?

***

Iris stava guardando decisamente dubbiosa l’immenso cesto che Dev le aveva posto innanzi, interamente ricolmo di alette di pollo glassate e accompagnate da patatine fritte.

Chelsey, invece, non si fece alcuno scrupolo di coscienza e iniziò a sbocconcellare la prima aletta sotto gli occhi inquisitori del padre.

«Coraggio, mangia» la incitò Devereux, sedendosi sul divano dove già si trovavano Chuck e Clarisse.

Il veterinario assentì all’indirizzo di Iris e lei, non potendo fare altrimenti, mormorò: «C’è del ketchup?»

Chelsey rise e annuì, correndo a prenderglielo e Iris, afferrata la prima aletta, dichiarò: «Sedici chili di alette, Dev? Non ti sembra di esagerare?»

«Tu mangia… vedrai che non andranno sprecate» scrollò le spalle l’uomo.

Lei allora ci diede dentro e, non appena il suo stomaco ebbe avvertito il sapore della carne, il suo istinto predatorio ebbe il sopravvento.

Aiutata in parte da Chelsey, Iris fece sparire in poco meno di mezz’ora tutte le alette di pollo, intervallandole con ampie porzioni di patate fritte inzuppate nel ketchup.

Era assurdo che stesse riempiendosi lo stomaco a quel modo alle quattro del pomeriggio, ma la fame aveva avuto il sopravvento anche sulla buona creanza.

Quando infine ebbe terminato, e si fu ripulita da unto e salsa, Iris ringraziò Chuck per l’operazione che l’aveva salvata.

Lui scosse una mano come se nulla fosse dopodiché, intrecciate le mani su un ginocchio, tornò serio e disse: «E’ più che evidente che nessuno di noi è preparato a eventi estremi, o non avremmo rischiato di perderti sul tavolo operatorio, così come non abbiamo potuto impedire con scioltezza i tuoi dolori post-operatori.»

Tutti annuirono gravi e Lucas, colpevole, aggiunse: «Mi rendo conto solo ora che crogiolarmi nelle mie certezze è stato un errore. Avrei dovuto pensare che, prima o poi, qualcosa del genere avrebbe potuto accadere anche a me. E a quel punto cosa avrei fatto? Stando a quel che dice Gunnar, la mia anima non è senziente, perciò non avrebbe potuto distaccarsi dal corpo per permettermi di superare un’operazione. Sarei morto per l’eccessivo dolore, o sarei impazzito, trasformandomi e uccidendo magari qualcuno.»

Clarisse si allungò per stringergli una mano e lui la accettò di buon grado, ma proseguì nel suo monologo.

«Accettare passivamente il mio destino mi ha limitato nelle conoscenze, e questo ha messo in pericolo Iris che, invece, ha affrontato di petto la questione, cercando risposte. Io avrei dovuto essere una guida, per lei, poiché sono nato con questa singolarità, e invece non le sono stato di alcun aiuto.»

«Nessuno è perfetto, Lucas, e di certo non incolpo te se sono finita su un tavolo operatorio» replicò secca Iris. «E’ palese quanto ci serva aiuto per capire come gestire la nostra licantropia oppure, presto o tardi, finiremo col metterci in guai seri per cose apparentemente banali.»

«Anche se Lucas è scettico, sono sicuro che mia nonna potrà aiutarci. Il fatto che, pur essendo donna, sia stata insignita del titolo di sciamano, la dice lunga sulle sue capacità. Nella sua tribù è definita donna dal cuore di uomo, e solo grazie a questo è potuta assurgere a una simile carica» spiegò loro Rock, sorridendo gentilmente a Lucas, che scrollò le spalle.

«Mi appellerei anche a una pianta, o addirittura a una pietra, se sapesse darmi le risposte che cerco» chiosò Iris, lanciando un sorriso speranzoso a Chelsey, che assentì.

«Parleremo con lei. Non farò il bastian contrario, lo prometto» dichiarò Lucas, levando le mani in segno di resa. «Inoltre, è sempre bello incontrare nonna Katherine.»

«Se ti sentirà chiamarla così, ti scaccerà di casa» ridacchiò Rock.

«Non lo farebbe mai, perché mi adora. Inoltre, di fronte a lei, la chiamo sempre Mitig Ikwe, se ben ricordi» sottolineò Lucas, ammiccando.

Iris li fissò incuriosita e ne domandò il significato.

«E’ un nome in lingua algonquin e significa donna albero. Fin da piccola, mia nonna dimostrò di essere molto saggia e dotata di un’anima antica così, prima le diedero questo nome per sottolinearne la maturità e la saggezza e, in secondo luogo, la iniziarono allo sciamanesimo. Per i Nativi, le piante sono le depositarie di grande sapere e conoscenza, perciò chiamarsi così è distintivo di una persona estrememente profonda e intelligente.»

«Beh, domani scopriremo se sa qualcosa di questo guazzabuglio» chiosò Iris, spallucciando.

Chelsey assentì e sbadigliò sonoramente. In quelle ultime ore, aveva riposato davvero poco. Dev, allora, la invitò a raggiungere il letto di corsa e la figlia, senza troppe proteste, annuì, diede un bacio a Iris e corse al piano superiore.

Un riposino prima di cena non l’avrebbe certo guastata.

La famiglia Johnson e Rock si mossero quindi per andarsene ma, quando chiesero a Iris se voleva un passaggio fino al campeggio, Dev replicò: «Può dormire qui. Così sarò sicuro che a colazione mangerà carne, e non soltanto dolci.»

Iris fece spallucce, di fronte a quel commento indisponente, e celiò: «Vuole farmi ingrassare come un maialino.»

«Così potrò arrostirti» ribatté l’uomo, fissandola con un ghigno furbo.

«Averli io, certi problemi» sospirò Clarisse, dandosi una pacca sul fianco arrortondato.

«Mi sono mai lamentato?» replicò Chuck.

La moglie scosse il capo, sorridendo maliziosa e Lucas, trascinandoli praticamente fuori di peso, borbottò: «Sono le cinque del pomeriggio e questi fanno i piccioncini. Ci vediamo presto, ragazzi! Buona serata!»

Iris levò una mano per salutare il gruppo ma, quando fu nuovamente sola con Dev, sospirò e l’uomo, incuriosito, le domandò: «Cosa c’è?»

Lei ammiccò appena, sfiorò con un dito il tessuto cicatriziale visibile dallo scollo a V della maglia che indossava e borbottò: «Posso dire addio alla prova costume.»

«Quanto è lungo?»

«Più di una spanna» disse Iris, poggiando la mano sullo sterno e allargando le dita per indicarne la lunghezza complessiva.

Dev, allora, scrollò le spalle e disse perentorio: «Fregatene.»

Ciò detto, le diede un pizzicotto sul naso, la afferrò per le spalle per volgerla verso le scale e infine, sospingendola, ordinò: «Fila a farti una doccia. Lupa o meno, hai bisogno di rilassarti, e non c’è niente di meglio di una doccia per ottenere questo risultato. Nel frattempo, tirerò fuori un po’ delle tue polpette dal freezer perché si scongelino.»

«Andata» annuì Iris, raggiungendo il piano superiore con calma.

A volte, anche Dev aveva delle ottime idee.

***

Iris non fece fatica a comprendere il perché del nome della nonna di Rock.

Per quanto la donna fosse piccola di statura e piuttosto magrolina, spingeva chi la guardava a provare lo stesso reverenziale timore percepito di fronte a una possente e antica sequoia.

Accomodata su una poltrona di vimini, ricoperta di cuscini a fantasie patchwork, la donna portava i lunghi e bianchi capelli stretti in due trecce, che ricadevano leggere sulle esili spalle.

Abiti dai colori allegri si abbinavano a caldi occhi color cioccolata e a un sorriso solare, sorriso che si allargò quando Lucas le baciò le guance per salutarla.

«Bambino caro, vedo che non sei più da solo, nella tua tana solitaria» chiosò la donna, ammiccando ad Iris e Chelsey, che risposero con eguali sorrisi.

Il giovane sbatté le palpebre, fissò confuso Rock e, al suo diniego, domandò: «Nonnina… tu sapevi?»

«Che sciamano sarei, se non avessi capito che in te scorreva sangue potente e antico?» lo prese bonariamente in giro la donna, facendo sorridere Rock.

Lucas sbuffò, dichiarandosi sconfitto e, accomodandosi sul divano assieme al compagno, disse: «Beh, visto che mi hai gabbato in pieno, cosa puoi dirci?»

«La bambina ha sangue giovane e forte, che è simile ma diverso dal tuo, tesoro, ma la giovane donna… avvicinati, cara» disse Mitig Ikwe, rivolgendosi a Iris nell’allungarle le mani delicate.

Lei assentì titubante e, quando pose le sue mani su quelle aperte della donna, la vide spalancare le palpebre per poi sorridere soddisfatta.

«Oh, qui abbiamo un’anima antica in una giovane creatura. Un connubio assai interessante. Un protettore, mi pare di capire» mormorò pensierosa la donna, sgomentando Iris, che assentì con aria vagamente intontita.

«Sì, signora. Lui dice di essere un landvættir, per l’appunto un protettore delle genti e dei territori» le spiegò Iris.

Invitatala a sedersi vicino a lei, sulla poltrona libera, Mitig Ikwe le disse: «Chiamami ‘nonna’ anche tu, tesoro. E dimmi, quando hai ottenuto la consapevolezza?»

«Solo poco tempo fa. Gunnar, il nome del landvættir, mi ha detto che ero troppo stressata e nervosa per poter cogliere per intero i suoi tentativi di mettersi in contatto con me.»

«Una mente inquieta è foriera di problemi. Ora sei più serena, cara?» le domandò a quel punto la donna, battendole affettuosamente una mano sul braccio lacerato dalla ferita che l’aveva mutata in lupo.

«Diciamo che avere al fianco persone di cui mi fido e a cui posso dire tutto, è un aiuto che mai avrei pensato di trovare» ammise Iris, sorridendo ai presenti.

Dev con il suo sorriso sghembo e guardingo, Chelsey con la sua risata solare, Rock e la sua salda compostezza e Lucas, il primo lupo che avesse mai incontrato dopo la sua tragedia personale.

Sì, era bello averli attorno e sapere che altre persone li attendevano trepidanti, in attesa di novità – i nonni di Chelsey, i coniugi Johnson e lo zio, a L.A. – dava la stessa sensazione di un caldo abbraccio di gruppo.

«La famiglia è importante, e la si può definire tale anche se non vi sono reali legami di parentela. Poiché alcuni di voi sono lupi, vi si potrebbe definire un branco, un piccolo branco protetto dalla luna alta in cielo» chiosò la donna, dando una pacca sulla mano a Iris prima di indicare la luna visibile nel cielo pomeridiano.

«In effetti, abbiamo molti legami con lei, visto che i nostri lupi sembrano diventare più forti, quando c’è luna piena» mormorò la giovane, sorridendole.

L’anziana Piedi Neri assentì, dicendo: «Un’antica leggenda del mio popolo narra che un esile spicchio di luna, udendo un lupo ululare lungamente, chiese il motivo di una tale prostrazione. Il lupo, allora, le rispose che il suo cucciolo si era perso, e disperava di trovarlo ancora vivo. La luna, impietosita, decise di aiutarlo e, poco alla volta, si gonfiò fino a divenire un enorme globo lucente, in grado di illuminare tutta la foresta. Il lupo, così, trovò il suo cucciolo e le fate dei boschi, commosse dal gesto della luna, fecero in modo che ogni mese, tutti i cuccioli del mondo potessero sentirsi protetti da una luna piena e luminosa. Da quel giorno, a ogni plenilunio, i lupi ululano felici per mantenere saldo il loro legame con la luna.»

«Quindi, cosa dovremmo fare? Abbaiare alla luna piena?» ironizzò Lucas.

Rock ghignò all’indirizzo di Lucas che, levando le mani in segno di perdono, borbottò: «Scusate. Scherzavo. Volevo solo sdrammatizzare un po’.»

La risata che si librò nella stanza fu genuina e liberatoria e, quando ognuno dei presenti ebbe sfogato il proprio sollievo, Iris domandò: «Come possiamo scoprire chi siamo? E’ assurdo muoversi a tentoni, senza sapere nulla. Esisterà pure qualcuno che conosce qualcosa di noi. Togliendo la battuta di Lucas sulla luna, potremo pur fare qualcosa per scoprire la verità!»

«Manitu mi è testimone, cara, io non conosco nessun altro, come voi, ma so a chi si può domandare» mormorò l’anziana, annuendo sicura. «Dovete recarvi nel Writing-on-Stone Provincial Park e raggiungere le iscrizioni rupestri dei miei avi. Lì, le pietre vi parleranno di ciò che siete.»

Tutti guardarono Iris con espressione divertita e lei, ridacchiando imbarazzata, esalò: «Ehi, scherzavo quando dicevo che avrei chiesto anche a una pietra, se necessario!»

«Quelle non sono pietre qualunque. Contengono tutto il sapere dei miei antenati e anche dei vostri, poiché i due popoli incrociarono le loro strade, in tempi immemori, e lì riposano le loro storie» sentenziò seriamente l’anziana, stringendo le mani in una muta preghiera.

Il gruppo si guardò vicendevolmente, non sapendo bene che dire finché Chelsey, dubbiosa, domandò: «Quanti letti ha il tuo camper, Iris?»

La giovane scoppiò a ridere, esalando: «Beh, se sistemiamo i divanetti e il tavolo, dovremmo raggiungere i sei coperti.»

Dev si grattò la nuca, insofferente, e borbottò contrariato: «Abbiamo due cantieri aperti, in questo momento, e non so se…»

«Io me la posso cavare, e Lucas non credo avrà problemi. Quanto a Chelsey, non penso sia necessaria la sua presenza, visto che…» iniziò col dire Iris, prima di notare lo sguardo accigliato e ferito della ragazzina. «… oh, piccola… non volevo…»

«Non mi lascerete fuori da questa storia! Faccio parte anch’io della partita! Voglio sapere anch’io chi sono, ma di persona!» protestò Chesley, irritandosi non poco. «Sono già costretta a vivere una vita finta, con le mie amiche… non voglio che sia finta anche con voi!»

Iris assentì grave, comprendendo appieno il suo desiderio di sapere, poiché era lo stesso che l’aveva spinta a lasciarsi alle spalle certezze e comodità per intraprendere quel lungo e sfiancante viaggio di scoperta.

Lanciato poi uno sguardo a Dev, la giovane disse: «Posso prendermene cura io. Sai che non lascerei nulla di intentato, per lei.»

Devereux vagò con lo sguardo tra la figlia e Iris e, rivolgendosi a Chelsey, domandò: «Te la senti davvero?»

«Sì. E non voglio che sacrifichi ancora il tuo lavoro per me. Lo hai già fatto anche troppo. Iris e Lucas mi proteggeranno… e poi si tratterà di stare via due, tre giorni al massimo» lo rassicurò Chelsey, sorridendogli piena di coraggio e spirito d’avventura.

Dev la abbracciò con forza, mormorando: «Cristo… non mi va di lasciarti sola proprio adesso, però...»

«…però, hai tante responsabilità, e alcune non si possono lasciare ad altri» terminò per lui Chelsey, baciandolo su una guancia.

«Sei troppo intelligente e brava, per essere mia figlia» la lodò Dev, dandole un bacio sulla fronte prima di guardare Iris e aggiungere: «Te la affido perché so che te ne prenderai cura… ma vedi di continuare a mangiare, o vanificherai i miei sforzi.»

«Chelsey mi controllerà» gli garantì Iris, sorridendo.

Dev, allora, lanciò un’occhiata a Lucas e decretò torvo: «Sono nelle tue mani, amico.»

«Torneremo prestissimo, te lo prometto» lo rassicurò Lucas, allungandogli una mano per stringere quella protesa di Dev.

Lui si limitò ad assentire e Rock, sorridendo alla nonna, disse: «Grazie. Ci hai davvero tolti dall’impiccio.»

«Se quel che le leggende raccontano sono vere, il loro popolo tolse dall’impiccio noi, secoli addietro. E’ giusto ripagare il pegno» dichiarò solenne Mitig Ikwe.

***

Lo sguardo di Dev la stava perforando, e non era per niente piacevole.

Per quanto potesse comprendere – a livello teorico – le sue reticenze a far partire la figlia, Iris trovava assurdo, per non dire offensivo, il fatto che lui non si fidasse della sua guida!

Aveva attraversato metà degli Stati Uniti con quel camper, e si era inoltrata in Canada nel bel mezzo delle Montagne Rocciose, arrivando a toccare quasi tremilacinquecento miglia di percorso in due anni di viaggio!

Non era di certo una sprovveduta al volante, cosa credeva?!

«Non devi superare…» ricominciò per l’ennesima volta Devereux, venendo subito interrotto da Iris che, poggiate le mani sulle spalle dell’uomo, spinse con forza fino a farlo sedere sul vicino guard-rail.

«Devereux, me l’hai detto almeno dieci volte negli ultimi quindici minuti. Giuro che, se lo ripeti ancora, ti farò mangiare la lingua.»

Alla minaccia, Iris fece seguire un ringhio ben poco rassicurante e Dev, con uno sbuffo, borbottò: «E’ scorretto usare le maniere forti con uno che non può difendersi.»

Quella frase le parve così assurda che Iris scoppiò in una sonora risata, esalando: «Scusami, ma è esilarante il pensiero di poter mettere al tappeto un uomo grosso due volte me.»

«Fai anche la spiritosa. Sarei quasi tentato di farmi ferire solo per farti rimangiare le tue idiozie» brontolò Devereux, fissandola acido.

Iris tornò seria, di fronte a quelle parole e, scuotendo il capo, replicò: «La prenderò come una scemenza, perché nessuno dovrebbe volere una cosa del genere, e per un motivo così idiota.»

«E’ ovvio» ringhiò Dev, scaricandole un pugno nello stomaco senza peraltro ottenere alcun risultato. «Cristo, che schifo… neanche una piega.»

Iris sorrise nonostante tutto e, ammiccando all’uomo, disse: «Dovrebbe bastarti per capire che avrò cura di tua figlia perché ne ho i mezzi

Dev allora sospirò, reclinò in avanti il capo e borbottò: «Mi sento un idiota totale. Non sta andando in capo al mondo, e neppure per tutta la sua vita, eppure…»

«… eppure, ti senti in colpa perché non puoi essere con lei in questa faccenda» terminò per lui Iris, carezzandogli istintivamente i neri capelli arruffati.

L’uomo annuì senza replicare e, mogio, borbottò solamente: «I nonni hanno finito di sbaciucchiarla?»

«Sì, direi che è il tuo turno» dichiarò Iris, sorridendo.

Alzandosi fieramente, Dev la fissò malissimo e sbuffò: «Io non sbaciucchio mia figlia!»

Lei preferì non replicare, ma la sua risatina seguì Devereux come un incubo a occhi aperti e, quando strinse in un abbraccio Chelsey, mormorò: «Cerca di non far preoccupare i tuoi accompagnatori, perché non sono del tutto certo che sarebbero in grado di risolvere un problema anche semplice.»

Chelsey sorrise divertita e, stringendo forte il padre, asserì: «Ce la caveremo, papà. Non temere.»

«Oh, di te mi fido…» replicò Dev, levando poi lo sguardo per osservare arcigno Lucas e Iris. «… è su di loro che ho qualche dubbio.»

L’attimo seguente, uno schiaffo sulla nuca fece volgere irritato Devereux che, furioso, ringhiò: «Mamma! La pianti?!»

«E dire che ti ho insegnato l’educazione… dov’è finita? Sotto metri e metri di segatura?» brontolò Bethany, scuotendo esasperata il capo.

Lucas scoppiò spudoratamente a ridere mentre Iris, più composta, si limitò a una risatina soffocata dietro una mano.

«Non fate caso alle scempiaggini di mio figlio, e fate buon viaggio» continuò Betty, caricando Chelsey all’interno del camper mentre Iris saliva al posto di guida.

«Chiameremo non appena saremo arrivati a Calgary per la colazione» promise loro Iris, sporgendosi dal finestrino.

«Chiamerete ogni ora!» protestò Dev, schivando l’attimo seguente un secondo schiaffo di sua madre.

Lucas gli mandò un bacio per diretta conseguenza, chiuse la porta del camper e, affacciatosi al finestrino a sua volta, gli gridò: «So che ti mancherò, ma non darlo così a vedere!»

Iris partì subito dopo, mentre la risata di Lucas li accompagnava e il grugnito di Devereux – condito di diverse imprecazioni – chiudeva la partita a suo svantaggio.

Rock si limitò a osservare il camper mentre si allontanava dal campeggio e, nel dare una pacca sulla spalla all’amico, mormorò: «E’ con due lupi grandi e grossi. Cosa vuoi che le succeda?»

«Succede che non sono con lei, che il suo papà non è al suo fianco. Già è dovuta crescere senza la mamma e ora, quando più avrebbe bisogno di me, non ci sono neppure io» ammise Devereux, fissando contrito l’amico.

«Oh, Dev…» mormorò la madre, stringendosi a lui per consolarlo.

«Chelsey non è sciocca, e sa benissimo qual è la differenza tra ciò che è avvenuto con Julia, e quello che sta succedendo ora. E tu devi cominciare a darle più spazio. Volente o nolente, non è più una bambina e ci sono cose che, per forza, dovrà fare senza di te. Lucas dovrà insegnarle a essere una brava lupa, e lei dovrà crescere con una consapevolezza di se stessa che io e te neppure ci immaginiamo» asserì a quel punto suo padre, dando una pacca sulla spalla al figlio.

Devereux lanciò uno sguardo dolente alla figura ormai lontana del camper immerso nella notte e, annuendo debolmente, mormorò: «Non è facile, per me, accettare di non essere in grado di aiutarla, o proteggerla.»

«Sei suo padre, e lei ti ama. Non devi pensare ad altro» lo rassicurò Rock. «E ora filiamo a nanna, o più tardi assembleremo la casa al contrario.»

A Dev sfuggì un risolino e, alla chetichella, tutti i presenti si allontanarono per tornare alle loro rispettive case.

Quando, però, Devereux si ritrovò solo nella propria, non riuscì proprio a salire in camera sua per riposare.

Si sistemò su uno dei divani e, rattrappendosi sotto una coperta, si apprestò a passare la sua prima notte da solo e senza sua figlia.

La sola idea lo mandò immediatamente in paranoia, ma fu il bip del suo cellulare a farlo quasi andare al manicomio.

Ruzzolando giù dal divano, afferrò in fretta lo smartphone appoggiato sul tavolino per aprire il messaggio appena arrivato e, a sorpresa, vi trovò scritto: “Va tutto bene e le strade sono sgombre. Chelsey sta già dormendo. Ti aggiornerò tra un’ora. Buona notte.”

Ovviamente non era firmato, visto che il messaggio giungeva dal cellulare di Iris, e Dev dubitava fortemente che Lucas si sarebbe preso la briga di aggiornarlo così celermente.

“Pensa a guidare. Quando vi fermerete, mi dirai altro. Fatti dare il cambio ogni due ore. Lo sai che ti viene fame spesso, e questo può minare l’attenzione alla guida.”

Dev si pentì di aver spedito quell’sms subito dopo aver pigiato ‘invia’ sul cellulare, ma sorrise divertito quando ne tornò subito uno indietro, e che lo intimava di dormire.

Fu sollevato, inoltre, nel notare l’emoticon sorridente alla fine della frase.

Non avendo altro da dirle, si sdraiò nuovamente e, stavolta, riuscì a chiudere gli occhi.

***

«Iris… ehi, Iris…» disse Lucas, scrollando debolmente l’amica per scuoterla dal suo sonno.

Lei e Lucas si erano dati il cambio dopo tre ore di viaggio e, quando Iris riaprì gli occhi, la giovane si stiracchiò subito dopo e disse: «Eccomi. Dove siamo?»

«Siamo arrivati a Calgary, ci sono sei gradi e piove a dirotto» la mise al corrente Lucas, indicando l’esterno con un risolino.

«Sei gradi, eh? Mi fanno un baffo, ora come ora» ironizzò lei, gradendo molto la peculiarità dei licantropi di avere una temperatura corporea così alta.

Per lei, i geloni e i brividi erano ormai un ricordo lontano.

Ugualmente, si infilò una felpa per non dare nell’occhio e, dopo essere sgattaiolata via dal sedile del passeggero, raggiunse la zona notte del camper e svegliò Chelsey.

La ragazzina si svegliò con un gran sbadiglio, il corpo esile disteso a gambe aperte sull’enorme letto a due piazze e i neri capelli ridotti a una zazzera confusa e disordinata.

Iris glieli carezzò divertita e disse: «La prossima volta, faremo una treccia. E’ meglio.»

«I tuoi non si riducono così, però…» mugugnò Chelsey, indicando la liscia e brillante chioma dorata di Iris.

«I miei non possono essere acconciati, o arricciati in nessun modo, però. Le forcine sfuggono dappertutto, gli elastici scivolano via e la piastra non ha alcun effetto. Restano sempre e comunque lisci come tavole» le fece notare la giovane, aiutandola a scendere da letto.

«Me la farai tu, la treccia? Papà non è capace, e non posso sempre andare da nonna Betty per farmela fare, perciò…»

«Ti aiuterò io. Ho fatto pratica su mia cugina Liza, perciò sono esperta» le rivelò Iris, sorridendo al pensiero della cuginetta.

Di cinque anni più grande di Chelsey, Liza era la più scalmanata, tra le due figlie di zio Richard e zia Rachel. Da sempre solare e allegra, le era stata molto vicino, durante il periodo appena seguente la morte dei suoi genitori, e Iris gradiva sempre parlare con lei.

Quell’autunno avrebbe compiuto diciassette anni, si ricordò Iris e, con tutto il cuore, sperò di poter essere a L.A. per festeggiarla.

Forse, dopo quella missione a Writing-on-Stone, avrebbero risolto molti dei loro problemi – e dubbi – e lei avrebbe potuto finalmente tornare a casa.

Nel pettinare i lunghi capelli di Chelsey e aiutandola a vestirsi, però, Iris si chiese se sarebbe stato poi così semplice abbandonare Clearwater e tutte le persone che aveva conosciuto.

Dopotutto, lì aveva incontrato il primo licantropo della sua vita, e aveva aiutato Chelsey a divenire tale durante il suo mutamento.

Non erano persone qualunque, quelle che aveva incontrato e con cui aveva fatto amicizia, perciò sarebbe stato molto doloroso separarsi da loro.

«Iris, cosa c’è?» domandò Chelsey, quando la giovane protrasse troppo a lungo il suo silenzio.

Riscuotendosi dai suoi pensieri, Iris le sorrise, poggiò la spazzola nella busta degli effetti personali di Chelsey e disse: «Pensavo a Liza, e al fatto che lei non sa niente di me. Solo lo zio ne è al corrente. Neanche la zia o Helen, ne sanno nulla.»

«Un po’ come il papà di Lucas, che non sapeva della sua doppia vita?»

«Già. All’epoca, pensammo che la cosa avrebbe potuto essere troppo, per loro, perciò restammo in silenzio ma ora, onestamente, vorrei non averlo fatto. Quando chiamo a casa e parlo con loro, sento sempre di non essere corretta nei loro confronti.»

«Anch’io vorrei dirlo a Roxy, ma ormai ho capito cosa volevate dirmi, quando me l’avete vietato. Però, è difficile» sospirò Chelsey, reclinando il viso.

Iris abbracciò istintivamente la ragazzina e, sorridendole nel darle un bacio su una tempia, mormorò: «Vedrai che riusciremo a trovare il sistema per migliorare la situazione. Per il momento, però, pensiamo a fare colazione …e a chiamare tuo padre.»

«Lo faccio subito» annuì Chelsey, prendendo dalla mano di Iris il suo cellulare, mentre la giovane si apprestava a farle una treccia.

Non occorsero che due squilli, e Dev rispose immediatamente, dicendo: «Ehi, sottiletta! Tutto bene?»

Ridendo, Chelsey replicò: «Papà, sono Chelsey. Ma la smetti di chiamare Iris con quel nome assurdo?»

«Le si addice, per il momento… comunque, dove siete, adesso?»

«Siamo arrivati a Calgary, e Lucas sta cercando un parcheggio per fermarci e fare colazione» gli spiegò la ragazzina. «Sta diluviando, per la cronaca.»

«Qui no, per fortuna, altrimenti costruire questa benedetta casa sarebbe un vero inferno» replicò Dev mentre, alle sue spalle, le grida allegre dei dipendenti lo richiamavano all’ordine.

Chelsey sorrise divertita e decretò con sicurezza: «Scommetto che sarà bellissima, quando l’avrai finita.»

«E’ scontato» replicò lui, pomposamente. «Se piove così tanto, indossa il poncho, va bene?»

«Sì, papà» assentì lei, lanciando un’occhiata esasperata al soffitto del camper e facendo ridere sommessamente Iris.

«Ora passami sottiletta, per favore.»

«D’accordo. Ti voglio bene, papà.»

«Io di più» replicò Dev, affettuoso.

Chelsey rise tutta contenta e, dopo aver passato il telefono a Iris, mormorò: «Hai finito?»

«Sì, vai pure» dichiarò Iris, vedendola correre verso il sedile del passeggero, che lei volse azionando la leva direzionale per poi posizionarlo correttamente al fianco di Lucas. «Ciao, Devereux. Avevi bisogno di qualcosa?»

«Procede davvero tutto bene?»

«Non siamo in zona di guerra, credimi. Siamo ancora in Canada, perciò tra gente perbene e molto educata» ironizzò Iris, scuotendo esasperata il capo.

«Non fare la spiritosa, sottiletta. Non sei tu ad avere una figlia a centinaia di miglia da casa, con…» iniziò col dire Dev prima di bloccarsi, prendere un gran respiro e borbottare contrariato: «… scusa, l’ho rifatto. Ma è difficile saperla lontana, visto che è la prima volta che è via di casa senza di me

Iris sorrise dolcemente di fronte a quell’ammissione e mormorò: «Non preoccuparti. Non posso dire di capire, visto che non ho figli, ma me ne prenderò cura come se fosse mia. Inoltre, è molto sveglia di suo, perciò non è davvero un impegno gravoso.»

Dev rimase in silenzio per alcuni istanti, prima di dire: «Non dimenticarti di mangiare, va bene?»

Il sorriso sul viso di Iris si accentuò mentre un tiepido calore andava formandosi nel suo animo. Era bello ricevere simili attenzioni, anche se in modo così sgarbato e poco elegante.

«Prometto che assalterò un Burger King.»

«Porcherie. Compra cibo vero e cucinalo. Tanto sai farlo, no?» brontolò Dev.

Iris a quel punto rise e, scrollando le spalle, esalò: «Sai dire cose bellissime, Devereux.»

«Mangia, sottiletta, o ti ingozzerò come un’oca all’ingrasso, al tuo ritorno» sbottò Dev, buttando giù senza neppure un saluto.

A lei non diede per niente fastidio e, con un risolino, raggiunse i suoi due compagni di avventura, domandando: «Hai trovato qualcosa, Lucas?»

«Sto raggiungendo una stazione di sosta e, come da ordini ricevuti a monte, ci prepareremo un hamburger ciascuno, prima di darci alla colazione tradizionale» la informò lui, sorridendole.

«Ordini… ricevuti a monte?» esalò Iris, sorpresa.

«Sì, da Dev. Mi ha fatto una testa così…» dichiarò divertito Lucas, mimando una palla. «… per cui non ho intenzione di deluderlo.»

«Quell’uomo…» sospirò Iris, scuotendo divertita il capo. «Beh, mentre arriviamo a destinazione, io faccio una telefonata.»

Ciò detto, tornò nel reparto notte del camper e si sedette sul letto, digitando il numero dello zio.

Sapeva che a L.A. erano solo le sette del mattino, ma conosceva più che bene le abitudini di zio Richard, ed era quasi certa che fosse in piedi da almeno un’ora.

Il telefono, infatti, squillò solo due volte prima che la voce incuriosita di Richard rispondesse all’altro capo, dicendo: «Ehi, Iris! Ciao! Sei mattiniera!»

«Ciao, zio. Hai già fatto le tue cinque miglia di corsa?» si informò lei.

«Ovviamente, cara. E ora mi sto preparando un beverone di carota, cetrioli e banana. Ti direi se ne vuoi un po’, ma poi non saprei come fare a mandartelo» ironizzò Richard, facendola sorridere.

«Sai che detesto i cetrioli… comunque, volevo solo informarti che forse abbiamo una pista da seguire.»

«Abbiamo?» ripeté lui, pieno di aspettativa. «Tu e Lucas?»

«Siamo in tre, ora, zio. Ma ci sono almeno una decina di persone come te che ci stanno aiutando a scoprire qualcosa di più» gli riferì Iris.

«Benissimo, Iris. Non potevi darmi notizia migliore» esclamò eccitato Richard, riempiendo d’amore il cuore della nipote. Cosa aveva fatto per meritarsi tanto calore umano e tanta partecipazione?

«Senti, zio…»

«Dimmi, cara.»

«Hai ancora il video che ti feci vedere?»

«Ma certo. Lo conservo nella cassaforte del mio ufficio. Perché? Preferisci che lo distrugga?» le domandò l’uomo, comprensivo.

«Oh, no. Davvero. Piuttosto… credi che la zia e le mie cugine sarebbero… vorrebbero sapere la verità su di me?» gli domandò lei, non sapendo se sperare in un sì o in un no. Era così difficile aggrapparsi alla speranza di essere accettati, e poi magari scoprire di essere soli con i propri incubi.

Richard rimase in silenzio per quasi un minuto, prima di dire: «Credo che sarebbero orgogliose di te, bambina, esattamente come lo sono io. Se mi dai il permesso, gliene parlerò.»

«Sì, zio. Fallo. Ho davvero bisogno di sentirvi accanto a me, tutti quanti» mormorò Iris, stringendosi un braccio sullo stomaco.

Forse, l’incidente che l’aveva quasi spedita al Creatore le aveva fatto rivalutare molte cose, ma la sostanza non cambiava ciò che provava in quel momento. Voleva anche la sua famiglia, al suo fianco.

Certo, Devereux, Rock, sua nonna, i coniugi Johnson, Lucas, la piccola Chelsey e i suoi nonni erano già un nutrito gruppo di sostenitori… ma non erano la sua vera famiglia. Erano dei buoni amici, ma Iris sentiva l’esigenza di avere al suo fianco anche la sua famiglia, in quell’avventura così stramba.

«Lo farò, cara. E tu tienimi informato, mi raccomando.»

Iris assentì e lo salutò. Il dado era tratto, e ormai doveva solo attendere una risposta da parte loro. Sperava davvero di non aver giudicato male la situazione, ma desiderava davvero che almeno loro sapessero.

Aveva ben visto, sul volto di Chuck Johnson, quella piccola luce di delusione nata dall’essere stato tenuto all’oscuro di ogni cosa. Anche se era certa che presto o tardi sarebbe svanita, per Lucas e Clarisse sarebbe stato difficile perdonarsi per averlo ferito.

Anche se in buona fede.

Sperava a sua volta di poter avere un’occasione per essere perdonata.

***

Non era il Gran Canyon, e neppure le cascate del Niagara, ma la sensazione di essere dinanzi a qualcosa di ancestrale e fuori dal tempo, era la medesima.

Il sinuoso Milk River scivolava lontano dalla distesa apparentemente infinita di hoodoos, simile a un pallido serpente fuoriuscito dalla sua tana. Tana che, agli albori della sera, si tingeva di un rosso acceso, dando l’idea che le pietre millenarie prendessero fuoco sotto i loro occhi ammirati.

Chelsey scattò diverse foto con il cellulare di Iris per mandarle al padre e Lucas, dopo aver patteggiato per due giorni di sosta nel locale campeggio del Writing-on-Stone Provincial Part, disse alle sue compagne di avventura: «Siamo a posto. Trovare una piazzola libera in bassa stagione è stato un gioco da ragazzi.»

«Come ti sembra il campeggio?» domandò con ironia Iris, vedendolo ridere in risposta.

«Ah, non posso dire nulla. E’ davvero ben tenuto» disse diplomaticamente lui, poggiando le mani sui fianchi per ammirare lo splendido paesaggio, facente parte della Riserva dei Piedi Neri.

Diversi sentieri si dipanavano dinanzi a loro, che erano fermi di fronte all’entrata del parco, ora chiuso per la notte imminente.

In lontananza, le alte e incredibili strutture rupestri conosciute come hoodoos, sembravano voler sfiorare il cielo come mille mani distese verso l’alto, in cerca di un contatto mistico con l’eterno.

Buffi cappelli di roccia ricoprivano molte di quelle strutture monolitiche e sagomate da migliaia di anni di vento, sole e pioggia. Forse, immensi giganti le avevano ricoperte per proteggerle, pensò Iris, lasciandosi andare alla fantasia.

Visto che lei era metà donna e metà lupo, tutto poteva essere successo, agli albori del tempo, persino la presenza di giganti e mostri, pronti a lottare per il predominio.

“Dove stai navigando, Iris?”

“Oh, dappertutto e da nessuna parte. E’ divertente pensare che quelle strutture le abbiamo create delle creature mitologiche, ti pare?”

Lucas le sorrise, assentendo.

“Ci renderebbe un po’ meno speciali, un po’ meno unici, vero, se così fosse?”

“Già”, annuì Iris, poggiando una mano sulla spalla di Chelsey, che si accostò fiduciosa a lei. “Renderebbe più facile andare avanti, sapere di non essere così particolari, così rari come in effetti sembriamo essere.”

“Anche se sono solo rocce?”

“Sì, anche se sono solo un agglomerato di sabbia e cristalli compressi.”

Lucas le diede una pacca sulla spalla, dicendo: «Domani ci comporteremo da perfetti turisti e visiteremo il parco per comprendere dove si trovano le pietre coi dipinti rupestri, dopodiché, la notte, faremo il nostro ingresso illegale, lontano da occhi e orecchie indiscreti.»

Le sue due compagne annuirono e Chelsey, beffarda, disse: «E’ divertente essere in missione segreta.»

Sia Lucas che Iris non poterono che dirsi d’accordo.

 

 

 

 

N.d.A.: stiamo avanzando a piccoli passi verso la verità, e Iris decide di estendere anche al resto della sua famiglia la verità su se stessa. Vedere come Chuck abbia in parte sofferto per i silenzi del figlio – pur comprendendoli – le fa capire che è il momento di agire. Non vuole che il segreto condizioni la sua relazione con la sua famiglia losangelina.

Scusate il ritardo, ma ero via… e senza PC.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


13.

 

 

 

 

Il cielo coperto di nubi contribuiva a rendere la notte particolarmente buia e cupa e Lucas, nell’infilarsi una cuffia scura sui biondissimi capelli, mormorò: «Scenografia perfetta, non vi pare?»

Iris assentì, chiudendo ben bene il cappuccio della sua felpa perché non le si scorgessero le chiome bionde.

Come aveva temuto, la treccia che aveva appuntato sulla nuca era durata sì e no dieci minuti, e l’idea di infilare la sua capigliatura sotto una cuffia, le era parso impensabile. Come minimo, l’avrebbe persa lungo la strada.

Il cappuccio della sua felpa nera era stato un giusto compromesso e Chelsey, nello scendere per ultima dal camper, fiera della sua acconciatura raccolta, disse: «Mi sento molto un agente segreto.»

«In miniatura» aggiunse Lucas, sorridendole divertito e guadagnandosi una linguaccia dalla ragazzina.

«Non perdiamo altro tempo» li incitò Iris, chiudendo il camper prima di iniziare a correre lungo il sentiero che conduceva all’interno del parco.

Le sue uniche esperienze in tal senso le aveva sempre sperimentate tra i fitti boschi dell’Alberta e delle Montagne Rocciose, ma mai in un campo libero e così ampio come quel luogo.

Le sue gambe, perciò, lasciate a briglia sciolta, la portarono ben presto a raggiungere una velocità ragguardevole, velocità che la spinse a sorridere di soddisfazione e di puro piacere.

Era la prima volta in assoluto che provava quel genere di ebbrezza e, quando vide Chelsey a poca distanza da lei, seppe che anche la ragazzina stava provando le stesse sensazioni.

Libertà, forza e controllo al tempo stesso, erano tutte sensazioni che galleggiavano dentro di lei come una piena sempre crescente.

Quello, era essere dei licantropi? Se sì, le piaceva un sacco.

Lucas, però, le riportò ben presto entro i regimi, dicendo loro: «Non dobbiamo arrivare in California, ragazze. Rallentate!»

Loro malgrado, le due obbedirono e, riportandosi a un’andatura più accettabile, oltrepassarono in fretta la linea degli hoodoos per portarsi fino alle pareti rocciose dove erano state riprodotte le storie più antiche dei Piedi Neri.

Lì si fermarono – Chelsey si esibì in una gloriosa frenata in scivolata – e Lucas, non sapendo bene che fare, poggiò una mano sulla roccia più vicina e disse: «Proviamo così e vediamo che succede.»

Iris e Chelsey assentirono e poggiarono a loro volta le mani sulle pietre, mettendosi in ascolto e aspettando trepidanti che qualcuno rispondesse alla loro muta richiesta di soccorso.

Nulla, però, avvenne e, col decorrere dei minuti, l’iniziale eccitazione si sgonfiò come un palloncino lasciato sotto il sole.

Il sorriso di Chelsey si spense man mano che il silenzio intorno a loro diveniva pesante come una zavorra, e anche Iris iniziò a dubitare di quell’impresa.

Era mai possibile che tutte le loro speranze dovessero frantumarsi a quel modo, di fronte a quel muro di roccia dipinta?

Già pronta a rivolgersi a Lucas per dirgli che il piano non avrebbe mai funzionato, dovette rimangiarsi in fretta la parola, quando vide il volto dell’amico farsi pallido e sgomento.

Le nubi in cielo si aprirono in quel momento, quasi guidate da una volontà superiore, permettendo alla luce flebile dello spicchio di luna ora visibile in cielo di illuminare la spianata.

A quel punto, le incisioni che Lucas stava toccando si illuminarono come se fossero state ricoperte d’oro e Iris, al pari di Chelsey, esalò un sospiro di sorpresa ed eccitazione assieme.

Ti do il mio benvenuto, Figlio della Luna.

“Chi sei?”, domandò sconcertato Lucas, non sapendo se sentirsi eccitato o svenire per il terrore. Quella voce, così profonda e stentorea, non aveva nulla di umano!

Io sono Colei-che-E’, e ti trovi presso una delle porte che conducono a me, Figlio della Luna. Sei lontano da casa e dai tuoi simili, figlio mio. Mi sembri molto solo.

“Non del tutto solo, quanto piuttosto confuso. Perché dici che sono lontano da casa?”

Poiché i tuoi simili sono quasi del tutto scomparsi, nel Nuovo Mondo. Da molte decadi, ormai, nessuno di voi utilizza più questa Porta per parlare con me, o per oltrepassare il confine tra i Mondi.

Lucas preferì non concentrarsi su quelle parole oscure, che per lui non avevano alcun senso – e lasciavano presagire cose ben più grandi di quanto avrebbe potuto sopportare al momento – focalizzandosi piuttosto su altro punto.

“Dove si trovano i miei simili, gli altri Figli della Luna?”

Ove voi siete nati, figliolo. Nelle terre di Albion, quando ancora Fenrir camminava tra i vivi, possente e fiero e intimidatorio.

Lucas sgranò gli occhi, non avendo la più pallida idea di dove si trovasse questa fantomatica Albion. Il riferimento a Fenrir, però, lo mise in allerta, avendo già sentito quel nome per bocca di Iris, grazie alle soffiate di Gunnar.

“Chi era, per noi, Fenrir?”

Il vostro nobile Padre, figliolo. Dunque si è perso tutto, in queste lande un tempo benedette?

“Temo di sì. Quindi, siamo figli di un dio distruttore? Siamo esseri malvagi?”, domandò Lucas, con il patimento nel cuore.

Avevano intrapreso un viaggio della speranza, e solo per scoprire che la loro genia era maledetta?

Fenrir salvò ogni cosa, vivente e non, quando tentarono di scatenare ciò che di distruttivo risiedeva in lui. Per amore, si sacrificò per gli altri. Non fu malvagio lui all’epoca, né voi lo siete ora, figliolo.

“Perciò… cosa dovremmo fare?”

Riunitevi ai vostri fratelli, Figlio della Luna, e avrete le risposte che cercate. Accorrete ad Albion, la patria mortale di Fenrir!

Ciò detto, la voce svanì come era giunta e Lucas, sentendosi svuotato da ogni forza, crollò in ginocchio dinanzi agli sguardi ansiosi di Iris e Chelsey, che subito gli furono accanto.

«Lucas! Non ti senti bene?» esclamò Iris, sorreggendolo perché non crollasse svenuto a terra.

«Sto… sto bene. Davvero. Solo un po’ di panico unito all’eccitazione del momento» chiosò lui, sorridendo a entrambe. «Avete sentito?»

«Io no, un accidente di niente» replicò sorpresa Iris, scuotendo il capo.

Anche Chelsey negò di aver udito alcunché e Lucas, a quel punto, si passò le mani sul viso, esalando: «Era una voce calda, profonda e ancestrale, come se stesse giungendo dall’alba dei tempi. Non era umana, ve lo posso assicurare, e parlava direttamente al mio animo.»

«Questa voce ha detto qualcosa di buono?» si informò Iris.

«Non siamo soli. Non siamo soli» le sorrise lui, ora pieno di speranza.

Chelsey e Iris, allora, gridarono di gioia per un istante, salvo poi tapparsi la bocca e ridere sommessamente l’attimo successivo. Anche se erano nel bel mezzo del parco, non era il caso di fare baccano.

Qualche guardia poteva essere nei paraggi, protetta al loro fiuto perché sottovento. Meglio procedere con cautela.

«Ha detto un sacco di cose oscure, ma ha citato un luogo dove potremo trovare i nostri simili. Solo che… dove diavolo è, Albion?» domandò loro Lucas, contrito.

Sia Chelsey che Iris lo fissarono con occhi colmi di dubbi e quest’ultima, per l’ennesima volta, si ripromise di studiare meglio la storia europea.

Odiava sentirsi così ignorante!

Fu comunque Gunnar a trarli d’impaccio, asserendo: Albion era l’antico nome delle terre di Britannia.

“Britannia? La Gran Bretagna, intendi?”

La sua capitale è Londinium.

“Londinium… deve essere il nome latino di Londra, immagino. Perciò, sì, la Gran Bretagna. Un tantino grande, come luogo da controllare, ma è già un indizio. Grazie, Gunnar!”, esclamò nuovamente eccitata Iris, aggiornando i suoi compagni.

Lucas, sinceramente sollevato da quella risoluzione più semplice del previsto, disse: «Beh, non è male come inizio. Se è vero che lì ci sono i nostri simili, e che la nostra razza è nata in terra inglese, sarà più semplice trovare qualcuno – o essere trovati – non vi pare?»

«Sicuramente sì» assentì Iris, sempre più felice.

Levandosi in piedi e aiutando Lucas a fare altrettanto, lo abbracciò con foga e disse: «Non vedo l’ora di dirlo a tutti! Ci pensi? Gran Bretagna!»

Lucas fu del suo stesso avviso ma, quando si volse per guardare Chelsey e si accorse della sua aria accigliata, le domandò: «Che succede, piccola? Non sei contenta della notizia?»

«Chi glielo dice, a mio padre, che dobbiamo andare in Europa?» brontolò Chelsey.

Iris e Lucas si guardarono vicendevolmente con aria dolente, perdendo di colpo qualsiasi desiderio di festeggiare.

In effetti, era un problema non da poco. Chi avrebbe avuto il coraggio di dire a Dev che sua figlia avrebbe dovuto recarsi in Gran Bretagna?

Come minimo, avrebbe deciso di sparare a tutti loro per evitare il problema alla radice.

***

Attendere il mattino per poter chiamare casa fu la cosa più snervante che capitò loro. Le ore sembrarono non voler avanzare sullo schermo digitale dell’orologio e, per ogni minuto passato, parvero trascorrere secoli interi.

Iris impiegò quel tempo per stilare una lista di ciò che sarebbe servito loro per l’espatrio, così da soffocare Devereux con quei dati e bloccarlo sul nascere prima che esplodesse.

Se Gunnar aveva ragione, e i maschi andavano presi alla sprovvista, questo le sembrava un buon metodo per ottenere quanto desiderato.

Inoltre, non avendo altro da fare, oltre a mangiare e cucinare, era un ottimo sistema per ingannare il tempo.

Tempo che, finalmente, decise di accontentarli, giungendo finalmente a destinazione. Quando i numeri a cristalli liquidi segnarono le nove del mattino, Iris afferrò il suo cellulare per chiamare lo zio e metterlo al corrente della notizia.

Aveva preferito cominciare dalla parte più facile della missione perché, in tutta onestà, l’idea di affrontare Devereux le faceva venire il mal di stomaco.

Avvertire però la voce di sua zia Rachel all’altro capo del telefono, la sorprese e, non sapendo quanto lo zio avesse già esposto in famiglia, si limitò a dire: «Ehi, ciao, zia! Buona domenica. Com’è il tempo, a L.A.?»

Rachel, però, non disse nulla e Iris cominciò a subodorare guai o, per lo meno, lacrime. Sua zia era sempre stata una donna un tantino emotiva, e tendeva a risolvere tutto con un buon pianto. Solo in seguito, agiva.

Un attimo dopo, infatti, le giunse un singhiozzo, e poi un altro ancora, così che Iris ebbe la conferma ai suoi peggiori sospetti.

«Oh, tesoro… ma perché non ci hai detto nulla? Avrei potuto aiutare anche io, in qualche modo! So di non essere molto brava, in queste cose, e che piango spesso…»

«Cosa che stai facendo anche ora, mamma…» percepì dal telefono Iris, sorridendo nell’udire la voce esasperata di Liza.

«Oooh, lo so benissimo, Liza, ma lo sai che sono emotiva!» sbottò Rachel, riuscendo in qualche modo a smettere di piangere.

«Come se Iris non lo sapesse» motteggiò ancora Liza.

«Beh, comunque… Richard ci ha mostrato il video e… oh, cara! Quanto devi aver sofferto! Ma dimmi, come stai, ora? Riesci… riesci a controllare la tua altra forma? E ti fa male?»

Iris non poté che apprezzare il suo interesse genuino, anche se comprendeva bene la confusione della zia e i suoi tentativi di non apparire impaurita, o magari disgustata dalla cosa.

«Sto meglio, zia, e riesco a gestire la mia lupa abbastanza bene. Stavo appunto cercando lo zio per dirgli che abbiamo trovato qualche indizio in più, e che…»

Subito, Rachel esclamò: «E’ ovvio che non baderemo a spese, per aiutarti! Devi solo dirci cosa ti serve!»

«Mamma! Iris è l’azionista di maggioranza della Walsh Inc.! Ha più soldi di te, sul conto corrente!» sbottò Liza, prendendo infine in mano le redini della situazione. «Scusala, Iris ma, come al solito, va nel panico quando ci sono delle novità.»

«Ciao, Lizzy» mormorò commossa Iris, sentendo con piacere la sua voce.

«No, ti prego, non ti mettere a piangere anche tu, sennò scappo» si lagnò la ragazza, prima di ridere e aggiungere: «Ciao, cugina. Ci hai fatto una bella sorpresa, eh? Più ancora della tua partenza per un viaggio on-the-road

«Avrei preferito risparmiarvela, questa novità, ma… avevo bisogno di voi. Di sentirvi vicini» ammise Iris.

«Vorrei ben vedere!» sbottò a sorpresa Liza. «Siamo la tua famiglia, eccheccavolo!»

«Modera il linguaggio, signorina!» sbottò in sottofondo Rachel.

«Sì, sì, mamma… comunque, è successo qualcosa di eccitante? Insomma, più eccitante di te che diventi un lupo enorme? Cioè, vuoi mettere? Deve essere una cosa spet-ta-co-la-re

Iris rise, quando la parte più eccentrica di Liza venne fuori, e la cugina cominciò a enumerare i motivi per cui lei avrebbe dovuto sentirsi eccitata al solo pensiero di essere un licantropo.

A ben vedere, da quando era diventata un lupo mannaro, aveva avuto ben poco tempo per notare i lati positivi legati a questa sua nuova forma, e ascoltare quella lista prodotta dalla mente vulcanica di Liza fu piacevole.

Sì, in fondo, avrebbe potuto andarle decisamente peggio, doveva ammetterlo.

«…e, ultimo, ma non ultimo per importanza… sei SPLEN-DI-DA. Ma ti sei vista allo specchio? Cioè, lo sai che io adoro i lupi e tutto quanto, ma tu ne sei la quintessenza e…»

Iris sentì un brusio, un ‘no, dai, papà, aspetta!’ e, dopo un attimo, la voce di Richard si palesò, dicendo: «Da quello che hai capito, è andata bene. Ti ha affogato di chiacchiere, vero?»

«Va bene così, zio. Più che bene» mormorò Iris, tergendosi una lacrima ribelle. «Ho chiamato per dirti che abbiamo una pista, e ci porta direttamente in Gran Bretagna. Non è molto, come inizio ma, se ciò che sappiamo è vero, e là ci sono molti nostri simili, sarà facile scovarli e…»

Richard la interruppe immediatamente e, pratico, disse: «Ti mando subito il Cessna. Qual è l’aeroporto più vicino?»

Iris esplose in una calda risata ed esalò: «Efficiente come sempre, eh?»

«E’ inutile che perdiate tempo con compagnie aeree o altro. Ve lo mando subito, e sarà a vostra disposizione fin quando ne avrete bisogno. Se qualcuno del Consiglio avrà bisogno di spostarsi, userà il Falcon, ma il Cessna lo aveva voluto tuo padre, ed è giusto che lo usi tu» replicò senza tanti problemi Richard.

«D’accordo. E grazie, zio» mormorò Iris. «Puoi mandarlo a Calgary. Ci faremo trovare lì.»

Ciò detto lo salutò e chiuse la comunicazione, sorridendo poi a Lucas, che celiò: «Andremo con un jet privato?»

«Lo zio non ha voluto sentire ragioni…» scrollò le spalle Iris, prima di guardare male il cellulare e borbottare: «Ora mi tocca la grana maggiore.»

«Vuoi che gli parli io?» si offrì Lucas.

«No, per carità! Poi mi darebbe della codarda a vita» sospirò Iris, scuotendo il capo per l’esasperazione.

L’attimo dopo, rassegnata, chiamò il numero di Dev e attese che l’uomo rispondesse, ripassandosi mentalmente il piano che aveva congegnato per bloccare le sue intemperanze.

Quando infine Devereux rispose e Iris gli elencò ciò che avevano scoperto, oltre a quello che avrebbero avuto intenzione di fare, non udì altro che degli assensi borbottati e nient’altro.

Tutt’altro genere di approccio rispetto a ciò che lei aveva previsto e che, perciò, la mandò in totale confusione.

Dev, infatti, si limitò a dire: «Prendo i documenti e vi raggiungo a Calgary.»

Iris impiegò qualche attimo per comprendere le parole di Dev, e anche i suoi due compagni di viaggio la fissarono sbalorditi, confusi al pari suo dalle azioni dell’uomo.

Quando infine ritrovò la favella, la giovane borbottò: «Ma… e il cantiere? La tua azienda?»

«Chiariamo un punto, sottiletta. Finché si trattava di un viaggio in auto, ho anche soprasseduto, ma non porterete MAI mia figlia oltre oceano senza di me! E’ chiaro?!»

Le ultime parole, Dev le urlò letteralmente e Iris, scostando in fretta e furia il cellulare dall’orecchio, ora dolente per le onde d’urto ricevute, borbottò: «Sei un vero esemplare di cortesia, Dev. Le mie orecchie CI SENTONO BENISSIMO, E LO SAI!» sbraitò a quel punto Iris per diretta conseguenza.

«Oh. Già. E’ vero. Scusa» brontolò Dev, con tono molto più sommesso e contenuto.

Sbuffando con evidente fastidio, mentre Chelsey ridacchiava tappandosi la bocca con entrambe le mani, la giovane borbottò: «Senti, la tua presenza non è necessaria, davvero. Puoi rimanere al cantiere e terminare quel che devi fare. Proteggeremo noi, Chelsey, e…»

«Senza il mio permesso, non potete portarla fuori dal continente, e stai pur tranquilla che non ve lo darò» le fece notare Dev, trionfante.

Iris fissò esasperata il soffitto e, per qualche attimo, meditò di tornare a Clearwater di corsa e solo per dare un calcio nel sedere a quell’uomo. Sapeva essere così testardo!

Brontolando poi all’indirizzo di Chelsey, mugugnò: «Tuo padre è un piantagrane di prima qualità, lo sai, vero?»

«Mi vuole tanto bene» annuì la ragazzina, tutta orgogliosa.

Lucas rise sommessamente di fronte all’espressione sempre più nera di Iris e disse conciliante: «Iris, è adulto e vaccinato. Se dice di poter venire, che faccia.»

«E’ assurdo! Rischia di perdere giorni preziosi di lavoro solo perché non si fida di noi!» sbottò Iris, per contro.

«Guarda che sono ancora al telefono…» grugnì Devereux. «… e poi, sei qui al cantiere per giudicare a che punto siamo?»

«Non avrai mica solo quel cantiere?! Perché noi non sappiamo quanto tempo dovremo rimanere in Gran Bretagna!» gli sibilò contro Iris, irritandosi ulteriormente.

A quel punto, Dev cambiò letteralmente tattica e disse con maggiore gentilezza: «Iris, davvero, ti ringrazio per la tua cortesia, ma sono abituato a delegare, quando devo farlo. Da padre single, ho imparato a farlo un sacco di tempo fa, credimi. Questa commessa in particolare dovevo iniziarla io perché era un favore speciale a un mio vecchio amico ma, ora che le travature principali sono state sistemate e il primo piano è già in piedi, posso sganciarmi e lasciare tutto al mio capo-cantiere.»

«Oh» mugugnò soltanto lei, azzittita dal tono di Devereux. Era raro che non le abbaiasse contro e, quando non lo faceva, lei si trovava sempre spiazzata.

Evidentemente, neanche la mente delle donne era così elastica e pronta ai cambiamenti di rotta improvvisi.

«Ci vediamo all’Aeroporto Internazionale di Calgary, allora. A presto» dichiarò Dev, mettendo giù.

Iris scostò il cellulare dall’orecchio per guardarlo malamente e Lucas, battendole una mano sulla spalla, celiò: «Non si può vincere sempre.»

«Ah ah» ghignò scontenta Iris, scuotendo il capo per il fastidio. «E dire che volevo solo facilitargli le cose.»

«E’ sua figlia, Iris. Considera ciò che ha passato e chiediti se la lasceresti da sola, se lo stesso fosse capitato a te» le fece notare Lucas.

Suo malgrado, Iris dovette annuire e Chelsey, nell’abbracciarla, disse: «Sono sicura che al papà ha fatto piacere, il tuo interessamento.»

«Beh, non era per fargli piacere…» borbottò la giovane, arrossendo nonostante tutto.

***

Il Cessna Citation Longitude della Walsh Inc. attendeva sulla pista di rullaggio che loro salissero per iniziare il viaggio.

Le paratie blu e argento del velivolo brillavano sotto il sole al tramonto, assumendo svariate colorazioni che andavano dal viola al giallo paglierino.

Iris scrutò il mezzo con la mente percorsa da mille ricordi, ricordi che si fecero più forti quando scorse il pilota a fianco della scaletta d’entrata.

Avanzando per prima trascinando il suo trolley da viaggio, allungò una mano al pilota e, con un sorriso, esordì dicendo: «Glenn, è un piacere rivederti. Grazie per essere giunto qui con un così breve preavviso.»

«Nessun problema, miss Walsh. Spero che ora le cose vadano meglio, per lei» asserì il pilota, stringendo con calore la mano protesa dalla giovane, prima di battervi sopra l’altra con fare familiare.

Iris accentuò il proprio sorriso e annuì. «Sì, vanno decisamente meglio, Glenn. Hai già predisposto il piano di volo?»

«Ho contattato l’aeroporto Pierre-Elliott Trudeau di Montreal per avvisarli dello scalo tecnico che dovremo effettuare per rifornirci di carburante, dopodiché punteremo direttamente verso Heathrow, a Londra» dichiarò il pilota, prima di sorridere cordiale ai nuovi arrivati.

Iris si volse a mezzo e disse: «Loro saranno i miei compagni di viaggio. Devereux Saint Clair, sua figlia Chelsey, Lucas Johnson e Rock Mitchell»

«E’ un piacere fare la vostra conoscenza» dichiarò il pilota prima di sorridere maggiormente a Chelsey e dirle: «Se ti piacciono i film Disney, abbiamo un’intera collezione, a bordo.»

La ragazzina sprizzò gioia da tutti i pori al solo pensiero e Iris, indicandole di salire, disse poi al pilota: «Non sappiamo di preciso quanto ci fermeremo a Londra perciò, se alla ditta hanno bisogno di te, torna pure indietro. Chiamerò io quando avremo finito.»

Glenn, però, scosse il capo e replicò: «Il dottor Wallace mi ha detto di rimanere in ogni caso, perciò attenderò il tempo necessario.»

Iris sorrise per diretta conseguenza e dichiarò: «Spero che Londra ti piaccia, allora. Naturalmente, le spese saranno a carico mio, non temere.»

«Il dottor Wallace ha già stanziato una somma a mio nome, non ci sono problemi» la mise al corrente il pilota, invitandoli poi a salire.

La giovane sorrise di cuore, mormorando: «Lo zio pensa davvero a tutto.»

«Le vuole bene, signorina» le fece notare Glenn, prima di dirigersi verso la cabina di pilotaggio.

Chelsey si trovava già sulla poltrona dinanzi al maxi schermo e Dev, nel sederle a fianco, le domandò: «Hai già imparato come funziona?»

«Ovviamente» ammiccò lei, prima di guardare Iris e dire: «Questo aereo è bellissimo!»

Annuendo, la giovane si accomodò, allacciò le cinture di sicurezza e asserì: «Lo volle mio padre, anni addietro, perché il Consiglio potesse spostarsi più agevolmente. In seguito venne acquistato anche un Falcon, di cui però non si occupò direttamente, riguardo alla sua progettazione. Questo, invece, venne costruito secondo le specifiche dirette di mio padre.»

Sfiorando il pellame color crema della poltrona su cui era seduto, Dev chiosò: «Beh, ha delle rifiniture davvero di classe. E la radica utilizzata per i pannelli è davvero di prima qualità.»

Rock sorrise divertito e celiò: «E’ il falegname che è in lui, a parlare.»

Per Iris non era stata affatto una sorpresa veder comparire Rock assieme a Devereux. Forse, Lucas aveva trovato la cosa un po’ assurda ma, in ogni caso, non lo aveva dato a vedere e aveva accettato di buon grado la sua presenza.

In fondo, di fronte all’amore, si poteva fare ben poco per fermarlo, e Rock era parso abbastanza infastidito all’idea di essere lasciato da parte. Un po’ come Dev, aveva trovato assurdo non essere messo in mezzo, e il viaggio a Londra era caduto a fagiolo per poter essere annoverato nella ricerca.

«E’ il comandante che vi parla. Si prega di allacciare le cinture di sicurezza. Il decollo avverrà tra un minuto» disse la voce di Glenn dall’altoparlante.

Chelsey controllò attentamente la propria, sorrise al padre e disse: «Ci pensi, papà? E’ il nostro primo viaggio in aereo.»

«Già» assentì lui, un tantino pallido.

Iris, a quel punto, venne colta da un tremendo dubbio e, guardandolo turbata, esalò: «Non avrai paura di volare?»

Lui si limitò a ghignare torvo e, quando il Cessna prese velocità sulla pista, Iris temette di vederlo svenire.

Il viso di Dev divenne del colore della cenere e, quando il velivolo si impennò verso l’alto per prendere quota, le mani dell’uomo afferrarono i braccioli come se ne andasse della sua vita.

Era autenticamente terrorizzato e, pur sapendo che avrebbe patito quel genere di inferno, non aveva esitato un solo istante e si era aggregato al gruppo per amore di sua figlia.

Iris non poté che provare un immenso rispetto per lui e, stringendo la propria mano su quella di Dev, gli disse: «Vedrai, andrà tutto bene. Glenn è un diavolo di pilota. Ha più di vent’anni di esperienza, sia sulle tratte nazionali che internazionali.»

«I vuoti d’aria non li può evitare neppure lui» gracchiò Dev, serrando gli occhi quando il Cessna si rimise diritto dopo aver virato verso sinistra.

«Vero. Ma li sa anche gestire alla grande. Fidati di me» lo rassicurò lei, stringendo con maggiore forza la sua mano.

Dev allora si volse a guardarla, forse cercando in lei un’ancora a cui aggrapparsi, e Iris non abbandonò il suo sguardo fin quando non fu loro consentito di slacciare le cinture di sicurezza.

A quel punto, l’uomo mugugnò: «Dov’è la toilette?»

«In fondo. E’ la porta verde» disse lei, spiacente per l’uomo.

Lui assentì e corse in quella direzione, sparendo subito dopo dietro la porta.

Chelsey, allora, sospirò e disse: «Povero papà.»

Iris storse la bocca, di fronte al senso di malessere che provava a sua volta al pensiero che Dev stesse male e, levatasi in piedi, raggiunse il piano bar e aprì lo stipetto sotto il lavabo.

Lì, trovò la cassetta del pronto soccorso e, al suo interno, una scatola di Dramamina. Soddisfatta, si diresse quindi verso il bagno per conoscere le condizioni di Dev.

Dopo aver bussato e averne ricevuto l’assenso, si affacciò e domandò cauta: «Tutto bene, lì dentro?»

«Attenta. Tu e il tuo naso potreste svenire. Ho rimesso tanti acidi quanto uno sturalavandini» gracchiò con voce aspra Dev.

Iris gli sorrise comprensiva e, allungatagli la scatola di Dramamina, disse: «Prendi dal blister un paio di pastiglie. Ti serviranno per il viaggio. Potevi anche dirmelo, sai? Non mi sarei scandalizzata. Anche mia madre soffriva il mal d’aria.»

Dev accettò le pastiglie, ne prese una con un bicchiere d’acqua e, reclinando poi il capo in avanti, sospirò e mormorò afflitto: «Non è il massimo vedere il proprio padre che sta male per una cosa così banale.»

Colpita da quel senso di colpa, Iris si accucciò accanto a lui e, poggiate le mani sulle sue ginocchia, replicò: «Non devi essere per forza perfetto, Devereux. Chelsey ti vuole bene comunque… anche se dai di stomaco. Perché non vai di là e non vi guardate un film insieme? Intanto, ti preparerò una bella limonata per sistemare lo stomaco. Riequilibrerà i sali minerali persi.»

«Avete anche i limoni freschi, qua sopra?» esalò lui, sorpreso.

Iris ammiccò, asserendo: «Glenn lo rifornisce personalmente ogni volta che il Cessna deve fare un viaggio. Frutta fresca e limoni per me, che adoro le limonate appena fatte.»

«Ti hanno proprio viziata fin da piccola» chiosò Dev, ma non lo disse con sprezzo. Sorrideva, nel dirlo.

«Sì, un po’, e per qualche tempo ne ho approfittato fin troppo, ma spero di essere sulla strada giusta per diventare un’adulta più coscienziosa» ammiccò lei, risollevandosi assieme a lui.

Dev, allora, la sospinse fuori e asserì: «Vai tranquilla. Non sei malaccio.»

Iris lo ringraziò con un sorriso tutto fossette e, nel fermarsi al piano bar, iniziò a preparare una limonata per tutti, mentre Devereux e Chelsey sceglievano un film da guardare alla TV.

Quando infine Iris consegnò la limonata a Dev, lui le tributò uno dei suoi rari sorrisi e, più tranquilla, si risistemò a sua volta sulla poltrona per affrontare quel lungo viaggio.

Non voleva raggiungere Londra troppo stanca per poter affrontare quella nuova sfida e, di sicuro, riposare un po’ non le avrebbe fatto male.


 

 

 

N.d.A: Ci siamo quasi! Le pietre del Parco hanno aperto uno squarcio nello Spazio-Tempo, permettendo a Lucas di scoprire parte della verità(che è Fenrir, perciò ha la possibilità di parlare con Madre tramite i suoi ricettacoli, tra cui le querce sacre o, nel caso specifico, le Pietre di Volta dei Portali [come il Tor di Avalon, nella storia di Cecily, per intenderci]) ma, soprattutto, il luogo ove trovare le verità che loro cercano.
Finalmente, avremo la reunion che tanto attendevate! A presto!

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


 

14.

 

 

 

L’aeroporto di Heathrow era, come di consueto, un crogiuolo di persone di tutte le età, etnie e provenienze.

Quel caos a stento controllato era tenuto sotto stretta sorveglianza da poliziotti in borghese, personale dell’aeroporto e doganieri. Il continuo stato di allerta causato dai potenziali attentati, non facilitava il rapido deflusso dei passeggeri, ma tant’era.

Quello scoglio era inevitabile e, un’ora in più o in meno, non avrebbe fatto alcuna differenza, per il gruppo di Iris.

Erano in terra inglese, e nessuno correva loro appresso per mettere fretta ai passi che li separavano dalla verità.

Fortunatamente, il volo era avvenuto senza problemi e, anche grazie alla Dramamina, Dev era riuscito a uscirne sano e salvo, senza ulteriori guai con lo stomaco.

In quel momento, ritto al fianco di Chelsey, protettivo e guardingo come un cane da pastore, Devereux stava studiando le persone in fila come se potessero essere dei potenziali terroristi.

Iris trovava tutta questa attenzione nei confronti della figlia assai dolce, ma si astenne anche soltanto dall’accennarlo, certa che avrebbero sicuramente discusso se Dev avesse saputo la sua opinione in merito.

Era chiaro quanto l’uomo non volesse apparire debole, di fronte alla figlia, e già il fatto di essere stato male in aereo lo aveva demoralizzato. Se Iris gli avesse fatto notare quel suo lato così tenero, l’avrebbe probabilmente sbranata viva.

A volte era così difficile aver a che fare con lui!, pensò con un sorriso esasperato quanto divertito.

Alla fine, impiegarono circa mezz’ora per sorpassare la dogana e, quando si trovarono oltre la barriera dei metal detector e dei controlli passeggeri, Iris si sentì più rilassata e pronta per la loro nuova missione.

Quando, però, una guardia dell’aeroporto le si avvicinò guardingo, si chiese dubbiosa che problema vi fosse. Se erano passati senza alcun guaio di sorta, cosa voleva adesso da loro, quel tizio in uniforme?

«Signorina, può venire con me, per favore? Avrei qualche domanda da porle» le disse con cortesia l’uomo, sorridendole affabile nell’indicarle una porta poco lontana.

«Oh, ma certo» mormorò cauta la giovane, non sapendo davvero che pensare.

Guardando poi i compagni di Iris, che la stavano fissando preoccupati, la guardia aggiunse: «Sono con lei, per caso, i signori?»

«Ehm, sì. Siamo in vacanza assieme» dichiarò Iris, accigliandosi leggermente prima di annusare meglio l’aria, colta da un dubbio.

Purtroppo, l’amalgama di odori presenti in quell’enorme aeroporto pieno di distrazioni sensoriali le creava non poche difficoltà, perciò non fu del tutto sicura di ciò che il suo naso percepì.

La guardia, comunque, li pregò di seguirla in una stanzetta nei pressi e lì, al riparo dall’invasione olfattiva della fiumana di corpi che avevano appena abbandonato, Iris si ritrovò a sorridere come una stupida.

L’attimo seguente, lanciò un’occhiata ai suoi compagni e l’uomo in divisa, ammiccando al loro indirizzo, disse divertito: «Dò per scontato che loro sappiano ogni cosa, vista la sua faccia.»

«Oh, sì. Sì!» assentì allegra Iris, allungandosi per stringere una mano a Chelsey, che sembrava ebbra di felicità, e a Lucas, che appariva raggiante quanto lei.

Era mai possibile che la loro ricerca avesse già avuto esiti così lieti?

«Prego. Entrate qui. Parleremo più agevolmente, e senza orecchie indiscrete ad ascoltarci» li indirizzò la guardia, chiudendo dietro di sé la porta a vetri satinati della stanza dove li aveva condotti.

«Come… come ha fatto a trovarci?» domandò confusa Iris, sedendosi su una delle sedie presenti per poi guardare l’uomo con espressione speranzosa.

«Abbiamo molteplici sistemi per individuare i lupi in entrata nel Paese ma, massivamente, utilizziamo il naso» indicò la guardia, tastandosi il naso adunco e sorridendo loro. «Siamo così abituati a questo ambiente caotico da aver sviluppato un sistema olfattivo molto recettivo, pronto a scovare la presenza dei lupi nonostante le distrazioni.»

«E’ forse vietato entrare senza permesso in uno Stato in cui ci sono dei licantropi?» esalò Iris, ora preoccupata.

Lucas e Chelsey si guardarono vicendevolmente dubbiosi ma la guardia si affrettò a tranquillizzarli, dicendo: «Sappiamo che in America non vigono le nostre stesse leggi, e che non esistono branchi veri e propri devoti alle antiche leggi. Lady Fenrir ha scoperto questa realtà in un suo recente viaggio, perciò ci ha chiesto di prestare aiuto agli stranieri in visita che avessero avuto bisogno di delucidazioni.»

«Lady… Fenrir?» ripeté confuso e sgomento Lucas, ripensando alle parole che aveva udito a Writing-on-Stone.

La casa mortale di Fenrir…

«Oh, sì, voi non potete certo conoscerla» dichiarò la guardia, sorridendo divertito. «Possiamo dire che è la nostra guida spirituale suprema, qui in Gran Bretagna. Ma passiamo a voi. Siete qui per qualche motivo in particolare, o è veramente per una vacanza?»

Iris ricacciò indietro le lacrime di felicità che stavano per sgorgarle dagli occhi e ammise commossa: «Beh, cercavamo voi… i nostri simili. Non sappiamo nulla del nostro passato, di chi siamo e del perché siamo così, perciò…»

L’ufficiale  sospirò sorpreso e amareggiato e, con occhi che esprimevano una profonda dolcezza e comprensione, le batté una mano sul braccio, chiosando: «Siete a casa, allora. Avrete sicuramente molte domande, ma questo non è il luogo più adatto ove porle. Vi farò accompagnare dal mio capobranco, così che possa parlare con il vostro.»

Iris, a quel punto, sbatté confusa le palpebre e disse: «Noi… non abbiamo un capobranco. Siamo solo noi tre e basta.»

«Beh, lui è sicuramente il vostro Fenrir, il vostro capobranco. Non ho dubbi. Ha un odore che non si può confondere con nessun altro» dichiarò allora la guardia, indicando Lucas con una buona dose di sicurezza.

«Perché mi hai chiamato Fenrir?» si indicò Lucas con aria più che sorpresa.

«E’ il titolo onorifico che spetta a qualsiasi capobranco dalla bianca livrea. Perché il tuo pelo è bianco, in forma di lupo, vero?» lo informò la guardia con un mezzo sorriso.

Iris allora sorrise a Lucas, dicendo eccitata: «Ecco perché sei molto più grosso di me e Chelsey!»

«Le vostre livree di che colore sono?» si informò allora l’uomo.

«Grigie a macchie nere per entrambe» spiegò Iris.

Annuendo, l’ufficiale intrecciò le braccia al petto e, quieto, disse loro: «Il potere nel branco viene gestito da tre lupi, nella maggioranza dei casi. Fenrir, che ha la livrea bianca, Hati, che è la guardia del corpo di Fenrir e ha la livrea nera e infine Sköll, che ha la livrea color ruggine, ed è il secondo in comando.»

«Per il momento, allora, abbiamo solo Fenrir» dichiarò Iris, pensierosa. «E’ un problema?»

«Affatto. Ma ne parlerete meglio con il mio Fenrir. Si chiama Joshua Ridley ed è il capobranco del clan di Londra. Lo chiamo per avvisarlo del vostro arrivo.»

«Non vorremmo disturbare» sottolineò Iris, previdente.

La guardia scosse però il capo, sorridendo affabile. «Siamo un branco di frontiera ed è normale, per noi, accogliere lupi errabondi. Inoltre, essendo americani, abbiamo l’ordine di essere d’aiuto a prescindere, perciò va tutto bene.»

Quando, però, la guardia parlò con il suo capobranco, il volto si fece sconcertato e gli occhi verde scuro si puntarono incuriositi su Devereux in primo luogo, e su Chelsey in seguito.

Annuì poi più volte, si batté una mano sulla fronte come ricordandosi un particolare importante e, quando infine chiuse la chiamata, chiosò: «Eravate attesi… da molto tempo, in effetti, tanto che la mia memoria non ha colto subito l’evidenza dei fatti. Scusatemi tutti. Giungeranno subito a prendervi, non temete.»

Mai frase avrebbe potuto sconvolgerli maggiormente.

***

Il loft ove si trovavano era ampio, dai colori tenui, suddiviso su due piani e dalla struttura moderna e minimalista.

L’occhio attento di Dev ne studiò con apprezzamento le fattezze, l’uso interconnesso di legno, ferro e vetro e, quando il padrone di casa si presentò per salutarli, gli strinse la mano dicendo: «Casa davvero magnifica.»

«E’ un piacere saperlo, visto che ho fatto ammattire il costruttore con le mie richieste» asserì Joshua, ammirandoli con orgoglio. «Bene. Tre lupi e due umani. Sono gli abbinamenti che preferisco, perché mi danno l’idea che la guerra sia finita, anche se so che non è così.»

Pregandoli di accomodarsi, Joshua proseguì dicendo: «La nostra lady Fenrir, la guida spirituale dei branchi britannici, si recò a New York, un paio di anni addietro, scoprendo non solo la presenza di licantropi oltreoceano, ma anche la loro totale mancanza di conoscenza del loro passato, o delle gerarchie basilari di un branco. Per questo ci chiese di essere pienamente disponibili, nel caso in cui qualcuno di voi si fosse presentato alla nostra porta.»

«Beh, non posso che essere lieta che l’abbia fatto» dichiarò Iris, annuendo soddisfatta.

Joshua, allora, la osservò con attenzione, sospirò e disse: «Mi spiace che tu abbia dovuto entrare a far parte nella nostra grande famiglia solo perché costretta. Conoscevi almeno il lupo che ti inferse quella ferita?»

«No, non ho mai saputo chi fosse. Scappò subito dopo avermi ferita al braccio» gli spiegò lei, sfiorandosi la ferita sull’avambraccio con aria distratta.

«Anche mia madre fu ferita e divenne un lupo, e io sono diventata così perché lo era anche lei» intervenne Chelsey, prima di domandare con schiettezza: «Posso sapere perché hai gli occhi rossi?»

«Chelsey, ti prego…» intervenne Dev, spiacente. «E’ un’inguaribile curiosa. Scusala.»

«Tutti i lupi sono curiosi, e il mio non è quel gran segreto» replicò Joshua, con un sorriso. «Sono un albino, Chelsey. Il mio DNA è diverso dal tuo, ed è per questo che ho una depigmentazione della pelle e delle cornee. I miei occhi, quindi, hanno assunto questa colorazione rossastra, la mia pelle è più bianca del normale e i miei capelli, al naturale, sono bianchi.»

Nel dirlo, si toccò i capelli a spazzola color cannella.

«Oh, ho capito. Quindi, devi usare tanta crema solare.»

«Esatto» ammiccò Joshua.

Gretchen, la moglie di Joshua, giunse in quel momento dalla cucina con un enorme vassoio pieno di bibite e leccornie e, sedendosi al fianco del marito, aggiunse: «Considera, Chelsey, che spende più lui in creme, della sottoscritta.»

La ragazzina rise divertita e Lucas, intervenendo, chiese: «La guardia all’aeroporto ci ha detto che eravamo attesi. Cosa intendeva dire?»

«Temo dovrò indossare i panni dell’accademico per un po’, perché diversamente non saprei come spiegarvelo. Ma sarò breve e, nel frattempo, voi comprenderete meglio a che famiglia appartenete» ammise Joshua, sorridendo affabile.

Fenrir di Londra, quindi, spiegò loro brevemente la storia del dio da cui la loro razza aveva preso i poteri, e della mortale Avya, che diede vita ai figli di quella stessa divinità.

Parlò delle guerre contro Fryc, fratello di Avya, e della setta di Cacciatori che prosperò dopo la sua morte e che giurò vendetta contro i licantropi.

Narrò delle vicende che portarono la popolazione dei Pitti e quella dei Licantropi a unirsi per combattere i romani e scacciarli dalle loro terre. Da quella guerra comune, nacquero delle alleanze con alcuni clan umani, e questo permise alla loro razza di non soccombere nei secoli per i troppi incroci tra consanguinei.

Spiegò quindi loro della presenza delle wiccan, le sagge che avevano preso il loro potere dai discendenti di Avya, ottenuti in prima istanza dall’amore di Fenrir per la sua donna.

Infine parlò delle völur, delle veggenti umane o mannare presenti all’interno dei loro clan e delle Percepenti, le umane in grado di vedere oltre il velo della verità, distinguendo il vero dal falso.

Quando Joshua terminò di parlare, intrecciò le mani in grembo e disse: «E ora che vi ho sconvolto per bene l’esistenza, passate pure alle domande.»

Lucas si passò una mano sul volto, sinceramente sgomento, ed esalò: «Abbiamo una storia così lunga, ed è andata persa interamente, nelle nostre terre…»

Accigliandosi, Joshua ammise: «Non sappiamo molto di ciò che avvenne in America, o del perché le antiche credenze siano scomparse, ma posso azzardare l’ipotesi che, durante la Guerra di Secessione, sia successo qualcosa di assai grave. Che si ricordi, lo sterminio di massa dei Nativi è l’evento estintivo più rilevante degli ultimi secoli, in quelle terre, e potrebbe aver portato anche alla quasi totale scomparsa dei licantropi in terra americana.»

Lucas assentì grave e Rock, torvo in viso, borbottò: «I miei avi dovettero scappare verso il nord per sfuggire alle persecuzioni ma, pur se salvi, vennero comunque obbligati a vivere nelle riserve canadesi. Solo negli ultimi decenni, le cose hanno iniziato a migliorare. E’ quindi possibile che, tra le tribù Native, vi fossero anche i vostri simili?»

«Avrebbe senso. I licantropi avrebbero potuto stabilirsi in seno alle tribù, molto più disposte ad accettare creature ibride come noi e simili a personaggi mitologici legati ai culti animisti di quei popoli. Durante le battaglie combattute nella metà del milleottocento, potrebbero essere stati uccisi in massa dai Cacciatori, conoscitori della loro reale identità. E’ possibile che abbiano approfittato della guerra per fare una strage di innocenti, coperti dal mantello dello Stato» mormorò pensieroso Joshua.

«Non sarebbe strano, visto che molti europei parteciparono al conflitto. Tra di loro, potrebbero esserci davvero stati dei Cacciatori. Non dubito inoltre che, come i nostri antenati si stabilirono nelle terre dell’ovest, così possano aver fatto i Cacciatori stessi per seguire le loro prede» stabilì Gretchen. «La pietra di Writing-on-Stone che vi ha spinti qui e che ti ha parlato, ti ha detto qualcosa in particolare?»

«Mi ha detto che quel luogo era un portale per raggiungere la voce che mi stava parlando, che si è identificata come Colei-che-E’» la informò Lucas.

Joshua sollevò sorpreso un sopracciglio, asserendo ammirato: «Beh, niente di meno! Hai parlato direttamente con Madre, allora, visto che sei finito su un Portale di Bifröst.»

E’ un immenso onore, ciò che gli è stato concesso!, mormorò ammirato Gunnar a una sorpresa Iris.

Tutti guardarono senza parole Lucas che, vagamente imbarazzato, esalò: «Giuro che non l’ho fatto di proposito… e sono stato educato.»

Joshua, allora, esclamò divertito: «Oh, credimi, Madre ha molta pazienza, ma ti saresti senz’altro accorto di un suo eventuale dissenso.»

«Ah, ecco. Quindi, questo portale avrebbe potuto… condurci qui?» domandò dubbioso Lucas.

«Non esattamente. I Portali di Bifröst non si trovano ovunque, e non conducono necessariamente da un capo all’altro di Midgardr, che poi sarebbe la Terra» asserì Joshua, afferrando carta e penna per tratteggiare alcune linee e cerchi e creare così un diagramma.

I presenti si allungarono per curiosare cosa avesse disegnato e l’uomo, indicando loro i vari punti tratteggiati, aggiunse: «I portali di nostra conoscenza, tolto quello che avete scoperto voi, sono diversi. Uno si trova nelle isole Orcadi, e conduce a Niflheimr, il Regno delle Nebbie dove, tra l’altro, esiste la più sicura e impenetrabile prigione magica dei Nove Regni. Un altro si trovava sulla Scalinata dei Giganti, in Irlanda del Nord, e conduceva al pianeta Vanaheimr, che però è disabitato e morto da millenni. Da quello che sappiamo, quel passaggio è stato definitivamente chiuso. Un altro ancora si trova presso il Tor di Avalon, nei pressi di Glastonbury, e conduce a Elfheimr. Ve n’è poi un altro potenziale, di cui però non abbiamo esplorato l’interno, e si trova nei pressi del sito megalitico inglese di Long Meg and Her Daugthers1

Iris ascoltò ogni cosa, ogni parola con il cuore e la mente aperti, ma ciò che Joshua stava dicendo andava ben oltre ciò che lei si era aspettata, iniziando quella ricerca.

Quei nomi, quelle descrizioni così dettagliate, lei le aveva lette nei libri che aveva acquistato alcuni giorni addietro… e appartenevano tutti alla mitologia!

Era mai possibile, dunque, che tutto ciò che aveva letto, appartenesse alla realtà e non al mito?

Ti senti bene, Iris?

“Onestamente? Ho la testa in subbuglio e non so più a cosa credere. Questo Joshua sembra estremamente sicuro di sé e di ciò che dice, ma è tutto così… così…”

Assurdo?

“Sì, come minimo.”

«Caro…» intervenne Gretchen, interrompendo il monologo del marito. «… credo che per oggi sia sufficiente. Devi capire che, per loro, è tutto nuovo, e sono già molte le cose da digerire, senza che tu ti metta a parlare di portali e pianeti sconosciuti.»

Arrossendo suo malgrado, Joshua assentì ed esalò spiacente: «Cielo, scusate! Io ritengo scontato tutto questo ma, ovviamente, per voi non lo è. Attenderemo l’arrivo di Lady Fenrir, per proseguire. Per ora, ritenetevi miei ospiti graditi.»

«Oh, ma, non ce n’è davvero bisogno…» iniziò col dire Lucas prima di venire interrotto dal sorriso affabile di Joshua.

«Lo ritengo un piacere. Sei Fenrir, e lui è il tuo Primo Compagno…» replicò serio Joshua, rivolgendo uno sguardo intenso a Rock. «… perciò, la mia incombenza più importante come padrone di casa è proteggervi, in quanto vi trovate in visita sul mio territorio.»

«Primo… Compagno? Esistono davvero titoli per cose come queste?» domandò Rock, più che mai sorpreso.

«Se fossi stato un mannaro, ti sarebbe spettato il titolo di Primo Lupo ma, essendo umano, esiste la formula del Primo Compagno. All’interno di un branco, vigono delle regole molto precise, sulla Triade di Potere e le loro famiglie, e sono tutte votate alla loro salvaguardia» gli spiegò Joshua, levandosi in piedi. «Ma ora basta. Vi ho tediato e ammorbato con fin troppe nozioni. Faccio ordinare un cinese per tutti? O preferite la pizza?»

Chelsey votò per la pizza e Joshua, ridendo, assentì e ordinò al telefono quanto richiesto.

Era folle pensare a come, pochi istanti prima, stessero discorrendo di dèi e pianeti appartenenti al mito e, poco dopo, si parlasse di salsiccia o funghi come contorno.

***

Iris era stesa sul suo letto – Joshua doveva essere abituato ad avere ospiti, visto che il loft contava sei camere da letto oltre a quella padronale – e, immersa nella semi-oscurità, osservava le travature in legno del soffitto e la fine grana del legno di cedro che era stato utilizzato per costruirle.

La città, all’esterno, era a malapena udibile grazie agli spessi vetri alle finestre e, dal punto in cui si trovava, Iris poteva intravedere sì e no la sagoma tonda della London Eye, illuminata a giorno per i turisti.

Le mani intrecciate dietro la nuca, i pensieri le tornarono a ciò che aveva ascoltato quel pomeriggio, e a come quelle notizie avrebbero avuto delle ripercussioni nella sua vita.

Se ciò che Joshua aveva detto corrispondeva interamente alla verità, loro erano i discendenti nati dall’unione tra un dio e un’umana e possedevano svariate doti fisiche e psichiche, oltre a un unico, subdolo nemico.

Va un po’ meglio, Iris?

“Non so davvero. In teoria non dovrei stupirmi di niente, visto che sto parlando con la mia anima, ma credo di essere arrivata al mio punto di rottura.”

Tutti ne abbiamo uno. Ora, resta soltanto una cosa da fare; porsi dei limiti più alti.

“E se non lo faccio?”

Temo impazzirai nel tentativo di trovare una spiegazione più razionale a ciò che, di razionale, ha poco o nulla.

“Bella prospettiva”, sospirò Iris chiudendo gli occhi e passandosi esasperata le mani sul viso.

Il profumo di Dev, lieve e mascolino come sempre, le giunse alle narici prima ancora che lui bussasse alla sua porta e, nel levarsi a sedere, mormorò: «Avanti.»

Lui entrò, domandandole: «Stavi già dormendo?»

«No, affatto. Non credo neppure che riuscirò a farlo, onestamente» sospirò nuovamente lei, invitandolo nuovamente a entrare.

Devereux si chiuse la porta alle spalle, alto e imponente quasi quanto la porta che aveva dietro di sé e, nell’appoggiarvisi contro, le chiese: «E’ una mia impressione, o porte e pareti sono insonorizzate? Mi sembra che abbiano degli spessori sospetti.»

«No, non ti sbagli. Non sento assolutamente nulla, ed è un bene, onestamente. Non ho molta voglia di sentire ciò che fanno gli altri, stasera» si lagnò Iris. «E’ sempre stato il mio cruccio più grande, da quando sono diventata così. Ascoltare tutto senza poter fare nulla per bloccare quel flusso indesiderato di informazioni.»

Dev, allora, fece l’atto di uscire, un mezzo sorriso stampato in faccia e lei, accennando un ghigno, lo invitò a sedersi sul bordo del letto, replicando: «Non ti avrei invitato a entrare, se tu avessi fatto parte di chi non volevo sentire.»

«Troppo buona» ammiccò l’uomo, sedendosi. «Non ti ho più chiesto come va la ferita.»

Iris se la sbirciò dal bordo della camicetta e disse: «Per la verità, non pizzica neppure più molto. Il giorno peggiore è stato il primo, ma ora va molto meglio. Grazie.»

Lui assentì, apparentemente soddisfatto, prima di guardarla turbato e chiederle: «Tu credi a tutta questa storia? Sì, insomma, la faccenda dei mondi alieni e di una Madre che può gestire tutto?»

«O questo, o siamo finiti nella tana del Bianconiglio e ci stiamo fumando qualcosa di molto forte col Brucaliffo» scrollò le spalle Iris, accennando un sorriso.

Dev sgranò appena gli occhi prima di esibirsi in una risatina sinceramente divertita, che fece scatenare di conseguenza il riso di Iris, incontrollato e vagamente isterico.

Devereux la seguì a ruota, lasciando andare anche la propria, di risata, fragorosa e sincera e, come aveva detto Chelsey un po’ di tempo prima, davvero bella e piacevole da ascoltare.

Quello sfogo emotivo perdurò per alcuni minuti finché, tergendosi le lacrime dal viso, Iris asserì: «Oddio, ne avevo davvero bisogno. Grazie.»

«Sei tu che hai tirato fuori la faccenda del Brucaliffo» replicò lui, poggiando gli avambracci sulle cosce prima di guardarla più seriamente e domandarle: «Come farò a gestire una cosa del genere, con mia figlia? E’ molto peggio di quanto temessi. C’è un intero universo dietro a ciò che siete, e io ne sono completamente estromesso!»

Iris ne imitò la posizione e, scrutando nel vuoto senza mettere a fuoco nulla in particolare, mormorò: «Ne stavo giusto parlando con Gunnar. C’è da uscirne pazzi, se non si dà credito alle parole di Joshua e, dando loro credito, si finisce in un mondo pazzo. Quindi, qual è la scelta migliore?»

«Io ho sempre pensato che fosse la verità ma, a quanto pare, è un tantino al di sopra delle mie attuali possibilità» ammise Devereux, passandosi nervosamente una mano tra la folta capigliatura corvina.

Iris si accigliò leggermente, di fronte a quelle parole sibilline e, assottigliando le palpebre, borbottò: «Cosa intendi dire per attuali possibilità

«Sai benissimo cosa intendo» replicò lui, squadrandola con i suoi occhi di ghiaccio. «Non posso esserle di alcun aiuto, se non divento come lei e, come padre, devo poterla proteggere sempre

«Oddio, Dev! Ma non ce n’è davvero bisogno. Sarebbe Lucas a prendersene cura, se mai ve ne fosse bisogno, e io…» iniziò col dire Iris prima di bloccarsi, indecisa.

Già. E lei? Lei aveva la sua vita a L.A., che aveva messo in pausa per capirne di più su se stessa ma che, presto o tardi, avrebbe dovuto riprendere.

Suo zio si stava prendendo egregiamente cura della ditta, ma lei non poteva restare lontano da essa in eterno. Inoltre, desiderava comprendere davvero cosa farne della sua vita, oltre a riprendere in mano le redini della propria esistenza una volta per tutte.

Questo, però, l’avrebbe condotta a migliaia di miglia di distanza da Chelsey, Lucas e gli altri, lontana una vita da quella piccola realtà che si era costruita a Clearwater, dove aveva trovato le sue prime certezze dopo anni di dubbi.

«… tu tornerai a L.A., l’hai detto più volte, perciò rimarrà soltanto Lucas, e questo è davvero troppo poco, per mia figlia» stava dicendo nel frattempo Devereux, determinato ad avere ragione.

Iris sospirò e, crollando contro la spalla di Dev, vi poggiò il capo e mormorò: «Hai ben visto cosa si rischia, divenendo come me.»

«E’ mia figlia, Iris. Non posso offrirle niente di meno che un padre all’altezza di tale ruolo, visto che la madre se n’è andata, fregandosene altamente di lei» protestò Devereux, con la stanchezza nella voce.

«La odi molto, Dev, per questo?»

Sorridendo mestamente, lui replicò: «Odiarla vorrebbe dire provare ancora qualcosa per lei, ma non è il mio caso. Il mio amore lo ha ucciso del tutto nel giorno in cui ha abbandonato nostra figlia. Ora non c’è più nulla, di lei, dentro di me. Neppure l’odio.»

«Quasi quasi ti invidio. Io non sono mai riuscita a perdonare il ragazzo che uccise i miei genitori, e provo ancora molto odio nei suoi confronti, nonostante sia in galera e stia scontando la sua pena» mormorò Iris, sospirando nel risollevarsi.

«E’ diverso. Lui ti ha strappato due vite a cui forse tenevi più della tua. Julia si è infischiata del mio amore per lei e della vita di Chelsey, abbandonandoci. Non ha portato via la mia fagiolina, se n’è andata lasciandoci senza un se e senza un ma. Perciò non le devo nulla, neppure l’odio» asserì Devereux, con una strana calma nella voce.

Era chiaro che, ciò che diceva, lo stava realmente pensando, e non fossero parole dettate unicamente dal desiderio di chetarla, o apparirle superiore rispetto a ciò che gli era accaduto.

Alzandosi in piedi, Iris allora gli disse: «Sia chiaro. Farà un male cane, perché io non riesco ancora a estrarre gli artigli a comando come fa Lucas, perciò dovrò usare le zanne che, ahimè, rispondono invece benissimo al richiamo della bestia.»

Lui assentì, del tutto padrone di sé nonostante, a conti fatti, Iris gli stesse proponendo di essere morso dalle zanne di un lupo.

Senza attendere oltre, perciò, l’uomo si tolse la maglia di fronte a una sconcertata Iris che, arrossendo di fronte al suo fisico statuario, esalò: «Perché cavolo ti sei tolto la maglietta, adesso?! Sarebbe bastato un polso!»

«Chelsey avrebbe visto la ferita, e allora le sarebbero venuti dei complessi. Quando scoprirà ciò che ti ho detto di fare, non vi sarà tempo per le recriminazioni e accetterà la cosa in quanto dato di fatto.»

«Vorrebbe dire mentirle» sottolineò Iris, spinta come sempre a proteggere Chelsey.

«Vorrebbe dire risparmiarle un dolore» replicò Devereux. «Per favore, Iris.»

Lei allora si coprì il viso con le mani, scosse il capo per l’esasperazione e sbottò dicendo: «Non puoi dirmi per favore con quel tono di voce così accorato, mentre te ne stai dinanzi a me senza niente addosso! Sono fatta di carne anch’io, sai?»

Devereux, allora, sorrise divertito, oltre che un tantino compiaciuto, e replicò: «Oh… ma davvero?»

«Piantala, Devereux!» gli ringhiò contro lei, mostrando le zanne, già lunghe un paio di centimetri.

Lui sgranò un poco gli occhi, mormorando colpito: «E’ la stessa voce di quella notte… succede quando stai per trasformarti?»

«Quando cerco di tener frenata la lupa» replicò Iris, reclinando all’indietro il capo e muovendo la mandibola con secchi scatti dell’osso, mentre le zanne continuavano a crescere lentamente.

Ogni desiderio di fare dell’ironia scemò, in Devereux che, non più tanto sicuro di sé, esalò: «Cristo, …con quegli affari potresti perforarmi un polmone…»

«Credi che non lo sappia?» sibilò Iris, cercando di controllarne la crescita. “Coraggio, lupetta mia, datti una calmata… non dobbiamo sventrarlo, è chiaro?”

Vuoi una mano?

“Se potessi, Gunnar, sarebbe ben accetta. Puoi tenermi un po’ a bada?”

Farò quel che posso, anche se non sarà affatto facile. La tua lupa è piuttosto caparbia.

“Oh, bene… è come la sua controparte umana, allora. E io che pensavo che qualcosa fosse diverso.”

Temo di no.

Iris cercò di concentrarsi su qualcosa di positivo, di calmo e rilassante e, pian piano, le zanne si ridussero di un poco, assestandosi su una lunghezza di tre centimetri.

A quel punto, controllata solo dai suoi istinti di lupo, cominciò a tastare l’addome di Devereux alla ricerca di un punto non vitale e l’uomo, in perfetto silenzio, la lasciò fare.

Era perfettamente chiaro che, in quell’esame attento, non vi fosse nulla di malizioso. Gli occhi di Iris, in quel momento, non erano del suo consueto verde foglia ma di un freddo, glaciale azzurro ghiaccio.

Era la lupa che lo stava esaminando, scegliendo dove mordere… e come mordere.

Non appena la lupa che era Iris ebbe deciso, lo sospinse verso il letto senza alcun problema, aprì le imposte per fare entrare l’aria della notte e mormorò in un sibilo: «Confonderà l’odore del tuo sangue, così che i lupi della casa non si allarmino.»

«Oh, è chiaro» annuì teso Devereux, sedendosi.

Lei allora gli si inginocchiò dinanzi, gli allargò le gambe per sistemarsi meglio in mezzo a esse e, senza dargli alcun preavviso, lo morse a un fianco, poco sotto la linea delle costole.

Dev dovette fare appello a tutte le sue forze per non svenire per il dolore e, aggrappandosi alle coltri del letto, strinse i denti e serrò le palpebre, sperando che tutto avesse un termine alla svelta.

Iris, in effetti, impiegò solo qualche secondo prima di scostarsi, leccare la ferita per eliminare il sangue e afferrare in fretta il suo beauty case.

Da lì, estrasse quattro cerotti, che appose sui quattro fori di zanna presenti sulla sua carne dopodiché, rialzatasi, lo spinse a sdraiarsi e disse: «Ora dormi

Era ancora la lupa a parlare per bocca di Iris e Devereux, sdraiandosi e coprendo le ferite con una mano, mormorò: «Cosa avresti intenzione di fare, esattamente?»

«Lei non può aiutarti, ma io sì, perciò, finché Gunnar e Iris mi permetteranno di avere il predominio, potrò aiutarti» disse la lupa, sdraiandosi dietro di lui prima di apporre una sua mano sopra quella di Devereux, che ancora tratteneva sulla ferita.

«Le… vi farà male?»

«» disse senza alcuna acredine la lupa-Iris. «Ma lo ha deciso lei, e io sono d’accordo, perciò a te non deve interessare, Devereux

«Beh, a me interessa, perciò tornatene a cuccia» sottolineò l’uomo, cercando di scansarla.

Lei, però, non si scostò di un millimetro e, ringhiando, sibilò: «Non sei tu a comandarmi, umano, ma noi, e noi vogliamo aiutarti a non sentire dolore. Ora, stai zitto e fammi agire. La mia aura allevierà il male, ora che hai il mio genoma mescolato con il tuo sangue.»

Sapendo di non poter far altro che accettare – mettersi a discutere con un lupo non era un’idea saggia, …con una lupa, peggio ancora – Dev sospirò e chiuse gli occhi, rimanendo immobile sul letto mentre Iris si sistemava meglio contro di lui.

Il sonno lo colse inaspettatamente, e più in fretta di quanto avrebbe pensato, trovandosi a letto con una donna dopo tutti quegli anni di rigorosa astinenza.

Fu come cadere tra le braccia di un’amante ma, al tempo stesso, ritrovare la pace dopo un lungo e insostenibile oblio doloroso.

Per tutta la notte restò così, fermo accanto a Iris, assorbendone l’aura benefica e pregando dentro di sé che, alla prossima luna piena, tutto andasse per il meglio.

 

 

 

 

N.d.A.: ed eccoci finalmente a casa, per così dire! I nostri amici scoprono finalmente parte del loro passato e conoscono uno dei membri più titolati tra i branchi inglesi.

Ben presto, anche Brianna e soci faranno parte della partita, e vedremo come andrà a finire per Dev e quali sorprese ci porterà la sua Mutazione. A presto!

 

1.     1. Long Meg and Her Daughters: sito megalitico nel Low England incrociato da Brianna nel suo primo viaggio da Glasgow verso Matlock (primo libro).

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


15.

 

 

 

 

Quando Devereux si risvegliò, alcune ore dopo, l’alba era ormai prossima e Iris, al suo fianco, appariva stanca e febbricitante.

Ancora una volta si era sfiancata e, quasi sicuramente, aveva perso più energie di quante non ne possedesse il suo corpo in quel momento.

Questo lo fece stare malissimo e, al tempo stesso, lo fece infuriare al punto tale che, irritato, le sbottò contro: «Ma è mai possibile che tu debba sempre ridurti così?!»

Iris si riscosse dal sonno pesante che l’aveva colta e, fissandolo stranita per diversi secondi, ricollegò ciò che era avvenuto durante la notte e, poggiandosi su un gomito, gorgogliò: «E’ così che mi dai il ben svegliata? Urlandomi addosso?»

Dev imprecò tra i denti, si levò in piedi per recuperare la sua maglietta e, dopo averla indossata con gesti rabbiosi, le ordinò: «Coraggio, alzati. Andiamo a comprare qualcosa da mangiare. Ora!»

Iris sgranò gli occhi per lo shock e, guardando il suo orologio – segnava le cinque e quarantacinque – esalò con un gracidio: «Ma dove cavolo vuoi andare, a quest’ora del mattino?!»

«Ci sono i supermarket aperti 24h, e poi alcuni bar sono già al lavoro. Devi mangiare adesso, e non voglio approfittarmi dei nostri ospiti, visto quanto mangi quando sei affamata» sottolineò lui, afferrandola a un polso per farla alzare.

Lei lo lasciò fare con uno sbuffo e, dopo aver recuperato una felpa dal suo bagaglio, si infilò infine le sneakers ai piedi e borbottò: «Tua madre ha ragione, hai…»

«…la stessa delicatezza di un piede di porco, lo so, lo so» brontolò lui, trascinandola fuori dalla stanza con un gran gesticolare di braccia.

«Non avrei usato queste parole, ma il senso è quello» chiosò lei, bloccandolo un istante per scrivere due righe e lasciarle sul tavolo della cucina. «Almeno non ci daranno per dispersi.»

Lui assentì secco e uscì dal loft cercando di non fare rumore. Una volta che ebbero raggiunto l’ascensore e le luci ebbero illuminato il viso cereo di Iris, Dev imprecò.

«Cristo santo, Iris… ma come ti sei ridotta?!» gorgogliò l’uomo, sentendosi dolorosamente in colpa per averla suo malgrado portata a quel livello di sfiancamento fisico.

«Sono messa così male?» mugugnò lei.

Dev non le rispose, non sentendosela di dirle quanto, le sue profonde occhiaie o l’aspetto emaciato della sua pelle, fossero sintomi primi di un prossimo crollo. Limitandosi ad abbracciarla con forza, mormorò tra i suoi capelli: «Guai a te se lo rifai. Lupa o non lupa, ti prendo a calci nel culo, sottiletta.»

Lei sorrise nonostante quella velata minaccia e, nello scostarsi da lui per fissare quel volto cupo e preoccupato, assentì. Dev aveva un modo davvero strano per farla sentire speciale, e questo era sia un bene che un male, per lei, ma era obiettivamente troppo stanca per pensare anche a questo, in quel momento.

Quando infine furono all’esterno, avvolti dall’aria fredda e umida di Londra, Iris lasciò di buon grado che Dev la sostenesse con il suo braccio, che le cingeva per intero i fianchi.

Era strano sentire il calore di qualcuno al proprio fianco dopo tanto tempo e, ancor più strano, percepire quello di Devereux, che alternava con lei stati di grazia a momenti di rabbia.

Era un uomo indecifrabile, capace di mille e più emozioni e, a fronte di un carattere difficile, dimostrava una purezza d’animo davvero rara.

«Ecco. Cominciamo da qui» le disse lui, indicandole un bar in Camden Road.

«In che senso, cominciamo?» domandò lei, sbiriciando il suo volto in ombra. Non aveva idea di cosa gli stesse passando per la testa, ma sembrava molto determinato a non ricevere no come risposta.

«Non puoi ingozzarti solo qui. Desterebbe sospetti» sottolineò Devereux, sospingendola all’interno del grazioso bar in stile Old England.

Lì, l’uomo ordinò la tipica colazione inglese, bacon e uova, abbondando con entrambi gli ingredienti e, oltre a ciò, fece portare del caffè in abbondanza e del latte al cioccolato.

Quando gliene chiese il motivo, Dev le rispose: «Ho notato che il cioccolato sembra darti energie immediate, e ne hai davvero bisogno.»

L’aveva osservata così attentamente, per essersene reso conto?

La cosa la lasciò un po’ sconcertata ma, non volendo replicare alle sue attenzioni, mangiò e bevve con piacere quanto ordinato.

Naturalmente, spazzolò tutto in un paio di minuti e, mentre Dev ancora stava ultimando il suo piatto di pancake, lei ordinò anche una fetta di torta alla crema e sorrise all’uomo, già sentendosi meglio.

Anche Devereux le sorrise e, dandole un buffetto sul naso, mormorò: «Hai già ripreso colore. Bene. Ma non è ancora finita, sappilo.»

***

Quando rientrarono nel loft di Joshua, Iris stava ancora sbocconcellando una pasta ripiena alla crema mentre, tra le braccia, teneva un enorme sacchetto della spesa debordante di scatole colorate.

Devereux, al suo fianco, ne reggeva altri due e, quando fecero il loro ingresso, diverse paia d’occhi li fissarono sconcertati prima di portare la loro attenzione sulla spesa.

Gretchen si esibì in un sorriso divertito e, affacciandosi dalla cucina, disse: «Non c’era bisogno di uscire in piena notte, se avevi fame, Iris. In casa abbiamo cibo in abbondanza, anche per casi come questo. I lupi hanno fame a qualsiasi ora del giorno, perciò facciamo sempre scorta.»

«Non volevo pesare troppo sulla vostra dispensa» replicò lei con candore, ammiccando divertita.

«Beh, visto che vi siete dati così da fare, avete in mente qualcosa di buono da preparare?» domandò a quel punto Gretchen, curiosando con lo sguardo la spesa che i due poggiarono sull’isola in cucina.

«Polpette di patate e speck» propose Dev, lanciando un sorrisino divertito a Iris, che scoppiò a ridere e assentì.

«Devo immaginare che siano molto buone» celiò Joshua, comparendo dal suo studio con una carpetta tra le mani. «Temo, però, che potrò assaggiarle solo a cena, visto che oggi sarò impagneto tutto il giorno. Io ora vado al lavoro, ma ci rivedremo stasera.»

Ciò detto, Joshua uscì salutando tutti e Gretchen, indicando a Iris di seguirla in cucina, lasciò quindi Dev agli sguardi attoniti della figlia e a quelli ironici di Lucas e Rock.

«Non fatevi venire in mente niente di sconcio, in quelle vostre testacce, è chiaro?» brontolò Devereux, buttandosi letteralmente sul divano e intrecciando rabbioso le braccia sul petto.

«In che senso, sconcio, papà?» domandò con candore Chelsey.

Lucas e Rock ridacchiarono per diretta conseguenza e Dev, sospirando, si passò una mano sul viso per l’esasperazione e borbottò: «Ma perché devono capitare tutte a me?»

***

Impegnata a dare una mano a Iris in cucina, Gretchen colse l’occasione di parlare un po’ con la giovane quando il gruppetto in salotto decise di guardare qualcosa in TV. Sorridendo quindi alla sua ospite, domandò con cortesia: «Tutto bene, stanotte? So che gli eventi di ieri possono essere stati traumatici, per te e i tuoi amici.»

«Beh, è stato un autentico colpo al cuore, e un altro al cervello. Non pensavo davvero che potesse esistere una società così complessa all’interno del tessuto connettivo umano, e di cui praticamente nessuno è a conoscenza» ammise Iris, mescolando la purea di patate assieme ai dadini di speck e formaggio.

«Può essere qualcosa di davvero destabilizzante e, per confermartelo, potrai chiedere  direttamente a Lady Fenrir. Lei ha avuto un battesimo del fuoco davvero incredibile, quanto a passaggio dal mondo umano a quello mannaro» asserì Gretchen, sorridendole comprensiva.

«Ma perché la chiamate Lady Fenrir? Se non erro, Fenrir era un maschio, no?»

«Poiché hai un’anima senziente dentro di te, potrai capire meglio di altri questo particolare» dichiarò Gretchen. «La nostra Brianna porta dentro di sé l’anima immortale di Fenrir, il capostipite della razza. Per questo, noi l’abbiamo soprannominata Lady Fenrir.»

Iris smise di mescolare per un attimo, facendo tanto d’occhi prima sentire letteralmente caderle la mandibola per lo sconcerto.

«Mi prendi in giro?» gracchiò la giovane.

«Niente affatto. E, ben presto, scoprirai fino a che punto siamo invischiati con dèi ed eroi» la mise in guardia Iris. «Siete solo all’inizio, e credimi, il bello deve ancora venire.»

Iris accennò un sorrisino nervoso e, ripreso che ebbe a mescolare l’impasto per le polpette, borbottò: «Allargare la visione d’insieme. Devo solo allargare la visione d’insieme. E’ facile, no?»

«Ce la puoi fare, Iris. Te lo prometto» le disse Gretchen, sfiorandole la schiena con una carezza.

Iris la trovò subito rinvigorente e, a tal proposito, domandò: «E’ normale per i lupi cercare il contatto fisico? No, perché io e Lucas ce lo siamo chiesti spesso. Sì, insomma, io amavo gli abbracci di mia madre e quelli dei bambini di cui mi prendevo cura ma, in generale, non sono mai stata molto portata per i contatti casuali. Lucas, a sua volta, non era certo un bambino appiccicoso, ma poi, beh… pare essere cambiato.»

«Eccome se è normale! Per noi è naturale come respirare, perciò non ti stupire se ti verrà voglia di un abbraccio o di una carezza. E’ insito in noi» la rincuorò la donna. «E’ anche normale avere un appetito più abbondante del normale, e non mi riferisco soltanto al cibo.»

Avvampando in viso, e non certo per il calore prodotto dai fornelli accesi, Iris esalò: «No, beh, ecco, … Devereux e io non ci siamo allontanati per quello…»

«Quindi, l’odore di sangue che ho percepito, non era…» domandò dubbiosa Gretchen, ora confusa.

Sospirando, lei ammise: «Speravo che cambiare aria vi avrebbe sviati, ma a questo punto… Dev mi ha chiesto di ferirlo perché non vuole lasciare sola la figlia in questa nuova vita, e io l’ho accontentato. Non me la sentivo davvero di dirgli di no. Spero di non aver infranto qualche regola, o che…»

«No, affatto. Si possono mutare gli umani e, a giudicare dall’odore di Devereux, non è un neutro, perciò il mutamento avverrà di sicuro alla prossima luna piena. Resta il fatto che è un procedimento rischioso, e niente affatto garantito.»

«Potrebbe… morire?» esalò sconvolta Iris, lanciando un’occhiata disperata all’indirizzo di Dev, in quel momento impegnato a discutere con Rock sulla struttura della casa.

Gretchen la avvolse in un abbraccio e, confortante, aggiunse: «Lady Fenrir lo aiuterà, non temere. Ora, sappiamo come fare a richiamare la bestia con maggiore sicurezza. Inoltre, Devereux è un uomo adulto, e il cambiamento risulta più facile, alla sua età.»

«Non potrei perdonarmelo, se gli succedesse qualcosa» mormorò Iris, contro la spalla della donna. «La sola idea che Chelsey possa perdere anche lui…»

Gretchen la strinse maggiormente a sé e, nonostante l’assurdità della situazione, Iris trasse conforto e beneficio da quel tocco.

Era così strano abbracciare una persona conosciuta solo da poche ore, eppure le sembrava così naturale! Era davvero cambiata, da quando le era stata inferta quella ferita!

«Siete in buone mani. Davvero» la consolò Gretchen, scostandosi da lei per poi aggiungere: «Per ogni evenienza futura, comunque, sappi questo. Più si è giovani e più il mutamento è pericoloso. Lo stesso si può dire per le gravidanze. Più la lupa è giovane, sia per età anagrafica che per età di mutazione, più è pericoloso rimanere incinte. Non possiamo mutare per tutta la durata della gestazione, perché il feto non potrebbe cambiare come noi, e morirebbe, perciò ci è vietata la nostra forma animale per nove mesi. Non è un caso se, durante le nostre fasi fertili, compiamo subito dei controlli ginecologici. Il rischio di perdere un bambino è altissimo.»

Iris sbatté le palpebre, rabbrividendo di fronte a quelle informazioni gratuite quanto non previste e, nell’annuire nervosamente, mormorò: «Non c’è pericolo, davvero. Ma grazie per avermelo detto.»

Gretchen si limitò a sorridere e, aprendo il forno, ne estrasse una teglia e disse: «Preparo il tutto per infornare le polpette.»

«Okay» mormorò Iris, non del tutto convinta che Gretchen avesse creduto alle sue parole.

Forse, aveva pensato che il suo strano rapporto con Dev avesse retroscena di un certo tipo, o più semplicemente aveva sentito il suo odore sull’uomo, e aveva immaginato il resto.

Di una cosa, comunque, era certa. Conciata com’era, non avrebbe attirato nessun uomo – o lupo –, poco ma sicuro. Era ben lontana dall’essere la donna attraente di un tempo e, con lo squarcio che ora si ritrovava sul petto, non avrebbe di certo fatto appassionare nessuno.

Non che pensasse di cercarsi un compagno, in quel momento, ma vedeva bene quel che c’era riflesso allo specchio, e non era nulla di interessante.

Un uomo possente e affascinante come Dev avrebbe potuto puntare a ben altro, se gli fosse interessato trovarsi una compagna.

Inoltre, lei doveva prima di tutto capire di che farsene della propria vita, invece di pensare anche lontanamente a un uomo con cui condividerla.

***

Stavano ancora terminando il pranzo, quando i licantropi presenti nel loft dei Ridley percepirono un’ondata di potere senza pari, unita al profumo più buono e avvolgente che avessero mai percepito in vita loro.

Gretchen riconobbe subito quell’aroma squisito e, sorridendo spontaneamente, si levò in piedi per raggiungere la porta d’entrata e mormorò: «Brianna vi sta dando il benvenuto, a quanto pare. Di solito tiene a bada il suo fascino di lupa e wicca ma, per voi, ha fatto un’eccezione.»

«E’ lei?» esalò Lucas, scrollando le spalle come per liberarsi da una contrazione nervosa.

«Esattamente. Fa venire voglia di correre verso la porta per mangiarla, vero?» ironizzò Gretchen, volgendosi per un momento verso Lucas per sorridergli divertita.

Iris si ritrovò a passarsi le mani sulle braccia con fare nervoso, mormorando: «Mi piacciono gli uomini, ma per lei farei un’eccezione. Giuro su Dio.»

«Cosa senti?» domandò interessato Dev, seduto al suo fianco.

«E’ come cioccolata fusa unita al gelato più buono che tu abbia mangiato, oltre alla granella di nocciole migliore del mondo» tentò di spiegargli, intrecciando le mani per non doverle usare per grattarsi le braccia. In quel momento, sentiva il desiderio pressante di scorticarsi e, al tempo stesso, di gettarsi addosso alla fonte di quel piacere immenso.

Dev fece l’atto di mettersi a ridere, ma lo sguardo sinceramente commosso di Iris lo bloccò, portandolo a domandarle: «Non mi stai prendendo in giro, vero?»

Iris scosse il capo e Chelsey, emozionata, mormorò: «Ha il sapore della pizza più buona dell’universo.»

«E così abbiamo scoperto le vostre debolezze alimentari» chiosò Gretchen, appoggiata alla porta in attesa che giungessero i suoi ospiti. «Lucas?»

«Senza alcun dubbio, stufato di carne con purè» ironizzò lui, sorridendo poi a Rock come per scusarsi.

Gretchen allora chiosò: «Pasta all’amatriciana.»

Ciò detto, aprì la porta, sorrise al gruppetto che stava uscendo dall’ascensore proprio in quel momento e disse: «Ora che ti sei presentata, sfacciata che non sei altro, ritira la tua aura o ci farai morire!»

Una risata argentina si unì al gorgoglio di un bambino e, immediatamente, quell’ondata di potere si annullò, lasciandoli per qualche istante inappagati e scontenti.

Quel momentaneo fastidio, però, scemò e, quando Gretchen si spostò per far entrare i nuovi arrivati, Iris e compagni poterono scorgere con una leggera sorpresa una giovane dai capelli castano dorati e occhi gialli come le ambre.

Alta e longilinea, la giovane tratteneva la folta chioma in una treccia, che cadeva su una spalla ed era il principale oggetto di piacere del bambino che teneva in braccio.

Bimbo che, non appena avvertì la presenza di altre persone, si volse con un sorriso caloroso e li scrutò tutti con i suoi profondi occhi smeraldini.

Dietro il simpatico duo, simili ad armadi a muro, fecero la loro apparizione un uomo dalla chioma corvina, cui il bambino somigliava molto, e uno biondo, dall’aspetto di un vichingo.

Una donna dalla lunga chioma liscia e bruna, e un nordico dalle braccia tatuate fino ai polsi, chiusero la fila.

Iris li fissò senza parola, trovando l’ultimo arrivato il più grande e grosso tra i tre uomini appena giunti. A ogni buon conto, nessuno di loro dava l’idea di essere soltanto umano. Da loro trasudava una forza ferina davvero senza pari, anche se quella dell’uomo tatuato aveva qualcosa di strano e di vagamente stordente.

Quando la porta fu chiusa alle loro spalle, Gretchen disse: «Lasciate che vi presenti Brianna McKalister, Lady Fenrir, wicca dei tre shires e Prima Lupa del branco di Matlock.»

Iris e compagni fissarono la giovane con occhi sgranati, senza riuscire ad aprire bocca e Brianna, scoppiando in una risatina argentina, esalò: «E poi ti chiedi perché dico sempre di non snocciolare così i miei titoli? Per forza che le persone non sanno che pesci prendere! Lasciate perdere ciò che ha detto. Sono solo Brianna.»

Ciò detto, lasciò a Gretchen il suo bambino, che accettò di buon grado lo scambio per giocare coi riccioli biondo-ramati della donna, e si avvicinò a Lucas con la mano protesa.

«Ben arrivato, Fenrir. E’ un onore conoscere il primo branco americano che si presenta a noi» disse poi Brianna, tutta sorridente e orgogliosa.

Lucas strinse la sua mano con una certa esitazione, replicando imbarazzato: «Beh, non so se possiamo essere considerati un branco, visto che siamo solo in tre, ma grazie per la splendida accoglienza.»

Brianna allora li guardò tutti, lasciò che il suo sguardo indugiasse per un attimo in più sul volto dubbioso di Devereux ma infine asserì: «In un branco vi sono anche gli umani, se essi conoscono e accettano la nostra natura, perciò ne fanno parte anche il tuo compagno e il vostro amico.»

Poi, rivolgendosi alla donna bruna rimasta nel gruppo di armadi a muro, Brianna aggiunse: «E’ lui l’uomo che abbiamo visto, vero, Beverly?»

«Assolutamente, Brianna. Non posso sbagliarmi. La visione era chiara, nella tua mente, perciò non ci possono essere dubbi» annuì la donna, accennando un sorriso a Dev, che si stava indicando con espressione sempre più confusa.

L’uomo tatuato al fianco della donna chiamata Beverly intervenne, e disse a mo’ di spiegazione: «Una Veggente di un branco amico ebbe una visione congiunta con Brianna, anni addietro, in cui compariva il tuo volto assieme a quello della bambina al tuo fianco, che immagino debba essere tua figlia, e quello della donna al tuo fianco.»

«La seconda volta, siete comparsi a Beverly, che è Veggente a sua volta, e i volti erano sempre gli stessi. La cosa è davvero rara, perciò abbiamo iniziato a pensare che ormai foste vicini, prossimi ad arrivare. Solo, non avevamo idea delle tempistiche» spiegò Brianna, parlando direttamente a Devereux. «Per questo, vi è stato detto che eravate attesi.»

«Beh… meglio così, visto che stavamo letteralmente navigando alla cieca» esalò lui, accennando un mezzo sorriso.

Gretchen annuì soddisfatta e domandò: «Brianna, pensi tu al resto? Vorrei dare al tuo campioncino un po’ di succo di frutta. Sta adocchiando la bottiglia sulla tavola in cucina con aria piuttosto famelica.»

«Sì, grazie, Gretchen. Penso io alle presentazioni» assentì la giovane, con un risolino. «L’uomo corvino è mio marito Duncan, e Fenrir di Matlock. L’armadio biondo al suo fianco è il suo Hati, e mio patrigno, e si chiama Lance, mentre lo splendore tatuato alle loro spalle è Thor, il marito di Beverly e, tra le altre cose, un berserkr, o uomo-orso.»

Iris e compagni sgranarono gli occhi, a quell’ultima confessione e Lucas, del tutto sconcertato, esalò: «Ma… non ha l’odore di una bestia! Ha quello di un uomo, mentre voi siete chiaramente lupi!»

Brianna ammiccò all’amico e Sacerdote del Supramondo, replicando con divertimento: «All’inizio, anche noi avemmo qualche problema con questo particolare. Per farla breve, è tutto causato da alcuni feromoni emessi in forma umana. Ingannano l’olfatto di noi lupi. Comunque, vi basti sapere che noi lupi siamo amici dei berserkir.»

Iris si passò le mani sul viso, ormai pronta a un esaurimento nervoso, e domandò nervosamente a Gunnar: “Spiegami un po’… perché sapevo che lui aveva qualcosa di strano, visto che Lucas non lo ha riconosciuto?”

Combattei al loro fianco, Brianna. Forse, nella mia memoria sensoriale è rimasto il loro odore e tu lo hai associato a creature magiche, pur non sapendolo.

“E… quindi? Che puoi dirmi di loro?”

Che sono guerrieri formidabili, e mi piace molto l’idea che siate amici perché, al solo pensiero di battermi contro di loro, mi verrebbe la pelle d’oca.

Iris rabbrividì di paura, nel notare l’ansia repressa di Gunnar e, nel lanciare un’occhiata dubbiosa all’indirizzo di Thor, che tutto sembrava tranne una persona pericolosa, borbottò: “Spero davvero che le creature strane siano terminate qui, altrimenti sbiellerò.”

Non ti conviene parlare così, Iris. Al mio tempo, si sapeva di tante altre creature e, anche se non posso sapere quante ne siano sopravvissute, potrebbero esservi altri…

Iris lo azzittì prima che terminasse e, stringendosi le braccia attorno al corpo tremante, mormorò: «Dimmi che non c’è nient’altro… ti prego…»

«Ehm…» tentennò Brianna, non sapendo bene che dire. «… diciamo che, per il momento, possiamo soprassedere sul resto. Perché non parliamo, invece, del motivo che vi ha spinti a cercarci?»

Fu così che Lucas disse loro del ferimento di Iris, della sua decisione di compiere un viaggio per scoprire qualcosa sulla sua nuova se stessa e del comportamento di Julia.

Rock intervenne a spiegazione ultimata, parlandole di sua nonna e delle sue capacità sciamaniche, confermando a Brianna le sue potenzialità come völva e, infine, fu la stessa Chelsey a prendere parola.

«Visto che sono una bambina, non potrò più avere amici veri finché non sarò grande?» domandò turbata.

Brianna la guardò spiacente e, sedendole accanto, la abbracciò e mormorò contro la sua chioma corvina: «Temo dovrai attendere qualche anno, così da scoprire a mente fredda di chi tu possa realmente fidarti. Ciò che so è che, quasi sempre, quando un Fenrir appare, presto o tardi altri lupi compaiono alla sua porta. Può darsi che qualche famiglia con figli si trasferisca nella vostra cittadina, o nei suoi pressi. Nel vostro caso, è accaduto assai lentamente perché temo che, nelle Americhe, la percentuale di licantropi civilizzati sia molto bassa, ma può accadere.»

«Licantropi… civilizzati?» ripeté Devereux, aggrottando la fronte.

«Lupi mannari che vivono ancora in seno alla società. Ho il forte dubbio che in America, per la maggiore, abbiano deciso di darsi alla clandestinità e vivere in natura, piuttosto che restare nel mondo umano e sottostare alla sue regole. Questo spiegherebbe l’esiguità di licantropi conosciuti e di branchi attivi sul vostro territorio» gli spiegò Brianna.

Dev assentì torvo e la giovane, spiacente, mormorò: «Pensi che la tua Julia abbia scelto questa strada?»

«Non è più la mia Julia da quando ha abbandonato la sua unica figlia…» replicò gelido Devereux. «…ma avrebbe senso ciò che hai detto, nel suo caso. Lei non amava le restrizioni e potrebbe aver scelto la macchia, piuttosto che la civiltà e una famiglia

Brianna annuì grave e, nel dare un buffetto sulla guancia a Chelsey quando si scostò da lei, disse: «Perché non vai a giocare un po’ con il mio Nathan? Sono sicura che apprezzerà molto.»

«Va bene» accettò Chelsey, levandosi in piedi per raggiungere Gretchen e il piccolo Nathan in cucina.

Seguendola con lo sguardo, Devereux mormorò preoccupato: «Pensi che anche lei potrebbe diventare… come la madre?»

«Mi sembra una creatura troppo socievole e solare, per mutare così radicalmente. Ha risposto all’abbraccio con naturalezza e non ha cercato di scansarsi, perciò penso non vi sia questo pericolo» scosse il capo Brianna, prima di aggiungere: «Ciò che mi chiedo ora è; perché hai il sangue corrotto?»

Lucas e Rock fissarono l’amico senza ben comprendere cosa Brianna intendesse dire. Iris, invece, reclinò colpevole il capo mentre Devereux reggeva silenzioso lo sguardo della wicca, ben deciso a non parlare.

«Andiamo nello studio di Joshua, è meglio. Bev, vieni anche tu» disse allora Brianna, levandosi in piedi. «Iris, seguici.»

Mentre il piccolo drappello risaliva le scale ad arco per raggiungere il piano alto del loft, Duncan asserì tranquillizzante al resto del gruppo: «Non vi preoccupate. Torneranno a breve. Nel frattempo, se hai delle domande da farmi, sono a tua disposizione, Lucas.»

«Beh, credo dovrò prendere appunti, perché sono un sacco» ironizzò quest’ultimo, facendo sorridere divertito Duncan.

«Credimi, quando scopri di essere la guida di un branco, non è mai facile per nessuno, neanche per chi è da sempre vissuto tra licantropi» cercò di rincuorarlo Duncan.

Lucas assentì, ma in cuor suo non si sentì affatto tranquillizzato dal saperlo. Inoltre, era preoccupato dalle parole di Brianna. Cosa aveva voluto dire con sangue corrotto?

Devereux era forse malato?

***

Finalmente soli, e protetti dalle pareti insonorizzate dello studio di Joshua, Brianna domandò a Dev: «Ho percepito immediatamente l’odore peculiare del tuo sangue. Perciò ti chiedo; ti sei fatto ferire per tua figlia, senza sapere nulla del mondo in cui andrai a vivere?»

«Ne so a sufficienza per sapere che non la lascerò mai da sola ad affrontarlo, e prima che tu dica qualcosa contro Iris, lei era contraria, l’ho obbligata io» sottolineò Devereux, gelido in viso.

Brianna, allora, sorrise conciliante e asserì: «Calmati. Io non sono la custode della coscienza di nessuno, e ognuno è libero di fare come preferisce. Volevo solo dire che hai dimostrato molto coraggio, nel farlo, ma anche un eccesso di follia, forse. Avresti potuto rimanere umano e appoggiarla in ogni caso.»

«Preferisco essere io quello che solleva macchine, piuttosto che lei» sottolineò Devereux con uno sbuffo infastidito, facendo ridacchiare Iris, Brianna e Beverly.

«Oh, immagino che qualcuno si sia esibito» chiosò Brianna, ammiccando a Iris, che assentì. «Capisco le tue ragioni, perché anch’io ero una semplice umana, prima di divenire lupo. Non starò qui ad ammorbarti con la mia mutazione, poiché non è stata delle più normali, ma sappi questo; non è né semplice né sicura, ma ti assisterò nel cambiamento, in modo tale da chiamare la tua bestia nel modo più pacifico possibile.»

«Iris lo ha già fatto con Chelsey» sottolineò Devereux, guardando la donna al suo fianco con espressione ammirata.

Brianna, allora, fissò con autentico rispetto Iris e mormorò: «I miei complimenti. Senza neppure sapere cosa stava effettivamente succedendo?»

«Anche se all’epoca non lo sapevo, ero guidata dalla mia anima senziente. E’ un landvættir di nome Gunnar, e sembra saperne abbastanza di magie e stranezze» le spiegò Iris.

«Oh, nientemeno che un protettore scandinavo. Capisco, allora, perché ho subito pensato che tu potessi essere un Hati. È la sua aura ad avermelo fatto credere, ma immagino che tu non abbia la livrea nera» asserì Brianna, vagamente sorpresa.

«No, infatti. Ho il pelo grigio e nero, con qualche macchia bianca sulle zampe» le spiegò Iris, scrollando le spalle.

«Ho preferito parlarne qui, al sicuro dalle orecchie della piccola, perché immagino che questo cambiamento non fosse affatto previsto» ipotizzò Brianna, a quel punto.

Dev scosse il capo, replicando: «E’ una decisione che ho preso quando ho scoperto… tutto questo. Lucas è un amico, e mi fido di lui, ma sarebbe solo a prendersi cura di Chelsey. Quanto a Iris… beh, lei ha la sua vita a L.A. e non la obbligherei di sicuro a rimanere a Clearwater, dove noi abitiamo, soltanto per tenere compagnia a mia figlia.»

«Tutte motivazioni onorevoli» mormorò Beverly, annuendo più volte. «Se me lo permetti, però, vorrei controllare una cosa, così da aiutare la nostra wicca nel tuo prossimo Mutamento. Abbiamo scoperto che, se conosciamo meglio il passato di colui – o colei – che vuole mutare, è più semplice manipolare il suo futuro.»

Dev scrutò la donna dai chiari occhi color delle colombe e annuì cauto, domandando: «Farà male? No, perché non vorrei mettermi a urlare come un bambino. Pareti insonorizzate o meno, sarebbe un po’ imbarazzante, di fronte a tre donne.»

Beverly scoppiò in una calda risata, mentre Iris scuoteva il capo per l’esasperazione e Brianna si esibiva in un risolino.

«No, non temere. Sonderò il tuo sangue grazie a una sua goccia. Il contributo sarà minimo» lo tranquillizzò la völva, ammiccando.

Annuendo, Devereux allora si sedette e allungò una mano perché la donna potesse prelevare il sangue che desiderava.

Beverly non fece altro che allungare un poco l’artiglio, pungere il dito medio e suggere il sangue dalla sua pelle, prima di dire: «Ecco fatto. Ora dobbiamo solo attendere.»

«Devi fidarti molto. Non mi hai neppure chiesto se ho qualche malattia venerea» si arrischiò a dire Devereux, massaggiandosi il dito contuso.

«Non rischierei nulla. Non ci ammaliamo, né possiamo contrarre malattie umane. Abbiamo un solo nemico…» iniziò col dire Brianna.

«… il raffreddore» dissero poi in coro le tre donne, prima di scoppiare a ridere divertite.

«E io che pensavo di essere un caso a parte!» esalò Iris, asciugandosi una lacrima di ilarità.

«Purtroppo no. L’unico che ne è immune, tra quelli di mia conoscenza, è Duncan, ma lui ha un piccolo segreto. La sua discendenza è tra le più pure di tutta l’isola, e ha l’indubbio vantaggio di aver avuto degli avi di famiglie diverse tra loro, perciò il suo genoma è molto forte» spiegò Brianna, mentre Beverly sgranava leggermente gli occhi per la sorpresa.

Iris la guardò curiosa e domandò: «Qualche novità?»

«Direi di sì. A quanto pare, nella famiglia di Devereux ci sono stati almeno quattro casi di licantropia. Non so dire se nativa o indiretta, ma ho trovato il gene latente» asserì Beverly, dando una pacca sulla spalla a Dev. «Senza l’apporto del sangue mutato della tua ex compagna, Chelsey non avrebbe potuto cambiare soltanto con il tuo DNA, ma il gene è presente, perciò sarà più semplice chiamare la bestia.»

«Bene» mormorò l’uomo, reclinando il capo con aria stranita.

Brianna, a quel punto, ammiccò a Beverly e, in silenzio, le due donne lasciarono lo studio per permettere a Iris di parlare con tutta calma a un più che sconvolto Devereux.

«Non te l’aspettavi, vero?» mormorò lei, accucciandosi al suo fianco, visto che era ancora seduto.

Lui si limitò a scrollare la testa e Iris, dandogli una pacca sulla coscia, asserì: «Pensa a questo; sarà più semplice, no? Soffrirai meno.»

«Ho visto… sì, mentre Chelsey cambiava, che le ossa si spezzavano. E anche tu…» mormorò lui, guardandola con occhi insicuri.

«La prima volta fa male, ma credo che sia più per la paura, che per la cosa in sé perché infatti, le volte successive, quasi non ci si rende conto che accade» ammise Iris. «Considera che, di solito, le notti di luna piena cercavo di trovarmi sempre in un luogo appartato e lontano dalla civiltà, perché non ero in grado di contenere lei.»

Nel dirlo si toccò il torace, e Dev assentì.

«Scalpitava per uscire, eh? Mi è parsa una tipetta che sa il fatto suo» chiosò Devereux.

Iris a quel punto sorrise e, risollevandosi, disse: «Ti sei infuriato, quando ti abbiamo detto che avremmo sofferto, nel lasciarci fare quel che abbiamo fatto per alleviare il tuo dolore. Perché?»

«Me lo chiede anche…» brontolò lui, risollevandosi a sua volta per fissarla male. «Ma pensi che sia divertente sapere che una persona sta soffrendo al posto tuo?»

«Beh, è comunque carino sapere che ti sei preoccupato per noi... sì, insomma, per me. Per essere una palla da demolizione, sei molto premuroso» ammiccò lei, avviandosi per uscire dallo studio.

Lui allora ghignò al suo indirizzo, le si affiancò e, senza alcun preavviso, le diede una sonora pacca sul didietro, asserendo: «E tu devi ancora mettere su diversi chili, prima che io possa considerare interessante questo sedere. Non è male, ma può migliorare.»

Lei lo fissò malissimo per alcuni istanti ma, quando vide solo divertimento negli occhi di Dev e sì, un pizzico di qualcos’altro che Iris preferì non sviscerare, si limitò a sbuffare e borbottò: «Piangerai, quando tornerà splendido.»

«Ci conto» ammiccò lui, sospingendola fuori con rinnovata gentilezza.

Iris scosse il capo e, nonostante tutto, sorrise. Con Dev, dovevi proprio usare il manuale delle istruzioni per capire i suoi gesti. Ma era un divertimento, scoprire cosa si nascondeva dietro a ognuno di essi.






N.d.A.:  abbiamo avuto il nostro primo re-incontro con Brianna e soci, e la nostra wicca non si smentisce. Percepisce subito che qualcosa non torna e offre il suo aiuto per una buona riuscita della Mutazione di Devereux.
Abbiamo altresì modo di notare come le attenzioni di Dev si facciano sempre più marcate, ma come l'uomo sia anche restio a qualcosa di più del semplice interessamento nei confronti di Iris, mentre lei a sua volta è combattuta tra le mutevoli emozioni che lei prova nei suoi confronti e verso la sua famiglia.
Come si risolverà la questione?

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


16.

 

 

 

 

Fenrir, Avya, Sköll, Hati, Tyr e, dulcis in fundo, niente meno che Odino.

Era davvero una discreta schiera di esseri più o meno mitologici, con cui avere a che fare, e sapere che ogni spirito viveva all’interno di un licantropo – con l’eccezione di Odino, che era nel corpo di un berserkr – era di per sé un colpo in più al cuore.

Come se non bastasse, da alcuni anni erano divenuti amici anche di diverse creature marine appartenenti al perduto popolo di Vanaheimr, salvatosi dalla distruzione millenni addietro e trasferitosi sulla Terra per vivere sul fondo del mare.

Fomoriani. Brianna li aveva chiamati con quel nome e, quando Iris si era gettata su Wikipedia per dare sfogo alla sua sete di sapere, aveva scoperto cose che, presto o tardi, avrebbero rischiesto ulteriori domande.

Ma tutto questo avrebbe dovuto trovare spazio in un secondo momento. Quello a cui doveva pensare, innanzitutto, era comprendere – e accettare – ciò che le era stato detto sul suo popolo. Solo in seguito avrebbe pensato alle altre creature bizzarre che popolavano la terra.

A ogni buon conto, telefonò allo zio per metterlo al corrente della buona riuscita del loro viaggio, e questo non fece che rendere la sua famiglia ancor più felice.

Il fatto di poter condividere con loro il suo segreto era fonte di soddisfazione e di una nuova, più salda unione con loro. Conoscere – almeno in parte – i nuovi sviluppi, inoltre, era qualcosa che li rendeva maggiormente un’unica entità come forse, in passato, non erano mai realmente stati.

Questo, però, rendeva sempre più difficili le cose a Iris, poiché era l’altra sua famiglia, a cui pensava, quando parlava di un futuro più sereno assieme ai suoi zii.

Anche per questo, con l’avvicinarsi del plenilunio, la sua mente si arrabattò sempre più per trovare nuovi sistemi per non affondare nella preoccupazione più nera.

Sembrava però che nulla, a parte mangiare, potesse distoglierla da ciò che sarebbe ben presto avvenuto.

Per lo meno, grazie a Gretchen e Brianna, il loro gruppo di licantropi inesperti finalmente scoprì la dieta ideale di un mannaro, e questo fece senz’altro la differenza, per i loro appetiti sempre messi alla prova.

Parlando con Brianna della sua recente operazione, Iris e i suoi amici scoprirono quindi i metodi più sicuri per intervenire su una ferita di quel genere, o su quelle procurate da pallottole in argento.

Ricevettero inoltre la conferma che l’argento era non soltanto pericoloso, ma anche mortale, se ingerito o somministrato endovena, ma era utile ai medici – sotto forma di strumenti operatori – in caso di un’operazione.

Tutto ciò permise al gruppo di Iris di potersi preparare adeguatamente per il loro prossimo rientro in patria. Una volta rientrati in patria, sarebbero stati nuovamente senza guide, ma ora avevano la certezza di potersi appoggiare a nuovi amici, se necessario.

Il solo pensiero di avere un’alternativa ad azioni cruente come era stato necessario attuare su Iris, confortò tutti, e non poco.

Ciò che Gunnar aveva fatto non sarebbe stato possibile per nessun altro di loro, e sapere come comportarsi in caso di incidente avrebbe potuto risultare vitale, in futuro.

Imparare a essere un buon licantropo permise quindi a Iris di ristabilirsi più in fretta del pensabile e, sotto gli occhi di tutti, la sua carnagione pallida ed emaciata scomparve nel breve decorrere di una settimana.

Grazie al nuovo regime alimentare più equilibrato, Iris poté guardarsi ben presto con soddisfazione allo specchio, denotando quanto gli abiti avessero iniziato a starle stretti.

Era forse una delle pochissime donne a gioire di quel particolare.

Al decimo giorno di permanenza a Londra, quindi, si impegnò di buona lena per trovare qualcosa che riempisse le sue nuove forme e, carica di aspettative, si recò in diversi negozi per fare spese.

Molte ore dopo, e sovraccarica di borse dopo il suo raid per negozi, ragginse infine l’appartamento che, tanto gentilmente, Gretchen e Joshua avevano trovato loro per quel breve soggiorno londinese.

Quella passeggiata per negozi le aveva fatto bene e, per qualche ora, era riuscita a sentirsi libera dagli incubi che la tenevano sveglia la notte.

Desiderava con tutto il cuore smettere di pensare alle possibili complicanze che, la scelta di Dev, avrebbe potuto avere sulla sua vita e, più di tutto, non voleva costringersi a scegliere in quel momento tra Clearwater e L.A.

Quando, perciò, rientrò in appartamento, lo fece con un sorriso che sperò essere convincente.

Il fatto di non trovare nessuno, a parte Dev, la lasciò un po’ perplessa e, nel richiudersi la porta alle spalle, domandò: «Ciao… ma gli altri dove sono?»

«Usciti con lady Fenrir e soci. Non volevo che arrivassi e non trovassi nessuno ad aspettarti, così…» asserì lui con una scrollatina di spalle, impegnato a fare zapping alla TV.

L’attimo seguente spense, si alzò dal divano e finalmente la guardò. A quel punto, aggrottò la fronte, le si avvicinò con fare sospettoso e ordinò: «Molla le borse, sottiletta.»

Lei sbatté le palpebre con aria esasperata ma lo accontentò. Le borse non fecero in tempo a toccare terra che Dev le prese i polsi, le sollevò le braccia e, come un bravo ballerino, le fece fare una piroetta su se stessa che la fece sospirare di pura sorpresa.

«Ma che ti prende?»

Devereux si accigliò ancora di più, le sfiorò le guance pizzicottandole leggermente e infine borbottò: «Sei ingrassata!»

Iris non poté impedirselo. Scoppiò a ridere di gusto e assentì, replicando divertita: «Dodici chili. Ora, sono più o meno al peso forma.»

Incredibilmente, Dev si esibì in un largo sorriso pieno di soddisfazione, neanche il merito di quel risultato dipendesse da lui e, suo malgrado, Iris non poté che esserne felice.

E irritata al tempo stesso.

Come poteva decidere che farne della sua vita, se lui si comportava così?

«Molto, molto bene. Ora dovrò cambiarti soprannome, perché sottiletta non va più bene. Dovevo avere davvero la testa da un’altra parte, per non accorgermi di lui» ironizzò Dev, indicandole il fondoschiena.

Iris allora ghignò, replicando: «Te l’ho detto che avresti pianto, nel vederlo al suo meglio. Perciò, perché non stai piangendo?»

«Prendo i fazzoletti, aspetta un attimo» ironizzò allora lui, prima di tornare del tutto serio e aggiungere: «Sembri davvero in salute, lo ammetto. Per un po’, mi avevi davvero preoccupato.»

«Non avresti dovuto stare in ansia per me, ma grazie per la premura» mormorò lei. «Anche mio zio è felice di non vedermi più gli zigomi spuntare dalle guance.»

Quell’accenno alla vita di Iris lasciata in sospeso a L.A. fece aggrottare la fronte a Dev che, infilate le mani nelle tasche, borbottò: «Immagino che i tuoi zii e le tue cugine siano ansiosi di rivederti.»

«Abbastanza» ammise Iris, salvata in corner da ulteriori spiegazioni dallo squillo del suo cellulare. Affrontare proprio con lui quell’argomento, era davvero l’ultima delle cose che desiderava.

Scusandosi con Dev, lo afferrò per rispondere e, quando udì la voce di Helen, la primogenita di zio Richard e zia Rachel, esalò: «Ehi, ciao! Qual buon vento?»

«Vento londinese, direi. Piuttosto fastidioso e umido, se devo essere sincera, nonostante siamo a giugno inoltrato. Londra in questo periodo è un po’ inospitale, per me che sono abituata al clima secco di L.A.» chiosò la donna sorprendendo Iris, che sbatté le palpebre con aria stranita.

«Che… intendi dire, scusa?» boccheggiò Iris, incredula.

«Che sono nella City, ecco cosa. Ho una serie di appuntamenti fino a venerdì, perciò sarebbe carino se ci vedessimo, visto che siamo entrambe a casa della regina, ti pare?» le propose Helen, con il suo classico tono pratico e tranquillo. In questo, somigliava in tutto e per tutto a suo padre.

Ancora, Iris faticò a comprendere e, più gentilmente, la cugina aggiunse: «Il mio Studio mi ha spedita qui da circa due settimane, ma papà ha pensato bene di dirmi soltanto ieri che eri qui anche tu. A volte, credo lavori troppo… o faccia troppo binge-watching su Netflix, decidi tu.»

Iris rise nonostante tutto, ben sapendo quanto zio Richard fosse un appassionato di serie TV e, con calore, disse: «Sarebbe bello vederti. Dove ti trovo?»

«Ne avrò ancora per un’oretta, per cui possiamo trovarci davanti al Temple Bar Memorial tra un’ora e mezza, va bene? Per tua informazione, non ho più i capelli lunghi, ma corti e a caschetto. Per il resto, sono splendida come al solito» la informò Helen, con un pizzico di ironia nella voce.

«Su questo non avevo dubbi. Oh, ti ho anche trovato una giovane fan. Una ragazzina che ama parlare di verdure e serre» la mise al corrente Iris.

Helen, allora, esalò: «Devo conoscerla. Ma prima voglio vedere te. A più tardi.»

Nel chiudere la chiamata, Iris sorrise emozionata e Dev, curioso, le chiese: «Immagino fosse una delle tue cugine, …ma la ragazzina? Parlavi di Chelsey?»

«Sì, di lei.»

Dev fece due più due e sollevò le sopracciglia, asserendo: «Tua cugina Helen. La fanatica dei pranzi in famiglia in cui parla di ortaggi, anche se è un asso in economia.»

Iris si sorprese non poco nello scoprire quanto Dev si ricordasse di quel loro secondo incontro in maniera così particolareggiata e, sorridendo, disse spontaneamente: «E’ a Londra. Perché non vieni a conoscerla?»

A Devereux occorse un solo secondo per annuire, ma Iris preferì non chiedersi perché. Sarebbe stato difficile accettare un’eventuale risposta, di qualsiasi genere essa fosse stata.

***

Il vento che spirava per le vie di Londra era effettivamente piuttosto umido e, in tutta onestà, Iris sentì la mancanza delle brezze frizzanti che spiravano dai monti dell’Alberta.

Era avvilente scoprire come, in quei pochi mesi, Clearwater le fosse entrata dentro, e non soltanto per i motivi che ora la facevano stare sveglia la notte. Il paese stesso stava cospirando per attirarla a sé, al pari di una sirena coi marinai incauti.

La quiete del luogo, unita alle bellezze naturali che la circondavano, le mancavano quasi quanto il profumo del mare che poteva avvertire dal suo appartamento a Venice Beach. Il punto era un altro, in fondo; dove si sarebbe trovata meglio, a quel punto?

Scacciando quei pensieri molesti quando, in compagnia di Devereux, raggiunse il Temple Bar Memorial, Iris scrutò la folla in cerca della figura di Helen.

L’ultima volta che l’aveva incontrata di persona era stato al funerale dei suoi genitori; la ricordava in lacrime, ma ferma e pronta a sostenerla in tutto.

Non aveva potuto salutarla, quando era partita per il suo viaggio, poiché Helen si era trovata a Sacramento per lavoro ma, nel corso dei mesi, aveva intrattenuto con lei una corrispondenza piuttosto assidua tramite e-mail e telefono.

Per quanto, tra di loro, vi fossero meno di due anni di differenza, Helen si era sempre dimostrata molto più matura di lei e, dopo la morte dei suoi genitori, aveva tentato di essere per Iris come una madre surrogata, al pari di zia Rachel.

Buffo come, in quel momento, si sentisse più vecchia di secoli, rispetto a Helen.

Quegli ultimi giorni erano stati assai duri, dal punto di vista psicologico e, più si approssimava la potenziale fine del viaggio, più aveva timore di avvicinarvisi.

Una volta che Devereux si fosse trasformato in un licantropo, lei non avrebbe più avuto motivi per rimanere assieme ai suoi amici, avendo raggiunto il traguardo per cui era partita.

Scoprire chi era.

Avrebbe potuto rientrare a L.A. per essere accolta dall’abbraccio della sua famiglia e, da lì, avrebbe potuto ripartire per una nuova vita.

Già, ma sarebbe stata sola. Per quanto amasse i suoi zii e le sue cugine, non avrebbe avuto nessun licantropo accanto a sé ma, soprattutto, non avrebbe avuto loro.

Lanciata un’occhiata a Devereux, che in quel momento stava studiando una coppia di ragazzini alle prese con i loro cellulari – talmente distratti da rischiare di inciampare nel marciapiede – Iris si corresse e ammise che, più di tutti, le sarebbe mancato lui.

Era assurdo fare finta che non fosse così. Che la cosa non avesse alcuno sbocco a lieto fine, inoltre, era altrettanto evidente.

«Iris!»

La voce inconfondibile di Helen la strappò a quei lugubri pensieri e, seguendo quel suono a lei così familiare, Iris si volse a mezzo per poi sorridere a una donna piccola e formosa.

La bruna chioma di Helen era perfettamente in ordine, resa però sbarazzina da una ciocca bionda sul lato destro del viso. Il taglio era a caschetto, esattamente come la cugina le aveva detto al telefono, e incorniciavano un viso da eterna ragazzina, che non dimostrava affatto i suoi trentun anni di età.

Di colpo, quei due anni di lontananza le piombarono addosso come un macigno e calde lacrime le solcarono il viso mentre in pochi, rapidi passi, Iris annullava la distanza tra di loro per stringerla a sé.

Abbracciandola stretta, ma senza forzare troppo per non farle male, Iris ne assaporò il buon profumo e il calore, esalando commossa: «Oddio, Helen! Che bello vederti! Non sai quanto tu mi sia mancata!»

«Dio, tesoro… tu sei sempre splendida. Ma guarda come ti si sono allungati i capelli! Stentavo a riconoscerti» replicò Helen, scostandosi da lei per carezzarle il viso.

A quel punto, però, si accigliò e le domandò turbata: «Tesoro, hai la febbre, per caso? Stai male? Sei bollente

Iris sorrise e scosse il capo, replicando con un risolino: «E’ la mia temperatura normale, adesso.»

Helen sgranò per un momento gli occhi, prima di sorridere divertita e chiosare: «Beh, non avrai più bisogno di tre paia di maglioni, alla tua prossima gita ad Aspen.»

«In effetti, no» ammise lei, rammentando con dolore le loro settimane bianche passate con le rispettive famiglie.

Si era divertita un mondo, in quegli anni, e pensare che non avrebbero più potuto viverle assieme l’aveva fatta soffrire. Tutt’ora adesso, il solo sentirne parlare la faceva sentire sola.

Era egoistico anche il solo pensarlo, poiché sapeva benissimo di non essere affatto sola, ma ricordi come quello le facevano sentire tremendamente la mancanza dei suoi genitori.

Fu come sempre Helen a salvarla da una crisi e, pur se inconsapevolmente, la strappò a quei pensieri domandando maliziosa: «Ti sei fidanzata e non me l’hai detto, Iris?»

La giovane divenne paonazza al solo sentir parlare di fidanzati e Dev, tossicchiando imbarazzato, allungò una mano e disse: «Sono Devereux Saint Clair, un amico di Iris. Molto piacere.»

«Helen Wallace, sua cugina. Piacere mio» replicò la donna, sorridendo nello stringere la mano di Devereux.

Ritrovando un minimo di contegno, Iris riuscì a dire: «E’ un amico che ho conosciuto a Clearwater, dove ho incontrato un’altra persona come me. La ragazzina di cui ti parlavo è sua figlia.»

«Oh… mi scusi, signor Saint Clair. La mia battuta è stata davvero inopportuna» si affrettò a dire Helen, contrita.

Dev scosse una mano, replicando con tono tranquillo: «Nessun problema. Non c’è nessuna signora Saint Clair che si possa arrabbiare. Mi chiami pure Devereux, comunque.»

«Bene, allora io sarò solo Helen. E adesso, se non vi spiace, vorrei trovare un posticino adatto per chiacchierare indisturbati. Ho due anni di arretrati, con questa signorina e, anche se siamo sempre state in contatto, parlare a quattr’occhi non ha prezzo» dichiarò la donna, sorridendo a Iris con fare cospiratorio.

Dev assentì e si accodò alle due donne che, con passo tranquillo, si incamminarono lungo il marciapiede, chiacchierando come se si fossero lasciate da due giorni, e non da due anni.

La loro affinità tornò subito a galla e il solco presente nell’animo di Iris si andò via via allargando, man mano che l’affetto per Helen – e ciò che rappresentava – le scaldava il cuore.

Stare vicino alla cugina come, ormai da tempo, non le era più capitato di poter fare, fece emergere con prepotenza una dualità di sentimenti contrastanti quanto dolenti.

Aveva sentito la sua mancanza – e tutto ciò che essa comportava – e stentava a capire come avrebbe potuto prendere una decisione basilare per la sua vita, dopo quell’incontro inaspettato.

Se l’avessero legata su una ruota della tortura, sarebbe stato più facile sopravvivere, probabilmente.

«Ecco, questo va benissimo» dichiarò a un certo punto Helen, avventurandosi all’interno del Temple Brew House.

Lievemente sorpresa per la scelta – Helen era vestita come un manager di successo, con tanto di tacco chilometrico e trucco perfetto – Iris fissò costernata il pub dalle linee rustiche e l’aria da vecchio country inglese, e borbottò: «Ma sei sicura?»

«La birra è buona, cucciola, e c’è dell’ottima musica» le disse Helen, dimostrando di essere stata in quel posto più di una volta e, probabilmente, in compagnia.

In effetti, non appena furono all’interno, Iris poté apprezzare il gradevole profumo di spezie e carne, oltre all’inconfondibile aroma luppolato delle birre.

La musica non era così alta da darle fastidio e, cosa più importante, il locale non appariva soltanto pulito, ma era pulito e, per i suoi recettori olfattivi, fu una manna dal cielo.

Pur se stava imparando a non fare caso a molto di ciò che avvertiva, l’odore rancido di certi locali la faceva ancora star male, ed era bello trovarsi in un luogo dove, invece, regnava l’igiene.

Sedutisi a un tavolo d’angolo, ben lontani dagli avventori presenti in quel momento, Helen prese un menù per scorrerlo velocemente con lo sguardo e, a mezza voce, disse: «Qui staremo tranquilli e, se avete almeno la metà della fame che ho io, potrete mangiare la miglior tagliata di Angus Irlandese che abbiate mai assaggiato.»

«Prendila» disse subito Dev, rivolto a Iris, che sorrise divertita.

Helen, allora, fissò confusa la cugina e domandò: «Sei diventata una carnivora compulsiva?»

«E’ il mio metabolismo accelerato. Ho bisogno di molte proteine animali e, subito dopo, di molti carboidrati. Ma, prima di tutto, carne o pesce, altrimenti non riesco ad assimilare gli zuccheri complessi» le spiegò Iris con un sorrisino.

La cugina sospirò afflitta e, tastandosi un fianco ammorbidito da qualche chilo di troppo, esalò: «Averlo io, il metabolismo accelerato!»

«Sei bellissima così» sottolineò Iris, scuotendo il capo.

Il cellulare di Devereux scelse quel momento per suonare e, quando l’uomo vide chi era all’altro capo, storse la bocca, passò il telefono a Iris e borbottò: «Parlaci tu. Sono stanco di sentire le lagnanze di mia madre.»

«Ma Dev… è ovvio che sia preoccupata! Sua nipote è oltreoceano!» brontolò lei, pur afferrando il cellulare. «Sei proprio…»

«… una palla da demolizione, lo so, lo so. Ma rispondi tu, grazie. Io, intanto, vado a ordinare, così potrai lagnarti di me senza che io senta nulla» dichiarò lui, levandosi in piedi per andare al bancone del bar.

Iris, allora, scosse il capo con uno sbuffo, accettò la chiamata e disse: «Buongiorno, Bethany. Dev è appena scappato a gambe levate, scusami.»

«Iris cara, buongiorno. Non avevo dubbi che avrebbe delegato la telefonata a qualcuno che non fosse lui. Ho chiamato per tre giorni di fila…» ridacchiò la donna. «Lì, va tutto bene? Come procedono le cose?»

Ben sapendo che Devereux non aveva avvisato neppure i genitori in merito alla sua decisione di diventare un licantropo, Iris si limitò a dire: «I nostri ospiti sono molto gentili e stiamo scoprendo un sacco di cose su ciò che dobbiamo fare, o non fare. Abbiamo anche imparato delle nuove tecniche di primo soccorso, perciò sapremo come affrontare eventuali guai, in futuro.»

«Benissimo, cara. Ciò che hai patito tu è già troppo. Trovo ancora del tutto assurdo che non abbiate voluto denunciare Alyssia per quel suo colpo di testa» protestò Betty, protettiva come sempre. «Sarebbe stato giusto che quella ragazza fosse finita in galera, piuttosto che accettare la parola d’onore del comandante che mai più sarebbe successa una cosa simile.»

Sorridendo calorosamente, Iris replicò: «Al momento, è meglio mantenere un profilo basso, se non bassissimo, e avere Alyssia in galera avrebbe attirato l’attenzione su di me, perciò meglio soprassedere.»

«Beh, comunque, Jordan e Camille sono partiti tre giorni fa assieme ad Alyssia e, da quel che mi ha detto Camille stessa, l’hanno portata in clinica» dichiarò laconica la donna. «Non so quanto potranno fare per quella disgraziata ragazza, ma lei sembrava molto poco fiduciosa. Come è da anni, se è per questo.»

Iris assentì, mormorando: «Mi spiace per loro, ma preferisco saperla lontano da me, onestamente.»

«Quel che è certo è che, se prova a darti di nuovo fastidio, se la vedrà con me» dichiarò lapidaria Bethany.

Quel pensiero così dolce fece tremare di dolore Iris che, tergendosi una lacrima – e attirando così l’attenzione della cugina – disse: «Ne sono sicura. Comunque, appena torniamo in appartamento, ti farò chiamare da Chelsey. Lei sarà felice di sentirti.»

«Di’ a quel caprone di mio figlio di essere educato. A presto, cara» terminò di dire la donna, chiudendo la chiamata.

Iris la salutò e, quando si ritrovò gli occhi inquisitori di Helen puntati addosso, mormorò: «Avanti, spara. Tanto lo so che non mollerai l’osso finché non avrai tutto sott’occhio.»

«Mi spiace, ma si sentiva più che bene, perciò… cosa ti è successo?» domandò leggermente irritata Helen, i suoi occhi blu freddi come la neve.

Dev tornò al tavolo proprio in quel momento e, nel notare l’occhiata omicida di Helen, chiosò: «L’hai già fatta arrabbiare? Complimenti. Sei stata velocissima.»

Iris, allora, lo guardò storta e replicò: «Vuole sapere che mi è successo.»

L’uomo impallidì leggermente, al pensiero di rivangare quel che aveva condotto Iris sull’orlo della morte. Non potendo impedirselo, strinse la mano di Iris poggiata sul tavolo e mormorò: «Evita le scene più cruente. Ho gli incubi ancora adesso.»

Helen si preoccupò non poco nel sentirlo parlare a quel modo e Iris, reclinando un poco la maglia, le mostrò parte della cicatrice sul petto, mormorando: «Hanno dovuto operarmi perché mi hanno sparato… o meglio, hanno sparato a Dev, e io mi sono messa in mezzo.»

Dev accentuò un poco la stretta, a quell’accenno e Helen, sempre più sgomenta, esalò: «Ma… perché?»

«Ho scatenato le ire di una donna pazza, a quanto pare, e tua cugina ha pensato bene di fare Captain America… dimenticando lo scudo, però» cercò di ironizzare Dev, pur non riuscendovi. Il suo viso era divenuto terreo, a ben vedere e Iris, nel notarlo, gli diede un colpetto con la spalla.

«Sono viva, okay? Respira, Dev, altrimenti ti rovini la reputazione di palla da demolizione, se mi svieni qui come una pera cotta» ammiccò lei, sorridendo.

«Giusto, giusto… la mia reputazione va salvaguardata» assentì più volte lui, ghignando in risposta.

Un poco più tranquilla, Iris spiegò succintamente ciò che avevano dovuto farle per poterla operare e Helen, alla fine del racconto, prese un gran respiro e mormorò sgomenta: «Dimmi che ora sapete cosa fare.»

«Sì. Ci hanno spiegato come inibire la nostra parte animale, in modo da poter operare normalmente» assentì Iris. «Ovviamente, spero non ve ne sarà più bisogno, ma è un sollievo saperlo.»

«Capisco perché tu abbia parlato di incubi» dichiarò infine Helen, guardando comprensiva Devereux.

Il loro pranzo arrivò proprio in quel momento e Dev, accogliendo di buon grado le cibarie, esalò: «Al momento giusto. Non c’è niente di meglio del cibo, per scacciare i brutti pensieri.»

«Più che d’accordo» sorrise Helen, osservando compiaciuta la sua tagliata.

Iris non poté che assentire e, inspirando i profumi provenienti dai piaggi, mugolò di puro piacere e socchiuse gli occhi per godersi appieno ogni sensazione.

«Non so dirvi quanto io sia felice, adesso» sussurrò con voce roca.

«Credo di non averti mai visto così… ammaliata dal cibo. Sono i profumi che senti?» domandò Helen, curiosa.

«Sì. Scatenano la produzione di un sacco di endorfine perciò sono molto, molto contenta, ora come ora» dichiarò Iris, affondando coltello e forchetta nella sua Angus.

Helen sorrise divertita ma, quando lanciò un’occhiata a Devereux e notò l’attenzione con cui sbirciava all’indirizzo della cugina, cominciò a porsi qualche domanda, e a chiedersi cosa sarebbe successo in futuro.

***

Rimaste sole nei bagni del locale, Helen osservò turbata la profonda cicatrice che solcava il petto di Iris. Questa iniziava dalla base della sua gola fin sotto l’attaccatura dello sterno.

Sospirando, Helen le rimise a posto la maglietta, mormorando: «E’ davvero peggio di quanto avessi immaginato. E dici che ora tutto questo sarebbe evitabile?»

«Migliorabile» sottolineò Iris. «Rimarrebbe una cicatrice simile a quelle chirurgiche, invece di questo… beh, squarcio

Helen sospirò nuovamente, abbracciandola stretta e, nel darle una pacca sulla schiena, disse: «Rimani sempre bellissima, credimi.»

«Al momento, non sono molto preoccupata per questo» replicò Iris, storcendo il naso.

«Beh, no di certo. Con un uomo come Devereux al tuo fianco, non hai davvero di che preoccuparti» ammiccò Helen, vedendola avvampare per diretta conseguenza.

«Ma perché tutti pensate che ci sia qualcosa, tra di noi?!»

Helen, allora, levò un sopracciglio con evidente scetticismo e ribatté: «Se tutti, e non so a quanto corrisponda nello specifico questo ‘tutti’, lo pensiamo, comincia a chiederti come mai. Iris, davvero non hai notato come lui ti tenga d’occhio? O abbia tenuto d’occhio me

«Cosa?» esalò Iris, facendo tanto d’occhi per la sorpresa.

Scuotendo il capo con esasperazione e divertimento assieme, la cugina mormorò: «Forse mi sbaglierò, ma non penso che sia venuto per proteggerti. Mi sembra che tu sia in grado di stendere decine di uomini anche da sola, ora come ora. Quindi, perché è venuto?»

«Per conoscerti? Perché non aveva voglia di rimanere in casa da solo a cazzeggiare?» brontolò Iris, cocciuta.

«Può essere… ma non potrebbe anche essere perché voleva controllarmi, essere sicuro che fossi una brava cugina?»

«Che intendi dire?» mugugnò sospettosa Iris.

«Lasceresti che, una persona a cui tieni, vada in un luogo dove ce ne sono altre che non le vogliono bene?» sottolineò Helen. «Sa che è tua intenzione tornare, ma vuole anche essere certo che sia la scelta giusta per te, non tanto un obbligo verso di noi

«Stai vaneggiando» sentenziò Iris, scuotendo il capo.

«Va bene, vaneggerò. Che mi dici di te, allora?» le ritorse contro Helen.

Iris si irrigidì visibilmente e disse atona: «Non ho niente da dire. Mi sono trovata bene, a Clearwater, ma tornerò volentieri a casa.»

«Quindi, lascerai tutti i tuoi nuovi amici senza neppure spendere una lacrima?» ironizzò Helen, incredula. «Iris, sei protettiva nei confronti di Devereux tanto quanto lo è lui con te. Da quando in qua ti preoccupi che un uomo non soffra a causa tua?»

«Se intendi dire che prima ero un tantino superficiale, te lo concedo, ma da qui a essere interessata a Devereux, ce ne corre» mentì spudoratamente Iris, sapendo di non farlo neppure troppo bene.

Che senso ha dirle una bugia, Iris?

“Ne riparleremo quando sarai una donna, Gunnar.”

Cioè, mai?

“Esatto. Sei un’amina con un cervello d’eccezione”, ironizzò caustica Iris.

Non vi capisco. Passassero altri diecimila anni, non capirò mai le donne.

“Benvenuto nel club. Credo siano in molti, gli affiliati.”

Poco ma sicuro…

Lasciato perdere Gunnar, Iris si limitò ad aggiungere: «Io e Devereux ne abbiamo passate tante, perciò c’è un’amicizia stretta, tra noi, ma la cosa finisce lì.»

«Se lo vuoi credere…» scrollò le spalle Helen, sorridendole però con l’aria di saperla più lunga di lei. «Non voglio litigare con te dopo anni di forzata separazione. Ora devo rientrare in ufficio ma, se l’occasione sarà propizia, vorrei vedervi tutti prima di ripartire. Chiamami.»

«D’accordo» mormorò Iris, abbracciando la cugina e sapendo di averle appena fatto un grave torto.

Non era ancora davvero pronta a parlare di ciò che circolava nella sua testa.

Uscite che furono dal bagno, trovarono Dev già sulla porta e, quando furono all’esterno, Helen disse loro: «Devo proprio scappare, ma è stato molto bello conoscerti, Devereux. Spero di potervi rivedere entro venerdì.»

«Faremo il possibile» assentì l’uomo, stringendole la mano.

«A presto, cara, e riguardati» disse poi Helen, rivolgendosi a Iris, che assentì.

Non si dissero altro ma, quando Iris guardò la cugina allontanarsi con grazia sui suoi tacchi chilometrici, sentì prepotente il bisogno di raggiungerla per chiederle scusa.

Si trattenne solo a stento e, quando Dev le chiese se andasse tutto bene, si costrinse a sorridere per poi annuire, mentendo quindi anche a lui.

Devereux, però, non se la bevve e, avvolte le spalle della giovane con un braccio, borbottò: «Anche dopo il mio mutamento, se non ti sentirai di ripartire subito, noi di certo non ti cacceremo. Andrai solo se lo vorrai, e quando vorrai.»

Iris assentì, indecisa se apprezzare quel ‘noi’ o detestarlo con tutta se stessa.

***

«… ovviamente non ho fatto nomi, perché non avevo idea di come si debbano svolgere queste cose» terminò di spiegare Iris, mettendo al corrente Brianna e gli altri del suo incontro con la cugina.

Lei assentì pensierosa prima di scrollare le spalle e replicare: «Sei stata cortese a non dire nulla. Di norma, sottoporremmo il candidato a un incontro presso il nostro Luogo di Potere, il Vigrond, perché fosse accettato dal branco ma, poiché il vostro non è ancora un clan a tutti gli effetti, credo che si possa tranquillamente fare un’eccezione alla regola e dire a tua cugina anche di noi.»

«E’ una persona più che fidata, posso assicurarvelo» sottolineò Iris.

«Su questo non mi preoccuperei. Per quanto mi spiaccia ammetterlo, ho le armi a mia disposizione per mettere a tacere chiunque, oltre che la possibilità di cancellare arbitrariamente la memoria di chi potrebbe essere un pericolo per noi» sospirò Brianna, come se la sola idea la ripugnasse. «Stando però a ciò che mi hai detto, non solo la tua famiglia si è dimostrata disponibile e solidale, ma ti supporta appieno, perciò non posso che felicitarmi con te. Casi simili sono assai rari.»

Ciò detto, sorrise a Lance, che ammiccò alla figliastra e disse: «Devi sapere che mia moglie, all’inizio, era umana, oltre a essere la matrigna di Brianna e di suo fratello Gordon. Per questo parliamo di casi rari, ma non impossibili. Il patrigno di Brianna, ed ex marito di mia moglie, era un Cacciatore, e nessuno in famiglia ne era al corrente.»

«Beh, immagino che le stranezze siano all’ordine del giorno, per quelli come noi» esalò sgomenta Iris, sgranando gli occhi per la sorpresa.

«La normalità assoluta» annuì deciso Duncan prima di sorridere a Lucas e aggiungere: «Visto che con la piccola Chelsey abbiamo già testato la cosa oggi pomeriggio, perché non provi le tue nuove potenzialità anche su Iris?»

Chelsey sghignazzò spudoratamente, a quell’accenno e Iris, accigliandosi leggermente, fissò male l’amico e borbottò: «Cos’hai in mente? Mi hai già tagliuzzato come un pesce, perciò pensa prima di agire.»

Lucas, però, la guardò affabile e replicò: «Non sarà nulla di tremendo, ma ammetto che la cosa mi ha divertito molto. Non sapevo di poter fare una cosa del genere.»

«Il che mi fa preoccupare ancora di più» mugugnò Iris.

Lucas si limitò a ridere e, dopo alcuni momenti, disse con un tono di voce secco e freddo: «Stringi le mani tra loro fino a far sbiancare le nocche.»

«Ma che cavolo di…» iniziò col dire Iris, prima di sentirsi costretta a eseguire quello stupido ordine.

Le mani si mossero da sole, prive di qualsiasi volontà e si strinsero tra loro come due morse, facendo sbiancare nocche e dorsi.

Proprio mentre Iris stava per mandare al diavolo l’amico per quello scherzo, Dev si mosse fulmineo verso Lucas per scaricargli addosso un pugno ma lui, lesto, si scostò e annullò l’ordine, bloccando poi l’uomo con una presa alle spalle.

«Cristo, come sei suscettibile, amico! Era solo uno scherzo!» sbottò Lucas, trattenendolo senza sforzo.

«Prevaricare una donna lo definisci scherzo?!» gli sibilò contro Devereux, scuotendosi inutilmente nel tentativo di liberarsi.

«Dev, calmati!» gli urlò allora Iris, liberandosi le mani per poi scrollarle nervosamente.

«Papà, davvero, non è nulla!» intervenne a sua volta Chelsey, guardando poi disperata Duncan.

«Forse avrei dovuto spiegarmi, è evidente» asserì spiacente Fenrir di Matlock, irriso dallo sguardo della moglie, che sembrava saperla lunga. «Devereux, scusami. Non è davvero nulla di intenzionalmente indirizzato a prevaricarla.»

Dev si scrollò di dosso le braccia di Lucas non appena lui lo lasciò andare e, ancora irritato, replicò: «Come lo definiresti, allora, obbligarla a fare qualcosa contro la sua volontà?»

Serio in volto, Duncan replicò: «Un Fenrir deve poter tenere a freno i suoi sottoposti, indipendentemente dal sesso di appartenenza. Si chiama gerarchia, ed è molto simile a quella dei lupi naturali.»

Accigliandosi leggermente, Dev si calmò un poco e borbottò: «E se il capobranco è uno stronzo?»

«Difetti del sistema» ammise Duncan. «In generale, però, la Voce del Comando, ciò che Lucas ha sperimentato prima, serve per l’equilibrio del branco ed è vitale che si eserciti nell’usarla.»

Devereux non disse nulla, ma la sua mascella contratta fece capire perfettamente a tutti quanto, in realtà, avrebbe voluto replicare a quell’uscita.

Senza scusarsi con nessuno, si allontanò quindi per raggiungere la balconata dell’appartamento e Lucas, dopo un attimo, lo seguì.

Rock e Iris, invece, si fissarono contriti e quest’ultima, rivolta ai loro ospiti, disse: «E’ un tantino ruvido nei rapporti sociali. Scusate.»

Chelsey assentì con ampi gesti del capo e dichiarò: «Io mi sono divertita, oggi. Anche se sentivo di essere costretta a fare le cose perché me le diceva Lucas.»

Iris le sorrise, domandandole: «Cosa ti ha fatto fare?»

«Saltare e fare le boccacce» ironizzò Chelsey.

Brianna le sorrise a sua volta, fiera, e aggiunse: «E’ stata davvero brava a sottoporsi così a quegli esperimenti. Di certo, però, Duncan avrebbe dovuto essere più delicato nel sottoporre te allo stesso trattamento, e sotto gli occhi di Devereux. E dire che lo avevo avvisato.»

Iris si accigliò immediatamente, a quell’accenno e, sbuffando, sibilò: «Non ti ci mettere anche tu, Brianna. Non è giornata

Ciò detto, si scusò coi presenti e si allontanò a sua volta, chiudendosi nella sua camera da letto con un gran sbattere di porta e un grugnito a corollario.

Brianna, a quel punto, lanciò un’occhiata a Beverly e chiosò: «E poi mi lamento di Duncan? Guarda cos’ho combinato io

Beverly le sorrise indulgente e replicò: «Sono abituata con il mio Fenrir, perciò so come prenderla. Le parlerò io.»

La wicca sospirò rassegnata, ben sapendo cosa volesse dire Beverly con quella frase, e mugugnò: «Grazie per avermi ricordato le mie similitudini con Alec.»

Bev ridacchiò ma non disse nulla e, dopo un attimo, si diresse verso la camera di Iris, pronta a interpretare il suo ruolo di pacere.

Chelsey, a quel punto, guardò Rock con aria assai confusa e domandò: «Ma che sta prendendo a tutti, stasera?»

«E’ il guaio di essere grandi, tesoro.»

La ragazzina storse il naso e borbottò per diretta conseguenza: «Che bella prospettiva, diventare così.»

Al gruppo non restò altro che scoppiare a ridere, di fronte a una simile uscita.

 

 

 

N.d.A. L'incontro con Helen ha sicuramente colpito Dev, così come il contrario, scatenando le illazioni della prima e i dubbi del secondo. Nel frattempo, Dev ha ulteriore motivo di mettere a nudo parte dei suoi sentimenti "grazie" ai test di Lucas, che sottolineano come sia interessato a Iris, anche se lui si ostina a intendere che non vi sia nulla di sentimentale, in questo interessamento.

Una cosa è certa, quando arriverà la sua mutazione, ci sarà da ridere...


 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


17.

 

 

 

Trattenuta a Londra assieme a Rock con una scusa, Chelsey non avrebbe assistito alla mutazione del padre e, Iris sperò, alla sua rinascita come licantropo.

Era stato deciso così per salvaguardare la piccola da inutili tensioni e tutti, nessuno escluso, stavano pregando che ogni cosa si svolgesse nel migliore dei modi per evitare di essere i latori di una tragedia.

Ritti nei pressi della possente quercia che cresceva nella tenuta dei duchi Walford, proprietari della Walford House e di tutti i possedimenti a essa legati, Devereux attendeva impaziente al fianco di Brianna.

Colton Andrews, sesto duca Walford e, fra le altre cose, una delle più forti sentinelle del branco di Joshua, stava osservando tranquillo la spianata del Vigrond e, sorridendo a una tesa Iris, asserì: «Non mi preoccuperei troppo, sai? Con lady Fenrir al suo fianco, non ci saranno problemi.»

«Mi calmerò quando saprò di non aver ammazzato il padre di Chelsey. Ora come ora, non riesco a pensare ad altro» mormorò in risposta lei, pur apprezzando il suo tentativo.

Quando, poche ore addietro, erano partiti in auto per raggiungere la tenuta dei Walford nel Wiltshire, Iris aveva finalmente compreso come potessero, i licantropi londinesi, avere a disposizione un luogo ove incontrarsi in tutta sicurezza.

In un mondo ove tutto era controllato da telecamere e satelliti, e dove i curiosi potevano arrivare più o meno ovunque, era necessario avere degli appezzamenti di terreno privati.

Specialmente nei pressi di città estese e popolose come Londra.

La scoperta, però, che uno dei licantropi di Joshua fosse anche un Pari del Regno, aveva sorpreso non poco Iris, così come i suoi compagni di ventura.

Era divertente pensare che il trentacinquenne e aitante duca Walford potesse bazzicare per i corridoi di Buckingham Palace.

Lui, predatore e discendente di un dio, si inchinava e ossequiava una umana che, stando alle leggende, era stata posta sul trono per mano di un altro dio.

Tutto questo aveva un che di folle, agli occhi di Iris e, proprio per questo, di stranamente logico, visto il mondo assurdo in cui ormai viveva da un paio d’anni.

«Beh, qui siete più che rappresentati e, di certo, non avete bisogno di me. Io torno a Walford House per farvi preparare uno spuntino degno di tale nome. Devereux sarà sicuramente affamato, dopo… tutto questo» dichiarò Colton, dando una pacca sulla spalla a Iris prima di salutare gli altri e allontanarsi con la sua corsa felpata e veloce.

Un’altra cosa che a Iris e gli altri era parsa strana, era stata la sorprendente familiarità degli altri mannari nei loro confronti.

Fin dall’inizio, erano stati trattati con estrema cortesia, come se si conoscessero da anni, e non da pochi giorni – od ore – e tutto perché appartenevano alla stessa specie.

Rock, in quanto Primo Compagno di Lucas - anche se era un umano - veniva trattato con i guanti e non era mai perso di vista, quasi dovesse essere protetto anche dalle ombre.

Brianna le aveva spiegato che i rapporti tra alleati, o con persone che non si ritenevano nemici, era assai informale, anche se i riti e i titoli non venivano mai dimenticati.

Pur se ognuno di loro si dava del tu, c’erano grandi strette di mano e tutti sorridevano, nessuno avrebbe mai pensato di mancare di rispetto a un Fenrir, così come a un Primo Compagno, per l’appunto.

Informalità mista a rispetto puro e semplice.

“Abbiamo ancora un sacco di cose da imparare”, mugugnò Iris tra sé, guardandosi intorno con aria sempre più nervosa.

E’ lo scotto di partire da zero, replicò Gunnar, cercando di apparire confortante.

Iris assentì tra sé ma, quando avvertì il brivido famigliare della levata della luna, fissò ansiosa il Vigrond e cercò di prepararsi al peggio.

Brianna non si fece attendere e, mordendosi un dito a sangue, lo accostò alla bocca di Devereux – già da tempo impegnato a grattarsi il palmo di una mano per il gran prurito – e disse a gran voce: «Io ti chiamo, Figlio della Luna. Lascia che il potere della Madre e della Luna entrino dentro di te! Giungi a me, figlio di Fenrir, stirpe divina!»

Ciò detto, si allontanò lesta da Devereux, attirando con sé anche una tesissima Iris che, assieme agli altri, si pose ai bordi della radura per lasciare tutto lo spazio utile all’uomo per la sua mutazione.

Come preda di un forte colpo di maglio, Dev si inarcò all’indietro per poi piegarsi su un ginocchio, quasi senza fiato, e stringere i denti per non urlare.

Iris non poté che sentirsi male per lui e Lucas, poco distante da lei, mormorò ansioso: «Coraggio, amico… ce la puoi fare…»

«Lasciala fluire, Devereux… non frapporti tra Madre e il tuo nuovo essere» mormorò tesa Brianna, a poca distanza dagli altri, accigliandosi leggermente di fronte allo strenuo tentativo dell’uomo di non emettere fiato.

Dev strinse ancor più i denti, stoico fino al midollo pur se ricoperto da una sottile patina di sudore, chiaro indicatore di quanto stesse in effetti trattenendo dolore e sofferenza.

Brianna lo richiamò ancora, sempre più ansiosa ma Dev, invece di rivolgerle un cenno  affermativo, si volse e incatenò per un istante i suoi occhi a quelli di Iris.

Fu solo un attimo, poco più di un battito di ciglia, ma fu sufficiente per far comprendere a Iris cosa non stesse andando per il verso giusto, e cosa avrebbe rischiato di far perdere la battaglia a Devereux.

“Si sta frenando per non farmi soffrire! Non vuole che io veda il suo dolore!”, ansimò terrorizzata Iris.

Temo tu abbia dannatamente ragione. Il punto è che…

Gunnar non ebbe il tempo di terminare la sua congettura.

Le gambe di Iris si stavano già muovendo mentre, dentro di lei, il potere del landvættir si scatenava in tutta la sua forza, dominandola e pervadendola come fuoco.

Fu inutile, del tutto inutile richiamarla all’ordine, tentare di allontanarla da Devereux perché non venisse ferita durante il Mutamento dell’amico.

Sia Duncan che Lucas tentarono di ordinarle di tornare ai bordi della radura con la Voce del Comando, ma lei rifiutò di accettare la coercizione. La scavalcò, cancellandola dalla sua mente e, raggiunto che ebbe Dev, lo strinse a sé urlando: «Vieni da me, Devereux! Ti prego! Esci da lì! Urla, se vuoi, ma segui la mia voce!»

Dev resistette ancora un istante, la fissò spiacente nei suoi occhi verde smeraldo ma, alla fine, urlò, come se la voce di Iris avesse spezzato un sigillo. Si piegò all’indietro fin quasi a spezzarsi la schiena ma mai, neppure per un istante, tentò di aggredire Iris durante il suo cambiamento da umano in bestia.

Brianna e gli altri, invece, furono costretti loro malgrado a rimanere sulle loro posizioni, bloccati dal potere devastante del landvættir, che stava proteggendo Devereux con la sua aura.

Assottigliando le palpebre per proteggersi dai flussi ribollenti di quell’onda energetica spaventosa, Brianna borbottò: «Ecco cosa succede a non tirarsi dietro una völva con il suo stregone. E dire che avrei dovuto immaginare che, con un’anima come quella, avrebbe potuto succedere qualcosa del genere!»

«Pensi che Iris sia al sicuro?» domandò Lucas, impossibilitato a muovere un solo muscolo per raggiungere i suoi amici.

«Siamo noi a non esserlo! Al momento siamo un intralcio, per lei, perché non stavamo aiutando a sufficienza Devereux a mutare, almeno secondo i suoi parametri. A questo punto, credo che dovremmo indietreggiare poco alla volta, così da permetterle di calmarsi. E’ l’unica cosa che ci è concesso fare, per ora» replicò Duncan, muovendosi lentamente all’indietro ma sempre tenendo sott’occhio il centro del Vigrond.

L’esplosione energetica prodotta da Iris aveva effetti devastanti, su di loro, impedendo loro de facto di avanzare, permettendo soltanto al gruppetto sparuto di allontanarsi dal centro di quell’onda anomala.

Stranamente, però, non sembrava avere alcun effetto sulla natura circostante. Se si fosse trattato di una semplice aura mannara lasciata libera a se stessa, questa avrebbe divelto piante e cespugli, ma così non stava avvenendo.

Il potere del landvættir, quindi, agiva in modo leggermente diverso e, almeno in quel caso, sembrava molto più devastante di una normale aura.

Lucas, Brianna e Lance non poterono che imitare Duncan e l’Hati di Matlock, guardando la figliastra, disse con una certa ironia: «A quanto pare, c’è ancora qualcosa che non sapevamo.»

«Non mi era mai capitato di incontrare un landvættir, onestamente, e neppure Fenrir ne ha memoria, perciò eravamo, a tutti gli effetti, dannatamente impreparati» ammise Brianna, pur sorridendo. «Dovrò farle i miei complimenti. E’ la prima persona di mia conoscenza che sia riuscita a spezzare la coercizione della Voce del Comando di un Fenrir. Evidentemente, se il landvættir considera prioritaria la sua missione, prioritaria persino rispetto agli ordini del suo capoclan, può decidere di ignorare il blocco.»

Duncan indietreggiò ancora, mormorando ammirato: «Questa aura difensiva fa quasi spavento. Eppure, non sta minimamente danneggiando ciò che ci circonda. Tiene a bada solo noi

«A quanto pare, Lucas, ti sei appena guadagnato un Hati sotto steroidi, anche se non ha la livrea… ammesso che si calmi, ovviamente» ghignò Lance, sorridendo al giovane canadese.

«Ammesso che rimanga con me, vorrai dire» sottolineò Lucas, poggiandosi contro il tronco di una betulla prima di aggirarla e nascondervisi dietro. «Iris ha la sua vita a L.A., dopotutto, e non penso vi rinuncerà per rimanere al mio fianco come Hati.»

«Dopo questo spettacolo? Dubito fortemente che abbandonerà Clearwater» asserì per contro Lance, sorridendo divertito nell’osservare la coppia nel mezzo di quella bufera di potere primigenio.

Proprio in quel momento, la barriera psichica si esaurì così come era giunta e al suo posto, nel mezzo del Vigrond, fecero la loro comparsa due lupi.

Il più piccolo, dal manto grigio e nero, stava leccando via il liquido vischioso della mutazione dalla spalla dell’altro, rossastro per livrea e grande quasi il doppio rispetto alla femmina ritta al suo fianco.

La sorpresa si palesò sui volti di tutti e Duncan, ammiccando a Lucas, dichiarò: «Beh, credo tu abbia appena formato la tua Triade di Potere.»

***

Era stato più forte di lei. Non aveva resistito.

Intravedere per un istante la sofferenza negli occhi di Devereux, soffocata dietro la barriera della sua cieca ostinazione, le aveva spezzato qualsiasi freno inibitore.

Ora, però, non poteva più tornare indietro, né tacere ciò che quel gesto così eclatante – quanto imprevisto – aveva messo ben in chiaro.

Per Devereux aveva appena rischiato la vita, e si era messa dichiaratamente contro una wicca e ben tre Gerarchi, al solo scopo di proteggere colui che amava dai suoi stessi freni inibitori.

“Che diavolo ti è saltato in mente di bloccarti? Non si era detto di smetterla di fare gli idioti?!”, lo sgridò Iris, continuando a leccargli via il liquido denso e vischioso dal muso.

“Te l’ho ripetuto e straripetuto! Pensi sia divertente vederti soffrire a causa mia?!”, protestò Devereux prima di reclinare il muso, guardarsi e borbottare: “Perché sono tanto più grosso di te?”

“Guardati il pelo. A quanto pare, sei il nuovo Sköll del nostro sgangherato branco. Forse, nei tuoi antenati c’era un Gerarca, così il gene è rimasto sopito finché non abbiamo deciso di svegliarlo.”

Devereux, però, non ascoltò tutta la sua articolata spiegazione, ma solo una sola, piccola, apparentemente insignificante parola e, dubbioso quanto speranzoso, ripeté: “Nostro?”

Iris allora sbuffò, un gesto piuttosto ridicolo per un lupo e, dandogli una zampata sulla spalla, sbottò: “Cosa pensi abbia appena fatto?”

“Far incazzare due Fenrir, un Hati e una wicca, rifiutando di obbedire ai loro ordini? Che poi, come hai fatto, scusa, se l’altro giorno non sei riuscita a controllare l’imposizione di Lucas?”

La lupa che era Iris inclinò la testa su un lato e non disse nulla, fissando spazientita il lupo dinanzi a lei e lasciando che fosse Devereux stesso a trovare la risposta.

“Lo hai fatto… per me?”

“Per chi altri, razza di stupida palla da demolizione che non sei altro!?”

Ciò detto, se ne andò trottando via e Devereux, dopo una breve occhiata ai loro spettatori sconcertati, la seguì dappresso con passo un po’ insicuro e caracollante.

Lucas, ancora interdetto di fronte allo spettacolo cui era stato suo malgrado testimone, esalò: «Qualcuno mi può spiegare?»

Fu Brianna a rispondere, un mezzo sorriso dipinto sul viso acqua e sapone, mentre si sistemava i capelli scompigliati dall’onda di energia di Iris.

«Devono chiarirsi e, per farlo, credo che impiegheranno un bel po’, viste le insicurezze di entrambi sui rispettivi sentimenti. Noi possiamo anche tornare a Walford House, a questo punto. Lasciamo qui gli abiti di Devereux. Credo che serviranno loro più tardi.»

Con un sorrisino furbo, la donna lasciò quindi lo zaino dell’uomo nei pressi della quercia del Vigrond e Duncan, dando una pacca sulla spalla a Lucas, disse: «Stanotte abbiamo imparato qualcosa anche noi. Mai mettersi tra un landvættir e la sua missione. Qualunque essa sia.»

«Io mi ricorderò di non far mai incazzare Iris, poco ma sicuro» annuì divertito Lucas, prima di aggiungere: «Però, prenderò in giro a vita Devereux. E’ davvero fissato con le donne complicate.»

Tutti risero e, senza preoccuparsi dei due licantropi, tornarono a Walford House così da lasciare loro lo spazio necessario per chiarire i punti di disaccordo che li dividevano.

***

Nonostante la sua goffaggine nel correre – era così strano farlo su quattro zampe, e con quella prospettiva visiva in full HD! – Devereux non impiegò molto a raggiungere Iris, grazie alla sua falcata più lunga e potente.

Scartandole davanti in modo grossolano, si ribaltò per l’inesperienza nell’usare il suo nuovo corpo ma, per lo meno, riuscì a bloccare la lupa che, sbuffando, brontolò: “Che diavolo vuoi, adesso? Non ne hai avuto a sufficienza di ciò che ti ho detto prima?”

“Sei sicuramente Iris, ora. La lupa con cui ho parlato alcune sere fa, non ha quel tono”, chiosò Dev, rimettendosi ritto sulle zampe.

“Siamo la stessa persona… beh, entità. Solo che, in determinate condizioni, possiamo agire distintamente in base a ciò che devo fare. A volte, è meglio ragionare da lupo, quindi la lascio fare, altre volte – la maggioranza – è la donna a parlare, ma siamo sempre noi, Iris.”

“E’ curioso sentirti parlare al plurale.”

“Appena avrai famigliarità col tuo lupo, capirai cosa intendo. Comunque, io sono io, anche se penso sia come lupo che come donna. E poi c’è Gunnar che complica le cose.”

Grazie, Iris.

“Di nulla, anima mia”, ironizzò lei, sedendosi sul posteriore per poi guardare torva Devereux e domandare: “Cos’altro vuoi farmi ammettere? Sentiamo!”

Dev, però, non le rispose subito e, avvicinatosi a lei, le leccò il muso un paio di volte prima di mormorare: “Posso ammettere qualcosa io, se vuoi.”

Ancora stordita dal gesto improvviso di Dev, Iris impiegò qualche istante per assimilare le sue parole e, scuotendo il muso per il nervosismo, replicò: “Prima di dire qualsiasi cosa, vorrei che…”

Lui non ascoltò minimamente le sue parole e, così come era divenuto un lupo, tornò uomo, splendido e fiero nella sua nudità e del tutto tranquillo nonostante l’assurdità della situazione.

La lupa distolse lo sguardo ma Dev afferrò il suo muso perché tornasse ad affrontarlo e disse: «Voglio parlarti faccia a faccia, Iris, e non nell’altro modo. Faccio ancora una fatica tremenda a seguire i tuoi pensieri, perciò accontentami. Dopotutto, non vedrei nulla di nuovo, lo sai.»

Le ultime parole le disse con un sorriso affettuoso quanto beffardo stampato sul viso, ma Iris scosse il muso, ribattendo: “Sai benissimo che non sono più come mi ricordi... cosa per cui la pagherai, prima o poi, tra le altre cose.”

Devereux fece un passo indietro, a quelle parole, sinceramente sgomento e, nel carezzare il muso della lupa, mormorò affranto: «Pensi davvero che io… che io potrei trovarti meno bella, o non più la solita Iris, per via di quella cicatrice? Non me ne frega niente, e te lo dissi già un’altra volta.»

La lupa, allora, lasciò il posto alla donna nel breve decorrere di qualche istante e, irritata quanto spaventata, Iris si avventò contro Devereux, esclamando: «Perché dovresti accontentarti di una donna menomata come me, quando potresti averne a decine, e tutte perfette?!»

Dev la guardò nei suoi occhi pieni di lacrime non versate e, gelido, replicò: «Sei una stupida, se lo pensi, e dai dello stupido a me, pensandolo, cosa che mi fa imbestialire di brutto.»

Iris si morse il labbro inferiore, di fronte a quelle parole piene di fiele ma Devereux, non contento, proseguì dicendo: «Sei davvero così poco sicura di te da badare soltanto al tuo aspetto fisico, senza contare neanche un po’ ciò che sei come persona? La donna che mi ha fatto tremare le ginocchia non mi è parsa così sciocca da badare a simili baggianate, ma forse sbagliavo.»

La giovane sgranò gli occhi, a quelle parole e Dev, avvolgendole la vita con un braccio, la avvicinò a sé e si chinò per baciarle la spessa cicatrice che le solcava lo sterno.

Iris rabbrividì a quel tocco così delicato e, al tempo stesso, così deciso e si mise a piangere silenziosamente, sorprendendo non poco Devereux, che domandò: «Perché devi piangere, ora?»

«Perché non voglio la tua pietà. Ciò che ho fatto non l’ho fatto per attirare la tua attenzione, ma perché non volevo che tu soffrissi in silenzio per proteggere me, perciò non mi devi nulla. Non voglio la tua compassione, perché pensi di essere in qualche modo in debito verso di me» riuscì a dire Iris, pur morendo dentro.

Desiderava quel calore, quel tocco, era inutile negarlo. Si era gettata tra le braccia del pericolo, rischiando la vita pur di liberare Dev dai suoi inutili blocchi mentali, perché lo amava.

Ma non desiderava che lui fosse accondiscendente con lei solo perché l’aveva salvato da una potenziale morte per squartamento.

Dev, però, la sorprese come sempre e, sospingendola a forza fino a raggiungere il tronco di una quercia, le disse con un ghigno: «Vediamo se questa è riconoscenza, Iris.»

Ciò detto, le schiacciò le labbra nel bacio più dominante che lei avesse mai ricevuto in vita sua e, complice l’aura rovente di Devereux premuta contro il suo corpo nudo, si sciolse come neve al sole.

Divenne cedevole tra le sue braccia e rispose al bacio con la frenesia di una donna che non atteneva altro, aggrappandosi a lui come se ne andasse della vita.

Dev, allora, la schiacciò tra sé e la pianta, facendole comprendere senza ombra di dubbio quanto, quel bacio, lo stesse completamente coinvolgendo.

Scostandosi unicamente lo spazio di un’ala di farfalla, le sussurrò roco: «Se ti sento dire altre stronzate come prima, ti rivolto sulle ginocchia e ti sculaccio. Non sono condiscendente! Ti amo, razza di scema!»

Iris non poté che ridere, di fronte a quell’accozzaglia di parole, dolci e crude al tempo stesso. Ma d’altronde, di che si stupiva? Quello era Devereux, la palla da demolizione di cui, a sorpresa, si era innamorata.

Lei, da sempre abituata a giovani della società bene di Hollywood, a figli di imprenditori rampanti, si era innamorata di un uomo che, dell’affettazione e delle vacue parole, non voleva neppur sentire l’odore.

Dev era un uomo di azioni, più che di parole e con quelle, di solito, scartavetrava le persone, ma aveva un cuore solido, piagato dal dolore dell’abbandono ma sanato dall’amore per la figlia.

Era un uomo che, quando si concedeva, lo faceva pienamente, senza false ipocrisie o parole gettate al vento.

Era l’uomo che aveva fatto tremare tutto il suo mondo, facendole finalmente comprendere cosa voleva per se stessa.

«L’eloquio non è mai stato il tuo forte» mormorò Iris, sorridendo contro le sue labbra.

«Arrangiati. Ti devi accontentare di questo» scrollò le spalle Dev, accennando un sorriso. «E non venirmi più a dire che non sei bella, o che quella cicatrice conta qualcosa. Ti rende splendida, altro che storie!»

Iris, a quel punto, lo scostò un po’ da sé e replicò: «Ora non esagerare. Gli occhi ce li ho anch’io, e uno squarcio lungo più di venti centimetri e largo tre, non può essere bello

«Ti sbagli» replicò roco Devereux, carezzando quella stessa cicatrice con un dito. «E’ splendido perché mi ricorda in ogni momento che ti sei lanciata su di me per proteggermi. E’ splendido perché dice al mondo quanto tu sia coraggiosa. E’ splendido perché fa parte di te. Punto.»

«Dev…» mormorò Iris, puntando le mani sul suo torace.

«Dimmi.»

«Dammi ancora della scema, e ti morderò sul sedere» ironizzò la giovane, facendo scoppiare a ridere Devereux, che la abbracciò con forza, stampandole un bacio sulla spalla.

«Non garantisco niente» mormorò lui, scostandosi per guardarla negli occhi con un dubbio appena accennato. «Ora, però, che farai? Helen mi è parsa davvero una brava persona, e immagino che la sua famiglia sia uguale. Non puoi semplicemente abbandonarli e via.»

«Pensi che lascerei tutto, a L.A., e solo per te?» ironizzò Iris, pur sapendo che il dubbio di Dev era reale.

Lui sollevò un sopracciglio con evidente scetticismo e replicò: «Piccola sfacciata. Non mi sono sperticato in così tante lodi per poi vederti andare via come se nulla fosse.»

«Oh, quindi volevi lisciarmi un po’ il pelo per farmi restare?» domandò la giovane, sempre mantenendo un tono di voce faceto.

Stando al gioco, Devereux ammise con candore: «Con le donne non si può mai sapere. Un po’ di adulazione non fa mai male.»

Iris allora gli sorrise, reclinò il viso e afferrò le sue mani, sollevandole tra loro. Nuovamente seria, infine disse: «Non posso davvero abbandonarli e via. Ma so dove voglio stare… e con chi.»

«Pur se non siamo moderni come L.A., nevica anche in primavera e in inverno servono i marines per uscire di casa?» cercò di ironizzare Dev, comprendendo la profondità nelle parole di Iris.

Accennando un sorrisino divertito, Iris assentì e replicò: «Insegnare a suonare la chitarra a Chelsey mi ha ricordato cosa provavo stando coi bambini nei centri diurni, e mi ha fatto capire cosa voglio fare davvero. Mi piace dare ciò che so agli altri. Vorrei diventare un’insegnante. Dopotutto, i miei studi me lo consentirebbero.»

«E ti basterebbe insegnare in una piccola scuola della Columbia Britannica?»

«Potrei anche insegnare in Alaska, o a Yellow Knife, se servisse. Ma sarà sempre dove sarete tu e Chelsey. E’ questo, l’importante» dichiarò Iris, intrecciando le sue mani a quelle di Dev per poi alzarsi in punta di piedi e baciarlo, come a voler suggellare quel giuramento.

«Pensi si offenderebbero, se arrivassimo in ritardo allo spuntino che hanno preparato per me?» mormorò un po’ di tempo dopo Dev, scostandosi dalle labbra di Iris.

Lei rise, scrollò le spalle e replicò: «Sono lupi. Da quel che ho capito, sono cose che non li sconvolgono affatto.»

«Buono a sapersi…» sorrise lui, con un luccichio negli occhi. «…ma solo se ti va.»

Iris, allora, lo sospinse contro la pianta che Devereux stesso aveva usato per intrappolarla e, ammiccando maliziosa, gli passò le mani sul corpo statuario, mormorando: «Io e la mia lupa abbiamo fame

«Bene» sussurrò soltanto Devereux, schiacciandole le labbra in un bacio divorante.

Il primo di molti, tra l’altro.

***

Arrotolandosi le maniche della camicia, Iris sorrise divertita quando Devereux si volse a mezzo, la fissò sorridente e chiosò: «Ormai è diventata un’abitudine, quella di indossare le mie camice.»

Rammentando la notte disastrosa in cui Chelsey era mutata, a cui era seguita una mattinata tra le più strane della sua vita, Iris assentì e, portandosi il tessuto al naso per inspirarne il profumo, mormorò: «Hai un buon odore.»

«Anche tu» replicò lui, avvolgendole le spalle con un braccio per poi incamminarsi lentamente verso Walford House. «Tutto bene? Pentita?»

«Di aver fatto sesso strepitoso su un prato, nel bel mezzo di un bosco inglese, durante il Solstizio d’Estate? Per niente» ironizzò lei, scuotendo il capo e solo per ricevere un pizzicotto in risposta.

«Non fare la spiritosa. Dico sul serio. Sai che questo complica, e di molto, le cose» replicò lui, accigliandosi.

Iris, però, scosse il capo e asserì: «Non le complica affatto, Dev. Ho davvero scelto te. Non era solo la passione del momento, o la paura di averti quasi perso. Naturalmente, dovrò rientrare a L.A. per sistemare i miei affari e per parlare con la mia famiglia, ma poi tornerò a Clearwater. Il mio branco è lì. Tu sei lì.»

«I tuoi zii che diranno? Dopotutto, non sono figlio di un Rockfeller, o altro» sottolineò lui, dubbioso.

«Ora non farti venire delle paranoie inutili. Ti sembra che Helen sia una donna snob?»

«Per niente. E’ una tipa forte» scosse il capo Dev.

«Ecco, i miei parenti sono uguali. Capiranno il perché della mia decisione, poiché loro vogliono innanzitutto che io sia felice» gli spiegò Iris. «Naturalmente, zia Rachel piangerà tutte le lacrime del mondo, Liza si lagnerà per il comportamento della madre e lo zio cercherà di stemperare la situazione, ma sarà tutto normale, in casa Wallace.»

Devereux le sorrise divertito, asserendo: «Potremmo invitarli. O noi potremmo andare da loro. Mi piacerebbe conoscerli.»

Iris, allora, lo guardò con evidente divertimento e disse: «Goditi questi momenti di pace e tranquillità perché, nel momento stesso in cui zia Rachel verrà a sapere che mi trasferirò a Clearwater, impazzirà. Si intrometterà in maniera spaventosa, cercherà di essere d’aiuto in modi che neppure immagini e pianificherà il nostro matrimonio fino a scegliere anche il colore dei tappi del vino.»

Dev impallidì leggermente, alla parola ‘matrimonio’ e Iris, scoppiando a ridere, esalò: «Non ho detto che io voglio sposarmi! E’ lei che è fissata, per cui ti ho solo voluto avvisare.»

«Non è di questo che mi stavo preoccupando, quanto piuttosto di mia madre. Io e Julia non ci siamo mai sposati, per cui è sempre rimasta all’asciutto, quanto a grandi eventi. Se parlasse con tua zia…»

A quel punto fu Iris a preoccuparsi e, torva in viso, borbottò: «Forse, dovremmo scappare davvero a Yellow Knife.»

«Non farmici pensare troppo, o potrei trovare allettante l’idea» grugnì Devereux.

Entrambi sospirarono afflitti e ciò li portò, per diretta conseguenza, a sorridere complici.

Fu con quel sorriso che raggiunsero finalmente Walford House e il padrone di casa, fermo sulla soglia con una bracciata di abiti, li salutò con un cenno del braccio e chiosò: «Oh, eccovi! Ormai cominciavamo a pensare di dover mandare una delle sentinelle a cercare i vostri cadaveri.»

«Niente di tutto ciò» scosse il capo Devereux. «Scusa per il ritardo.»

Colton, però, si limitò a sorridere sornione e, consegnando a Iris i vestiti che aveva in mano, replicò: «Oh, nessun problema. Le Mutazioni danno sempre il via a una serie di eventi, ogni volta diversi. Certo, però, non avrei mai immaginato di sentire una tale bordata di energia psichica. Lady Fenrir mi ha detto che sei stata tu.»

Iris assentì nell’infilarsi il paio di jeans che Colton le aveva consegnato. Volgendosi poi di spalle per togliersi la camicia di Dev e indossare la maglietta portatagli dal duca, disse: «A quanto pare, il mio essere un landvættir mi permette di fare cose un po’ particolari, come soprassedere alla Voce del Comando.»

Colton si volse con disinvoltura in direzione di Iris per chiacchierare amabilmente con lei, ma Devereux non gradì per nulla e, mentre la giovane terminava di vestirsi, lui si pose tra i due e ringhiò: «Un po’ meno spregiudicatezza, grazie.»

La sentinella del branco di Londra lo fissò per diversi secondi senza comprendere, chiaramente non aspettandosi una simile marcatura del territorio ma, nel rammentare un particolare, scoppiò a ridere e disse: «Oh, cielo… scusami! Dimenticavo che non sei avvezzo ai nostri usi.»

«Guardate anche le donne impegnate senza farci una piega?!» protestò a quel punto Dev, mentre Iris ridacchiava divertita.

Colton lo fissò con estrema pazienza, mista a un pizzico di sano divertimento, e replicò: «La nudità non è un tabù, per noi, in nessun caso. Solo dei licantropi che hanno dei conti in sospeso a livello emotivo possono, eventualmente, essere in imbarazzo, ma solo perché è più facile essere smascherati, quando c’è di mezzo il cuore. Diversamente, non ci facciamo una piega.»

«Quindi, tu hai… hai visto la moglie del tuo Fenrir senza abiti addosso, e lui non ha aperto bocca?!» gracchiò Devereux, incredulo.

«Come Gretchen ha visto me, del resto. Te lo ripeto, non è un tabù. Nasciamo nudi, no? Per noi, vale sempre e comunque» scrollò le spalle Colton, prima di domandare a Iris. «Ti sembrava che ti stessi guardando concupiscente?»

«Affatto. Ma questa nostra… cosa è piuttosto nuova e, se la sommi al fatto che lui è un lupo solo da qualche ora…» ammiccò Iris, prendendo sottobraccio Dev per essere sicura che non scattasse all’improvviso per malmenare il duca.

«… giusto, succede il finimondo. Comunque, non volevo mancare di rispetto. Solo, mi piace guardare in faccia la persona con cui sto parlando. Tutto qui» scrollò le spalle Colton, invitandoli quindi a entrare.

Devereux mugugnò un assenso e infine, al braccio di Iris, entrò nella villa per prendere parte al piccolo banchetto preparato in suo onore.

Non che avesse molta voglia di stare in compagnia, in quel momento – dopo quello che era successo nel bosco, avrebbe preferito parlare con Iris in privato – ma capiva bene di dovere molto a quelle persone.

Li avevano accolti a braccia aperte senza minimamente conoscerli, avevano pazientato e ascoltato tutte le loro domande, i loro dubbi, e avevano cercato di aiutarli per quanto possibile.

Ora toccava a loro ricreare, se lo volevano, una cultura mannara nei territori del nord America.

Il primo passo era stato fatto, e il piccolo branco di Clearwater aveva appena preso vita. Da lì in poi, sarebbe spettato a loro scegliere come comportarsi e capire se e come richiamare a loro altri licantropi.

Non sarebbe stato semplice, ma avevano tutte le carte in regola per riuscire.

***

Era stata sciocca a scappare, sciocca a lasciar cadere quello stupido fucile.

Avrebbe dovuto mostrare maggior coraggio e terminare ciò che aveva cominciato. Approfittare del colpo di testa di Iris e finire sia lei che lui.

Passandosi le mani sul viso stanco, introrbidito dai farmaci che le davano per tenerla tranquilla, Alyssia fissò annebbiata il parco in cui si trovava.

La clinica appariva rilassante e tranquilla, per gli occhi ingenui di coloro che venivano in visita ma, per chi vi si trovava come paziente, era in tutto simile a una prigione.

Non poteva fare ciò che voleva, né uscire se ne avesse sentito l’esigenza. Il suo unico conforto le veniva soltanto dall’immenso parco che circondava la struttura ma che, di fatto, li teneva anche a distanza dal mondo reale. Quella natura all’apparenza incontaminata era infatti circondata da un alto muro di cinta, impossibile da valicare e controllato a vista da telecamere a circuito chiuso.

Suo padre l’aveva pregata di mettercela tutta, di impegnarsi realmente per guarire… peccato che lei non fosse affatto malata e non meritasse di trovarsi in quella sorta di lager a quattro stelle.

Quando mai avrebbero capito, lui e sua madre, che lei desiderava soltanto amore e libertà? Quando mai glieli avrebbero concessi?

«Sapevo che ti avrebbero rispedito qui al primo problema» esordì una voce alle sue spalle.

Quel tono vagamente irridente, quella voce morbida e profonda fecero scattare qualcosa, nella mente ottenebrata di Alyssia, qualcosa che apparteneva al passato e all’unico amore che avesse mai ricevuto in vita sua.

Volgendosi a mezzo con un sorriso speranzoso dipinto sul volto, la giovane si ritrovò a piangere piena di speranza quando i suoi occhi inquadrarono il viso a lei caro di Julia.

Erano otto anni che non la vedeva, non la sentiva, eppure sapeva che, dietro alla donna dai capelli cortissimi che la stava guardando, si nascondeva la sua Julia.

«Sei veramente tu? Non sono i farmaci, vero?» mormorò sconvolta Alyssia.

Julia, per tutta risposta, si sedette al suo fianco sulla panchina, le strinse una mano e disse: «Se hai le visioni, mia cara, è tempo che io intervenga. Questo posto ti sta divorando, e io non lo permetterò più. E’ tempo che le cose vadano a posto una volta per tutte, e ora so come fare.»

«Come… come fai a essere qui? Chi ti ha detto che…» tentennò Alyssia, scrutando incredula le loro mani giunte.

Era così calda, mentre lei era fredda come il ghiaccio! Sarebbe stato così bello essere avvolte per sempre da quel calore!

Un attimo dopo, Julia la strinse in un abbraccio e mormorò: «Mi sono arrischiata ad avvicinarmi a Clearwater per parlarti, per scusarmi con te per la mia partenza frettolosa e per i miei silenzi, ma ho visto tua madre che parlava con Bethany Saint Clair, così mi sono avvicinata per ascoltare e ho saputo.»

Accigliandosi, Alyssia borbottò: «Oh, Bethany è così contenta, adesso, visto che il suo caro Dev si vede con una donna!»

Curiosa, Julia le domandò: «E con chi si vedrebbe, Dev? Ho cercato anche a casa, ma non ho trovato nessuno.»

«Si tratta di una turista. Una bionda californiana che è arrivata a Clearwater agli inizi di aprile, e non se n’è più andata. Ha persino fatto amicizia con Chelsey, pur di irretire Dev!» sbottò Alyssia, prima di arrossire e fissare contrita Julia.

Intuendo vi fosse altro, in quelle parole livide, Julia chiosò: «Hai provato ad abbordarlo tu, ma non ha accettato. Sbaglio?»

«Scusami. Pensavo che, se avessi condiviso la sua vita, sarebbe stato come quando eravamo insieme noi tre, tanti anni fa. E’ stato il periodo più bello della mia vita, e così…»

«… e così hai pensato che, stando con Dev e Chelsey, avresti potuto riviverlo, ma lui non te l’ha permesso» terminò di dire Julia, annuendo comprensiva. «Dev è sempre stato un egoista, e non mi stupisce che gli anni non lo abbiano cambiato.»

«Avresti dovuto rimanere. Non per lui, ma per me» sottolineò Alyssia, addolorata.

«Lo so, Aly, ma dovevo fare chiarezza in me stessa, capire chi ero, e ciò ha richiesto anni di ricerche e tanti sacrifici, primo tra tutti allontanarmi da te. Ma ho sempre avuto intenzione di tornare. Per te, e per Chelsey. Lei come sta, ora?» le spiegò Julia, carezzandole il viso con gentilezza.

«Oh, è diventata grande. Una piccola donnina dal carattere allegro. Chiacchiera molto» le spiegò Alyssia, scrollando le spalle.

«Donnina? E’ già…» si interessò subito Julia, sollevando le sopracciglia con curiosità.

«Sì, ha già avuto il mestruo. Ricordo che è venuta da me, una volta che erano al ristorante, per chiedermi aiuto. Era un po’ in ansia perché si sentiva strana e, quando è andata in bagno, ha scoperto di aver avuto delle perdite, così l’ho aiutata e poi ho spiegato tutto a Dev.»

«Bene. Così è donna, ora» assentì soddisfatta Julia, un ghigno vittorioso dipinto sul viso. «E’ tempo che io mi prenda cura di lei come devo. Adesso sono pronta, così come lo è Chelsey e, naturalmente, tu verrai con me. Non ti abbandonerò qui perché questi uomini tarpino le tue ali. Tu devi volare, e io ti aiuterò a farlo.»

Pur se lieta della notizia, Alyssia asserì spiacente: «Non posso uscire, Julia. E le recinzioni sono troppo alte, perché io possa scavalcarle.»

Julia, allora, le sorrise maliziosa, sollevò una mano per mostrargliela e, in un mormorio, disse: «Posso offrirti la forza e l’agilità che ti servono per afferrare la tua vita e stringerla nelle mani. Accetterai di credermi? Accetterai ciò che posso darti?»

«Accetterei tutto, da te. Di te, so che posso fidarmi» assentì con adorazione Alyssia.

Julia, allora, le afferrò il polso e, sotto gli occhi sgomenti ed eccitati dell’amica, allungò i suoi artigli e la ferì al collo.

Il sangue sgorgò scarlatto e, subito, Julia lo lappò con la lingua, assaporandone il sapore ferroso e dolce.

«Alla prossima luna piena, cara, diverrai come me e, insieme, andremo a prendere Chelsey. Vivremo libere, come abbiamo sempre desiderato, e niente e nessuno potrà dirci come gestire la nostra vita» le promise lei, accostando un fazzoletto al collo dell’amica, che annuì partecipe. «Salveremo mia figlia dalla gabbia impostaci dagli uomini, e vivremo un’esistenza appagante, senza più nessuno a darci ordini.»

«Farò tutto quello che mi dirai. L’importante, è stare con te» mormorò Alyssia, la mano poggiata sulle ferite dolenti e gli occhi ricolmi di una fece cieca e incrollabile.

«Sarà così. Non temere» sorrise trionfante Julia.


 

 


 


N.d.A.: finalmente Dev è riuscito a mutare e, sorpresa sorpresa, non è altri che Skoll, il secondo in comando del branco di Lucas. Chi però ha sorpreso tutti è Iris che, non solo è riuscita a svicolare dalla Voce del Comando di ben due Fenrir, ma ha anche dimostrato il suo amore per Dev nel modo più lampante possibile. Cosa che, tra l'altro, ha permesso a Devereux stesso di fare altrettanto.
Ovviamente, essendo io la tessitrice di storie, potevo far mancare un villain? Julia è tornata e sta tentando di prendere con sè Chelsey, sfruttando l'affetto di Alyssia per avere appoggio durante il suo assalto a Clearwater. Ma riusciranno nell'intento? Lucas e gli altri riusciranno a fermarle prima che possano danneggiare il loro segreto? Di certo, l'avventura è ben lontana dall'essere terminata, così come i guai.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


18.

 

 

 

 

 

Rientrare a Londra avrebbe dovuto essere un viaggio semplice da compiere. Iris, però, non si sentiva tranquilla all’idea di rimettere piede nel loro appartamento. Dubitava fortemente che sarebbe stato così facile o indolore, o che Chelsey avrebbe preso per buono ciò che era successo, senza inalberarsi per essere stata tagliata fuori.

Inoltre, molte altre cose erano cambiate, e forse Chelsey non avrebbe accettato – né approvato – quel riassetto familiare imprevisto.

Un conto era essere amiche. Un altro, era diventare una potenziale madre per la ragazzina.

Se la scelta di rimanere con Dev e il branco era sorta quasi spontanea, non appena Iris si era vista sbattere in faccia la possibilità di perdere l’uomo che aveva imparato ad amare, non era detto che lo stesso avvenisse per Chelsey.

Dopotutto, lei era abituata da più della metà della sua vita ad avere solo un padre e, per quanto Chelsey apprezzasse la sua compagnia, Iris non era del tutto sicura che, nel ruolo di compagna di papà, quella simpatia sarebbe rimasta tale.

Quando, infine, l’auto in cui erano accomodati si fermò di fronte all’appartamento in Camden Road, Iris sospirò e, nello scendere, disse a Brianna: «Per il momento, grazie di tutto. Prima di partire, vorremmo comunque rivedervi tutti, se fosse possibile.»

«Non mancheremo, non temere» le promise Brianna, sorridendole incoraggiante.

Devereux la seguì fuori dall’auto, ringraziò a sua volta i loro accompagnatori e, silenzioso, osservò i due veicoli andarsene nella tranquillità della notte.

Lucas, salito a bordo con Colton e Lance, si avvicinò a quel punto alla coppia, infilò le mani in tasca con fare pensieroso e mormorò: «Come pensate di fare, adesso?»

«Chelsey capirà subito che qualcosa è cambiato… il suo odore non è più lo stesso» dichiarò Iris, scrollando le spalle. «Quanto al resto…»

A quell’accenno, Lucas batté una mano sulla spalla dell’amico e celiò: «Certo che tu, le cose facili, mai…»

«Amo le complicazioni, che vuoi…» chiosò Dev, facendo spallucce. «Però, non voglio certo ferire mia figlia, con il mio comportamento.»

«Amico, è un tuo diritto avere una compagna, se la desideri» sottolineò Lucas, tornando serio. «Inoltre, Iris ha dimostrato di tenere molto a entrambi voi, e sono certo che Chelsey lo capirà.»

«Lo spero» mormorò Dev, avviandosi per entrare nel palazzo dove si trovava il loro appartamento.

Iris e Lucas lo seguirono silenziosi e, quando infine raggiunsero la porta dietro cui si trovava il loro personale Giudizio Universale, ai tre venne spontaneo emettere un eguale sospiro di apprensione.

L’attimo seguente, comunque, Dev aprì la porta e, con un mezzo sorriso, trovò Chelsey e Rock impegnati nella visione di un programma di cucina non meglio identificato.

Subito, Chelsey si volse e disse: «Ce ne avete messo, di tempo, per visitare…»

Non terminò mai la frase.

I suoi sensi la misero in allarme dopo pochi secondi e, nel sollevarsi come una molla dal divano, la ragazzina raggiunse rapidamente il padre, gli si aggrappò affranta ed esclamò: «Papà, …ma perché l’hai fatto?!»

Devereux le sorrise pieno d’amore e, carezzandole il viso, asserì: «Era giusto così, tesoro. Inoltre, abbiamo scoperto che sono il secondo in comando del nostro piccolo branco. Ci pensi, a prendere ordini da Lucas?»

L’ironia nella sua voce non bastò però a placare le ansie di Chelsey che, scuotendo il capo, replicò disperata: «Ma così… te ne andrai anche tu, prima o poi!»

«Come?» esalò Dev, sorpreso al pari degli altri da quell’uscita.

Imperterrita, Chelsey proseguì dicendo: «Mamma se n’è andata perché non è nata con questa cosa nel sangue, e così ha fatto anche Iris, che se n’è andata dalla sua famiglia, e ora lascerà noi. Anche tu lo farai, quindi, e io rimarrò sola coi nonni, perché sono diversa da te!»

A quello sfogò seguì il pianto e, in un battito di ciglia, la ragazzina fuggì via per raggiungere la sua stanza e chiudervisi dentro.

Basito e ammutolito da quello sfogo imprevisto, Dev guardò senza parole Iris che, a sua volta, sembrava davvero impreparata a quelle accuse e a quella piega della situazione.

Lucas, dal canto suo, esalò un sospiro e asserì dolente: «Julia, Iris e tu, Dev, siete tutti licantropi non nativi, per questo si è spaventata. Ha visto una connessione tra di voi e si è sentita persa.»

«Julia riesce a causare disastri anche quando non c’è» brontolò Dev, avviandosi a grandi passi verso la stanza della figlia.

Iris lo seguì dappresso, preferendo affrontare la sua personale parte nella storia assieme all’amichetta, così da eliminare alla radice qualsiasi incomprensione.

Non voleva che Chelsey pensasse che, il suo lasciare la casa natia, avesse voluto dire abbandonare per sempre i suoi parenti e, soprattutto, aver smesso di amarli.

Dev entrò per primo e Iris, nel chiudersi la porta alle spalle, mormorò: «Chelsey, lasciaci spiegare.»

«Non voglio essere blandita!» sbottò la ragazzina, tergendosi le gote ricoperte di lacrime.

Devereux levò un sopracciglio con evidente sorpresa e replicò: «Blandita? Questa parola l’hai sentita da Rock. È lui che usa i paroloni.»

«Non cambiare discorso, papà!» borbottò la figlia, cercando suo malgrado di non ridere.

Dev, allora, si sedette sul bordo del letto, ove era assisa in posizione difensiva anche la figlia, e replicò più seriamente: «Ti concedo di essere arrabbiata con me per non averti detto della mia decisione, ma non avercela con Iris per le sue scelte di vita. Non si merita davvero il tuo biasimo.»

Chelsey, però, strinse le braccia al petto e borbottò: «Poteva cercare aiuto dove abitava, invece di lasciare la sua famiglia. Ha fatto come la mamma. Se n’è andata e, ora che ha trovato ciò che voleva, lo farà di nuovo. Se ne andrà e lascerà noi.»

Iris rimase in silenzio, preferendo che fosse Devereux a gestire quella discussione e l’uomo, scuotendo il capo, ribatté: «Mamma ti ha abbandonata senza dire nulla, senza lasciare tracce di sé o altro, guardandosi bene dal dirmi che avrebbe potuto succederti qualcosa di così destabilizzante

La ragazzina strinse le labbra, quasi sigillandole per non dare al padre la soddisfazione di dargli ragione, così Dev proseguì nel suo dire, ben deciso a farle cambiare idea.

«Iris era d’accordo con suo zio, al contrario, e ha sempre mantenuto i contatti con la sua famiglia, proprio perché non desiderava abbandonarli. Si è spinta lontanissimo per capire chi era e, nel frattempo, ha aiutato te a non morire, infischiandosene di mettere a repentaglio il suo segreto con me, un perfetto estraneo, pur di non abbandonare una bambina in pericolo. Si è presa una pallottola al posto mio ed è quasi morta, per salvare me. Ti sembra che si sia comportata come mamma? Che sia stata egoista?»

Chelsey scosse il capo con un certo fastidio, ma borbottò: «Ora che non deve più farmi da balia, perché ci sei tu a farlo al posto suo, ci abbandonerà in ogni caso. Anche se non si è comportata come la mamma.»

«Quando partì da casa, più di due anni fa, non immaginava di certo che noi saremmo entrati a far parte della sua vita. Fu normale, da parte sua, promettere allo zio un pronto ritorno, non ti pare? Inoltre, non pensi che possa essersi affezionata a noi a sufficienza per aver cambiato idea e rimanere con il nostro piccolo branco?» le ritorse allora contro il padre, dandole un buffetto sul naso.

«No, perché tu le urli addosso e la chiami sottiletta.» Alle parole seguì un grugnito e Iris, a quel punto, rise.

Devereux, da parte sua, scosse il capo con espressione esasperata e replicò: «Sei ancora troppo piccola per capire le dinamiche degli adulti, Chelsey ma, se ti dicessi che Iris non solo rimarrà con noi, ma che io e lei ci frequenteremo, cosa diresti?»

«Che mi stai prendendo in giro per blandirmi» sbuffò la figlia, ben decisa a non farsi convincere. «E la parola non l’ho imparata da Rock, ma da Disney Channel.»

«Devo proprio esserle parso un mostro, nei tuoi confronti» celiò Dev, sorridendo complice a Iris.

«Non hai un tocco molto delicato, ammettiamolo» asserì la giovane, accostandosi poi alla figlia di Dev. «Hai ragione, Chelsey. Sono scappata da casa mia, ma non per i motivi che temi tu. Avevo paura che, rimanendo accanto ai miei zii, avrei potuto ferire accidentalmente qualcuno, perché non ero in grado di controllarmi come avrei dovuto, quindi mi sono allontanata per saperne di più su di me, ma anche per tenere al sicuro i miei cari e perché, al tempo, avevo paura  di me stessa

«Oh… come me la prima volta?» mugugnò la ragazzina, ripensando alla sua stanza completamente distrutta. Non era davvero riuscita a controllarsi, in quell’occasione, e molti dei suoi poster erano finiti nella carta straccia, così come un sacco di altre cose.

Le era spiaciuto rovinare con le sue unghie le pareti in legno, ma suo padre non aveva fatto una piega e, poco per volta, le aveva completamente risistemato la camera da letto.

Capiva, quindi, cosa avesse inteso fare Iris, allontanandosi da casa.

«Esatto. Non sapevo cos’ero diventata e ne avevo paura così, parlandone con mio zio, abbiamo pensato che allontanarmi per un po’ e ritrovare un equilibrio avrebbe potuto servire. Di pari passo, ho cominciato a cercare qualcosa che mi riguardasse, o qualcuno che capisse cosa fossi diventata ma, come ora sappiamo, era una cosa quasi impossibile da attuare… finché non ho trovato Lucas.»

«Scusa se ti ho paragonato alla mamma» mugugnò Chelsey, reclinando abbattuta il capo.

«Non scusarti. Ho capito perché l’hai pensato, e perché hai temuto che anche il papà potesse scappare. Ma non succederà. Io rimarrò con voi perché amo il tuo papà, e voglio molto bene anche a te. Se non mi credi, fatti spiegare da Lucas cos’ho combinato quando il papà stava mutando, e capirai che non mento.»

Nel dirlo, le sorrise e Chelsey, guardando dubbiosa il padre, mormorò: «Quindi… lei sarà la mia mamma?»

«Non subito, anche perché credo che, prima di tutto, Iris voglia un po’ della normale vita tra due persone che si frequentano. O almeno credo» sottolineò Dev, guardandola dubbioso. «E’ una cosa talmente nuova che non ne abbiamo ancora parlato. Inoltre, prima di qualsiasi altra cosa, Iris dovrà tornare a casa per un po’ e sistemare ciò che è rimasto in sospeso, oltre ad avvisare la famiglia della sua decisione.»

«Sì… è giusto. Non sarebbe corretto non dire nulla» annuì meditabonda Chelsey.

«Cercherò di fare il prima possibile, ma ti prometto che tornerò, Chelsey. Non è una bugia detta per rabbonirti. Io voglio entrambi voi, e credo sarà divertente uscire insieme come una coppia normale, ti pare?» le sorrise Iris, stringendola in un abbraccio.

«Potrò venire con voi?» esalò Chelsey, eccitata alla sola idea.

«Ogni tanto» precisò Dev, ammiccando alla figlia. «Ci sono cose che vorrei fare da solo con sottiletta.»

«Papà… non puoi più chiamarla sottiletta, se sarà la tua ragazza» ironizzò a quel punto la figlia.

Dev, allora, si mise alle spalle di Iris e, a sorpresa, poggiò le mani a coppa sui seni di lei, facendo storcere il naso alla proprietaria e ridere la figlia.

«Uhm, sì, in effetti non posso più chiamarla sottiletta. Adesso non è più piatta come una tavola. Come la posso chiamare, allora, Chelsey?» ammise Dev, sorridendo complice alla figlia.

«Mentre ci pensi, rimetti le mani a posto» sottolineò Iris, scostandogliele.

“Come se non lo avessi già fatto, nel bosco”, ironizzò l’uomo, parlandole mentalmente.

“Lo so benissimo, ma stiamo cercando di fare un discorso serio a tua figlia, perciò contieni la brama, Dev!”, replicò Iris, stentando a non ridere per l’assurdità della situazione.

Ancora ridente, la ragazzina disse: «Iris va bene sia come nome che come nomignolo, visto che è il nome di un fiore, e lei è bella come un fiore.»

«E Iris sia, allora» dichiarò Dev, tornando serio. «Scherzi a parte… ti sta bene che il papà frequenti una donna?»

Chelsey, a quel punto, lo fissò esasperata e borbottò: «Credimi, avrei cominciato a preoccuparmi se, diventando grande, non ti avessi visto cercare compagnia femminile. Ho visto fin troppi papà single, alla TV, per volere che anche il mio diventi così. Brrr!»

«Ah» gracchiò Devereux, facendo tanto d’occhi e rendendo praticamente impossibile a Iris non scoppiare a ridere.

«Ovviamente, preferisco che sia Iris, perché Alyssia non mi è mai piaciuta, anche se mi regalava le caramelle e mi dava sempre un anello di cipolla fritto in più» sottolineò la figlia con fare saputo. «Poi, dopo quello che ha fatto a Iris, non la vorrei neanche per tutta la pizza gratis del mondo.»

«Oh, bene… sono lieto che la mia scelta non ti dispiaccia» borbottò l’uomo, non sapendo esattamente come prendere i commenti della figlia.

Chelsey, a quel punto, lo abbracciò con forza e, contro di lui, mormorò: «Ora sarai felice anche tu. Sono contenta.»

«Anch’io, piccolina. Anch’io.»

***

Seduta a uno dei tavoli prenotati per quella sera al Prix Fixe del quartiere di Soho, a Londra, Helen stava sorseggiando uno degli ottimi drink preparati dal barman – mannaro – e, attenta, ascoltava la descrizione di Walford House fatta dal suo proprietario.

Colton sembrava affascinato da Helen e, da quando Iris gliel’aveva presentata, i due erano rimasti quasi sempre incollati a parlare di economia e, cosa più inquietante, di serre.

Quando Iris li aveva sentiti accennare alla possibilità di poter coltivare in idroponica un certo tipo di zucca, era rabbrividita ed era scappata a gambe levate.

«Devi considerare che parlare così apertamente con un essere umano che sa di noi, è cosa rara, anche se nei nostri branchi vi è una discreta componente umana» sottolineò Brianna, offrendo a Iris una delle birre recuperate dal piano bar. «Ammetto che, all’inizio, ricordarmi sempre cosa dire, o non dire, era difficile.»

Annuendo, Iris ammise: «Sì, in effetti non è stato affatto facile mentire alle mie cugine e a mia zia, e avere almeno l’appoggio di mio zio è stato vitale per darmi la forza di proseguire nella mia ricerca.»

«Sei stata coraggiosa a voler affrontare così di petto il problema. Molti altri si sarebbero semplicemente persi o, peggio, si sarebbero fatti ammazzare dai Cacciatori.»

«Pensi che il tizio che mi ha aggredito possa aver fatto quella fine?» le domandò Iris, sorseggiando pensierosa la sua birra. Non era certa, a quel punto, di volere una simile fine per il suo aggressore. Forse, avrebbe preferito un incontro diretto con lei, ma non una fine ignobile e per mano di cacciatori dediti solo alla loro decimazione.

«Di una cosa sono sicura. Se non ci sono mai state fughe di notizie nel mondo umano, non è solo per merito nostro ma, ahimè, anche dei Cacciatori, che si sono arrogati il dovere di tenere al sicuro dalla realtà dei fatti l’intera popolazione umana»  mormorò contrariata Brianna, gesticolando con una mano come se fosse assai infastidita.

Iris annuì torva, e la wicca proseguì dicendo: «Faranno il tutto e per tutto per non smascherarci, ma unicamente per evitare le stragi indiscriminate che avvennero agli inizi della faida, quando tutti sapevano della nascita dei figli di Fenrir, ma nessuno era certo quale fosse il loro aspetto. Furono massacrati interi villaggi, nella convinzione che appartenessero alla genia di Fenrir.»

Sorseggiando la sua birra mentre Nathan, completamente addormentato, dormiva contro la spalla del padre, Brianna sorrise speranzosa al figlio. Era chiaro, per Iris, quanto la wicca si sentisse vicina alle paure che, sicuramente, Avya aveva dovuto provare nel sapere i figli perseguitati dalla sua stessa famiglia umana.

Incuriosita da come il bambino, nonostante la confusione che li circondava, dormisse saporitamente, Iris domandò: «Ma come fa a dormire con tutto questo caos?»

Sorridendo alla giovane, la wicca ammise: «Puoi star certa che, se è tra le braccia del padre, dormirà anche a un concerto dei Metallica

«Credo siano le nenie che gli canta ogni volta Avya» asserì Duncan, carezzando debolmente la schiena ricurva del figlio. «Per la verità, dopo un po’ rischio anch’io di addormentarmi, ma sembra che Nat ami particolarmente la voce di Avya, e questo lo tranquillizza. Oppure, gli fa un sortilegio ogni volta.»

Le due donne sorrisero divertite a quel commento e Iris, nell’osservare la moltitudine di invitati presenti nel locale – quasi tutti appartenenti al clan di Joshua – mormorò: «Neppure nei miei sogni più rosei avrei immaginato di poter trovare ad accogliermi una comunità così grande e solidale.»

«Il viaggio di un lupo solitario è spesso costellato di difficoltà ma, se esso trova infine un branco che lo accoglie, la sua gioia non può che essere immensa» chiosò Brianna, prima di aggiungere: «E prima che mi sgridiate, lo ha detto Fenrir. Io ho solo riportato.»

«Mi sembrava una frase troppo poetica per i tuoi standard, infatti» celiò Duncan, guadagnandosi un’occhiataccia.

Iris sorrise, divertita dai loro battibecchi e stimolata dai loro sguardi carichi di complicità.

Sarebbe stato spiacevole abbandonare una simile e così brillante compagnia, ma era davvero il tempo di concludere quel viaggio, così da poterne finalmente cominciare un altro, senza scheletri nell’armadio a infastidirla.

L’arrivo di Chelsey, che le strinse le braccia alla vita con calore, la strappò a quei pensieri dolce-amari e, con voce trillante, esclamò: «Tua cugina Helen mi ha detto di farle visita, quando andrai a L.A., perché vuole mostrarmi la sua serra!»

«Benissimo» assentì Iris, ripensando alla chiacchierata telefonica che aveva avuto con la cugina, in occasione del suo invito per quella serata così speciale.

Iris aveva ammesso con Helen della sua decisione di volersi trasferire a Clearwater per seguire Devereux e Chelsey, oltre che il suo novello, piccolo branco.

Le aveva spiegato le sue reticenze nello scegliere tra la sua famiglia e Devereux e a come, nel vederlo in pericolo, il suo cuore avesse scelto per lei.

Helen aveva ascoltato assorta per tutto il tempo, prima di mormorare un assenso e delle sentite congratulazioni, cui non erano mancate delle dubbie battute circa la bellezza di Dev.

Naturalmente, Iris l’aveva pregata di non dire nulla alla famiglia, più che desiderosa di farlo personalmente, e Helen aveva accettato di buon grado. Era giusto che, di una cosa del genere, parlassero a quattr’occhi.

Solo molto più tardi, nell’oscurità della sua stanza e con il calore del corpo di Dev premuto contro il proprio, Iris si ritrovò a sorridere piena di speranza e sì, di fiducia.

Suo padre e sua madre sarebbero stati orgogliosi di lei perché, finalmente, aveva scelto in piena coscienza chi essere e come essere.

Non avrebbe seguito le orme di famiglia ma avrebbe fatto ciò che davvero le stava a cuore, al fianco di un uomo che la faceva ridere, la esasperava ma che, più di tutto, la amava.

***

«A cosa stai pensando? Sento che stai rimuginando, ma lo fai in modo troppo erratico perché io riesca a seguirti» mormorò Dev, carezzandole distrattamente con un dito il contorno dell’ombelico.

«Pensavo a mamma e papà, e a come sarebbero stati orgogliosi di me, sapendo che finalmente ho scelto il mio futuro» gli spiegò, osservando i loro due corpi nudi illuminati solo dalla fioca luce della luna in fase calante.

Erano passate ore, dal loro rientro dalla festa, ma aveva ancora dentro di sé le piacevoli sensazioni provate nello stare assieme a quell’enorme, nuova famiglia che erano riusciti a scoprire dopo mille peripezie.

«Mi spiace non averli potuti conoscere» mormorò Dev, levando una mano a sfiorarle il viso e il contorno della bocca.

«Conoscerai mio zio e la sua famiglia. Pensavo che, dopotutto, potreste fermarvi un paio di giorni a L.A., prima di tornare a Clearwater. Che ne pensi?» gli propose Iris, vedendolo annuire.

«La città mi farà ammattire – ancora non capisco come facciate a regolarvi con l’olfatto, visto che c’è una puzza mefitica, per le strade – ma, per conoscere la famiglia di Helen, farò questo sforzo.»

Ciò detto, salì a cavalcioni su di lei, enorme e bellissimo, e aggiunse roco: «Ora, però, pensa soltanto a noi due. Niente parenti, lupi, o cose simili. Solo io e te.»

«E’ un piano niente male» mormorò lei attirandolo a sé per un bacio.

Devereux la penetrò con una fluida spinta e, mentre approfondiva il bacio quasi divorando le labbra di Iris, si impadronì di lei in tutti i modi in cui un mannaro poteva unirsi alla sua compagna.

Grazie alle auree unite in una sola entità, ogni centimetro della loro pelle divenne incandescente, sensibile alle emozioni provate da entrambi. Quando infine raggiunsero l’acme, non fu una sorpresa, per Iris, sentirsi pienamente appagata, libera da ogni peso. Giusta.

Per più di due anni era stata sola, credendo di non poter più trovare nessuno che la ascoltasse, la apprezzasse, la amasse.

Quello pneumatico forato era stata un’autentica manna dal cielo e, grazie a quel piccolo incidente, era riuscita a trovare ciò che, per tanto tempo, aveva cercato, ma mai osato sperare di trovare.

***

Il viaggio di ritorno risultò tutto sommato tranquillo e, grazie alla Dramamina, Devereux non si sentì male come invece aveva temuto.

Anche la presenza solare di Helen fu di notevole aiuto. Dopo aver saputo del loro prossimo ritono in patria, partì assieme a loro sul Cessna della Walsh Inc., e così le lunghe ore di permanenza in volo passarono senza disagio alcuno.

Atterrati al LAX, Glenn si sistemò in una delle corsie secondarie per permettere a Helen, Iris, Chelsey e Devereux di scendere per il disbrigo doganale. Nel frattempo, fece effettuare un nuovo rifornimento per riprendere il volo e portare Rock e Lucas a Calgary.

Di comune accordo, la coppia aveva deciso di rientrare subito – occupandosi così del camper di Iris. Quel viaggio a L.A., a detta di entrambi, doveva essere un’esclusiva di Devereux e Chelsey.

Grazie a un paio di telefonate di Iris, quindi, a Glenn era stato permesso di ricondurre a Calgary i due compagni, evitando loro di dover cercare un volo per rientrare in Canada.

Salutati gli amici, quindi, il quartetto uscì dall’aeroporto per prendere un taxi e raggiungere finalmente la città di Beverly Hills, ad accompagnarli un sole cociente e una lieve brezza proveniente da est.

Indirizzato il taxi verso Green Acres Drive, Helen si volse poi per sorridere a Iris e gli altri e, divertita, asserì: «Scommetto che la mamma, vedendoti, scoppierà in lacrime e, quando le dirai ciò che vuoi fare, piangerà il doppio. Sarà uno spasso.»

Iris ridacchiò tesa, al solo pensiero di vedere zia Rachel alle prese con una delle sue crisi d’ansia. Le voleva bene ma, quando crollava per l’emozione, non sapeva davvero come comportarsi.

Rivolgendosi poi a Dev e Chelsey, che la stavano guardando dubbiosi, esalò: «Ehm… zia Rachel tende a essere emotiva praticamente di fronte a qualsiasi novità, sia essa bella o brutta. Anzi, credo che più sia bella la notizia, più siano abbondanti le lacrime.»

«Oh, quindi mi dovrò preoccupare, se non userà più di due o tre kleenex?» domandò confuso Dev.

«Più o meno sì» ammise lei, contrita. «Scusa.»

«Per me non è un problema. Mi spiace per tua zia, però, perché rischia di farsi venire delle emicranie terribili, così facendo» replicò Devereux, facendo spallucce.

Helen assentì, dandogli pienamente ragione. «Sono d’accordo con te, Devereux, ma non c’è mai stato verso di farglielo capire.»

«Se parlassi a raffica, riuscirei a distrarla e forse non arriverebbe a piangere» propose Chelsey, già pronta a mettersi all’opera.

Dev, allora, sogghignò al suo indirizzo e dichiarò: «Tu parli sempre a raffica, tesoro. Dove sarebbe la novità?»

Chelsey lo gratificò di una linguaccia, cui seguì un buffetto sulla guancia da parte di Dev e le risate di Iris e Helen.

La ragazzina, allora, si lanciò in una delle sue filippiche chilometriche, spiegando come, il suo modo di parlare così frenetico e veloce, rendesse difficile alle persone perdersi in pensieri tristi.

Fu così che, le miglia che li separavano dalla villa dei Wallace, parvero volare e, quando il minivan su cui erano saliti li lasciò di fronte a un’imponente struttura a due piani in stile europeo, Chelsey chiosò: «Ho ragione o no?»

«Tutto quello che vuoi, tesoro. Ma ora, per almeno un minuto e mezzo, contieniti. Giusto il tempo di presentarci» la ammonì dolcemente il padre, mentre Iris e Helen stentavano a smettere di ridere.

«La adoro già, sappilo» disse Helen, rivolgendo un sorriso alla cugina.

«Posso capirti. Con Chelsey, è stato amore a prima vista» ironizzò Iris, ritrovandosi addosso lo sguardo accigliato di Devereux.

«E con me no?» brontolò lui.

«Tu sei più burbero. Mi ci è voluto qualcosa in più» ammiccò lei, mentre Helen cercava nella sua borsetta le chiavi di casa.

«Ma tu guarda… si vede che il mio fascino comincia a fare cilecca» borbottò Devereux, lanciando diverse occhiate alla villa dei Wallace. «Tu sei cresciuta in una casa simile?»

«No, noi avevamo un appartamento in centro» scosse il capo Iris, mentre Helen ridacchiava divertita.

«Appartamento è riduttivo, visto che era di quasi mille metri quadrati» ironizzò la cugina.

«Beh, d’accordo, ma era pur sempre un appartamento. Non saprei in che altro modo definirlo, visto che era in un palazzo» sottolineò Iris, arrossendo leggermente.

Helen scovò infine le chiavi, aprì il cancelletto pedonale e, invitandoli a seguirli, disse: «Non farti spaventare dalle dimensioni, Devereux. E’ sempre una casa, con quattro mura perimetrali e delle travature di sostegno per il tetto.»

«Non ho problemi con le case. Le costruisco» chiosò lui, ammiccando. «Stavo solo curiosandone la struttura.»

«Oh… e di che tipo di case ti occupi?» si informò Helen mentre raggiungevano la porta d’ingresso.

«Sono come quelle case bellissime coi tronchi di legno che abbiamo visto ad Aspen» si intromise Iris, vedendo Helen illuminarsi come una lampadina.

«Tu fai… quelle case splendide?!» esalò la donna, afferrando d’istinto una mano di Devereux per poi guardarlo con occhi da cerbiatta.

Vagamente confuso, Dev cercò sul viso di una divertita Iris qualche spiegazione in merito e lei, scrollando le spalle, dichiarò: «Se vedessi la baita che hanno ad Aspen, capiresti. E’ il suo personale santuario.»

Helen assentì con vigore e, indicando una vicina villetta, circondata da alte piante e un muro di cinta alto un paio di metri, borbottò: «Lì abito io, quando sono a casa, ma solo perché a Beverly Hills non si possono costruire baite, altrimenti…»

Dal suo tono infervorato, Dev comprese molte cose, tra cui la sua totale e spassionata sincerità e, annuendo, chiosò: «Credo di aver capito.»

Aprendo la porta di casa, Helen si volse a mezzo per puntargli un dito contro e borbottò: «Dopo, dovrai farmi vedere alcune tue opere. Ma adesso dobbiamo buttarci in mezzo alla mischia.»

Ciò detto, lanciò un urlo tale da far sobbalzare sia Devereux che Chelsey, impreparati a un simile comportamento da parte di un avvocato di grido come Helen.

Anche se, nel caso specifico, il ‘grido’ fu, per l’appunto, ciò che lei usò per farsi udire da tutta la famiglia.

Dal piano superiore si percepirono subito dei passi concitati mentre una donna in livrea chiara, sbucando da una porta a scorrimento, sorrise divertita e disse: «Helen, bentornata.»

«Barbara… guarda chi ho riportato a casa?» sorrise tutta contenta Helen, attirando a forza la cugina dentro casa.

Subito, la donna si aprì in un sorriso lietissimo e, accorrendo all’ingresso, strinse entrambe le mani di Iris e disse commossa: «Oh, mio Dio… Iris, è così bello rivederla!»

Iris, allora, abbracciò con calore la cuoca di casa Wallace e replicò: «E’ bello rivedere te, Barbara. Fai sempre quella buonissima torta alle fragole?»

«Gliene preparerò subito una, se ne ha sentito così tanto la mancanza» le promise la donna, dandole delle dolci pacche sulla schiena prima di scostarsi e sorridere ai nuovi venuti.

«Lascia che ti presenti il signor Devereux Saint Clair e sua figlia Chelsey. Per un po’, si sono presi cura di Iris» disse allora Helen, indicando alla coppia di avvicinarsi.

«E’ un vero piacere fare la vostra conoscenza. Io sono Barbara Rambaldi, la cuoca.»

«Il piacere è tutto nostro» disse Devereux, stringendo la sua mano protesa.

In quel mentre, la famiglia Wallace raggiunse il pianoterra e Richard, nel vedere Iris nell’atrio di casa, mormorò: «Bambina… sei tornata…»

Al solo udire quel suono, ogni parola venne meno e, mentre Barbara si scusava con loro per lasciare alla famiglia quel momento, Iris corse verso lo zio per abbracciarlo con foga.

Richard la strinse a sé come se non intendesse più lasciarla andare e la nipote, poggiando il capo contro la sua spalla, mormorò: «Dio, è così bello risentire il tuo profumo!»

Lui rise tremulo e replicò emozionato: «Spero di non aver usato troppa colonia.»

«No, e poi mi piace, sulla tua pelle» asserì Iris, baciandolo poi sulle guance prima di sorridere alla zia e a Liza.

Rachel aveva già i lacrimoni agli occhi e, quando Iris la strinse a sé, questi debordarono come pioggia primaverile, portando Liza a ciarlare scherzosamente di tsunami e distruzioni senza fine.

Di fronte a quello spettacolo strappa lacrime, Helen mormorò a Devereux: «Siamo un po’ appiccicosi, ma poi ci si fa l’abitudine. Considerate che erano più di due anni che non vedevamo Iris di persona, per cui…»

«Ho scoperto che anche i lupi tendono a esserlo e, stranamente, la cosa mi piace molto, adesso» ammiccò lui, sorridendo nel vedere Iris così felice.

Dev aveva temuto quel momento fin da quando aveva scoperto di amarla e, pur avendo apprezzato le parole di Iris circa il suo amore per lui, sapere di quella famiglia così affiatata e unita, non lo aveva tranquillizzato.

Vederli insieme, però, non aveva portato con sé il dolore e la sensazione di perdita che lo avevano reso tanto timoroso ma anzi, quelle emozioni così forti gli stavano regalando una strana, curiosa sensazione nel petto.

Era bello scoprire quanto, la sua Iris, avesse alle spalle una famiglia tanto generosa nell’elargire amore perché, qualunque cosa fosse successa, lei avrebbe avuto almeno loro.

Non prevedeva di dipartire in tempi brevi, ma la sua nuova anima di lupo era propensa a pensare a ogni risvolto della propria vita, anche agli scenari più nefasti.

Vederli perciò tutti insieme lo rincuorò, così come rincuorò Chelsey, che disse: «Sono davvero belli, insieme.»

«Sì, piccola» assentì Devereux, prima di veder giungere a grandi passi il padrone di casa.

Richard li tributò di un caldo sorriso di benvenuto, cui seguì una stretta di mano e l’invito a seguirli nel vicino salotto.

«Iris mi ha detto che si è trovata molto bene, con voi, perciò non posso che essere lieto che lei vi abbia trovati» disse loro Richard, prima di sorridere maggiormente a Chelsey e aggiungere: «Se più tardi vorrai fare un giro in piscina, credo ci sia qualche vecchio costume di Liza che dovrebbe andarti bene.»

«Wow! Grazie, signor Wallace!» esclamò eccitata Chelsey, assentendo con vigore.

«Bene, molto bene… ma ora accomodiamoci qui. Parleremo agevolmente e senza venire disturbati» dichiarò l’uomo, avanzando in una stanza ampia e dai colori tenui, che degradavano dal grigio ghiaccio all’azzurro cielo.

Al suo interno erano presenti diversi divani, un lungo tavolo in acero laccato e un televisore dalle dimensioni importanti, che fece sorridere spontaneamente Devereux.

Evidentemente, qualcuno in casa apprezzava una buona visione su uno schermo gigante.

Uno per uno, i membri della famiglia entrarono nel salone profumato di rose e, quando anche l’ultima persona si fu accomodata, Richard chiuse le porte e domandò: «Allora, com’è andata la missione a Londra?»

Iris, a quel punto, si sperticò nelle spiegazioni, tralasciando però il lato più mistico e sorprendente dell’intera faccenda. Per quello, vi sarebbe stato tempo.

In fin dei conti, importava che non fossero più soli e che conoscessero la verità sulla loro natura. Tutto il resto era secondario e, ai fini di una spiegazione chiara e comprensibile, non era necessario specificarlo.

All’inizio di quell’intricata avventura, Iris aveva quasi dato per scontato di non trovare nessuno come lei, mentre ora poteva dire di aver incontrato un’intera, nuova famiglia a cui voler bene.

Alla fine del racconto, Richard assentì pensieroso e dichiarò: «E’ dunque così. Non pensavo che quella maledetta guerra avesse fatto danni fino a questo punto ma, a quanto pare, mi sbagliavo di grosso.»

«Sono ovviamente delle supposizioni ma spiegherebbero perché, ora come ora, è così difficile trovare un licantropo in giro per gli States mentre, in Gran Bretagna, hanno una radicata – quanto complessa – struttura sociale rodata ormai da secoli» ammise Iris.

«Se non altro, da questa travagliata storia, hai potuto almeno scoprire di non essere sola, cara» dichiarò Rachel, mentre Liza allungava ghignante l’ennesimo kleenex a sua madre.

Iris sorrise divertita – sua zia era già arrivata al sesto fazzolettino – e assentì. «Ho anche scoperto qualcos’altro, zia, in effetti.»

«E cosa?» esalò Rachel, curiosa.

A sorpresa, Devereux arrossì e Iris, accentuando il suo sorriso, aggiunse: «Credo di dovervi dire che, nel prossimo futuro, mi aspetta un trasferimento definitivo in altro loco. Al nord, per l’esattezza.»

Liza, con la sua solita spregiudicatezza, scoppiò a ridere di gusto ed esclamò: «Iris si è trovata il fidanzato lupo! E brava cugina!»

Rachel la fissò stizzita quanto imbarazzata e replicò: «E tu sembri allevata dai lupi, santo cielo! Un po’ di contegno, per carità!»

Richard, allora, guardò incuriosito Devereux e, con un mezzo sorriso, chiese: «Quel che tanto discretamente ha insinuato mia figlia risponde al vero?»

«Iris ama il mio papà, e anche lui ama Iris!» intervenne Chelsey, prima che Dev potesse dire alcunché.

Liza scoppiò in un’allegra risata e, alzandosi dalla poltrona dove si era spaparanzata, andò a battere il cinque con Chelsey, dichiarando: «La adoro! Te la ruberò subito, cugina!»

Devereux allora sospirò di fronte a quella scena, scosse il capo e infine disse al padrone di casa: «Quel che tanto discretamente ha insinuato mia figlia, risponde al vero.»

Richard batté simpaticamente una mano sul braccio dell’uomo al suo fianco, sorrise a una divertita Iris e infine dichiarò: «Ho idea che avremo molto di cui parlare, nelle prossime ore, oltre che di lupi, vero?»

«Credo di sì, signor Wallace» assentì Devereux, non sapendo se sentirsi sollevato, o terrorizzato, all’idea di passare immediatamente un esame da parte del padre putativo della donna che amava.

«Solo Richard, ragazzo. Mi hai riportato Iris tutta intera e, anche se poi la porterai via con te, posso almeno essere certo che sarà con persone che le vogliono bene. Non è poco, posso assicurartelo» dichiarò l’uomo. «Se non altro, so di poter pregare davanti alle tombe di mio cognato e mia sorella sapendo di essermi preso buona cura della loro bambina.»

«Su questo, può star certo» assentì Devereux. «A Iris non mancherà mai l’amore.»

Ciò detto, lanciò uno sguardo alla donna che aveva saputo strapparlo a una vita solitaria e trattenuta da un passato soffocante, trasportandolo in un mondo del tutto nuovo. Del tutto diverso.

E che, da quel momento in poi, avrebbe condiviso con lei.

 

 

 

 

N.d.A.: Chelsey ha avuto un momento di smarrimento, ma le parole di Dev e Iris l’hanno convinta della loro buona volontà, e del loro desiderio di vivere una vita assieme a lei. Il rientro a casa è poi coinciso con una visita a L.A. e la conoscenza con la famiglia Wallace, dando il via alla chiusura di un intero capitolo della vita di Iris.

Cosa succederà, però, al loro rientro a Clearwater? Troveranno Julia ad attenderli?

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


19.

 

 

N.d.A.: tempo di ferie. Vi anticipo due capitoli per due settimane di assenza, perciò gestiteli al meglio per non sentire troppo la mancanza dei nostri amici lupacchiotti. Ci rivediamo a luglio! A presto!

 

 

 

Era piacevole e quasi insperato veder ridere e scherzare Chelsey assieme a Iris, immerse nella piscina della villa dei Wallace assieme alle cugine di quest’ultima.

Devereux non aveva mai realmente sognato di trovare una donna che potesse apprezzare tanto la compagnia di sua figlia, avendo a torto chiuso con il genere femminile, almeno sul piano personale.

Il tentativo grossolano che aveva fatto con Sherry, culminato poi con il colpo di testa di Alyssia, era stato più un riflesso dovuto alla solitudine, non tanto un reale interesse a creare una nuova vita di coppia.

Sherry era una bella donna, e lui era un uomo di sani appetiti e, dopo anni di vita solitaria, gli era parso normale cercarsi una compagna.

La cosa, però, non aveva funzionato e, da quel momento, aveva semplicemente pensato di rimanere solo finché Chelsey non fosse stata adulta. In seguito, forse, avrebbe anche potuto pensare a un impegno di qualche genere.

L’arrivo a sorpresa di Iris, con la sua vita così complicata e i suoi modi così teneri nei confronti di Chelsey, però, lo avevano destabilizzato.

La sua bellezza lo aveva certamente colpito, ma era stato il suo carattere così tenace a fargliela apprezzare.

Era sempre stata schietta, con lui, non aveva mai finto condiscendenza, e Dev aveva potuto essere se stesso, sia nei pregi che nei difetti.

A sua volta, Iris non aveva mai finto di essere migliore di quanto non fosse, e non si era mai nascosta dietro ai propri difetti, non li aveva mai mascherati.

Con Julia non era mai stato così. Fin da quando aveva memoria, lui si era sempre annullato per farla felice, convinto com’era che, a quel modo, lei lo avrebbe amato.

Si era reso conto del suo errore nel modo peggiore, rimanendo solo con una bambina di tre anni, senza alcuna spiegazione a corollario. A quel punto, con quella dura realtà a fare da spartiacque nella sua vita, aveva finalmente capito di non poter concedere più nulla alla madre di sua figlia.

Aveva dato troppo, di sé, a Julia. Anche se l’odio era stato una parte del suo animo, per qualche tempo, anche quello era stato cancellato, sostituito dalla consapevolezza di aver amato la persona sbagliata, e per i motivi sbagliati.

Si era perciò impegnato per crescere al meglio Chelsey, lasciandosi aiutare da coloro che gli erano rimasti vicino … e poi era giunta Iris, con la sua parlantina sciolta e la sua lingua tagliente.

Vederla con Chelsey lo aveva scosso non poco, riscaldandolo dentro dopo anni di ghiaccio silente. Che fosse stato o meno il richiamo tra lupi ad avvicinarle, non poteva saperlo, ma era lieto che quella donna fosse entrata nella sua vita.

In quel momento, vederla mentre giocava con Chelsey, Helen e Liza nella piscina, era gratificante e lo appagava ma, in fondo in fondo, provava anche un po’ di inquietudine.

Poteva realmente credere di aver trovato una persona che sarebbe rimasta con lui per la vita?

«Fa un po’ paura, vero?» chiosò al suo fianco Richard, sorseggiando del succo di mela all’ombra del gazebo sotto cui si trovavano.

Devereux lo guardò a mezzo, la camicia aperta sul torace e i pantaloncini corti per combattere il caldo di quella giornata, e assentì lentamente.

«Ho sempre il terrore di svegliarmi. O che Iris possa pensare che io e Chelsey non siamo abbastanza per lei. Dopotutto, qui ha voi e tutto questo mentre, a Clearwater, non avrebbe nulla di tutto ciò.»

«La vecchia Iris, forse, avrebbe potuto darti qualche pensiero» ammise l’uomo, sorridendogli divertito. «Sono abbastanza onesto per dire che, quando Iris era ancora vent’enne, i suoi capricci mi preoccupavano un po’, così come preoccupavano suo padre Aaron. Ma ora? No. Questa Iris non si permetterebbe mai di ferire te o Chelsey. Ciò che ha scelto è ciò che le dice il cuore. Inoltre, non siamo così distanti da non poterci vedere spesso.»

Dev rise sommessamente, ammettendo: «Sì, mi ha detto di non essere stata molto matura, a suo tempo. Ma chi non è stato un po’ egoista e superficiale, in gioventù? Io fui assai superficiale nel credere di poter cambiare Julia, la madre di Chelsey, ma fallii miseramente e, soprattutto, sbagliai nel pensare di cambiarla perché andasse bene a me. Mi convinsi che il mio amore potesse bastarle, o che lei mi avrebbe amato proprio per il mio modo di comportarmi, ma sbagliai alla grande. Ora so di non sbagliarmi, con Iris, ma il solo pensarlo mi terrorizza non poco, perché richiede anche che io sia all’altezza di un tale sentimento.»

«Non credo che Iris sia meno in pensiero, soprattutto in virtù del fatto che tu hai una figlia, e perciò non avrà a che fare solo con te, ma anche con quella splendida bambina» dichiarò Richard, sorridendo quando Chelsey levò un braccio per salutarli. «Ciò che posso dirvi è; il peggio lo avete passato, no? Ora, la strada è solo in discesa.»

Dev rise, asserendo: «Beh, sì, direi che venire a sapere che tua figlia è un lupo mannaro da una perfetta sconosciuta che, tra l’altro, muta in casa tua in un lupo enorme, sia un battesimo del fuoco assai singolare, ma molto allenante. Peggio di così non sarebbe potuta andare. Ma sono lieto che lei fosse lì, quella notte.»

«Iris mi ha detto che l’hai messa all’ingrasso» ironizzò Richard, guardandolo con curiosità.

«Beh, sulle prime, ho pensato che fosse giusto sdebitarmi in qualche modo, ma poi ho cominciato a preoccuparmi per la sua salute, perché era veramente troppo magra e rischiava di crollare da un momento all’altro. Inoltre, ha questa sua pessima abitudine di sfinirsi per gli altri, perciò…»

«Capisco bene cos’hai provato, perché era ciò che pensavo anch’io nel vederla ogni volta durante le nostre video-chiamate. Essere così distante da lei e non poterle essere d’aiuto, mi metteva a disagio. Sono lieto che abbia trovato qualcuno come te» assentì Richard, servendosi dell’altro succo prima di offrirne anche a Dev, che accettò.

«Mia madre direbbe che Iris è una santa, a volermi sopportare» ironizzò Devereux. «So benissimo di non essere un tipo sdolcinato ma, in tutta onestà, non mi è mai parso che Iris cercasse miele e fiorellini, da me.»

Richard scosse il capo, ridendo di un ricordo che poi condivise con Devereux.

«Rammento bene quando, a un gala, danzò per diverse volte con il figlio di un magnate dell’edilizia. Era uno snob plurilaureato a Harvard che non faceva che vantarsi dei suoi successi, e dispensava perle di saggezza a ogni piè sospinto. Mi chiesi per tutta la sera perché Iris si fosse ostinata con lui, visto che non mi sembravano compatibili ma, quando vidi quel che combinò a fine serata, compresi.»

«Tremo già al pensiero» esalò Dev, sollevando dubbioso un sopracciglio.

«Oh, fai bene a tremare. Iris non solo gli rovesciò addosso una flûte di champagne – lui voleva portarla nel suo appartamento, scoprii in seguito – ma gli disse chiaramente che, se un uomo dava così tanta aria alla sua bocca, non aveva il tempo di pensare ad altro, figurarsi a una donna. Lo aveva preso in giro per tutta la sera, in pratica, illudendolo per poi mollarlo in tronco quando lui pensava di averla avuta vinta su di lei.»

Devereux scoppiò in una grassa risata che incuriosì le donne in piscina e, nel rivolgersi a Richard, esalò: «Ora capisco perché non si è mai lamentata dei miei silenzi. Di certo, non potevano darle fastidio!»

«Iris ha sempre cercato la sostanza, nelle persone, anche se a volte ha peccato di superbia, nel farlo. Ora, credo sia molto più umile di così» disse Richard, prima di ridere nel notare l’occhiata sardonica di Iris rivolta verso di lui. «Ci hai sentiti, tesoro?»

«Vi ho ascoltati per tutto il tempo, se è per questo. Devereux non si è ancora abituato, perciò si dimentica spesso che posso farlo» chiosò Iris, prima di tornare a giocare con Chelsey, che stava sogghignando fin quasi alle lacrime.

Dev, a quel punto, arrossì un poco e borbottò: «Mi ero proprio scordato.»

Richard, allora, gli batté una mano sulla spalla, consolatorio e, mentre Rachel li raggiungeva con degli stuzzichini per la merenda, disse: «Non è un male, se la tua donna sa quanto tieni a lei.»

«Sarà…» brontolò Dev, lanciando un’occhiata da sopra la spalla a Iris.

“Pensi me ne approfitterò?”

“Lo farai?”, replicò cauto Dev.

“Hai ben visto cos’ho combinato al Vigrond, per te. Più esposta di così, non avrei potuto essere, eppure non ho paura di averlo fatto.”

“D’accordo. Non mi preoccuperò, allora.”

Iris rise, balzò fuori dalla piscina senza alcuna difficoltà – causando così i fischi eccitati di Liza – e, raggiunto che ebbe Dev, lo abbracciò con fare possessivo e disse: «Non temere. Mi approfitterò della cosa solo in modo appropriato.»

Rachel ridacchiò a quella battuta e, nel posare il vassoio sul tavolino da giardino, chiosò: «Tesoro… sono cose da dirsi altrove.»

«Oh, fai finta di niente, zia. Tu non mi hai sentito, vero?»

«Io no, cara. Ho una sordità selettiva che è imbattibile» celiò Rachel, allungando uno stuzzichino alle olive a Devereux. «Pensavo piuttosto a una cosa, Devereux. Che tu sappia, ci sono lotti liberi, nei pressi di Clearwater, dove poter costruire una casa?»

Iris e l’uomo sobbalzarono sorpresi e la donna, con nonchalance, si accomodò accanto al marito e proseguì dicendo: «E’ inutile avere una casa ad Aspen, quando mia nipote abiterà a Clearwater. Ho controllato sul sito, e ho scoperto che il parco naturale che avete in zona è molto bello. Essendo un’appassionata di fotografia, potrei divertirmi non poco. Inoltre, se volessimo andare a sciare, Calgary sarebbe molto vicino.»

Devereux fissò dubbioso Iris, ma lei assentì tranquilla. «E’ vero. E’ una paesaggista di rara bravura. Inoltre, le piace anche dipingere. I quadri nel salotto sono tutti opera sua.»

Richard ridacchiò di fronte all’espressione basita quanto ammirata di Dev, e asserì: «Ci piace molto la vita all’aria aperta e, infatti, la casa di Aspen viene usata sia in estate che in inverno. Sapendovi però a Clearwater, pensavamo di poter acquistare qualcosa lì.»

«Ah, beh, non credo ci siano problemi. Mi informerò presso un mio amico impresario, e…»

Rachel lo bloccò subito e, scuotendo il capo, replicò: «No, caro. Penso di essermi spiegata male. Io intendevo dire che la casa dovresti costruirla tu. Liza mi ha mostrato il tuo sito internet e, a questo punto, esigo una di quelle splendide case, o penso che piangerò fino alla fine dei miei giorni, se non ne avrò una.»

Ciò detto, estrasse un kleenex e si pose dinanzi a lui con occhi così supplichevoli da rasentare il pianto. Sconfitto da quello sguardo strappalacrime, Devereux non poté che dire: «Se ci tieni così tanto, Rachel, mi informerò non appena rientrerò a Clearwater. Va bene?»

La donna sorrise immediatamente e, allungandosi per dargli una pacca sul braccio, dichiarò: «Non vi saremo d’intralcio, stai tranquillo. Ma sarei davvero felice di passare le mie vacanze in una casa costruita dal mio futuro genero.»

“Che ti avevo detto?”

“Mi informerò se cercano costruttori a Yellow Knife”, ironizzò l’uomo, facendola ridere.

***

«…quindi, cos’hai intenzione di fare, delle tue quote azionarie?» terminò di dire Richard, chiudendo la carpetta che aveva innanzi per poi osservare attento la nipote.

Non lo aveva stupito vederla comparire dinanzi alla porta del suo studio, subito dopo cena, pensierosa ma con lo sguardo sicuro e pronto a tutto.

Nel momento stesso in cui Richard aveva saputo della decisione di Iris di trasferirsi al nord, aveva anche intuito che, presto o tardi, quella discussione avrebbe avuto luogo.

In fondo, se l’era aspettato fin dall’inizio, a prescindere dall’esito che il viaggio della nipote avesse avuto.

Iris non aveva mai apprezzato quel lato della sua vita. Non era mai stato nelle sue corde e, fino a quel momento, a trattenerla in seno alla ditta era stato il ricordo dei genitori e la sua lealtà verso il loro progetto, non la sua reale volontà.

Iris, però, in parte lo sorprese, asserendo: «Non intendo abbandonare il Consiglio, perché mi sembrerebbe di fare uno sgarbo sia a te che ai miei genitori. Inoltre, sento di poter dire la mia, a questo punto, e di non essere più così terrorizzata dalle prospettive che mi offre il futuro. Però, vorrei vendere parte delle mie quote a Helen e se lo vorrà, quando Liza diventerà maggiorenne, ne venderò una parte anche a lei, così che entrambe facciano parte del consiglio interno.»

«Come mai hai deciso così?»

«Helen è più brava di me, in queste cose, e ha occhio per gli affari. Io rimarrei soltanto come socio minoritario, al pari di molti altri consiglieri del board, e seguirei l’andamento della ditta che papà e mamma fondarono anni addietro, e che tu stai egregiamente guidando, ma non sarei io ad avere in mano le sorti dell’azienda» gli spiegò Iris, convinta del suo dire. «Sei tu la roccia che ha tenuto in piedi tutto, fino a oggi, ed è giusto che sia tu il membro con le quote di maggioranza, ma non per questo voglio abbandonare la ditta, poiché vi è troppo dei miei genitori perché io la tagli fuori dalla mia vita.»

Richard assentì, mormorando: «Mi sembra una decisione sensata. Hai pensato a una vendita, invece di un lascito, per non scontentare i consiglieri, vero?»

«Sì, credo che donare semplicemente parte delle mie quote sia da irresponsabili. Ne ho parlato anche con Helen, e lei è d’accordo. Mi ha già detto di avere i fondi necessari per l’acquisto. A mia volta, devolverò quei soldi per gli studi di Liza, così mi sentirò un po’ meglio a livello morale, e anche in questo Helen è d’accordo.»

Richard rise sommessamente, replicando: «Potresti tenerli per gli studi di Chelsey.»

«Metterò da parte i dividendi che matureranno nel corso degli anni, per lei. Io, invece, farò in modo di diventare un’insegnante di Musica, genere molto più nelle mie corde» asserì Iris, scrollando le spalle.

«Sì, questo è vero. Sei sempre stata brava, in questo. Liza era felicissima, quando tu le davi ripetizioni. Accontentare lei era un dramma, e lo sappiamo entrambi. Non a caso, Nancy era felice che tu avessi condotto degli studi umanistici, e non economici.»

Iris assentì divertita, e ammise: «So che sarà un salto nel buio, ma sento di poterlo fare, che è giusto per me. Spero che durante la riunione di domani tutti siano d’accordo con le mie decisioni. Non voglio fare le cose sottobanco, non mi è mai piaciuto.»

«Si battibecca sempre, quando ci sono dei cambiamenti ma, tra i progetti di modifica che vorresti proporre e la decisione di vendere parte delle tue quote, vedrai che qualcosa di buono ne verrà fuori» dichiarò Richard, annuendo soddisfatto. «Naturalmente, quando sarai a Clearwater, terremo le riunioni in videoconferenza, così che tu possa parteciparvi sempre e, quando potrai, verrai in ditta di persona.»

«Credi che i membri del board saranno ancora disposti ad accettare questa trafila?» domandò allora Iris.

«Oh, qualcuno storcerà il naso, ma sappiamo bene che la maggioranza del Consiglio ha sempre dato man forte a tuo padre… così, sarà anche per te.»

Lei allora assentì, più rilassata e, sprofondando nella poltrona su cui era assisa, mormorò: «Mi piace l’idea di affrontare questa nuova avventura. Non ne sono spaventata. Dici che è un buon segno?»

«Dico che è un ottimo segno. So bene quanto ti stesse stretto il tuo ruolo prioritario in seno al Consiglio, perciò capisco perché tu abbia voluto fare un passo indietro. Avere Devereux al tuo fianco, inoltre, ti aiuterà ad affrontare anche i momenti più difficili che potranno, eventualmente, apparire all’orizzonte. Non è poca cosa avere una spalla così forte a cui aggrapparsi.»

Iris annuì, coprendosi il viso prima di singhiozzare: «Avrei tanto voluto che mamma e papà potessero conoscerlo!»

Richard si levò immediatamente dalla poltrona per raggiungerla, alla sola vista delle sue lacrime e, stringendola a sé, mormorò: «Sono sicuro che loro ti vedono, Iris, e sono felici per te.»

Tuo zio ha ragione. E’ possibile vedere il mondo reale attraverso le Polle della Visione, quando ci si trova su Niflheimr. Se i tuoi genitori avevano anime senzienti, possono sicuramente vederti e, poiché io sono qui, è possibile che anche i tuoi genitori non fossero dissimili da te, dichiarò Gunnar con calore.

“Lo dici solo per consolarmi?”

Sarebbe sbagliato?

“No, affatto. Grazie, Gunnar.”

Scostandosi da suo zio, Iris perciò gli sorrise e disse: «C’è ancora una cosa che non ti ho detto, ma è stato già abbastanza difficile da accettare per noi, e non so se sarebbe facile, per voi, conoscere tutta la verità. A ogni buon conto, non cambia nulla, saperlo o meno ma, quando mi sentirò pronta, te ne parlerò.»

«Mi basta sapere che non sei sola, che hai persone che ti amano e che tu ti senti felice. Il resto può aspettare» dichiarò Richard. «Ora, però, sarà il caso che tu vada a dormire. Domani avremo un sacco di impegni, tra la ditta e il tuo appartamento di Santa Monica.»

«Già. Sarà il caso che vada. Buonanotte, zio» mormorò lei, baciandolo su una guancia per poi uscire.

Rimasto solo, Richard tornò alla sua scrivania, sfiorò il ritratto di sua sorella e disse: «La tua Iris è cresciuta, Nancy, e ne saresti davvero orgogliosa.»

Ciò detto, sospirò e, con calma, raggiunse la sua stanza, dove trovò Rachel impegnata a pettinarsi i lunghi capelli castani.

Nel vederlo, gli sorrise attraverso il riflesso dello specchio e, poggiata la spazzola sulla toeletta, si volse e domandò: «Allora, tu e Iris avete parlato di affari?»

Annuendo, Richard si sedette sul bordo del letto e mormorò: «Vuole inserire Helen nel consiglio direttivo e, se Liza lo vorrà, anche lei ne farà parte, perché Iris vuole vendere a entrambe parte delle sue quote.»

«Oh, cielo! Ma è…»

«… troppo? Secondo me sì, ma capisco anche Iris. Non ha mai amato quel ruolo, non è mai stato nelle sue corde, e anche Aaron lo sapeva bene. Ne parlammo poco prima del suo viaggio, quel maledetto viaggio, e lui era concorde con me. Iris avrebbe dovuto ritirarsi per poter fare ciò che più le piaceva» mormorò Richard, passandosi una mano sul viso per la stanchezza.

Rachel lo raggiunse per carezzargli una spalla, comprensiva, e mormorò: «Iris è felice? Della sua scelta, intendo.»

«Credo di sì. E’ davvero molto maturata, in questi due anni e mezzo, e vederla assieme a Devereux e Chelsey me l’ha confermato. E’ quella, la sua vita.»

«Allora, direi che va bene così. Devereux mi è parso un uomo con le spalle robuste… e non parlo solo del suo fisico» ironizzò Rachel, ritrovandosi addosso lo sguardo divertito del marito. «Sa accenderle lo sguardo, e lui ha gli occhi giusti, quando la guarda. Mi piace.»

«Sì, piace anche a me. Le sa tenere testa, il che va bene, ma sa anche essere affettuoso. Mi spiace soltanto che Nancy e Aaron non lo abbiano incontrato. Sono sicuro che Aaron avrebbe avuto di che parlare, con lui.»

«Cercheremo di essere noi, i loro occhi» sussurrò Rachel, stringendolo in un abbraccio.

Richard assentì, avvolgendo la vita della moglie con un braccio, sentendo attorno a sé il calore e la fiducia di Rachel.

Lei poteva anche essere emotiva e facile alle lacrime ma, quando serviva, diveniva la roccia di cui lui aveva bisogno per aggrapparsi e non cadere.

Sperò con tutto il cuore che Iris trovasse questo, nell’abbraccio di Devereux.

***

«Tutto bene?» domandò Devereux, in piedi accanto alla porta-finestra della stanza che divideva con Iris.

La luce dei lampioni filtrava attraverso la tenda di batista bianca, allungando nere ombre sul pavimento in parquet.

Iris seguì con lo sguardo per alcuni istanti le sagome simili a sottili dita distese sull’assito di legno, prima di tornare a scrutare il viso in ombra di Devereux.

Era così strano poter cogliere le sfumature del suo volto a quel modo! Se fosse stata ancora umana, non avrebbe mai potuto notare le infinitesimali increspature della sua pelle, o la sua espressione.

Da licantropo, invece, poteva scorgere senza problemi il leggero tremolio delle vene sul suo collo, così come l’aumento della sua pressione sanguigna o il formicolio del sangue nei suoi occhi. Lupo e uomo la desideravano, eppure ancora non si muovevano verso di lei, consci del suo nervosismo.

Lei assentì muta, lo avvicinò per togliere dubbi a entrambe le entità di Dev e, spogliandosi completamente, lo abbracciò. Devereux allora la prese tra le braccia per depositarla sul letto e, dopo averla imitata, le si sdraiò accanto per avvolgerla con un braccio.

«Mi spiace che domani dobbiate ripartire, ma è giusto che tu non ti assenti troppo. Qui, finirò tutto in una settimana, poi vi raggiungerò» mormorò Iris, nel buio della stanza.

«Se vuoi, possiamo rimanere ancora» le propose Dev.

«Non serve. Inoltre, preferisco tornare a L.A. con tutta calma e farla visitare a entrambi quando avremo davvero tempo, e non così, di corsa. Faremo le cose per bene. E ciò prevede che io chiuda i ponti col passato, prima di cominciare con voi la mia nuova vita» replicò Iris, scuotendo il capo.

«Ti terrò caldo il letto, nel frattempo» le promise lui, baciandole la carne tenera dietro l’orecchio.

Lei si inarcò contro il suo torace, mormorando: «Capisco perché i lupi si annusano in quel punto. La sensazione di contatto è magnifica.»

Devereux la strinse maggiormente a sé e sussurrò: «E’ magnifico in ogni caso. E’ come essere percorsi da una carezza di velluto.»

Ridendo sommessamente, lei replicò: «Non ti facevo così poetico.»

«Non saprei in che altro modo descrivertela. Non fare la pignola e assecondami» brontolò lui.

Iris assentì, si volse tra le sue braccia e lo baciò. «Quando parli così, potrei assecondarti in tutto.»

«Molto spiritosa. Meriteresti una punizione, sai?» mugugnò l’uomo. «Ma sarebbe una scocciatura perdere tempo in punizioni, quando posso fare altro, con te.»

Lei non poté che sorridere e, per il resto della notte, Devereux le fece capire più che bene cosa intendesse lui, per ‘fare altro’.

La mattina perciò venne velocemente e, quando la coppia discese per la colazione, trovò una Chelsey particolarmente divertita, al tavolo della cucina.

Iris si limitò a un bacetto sulla testa dell’amichetta mentre Devereux, dandole un pizzicotto sulla guancia, borbottò: «Non un fiato, nanerottola.»

«Chi dice niente?» ironizzò la figlia, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del padre.

Barbara fece finta di nulla, di fronte a quello scambio di battute e, nel consegnare ai due una tazza generosa di caffè, disse: «I pancake saranno pronti a minuti. Nel frattempo, ho messo marmellata e toast sul tavolo.»

«Potrei abituarmi davvero male… grazie, Barbara» dichiarò Dev, sedendosi al tavolo.

Nel breve decorrere di qualche minuto, anche la famiglia Wallace si ritrovò al tavolo della cucina e, mentre le chiacchiere si diffondevano come un’onda leggera e piacevole, Iris non poté che sorridere compiaciuta.

Trovava surreale quanto bellissimo ritrovarsi a quel tavolo che, per tante volte, l’aveva vista assieme ai suoi genitori e che, in quel momento, vedeva un’altra famiglia, un’altra realtà, al suo fianco.

La sua nuova vita, assieme al suo uomo e alla figlia di quest’uomo, che lei già amava come se fosse sua, erano lì accanto a lei, pronti a condividere tutto.

Dall’altro lato, la sua vecchia vita, la sua famiglia, coloro che l’avevano saputa amare nel bene e nel male, apprezzandone le virtù e accettandone i difetti.

Riuniti insieme, magicamente, e pronti a muovere i passi in quella nuova dimensione.

Non stai diventando sdolcinata?

“Concedimi cinque minuti in stile soap opera, dai… tra poco, dovrò affrontare una riunione del Consiglio, un trasloco e una noiosissima compravendita con l’immobiliarista.”

Sii sdolcinata, allora. Alla parola ‘riunione’ ero già nel panico per te.

Ridendo tra sé, Iris asserì: “Come antico guerriero, preferivi i fatti alle parole, vero?”

Nel bene e nel male, temo di sì.

“Beh, oggi armati di pazienza.”

Nel caso, dormirò. Per un po’, posso farlo… esattamente come ho fatto stanotte. Tu e Dev sapete essere assai indisponenti, quando volete.

“Ti abbiamo disturbato?”

I film a luci rosse non sono il massimo, quando sei da solo a guardarli.

Iris faticò molto a non ridere a crepapelle e Dev, nell’intercettare quella chiacchierata, asserì: “Il tuo spirito si è lagnato?”

“Lo abbiamo disturbato.”

“Non mi scuserò, sappilo.”

“Neanche se lo aspetta, credo. Ha detto che si è messo a dormire per non vedere troppo.”

“Buono a sapersi. Potrei anche decidere di essere geloso di lui, sai?”

“Caschi male. Il mio Gunnar non si tocca”, ironizzò Iris, sorridendo ammiccante a Dev, che sbuffò.

“Ti salvi soltanto perché non si può fare altrimenti, sennò lo gonfierei di botte.”

Il tuo uomo sa essere molto territoriale, sai?

“Lo so, infatti la cosa mi diverte molto, tutto sommato.”

Gunnar preferì non replicare e, quando Iris ebbe terminato la sua colazione, guardò lo zio e domandò: «Hai già avvisato i consiglieri della mia presenza, oggi al Consiglio?»

«Ho mandato un messaggio a tutti ieri sera, dopo che te ne sei andata dallo studio» assentì Richard. «Ho anche accennato alla tua idea di far subentrare Helen e, come pensavo, almeno tre consiglieri hanno avuto da ridire.»

Iris sogghignò, replicando: «Non ti devo neanche chiedere chi. Posso ipotizzare che siano stati Robson, Starling e Fletcher?»

Lo zio sorrise divertito e assentì. «Vedo che, anche se manchi da un po’, ricordi bene le loro intemperanze.»

«Non fosse che sono vecchi collaboratori di papà, ne chiederei la radiazione dal Consiglio» brontolò Iris, levandosi in piedi per raggiungere la finestra e scrutare il giardino.

Alcune cinciallegre stavano balzellando su e giù dalle sedie da giardino, ciangottando nel raccogliere le poche tracce di ciò che avevano mangiato il giorno precedente nel patio. Poco lontano, un corvo le osservava con interesse.

Fu assai strano notare come gli uccelli fossero consapevoli della presenza di un predatore nelle vicinanze; i loro piccoli corpi fremevano per la fretta di mangiare il più possibile, non sapendo se essere più preoccupati per il corvo, o per il lupo.

“Povere bestiole… dobbiamo sembrare loro degli scherzi della natura coi fiocchi” pensò tra sé Iris prima di volgersi a mezzo, scrutando la tavolata dietro di sé e aggiunse: «A tal proposito, zio… non potrei comprare le loro azioni, se vi fossi costretta?»

«Il tuo capitale te lo permette, ma dubito che le metterebbero su piazza» scrollò le spalle Richard, mentre Dev levava sorpreso le sopracciglia e fissava curioso Iris in cerca di spiegazioni.

“Ne riparliamo un’altra volta” disse sbrigativa la giovane.

“Vuoi evitare di dirmi che sei una sottospecie di Paperon dè Paperoni?”

“Ti preoccupa?”

“Magari un po’ sì. E se tuo zio pensasse che sono un cercatore di dote?”

“Lo sei?”

“VAI AL DIAVOLO, SCEMA! SAI CHE NON LO SONO!”, sbottò a gran voce Dev, mandandole quel messaggio mentale corredato da un’occhiata raggelante.

Lei però non vi badò, regalandogli solo un sorrisino divertito.

“Di che ti preoccupi, allora?”

“A volte mi chiedo perché sia stato tanto idiota da innamorarmi di te” grugnì Devereux, ingollando il suo caffè per poi alzarsi e scusarsi con la famiglia di Iris, dirigendosi poi al piano superiore per preparare le valige.

Richard, allora, fissò la nipote con aria vagamente confusa e Iris, scrollando le spalle, ammise: «E’ preoccupato che tu possa vederlo come un cacciatore di dote.»

«Oh… per il mio accenno di prima?» esalò sorpreso l’uomo. «E’ chiaro che non lo è, ma è anche carino che si sia arrabbiato con te per questo. Perché immagino che tu lo abbia punzecchiato in merito, vero?»

Iris fece la linguaccia e assentì, facendo sorridere zia Rachel, che asserì: «Sei davvero dispettosa, quando vuoi, tesoro.»

Chelsey, allora, intervenne dicendo: «Al papà passerà. Anche quando lo faccio arrabbiare io, fa così, ma poi si calma.»

Liza, che era al suo fianco, le diede una pacca sulla spalla e disse: «E’ un po’ diverso, ma sono sicura che il tuo papà non terrà il broncio troppo a lungo.»

Ciò detto, guardò la cugina con divertimento e aggiunse: «E’ troppo cool questa cosa della lettura del pensiero. Ti invidio un sacco.»

«Se si potesse fare con tutti sarebbe utile ma, da quel che sappiamo, possiamo farlo solo tra lupi» le spiegò Iris, facendo spallucce. «Vado a cambiarmi. Non vorrei mai presentarmi al Consiglio meno che perfetta.»

Nel risalire le scale, Iris sperò davvero che quella fosse l’ultima volta in cui si trovava a lottare all’interno del Consiglio. Era già stato difficile la prima volta quando, alla morte dei suoi genitori, lei era diventata azionista di maggioranza.

La sua decisione improvvisa di partire, e di lasciare la gestione delle sue quote in mano allo zio, aveva generato più di un malcontento ma, alla fine, la maggioranza aveva prevalso.

Il suo ritorno – oltre alla scelta di proporre Helen come nuovo membro del Consiglio – avrebbe scatenato ulteriori attriti, ma sperava di essere giunta a un livello di sicurezza tale da poterli affrontare a testa alta.

Non era più la spaurita Iris, la donna che era fuggita da L.A. senza sapere nulla di sé stessa. Ora era la lupa Iris, la landvættir del branco di Lucas, la donna di Devereux.

Raggiunto il primo piano, sorrise nel vedere Dev sulla porta della sua stanza che, con un mezzo sorriso, le disse: «Stendili tutti, lupetta.»

«Contaci» assentì lei, raggiungendo infine la sua stanza per cambiarsi d’abito.


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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


20.

 

 

 

 

 

La sede della Walsh Inc. si trovava tra il sedicesimo e il ventesimo piano di uno dei tanti palazzi in acciaio e vetro del centro di L.A.

La hall dell’azienda era interamente stato costruita in legno chiaro sulle pareti, pavimenti in marmo verde e ampie vetrate ovunque l’occhio potesse spaziare.

Le alte finestre a vetri riflettenti, che si gettavano sulla città e mostravano lo skyline e l’oceano in lontananza, si oscuravano automaticamente grazie a un sistema fotocromatico inserito tra le lamine di vetro con cui erano state costruite.

In quel momento, con il sole del mattino già ben alto, le finestre erano del tutto oscurate e l’orizzonte era debitamente adombrato e dai toni dell’azzurro. All’ingresso, seduta dietro un lungo e spazioso bancone bianco – su cui capeggiava l’insegna della ditta – la centralinista  Mary Marshall-Jones salutò compita Richard prima di sorridere sorpresa nel vedere Iris.

Sollevatasi in piedi, le allungò una mano per stringere quella protesa di Iris e, sorridente, si dichiarò lieta del suo ritorno.

«E’ un breve ritorno, ma grazie per l’accoglienza, Mary. E’ davvero bello rivederti» dichiarò la giovane Walsh.

Quella frase lasciò la centralinista un po’ dubbiosa ma, da brava segretaria quale era, non fece domande e avvertì la coppia che alcuni consiglieri si trovavano già nella Sala del Consiglio.

Ringraziatala, Richard mormorò poi alla nipote: «Pronta per affrontare gli squali?»

«Oh, alcuni sono solo placidi delfini. Devo preoccuparmi solo di tre, quattro persone al massimo, ma sono certa di potercela fare» sorrise Iris, dandogli una pacca sul braccio.

Richard allora le fece strada e, dopo averle aperto la porta, lasciò che entrasse nella sala per affrontare gli sguardi dei presenti e gli inevitabili commenti.

Era pronta per il combattimento e, avendo al suo fianco – per così dire – un grande stratega del passato, sapeva di non poter fallire. Che le mettessero pure i bastoni tra le ruote.

Ora sapeva chi era, e non si sarebbe mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno.

***

Le orecchie le dolevano ancora, per la gran discussione che era seguita alle sue proposte.

Melissa Rodstein, sua madrina di battesimo e vecchia amica di famiglia – oltre che madre della sua ex amica Susan – le si era rivoltata contro in maniera più che mai subdola, portando al centro dell’attenzione sua figlia.

La donna aveva messo in dubbio la capacità di Iris di prendere decisioni accorte, visto il lungo periodo di assensa fisica dall’azienda. Al tempo stesso, aveva controproposto al board la possibilità di vendere le azioni di Iris a Susan.

Il tutto, a suo dire, per non incomodare la già affermata Helen con un progetto che nulla aveva a che fare con il suo mestiere di avvocato.

Allo stesso modo, Ronn Huckerman aveva perorato la causa di Susan, scatenando la curiosità dei più, l’indignazione di Melissa e l’attenzione del membro più anziano del consiglio, Conrad Greenwood.

Quest’ultimo, dopo aver lasciato parlare entrambi, li aveva messi sotto torchio con domande sibilline, mettendo in dubbio sia le capacità di Susan che le sue credenziali.

Ciò aveva indotto anche i membri più restii del consiglio – Robson, Starling e Fletcher – a chiedere conto di ciò che i due consiglieri avevano proposto e, a quel punto, Melissa era esplosa in un fiume di lacrime.

Senza più controllo, si era indignata con Ronn, dandogli dell’inguaribile Don Giovanni, tacciandolo di essere colpevole di aver irretito la sua innocente figliola. Di contro, l’uomo si era difeso, praticamente arrivando a dire che Susan si era gettata nel suo letto come una sgualdrina.

Il tutto aveva raggiunto delle vette di ipocrisia davvero incredibili, ma aveva convinto una volta di più i consiglieri della buona scelta fatta da Iris in merito a Helen.

Sorseggiando del buon vino bianco di fronte a un’abbondante porzione di frutti di mare, Iris lanciò un’occhiata pacifica all’oceano poco distante e alla spiaggia ricolma di vacanzieri.

Santa Monica era un luogo sempre piacevole dove ritrovarsi per un buon pasto, o per gustare delle ore in santa pace all’ombra di una palma, ma sentiva la mancanza di Clearwater.

A quell’ora, con tutta probabilità, Chelsey e Dev erano arrivati a destinazione e, ben presto, avrebbe ricevuto loro notizie.

«Direi che questa riunione la ricorderemo per anni» ironizzò Richard, attirando la sua attenzione. «E’ stato un bene che non fosse una riunione generale, ma solo con i membri del board. Ti immagini una platea di un centinaio di persone, a vedere una scena del genere?»

Sorridendo divertita, Iris assentì. «Non mi aspettavo che proprio Melissa mi avrebbe messo i bastoni tra le ruote, ma non avevo tenuto conto dell’ambizione di quella donna. Lei voleva approfittarsi della figlia per avere un membro in più a suo favore all’interno del consiglio, e Ronn voleva a sua volta approfittarsi dell’amante. Una combinazione letale.»

«Se le condizioni fossero state a loro favore, avrei potuto prendere in considerazione l’idea di accogliere anche Susan nel board ma, dopo quello che è emerso, mi sorprende anche solo che Melissa ce l’abbia proposto» chiosò lo zio. «Avevi capito qualcosa?»

«Mi sembrava che vi fosse qualcosa, perché Melissa era particolarmente nervosa, ma non pensavo a Susan. Però, quando Ronn ha accennato al suo carattere in modo così approfondito, mi sono chiesta come facesse a sapere così tanto di lei. Melissa non ha mai portato Susan in ditta e di lei parlava sempre pochissimo, in presenza degli altri. Io, infatti, la vedevo sempre fuori dalla ditta o alle cene di famiglia, che erano rigorosamente private» constatò Iris, ancora incredula riguardando a ciò che era emerso da quella riunione.

Richard assentì, scuotendo ironico il capo.

«Questo lo sai tu, come lo sanno gli altri. E’ sempre stata molto gelosa della figlia, molto più di quanto non lo sia mai stata di suo figlio Brandon.»

Annuendo, Richard aggiunse: «Ricordo che ha sempre detto ad Aaron che sbagliava nel portarti ai vernissage, perché questo ti avrebbe danneggiato.»

Sbuffando, Iris esclamò: «E dire che le madrine dovrebbero essere più premurose di così, con le proprie figliocce!»

«Oh, lei ha cercato di proteggerti… a suo tempo, quando ancora non c’era di mezzo la possibilità di ottenere più quote in seno alla ditta. A quel punto, ha cercato di cogliere l’opportunità, e Ronn ci si è infilato dietro per lo stesso motivo» asserì Richard, serafico. «Quel che mi stupisce più di tutti, però, è Conrad. Scoprire che aveva ingaggiato un investigatore per mettere al setaccio il passato di Susan, mi ha sorpreso.»

«Evidentemente, deve aver sentito Melissa fare delle allusioni in merito già in precedenza. Forse, voleva portare in seno al consiglio l’idea che io cedessi le mie quote a favore di altri, visto che non ero mai presente» ammise Iris, ancora sconvolta da quell’ulteriore colpo di scena.

«E’ possibile. Già da qualche mese avevo subodorato che, la tua assenza forzata, non avrebbe potuto durare più di quel tanto. Alcuni consiglieri stavano mordendo il freno, ma da lì a pensare che proprio Melissa ti si mettesse contro… giuro, non l’avrei mai creduto possibile. Inoltre, non avrei mai immaginato che Susan avesse pagato per ottenere la sua laurea in economia. E’ davvero sconcertante» borbottò contrariato Richard, sorseggiando il suo vino. «Conrad è stato davvero abile, nello scoprire questa truffa.»

Iris rammentava bene le poche chiamate che aveva scambiato con Susan, prima di interrompere i contatti con lei, e le era parso strano che non fosse turbata dai suoi continui cambi di lavoro.

Evidentemente, ogni qualvolta aveva sentito il terreno crollarle sotto i piedi, era fuggita a gambe levate prima che scoprissero il suo imbroglio.

Tutti gli esami. Tutti gli esami che aveva dato all’università, erano stati truccati ad arte – e pagati da mammina – perché lei potesse passare e ricevere la tanto agognata laurea in economia.

Che Melissa lo avesse fatto per far entrare Susan nella Walsh Inc. in un futuro imprecisato, era impossibile saperlo, ma già il fatto che avesse frodato a quel modo il sistema, era ignobile.

Da quel poco che aveva saputo, all’Università della California stavano già cadendo alcune teste.

Scuotendo il capo, mormorò subito dopo: «Non mi dispiacerà avere prevalentemente a che fare con degli alunni e dei compiti da correggere.»

Richard sorrise a quel commento e le domandò: «Hai già fatto richiesta?»

«Sì. Ho inviato tutta la documentazione all’ufficio immigrazione del Canada, oltre alle mie credenziali e alla mia decisione di abitare a Clearwater. Dovrebbe arrivarmi a giorni il permesso di soggiorno per scopi lavorativi e poi, con calma, inizierò l’iter per richiedere la cittadinanza» assentì Iris, tutta sorridente.

Richard allora le batté una mano sul braccio, annuì e disse: «Era questo il sorriso che volevo vedere sul tuo volto. Ora, sono tranquillo.»

«Io, invece, sarò tranquilla quando avremo venduto la casa, perché vorrà dire che non ho più conti in sospeso con il passato» esalò Iris, ridacchiando.

«Faremo anche quello, non temere» la rassicurò Richard, terminando il suo vino.

Iris assentì, il pensiero già rivolto a Clearwater e alla sua nuova vita. A quel punto, niente e nessuno avrebbe più potuto metterle i bastoni tra le ruote. Il suo passato era stato sistemato, e ora non le rimaneva che mettere piede sul nuovo sentiero che l’avrebbe ricondotta a quella che ora considerava la sua casa.

***

Accucciata nei pressi di una delle piante più vicine al muro di cinta, l’aria smarrita e le mani strette a pugno, Alyssia stava osservando ansiosa una tranquilla Julia, mentre la notte calava e le prime stelle si accendevano come fari nel cielo.

Quella stessa giornata, Julia era tornata come aveva promesso ad Alyssia e, dopo aver trovato un degno nascondiglio dove attendere la notte, aveva aspettato il momento propizio per far scappare l’amica.

Dopo aver percorso il parco, facendo attenzione alle telecamere di sorveglianza poste sul muro che cingeva l’immensa proprietà, la coppia si era fermata in prossimità di un enorme abete e lì si era fermata.

Nascoste agli sguardi dai rami che arrivavano a sfiorare l’erba, Julia aveva fatto accucciare l’amica e, con calma, le aveva spiegato ciò che, con la levata della luna, sarebbe avvenuto.

Sulle prime, Alyssia si era spaventata non poco, ma l’amica l’aveva rassicurata sulla buona riuscita della mutazione e l’aveva coccolata contro il suo seno per un po’.

Questo aveva chetato le ansie di Alyssia, riportandola indietro nel tempo, agli anni in cui lei e Julia erano state inseparabili e, con Dev, avevano formato un trio vincente.

Non aveva dimenticato nulla, di quegli anni, e anche per questo aveva sempre tenuto a bada le donne che, per lungo tempo, avevano tentato di approcciare l’uomo.

Devereux era sempre appartenuto a Julia e, se mai qualcuna avesse dovuto averlo in vece dell’amica, quella avrebbe dovuto essere lei.

Loro tre erano perfetti, insieme, e questo non lo avrebbe potuto mai mettere in dubbio nessuno.

Anche per questo, una volta che fosse mutata, avrebbe sistemato quella biondina californiana una volta per tutte e, assieme a Chelsey, Julia e Dev, sarebbero stati insieme per sempre.

Avrebbe accettato anche la bambina, non avrebbe avuto alcun problema. Dopotutto, era figlia del ventre di Julia, e perciò le sarebbe stata cara come una figlia sua.

«Ci siamo, mia cara… la luna sorge» mormorò Julia, trionfante.

Lei assentì, si tappò la bocca per non urlare e, dopo alcuni secondi di ansiosa aspettativa, percepì la prima fitta al costato.

Alla prima ne giunse una seconda, che quasi le tolse il fiato, portandola a togliere le mani dalla bocca per prendere ampie boccate d’aria.

Julia si accigliò, a quella vista, e la spinse a terra con forza, coprendole le labbra spalancate con la propria mano e, volto contro volto ad Alyssia, ringhiò: «Devi fare quello che ti dico! Te lo sei dimenticato?!»

Alyssia scosse il capo, iniziò a piangere e dimenarsi mentre la lupa che era in lei gridava per uscire.

Trattenendola a terra mentre l’amica sotto di lei si lasciava andare a calci nell’aria e a pugni sull’erba, Julia si lasciò andare a un sogghigno di gelido dominio che Alyssia ricordò fin troppo bene.

Julia non era affatto cambiata, anche se era diventata un lupo. Lei era sempre stata dominante, tra loro due, e le aveva sempre detto cosa fare, e come farlo.

Alyssia sapeva bene che era questo il modo di Julia di amare e, fin quando anche Dev si era attenuto a questi precetti, tutto era andato bene.

Il fatto che Julia se ne fosse andata, poteva solo voler dire che Devereux non aveva più accettato la sua compagna per quella che era.

Se tutto fosse tornato come prima – e con Julia accanto a lei, poteva finalmente succedere – avrebbe accettato le scuse di Dev e da lì sarebbero ripartiti. Sì, poteva accettare le scuse dell’uomo, se si fossero dimostrate sincere.

«Brava, ci sei quasi» mormorò Julia, lasciandola infine andare.

Alyssia assentì col capo – no, col muso, constatò dopo un attimo di sconcertata sorpresa – e, reggendosi a fatica sulle zampe, si guardò nelle sue nuove vesti senza riconoscersi.

«Va bene così, Alyssia. La prima volta è sempre destabilizzante. Ma ti abituerai alla svelta alla forza che ora hai nel tuo nuovo corpo» le spiegò Julia, carezzandole la gorgiera.

Alyssia si beò di quel tocco – era raro che Julia si lasciasse andare a dei complimenti – e, quando l’amica le indicò di balzare oltre il muro, lei semplicemente lo fece.

Fu strabiliante scoprire di poterlo fare, così come lo fu vedere Julia fare la stessa cosa, ma con le sembianze di una donna.

Non appena si trovarono oltre quel maledetto muro che l’aveva tenuta prigioniera per lungo tempo, Alyssia ringhiò soddisfatta e Julia, sogghignando, dichiarò: «E ora andiamo a casa, Aly. La nostra nuova casa.»

La lupa assentì col muso e, assieme, si avventurarono nei boschi che si distendevano come mantelli oltre Vancouver, avanzando verso l’entroterra e verso le Montagne Rocciose.

Infaticabili, la donna e la lupa si addentrarono sempre di più nella Columbia Britannica prima, e nell’Alberta poi, finché non raggiunsero un grazioso lago alpino, racchiuso in un fittissimo bosco e lontano da qualsiasi arteria stradale.

Lì, finalmente Julia si fermò, indicò ad Alyssia un accampamento di tende più o meno grandi e, orgogliosa, disse: «La nostra nuova famiglia, Aly. Lì, tutti ti vorranno bene e sapranno apprezzarti per quello che sei ma, prima di poter dire di farne parte, dovrai aiutarmi a portare anche Chelsey entro questi confini.»

Alyssia si limitò ad annuire; avrebbe fatto qualsiasi cosa, per Julia, e le sembrava il minimo aiutarla a recuperare la carne della sua carne.

«La nostra guida ti insegnerà i precetti da seguire e, a tempo debito, verrai marchiata come sua figlia e sua protetta» dichiarò Julia, mostrandole i segni di una vecchia bruciatura all’altezza della spalla destra. «Lui ci garantirà la protezione di un capobranco, e noi saremo le sue ancelle fedeli. Vivremo come la natura ci ha voluti, liberi e fieri, e nessun umano potrà dirci a quali leggi sottometterci. Sono inferiori, e tali rimarranno, per noi.»

Alyssia assentì e Julia, tornando sui suoi passi, disse: «Torniamo verso Clearwater. Voglio farmi un’idea degli spostamenti di Dev, prima di capire quando agire.»

Ciò detto, iniziò a correre e l’amica, da fedele compagna quale era, si accodò a lei.

Suo malgrado, si allontanarono dal campo che tanto volentieri Alyssia avrebbe voluto visitare, ai volti di altre persone come lei che aborrivano la civiltà umana per come era stata concepita.

Comprendeva però bene che era imperante portare via Chelsey dal mondo degli umani. Se, come le aveva detto Julia, c’era la possibilità che lei avesse ereditato il gene della licantropia, Chelsey doveva essere condotta al sicuro, lontana da Devereux, lontana dagli umani ignoranti, che l’avrebbero odiata e osteggiata.

Non poteva indulgere nei suoi desideri superficiali, quando una loro sorella rischiava la vita a ogni attimo passato lontano da quel luogo ameno e sicuro.

No, Julia aveva avuto ragione a voler partire subito. Chelsey doveva essere condotta via da Clearwater, e lei si sarebbe impegnata anima e corpo, per farlo.

***

Era stato tutto dannatamente facile. Come sempre, del resto, trattandosi di Alyssia.

Lei l’aveva sempre seguita come un cagnolino adorante, e fare breccia nel suo cuore debole e in cerca d’amore, era stato semplice come bere un bicchier d’acqua.

Julia aveva contato di sfruttare il suo aiuto per avvicinare Chelsey ma, quando si era recata in gran segreto a Clearwater e non l’aveva trovata, se n’era domandata i motivi.

Una volta scopertili, e non avendo potuto approcciare la figlia perché assente da casa, si era persuasa a raggiungere Alyssia a Vancouver per liberarla dalla prigionia e usare la sua gratitudine come spada per proteggersi.

L’essere divenuta un lupo l’aveva resa più guardinga e, fin da quando si era allontanata dalla vita asfissiante di Clearwater e dalle attenzioni di Dev, aveva scoperto la vera se stessa.

Aveva vagato per mesi e mesi nei boschi, apprezzandone la libertà, lasciando che la sua lupa si abbeverasse di quelle sensazioni, godendo delle prede uccise durante la caccia.

Era quasi divenuta un lupo vero e proprio, perdendo molta della sua umanità, quando aveva incontrato Logan.

Licantropo come lei ma infinitamente più forte e potente, le aveva mostrato la vera Via, e lei si era unita alla sua crociata per liberare i lupi dalla schiavitù della vita degli umani.

Si era unita a lui carnalmente diventando la sua lupa ma, con l’accrescersi del branco, le coppie erano diventate promiscue e la libertà di non avere legami scritti l’aveva galvanizzata.

Aveva scoperto di apprezzare cose che mai, da umana, avrebbe immaginato e, sempre grazie a Logan, aveva dato voce al suo bisogno di predominio.

Non sarebbe mai stata all’altezza del lupo che le aveva fatto scoprire tutto questo, ma ne era seconda quanto a forza e intelligenza, e gli altri li seguivano come una coppia reale.

Negli anni, aveva annullato le lacune su se stessa e la sua razza, aveva scoperto della possibilità di passare ai propri figli i geni della licantropia e, nel parlarne con Logan, aveva ricevuto il suo assenso a portare in seno al gruppo anche Chelsey.

Forte della possibilità di offrire a Logan un pezzo di sé che ancora non aveva saputo donargli, aveva atteso trepidante che gli anni passassero e che la avvicinassero all’adolescenza della figlia.

Quando infine il loro gruppo si era fortificato e saldato a sufficienza perché lei potesse assentarsi senza, per questo, danneggiare Logan, era partita alla volta di Cleawater per prelevare Chelsey.

Il non trovarla l’aveva infastidita, e tutto era peggiorato quando aveva saputo di Alyssia ma, ora che lei aveva il suo scudo e la sua spada, poteva affrontare Lucas senza la paura di venire sconfitta.

Avrebbe sacrificato Alyssia, se fosse stato necessario, ma avrebbe portato via Chelsey da Devereux.

Sapeva che Lucas era abbastanza forte da rivaleggiare con lei – ricordava bene la sua stazza, e assomigliava troppo a quella di Logan, per non preoccuparsi – ma, dandogli in pasto Alyssia come diversivo, lei sarebbe riuscita nei suoi intenti.

Devereux avrebbe dovuto rassegnarsi a perdere anche la figlia. Dopotutto, aveva trovato quella sgualdrinella americana, con cui divertirsi.

Che si accoppiassero pure tra umani. Lei aveva i suoi lupi, per questo genere di cose ed era molto, davvero molto meglio.

 

 

 

 

 

N.d.A.: finalmente scopriamo cosa abbia combinato in tutti questi anni Julia, e fino a che punto si sia spinta la follia di Alyssia. Con due così, direi che ci si possa davvero aspettare il peggio. I nostri amici riusciranno a rintuzzare il loro attacco?


 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***



 

21.

 

 

 

 

Qualcuno avrebbe dovuto impiantarle una nuova mano perché, ormai, la sua era irreparabilmente danneggiata a causa delle troppe firme.

Perché c’era bisogno di così tanti autografi, al mondo? Ormai, ne serviva uno anche per chiedere il permesso per poter respirare!

Dopo una settimana passata a correre tra un ufficio e l’altro per sistemare le pratiche per il passaggio di proprietà delle sue quote, per la trasformazione del suo appartamento in una casa di accoglienza per madri single, era ormai distrutta.

Il bel tempo aveva solo facilitato le cose, ma Iris non aveva potuto godersi il sole e la brezza fresca dell’oceano neppure un attimo, in quella settimana così caotica.

Nel frattempo, sua zia e Liza si erano messe d’impegno per capire quale fosse la zona migliore dove costruire la loro nuova abitazione a Clearwater, e Helen aveva fatto il suo primo ingresso nel board della Walsh Inc.

Melissa e Ronn si erano dimessi, rimettendo le loro quote azionarie in Borsa. Nessuno dei due aveva voluto dare spiegazioni in merito ma, da quello che aveva saputo Iris, Melissa stava avendo un bel po’ di problemi con la giustizia, a causa degli esami pagati alla figlia.

Tramite un vecchio amico di famiglia, i Wallace e Iris avevano saputo che Susan si era ritrovata a ingiuriare la madre sul pianerottolo di casa, tacciandola di essere una strega, rea di tenerla lontana dal suo unico amore e di averla messa nei guai.

Fosse o meno Susan innamorata di Ronn, Iris non lo sapeva. Quel che era importante, era che nessuno di loro avrebbe più potuto danneggiare l’azienda dei suoi genitori.

Grazie al nuovo statuto – approvato in concomitanza con l’uscita di scena di Melissa e Ronn – Iris avrebbe seguito le riunioni ordinarie del Consiglio tramite video conferenza e, due volte l’anno, avrebbe presenziato a quelle straordinarie.

Così facendo, Iris avrebbe potuto gestire al meglio il suo duplice ruolo, senza venir meno agli impegni presi e continuando a occuparsi dell’azienda di famiglia.

Chiudendo l’ultima cerniera delle sue valigie, serrando di fatto anche quei pensieri in un angolo del suo cervello, Iris lanciò un’occhiata d’insieme al suo bagaglio e, annuendo tra sé, si ritenne soddisfatta.

Lì dentro aveva ciò che, della vita precedente, aveva voluto portare con sé a Clearwater. Fotografie, piccoli ricordi, oggetti appartenuti ai genitori, pezzi di vita vissuta che le erano rimasti nel cuore e nell’anima.

Tutto ciò avrebbe creato il tessuto di base da cui ripartire per creare quello che aveva sempre cercato, ma mai trovato fino all’arrivo in quel piccolo paese canadese.

Glenn l’avrebbe condotta al microscopico aeroporto di Clearwater – una striscia di terra battuta e poco altro – e, da lì in poi, avrebbe cominciato la sua nuova avventura.

Un quieto bussare alla porta riportò Iris al presente e, sorridendo alla zia, la giovane disse: «Ehi, ciao. Entra pure.»

Armata di fazzoletto ma con gli occhi ben asciutti, Rachel la raggiunse per un rapido abbraccio e, nell’osservarla piena di orgoglio, dichiarò: «Dirò a Devereux di farti ingrassare ancora qualche chilo.»

Iris rise di fronte al suo tentativo di apparire scherzosa e serena e, annuendo, asserì: «Tranquilla. Appena mi rivedrà, dirà sicuramente che senza di lui ho perso almeno due o tre chili» ironizzò Iris, dandosi dei pizzicotti sulle guance.

Erano passati i tempi in cui il solo camminare le costava sforzo, in cui gli abiti le cadevano addosso come sacchi informi, e il suo volto appariva sempre stanco e malaticcio.

Ora era una licantropa cosciente di se stessa e della razza a cui apparteneva, e avrebbe fatto il tutto e per tutto per essere degna di ciò che il Fato le aveva messo tra le mani.

Quella notte di quasi tre anni prima le aveva destabilizzato la vita, ma le aveva anche concesso le chiavi di un’esistenza che non sapeva di volere, fino a quando non l’aveva avuta tra le mani.

Sorridendo a sua zia, Iris seppe di aver finalmente raggiunto il traguardo tanto agognato anche da suo padre e sua madre; era una donna forte, orgogliosa, ma anche umile e pronta ad ammettere i propri sbagli.

Rachel annuì di fronte al suo sguardo volitivo, quasi avesse compreso i suoi pensieri e li condividesse appieno ma, dopo alcuni istanti di sorrisi forzati, scoppiò in lacrime e si gettò tra le braccia della nipote, mormorando: «Oddio, scusa, tesoro, scusa… avevo promesso a Liza e Helen di non piangere, ma…»

Battendole affettuosamente delle pacche sulla schiena, Iris replicò sorridente: «Non c’è problema, zia. Va bene così. So che sei emotiva, perciò mi sarei preoccupata se non avessi pianto

«Vorrei tanto essere forte come lo era Nancy, ma mi emoziono subito, e così…»

Al sentire nominare la madre, Iris accentuò l’abbraccio e disse: «La mamma era una roccia e papà ne aveva grande stima, ma sappiamo bene entrambe che mi aveva anche viziato e, per lungo tempo, io ne ho approfittato. Ognuno di noi ha pregi e difetti, e sta a noi avere la forza di amare entrambe queste parti. Perciò io non ho problemi con le tue lacrime, zia, e anzi, mi dicono che sei sempre tu.»

«Si vizia sempre un po’, chi si ama tanto» chiosò Rachel, scostandosi dalla nipote per poi tergersi le lacrime col fazzoletto.

«Lo so, e infatti non darò mai la colpa a lei, ma solo a me stessa per essermi adagiata in quei vizi. Ora, spero di essere cambiata in meglio, e ho tutta l’intenzione di dimostrarlo» assentì Iris. «Mi accompagni all’aeroporto, o preferisci restare a casa?»

«Verrò. Anch’io voglio migliorarmi» ammiccò la zia, prendendo poi una delle valigie della nipote per portarla dabbasso.

Iris si caricò di altre tre borse mentre Gilbert e Roland – l’autista e il giardiniere – pensavano al resto del suo bagaglio.

La Bentley fu caricata in breve tempo e, insieme a Rachel, Iris partì alla volta del LAX per il suo imminente viaggio di ritorno.

Richard e Helen l’avevano salutata quella mattina, prima di partire per i loro rispettivi lavori. Liza, invece, la sera precedente l’aveva abbracciata con tutte le sue forze, promettendole di scriverle dal Gran Canyon, luogo in cui era andata in vacanza con le amiche.

Impiegarono quasi un’ora per raggiungere l’aeroporto e, quando infine si trovarono dinanzi al Cessna e al suo pilota, Rachel salutò Glenn per poi abbracciare un’ultima volta Iris.

«Chiamami non appena atterri… e anche tu, Glenn. Dammi un colpo di telefono per farmi sapere che sei rientrato tutto intero» sottolineò Rachel, facendo sorridere entrambi.

«La mia Samantha non è altrettanto solerte, sa, Mrs Wallace?» ironizzò l’uomo.

«Solo perché lei ci è più abituata, e sa come compartimentalizzare le cose. Io devo ancora imparare, perciò accontentami» replicò con candore Rachel, sorridendogli.

«Sarà fatto, allora» gli promise il pilota, salendo poi a bordo per accendere i motori.

Rimasta sola con la zia, Iris le disse: «Ci rivedremo presto, zia, perciò stammi bene fino ad allora, d’accordo?»

«Va bene» assentì la donna, dandole un buffetto sulla guancia prima di allontanarsi e tornare alla Bentley.

Iris percepì il profumo delle sue lacrime, ma non vi fece caso. La zia aveva già mostrato di voler migliorare se stessa, accompagnandola fino all’aeroporto. Quelle lacrime sapevano di vittoria, perciò Iris ne sorrise fiera e salì a bordo.

La sera precedente aveva telefonato a Dev per comunicargli l’orario previsto per il suo arrivo, e l’uomo le aveva assicurato che non sarebbe stato là ad aspettarla come un allocco preda di una pena d’amore.

Iris ne aveva riso fin quasi a farsi dolere le guance e, dopo avergli lanciato un bacio con lo schiocco – ricevendo insulti per diretta conseguenza – aveva chiuso la chiamata e si era apprestata a riposare.

Non voleva che Dev cambiasse per lei, perché Iris amava tutto di lui, anche quel suo lato così ruvido e imprevedibile.

Se ci fosse stato, lo avrebbe abbracciato e, se non ci fosse stato, sarebbe andata bene comunque.

Non era così insicura da volere un uomo sempre al fianco, in ogni momento della giornata, pronto a porgerle la mano per saltare una pozzanghera, e sapeva che per Devereux era la stessa cosa.

Non agognava ad avere una donna sempre in trepidante attesa di una sua parola. Preferiva di gran lunga una persona con i propri pensieri e le proprie idee, con cui lui avrebbe potuto confrontarsi.

Le mancava, certo, ma restava comunque se stessa, anche quando era con lui. Era Iris, finalmente, in tutte le sue sfaccettature.

Stare con lui la completava, e questo era bellissimo, ma aver ritrovato un equilibrio con la nuova se stessa era il traguardo più importante che avesse mai raggiunto.

Fu per questo che molte ore dopo, quando discese sulla pista sterrata del piccolo aeroporto locale di Clearwater, non si stupì più di tanto nel non trovare Dev ad aspettarla.

Senza porsi problemi, perciò, salutò Glenn e chiese un passaggio fino al campeggio, aiutando il suo zelante tassista improvvisato a caricare e scaricare tutti i suoi bagagli.

Nel ringraziare il giovane che l’aveva aiutata – uno dei meccanici che le avevano aggiustato il camper –, raggiunse infine la casetta della reception del camping per salutare Lucas.

Quando, però, non avvertì il suo odore, ma soltanto quello di Clarisse, si chiese dove egli fosse finito. Era raro che, a quell’ora del giorno, non si trovasse al suo posto di lavoro. Forse era in giro per il campeggio a sistemare qualche inghippo?

Nell’aprire la porta della baita di tronchi, Iris si esibì comunque nel suo miglior sorriso per rendere nota la sua presenza a Clarisse, ma comprese immediatamente che qualcosa non andava.

Il viso della madre di Lucas appariva tirato e stanco e, quando la vide, si coprì la bocca con una mano ed esalò: «Oh, cielo, Iris!»

Raggiuntala in pochi, rapidi passi, Iris la afferrò per le spalle, temendo di vederla crollare a terra per l’ansia e, turbata, le domandò: «Clarisse, cos’è successo?!»

«Julia! Julia è tornata!»

Quelle semplici parole raggelarono la giovane che, scostandosi lentamente da Clarisse, sgranò gli occhi e dovette aggrapparsi al bancone della reception per non crollare a terra.

Sorpresa, sconforto e confusione le balenarono sul volto in un susseguirsi caotico e, quando Clarisse le sfiorò un braccio per consolarla e, al tempo stesso, sorreggerla, Iris sobbalzò scioccata, esalando: «Spiegati, per favore.»

«E’ successo mentre Dev era al lavoro. Essendo Chelsey un licantropo, non aveva più alcun problema a lasciarla a casa da sola. Chi mai avrebbe potuto farle del male, ti pare?» scrollò le spalle la donna, ora più nervosa di prima. «Julia, invece, si è presentata a casa loro e l’ha portata via. Via, capisci?!»

Iris dovette stringersi le braccia attorno al corpo per trattenere la sete di sangue della sua lupa, oltre all’istinto protettivo del landvættir quale lei era grazie a Gunnar.

Prendendo grandi boccate d’aria, Iris si costrinse a sedersi e, a fatica, domandò con voce metallica: «Come sapete che è stata lei

Comprendendo al volo cosa stesse succedendo, Clarisse si portò alle spalle di Iris per praticarle un massaggio rilassante alle spalle e, tesa e preoccupata, asserì: «Lucas e Dev ne hanno riconosciuto l’odore. Inoltre, Dev aveva installato delle telecamere di sicurezza, un paio di anni fa, e dalle registrazioni ha potuto vedere cos’è successo.»

«Lucas non le ha avvertite avvicinarsi a Clearwater?» domandò turbata la giovane, mordendosi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.

Il sapore metallico e forte del suo sangue la fece rabbrividire e, al tempo stesso, la portò a ringhiare a bassa voce mentre Clarisse, proseguendo nel massaggio, mormorava: «Deve averne controllato i movimenti per qualche tempo, per agire quando anche lui era assente da Clearwater. Non abbiamo saputo trovare altra spiegazione. Inoltre, c’è un altro problema. C’era anche Alyssia, con lei.»

Quella notizia non contribuì di certo a calmarla ma Clarisse, affondando maggiormente le dita nella sua carne, disse: «Respira, Iris, respira. Non lasciare che la rabbia abbia il sopravvento. Lucas e Devereux stanno setacciando il bosco alla loro ricerca. Le troveranno, vedrai.»

«Devo andare» mormorò Iris, risollevandosi a fatica dalla poltrona su cui era praticamente crollata. «Devo trovarla

«Ovviamente non ti fermerò. Come potrei? Ma ricorda questo, Iris. La vendetta ha molte sfumature e sono quasi tutte brutte, a lungo andare» le ricordò Clarisse, prima di batterle una mano sulla spalla.

«Devo raggiungere il mio Fenrir e proteggerlo, innanzitutto» dichiarò Iris, pur sapendo di non stare dicendo l’assoluta verità. «Solo dopo penserò a sistemare Julia. Dev non può farlo, e forse neanche Lucas, perché ha un cuore troppo buono, ma io sì che posso.»

«Oh, per come stanno le cose ora, penso che Dev potrebbe anche divorarla, tanto è furioso» replicò Clarisse. «Lucas mi ha detto che le tracce che hanno trovato puntavano verso nord-ovest, lungo la Clearwater Valley Road.»

Annuendo, Iris fece per correre fuori ma, prima di farlo, mormorò spiacente: «Ho lasciato tutte le mie valige all’ingresso. Sono molte, scusa tanto.»

Scrollando una mano, Clarisse ribatté: «Non mi importa se sono anche cinquanta. Vai, piccola, e non pensare a me. Trova quella bimba e proteggi il mio ragazzo, se puoi.»

«Lo farò» assentì Iris, lanciandosi letteralmente fuori dalla casupola per poi dirigersi a grandi passi verso il bosco.

Non era il caso di mutare in lupo nel bel mezzo di un campeggio gremito di ospiti.

***

Stordita dall’aconito, Chelsey riaprì a fatica gli occhi dopo un tempo a lei sconosciuto, e soltanto per ritrovarsi nel fitto del bosco, lontano da casa e dalla sua famiglia. Accantò a lei vide Alyssia e la donna che, a detta di quest’ultima, era sua madre. Julia.

Le fotografie che aveva sbirciato - non vista - nello studio del padre, ben nascoste in uno scatolone, le davano ragione, ma era difficile credere che quella donna fosse colei che l’aveva partorita.

In quel momento, coi capelli corti e scompigliati dalla corsa e gli occhi invasati quanto pericolosi, appariva sul chi vive, pronta a tutto pur di portare a termine la sua missione e ben decisa a uccidere chiunque l’avesse intralciata.

Alyssia, seduta al suo fianco su un tronco caduto, sembrava invece frenetica ed eccitata, una neo-lupa appena risvegliata a quel mondo e disposta a qualsiasi sacrificio pur di seguire la vecchia amica del cuore. La sua guida in quella folle impresa.

Mugugnando a causa del dolore – Julia l’aveva colpita alla nuca, quando aveva cercato di sfuggirle – Chelsey cercò di mettersi seduta per non dover respirare l’umidore della terra su cui era distesa, ma finì con l’attirare l’attenzione delle due.

«Bene, ti sei ripresa. Ora, vedi di fare la brava, o dovrò sedarti di nuovo» dichiarò Julia, lanciandole un’occhiata piena di risentimento.

«Potremmo scappare più agevolmente, se la lasciassimo a loro» sottolineò Alyssia, grattandosi nervosamente un braccio nell’osservare la sua guida con occhi tremebondi e ammaliati al tempo stesso. «Se tornassimo con i rinforzi, non avremmo problemi a riprendercela, e…»

«Lei è mia! Non la lascerò in un mondo di rozzi umani perché cresca in una gabbia. Ora che è un lupo, non ha più motivi per rimanere con suo padre. Dev ha avuto la sua parte di tempo, con lei. Ora tocca a me. Imparerà a obbedirmi come dovrebbe fare qualsiasi altro cucciolo, esattamente come hai fatto tu, Aly…»

L’amica assentì, piena di letizia all’idea che l’amica l’avesse voluta al fianco per quella missione che Julia riteneva così importante.

Non che Julia l’avesse mai trattata con gentilezza, o da sua pari, nel corso della loro travagliata amicizia, ma almeno si era accorta della sua esistenza. L’aveva vista, anni prima, e l’aveva voluta di nuovo con lei, adesso, in quel meraviglioso e selvaggio mondo che le aveva appena fatto conoscere.

Trovarsela dinanzi nel giardino della rehab – dove il padre l’aveva spedita dopo la vicenda legata a Iris – l’aveva sorpresa e confusa. Erano anni che non si vedevano, e aveva ormai dato per scontato che lei fosse morta.

Quando Julia le aveva spiegato i motivi della sua presenza, così come della sua fuga da Clearwater, si era detta felice di essere stata scelta per quell’impresa e, soprattutto, scelta dall’amica per diventare come lei.

Al suo nuovo risveglio come licantropo aveva gioito come mai nella vita, sentendosi più forte e più potente che mai. Julia, inoltre, si era complimentata con lei, mostrandole l’attenzione che, da sempre, aveva sognato.

L’aveva così stupita sapere da Julia della sua licantropia, così come di quella di Lucas Johnson!

Aveva sempre ritenuto Lucas una mezza calzetta e, anche complice il suo carattere così docile, non gli aveva mai dato troppo peso, né come uomo e neppure come persona in sé e per sé.

Saperlo un mannaro a sua volta, e colui che per primo aveva riconosciuto Julia come un suo simile, l’aveva resa più guardinga. Avrebbe dovuto proteggere la sua amica, se mai si fosse presentato dinanzi a loro.

Attesa la partenza di Devereux per recarsi al cantiere, quindi, avevano raggiunto la casa, scoprendo così della licantropia di Chelsey e, ahimè, della sua strenua decisione di non seguirle.

Julia, così, l’aveva colpita alla nuca con un colpo di taglio della mano e, con estrema attenzione, le aveva somministrato della polvere di aconito per tenerla buona.

«Non… non sei il mio capoclan…» riuscì a dire la ragazzina, fissando la madre con occhi intrisi d’odio e strappando Alyssia ai suoi ricordi.

«Accetterai nuove regole, d’ora innanzi. Ho atteso anni, perché tu raggiungessi l’età giusta per comprendere se saresti diventata come me o meno. Ho sofferto la solitudine mentre imparavo a conoscere me stessa e quale fosse il posto adatto per persone come noi ma, infine, ho trovato l’unica creatura che potessi seguire come un maestro, e che mi ha insegnato a essere un vero licantropo» dichiarò Julia, con occhi ebbri di esaltazione. «Lui ci guiderà verso una nuova esistenza, lontano dagli indecenti umani e la loro progenie.»

«Io… voglio stare con papà… e Iris…» singhiozzò Chelsey, disperata.

Julia scoppiò in una risata perfida, replicando: «Tuo padre è un lurido umano! E quella ragazza californiana non è da meno. Aly mi ha parlato di loro e della loro tresca. Starai meglio con noi, te lo assicuro.»

Preferendo non dire loro della licantropia di entrambi, ipotizzando potesse andare a suo vantaggio, Chelsey si limitò a mormorare: «Mi troveranno, e ve la faranno pagare.»

«Devi lasciarti alle spalle la tua esistenza umana per godere appieno del tuo lupo, Chelsey. Ti insegnerò ciò che è giusto tu sappia sul tuo lato animale e alla fine mi sarai grata, figlia mia» la rassicurò Julia, sfiorandole una spalla.

Lei si ritrasse appena e la donna, accigliandosi, tornò a volgere lo sguardo verso Alyssia che, contrariamente alla figlia, sembrava pronta a esaudire qualsiasi suo desiderio.

«Controlla che nessuno ci segua. Non voglio ficcanaso nei dintorni del nostro campo. Uccidili, se necessario, mentre io ti precedo. Farò in modo che la nostra guida ti invii dei rinforzi ma, nel frattempo, io dovrò allontanarmi con lei. Troverai la mia scia senza problemi, non temere» dichiarò a quel punto Julia, lanciando uno sguardo vacuo al bosco.

«Lo farò» assentì la donna, levandosi in piedi in tutta fretta mentre Chelsey esplodeva in un grido di rabbia, provando a rialzarsi per fermarla.

Julia, però, le coprì il viso con un pannetto imbevuto di aconito e, suo malgrado, Chelsey crollò senza forze, ormai prossima allo svenimento.

Raccoltala inerme da terra, la madre la prese in braccio dopodiché, amorevole quanto gelida, disse: «Imparerai come hanno imparato gli altri bambini, Chelsey. Imparano tutti, alla fine

La ragazzina sgranò gli occhi, confusa e spaventata, ansimando: «In che senso, tutti

Sprezzante di fronte alla sua occhiata raggelata, Julia asserì: «Pensi di essere l’unica ragazzina strappata a un destino infausto, passato in mezzo a umani inconsapevoli? Io e altri come me abbiamo creato un paradiso in terra per voi tutti, in cui potrete essere liberi di vivere come veri lupi, senza dovervi mai più nascondere.»

Chelsey rammentò le parole di Brianna riguardo ai lupi allontanatisi volontariamente dalla civiltà, e rabbrividì. Era questo che sua madre le stava proponendo? O c’era qualcosa di molto peggiore, nelle sue parole?

Vivere in mezzo alla foresta, dimenticando il suo lato umano a favore di quello animale? No, davvero non lo voleva. Lei era entrambe le cose!

Voleva essere un lupo come Iris, il papà e Lucas, ma vivere con i suoi nonni e i suoi amici! Non desiderava essere solo una cosa o l’altra.

Iniziando a piangere, Chelsey reclinò il viso e mormorò: «Voglio il mio papà…»

Julia sbuffò di fronte a quell’inutile richiesta e, gettandole un sacchetto di pelle conciata tra le mani, borbottò: «Mangia. Parli così perché sei affamata.»

Chelsey però lo scansò con un gesto rabbioso della mano e, ributtandosi a terra, si ripiegò su se stessa per ignorare la donna, sperando di prendere sonno e fuggire almeno nel mondo dei sogni.

Sapeva infatti che, nel mondo reale, non avrebbe mai potuto salvarsi da sola.

***

Devereux era fuori di sé dalla rabbia, oltre che spaventato a morte. Si sentiva un idiota al pensiero di aver lasciato da sola la propria bambina, convinto com’era che nessuno avrebbe potuto farle del male, a questo punto.

Tornare a casa per l’ora di pranzo e scoprire che, non solo Chelsey non era dove avrebbe dovuto essere, ma che la sua abitazione era pregna di due aromi che mai si sarebbe immaginato di trovare, lo aveva mandato nel pallone.

Altri lupi erano stati nella sua abitazione.

Subito, aveva controllato le videocamere a circuito chiuso che, tempo addietro, aveva fatto sistemare dentro e fuori casa e, sgomento, aveva scoperto un’atroce quanto imprevista verità.

Chiamato Lucas per metterlo al corrente della presenza di Julia nelle vicinanze, aveva poi avvisato Clarisse perché attendesse al posto suo l’arrivo di Iris.

Aveva bruciato di contrizione al pensiero di non essere presente al suo ritorno, ma ritrovare la figlia e impedire che le tracce di Alyssia e Julia diventassero fredde, gli era parso un imperativo inderogabile.

Guardare le due donne attraverso il filtro offerto dalle telecamere di sorveglianza, non aveva reso più facile attendere l’arrivo di Lucas.

Vedere Alyssia e Julia avventarsi su Chelsey per poi stordirla – avevano usato l’aconito? Ne erano dunque a conoscenza? – lo aveva quasi del tutto privato del controllo ma, anche se a stento, aveva resistito.

All’arrivo di Lucas, trafelato per la corsa in auto da Kamloops – dove si era recato proprio quella mattina per alcuni acquisti – aveva chiamato Rock perché lo coprisse con una scusa qualsiasi al lavoro, dopodiché erano partiti per avventurarsi nel bosco. A Clarisse avevano lasciato l’ingrato compito di rispondere alle giuste domande di Iris.

Ora, al fianco di Lucas e ben lontani da Clearwater, i due licantropi stavano setacciando la boscaglia per trovare le tracce olfattive delle fuggiasche.

«Avrei dovuto sapere che Alyssia sarebbe scappata alla prima occasione utile. Metterla in una clinica riabilitativa è stato un atto fin troppo generoso. Avremmo dovuto sporgere una denuncia effettiva, quando vi ha sparato» brontolò Lucas annusando l’aria, satura di odori a causa del vento che spirava da nord.

Dev scosse le spalle, replicando irritato: «E’ inutile pensarci adesso. All’epoca, lo facemmo per far mantenere un basso profilo a Iris. Chi se lo immaginava che Julia sarebbe ricomparsa dal nulla per rapire Chelsey e tirarsi dietro Aly?»

«Adesso capisco quando Duncan mi disse che, essere a capo di un clan, vuol dire avere occhi e orecchie in ogni direzione. E’ stata una leggerezza da parte mia» sbottò Lucas, snudando i denti per la rabbia.

«Siamo in due a doverci dare la colpa, allora. Anch’io ero d’accordo per non far rinchiudere in galera Alyssia. Inoltre, se Julia c’entra qualcosa con la fuga di Aly, dubito che i muri di una cella l’avrebbero mai fermata» dichiarò Dev, riprendendo a correre quando percepì l’odore di Alyssia. «Da questa parte. Stanno proseguendo tenendosi a ovest della Clearwater Valley Road.»

Lucas assentì e lo seguì nel bosco, saltando cespugli e piccoli rii con facilità estrema, lasciando che il suo lupo prendesse il sopravvento sull’uomo per muoversi con un’agilità e velocità maggiori rispetto al normale.

Si sentiva responsabile per ciò che era successo, e provava infinita vergogna perché Julia e Alyssia erano penetrate nel suo territorio senza che lui si accorgesse di nulla.

Solo ora iniziava a comprendere cosa volesse dire essere un capo, quanto fossero indispensabili le figure delle sentinelle, e quanto l’avere un branco coeso e forte fosse vitale. Era stato manchevole, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per dimostrare di essere degno di fiducia.

Quando, però, avvertì altri odori oltre a quello di Alyssia, sia Lucas che Dev si preoccuparono non poco e, accelerando il passo, quest’ultimo borbottò: «E’ troppo vicina alle Spahats Falls. Potrebbe aggredire dei turisti per rallentarci.»

«Sembra quasi che vogliano portarci a crederlo» assentì Lucas, accelerando il passo. «Non vorrei che fosse proprio questa, la loro idea.»

Dev si bloccò quasi di colpo, rischiando che Lucas gli andasse addosso e, sconcertato, esalò: «Si sono divise! Ecco perché avvertiamo solo la scia di Alyssia!»

«Che diavolo vogliono fare?» si domandò Lucas prima di guardare Dev, ringhiare frustrato e mormorare: «Dobbiamo prima di tutto bloccare Alyssia. Non possiamo rischiare che attacchi qualcuno. Sappiamo che Julia non farà del male a Chelsey, ma con Aly non possiamo mettere la mano sul fuoco. E’ come un cucciolo senza guida, e non credo che Julia le abbia detto di non attaccare gli umani.»

Dev percepì senza sforzo l’irrigidimento di ogni sua fibra muscolare e, pur se attraversato da un’ira così profonda da poter arrivare a uccidere, non poté che dare ragione al proprio Fenrir.

Alyssia era il pericolo principale, in quel momento. Chelsey, per quanto sola con Julia, non rischiava nell’immediato.

Stringendo i denti fino a farli sanguinare, Dev ringhiò roco per poi scaricare un pugno a un incolpevole abete, che si spezzò sotto l’impeto della sua rabbia, finendo con il crollare sulle piante vicine.

Lucas non disse nulla, comprendendo più che bene la sua frustrazione e, dopo un attimo ancora concesso a Dev per recuperare la calma, riprese la sua corsa per raggiungere Alyssia.

«Giuro che la ammazzerò, stavolta…» sibilò Dev, livido in viso per l’ira.

«Di certo, non ti fermerò» sbottò Lucas, imprecando subito dopo.

Aumentando la velocità, Dev lasciò che l’odore di Alyssia divenisse la sua unica priorità. Quando però ravvisò l’ormai prossima vicinanza con l’enorme parcheggio che si trovava nei pressi della cascata, fece segno a Lucas di accerchiare la donna in modo tale che non potesse raggiungere i turisti.

Lucas si spinse sulla destra, mentre Dev proseguiva diritto, speranzoso – grazie alla sua maggiore velocità – di poterla raggiungere in tempo.

“Alla tua sinistra, Dev!” gli urlò nella mente Lucas, mettendolo in allarme.

Acuendo lo sguardo, l’uomo notò tra il fitto bosco la sagoma indistinta di una donna, piegata in avanti in una corsa sfrenata quanto selvaggia.

Lasciandosi dominare dalla sua parte animale, permise ai suoi istinti primari di avvolgerlo e, come il predatore quale era, si abbatté su di lei con tutta la sua forza.

Alyssia e Dev, quindi, divennero un tutt’uno, ruzzolando tra il sottobosco e contro i trochi di abeti sitka, artigliandosi a vicenda per difendersi e attaccare al tempo stesso.

Fu l’intervento di Lucas a dividerli, e a decretare la fine della rissa.

Senza troppi complimenti, Lucas afferrò Alyssia alla collottola e, con forza, la scaraventò contro un tronco, strappandole ogni stilla di ossigeno dai polmoni.

Febbricitante di rabbia, Dev fece per tornare ad aggredirla ma il suo Fenrir lo bloccò, fissando gelido la donna rannicchiata a terra.

Pur se ferita e sanguinante, Alyssia si sollevò sulle mani con aria di sfida e, fissando i due uomini dinanzi a lei, sibilò: «Siete due idioti… proprio come aveva previsto Julia, avete pensato agli umani prima che a Chelsey. Curioso, comunque, trovare te nelle vesti di mannaro, Dev.»

Ciò detto, ghignò all’indirizzo di Devereux e sputò a terra saliva e sangue in spregio alla sua novella doppia identità.

«Qualsiasi vita è importante, Alyssia. E’ questo che ci differenzia da voi» sottolineò Lucas, sprezzante.

«Poco importa. Vi ammazzerò entrambi e poi la raggiungerò al campo, dove vivremo libere da vincoli e dal puzzo degli umani» sbottò Alyssia, rimettendosi in piedi a fatica.

Lucas, però, le rise in faccia e replicò: «Sei lupa da quanto? ...una settimana? un mese?…e già sputi nel piatto in cui hai mangiato per una vita? I tuoi genitori ti hanno protetta per tutta la tua esistenza, e tu li ringrazi inveendo contro ciò che ti hanno dato?!»

«Se mi avessero amata come amavano Jeremy, non li avrei odiati così tanto!» gli urlò contro Alyssia, perdendo la pazienza.

«Cosa c’entra tuo fratello, adesso? E’ morto da quasi vent’anni» borbottò Dev, accigliandosi.

«Lui si prendeva tutte le attenzioni, e a me non rimaneva nulla… nulla!» gli sputò addosso Alyssia, muovendosi per attaccarlo.

Lucas, però, glielo impedì, bloccandola con la Voce del Comando e Alyssia, nonostante tutto, fu costretta a obbedire, fissandolo comunque con un odio viscerale dipinto negli occhi di pece.

«Cosa stai cercando di dirci, Alyssia? Cosa c’entra Jeremy con tutto questo?» domandò Lucas, imprimendo il tono del comando nella sua voce.

Alyssia imprecò, si dimenò per non rispondere ma, suo malgrado, dovette dar seguito alle richieste di Lucas.

Fu così che ammise con loro l’omicidio del fratellino, affogato nel Dutch Lake per mano sua.

Con una dovizia di particolari davvero agghiacciante – mista alla follia più pura – Alyssia spiegò come avesse congeniato quel piano ma come, a sorpresa, le si fosse rivoltato contro.

Ansimante e stremata dal peso della Voce, la giovane ringhiò: «I miei genitori lo piansero, e lo piansero, senza mai rendersi veramente conto che io ero ancora lì. Non pensarono mai di riversare le loro attenzioni su di me, perché erano troppo depressi e spezzati, per farlo. Così li odiai ancora di più… fu Julia a darmi ciò che mi mancava e, solo per questo, io le sarò fedele a vita!»

«Non riesci a capire che ti ha solo sfruttata?!» esclamò Dev, furioso. «Ci ha sfruttati entrambi, e ha abbandonato sua figlia quando le è tornato comodo!»

«Doveva prima ritrovare se stessa e, ora che è forte e libera, potrà prendersi degna cura di Chelsey» replicò serafica Alyssia.

«Sei pazza» sentenziò sconvolto Devereux, scuotendo il capo per lo sgomento.

«Sei ancora in tempo per cambiare idea, Dev. Rifuggi gli uomini e vieni con noi. Io e Julia saremo le tue lupe, e tu potrai crescere Chelsey lontano dall’odio e dalla discriminazione» gli propose allora Alyssia con tono sottomesso.

Dev, però, la fissò con estremo disgusto e replicò: «Non mi abbasserei a toccarvi neppure se foste le ultime due donne rimaste sulla faccia della Terra.»

Accigliandosi, Alyssia ringhiò: «Cosa dirai, allora, alla tua puttana umana, quando sarà troppo difficile trattenere il lupo che è in te? La muterai per poterla rendere schiava di una vita a metà?»

Scoppiando a ridere con una certa cattiveria, Dev replicò: «Iris è lupa da più tempo di te, ed è stata così coraggiosa da mettere a rischio il suo segreto, e se stessa, soltanto per aiutare Chelsey. Lei è, e sarà, l’unica donna – e lupa – che io mai sfiorerò e amerò, e questo perché la ammiro e la rispetto, oltre ad amarla come non ho mai amato Julia.»

«Allora muori con lei, visto che non sei in grado di essere un vero lupo» decretò Alyssia, estraendo dalla tasca dei pantaloni una Beretta Tomcat nichelata.

Prima ancora che potesse sparare, però, Lucas la bloccò con la Voce del Comando e, furioso come non mai, ringhiò: «Ti sei giocata la tua ultima carta, con questa stronzata, Alyssia. Ora assaggerai il mio lato peggiore.»

Bloccata con ancora il braccio a metà del suo percorso, la giovane lo fissò tremante e confusa e, con voce resa roca dall’odio, sibilò: «Lasciami andare!»

«Non ci penso proprio. Adesso, mi obbedirai per filo e per segno e, se non mi piaceranno le tue risposte, vedrai l’abisso dietro di te, e poi più nulla» la minacciò Lucas, vedendola finalmente impallidire.

Dopo un attimo di teatrale sospensione, Lucas sibilò: «Dimmi dov’è Chelsey

Alyssia uggiolò dolorosamente, crollando su un fianco mentre il suo corpo veniva squassato dai tremiti e Dev, rabbrividendo a sua volta, borbottò: «Cristo, Lucas, vacci piano con la Voce…»

«DIMMELO! ORA!» gridò subito dopo Lucas e Alyssia, con uno strillo carico di dolore, crollò nuovamente sul sottobosco ricoperto di aghi di pino. Piangendo, spezzata e vinta, cominciò a parlare.

«Morirete, se vi avvicinerete al campo. Non avete speranze… sono troppi, per voi. Chelsey diventerà una lupa libera e felice, lontana dalle ipocrisie dell’uomo» mormorò ansimante Alyssia, fissando con odio puro il volto contratto di Lucas.

«Dove la sta portando?» ripeté per la terza volta Lucas.

Alyssia si strinse le mani al petto, ormai priva di forze, e gorgogliò: «Al nord. Vicino al McDougall Lake.»

Lucas, allora, squadrò preoccupato Dev e borbottò: «E’ parecchio distante da qui. Julia ci ha trascinati lontani da lei, sacrificando Alyssia per poter avvicinarsi ai suoi alleati. Forse, ha pensato di usare Aly fin dall’inizio, sapendo che io avrei tentato di impedirle di portare via Chelsey. Creando un’esca, mi ha attirato lontano perché non potessi nuocerle.»

«Lei mi aspetta» lo rimbeccò irrispettosa Alyssia, ridendogli in faccia.

«Non credo proprio. Tu non ti muoverai da qui finché non deciderò diversamente» replicò Lucas, gelido quanto lapidario.

«Tu non puoi ordinarmi…» iniziò col dire Alyssia prima di venire schiacciata a terra da una forza terrificante, che la fece urlare di dolore. «Come puoi?! Come, dimmelo!»

«E’ il mio dono e il mio peso…» mormorò Lucas, fissandola con astio in quegli occhi iniettati di rancore. «…ma questo tu non puoi saperlo, visto che Julia ti ha raccontato solo una parte della storia.»

«Muterò in lupa e mi trascinerò fino a lei…»

«Muta pure, ma nulla cambierà. Rimarrai qui fino a mio nuovo ordine, perché tu non puoi nulla contro di me» dichiarò lapidario Lucas.

Alyssia, allora, gli rise in faccia e replicò acida: «Julia è cento volte più coraggiosa di te! Non si abbasserebbe mai a usare un vantaggio del genere sul proprio nemico.»

Scrollando le spalle, Lucas allora la lasciò andare e, come una furia, le si avventò contro, esclamando: «Affronta la ferocia di un lupo, allora!»

Alyssia mutò in lupo per respingere l’attacco in forma umana di Lucas, ma a nulla servì l’essere diventata una lupa, messa di fronte alla forza primigenia del licantropo lanciato contro di lei.

Dev lo lasciò fare, ben sapendo che Alyssia aveva messo in dubbio le sue capacità decisionali, con quella provocazione, e spettava solo a lui mettere in chiaro la verità.

Fu comunque difficile vedere l’amico combattere a mani nude contro quell’enorme lupo maculato, pur se cosciente della sua reale forza.

Con tutta probabilità, se Rock fosse stato presente, avrebbe dato di matto. Era un bene che, almeno per il momento, Lucas non lo avesse mutato in lupo.

Alla vista del suo compagno impegnato nella lotta, non avrebbe saputo trattenersi, e avrebbe rischiato il tutto e per tutto per evitargli delle ferite, o peggio, finendo però per mettere in pericolo se stesso.

Seguendo il combattimento con lo sguardo, Devereux non ebbe comunque alcun dubbio su chi avrebbe vinto e, pur provando odio nei confronti di Alyssia, non fu lieto di saperla già perdente.

Julia l’aveva manipolata, sfruttando le sue debolezze per una vita intera. Anche adesso, l’aveva spinta contro un altro lupo con la quasi totale certezza che avrebbe perso.

Nessun giovane licantropo avrebbe potuto tenere testa a un qualsiasi mannaro anziano e Lucas, di fatto, lo era più di tutti loro messi assieme, poiché che era nato così. Essere Fenrir, inoltre, gli conferiva una forza che nessun lupo normale avrebbe mai potuto avere.

Il gap tra i due contendenti, non a caso, divenne sempre più evidente finché, nel lento procedere della lotta, Alyssia non riuscì più a mantenere la sua forma di lupo, mutando nuovamente in donna.

Ricoperta di ferite ed ecchimosi, aveva in gran parte perso la bellezza che l’aveva sempre contraddistinta, e la rabbia che ne sfigurava il volto completava l’opera.

Quella non era più Alyssia. Era una creatura guidata solo dai suoi più bassi e laidi istinti.

«Ora, basta, Alyssia. Hai perso. Non ha più senso lottare» sentenziò Lucas, il viso percorso da un’infinita tristezza.

Lei, però, scosse il capo con violenza e, rimessasi in piedi con fare caracollante, gli urlò contro: «Non guardarmi come se fossi mio padre!»

«Ti guardo come guarderei qualsiasi creatura persa in una bugia» replicò Lucas, allungandole una mano.

Alyssia indietreggiò di fronte a quell’offerta di pace e, terrorizzata, scosse la zazzera di capelli che le ricadeva come una mantello sul volto e le spalle, sibilando: «Non mi toglierete la libertà. Non farò mai più ciò che non voglio!»

L’attimo seguente, sorrise vittoriosa e, sorprendendo sia Devereux che Lucas, annullò la distanza che la separava dallo strapiombo e si gettò dabbasso, andando a schiantarsi sul fondo del burrone, a poca distanza dal Spahats Creek.

«Cristo Santo…» ansimò sgomento Devereux, guardando verso il basso prima di sentire Lucas imprecare.

Guardandolo a mezzo, mormorò: «Amico, non voleva essere salvata. Non puoi fartene una colpa.»

«Avrei potuto tramortirla» replicò Fenrir.

«E per cosa? Per vederla fuggire alla prima occasione? Alyssia non ha mai voluto la vita che le è stata donata alla nascita, ma una che non avrebbe mai potuto avere. Anime così sono destinate soltanto a soffrire» dichiarò Dev, battendogli una mano sulla spalla.

Lucas assentì dopo alcuni istanti e, mentre le prime voci sgomente si levavano dai poco distanti punti di osservazione della Spahats Falls, Dev mormorò: «Andiamo. Qui non possiamo fare più niente.»

Le urla dei turisti si elevarono per forza e virulenza, e fu con questo coro infernale alle spalle che i due licantropi si allontanarono dal luogo in cui Alyssia aveva esalato il suo ultimo respiro.

 

N.d.A.: eccoci di nuovo con  Iris e soci! La pacchia è finita, per così dire, e i nostri amici devono affrontare la peggiore delle loro paure... il rapimento del membro più debole del loro piccolo branco!

Alyssia e Julia hanno giocato subdolamente le loro carte, preferendo non attaccare direttamente, ma aggirando l'ostacolo per poter avere libero accesso a Chealsey senza combattere. Julia, però, non ha esitato ad abbandonare la compagna, una volta riottenuta la figlia e Alyssia ha dovuto affrontare - impreparata - le ire di un Fenrir e del suo secondo.

Iris, nel frattempo, si è messa sulle loro tracce non appena saputa la notizia... li raggiungerà in tempo per unirsi alla lotta, o Dev e Lucas risolveranno tutto prima del suo arrivo?

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***



22.

 

 

 

 

 

Attraversata la Clearwater Valley Road per poi rientrare nel bosco, Dev e Lucas ripresero la loro corsa verso nord, disdegnando l’idea di cercare nuovamente le tracce di Julia.

Le ore che li separavano, ormai, erano troppe e, poiché conoscevano già il luogo in cui recarsi, non aveva senso perdere ulteriore tempo per ritrovare la pista.

Quando, però, nella mente di Dev balenarono degli sprazzi di conversazione sconnessi e senza senso, l’uomo si bloccò a metà di un passo, la mano alla fronte e, dubbioso, disse: «Lucas, aspetta un attimo.»

“…ev…ove… se…”

La comunicazione mentale lo raggiunse stentata, a pezzetti, come un’onda radio disturbata, ma la voce che lo sfiorò gli risultò inconfondibile.

Ritrovando per un istante il sorriso, Dev esalò: «E’ Iris! E’ qui, da qualche parte!»

Lucas si ringalluzzì non poco, a quella notizia e, forte del suo maggiore potere e abitudine nell’uso dei suoi doni, disse mentalmente: “Iris, mi senti?!”

“Lucas! Finalmente! Dove siete?!”, esclamò Iris, sollevata.

“Riesci a seguire la mia aura mentale?”

“Tenterò. Voi, però, non vi muovete!”

Ciò detto, si scollegò e Lucas, scrutando speranzoso il suo compagno di viaggio, dichiarò: «Arriva la cavalleria.»

«L’unica buona notizia della giornata» borbottò Dev, piegandosi in avanti per rilassare i muscoli e poggiare le mani sulle cosce, stanche per la lunga corsa.

Anche Lucas lo imitò, approfittando di quella pausa temporanea per recuperare le energie. Per quanto superiore in forza e tecnica, quello con Alyssia era stato comunque il suo primo, vero combattimento, e ora cominciava a sentirne sul corpo i contraccolpi.

Era stata una fortuna che Alyssia non avesse conosciuto abbastanza bene la sua natura di licantropo per sfruttare la sua aura durante la lotta, o avrebbero potuto abbattere mezza foresta.

Inoltre, lui non sarebbe uscito di certo illeso da quello scontro, ma avrebbe potuto riportare danni tali da rendergli impossibile proseguire nella ricerca di Julia e Chelsey.

“Sembri piuttosto sbattuto, sai?” gli fece notare Iris, durante il suo avvicinamento.

“Ti spiegheremo ogni cosa non appena sarai qui” le promise lui, lasciando che la sua aura si elevasse a sufficienza per creare una sorta di faro visibile per Iris.

Seguendo l’onda residua della traccia mentale di Lucas, la giovane riuscì infine a raggiungere il punto in cui lui e Dev si trovavano. Quando, però, scorse i volti scuri di entrambi e gli abiti stazzonati dei due uomini, le domande si affastellarono nella sua mente come tanti mattoncini impilati l’uno sull’altro.

Annusando curiosa l’aria, percepì sul corpo di entrambi l’aroma residuo di Alyssia e, sempre più dubbiosa, borbottò: «Dando per scontato che non avreste mai fatto un’orgia con Alyssia… mi spiegate perché sembrate appena passati nel tritacarne e avete il suo odore addosso?»

«Alyssia ha dato il meglio di sé… in tutti i sensi» riassunse in poche parole Dev, lanciando un’occhiata significativa a Lucas.

Iris, allora, guardò Lucas in cerca di spiegazioni e, nel notare il suo sguardo contrariato, mormorò spiacente: «Hai dovuto ucciderla? Per questo sembri così abbattuto?»

Scuotendo il capo, l’uomo replicò: «Si è uccisa. Ha rifiutato il nostro aiuto.»

La giovane sgranò leggermente gli occhi, a quella notizia e, sfiorando con la mano un braccio di Lucas, sussurrò: «Non è colpa tua. Ha avuto tutte le possibilità del mondo, per cambiare.»

Lanciata poi un’occhiata a Devereux, domandò ansiosa: «Avete scoperto qualcosa, prima che decidesse di farla finita?»

«Alyssia è stata costretta a parlare, quando Lucas ha usato la Voce, e ora sappiamo dove si trovano i compagni di Julia, e dove lei e Chelsey sono dirette» assentì Dev, determinato e pronto a ripartire per la ricerca.

Annuendo determinata, Iris allora disse: «Bene. Procediamo pure.»

«Da quel che Alyssia ci ha detto, sono almeno cinquanta lupi adulti, e quasi altrettanti cuccioli. Te la senti?» le spiegò Lucas, scrutandola apprensivo.

Iris, però, sorrise ironica e replicò: «Credimi, quel che hai visto al Vigrond è nulla. Cinquanta o cinquecento, per me non fa differenza. Ne ho parlato un po’ con Gunnar mentre vi stavo cercando, e quel che ho capito mi ha rassicurato parecchio.»

Lucas annuì, un poco rinfrancato e, dopo aver guardato i suoi due compagni di viaggio, si mosse per riprendere il cammino verso nord e verso il campo di lupi di cui faceva parte Julia.

***

Fermi nei pressi di un ruscello per recuperare le forze e mangiare qualcosa, Iris raccolse mentalmente le idee su ciò che i due uomini le avevano detto riguardo alle dichiarazioni sconcertanti ottenute da Alyssia.

Era stata dunque lei a uccidere il fratellino, non era stato un tragico incidente guidato da un Fato avverso.

Lei era stata la mano del Fato. E tutto per avere le attenzioni esclusive dei genitori che invece, di fronte a quell’infausta disgrazia, si erano disgregati come neve al sole, lasciandola ancor più sola di prima.

Ciò che lei aveva freddamente messo in atto per avere il loro amore, le si era ritorto contro nel modo più beffardo possibile.

Una preda perfetta, quindi, pronta per essere fagocitata da Julia e dal suo desiderio egoistico di avere tutti ai suoi piedi.

Anche Dev ne era rimasto vittima, al pari di Alyssia. Era stato stregato dal suo carismatico magnetismo, dal suo essere così selvaggia e passionale, ma aveva saputo riprendersi dallo shock della perdita quando lei si era smascherata, mostrando il suo vero Io.

Alyssia non era stata in grado di farlo, si era ancorata al passato, e a quel passato Julia si era aggrappata per sfruttarla a suo piacimento, ben sapendo che a Clearwater avrebbe trovato Lucas, a darle noia.

Devereux era stata una sorpresa per Alyssia, ovviamente, e il fatto che Julia ancora non sapesse, era per loro un vantaggio.

Restava comunque il fatto che un intero gruppo di licantropi – capitanato probabilmente da un folle al pari di Julia – li attendeva al varco, pronto a dar battaglia per sostenere ideologie ai limiti del paradossale.

Che detenessero dei bambini, però, era la cosa che più preoccupava Iris, in quel momento. Trovava quel particolare sconcertante, e la sua anima di landvættir premeva per poter combattere in loro difesa.

“Ti capisco bene, Gunnar, ma pazienta ancora un po’. E’ un tantino troppo presto per esplodere.”

Oh, lo so bene, e credimi… la penso come te. Le persone che toccano i bambini andrebbero punite severamente, perciò mi troverai d’accordo qualsiasi decisione prenderai, e qualsiasi grado di potere vorrai sviluppare.

“Mi fa piacere saperlo, e non stavo scherzando, prima. Parlarne con te è importante, perché tu sei stato un guerriero, e comprendi meglio di me situazioni così instabili e pericolose.”

Il tuo potere ti permette di colpire selettivamente solo il nemico, risparmiando coloro che non rientrano in tale categoria… Natura compresa. Fai però attenzione a non esaurirti troppo, o le conseguenze saranno pesanti. Gli shock psichici non sono mai leggeri.

“Vedrò di contenermi, per quanto possibile. Tu dammi un fischio. Io spero di sentirti.”

Sarà fatto, le promise Gunnar.

Iris sospirò nel rialzarsi dalla posizione accucciata che aveva preso per abbeverarsi e, nel sedersi al fianco di Dev – impegnato a sbocconcellare una barretta energetica – mormorò: «Come ti senti?»

Lui si limitò a sospirare e, reclinando il viso, poggiò il capo contro la sua spalla, cercando così un contatto che, fino a quel momento, aveva evitato.

«Non ti ho ancora detto che sono contento di rivederti. Scusa.»

«Hai molte attenuanti a tua discolpa, credimi» replicò lei, baciandogli i folti capelli corvini.

Non aveva davvero idea di come Dev potesse sentirsi, al pensiero di non aver potuto proteggere sua figlia dalle mire di Julia ma, se il malessere che provava ne era solo la decima parte, non poteva che sentirsi spiacente per lui.

Aveva accettato in silenzio la sua decisione di evitare abbracci o altri gesti di affetto, comprendendo più che bene quanto fosse importante, in quel momento, raggiungere Julia e Chelsey. Trovarlo così prostrato, quindi, la preoccupò un poco, ben sapendo quanto Dev fosse poco incline a mostrare le proprie debolezze.

Con una carezza, gli sfiorò il viso ed espanse l’aura per abbracciarlo nel suo calore e Dev, con un sospiro, vi si accoccolò per alcuni istanti, trasmettendole il suo muto ringraziamento.

Lucas sorrise a entrambi e, nel risistemare il proprio zaino dopo aver mangiato, asserì: «Cominciava a mordere il freno, all’idea del tuo ritorno.»

Dev lo fissò malissimo e, arrossendo suo malgrado, si risollevò dalla spalla di Iris e replicò serafico: «Penso che farò diventare vedovo Rock, dopo questa uscita.»

Sia Lucas che Iris risero e quest’ultima, nello stringergli una mano, disse: «Anch’io non vedevo l’ora di rivederti.»

«Sì, sì, va bene… ma adesso smettiamola di fare i mielosi e ripartiamo, altrimenti mi verrà il diabete, ad ascoltare voi» borbottò Dev, levandosi in piedi per poi attirarsi al fianco Iris con una mossa repentina.

Lei lo lasciò fare, addossandosi al suo corpo tonico con piacere e, sorridendogli, mormorò maliziosa: «Sei molto contento di vedermi.»

«Spiritosa» mugugnò lui, dandole un bacio di fuoco e sollevandola da terra al tempo stesso.

Lucas rise nuovamente, di fronte a quell’evidente dichiarazione di possesso e, quando Dev lasciò finalmente andare una stordita Iris, chiosò: «Questo sì che è un benvenuto! Mi chiedevo quanto altro tempo avresti aspettato per baciarla come si deve.»

«Fatti gli affari tuoi, se non vuoi che ti stenda con un pugno» ghignò Dev, squadrando beffardo l’amico mentre Iris si faceva aria con le mani, paonazza in viso.

«Che razza di Sköll irrispettoso, mi ritrovo» celiò Lucas, dandogli una pacca sulla spalla prima di indossare il suo zaino e aggiungere, più seriamente: «Ripartiamo. La pausa è finita.»

I due assentirono e, silenziosi come ombre nella notte, ripresero il loro cammino verso nord, preparandosi mentalmente all’inevitabile scontro, che li avrebbe visti contrapposti ai loro simili.

Era difficile da accettare, soprattutto in considerazione del fatto che, a dividerli, era solo la visione che avevano del mondo, e non un odio personale e profondo.

Lucas non avrebbe mai voluto arrivare a muovere guerra contro di loro ma, avendo Julia rapito Chelsey, gli avevano reso inevitabile reagire a quel modo. E sapeva bene che anche per Dev e Iris era lo stesso.

Avrebbero lottato, ma non certo per il piacere di farlo.

***

Lucas fu il primo a bloccare i propri passi, ponendo così le basi per l’arresto simultaneo dei suoi compagni.

Silenzioso, si sfiorò il naso con l’indice, stese il braccio per indicare a ovest e, dopo essersi accucciato accanto a un alto abete sitka, disse mentalmente a Dev: “A ore dieci… l’odore viene da là. Vai a controllare, ma non intervenire. Dobbiamo primariamente pensare a un piano. L’aria è così satura di odore di licantropi che non si accorgeranno di te, ma tu presta attenzione comunque.”

“Potrei andare io…” buttò lì Iris, ricevendo per diretta conseguenza un’occhiataccia da parte di Devereux e una più divertita da Lucas, che scosse il capo.

“E’ giusto che sia lui a capire dove sia Chelsey. E’ sua figlia, ed è giustamente in pena per lei, perciò immagino stia mordendo il freno per riaverla. Inoltre, sei la nostra arma primaria e non voglio scoprire troppo presto le mie carte, impiegandoti durante un eventuale scontro con le sentinelle” sottolineò Lucas.

“Se scopro che lo fai perché sono una donna, ti strappo le palle. Fenrir o non Fenrir, sappilo” lo minacciò per contro la giovane.

Lucas si limitò a scrollare le spalle, incolpevole, mentre Devereux si toglieva il suo zaino per sistemarlo tra i rami più alti dell’abete, al riparo da animali curiosi e lupi.

Ciò fatto, mutò in lupo e discese verso valle, protetto dal vento favorevole che spirava verso di loro e che allontava dal campo il loro aroma selvatico.

Iris ne seguì la figura dal manto rossiccio e, al tempo stesso, dedicò anche la sua attenzione al McDougall Lake, dove si trovava l’accampamento di licantropi in fuga.

Sviluppato in lunghezza per diverse miglia, il lago era intravedibile a malapena, attraverso la fitta boscaglia in cui erano nascosti, ma sia Iris che Lucas potevano avvertirne il lieve odore limaccioso.

Eliminata con certezza la minaccia di potenziali sentinelle nel bosco – non ne avevano trovata traccia, in quel tratto di avvicinamento al campo – il trio si era potuto assestare in un punto favorevole da cui osservare l’intero campo.

Questo, però, era più o meno l’unico vantaggio in loro possesso, a parte i micidiali – quanto imprevedibili – poteri di Iris, di cui nessuno conosceva la portata vera e propria.

Quel pensiero era rimasto ben sedimentato nella mente di Lucas per tutta la durata del loro viaggio e, quando finalmente furono soli e non più alla portata d’orecchio di Dev, l’amico le domandò: «Hai saputo qualcosa di più sulla potenza del tuo dono?»

La giovane scosse il capo, spiacente, limitandosi a dire: «Posso solo dirti che, quando ho sviluppato per la prima volta quell’onda energetica, sapevo di non essere al mio limite. Avevo ancora molta forza, dentro di me, ma sapevo di non dovervi fare del male… solo, di tenervi a distanza. Gunnar mi ha però avvisata di non esagerare, o potrei avere dei contraccolpi psichici piuttosto forti.»

Con una scrollata di spalle, Iris si scusò per non avere altre risposte da dargli e Lucas, scuotendo una mano con fare noncurante, replicò: «Non è colpa tua se non ne sappiamo niente. Persone più esperte di noi sono rimaste ugualmente sorprese, se ben ricordi.»

Iris assentì, ma disse: «Il punto è un altro. Non so esattamente come attivarlo. La prima volta che si è sviluppato, è stato a causa della paura provata nel vedere Dev in pericolo ma, onestamente, non me la sento di spingerlo tra le braccia del nemico solo perché funga da pulsante di accensione.»

Lucas annuì grave, facendosi pensieroso.

«Così su due piedi, posso solo pensare che molto di ciò che hai fatto, è stato spinto innanzitutto dall’adrenalina. L’ansia per Dev l’ha fatta schizzare alle stelle e, se tanto mi dà tanto, ciò che troveremo laggiù ti aiuterà senza problemi a farla debordare.»

Iris ghignò a quelle parole e, rivolgendosi a Lucas, dichiarò: «Speriamo sia così. In ogni caso, ho pronto il pulsante off. Spero soltanto di riuscire a sentire quando Gunnar lo azionerà.»

«Preghiamo che urli forte. Allora aspettiamo che…» iniziò col dire Lucas, prima di udire a sorpresa l’ululato furioso di Devereux.

Questo si fece largo nella vallata, simile al rimbombo di mille tamburi e, nel piccolo raggruppamento di licantropi, si scatenò il caos.

Lucas non perse tempo a chiedersi il perché di quell’errore grossolano e cominciò a correre verso il fondo della valle, subito seguito da Iris.

«Ma che diavolo gli è saltato in mente? Non si era detto di fare le cose con discrezione?!»

«Tremo al pensiero di quello che possa aver visto, per portarlo a smascherarsi con così tanta platealità!» replicò Iris, allungando il passo per precedere Lucas.

Oltre a essere in pensiero per Dev, Iris doveva pensare innanzitutto alla sicurezza del suo Fenrir. Dato che si era presa l’incarico di essere l’Hati del branco fino a nuovo ordine, doveva fare le cose per bene ed evitare che Lucas venisse ferito.

Inoltre, l’adrenalina nel suo sangue stava aumentando a dismisura, facendole brillare la mani come due fari d’auto. L’energia si stava accumulando e, ben presto, avrebbe dovuto rilasciarla in qualche modo, ed era preferibile che Lucas non si trovasse nel messo di questa esplosione energetica.

Non avrebbe di sicuro avuto problemi a fare il centravanti da sfondamento per proteggere Lucas, visti i poteri che si ritrovava, ma doveva anche stare attenta a non far male a nessuno che non fosse direttamente coinvolto nella loro missione.

“Dev, mi senti!?” gridò nel frattempo Iris, cercando con l’olfatto il suo compagno.

“Quei bastardi li stanno marchiando come bestie!” urlò nella sua testa Devereux, prima di scollegarsi da lei con un secco strappo.

Iris lanciò un’occhiata furente quanto disperata a Lucas, che aveva ascoltato ogni parola e, furibondo non meno di lei, le urlò: «Annientali tutti, Iris! ORA

La giovane non seppe dire se la Voce del Comando scaturì dalle labbra di Lucas a causa della furia, o per darle un maggiore sprone. A ogni buon conto, Iris non solo accettò volentieri l’ordine, ma lo utilizzò per incanalare la sua energia nei gangli di potere imprigionati dalla Voce del suo Fenrir.

Bloccandosi su uno spuntone di roccia per aver una visuale migliore del campo nei pressi del lago, Iris si piegò su un ginocchio, raccolse all’indietro le braccia e, come un dannatissimo supereroe, scagliò contro i nemici la sua onda di energia.

Nella realtà dei fatti, ciò che avrebbe potuto vedere un comune umano sarebbe stata una strana nuvola di nebbia mossa da un vento impetuoso ma, per i licantropi presenti nella valle, fu qualcosa di molto peggio… e di molto più terrificante.

Scostandosi dalla linea di tiro non appena Dev vide giungere l’onda di energia, simile a un denso miasma rossastro per i suoi occhi di lupo, il licantropo si ritrovò a osservare per la prima volta il reale potere di Iris.

Ciò che, all’interno del Vigrond, lui aveva percepito solo in minima parte e con colori decisamente più tenui e rassicuranti, ora era dinanzi a lui, spaventoso al pari di un tornado di fuoco o a una tempesta marina d’immane grandezza.

Le onde di potere purpuree si abbatterono sui licantropi presenti nel campo, scaraventandoli a terra come se qualcuno li avesse trascinati a forza per la collottola.

Come desiderato da Lucas e previsto da Iris, non tutti vennero colpiti da quell’onda di energia primigenia. Al pari di un lupo in caccia, il potere di Iris cercò i colpevoli, li scovò e li colpì con forza, tramortendoli e gettandoli a terra perché consentissero agli innocenti di fuggire.

I membri più giovani di quell’anomalo branco non esitarono a darsi alla macchia, dopo aver visto i loro aguzzini spazzati via da quell’onda anomala di energia.

Le urla di richiamo degli adulti furono inutili, strangolate e rese inudibili dalla potenza del dono di Iris.

Solo pochissimi ragazzi rimasero rigidi nelle loro posizioni e, per questo, vennero trascinati via al pari degli altri, dimostrando una volta di più come l’onda fosse in grado di scegliere chi fosse il nemico, e chi dovesse risparmiare.

Deciso a comprovare quella ipotesi, Dev sfiorò il bordo ondulato e rilucente dell’onda e, a sorpresa, non ne venne affatto travolto.

Percepì invece Iris, la sua forza, il suo desiderio di proteggere Chelsey e gli innocenti del campo e, non da ultimo, la speranza di potersi vendicare su Julia.

Rinfrancato dalla possibilità di potersi muovere agevolmente in mezzo a quell’energia sfrigolante senza subirne le conseguenze, Dev si mise quindi alla ricerca di Chelsey, mentre Lucas si lanciava nel mezzo del campo per trovare Julia.

Quando fu del tutto certa che l’onda avesse svolto il suo compito, Iris sciolse i nodi di potere uno a uno e, con un lungo sospiro, mormorò mentalmente: “Tutto bene, lì dentro? Io mi sento okay.”

Procedi pure… il cervello non ha subito alcun danno, il che mi fa pensare che, a conti fatti, tu non abbia limiti oggettivi, commentò sorpreso e ammirato Gunnar.

Preferendo non pensare agli inevitabili significati di quella frase, la giovane scese fino al limitare del bosco e, con passo cauto, si avventurò lungo quella che considerò essere la strada principale del campo di licantropi.

Preferiva non pensare al fatto che, se il suo potere non aveva limiti fisici, lei avrebbe potuto fare più o meno ciò che voleva, con esso. Questo le avrebbe messo tra le mani capacità infinite, ma che non aveva nessuna intenzione di avere… o di sfruttare.

Storcendo il naso, lasciò quindi quei pensieri per un secondo momento e, attenta, controllò con attenzione ciò che la circondava.

Non v’erano costruzioni in muratura o tensostrutture di un qualche genere. Qualcuno aveva improvvisato la costruzione di un teepee indiano, scoprendo solo in seguito quanto, in realtà, fosse complicato innalzarlo, per mani inesperte.

Perché avessero deciso di vivere a quel modo, rifiutando la civiltà, rimaneva per lei un mistero, ma non perse tempo a rimuginarci troppo.

In quel momento, aveva altro a cui pensare.

Era consapevole dei giovani presenti oltre il limitare del campo ma, sapendo che Dev era con loro – la sua aura era così forte, in quel momento, da essere visibile a vista – Iris non si preoccupò di raggiungerli. Erano al sicuro, lontani da coloro che li avevano strappati alle loro famiglie, e protetti da un lupo capace di tutto, per loro.

Avrebbero pensato più tardi al modo migliore per riavvicinarli alle famiglia da cui erano stati forzatamente allontanati. Quel che contava, era chiudere la partita con coloro che avevano dato inizio a quella follia.

Passando oltre coloro che, ancora intontiti dal suo potere, erano stesi a terra in posizione fetale, deprivati della loro forza, Iris finalmente intercettò la traccia mentale di Lucas, e la seguì.

Non impiegò molto per trovarlo. Immerso in una bolla di puro potere, e impegnato in una battaglia all’ultimo sangue con un altro lupo alfa, era circondato da uno sparuto gruppetto di licantropi, impegnati con le loro forze residue a sorreggere la cupola protettiva che permetteva loro di compattere.

Scrutando meglio l’avversario di Lucas, Iris non si stupì più di tanto nel trovare un altro Fenrir. Un simile assembramento di persone aveva potuto essere messo in piedi – e contenuto – solo grazie ai poteri di un simile Gerarca. Diversamente, Iris dubitava fortemente che persone non abituate a vivere in un clan, avrebbero accettato di abbandonare ogni cosa per vivere lontani dal mondo.

Nel vederla sopraggiungere – e riconoscendo immediatamente la sua traccia mentale – molti licantropi si fecero da parte, intimiditi dal suo potere e, per un istante, la barriera vacillò.

Incutere un po’ di timore non poteva che far bene, in quel particolare frangente, ma Iris sperò che il suo arrivo non facesse esplodere la barriera contenitiva. Sprigionare il potere latente di due simili auree, avrebbe potuto voler dire fare del male anche ai bambini lontano dal campo, non solo a loro che si trovavano nelle sue immediate vicinanze.

Avvicinatasi quindi a uno dei licantropi che aveva eretto la barriera di contenimento delle auree, Iris domandò: «Perché stanno combattendo? La lezione di prima non vi è bastata?»

Il licantropo a cui aveva rivolto la parola, ancora piuttosto sofferente ma ben saldo sulle gambe, la fissò preoccupato ma non mollò la presa sulla barriera.

Iris, allora, lo squadrò in viso, sondò la sua aura e, sospirando, mormorò: «Ti è stato imposto di non muoverti, vero?»

Lui riuscì a malapena ad assentire, il corpo ora percorso da brividi di paura e gli occhi inondati di lacrime. L’istinto stava suggerendogli di scappare da lei, ma la Voce del Comando lo bloccava inesorabilmente al suo compito.

La giovane scosse il capo, disgustata da quell’uso indiscriminato del potere, e si limitò a dire: «Non ti farò alcun male, non temere. Se avessi voluto farlo, non ci sarei andata così leggera, prima.»

Quelle parole fecero impallidire i pochi licantropi presenti e, ancora, Iris si chiese se sarebbe stata capace, in futuro, di avere la forza necessaria per gestire un simile dono.

Se già quello che aveva fatto era bastato per incutere un simile timore reverenziale, cosa avrebbe potuto succedere se si fosse infuriata davvero?

Non pensarci ora. Ne parlerai con Brianna, che è l’unica che può capirti. Ora bada soltanto al momento, le ricordò Gunnar, riportandola sul binario.

«Puoi dirmi i motivi del duello? Questo ti è concesso?» domandò allora Iris.

«Il tuo lupo alfa ha proposto un duello, così da decidere che fine faranno i bambini, insieme a coloro che vorranno andarsene da qui. Il nostro capo ha accettato» mormorò il licantropo, sbattendo furiosamente le palpebre per la paura.

Iris sospirò ancora, si allontanò di un passo – causando il relativo spostamento di tutti i presenti – e, nel volgersi a mezzo quando percepì l’aura di Dev in avvicinamento, mormorò tra sé e sé: “Dovrò dire a Rock che il suo ragazzo è come Nelson Mandela.”

Devereux impiegò meno di un minuto per raggiungere quel piccolo assembramento di licantropi ancora attivi e, dopo aver osservato il combattimento per alcuni istanti, domandò: «Che gli è preso?»

«Combatte per la libertà dei bambini e degli adulti che vorranno andarsene» gli spiegò succintamente Iris.

«Mai una volta che Lucas non decida di fare la parte del grande eroe» chiosò Dev, poggiando le mani sui fianchi.

L’attimo dopo, però, si accigliò e Iris, seguendone lo sguardo adombrato, scrutò la donna sul lato opposto del campo di battaglia e, colta da un dubbio, domandò: «Julia?»

«Sì, è lei.»

Iris fissò la bellezza bruna con occhio clinico, cercando di non pensare a lei tra le braccia di Dev, o mentre partoriva Chelsey, ma fu una cosa davvero complicata da fare.

La gelosia inevitabile che provava nel pensare a lei era ancora lì, non morta del tutto, nonostante sapesse che Dev la amava e che Chelsey non aveva nulla a che spartire con la madre.

“Te l’ho già detto. Non provo più niente, per lei. A parte una gran voglia di prenderla a schiaffi per quello che ha fatto a Chelsey, ma quello varrebbe per chiunque l’avesse rapita, non tanto perché è lei in particolare” le rammentò Dev, lanciandole uno sguardo di sbieco.

“D’accodo, non conta nulla. Ma io posso odiarla almeno un po’?”

“Fai pure. Chi ti ferma?” ironizzò Dev, lasciandosi andare a un sogghigno divertito.

“I ragazzi sono rimasti fuori dal campo?” si informò allora lei, accigliandosi quando vide Lucas cadere malamente sul terreno per poi rialzarsi con grande agilità.

Era bravo, ma anche il suo avversario ci sapeva fare. Uno scontro tra Fenrir era cosa rara a cui assistere, per quanto le era dato sapere, perciò vederli combattere era di per sé un evento.

Il fatto che, di mezzo, vi fossero motivazioni più che serie non faceva che rendere quegli attimi molto speciali e, non fosse stato per l’ansia che provava, anche affascinanti.

Avrebbe di gran lunga preferito non veder combattere Lucas, che era un pacifista convinto, ma Iris sapeva bene che quello scontro apparteneva a lui, e lui solo.

Lei poteva difenderlo fin quanto Lucas non decideva di intervenire, e questo era uno di quei momenti.

“Ho detto ai ragazzi di tenersi lontani finché non dirò a Chelsey di avvicinarsi” le risposte Dev, continuando a fissare malamente Julia finché ella non si accorse di lui.

I suoi occhi scuri si sgranarono leggermente, alla sua vista e un lento, derisorio sorriso spuntò su quel viso selvaggio e pieno di grazia ferina.

Iris, per bella posta, si lasciò andare a un gesto di possesso tutto femminile e, delicatamente, sfiorò la schiena di Dev con una carezza. Carezza che venne intercettata dallo sguardo di Julia, la quale le disse mentalmente: “Oh… quindi sei tu la donna di cui ha blaterato tanto Chelsey. Non avevo idea che a Dev potessero piacere le bamboline bionde americane.”

“Sai una cosa? Potrei farti rimangiare parola per parola ciò che hai detto, grazie ai miei poteri, ma mi atterrò alle decisioni del mio capoclan e non ti massacrerò adessosibilò Iris nella mente dell’avversaria. “Il potere che hai avvertito prima non è dilagante, ma selettivo, perciò non farmi incazzare prima del tempo, o vedrò di farti ingoiare parola per parola quello che hai detto.”

Julia si accigliò immediatamente, al suo dire e, rivoltasi a un compagno al suo fianco, lasciò a lui il compito di reggere la barriera contenitiva, distaccandosene un attimo dopo. In barba alla tregua chiesta e ottenuta da Lucas, poi, si lanciò contro Iris a denti snudati con il chiaro intento di rispondere con i fatti alle minacce dell’avversaria.

Vi furono delle grida di sorpresa unite a cori di protesta, ma Iris non vi badò, così come non badò allo sguardo ansioso di Devereux. I suoi occhi erano solo per Julia e, quando Dev fece l’atto di aiutarla, lei gli urlò: “Non muoverti! Loro hanno rotto il patto, non noi! Inoltre, era da un po’ che volevo menare le mani e farle la festa!”

“Stai attenta, però!”

“E quando mai non lo sono!?” protestò Iris, scalciando Julia lontano da sé.

“Potrei citarti un sacco di esempi in cui non sei stata attenta a…”

“Devereux! DOPO!” gli urlò nella testa Iris, troppo impegnata a confrontarsi con la sua nemica.

L’attimo seguente, Iris si tramutò in lupo, mandando all’aria i suoi abiti e scaraventando lontano il suo povero zaino, mentre Julia si abbatteva su di lei come una furia.

Lo scontro tra le loro due auree produsse un contraccolpo energetico che mandò all’aria le tende più vicine, costringendo suo malgrado Dev a intervenire in tutta fretta per elevare una barriera protettiva che contenesse le due lupe.

“Ho notato che non ti sei neanche presa la briga di chiedere della tua grande amica. Non vuoi sapere se è viva o morta?!” le urlò contro Iris, balzando contro di lei per azzannarle una zampa.

Schivando il suo morso con abilità, Julia replicò sardonica: “Sei così ingenua da credere che mi importi? Alyssia è stata il mezzo che mi è servito per giungere qui e sottomettere Chelsey alla legge del nostro clan. Fin dall’inizio, doveva servirmi nel caso in cui Lucas ci avesse attaccate prima di arrivare qui. Di certo, non immaginavo che sia tu, che il caro Dev, foste come noi! In ogni caso, ormai è tardi per tutto, perché Chelsey è mia, ora!”

“Che intendi dire, con sottomettere Chelsey alla legge del clan?!” sbottò Iris, già presagendo la risposta.

Scoppiando a ridere, Julia esclamò: “E’ stata marchiata come gli altri così, per tutta la sua esistenza, lei sarà MIA e di questo luogo. Combattete finché volete. Io ho vinto, perché lei non crescerà mai nel mondo degli umani! Ora che ha il marchio su di sé, non si potrà più allontanare!”

Strabuzzando gli occhi di fronte all’assurdità delle sue parole, Iris le ringhiò contro: “E’ questo ciò che ti ha raccontato il tuo capo? Che sarebbe bastato uno stupido marchio per obbligarli a rimanere con voi?!”

“Tu non puoi conoscere il suo grande potere!” le sibilò contro Julia.

“Certo che lo conosco, razza di idiota, e lui l’ha usato su di voi per farvi credere ciò che voleva!” sbottò Iris, mandando al diavolo tutto e scatenandole contro il suo potere.

Julia non poté resisterle e, travolta da quell’onda primigenia dalla potenza immane, ruzzolò per diverse decine di metri prima di riuscire ad arrestare il suo corpo.

Furente come poche altre volte era stata, Iris avanzò simile a uno spirito vendicativo e, livida in viso, colpì nuovamente, schiacciando Julia al terreno come se volesse inglobarla in esso.

Fu in quel mentre che un coro di sgomento si levò tra i lupi e, suo malgrado, anche Iris si volse a mezzo per coglierne i motivi.

Lucas stava stringendo le zanne sul collo del Fenrir suo nemico, minacciando di spezzarglielo se i patti non fossero stati rispettati.

A quel punto, vistosi costretto ad accettare la resa per avere salva la vita, il lupo niveo steso a terra distrusse le imposizioni mentali sui suoi sottoposti che, confusi e irritati, si guardarono intorno in cerca di spiegazioni.

Fu straziante, per Iris, vedere così tante persone muoversi come in trance, del tutto incapaci di comprendere i motivi della loro presenza in quel luogo, deprivati com’erano stati della loro volontà. Era probabile che quella condizione di sudditanza forzata si fosse protratta per mesi, o addirittura anni interi, e la giovane non sapeva che danni potesse aver prodotto tutto questo sul loro cervello.

Tutto ciò, però, non avvenne con Julia che, seppur in linea teorica liberata dalla Voce del Comando, fu con piena lucidità si rivoltò contro Iris per ucciderla, sprezzante come se nulla fosse successo.

Schivato di un nonnulla il suo morso, Iris la azzannò alla coda e, forte della sua frustrazione così come della sua rabbia, la scaraventò nuovamente a terra per poi gettarsi su di lei e azzannarla al collo.

“Cedi, maledetta… CEDI!”

“Perché vi siete voluti intromettere!? Perché?! Avevo finalmente ottenuto ciò che volevo!” le urlò contro Julia, mostrando i primi segni di cedimento.

Lanciando occhiate furtive agli altri lupi, impauriti loro malgrado da quella situazione inverosimile e incapaci di comprendere i motivi della loro presenza nel bosco, Iris replicò: “Non mi sembra che i tuoi compagni la pensino come te… sono stati ingannati e basta, turlupinati da colui che avrebbe dovuto guidarli con saggezza.”

“Guidarli? I lupi vanno solo comandati! Il potere è l’unica legge che conta!” le urlò contro Julia, artigliandola con una zampa e ferendola così al garrese.

Uggiolando, Iris si scostò quel tanto che bastò a Julia per rialzarsi e attaccarla, ma la giovane fu più veloce e, lasciandosi guidare dall’istinto, l’afferrò alla gola e strappò.

Il sangue le cadde addosso in un fiotto, mentre la vita che fino a un attimo prima aveva galoppato nel cuore di Julia, scivolava via veloce, spegnendosi del tutto.

Null’altro si mosse, attorno a loro.

Anche la foresta era silente e immobile.

Iris osservò muta il corpo inerme della sua avversaria mentre Lucas, zoppicante ma vittorioso, la raggiungeva al pari di Dev.

I tre guardarono ciò che rimaneva di Julia e Dev, sfiorando la gorgiera dell’amata, mormorò: «Le hai dato tutte le possibilità di questo mondo, per ritirarsi dal duello. Era chiaro che, morto il suo sogno, neppure lei aveva un gran desiderio di vivere.»

Lei assentì, non sapendo se sentirsi o meno turbata all’idea di non provare rimorso per ciò che aveva appena fatto.

Fu Gunnar ad aiutarla a comprendere.

In battaglia non puoi permetterti di provare pietà per il tuo nemico, o sarai sopraffatto. Potrai pregare per la loro memoria, se li riterrai degni, ma dovrai avere sempre mano salda, per vincere.

“Il punto è questo, Gunnar. Io non ritengo che Julia meriti di essere ricordata, ma mi sento male per i suoi genitori che, invece, sono delle brave persone.”

Allora rammenta questo, quando avrai dei dubbi sul tuo operato, Iris. Che i suoi genitori capiranno, perché sanno chi era la loro figlia.

“Gunnar ha ragione, Iris” intervenne Lucas, dandole un colpetto con la spalla. “Non si sono mai fatti delle false speranze, su di lei. Inoltre, non è necessario che sappiano tutto.”

“Non potrei mai guardarli in faccia, se non raccontassi loro la verità” replicò affranta Iris.

“Allora, gliela racconteremo insieme” decretò Dev, affondando la mano nella sua gorgiera per sfiorarle i muscoli del collo.

Iris si lasciò andare a quel tocco familiare e protettivo e, tornando a osservare il corpo senza vita di Julia, pregò di non dover mai più essere costretta a uccidere qualcuno per poter avere salva la vita.

 

 

 

 

N.d.A.: lo scontro è avvenuto, ma non senza danno, e ora un intero branco si trova sperduto e senza guida, nel bel mezzo del Canada, senza sapere perché si trovi in quel luogo sperduto.

La Voce del Comando della loro guida li ha condotti lì assieme a una consapevole Julia, ma ora non rimane nulla supportarli.

Penserà Lucas a essere la loro guida, o ognuno di loro deciderà di tornare alle loro precedenti vite?

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


 

23.

 

 

 

 

La sottomissione prolungata alla Voce del Comando era ormai svanita e, mentre alcuni licantropi piangevano di fronte ai loro figli marchiati come bestie, altri inveivano contro colui che li aveva ingannati per così tanto tempo.

Solo una sparuta minoranza sembrava non essere ancora in grado di riconnettere realtà e finzione e Iris temeva che, per loro, non vi sarebbero state molte possibilità di sfuggire a quel sogno – o incubo – a occhi aperti in cui erano caduti forzatamente.

Non sapeva davvero come avrebbero potuto riprendersi, e dubitava anche che, facendo intervenire i loro amici inglesi, qualcosa avrebbe potuto essere salvato. Valeva comunque la pena tentare e, quanto prima, si sarebbe presa l’onere di avvertire Brianna di quanto avvenuto.

Continuando a guardarsi intorno, Iris non si stupì troppo nel vedere l’odio e la rabbia dipinti sui volti di coloro che, a turno, si ritrovavano a passare accanto a Logan, l’ormai deposto Fenrir.

Lucas non aveva voluto infierire oltre sul suo avversario, né dargli il colpo di grazia, ritenendo giusto che egli si confrontasse con un altro tipo di giustizia. Quella portata da coloro i quali erano stati ingannati dalla sua sete di potere, così come dal suo delirio di onnipotenza.

Lucas si era solo assicurato che, mai più, potesse utilizzare la Voce contro qualcun altro; cosa avrebbero deciso i suoi ex seguaci, non era compito suo, a quel punto.

Era comunque straziante incrociare gli sguardi di genitori piangenti dinanzi ai propri figli, devastati da ciò che loro stessi avevano commesso senza che, alcuno di loro, avesse mosso un dito per impedirlo.

Chelsey non aveva detto nulla in merito alla morte della madre, o al fresco marchio inciso a fuoco sulla sua spalla, livido sulla pelle ambrata e ben evidente anche a un occhio disattento. Si era limitata ad abbracciare alcuni attimi il padre per poi stringersi a Iris senza più lasciarla andare.

A più di tre ore da quel triste e inevitabile evento, le due non si erano ancora separate e sedevano su una toppa di legno senza proferire parola.

Osservandole pensieroso mentre, con l’aiuto di Lucas, era impegnato a curare le ferite più recenti dei bambini sottoposti a tortura, Devereux domandò preoccupato: «Credi che la supereranno? Sembrano così perse in loro stesse.»

«Dal brontolio che avverto nella testa, credo stiano avendo una lunga conversazione. Non ne capisco il senso, perché stanno sussurrando, ma penso che Chelsey stia tentando di calmare i sensi di colpa di Iris» gli spiegò Lucas, sorridendo a un bambino in lacrime, da poco marchiato sul braccio.

Cospargendo di crema antisettica – e ricolma di aconito – la ferita rossa e gonfia, gli disse: «Non rimarrà quasi nulla, non temere. Solo, non toccare la crema o potresti svenire, se la portassi al naso per annusarla.»

Il ragazzino assentì e la madre con lui, ossequiosa, mormorò un ringraziamento prima di allontanarsi per lasciare il posto a un altro bambino.

Sospirando, Lucas scosse il capo e mormorò subito dopo: «Come si può pensare di ridurre in schiavitù delle persone, al solo scopo di avere ai propri piedi dei servitori fedeli quanto soggiogati?»

«Purtroppo, non sono tutti buoni come te, amico» chiosò Dev, dando una pacca sulla testa a una bambina bionda, in compagnia del suo papà.

Quando la coppia si fu allontanata, il primo licantropo con cui Iris aveva parlato durante la battaglia tra capiclan si rivolse timoroso a Lucas, e disse: «Se ci sarà concesso, vorremmo seguirvi al sud, a Clearwater. Ci sono già sei famiglie che desiderano trasferirsi e considerarti loro capoclan.»

Lucas arrossì suo malgrado e mormorò: «Beh… sarò lieto di dare una mano, se vorranno far parte del mio branco.»

Il giovane licantropo, di nome Darren, sorrise appena, rinfrancato da quelle parole, e asserì: «Hanno visto come ti sei comportato, e desiderano proseguire con te il loro percorso di vita, ora che hanno scoperto che esiste una via che non comporti solo l’odio verso gli uomini… o il maltrattamento dei figli tramite una menzogna perpetrata con la forza.»

«Sono innoridito io stesso dall’uso che quell’uomo ha fatto della Voce del Comando, poiché trovo orribile che si possa pensare di rendere schiave altre persone» asserì Lucas, guardandosi poi intorno dubbioso. «Immagino, però, che molti di loro sentano la mancanza della famiglia, e che questa scampagnata fuori porta non fosse esattamente in programma.»

«Per alcuni di loro sarà necessario passare sotto il ventaglio della legge, visto che diversi si sono macchiati di rapimento, e ci sono delle pendenze a loro carico, ma credo che saranno lieti di affrontare il giudizio della legge umana, ora che sanno che esiste un’alternativa» mormorò Darren, sospirando afflitto. «Quanto a me, ho capito di essermi ingannato, nel voler seguire mio fratello in questa follia. Non avevo affatto capito che il suo potere mi aveva soggiogato.»

«Non eri a conoscenza del dono che deteneva impropriamente, mentre lui aveva capito di poterlo sfruttare a proprio vantaggio, e senza essere scoperto» replicò Lucas, vagamente sorpreso da quella parentela che, di certo, non si era aspettato. «Tu sai quando conobbe Julia?»

«Circa cinque anni fa. Se la intesero subito, da quel che ricordo, e venne a entrambi l’idea di radunare una gran quantità di lupi in un luogo sperduto, così da vivere senza le leggi dell’uomo. In seguito, Logan – mio fratello – pensò che fosse giusto portare qui anche i bambini nati in famiglie di licantropi, così che potessero crescere liberi, e Julia fu d’accordo» gli spiegò Darren, osservando turbato la lunga fila di bambini pronti a essere medicati. «Io dovevo già essere schiavo del suo potere, perché li aiutai a trovarli.»

Dev sbuffò contrariato, nell’ascoltare quella storia, e gli domandò: «Perché non portare via subito Chelsey, allora?»

«Abbiamo scoperto, nel corso degli anni, che è possibile capire se un bambino ha sviluppato la licantropia solo al raggiungimento della maturazione sessuale. L’odore cambia, così imparammo a riconoscerli dalla loro traccia odorosa. Prelevarli a giochi fatti, ci permise di portare qui solo i bambini  con il gene mannaro, lasciando stare gli altri» ammise suo malgrado Darren, passandosi una mano tra la zazzera di capelli color paglia. «Julia ci aveva detto che sarebbe passata da Clearwater per capire se la figlia fosse già entrata in quell’arco di maturazione, e che ci avrebbe raggiunti qui con lei, se fosse stata pronta.»

Devereux assentì grave e, nell’osservare il licantropo di nome Logan steso a terra e legato con pesanti catene, ringhiò: «Che senso ha avuto torturare dei bambini? Non lo capisco.»

«Posso solo dirti che, a mente lucida, non so davvero cosa sia passato per la testa di mio fratello. Ciò che noi facevamo era dettato dalla sua coercizione, quindi non posso darti risposte in merito» mormorò spiacente Darren.

«La sete di potere è un demone dalle molte facce, e credo che tuo fratello le abbia sfruttate tutte» dichiarò stanco Lucas, lanciando poi un’occhiata a Iris, ancora stretta a Chelsey. «E’ difficile avere per le mani un simile dono e saperlo gestire con saggezza.»

Darren ne seguì lo sguardo e, rabbrividendo suo malgrado, mormorò: «Non avrei mai immaginato che potesse esistere una simile energia. Spero davvero che la vostra amica sappia gestirla meglio di quanto non sia stato in grado di fare Logan.»

«Iris è forte a sufficienza per gestire qualsiasi cosa e, dove non arriverà lei, arriveremo noi» asserì fiducioso Lucas, sorridendo con orgoglio. «Imparerai presto, Darren – se vorrai venire con noi – che, prima di tutto, per noi conta il gruppo.»

Il giovane annuì contrito e, dopo aver lanciato un’occhiata al fratello, disse: «Non so se può interessarti, ma esistono molti licantropi che vivono nella clandestinità, ma che hanno rifiutato di abbandonare la cività in cambio di ciò che gli offriva Logan. Per quanto fossi sotto coercizione, ricordo bene dove si trovano e, se lo vorrai, ti fornirò i loro nomi.»

Lucas assentì grato, dichiarando: «Li avviserò della possibilità di formare un clan e, se lo vorranno, potranno crearne uno a loro volta, seguendo le antiche regole. Di certo, non mi imporrò mai per essere la loro guida, ma offrirò loro aiuto e collaborazione.»

«Bene» mormorò Darren.

Dopo essersi scusato con loro, si avviò verso il capannello di persone che, uno dopo l’altro, si stava assembrando per decidere delle sorti di Logan.

Lucas si spiacque per il giovane. Non doveva essere semplice scoprire che il proprio fratello era la causa di tanto dolore, e che sarebbe spettato anche a lui decidere come punirlo.

Fu in quel momento che, dopo tante ore di immobilità e apparente silenzio, Chelsey e Iris si levarono in piedi per allontanarsi insieme e dirigersi verso l’esterno del campo.

Mano nella mano, le due presero a camminare lungo ciò che rimaneva dell’accampamento di tende e Dev, in fretta, balzò in piedi per seguirle. Raggiunte poi le due con poche falcate, domandò loro con tono volutamente leggero: «Dove state andando, così alla chetichella? Roba da donne?»

«Seppelliremo la mamma, perché ci sembra brutto lasciarla in pasto ai lupi. Poi, non ne parleremo più» disse Chelsey con aria tranquilla, la mano salda in quella di Iris.

«Volete una mano?» domandò loro Dev, chiedendosi cosa si fossero dette in tutto quel tempo.

Aveva preferito non interferire per rispettare il loro bisogno di privacy, ma la curiosità era tanta.

Iris levò lo sguardo per curiosare nei suoi occhi e Dev, sorridendole, si allungò per darle un bacio sulla guancia, mormorando: «Te l’ho detto mille volte. Quel che c’era tra me è Julia è morto anni fa. Mi spiace soltanto che sia stata tu a dover chiudere una volta per tutte – e nel modo peggiore – questa situazione incresciosa.»

«Ci facciamo dare una mano, allora?» chiese a quel punto Iris, sorridendo a Chelsey.

«Va bene» assentì la ragazzina prima di guardare speranzosa il padre e domandare: «Visto che questo coso sul braccio è brutto e, anche con la pomata di aconito, resteranno dei brutti segni, potrò farmi un tatuaggio per coprirlo?»

Dev la fissò con occhi strabuzzati per alcuni attimi prima di scoppiare in un’allegra risata. Annuendo, esalò: «Oh, beh… visto che la situazione è così particolare, vedrò di chiudere un occhio, o magari anche tutti e due.»

«Sì!» sussurrò vittoriosa Chelsey, facendo sorridere maggiormente anche Iris.

La ragazzina si strinse a lei per un attimo e, dopo averle sollevato una mano, le mordicchiò un dito come avrebbe fatto un lupacchiotto con la propria madre.

Iris, allora, allargò il suo sorriso, la prese in braccio e la tenne stretta a sé in silenzio per tutto il tempo, lasciando a Dev il compito di portare il corpo di Julia nel bosco.

Sempre in silenzio, Dev accettò l’amaro profumo delle lacrime di Iris e, per una volta, preferì che fosse la figlia a prendersi cura della donna che amava, piuttosto che agire in prima persona.

Ci sarebbe voluto del tempo, per tutti loro, per superare quel momento, ma l’unione tra di loro li avrebbe aiutati a passare sopra anche a quella disgrazia.

Una volta nel bosco, Iris depositò Chelsey a terra e, dopo aver lavorato assieme a Dev con gli artigli e con la pura forza per scavare una buca abbastanza profonda, disse con semplicità: «Spero che Madre possa darti la pace che, in Terra, non sei mai stata in grado di trovare.»

Dev e Chelsey annuirono e quest’ultima, inginocchiata accanto alla fossa che conteneva i resti di una madre che non era mai stata tale, per lei, mormorò: «Ho cercato di non odiarti. Ma hai ferito papà. E fatto male a Iris. Forse avrei potuto anche perdonarti per questo…»

Azzittendosi per alcuni attimi, Chelsey si toccò la spalla, fremette e strinse i denti, quasi a trattenere la stizza ma, quando rilasciò le energie trattenute, fu per dire: «… se i nonni me lo diranno, ti perdonerò. Addio.»

In silenzio, Dev e Iris ricoprirono e compattarono la fossa, coprendola poi con diverse pietre, così da impedire che i lupi scavassero per trovarne il corpo.

Sospirando stanca, ma non certo per lo sforzo fisico, Iris si appoggiò a Dev e, tenendo per mano Chelsey, mormorò: «Ora, credo che possiamo tornare a casa.»

***

Chelsey riposava saporitamente nel suo letto mentre Iris e Dev, seduti al tavolo della cucina, stavano sorseggiando una tisana bollente, accompagnata da qualche biscotto.

Erano le quattro del mattino, ma nessuno dei due aveva desiderio di andare a dormire.

All’esterno, la foresta era tranquilla e solo il fischio sommesso di una civetta spezzava il silenzio della notte.

«Cosa vuoi chiedermi?» domandò a sorpresa Iris, poggiando la tazza sul tavolo ligneo.

Dev le sorrise da dietro il bordo della propria e, imitatala, si lasciò andare contro lo schienale della sedia per poi dire: «Mi piacerebbe sapere cosa vi siete dette tu e Chelsey ma, se ritieni sia una segreto tra donne, rispetterò la scelta.»

La giovane sospirò, a quell’accenno, ma ammise: «Abbiamo parlato di Julia, per la maggiore. Anche se ciò che ho fatto è stato necessario, dettato dal momento di pericolo e quant’altro, ho pur sempre ucciso sua madre.»

Dev scosse il capo, replicando con tono quieto: «Hai ucciso la donna che l’ha partorita. Nel caso specifico, non mi sento di definirla sua madre. Tu, invece, ti sei comportata fin dall’inizio come la madre che avrebbe dovuto avere, e che io ho sognato, un tempo, potesse essere Julia. Nel momento stesso in cui l’ha abbandonata, ha perso ogni diritto di essere chiamata con quell’appellativo… e dopo quello che ha fatto a decine di bambini, credo che neppure un santo si sarebbe permesso di vederla in quelle vesti.»

Il solo ripensarci lo fece fremere d’ira e, silenzioso, terminò di bere la sua tisana alle erbe, chiedendosi nervosamente dove, in gioventù, avesse sbagliato così clamorosamente.

Certo, Julia era sempre stata una bella ragazza, e lui aveva sempre avuto un occhio lungo su queste cose. Purtroppo per lui, però, non si era rivelato essere altrettanto scaltro nel vedere dentro le persone.

Era stato superficiale, a basarsi unicamente sul suo aspetto e a credere di poterla cambiare in meglio. Si era infilato nelle vesti del bravo ragazzo che redime l’anima persa ma, in realtà, aveva condannato se stesso – e sua figlia in seguito – ad anni di sofferenza inutile.

Il tutto, perché non aveva saputo riconoscere la sua vera natura. Si era lasciato ingannare dalla bella confezione, preferendo non ammettere che il suo contenuto lasciava a desiderare… e che mai avrebbe potuto bastargli.

«Ora chi ha pensieri oscuri?» ironizzò Iris, poggiando il mento sulle mani aperte a coppa.

Accennando un ghigno, Dev mormorò: «Sono in fase ‘mi sento un idiota per…’ ma mi passerà alla svelta, promesso.»

«Per averla amata?» domandò lei, vedendolo annuire in risposta. «Dev, si commettono sempre degli errori, ma mi sembra che Chelsey sia il tuo massimo riscatto da ciò che, in passato, tu puoi aver sbagliato.»

«Il fatto di aver avuto una madre simile, non lo scorderà mai. E la colpa è mia» sottolineò Devereux, levandosi in piedi per poggiare la sua tazza nel lavandino.

L’attimo seguente, aprì l’acqua per sciacquarla e, mentre il liquido freddo gli scorreva tra le dita, aggiunse: «Dovrà convivere tutta la vita con il pensiero di avere parte del suo retaggio nelle vene.»

«Ha anche quello dei suoi nonni materni… e non mi sembra un male, ti pare?» replicò Iris, levandosi in piedi per raggiungerlo e strinsersi a lui.

Lui assentì cauto, strindendo una mano su quelle intrecciate di Iris e asserì: «Così suona meglio, in effetti.»

Annuendo debolmente contro la sua schiena, Iris comunque replicò: «Mi sentivo in colpa anche nei tuoi confronti, tra le altre cose, se proprio vuoi saperlo.»

«Lo immaginavo» sbuffò lui, sorridendo a mezzo e volgendosi per poterla guardare in volto. «Capirai se non ti facevi delle seghe mentali…»

Iris ammiccò, ma disse seriamente: «Non è facile togliere la vita a una persona.»

«Non lo è perché hai una coscienza» sottolineò Dev, tornando serio a sua volta. «Julia non ha dimostrato di averne una. Ha fatto uccidere colei che l’ha sempre reputata sua migliore amica, ha rapito – e marchiato – la sua stessa figlia, ha aiutato un folle a perpetrare i suoi sogni di dominio ma, prima di tutto questo, ha tradito la fiducia di coloro che la amavano. Non penso meriti molta pietà, ma non sarò io a dirti ciò che devi fare.»

«Forse avrò degli incubi per un po’. Ti scoccia?» dichiarò a quel punto Iris, scrollando le spalle.

«Solo se mi arriverà una gomitata nei denti mentre sto dormendo» celiò lui. «Proviamo a riposare un po’? Domani si torna alla vita normale e…»

Iris sgranò gli occhi sgomenta, a quelle parole e, portandosi le mani al viso, esalò terrorizzata: «Oh, santo cielo!»

Subito preoccupato, Dev la afferrò alle spalle e le chiese: «Che succede, Iris?»

«Non ho chiamato mia zia!» gracchiò Iris, facendo strabuzzare gli occhi per la sorpresa a Dev.

«Che, scusa? Che intendi dire?» borbottò lui, ora assai confuso.

Camminando avanti e indietro per la cucina, preda del più grave attacco di panico di cui Dev fosse stato testimone, Iris esalò: «Le avevo detto che l’avrei chiamata una volta atterrata qui, e invece…»

Devereux impallidì leggermente, a quella notizia, e bofonchiò: «Ehm… cioè, quattro giorni fa?»

«Oddio, oddio, oddio…» gorgogliò sempre più in ansia Iris, correndo verso il salone dove aveva poggiato il suo zainetto, reduce della loro ricerca nei boschi. I suoi bagagli, invece, erano ancora al camping.

Rovistando al suo interno, Iris scoprì suo malgrado che il cellulare aveva esalato il suo ultimo respiro, probabilmente distruttosi quando lei era mutata in lupo e lo zaino era volato a terra in malo modo.

Con le lacrime agli occhi lo mostrò a Dev che, sorridendo sghembo, le offrì il proprio mormorando: «Dai, prova a chiamare. Magari non ha ancora chiamato la Reale Guardia a Cavallo.»

«Non fare dello spirito, su questo» lo minacciò lei, afferrando in fretta il cellulare prima di guardare l’orario, imprecare e bofonchiare: «Al diavolo! Meglio così che aspettare ancora!»

Iris batté nervosamente il piede a terra mentre gli squilli si susseguivano uno accanto all’altro, come tante formichine in fila indiana.

Ne occorsero dieci, prima che la voce insonnolita di Rachel rispondesse un laconico: «Chi è?»

«Zia! Sono Iris! Dio, scusami! Non ti ho chiamato quando sono atterrata perché…» iniziò col dire la giovane, subito bloccata dalla voce sonnacchiosa e impastata di Rachel.

«Va bene… lo so» gorgogliò lei, prima di mormorare alcune parole – presumibilmente a Richard – e proseguire dicendo: «Visto che Glenn mi ha avvisata una volta atterrato, e tu non chiamavi, ho telefonato al campeggio e Mrs Johnson è stata così carina da spiegarmi tutto.»

Sciogliendosi in un sospiro di puro sollievo, Iris crollò contro il torace di Dev, che stava sogghignando divertito, e disse: «Meno male! E’ successo tutto così in fretta che ho proprio dimenticato di chiamare. Scusa ancora.»

Rachel si limitò a dire: «Tesoro, mi sembra il minimo che tu sia andata a cercare Chelsey. Spero soltanto che sia andato tutto bene ma, visto che hai chiamato…»

«Sì, tutto bene» asserì Iris, preferendo evitare di raccontarle la parte più truculenta di quegli eventi. Non aveva bisogno di sapere che lei aveva ucciso Julia, che Chelsey era stata marchiata a fuoco e che il folle capoclan era stato fatto a pezzi da coloro che aveva tradito.

Per certe cose, sua zia non era ancora pronta e, forse, non lo sarebbe mai stata.

Sbadigliando, Rachel allora mormorò: «Mi racconterai tutto più tardi… ora scusami, cara, ma sono davvero a pezzi, e riuscirei a capire sì e no la metà di quello che potresti dirmi.»

Liberandosi in una risata piena di sollievo, Iris assentì e, augurandole buon riposo, chiuse la chiamata. Lanciata poi un’occhiata a Dev, disse: «Dovrò ringraziare Clarisse. Mi ha evitato una grana enorme.»

«Sempre detto che quella donna è un mito» chiosò Dev. «Quindi, ora possiamo andare a riposare?»

«Sì» annuì lei, accettando la mano offertale da Devereux. Insieme, quindi, salirono le scale per raggiungere la camera di lui.

Fu in quel momento che Dev, osservando Iris alla luce diafana della luna – che penetrava dalle alte vetrate del pianterreno – sorrise dolcemente e mormorò: «Claire de lune.»

Lei si bloccò a metà di un gradino, lo sguardo confuso puntato sul suo compagno, e domandò: «Come, prego?»

Ridendo sommessamente, lui le sfiorò i capelli biondo platino che, illuminati dalla perlacea luce lunare, sembravano essere intessuti con l’argento puro. Perso nei suoi pensieri, mormorò: «Mia madre fa la parrucchiera, lo sai, e c’è una tinta per capelli che si chiama così. E’ come il colore dei tuoi capelli in questo momento, e io penso che sia splendida.»

Iris arrossì suo malgrado – era raro che Dev si lanciasse in simili complimenti – e, sorridendogli, disse: «E’ un pensiero carino. Grazie.»

«Sarà il tuo nomignolo. Chiaro di Luna. Visto che ne stavamo cercando uno…» scrollò le spalle lui, come a stemperare quel momento fin troppo sdolcinato, per i suoi gusti.

Lei sorrise, riconoscendo al volo il suo tentativo di fuggire da una situazione imbarazzante e, annuendo, disse: «E’ sicuramente meglio di sottiletta.»

«Sottiletta andava bene quando pesavi quaranta chili coi vestiti e sembravi una tavola da surf…» sottolineò Dev, riprendendo la salita assieme a lei. «…ma ora che hai recuperato il tuo charme, hai bisogno di un nome adatto, ti pare?»

Nel dirlo, le sfiorò la base della schiena con una carezza lievissima e, suo malgrado, Iris sospirò deliziata.

Sapeva benissimo che quello era il suo punto debole, e il mascalzone se ne approfittava sempre.

Ridendo piacevolmente – consapevole di averla fatta eccitare – Dev la diresse verso la sua camera da letto e Iris, nell’entrarvi, sorrise spontaneamente.

Era la prima volta che dormiva in quella stanza in particolare e, quando si infilò tra le coltri fresche e avvertì il suo odore, si rilassò nel breve decorrere di qualche attimo.

Socchiudendo poi gli occhi, si strinse a lui non appena l’ebbe raggiunta e, deposto un bacio sulla sua spalla, mormorò: «Mi è mancato tutto, di te.»

«E tu a me. Ma non montarti troppo la testa» ironizzò lui, avvolgendola con un braccio per stringerla a sé.

Con un bacio, Dev la condusse lentamente verso il piacere, amandola con tenerezza fino a che le loro auree non furono così stremate da non poter reggere oltre.

Fu così che, in breve, Iris finì con l’assopirsi contro il suo torace, ascoltando la musica placida e confortante del suo cuore.

Forse, questo le sarebbe bastato per non avere incubi, ma sapeva che la prova più difficile doveva ancora essere affrontata.

Doveva ancora parlare di ogni cosa a Graham e Jennifer, e non sapeva ancora come l’avrebbero presa.

Di una cosa, però, era certa. Ascoltando quel suono così forte e regolare, avrebbe trovato dentro di sé il coraggio necessario per parlare.

***

Seduta nel salone della casa di Dev, i nonni di Chelsey accomodati sul grande divano mentre la nipote era accoccolata su una poltrona vicina, Iris si sentiva in imbarazzo, oltre che profondamente insicura.

Nel vederli arrivare, la mattina seguente il loro ritorno, aveva quasi desiderato di darsi alla fuga, ma Devereux le aveva fatto coraggio, spingendola a non avere timore della verità.

Iris, quindi, aveva accettato i ringraziamenti di tutti e aveva riso delle battute lanciate a Dev sulla sua conversione da “palla da demolizione” a “uomo rintronato dall’amore”.

Lui aveva liquidato le loro chiacchiere con un’alzata di spalle e una battutaccia di spirito dopodiché, con Iris e Chelsey al fianco, li aveva invitati ad accomodarsi.

Lì, il silenzio era caduto come una pesante coperta, avvolgendoli tutti e Dev, rimanendo sul vago ma sottolineando le colpe di Julia e l’intervento imprevisto di Alyssia, aveva spiegato loro la dinamica degli eventi.

Iris aveva ascoltato, aveva assentito più volte al pari di Chelsey e, quando infine era giunto il momento di ammettere la morte di Julia, aveva sospirato tremula, chiudendo gli occhi per lo sconforto.

Ne era seguito un silenzio ancor più ammorbante, spezzato unicamente dal cinguettio degli uccelli della foresta e dal sibilare leggero del vento tra le fronde.

Non erano giunte accuse o recriminazioni. I genitori di Julia si erano limitati ad accettare la verità così come era stata loro presentata.

Dopo quasi dieci minuti di quella silenziosa accettazione, era però giunto il momento di agire.

Chelsey si levò quindi dalla poltrona per stringere Iris in un abbraccio e la giovane, immediatamente, la prese accanto a sé, replicando con calore alla stretta.

A quel punto, la ragazzina mormorò dura: «Mi ha marchiato a fuoco. E’ stata la mamma

«Fagiolina, basta…» sussurrò Dev, sfiorandole il viso con una carezza.

«Non voglio che si arrabbino con Iris per quello che ha fatto» sottolineò però la figlia, cocciuta.

Fu Jennifer a parlare, chetando così le sue paure.

Sorridendo alla nipote con aria triste quanto consapevole, la madre di Julia disse con immensa onestà e profondo sconforto: «Non siamo arrabbiati, cara. Delusi da nostra figlia, sì. Ma arrabbiati con Iris, no. Davvero.»

Graham assentì alle parole della moglie e aggiunse: «Si fa di tutto per instillare le giuste nozioni ai propri figli ma a volte, semplicemente, questo non basta. E’ difficile accettare che il proprio sangue abbia commesso simili atrocità… sulla propria figlia, poi! Ma l’evidenza dei fatti è lampante, e non possiamo che accettarla.»

Bethany sfiorò comprensiva la spalla di Jennifer e la donna, sorridendo alla madre di Dev, mormorò: «Non so come facciate a sopportare ancora la nostra presenza, dopo tutto questo. Già la fuga di Julia aveva causato danni enormi, ma questo…»

«Non dirlo nemmeno!» replicò Samuel, scuotendo il capo, lanciando occhiate ugualmente comprensive a entrambi i coniugi.

Iris assentì con vigore alle parole di Samuel e, scostata Chelsey, si alzò per raggiungere i genitori di Julia. Inginocchiatasi poi dinanzi a loro, strinse Jennifer in un abbraccio e mormorò addolorata: «Mi spiace tanto di non aver trovato un’altra soluzione!»

«Tesoro, non è colpa tua… avete fatto il possibile, ma lei non desiderava il genere di salvezza che le avete offerto, tutto qui» replicò Jennifer, carezzandole la schiena.

Graham assentì grave, dandole delle gentili carezze sul capo e Dev, con un sospiro, disse: «Alyssia e Julia, alla fine, hanno scelto la stessa soluzione. Questo mondo non era davvero il posto adatto a loro.»

«Carole non ha preso per niente bene la morte di Alyssia» mormorò spiacente Samuel, scuotendo il capo.

Dev a quel punto indurì lo sguardo e replicò duro: «Con tutto il rispetto, ma non mi interessa. Sono stati fin troppo permissivi, con Alyssia, e questo ha portato con sé un sacco di problemi. Mi ci vorrà ancora molto per accettare che Alyssia ha quasi ammazzato Iris, e anche se ora è morta, non significa che il mio rancore verso di lei scemerà così in fretta.»

Bethany sfiorò una mano del figlio con la propria, ma Devereux sbuffò, borbottando: «Amo Iris, d’accordo, ma questo non vuol dire che mi sia del tutto rammollito, sapete? Queste cose non vanno di pari passo.»

Quel tentativo di alleggerire la tensione accumulata funzionò solo in parte e Iris, nell’avvicinarsi a Dev, lo abbracciò per un istante e disse: «Ti amo anche perché sei un po’ cocciuto.»

«Da che pulpito…» brontolò lui, scansandola imbarazzato prima di avviarsi verso la cucina, scuro in volto e con l’aria di non avere più desiderio di parlare.

Sospirando, Iris scrollò le spalle e, guardando alternativamente i quattro nonni, si soffermò in ultimo su Jennifer, mormorando: «E’ sepolta nel bosco, al riparo dai predatori. Abbiamo pensato fosse meglio così.»

La donna assentì, si levò in piedi al pari del marito e, dopo aver abbracciato la nipote, si avvicinò a Iris per dire: «Dopotutto, è dove voleva stare. Credo che avrebbe odiato anche essere sepolta in un cimitero. Sarebbe andato contro i suoi ideali di libertà, a questo punto.»

Iris assentì, non sapendo bene cos’altro dire. Si lasciò perciò andare a un sospiro e a un altro abbraccio, che venne più che accettato da Jennifer e, subito dopo, da Graham.

A quel punto, sia i genitori di Dev che quelli di Julia decisero di tornare a casa, così da permettere al figlio di riprendersi dall’apparente cedimento emotivo che l’aveva colto all’improvviso.

Chelsey e Iris li ringraziarono per la visita e, dopo averli osservati mentre discendevano lungo la stretta via che conduceva alla strada principale, tornarono in casa per cercare Devereux.

Lasciandosi guidare dall’olfatto, lo trovarono appollaiato sul davanzale della finestra della cucina, lo sguardo perso verso la pineta che circondava la casa.

Sembrava assorto in mille pensieri, ma Iris preferì non sbirciare per permettergli di conservare un minimo di privacy. Cosa alquanto difficile, in un branco di licantropi.

Lui, però, le disse mentalmente: “Puoi curiosare finché vuoi, sai?”

“Non vuoi startene un po’ per conto tuo? Mi sei sembrato turbato, prima” replicò confusa Iris.

“Stavo per esplodere, ma nel modo sbagliato. Così sono andato via.”

Sempre più curiosa, la giovane gli domandò: “In che senso, scusa?”

“Volevo che Jenn e Graham si infuriassero con Julia. Non che accettassero passivamente la sua fine, dando per scontato che lei non fosse più recuperabile da anni.”

Sorridendo appena, Iris lo avvicinò per stringerlo a sé e mormorò: “Hai desiderato salvarla fino all’ultimo, vero?”

“Ho pensato che forse, parlandole, avrebbe capito. Avrebbe visto te, e compreso che era possibile convivere con gli umani senza sentirsi sopraffatti dalla nostra doppia natura. Tu ci sei riuscita. Era pur sempre la madre di mia figlia, no? Dovevo provare a darle una mano.”

Il tono di Devereux fu così disperato che anche Chelsey si rese conto del suo dolore – anche se il padre aveva tentato di trattenerlo perché solo Iris ne fosse consapevole.

Stringendosi a sua volta al padre, la ragazzina mormorò: «Papà, ti prego, non essere triste!»

«Ah, fagiolina… mi spiace che tu abbia sentito.»

«Devi smetterla di proteggermi» protestò però Chelsey, sorprendendolo. «Voglio aiutarti! Se sei triste, voglio che tu me lo dica, così ti renderò di nuovo felice.»

Dev, allora, la sollevò per stringerla a sé e, dandole un bacio sulla guancia, replicò: «Ma tu mi rendi sempre felice. Solo, speravo di convincere la mamma a cambiare idea. Iris rappresenta il giusto equilibrio tra umano e mannaro. Lei ci è riuscita, e speravo che Julia capisse a sua volta che non era necessario estraniarsi, per essere felici.»

Accigliandosi, Chelsey borbottò: «Ma tu ami Iris, no?»

Scoppiando suo malgrado a ridere, Devereux assentì e disse: «Ma certo, tesoro. Questo però non significa che io abbia dimenticato tua madre. Solo, non è più la persona che avevo nel cuore quando fosti concepita tu.»

«Quindi, non la odi?»

«No, Chelsey. Non la odio, ma odio ciò che ha fatto a te. Questo sì. Per questo, ho sperato che si redimesse. Soprattutto per te, perché tu non conservassi di lei unicamente ricordi brutti» mormorò Dev. «Io posso convivere con ciò che mi ha fatto, ma avrei sperato sinceramente che si ravvedesse, perché voi poteste avere un qualche genere di rapporto. Così non è stato, e mi spiace.»

«Sei contorto, papà» sentenziò Chelsey, facendo scoppiare a ridere entrambi gli adulti. «Però ti voglio bene lo stesso.»

«Troppo buona, fagiolina» la ringraziò il padre, depositandola nuovamente a terra. «Ora, però, devo andare al lavoro. Vedrò di sistemare le cose per prendermi una settimana intera di ferie da passare con voi due. »

Chelsey strillò eccitata ma Iris domandò: «Puoi farlo?»

«Sono o non sono il capo?» strizzò un occhio Dev, prima di ammettere: «Diciamo che unirò l’utile al dilettevole. Ho un paio di clienti sulla costa che hanno richiesto un incontro con me così, mentre saremo a Vancouver per il tatuaggio di Chelsey, farò anche un salto a incontrare loro.»

Iris si sentì un poco più tranquilla – non voleva che Devereux avesse ulteriori problemi sul lavoro, anche se era lui il titolare – e, sorridendo all’uomo, disse: «Penso io a prenotare, allora.»

«Neanche per sogno. Andremo con il tuo camper. Sono l’unico a non averci viaggiato, e la cosa mi rende un po’ geloso» ironizzò lui, dandole un bacetto sul naso. «Se vuoi, puoi controllare se ci sono delle stazioni di sosta, o dei campeggi.»

«Troppo buono!» ammiccò lei.

«Lo so. Deve essere la fase della novità. In seguito, tornerò lo scorbutico di sempre. Goditela finché dura» rise lui, dandole una pacca sul sedere prima di avviarsi al piano superiore per cambiarsi.

Chelsey ridacchiò di quel gesto e Iris, pur scuotendo il capo, non poté che sorridere.

Dev avrebbe passato anche questa. Era abbastanza forte per reggere qualsiasi cosa.

 

 

 

 

 

N.d.A.: il branco tradito ha deciso le sorti di colui che per primo aveva cospirato contro di loro, mandandolo a morte. Così, i sogni di Logan si sono scontrati contro la volontà di coloro che lui aveva cercato di plagiare fino all’ultimo.

Darren, fratello di Logan, a sua volta plagiato, ha già iniziato il suo percorso di redenzione ed è più che disposto a dare una mano a Lucas per ampliare – in meglio – il branco di Clearwater.

Iris, nel frattempo, affronta le conseguenze di ciò che è successo e mette a parole il suo dispiacere e il suo dolore dapprima con Chelsey e Dev e, in seguito, con i genitori di Julia.

Il percorso di cancellazione del dolore sarà lungo – e, come Brianna insegna, qualcosa rimarrà sempre – ma, alla fine, Iris riuscirà nell’intento, perché ha attorno a sé persone che la amano e la sostengono.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


 

24.

 

 

 

 

La notizia della morte di Alyssia ebbe, sul piccolo paesino di Clearwater, lo stesso effetto di una piccola bomba atomica.

Le illazioni circa il suo suicidio – così lo avevano definito i poliziotti, nelle loro indagini preliminari – si fecero subito strada come un incendio nella steppa ma, altrettanto rapidamente, scemarono per rispetto verso lo sceriffo e sua moglie.

Perdere entrambi i figli, e in circostanze così tragiche, sarebbe stato terrificante per chiunque e, anche se Alyssia non era mai stata veramente apprezzata dai più, vi furono solo parole di cordoglio per la famiglia.

Stranamente, i coniugi Rochester accolsero il tutto con una strana rassegnazione mista a sollievo, quasi che quell’evento infausto fosse, in fondo, l’unica soluzione che Alyssia avrebbe mai potuto accettare per se stessa.

Nessuno dei due, evidentemente, si era fatto illusioni su uno suo recupero psicofisico e, anche per questo, lo sceriffo non richiese ulteriori indagini e fece chiudere il caso.

Chiese, però, il trasferimento in un’altra stazione di polizia e, nel giro di alcuni giorni, mise in vendita la casa con il chiaro intento di non tornarvi mai più.

Era evidente come, per lui e la moglie, Clearwater non avesse rappresentato un’isola felice in cui prosperare, bensì un inferno in terra in cui avevano perso entrambi i figli in circostanze tragiche.

Nel riferire quelle notizie a Dev, a Vancouver assieme a Iris e Chelsey, Lucas li informò inoltre dell’arrivo della prima coppia di licantropi conosciuti al campo del McDougall Lake.

Questo avrebbe comportato un riassetto all’interno del loro piccolo branco, ma avrebbe portato una bella novità per Chelsey, che avrebbe guadagnato una nuova compagna di scuola e, soprattutto, una mannara al pari suo.

Dev assentì più e più volte e, dopo aver ringraziato Lucas per le ultime novità, chiuse la chiamata e scrutò vagamente ansioso la sua bambina e la sua donna.

Era stato davvero strano ammettere in ufficio di volersi prendere una pausa di un paio di settimane. Soprattutto, quando aveva dovuto borbottarne stentatamente i motivi.

La sua segretaria sapeva essere un mastino, se ci si metteva d’impegno e, nel reperire informazioni, era come una piccola 007 in gonnella.

Quando il nome di Iris era sgusciato fuori a fatica dalla sua bocca, Charline aveva sorriso così apertamente che Devereux aveva temuto per la tenuta delle sue mandibole. Aveva rischiato di slogarsele.

Con uno ‘sciò! Che ci fai ancora qua?’, lo aveva praticamente cacciato dalla sua stessa ditta e, da quando erano partiti per quel viaggio imprevisto, non aveva ricevuto una sola telefonata dai cantieri.

Rock era stato di parola, in questo; nessuno li avrebbe disturbati e Charline si era messa d’impegno perché quel divieto venisse rispettato.

Iris gli sfiorò un braccio, riportandolo alla realtà e Chelsey, lanciando occhiate veloci al padre e alla vetrina dello Unity Tatoo - dietro cui si potevano intravedere disegni di ogni genere e forma – esclamò: «Dai, papà! Entriamo?»

Dev sospirò e assentì torvo, borbottando: «Ma tu guarda cosa mi tocca vedere… e dire che, in condizioni differenti, saresti morta prima di poter fare un tatuaggio!»

Chelsey ghignò tutta contenta nell’aprire la porta dello studio, facendo così tintinnare una campanella tibetana e, soddisfatta, fissò il padre dicendo per contro: «Meglio per me, allora!»

Dev la fissò malissimo ma non replicò. L’odore dei coloranti, misto al profumo di limone e all’aroma silvano di un licantropo, lo stordirono al punto tale da fargli perdere la battuta che aveva già preparato per ribattere alla figlia.

A loro volta, anche Iris e Chelsey si volsero in direzione di quell’odore a loro così familiare e, speranzose, attesero di veder comparire la proprietaria del negozio. Darren li aveva indirizzati bene. La licantropa di cui lui aveva parlato loro lavorava ancora in quello studio.

Quando infine comparve una giovane sorridente e coloratissima, con tatuaggi floreali sulle braccia e un piercing al naso, la loro soddisfazione si fece più intensa.

«Beh, che mi venga un colpo…» cominciò col dire la ragazza, scrutandoli con immensa sorpresa. «… di sicuro, posso segnare sul calendario questa data. Benvenuti allo Unity Tatoo. Io sono Destiny. Chi di voi si vuole dipingere, oggi?»

Iris sorrise spontaneamente alla ragazza – la sua aura era frizzante come una coppa di champagne – e disse: «Siamo stati indirizzati bene, a quanto pare… ma penso che ti sorprenderemo ulteriormente, visto che a tatuarsi sarà lei.»

Ciò detto, la giovane indicò Chelsey, e subito Destiny sollevò le sopracciglia con evidente shock. «Sapete che serve il permesso di un genitore o del suo tutore, vero, per tatuare un minorenne?»

«Tocca a me questo ingrato compito» sospirò Dev, battendo una mano sul capo di Chelsey.

Ancora piuttosto confusa, Destiny lì invitò in una saletta laterale e, pregato il gruppo di accomodarsi, chiuse la porta e domandò: «Scusate la curiosità innata, ma… ci siete nati, o vi hanno trasformato? E perché hai detto che ‘vi hanno indirizzato bene’

«Io e lei siamo stati trasformati, mentre mia figlia ha preso il gene dalla madre e, da quel che ho saputo, ha anche quello latente di un mio antenato» le spiegò Dev, sorprendendola ulteriormente.

«Quanto all’essere indirizzati bene, forse ricorderai un lupo di nome Darren, che passò qui a Vancouver assieme a una donna di nome Julia, qualche anno addietro» le spiegò Iris, vedendola aggrottare la fronte per diretta conseguenza.

«Se siete venuti per perorare la loro causa, vi rispedisco subito…» cominciò col dire Destiny, prima di venire interrotta dal cenno di diniego di Iris.

«Tranquilla. Darren ci ha spiegato ciò che successe, e posso dirti che Julia e il loro capoclan non torneranno più a disturbarti. La loro congrega è stata sciolta.»

«Benissimo. Avevano delle idee balzane, e quella Julia mi faceva un po’ paura» brontolò Destiny, trovando la piena comprensione dei presenti.

Sedendosi poi lentamente su un alto sgabello dal cuscino di pelle, la tatuatrice mormorò: «Se siete stati voi a fermarli, vi ringrazio. Non avevo nessun desiderio di vedermeli ricomparire in negozio. A suo tempo, fecero spaventare un paio di clienti, con il loro comportamento da teppisti.»

Devereux scosse il capo e asserì: «Non ti disturberanno più, e Darren ha compreso più che bene cosa, il fratello, gli stesse facendo fare. Ora, se mai ti servirà aiuto o una consulenza medica, noi saremo a tua disposizione, così come saremo a disposizione dei lupi di tua conoscenza.»

«Siete una sorta di missionari?» ironizzò Destiny, a quel punto.

Iris e gli altri risero sommessamente, scuotendo il capo e Chelsey, tutta sorridente, disse: «No, ma abbiamo un branco completo e conosciamo tante cose, grazie a dei nostri amici, e sarebbe un peccato non aiutare i nostri simili, ti pare?»

«Un branco, eh? E vivete in mezzo alla gente…» mormorò interessata la tatuatrice.

Iris gli consegnò un biglietto con alcuni numeri di telefono e, annuendo, asserì: «E’ un piccolo branco, per ora, ma stiamo cercando di ripristinare gli antichi riti che seguono i nostri fratelli in Europa. Se mai avrai bisogno di noi, potrai trovarci a Clearwater.»

Ringraziandoli con un sorriso, Destiny sistemò il biglietto nella tasca del suo gilet e disse: «E’ una cosa fica. E avere dei nuovi amici che possono capire le tue grane, è sempre un aiuto. Ora, però, parliamo di te, ragazzina? Come mai questa idea del tatuaggio?»

Chelsey, allora, sbuffò e, sollevando la manica della sua maglietta, borbottò: «La Julia che è passata di qua, era mia madre… ed è per questo che voglio farmi un tatuaggio.»

La tatuatrice si accigliò immediatamente non appena notò la marchiatura sulla pelle della bambina e, masticando un’imprecazione tra i denti, sbottò dicendo: «Se avessi saputo che avevano in mente questo, come concetto di clan, li avrei divorati. Che maledetti!»

A quell’accenno di ribellione, Chelsey lasciò andare a ruota libera la lingua per darle man forte ma Destiny, invece di bloccarla come molti altri avrebbero fatto, la fece parlare di ciò che aveva passato.

Sorridendo divertita, approfittò di un momento di pausa nella lunga dissertazione della ragazzina per chiosare: «Ho imparato più cose in questi dieci minuti, su ciò che sono in realtà, rispetto ai tanti anni passati a ficcanasare qua e là da sola. Altro che segnarlo sul calendario. Me lo inciderò sulla pelle, questo giorno!»

Iris e Dev sorrisero divertiti e Chelsey, ammiccando alla tatuatrice, aggiunse: «So un sacco di altre cose, ma prima vorrei sapere se puoi coprire questo coso. E’ un po’ migliorato, ma non tanto da sparire.»

A quel punto, Destiny ghignò spavalda e replicò: «Tesoro, per te sfodererò le mie arti migliori. Naturale che posso coprirlo. Devi dirmi soltanto cosa vuoi al suo posto.»

Chelsey lanciò un’occhiata a Iris prima di sorridere e dire con sicurezza: «Vorrei un iris blu. E’ possibile?»

Iris la fissò sorpresa e Destiny, sorridendo, chiosò: «Tiro a indovinare. Iris è il tuo nome?»

«Sì» annuì la giovane, chinandosi per dare un bacio sulla tempia a Chelsey.

«Ti va bene, uno così?» le domandò allora Destiny, indicandole una foto alla parete.

L’iris raffigurato era stilizzato e contornato da un articolato glifo celtico e Chelsey, nel vederlo, sospirò e disse: «Wow! E’ perfetto!»

«Benissimo, allora. Preparo la decalcomania. Nel frattempo, preparati psicologicamente a sopportare una buona dose di dolore. Per esperienza personale, la pelle dei licantropi è piuttosto coriacea» mormorò Destiny, spiacente.

Chelsey esalò un sospiro tremulo ma annuì. Iris, invece, fu colta da una folgorazione e domandò: «Se ci fosse il sistema di rendere la pelle meno… mannara, andrebbe meglio?»

Destiny la fissò con autentica meraviglia e, speranzosa, esalò: «Non mi dire che avete qualcosa del genere?»

Iris, quindi, le parlò degli unguenti all’aconito e dell’argento – cosa, quest’ultima, già sperimentata anni addietro dalla stessa Destiny – e, quando le mostrò la pomata fornita loro dagli amici inglesi, disse: «Mi sono fatta spedire i semi per piantare l’aconito in serra, così da potermi rifornire di materia prima quando voglio. So comunque che è un fiore semplice da curare, e vive tranquillamente nei giardini. Inoltre, non disdegna il freddo, visto che è una pianta alpina, perciò non soffrirebbe neppure nei nostri terreni esterni.»

Ammirando il contenitore in vetro come se fosse stata una sacra reliquia, Destiny mormorò: «Al solo pensiero di non soffrire come una matta per farmi un nuovo tatuaggio, penso che potrei piangere di gioia. Questo sì che è un giorno da ricordare!»

Mentre Destiny si avviava nella stanza accanto per recuperare i fogli per la decalcomania, Dev chiosò: «Abbiamo appena trovato una fan.»

«Così pare» assentì Iris, mentre stendeva un po’ di crema di aconito con l’apposita palettina in legno. Se solo l’avesse toccata con le dita, le si sarebbero addormentate per ore intere.

Subito, Chelsey sentì un brivido sulla pelle, oltre a una fastidiosa sensazione di prurito. Pur avvertendo tutto ciò, non vi diede alcun peso e, ammirata, osservò Destiny mentre le applicava la decalcomania e iniziava la sua magia con i colori e la pistola da inchiostro.

Dev divenne un tantino verdognolo, durante l’intera operazione e Iris, inframmezzando le sue attenzioni tra lui e Chesley, dovette ammettere con candore quanto la seconda fosse più coraggiosa del primo, di fronte a quella prova.

Alla fine, Destiny offrì un succo di frutta a Chelsey e un caffè a Devereux, convinta che, presto o tardi, sarebbe svenuto.

In tutto questo, Iris si limitò a sorridere e a godersi il momento. Era ancora incredula di fronte a ciò che era avvenuto in quei mesi e, anche se tutto sembrava essere a posto, era difficile credere di poter tirare un sospiro di sollievo.

Quando, però, uscirono insieme dallo studio per dirigersi verso la baia e prendere un traghetto per il whale watching, riuscì quasi a credere che tutto potesse essere perfetto, al mondo.

***

Chelsey dormiva saporitamente nel suo enorme letto a due piazze, posizionato nella parte anteriore del camper.

Iris e Dev, invece, distesi nel loro letto sopra il gavone, e protetti agli sguardi da una porta a soffietto chiusa tra loro e Chesley, erano ancora svegli e stavano chiacchierando mentalmente tra loro. Il sonno era ben lontano, ma non era di per sé un male.

“Ammetto che stavo per svenire, oggi. Se quella tortura fosse durata ancora un po’, sarei stramazzato molto poco valorosamente a terra. E’ disturbante vedere la propria figlia mentre viene punzecchiata a quel modo.”

Iris sorrise nell’oscurità e replicò: “Lo so, non è stato molto bello vederla arricciare il naso per il dolore, ma pensa solo a questo; ha trasformato un’esperienza di per sé tragica in qualcosa di bello.”

Dev assentì e, oscurandosi in viso, mormorò: “A proposito di questo, volevo chiederti una cosa.”

“E cioè?”

“Vorrei essere certo che tu abbia capito quello che ho detto a Chelsey, riguardo a Julia.”

“Allora era questo che ti arrovellava, in questi giorni!” esalò sorpresa Iris. “La tua testa sembrava un nido di vespe, tanto ronzava!”

“Non è esattamente un paragone edificante, ma fa niente”, brontolò Dev. “Non vorrei tu pensassi che il mio desiderio di salvarla venisse da un qualche mio genere di amore verso di lei. Non è così, è chiaro?”

Iris gli sorrise nell’oscurità e, volgendosi a mezzo, depositò un bacio sulla sua spalla, replicando: “Dev, saresti un mostro, se non desiderassi salvare le persone da loro stesse. Soprattutto, chi conosci da così tanto tempo. Inoltre, che ti piaccia o meno ammetterlo, l’hai amata, e da lei hai avuto una figlia. Dici di non provare più nulla, per lei, e ti credo, ma rimani pur sempre una persona con un cuore. Dubito avresti lasciato a se stesso chiunque, figurarsi Julia.”

“E ti sta bene? Sì, insomma… niente gelosie strane o che?”

“Va bene così. Sento quello che provi per me, e so quello che prova per me Chelsey, perciò sono a posto. E prima o poi verrò a patti anche con ciò che ho fatto. Mi ci vorrà un po’, ma sapervi al mio fianco mi aiuterà a impiegare meno tempo per guarire.”

Dev non disse nulla, limitandosi a stringerla a sé in un dolce abbraccio, abbraccio che lei ricambiò, sentendosi finalmente al sicuro e, soprattutto, capita.

Era stato un percorso lungo, doloroso e colmo di incognite e, per più di due anni, aveva dovuto convivere con una parte di sé che aveva faticato a comprendere e che, per molto tempo, le aveva fatto paura.

Ora sapeva, e aveva tutta la vita per poter continuare a scoprire meglio se stessa e coloro che le vivevano vicino.

Aveva scoperto cosa fare di se stessa e, ben presto, sarebbe tornata a casa con le persone che amava, dove avrebbe costruito la sua nuova esistenza.

Una volta che gli incartamenti fossero stati completi, avrebbe fatto richiesta per insegnare Musica a Clearwater e, se vi fosse riuscita, avrebbe dato anche lezioni di chitarra a chi l’avesse desiderato, anche al di fuori della scuola.

Naturalmente, avrebbe dovuto tenere in debito conto anche il suo ruolo all’interno della ditta dei genitori ma, per come stavano le cose in quel momento, sarebbe stato tutto molto più gestibile di un tempo.

Lasciare la quota di maggioranza a suo zio era stata la scelta migliore. Lui era la persona più adatta per portare avanti l’azienda, e lei avrebbe potuto comunque dare il suo contributo, pur se come socio minoritario.

Avere anche Helen in Consiglio, inoltre, la rinfrancava, poiché la cugina era la persona migliore per dare nuova vitalità all’azienda.

Aveva fatto bene a fare un passo indietro; non aveva tradito il sogno di mamma e papà, lo aveva solo modificato in modo che le somigliasse un po’ di più, senza per questo snaturarlo.

“Andrà bene, vedrai” le disse a un certo punto Dev, dandole un bacetto sul naso.

“Se anche sbaglierò, avrò voi ad aiutarmi” si rincuorò lei, sorridendo.

Era pronta. Non doveva più camminare a tentoni nel buio.

***

«…e così, hai scoperto di non avere praticamente limiti, eh?» terminò di dire Brianna, con tono curioso e sorpreso assieme.

Il viaggio di ritorno verso Clearwater era ormai agli sgoccioli e, ben presto, avrebbero scorto dinanzi a loro il cartello che avrebbe dato il benvenuto al trio nel rientrare a casa.

Durante quel lento rientro, Iris aveva perciò colto l’occasione per telefonare a Brianna e metterla al corrente di ciò che aveva scoperto durante lo scontro al McDougall Lake.

Dopo averle spiegato come aveva usato i suoi poteri, e quali erano state le reazioni di Gunnar, Iris le aveva chiesto lumi e consigli.

Anche Brianna se n’era sorpresa e, dopo averle promesso di parlarne sia con Fenrir stesso che con Thor, ben più esperto di loro sui doni mentali delle creature mistiche, l’aveva rincuorata su Julia.

Uccidere non era mai facile per nessuno, e Brianna stessa aveva avuto sulle sue mani il sangue di un lupo, anche se non direttamente.

L’aver ucciso, ancora da umana, un Freki in caccia, le aveva lasciato l’amaro in bocca per lungo tempo, e un sacco di incubi a corollario.

Veder uccidere un suo amico proprio dinanzi agli occhi, e tutto per causa sua, non aveva che peggiorato la situazione, e aveva rischiato di impazzire. Ma era sopravvissuta.

Brianna le aveva assicurato che, ben presto, tutto si sarebbe ridotto a uno sbiadito ricordo e soltanto a un pensiero veloce quanto fugace.

«Gunnar pensa che non ve ne siano, perché non ha notato alcuna sofferenza nel mio cervello. Il punto è; come posso gestire tutto questo?» asserì a quel punto Iris.

«Temo, nello stesso modo in cui io gestisco il potere di Fenrir. Sapendo che, se non controllo me stessa, tutti moriranno. Non è un bel pensiero, ma è assai efficace. Inoltre, avere persone che ti amano, è di molto conforto» replicò Brianna, con un tocco di brio nella voce.

«Quindi, devo ricordarmi di avere una bomba in mano, ma che la sto sostenendo anche grazie all’aiuto di tutti» riassunse Iris, non sapendo bene se, la faccenda della bomba, le piacesse o meno.

«Direi che come paragone può calzare. Ricordati questo, Iris. Gli eventi che possono portarti a usare il dono del landvӕttir non sono così frequenti e, io spero, tu penserai seriamente di prendere lezioni di yoga come ti è stato consigliato, nel frattempo.»

«Ho un’ottima amica che può essermi di grande aiuto, in questo» dichiarò Iris, pensando subito a Clarisse e ai suoi utili consigli.

Iniziare questo percorso assieme a lei sarebbe stato oltremodo interessante e, se tutto fosse andato come lei sperava, Clarisse avrebbe avuto molte altre allieve – e allievi – oltre a lei.

La piccola scuola di joga che Clarisse avrebbe aperto entro l’anno, era sembrato a tutti come il segno di un nuovo inizio. Anche grazie al pieno sostegno di marito e figlio, Clarisse non avrebbe avuto problemi.

Sita all’interno del campeggio, sarebbe stata fruibile per i clienti a prezzi molto convenienti e, per tutti gli altri, vi sarebbero stati dei pacchetti di ingresso per ogni tipologia di spesa.

In questo, Clarisse era stata insolitamente maniacale quanto scrupolosa, portando persino lo stesso Chuck a riderne, tacciandola di essere ancor più pragmatica di lui.

«Molto bene. Per il resto, fidati di Gunnar e dei suoi consigli. Avere un’anima senziente è di aiuto, anche se a volte possono essere fastidiosi, quando ti chiacchierano in testa» ironizzò Brianna, strappandola ai suoi pensieri

L’attimo seguente, nel sentire Brianna lagnarsi al telefono, rise e replicò: «Fenrir non era d’accordo?»

«Puoi dirlo!» brontolò la wicca. «Porgi i miei rispetti alla nonna di Rock, e dille che sarò onorata di fare la sua conoscenza durante le feste di Natale.»

«Credo che ne sarà felicissima» annuì Iris.

«Ora temo di doverti lasciare. Nathan richiede la mia attenzione e, se non mi sbrigo, potrebbe decidere di distruggermi la cucina» ironizzò Brianna.

Scoppiando a ridere, Iris assentì e, dopo averla ringraziata, chiuse la comunicazione per poi dire: «Brianna dice che ci faranno visita per le feste di Natale.»

«Prenoteremo i bungalow nel camping di Lucas» dichiarò con semplicità Dev, infilandosi sotto l’arco di entrata del campeggio.

Nel farlo, l’occhio gli cadde sulla veranda della baita ove si trovava la Reception del camping di Lucas e lì, con sua grande sorpresa, Dev vide la porta aprirsi e uscirne proprio l’amico, in compagnia di un ufficiale della Reale Polizia a Cavallo.

Bloccando il camper nel vederli stringersi la mano come se fossero stati grandi amici, sebbene Dev sapesse che quell’uomo non era nativo di Clearwater, abbassò il finestrino della portiera e si affacciò per dire: «Ehi, ciao, Lucas!»

«Ragazzi, bentornati!» esclamò Lucas, ammiccando poi all’ufficiale perché si avvicinasse al camper assieme a lui. «Capitate a fagiolo. Lasciate che vi presenti il nuovo comandante della caserma di polizia. Lui è Curtis Ahern. Curtis, loro sono Devereux, il mio Sköll, e la signorina al suo fianco è Iris, la mia Hati.»

Dev non si stupì affatto di quella presentazione davvero singolare; l’odore di lupo che aveva percepito non appena aveva aperto il finestrino, gli aveva detto immediatamente chi fosse il realtà l’ufficiale.

Sentire i loro titoli nel mondo mannaro causò, come sempre in Dev, uno strano brivido alla base del collo; udirli dalla bocca di qualcuno gli causava ancora un certo disagio.

L’ufficiale assentì onorato, nell’udire i loro gradi all’interno del clan e, allungata una mano, disse: «E’ un vero piacere conoscervi. Darren mi ha chiamato un paio di settimane fa per avvisarmi di questo posto vacante, così ne ho approfittato per avvicinarmi a un branco di lupi dalla Triade completa.»

«Sapevi dei Gerarchi?» esalò confusa Iris, allungata sopra Devereux per curiosare fuori dal finestrino.

«Per mia fortuna, ho prestato servizio presso l’ambasciata Canadese a Londra per diverso tempo, così ho conosciuto dei miei simili… e tutto ciò che stava dietro alla nostra natura» annuì l’uomo, arricciando i corti baffi bruni in un sorriso simpatico. «Anche per questo, a suo tempo, misi in guardia Darren e suo fratello dai loro piani assurdi, ma non venni ascoltato. Mi fa piacere che almeno Darren sia rinsavito. Logan era davvero una testa calda.»

Sia Dev che Iris assentirono con vigore, non potendo che essere d’accordo con lui. Ciò che aveva fatto quel licantropo andava contro tutto ciò che Duncan e i loro amici avevano detto, riguardo ai doveri di un Fenrir. Il fatto che fosse morto per mano di coloro che lui aveva tradito, aveva un che di karmico.

«Ora, sarà il caso che io ritorni al lavoro. Avremo tempo più avanti per conoscerci meglio, ma mi ha fatto piacere vedervi» chiosò l’ufficiale, salutandoli cordialmente per poi allontanarsi a passo svelto.

Fischiando ammirato, Dev asserì: «Beh, Darren si sta davvero impegnando molto per redimersi dai suoi antichi errori.»

Lucas assentì, pieno di orgoglio. «Avere un ufficiale all’interno della polizia ci sarà di grande aiuto. Inoltre, Darren mi ha avvisato che giungeranno a Clearwater un altro paio di famiglie, tra cui un dottore mannaro. Papà ne è davvero compiaciuto, perché l’idea di essere il solo a doversi occupare di noi lo preoccupava un po’.»

«Potranno mettere insieme ciò che sa Chuck grazie alla mia operazione, e quello che sa questo dottore, riguardo all’anatomia umana» assentì Iris, più che soddisfatta.

«A proposito di nuovi arrivi… blocca per i nostri amici inglesi almeno tre bungalow. Brianna ci ha detto che saranno in visita per Natale, e vorrebbero conoscere la nonna di Rock» intervenne Devereux con un mezzo sorriso.

«Grazie per la dritta. Li metterò subito in agenda» annuì Lucas, prima di sorridere quando vide comparire anche la figura sonnacchiosa di Chelsey. «Ciao, piccolina. Ti abbiamo svegliato, con le nostre chiacchiere?»

Lei assentì con un gran sbadiglio dopodiché, tutta orgogliosa, sollevò la manica della sua camicetta per domandare: «Ti piace?»

Lucas sollevò un sopracciglio con evidente sorpresa nel vedere il disegno di un iris blu e, annuendo orgoglioso, disse: «E’ stupendo, piccola. Sono fiero di te.»

«Grazie, Lucas» sorrise tutta contenta la ragazzina, rimettendo a posto la manica. «Adesso, andrò a farlo vedere anche a Clarisse.»

Ciò detto, corse fuori dal camper e si avviò verso la casa dei coniugi Johnson.

Sorridendo, Dev rimise in moto il camper e chiosò: «Sarà il caso che vada a parcheggiare a casa questa sottospecie di camion. Ti lascio Chelsey… tanto, sono sicura che vorrà farlo vedere anche ai nonni, prima di voler rientrare. Più tardi, ti farò un resoconto di ciò che ho saputo a Vancouver.»

Annuendo, Lucas disse: «Te la porterò a casa non appena avrà finito i suoi giri, così parleremo tranquillamente.

Mentre Dev annuiva, Iris sorrise nel salutare Chelsey e Clarisse sulla veranda di casa e, quando uscirono nuovamente in strada, commentò: «E’ bello sapere che abbiamo un appoggio in polizia. Sarà tutto più facile, ora che il nostro numero è aumentato.»

«Mi sento un po’ meno inadeguato, adesso» annuì Dev, avviandosi in mezzo al rado traffico cittadino.

Iris gli sorrise, strinse la mano sul braccio di Dev e mormorò: «Non sei mai stato inadeguato, neppure quando eri soltanto un umano.»

«E’ meglio ora, credimi» replicò lui, allungandosi per un bacio.

 

 

 

 

 

 

 

N.d.A.: il branco sta espandendosi e, come promesso da Darren, altri lupi stanno dirigendosi verso Clearwater per iniziare una nuova vita. Il fatto di avere un membro della polizia all’interno del branco, non potrà che essere utile, così come contare un nuovo dottore tra le loro fila.

Forse, dopotutto, Iris può davvero iniziare a credere che quella sua nuova vita possa essere costellata dalla felicità, e non dal dubbio. Con il prossimo capitolo, avremo raggiunto il finale di questa storia... ma già un'altra sta crescendo, perciò non preoccupatevi. Le novità non finiranno certo qui.

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Capitolo 26
*** Epilogo ***


 

Epilogo.

 

 

 

24 Dicembre 2018

 

Se non avesse smesso di nevicare, avrebbero dovuto chiamare gli artificieri, per liberare le strade. Ormai, persino per gli standard canadesi, quella nevicata colossale stava prendendo una piega preoccupante.

Dev fissò corrucciato i pallidi fiocchi cadere dal cielo, come se bastasse fissarli malamente perché smettessero di cadere.

«Sei così accigliato che ti verranno un sacco di rughe sul viso, Dev» chiosò Iris, raggiungendolo accanto alla vetrata del salone assieme a un vassoio di polpette di patate.

Dev ne mangiò una in un boccone prima di dedicarsi alla seconda e la giovane, scoppiando a ridere, esalò: «Ammettilo che sei capitolato la prima volta che le hai mangiate!»

«Non confermo né smentisco» borbottò lui, addentando la terza.

Iris lo fissò tutta sorridente, gli occhi caldi e pieni di promesse che, ben presto, avrebbe potuto mantenere e Devereux, nell’allontanare temporaneamente il vassoio tra di loro, le diede un bacio e mormorò: «Sei del tutto sicura che Helen voglia passare il pomeriggio con Chelsey?»

«Più che sì… ammesso e non concesso che non affoghi in tutta questa neve» affermò Iris, lanciando un’occhiata dubbia verso le finestre.

Dev brontolò un’imprecazione tra i denti, tornando a scrutare accigliato il panorama e, poggiate le mani sui fianchi, ringhiò: «L’ultima volta che è nevicato così tanto, abbiamo dovuto spalare per mesi.»

«Ora avresti un indubbio vantaggio, ma sarà sicuramente una scocciatura» ammise lei, storcendo la bella bocca in una smorfia.

«Puoi dirlo forte! Lupo o non lupo, dopo un po’ spalare neve viene a noia a tutti» sottolineò Dev, prima di scoppiare a ridere quando vide giungere un cingolato dallo stradello di casa.

Iris lo fissò senza parole per alcuni istanti, prima di riconoscere Rock al volante del mezzo color mandarino.

«Ma da dove salta fuori?» esalò la giovane, mangiucchiando distrattamente una polpetta.

«E’ uno dei mezzi della ditta, ma non pensavo che qualcuno si sarebbe sobbarcato dieci miglia solo per andarlo a prendere» scrollò le spalle Dev, prima di accigliarsi leggermente e borbottare subito dopo: «A meno che…»

Iris lo fissò dubbiosa per un istante prima di lanciare un’occhiata al cielo ingombro di nubi e borbottare: «Quand’è stata l’ultima luna piena?»

«L’altro ieri» mugugnò Dev, passandosi una mano sul viso con espressione esasperata. «Stai a vedere che, come regalo di Natale, gli ha fatto il dono della licantropia!»

«Sarebbe molto da Lucas» sorrise dolcemente Iris.

Dev storse il naso e grugnì: «Se adesso sospiri, vomito.»

Iris gli diede una pacca sul sedere, replicando: «Sei un cuore di pietra! E’ molto romantico, invece.»

«Preferisco il modo che ho scelto io» ribatté lui, ghignando in risposta.

«Non avevo dubbi. Quando mai non sei soddisfatto delle tue scelte?» ironizzò Iris, schivando la mano protesa di Dev, quando egli tentò di darle un pizzicotto.

«Su di te pensavo di aver scelto bene, ma potrei ricredermi» ammiccò lui, allungandosi per afferrarla e stringerla a sé.

Iris rise, lasciandosi prendere e, nell’estremo tentativo di salvare il vassoio delle polpette, sollevò un braccio sopra le loro teste mentre Dev si impadroniva della sua bocca.

A quel punto, però, lei lanciò tutto alle ortiche, il vassoio cadde rovinosamente a terra con un gran fragore di metallo e, dal piano superiore, Chelsey urlò: «Ma che combinate?!»

Scoppiando a ridere, i due si scostarono per osservare il disastro appena venutosi a creare, giusto in tempo per scorgere Rock scivolare fuori dal cingolato e balzare agilmente verso la casa.

«Mannaro» chiosarono entrambi, scostandosi definitivamente l’uno dall’altro.

Rock li salutò con un cenno della mano, aprì la porta per entrare e, dopo aver lasciato gli scarponi sull’entrata, poggiò le mani sui fianchi e disse ghignante: «Stradello pulito, capo!»

«Abbiamo visto, grazie» chiosò Dev, avvicinandosi per dargli una pacca sulla spalla. «A quanto pare, Lucas ha infine ceduto. Quando l’ha fatto?»

Sorridendo da orecchio a orecchio, Rock disse: «Una settimana fa. Abbiamo anche fatto controllare a Lady Fenrir, e lei era certa che non vi sarebbero stati problemi, visto che tra i miei antenati ho diversi licantropi.»

Dev assentì soddisfatto. La Prima Famiglia di Matlock era giunta a Clearwater dieci giorni addietro, assieme alla famiglia di Hati. Da quel che sapevano, il suo Sköll era invece rimasto in seno al branco per la continuità di governo del clan, oltre che per occuparsi della moglie incinta.

Iris abbracciò l’amico con calore, asserendo: «Hai scoperto se appartieni ai Gerarchi?»

«No, Iris. La carica di Hati, fino a nuovo ordine, rimarrà a te. Il mio pelo è grigio, infatti. Lucas, però, sostiene che ho le doti di un Freki, e Duncan lo ha confermato» le spiegò Rock.

«Beh, la cosa non mi stupisce. Sappiamo bene che, per Lucas, faresti di tutto» assentì Dev, trovando quella qualifica assai congeniale all’amico.

Per quanto Rock fosse una persona solare e prosaica, era anche in grado di mostrare il suo lato più oscuro, se qualcuno interferiva con la vita di Lucas.

Il ruolo di Freki gli calzava a pennello.

«Quindi, attualmente, abbiamo la Triade al completo, un Freki nuovo di zecca…» cominciò a enumerare Iris, sollevando man mano le dita. «… il Guardiano di un Santuario e un medico…»

Ghignando, Dev intervenne dicendo: «Chuck si sbellica dalle risate tutte le volte che glielo dico… Guardiano del Santuario… lo trova molto divertente.»

«Beh, ci dovrà fare l’abitudine, visto che è l’unico su tutto il territorio canadese, per quel che ne sappiamo» scrollò le spalle Iris, tornando al suo calcolo. «Allora, tolti loro, abbiamo acquisito cinque famiglie complete di lupi e due coppie miste con figli piccoli e che hanno già sviluppato il dono. Abbiamo un ufficiale di polizia e due poliziotti, oltre a una fiorista, che si è presa l’incarico di curare la serra con l’aconito. Direi che non siamo messi male, vi pare?»

«Per essere un branco novello, direi che ce la caviamo e, stando a quello che dice Brianna, abbiamo già creato una rete abbastanza capillare per attirare a noi altri lupi» assentì Rock, tutto soddisfatto.

Iris annuì, ripensando a Destiny e al loro viaggio a Vancouver. Pur se la ragazza era rimasta nella città costiera – dove poteva contare su un bacino di clienti più ampio – aveva però parlato a una coppia di lupi erranti che, a loro volta, avevano sparso la voce.

Poco per volta, nel corso degli anni, si sarebbe conosciuta la verità e, per chi lo avesse desiderato, avrebbe potuto conoscerla direttamente dalla loro bocca, unirsi al loro branco o crearne di nuovi.

Forse, dopotutto, i licantropi non avevano perso la battaglia per la sopravvivenza della specie, in quelle lande così distanti da casa.

***

«E’ un vero peccato che Liza non sia potuta giungere prima… si sarebbe risparmiata il viaggio in pullman» sospirò Rachel guardando distrattamente l’orologio da polso.

Lucas le sorrise comprensivo, stando ben attento a tenerla al coperto sotto il suo enorme ombrello.

In effetti, soltanto tre giorni addietro, Liza avrebbe potuto raggiungere Clearwater con il Cessna della Walsh Inc. ma, a causa di un test scolastico a cui la ragazza non aveva voluto rinunciare, la sua partenza era stata ritardata.

I genitori e Helen l’avevano preceduta su suo espresso ordine – o, come aveva detto Rachel, su sue espresse urla – e la governante di casa aveva assicurato la sua presenza costante, così che potessero partire sereni.

Al loro arrivo, Dev aveva potuto mostrare alla famiglia Wallace la loro nuova seconda casa – avrebbero poi pensato i coniugi a scegliere il mobilio – scatenando il pianto di Rachel e il pieno compiacimento dei restanti.

«Sono sicura che, se Liza è grintosa anche solo la metà di quanto me l’ha descritta Iris, non avrà avuto problemi» la rassicurò Lucas.

«Oh, la è sicuramente, caro…» annuì Rachel, battendogli affettuosamente una mano sul braccio.

Rachel aveva passato un’intera giornata a ringraziare tutti i nuovi amici di Iris per ciò che avevano fatto per la loro nipotina e, ovviamente, anche in quel caso le lacrime si erano sprecate.

Nessuno se n’era però sorpreso – grazie agli avvisi di Iris – e, anche grazie a Jennifer, Clarisse e Bethany, la crisi era stata annullata quasi immediatamente.

Richard e Helen erano stati più composti, nei ringraziamenti ma, nel complesso, quel giorno Iris aveva rischiato il pianto diverse volte.

Mai, da quando quel licantropo l’aveva ferita, aveva sperato in un simile stravolgimento in positivo della sua vita, eppure era avvenuto.

L’anno a venire avrebbe sposato Dev, considerava già Chelsey come sua figlia, il suo lavoro a scuola andava alla grande – anche se aveva un paio di teste calde in classe – e la ditta non aveva affatto risentito del cambiamento avvenuto in sede di Consiglio.

A volte, Iris si ritrovava la notta a scrutare il cielo, sperando di poter sentire la voce dei genitori, pur se sapeva che sarebbe stato impossibile.

Gunnar, però, aveva insistito perché lei parlasse col cuore, certo che qualcosa, presto o tardi, avrebbe raggiunto Helheimr e il luogo in cui le anime buone dimoravano per l’eternità.

Pur se non poteva sapere se, nel caso dei genitori, le anime fossero rimaste un’unica entità o si fossero spezzate in mille neonate anime, Gunnar le aveva però assicurato che, in un modo o nell’altro, qualcuno avrebbe udito.

A questo si era attenuta e, pur se non aveva mai avuto riprova di un avvenuto contatto, il solo pensiero di poterlo fare, l’aveva resa felice.

«Oh, eccolo che arriva!» esclamò Rachel, stringendo le mani al petto mentre il mezzo, con tutte le precauzioni del caso, si avvicinava alla fermata.

Per se le strade erano state ripulite alla bell’e meglio, sull’assito rimaneva ancora un discreto strato di neve, e questo non permetteva di mantenere alta la velocità di crociera.

Non appena il mezzo si fermò e le porte vennero aperte, Rachel e Lucas si avvicinarono e, senza neppure troppa sorpresa, videro Liza dare il cinque all’autista prima di scendere con il suo borsone alla mano.

Evidentemente, si era fatta riconoscere anche durante quel viaggio in solitaria.

Salutato l’autista e il resto dei passeggeri non appena toccò terra, Liza scrutò il mezzo allontanarsi prima di sorridere a sua madre ed esclamare: «Questo viaggio è stato una ficata! Devo assolutamente rifarlo!»

«Amen…» esalò Rachel, prima di stringerla in un abbraccio. «Sono lieta che ti sia piaciuto, cara.»

«Non potevano esserci dubbi» assentì Liza, sorridendo poi a Lucas. «Io sono Liza Wallace, molto piacere.»

«Lucas Johnson, piacere mio. Benvenuta a Clearwater» replicò lui, allungando una mano per stringere quella protesa della giovane.

Lei la afferrò con grinta e, per Lucas, fu come ricevere una scossa alla base della gola.

Senza che lui l’avesse cercata, la parola Geri scaturì dalle sue labbra mentre i suoi occhi spalancati, fissando sgomenti Liza, portarono la ragazza a sobbalzare e gorgogliare: «Come, scusa?»

«Che mi venisse un colpo!» esalò Lucas, passandosi una mano tra la chioma bionda prima di scoppiare a ridere. «Mi ammazzeranno… lo so già!»

Un lento, gongolante sorriso si fece largo sul viso di Liza mentre Rachel, confusa, stringeva un braccio attorno alle spalle della figlia prima di domandare timorosa: «Lucas caro… cosa volevi dire, prima?»

«Sarà meglio che lo spieghi in presenza di tutti. Credo che sarà una cosa abbastanza sconvolgente, ed è meglio affrontare l’argomento una volta sola» le disse in risposta Lucas, fissandola spiacente.

La stretta di Rachel si acuì, al pari del sorriso ghignante di Liza.

Oh, sì, quella sì che sarebbe stata una Vigilia coi fiocchi!

***

«Geri?!» esclamarono i presenti, sconcertati per i più svariati motivi.

Iris fissò allibita il suo Fenrir senza sapere cosa dire, Dev fu ugualmente sorpreso, Richard si passò le mani sul viso con espressione sgomenta e Rachel crollò sul divano mentre Helen le passava preventivamente un fazzoletto.

Liza, dal canto suo, sembrava toccare il cielo con un dito e pareva che quella notizia bomba non l’avesse minimamente sconvolta… anzi, tutt’altro.

«Ma… ma… ma ne sei sicuro, caro?» gorgogliò Rachel, guardando speranzosa Lucas.

Lui si limitò a un’alzata di spalle, replicando: «Mi è davvero venuto spontaneo dirlo, quando le ho sfiorato la mano. E sa Dio quante mani ho stretto… temo di non sbagliarmi.»

Richard sospirò tremulo prima di guardare la figlia minore, al colmo della felicità, e dire: «Invece di sembrare un gatto che ha mangiato il canarino, pensa a quello che realmente vuol dire questa carica, Lizzie.»

Sentendosi interpellata, Liza tornò seria e, dopo aver guardato la sorella maggiore – che assentì orgogliosa – la ragazza disse: «Oh, papà, so benissimo cosa significa. Iris aveva spiegato più che bene, a suo tempo, quali fossero i ruoli più importanti all’interno di un branco, e io ho una buona memoria.»

«Quindi, ti sta bene essere un sicario?» replicò Rachel, affranta.

«Non si tratta della faccenda del sicario, mamma…» replicò la figlia, avvicinandola per stringere le sue mani. «… ma si tratta di poter essere di aiuto a Iris e alla sua nuova famiglia. Si tratta di poter vivere a contatto con un mondo che penso di poter sentire più mio di quanto, la mia vita precedente, lo sia mai stata. Si tratta di poter dimostrare a me stessa di essere all’altezza di un compito che credo di poter svolgere al meglio.»

Lucas assentì al suo indirizzo e così pure Dev, che asserì: «Non credo che Liza sia così sciocca da aver preso la cosa sottogamba. Penso piuttosto che, non appena Lucas ha messo a voce il suo pensiero, qualcosa sia andato al suo posto come il pezzo di un puzzle.»

Liza annuì, sfiorandosi il petto. «Dev ha ragione. Sento che è giusto così, mamma… papà…»

Helen intervenne a sua volta e dichiarò: «Liza non ha mai voluto fare il nido in nessun posto, ammettiamolo. Nessun club le piaceva, cambiava idea in continuazione e, anche coi suoi amici, ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo. Non credo sia mai stato perché era troppo noiosa quanto, piuttosto, perché le mancava il posto giusto

La ragazza assentì alla sorella e Richard, annuendo suo malgrado, borbottò: «D’accordo. Mia nipote può distruggere città intere, mentre mia figlia sarà un cacciatore di traditori e un’addestratrice di corvi. Che dire?»

Scoppiando a ridere, Iris esalò: «Oddio, messa così suona strana davvero!»

Liza rise a sua volta, abbracciò il padre e mormorò: «Ti renderebbe più felice sapere che, da quando lo so, mi sento veramente bene?»

«Sarà sempre la cosa più importante, per me…» annuì lui, stringendola a sé per un attimo per poi lasciarla andare. «…ma sarà dura perdere anche te, piccola mia.»

Lei si scostò, scrutò la sua vecchia famiglia e quella nuova e infine disse: «Non mi perderai. Io e Iris saremo sempre qui, dopotutto. Non saremo così lontane e voi, dopotutto, avete una seconda casa, a Clearwater.»

Helen assentì alla sorella e chiosò: «Dovrai trovarti una nuova scuola, a questo punto.»

«Beh, c’è la Clearwater Secondary School dove lavora Iris…» ammiccò Liza, scoppiando poi a ridere nel dire: «… sarà uno spasso avere la propria cugina nel corpo docenti!»

Rachel non resistette oltre. Si levò dal divano ov’era rimasta assisa fino a quel momento e, stringendo a sé la più giovane delle sue figlie, mormorò contro la sua spalla: «Sii diligente, tesoro, e ricordati che ora devi mettere la testa a posto! Dio solo sa se hai sempre mille e più pensieri, in quella tua testolina… ma ora devi diventare grande!»

Liza smise immediatamente di ridere e, nello stringere a sua volta la madre, assentì e disse: «Lo so, tranquilla. Non mi permetterei mai di fare una scemenza. So che questa cosa non è una scampagnata e che, se Lucas ha visto in me questa qualità, io dovrò impegnarmi a fondo. Ma non dici sempre anche tu che, se una cosa mi piace, do’ il meglio?»

Scostandosi da Liza, Rachel si asciugò una lacrima e, annuendo fiera, baciò su una guancia la figlia e disse: «Sì, tesoro. Puoi fare meraviglie, se vuoi.»

«Ti prometto che, in questo caso, mi impegnerò come mai prima d’ora. Sarò la miglior Geri che l’America ricordi» dichiarò la giovane, facendo scoppiare a ridere la madre per diretta conseguenza.

«Oh, tesoro… non potrebbe essere altrimenti. Saresti la prima da un bel po’ di anni, da quel che ho capito!»

Liza si limitò a una scrollatina di spalle e Iris sorrise più serena. Il peggio sembrava essere passato e, anche grazie alla presenza dei loro ospiti, tutto sarebbe stato più facile.

***

Mancavano pochi minuti alla mezzanotte e, dopo la cena luculliana preparata a casa di Dev, i presenti si erano poi divertiti a scambiarsi aneddoti, avventure e battute in merito alle loro doppie vite di lupi ed esseri umani.

Nonna Katherine aveva passato la maggior parte del tempo a colloquiare con Brianna, e quest’ultima era rimasta affascinata dall’anziana Piedi Neri e dalla sua saggezza antica.

Perfino Fenrir aveva espresso il suo compiacimento nel conoscere una persona così profonda e consapevole di ciò che la circondava.

Naturalmente, la notizia della neo investitura a Geri di Liza aveva riempito la maggior parte dei discorsi, ma Brianna e Duncan avevano garantito loro l’aiuto di Branson in tal senso.

Il loro Geri avrebbe addestrato Liza, aiutandola anche a trovare due cuccioli di corvo da addestrare perché diventassero, un giorno, Huginn e Muninn.

Fu all’approssimarsi dell’ultimo minuto della Vigilia che Brianna levò il calice di champagne che teneva in maso, sfiorò i sottili rami della quercia piantata solo pochi mesi prima in un piccolo vaso, e disse: «Il seme è cresciuto fiorente e, entro la prossima primavera, la vostra quercia sacra potrà essere piantata nel luogo che diverrà il vostro Vigrond. Essa vi porterà la sapienza antica tramandata dalla madre da cui è nata, e vi sarà di aiuto e guida.»

Ciò detto, lanciò uno sguardo a Lucas e aggiunse: «Tu solo potrai accedere alle sue conoscenze, perciò fai buon uso del suo sapere, poiché grazie a Lei potrai guidare con saggezza il tuo branco.»

Il giovane assentì, stringendo nella sua la mano grande e forte del compagno.

«Avete già deciso dove istituirete il vostro Vigrond, dunque?» domandò infine la wicca.

Fu Dev a parlare e, levandosi in piedi, indicò il limitare della foresta che circondava la sua proprietà e disse: «Questi terreni sono miei e, per almeno un altro centinaio di iarde all’interno del bosco, tutto è recintato e interdetto ai ficcanaso. Pianteremo la quercia al limitare del bosco, così che sia visibile dalla casa.»

Brianna assentì, asserendo: «E’ un ottimo luogo. Protetta dal gelo e dagli sguardi dei curiosi… e una posizione molto comoda per le riunioni visto che, in caso di maltempo, potrete riunirvi qui.»

Un coro di risate si levò tra i presenti e Duncan, levandosi accanto alla moglie tenendo in braccio il piccolo Nathan, aggiunse: «La Prima Famiglia di Matlock, in rappresentanza di tutti i clan britannici, irlandesi e norvegesi, vi dà il benvenuto in famiglia, amici miei. Pur se lontani, saremo sempre e comunque a vostra disposizione.»

Lucas a quel punto si alzò a sua volta, allungò una mano verso Duncan e replicò: «E’ un onore e un piacere e, a nostra volta, saremo sempre a disposizione per qualsiasi vostra esigenza.»

Dev sorrise a Iris e Chelsey, sedute sul divano in contemplazione di quel momento pieno di pathos e, ironico, chiosò: «Direi che hai ammortizzato più che bene il costo del tuo pneumatico forato. Tu che dici?»

Le due risero sommessamente e Iris, nell’alzarsi, gli si strinse contro per un abbraccio, mormorando: «Non avrei mai pensato di dover ringraziare quella benedetta buca che ha mandato al creatore lo pneumatico, ma penso che le costruirò intorno un altarino, a questo punto.»

Chelsey si alzò a sua volta, si strinse a entrambi e aggiunse: «Posso darti una mano, vero?»

«Gliela daremo entrambi» le promise il padre, sollevandola per stringerla a sé.

La pendola segnò la mezzanotte e, in coro, tutti esclamarono: «Buon Natale!»

 

 

 

 

 

 

N.d.A: e qui terminano – per ora – le avventure di Iris e soci. Vista la bomba finale riguardante Liza, non vi dico neanche chi sarà il personaggio principale della prossima avventura. Essendo una cosa ancora embrionale, impiegherà mesi e mesi per svilupparsi pienamente, ma arriverà a compimento. Promesso.

Per ora, qui vi saluto e vi dico arrivedersi. Nel frattempo, proseguirò con le mie storie su dèi ed eroi e, se mi verrà in mente qualcosa, posterò degli aggiornamenti anche nella cartella delle OS dei licantropi.

A presto, e grazie per avermi seguita!

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