Do you believe in Old Legends?

di Miss Halfway
(/viewuser.php?uid=102223)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Ritorno a Salem. ***
Capitolo 3: *** Una nuova scuola. ***
Capitolo 4: *** Il Ballo di Primavera. ***
Capitolo 5: *** Su in soffitta. ***
Capitolo 6: *** Il ragazzo misterioso. ***
Capitolo 7: *** L'enigma del ciondolo. ***
Capitolo 8: *** Strane coincidenze. ***
Capitolo 9: *** L'ululato. ***
Capitolo 10: *** Teorie. ***
Capitolo 11: *** Attenta al lupo? ***
Capitolo 12: *** Domande e risposte. ***
Capitolo 13: *** Segreti. ***
Capitolo 14: *** L'appuntamento. ***
Capitolo 15: *** Luna Piena. ***
Capitolo 16: *** Come un Lupo Solitario. ***
Capitolo 17: *** La Notte di Valpurga. ***
Capitolo 18: *** Memorie. ***
Capitolo 19: *** Charles. ***
Capitolo 20: *** Avvisi, aggiornamenti e chiarimenti ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Licenza Creative Commons

Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 4.0 Internazionale
Disclaimer: questi personaggi mi appartengono totalmente, così come le frasi, le descrizioni, le formule e i dialoghi.
Buona lettura.

QUI c'è il trailer.



1) Prologo.

«Cosa stai preparando, nonna? Una torta?» domandai.

«No, tesoro. È un infuso a base di artemisia, aconito e verbena. Serve per tenere lontano il male, bambina mia» rispose lei volgendomi dolcemente lo sguardo.

Aveva sempre modi gentili e pacati mia nonna,

ed io volevo ricordarla proprio così, tranquilla e serena nella sua cucina tra le sue erbe e i suoi filtri magici mentre preparava chissà quale pozione.

«Un giorno non ci saranno più segreti» disse sorridendomi con fare misterioso e con un velo di speranza sugli occhi.

Quel giorno arrivò prima di quanto mi aspettassi ma lei già non c’era più.

Sembrava quasi che gli anni fossero volati senza che me ne accorgessi e che il tempo in quella cucina si fosse fermato.

Ogni cosa era rimasta uguale a tredici
anni fa, proprio come ricordavo.


Ero di nuovo a casa mia, finalmente.



Angolo autrice.
ATTENZIONE!
ULTIMO AGGIORNAMENTO APRILE 2019
Sono ormai anni che rileggo e risistemo questa storia. Tra una cosa e l'altra son passati ormai quasi dieci anni dalla pubblicazione di questo primo capitolo, ma stavolta vorrei davvero poter mettere la parola "fine".
Vorrei puntualizzare alcune cose prima del proseguimento della lettura.
Questa storia, come scritto sopra, vede la sua pubblicazione nel lontano 2010, ma in realtà è addirittura un po' più vecchia. L'idea mi frullava per la testa già da tempo (diciamo 2008 massimo) ma per mancanza di ispirazione non l'ho continuata. Solo dopo aver seguito la serie Vampire Diaries mi sono venuti in mente altri spunti. Troverete infatti alcuni riscontri con, appunto, The Vampire Diaries, Twilight, Streghe, Buffy, True Blood e La bambina della Sesta Luna per quanto riguarda il rapporto nipote-nonna defunta.
Ho eliminato le immagini aggiunte in precedenza che raffiguravano sia i personaggi sia i luoghi descritti (c'è comunque il trailer anche se i personaggi non li immagino più così) e ho lasciato solo la copertina. Ho anche eliminato i POV (punti di vista) degli altri personaggi in modo che la storia sia descritta solo in prima persona senza dunque anticipare nulla come succedeva prima quando inserivo stralci di pensieri degli altri personaggi.
Inoltre ho cercato di incrementare le descrizioni perché prima risultavano troppo scarse, ho aumentato la quantità di testo per capitolo, anche se l'idea iniziale era di farli più corti in modo che ce ne fossero di più.
In questo racconto sono fondamentali gli intrecci, nulla è lasciato al caso, anche i più piccoli dettagli insignificanti si ricollegano poi ad altri come un puzzle. O almeno questa sarebbe la mia intenzione.
Questa è la prima storia a capitoli che scrivo, la prima "seria" diciamo, quelle scritte precedentemente non è che non le considero degne ma son troppo influenzate dalla giovane età in cui le scrissi.
Come scritto nell'introduzione, il penultimo capitolo sarà quello aggiornato, quello nuovo insomma, mentre nell'ultimo troverete altre delucidazioni e soprattutto mi serve per "conservare" le recensioni ricevute in passato che prima o poi risistemerò nei vari capitoli a cui si riferiscono.
Tengo molto a questa storia visto che è "cresciuta" con me ed anche se sa di roba trita e ritrita, comunque mi farebbe piacere qualche recensione :D

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ritorno a Salem. ***


2) Ritorno a Salem.


    Chiunque avesse inventato il detto il buongiorno si vede già dalla mattina aveva pienamente ragione. Infatti, svegliarmi alle 4 del mattino per mettermi in viaggio verso una nuova vita, in una città di un altro stato lontano mille miglia insieme alla mia famigliola allargata, non fu certamente il preludio di una bella giornata.
    Non era ancora spuntata l'alba in quel lontano e freddo giovedì dell'11 marzo 2010: la data è ancora impressa nella mia mente. La data che segnò la mia nuova esistenza. N
onostante la stagione invernale stesse per volgere al termine e la primavera fosse alle porte, il fresco a quell'ora del mattino sapeva di inverno rendendo gelida e tetra anche la soleggiata e allegra Coral Spring. 
    Ancora assonnata ed infreddolita, insieme a mia madre, al suo nuovo marito e ai suoi due figli, Ashley e Jeremy Stanley, i miei odiati fratellastri, mi stavo preparando ad un lungo viaggio in auto di sola andata verso Salem, nello stato del Massachusetts. Prima di partire, mi voltai un'ultima volta a osservare la mia casa: un'unifamiliare bianca, dalle finestre blu e i tetti dalle tegole azzurre che i miei avevano comprato insieme circa tredici anni fa e che mio padre, dopo il divorzio, aveva lasciato a noi, forse questa fu l'unica cosa positiva che quell'uomo avesse fatto. Sebbene lì avessi vissuto anche momenti felici e mi sentissi un po' malinconica nel doverla lasciare e provassi quasi un senso di nostalgia e smarrimento, dovevo ammettere di essere eccitata all'idea di riniziare da capo in una città dove nessuno mi conosceva. 
    Lasciare la calda e frenetica Florida per trasferisci nella casa di mia nonna appena venuta a mancare, in una cittadina che, si racconta, fosse stata popolata dalle streghe, non era il massimo, fatta eccezione per me che, come ho già detto, il cominciare una nuova vita lontano da tutte quelle persone snob e abbronzate sempre con la puzza sotto al naso, era occasione di rinascita. Non ero particolarmente ben voluta 
a scuola, non che fossi mai stata bullizzata o presa di mira, anzi, ero piuttosto anonima e questo mio essere anonima e sentirmi quasi invisibile agli occhi dei miei coetanei forse era addirittura peggio. Il non essere considerati fa sentire inutili e inadeguati. Proprio per questo motivo non avevo molti amici e di conseguenza non avrei sofferto la mancanza di qualcuno. La mia migliore amica, Jane Andrews, si trasferì a Miami per motivi di lavoro del padre, dopo le scuole medie e, sebbene questa disti solo un'oretta di auto da Coral Spring, fu comunque difficile per noi, avendo tredici anni, vederci spesso e mantenere i rapporti. Né mia madre né i suoi genitori erano disposti a far 70km ogni qual volta avessimo voglia di stare insieme né erano disposti a lasciarci prendere il treno da sole. Così, a poco poco, smettemmo di vederci e di scriverci. Non ebbi più una migliore amica e gli anni del liceo furono appunto traumatici senza una figura a cui appoggiarsi e con cui confidarsi. Avere una migliore amica è fondamentale soprattutto a quell'età, per questo fantasticavo tanto sulla mia nuova vita Salem e non ero disperata nel dover lasciare lo Stato del Sole*.
    Al contrario invece, la mia sorellastra Ashley era affranta. Adorava Coral Spring, una ridente cittadina nel sud est della Florida. Lei, a differenza mia, era la classica ragazza tipo del liceo che si vede spesso nelle serie TV per adolescenti: capo cheerleader, non si perdeva mai nessuna delle feste studentesche, partecipava costantemente alle attività extra scolastiche ed ovviamente riusciva sempre a diventare la fidanzata del capitano di football o di qualche altro membro dell'élite scolastica. Ed ovviamente, era bellissima: magra e slanciata ma al tempo stesso formosa e proporzionata, i capelli biondi color miele e gli occhi un po' a mandorla e cangianti. Sua madre doveva essere molto bella, l'avevo vista in qualche fotografia appesa nello studio di Joseph e sia lei sia Jeremy, le somigliavano moltissimo. Quando seppe che ci saremo trasferiti a Salem, lontani dal bell'ambiente e dalla fama che si era costruita, scoppiò in un pianto disperato sottolineando il fatto che presto ci sarebbero state le competizioni e lei, essendo la capo cheerleader, non poteva affatto abbandonare la sua squadra. A nulla servirono i suoi piagnistei per convincere il padre a rimanere da sola a Coral Spring per l'ultimo sempre visto che aveva già diciotto anni e quell'anno si sarebbe diplomata. Odiò ancor di più me e mia madre per questo.
    Per quanto mi riguarda, invece, consideravo sventolare pon-pon per tifare la squadra di football e andare ai balli della scuola una cosa un po’ sciocca, dettato anche dal fatto che non avessi un minimo di grazia nei movimenti e soprattutto perché non avevo una fila di ragazzi dietro con cui andarci. La vita scolastica non mi faceva impazzire ed evitavo al massimo qualsiasi attività extra scolastica. Il problema di fondo nell'odiare la scuola, quella scuola, stava nel fatto che non trascorsi né un'infanzia né una adolescenza felice. Il che peggiorò quando entrarono a far parte della mia vita i miei fratellastri.
    Il loro padre, Joseph Stanley, un cardiologo affermato, sposò mia mamma tre anni fa, cinque anni dopo che il mio se ne andò di casa con un'altra donna a cui seguì, ovviamente, il divorzio con mia madre, Anna Morgan. Prima ancora di sposarsi con mia madre, Joseph venne a vivere da noi insieme ai suoi figli: Ashley, due anni più grande di me, e Jeremy, della mia stessa età, sedici. Nonostante gli anni trascorsi insieme, non avevo legato con nessuno dei due e non li consideravo miei veri fratelli ma ritenevo Joseph alla pari di mio padre. 
    
Il mio rapporto con Ashley e Jeremy rimase abbastanza stabile nel tempo, per lo meno fino a quando non ci trasferimmo a Salem. Sebbene tra noi non ci fossero mai stati seri litigi o grandi rivalità, o così facevamo intendere ai nostri genitori, certi legami non si possono forzare, soprattutto i legami non di sangue. Probabilmente, fra i due, se proprio devo essere sincera, andavo molto più d’accordo con Jeremy, ma per andare d'accordo intendo che fosse più sopportabile di sua sorella. Infatti, al contrario della mia sorellastra, Jeremy era un po' come me, un ragazzo piuttosto anonimo nell'ambiente scolastico e inoltre, sempre a differenza di Ashley, era molto introverso, riservato e taciturno. Quando non avevamo la scuola, trascorreva i pomeriggi chiuso in camera sua, di rado usciva e non aveva tanti amici né scoprii mai se avesse avuto qualche ragazza, da questo punto di vista eravamo simili ma non riuscivamo comunque ad entrare in sintonia. Come Ashley, anche lui aveva un fisico atletico e ben fatto, i capelli castano chiaro e due grandi occhi verdi tendenti all'ambra. Credo che, se solo l'avesse voluto, avrebbe avuto tutte le ragazze ai suoi piedi. A cena, l'unico momento in cui la nostra famiglia si riuniva, Jeremy stava sempre col muso e di malumore. Era abbastanza irascibile ed era meglio non farlo innervosire poiché poteva diventare davvero irritante. Ma solitamente era così taciturno che furono davvero poche le volte in cui lo vidi in preda alla collera. Era proprio un lupo solitario.
    Con Ashley invece, mi trovavo spesso in contrasto, ma mai nulla di grave: il fatto è che eravamo troppo diverse, con abitudini e idee differenti per avere qualcosa in comune di cui parlare. Inoltre l'aver dovuto condividere la mia stanza con lei per quasi tre anni la rese ancora più insopportabile. Insomma, per me lei era come le due sorellastre di Cenerentola in un corpo solo!
    Finalmente però, grazie a questo trasloco, le cose sarebbero cambiate ed ognuna avrebbe avuto i propri spazi e la propria stanza.
    In confronto a Coral Spring, Salem non era molto più piccola: aveva un terzo degli abitanti ma vi era molto poco da fare. Sebbene la città si affacciasse sulla costa dell'Oceano Atlantico, non dava di certo l'aria di essere una città di mare, con feste sulla spiaggia e divertimento assicurato. In passato ebbe, in un certo senso, la sua gloria, divenendo celebre per la caccia alle streghe indetta verso la fine del 1600. Adesso però, la sua fama non ne era che un lontano ricordo. 
    Quando ero bambina, mia nonna Elizabeth mi parlava spesso di queste cose e non mi spaventavano neanche un po’, anzi, a dirla tutta mi incuriosivano e mi affascinavano tantissimo. Ogni tanto la vedevo in cucina intenta a preparare chissà quale infuso o pozione. Ne ricordo una di formula, come se fosse ieri, poiché era quella che preparava più spesso: artemisia, aconito e verbena. La voce della nonna che ripeteva con voce flebile e gentile l'elenco di quelle tre erbe risuonava nella mia mente trascinando con sé tanta nostalgia. «Serve per tenere lontano il male, bambina mia», mi ripeteva. 
    Mia madre aveva vissuto a Salem con lei nella vecchia casa senza un padre (sembrava quasi che questa fosse una tradizione di famiglia), lei però nemmeno lo conobbe. Dopo generazioni si interruppe questa sorta di tradizione dei Morgan: sarà che quasi nessuna delle mie vecchie antenate si fosse sposata ma io fui la prima a prendere il cognome di mio padre: Spencer, Meredith Victoria Spencer. 
    Mio padre non era originario di Salem, ma di Coral Spring. Si trovava lì un semestre per un master di antropologia sul folklore tradizionale e conobbe mia madre che studiava invece archeologia. Si conobbero, si innamorarono e al termine dei suoi studi mio padre si stabilì a Salem dove si sposarono in municipio con un'intima cerimonia.
    Quando nacqui io, per circa tre anni, abitammo tutti insieme nella casa di mia nonna materna, con l'intento di comprare una bella casa lì a Salem non appena i miei avessero messo da parte una buona somma. Nell'attesa di trasferirci in una casa tutta nostra, vivemmo dalla nonna, in una villa grigia e un po’ tetra nelle vicinanze di un piccolo bosco, fino a che i miei genitori stanchi dei continui rumori e delle stranezze che succedevano nei dintorni, volarono dritti in Florida, lì a Coral Spring. Mia madre giurò che non successe mai nulla di tutto ciò quando ci abitavano solo lei e la nonna. Probabilmente mentiva.
    Quando avevo nove anni, mio padre, che nel mentre aveva trovato impiego come docente universitario di etnologia e faceva da tutor ad una giovane ed avvenente dottoranda, decise di andarsene di casa, con lei, lasciando me e mia madre da sole. Così divorziarono.
    Non capii all'inizio, quando vidi le valigie sulla porta e il suo studio (diventato poi camera di Jeremy) vuoto, perché se ne andò né seppi subito il motivo del perché ci lasciò così di punto in bianco, in fondo ero solo una bambina. Prima era solito mandarmi regali, farmi gli auguri di Natale e scrivermi lettere. Adesso era troppo se ricordava di telefonarmi il giorno del mio compleanno, tutta colpa della sua compagna, Angela.
    A distanza di anni, accettai il loro divorzio e fui felice che mia madre si fosse risposata. Joseph era davvero una brava persona, nonostante avesse due figli insopportabili.

***

    Eravamo in viaggio da ore ormai. 
    Il tempo sembrava non trascorrere in quel cubicolo e, pervasa dalla noia, avevo come l'impressione che stessimo andando a 3 km/h in autostrada. Avendo due macchine in famiglia, ci eravamo dovuti dividere: mia madre e Joseph nella jeep e io dentro quel rottame a quattro ruote di Jeremy insieme ad Ashley.
 Direi che attraversare a nuoto l'oceano da Coral Spring a Salem lungo la costa Atlantica sarebbe stato senz'altro più breve e meno noioso che stare ore e ore in due metri quadrati con i miei fratellastri. Ashley, ovviamente, si prese il posto migliore, cioè quello posteriore e io dovetti stare dietro schiacciata tra borsoni e valigie. Non potevo nemmeno rannicchiarmi per dormire un po' in modo da ingannare il tempo perché lo spazio era inesistente. Mentalmente, mi ripetevo che le cose sarebbero migliorate non appena arrivati e che tutto sarebbe andato per il meglio per farmi coraggio e placare, tra l'altro, il mio mal d'auto. 
    Dopo circa otto ore ci fermammo a Charleston, nel Carolina del Sud, per una lunga pausa per mangiare e per riposarci. Dopo due ore ci rimettemmo in marcia. 

    All'imbrunire facemmo un'altra pausa ad Edison, nel New Jersey, e passammo la notte in un motel. Salem non era più così lontana ma dovevamo riposare poiché avevamo guidato, a turno, tutta la giornata. Passammo a prendere un po' di cibo in una stazione di servizio prima di metterci a dormire, ma quasi nessuno mangiò, eccetto Jeremy che, come al solito, era incurante di tutto e di tutti. Joseph era troppo stanco, la mamma era affranta per la morte della nonna ed Ashley era furiosa e in lacrime che voleva tornare a casa. Non volevo sembrare insensibile, ero davvero triste per la nonna, ma vedendo il lato positivo questa era una svolta.
    La mattina seguente, verso le nove, ci rimettemmo in viaggio. Mancava proprio poco ormai.
    Nonostante tutto, il restante tragitto fu piuttosto tranquillo. Fortunatamente Jeremy era piuttosto silenzioso ed Ashley, seppur continuava a lagnarsi, si era rassegnata che almeno per ora non sarebbe tornata a Coral Spring. Inoltre, dopo tutte le strigliate dei nostri genitori affinché andassimo d'accordo, avevamo imparato tutti e tre ad essere tolleranti gli uni con gli altri. Escludendo il tempo usato per soffermarci una notte in motel a Edison e le varie pause ad ogni stazione di servizio che incontrammo lungo la strada, ci impiegammo circa un giorno e mezzo.
    Ero in trepidante attesa. Non vedevo l’ora di arrivare a casa della nonna e voltare pagina alla Florida: per quanto potesse sembrare strano, preferivo di gran lunga una cittadina stramba e tetra piuttosto che la perfetta e soleggiata Coral Spring. 
    Welcome to Salem, un enorme cartello posto a destra della strada ci avvertiva che eravamo giunti a destinazione. La mia nuova vita sarebbe ricominciata lì dov’era iniziata e dove l’avevo lasciata tredici anni fa, a Salem. Nonostante fosse stata spesso descritta come una città sinistra e infausta appariva in realtà piuttosto accogliente. Alla fine quelle che venivano raccontate erano solo vecchie leggende e poi il processo alle streghe fu indetto più di trecento anni fa.
    Ricordavo perfettamente la strada per arrivare alla casa della nonna, sebbene fossero passati molti anni, più che altro mi sembrava di intuire la direzione da seguire una volta giunti nel centro. Nella mia mente, indovinavo quando l'auto dei nostri genitori davanti a noi, girava a destra o a sinistra o di nuovo a destra in direzione della Villa dei Morgan.
    Eravamo arrivati. 
    Mia madre e Joseph parcheggiarono la jeep nel vialetto di fronte ad una grande casa grigia con le finestre dagli infissi scuri al numero 13 di Gemstone Avenue. Aveva l'aria di una villa in rovina abbandonata ormai da tempo, anche se la nonna era scomparsa solo pochi giorni prima, e il piccolo bosco di pini e abeti alle sue spalle la rendeva ancora più misteriosa. Avevo pochi ricordi dell'interno: ricordavo solo che avesse molte stanze perché mia nonna abitava insieme alle sue sorelle (ne aveva tre) e alla loro nonna, tutte fanatiche della stregoneria e tutte defunte, e una soffitta, dove non mi era permesso entrare perché, secondo la nonna, non era ancora giunto il momento. E io obbedii.
    Scendemmo tutti dalle rispettive auto guardandoci intorno spaesati.
    «Siamo arrivati» disse mia madre sorridente alzando le braccia per mostrare la nostra nuova casa mentre Joseph si accingeva ad aprire il cofano per scaricare i bagagli. Il corriere sarebbe arrivato l'indomani per portarci il resto delle nostre cose.
    Si avvicinò una donna tutta in tiro con indosso un bel tailleur viola e i capelli raccolti in un piccolo chignon.
    «Voi siete i coniugi Stanley? Salve, io sono Samantha, l'agente immobiliare» annunciò la signora venendoci incontro. Strinse poi la mano a mia madre e a Joseph e consegnò loro le chiavi. Si era occupata lei di contattarci e di far sì che la casa non venisse venduta, ecco perché ci eravamo trasferiti così in fretta e furia. Mia mamma non voleva assolutamente che quella villa, ormai appartenuta alla sua famiglia da più di due secoli, venisse messa all'asta. Noi eravamo le uniche eredi e non risiedendo a Salem, ci sarebbe stato il rischio che la Villa dei Morgan venisse venduta o peggio: demolita. Ero contenta e mi sentivo col cuore leggero, mi sembrò di essere veramente a casa mia come quando si va in vacanza e, una volta fatto ritorno, ci si sente davvero a casa propria con quell'atmosfera familiare e accogliente.
    Fui la prima ad entrare, non volevo rischiare che uno dei miei due fratellastri mi soffiasse la camera più bella perché volevo la stessa di quando ci abitavo tredici anni fa. Stava al secondo piano, nella parte opposta all'ingresso, e dalla finestra si potevano vedere gli alberi del bosco vicino nel retro dell'abitazione.
    La stanza che avevo scelto non era molto grande ma non mi importava: finalmente avrei potuto avere di nuovo la mia intimità e un armadio tutto mio. Sempre al secondo piano si trovavano le altre due camere da letto: Jeremy scelse quella affianco alla mia che aveva sempre la vista verso la foresta, Ashley si sistemò nella camera di fronte a me affianco al bagno, mentre al primo piano, quello sottostante, si trovavano la camera matrimoniale, un altro bagno, e un'altra stanza che Joseph sicuramente avrebbe adibito a studio. Un'altra rampa di scale in legno ormai dismessa portava alla soffitta, l'unica stanza del terzo piano, in cui non avrei messo piede per rispetto agli avvertimenti che la nonna mi faceva da bambina. Infine, al piano terra c'erano la cucina, il soggiorno, il salotto e un altro bagno.
    Poggiai la mia borsa sul letto come a voler marcare il territorio e tornai giù dagli altri.
    «Sembra...sembra una casa stregata! Bleah!», commentò la mia sorellastra fissando i tetti aguzzi della villa.
    «Beh almeno avrai una stanza tutta per te, Ashley» la rassicurò mia mamma. Anche lei, si vedeva chiaramente, era felice di essere di nuovo a Salem, a casa.
    «E tu, Jeremy, cosa ne pensi?» gli domandò.
    «Mmh» mugugnò facendo spallucce.
    Parlare con quel ragazzo era davvero difficile, non mostrava mai un minimo di entusiasmo. Erano quasi quattro anni che ci conoscevamo e sapevo ben poco di lui. A mio dire non era affatto timido, più che altro sembrava disinteressato a costruire un qualsiasi rapporto umano con chiunque. Suo padre ci aveva sempre detto che il suo carattere chiuso dipendesse prevalentemente dalla sofferenza che provava. Non aveva ancora superato la perdita di sua madre. Sua sorella invece era tutto il contrario di lui, caratterialmente parlando: era una ragazza allegra, ma molto cappricciosa, un po’ superba e viziata e prendeva tutto con superficialità. Forse lei nascondeva così il suo dolore. Jeremy invece, come detto, era introverso, parlava poco e quando diceva qualcosa lo faceva con un certo sarcasmo, quasi con l'intento di far innervosire le persone. Però la maggior parte del tempo se ne stava sulle sue. Io avevo sempre pensato che in fondo fosse più sensibile di quanto facesse trapelare perché voleva dimostrare di essere forte e di non aver bisogno degli altri. 
    Dopo aver scaricato tutti i bagagli i nostri genitori uscirono un attimo per sbrigare alcune commissioni: fare un po' di spesa, comprare delle lampadine nuove da sostituire a quelle fulminate, firmare dei documenti al municipio ecc. 
    Dalla mia stanza sentivo la voce stridula di Ashley lamentarsi con Jeremy su quanto fosse brutto questo posto e su quanto fosse triste per esser stata costretta a lasciare Jason, il suo fidanzato (il suo fidanzato del mese!) e le sue amiche cheerleader, o ancora quanto odiasse me e mia madre perché se avevamo traslocato a Salem fu soltanto colpa nostra.
    «Adesso basta! Smettetela!» gridai uscendo dalla stanza. 
    «Mer, non rompere ok? Sono libera di lamentarmi se ora ci troviamo in questo posto di merda!» sbraitò la mia sorellastra.
    «Mia nonna è morta, abbiate un po' di rispetto per favore!» dissi avvicinandomi minacciosamente al viso di Ashley, che, ahimè, era un tantino più alta e piazzata di me.
    «Non è una scusa per scombussolare così le nostre vite. Io avevo le gare e gli allenamenti e la mia squadra e il mio ragazzo mentre ora non ho niente!» urlò trattenendo le lacrime.
    Jeremy fece per dividerci ma io tornai in camera mia scuotendo la testa.
    Era forse la seconda volta che discutemmo così animatamente ed ebbi una voglia matta di strapparle quei bei boccoli d'oro da quella testa vuota. Capivo la sua rabbia, ma era grande ormai, aveva diciotto anni non poteva piagnucolare come una bambina e fare i capricci. La prima volta che litigammo successe anni fa, poco dopo che vennero a vivere da noi. Lei tagliò i capelli alle mie bambole di proposito. Non glielo perdonai mai. Avevo però promesso a mia madre di comportarmi bene con loro due anche nel rispetto di Joseph che mi voleva bene come se fossi davvero sua figlia e desiderava tanto che i suoi legassero con me.
    Quando sentii il rumore della jeep mi precipitai al piano di sotto facendo finta di nulla. Mia madre era visibilmente triste e Joseph con aria mortificata scaricava le buste della spesa.
    «Cos'è successo?» le domandai. Lei alzò lo sguardo e mi scrutò con aria malinconica, poi senza tanti giri di parole mi disse:«Domani c'è il funerale di nonna» e iniziò a singhiozzare ininterrottamente. Joseph le pose una mano sulla spalla per rassicurarla e mi fece cenno di uscire fuori a prendere le ultime buste della spesa.
    «Quanta roba!» esultò Ashley entrando in cucina seguita da Jeremy.
    «Shh! È per...la veglia» asserì il loro padre. I due ragazzi emisero un ah di delusione e iniziarono a sistemare le provviste insieme a me. 
    A cena eravamo tutti silenziosi. Mia madre non toccò minimamente la pizza che avevamo ordinato, Ashley stava attaccata al cellulare pigiando i tasti in maniera convulsiva, Jeremy era assorto nei suoi pensieri e giocherellava con la forchetta e la mozzarella fusa, Joseph mangiava in silenzio senza distogliere lo sguardo dal piatto e io li osservavo pensierosa. 
    La prima notte nella nuova casa trascorse serena e tranquilla, e lo potevo affermare con certezza perché non avevo chiuso occhio. Non c'era alcun rumore strano o inquietante, solo l'ululare dei lupi proveniente dal bosco che riecheggiava fin qui.

***

    Il funerale della nonna era l'indomani, Sabato 13 Marzo 2010, verso le quattro del pomeriggio, due giorni dopo che con la mia famiglia avevamo lasciato la Florida. 
    La mamma si era presa la briga di contattare le amiche della nonna, i pochi paresti rimastici dal ramo materno, ossia un cugino e sua moglie, e qualche altro conoscente per il funerale e per la veglia.
    La mattina prima della sepoltura, mi convinse ad andare con Ashley che di stile se ne intendeva a comprare un abito per l'occasione mentre lei rimaneva a casa per preparare il buffet della veglia.
    Al funerale, durante la deposizione della bara, c'erano poche persone: un uomo e due donne all'incirca dell'età di mia madre che rimasero tutto il tempo insieme a bisbigliare chissà cosa, una famiglia di afroamericani numerosissima (saranno stati in cinque fratelli, più i genitori, più una donna anziana), una signora sui trent'anni dai lineamenti orientali, probabilmente cinese, ed in fondo in disparte un'altra signora dall'aria familiare.
    Tutti i presenti avevano un'aria più che triste preoccupata, la donna asiatica stringeva i pugni e guardava in basso, la numerosa famiglia rimase sempre agglomerata e immobile e la donna in disparte si asciugava le lacrime con un fazzoletto di stoffa bianca.
    Dopo un po' Jeremy mi fece notare un uomo, anzi, un ragazzo, che da lontano, nascosto dietro un albero del cimitero mi osservava con aria aggressiva. Quando ricambiai l'occhiata svanì dietro il tronco e non lo vidi più. In quel momento non ci feci neanche caso, ero troppo impegnata a compiangere la nonna che purtroppo non avevo nemmeno avuto la possibilità di conoscere bene.
    Quando arrivammo a casa per la veglia, nel mentre che riempivo il mio piattino di plastica di cibo, si avvicinò una donna, quella che al funerale se ne stava in lontananza a piangere e che mi sembrava di aver già visto. 
    «Ciao, Meredith» disse abbozzando un mezzo sorriso.
    «Ehm, ciao, signora.» 
    Aveva un'aria così familiare e sembrava addirittura conoscermi. Mi scrutava con sguardo curioso e un po' titubante al tempo stesso.
    «Tu non mi conosci ma io sì. Povera Elizabeth, era una brava donna, non meritava affatto questa ignobile fine» asserì.
    «Lei chi è?» le domandai.
    «Ah, non importa cara. Sono qui solo per dirti una cosa: devi fare molta attenzione, questo posto è...»
    «Che ci fai qui, zia Sarah?! Vattene via per favore, il patto era che venissi solo in cimitero!» mia madre si intromise nella conversazione con quella donna urlandole contro di andarsene via. Prima che potesse proferire parola, mia madre le urlò di nuovo di andarsene e che non era affatto gradita in quella casa.
    Quella signora che mia madre aveva chiamato zia Sarah e che sembrava, oltre che conoscere me, sapere qualcosa sulla morte di mia nonna se ne andò via. Prima di chiudere la porta d'ingresso mi fissò ancora un po' e poi si raccomandò nuovamente di fare attenzione con un cenno della testa. Tutti gli invitati erano attoniti e dopo un'oretta se ne andarono via anche loro.
    «Chi era quella donna?» chiesi a mia madre nel mentre che l'aiutavo a riordinare.
    «Una sorella di tua nonna, una non molto gradita in famiglia.»
    «Mi avevi detto che erano tutte morte! Perché?» ma non mi rispose ed io non volevo forzarla. Non mi rivelò nemmeno la vera causa della morte della nonna ma si limitò a dire che aveva avuto un malore e che siccome in casa non c'era nessuno che avrebbe potuto soccorrerla, non si salvò.
    Non mi convinse neanche un po' e mille dubbi mi passarono per la testa. Perché quella reazione esagerata contro sua zia?
    Dovevo rivedere quella donna e chiederle spiegazioni, non ero una bambina e avevo il diritto di sapere come stavano realmente le cose.
    La mattina dopo, con la scusa di voler uscire a fare una passeggiata, andai al centro di Salem, mi sentivo come guidata dall'istinto e mi ritrovai di fronte ad una piccola bottega in fondo ad un vicolo. Due lanterne rosse con degli ideogrammi disegnati posti al lato dell'ingresso mi suggerirono che forse lì avrei trovato la donna che era ieri al funerale e che secondo me poteva aiutarmi. E così fu, nel senso lei c'era ma ovviamente non mi fu di grande aiuto.
    «Ciao, posso esserti utile?» mi chiese non appena entrai, poi osservandomi più da vicino mi riconobbe e mi domandò con aria un po' seccata cosa volessi.
    «Lei sa chi era quella signora che c'era ieri al funerale?»
    Ci pensò un attimo. Sapeva benissimo che era la sorella di mia nonna, in realtà rifletteva se dirmelo o meno perché aveva capito che sicuramente le avrei fatto qualche altra domanda, ma alla fine annuì.
    «Sa anche dove abita?»
    «Io non voglio impicciarmi negli affari che non mi riguardano, Ognuno ha la propria...corrente e la signora Morgan è una bravissima persona che non si interessa di cose...strane.»
    «Corrente? Cose strane?»
    «Ma sì, magia, stregoneria, cose così.»
    Da che pulpito proprio! Lei che vendeva spezie, pietre colorate, oggetti strani come scope e calderoni e aveva un gatto nero rannicchiato sulla soglia d'ingresso.
    «Conosceva anche mia nonna? Sa come è morta?»
    «Era una mia cara cliente. Ora, se ti dico dove abita la signora Morgan andrai via e cercherai di tenerti (e tenermi) fuori da queste cose?»
    Ovviamente risposi di sì, ma dovevo tenere d'occhio anche lei perché sembrava conoscere molte cose che temeva di rivelare.
    Quando uscii, chiuse il negozio e abbasso la saracinesca. Non capivo, ma continuai a camminare verso l'indirizzo che mi aveva dato.
    La signora Sarah Morgan viveva quasi dalla parte opposta della città rispetto alla villa dove abitava la nonna, al numero 38 di Port Drive Avenue.
    Bussai. La signora quando aprì, si stupì di vedermi e mi fece accomodare dentro. La sua casa era arredata in modo antiquato e l'ambiente odorava di cera per pavimenti e fumo di sigaretta.
    «Posso offrirti qualcosa?» disse. Non sembrava affatto stupita di vedermi.
    «No, grazie. Sono qui per chiederle di mia nonna.»
    «Mi spiace, non posso aiutarti. Ho sbagliato a venire al funerale, ti prego, è meglio se vai via.»
    «No, la prego io... Cos'è successo? Perché mia madre mi ha detto che tutte le sue zie erano morte?»
    «Ascolta, io non ci ho mai realmente creduto a certe dicerie ma quando alcune donne qui hanno iniziato a morire e poi è toccata la stessa sorte ad Elizabeth, mi sono ricreduta. E ora va, fa attenzione» disse chiudendomi la porta in faccia.
    Erano tutti così enigmatici qui, Salem trasudava mistero in ogni angolo, tutti sembravano avere dei segreti indicibili e io volevo scoprirli tutti.





Angolo autrice.
*Lo Stato del Sole: the Sunshine State, ossia il soprannome dello Stato Federato della Florida.

Credo che questo sia il capitolo che abbia modificato più volte. Lo so che è noioso e non trasuda molta sovrannaturalità e mistero, ho descritto situazioni normalissime come un trasloco o dei fratelli rompipalle o una zia zitellona.
Volevo giusto introdurre un po' il contesto, l'ambientazione e delineare il profilo di alcuni dei personaggi principali e non.
A presto (:

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Una nuova scuola. ***


3) Una nuova scuola.


      La visita alla prozia Sarah si rivelò inutile. Sia lei sia Mei-Lin Xiang, la proprietaria della drogheria presente al funerale della nonna, seppur dubbiose e timorose, sembravano volermi far intendere qualcosa. Qualcosa che temevano di pronunciare ad alta voce e che io dovevo assolutamente scoprire. Entrambe farneticavano di cose strane, di correnti, di magia e addirittura di stregoneria, ma subito dopo affermavano fermamente di non crederci a queste fandonie e di restarne fuori. Secondo me fingevano come fingevano di non sapere come fosse davvero morta la nonna.
    Tornai sconsolata a casa. Era domenica pomeriggio e c'era una gran noia nell'aria: Joseph aveva trovato lavoro in un ospedale poco fuori Salem, mia madre era a far la spesa, Ashley era a fare shopping perché l'indomani saremo andati a scuola e voleva essere impeccabile e Jeremy zappingava col telecomando in salotto davanti al televisore.
    «Dove sei stata stamattina?» mi domandò con tono scontroso quando mi vide sedermi sul divano insieme a lui.
    «A fare un giro.»
    «Non è che eri a cercare quel tipo di ieri?»
    «Quale tipo?»
    «Quello nascosto dietro l'albero, durante il funerale.»
    Mi ero completamente scordata di quel ragazzo. Chissà chi era o cosa voleva o perché fosse lì nascosto. Era un'altra persona, oltre la prozia Morgan e la signora Xiang, che dovevo tenere d'occhio. Sarei andata a fondo in ogni mistero!
    Il resto della giornata trascorse tranquillo, rimasi a guardare la televisione con Jeremy, mangiai e dormii serenamente tutta la notte. Le pareti lilla sbiadite mi davano un senso di conforto e familiarità, l'aria fresca che entrava dalla finestra mi donava un senso di pace e tranquillità. Sì, ero proprio a casa.
    Dormii come un sasso fino alla mattina dopo. Dovevo essere ben riposata perché l'indomani sarei andata a scuola e dovevo fare bella figura: quella era un'occasione per reinventare me stessa e liberarmi dalla nomina di sfigata che mi aveva perseguitato durante i due anni e mezzo precedenti al liceo di Coral Spring.

    Nei tre giorni che seguirono la notizia del decesso della nonna, prima di trasferirci qui a Salem, mia madre e Joseph contattarono il liceo di Salem e sbrigarono tutte le pratiche burocratiche per non farci perdere giorni di lezione anche perché quest'anno Ashley si sarebbe diplomata. Io e Jeremy invece eravamo al terzo anno.

    Mi svegliai di buon ora e cercai di rendermi il più presentabile possibile. Certo, non sarei stata ai livelli di Ashley che per l'occasione si era rifatta interamente il guardaroba ed era già di per sé bellissima. Purtroppo sapevo bene che l'occhio vuole la sua parte e che se davvero avessi voluto uscire dall'ombra in cui ero stata avvolta durante gli anni della scuola e stringere nuove amicizie, avrei dovuto rendermi almeno presentabile. Solo che non avevo nulla di carino da mettermi e per quanto ci provassi a curarmi e agghindarmi continuavo a considerarmi goffa e impacciata e poco attraente, così mi feci coraggio e...
    «Ashley, non è che potresti prestarmi qualcosa?» dissi entrando nella sua nuova camera già perfettamente riordinata e decorata con peluche, foto appese al muro e premi sportivi vari in bella mostra. Lei mi squadrò dalla testa ai piedi e annuì sbuffando. Frugò un po' nel suo armadio e mi passò un paio di jeans attillatissimi a vita bassa e un maglioncino azzurro scollatissimo.
    «Cosa c'è? Non ti piacciono? Sempre meglio di quel che ti metti di solito.»
    Feci spallucce mordendomi la lingua e andai a cambiarmi e a truccarmi un po'. Era tardi, dovevo ancora truccarmi e fare colazione.
    «Quel maglione non va indossato con una canotta sotto, lo sai? Serve per mostrare le tette e così le nascondi- sottolineò Ashley quando scesi in cucina per mangiare-e poi l'ombretto celeste no, ti prego levalo!» feci finta di non averla neanche sentita. Non avevo tempo di cambiarmi e rifarmi il trucco.
    «Come ti sei conciata?» sbeffeggiò invece Jeremy non appena mi vide. Lo fulminai con lo sguardo e andai a fare colazione. Speravo solo di non fare lo stesso effetto ache agli altri studenti. Avevo fantasticato parecchio in questi ultimi giorni sulla nuova me e sul fatto che sarei riuscita ad integrarmi nell'ambiente scolastico di Salem, che a differenza di Coral Spring era una cittadina di provincia, che non avevo messo in conto che poteva anche andarmi peggio. Potevo venir presa in giro o nuovamente messa da parte. Scacciai quei pensieri e corsi a lavarmi i denti. Eravamo pronti. Prima di uscire mia madre si raccomandò di comportarci bene, di fare nuove amicizie e di studiare sin da subito per non rimanere indietro proprio come se fossimo dei bambini il primo giorno delle elementari.
    La Salem High School non era molto distante dalla nostra casa. Anche la scuola che frequentavamo prima in Florida era piuttosto vicina ma da quando Jeremy aveva preso la patente era raro che qualcuna di noi ci andasse a piedi.
    «Beh siete pronti?» esultai appena giungemmo di fronte all'edificio scolastico. Il loro silenzio faceva presagire quanto entusiasmo potessero avere, ma per me, l'idea di frequentare una nuova scuola, era davvero un vero e proprio nuovo inizio. Persi il conto di tutte le volte che lo ripetei. I miei fratellastri non erano molti emozionati all'idea. Ashley era ancora di umore nero e voleva assolutamente entrare nella squadra delle cheerleader mentre Jeremy, come al solito, era impassibile.
    Mi guardai attorno analizzando ogni centimetro dell'edificio scolastico.
    La struttura era piuttosto grande e di color rosso mattone, con un piccolo prato verde che spartiva il corpo principale dal parcheggio. Sia l'edificio sia il parcheggio erano delimitati da delle mura abbastanza alte che terminavano con un enorme cancello in ferro che dava accesso anche alle auto. Non erano in molti ad andare a scuola in macchina, mi sentivo quasi privilegiata. C'era inoltre un altro giardino interno dove si poteva mangiare all'aperto nei giorni di sole ed infine i campi sportivi nel retro. 
    Per prima cosa andammo in segreteria a chiedere l’orario delle lezioni: io e Jeremy avevamo scelto la maggior parte dei corsi uguali per non essere soli e a disagio, anzi, più che altro ero stata io a scegliere le materie uguali alle sue nonostante non fossero propriamente coordinate con il mio precedente piano di studi. Invece Ashley, che era un anno più grande di noi, non aveva questi problemi di socializzazione, fece presto amicizia con il gruppo delle cheerleader di cui tanto desiderava far parte acquistando fin da subito popolarità, mentre io e Jeremy rimanemmo tutto il tempo insieme, ma senza parlare.
    Trovammo subito l'aula per la prima lezione, quella di matematica, e ci sedemmo vicini aspettando che arrivasse il professore.
    Questo entrò pochi secondi prima che suonasse la campanella: era un bell'uomo sulla quarantina, vestito elegantemente in giacca e cravatta e portava con sé una ventiquattrore in pelle.

    «Buongiorno signori- disse il professor Richardson osservando me e Jeremy -abbiamo alcuni nuovi studenti, due dei quali frequenteranno questo corso. Prego» ci fece cenno di alzarci e ci presentò.
    «Il signor Jeremy Stanley e la signorina Meredith Victoria Spencer. Siete fratelli giusto?»
    «Fratellastri» lo corresse Jeremy, quasi a voler sottolineare il nostro non legame di sangue.
    Il professore fece un mugugnò di sorpresa e poi ci esortò a presentarci. Tutti ci guardavano con aria incuriosita, probabilmente perché era raro che qualcuno si trasferisse dalla Florida al Massachusetts, soprattutto in una cittadina come Salem. Jeremy fu il primo di noi a presentarsi di fronte alla classe. Si avvicinò alla lavagna come gli chiese il professore e fece una breve introduzione di se stesso.
    «Mi chiamo Jeremy Stanley, ho sedici anni e vengo dalla Florida.»
    Il professor Richardson lo guardò per persuaderlo ad amplieare la sua descrizione e raccontare qualcos'altro su di sé. Jeremy fece spalluce come a volergli chiedere che diamine si aspettasse e poi aggiunse solo:«Faccio atletica da dieci anni e mi piace leggere». Il professore gli fece qualche domanda sui suoi gusti in fatto di lettura, sulla parte di programma di matematica a cui era arrivato nella precedente scuola e poi gli concluse dicendo che era spiacente poiché alla Salem High School non si praticavano sport individuali ma vi era solo il basket per i ragazzi e la squadra delle cheerleader per le ragazze.
    Jeremy fece spallucce e tornò a sedersi accanto a me. Era il mio turno. Ero nel panico, iniziavo a sudare freddo e avevo il cuore a mille. Se quella di Jeremy era una descrizione scarna, la mia sarebbe stata ancora più riduttiva.
    Presi fiato e mi avvicinai alla lavagna. Avevo la visuale dell'intera classe di fronte a me e tutti mi guardavano con occhi curiosi in attesa che dicessi qualcosa.
   
«Ciao a tutti. Il mio nome è Meredith Victoria Spencer. Sono nata qua a Salem ma ho vissuto praticamente tutta la mia vita in Florida, a Coral Spring. Di recente la mia famiglia ha deciso di ritornare a vivere a Salem ed ora abitiamo nella Villa dei Morgan vicino alla Riserva. Ho sedici anni, come Jeremy, ed anche a me piace leggere, uscire con gli amici, andare al cinema. Insomma le solite cose.»
    Il professore mi ringraziò per esser stata un po' più esauriente del mio fratellastro e fece anche a me qualche domanda sul programma precedente. Tornai a sedermi, in fondo non era stato poi così traumatico.     
    Dopo matematica, avevamo due ore di letteratura, poi alla quarta ora io avevo lezione di spagnolo e Jeremy aveva lezione di francese. In questo caso non potevo affatto iniziare un altro corso di lingue straniere, avrei dovuto prendere lezioni private e riniziare dall'alfabeto. Nuovamente i professori delle discipline successive ci chiesero di presentarci e a che punto del programma fossimo arrivati. Non eravamo molto più avanti rispetto al programma del liceo di Salem. Ripetemmo le stesse presentazioni per altre due volte in maniera robotica e automatica e sicuramente lo avremo fatto anche i giorni seguenti per le altre materie di cui non conoscevamo i professori.
    Durante la pausa pranzo, io e Jeremy, ci sedemmo ad un tavolo per conto nostro nel giardino interno all'ombra di un albero. Si vedeva lontano un miglio che eravamo nuovi e spaesati, mentre Ashley stava già socializzando a quello che, secondo me, era il tavolo a cui sedevano gli studenti più popolari della scuola.
    A un certo punto si avvicinò a noi un gruppetto di tre ragazzi e una ragazza che ci invitarono a visitare un po’ l’istituto e ci diedero il benvenuto. Sembravano simpatici e disponibili. Ovviamente anche qui a Salem non mancavano gli snob, ma non era il caso di quei quattro ragazzi: i fratelli Alexis e Matt Cooper, George Wetmor e Nicholas Barret. Rispettivamente avevano lei quindici anni e suo fratello diciotto, poi George sedici, che avevo già visto al corso di spagnolo quella stessa mattina, e Nicholas dell'ultimo anno quindi coetaneo di Matt ed Ashley, diciotto anni.
    «Piacere Nicholas, ma puoi... cioè, voglio dire, potete chiamarmi Nick» si presentò stringendoci la mano tutto sorridente mostrando i suoi denti bianchissimi e non mi tolse gli occhi di dosso nemmeno per un istante. Non potevo aver fatto colpo il primo giorno su un ragazzo così! Era impossibile.
    Quando anche gli altri finirono di presentarsi, Nick ci chiese se io e Jeremy volessimo comprare i biglietti per il ballo di primavera che, guarda caso, si sarebbe tenuto proprio fra una settimana e ne approfittò per invitarmi ad andarci insieme. Scioccante. Scioccante perché la mia insicurezza era talmente radicata nella mia testa che doveva esserci per forza qualcosa sotto se un tipo come Nicholas mi avesse appena invitata al ballo. Era impossibile che non avesse già un'accompagnatrice dal momento che il ballo si sarebbe tenuto fra una settimana. M
i prese dunque molto alla sprovvista e inizialmente non seppi che rispondergli. Inoltre dovevo ammettere che fosse davvero carino e nessun ragazzo davvero carino mi aveva mai invitato a un ballo scolastico prima d'allora e questo mi mise ancora più a disagio lasciandomi incapace di pronunciare una qualche risposta o fare un cenno con la testa. Nick mi guardava in attesa di una mia reazione ed io rimasi imbambolata alcuni secondi ad analizzarlo. Aveva un'aria sicura di sé ma senza apparire altezzoso, sembrava gentile e loquace. Era molto alto e ben piazzato, sicuramente superava il metro e ottanta, aveva dei capelli castano chiaro un po' riccioluti e gli occhi celesti. Probabilmente faceva qualche sport. Però, sebbene fosse attraente e di bell'aspetto, aveva un qualcosa che non mi convinceva, o piaceva, nel complesso, avrei perciò declinato l'invito anche per la mia repulsione verso i balli scolastici. Odiavo questo genere di cose, troppo impegnative: vestiti, scarpe, trucco, parrucco, fiori... Questo poteva anche sembrare incoerente dal momento che per anni mi son lamentata che nessun ragazzo attraente mi calcolasse, ma il mio istinto mi diceva di rifiutare.
    «Lei è con me al ballo. Quanto vengono i biglietti?» esultò Jeremy poggiandomi una mano sulla spalla e avvicinandomi a lui prima che potessi rispondere a Nick distogliendomi dai miei pensieri sul suo aspetto. Mi sentii improvvisamente rassicurata e credevo che egli stesso avesse intuito che non volevo andarci e che non volessi sembrare scortese rispondendogli di no per questo aveva inventato quella scusa di andarci insieme.
    «Ma non siete fratelli?» replicò prontamente Alexis, probabilmente era intenzionata ad invitarlo lei.
    «Fratellastri» sottolineò lui, di nuovo.
    «Ah, ok» bofonchiò delusa la ragazza.
    «Beh, finiamo di visitare il liceo?» chiesi per smorzare un po’ quell'atmosfera che iniziava a diventare ostile.
    Ci alzammo e seguimmo i quattro che ci portarono a visitare la scuola partendo dall'esterno dove c'erano i campi sportivi. Il giardino dietro l’edificio era diviso in due e delimitato da una rete: lì si trovavano il campo di basket e l'area dedicata agli allenamenti delle ragazze pon-pon con delle piccole tribune per gli spettatori. Quei campi erano decisamente troppo piccoli ma Nicholas sottolineò quanto fosse forte la loro squadra di basket di cui era capitano:«Dobbiamo solo sconfiggere un'ultima squadra per diventare campioni del Massachusetts!» esultò fiero. Il giardino interno dove ci trovavamo poco prima a mangiare era, invece, adibito a zona ricreativa: c'erano delle panchine e dei tavoli al coperto dove mangiare ed infatti vi si accedeva attraverso la mensa. Dai campi sportivi, rientrammo nuovamente nell'edificio passando accanto agli spogliatoi e ai bagni con le docce. Salimmo ai piani superiori dove stavano le varie aule e i laboratori e poi di nuovo al piano terra in cui stavano la segreteria, gli uffici dei professori, la sede della redazione del giornalino della scuola e la biblioteca. Quella sì che era grande e maestosa, e profumava di antico a differenza della biblioteca del liceo in Florida in cui vi erano soltanto scaffalature moderne e posti a sedere.
    «Qui ci sono anche vecchi libri di incantesimi e alcuni grimori* autentici risalenti al periodo della caccia alle streghe» disse Alexis. Sorrisi sentendo la parola streghe.
    «Sapete, il consiglio di Salem si è battuto molte volte nel corso degli anni per impedire che questi libri venissero venduti e portati in qualche museo di Boston o di New York o peggio, in Europa, a prendere polvere senza che potessero più essere consultati. Sono un patrimonio della nostra città e sono accessibili a tutti i cittadini: chiunque può leggere questi libri» aggiunse.
    «Questa città è famosa per queste cose» commentò poi Nicholas, meno orgoglioso sul passato infausto di Salem rispetto alla squadra di basket che tanto elogiava. Io però già lo sapevo, annuii comunque per sembrare interessata e per rimediare al bidone che gli avevo fatto poco prima.
    «Ti rendi conto che ora sono costretta ad andare al ballo?» sussurrai a Jeremy mentre gli altri proseguivao a raccontare vecchie leggende.
    «Ce ne andremo subito, se vuoi. Volevo evitare inviti non richiesti» mi rispose indicando Alexis con lo sguardo.
    «Ah, quindi l’hai fatto per te?»    
    «Hai visto come mi guardava la ragazzina?»
    Ero quasi delusa. Pensavo volesse salvarmi da Nicholas, non evitare Alexis.
    «Beh, almeno accompagnami a prendere il vestito!»
    «Posso unirmi a voi? Anch'io devo ancora comprarlo!» disse lei entusiasta. Speravo non avesse sentito l'intero discorso. Era evidente che avesse già un interesse per mio fratello, anzi fratellastro come precisava sempre lui, non potevo dunque rovinarle pure questo tentativo di approccio così la invitai ad unirsi a noi. Certo che qui le persone erano davvero sfacciate!
    «Ecco, hai trovato compagnia- disse Jeremy -io posso pure starmene a casa allora.»
    Lo presi per un braccio e lo trascinai un po' distante dal gruppo con Alexis che ci guardava di sottecchi.
    «Non puoi cercare di essere carino? Per favore» lo supplicai.
    «Mmh. Ci proverò.»
    «Voglio iniziare una nuova vita ed avere degli amici!»
    Sbuffò e con aria rassegnata annuì.
    Tornammo dagli altri e George, che era stato silenzioso tutto il tempo lasciando parlare Nick e Alexis, volle raccontarci una vecchia leggenda poco prima che finisse la pausa pranzo e prima dell'ora di ginnastica.
    Tutti restammo in silenzio in attesa che iniziasse a raccontare. Nicholas invece sbuffò affermando di conoscere a memoria questa storia e George, appena ricevette l'attenzione di tutti, si stirò la sua vecchia giacca di pelle, diede un colpo di tosse e si sistemò gli occhiali dalla montatura squadrata prima di iniziare:«Bene, partirò dal principio» asserì.
    Era un tipo strano, decisamente strano: era vestito di nero dalla testa ai piedi, compresa la T-Shirt degli AC/DC un po' sgualcita che indossava, e portava degli occhiali dalla montatura spessa e dalle lenti rettangolari che velavano i suoi grandi occhi verdi nascosti ulteriormente da alcuni ciuffi ribelli che gli uscivano dal berretto. I capelli lunghi e arruffati di un nero corvino opaco gli donavano, insieme agli occhiali, l'aria di un intellettuale un po' trascurato dedito solo alla lettura. Si scrocchiò le dita e il collo, inspirò profondamente e cominciò a raccontarci questa leggenda.
    «Nell'inverno del 1692, Betty ed Abigail Williams, rispettivamente la figlia e la nipote del reverendo Parris della chiesa di Salem, iniziarono a comportarsi in modo strano: non dormivano mai, camminavano strisciando sul pavimento e dicevano cose assurde e blasfeme. I medici inizialmente ritennero che fossero affette dall'isteria ma, con l'andare del tempo, i dottori non riuscirono a dare alcuna spiegazione logico-scientifica a questi comportamenti, fin quando qualcuno non azzardò l'ipotesi della possessione demoniaca. In quel periodo si credeva che l'essere posseduti o indemoniati fosse causato da un maleficio o da una fattura, insomma da una sorta di incantesimo, e la stregoneria era ritenuta un vero e proprio crimine provocato da una persona (una strega o uno stregone) per danneggiarne un’altra e quindi il caso di Betty e Abigail divenne di competenza delle autorità giudiziarie. Bisognava dunque scovare chi avesse compiuto quell'incantesimo e punirlo severamente.
    «Passò però un mese prima che si giunse alle accuse di stregoneria, in un primo momento infatti, il reverendo Parris decise di non rivolgersi alle autorità giudiziarie e di affidarsi a Dio. Poi però anche altre ragazze della città cominciarono a comportarsi allo stesso modo e iniziarono ad accusare diverse donne del villaggio di essere delle streghe che per gelosia avevano lanciato una maledizione sulle ragazze della nobiltà e delle classi più agiate. Venne istituito un tribunale speciale con sede nella Meeting House, cioè l’edificio adibito alla vita pubblica del paese. Le donne accusate vennero arrestate e anche torturate durante gli interrogatori, ma questo non portò alla fine degli isterismi che avevano colpito le giovani altolocate di Salem.
    «La caccia alle streghe continuò e sempre più donne vennero imprigionate, vi erano anche degli uomini accusati di essere stregoni o demoni e furono incarcerati anche loro. Le proporzioni del caso erano nel frattempo aumentate e si erano allargate a tutta la colonia del Massachusetts. Non essendoci un'autorità ufficiale, non era stato ancora possibile iniziare alcun processo. Così, alla fine del mese di maggio, per volere del re di Inghilterra, giunse a Salem il Governatore Sir William Phips per avviare le udienze del processo insieme alla corte composta da sei membri nominati da egli stesso. Si dice tra l'altro che alcuni membri di quel consiglio e che il Governatore stesso fossero dei vampiri che volevano vendicarsi delle streghe le quali, per difendersi dalle accuse di stregoneria, avevano confessato l'esistenza degli esseri della notte rompendo un patto speciale stipulato con la razza dei vampiri. Altre leggende affermano invece che il Governatore e i suoi consiglieri fossero in realtà dei licantropi che stipularono un altro patto segreto con le streghe in modo da eliminare per sempre la stirpe dei vampiri, razza considerata nemica giurata dei lupi mannari. Il patto che coinvolgeva i vampiri, più che altro, era una vera e propria minaccia e prevedeva infatti che delle streghe facessero degli incantesimi in modo tale che questi potessero vivere anche alla luce del sole. Terrorizzate dalla morte imminente, per salvarsi, decisero di spifferare tutto sull'esistenza dei vampiri e unirsi ai licantropi nel vano tentativo che magari la caccia alle streghe si sarebbe placata spostando l'attenzione verso la caccia ai vampiri. Ma non fu così. 
    «Queste comunque sono solo delle leggende che fanno da contorno alla vera e propria storia della caccia alle Streghe di Salem. Il primo processo si tenne il 2 giugno e l'ultimo il 17 settembre e in tutti vi furono dei condannati a morte. Il 22 settembre fu il giorno delle ultime esecuzioni; una leggenda racconta che, mentre il carro che trasportava i condannati si dirigeva verso il patibolo, una ruota si infilò in una buca nel terreno: le ragazze ritenute vittime del maleficio che assistettero alla scena gridarono che il diavolo stesse cercando di salvare i suoi seguaci. L'esecuzione alle streghe accompagnò quella di alcuni uomini, o meglio vampiri, ritenuti anche loro seguaci del diavolo, e, secondo il mito, lasciarono per sempre Salem.
    «Le case delle streghe condannate a morte furono saccheggiate: i loro gioielli, utensili e qualunque altro tipo di oggetto di valore si dice che sia stato portato nella residenza di Sir William Phips, per poi, dopo molti decenni, esser trasferiti al Salem Witch Museum, un museo interamente dedicato alle streghe, mentre i loro libri di magia vennero portati qui dove poi fu costruita questa scuola nel 1850, eccetto uno, che era una sorta di Bibbia delle Streghe che non venne mai più ritrovato. Si pensa che sia contenuto in quel libro l'incantesimo per spezzare la maledizione dei vampiri e dei licantropi. Prima ancora, al posto della nostra scuola l'edificio era utilizzato come manicomio e si racconta che venissero portate le donne che ancora si ritenevano streghe per torturarle, e mi riferisco ai primi dell'Ottocento, quando ormai le condanne al rogo per stregoneria erano ritenute illegali. La leggenda finale a cui volevo arrivare dopo questa lunga premessa è che ogni tanto, soprattutto nelle notti di luna piena, accompagnati dai loro famigli*, gli spiriti delle streghe vengano qui di notte a consultare i propri grimori nel tentativo di tornare in vita e che i vampiri sfuggiti all'esecuzione diano la caccia ai discendenti di quelle streghe per ucciderli e vendicarsi.»
    «La solita vecchia e noiosa storia di George» commentò Nicholas annoiato e un po' infastidito.
    «Non è vero!» si difese lui. Ascoltai tutte le sue parole con attenzione e interesse ed ero curiosa di sapere come faceva a sapere tutte queste cose.
    «Ha ragione, son tutte sciocchezze. Streghe, vampiri, licantropi...mah» bofonchiò Jeremy.
    «Io ci credo invece. Magari non credo all'esistenza dei vampiri o dei lupi mannari o che esistano o che siano esistite delle streghe capaci di fare veri e propri incantesimi, però il tuo racconto mi ha affiscinata, George. Come fai a sapere tutte queste cose?» gli chiesi io. Lui arrossì un po' e intimidito mi rispose che era sua nonna a raccontargli queste storie prima che morisse in un incidente qualche tempo fa. Nicholas scosse la testa e lo guardò con aria di disapprovazione come se si fosse lasciato sfuggire qualcosa di troppo.
    Alle due in punto la campanella suonò: Nick, Matt e Alexis andarono a seguire le proprie lezioni mentre io, Jeremy e George andammo in palestra per l'ora di educazione fisica. 
    «Dunque? Quando andiamo a fare shopping?» ci domandò Alexis prima di congedarci. 
    Proposi di vederci tutti alle cinque dell'indomani alla fermata del bus davanti alla scuola.
    «Va benissimo! Così vi mostrerò anche i luoghi meno noiosi di Salem» rispose lei esultando.
    Gli altri ragazzi rifiutarono: «lo shopping- precisò Nicholas -non è esattamente una cosa da uomini.»

***
   
    Il profumo di sformato e patate al forno si era diffuso in tutta la casa dandomi, al mio ritorno da scuola, il benvenuto e rendendo l'atmosfera domestica accogliente e familiare. Mia madre si era data molto da fare per farci sentire tutti a casa, specialmente aveva premura di Jeremy ma soprattutto di Ashley che era colei, fra noi tre, ad aver avuto un impatto negativo maggiore nel dover abbandonare Coral Spring e di conseguenza il suo ragazzo, i suoi amici, la sua squadra e le sue ambizioni. Sembrava però già essersi ambientata e ritagliata lo spazio necessario all'interno della scuola per mantenere il suo tenore di vita sociale come in Florida. Un po' la invidiavo perché io non ero così e avrei voluto essere come lei ma quella mattina mi ero sentita quasi accolta, non mi ero sentita invisibile e inadeguata, non avevo provato un senso di apprensione nell'andare a scuola. E poi potevo finalemente rilassarmi e godere della mia solitudine e tranquillità nella mia stanza.
    «Che bello essere a casa» pensai varcando la porta d'ingresso.

    La vecchia villa della nonna era stata completamente pulita e rimessa a nuovo: i divani e i cuscini furono rivestiti con nuove federe, le tende e i tappeti vennero fatti arieggiare, gli oggetti antichi di cristalleria e argenteria all'interno delle credenze del soggiorno e i soprammobili e le cornici con le foto di famiglia spolverati meticolosamente, gli oggetti più intimi della nonna come abiti, gioielli ed altri effetti personali furono
riposti accuratamente in una scatola e trasferiti nella cameretta degli ospiti al primo piano e, infine, la sua collezione di erbe, talismani, boccette per pozioni ed altri utensili magici vennero raccolti in una busta da riporre su in soffitta. Avrei voluto portarla io stessa ma, ancora fedele all'ammonimento della nonna, non vi entrai. Sicuramente non ero ancora pronta per conoscerne i misteri contenuti lì.
   
«Beh come è andato il primo giorno di scuola?» domandò mia mamma a cena mentre eravamo tutti riuniti a tavola.
    «Sebbene Salem sembri un paesino un po' arretrato e fuori dal mondo, non c'è male. Domani inizio gli allenamenti con il gruppo delle cheerleaders» esultò la mia sorellastra abbastanza contenta. Finalmente l'aveva piantata di lamentarsi.
    «E a voi piace qui?» chiese nuovamente mia madre rivolgendosi a me e a Jeremy.
    Lui fece una smorfia di disgusto e io annuii. Io risposti estasiata che fossi felicissima di essere tornata e che il primo giorno di scuola fosse andato alla grande. A me Salem piaceva, ero legata a questa città, qui c'erano i miei ricordi d'infanzia e mi faceva sentire più vicina alla nonna di recente venuta a mancare e poi non vedevo l'ora di fare amicizia con tutti, Alexis, Matt, George e anche Nicholas. Ero certa che mi sarei pentita amaramente di non aver accettato il suo invito ma ormai era fatta anche perché non ero proprio alla ricerca di una relazione né di una frequentazione. Dovevo prima superare le mie turbe mentali e i miei complessi di inferiorità.
    Joseph raccontò della sua prima giornata all'ospedale: lavorarci gli ricordava i tempi del suo tirocinio da studente poiché a Coral Spring lavorava in una clinica privata ed ovviamente guadagnava molto di più rispetto al piccolo ospedale di provincia poco fuori Salem, a Lynn, dove aveva trovato impiego grazie a delle raccomandazioni visto che la richiesta di cardiologi non era particolarmente alta. Speravo soltanto che non si ripetesse nuovamente ciò che successe con mio padre, il quale, detestando Salem, decise di ritornare a Coral Spring per poi divorziare da mia madre per stare con un'altra donna. Non avrei sopportato un altro abbandono paterno.
    Anche quella notte trascorse serena come le precedenti: l'unico rumore che spezzava il silenzio notturno era l'ululato proveniente dal bosco dietro casa. Chiusi la finestra ma non riuscii comunque a dormire. Il mio cervello era invaso da emozioni e pensieri diversi che mi tenevano sveglia a ragionare e a fare il punto della situazione. Continuavo a pensare alla storia che ci aveva raccontato George quella mattina, al processo alle streghe del 1692, a sua nonna scomparsa di recente come la mia, alla misteriosa prozia Sarah e alla signora Xiang, come se tutte queste vicende e persone fossero in qualche modo connesse fra loro senza che però potessi trovare un comun denominatore che potesse collegarle logicamente. Poi, finalmente, crollai in un sonno profondo.
    La mattina dopo mi alzai di buon ora anche se avevo dormito poco, mi preparai e feci colazione con tutta calma: mi attendevano due ore di matematica e due ore di storia. Speravo che il fenomeno dei nuovi arrivati fosse superato ma anche il secondo giorno la professoressa di storia, che non aveva ancora conosciuto me e Jeremy, ci chiese di presentarci e ci fece qualche domanda sul programma per testare la nostra conoscenza nel campo della storiografia e noi ripetemmo come un copione le presentazioni già recitate il giorno precedente: «Mi chiamo Jeremy Stanley, ho sedici anni e vengo dalla Florida. Faccio atletica da dieci anni e mi piace leggere» e «Ciao a tutti. Il mio nome è Meredith Victoria Spencer. Sono nata qua a Salem ma ho vissuto praticamente tutta la mia vita in Florida, a Coral Spring. Di recente la mia famiglia ha deciso di ritornare a vivere a Salem ed ora abitiamo nella Villa dei Morgan vicino alla Riserva. Ho sedici anni, come Jeremy, ed anche a me piace leggere, uscire con gli amici, andare al cinema». Ormai molti degli studenti già ci conoscevano perché ci avevano visti e ascoltati durante le altre lezioni. E poi ero stanca di impersonificare la parte della ragazzina banale e di recitare a memoria quelle poche frasi sciocche di presentazione.
    Anche in storia, comunque, io e Jeremy non eravamo molto più avanti rispetto al programma del liceo di Salem. La Professoressa Lewis spiegò per due ore ininterrotte le vicende principali della Guerra di Seccessione, facendomi venire un sonno tremendo, tant'è che pensai che per conoscerne ogni minimo dettaglio insignificante probabilmente la guerra l'avesse vissuta in prima persona.
    Non appena la campanella suonò, io e Jeremy ci dirigemmo insieme verso la sala mensa per fare la fine per prendere il pranzo. Era una giornata particolarmente soleggiata e mentre ci guardavamo intorno alla ricerca di un tavolo libero nel giardino interno, vidi Alexis, seduta con suo fratello Matt e il loro amico George, che con la mano ci faceva cenno di unirci a loro. Nicholas invece non c'era, stava seduto al tavolo dei ragazzi e delle ragazze, a mio avviso, popolari che già notai il giorno precedente, e vidi che conversava amabilmente con Ashley che si atteggiava a vip della scuola.
    Alexis ci domandò cosa ne pensassimo di Salem, della città e della scuola. In realtà sembrava molto più interessata a conversare e a far colpo su Jeremy che non la degnava di uno sguardo e le rispondeva a monosillabi piuttosto che intavolare una conversazione con entrambi. Guardandomi un po' attorno, notai che non vi erano molti bei ragazzi, sì qualche d'uno carino c'era, Nicholas ad esempio era un bel ragazzo, ma nessuno particolarmente attreante o che si distinguesse. Jeremy probabilmente era fra i più degni di nota e rappresentava una novità alla Salem High School ed Alexis, considerando che avevo notato anche altre ragazze che lo osservavano e parlottavano, non voleva farselo sfuggire.
    Io cercai invece di intraprendere una conversazione con George e saperne di più riguardo le vecchie leggende che ci raccontò il giorno prima in biblioteca.   
    «Beh, la caccia alle streghe vi è stata davvero però le altre vicende son semplici...leggende» esitò. Io insistetti nel saperne di più e lui ripeté che gliele raccontava la nonna e aveva fatto qualche ricerca su Wikipedia. Alexis e Matt lo guardarono in maniera bieca come se George avesse detto o fatto qualcosa di sbagliato.
   
«Ora devo andare. Ho lezione di arte» disse alzandosi in piedi. Io gli risposi che anche io avevo lezione pomeridiana di arte e lo seguii. George mi vide come una palla al piede in quel momento dunque evitai di fargli ulteriori domande ambigue sul processo alle streghe.    
    Dopo la scuola, alle quattro e mezza circa, io e Alexis ci incontrammo alla fermata dello scuolabus. Venne anche Jeremy, quasi sotto costrizione, ma venne anche lui. Cercai di lasciarlo solo il più possibile con lei per quanto non ci tenessi a fare il terzo incomodo ma come al solito Jremy mantenne un atteggiamento freddo e distaccato. La nostra nuova amica ci portò nel centro commeciale più grande di Salem e poi nei negozi d'abbigliamento delle vie del centro che avevo già intravisto quando andai a cercare la prozia Sarah e quando andai a fare shopping con Ashley.
    Eravamo tutti un po' a disagio, soprattutto Jeremy che si vide costretto ad accompagnare ben due ragazze a fare shopping e a farsi corteggiare da una sconosciuta nei miei appuntamenti combinati.
    «Non puoi cercare di essere un po' più carino con Alexis?» gli bisbigliai mentre la ragazza curiosava fra i vestiti di un negozio. Lui per tutta risposta sbuffò e andò a sedersi sui divanetti. Girammo ben altri cinque negozi prima di trovare qualcosa di decente anche per me.
    «Non dobbiamo andare a un funerale Mer, sai?» commentò Jeremy in modo alquanto sarcastico mentre mi specchiavo fuori dal camerino. Ormai avevo deciso: dopo diverse prove d’abito optai per un vestito grigio lungo fino al ginocchio e un paio di scarpe col tacco non molto alto: non volevo essere né troppo appariscente né rischiare di cadere rovinosamente. Poi avevo già speso per comprarmi un abito scuro la settimana scorsa proprio per il funerale della nonna e non ero una fan dei vestiti eleganti.
    Quando andai a pagare, Alexis si avvicinò alla cassa domandandomi se potesse mai interessare almeno un po’ a mio fratello.
    «Ehm...non so. Lui parla così poco. È difficile sapere cosa pensa. Inoltre non ho mai conosciuto o visto nessuna delle ragazze con cui è uscito quindi non saprei proprio dirti che gusti abbia» non sapevo proprio che dire per poterla aiutare in questa impresa quasi impossibile di conquistare Jeremy.
    Verso le nove tornammo a casa. Sentivo nuovamente quella strana sensazione di felicità nel tornare alla villa, sensazione che non percepivo da tempo.
    La casa mi piaceva e finalmente avevo una camera tutta mia, ancora da sistemare però era mia, e pure la scuola mi stava piacendo e mi ci trovavo bene. Le persone invece mi sembravano un po' impertinenti, però alla fine Alexis non era male e magari saremmo potute anche diventare amiche. Anche George, sebbene fosse un tipo strano, sembrava simpatico, e in mancanza di un ragazzo avrei sempre potuto chiedere a Nicholas di uscire. Ma intraprendere una relazione non era tra le mie priorità in quel momento.
    I giorni che precedettero la sera del ballo andarono sempre meglio, avevo fatto amicizia anche con Matt, il fratello di Alexis, e George, mentre Nicholas a causa del bidone che gli avevo dato per il ballo, si stava dimostrando un po' ostile, soprattutto nei confronti di Jeremy. Alexis invece continuava ad assillarmi chiedendomi di tutto e di più sul mio fratellastro, consigli per piacergli e domande sui suoi gusti ma sinceramente sapevo ben poco di lui e di quel che gli potesse passare per la testa.




Angolo autrice.
*Grimorio: è il libro degli incantesimi di una strega.
*Famiglio: per chi non lo sapesse, è il guardiano delle streghe quasi sempre identificato con un animale.
La leggenda raccontata da George l'ho presa da Wikipedia e l'ho romanzata, ai fini della trama, aggiungendovi nuovi particolari.
A presto (:

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il Ballo di Primavera. ***


4) Il Ballo di Primavera.


    Sabato 20 Marzo 2010. Il tanto (non) atteso giorno in cui si sarebbe svolto il Ballo di Primavera nella mia nuova scuola era ormai giunto. 
    Era trascorsa quasi una settimana da quando misi piede alla Salem High School e tutto mi sembrava così nuovo, bello, entusiasmante. Quasi quasi, sebbene lo negassi a me stessa, ero eccitata all'idea di andare al ballo, seppur ad accompagnarmi sarebbe stato il mio antipaticissimo fratellastro Jeremy. Se da un lato ero un po' irritata perché mi sentivo usata come pretesto per evitare che Alexis lo invitasse, dall'altro avrei però dovuto ringraziarlo in qualche modo perché, se non fosse stato per lui, io al ballo non ci avrei mai messo piede e quella era l'occasione perfetta, per noi che eravamo appena arrivati in città, per poter conoscere persone nuove. In realtà, avevo già conosciuto delle persone nuove, ma era come se stessi aspettando l'arrivo di qualcuno, come se fossi in attesa di un nuovo, straordinario e inaspettato incontro. Dovevo smetterla di farmi viaggi mentali: non ero riuscita a trovare la cosiddetta altra metà della mela in quasi sedici anni in Florida e di sicuro non l'avrei incontrata in una settimana a Salem, che aveva un terzo degli abitanti di
 Coral Spring.
    Smisi di fantasticare sulla mia presunta anima gemella immaginaria che si nascondeva fra i corridoi della scuola in attesa di incontrarmi al ballo ed indossai il mio vestito nuovo che, osservato nello specchio della mia stanza, pareva ancor più orrendo di quando lo misurai il giorno prima nel negozio. 

    Impiegai quasi due ore a prepararmi e non era da me: di solito necessitavo sì e no di una mezzora, cioè tre quarti di tempo in meno che spesi per il ballo. Dovetti tra l'altro farmi aiutare sia da mia mamma sia da Ashley per far sì che la piega ai capelli potesse restarmi fino al termine della serata senza che la mia criniera bruna cominciasse a gonfiarsi. E poi c'era il fardello delle scarpe: non ero abituata a camminare sui tacchi, inoltre essendo nuovi l'impresa sarebbe stata ancor più ardua. Non avrei mai resistito tutta la sera su quei mini trampoli.

     «Cerca di stare dritta con la schiena, sennò rischierai di cadere in avanti» ridacchiò Ashley gettandomi occhiate divertite attraverso lo specchio mentre si truccava. Lei sì che era abituata a questo genere di cose, sapeva come comportarsi e atteggiarsi durante questi eventi. Indossava un vestito attillato rosso senza spalline, dei tacchi vertiginosi e portava i capelli leggermente mossi. Pareva una dea nel suo metro e 70 di altezza per 55 chili di peso, i capelli ondulati che le incorniciavano il viso magro e a punta e una sicurezza tale della sua figura da non farle temere nulla e nessuna. Mi sentivo così mediocre accanto a lei. Solitamente non mi mettevo questo tipo di complessi né ero solita paragonarmi alla mia sorellastra, ma dovevo ammettere che stava davvero bene e io in confronto a lei ero soltanto un disastro in gonnella che cercava di apparire ciò che, in realtà, non era.
    Ashley, come capo cheerleader e ragazza più popolare della nostra vecchia scuola, venne eletta Reginetta del ballo al liceo di Coral Spring per ben tre volte. Io ci andai una volta sola e mi ripromisi di non rimetterci mai più piede. Il mio accompagnatore, Mark Grey, ignaro sia di essere astemio sia che qualcuno dei nostri compagni avesse rovesciato casualmente un'intera bottiglia di vodka nel punch, non si rese conto di aver bevuto troppo e quasi mi vomitò sul vestito al primo round di danze. Schivai il suo getto di rigurgito per un pelo e fu la cosa più disgustosa ed umiliante a cui assistetti. I nostri compagni ci accerchiarono cominciando a ridere di lui: io fuggii a gambe levate scansando la folla accorsa per prendere in giro Mark che rimase lì. Per lui fu ancora più degradante perché gli insegnanti furono costretti a chiamare i suoi genitori per riportarlo a casa. Non si scoprì mai chi versò l'alcol nel punch e, inutile a dirlo, non rividi né risentii mai più il povero Mark che dalla vergogna sparì dalla circolazione. Credo che cambiò scuola e numero, oltre a cancellarsi (o bloccarmi) da qualsiasi social network.
    «Siete bellissime bambine mie!» esclamò mia mamma appena ci vide pronte, nonostante io sembrassi un brutto anatroccolo accanto a un bellissimo ed aggraziato cigno. Se Ashley in qualche modo impersonava la tipica ragazza delle commedie romantiche, bellissima e popolare, allora io ero paragonabile alla compagna di classe un po' bruttina seduta all'ultimo banco la quale però, sciolti i capelli, non si era trasformata purtroppo in una bellezza da togliere il fiato. 
    Diedi un'altra passata di piastra ai capelli scrutando attentamente il mio volto allo specchio trovandovi altri mille difetti: trucco già sbavato, due baffetti che non erano stati tirati via dalla ceretta e un piccolo brufolo proprio in mezzo alla fronte. Maledizione!
    Calzai le mie scarpe tacco sei e fissai immobile la rampa di scale davanti a me: i
n quel momento la cosa che mi faceva più paura era dover scendere al piano di sotto con quelle scarpe che sebbene fossero relativamente basse erano decisamente troppo strette e scomode. Ero sicura che avrei trascorso la serata immobile come una statua, non volevo fare figuracce anche nel liceo di Salem e soprattutto non volevo mettere Jeremy in ridicolo per aver scelto una pessima accompagnatrice, anche se, in fondo, se lo sarebbe meritato visto che mi aveva praticamente usata. Lui nel mentre se ne stava tranquillo in salotto ad aspettare chissà da quanto e, non appena mi vide entrare goffamente e barcollante nella stanza, abbozzò un sorriso.
     «Vogliamo andare?» reclamò la mia attenzione con tono infastidio dalla lunga attesa (non ci eravamo accordati su un orario preciso in cui andare) ed il sorriso appena spuntato sul suo volto scomparve immediatamente. Jeremy era lunatico come poche persone al mondo e cambiava umore come niente.
     «Io devo aspettare il mio accompagnatore, starà sicuramente per arrivare. Voi andate pure» si rallegrò invece Ashley soddisfatta mentre uscivamo dalla porta. Sicuramente tramava qualcosa.
     «Beh, andiamo allora!» sospirai. Chissà quale orrenda e monotona serata mi attendeva.
     Salimmo in auto e, prima di metterla in moto, Jeremy frugò nel cruscotto alla ricerca di qualcosa. 
     «Questo è per te» sorrise imbarazzato porgendomi un bellissimo corsage* dai fiori rossi da abbinare al vestito del ballo. Quel gesto inaspettato e anche il fatto che fosse leggermente arrossito dall'imbarazzo mi fecero sorridere. Quella fu una delle rare volte nella quale Jeremy fece qualcosa di carino e gentile per me. L'altra, che ancora oggi ricordavo chiaramente, fu sempre in occasione di un ballo scolastico, l'Homecoming del 2009, il primo ed ultimo ballo a cui andai.  Dopo che Mark stette male e cominciò a dare di stomaco davanti a tutta la scuola, io in preda alla vergogna scappai via correndo in bagno. L'Homecoming di quell'anno era il primo dei balli scolastici a cui noi potevamo andare poiché gli studenti del primo e del secondo anno vi potevano partecipare solo se invitati*. Jeremy, il quale era andato al ballo con i suoi compagni di atletica e non con una ragazza, mi raggiunse fin dentro il bagno delle ragazze proponendosi di accompagnarmi a casa. «È solo uno stupido ballo. Domani tutti avranno dimenticato quest'incidente» disse per tranquillazzarmi. 
    Lo ringraziai per il pensiero e infilai al polso il corsage che mi aveva regalato e lui si sistemò nel taschino della giacca il piccolo bouquet abbinato al mio bracciale floreale e, con aria indifferente, mise in moto l'auto. Rimase tutto il tempo in silenzio, sembrava a disagio. Fingeva di essere concentrato sulla strada per non prestarmi attenzione.
    Il mio rapporto con Jeremy era strano e, a volte, poteva addirittura sembrare ambiguo. Eravamo più simili di quanto potessimo e volessimo ammettere a noi stessi e per questo motivo, seppur volendoci bene a modo nostro, era difficile per noi dimostrarcelo ed ogni minimo gesto di cortesia creava una sorta di tensione e di imbarazzo fra di noi. Era come se ci imponessimo di mantenere le distanze, come se fra noi stessimo continuamente costruendo un muro di difesa impenetrabile per il quale ogni nostro comportamento l'uno nei confronti dell'altra appariva innaturale e forzato.

***

    In un batter d'occhio interminabile arrivammo a scuola. Non tolleravo più quel silenzio increscioso fra noi.
    Il parcheggio che la mattina risultava quasi deserto era ora pieno di automobili, il che significava che avremo dovuto parcheggiare la nostra auto più distante e dunque avremo percorso più strada a piedi. Avevo allentato i laccetti delle scarpe e sentivo già i piedi scivolare all'interno della suola sudata dal panico. 

     Un po' esitanti varcammo l'ingresso e ci avviammo verso il cuore della festa.
     La palestra si era letteralmente trasformata in una bomboniera: tutto quel rosa confetto, quei palloncini color pastello, quei nastri e ghirlande pompose e paludate appesa alla soffitta davano più la sensazione di essere stati catapultati a una baby shower. Il tema era appunto la primavera e le organizzatrici avevano reso perfettamente l'idea. 
    
Ad un lato della palestra c’erano dei posti liberi fortunatamente, perché la maggior parte dei ragazzi stava già ballando in pista, così noi due decidemmo di sederci. Sembravano tutti entusiasti e divertiti, eccetto noi due.
    Io, per ingannare il tempo visto che Jeremy non spiccicava parola e sembrava assorto in chissà quale pensiero, mi guardai attorno scrutando ed analizzando i nostri compagni. Dopo una settimana i loro volti iniziarono a diventarmi familiari e di qualcuno ne ricordavo addirittura il nome. La strobosfera appesa al soffitto illuminava i loro volti ad ogni flash: c'era Meghan Porter, la nuova amica-nemica di Ashley, la capo cheerleader di cui la mia sorellastra diceva peste e corna ma che, a scuola, andava dietro come un cagnolino per entrare nelle sue brame, la quale ballava con Josh Stuart, co-capitano della squadra di basket insieme a Nicholas, non tanto carino come quest'ultimo ma abbastanza apprezzabile da attirare l'attenzione e suscitare l'interesse di una ragazza come Meghan. Sicuramente sarebbero stati loro a venir eletti Re e Reginetta del Ballo di Primavera. Sempre in pista, Angela e Mariana, che, se non erro, avevo visto alla lezione di Spagnolo poiché Mariana è di origini 
sudamericane, ballavano e cantavano a squarciagola le canzoni suonate dalla band della scuola. Sembravano divertirsi come matte incuranti di tutto il resto attorno a loro. Sul piccolo palco rialzato allestito in fondo alla palestra suonava il gruppo musicale di George, lui suonava il basso e Julia Blossom cantava. Non conoscevo gli altri due membri dei Bursting Hearts, il batterista e il chitarrista. Dall'altra parte della palestra, seduto anche lui con un'aria come se fosse in castigo, Karl Fitch si guardava attorno con aria annoiata. Era uno redatori del giornalino della scuola insieme ad Alexis ed era lì solo per tenere d'occhio sua sorella e la sua amichetta del cuore, entrambe del primo anno. Con aria affranta, si aggirava per tutta la palestra Abel Burton, il fotografo, nel tentativo di immortalare i più bei ricordi di quella serata. Si avvicinò al tavolo dove io e Jeremy eravamo seduti proponendoci di scattarci una foto ma Jeremy lo cacciò via in malo modo. Mi scusai al posto del mio fratellastro per tale rudezza e maleducazione e continuai a scrutare tutti quei studenti spensierati e divertiti.
     «Sembrate proprio dei pensionati. Nemmeno i professori sembrano così spaesati a questa festa come lo siete voi» era Alexis insieme a suo fratello Matt. Ero sovrappensiero, concentrata ad osservare i miei compagni che non l'avevo vista arrivare. 
     Disse quella frase in modo ironico che mi fece pure sorridere, perché in fondo aveva ragione. Ma più che pensionati sembravamo in castigo.
     «Ciao Alexis!» la salutai, felice di vedere una faccia amica. Stava molto bene: indossava il vestito azzurro che aveva comprato quel giorno insieme a me e delle ballerine bianche. Trovai geniale il fatto che avesse preferito delle scarpe basse nonostante la sua altezza piuttosto che martoriarsi i piedi per apparire più alta.
     «Volete da bere?» proposi. 
     «Sì, vado a prendere qualcosa» sibilò Jeremy.
     «No, tu stai qui sennò ci occuperanno i posti. Vado io. Matt vieni?» in realtà la mia era una scusa, un altro tentativo di lasciarli soli, invece Jeremy lo interpretò come una via di fuga per divincolarsi dalle grinfie di Alexis che nel mentre mi fece l'occhiolino come a volermi ringraziare.
    Io e Matt ci allontanammo verso il tavolo delle bevande. C'era una lunga coda quindi i nostri due fratelli avrebbero avuto sufficiente tempo per conversare così come noi due. Matt però era più riservato rispetto a sua sorella, non parlava tantissimo e sembrava piuttosto timido e non essendo io una persona particolarmente espansiva e chiacchierona non ci rivolgemmo mezza parola se non qualche chiacchiera di circostanza tipo "come ti sembra la scuola" o "ti stai divertendo al ballo".
     Impiegammo circa quindici minuti per prendere da bere perché il tavolo delle bibite era molto affollato e doveva esser rifornito e quando tornammo Alexis non c’era più.
     «Dove è andata Alexis?» gli domandai furiosa. Sicuro, l'aveva fatta scappare. Jeremy si alzò e si avvicinò sussurrandomi qualcosa all'orecchio mentre Matt ci guardava stranito, lanciò un'occhiataccia a Jeremy e se ne andò dicendo che probabilmente era in bagno e che sarebbe andato a cercarla. Era una scusa anche quella e sapeva benissimo che Jeremy l'aveva offesa e fatta scappare via.
     «Io non capisco le persone che si attaccano così. Non la sopporto!»
     «Cercava solo di fare amicizia e sembrare cortese.»
     «No, ci stava provando spudoratamente e tu la stavi assecondando.»
     «È carina! Per caso ti piacciono i ragazzi?»
     «No! Cretina che dici?»
     «Ah allora c’è un’altra che ti piace?» ammiccai.
     «Hai preso da bere?»
     «Cambi discorso eh? Chi è? È qui?»
     «Meredith, lascia stare» borbottò.
     Non poteva dirmi di lasciar stare una cosa come questa. Ero troppo curiosa! E poi avrei cercato di aiutarlo a conquistarla come stavo facendo inutilmente con Alexis perché avrei voluto vedere almeno una volta in vita mia il fratellastro felice.
     Mi sedetti concentrata a bere il mio punch cercando di capire a chi fosse interessato in realtà quando, ad un certo punto, sentii un brivido percorrermi la schiena, come se qualcuno mi ci avesse fatto scivolare un cubetto di ghiaccio. Avvertii un senso di paura e smarrimento come se mi fosse passato accanto un fantasma e di scatto alzai lo sguardo per guardarmi intorno.
     Dall’altra parte della palestra vidi un ragazzo che catturò la mia attenzione: stava appoggiato alla parete mentre sorseggiava il suo drink. E mi fissava. 
     Io abbassai lo sguardo intimidita e cominciai a osservare il bicchiere mezzo pieno che tenevo tra le mani. 
     Era bello, davvero bello. Le luci al neon della strobosfera fecero scintillare i suoi occhi chiari che sembravano due fari nella notte. Mi domandai se fosse della Salem High School perché i giorni precedenti avevo osservato un po’ tutti e non lo avevo notato. Si poteva non notare un ragazzo così bello in mezzo a tanti ragazzi ordinari?  Era anche addirittura più bello di Nick! Alto, davvero molto alto, con dei folti capelli castano scuro che gli coprivano un po' la fronte e che spiccavano nettamente in contrasto con la sua pelle bianchissima e ne mettevano in risalto gli occhi cerulei. Aveva un'aria posata ed elegante e scrutava tutti con aria discreta e con sguardo misterioso. 
     «Vuoi andare via?» Jeremy interruppe bruscamente le mie osservazioni.
     «No no. Aspetta. Restiamo ancora un po’.»
     «Scommetto che hai visto qualcuno di interessante.»
    «Forse» risposi ammiccando con un tono un po’ sfacciato. Speravo quasi di farlo ingelosire e poi avrei usato la tecnica del ricatto: gli avrei detto chi stessi fissando se lui mi avesse detto chi gli piaceva. Non funzionò ovviamente.
     Quando poi rialzai lo sguardo alla ricerca di quel ragazzo bellissimo notai che non c’era più. Sparito in mezzo al nulla.
     «Ti va di ballare? O di farci un giro?» proposi a Jeremy. In realtà era solo una scusa per cercare quel ragazzo. Mi aveva letteralmente ipnotizzata!
     «Tu odi ballare e poi riesci a mala pena a stare in piedi. Sia che balli sia che cammini avresti un'aria goffissima. Non vorrai mica che il tipo che stavi osservando poco fa ti consideri un'imbranata?» sembrava quasi che fossi un libro aperto per lui, mentre io non riuscivo a decifrare neanche una pagina dei suoi pensieri e delle sue emozioni. 
     «Sai cosa sei? Uno stronzo! Stai diventando peggio di tua sorella. Torniamo a casa, basta» mi alzai indignata dalla sedia e sbattendo con forza il bicchiere che tenevo in mano pronta a dirigermi verso l'uscita.
     «Calmati, dai- mi afferrò la mano per trattenermi -non hai detto che volevi restare ancora un po’? Se vuoi ti accompagno a cercare il ragazzo misterioso...»
     «Basta con queste battutine se non vuoi che richiami Alexis. E poi non c’è nessun ragazzo misterioso» in realtà c'era eccome un ragazzo misterioso e avrei voluto ritrovarlo in mezzo a quella massa di gente. Volevo, inoltre, incuriosire Jeremy e farlo ingelosire un po’, non dar ragione alle sue intuizioni.
     «Se lo dici tu. E poi Alexis è sistemata» non mi era chiaro cosa volesse significare quel sistemata.
     Mentre discutevamo si avvicinò Ashley, con il suo accompagnatore: Nicholas. 
     «Ciao Meredith!» disse lui fiero e soddisfatto della sua nuova conquista.
     «Ciao, Nicholas» ero un po’ pentita di non aver accettato il suo invito. Sicuramente mi sarei divertita di più che star seduta a discutere con Jeremy.
     «Ah, voi vi conoscete. È vero» borbottò la mia sorellastra. Ecco spiegato cosa stesse tramando quel pomeriggio mentre ci preparavamo.
     «No, cioè sì. Ci siamo conosciuti il primo giorno di scuola» affermai io quasi a volermi giustificare del fatto che avessi già fatto la conoscenza di Nicholas che così non risultava più la sua novità. 
     «Ah! Sapevi che Nick è rappresentante dell’istituto? In più è co-capitano della squadra di basket della scuola e ha anche vinto un premio statale per il miglior progetto di chimica al primo anno! Comunque, venite a ballare, sembrate una coppia di pensionati in crisi.»
     Nicholas era visibilmente in imbarazzo per tutti quei complimenti il cui unico scopo, a mio avviso, era quello di farmi ingelosire.
     «Andiamo?» propose Jeremy.
     Accettai. Mi ero rassegnata al fatto che ormai la serata avrebbe potuto solamente peggiorare ma a breve avrebbero eletto il Re e la Reginetta del ballo per cui tanto valeva restare ancora un po'. In compenso, quest'anno Ashley non avrebbe vinto proprio nulla. 
     «Forse dovrei chiederti scusa per come ti ho trattata prima. E anche ad Alexis» mi disse Jeremy avvicinandomi a sé e fissandomi negli occhi. 
    Inspiegabilmente mi palpitava forte il cuore. Mi cingeva i fianchi nel bel mezzo della pista e io avevo le braccia intorno al suo collo: c'eravamo solo noi in quel momento. Non lo avevo mai visto sotto la luce di un bel ragazzo gentile. Scacciai subito quei pensieri dalla mia testa, ricordandomi quanto male mi avesse risposta anche poco fa.
     «Non importa. Ci siamo trasferiti da poco, abbiamo traslocato e i preparativi per il ballo son stati pesanti anche per te. Sarai stanco e stressato, lo capisco.»
     «È solo che qua non mi piace. Le persone son troppo invadenti e il posto è noioso.»
     «Cercano di essere gentili con noi e metterci a nostro agio. A Coral Spring non lo avrebbero mai fatto. Pensi che un Tyler Robbins, capitano della squadra di football, sarebbe venuto a darci il benvenuto? Non credo. Sii più gentile quindi, per favore» per tutta risposta sbuffò. Tyler era un nostro vecchio compagno di scuola a Coral Spring, il ragazzo più bello e megalomane di tutta la Florida. Potevo giurarlo.
     «Oh! Senti...hanno messo un lento» disse facendo scivolare lentamente le mani sulla mia schiena e avvicinandosi ancora di più a me, guidando i passi. Avevo però la sensazione che fosse concentrato su qualcos'altro (o qualcun altro) e si guardava attorno con fare guardingo. 
     Era strano. Non ricordavo di esser mai stata così vicina a lui. Provavo una sensazione indescrivibile a ballarci insieme, ad abbracciarlo, a vedere come ogni tanto abbassava lo sguardo e mi guardava. Pensai che fosse proprio un peccato che fosse il mio fratellastro scontroso e asociale, ma scacciai nuovamente questi pensieri imbarazzanti dalla mia testa. 
     Al termine della canzone si divincolò da me e andò a sedersi. Lo raggiunsi subito dopo. 
     Il gruppo musicale della scuola si ritirò un attimo e il resto dei nostri compagni smise di ballare e parlare. Il Preside fece il suo ingresso sul palco presentandosi e ringraziandoci di essere così numerosi, diede un colpo di tosse e annunciò, creando una gran suspance, gli eletti.
     «Il titolo di Re e Reginetta del Ballo di Primavera della Salem High School vanno a...Heric William Browning e Madeline Cornelia Francis. Prego, avvicinatevi!»
     Mi voltai verso il palco incuriosita. Fu soprattutto un diversivo per distogliere lo sguardo da quello di Jeremy che mi fissava in modo strano.
     «Ecco il tuo ragazzo misterioso» bofonchiò. Aveva ragione: era quello il ragazzo che prima stavo scrutando dall'altra parte della palestra. 
     Rimasi imbambolata ad ammirarlo con occhi sgranati: era il ragazzo più bello di tutto il liceo di Salem! Neanche a paragone con Nicholas o con Tyler. Non saprei dire se fosse solo una mia impressione o un bel sogno, ma notai che Heric, dal palco, mi osservava mentre il Preside gli poggiava la corona da Re del Ballo sulla testa.
     «Andiamo ora. L’hai rivisto e sai pure come si chiama potrai tranquillamente stalkerarlo domani su Facebook.»
     «Avete visto che schianto quel tipo!?» esultò la mia sorellastra venendo verso di noi, da sola.
     «Sei arrivata tardi, Ashley cara. Meredith se l'è già accalappiato
     Ashley fece un'espressione contrariata come se fingesse di non aver capito e raggiunse Nicholas che stava chiacchierando con un gruppo di ragazzi.
    «
Comunque non è tutta questa gran bellezza quel tipo» borbottò Jeremy.
    «E tu che ne capisci di bellezze maschili? Non sarai davvero gay?»
    «Smettila con queste insinuazioni!» 
     Tutto scocciato si alzò dalla sedia e si diresse sulla pista. Nel mentre la band aveva ripreso a suonare e molti nostri compagni avevano ripreso a ballare. Io fissavo Jeremy allontanarsi e mescolarsi tra la folla avvicinandosi poi a una ragazza minuta e bassottina.
    «Alexis?- pensai ad alta voce -ma che diamine?!» 
     Jeremy si voltò verso di me con sguardo esaltato inarcando le sopracciglia e, cingendo con il braccio la sottile vita di Alexis, sussurrandole qualcosa all'orecchio. Cominciarono a ballare e lui a strinse a sé baciandola con foga, facendo ben attenzione che io assistetti alla scena. Ero incredula, basita, attonita, sconvolta! Mille pensieri mi passarono per la testa in quel momento, chissà che cavolo voleva dimostrarmi facendo una cosa del genere. Dopo essersi staccati tornarono a ballare con in sottofondo una ballata di Otis Redding.
     Ogni tanto Jeremy mi osservava con aria compiaciuta come se mi avesse impartito una lezione di vita. Nel mentre che mi accingevo a sedermi per finire il mio punch notai che il Re del Ballo si stava dirigendo verso di me. Io gli sorrisi pensando che mi stesse realmente venendo incontro ma Jeremy prontamente mollò Alexis da sola sulla pista e mi raggiunse intimandomi che era arrivata l'ora di andarcene.
     «Che cosa? Io voglio restare!»
     «È tardi. Vieni andiamo via, non si discute!» 
     Heric, il bellissimo ragazzo di cui sapevo solo nome e cognome, rimase fermo con un'espressione incredula sulla faccia mentre Jeremy mi trascinava per il braccio fino alla nostra auto lanciandogli un'occhiata rabbiosa di sfida. Forse prima non stavo sognando ed Heric realmente stava cercando il mio sguardo tra la folla lì su dal palco, o forse mi ero immaginata che si stesse dirigendo verso di me.
    Ero così arrabbiata che avevo voglia di picchiare Jeremy! E meno male che poco prima si era scusato per il suo atteggiamento irriverente. 
    «Mi spieghi che ti è preso?»
    «Quel tipo, il Re, non mi piace. Non voglio che ci parli» mi ammonì con tono intimidatorio.
    «E chi sei mio padre?»
    Non rispose. 
    Non parlammo più durante tutto il tragitto di ritorno ed 
a mezzanotte eravamo già arrivati a casa.
    «Hey! Non sbattere la portiera!» mi sussurrò innervosito non appena scesi dall'auto.
    «Sei uno stronzo, lo sai vero?» 
    Jeremy mi fissò con aria beffarda mandandomi a quel paese mentre salivo le scale.
    «Sappi che domani dobbiamo parlare. Buonanotte» alle mie parole lui mi superò su per le scale e, borbottando qualcosa di incomprensibile, chiuse la porta della sua stanza.
    Ero a dir poco furiosa e non capivo il motivo di questo suo cambiamento di personalità. Poteva davvero una città rendere ancora più ostile una persona? Oppure soffriva semplicemente di bipolarità?
    Mi lavai per bene la faccia per toglier via tutto quel trucco a cui non ero abituata, relegai il mio vestito del ballo in fondo all'armadio e sfilai ilcorsage che mi aveva regalato Jeremy per l'occasione chiudendolo in un cassetto insieme ad altre vecchie cianfrusaglie.
    Non sarei mai più andata ad un ballo in vita mia.
 




Angolo autrice.
*Corsage: braccialetto floreale usato nelle occasioni speciali quali matrimoni o feste.
*Balli Scolastici Americani: ho trovato qui le informazioni relative ai balli scolastici in America.

Se vi state chiedendo del perché Jeremy si comporti così e chi sia il ragazzo misterioso, beh...proseguite con la lettura xD
A presto (:

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Su in soffitta. ***


5) Su in soffitta.


      Ero senza parole. Insomma, potevo giustificare il carattere e certi atteggiamenti di Jeremy fino a un certo punto, ma al Ballo di Primavera aveva avuto dei comportamenti talmente assurdi e fastidiosi che non riuscivo proprio a digerirli. Innanzitutto, sapendo bene che io volevo stringere amicizia con Alexis e che lei fosse stracotta di lui, perché diamine l'aveva baciata e poi piantata lì? Per farmi semplicemente uno sgarbo? Seconda cosa, perché cavolo si era messo in mezzo trascinandomi via quando si stava avvicinando il Re del Ballo? Che avesse una sorta di sesto senso nel giudicare le persone e lo ritenesse, in un certo senso, pericoloso? Probabilmente, però, Heric non si stava nemmeno dirigendo verso di me ed era tutto frutto della mia immaginazione ma se così non fosse stato, avrebbe pensato senz'altro che Jeremy fosse il mio fidanzato geloso. Indipendentemente dal fatto che Heric si stesse o meno incamminando verso di me, ero arrabbiatissima con Jeremy. Lo stavo odiando in quel momento.
    Andai a dormire coi nervi a fior di pelle.
   
Dopo essermi lavata bene la faccia e svestita, presi un pigiama pulito da una delle valigie già aperte e mi misi a letto, ripromettendomi ancora una volta di non andare mai più ad un ballo scolastico, tanto ogni volta mi capitavano cose spiacevoli. Infatti, forse, ancor peggio del venir vomitata addosso, era stata la sceneggiata messa in piedi dal mio fratellastro.
    Nella mia camera c'erano ancora tutti gli scatoloni a terra e i bagagli non disfatti come se fossi in procinto di partire di nuovo. In una settimana non avevo ancora trovato il tempo (e la voglia) di riordinare.

    Quando chiusi gli occhi, impressa e nitida nella mia mente c'era l'immagine di quel ragazzo: Heric William Browning e tutti i cattivi pensieri e la mia rabbia verso Jeremy si affievolirono. Presi subito sonno quella notte, resa piacevole dalla figura di quel ragazzo che riempiva la mia testa stanca e iniziai a sognare.
    Stavo andando a scuola, ma non era mattina. Sarà stato intorno alle sei dunque in tardo pomeriggio. C'era una fioca luce arancione nel cielo che filtrava dalle nuvole, probabilmente il sole stava tramontando. Mentre camminavo non percepii alcun controllo sul mio corpo, era come se le mie gambe si muovessero da sole e sapessero esattamente dove guidarmi, proprio come mi era successo la settimana scorsa quando andai a cercare la prozia Sarah e mi ritrovai di fronte alla drogheria della signora Xiang che mi indicò l'indirizzo esatto della Signora Morgan. Nel sogno però, invece di entrare nell’edificio scolastico, attraversai il giardino esterno per andare sul retro e trovai un piccolo portoncino, anzi, più che altro somigliava a un'uscita segreta, inserita tra le mura e nascosta dai rami dell'edera. Era come se sapessi che quella porta era lì, incastrata tra i mattoni e coperta dal fogliame. Poi all'improvviso ci fu un mutamento, come un cambio di scena: quando varcai quella porta mi ritrovai catapultata in un bosco e non era più l'ora del tramonto, era buio pesto. Il sole sembrava essere svanito totalmente in una frazione di secondo.
    Camminavo sicura di me percorrendo un sentiero angusto delimitato da due linee parallele di alberi dalle folte fronde. Dopo aver camminato per una ventina di minuti tra gli alberi arrivai dinanzi ad una sorta di recintato in pietra, accessibile tramite un cancello in ferro battuto completamente arrugginito: aveva l'aria di essere molto vecchio e con un semplice tocco riuscii ad aprirlo.
    Ero finita in un cimitero il quale aveva l'aria di essere molto antico e abbandonato da tempo. Era veramente tetro ed inquietante ma non avevo paura nel sogno e passeggiavo come uno spettro fra le tombe in cui le date di morte riportate, solitamente, non superavano il 1850.
    Mi fermai di fronte ad una maestosa cripta di marmo bianco cui nella testata d'ingresso era incisa una didascalia che recitava: Dal 15 78 al 1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Cavendish. 
    Nel momento in cui stavo per mettere piede all'interno dell'imponente ipogeo ci fu una folata di vento che mi scaraventò a terra violentemente.
    «Meredith» una voce flebile alle mie spalle sussurrò il mio nome che rimbombò in quel luogo oscuro e macabro. Mi voltai e vidi una figura slavata, evanescente, con due occhi luminosi che mi scrutavano dolcemente, due occhi familiari: gli occhi della nonna. Stava lì di fronte a me, ferma a fissarmi fluttuando a pochi centimetri da terra come uno spirito diafano.
    «Nonna?» mormorai a quella figura eterea.
    «Mia cara Meredith, mia adorata nipotina. Devi stare molto attenta» proferì a bassa voce. Prima che potessi farle qualunque domanda mi parlò di nuovo: «Nella soffitta della Villa, devi andare su in soffitta...» asserì. 
    Non feci in tempo a chiederle nulla che di colpo mi svegliai, madida di sudore e con il cuore a mille. Ero terrorizzata, avevo paura, una tremenda paura che mi riempì la testa di domande e che riconfermò i miei dubbi sulla sua scomparsa. Appena il mio cuore riprese a battere normalmente, il respiro non fu più affannoso e mi calmai, calzai le pantofole e salii le scalette in legno in fondo al corridoio fino alla soffitta entrandoci guardinga in punta di piedi.
    Il soppalco era piuttosto ampio e impolverato e ne percepivo il polverume che ricopriva i mobili dall'odore stantio diffuso nell'aria. La luce non si accendeva, probabilmente si era fulminata la lampadina, ma riuscivo a vedere perfettamente per via dei raggi della luna che filtravano dalla finestra. La stanza era piena di scatoloni e cose attempate, un televisore, una vecchia radio e delle scaffalature tarlate con alcuni grossi libri sui ripiani dalla copertina di tessuto. La busta di carta che conteneva le erbe, le varie boccette utilizzate dalla nonna per preparare le sue pozioni ed altri utensili vari era stata abbondata all'ingresso da mia madre che sicuramente lasciò lì sull'uscio della porta per non addentrarsi troppo all'interno della soffitta. Ciò che invece catturò la mia attenzione attirandomi a sé fu un grosso baule polveroso attaccato al muro e posto sotto l'unica finestra presente, una finestra circolare dalla quale entrava la luce lunare. Il mio istinto curioso mi spinse ad aprirlo: dentro c’era un enorme libro dalla copertina di velluto color porpora che, per paura di ciò avrei potuto leggervi tra quelle odorose pagine vecchie e consumate, non aprii in quel momento, poi vi era una sorta di diario, un cofanetto con all'interno varie ampollette e sacchetti, e uno scrigno di legno.
    Misi da parte lo scrigno e cominciai a sfogliare il diario senza prestare molta attenzione alle parole che vi erano scritte. Tra le ultime pagine trovai una lettera in cui vi era indicato il destinatario: Per Meredith. Ero io la destiataria. Era dunque per me. Decisi di aprirla all'istante.
    La busta conteneva un foglio in cui erano scribacchiate poche righe con una calligrafia antiquata. Quella decisi di leggerla subito senza curarmi né del diario stesso né di tutto il resto.


5 marzo 2010, Salem.

«Cara Meredith, ormai non mi resta più molto tempo. Sebbene la mia vita sia stata piuttosto lunga e per la maggior parte serena, la mia fine è ormai sopraggiunta senza che io abbia modo di reagire e di combattere. Purtroppo, nonostante la saggezza e la conoscenza acquisita negli anni, la mia forza non è più quella di una volta e non sono in grado di lottare contro il mio destino, posso semplicemente attendere che si compi.
Ricordi quando ti ripetevo spesso che un giorno avresti scoperto i miei misteri e avresti capito le mie stranezze, come le chiamava il tuo papà e, a volte, la tua mamma? Ecco. Qualcosa sicuramente ti avrà portato qui a leggere questa mia lettera oggi e ciò significa dunque che probabilmente io già non ci son più. Per questo tu dovrai prendere il mio posto e comprendere tutto da sola. Tu sei speciale, possiedi un potere magico e dovrai imparare ad usarlo e a dominarlo. Avrei voluto insegnati io tutto quanto ma non mi sarà possibile, non mi è stato possibile, quindi aiutati con il grimorio nel baule e con questo diario. Riuscirai così sempre a trovare una soluzione.
Dentro lo scrigno di legno troverai una catenina con un ciondolo: indossala SEMPRE e soprattutto stai attenta a ciò che fai e a chi incontri. Nessuna delle persone che ti circonda, neanche la più vicina, è realmente come appare ai tuoi occhi.
Ti voglio bene nipotina mia, ti farò percepire la mia presenza al più presto.

Ti voglio bene,

Nonna Elizabeth.»



    Una lacrima mi attraversò il viso.
    Sapevo che la sua morte non era dovuta a un malore ma ad un qualcosa di misterioso che mia madre, la prozia Sarah e la signora Xiang cercavano di nascondere.
    Ero triste, spaventata e arrabbiata contemporaneamente che volevo piangere. Alle domande sulla sua scomparsa si aggiunsero quelle sul significato della lettera: mi ero sempre reputata una persona razionale e scettica, sebbene fossi da sempre affascianta dal sovrannaturale e dalle leggende, ma quello che avevo appena letto mi sconvolse totalmente, soprattutto la data riportata nella lettera: 5 marzo 2010. La nonna aveva scritto quella lettera tre giorni prima di morire, ma come poteva sapere che presto sarebbe giunta la sua ora? E a quale mio potere magico alludeva? E infine, io come potevo sapere che in soffitta, dentro ad un vecchio baule ricoperto di polvere e fra le pagine di un diario vi era una lettera per me tramite un sogno? 
    Stavo per impazzire!
    Riposi delicatamente il cofanetto nel baula, infilai la lettera nella sua busta, presi il diario e lo scrigno che avevo messo da parte per ricordarmi di portarlo con me e, in punta di piedi, tornai in camera mia cercando di non far rumore. Appoggiai il diario sul comodino e aprii il prezioso scrigno.
    Nonostante sembrasse una banale scatola di legno, dentro era rivestito da un prezioso tessuto rosso che copriva una morbida imbottitura.
    «Questo dev'essere il ciondolo!» pensai meravigliata. Era una catenina d'oro dalle maglie sottili a cui era agganciato un ciondolo sempre d'oro in cui era incastonata una pietra azzurra che scintillava abbagliata dalla luna ogni qual volta facevo roteare lo scrigno per osservarla meglio. Come aveva scritto la nonna, indossai subito il ciondolo prima di ricoricarmi. Non me ne sarei mai più separata.
    Il resto della notte trascorse pacificamente: non feci altri strani sogni, ma mi fu però difficile riprendere sonno. Così la mattina seguente nonostante fosse domenica, mi alzai presto e con due borse enormi sotto gli occhi. 
    Mia madre era uscita presto, aveva trovato impiego in uno dei numerosi musei di Salem, il Peabody Essex Museum*, Joseph era a lavoro, l'ospedale dove lavorava si trovava poco distante dalla città, a Lynn, ed Ashley invece dormiva ancora, lei si era trattenuta molto più di noi al ballo. Jeremy invece era già in piedi anche lui e stava seduto in cucina a bere una tazza di caffè. Dai noi non era usanza fare colazione tutti insieme né la domenica né qualunque altro giorno della settimana.
    Ignorando la sua presenza, aprii il frigorifero e presi il cartone del latte per scaldarne un po' in un pentolino.
    «Stanotte ho sentito dei passi su per le scale...» mi disse guardandomi sottecchi mentre sorseggiava il suo caffè.
    Non risposi. Era notte fonda perché era ancora sveglio?!
    «Cosa ci facevi in soffitta alle tre del mattino?» insistette voltandosi di scatto per guardarmi.
    «E tu cosa ci facevi sveglio alle tre del mattino?!»
    Non era possibile: era già la seconda volta che iniziavamo un discorso e finivamo per discutere.
    «Sembravi un elefante salendo su per le scale e mi hai svegliato. Tu invece?»
    Lo ignorai. Quella sua affermazione non meritava risposta.
    «Capisco tu stia cercando di ignorarmi ma so per certo che muori dalla voglia di darmi una rispostaccia» aggiunse sogghignando.
    «Oh Jer, sei così pesante ultimamente. Basta!»
    Presi la confezione di biscotti sul tavolo e andai a sedermi sul divano nell'altra stanza per evitare altri inutili battibecchi.
    Mi raggiunse poco dopo portandomi la tazza di latte che avevo dimenticato nel bollitore.
    «Se la tua intenzione fosse stata quella di bruciare la casa infestata, avrei lasciato volentieri il latte sul fuoco.»
    Alzai gli occhi al cielo: stava diventando davvero troppo irritante ultimamente.
    «Meredith, stai attenta a quello che fai.»
    Il suo avvertimento sembrava più un ti tengo d'occhio.
    Tornai al piano di sopra e misi in ordine la mia camera: dopo settimane ero riuscita finalmente a svuotare tutti gli scatoloni e a rendere vivibile quella stanza. Sulle mensole c'erano ancora i miei vecchi peluche che avevo lasciato prima di trasferirmi in Florida e con quelli riempii gli scatoloni ormai svuotati. Di fronte alla porta si trovava la finestra da cui potevo vedere il bosco cui i vetri erano coperti da una graziosa tendina di raso, nella parete a sinistra era posto il letto in ferro battuto mentre l'armadio, che da bianco era diventato giallastro con il tempo, si trovava dalla parete opposta. I muri erano rivestiti da una carta da parati lillà con alcune macchie sparse e riquadri più scuri dove, presumibilmente, prima vi erano appese delle cornici e dei dipinti. Nonostante lo stile un po' antiquato, non volevo cambiare nulla di quell'arredamento né rinfrescare le pareti o la moquette: quella stanza era passata di generazione in generazione prima a mia nonna, poi a mia madre e infine a me e sarebbe rimasta tale anche per le generazion avvenire. Ero una tradizionalista e una sentimentale in fondo.
    Finito di riordinare andai in soffitta con la scusa di portare lo scatolone con i peluche che avevo appena riempito e cominciai a sfogliare il grosso volume che, per paura, evitai di aprire la notte appena trascorsa. Sembrava un libro di incantesimi, e pure molto vecchio, datato 1689 come riportato nella seconda pagina. Insomma una vera e propria reliquia.
    «Avevo ragione che fossi qui stanotte!» la voce di Jeremy alle mie spalle mi spaventò. Non lo avevo sentito arrivare perché ero troppo concentrata a curiosare come un ladro.
    «Non ero io. Mi hai incuriosita! E poi dovevo sbarazzarmi di alcune vecchie cose e così sono salita» replicai.
    «Sì, certo. Abbiamo un elefante nottambulo in casa wow!»
    «Ci sono i piatti da lavare nel caso fossi annoiato.»
    «Mmmh no. Allora cosa ci fai qui?» mi domandò di nuovo e stavolta con tono più insistente.
    «Mi hai incuriosita e sono salita. Te l'ho detto.»
    «Credi davvero a queste cose?» disse inginocchiandosi accanto a me dando un'occhiata fugace al libro di incantesimi che tenevo in mano.
    «Quali cose?»
    «Le streghe» pronunciò la parola streghe con enorme scetticismo e con una vena disprezzo.
    «Non saprei. Mia nonna lo era., cioè affermava di esserlo.»
    «Stai attenta, non metterti nei guai» disse di nuovo quel tono da ti tengo d'occhio mentre si alzava in piedi.
    «Tu non ci credi?» gli domandai. Esitò un momento prima di rispondermi.
    «No. Mmh boh non lo so, ed è proprio perché non lo so che preferisco stare fuori da queste cose. Vado a farmi un giro, ciao!»
    Non riuscivo a capire quello che mi diceva: come si poteva non sapere di credere o no a un qualcosa?
    «Bella collana comunque» osservò prima di uscire dalla soffitta facendomi un cenno con la testa per indicareil ciondolo.
    Chissà perché la nonna aveva espressamente richiesto nella lettera che io lo indossassi. Anche questo ciondolo aveva un potere magico? C'erano solo due persone qui che potevano aiutarmi sebbene mi scocciasse un po' disturbarle e non avevo neanche la certezza che mi avrebbero davvero aiutata.
    «Pazienza se dovessi disturbarle!» pensai tra me e me.
    Jeremy era uscito e decisi di uscire anche io.

***

    Ricordavo perfettamente la strada. In meno di mezzora mi ritrovai già di fronte alla casa di Sarah Morgan, la mia misteriosa prozia di cui fino alla settimana scorsa non sapevo di avere. Quasi tutti i parenti dalla parte di mia madre erano deceduti mentre i parenti dalla parte di mio padre non liavevo mai incontrati.
    Titubante ritrassi il dito dal pulsante del campanello diverse volte prima di premerlo a fondo. Mi feci coraggio e suonai.
    Non attesi molto.
La donna era ancora in pigiama e visibilmente assonnata quando mi aprì.
    «Sei di nuovo qui? Cosa vuoi?» brontolò la Signora Morgan seminascosta dalla porta socchiusa.
    «Io...la prego non mi mandi via. Vorrei parlarle.»
    La donna borbottò qualcosa e sbuffando mi fece accomodare.
    «Sei fortunata, stavo giusto preparando la colazione.»
    Mi servì un té fumante e una montagna di pancake traboccanti di sciroppo di mais.
    «Sei identica a Elizabeth quando aveva la tua età, però sei così smagrita cara. Mangia» disse spingendo verso di me il piatto di frittelle che aveva preparato.
    Addentai un boccone e improvvisamente mi tornarono in mente i miei primi tre anni di vita a Salem, quando era la nonna a prepararmi la colazione. Questi pancake erano uguali a quelli che faceva anche lei, avevano lo stesso identico buon sapore. Erano ricordi flebili e fugaci, ma quel profumo e quel gusto erano inconfondibili.
    «Il segreto è lo sciroppo di mais- disse osservandomi mentre mi abbuffavo -Comunque, dimmi perché sei venuta.»
    Incrociò le braccia e con aria severa mi fissò in attesa di risposta.
    Deglutii l'ennesimo pezzetto di frittella e senza tanti preamboli le chiesi se conoscesse la vera causa della morte della nonna, sua sorella, Elizabeth Morgan.
    Ebbe un sussulto e fece spallucce. 
    «Sa, io non sapevo che la nonna avesse un'altra sorella. Pensavo fossero solo in quattro, o così mi aveva detto la mamma.»
    Annuì e brevemente mi raccontò il motivo del perché non avessi mai sentito parlare di lei né l'avessi mai sentita nominare dalla mamma o dalla nonna. Era stata praticamente spodestata dalla nostra famiglia, la stirpe dei Morgan.
    «Quel che ti sto per raccontare forse non avrà molto senso, ma se sei qui a farmi certe domande sicuramente non ti spaventerai. Eravamo cinque sorelle in realtà: Adele, Virginia, Elizabeth, io e Candice, la più piccola. Le prime tre, fra cui tua nonna, ereditarono un potere magico che si tramanda alternativamente tra una generazione e l'altra ma solo ad un certo numero di figli (sia che questi siano maschi sia che siano femmine) viene concesso il dono. Questo numero raggiunge un massimo di tre poiché la leggenda vuole che 3 sia il numero perfetto in tutte le culture e in tutte le religioni, dunque a me e a Candice non ci era stato trasmesso. A lei non importava molto, non si sentiva diversa, anzi, essendo la più piccola (di dieci anni rispetto a me che ero la più giovane) era coccolata come se fosse una di loro, una strega. Io no. Io mi sentivo esclusa, mi sentivo diversa soprattutto durante l'adolescenza. Adele, Virginia ed Elizabeth stavano spesso con nostra nonna, Elvira, per imparare a padroneggiare il loro potere, anche Candice a volte vi partecipava ed io rimanevo nella mia stanza da sola. Un giorno, quando non c'era nessuno in casa, frugai fra le cianfrusaglie magiche delle mie sorelle e di mia nonna perché volevo provare a fare un incantesimo anche io e mostrare a tutte quante che anche io potevo essere una strega come loro e che quella del numero 3 era solo una sciocchezza per contenere il numero delle streghe e per evitare che la vostra specie si moltiplicasse a dismisura. Di conseguenza, per aver tentato di lanciare un incantesimo, mi bruciai completamente le braccia e le mani» si interruppe un momento alzandosi le maniche della vestaglia per mostrarmi gli arti con delle profonde cicatrici d'ustione.
    
«Nostra madre tornò a casa dal lavoro e, preoccupata per il fuoco che fuoriusciva dalla finestra della soffitta, si precipitò fino a lì ma non essendo nemmeno lei una strega (perché era strega solo da parte di madre dunque il gene si eredita come ti ho detto a generazioni alterne a meno che entrambi i genitori non siano degli stregoni o per lo meno questo è ciò che viene raccontato), nel tentativo di risolvere il guaio che avevo combinato, prese fuoco come un barile di benzina. So che questo che ti sto dicendo è molto cruento, ma tu vuoi sapere la verità, non è vero?»
    Annuii con la testa invitandola a proseguire il racconto.
    «Chiamai i vicini i quali chiamarono i vigili del fuoco e scappai, la lasciai lì a bruciare insieme alla nostra casa. Ero spaventata e mi sentivo tremendamente in colpa, non sapendo cosa fare mi nascosi nel bosco dietro la villa. Appena i pompieri spensero l'incendio, stranamente la villa non subì danni particolarmente gravi, tornai a casa aspettando il ritorno delle mie sorelle e di mia nonna. Erano affrante. Tentai di spiegare l'accaduto ad Elvira ma lei mi maledisse. Ero stata avvisata e messa in guardia: non dovevo nemmeno pensare alla magia. Dunque mi fece un incantesimo: se avessi provato a farne un altro o se avessi interferito nuovamente con l'ordine naturale della magia sarei morta. Da quel giorno, ogni notte in sogno mi appare il fantasma di mia madre che brucia fra le fiamme, l'altra parte della maleduzione fattami da mia nonna. È terribile, mi tormenta ancora oggi» gli occhi le diventarono lucidi e abbassò il capo.
    «Per finire, nostra nonna mi diseredò cacciandomi via. Nostro padre era morto non appena nacque Candice ed io non avevo alcun posto dove andare. Avevo solo diciassette anni all'epoca ma riuscii a cavarmela accettando la proposta di matrimonio di un giovane di qui di cui, pace all'anima sua, non ero innamorata. Per questo conservai il cognome Morgan nonostante tutto. Ora ho sessantotto anni, sono più di quattro decenni che non ho a che fare con la magia e con le streghe» chiuse quel resocconto sospirando.
    Avrei voluto farle mille domande, ad esempio come erano morte le sue sorelle (e la nonna soprattutto), se aveva conosciuto mio nonno, se avevo altri parenti dalla loro parte, oltre un lontano cugino e sua moglie che vennero al funerale della nonna, ma non volevo sembrare inopportuna. Fu lei però ad accennare all'argomento.
    «Se te lo stai chiedendo non so come sia morta esattamente tua nonna. Adele morì di malattia una decina di anni fa, Virginia morì a causa di un infarto nel 1991 nonostante fosse molto giovane e Candice fu investita quando aveva poco più di trentanni. Tua nonna fu l'unica a rimanere in quella villa dopo la morte di Elvira, le altre andarono per la propria strada. Tua nonna fu anche l'unica ad aver avuto una figlia e poi una nipote, tu. Steven, che era al funerale, venne adottato da Adele.»
    Rimanemmo un po' in silenzio senza dire una parola fissando il vuoto del tavolo come diversivo.
    «Lei sa a cosa serve questo?» le chiesi poi mostrandole il ciondolo che tenevo nascosto sotto la maglietta per smorzare quell'atmosfera.
    La donna inorridì.
    «Sta attenta a quel coso. Chissà che razza di ordigno sia! Ora ti prego, va, ti ho detto fin troppo.»
    Mi accompagnò alla porta raccomandandosi nuovamente di fare attenzione e di non presentarmi mai più a casa sua.




Angolo autrice.
*Peabody Essex Museum: è un museo realmente esistente a Salem https://www.pem.org/

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il ragazzo misterioso. ***


6) Il ragazzo misterioso.


      La mattina dopo dimenticai per un attimo i miei interessi paranormali e le varie peripezie sovrannaturali svegliandomi più presto del solito con l'intento di rendermi più presentabile agli occhi di Heric, il ragazzo eletto Re del Ballo di Primavera, in caso l'avessi rivisto a scuola. Mi aveva ipnotizzata per questo mi stavo costruendo così tanti castelli per aria su su di lui anche perché, ad esser del tutto onesta e secondo il mio personale parere e soggettivo parere, aveva ben pochi rivali alla Salem High School. Non so perché ci sperassi o perché ne fossi già così ossessionata, ma mi piaceva ogni tanto provare interesse verso qualcuno, immaginarmi un qualche lieto fine, insomma avere un diversivo su cui fantasticare e poi, in una scuola piccola come quella di Salem, sarebbe stato difficile trovare altri bei ragazzi da osservare.
    Rindossai il maglioncino che mi aveva prestato Ashley per il primo giorno di scuola a Salem e di cui mi ero ormai appropriata (tanto lui non era presente quel giorno, non me l'aveva visto e non avrebbe pensato che mi mancasse dell'inventiva nel vestirmi) e stavolta, seguendo il consiglio della mia sorellastra, lo misi senza la canottiera sotto e lo abbinai ad una gonna nera piuttosto corta e attillata, un paio di anfibi e un filo di trucco. Era il massimo che potessi fare.
    Scesi a fare colazione: Ashley stava seduta a bere una tazza di latte e mi squadrava dalla testa ai piedi. Jeremy invece era ancora in camera sua.
    «Wow!- esclamò incredula spalancando gli occhi -sembri proprio la groupie di un gruppetto di metallari! Però apprezzo lo sforzo, sei più decente del solito, beh ovvio quelli sono i miei vecchi vestiti, e cavolo! Ti sei pure truccata! Su chi vuoi fare colpo?» mi apostrofò mettendomi in ridicolo.
    «Non sembro una groupie! E poi non è che se mi trucco debba necessariamente piacermi qualcuno» risposi scocciata. Tutti in famiglia erano abituati a vedermi quasi sempre conciata come un maschiaccio o senza troppo impegno, per questo sia lei sia mia madre si meravigliarono. Io stessa mi sentivo a disagio, peggio della sera del ballo, in cui almeno avevo un motivo per essere tutta in ghingheri. 
    Jeremy entrò in cucina e sentendo i suoi passi mi voltai per dargli il buongiorno. Rimase fermo sulla porta della cucina e mi guardò stranito: scoppiò a ridere fragorosamente, a ridere di me. Prese il caffè dalla moka versandoselo in una tazza e, dopo averlo bevuto tutto in un sorso, fece cenno a me e ad Ashley di muoverci, soffocando un’altra risata. Insomma, un po’ di trucco, un maglioncino scollato ed una gonna non mi davano poi tutta quest’aria ridicola e speravo, in caso avessi incontrato Heric, di non provocargli lo stesso identico effetto di ilarità.
     Quando arrivammo a scuola, sentii quasi tutte le ragazze parlare del Re e della Reginetta del ballo, di quanto fossero belli, di quanto lui fosse bello. Non avevo fatto molto caso alla ragazza che venne eletta, ma iniziavo ad esser curiosa di vedere anche lei.
     Alla prima ora avevo matematica insieme a Jeremy. Lui scelse un posto molto lontano dal mio, nonostante ci fossero ben tre banchi liberi accanto a me: ai lati e davanti. Non ne capii il motivo ma lui si sedette da tutt'altra parte.
    A un certo punto i miei occhi si illuminarono come due lanterne: entrò Heric, il bellissimo ragazzo del ballo, il Re del Ballo di Primavera della Salem High School, che mi aveva colpita fin dal primo momento con il solo sguardo. 
    Heric entrò in classe con aria indifferente e posata senza guardarsi troppo intorno, portava un paio di jeans scuri ed una maglione nero con lo scollo a V. D'un tratto si voltò verso di me, mi fissò un attimo e continuò a camminare. Non riuscivo proprio a distogliere lo sguardo dalla sua figura.Sebbene ci fossero anche altri posti liberi, lui si sedette proprio nel banco accanto al mio, alla mia destra. Mi sentivo fortunata ed allo stesso tempo a disagio e tenevo gli occhi bassi sul quaderno rimanendo immobile ma con la coda dell'occhio notavo che mi stesse scrutando come sabato. Mi girai verso Jeremy dall’altra parte dell’aula per lanciargli un’occhiata complice ma vidi che stringeva il pugno e che mi guardava male, anzi ci guardava male. Mi sentivo al centro dei loro sguardi ed anche questo mi metteva parecchio in soggezione. 
    Quando il professor Richardson entrò in aula tutti scattammo sull'attenti.
    «Guarda guarda chi si ripresenta a scuola dopo sole due settimane di assenza. Ben tornato Vostra Maestà Signor Browning, siete ben riposato? O le mansioni reali vi hanno distolto troppo dagli impegni scolastici?» lo calzonò ironicamente l'insegnante di matematica.
    Heric alzò lo sguardo e gli fece un sorriso beffardo.
    «Saprà dirmi qualcosa sul seno e coseno di 30°?» Heric rispose scuotendo la testa e ignorò il professore che, indignato, iniziò a fare l'appello.
    Continuò a fissarmi senza seguire la lezione. Non mi piaceva molto questo suo atteggiamento irriverente e poco rispettoso ma la sua bellezza e il suo essere tremendamente attraemente sopraffacevano di gran lunga questi suoi modi rudi.
    «Signor Browing, capisco che il fascino della signorina Spencer sia disarmante, ma segua la lezione» lo rimproverò nuovamente il professore.
    Tutti iniziarono a ridere, Jeremy scosse la testa in segno di disapprovazione e io diventai viola dalla vergona. Anche il professore si era accorto che Heric non la smetteva di fissarmi e per via di quella battuta lo fulminò con lo sguardo. Il professore, quasi intimorito, fece poi finta di nulla zittendo gli altri studenti e proseguì con la lezione sulla dimostrazione di un teorema.
    Quell’ora sembrava non finire mai, così appena squillò la campanella mi affrettai ad uscire. Ma la mia stessa goffaggine mi ingannò: incimpai dalla fretta e feci cadere tutte le mie cose a terra. Mi chinai velocemente facendo finta di niente sperando che nessuno mi avesse vista per cacciare tutto dentro la borsa e scappare più in fretta che potessi.
    «Hey!» qualcuno mi diede una leggera pacca sul braccio per richiamare ulteriormente la mia attenzione. Sollevai un poco la testa dal pavimento e...Heric stava di fronte a me, chinato con il suo viso a cinque centimetri dal mio. Rimasi incantata ad osservarlo imbambolata come un'allocca: non avevo mai visto degli occhi così belli, così azzurri, così profondi e intensi, e non mi ero mai sentita così maldestra e imbarazzata.
    «Ti è caduto anche questo» disse porgendomi una penna e sorridendomi maliziosamente. Anche il suo sorriso meritava altrettanti complimenti: denti bianchissimi e perfettamente lineari, labbra carnose ma non troppo, viso un po' ossuto ma né troppo smagrito né troppo paffuto. In una parola: bellissimo.
    Restammo chinati per un po’ e poi ci alzammo in piedi simultaneamente continuando a guardarci negli occhi senza distogliere lo sguardo di dosso l'uno dall'altra. Per quanto mi sentissi impacciata e in soggezione non riuscivo a non guardarlo. Poi spostò lo sguardo verso il ciondolo che portavo al collo e fece un’espressione strana, quasi turbata e vidi le sue iridi diventare di un azzurro più intenso. Ebbi quasi l'impressione che si stessero scurendo. 
    «Tutto bene?» chiesi strizzando gli occhi per mettere meglio a fuoco ciò che avevo notato. 
    «Sì. Devo andare, Meredith.»
    Mi aveva chiamata per nome, mi aveva chiamata M-e-r-e-d-i-t-h. Ero strabiliata! Il fatto che conoscesse il mio nome mi fece sentire quasi importante. E poi il nome  Meredith  pronunciato dalle sue labbra assumeva quasi una musicalità piacevole, diversamente dagli striduli di mia madre la mattina e dalle prese in giro di Jeremy e Ashley. 
    Rimasi ancora imbambolata qualche secondo a fissarlo mentre usciva dalla classe così sicuro di sè e con passo svelto.
    La sensazione di qualcosa di gelido vicino allo sterno mi fece tornare coi piedi per terra. Il ciondolo, anzi la pietra incastonata all’interno del cerchio di metallo, era diventata più fredda così tanto che addirittura l'oro che che la conteneva si era raffreddato.
    «Che strano» pensai tra me e me mentre lo rigiravo tra le dita.
    Jeremy mi passò affianco mentre contemplavo il ciondolo e avvertii come un’energia negativa non appena mi sfiorò accidentalmente. Sembrava quasi geloso: geloso di Nicholas che mi aveva invitata al ballo, geloso di Heric che mi guardava. Ma non poteva essere geloso, era mio fratello! Vabbè fratellastro come sottolineava sempre lui. Comunque in quel momento non pensavo a lui, avevo in mente solo Heric: per questo decisi dunque di stare un po’ lontana dal mio irascibile fratellastro e, durante la pausa pranzo, vedendo Alexis seduta da sola, mi unii a mangiare insieme a lei. Appena mi vide sedermi al suo tavolo mi salutò freddamente perché probabilmente ce l’aveva a morte anche con me per via di Jeremy e per ciò che aveva fatto la sera del ballo.
    «Lo so che mio fratello è un vero stronzo, maleducato e privo di sentimenti, ma potremmo essere amiche anche se lui...» non sapevo come continuare la frase, forse stronzo, maleducato e privo di sentimenti rendevano bene l'idea. Lei mi guardò sbigottita in attesa che terminassi la frase:«...è un idiota». Lo apostrofai con semplicemente così sebbene gli si addicessero appellativi più coloriti. Alexis annuì ma non disse una parola e il suo silenzio iniziava a mettermi alle strette perchéstavo per terminare le frasi di circostanza volte a tirarla su di morale.
    
«Io con lui non ho parlato. Se hai voglia, puoi raccontarmi quello che è successo, puoi fidarti di me. Lui non si confiderà mai con me, ma magari posso aiutarti se mi dirai cos'è successo» la rincuorai con quelle parole e davvero volevo aiutarla e consolarla ma, ovviamente, ero anche tremendamente curiosa. Alexis sospirò e diede un altro morso al suo panino. Ero convinta che non avesse intenzione di confidarsi ma non fu così.
    «Quando sei andata a prendere da bere con Matt, mi ha detto francamente ciò che pensa, cioè che io non gli piaccio e continuare a fare la gentile e la carina usando il pretesto che fosse appena arrivato era patetico. Credimi che io sono una persona particolarmente estroversa e schietta quindi ho apprezzato molto la sua sincerità. Poi però dopo un'oretta scarsa è venuto in pista mi ha sussurrato se volessi concedergli "l'onore di questo ballo", mi ha abbracciata e abbiamo iniziato a ballare insieme. Infine mi ha baciata. Poi è sparito di nuovo correndo verso di te. Oggi non mi ha neanche guardata. Io non lo capisco... Ma credimi, Meredith, non ce l’ho con te però è stato veramente uno stronzo.»
    
Alexis non si metteva problemi a dire ciò che pensava ma un po' mi aveva pesato il fatto che avesse definito Jeremy uno stronzo. Da parte mia credevo che potessero stare bene insieme: lui così timido e riservato e lei così estroversa e diretta. Ero ancora dell'idea innocente che gli opposti si attraessero e ci vedevo un qualcosa di romantico in loro dunque tutta questa scortesia da parte di Jeremy non la capivo e non ero nemmeno più intenzionata a farlo. 
    «Il fatto è che, non so, boh... mi piace» confessò.
    «Mmh, in questo caso proverò a parlargli.»
    «No no ti prego! Mi sento già abbastanza umiliata.»
    Nel mentre che parlavamo notai che in qualche tavolo dietro Alexis, un po' isolato, stava seduto Heric, da solo così tentai di cambiare discorso.
    «Conosci quel tipo seduto lì?» le dissi facendole cenno di girarsi. 
    Lui alzò lo sguardo verso di noi come se mi avesse sentita e io continuai a mangiare facendo finta di niente.
    «Sì, tutti lo conoscono. È il Re del ballo. Cavoli, è proprio bello!» disse Alexis.
    Già, proprio bello. 
    Volevo saperne di più e le feci qualche domanda discreta, tipo dove abitasse o che corso seguisse, senza far trapelare la mia precoce fissazione.
    Alexis era piuttosto informata, lavorava nella redazione del giornalino della scuola: era gli occhi e le orecchie della Salem High School. Questo era tutto ciò che sapeva: Heric William Browning, diciassette anni compiuti a gennaio, frequentava il terzo anno, non faceva sport e non era coinvolto in nessuna attività extrascolastica e viveva con sua cugina Madeline, la Reginetta del Ballo, in una villa poco fuori Salem. Si erano trasferiti a settembre di quell'anno scolastico. Della sua famiglia invece nessuno sapeva nulla: circolavano voci sul fatto se vivessero o meno coi genitori, o se uno dei due fosse stato adottato dalla famiglia dell'altro o viceversa o se vivessero soli, giravano dicerie anche su presunti rapporti incestuosi o che non fossero realmente cugini.
    Suonò di nuovo la campana, la pausa pranzo era terminata. Avevo educazione fisica e andai in palestra riuscendo ad evitare Jeremy anche per quell’ora.
    Entrambi, sia Heric sia Jeremy, erano in palestra. Heric era ancora più bello in tuta e non riuscivo proprio a smetterla di fissarlo.
    Al termine dell'ora di educazione fisica mi accostai all’uscita ad aspettare Jeremy, in fondo non mi andava di tornare a piedi fino a casa.
    Un brivido, di nuovo, mi attraversò la schiena e sentii un soffio freddo sul collo. La sensazione era la stessa che provai quando vidi per la prima volta Heric lì al Ballo di Primavera.
    «Tu non hai idea di chi io sia, vero?» rimasi immobile e poi mi voltai lentamente. Avevo riconosciuto la sua voce.
    «S-s-sì, sei Heric, giusto? Stamattina...» mi interruppe.
    «Hai un buon profumo» sussurrò inspirando profondamente. 
    Rimasi senza parole. 
    «A domani» soggiunse. Poi, sorridendomi, si allontanò dirigendosi verso la sua macchina, una cabriolet nera. Doveva appartenere senz'altro ad una famiglia agiata. Lo si notava anche da come si comportava. Nessun figlio di operai o cassiere poteva permettersi quell'auto o poteva ostentare tale sicurezza di sé.
    Riflettei poi su ciò che mi aveva detto e quella frase continuò a risuonarmi in mente: «Tu non hai idea di chi io sia, vero?» sembrava quasi un chiaro riferimento alla lettera della nonna in cui mi avvertiva che nessuno era realmente come appariva ai miei occhi.
    «Meredith! Dannazione, muoviti!»
    «Arrivo!» corsi verso l’auto e chiesi scusa a Jeremy e Ashley per il ritardo.
    «Mi stavi evitando per caso?» chiese, scocciato.
    «No. Stai diventando anche presuntuoso oltre che antipatico?»
    «Mer, quel ragazzo con cui stavi parlando non è forse il Re del ballo? Wow! Ora capisco. Cioè è assurdo» mi schernì Ashley.
    «Sì, seguiamo alcuni corsi uguali. E poi scusa non stai uscendo con Nicholas?» ribattei infastidita.
    «Ah già, Nicholas...Quindi aveva ragione Jer a dire che lo avevi già accalappiato tu. Peccato» pronunciò il nome di Nicholas quasi con stupore come se uscire insieme a qualcuno fosse una cosa dimenticabile e fosse già pronta a passare al prossimo ragazzo. Ma Ashley era così, frivola e superficiale, passava da un ragazzo all'altro senza troppe preoccupazioni. Non mi importava che Nick stesse uscendo con qualcun’altra, mi dava fastidio però che uscisse proprio con la mia sorellastra, per principio. Ma con Heric non doveva assolutamente provarci. Nella mia testa lui era già mio. Non mi capitava dalla prima superiore, lì al liceo di Coral Spring, di provare questa sensazione del cosiddetto colpo di fulmine. Mi presi una cotta sin dal primo giorno per un ragazzo del mio corso di arte, Jackson Turner, che era però due anni più grande di me. Era bello, non come Heric, ma possedeva il suo fascino da ragazzo ribelle. Era più grande e rivendicava sempre il suo voler essere uno spirito libero. Dopo essere usciti per qualche tempo ci fidanzammo e innamorammo, o per lo meno io me ne innamorai. Fu sospeso perché aveva fatto a botte con uno dei giocatori della squadra di football il quale, a differenza sua, era figlio di papà. Rischiò guai seri perché aveva già sedici anni ed era perseguibile penalmente. Non lo rividi più perché lasciò la scuola e andò a lavorare in un'altra città. Poi, dopo qualche tempo, all'inizio del penultimo anno al liceo di Coral Spring incontrai Mark Grey, il ragazzo che mi vomitò sul vestito la sera del ballo. Non ero veramente interessata a lui, pensavo ancora a Jackson in realtà, ma Mark era divertente e simpatico ed era un ottimo diversivo. Anche lui però, dopo l'incidente all'Homecoming, scomparì. Il mio excurs di ex ragazzi o semplici ragazzi che avevo frequentato o che mi erano piaciuti era tragico e demoralizzante. Chissà come sarebbe andata a finire con Heric?! Nella mia fantasia già risuonavano le campane nuziali, sempre se anche lui non sarebbe scappato via. Continuavo a pensarci e ripensarci, senza conoscere nient’altro che il suo nome e qualche infondato pettegolezzo. Sapere che lui a sua volta non sapeva minimamente chi fossi e nemmeno mi pensava come stavo facendo io, era deprimente. Deprimente e patetico. Però sapeva il mio nome e avevamo già parlato per ben due volte. Per ora era abbastanza. Per ora, mi bastava. Che felicità!

***

    Tornati a casa mi rinchiusi in camera ma nulla, continuavo a pensarci, non riuscivo nemmeno a studiare. Cercai di stalkerarlo su Facebooke vari social network ma di lui neanche l'ombra. Forse si era cancellato dalle troppe richieste? Forse aveva un nome fasullo per evitare di esser appunto vittima di stalking da parte di ragazzine sciocche come me? Purtroppo era diventato il mio pensiero fisso, che stupida.
    «Posso parlarti un attimo?» disse Jeremy bussando la porta della mia stanza e aprendola allo stesso tempo disturbando i miei sciocchi pensieri. 
    «Non ti ho detto di entrare. Cosa c’è?» chiusi svelta il mio portatile per evitare che Jeremy vedesse ciò che stessi facendo.
    «Quel tipo, il ragazzo misterioso, non mi piace.»
    «Me lo auguro!»
    «Non in quel senso, stupida!»
    «Non deve mica piacere a te, in nessun senso.»
    «Ma quanto sei scema? Non dovresti vederlo.»
    «Chi sei mio padre? La mia guardia del corpo?»
    «Eh...»
    «Mmh?»
    «Stai attenta.»
    Questi suoi continui avvertimenti iniziavano a darmi sui nervi. Odiavo essere controllata e tenuta d'occhio, soprattutto da qualcuno più piccolo di me. Avevamo qualche mese di differenza, ma delle volte parevano anni talmente si comportava da immaturo. Inoltre, tra lui ed Heric non sapevo proprio chi fosse il vero ragazzo misterioso. Forse proprio Jeremy, anzi, più che misterioso era incomprensibile.
    A cena non gli rivolsi la parola sebbene in questo modo stessimo mettendo in tensione tutta la famiglia. La nostra ostilità nell'aria era tangibile.
    «Che strano ciondolo! Dove lo hai preso?» mi domandò Ashley.
    «Ma non era della nonna? Dove l’hai trovato?» chiese invece mia mamma con tono incredulo.
    «Su in soffitta, in un baule» mugugnò qualcosa che non riuscii a comprendere. Probabilmente non capiva perché lo indossassi io o perchè fossi andata a frugare in soffitta tra le vecchie cose della nonna.
    Finito di cenare, seguii Jeremy fino in camera sua. Dovevo parlargli io stavolta.
    Chiusi la porta e mi sedetti sul suo letto mentre lui osservava tutti i miei movimenti poggiato alla finestra con le spalle verso l'esterno. 
    «Ieri alla fine non abbiamo parlato. Perché ti sei comportato così con Alexis?»
    «Non lo so. Ero ubriaco.»
    «Ma non dire cavolate! Non hai bevuto niente!»
    Rise di gusto e fece spallucce.
    «Tu perché stai facendo l'oca con quel tipo?»
    «Che cosa? Come ti permetti? E poi non è di me che stiamo parlando adesso!»
    Ridacchiò di nuovo e si voltò togliendosi la maglietta.
    «Ma che fai?»
    «Mi cambio. Sono stanco e voglio dormire» disse liquidandomi a torso nudo.
    Prima di chiudere la porta lo pregai, di nuovo, di comportarsi bene e di non fare l'idiota con Alexis. Di tutta risposta mi mandò a quel paese dicendomi di farmi gli affari miei.
    Erano affari miei eccome.   

    Andai nuovamente a dormire con l'umore nero sempre per colpa di Jeremy. I suoi avvertimenti però cominciavano ad insospettirmi e volevo capirne la ragione così mi scervellai tutta la nottata fino a che non caddi in un sonno profondo. 
    Quella notte inoltre sognai di nuovo.

    Stavolta mi trovavo nella biblioteca della scuola. Il silenzio regnava sovrano in tutto l'edificio, i corridoi erano vuoti e le luci ovunque erano spente, solo quella di emergenza posta sopra la porta d'accesso alla biblioteca rilasciava un fioco fascio luminoso verde mentre la candela posta sopra un piccolo tavolo rialzato illuminava l'intera sala lettura. Io ero in piedi dando le spalle alla porta d'ingesso alla biblioteca e stavo sopra la pedana che sorreggeva quella sorta di podio, intenta a leggere il libro che vi era posato, un libro simile a quello che c’era su in soffitta, vecchio, con la copertina rigida e le pagine consunte di cui non riuscivo a decodificarne le parole. Era un grimorio, scritto in una strana lingua, probabilmente in latino. Nell'aria si percepiva un'atmosfera strana, inquietante e ostile. Ero talmente concentrata a capire cosa vi fosse scritto in quelle pagine, che non mi accorsi che nella biblioteca era giunta una presenza estranea.
    «È pericoloso stare qui» disse la persona alle mie spalle con voce pragmatica. Non aveva pronunciato quella frase con tono preoccupato anzi percepii una nota di ironia e sarcasmo e suonava quasi come un avvertimento che in realtà il pericolo fosse lui. 
    «Heric» non mi voltai. Sapevo per certo che era lui, la sua voce era inconfondibile e la sua presenza eterea palpabile.
    Sentii i suoi passi leggeri percorrere un tratto per avvicinarsi a me. Io non mi voltai mai per guardare verso di lui, mi sentivo quasi come se fossi Orfeo: se mi fossi girata, l'avrei perso per sempre. Herci si abbassò leggermente per sussurrarmi qualcosa all'orecchio appoggiando la mano sul tavolo per sostenersi dove io stavo sfogliando quello strano libro e mi sembrò di sentire lo stesso soffio gelido sul collo di quando Heric mi aveva chiesto se sapessi chi fosse quella mattina. Lesse ad alta voce una manciata di frasi, l'unica che poi mi ricordai appena sveglia e che mi appuntai su un foglio di carta fu: «Timeo daemones et res adversae ferentes»*.
    Sospirò pesantemente spirando il suo alito freddo sulla mia nuca..  
    «Ma tu non mi temi, non è vero?»
    «Numquăm»* risposi io. Il perché parlassi nella stessa lingua in cui era scritto il grimorio, non lo sapevo ma nel sogno ero cosciente di saper leggere e comprendere quelle pagine.
    «Vieni con me» disse con voce suadente Heric, e non era una domanda o un invito, ma un obbligo. Sapevo che fosse Heric ma allo stesso tempo non era in lui e non era lui, quello che mi parlava in quella maniera non era la sua persona. E di questo fui dubbiosa poiché, nonostante la voce inconfondibile, non mi voltai mai per osservarlo in viso e lui rimase tutto il tempo alle mie spalle. Si scostò un po' in modo che avessi lo spazio per scendere da quel piccolo altare e gli andai vicino, pronta a seguirlo.
    «Meredith no!» Jeremy apparve nel sogno all'improvviso, per salvarmi da non so cosa e mi afferrò il braccio per trattenermi. 
    Come l’altra notte mi svegliai verso le tre del mattino tremante e impaurita. Che mi stesse davvero succedendo qualcosa di strano? Che fossero vere tutte quelle leggende?
    Strinsi il ciondolo tra le mani come se potesse darmi risposte e conforto. Era freddissimo. Chissà quale sorta di marchingegno gli faceva cambiare temperatura!
    Scesi in cucina a bere qualcosa per rilassarmi un po' e tornai in camera per leggere il diario della nonna. Nella lettera aveva scritto di leggerlo perché mi avrebbe aiutata a capire. Lo sfogliai dall'inizio alla fine e con la coda dell'occhio trovai una pagina intitolata Sogni, di cui scrisse però pochissime righe quando aveva circa quindici anni, ossia più o meno la mia età.


16 aprile 1953

Sogni.

«Inizio a fare sogni strani. Alcuni mi inquietano altri mi eccitano facendomi sentire un enorme potere tra le mie mani altri ancora mi lasciano dubbi e perplessità sul loro significato reale.
La nonna ha detto che i sogni di una strega alle prime armi non sono mai del tutto attendibili, sono confusi, spesso in ambientazioni irreali e rappresentan
o ciò che la strega vorrebbe succedesse o mostrano alla strega ciò che dovrebbe vedere nella realtà ma che in realtà, appunto, non riesce a vedere. Spesso, dice sempre nonna Elvira, soprattutto all'inizio, il vero significato di questi sogni è celato da circostanze differenti che ne possono alterare in parte la veridicità e dunque ingannare la coscienza di una giovane apprendista. 
Una strega esperta non ha bisogno di dormire per vedere il futuro, ma nei sogni troverà sempre un qualcosa in più. Un indizio.
I primi segnali che fanno presagire la comparsa del Dono sono rappresentati proprio dal susseguirsi di stati alterati della coscienza: sogni, visioni, premonizioni. Così ho letto da qualche parte nel Grimorio dei Morgan. Con la costanza e la disciplina si arriverà ad avere il totale controllo del proprio potere di veggenza che sarà poi del tutto attendibile.
E così, almeno, ci ripete sempre nonna Elvira.»



    Non ero una strega. I miei sogni non avevano alcun significato, né erano un desiderio inconscio, e, a parte Jeremy che rovinava sempre tutto, non c'erano altri particolari relativi alla realtà.
    La mia razionalità stava cedendo il posto alla follia. 




Angolo autrice.
*«Timeo deamones et res adversae ferentes»: è un adattamento della frase latina contenuta nell'Eneide di Virgilio e significa:«Temo i demoni e le sventure che portano». L'originale è «Timeo Danaos et dona ferentes» ovvero «Temo i greci anche quando portano i doni» Mi sono affidata a wikipedia che indicava entrambe le traduzioni anche se sottolinea che la tradizione «Temo i greci e i doni che portano» sia grammaticalmente inesatta. Non ho trovato il corrispettivo latino di vampiri per cui ho usato il sostantivo deamon-is ovvero demone-i del tardo latino il quale è però abbastanza recente. C'era anche strix-strigis cioè uccelli rapaci che succhiano il sangue ma non mi piaceva molto in quanto "suona" di più come riferito ad una strega.
*«Numquam»: mai in latino.

P.S.: il mio latino è particolarmente arrugginito. Non esitate a farmi notare errori vari.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** L'enigma del ciondolo. ***


7) L'enigma del ciondolo.


      Non avevo chiuso occhio nemmeno quella notte e il mio fisico ne stava risentendo: ero spesso assonnata, mi sentivo debole, mi si era chiuso lo stomaco e per questo non stavo mangiando molto. Ero visibilmente stressata per via di questi bizzarri avvenimenti ma dovevo riuscire a dare una spiegazione razionale a tutto quello che mi stava accadendo, sennò sarei impazzita sul serio. 
    Come era morta davvero la nonna? Era vero il racconto della prozia Sarah? La signora Xiang cosa sapeva? Perché il ciondolo cambiava temperatura? E poi soprattutto questi strani sogni cosa significavano? Erano dei sogni premonitori? Anche questo mi angosciava e non mi faceva dormire. Avevo paura di addormentarmi e di sognare.
    C’era una cosa che però mi stava incuriosendo (e assillando) più di tutte e che avrei dovuto fare già da giorni, ma mi venne in mente solo quella notte dopo aver letto la pagina del diario della nonna relativa ai sogni. Inoltre dovevo anche scoprire il significato di quella strana frase in latino o in aramaico che fosse.
    «Anche stanotte ho sentito dei rumori da elefante nottambulo» mi fece notare Jeremy quando scesi a fare colazione. Sembrava davvero che mi stesse controllando.
    «Sì, stanotte sono scesa in cucina, avevo sete. Ah, oggi ho un impegno dopo la scuola. Non aspettarmi, tornerò a piedi» annuì fortunatamentesenza fare nessuna domanda.
    Le prime due ore di lezione trascorsero tranquille, in classe con me c'era solo Jeremy che, per non so quale motivo, a scuola sembrava ignorarmi, come se volesse dimostrare agli altri che non ci conoscessimo, mentre Heric, stranamente, non frequentava il corso di storia.
    Al cambio dell'ora mi accostai all'armadietto di George ad aspettarlo, dal momento che sembrava così esperto sull'argomento stregoneria forse sarebbe stato in grado di aiutarmi. Era lui il ragazzo che il primo giorno di scuola ci aveva raccontato la storia dell caccia alle Streghe di Salem nel 1691, 
    «Meredith! Ciao, che sorpresa!» sembrava molto entusiasta di vedermi.
    «Ascolta, devo chiederti una cosa riguardo...»
    «Riguardo a cosa?»
    «Alla stregoneria» bisbigliai al suo orecchio.
    Lui spalancò la bocca meravigliato e annuì.
    «Ne parliamo a pranzo. Andiamo ora, sennò il prof rompe.»
    Prese il libro di matematica dall'armadietto e ci dirigemmo nell'aula del professor Richardson. 
    Jeremy e Heric erano già appostati, il primo dall'altra parte della classe e il secondo, come il giorno prima, accanto a me. Stavolta tutti i banchi erano occupati e per forza dovetti sedermi accanto a lui, non che la cosa mi dispiacesse, anzi. Solo che per tutte e due le ore di matematica mi sentivo lo sguardo di Heric e Jeremy addosso, come se fossi una preda da che entrambi si stessero contendendo. Come se aspettassero il momento buono per scannarsi.
    Appena la campanella suonò mi avvicinai al banco di George e andammo alla mensa a prendere il pranzo. Io non avevo molta fame ma riempii comunque il mio vassoio e poi andammo a sederci un po' isolati dagli altri.
    «Cosa volevi chiedermi?» mi domandò mentre masticava un boccone di pollo.
    Frugai nella mia borsa e presi il pezzo di carta in cui stanotte mi ero scritta la frase del libro che Heric lesse ad alta voce nel sogno.
    «Sai cosa significa?» dissi passandogli il bigliettino e lui, incespicando, lesse la frase tra sé e sé un paio di volte prima di leggerla con fluidità.
    «Timeo daemones et res adversae ferentes. Mmh, no, non ho idea di cosa voglia dire né in quale lingua sia scritta. Perchè?»
    «No, così...»
    «Meredith? Non sei di certo l'emblema della normalità però sembri spaventata. Che succede?»
    «Nulla, ho solo sognato questa frase ed ero curiosa di sapere cosa significasse. Sempre se ce l'abbia un significato
    Rimase un attimo in silenzio, sembrava perplesso. 
    «Com'era il sogno?» mi chiese spezzando il silenzio.
    Gli sintetizzai brevemente ciò che avevo sognato questa notte senza menzionare né Heric né Jeremy.
    «Anch'io a volte ho sognato la biblioteca scolastica. È così misteriosa. Comunque, non è che ti ha influenzato troppo la leggenda che vi ho raccontato il primo giorno che tu e Jeremy siete arrivati a scuola?»
    «No, George. Non voglio sembrarti una pazza ma mi succedono cose strane. Per questo voglio sapere che significa questa frase, so che ha un significato preciso. Me lo sento. E poi pensavo che tu credessi alle vecchie leggende che ci hai raccontato...»
    Fece spallucce.
    «Puoi darmi quel biglietto? Proverò a fare delle ricerche a casa, e poi potremo anche controllare i grimori che ci sono qui a scuola uno di questi giorni. So che molti non sono scritti in inglese e potremo chiedere a qualche professore di lettere antiche di darci una mano.»
    «Hai ragione, non ci avevo pensato!»
    Gli consegnai il pezzo di carta, tanto ormai avevo imparato quella frase a memoria, e ci congedammo. George comunque, oltre ad aiutarmi, mi diede anche un'ottima idea: non avevo pensato di controllare i libri di magia della biblioteca scolastica e nemmeno di guardare nel grosso libro trovato in soffitta, non ne avevo ancora avuto il tempo, anche se sfogliandolo frettolosamente domenica mattina avevo constatato che non fosse scritto in nessunissima lingua stramba. 
    Ora però dovevo fare un'altra cosa, dovevo soddisfare quel dubbio che mi attanagliava da giorni ma mentre mi dirigevo verso l'esterno della scuola dopo le due ore di arte pomeridione Jeremy mi bloccò facendomi sobbalzare.
    «Adesso te la fai con il metallaro?»
    «George? Non dire cavolate!»
    «Beh quindi non torni a casa? Devi uscire con quel tizio per pogare a qualche concerto o dovete fare qualche seduta?»
    «No io...devo fare una cosa con Alexis adesso. Vuoi venire?» mugugnò e scosse la testa ridacchiando prima di dirigersi verso l'uscita. 
    Sapevo avrebbe risposto di no. Per non averlo in mezzo ai piedi dovevo togliere fuori la scusa che ero insieme ad Alexis. In realtà però volevo vedere cosa ci fosse dietro la scuola, se ci fosse realmente un ingresso segreto come quello che avevo sognato, perché se ciò che avevo letto nel diario della nonna fosse stato falso, cioè che i sogni di una giovane strega non sono sempre del tutto attendibili ma hanno un richiamo alla realtà, non avrei dovuto trovare nulla. Al contrario, se avessi trovato una qualche porta avrei iniziato a spaventarmi sul serio. 
    Con tutta calma mi avviai verso il retro dell'edificio badando bene che nessuno mi vedesse. Setacciai ogni centimetro delle mura scolastiche alla ricerca di un ingresso o di un qualunque passaggio. Ma niente, non c'era niente, solo qualche edera rampicante che rivestiva le mura scolastiche. Ne rimasi delusa, ma al tempo stesso sollevata.
    «Ci incontriamo di nuovo» sobbalzai al suono di quella voce che interruppe le mie ricerche.
    «Ah, Heric» ero felice e spaventata al contempo. Mi aveva colta di sorpresa.
    «Cosa ci fai qui?» mi domandò incuriosito. Avrei potuto fargli la stessa domanda.
    «Sai dirmi se qui in zona ci sia un cimitero?»
    «Beh di sicuro non troverai bare qui nel giardino della scuola. Il cimitero si trova dall'altra parte della città. Mentre oltre queste mura si trova quello vecchio, il cimitero monumentale di Salem dove sono sepolte alcune delle grandi personalità del passato della città e non solo». Non solo?!
    Il cuore cominciò a battermi più forte. Mi sentivo una veggente.
    «Un cimitero monumentale? Oltre questo muro?»
    «Se sei qui è perché cercavi il vecchio ingresso, no? Mi dispiace ma lo hanno chiuso circa centocinquant'anni fa, quando, al posto del manicomio, hanno costruito la scuola. C'era un passaggio che li univa attraverso il quale portavano i pazzi direttamente al cimitero nella fossa comune dedicata ai malati mentali. Adesso è diventato un cimitero monumentale, ma alcune antiche o potenti famiglie della città si fanno ancora seppellire lì.»
    Iniziavo a credere che non fossero sciocchezze quelle che diceva la nonna e che fosse tutto vero. 
    Fece qualche passo avanti e mi indicò una porzione di muro.
    «L’ingresso era proprio qui, dietro queste piante- asserì spostando un ciuffo d'edera -lo puoi vedere chiaramente perché i mattoni sono di colore diverso. Se scavalcassi il muro, ci arriveresti in circa mezzora a piedi ma troveresti solo il recintato. Altrimenti puoi arrivarci dalla strada principale passando dal centro città. Scusa, perché sei alla ricerca di un cimitero?» mi domandò, passando la mano sul muro mostrandomi la differenza tra le due tonalità dei mattoni. Dal tono di voce sembrava saperne più di quanto lasciasse trapelare.
    «Mia nonna è morta di recente e volevo andare a salutarla. Sai, mi sono trasferita da poco e non conosco ancora bene le strade. Pensavo fosse sepolta nel cimitero vicino a scuola» in realtà sapevo bene dove era stata sepolta mia nonna visto che ero andata anche alla deposizione della sua bara nell'altro cimitero.
    «Sì lo so...che ti sei trasferita da poco.»
    Notai che l'espressione sul suo volto stava cambiando come se si stesse corrucciando mentre i suoi occhi diventavano più scuri e simili a due laghi profondi. Anche il cielo si era incupito perché il sole si era nascosto tra le nuvole e forse era per questo che i suoi occhi ora tendevano quasi al nero, proprio come nel mio sogno
    «Beh, mi dispiace per tua nonna. Se vai al vecchio cimitero, stai attenta.»
    «Sono tutti morti, non ho paura dei defunti!» dissi con tono beffardo.
    «Al tuo posto non ne sarei così sicura» fece un'espressione allusiva e beffarda e se ne andò.
    Sentivo di nuovo il ciondolo raffreddarsi. Non capivo cosa lo facesse funzionare, magari era tipo un termometro: a seconda delle emozioni che provavo diventava più freddo. Mah, forse stavo andando troppo oltre con la fantasia anche se ciò che aveva detto Heric riguardo alla porta che univa un ex manicomio al cimitero mi mise un po’ di angoscia. Quale mente disturbata avrebbe potuto costruire una scuola dove prima era edificato un manicomio, per di più comunicante con un cimitero?
    Feci tutto il giro della scuola e seguendo le indicazioni di Heric, giunsi, passando dal centro della città, al cimitero monumentale: la facciata era imponente e il grande cancello in ferro battuto non era come quello del mio sogno, anche perché questa entrata si trovava da un lato diverso. Decisi di entrare, avevo fatto trenta tanto valeva fare trentuno.
    Dunque, ricapitolando: avevo constatato la presenza di un ingresso segreto incastonato fra le mura che circondavano la scuola, avevo avuto conferma che lì vicino c'era un cimitero, ora dovevo solo trovare la cripta in cui giaceva la famiglia Cavendish per confermare l'attendibilità completa del mio sogno.
Camminavo lentamente guardandomi le spalle più volte perlustrando ogni angolo del cimitero prima che facesse buio.
    E poi eccola, come piombata dal cielo all'improvviso, eretta di fronte a me in tutta la sua maestosità, la cripta marmorea del mio sogno. L'ipogeo e tutto il resto erano esattamente come li avevo sognati eccetto una cosa. Non c'era scritto: «Dal 1578 al 1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Cavendish» ma «Dal 1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Thompson, cacciatori, guerrieri, difensori della patria e della pace».
    Mi avvicinai lentamente per sfiorare quella pietra fredda e mi sembrò come se il tempo si fosse fermato. 
Iniziai ad avere delle visioni, immagini confuse di persone che mi mettevano in guardia dicendomi di stare attenta e una folata di vento mi buttò a terra all'indietro, ma stavolta non stavo sognando.
    Appena il vento si placò cominciai a correre verso casa. Ero terrorizzata, non avevo mai avuto così tanta paura. 
    Continuavo a correre a perdifiato e sentivo il mio respiro diventare sempre più pesante e affannato ma una volta a casa non mi sentii al sicuro nemmeno lì dopo tutte le cose che mi stavano accadendo, anche se fino a qualche giorno prima lo consideravo il mio posto, il luogo più sicuro e familiare di tutto il mondo.
    Feci i gradini a due a due e andai dritta in camera di Jeremy spalancando la porta e tentando di gridargli contro, ma non ci riuscivo, sia per la paura sia per la corsa, la mia voce era come bloccata.
    «Tu sai qualcosa, vero?» domandai a tratti spaventata e ansimante.
    «Di che parli Mer?»
    «Io so che sai qualcosa che non vuoi dirmi ma che sai che sospetto!» lo aggredii.
    «Cosa ti è successo? Non eri con Alexis?» si alzò dal letto su cui stava leggendo e, dopo aver poggiato il suo libro sul comodino, si avvicinò a me ancora ferma sull'uscio della porta.
    «Da quando siamo qui tu sei...cambiato. E io sto facendo sogni premonitori. Sai che dietro la scuola c’è un cimitero? Io non lo sapevo, ma ora lo so perché l’ho sognato e prima sono andata a controllare e Heric mi ha detto che...»
    «Heric?- mi interruppe indignato. Non dovevo pronunciare quel nome -cosa ci facevi con Heric?» ringhiò. 
    «Ero dietro la scuola e lui era lì. Ma non c’entra nulla! Sono andata al cimitero...» non riuscii a continuare la frase che mi bloccai per la paura, nel solo ricordare quella scena, quelle visioni e quel vento improvviso che mi scaraventò a terra
    Jeremy si avvicinò e mi abbracciò forte, per rassicurarmi. 
    «Io non lo so che succede. È questo posto Mer, è la gente, sono i rumori notturni. La notte non riesco a dormire.»
    Da quando eravamo qui, anche se mi sentivo a casa, non mi ero mai sentita così protetta e al sicuro come in quel momento, tra le sue braccia.
    «E se facessimo una seduta spiritica per contattare tua nonna?»
    Rovinò quel tenero momento con una delle sue idiozie.
    «Sei pazzo? Non farò mai una cosa del genere!»
    «Scherzavo...più o meno.»
    Andammo su in soffitta e cominciammo a leggere il libro e il diario. 
    Nel grimorio non c’era niente riguardo ai sogni, alle premonizioni o a possibili poteri magici. Forse la nonna si era confusa nel suo diario quando scrisse di aver letto dei sogni nel Grimorio dei Morgan. Lì, c’erano solo incantesimi, pozioni, strani disegni raffiguranti oggetti magici e le relative spiegazioni.
    «Meredith! Guarda sembra la tua collana» mi indicò una pagina di quel librone in cui era raffigurato il mio ciondolo. L’avevo già vista di sfuggita ma non l’avevo letta. 
    «Sì, è identica. Magari c'è scritto il meccanismo che la fa raffreddare.»
    «C’è scritto che solo alcune streghe ne hanno uno. E non sono solo le streghe a possederlo…» riassunse.
    «Perché chi altri lo ha?» chiesi preoccupata.
    «I...vampiri» sussurrò sarcastico come se volesse imitare la voce di un fantasma. 
    Mi sembrava di stare davvero in un film dell’orrore. Esistevano anche i vampiri? E dove si nascondevano? George ce lo aveva raccontato, dunque un fondo di verità forse doveva pur esserci.
    «Dai non crederai sul serio a queste sciocchezze?» mi rimproverò con tono affettuoso.
    «Io non ne ho idea. Le mie convinzioni stanno crollando a poco a poco.»
    Mi passò il libro in cui veniva descritto il ciondolo.


Ciondolo magico dalla pietra acquamarina.

«Tutte le streghe possiedono un ciondolo consacrato, sia che queste pratichino la magia bianca sia che pratichino la magia nera. Le identifica nel loro clan e le protegge. 
Solo alcune però possiedono il ciondolo magico dalla pietra acquamarina, tramandato di generazione in generazione viene ereditato solo da una delle streghe della congrega, quella che mostrerà maggior costanza e impegno. Questo la proteggerà e la avvertirà dal male imminente.

In passato alcune streghe di Salem che formavano la congrega delle Streghe Bianche ne consacrarono sette soltanto.
Ma solo tre rimasero in mano alle Streghe Bianche. Infatti non sono solo le streghe a possedere questo tipo di ciondolo: un’altra classe di esseri sovrannaturali, creature maligne e avide di sangue, ne sono dotati: i Vampiri. Con il patto stabilito secoli fa per salvaguardarsi dal male, le Streghe Bianche di Salem concessero a un piccolo clan di Vampiri quattro di questi ciondoli in grado di proteggerli dalla luce solare in cambio della libertà e della difesa dalla caccia alle streghe. Nessuno può distinguerli dalle persone comuni, poichè vanno in giro alle ore diurne, si nutrono come esseri umani per celare il fatto che si cibino invece principalmente di sangue e non invecchiano, mai. Non si sa chi siano questi vampiri, dove vivano o cosa facciano o se addirittura siano ancora vivi. Con il processo del 1692, molti di loro furono arsi al rogo così come alcune streghe, tra cui anche alcune componenti della congrega delle Streghe Bianche. Dove siano tutti e sette i ciondoli magici non si sa.
Il ciondolo è formato da un cerchio d'oro in cui è incastonata una pietra azzurra, la pietra acquamarina dotata di straordinari poteri. Il male la rende fredda come il ghiaccio, il bene la riscalda come il fuoco.»


    «Oddio! È quello che ci ha raccontato George in biblioteca, ricordi? Le streghe avevano spifferato l'esistenza dei vampiri per difendersi dall'accusa di stregoneria rompendo il patto stipulato con loro. Il patto era questo dunque: in cambio della possibilità di poter vivere alla luce del sole (grazie a dei ciondoli come questo) i vampiri avrebbero protetto loro dalla persecuzione! Solo che, per difendersi e salvarsi, altre streghe spifferarono l'esistenza dei vampiri e questi, vedendosi traditi, diedero la caccia all congrega delle Streghe Bianche e non solo ma furono entrambi assassinati, sia streghe sia vampiri, per volere del consiglio di Salem nel 1692! Esistono altri sei ciondoli e uno è in mano mia. Ma ci pensi? È meraviglioso e...assurdo.»
    «Non puoi dire sul serio, Meredith. Non crederai davvero di essere una strega o che i vampiri si aggirino indisturbati per Salem solo perchè indossano una collanina del mercatino delle pulci!?»
    In effetti niente di tutto questo aveva una logica razionale alla quale ero abituata. E poi c'era scritto che il male raffreddava la pietra mentre il bene la rendeva calda. Il ciondolo non era mai diventato caldo e si raffreddava solo quando Heric mi stava vicino oppure quando mi risvegliavo da un brutto sogno.
    «Jeremy io non lo so! Stanno succedendo cose strane. I miei se n’erano andati da qui perché succedevano cose strane! E io sto facendo dei sogni strani!» 
    «Questo me l'hai già detto.»
    «Ora che ho scoperto a cosa serve questo ciondolo devo occuparmi di altre cose.»
    «Ad esempio?»
    «Innanzitutto devo sapere come è morta la nonna, poi cosa significa una frase che ho sentito in un sogno e scoprire chi erano le famiglie Cavendish e Thompson.»
    Mi venne in mente il racconto della prozia Sarah, a parte lei che era ancora viva, Candice che era stata investita da giovane e Adele che era morta di malattia, Virginia e mia nonna erano morte a causa di un infarto ed entrambe erano sia streghe sia giovani sia godevano di ottima salute. Che c'entrassero davvero i vampiri? Ma i vampiri non uccidono in maniera diversa dunque perché provocar loro un infarto?
    «Andiamo a mangiare ora. Queste scemenze mi hanno fatto venire fame» disse Jeremy.





    Dopo cena andai in camera mia e mi misi il pigiama. Avevo una paura tremenda di dormire da sola e fare altri sogni rivelatori così andai in camera di Jeremy.
    «Vorresti dormire qui?» mi chiese confuso e divertito.
    «Lo so che è stupido, ma magari evito di fare i miei soliti sogni.»
    Non avevo mai avuto paura del buio nemmeno quando ero piccola e ora volevo dormire con il mio fratellastro per non fare brutti sogni.
    «Ok, ma alle sei torni nella tua stanza. Non vorrai mica che i nostri genitori pensino male» ammiccò.
    La situazione però era davvero imbarazzante: pur di non rischiare di sfiorarlo nemmeno accidentalmente stavo sul bordo del letto rischiando di cadere da un momento all'altro. Anche lui stava sul ciglio del materasso, come se ci fosse una sorta di barriera invisibile e intoccabile tra noi.
    Riuscii lo stesso a prender sonno. Pensavo che, stando accanto a qualcuno che ultimamente non faceva altro che tentare di proteggermi e tenermi lontano dai guai, mi avrebbe fatto fare sogni tranquilli invece non fu così e sognai proprio lui, Jeremy.
    Eravamo di nuovo in biblioteca, io stavo al centro della stanza su quel piccolo podio a leggere quello strano libro dell'altro sogno mentre Jeremy stava accostato alla porta e mi guardava deluso. Al mio fianco c’era Heric che mi mise una mano sulla spalla.
    «Nunc delegisti. Dimitte eum ire»* proferì ad alta voce. 
    Jeremy annuì tristemente come se avesse compreso quella frase e poi disse:«Non c'è più speranza, hai fatto la tua scelta nonostante quel che c’è stato tra noi» 
    Si voltò verso l’uscita e se ne andò via dalla biblioteca. 
    «Jeremy, no!» mi svegliai a causa della mia stessa voce che invocava il suo nome agitandomi e allungando la mano nel tentativo di afferrarlo.
    «Shh! Sono qui!» disse scuotendomi e facendomi cenno di stare zitta. Mi sentii subito rassicurata sentendo la sua voce. 
    «Cosa hai sognato?» mi domandò, ma io non glielo raccontai.
    «Nulla. Io torno in camera mia, tu dormi tranquillo- aprii piano la porta -se tu sai qualcosa, dovresti dirmelo» gli sussurrai mentre uscivo dalla sua stanza.
    «Io-non-so-niente» mormorò scandendo le parole.
    Erano di nuovo le tre del mattino e come al solito per il resto della notte non riuscii a riprendere sonno. Fissavo il soffitto e giocherellavo con il ciondolo pensando ai sogni che stavo facendo ultimamente. Forse volevano lasciarmi intendere davvero qualcosa che al momento ignoravo o forse volevano mettermi davvero in guardia su qualcosa che non riuscivo a vedere.
    Era inutile rigirarsi continuamente nel letto così dopo due orette mi alzai e decisi di uscire presto per fare una passeggiata nei dintorni prima di andare a scuola.
    Dietro la villa c’era un piccolo bosco che si intravedeva anche dalla finestra della mia stanza; da piccola mi dicevano sempre di non addentrarmici perché c'era il lupo cattivo in agguato. In effetti era un po’ inquietante sul serio ma non era di certo il lupo cattivo ad incutermi paura.
    Volevo farci solo una camminata ma appena ci misi piede cambiai idea e decisi di andare direttamente a scuola.




Angolo autrice.
*«Nunc delegisti. Dimitte eum ire»: allora, il mio latino ormai è veramente arrugginito, quindi non sono sicura sia corretta. Dovebbe significare:«Hai scelto ora. Lascialo andare» 
Se qualcuno/a più capace di me sa tradurre meglio, non esiti a dirmelo (:

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Strane coincidenze. ***


8) Strane coincidenze.


      Ero decisamente in anticipo: non c’era ancora nessuno a scuola, nemmeno i bidelli erano ancora arrivati e la porta d'ingresso era dunque chiusa. Si preannunciava proprio una fantastica giornata!
    Dopo un’ora circa che stavo seduta in un gradino a girarmi i pollici e fissarmi le scarpe, vennero aperti i cancelli e andai subito nell’aula di biologia. Nell'arco di dieci minuti la classe si gremì di studenti ancora assonnati che si lamentavano di quanto fosse noiosa la scuola.
    Arrivò anche Heric che, con il suo solito fascino, entrò nell'aula con fare aggraziato e sicuro di sé facendo battere il mio cuore come una forsennata. 
    «Sei arrivata presto» disse sedendosi accanto a me, a destra.
    «Non riuscivo a dormire stanotte così sono uscita con l’intento di fare una passeggiata ma siccome non sapevo dove andare sono venuta direttamente qui» gli dissi tutto d'un fiat già in preda all'emozione.
    «Ah, sei venuta sola?» fece un ghigno malizioso ed estrasse dallo zaino il libro di scienze. 
    In realtà, la sua domanda alludeva al fatto che non fossi insieme a Jeremy: avevo capito che non si sopportassero a vicenda, ma non mi era ancora ben chiaro il motivo. 
    Notando che si accingeva a ripassare la lezione di oggi con quel grosso libro di biologia tra le mani sfogliandone delicatamente le pagine, mi tornò in mente il sogno di stanotte a cui però non riuscivo a dare alcun significato. Perché sognavo di continuo Heric che parlava in una strana lingua?
    Qualche minuto dopo il suono della campanella arrivò anche Jeremy. 
    Mentre si dirigeva al solito posto lontano anniluce da noi, mi guardò arrabbiato e decise di cambiare postazione sedendosi proprio accanto a me, alla mia sinistra. 
    Non mi piaceva per niente come situazione: stare in mezzo a loro due mi metteva particolarmente in tensione.
    «Potevi avvisarmi che saresti venuta da sola ti stavamo aspettando. Tua madre era anche preoccupata» asserì con disappunto.
    «Scusa. Non volevo svegliarti.»
    «Come se fossi riuscito a dormire stanotte con ti muovevi di continuo» mi apostrofò con l'intenzione di insinuare qualche strano dubbio nella testa di Heric. 
    Quelle due ore di scienze sembravano non trascorrere mai, sentivo i nervi a fior di pelle per l’agitazione.
    Suonò finalmente la campanella: quel suo squillare mi parve così dolce. Era il suono della libertà, per me. Raccolsi le mie cose e mi alzai piano dal mio posto per evitare altre cadute rovinose come mio solito. 
    «Pranziamo insieme, ti va?» mi propose Heric con mio grande stupore mentre mi alzavo dalla sedia.
    Sentii Jeremy sbuffare e andar via contrariato così accettai l’invito. Era sempre meglio che pranzare da sola o con il mio fratellastro, il che era quasi la stessa cosa. E poi perchè rifiutare di pranzare insieme ad un ragazzo così bello? Anche se mi sentivo in soggezione standogli vicino, sarebbe stato proprio da stupida non accettare. Dovevo solo evitare altre figuracce dovute alla mia poca grazia ed evitare di balbettare dall'emozione. Quanto mi sentivo sciocca.
    Heric era un tipo strano e un po' insolente, ma avevo proprio un debole per lui: non avevo mai visto un ragazzo così bello, non facevo altro che ripetermelo. Bello, bello, bello. Bellissimo. Jeremy lo aveva soprannominato il ragazzo misterioso. Perfetto come soprannome, sembrava avvolto da un alone di mistero forse per via del suo essere così enigmatico e di poche parole o per via del suo tremendo fascino. 
    Non vedevo l’ora arrivasse la pausa pranzo: mancavano due ore e Jeremy non mi rivolse più la parola benché fosse seduto affianco a me sia all’ora di letteratura sia all'ora di storia.
    Finalmente dopo ben centoventi minuti di impaziente attesa ecco la pausa pranzo. Lo squillo della campanella mi rasserenò di nuovo ma in un batter d'occhio ecco che il mio cuore batteva all'impazzata. 
    Andai in sala mensa per fare la fila per il pranzo cercando di contenermi e sembrare rilassata in attesa che Heric arrivasse. Mi raggiunse pochi minuti dopo superando il resto dei ragazzi in coda al bancone in attesa di mangiare.
    «Prendi solo il primo?» mi sussurrò all'orecchio facendomi rabbrividire mentre ero indecisa se prendere del riso o della pasta. 
    «Non ho molta fame ultimamente» gli risposi facendo cenno all'addetta della mensa di versarmi una cucchiaiata di riso.
    «Ah, interessante. Non andremo mai d'accordo allora» ridacchiò. Comunque nemmeno lui prese una gran quantità di cibo, solo tre fettine di carne e una manciata di spezzatino di pollo, una carica di proteine proprio!
    Ci andammo poi a sedere in un tavolo un po’ distaccato dal resto degli altri studenti nel giardino interno dove si mangiava all'aperto. Eravamo quasi isolati, come se ci stessimo nascondendo da qualcosa o da qualcuno. Ed era meglio così: io in realtà mi nascondevo da Jeremy.
    «Sembri spaventata» mi fissò negli occhi senza battere ciglio.
    «No no, sto bene» in realtà avevo il cuore in gola per l'emozione. 
    Nel tentativo di fare conversazione si avvicinò una ragazza. In quel momento sentii il ciondolo a contatto con la mia pelle diventare di nuovo freddo e sempre più freddo man mano che si avvicinava.
    Era la Reginetta del Ballo, l’avevo riconosciuta. Ero sicura fosse lei anche se alla festa non l'avevo osservata bene perché ero concentrata su Heric. Una ragazza così però non passava di certo inosservata: alta, magra e ben proporzionata, con i lineamenti del viso decisi e marcati e con dei lunghi boccoli biondi. Aveva gli occhi dello stesso colore e dello stesso taglio di quelli Heric. Non si poteva non ricordare una ragazza così bella.
    «Lei è Meredith, un’amica» disse per presentarmi. 
    Come faceva a considerarmi un’amica? Ci conoscevamo appena! Non poteva dire conoscente o peggio compagna del corso di biologia. Amica forse era l'unico appellativo adatto per presentarmi a quella ragazza.
    «Lei invece è Madeline, mia cugina» sapevo già fossero cugini e meno male che lo erano: se avessi dovuto competere anche con lei non avrei mai avuto speranze con Heric. Ma speranze di che? Conquistarlo era un’impresa impossibile, soprattutto per me che non ero né una tipa intraprendente né una che sapeva come relazionarsi con i ragazzi. Solo che lui mi piaceva molto. Non solo di aspetto, non lo conoscevo per niente quindi non potevo affermare che mi piacesse il suo carattere, però i suoi modi di fare calmi e gentili ma allo stesso tempo presuntuosi, il suo modo di osservare le cose, di muoversi e di parlare cautamente mi attraevano come una calamita. Ciò che mi piaceva più di tutto, oltre il suo sguardo, era la sua sicurezza e la concezione che aveva di sè.
    Notai che i due cugini si stavano fissando intensamente senza dirsi una parola come se stessero comunicando col pensiero e rimasi immobile a osservarli ma poi vidi una cosa che mi fece raggelare il sangue nelle vene: Madeline portava al collo un ciondolo come il mio.
    «Io devo andare» dissi, tremando.
    «Meredith, è tutto apposto?»
    «Sì, mi son ricordata di dover fare una cosa» raccolsi le mie cose e mi avviai verso la mensa per riporre il vassoio con il cibo ancora praticamente intatto.
    Ora che ci facevo caso, anche Heric indossava una catenina, ma era coperta dalla maglietta e non potevo sapere se fosse come la mia e quella di Madeline. 
    Andai subito a cercare Jeremy. Non capivo perché ma ogni volta che mi succedeva qualche stranezza era il primo a cui pensavo, l'unico a cui potevo rivolgermi pur sapendo mi avrebbe derisa. Se ne stava seduto in un tavolo con George, Matt e Alexis e chiacchierava spensierato accanto a lei.
    «Jer! Devo parlarti» gridai.
    «Dimmi.»
    «No, ecco...è una cosa privata» insistetti mentre i ragazzi ci fissavano torvi.
    «Ho capito» si alzò sbuffando dal tavolo e ci isolammo dal gruppo.
    Mi scrutava attentamente con aria infastidita in attesa che dicessi qualcosa, ma io non riuscivo a emettere suoni, ansimavo e tremavo.
    «Allora?»
    «Avevi ragione riguardo a...al ragazzo misterioso».
    «Io ho sempre ragione.»
    «Smettila non è questo il momento di darsi arie. Ricordi la Reginetta del Ballo? È sua cugina, la cugina di Heric, e ha un ciondolo come il mio.»
    «Lo avrà comprato nella stessa bancarella in cui lo prese tua nonna. Salem è piccola e non ci sono molti negozi.»
    Non capivo se cercasse di tranquillizzarmi o se mi stesse dando indirettamente della pazza.

    «Non scherzare, hai letto tu stesso il grimorio. Anche Heric ne ha uno cioè almeno credo, mi sembra di aver intravisto una catenina sotto la sua maglietta, non son sicura che sia come la mia. Ciò significa due cose: o lei è una strega e lui un mago o uno stregone oppure entrambi sono dei... Vampiri» mi resi conto io stessa di dare i numeri.
    «Questo posto ti sta facendo diventare pazza.»
    «Tu invece in qualunque città sei, rimarrai sempre un idiota!»
    «Almeno io non sono da ricovero. Torniamo dagli altri, non ho finito di pranzare.»
    «No io vado via. La fame mi è passata.»
    «Come vuoi» disse dirigendosi verso il tavolo con gli altri ragazzi mentre io raggiunsi il mio armadietto.
    Dopo dieci minuti arrivò qualcuno. Ne sentivo la presenza alle mie spalle.
    «Hey, Meredith. Stai bene?»
    «Oh George, ciao. Sì, sto bene.»
    «Non ho ancora provveduto per quella cosa che mi hai chiesto. Ho cercato su internet e dovrebbe essere una frase in latino. La traduzione che mi dà il traduttore automatico è sgrammaticata e incomprensibile, inoltre non appartiene a nessun libro. Pensavo fosse una qualche citazione di un vecchio grimorio ma niente. Niente di niente.»
    Feci spallucce e lo ringraziai nuovamente dell'aiuto che mi stava offrendo, perché in fondo non glielo faceva fare nessuno di dar retta alle mie fandonie, e ci avviammo verso il laboratorio per la lezione di chimica.
     Tutti i nostri compagni erano stati già divisi precedentemente in coppie per il progetto di scienze: rimanevamo io, Jeremy e, stranamente, Heric.

    «Coraggio Signorina Spencer- mi intimò il professor Wright, un uomo basso, goffo e presuntuoso mentre guardavo spaesata Jeremy e Heric -scelga un compagno. O vuole che glielo scelgo io?»
    «Io...ecco, mmh... Non so è uguale. Scelga lei» balbettai come una sciocca e tutti i miei compagni iniziarono a scambiarsi strane occhiate e ridacchiare sotto i baffi. Avrei voluto sotterrarmi.
    «Va bene va bene. Vada a sedersi con il Signor Stanley che mi pare più affidabile del Signor Browning.»
    Oh no! Il professore mi aveva messo in coppia con Jeremy, la solita sfiga!
    Quelle due ore di chimica che mi parvero un secolo giunsero finalmente a termine senza che ci scambiassimo una parola, nemmeno una frase relativa al progetto. Jeremy raccolse le sue cose una volta suonata la campanella e si avviò all'uscita senza neanche aspettarmi.
    Mentre mi accingevo a raggiungerlo verso la la sua auto, vidi Heric avvicinarsi a me per chiedermi se stessi bene visto che all'ora di pranzo lo avevo praticamente piantato in asso. Non si trattenne molto a parlarmi poiché, disse, aveva un impegno ma io
in realtà avrei voluto domandargli della collana, chiedergli se me la potesse mostrare, sapere dove Madeline aveva preso la sua ma avevo paura. Avevo sempre paura ultimamente, mi sentivo una codarda. Se ne andò prima che potessi azzardare qualunque insinuazione e così raggiunsi Ashley e Jeremy al parcheggio.
    «Mah guarda! Meredith è piena di corteggiatori ultimamente! Ma tu ed Heric uscite insieme?- beffeggiò la mia sorellastra -ho visto che poco fa sedevate allo stesso tavolo!» 
    «Magari!» pensai tra me e me. Scossi la testa e salimmo tutti in macchina. 
    «Io invece ho visto che a pranzo eri con Alexis e gli altri. Stai facendo amicizia?» domandai io a Jeremy per raggirare il discorso, non mi andava di parlare di Heric.
    «Dovresti provarci anche tu.»
    «Ma anche io sto facendo amicizia!»
    «Intendevo con persone un po' più normali
    Non capivo. Sembrava alludesse a qualcosa del tipo «Heric non è umano e tu sei convinta di essere la discendente di una strega e anche quel George sembra avere qualche rotella fuori posto!» tutto ciò nonostante rivendicasse continuamente il suo scetticismo verso questi argomenti.
    «Venerdì c’è una festa al luna park. Voi ci andate?» domandò Ashley già tutta emozionata per il prossimo evento mondano di Salem.
    «Quale inutile festa viene organizzata al luna park? Il compleanno di un dodicenne?» replicò Jeremy. Su questo aspetto era come me: odiava questo genere di cose.
    «Sembra interessante invece. Potrei andarci con...»
    «Non dire cavolate» mi interruppe.
    «Perchè? Guarda che voglio andarci con...»
    «Con me vero? Mmh credo declinerò l'invito» rise.
    Mi stavo convincendo sempre di più che non volesse che frequentassi Heric o George, anche se verso quest'ultimo non provavo alcun tipo di attrazione se non l'interesse a diventare sua amica. Era l'unico che non mi considerava una svitata e soprattutto conosceva molte cose sulla stregoneria e sull'occulto che potevano tornarmi utili.
    Riguardo Heric, forse aveva ragione Jeremy: non era la sua bellezza o i suoi modi di fare a renderlo così affascinante, c'era qualcosa di più che lo rendeva misterioso, o meglio pericoloso. E, forse, era per questo che esercitava una sorta di potere su di me a cui non riuscivo a resistere.
    Ne ero ammaliata, totalmente.





    Quella sera sedevo al tavolo con tutta la famiglia e cenavamo tranquillamente con la televisione accesa, cosa alquanto rara a casa nostra. Una tragica e scioccante notizia concentrò tutti sul piccolo schermo improvvisamente.
    «Negli ultimi otto mesi, molti sono stati i casi di morti misteriose di donne comprese fra i quaranta e gli ottant'anni a Salem, nella contea di Essex. Come le precedenti vittime anche Caroline Wright, di settantotto anni, che godeva da sempre di ottima salute, è stata trovata morta di infarto nel suo appartamento. Si presume che si tratti di un virus, ma il medico legale deve ancora effettuare degli accertamenti» disse la giornalista della tv.
    Anche mia nonna era morta in circostanze simili e ancora non ne avevo scoperto la vera causa. Per me non era un malore o un virus, c'era qualcosa di più inquietante dietro queste morti. Jeremy mi guardava sottecchi come se sapesse esattamente a cosa stessi pensando. Pure mia madre sembrava piuttosto turbata, quella notizia aveva ricordato anche a lei la morte della nonna ma Joseph prontamente le accarezzò la spalla per rassicurarla e cambiò canale e tutti riprendemmo a mangiare.
    Prima di andare a dormire, mi preparai una bella camomilla in modo da conciliarmi il sonno ma ormai fare incubi era diventata la mia routine notturna.
Quella notte infatti sognai di nuovo di essere in biblioteca a scuola, ma stavolta non c'erano né Heric né Jeremy. Ero completamente sola, intenta a rovistare fra gli scaffali che contenevano vecchi grimori. La mia attenzione poi si focalizzò su un libro preciso. Guidata dal mio istinto rimasi per un attimo immoble dinanzi ad una delle scafalature in legno in cui vi era un solo volume che risaltava tra tutti quei vecchi libri, il solito vecchio grimorio simile a quello che trovai in soffitta e che apparve negli altri sogni precedenti. Allungai la mano per estrarlo ma non appena lo toccai, la libreria ruotò di novanta gradi lasciando intravedere un varco scavato nel muro della scuola.
    Esitai un istante.
    Poi mi feci coraggio e mi addentrai in quell'andito stretto e oscuro fino a giungere in un vano incavato nella pietra illuminato da alcune candele che ardevano una strana fiamma incolore. Al centro dell'ambiente era posta una piccola tribuna in cui era poggiato un libro aperto con un segnalibro in tessuto rosso che spartiva le due pagine. Forse era la famosa Bibbia delle Streghe che non era mai stata rinvenuta. Più lo osservavo più mi rendevo conto che invece era diverso rispetto a libro che solitamente sognavo.
    Lentamente e a passo leggero mi avvicinai alla tribuna.
    «Deus custodivit angelos vero, qui non servaverunt suum principatum, sed dereliquerunt suum domicilium, in iudicium magni diei vinculis aeternis sub caligine reservavit»* questo verso era scritto a caratteri cubitali, come se fosse il più importante di tutto quel mucchio di strane parole. Quando la lessi a voce alta ci fu un enorme boato alle mie spalle e il varco si chiuse.
    Ero intrappolata lì.




Angolo autrice.
Deus custodivit angelos vero, qui non servaverunt suum principatum, sed dereliquerunt suum domicilium, in iudicium magni diei vinculis aeternis sub caligine reservavit»: dalla "Lettera di Giuda" Gd1,6 trad:«Dio ha pure custodito nelle tenebre e in catene eterne, per il gran giorno del giudizio, gli angeli che non conservarono la loro dignità e abbandonarono la loro dimora»
P.S. Le citazioni latine, bibliche, aramaiche ecc sono solo inserite per scopi fini alla trama e sono dissociate da qualsiasi contesto religioso.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** L'ululato. ***


9) L'ululato.


      L'uscita era sbarrata, sigillata. Ero intrappolata in quella cava di pietra illuminata da quelle strane candele poggiate su dei cantelabri fissati alle pareti rocciose. Davanti a me, posto esattamente di fronte alla tribuna su cui era aperta la presunta Bibbia delle Streghe, si trovava un altare, sembrava un altare sacrificale, su cui stava uno scrigno in mezzo ad altri due candelabri che emanavano la stessa strana e fioca luce di quelli appesi alle pareti.
    Avanzai sino a raggiungere l'ara e presi in mano il piccolo scrigno. C'erano soltanto una chiave e un biglietto: Numquam de profundis exibo*, sempre scritto in quella strana lingua, latino secondo George.
    Mi avvicinai alla fessura da cui ero entrata cercando la serratura per infilare la chiave trovata, recitai una decina di volte la frase scritta nel biglietto, ma niente. Tutte le idee che mi venivano in mente non riuscivano a darmi una via d'uscita. Continuavo a camminare nervosamente a testa bassa, tornavo vicino all'altare, poi di nuovo verso quella che doveva essere l'uscita, poi nuovamentesalivo sul podio: ripercorrevo nel mio sogno quei passi ciclicamente come se fosse un circolo vizioso. Poi feci poi il giro dell'altare: ora avevo piena visuale della cava. Mi guardavo intorno spaesata ma nulla: ero bloccata lì. Ma perché non mi svegliavo?
    Mi accasciai sul pavimento piangendo, la voce spezzata che tentava di chiedere aiuto quando improvvisamente notai che sotto di me, in quel metro quadrato dove posava anche l'ara sacrificale, il suolo non era di pietra ma di legno. Doveva esserci una botola. Sul lato destro vi era una piccola serratura e vi inserii la chiave trovata nello scrigno sopra l'altare. La botola si aprì automaticamente ed una rampa di scale scendeva all'incirca per trenta metri. Imbracciai uno dei candelabri e decisi di addentrarmici. Dopo aver fatto neanche una ventina di scalini mi svegliai alla solita inquietante ora: le tre del mattino. Ricordavo mesi fa di aver visto un film*, un'avvocatessa si svegliava sempre a quell'ora, l'ora del diavolo. Non credevo a queste cose, a queste idee religiose e fanatiche però non mi sembrava più un caso fortuito che mi svegliassi sempre a quell'ora.
    Dopo essere rinsavita un attimo dal sonno accesi il computer, inserì nelmotore di ricerca quelle parole che lessi nel biglietto che accompagnava la chiave della bottola contenuta nel piccolo scrigno sopra l'altare del mio sogno. Dopo aver aperto una decina di pagine web, trovai uno spunto in un sito: era latino, come diceva George, ma pur avendone fatto una versione strampalata non ne capivo il senso. Cioè in realtà sì, la traduzione letterale significava approssimativamente qualcosa tipo: da qui non esco più o da qui non uscirò mai e si riferiva senz'altro o alla cava o a ciò che le scale della botola avrebbero potuto condurre. 
    Iniziai nuovamente a sfogliare il diario della nonna nella speranza di capirci qualcosa. Lessi per la millesima volta la paginetta sui sogni che la nonna scrisse a quindici anni quando aveva pressappoco la mia età, analizzai ogni singola parola, verso e paragrafo, controllai attentamente le altre pagine ma niente sembrava aiutarmi. Di una cosa ero certa, dovevo leggere quel libro che mi appariva in sogno e che secondo queste mie visioni oniriche si trovava nella biblioteca della scuola, in qualche nascondiglio segreto. Per adesso però, potevo consultare solo il grimorio della mia soffitta, così andai al terzo piano silenziosamente e aprii il baule polveroso estraendo l'arcaico e pesante librone.
    Anche questo sfogliai dalla prima pagina prestandovi più attenzione. Dopo la copertina di velluto porpora vi era una pagina bianca, nella seconda vi era incisa la data, 1689 che avevo già intravisto giorni fa distrattamente prima che Jeremy irruppe su in soffitta, e, nella pagina seguente, il titolo scritto in bella calligrafia: Grimorio delle Streghe Bianche di Salem. 
    «Oh, non ci avevo ancora fatto caso!» esclamai. Non avevo ancora letto il titolo, quel libro mi intimoriva e a mala pena lo avevo sfogliato, ma capii che fosse appartenuto alla famosa congrega delle Streghe Bianche di Salem, da cui discendeva mia nonna, da cui anche io discendevo. 
    Nella quarta pagina c'era invece una breve prefazione:


Prefazione. 

«Questo prezioso Grimorio è stato iniziato dalle quattro fondatrici dell'Ordine delle Streghe Bianche: le sorelle Rosemary, Catherine e Lilybeth e la cugina Josephine.
Questo Grimorio rappresenta noi stesse, il segreto che ci accomuna e il giuramento che ci unisce.
Nessuna creatura umana o inumana dovrà mai e poi mai metter mano od occhi su queste pagine sacre e profane
Verrà tramandato di generazione in generazione alla strega più meritevole e capace a cui verrà insegnata l'arte della stregoneria e la dedizione alla magia bianca.
Per evitare che tutto il sapere e la conoscenza della Congrega potesse venire a mancare, esiste, da qualche parte, una copia autentica di questo grimorio.

Alla nostra saggia nonna Babette, la nostra iniziatrice.»


    «Dunque esisteva un'altra copia, un altro grimorio. Forse allora è quello che mi appare sempre in sogno di cui Heric mi legge sempre dei versi mentre quello che ho sognato stanotte forse era proprio la Bibbia delle Streghe. O forse le frasi in latino che Heric mi legge in sogno sono riprese dalla Bibbia delle Streghe? O forse la copia del Grimorio in mio possesso è scritta in latino? O mio dio sto impazzendo!» 
     Continuai la lettura, sotto la prefazione seguiva un lungo elenco delle streghe che avevano contribuito alla stesura e all'aggiunta formule magiche o a cui era semplicemente appartenuto, e, tra tutti, spiccava anche quello di mia nonna, Elizabeth Mary Morgan, che stava in fondo alla lista. C'erano diversi incantesimi e pozioni riportate, descrizioni di pietre, metalli, erbe e oggetti magici tra cui il mio ciondolo e il modo in cui forgiarlo e caricare la pietra incastonata. Dopo la descrizione che avevo già letto quella volta con Jeremy seguii la lettura:

«Ciondolo magico dalla pietra acquamarina.

Tutte le streghe possiedono un ciondolo consacrato, sia che queste pratichino la magia bianca sia che pratichino la magia nera. Le identifica nel loro clan e le protegge. 
Solo alcune però possiedono il ciondolo magico dalla pietra acquamarina, tramandato di generazione in generazione viene ereditato solo da una delle streghe della congrega, quella che mostrerà maggior costanza e impegno. Questo la proteggerà e la avvertirà dal male imminente.

In passato alcune streghe di Salem che formavano la congrega delle Streghe Bianche ne consacrarono sette soltanto.
Ma solo tre rimasero in mano alle Streghe Bianche. Infatti non sono solo le streghe a possedere questo tipo di ciondolo: un’altra classe di esseri sovrannaturali, creature maligne e avide di sangue, ne sono dotati: i Vampiri. Con il patto stabilito secoli fa per salvaguardarsi dal male, le Streghe Bianche di Salem concessero a un piccolo clan di Vampiri quattro di questi ciondoli in grado di proteggerli dalla luce solare in cambio della libertà e della difesa dalla caccia alle streghe. Nessuno può distinguerli dalle persone comuni, poichè vanno in giro alle ore diurne, si nutrono come esseri umani per celare il fatto che si cibino invece principalmente di sangue e non invecchiano, mai. Non si sa chi siano questi vampiri, dove vivano o cosa facciano o se addirittura siano ancora vivi. Con il processo del 1692, molti di loro furono arsi al rogo così come alcune streghe, tra cui anche alcune componenti della congrega delle Streghe Bianche. Dove siano tutti e sette i ciondoli magici non si sa.
Il ciondolo è formato da un cerchio d'oro in cui è incastonata una pietra azzurra, la pietra acquamarina, dotata di straordinari poteri. Il male la rende fredda come il ghiaccio, il bene la riscalda come il fuoco.
La pietra acquamarina simboleggia lo spirito elementale dell'acqua. Possiede abilità psichiche, di purificazione, di pace e allontana la paura. Solo poche streghe sono in grado di compiere questo incantesimo. La saggia strega Babette ne consacrò quattro per le sue nipoti negli anni in cui gli esseri della notte fecero la loro comparsa a Salem. Le quattro nipoti cercarono di forgiarne di nuovi per il clan di Vampiri ma solo tre furono creati poiché una delle quattro Streghe Bianche morì. Da allora nessuna strega si cimentò mai nel creare questo particolare ciondolo protettivo per la paura di poter morire.

L'incantesimo richiede una forza sia fisica sia mentale al limiti dell'umano.
La pietra acquamarina è sempre più difficile da reperire per via della caccia alle streghe che incombe sempre più minacciosa ed inoltre il dispendio di energie è spesso letale.


"Spirito elementale dell'Acqua
lava via le paure
e allontana da noi il male
Io vi invoco
Spiriti della Terra, dell'Aria e del Fuoco

Rendi questa pietra una reliquia
fa che protegga le generazioni future
fa che per i malvagi sia letale"

La formula dev'essere recitata all'interno di un cerchio magico, sfruttando oltre il potere dell'acqua quelli del fuoco, dell'aria e della terra.»



    Quando cominciai a leggere di morte e di streghe decedute per via di un incantesimo chiusi immediatamente il libro. Tra l'altro a me non sembrava affatto che quella pietra allontanasse la paura, più che altro mi pareva che l'attirasse di più, ma la richiesta della nonna era quella di indossare sempre il ciondolo e io obbedii.
    «Basta!» me ne tornai a dormire ed il resto della notte trascorse abbastanza serenamente.
    La mattina dopo però, quando scesi in cucina per fare colazione, percepivo un’atmosfera tutt'altro che serena. Alla televisione trasmettevano un servizio su un altro misterioso assassinio di una donna sui trent’anni trovata morta, fuori dalla propria casa, con una strana ferita al collo. Probabilmente, secondo il medico legale, si trattava di un morso (in quanto troppo frastagliato ed irregolare per essere una coltellata) che aveva provocato un'emorragia letale che portò in breve tempo alla morte della vittima. Ma quella ferita non era esattamente un morso e soprattutto non era stato un animale a causarglielo. Stavolta dunque, le dinamiche dell'omicidio erano diverse: la vittima era una donna relativamente giovane e non anziana come le precedenti, nessun malore o infarto ma una ferita mortale al collo aveva posto fine alla sua giovane esistenza.
    «Ora ci credi?» mi alzai spaventata dalla sedia inveendo contro Jeremy.
    «A cosa dovrebbe credere?» domandò incredula mia madre, riferendosi alla domanda che avevo appena posto a Jer.
    «Ai vampiri, alle streghe e ai nani da giardino che fanno seccare i fiori» rispose lui ridacchiando e prendendomi in giro.
    «Non dire sciocchezze Meredith. Mi ricordi la nonna.»
    «Io ti aspetto in macchina, muoviti» lo avvertii. Detestavo essere presa per pazza, non lo ero. Raccolsi la borsa dal pavimento senza finire di mangiare e uscii dalla cucina.
   
Alle prime ore avevo il corso di spagnolo e fortunatamente non c’erano né Jeremy né Heric. Mi sentivo rilassata però avrei recuperato dopo: avrei avuto entrambi alle ore di biologia e chimica. Mentre mi dirigevo nell’aula di scienze al cambio dell’ora incontrai Alexis: era da un po’ che non riuscivo a scambiarci quattro chiacchiere. Parlammo giusto qualche minuto del più e del meno e le domandai se con Jeremy avesse fatto progressi. Nel sentire il suo nome, le si illuminarono gli occhi come due lampadine.
    «Ieri era con me, Matt e George a pranzo. Avrei voluto chiedergli se volesse venire alla festa al Luna Park ma non volevo mi considerasse di nuovo troppo invadente. Si è dimostrato carino. Sai se deve andarci?» farfugliò emozionata.
    Mi sentii quasi gelosa ma non le dissi che probabilmente sarei andata io con Jeremy.
    «Tu andrai con Heric? Ieri ho visto che pranzavate insieme» quel nome mi fece sobbalzare il cuore e per un instante quella strana sensazione di gelosia che provavo ogni tanto per Jeremy e Alexis svanì.
    «Non so. Però vorrei che me lo chiedesse lui. Tu lo conosci bene?»
    «No, te l'ho detto. Nessuno lo conosce bene. Si sente troppo superiore in confronto a noi comuni mortali. Così come sua cugina Madeline, la Reginetta del Ballo. Anche lei è piuttosto strana. Ritieniti fortunata: sei una delle poche che degna di attenzione qui a scuola. Ma se fossi in te, non mi fiderei troppo. Cioè voglio direi illuderei, non mi illuderei troppo.»
    Io però non mi ritenevo fortunata ad essere l'unica a cui degnasse attenzioni. E se fosse lui, se fossero loro, ad aver assassinato quella donna con un morso letale da vampiro? O se avessero ucciso le altre donne anziane con chissà quale incantesimo di magia nera? Quanti stupidi pensieri avevo in testa, stavo intrecciando una fitta ragnatela con le mie idiozie.
    «La campana è suonata da un pezzo! Devo correre in aula. A più tardi, Alexis!» 
    Ognuna si diresse verso la propria classe. 
    «Ce l’ha fatta ad arrivare signorina Spencer» mi rimproverò il professor Owen.
    Mi scusai mortificata per il ritardo e andai a sedermi. I banchi erano tutti occupati, ma Heric e Jeremy mi riservarono un posto accogliente fra loro due, proprio in mezzo.
    «Dov’eri?» mi domandò Jeremy, ma non lo degnai di uno sguardo e mi voltai verso il presunto stregone-vampiro.
    «Hey Heric. Verresti con me al luna park? Ho saputo che organizzano una festa questo fine settimana...» lo invitai senza pensarci due volte. Avevo paura ma volevo andare a fondo a questa faccenda. Probabilmente era tutto frutto della mia immaginazione, anzi sicuramente lo era. La mia vita era talmente monotona che volevo per forza che mi capitasse qualcosa di eccezionale e cercavo di collegare tutte le stranezze che mi stavano succedendo in un'unica trama nel tentativo di darne una spiegazione logica, seppur sovrannaturale, ma logica.
    «Sì, volentieri- sorrise -Avevo intenzione di chiedertelo io, ma mi hai preceduto» bisbigliò, sorridendomi ancora. Tremavo e sembrava che il cuore mi stesse per uscire dal petto tant'è che sia Heric sia Jeremy riuscirono a sentirne i battiti. Non avevo mai invitato un ragazzo a uscire con me, mi sentivo così in imbarazzo!
   
«Hey Jer, potresti invitare Alexis. E se dovesse chiedertelo prima lei non essere scortese. Ieri so che avete fatto progressi.»
    «Credo lo farò» mi rispose. Non era più nervoso, sembrava triste. In fondo sarei dovuta andarci con lui e questo significava quasi avergli dato buca.
    «Potremo pranzare tutti insieme oggi» suggerii.
    «No» mi rispose seccamente mentre Heric incurvò il sopracciglio in segno di disapprovazione.
    Da quel momento mi sembrò di nuovo che il tempo non passasse mai dall'astio che circolava nell'aria ma almeno non mi sentivo osservata da entrambi: Heric seguiva la lezione di biologia e si voltava di rado a guardarmi, mentre Jeremy scarabocchiava il foglio che aveva davanti invece di prendere appunti. Al termine dell’ora di chimica, dove nuovamente mi ritrovai in coppia con Jeremy per il progetto scientifico, Heric mi invitò nuovamente a pranzare insieme. Nel mentre che facevamo la fila in mensa per prendere il pranzo si propose anche di riaccompagnarmi a casa dopo la scuola in modo da vedere dove abitassi così che, venerdì, per la festa al luna park, sarebbe potuto passare a prendermi. Disse di non esser sicuro che sarebbe venuto a scuola l'indomani.
    Mi sentivo immensamente felice e soddisfatta. Un ragazzo così che si proponeva di accompagnarmi a casa era il massimo per me e per le mie aspettative relativamente e solitamente basse. Ma da quando la mia autostima era calata così tanto? E questo senso di inadeguatezza che mi attanagliava ogni qual volta stavo con Heric da dove proveniva? Era inevitabile: mi sentivo sempre così piccola e infignificante in confronto a lui e di certo non perché fosse una creatura inumana come ogni tanto mi passava per la testa. Sì, mi stavo sicuramente immaginando tutto. Era un ragazzo normalissimo, bello, assurdamente bello ma normale. Vampiri? Stregoni? Pff, sciocchezze!
    Involontariamente strinsi il ciondolo che portavo al collo, era sempre più freddo, ed una vocina nella mia testa mi ripeté le parole scritte nella lettera che mi aveva lasciato mia nonna:

«Nessuna delle persone che ti circonda, neanche la più vicina, è realmente come appare ai tuoi occhi

    «Tutto bene?» mi chiese con voce insicura. I suoi occhi erano diventati più blu. Ero riuscita per un minuto a non pensare a tutte queste stranezze che mi stavano succedendo ma ripensare a quelle parole fu come un avvertimento a stare attenta e a non fidarmi di nessuno.
    «Sì, sto bene. Tu? I tuoi occhi...i tuoi occhi sono più scuri» gli feci notare di proposito.
    «I miei occhi?- domandò fingendosi stupito -Perdonami devo andare, ehm troverò casa tua ugualmente domani. Passo alle 8. Ciao!» si affrettò ad uscire svelto dalla sala mensa scusandosi nuovamente. Un attimo prima era tutto perfetto, un attimo dopo lui scappava nella direzione opposta a me lasciandomi.
    Riempii il vassoio e mi avviai verso il tavolo di Alexis che sedeva con Matt, suo fratello, e George ma di Jeremy neanche l'ombra.
    «Ciao, avete visto mio fratello?» chiesi preoccupata.
    Alexis sorrise e mi prese per un braccio spostandoci un attimo distanti dal gruppo che pranzava.
    «Non so cosa tu gli abbia detto ma mi ha chiesto di andare con lui domani alla festa!» disse allegramente.
    «Ah...- sentii di nuovo lo spillo della gelosia pungermi e provocarmi un certo fastidio -Sono contenta.»
    «Non ho idea di cosa mettermi. Andiamo a vedere i negozi stasera?»
    Accettai un po' controvoglia perché avevo bisogno di distrarmi e soprattutto volevo comprarmi qualcosa di decente da indossare invece di riciclare gli abiti vecchi della mia sorellastra.
    «Tu vieni con noi domani?» si capiva benissimo che stesse sperando di restare da sola con Jer.
    «No, io vado con Heric.»
    «Davvero? Son...contenta! Nonostante la sua aria altezzosa e snob è davvero un bel ragazzo!»
    Eh sì, bello e...dannato.
   Tornammo a mangiare insieme agli altri e notai che quel giorno, a pranzo, non vidi nemmeno Madeline, doveva essersene andata anche lei. Chissà perché sparivano sempre insieme: se non c'era Heric ovviamente non c'era neanche sua cugina. Prima che me andassi a cambiarmi per l'ora di ginnastica, George mi raggiunse: voleva parlarmi di alcune cose. Mi indicò una panchina sotto un albero nascosta da occhi e orecchie indiscreti e andammo a sederci.
    «Bene. Sono riuscito a tradurre la frase che mi avevi dato. Dopo aver scoperto si trattasse di latino sono capitato in forum di lingue antiche. Ho postato la mia richiesta e la maggior parte ha commentato che la traduzione sia, molto probabilmente, e molto approssimatamente: ho paura dei malvagi e delle disgrazie che portano. Ora mi dici da dove l'hai tolta fuori?» 
    «L'ho sognata.»
    George sgranò gli occhi, io feci spallucce e andai verso la palestra.
    Al termine dell'ora di educazione fisica, io e Alexis uscimmo direttamente senza nemmeno tornare a casa. Trascorremmo il pomeriggio a girare per negozi ma comprò soltanto una maglia rossa mentre io non comprai nulla. Tanto il mio non era nemmeno un vero appuntamento ma più una missione segreta.
    Dopo lo shopping entrammo a mangiare qualcosa in quel che Alexis definì la migliore caffetteria di tutto il Massachusetts. Prendemmo posto e lei ordinò un croissant e un caffé americano. Io presi una fetta di torta, non avevo pranzato e morivo di fame ora che ero leggermente più serena. Nel mentre che mangiava, la scrutai con attenzione: era una ragazza strana, decisamente strana, un po' eccentrica forse. Era parecchio bassa e questo le dava un’aria ancor più da ragazzina rispetto alla sua età effettiva, e anche di viso sembrava avere meno di quindici anni. Fisicamente però era ben proporzionata e snella. Portava i capelli lunghi e scuri, la maggior parte delle volte tirati su in una crocchia disordinata o sciolti e selvaggi. Aveva gli occhi marroni e intensi e sorrideva sempre. Nel complesso dunque era abbastanza carina, poi era estroversa e vivace. Non riuscivo proprio a capire Jeremy, che genere di ragazza poteva piacergli? Che fratellastro stupido mi era capitato! 
    «Senti, Jeremy non è il tipo che fa caso a queste cose non perdere troppo tempo davanti allo specchio; è troppo distratto e comunque non si lascia mai sfuggire complimenti. Però se ti ha chiesto di andare insieme è perché senz'altro gli fa piacere. Quindi non pensare troppo all’aspetto o a come vestirti» cercai di rassicurarla nonostante non lo conoscessi bene da questo punto di vista. Non potevo dirle cosa fare per piacergli di più. 
    «Io però vorrei piacergli davvero...» mi disse lei con tono di rassegnazione.
    Era proprio cotta.






    «Beh come è andato lo shopping?» mi chiese Jeremy non appena tornai a casa.
    «Sono piena di buste e pacchetti non mi vedi?» risposi sarcasticamente. Innanzitutto avevo speso tutti i soldi per il vestito del ballo e poi non mi piaceva quasi nulla oggi, non mi ero presa niente per il mio appuntamento di domani con Heric e nonostante io stessa non lo consideravo un appuntamento galante stavo entrando in crisi già dal giorno prima.
    «E così andrai alla festa con Heric, eh? Ma brava!» sghignazzò Ashley durante la cena.
    «Chi sarebbe questo Heric?» chiese mia madre curiosa. Raramente mi aveva vista interessata a qualche ragazzo e ancor più raramente mi aveva vista uscire con qualcuno. I miei due fratellastri mi guardavano con aria ammiccante e ridevano sotto i baffi. Io risposi solo che era un mio compagno di classe.
    «Sì, certo» ridacchiò mia madre.
    «Scusa ma a te, Ashley, chi l'avrebbe detto? Tu, Jeremy? Idiota!»
    «Veramente a me l'ha detto Isabel, la capo cheerleader, che glielo ha detto Angela, la sua migliore amica, che glielo ha detto Claire, la sorella minore di Angela, che è in classe con voi e che ha sentito tutto. Dice che glielo hai chiesto tu, anzi che lo hai quasi supplicato perché non sei riuscita a trovare altri accompagnatori e che lui ha accettato controvoglia perché gli hai fatto pena. Heric è un ragazzo per bene, di buona famiglia ed estremamente gentile ed educato.»
    Io non avevo parole. Quella scuola era come un paesino di campagna, chiunque sapeva tutto di tutti e ci ricamavano sopra storie assurde. Ovviamente negai tutto, sparecchiai il mio piatto e un po' umiliata andai in camera mia. 
    «Hey, non c'era bisogno di offendersi e andarsene» disse Jeremy entrando in camera mia.
    «Sì certo. Tu eri lì quando l'ho invitato potevi difendermi a cena da quell'arpia di tua sorella!»
    Scosse la testa, mi diede la buonanotte e se ne andò.
    Io nel mentre ripensavo a quello che mi aveva detto George, alla traduzione di quella frase. Non so cosa mi spaventasse di più, se il suo significato o se il fatto che avessi sognato una frase in una lingua antica che neanche conoscevo dotata di senso compiuto.
    Alle dieci ero già a letto, pronta a vivere l'ennesimo incubo. Ormai era all'ordine del giorno, non mi stupivo più e mi ero già preparata all'ennesima notte insonne. Ci misi un po' prima di prender sonno e non appena mi addormentai, mi ritrovai in un bosco, ma era diverso: non era lo stesso che c'era a ridosso della casa della nonna né quello che sognai qualche notte fa vicino alla scuola e al cimitero monumentale. Era un altro che non mi era per niente familiare.
    Camminavo senza sosta. Il sole stava tramontando quando raggiunsi il centro del bosco, lì mi ritrovai in una radura faccia a faccia con Madeline, che mi guardava torva da lontano con degli occhi che non erano più cerulei, ma scurivano sempre di più fino a tendere al nero. Camminava verso di me sorridendomi minacciosamente e con aria affamata. 
    «Sai, il sangue delle streghe non è tra i migliori. Ma mi accontenterò. Sono troppo affamata» disse mostrando i suoi canini bianchi e affilati.
    Indietreggiai e, mentre lei si dirigeva verso di me accelerando il passo, d'improvviso tutto divenne buio, illuminato solo dalla luna piena alta nel cielo cui raggi filtravano attraverso i rami degli alti alberi.
    «Madeline, fermati!» urlò qualcuno in lontananza. Era Heric. Lei si voltò mentre io stavo ferma sul posto che non riuscivo a muovermi dalla paura.
    Un ululato spezzò il silenzio nella foresta dietro casa e mi risvegliai dall'incubo. La finestra era aperta, così corsi ad affacciarmi per prendere una boccata d'aria fresca.
    Sentivo davvero gli ululati provenire dal bosco e la luna era quasi piena, mancava solo una fase al plenilunio. Chiusi la finestra e tornai a dormire, dando prima un’occhiata all’ora: le tre. Di nuovo. Quando la mattina dopo andai a fare colazione, eravamo tutti in cucina eccetto Joseph che usciva quasi sempre presto per andare a lavoro in ospedale.
    «Avete sentito nulla stanotte?» domandai.
    «Tipo cosa?» chiese Ashley.
    «Non so tipo un cane, un lupo forse.»
    Jeremy si irrigidì mentre si versava il caffè e alzò gli occhi per guardarmi, lanciandomi un’occhiataccia.
    «No, non ho sentito nulla» ribadì.
    «Scusa non richiesta, accusa manifesta», pensai. Anche se mi sembrò piuttosto insolito che Jeremy si mettesse in giardino alle tre di notte ad ululare alla luna.
    «Non eri tu quello che non dorme ed ogni minimo rumore lo sveglia in piena notte? Perché sai non era un minimo rumore, questo era un ululato» replicai.
    «Ma da quando siamo qui devi sempre dire sciocchezze?» mi ammonì mia madre. 
    Sbuffai e uscii dalla cucina aspettando i miei fratellastri in auto per andare a scuola. 
    Alle prime due ore avevo lezione di biologia e speravo di stare nuovamente vicina ad Heric ma, come mi aveva preannunciato il giorno prima il giorno prima in mensa, non venne a scuola. In cuor mio però, continuavo a sperare che gli ultimi ritardatari che aprivano la porta dell’aula fossero lui. Invece no. 
    «Il tuo amico non viene oggi?» sghignazzò Jeremy, con il tentativo di stuzzicarmi.
    «No, purtroppo. So che hai chiesto ad Alexis di andare insieme alla festa stasera.»
    «Cambi discorso eh? E tu vai con quel tipo?»
    «Sì, viene a prendermi a casa.»
    «Non farlo entrare.»
    «Cosa?»
    «Hai capito».
    «Sei sempre lì che mi prendi in giro su queste sciocchezze delle streghe e dei vampiri e non vuoi che lo inviti a casa? Allora anche tu pensi che Heric sia un vampiro?»
    «Mer smettila dai».
    «Allora spiegati su!»
    «Semplicemente non mi sembra il caso di fare entrare uno sconosciuto in casa.»
    Il professore ci rimproverò intimandoci di far silenzio e per il resto dell’ora non parlammo più.
    Durante la pausa pranzo c'era una tale frenesia. Non solo tutti continuavano a parlare dell'assassinio di qualche sera prima e del morso inspiegabile che aveva causato la morte di quella donna, ma erano tutti euforici per la festa di stasera. Io non sapevo nemmeno chi l'avesse organizzata o se fosse un evento tradizionale di Salem. In realtà non mi importava cosa fosse, poteva essere anche un festa in maschera per i bambini o una sagra di paese che io volevo solo andarci con Heric e trascorrere del tempo insieme a lui. E scoprire la verità.




Angolo autrice.
*Numquam de profundis exibo: significa "Non uscirò mai dalle profondità degli abissi".
*Il film menzionato è L'Esorcismo di Emily Rose.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Teorie. ***


10) Teorie.


    Dovevo essere impeccabile per questo nostro primo "non" appuntamento. Tornata a casa cominciai a prepararmi dalle cinque del pomeriggio, pur sapendo che Heric sarebbe passato praticamente fra altre tre ore o almeno era quel che speravo. Non ero sicura che sarebbe stato in grado di trovare casa mia considerato che non gli avevo dato né il mio indirizzo né il mio numero di telefono. Inoltre si sarebbe anche potuto dimenticare che avevamo un appuntamento. Cosa avrei fatto in quel caso senza poterlo rintracciare?!
    Mi cambiai una decina di volte e alla fine mi decisi nuovamente di chiedere ad Ashley qualche suo vecchio abito.
    Verso le sei qualcuno squillò il campanello di casa mentre ero intenta a piastrarmi i capelli. Il cuore mi sobbalzò dalla felicità: forse era Heric. Ma no, così in anticipo non poteva essere possibile.
    «Meredith!- mi urlò mia mamma dal piano di sotto -C’è una tua amica, scendi!»
    «Alexis?» pensai. In fondo era l'unica amica che potessi avere a Salem.
    Scesi di fretta le scale con mezza testa allisciata e mezza coperta da forcine per tener su i capelli ancora mossi e disastrosi.
    «Hey, ciao. Ma non è presto? Jeremy non c’è ora» le dissi. Forse era successo qualcosa, probabilmente lui le aveva dato buca.
    «Ehm no io sono qui perché avrei bisogno di...consigli, aiuto, compagnia, incoraggiamento. Per me è come se fosse un appuntamento questo e ho bisogno di calmarmi. Sono agitata- balbettò tutta emozionata tenendo una busta in mano -potremmo prepararci insieme...»
    Non capivo cosa ci trovasse in mio fratello. Certo era un bel ragazzo ed aveva un certo fascino, sempre se l'atteggiamento da burbero potesse essere considerato affascinante. Ma forse non era solo l'aria da lupo solitario ad attirare Alexis. Jeremy era effettivamente un bel ragazzo: alto e con un bel fisico, aveva due grandi occhi cangianti, capelli castano scuro, ma proprio per questo suo caratteraccio, la sua bellezza passava in secondo piano, almeno per i miei occhi. Comunque mi faceva piacere che Alexis chiedesse il mio aiuto. Magari mi considerava un’amica o chissà forse voleva solo arrivare a mio fratello. Anche se ormai aveva raggiunto il suo obiettivo.
    «Devo smetterla di essere così diffidente verso tutti» pensai tra me e me.
    Trascorremmo il resto del pomeriggio chiuse in bagno a prepararci usando per lo più i trucchi costosi di Ashley e i suoi accessori.
    «Beh, tu sei emozionata all'idea di uscire con Heric?» mi domandò, apparentemente più contenta di me.
    «Più che emozionata userei il termine agitata» no, il termine più adatto era terrorizzata. Non che uscire con un ragazzo mi spaventasse, avevo avuto altre storie e diversi appuntamenti a Coral Spring, non tanti ma qualcuno sì, solo che uscire con Heric, non saprei, mi sembrava diverso e non solo perché avevo un piano ben preciso in mente ma perché lui era diverso.
    «Perché agitata? Non hai idea di quante vorrebbero essere al tuo posto a scuola. Tutti parlano della vostra presunta relazione segreta» mi disse Alexis tutta eccitata come se io vivessi fuori dal mondo e non capissi questa strana fortuna. In effetti era vero che la gente ne parlava, come successe il giorno prima quando circolarono pettegolezzi fra le cheerleader sul fatto che io avessi supplicato Heric di uscire con me.
    «Durante questi mesi nel nostro liceo non ha mai dato confidenza a nessuna ad eccezione ovviamente di Madeline. Ma da quando sei arrivata tu, parla con te, pranza spesso con te ed è anche seduto affianco a te all'ora biologia, credo...così si dice a scuola» continuò lei.
    «E tu come fai a sapere addirittura che siamo seduti vicini a lezione di biologia?» domandai sgomenta.
    «Te l'ho detto, siete al centro delle conversazioni degli studenti della Salem High School. La gente parla sai?»
    Ero sbalordita. Da quando ero diventata un gossip? Ero convinta di conservare il mio anonimato anche qui a Salem, come quando frequentavo il liceo a Coral Spring. Lì nessuno mi conosceva o mi dava importanza: io ero solo la sorellastra, un po' bruttina e un po' sfigata di Ashley Stanley, la Reginetta del Ballo del secondo e terzo anno, la capo cheerleader, la fidanzata di Jason, l'ex di Steven, quello del College, la più bella della scuola. Invece qui a Salem, beh poca gente, tante chiacchiere. Inizialmente il mio intento era proprio quello di uscire dal mio guscio di ragazza anonima e ordinaria, ma non al prezzo di essere presa in giro da tutti.
    «Comunque, hai detto in questi mesi? Quando si sarebbe trasferito Heric qui a Salem?»
    «Mi pare di avertene già parlato. Comunque si è trasferito a settembre insieme a sua cugina. Chissà perché?! Nessuno sa da dove vengano. Non penso nemmeno siano americani. Sono avvolti da un alone di mistero. Ti avevo già raccontato anche le teorie che circolano sul loro conto, ad esempio che vivano soli o coi genitori di uno dei due o che magari abbiano unaqualche relazione come dire...particolare» la situazione era sempre più ambigua. Forse fuggivano da alcuni cacciatori di streghe o di vampiri.
    Verso le sette e mezza passate sentii il rumore di un'auto provenire dal vialetto sotto casa.
    «Credo sia arrivato Jeremy» il fracasso provocato dalla sua macchina era inconfondibile.
    «Ok, sono pronta. Forse» le spuntò un enorme sorriso sulla faccia.
    «Ti accompagno da lui io devo aspettare Heric. Tra un po' dovrebbe essere qui» le dissi facendole strada fino al piano inferiore.
    Si salutarono timidamente e informai di nuovo entrambi che li avrei raggiunti più tardi non appena fosse arrivato Heric a prendermi. Jeremy, bofonchiando qualcosa, pose la sua mano sulla spalla di Alexis e insieme uscirono.
    Dopo circa mezzora di trepidante attesa qualcun altro suonò di nuovo il campanello. Non poteva essere nessun altro se non lui, il mio adorato Heric.
    Mi avvicinai lentamente alla porta e, come appoggiai la mano sulla maniglia, sentii come un’energia negativa trapassarmi il corpo. 
Esitai un attimo prima di aprire e mi tornarono in mente le parole di Jeremy: non farlo entrare.
    «Ciao!» dissi infine aprendo la porta scacciando quelle insensate sensazioni folli.
    «Ciao» rispose lui, sorridendomi.
    «Devo andare un attimo a prendere la borsa. Entra, se vuoi» non diedi ascolto a quello che mi aveva detto il mio fratellastro noioso e geloso, erano tutte sciocchezze per spaventarmi e per allontanarmi da Heric. Sempre con un sorriso stampato sul volto, mi rispose che mi avrebbe aspettata in macchina.





     Durante il tragitto non parlammo molto. Mi sentivo tremendamente in imbarazzo.
    «Mi sembri preoccupata» bisbigliò facendomi notare di nuovo quanto fossi intimorita, da lui. Abbassò il volume della radio e mi lanciò un'occhiata rimanendo concentrato alla guida.
    «No, è tutto a posto. Madeline?»
    «Lei è già lì. Tuo fratello?»
    «Fratellastro- sottolineai -è già lì anche lui.»
    La situazione era sempre più tesa e né io né Heric riuscivamo a rompere il ghiaccio e comportarci in maniera spontanea e rilassata l'uno con l'altra. Dal canto mio, avevo una marea di domande da fargli, tutto mi incuriosiva di lui, della sua persona, della sua vita avvolta nel mistero.
    «Da quanto tempo abiti qui a Salem?» gli domandai senza far trapelare curiosità ed ambigui sospetti con il solo fine di spezzare quell'imbarazzante silenzio. Il luna park distav qualche chilometro e si trovava quasi al confine della città.
    «Da agosto ormai. Ho visitato e vissuto in parecchi posti ma in realtà sono originario di queste parti ed ogni tanto mi piace tornare qui. È così mistica» macabra, forse, era un aggettivo migliore per descrivere questa città. Fu abbastanza vago nel rispondermi, non mi diede ulteriori dettagli anche se, in soli diciassette anni in quanti posti avrebbe potuto aver vissuto? Ecco di nuovo questi stupidi pensieri sulla sua doppia natura passarmi per la testa.
    Dopo un'altra decina di minuti arrivammo al Luna Park. Jeremy e Alexis erano all’ingresso, dentro intravidi Ashley, Nicholas e altri miei compagni di scuola. Doveva esserci l'intero liceo lì dentro.
    «Ci stavate aspettando?» chiesi mentre ci avvicinavamo a loro due.
    «Volevo assicurarmi che arrivassi sana e salva» rispose Jeremy, lanciando un’occhiata di sfida a Heric.
    «Andiamo a fare una passeggiata, Meredith? Vorrei anche andare sulle montagne russe» mi propose, ignorando le parole inopportune di Jeremy. Annuii. Non vedevo l'ora di allontanarmi. Ci spostammo un po’ e facemmo il giro del parco giochi. L'atmosfera era abbastanza serena ma quel senso di disagio e paranoia non ne voleva sentire di lasciarmi in pace a godermi la serata. 
    «Chi ha organizzato questa festa?» chiesi curiosa.
    «Sì festeggia la vittoria della squadra di basket della scuola. Siamo i primi di tutto il Massachusetts.»
    «Ahh, non lo sapevo. Ecco perché Ashley si comporta come una first lady accanto a Nicholas» ed ecco spiegata anche l'euforia di stamattina. Se fosse stata la squadra di basket o meglio di football, perché nella scuola che frequentavo prima, la squadra di basket non aveva particolare rilevanza, del liceo di Coral Spring a vincere, a nessuno sarebbe mai saltato in mente di invitare tutti gli studenti al luna park: avrebbero senz'altro organizzato un party esclusivo a casa di qualche figlio di papà limitandosi ad invitare, oltre i giocatori della squadra, le cheerleader e qualche altro personaggio diletto e popolare all'interno dell'ambiente scolastico. Ma qui a Salem era tutto diverso.
    Dopo l'ennesimo giro a zonzo mi propose di salire sulle giostre.
    «Meredith ma tu soffri di vertigini!» mi sussurrò una vocina nella mia testa. Però accettai.
    Heric capì che avevo paura di salire sulle montagne russe già dal momento in cui ci stavamo dirigendo verso la biglietteria.
    «Se hai paura non fa nulla. Potremmo fare un'altra passeggiata, prendere un pesce rosso oppure dello zucchero filato o magari fare un gioco più tranquillo» mi propose scherzandoci su. Spavaldamente, gli risposi che non avessi affatto paura. Ed era vero: non avevo paura delle montagne russe in quel momento sebbene soffrissi di vertigini. Se avesse voluto mordermi là su, tra tutte quelle urla e schiamazzi non mi avrebbero mai sentita. Oddio ma che stavo fantasticando!
    Salimmo sulla giostra. Inizialmente andò piano poi accelerò e prese velocità con la discesa per poter risalire. Tenevo gli occhi chiusi e le mani salde alla protezione del sellino. Dopo una folle corsa sul rettilineo, ci ritrovammo a testa in giù per una manciata di lunghi e interminabili secondi e la catenina che avevo notato giorni fa appesa al suo collo gli scivolò via dalla maglietta stando a mezzaria. Avevo ragione, agganciato vi era il ciondolo dalla pietra acquamarina, uguale al mio. Lo guardai con occhi sgranati, le montagne russe in quel momento non avevano effetto su di me, lui mi faceva più paura. Heric si girò verso di me e mi sorrise, ma notando il mio sguardo turbato, cominciò a guardarmi strano anche lui e le sue labbra si chiusero in un'espressione preoccupata. E di nuovo, i suoi occhi divennero sempre più scuri. Distolsi lo sguardo e guardai in basso alla ricerca di Jeremy, ma non lo riuscivo a trovare. C’era Madeline però, ci fissava dal basso in modo maligno.
    La giostra si fermò e scesi subito stringendo il mio ciondolo che ormai sembrava un cubetto di ghiaccio. Lui inchinò la testa e si guardò il petto vedendo che la collana era visibile. Poi alzò lo sguardo verso di me: stava per dire qualcosa, forse una giustificazione o una scusa o una possibile spiegazione ma non glielo permisi.
    «Non mi sento bene. Vado a cercare Jeremy» ero frastornata sia per il giro sulle montagne russe sia per ciò che avevo appena visto.
    Heric, visibilmente turbato, si propose gentilmente di riaccomagnarmi a casa ma rifiutai con una scusa e cominciai a correre disperatamente per tutto il parco giochi alla ricerca di Jeremy, perlustrando ogni centimetro del posto fino a che non incappai in Ashley e Nicholas. Era estremamente raro che fossi contenta di vederla e questa fu proprio una di quelle poche volte.
    «Ma non eri con Heric?- mi guardò con aria di sfida -oh no! Ti ha piantata in asso?»
    «Smettila! Lascia perdere. Sai dov’è Jer?»
    Fece spalluce ed un sorriso beffardo comparve sulla sua faccia. Sicuramente pensava che avessi discusso con Heric o che il mio appuntamento fosse andato male (ed in effetti andò male) e questo chiaramente la compiaceva. Sebbene non avessi avuto alcuna discussione con Heric, avevo senza alcun dubbio rovinato il rapporto che stavamo instaurando come se stessimo basando questa conoscenza senza neanche un briciolo di fiducia.
    Non trovandolo decisi di chiamare Jeremy e restammo al telefono fin quando non raggiunsi lui e Alexis all’uscita del luna park. Vidi che si tenevamo per mano: lui lasciò la mano di lei non appena mi vide e mi venne incontro, seguito da lei, visibilmente infastidita. Pregai loro di tornare a casa e Jeremy si offrì di accompagnare prima Alexis la quale, con aria alquanto scocciata, annuì come se non avesse altre alternative.
    Io comunque ero abbastanza sorpresa da questo suo cambiamento di personalità: era diventato imrpovvisamente gentile sia con me sia con Alexis. Dopo una quindicina di minuti, parcheggiò l'auto e scese accompagnando Alexis fino alla porta di casa sua e... la baciò.   
    Non potevo negare che l'averli visti baciare mi turbò e infastidì al tempo stesso. Il motivo non era solo che, forse, fossi gelosa di Jeremy, ma pure un po' invidiosa che a lui le cose stessero andando bene mentre io riuscivo sempre a rovinare tutto.
    Non parlò una volta tornato in macchina. Non disse nient’altro. Non si lamentò e non chiese spiegazioni. E cosa più strana non fece battute sul mio stato attuale: avevo l'aria di una pazza appena fuggita da un manicomio. Ero davvero spaventata a morte ed ogni volta che ero terrorizzata fuggivo da lui, come se, nonostante i disguidi e le discussioni, potesse capirmi. E proteggermi.
    Arrivati alla villa grigia, parcheggiò l’auto nel vialetto e restammo lì per momento in silenzio.
    «Cosa è successo Mer?» mi domandò alla fine con tono preoccupato.
    «So che mi prenderai per pazza, cosa che già pensi e che continui a ripetermi, ma i vampiri, le streghe e tutto il resto esistono. Ne sono certa.»
    «Perché?»
    «Io penso che Heric lo sia, un vampiro però, non uno stregone.»
    «Dimmi le tue teorie» insisteva nel chiedermi spiegazioni più dettagliate. Presi fiato ed esitai un attimo prima di esporgli le mie ipotesi.
    «Innanzitutto perché ha un ciondolo simile al mio. E come c’è scritto nel grimorio della nonna non sono solo le streghe a possederne uno ma anche i vampiri. A questi serve per proteggersi dalla luce solare, per questo se esposto ai suoi raggi, il sole non gli provoca alcun male e noi lo vediamo all'ora di pranzo nel giardino della scuola passeggiare tranquillamente. Poi ogni volta che lui mi è vicino il mio ciondolo diventa freddo, quindi se è un vampiro significa che lui rappresenta il male e il ciondolo mi mette in guardia. E inoltre ogni volta che ci guardiamo troppo intensamente negli occhi, i suoi scuriscono inspiegabilmente. Non so come sia possibile. Ah e per finire l’ho sognato e i miei sogni in qualche modo hanno sempre un qualcosa di reale e di vero. Ad esempio ho sognato un ingresso segreto che conduce al cimitero monumentale di Salem, e sebbene tu possa non crederci sta lì, nascosto nel giardino della scuola, incastonato nelle mura di recinzione e ormai cementato, e coperto dall'edera.»
    «Dunque, in breve, quello lì sarebbe un vampiro perché ha una collana uguale alla tua e perché lo hai sognato? Su quali basi si fondano tali insinuazioni?»
    «Te l'ho detto! Ho sognato che sia lui sia sua cugina Madeline fossero dei vampiri e che lei volesse mangiarmi, insomma bere il mio sangue. Lui però nel sogno tentò di fermarla e quindi di salvarmi.»
    «Sì, sei completamente pazza. Entriamo in casa forza» rise.
    Andammo in cucina a mangiare qualcosa, continuando a ridacchiare. Ashley era ancora lì alla festa mentre i nostri genitori erano in salotto a guardare la televisione. Ci chiesero come mai fossimo già a casa nonostante fossero appena le dieci e mezza. Bella domanda.
    «Scommetto che stanotte non dormirai dalla paura di essere morsa dai cugini vampiri» sogghignò.
    «Non dormirò ma non perché ho paura, ma perché penso che mi metterò a fare ricerche sui vampiri e a leggere a fondo il grimorio e il diario della nonna. Sai che esiste una copia di questo libro di incantesimi? Chissà chi la possiede o dove sia nascosto.»
    «Hai letto il diario di tua nonna già una decina di volte e non c’è scritto nulla di che. E nemmeno in quel libro di incantesimi c’è scritto niente!»
    «Credo mi stia sfuggendo qualcosa. Nella biblioteca della scuola ci sarà senz’altro qualcosa! George e gli altri ci avevano parlato di alcuni vecchi libri conservati lì.»
    «Ma ora è chiusa.»
    «Non ce la farò ad aspettare lunedì!»
    «Vai a dormire dai. Non preoccuparti ora di queste cose.»
    Ripulii la tavola e andai su in soffitta. C’erano anche altri libri, oltre al grimorio già in mano mia, dentro a degli scatoloni sparsi in giro e in alcuni vecchi scaffali. Nel baule dove avevo trovato il vecchio librone delle Streghe Bianche, c'era pure una tavola Ouija ma non avrei mai contattato la nonna evocandola con una seduta spiritica. In sogno mi aveva detto che mi avrebbe fatto percepire la sua presenza. Dovevo solo aspettare.
    In quelle vecchie librerie non c'era nulla che parlasse di vampiri, solo di streghe. Però c'era anche la possibilità, la remota possibilità, che lui fosse un mago, insomma una strega al maschile, uno stregone, o come diamine si definiva, e che sua cugina lo stesso fosse una strega. Mi sarei sentita più tranquilla e meno emarginata. Ma se fossero stati degli stregoni malvagi?
    Sentivo le palpebre pesanti. Il sonno mi impedii di continuare la lettura così mi arresi e andai a coricarmi.
    Dalla mia finestra entravano dei fiochi raggi lunari accompagnati dall'eco degli ululati dei lupi che andavano diffondendosi in tutto il bosco giungendo fino alla mia stanza.
    Chiusi gli occhi, e crollai.   




Angolo autrice.
Il mistero si infittisce. Cos'è realmente Heric? Un vampiro, uno stregone o semplicemente sono solo delle fantasie quelle di Meredith? E cosa si nasconde nella biblioteca della scuola? C'è per caso un passaggio segreto ed è lì che si nasconde la Bibbia delle Streghe? Chissà...
Alla prossima (:

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Attenta al lupo? ***


11) Attenta al lupo?


    Era tutto inutile. Per quanto stessi letteralmente crollando dalla stanchezza, continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto: non riuscivo proprio a prendere sonno. Ero agitata, confusa e in più mi sentivo una perfetta idiota perché per la seconda volta avevo piantato in asso Heric per le mie insensate teorie paranormali. 
    Riuscii finalmente a trovare una posizione comoda, poggiata su un fianco e dando le spalle alla finestra, e mi assopii in un sonno profondo.

    Era già notte fonda.
    All'improvviso sentii un soffio gelido spirarmi sul collo, mentre una mano, altrettanto gelida, mi accarezzava i capelli e coi polpastrelli mi sfiorava la pelle. O forse no: quella mano dal tocco glaciale in realtà non mi stava affatto accarezzando i capelli ma me li stava semplicemente spostando delicatamente dal collo per scoprirmi la carotide, sfiorandomi appena. Continuavo a percepire un venticello fresco, nonostante ricordassi chiaramente di aver chiuso la finestra quella notte per via dei lupi che ululavano alla luna. Gli spifferi di corrente andavano diffondendo nell’aria un profumo che avevo già sentito, e che ormai conoscevo bene.
     Spalancai gli occhi e mi voltai di scatto dall'altro lato del letto, verso la finestra. Qualcosa, una figura all'apparenza umana si mosse frettolosamente ritraendo la propria mano e allontanandosi dal mio letto. Fu a quel punto che mi resi conto che non stessi per niente sognando come le altre volte poiché avevo appena socchiuso gli occhi. Ero sveglia, non ero nemmeno in dormiveglia, ero sveglia e cosciente.
     Abbagliato leggermente dai riflessi della luna, potei vedere Heric che, colto di sorpresa dalla mia reazione, indietreggiò. Se ne stava a meno di cinquanta centimetri di distanza da me, fissandomi, con gli occhi ormai completamente neri. Li vedevo perfettamente nonostante l'oscurità, scintillavano per via del bagliore lunare.
    «Come sei entrato?»
    Indicò la finestra alle sue spalle e sorrise mostrandomi i suoi canini candidi e affilati. Un brivido mi attraversò la schiena facendomi sobbalzare: il suo sguardo era assetato di sangue, glielo leggevo in faccia, e il suo sorriso, per quanto stupendo, non prometteva nulla di buono. Stava qui, in camera mia in piena notte e mi fissava lasciando intravedere i suoi denti aguzzi e perfetti. Stringevo nervosamente la collana della nonna che sembrava essere diventata un iceberg e, in quel momento, avrei voluto solo che Jeremy, come nei miei sogni, arrivasse per difendermi e tirarmi via da quell'incubo reale.
     Mi passarono per la mente tanti pensieri: non poteva essere affermativa la risposta alla domanda che stavo per porgli. Con voce flebile e insicura gli chiesi quello che da tempo mi dava il tormento.
     «Sei un vampiro?»
     «E tu una strega. Siamo pari, no?» rispose lui con tono sarcastico e divertito. Non lo avevo mai visto con quell'aria insolente se non con i professori e il fatto che io fossi spaventata lo entusiasmava assai, come un vero cacciatore. Sebbene non riuscissi a nascondere la paura che provavo, continuai presuntuosa e ironica, come se fosse un gioco.
     «Vuoi mordermi?» 
     «Mi farai un incantesimo?» ribatté con tono di sfida. Non era il caso di fare la spavalda, non ero nella posizione giusta. Sapevo che era un vampiro, sentivo che c’era qualcosa di diverso in lui e ora ne avevo la conferma. Era tutto così assurdo.  Continuammo con quel gioco di domande e battute: il suo atteggiamento irriverente mi spaventava ed eccittava al tempo stesso. Quel suo modo di fare, di parlare, di muoversi e di guardarmi mi affascinavano. Terribilmente. E il suo sguardo, il suo sguardo mi aveva paralizzata. Riuscivo a leggergli negli occhi la sensazione di sete che provava e l'irrefrenabile voglia di mordermi. Ero come ipnotizzata e avrei fatto qualsiasi cosa per accondiscenderlo. Ero completamente nelle sue mani.
     «Io non sono una strega» balbettai.
     «Non ancora»
     «E tu cosa sei invece?»
     «Sai già cosa sono. Sta attenta a quelli come me- si avvicinò lentamente alla finestra, saltò sul davanzale e aggiunse:-ci vediamo lunedì mia giovane strega. E sta attenta anche al lupo cattivo.»
     «Lupo?»
     Fu in quel momento che mi resi davvero conto, purtroppo, di aver solo sognato un'altra volta. Purtroppo perché, beh, avere Heric nella mia camera a quell'ora di notte non era mica una cosa da niente. Aprii gli occhi senza urlare, agitarmi o dimenarmi come mi capitava solitamente ogni qual volta facevo degli incubi, quello in fondo non lo era.
     Guardai la sveglia: erano le tre del mattino come di consueto. Poi diedi uno sguardo alla finestra: era chiusa, sigillata, come ricordavo. Sì, era soltanto un sogno!
     Mi alzai dal letto e andai ad affacciarmi, faceva davvero caldo e avevo bisogno di respirare. Poggiai i gomiti sul davanzale per appoggiarci la testa godendomi l'aria fresca e il cielo stellato fino a che non vidi una figura nel giardino che si nascondeva dietro un albero e mi fissava con occhi ambrati e luminosi.
    C’era...c’era un lupo nel giardino di casa?!
    Uscii dalla mia stanza per andare da Jeremy. Entrai piano per non svegliarlo di sorpresa.
     «Jeremy! Jeremy! Svegliati! C’è un lupo in giardino!» bisbigliai. Lui però non era nella sua stanza.
     Scesi al piano di sotto per cercarlo, poteva benissimo essere in cucina o in bagno. La porta del bagno superiore però era aperta e giù in cucina non c’era nessuno. Sentii la porta di casa scricchiolare e presi un coltello dal cassetto delle posate. In quel momento non pensavo a cosa avrei potuto fare, magari non era un lupo ma un ladro.
     «Meredith! Sei pazza? Volevi ammazzarmi?!»
     «Cosa ci facevi in giro a quest’ora?»
     «Ero a prendere una boccata d’aria.»
     «Non hai visto il lupo nel giardino?»
     «Lu-lu-lupo?- balbettò -non ho visto nessun lupo.»
     «C’era un lupo nel giardino. O almeno credo fosse un lupo»
     «Tu stai completamente uscendo fuori di testa.»
     «Perché? Esistono i vampiri. E dove ci sono i vampiri ci sono anche i licantropi, lo dice leggenda. Son riuscita a trovare un piccolo paragrafetto in un libro prima di andare a dormire ma non l'ho finito di leggere. Sembrava più un racconto, una leggenda.»
     «Mi sto seriamente preoccupando per te» disse con una risata innaturale quasi cercando di nascondermi qualcosa.
     «Beh io almeno non me ne vado in giro alle tre del mattino! Comunque, ho sognato Heric anche stanotte. Ammetteva di essere un vampiro e mi diceva di stare attenta al lupo. Mi sono affacciata alla finestra e cosa c’era? Un lupo nascosto dietro un albero! Domani gli chiederò spiegazioni.»
     «Su andiamo a dormire che è tardi. E basta con queste cavolate superstiziose» mi zittì.





     Per tutto il fine settimana non ebbi notizie da Heric: non una telefonata, non una visita improvvisata a casa mia. Silenzio stampa. 
    Avrei tanto voluto vederlo e chiarire la situazione. Nel mentre mi facevo lunghi viaggi mentali dove lui ad esempio si presentava a casa mia con un mazzo di fiori chiendomi di perdonarlo per esser sparito tutti quei giorni oppure immaginavo che, nel cuore della notte, entrava dalla mia finestra rincuorandomi del fatto che, sebbene fosse un vampiro, non mi avrebbe mai fatto del male, oppure ancora mi confessava di essere uno stregone e che i avrebbe aiutata a comprendere i segreti della magia. Ogni sera mi addormentavo pensando a lui e ideavo uno scenario diverso dove però, alla fine, stavamo insieme.
    Era
martedì e non vedevo Heric da sabato alla festa al luna park: non si era presentato a scuola né il giorno prima, lunedì, né tanto meno oggi. La situazione iniziava a preoccuparmi. Che se ne fosse andato? No, no e no, non era assolutamente possibile!
    Nel frattempo notavo che i miei fratellastri facevano coppia fissa entrambi, soprattutto Jeremy e Alexis. Sembravano davvero affiatati ed io ero sempre più gelosa tant'è che la evitai
quei giorni: sebbene le cose fra lei e Jeremy sembrassero andare a gonfie vele, non sapevo come scusarmi né che cosa inventarmi riguardo l'esser voluta tornare a casa nel bel mezzo del loro appuntamento nel cuore della festa.
    Quei giorni, nonostante la mia impazienza e il mio desiderio di rivedere Heric, trascorsero piuttosto sereni e non ebbi nessun incubo. Fino a quel martedì notte.
    Era il 30 marzo ed erano ormai passati circa venti giorni da quando avevo lasciato Coral Spring e in meno di tre settimane mi erano successe una marea di cose strane.
    Quella notte, il cielo era limpido e la luna piena splendeva alta nel cielo. Rimasi per un po' affacciata alla finestra a contemplarla nell'attesa che Heric sbucasse da un momento all'altro come nei miei sogni ad occhi aperti ma, ovviamente, le mie erano solo fantasie irrealizzabili.
    Spensi la luce e andai a dormire.
    La quiete della notte era spezzata solo dai versi dei lupi provenienti dal bosco. Il loro ululato si diffondeva fino al giardino rieccheggiando addirittura sin dentro la mia stanza quasi come se fosse un richiamo, tant'è che decisi di addentrarmi nella foresta dietro la villa.
    Calzai le scarpe e indossai una felpa pesante e avviandomi verso le scale per uscire di casa, notai che la porta della stanza di Jeremy era aperta e soprattutto che lui non era lì. Sicuramente sarà andato a fare un'altra passeggiata notturna come la scorsa notte, o almeno era quello che credevo.
    Passeggiavo come avvolta dal fruscio degli alberi i quali mossi da un venticello primaverile e leggero riversavano nell'aria un fresco profumo. Camminai per circa dieci minuti facendo scricchiolare le foglie sotto ai miei piedi fino a che non giunsi nel bel mezzo di una radura nel bosco. Avanzai ancora per un tratto e mi accorsi d'un tratto di aver calpestato qualcosa di viscido con la scarpa. Attivai la torcia del mio cellulare puntando la luce in basso: sul suolo c'era del sangue fresco. Seguii con la luce la traccia di sangue che si faceva strada per alcuni metri e...
    «Jeremy? Jeremy!» gridai con tutto il fiato che avevo in gola. Davanti a me giaceva inerme mio fratello, ferito a un fianco che ancora sanguinava.
Mentre mi avvicinavo, comincia a vedere tutto intorno a me dei piccoli cerchi color ambra fluttuare nell'aria e risaltare nel buio della notte. Erano occhi, occhi di un branco di lupi che mi fissavano con aria minacciosa.
     Iniziai a correre verso a casa, aprii la porta violentemente e urlai chiamando mia madre e salendo le scale facendo i gradini a tre a tre fino alla camera matrimoniale.
     Mia madre e Joseph si svegliarono di soprassalto così come Ashley.
   
«Dobbiamo chiamare i soccorsi! Jeremy è ferito, è nel bosco, è stato attaccato!»
    «Cosa stai dicendo Meredith? Jeremy è ferito?» disse Joseph già in preda al panico.
    In un attimo ci catapultammo in salotto e chiamammo la polizia e l'ambulanza. Seguimmo gli agenti nel bosco dietro casa fino ad arrivare alla radura dove poco prima avevo intravisto il corpo di Jeremy. La scia di sangue si protraeva ancora per diversi metri ma di lui non c'era traccia. Avevo il terrore che quei lupi lo avessero trascinato con loro stessi da qualche parte in una tana nascosta, pensavo lo avessero ucciso e divorato. Iniziai a piangere.
    Uno dei poliziotti mi interrogò ma ripetei quel che avevo visto.
    Continuava ad insistere sul perché, di martedì a notte fonda, stessimo girovagando nel bosco con la luna piena. Ripetei più volte che stavamo solo facendo una passeggiata e che a un certo punto Jeremy si era addentrato troppo a fondo nel bosco e quando lo raggiunsi era stato ferito e siccome era circondato da un branco di lupi, io scappai terrorizzata.
    L'agente che mi interrogava non sembrava molto sicuro della mia versione, ma non sapevo proprio che inventarmi per rendere la storia credibile. L'interrogatorio proseguì ancora per un po' e ricerche si protrassero per tutta la notte ma di Jeremy non c'era traccia. Era ufficialmente disperso e senza un corpo non era possibile stabilire se fosse ancora vivo o no.
    La mattina dopo né io né Ashley andammo a scuola e né mia madre né suo padre andarono a lavorare. Verso le 7.30 decidemmo di andare tutti a riposarci un po' e anche le ricerche vennero interrotte. Ma io non potevo dormire, nessuno di noi poteva in realtà, io meno di tutti considerando ciò che avevo visto la notte nel bosco. Mi feci coraggio e mi riaddentrai nella foresta setacciandola in lungo e in largo, centimetro per centimetro.
    Un crepitio del fogliame mi fece sobbalzare: non ero sola nel bosco.
    «Jeremy!» gridai il suo nome più volte. D'un tratto, con voce flebile, qualcuno rispose al mio richiamo pronunciando il mio nome. Jeremy comparve di fronte a me, senza vestiti e coperto di sangue.
    «Jeremy! Sei ferito?- gli corsi incontro abbracciandolo stretto a me -Cosa è successo?»
    «Non lo so. Io...andiamo a casa.»
    «Riesci a camminare? Cosa è successo? Oddio sanguini!»
    «Sto bene, non sono ferito. Per favore, andiamo via!»
    Una volta giunti a casa, non feci in tempo neanche ad avvisare i nostri genitori del suo ritorno che Jeremy scappò sotto la doccia. Probabilmente non avrebbe saputo cosa rispondere alle domande sia dei nostri familiari sia dei poliziotti riguardo la sua sparizione, del perché fosse in giro nel bosco di martecì notte, del perché fosse mezzo nudo e soprattutto cosa gli fosse successo, così cercava di guadagnare tempo per inventarsi una qualche frottola.
    Mentre era in bagno però, io avvisai mia madre, Joseph e Ashley che Jeremy aveva fatto fortunatamente ritorno a casa. Un sorriso di sollievo comparve sui loro volti ma Joseph sembrava piuttosto arrabbiato per aver procurato tale preoccupazione alla nostra famiglia. Senz'altro pensò che fosse una bravata. E fu così. Una volta uscito dalla doccia, mentre me ne stavo in camera mia, sentivo che discutevano anche piuttosto animatamente. Jeremy non sapeva proprio che rispondergli e ammise di aver fatto una cavolata uscendo di notte con "degli amici per andare a bere nel bosco". Ovviamente mi mise in mezzo dicendo che io lo avessi in qualche modo coperto e che non avevo avuto il coraggio di andare con loro. Chiramente finimmo entrambi in punizione e dovettimo spiegare tutto agli agenti. Le nostre versioni della storia non reggevano e senz'altro presentavao delle incongruenze poiché non facemmo in tempo a metterci d'accordo. I poliziotti, fortunatamente, chiusero un occhio sulla faccenda ma non si spiegarono del perché ci fosse del sangue presumendo che, forse, nel bosco ci fosse stato qualche altro attacco.
    Joseph decise di andare in ospedale, mia madre stava in cucina ed Ashley tornò a dormire. Ora chessuno potesse sentirci, potevo finalmente parlare con Jeremy: era ferito ne ero sicura, avevo visto personalmente il sangue sulle foglie e su di lui e sicuramente aveva bisogno di aiuto.
   
Bussai alla sua porta.
    Con voce infastidita mi rispose di voler dormire e di voler essere lasciato in pace, ma io entrai comunque.
   
«Jer, devi dirmi cosa è successo nel bosco. Ho visto che eri ferito, ho visto che c'era del sangue nel bosco e ho visto il branco di lupi.»
   
«Tu sei completamente pazza!»
   
«Io sarei pazza?! Ti rendi conto dei guaio che hai combinato? Tra l'altro mi hai pure messo in mezzo per pararti il culo! Sei uno stronzo bugiardo!»
   
«Non sono un bugiardo. Non ho davvero la più pallida idea di come sia finito, di nuovo, nel bosco. Non ho neanche la minima idea di cosa sia successo né di come io abbia trascorso queste ultime ore!»
    Forse avevo esagerato a dargli dello stronzo e forse era vero che non mentiva. Ma io, e pure gli agenti, il sangue lo avevamo visto, non potevamo aver avuto tutti un'allucinazione collettiva!
   
«Togliti la maglia» gli intimai.
   
«Cosa? Ho detto che non ho nulla.»
    Insistetti nuovamente fino a che non cedette e si sfilò la maglia. Non aveva un minimo graffio, né sul petto, né sulle braccia, né sulle gambe.
   
«Sei contenta ora? Non ho niente. Lasciami dormire ora.»
    Chiusi la porta e andai a riposare anche io. Dormimmo tutti fino al tardo pomeriggio.
    La situazione in casa quel giorno e i giorni seguenti era abbastanza tesa. Eravamo entrambi in punizione per almeno una settimana: niente auto per Jeremy e niente uscite dopo la scuola
per tutti i due, incluso il fine settimana. Non solo aveva (o avevamo) fatto preoccupare i nostri genitori, ma li avevamo pure messi in imbarazzo davanti agli agenti e a tutta la comunità tant'é che quella sera, mentre cenavamo tutti e cinque insieme senza dire mezza parola, al telegiornale locale di Salem trasmisero la notizia di «una bravata adolescenziale: due ragazzi mettono in scena una sparizione allarmando la polizia e chiamando i soccorsi dopo aver partecipato ad un rave nel bosco dietro la propria casa». Inquadrarono ovviamente la nostra e tutti in città sapevano che noi avevamo appena traslocato lì.
    Anche a scuola le cose non stavano procedendo particolarmente bene. 
Ashley continuava a farmi battutine che avessi fatto scappare Heric a gambe levate ed ogni tanto notavo sguardi strani da parte delle ragazze e dei ragazzi.
   
«Ma cosa è successo a casa vostra?- domandò George durante la pausa pranzo mentre mangiavamo insieme a Jeremy e ai fratelli Cooper allo stesso tavolo -Ho visto il notiziario ieri» aggiunse.
   
«Non so, dovresti chiedere a Jeremy» gli risposi io lanciandogli un'occhiataccia.
    Il rapporto fra lui ed Alexis sembrava procedere sempre meglio, ormai sembravano quasi una coppia: mangiavano insieme all'ora di pranzo, passeggiavano mano nella mano per i corridoi della scuola, si salutavano sempre scambiandosi un tenero bacio. Mentre per quanto riguardava Heric
, non venne più a scuola, né il giorno dopo né quello dopo ancora ed essendo venerdì, avrei dovuto aspettare altri tre giorni per rivederlo a scuola e potergli parlare. Sempre se il lunedì successivo si sarebbe presentato.
    Non resistevo. Sabato mattina dunque sarei andata a casa sua, niente mi avrebbe fermata, nemmeno la punizione.
    Sbadigliando entrai in cucina decisa a supplicare i miei di farmi uscire almeno un'oretta, in fondo era sabato e io non avevo fatto poi nulla di male. Mia mamma preparava il caffè e Joseph stava seduto sul divano a guardare la televisione: era il momento giusto per inventarmi una qualche scusa plausibile e andare a cercare Heric.
    Ma mentre mi accingevo a chiederle il permesso per uscire, sentii il notiziario dalla cucina. C'era stato un altro assassinio con le stesse modalità del precedente: una giovane donna era stata uccisa venendo azzannata alla gola da un animale non ancora identificato fuori dalla propria abitazione.
    Qualcuno, distogliendo la mia attenzione dal telegiornale, entrò in cucina: era Ashley.
     «Jeremy dorme ancora?» le chiesi io.
     «Non so, la porta era chiusa» rispose ancora assonnata e troppo stanca per fare l'ennesima battutina su me ed Heric.
      Dopo aver fatto colazione, salii le scale per tornare in camera mia; lui era appena uscito dalla sua e come mi vide rimase fermo nel corridoio.
     «Tutto bene?» gli domandai.
     «Ho un po’ di mal di testa. Ma sto bene.»
     «Hai idea di dove potrebbe abitare Heric?»
     «Prova in qualche cripta» disse sghignazzando. Non riuscii a distinguere se fosse sarcasmo o ironia. In entrambi i casi a me non fece per niente ridere.
     «Sei molto divertente. Chiederò ad Alexis.»
     «Lasciala fuori da queste faccende.»
    «Wow! Quanto sei diventato protettivo nei suoi confronti!»
     «Non dire sciocchezze!» 
    Ero preoccupata anche per Jeremy in realtà. Mi stava nascondendo qualcosa ne ero sicura: la sua storia con Alexis, per quanto mi facesse piacere e ingelosire al tempo stesso, non mi convinceva del tutto, ma ancor di più non mi davo pace del fatto che qualche sera fa, Jeremy sparì per tutta la notte nudo nel bosco. Beh in realtà, tutto il suo comportamento nell'ultimo mese era insolito. Terminai quell’inutile conversazione chiudendomi in camera mia e telefonai ad Alexis. Lei probabilmente sapeva darmi l’indirizzo di casa di Heric.  
    Mi rispose di attendere un attimo in linea e che avrebbe controllato
negli archivi online della segreteria della scuola. .
     «Eccolo. Ma a cosa ti serve? Cosa è successo alla festa?» mi domandò curiosa.
     Questo sì che sarebbe stato un gossip per la Salem High School. Immaginavo già il titolo della prima pagina del giornalino della scuola "La coppia segreta e invidiata da tutta la sfera femminile della Salem High School è già in declino". 
     «Ehm, vorrei sapere come sta. Non è più venuto a scuola e non ho il suo numero di telefono» dissi ad Alexis senza alcun dettaglio.
     «Ok, ho capito. Abita al numero 17 di Laswell Street, verso la campagna.»
     «Grazie. Ma tu come puoi accedere agli archivi della segreteria scolastica dove sono registrati i dati degli studenti?»
     «Eh, è un segreto. Ricorda che io so tutto di tutti qui» rispose quasi ammiccando.
     La ringraziai nuovamente e riattaccai il telefono. Corsi in bagno a prepararmi poi tornai in camera a prendere la borsa.
     «Non farlo. Non ci andare» mi intimò Jeremy che nel frattempo era entrato nella mia stanza. Stava origliando senza ritegno.
     «Devo. Sta diventando tutto un’ossessione. Non voglio essere una psicopatica che si immagina cose che non esistono rovinando i miei futuri rapporti! Vorrei avere una relazione sana e normale senza fuggire ogni volta che scopro un insignificante dettaglio che collego alla mia ipotesi sovrannaturale campata in aria. E tu di certo non mi stai rendendo le cose più semplici.»
     «Metti il caso che non sia campata in aria. Cosa faresti?» era serio.
     «Vedi? Con queste tue frasi ambigue non mi stai per niente aiutando! E comunque, per rispondere alla tua domanda, non farei nulla. Ma conoscere la verità mi metterebbe il cuore in pace.»
     «Sì, e poi andresti in giro con paletti di legno, croci e un grappolo di aglio appeso al collo, eh?»
     «Ahahahah forse».
     «Dammi dieci minuti, mi preparo e ti accompagno.»
    Lo ringraziai. Non mi sembrò vera la sua proposta: non volevo chiederglielo ma ero felice che si fosse offerto lui stesso di accompagnarmi. Non ci sarei mai arrivata da sola, a piedi.
    Ora il problema era solo convincere i nostri genotori a farci uscire. Mia mamma era più flessibile e la supplicammo inventandoci che la nostra amica Alexis fosse malata e che dovessimo portarle assolutamente gli appunti degli ultimi giorni in vista del compito in classe di scienze della prossima settimana. Dopo un po' si arrese e ci lasciò andare.
   
  «Abita lontano il ragazzo misterioso, eh?»
     «Non è che ti sei perso? Siamo in mezzo a un bosco.»
     La parola bosco mi fece ricordare il sogno in cui c’era anche Madeline. Rabbrividii al solo ricordo.
 
    Eravamo in macchina già da mezzora: avevamo attraversato una fitta strada alberata, davvero simile al mio sogno. Non mi ero accorta che il ciondolo era diventato caldo quando ero salita in macchina con Jeremy e che si stava raffreddando sempre di più man mano che proseguivamo la strada.
     Dopo un'interminabile mezzora, finalmente arrivammo alla meta: al 17 di Laswell Street.
     La sua casa era gigantesca e imponente: una villa enorme e bianca, con un portone in stile gotico ed ampie e numerose finestre. Era piuttosto antica ma ancora in perfette condizioni e ben nascosta dalla penombra della foresta. Si trovava al di là di una schiera di alberi che circondava una piccola radura la quale separava la strada alberata dalla villa, come se quella fitta boscaglia avesse il compito di nasconderla da occhi indiscreti e...dalla luce del sole.
     Nelle vicinanze non c’erano altre abitazioni. Solo alberi di una grande foresta rabbuiata.
     Jeremy parcheggiò la macchina nei pressi della villa, un po' distante però.
     Avevo paura, e quando mi capitava di essere impaurita non sapevo mai cosa fare. Era come se mi si annebbiasse la mente. Scesi dalla macchina e lentamente mi avvicinai alla casa. Più avanzavo e più sentivo che c’era davvero qualcosa di malvagio che avvolgeva quella dimora e la pietra del ciondolo, ormai simile a un ghiacciolo, me ne dava la conferma.
     Mi voltai indietro: Jeremy stava appoggiato alla macchina e mi teneva d’occhio da lontano guardingo e pronto ad attaccare.
     Salì quei pochi gradini per arrivare all'ingresso e rimasi lì, ferma sul patio, indecisa sul da farsi.
    «Su bussa! Ormai sei qui!» mi suggerì una vocina nella mia testa, la stessa che mi spinse a salire sulle montagne russe con Heric alla festa al luna park.
     Così avanzai ancora di qualche passo, tesi la mano per bussare ma prima che potessi poggiare le nocche sulla porta questa cominciò a schiudersi...





Angolo autrice.
Se avete notato, ogni capitolo (ad eccezione del primo, il Prologo, e del secondo, l'introduzione al contesto e ai personaggi), tratta di un singolo giorno o al massimo copre il lasso temporale di due giorni.
Dal momento che la narrazione scorreva abbastanza lenta, almeno cronologicamente, e che dovevo sfruttare il fatto della luna piena di martedì 30 marzo, in questo capitolo ho deciso, per forza di cose, di sintetizzare un'intera settimana. Come già detto in qualche altra NDA, questa storia segue il calendario del 2010.
Con la conclusione di questo capitolo ci troviamo esattamente a sabato 3 aprile.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Domande e risposte. ***


12) Domande e risposte.


    La massiccia porta gotica finemente decorata si aprì, lasciando intravedere a metà la figura del ragazzo misterioso.
    «Sapevo fossi tu» la porta era ormai completamente aperta ed Heric sorrideva felice di rivedermi. O per lo meno a me sembrò così.
    «E io sapevo che mi avresti aperta tu» gli sorrisi a mia volta. In maniera cortese e rilassata mi invitò dentro casa sua scostandosi un poco dall’uscio per farmi passare. Non sapevo se entrare oppure no, così mi voltai di nuovo verso Jeremy in modo che potesse darmi un consiglio anche solo con un cenno del capo od uno sguardo. Confuse la mia esitazione ad entrare come una qualche richiesta di aiuto e si accinse ad avvicinarsi verso di noi con aria aggressiva.
    «Di norma gli animali non possono entrare nelle case dei...» si interruppe.
    Sollevando di poco la testa per inquadrarlo meglio, vidi che lo fulminò con lo sguardo, Jeremy rimase lì, immobile e con le braccia conserte in segno di impazienza.
    «Sì, ho capito. Cioè ho intuito la parola che non hai pronunciato, ma non ho capito: animali
    «Questa parte della storia non spetta a me raccontartela» mi rispose, facendo trapelare che in realtà non fosse finita qui e che ci fosse ancora tanto altro da scoprire che coinvolgeva altre persone a me vicine.
    Decisi di entrare, a mio rischio e pericolo.

    All’interno la casa era ancora più bella: sembrava un palazzo reale, un po' insolito considerando che l'esterno fosse più sobrio. Forse era una sorta di copertura per dimostrare, anzi camuffare, che la villa non era poi così recente. Varcato l’ingresso mi ritrovai in un gigantesco atrio con al centro un’enorme rampa di scale che si faceva strada verso sinistra, con i gradini molto larghi e la ringhiera in ferro battuto. Lo spazio che mi circondava era immenso, quasi quanto una sala da ballo. Probabilmente secoli fa ci organizzavano feste e ricevimenti. I muri, così come le scale in granito, erano bianchi e tutti decorati e rifiniti. C'erano delle enormi finestre che rendevano quella stanza luminosissima (insolito per essere la casa di alcuni vampiri!), nelle pareti libere erano invece appesi diversi quadri e ritratti di dame e cavalieri e sul soffitto era ancorato un enorme lampadario di cristalli. Sembrava una reggia. Ai lati dell'atrio c’erano diverse porte in legno di mogano altrettanto sfarzose. Heric discendeva senz’altro da una nobile famiglia aristocratica e piuttosto rispettata in passato.     Aprì una di quelle porte nell'atrio e mi invitò ad accomodarmi in un piccolo salotto.
    «Immagino di sapere il motivo per cui tu sia qui» proferì indicandomi un divano rosso su cui sedermi e iniziare una lunga chiacchierata o, per meglio dire, una confessione.
    Mi accomodai molto timidamente sul divano rivestito di velluto rosso e mi guardai intorno incuriosita. Anche quella piccola stanza era lussuosissima: quadri alle pareti, un servizio di argenteria in una credenza, un fermacarte d'oro sull'imponente scrivania e un altro lampadario di cristallo, di dimensioni più ridotte, appeso al soffitto.
    Notai che portava la collana in bella mostra, non la nascondeva più sotto la maglietta.
    «Sì, ehm...non voglio sembrarti una pazza ma...» non sapevo come formulare la mia domanda, la mia stupida domanda. Così iniziò a parlare lui.
    «Quando ti ho vista la prima volta al Ballo di Primavera ho capito subito che c'era qualcosa in te. Poi a scuola ho notato il ciondolo che portavi al collo e lì mi son convinto del tutto ma non pensavo che fossi davvero la discendente di qualche strega. Le streghe di Salem sono state quasi tutte uccise tra il 1691 e il 1692 a parte qualcuna, tra cui una delle avi di tua nonna, una delle Streghe Bianche. Ma pensavo che si fossero estinte anche loro, dopo...Elizabeth. O almeno le streghe discendenti da quel ramo.»
    «Conoscevi mia nonna?»
    «Già.»
    «Sai come è morta?»
    «Era una strega buona.»
    «Quindi lo sai?»
    «Non ci siamo solo io e Madeline, Meredith, né nel mondo né qui a Salem.»
    «Quindi è vero che siete...» non riuscivo a pronunciare quella parola. Era così lontana dalla logica, dalla razionalità. Dalla realtà.
    «Sì. Siamo vampiri.»
    Vampiri, quel termine mi rimbombava nella testa con il suono della sua voce. Ero senza parole.
    «Vuoi scappare anche ora?» disse ironicamente. Aveva capito esattamente come reagissi a ogni scoperta sensazionale che lo riguardava.
    «No, è che sono confusa. Pensavo fosse solo la mia immaginazione ad essere andata troppo oltre. Puoi provare in qualche modo di esserlo?» 
    In un batter d’occhio era sparito.
    «Hey! Sono qui» disse, poggiando il gomito su un asse della libreria alla mia destra. Due secondi prima lo avevo di fronte, giuro.
    «Come? Com’è possibile?»
    «Vorrei tanto saperlo anch’io. Non ti abitui mai a certe stranezze nemmeno dopo tutti questi anni.»
    Ero sbalordita. Il mio cuore batteva all'impazzata per la confusione, per l'eccitazione, per la paura. Ma non avevo paura di Heric, ero certa non mi avrebbe fatto del male.
    «Da quanti anni lo sei?»
    «Compirò 323 anni da vampiro a giugno. In totale ho 340 anni ma in realtà sono ancora un diciassettenne nato nel lontano primo Gennaio 1670» disse facendomi l'occhiolino. Ero sempre più sconvolta e incredula. Mi stavano venendo un mucchio di domande.
    «Wow! E come si diventa...?» non riuscivo proprio a pronunciare quella parola: Vampiro.
    «È una lunga storia, un lungo processo. Ancora oggi non ne sono molto sicuro. In parole povere occorre nutrirsi di una persona lasciandola praticamente esangue e quando questa sarà in fin di vita bisogna nutrirla del proprio sangue di vampito. Si hanno così tre opzioni: uno, la persona morirà con il sangue di vampiro in corpo e rinascerà come vampiro, due, resterà in vita guarendo dalla ferita causatagli o tre, morirà. Quando questa persona quasi del tutto priva del suo sangue ingerisce quello di vampiro, questo viene pompato dal cuore e rimesso in circolo. Questa persona ovviamente può anche aver avuto un incidente o dissanguarsi per altri motivi, ma la trasformazione è tutta questione di equilibrio. È piuttosto difficile e soprattutto deve essere volontario. Anche se a volte non è così, capita che alcuni vampiri lo facciano solo perché si pentono di aver ucciso una persona e vogliano in qualche modo rimediare. Ma non credo che questa sia la soluzione giusta per ripulirsi la coscienza.»
    «Posso chiederti com’è successo?» era quello che volevo sapere più di tutto.
    «Era il lontano giugno del 1687, avevo 17 anni da sei mesi all'epoca. Ero in visita dai miei familiari per le vacanze estive qui a Salem, io in realtà sono nato a Boston, sempre nel Massachusetts. Madeline è mia cugina da parte di mio padre, fratello di sua madre. La nostra era una famiglia di antichi proprietari terrieri emigrati dal Vecchio Mondo. Mio padre studiò all'università di Harvard a Cambridge* e si stabilì a Boston quando sposò mia madre. Andavamo spesso a Salem a trovare i parenti come successe quell'estate del 1687.
     «Era sera, ma noi eravamo ancora in viaggio verso casa di Madeline, questa Villa, quando un gruppo di briganti ci assalì nei pressi dell'abitazione, nella strada alberata che conduce fino a qui. Ricordo che ero ferito e stavo per morire. Ricordo il volto di una ragazza bellissima, credo mi abbia dato lei il suo sangue, credo che sia stata lei il vampiro che mi ha trasformato. Da lì non riesco a ricordare altro perchè sono svenuto, o morto, penso. Poi dopo qualche ora riaprii gli occhi e mi alzai in piedi, e proseguendo attraverso la strada alberata arrivai alla villa al di là della radura. Sentivo che mi stavano tornando le forze e la ferita sull'addome si stava cicatrizzando velocemente. Quando arrivai dentro casa la servitù era stata sterminata, stessa cosa i miei zii e mia nonna. I briganti avevano prima derubato la casa e poi nel tentativo di fuggire si erano imbattuti nella carrozza della mia famiglia. C’era sangue ovunque e ne ero come attratto. Ne ero attratto in modo morboso e iniziai a mordere quei pochi rimasti in fin di vita risucchiando le loro ultime energie senza nemmeno volerlo, semplicemente il mio istinto me lo ordinava. Poi vidi Madeline e morsi anche lei e me ne nutrii. Per tentare di salvarla le feci bere istintivamente il mio sangue. Convinto di averla uccisa, piansi lacrime di sangue tutta la notte. Ma dopo neanche due ore vidi che stava riprendendo conoscenza e che aveva fame anche lei. La mattina dopo il sole aveva illuminato quasi tutta la casa e sentimmo entrambi la pelle bruciarci come se il nostro corpo fosse poggiato su una superficie bollente. La nostra pelle era diventata quasi squamosa, gli occhi ci bruciavano e io quasi non vedevo più. A quel punto capii cosa ero diventato e cosa avevo fatto a mia cugina. Per tutto il giorno restammo nascosti giù nelle cantine al buio ma la fame iniziava a farsi sentire. Uscivamo solo di notte perché il sole ci avrebbe inceneriti e la nostra vita preseguì così: di giorno chiusi nei sotterranei e di notte a cibarci. Nessuno ci venne a cercare ci diedero per morti: tutti seppellirono questa storia, lo sterminio della famiglia Francis-Browning, o la minimizzarono tramandandola come leggenda della ricca e nobile famiglia svanita nel nulla. Quando ti capita una cosa come questa, avere qualcuno affianco ti dà la forza per andare avanti. Non volevo dannare anche Madeline non ne avevo intenzione, ma se fossi stato solo non so che fine avrei fatto.»
    Non avevo parole. Non riuscivò a spiccicare neanche un suono, l'unico rumore che il mio corpo riusciva ad emettere era provocato dal battito frastornante del mio cuore come un pendolo.
    «Quindi voi bevete sangue umano?» riuscii finalmente a chiedergli con grande timore. 
    «Prima sì. All’inizio era difficile controllarsi. Ogni tanto Madeline se ne concede qualcuno ma dobbiamo stare attenti a non uccidere altre persone anche perché non abbiamo diritto a trasformare altri esseri umani. Non ha senso vivere così. Non avremo altri ciondoli da dare poi, sarebbe un’esistenza praticamente all’oscuro.»
    «Io ho il ciondolo. Volendo potrei diventare anch’io un vampiro?» ce l'avevo fatta! L'avevo detto: vampiro, vampiro, VAMPIRO!
    «Né io né Madeline ti trasformeremo- puntualizzò -e poi le persone nascono già con un proprio destino. Non puoi cambiarlo: io sono diventato questo, tu sei nata strega.»
    «Appunto, io sono nata strega, non ho scelto di diventare tale. E poi, non sono una strega, il mio unico potere è quello di cacciarmi in situazioni assurde e fare sogni premonitori
    «Neanch’io ho avuto scelta. E credimi, avere l’opportunità di scegliere il tuo destino vale più di tutto» lo disse con grande sofferenza e rassegnazione.
    «Dormi in una bara?» passai alle domande sciocche per spezzare quell'atmosfera cupa e triste che si era creata.
    «Ahahah! No, potrei anche non dormire perché il mio corpo non lo richiede, non lo necessita. La mia mente invece sì. Se non dormissi nemmeno mi sembrerebbe di impazzire, il tempo non trascorrerebbe mai. Quando si diventa così si smette di preoccuparsi. Si smette di contare i giorni che mancheranno al tuo compleanno, gli anni inizieranno a sembrarti mesi e poi giorni. E ti sembrerà di non aver mai concluso nulla perché sai di avere sempre altro tempo.»
    «Sei immortale quindi?»
    «Io speravo di no. Tutti vorrebbero farla finita prima o poi. Essere solo un ricordo o un mucchio di ceneri. Non so cosa succederebbe se smettessi di nutrirmi e al momento gli unici modi che conosco per uccidere un vampiro sono esporlo alla luce del sole, bruciarlo tra le fiamme o trafiggergli il cuore con un paletto...non avevo mai pensato al morire di fame. Probabilmente diventerei un pezzo di marmo senza forze.»
    «A proposito del ciondolo. So che ne esistono sette come questi. Per ora ci sono il mio, il tuo e quello di Madeline. Gli altri?»
    «Un altro vampiro che conoscevo ne possedeva uno. Ce li aveva procurati lui ma ne abbiamo perso le tracce già da molti anni. Gli altri tre, oltre il tuo, appartenevano ad una congrega di Streghe, ora invece non so chi li abbia. Saranno conservati in qualche vecchio baule in soffitta o sepolti in qualche cimitero.»
    «Un’ultima domanda. Poi è il caso che vada, Jeremy mi sta aspettando.»
    «Già. Dimmi tutto» mi fece un sorriso liberatorio.
    «Se non uccidi esseri umani, come ti mantieni in vita
    «Ci si può procurare sangue umano in diversi modi senza necessariamente uccidere degli innocenti. E poi non esiste solo il sangue delle persone...»
    Mi alzai dal divano rosso e mi accompagnò alla porta. Rimanemmo lì fermi all’ingresso. Io non parlavo e lui oltre a non dire mezza parola non mostrava alcuna intenzione di aprire la porta. Poi si decise a dire qualcosa.
    «Sono felice che tu lo sappia adesso» mi mise una mano sul viso spostandomi i capelli, proprio come avevo sognato, e mi diede un bacio gelido sul collo.
    Stupidamente pensai «mordimi! mordimi!» Era la solita vocina, era il mio inconscio. Erano i miei desideri repressi, i miei più intimi pensieri rintanati negli angoli più remoti del mio cervello. Non potevo essere così stupida da pensare sul serio certe cose ma per poco non mi fece impazzire. Sentii un brivido in tutto il corpo quando mi sfiorò il collo con le dita fredde.
«Ti andrebbe di mettere da parte le stranezze e provare a conoscerci come due persone normali? Sai l’ultima storia che ho avuto, non è andata molto bene» mi propose stringendomi forte a sé.
    Sorrisi e risposi di sì. In fondo anch’io non ero del tutto normale, strega o non strega.
    Jeremy era ancora lì, appoggiato alla sua auto, che mi aspettava impaziente. Mentre gli andavo incontro mi sorrideva e aveva l'aria di essere sollevato nel rivedermi. E pure io mi sentivo sollevata: non ero fuori di testa in più le cose tra me ed Heric avevano fatto un passo avanti, un passo da gigante. Chissà se saremo stati in grado di conoscerci in modo normale (e avere una relazione normale) come mi aveva proposto. Mi sentivo così soddisfatta di essere venuta a conoscenza della verità, e, stranamente, ne ero anche felice. Non mi sentivo più spaventata e terrorizzata.
    Arrivata alla macchina mi voltai per salutare di nuovo Heric: mi fece un cenno con la mano come per dire «ci vediamo presto» e sorridendomi rientrò dentro casa.
    «È tutto a posto?» mi domandò Jeremy mantenendo il sorriso appena lo raggiunsi.
    «Sì, tutto a posto» gli risposi aprendo lo sportello.
    Salimmo dentro l'auto e mise in moto. Ero talmente assorta nei miei pensieri che non mi resi conto che fossimo già di fronte al vialetto di casa.
    Per un po' nessuno dei due scese dalla macchina, restammo lì, senza dire una parola: io avevo la testa letteralmente fra le nuvole e Jeremy mi fissava in attesa che tornassi nel mondo terreno. Non parlammo nemmeno durante il ritorno a casa.
    «Hai intenzione di scendere o vuoi restare qui?» finalmente si decise a spezzare il silenzio, anche se non mi ero accorta di niente. Mi voltai verso di lui e cominciai a fissarlo io stavolta. Ero incerta se dirgli quello che Heric mi aveva rivelato, soprattutto l'ultima parte.
    «C’è qualcosa che forse dovresti confessarmi anche tu» c on questo intendevo la parte della storia che Heric aveva tralasciato lasciandomi intendere che dovesse essere qualcun altro a dirmelo, cioè Jeremy.
    «Io non ho nulla da dirti. Tu piuttosto, che ti ha detto il vampiro
    «Tu sapevi tutto, vero?» gli domandai.
    «Eh...all’incirca.»
    «E perché non mi hai detto nulla? Mi hai solo confuso le idee: prima dicevi di lasciar perdere, poi mi davi della pazza, poi mi davi stupidi avvertimenti come ad esempio di non farlo entrare in casa! Non capisco!»
    «Te l’ho detto, dovevo proteggerti, per questo ti confondevo le idee. Inoltre era divertente vederti così esasperata!» rideva, come se fosse tutto uno scherzo.
    «Ma proteggermi da cosa?»
    «Tu forse non te ne rendi conto ma non ti sei messa in una bella situazione. Sarai in continuo pericolo se stai con lui.»
    «È una parte di lui che non posso escludere né cancellare. L'accetto e basta» quella era anche la parte che più mi piaceva di Heric, questo suo essere diverso, speciale.
    «Va bene» aprì lo sportello e scese dalla macchina con aria contrariata.
    «Jeremy! Heric mi ha detto che anche tu hai qualcosa da dirmi. Su, avanti.»
    «Ti ho già detto che non ho nulla da dirti. E poi ti sei impegnata tanto per scoprire se Heric fosse un vampiro. Fa lo stesso» disse continuando a camminare verso la porta di casa.
     Non capivo, era così enigmatico. A quel punto ebbi davvero la certezza che mi stesse tenendo all'oscuro di qualcosa di molto importante e che, per qualche strana ragione, aveva a che fare con Heric. Ma cosa poteva mai nascondermi di così indicibile il mio misterioso fratellastro?
    A quel punto mi restava solo una cosa da fare: spiarlo. Dopo tutto anche lui mi controllava!
    Sebbene abitassino nella stessa casa, non fu una missione facile poiché ognuno aveva le proprie abitudine ed entrambi, ad eccezione dell'ora dei pasti, ce ne stavamo in camera ognuno per conto proprio. Tra l'altro, ora che avevo saputo la verità su Heric, non potevo usare nemmeno la scusa di aver paura la notte per dormire insieme. Ed a proposito di dormire: mi aveva detto che anche lui la notte non riusciva più a prendere sonno e usciva in giardino a prendere boccate d’aria fresca così lunghe da allarmare la polizia e farmi ipotizzare una sparizione o un rapimento o addirittura un omicidio! Non mi convinceva e non mi ero ancora messa l'anima in pace riguardo quello che successe martedì scorso. Mi sembrava una cosa talmente insolita la sua sparizione e poi la reazione che aveva avuto, il sangue nel bosco e il fatto che non avesse nemmeno un piccolo graffio, l'atteggiamento misterioso e ciò che mi aveva detto Heric. Ci doveva essere per forza un qualcosa che collegasse tutti questi elementi.
    Cos'è che mi stava sfuggendo?






    Dopo cena, cosa che non avevo mai fatto prima, presi un bel caffè. Dovevo tenermi sveglia per seguirlo in caso fosse andato anche quella notte a girovagare nella foresta.
     Verso le dieci e mezza bussai alla sua porta, volevo riprovare con le buone maniere a sapere la verità. Tanto era ovvio che mi stesse nascondendo una cosa importante e non voleva darmi la soddisfazione di essere lui stesso a rivelarmela. Non rispose quando bussai, così entrai lo stesso.
     «Non vuoi dirmi proprio nulla?» gli domandai a bassa voce.
     Era steso sul letto con lo sguardo rivolto alla finestra aperta. Si voltò verso di me come se lo avessi disturbato e mi squadrò con aria nervosa e corrucciata.
     «NO! E ora vai a dormire e non rompermi le scatole!» fu così odioso nel rispondermi che tornai in cucina a prendermi un altro caffè sbattendogli la porta. Era tornato antipatico e insopportabile. In vita mia non avevo mai conosciuto una persona tanto lunatica come lui.
     «Mer, cosa fai in cucina?» mi urlò mia mamma dal salotto.
     «Bevo un caffè.»
     «Un altro?»
     «Sì, devo restare sveglia stanotte...per studiare. Te l'ho detto, abbiamo un test importante di scienze la settimana prossima» le riciclai la stessa scusa che le avevo rifilato quella stessa mattina quando mi inventai di dover portare gli appunti ad Alexis che era ammalata quando in realtà mi ero recata a casa di Heric.
    A mezzanotte e mezza erano già tutti a letto a dormire, tranne Ashley: lei e Nicholas si vedevano spesso ormai anche fino a notte fonda. Sentivo che gli occhi mi si stavano chiudendo contro la mia volontà, ma non dovevo cedere al sonno. Volevo continuare a leggere quel paragrafo su vampiri e licantropi che avevo scovato in uno degli scaffali in soffitta contenuto all'interno di un piccolo libricino intitolato De Creaturis*. Sebbene le mie palpebre continuavano a calare, non riuscivo a interrompere la lettura.

De Vampyris et Lupis Hominariis.*

«Chi è colui, o colei, che ha dato vita, o dopo la morte, una seconda vita, a coloro che riteniamo esseri sovrannaturali, è una domanda che tormenta e incuriosisce fin dai tempi più remoti.
Per quanto riguarda i vampiri, la leggenda narra di Lilith, prima moglie di Adamo, che fuggita dall'Eden e ribellatasi a Dio fu dai lui maledetta. Gli Angeli, nel vederla giacere coi Demoni, portarono a lei una punizione divina: per l'eternità avrebbe vagato solitaria nella terra e solo nelle notti più buie alla ricerca di un compagno senza la possibilità di trovare l'amore, condannando gli uomini che avrebbe posseduto o alla morte o ad un'eterna esistenza nell'oscurità.
Questi a loro volta sarebbero in grado, per la loro natura, di condannare anime innocenti con un morso letale portandoli o alla morte o generando una nuova stirpe di creature della notte che mai potranno raggiungere la pace eterna.
Come per i vampiri, anche per l'origine dei licantropi vi sono miti e leggende che si perdono nella notte dei tempi.
Si narra che fu il Dio Zeus, adirato con il Re Lycaeon, sovrano di Arcadia, il quale gli servì carne umana invece che carne d'agnello come offerta, a plasmare il primo licantropo trasformando
per punizione il re e i suoi numerosi figli in bestie. Da questi discenderebbero altri licantropi, ormai sparsi in terre lontane, dediti a vagare nelle luminose notti di Luna Piena alla caccia di carne umana fino alla loro morte, vagando in branco o in solitudine e soffrendo per la morte dei propri simili.
Come il vampirismo, anche la licantropia
è contagiosa: si trasmette attraverso un morso o un'azzannata, come se i fluidi corporei delle due creature fossero veicolo dell’infezione che genera la trasformazione. In questo modo, un licantropo darebbe origine ad un lupo mannaro che a sua volta darebbe origine ad un altro lupo mannaro. Oppure, chiunque abbia avuto la sciagura di nascere da genitori licantropi certamente ne avrà ereditato la mutazione mentre i vampiri, per mancanza di prove certe, si dice siano sterili e incapaci di riprodursi fra loro.
Entrambe queste creature sono considerate demoniache: figlie dell'inferno o partorite dalla magia.
Altre leggende e superstizioni infatti raccontano anche che vampiri e licantropi siano il frutto di un incantesimo da parte di una potente strega.
Secondo alcune tradizioni, il licantropo utilizzerebbe però a proprio vantaggio, o dei propri cari, la sua trasformazione: per avere più forza nei lavori manuali o per procurarsi carne fresca per la cena, al contrario del vampiro, solitrario ed egoista, il quale, oltre che per istinto, caccerebbe col solo gusto di uccidere.
Sia i vampiri sia i licantropi sarebbero suscettibili all'amore come "punizione" della loro condizione. Subirebbero il fascino della mortalità e dell'umano ma il loro essere distruggerebbe ogni possibilità di relazione e di poter coltivare questo sentimento; sia per il vampiro sia per il licantropo l'amore è senza speranza alcuna.
Un'altra cosa accomuna queste due categorie di mostri, non possono tornare alla loro condizione umana, a meno che, una strega molto potente o la strega che li ha trasformati, annulli la fattura, in cambio però di un prezzo troppo alto da pagare.
Per entrambi, inoltre, la morte per uccisione è difficile da raggiungere.
Essendo però il licantropo una creatura vivente dal sangue caldo ed in parte umana, la morte gli sopraggiungerà obbligatoriamente per vecchiaia, oppure sopraggiungerebbe se trafitto al cuore con un pugnale d'argento.
Nel caso del vampiro, che è un essere immortale e a sangue freddo, la morte,
a meno che, così si dice, non venga esposto alla luce del Sole o trafitto al cuore con un paletto di legno di frassino, non sopraggiungerebbe nemmeno dopo millenni.
La morte è, per le due creature delle tenebre, la liberazione ultima dalla loro condizione.
Erbe come l'aconito* per i licantropi e la verbena* per i vampiri, sarebbero in grado di indebolire e rendere momentaneamente inermi le due creature. Diverrebbero letali se combinate ad altre erbe nella creazione di pozioni.
Non si sa come poterli riconoscere, si sa solamente che esistono e che vagano indisturbati nel cuore della notte.
La leggenda dice infatti: ovunque vi sia un vampiro, vi è pure un licantropo, e ovunque vi sia un licantropo, vi è pure un vampiro.
Queste creature antagoniste vivono l'una della morte dell'altra, mai vi sarà legame fra un vampiro e un licantropo, se così fosse, l'erede generato dall'unione dei due sarebbe l'abominio che porterebbe in breve tempo alla fine del mondo.»


     Data la veridicità sull'esistenza dei vampiri dimostratami da Heric, ora per logica avrei dovuto credere pure all'esistenza dei lupi mannari? E visto che qui a Salem avevo la certezza che vi fossero almeno due vampiri, dovevo forse credere che vi fossero anche due o più licantropi? Sinceramente, non ero neanche tanto convinta che di vampiri qui ci fossero solo Heric e Madeline. Allora forse erano i lupi mannari i responsabili della morte di quelle giovani donne azzannate al collo da uno strano animale. Ma le date degli omicidi, seppur compiuti di notte, non coincidevano con la data della luna piena che era stata lo scorso 30 Marzo, la notte in cui Jeremy sparì nel bosco.
     Senza far rumore scesi in cucina a prepararmi un altro caffè ma non lo toccai nemmeno.
     Mi sedetti in cucina a fissare la tazza piena e fumante e poggiai i gomiti sul tavolo, e poi la testa. Ero davvero stanca, il caffè che avevo bevuto prima non aveva sortito alcun effetto. Chiusi gli occhi per un istante, un istante soltanto e mi ritrovai in giardino a fissare la luna, piena e luminosa nel cielo, con in sottofondo gli ululati che si diffondevano nell'atmosfera notturna.
    La quiete della notte era spezzata solo dai versi dei lupi provenienti dal bosco che rieccheggiavano fino al mio giardino. Decisi di addentrarmi nella foresta dietro la villa.
    Mi sembrava quasi di rivivere
uno spaccato di vita reale già vissuto, un déjà-vu. Camminavo serena in quel bosco, il venticello leggero smuoveva i rami degli alti alberi lasciando filtrare la luce dei raggi lunari che mi facevano luce attraverso il sentiero alberato fino alla radura. Mi fermai dopo circa un quarto d'ora di lenta camminata. Dinnanzi a me vedevo solo dei piccoli cerchi color ambra fluttuare nell'aria e risaltare nel buio della notte. Erano occhi, occhi di un branco di lupi che mi fissavano.
    Timorosamente mi avvicinai a uno dei lupi il quale non so perché aveva un'aria familiare. Man mano che mi avvicinavo, gli occhi dell'animale divennero sempre più chiari e luminosi e brillavano nell'oscurità. Da verdognoli che erano, diventarono ambrati come quelli di un gatto al buio. O meglio, di un lupo. E io li avevo già visti.
     «Jeremy?!- bisbigliai -Sei davvero tu?»    




Angolo autrice.
*Cambridge: una città nel Massachusetts, non in Inghilterra.
*De Creaturis: dal latino, complemento d'argomento de+ablativo traduzione:"Sulle Creature";
*De Vampyris et Lupis Hominariis:
dal latino, complemento d'argomento de+ablativo cui traduzione è "Sui Vampiri e (sui) Lupi Mannari". Ho scovato in un dizionario online di latino (poco attendibile sicuramente) il termine vampyrus che presumo sia della seconda declinazione dunque vampyrus -i (lo trovate qui). Come già detto in precendenza quando usai il termine daemon -onis, non mi piace il termine strix -igis per questo ho preferito altri sinonimi, anche in questo caso sebbene si tratti di una "forzatura".
*Aconito e Verbena: ho fatto diverse ricerche approfondite ed ero un po' restia riguardo ad aggiungere queste erbe (son quelle citate nel prologo). Allora l'aconito è detto anche strozzalupo, dal nome si intuisce che sarebbe veleno per i licantropi, verbena sì, è ripresa anche da Vampire Diaries che lo ha ripreso dalle leggenda tradizionale. Ho trovato che anche il biancospino secondo la leggenda indebolirebbe i vampiri ma volevo rimanere nella sezione "erbe".
Inoltre per chi non lo sapesse (lo spiegherò anche più avanti nella narrazione) vi è una differenza sostanziale fra licantropi e lupi mannari: i primi nascono così per "via ereditaria" diciamo, i secondi invece lo diventano a causa di un morso o per via di un incantesimo, ma appartengono comunque alla stessa specie. Qui c'è una spiegazione più dettagliata.
Comunque...
Questo è forse il capitolo più importante, finalmente parte dei segreti e dei misteri sono stati svelati, ma...siamo ancora quasi a metà storia (:
Le curiosità sui licantropi servono ai fini della trama in modo da comprendere meglio il resto della storia.
Mi sono impegnata molto nel descrivere in breve cosa caraterriza vampiri e licantropi, la loro origine e la loro morte. Ho cercato in parte di rispettare la tradizione folkloristica di entrambi, riprendendole da leggende famose e dando più possibili modi per l'origine di entrambi. Ho, per forza di cose messo qualcosa di mio, come ho detto ai fini della trama. Spero di non far imbestialire nessuna/o amante dei vampiri e dei licantropi tradizionali.

Qui sotto trovate le fonti da cui ho preso ispirazione. Cliccate nei vari link per sapere da dove ho preso spunto per i diversi argomenti:
1)
La storia di Lilith (che ho romanzato)
2) Differenze e somiglianze fra Vampiri e Licantropi
3) La leggenda sull'origine dei Licantropi ripresa dalle "Metamorfosi" di Ovidio
4) Un altro approfondimento interessante sui Licantropi da cui ho preso altri spunti

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Segreti. ***


13) Segreti.


     A quel punto mi svegliai rendendomi conto di essermi appisolata giusto una dozzina di minuti.
    Aprii la porta sul retro senza metter piede fuori dalle mura di casa osservando il giardino e il bosco sul retro. Tutto era tranquillo e silenzioso, non si sentivano nemmeno i lupi ululare e la luna, ormai in fase di gibbosa, era coperta dalle nuvole.
    Non diedi molto peso al sogno che avevo fatto perché non riuscivo a trovare un nesso fra Jeremy e quel branco di lupi tant'è che nemmeno gliene parla il giorno dopo.
    Trascorremmo la domenica da soli a casa davanti alla TV, senza fiatare come se ci stessimo evitando. Ashley era andata a vedere la partita di basket di Nicholas, mia madre era uscita e Joseph era a lavoro. Io e Jeremy invece eravamo, purtroppo, ancora in punizione.
    D'un tratto, mentre guardavamo uno stupido reality show, balzò in piedi, con aria guardinga e rabbiosa.
   
«Che ti prende?» gli domandai. Si voltò di scatto verso di me come se avesse avvertito qualcosa ma non spiccicò parola e tornò a sedersi.
    Mi ero stufata di guardare la televisione e mi annoiavo, così mi chiusi in camera mia a leggere il Grimorio. Volevo cimentarmi nella mia prima pozione che in qualche modo avrei fatto ingerire a Jeremy così che potesse raccontarmi ciò che mi nascodeva dal momento che con le buone non avevo ottenuto alcun risultato.
    Ricordavo infatti che nel suo diario la nonna parlava di una pozione della verità, la prima che aveva imparato e che aveva usato contro sua sorella, la prozia Sarah, l'unica delle sorelle Morgan ancora in vita. Rilessi quella parte in modo da potermi magari orientare meglio fra le immense e numerose pagine del Grimorio.


19 giugno 1953

La tisana della verità.

«La scuola è appena terminata e nonna Elvira vuol approfittare di queste vacanze estive per mettermi al passo con Adele e Virginia che sono già delle vere streghe. Nonostante abbiano solo diciannove e diciassette anni, sono entrambe già capaci di controllare i propri poteri, di preparare pozioni e fare incantesimi. La nonna dice che se tutte e tre riuscissimo a combinare i nostri poteri, potremmo diventare invincibili.
Per questo oggi vuol farmi preparare la mia prima pozione, approfittando del fatto che Sarah continua a dire bugie e mentire sul fatto che periodicamente si metta curiosare nel nostro Grimorio. Lei, non avendo ereditato alcun potere, non ha diritto neanche a sfiorarlo il nostro prezioso libri di incantesimi.
Nonna Elvira teme che, prima o poi, la sua disobbedienza ci porterà alla rovina.
Con la scusa di far merenda di pomeriggio, offrimmo a Sarah invece del té con biscotti, la tisana della verità, ovvero la mia prima pozione contenente timo, viola del pensiero e mandragola.
La nonna, per renderla più potente e dall'effetto più rapido e amaro, volle aggiungere un pizzico, ma solo un pizzico di aconito.
Nemmeno a dirlo che Sarah, come se fosse ubriaca di vino, ammise tutto e i sospetti della nonna furono fondati: Sarah voleva fare una pozione d'amore perché innamorata di un compagno di scuola.
La nonna la punì severamente, chiudendola nella sua stanza tutto il giorno e mandandola a dormire senza cena.
La mamma invece non era molto d'accordo riguardo questa punizione esagerata. Ma in fondo nemmeno lei era una strega e dunque non poteva capire il pericolo che Sarah correva nel tentativo di far uso della magia senza essere una strega.
»


    Iniziai a sfogliare il Grimorio alla ricerca della pozione per preparare la famosa tisana della verità di cui parlava la nonna. Certo che la sua di nonna, Elvira, doveva essere proprio una donna severa e crudele. Iniziavo a comprendere l'atteggiamento della prozia Sarah quando andai a trovarla qualche settimana fa, chissà cosa avrebbe pensato di me, Elvira, nel vedermi frequentare un vampiro e giochicchiare con formule e pozioni senza una vera e propria guida! Mi sentivo osservata, e no, non era una semplice sensazione, qualcuno mi fissava da dentro la mia stanza attraverso la finestra. Spalancai le ante e sporgendomi un po' sul davanzale osservai il giardino sottostante. Tornai a sedermi alla scrivania ma come mi voltai, seduto sul mio letto...
   
«Heric!?»
   «Shh! Jeremy potrebbe uccidermi se scoprisse che mi sono intrufolato nella tua stanza!»
    «Che ci fai qui?» gli domandai. Oddio che vergogna, ero in condizioni disastrose, in pigiama tutta la domenica, un pigiama di pile tra l'altro ridicolo e pure con macchie di caffè sul petto, i capelli un po' sporchini raccolti in una crocchia disordinata e senza trucco.
    «Volevo vederti. Forse avrei dovuto avvisarti ma sai, non ho ancora il tuo numero di telefono.»
    «Sì, forse sarebbe arrivato finalmente il caso di scambiarci almeno il numero di telefono.»
    Mi sedetti alla scrivania con la sedia nella sua direzione ma lontana almeno due metri da lui, tremendamente in imbarazzo, senza saper cosa dire o cosa fare. Heric si alzò e in un batter d'occhio era accanto a me e con lo sguardo scrutava il grimorio aperto sulla scrivania alla pagina relativa alla pozione della verità.
    «Beh, immagino che tu non abbia ancora parlato con Jeremy» esordì.
   
«Hai indovinato. Lo so che non sarebbe molto "etico" fargli bere una pozione in modo che sputi il rospo ma credo di non avere altra scelta. A meno che, dal momento che mi pare di capire che tu, per non so quale bizzarro motivo, sappia cosa mi nasconda, non voglia dirmelo.»   
   
«Meredith- Jeremy bussò improvvisamente alla porta di camera mia -con chi parli?»
    Alzai lo sguardo terrorizzata verso Heric che in un lampo era sparito dileguandosi dalla finestra. Jeremy spalancò la porta osservandomi torvo.
   
«Nessuno. Sto leggendo ad alta voce. E poi non ti ho detto mica di entrare.»
    Mugugnò qualcosa e andò in camera sua. Tirai un sospiro di sollievo, ce l'eravamo vista proprio brutta! Non osavo immaginare che reazione avrebbe avuto nel vedere Heric nella mia camera. In realtà non riuscivo proprio ad immaginarmeli insieme nella stessa stanza, non potevo proprio figurarmi un loro dialogo.
    Ora che ero nuovamente sola, potevo concentrarmi totalmente sulla mia pozione. Lessi così a mente la pagina del Grimorio che ne riportava gli ingredienti e la formula magica da recitare:



La tisana della verità.

«Non sempre le persone sono oneste e non sempre dicono la verità. Ci sono segreti che non andrebbero mai rivelati ed altri che, per questioni di vita o di morte, andrebbero confessati.
La fiducia
è spesso il limite dell'umano, creatura fortemente egoista e fallace, debole e fragile, semplice e primitivo.
La lealtà è una virtù alla base della fiducia e questo incantesimo non lo è per cui mai dovrà essere usato per fini vili o civettuoli.

Ingredienti:

- Viola del Pensiero: 5 petali;
- Timo: un rametto;
- Mandragora;
-Acqua: un bicchiere per persona.

Formula:

Petali di Viola del Pensiero
per farti dire il Vero,
Un rametto di Timo
per farti confessar per primo,
Una manciata di Mandragora
affinché non vi sia alcuna metafora
nelle tue parole,
Un po' d'acqua corrente
per ripulirti coscienza e mente.
Che questo tuo mistero
così infame, infimo ed intimo
non sia più la tua àncora
e che la tua parola
sia così reale e coerente.

Nota bene: XXXXXXX»
*


    «Sembrava piuttosto semplice» pensai chiudendo il libro. Mi occorrevano soltanto petali di viola del pensiero, timo che senz'altro avrei trovato nella mia cucina, mandragora e della semplice acqua. E, ovviamente, vi avrei aggiunto anche dell'aconito, come aveva fatto la bis-bisnonna Elvira.
    Mi ricordai che su in soffitta nel baule dove trovai il Grimorio e il ciondolo, la nonna aveva conservato all'interno di un cofanetto 
varie ampollette e sacchetti contenenti dell'erbe. Mi precipitai su di corsa intenta a frugare dentro quel vecchio baule ma trovai solo l'aconito. Mancavano dunque i petali della viola del pensiero e la mandragora.
    L'indomani sarei tornata nel negozio della signora Xiang, ero convintissima che lei vendesse queste cose.
    Dovevo solo trovare un'altra scusa per poter tornare a casa più tardi visto che mancavano ancora tre giorni al termine della punizione in cui ero stata castigata a causa di Jeremy.




   

    Lunedì mattina sia Heric sia Madeline tornarono a scuola. Sicuramente lui le aveva riferito di avermi confessato tutto perché continuava a fissarmi e gettarmi occhiatacce da lontano ogni qual volta la incrociassi in corridoio.
    Le ore di lezione trascorsero tranquille: ormai io frequentavo Heric e Jeremy stava con Alexis. Sapevamo entrambi, io e mio fratello, che Heric fosse un vampiro e che non correvo pericolo e dunque non c'era più ragione di esser gelosi l'uno dell'altra o di temere il peggio.
    Alla fine dell'ultima ora, la lezione di spagnolo che né Heric né Jeremy frequentavano, proposi a George di parlare di cose importanti. Lui capì subito a cosa mi riferissi. Declinai, purtroppo, l'invito a pranzo con Heric (anche se non capivo come mai mangiasse cibo per umani!) e andai a parlare con il mio strambo amico in giardino alla penombra di un albero prima di raggiungere gli altri per pranzo.
    Non sapevo da dove iniziare, lui mi guardava curioso ed esordì con «Ho ripensato a quello che mi hai detto, cioè che quella frase l'avevi sognata»Annuii.
    «Di cosa volevi parlarmi?»
    «Tu credi alla magia e all'esistenza delle streghe?»
    «Mmmh. In qualcosa sì certo- rispose un po' titubante -quale sarebbe esattamente la tua domanda? Dove vuoi arrivare?»
    «Diciamo che ultimamente mi succedono cose...definiamole bizzarre. E credo che se potessi trovare e leggere la famosa Bibbia delle Streghe, troverei finalmente le risposte che sto cercando.»
    «Se mia nonna fosse qui, saprebbe senz'altro rispondere alle tue domande. Lei era pratica di queste cose- affermò con tono nostalgico e nella mia mente pensai che anche la mia di nonna, se fosse stata qui, avrebbe saputo cosa fare -E comunque, l'esistenza della Bibbia delle Streghe è incerta, non è sicuro nemmeno che esista e di certo non avresti il diritto di leggerla. Se posso permettermi, secondo me, tu ti sei fatta troppo influenzare dal mio racconto sul processo delle streghe. Ora non so cosa ti sia successo da farti pensare di trovare risposte in un libro leggendario né che strane letture tu faccia per portarti addirittura a sognare frasi in latino, ma sai il cervello assorbe tutto, anche se tu non ricordi o non sei cosciente delle nozioni acquisite. Magari hai letto quella frase da qualche parte e l'hai sognata senza sapere che si trovasse nel tuo inconscio. Comunque, ti consiglio di star fuori da queste cose.»
    «Forse hai ragione. L'avrò sentita o letta da qualche parte» tentai di riprendere la pietra che avevo lanciato ma lui non fu convinto. Nemmeno io ero particolarmene convinta di ciò che affermava e avevo come l'impressione che sapesse molto di più di quel che raccontava. Anzi, sembrava quasi saperne fin troppo e volermi tenere all'oscuro.
    «Credo andrò a cambiarmi ora prima di mangiare. Dopo abbiamo educazione fisica.»
    George raggiunse il tavolo di Alexis e Matt mentre Jeremy, che era lì coi fratelli Cooper, mi venne incontro. Quando mi voltai vidi i tre confabulare. Ero sempre più convinta che George sapesse qualcosa e pure Alexis e Matt non me la raccontavano giusta.

    «Beh, che dice il metallaro?» ridacchiò Jeremy quando mi raggiunse. Io non ci trovavo nulla di divertente.
    «Nulla.»
    «Dove stiamo andando?» domandò un po' perplesso.
    «In biblioteca. Sogno continuamente la biblioteca della scuola. Ci dev'essere qualcosa di importante nascosto lì e penso anche di sapere cosa sia e dove sia.»
    Mi riferivo sempre alla Bibbia delle Streghe, il libro supremo della magia, l'unico che, alla fine del 1600, in seguito al processo di Salem, non venne mai ritrovato dopo che le abitazioni delle streghe vennero saccheggiate. Ora quasi tutti i grimori erano stati riportati qua nella biblioteca scolastica mentre il resto degli oggetti magici erano depositati al Salem Witch Museum. Ero convinta si trovasse in qualche passaggio segreto nascosto lì nella biblioteca della Salem High School, poggiato su una tribuna con di fronte un altare che nascondeva un altro passaggio segreto al di sotto, una botola con una lunga rampa di scale in discesa, come nei miei sogni. Dopo aver scoperto la vera identità di Heric, la ricerca di quel libro era diventata la mia nuova ossessione. Ma oltre questo, dovevo scoprire al tempo stesso come fosse morta la mia adorata nonna, cosa o chi stesse uccidendo le donne, giovani e non, di Salem e smascherare ciò che Jeremy mi stava nascondendo.
    «A parte vecchi libroni noiosi cosa mai ci potrà essere lì?» domandò con aria sarcastica e lo ignorai. Ormai non poteva più giocare la carta del sei una pazza!

    Perlustrammo tutta la biblioteca, spingemmo vecchi scaffali, controllammo il pavimento alla ricerca di botole, ma nulla, stavolta non c'era nulla. Non era possibile.
    «Dobbiamo andare dai. Abbiamo ginnastica e il professore poi rompe» mi ammonì.
    «Aspetta, qui c'è qualcosa...»
   «Quante volte devo ripetervi che prima di prendere i libri dagli scaffali dovete prenotarli in segreteria?» la Signorina Smith, la bibliotecaria, irruppe alle nostre spalle rimproverandoci e intimandoci di andare a lezione perché la pausa pranzo era quasi terminata.
    Sbuffammo e ce ne andammo via per prepararci all'ora di ginnastica.
    Andai a cambiarmi, mangiai una mela al volo e poi raggiunsi i miei compagni in palestra scusandomi con il professore per il ritardo. Jeremy era già lì, seduto in panchina con aria annoiata, mentre Heric giocava a basket con alcuni ragazzi. Mentre mi avviavo verso mio fratello qualcuno mi tiro per un braccio: era George.
    «Ancora ossessionata con la biblioteca?- borbottò -ho visto te e Jeremy andare lì durante la pausa pranzo. Ti avevo caldamente consigliato di starne fuori da queste cose» aveva un'espressione contrariata. Non sapevo cosa rispondergli e mi inventai che cercavo dei libri per una ricerca scolastica. Non ci credette e cominciò a farmi domande a riguardo.
    «La biblioteca scolastica è aperta a tutti gli studenti, no? Mi servono dei libri per il progetto di storia! Cercavo qualcosa sul Cimitero Monumentale di Salem e i vecchi archivi sugli alberi genealogici delle antiche famiglie della città. Hai mai sentito nominare i Cavendish o i Thompson?» Cavendish era il nome riportato sulla Cripta che avevo sognato tempo fa, Thompson era il nome realmente inciso su di essa. George mi guardò con aria un po' turbata e fece spallucce come per dire che non ne sapeva nulla. Con una scusa si allontanò e raggiunse gli altri ragazzi che giocavano a basket mentre io mi sedetti in panchina con Jeremy.
    «Credo che l'amico metallaro nasconda qualcosa. Ha un'aria sospetta. Inizialmente pensavo fosse innocuo, uno un po' sfigato ecco, ma ora non so perché non mi convince affatto» disse Jeremy osservando attentamente George.
    In effetti, inizialmente, si era mostrato molto gentile e aperto, disponbile ad aiutarmi ogni qualvolta avessi un dubbio o una domanda riguardo questioni "sovrannaturali", ma ora sembrava quasi volesse prendere le distanze ed evitare qualsiasi argomento relativo alle streghe, alle vecchie leggende e alla magia.
    Il professore di educazione fisica, vedendo me e Jeremy confabulare in panchina senza far nulla, si avvicinò per rimproverarci quando sentimmo un enorme frastuono che riecheggiò per tutta la palestra. Tutti e tre ci voltammo spaventati dal rumore verso i ragazzi. Il pallone da basket era scoppiato in mille pazzi tra le mani di Heric.
Il professore corse verso di lui per vedere se stesse bene e capire cosa fosse successo, io rimasi lì immobile, senza capire realmente cosa fosse successo.
    «Ho ragione, hai visto?» sentenziò Jeremy. Mi alzai bruscamente e raggiunsi Heric. Considerando che possedeva una forza sovraumana non ero preoccupata che fosse rimasto ferito, però sentivo che per qualche strana ragione fosse in pericolo.
    «Sto bene sto bene» ripetè più volte sia a me sia al professore sia ai nostri compagni. I due iniziarono a fissarsi in maniera insistente poi George mi lanciò un'occhiata di sfida e si allontanò dal gruppo. Feci come per seguirlo ma Jeremy mi prese il braccio per trattenermi. C'era qualcosa che non quadrava affatto.
    «Su ragazzi è tutto a posto! Riprendete con gli allenamenti» ci ammonì il professore.
    Mollai la presa di Jeremy e discretamente mi avvicinai ad Heric per chiedergli se fosse stato lui con la sua immane forza da vampiro a distruggere il pallone da basket, rispose di no, in maniera abbastanza perplessa: lui la palla l'aveva a malapena sfiorata.

    «Il tuo sesto senso da vampiro non ti suggerisce nulla?»
    «Nessuno dei ragazzi con cui giocavo mi ha fatto percepire qualcosa ma di certo quel George non me la racconta giusta. Credo tu gli piaccia, ti ronza parecchio attorno e ha voluto in qualche modo farmi un dispetto lanciandomi addosso la palla e forse non ho misurato bene la mia forza quando mi è arrivata» fu la sua spiegazione logica. Dopo che disse che George mi ronzava troppo attorno smisi di ascoltarlo, era geloso! Cavoli! 
    Scossi la testa per scacciare quegli stupidi pensieri adolescenziali e annuii, sicuramente aveva ragione.
    L'indomani, con più calma e discrezione, avrei perlustrato meglio la biblioteca. La reazione di George mi aveva confermato che lì ci fosse davvero qualcosa.
    Ma cosa?
   




Angolo autrice.
*Nota bene: XXXXXXX: è censurato poiché la protagonista stessa non ha continuato la lettura saltandone un passo...fondamentale. Ovviamente l'ho dovuto censurare per non fare spoiler e non darvi troppi indizi preziosi, perché sennò sarebbe troppo facile svelare il mistero!
Siamo all'incirca a metà storia ormai. In questo racconto sono fondamentali gli intrecci, nulla è lasciato al caso, dunque cerco di riprendere spesso alcuni elementi per non farveli scordare come, ad esempio, gli omicidi delle donne svolti seguendo due differenti dinamiche, senza dimenticare la tomba delle famiglie Cavendish/Thompson, lo strano George, la prozia Sarah ecc.
A breve farò un piccolo resoconto dal momento che son passati secoli dalla pubblicazione dei primi capitoli e che son stati rivisitati e corretti di recente.
Ringrazio chi segue ancora questa storia ed è arrivato/a fin qui, grazie grazie davvero (:

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** L'appuntamento. ***


14) L'appuntamento.


    Finalmente era giovedì! La mia ingiusta punizione era terminata e, per le prossime volte, me ne sarei ben riguardata dal preoccuparmi troppo di Jeremy, di cosa facesse e di dove andasse sparendo per ore o nottate intere. Più o meno, perché in fondo non potevo negare a me stessa che stessi iniziando a provare una sorta di sentimento protettivo nei suoi confronti ed ero sicura che la cosa fosse reciproca sebbene non andassimo molto d'accordo.
    Avevo mille impegni quel giorno, il mio primo giorno di libertà. Non ero decisamente abituata alle punizioni: sia ieri sia i giorni prima, non ci fu verso di far cambiare idea a mia madre e lasciarmi uscire almeno un attimo per andare alla bottega 
della Signora Xiang e comprare le erbe che mi occorrevano per la pozione della verità. Disse che l'eccezione l'aveva già fatta quando lasciò uscire me e Jeremy domenica per portare gli appunti di scienze ad Alexis. Non potevo, dunque, darle torto.
    Nel frattempo io ed Heric avevamo cominciato una fitta corrispondenza via SMS: ci eravamo 
decisi a scambiarci il numero di telefono rimanendo anche ore a parlare scambiandoci messaggi, pranzavamo sempre insieme, sedevamo vicini durante i corsi in comune e una di quelle sere passò anche a trovarmi a casa, passando dalla finestra. Ero sempre più presa da lui ed ero così felice e serena che non stavo nemmeno facendo più incubi e, di conseguenza, avevo tralasciato per un momento i vari rompicapo sovrannaturali che mi attanagliavano. 
    Dopo la lezione di chimica del giovedì, in cui purtroppo mi trovavo ancora in coppia con Jeremy per preparare insieme il progetto di scienze, andai come di consueto a pranzo con Heric. Quel giorno si unì a noi anche Madeline perché Heric, che la considerava al pari di una sorella, ci teneva che io e lei facessimo amicizia o che per lo meno non ci detestassimo.
    Madeline era bellissima. La sua aria un po' burbera e solitaria ed il suo essere così sicura di sé la rendevano ancora più affascinante. Se non fosse per il solo fatto che fosse di poche parole, l'avrei paragonata alla mia sorellastra
 Ashley: avevano lo stesso atteggiamento arrogante e vanitoso.
    Heric cercò di trovare diversi spunti per fare conversazione ma nessuna delle due parlò: io ero troppo in imbarazzo per non dire nulla di sciocco e Madeline era semplicemente non interessata a conoscermi. Non so se per gelosia verso Heric o se perché mi ritenesse un pericolo per la specie dei vampiri. Si limitò a mangiare un piatto di carne e se ne andò agli allenamenti, anche lei era nella squadra delle cheerleader, lasciandoci finalmente soli. 
    «Sai, continuo a domandarmi come mai tu e Madeline mangiate cibo per umani, cioè in realtà mangiate solo carne, perchè?»
    «Beh- si interruppe e ridacchiò - Io invece mi chiedevo, visto che oggi termina la tua punizione, se ti andasse di uscire con me? Per un vero appuntamento? Così forse ti spiego anche perché mangiamo cibo vero.»
    Cominciai a tossire, la minestra che stavo mangiando mi andò di traverso e per poco non mi uscì dal naso. Cavoli, un appuntamento vero io ed Heric! Avevo sentito giusto?!
    
«Tutto bene?» mi domandò soffocando una risata.
    «Sì sì, tutto bene! Sì, mi piacerebbe molto uscire insieme a te. Ma oggi...ecco questo pomeriggio non posso.»
    
«Che ne dici di domani? O di sabato?»
    L'indomani era perfetto, non avrei voluto aspettare un giorno di più ma non potevo proprio uscire con lui quel giorno. Era giovedì 8 aprile ed era passato esattamente un mese da quando la nonna era venuta a mancare e volevo andare in cimitero a portarle dei fiori e, per rispetto sia a lei come persona sia al suo essere una strega, non sarei uscita con il mio ragazzo vampiro, almeno per quel preciso giorno. Heric capii perfettamente cosa provassi e cosa intendessi e dopo il pranzo andammo in palestra per la lezione di ginnastica rimandando dunque l'appuntamento all'indomani. I nostri compagni erano già lì che si riscaldavano eccetto George: da quando il pallone da basket esplose colpendo Heric, non si era più presentato alle ore pomeridiane di educazione fisica. E forse era meglio così, inizia quasi ad incutermi paura.
    Al termine, Heric si offrì di darmi almeno un passaggio ma dovetti rifiutare spiegandogli che non era proprio il caso e che avevo bisogno di andarci da sola. Non avvisai nemmeno Jeremy e dopo la lezione andai direttamente al cimitero. Mi ci vollero circa venti minuti a piedi per raggiungerlo.     
    Mary Elizabeth Morgan, la tomba in cui riposava eternamente mia nonna giaceva lì, di fronte a me. Sistemai i fiori freschi che avevo comprato lungo il cammino e raccolsi da terra quelli ormai appassiti.
    «Ciao nonna, come stai? Io sto bene, diciamo. Avrei tante cose da dirti, tante domande da farti ma tu non ci sei più. Non ricordo nemmeno l'ultima volta che abbiamo parlato né ricordo di cosa. Mi manchi tanto...» mi sentivo una sciocca e una pazza a parlare con la sua lapide ma il rimpianto di non aver trascorso abbastanza tempo con lei mi torturava. Non avere più la sicurezza che, nonostante la lontananza, lei ci fosse ancora mi dava un senso di vuoto incolmabile. Mi asciugai le lacrime con la manica del giubbino e mi avviai verso l'uscita del cimitero buttando i fiori secchi che avevo tolto dalla sua tomba.
    «Ciao nonna. A presto!»
    Ora dovevo andare assolutamente al negozio di Mei-Lin. Ormai avevo preso questa faccenda delle streghe, del libro magico e degli incantesimi seriamente ed ero decisa ad usare la mia prima pozione su Jeremey.
    La bottega della Signora Xiang era situata in fondo ad un vicolo cieco, nascosta da occhi indiscreti e isolata dalle varie catene di negozi del circondario cui nome, Shenyang Shop, risaltava in contrasto ai vari H&M, Forever21 ed altri della zona. Varcai l'ingresso e una sensazione di pace e tranquillità mi pervase: musica zen e incenso rendevano l'atmosfera di quel negozi di magia una vera magia. 
    
«Sapevo saresti tornata prima o poi» la donna mi sorrise al di là del bancone. Mi guardai attorno affascinata ed estasiata: la prima volta che misi piede al Shenyang circa un mese fa mi sentii quasi spaesata e a disagio ma ora, dopo neanche quattro settimane tutto era cambiato.
    «Mi occorrono dei petali di viola del pensiero e della mandragora.»
    La Signora Xiang annuì e si voltò frugando in qualche cassetto del mobile alle sue spalle. 
Mi impacchettò i fiori e le erbe in due sacchetti separati, me li imbustò, pagai e la ringraziai.       
    «La verità rende liberi* ma conoscere certi segreti può rendertene schiavo.»

    Ritrassi la mano dal pomello della porta e rimasi immobile qualche secondo davanti all'uscita.  
    «Da certi segreti, però, dipendono questioni di vita e di morte.»
    




    Un giorno senza vedere Heric mi era sembrato davvero un'eternità. Ormai ne ero come dipendente, mi faceva sentire viva, lui che era... un vampiro.
    Decisi di rimandare 
all'indomani di far bere la pozione a Jeremy: mi occorreva tempo, una scusa plausibile e un piano strategico. Quel giorno non avevo la testa per ideare tutto ciò, ero emozionata per il mio appuntamento con Heric e volevo godermi la serata insieme a lui come due "normali" adolescenti.
     Entrai nell’aula di biologia con mio fratello e ci sedemmo vicini come al solito. Oramai non mi era di peso stare tra lui e Heric: prima mi mettevano apprensione i loro sguardi e le continue occhiatacce che si lanciavano, ora, che parte dei segreti erano stati svelati, non più di tanto. 
    Heric era già lì seduto. Mi rivolse un sorriso e mi salutò e mi accorsi che il ciondolo era rimasto della stessa temperatura mentre sentivo il cuore battere forte dall'emozione di rivederlo. Mi sembrò che stesse per esplodere quando mi chiese conferma per uscire quella sera. Ero patetica.
    «Quindi stasera usciamo, sì?» disse allo squillare della campanella, sfoderando un bellissimo sorriso.
    «Finalmente» pensai tra me e me, e risposi ovviamente di sì.
    «Passo alle 5 da te?»
    «Perfetto.»
    Era da un po’ che non uscivo con un ragazzo. Le mie relazioni erano sempre state un disastro e i vari appuntamenti che avevo avuto nel corso degli anni non avevano mai portato a nulla di buono o di stabile e avevo quasi cominciato a rassegnarmi a una vita sentimentale inesistente. Ma da quando mi trasferii a Salem, tutto era cambiato. Per questo avevo lasciato i ricordi e tutto il resto a Coral Springs, mi ero lasciata il mio passato non tanto felice e soddisfacente lì, a cuocersi sotto il sole della Florida ed Heric era per me come una ventata d'aria fresca.
    Jeremy per tutto il tempo non mi rivolse la parola. Era per via di Heric? Ancora? Che gli desse fastidio il fatto che uscissi con qualcuno o con lui? Che domande idiote! Quando abitavamo in Florida non sembrava importargli nulla della mia vita privata. Eravamo sempre stati due estranei sotto lo stesso tetto, cosa fosse cambiato in lui lo avrei presto scoperto: 
«Petali di Viola del Pensiero, per farti dire il Vero...»
    Avevo lezione di spagnolo ora. Quello era l'unico corso che seguivo da sola, senza né Heric né Jeremy. Stando sempre con loro non avevo fatto amicizia con nessun altro e l'unico che conoscevo che frequentasse spagnolo era George. Mi feci coraggio e mi avvicinai al suo banco. Pur non avendone alcun motivo gli chiesi scusa, forse lo avevo turbato in qualche modo o avevo fatto qualcosa che gli aveva dato fastidio, fatto sta che era meglio tenermelo buono sia perché iniziava a darmi l'impressione di essere un tantino pericoloso sia perché ero convinta potesse aiutarmi in alcune questioni bizzarre da strega.   
    
«Non ti devi scusare. Sono stato io quello sgarbato- disse scrutandomi con attenzione -il mio era solo un consiglio e vorrei che lo seguissi. Stai fuori da queste cose, lascia perdere la biblioteca. In fondo è solo una biblioteca.»
    Bingo! C'era qualcosa nella biblioteca, lui lo sapeva. Sennò perché insistere sul fatto che fosse solo una biblioteca? 
    L'ora passò serena e tranquilla e rimasi seduta accanto a lui. Avreii voluto domandargli cosa fosse successo in palestra la scorsa settimana e perché non stesse più frequentando le lezioni di educazione fisica ma non volevo tirare troppo la corda. 
    Alla fine dell'ora di spagnolo ci dirigemmo insieme verso l'aula di letteratura. Jeremy era in corridoio a sbacciucchiarsi con Alexis il che mi dava alquanto sui nervi ma cercai di apparire impassibile.    
    Quel giorno Heric uscì prima da scuola. Disse di dover procacciare, che parafrasato significava che doveva nutrirsi di sangue in vista del nostro appuntamento così pranzai insieme 
ad 
Alexis e Jeremy, Matt e George. L'atmosfera era abbastanza tesa, la tensione fra noi era palpabile. Li osservavo uno per uno: cosa era successo? All'inizio si erano dimostrati tutti così ospitali e gentili, ma ora avvertivo un qualcosa quasi macabro che si celava in ognuno di loro. George, beh su George si potrebbe scriverne un libro sulle sue stranezze, ma riguardo i due fratelli Cooper c'era un non so che di ambiguo. Ogni tanto si scambiavano sguardi complici, come se comunicassero telepaticamente con i loro occhi cangianti che, alla luce del sole, sembrano pietre d'ambra. Occhi color ambra... Mmh. Iniziai a pensare che forse Alexis fosse una strega e che avesse fatto un qualche incantesimo a Jeremy per farlo cadere ai suoi piedi in così poco tempo considerato che all'inizio lui non la sopportasse neanche. E se non fosse stata una strega buona? 
    «Meredith? Tutto ok?» mi apostrofò mentre ero imbambolata a fissarla.
    
«Eh? Sì scusa, ero assorta nei miei pensieri.»
    I ragazzi se ne andarono: Matt aveva gli allenamenti di basket e né George né Jeremy né io avevamo lezioni pomeridiane di venerdì. Potei così restare sola con Alexis.
    rima di andarsene Jeremy le scoccò un bacio sulla guancia guardandomi con la coda dell'occhio e si allontanò. 
    
«Vedo che tu e Jeremy siete piuttosto affiatati ora.»
    «Sì! È proprio un ragazzo fantastico. Tu piuttosto, come va con Heric? È vero quel che si dice e cioè che state uscendo insieme?» mi rispose con tono civettuolo. 
    «Beh in realtà usciamo stasera per la prima volta.» 
    «Lo scapolo d'oro di Salem non è più single! Non sai quanto ti invidiano le nostre compagne. Soprattutto le cheerleader.»
    
«Ah sì?» sorrisi forzatamente, la salutai e raggiunsi Jeremy in auto. 
    Quando tornammo a casa, avevo tutta l'intenzione di parlare con Jeremy. Prima però, con tutta calma mi preparai e mi truccai, non volevo rischiare di far tardi a causa di un’altra litigata con lui. Ero stra sicura che avremo discusso di nuovo.
    Bussai in camera sua, erano le quattro e mezza. Mancava mezzora. Solo mezzora e finalmente io e Heric potevamo ricominciare senza segreti. Non che avessimo lasciato qualcosa in sospeso o che ci fosse stato chissà cosa tra noi due, ma lo vedevo come un nuovo inizio.
    «Jeremy. È tutto a posto?» dissi mentre aprivo la porta.
    «Sì» rispose antipatico come se volesse chiudere lì la conversazione che avevo intenzione di iniziare.
    «Ho notato, e questa è semplicemente una mia supposizione, che sembra ti dia fastidio il fatto che esca con Heric e vorrei capire perché soprattutto dal momento che ti stai vedendo con Alexis e non vi nascondete di certo in uno stanzino quando vi scambiate effusioni.»
    «Credo che quella a cui dia fastidio il fatto che io esca con qualcuno sia tu. O mi sbaglio?
» mi domandò voltandosi verso di mentre stava sdraiato a leggere. Mi fissò per un attimo in attesa che io spiccicassi parola. Non risposi, non sapevo che rispondergli. Forse prima di accusarlo di esser geloso di me ed Heric dovevo far pace io col mio cervello e capire un po' che sentimenti stavo coltivando nei suoi confronti.
    «Non mi da fastidio. Ma vorrei capire cosa ti piaccia di lei, ora. All'inizio a malapena la sopportavi.»
    
«Ahh! Che palle, ma sei proprio un'impicciona. Che ti importa?»
    
«Voglio la verità.»
    
«Vuoi la verità? Non lo so neanche io. Quel che provo per Alexis è inspiegabile» inspiegabile, disse. Aveva definito i suoi sentimenti per lei come un qualcosa di inspiegabile. Poi aggiunse «Nel senso che non so dargli una spiegazione logica. È come se fossimo legati da un qualcosa.»
    «Lo sapevo! È una strega anche lei, sono certa che ti abbia fatto un incantesimo!»
    «Non dire cavolate. Io mica ti chiedo cosa ci trovi in Heric lo zombie né insinuo che ti abbia soggiogata in qualche modo!»
    
«Non è uno zombie ma un vampiro! E poi Heric è gentile, divertente, sicuro di sé, leale, bellissimo.»
    «Sì sì, ok ho capito. Hai trovato il principe azzurro. Ora che sai la verità puoi fare quello che ti pare. Io ho cercato di tenerti lontano dai pericoli ma tu hai fatto la tua scelta. Dunque lasciami in pace. Ok?» 
    Sobbalzai alle sue parole. Mi fece tornare in mente il sogno in cui eravamo in biblioteca io, lui e Heric e ad un certo punto Jeremy disse qualcosa come
: «Non c'è più speranza, hai fatto la tua scelta...»*
    «Lui non mi farebbe mai del male, lo so, me lo sento.»
    «Non puoi saperlo con certezza. Comunque, fa' quello che vuoi.»
    «Fottiti!» chiusi la porta e me ne andai. Avrei preferito che mi mettesse in guardia o che cercasse di farmi cambiare idea piuttosto che sentirmi dire «fa' quello che vuoi» come se non gliene fregasse nulla. Forse, però, ero solo viziata. Forse volevo di nuovo sentirmi protetta da lui. Forse, e sicuramente, il fatto che lui si comportasse in maniera gelosa mi compiaceva. Avere due ragazzi che in un certo senso mi stavano dietro mi compiaceva. Uff, ma che diavolo mi stava prendendo!?
    Alle cinque spaccate arrivò Heric e decisi di non pensarci più e godermi la serata come una normale adolescente che usciva con un normale ragazzo di diciassette anni. Diciassette anni e... qualche secolo di troppo!
    Heric notò subito che c'era qualcosa che non andava: ero visibilmente turbata e innervosita ma feci finta di nulla. Non mi andava di dirgli di aver discusso, di nuovo, con Jeremy, avrebbe potuto chiedermene il motivo e non avrei di certo potuto dirgli che ero gelosa di lui. Perché sì, ero gelosa di lui. 
    Andammo nella caffetteria dove qualche settimana prima mi recai, dopo aver fatto shopping, con Alexis, quando ancora ero convinta che fosse una normale e innocente ragazza. Heric ordinò un gelato alla menta, io non avevo fame e presi solo una tisana. 
Ci accomodammo ad un tavolino accanto alla finestra, c’era poca gente così nessuno avrebbe fatto caso ai nostri discorsi strambi.
    «Non mangi mai. L'ho notato da un po'. Perché?»
    «Non ho molto appetito ultimamente- la rabbia e le preoccupazioni mi facevano passare la fame e ultimamente c'era sempre un motivo che facesse o arrabbiare o angosciare -Tu piuttosto, come mai mangi cibi solidi?
» gli domandai tutt'orecchie. Avevo già letto da qualche parte, forse nel Grimorio o nel De Creaturis qualcosa al riguardo ma ero curiosa comunque di sentire la sua risposta, la risposta di un vero vampiro.
    «Beh, il cibo è per me come...non riesco a trovare un termine di paragone. Mmh ecco, sarebbe come se tu, oltre alla tua normale dieta, bevessi tisane. Non è necessaria, non ti da energia ma al tempo spesso non nuoce alla tua salute. La mia dieta è il sangue, il cibo umano è solo un contorno.» 
    «Il che ha un senso. Ma quindi per te il cibo non ha sapore?!»
    «Sì che lo ha. I nostri sensi sono amplificati, i gusti forti quasi mi nauseano. A parte l’immortalità, la sete di sangue e il fatto che il sole ci incenerisca siamo fisicamente esseri umani. Ah e ovviamente noi i vampiri abbiamo più riflessi, siamo più veloci e non proviamo, quasi mai, dolore. Ma non sono immuni alle ferite.» 
    Ero meravigliata, sbalordita, ammaliata da quella affascinate creatura sovrannaturale. Era ancora più sexy mentre mangiava il suo cono alla menta e cercai di fare attenzione a quello che diceva scacciando tutti i pensieri osceni che mi passavano per la testa.
    Rimanemmo a parlare nella caffetteria per ore, come se lì ci fossimo solo noi, senza badare al tempo che trascorreva o alla gente che entrava ed usciva. Restavo ad ascoltare le sue avvenutre da vampiro, la sua voce era musica per le mie orecchie e lui una gioia per i miei occhi. Passai una serata piacevolissima come non mi capitava da anni. Come potevo, dunque, anche solo pensare di poter esser gelosa del mio fratellastro quando accanto a me avevo un ragazzo come Heric?    
    «Si è fatto tardi. Ti va di andare a cena? Conosco un posto carino e forse ti tornerà l'appettito» mi propose.
    Erano già le otto e mezza di sera passate: il tempo era volato davvero in sua compagnia, ma per Heric il tempo era infinito mentre a me sembrava di avere i minuti contati.
    Non avremmo avuto l'eternità.

  



Angolo autrice.
 
*La verità rende liberi: dal Vangelo secondo Giovanni.
*«Non c'è più speranza, hai fatto la tua scelta nonostante quel che c’è stato tra noi»: cap 7 "L'enigma del ciondolo"

Inizialmente il personaggio di George doveva essere marginale ma, prepotentemente non ne vuol sentire di farsi da parte. Anche per Alexis avevo in mente un altro sviluppo, soprattutto nella mia idea iniziale lei non doveva avere alcuna speranza con Jeremy ma invece...

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Luna Piena. ***


15) Luna Piena.


    Heric guidò per circa un quarto d'ora fra le trafficate strade di un caotico venerdì sera a Salem e parcheggiò poi l'auto davanti a un piccolo pub, The Shadow's, non molto distante dal centro e situato in una zona non particolarmente raccomandabile della periferia. Ma ero in sua compagnia ed insieme a lui non avevo nulla di cui temere.
    «Beh, che te ne pare?» mi chiese scortandomi fino all'ingresso e aprendo la porta per farmi accomodare dentro come un vero cavaliere.   
   
«Sei sicuro che possiamo entrare in un pub?» gli domandai perplessa.
    Heric ammiccò e, con tono fiero, asserì di conoscere chi vi lavorasse e che per questo motivo non ci avrebbero mai chiesto il documento d'identità. Eravamo minorenni, o per lo meno io lo ero. D'un tratto, mentre ero intenta a guardarmi attorno, si avvicinò la cameriera e capii subito a chi si riferisse quando affermò di conoscere qualche dipendente quel locale: Madeline lavorava lì. La vampira ci squadrò con aria un po' contrariata e ci fece accomodare ad un tavolo per due. Sebbene dall'esterno, per via della zona appartata in periferia in cui era ubicato, sembrasse un luogo sconsigliabile e di dubbia fama frequentato da loschi individui, all'interno in realtà si nascondeva una vera perla arredata con gusto e, nonostante fosse venerdì sera e fuori in centro quasi regnasse il caos del fine settimana, l'atmosfera lì era piuttosto tranquilla e rilassata, con musica da lounge bar non troppo alta e luci soffuse. Pensai tra me e me come mai un vampiro lavorasse e per giunta in un bar ed Heric, come se mi avesse letto nel pensiero, mi disse prontamente che quella per Madeline era una sorta di copertura.
    «Copertura?» ripetei con tono interrogativo un po' spiazzata.
   
«Beh, in qualche modo dobbiamo pur sopravvivere. Più che altro, serve a Madeline per procacciare.»
    «Cosa intendi per "procacciare"?» non era infatti la prima volta che utilizzava quel termine con me e non ero per niente sicura di averne colto la giusta sfumatura, o meglio, non ero certa se semplicemente si riferisse a nutrirsi o a nutrirsi di esseri umani o ad ucciderli per nutrirsene.
   
«Significa procurarci il sangue. Io ho scelto di vivere nella maniera più normale possibile, Maddie ogni tanto si concede del sangue umano e qui al bar ha la possibilità di conoscere tante persone più che altro di passaggio.»
    Insomma, quel che voleva dirmi in realtà e in maniera molto spiccia era che Madeline lavorasse come cameriera con lo scopo di abbordare uomini da cui avrebbe succhiato loro il sangue. Heric, però, era troppo educato e per bene per essere così diretto ed esplicito. Quel che fondamentalmente mi lasciava interdetta era se la sua adorata cugina Maddie (non l'aveva mai chiamata così prima d'ora) uccidesse o meno questi poveri uomini malcapitati. Non feci in tempo a domandarglielo, probaibilmente non avevo neanche il diritto di chiederglielo e di entrare troppo a fondo nei loro affari di famiglia di vampiri, che un finto colpo di tosse interruppe i nostri discorsi.
   
«Volete ordinare?» sentenziò Madeline con atteggiamento sempre più sgarbato. Sicuramente, come Jeremy, non approvava affatto la nostra frequentazione che via via stava sfociando in qualcosa di più serio.
   
«Io il solito» le rispose Heric fissandola per un momento come se stesse comunicando telepaticamente con lei. Io invece ordinai un semplice cheeseburger.
    I nostri piatti arrivarono presto, in fondo non c'erano tanti clienti e non dovettimo aspettare troppo a lungo. Heric scelse una bistecca al sangue, poco cotta, praticamente cruda quasi come se l'animale fosse stato appena macellato e il sangue continuasse a sgorgare a fiotto. Il mio cheeseburger era decisamente più appetitoso anche perché ormai erano settimane che non mangiavo qualcosa di grasso e sostanzioso.
    Consumammo le nostre pietanze lentamente ed in silenzio, poiché eravamo comunque entrambi ancora timidi, scambiandoci solo qualche tenera occhiata di tanto in tanto tra un boccone e l'altro. 
Mi sentivo osservata: Heric mi squadrava, quasi stesse analizzando ogni mio movimento, evitando però il contatto visivo.
    «Ti dirò un segreto» bisbigliò a un tratto poggiando le posate sul tavolo. Lo fissai in attesa che riprendesse il discorso rivelandomi tale misterioso segreto.
    «Questo è principalmente un pub di vampiri» sgranai gli occhi incapace di proferire alcuna parola in risposta alla sua affermazione.
   
«La proprietaria di questo posto è un'anziana vampira, nel senso che venne trasformata quando da umana aveva già più di cinquant'anni intorno al 1950. Arya è una leggenda per noi. Lei è forse l'unico vampiro sulla faccia della terra che non ha mai ucciso un essere umano. Sarà che, data la tarda età in cui venne trasformata, ha accumulato una tale saggezza e rispetto per la vita che uccidere e far del male non sono mai stati parte della sua natura, né umana né sovrannaturale.»    
    Non capivo perché mi dicesse queste cose, se per coinvolgermi nella sua vita da vampiro o per semplice informazione. In quel momento ogni persona in quel locale mi sembrava un vampiro pronto alla caccia ed io mi sentivo l'unica preda umana. Ma ero con Heric e, come ho detto, in sua compagnia non avevo paura di niente.
    «Devi sapere- proseguì il suo racconto sempre a bassa voce -che esiste una sorta di distinzione fra noi vampiri: coloro che, come me, Madeline e Arya, vivono cercando di condurre un'esistenza e uno stile di vita più normale possibile e coloro che invece sono dei veri e propri cacciatori assetati di sangue. Questa zona nella periferia di Salem non molto lontana dalla mia Villa è frequentata da molti vampiri del Paese mentre la zona opposta, dove vi è la riserva vicino casa tua...beh noi non siamo ammessi lì. È una legge non scritta che ormai rispettiamo da secoli.»    .
    «Mmh, perché non siete ammessi nella riserva? E poi come fa questa anziana donna vampiro, Arya, a sopravvivere? Anche lei ha un ciondolo?!» domandai curiosa.
    Heric fece cenno di no con la testa affermando che solo pochi eletti ne fossero in possesso, abbassando il capo come a voler indicare il proprio status privilegiato, e, ignorando la mia prima domanda, continuò la storia sull'anziana vampira.
   «Arya è sopravvissuta da umana ad entrambe le Guerre Mondiali lavorando come infermiera di campo, a poco più di vent'anni aprì questo locale nel pieno periodo del proibizionismo importando whisky dal Vecchio Mondo. Sa il fatto suo e ha chi lavora per lei non potendo uscire alla luce del sole. Infatti, se mai ti capitasse di tornare qua non ordinare mai un Bloody Beast o un Bloody Human» ridacchiò. Il suono della sua risata era contagioso, le sue storie incredibili e coinvolgenti ed era bello, diamine quanto era bello, quante vicende ed esperienze aveva vissuto mentre io ero solo un'ordinaria ragazzina del sud piombata in una città mistica ed esoterica che si era appena scoperta essere discendente di una strega. La felicità, la gioia e l'emozione che provai nell'essere insieme ad Heric e nell'ascoltare le sue avventure svanirono all'instante quando mi soffermai a pensare al fatto che io fossi in realtà così banale ed insulsa, e iniziavo a chiedermi cosa ci facesse lui con me o cosa un vampiroci potesse mai trovare in me. E poi il tempo, il tempo era un altro problema irrisolvibile: io sarei invecchiata e lui no. Lui se ne sarebbe andato ed io sarei rimasta qui, mi avrebbe lasciata e avrebbe vissuto ancora centinaia di anni mentre io sarei marcita sottoterra.
    Heric notò che cambiai umore e avvicinò la sua mano alla mia, che prontamente ritrassi senza neanche volerlo.
   
«Hey, è tutto a posto?»
    Gli risposi di sì annuendo semplicemente senza dire una parola.
Erano le undici e mezza ormai, dovevo tornare a casa. Le mie sciocche fisime mentali come al solito erano riuscite a rovinare un così bel momento. Dannazione! Avrei voluto fargli mille altre domande ma ormai l'atmosfera si era inevitabilmente incupita così pagammo ed Heric mi riaccompagnò a casa senza che entrambi proferissimo parola per tutto il tragitto.
    «Scusami, sono solo un po' stanca» dissi non appena parcheggiò la sua auto davanti casa mia come a volermi scusare del mio comportamento impassibile e quasi scontroso durante la serata. 
   
«Aspetta- sibilò Heric afferrandomi il braccio quando aprii la portiera -ti accompagno.»
 
    Heric mi scortò fino all'entrata di casa mia e rimanemmo per un attimo sull'uscio della porta.
    «Ho passato davvero una spendida serata» sussurrò mentre mi accarezzava il viso. Il suo toccò mi aveva come paralizzata e il massimo che potei fare fu abbozzare un sorriso. Avevo passato anche io una splendida serata, tralasciando le mie paranoie. Heric fece scivolare la sua mano su tutto il mio corpo, passandola prima sul collo spostandovi i capelli e facendo una leggera pressione sulla mia spalla per poi far scivolare la sua mano lungo tutto il mio braccio fino a stringermi il fianco per tirarmi a sé.
    Era il momento che aspettavo da settimane ormai, pensai:
«ecco, finalmente mi bacia!»
   
Heric si avvicinò sempre di più a me stringendomi più forte a sé con il suo braccio. Il cuore mi batteva all'impazzata ma proprio in quell'attimo la porta di casa mia iniziò a scricchiolare...
    «È tardi, non credi? Su entra
    La voce severa di Jeremy interruppe quel tanto sospirato momento di intimità fra me e Heric. Era come se si fosse appostato lì in attesa di dare il colpo di grazia a quella serata.
    Non lo avevo mai odiato così tanto come in quel momento. Un po' imbarazzato, Heric mi diede la buonanotte scoccandomi un bacio sulla guancia e si diresse verso la sua auto.
   
«Buonanotte a te» gli dissi mentre Jeremy gli chiudeva la porta in faccia.
    Per tutta la notte fantasticai su quel quasi bacio fra me ed Heric. Le mie sciocche fissazioni sulle differenze abissali fra me e lui e sull'inevitabile scorrere del tempo si affievolirono e fui pervasa da un senso di felicità e di eccitazione. Chissà come doveva essere baciare un vampiro? O andare a letto con un vampiro? Era ciò possibile, insomma, anatomicamente parlando considerata la sua natura sovrannaturale di non-morto?




    Il tempo che tanto consideravo il principale nemico nella mia relazione non mi dava torto e sembrava trascorrere, in compagnia di Heric, ad una velocità talmente rapida che ne persi la congizione. Ogni giorno era un'avventura, una scoperta, un brivido di follia. La mia vita procedeva comunque apparentemente normale, così tanto normale che, tra vedere Heric e studiare (purtroppo la fine della scuola era vicina!), non avevo quasi avuto tempo da dedicare alla magia, alla scoperta del segreto indicibile di Jeremy, alla ricerca del mistero che si celava all'interno della biblioteca scolastica e a tutti i rompicapo sovrannaturali che fino a poco prima mi assillavano. La nonna, però, non potevo certo dimenticarla, non potevo non farle giustizia, non avrei seppellito la sua esistenza in un mucchio di bugie. Ero convinta che non avesse avuto alcun infarto né lei né le altre anziane donne di recente venute a mancare e che nemmeno le giovani ragazze sgozzate da uno strano animale fossero state realmente sgozzate da un vero e proprio animale.
    In quelle ultime settimane ci furono infatti altre misteriose morti, non solo a Salem ma anche nelle contee vicine, stesse dinamiche e sicuramente stesso movente.
    Comunque sia, dovevo studiare: il test di biologia non era solo una scusa per poter uscire di casa quando ero in punizione, avevo davvero un test ed in più, soprattutto, io e il mio compagno di studi, ovvero Jeremy, dovevamo assolutamente consegnare il progetto di chimica e la relazione entro lunedì 19 aprile in modo da esporlo il mercoledì della stessa settimana durante le ore di lezione pomeridiane. Io e
il mio fratellastro avevamo un intero weekend per terminare il nostro compito: io spiegai a Heric che, sebbene non avessi una vita eterna davanti, dovevo assolutamente terminare l'anno con buoni voti senza farmi bocciare sennò mia madre avrebbe accorciato ancora di più la mia breve esistenza e lui capì che così in fondo avremo potuto passare insieme tutta l'estate. Jeremy invece no, non riusciva più a staccarsi da Alexis e avevano instaurato un rapporto a dir poco morboso, come se lui fosse il suo cagnolino. Ormai però non ne ero più gelosa, non mi curavo più di loro fino a quel pomeriggio...
    Era sabato e fuori pioveva a dirotto nonostante la primavera fosse già nel pieno della sua stagione. Mancavano due giorni soltanto alla consegna della relazione ed invano cercavo di collegare e sistemare i miei appunti e confrontarli con quelli di Jeremy, ma proprio la sua scrittura mi era incomprensibile, anzi indecifrabile. Stanca e spazientita di dover fare solo io il lavoraccio mentre Jeremy se ne stava comodamente in camera sua a far nulla, aprii, senza bussare, la porta della sua stanza e li vidi: lui e Alexis, a letto insieme.
    Rimasi quasi impietrita dallo choc  facendo cadere sul pavimento gli appunti che tenevo fra le mani. Iniziai a scusarmi chiudendo la porta e sigillandomi nella mia camera dall'imbarazzo mentre Jeremy mi imprecava dalla stanza affianco.
    «Dici che l'abbiamo traumatizzata?» bisbigliò neanche a voce tanto bassa al che Alexis lo ammonì, tra una risata e l'altra, di non essere così cattivo. Li detestavo.
    Vederli insieme mi aveva provocato un tale disagio e una tale vergogna che non riuscivo a spiegarmi. Ancor meno riuscivo a spiegarmi il senso di gelosia che mi pervase nuovamente. Non capivo se fossi gelosa del fatto che avessero una relazione completa vera e propria o se fossi, per qualche inspiegabile motivo, gelosa di Jeremy.
    Tentai invano di concentrarmi sullo studio ma ormai non riuscivo a togliermi dalla testa l'immagine di loro due. A cena facemmo entrambi finta di niente, non riuscivo neanche a guardarlo in faccia e pure Jeremy sembrava un po' a disagio. Non che ci fosse qualcosa di cui vergognarsi, in fondo era più che normale ce avessero la propria intimità, ma proprio non mi riusciva di vederli insieme, non più. Oramai ero dell'idea che lei avesse un qualche effetto negativo su Jeremy, non me la raccontava giusta.
    Quella sera, come capitava da un po' di tempo a quella parte, Heric venne a farmi visita per avvisarmi che nei giorni successivi non ci saremmo visti e non sarebbe venuto a scuola. Non mi spiegò il perché della sua assenza. Sicuramente si trattava di una qualche questione da vampiri di cui ancora non si sentiva pronto a parlarmi.
    Prima che se ne andasse, però, avevo io qualcosa da dirgli ma non sapevo come e quali parole usare senza essere fraintesa o apparire patetica ai suoi occhi.

    «Heric- esitai nuovamente per riprendere fiato e per formulare un discorso coerente e coinciso -perché non ci...provi con me?»
    «Cosa vuol dire?» domandò lui osservandomi curioso. «Non sono forse io ad aver fatto il primo passo con te?»
    «No dico, quel che intendo è perché non mi hai ancora baciata. Insomma, questa non sarebbe mica la prima volta per me! Né è la prima volta che vieni a farmi visita in piena notte, nella mia stanza.»
    «Meredith, questa non è una gara per la coppia più affiatata. So che in qualche modo ti infastidisce il fatto che tuo fratello, o fratellastro, abbia una relazione.»
    Heric avanzò di qualche passo verso di me e mi prese per le spalle fissandomi dritta negli occhi. «Non credere che io non sia attratto da te o che ti veda come un fragile oggetto. Aspettavo solo il momento giusto e qui, nella tua casa, non lo è per tutta una serie di motivi.»
    In un batter d'occhio Heric era sul davanzale della mia finestra pronto a fuggire via da me.
    «Buona notte Meredith. Fa' attenzione, a breve ci sarà la luna piena.»
    E poi, scomparve avvolto dal buio della notte.
    La mattina dopo non riuscivo ancora a guardare in faccia Jeremy sia per l'imbarazzo sia perché mi sentivo umiliata per le sciocche battute che lui ed Alexis fecero nei miei confronti, ed Heric, col suo fare da gentiluomo d'altri tempi di certo non aiutava ad affievolire le mie insicurezze, mentali e fisiche.
    Era così finalmente giunto il momento di preparare la mia prima pozione: la tisana della verità. Ero particolarmente emozionata all'idea e non ero sicura che il procedimento che stavo eseguendo fosse giusto visto che nel grimorio non era esattamente spiegato cosa dovessi fare. Misi così a bollire dell'acqua, un bicchiere per persona come era riportato nell'antico libro d'incantesimi, insieme agli ingredienti: 
5 petali di Viola del Pensiero, un rametto di Timo ed infine della Mandragora. Recitai poi a mente la formula che avevo imparato a memoria:


«Petali di Viola del Pensiero
per farti dire il Vero,
Un rametto di Timo
per farti confessar per primo,
Una manciata di Mandragora 
affinché non vi sia alcuna metafora
nelle tue parole, 
Un po' d'acqua corrente
per ripulirti coscienza e mente.
Che questo tuo mistero
così infame, infimo ed intimo
non sia più la tua àncora
e che la tua parola
sia così reale e coerente.»
  

    Poi, come suggerito nel diario della nonna, vi aggiunsi qualche petalo essicato di aconito.
    Con la scusa di voler di voler correggere il compito da consegnare e cominciare a ripetere l'esposizione del nostro progetto di chimica in vista di mercoledì, mi feci coraggio superando il mio imbarazzo e bussai alla porta di Jeremy (sperando di non coglierlo nuovamente in fraglante con Alexis!). Jeremy era solo che leggeva ed era palesemente a disagio per la scena di ieri. Non disse una parola ma sembrò stranamente apprezzare il mio gesto di avergli preparato una tisana.
    Lo fissai con attenzione immaginandomi chissà quale effetto potesse sortire e quanto tempo sarebbe stato necessario prima di fargli sputare il rospo. Jeremy annusò il vapore emanato dalla tazza con aria disgustata e ne bevette un sorso, un sorso soltanto e cominciò a tossire e ad imprecarmi contro.
   
«Ma che diamine è questo schifo?- urlò tra un colpo di tosse e l'altro sputando il liquido nella tazza -Vuoi avvelenarmi?»
    «È solo una tisana per aiutare a concentrarsi. Smettila di fare i capricci!»
    «Tu sei una pazza! Mannaggia a te e a queste sciocchezze da strega!»
   Corse in bagno a lavarsi i denti e butto la mia tisana nel lavandino continuando a blateare insulti nei miei confronti, contro le streghe e verso la magia.
    Il mio piano era dunque miseramente fallito. La quantità di tisana da lui ingerita era purtroppo insufficiente per poter essere efficace. Dovevo aver senz'altro sbagliato qualcosa e corsi su in soffitta a sfogliare il Grimorio perché forse mi era sfuggito un qualche dettaglio fondamentale. Rilessi l'introduzione, gli ingredienti e la formula da pronunciare e lì giù, in basso a fondo pagina, era scritto con caratteri minuscoli, quasi impercettibili, un bel "nota bene" che inizialmente avevo ignorato.


«Nota bene: aggiungere dell'aconito per rendere la pozione più efficace. Questa pianta è però tossica e una dose anche di poco superiore a quella indicata potrebbe essere addirittura mortale per gli esseri umani. Quando invece si ha a che fare con creature sovrannaturali, occorre aggiungere dell'aconito, detto infatti anche strozzalupo, per i licantropi, o della verbena per i vampiri. Il fiuto largamente sviluppato di queste creature della notte potrebbe captarne la presenza e potrebbero pensare che stiate tentando di avvelenarli. Bisogna dunque fare particolarmente attenzione.»


   
«Oddio!»   
    In quel preciso istante tutto mi sembrò chiaro e, come se fosse un puzzle, potei collegare tutti i pezzi: l'atteggiament0 irascibile di Jeremy nelle ultime settimane, il fatto che Heric, quando andammo a casa sua, disse che 
di norma gli animali non potessero entrare nelle case dei vampiri, il fatto che trovai Jeremy a vagare nudo nel bosco con del sangue addosso ma senza neanche un graffio sul corpo, il sogno su un branco di lupi che feci qualche notte fa e soprattutto il fatto che non avesse ingerito la mia pozione contenente appunto dello strozzalupo cominciando a tossire ripetutamente.
    Non era possibile, non poteva essere, non aveva senso. Niente aveva senso. Anche perché come avevo fatto a non accorgermi di nulla, a non accorgermi di ciò che gli stava capitando sotto il mio stesso tetto? No, era assolutamente impossibile. Assurdo.

    Ora non mi restava che aspettare. Mancavano esattamente tre giorni e quattro notti al plenilunio e in quel lasso di tempo dovevo agire come se fosse tutto normale e tutto come prima, come se non avessi alcun sospetto di niente.
    Jeremy, dal canto suo, era ancora più scontroso del solito dopo i recenti fatti accaduti fra di noi ed ovviamente toccò a me sia terminare i compiti sia esporre il nostro progetto di chimica mercoledì davanti a tutta la classe spiegando perché, versando sul bicarbonato
dell'aceto, quest'ultimo cominci a fare le bolle. Ormai del voto non mi importava neanche più, volevo solo sentirmi libera e darmi pace. Mi sentivo però così sola. Erano ormai tre giorni che Heric non veniva a scuola ed era irraggiungibile al telefono, con Alexis i rapporti si erano incrinati sul nascere e anche con il resto dei ragazzi del gruppo di benvenuto, Nicholas, Matt e George, era impossibile legare: Nicholas perché ormai era diventato il fidanzato ufficiale di Ashley, Matt perché era fratello di Alexis e George perché aveva qualche rotella fuori posto ed era stato più volte scontroso nei miei confronti. Inoltre, dal momento che ero così sicura all'inizio che quello sarebbe stato il mio gruppo di amici di scuola e considerata la mia repentina relazione con Heric, non avevo fatto amicizia con nessun altro. Ero di nuovo catapultata nell'anonimato e nella solitudine come quando frequentavo il liceo di Coral Spring e non sapevo come fare per scavalcare il muro di astio che mi ero costruita attorno a me.
    Quel mercoledì infatti, subito dopo la lezione pomeridiana di chimica, decisi di andare a far visita alla nonna al cimitero, nel tentativo che lmeno lei in qualche modo potesse trasmettermi un po' di conforto e serenità. I fiori che le avevo portato tre settimane prima in occasione del primo mesiversario dalla sua scomparsa erano ormai appassiti, un po' come lo ero io. Mi inchinai a raccogliergli e ad accarezzare la lapide.

    In quel momento ebbi come l'impressione che qualcuno mi stesse osservando. Mi alzai di scatto in piedi guardandomi attorno e, alle mie spalle, comparve la figura di un ragazzo dall'aria quasi familiare.
    «Il tempo è il pilastro che sorregge ogni segreto- disse leggendo la citazione riportata sull'epigrafe della lapide della nonna. -Frase curiosa, non trovi?»
     Aveva una voce ipnotica così come ipnotici erano i suoi occhi cerulei. Rimasi ammaliata e imbamolata a scrutare ogni suo gesto e movimento impercettibile domandagli se, per caso, conoscesse la mia nonna.
    «Questo è un segreto sorretto dal pilastro del tempo» rispose l'enigmatico ragazzo in maniera sarcastica sorridendomi beffardamente. Un brivido mi percorse la schiena quando, passandomi accanto per andare via, mi sfiorò accidentalmente. Una gelida sensazione sul petto distolse la mia attenzione dalla sua figura che, a passo lento ma deciso, andava via e strinsi forte il ciondolo che portavo al collo. Quando mi voltai verso la direzione che aveva preso, lui non c'era più. Era scomparso, dissolto fra le tombe. Nella mia vita ora ci mancavano soltanto i fantasmi, gli spiriti e i poltergeist! Di questo passo a breve avrei senz'altro avuto un esaurimento nervoso.
    Salutai la nonna e mi incamminai verso casa. Il sole era quasi tramontato e non mancava ormai molto alla luna piena, la notte della verità.
    Quella sera a cena eravamo tutti riuniti ma era come se ognuno, con la mente, fosse da tutt'altra parte. Joseph era di malumore poiché un suo paziente era venuto a mancare, Ashley non si staccava dal cellulare e Jeremy teneva gli occhi fissi sulla televisione guardando di tanto in tanto fuori dalla finestra. Soltanto mia madre cercava un po' di risollevare l'umore piatto di quella cena cercando di far conversazione mentre io continuavo la mia recita ignorando Jeremy e non dando troppo peso ai miei sospetti nei suoi confronti durante la trepidante attesa della luna piena. 
    Mi cambiai e lavai per andare a letto: quella sarebbe stata senz'altro una lunga nottata così dopo la doccia mi preparai un bel caffè e scelsi un libro da leggere, ovvero il
De Creaturis
All'interno di quel breve trattato, erano elencate e descritte tutta una serie di creature magiche e mitologiche che fino a non molto tempo fa pensavo fermamente esistessero solo nella fantasia o nei poemi epici. Ma dopo aver appreso dell'esistenza dei vampiri, avrei persino creduto all'esistenza degli alieni, delle sirene e degli unicorni!
    Andai dritta alla sezione dedicata ai vampiri e ai lupi mannari che, in quel piccolo libretto, erano contenuti nel medesimo capitolo*. Secondo tale libro, il primo licantropo fu creato dal Dio Zeus che punì il Re di una qualche città dell'antica Grecia per avergli servito carne umana. Da questo sarebbero discesi altri lupi mannari sia per via ereditaria sia a causa di morsi o graffi. Secondo il De Creaturis, anche una strega sarebbe capace di trasformare un essere umano in un licantropo (o in un vampiro) e soprattutto la strega che lo avesse trasformato, o anche una strega molto potente, sarebbe in grado di annullare tale incantesimo, ma ad un prezzo molto alto.
    Proseguii la lettura fino a quando non giunsi a questi versi che, come lame taglienti, mi ferirono profondamente nell'animo.



«Sia i vampiri sia i licantropi sarebbero suscettibili all'amore come "punizione" della loro condizione. Subirebbero il fascino della mortalità e dell'umano ma il loro essere distruggerebbe ogni possibilità di relazione e di poter coltivare questo sentimento; sia per il vampiro sia per il licantropo l'amore è senza speranza alcuna.»
  

    L'amore è senza speranza alcuna, ed io ed Heric non eravamo di certo un'eccezione per quanto io volessi crederci. Ma ormai io ero dentro, coinvolta totalmente in questa relazione platonica. Platonica perché lo sentivo già distante, come se ormai il sentimento fosse tutto unilaterale.
    Un ululato ruppe il silezio di quella malinconica notte. A
 quel punto mi svegliai di colpo, aprii gli occhi rendendomi conto di essermi appisolata giusto una manciata di minuti con la luce accesa e il libro ancora aperto e corsi ad affacciarmi alla finestra. Nel buio tetro della notte, spiccavano come lucciole, gli occhi luminosi di un qualche animale. Corsi in giardino facendo le scale a perdifiato: Jeremy era lì, seminascosto da un albero e accovacciato per terra che si teneva la testa tra le mani.
    «Jeremy!- bisbigliai andandogli incontro -che stai facendo lì? Stai bene?
»
    «Vai via Meredith! Stai lontana!» si voltò verso di me. I suoi occhi erano diventati ancora più chiari, gialli e brillavano nell'oscurità. Da verdognoli che erano, diventarono ambrati come quelli di un gatto al buio. O meglio, di un lupo. E io li avevo già visti quegli occhi ambrati, nei miei sogni premonitori.
    «Perché sei lì, senza vestiti? Cosa stai facendo?» in realtà non era esattamente senza vestiti, indossava giusto un paio di boxer e sapevo benissimo cosa stesse facendo, anzi cosa gli stesse succedendo.
    «Mi sto...mi sto trasformando!» urlò con voce spezzata e sofferente.
    Poi come se ne fosse stato inghiottito, si 
addentrò nel fitto bosco.

  



Angolo autrice. 
*Al capitolo 12 trovate per esteso il "capitolo" relativo ai vampiri e ai lupi mannari che sta leggendo la protagonista. Non ho voluto riportarlo tutto  per intero perché è abbastanza lungo e soprattutto perché ho già riportato la formula magica già scritta nel capitolo 13.

Comunque, questo è un capitolo diciamo di transizione e riempimento e, tra l'altro, è il capitolo che ho odiato di più e che mi ha richiesto più tempo per poterlo scrivere. Infatti non ne sono molto soddisfatta. A differenza dei capitoli precedenti, qui vengono riassunti circa 20 giorni, partendo dalla sera del venerdì 9 aprile 2010 alla notte di mercoledì 28 aprile 2010. Questo perché la situazione fra i protagonisti è ora abbastanza stabile, almeno per quanto riguarda la relazione delle due coppie, e non volevo ammorbarvi con le solite scene scuola-casa-sogni. Inoltre mi occorreva assolutamente giungere a questa data, mercoledì 28 aprile 2010, per sfruttare la presenza della luna piena, e
credo che ormai abbiate capito il segreto di Jeremy...
Ciao e alla prossima :)

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Come un Lupo Solitario. ***


16) Come un Lupo Solitario.


    Se essere venuta a conoscenza del fatto che il ragazzo con cui mi frequentavo fosse un vampiro non mi aveva sconvolta più di tanto, vedere invece il mio fratellastro che si stava trasformando in un lupo mannaro mi aveva letteralmente lasciata di stucco. Ora potevo aspettarmi qualunque cosa, niente mi avrebbe più sorpresa o fatta fuggire dall'altra parte. Ad esempio Ashley poteva benissimo essere un demone malvagio, Alexis una strega malefica, George un elfo maligno.
    A Jeremy spuntarono coda e orecchie e in pochi minuti il suo corpo si ricoprì di una pelliccia grigia e folta: si era trasformato davvero in un lupo mannaro. Aveva la testa come un lupo e il corpo simile a quello di una scimmia, questo gli permetteva di stare in piedi in posizione eretta. Non credevo ai miei occhi, ero sbalordita, scioccata, stupefatta!
    Mi avvicinai lentamente a lui per paura che potesse scappare nel bosco dietro casa o che mi potesse mordere, volevo accarezzarlo come se fosse un cucciolo, anche se quella creatura mostruosa in cui si era trasformato non suscitava alcuna tenerezza.
    Mi guardava con un’espressione dolce ma impaurita, i suoi occhi brillanti come pietre d'ambra sembravano volermi dirmi qualcosa. Poi corse via a quattro zampe addentrandosi nella foresta, fermandosi di tanto in tanto e voltandosi verso di me in attesa che lo raggiungessi. Non era come con i vampiri: con i licantropi non si poteva comunicare facilmente, bisognava avere una certa intesa. Presi i suoi vestiti (in caso si fosse ritrasformato!) e lo seguii nel bosco.
    Correva troppo veloce, non riuscivo a stare al suo passo, si fermava spesso per aspettarmi osservandomi con quegli occhi dorati che scintillavano nel buio della foresta.
    Arrivammo al centro del bosco dopo circa dieci minuti di corsa. Quella non era la prima volta che mi ci addentravo,anzi che ci addentravamo. Raggiungemmo uno spiazzo vuoto circondato da alcuni alberi,
 era lì che, presumo, fosse avvenuta la sua trasformazione la notte che scomparve e allarmammo la polizia. Attraverso il fogliame degli alberi e i loro rami, si poteva scorgere la luna piena. Jeremy si mise ad osservarla e ad ululare ed io mi sdraiai sull'erba umida e fredda. Ero stanchissima e dopo quella corsa non mi sentivo più le gambe.
    Si accucciò accanto a me e non sentii più freddo, la sua pelliccia era così morbida e calda come la pietra del ciondolo.
    Continuò ad ululare alla luna fino a che non ci crollammo in un sonno profondo.
    Trascorremmo un'intera notte così, nel bosco, l'uno accanto all'altra.    
    Non credo di essermio mai svegliata all’alba con il canto degli uccellini, nemmeno quando da bambina andavo al campo estivo. 
    Quando aprii gli occhi, ci misi un po’ per mettere a fuoco la situazione e ricordarmi cosa fosse successo. Mi guardai attorno spaesata e ancora assonnata: ero in pigiama nel bel mezzo di un bosco all'alba, mentre di fianco a me Jeremy dormiva ancora rannicchiato nell'erba e completamente nudo. Aveva nuovamente le fattezze di un essere umano.
    «Jeremy, svegliati!
» gli diedi dei piccoli colpi sulla schiena e lui sobbalzò dallo spavento. «Su, vestiti! Per fortuna ho avuto la brillante idea di portarti i vestiti che avevi lasciato in giardino!»
    «Buongiorno Meredith» mi rispose lui con tutta calma mentre gli passavo la sua roba che avevo usato per poggiare la testa sull'erba.
    «Buongiorno?! Io ancora non credo ai miei occhi. Sono stupefatta! Ma come è possibile che tu ti sia trasformato in un...licantropo? Ti era successo già prima di venire qui a Salem?!»
    Jeremy scosse la testa e dopo essersi rivestito ci avviammo verso casa. Erano le cinque e mezza del mattino e presto i nostri genitori si sarebbero svegliati per andare a lavoro. Nel mentre che si faceva la doccia, preparai la colazione. Jeremy rimase in silenzio per un momento facendo roteare la tazza di caffè fra le mani prima di cominciare a raccontarmi come, secondo lui, era avvenuta la sua trasformazione in licantropo.
    «Ricordi circa un mese fa quando, a colazione, avessi chiesto se qualcuno di noi avesse sentito degli ululati?»
    Annuii. Quella notte avevo sognato che Madeline voleva uccidermi nutrendosi del mio sangue ancor prima di conoscere la sua vera natura di vampira. Mi svegliai alle tre del mattino proprio per via degli ululati provenienti dalla foresta.
    «Da quando ci siamo trasferiti qui a Salem, sento sempre i lupi ululare, tutte le notti, non mi fanno dormire. Ululano anche per ore e ore ininterrottamente come se volessero in qualche modo richiamarmi a loro così quella notte scesi in giardino ma non ebbi il coraggio di avvicinarmi al branco. Un'altra notte invece, la volta che tentasti di aggredirmi con un coltello da cucina, ero riuscito a vedere uno dei lupi da vicino ma questo scappò nel bosco. Ed infine, un mese fa esatto, durante la notte di luna piena, mi decisi a seguirli addentrandomi fin dentro la radura della foresta, esattamente qui. Fu il giorno in cui tu e i nostri genitori avvertiste la polizia perché ero scomparso per un'intera nottata.
    
«Ricordo che ci fossero tre lupi ma quella volta non erano lupi veri, erano licantropi. Uno di questi, credo la femmina, mi venne incontro e poi miazzannò il fianco. Subito dopo scapparono fra gli alberi. Involontariamente ho iniziato ad ululare dal dolore camminando a fatica cercando di inseguirli. Sanguinavo ma dopo un po' il dolore si placò e mi trasformai continuando a vagare nella tetra foresta guidato dalla luce lunare. La mattina dopo ero tornato normale e lo squarcio si era magicamente cicatrizzato. Continuai però a sentirmi strano per tutto il giorno e per i giorni a seguire e cominciai a pensare che forse lo avevo solo immaginato anche se ricordavo fin troppo bene quanto male mi avesse fatto quella lupa. Durante quest'ultimo mese ho continuato ad andare nel bosco di notte nella speranza di rivedere quegli altri licantropi ma di loro non vi era neanche l'ombra.»
    «Quindi, come la trasformazione in vampiro, anche la trasformazione in licantropo avviene piuttosto velocemente.»
    Non rispose alla mia affermazione. Solo sentirmi pronunciare la parola vampiro e qualunque altra cosa riguardasse Heric lo infastidivano.
    «Hai dei ricordi di quando sei trasformato?» 
volevo saperne di più, e cambiare discorso soprattutto, stava già cambiando umore.
    «Solo qualche dettaglio. Meredith...non so cosa fare. E se facessi del male a qualcuno? O se mi dovessero catturare?» mi disse disperato.
    Lo abbracciai forte per fargli capire che poteva contare su di me, nonostante fossimo sempre in contrasto e sul punto di bisticciare.
    «Tu non sei pericoloso Jeremy, io lo so, ne sono sicura» gli sorrisi cercando di rassicurarlo.
    «Ma quando mi trasformo non so se riuscirò a controllarmi. Non sono in grado di ragionare. Non so quanto durerà questa cosa e se ogni notte di luna piena dovrò trasformarmi. Perché proprio a me?» era davvero preoccupato, e anche io lo ero per lui.
    «Questo posto è davvero un covo di stranezze.»
    «Se tu discendi da una strega significa che in parte lo sei anche tu, non puoi trovare un modo per farmi ritornare normale? Per non essere ciò che sono diventato?» mi chiese fiducioso.
    «Io non so, posso controllare nel grimorio. Ma ho letto in un altro libro che solo una strega molto potente sia in grado di fare tornare un licantropo alla propria condizione umana. Ma ci sono delle controindicazioni pericolose che non vengono neanche esplicitate» gli risposi augurandomi di non aver distrutto le sue speranze.
    Inoltre, il fatto che fossi la discendente di una strega non rendeva le cose più semplici, ero sola ed inesperta, non sapevo da dove cominciare per iniziare a praticare la magia considerato anche il mio tentativo fallimentare di far bere proprio a Jeremy la mia prima pozione e poi comunque rimanevo umana e debole. In quel momento avrei tanto voluto che la nonna fosse stata qui. Lei avrebbe senz'altro saputo cosa fare.
    «Hai detto che nel bosco c'erano sia dei lupi sia altri licantropi. Che poi non hai mai visto un licantropo vero magari non li hai saputi riconoscere, magari erano solo dei lupi. Però non avrebbe comunque senso la tua trasformazione ad opera di semplici lupi.»
    «No, Meredith. Quelli erano veri licantropi.»
    «Dunque, mi stai dicendo che un essere sovrannaturale ti ha trasformato in una bestia a quattro zampe mordendoti in una notte di luna piena?» insistevo.
    «Ah, sarei una bestia?»
    «Volevo dire lupo mannaro. Scusami. Quindi secondo te un comunissimo licantropo ti ha trasformato in un lupo mannaro?»
    «Sì. Esattamente.
» 
    «Sarebbe come dire che se un gatto dovesse graffiarti ti trasformeresti in cat woman! Oh mio Dio! È tutto vero. È fantastico, assolutamente fantastico! Devi andare a cercare quei lupi anzi licantropi, magari quando sono normali e umani, loro sapranno senz'altro come aiutarti o almeno a vivere più serenamente questa tua nuova condizione. Io vedrò se riesco a trovare un antidoto almeno per placare in qualche modo la tua trasformazione. Proprio ieri notte ho letto qualcosa a riguardo: bisogna distinguere tra licantropi (coloro che hanno ereditato il gene e dunque nascono così) e lupi mannari (coloro che vengono morsi o subiscono un incantesimo). Riesci a trasformati anche senza luna piena?»
    
«Perché mai dovrei o vorrei trasformarmi in un lupo mannaro anche senza luna piena?» rispose con tono seccato. 
    Feci spallucce. Ero ancora incredula: perché proprio lui era stato trasformato? E chi erano quei licantropi che aveva visto?
    Sicuramente Jeremy aveva più domande di me. Forse avrei potuto chiedere anche a Heric, lui probabilmente si intendeva di queste cose molto più di noi e data la sua atura di vampiro senz'altro sapeva chi fossero questi licantropi. Se solo accendesse quel dannato cellulare!
    Eravamo a Salem da neanche due mesi e ce ne erano successe di cose strane e assurde, ma una positiva c'era: dopo anni io e Jeremy stavano legando, tra litigi e discussioni ovvio, ma lo sentivo comunque più vicino a me come un vero fratello.
    Aveva ragione Heric quando, raccontandomi della propria trasformazione, mi disse che in momenti come questi avere qualcuno che riesca a capirti e con cui condividere questo fardello aiuti ad andare avanti. Io avevo Jeremy, e lui aveva me. 
    C'era inoltre un'altra persona che avrebbe potuto aiutarmi in queste strane faccende e non mi importava dei suoi avvertimenti, anzi delle sue minacce, per tenermi alla larga da queste questioni sovrannaturali: George.





    Facendo finta che non fosse successo nulla e che Jeremy non si fosse trasformato e fosse ancora un normale adolescente, andammo a scuola. Io, per le prime due ore, avevo il corso di spagnolo insieme a George e, tentando un approccio amichevole e naturale mi sedetti accanto a lui che comunque sembrava abbastanza di buon umore.  
    Al termine della lezione, prima di dirigerci insieme verso l'aula di biologia, materia che entrambi seguivamo
 insieme a Jeremy ed Heric, gli bisbiglia di dovergli parlare, nuovamente, di alcune questioni. Avevo il cuore in gola e George aveva chiaramente capito di cosa volessi discutere. Arrivati agli armadietti e assicurati che non ci fosse nessuno nei dintorni, il mio eccentrico e scontroso compagno di scuola mi intimò seccato di vuotare il sacco.
    «Credo di aver visto un lupo nel mio giardino ieri. Ma non era un vero lupo, era...un lupo mannaro. Così, rovistando fra le vecchie cose di mia nonna, ho trovato in un libro qualcosa a riguardo. Tipo come si trasformano e cosa li può uccidere. So che mi hai avvertita di tenermi fuori da queste questioni non convenzionali, ma so per certo che tu sappia molto di più di quel che vuoi rivelarmi ma io ho bisogno di sapere.»
    «La licantropia è una malattia psichiatrica, sai? Ma non ho capito, ora cosa vuoi sapere? Quale sarebbe la tua domanda?»

    
Non sapevo che rispondere. In effetti come potevo spiegargli tutte le stranezze che mi erano successe? Come potevo dirgli che mio fratello era un licantropo, il ragazzo con cui mi vedevo era un vampiro ed io una strega?
    «Voglio sapere se sono l'unica a credere che questa città sia popolata non solo da esseri umani ma anche da altre creature. Voglio sapere come sono morte realmente le nostre nonne, voglio sapere cosa si nasconde dentro la nostra biblioteca e per quale motivo tu non voglia che io lo scopra» sbottai.
    George esitò un attimo come se stesse guadagnando del tempo per formulare una qualche risposta esauriente ma vaga. Notai che il suo sguardo si fece intimorito, come se fosse stato messo spalle al muro.
  «Ti avevo giò risposto settimane fa: ci sono cose a cui credo ed altre a cui non credo. Diciamo che mi affascina il sovrannaturale ma non per questo scambio un coyote nel mio cortile con un licantropo. E se proprio vuoi saperlo, mia nonna è morta d'infarto diversi mesi fa.»
  «Anche mia nonna è morta di infarto, o così ci è stato detto, circa due mesi fa. Non ti sembra strano che sia mia nonna sia tua nonna sia altre donne anziane siano morte per lo stesso medesimo male? Non ti fa pensare il fatto che ci sono state diverse uccisioni di altre donne azzannate da strani animali?»
    Non rispose. Sbuffò e andammo in classe. Quando varcai la porta dell'aula gli occhi mi si riempirono di gioia: Heric era tornato a scuola finalmente. Gli andai incontro sorridendo per sedermi accanto a lui poi però mi ricordai che per tre giorni non si era fatto vivo ma non riuscivo comunque a tenergli il broncio. Lui mi diede il buongiorno e disse solo che più tardi avremo parlato. Poco dopo il suono della campana entrò in classe anche Jeremy e si sedette accanto a me: aveva l'aria stanca e preoccupata.

    P
rima della pausa pranzo, riferii innanzitutto a Jeremy la conversazione che avevo avuto con George.  
    «Dice di non sapere nulla e di non crederci neanche a certe cose. A parer mio, sa più di quel che racconta. Secondo me dovremo chiedere a Heric per averne conferma. Ricordi che ti avevo parlato di quel capitolo sui vampiri e sui lupi mannari? Quello in cui è scritto che, secondo la leggenda, dove ci sono i vampiri ci sono senz’altro anche i licantropi?- Jeremy annuì concentrato -Ecco. Forse, visto che queste creature sono antagoniste e considerato che ti aveva subito riconosciuto, magari Heric saprà indicarci chi siano quegli altri licantropi e loro potranno aiutarti perché come ti ho detto ci vuole una strega molto potente per annullare la maledizione. Ed io non lo sono. L'unica cosa che potrei fare è cercare una sorta di palliativo.»
    Fece un'espressione cupa. Questa per lui era come una sentenza di morte: significava che avrebbe vissuto così, nella condizione di lupo mannaro sino alla fine dei suoi giorni. 
    In quel momento ci raggiunse Heric interrompendo i nostri discorsi: Jeremy si allontanò subito andando incontro ad Alexis baciandola in corridoio senza pudore come se fossero due animali dagli istinti incontrollabili. Quando si staccarono lei mi guardò con aria un po' imbarazzata e subito girò la faccia dalla vergogna. 
    
«Mer? Mer? Mererith! Non hai fame oggi?» mi chiese Heric poggiandomi la mano sulla spalla come a voler richiamare ulteriormente la mi attenzione.
    Pranzammo insieme io e Heric, senza dire una parola. Io ero arrabbiata e in attesa di una spiegazione ed in più avevo la testa da tutt'altra parte. Ero ancora incredula che mio fratello fosse un lupo mannaro. La mia attenzione e il mio sguardo volgevano spesso al tavolto dove sedevano Alexis e Jeremy, sebbene non fosse per niente cortese nei confronti di Heric che finalmente, dopo un lungo silenzio imbarazzante si decise almeno a spiccicare parola.  

    «So che sei arrabbiata. Ma nelle notti di luna piena non è sicuro per me e Maddie rimanere nei dintorni considerato che Salem ospita diversi licantropi che diventano aggressivi e possono essere per noi mortali già dalle notti che precedono il plenilunio.»
    «Quindi tu...tu lo sapevi?»
    Silenzio. Heric non rispose continuando a fissarmi con aria colpevole.
    «Rispondimi Heric. Devo sapere chi sono gli altri licantropi che probabilmente hanno trasformato mio fratello.»
    «Meredith- sospirò abbassando lo sguardo -sebbene vampiri e licantropi siano nemici per natura, esiste fra noi un patto. Non possiamo rivelare la loro identità e loro non possono rivelare la nostra. È lo stesso patto che sancisce che noi vampiri non siamo ammessi nella riserva e loro non sono ammessi nella nostra zona in periferia. Ciò serve a garantire, soprattutto a vampiri come, Madeline, Arya ed altri, una coesistenza pacifica e normale nella nostra città. Perché Salem è anche la mia città dove voglio poter tornare ogni qualvolta ne senta la mancanza. Lo capisci questo?»
    «Sì, lo capisco ma non lo condivido. Ammiro la tua lealtà ma qui stanno succedendo tutta una serie di disgrazie e non voglio che Jeremy ne sia coinvolto.»        
    A quel punto mi alzai di scatto, pronta ad andarmene ma Heric mi trattenne afferrandomi il braccio. Dall'altro lato vidi che Jeremy era in procinto di alzarsi per venirmi incontro ma Alexis lo trattenne, lo fissò per un nanosecondo facendogli cenno di non raggiungermi. Lui le obbedì come un cagnolino fedele.
    «Io tengo molto a te. Prova del fatto che sebbene sia pericolo per noi stare insieme, a me non importa» sentenziò Heric e in quel momento non potei far altro che abbracciarlo forte e comprendere le sue ragioni, e perdonarlo.
    
«Domani si celebra la Notte di Valpurga ed è stata organizzata una festa a Willows Park*. Magari potremo andarci insieme.»    
    «Va bene- risposi stringendolo più forte -Sappi però che sono ancora arrabbiata per il fatto che sei sparito per giorni!»       
    Heric rise e mi diede un bacio sulla fronte spiegandomi che aveva approfittato della luna piena per andare in campeggio, ossia a procacciare, insieme a Madeline al parco vicino a Ipswich River*, non molto distante da Salem.
    Ormai era inutile, non potevo resistergli o tenergli il muso. Ero cotta. Ma dovevo concentrarmi e aiutare Jeremy: la mia priorità era 
trovare un antidoto alla licantropia così, non appena arrivammo a casa, iniziammo a setacciare il libro degli incantesimi su in soffitta.
    «Forse questo può aiutarti- indicai a Jeremy una formula scritta nel grimorio della nonna -è una pozione che annulla le fatture
» aggiunsi.
    «Tentare non nuoce ma so che le fatture sono tipo degli incantesimi innocui» disse scettico.
    «E tu che ne sai di cosa sia una fattura

   «Beh, da ragazzino avevo una cotta per Phoebe Halliwell di Streghe, sai?» rise. Ero felice nel sentirlo così sereno finalmente.
    «Genziana, eucalipto e, oddio, sangue di...vampiro? Questa deve essere senz'altro una pozione potente.»
    «Ne conosci ben due fortunatamente di vampiri. Ma io non voglio il loro aiuto. Poi scusa, essendo per principio nemici, il sangue di vampiro non dovrebbe essermi letale?»
    «Hai ragione, chissà se poi i vampiri hanno sangue che gli circola nelle vene? Anzi, hanno vene? Un apparato circolatorio?» mi domandai ad alta voce meravigliata.
    «Non ne ho idea so solo che non voglio il loro aiuto.»
    «Beh hai appena detto che fortunatamente io conosco ben due vampiri. Heric però mi ha detto chiaramente che, in base a uno strano patto fra le due specie, non può rivelarmi chi siano gli altri licantropi che si aggirano qui a Salem.»
    
«Non mi importa. E poi quella pozione non funzionerebbe, ne sono certo.»
    Probabilmente Jeremy aveva ragione, quella pozione era fin troppo semplice ed inoltre avevo letto che l'incantesimo per annullare la licantropia (o il vampirismo) doveva esser compiuto da una strega molto potente e non osavo immaginare quale sarebbe stato il prezzo da pagare.
    Di una cosa ero però certa: avrei fatto qualsiasi cosa per aiutarlo.




Angolo autrice.
*Willows Park e Ipswich River sono due luoghi realmente esistenti.
Ho deciso dunque di allegare qui sotto una mappa di Salem in modo che vi siano un po' più chiari i luoghi citati nella storia. Alcuni sono reali, altri sono puramente inventati e altri ancora pur esistendo sono stati geograficamente spostati con il fine di rispettare la topografia descritta nella storia. My Maps di Google Maps non permette di avere mappe che siano pulite senza nomi di vie, luoghi d'interesse ecc e così ho cercato di ometterli in maniera mooolto rudimentale.

    - Villa dei Morgan: è la casa in cui tornano a vivere Meredith e la sua famiglia dopo la scomparsa della nonna, Elizabeth Morgan. La villa è "una grande casa grigia con le finestre dagli infissi scuri al numero 13 di Gemstone Avenue [...] un po’ tetra nelle vicinanze di un piccolo bosco" (cap. 2) appartenuta alla famiglia Morgan da generazioni.
    - Cimitero: è il cimitero comunale della città di Salem dove è sepolta la nonna di Meredith.
    - Scuola: ossia la Salem High School. Questa scuola con questo stesso nome esiste realmente a Salem ma ho deciso di spostarla dove è invece situata l'Università di Salem (Salem State University) poiché è situata vicino ad un parco (quello che nella storia è identificato come il Cimitero Monumentale di Salem (vedi sotto). "La struttura era piuttosto grande e di color rosso mattone, con un piccolo prato verde che spartiva il corpo principale dal parcheggio. Il tutto era delimitato da delle mura abbastanza alte che terminavano con un enorme cancello in ferro che dava accesso anche alle auto. [...] C'era inoltre un altro giardino interno dove si poteva mangiare all'aperto nei giorni di sole ed infine i campi sportivi nel retro. [...] Il giardino dietro l’edificio era diviso in due e delimitato da una rete: lì si trovavano il campo di basket e di football con delle piccole tribune per gli spettatori. [...] Il giardino interno dove ci trovavamo poco prima a mangiare era, invece, adibito a zona ricreativa: c'erano delle panchine e dei tavoli al coperto dove mangiare ed infatti vi si accedeva attraverso la mensa. Dai campi sportivi, rientrammo nuovamente nell'edificio accanto agli spogliatoi e ai bagni con le docce. Salimmo ai piani superiori dove stavano le varie aule e i laboratori e poi di nuovo al piano terra in cui stavano la segreteria, gli uffici dei professori, la sede della redazione del giornalino della scuola e la biblioteca. Quella sì che era grande e maestosa, e profumava di antico." (cap. 3). Prima l'edificio era utilizzato come manicomio e venne chiuso circa 150 anni fa per poi essere adibito a scuola pubblica.
    - Peabody Essex Museum: è un museo realmente esistente in cui lavora la madre di Meredith, Anna Morgan Spencer Stanley.
    - Cimitero Monumentale: "«Il cimitero si trova dall'altra parte della città. Mentre oltre queste mura si trova quello vecchio, il cimitero monumentale di Salem dove sono sepolte alcune delle grandi personalità del passato della città e non solo [...] ma lo hanno chiuso circa centocinquant'anni fa, quando, al posto del manicomio, hanno costruito la scuola. C'era un passaggio che li univa attraverso il quale portavano i pazzi direttamente al cimitero nella fossa comune dedicata ai malati mentali. Adesso è diventato un cimitero monumentale, ma alcune antiche o potenti famiglie della città si fanno ancora seppellire lì. [...] L’ingresso era proprio qui, dietro queste piante- asserì spostando un ciuffo d'edera -lo puoi vedere chiaramente perché i mattoni sono di colore diverso. Se scavalcassi il muro, ci arriveresti in circa mezzora a piedi ma troveresti solo il recintato. Altrimenti puoi arrivarci dalla strada principale passando dal centro città.»" (Heric, cap. 7). In questo cimitero monumentale è eretta una cripta di marmo che apparve a Meredith in uno dei suoi sogni premonitori. Nel suo sogno, vi era riportata l'incisione: "Dal 1578 al 1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Cavendish" (cap 5), nella realtà invece: "Dal 1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Thompson, cacciatori, guerrieri, difensori della patria e della pace»." (cap. 7).
    - Luna Park: dove è ambientato il capitolo in cui Meredith nota che Heric porta al collo il suo stesso ciondolo. Lì era stata organizzata una festa per celebrare la vittoria della squadra di basket della scuola (cap. 10).
    - Villa dei Browning-Francis: è la villa in cui vivolo Heric e Madeline, appertenuta alla famiglia di quest'ultima da secoli. La villa, situata nei pressi di un bosco al 17 di Laswell Street, "[...] era gigantesca e imponente: una villa enorme e bianca, con un portone in stile gotico ed ampie e numerose finestre. Era piuttosto antica ma ancora in perfette condizioni e ben nascosta dalla penombra della foresta. Si trovava al di là di una schiera di alberi che circondava una piccola radura la quale separava la strada alberata dalla villa, come se quella fitta boscaglia avesse il compito di nasconderla da occhi indiscreti e...dalla luce del sole. Nelle vicinanze non c’erano altre abitazioni. Solo alberi di una grande foresta rabbuiata." (cap. 11) e "All’interno la casa era ancora più bella: sembrava un palazzo reale, un po' insolito considerando che l'esterno fosse più sobrio. Forse era una sorta di copertura per dimostrare, anzi camuffare, che la villa non era poi così recente. Varcato l’ingresso mi ritrovai in un gigantesco atrio con al centro un’enorme rampa di scale che si faceva strada verso sinistra, con i gradini molto larghi e la ringhiera in ferro battuto. Lo spazio che mi circondava era immenso, quasi quanto una sala da ballo. Probabilmente secoli fa ci organizzavano feste e ricevimenti. I muri, così come le scale in granito, erano bianchi e tutti decorati e rifiniti. C'erano delle enormi finestre che rendevano quella stanza luminosissima (insolito per essere la casa di alcuni vampiri!), nelle pareti libere erano invece appesi diversi quadri e ritratti di dame e cavalieri e sul soffitto era ancorato un enorme lampadario di cristalli. Sembrava una reggia. Ai lati dell'atrio c’erano diverse porte in legno di mogano altrettanto sfarzose. Heric discendeva senz’altro da una nobile famiglia aristocratica e piuttosto rispettata in passato. Aprì una di quelle porte nell'atrio e mi invitò ad accomodarmi in un piccolo salotto." (cap. 12).
    - Bosco: è un piccolo bosco dietro la Villa dei Morgan da cui può accedere direttamente dal giardino dalla villa stessa. La sua particolarità è la radura situata nel mezzo e circondata da alberi dove avvenne la trasformazione di Jeremy in licantropo. Questo bosco è attaccato alla Riserva dei Lupi Mannari (vedi sotto).
    - Riserva dei Lupi Mannari: è appunto, una riserva di licantropi dove i vampiri non sono ammessi. Il suo nome è in realtà Forest River Conservation Area.
    - Shenyang Shop: è la drogheria gestita dalla Signora cinese Mei-Lin Xiang cui Meredith fece visita per sapere dove abitasse la prozia Sarah e dove acquistò gli ingredienti per la sua pozione. La bottega della Signora Xiang, con "due lanterne rosse con degli ideogrammi posti al lato dell'ingresso (cap. 2) [...] era situata in fondo ad un vicolo cieco, nascosta da occhi indiscreti e isolata dalle varie catene di negozi del circondario cui nome, Shenyang Shop, risaltava in contrasto ai vari H&M, Forever21 ed altri della zona. Varcai l'ingresso e una sensazione di pace e tranquillità mi pervase: musica zen e incenso rendevano l'atmosfera di quel negozio di magia una vera magia." (cap. 14).
    - Shadow Creek: è l'area periferica di Salem frequentata da diversi vampiri del paese in cui i licantropi non sono ammessi. Non ho ancora menzionato il nome all'interno della storia.
    - The Shadow's: è il pub gestito dall'anziana vampira Arya dove vi lavora anche Madeline come cameriera. "Non molto distante dal centro e situato in una zona non particolarmente raccomandabile della periferia [...] Sebbene dall'esterno, per via della zona appartata in periferia in cui era ubicato, sembrasse un luogo sconsigliabile e di dubbia fama frequentato da loschi individui, all'interno in realtà si nascondeva una vera perla arredata con gusto e, nonostante fosse venerdì sera e fuori in centro quasi regnasse il caos del fine settimana, l'atmosfera lì era piuttosto tranquilla e rilassata, con musica da lounge bar non troppo alta e luci soffuse." (cap. 15).
    - Willow Park: parco realmente esistente dove sarà ambientato il prossimo capitolo sulla celebrazione della Notte di Valpurga.
    - Fort Pickering: mi piaceva il nome di questo posto. Ancora non ho pensato a una vicenda da ambientarci.

A questi luoghi vanno aggiunti inoltre, poiché omessi o non inclusi nell'area di Salem:

    - La casa di Sarah Morgan: non essendo questo luogo particolarmente importante ai fini della trama, non l'ho segnata nella mappa qui sotto. Si trova al numero 38 di Port Drive Avenue "[...] quasi dalla parte opposta della città rispetto alla villa dove abitava la nonna" (cap. 2).
    - North Shore Hospital: è l'ospedale in cui lavora come cardiologo Joseph Stanley, padre di Jeremy e Ashley e patrigno di Meredith. Non ho mai menzionato il nome all'interno della storia, ma è un ospedale realmente non molto lontano da Salem.
    - Ipswich River: è un fiume realmente esistente che attraversa diversi parchi piuttosto lontani da Salem e in cui vi si è recato Heric per procacciare durante la luna piena.


Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** La Notte di Valpurga. ***


17) La Notte di Valpurga.


    La Notte di Valpurga, o Walpurgisnacht dal nome originale in tedesco legato al luogo natio di questa festa, è, insieme al Samhain, ossia Halloween, una delle celebrazioni più importanti nella vita di una strega. Un evento a cui non si poteva assolutamente non prendere parte, dove lo spirito vivente della natura si mescola con le credenze magiche per celebrare l'arrivo dell'estate e propiziare il raccolto. Questo almeno era ciò che mi aveva raccontato in maniera particolarmente entusiasta Heric per convincermi ad andarci insieme. In una città come Salem, profondamente legata alla magia e ai miti sulle streghe, la Notte di Valpurga era fortemente sentita da tutti gli abitanti, sia per coloro che erano scettici sia per i pochi che vi credevano o avevano la certezza che quelle in realtà non fossero solo semplici leggende o racconti che si perdevano nella notte dei tempi.
    Io stessa a dire il vero ero abbastanza emozionata all'idea di andarci, non solo perché io e Heric saremo usciti di nuovo insieme per andare ad un evento proprio come una vera coppia ma soprattutto perché stavo iniziando ad accettare il mio destino.
    Ero in estasi e passai le ore di lezione fantasticando su come sarebbe stata questa festa, immaginando ogni possibile scenario stucchevole fra me ed Heric, con fuochi d'artificio alti nel cielo e passeggiate romantiche al parco. Ero così
assorta nei miei pensieri che non seguì una sola parola di nessuno dei corsi quella mattina e nemmeno mi accorsi che la lezione fosse terminata e che in aula ero rimasta solo io con la testa fra le nuvole.
    «Mer alzati! Meredith? È suonata la campana!» mi avvisò qualcuno. Sollevai la testa per vedere chi mi avesse risvegliata dai miei pensieri: era George. Mi seguì fino al mio armadietto e con aria titubante e indecisa disse di volermi parlare dandomi appuntamento in biblioteca al termine della quarta ora in modo che potessimo discutere in tutta tranquillità prima di tornare a casa.
    Era davvero insolito che volesse parlarmi e per giunta in biblioteca, luogo dalla quale più volte mi aveva bandita. Un po' scettica, prima di raggiungere Jeremy al parcheggio per tornare a casa, mi diressi alla biblioteca. George era già appostato lì, con le braccia incrociate e l'aria corrucciata.
    «Di cosa dovevi parlarmi, George?»
    «Temo i demoni e le sventure che portano, non è così eh?»
    «Cosa?»
    «Ti dice nulla il suo significato?»
    «Cosa stai farneticando?»
    «Non fare la finta tonta, Meredith. So benissimo il tuo segreto»
mi aveva messa spalle al muro, ero incastrata fra gli scaffali della libreria alle mie spalle e lui di fronte a me. Nella mia testa pensavo a quale dei tanti segreti si potesse riferire: al fatto che fossi una strega in erba? O che il mio fratellastro fosse stato magicamente trasformato in un licantropo? O che frequentassi un vampiro?
    «All'inizio non capivo la tua fissazione per la biblioteca o per le streghe, pensavo fosse solo curiosità da parte della tipica ragazza proveniente da una grande città verso leggende di quartiere. Ma poi hai iniziato a diventare ossessiva, a parlarmi di strani sogni, di frasi in latino, di antiche famiglie, di licantropi e allora lì ho capito.»
    Fissandomi dritto negli occhi, mi sfilò di soppiatto la collana con il ciondolo della nonna da sotto la giacca. Per un attimo ebbi paura che volesse strangolarmi o farmi del male ma l'esser stata scoperta forse fu addirittura peggiore.
   «Sei una strega. Ma non è di certo questo il problema. La cosa più disturbante e raccapricciante è che te la fai con quei mostri sapendo che sono un abominio della natura e la rovina della nostra stirpe!»
    Spalancai gli occhi senza riuscire a spiccicare una parola.
    «Senti, non so cosa tu ti sia fumato ma non capisco per quale motivo tu mi stia dicendo tutte queste assurdità!»
    «Dovresti dar retta alla frase che hai sognato e aver paura dei demoni e delle res adversae* che portano!»   
    «Quindi ora mi credi! Anzi no, tu hai sempre saputo tutta la verità, non è così?»       
    «Arriverà presto il giorno della battaglia finale, ormai siamo vicini. Dunque o sei con noi o contro di noi» farfugliò qualcosa di incomprensibile e se ne andò, lasciandomi
letteralmente impietrita lì in biblioteca.
    Il panico mi assalì, non riuscivo a realizzare appieno cosa fosse successo e perché George sapesse tutte quelle cose. Aveva parlato di una battaglia finale e della nostra stirpe ed io non avevo la minima idea se con l'appellativo di "mostri" si riferisse ai vampiri o ai lupi mannari o ad entrambi considerando che nella mia vita ero da un po' di tempo circondata da queste creature sovrannaturali le quali ormai facevano parte appunto della mia vita, della mia famiglia, dei miei affetti.
    Mi calmai un attimo e poi corsi verso il parcheggio raggiungendo Jeremy alla sua auto.
    «George sa tutto!» gli sussurrai con voce roca e madida di sudore freddo. 
    «Di cosa parli Mer? George il metallaro sa che cosa?»     
    «Di me, dei vampiri, dei licantropi e di tutto il resto. Ha parlato di una battaglia finale. Ho paura. Mi ha afferrato il ciondolo della nonna che ho appeso al collo. Temevo volesse farmi del male.»
    «Che cosa? Ti ha messo le mani addosso?! Io lo uccido». Jeremy iniziò a ringhiare, le sue iridi verdi cominciarono a schiarirsi sempre di più e le sue pupille divennero sempre più piccole. I suoi occhi era diventate due pietre opache che brillavano dalla rabbia e il suo labbro inferiore cominciò a sanguinare da quanto se lo stava mordendo con i suoi canini diventati ormai aguzzi e affilati come quelli di un vero lupo.
    «Jeremy! Stai calmo, per favore. O mio dio....le tue mani!»
    Le sue mani, che stringeva nervosamente in due pugni chiusi, sanguinavano, incise dai suoi stessi artigli. 

   «Credo tu ti stia trasformando. Oh merda, sali in macchina, andiamo su dammi le chiavi!»   
    Jeremy in tutta risposta mi ringhiò contro.   
    «Ho detto ANDIAMO.»
 
    Gli presi le chiavi dalle tasche e guidai come una pazza la sua auto sghangerata fino a casa con il terrore che potesse perdere ulteriormente il controllo, trasformarsi in quel cubicolo a quattro ruote, azzannarmi e uccidermi. Neanche quando arrivammo a casa e scendemmo dall'auto Jeremy smise di ansimare e ringhiare come una bestia. Lo intimai di seguirmi nel bosco per darsi una calmata e prendere una boccata d'aria fresca ma non ne voleva sapere e tentai invano di trascinarlo con la forza ma era più forte di me e mi scrollò di dosso con una gomitata. Fu a quel punto che, resosi conto del suo gesto, rinsavì e ritrasse artigli e zanne. I suoi occhi tornarono verdi e umani ma respirava a fatica e, tentennando, cominciò a chiedermi di perdonarlo perché non era in lui, perché la bestia, il lupo, che viveva dentro di lui aveva preso il sopravvento. Rimasi a terra inginocchiata sul prato del nostro giardino ancora sconvolta. Jeremy, o meglio il suo essere per metà un lupo, andava addomesticato.
   
«Devo chiamare Alexis. Devo vederla» disse nel mentre che mi veniva vicino porgendomi la mano insanguinata per aiutarmi ad alzarmi che prontamente scansai.
    «Alexis, eh? Ma vai al diavolo.»
    Ma non trascorsero nemmeno dieci minuti che qualcuno suonò il campanello di casa. Era lei, ne avvertivo quasi la presenza, la sua aura.
    Jeremy era sotto la doccia e aprii io la porta trovandomi finalmente da sola faccia a faccia con lei, che sebbene non mi avesse fatto nulla di male, avevo iniziato ad odiare. Ma non era un odio immotivato o dettato solo dalla semplice gelosia, avevo il sentore che lei fosse malvagia e che dietro il suo viso d'angelo da ragazzina innocente si nascondesse un essere immondo e crudele. Restò spiazzata nel constatare che non fosse stato Jeremy ad aprirle la porta.
   
«Meredith, ciao. Jer è in casa? Mi ha telefonata poco fa che voleva vedermi. Dalla voce ho intuito sia successo qualcsao di spiacevole.»
    «Jeremy è in bagno. Accomodati» la invitai ad entrare con tono non particolarmente ospitale e ci sedemmo nel divano in soggiorno. La tensione e l'imbarazzo erano palpabili.
   
«Perché ce l'hai con me?- si decise a chiedermi finalmente -Pensavo fossi d'accordo che io e lui stessimo insieme dal momento che, quando siete arrivati qui, hai cercato anche di aiutarmi diciamo...»
   
«Non ce l'ho con te» mentii spudoratamente. «Jeremy è un po' diverso da quando state insieme tutto qui. È cambiato.»
   
«So che siete molto protettivi l'uno con l'altra ed io non voglio affatto interferire nel vostro rapporto. Ho un fratello anche io, e guai a chi me lo tocca.»
    Il suo discorso pseudo maturo e comprensivo non mi convinceva, ma volevo darle fiducia. Approfittò di quel momento anche per scusarsi della scena imbarazzante della scorsa settimana, quando la beccai a letto mezza nudda con Jeremy, sebbene in fondo fosse in realtà colpa mia perché non avevo bussato prima di entrare. Loro avevano tutto il diritto di stare in intimità senza essere disturbati.  

    «Mi piacerebbe poter essere tua amica e far tornare le cose, anzi parte delle cose, a come quando sei arrivata qui» aggiunse al suo discorso di scuse per poi abbracciarmi come se mi stesse chiedendo davvero una seconda possibilità. Provai una strana sensazione in quel momento. Non era una sensazione di pericolo ma neanche rassicurante, come se le sue intenzioni sebbene non fossero particolarmente buone erano per lo meno innocue. Lei si accorse che rimasi rigida al suo abbraccio ma non lo feci per male: io non ero  una persona particolarmente espansiva e socievole come lo era lei.
   
«Hey, sei qui» disse Jeremy entrando in salotto in tutta tranquillità come se niente fosse successo. Gli si illuminarono gli occhi nel vederla.
    Mentre salivano le scale per andare in camera sua lo avvertii che presto sarebbe arrivato Heric. Jeremy annuì con aria disinteressata. In fondo, se lui poteva portare la sua ragazza a casa, io potevo portare il mio.
    Heric arrivò verso le sei del pomeriggio presentandosi a mia madre che nel frattempo era tornata dal lavoro e ad Ashley che invece era di ritorno dagli allenamenti con le cheerleader e con la sua divisa succinta non faceva altro che ammiccare e osservarlo con insistenza. Fu molto imbarazzante ma Heric non le diede attenzione conversando del più e del meno con mia madre. In quel momento scesero in soggiorno anche Jeremy e Alexis e l'attenzioe di mia madre si spostò da Heric ad Alexis.
   
«Beh, io vado a prepararmi. Nick passerà a breve per andare a Willows Park» disse Ashley quasi in imbarazzo per essere l'unica senza il proprio partner in quel momento.
    Tutti dunque saremo andati alla festa al parco per celebrare la Notte di Valpurga. Senz'altro ci sarebbe stato anche George e la cosa non mi faceva stare per niente tranquilla.
    Avevo un terribile presentimento.
   





    «Ti ho preso una cosa- disse Heric una volta entrati in macchina -Guarda nei sedili anteriori.»
    Un regalo, mi aveva fatto un regalo! Oh mio dio! Pensai in estasi.
    Sul sedile di dietro, stava poggiata un enorme busta bianca chiusa. Emozionata la presi poggiandomela sulle gambe e la aprii: al suo interno ci stava un cappello.
    «Seriamente? Mi hai comprato un cappello da strega? Mi prendi in giro!»
    Heric rise di gusto giustificandosi che non voleva affatto essere uno scherno ma aveva il solo fine di rendermi più partecipe che mai in questa occasione. Non capivo perché ci tenesse così tanto alla celebrazione della Notte di Valpurga. Probabilmente doveva essere avvenuto qualcosa nel suo lungo passato da vampiro durante questa notte ma non volevo chiederglielo e sembrare troppo impicciona, anche se ormai, dal momento che ci frequentavamo ero curiosa riguardo il suo passato e le sue relazioni soprattutto.
   In meno di venti minuti arrivammo a Willows Park, situato dall'altra parte della città e affacciato sulla costa.
   Il parco era stato decorato in maniera ancora più suggestiva di come lo avevo immaginato per tutto la mattinata. I grandi salici erano adornati con delle piccole lanterne, c'era un enorme falò, varie bancarelle con cibo e bibite, alcune giostre e un gruppo che suonava musica celtica.
    Prima di avviarci dentro, dovevo avvertire Heric di quel che era successo quella stessa mattina con George ma non sapevo da dove iniziare. Non volevo che anche lui andasse in escandescenza trasformandosi in un vampiro dai denti aguzzi e assetato di sangue. Così tentai di girare un po' intorno alla questione senza essere diretta chiedendogli semplicemente cosa ne pensasse di George. Ma ormai Heric mi conosceva bene e sapeva che dietro quella domanda io nascondessi altre intenzioni.
    «Per caso è successo qualcosa? Ti ha fatto del male?» era già pronto all'attacco infatti. Io negai, ovviamente.
   
«Non mi piace, questo credo sia chiaro. Soprattutto da quando ha fatto esplodere la palla da basket proprio addosso a me senza neanche cercare di nasconderlo.»
    «Ok. Ora però voglio che tu sia ancora più sincero con me. Per quanto io rispetti le tue convinzioni e ammiri la tua immensa lealtà di vampiro centenario, devi rispondere sì o no alla mia domanda. E come premessa ti dirò che George sa benissimo chi siate tu e Jeremy e che non si è fatto alcuno scrupolo a descrivervi come mostri. George sa molte cose di cui io sono all'oscuro: ha parlato di una battaglia finale immininente e di una "nostra stirpe".»
    «Mmh, interessante che abbia definito mostri i licantropi. Sei sicura di aver sentito bene? Comunque, quale sarebbe la tua domanda?» 
   «Non voglio sapere a quale strana razza sovrannaturale o a quale sottospecie magica appartenga, perché tanto prima o poi lo scoprirò. Quel che voglio sapere è soltanto questo: George è umano al 100% oppure..?» 
    «No, non lo è. Ora andiamo dai» disse raddrizzandomi il cappello che mi aveva regalato sulla testa e prendendomi per mano per avviarci al cuore della festa.
    George non era umano. Avevo sentito proprio bene: rimasi perplessa facendomi trascinare da Heric dentro al parco e poi decisi di lasciar perdere questi pensieri e di godermi la serata insieme a lui.
     Trascorremmo una serata fantastica mangiando hot dog e zucchero filato, giocando nelle giostre, guardando il falò abbracciati o i fuochi d'artificio presi per mano. Forse quella era la volta buona: gli strinsi più forte la mano e mi voltai verso di lui portandogli poi le braccia al collo ma ad un tratto Heric si irrigidì, guardandosi attorno con aria tesa e irrequieta. Le sue iridi illuminate dalle fiamme del falò divennero più scure.
    «Sangue. Sento odore di sangue» sussurrò con tono agitato. Mi prese di nuovo per mano e cominciò a correre trascinandomi con sé ma io difficilmente riuscivo a tenere il suo passo. Arrivammo al centro del parco vicino ad una delle bancarelle che vendeva pop corn dove una decina di persone era riunita in cerchio e un ragazzo, che conoscevo di vista, continuava a gridare il nome Brianna. «Brianna! Brianna! Salvate mia sorella Brianna!» urlava disperato mentre la teneva fra le braccia a terra.
    Mi feci spazio fra la folla insieme a Heric che mi intimò di distrarre le persone e farle allontare. Conoscevo sia quella ragazza, Brianna, sia il ragazzo, Nigel. Erano i fratelli Nkhangweleni e frequentavano la Salem High School. Avevamo addirittura diversi corsi in comune, ma soprattutto, loro due e la loro numerosa famiglia erano presenti al funerale della mia nonna. E ricordo che un'anziana donna che era con loro, presumo la loro nonna, piangesse a dirotto.
    Heric aiutò Nigel a far distendere Brianna completamente a terra. La ragazza era riversa nel suo stesso sangue, sangue presente a grandi chiazze anche sulla maglia del fratello. Brianna si tratteneva il collo con le mani: era stata morsa o azzannata proprio dove pulsa la carotide. Non poteva essere Heric perché per tutto il tempo era stato in mia compagnia, e in quel momento pensai che potesse esser stato Jeremy a ferirla.
    «
Meredith, fa allontanare tutti!» mi intimò Heric, la sua brama di sangue gli aveva scurito gli occhi completamente in un nero corvino ma il suo autocontrollo era sorprendente. Obbedii e urlai alle persone di allontanarsi per far respirare la ragazza, inventandomi nel tentativo di convincere tutti che avesse avuto un semplice mancamanento e che quel sangue fosse solo un trucco per celebrare la festa di Valpurga.
    Heric si inchinò su di lei, guardo il fratello dritto negli occhi e gli disse qualcosa che non riuscii a comprendere. Il ragazzo annuì tenendo ferma la testa della sorella. Heric si morse il palmo della mano facendo fuoriuscire del sangue e appoggiandola sulla bocca di Brianna che stava soffocando e poi gliela adagiò sul suo collo, proprio dove era stata inferta la ferita.
 
    «Brianna, Brianna concentrati. Tra poco starai bene, hai avuto un mancamento. Hai avuto un mancamento e sei svenuta ma ora ti portiamo da bere e starai meglio» Heric continuava a rassicurarla, ogni tanto guardava il fratello come se volesse ipnotizzarlo e comandarlo con lo sguardo.
    «Nigel, Nigel ascoltami. Vai a prendere una bibita ora. Tua sorella è salva
. Vai ora» gli ordinò. Il ragazzo si alzò di scattò, qualcuno aveva già proveduto a comprare un succo di frutta alla ragazza svenuta e a chiamare l'ambulanza. Brianna rinsavì, bevvette un sorso prima di essere trasportata sulla barella. Non aveva un solo graffio, ma le tracce di sangue sul suo collo, sul prato, sui suoi vestiti e sulla maglia di Nigel, quelli c'erano ancora. Heric l'aveva guarita dal morso mortale. Accompagnammo i due fratelli all'ambulanza per assicurarci che non fossero troppo scombussolati da quel che era appena successo.
   
«Ti ringrazio infinitamente per quello che hai fatto. Ma non puoi soggiogarci» disse Nigel prima che i volontari chiusero le portiere dell'ambulanza.
    «Heric, cosa voleva dire?» domandai al mio eroe vampiro nel mentre che con le sirene accese e rimbomdanti l'ambulanza si allontanava.
   «Non hai notato che portava al collo un ciondolo come il nostro?» rispose.
   
«Cioè? Dici che Brianna è una strega? O mio Dio, ecco perché lei e la sua famiglia erano al funerale della mia nonna. La loro è una famiglia di streghe e stregoni!» dissi entusiasta. Finalemente, qualcuno come me.
   
«Andiamo via. È pericoloso stare qui.»
    Heric aveva l'aria particolarmente stanca ed esausta. Probabilmente curare Brianna e lo sforzo fatto per resistere al richiamo del sangue erano stati per lui un enorme dispendio di energia che a mala pena riusciva a camminare.
    «Meredith! Stai bene?
Cosa è successo, perché c'era un'ambulanza?» mi urlò Jeremy venendomi incontro insieme ad Alexis.
    Gli risposi che noi stavamo bene e che una ragazza aveva avuto un mancamento, ma sia lui sia Alexis si lanciarono una strana occhiata complice come se non mi avessero creduta. Poi Jeremy mi fece cenno con la testa indicandomi che Heric avesse del sangue addosso. Notando la reazione del mio fratellastro, Heric si scusò dicendo di non sentirsi molto bene e che era il caso che tornasse a casa.
    Ed anche stavolta il mio appuntamento non era terminato come sperassi ed inoltre, anche stavolta, avevo guastato l'appuntamento di Jeremy e Alexis dovendo lui riaccompagnarmi a casa per evitare che facessi il terzo incomodo.
    Dopo aver accompagnato Alexis a casa, raccontai a Jeremy quel che fosse successo, ovvero che durante la festa c'era stato un attacco e probabilmente si trattava della stessa creatura che da mesi stava uccidendo diverse donne e ragazze e che Brianna, da quel che mi aveva detto Heric, portava al collo un ciondolo come il mio e che quindi la vittima era una strega. 
    «E tu sei sicura che non sia stato il tuo vampiro?» mi domandò con tono accusatorio.
   «Sicurissima. Anzi, Heric l'ha salvata, l'ha curata. È stato straordinatio! Quello di cui invece non sono sicura è che non sia stato tu dal momento che questo pomeriggio hai avuto una reazione violenta e non sei stato capace di controllarti.»
    «Meredith, come puoi pensare una cosa del genere? Io ero tutto il tempo con Alexis, e poi che motivo avrei per voler uccidere una strega?»
    Feci spallucce.
    Ero convinta che ormai eravamo vicini a quella che George aveva definito "battaglia finale" ed ero sicura anche che presto sarei stata io la prossima vittima.
   
   


Angolo autrice.
*Res adversae: ripreso da Timeo deamones et res adversae ferentes, la frase in latino sognata da Meredith. Trovate la spiegazione nelle note del capitolo 6.

Come avevo preannunciato, ho cominciato a scrivere nelle note una sorta di guida per rendere più chiari alcuni elementi. Nel capitolo precedente infatti ho trattato i luoghi di Salem citati nella storia e a breve farò un riassunto sui personaggi dal momento che in questo ne vengono, finalmente, introdotti due nuovi che avevo già citato nel capitolo 2, ossia i fratelli Brianna e Nigel.
Ciao, e alla prossima :)

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Memorie. ***


18) Memorie.


      Salem, 30 aprile 1892.
    Erano ormai passati esattamente due secoli dall'ultima esecuzione di una strega. Le leggende riguardanti queste malvagie donne che praticavano magie e incantesimi erano ormai soltanto un lontano ricordo relegato a pura e semplice leggenda. Alle accuse di stregoneria non si dava più credito, gli attacchi di isteria collettivi non venivano più associati alle possessioni demoniache e gli omicidi erano investigati secondo il metodo scientifico senza più accusare
creature sovrannaturali di essere le uniche responsabili delle morti cruente che caratterizzarono quei secoli bui.
    Provenienti dal Vecchio Mondo, continuavano ad attraccare al porto di Boston navi cariche di persone piene di speranza che giungevano nelle Americhe per cominciare una nuova vita in una nuova terra. Fra questi vi erano famiglie provenienti dalle più disparate nazioni Europee che portarono con sé la propria cultura, le proprie tradizioni e le proprie festività. Quella notte dell'ultimo di aprile del 1892 infatti fu la prima in cui venne celebrata a Salem la Notte di Valpurga ed io ero lì, a Willows Park, che partecipavo ai festeggiamenti in onore dell'arrivo dell'estate. Il popolo era in festa e banchettava insieme alle ricche famiglie indossando tuniche e cappucci neri sotto un cielo
limpido illuminato dai fuochi d'artificio.
    Coperti dal frastuono dell'esplosione e dalle voci delle persone che intonavano canti popolari, nessuno si accorse delle urla che provenivano al di là del parco. Cominciai a correre a perdifiato seguendo quelle grida di aiuto e giunsi dinanzi ad un uomo di spalle, vestito anch'egli con una tunica nera e con la testa coperta da un cappuccio. Non potei riconoscerlo perché tutti indossavano abiti simili quella notte. Non potei nemmeno vederlo in faccia.
    «Dove hai preso questo ciondolo?» intimò quell'uomo incappucciato alla ragazza che teneva in ostaggio, bloccata fra sé ed il tronco di un albero.
   
«È mio.»    
   
«Sei solo una sporca schiava nera*. Dove lo hai rubato?» disse afferrandola al collo.
    «È mio. È un regalo della mia padrona» rispose la ragazza inerme e terrorizzata coperta totalmente da quella losca figura.
    L'uomo a quel punto l'azzannò al collo coi suoi canini bianchi e affilati risucchiandole tutto il sangue che aveva in corpo. La povera ragazza, accasciandosi a terra, fece scricchiolare le foglie sul prato col suo peso. L'uomo si inchinò su di lei ormai in fin di vita ed esangue, prese il ciondolo dalla pietra azzurra incastonata appeso al collo della ragazza pronto a strapparglielo mentre la ragazza invano tentava di tamponare la ferita. A quel punto mi feci coraggio e cominciai a gridare andandogli incontro. Preso alla sprovvista si voltò verso di me, il volto sporco di sangue e le iridi completamente nere e languide. Non era un uomo, era un vampiro, dall'aspetto intuii che fosse stato trasformato a poco più di vent'anni. Mi sorrise minacciosamente e scomparve nel buio della notte. Con il cuore in gola corsi verso la ragazza distesa a terra gridando aiuto. La riconobbi, era la mia compagna di scuola Brianna. Continuava a premersi con le mani la ferita alla gola cercando di fermare la fuoriuscita di sangue. Volevo aiutarla, avrei potuto aiutarla se non avessi avuto paura ma ormai era troppo tardi. Le strinsi la mano e lei esalò il suo ultimo respiro.
    «Nooooooooooo!» gridai con tutto il fiato che avevo nei polmoni.
    E poi mi svegliai, disturbata dalle mie stesse urla e coperta di sudore. Erano le tre del mattino. Non ricordavo più l'ultima volta che ebbi un incubo e che mi svegliai alle tre puntuali.
    A differenza dei miei precedenti incubi, quello non era affatto un sogno premonitore, era come un ritorno al passato, era tutto così reale come se io fossi realmente lì, nella Salem del 1892. E quel vampiro, non so perché, aveva un'aria tremendamente familiare ma non riuscivo proprio a ricordarmi dove avessi visto il suo viso umanizzato senza le fattezze di vampiro assetato di sangue. Non sapevo neache dire se lo avessi davvero incontrato nella realtà o se lo avessi solo sognato.
    Dovevo assolutamente parlare con Brianna, ero convinta che quel vampiro che avevo appena sognato fosse lo stesso che l'aveva attaccata durante la festa della Notte di Valpurga. Ero anche convinta che era lo stesso che stava sterminando tutte quelle donne e Brianna, forse, era l'unica vittima ad essersi salvata dalle sue grinfie e ad averlo visto in faccia.





    La mattina dopo la Notte di Valpurga telefonai ad Heric per accertarmi che stesse bene e che si fosse ripreso dalla sera prima e ci accordammo per vederci quel pomeriggio per prendere un gelato e fare una semplice passeggiata.
    Ci demmo appuntamento alle quattro direttamente alla caffetteria in centro dove andammo per il nostro primo vero appuntamento, perché il nostro primo non appuntamento fu al Luna Park, quando ancora non sapevo che Heric fosse un vampiro e volevo dimostrare solo che le mie teorie fossero fondate. Heric come al solito ordinò un gelato alla menta ed 
io ordinai dei pancake. Faceva ancora freddo per ordinare un gelato nonostante fossimo già a maggio e soprattutto non mi ero ancora abituata a quel clima freddo del nord.
    Ci accomodammo a un tavolo per due accanto alla finestra. Heric guardava fuori e sembrava assente, come se stesse pensando a chissà che cosa tenendo il cono gelato fra le mani senza rendersi conto che stesse iniziando a sciogliersi.
   
«Quindi tu sanguini?» gli domandai per catturare la sua attenzione.
    «Cosa? O no, il gelato!- esclamò mentre avvicinava il cono alle labbra per leccare il gelato che colava -Cosa mi hai chiesto?»
    Rimasi incantata alcuni secondi a guardarlo.
    «Scusa- scossi la testa per scacciare via i miei pensieri erotici su di lui come una sciocca -Tu sanguini?»
     
    Sorrise per ciò che gli avevo appena chiesto come se questa fosse una cosa scontata.
    «Ti sembrerà strano ma ho anche un cuore che batte e un apparato circolatorio a dir poco perfetto e funzionante» rispose orgoglioso e compiaciuto.
 Ero sempre più affascinata da lui e sempre più incredula perché tutto ciò andava contro non solo alle mie convinzioni ma anche alla scienza. Lui in fondo era morto dunque era biologicamente impossibile che il suo cuore battesse e che nelle sue vene circolasse del sangue. Quello era il momento perfetto per fargli la mia fatidica domanda. A bassa voce e avvicinandomi al suo viso gli sussurrai di aver un favore da chiedergli per una persona a me molto cara.  Dovevo far in modo che sembrasse un'idea mia, beh in fondo lo era.
    «Il lupo...» asserì quasi disgustato, ma non ci feci caso: si odiavano reciprocamente per natura e dovevo farci l'abitudine. 
    «Jeremy non è pronto per essere un licantropo. Voglio che lui ritorni come era prima e ho letto nel grimorio della nonna  di una pozione che annullerebbe le fatture. Ed ecco, oltre a della genziana e a dell'eucalipto, mi occorrerebbe del sangue di vampiro» gli dissi tutto d'un fiato. Heric mi fissò inarcando il sopracciglio come se avessi appena detto una sciocchezza.
    «Io credo che questo non sia possibile. Ti aiuterei volentieri ma potresti ucciderlo col mio sangue. Il mio morso gli sarebbe letale così come il suo sangue. Allo stesso modo il morso di un licantropo sarebbe per me mortale così come il suo sangue o i suoi fluidi in generale» smontò subito la mia idea facendo spallucce come a voler dire di esser in ogni caso dispiaciuto di non potermi aiutare.
    «Se ciò ti può consolare, conobbi personalmente un branco di licantropi quando visitai la Svezia.»
    «Sei stato in Svezia?» lo interruppi meravigliata.
    «Sì, nel 1765 se la memoria non mi inganna. Durante il Settecento visitai l'allora denominato Vecchio Mondo.»
    «Wow! E come si sono trasformati quei licantropi che hai conosciuto? E quanto vivono? E come si sono trasformati?» lo interruppi di nuovo tempestandolo di domande.
    «Tuo fratello non te l'ha raccontato? Io non sono particolarmente esperto in realtà. I vampiri e i licantropi sono nemici per natura di conseguenza non ho mai pensato di approfondire la loro conoscenza. Essendo esseri viventi, o nascono tali da due genitori licantropi oppure la licantropia può esser loro causata da una ferita inflitta ad un umano da parte di un altro licantropo. Secondo altre leggende occorre uccidere un lupo e indossarne le pelli (testa compresa) ricorrendo all'aiuto di una strega che pratichi magia nera ma del rituale non so dirti molto. Potrebbe anche succedere che l'umano in questione sia vittima di un incantesimo malvagio e venga trasformato per volere della strega, ma per compiere tale maleficio è necessario che questa strega sia davvero molto potente. Non so come il branco svedese si fosse trasformato o quanto antica fosse la loro stirpe, erano piuttosto numerosi, un’intera famiglia. Essendo umani di giorno e lupi mannari solo le notti di luna piena, vivono quanto una persona normale. La loro condizione permette loro di poter vivere un'esistenza fondamentalmente umana sebbene siano dotati di una forza sovraumana e necessitino di un grande autocontrollo per tenere a freno la rabbia e altri istinti primordiali. Ma con la pratica e la disciplina sono in grado di trasformarsi quando vogliono e di mutare il proprio aspetto in quello di un vero lupo.
Dunque vedrai che con il passare degli anni il tuo fratellastro imparerà anche a trasformarsi a proprio piacimento a prescindere dalla luna piena, ma nelle notti di plenilunio è inevitabile che ciò avvenga
    «Il paletto d’argento li ucciderebbe?»
    «Sì, stessa cosa per i vampiri con quello di frassino. Siamo molto forti entrambi ma questo è il nostro punto debole, anche se i licantropi hanno una soglia del dolore molto più bassa della nostra essendo loro animali a sangue caldo. Però i vampiri hanno un altro svantaggio perché anche la luce solare li ucciderebbe. Loro invece esistono solo di notte e solo alcune notti. Siamo entrambi esseri notturni. Io sono un’eccezione» rispose chinando il capo per indicare il ciondolo.
    «Dunque non sai se esista un qualcosa per annullare questa maledizione?» gli domandai.
    «Quello che siamo io e Jeremy non è una vera e propria maledizione, Meredith, è più una dannazione. Siamo stati dannati a questo destino. Ma come ti ho detto, almeno per tuo fratello ci sarà una fine e soprattutto la pace dopo la morte.»
    Un velo di tristezza gli comparve sul viso. Finì di mangiare il suo gelato, si asciugò le labbra con un tovagliolino di carta e cominciò a fissarmi dritta negli occhi.
    «Ti va di andare in un posto segreto?»
    Risposi entusiasta alla sua proposta senza pensarci due volte. Per qualche strano motivo mi fidavo ciecamente di Heric, nonostante l’avvertimento del ciondolo, nonostante fosse mille volte più forte di me e nonostante fosse immortale senza nulla di cui temere. Io potevo benissimo essere una sua facile preda, o la sua seconda merenda dopo il gelato alla menta ma in quel preciso momento, quella di morire morsa da un vampiro, era l'ultima delle mie paure.
    Ci alzammo dal tavolo per andare alla cassa: Heric si offrì di pagare anche la mia merenda e mi aprì pure la portiera quando salimmo in auto. Non ero abituata a tanta galanteria: era proprio un gentil’uomo di altri tempi! 
Mise in moto la macchina e strinse il volante. Non sapevo dove mi avrebbe portata, ma ero eccitatissima!
    Dopo un quarto d'ora di viaggio, gli domandai un po’ perplessa dove ci stessimo dirigendo, usando quella domanda con un doppio scopo: avere qualcosa di cui conversare e scoprire dove stessimo andando di preciso. Eravamo in macchina già da un pezzo ormai e non avevo la minima idea di dove mi stesse portando.
    «Tra un po' arriviamo, non aver paura» ammiccò.
    Ci imbucammo in un piccolo sentiero ed entrammo in una foresta: ricordavo perfettamente di aver già percorso quella strada alberata.
    «Stiamo andando a casa tua?» 
    «No. Ma si trova vicina al posto segreto» sorrise. Non potei non sorridergli a mia volta, arrossendo stupidamente.
    Oh quanto mi piaceva! Nonostante tutto mi piaceva da impazzire: quel suo sguardo enigmatico, il suo modo di sorridermi, la pazienza con cui rispondeva alle mie domande idiote e la maniera in cui riusciva a farmi fidare di lui. E poi era così calmo e composto nei modi di fare. Non riuscivo ad immaginarlo mentre uccideva qualcuno e ne risucchiava il sangue. Pur cosciente di cosa fosse realmente, conservava ancora quell’aria di mistero che mi aveva colpita fin dall'inizio. Volevo sapere di più di lui, del suo passato, della sua vita da umano, di cosa avesse fatto in tutti questi secoli. Tutto.
    Spense il motore e il panorama immobile al di là del finestrino catturò la mia attenzione.
    «Di solito non vengo mai in macchina qui. Sono molto più veloce a piedi» disse aprendo lo sportello e invitandomi a scendere dall'auto.
    Eravamo immersi nel verde, non c’era nient’altro intorno se non alberi da cui attraverso la luce del sole filtrava faticosamente fra le foglie e i rami delle alte querce.
    Heric si accostò ad un albero accarezzandone la corteccia ruvida.
    «È qui che avvenne la mia trasformazione- sospirò -quando attaccarono la carrozza dove stavo viaggiando insieme alla mia famiglia eravamo nella strada qui vicino. Non ho visto chi ci attaccò né il vampiro che mi trasformò. Dopo che venni ferito dai ladri, continuai a camminare addentrandomi sempre di più nel bosco passando per questa radura. Mi accasciai accanto questa quercia ormai privo di forze e rassegnato alla morte. Fu proprio qui che morii e rinacqui, la notte a cavallo fra il 5 e il 6 Giugno del 1687».
    Si fermò per riprendere fiato. Io non sapevo cosa dirgli e lo guardavo impaziente di ascoltare il resto.
    «Ogni tanto vengo qua, mi ricorda il mio passato. Ci torno nella speranza di ritrovare la vampira che mi ha trasformato. Credo fossero un bel po’ i vampiri giunti a Salem in quell'anno attratti dal fatto che qua a Salem vi erano diverse congreghe di streghe che avrebbero potuto aiutarli.»
    «Sembra così tranquillo qui. E poi è così luminoso. Pensi che dei vampiri vengano qui?» domandai.
    «Ormai non più. A parte me, quando sono nostalgico oppure quando ho fame. Ci sono diversi animali selvatici.»
    «Quindi tu cacci per sopravvivere?»
    «Sì, ma la mia meta preferita è vicino a Ipswich River. Io non bevo più sangue umano da un po' mentre Madeline, ogni tanto sì, o si nutre di qualche cliente del Shadow's o ruba le sacche delle donazioni del sangue dagli ospedali della zona. Lei è più forte di me, ha più autocontrollo.»
    «Ah. Che sapore ha il sangue umano?»
    «È buono. Caldo, dissetante e con un gusto agrodolce.»
    Solo parlare del sangue fece scurire i suoi occhi e cambiò espressione.
    Involontariamente feci un passo indietro; intuì che mi fossi spaventata all’idea di poter essere il suo prossimo pasto della serata e si strofinò gli occhi.
    «Scusa. Non volevo farti pensare di essere la mia cena» mi disse, leggendomi come se fossi un libro aperto.
    «Da quanto tempo non ne bevi?»
    «Intendi dire da quanto non uccido un essere umano per nutrirmi?»
    «Sì, intendevo quello.»
    «L'ultima persona a cui purtroppo ho tolto la vita è stato 125 anni fa. Ma non bevo sangue umano da circa cinquant'anni» rispose fiero e orgoglioso della sua astinenza dal sangue.
    Continuammo a parlare ancora per un bel po’ di tempo sedendoci sull’erba umida.
    «Raccontami qualcosa di te. Della tua famiglia o della Florida per esempio. Non ci sono mai stato.»
    Cosa potevo inventarmi di interessante in confronto alla sua vita avventurosa? Odiavo parlare di me. E poi non c’era molto da raccontare: prima degli ultimi due mesi era tutto monotono e ripetitivo nella mia vita. Le mie giornate erano un susseguirsi delle stesse azioni: colazione, scuola, compiti, qualche litigata con Ashley e Jeremy, cena, doccia, dormire. Per anni avevo ripetuto lo stesso circolo vizioso di azioni automatiche. 
    Raccolsi il coraggio e decisi di fargli un riassunto della mia noiosissima esistenza, risparmiandoli la routine della mia patetica giornata.
    «Beh, che dire. La mia vita non è stata emozionante come la tua. Sono una ragazza normale, almeno lo ero fino a qualche mese fa prima che mi trasferissi qui. Mia madre è nata e cresciuta qua a Salem, è stata sua la decisione di tornare quando la nonna è morta. Mio padre è invece originario di Coral Springs. Si conobbero qui mentre lui svolgeva degli studi sul folklore locale. Una volta laureato si sposarono e decisero di vivere qui, nella casa di mia nonna e con mia nonna in casa. Ma dopo tre anni però ci trasferimmo in Florida, sia perché mio padre non andava molto d'accordo con la nonna sia perché diceva che in casa succedessero cose strane: rumori, ululati, ricordo che se ne lamentava spesso, e poi mia nonna era sempre intenta a fare filtri magici e invitare a casa delle sue amiche, forse streghe anche loro. Così, stanchi di questa situazione, i miei decisero di cambiare non città, ma direttamente stato. Ci trasferimmo in Florida, a Coral Springs, la città di cui era originario mio padre. Avevano comprato una casa bianca con uno splendido giardino ma mia madre in fondo non era felice di aver lasciato la nonna sola così nei cinque anni seguenti non facero altro che lamentarsi e litigare. éer questo motivo mio padre se ne andò. Non fu facile all’inizio. Ogni tanto mi telefonava e veniva a trovarmi, poi però si è risposato anche lui. E ora non ci vediamo più e ci sentiamo di rado.»
    Mi fermai. Gli occhi mi erano diventati lucidi e abbassai lo sguardo.
    Heric mi guardò e, prendendomi il viso fra le mani, mi passò il pollice sotto l'occhio per spazzare via quella lacrima nostalgica. La sua mano era fredda come nei miei sogni, ma il suo tocco era leggero e delicato. In quel momento ero sicura che non mi avrebbe mai potuto far del male: Heric era molto più umano di tante altre persone.
    Mi voltai di colpo strofinandomi la manica della maglietta sugli occhi per asciugarmi le lacrime macchiandola di mascara. Non volevo che mi vedesse piagnucolare e con l'espressione corrucciata e il trucco sbavato.
    «Un bel giorno però mia madre incontrò Joseph, il padre di Ashley e Jeremy. Lui era vedovo già da un po’ e così dopo poco più di un anno di convinvenza si sposarono e tutti e tre si trasferirono nella nostra casa bianca con giardino. Fui costretta a dividere la mia camera con Ashley, non la sopportavo, anzi tuttora non la sopporto. Non la odio perché è comunque parte della mia famiglia, ma non le sono neanche affezionata ecco! Jeremy invece, beh lui è un tipo strano. Sta sempre sulle sue ed è solo ultimamente che abbiamo iniziato ad instaurare un rapporto. Joseph mi piacque fin dall’inizio, e sono contenta per mia mamma e quando, qualche mese fa abbiamo saputo della scomparsa della nonna e che ci aveva lasciato la villa in eredità, non esitò un attimo alla decisione di trasferirci qui. E di questo ne sono ancora più contenta perché qui a Salem mi sento davvero a casa mia.»
    «Non avevi amici in Florida?» avevo capito benissimo che per amici intendesse soprattutto ragazzi.
    «Sì, avevo qualche amica in Florida, ma i miei rapporti con le persone non andavano oltre la conoscenza superficiale. Il peggio era con i ragazzi, le mie relazioni erano piuttosto brevi e instabili. Tu invece? In 340 anni avrai avuto molte donne immagino...» cambiai argomento: parlare dei miei ex fidanzati e delle mie scottature non mi andava per niente.
    «Eh sì. Ne ho avute diverse ma solo alcune furono davvero importanti.» 
    «E come è finita?» domandai curiosa.
    «Le ho lasciate. Ho dovuto. Non volevo vedere la persona che amavo morire davanti ai miei occhi. Loro invecchiavano e io avrei iniziato a sembrare loro figlio e poi loro nipote, ma allo stesso tempo non volevo nemmeno destinarle a questa insulsa vita da mezzo morto. Bisogna essere davvero egoisti per condannare la persona che ami a vivere nell'ombra e combattere i propri istinti giorno dopo giorno, per sempre. Così me ne andavo via ma finisco sempre per tornare qui a Salem ogni volta.»
    Questo era infatti il mio chiodo fisso nella nostra relazione. Ogni giorno che passava io diventavo più vecchia, mentre lui rimaneva sempre lo stesso. E con la sua fissazione del non voler dannare altre persone a questa esistenza, non mi avrebbe mai resa immortale. Non gli feci altre domande sulle sue precedenti storie d’amore, mi parve abbastanza malinconico dopo aver accennato al fatto che le ragazze della sua vita invecchiavano e lui no. Non potevo però ignorare il fatto che io potessi essere per lui una delle tante ragazze di passaggio nella sua eterna esistenza di vampiro.
    «Perché stai con me allora? Credi possa essere diverso fra noi due oppure in cuor tuo sai già che te ne andrai perché abbiamo un tempo limitato?»
    «Meredith, sto con te perché voglio stare con te. So che questo ti sembrerà egoista da parte ma voglio godermi il presente insieme a te senza pensare a cosa ci serberà il futuro. Tu sei molto importarte per me dunque è giusto che anche tu rifletta e decida cosa sia meglio per te. E qualunque sarà la tua decisione, io la accetterò e mi metterò da parte» mi prese il viso tra le mani e ci fissammo per un attimo senza dire una parola.
    «Non voglio pensare al futuro né rimuginare sul fatto che prima o poi te ne andrai. L'importante è che tu sia qui con me ora.»
    Gli misi le mani intorno al collo e chiusi gli occhi. Il cuore mi batteva all'impazzata: c'eravamo solo io e lui e la quiete del bosco.
    Heric si avvicinò di più al mio viso e mi baciò.  
    Ci baciammo per un lungo interminabile minuto senza staccarci e poi restammo lì, seduti sul prato in silenzio ed abbracciati, aspettando il tramonto.
    Il sole era quasi del tutto scomparso oltre agli alberi e si stava facendo notte.
    «Non è sicuro stare qui!» esclamò a bassa voce alzandosi in piedi a
ll'improvviso e guardandosi attorno.
    Improvvisamente la pietra del mio ciondolo divenne un pezzo di ghiaccio.
    Il pericolo era vicino, e non era Heric.
    «Dobbiamo andare Meredith» sgranò gli occhi porgendomi la mano per aiutarmi ad alzarmi.
    «Heric! Che succede?»
    «Qualcuno sa di te. E ti sta cercando...»




Angolo autrice.
*Sporca schiava nera: in questa scena siamo alla fine del 1800. Vi pregherei dunque di contestualizzare l'offesa razzista al solo fine della trama.
Questo capitolo, intitolato appunto Memorie, è una finestra nel passato dei due protagonisti, soprattutto di Heric. Mi perdonerete dunque l'enorme quantità di dialoghi e monologhi, ma spesso e volentieri li preferisco ad enormi e dilaganti descrizioni.
Inoltre
, vi segnalo la mia "nuova" storia incentrata sul vampiro Heric, una raccolta delle sue memorie dal 1687 a... non so. Le due storie sono leggibili anche separatamente e non sono strettamente collegate, ma leggere il passato di uno dei protagonisti di questa storia potrebbe comunque spoilerarvi Do you believe in Old Legends
Qui il link Bloody Memory
Alla prossima :)

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Charles. ***


19) Charles.


      Ci affrettammo a salire in macchina e Heric la mise in moto stringendo nervosamente il volante.
    «Cosa sta succedendo? Chi mi cerca?» gli domandai scrutandolo con attenzione per assicurarmi che non mi rifilasse qualche sciocchezza per evitare di farmi agitare ulteriormente. Ma esitava.
    «Heric?!»
    «Ti avevo accennato al fatto che un altro vampiro, di cui io e Madeline abbiamo perso le tracce tanti anni fa, ha un ciondolo come il nostro?»
    Sbiancai.
    «Dalla tua reazione immagino di sì, e credo tu abbia intuito cosa stia per dirti. Beh ecco lui è qui, a Salem.»
    «Oh no! È lui il vampiro che ha attaccato Brianna ieri e che sta uccidendo tutte queste donne! Non è così? Mi vuole far del male?» ma quale male! Uccidermi probabilmente era la sua vera intenzione.
    «Devi stare tranquilla, io non glielo permetterò.»
    Mi guardò in modo strano, deciso a non darmi molte spiegazioni e tornò a fissare la strada.
    Ero così spaventata che persi la cognizione del tempo e in un quarto d’ora eravamo già di fronte a casa mia, purtroppo. Si scusò amorevolmente dicendo che non aveva alcuna intenzione di spaventarmi ma che voleva soltanto di mettermi in guardia. Annuii e mi voltai a destra per aprire lo sportello ma mi bloccò prima che potessi uscire dall'auto afferrandomi il polso.
    «Stai attenta, Mer» mi intimò con tono preoccupato. Sentivo il cuore battere fortissimo.
    «Lo farò. Ciao Heric, ci vediamo a scuola domani.»
    «A domani» sorrise, e chiusi la portiera avviandomi verso casa.
    Forse avrei dovuto dare ascolto a Jeremy quando mi diceva di stare fuori da tutta questa faccenda, ma l'attrazione e la curiosità avevano avuto il sopravvento su di me per lasciar perdere. Mi stavo scavando la fossa da sola ogni giorno di più.
    «Era ora che tornassi!- mi rimproverò mia madre vedendomi salire le scale di nascosto -La cena è quasi pronta.»
    Annuii e andai a lavarmi le mani. Non capitava quasi mai che ci fossimo tutti e cinque a cena: Joseph raccontava alla mamma quanto fosse stata pesante la sua giornata all’ospedale, Ashley mangiava tranquilla e spensierata mentre Jeremy fissava il piatto tenendo nervosamente la forchetta.
    «Un altro assassinio ha colpito nuovamente la contea di Essex, Massachusetts, con le stesse modalità dei precedenti omicidi avvenuti a Salem. Il medico legale non riesce a definire l’arma del delitto mentre la causa del decesso è un’emorragia provocata da una ferita mortale alla gola. Da gennaio ad oggi, 1 maggio, le vittime sono state in tutto 27. Da Salem è tutto.»
    Io e Jeremy alzammo lo sguardo contemporaneamente per seguire il telegiornale. Ogni tanto distoglieva lo sguardo dal televisore e mi lanciava strane occhiate: pensava che Heric c'entrasse qualcosa. Ma io sapevo che non era così, ne ero più che certa.
    «Io non ho più fame» disse alzandosi dalla sedia e sbattendo la forchetta sul tavolo.
    «Ma, tesoro non hai mangiato nulla» gli fece notare mia madre, preoccupata. Non rispose, si girò verso di noi guardandoci con la sua solita aria corrucciata e poi continuò a camminare verso le scale. Poco dopo anche io mi alzai dal tavolo per andare da lui. Dovevo spiegargli la situazione, dovevo difendere la reputazione di Heric. Non volevo che pensasse male di lui.
    «Non ho voglia di parlare Mer!» mi urlò da dentro la sua stanza. Aveva riconosciuto i miei passi.
    «Invece dobbiamo parlare!» spalancai la porta, decisa a farlo ragionare.
    «Sono stanco di questa situazione.»
    «Lo so che hai paura, anche io ne avrei al tuo posto.»
    «Ma io non ho paura. Sono stanco. Stufo. E poi sei tu quella che dovrebbe avere paura.»
    «Ti sbagli. Heric non c'entra nulla. C’è un altro vampiro in città!»
    «Bene. Questo dovrebbe rassicurarmi?»
    «No, ma smetti di avere questo odio verso Heric perché io non smetterò di vederlo! Buonanotte.»
    Sbattei la porta e andai in camera mia per mettermi a letto.
    Non riuscivo a dormire: avevo troppi pensieri per la testa e non riuscivo proprio prendere sonno. Continuavo a fissare il soffitto, a rigirarmi nel letto e a cambiare lato del cuscino. Continuavo a pensarci e mentalmente feci il punto della situazione. Innanzitutto mi preoccupava Jeremy: faceva il duro ma io sapevo che in realtà era debole, questa situazione lo stava stressando più del dovuto. Fra il trasferimento a Salem, la nuova scuola, i vampiri in città e la sua trasformazione in licantropo non so cosa potesse turbarlo di più. Poi, questo nuovo vampiro che ogni giorno uccideva delle donne iniziava a preoccuparmi: potevo essere io la prossima visto che mi stava cercando come mi disse Heric? Ero davvero sicura che questo serial killer
 fosse un vampiro e che fosse proprio Charles? E poi Heric, cosa eravamo io e lui? Per quanto dovesse farmi paura stare con un vampiro, come diceva Jeremy, non volevo immaginare com’era stare senza ormai. Mi sentivo ormai legata indissolubilmente a lui per via delle stranezze che ci accumunavano ed ormai ne ero attratta in maniera ossessiva. Come mi aveva detto lui stesso, vampiri e umani non durano per sempre. Sapevo che prima o poi se ne sarebbe andato e io mi stavo soltanto illudendo.
    Era mezzanotte passata.
    Stavo stesa sul letto a riflettere quando all’improvviso sentii un rumore provenire dal giardino; così corsi alla finestra ad affacciarmi.
    Non feci in tempo a raggiungerla che Heric si era catapultato nella mia stanza!
    «Cosa ci fai qui?» gli domandai con tono un po’ scortese ma in realtà ero felicissima che fosse qui da me.
    «Sono venuto a vedere come stavi e a parlarti» rispose serio.
    «Parlarmi di cosa?»
    Si avvicinò a me, facendomi cenno di sedermi sul letto, accanto a lui.
    Mi raccontò del nuovo vampiro: Charles.
    «Charles, all'epoca che lo incontrai, era già un vampiro di circa 50 anni. Era originario proprio di Salem e la sua famiglia infatti fu tra quelle che fondarono la nostra città nel lontano 1623, anno in cui anche Charles, 
il primo di cinque fratelli tutti maschi, nacque. Venne trasformato quando aveva circa vent'anni e fu ripudiato dalla sua stessa famiglia che lo colse i flagrante mentre uccideva e si nutriva di una delle cameriere. La sua famiglia dunque lo considerava un abominio, un mostro, una bestia da sopprimere. Sua madre però insistette nel lasciarlo libero piuttosto che ucciderlo perché in fin dei conti era sempre suo figlio. Dopo aver vagato per mezzo secolo nell'oscurità, tornò a Salem poiché era venuto a conoscenza che qui vi fossero giunte numerose streghe convinto che avrebbero potuto aiutarlo in quanto era stanco di vivere condannato ad un'esistenza nell’oscurità.
    «I vampiri possiedono una sorta di sesto senso che permette loro di avvertire la presenza dei loro simili così trovò me e Madeline che ancora abitavamo qua a Salem, rintanati nella nostra villa di famiglia e vivendo gli anni della nostra trasformazione avvolti nell'ombra. Charles ci introdusse ad una congrega di streghe ed insieme facemmo un patto nel 1690: la nostra protezione dall'imminente caccia alle streghe in cambio della possibilità di poter uscire alla luce del sole. Neanche un anno dopo in città arrivò un'ondata di vampiri, all'epoca considerati dei demoni al pari delle streghe. La città fu invasa da creature sovrannaturali, scorrevano fiumi di sangue poiché ogni giorno morivano decine e decine di persone: regnava un'isteria generale e così cominciò la famigerata caccia alle streghe. Il nonno di Charles, capofamiglia e fondatore di Salem, che lo voleva uccidere, era già morto da tempo, ma suo padre quasi alla soglia degli 80 anni era ancora in vita e volle consegnarlo alle autorità. Charles lo uccise così come uccise tutti i suoi fratelli e familiari che lo avevano ripudiato, ad eccezione di sua madre che, sebbene ormai anziana, continuò ad amarlo e a volerlo proteggere. La donna fu poi accusata di stregoneria in quanto continuava a proteggere il proprio figlio demoniaco e fu arsa al rogo.
     «Nel frattempo, durante uno dei processi, una delle streghe confessò
 in tribunale, davanti a tutti i rappresentanti delle famiglie fondatrici e al cospetto dei delegati inviati dalla Madre Patria, la presenza dei vampiri a Salem. Alcuni riuscirono a scappare mentre altri furono catturati ed uccisi. Dietro tutte queste uccisioni vi era poi il fatto che altre streghe per garantirsi protezione avevano preso le parti di alcune potenti famiglie di licantropi, nemici naturali dei vampiri, fornendo loro aiuto nell'uccidere questi ultimi. Ma in seguito, le stesse streghe che aiutarono gli umani nella ricerca furono condannate al rogo per stregoneria, ad eccezione di alcune incluso il piccolo gruppo che io e Madeline riuscimmo a salvare come stabilito nel nostro patto: la congrega delle quattro streghe bianche di Salem a cui avevamo promesso protezione in cambio delle collane. Ma a Charles non andò giù quel tradimento ed anche se la strega che aveva confessato e aiutato i licantropi non aveva niente a che fare con il patto, in preda alla furia, uccise egli stesso diverse streghe e licantropi giurando vendetta e maledicendo così le generazioni future. Alle soglie del 1693, la città di Salem era ormai quasi libera dalle creature sovranaturali tant'è che, per un breve periodo, seguì la caccia al lupo. 
    
«La vendetta di Charles, invece, non è ancora terminata e prosegue ormai da trecento vent’anni, uccidendo le discendenti delle streghe, comprese le eredi di coloro che crearono per noi questi ciondoli.»
    «Quindi la leggenda che ci aveva raccontato George è vera!- esclamai stupita -E la prossima vittima quindi...sarei io?» la semplice idea di essere la sua prossima preda mi terrorizzava. Heric annuì, promettendo nuovamente di proteggermi.
    Ora avevo capivo tutto. Avevo capito perché la nonna mi scrisse quella lettera tre giorni prima di morire. Sapeva che Charles era nei paraggi e voleva ucciderla.
    «Hai detto che i vampiri percepiscono la vicinanza dei loro simili. Tu sapevi che lui fosse qui, a Salem quando mia nonna è morta?» gli domandai. Ma sapevo già la risposta.
    «Sì. Ma non ero sicuro fosse lui. Ne avevo perso le tracce ormai da anni e solo da qualche settimana ho avuto il presentimento che fosse tornato. Non dovevo dirti una bugia né nasconderti la verità. Ma non volevo nemmeno che tu ti allontanassi da me, sapendo che un mostro come lo sono io aveva ucciso tua nonna. Non posso permettermi di perderti.»
    Non riuscivo a descrivere le emozioni che provai sentendo quella frase, quel «non posso permettermi di perderti».
    Dovevo essere arrabbiata con lui per avermi nascosto una cosa simile ma in quel momento non ci riuscivo.
    Tentai di dire qualcosa, qualcosa per non farlo sentire in colpa perché in fondo lui aveva solo cercato di non farmi soffrire e di non farsi detestare, ma mi zittì prima che potessi dire mezza parola. Mi prese il viso tra le mani e guardandomi intensamente si avvicinò sempre di più baciandomi di nuovo, stavolta con più voracità.
    Si staccò all’improvviso: i suoi occhi erano neri e opachi e percepivo la sua sete, sete di me. In un batter d'occhio raggiunse la finestra e voltandosi mi ripetè nuovamente di stare attenta.
    Rimasi seduta sul letto a guardarlo uscire dalla finestra e sparire nell’oscurità.





    L'anno scolastico era ormai agli sgoccioli. Tra una preoccupazione e l'altra cercavo di studiare e ultimare i vari compiti da consegnare prima che finisse la scuola in modo da potermi dedicare sia alla caccia del famigerato vampiro Charles sia ad aiutare Jeremy a tornare umano. 
    Ero convinta che l'incantesimo per la reversione dalla licantropia (e dal vampirismo) fosse contenuto nella Bibbia delle Streghe e che questa fosse nascosta in qualche passaggio segreto della biblioteca. Dovevo soo trovare il modo di intrufolarmi a scuola senza venir disturbata dalla Signorina Smith e soprattutto da George.
    Heric non si fece vivo per tutta la domenica e non venne a scuola nemmeno il giorno dopo. Ormai mi ero abituata a queste sue assenze e sparizioni, più o meno. Madeline invece veniva più regolarmente a scuola ma non avevo il coraggio di rivolgerle la parola, mi metteva un'ansia terribile. Lei era un anno avanti a noi, nel senso che venne trasformata in vampiro quando aveva già diciotto anni quindi in base alla sua età umana frequentava il quarto anno e seguiva diversi corsi insieme alla mia sorellastra Ashley. Come lei, faceva parte della squadra delle cheerleader. Se non fosse stato per il fatto che Madeline fosse una vampira centenaria, le avrei viste bene come migliori amiche, erano praticamente identiche nell'atteggiamento e nell'apparenza, ma temevo che Madeline avesse intenzioni pericolose nel volersi avvicinare ad Ashley. Era pur sempre la mia sorellastra e forse per indispettirmi avrebbe potuto farle del male cosa che non avrebbe potuto fare con Jeremy in quanto licantropo, suo nemico giurato.
    Il primo lunedì mattina che seguì la Notte di Valpurga, decisi che dovevo parlare con i fratelli Nkhangweleni. Se Heric aveva visto bene, Brianna, la quale portava al collo un ciondolo dalla pietra acquamarina come il mio, era una strega, l'unica che fino ad allora si era salvata da quell'ondata di sangue che Charles stava provocando nella città di Salem.

    «Pensi sia una buona idea fermare quella ragazza che è stata di recente attaccata da un vampiro e accusarla di essere una strega?» mi sussurrò Jeremy durante l'ora di matematica.
    
«Non voglio accusarla di essere una strega. Voglio chiederle se lo sia e soprattutto se ha visto in faccia in suo aggressore.»
    «Sei sicura che il tuo fidanzato vampiro abbia visto bene?»
    «Jeremy, tu non c'eri. Non hai visto quanto fosse straordinario ciò a cui ho assistito. E se Heric mi ha confermato che lei portava un ciondolo al collo come il mio e che suo fratello Nigel non può essere soggiogato dal suo potere mentale, io gli credo» gli risposi entusiasta. L'idea che ci fossero altre streghe a Salem mi dava un senso di sollievo e di felicità.
    
«Potere mentale? E cosa ti assicura che non lo usi anche con te, o meglio, contro di te?» disse con tono provocatorio.
    «Perché non pensi alla tua ragazza a cui fai da cagnolino? Al mio ci penso io!»
    «Signor Stanley e Signorina Spencer. Cosa avete di così interessante da confabulare? Avete già risolto questa equazione?» ci riprese il Professor Richardson di matematica. Gli scusammo e il professore riprese con la spiegazione senza più esser disturbato dal nostro chiacchiericcio fino alla fine della lezione.
    Al suono della campanella, seguii Brianna fino al suo armadietto. Non essendo io una persona particolarmente socievole ed essendo pure estremamente timida, mi vergognavo tantissimo ad approcciarla e non sapevo da dove iniziare. 
    «Ciao Brianna.»
    La ragazza si voltò di scatto spaventata. Dal modo in cui mi guardò, non si aspettava di vedermi sbucare alle sue spalle. 
    «Ciao, Meredith?»
    «Sai chi sono dunque?» le domandai curiosa. Lei rispose che sì, certo che sapeva chi fossi. Le chiesi come si sentisse e se stesse bene, ma tagliò corto la conversazione come se non volesse avere nulla a che fare con me e come se non volesse parlare di ciò che era successo al parco venerdì. 
    
«Ti ringrazio dal profondo del cuore per ciò che tu e il tuo ragazzo avete fatto per me, sia da parte mia sia in nome della mia famiglia. Mi ha veramente salvato la vita ma è meglio che noi stiamo fuori da queste questioni. Non voglio rischiare nuovamente.»         
    «Aspetta. Non sai tutta la storia» insistetti per poterle spiegare meglio la situazione ed avere altri indizi.
    
«Conosco bene tutta la storia, invece. Nella nostra famiglia ce la tramandiamo da secoli ormai.» 
    «Quindi sei una strega anche tu? Ho visto che alla festa a Willows Park portavi un ciondolo come questo» le dissi mostrandole il mio sfilando la catenina fuori dalla maglia.
    
«Sei matta?!- esclamò sgranando gli occhi -Non dovresti mostrarlo a tutti così!»
    
«Hey, c'è qualche problema?» sentenziò un ragazzo alle mie spalle. Era Nigel, suo fratello. 
    
«Voglio solo chiederti una cosa e poi non ti disturberò più. Hai visto in faccia chi ti ha aggredita? Sai chi è?»
    Brianna guardò prima Nigel che stava alla mia sinistra come se aspettasse il suo consenso e poi sussurrò:
«Charles Michael Cavendish III» e se ne andarono.
    Cavendish?
 
    Non era possibile.

    Ora era tutto più chiaro, ora tutto aveva un senso logico. Ecco chi era la famiglia cui nome Cavendish era inciso nella cripta del mio sogno mesi fa: era la famiglia di Charles il vampiro. Una volta venuto allo scoperto e terminata la caccia alle streghe con lo sterminio della sua stessa famiglia per mano sua e culminato con la messa al rogo di sua madre, la cripta dei Cavendish, una delle famiglie fondatrici di Salem, venne usurpata per questo nel Cimitero Monumentale di Salem al suo posto della famiglia Cavendish:«Dal 1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Thompson, cacciatori, guerrieri, difensori della patria e della pace»*. Dovevo assolutamente scoprire chi fossero i Thompson e se qualcuno dei loro discendenti fosse ancora in vita.





Angolo autrice.
*«Dal 1578 al 1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Cavendish» ma «Dal 1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Thompson, cacciatori, guerrieri, difensori della patria e della pace»: cap.7.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Avvisi, aggiornamenti e chiarimenti ***


Ciao a tutte/i.
Questa storia vede la sua pubblicazione nel lontano 2010, ma in realtà è più vecchia (nel primo capitolo nelle note d'autore ho spiegato più approfonditamente perché e come nasce questa storia).
Qualche anno fa era stata conclusa e terminata ed era pure uscito il seguito, poi mi son resa conto che non mi piaceva il finale e così tolsi gli ultimi capitoli (in totale son circa 25). Poi ancora non mi piaceva e ne ho cancellati la metà, ora ho deciso di cancellarli quasi tutti e, visto che son passati un bel po' di anni, mi son convinta a riscriverla e risistmarla a fondo. Pubblicherò a breve i prossimi capitoli che sto revisionando.
Ho creato questo infatti solo con il fine di salvare le recensioni ricevute che poi riordinerò una volta aggiunti i prossimi capitoli. In tali recensioni ci sono davvero tanti troppi spoiler. Vi consiglio di non guardarle se mai abbiate voglia di leggere questa storia.

La trama di base è più o meno la stessa, ma ho aggiunto nuovi dettagli indispensabili, nuovi personaggi essenziali al fine di comprendere la storia e nuovi intrecci.
Inoltre, come scritto nelle note d'autore del primo capitolo, ho cambiato format e struttura del testo togliendo i pov e le immagini che limitavano l'immaginazione dei personaggi (potete comunque visionare il trailer che trovate sempre nel primo capitolo).
Dal momento che sulla base della trama originale nasce questa nuova, più matura diciamo, storia, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, se trovate la trama banale e i personaggi noiosi.

Ciao e a presto (:

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=521695