Dancing in the dark

di Hypnotic Poison
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You can't start a fire without a spark ***
Capitolo 2: *** One look at you and I can't disguise ***



Capitolo 1
*** You can't start a fire without a spark ***


Dancing in the Dark

 

 

 

 

 

 

You can’t start a fire without a spark

 

 

 

 

 

Minto si sedette sullo sgabello foderato di velluto blu scuro e aprì con cautela il coperchio d’abete, sfiorando con la punta delle dita i tasti bianchi come a chiedere il permesso di suonarli dopo tanto tempo. Abbozzò piano il primo motivetto che si ricordò, un sorriso che le spuntò naturale sulle labbra nel percepire la naturalezza, seppur un po’ inceppata, dei movimenti.

Era abbastanza arrugginita, ma riusciva ancora a far scivolare le mani come se non fossero passati mesi, se non un annetto, dall’ultima volta che aveva avuto tempo di rilassarsi con il pianoforte a coda che le avevano regalato da bambina. Avrebbe davvero voluto esercitarsi di più (e sicuramente anche sua madre avrebbe apprezzato la cosa), ma era stata così tanto occupata, soprattutto in quegli ultimi tempi…

Una nota fuori posto le fece storcere il naso, l’idillio già spezzato. La mancanza di concentrazione stava cominciando a diventare un problema serio, non bastava più continuare ad ammetterlo a sé stessa, doveva prendere le redini della situazione in mano, e…

Sentì bussare alla porta e sobbalzò piano, tentando di non darlo a vedere alla cameriera che infilò solo la testa dallo spiraglio.

« Signorina Aizawa, c’è un ospite per lei. »

Lei annuì, quasi scocciata dall’interruzione, e sospirò: « D’accordo, ora arrivo. »

La ragazza si ritirò con un accenno e un inchino, chiudendosi la porta alle spalle, e lei si sfregò la fronte. Possibile che ancora non avessero capito che le visite le piacevano solo pianificate?

Cos’aveva fatto di male per meritarsi tutti quegli sconvolgimenti imprevisti alla sua impeccabile, programmatissima, controllatissima vita?

 

 

Four months earlier

 

 

« Ancora!? Ma che cavolo - ! »

L’esclamazione incredula e irritata di Taruto risuonò sopra il chiacchiericcio del salone del Caffè quasi al completo, coperto solo dalla risatina di Purin che gli si lanciò contenta al collo per schioccargli l’ennesimo bacio richiesto dal vischio appeso in apparenti quantità industriali per il locale, noncurante della sfumatura di rosso che gli fece assumere nuovamente.

Minto rise appena, nascondendo il volto nel calice di champagne quasi vuoto, mentre osservava contenta la scenetta.

« Mio fratello fa tanto il duro, ma guarda come tubano nell’angolo. »

Alzò lo sguardo alla sua destra, Kisshu che era comparso accanto a lei con la stessa espressione divertita, le mani cacciate in tasca e l’elegante camicia dalle maniche già sbottonate e arrotolate fino ai gomiti.

« Lascia che facciano, sono teneri. »

Lui le lanciò un’occhiata incredula, poi fece un cenno al bicchiere: « Ne hai già bevuti troppi? Da quando tu trovi tenere le cose? »

« A Natale siamo tutti più buoni, » commentò lei con tono ironico.

« Certo, certo, e io mi chiamo Rudolph. »

Lei rise di nuovo, più allegra di quanto non lo fosse stata in quegli ultimi tempi.

Forse era stato proprio il ritorno dei tre fratelli Ikisatashi, circa sei mesi prima, a portare una ventata di freschezza nelle loro vite.

Seppure all’inizio erano stati tutti sul chi vive a risentire i computer del seminterrato squillare come non facevano da ormai più di dieci anni, gli alieni avevano pienamente dimostrato di avere intenzioni più che pacifiche.

Soprattutto Taruto e Pai, che non avevano perso troppo tempo nel riallacciare fili che probabilmente non erano mai stati del tutto slacciati.

Ovvio, tutti avevano dovuto riacquistare fiducia gli uni negli altri; per quanto alla fine della battaglia si fossero trovati tutti dalla stessa parte, non era stato facile per nessuno cancellare definitivamente ciò che era successo. Ryo più di tutti era stato restio a sotterrare l’ascia di guerra, soprattutto considerato il vecchio interesse che un certo alieno aveva nei confronti di una certa rossa. Soltanto sedute a porte chiuse con Zakuro, Keiichiro, e la stessa Ichigo – che ovviamente non aveva esitato a spifferare tutto alla sua migliore amica – erano riuscite a convincerlo a uscire dal suo mutismo selettivo nei confronti degli alieni e a farlo smettere di comportarsi come un becero cavernicolo di sei anni (citazione diretta della modella, a quanto pareva, che ancora la faceva ridere sotto i baffi).

Anche perché il povero Ryo non avrebbe certo potuto mantenere il fronte di guerra aperto per il resto della sua vita, per quanto la sua testardaggine potesse essere caparbia; gli alieni avevano annunciato tutta la loro volontà di rimanere sul pianeta Terra più a lungo possibile.

« Che era quello che volevamo fin dall’inizio, » aveva scherzato Kisshu durante uno dei tanti incontri, poco dopo il loro ritorno, in cui avevano cercato di far chiarezza sulle cose. Ovviamente si era guadagnato delle occhiatacce da metà del gruppo, ma per quanto fossero cambiati, non potevano cambiare del tutto.

La vita sul loro pianeta, una volta riacquistata la stabilità climatica e un certo grado di normalità grazie all’intervento della Mew Aqua, si era rivelata troppo faticosa per gli Ikisatashi. Erano stati sulla bocca di tutti, nel bene e nel male, e per quanto all’inizio la cosa poteva essersi rivelata vantaggiosa, per alcuni, a lungo andare era diventata quasi velenosa. Pai non riusciva a svolgere le sue ricerche in santa pace, Kisshu veniva additato a volte come traditore primario, altre volte come eroe tragico, e nessuno sembrava più prenderli sul serio o lasciarli vivere la loro vita.

Erano stati lanciati da così giovani in un’avventura decisamente più grande di loro, e la loro patria non era stata più in grado, o forse non aveva voluto, prendersene cura quando erano ritornati.

E nessuno li avrebbe capiti fino in fondo come le ragazze con cui avevano condiviso la parte più importante e segnante della loro adolescenza.

Perciò, presi armi e bagagli – e da quanto aveva capito nei discorsi origliati tra i tre, Keiichiro e Ryo, anche un’astronave parecchio grossa – erano ritornati a Tokyo a chiedere comprensione, ospitalità, e un po’ di pace mentale.

E si erano stupiti tutti, davvero, di quanto facilmente e velocemente i tasselli si erano ricomposti alla perfezione. Quasi non sembrava che fossero passati dieci anni, o che certe cose fossero successe. Certo, non era sempre del tutto vero e alcuni più degli altri erano ancora un po’ titubanti, ma proprio le amicizie nate da eventi improbabili e avversi erano quelle che sembravano più consolidate e durature.

Quindi, anche Shirogane si era dovuto arrendere a trovarsi Kisshu molto più spesso di Kei o Zakuro come compagno d’allenamento. E anche se non l’avrebbero mai ammesso, sotto sotto iniziavano pure a tollerarsi a vicenda, se non proprio a starsi simpatici. 

Anche lei, poi, doveva concederglielo, aveva trovato un alleato non da poco contro i capricci di Ichigo o contro i momenti di noia o di tristezza. Kisshu sembrava sempre caricato con l’argento vivo, incapace di stare fermo – o zitto – eppure al tempo stesso si era rivelato un ottimo ascoltatore. Certo, il più delle volte era capacissimo di farle saltare i nervi con battutine sciocche e infantili e qualche punzecchiatura di troppo, ma avevano scoperto di essere in sintonia su molte altre cose e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, le faceva piacere passare del tempo con lui.

Non le sfuggì, tra la folla per quella festa natalizia organizzata da Keiichiro per rilanciare l’ultima ristrutturazione del locale, le occhiate fameliche che una delle ospiti continuava a lanciare in direzione del suo compagno di chiacchiere. Non che potesse biasimarla troppo, in fondo; gli anni passati avevano decisamente fatto del bene a Kisshu. Aveva ventiquattro anni, poteva dirsi di averne passate abbastanza per definirsi una donna adulta e responsabile, e anche lei sapeva riconoscere un bel ragazzo quando ne vedeva uno senza che ciò comportasse cose disdicevoli.

« Devi stare attento, » mormorò divertita, facendo appena un cenno della testa mentre gli si avvicinava con fare cospiratorio, « Sembra avere intenzioni un po’ troppo decise. »

Kisshu seguì il suo sguardo, altrettanto divertito: « Da tortorella sei diventata un falchetto, ora? O sei preoccupata per me? »

« Sono preoccupata per il bagno del locale, più che altro. »

« Che orribile idea che hai di me! Non potrei mai creare una fila in bagno per tutto quel tempo. »

« Insomma! »

« Passerotto, hai iniziato tu. »

La mora scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, allegramente esasperata, stava per replicare quando una mano leggera le si posò sulla schiena, catturando la sua attenzione.

« Ah, Ogasawara-san! Mi stavo giusto chiedendo dove fossi finito. »

« Eccomi scusa, mia madre al telefono la tira sempre troppo per le lunghe. Ikisatashi-san, giusto? »

L’alieno – in incognito – studiò con la solita aria beffardamente socievole la mano tesa del ragazzo alto e ben vestito di fronte a lui, prima di stringergliela con fermezza: « Giusto. Come va la vita, Ogasawara? »

Il giapponese parve non lasciarsi interdire dalla maniera con cui venne chiamato, e sorrise affascinante: « Non posso lamentarmi, anche se questo è sempre uno dei momenti più impegnativi dell’anno. »

« Non dirlo ad Akasaka-san, ormai non esce più dalla cucina con tutti i dolci di Natale che gli richiedono, » Minto sorrise ancora e prese un sorso dal suo bicchiere, « A proposito, potremmo chiederne uno per la cena dai tuoi genitori, la settimana prossima. »

« Basta che poi non ti lamenti che ti faccio saltare la dieta, » la riprese bonariamente, facendole arricciare il naso in una smorfia di ripicca, « Cosa mi sono perso? »

Kisshu continuò ad osservare le interazioni di Minto con il suo fidanzato, divertito dalla continua formalità che la ragazza sembrava non riuscire mai ad abbandonare: « Niente, io e la tortorella stavamo commentando gli imbucati. »

Questa volta, Eichi alzò appena un sopracciglio: « Non credo che Minto-san apprezzi un soprannome così poco elegante. »

« No, non apprezzo, » Minto sbuffò divertita e lanciò un’occhiata allusiva all’alieno, « Ma non riesce a fargli cambiare idea nemmeno Shirogane in quanto ad appellativi. »

Kisshu ghignò canzonatorio: « Stai scherzando, lo sai che Einstein con gli occhioni a cuore ora è la mia vittima preferita. »

« Kisshu! »

« Che c’è, non posso burlarmi un pochino del mio vecchio rivale in amore che ora ce l’ha fatta? C’è più carie qua dentro che in cucina, con quei due. »

Minto gli lanciò un’occhiata ammonitoria mentre entrambi spostavano l’attenzione su Shirogane che teneva saldamente Ichigo per una mano, come se ancora non potesse credere di avere finalmente conquistato la bella rossina dopo anni e anni di tentativi. La mora poi tossicchiò e raddrizzò di più la schiena, conscia che probabilmente il suo fidanzato non potesse comprendere la totalità del discorso.

« Scusaci, è un’abitudine di Kisshu quella di straparlare. »

« Non prendertela con me, ti ho vista con i miei occhi stare al telefono per ore e ore con la lupetta. »

« Questo è irrilevante. »

L’alieno rise, poi alzò il calice che teneva in mano e fece un cenno con la testa: « Vi lascio proseguire la serata. A quanto pare, potrei riscuotere successo. »

Minto alzò di nuovo gli occhi al cielo a quell’ultimo commento e sospirò sconsolata, mentre l’alieno sgusciava tra la folla con la sua solita andatura casual.

« È un tipo accattivante, eh? » commentò con una risata Eichi.

« Estenuante sarebbe la mia scelta, » rispose lei, e poi intrecciò il braccio con il suo, « Vieni, andiamo a salutare Akasaka-san. » 

 

 

Le luci notturne della città correvano veloci fuori dal finestrino, una pioggerella fitta che si abbatteva contro al vetro che la rendeva grata di essere avvolta dal tepore dell’automobile.

« Non mi hai ancora raccontato molto di quei vostri nuovi amici. »

Minto tentò di confondere la problematicità della domanda con il mettersi più comoda sul sedile in pelle.

« Nuovi non direi, » esclamò con un sorriso, « Li conosciamo da una vita, ormai, ci siamo conosciuti quando ho conosciuto anche le altre. Però non… non hanno abitato in Giappone per un po’. La loro famiglia era di qua ma… si sono spostati un po’ in giro. »

« Io non li ho mai visti. »

« Tu non avevi mai visto prima nessuno dei miei amici, » lo riprese lei lanciandogli un’occhiata divertita.

Eichi le prese la mano e intrecciò le loro dita, prima di posarle un bacio sul dorso: « Io e te eravamo amici, ed eravamo in un bel gruppo. »

« Lo sai cosa intendo, » rispose la mora, « Le ragazze ci sono state in… molti momenti complicati della mia vita. Non le cambierei con nessuno al mondo. »

« Lo so, lo so, vengo solo quinto in posizione, » la prese in giro ridendo.

« Sei proprio uno sciocco! »

Eichi controllò qualche email sul cellulare, entrambi che godettero del silenzio per qualche istante, poi domandò ancora: « È curioso, quel soprannome che ti dà… da dove spunta? »

Minto poté giurare di sentire la voglia tra le scapole pizzicarle insistentemente: « In realtà lo fa con tutte noi, ognuna un animale diverso… Ichigo la chiama gattina perché, lo vedrai anche tu, dorme tutto il giorno e ha l’ossessione per i gatti, Purin quando l’ha conosciuta stava più in equilibrio su una palla che con in piedi per terra quindi scimmietta. E così via. Io… bè, sai, banale, Il lago dei cigni, quindi tutto ciò che ne deriva… e perché dice che becco come una cornacchia. »

Il ragazzo sembrò soppesare la questione mentre continuava a fissare lo schermo del telefono, e annuì con un sorriso: « Mi sembra una cosa molto affettuosa. »

« Gli avrò chiesto almeno un migliaio di volte di smetterla, ma è testardo. »

« È un comun denominatore del vostro gruppo. »

La mora gli lanciò un’occhiata poco divertita, poi coprì il cellulare di lui con una mano e gli sorrise: « Abbiamo parlato abbastanza degli altri, non trovi? »

Eichi ricambiò il sorriso e la tirò più vicino a sé, intersecando le loro dita per baciarle di nuovo il dorso: « Andiamo a casa. »

 

 

§§§

 

 

Minto non avrebbe saputo esattamente indicare il momento in cui aveva conosciuto Eichi Ogasawara. Più che altro, lui era sempre stato una presenza costante fin dall’infanzia; figlio di facoltosi amici di famiglia, avevano frequentato la stessa cerchia, gli stessi luoghi, partecipando l’uno alle feste dell’altra. Se avesse scovato, da qualche parte, gli album di foto che la sua balia aveva accuratamente custodito in tutti quegli anni, avrebbe sicuramente trovato almeno un paio di foto che li ritraevano da bambini.

Per questo, forse, non ci aveva mai dato troppo peso, né si era stupita di vederlo ricomparire ad una delle tante serata a Villa Aizawa, all’improvviso dopo due anni di Master negli Stati Uniti, pronto a prendere le redini dell’azienda di famiglia proprio come suo fratello, a rendere i suoi genitori fieri.

Forse, se ci pensava bene, non era nemmeno rimasta troppo sorpresa dal fatto che fosse un bel ragazzo, abituata com’era a pensarlo come un amico di lunga data a cui non aveva mai dato troppa confidenza, né che sua madre sembrasse nominarlo un paio di volte in più rispetto ai figli di altri amici.

Quando poi però le si era presentato alla porta reggendo un elegante mazzo di fiori e invitandola a cenare con lui, aveva sentito il cuore batterle un po’ più forte e le guance farsi rosse come se fosse la prima volta che qualcuno le chiedeva un appuntamento.

Ovviamente aveva accettato, senza pensarci un secondo. Lui spuntava tutte le caselle giuste, tutte quelle che fin da piccola aveva voluto: elegante, bello, intelligente e beneducato, con una carriera all’orizzonte e tanta buona volontà. Avevano preso a conoscersi e si erano piaciuti sempre di più, approfittando dei momenti liberi per scappare in romantici weekend in lussuosi hotel posseduti dalla famiglia di lui, e anche ora che stavano per scoccare i due anni e mezzo di fidanzamento, la riempiva di attenzioni, soprattutto quando doveva ovviare a occasioni mancate per via dei viaggi di lavoro.

Minto avrebbe solo voluto essere del tutto sincera con lui, rivelargli quella parte di sé, forse quella più importante, più significativa, eppure… eppure c’era sempre qualcosa, forse il suo sesto senso stesso, che la frenava.

Non sapeva se le avrebbe mai creduto, se l’avrebbe presa completamente per pazza o se avrebbe invece rischiato di rivelare tutto, in qualche maniera, riteneva che fosse sempre troppo rischioso. Quindi continuava a tenerla nascosta, come il segreto più caro, invidiando appena le sue amiche che invece potevano essere del tutto complete in ogni situazione.

Certo era che, almeno per una volta nella sua vita, sua madre non aveva avuto benché minimo da ridire sulla sua scelta. La matriarca degli Aizawa era stata più che entusiasta nel venire a sapere – e Minto non si era mai stupita del fatto che la notizia fosse trapelata prima ancora che lei fosse riuscita a vedere i suoi genitori di persona – che effettivamente era stato proprio Eichi a far breccia nel cuore della figlia. Era stata anche una delle poche volte in cui loro due si erano scambiate un momento di confidenze e consigli, come forse non era mai successo prima. Poi che il ragazzo fosse praticamente sempre invitato a cena ogni volta che gli Aizawa tornavano sotto il loro tetto principale, precludendo a Minto la possibilità di passare del tempo sincero con i propri genitori, quello era un discorso a parte.

Non avrebbe certo potuto sperare che i meccanismi dell’alta società, in particolare quelli dettati da sua madre, cambiassero solamente perché lo voleva lei. Le era bastato, doveva ammetterlo, sapere solamente che non l’avrebbero vessata come facevano su tante altre cose; aveva scelto il candidato perfetto, e aveva messo d’accordo tutti.

Poi, che questa cosa comportasse gli stessi difetti e comportamenti della sua famiglia, ecco, quella era una cosa a cui doveva ancora fare del tutto l’abitudine.

A cominciare da quel piccolo, ma decisivo particolare, che faceva sì che tutti (tranne Seiji, bontà sua), non capissero a pieno cosa significava per lei danzare, cosa comportasse il suo lavoro, e che sì, era un lavoro a tutti gli effetti.

« Io non so di cosa ti preoccupi, » Eichi afferrò la giacca dalla sedia e la sfiorò appena con il palmo per liberarla da invisibili pieghe o pulviscoli prima di indossarla, « Non è certo la prima volta che apri tu le danze. »

Minto sbuffò piano alla scelta di parole e si alzò con lui, incrociando le braccia: « È la prima volta che uno spettacolo viene trasmesso in televisione con dei critici tra il pubblico, lo sai che il teatro sta cercando di rilanciare il corpo di ballo a livello mondiale. »

« Mi sembra che di critici ne abbiate superati parecchi, » replicò lui con un sorriso divertito.

« Questo è diverso, » la ragazza cominciò a seguirlo lungo i corridoi di casa, mantenendo le braccia incrociate e un cipiglio severo.

« Tesoro, è diverso soltanto perché vuoi che lo sia. Non è nemmeno in diretta. »

« Non importa che non sia in diretta, tu non capisci, ci sarà - »

Eichi si voltò verso di lei e le sorrise ancora, sfiorandole il braccio in una carezza.

« Chiunque ci sarà, so che sarete bravissimi e tu sarai fantastica come sempre. Andrà tutto bene, » si sporse per lasciarle un veloce bacio sulla guancia mentre si sistemava il colletto del cappotto, « Ora devo scappare, mi vengono a prendere prestissimo domattina. Ti chiamo! »

Lei rimase ferma lì, un po’ imbronciata, guardandolo scendere lo scalone principale senza degnare di un saluto le cameriere che stavano finendo di rassettare, poi fece dietrofront sui talloni e si trascinò con passi pesanti fino alla sua camera. 

Continuava a percepire quella fastidiosissima ansia gorgogliarle in petto, come non le succedeva da un sacco di tempo. Si gettò di schiena sul letto e poggiò le cosce contro il muro, ponendosi ad angolo retto e facendo dei respiri profondi per cercare di calmarsi, ripassando mentalmente i passi della coreografia.

Cosa le era preso non lo sapeva nemmeno lei, forse un po’ stava esagerando, d’accordo, ma pensava che lui avrebbe capito che per lei era una cosa importante, in preparazione da mesi. Pensava di averne anche parlato abbastanza, eppure!

Le sarebbe bastata solamente un po’ di compagnia, non la sempiterna solitudine di quelle vaste quattro mura.

Girò appena il volto per guardare l’orologio sul suo comodino; erano quasi le nove, non era nemmeno così tardi, forse avrebbe potuto…

Per una volta, avrebbe anche potuto ammetterlo.

Si voltò di scatto e afferrò il cellulare, digitando il numero di Ichigo a memoria e infilandosi le cuffie con un po’ d’agitazione mentre contava gli squilli a vuoto, un sussulto di sollievo al cuore quando sentì il click della linea che si apriva.

Dal clamore di voci un po’ offuscato che poteva sentire all’auricolare, si immaginò che la rossa si fosse allontanata un poco dalla compagnia con cui era per risponderle.

« Minto-chan, va tutto bene? Vuoi unirti, siamo a - »

« In realtà, » la interruppe, studiandosi una pellicina fastidiosa e tentennando un attimo, « Scusa, non volevo disturbarti, è solo che… sono qui da sola, e domani… »

L’amica borbottò qualcosa che lei non capì, probabilmente aveva coperto il microfono con una mano, prima di risponderle con il solito tono allegro: « Dammi venti minuti, prendo il primo treno e arrivo! »

Minto non fece in tempo a mormorare un grazie che Ichigo era già passata ad avvertire qualcuno all’altro capo della linea e a chiudere la telefonata. Lei sorrise, già un minimo più rilassata, e rotolò giù dal letto per prendere dalla cassettiera due dei suoi pigiami più comodi e una vestaglia in più, ben sapendo che probabilmente la rossa avrebbe insistito poco graziosamente per un “pigiama party”.

Si struccò e cambiò con molta calma, canticchiando ancora il motivetto del passo a due della coreografia, e poi si avviò al piano di sotto in attesa della sua ex leader.

Come sempre, Ichigo si presentò con i suoi dieci minuti di ritardo, oltrepassando il portone principale come una furia avvolta dal suo sciarpone in lana color ciliegia.

« Ma Shirogane ha ancora la pazienza di aspettarti? » la prese in giro, aspettandola a braccia incrociate sullo scalone d’ingresso.

« Ti ho portato il gelato! Alla frutta, senza latte, senza uova, sei a dieta, bla bla bla, » la rossa le lanciò uno sguardo divertito mentre la superava quasi di corsa e prendeva la scorciatoia per la sua camera da letto, « Ci facciamo una maschera? »

Minto osservò la schiena dell’amica correre su per le scale tra il divertito e lo sconsolato, sentendosi avvolta da caloroso affetto che le placò un poco l’agitazione: « Non ti azzardare ad andare sul mio letto con il gelato, sai! »

 

 

« Okay, ora sorridi… sorridi, daiii! »

« Ichigo, se pensi che io mi lasci fare una foto in queste condizioni e per di più con le orecchie da gatto, ti stai sbagliando grosso. »

« Ma eravamo carineeee! »

« Tu fai pure, ma non mettere in mezzo me, ho una reputazione da difendere. »

Ichigo le fece affettuosamente il verso e si concesse comunque un selfie in solitaria, prima di uscire da Instagram.

Come previsto, le due erano spaparanzate comodamente nel lettone extra-matrimoniale di Minto, stese a pancia in su testa contro testa con delle maschere purificanti in volto e la televisione in sottofondo su qualche reality di bassa lega.

« A che ora hai lo spettacolo domani? »

Minto si osservò attentamente le unghie, alla ricerca di qualche irregolarità nello smalto color cipria da sistemare: « Alle sette, » sospirò, « Ma devo essere in teatro già dalle nove e mezza domani, hanno fatto un casino con i costumi e non sono riusciti a consegnarceli in tempo oggi, quindi domani dobbiamo anche controllare che sia tutto a posto in quel versante. Non poteva succedere in tempi peggiori, davvero. »

Ichigo cercò di lanciare uno sguardo di conforto all’amica anche in quella posizione: « Shirogane-kun mi passa a prendere alle otto e mezza, se vuoi possiamo darti un passaggio noi. »

« Credevo che Shirogane non lavorasse il mercoledì mattina. »

« Lui no, io sì. »

Alla mora scappò una risatina per il tono di crudele divertimento dell’amica: « Tu non meriti quel sant’uomo. »

« Guarda che sono io che mi sorbisco tutte le sue complesse cene di lavoro e di presentazioni. »

« Ti prego, non apriamo quel versante. »

Ichigo si osservò le ciocche rubino per controllare eventuali doppie punte, esitando un secondo: « Ogasawara-san viene a vederti domani? »

« Non credo, » la risposta di Minto fu quasi automatica, visto quanto l’aveva ripetuta da quando era bambina, « Stanno pensando di aprire un resort a Dubai, molte volte è fortunato a uscire dall’ufficio alle sette e mezza. E poi preferisco che non ci sia nessuno tra il pubblico, mi verrebbe ancora più ansia.  »

« Mmmhm, » la rossa cercò di suonare convincente, poi sorrise, « Ti raggiungo appena hai finito, promesso. Basta che mi mandi un messaggino, tanto come vedi anche io ho lo chaffeur! »

« Questa gliela dico. »

« Come se non glielo dicessi già io. »

 

 

§§§

 

 

Kisshu si staccò dal muro non appena udì il rumore del maniglione della porta che veniva spinto, liberando uno sciame di ragazze in body e rigidi chignon laccati che si riversarono ridendo nel corridoio stretto, lanciandogli occhiatine curiose e divertite.

« Kisshu? » Minto comparve tra le ultime, le guance arrossate e l’aria stupita, « Che ci fai qui? »

Lui sorrise appena, sentendosi improvvisamente a disagio: « Ti ho sentita ieri sera, al telefono con Ichigo. Mi ha detto che sarebbe passata dopo, quindi pensavo che un po’ di contributo fosse utile. Com’è andata? »

La mora si guardò un po’ intorno, ancora con il fiato spezzato: « Uhm… bene, spero, direi, » un sorriso felice le si disegnò in volto senza che riuscisse a fermarlo mentre si lisciava sovrappensiero i capelli sudati per evitare che sfuggissero troppo alla stretta acconciatura, « Non verrà trasmesso per un po’ e il giudizio dei critici dovrebbe uscire tra un paio di giorni ma… bene, ecco. »

Anche l’alieno le rivolse un gran sorriso, contagiato dal suo buonumore: « Bravi, sono contento per te. »

« Grazie, » Minto prese un gran respiro, una mano appoggiata allo sterno come ad approfondirlo e riprendere effettivamente coscienza della situazione, ancora troppo estatica dall’adrenalina, poi si umettò le labbra, « Uhm… vado… vado a cambiarmi, questa è un po’ ingombrante, » scherzò, battendo appena le mani sulla vaporosa gonna di tulle.

Kisshu annuì e rificcò le mani in tasca: « Vuoi che ti aspetti o…? »

« In realtà… » la ballerina si voltò per guardarlo mentre si avviava verso lo spogliatoio, camminando all’indietro, « Stavamo pensando di andare tutti a mangiare un boccone per festeggiare, se ti va di venire. »

« Potrei mai rifiutare l’invito a celebrare con una ventina di dolci e felici fanciulle? »

Minto alzò gli occhi al cielo e scosse la testa cercando di nascondere che trovò la sua battuta pure divertente, in quel momento: « Incorreggibile! Aspettami qui. »

Lui annuì e la guardò sparire dietro a un angolo prima di riappoggiarsi al muro, il sorriso divertito che gli rimase in volto.

Non dovette aspettare molto prima che le porte si riaprissero e il corpo di ballo, la maggior parte ora in tenuta molto più sportiva e comoda, sciamasse fuori col solito vociare allegro. Anche Minto, in fondo al gruppetto, quasi incredibilmente era vestita più casual del solito – seppure non a livello di certe sue colleghe che avevano deciso direttamente per la tuta – ancora un gran sorriso stampato in volto, i capelli gonfi e un po’ spettinati che lo incorniciavano.

« Potrei farti una foto e ricattarti per sempre, » scherzò lui, allungando una mano per prenderle il borsone e metterselo in spalla senza che lei potesse replicare, « Però stai bene senza trucco. »

La vide arricciare impercettibilmente il naso e cercare di sistemarsi un secondo i boccoli arruffati da lacca e chignon: « Mi insulti e poi mi fai un complimento? »

« Così non ti monti troppo la testa. »

Lei alzò gli occhi al cielo e si aggiustò il colletto del cappotto pesante blu notte mentre passavano per la porta sul retro del teatro, l’aria fredda della sera che gli sferzò le gote.

« C’è un locale, qua vicino, ci andiamo spessissimo. È ancora aperto, e i sandwich non sono male. »

« Tranquilla, ho già fatto il pieno prima di uscire, » Kisshu si batté un paio di volte il palmo sullo stomaco, facendole alzare un sopracciglio, molto scettica.

« Ti ho visto cenare due volte di fila. »

« È la cucina della pesciolina a cui non posso resistere. »

 « Anche a quella di Keiichiro-san, direi. »

« Ora che ci penso, mi manca giusto la tua, » la guardò con la coda dell’occhio, segretamente divertito, e non fu deluso quando la mora sbuffò altezzosa.

« Certo, aspetta e spera. »

« Dillo che non sei capace. »

« Sono perfettamente in grado, ma sono una donna troppo impegnata per poter anche perdere tempo dietro ai fornelli. »

Kisshu rise divertito e le tenne aperta la porta del bar dove si era rintanato il resto del gruppo indefinito, permettendole di entrare prima di lui. Il tepore del locale fu benvenuto anche dalle ossa dell’alieno, che la seguì fino ad un angolo di alti tavoli circondati da sgabelli che già erano stati occupati dalla compagnia.

La mora si scambiò un paio di parole con i suoi colleghi, la sciarpa e il cappotto già accuratamente ripiegati su uno degli sgabelli, poi gli si avvicinò all’orecchio per farsi sentire al di sopra del chiacchiericcio e della musica.

« Vado a prendere qualcosa da bere, vuoi qualcosa? »

Lui si finse sorpreso e offeso: « Il galateo imporrebbe che sia io a offrire qualcosa alla damigella! Tutta questa adrenalina ti ha decisamente dato alla testa! »

Minto lo guardò fintamente irritata e gli diede uno schiaffetto al polso: « Non ti basta mai dire semplicemente di sì? »

Non aspettò la risposta, a posto semplicemente con la luce da birbante che brillava negli occhi dorati, e si avviò allegra verso il bar, rimuginando che effettivamente la consapevolezza che lo spettacolo avesse superato le sue – come sempre alquanto nere – previsioni la stava riempiendo di una frizzante positività. Rise insieme alle ragazze del corpo di ballo mentre aspettava i cocktail (rigorosamente analcolico per lei) che aveva ordinato, lanciando ogni tanto delle occhiatine di controllo all’alieno che sembrava però essere completamente a suo agio a chiacchierare con un paio di solisti. Le scappò un sorriso, era incredibile come a volte Kisshu potesse ambientarsi così normalmente, anche meglio di loro, sicuramente meglio di lei, in qualsiasi situazione. Un po’ lo invidiava, doveva ammetterlo, quella sua innata capacità di stare bene dovunque lo mettessero, di essere lui stesso in ogni maniera.

Orecchie a punta a parte.

Avvertì un movimento accanto a lei, e indovinò subito ciò che le sarebbe stato chiesto non appena una sua collega le si avvicinò con un sorriso furbo, prendendo un sorso dal suo cocktail fruttato e dandole un colpetto con la spalla: « Allora, ci sono novità? »

Lei scosse la testa: « Non farti strane idee, Ayane, è solo un amico, si chiama Kisshu. »

« Mmmhm, allora se è solo un amico non ti dispiacerà se cerco anch’io di conquistare la sua amicizia… »

Minto alzò gli occhi al cielo e rise divertita: « Figurati, accomodati pure. »

« Come fai a trovare sempre amici del genere, io mi chiedo, » Ayane continuò a tenere gli occhi fissi sull’alieno con aria ghiotta, « Già con quello Shirogane hai fatto jackpot… »

« Dici così solo perché non li conosci. »

« Ripeto, sono completamente disponibile a fare la loro conoscenza. »

« Mi dispiace, Shirogane è più che impegnato, lo sai. »

« Mmmh, però questo Kisshu no, giusto? »

La mora scosse la testa e lanciò un’ultima occhiata al ragazzo: « No, Kisshu no. »

Non aveva nemmeno finito la frase che Ayane era partita alla carica, dritta a presentarsi sfacciatamente al suo obiettivo della serata. Minto alzò gli occhi al cielo e prese finalmente i bicchieri che il barman le stava porgendo, districandosi senza fretta tra la folla per raggiungere i loro tavoli.

« Ah, Minto-san, Kisshu-kun mi stava giusto raccontando che da adolescente lavoravi in un Caffè! »

L’occhiataccia che la ballerina gli lanciò non lo dissuase dal ridere sommesso sotto i baffi: « Ah, che cosa curiosa da raccontare, Kisshu-kun. »

L’alieno le rivolse un occhiolino bislacco: « La divisa però era incantevole. »

Lei gli rifilò un calcio negli stinchi da sotto il tavolino che gli strappò un gemito sommesso, nello stesso istante in cui Ayane buttava la testa all’indietro per ridere e poi si portava i lunghi capelli dritti dietro l’orecchio: « Possiamo vedere una foto, Kisshu-kun? »

« No, no, niente foto, » ridacchiò lui, massaggiandosi la parte lesa, « Non avrei mai messo a repentaglio la mia vita in quella maniera. »

« Ecco, appunto, » la mora appoggiò con una certa convinzione i bicchieri sul tavolino, « Ora bevi e smettila di dire cretinate. »

« Stai cercando di farmi ubriacare per poi avere la meglio su – ahia, okay, okay, la smetto. »

Ayane osservò con una certa curiosità l’interazione tra i due, lo sguardo soddisfatto e placido di Minto che mordeva elegante un angolo del suo club sandwich e quello dolorante di Kisshu, ancora piegato in avanti per raggiungere il punto nuovamente raggiunto dalla punta degli stivaletti preziosi della ragazza.

« Allora da quanto siete amici? »

« Amici è un parolone. »

« Non fare l’antipatica, come sempre. »

« Diciamo che tollero la sua presenza da ormai dieci anni. »

La ballerina bruna li osservò entrambi, incuriosita: « Minto-san, e in dieci anni non ci hai mai fatto conoscere Kisshu-kun? »

Minto dovette trattenersi per non alzare gli occhi al cielo in maniera teatrale, la risatina soddisfatta dell’alieno che già iniziava a darle sui nervi.

« Sono stato un po’ in giro, in questi anni, » intervenne lui, vago, « Motivi di famiglia e di lavoro. E spirito d’avventura. »

« Uh, sembra interessante, » il battito di ciglia di Ayane fu decisamente evidente, « E di che cosa ti occupi, esattamente? »

Kisshu rise ancora, scambiandosi uno sguardo di intesa con la mora: « Guarda, è un po’ complicato da spiegare, e poi siamo qui per festeggiare il vostro successo, non certo per annoiarvi con le mie storie di vita. »

« Dubito che potresti annoiarci, Kisshu-kun. »

« È perché non lo conosci bene, » commentò piatta Minto.

L’alieno le fece una smorfia, prima di rivolgere un occhiolino ad Ayane: « Vedi, è così che Minto tratta i suoi amici. »

Ayane lanciò un’occhiata furba alla prima ballerina: « Però è bello che nonostante tutto siate rimasti così tanto amici. Non sono in tanti a venire a fare il tifo per noi. »

Minto scrollò le spalle con aria annoiata, rimanendo concentrata sul suo panino, ignorando decisa lo sguardo divertito del ragazzo.

« Allora, Ayane, che mi racconti? »

La mora smise di seguire il filo del discorso, ormai satura di tutte le volte che Ayane si metteva in testa che fosse giunta l’ora di flirtare apertamente, a volte senza nemmeno secondi fini – se poi davanti a lei ci stava Kisshu, che sembrava divertirsi nella stessa maniera, apriti cielo. Non aveva mai avuto tempo per certe cose quando era stata più giovane, figurarsi ora che era accompagnata e soddisfatta, e soprattutto stanca dopo quella giornata infinita.

Anche se l’adrenalina stava scendendo, nel tepore del locale e con in sottofondo il chiacchiericcio familiare del corpo di ballo, la sensazione di felicità le borbottava ancora in petto.

Sarebbe servita soltanto una cosa in più per rendere la situazione davvero perfetta, ma anche a quello aveva fatto il callo.

E almeno con Kisshu sapeva sempre che avrebbero riso per le cose più stupide.

Il richiamo conosciuto del proprietario del locale, che li avvisava che erano prossimi alla chiusura, li riportò all’ordine dopo un’oretta, costringendoli a sciamare fuori di nuovo al freddo.

« Sono esausta, » esalò ad alta voce Ayane, « Credo che mi avvierò verso casa. »

Minto si concentrò per non alzare un sopracciglio con fare critico al sotteso che poteva percepirsi da quella frase, coronato dall’espressione furba dell’amica.

« Buonanotte, Ayane, » sorrise divertito Kisshu, il borsone della mora di nuovo appoggiato alla sua spalla, «  È stato un piacere. »

« Anche per me, Kisshu-kun, spero di rivederti! »

La mora aspettò che l’amica girasse l’angolo prima di schiaffeggiare decisa il fianco dell’alieno: « Non ti si può portare da nessuna parte! »

Lui rise sguaiato alla sua espressione corrucciata: « Portarmi da qualche parte, non sono mica un cane. »

« Ti dovrei mettere il guinzaglio per farti stare a bada. »

« Tortorella, non so se questi sono discorsi da affrontare in questo momento. »

L’occhiataccia omicida che lei gli lanciò sorbì soltanto l’effetto di farlo ridere ancora di più mentre si incamminavano ancora verso il teatro.

Pochi istanti dopo, il cellulare di Minto squillò soffocato da dentro il borsone, e lei si affrettò ad aprirlo, incurante del fatto che Kisshu, dall’alto stesse studiando tutto il suo contenuto con aria soddisfatta.

« Ichigo-chan? Guarda siamo giusto di fianco al teatro, e - » Minto sbuffò contrariata « Deve smetterla con questa brutta abitudine di riattaccare all’improvviso. »

« Aaaaah, lo sapevo che saresti stata bravissima! »

Si ritrovò avvolta dall’abbraccio goffo di Ichigo prima ancora di rendersi conto che l’amica li aveva effettivamente raggiunti. Le scappò uno sbuffo divertito mentre cercava di spostare il viso per non soffocare contro la grossa sciarpa di lana che l’altra indossava.

« Come fai a sapere qualcosa tu che nemmeno c’eri. »

« È un presentimento, » Ichigo le rivolse un caloroso e convinto sorriso, « Sono certa che sarà andato alla grande e io avrò un’altra amica super famosa! »

« Ah è questo che ti importa allora, capito. »

« Tanto sei già snob, cosa vuoi che sia. Oh, ciao, Kisshu-kun. »

L’alieno rivolse un cenno della testa alla rossa, nascondendo un sorriso per l’occhiatina confusa e divertita che lei gli rivolse: « Buonasera micetta. Hai lasciato a casa il biondo? »

« No, sta solo parcheggiando. »

« Non sia mai che usiate i trasporti pubblici voi due, eh. »

« Zitto tu, sappiamo benissimo quali trasporti siano di tuo gradimento, » lo riprese a mezza voce Minto con fare ironico, « Sei in ritardo come al solito, Ichigo, abbiamo già finito. »

« Oh, dai, ero impegnata, lo sai che stiamo cercando di trasferirci, » Ichigo fece il broncio, « Andiamo a prendere solo una cosa veloce per festeggiare! »

« In effetti io ho un certo languorino. »

Minto lanciò un’occhiata seccata e al tempo stesso sorpresa a Kisshu: « Ma – testuali parole – non avevi fatto il pieno prima di uscire? »

« Sono ancora in fase di crescita, tortorella, brucio un sacco di calorie. »

« Stai ammettendo di essere infantile? »

« Oh ma guarda, è arrivato il guastafeste. »

« D’accordo, su, andiamo a cercare qualcosa da mangiare così state zitti entrambi con le bocche piene. »

 

 

« Siete sicuri che non volete un passaggio? »

« Abiti dall’altra parte della città, Ichigo-chan, non è giusto nei confronti di Shirogane. »

« Ecco, la voce della coscienza. »

« Sssssh, » Ichigo abbracciò stretta Minto, soffocandola ancora nella sciarpa, « Sei bravissima. Ricordati che hai promesso che guarderemo lo spettacolo tutti insieme. »

La mora sbuffò scherzosa: « Lo so che stai solo cercando di scroccare un invito a cena. »

« Mi raccomando, Kisshu, riportala a casa sana e salva. »

L’alieno piegò la testa da un lato, divertito: « Non ti fidi di me, micetta? »

« Io no! »

Le ragazze si scambiarono una risata alla risposta di Ryo da dentro l’auto, e un ultimo saluto mentre la rossa si accomodava al sedile passeggero.

« Allora, vuoi utilizzare metodi innovativi per tornare a casa? » le domandò Kisshu non appena rimasero soli.

Minto lo guardò poco divertita, ma ponderò comunque sulla domanda, lanciando un’occhiata all’orologio: « Non siamo molto lontani da casa mia, ed è una bella serata anche se fa freddo… potremmo fare un’ultima passeggiata, mi sembra di essere stata chiusa in teatro per mesi e ho bisogno d’aria. »

« Ai suoi ordini, madamigella. »

Lei non tentò nemmeno di replicare, la stanchezza che stava diventando sempre più prominente e che al tempo stesso gareggiava con la voglia di godersi all’ultimo quel momento. Si avviarono tranquilli per le strade quasi vuote, chiacchierando con noncuranza del più e del meno, Kisshu che si premurò di testare il suo senso dell’umorismo ora che era troppo esausta per ribattere con veemenza.

Villa Aizawa si stagliò alla fine della via non appena svoltarono un angolo, e Minto si lasciò scappare un sospiro: « Chissà se c’è qualcosa da sgranocchiare… »

« Aaaah, aspetta, aspetta, » Kisshu le si avvicinò per sbeffeggiarla, « Allora sei umana anche tu, tortorella! »

Lei arricciò il naso, punta sul vivo: « Io ho fatto molta più attività fisica di te, Ichigo e Ryo combinati, oggi. »

« Sulla micetta non avrei dubbi, » l’alieno rise ancora, poi le porse il borsone, « Avrai una dispensa grande quanto la mia stanza, non penso ti lasceranno senza cibo. »

« Eh, dipende, » Minto lanciò uno sguardo alle finestre buie della casa, « Se ci sono solo io, per periodi estesi, non ha molto senso stiparci di cibo. E ormai è tardi, mi dispiace disturbare. »

« Vedi, te l’ho detto che ti stai rammollendo. »

Minto gli schiaffeggiò il braccio, poi si schiarì la gola: « Grazie per stasera, sul serio. Non ce n’era bisogno, ma mi ha fatto piacere. »

Lui inclinò appena la testa da un lato: « Il piacere è tutto mio, signorina Aizawa. »

Lei lo fissò stoica, poi annuì appena: « Ci vediamo domani.»

Kisshu le rivolse un ultimo sorriso, aspettando con le mani in tasca finché non vide la figurina minuta scomparire all’interno della casa.

 

 

§§§

 

 

« Ma insomma, avete finito tutti i cioccolatini! »

« Nee-san, ne avrai mangiati cinque. »

« Io ne volevo ancoraaaa, » si lamentò Ichigo con uno sbuffo, ritornando al suo posto sull’elegante e spazioso divano bianco, e si accoccolò sotto al braccio di Ryo per osservare con soddisfazione il salottino riscaldato dalla luce scoppiettante del fuoco.

La televisione piatta, dalle dimensioni più ridotte di quello più imponente del salotto principale, stava trasmettendo il gran finale dello spettacolo che il New National Ballet of Japan aveva messo in scena circa due settimane prima, con tutta la pompa magna che si addiceva ad una premiere simile. E la protagonista dell’evento era raggomitolata su una delle poltrone, segretamente gongolante e molto fiera di sé stessa.

Ichigo la guardò contenta, prima di sorridere sotto i baffi. Gliel’aveva bofonchiato sottovoce, qualche giorno prima, nella tipica maniera di Minto di far sembrare che qualcosa non le desse per niente fastidio mentre in realtà era un piccolo tarlo che la rodeva dentro. Sia i suoi genitori che Eichi avrebbero dovuto essere a Tokyo per poter condividere quel momento con lei, si era premurata di chiedere in anticipo dei loro programmi; ovviamente, i signori Aizawa avevano deciso di prolungare all’ultimo minuto la loro permanenza alle Bahamas, dove puntualmente svernavano almeno un paio di settimane all’anno, mentre Eichi era stato costretto per diversi motivi di lavoro a un viaggio lampo verso gli Emirati Arabi. Aveva raccontato tutto continuando a perlustrare attentamente le rastrelliere del negozio di scarpe, ma ormai a Ichigo non sfuggiva più l’ombra nei suoi occhi. Così, con una battuta su come gliel’avesse promesso, la rossa si era autoinvitata nella grande villa per un paio di giorni e si era premurata di ripulire le agende di tutti gli altri cosicché potessero invadere tutti e dieci il salotto preferito della ballerina e guardare in diretta la trasmissione del suo spettacolo.

E anche se Minto aveva storto un pochetto il naso a quella convivenza forzata e alla poca eleganza dell’invitare ospiti senza l’esplicito benestare della padrona di casa, la radiosità del suo visetto quella sera era decisamente notevole.

« Io ancora non capisco come fai a fare certe cose, » mormorò Ichigo, la testa piegata da un lato con aria curiosa mentre osservava la ballerina nello schermo venire sollevata fin sopra la testa del suo partner, che la tenne per i fianchi con una mano sola(1).

« Ichigo, non ti abbiamo mai presa per la sportiva del gruppo. »

« Ah, ah, ah. »

Il gruppetto ridacchiò soddisfatto, appesantiti dalla giornata e dall’ottima cena di tre portate che ovviamente la cucina della villa aveva preparato per loro.

« Sei davvero bravissima, nee-san, » mormorò contenta Purin mentre l’intero corpo di ballo si riuniva sul palco per l’ultima scena carica di pathos, il coro di archi e fiati che rese tutto ancora più emozionante.

Minto osservò con una punta d’orgoglio l’ultimo attitude, il primo ballerino che si inginocchiò ai suoi piedi prima che il sipario rosso si chiudesse con forza davanti a loro, scatenando la standing ovation del pubblico: « Grazie mille. »

« Woo-ooh! » anche la biondina si unì al coro di applausi, seguita da Ichigo, Retasu e Kisshu con molto meno furore, « È stato bellissimo! Possiamo rivederlo? »

« Quando vuoi, » la ballerina dovette contenere un sorriso raggiante, « L’ho registrato, ma ho sentito dire che ci regaleranno un DVD. »

« Ma io voglio vederti dal vivo, è un sacco che non riusciamo. »

« Certo, posso darti un pass ospite per il dietro le quinte, basta dirmelo con anticipo. »

« Ah, aspetta, aspetta, sono molto interessato a questo particolare del dietro le quinte, » commentò Kisshu con un ghigno, stravaccato in maniera poco elegante su un divanetto a due posti.

« Kisshu-kun… » lo riprese piano Retasu, un accenno di sorriso divertito.

« Lascialo perdere, lo sai che è irrecuperabile. »

« Sei tu che sei uno stoccafisso impettito. »

Pai ignorò il fratello minore e si alzò in piedi, scrocchiandosi leggermente le spalle: « Be’, grazie della serata, Minto. Devo dire che è stato molto interessante. »

« Mmmm, detto così è davvero entusiasmante. »

Minto lanciò un’occhiata d’avviso a Kisshu, poi si alzò insieme a tutti gli altri per salutare la compagnia.

« Anche noi dobbiamo andare, nee-san, domani devo aprire la palestra prestissimo, iniziamo gli allenamenti per i campionati. »

Lei annuì e accennò a un inchino: « Grazie a voi per essere venuti. Anche se mi avete finito le provviste. Siete benvenuti a tornare quando volete. »

Ichigo si fece avanti per rubarle un abbraccio: « Mi piacerebbe rimanere, ma abbiamo un impegno domani sera. »

Ryo diede un buffetto simpatico sulla guancia della rossa: « Indovinate chi ha preteso una cena romantica per San Valentino. »

« Non ho preteso nulla, per una volta che sei poco impegnato…! »

« Come se tu potessi dirle di no, onii-san. »

La battuta di Purin, connessa all’espressione vaga dell’americano, scatenò una risata divertita nel gruppetto.

« Va bene, buonanotte, arrivederci! »

Fu il primo a uscire dal salotto trascinandosi dietro una ridente Ichigo, convinto anche se lei rimaneva indietro per continuare a confabulare sottovoce con Retasu riguardo i piani per la serata successiva. 

« Qualcuno poi mi spiega perché voi ragazze ci tenete tanto? » borbottò poco convinto Taruto, seguendo il fratello maggiore verso la porta.

« Perché a Ichigo nee-chan piacciono le cose dolci da film americani. »

« Purin la vuoi piantare? »

« Eddai nii-san, non ti si può più prendere in giro! »

Le voci del resto della truppa scemarono piano lungo i corridoi, lasciando cadere un silenzio caldo nei due rimasti in sala.

« E tu non hai piani romantici, tortorella? »

« Ti sembro una che festeggia San Valentino, io? »

Kisshu rise e si fece scivolare sul pavimento, poggiando la schiena contro al divano: « Magari avevi scoperto anche tu una vena romantica. »

« Ah, come no, » Minto sbuffò sarcastica, inginocchiandosi davanti al camino per ravvivare un poco il fuoco.

« Dai, non ci credo che il tuo bellimbusto non sia riuscito a corromperti in tutti questi anni. »

Lei gli lanciò un’occhiata poco divertita al soprannome, poi alzò il viso in un gesto di scherzoso orgoglio: « Non sono certo una signora facile da corrompere, io. »

« Parafrasando, lui ti ha portata in romantici ristoranti tappezzati di rose rosse e champagne, e tu l’hai fulminato con la tua lingua tagliente perché sono cose così cliché – ahia! »

Il tallone della ballerina l’aveva raggiunto implacabile nello stinco: « Mi ricordo ancora come menarti, sai. »

« Ho notato, » bofonchiò lui con una risata, massaggiandosi la parte lesa, « Però vuol dire che ho ragione. »

« Fatti gli affari tuoi. »

« Comunque che razza di calci tiri con quelle gambette, è già il secondo che mi rifili. »

« Su, non lamentarti tanto, ho fatto pianissimo. »

« Non sarai mai la tua amica lupo, ma in ogni caso… »

Minto rise a vederlo rabbrividire appena e storcere la bocca al ricordo del gancio che Zakuro, a suo tempo, non gli aveva risparmiato.

« Non è colpa mia se te li meriti. »

« Questo è stato più che ingiustificato! E gradirei non avere altre contusioni. »

« Com’è diventato gracilino, capitano Ikisatashi, » la mora lo prese in giro ridendo dello sbuffo che gli strappò.

« Senti, passerotto, posso ancora stenderti in mezzo secondo. »

« Certo, è stato piuttosto facile, direi. »

« Credevo che il sarcasmo fosse prerogativa del biondino. E poi cos’è, stai diventando nostalgica ora tutto un tratto? »

Lei ci rimuginò sopra un secondo, passando il dito sopra la lana morbida del tappeto, seguendo le linee dei complicati ricami floreali, poi parlò senza quasi rendersene conto.

« A volte un po’ mi manca. A te no? »

Kisshu si mosse a disagio, stendendo le gambe sul persiano: « No, no, basta combattere, » rispose con una mezza risatina poco convinta, « Credevo che avrei fatto per sempre il soldato, invece poi ho capito che avevo già dato tutto il possibile. E non mi manca per nulla. Allenarmi insieme a Taruto è già abbastanza.»

Minto lanciò un’occhiata al pezzetto di cicatrice che spuntava dal colletto della maglia, abbozzò un sorriso: « Parlavo più della sensazione di libertà che ogni tanto mi dava. Sai, volare. »

« Vedi che non ti dispiace allora se ti chiamo tortorella. »

Lei storse il naso contrariata, lasciandosi cullare dal calore delle fiamme alle sue spalle: « Per quanto non mi sia mai andata troppo a genio l’idea di essere diventata una… mutante contro la mia volontà, almeno qualche lato positivo c’è stato. Guarda Ichigo e Purin, sicuramente il loro metabolismo non è del tutto umano. »

Il verde la guardò divertito da quella battutina gratuita, poi si girò su un fianco e sorrise beffardo: « Devo ammettere che i vostri costumini striminziti erano una distrazione. »

« Kisshu. »

« Dici che con il tempo avete fatto un upgrade e sono ancora meno da ragazzine? »

« Ho l’attizzatoio a portata di mano. »

Lui ridacchiò e si sporse ancora un poco verso di lei: « Avete ancora i vostri poteri, no? » le domandò sottovoce, studiandole il viso e il modo in cui i colori del fuoco giocarono con le sfumature scure dei suoi capelli quando lei annuì, « Allora possiamo andare a volare quando vuoi. »

Minto avvertì che il fiato le si spezzò in gola quando si rese conto di quanto fossero vicini, all’improvviso. Di come non riuscisse a staccare lo sguardo dalle labbra del ragazzo a miseri millimetri dalle sue, del calore che le risalì dal collo e le incendiò le guance. Del battito che le mancò nel cuore e della strana curiosità che provò all’avvertire vago, ma molto più forte del solito, il suo profumo. Avrebbe dovuto solamente annuire e avrebbe sentito la bocca sulla sua, avrebbe avuto la certezza del suo sapore, e non capiva perché ci stesse davvero pensando, perché tentennava a spostarsi quando…

Si schiarì la gola all’improvviso e si ritirò, voltando la testa verso il pendolo all’altro angolo del salottino e impuntandosi di ignorare quell’insopportabile fuoco sul viso.

« Si è fatto un po’ tardi, credo… » 

Kisshu, l’aria tranquilla e completamente innocente, come se nulla fosse successo, si stiracchiò come un gatto che aveva dormito al sole.

« Colpa di tutto quel buon cibo, ci ha dato alla testa, farò fatica a camminare, » commentò allegro, prima di alzarsi con uno sbuffo.

« Già, » Minto si impose di recuperare un tono di voce normale, si domandò se avesse dovuto aggiungere qualcosa, invece accettò le mani di lui che la tirarono in piedi, solo per staccarsi di fretta, come se si fosse bruciata, e nasconderle dietro la schiena.

Lui continuava a sorridere come se nulla fosse, e la salutò con un buffo saluto militare: « Grazie ancora della cena, tortorella. Au revoir! »

Lei non fece in tempo a rispondere che il sottile schioccò del teletrasporto lo aveva già inghiottito. Rimase ferma un altro paio di secondi, cercando di ricostruire ciò che era quasi successo, e sgridandosi internamente; poi, fece un respiro profondo, e si diresse a passi decisi verso la sua camera.

Sei proprio una sciroccata.

 

 

§§§

 

 

Minto si sistemò con un gesto nervoso la sciarpa che teneva al collo quando il Caffè si stagliò alla fine del vialetto. Le dava fastidio ammetterlo, ma si sentiva ansiosa al pensiero di incontrare un certo alieno.

Cosa diavolo le era venuto in mente, due giorni prima, di mettersi in quella situazione così sciocca? Non era certo da lei rischiare a quel modo, farsi prendere bellamente da un subdolo impulso di pancia. Con Kisshu poi, che era la definizione di uno scapestrato fin troppo amante dell’altro sesso! Come aveva solamente osato rischiare di cadere nei suoi stupidi giochetti da adolescenti?

No, avrebbe dovuto decisamente mettere le cose in chiaro e fare un passo indietro, non era così che ci si comportava e lei non avrebbe mai dato a nessuno la soddisfazione di prenderla in giro.

Perché era tutto uno stupido giochetto, ovviamente. Che non ci fossero dubbi al riguardo.

Raddrizzando ancora di più la schiena, un gesto ormai automatico come tutte le volte che entrava in scena, prese un bel respiro e spinse la porta sul retro del Caffè, il familiare rumore di pentole e cucchiai che la condusse fino in cucina.

« Minto-chan, buon pomeriggio, » Keiichiro l’accolse con il suo cordiale sorriso, ancora intento a lavorare, « Come è andata la tua giornata? »

« Stancante come al solito, » rispose lei con un sospiro, tamburellando con le dita sul piano di marmo, « Cosa stai preparando di bello? »

« Sto testando una ricetta nuova per preparare il gelato, » si voltò per estrarre dal cassetto un cucchiaino, prima di riempire un mini-cono e porgerglielo, « Mi faresti un favore ad assaggiarlo e dirmi cosa ne pensi. »

La mora sospirò sconsolata, osservando il dolcetto: « Oh, Keiichiro-san, lo sai che non posso… »

« Su, andiamo, » glielo avvicinò ancora con un sorriso convinto, e le fece l’occhiolino, « È molto light, te lo giuro. »

Lei gli lanciò un’occhiata di rimprovero, ma poi accettò il gelato mignon e chiuse gli occhi mentre lo assaggiava, sorridendo: « Devo proprio dirtelo che è buonissimo? »

« Fa sempre bene sentirlo! »

Minto rise ancora, poi si voltò curiosa quando sentì la porta aprirsi alle sue spalle e rimase immobile, il freddo del gelato contro i denti, quando vide chi era appena spuntato.

« Non ci è voluto molto per farti capitolare, eh passerotto? »

Lei quasi si strozzò con un pezzetto di cono, ma cercò di rimanere stoica e silenziosa mentre Kisshu poggiava una borsa piena di frutta e verdura sul bancone della cucina.

« E voilà, le provviste più fresche che Tokyo potesse offrire. »

« Grazie mille, Kisshu. »

« Quindi finalmente ti rendi utile? »

« Buonasera anche a lei, madamigella, radiosa come sempre. »

Minto sbuffò a quel commento scanzonato e lo guardò intingere senza pietà un cucchiaio nel gelato, lasciando un buco concavo non indifferente.

« Guarda che così ti viene il mal di pancia, » lo riprese sottovoce con un sorriso.

« Ne vale la pena, questa roba è deliziosa. »

Keiichiro sventolò in segno di trionfo il cucchiaio di legno che stringeva, e caricatosi la borsa in stoffa sulla spalla, si avviò verso la dispensa per riporre il bottino.

La mora piluccò ancora un po’ di gelato, non potendo non ammettere che effettivamente le stava sembrando di mangiare ambrosia per quanto era morbido e cremoso, lo stomaco che le si contrasse non solo per la piacevole sensazione di freddo ma anche per il silenzio che era calato nella stanza e che, almeno per lei, era decisamente imbarazzante.

Si schiarì la gola, rimanendo concentrata sulla vaschetta: « Uhm… Kisshu, volevo… volevo dirti che mi dispiace, non… non era mia intenzione dare impressioni sbagliate e… »

L’alieno la guardò con tutta la tranquillità del mondo, gli occhioni dorati genuinamente curiosi: « Non so di cosa tu stia parlando. »

« Oh, » Minto rimase sorpresa e, in un punto remoto del suo stomaco, anche infastidita dalla sua risposta, corrugò appena la fronte, « Pensavo che… vabbè, insomma, ti pregherei di comportarti come si deve. »

Kisshu rise di cuore e alzò le mani in segno di resa, scuotendo la testa: « Sì, maestra. Un po’ vago come ordine, ma okay. »

« Sei uno sciocco. »

« Tu dovresti ammettere che ti piace sgridarmi. »

Lei decise di ignorarlo, si alzò per riporre in lavastoviglie il cucchiaino che aveva usato.

Giochetti, ecco tutto. Come aveva previsto.

« Tutto bene, passerotto? »

Gli lanciò solo un’occhiata da sopra la spalla, spostando un paio di bicchieri per far sì che si allineassero perfettamente alla griglia dell’elettrodomestico; era ancora intento a trangugiare il gelato, il braccio sinistro appoggiato al tavolo e la frangia che gli cascava davanti agli occhi, la solita aria di non avere una preoccupazione al mondo ma il tono di voce sincero.

« Sì, ma… niente, le prove sono state faticose. »

Lui ridacchiò: « Non ti vedo molto convinta, oggi. »

« Te l’ho detto, sono solo molto… stanca. »

« Okay, » Kisshu leccò un’ultima volta il cucchiaio, poi si voltò per farle un sorriso smagliante, ciondolando a qualche metro da lei e lanciando la posata con precisione dentro al lavello, « Cerca di rilassarti. »

Le fece l’occhiolino e, prima che lei potesse rispondere, prese la via d’uscita, fischiettando sottovoce, lasciandola a scuotere la testa e sospirare.

Era proprio impossibile.

 

                                                                                                    

§§§

 

 

Il rumore delle posate era quasi più forte del leggero chiacchiericcio, come era consono per un’elegante cena in famiglia.

Minto sorrise contenta a una battuta di suo fratello Seiji, almeno per quella settimana di base a Tokyo, poi rivolse di nuovo l’attenzione al padre di Eichi, che aveva tossicchiato appena.

« Allora, Aizawa-san, raccontami un po’ delle tue ultime avventure. »

Seiji si schiarì la gola e si pulì la bocca con un tovagliolo prima di sorridere all’amico di famiglia: « Be’, che dire, Ogasawara-san, ultimamente non so più nemmeno in che fuso orario mi trovi. »

« Seiji sta cercando di finalizzare un accordo con la Francia, » s’intromise il capofamiglia Aizawa, « Vorremmo rilevare una delle loro aziende per la ristrutturazione di alcune ville in Borgogna da trasformare in resort di lusso. »

« Tutto il francese studiato effettivamente è servito a qualcosa, » scherzò il figlio, scambiandosi sguardi divertiti con gli altri commensali.

« Parla per te, io lo uso tutti i giorni, » replicò contenta sua sorella.

« Probabilmente, Minto-san è l’unica di tutti noi che è sempre a Tokyo, » rise appena la madre di Eichi.

Lei accennò a un sorriso cortese: « Sa, Ogasawara-san, con la mia carriera è un po’ difficile spostarsi, soprattutto se non ci sono in programma - »

« Eh, carriera, » sua madre sbuffò sarcastica, le lanciò un’occhiata critica, « Pensavamo che questa smaniata passione le sarebbe passata, crescendo, e invece… »

Minto si sforzò di ridere insieme agli altri, aggiustandosi meglio il tovagliolo sulle gambe e avvertendo il gentile tocco del piede di Seiji contro al suo, in un gesto che lei sapeva benissimo volesse essere sia di conforto sia di consiglio a lasciar perdere una storia ormai vecchia come il mondo.

Eichi, dall’altro lato del tavolo, le sorrise comprensivo: « Qualcuno che deve controllare che tutto vada come deve è buona cosa che ci sia, non trova, Aizawa-san? »

La matriarca degli Aizawa si strinse nelle spalle e prese il suo bicchiere di vino: « Sarai tu quello che dovrà convincerla a passare a passatempi più fruttuosi non appena vi sposerete. »

La mora continuò a masticare lentamente, gli occhi fissi sul suo piatto, a quel commento che ormai sua madre rimarcava troppo spesso per i suoi gusti – come se un discorso del genere fosse mai stato affrontato tra i diretti interessati, poi.

« Sono sicuro che Minto-san sarà più che responsabile, » udì soltanto il fidanzato commentare, ormai già troppo stanca di tutti quei discorsi perché potessero interessarle realmente.

Aveva perso il gusto, negli anni, di litigare con i componenti della sua famiglia – o più generalmente, sua madre – per quello che riguardava le sue scelte di vita, come aveva perso il gusto per il ricordargli scocciata che il suo amore per la danza andava ben aldilà di una passione, visto quanto ci aveva investito. A volte si chiedeva davvero come la sua genitrice potesse essere così ipocrita da commentarle in faccia in questa maniera, e poi presentarsi ad alcuni suoi spettacoli, quelli dov’era più sicura di trovare determinati spettatori, come la più fiera e orgogliosa delle madri.

Vide come oasi di salvezza i camerieri entrare portando i dessert, il che significava che la cena sarebbe terminata da lì a poco e si sarebbero spostati tutti nel salotto di lettura, dove avrebbe potuto chiacchierare con tranquillità con suo fratello e le sorelle di Eichi mentre i genitori si dedicavano a gossip e argomenti di lavoro senza stare a disturbarla ulteriormente. Rivolse un sorriso cortese al cameriere di fianco a lei e fece per indicare uno dei piccoli mont blanc che aveva sul vassoio, quando la voce di sua madre la raggiunse ancora.

« Cara, sei proprio sicura? Già passi tutto quel tempo in quel locale, quel Caffè qualcosa, con i tuoi amici… »

Non le scappò l’inflessione della donna a quell’ultima parola, e dovette trattenersi dal lanciarle un’occhiataccia che anche a ventiquattro anni l’avrebbe messa nei pasticci: « Mew Mew, mamma, » si limitò a sospirare mentre infine scuoteva la testa, lasciando che il cameriere l’oltrepassasse, « Si chiama Caffè Mew Mew. »

« Ci sono stata una volta, Eichi mi aveva detto che la piccola pasticceria era ottima e devo dire che non sono rimasta delusa. Un po’ adolescenziale, però, per i miei gusti, tutto quel rosa… »

Minto sorrise sotto i baffi, per una volta d’accordo con la “suocera” putativa, e piegò accurata il suo tovagliolo, visto che la cena era per lei da considerarsi conclusa. Un colpetto alla spalla la fece girare verso suo fratello, che le fece l’occhiolino e indicò con un cenno del capo il piattino con mezzo dolce ancora intatto.

« Sono già sazio, e sarebbe un peccato. »

La mora gli sorrise riconoscente, trionfando internamente per l’udibile sbuffo di sua madre, e si gustò con calma l’ultima portata, cercando di non soffermarsi su quanto le mancasse Seiji quando era in giro per il mondo a portare avanti l’azienda di famiglia.

Rimasero a tavola ancora qualche minuto, e solamente quando l’ospite, il signor Ogasawara, si alzò da capotavola estraendo anche un sigaro dal panciotto, gli altri poterono fare lo stesso.

Minto si scusò a mezza voce mente uscirono dalla grande sala da pranzo, e invece di seguirli verso il salottino prese la via che conduceva al bagno, desiderando cinque minuti di calma e silenzio.

Seduta sul coperchio della tazza, controllò il cellulare nella borsetta, vedendo già un paio di messaggi nella chat con le ragazze che si organizzavano per uscire e le chiedevano di raggiungerle, se possibile.

Avrebbe voluto, davvero, tutto pur di rifuggire queste cene così tediose e preimpostate, ma i suoi genitori avevano decretato che sarebbe stata una brutta figura presentarsi in macchine separate, perciò era legata ad andarsene insieme a loro. Inviò una risposta veloce alle amiche, con la promessa di ripetere uno dei tanti ritrovi a casa Aizawa il giorno successivo, e si ricontrollò allo specchio, accertandosi che l’acconciatura reggesse nonostante l’avesse combinata in pochi minuti prima di uscire.

Come previsto, le due famiglie si erano accomodate nel salottino al piano terra di villa Ogasawara, le madri già impegnate in una conversazione fitta fitta accompagnata da risatine. Lei alzò gli occhi al cielo senza farsi notare, e un rumore inaspettato catturò la sua attenzione.

In un angolo vicino alla libreria della saletta, infatti, c’era una gabbietta per uccelli che lei non aveva mai visto prima; dentro, una coppia di parrocchetti di un bel verde sgargiante e dall’aria simpatica cinguettava sottovoce, saltellando da un rametto all’altro.

Minto sentì subito un familiare strattone al cuore e si avvicinò alla gabbietta, allungando un dito tra le sbarre per accarezzare il soffice piumaggio di uno degli uccellini.

« Ciao, » sussurrò con un sorriso, « Io mi chiamo Minto. »

Anche il secondo pappagallino le si avvicinò per gustarsi una dose di coccole, e i gorgoglii dei loro canti le risuonarono chiarissimi in testa, come non sentiva da un po’, in una dolce nenia che chiamava il suo nome.

« Nemmeno voi potete volare, vero? » domandò ancora, con una nota triste nella voce.

« Stai parlando con i pappagalli? »

La voce di Eichi alle sue spalle la fece sussultare di sorpresa, e raddrizzò nuovamente la schiena, le braccia che caddero lungo i fianchi.

« No, io… » si schiarì la gola, « Forse questa gabbietta è un po’ piccola, stavo pensando ad alta voce. »

« Mmhm, » il ragazzo la osservò e batté appena il dito un paio di volte contro le sbarre, « Può darsi. Li abbiamo appena comprati come regalo per il compleanno di Fuyuko. »

Lei lanciò un’occhiata alla minore delle sorelle del suo fidanzato, mordendosi la lingua per non commentare che non le sembrava certo giusto per gli animaletti passare solamente come un regalo ma ben sapendo che probabilmente l’avrebbe presa per matta, quindi sorrise ancora.

« Pensaci, a una gabbia più grande. »

« A proposito di pensare, » Eichi tossicchiò « Potremmo… riflettere su ciò che stava dicendo tua madre, prima. A me non dispiacerebbe. »

Minto lo fissò per qualche istante, sbattendo lenta le palpebre un paio di volte mentre analizzava il significato delle sue parole: « Mi stai… » si guardò intorno e abbassò il tono di voce, « Mi stai chiedendo quello che penso mentre siamo a cena a casa tua con tutte le nostre famiglie? »

Lui scosse la testa divertito e le prese una mano, stringendogliela dolcemente: « No, so che in caso andrebbe fatto come si deve. Ti sto solo chiedendo di pensarci su, ecco, e di valutare. »

« Okay… » lei aggrottò le sopracciglia, leggermente confusa, e sbuffò una risatina, « E’ un po’ tutto così… casuale e improvviso, non - »

« Un po’ ci stavo già pensando, » Eichi annuì soddisfatto, « Mi è sembrato di capire che i tuoi genitori sarebbero d’accordo, quindi… riflettiamoci, non trovi? »

La ballerina non poté far altro che annuire, ancora abbastanza perplessa dalla situazione, e il fidanzato le rivolse un altro sorriso e una carezza al braccio, prima di poggiarle la mano sull’incavo della schiena per condurla a sedersi sugli eleganti divani.

Passò il resto della serata con il seme di quell’idea piantato in testa, mentre partecipava alle conversazioni nella maniera più concentrata che potesse. Aveva davvero appena fatto in tempo a riflettere che il discorso matrimonio – sentì un pizzico d’ansia risalirle lungo la gola – non era mai stato affrontato tra lei e Eichi, e lui ora se ne veniva con quella richiesta anche un poco bizzarra, se ci rifletteva bene…

Non che lei fosse romantica, certo, però… detta in quella maniera…

D’accordo, le faceva piacere avere del tempo per pensare bene anche a se iniziare a discutere della faccenda. Sua madre ne sarebbe rimasta estasiata, di quello era certa. Per una volta, o almeno da un sacco di tempo a quella parte, avrebbe fatto davvero ciò che sicuramente lei avrebbe apprezzato e voluto.

Cullata dal ronzio delle chiacchiere e dall’ottima cena che le riempiva lo stomaco, si permise di estraniarsi un poco dalle chiacchiere, stretta tra il tepore di suo fratello e quello di Eichi, il cui viso si permise di studiare a lungo con un sorriso per i minuti che passarono, alla ricerca di qualcosa che scatenasse davvero in lei la voglia di soffermarsi più di qualche istante sulla proposta precedente.

A un certo punto, uno sbadiglio dispettoso ebbe la meglio di lei, che si affrettò a renderlo il più elegante e nascosto possibile, intanto che lanciava uno sguardo al pendolo in un angolo per scoprire che erano ormai ben oltre le dieci.

« Credo sia meglio andare, » Seiji le lanciò un’occhiatina divertita, « Minto-chan domattina dovrà essere in teatro presto, e devo dire che anch’io comincio a sentire l’effetto del jet-lag. »

Come faceva a resistere senza suo fratello, davvero?

I camerieri si prodigarono a portare i cappotti mentre gli Ogasawara accompagnarono la famiglia Aizawa verso l’ingresso, Minto che rimase in disparte con Eichi.

« Potremmo… potresti venire da noi, » bisbigliò, chiudendosi i bottoni del cappotto di lana bianco, « Sei stato via così tanto ultimamente, e anche settimana prossima hai tutti quegli impegni… »

Lui assunse un’espressione dispiaciuta e le sfregò appena uno zigomo col pollice: « Perché non ce ne andiamo da qualche parte questo weekend, solo io e te? Fuori Tokyo, alle terme magari. Così stiamo più tranquilli, ci sono i tuoi genitori ora, è giusto che trascorra un po’ di tempo con loro, e non mi sembra il caso. »

Lei dovette nascondere il disappunto (come se ormai non fosse abituata al fatto che anche se i suoi genitori si trovassero fisicamente sotto lo stesso tetto, era quasi impossibile condividere momenti visti gli impegni a cui dovevano presenziare le poche volte che si trovavano in città, e come se i suoi genitori non sapessero cosa succedeva tra due adulti innamorati e consenzienti), ma sbuffò solamente e annuì: « Ho un appuntamento sabato mattina ma non dovrei fare tardi. »

« D’accordo allora, ci penso io, » Eichi le sorrise allegro, le prese la mano per lasciarle sul dorso un bacio veloce, « Ti chiamo domani. »

Minto annuì e seguì la sua famiglia nella limousine della serata, cercando di ignorare la voce petulante di sua madre che, almeno, iniziava ad investigare sulla vita sentimentale del figlio maggiore.

Quando finalmente fu sola in camera, si lasciò cadere con un sospiro e ancora tutta vestita sulla chaise longue, troppo stanca anche solo per pensare di mettersi il pigiama. Afferrò di nuovo il cellulare e iniziò a scorrere le chat per aggiornarsi sugli avvenimenti di quella serata – e condividere solamente alcuni selezionati dettagli della sua. Una foto di Purin stretta ad uno pupazzo verde grande quasi quanto lei dalle fattezze simili a quelle degli UFO dei film di fantascienza, anche se molto più grottesco, e con l’indice puntato verso un Kisshu molto meno felice, le strappò un sorriso divertito.

Senza nemmeno pensare troppo, uscì dalla chat di gruppo e scorse le conversazioni fino a trovare quella con l’alieno interessato, digitando veloce.

 

Hai trovato un amico che ti assomiglia un sacco! x’D

 

La risposta di Kisshu non tardò molto ad arrivare, facendola ridere ancora.

 

Ti danno da mangiare pane e simpatia a queste fantomatiche cene esclusive?

Ecco perché sei uno stecco.

 

Lei esitò un istante, poi aprì la galleria di immagini e selezionò la foto che era riuscita a scattare dei parrocchetti a casa di Eichi.

 

Anche io ho trovato dei nuovi amici.

Molto più carini di quelli che ho adesso.

 

Non oseresti mai dire una cosa simile sulla lupotta.

 

Io infatti parlavo di voi.

 

Ah, quindi lei mi annovera tra i suoi amici, sono onorato!

 

Attento, è un titolo difficile da ottenere ma che può essere tolto molto velocemente.

 

Se Ichigo è riuscita a mantenerlo per tutti questi anni, dubito che i requisiti siano così stringenti.

 

Ehi, solo io posso parlare male delle mie amiche.

 

Un concetto di amicizia abbastanza complicato :P

Quindi chi sa quante ne dici di me!

 

Minto rise sottovoce, scuotendo la testa mentre un ennesimo sbadiglio poco elegante prendeva il sopravvento.

 

Non ti fischiano mai le orecchie? :D

 

Che tortorella acida. Ecco, allora torna dai pappagallini, beccheranno sicuro quanto te :P

 

Lei alzò gli occhi al cielo, divertita, stropicciandosi fiacca sulla poltrona; riaprì la chat solamente per mandare un generale messaggio della buonanotte a tutti e la promessa di rifarsi, molto presto, anche lei desiderosa della compagnia della sua seconda famiglia più che di quella naturale.

 

 

§§§

 

 

Il sedile riscaldato e comodo della limousine l’accolse come un nido di salvezza non appena ci si buttò sopra, ringraziando con un sospiro il vecchio autista.

Era esausta, gli allenamenti erano durati più del dovuto e lei non aveva messo qualcosa di concreto sotto i denti praticamente da colazione.

Avrebbe decisamente dovuto delegare l’acquisto del regalo di compleanno di Ichigo a Retasu, non avrebbe mai avuto né il tempo né la forza di pensarci davvero lei, il suo contributo era stato dato nel sceglierlo, sarebbe bastato.

Si rilassò e chiuse gli occhi, contemplando sinceramente l’idea di farsi un pisolino fino a casa e crogiolandosi nella prospettiva di un bagno bollente e una cena gustosa, quando sentì il cellulare vibrare insistentemente tre volte nel fondo del borsone.

 

Mi hanno abbandonato tutti per fare cose da coppie.

Abbiamo degli amici davvero noiosi.

Forse i pappagallini tenevano più compagnia.  

 

Minto sorrise, immaginandosi la smorfia annoiata di Kisshu, probabilmente chiuso come una tigre in gabbia nella sua stanza.

 

Incredibile, qualcuno rifiuta la tua compagnia?

Come farà il tuo ego a riprendersi?

 

Potresti venire a salvarmi tu da questo oblio tedioso.

 

Lei rifletté un secondo, le dita che esitarono sopra lo schermo dello smartphone.

 

Minto la salvatrice è in ferie per questa sera.

Non mangio da quasi dodici ore, sto tornando a casa solo ora. Sono esausta.

 

Dodici ore?! E sei ancora viva?! 

 

Non tutti sono un pozzo senza fondo come te.

 

Può darsi, ma io morirei.

Però se da risultati del genere sulle silhouette… Faccia angelo senza riempimento

 

Forse dovresti provare anche tu, sai.

Stai passando un po’ troppo tempo nella cucina del Caffè, ultimamente…

 

… stai insinuando che sono ingrassato?

 

Non mi permetterei mai! :D

 

Allora ammettilo che ogni tanto anche tu non riesci a non essere catturata dal mio fisico statuario.

 

Ti concedo che sia una delle poche cose che ti rendono tollerab-

 

Ancora più spaparanzata sul sedile dell’auto, e con un mezzo sorriso divertito, Minto smise di digitare prima di terminare la frase e cancellò in fretta il messaggio. No, no, decisamente no.

 

Tu fai troppi sogni, Kisshu.

 

Certo che sei crudele, mi sto annoiando tantissimo, potresti almeno darmi la soddisfazione di ricambiare un complimento.

 

Non avevamo già parlato del tuo grandissimo ego?

 

Potrei farti una battuta volgare, ma sembri di buon umore quindi sarò elegante e ti dirò solo che sei antipatica.

 

Come sei prevedibile.

 

Colpa delle ragazze come te che non mi apprezzano mai, ho bisogno di certezze.

 

Non mi sembrava ti mancassero le attenzioni.

 

Sei gelosa, tortorella? ;)

 

Ammettilo che hai firmato un contratto per dire banalità ogni due frasi.

 

Minto sbuffò contrariata mentre finalmente la limousine svoltava dentro al cancello dell’imponente villa, la maggior parte delle finestre buie visto che come al solito lei era l’unica residente.

Continuò a messaggiare anche mentre scendeva dall’auto e prendeva l’entrata sul retro per far sì che la cucina fosse a due porte di distanza. Era così esausta che non le importava nemmeno la rigida divisione dei locali che sua madre le aveva sempre imposto, e a cui lei aveva sempre dato poca retta visto che comunque la dolce genitrice non era mai troppo nei paraggi per controllare che venisse rispettata; perciò, si sedette con uno sbuffo su uno degli sgabelli dell’isola centrale, lanciando un sorriso al cuoco.

« Monsieur Cambron, qualsiasi cosa, per favore. »

Lo chef francese le fece un cenno d’assenso con la testa, finendo di decorare il piatto che aveva davanti: « Mademoiselle, le ho preparato uno dei suoi preferiti, sano e leggero. Un salmon en papillote con asparagi freschi, e qualche pommes parisienne vista la giornata pesante. »

Lei avvertì lo stomaco ruggirle estasiato alla vista del piatto fumante, ringraziò ancora lo chef che silenziosamente si mise a sistemare intorno a lei – ben sapendo ormai che lei avrebbe accettato di buon grado il rumore di sottofondo come compagnia – ma prima di divorare la sua cena, le scattò una foto per spedirla al suo compagno di chat.

Poté quasi udire il lamento di Kisshu attraverso lo schermo.

 

Dai ma allora dillo che sei crudele!

Potresti invitarmi a cena.

 

Spiacente, ho troppa fame per poter condividere!

 

Indugiò un istante, gustandosi il sapore del pesce fresco e delle verdure sul palato, poi decise di aggiungere qualcosa in più.

 

Seriamente, sono davvero esausta. Ho bisogno di annullarmi per questa sera.

 

Tu hai bisogno di rilassarti.

Potrei suggerire tecniche infallibili.

Come lo yoga, ovviamente, tortorella maliziosa.

 

Lei rise sottovoce, dedicandosi poi solamente a gustarsi la cena e la quiete della sua casa, il rumore familiare delle cameriere che sistemavano le ultime cose della giornata prima di concedersi anche loro un meritato pasto.

« Lo desidera un dolce, mademoiselle? »

Minto scosse la testa e si alzò, accennando a un inchino: « No, ma la ringrazio, chef. Ottimo come sempre. »

« Le auguro una buona notte, signorina Minto. »

Si incamminò a passi pesanti verso la sua stanza, meditando se intraprendere davvero qualche tecnica di relax, quando il cellulare prese a vibrare insistentemente come solo una telefonata di Ichigo poteva fare.

« Abbiamo trovato una casaaaaaaaa! »

La voce della rossa le traforò il timpano non appena accettò la chiamata, e dovette allontanare il telefono dall’orecchio mentre alzava gli occhi al cielo e sorrideva: « Sì, Ichigo, pronto? »

L’amica si lanciò in uno dei suoi racconti pieni di eccitazione e felicità, e Minto si limitò ad assentire ed ascoltare mentre si preparava un bagno pieno di schiuma, contenta per l’amica ma decisamente troppo stanca per poterla fermare o porle domande troppo complicate. A volte, dopotutto, a Ichigo bastava fare dei monologhi.

« Quindi quando potrete entrarci? »

« Poco dopo il mio compleanno, è tra pochissimo, Ryo ha organizzato tutto, non so come abbia fatto. »

« Ovviamente, » Minto rise e testò la temperatura dell’acqua, avvolta nel più comodo dei suoi accappatoi « Sono felice per voi, Ichigo-chan. Ora perdonami, ma voglio farmi un bagno e andare a dormire, sono stata in teatro tutto il giorno. »

« D’accordo! Passa per il Caffè domani, voglio farti vedere le foto! »

« Certo, buonanotte. »

Sospirò estasiata non appena scivolò dentro la vasca e il calore dell’acqua le avvolse le membra stanche. Si strofinò il collo, cercando di alleviare la tensione, e si dovette concentrare per non addormentarsi lì, seduta stante. Si crogiolò per un paio di minuti, gli occhi chiusi mentre canticchiava sottovoce, finché non sentì di nuovo il cellulare vibrare.

 

Che fai ora?

 

Minto attese qualche istante, poi appoggiò entrambi i piedi al bordo della vasca, incrociandogli alle caviglie, e li inquadrò per rispondere a Kisshu solamente con quella foto. La sua risposta la fece ridere quasi ad alta voce, rischiando che il telefono le scivolasse nell’acqua.

 

Accidenti, come facevi a sapere che uno dei miei fetish sono i piedi callosi da ballerina?

 

Io non ho i piedi callosi!

 

Mh, dovrei vederli da vicino per accertarmene.

 

 Suona decisamente inquietante.

In ogni caso, i miei piedi sono il simbolo di sforzo e dedizione.

Tu invece ti dedichi soltanto a sforzare lo stomaco J

 

Ti sembra uno stomaco sforzato questo?

 

Lei si affossò un po’ di più nella vasca fino a sfiorare l’acqua con il naso mentre la foto di Kisshu le riempiva lo schermo. Era steso su quello che lei interpretò come il suo letto, le gambe nella stessa posizione della foto di lei e la pancia scoperta, decisamente in una posa che giocava a suo favore. Fissò lo schermo per un po’, prima che le scappasse uno sbuffo divertito.

 

Sono bravi tutti a tirare in dentro la pancia da stesi.

 

Guarda che ci metto mezzo secondo a provartelo dal vivo.

 

Minto giocherellò con un po’ della schiuma rimasta, godendosi il silenzio del bagno finché non avvertì la temperatura dell’acqua farsi troppo tiepida per i suoi gusti. Si alzò con uno sbuffo e si avvolse di nuovo nell’accappatoio tatticamente posizionato vicino al riscaldamento, prendendosi il suo tempo per terminare la sua routine serale.

Riprese il cellulare in mano solo quando si buttò tra le lenzuola pulite, avvolgendosi nel piumone e rilassandosi finalmente per la prima volta nella giornata. Tirandosi la coperta fino sotto al mento, scattò un’ultima foto del suo letto.

 

Pardon, ho finito la mia giornata. Ho bisogno di dieci ore di sonno.

 

Ti lascio al tuo nido allora, passerotto.

Sappi che mi devi comunque della compagnia.

 

Notte J

 

Tolse le notifiche dal cellulare e lo ripose sul comodino prima di spegnere la luce, accoccolandosi per bene tra le lenzuola, un abbozzo di sorriso in volto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

(1) One handed presage lift

 

 

 

 

 

 

Ebbene sì, sono ancora quiii :3 Buon salve carissimi tutti, in questo lunedì tenebroso, senza più Game of Thrones e – lasciatemelo dire anche se non si dovrebbe mischiare lavoro e piacere – qualche news politica non proprio ridente, sono riuscita nella titanica impresa di terminare questo parto di FF e ho deciso di pubblicarne la prima parte, per la vostra (spero!) giuioa :3

 

Lo so che è lunga, lo so, perdonatemi <3 Anche la nee-sama Ria ha ceduto e h detto che sarebbe stato meglio dividerla, ma non si può fermare la Musa, giusto?

 

Il titolo e la frase in incipit sono dell’omonima canzone di Bruce Springsteen, in caso aveste voglia di buona musica anni ’80 e di qualche giustificazione.

 

Vi racconterò della sua genesi nel secondo capitolo, perché altrimenti sarebbe un mezzo spoiler ;)

 

Buon inizio settimana a tutti, come sempre qualsiasi commento, anche delle uova tirate addosso, sono sempre ben recepiti!

 

A presto,

 

Hypnotic Poison  

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Capitolo 2
*** One look at you and I can't disguise ***


 

 

One look at you and I can't disguise

 

 

 

 

 

La riunione è finita tardissimo, ci hanno spostato l’aereo a domattina!

Fai gli auguri e le scuse a Momomiya-san da parte mia, per favore.

Appena arrivo ti chiamo, buona serata!

 

Minto rispose con un veloce messaggino di comprensione e ripose il cellulare in tasca, leggermente amareggiata. Non importava da quanto la sua vita fosse accompagnata da impegni cancellati per motivi di lavoro, ogni volta lei non riusciva mai ad abituarsi del tutto alla cosa.

Forse avrebbe dovuto incominciare lei a comportarsi in quella maniera.

Ripose il cellulare nella borsetta e riconcentrò l’attenzione sulla sala in cui aveva fatto il suo ingresso. Una lunga tavolata, quasi invasa da centrotavola fiorati, occupava circa un lato del ristorante in cui si stavano riunendo per celebrare il venticinquesimo compleanno di Ichigo, magicamente in orario sicuramente a causa dell’influsso positivo di Ryo.

« Se questo è lo sfarzo del quarto di secolo, cosa combinerai per un tuo eventuale matrimonio? » la prese dolcemente in giro mentre la salutava e veniva avvolta dall’abbraccio felice della festeggiata, che rise sottovoce.

« Eh, per quello devi chiedere a Ryo. »

« Qualcosa mi dice che dovrebbe essere lui a chiederlo a te, » si scambiarono una risatina complice, il biondo poco distante che le guardò scuotendo la testa ben conscio di cosa potessero combinare insieme, poi la mora si allontanò verso il tavolo alla ricerca del cartoncino con il suo nome mentre Ichigo salutava altri ospiti.

« Stai cercando di fare stragi di cuori stasera, tortorella? »

Lei sorrise alla battuta carica di ironia di Kisshu, una luce furba che gli illuminava gli occhi, e alzò il mento con aria fiera mentre ondeggiava appena i fianchi per far ballare il fiocco laterale del corto abitino che indossava: « Non ti piace? » chiese con aria innocente.

Kisshu scosse la testa divertito, prima di studiarla con evidente apprezzamento da capo a piedi: « Il rosso è un colore molto deciso. Non passi certo inosservata. »

Minto inclinò il volto, i capelli lasciati sciolti e piegati in morbide onde che seguirono il movimento lungo la schiena: « Sarebbe stato un peccato lasciarlo dentro l’armadio, era da un sacco che aspettava il suo momento. »

« No, infatti, non posso che concordare. »

Avvertì un accenno di orgoglioso sfarfalleggio al petto all’espressione che gli vide fare. Era d’accordo che quell’abito non rientrava decisamente nei suoi canoni tradizionali, visto il colore sgargiante e il fatto che fosse ricamato quasi interamente di paillettes, tranne che per la cintura di seta che le stringeva i fianchi e le chiudeva la scollatura presente sia sul petto che sulla schiena. Se n’era innamorata a prima vista, ma non aveva ancora avuto il coraggio di indossarlo, fino a quella sera. Giusto perché Ichigo aveva implorato tutti fino alla fine di essere eleganti (forse era davvero riuscita a contagiarla), e perché aveva avuto voglia di cambiare, per un istante.

E la soddisfazione di cancellare undici centimetri buoni con quello svergognato alieno grazie ad un paio di tacchi a spillo dello stesso colore, e ottenere una reazione simile, era decisamente impagabile. 

Kisshu tossicchiò, poi fece un cenno della testa: « Tutto molto elegante, non trovi? »

« Non avresti dovuto avere dubbi, » replicò lei,  « Il ristorante è stato un consiglio della onee-sama. »

« Non vuoi ammettere che c’è stato anche un po’ del tuo zampino? Dubito che la lupotta si lasci scappare il nome con voce dolce ma decisa con i ristoranti per ottenere il tavolo migliore con poco preavviso. »

« Stai dicendo che io chiedo trattamenti di favore , » scherzò lei, poggiando una mano sul petto con finta sorpresa.

« Sto dicendo che sei una tortorella molto caparbia quando vuoi ottenere le cose, » commentò a bassa voce l’alieno, sfiorandole il braccio con il torace quando si piegò in avanti per afferrare il segnaposto su cui era scritto il suo nome, « Bene, io sono arrivato. »

Lei annuì appena, poi con un dito dalla manicure perfetta indicò una sedia dall’altro lato del tavolo: « Io ho il posto d’onore. »

« Ovviamente. Qualcosa mi dice che stiate mandando segnali ben precisi al povero biondo. »

Minto alzò le sopracciglia, sorpresa e divertita: « Certe insinuazioni non sono eleganti. »

« Mai detto di esserlo. »

Lei scosse la testa divertita, poi gli abbozzò un inchino, giusto per sbeffeggiarlo un po’: « Ti auguro una buona cena. »

Avvertì il suo sguardo seguirla mentre girava intorno alla fine del tavolo per andarsi a sedere: « Così lo fai sembrare come se non mi rivolgerai più la parola. »

« Magari te lo devi meritare! »

In poco tempo, anche spinti dai richiami di Ichigo che cominciava a sentire i primi morsi della fame, la ventina di commensali occupò ognuno il proprio posto così che l’accurato menù a cui Minto effettivamente aveva contribuito a scegliere potesse sfilare davanti a loro e riempire sia occhi che stomaci.

Non avrebbe voluto, ma, nonostante si stesse davvero godendo la serata, rimettendosi al passo di pettegolezzi con Moe e Miwa, continuò a controllare ogni tanto il cellulare, giusto per vedere se fosse arrivato qualche messaggino in più. Probabilmente c’era stato l’intervento divino di Zakuro che si era presa la briga di scalare i posti all’ultimo secondo vedendola arrivare sola, ma la sedia vuota in fondo al tavolo era per lei sicuramente notevole. Almeno, era una magra consolazione sapere che nessuno si sarebbe mai azzardato a chiederle qualcosa, a meno che non il discorso non fosse partito da lei. Prese un sorso del suo cocktail fruttato e si lasciò andare di nuovo alle chiacchiere, fingendo di non essere almeno un pelino soddisfatta dalle occhiate che la parte maschile della tavolata le lanciava sottobanco.

Il volume della tavolata, già di per sé alto visto i partecipanti, raggiunse un livello ancora più alto nel momento in cui una torta sormontata da venticinque candeline veniva portata davanti a un’euforica Ichigo, che arrossì vistosamente e applaudì deliziata.

« La solita esagerata, » la prese in giro Minto, « Quella torta è più grande di te. »

« Ne avrai un pezzetto solo se ti spicci a venire a fare la foto. »

Lei alzò gli occhi a cielo divertita e si alzò in piedi, lasciandosi agguantare dalla rossa mentre si disponevano tutti in gruppo decisamente non per una foto.

« Okay, una con le ragazze ora! »

« Ichigo-chan, ma la torta…! »

« Ultimissima, Ryo torna qua! »

Il biondo cedette alle richieste della sua fidanzata, probabilmente già un po’ oltre il suo tasso di resistenza alcolica, sussurrandole dolcemente qualcosa all’orecchio che la fece sorridere ancora più e le colorò le guance giusto nel momento in cui Retasu scattò la foto.

Minto non si trattenne dallo scuotere la testa con un accenno di sorriso, concentrandosi piuttosto sul cameriere che stava tagliando la torta in simmetrici quadretti invece che su tutte quelle dimostrazioni di affetto a dieci centimetri da lei.

« Ne gradisce un pezzetto, signorina? »

« Molto piccolo, per favore. »

« Scatenatissima stasera, tortorella, addirittura un dolce. »

Lei alzò gli occhi su Kisshu, dall’altro lato della tavola, il piattino da dolci già allungato in attesa verso la torta.

« Oltre ogni tua aspettativa? »

Lui rise divertito: « Assolutamente. »

Si scambiarono un’occhiata di comprensione mentre Ichigo scoppiava a ridere ad alta voce all’ennesimo mormorio di Ryo all’orecchio, e all’alieno non sfuggì il minimo arriccio di naso e lo sbuffetto che scapparono alla mora.

« Per favore, contegno, » esclamò scherzosa, mentre girava intorno alla tavolata e lo raggiungeva.

« Ah, vedo che le smancerie sono comunque il tuo punto debole, » la prese in giro, continuando a ingurgitare la torta.

« Le buone maniere di Ichigo sono il mio più grande fallimento, » rispose con un sospiro ironico, poi allungò una mano per spazzargli la camicia dai residui di briciole, « E le tue anche, a quanto pare. »

« Non farmi ricredere su di te proprio ora. »

Minto rispose con una finta risata alla presa in giro, giocherellò ancora per poco con la glassa della torta da cui aveva preso appena qualche pezzetto, poi gli porse il piattino: « Tieni, strafogati anche per me. Non ne ho più voglia. »

Lui non rifiutò, ma le lanciò un’occhiata studiosa, prima di attaccare anche quel secondo pezzo e schiarirsi la gola.

« Non so come abbiano il coraggio di lasciarti sola, » commentò casualmente, accennando con un gesto della forchetta al gruppetto di tre colleghi di Ichigo che non lesinavano occhiate, « Con tutti questi soggetti pericolosi. »

Lei rise supponente, spostandosi i capelli dietro le spalle: « So cavarmela benissimo da sola. Tu dovresti saperlo. »

Kisshu rise e le fece l’occhiolino: « In effetti tremo al pensiero di quanto male potrebbero fare quelle gambette armate di quelle scarpe. »

« Gambette. »

« Tortorella, siamo in pubblico. »

Lei rise divertita e scosse la testa, sotto sotto lusingata: « Stanno già dando dei cattivi esempi. »

« Mmmhm, » lui annuì, poi si voltò per afferrare una singola peonia da uno dei centrotavola e gliela porse, « In ogni caso, alla più bella della festa. »

Lei sentì le guance accalorarsi appena e gli sfiorò le dita quando afferrò lo stelo, guardandolo da sotto le ciglia scure: « Grazie, ma non si dovrebbe dire. »

Kisshu annuì e, le dita ancora poco sotto le sue, inclinò appena il fiore per colpire appena il naso con un sorriso birichino: « Non fare la puntigliosa. »

Minto rise per davvero all’infantilità di quel gesto, arricciando un po’ il naso e agguantando il fiore con più decisione così da toglierglielo: « Torno al mio posto. Cerca di non farti venire l’indigestione. »

 

 

Almeno tre ore dopo, Minto fu certa che il ristorante fu decisamente grato che la rumorosa compagnia si stesse congedando, vista la tarda ora e la quantità di piatti, bicchieri, e posate consumate.

« Tortorella, hai intenzione di accamparti qui? »

« Giro di ricognizione per controllare di aver preso tutto, » lei lanciò uno sguardo sotto al tavolo al posto dov’era stata seduta la festeggiata alla ricerca di qualche accessorio dimenticato, « Devo forse raccontarti di quante volte Ichigo ha perso il telefono nelle location più disparate? »

Kisshu ghignò divertito: « Un evento me lo ricordo. (1) »

La mora scosse la testa a quell’accenno, mentre raccoglieva i cospicui mazzi di fiori rimasti come centrotavola.

« Vuoi una mano con quelli? »

« Ti chiederei solo la cortesia di riportarli al Caffè, ti riesce sicuramente meglio che a me, » non poté trattenersi dal lanciargli un’occhiataccia per ricordargli che sapeva benissimo del suo uso improprio del teletrasporto, « Ryo ha detto che passerà a prenderli domani. »

« Sì, sicuramente stasera avrà troppa roba tra le mani, » ghignò lui.

« Kisshu! »

« Intendevo, che la gattina aveva bevuto un po’ troppo, tortorella maliziosa. »

Gli occhi dorati brillarono divertiti nel silenzio della saletta in disparte del ristorante ormai vuoto, e Minto alzò appena lo sguardo al cielo.

« Sempre il solito. »

« Almeno ti faccio ridere. »

« Ora non vantarti troppo. »

« Sorridi sempre così poco che li conto tutti quelli che riesco a conquistare. »

« Questo non è vero! »

« Mmhm, » Kisshu le tolse i bouquet dalle braccia così che lei potesse prendere borsa e cappotto dall’apposito armadio, « Pensavo ci tenessi alla tua reputazione di donna di ghiaccio. »

« Hai davvero una brutta idea di me, » Minto gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla, sistemandosi attentamente i capelli così che non fossero schiacciati dal tessuto pesante.

Gli occhi di Kisshu seguirono attentamente il movimento dei boccoli scuri e lucidi, le labbra arricciate in un ghigno malizioso: « Fidati, passerotto, tutto il contrario. »

Lo strano farfalleggio a metà altezza tra cuore e stomaco la prese alla sprovvista, si avvertì sorridere mentre infilava le mani in tasca e piegava appena la testa da un lato, una gamba incrociata davanti all’altra: « Lo prenderò come un complimento. »

Lui fece appena un passetto in avanti, la carta in cui erano avvolti i mazzi che scricchiolò sottile: « Sono a disposizione per quando ne avrai voglia. »

Minto inspirò bruscamente quando si rese conto di essere effettivamente sola con Kisshu in uno spazio molto angusto, le iridi dorate che brillavano furbe fisse nelle sue e quel sorrisetto affabile sempre stampato in volto. E tutto il suo corpo stava strillando che fosse una pessima idea, vista la maniera in cui stava reagendo, visto come non si fosse nemmeno accorta di essersi protesa verso di lui, la voce bassa e calda che le rintoccava in testa e lo stomaco sottosopra.

Perché continuava a cacciarsi in situazioni simili, perché le sembravano quasi naturali nel loro accadere? Non era umanamente possibile che potesse percepire così chiaramente il tepore e il profumo di quel maledetto ragazzo di fronte a lei, più che l’odore dolciastro dei fiori.

Come poteva fermarlesi il respiro in gola? Perché non riusciva a trovare nulla da dire?

Lei era…

Prima che il cervello finisse di formulare la frase, Kisshu le sorrise ancora e si allontanò, alzando tutti quei bouquet e quasi sbattendoglieli sul naso: « Bene, si è fatto tardi, passerotto. Ti vengono a prendere, vero? »

Minto, rimasta intontita, si schiarì la gola e annuì: « Uh, sì, c’è… c’è la macchina fuori. »

L’alieno le fece l’occhiolino e poi un buffo saluto militare: « Buonanotte, allora. »

Lei lo guardò allontanarsi, aspettando finché non fu sicura fosse uscito dalla porta, aspettando che il cuore tornasse a un ritmo consono, poi esalò in un unico respiro pesante e scrollò la testa, ricomponendosi e avviandosi anche lei all’uscita.

 

 

Il mattino dopo, Minto decise che si sarebbe dedicata solamente a un po’ di meritato relax, soprattutto mentale. La domenica era sacra, su quello era sempre stata intransigente. Soprattutto se la serata precedente si era concessa pure lei un calice in più di vino.

Canticchiò sottovoce mentre sistemava il vestito della festa con fare amorevole dentro la sua apposita custodia e lo appendeva un po’ in fondo alla cabina armadio, nella zona riservata agli abiti speciali, poi scelse un abitino tranquillo e comodo in denim per affrontare la giornata.

Si era appena appollaiata su una delle poltrone dello studio del padre, che ormai fingeva più da biblioteca in formato ridotto, quando una delle cameriere bussò piano alla porta socchiusa, inchinandosi prima di sussurrare: « C’è una visita per lei, signorina. »

Lei aggrottò la fronte, confusa, non aspettava certo nessuno, men che meno la domenica. Posò il libro dov’era stata seduta lei e si avviò all’ingresso, in mente il frivolo pensiero che magari Eichi avesse deciso di farle una sorpresa per recuperare il tempo perduto.

La prima cosa che i suoi occhi registrarono fu un enorme cumulo di mazzi di fiori da cui spuntavano due gambe.

Due gambe che sicuramente non appartenevano al suo fidanzato. 

« Che – che stai facendo? »

Kisshu apparve fin troppo divertito e soddisfatto dal tono stupito con cui lei porse quella domanda, allungando il collo per spuntare da dietro le centinaia di petali: « Buongiorno anche a te, tortorella. Tranquilla, non ho derubato nessuno. Il biondo ha detto che casa sua è già abbastanza invasa di fiori e continua a sternutire. Mi sembrava un peccato lasciarli andare o buttarli. »

Minto intimò al suo cuore di smetterla di battere come quello di una ragazzina per una simile sciocchezza.

« No, hai fatto… bene, » si guardò intorno, un po’ spaesata, notando subito l’assenza di personale nelle vicinanze, « Posso, uhm, far chiamare qualcuno per metterli in dei vasi. »

L’alieno ridacchiò: « Possiamo anche metterli via io e te, non trovi? Sei o non sei un’esperta delle composizioni floreali? »

Lei lo guardò storto per il tono di presa in giro con cui le si rivolse, alzò il mento e fece dietrofront sui tacchi: « Quanto sei spiritoso. »

« Ohi non ti allontanare troppo, qua se mi perdo mi tirano fuori dopo una settimana. »

Minto decise di ignorarlo – così come decise di ignorare che quella casa in quell’istante sembrava decisamente troppo vuota – e prese a vagare per i corridoi, diretta alle sue stanze preferite dove lasciare un po’ di quei fiori. Kisshu la seguiva fischiettando e guardandosi in giro con aria curiosa ogni volta che attraversavano un’ala che ancora non aveva visto, lanciando ogni tanto occhiate divertite alla mora accanto a lui, di nuovo alle prese con la sua aria sostenuta.

« Dai, ammettilo che ci sono dei passaggi segreti, » le domandò divertito mentre le passava uno dei mazzi affinché lei potesse riporlo in un vaso in sala da pranzo.

« Se anche ci fossero, sarebbero appunto segreti. »

« Ah, tortorella, non ti fidi di me? »

« Ma quando mai! »

Lui rise, continuando a seguirla e soppesando i fiori tra le braccia: « Direi che ne rimangono abbastanza per altre due stanze. »

« Uno va per il salottino col pianoforte, » pensò ad alta voce lei, « L’altro…»

Minto si bloccò, ben conscia che lui sapesse a cosa si stesse riferendo; lui però non aggiunse altro, nascondendo solamente un sorriso sotto i baffi che fortunatamente lei non colse.

« Comunque capisco quando dici che ti senti sola, » commentò dopo un po’, intanto che lei sistemava qualche peonia sul tavolino al centro del menzionato salottino, « Posso quasi sentire l’eco qua dentro. »

« Già, » la mora sospirò piano, girando appena il vaso per dargli la posizione millimetricamente perfetta, « A volte non mi accorgerei nemmeno che i miei genitori sono tornati, se non ne venissi informata. »

« Da noi era il contrario, » raccontò invece l’alieno, « Siamo sempre stati un po’ stretti. Non c’era molto spazio costruibile, e con tre fratelli maschi, puoi immaginare. E anche dopo il miglioramento con la Mew Aqua, ormai ci eravamo abituati così. Stare qui potrebbe quasi fare paura. »

Minto lo guardò appena da sopra la spalla con un sorriso triste, tentennando mentre poggiava la mano sulla maniglia della porta della sua camera: « Non hai tutti i torti. »

Kisshu attese un istante quando lei entrò, fin troppo decisa: « Devo essere invitato per entrare? »

« Non sei mica un vampiro, Kisshu. »

« Magari hai messo lo stesso delle trappole. »

Lei alzò ancora gli occhi al cielo e gli prese gli ultimi fiori dalle mani, aggiungendoli ad alcune gerbere dalla testa già un po’ abbassata.

« Allora ho avuto una bella idea. »

Minto gli rimase di schiena, il tono appena più basso di voce che non le sfuggì.

« Non vantarti come sempre, » replicò ilare, spostando i singoli fiori per tenersi impegnata.

Kisshu le camminò intorno e si fermò dal lato opposto della scrivania, afferrando la cornice d’argento lì posata e osservandola con un ghigno divertito.

« Ma che bel pulcino. »

Lei sentì le guance arroventarsi a quel soprannome, e reagì di scatto cercando di togliergli la foto dalle mani, allungandosi oltre il tavolo, ma ovviamente la stava tenendo fuori dalla sua portata.

« Kisshu, » sibilò minacciosa, « Non si ficca il naso nelle cose altrui! Ridammela immediatamente! »

Lui invece si portò il vetro a un palmo dal viso per poter osservare meglio lo scatto che ritraeva una Minto di forse nemmeno un anno che si tendeva felice verso Seiji, le manine distese al massimo per raggiungere le sue mentre quelle che lui sospettava appartenessero alla loro balia spuntavano da fuori l’inquadratura per assicurarsi che la bimba non cadesse.

« Ma guarda com’eri cariiiiiina, » rise, vedendola così a disagio, « Anche se forse il giallo non è proprio il tuo colore. »

« Grazie tante, » sbraitò lei, « Ora potresti cortesemente rimetterla a posto? Ci tengo molto. »

Kisshu la osservò ancora per un paio di secondi: « Non ti si vede così spesso sorridere così, sai, te l’ho detto. Ti farebbe bene. »

Per qualche ragione, il cuore della mora sussultò per un attimo: « Bè sai, da bambina non dovevo avere a che fare con un rompiscatole impiccione come te, » rispose acida.

L’alieno le lanciò un’occhiata poco divertita: « Sì, eri decisamente più simpatica. »

Lei approfittò della sua momentanea distrazione per raggiungerlo e strappargli la foto dalle mani, riponendola con cautela sulla scrivania, la familiare sensazione di nostalgia canaglia per quei momenti felici di cui purtroppo aveva ben pochi ricordi.

« Però ti si addice cornacchietta, visto quante cose brillanti hai qui in giro. »

Mentre si voltava per lanciargli un’occhiata esausta del suo spirito, Minto si rese conto che nel tentativo di recuperare il maltolto aveva azzerato qualsiasi distanza di sicurezza ci fosse tra loro.

E lo strano sorriso che lui aveva, lo sguardo con cui la stava osservando, la testa piegata da un lato e l’espressione al solito così calma, le fece intendere che anche lui era completamente conscio della situazione. Che il giorno prima non era stato affatto cancellato e che tutti e due sapevano benissimo cosa fosse.

Poteva respirare il suo respiro, si accorse che inspiegabilmente stava tremando a percepirlo così vicino, a sapere cosa sarebbe successo di lì a poco se non si fosse spostata, eppure non riusciva a trovare la volontà di farlo, di staccarsi, non di nuovo.

Perché era tutto giusto nel suo essere terribilmente sbagliato.

Inspirò a pieni polmoni soltanto per capire che fu un tremendo errore non appena il profumo di lui le fece vibrare le narici, chiamandola.

« Kisshu… » mormorò con un fil di voce, un fievole tentativo di fermarsi, di far ripartire il tempo ed evitare ciò che stava temendo da settimane.

Invece lui alzò soltanto una mano per sfiorarle il collo, prima di sorridere diabolico: « Ciao. »

Sentì lo stomaco contrarsi in una morsa non appena la bocca dell’alieno catturò la sua, un’enorme sensazione di impossibile sollievo che la percorse mentre si attaccava alle sue mani e si lasciava andare, spingendosi verso di lui, ricambiando il bacio con altrettanta passione.

Era come se il suo cervello avesse deciso di spegnersi, di abbandonarsi totalmente a quella sensazione che sentiva risalirle dalla pancia e farle sussultare il cuore impazzito, lasciarla avvolta, catturata, solamente dal ragazzo stretto a lei.

Udì il rumore di qualcosa rotolare giù dalla sua cassettiera mentre Kisshu la issava lì sopra d’urgenza, senza smettere di baciarla con forza mentre le apriva i bottoni del vestito in denim per arrivare alla sua pelle nuda. Lei si lasciò scappare un sospiro a sentirlo premere contro di lei intanto che gli passava le mani tra i capelli per avvicinarlo ancora, vagando giù per il torace tonico e arrivando quasi senza rendersene conto alla cintura dei suoi jeans, che slacciò con un singulto mentre la bocca di lui le scese famelica sul petto. Avvertì il piacere rimbombarle nel ventre e si sporse di più verso di lui, artigliandogli al tempo stesso la maglietta per tentare di togliergliela, ma desistette quando capì che lui non aveva intenzione di allontanarsi né di fermarsi, quindi lo tirò di nuovo a sé per baciarlo ancora, bramando quel sapore che le faceva ruggire lo stomaco, esplorando senza pudore il corpo caldo e muscoloso solo per sentire i suoi sospiri.

Fu solo quando sentì le mani del verde fermarsi sui suoi fianchi per farle scorrere via l’ultimo pezzo di intimo che qualcosa cliccò nel suo cervello, forse la presa delle dita troppo forte sulla sua carne che la fece sussultare, riportandola al presente.

« A-aspetta, Kisshu, non… » Minto lo spinse via e si divincolò per disincastrarsi da lui e saltare giù dalla cassettiera, mettendo quattro o cinque passi tra di loro, « Non posso. »

Lui dovette scuotere la testa per scacciare l’ottundimento, si passò una mano un paio di volte tra i ciuffi della frangia: « Un minuto in più d’avvertimento, che dici? »

« Io ho… un fidanzato, » la parola risuonò amara pure sulla lingua della mora, che incrociò le braccia al petto pur di coprirsi e tenne lo sguardo ben in alto, fisso sul viso del ragazzo rimasto in maglietta, « Un fidanzato che mi ha… mi ha chiesto di pensare se il… se magari un giorno sposarlo, e… »

Kisshu fece scoccare la lingua, decisamente infastidito: « Tortorella, qualcosa mi dice che una risposta te la sei già data se in questo momento siamo così. »

Minto scosse la testa e aprì la bocca un paio di volte per cercare di dire qualcosa. Avrebbe voluto recuperare il suo vestito, miseramente penzolante da un angolo della cassettiera, ma ciò avrebbe significato riavvicinarsi all’alieno, e aveva appena ricevuto conferma di quanto fosse una pessima idea.

« Quindi?! »

Lei finse di non ascoltarlo, avendo adocchiato la sua vestaglia piegata con cura sulla chaise longue, e si affrettò ad afferrarla e coprirsi un minimo, il cuore che batteva violento tappandole le orecchie, un odioso sapore alla bocca dello stomaco che sapeva tanto di bile e senso di colpa, e una vergognosa punta di voglia che ancora le incendiava le vene.

« Ti pregherei di andartene, » sussurrò, schiarendosi la gola dato che la voce veniva a mancarle, « Tutto questo non è mai successo, è stato uno sbaglio enorme perché… »

« Perché cosa, eh? » sibilò lui, « Avanti, sentiamo la stronzata. »

La mora sussultò appena a quelle parole, ma alzò il viso: « Non credo ci sia niente da aggiungere. Un errore, tutto qui, da cancellare. »

Una luce scura offuscò gli occhi dorati: « Certo, nato dal nulla cosmico, immagino. »

« Non so a cosa tu ti riferisca. »

« Per forza tu e Ichigo siete amiche, che cazzo, ma ci pensate mai agli altri o vi piace davvero così tanto sventolarcela davanti e poi fare le ritrose? »

Il viso di Minto divenne una maschera di rabbia e offesa: « Non ti permettere, sai! E non ho intenzione di sentire parlare di Ichigo in questo momento! »

« Nemmeno a me piace sentirmi raccontare delle proposte di matrimonio del tuo fidanzato mentre sto qua a culo all’aria! »

« … e allora rivestiti! »

Lui fece un respiro profondo, l’espressione del viso che si rilassò per diventare sinceramente più dolce e contrita: « Passerotto, ascolta, mi dispia - »

« No, » replicò lei con voce rotta, evitando di guardarlo, « Ti pregherei di usare il mio nome. »

Kisshu sbuffò, ma protese una mano verso di lei, cercando di incrociare il suo sguardo: « Minto, se tu potessi ascoltarmi un istante… »

Ma lei stava già scuotendo di nuovo la testa, le braccia incrociate attorno a sé con così tanta forza che le nocche stavano impallidendo, le note del suo nome che le fecero capire che avrebbe voluto sentirlo ancora, e non avrebbe dovuto più.

« Non c’è niente da dire, è tutto… tutto sbagliato, » bisbigliò, un groppo in gola che cresceva ad ogni sillaba, « Tutto questo non… non credo avrai bisogno di cercare molto per trovare quello che vuoi, quindi. »

L’occhiataccia che il verde le lanciò mentre si rinfilava i pantaloni in un gesto secco la trapassò gelidamente da parte a parte come il più tagliente dei coltelli. Lui non disse una parola in più, si limitò ad afferrare il suo giubbotto da terra e prese l’uscita, sbattendosi la porta alle spalle.

La casa era così silenziosa che udì addirittura il portone d’ingresso sbattere rabbiosamente. Un ultimo respiro e quell’insopportabile sensazione di solitudine che la colse le fecero tremare violentemente il corpo mentre la bolla di vergogna che aveva in petto scoppiava senza pietà, rigandole il viso di lacrime. Si trascinò fino al letto e si avvolse di nuovo tra le coperte, singhiozzando piano e cercando un calore che le sembrava impossibile ottenere.

Aveva perso il senno, quello era certo.

Che poi l’avesse perso per Kisshu, quella era un’altra storia.

 

 

§§§

 

 

« Eeeeeeed espira! »

Minto gemette piano mentre il fisioterapista le premeva accorto sulla schiena, allentandole un poco la tensione e facendola scrocchiare deliziosamente.

Lui, però, schioccò appena la lingua, non soddisfatto: « Sei un po’ tesa ultimamente, non mi piace questa rigidità. »

Lei si lasciò scappare un risolino nervoso mentre si girava sulla schiena: « Fidati, non lo faccio apposta, Ito-san. »

« Mmhm, » Ito le controllò un’ultima volta le caviglie e le lanciò un’occhiata severa, « Domani voglio vederti di nuovo, e dirò a Obara-san di prestarti particolare attenzione alla lezione di yoga, domattina. »

« Signorsì signore, » lo prese affettuosamente in giro lei, mettendosi a sedere con un sorriso incerto non appena la lasciò andare.

Ci mancava anche che il fisioterapista della compagnia si rendesse conto che ormai era sull’orlo di una crisi di nervi.

Si trascinò stanca fino allo spogliatoio, scambiandosi occhiate di comprensione con le sue compagne che avevano una lezione in più anche a quell’ora. Si era fatto tardi, quindi almeno aveva una scusa seria per non passare al Caffè come suo solito.

Non era esattamente il luogo migliore per lei in quel momento storico.

Quando era entrata, due giorni dopo quella maledetta mattina, le era come mancata l’aria a vedere Kisshu lanciarle un’occhiata piena di rancore e poi alzarsi per andarsene senza dire una parola, senza nemmeno tentare di mascherare la rabbia e il fastidio. Almeno Purin, che era stata seduta vicino a lui, aveva avuto la buona creanza di non investigare ulteriormente, perché lei si sarebbe solo strappata i capelli.

Era ovvio che lui fosse arrabbiato, l’aveva fermato brutalmente appena prima che…

Scosse la testa, imponendo a sé stessa di ricordare che non avrebbe dovuto importale se lui fosse arrabbiato o meno, avevano sbagliato entrambi e lui avrebbe dovuto capire… ecco, almeno il suo punto di vista avrebbe dovuto intuirlo un secondo.

Poteva trovare ciò che aveva puntato altrove senza troppi problemi, giusto, quindi perché prendersela così tanto con lei? Era tutto da cancellare, resettare, non c’erano rancori da dover portare.

Per questo voleva evitare il locale il più possibile, voleva cercare di sotterrare tutto ciò che era successo e continuare la sua vita esattamente come era.

Com’era stata programmata.

Il cellulare le trillò allegramente un paio di volte nel borsone mentre lei puntava decisa l’automobile che l’aspettava all’uscita sul retro del teatro. Il cuore le borbottò in petto ansioso quando lesse sul display il nome di Eichi, e un messaggio che solitamente non si sarebbe aspettata.

 

 

Mi hanno annullato degli appuntamenti – cenetta da asporto?

 

Lo prese quasi come un segno del karma, un simbolo che effettivamente poteva ritornare le cose al loro ordine primigenio. Rispose velocemente, ignorando stoica l’amarognolo del senso di colpa che le faceva capolino in fondo alla gola, e si precipitò in auto.

 

 

« Allora quale ti piace di più delle due? »

Minto posò le bacchette e si sporse per vedere le opzioni di arredamento per suite che Eichi le stava mostrando sul tablet.

« Mmhm, non saprei. Sai che ho un debole per lo stile francese, ma forse questa mi sembra un po’… troppo. »

« Dici? » il ragazzo studiò le opzioni, rimbalzò velocemente tra le due foto in un tentativo di compararle ancora, « La seconda mi piaceva molto, devo dire. »

« Allora fai come preferisci, » lei rise appena e si alzò dal divanetto per andare a riporre le loro stoviglie sul carrellino portavivande, « È il vostro hotel, dopotutto. »

« Potrebbe essere il nostro… » commentò con nonchalance Eichi, continuando a sfogliare la carpetta di documenti che aveva con sé.

Minto si irrigidì, grata di stargli ancora dando le spalle. Impilò con attenzione le ciotole, poi si schiarì la gola, pulendosi un’ultima volta le mani sul tovagliolo di cotone color panna.

« Non è passato tanto tempo da quando… »

« Hai ragione, hai ragione, » il ragazzo si affrettò ad accantonare le carte ed alzarsi, facendo un passo verso di lei, « Scusa, è che… è un pensiero confortante. »

« Mh, » la mora annuì in un borbottio poco convinto, si girò verso di lui e sorrise, raggiungendolo per avvolgergli le braccia intorno al collo, « Invece il mio pensiero confortante è che potremmo fare quel viaggetto alle terme che dicevi. Alla fine, non siamo riusciti ad organizzare. »

Eichi sorrise e poggiò leggero le mani sui suoi fianchi: « Hai ragione, ma come vedi mi stanno uccidendo. »

« Potresti dirgli di no, ogni tanto. »

« Sei l’unica a cui non riesco a dire di no. »

Lei rise soddisfatta e avvicinò il viso al suo: « Allora potremmo rilassarci qua. »

La risata del ragazzo si spense sulle sue labbra, e Minto si calmò nel suo abbraccio familiare, pronta a lasciarsi andare e scollegare il cervello, quando il ricordo prepotente di Kisshu, della sua bocca e del suo sapore prese violentemente il controllo della sua mente. Storse appena il naso e si strinse di più a Eichi, ma di nuovo il calore che aveva provato tre giorni prima l’avvolse aggressivo, petulante, senza lasciarle scampo.

Stava baciando il suo fidanzato, erano le sue le mani che le stavano accarezzando tenero la schiena, e lei invece non riusciva a togliersi dalla testa la sensazione di libertà e desiderio totale che aveva provato con quello stupido alieno.

Si staccò di scatto, tossicchiò e cercò di sorridere: « Scusami, ho bisogno un attimo del bagno. »

Si sforzò di non correre per raggiungere il bagno più vicino, appoggiandosi alla porta non appena la richiuse per prendere un respiro profondo e darsi mentalmente della stupida.

Da quando si comportava in quella maniera? Da quando aveva perso così tanto il controllo di sé stessa?

Si sciacquò la faccia con l’acqua fredda, stando ben attenta a non rovinare il poco trucco, e si impose di darsi un tono e accantonare quello stupido errore in un angolino relegato della testa.

Perché non era altro che quello.

Agitò le mani in aria e fece un altro respiro, proprio come faceva per scaramanzia prima di entrare in scena ad ogni spettacolo, si schiarì ancora la gola e ritornò nel salottino degli ospiti.

Eichi la stava aspettando con il suo sorriso gentile in volto, la giacca elegante accuratamente piegata sul bracciolo del divano. Lei gli tese la mano e lo tirò placidamente contro di sé, baciandolo languida un’altra volta prima di affrettarsi verso la sua stanza.

 

 

« Eri diversa, stasera. »

Minto, seduta alla toeletta a pettinarsi i capelli, guardò nello specchio il riflesso di Eichi, che si stava riabbottonando la camicia.

« Che vuoi dire? »

« Nulla, eri solo più… non saprei, » lui rise e scosse la testa, prima di controllare l’orario sull’orologio che aveva al polso, « Accidenti, guarda che ora si è fatta. »

Lei gli lanciò un’occhiata di soppiatto, nascondendo un sospiro : « Sai che non devi andartene per forza. »

« Devo essere in ufficio prestissimo domattina, ci vengono a prendere dei clienti per un retreat di due giorni. »

La mora annuì e sospirò appena: « D’accordo. Mi chiami quando arrivi? »

« Ovvio, » Eichi le si avvicinò con un sorriso e le baciò dolcemente la guancia, « Buonanotte tesoro. »

« ‘Notte. »

La stanza ripiombò nel silenzio non appena la porta si chiuse piano alle spalle del ragazzo. Minto avvertì la solita sensazione di familiare malinconia che aveva sempre associato alla sua casa. Si struccò con attenzione, prendendosi il suo tempo per spalmarsi la sua crema preferita e controllare se ci fosse bisogno di sistemare le sopracciglia.

Non era mai riuscita ad abituarsi per davvero alla solitudine. Le cose erano cambiate da quando aveva conosciuto le ragazze, perché da allora aveva sempre avuto la sensazione di avere qualcuno vicino, da poter chiamare, nel momento del bisogno senza pensarci due volte.

Eppure, non si era mai sentita così sola come in quel momento.

E avrebbe tanto voluto non esserlo, per non poter pensare.

 

 

§§§

 

 

Fu in grado di udire il solito casino che segnalava che il gruppo fosse tutto insieme non appena raggiunse le scale. Si affrettò a raggiungerli, il sorriso divertito che crebbe ad ogni scalino insieme all’intensità del volume.

«La portaaaaIchigo, il cane! »

Un salsicciotto color castagna sgusciò dall’ingresso lasciato aperto, direttamente tra le gambe di Minto, abbaiando allegro per richiedere attenzioni. Lei rise e si inginocchiò per prendere in braccio il cucciolo di bassotto, nuovo arrivato in casa Shirogane.

« La tua padrona ti ha già esaurito, eh? »

« Nessun problema, è stato recuperato! »

La voce allegra di Kisshu la fece sussultare, e quando si alzò con poca convinzione fu sorpresa dal trovarlo felice e sorridente come non le si presentava da un po’, rivolgendole anche un sorriso e un cenno della testa in saluto.

Lei mormorò un ehi poco deciso, continuando a stringere il cagnolino che sembrava molto contento di tutte quelle attenzioni, e oltrepassò la soglia per andare incontro a Ichigo.

« Sei proprio un birbante, » tubò contenta la rossa, accarezzando le orecchie del cucciolo, poi lanciò un’occhiata divertita all’amica « Mi spieghi perché ti sei messa gli stivali con il tacco per un trasloco? »

Minto si osservò appena gli stivali neri scamosciati che le arrivavano fin sopra al ginocchio, sfiorando lo stretto vestito dello stesso colore: « Perché ho avuto un appuntamento prima, e perché non bisogna mai perdere l’occasione di essere eleganti. Comunque, se ti piacciono te li vendo, visto quanto ci hai messo ad adocchiarli. »

« Ah-ah-ah, » Ichigo si strinse al petto il bassotto e le fece una linguaccia, « Vieni, ci sono un sacco di scatoloni da aprire! »

La mora rise e alzò gli occhi al cielo, guardandosi intorno nel nuovo appartamento dei due amici, invaso da valigie, pacchetti e buste, salutando tutti gli altri componenti della ciurma che si erano riuniti per aiutarli a trasferirsi.

« Non ho intenzione di sistemare le mutande di Shirogane. »

« Ma come siamo simpatiche! » la voce del suddetto la raggiunse da una stanza sulla sinistra, che a giudicare dalla scrivania già sormontata di carte e dalla libreria a tutta parete che stava mettendo in ordine, era probabilmente il suo studio, « Ricordami perché ti ho invitata? »

« Perché avete assolutamente bisogno del mio senso estetico, » Minto afferrò un cuscino buttato sul divano in pelle e lo porse alla padrona di casa, « Questo non c’entra proprio niente. »

Ichigo sbuffò spazientita: « Mhmm, non vedi che siamo ancora in fase transitoria! »

« Ah però, che parolone, questo fidanzamento sta cominciando a dare i suoi frutti. »

« Vai, vai, » Ichigo la prese per le spalle e la spinse fuori dalla stanza, « Vai ad aiutare Retasu, vai. »

Minto rise e raggiunse la verde nel salotto, l’area più grande dell’appartamento e quella più invasa dagli scatoloni.

« Noto che Shirogane non ha perso l’abitudine di sfruttarci. »

« Minto! »

 

 

Parecchie ore dopo, già con le luci accese in giro per l’appartamento, Minto si sedette esausta sul nuovissimo divano del salotto per prendere un respiro, osservando con molta soddisfazione come lo spazio fosse già molto più ordinato e svuotato dal casino che invece l’aveva accolta.

« Non posso crederci che ce l’abbiamo quasi fatta! » esalò Purin, lanciandosi con un sospiro rumoroso a pancia in su sopra un pouf color crema « È stata un’impresa titanica! »

« Come sei esagerata, » la riprese divertito Ryo, accasciandosi anche lui su una delle eleganti poltrone in pelle rossa.

« Sai quanto pesavano tutti i tuoi libri di scienze, capo? »

« Il fatto che li rinomini libri di scienze ne ha già dimezzato il valore. »

« Chi vuole un tè caldo? »

« Io ho una fame da lupi. »

« Tu hai sempre una fame da lupi, Taruto. »

« Da che pulpito, Kisshu! »

Minto si scambiò una risata divertita con la biondina, poi la sua attenzione venne nuovamente catturata dal bassottino, che abbaiò un paio di volte per reclamare che lei lo prendesse in braccio.

« Mi sa che hai fatto colpo. »

Si irrigidì nell’avvertire Kisshu – e il suo calore – sedersi accanto a lei e parlarle divertito dopo parecchi giorni. Si schiarì la gola, ben decisa sulle sue convinzioni, e continuò a concentrarsi sulle carezze al cagnolino.

« Mi piacciono i cani. È con i gatti che ho qualche problema, » aggiunse sarcastica a voce più alta.

« Always so funny. »

« Ammettilo, biondo, è ironico che voi due vi siate presi un cane. »

« Parla con Ichigo, è lei che ha tutta una teoria sui lei e i gatti maschi. E me e le gatte femmine, per quello che conta. »

« Non ho una teoria, » replicò la rossa, poggiando un vassoio con teiera e tazzine sul tavolino di vetro in mezzo a loro, « Ho prove ben precise di cosa ho dovuto passare con dei gatti maschi, e non ho intenzione di avere altre rivali che ti scorrazzano dietro. »

« Oh, please don’t start. »

« E io avrò scelto il cane, ma tu gli hai dato il nome. »

« Ecco, appunto, » Minto continuò a coccolare impunemente il bassottino gongolante, « In quale assurda maniera lo avete chiamato? »

«BB8(2). Il bassotto, » Ryo apparve fin troppo soddisfatto mentre lo annunciò, facendo sbuffare subito Ichigo « Perché è piccolo e tondo. »

« Santo cielo, Shirogane, sei peggio di quanto pensassi. »

« Vedi, non sono l’unica che lo dice. »

« A me piace! »

« Grazie, Purin, sapevo di poter contare su di te. »

« Possiamo ordinare da mangiare ora? »

Il chiacchiericcio sollevato e confortevole che sempre li caratterizzava riprese animato, tutti rinvigoriti dal calore del tè mentre cominciavano a discutere su cosa ordinare, da dove e in quale quantità.

Minto si rilassò sul divano, nonostante non potesse fare a meno di percepire con ogni singola terminazione nervosa la presenza dell’alieno accanto a sé.

« Anche tu avevi un botolo, se non sbaglio. »

Si voltò irritata prima di poterci pensare, lanciando un’occhiataccia a Kisshu: « Mickey era un volpino di ottimo pedigree, se proprio vuoi saperlo. »

Lui la osservò con genuina curiosità e un pizzico di dispiacere, e la mora sentì il cuore farle un sussulto al pensiero del suo fidato amico.

« Si è ammalato, ormai aveva una certa età, » gli confidò a bassa voce, annuendo piano, « E dopo che hai voluto così tanto bene a qualcuno, è difficile… non potrei mai rimpiazzarlo, quindi non so se prenderò un altro cucciolo. »

« Mi dispiace, » le rispose lui, poi si sporse in avanti per accarezzare le orecchie di BB8, che sembrava entusiasta da tutte quelle attenzioni, « In effetti questi cosi sono accattivanti. »

Il cucciolo abbaiò entusiasta, e trotterellò allegro su di lei per andarsi a spanciare sulle gambe dell’alieno.

« Ah, credo di aver fatto colpo io ora. »

A Minto scappò un sorriso, scosse la testa rallegrata: « È proprio il tuo cane, Ichigo, un gran ruffiano. »

« Eppure non potete fare a meno né di me né di lui! » rimbeccò allegra la rossa, appollaiandosi sfacciatamente sulle gambe del suo fidanzato.

La mora alzò gli occhi al cielo, scambiandosi quasi inconsciamente un’occhiata divertita con l’alieno accanto a lei.

« Dite che tra questi scatoloni troviamo anche la modestia della micetta? »

« Tu poi non dovresti commentare, Kisshu. »

« Sentenziò la nostra principessa. »

Non seppe se immaginò lo sguardo curioso e furbo che Ichigo le lanciò a quello scambio, ma decise di ignorarlo e si limitò a fare una smorfia all’alieno, mentre si rilassava un po’ di più nel suo angolino di divano per gustarsi la cena in santa pace.

O almeno ci provava.

Perché certe parti di lei sembravano essere decisamente convinte a non rilassarsi.

Soprattutto quando sentiva chiaramente il suo sguardo sulle cosce ogni volta che si alzava dal divano per passare piatti agli altri.

O quando si ritrovava a ridere delle sue battutine idiote e dei battibecchi con il fratello minore, e se ne rendeva conto nello stesso momento in cui succedeva, e si bloccava come una bambina delle elementari perché aveva deciso che non doveva succedere. Quando sentiva, forte e chiara, la voglia di affondare il viso nell’incavo del suo collo per annusare ancora più profondamente quell’odore così familiare. Quando la sua risata un po’ sguaiata le rimbombava in petto e la portava a osservarlo, a scambiarsi uno sguardo e un sorriso d’intesa, anche dall’altro lato della stanza.

« Grazie, Minto-chan, » Retasu le rivolse un sorriso gentile mentre le passava gli ultimi contenitori del cibo da gettare via, « Si è fatto un po’ tardi, forse dovremmo togliere il disturbo. »

Ichigo si tolse i guanti di gomma che aveva indossato per lavare i piatti e fece il broncio: « Ah, io vi terrei qui per sempre. »

« Credo che Ryo sia di diverso avviso, » rise la mora, appoggiata al bancone ancora avvolto dalla plastica protettiva, volgendo lo sguardo verso il suddetto.

« Tranquilla, nee-chan, anche se ci sono i fantasmi ci sarà Ryo nii-san a proteggerti. »

« Uh, confortante, » borbottò la rossa, poco convinta, « Ci vediamo domani al locale? »

« Ichigo cara, torno volentieri ad aiutarti a spacchettare, prometto che la tariffa oraria sarà alquanto d’occasione. »

Il gruppetto rise contento mentre lentamente, stanchi e satolli, salutavano e si rivestivano per concludere anche quella giornata. Scesero le scale ancora vociando, BB8 che li accompagnò dall’uscio con un paio di abbaiate di saluto. Si fermarono sulla soglia del portone d’ingresso a sistemarsi i giubbotti, ancora ridendo per le solite scenette tra i più giovani della compagnia, Kisshu che tentennò un secondo per rimanere in disparte, accanto a lei, come se fosse capitato per caso e come se anche a lui non venisse ormai naturale.

« Tutto okay? » le domandò, senza guardarla, aggiustandosi il colletto peloso del giubbotto di jeans, lo stesso noto che avrebbe usato per chiederle del meteo ma che non ingannò nessuno dei due.

Minto annuì piano, sistemandosi nervosa la catena della borsetta sulla spalla, presa alla sprovvista da quella domanda come da tutta quella giornata, faticando a trovare la voce: « Io… sì. Tu? »

Lui si voltò per lanciarle un sorriso smagliante, il suo sorriso, prima di farle un cenno con la testa: « Buonanotte, tortorella. »

La mora ricambiò appena con un ciao abbozzato, ancora più confusa di prima. Salutò con un cenno gli altri che si allungavano per strada in direzione opposta alla sua, che realizzò solo in quel momento di aver completamente dimenticato di avvertire l’autista perché tornasse a prenderla.

Anche se forse, decisamente, una passeggiata l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee.

Si incamminò verso la stazione della metro più vicina, stringendosi nel cappotto.

Non ricordava l’ultima volta che era stata così persa, in tutti i sensi. Lei non era abituata ad avere confusione in testa, tantomeno in petto.

Perché quello era il problema. E non le piaceva non capire che cosa stesse succedendo.

Aveva pensato che le cose sarebbero andate in un certo modo. Che la ovvia frattura tra lei e Kisshu sarebbe rimasta lì, una specie di cratere di sicurezza finché non le fosse passato quel momentaneo istante di crisi mistica da adolescente preda di tempeste ormonali. Perché lui era così, dopotutto, testardo e orgoglioso proprio come lei, e l’aveva già ammesso a sé stessa di essersi comportata male nei suoi confronti, quindi ovvio che l’avrebbe trattata in maniera diversa. E le sarebbe andato bene. Si sarebbe aspettata la sua freddezza glaciale, le sue pungenti battutine che non mascheravano la rabbia né il risentimento, quelle che aveva cercato di evitare in quegli ultimi giorni, non il suo essere allegro e accogliente come al solito.

Anzi, lo avrebbe preferito, perché tutto questo far finta di niente le stava rendendo molto difficile il far davvero finta di niente.

Salì nel treno come un automa, imponendo alla sua mente di smetterla di divagare.

Lei aveva pieno controllo del suo corpo, delle sue azioni, delle sue emozioni. Già le era stato portato via una volta, e bene, aveva imparato a farci i conti, anche se le costava così tanto ammettere di averci trovato della libertà.

Non l’avrebbe certo perso ora per gli stupidi giochetti di Kisshu.

Perché lui era così, no, mai serio, sempre uno spirito libero di fare tutto ciò che voleva senza pensare troppo alle conseguenze, guidato dall’istinto e soprattutto da quello sotto alla cintura, sempre pronto a testare quanto tirare la corda senza romperla.

Lei non poteva essere l’ennesima tacca nel suo conto. Lei non si lasciava andare in quella maniera, e soprattutto non s’illudeva, non si faceva prendere in giro. Non ragionava con lo stomaco.

E allora perché invece le sembrava sempre tutto così genuino?

Ogni volta che pensava all’alieno, maledetto, sentiva il cuore iniziare a battere erratico, quasi testardo nel farsi ascoltare mentre le pompava sempre più sangue a colorarle il viso, come se fosse una ragazzina sciocca. E si ritrovava a pensarci spesso, le costava fatica ammetterlo; alla compagnia che le faceva, ai sorrisi che le strappava con poco sforzo, alla maniera in cui potevano scambiarsi scherzi e confidenze come se fosse la cosa più normale del mondo, e come finivano a farlo senza accorgersene.

E al suo sapore che ancora le pizzicava sulla lingua. Al calore che aveva sentito provenire dalle sue mani sulla sua pelle nuda, lui che sembrava non sentire mai freddo. All’odore che le aveva riempito le narici e le aveva completamente azzerato qualsiasi capacità di ragionamento, e che le faceva sussultare lo stomaco ogni volta che si avvicinava troppo.

E alla vampa che sentiva in petto ogni volta che tutti quei pensieri si affacciavano nella sua mente.

Quand’era stata l’ultima volta che si era sentita così?

Lei e Eichi… aveva creduto di provare le stesse emozioni con Eichi, ma anche scavando nella memoria, lei non…

Si era mai sentita davvero così viva con Eichi?

La rendeva un essere orribile pensarlo, poi?

Corse fuori velocemente dalla stazione della metro, incolpando la lacrima che le corse giù per lo zigomo al cambiamento di temperatura mentre si affrettava lungo il marciapiede, la villa buia che si stagliò alla fine dell’ampio viale. La cena consumata da poco le si stava rivoltando nello stomaco, inacidito dal senso di colpa, e il cuore che ancora le batteva forte più cercava di accantonare il ricordo di quella mattina in un angolo lontanissimo del suo cervello.

Non poteva andare avanti così.

Si infilò il più silenziosamente possibile dentro casa passando per la porta sul retro, voleva evitare tutti, voleva stare da sola. Sentiva la testa scoppiarle, e quasi corse fino alla sua stanza; il rumore della porta della sua stanza che si chiudeva, con un giro di chiave, le diede uno strano senso di sicurezza.

Contrariamente alle sue abitudini, lanciò gli stivali in un angolo e i vestiti malamente sulla poltrona, poi si lanciò sul letto a pancia in su.

Rimase ferma così per quello che le sembrò un tempo lunghissimo, le mani premute sugli occhi e le gambe appoggiate alla testiera del letto alla ricerca di relax, immobile e tesa.

Poi agì senza quasi pensarci.

Afferrò il cellulare e prese dei respiri profondi mentre scorreva la rubrica fino alla lettera E, e selezionava il numero del suo fidanzato.

Pure lo squillo della telefonata le sembrava lontanissimo, e se avesse continuato a respirare così profondamente sarebbe con molta probabilità andata in iperventilazione, ma si sentiva come se la gola le si stesse chiudendo mentre pigiava fortissimo il telefono contro l’orecchio.

« Ehi, tesoro, tutto bene? Non avevamo programmi, mi sembra. »

Minto chiuse gli occhi e deglutì il nulla, solo per cercare di alleviare quella orribile sensazione: « Eichi, avrei bisogno di parlarti, quando hai un momento. Di persona. »

 

 

§§§

 

 

La Tokyo Opera City Tower era il settimo edificio più alto di tutta la capitale, ospite di circa una cinquantina tra negozi e ristoranti, e di importanti uffici agli ultimi piani. Soprattutto, era residenza del New National Theatre, e quindi, per estensione, un po’ anche casa sua.

Non era decisamente solita girovagare per la terrazza del cinquantatreesimo piano, visto che il Teatro e annesse e connesse sale dedicate al New National Ballet of Japan erano ai primissimi, ma le circostanze della sua visita non erano le solite.

La primavera era in arrivo, poteva sentirla pungere sulle guance arrossate dal vento tutt’attorno a sé. La vista sulla città illuminata per la notte, almeno, era fantastica.

Si strinse di più nel cappotto, fece un respiro profondo e si concentrò ancora sul rumore del vento per cercare la quiete dentro di sé. Si rigirò un paio di volte il telefono tra le mani, incerta se rispondere all’ultimo messaggio di Ichigo oppure continuare ancora a fare finta di niente.

“Non so cosa stai combinando, ma se hai bisogno sai che ci sono <3”, le aveva scritto l’amica solo quella mattina. Era un po’ svampita, certo, ma dopotutto si conoscevano ormai da una vita e la rossa era diventata particolarmente brava a interpretare certi suoi silenzi, anche durante brevi telefonate per altri motivi.

Lei però faceva persino fatica ad ammettere a sé stessa cosa stesse succedendo.

Aveva pensato che, una volta chiusa la parentesi Mew Mew, sarebbe stata in grado di riprendere in mano le redini della sua vita. Sarebbe diventata prima solista, e poi prima ballerina, avrebbe trovato un bravo ragazzo coi criteri che sempre aveva pensato di desiderare, e avrebbe vissuto la vita che da quando era nata avevano costruito e preparato per lei, come le si addiceva.

E ce l’aveva fatta, davvero.

Ma allora perché si sentiva così terribilmente sola?

Fece un respiro tremulo, il disagio dei giorni precedenti che si rimpossessò di lei. Aveva sempre voluto solamente un po’ di quiete; aveva sempre fatto tutto ciò che una signorina del suo rango doveva fare. L’unica sua eccezione era la danza, il suo grande amore. E già per quello si sentiva costantemente in lotta con la sua famiglia, come se non potesse mai dimostrare abbastanza, e lei era così stanca di controbattere continuamente. Aveva ceduto, alla fine, aveva fatto tutto il resto che avevano voluto soltanto per poter continuare ad amare senza remore, nascondendo il resto.

Ovvio, del problema genetico non si poteva certo parlare. C’erano davvero tante cose di lei di cui non si poteva parlare, e piano piano l’avevano erosa dentro, stancandola.

Forse era per questo che ora si sentiva come se stesse buttando via tutto. Anche se al tempo stesso, non poteva ignorare la vocina nella testa che le sussurrava che lo poteva sentire anche lei, quel peso sollevarsi lentamente dalle sue spalle.

Una folata di vento più intensa le scompigliò i capelli e la fece rabbrividire, mentre ripensava alla conversazione di pochi giorni prima.

Eichi era stato… così meraviglioso anche in quel momento, anche con il dolore e la confusione che aveva potuto leggergli in volto. Forse davvero lei non se lo meritava.

Non meritava qualcuno a cui aveva sempre mentito.

Non era stata nemmeno capace di dirgli tutta la verità su quello che era successo, come poteva continuare una relazione con quelle premesse? Era stata una codarda, testarda e troppo orgogliosa per poter ammettere d’aver ceduto a una tentazione, spaventata che se avesse davvero saputo, avrebbe creato un danno irreparabile. Aveva solamente borbottato di essere confusa, una scusa qualsiasi, banale, l’accenno a qualcun altro tra le righe ma mai esplicito, mentre Eichi la fissava avvilito e sempre paziente, comprensivo, senza mai spingerla troppo. Aveva accettato il suo discorso, pregandola solo di non lasciarlo aspettare troppo, confermandole che qualunque decisione avrebbe preso, lui l’avrebbe compresa.

E lei si era odiata quando, una volta rimasta sola, aveva pregato che lui si fosse arrabbiato, che l’avesse spinta a tirare fuori la verità, che l’avesse dato qualcosa che le stava mancando.

Come se poi avrebbe fatto la differenza.

« Avvistato un passerotto solitario. »

Minto sussultò e soffocò un urletto di paura, voltandosi di scatto.

« Ma sei pazzo?! » esclamò arrabbiata, una mano sul petto, « Potevo cadere di sotto! »

Kisshu, a pochi metri da lei, si appoggiò al muro con una spalla e le sorrise: « Ti avrei sicuramente lasciato cadere. E tu qui sei arrivata strisciando. »

La mora apprezzò poco il suo sarcasmo e gli diede di nuovo le spalle, tornando a osservare il panorama della città illuminata sotto di sé.

« Devo chiederti cosa ci fai qui e come hai fatto a trovarmi? »

« Non ti sei fatta viva al Caffè per qualche giorno, e ho sentito Ichigo dire che anche con lei sembravi strana. E, vivi più qui che a casa tua. Non che ti possa biasimare, effettivamente. »

Lei sbuffò appena, poi incassò un po’ la testa tra le spalle: « Pensavo fossi arrabbiato con me. »

Kisshu rise sottovoce: « Diciamo che non mi piace essere additato solo come un superficiale alla ricerca di dieci minuti di divertimento, ma diciamo anche che non mi piace lasciare le cose a metà. »

« Sarebbe a dire? »

« Siamo anche un po’ troppo adulti per mandarci a quel paese senza spiegazioni ulteriori. »

Minto rimase in silenzio a godersi ancora un po’ il fresco del vento contro il viso, ormai conscia che la quiete che era venuta a cercare sarebbe durata poco. Lo avvertì però tentennare, prendersi più tempo del solito per dire qualsiasi cosa fosse ciò per cui l’aveva raggiunta, gli occhi che sentiva ben fermi su di sé.

« Lo so che non ho nessun diritto di chiedertelo - »

« Esattamente. »

« - ma ci hai parlato? »

Lo stomaco le diede un fastidioso tremito a quel pensiero, il senso di colpa che le risalì in gola con un sapore acido.

« Da quando siete tornati, ho iniziato a mentirgli ancora di più, » rivelò con una nota amara nella voce, continuando a fissare avanti a sé « Su chi siete, come ci siamo conosciuti, perché tu insisti con quei nomignoli - » scosse la testa con un risolino sarcastico, « Non mi ero mai resa davvero conto quante bugie compongano la mia vita. »

Kisshu si spostò contro ad un altro lato della parete protettiva, avvicinandosi di più a lei pur mantenendo della distanza.

« L’hai fatto per proteggere te stessa e le altre, » le rispose sottovoce, « E noi, devo riconoscerlo. »

« Non è bello comunque, » replicò lei piccata, « E non è giusto. »

« Vedila così, » l’alieno incrociò le braccia al petto e fece spallucce, « Se tu fossi stata sicura di lui, come persona, probabilmente gliel’avresti detto senza problemi. »

« Che io posso capire cosa si dicono gli uccelli fuori dalla mia finestra, che se la mia migliore amica si agita troppo le spuntano le orecchie e la coda, e che il ragazzo con cui l’ho… tradito in realtà viene da un altro pianeta? »

« Forse non l’avresti tradito, se avessi potuto raccontargli di tutto questo. »

Minto fece scoccare la lingua, infastidita, e lui continuò irriverente.

« Per non parlare poi del biondo che fa le magie col DNA per farvi saltellare in bikini e sconfiggere un cattivone interplanetario parassita del corpo dell'ex fidanzato della tua migliore amica. Sai che diritti cinematografici da paura poteva intascarsi? »

Rise soddisfatto sotto i baffi quando vide sorridere anche lei e scuotere la testa, i capelli sciolti che le ricadevano morbidi lungo la schiena e che sembravano ancora più scuri con la poca luce lì intorno.

« Erano dei bei tempi, eh passerotto? »

« Io avrei un’altra definizione. »

« A proposito, » un sorriso beffardo gli colorò il viso, « Dicevo, tu sicuramente non hai fatto tutte queste scale per venire fino qua. »

Minto gli lanciò uno sguardo d’avvertimento, inclinando appena la testa: « Non ci pensare minimamente. »

« E dai, fammi rivivere un momento della nostra giovinezza. L’hai detto tu stessa che ne senti la mancanza. »

« Come se fosse una cosa così eclatante. »

« Devo mettermi in ginocchio? »

Minto gli lanciò un’occhiata infastidita, poi fece di nuovo un respiro, afferrò il suo ciondolo e chiuse gli occhi alzandosi in piedi. Il familiare tepore della sua trasformazione l’avvolse come una vecchia amica, facendola brillare per pochi secondi, il solletico delle ali e della coda che le sembrarono la cosa più normale del mondo.

Kisshu non si trattenne dal fischiare soddisfatto non appena MewMinto gli si parò di nuovo davanti, osservandola sfacciato e ghignante da capo a piedi. 

« Mi sa che ti sta un po’ più stretto stavolta quel costumino. (3) »

Lei arrossì e incrociò le braccia al petto per cercare di mascherare un minimo la bassa scollatura del suo fedele tubino azzurro.

« Non sei mai adeguato, tu! »

« Scusami, » rise lui, continuando a guardarla come un gatto sornione, « Ma sei davvero molto sexy. »

« Kisshu! »

« Preferisci adorabile? »

« Nessuna delle due opzioni! »

L’alieno rise e si spinse dal muro per inclinarsi verso di lei: « Sicura sicura? »

Minto lo guardò scocciata, arrabbiata per quel continuo battere ostinato contro al petto, e sciolse la trasformazione, strappandogli un mugolio scontento e poi una risatina.

« Scusa, » le mormorò, riportandole una ciocca sciolta dietro l’orecchio e approfittandone per sfiorarle la guancia, « Mi piace farti arrabbiare. »

 « Ho notato, » rispose con un sussurro che tentò di essere convinto mentre cercava di ignorare il piacevole calore delle dita di lui.

« Non mi hai risposto, comunque. »

Il respiro le scappò tremulo mentre istintivamente inclinava la testa verso di lui, fissa sulle labbra così vicine: « Perché ti interessa? »

« Minto, » il suo nome, un rimprovero bisbigliato, le ribaltò lo stomaco, « Smettila di fare la stupida. »

Sentire di nuovo il suo sapore le azzerò ancora il cervello, ma quella volta fu un bacio più dolce, più lento, come se stesse cercando di trasmetterle qualcosa, o forse era solo lei a essere impazzita del tutto. Si staccò dopo poco, incerta delle reazioni del suo corpo, ma rimase lì a percepire il suo calore, scrutandolo come per trovare una risposta a tutto ciò che le frullava per la mente.

E forse lui sembrò capirlo, perché l’accarezzò ancora e sfiorò appena il naso contro al suo: « Ti accompagno a casa? »

La mora annuì, la gola improvvisamente secca e il rimbombo del cuore nelle orecchie che opprimeva qualsiasi altro suono. Per una volta nella vita, fu grata del teletrasporto nonostante il risucchio nauseante, che in una frazione di secondo le fece poggiare i piedi sulla ghiaia del viale d’ingresso.

Kisshu si allontanò di pochi passi e si infilò le mani in tasca, fece un cenno verso la casa dalle finestre buie e sorrise: « Non ti perdere, mi raccomando. »

Lei tentò di ricambiare senza troppo successo, poi sospirò: « Buonanotte, Kisshu. »

« Buonanotte passerotto. » 

 

 

Non fu sicuramente una bella notte, per la ballerina. Continuava a girarsi e rigirarsi nel suo lettone, senza riuscire a prendere sonno: sentiva troppo caldo, si scopriva e congelava, si rimetteva accoccolata tra le coperte e si sentiva soffocare, scopriva un braccio o una gamba e di nuovo il freddo era troppo insopportabile. Per lei era assolutamente insostenibile, non aveva mai avuto problemi in vita sua ad addormentarsi, nemmeno prima di spettacoli importanti, e ora per un bacio…!

Per tutto ciò che ne scaturiva, davvero.

Si addormentò a notte inoltrata, ottenendo solo un sonno poco profondo e poco riposante, intermezzato da strani sogni, e si ridestò alle prime luci del mattino, con i cinguettii allegri degli uccellini fuori dalla finestra che le fecero da sveglia. Gemendo ad alta voce, la faccia affossata nel cuscino e la consapevolezza che, tanto, non sarebbe riuscita a riaddormentarsi, si buttò giù dal letto per affrontare la giornata. Non ebbe nemmeno la forza di guardarsi allo specchio, ben sapendo che avrebbe avuto un aspetto orribile. Grata che fosse sabato mattina e che non dovesse presenziare a teatro, per una volta, si trascinò di peso al Caffè, ben sapendo che gremito come sarebbe stato, nessuno avrebbe fatto troppo caso a lei, e che sarebbe stato troppo presto perché le sue amiche fossero già lì.

Solo di un paio di persone aveva la certezza della presenza nel weekend.

Come aveva previsto, Kisshu, che a volte era più abitudinario di un gatto, era già lì, nel suo tavolino preferito in un angolo che gli permetteva di avere un’ottima visione di tutto il locale e al tempo stesso di poter scappare a uno degli altri piani o in cucina quando ne avesse avuto voglia.

Forse l’aveva sentita entrare, nonostante il fracasso, o forse la stava aspettando, non appena lei oltrepassò l’uscio lo sguardo dorato la raggiunse, e l’alieno le rivolse un sorriso tentennante alla sua espressione abbattuta.

Minto fece un respiro veloce e si portò indietro delle ciocche sfuggite alla treccia veloce che le cadeva su una spalla, un misero tentativo di darsi un po’ di tono nonostante l’esaurimento, mentre senza pensarci lo raggiungeva e scivolava sulla sedia accanto alla sua.

« Posso? » gli domandò, accennando alla caffettiera ancora fumante che gli stava davanti.

Kisshu annuì e abbozzò un sorriso: « Sicura non ti faccia schifo bere da dove ho bevuto io? »

La smorfia che la ragazza gli rivolse, mentre afferrava la tazza e quasi ci annegava dentro, gli fece capire che davvero non era il momento di scherzare. Non pensava di aver mai visto Minto con quell’espressione, nascosta sotto l’evidente stanchezza, un faccino preoccupato che la faceva sembrare più piccola. Avrebbe voluto carezzarle una guancia in un gesto di conforto, ma sapeva che l’avrebbe decisamente ucciso in un contesto e una situazione simile, perciò si limitò a sfiorare il dorso della mano con un dito.

« Tutto okay, passerotto? »

Lei si limitò a scrollare le spalle, riempendosi un’altra volta la tazza di caffè e soffiandoci sopra un paio di volte, senza voltarsi verso di lui.

Kisshu osservò per qualche secondo il suo viso pensieroso, prima di darle un colpetto con la spalla: « Sputa il rospo. »

Minto continuò a fissare il bordo della tazza.

« Mi sento in colpa, » esclamò dopo un po’, « Per… ieri. Non sarei completamente… lo sai. E per tutto. »

« Ti ho già detto come la penso. »

« Ci sono un sacco di cose che tu non sai, Kisshu, » sbottò lei, ritirandosi quando una cliente che passò lì accanto la guardò incuriosita, « La mia vita è… complicata. »

« Mmhm, » lui appoggiò una guancia al pugno chiuso e la guardò con le sopracciglia alzate, « Ti prego, illuminami mentre continuo a camuffarmi perché io vengo da un altro pianeta. »

La ragazza gli lanciò un’occhiataccia: « Non sei simpatico. Tu non hai una famiglia molto esigente che non ammette comportamenti al di fuori di quelli prestabiliti. »

« Ed è per colpa di questa famiglia che ora sei qui come un gattino abbandonato? »

« … anche, » Minto lo guardò di sottecchi, prendendo un respiro profondo e pigolando sottovoce, « Mi sono comportata male con tutti. »

« Già ammetterlo per te è un passo avanti. »

« E non so che devo fare, » lo ignorò, giocherellando piano con la tazza da cui aveva bevuto solo per non tenere le mani aperte sul tavolo.

« Non so se io sia la persona giusta a cui chiederlo, tortorella, » rise sottovoce Kisshu, « Potrei essere leggermente di parte. »

Alla ballerina scappò un mezzo colpetto di tosse agitato, poi scosse la testa nervosa: « Non è che posso discuterne con le altre. »

« Cos’è, ti vergogni? »

Lei ebbe il coraggio di tirargli una gomitata per il tono poco velatamente offeso in cui lo disse: « Non è un comportamento corretto facile da sbandierare ai quattro venti. »

« Lo stai facendo ingigantendo un po’, a parer mio, ma okay. »

Minto sbuffò contrariata: « Forse sei tu che sei abituato male. »

« Non mi conosci per queste cose, tortorella. Mi sarò anche divertito, in vita mia, ma non sono così terribile. »

Lei si mosse a disagio sulla sedia: « … mi stai dicendo che sono peggio di te. »

« No, tortorella, ti sto dicendo che non ci sono verità universali e che nella vita succede, ogni tanto, di fare cazzate che non sono la morte di nessuno. »

 « Cosa faresti tu se la tua ragazza ti tradisse? »

Lui ridacchiò a disagio e si passò una mano nella frangia: « Allora per me sarebbe chiusa lì. Faccio già fatica così com’è a fidarmi delle persone. Forse le chiederei il motivo, forse no, ma non credo riuscirei a rimanerci. »

Minto lo guardò storto: « Forti principi morali quando si tratta di te, eh? »

« Ehi, lo sai che quando voglio qualcosa, faccio di tutto per ottenerlo. »

Lei studiò un istante il suo sguardo, poi gli domandò: « Cosa vorresti, quindi? »

Kisshu si rilassò sulla sedia: « Adesso, che tu mi faccia un bel sorriso. »

La mora sbuffò, si sorresse la fronte con una mano: « Non ne ho molta voglia ora. »

L’alieno rifletté un paio di secondi, poi le si avvicinò e le tese la mano: « Ho un’idea. »

Minto lo guardò estremamente dubbiosa, senza spostarsi: « Ovvero? »

Lui alzò gli occhi al cielo e sospirò, allungandole ancora di più la mano: « Giuro che non è niente di scandaloso o pericoloso, fidati per una volta. »

Lei valutò con cura la proposta di passare dell’altro tempo da sola con lui, visti gli ultimi accadimenti, poi fece un respiro e accettò il suo palmo, lasciandosi tirare in piedi e poi verso l’uscita sul retro del Caffè. Continuò a tirarla lungo il sentiero che dal locale portava al parco lì circostante, per poi condurla in una zona in cui gli alberi si infittivano, offrendo un po’ di protezione dalla vista degli altri visitatori.

« Kisshu, mi spieghi cosa stai facendo? »

Kisshu si guardò intorno un paio di volte, controllando effettivamente quante altre persone fossero lì nei paraggi, poi si voltò verso di lei con un sorriso furbo.

« Trasformati. »

« Cosa? »

« Su, prendi il ciondolino, sfavilla qualche secondo e tira fuori le alucce. »

« Kisshu, non ho intenzione di accontentare nuovamente le tue fantasie adolescenziali. »

« Aaaah, non è per quello, dammi retta per una buona volta e trasformati. »

Minto lo osservò dubbiosa, poi con un sospiro estrasse il ciondolo Mew dalla borsa e fece come le aveva chiesto.

Lui la guardò contento, incrociò le braccia e fece un passo verso di lei: « A parte il piacere di vederti così, è meglio se qui sei in forma rinforzata. » 

Lei non fece in tempo a chiedergli a cosa si riferisse, che estrasse dalla tasca un piccolo strumento simile a una pulsantiera tonda con sopra inciso un simbolo che le risultò familiare. Kisshu l’afferrò di nuovo per la mano e premette il pulsante; Minto ebbe la netta sensazione di essere risucchiata con un pop, come se il terreno le scomparisse da sotto i piedi e al tempo stesso qualcuno la tirasse per un fianco verso destra.

Barcollò appena quando il suolo le ricomparve sotto le scarpe, udendolo ridacchiare appena mentre le stringeva forte il palmo per stabilizzarla.

« Niente da fare per te e i metodi di trasporto alieni, eh colombella? »

Le ci volle un minuto per abituare gli occhi alla strana luce di quell’ambiente, vivace eppure tenue, come se ci fosse un velo davanti a lei. Li riaprì e sbatté le palpebre un paio di volte, ancora più confusa di prima, mentre la borsetta le scappava di mano. La prima cosa che pensò fu di trovarsi dentro un enorme hangar senza tetto e dalle pareti rigogliose di vegetazione, tutto reso stranamente etereo dalla luce azzurrina che lo pervadeva. Rimase a bocca aperta mentre cercava di elaborare l’informazione di essere passata dal boschetto del Caffè a lì, tentando di comprenderne le dimensioni, la strana tinta di quello che poteva definire cielo, l’odore dolce di una foresta e la sensazione che l’atmosfera fosse più pesante di quella terrestre.

« Pai ha la responsabilità di questo posto, quindi perdona la poca fantasia. L’addobbo floreale è da parte di Taruto. »

« Dove siamo? »

« Detta brevemente, in una dimensione parallela. Una tana in più per noi, se vuoi. »

Minto fece un giro su sé stessa, poi strabuzzò gli occhi puntando il dito contro ciò che le si era parato davanti: « Quella è…? »

Kisshu annuì soddisfatto mentre guardava l’astronave con una punta d’orgoglio negli occhi: « Non sapevamo dove parcheggiarla, e Shirogane ha rotto le scatole, quindi l’abbiamo relegata qua. Io e Taruto usiamo anche questo spazio per allenarci, in maniera seria, ogni tanto, e Pai lo usa per comunicare con i suoi superiori sui risultati delle loro ricerche. »

« Mmh, immagino che Ryo sia estasiato da questa prospettiva. »

L’alieno rise divertito, poi la guardò con un sorriso: « Qui puoi essere quello che vuoi. »

Minto si guardò intorno stupita, testando saggiamente il terreno con la punta degli stivaletti, come se avesse potuto cedere da un momento all’altro.

« Quant’è grande? »

Kisshu scrollò le spalle, incerto: « Eh, sai com’è fatto Pai, non sarà enorme… ma un bel voletto te lo puoi fare senza problemi. »

« Dovrei starci io, qua dentro? »

Lui ghignò furbo: « Se non divulghiamo la notizia, è meglio. »

« Mmhm, » lei si azzardò a fare qualche passo, guardandolo appena da sopra la spalla, « Quindi a cosa devo quest’onore? »

« Ti ho promesso che ti avrei portata a volare, no? » lui piegò appena la testa da un lato e le fece l’occhiolino, « Non sarà un giretto sull’oceano, per quello dovremmo aspettare la notte. »

« Certo, così poi a Shirogane verrebbe un colpo, » rise sottovoce lei, continuando a guardarsi intorno, le piume delicate delle ali che fremevano piano, « Pensi che non tenga tutti i rilevatori accesi? »

« Qua non ci trova sicuro, o sarebbe stato più facile per voi venire a disturbare, al tempo. »

Minto gli lanciò un’occhiataccia al tono casuale e canzonatorio che usò, poi decise di dare ascolto ai suoi geni aviari e scosse delicatamente le piume della coda: « Facciamo a gara a chi vola più veloce? »

Un ghigno furbo si dipinse sul volto dell’alieno: « Non sarò un gentleman, sappilo. » 

Lo vide partire di scatto prima ancora che lei potesse ribattere, scoccandole un occhiolino veloce da sopra la spalla                 quando la sentì gridargli dietro. Lo seguì svelta, volando dritta fino all’apertura curva del tetto e prendendosi un secondo per ammirare il paesaggio dall’alto. L’hangar sembrava ancora più largo da quella prospettiva, e se da una parte la dimensione sembrava iniziare con esso, dall’altro lato poteva scorgere qualche dolce collina verde, con uno spiazzo di terra battuta che interpretò come uno dei luoghi di allenamento dei tre.

« Tortorella, vuoi perdere in partenza? »

La voce scanzonata dell’alieno la riscosse, e riprese a rincorrerlo; sentiva il cuore battere forte mentre il vento le sferzava contro al viso, una familiare adrenalina che le vibrava nelle vene e le ali che battevano vibranti e forti nonostante il tempo passato. Chiuse gli occhi per un istante, godendosi la sensazione di totale libertà, lasciandosi cullare dall’aria e dall’odore di quel luogo, dalle risate che poteva udire dell’alieno e forse, per qualche strano motivo, anche della sua energia. Quasi dimentica della gara che lei stessa aveva indetto, si lasciò andare a qualche giravolta e piroetta, aprendo le braccia e davvero, lasciandosi andare come faceva solo sul palco.

Si stupì un po’ di quanto potessero continuare a volare, anche se Kisshu la guidò a salire fino a quello che le sembrò l’altezza massima, il cielo che si curvava quasi come sotto una cupola, poi entrambi si lasciarono andare alla gravità, cadendo leggeri verso il suolo e poi riprendendo la corsa.

Lo vide fermarsi di scatto quando arrivò di fronte a un ammasso intricato di rami e radici, le teste degli alberi piegate gentilmente, probabilmente un confine ben visibile di quello strano luogo. Lui poggiò i piedi a terra e alzò le braccia in segno vittorioso, voltandosi verso di lei con un sorriso.

« Kisshu, hai barato! »

« Nooo, ho solo fatto del mio meglio per batterti. »

Lei rise e si portò una mano al petto mentre cercava di riprendere fiato: « Sei terribile. »

Kisshu studiò compiaciuto il rossore sulle guance e l’accenno di sorriso che le coloravano il viso dopo il volo: « Sei tu quella che si è messa a ballare per aria. »

Minto lo guardò con una smorfia, poi svolazzò appena per annusare uno strano fiore che spuntava dall’intreccio di rami, stupendosi di quanto le ricordasse l’odore di un’albicocca.

« Venite spesso qui? »

Quando si voltò, notò che l’alieno continuava ad avere quel sorrisetto soddisfatto che tanto lo caratterizzava, probabilmente per la panoramica che gli aveva offerto.

« Taruto più di tutti – come puoi notare – e Pai ogni due settimane o giù di lì. Io non ne sono un gran fan, vengo solo per sfogarmi ogni tanto. »

« Sfogarti? »

Lui le fece l’occhiolino: « Troppi dolci, troppe belle ragazze, al Caffè si accumulano troppi zuccheri. »

« Ah-ah-ah, » Minto fece finta di ridere,

La osservò ridere ancora, poi fare un respiro profondo mentre la sua espressione diventata più pensosa e simile a quella che aveva voluto cancellare.

« Com’è che per te le cose sono sempre così semplici? »

Kisshu si strinse nelle spalle e diede un calcetto a un pezzetto di radice che spuntava dal terreno: « Sarà una filosofia di vita. »

Minto lo guardò storto e prese a passeggiare lenta lì intorno, abbozzando qualche passetto come faceva tutte le volte che era persa nei suoi pensieri, giocherellando con lo strano terreno polveroso.

« Sai che io ho sempre fatto tutto ciò che si conviene a una brava ragazza? » accennò ad un pas de bourrée e lo guardò da sopra la spalla con un sorrisetto triste, « L’unica cosa su cui non transigevo era la danza. Poi siete arrivati voi. »

L’alieno fece schioccare la lingua: « Non mi sembra giusto darci tutta la colpa. »

« Se vuoi ci aggiungiamo Shirogane, » lei ridacchiò amara e fece una piroetta, le ali che frullarono contente, « Però è vero. »

Kisshu incrociò le braccia al petto: « E quindi? »

« Niente, » scrollò le spalle e abbozzò un arabesque, « Pensavo ad alta voce. »

« Puoi smetterla di saltellare, mi stai facendo venire mal di testa, » lui sbuffò irritato, trattenendosi dall’afferrarla per le spalle e piantarla in una posizione soltanto, « Siamo un po’ troppo vecchi per accusarci su certe cose, no? »

« La mia vita andava benissimo, prima che arrivassi tu con le tue moine. »

« Invece a te facevano schifo le attenzioni, » Kisshu rise amaro, per nascondere la nota di irritazione che non riuscì a controllare, « Io ci avrò anche provato, tortorella, ma tu mi hai dato corda. Il tango si balla in due. »

La vide fare una smorfia, probabilmente punta sul vivo e nell’orgoglio, lei che sempre si proclamava al di sopra dei vizi e degli errori degli altri. Si azzardò ad avvicinarsi, sfiorandole una gota con le nocche.

« Ammettilo che c’era qualcosina e non me lo sono inventato solo io. Un po’ ti conosco, sai. »

Gli occhioni scuri tremolarono un istante: « Dirlo con quel tono soddisfatto non ti porterà da nessuna parte. »

« Per una volta che ho ragione… »

Minto allontanò appena il busto, soffiando tra i denti e giocherellando di nuovo con una foglia carnosa e vivace.

« Io e te siamo abbastanza diversi, non trovi? »

« Biologicamente parlando o… » lui tentò la battuta, ma poi si schiarì la gola quando vide l’occhiataccia un po’ triste che lei gli rivolse, « Non vuol dire che sia un problema. »

« Ci sono un sacco di cose che non sai. »

« L’hai già detto, e lo so. Ma mi è anche parso di capire che io, a differenza di altri, sia a conoscenza di un sacco di cose molto importanti. »

La mora realizzò che probabilmente non aveva mai visto Kisshu stare fermo come in quel momento, lui che sembrava incapace di rimanere in una sola posizione per più di qualche minuto, sempre a gingillarsi nervosamente con qualsiasi cosa, scomposto su ogni seduta. Forse era la convinzione che poteva sentire nelle sue parole, si disse, che lo manteneva saldo, le mani infilate con nonchalance nelle tasche in contrasto con la schiena dritta e lo sguardo deciso.

« Chi sei venuta a cercare oggi, tortorella? »

Minto sbuffò e girò la testa, stringendosi le braccia al petto.

Possibile che lui sembrasse avere più senso di tutte le cose che le erano passate per la testa?

Si rese conto in quel momento che avrebbe solamente voluto tirarlo a sé per la collottola e baciarlo, sentire ancora quella sensazione nello stomaco al contatto della pelle con la sua, il battere irrequieto del suo cuore al suo profumo e al suo sapore intorno a sé.

Invece fece un passo indietro, cercando una zona neutrale e sicura.

« Devo parlare con Eichi, » mormorò, « Pensare, e poi… sistemare le cose. »

Kisshu annuì piano, senza staccare gli occhi da lei, scrutandola forse in cerca di una risposta, poi indicò l’hangar con un cenno della testa: « Vieni, torniamo indietro. L’uscita è di là. »

Camminarono in silenzio, Minto che gli stette a un metro buono di distanza, cercando di non concentrarsi troppo sulla sua schiena, le unghie così conficcate nella pelle nuda delle braccia che quasi fece fatica a scollare le dita per accettare di nuovo la mano che lui le porse prima di riattivare il teletrasporto.

Sciolse subito la trasformazione appena ritornati al punto di partenza, ben più sicura del controllo del suo corpo con abbondanti centimetri di tessuto in più addosso. Il senso di inquietudine che si portava addosso dalla sera precedente le riapparve nello stomaco, e si schiarì la gola per fermare almeno il silenzio.

« Credo che… credo che andrò, » esclamò, accennando appena con il mento al Caffè, « Non ho molta voglia di vedere le altre, Ichigo potrebbe subissarmi di domande. »

« D’accordo, » Kisshu, le mani ancora in tasca, annuì ma non fece cenno di spostarsi da davanti a lei, « Fai come pensi sia meglio, passerotto. »

Lei storse il naso, proprio non poteva mai esimersi dal parlare in doppi sensi in ogni circostanza. Fece un respiro profondo e strinse di più la catenella della borsetta: « Ci sentiamo, okay? »

« In ogni caso? »

« Kisshu. »

« Chiedevo solo, » le spostò la treccia dietro la spalla, sfiorandole il collo con abbastanza lentezza per percepire, sotto la punta delle dita, il cuore che batté erratico quando aggiunse in un sussurro deciso, « Minto. »

Gli ci volle molta convinzione per allontanarsi, ben sapendo da come aveva reagito lei prima che non avrebbe potuto spingersi oltre, in quel momento; lasciò cadere la mano lungo il fianco e le lanciò un sorriso affettato, prima di fare dietrofront sui tacchi con un mezzo fischio e incamminarsi lungo il sentiero, il sospiro pesante che le scappò che risuonò chiaro al suo udito.

 

 

Today

 

 

Eichi bussò piano contro lo stipite della porta, per annunciare nuovamente il suo arrivo.

« Eichi, » esclamò Minto, alzandosi dal pianoforte e facendo due passi verso di lui prima di bloccarsi all’improvviso, « Cosa… »

« Sono venuto a portarti un po’ di cose tue che ho trovato in giro, » le sorrise e alzò la busta di carta che aveva con sé, « Non c’è molto, solo un libro, qualche nastro per capelli e un paio di ricambi di danza. »

« Grazie, » lei inclinò un poco la testa in un accenno di inchino, tenendo le mani composte lungo i fianchi, « Come stai? »

« Tutto a posto, » annuì quasi convinto mentre evitava il suo sguardo e appoggiava la busta lì accanto, « Tu stai bene? »

« Io… sì, » la mora esalò pesante a quella sillaba, lasciando cadere le spalle in sollievo, « Ho solo bisogno di un po’ di tempo per… »

« No, capisco, » la interruppe lui, lisciandosi la camicia perfettamente stirata in un gesto di nervosismo, « Volevo dirti che mi dispiace, Minto, non… non essere stato abbastanza. »

« No, Eichi, non è quello, » Minto scosse la testa e fece un passo avanti, sentendo improvvisamente il senso di colpa rimpossessarsi di lei, « È che io… te l’ho detto, io non… tu ti meriti qualcuno che sappia davvero condividere con te tutto ciò che vuoi. »

« Lo so che… il rapporto che tu hai con gli altri, io non posso capirlo, » il ragazzo si strinse nelle spalle, « Non sei mai stata come le altre, Minto, per quello mi piacevi. Ma capisco se… se le cose differenti ci hanno allontanato perché non potevo capirle. Come comprendo il perché tu possa aver… cercato qualcuno che invece non avesse questo problema. »

Lei annuì, conscia di meritarsi un po’ la frecciatina che sapeva lui non aver detto con quell’intento: « Non so se il risultato sarebbe stato diverso se… se io non avessi… »

« Infatti, capisco, » Eichi le sorrise ancora e stese il braccio per afferrare ancora la maniglia della porta, facendo per uscire « Ti auguro davvero il meglio, Minto-chan. Spero che troverai ciò che cerchi. »

« Eichi, aspetta, » Minto fece un respiro profondo, lo guardò dritto negli occhi e scosse la testa, « Non… non pensi, a volte, che siamo stati insieme solo perché… dovevamo? »

Lui sembrò pensarci su un secondo, poi strinse le labbra in un’espressione dolcemente rassegnata: « A me sarebbe andato benissimo lo stesso. »

Uscì e si chiuse la porta alle spalle, senza lasciarle il tempo di aggiungere altro. Lei esalò il respiro e si lasciò cadere sul bordo del divano, mordendosi un labbro.

Forse si sarebbe sentita un po’ meno in colpa, un po’ meglio, se avesse provato una tristezza maggiore, o un senso di vuoto come già le era successo in passato – era stata una storia importante, non l’avrebbe mai negato, aveva creduto anche davvero che sarebbe stata la storia…

Però nella testa continuava solamente ad avvertire quel fastidioso ronzio, quella caotica confusione che la destabilizzava e che non riusciva a domare. Le sembrava di aver perso del tutto il controllo, anche ora, di non riuscire a pensare chiaramente a nulla. Aveva solamente voglia di rimanere da sola, lontano però da quella casa così dannatamente silenziosa e piena di ricordi diversi, per passare del tempo con sé stessa e capire, sul serio.

Afferrò il cellulare da sopra il tavolino in cui lo aveva appoggiato, scorse la chat e scrisse un messaggio veloce, prima di alzarsi e affrettarsi verso la sua camera.

Se già aveva smesso di agire solo di testa, tanto valeva seguire anche quell’ultimo impulso e ritrovare la calma. 

 

 

§§§

 

 

Minto si chiuse lo sportello della macchina alle spalle e fece un sorriso di ringraziamento al vecchio autista, che le ricambiò dal finestrino abbassato con un tocco di cappello prima di rimettersi in marcia. Rimasta sola, fece un respiro profondo mentre osservava l’alto palazzo di fronte a sé, cercando con lo sguardo le finestre che avrebbero potuto appartenere all’appartamento che le interessava.

Si diede mentalmente della sciocca per il nervosismo che stava provando costantemente da quella mattina, quando appena poggiate le valigie sul pavimento della camera aveva preso la decisione di prepararsi e uscire nuovamente per mettere un punto fermo a tutta la situazione.

Non era certo il momento di farsi prendere dal panico, ora.

Tirò indietro le spalle e si avviò verso l’entrata, digitando il codice d’accesso che una Purin ghignante aveva condiviso con lei per evitarle di suonare il campanello del portone principale – una mossa da codardi, davvero, doveva ammetterlo. Come se le sue buone maniere non le avessero fatto annunciare la visita “a sorpresa”.

Ricontrollò il messaggio che l’amica le aveva spedito per confermare il piano e il numero dell’appartamento e pigiò il pulsante dell’ascensore, adducendogli la colpa della capriola che fece il suo stomaco.

Un lungo pianerottolo le si parò davanti, costellato da porte verdi tutte dello stesso colore. Il rumore del tacco dei suoi stivaletti rimbombò appena sulla moquette un po’ invecchiata mentre cercava alla sua destra il numero giusto e si fermava lì davanti con, di nuovo, quella sgradevole sensazione di panico alla gola.

Fece ancora un respiro profondo e, questa volta, bussò con fare convinto, facendo un cortese passetto indietro e stringendo la borsetta tra le mani non appena udì dei passi attutiti aldilà del muro.

Kisshu aprì la porta e l’accolse con il tipico sorriso sornione: « Ah, un uccellino di bosco. »

Minto fece una smorfia: « Sono andata a trovare mio fratello. »

« E sei tornata abbronzata? »

Lei sbuffò al solito tono ironico del ragazzo: « Non ho scelto io la sua location. E avevo bisogno di rilassarmi un attimo. »

L’alieno si staccò dallo stipite a cui era appoggiato e le prese una ciocca di capelli tra le dita: « Due settimane non sono proprio un attimo. »

« Come se non ci fossimo sentiti. »

« Che c’entra, » rispose sottovoce lui con un sorriso, sistemandole lo spesso cerchietto di velluto che indossava, « Magari mi sei mancata lo stesso. »

La mora ordinò al suo cuore di comportarsi in maniera civile anche con quel tono di voce, e piegò appena la testa di lato: « Non mi fai entrare? »

Kisshu continuò a sorridere e si fece di lato, alzando un braccio in maniera comica per farle strada: « Prego, madamigella, benvenuta nella mia umile dimora. »

Lei alzò di nuovo gli occhi al cielo ed entrò con un flebile permesso, osservando curiosa il piccolo ma accogliente appartamento che i tre fratelli Ikisatashi condividevano (e che lei fu molto grata fosse vuoto, in quel momento).

« Salotto, cucina – che è il regno di Retasu e di Purin, non guardare me, non so come faremmo senza quelle due – là in fondo c’è il bagno e qui le camere. »

« Un bagno diviso tra voi tre, potrei avere gli incubi. »

« Chi pensi pulisse nell’esercito, tortorella, fammi capire. »

Lei sbuffò appena divertita e lo seguì dietro l’angolo alla fine del corridoio principale, tentennando appena prima di oltrepassare la soglia della sua stanza.

« E questo è il mio nido. »

Minto entrò con calma, guardandosi attorno curiosa e già con il ventre che scalpitava contento a sentire il fievole odore di lui tutto intorno a sé. La camera era ordinata in una maniera che lei non si sarebbe mai aspettata, perciò alzò un sopracciglio, scettica.

« Stavi aspettando qualcuno? »

« Mi ero stancato del borbottio di mio fratello, » rispose lui con una nota allegramente irritata nella voce, « A volte mi fa sentire la nostalgia dei superiori, erano meno rompiscatole di lui. »

Lei si lasciò andare ad un sorriso e sfiorò con un dito la scrivania vuota se non per un pc con uno schermo extra e un paio di occhiali da sole.

« Scommetto che l’armadio sta per esplodere. »

« Passerotto, non tutti possiamo avere una sala da ballo per armadio. »

Lei storse il naso e si avvicinò allo scaffale vicino a una finestra, per far scorrere lo sguardo sui fumetti e libri lì riposti. Poteva avvertire lo sguardo scanzonato del ragazzo vicino a lei, che si lanciò a sedere sul letto con poche cerimonie, inclinandosi all’indietro e poggiandosi sui palmi. 

« Allora volevi dirmi qualcosa? » le domandò irriverente.

« Volevo vederti, » rispose semplicemente lei, facendo qualche passo in avanti.

Kisshu si portò a sedere dritto, afferrandola dolcemente per la vita per farle coprire anche gli ultimi centimetri. Erano quasi alti uguali in quel momento, fu il pensiero che le balenò a caso nella mente, abbastanza perché lui potesse sfiorarle la fronte con la sua.

« Vai subito al dunque, eh? » borbottò, aggrottando le sopracciglia ma non accennando a spostarsi.

L’alieno rise e le tamburellò le dita suoi fianchi: « Non sto facendo nulla. »

Minto inspirò a fondo e poggiò le mani sui suoi avambracci, tenendo lo sguardo basso e aggrottando appena la fronte.

« Volevo vederti, » ripeté più convinta, « Anche quando ero con Seiji. Nemmeno lui sa tutta la verità e… è così difficile. Tu… »

Lui sorrise sornione: « Io ho ragione. »

La mora gli lanciò un’occhiataccia: « Tu sei insopportabile. »

 « Da che pulpito. »

Le fece appena il solletico, addolcendole lo sbuffo mentre si incastrava meglio tra le sue gambe: « Lo sai che ci sono cose che tu non conosci, e anche io non so se… ma non voglio stare in gabbia. »

Le mani di Kisshu si erano spostate per premerle un po’ più decise sulla schiena: « Mademoiselle Aizawa finalmente segue un po’ di più l’istinto? »

« Non vuoi sapere cosa mi dice l’istinto su di te. »

« Ah, » lui sorrise ancora e strinse appena le dita sul tessuto del vestitino rosso, « Invece direi di sì. »

Minto sentì lo stomaco sfarfallare deciso e il cuore salirle fino in gola, spostò lenta le mani sulle sue spalle e sfregò appena il naso contro al suo, stupita di non aver ancora dato retta alla vocina nella testa che le gridava di lasciarsi andare.

« Sono… due anni e mezzo che… »

Kisshu sorrise appena, iniziando a sfiorarla con le labbra sulla mandibola, il collo, l’incavo della spalla.

« Mi accontento dei baci, » mormorò sottovoce.

Minto rabbrividì appena alla vibrazione contro la sua pelle: « Sei un bugiardo. »

Lui ghignò felice, prima di tuffare la mano tra i boccoli corvini per tirarla a sé e conquistare le sue labbra: « Ne parliamo dopo. » 

 

 

Si tirò il lenzuolo sulla testa, sbirciando da una fessura la schiena nuda di Kisshu che in due salti copriva la distanza fino alla porta e parlottava amabilmente con uno dei suoi fratelli senza aprirla troppo e rivelare chi si stesse letteralmente nascondendo nel suo letto.

Lo sentì ridere, e il cuore le sfarfallò sciocco nello stomaco mentre studiava il corpo a cui si era aggrappata con trasporto fino a poco prima, il sangue che le rifluì dispettoso alle guance.

« Era solo Taruto, » l’alieno diede un giro di chiave e ritornò con un sorriso verso di lei, lanciando noncurante i pantaloni della tuta di nuovo da qualche parte per la stanza prima di infilarsi sotto le coperte, « Lui non è il rompiscatole della famiglia. »

« Meno male che Purin non c’è, » esalò Minto, sollevata, « O non sarei uscita viva da qui. »

Kisshu le scostò un boccolo dalle tempie: « Sono un maestro delle fughe, sai. »

« Ah, immagino – ehi! » la mora si divincolò con una risata genuina quando lui prese a farle il solletico per il tono con cui gli si era rivolta.

Quando riprese fiato, sentì ancora le guance bruciarle per il modo in cui la stava fissando, rendendosi conto di quanto fosse a suo agio così, pelle contro pelle senza nient’altro tra di loro. Gli si fece più vicina, chiudendo gli occhi quando lui le lasciò un paio di baci sulle spalle e sul petto.

« Potremmo andare da te per il dessert, » mormorò, « Senza nessuno tra le scatole. »

« Mh, e io che pensavo fosse solo un antipasto. »

Kisshu le lanciò un’occhiata tra lo scioccato e il divertito, facendole il verso mentre si metteva a gattoni sopra di lei: « Ah-ah-ah. Magari mi stavo solo accertando di lasciarti con la voglia di tornare per il bis. »

Minto alzò gli occhi al cielo, sotto sotto divertita: « Non sarai mai modesto, tu. »

« Tortorella, anche tu ti sei dimostrata apprezzativa. »

Rise di gusto alla sua espressione irritata e le fermò le mani, intrecciando le dita con le sue, giusto in tempo perché lei non se lo scrollasse di dosso facendolo cascare a terra, poi le rubò un bacio.

« Se proprio lo vuoi sapere, » sbuffò divertito e la guardò dritta negli occhi, compiacendosi del rossore che le continuava a colorare le gote, « Ero anche un po’ fuori allenamento. »

Minto alzò un sopracciglio con una punta di scetticismo e lo stomaco che le fece una capriola: « Dici sul serio? »

« Vedi che tu non un sacco di cose non le capisci. »

Lei storse il naso, poi fece scorrere leggera le dita lungo le sue spalle, le clavicole e il petto, disegnando ghirigori immaginari: « Definisci un po’. »

« Da prima del compleanno della micetta. »

« Un mese?! »

« Lo sai anche tu che è più tempo di così. E tu scusa, quanta pausa hai fatto? »

Minto, evitando il suo sguardo, borbottò qualcosa di incomprensibile che lo fece ridere, si ristese accanto a lei e le sfiorò lo zigomo col dorso della mano.

« Poi a me non interessa, lo sai. »

Lei annuì, allineando quasi automaticamente il corpo al suo: « Però possiamo… andarci piano? »

Kisshu la studiò un istante, continuando ad accarezzarle il volto: « Cosa vuoi fare? »

« Io… io comunque mi sono appena lasciata e… tu non sai com’è la mia famiglia, non ci sono mai però pensavano che… e anche le ragazze, non sono tutti al corrente di certi dettagli quindi… »

« Non c’è bisogno di fare annunci in pompa magna, » il verde le rivolse un sorriso comprensivo, prima di lasciarle un bacio sulla punta del naso, « Sappi però che non ho intenzione di condividerti con altri bellimbusti. »

« Ovvio che no, » sbottò lei, roteando gli occhi, « La stessa cosa vale per te. »

Un sorriso dispettoso gli colorò il viso: « Ah, una relazione segreta degna dei più grandi romanzi. »

« Sei proprio un imbecille. »

« La nobile donzella aveva assaggiato il frutto proibito, e ora non sapeva più come sopravvivere senza! »

« Kisshu! »

Lui rise ancora e la strinse a sé, baciandola contento: « D’accordo, passerotto, ora ti faccio vedere io. »

Minto ridacchiò e si rilassò nel suo abbracciò, un sospiro che le uscì dalle labbra quando lo sentì stendersi sopra di lei e sfiorarle le gambe, poi dedicarsi a quel delizioso punto appena sotto l’orecchio, scendendo un bacio alla volta verso il suo petto, lambendole leggero con la lingua il seno minuto.

Si inarcò appena contro di lui, cercò la sua mano ma quella rimase ferma a disegnarle piccoli cerchi col pollice sul suo fianco mentre la bocca di lui copriva esaustiva ogni centimetro della sua pelle, apparentemente però scegliendo la strada più lunga verso dove lei desiderava ardentemente che andasse.

« Kisshu, » esalò a voce roca, muovendo ancora il bacino contro di lui, « Cosa stai…? »

Gli occhi dorati la fissarono divertiti mentre posava l’ennesimo bacio vicino all’ombelico e uno nell’interno coscia: « L’hai detto tu che bisogna andarci piano. »

Lei si lasciò scappare un singulto e arrossì sotto il suo sguardo, piegando le gambe per farsi più vicina: « Sei un idiot-ah! »

 

 

One year later

 

 

« Allora ci siamo intesi. »

« Signorsì, signora. »

« Davvero, per favore, non ti presentare. »

« D’accordo. »

« Guarda che se ti vedo tra il pubblico mi arrabbio. »

« Rimarrò qua in casa, in pigiama, a fare finta di niente. »

« Bravo, » Minto si sistemò meglio il borsone di danza sulla spalla, prese un respiro e abbozzò un sorriso nervoso, « Allora vado. »

Kisshu le prese dolcemente il volto tra le mani: « Sarai bravissima, » le sussurrò prima di schioccarle un bacio sulle labbra, « Chiamami quando vuoi. »

Lei annuì e quasi corse giù per lo scalone d’ingresso; si voltò appena prima di uscire dall’imponente portone per incrociare il sorriso birbante e gli occhi dorati, le mute conversazioni cariche di aspettative e assoluta comprensione dell’altro.

 

 

Lo scroscio degli applausi proseguì festoso anche quando il pesante sipario di velluto rosso si chiuse di scatto davanti a loro, oscurandogli la vista del pubblico. Minto fece un respiro profondo, si scambiò uno sguardo di vittoria e felicità con il suo partner e il resto della compagnia, poi si mise di nuovo in posizione per il saluto finale. Si inchinò elegantemente un paio di volte quando fu riaperto il sipario, mano nella mano con il primo ballerino, raggiante come lei di felicità al vedere la standing ovation.

Era stato un successo, non c’erano dubbi, anche meglio dell’anno precedente. Non poteva essere più fiera di così.

Regalarono al pubblico un’altra riverenza, prima di sciamare ordinatamente fuori; non fecero nemmeno in tempo ad arrivare dietro le quinte che Minto si sentì ingolfata in un abbraccio di gruppo, le risate e le grida di successo che coprirono il rumore del pubblico. Quasi fu trascinata verso l’uscita senza che i suoi piedi toccassero il suolo, senza poter smettere di ricambiare nemmeno lei tutti i sorrisi e i complimenti, sgusciando all’ultimo tenendo molto stretta la tiara che aveva in testa.

La prima cosa che vide, non appena aprì la porta che conduceva agli spogliatoi, fu un enorme mazzo di peonie rosa, sotto al quale spuntava un paio di gambe.

Un paio di gambe che conosceva molto bene.

Le guance protestarono affaticate al sorriso che si moltiplicò ancora.

« Ti avevo detto di non venire. »

Kisshu le fece l’occhiolino e prese una singola peonia dal mazzo, mettendogliela sotto al naso: « Non potevo certo non venire a festeggiare il successo della mia tortorella. E poi sono rimasto dietro le quinte, tecnicamente non mi hai visto tra il pubblico. »

Lei storse il naso al soprannome, così davanti a tutti, poi lasciò che la tirasse a sé per la nuca, quanto più il largo tutù gli permettesse, e che le rubasse un bacio mentre lei rideva sottovoce.

« Mi sa che ho avuto ragione di nuovo. »

Minto alzò gli occhi al cielo e lo colpì appena sul naso col fiore: « Non vantarti troppo. »

Kisshu rise e accennò allo spogliatoio: « Vai. Dobbiamo andare a festeggiare. Paghi tu. »

Lei finse di offendersi e scosse la testa, avviandosi veloce lungo il corridoio, i piacevoli ricordi di come tutto fosse praticamente iniziato lì che l’avvolsero e la costrinsero a girarsi di nuovo verso di lui per lanciargli un sorriso di gratitudine, che avrebbe detto molto di più di quanto potesse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

(1) Lungi da me ricordare che episodio esattamente, ma è un riferimento al chimero che si mangiò il cellulare di Ichigo il giorno stesso in cui lei doveva andare a un concerto con Masaya (o qualcosa del genere LOL)

 

(2) Io la nota la metto per scrupolo, ma non devo ricordarvi che BB8 è l’ultimo droide di Star Wars, vero? (Ovviamente la rima regge solo in Italiano, ahimè, ma già bassotto in inglese si dice dachsund, volevo evitarmi di complicarmi la vita ulteriormente xD)

 

 (3) Rubata spudoratamente da qua, dalla mente malvagia di Ria, la prima scena nella mia top three di tutto Crossing <3 Qui trovate anche la sua illustrazione!

 

 

 

 

 

***

Potrò mai io essere soddisfatta dal finale di una ff? è dal 2006 che scrivo ed è dal 2006 che ogni volta la fine mi fa assai schifo ^^’’ Sarà la maledizione di Stephen King x’D

Ora posso rivelarvi che la genesi di questa ff nasce da uno dei tanti momenti di noia passati con Ria a svarionare su cose come “Ma chi tra i nostri paladini metterebbe mai le corna, come quando dove e perché?”. Potrei quasi giurare che sia una discussione di molto tempo fa, negli ancora ridenti anni dell’uni, ma non saprei LOL

Comunque, questo è il risultato, from my side. Ci ho messo circa sei mesi a scriverla, ma chi mi segue su FB sa che il 2019 ha avuto un inizio faticoso :3 Spero che per voi ne sia valsa la pensa e che sia tutto IC e in qualche modo “giustificato”. Lungi da me “discolpare” i tradimenti, eh, sia chiaro, ma ognuno è diverso, ognuno vede le cose a modo suo e questa rimane una ff, quindi non me ne vogliate troppo x’D Io rimango dell’idea di chi rompe paga e i cocci sono suoi LOL

La frase iniziale viene da Hungry Eyes di Eric Carmen, tratta direttamente dalla colonna sonora di Dirty Dancing e di cui io lo so un giorno scriverò un’altra storia LOL

Grazie mille a chi è passato nel capitolo precedente – come promesso non vi ho fatto aspettare troppo ;)

Bacioni a tutti e buon weekend!

Hypnotic Poison

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