Chained

di F_Glitt
(/viewuser.php?uid=678948)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO. ***
Capitolo 2: *** BRITNEY. ***
Capitolo 3: *** DAWSON'S GEEK. ***
Capitolo 4: *** YOU SAID NO. ***
Capitolo 5: *** FALL AT YOUR FEET. ***
Capitolo 6: *** BUILD ME UP BUTTERCUP. ***
Capitolo 7: *** PSYCHO GIRL. ***
Capitolo 8: *** WHY. ***
Capitolo 9: *** ALL THE WAY. ***
Capitolo 10: *** FAKE. ***
Capitolo 11: *** MERRY CHRISTMAS EVERYONE. ***
Capitolo 12: *** ON WHAT YOU'RE ON. ***
Capitolo 13: *** OUT OF OUR MINDS. ***
Capitolo 14: *** EVERYTHING I KNEW. ***
Capitolo 15: *** 3AM. ***
Capitolo 16: *** LONER IN LOVE. ***
Capitolo 17: *** OVER NOW. ***
Capitolo 18: *** WHAT I GO TO SCHOOL FOR. ***
Capitolo 19: *** MY GOOD FRIEND. ***
Capitolo 20: *** FALLING FOR YOU. ***
Capitolo 21: *** THAT THING YOU DO. ***
Capitolo 22: *** BETTER THAN THIS. ***
Capitolo 23: *** RUNAWAY TRAIN. ***
Capitolo 24: *** SLEEPING WITH THE LIGHT ON. ***
Capitolo 25: *** LOSING YOU. ***
Capitolo 26: *** LAST SUMMER. ***
Capitolo 27: *** AIR HOSTESS. ***
Capitolo 28: *** CRASHED THE WEDDING. ***
Capitolo 29: *** CRASHED THE WEDDING - PARTE 2. ***
Capitolo 30: *** SHE WANTS TO BE ME. ***
Capitolo 31: *** LATE NIGHT SAUNA. ***
Capitolo 32: *** WHEN DAY TURNS INTO NIGHT. ***



Capitolo 1
*** PROLOGO. ***


 

PROLOGO.



Rilasciò un lungo sospiro, ponendosi nuovamente la domanda che frullava nella sua testa dall'inizio di quel viaggio: sarebbe riuscito a riposare?
Per l'ennesima volta, non fu in grado di darsi una risposta. Percorso da un brivido di freddo, si spostò i capelli dagli occhi e sollevò il cappuccio della felpa – decisamente troppo leggera per quella stagione, ed ancora meno consigliata per affrontare l'aria condizionata dell'aereo – che aveva indossato sbadatamente per via della fretta.
Facendo un rapido calcolo mentale, concluse di avere dormito per un totale di circa un paio d'ore nel giro di tre giorni, a causa dell'eccessiva agitazione. Ora che lo shock era passato, decise che poteva arrischiarsi a concedersi qualche altra ora di sonno, unica alternativa alla prospettiva di un volo lungo e noioso.
Spostò ben presto l'attenzione dai piccoli cristalli di ghiaccio che stavano cominciando a formarsi sul bordo del finestrino, per osservare un ben più interessante sole che ormai tramontando oltre le nuvole. Gli era sempre piaciuto volare, assistere a spettacoli come quello che si trovava in quel momento all'esterno dell'aereo gli dava l'impressione di essere lontano anni luce da tutti i problemi.
Il suo flusso di pensieri fu interrotto da una gomitata alle costole, accompagnata dalle voci di John e Mike, che avevano appena cominciato a battibeccare per la quinta volta da quando avevano messo piede sul velivolo. Li osservò con la coda dell'occhio per qualche istante, scuotendo la testa, per poi appoggiare la fronte contro il finestrino, facendo il possibile per ignorare la discussione dei suoi migliori amici. Pensò, invece, che la sua decisione improvvisa di partire per Londra senza dare alcuna spiegazione era stata troppo per i suoi nervi. Si era lasciato prendere dal panico all'ultimo momento, e questo non aveva giovato alla situazione, al contrario, gli avrebbe probabilmente causato milioni di guai una volta rimesso piede sul suolo conosciuto della sua amata e piccola città.
Con orrore, immaginò che sua madre si sarebbe certamente presentata all'aeroporto, e che sarebbe stata furibonda. Dopo diciotto anni passati sotto lo stesso tetto, poteva dire di conoscere ogni genere di reazione che lei avrebbe avuto, non era difficile immaginare quello che avrebbe dovuto subire, una volta tornato a casa. Non gli era difficile ammettere che capiva la donna, nessuno vorrebbe vedere il proprio figlio minorenne scomparire nel nulla da un giorno all'altro, per poi ricevere notizie due giorni dopo e scoprire che è volato in un'altra città per un motivo apparentemente ridicolo.
Per Peter, ovviamente, la motivazione era stata tutt'altro che ridicola, ma sarebbe stato molto difficile spiegare le ragioni che l'avevano spinto a prendere una decisione così avventata.
Lanciò un altro sguardo di sbieco ai due amici, che sedevano nelle poltroncine accanto alla sua, decidendo che sarebbero stati in grado di risolvere i loro screzi da soli. Sbadigliò vistosamente. Forse non era davvero una brutta idea dormire un po'...

Ogni preoccupazione che l'aveva condotto ad intraprendere quel viaggio, era nata circa un anno prima. Per lui non era possibile definire il giorno esatto in cui i suoi problemi ebbero inizio, era più semplice dire che durante il suo penultimo anno di scuola, molte cose erano cambiate. Ad inizio settembre, Peter non aveva alcuna idea che quella che aveva appena vissuto sarebbe stata l'ultima estate della sua vita durante la quale avrebbe avuto il diritto di sentirsi ancora 'piccolo' ed indifeso, con la mente libera di essere piena di sciocchezze.
Aveva passato le vacanze estive nella splendida casa al mare del suo migliore amico, Michael – o, come lui preferiva essere chiamato, Mike – Walpole, ed ora che entrambi erano tornati a casa per prepararsi al primo giorno di scuola, tutta l'euforia estiva era svanita.
Il giorno dopo, sarebbero tornati a camminare per i corridoi di quella gabbia di matti, come Peter amava definire la scuola, con i pensieri rivolti solamente a compiti e voti, a vivere giornate tutte uguali e grigie. Ciò che innervosiva maggiormente Peter era la consapevolezza che, anche quell'anno, non sarebbe riuscito a sfuggire alle cattiverie dei suoi compagni di classe.
In particolare, lo preoccupava uno di loro: William Wood.
Ciò che lo legava a William Wood era così classico e scontato che, ogni volta che Peter ci pensava, quasi scoppiava a ridere. Si trattava di risate amare, tristi, tipiche di quello dei due che viene preso di mira e che progressivamente è costretto a rendere la propria pelle più dura.
Wood era quello che se l'era presa con lui, apparentemente senza alcuna ragione, fin dalla seconda elementare, e Peter lo detestava e temeva al tempo stesso. Purtroppo, anno dopo anno si erano ritrovati sempre nella stessa classe, ed i ricordi di tutte le volte in cui era tornato a casa in condizioni pietose dopo essere stato affrontato da Wood, erano ciò che più terrorizzava Peter riguardo la scuola. L'unico lato positivo della faccenda era che, una volta fuori dall'edificio scolastico, non erano costretti ad incrociarsi, perché Wood viveva dalla parte opposta della città.

Peter scosse la testa, tentando di concentrarsi su pensieri positivi. Il bello del penultimo anno era potersi concedere ancora pessimi voti, perché in caso di bisogno avrebbe ancora avuto un anno per recuperare. Mike, invece, era più grande di lui di un anno, e nonostante fosse un ottimo studente, durante l'estate era diventato un po' paranoico al pensiero di dover avere voti eccellenti per poter essere ammesso all'università a cui aspirava. Peter, dal canto suo, invidiava l'amico, che aveva già programmi per il futuro. A differenza di Mike, a lui non piaceva farsi riconoscere. Non era affatto stupido, ma la scuola non gli interessava, così si manteneva su una media appena accettabile in tutte le materie, tranne che in inglese ed arte.

Arte era l'unica materia in cui i suoi voti sfioravano il massimo, grazie al suo talento naturale per il disegno. Con le immagini riusciva ad esprimere pensieri e sensazioni che non era in grado di descrivere a parole. In inglese, invece, era a dir poco un caso perso, la materia non gli piaceva e faceva di tutto per evitare di studiarla.
Con questi pensieri per la testa, sentendosi quasi troppo filosofico e sentimentale, si alzò dal letto su cui era stato disteso fino a poco prima, e cominciò a gironzolare per la stanza, lamentandosi per il caldo. Accese il ventilatore, poi lo sguardo andò al progetto estivo di arte, ben protetto dentro una cartellina di plastica sulla scrivania e pronto ad essere consegnato all'insegnante il giorno seguente. Aveva lavorato a quel disegno per quasi tutta l'estate, impegnandosi per eseguire un perfetto ritratto del suo migliore amico.
Non era stato affatto difficile convincere Mike a fargli da modello. Essendo molto vanitoso, il ragazzo aveva accettato di buon grado. L'unica cosa che gli premeva era fare bella figura, e sapendo che Peter aveva l'abilità adatta a farlo apparire al meglio, aveva avuto solamente una piccola obiezione.
«Niente caricature, o ti ammazzo» gli aveva detto, scatenando l'ilarità di Peter. Non era la prima volta che Peter, per noia, gli faceva una caricatura, ma la velata minaccia non lo aveva spaventato minimamente, perché conosceva Mike praticamente da sempre, e sapeva benissimo che, per quanto potesse sembrare imponente, il suo amico aveva un animo gentile.
In realtà, quando le loro madri, amiche di vecchia data, li avevano fatti conoscere da bambini, inizialmente era stato molto difficile trovare dei punti di accordo: Peter, che era un tipo semplice e riflessivo, si trovava spesso in imbarazzo davanti alla forte personalità di Mike. Anche il fisico non lo aiutava, perché Peter era piccolo, basso e ossuto, mentre Mike era molto alto e atletico. Insomma, erano due opposti, ma forse era proprio per questo che la loro amicizia era così solida.


«Hai preparato tutto per domani?» gli chiese sua madre entrando nella stanza senza bussare, abitudine che Peter non sopportava. Il ragazzo si guardò attorno: la sua camera da letto aveva l'aspetto di un campo di battaglia, con vestiti sparsi in giro senza alcuna logica, fogli strappati che coprivano il pavimento e qualche residuo di biscotti al cioccolato sulla scrivania.
«Più o meno» rispose negando l'evidenza, sfoderando il più ampio e falso dei sorrisi.
«Rimetti tutto in ordine e cerca quello che ti serve. Oppure vuoi fare tardi già il primo giorno di scuola?»
Peter si limitò a mugugnare una risposta seccata, e quando sua madre uscì dalla stanza, iniziò a raccogliere cose a caso e buttarle alla rinfusa sulla scrivania.
Quando ebbe finito, si guardò velocemente allo specchio, come per salutare l'ultima immagine di se stesso durante l'estate. Il suo riflesso molto magro, spettinato e sudato gli restituì lo sguardo, non c'era niente di nuovo. I vestiti, addosso a lui, sembravano sempre due taglie più grandi, ed i capelli color sabbia non stavano mai in ordine, non importava in che modo cercasse di domarli. Adesso, per esempio, ricadevano fino alle orecchie, ed una sottospecie di frangetta spettinata copriva in parte i suoi occhi azzurri. Passò entrambe le mani tra la chioma ribelle, scompigliandola energicamente. Era il suo modo per togliere i capelli dagli occhi, non gli importava se questo lo faceva sembrare disordinato.
Dopo un ultimo sguardo alla stanza, andò a farsi una doccia ed infine riuscì a mettersi a letto, chiedendosi se sarebbe mai riuscito a prendere sonno, visto che la sua stanza era così calda da sembrare una sauna.
Sentì suo fratello sbattere la porta della stanza nel lato opposto del corridoio, segno che anche lui era andato a dormire.
Spense la luce, e una volta al buio, i pensieri sulla scuola iniziarono a vorticargli in testa.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** BRITNEY. ***


BRITNEY.


«Peter, era da un po' che volevo dirtelo» sussurrò la ragazza, così piano che lui dovette avvicinarsi per poter essere sicuro di sentirla.
«Che cosa, Brit?» domandò con il suo stesso tono, mordendosi istintivamente la lingua dopo aver pronunciato quelle parole. Non l'aveva mai chiamata con quel soprannome, nemmeno una volta. Cosa gli era saltato in mente?
Osservò la figura di Britney, aspettando una sua reazione. La ragazza non sembrava particolarmente colpita dal soprannome, aveva un aspetto... agitato?
Peter si guardò attorno, non riconoscendo il luogo in cui si trovava, per poi avvicinarsi ulteriormente a lei. Le loro labbra erano così vicine che sarebbe bastato un minimo movimento per farle sfiorare. Alzò lo sguardo sul viso della ragazza, incontrando i suoi occhi marroni. Le spostò una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio, sfiorandole poi lo zigomo con le dita. Infine, dopo un ultimo sguardo, si avvicinò ulteriormente, facendo scontrare le labbra con quelle della ragazza.
Finalmente ci era riuscito, finalmente sentiva i campanellini...

Beep! Beep! Beep!

Il suono dei cori angelici, mescolato al forte rimbombo del proprio cuore nel petto...

Beep! Beep! Beep!

Le labbra morbide di Britney, che si separarono con delicatezza dalle sue. La ragazza aprì bocca per parlare.
«Peter!» esclamò con una voce strana, che non le apparteneva, mentre quel fastidioso beep beep continuava in sottofondo. Peter si guardò attorno, tentando di capire da dove provenisse, ma proprio mentre faceva questo, il rumore cessò.
«Dimmi» fece alla ragazza, concludendo che il suono doveva essere uno scherzo delle sue percezioni impazzite.
«Svegliati!»

Beep! Beep!

«Voglio stare qui con te, Brit» rispose, perplesso all'esclamazione della ragazza.
Il suono si presentò più forte di prima, e finalmente il ragazzo capì. La sveglia aveva iniziato a trillare, con una forza tale che sembrava che il suo intento fosse quello di rompere i timpani all'intera famiglia. Peter aveva dimenticato che il suono di quel piccolo oggetto, che se ne stava vigile sul suo comodino da una decina d'anni, fosse così fastidioso.
Tirò un pugno alla sveglia e si voltò dall'altra parte, facendo il possibile per attutire il suo scampanellare mettendosi il cuscino sopra la testa. Non aveva però previsto che l'infernale macchina potesse cadere a terra, amplificando il rumore.
«Peter!» si sentì chiamare nuovamente, ma questa volta non era un sogno. La voce di sua madre, una donna molto precisa e sempre attenta alle necessità ed agli impegni dei figli, risuonò nel corridoio, precedendo i passi svelti della donna. Incredibile come lei riuscisse ad essere così piena di energie anche a quell'ora del mattino.
«Peter» ripeté lei, aprendo la porta della stanza.
«Cosa c'è?» fece il ragazzo con voce assonnata, il viso premuto contro il materasso.
«È il primo giorno di scuola, alzati!» gli ricordò lei.
Il primo giorno di scuola. L'ultima speranza a cui Peter si era aggrappato, ovvero che si fosse trattato solamente di un brutto sogno, svanì, scoppiando come una bolla di sapone. Si alzò di malavoglia, ancora esortato dalla madre, andando quasi a sbattere contro l'alta figura di suo fratello Robert.

Rob era più piccolo di lui di due anni, e come tutti i ragazzini della sua età, aveva pochi e piuttosto semplici interessi: sport e videogiochi. I due fratelli non potevano essere più diversi: Peter era basso e magrolino, Rob piuttosto alto e ben piazzato. Peter aveva i capelli chiari e pelle di un bianco cadaverico, mentre i capelli di Rob erano scuri ed aveva un colorito sano, attualmente era piuttosto abbronzato grazie agli allenamenti sotto il sole fatti durante le vacanze appena trascorse. Rob era uno sportivo, lo sport del suo cuore era il basket, e passava intere giornate fuori casa ad allenarsi. Per questo motivo, anche se non andavano particolarmente d'accordo, i litigi tra fratelli non erano frequenti. L'unica cosa che li accomunava, erano gli occhi chiari, ereditati dal padre.
«Guarda dove vai» sbottò Rob, quando Peter gli assestò una spallata per il puro gusto di stuzzicarlo.
Quando entrambi ebbero fatto colazione e si furono lavati e vestiti, presero le loro cose ed uscirono di casa, salutando velocemente la madre.

I loro genitori erano divorziati e Peter non vedeva spesso suo padre. Non gli piaceva parlare di quello che era successo, anche perché i due si erano separati diversi anni prima, quando Peter era ancora piuttosto piccolo, e non gli avevano spiegato molto sulla faccenda.
Raggiunto il cancello, i fratelli videro l'alta figura di Mike, che era già lì ad aspettarli.
«Buongiorno!» esclamò il ragazzo allegramente, notandoli. Peter e Rob si guardarono e alzarono gli occhi al cielo. Mike riusciva sempre ad essere positivo e soprattutto rumoroso, anche la mattina, e la cosa era per loro piuttosto irritante.
«Ciao, Mike» lo salutò Peter.
«Ciao! Rob, ti vedo mattiniero, stai male per caso?» domandò Mike ridendo. Rob infatti era un ritardatario cronico, e regolarmente arrivava tardi a scuola.
«No, mi sono svegliato presto per arrivare prima e prendere il banco migliore» spiegò Rob, prima di sfrecciare via.
«Che ragazzo adorabile, è sempre un piacere parlare con lui» commentò Mike sarcastico, osservando Rob allontanarsi rapidamente.
Peter osservò l'amico: nulla in lui era cambiato dall'ultima volta in cui si erano visti. Mike era almeno quindici centimetri più alto di lui, ed il suo aspetto era definito una mascella squadrata, occhi color nocciola e capelli di un castano chiaro, sempre ben pettinati. Il suo amico aveva l'abitudine di non allacciare mai completamente la camicia della divisa, lasciando scoperta una porzione del petto, perché si divertiva ad ascoltare i commenti delle ragazze che gli morivano dietro.

Per Peter, era piuttosto strano essere amico di un ragazzo popolare come Mike, perché quest'ultimo attirava sempre l'attenzione, mentre Peter, pur camminando quasi sempre al suo fianco, non veniva mai notato. Non che questo gli desse fastidio, al contrario, ma trovava deprimente che le poche ragazze che gli rivolgevano la parola, lo facessero solamente per chiedergli di parlare di loro a Mike.
I due amici si incamminarono lungo la strada che aveva intrapreso Rob, ma a differenza del ragazzo decisero di camminare con calma, erano ancora in largo anticipo.
«Allora, cos'hai in programma oggi?» domandò Peter.
«Un'ora di matematica, un'ora di chimica, due ore di letteratura e un'ora di musica» recitò Mike a memoria.
«Interessante» borbottò Peter, scrollando le spalle «Ma io parlavo delle tue ragazze»
«Pete, quante volte ti devo dire che non è come dici tu? Io ho una sola ragazza!»

Mike aveva l'abitudine di intraprendere spesso nuove relazioni, e Peter si divertiva a prenderlo in giro sull'argomento. Capitava molto frequentemente che il suo amico fosse conteso tra due ragazze, e per questo Mike provava quasi piacere nel rendersi conto di poter passare da una ragazza all'altra con facilità. Peter, che non approvava il suo comportamento in questo senso, non si stancava di farglielo notare, ma si era accorto che le prese in giro erano molto più efficaci a far capire a Mike che il suo modo di fare non era esattamente gentile.
«Come no. Com'è che si chiama? Anita?» fece Peter malizioso, rivolgendogli un sorrisetto.
«Jeanna» rispose Mike, contrariato.
«No, secondo me Jeanna era quella del mese scorso, quella nuova aveva un nome con la A...» ridacchiò Peter.
«Credo di conoscere il nome della mia ragazza, Pete» tagliò corto Mike. Peter fece una piccola smorfia, spostando poi lo sguardo sulla scuola, che faceva capolino in lontananza.

Era un bell'edificio, moderno e spazioso, con un grande cortile. Non sarebbe stato un brutto posto in cui passare le giornate, se non fosse stato per le persone che la popolavano.
Gli occhi di Peter saettarono dal viso di uno studente all'altro, cercando la persona da cui voleva nascondersi. Fortunatamente, i capelli neri e corti di William Wood non si vedevano da nessuna parte, così Peter si affrettò a trotterellare al fianco di Mike, entrando nell'edificio.
Una volta nell'atrio, Peter si sentì quasi al sicuro, ma sapeva che la giornata sarebbe stata lunga e che Wood aveva avuto tutta l'estate per progettare cattiverie nei suoi confronti. Rabbrividì al pensiero di quello che avrebbe potuto aspettarlo.
«Oh, guarda chi c'è» disse Mike in tono malizioso, indicando un punto oltre la spalla di Peter. Il ragazzo si voltò subito in quella direzione, e quasi ebbe un giramento di testa. A pochi metri da lui, intenta a parlare con le sue amiche, c'era Britney Adams.

Il ricordo del sogno vissuto poco più di un'ora prima, si fece vivido in lui. Britney era stata una sua compagna di classe in precedenza, ed era l'unica ragazza di cui gli fosse veramente importato qualcosa nel corso di tutti quegli anni. Era una persona gentile, disponibile ed una delle poche a non ridere quando Wood cercava di umiliarlo. Sfortunatamente, quest'anno si trovava in un'altra classe, cosa che a Peter dispiaceva immensamente, ma al tempo stesso lo sollevava, perché, anche dopo anni di tentativi, si era arreso al fatto che ogni volta che provava a rivolgerle la parola, sembrava che tutte le forze lo abbandonassero, e si sentiva sempre più stupido.
«Non vai a salutarla?» fece Mike con un sorrisetto.
Peter si morse il labbro inferiore, per trattenersi dal raccontare a Mike il sogno di quella mattina. Osservò Britney, concentrandosi particolarmente sulle sue labbra. Quelle labbra carnose che erano state così vicine per un momento, così dolci e morbide, anche se solamente in sogno. Quanto avrebbe voluto potersi avvicinare a lei, sfiorare quelle labbra...
Scosse la testa, per poi dare una spinta a Mike, senza riuscire a spostarlo di un millimetro. Britney si era probabilmente dimenticata della sua esistenza, certamente doveva avere un ragazzo, ormai.
«Lasciami in pace. Tu, piuttosto, vai a cercare quella Allie, Anna...»
«Jeanna!» sbottò Mike.

La campanella suonò mentre si trovavano ancora in corridoio, e Peter, dopo aver rivolto un veloce cenno di saluto a Mike, si affrettò a raggiungere la classe di arte prima che qualcuno potesse trovare il modo di farlo cadere dalle scale o rovesciare tutto il contenuto della sua cartella.
Si sentì tranquillo solamente dopo aver preso posto in ultima fila, da cui poteva vedere bene la porta e tenersi a distanza in caso Wood avesse dimostrato di volergli fare qualcosa di brutto. Trattenne il fiato quando il ragazzo entrò, ma quello prese posto in una delle file davanti senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Peter, al contrario, lo osservò con attenzione. Durante l'estate aveva tagliato i capelli, che ora erano cortissimi ai lati, e leggermente più lunghi sopra la testa. Doveva anche aver fatto palestra, sembrava che la divisa gli calzasse più stretta di quanto Peter ricordasse. Brutto segno.
Al seguito di Wood, entrarono in classe i suoi due amici fidati, Walter Landon e Steven Owens, che insieme al primo formavano il terzetto peggio assortito della storia. Wood era un ragazzo dall'aspetto nel complesso gradevole, alto, con occhi profondi ed una mascella pronunciata. Landon era un ragazzo castano leggermente in sovrappeso, con una incredibile forza fisica, accompagnata però da una spiccata stupidità. Lui era quello che eseguiva alla lettera ogni ordine di Wood, e solitamente quello che faceva più male quando picchiava. Owens, invece, aveva la bocca sempre storta in un ghigno, la pelle del viso sempre tirata come se avesse subito un lifting malriuscito, una fronte spaziosa da cui spuntavano capelli scuri e dritti. Era molto più intelligente di Landon, ed era anche un bravo studente. Solitamente, Owens era quello che si informava sugli spostamenti dei bersagli di Wood, assicurandosi che non avertissero i professori o il preside, e rideva forte mentre i poveri malcapitati venivano picchiati.
Quando si rese conto che i tre non sembravano averlo notato, finalmente tirò un sospiro di sollievo, che si amplificò quando entrò l'insegnante, la professoressa Morris. La professoressa salutò gli alunni e, dopo i soliti scambi di opinione sull'estate appena trascorsa, iniziò a chiamare uno per uno gli studenti alla cattedra per farsi consegnare il compito delle vacanze.

Peter era fremente di trepidazione, in tutta la sua lunga vita scolastica non aveva mai desiderato così tanto consegnare un compito. Sapeva di aver fatto un buon lavoro, e voleva iniziare l'anno nel migliore dei modi dimostrando come sempre alla professoressa Morris il suo amore nei confronti della materia. Purtroppo per lui, sembrava quasi che la professoressa si stesse sforzando di fare le cose lentamente. Dopo dieci minuti era arrivata solamente alla lettera 'F' dell'alfabeto, commentando malamente tutti i disegni che le erano stati consegnati e rimproverando gli studenti che avevano dichiarato di avere lasciato i compiti a casa.
«Nel frattempo, cominciate a lavorare su qualcosa di nuovo, una natura morta. Avete tutti le vostre tempere, vero? Bene, l'immagine da copiare è a pagina 24» disse la professoressa quando si rese conto che gli studenti stavano perdendo tempo a chiacchierare. Tra lamentele di ogni tipo, tutti iniziarono ad eseguire il lavoro. Peter fu grato della distrazione, perché non riusciva più ad aspettare che il suo nome fosse chiamato, era così ansioso da non riuscire a stare fermo sulla sedia.
«Kane» chiamò infine la professoressa.
«Sì» rispose Peter, ad alta voce.
«Spero che almeno tu non abbia dimenticato il compito a casa»
«No, l'ho portato» disse lui.
«Molto bene, vieni qui»
Si alzò barcollando, passando tra i compagni ancora concentrati sui loro fogli. Teneva il disegno in mano con un'attenzione tale che non sarebbe stato più delicato se in braccio avesse avuto un bambino.
Era quasi arrivato alla cattedra quando inciampò in qualcosa, finendo faccia a terra. Per lo stupore, stropicciò il disegno che teneva in mano, prima di perdere la presa. Quando si rigirò sulla schiena per vedere contro cosa fosse finito, una cascata d'acqua si rovesciò sulla sua testa.
«Ma cosa...» urlò, sputacchiando. Si scostò i capelli dagli occhi, e quando la sua vista fu di nuovo chiara scoprì che la cascata altro non era che un bicchiere d'acqua sporca in cui William Wood aveva diluito i suoi colori a tempera fino a quel momento.
«Professoressa, Kane è inciampato sul mio bicchiere e mi ha rovinato il lavoro» disse Wood con tranquillità, osservando Peter di sbieco.
"Tutto qui? Un'intera estate per pensare a cosa farmi e ti limiti ad un bicchiere d'acqua?" pensò Peter, furioso. Nonostante bruciasse di rabbia, però, non disse una parola. Ormai aveva imparato che, nel suo caso, la difesa migliore che aveva contro i bulli era il silenzio, così ogni volta che succedeva qualcosa non faceva altro che subire ed andarsene senza reagire. Questa volta non fu diverso. Si alzò, grondando acqua e gocciolando da tutte le parti, e recuperò il suo compito, che era stato inzuppato ed era ormai ridotto ad una poltiglia informe.
«Mi dispiace, professoressa. Non credo di poterlo consegnare» disse, abbassando la testa. Wood distese le labbra in un ghigno.
«Wood, chiedi scusa» gli intimò l'insegnante.
«Io? Ha fatto tutto da solo!»
«Non importa, è stata colpa mia» fece Peter. Si odiò per aver detto una cosa del genere, ma sapeva che se non voleva subire di peggio, quello era il prezzo da pagare. Tornò al proprio posto, evitando di incrociare lo sguardo con i presenti, e passò il resto dell'ora in disparte, a valutare i danni che l'acqua aveva provocato alla sua divisa scolastica. La camicia, che in origine era bianca, era diventata praticamente trasparente, con macchie rossastre dovute al colore, mentre i pantaloni blu erano zuppi dalla cintura fino al ginocchio. La giacca era l'unica cosa che non sembrava aver subito troppi danni, ma ciò non era di alcun conforto.
Si maledisse mentalmente per non avere sospettato che una cosa del genere potesse succedere, ma si rincuorò un poco pensando che all'ultima ora avrebbe avuto ginnastica, e questo significava che aveva portato a scuola la tuta con cui poteva cambiarsi.
«Kane, vai in bagno a darti una sistemata» impose la professoressa, per poi aggiungere «Ed avvisa il bidello, il pavimento è coperto d'acqua»
Peter si alzò dal proprio banco senza dire nulla, stringendo la propria cartella ed uscendo dalla classe, richiudendosi la porta alle spalle. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, che tentò in ogni modo di ricacciare indietro. Era frustrato, arrabbiato, i vestiti bagnati gli davano fastidio, ed era stanco di essere sempre preso di mira. Si diresse a passi lenti verso l'atrio, dove si trovava la postazione del bidello, e per poco non gli venne un infarto.

«La ringrazio» stava dicendo Britney, afferrando una scatola di gessetti dalle mani del bidello. Peter tentò di nascondersi, ma ormai era troppo tardi, la ragazza si era accorta della sua presenza.
Mille pensieri, tra cui "Perché proprio lei?" si fecero spazio nella sua mente, non sapeva cosa dire. Raramente trovava il coraggio di rivolgerle la parola, e non gli era mai capitato di trovarsi solo con la ragazza prima di quel momento. Sentì lo sguardo di Britney su di sé, aveva la sensazione di essere analizzato ai raggi X.
«Peter?» domandò la ragazza, incerta. Peter fu sorpreso che lei si ricordasse addirittura il suo nome. Annuì.
«Stai bene?» continuò lei, alludendo all'aspetto della sua divisa. Imbarazzato, Peter spostò la cartella sul cavallo dei propri pantaloni per coprire la macchia d'acqua, non voleva che Britney pensasse che se l'era fatta addosso.
«Sì» rispose secco, senza guardarla. Quello era l'unico modo per non restare a corto di parole.
«Cosa ti è successo? Sei fradicio»
«Non capisco di cosa parli» fece Peter, tentando di evitare l'argomento.
«Per caso, è colpa di Will?» chiese Britney all'improvviso. Peter si sentì lievemente infastidito. Wood faceva parte del gruppo di amici di Britney, e per quel che ne sapeva i due andavano anche molto d'accordo.
«Mi sono rovesciato addosso dell'acqua» borbottò. Superò la ragazza, per poi rivolgersi al bidello «La professoressa Morris mi ha mandato ad avvisare che bisogna asciugare il pavimento della sua aula... un bicchiere si è rovesciato»
Sentì delle dita picchiettare sulla propria spalla, voltandosi nuovamente verso Britney.
«Per caso... ce l'hai con me?» gli domandò.
Peter si sentì il cuore in gola.
«No, perché dovrei?»
«Ti comporti in modo strano»

Non poteva più evitarlo. Sollevò lo sguardo, e quando i suoi occhi azzurri incrociarono quelli marroni di Britney si sentì arrossire all'istante.
«N-no, n-non ho niente contro di te» le disse, resistendo alla tentazione di mordersi la lingua per l'improvvisa balbuzie da cui era stato colpito.
«Bene» rispose lei, rivolgendogli un gran sorriso. La osservò come un ebete per una frazione di secondo, prima di aprire bocca per rispondere, ma lei lo fermò con un gesto.
«Peter, non c'è bisogno che tu dica niente. Parlerò con Will, non gli permetterò di continuare a trattarti così»
Peter dubitava che sarebbe servito a qualcosa, visto che erano anni che Wood lo trattava in quel modo, ma apprezzò comunque l'intenzione.
«Grazie» riuscì a dire.
«Mi dispiace. Davvero» disse Britney. Non avendo più il controllo della voce, Peter si limitò ad annuire. Si sentì veramente stupido nel restare a guardarla senza dire niente, e, quando riprese il controllo del corpo, lei si era già allontanata.
Soltanto in quel momento, ricordò di essere in condizioni pietose, con indosso una camicia praticamente trasparente e dei pantaloni dall'aspetto non molto diverso da quelli di uno che se l'era fatta addosso. Si sentì arrossire nuovamente, rendendosi conto che Britney gli aveva rivolto la parola mentre lui era in quelle condizioni. Con tutte le occasioni di parlare che avevano avuto in passato, Britney aveva scelto proprio quella per la loro conversazione più lunga.
"Perfetto, Kane, davvero perfetto" pensò, imbarazzato. Si incamminò verso la palestra con l'idea di cambiarsi in fretta prima che Mike o qualche professore potessero notare e giudicare lo stato della sua divisa. Se Mike l'avesse visto, gli avrebbe certamente chiesto spiegazioni, e lui non era certo di volergliene parlare. Mike, due anni prima, aveva raccontato al preside di un brutto scherzo che Wood aveva fatto a Peter, ma non solo il ragazzo non era stato punito, ma aveva anche riempito Peter di botte appena lo aveva incontrato fuori dalla scuola. Dopo quell'esperienza, Peter era sempre diffidente dal raccontare a Mike delle cattiverie che Wood gli riservava.

Riuscì miracolosamente a raggiungere gli spogliatoi della palestra senza incontrare nessun professore, e solo quando si vide riflesso nello specchio dello spogliatoio maschile capì appieno in quali condizioni si trovasse. Aveva i capelli fradici ed incollati alla testa, e la giacca, che prima gli era sembrata salvabile, aveva una enorme macchia sul gomito.
Si spogliò, passandosi ripetutamente le mani sul viso e massaggiandosi le tempie, e decise di togliere anche l'intimo zuppo, indossando poi la tuta da ginnastica. Premette il pulsante di avvio di uno degli asciugamani elettrici dall'aria preistorica fissati al muro, ficcandovi sotto la testa e tentando di asciugarsi i capelli alla meglio. Riservò lo stesso trattamento ai boxer, che nonostante fossero umidi, si affrettò ad indossare nuovamente, e provò a fare lo stesso con la divisa, ma quando si accorse che il suo intervento aveva solamente reso più evidenti le macchie di colore, decise di lasciar perdere.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** DAWSON'S GEEK. ***


DAWSON'S GEEK.


Non appena aveva sentito la campanella suonare, si era affrettato a raggiungere l'aula di inglese, dove si era immerso immediatamente nel torpore, appena preso posto al proprio banco in prima fila.
«Signor Kane, vista la media dei tuoi voti nella mia materia l'anno scorso, ti conviene fare attenzione a quello che dico»
«Eh? Cosa?» disse Peter, riscuotendosi. Ricordava bene quanto la professoressa avesse cercato di dargli un debito, ma era stato salvato dal fatto che la donna si era rifiutata di presentarsi a scuola d'estate solamente per tenere un corso privato per lui. Era convinto che la professoressa Walstone si divertisse a perseguitarlo e dargli voti bassi per il solo piacere di vederlo infelice, ma che non si impegnasse nella causa tanto quanto avrebbe dovuto. Forse non voleva doverlo bocciare, per evitare di avere un caso perso come lui in classe per più anni del necessario. Questa convinzione del ragazzo era così radicata nella sua mente che ormai aveva quasi deciso di smettere per sempre di studiare inglese ed andare avanti sperando che qualche miracolo lo aiutasse.
«Non mi sorprende che tu sia lo studente peggiore che abbia mai avuto» si lamentò la professoressa.
«Mi scusi» fece lui, cercando di troncare sul nascere l'ennesima discussione.

Erano ormai quattro anni che i suoi discorsi con la professoressa Walstone rappresentavano la vera e propria anima delle lezioni. Di solito, la lezione iniziava con la donna che si lamentava per la disattenzione cronica di Peter nei confronti della materia, e terminava con un'interrogazione spietata al ragazzo, che non avendo alcun interesse né conoscenze di qualsiasi tipo al riguardo, veniva solitamente rimandato a posto con un pessimo voto.
«Vieni alla lavagna» gli impose infatti la professoressa. Peter si alzò dal suo posto, nel banco proprio di fronte alla cattedra, dove veniva confinato da due anni a quella parte durante il corso, e percorse i pochi passi che lo separavano dalla lavagna.
«Che cos'è questo abbigliamento?» domandò immediatamente la donna, squadrando dall'alto in basso la tuta da ginnastica di Peter «La mia classe non è una gara sportiva, esigo la divisa scolastica»

Tutti gli studenti sapevano che la scuola aveva un codice di abbigliamento molto severo e che la divisa doveva essere sempre in perfetto ordine. L'unica alternativa era, appunto, la tuta da ginnastica fornita dalla scuola stessa. Il ragazzo guardò in direzione di Wood e dei suoi amici, e non fu sorpreso di vederli ridere.
«Prima ho avuto un... incidente» spiegò, a bassa voce «Sono stato costretto a cambiarmi per forza»
«Non sei un po' grande per avere degli incidenti?» chiese la professoressa, probabilmente deliziata dalla piega degli eventi e dall'evidente difficoltà sul viso del suo studente.
Peter stava per rispondere che no, non se l'era fatta addosso come pensava lei, ma decise di lasciar perdere quando Wood, seduto a due banchi di distanza, gli lanciò un'occhiata minacciosa. Anche quando i suoi compagni di classe iniziarono a ridere, Peter si sforzò di ignorarli.
«Spero che tu abbia studiato durante le vacanze, Kane»
Peter deglutì nervosamente. Aveva dato un'occhiata veloce al primo argomento della lista dei compiti solamente perché sua madre aveva insistito, ma era stato quasi due mesi prima e ricordava poco o niente. Incrociò le dita.
«Parliamo un po' di Shakespeare» disse la professoressa.
Fantastico. Peter di Shakespeare conosceva solamente il nome e il titolo dell'opera a suo avviso più famosa, Romeo e Giulietta. Inutile dire che non aveva aperto libro al riguardo.

«Cosa puoi dirmi della vita di Shakespeare?» esortò la professoressa Walstone. Peter strizzò gli occhi, nello sforzo di concentrarsi.
«Ehm... dunque... William Shakespeare è nato in Inghilterra nel... nel... ehm... milleottocento e qualcosa?»
La donna sollevò una mano, facendogli cenno di fermarsi. Lo osservò con occhi severi, per poi scuotere la testa quasi perfettamente rotonda, facendo dondolare quei boccoli che, secondo l'opinione di Peter, non appartenevano ad altro che ad una parrucca, che la professoressa usava per nascondere la calvizie.
«Non hai studiato, vedo. Resta qui, magari imparerai qualcosa» disse, per nulla impressionata dal desolante tentativo del ragazzo.
«Vediamo... Wood» chiamò, facendo in modo che il ragazzo, che stava ridacchiando, si zittisse immediatamente. Peter si lasciò andare ad un pesante sospiro. Wood era uno studente di buon livello, non il migliore della classe, ma si distingueva in alcune materie.
«Ma, professoressa...» fece Wood, allargando le braccia «Non è giusto che sia io a pagare per l'ignoranza di Kane»
«Devo mettere impreparato anche a te?» minacciò la professoressa. Wood scosse la testa, alzandosi con l'aria di chi la sa lunga, e si posizionò in piedi accanto a Peter.
«Me la paghi» sibilò Wood, così piano da farsi sentire solamente da Peter.
«La vita di Shakespeare, Wood» disse la professoressa.
«William Shakespeare nacque a Stratford-upon-Avon nel 1564. Visse durante il regno della regina Elisabetta I, e studiò il latino ed i classici della letteratura. Anche se pare che non abbia avuto alcuna istruzione universitaria...»

Peter smise di colpo di ascoltare Wood. Lo osservò con la coda dell'occhio, certo che la professoressa fosse piacevolmente impressionata dalla sua prestazione, ed iniziò a sentire le mani formicolare per l'impulso di prenderlo a pugni. Sarebbe stato certamente divertente metterlo al tappeto davanti a tutta la classe, ma non avendo né la forza né il coraggio adatti a fare una cosa del genere si mise le mani in tasca e cominciò a studiare con interesse le piastrelle del pavimento. Di tanto in tanto, sentiva il ragazzo usare qualche parola complicata, per il puro gusto di mettersi in mostra, e ciò non faceva altro che irritarlo maggiormente. Chi si credeva di essere?
Avrebbe tanto voluto che Wood potesse vedersi come lo vedeva lui. Un pallone gonfiato, che sapeva solamente mettersi in mostra e farsi forte dei suoi finti amici.
«...Una delle opere più importanti di Shakespeare è certamente l'Enrico VI...»
«Molto bene, puoi tornare a posto» lo interruppe la professoressa Walstone. Wood andò a sedersi compiaciuto, e la donna fu libera di tornare a dedicarsi a Peter.
«Hai visto, Kane? Non era difficile. Ora dimmi, cosa pensi del concetto di amore espresso da Shakespeare nei suoi Sonetti che dovevate studiare durante le vacanze?»
Dentro stava bruciando di rabbia e nervosismo, ma non poteva lasciarsi andare a nessun commento, perché sapeva che avrebbe solamente peggiorato le cose. Si sentì mancare quando si ricordò che quello era solo il primo giorno di scuola. Parlò quasi senza pensare, e non sapendo nulla dei Sonetti, si basò su quello che aveva dedotto da Romeo e Giulietta quando qualche anno prima aveva visto insieme a sua madre il film tratto dalla famosa opera.
«Penso che non abbia senso. Io non penso che qualcuno sia in grado di amare al punto di suicidarsi per riunirsi alla persona che ama»
Tutti iniziarono a ridere, prendendo in giro Peter, mentre la professoressa diventava sempre più scontrosa nei suoi confronti.
«Questi non sono i Sonetti che vi avevo assegnato per le vacanze» disse la donna, stringendo gli occhi.

Peter si sentiva in imbarazzo, ma nonostante questo era fermamente convinto delle proprie parole. Alzò alzò di poco lo sguardo, e vide il sorriso compiaciuto di Wood. Istantaneamente, sentì le gambe trasformarsi in gelatina, mentre la consapevolezza della figuraccia diventava bruciante.
«Non riesco a pensare che qualcuno possa considerare l'amore tanto importante» spiegò in tono pacato.
«Dunque stai dicendo che l'opinione di chi non la pensa come te non abbia senso?» lo esortò la professoressa.
«No. Sto dicendo che per come sono fatto io, non credo che riuscirò mai a capire un concetto del genere» rispose Peter con sincerità.
«Questo dimostra che non hai capito proprio niente di quello che sto cercando di insegnarvi»
«Io trovo che quello che ha detto non sia del tutto sbagliato» intervenne una voce maschile. Tutti si voltarono verso la porta, da cui un ragazzo dall'aria bizzarra faceva capolino.
«Prego?» fece la professoressa Walstone. 
«Sì. Trovo che essendo la sua personale opinione non possa essere condannata. Certo, questo vale solamente se l'ha argomentata adeguatamente»

Il linguaggio del nuovo arrivato incuriosì Peter, che iniziò a fissare il ragazzo senza ritegno. Questo aveva dei capelli neri, in mezzo ai quali si notavano ciocche colorate con toni improbabili dal rosa al blu elettrico, portava un orecchino e aveva un piercing al sopracciglio. Il tutto completato da smalto nero steso solamente su quattro unghie ed una maglietta di un giallo sgargiante al posto della camicia della divisa.
«Posso domandarti il tuo nome?» chiese la professoressa.
Lo straniero, per nulla impressionato dal tono minaccioso dell'insegnante, misurò l'aula a grandi passi, mentre si guardava in giro tranquillamente. Peter era molto incuriosito dai suoi modi e dal suo aspetto, ma quel tipo gli era già simpatico.
«Mi chiamo John Catham» disse quello, emettendo un fischio sommesso nell'osservare la classe.
«Catham... sei il nuovo studente» commentò la donna, facendo una smorfia nell'udire il fischio, scorrendo nel frattempo l'elenco sul registro.
«Sì. Mi dispiace per il ritardo, ma sono arrivato a scuola solo mezz'ora fa e non riuscivo a trovare l'aula»
«Questo non ti giustifica. Dovrò fare rapporto, ed in questa scuola è vietato emettere suoni volgari come i fischi»
«Ah, quel che è giusto, è giusto» rispose lui con una scrollata di spalle, sedendosi mollemente ad un banco vuoto, con un pigro sorriso in volto. Gli studenti iniziarono a parlottare, tanto che la professoressa dovette zittirli. Tutti erano interessati al nuovo studente, chi per invidia, chi per ammirazione, chi per altro, nessuno riusciva a togliergli gli occhi di dosso.

«Kane, vai a sederti. Oggi non ti valuterò» disse all'improvviso l'insegnante. Peter non riuscì a credere alla propria fortuna. Forse avrebbe dovuto ringraziare Catham, aveva l'impressione che fosse stato il suo arrivo a sconvolgere la donna a tal punto da farle dimenticare l'interrogazione.
Dall'altro lato, però, sembrava che lei avesse trovato una nuova vittima con cui prendersela.
«Da dove arrivi, Catham?» chiese infatti la donna. Catham, che si era seduto in prima fila alla destra di Peter ed aveva appoggiato i piedi sul banco, la guardò senza interesse.
«Sono stato in molti posti. L'ultima scuola che ho frequentato prima di venire qui è stata a Londra» disse, tamburellando sul banco con le dita.
«Siediti correttamente. Non so come ti abbiano abituato nell'altra scuola, ma qui siamo molto rigidi riguardo le regole» gli intimò la professoressa.
Catham si sedette composto con un'espressione divertita, sembrava che non avesse intenzione di fare altro che infastidire l'insegnante. Quando lei prese a minacciare il nuovo studente, Peter si mise a scarabocchiare sul margine di una pagina del libro di inglese, e in una decina di minuti aveva già riempito metà dello spazio con facce di mostriciattoli inventati sul momento. Ogni minuto che passava, era sempre più grato al nuovo ragazzo, considerato che non aveva mai passato una lezione di inglese così tranquilla.

«Dunque, le parole di Catham mi hanno ricordato che oggi abbiamo un altro ospite. O meglio, un'altra ospite. Anche lei arriva da Londra, dovrebbe essere qui fra poco. Qualcuno sa che ore sono?» fece poi la professoressa.
«Le undici e quaranta» rispose prontamente una ragazza di nome Sally. Peter si sentì sprofondare. Mancava ancora quasi un'ora alla fine di quella lezione.
«Dovrebbe essere qui a momenti» disse la professoressa Walstone. Probabilmente si trattava solamente di una apprendista, come capitava a volte nella loro scuola. Delle persone che studiavano per diventare insegnanti seguivano i professori per un paio di settimane per imparare il mestiere. Puntuale come aveva previsto l'insegnante, si sentì bussare alla porta.
«Chiedo scusa, è permesso?»
 

Peter sollevò stancamente lo sguardo dal foglio, e per poco non cominciò a boccheggiare. Era indeciso se interpretare i suoni nella sua testa come campanellini o cori angelici. Nell'aula era appena entrata la ragazza più bella che avesse mai visto. Immediatamente, la fissò, sorpreso nel vedere che non indossava una divisa.
«Rachel, entra, prego. Sei puntualissima»
"Rachel? Puntualissima?"
La mente di Peter si districò quel tanto che bastava per capire che quella ragazza era evidentemente la persona che la professoressa stava aspettando.
«Ciao a tutti» disse Rachel con un sorriso. Peter avvertì una strana sensazione allo stomaco, così distolse lo sguardo sperando che nessuno si accorgesse del modo in cui aveva fissato l'estranea a bocca aperta. Un'occhiata veloce gli bastò per capire che non era l'unico ragazzo della classe in quelle condizioni. Un forte fischio di apprezzamento, gli fece capire che anche Catham la pensava come lui.
«Rachel sta studiando per diventare professoressa di inglese» li informò la professoressa Walstone «Dunque resterà con noi per qualche tempo»
Nessuno sembrò avere qualcosa da dire in contrario.
«Vi prego, non pensate a me come ad una vera e propria insegnante, sto studiando come voi»
Non c'era certo bisogno che lo dicesse. Quanti anni aveva? Forse una ventina? Venticinque al massimo, valutò Peter. Per questo motivo, appena era entrata l'aveva scambiata per una studentessa,
«Stavamo parlando di Shakespeare» disse la Walstone a Rachel.
«Oh, perfetto, io adoro Shakespeare» commentò lei.
"Nota per me: imparare tutto di Shakespeare"

«Bene, allora vorresti provare a spiegare tu?» domandò la professoressa. Rachel acconsentì di buon grado.
«Però ti avverto, il nostro Kane, qui in prima fila, non è un appassionato»
Peter si fece piccolo piccolo per l'imbarazzo. Non gli piaceva stare seduto in prima fila, si sentiva troppo esposto, e la cosa peggiorò quando la giovane apprendista si avvicinò a lui.
Quando Rachel lo guardò incuriosita, Peter si sentì arrossire per l'ennesima volta.
«Allora è così? Cercheremo di fargli cambiare idea. Dunque, Peter, giusto? Potresti dirmi cosa non ti convince di Shakespeare?»
Peter aprì bocca per parlare, senza essere certo di cosa avrebbe detto.
«Che Romeo e Giulietta non fanno sesso come conigli!» gridò qualcuno alla sua destra.
Ancora una volta, pensò di dover ringraziare Catham per il tempismo.    

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** YOU SAID NO. ***


YOU SAID NO.


La campanella che segnava la fine della lezione di inglese aveva un suono dolcissimo, e Peter, per la prima volta da quando prendeva parte alle lezioni della Walstone, si sentiva stranamente rincuorato. Negli ultimi quaranta minuti, non aveva fatto altro che osservare Rachel, annuendo distrattamente alle sue parole, concentrandosi invece sull'aspetto della ragazza.
La sua perfetta pelle olivastra, i lunghi capelli lisci e scuri, che le ricadevano fin sotto le spalle, gli occhi grandi, marroni con qualche pagliuzza verde, il naso piccolo e le labbra dalla forma quasi ovale. Tutto contornato dalla camicetta bianca che indossava, che contribuiva a farla spiccare ulteriormente accanto alla Walstone, vestita completamente di nero.
Guardò Rachel un'ultima volta, molto rosso in viso, per poi uscire dall'aula insieme ai compagni ed affacciarsi alla finestra, mossa intelligente per riprendere a respirare normalmente. Si vergognava di avere fissato per tutta l'ora la nuova tirocinante, ma non era riuscito ad evitarlo, così adesso se ne stava con la fronte appoggiata al vetro cercando di pensare ad altro.
Una voce improvvisa alle sue spalle fu utile allo scopo.

«Tu ti chiami Kane, giusto?»
Si voltò lentamente per trovarsi davanti il ragazzo nuovo, John Catham, che gli sorrideva amichevolmente. Da quella distanza ravvicinata, l'orecchino del ragazzo attirava particolarmente l'attenzione. Decise che gli era simpatico, dunque si presentò.
«Sì. Chiamami Peter» rispose, tendendo la mano. Catham la strinse subito e annuì.
«Non mi aspettavo che questa scuola fosse così» disse il ragazzo con uno sguardo indecifrabile.
«Così come?»
«Così rigida» fece l'altro «Mi sono già beccato una punizione. È per questo che sono arrivato in ritardo a lezione. A quanto pare, il mio abbigliamento è inadeguato» disse Catham, imitando una voce profonda e istituzionale da uomo vissuto. Peter non riuscì a trattenere una risata.
«Se può consolarti, prima che arrivassi tu, la professoressa si è lamentata anche di come sono vestito io»
Catham studiò attentamente la tuta da ginnastica di Peter.
«Non ci vedo nulla di male, anche se è una scelta strana per il primo giorno di scuola. Non è quel giorno in cui tutti vogliono apparire perfetti ed in ordine?»
«Sono stato costretto a cambiarmi, Wood mi ha fatto uno stupido scherzo» commentò Peter.
«Che tipo di scherzo?» chiese Catham interessato.

Peter gli raccontò della lezione di arte e di come Wood avesse rovinato il suo compito e la sua divisa in un'unica mossa.
«Wood è quel tizio con i capelli rasati, giusto? Mi sembra solo un pallone gonfiato» disse Catham, rincuorando Peter. Quel ragazzo continuava a guadagnare punti a favore.
«Già... non siamo esattamente amici io e lui»
«Dubito che uno così abbia veramente degli amici. Comunque, non è un mio problema. E se vuoi un consiglio, non dovresti pensare neanche tu a queste cose»
Peter non poteva fare altro che dargli ragione. Quando la campanella suonò, si diresse all'aula di storia insieme al suo nuovo amico, dove prese posto facendo attenzione a stare ben lontano da Wood e dai suoi due inseparabili amici.

Il professore non sembrava intenzionato a fare lezione, così decise di lasciare ai ragazzi l'ora libera per raccontarsi le vacanze. Peter ebbe così il tempo di conoscere Catham e scoprire che non solo era sfacciato e fuori dagli schemi, ma anche molto intelligente, e sembrava avere vissuto praticamente ovunque: New York, Berlino, Barcellona... l'ultima città in cui aveva vissuto era Londra, da cui si era trasferito perché, stando a quello che diceva, era stato espulso dalla scuola.
«Sul serio sei stato espulso?» fece Peter, nascondendo una leggera ammirazione. Catham annuì.
«Diciamo che al preside non piacevo molto, e si era stancato di vedermi nel suo ufficio» spiegò, con un sorriso stiracchiato. Non sembrando intenzionato a raccontare altro, Peter non riuscì a sapere cosa Catham avesse fatto di tanto terribile per poter essere espulso.
«Tranquillo, qualunque cosa tu faccia, da qui non ti butteranno mai fuori. Basta vedere che Wood è ancora qui per capirlo»
«Quello è un principiante in confronto a me, te lo dico io. Non ha un minimo di spina dorsale» disse Catham, guardando attentamente Wood. Quello, dal canto suo, era seduto dal lato opposto della classe, intento a chiacchierare con i suoi due amici e scrivere al cellulare. Per distrarsi dalla sensazione di fastidio che provava vedendo Wood, Peter iniziò a scarabocchiare sul libro di storia, mentre parlava con Catham del più e del meno.
Aveva appena iniziato a disegnare i baffi sulla foto di chissà quale importante personaggio storico della Rivoluzione Francese, quando notò il display del proprio cellulare, che aveva appoggiato sul banco, lampeggiare per un istante.
Era un messaggio di Mike.

'Perché non mi hai detto dell'apprendista di inglese?'
Peter ridacchiò debolmente. C'era da aspettarsi che il suo amico, con la sua profonda passione per le belle ragazze, fosse rimasto colpito da Rachel.
«Che c'è di divertente?» chiese Catham, sentendolo ridere.
«È il mio amico Mike. Deve aver appena notato la signorina Rachel» spiegò Peter divertito, sottolineando con un po' troppa enfasi la parola 'signorina'.
«Ah, sì. Personcina interessante» disse Catham, mimando un gesto che faceva ben capire a quale tipo di interesse alludesse.
'Non te l'ho detto solo perché non ho avuto tempo' si affrettò a rispondere al messaggio, trattenendo una risata al gesto di Catham.
'Volevi tenertela tutta per te?' rispose Mike quasi all'istante. Peter sorrise.
'Certo, come no. Una così è proprio alla mia portata'
«Anche nella mia vecchia scuola c'era un'insegnante come quella Rachel. Gran donna. Molto bendisposta» stava dicendo Catham «Alla fine dell'anno scorso ho preso il massimo dei voti senza neanche avere bisogno di presentarmi in classe, se capisci che intendo»
«Non ti facevo così intraprendente, Catham» commentò Peter.
«Chiamami John, sentirmi chiamare per cognome mi fa sentire vecchio. Però sì, se c'è bisogno, posso anche prendere iniziative simili» rispose l'altro.
Ridendo, Peter tornò a dedicarsi al suo scarabocchio.
«Si è presa la mia verginità da puro e casto quindicenne, e le monete che avevo in tasca» disse John, imitando un tono nostalgico.
«Fare cose simili con una professoressa è da folli» commentò Peter, ammirato e sconvolto dal racconto.
«Folle, ma non fesso. È il mio motto» fece John
Un altro messaggio di Mike distrasse Peter.
'Ogni volta che ti piace una ragazza dici che non è alla tua portata'
Vedendo un movimento alla propria sinistra, Peter alzò lo sguardo per vedere Wood ed i suoi inseparabili amici avvicinarsi. I tre presero posto nella fila di banchi davanti a lui ed iniziarono a deriderlo.
«Kane, non sai che è vietato usare il cellulare durante le lezioni?» disse Landon.
«Già, pensa se ti vedesse il professore» gli fece eco Owens. Entrambi guardarono Wood, aspettando che fosse lui a concludere il discorso con un colpo di grazia.
«Sai cosa penso, Kane? Credo proprio che dovresti assicurarti il nostro silenzio, non vorrai rischiare la sospensione, vero?» disse infatti lui.
Sospirando, Peter si rimise in tasca il cellulare.
«Cosa volete questa volta?»
«Questo dipende da quanto hai in tasca»
«Non ho niente» disse Peter sbrigativo.
«Tutto fumo e niente arrosto» sbuffò John. I tre lo guardarono irritati, mentre Peter strabuzzava gli occhi sperando che il suo nuovo amico sapesse contro chi si stava mettendo.
«Cosa hai detto?» ringhiò Wood.
«Che sei ridicolo» replicò John, scrollando le spalle. Peter iniziò a tremare, domandandosi cosa sarebbe successo.
«Ripetilo, se hai il coraggio» disse Wood. Peter lo vide stringere i pugni, brutto segno.
«John...» disse, sempre più nervoso. Ma John non lo ascoltava, al contrario, con tutta calma si alzò dalla sedia, avvicinando il viso a pochi centimetri da quello di Wood.
«Ho detto che sei ridicolo» disse, scandendo bene le parole. Peter poteva vedere chiaramente il volto di Wood diventare sempre più rosso di rabbia. Dubitava che fossero le parole di John ad infastidirlo, era certo che fosse il fatto che per la prima volta qualcuno mostrava di non avere paura di lui. Gli amici di Wood, da parte loro, sembravano smarriti tanto quanto Peter.
«Mi stai sfidando, Catham?»
«Certo che sì»
«John, basta» disse Peter, prendendo il suo nuovo amico per un braccio e costringendolo ad allontanarsi da Wood. John tornò a sedersi accanto a Peter, senza distogliere lo sguardo da quello di Wood, che sollevò un pugno e fece per colpire il ragazzo.
«Wood. Catham. In presidenza»
Peter si rese conto che tutta la classe li stava guardando, incluso il professore.
«Nessuno si mette contro di me» sibilò Wood rabbioso in faccia a John, che, dal canto suo, aveva l'aria di uno che è tutto tranne che spaventato.
«Fatti avanti, ti aspetto» disse con tranquillità. Wood digrignò i denti ma, all'ennesimo richiamo del professore, si allontanò senza aggiungere altro, seguito dai suoi due amici.
«Non posso crederci, hai tenuto testa a William Wood» sussurrò Peter. John alzò le spalle.
«Catham, anche tu» esortò il professore, che stava tenendo aperta la porta dell'aula. Il ragazzo si alzò, dirigendosi mollemente all'uscita, con un sorriso divertito stampato in volto.

Quando la campanella segnò la fine dell'ultima ora, Peter si diresse all'uscita, dove incontrò Mike, che lo stava aspettando per tornare a casa insieme.
«Allora, cosa mi dici di Rachel?» chiese subito il suo amico. Peter scosse la testa.
«Dovresti sentire quello che ho da dirti io»
Gli raccontò tutto di John e del suo confronto con Wood, abbondando nei particolari, e alla fine della storia Mike era sorpreso quanto lui.
«Tipo interessante, questo Catham» disse «Sarei proprio curioso di conoscerlo. Ma adesso dimmi, cosa sai di Rachel?»

Rientrando in casa, Peter provò emozioni contrastanti. Da un lato era triste per essere stato di nuovo vittima di Wood, ma era anche felice di avere conosciuto un nuovo amico, ed allo stesso tempo era confuso per quello che aveva provato durante la lezione con Rachel.
Sentì sua madre armeggiare in cucina, mentre a giudicare dai suoni, suo fratello era probabilmente in salotto a guardare la televisione.
«Peter, sei tu?» urlò forte la donna, per farsi sentire.
«Sì, mamma» rispose lui, gettando le chiavi di casa nella specie di ciotola sbeccata che stava su un mobiletto vicino alla porta.
«Com'è andata oggi a scuola?» domandò ancora lei dalla cucina.
«Ho avuto giorni migliori, ma poteva anche andare peggio»
«Cosa vuoi dire? Perché hai ancora addosso la tuta da ginnastica? E cosa hai fatto ai capelli?» urlò sua madre quando lo vide conciato in quel modo. Peter sapeva già che sarebbe successo, anche se avesse cercato di mentire non poteva certamente ingannarla. Lei aveva assistito a tutte le cattiverie subite dal figlio nel corso degli anni, dunque non faticò a capire che anche questa volta doveva esserci stato l'intervento di Wood.
«Dimmi chi è stato. Cosa ti hanno fatto stavolta?» chiese infatti, appoggiandosi le mani sui fianchi.
«Mamma, non è successo niente, lasciami in pace» le rispose sbrigativo.
«Non pensare di cavartela così. È stato di nuovo lui, vero?»
«È stato solo un incidente, mi sono rovesciato addosso dell'acqua, non agitarti» replicò Peter, sollevando le mani in segno di resa. In quel momento suo fratello Rob entrò a sua volta in cucina, sgranocchiando una barretta proteica.
«Ti sei fatto picchiare di nuovo?» chiese.
«Sto cercando di scoprirlo» rispose sua madre.
«Volete lasciarmi in pace? Sto benissimo!» urlò Peter, esasperato.

Dal divorzio dei suoi genitori, Peter si sentiva come se sua madre avesse riversato su di lui tutte le attenzioni. In famiglia tutti continuavano a ripetere che era lui il figlio debole, quello da proteggere. Sembravano esserne tutti convinti tranne lui e suo fratello Robert. Rob non aveva mai avuto problemi con i compagni di scuola, e forse era per questo che, nella testa di tutti i parenti, era lui a sembrare il fratello maggiore.
«Andrò di nuovo a parlare con i tuoi professori, questa storia deve finire» disse sua madre.
Peter sapeva che in realtà lei avrebbe lasciato perdere presto, quindi non si preoccupò più di tanto.
«Com'è andato il compito di arte? La professoressa ti ha fatto i complimenti come avevi detto?» chiese poi la donna, tentando di spostare la conversazione su argomenti più allegri.
«No. Ho perso il disegno» replicò lui, a bassa voce.
«Dammi la divisa, devo avere il tempo di lavarla. Perché immagino che sia sporca, vero?» tagliò corto sua madre. Peter annuì.
«È nella borsa»
Quando si fu calmata, Peter riuscì a raccontarle di John, ma per qualche motivo non menzionò Rachel. Passò il pomeriggio a recuperare i compiti delle vacanze che non aveva ancora finito per il giorno dopo, poi andò a farsi una doccia.
Mentre era in bagno, sentì il campanello suonare ripetutamente.
«È Mike, devo farlo entrare?» sentì Rob urlare.

Quando Peter uscì dal bagno, si diresse in camera sua, e non fu sorpreso di trovarvi il suo migliore amico, intento ad osservare le fotografie appese al muro.
«Sei ancora così?» gli chiese Mike quando lo vide «Vestiti, veloce!»
«Vestirmi per cosa?» chiese Peter perplesso.
«Non dirmi che ti sei dimenticato! Stasera c'è la grande festa di inizio anno!»
Peter si sentì salire la nausea. Aveva completamente rimosso il fatto che ogni anno i suoi compagni di scuola organizzavano una festa in un locale in città, il primo giorno di lezioni. A parer suo, era una scelta piuttosto stupida, perché il giorno seguente si presentavano sempre tutti stanchi e malconci in classe.
«Quest'anno passo» disse.
«Non puoi» rispose Mike, rapido «Ho fatto le mie ricerche ed ho scoperto che stasera ci sarà anche la tua amata Britney»
«Che bello» commentò Peter, sarcastico. Gli avrebbe fatto piacere vedere Britney, ma dove andava lei, andava anche il suo gruppo di amici, incluso Wood, e lui non aveva alcuna voglia di vederlo.
«Ho fatto una figuraccia con lei, è una pessima idea» spiegò Peter, raccontando poi di come Britney lo avesse visto con i pantaloni bagnati.
«Andiamo, stasera è la tua occasione» insistette Mike.
«Tu sei pazzo se credi che questo mi convincerà a venire con te. Pazzo!»

Venti minuti dopo, Mike ed un contrariatissimo Peter si trovavano all'ingresso del locale scelto per la festa di quell'anno. Era una specie di piccola discoteca, uno di quei posti piccolissimi e sempre strapieni di gente.
«Chissà che fine avrà fatto Jeanna» disse Mike, alludendo alla sua ragazza. Peter alzò le spalle e seguì l'amico all'interno del locale. Come aveva immaginato, la pista da ballo era già affollatissima, e la musica assordante cominciò immediatamente a dargli fastidio. In un angolo intravide Britney, e subito i battiti del suo cuore accelerarono.
«Ecco Britney. Vai!» lo incoraggiò Mike.
«Ma come, adesso?»
«No, certo che no, aspetta altri otto anni» borbottò Mike.
«Preferisco aspettare che sia da so-»
«Ecco Jeanna. Fai quello che vuoi. Ci vediamo, Pete!»
Sconcertato, Peter osservò l'amico allontanarsi. Nel giro di pochi secondi era già sparito alla sua vista.
"Bene, ed io cosa dovrei fare?"
Guardò in direzione di Britney. Non poteva parlarle, non c'era la minima possibilità che lo facesse. Andò a sedersi in un angolo, osservando la ragazza. Raramente l'aveva vista con abiti diversi dalla divisa scolastica, ma doveva ammettere che qualunque cosa le donava particolarmente.
Certamente, una ragazza come lei non era alla sua portata, ma socchiuse gli occhi, immaginando di stare insieme a Britney. Lei era molto popolare, la vita di Peter sarebbe passata da orribile a decente, perché Wood avrebbe smesso di maltrattarlo. Senza contare che avrebbe finalmente avuto qualcuno con cui condividere ogni cosa, e che fosse in grado di dargli sensazioni che non aveva mai provato.
In quel momento, vide Wood allontanarsi dal gruppetto di Britney, seguito da alcune ragazze. Ora o mai più. I suoi piedi si mossero senza che lui lo volesse, e in un attimo era a pochi metri da Britney.

La ragazza non sembrava essersi accorta della sua presenza, così prese coraggio, e le picchiettò sulla spalla.
«Peter?» gridò lei per contrastare il rumore, osservandolo.
«C-ciao» balbettò, certo che lei non riuscisse a sentirlo al di sopra della musica. Le amiche della ragazza lo guardavano incuriosite, ridacchiando tra loro. Peter lo trovò molto fastidioso e insensato, le conosceva tutte fin da quando avevano otto anni, ed alcune erano addirittura in classe con lui, non capiva perché trovassero così divertente la sua vista.
«E-ehm... i-io...»
Si guardò attorno, intravedendo Wood, che lo stava fissando, dando qualche colpetto a Landon ed Owens per attirare la loro attenzione. Peter trattenne il fiato, tornando ad osservare la ragazza.
«B-Britney?» fece, avvicinando le labbra al suo orecchio per permetterle di sentire le sue parole.
«Sì?»
«V-vuoi b-balla-re con me?»

La musica si fermò all'improvviso, ed il tempo sembrò fermarsi. Con un tuffo al cuore, Peter si voltò di scatto ad osservare la postazione del dj, dove non fu sorpreso di vedere Wood, che aveva chiesto al ragazzo di fermare la musica ed aveva afferrato un microfono.
«Bene bene» disse il ragazzo al microfono, con un sorrisetto. La sua voce si amplificò per tutta la sala, e Peter sapeva che non presagiva nulla di buono.
«A quanto pare, il nostro amico Kane si è innamorato» continuò Wood, indicando Peter con un cenno e scatenando un'esplosione di risate tra i presenti. Peter quasi volle sprofondare per la vergogna. Britney spostò lo sguardo da uno all'altro, abbozzando un piccolo sorriso osservando Wood.
«Brit, se non sbaglio, Kane ti ha fatto una domanda. È scortese non rispondere» disse Wood. Britney annuì.
«Non voglio ballare con te, Peter» disse, guardandolo negli occhi. Come in un film, Peter si sentì come se guardasse la scena dall'esterno, con le immagini che si facevano sempre più sfocate, mentre Wood si avvicinava alla ragazza e le stampava un bacio sulle labbra, sotto lo sguardo dei presenti che ridevano di gusto e fischiavano forte.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** FALL AT YOUR FEET. ***


FALL AT YOUR FEET.


Fino a quel momento, Peter aveva pensato che le cose non potessero andare peggio, e che la sua vita facesse già abbastanza schifo. Aveva sprecato anni della sua vita morendo dietro a quella ragazza, ed ora lei era lì, davanti a lui, a lasciarsi andare ad un bacio sempre più appassionato con William Wood. Avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, per far credere che non gli importasse niente di ciò che stava accadendo.
Ma era ancora fermo lì, con le labbra dischiuse, a fissare la ragazza. Le altre ridevano ancora, e più lui restava impalato davanti a loro, più rumorose diventavano. Si sentiva come in una specie di bolla. Tutto quello che lo circondava, i suoni, le persone, le sensazioni, sembrava filtrato. Un calore sgradevole iniziò a salirgli su per il collo, dritto fino alla testa. Non si sentiva affatto bene.
Vedeva le persone che lo circondavano ballare, parlare e divertirsi, ed era certo che dovesse esserci della musica, ma non la sentiva. Non sentiva più niente.
Britney spostò una mano tra i capelli di Wood, avvicinandolo maggiormente senza mai separarsi dalle labbra del ragazzo, e fu in quel momento che Peter sentì il proprio cuore andare in mille pezzi.

Riuscì, finalmente, a muovere i piedi, allontanandosi dalla pista e urtando contro diverse persone, cercando un angolino buio in cui nascondersi. Voleva sparire dalla faccia della terra, magari scavare una buca e caderci dentro per non tornare indietro mai più.
Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto cercare Mike. Erano arrivati lì con la macchina dell'amico, che era anche il suo passaggio per tornare a casa, ma al momento non aveva voglia di girare per il locale come un disperato, anzi, voleva essere visto da meno persone possibili.

In un modo o nell'altro, raggiunse il bancone, in preda alla desolazione. Quello era un luogo un po' isolato dalla pista da ballo, cosa che lo fece sentire leggermente meglio. Non aveva il coraggio di guardare in faccia nessuno, e sapeva che il giorno dopo a scuola quell'inferno sarebbe continuato. Cercando di non farsi notare, si voltò a guardare Britney un'ultima volta. Stava ballando con Wood. Da quanto quei due stavano insieme?
«Vuoi qualcosa?»

Peter si voltò in direzione della voce. Il barista del locale era davanti a lui, intento a preparare qualcosa per una ragazza, ma sembrava essere stato lui a parlare.
«Magari» gli disse. Il barista servì da bere alla ragazza prima di dedicarsi a Peter, che nonostante la folla danzante presente nel locale, era l'unico altro cliente che aveva.
«Cosa vuoi bere?» gli chiese disinvolto. Peter alzò le spalle. Avrebbe buttato giù qualunque cosa pur di dimenticare la figuraccia.
«Quello che vuoi, basta che sia forte» rispose, facendo del suo meglio per sovrastare la musica. Il barista lo guardò dall'alto in basso.
«Ma quanti anni hai, quattordici?» gli fece.
«Diciassette» replicò tristemente. Il barista iniziò a preparargli qualcosa, continuando a guardarlo sospettoso.
«Purtroppo, essendo una festa scolastica mi hanno proibito di servirvi alcolici» lo informò. Peter lo guardò sorpreso. Quale locale rinunciava a fare soldi con gli alcolici, anche se i clienti erano quasi tutti minorenni? Uno gestito da persone responsabili, pensò subito dopo. La cosa era anche sensata, ma lui voleva qualcosa che lo aiutasse in quella situazione.
«Allora...» disse, cercando qualcosa che andasse bene.
«Giornataccia?»
Peter annuì.
«Facciamo così, io ti preparo qualcosa e se ti piace lo paghi, altrimenti è gratis» disse l'uomo. Peter acconsentì, sperando che il barista si sbrigasse. Voleva spostarsi da lì e cercare un posto in cui nessuno potesse vederlo.
«Ecco a te» disse l'uomo, porgendogli un bicchiere colmo di un liquido imprecisato.
«Grazie...» borbottò lui. Assaggiò in fretta il drink, e quando ebbe deciso che gli piaceva abbastanza, porse i soldi al barista.

Saltò giù dallo sgabello, guardandosi intorno in cerca di un punto del locale che fosse lontano dalla pista da ballo e non troppo illuminato. Con una smorfia, gli venne in mente che era in posti del genere che le coppiette nauseanti si appartavano.
Di lì a poco, infatti, notò una coppia parecchio occupata, che superò in fretta, andando a nascondersi nell'angolo più buio ed isolato del locale. Finalmente, individuò un divanetto nascosto nella penombra che sembrava fare al caso suo. Si sedette, cercando di essere il più anonimo possibile, e si appiattì contro lo schienale. Non aveva più voglia di stare lì dentro, ma non poteva andarsene senza Mike. Afferrò il cellulare, sperando che l'amico avesse il suo con sé.
'Voglio andare via' gli scrisse. Appoggiò il cellulare sul tavolino davanti a sé, sorseggiando il drink e tentando nel frattempo di calmarsi. Era molto egoistico costringere Mike ad interrompere la sua serata, ma pensava anche che fosse stata colpa dell'amico se lui si trovava lì.
Solo in quel momento, si accorse di tremare. Aveva pensato che Britney fosse la ragazza perfetta per lui, senza conoscerla davvero. Non aveva mai avuto una ragazza, non aveva mai pensato a nessuno se non a lei, e si rese conto di essere stato parecchio stupido.
Piano piano iniziò a farsi cullare dalla musica. Se sorvolava sulla figuraccia, era quasi piacevole stare lì con la mente vuota a sorseggiare quella specie di succo di frutta fresco senza nessuno intorno...

«Pete, che combini?» lo scosse una voce. Lo spavento fu tale che Peter rotolò giù dal divanetto e rovinò per terra.
«Eh? Cosa?» urlò, mettendosi a sedere sul pavimento. Non si era accorto di essersi addormentato.
«Si può sapere quanto hai bevuto per ridurti così?» urlò Mike per sovrastare la musica, strappandogli il bicchiere dalle mani. Era vuoto, ma la metà del liquido era finito sul pavimento e l'altra metà sul divanetto.
«Solo quello. E non è neanche alcolico» borbottò Peter, strofinandosi un occhio.
«Sei l'unica persona al mondo capace di addormentarti in un posto così» commentò Mike, alzando gli occhi al cielo.
Come aveva fatto ad addormentarsi? Che il barista avesse fatto scivolare qualcosa nella bibita quando non stava guardando?
Scosse la testa per scacciare quel pensiero assurdo. Era impensabile che l'uomo che si era rifiutato di servigli un alcolico gli avesse messo qualcosa nel bicchiere. Probabilmente, si era addormentato a causa del leggero shock e della giornata pesante. Anche la comodità del divanetto doveva avere fatto la sua parte.
«Ti stavo cercando» disse Mike, aiutandolo a rialzarsi.
«Scusa per il messaggio, ma non ce la faccio davvero più a stare qui» si scusò Peter.
«Quale messaggio?» domandò Mike perplesso, estraendo poi il cellulare e leggendo il messaggio solo in quel momento «Andiamo via, Pete»
Peter annuì, dirigendosi rapidamente all'uscita del locale.
«E la tua ragazza? Non si offenderà, spero» fece a Mike. L'altro scosse la testa.
«Ho deciso che non fa per me»
Peter intuì che nemmeno la serata del suo amico era andata come previsto.
«Cos'è successo?»
«Lascia perdere, Pete. Lascia perdere» tagliò corto Mike. Peter non l'aveva mai visto così contrariato in tutta la sua vita, doveva essere successo qualcosa di veramente brutto per far infuriare così tanto il suo amico.
«Stai bene?» gli domandò nuovamente, uscendo finalmente dal locale. Dopo tutto quel rumore, uscire all'esterno era come essere investiti da una ventata di nuova vita. Mike sospirò.
«Quando Wood ti ha fatto quel brutto tiro, Jeanna si è messa a ridere, ed abbiamo discusso. E, come se non bastasse, quelle pazze delle mie ex hanno parlato con lei» spiegò.
«Non capisco»
L'espressione di Mike cambiò da triste ad infuocata.
«Le mie ex si sono incontrate e poi sono andate a cercare Jeanna. Le hanno raccontato che io le avevo lasciate dopo una settimana, dicendo che sono uno di cui non ci si può fidare. Lei ha deciso di credere a loro, così mi ha invitato a questa festa per umiliarmi davanti a tutti»
«Siamo in due, vecchio mio. Siamo in due» disse Peter, abbattuto.
«Wood me la pagherà, non si tratta così il mio fratellino» disse Mike, preoccupato. Peter scrollò le spalle.
«Una cosa è certa: non avrò più il coraggio di farmi vedere a scuola... o di guardare Britney in faccia»
Uno strano rumore distrasse i ragazzi.
«Aspetta...» Mike prese il cellulare dalla tasca «È Jeanna» disse turbato.
«Rispondi» suggerì Peter, sapendo che Mike fremeva dalla voglia di farlo. Cinque minuti dopo, i due si trovavano ancora sul marciapiede, mentre i toni di Mike nei confronti di Jeanna si facevano sempre più gentili. A quanto pareva, lei stava dicendo che aveva sbagliato a credere alle ragazze, e che si era pentita di avere messo Mike in imbarazzo.

«Ha detto che le dispiace» spiegò il ragazzo, una volta chiusa la chiamata «Vuole parlarmi faccia a faccia»
Peter, che non si aspettava niente di diverso, si rassegnò a dire all'amico di raggiungere la ragazza all'interno del locale.
«Non ti dispiace?» domandò Mike.
«No. Ti aspetterò qui...»
«Grazie, Pete» disse Mike, prima di sparire di nuovo dentro al locale. Con un sospiro, Peter prese a sinistra, diretto al parcheggio in cui si trovava la macchina dell'amico. Aveva percorso pochi metri quando una ragazza con lunghi capelli biondi uscì barcollando dal locale.
Peter si fermò, aspettandosi di vedere qualcuno arrivare a soccorrerla, ma non venne nessuno. Continuò ad aspettare, chiedendosi se la ragazza fosse sola e domandandosi se fosse troppo ubriaca per tornare a casa da sola. Poi si ricordò che il barista aveva detto di non potere servire alcolici. Non che fosse una sicurezza, qualcuno poteva benissimo essere riuscito a far entrare un paio di bottiglie nel locale senza farsi notare.
Rimase ancora fermo, domandandosi perché nessuno arrivasse in soccorso di quella ragazza. Sembrava essere più giovane di Peter, ma lui non ricordava di averla mai vista a scuola. Anche se non la conosceva, aveva sempre pensato che chiunque avesse il coraggio di lasciare una ragazza sola nel bel mezzo della notte fosse una specie di mostro, dunque decise di andare a parlarle.
Lei, dal canto suo, non faceva altro che andare avanti e indietro, rischiando di inciampare ad ogni passo.
«Ehi» fece, nel tentativo di attirare l'attenzione della ragazza, avvicinandosi. Lei gli rivolse uno sguardo perplesso.
«Mi senti? Stai bene?» le chiese.
«Sì» rispose lei, massaggiandosi le tempie.
«Sei sicura? Hai bevuto o-»
La ragazza si accasciò, e lui fu costretto a sorreggerla. Era terrorizzato, non si era mai trovato in una situazione del genere e non sapeva cosa fare. Vide che lei aveva gli occhi aperti, così decise di continuare a parlarle, sperando di capire qualcosa di più su quello che le era successo.
«Aspetta, sediamoci» le disse, portandola sul bordo del marciapiede e facendola sedere a terra. Quando si fu seduto accanto a lei, si soffermò a guardarla bene in faccia. Era una ragazza piuttosto carina, con lunghi capelli biondi e mossi ed occhi marroni.
«Come ti senti?» le chiese, scandendo bene le parole.
«Bene... sto bene» rispose lei.
«Non mi sembra proprio. Hai bevuto?»
La ragazza scosse impercettibilmente la testa.
«Guarda che non hai bisogno di mentire, non ci conosciamo nemmeno» la esortò.
«No, davvero, non ho bevuto. Ho la febbre» spiegò lei, nascondendo il viso con le mani. Peter cercò un segnale che potesse confermare o smentire la storia della ragazza, ma non riusciva a capire se quello che stava dicendo fosse la verità.
«Se sei malata, perché sei venuta qui stasera? Non farai altro che peggiorare» le fece notare.
«Lo so, ma mia sorella e le sue stupide amiche mi hanno obbligata ad accompagnarle»

La ragazza stava tremando nonostante fosse solo settembre e l'aria fosse ancora abbastanza calda, quindi Peter pensò che lei dovesse avere la febbre davvero molto alta. In uno slancio di galanteria, tolse la giacchetta leggera che Mike l'aveva costretto ad indossare, appoggiandola sulle spalle della ragazza.
«Non puoi restare qui, non ti fa bene» le disse. Lei scosse la testa.
«Non posso andare via senza dire niente, mia sorella mi ammazzerà, ed anche mia madre»
Peter si grattò la testa. Voleva davvero aiutarla, ma non era sicuro che intromettersi nei suoi affari fosse stata una buona idea.
«Come ti chiami?» le chiese.
«Alison» rispose lei, tremando di freddo e stringendosi nella giacca di Peter.
«Io sono Peter» si presentò.
«Lo so, ti ho visto lì dentro» rispose lei. Peter si sentì sprofondare. Probabilmente l'intera scuola aveva assistito alla sua umiliazione.
«Già»
«Non riesco a capire perché ci stavi provando con mia sorella» disse Alison. A quelle parole, Peter saltò in piedi, come se fosse stato punto da un'ape.
«Sorella? Britney Adams è tua sorella?» chiese.
«Sì, è mia sorella» disse flebilmente Alison, tremando visibilmente. Sapeva che si sarebbe pentito di quello che stava per fare, ma prese un respiro profondo e raccolse tutto il suo coraggio.
«Va bene. È chiaro che stai troppo male per restare qui. Magari potrei accompagnarti a casa» suggerì.
«Ma... non ti conosco neanche» la ragazza fu scossa ancora da brividi, e Peter capì che continuare a parlarle lì fuori non l'avrebbe certo aiutata a stare meglio.
«Grazie comunque, ma a casa posso andarci anche da sola» disse Alison alzandosi. Peter l'afferrò per un polso. Era bollente, ed anche se lui non era un medico poteva capire facilmente che la ragazza aveva veramente la febbre.
«Non pensarci neanche. Non posso lasciare che una ragazza, per di più con la febbre, giri da sola di notte per la città» disse, sorprendendosi da solo delle proprie parole. Da dove veniva tutta questa cavalleria?
«Prima di fare qualsiasi cosa voglio parlare con mia sorella» disse Alison, entrando decisa nel locale. Con un tuffo al cuore, Peter fu costretto a seguirla, per accertarsi che non si sentisse male durante il tragitto. Non sapeva perché gli importasse così tanto della salute di quella ragazza, ma ormai era deciso a finire quello che aveva iniziato. A dispetto di quello che chiunque avrebbe potuto pensare, la sua unica intenzione era quella di essere gentile ed assicurarsi che Alison arrivasse a casa sana e salva, l'avrebbe fatto per chiunque nelle stesse condizioni, forse perfino per Wood.
"No, magari Wood no" pensò, mentre Alison raggiungeva Britney sulla pista da ballo e iniziava a parlottare con lei. Peter vide le due ragazze voltarsi verso di lui, e Britney disse qualcosa all'orecchio di Alison. Nel frattempo, cercò Mike, implorandolo per farsi prestare le chiavi della sua macchina.
«Non se ne parla, Pete. E poi, non hai nemmeno la patente»
«Ma c'è una ragazza che...»
«No» disse Mike risoluto.

Peter si arrese, tentando di ricordare dove abitasse Britney. Una volta, alle elementari, era stato a casa sua per il compleanno, non doveva essere molto distante da lì.
Pochi minuti dopo, la bionda era di nuovo al suo fianco, tremante.
«Ho avvisato mia sorella, possiamo andare» disse.
«Allora, dove abiti?» le chiese quando furono di nuovo all'esterno.
«Non è lontano» disse Alison, confermando i ricordi di Peter, prima di spiegargli la strada tra un brivido e l'altro. Finalmente, dopo dieci minuti buoni e minacce e avvertimenti continui di Alison contro le cattive intenzioni dei ragazzi, i due furono abbastanza vicini da vedere la casa.
«Incredibile, non avevi davvero un altro scopo oltre ad accompagnarmi. Forse i bravi ragazzi esistono davvero» disse infine la ragazza, osservando Peter con sorpresa. Quest'ultimo, alla vista della sua espressione, non riuscì a trattenere una risata.
«Guardami bene, potresti avere la meglio su di me in qualunque momento, anche con la febbre. Non avrei potuto farti niente di male neanche volendo» le disse, facendo cenno al proprio fisico esile.
«Beh, ti ringrazio» gli disse lei, quando furono davanti al cancello.
«Figurati» rispose Peter «Allora, ci vediamo»
Non sapeva bene quale fosse il modo adatto a salutare una ragazza che aveva appena conosciuto. Durante la strada avevano commentato quello che era accaduto all'interno del locale, ed Alison gli aveva rivelato che sua sorella non era dolce e gentile come lui la aveva sempre immaginata, insinuando molti dubbi nella testa del ragazzo.
«Aspetta, penso che questo possa essermi utile» disse Alison, prendendo il cellulare dalla borsa «In caso mi servisse di nuovo aiuto»
Quando gli porse il cellulare, Peter la guardò con aria interrogativa.
"Vuole il mio numero? Sul serio una ragazza mi sta chiedendo il numero?"
Perplesso, digitò rapidamente le cifre prima di restituirle il telefono.
«Grazie. Mi risponderai, vero?» fece lei con un sorriso.
Forse era completamente impazzita. O magari non era una ragazza, ma un androide inviato sulla Terra dagli alieni. Peter non riusciva a spiegarsi perché una ragazza, per giunta carina come lei, dovesse dimostrarsi interessata ad uno come lui, al punto di fargli capire che c'era la possibilità che volesse rivederlo o come minimo scrivergli qualche messaggio. Forse per lei era una cosa normale, magari era una che chiedeva il numero a tutte le persone che conosceva...
"Smettila di pensare a queste cose!" si impose Peter. Probabilmente non c'era niente di strano dietro quel comportamento, soltanto perché lui non era solito chiedere il numero di telefono ad altre persone non significava che al mondo fossero tutti così.
«C-credo. A-allora buonanotte» le disse, avvicinandosi per abbracciarla rigidamente, pieno di imbarazzo. Alison reagì con sorpresa, stringendo poi il proprio corpo caldo a quello di Peter, e sciogliendo l'abbraccio dopo qualche istante. Forse,abbracciarla non era stata una buona idea. In quel momento, ringraziò il buio,che impediva ad Alison una vista completa della sua espressione imbarazzata.
«Grazie ancora, Peter. Buonanotte!»
Detto questo, Alison superò il cancello ed entrò in casa. Le sue ultime parole suonavano strane, c'era qualcosa di diverso nel tono della sua voce, rispetto a poco prima. Peter si allontanò in fretta da lì, tentando di ricordare la strada verso il locale. Era certo di essere arrossito quando Alison gli aveva rivolto quell'ultimo sorriso. Le farfalle nel suo stomaco, che credeva fossero sparite,si erano risvegliate.
"No. Non voglio che Alison sia la nuova Britney. Non permetterò che succeda"
Ripensò a come Alison fosse diversa dalla sorella, così diretta, senza giri di parole. In fondo, quella mezz'ora scarsa che avevano passato insieme era stata quasi piacevole, e senza dubbio era stata la migliore di tutta la serata.
La giornata era appena passata da orribile ad accettabile.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** BUILD ME UP BUTTERCUP. ***


BUILD ME UP BUTTERCUP.


Era solamente il secondo giorno di scuola. Almeno, secondo il normale calendario scolastico, doveva esserlo. Il problema era che lui, dopo essersi svegliato tre volte nel corso della notte, divorato dalla vergogna, aveva chiuso a chiave la porta della sua stanza e tolto le batterie alla sveglia.
Per tutta la notte, non aveva fatto altro che avere incubi, riusciva solamente a pensare al fatto che non avrebbe mai più avuto il coraggio di farsi vedere a scuola. Non solo, ma ricordandosi di quanto aveva visto vicini Britney e Wood la sera precedente, aveva paura di mettere piede a scuola e scoprire che il loro brutto tiro era stato progettato fin dall'inizio.
 

«Peter, svegliati!» urlò sua madre dal corridoio. Doveva già essere ora di alzarsi, ma a Peter sembrava di avere dormito solamente per un'ora, cosa che era probabilmente successa davvero.
«Ma cosa... Peter, apri subito questa porta!» cominciò a gridare sua madre quando si accorse che la porta era bloccata.
«Lo so che sei sveglio, rispondi!»
Peter sospirò. Come faceva sua madre a conoscerlo così bene?
«Non ci vado a scuola, lasciami in pace» disse, rigirandosi nel letto.
«Cosa vuol dire che non ci vai? Alzati, e anche in fretta!»
«Non sto bene»
«L'hai voluto tu»
La casa si fece improvvisamente silenziosa. Peter sapeva che sua madre non avrebbe certamente mollato il colpo così facilmente, quindi tese l'orecchio per captare ogni minimo suono. Con sua sorpresa, pochi istanti dopo sentì una chiave girare nella toppa e la serratura scattare.
"Ah, già... tutte le serrature in questa casa sono identiche" si ricordò. Anche se il suo misero tentativo di chiudersi in casa era stato un fallimento, era seriamente intenzionato a non lasciare il suo letto.
«Alzati. Sei già in ritardo» gli intimò sua madre con tono di voce così basso da far paura.
«No» rispose ancora lui, raccogliendo il coraggio chissà dove.
«Tu ci andrai e basta, vuoi costringermi a portartici per un orecchio?» disse lei, afferrandolo effettivamente per un orecchio e costringendolo a mettersi in piedi.
«Mamma, no!» gridò lui, portandosi una mano all'orecchio dolorante.
«Lo sapevo che non dovevo lasciarti andare a quella festa! Avevi detto che saresti tornato per le undici, invece a mezzanotte non eri ancora a casa!»
«Non è stata colpa mia, ho aiutato una persona che si è sentita male!»
Sua madre sospirò e si sedette sul letto di Peter con la testa fra le mani. Sembrava aver perso ogni speranza.
«Peter, per favore, vai a scuola. Tra te e tuo fratello sono arrivata al limite» disse in tono pacato. Peter, che si stava ancora massaggiando l'orecchio, fece una smorfia. Il suo perfetto fratello aveva fatto qualcosa di male? Questa era musica per le sue orecchie.
«Perché, cos'ha fatto Rob?» volle subito informarsi.
«Ieri si è lamentato per tutta la sera perché non l'ho lasciato venire alla festa con te. Continuava a ripetere che preferisco te a lui perché a te lascio più libertà»
«Magari fosse vero» borbottò Peter.
«Quindi adesso vestiti e vattene a scuola senza fare altre storie, per favore. Non hai cinque anni»
La donna sembrava davvero debilitata, così Peter inghiottì il boccone amaro e si preparò per la scuola. Come lei gli aveva già detto, era in ritardo, quindi non fu sorpreso di non trovare Mike ad aspettarlo quando uscì di casa. Invece, l'amico aveva praticamente intasato il suo telefono con messaggi del tipo 'Ma ci sei?' oppure 'Oggi non vieni a scuola?'
Peter scorse velocemente i dodici messaggi mandati a distanza ravvicinata, quando fu incuriosito da un'altra notifica. Si trattava di un messaggio da parte di un numero sconosciuto, così lo aprì incuriosito.
'Ciao Peter, sono Alison. Spero che tu non ti sia già dimenticato di me! Questo è il mio numero, volevo solo che lo sapessi in caso avessi voglia di scrivermi. Spero che tu abbia una buona giornata, magari ci vedremo a scuola nei prossimi giorni'
A quanto pareva, non solo Alison aveva veramente contattato Peter, ma era anche nella sua stessa scuola. Come aveva fatto a non accorgersene fino a quel momento?

Entrò in classe correndo, sperando che il professor Bloomberg, di matematica, non avesse ancora fatto l'appello.
«Kane, alla buon'ora» commentò l'uomo quando lo vide sedersi al banco trafelato.
«Mi... dispiace...» rispose Peter ansimando.
«Non importa, stavo giusto per chiamare il tuo nome. Per questa volta ti lascio passare»
Peter fece un cenno di ringraziamento prima di abbandonarsi sul banco a riprendere fiato. Non aveva nemmeno fatto caso ai suoi compagni di classe, ma con un nodo allo stomaco immaginò che stessero tutti ridacchiando per via della sua figuraccia la sera precedente.
Quando il suo respiro fu di nuovo normale, si arrischiò ad alzare lo sguardo. Nessuno lo stava guardando, e Wood non gli stava lanciando alcun tipo di sguardo minaccioso. Spostando lo sguardo, Peter vide l'orecchino di John ondeggiare nel posto davanti al suo.
«Ciao» gli sussurrò. John si voltò, sorridendo.
«Buondì» disse allegramente, accompagnandosi con un cenno della mano «Bella entrata ad effetto»
«Grazie» rise Peter.
«Sembra che siamo entrambi due ritardatari a tutti gli effetti» disse John, riferendosi al suo ritardo del giorno precedente.
«Già, la tua influenza su di me è negativa»
«Kane, Catham, non è il momento di fare conversazione» li riprese il professore.
«Ci scusi» disse Peter. John si voltò di nuovo verso la lavagna, ma anche così Peter riusciva a sentire distintamente la sua risata soffocata.

La matematica era sempre stata la vera e propria 'bestia nera' di Peter, perfino peggio dell'inglese. Quando l'insegnante chiamò uno degli studenti più bravi per correggere i compiti delle vacanze, Peter capì poco e niente di quello che leggeva alla lavagna. Era certo di avere studiato quelle cose, ma siccome non ricordava niente, era come se avessero scritto delle frasi in cinese al posto dei numeri.
«John, tu sai come si fa questa roba?» bisbigliò. John si voltò di nuovo a guardarlo e annuì.
«Dopo te lo spiego, è facile» disse.
«Grazie»
Quando il compagno alla lavagna ebbe finito di dimostrare al resto della classe qualche esercizio per ciascun tipo di equazione, il professore assegnò ai ragazzi un esercizio da fare in classe, così John ebbe il tempo di spostarsi vicino a Peter e spiegargli tutto il necessario.
«Avevi ragione, è davvero facile! E io che mi facevo tanti problemi!» esclamò Peter quando ebbe finalmente capito come risolvere l'esercizio.
«Te l'avevo detto» disse John annuendo per enfatizzare le proprie parole.
«Come fai a sapere tutte queste cose?»
«A Londra ho studiato in una scuola che mi costava la bellezza di parecchie migliaia di sterline all'anno. Quando sei in una scuola del genere, si assicurano che tu capisca bene quello che studi» spiegò il ragazzo.
«Quindi sei ricco?» disse Peter con ingenuità. Alla vista dell'espressione divertita di John, capì che la sua reazione era stata piuttosto strana.
«Cioè, non voglio dire che... sì insomma, è che non hai l'aria di uno che ha molti soldi... aspetta, no, non fraintendere» iniziò a balbettare, mentre John rideva di gusto.
«Tranquillo, ho capito cosa vuoi dire» lo rassicurò «Comunque no, non sono ricco. I miei genitori lo sono. Peccato che mi abbiano spedito qui senza un soldo dicendomi che in questo modo ci penserò due volte prima di farmi espellere»
«Quindi vivi da solo?»
«No, abito insieme ai miei zii. Tipi abbastanza tranquilli, finché non gli sto tra i piedi mi lasciano fare tutto quello che voglio, a patto che le mie azioni siano legali»
«Hai fatto anche cose illegali?» domandò Peter. Per quanto John potesse sembrare bizzarro, dubitava che fosse davvero un criminale.
«No, ma è stata l'unica regola che mi hanno imposto» spiegò il ragazzo «Le parole di mio zio sono state "Hai tutta la libertà che vuoi, ma non puoi metterti nei guai. E se vuoi commettere crimini, non farti beccare". Forte mio zio, eh?»
«Non ti ha detto niente per la punizione di ieri? E cosa ti ha detto il preside?» gli chiese Peter, che aveva notato che l'abbigliamento di John era, se possibile, ancora meno rispettoso del codice rispetto al giorno prima.
Quel giorno aveva direttamente deciso di abbandonare la divisa e si era presentato in jeans e maglietta. L'unica cosa che aveva fatto era stata mettersi la cravatta al collo, ma in quel modo non aveva certamente l'aspetto di uno studente modello.
«Una domanda per volta, Kane! Uno, non credo di aver detto nulla a mio zio. Due, ho confuso il preside con la mia parlantina, e si è dimenticato di darmi una punizione» rispose lui con un ghigno.
«Almeno oggi non abbiamo inglese. È la Walstone l'unica che potrebbe farti storie per la divisa, ma gli altri professori sono abbastanza comprensivi, soprattutto se sei nuovo» spiegò Peter. John lo guardò perplesso.
«Il preside è peggio della Walstone, credimi. Se lei è un t-rex, lui è Godzilla»
I due amici continuarono a parlottare, senza curarsi del fatto che stavano disturbando la lezione.
«Kane, Catham, questo è l'ultimo avvertimento!»


Peter era davvero contento che John fosse in classe con lui. Grazie al ragazzo, per tutta la giornata era riuscito a non fare caso a Britney né a Wood, e la figuraccia della sera precedente era stata quasi del tutto rimossa dalla sua mente.
Purtroppo, durante l'ora di informatica i due furono costretti a separarsi. Era il corso più leggero e facile di tutti, perché l'insegnante sapeva poco o niente di computer, e perdeva metà della lezione a cercare di accendere il proiettore, ma visto che i posti nell'aula erano numerati, gli studenti dovevano sedersi secondo l'ordine alfabetico.
Fu così che John si sedette in prima fila, mentre Peter si trovò in quarta fila accanto a Walt Landon, l'amico grosso e stupido di Wood.
Per fortuna di Peter, Landon non spiccava certo per la sua personalità e dipendeva quasi totalmente da Wood, quindi quando era preso da solo era capace di essere abbastanza inoffensivo e, a volte, perfino simpatico.
Mentre Landon faticava a districarsi nello stretto passaggio tra gli schienali delle sedie e i cavi dei computer, Peter aveva già acceso il suo apparecchio, che essendo piuttosto vecchio produceva un rumore assordante.
«Buongiorno Kane» disse Landon senza alcun sarcasmo, quando riuscì a sedersi.
«Ciao, Landon» rispose, senza guardarlo.
La professoressa entrò in classe frettolosamente, scusandosi per il ritardo. Come sempre, perse almeno dieci minuti a sistemare le sue cose, prima di dedicarsi al computer. Peter, che stava giocando a solitario sul suo computer, iniziò ad essere infastidito dalle occhiate che Landon gli lanciava ripetutamente.
«Hai bisogno di qualcosa?» gli chiese, dopo l'ennesimo sguardo di sfuggita del vicino.
«Mi dispiace per ieri» buttò lì Walt. Peter immaginava che parlasse del bicchiere d'acqua o del tentativo di intimidazione che lui e i suoi amici gli avevano rivolto.
«Non importa, ormai ci sono abituato» disse con amarezza. Walt spalancò gli occhi, sorpreso.
«Davvero? Non ti facevo un tipo così, pensavo che fosse il tuo amico, come si chiama... Wilson?»
«Walpole» lo corresse Peter, capendo che Walt si riferiva a Mike.
«Sì, lui. Pensavo che fosse lui quello che aveva più a che fare con le ragazze»
«Di che parli?»
«Di Britney, ieri sera»
Peter si sentì mancare. Aveva sperato troppo che nessuno gli parlasse della faccenda.
«Se vuoi prendermi in gir-»
«È stato Will a dire a Britney di rifiutarti. Le ha chiesto di tenere segreta la loro storia fino a ieri sera, perché sapeva che tu le andavi dietro e voleva fartela pagare» disse Landon, a bassa voce per non farsi sentire dai vicini. Con un tuffo al cuore, Peter guardò in direzione di Wood. Era tranquillo, e chiacchierava come al solito.
«Da quanto va avanti questa storia?»
«Vuoi sapere da quanto stanno insieme? Non lo so, da questa estate credo»

Più Landon parlava, peggio Peter si sentiva. Aveva già iniziato a sentir dire cose poco piacevoli su Britney, aprendo un po' gli occhi sul fatto che non fosse la ragazza perfetta che aveva sempre immaginato, ma sentirsi dire che aveva fatto una cosa del genere, era troppo da sopportare.
«Mi scusi, posso uscire? Non mi sento bene» disse alzandosi in piedi. In quel momento avvertì gli occhi di tutti i suoi compagni puntati addosso. Poco distante, vide John spostare lo sguardo da lui a Wood, e poi a Landon. Essendo un ragazzo intelligente, doveva già aver capito che il motivo del malessere di Peter era lui.
«Vai pure, Kane» gli concesse la professoressa, che era ancora intenta a cercare di capire il funzionamento del computer.
Uscì in fretta e furia, e una volta in corridoio cercò il bagno più vicino. Sentiva di stare per vomitare, ma allo stesso tempo doveva reprimere l'impulso di picchiare Wood ed il desiderio di svenire. Gli avvenimenti delle ultime ore erano stati troppo da sopportare. Si guardò intorno ed inorridì al pensiero di dover attraversare l'intero atrio prima di trovarsi vicino ad un bagno. Preso dal panico, iniziò a correre, sperando di non incontrare nessuno.
Lungo la strada, però, urtò qualcuno.
«Cosa ci fai fuori dalla classe?»
"Non ora. Non è proprio il momento. Per favore"
Si trattava di Rachel. Peter cercò di rispondere, ma fu costretto a tapparsi la bocca con le mani per evitare un disastro.
«Sei Peter Kane, giusto? C'è qualcosa che non va?»
"Resisti" si impose Peter "Resisti!"
Annuì, sforzandosi di tenere la bocca più serrata che poteva. Doveva trovare un bagno, e in fretta. Salutò la professoressa con un cenno e camminò velocemente, ma quando raggiunse il corridoio dalla parte opposta si accorse che lei lo stava seguendo.
«Peter, hai bisogno di aiuto?»
Si dimenticò di non dover aprire la bocca, e quando si rese conto di quello che stava succedendo, era troppo tardi. Vomitò l'intera colazione sul pavimento del corridoio, sentendosi, se possibile, ancora peggio.
«Oh... mi dispiace...» sussurrò, con le tempie che pulsavano. Non aveva il coraggio di spostare lo sguardo su Rachel, per paura di scoprire che anche lei era disgustata da lui. Chiuse gli occhi, sentendo altri conati di vomito fare capolino, e portò le mani allo stomaco.
«Non importa, chiederò al bidello di pulire. Andiamo, ti accompagno in infermeria»
 

Non avendo scelta, Peter lasciò che Rachel lo guidasse attraverso la scuola fino in infermeria. L'infermiera gli domandò subito informazioni, e lui fu grato che Rachel rispondesse al posto suo.
«Mettiti a letto, ti porto un termometro» gli ordinò l'infermiera. Peter annuì, e si arrampicò sul lettino deforme e scomodo. Una volta accertato che il malessere di Peter era causato dall'ansia, al ragazzo fu concesso di tornare in classe.
«Dovresti cercare di riposarti» gli consigliò l'infermiera prima che uscisse.
Impossibile riposarsi, pensò Peter, quando una come Rachel ti tiene la mano per tutto il tempo mentre provi la febbre. A dirla tutta, giudicando il calore che avvertiva sulle guance era rimasto piuttosto stupito quando il termometro non aveva segnalato una temperatura alta.
«Posso farti una domanda?» domandò Rachel mentre lo riaccompagnava in classe. Peter acconsentì, anche se la sola idea di parlare da solo con lei lo stava già facendo arrossire.
«Cos'è stato a stressare in quel modo un ragazzo come te?» disse lei improvvisamente. Si era aspettato ogni genere di domanda tranne quella.
«I-io non...»
«Certo, capisco che tu non voglia parlarne. Mi dispiace di essere stata indiscreta»
«N-no, so-lo che...» prese un profondo respiro, maledicendo la balbuzie «È un b-brutto pe-riodo»
«Mi dispiace davvero, un bravo ragazzo come te non merita tutto questo. Ma guarda, siamo già arrivati alla tua classe»
Cinque minuti dopo Peter era di nuovo seduto al proprio posto con le guance in fiamme, ignorando John, che scherzava chiedendogli cosa avesse davvero fatto con Rachel nel letto dell'infermeria.

***

I giorni di scuola seguenti furono molto tranquilli rispetto ai primi due, ma Peter iniziò progressivamente ad accorgersi di una cosa. Alison, che prima non aveva mai notato a scuola, era sempre intorno quando lui non si trovava in classe. In cortile, in corridoio, fuori dai bagni, lei era sempre lì con qualche amica.
«Sei sicuro che non sia una stalker, vero?» gli chiese John al quarto passaggio di Alison durante l'intervallo tra una lezione e l'altra.
«Andiamo, in fondo è carina a venire a salutarmi» commentò.
«Se vuoi sapere la mia, è inquietante» borbottò l'amico, incrociando le braccia «Oh no, eccola che torna indietro»
«Ciao Peter» disse Alison con un sorriso, camminando rapidamente mentre l'amica al suo fianco guardava John con aria interessata.
«Ciao» rispose Peter, rivolgendole un sorriso.
«Di nuovo» aggiunse John. Peter gli lanciò un'occhiataccia.
«Quello che John vuole dire» spiegò «È che è già la quarta volta che passi di qui oggi. Hai bisogno di qualcosa?»
«No, volevo solo vederti» ammise lei, senza traccia di imbarazzo. Peter strabuzzò gli occhi e guardò John. Il suo amico sembrava trovare divertente l'intraprendenza di Alison, e ora aveva sfoderato il suo miglior sorriso malizioso.
«Non rispondi, Peter?» gli disse, riuscendo a mostrare tutti e trentadue i denti.
«Ecco...»
«Non ti piaccio per caso?» domandò Alison.
«No, non è questo»
Peter non se la sentiva di fare ad Alison quello che Britney aveva fatto a lui, ma allo stesso tempo voleva far capire alla ragazza che stava diventando troppo insistente. Come poteva fare?
«Solo che... ehm... non ti conosco abbastanza»
«Magari potremmo uscire insieme? Così mi conosceresti!» implorò Alison. Peter non riusciva a credere che una ragazza così piccola fosse così piena di iniziativa, e soprattutto così interessata a lui da non mollare la presa.
«Beh... ci penserò» disse, sentendo improvvisamente l'ansia crescere. L'idea di uscire con una ragazza lo innervosiva particolarmente.
«D'accordo, almeno non hai detto di no!» sorrise Alison.
Mentre la ragazza si allontanava, Peter la seguì con lo sguardo. Sembrava essere carina e tenere già parecchio a lui. Forse, si disse, non sarebbe stato male avere una ragazza come lei...
«Però. Complimenti Kane, ti sei trovato una bella tosta» disse John.
«Piantala» borbottò Peter, rientrando in classe.
«Cosa ho detto?»

Quella sera, come di consueto, Mike si presentò a casa di Peter per cena. Era tradizione che una volta a settimana i due cenassero con cibo cinese da asporto.
«Dunque, ti ha chiesto lei di uscire?» domandò Mike, addentando un raviolo al vapore.
«Sì. Non le ho detto di no solo perché non volevo farla stare male come me»
«Sia maledetto il tuo enorme cuore formato famiglia» disse Mike «Devi smetterla di dire di sì alle persone per paura di ferirle»
«Lo so, ma mi sentivo in colpa» disse Peter facendo spallucce. Una luce pericolosa brillò negli occhi di Mike.
«E va bene. Sai che ti dico? Vendicati sulla sorellina. Fai in modo che si affezioni a te e poi... BAM! E farai stare male anche Britney»
«Spero che tu stia scherzando! Io non sono te Mike, non mi passa neanche per la testa fare una cosa del genere!» gridò Peter indignato. Mike alzò le spalle e non rispose.
«Penso di poterle dare una possibilità»
«Lei cosa ne pensa?»
Peter controllò il cellulare. Alison aveva detto che l'avrebbe chiamato, ma non si era ancora fatta sentire, e lui doveva ammettere di essere stato tutto il giorno ad osservare lo schermo del telefono, in attesa della chiamata.
«Sembrava felice» rispose, lasciando ricadere il cellulare sul tavolo. Ancora non avevano deciso se uscire insieme, ed era già stressato.
Non lo disse, ma per tutta la cena non smise per un secondo di pensare ad Alison. Immaginò di abbracciarla, parlare con lei, vederla sorridere, e decise che dopotutto non poteva essere una cosa brutta.


Quando Mike se ne andò,aveva ormai preso una decisione.
"Al diavolo quello che dice lui"
Afferrò il telefono e scorse la rubrica finché non trovò il nome che stava cercando.
«Pronto?»
«Pronto, Alison? Riguardo all'appuntamento...»

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** PSYCHO GIRL. ***


PSYCHO GIRL.


Nei giorni seguenti alla telefonata ad Alison, per accettare di uscire con lei, Peter si sentiva incredibilmente sollevato. Incrociare Britney, la mattina, non lo faceva più stare male, anche se le farfalle nel suo stomaco si facevano comunque sentire per un breve lasso di tempo.
Inoltre, Alison aveva smesso di seguirlo in giro per la scuola. Era, però, irremovibile sull'aspettarlo all'uscita, ed insisteva perché lui la prendesse per mano, cosa che gli provocava sempre un grande imbarazzo. Giorno dopo giorno, però, Peter cominciò a sentire il viso scaldarsi sempre meno.
Perfino Wood sembrava avere perso l'interesse nel tormentarlo, e sospettava che in questo ci fosse lo zampino di Alison, che doveva aver parlato con Britney.

«Dimmi un po', adesso quella nanetta è la tua ragazza?» gli domandò John, durante l'ora di arte. Erano passate due settimane dall'incidente al locale, ed ormai sembravano avere perso tutti interesse per il triangolo Peter-Britney-Wood. Ora, a quanto pareva, l'argomento sulla bocca di tutti era un ragazzo del primo anno.
Peter ignorò John, essendo nel proprio elemento, concentratissimo a disegnare una replica della Venere di Botticelli.
«Kane, guarda che lo so che mi senti. Uffa, questi vestiti da damerino mi stanno uccidendo» disse John, allentando la cravatta. Erano ormai diversi giorni che John aveva preso a vestirsi correttamente, perché gli insegnanti avevano scritto una lunga lettera di lamentele ai suoi zii, in cui si diceva che, se il ragazzo non avesse iniziato ad indossare la divisa, sarebbe stato sospeso.
«Non so come risponderti» mugugnò infine Peter. Ed era vero, non era ancora uscito con Alison, e non avevano parlato del loro rapporto.
«Come fai a non saperlo?» domandò John. Al contrario di Peter, lui non si stava nemmeno sforzando a fare finta di impegnarsi nel disegno, aveva infatti preso una matita blu e se l'era sistemata dietro l'orecchio, mentre aveva usato quelle rimanenti per fare una specie di graffito colorato sul banco.
«Non ne abbiamo parlato. Ma credo che la nostra sia solo un'amicizia»
«Quella piccoletta vuole più di un'amicizia, dammi retta»
Peter scosse la testa, roteando gli occhi.
«Vedi sempre e solo il lato perverso della situazione»
«Come puoi dire una cosa del genere ad un angelo come me?» fece John, fingendosi offeso.
«Signor angelo, le ricordo che parlare in termini erotici della professoressa Rachel non è affatto angelico» commentò Peter, ridendo. Durante l'ultima lezione di inglese, John aveva infatti espresso commenti su Rachel che lasciavano ben poco all'immaginazione, beccandosi anche una punizione.
«Che c'entra, quelle sono cose a parte» l'altro, alzando le spalle.
«Certo, certo» rise Peter. Anche lui non poteva fare a meno di notare quanto Rachel fosse attraente, ma pensava che non fosse saggio darlo troppo a vedere.
«Kane, c'è qualche problema?»

La professoressa Morris, che stava girando tra i banchi per controllare i lavori degli studenti, si fermò a guardarlo, attirata dalla sua risata.
«No, va tutto bene» rispose lui, lanciando un'occhiataccia a John.
«E tu, Catham? Perché non hai disegnato niente?»
John si mise comodo sulla sedia, distendendo le gambe sul banco, prima di rispondere.
«Vede, professoressa, non credo che l'arte classica sia adatta a me. Sono negato per certe cose, così ho pensato di esprimere la mia creatività in altri modi» spiegò, mostrandole il graffito sul banco.
Questo copriva tutta la larghezza della superficie e recitava le parole 'KING C' a lettere cubitali.
«Catham, questo è maltrattamento di proprietà della scuola» commentò l'insegnante, per nulla impressionata dalla rappresentazione artistica del tag, o soprannome, di John.
«Professoressa, mi sarei aspettato un commento del genere da tutti tranne che da lei. In quanto artista, dovrebbe apprezzare il mio sforzo!» rispose John, fingendosi indignato.
«Bel tentativo, Catham. Cancella quell'orrore, prima che qualcun altro lo veda. Il bidello dovrebbe poterti fornire tutto quello che ti serve»
Con un gran sorriso, John si alzò dal banco ed uscì dalla classe per chiedere ai bidelli l'armamentario necessario a rimuovere ogni traccia della sua opera dal banco.
Proprio mentre Peter terminava di colorare la sua Venere, John tornò in classe con in mano uno straccio ed un contenitore pieno fino all'orlo di liquido puzzolente.
«Professoressa, questo è un sacrilegio» borbottò, osservando il proprio banco.
«Mettiti al lavoro, se non vuoi essere interrogato sull'arte del Rinascimento»
«Agli ordini» disse John, mimando la posa dell''attenti' militare. Peter lo osservò, mentre il ragazzo versava un po' di liquido sullo straccio ed iniziava a darsi da fare per cancellare il tutto.
«A proposito, Alison ti sta aspettando qui fuori» bisbigliò John a Peter, mentre si chinava sul banco.
«Ma cos...»
Il suono della campanella impedì a John di sentire la fine della frase.
«Molto bene, potete andare» disse la professoressa. John gettò da parte i suoi strumenti con un sorriso soddisfatto e si avviò alla porta, ma la professoressa lo bloccò prima che potesse andare oltre.
«Non tu, Catham. Non te ne andrai finché non avrai finito di pulire»
«Professoressa, la mia è vera arte!» si lamentò John. Peter lo superò in fretta, scusandosi a gesti per non poterlo aiutare ad uscire da quella situazione, e lo lasciò in classe in pasto alla professoressa Morris.

«Ciao, Peter»
Alison era lì ad aspettarlo proprio come gli aveva detto John. Era parecchio che non si presentava fuori dalla classe di Peter, quindi lui immaginò che fosse successo qualcosa di particolare.
«Ciao. È successo qualcosa per caso?»
Alison scosse la testa.
«Non proprio» fece lei, abbassando lo sguardo.
«Che c'è? Non è da te fare la timida»
Si avvicinò a lei, preoccupato che potesse avere qualcosa che non andava.
«Lo so, ma... Peter, non hai mai risposto alla mia domanda»
«Quale domanda?» fece lui confuso. Non ricordava che Alison gli avesse mai posto qualche strana domanda.
«Io ti piaccio? Almeno un po'»
Peter si sentì in colpa nel vederla così turbata. Certo, Alison gli piaceva senz'altro, ma non era sicuro che gli piacesse nel modo in cui lei sperava. Però, era così carina, così innocente...
«Beh, sì, direi che mi piaci» disse con sincerità. Il viso di Alison si illuminò.
«Davvero?» fece, saltandogli al collo.
«Ehm... sì, certo...» balbettò Peter sorpreso. Nessuna ragazza si era mai avvicinata così tanto a lui, ed ora sentiva che il cuore cominciava a battere più forte nel petto.
«Quindi, credi che ci sia qualche possibilità che noi...?» disse Alison. Peter si sentì arrossire e si pietrificò lì dove si trovava.
«E-ecco, n-non sa-prei...» balbettò, improvvisamente nel panico.
«Magari posso aiutarti a decidere» si offrì Alison.
Detto questo, senza aspettare risposta, la ragazza fece scorrere le mani lungo il viso di Peter e guidò il suo sguardo, fino a far incontrare i loro occhi. Gli rivolse un dolce sorriso, che Peter ricambiò di istinto, prima di vedere la ragazza avvicinarsi a lui, fino a premere le labbra sulle sue.
Fu un bacio a stampo timido, veloce, impacciato. Un bacio inesperto. Ma bastò a far girare la testa a Peter, al punto da annebbiargli completamente la mente.
Mentre Alison lo stringeva a sé, Peter tremava come una foglia. Non si era mai nemmeno immaginato il primo bacio, figurarsi se aveva pensato che la protagonista della scena sarebbe stata una ragazza carina come Alison Adams.
Guardava Alison a bocca aperta, senza sapere cosa fare. Sperava che fosse lei a parlare per prima, perché lui non aveva niente da dire, si era dimenticato dell'esistenza della parola.
La ragazza teneva le braccia intrecciate intorno al suo corpo e lo guardava dritto negli occhi, forse aspettandosi una reazione, ma Peter era paralizzato dalla sorpresa, e percepì i secondi tra la fine del bacio e le parole di Alison come ore.
«Peter, stai tremando» disse la ragazza, in un dolce sussurro. Peter lo sapeva, ma non riusciva più a controllare le azioni del corpo. Era cosciente di stare tremando come una foglia, per il solo, semplice motivo che si era reso conto che quello era stato il suo primo bacio, che significava che Alison teneva a lui abbastanza da dimostrarglielo in quel modo. Si sentiva ridicolo, pensava che a diciassette anni avrebbe già dovuto avere le sue esperienze, e non restare di sasso davanti ad una cosa semplice come un bacio.
Eppure, eccolo lì, Peter Kane, che faticava a parlare a causa di un bacio che era durato quanto un battito di ciglia.
«I-io... tu...» balbettò. Alison sorrise dolcemente.
«Sì»
«S-sì co-sa?»
«Sì, è successo davvero» rispose lei. Peter continuò a tremare, ma si accorse di avere ripreso parte del controllo sui movimenti. Sentì allora un leggero fastidio all'interno dei pantaloni, chiudendo gli occhi e maledicendo mentalmente il proprio corpo, che esattamente nel momento più sbagliato, ovvero mentre il suo bacino e quello di Alison erano pericolosamente vicini, aveva deciso di darle prova fisica del proprio apprezzamento.
«Tranquillo, non è successo niente» disse Alison, che certamente stava avvertendo quel qualcosa premere contro il proprio corpo. Peter si stava agitando sempre di più, facendo saettare gli occhi da una parte all'altra del corridoio, mentre Alison continuava a parlare.
«Se non vuoi che noi...»
«No» esclamò Peter, allontanandosi dalla ragazza ed appoggiando la fronte contro il muro, in imbarazzo. Doveva cercare di calmarsi in qualche modo.
«Ah... d'accordo» fece Alison, intristendosi. Peter avvertì un tuffo al cuore, decidendo di abbandonare l'idea di nascondere la propria "felicità".
«Non hai capito» disse, prendendole le mani e tirandola verso di sé, abbracciandola «Il mio no era per... non voglio che tu pensi certe cose»
«Credo di non capire»
«Penso di poterti dare una possibilità» spiegò Peter. L'espressione di Alison in quel momento era la più felice che Peter avesse mai visto, non credeva nemmeno che qualcuno potesse sorridere fino a quel punto.
«Grazie» sussurrò lei. I suoi grandi occhi lo fissavano con aria sognante, un'immagine che scaldava il cuore. Peter prese un respiro profondo. Prima o poi avrebbe dovuto farlo, essere lui a prendere l'iniziativa, quindi perché non ora?

Avvicinò lentamente il viso a quello di Alison, e stavolta fu lui a baciarla. Fu un bacio più lento del primo, ed anche se il cuore minacciava di esplodere, Peter fece del suo meglio per mantenere la mente lucida. Si prese il suo tempo per godersi tutto, dal profumo di Alison, alla sensazione che gli dava il delicato contatto con le sue labbra, al brivido che gli diedero le mani della ragazza quando presero a scorrere sulla sua schiena.
«Ma cosa diavolo...?»
I due si voltarono di scatto, per trovarsi davanti uno sconvolto Mike che li fissava a bocca aperta.
«Mike, ehm...»
«Fammi indovinare, sei Alison, vero?» domandò Mike, rivolgendosi direttamente alla ragazza. Lei annuì, stringendosi a Peter quando vide il ragazzo avvicinarsi.
«Pete, mi hai sorpreso»
Di lì a poco, anche John uscì dalla classe di arte, e una rapida occhiata alla scena gli bastò per intuire l'accaduto.
«Oh, guarda un po'» disse, con il suo solito sorrisetto. Tutto l'imbarazzo che Peter pensava di aver messo da parte durante il bacio, lo colpì all'improvviso. Lasciò andare Alison, allontanandosi da lei e premendo nuovamente il corpo contro la parete.
«Stai cercando di farti il muro?» domandò John.
«Siamo in ritardo per la prossima lezione, dovremmo andare» disse Peter, imbarazzato. Quando accennò qualche passo incerto in direzione della classe di inglese, non si sorprese nel vedere che nessuno lo stava seguendo.
«Pete, pensi davvero di cavartela così?» gli chiese Mike. Scosse la testa rassegnato.
«Sul serio, non c'è molto da spiegare» disse «Alison mi piace e...»
«E stiamo insieme» completò lei.
«Io l'avevo detto che sarebbe successo» disse John, con l'aria di chi la sa lunga.
«Tu invece devi essere John Catham» disse Mike, avvicinandosi al ragazzo e stringendogli la mano.
«Un momento, non vi eravate ancora incontrati?» domandò Peter. I due scossero la testa.
«Credimi, me lo ricorderei se avessi conosciuto un gigante come questo» disse John, alludendo alla statura di Mike.
«Ed io penso che non dimenticherei facilmente uno con i capelli color evidenziatore arcobaleno» replicò Mike, indicando le ciocche verdi, viola e blu nei capelli di John.
«Ehi, mi piace questa definizione» disse John «Evidenziatore arcobaleno, geniale»
Peter li guardò a bocca aperta. Non pensava che quei due, che avevano dei caratteri così diversi, sarebbero riusciti ad andare subito d'accordo. Visto che John e Mike si erano impegnati in una conversazione, Peter attirò l'attenzione di Alison e le fece segno di seguirlo senza farsi notare.
I due corsero via, ed Alison gli diede un bacio veloce sulla guancia prima di lasciarlo andare in bagno.
«Non fare tardi, non voglio che il mio ragazzo si becchi una punizione per colpa mia» gli sussurrò. Peter sorrise nervosamente, per poi salutarla con un cenno.

Entrò nell'aula di inglese, facendo bene attenzione a non guardare in direzione di Rachel, che era già seduta al suo posto alla cattedra, accanto alla professoressa Walstone. Andò dritto verso il banco in fondo, ma la professoressa lo richiamò e lo obbligò a sedersi davanti come al solito. Poco dopo John lo raggiunse, completamente su di giri.
«Ehi, lo sai che quel Mike è davvero simpatico?» disse.
«Sì, almeno lo è quando non parla di ragazze» sussurrò Peter, molto rosso in viso al pensiero di quello che aveva appena dovuto fare.
«Si può sapere perché non me lo hai fatto conoscere prima?»
«Non ci ho pensato» rispose Peter alzando le spalle.
«Quel tipo è un vero genio del male. Se plasmata correttamente, la sua mente potreb-»
«Catham, visto che hai tanta voglia di parlare, perché non vieni qui ad illustrare alla classe i momenti principali dell'epoca Vittoriana?» lo interruppe la professoressa.
«Mi ha interrogato la settimana scorsa» le ricordò John. Peter ricordò infatti dell'incredibile interrogazione sostenuta dal suo amico, durante la quale lui non solo aveva corretto più volte la professoressa, ma era stato anche il primo studente della scuola ad andare a posto con il massimo dei voti dopo un'interrogazione di inglese con la Walstone.
«Hai ragione» disse infatti lei, con una smorfia. Per quanto fosse evidente che lei non approvava il comportamento di John, era costretta ad ammettere che fosse il suo studente migliore.
«Chi potremmo interrogare? Rachel, chi manca nella lista?»
Rachel, che era sempre vigile, lesse velocemente la lista dei voti ed informò la professoressa che solamente tre studenti erano ancora senza un voto. Tra questi, c'era Walter Landon.
«E poi non capisco questo segno» disse, portando il registro all'insegnante.
«Ah, signor Kane. Ricordi la tua interrogazione disastrosa del primo giorno che avevo deciso di non valutare? Credo che sia arrivato il momento»
Peter non ebbe altra scelta, se non quella di alzarsi e trovarsi per l'ennesima volta di fronte all'intera classe che lo fissava. Sentirsi tutti quegli occhi addosso per lui era come essere punto da decine di insetti nello stesso momento.
«Dunque, Kane. L'epoca Vittoriana»
«Sì. Dunque... l'epoca Vittoriana si chiama così perché...»
«Perché?» lo esortò l'insegnante.
«Si chiama così perché...»
«Basta, Kane. Ogni volta che ti chiamo alla lavagna è una disperazione. Insufficiente»
Peter stava per tornare a posto, quando successe qualcosa di diverso dal solito.
«Se posso dire una cosa» disse Rachel «Credo che lui conosca le risposte»
«Se le conoscesse, risponderebbe»
Rachel scosse la testa.
«Conosco quei sintomi, credo di avere un'idea. Posso fare un tentativo?»
«Accomodati» disse la professoressa, prima di lasciarle il posto.
«Peter, vorresti seguirmi fuori dalla classe? Vorrei essere io ad interrogarti» disse Rachel, chinandosi leggermente verso il ragazzo. Lui stava già sentendo il solito calore affiorare sulle guance, così guardò la professoressa Walstone, aspettandosi che si opponesse. Invece...
«Va bene Rachel, facciamo a modo tuo. Kane, fai come ti dice»

Peter seguì Rachel fuori dalla classe, e lei gli chiese di sedersi ad una piccola scrivania che era sistemata in un angolo del corridoio per esigenze come quella.
«Allora, Peter» disse lei con un sorriso «Vediamo se questa volta andrà meglio. Parlami come parleresti ad un'amica, non pensare che sono un'insegnante, ok?»
Peter annuì.
«Benissimo. Vediamo, direi di partire dalla stessa domanda di prima. Sai qualcosa dell'epoca Vittoriana?»

Mezz'ora dopo, Peter tornò in classe con un voto più che dignitoso ed una forte sensazione di libertà. Rachel gli aveva spiegato che il suo problema era il panico, infatti, anche se conosceva le risposte, non riusciva più a parlare quando si sentiva osservato dai suoi compagni di classe.
Doveva ammettere, però, che lei lo aveva aiutato molto. La ragazza aveva fatto di tutto per farlo sentire a proprio agio, sorridendogli spesso e facendosi un po' più vicina del consigliabile.
«Allora, com'è andata?» gli chiese John.
«Incredibilmente, ho preso un voto decente»
«Grande!» esclamò l'amico, battendogli una pacca sulla spalla.

***
«Peter, sbrigati, il film sta iniziando!»
«Lo so, arrivo, arrivo...»
Era il suo primo vero appuntamento con Alison da quando si erano baciati, e Peter era più tranquillo di quanto avesse immaginato. Pensava che sarebbe stato terribile girare avanti e indietro per un posto affollato, tenendo per mano Alison e lasciandosi baciare e abbracciare di tanto in tanto, ma da quando aveva deciso di volersi concentrare solo su di lei, le cose avevano iniziato a prendere una piega decisamente migliore.
Era piacevole passare del tempo con lei, che a parte qualche momento in cui fraintendeva le azioni Peter ed andava in panico credendo che lui la volesse lasciare, si era dimostrata molto dolce e gentile.
«Sediamoci qui» propose la ragazza, prendendo posto in una delle poltroncine.Peter si sedette accanto a lei, facendo attenzione a non rovesciare l'enorme cesto di popcorn che aveva comprato.
«A proposito, che film stiamo per vedere?» le chiese. Non aveva idea di cosa avesse scelto lei, né sapeva niente sui gusti di Alison in fatto di film.
«Lo vedrai»
«Ti prego, dimmi che non è niente di romantico»
Alison scoppiò a ridere.
«Ma no, lo so che a voi maschi non piacciono quelle cose»
«Speriamo...» borbottò Peter
«Shh, comincia»

Il film non era stato male, anche se Peter doveva ammettere che non era riuscito a seguire più di tanto perché Alison continuava a tirarlo a sé. Gli faceva piacere che lei fosse così contenta di stare insieme a lui, ma avrebbe voluto che capisse che non potevano passare tutto il loro tempo insieme a baciarsi, perdendosi tutto il resto.
«È stato bello, vero?» chiese la ragazza.
«Cosa, quando si sono accese le luci per l'intervallo o i titoli di coda?» fece Peter scherzosamente. Alison si rabbuiò.
«Non ti è piaciuto il film?»
«Lo saprei, se mi avessi mollato almeno per un momento permettendomi di guardarlo» disse lui, cercando di farla sorridere.
«Io sono solo felice di stare con te» sussurrò lei, abbassando lo sguardo. Era incredibile la facilità con cui Alison riusciva a farlo sentire in colpa. Peter si avvicinò a lei per abbracciarla.
«Lo so, stavo solo scherzando»
Alison gli rivolse un sorriso triste.
«Peter, sei sicuro di voler stare insieme a me?»
Glielo aveva già chiesto tre volte da quando lui era andato a prenderla a casa,e la risposta di Peter era stata la stessa ogni volta.
«Se non volessi, non saresti la mia ragazza» disse con sicurezza. Come ogni volta che pronunciava quella frase, però, un pensiero gli attraversò la mente.
"Ne sei davvero così sicuro, Kane?"
Con Alison non avvertiva le farfalle nello stomaco ogni volta che la vedeva.Non sentiva il cuore danzare se lei lo sfiorava. Non sorrideva nel cuore della notte pensando a lei. Gli sembrava solamente che stare insieme a lei fosse la cosa più giusta da fare. Lei gli piaceva, era una ragazza simpatica,divertente, gentile e anche molto bella, ma Peter pensava che in una storia,una vera storia, dovesse esserci qualcosa di più. Sperava che quelle cose che gli mancavano sarebbero arrivate con il tempo, a forza di stare insieme, e che la loro assenza fosse solo dovuta al fatto che erano andati molto in fretta. 
Oppure, si stava solamente facendo un film. Non avendo mai avuto una ragazza,non sapeva quali fossero veramente le sensazioni che si potevano avere, forse Alison era davvero quella giusta ed era lui che stava immaginando cose che nemmeno esistevano.
«Potresti dirlo ancora?» chiese lei.
«Che cosa?»
«Che sono la tua ragazza»
«Sei la mia ragazza» disse Peter, senza entusiasmo. Alison sembrò soddisfatta,perché, per la forse centesima volta quel giorno, si allungò verso di lui e gli stampò un grosso bacio sulle labbra.
Ormai, vista la frequenza, a Peter quei baci non facevano più lo stesso effetto scioccante del primo, ma più ne riceveva, più ne desiderava. Si stava quasi abituando a tutte quelle novità, e non poteva dire di essere infelice.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** WHY. ***


WHY.


Si svegliò spaesato, guardandosi attorno con gli occhi che bruciavano per la stanchezza. Afferrò la sveglia dal comodino e, nonostante la vista appannata, riuscì a decifrare l'orario. Le quattro e mezza. Era stata una giornata pesante, ottobre era iniziato da un pezzo e l'intera scuola era in pieno periodo di verifica.
La professoressa Walstone ed il professor Bloomberg gli avevano inviato delle lettere a casa, lamentandosi del suo scarso rendimento in inglese e matematica, pertanto sua madre lo aveva costretto a stare sui libri tutto il giorno, controllandolo a vista. L'unica concessione che gli aveva fatto, era stata invitare John a casa, perché quest'ultimo potesse aiutarlo a capire gli esercizi.
La donna non aveva mai incontrato John prima di quel giorno, e Peter aveva trovato piuttosto buffa la sua espressione quando il ragazzo si era presentato alla porta. Evidentemente, sua madre si aspettava che John avesse il tipico aspetto degli studenti modello, con gli occhiali, il farfallino ed i capelli ben pettinati, quindi era ammutolita davanti ai capelli colorati, l'orecchino ed il piercing del ragazzo.
«Sei sicuro che questo sia il ragazzo di cui mi hai parlato?» aveva infatti chiesto a Peter. John, sempre vigile ed ansioso di stupire, aveva notato l'esitazione della donna, così si era presentato a lei come un perfetto gentiluomo, con tanto di profondo inchino.

La presenza dell'amico non aveva, però, contribuito a migliorare la giornata. Peter ed Alison stavano insieme ormai da qualche settimana, ma lui non aveva ancora trovato il coraggio di parlarne alla propria famiglia. Non era certo del motivo effettivo per cui si fosse rifiutato di farlo, semplicemente aveva l'impressione che se avesse detto a sua madre di avere una ragazza, lei non avrebbe approvato. Si sentiva decisamente stupido nel farsi preoccupazioni di questo genere, in fondo, suo fratello aveva avuto diverse ragazze e ne aveva sempre parlato con disinvoltura, e la madre non ne aveva mai fatto una questione di stato. Peter, però, aveva sempre saputo che sua madre aveva una diversa considerazione di lui e Rob, e questo lo preoccupava.
A causa di questi pensieri, era stato un fascio di nervi per tutto il giorno, sperando che John non menzionasse Alison davanti a sua madre. Fortunatamente, lui non sembrava interessato a toccare l'argomento, ma lo stress continuo ogni volta che l'amico apriva bocca era stato molto stancante per Peter.

"Devo trovare il modo di dirlo a mia madre" pensò, nel buio della propria stanza, risistemando la sveglia sul comodino. Eppure non sarebbe dovuto essere così complicato, non avrebbe dovuto perdere tutto quel tempo in preda all'ansia per una cosa così naturale e normale come quella. Ma lo faceva, lo faceva perché per lui era tutto nuovo, e le novità, come spesso accade, spaventano.
Si rigirò nel letto, in preda ad una strana nausea da stress come non gli capitava da qualche tempo.
«Basta, non ce la faccio più» disse, rivolto a nessuno in particolare, tanto più che era solo nella stanza. Si alzò dal letto e prese a girare per la stanza, cercando in tutti i modi di distrarsi dai pensieri che lo preoccupavano. Aveva una voglia disperata di sfogarsi, di parlare con qualcuno, di buttare fuori tutta l'aria che aveva nei polmoni per cercare di alleggerire quel macigno che si sentiva sul petto. Uscì dalla stanza, cercando di non fare rumore, per andare in bagno a sciacquarsi la faccia. Non aveva pensato che avere una ragazza potesse essere così stressante.

Due ore dopo, era di nuovo a letto con gli occhi spalancati e rossi per la mancanza di sonno. Si alzò non appena la sveglia suonò, per una volta sentendosi felice che quell'aggeggio infernale avesse interrotto la tortura notturna.
«Sei già in piedi? Che novità» fece sua madre, quando lo vide già pronto e vestito in salotto. Peter sbadigliò vistosamente.
«Hai dormito poco?»
Peter annuì. Doveva dirglielo adesso? Meglio togliersi il dente e far finire subito quello strazio, oppure doveva far continuare la cosa ancora per qualche giorno, finché non avesse trovato le parole giuste?
Nel dubbio, pensò a cosa avrebbero fatto i suoi amici al suo posto. Conosceva bene Mike, e sapeva che spesso e volentieri si limitava a parlare delle sue ragazze ai suoi genitori solo se gli veniva espressamente richiesto. Per quel che riguardava John... quel ragazzo era un punto interrogativo. Peter non gli aveva nemmeno chiesto se avesse mai avuto una ragazza, oltre alla scappatella con la professoressa di cui gli aveva parlato. Però, era certo di una cosa: non sarebbe riuscito a resistere ancora per molto con quella nausea terribile.
«Ehm... mamma?» chiamò. La donna, che stava preparando la colazione per Rob, non alzò lo sguardo dal suo lavoro, ma si dimostrò vigile come sempre.
«Sì, Peter?»
«Ecco, io...» deglutì «Dovrei parlarti di una cosa»
«Dimmi pure» fece lei con calma.
"Coraggio. Al massimo si lamenterà un po', non è la fine del mondo" pensò, prendendo un respiro profondo.
«Ehm... c'è questa ragazza... si chiama Alison...»
«State insieme?»
Peter si sentì mancare. Era così evidente che volesse parlare di quello?
«Beh... sì» ammise.
«Ah, bene. È una brava ragazza?»
Sempre più sorpreso dell'andamento della conversazione, Peter cominciò a credere di stare ancora sognando.
«Sì. Sì, certo» confermò, sbigottito.
«Bene» disse la donna con tranquillità, prima di uscire dalla cucina e bussare alla porta di Rob. Quello uscì assonnato, praticamente in stato comatoso, e si sedette a tavola, sbadigliando ogni dieci secondi. Peter aveva quasi paura che sua madre non avesse veramente capito il discorso, e che presto si sarebbe precipitata da lui dicendogli che era troppo giovane per avere una ragazza e cose del genere, ma non successe. Al contrario, lei gli disse di essere felice che suo figlio si fosse finalmente sbloccato da quello stato di timidezza cronica che lo assaliva quando si trovava in presenza di una ragazza. Senza parole, Peter uscì di casa dove come al solito incontrò Mike ad aspettarlo.
«Che faccia, che ti è successo?»


A scuola, ebbe ben altro a cui pensare. L'ora di matematica fu molto difficile e mise i suoi nervi a dura prova. Il test che aveva davanti era formulato in modo che, per prendere la sufficienza, lo studente dovesse eseguire più della metà degli esercizi in modo corretto. Non essendo una cima nella materia, Peter non fece altro che sudare freddo per tutta l'ora. Ammise di dover essere grato a John, che aveva perso tutto il pomeriggio precedente a spiegargli dei metodi per ricordare bene le formule, e fu solo grazie a lui se non consegnò il test in bianco.
Il professor Bloomberg continuava a camminare tra i banchi, assicurandosi che nessuno copiasse, e un paio di volte riprese Landon, che sembrava avere 'l'occhio lungo'. Peter sperò quasi che il ragazzo fosse mandato fuori dalla classe, ma non successe.
Osservò il proprio compito: alla fine, era riuscito a svolgere gli esercizi in una maniera che lo convinceva, così, al suono della campanella, consegnò il foglio all'insegnante, sperando che fosse abbastanza.
«Quanto odio le verifiche, sono un insulto all'intelligenza delle persone» disse John stiracchiandosi.
«Almeno è finita» disse Peter, nervoso. Il test gli aveva provocato ulteriore stress, e sentiva una strana voglia di camomilla per potersi calmare.
«Lo spero, non voglio più sentir parlare di equazioni di terzo grado in vita mia» borbottò John.
«Però domani c'è il tema di inglese su... su cosa?» fece Peter, immediatamente nel panico. Non gli importava di avere un buon rendimento scolastico, era più spaventato dalla punizione che gli avrebbe affibbiato sua madre, se avesse fallito il test.
«Il teatro» rispose John.
«Aly, cosa ci fai qui dentro? Vattene, non voglio che tu stia qui»

L'esclamazione fece voltare i due ragazzi. Britney Adams, che aveva preso l'abitudine di raggiungere la loro classe tra una lezione e l'altra per poter stare con Wood, stava parlottando con una ragazza ferma sulla porta, che risultò essere sua sorella minore, Alison.
«Non penso che sia qui per lei» commentò John «A meno che Britney non sia un nanerottolo biondo che di nome Peter Kane»
«Molto divertente, davvero» commentò Peter senza entusiasmo. Salutò brevemente John, che uscì dalla classe, e si avvicinò cautamente alle due ragazze, badando bene a non guardare Britney in faccia. Anche se aveva ormai superato la cotta nei suoi confronti, la vergogna era ancora bruciante.
Quando Alison lo vide, i suoi occhi si illuminarono.
«Peter!» esclamò. Con un certo disagio, Peter avvertì gli occhi di Britney addosso.
«Alison, come mai sei qui?» chiese, sforzandosi per sfoderare un sorriso non troppo convincente.
«Un momento, Aly, è lui il ragazzo di cui mi hai parlato?» fece Britney. Alison annuì.
«Sì, ti ho detto che si trattava di lui. Ora lasciaci da soli, voglio parlare con il mio ragazzo»
Alison sottolineò quelle ultime parole con un astio tale da far rabbrividire Peter. Britney non rispose, e guardò entrambi i ragazzi in modo strano, prima di allontanarsi e tornare da Wood, che la aspettava al proprio banco.
«Cosa c'è?» chiese Peter alla ragazza, una volta che Britney fu fuori portata d'orecchio.
«Volevo solo controllare che andasse tutto bene» rispose misteriosamente Alison.
«Perché? C'è qualcosa che ti preoccupa per caso?»
«Ieri ho parlato di te a mia sorella. Pensavo che Will fosse venuto a saperlo, e siccome so che non andate d'accordo, volevo assicurarmi che non se la fosse presa con te, perché stai con la sorella della sua ragazza» Alison spostò lo sguardo su Wood e Britney, che sembravano molto impegnati a fare altro, per poter tenere in considerazione loro due.
«No, nessuno mi ha fatto nulla» rispose Peter «Però...»
«Cosa?»
«Ho detto di te a mia madre» le disse, rapidamente. Come quella mattina con sua madre, restò sorpreso dalla reazione di Alison.
«Sul serio? Sono contenta» rispose lei, rivolgendogli un ampio sorriso. Peter si grattò la testa, stupito della propria fortuna. Forse c'era un codice segreto tra donne che lui non conosceva, e per questo nessuna se la prendeva con lui. Stava proprio per chiederlo ad Alison quando la sua attenzione fu attirata da Wood. Lui e Britney avevano smesso di baciarsi, la ragazza se n'era andata, ed ora Wood lo stava fissando con un ghigno.
«Oh, no...» mormorò «Scusa, devo salutarti»

Lasciò un bacio sulla guancia ad Alison, per poi uscire rapidamente dalla classe, alla ricerca di John. Probabilmente era andato verso la classe in cui si sarebbe svolta la lezione successiva, dopotutto non era l'intervallo, e non c'era molto tempo per perdersi in giro. Cercò di raggiungere la classe prima che Wood potesse fermarlo. Purtroppo, non essendo un gran atleta, non aveva calcolato che l'altro era molto più veloce di lui, infatti sentì i suoi passi pesanti alle spalle.
«Kane, non mi avevi detto di conoscere la sorella di Britney» disse il ragazzo, che si trovava a pochi metri alle spalle di Peter. Si guardò attorno, ma, come c'era da aspettarsi, il corridoio era deserto, tutti erano già rientrati nelle loro classi.
«Uhm... sì» borbottò lui. Non voleva guai, aveva sperato che Wood, dopo averlo umiliato all'inizio della scuola, si fosse stancato di prenderlo di mira, ma a quanto pareva non era così.
«E dimmi, immagino che voi due siate dei piccioncini»
Peter indietreggiò. Non sapeva quali fossero le intenzioni di quel ragazzo, ma non aveva certo le intenzioni di scoprirlo.
«Che fai, non rispondi?» continuò Wood, che stava camminando verso di lui. Pochi secondi dopo, fu raggiunto da Landon ed Owens, i suoi soliti due amici. Era in trappola. Continuò ad indietreggiare, tendendo le mani per non urtare niente.
«Stai alla larga da quella famiglia, Kane, non voglio vederti intorno a Britney» lo minacciò Wood.
«N-non mi i-importa di Britney...» balbettò, in un disperato tentativo di difendersi.
«E pensi che dovrei crederti? Mi hai davvero stancato, Kane, dico sul serio»
Le dita di Peter raggiunsero la parete. Fine della corsa. Fu costretto a restare lì con la schiena premuta contro il muro mentre Wood gli si avvicinava sempre di più, forte dei suoi due complici che erano sempre al suo fianco come guardie del corpo.
«No-non ti st-o... men-tendo»
«Sì, certo. Lo sanno tutti che sei sempre andato dietro a Britney come un cagnolino»
«N-no...»

Bastarono cinque minuti per impedire a Peter di presentarsi alla lezione successiva. Rimase a terra, dove Wood e i suoi lo avevano lasciato, dopo averlo riempito di botte. Non era nemmeno riuscito a gridare per chiamare aiuto, perché quei tre gli avevano coperto la bocca a turno, mentre lo picchiavano. Faticava a respirare, e non riusciva a trovare una ragione valida che lo spingesse ad alzarsi ed andare in classe. Aveva paura che facendosi vedere in quello stato sarebbe stato sospeso per rissa, ma soprattutto aveva paura di trovarsi nella stessa stanza con Wood. Non aveva dubbi sul fatto che non avrebbe denunciato a nessuno l'accaduto, aveva troppa paura di essere picchiato un'altra volta, e che tutti gli adulti se la sarebbero presa con lui. In fondo, Wood aveva due testimoni che potevano confermare che fosse stata tutta colpa di Peter, non aveva alcuna speranza.
Gli faceva male tutto, sentiva di avere un labbro spaccato, ed avvertiva la sensazione sgradevole del sangue caldo sulla pelle. Attorno a lui, non c'era nessuno a cui chiedere aiuto, nessuno che si preoccupasse di come Peter Kane non si fosse presentato a lezione, dopo essersi allontanato in fretta e furia dalla classe di matematica.
Certamente Wood era stato furbo, aveva previsto la direzione che avrebbe preso Peter, e l'aveva bloccato nel posto in cui sapeva che nessuno li avrebbe disturbati. Era incredibile che, in una scuola con regole così rigide, nessuno facesse caso ad una cosa del genere.
Si asciugò il sangue che colava dal naso con la manica, facendo una smorfia di dolore. Detestava essere così debole. Odiava essere codardo. Si vergognava di non riuscire a reagire in nessun modo. Gemendo di dolore, si mise in ginocchio. I danni non erano gravi come aveva pensato all'inizio, ma sentiva parecchio dolore in faccia e allo stomaco, dove i tre lo avevano colpito più volte. Dandosi la spinta con le mani, si alzò in piedi e si aggrappò al bordo della finestra accanto a lui. Senza rendersi conto di come, riuscì a raggiungere il bagno in fondo al corridoio, dove si chiuse a chiave in uno dei cubicoli ed iniziò a singhiozzare, sputando sangue.
Non aveva nemmeno avuto il coraggio di guardarsi allo specchio, per paura di scoprirsi sfigurato. Perlomeno, passandosi più volte la punta della lingua sulle arcate, si era assicurato che i tre non gli avessero fatto saltare via nessun dente, il che era già qualcosa. Non seppe per quanto rimase lì nella penombra, seduto sul pavimento accanto al water di ceramica, tenendo le braccia strette intorno al petto come una protezione. La vista del sangue lo aveva sempre fatto sentire male, quindi cercò di non toccare le ferite e non guardarsi le mani. Tenne solo gli occhi chiusi, sperando che una soluzione piombasse miracolosamente dal cielo.

Un paio di volte qualcuno entrò nel bagno, e Peter si impegnò per non fare rumore e non attirare l'attenzione per paura che si trattasse di Wood.
Quando la campanella suonò, segnando la fine dell'ora, il bagno fu invaso da decine di piedi, poteva vederli muoversi attraverso la piccola fessura sotto la porta. In molti abbassarono la maniglia per controllare se il bagno fosse occupato, causando ogni volta un piccolo tuffo nel cuore di Peter. Finalmente, dopo quelle che sembrarono ore, la stanza tornò deserta, e Peter iniziò la sua seconda ora consecutiva di agonia. Non aveva ancora smesso di tremare, quando sentì la porta principale del bagno aprirsi un'altra volta. Trattenne il fiato mentre i passi pesanti del ragazzo che era entrato echeggiavano e si spostavano lentamente davanti alle porte dei cubicoli.
Poi, con orrore di Peter, lo sconosciuto sembrò fermarsi proprio davanti alla sua porta. I battiti del suo cuore accelerarono mentre la maniglia si abbassava. Essendo chiusa a chiave, la porta non si aprì, ma il ragazzo dall'altra parte imprecò sottovoce. Sentì bussare, ma non emise un fiato. Quando chiesero se il bagno fosse occupato, non diede nuovamente risposta. Infine, senza preavviso, la sagoma di una testa comparve nello spazio tra il bordo della porta e il soffitto.
«Eccoti qui» disse Mike.

Peter poté riprendere a respirare. Il suo amico, appollaiato in cima alla porta, era visibilmente preoccupato.
«Si può sapere perché non hai risposto alle mie chiamate?» gli disse. Tremando, Peter estrasse il cellulare dalla tasca e notò che in effetti Mike lo aveva chiamato due volte, ma lui non doveva essersene accorto per via della paura che lo aveva paralizzato. Fece per rispondere, ma Mike lo anticipò.
«Non importa, ormai ti ho trovato. Apri la porta»
Peter lo sentì atterrare con un tonfo, probabilmente era salito in piedi su qualcosa, ed a fatica si alzò, per sbloccare la porta. Quando Mike se lo trovò davanti in quello stato, per poco non gli venne un colpo.
«Non ci posso credere. Wood non la passerà liscia stavolta» disse «Vieni, ti accompagno in infermeria»
Sostenuto da Mike, Peter iniziò a camminare, stringendo i denti ad ogni passo, facendo il possibile per ignorare il dolore.
«Come facevi a saperlo?» chiese a Mike.
«Me l'ha detto John. Ha visto Wood arrivare in classe ridendo, e non vedendoti a lezione ha capito tutto. Allora è venuto ad avvertirmi, è mezz'ora che ti cerchiamo»
Ancora una volta, Peter si ritrovò ad essere grato che uno sveglio come John fosse suo amico.
Quando lui e Mike raggiunsero l'infermeria, quest'ultimo uscì per avvertire John dell'accaduto, mentre Peter si faceva visitare.

«Cosa ti è successo?» domandò l'infermiera. Peter aveva troppa paura di dire la verità, così inventò una bugia sul momento.
«Sono caduto dalle scale» disse, sapendo che certamente lei non gli avrebbe creduto. L'infermiera, però, non disse niente al riguardo, ed iniziò a tastargli varie parti del corpo.
«Rotto» disse, dopo aver esaminato il naso di Peter «Hai anche un bel livido all'occhio, ma per il resto non c'è niente di grave»
Peter rifletté, e si rese conto che, a causa della rottura del naso, era probabilmente svenuto per diversi minuti, mentre si trovava in corridoio, ma non riusciva a ricordarlo. Continuava, però, a sentire dolore all'addome e alle gambe, così lo fece notare alla donna.
«Converrà mandarti in ospedale a fare delle lastre» rispose lei.
«O-ospedale?» domandò, preoccupato. Questa volta, se Wood non l'aveva ucciso, l'avrebbe fatto sua madre.
«È necessario. Chiamo l'ambulanza» confermò l'infermiera.
«PETER!»

Ci mancò poco che l'urlo acuto di Alison gli perforasse un timpano. La ragazza entrò in infermeria come un tornado, seguita da John e da un desolato Mike.
«Mi dispiace, non sono riuscito a fermarla» disse il ragazzo all'infermiera.
«Non ci sarebbe stato bisogno di fermarla se non le avessi fatto credere che lui era tra la vita e la morte, tanto per cominciare» puntualizzò John. Alison saltò al collo di Peter, facendogli un gran male.
«Pete, chi è stato, cosa è successo? Eh?»
«Ahia, non stringere così forte...» si lamentò lui. Alison lo lasciò andare immediatamente, ma continuò a guardarlo preoccupata.
«Allora? Chi è stato?» chiese di nuovo, in agitazione.
«Ragazzina, allontanati, lui ha bisogno di tranquillità» intervenne l'infermiera, afferrando il telefono fisso a disposizione dell'infermeria, osservando intanto Peter.
«Ho bisogno di saperlo!»
Peter rabbrividì. Non aveva il coraggio di aprire bocca, e cercò con gli occhi il sostegno dei suoi amici.
«William Wood» disse John con tranquillità. Peter lo guardò come se fosse impazzito. Non gli era bastato vedere cosa Wood aveva fatto a lui? Certamente, se John l'avesse denunciato, Wood si sarebbe vendicato. Guardò Mike, implorandolo di fermare John, ma il ragazzo gli fece segno di non poterci fare niente.
«È un'accusa molto grave, come fai ad esserne così sicuro?» domandò l'infermiera a John, continuando a stringere la cornetta, ma senza comporre il numero.
«L'ho visto» rispose John con sicurezza.
«Perché tu non dici niente?» chiese la donna a Peter.
«Andiamo, non lo vede che è sotto shock? È pure un'infermiera!» si lamentò John.
«Allora signor...»
«Catham. Sono John Catham, lui è Michael Walpole e quello è Peter Kane»
«Cinque minuti e sono da voi» disse la donna, componendo finalmente il numero e chiamando un'ambulanza per Peter, per poi comporre il numero della segreteria e chiedere di poter parlare con il preside riguardo l'accaduto.
Tutti i ragazzi la osservarono trattenendo il fiato, e finalmente la donna posò il telefono.

«Bene, signor Catham. Il preside sta aspettando te ed il signor Walpole in presidenza. Il signor Kane rimarrà qui, in attesa dell'ambulanza» spiegò la donna.
«Cosa c'entro io?» sbottò Mike.
«In presidenza, e non urlare. Il signor Kane ha bisogno di riposo»
«Ed io?» domandò Alison, stringendo la mano di Peter.
«Allora puoi restare, ma non stargli troppo addosso»
«Ma io cosa c'entro?» urlò di nuovo Mike mentre l'infermiera lo spingeva fuori e chiudeva la porta della stanza.

Quando l'infermiera uscì dalla stanza per controllare se fosse arrivata l'ambulanza, Alison poggiò la testa sulla spalla di Peter, osservandolo con preoccupazione.
«Ti fa male?» gli chiese, indicandogli il naso.
«Abbastanza» rispose lui.
«Come hanno potuto farti questo?» mormorò la ragazza. Peter, che non voleva farla sentire in colpa e soprattutto non voleva spaventarla, disse di lasciar perdere.
«Tu non te lo meriti...» sussurrò lei.

Dopo l'arrivo dell'ambulanza, Peter era stato trasportato in ospedale. Aveva rifiutato le insistenze di Alison, che aveva cercato in tutti i modi di seguirlo, e si trovava ora solo, ad aspettare che sua madre andasse a prenderlo. Mentre faceva le lastre, gli era stato assicurato che non c'era nulla di grave, e gli era stato così concesso di andare via senza problemi.
Si trovava ora in sala d'attesa, seduto su una scomodissima sedia, quando il suo cellulare vibrò. Credendo che si trattasse di sua madre, lo estrasse dalla tasca, ma rimase sorpreso nello scoprire che si trattava di un messaggio di John.
'Sono in ospedale, dimmi dove ti trovi' gli aveva scritto. Peter inarcò le sopracciglia, per poi controllare l'ora. Era a malapena l'una del pomeriggio, e la scuola non sarebbe finita prima delle tre, ma non si fece troppe domande.
'Sala d'attesa, primo piano' rispose.
Quando John lo raggiunse, Peter capì dalla sua espressione che doveva essere successo qualcosa che non aveva previsto. Il ragazzo si lasciò ricadere pesantemente sulla sedia vuota accanto a lui, sospirando pesantemente.
«Tua madre sta arrivando, è stata lei a portarmi qui. Adesso sta cercando il medico che ti ha visitato» gli spiegò. Peter fu, se possibile, ancora più sorpreso da quelle parole.
«Tu... cosa? Perché?»
«Ci hanno sospesi tutti e due» disse il ragazzo, con tono pratico «Quindi ho pensato che, se non potevo tornare in classe, potevo almeno venire a vedere come stavi»
«C-come sarebbe? Sospesi?»
«Ho continuato a sostenere fino alla fine che ero presente, per dimostrare che è stato Wood a prendersela con te. Ma mi hanno sospeso me perché "non ti ho aiutato in situazione di pericolo", mentre tu sei stato sospeso perché ti sei fatto prendere a pugni come un sacco da allenamento»
«E Wood?»
«Oh, lui sì che ci sa fare con le parole. Però io ti ho difeso, e la cosa buona è che alla fine è stato sospeso anche lui» raccontò John trionfante.
«Mi dispiace che sia stato coinvolto anche tu»
John rise e gli batté una pacca sulla spalla, causandogli un gemito di dolore.
«Ah, non preoccuparti, poteva andare peggio»
John aveva l'aria un po' troppo felice per uno che è appena stato sospeso, e la sua allegria piano piano contagiò anche Peter. Se non altro, condividere le disgrazie con lui era meglio che affrontarle da solo. In quel momento, avvertirono dei passi rapidi nella loro direzione.
«Ecco tua madre, quella donna mi fa paura...»

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** ALL THE WAY. ***


ALL THE WAY.


Il campanello suonò, e Peter, che era seduto al tavolo della cucina a fare i compiti, alzò la testa. Aveva ormai iniziato ad abituarsi al fatto che il suo naso era stato rotto e non sarebbe mai più tornato come prima, mentre il livido sull'occhio era diventato di una tonalità quasi verdastra, segno che era in via di guarigione. Quello che non sarebbe guarito facilmente, però, era il suo terrore nel tornare a scuola.
«Non ti azzardare ad alzare il naso da quel quaderno» sbottò sua madre, che gli faceva la guardia come un mastino. Dopo il primo spavento iniziale, era passata ad un'incredibile rabbia per la sospensione. Era perfino andata a lamentarsi dal preside, chiedendogli come fosse possibile che Peter fosse stato sospeso, quando era la vittima della situazione.
Il preside, però, era stato irremovibile. Peter sarebbe dovuto restare a casa per cinque giorni, ma sua madre lo aveva immediatamente avvertito, dicendogli che la sveglia sarebbe stata alle sei e sarebbe andato a letto alle nove tutti i giorni, con due pause di un'ora per mangiare, tre pause bagno e niente cellulare. Praticamente una prigione, aveva commentato Peter. Ed erano ormai due giorni che andava avanti così. Quello era solo il terzo giorno, ma sembrava quasi che ne fossero passati duemila.
«Volevo solo veder...»
«Zitto e studia» fece la donna.
Mentre Peter si rassegnava al suo destino, sua madre andò ad aprire la porta.
«Peter non può vedere nessuno, mi dispiace» la sentì dire. Cercò di tendere il collo, per sbirciare oltre la soglia e capire chi fosse il visitatore, ma le esclamazioni di John gli risparmiarono la fatica.
«Andiamo, signora, è una cosa importante!» lo sentì urlare. La donna si voltò a guardare Peter, che subito abbassò la testa sul quaderno e finse di essere concentrato sui suoi compiti.
«No»
«La preeeego!»
«No, e non insistere!»
«Signora, davvero, mi sorprende. Una madre moderna come lei» iniziò John. Anche se, da dove si trovava, non poteva vederlo, Peter immaginò che il suo amico stesse sfoderando tutto il fascino che possedeva.
«E va bene. Hai dieci minuti» cedette la donna.
«Bene, grazie» fece John che, prima che lei gli desse il permesso, era già entrato in casa.

«Allora, Kane» disse, sedendosi a tavola di fronte a lui, senza preoccuparsi di salutare «Io ed il signor Gigantor, qui, abbiamo qualche cosa di interessante da dirti»
Peter lo guardò interrogativo, per poi accorgersi che John stava guardando qualcuno che era ancora nell'ingresso. Mike era fermo vicino alla porta, e se ne stava a testa bassa, facendo finta di non essersi accorto che i due stavano parlando di lui. La madre di Peter era a poca distanza da lui, per tenere i tre ragazzi a portata d'orecchio.
«Che avete combinato voi due?» domandò Peter, avvertendo immediatamente una brutta sensazione. Aveva già capito che c'era qualcosa che non andava, quando aveva notato l'espressione quantomeno inquietante di John. Il ragazzo sorrideva in maniera sinistra, come se avesse qualcosa in mente.
«Sai, questi giorni di sospensione sono stati molto utili finora» spiegò il ragazzo.
«Allora è andata meglio a te che a me» disse Peter, sottovoce.
«Guarda che ti ho sentito! E voi, avete altri sette minuti!» urlò sua madre.
«Grazie dell'aggiornamento, signora» urlò John in risposta «Comunque, ho seguito Wood»
«Ecco, lo sapevo» commentò Peter, stringendo i pugni. Era ancora terrorizzato all'idea di affrontare Wood, ed il fatto che John lo menzionasse, non faceva altro che peggiorare la situazione.
«Ti prego, n-non... parlare di lui» implorò Peter. John si fece molto serio.
«Su, ascolta quello che abbiamo da dirti, ci è venuta un'idea» disse, accennando a Mike con un gesto veloce.
«A voi due?»
«Senti, io ho... Mike, per l'amor del cielo, vieni a sederti con noi, mi metti ansia se resti lì in piedi a fissarmi»
Entrambi i ragazzi si voltarono ad osservare il loro amico, che era ancora in piedi con la schiena contro la porta. John gli lanciò un'occhiata terrificante, e Mike si affrettò a prendere posto rigidamente vicino a lui. Solo allora, John sembrò soddisfatto, e riprese il discorso.
«Dunque, cosa stavo dicendo? Ah, sì. Oggi l'ho incontrato per caso e l'ho seguito per tutto il giorno, e quando mi sono ricordato che quei suoi due gorilla non potevano essere con lui perché loro non sono stati sospesi, mi è venuta in mente una cosa»
La luce sinistra negli occhi dell'amico insinuò uno strano presentimento nella mente di Peter.
«Che intenzioni hai?» gli chiese.
«Beh, potremmo dargli una le...»
«Tempo scaduto!» li interruppe la madre di Peter.
Appena sentì questa frase, Mike si alzò dalla sedia senza dire una parola, tenendo lo sguardo fisso sul naso e sull'occhio incidentato di Peter.
«Forza, andate» disse la donna, prima di prendere Mike per un braccio ed accompagnarlo alla porta. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte.
«D'accordo. Arrivederci. Ciao, Pete»
Peter gli rivolse un cenno di saluto, poi tornò a guardare John, che era ancora seduto di fronte a lui.
«Arrivederci, John» disse la madre di Peter, tenendogli aperta la porta.
«Signora, è stato un vero piacere. Kane, arrivederci» fece il ragazzo, accompagnandosi con uno svolazzo ed uscendo.
«Te lo dico già, se vengo a sapere un'altra volta che sei stato coinvolto in una rissa, resterai chiuso in casa a vita» disse sua madre.
«Lo so, mamma...»
«E adesso studia!»

Il giorno successivo fu altrettanto difficile. Sua madre non lo mollava un secondo quando era a casa, e quando andava al lavoro si portava via il cellulare di Peter, e gli proibiva di usare il computer. Lui, che si sentiva già abbastanza nei guai, non poteva fare a meno di obbedire. Non aveva modo di comunicare con l'esterno, che si trattasse di Mike e John, oppure di Alison. Pensare a lei gli provocò la tachicardia, era sparito da un giorno all'altro senza poterle dare spiegazioni, e non immaginava come lei avesse potuto reagire.
Immaginò che fosse preoccupata, e sperò che Mike l'avesse informata a scuola, essendo lui l'unico a poterla incontrare. Il pensiero di Alison lo tormentò per tutto il giorno, ma non disse nulla per paura che sua madre potesse prendersela e dare tutta la colpa a lei per la sospensione, dicendo che la ragazza lo aveva cambiato, e tutte quelle solite storie che fanno le madri.
L'ultimo giorno di sospensione era un lunedì, e poco dopo pranzo sua madre si assentò per tornare al lavoro. Peter conosceva bene i suoi orari, e sapeva che non sarebbe tornata prima delle otto di sera. Nel primo pomeriggio, anche Rob se ne andò per gli allenamenti, come accadeva ogni settimana.

Appena Rob ebbe varcato la soglia, Peter sentì bussare alla porta. Pensando che suo fratello avesse dimenticato le chiavi di casa andò ad aprire, ma non si trattava di Rob. Era Alison.
«Oh, Alison... ciao» disse, lievemente sorpreso, ma nonostante tutto felice di rivederla.
«Ciao. Vedo che il tuo naso sta meglio» lo salutò lei.
«Ehm... vuoi entrare?» le chiese.
«Se non sono di troppo disturbo»
«Non preoccuparti, non c'è nessuno» rispose lui, spostandosi per lasciarla entrare. Quando la vide guardarsi intorno interessata, si ricordò che lei non era mai stata a casa sua prima di quel giorno, e la cosa lo fece sentire stranamente a disagio.
«Che bella casa» commentò lei sorridendo.
«Sì... ehm... grazie» borbottò Peter, richiudendo la porta. La ragazza si avvicinò, per poter guardare più da vicino il suo livido all'occhio ed il naso ancora gonfio, poi gli accarezzò delicatamente il viso.
«Come stai?» chiese.
«Ho avuto giorni migliori. Come facevi a sapere che mia madre non era in casa?»
«Oggi a scuola, ho incontrato il tuo amico Mike. Mi ha detto che tua madre non ti lascia vedere nessuno, allora mi ha consigliato di venire a trovarti a quest'ora perché sapeva che saresti stato da solo»
«Già, lui praticamente vive qui, conosce benissimo gli orari della mia famiglia» replicò Peter.
«Non sembri molto felice di vedermi» commentò Alison, all'improvviso.
«Invece lo sono, ci stavo pensando giusto ieri»
Alison sembrò soddisfatta della risposta, ed iniziò ad esplorare la casa come se fosse sua.
«Questa è la tua stanza?» disse, aprendo la porta della stanza di Peter ed esaminando l'arredamento.
«Ehm... sì...» balbettò lui. Nel momento in cui l'aveva vista aprire quella porta, si era sentito possedere da una strana ansia, senza sapere con certezza a cosa fosse dovuta. Si avvicinò ad Alison a grandi passi, afferrandola per i fianchi e facendola uscire dalla stanza, per poi richiudere la porta.
«Mi sembri agitato» disse lei.
«No, è solo che in camera mia è tutto in disordine e non voglio che tu la veda così» si affrettò a rispondere.
«Oh. Ok»
«Piuttosto, dimmi una cosa» disse Peter «Hai avuto qualche notizia strana di John? O Mike? O Wood, magari?»
«No, perché me lo chiedi?»
«Niente, è solo... niente. Lascia stare»
«Però, a scuola parlano tutti di te. Sei diventato una celebrità, non si parla d'altro»

La ragazza rimase a casa con lui per quasi un'ora e mezza, cioè il tempo che Rob passava all'allenamento di basket. Per tutto il tempo, non fece altro che parlargli di quanto avesse litigato con sua sorella Britney, perché una difendeva Peter mentre l'altra difendeva Wood.
«Forse sei stata un po' troppo dura con lei, non c'entra niente» disse lui, quando Alison ebbe finito il racconto.
«Forse sì, ma non è stata colpa tua. Lo sai che sono sempre dalla tua parte»
«Lo so, lo so»
Quando Peter controllò l'orologio e si rese conto che Rob stava per tornare, fu costretto a mandare via Alison.
«Non voglio che mia madre se la prenda anche con te. Sai, io non potrei vedere nessuno» le ricordò.
«Tranquillo, capisco benissimo. Allora, ci vediamo a scuola»
Quando lei uscì, Peter si sentì sollevato. Non aveva idea del perché, ma sapere di essere in casa da solo con lei e vederla girare attraverso le stanze gli aveva dato una sensazione che non riusciva a spiegarsi.

Dovette aspettare il giorno successivo prima di avere nuovamente notizie da parte dei suoi amici. Finalmente gli era di nuovo permesso tornare a scuola, così sua madre gli restituì il cellulare e lo fece tornare ad orari e regole normali.
«E sarà meglio che ti comporti bene!»
«Mamma, ti ho già detto che sono io quello che le ha prese»
«Ed io ti ho detto che ti sarà di lezione»
Uscì di casa convinto del contrario, aspettandosi di trovare Mike nel solito posto, ma il ragazzo non c'era. Controllò l'ora, e si stupì ancora di più perché non era né in anticipo né in ritardo rispetto al solito.
"Forse si è dimenticato che sarei tornato oggi" pensò. Doveva certamente essere così. Una volta capito di essere solo, considerato che nemmeno suo fratello era lì perché sarebbe entrato alla seconda ora, si fece prendere dal panico.
Non voleva tornare a scuola, aveva troppa paura di trovarsi Wood ed i suoi amici davanti. Anche se non era colpa sua se Wood era stato sospeso, aveva il sospetto che il ragazzo si sarebbe vendicato alla prima occasione. Incerto sul da farsi, pensò di tornare indietro e blindarsi in casa. Magari avrebbe potuto convincere sua madre a fargli cambiare scuola, in modo da non dover mai più rivedere Wood. Ma sapeva che sarebbe stato tutto inutile, perché sua madre era irremovibile.
Per cercare di avere conforto decise di scrivere qualche messaggio ad Alison, l'unica persona che sapeva che gli avrebbe risposto anche in quel momento. La risposta della ragazza, infatti, non tardò ad arrivare.
'Oggi stai meglio? Non vedo l'ora di vederti. Ti voglio bene'
Peter sorrise imbarazzato. Rivedere Alison il giorno precedente, ed avere la prospettiva di rivederla di lì a poco, rendeva l'idea di tornare a scuola un po' più piacevole. Saltò direttamente la parte in cui lei gli diceva di volergli bene e rispose:
'Non preoccuparti, sto benissimo. A dopo'

Si avviò da solo, con ansia crescente. Arrivato a scuola, si nascose in ogni anfratto, prese tutte le vie secondarie, passò dal retro e camminò con la schiena contro il muro sperando di non incontrare Wood da nessuna parte. Certamente, anche la sua sospensione era terminata, e si sarebbero inevitabilmente ritrovati in classe, ma sperava di vederlo il più tardi possibile.
Correndo ed evitando persone con mosse degne dei migliori ninja, raggiunse la classe più veloce che poté e si sedette nell'angolo in fondo, dove era più difficile essere notato. Attese cinque minuti, trattenendo il fiato ogni volta che uno dei suoi compagni entrava in classe, temendo che si trattasse di Wood, ma il ragazzo non si vedeva.
«Kane!» esclamò John quando lo individuò. Anche da lontano, Peter vide che il suo amico aveva un aspetto strano, diverso dal solito. Quando John si avvicinò, capì cosa non andava: il suo collo era pieno di graffi, ed aveva un taglio bello lungo sulla fronte.
«Cosa ti è successo?» gli chiese.
«Aspetta e vedrai» rispose lui. Pochi istanti dopo, Wood entrò in classe, trascinato a forza per la collottola da Mike.
«Forza» ordinò Mike.
«No!»
«Wood, fallo, o ti giuro che ti mando davvero in ospedale»
Il ragazzo, che aveva il colletto della camicia ancora tenuto saldamente da Mike, impallidì. Quando si avvicinò a lui, Peter sentì un brivido freddo correre lungo la schiena. Iniziò a tremare e indietreggiò, ma John gli fece segno di stare tranquillo.
«È tutto sotto controllo» disse.
«Allora, cosa ti ho detto?» urlò Mike, tirando verso l'alto il colletto di Wood. Quello guardò con odio prima John e poi Mike, poi si rivolse direttamente a Peter.
«Mi dispiace» disse, a bassa voce.
«Non ho sentito» sbottò Mike, tirando più forte il colletto di Wood, tanto che il ragazzo doveva stare in punta di piedi.
«Mi... dispiace...» ripeté il ragazzo, che stava diventando bluastro per la mancanza di ossigeno. Da quella distanza, Peter poté vedere che anche Wood aveva il volto tumefatto, come se fosse stato preso a pugni, ma non ricordava di averlo colpito.
«Mike, lascialo andare!» esclamò ad un tratto, spaventato dal colorito che il volto di Wood aveva preso.
«Sei sicuro? Guarda che possiamo benissimo andare avanti ancora un po', non può fargli che bene» disse John.
«Sicurissimo. Lasciatelo andare»
Quando Mike ebbe lasciato la presa, Wood corse dritto al suo posto e non si mosse più.
«Ridicolo» commentò John.
«Siete pazzi a fare una cosa del genere a scuola» disse Peter.
«Abbiamo controllato bene che non ci fossero professori in vista» disse Mike.
«Ma come...»
La campanella suonò, interrompendo la loro conversazione.
«Sono sicuro che John sarà felice di spiegarti tutto. Io vi saluto, sapete, faccende dell'ultimo anno» fece Mike compiaciuto.
«Che significa che hai lezione con Rachel» completò John.
«Esattamente»
«Oh, le cose che farei a quella donna» commentò John.
«Scusami, non eri un angelo?» lo prese in giro Peter.
«Che vuol dire, anche gli angeli devono pensare alla riproduzione della specie. Puro scopo scientifico»
«Certo, sono sicuro che è proprio quello che avevi in mente» ridacchiò Mike.

Quando il ragazzo sparì fuori dalla classe, Peter e John tornarono a sedersi nei loro amati banchi in fondo. Fortunatamente, il professor Bloomberg entrò solo in quel momento.
«Scusate il ritardo, ragazzi. Qualcuno aveva chiuso a chiave il cancello del parcheggio» si scusò l'insegnante. Peter guardò John, che stava sorridendo compiaciuto e mise una mano in tasca, facendogli sentire qualcosa di metallico che tintinnava, e non ebbe più dubbi su chi fosse stato a chiudere il cancello.
Finalmente, John spiegò a Peter l'accaduto.
A quanto pareva, il mattino dopo essere stato a casa di Peter, John aveva pedinato di nuovo Wood, sapendo che l'avrebbe trovato da solo senza i suoi due complici. A quel punto lo aveva avvicinato e lo aveva affrontato faccia a faccia, ma Wood non aveva gradito, finendo per fare a botte.
«Questo spiega i tuoi graffi ed i suoi lividi» disse Peter «Ma come avete fatto a costringerlo a scusarsi?»
«Qui inizia la parte divertente»

John, in qualche modo aveva avuto la meglio su Wood che, essendo effettivamente un codardo, aveva cominciato ad avere paura di lui. Nonostante questo, si era rifiutato di accettare la richiesta di John, che gli aveva domandato di scusarsi con Peter. Dunque, John aveva telefonato a Mike, raccontandogli l'accaduto. I due erano d'accordo sul fatto che Wood dovesse scusarsi con Peter per fare in modo che il loro amico smettesse di avere paura di lui, così si erano dati appuntamento per la mattina seguente. Avevano dunque aspettato insieme davanti a casa di Wood che il ragazzo uscisse per andare a scuola, e lui, trovandosi in minoranza, non aveva avuto il coraggio di reagire. Gli avevano detto che lo avrebbero lasciato in pace solo se si fosse scusato con Peter, e così era stato.
«Wow, grazie» commentò Peter «Non so che cosa dire»
«Solo: John, dovresti essere il supremo imperatore del mondo»
«Non lo dirò mai»
«Ingrato»

Quel giorno non successe nulla di strano a scuola, e per Peter fu praticamente un miracolo. Wood non aveva cercato di avvicinarsi nemmeno una volta, e per quanto John sostenesse di dover avere il merito dell'operazione, Peter sospettava che fosse principalmente merito di Mike, che Wood temeva fin da bambino, solamente perché era più grande di lui.
Dopo le lezioni, andarono tutti e tre a casa di John a festeggiare il loro trionfo con una partita ai videogiochi. John e Mike erano impegnati da almeno un paio d'ore in una partita all'ultimo sangue, mentre Peter li seguiva distrattamente dalla poltrona. Si divertiva a guardarli scalciare ed imprecare ogni volta che sbagliavano qualche mossa.
«Sapete, è strano» disse Mike ad un certo punto, senza distogliere gli occhi dallo schermo.
«Che cosa?» domandarono Peter e John nello stesso momento.
«Non vi sembra che il mondo stia andando al rovescio?»
«No. Devi avere battuto la testa. Forte, molto forte» disse John.
«Pensateci. Non è mai capitato che Peter avesse una ragazza e io no» borbottò Mike. John alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa e sospirando esasperato.
«Eccolo che ricomincia, fallo stare zitto, Kane!»
«Ti correggo, non è mai capitato che Peter avesse una ragazza, punto» fece Peter. Mike, impegnato in un complicato cross nel suo videogioco di calcio, non rispose subito. Solo quando John gli fece goal per la seconda volta, il ragazzo abbandonò il controller e guardò Peter dritto in faccia.
«Appunto! E Wood si è scusato con te. Da quanto non succedeva?»
«Non è mai successo»
«Esatto!»
«Gigantor, sul serio, posso chiamarti un medico in meno di un secondo, mi sembri alquanto fuori di testa» lo interruppe John, facendo ridere Peter.
«Io non sono fuori di testa» continuò Mike a borbottare a bassa voce, senza più fare caso a niente e a nessuno.
«Però ho una domanda anch'io, Kane» disse John a Peter.
«Cioè?»
«Perché Wood era convinto che tu puntassi a Britney?» domandò John.
«Io come faccio a saperlo? Forse pensa che Alison sia solo un ripiego temporaneo. Ma è solo un caso se sono sorelle»
«Certo che è proprio una bella storia, eh? Tu stai con la sorella della ragazza del tuo peggior nemico»
«La fai sembrare così complicata che ho fatto fatica a seguirti perfino io»
«Sarà» disse John, tornando al suo videogioco e non aggiungendo altro. Peter tornò ad annoiarsi, ma rifletté sul discorso, e pensare ad Alison gli fece venire un'improvvisa voglia di sentirla.
'Dove sei?' le scrisse.
'A casa a studiare. Tu invece?'
'Da John'
'Mi manchi, posso chiamarti?'

Arrossì nel leggere quel messaggio, ed ebbe l'improvviso bisogno di nascondersi ai suoi amici. Facendo finta di voler prendere una boccata d'aria, uscì all'esterno, dove fu libero di parlare con Alison senza ascoltatori indiscreti. Dopo dieci minuti rientrò in casa, convinto che gli altri due non si fossero accorti di niente.
«Eccolo che ritorna, finalmente!»
«Dov'eri sparito, Kane?» fece John, lanciando il controller sul divano. Dovevano appena aver concluso la partita.
«Ho fatto una telefonata» rispose, pregando che quei due non indagassero oltre.
«Ah, e chi era?» chiese Mike malizioso.
«Nessuno di cui dovrebbe importarti»
«Uno a zero per Kane» rise John. Mike lo ignorò completamente, e si avvicinò a Peter per convincerlo a parlare.
«Andiamo, Pete, siamo i tuoi amici, se non ne parli con noi»
«Siete peggio delle zecche» sbuffò Peter.
«Sì. Allora chi era?» intervenne John.
«Alison»
«Oooh, Alison!» esclamò Mike, in una brutta imitazione di Peter, mentre John si piegava in due dalle risate.
«Smettila, io non faccio così!»
«Scommetto che si danno alla pazza gioia tutte le sere, eh Kane?» ridacchiò John.
«Io non...» fece Peter.
«Non?»
«Insomma, non è che io e Alison...» si interruppe, sperando che gli amici intuissero abbastanza da non costringerlo a continuare la frase. Per lui, era già abbastanza imbarazzante essere entrato nell'argomento. Gli occhi dei suoi amici però, si spalancarono di stupore.
«Sul serio tu e la piccoletta non avete ancora fatto niente?» domandò John.
«No... non ne sentiamo il bisogno... a dire la verità non ci ho proprio mai pensato»
Ignorò la faccia divertita di John, domandandosi invece quante esperienze potesse mai avere avuto il suo amico per prenderlo in giro.
«Io l'ho sempre detto che sei un santarellino» disse allora Mike.
«Smettila, solo perché non faccio tutto di fretta come te...»
«Mi dispiace dirlo, ma il Signor Gigante ha ragione questa volta... ci sono certe cose che un uomo non può evitare» fece John, dandosi arie come un medico navigato.
«Da quando in qua siete così interessati a quello che faccio con Alison?»
«Sbagli, Kane. Siamo interessati a quello che non fai» puntualizzò John.
«Non mi sembra una cosa così grave» sussurrò Peter, abbassando lo sguardo.
«Adesso dici così, ma vedrai che se andrai avanti ancora un po' finirai per diventare uno di quegli stupratori maniaci» rise Mike.
«Tu non sai quello che dici»
«Ripetimelo quando lei ti avrà detto che non è pronta e ti avrà fermato sul più bello» lo canzonò l'amico.
«Non ho mai fatto... sesso...» sussurrò Peter, arrossendo fino alla punta dei capelli, evitando di guardare i suoi amici per l'imbarazzo. John e Mike si scambiarono un'occhiata, ma prima che potessero parlare, Peter li fermò.
«Non ho più voglia di starvi a sentire» borbottò, uscendo dalla stanza.
«Mi sa che abbiamo esagerato, questa volta» disse Mike.
«No, starà bene» rispose John, ma non sembrava troppo convinto.

I giorni passarono, ed anche le settimane. John e Mike non erano più tornati sull'argomento, comprendendo l'imbarazzo di Peter, ed il resto sembrava andare bene: Wood aveva smesso perfino di guardarlo, terrorizzato all'idea che Mike potesse aspettarlo di nuovo fuori da casa, anche se sarebbe stata solo questione di tempo prima che si accorgesse che Mike non era sempre a fargli la guardia. Peter, nel frattempo, era migliorato notevolmente in matematica grazie all'aiuto di John, tanto che il professore gli aveva detto che non gli avrebbe segnato alcun debito, almeno per il momento.
In inglese continuava ad essere una vera e propria frana, e sentire i commenti di John su Rachel durante le lezioni non contribuiva ad aiutare la sua concentrazione.
Finalmente aveva presentato Alison a sua madre, dopo che entrambe avevano insistito per almeno un mese. Ora le vacanze di Natale si stavano avvicinando, e visto che Alison sarebbe andata in vacanza con la sua famiglia, Peter l'aveva invitata a trascorrere una domenica a casa sua per stare un po' insieme prima della partenza.
Dopo un'attenta riflessione, aveva fatto in modo che suo fratello passasse la giornata a casa di amici, mentre sua madre era impegnata con il superlavoro del periodo natalizio e negli ultimi giorni tornava a casa molto tardi. Non voleva organizzare niente di particolare, solo stare con Alison, senza neanche bisogno di parlare, perché a lui piaceva così.
Era bello, pensava, stare seduto sul divano insieme a lei a guardare il suo film preferito, senza nessun'altra preoccupazione. Non c'era bisogno nemmeno di pensare, tutto quello che lo circondava lo rendeva felice. Sentire la casa così silenziosa era strano e gli infondeva pace allo stesso tempo, non era una cosa che capitava molto spesso. Perfino Alison, che di solito non teneva mai la bocca chiusa, quel giorno era stranamente zitta. Gli sembrò che la ragazza, che era stata per tutto il tempo con la testa appoggiata alla sua spalla e lo sguardo fisso verso lo schermo, fosse sul punto di addormentarsi. Cercando di essere il più delicato possibile, le passò un braccio intorno alle spalle, stringendola a sé, ma lei con un sussulto si riscosse e si mise a sedere dritta.
«Scusa» le disse subito, in un sussurro «Ti ho svegliata?»
«No, tranquillo, ero solo concentrata sul film» rispose lei, sorridendo debolmente.
Dopo quel rapido scambio di frasi, nessuno dei due parlò per un po', ma lei gli afferrò la mano e sembrava decisa a non lasciare la presa. Poco per volta, iniziò a farsi sempre più vicina ed insistente. Interrompeva la pace di Peter, accarezzandogli i capelli e ripetendo quanto fosse felice di stare insieme a lui. Peter le rispondeva di essere contento a sua volta, ma avrebbe voluto che lei lo lasciasse in pace. Alison, dal canto suo, si era fatta molto agitata ed arrivò al punto che per Peter fosse impossibile seguire le vicende del suo amato film. Lei continuava a baciarlo, passargli le mani tra i capelli, costringerlo a guardarla negli occhi e dirle frasi carine, e ad un certo punto Peter non resistette più.
«Va tutto bene?» le chiese, stanco di vederla così irrequieta.
«Sì, certo!» squittì lei con voce molto più acuta del solito.
«È la prima volta che ti comporti così» borbottò lui.
«Stavo solo pensando che...»
«Cosa c'è? Puoi dirmi tutto» la esortò.
«È che... che siamo soli in casa e... stiamo insieme da abbastanza...»
«Sì...»
«Allora io... ecco...»
Il cuore di Peter accelerò. Pensava di sapere dove lei voleva andare a parare, ma in cuor suo sperava di sbagliarsi.
«C-che...» balbettò, sentendosi arrossire. Alison sorrise dolcemente. Un altro tuffo al cuore.
«Vieni» gli disse sussurrando, alzandosi in piedi e tendendogli la mano. Certamente si aspettava che lui la afferrasse, ma Peter era di un altro avviso.
«Dove?» le chiese infatti, sempre più teso, sistemandosi meglio sul divano. Lei sorrise di nuovo. Lui avvertì l'improvvisa mancanza di saliva in bocca.
«A-Alison...»
«Shh»
Lei gli tese di nuovo la mano, e questa volta Peter, che era talmente scioccato da non capire più nulla, fece come voleva lei. Si alzò mollemente e si fece condurre come un cagnolino, dipendeva da lei in tutto. Non reagì nemmeno quando Alison si diresse con sicurezza verso la sua stanza, gli sembrava di assistere alla scena come se la stesse vedendo in un film, e non come se la vivesse in prima persona. Lasciò che lei si stendesse sul suo letto, ancora in disordine da quella mattina, lentamente, con una delicatezza tale che pensò che quella ragazza non potesse essere vera. Poi, con il cuore a mille, vide le mani di lei tendersi verso la sua felpa, e in un attimo si ritrovò sopra di lei.
Quando Alison lo guardò dritto negli occhi, Peter iniziò a tremare, non sapeva se per la paura o perché si stava facendo trasportare dal turbine di emozioni e pensieri che gli vorticavano attorno. In un momento di lucidità, si rese conto di avere il respiro affannoso, ma Alison non sembrava farci caso. Con una delicatezza tale da farlo rabbrividire, Alison gli sfilò la felpa, per poi lasciargli un bacio sulle labbra. Peter ricambiò il bacio, sentendo il viso in fiamme. La ragazza afferrò l'orlo della sua maglietta, sollevandola fino a sfilargli anche quell'indumento, per poi appoggiare le mani calde sul suo petto.

Lui si sentiva in imbarazzo, consapevole di ciò che stava succedendo e sentendo un'improvvisa vergogna. Forse, lei aveva immaginato un corpo più tonico. Addominali, magari. Ma si trovava davanti solamente un pallido ragazzo magrolino.
La osservò come in trance, mentre anche lei toglieva la propria maglietta, rivelando un reggiseno piuttosto appiattito sul petto, che Peter sfiorò con la punta delle dita, dischiudendo le labbra con una leggera sorpresa. Era la prima volta che una ragazza si esponeva così tanto con lui.
Alison gli afferrò delicatamente la mano, cominciando a guidarla sul proprio petto. Lasciò che fosse lei a dirgli cosa fare. Sentiva le sue mani calde addosso, dimenticando tutto il resto. E poi, seguendo i suggerimenti dettati da una vocina in fondo alla testa che si stava risvegliando, decise di imitarla. Erano una coppia. Non stavano facendo niente di male. E poi, avevano ancora quasi tutti i vestiti addosso, pensò. Ma, mentre le sue dita scorrevano timidamente sul corpo della ragazza, iniziò a piacergli sempre di più. Eccome se gli piaceva. E per la prima volta nella sua vita, si accorse di volere di più.
Abbassò il viso, per raggiungere quello della ragazza, mordendole il labbro inferiore, spostando nel frattempo le mani sui suoi fianchi. La sentì muoversi, cercare di baciarlo, e la assecondò. I suoi movimenti diventarono sempre più decisi, le sue esitazioni sempre più brevi, la sua stretta intorno ai suoi fianchi sempre più forte. Non cercava più di evitarlo, non gli passava neanche più per la testa. Il desiderio era diventato implacabile, voleva che succedesse, e che fosse più presto possibile. Decise che i baci, che fino a quel giorno erano stati l'unica cosa di cui aveva sentito il bisogno, erano poco soddisfacenti per quella voce che ora aveva preso il sopravvento dentro di lui, e più ne dava, più ne desiderava, riducendo le pause tra uno e l'altro tanto che quasi non respirava.
Fece passare le braccia sotto la schiena della ragazza, sapeva che lì da qualche parte doveva esserci il gancetto del reggiseno, che trovò e sganciò con qualche difficoltà.

«Aspetta...» mormorò Alison all'improvviso, irrigidendosi. Il cervello di Peter era come in tilt, tanto che faticò a capire subito.
«Eh?»
«Fermo, fermati» disse lei. Peter avvertì come un piccolo pop in testa, lo stesso rumore che si sente quando si toglie il tappo da una vasca piena d'acqua. Poi, finalmente, comprese: Alison aveva interrotto il corso delle cose, prima che potessero spingersi troppo oltre.
«Cosa succede?» le domandò. Faticava a mantenere il controllo, un po' perché era spaventato e sconvolto per quello che aveva fatto, ma al tempo stesso perché tutto era finito proprio quando stava iniziando a piacergli.
«Potresti... per favore... farmi alzare?» mormorò lei, così piano che lui fu costretto ad avvicinarsi per sentirla.
«Oh... certo» disse una volta capito. Goffamente, si spostò da quella posizione, sedendosi sul bordo del letto. Alison si sollevò, tenendo il reggiseno premuto contro il corpo con entrambe le mani, troppo imbarazzata per guardarlo.
«Allora...» sussurrò la ragazza, dopo quelle che sembrarono ore.
«Allora» le fece eco lui.
«Mi dispiace» disse lei. Peter la guardò con la coda dell'occhio, ma i capelli le nascondevano il viso, così dovette solo immaginare come potesse sentirsi.
«Perché? Non lo fai mica apposta» la rassicurò.
«No, però tu...»
«Non pensarci, non morirò solo per questo» le disse prima che terminasse la frase. Alison lo guardò, e lui le rivolse un sorriso di incoraggiamento per farle capire che non c'era niente di male nell'accaduto.
«Ti prometto che non sarà per sempre, solo... non adesso» si affrettò a dire lei.
«Prenditi il tuo tempo, non c'è fretta»
«Ne sei sicuro?»
"Ho scelta per caso?" pensò. Questo era quello che avrebbe voluto dire, ma sospettò che non fossero le parole migliori da usare in una situazione simile.
«Sì»
«Potresti...?» domandò lei, dandogli le spalle, in una silenziosa richiesta di riallacciarle il reggiseno. Peter le accarezzò la pelle nuda per qualche istante, prima di afferrare il gancetto ed assicurarlo al suo posto.
«Grazie» sussurrò Alison, rivestendosi. Peter la imitò, per poi prendere un respiro profondo.
«Quindi, adesso che facciamo?» gli domandò lei.
«Non so. Torniamo a guardare la tv?»

Quella sera, quando Alison uscì per tornare a casa, Peter andò dritto a letto. Né sua madre né suo fratello sarebbero tornati molto presto, così ebbe tutto il tempo per pensare. Non aveva voluto dirlo ad Alison, ma quello che era successo tra loro poche ore prima lo aveva spaventato più di quanto avrebbe mai pensato.
Non era rimasto sconvolto perché la situazione si era scaldata, e tanto meno perché lei lo aveva interrotto. No, la cosa che lo spaventava di più era che per un momento, per un solo momento, quando lei gli aveva chiesto di smettere, lui aveva pensato di fare finta di non averla sentita. Il suo cervello gli diceva di fermarsi, ma c'era qualcosa che in qualche modo voleva impedirglielo. Il peggio era che adesso aveva paura che quello che aveva detto Mike diventasse realtà, che prima o poi non sarebbe più riuscito a resistere agli impulsi che si erano risvegliati in lui e avrebbe dovuto farlo per forza, scavalcando il volere di Alison.
La cosa lo terrorizzava a morte, tanto che solo il pensiero di rivedere Alison lo mandava nel panico. E se avesse finito per farle del male? Non voleva che succedesse. Aveva deciso, anche se avesse rischiato di morire per astinenza, si sarebbe tenuto alla larga da ogni tipo di contatto fisico fino a che non sarebbe stata lei a chiederglielo.    

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** FAKE. ***


FAKE.


Era passato qualche giorno dall'ultima volta che aveva visto Alison, ed entrambi, anche al telefono, si erano rifiutati di parlare di ciò che era accaduto. Era l'ultimo giorno di scuola prima dell'inizio delle vacanze di Natale, e l'unica cosa che lo sollevava dal nodo che aveva allo stomaco era sapere che lei sarebbe partita, impedendogli così di fare qualche azione avventata. L'aveva evitata per tutto il tempo da quando lei era uscita da casa sua, e le paure di Peter li stavano allontanando pericolosamente. Anche se non voleva che succedesse, iniziava a pensare che non fosse la cosa peggiore che potesse capitare.
Aveva pensato di raccontare a Mike e John quello che era successo, ma non ne aveva avuto il coraggio. Sapeva che Mike lo avrebbe preso in giro, mentre John avrebbe sminuito il problema. Poteva quasi immaginare le loro parole: "Te l'avevo detto che sarebbe successo! Pete, sul serio, sei senza speranza" oppure "E cosa vuoi che sia? Fai sempre un dramma per tutto".
Non sapeva cosa fare, avrebbe voluto parlarne con qualcuno per capire se il suo comportamento, quello stato di eccitazione scioccante e così forte da fargli perdere la ragione, fosse normale, oppure se fosse effettivamente un maniaco pericoloso. Forse avrebbe dovuto parlarne con Alison, ma pensava che l'avrebbe spaventata, ed in ogni caso, non aveva idea di come avrebbe potuto aiutarlo.
Era a questo che pensava durante la lezione di inglese, e la professoressa Walstone sembrò non gradire affatto.

«Kane, vuoi degnarti di seguire la lezione o preferisci continuare a fissare il vuoto?»
«Che...?»
«Kane, ripeti quello che ho appena detto» gli ordinò la donna.
«Cosa? Io non... non lo so» disse. Quella notte aveva dormito malissimo, era stanchissimo e faticava a capire quello che gli veniva detto. Senza contare che non gli interessava affatto la lezione di inglese.
«Bene. Non che questo comportamento mi sorprenda»
La professoressa scribacchiò qualcosa sul registro prima di tornare a spiegare come se non si fosse mai interrotta.
«Kane, che ti succede?» sussurrò John, a voce bassissima. Peter scosse la testa per fargli capire che non doveva preoccuparsi. Per evitare altre domande, fece finta di seguire la lezione, anche se più che altro si impegnò a torcersi le dita e guardare dritto davanti a sé.
Un paio di volte sentì addosso lo sguardo di Rachel, che come sempre era seduta alla cattedra insieme alla professoressa e prendeva appunti. Strano che una tirocinante si fermasse così a lungo, si disse, ma quello non era certamente un suo problema.
Continuava a rivivere quella scarica di adrenalina che aveva provato quando Alison l'aveva tirato verso di sé, ed era abbastanza per distrarre il corso dei suoi pensieri. Non capiva ancora come fosse riuscito a fare anche quel poco che aveva fatto, forse stava inconsciamente copiando quello che faceva Alison, forse era andato semplicemente a caso, muovendosi mentre il cervello era in black-out. Fatto stava che rivedeva la scena in continuazione dentro la sua testa, mille e mille volte.
Le mani di Alison sul proprio corpo. Le sue mani che scorrevano lungo il reggiseno della ragazza. Quella voglia impellente di toglierle l'indumento.
"Forse sto impazzendo..."

«Kane!» fece John, dandogli un colpetto con il braccio. Peter si riscosse e lo guardò interrogativo.
«Le tue mani» disse «Smettila»
Peter si accorse di avere i pugni stretti al punto che le nocche erano diventate bianche, così lasciò di scatto la presa.
«Ehi, stai bene?» domandò John. Peter annuì, ma non stava bene. Non stava affatto bene.
«Catham, non cominciare a distrarti come Kane, se non vuoi imitare anche la sua media dei voti» lo avvertì la professoressa.
«Ma lui non...»
«Sto bene» lo interruppe Peter. John sospirò e si raddrizzò sulla sedia, continuando a lanciare occhiate nervose a Peter a brevi intervalli di distanza, ma non disse più niente fino al suono della campanella.

Quando la lezione finì, Peter iniziò a raccogliere le sue cose e pensò a come passare l'intervallo. Di solito stava con Alison, o andava insieme a John a cercare Mike, ma non aveva voglia di fare nessuna delle due cose.
«Non vieni?» gli chiese John.
«No» rispose, con freddezza.
Aspettò che John fosse uscito dalla classe e restò lì a perdere tempo, con la fronte appoggiata contro il banco e gli occhi chiusi, sperando di non essere disturbato.
«Rachel, hai preso tutto?» sentì dire alla professoressa Walstone.
«Sì, zia»
Zia? La Walstone era la zia di Rachel? Questa si che era una scoperta, ed era abbastanza interessante da fargli dimenticare di Alison per un minuto. Con un sorriso, immaginò come avrebbe reagito John nel saperlo.
«Zitta, sai di non dovermi chiamare così a scuola» sibilò la professoressa.
«Ma c'è solo Peter qui, e non sembra che stia troppo bene» sussurrò Rachel in risposta.
«Kane, Rachel. Chiamalo per cognome, non affezionarti mai agli studenti»
«Hai ragione, scusa»
Anche senza guardare, Peter capì grazie ai rumori dei passi che le due donne dovevano avere ormai abbandonato la classe, lasciandolo solo lì dentro. Alzò la testa per un momento, ed invece vide che Rachel era ancora alla cattedra, impegnata a far entrare una grossa quantità di fogli nella sua borsa.
La guardò per qualche secondo, e vedendola in difficoltà si alzò ed andò verso di lei.
«Un momento, la aiuto io» disse.
«Sei molto gentile, Peter» rispose lei. Mentre Peter riusciva, non senza fatica, a sistemare tutti quei documenti, si lasciò sfuggire una domanda.
«Davvero la Walstone è sua zia?»
«Oh... ci hai sentite» disse lei, mordendosi il labbro inferiore.
«Sì, mi dispiace, non l'ho fatto apposta» rispose Peter, con espressione colpevole. Rachel gli rivolse un piccolo sorriso.
«Tranquillo, lo so! Ma ti prego, non dirlo a nessuno»
«Certo, non si preoccupi» rispose Peter.
«Dammi del tu, Peter»
«Ma... agli insegnanti dobbiamo dare del lei...»
«Di solito sì, ma puoi darmi del tu. Anzi, devi darmi del tu, insisto» fece Rachel.
«Ok... allora, ehm... terrò il segreto»
«Sei davvero un bravo ragazzo. Non ci sono molti come te alla tua età»
«Beh...»
«Kane!»
L'urlo di John fece sobbalzare sia Peter che Rachel. Il ragazzo era fermo sulla porta e li osservava sospettoso, in particolare lanciando occhiatacce a Peter.
«Credo che sia il momento di andare. Buon Natale, ci vediamo il prossimo anno» disse Rachel, salutando prima Peter e poi John. Quest'ultimo la seguì con sguardo interessato, emettendo un fischio sommesso, poi entrò in classe a grandi passi.
«Che combinavi con lei?» domandò.
«Niente, stavamo solo parlando»
«Ti tengo d'occhio» lo minacciò John. Peter trattenne il fiato ma, quando l'amico scoppiò a ridere, si rilassò.
«Piuttosto, perché sei tornato in classe?» gli chiese.
«Ti stavo cercando»
John raccontò che, essendo preoccupato per lo stato di Peter durante la lezione, aveva deciso di tornare in classe per convincerlo a fare un giro in cortile, per poter prendere un po' d'aria. Peter osservò il suo amico avvolgersi in un piumino grande il doppio di lui, una sciarpa e un berretto, e quando rise per il suo aspetto buffo, John si limitò a dire che sarebbe stato il freddo a dargli ragione.

Una volta fuori, Peter andò diretto verso l'angolo meno ventilato del cortile. John aveva ragione, il freddo non era affatto una cosa da ridere, e adesso stava un po' invidiando i vestiti pesanti del suo amico, per quanto gli dessero un aspetto ridicolo.
Stava quasi per dirgli della novità che aveva scoperto su Rachel, quando gli tornò in mente che, quando l'aveva sentita parlare, stava pensando ad Alison. Il suo umore passò da grigio a nero in meno di un secondo.
«Ti vedo sbattuto» disse John «Non è che ti sei preso qualche virus?»
«Può darsi» mugugnò.
«Prima mi hai quasi fatto prendere un colpo. Avevi una faccia da far paura, non sembravi più tu»
Peter non rispose, perché non aveva il coraggio di dire a John che aveva perfettamente centrato il punto. Quello non era più lui. Doveva per forza essere un'altra persona, che aveva preso il controllo del suo corpo e della sua mente. Non voleva considerare nemmeno per un secondo l'idea di essere stato così fragile mentalmente da cedere agli istinti, proprio come fanno gli animali.
«Avevi gli occhi sbarrati e stringevi i pugni sempre più forte, ho pensato che avessi qualche attacco di una malattia strana. Per caso soffri di malattie strane e io non lo so?» continuò John.
«No»
«Malattie ereditarie?»
«Nemmeno»
«Hai manie strane o dipendenze?»
«Ti sei trasformato in un medico?» sbottò Peter.
«Cercavo solo di sdrammatizzare, sembri così sconvolto che ho pensato che distrarti fosse una buona idea»
«Non funziona, tutto torna sempre al punto di partenza»
«Vuoi dirmi cos'hai? Stai facendo preoccupare anche me, ed io non mi preoccupo mai»
«Ho freddo» fece Peter battendo i denti e pestando i piedi per scaldarsi.
«Uffa. Tieni e non cercare di cambiare discorso» fece John, togliendosi il berretto di lana dalla testa e lanciandolo in mano a Peter.
«Grazie» rispose lui, indossandolo subito. Non cambiava molto, ma almeno le orecchie erano al caldo.
«Allora, vuoi dirmi cosa ti sta succedendo? E sul serio stavolta» tornò all'attacco John. Vedendo che Peter non si decideva a parlare, tirò fuori il cellulare ed iniziò ad armeggiare, per poi riporlo dopo pochi secondi.
«Che stai facendo?» gli domandò Peter.
«Ho chiamato la cavalleria»
Meno di un minuto dopo, Mike li raggiunse correndo, con gli occhi fuori dalle orbite. Quando li individuò, si fermò davanti a loro con uno scivolone, non finendo a terra per miracolo.
«Si può... sapere... cosa...» esalò, mentre si piegava a riprendere fiato.
«Ah, eccoti, quanto ci hai messo?» fece John. Mike lo guardò malissimo, poi si voltò verso Peter.
«Lui sta... benissimo!» gridò.
«Lo so» fece John, rivolgendogli un sorriso sornione.
«Questa volta... ti ammazzo... appena torno a respirare»
«Una corsetta ogni tanto non può farti altro che bene» disse John. Sembrava che si stesse divertendo.
«Ma che gli hai detto?» chiese Peter, perplesso.
«Ecco, leggi» rispose John, spingendogli il proprio cellulare tra le mani. Peter lo afferrò e lesse il messaggio che il suo amico aveva inviato a Mike.
'Kane sta soffocando e io non so cosa fare, siamo in cortile, FAI PRESTO'
«Hai... dei seri problemi mentali» disse Mike, che intanto si era rimesso dritto in piedi.
«Anche tu, visto che ti sei bevuto una sciocchezza come quella. Ma non è questo il punto, Kane ha davvero bisogno di aiuto»
Peter scosse la testa. Non avrebbe parlato, non avrebbe detto niente. Mike lo guardò dall'alto in basso.
«Non mi sembra che stia poi così male»
«Lo dici tu. Gli è successo qualcosa ma non vuole dirmelo» spiegò John.
«Forse semplicemente non vuole che tu ti faccia i fatti suoi?»

Avrebbe voluto fare un monumento a Mike. Forse, se li avesse lasciati a discutere e si fosse allontanato piano piano senza farsi notare, quei due lo avrebbero lasciato in pace. Azzardò un paio di passi indietro.
«Kane, dove stai andando?»
«Ehm...»
«Oh, guarda. Laggiù c'è la tua bella nanerottola, insieme a quella sua amica che fa finta di non avere una cotta per me» disse John, guardando verso il centro dello spiazzo. Effettivamente, Alison e la sua amica, quella che la accompagnava nei primi giorni in cui andava a trovare Peter in classe, erano lì, insieme ad un paio di altre ragazze che probabilmente erano in classe con loro.
«Stavi andando da lei, eh?» fece Mike.
«No»
«Guardano da questa parte. Eccole che arrivano» disse John, come se stesse facendo la telecronaca. Peter non si preoccupò nemmeno di guardare, al contrario fece finta di non essersi accorto di niente.
«Ciao Peter. John, Mike» disse Alison.
«Vi lasciamo soli» disse John subito.
«No, restate» fece Peter, che non voleva proprio rimanere solo con Alison.
«D'accordo»
Alison lo guardò stranita, ma visto che anche lei aveva portato la sua amica non poté lamentarsi.
«Io parto oggi, subito dopo la scuola» gli disse.
«Va bene» rispose Peter. Voleva solo che lei si allontanasse in fretta, prima di scoprire che gli istinti si stavano risvegliando un'altra volta in fondo alla sua testa.
«Scusate se mi intrometto, ma forse tu puoi aiutarmi, Alison. Non è che Kane ha avuto qualche problema con te ultimamente?» fece John. Mike gli diede una gomitata così forte da farlo barcollare, ma il ragazzo non si lasciò distrarre.
«Di che parli?» gli domandò Alison.
«Si comporta in modo strano da giorni. E adesso tra voi vedo che c'è qualcosa che non va. Una specie di gelo, come se vi vergognaste di qualcosa»
«Ti sbagli» si affrettò a negare Peter.
«Non c'è niente» gli fece eco Alison, arrossendo. John spostò lo sguardo da uno all'altro, prima di far spuntare il suo solito sorrisetto che faceva quando capiva qualcosa di scomodo che riguardava i suoi amici.
«Davvero, eh? Come volete, farò finta di niente. Però potevi anche dirmelo subito che era un problema di coppia, non mi sarei preso tanto disturbo» disse.
«John, per favore, lascia vivere le persone» si lamentò Mike.
Mentre i due cominciavano nuovamente a discutere, Peter guardò Alison con la coda dell'occhio. La ragazza aveva l'aria ferita e continuava a distogliere lo sguardo. Probabilmente, pensava che Peter ce l'avesse con lei perché aveva interrotto il loro momento, e stava pensando che prima di partire avrebbe ottenuto solo un saluto freddo e distaccato.
Lui, però, non voleva farla sentire in colpa, perché non era quello il motivo che lo stava facendo allontanare. Quando la vide asciugarsi una lacrima con la manica, capì di dover rimediare in qualche modo.
«Alison?» disse, a bassa voce. Lei fece finta di non sentirlo, o forse non lo sentì davvero.
«Alison» ripeté, a voce più alta. Questa volta, la ragazza gli dedicò le sue attenzioni, e Peter si maledisse mentalmente per come la stava riducendo. Prima non lo aveva notato perché si era rifiutato di guardarla in faccia, ma adesso poteva vedere chiaramente che Alison aveva gli occhi gonfi e arrossati, come se avesse pianto molto. Certamente non aveva iniziato a piangere in quel momento, quelli erano i segni di un pianto che andava avanti da ore.
«Cosa c'è, Peter?» gli domandò.
«Io... ehm...»
La guardava negli occhi e non riusciva a parlare. Pensare di essere la causa di quel suo stato lo faceva stare malissimo.
«Ti prego, Peter. Se hai qualcosa da dirmi fallo» sussurrò lei.
«Mi... mancherai» disse lui, abbassando lo sguardo e arrossendo fino alle orecchie per l'imbarazzo. Non aveva mai detto niente di simile ad Alison prima, nemmeno quando erano soli, figurarsi se gli faceva piacere dirlo lì davanti a John, Mike e all'amica di Alison di cui non sapeva neanche il nome.
Sentì il silenzio intorno a sé, come se tutti avessero smesso di fare quello che stavano facendo per restare a guardare il procedere della scena.
«Peter...»
Delle mani piccole e calde gli sfiorarono le guance e lo costrinsero ad alzare lo sguardo.
«Anche tu mi mancherai» disse Alison. Peter rabbrividì. Stava lasciando che lei lo toccasse, non poteva succedere. La voce nella sua testa si sarebbe presentata tra poco. Rimase ad aspettare per dei lunghi secondi, ma quell'istinto che aveva avvertito pochi giorni prima tardava a farsi sentire. Che quel giorno a casa sua fosse stata tutta colpa dello shock? C'era un solo modo per capirlo.
«Io...»
La campanella suonò per segnare la fine dell'intervallo, per l'ultima volta per quell'anno. I ragazzi tornarono lentamente in classe, lamentandosi di avere ancora tre ore di lezione. Peter, Alison, la sua amica, John e Mike però rimasero lì, aspettando che Peter concludesse il discorso.
«Ci vediamo dopo» disse invece.
«Sì...»
Peter si allontanò a grandi passi, mentre John gli correva dietro.
«Oggi sei proprio strano» si limitò a dire.

Le due ore di lezione successive passarono con una lentezza disarmante. Peter continuava a controllare l'ora, nervoso perché aveva ormai deciso di dire tutto ad Alison. Lei sarebbe partita subito, così avrebbe avuto due settimane per pensare e decidere cosa avrebbe voluto fare riguardo a loro due. Lui, in cuor suo, sperava che Alison volesse restare con lui, ma non l'avrebbe fermata se avesse deciso il contrario.
Finalmente arrivò l'ora di laboratorio, l'ultima della giornata, e la preferita in assoluto di Peter e John. Era una materia facile, in cui il professore, un uomo piuttosto anziano e spesso distratto, si accontentava di vederli fingere di fare qualche esperimento di tanto in tanto.
Quel giorno, in particolare, dovevano studiare alcuni elementi al microscopio, ma Peter e John stavano facendo tutt'altro.
«Stai sospirando da un'ora, guarda che così fai volare via tutta la sabbia dal vetrino» disse John, irritato, spazzolandosi via la sabbia dalla giacca.
«Non è il problema più grosso che ho»
«Senti, l'ho capito che è successo qualcosa con Alison. Che c'è, ti ha detto che ce l'hai piccolo?» fece John.
«Chiudi il becco» borbottò Peter, infastidito.
«Stavo solamente scherzando, Kane. Che c'è?»
«Niente»
«Come vuoi. Però cerca di goderti la vita, tutte queste tue paranoie ti stanno facendo invecchiare a vista d'occhio»
«Lo so, ma sono fatto così. Non posso evitare di preoccuparmi per le persone a cui voglio bene»
«Aggiungici un paio di cuoricini rosa in fondo ed ecco che questo si trasformerà in un discorso da ragazze» disse John, ridendo di gusto.
«Non ce la fai proprio ad essere serio?» gli chiese Peter irritato. John smise istantaneamente di ridere.
«Scusa, è più forte di me. Anche io sono fatto così»
«A proposito di ragazze, tu non mi hai mai detto niente» disse Peter, tentando di cambiare discorso «Sei così a corto di storie da raccontare?»
John rise.
«Nah, sono un tipo riservato»
Entrambi scoppiarono a ridere.
«No, sul serio, ti ho raccontato della mia professoressa?» domandò poi.
«Sì... la tua prima volta, giusto?»
«Proprio lei. È stato divertente, dovresti provare l'emozione di startene chiuso con un'insegnante in uno stanzino mentre al piano di sopra gli studenti la aspettano per fare lezione»
«Io ho una ragazza» gli ricordò Peter, mettendo particolare enfasi sull'ultima parola.
«Sì, fa lo stesso»
«Kane, Catham» disse qualcuno.
«Sì, cosa c'è?» domandò John, voltandosi con un gran sorriso verso l'interlocutore. Il professore era accanto al loro tavolo, e li fissava attraverso le lenti dei suoi spessissimi occhiali rotondi.
«Devo aggiungere qualcuno al vostro gruppo, non state concludendo niente» disse.
«Ma è l'ultimo giorno, crede davvero che ci sia qualcuno che sta lavorando seriamente?» si lamentò John. I due ragazzi si guardarono attorno, rendendosi conto di essere gli unici a non avere ancora cominciato il lavoro.
«Wood ha già terminato il proprio lavoro, ed è per questo che si unirà a voi»
Peter rabbrividì. Non aveva più parlato con Wood dal giorno in cui Mike e John lo avevano costretto a scusarsi, e le ferite, anche se erano guarite ormai da un pezzo, bruciavano ancora. Wood si avvicinò a passi pesanti, e prese posto proprio accanto a Peter.
«Buongiorno, ragazzi» disse, senza guardarli in faccia. Peter non sapeva cosa dire, mentre John lo fissava come se volesse farlo a pezzettini.
«Cos'è, Wood, cerchi di diventare nostro amico per poi farci fuori nel sonno?» lo attaccò.
«Non sto cercando di diventare vostro amico»
«Attento Kane, potrebbe darti fuoco con la fiamma ossidrica da un momento all'altro»
«Non sei divertente, Catham. Voglio solo fare questo lavoro in fretta così non sarò più costretto a starvi intorno»
Wood non sembrava avere alcuna intenzione di far del male a qualcuno, al massimo dava l'impressione di essere contrariato.
«Allora comincia a lavorare, io ti terrò d'occhio molto da vicino» disse John, avvicinando la sedia al ragazzo e fissandolo, così vicino da potergli quasi sfiorare la guancia con la punta del naso.
«John, credo che dovremmo fare anche noi la nostra parte» suggerì Peter.
«Non so nemmeno da dove si comincia ad usare un microscopio» si lamentò John.
«Catham, bisogna spiegarti tutto. Prendi una di quelle polveri, la metti sul vetrino, ci aggiungi un po' d'acqua con la pipetta e poi osservi. O non sei capace nemmeno di guardare dentro un microscopio?»
«Io sono perfettamente capace, anzi, sono più capace di te, senza dubbio!»
«Ah, davvero? Perché mi sembra che tu sia solo riuscito a spargere sabbia per tutto il tavolo!»
«Quella è colpa di Kane, e se proprio vuoi saperlo non abbiamo bisogno di te»
«John, smettila. Mi stai facendo venire mal di testa» lo interruppe Peter. John incrociò le braccia ed iniziò a borbottare.
«Tu guarda se il prof doveva decidere di iniziare ad insegnare e affibbiarci questo qui proprio l'ultimo giorno»
«Ti ho sentito, Catham»
«Ah, bene, allora non ho parlato a vuoto»
«Basta...» fece Peter, tappandosi le orecchie con le dita. Sarebbe stata un'ora interminabile.

La campanella tanto temuta da Peter suonò, ed uscì dalla classe come se stesse andando al patibolo. Doveva trovare Alison e salutarla in fretta, parlarle e sperare che capisse. Si era già preparato un mezzo discorso in testa, ma non era certo di seguirlo.
Finalmente la trovò fuori dalla scuola, sentendo il proprio cuore battere forte. La ragazza era ferma vicino all'ingresso, e stava guardando in faccia tutti quelli che uscivano dall'edificio, probabilmente lo stava cercando.
«Peter!» esclamò quando lo vide. Lui le si avvicinò con il cuore in gola. Anche da quella distanza, poteva vedere che la ragazza aveva ancora gli occhi arrossati, e si sentiva un verme per il trattamento che le aveva riservato.
«Bene. Allora ci siamo» le disse.
«Sì. I miei sono già in macchina ad aspettarmi» fece lei, accennando distrattamente alle proprie spalle.
«Hai pianto per colpa mia?» le chiese. Non era riuscito a trattenersi, doveva sapere. Alison sospirò.
«Sapevo che te ne saresti accorto» disse «Ma non devi sentirti in colpa»
Peter si sentì sprofondare. Allora aveva ragione, era tutta colpa sua.
«Mi dispiace, davvero. C'è un motivo se mi sono comportato così»
«Aspetta, prima devo dirti qualcosa io»
«Sì... ok»
«Peter, mi dispiace tanto. Lo so che tu l'altro giorno volevi... volevi andare fino in fondo. So di averti deluso. Ti prometto che la prossima volta...»
«No. Non devi preoccuparti, te l'ho già detto. Non ce l'ho con te»
«Allora perché mi hai evitata fino ad oggi?»
Era arrivato il momento, quello che aveva tanto temuto. Probabilmente, quando avrebbe finito di parlare, non avrebbe più avuto una ragazza. Era un mostro, ed era certo che anche Alison l'avrebbe pensata così. Le raccontò di quello che aveva provato, della vocina nella testa che sembrava dargli istruzioni, dell'attimo in cui aveva pensato di ignorare le sue richieste.
«Insomma, non te l'ho detto, ma quando ho capito di non voler smettere ho avuto una gran paura» spiegò. Alison lo abbracciò senza dargli il tempo di dire altro.
«Vedi, è per questo che mi piaci così tanto. Perché ti preoccupi per me, fin dal giorno in cui ci siamo conosciuti»
Era sconcertato, non pensava che lei potesse prenderla così bene. Anzi, era certo che non l'avrebbe presa bene, eppure lei lo stava perdonando per essersi comportato come un idiota. Peter ricambiò l'abbraccio, ma non si sentiva ancora del tutto sicuro.
«C-cosa faccio se... se mi succede ancora?» domandò. Alison lo strinse più forte.
«Me lo dici. E troviamo una soluzione insieme» rispose con sicurezza.
«Sì, mi sembra la cosa migliore»
«Alison! Dobbiamo partire!» gridò un uomo.
«Arrivo papà, un attimo!» urlò lei in risposta.
Peter continuava a tenerla stretta, non l'avrebbe lasciata andare prima di averla salutata decentemente.
«Allora, ciao» mormorò lei, guardandolo negli occhi.
Peter trattenne il fiato per qualche istante, per poi avvicinare il viso a quello della ragazza. Posò le labbra sulle sue, baciandola con una foga che non aveva mai avuto prima. Picchiettò delicatamente sulle labbra della ragazza con la lingua, domandandole l'accesso, e lei fu più che rapida a consentirglielo. Mentre intrecciava la lingua a quella di Alison, Peter pensò che quello fosse l'unico modo per capire, scoprire se potesse fare una cosa simile senza perdere il controllo. La sentiva ricambiare il bacio, sentiva i suoi movimenti, il suo respiro, ma non sembrava avere alcun effetto strano. Niente desiderio di avere altro, niente impulsi di alcun genere, escluso quello che stava cominciando a sentire nei pantaloni. Quello era un bacio molto più goffo e passionale di quello che aveva sperato, ma poteva servire comunque allo scopo.
Più secondi passavano, più si rendeva conto di avere ancora il pieno controllo di ogni facoltà fisica e mentale, e questo lo fece sentire più tranquillo.
«Wow, che ti è preso oggi?» sussurrò Alison contro le sue labbra, quando si furono separati.
«Niente, stavo solo... volevo salutarti per bene»
«Ti a...» disse Alison all'improvviso, ma Peter, arrossendo, le lasciò un bacio a stampo, per impedirle di parlare.
«Alison, partiamo senza di te!» gridò il padre di Alison, che stava aspettando in piedi accanto alla macchina.
«Devo andare» si scusò Alison, abbracciando Peter.
«D'accordo. Ciao»
«Ciao... non dimenticarti di me mentre sarò in vacanza»
"Questo è impossibile..."

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** MERRY CHRISTMAS EVERYONE. ***


MERRY CHRISTMAS EVERYONE.


Il Natale. Quello era senza alcun dubbio il giorno dell'anno che Peter odiava di più in assoluto. Adorava i colori, l'aria di festa e la sensazione di allegria che c'era per le strade, ma detestava passare la giornata in famiglia.
Ogni anno, fin da quando riusciva a ricordare, il fratello di sua madre e la sua famiglia arrivavano a casa sua, insieme a sua nonna materna, per pranzare e cenare tutti insieme. Di solito, almeno da quando i suoi genitori avevano divorziato, la giornata finiva per essere un vero disastro. Non c'era volta che passasse senza che qualcuno si mettesse a litigare, mandando completamente all'aria il vero spirito natalizio.
«Evviva, guarda quanto siamo felici e ci vogliamo bene. È proprio Natale» borbottò Peter, sarcastico. Aveva passato l'intera giornata in salotto, intento a rispondere ai messaggi di auguri che gli erano stati inviati, mentre in cucina sua madre e suo zio si stavano urlando contro selvaggiamente.
«Vorrei tanto che la smettessero» commentò Rob, massaggiandosi le tempie. Anche lui aveva evitato di entrare in cucina per quanto possibile, ed adesso stava guardando senza interesse la replica di qualche film natalizio in televisione.
«A chi lo dici»
«Peter» lo chiamò Jill, tirandolo per i pantaloni.

Jill era sua cugina di cinque anni, l'unica femmina in una famiglia in cui tra cugini erano tutti maschi. Peter la adorava e lei adorava lui, tanto che era l'unico da cui si lasciava abbracciare e prendere in braccio oltre a sua madre. Quel giorno si stava dimostrando particolarmente allegra, soprattutto grazie ai regali che aveva ricevuto e con cui aveva invaso il salotto di casa di Peter.
«Cosa c'è?» le chiese lui.
«Andiamo a prendere la cioccolata?»
Peter e Rob si scambiarono uno sguardo d'intesa. L'anno prima, visto che la situazione in casa era insostenibile, Peter aveva deciso di uscire e portare con sé Rob ed i due cugini, cioè Jill e suo fratello Sam, ed erano andati tutti e quattro in un piccolo bar a godersi una cioccolata calda. Alla fine, erano riusciti a passare un Natale decente, lontani dalle urla e dagli insulti, e ci avevano anche guadagnato una cioccolata dolce e deliziosa.

Peter guardò verso la cucina, chiedendosi quando quelli che si definivano 'adulti' si sarebbero decisi a comportarsi davvero come tali, invece di discutere su cose inutili come quelle che si stavano sputando addosso in quel momento.
«Ma sì, andiamo» disse, triste. Tutto quello che desiderava era passare un bel Natale, nient'altro.
«Evviva!» esultò Jill.
«Fai sul serio? Non ti ricordi che l'anno scorso mamma ci ha tenuti chiusi in casa per un mese perché siamo usciti senza averglielo detto?» domandò Rob. Era vero, quando erano tornati a casa erano stati rimproverati duramente per essere andati via di casa a Natale senza far sapere niente a nessuno.
«Mi stanno spaccando i timpani. Tu hai qualche idea migliore?»
«No» ammise Rob.
«Bene allora, vai a chiamare Sam. A proposito, dov'è? Sarà un'ora che non lo vedo»
«Forse perché te ne sei stato tutto il giorno con il naso incollato al telefono a scrivere messaggi stupidi»
«Ma quali messaggi stupidi, sono solo gli auguri di Natale. Muoviti, vi voglio pronti tra dieci minuti» disse, autoritario.
«Certo, capo» lo canzonò Rob. Mentre lui andava a cercare Sam, Jill si arrampicò sul divano per sedersi accanto a Peter.
«Lo dico alla mamma che andiamo via?»
Peter, percorso da un brivido pensando alla punizione interminabile dell'anno prima, non faticò a prendere una decisione. Forse sua madre era troppo impegnata ad urlare per accorgersi della loro assenza, ma sua zia, che non era coinvolta nella discussione, certamente si sarebbe preoccupata se non avesse più visto i suoi figli in giro. E poi, così avrebbe anche potuto informare gli altri.
«Sì, è meglio»
Mentre Jill correva dalla madre, Peter si alzò dal divano con uno sbadiglio. Quella giornata non era neanche a metà, ma lo aveva già sfiancato. Andò alla porta, osservando tristemente le poche decorazioni che sua madre aveva insistito per appendere alle pareti, insieme al piccolo albero di Natale che si trovava in un angolo del salotto. Non doveva essere alto più di mezzo metro, aveva parecchi rami rotti e guardarlo era piuttosto deprimente.
Aspettando che tutti quanti fossero pronti per uscire, Peter afferrò la giacca più pesante che possedeva, ed allacciò bene le scarpe. Fuori aveva nevicato per la prima volta dopo anni, quindi faceva anche molto freddo. Controllò un'ultima volta il cellulare, che segnava che erano le cinque e dieci. Notò che c'era un messaggio non letto a cui prima non aveva fatto caso.
'Buon Natale!!! Qui è bellissimo, però preferirei mille volte stare lì con te. Scusa se questo messaggio dovesse arrivare in ritardo, il telefono non prende'
Si morse la lingua per essersi quasi dimenticato di Alison. Era sempre stato abituato a fare gli auguri di Natale solamente ai suoi parenti e Mike, quindi non gli era proprio passato per la testa.
'Buon Natale. Anche io vorrei che tu fossi qui. Ci vediamo presto' scrisse velocemente. Alison gli mancava, ma non essere abituato ad avere una ragazza gli aveva causato quella dimenticanza.
Accorgendosi in quel momento di avere dimenticato anche John, si affrettò a buttare giù qualche parola anche per lui.
'La tua lentezza a scrivere è disarmante, Kane, io ti ho fatto gli auguri stamattina alle dieci. O hai solo pensato di ignorarmi per tutto il giorno? Qualunque cosa sia, buon Natale anche a te'
La risposta del suo amico era stata così rapida, che Peter pensò quasi che John avesse già scritto il messaggio parecchio tempo prima, ed avesse aspettato solo il suo segnale per inviarlo. Con una risata, aspettò che Jill tornasse, ed iniziò a cercare con lo sguardo Rob e Sam.

Jill arrivò correndo con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
«La mamma ha detto che va bene! Però dobbiamo...»
«Tornare per le sette, lo so. Va bene, prepariamoci» le disse.
Mentre aiutava Jill a mettere la sciarpa, lei esordì con una domanda.
«È vero che hai una fidanzata?» gli chiese.
«Ehm... sì» rispose, imbarazzato, arrossendo.
«Come si chiama?»
«Si chiama Alison» borbottò, concentrandosi più del necessario sulla cerniera del piumino di Jill. Parlare di Alison, lo metteva stranamente a disagio.
«È bella?»
«È bellissima» disse lui, finendo di legarle la sciarpa intorno al collo ed indietreggiando, per controllare che non mancasse niente.
«Ma non è giusto!» urlò Jill, a voce così alta da farlo sobbalzare.
«Che cosa?»
«Voglio sposarti io!»
Peter spalancò gli occhi. Adesso che se lo ricordava, Jill aveva sempre detto di volerlo sposare, fin da quando aveva imparato il significato della parola. Sapeva che era solo una di quelle cose che dicono i bambini, ma si sentiva comunque in dovere di spiegarle fin da subito come stavano veramente le cose.
«Oh, ehm... Jill, noi non possiamo sposarci, lo sai che siamo cugini, vero? I cugini non si possono sposare» le spiegò.
«Non mi interessa, io voglio sposarti lo stesso» insistette lei.
«Va bene allora... come vuoi tu» si arrese. Di lì a poco arrivarono anche Rob e Sam.
Sam, il fratello di Jill, non poteva essere più diverso da lei. Tredici anni, un carattere scontroso e solitario, ed un videogioco sempre in mano. Quando voleva, però, poteva anche essere la persona più gentile del mondo.
«Dunque, ci siamo tutti?» domandò Peter.
«Sì!» esclamò Jill.
«Molto bene, andiamo»
Prese Jill per mano, ed uscirono tutti insieme. Essendo il più grande, Peter era sempre stato abituato ad avere a che fare con i suoi cugini più piccoli, quindi non aveva nessun problema a portarseli in giro, e sapeva bene cosa fare in caso ci fosse stato qualche problema. Era più forte di lui, si sentiva sempre responsabile per gli altri.
«Cioccolata calda per tutti come l'anno scorso? Offro io» disse Peter.
«No, io voglio un frullato gigante» fece Rob.
«Come vuoi, ma in quel caso te lo paghi da solo» rispose Peter.
«Allora va bene la cioccolata» disse subito Rob.
«Ovviamente...»

Conosceva un piccolo bar, non troppo lontano da casa, in cui si preparava quella che a suo parere era la miglior cioccolata calda del mondo. Fu lì che portò gli altri tre, e non fu sorpreso di vedere che erano gli unici clienti, oltre ad un signore anziano che leggeva il giornale. In fondo, era Natale.
«Forza, entrate e sedetevi» disse a Rob e Sam. Tenendo Jill per mano, si avvicinò al bancone ed ordinò quattro cioccolate calde.
«Ci sono anche i pasticcini e i cioccolatini, me li compri?» chiese Jill.
«Lo farei, ma non mi sono portato abbastanza soldi» rispose Peter.
«Uffa!»
«Signor Catting, il suo caffè!» gridò la donna al bancone. Il vecchio borbottò, prima di alzarsi a fatica dalla sua sedia.
«Non si scomodi, glielo porto io» si offrì Peter, notando la difficoltà dell'uomo.
«Grazie, ragazzo» fece lui, quando Peter posò il caffè sul suo tavolo. L'uomo gli rivolse un sorriso sghembo che gli ricordò qualcuno.
«Comunque è Catham, non Catting» disse il vecchio alla barista.
«Oh, mi perdoni. Cinque minuti per le tue cioccolate calde!»
Peter tolse il berretto, improvvisamente interessato alla conversazione.
«Mi scusi signore... ha detto di chiamarsi Catham?» domandò al vecchio.
«Sì» rispose lui, seccamente.
«Un mio amico ha lo stesso cognome, forse...»
«Non starai parlando di quel disgraziato di mio nipote Jonathan? Quel ragazzo mi ucciderà una di queste volte, mai che faccia un favore a quel povero vecchio di suo nonno»
"Adesso capisco da chi ha preso John" pensò Peter tra sé e sé.
«Ehm... sì, credo proprio che sia lui»
«Una vera disgrazia, mi combina un disastro dopo l'altro. E per Natale mi ha regalato una dentiera. Una dentiera! Roba da pazzi»
Peter trattenne a fatica una risata, quella era proprio una mossa da John. Probabilmente il suo amico aveva pensato che sarebbe stato divertente.
«Come ti chiami?» fece improvvisamente Jill al vecchio, aggrappandosi al bordo del tavolo. Lui la osservo, e sembrò addolcirsi un poco.
«Mi chiamo Paul» disse, con una gentilezza che fino a poco prima non aveva lasciato trasparire.
«Io Jill. Buon Natale!» esclamò la bambina, con un gran sorriso.
«Buon Natale anche a te»
«Perché sei da solo? Non si sta da soli a Natale» continuò Jill.
«Jill, lascia in pace il signore» la rimproverò Peter.
«Non preoccuparti, mi fa piacere parlare con qualcuno» disse il vecchio.
«Le cioccolate sono pronte!»
Peter fu quasi sollevato per il tempismo della donna. Non avrebbe mai voluto immischiarsi in una conversazione con il nonno di John, che sembrava essere molto simile al nipote e che, avendo l'aria di avere avuto una brutta giornata, sarebbe probabilmente stato insopportabile.

Quella cioccolata calda era così buona che Peter, se avesse avuto i soldi, ne avrebbe comprata subito un'altra per tutti.
«Peter, stavo pensando che ci vorrebbe qualche pasticcino» si lamentò Sam.
«Oppure una bella torta. Vai a prenderne una, Peter» gli fece eco Rob.
«E i cioccolatini! Me li compri i cioccolatini, Peter?» esclamò Jill.
«Ma state tutti complottando contro di me? Peter ha finito i soldi» rispose lui.
«Uffa...»
«Però non puoi lasciarci così, noi abbiamo fame» si lamentò Rob.
«Tu non fai testo, hai lo stomaco che è peggio di un buco nero. Andiamo, siamo qui da quasi un'ora» fece Peter.
Si alzarono tutti facendo stridere le sedie e richiamando l'attenzione del vecchio e della barista.
«Buon Natale» disse Peter gentilmente, salutandoli con un gesto della mano.
«Buon Natale, tornate a trovarci!» esclamò la barista, con forse troppo entusiasmo.
«Buon Natale» disse il nonno di John «E fammi un favore, se vedi mio nipote dagli un bel calcio negli stinchi da parte mia»
«Ehm... grazie... arrivederci» si affrettò a rispondere Peter, prima di uscire dal bar trascinandosi dietro Jill, che avendo le gambe corte faceva fatica a stare al passo.

Lungo la strada di casa, Peter incontrò proprio il suo amico John, che aveva un gran muso lungo e si stava avviando a passi lenti e pesanti nella direzione opposta. Fu sorpreso nel vedere che lui, che di solito era così energico, se ne stava curvo e pestava i piedi, lasciando impronte profonde nella neve.
«Ciao, John» gli disse, richiamando la sua attenzione.
«Kane, che stai facendo in giro a Natale?» rispose lui quando lo vide, tornando in un attimo al suo solito modo di fare.
«Ho portato loro a prendere una cioccolata» rispose Peter, accennando ai tre che lo accompagnavano.
«Una cioccolata, eh?» fece l'altro, guardando dall'alto in basso Rob, Sam e Jill «Ah... senti, hai per caso visto un vecchio brutto, scontroso, alto più o meno così?»
«Intendi tuo nonno? Sì, è seduto in un bar a meno di cinque minuti a piedi da qui» fece Peter, indicandogli la strada.
«Come fai a sapere che è mio nonno?» domandò John.
«Gli ho parlato» rispose Peter con semplicità.
«Sai, i miei me l'hanno spedito qui come punizione per la sospensione. Sanno che il vecchio mi odia, e così adesso mi tocca subirmelo per tutte le vacanze, mentre loro ed i miei zii sono a darsi alla pazza gioia alle Maldive» spiegò John.
«Ma davvero gli hai regalato una dentiera per Natale?» rise Peter, facendo spuntare un sorrisetto compiaciuto sul viso di John.
«Devi ammettere che è stato un colpo di genio. Dovevi vedere la sua faccia, esilarante» disse il ragazzo con soddisfazione.
«Immagino. Ma mi è bastato vederlo al bar, non sembrava troppo contento»
«Tu sei il nipote del signore del bar?» chiese Jill, intromettendosi nella conversazione. John la osservò, poi si abbassò per poterla guardare bene in faccia.
«E tu invece chi sei?» le disse.
«Jill»
«Ah, certo. Beh, io sono John. Puoi anche chiamarmi Re Supremo del Mondo se preferisci»
«No» disse Jill. Peter ridacchiò alla vista della faccia di John, ma non infierì.
«Si vede proprio che sei parente di Kane. Beh, devo andare. Devo riportare il vecchio a casa, in un modo o nell'altro» disse John, rimettendosi in piedi.
«Sì, anche noi dobbiamo andare, si sta facendo tardi» concordò Peter.
«Ah, Kane, Mike mi ha detto di dirti che a capodanno ci vuole tutti e due a casa sua»
«Ma come, hai incontrato anche lui in giro? Credevo che fosse in Francia a sciare»
«Già. A quanto pare, abbiamo avuto tutti e tre un Natale splendido» fece l'altro con sarcasmo, scrollando le spalle all'affermazione di Peter.
«Beh, per quello che vale... buon Natale John» fece Peter.
«Anche a te»
«Buon Natale» disse Jill timidamente. John si abbassò di nuovo alla stessa altezza della bambina.
«Anche a te, piccola fotocopia di quell'ingrato di Kane» le disse con un occhiolino.

Una volta a casa, i quattro scoprirono che la situazione si era leggermente calmata, anche se le urla si susseguivano di tanto in tanto. Peter mandò Jill, Sam e Rob nella propria stanza, chiedendo loro di chiudere la porta per non sentire altro. Lui, invece, si diresse in cucina.
«Sei ridicola, ridicola» stava dicendo suo zio.
«Parli proprio tu? Guarda come sei finito!» rispose sua madre.
«Ehm, mamma...» chiamò. I due smisero per un momento di urlarsi contro.
«Non adesso, Peter, vai dai tuoi cugini»
«Però io...»
«Peter, vai!»
«Guarda, non riesci a farti rispettare neanche da tuo figlio!»
«PETER!»
«D'accordo» fece lui. Almeno ci aveva provato.
Raggiunse gli altri in camera e si buttò sul letto. La pace che aveva avvertito mentre accompagnava gli altri al bar, era già svanita, le grida che gli avevano rivolto sua madre e suo zio l'avevano innervosito, ed ora stava tremando di rabbia.
«Peter...» fece Jill, scuotendolo piano. Lui le fece cenno di prendere le matite colorate e disegnare qualcosa, mentre Sam e Rob stavano guardando chissà cosa al computer. Jill annuì, sistemandosi sul pavimento e cominciando a disegnare.
Si rigirò nel letto, sentendo gli occhi inumidirsi. Non riusciva mai a passare un Natale tranquillo, e lo sconforto lo stava circondando. Afferrò il cellulare, scrivendo un breve messaggio ad Alison.
'Mi manchi' scrisse, per la prima volta in vita sua. Non sapeva perché, ma desiderava davvero che lei fosse lì a tirarlo su di morale. Lo schermo del cellulare si illuminò poco dopo.
'Posso chiamarti o disturbo?'

Alison gli fece sapere di avere finalmente trovato un posto in cui il telefono funzionava, e lo tenne al telefono per due ore per tirarlo su di morale.
«Oh, davvero ha nevicato?»
«Sì, non avevo mai visto tanta neve qui»
«Oh, Alison, ti amo, ti adoro!» esclamò Rob facendo il verso a Peter.
«E piantala, Rob!» sibilò, infastidito.
«Cosa succede?»
«Niente, è mio fratello che si è lasciato prendere dall'euforia natalizia»
«A proposito, mi sono dimenticata di dirti che ho un regalo per te»
«Un regalo?»
«Sì, il tuo regalo di Natale!»
«Ah, già...»
«Quando torno ci vediamo, così posso dartelo» continuò Alison. Peter sapeva di essere nei guai, lui non le aveva preso nessun regalo, ed ormai i negozi erano chiusi per le vacanze.
«Sì... anche io...» borbottò.
Doveva trovare una soluzione.

A capodanno, si presentò come concordato a casa del suo migliore amico. Mike era sempre molto ansioso di compiacere i suoi genitori, quindi raramente invitava gente a casa, anche se si trattava di Peter, che conosceva da una vita.
«A cosa dobbiamo questa novità?» gli chiese infatti Peter.
«I miei sono usciti a cena per festeggiare, e visto che dicono che essendo maggiorenne dovrei essere responsabile, mi hanno concesso di invitarvi. Solo, abbiamo il divieto assoluto di toccare i loro alcolici. E sto parlando con te, John»
John, che aveva già aperto la vetrinetta contenente le bottiglie di alcolici e stava decidendo quale prendere per prima, lo guardò contrariato.
«Ma allora cosa ci hai invitati a fare?» disse.
«Qualsiasi altra cosa»
«Nemmeno una birretta? Un bicchierino di vino? Uno shot? Mi accontenterei anche dell'alcol disinfettante per le ferite»
«No, i miei mi ammazzano se tornano a casa e scoprono che ho bevuto» fece Mike, risoluto.
«Allora il problema è risolto, tu non bere» replicò John, prendendo la bottiglia più vicina e cercando di stapparla.
«Nemmeno tu berrai» fece Mike, togliendogliela di mano e rimettendola con cura sullo scaffale.
«Tu non ti sai proprio divertire» disse John, incrociando le braccia.
«Dover stare per tutta la sera a rincorrere te ubriaco per evitare di vederti vomitare sui mobili costosissimi dei miei genitori non è divertente»
«Guarda che io mi so contenere»
«John, un minuto fa hai detto che avresti bevuto anche il disinfettante» gli fece notare Peter.
«Ok, come volete. Dammi latte e biscotti, mammina» disse John lanciando a Mike un'occhiata carica d'odio. Peter e Mike risero nel vederlo sedersi sull'enorme divano a braccia incrociate, proprio come un bambino a cui è appena stato fatto un dispetto.
«Patatine, popcorn e bibite varie ti vanno bene lo stesso?» domandò Mike.
«Peggio dell'alcol, ma mi dovrò accontentare» disse John, afferrando un pacchetto di patatine che Mike gli stava tendendo ed aprendolo, cominciando a mangiare rumorosamente.
«Allora, cosa mi raccontate? Passato un bel Natale?» chiese Mike, mentre versava bibite per tutti.
«Non proprio» fece Peter, sospirando.
«Ah, già... il solito problema tra tua madre e tuo zio?» domandò Mike. Peter annuì.
«Se può consolarti, anche io non me la sono passata troppo bene. I miei hanno annullato la vacanza, perché mamma non si sentiva bene. Hanno continuato a ripetere per tutto il giorno che, quando sarà il momento, dovrò prendermi le mie responsabilità e guidare l'azienda di famiglia»
«Ti prego, io non mi fiderei nemmeno a lasciarti curare il mio cane per un giorno» borbottò John, con la bocca piena di patatine.
«Grazie della fiducia, John. Tu sì che sai come dare coraggio alle persone»
«Sono qui per questo, amico»
«E tu invece, sei riuscito a riportare a casa tuo nonno?» domandò Peter.
«Oh, sì. E si è lamentato per tutto il tempo della dentiera che gli ho regalato, quando quel vecchio tirchio non mi ha nemmeno fatto il regalo»
«A proposito di regali, guardate che cosa mi ha comprato Marlene» intervenne Mike.
«Chi cavolo è Marlene?» domandò John, sputacchiando patatine dappertutto.
«La mia ragazza» rispose Mike.
«Da quando? Fino a ieri eri lì a piangerti addosso perché nessuna ti voleva» lo canzonò John. Mike lo guardò storto.
«Stiamo insieme da una settimana. Qualche problema?»
«Io no, ma lei deve averne parecchi per stare con uno come te»
«Parli tu, che ti lamenti ogni volta che una ragazza ti rivolge la parola!» esclamò Mike.
«Almeno quelle che guardano me hanno buon gusto!»
«Senti un po', le mie rag-»
«Quando la smetterete voi due?» urlò Peter, massaggiandosi le tempie.
«Scusa, mi sono lasciato prendere la mano» disse Mike, abbassando lo sguardo, dispiaciuto.
«Sì, scusa Kane, sappiamo che non è colpa tua se il tuo amico è un idiota»
«Io sarei un idiota?»sbottò Mike.
«Se escludi che stessi parlando di me, e non lo stavo facendo, la risposta è abbastanza ovvia»
«Basta, smettetela! Non vi sopporto più!» esplose Peter.
«Ehi, Kane, noi stavamo solo scherzando» fece John.
«Sì Pete, non c'è bisogno di prendertela così, lo sai che non mi offendo se John mi tratta così»
«Guarda, siamo amicissimi» fece John, andando vicino a Mike e dandogli una pacca amichevole sulla spalla «Su, guarda» insistette, dando all'amico una pacca più forte, tanto che lo fece barcollare.
«Adesso non ti allargare» gli sibilò Mike. Peter si lasciò affondare nel divano.
«Farete meglio a non comportarvi così per tutto l'anno, ne ho già abbastanza a casa mia di gente che litiga»
«Dai, su con la vita, Kane!» disse John, sedendosi accanto a lui.
«Allora, volete vedere il regalo di Marlene o no?» domandò Mike, cercando di cambiare discorso.
«D'accordo, facci vedere questo regalo così sei contento» acconsentì John.
Con un gran sorriso, Mike mostrò loro un paio di biglietti.
«Che cosa sono?»
«Biglietti di prima fila per la partita di dopodomani. Cose così non si trovano facilmente»
«E questa Marlene come li ha avuti?» chiese Peter.
«È la figlia del proprietario del campo. Per lei è stato uno scherzo»
«Oh no, Mike... non ti sei messo con quella poveretta per avere quei biglietti,vero?» disse Peter.
«Andiamo, Kane, nemmeno lui sarebbe così stup...» la voce morì in gola a John mentre osservava l'espressione colpevole dell'amico.
«Non riesco a crederci, sei veramente così stupido?»
«Diciamo che mi sono lasciato comprare... non c'è niente di male in fondo,giusto?» cercò di giustificarsi Mike.
«Sbagliato» disse subito Peter.
«Davvero sbagliato. Lo capisco perfino io» gli fece eco John.
«Voi che siete tanto bravi, al mio posto cosa avreste fatto?»
«Non mi sarei messo insieme ad una ragazza solo per ottenere favori, tanto per cominciare» disse Peter.
«Ah, già, abbiamo mister fidanzato perfetto. Sentiamo, tu ad Alison cosa hai regalato?»
«Io... niente, in realtà»
«Prevedo bei guai per te, Kane» disse John.
«E poi hai il coraggio di prendertela con me? Io almeno il regalo a Marlene l'ho comprato, e stiamo insieme da una settimana. Tu ed Alison da quant'è che state insieme?»
«E va bene, errore mio. Non ci ho proprio pensato...»
«Sarà meglio che pensi a qualcosa in fretta... quando hai detto che torna?»domandò Mike.
«Tra tre giorni»
«Ahia. I negozi sono ancora chiusi in quel periodo, sei messo male»
«Però, se lei non ti regala niente, puoi anche evitare il problema» disse John.Sia Peter che Mike inorridirono.
«Cosa c'è? Perché fate quelle facce?» domandò il ragazzo.
«Mai lasciare una ragazza senza regalo. Mai» disse Mike.
«Allora Kane, sarà meglio che pensi a qualcosa in fretta. Ma i negozi sono ancora chiusi in quel periodo, sei messo male» disse John.
«È esattamente la stessa cosa che ho detto io!» si lamentò Mike.
«Sì, ma io la dico meglio»
«Si prospetta un bell'inizio dell'anno...» fece Peter con sarcasmo.    

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** ON WHAT YOU'RE ON. ***


ON WHAT YOU'RE ON.


Il capodanno a casa di Mike era passato in maniera molto tranquilla, e ciò aveva contribuito a far sentire Peter molto ottimista riguardo l'inizio del nuovo anno.
Come ogni anno, aveva sempre una piccola speranza che ciò che lo stava aspettando sarebbe stato meglio del passato, anche se ogni volta finiva per giudicare l'anno appena terminato come il peggiore che avesse mai vissuto.
Quello, però, poteva davvero essere un buon anno, giudicando che negli ultimi mesi erano cambiate molte cose, e lui non era più spaventato come un tempo da tutto ciò che lo circondava nella vita.

Le vacanze di Natale stavano per finire, e lui non aveva ancora rivisto Alison. Dopo il loro ultimo saluto, aveva atteso con ansia il momento di rivederla fisicamente, perché lei aveva avuto tutto il tempo di pensare, di riflettere su loro due, e la cosa lo metteva a disagio. Anche se al telefono sembrava tranquilla, poteva essere solamente una finta, per tenerlo tranquillo fino al momento di rivedersi faccia a faccia. Cosa sarebbe successo se, durante le vacanze, lei avesse deciso che lui non era abbastanza, o che la spaventava?
Non avrebbe potuto biasimarla, era un totale incapace in tutto. Aveva dimenticato il regalo di Natale, aveva dimenticato di farle gli auguri, aveva paura a trovarsi in situazioni intime con lei, e probabilmente era anche un pessimo ascoltatore.

«Mi faccio pena da solo» disse a Mike, che era andato a fargli visita.
«Siamo in due» rispose l'altro.
«Perché? Che è successo?» domandò Peter, con curiosità.
«Ho lasciato Marlene. Le ho detto che non potevo stare con lei, che ho fatto un grosso sbaglio a prenderla in giro. E così, ho perso anche i biglietti per la partita, sono un cretino» spiegò Mike.
«Wow, non mi aspettavo che l'avresti fatto, è un progresso da parte tua» si complimentò Peter.
«Sì, ma adesso lei mi odia, mi fa sentire... non so descriverlo. Però mi sta facendo diventare matto»
«È la tua coscienza» fece Peter «Comincia con l'essere fiero di te per aver deciso di non illudere quella ragazza, per te è già un grande traguardo»
«Grazie, Pete... lo prenderò come un complimento» disse Mike, abbassando la testa.
«Ogni tanto te li meriti, basta John a farti tenere i piedi per terra»
«A volte John lo strozzerei» borbottò Mike.
«Per fortuna non è qui a sentirti» rise Peter. Il rapporto tra i suoi due amici era peggio di quello tra cane e gatto, e quando uno dei due non c'era la situazione sembrava molto tranquilla e pacifica. Nonostante ciò, Peter aveva la sensazione che, sotto sotto, si stessero affezionando molto uno all'altro.
«Anche se ci fosse, John non mi fa paura» disse l'altro.
«Forse non ti fa paura, ma è chiaro che lo rispetti molto» gli fece notare Peter.
«Sarà. Ma parliamo d'altro, ti prego» disse Mike sbrigativo. Peter avrebbe giurato di aver visto le sue guance prendere colore per qualche istante. Non poté fare a meno di notare quanto l'amico cercasse di cambiare l'argomento in modo repentino, e la cosa lo insospettì.
«Che c'è, hai qualcosa contro John per caso?»
«No, ma ormai ce l'ho continuamente intorno e il solo parlare di lui mi stanca. Ho bisogno di una vacanza» spiegò Mike, coprendosi gli occhi con le mani.
«E va bene, come vuoi» si arrese Peter.
«Allora, hai risolto con il regalo di Alison?»
Peter annuì. Aveva già deciso come rimediare alla sua dimenticanza ed aveva programmato tutto, doveva solo aspettare che Alison tornasse a casa.
«Ho deciso di comprare dei cioccolatini... non potrà insultarmi per quelli» disse. Con immenso sconforto, si accorse che Mike stava facendo di tutto per non ridere.
«Cioccolatini? Sei serio?» chiese infatti il suo amico
«Sì, che c'è di male?»
«Non mi sembra un regalo molto elaborato. Potresti comprarle qualcosa di un po' più serio e meno ridicolo... e anche meno sdolcinato»
«Sì, ma io non ho tutti i soldi che hai tu, se te lo sei dimenticato. E poi sono sicuro che non le dispiaceranno» tagliò corto Peter.
«Come vuoi, se ne sei convinto...» commentò Mike, lasciandosi cadere sulla sedia della stanza di Peter.
«Sì, ne sono convinto. Lascia che faccia come voglio»
«Secondo me ci resterai male quando vedrai che lei ti ha preso un regalo da un milione, mentre tu ti presenterai con quei ridicoli cioccolatini»
«Ma no, vedrai che non sarà niente di importante» borbottò Peter, scompigliandosi i capelli.
«Certo, dimenticavo che per voi due è il pensiero che conta» lo prese in giro Mike.
«Esattamente. Vedrai, sarà una sciocchezza. Tanto potrebbe anche non regalarmi niente, io sarei contento lo stesso»
«Resterai fregato» canticchiò Mike.

I due amici passarono il resto del pomeriggio a prendere in giro la professoressa Walstone e decantare le lodi di Rachel, quando il telefono di Peter squillò.
«Chi è?» chiese Mike.
«È Alison» rispose Peter, osservando il display del cellulare.
«Non rispondi?»
«Vorrei, ma tu rideresti di me se mi sentissi parlare con lei»
«Pete, vi ho visti così coinvolti da un bacio che sembrava che voleste scambiarvi le tonsille. Non mi sconvolge più niente ormai»
«E va bene...»
Strinse in mano il cellulare e rispose.
«Ciao, Peter!» fece immediatamente Alison, con voce squillante.
«Ciao. Va tutto bene?» disse lui, tenendo lo sguardo ammonitore fisso su Mike.
«Sì, sono appena arrivata a casa. Vorrei vederti subito, ma sono un po' stanca»
«Sì, me lo immagino»
«Però possiamo vederci domani, se vuoi»
«Sì... certo, domani va bene»
«Benissimo. Ti ricordi dov'è casa mia, no?»
«E chi se lo dimentica più, la prima volta mi hai fatto girare per tutta la notte per arrivarci»
«È vero!» rise lei. Peter rise a sua volta, non si era accorto che la sua risata gli fosse mancata così tanto.
«Allora a domani!»
«Sì, ciao» fece Peter, non arrischiandosi ad aggiungere altro, per paura che Mike lo prendesse in giro.
«Hai visto? Non ho riso» disse Mike, scosso dagli spasmi per cercare di contenere le risate.
«Oh... fai pure» gli concesse Peter, rassegnato.
Mike iniziò a ridere e fargli il verso, in un'imitazione sognante ma abbastanza precisa.
«Non ti ho mai visto così serio» urlò tra una risata e l'altra.
«Sì. Molto divertente. Adesso smettila però»
A fatica, Mike terminò il processo di risa.
«Però devo dirtelo, pensavo che faceste più i piccioncini. Mi immaginavo di vederti con un sorriso da ebete per tutto il tempo, mi hai stupito» disse infine.
«Si vede proprio che non mi conosci bene» sospirò Peter.

Il giorno dopo, era il cinque di gennaio. Peter non aveva più contattato Alison, perché aveva avuto paura di disturbarla, ma il fatto di non aver concordato un orario in cui incontrarla lo faceva innervosire. Vedendo che lei non gli aveva fatto ancora sapere niente, dopo l'ora di pranzo iniziò ad agitarsi, così decise di prendere l'iniziativa.
'Allora ci vediamo oggi' le scrisse, sperando che lei gli comunicasse finalmente un orario. Dovette aspettare mezz'ora prima di ricevere risposta.
'Scusami, ero impegnatissima. Però sì, ci vediamo oggi. A casa mia alle quattro può andare?'
'Va bene, ci vediamo dopo'
Almeno adesso aveva un termine entro cui comprarle il regalo. Si diresse all'ingresso ed indossò il piumino, che indossava solamente nelle giornate particolarmente fredde, ed uscì di casa pieno di brividi, camminando nell'aria fredda di gennaio. Si diresse a passo spedito verso l'unico luogo in cui aveva la certezza di riuscire a trovare i cioccolatini perfetti da regalare ad Alison.
"Tutti amano i cioccolatini" pensò, mentre usciva dal baretto in cui aveva preso la cioccolata calda a Natale. Teneva in mano la scatola ben incartata, decorata con un grosso fiocco, sperando che bastasse a far contenta Alison. Non conoscendo bene i suoi gusti in fatto di cioccolato, aveva optato per una confezione mista, che nel peggiore dei casi lei avrebbe comunque accettato per non farlo sentire a disagio.
Non sapendo come raggiungere la casa di Alison dal quartiere in cui si trovava, tornò davanti al locale in cui si erano conosciuti a settembre. Da lì, la strada sarebbe dovuta essere abbastanza facile da ricordare, anche se molte cose viste alla luce del giorno sembravano diverse, e non poteva usare le vetrine come punto di riferimento, perché nel frattempo avevano cambiato allestimento e non riusciva a riconoscerle.
Mentre camminava lamentandosi del freddo tra sé e sé, ricevette una chiamata di Mike.

«Buon pomeriggio, Pete!» esclamò l'amico, all'altro capo del telefono.
«Mike» borbottò lui in segno di saluto, battendo i denti per il freddo «Cosa ti serve?»
«Stai andando da Alison?»
«Sì, le ho appena comprato il regalo» confermò Peter.
«I cioccolatini?» domandò Mike.
«Sì, esatto»
«Non ti sei ancora rassegnato con quella stupida idea? Resterà delusa!»
«Io credo che le piacerà»
«Non venire a piangere da me, quando capirai che ho ragione. Ah, comunque ho dimenticato di dirti che anch'io ti ho fatto un regalo, per te e per Alison»
Peter sollevò le sopracciglia, pur sapendo che Mike non poteva vederlo.
«Ci hai fatto un regalo?»
«Certamente, ed è molto meglio del tuo! Guarda nella tasca del piumino»
Peter mise una mano in tasca, avvertendo immediatamente che lì dentro c'era qualcosa. Afferrò un oggetto a caso, ed impallidì alla vista di una bustina di un preservativo.
«Che diavolo...»
«Buon Natale, Pete!» ridacchiò Mike.
«Non è divertente!» sbottò Peter, sentendosi arrossire ed affrettandosi a rimettere il preservativo in tasca «E poi come facevi a sapere che avrei preso il piumino? E se li avesse trovati mia madre?»
«Ti conosco da quando eri un feto, metti sempre quel piumino quando fa freddo. E tua madre non ti guarda nelle tasche, rilassati»
Peter prese un respiro profondo, cercando di calmarsi.
«Grazie, ma non mi servirà a nulla un regalo del genere»
«Non si sa mai»

Parlando con Mike, Peter si distrasse, continuando a perdersi nel reticolo di strade. Decise quindi di salutare l'amico, scuotendo la testa ed arrossendo imbarazzato all'idea di dover sfruttare il suo regalo. Ad ogni passo che faceva cambiava idea sulla strada, prima gli sembrava giusta poi si convinceva di avere sbagliato tutto. Invece, finalmente, vide la casa della ragazza in lontananza.
Bussò alla porta, sistemandosi disperatamente i capelli, in un ultimo tentativo di sembrare presentabile.
«Ciao» disse Alison, aprendo la porta con un gran sorriso.
«Ciao» rispose lui.
«Va tutto bene? Passato delle belle vacanze?» chiese lei, spostandosi per lasciarlo entrare.
«Diciamo di sì. Spero comunque che le tue siano state migliori delle mie» replicò Peter, entrando in casa e tenendo le mani in tasca, preoccupato che qualcosa potesse cadere inavvertitamente.
«Sì, sono state bellissime. Però sarebbero state ancora meglio se ci fossi stato anche tu... vieni, sediamoci» disse Alison, tendendogli la mano, per poi aggrottare la fronte nel vederlo ancora coperto come un eschimese. Peter si affrettò a togliere il piumino, sistemandolo con attenzione sull'attaccapanni e badando a non perdere niente di tasca, per poi afferrare la mano della ragazza.
Alison gli fece strada verso il salotto, che era una stanza spaziosa, arredata con un grande divano in pelle nera ed un tappeto dall'aria costosa, decorata con un bel caminetto scoppiettante ed un enorme albero di Natale. Alla vista dell'albero, Peter si sentì estremamente imbarazzato, pensando a quello minuscolo che si trovava nella propria casa.
«Oh, prima che mi dimentichi ti ho portato...» fece ad un certo punto, porgendole la scatola di cioccolatini.
«Grazie, non dovevi! Non mi aspettavo niente» esclamò lei, afferrando la scatola e schioccando un sonoro bacio sulla guancia al ragazzo.
«Sì che dovevo...»
«Tu sei sempre troppo buono con me» commentò Alison, mentre apriva la scatola. Il suo gesto di gioia fece capire a Peter di aver fatto la scelta giusta.
«Cioccolatini? Da uno dolce come te non potevo aspettarmi altro... grazie» disse con un gran sorriso.
«Prego»
"Alla faccia di Mike!"

Alison gli raccontò delle sue vacanze, di come avesse sciato senza sosta e di quanto fosse stato divertente vedere sua sorella Britney cadere in continuazione.
«Insomma, per farla breve, Britney è piena di ammaccature e si lamenta come una vecchietta» rise Alison.
«Divertente. A proposito, dov'è?» le chiese Peter. Alison si fece più seria.
«È andata a trovare Will... sai, Wood»
«Ah... mi ero dimenticato che stesse con lui»
«Vorremmo dimenticarcelo tutti» borbottò Alison.
«I tuoi genitori cosa dicono di loro?»
«Non lo sanno. Invece sanno di te e ti considerano un bravissimo ragazzo» fece lei, con soddisfazione.
«Grazie...»
«Mi dispiace che tu non possa conoscerli, sono andati a trovare mia nonna e torneranno stasera»
«Oh, ehm... non importa» rispose Peter. Il suo problema era appena diventato un altro: si sentiva incredibilmente a disagio sapendo di essere solo in casa con Alison, senza rischio di intromissioni.
Lei, nel frattempo, stava assaggiando qualcuno dei cioccolatini che Peter le aveva portato, e non perdeva tempo a fargli sapere quanto le piacessero.
«Caspita, devi dirmi dove li hai presi, questi finiranno in fretta» gli disse.
«No, è un segreto» fece Peter, rivolgendole un sorriso.
«Ma dai...»
«No, un regalo è un regalo. Se li vuoi te ne comprerò altri, ma non ti dirò dove trovarli» insistette il ragazzo.
«Capisco. Ma ora tocca a me» disse lei, posando la scatola su un mobiletto.
«Cosa tocca a te?»
«È il mio turno di sorprenderti» disse, prendendolo per mano e trascinandolo su per le scale. Il cuore di Peter iniziò a battere più forte. Gli sembrava una scena già vista.
«D-dove stiamo andando?»
«A prendere il tuo regalo» rispose Alison, semplicemente.
Quando raggiunsero il pianerottolo, la ragazza gli diede un bacio mozzafiato, che Peter avrebbe ricordato per parecchio tempo.
«Ehi, che...?»
«Te l'ho detto che dovevo darti il tuo regalo» gli disse lei.
«Allora... quello era il mio regalo? Mi piace. Grazie mille» rispose felice.
«Sì, quello... e questo»
Alison aprì la porta di quella che non si rivelò essere altro che una camera da letto. Capendo quello che aveva in mente, Peter per poco non svenne.
«N-no, io...»
Deglutì. Non si era aspettato che lei avrebbe preso subito l'iniziativa, eppure lo aveva preso in contropiede appena era tornata in città. Praticamente non avevano nemmeno avuto il tempo di salutarsi, era evidente che Alison non aveva fatto altro che pensare a quello per tutto il giorno, forse addirittura per tutte le vacanze, e lui c'era cascato in pieno. Come aveva fatto ad essere così ingenuo?
Non le rispose nemmeno, voltandosi immediatamente per cominciare a scendere nuovamente le scale. Non gli sembrava che fosse il momento, né il modo adatto di affrontare l'argomento.
«Ti prego, non te ne andare» gli disse Alison, a bassa voce. Peter sospirò, con il cuore che batteva a mille e la faccia che cominciava a ribollire.
«Alison... non mi sembra il caso» ammise, voltandosi a guardarla.
«Ci ho pensato molto, davvero. E ho capito che questa è una cosa che vogliamo tutti e due. Voglio solo farti felice»
«Ma non così! Mi sento come se dovessi farlo per forza. E poi sai del mio... problema»
«Riuscirai a superare le tue paure! Per favore, almeno proviamoci. Non starai mai del tutto bene finché non ti sarai tolto il pensiero» lo implorò lei. Peter pensò che fosse stata molto furba a fare leva su quella sua debolezza, Alison era molto meno ingenua di quel che voleva lasciar credere.
«È per questo che vuoi farlo? Perché vuoi che ci togliamo il pensiero?» domandò.
«No, voglio farlo perché tu sei l'unico che voglio. Ti voglio più che bene, io ti-»
«Per favore, non dirlo. Non dire che mi ami» la interruppe.
«Perché?» chiese lei, innervosendosi.
«Beh, perché... non sappiamo cosa sia l'amore. E poi potresti pentirti di averlo detto» fece lui serio.
«Non la penso così» rispose lei, incrociando le braccia sotto il seno, stringendosi nei propri abiti, come se avesse freddo.
«Ci vogliamo bene, questo sì. Io ti voglio molto bene. Per favore, per ora fatti bastare questo»
Alison dovette accorgersi del suo imbarazzo e della serietà nelle sue parole, perché non insistette su quel punto. Si avvicinò a lui e gli diede un semplice bacio sulla guancia.
«Allora mettiamola così. Io ti voglio così bene che posso volere soltanto te per una cosa così»
Peter arrossì ed iniziò a balbettare quando si rese conto che lei stava riuscendo a convincerlo.
«A-Alison... m-mi se-mbra troppo pre-presto»
«No, va benissimo. Io sono pronta, se tu sei pronto»
Il problema era proprio questo. Era pronto?

Ripensò a ciò che era accaduto tra loro, prima delle vacanze. Pensò al fatto che allora si era sentito pronto, e che era stato lui a dover aspettare lei.
«M-ma co-così all'improvviso...»
«Vieni» sussurrò lei dolcemente, prendendolo per mano.
La ragazza lo fece entrare in camera, chiudendo la porta alle proprie spalle. Peter non riusciva a dirle di no, soprattutto quando lei lo guardava in quel modo. Cercava di ribellarsi, di farle capire che quello non era il modo giusto, ma non c'era modo di tradurre il pensiero in parola.
«Senti di nuovo quella sensazione che ti fa tanta paura?» gli chiese. Peter scosse la testa.
Senza dire altro, la ragazza iniziò a spogliarsi con calma davanti a lui, tenendo gli occhi puntati su Peter per controllare le sue reazioni. Probabilmente voleva impedirgli di andarsene, oppure semplicemente si divertiva a vederlo arrossire e trattenere il fiato al ritmo di ogni indumento di cui si liberava.
Lui non riusciva più a muoversi, era pietrificato e sentiva le gambe di gelatina. Non era possibile che quello stesse succedendo. Non poteva essere reale. Non poteva essere Alison, lei non era così. Non poteva e basta.
«E adesso? Adesso lo senti?» chiese lei a quel punto, facendo una lenta giravolta per mostrargli il proprio intimo da ogni angolazione. Peter scosse di nuovo la testa, facendo di tutto per non guardarla.
Alison gli afferrò nuovamente la mano, portandolo con sicurezza accanto a sé, su quel letto che a Peter aveva fatto salire il cuore in gola. Lui, invece, si sentiva troppo in imbarazzo per posare lo sguardo su di lei. Una volta distesi uno accanto all'altra, Peter non riuscì più a trattenere tutte le insicurezze che aveva dentro.
«Alison, d-davvero, io... non p-posso, non ci riesco» iniziò, tenendo lo sguardo fisso sul soffitto.
«Sì che ci riesci. Tu sei buono, Peter, non sei un mostro»
Come faceva spesso, appoggiò le mani sul suo viso, per costringerlo a guardarla. Quando la vide così vicina, Peter boccheggiò, in un disperato bisogno di saliva. Stava combattendo disperatamente contro la tentazione di scappare via a gambe levate, le intenzioni di Alison erano più che ovvie e pensava di non riuscire a gestirle. Allo stesso tempo, avrebbe voluto accontentarla, certo che lo voleva. Però, provava ancora molte paure che gli impedivano di lasciarsi andare.
«M-ma... s-sei si-cura?» balbettò, cercando di tenere lo sguardo fisso sul viso di lei e non lasciarlo divagare, per evitare di perdere l'uso della parola.
«Completamente» rispose lei, tranquilla.
«I-io n-non so se...» fece, ritraendosi.
Alison lo avvicinò di nuovo a sé, con una delicatezza fuori dal comune.
«Peter» disse con dolcezza «Non devi preoccuparti. Non succederà niente di brutto»
«P-però i-io...»
«Io mi fido di te»
Incerto e tremante, ricordò con terrore l'ultima volta in cui si erano trovati in quella situazione. Si ricordò di come fosse rimasto contrariato dal fatto che alla fine non fosse successo niente, ed anche della promessa che si era fatto.
"Non toccare più Alison finché non sarà lei a chiedertelo" si ripeté in testa. Adesso lei glielo stava chiedendo sul serio, ma lui non riusciva a muoversi.
«Cosa stai pensando?» gli chiese la ragazza. 
«Io... non so se riuscirò a stare calmo»
«Ci riuscirai. Non pensarci adesso, lascia che ti aiuti...»
Come la volta precedente, permise che fosse Alison a guidarlo. Gli sfilò delicatamente un indumento dopo l'altro, raggiungendo questa volta anche i suoi jeans. Quando la ragazza cominciò ad abbassarne la cerniera, Peter osservò attentamente il suo viso, cosa che lo aiutava a non agitarsi troppo, perché gli ricordava che doveva mantenere il controllo. Libero anche dei jeans, avvertì un brivido, quando sentì le mani di Alison giocare con l'elastico dei boxer, e si fece prendere dal panico. Temeva di diventare nuovamente sordo ad ogni richiesta della ragazza.
Iniziò a tremare.
«Stai bene?» gli chiese lei.
«C-credo di sì...»
«Ma stai tremando...»
Il suo tremore era aumentato a dismisura, anche se cercava di tendere i muscoli pur di non darlo a vedere. Però, per il momento, non era successo niente. Alison continuava a parlargli dolcemente per rassicurarlo, rendendogli le cose molto più facili. Non stava avendo voglia di avere tutto e subito. Al contrario, stava lasciando che le cose succedessero molto lentamente e riusciva perfettamente a controllarsi, anche se cominciava ad essere nervoso perché sapeva che al raggiungimento di quello che nella sua testa era il punto di non ritorno, l'atto vero e proprio, mancava veramente poco.
E dire che, in condizioni normali, sarebbe dovuta essere lei quella nervosa per quell'esperienza. Invece Alison sembrava essere molto calma. Forse, pensava Peter, era perché se si fossero agitati tutti e due avrebbero finito per mandare tutto all'aria una seconda volta, e lei lo sapeva e con la sua calma voleva metterlo a suo agio. Come se non bastasse, probabilmente Alison era molto più pronta di lui.
«N-non preoccuparti. È solo... n-non sono sicuro di s-sapere co-come si fa» le disse.

Non riusciva a liberarsi dell'idea che si era fatto che la ragazza avrebbe riso di lui per la sua inesperienza. Si sentiva come se fosse stato buttato in un lavoro difficile senza alcuna preparazione, e in un certo senso era proprio così.
«Va bene. Stai tranquillo»
«P-però...»
Alison gli prese la testa fra le mani e portò il suo naso a sfiorare la punta di quello di Peter.
«Guardami. Io starò bene, ok? So che tu non mi faresti mai niente di male»
«S-sì...»
Alison gli rivolse un dolce sorriso, per poi posare le labbra sulle sue, in un bacio che si fece progressivamente sempre meno casto. Solo in quel momento, Peter si ricordò del regalo di Mike.
«D-devo prendere una cosa...» balbettò, alzandosi dal letto e baciandole la fronte «Torno subito»
Uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle e passandosi entrambe le mani sul viso, prendendo un respiro profondo. Poi, lentamente, scese le scale, fino a raggiungere il proprio piumino, all'ingresso, ed afferrare una delle bustine dalla tasca.
Osservò la porta. Non era ancora troppo tardi per scappare. Poteva ancora tornare a casa, mezzo nudo, ma poteva farlo.

Studiò attentamente l'involucro tra le proprie mani, sospirando, per poi spostare lo sguardo sulle scale, e ricominciare lentamente a salire. La felicità all'interno dei suoi boxer si stava facendo pressante, il calore del proprio corpo gli imponeva una soddisfazione.
Aprì la porta della stanza di Alison, e la trovò distesa sul letto, dove l'aveva lasciata. La raggiunse, porgendole la piccola bustina, che lei osservò con un sorriso ed aprì con un colpo secco, per poi riprendere a baciarlo. Spostò le mani dietro la schiena della ragazza, liberandola poco a poco dell'intimo, mentre lei faceva lo stesso con lui.
In modo lento, incerto e goffo, stava finalmente riuscendo a superare tutte quelle paure che lo avevano bloccato. Non era certo un esperto dell'argomento, anzi, era decisamente un principiante, ma perfino lui riusciva a capire che non c'era niente che non andasse. Niente, a parte il fatto che lui si stava sentendo in profondo imbarazzo, perché non aveva idea se quello che stava facendo fosse giusto.
Alison lo aiutò ad indossare la protezione, e finalmente, poco dopo, come al rallentatore, i loro corpi si unirono, forse con troppa foga da parte di Peter. Il ragazzo cominciò a contare nella propria testa, lievemente spaventato dal gemito di dolore della ragazza, stringendole le mani. Contò fino a dieci, prima di aprire gli occhi, osservandola. Incontrò lo sguardo di Alison. Sì, andava tutto bene.
«Hai visto? Ci sei riuscito, non avevi bisogno di farti tutte quelle paranoie» disse Alison. Il suo viso era arrossato, le labbra lievemente dischiuse, e se ne stava accoccolata tra le braccia di Peter, come se si sentisse protetta.
«Stai bene?» le chiese subito lui, baciandole la fronte. Si sentiva sudato, stanco, ma felice. Aveva tremato, molto, si era spaventato e sentito in imbarazzo ma, poco a poco, aveva deciso di lasciarsi tutto alle spalle.
«Benissimo» rispose lei, rivolgendogli un sorriso rassicurante.
Anche Peter si sentiva bene. Era molto piacevole starsene disteso ed abbracciato ad Alison, in uno stato di pace che non avrebbe mai creduto possibile. Per tutto il tempo, si era lasciato divorare dalla preoccupazione, chiedendole continuamente se stesse bene, e più lei lo rassicurava, meglio Peter si sentiva. Alla fine si era lasciato andare, e tutto quello che aveva portato fino a lì non aveva più importanza. C'erano solo loro due.
Nonostante avesse ancora un alone di imbarazzo che lo circondava, si sentiva sollevato di essere riuscito a dare un calcio alla paura che lo assillava, ed aveva anche scoperto di non essere completamente incapace come aveva temuto. Anzi, era a dir poco sorpreso di quello che era riuscito a combinare, sebbene goffo e impacciato.
«Non puoi neanche immaginare la mia felicità in questo momento» le disse, dando voce a tutti i suoi pensieri. Lei, che era tutta intenta a giocherellare con le dita di Peter, alzò lo sguardo.
«Io invece credo di sì» rispose «Anche io sono felice»
«Fino all'ultimo ho pensato che avrei perso di nuovo la testa» le spiegò.
«Io mi sono sempre fidata di te, sapevo che non sarebbe successo»
Sapere che Alison aveva sempre creduto in lui, fu una botta di vita per Peter. Non si era mai sentito così a proprio agio con se stesso prima di allora.
Lei si mosse e sbadigliò, appoggiandosi sulla sua spalla.
«Hai sonno?» le chiese, scostandole i capelli dalla fronte per poterla vedere meglio.
«Sono solo un po' stanca...»
«Dormi pure»
«Non voglio lasciarti da solo ad annoiarti»
«Ne approfitterò anch'io» le disse. La strinse sempre più forte, mentre la guardava addormentarsi.
No, non c'era niente di cui pentirsi. Era andato tutto bene, e lui si sentiva il ragazzo più fortunato del mondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** OUT OF OUR MINDS. ***


OUT OF OUR MINDS.


Quando si risvegliò, non aprì subito gli occhi. Tentò di rigirarsi nel letto, ma un peso sul proprio petto glielo impediva. Mosse lentamente le mani, incontrando la testa di Alison, cominciando ad accarezzarla delicatamente, senza dire nulla.
Socchiuse gli occhi, osservando la ragazza tra le proprie braccia. Non ricordava che fosse così bella, forse non ci aveva mai fatto veramente caso fino a quel momento. Le spostò una ciocca di capelli biondi dal viso, per poterla vedere meglio. Osservarla dormire, gli infondeva un senso di pace che non aveva mai provato prima.
Non riuscì a capire quanto tempo fosse passato, e non gli importava nemmeno. Il cellulare era ancora nella tasca dei suoi jeans, abbandonati da qualche parte sul pavimento della stanza, ma era certo che, se qualcuno l'avesse cercato, lo avrebbe sentito squillare. Se sua madre fosse stata preoccupata per lui, gli avrebbe telefonato, ma non lo aveva fatto. Aveva tutto il tempo che voleva.

Approfittò del momento di tranquillità per osservare la stanza. La prima cosa che notò, fu che era tutto, dalla moquette al soffitto, estremamente bianco. Le pareti, le ante dell'armadio, perfino la coperta del letto su cui si trovavano lui ed Alison, era tutto dello stesso colore. Sulla scrivania, si trovava un computer con un monitor enorme, probabilmente costosissimo. Anche i comodini erano bianchi, ma la superficie d'appoggio era in vetro, e solamente uno dei due comodini era occupato da oggetti, una lampada ed un libro.
Non volle arrischiarsi a sporgersi per leggere il titolo del libro, voleva evitare di rovinare il sonno di Alison. Accarezzò delicatamente la schiena nuda della ragazza, spostando lo sguardo sul soffitto. Lui, Peter Kane, aveva perso la verginità. Lui, che aveva avuto la sua prima ragazza a diciassette anni, che non aveva mai baciato nessuno prima di Alison, e che non aveva mai pensato effettivamente ad avere una relazione. Immaginò il momento in cui lo avrebbe detto a Mike, e gli venne quasi da ridere. Non aveva idea di come il suo amico avesse fatto, ma aveva probabilmente previsto che il suo regalo di Natale gli sarebbe tornato utile molto presto.
Per diversi minuti, Peter rimase immobile, a godersi il calore del corpo di Alison contro il proprio, guardando fuori dalla finestra. Poi, la ragazza si mosse leggermente, ed il leggero schiocco di un bacio lasciato sul proprio petto, gli fece capire che si era svegliata.

«Ciao, dormigliona» le sussurrò dolcemente all'orecchio, stringendola al petto. La vide sorridere, con gli occhi ancora chiusi, e decise di lasciarle un bacio tra i capelli.
«Ciao» rispose lei, con la voce impastata dal sonno.
«Dormito bene?» chiese, baciandole la tempia. Adesso si sentiva legato a lei in modo più profondo, e si preoccupava ancora di più per la sua felicità. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di vederla sorridere.
«Sì. Tu?» domandò lei, disegnando alcuni cerchi immaginari con le dita sul petto del ragazzo.
«Mai dormito così bene»
Alison lo baciò senza preavviso, e Peter si ritrovò a sorridere come un ebete.
«Quello che cos'era?»
«Il bacio del buongiorno» rispose lei.
«Ma è ancora sera...» le disse, non facendo nulla per nascondere un sorriso.
«Lo so» rispose lei, baciandolo nuovamente.

Non fecero altro che continuare a baciarsi, per quelle che sembrarono ore, finchè non si sentirono dei rumori al piano di sotto. Alison separò con delicatezza le labbra da quelle di Peter, provocando un mugolìo infastidito nel ragazzo, e si voltò lievemente per poter osservare la porta della propria stanza.
«I tuoi?» borbottò Peter, spostando una mano sulla guancia della ragazza ed accarezzandola dolcemente. Lei spostò nuovamente l'attenzione su di lui, socchiudendo gli occhi e godendosi le carezze per qualche istante, prima di rispondere.
«Credo che sia mia sorella» sussurrò. Peter fece scorrere lentamente la punta del pollice sulle labbra della ragazza, calde e gonfie a causa dei continui baci.
«È un problema?» le domandò.
«No, ma se ci trova così, potrebbe diventarlo» fece Alison. Peter sospirò, lasciandosi ricadere sul cuscino. Stava così bene, non voleva interrompere quel momento.
«La favola è finita, non è così?» sussurrò, accennando un sorriso. La ragazza avvicinò nuovamente il viso al suo, baciandolo dolcemente.
«Fino alla prossima volta» rispose sorridendo, prima di alzarsi dal letto.
Peter la seguì con lo sguardo, osservando attentamente ogni dettaglio del corpo di Alison, che in quel momento gli stava dando le spalle e stava guardando fuori dalla finestra, poi la vide indicare un orologio sulla parete, che prima non aveva notato.
«Sono quasi le nove di sera» disse la ragazza in un sussurro «I miei non torneranno prima dell'una, probabilmente. Fanno sempre così, quando vanno dai nonni»

Si alzò dal letto, posizionandosi in piedi dietro di lei, ed avvolgendo il corpo della ragazza con le braccia, stringendola a sé.
«Questo significa che abbiamo ancora quattro ore tutte per noi» sussurrò al suo orecchio. Non sapeva perché avesse voglia di dire quelle cose, né perché tutto ad un tratto gli interessasse contare i secondi che passava con Alison, ma aveva la sensazione che, appena si fosse allontanato da lei, avrebbe sentito la sua mancanza.
«Hai in mente qualcosa di particolare?» gli chiese lei, mentre Peter cercava le sue mani e le stringeva.
«Tutto quello che desideri» le disse, baciandole la guancia. Alison annuì, baciandolo nuovamente, prima di aprire l'armadio ed indossare degli abiti puliti. Peter, invece, raccolse i propri dal pavimento e, mentre indossava i jeans, afferrò il cellulare. Osservò per qualche istante lo schermo, incerto se ringraziare o no Mike per il regalo.
'Grazie per i guanti, avevo freddo' decise di scrivere, per poi inviare il messaggio. Nel momento stesso in cui lo inviò, si sentì particolarmente stupido per la metafora che aveva usato, ma ripose il cellulare, deciso a non pensarci più. Alison, nel frattempo, stava valutando i danni alle lenzuola.
«Tutto bene?» le chiese, osservandola.
«Benissimo» rispose lei sorridendo, per poi togliere le lenzuola dal letto e riporle nell'armadio. Prese poi Peter per mano, ed uscì dalla stanza, guardandosi attorno.
«Chissà dov'è mia sorella» disse, a mezza voce.

Non ebbero bisogno di molto tempo per scoprirlo. Britney si trovava sul divano del salotto, e sembrava particolarmente impegnata con un ragazzo. Uno sguardo, ed una smorfia di disgusto, bastarono a Peter per capire che si trattava di William Wood.
«Fantastico» sussurrò. Sentì le dita di Alison stringersi maggiormente attorno alle proprie, mentre la ragazza lo conduceva verso il salotto a passi decisi.
«Brit, andate in camera. Abbiamo ospiti» disse ad alta voce, facendo sobbalzare la ragazza, che si separò immediatamente da Wood.
«Lasciami in pace, non vedi che sono impegnata?» fece Britney, infastidita «Lui cosa ci fa qui?»
Non appena si vide additato dalla ragazza, Peter si fece prendere dal panico. Se Britney avesse capito, se la sarebbe presa?
«Kane, non ti è bastato che ti rompessi il naso una volta?» aggiunse Wood. Peter rabbrividì. Più stava lì dentro, più aveva voglia di scappare.
«Usciamo, non ho voglia di stare qui» sussurrò all'orecchio di Alison.
«Credevo che potessi rimanere per cena» fece lei, osservandolo con gli occhi dolci. Peter la guardò attentamente, facendo tutto il possibile per non cedere, ma fu inutile.
«D'accordo, resterò a cena» acconsentì, per poi osservare nuovamente Britney e Wood, che non sembravano contenti della sua decisione.
"È imbarazzante" pensò, mentre si serviva dell'ennesimo spicchio di pizza. Ne avevano ordinata una per ognuno, e tutti e quattro i ragazzi si trovavano a tavola. Mentre le due sorelle cercavano in ogni modo di fare conversazione, i due ragazzi avevano passato tutto il tempo guardandosi negli occhi, senza dire una parola. La tensione era palpabile.
Peter avrebbe preferito mille volte trovarsi in qualunque altro posto, e non seduto di fronte a Wood, che lo osservava con sguardo minaccioso mentre addentava la pizza.
"Probabilmente sta immaginando che sia la mia testa"
Cominciò a tremare, e tentò di mangiare il più velocemente possibile. Voleva assolutamente uscire da quella stanza, scappare ed allontanarsi anni luce dal suo nemico. Possibile che, con tutte le ragazze che c'erano, loro stessero insieme a due sorelle?
Sentì le dita di Alison stringersi attorno alle proprie. La ragazza aveva avvertito il suo nervosismo, e stava cercando di calmarlo.
«Qualcosa non va?» gli chiese all'orecchio.
«N-no» sussurrò.
In un disperato tentativo di distrarsi, finse di avere ricevuto una telefonata, ed uscì dalla stanza. Cercò un luogo tranquillo, uscendo di casa e sedendosi sui gradini che conducevano all'ingresso.
Estrasse il cellulare dalla tasca, accorgendosi che era ormai scarico. Scoprì di avere ricevuto diverse chiamate da parte di sua madre, così decise di telefonarle per non farla stare in pensiero.

«Peter! Dove sei?»
La voce della donna per poco non gli ruppe un timpano.
«Ehm... ciao, mamma...»
«Ciao un accidente! Ti aspettavamo per cena, che fine hai fatto?»
«Ehm...» si guardò attorno. Non pensava che fosse consigliabile dirle la verità.
«Ovunque tu sia, torna immediatamente a casa!» ordinò la donna.
«Mamma, sono, ehm... sono da Mike. Mi ha chiesto di rimanere a cena, mi sono dimenticato di avvisarti»
Sua madre rimase in silenzio per diversi secondi, probabilmente stava pensando a cosa fare.
«D'accordo» si arrese infine «Ma non tornare a casa troppo tardi!»
Peter si voltò ad osservare la porta di casa. Aveva appena avuto un'idea malsana, ma non sapeva se metterla in pratica.
«È il penultimo giorno di vacanza, mi ha chiesto di restare a dormire da lui» le disse, sapendo bene che, se Alison non gli avesse concesso di restare lì quella notte, si sarebbe ritrovato a dormire sul marciapiede.
«Strano che Mike ti faccia una proposta simile» disse la donna, sospettosa.
«Ma, ehm... sono sorpreso anch'io» fece Peter, sperando che lei credesse alle sue parole.
«D'accordo. Buonanotte, a domani» si arrese infine la donna.
«Va bene, mamma. Buonanotte, e scusa per non averti avvisata prima» le rispose, prima di chiudere la chiamata.
Si alzò in piedi, rilasciando un profondo sospiro, prima di rientrare in casa.
Alison lo stava aspettando sul divano del salotto, preoccupata nel non vederlo tornare.
«Tutto ok?» gli domandò immediatamente, avvicinandosi per afferrargli la mano. Peter annuì.
Non sapeva come chiedere ad Alison di poter essere suo ospite per quella notte, e decise di rimandare.

A mezzanotte, si trovava ancora sul divano insieme a lei, a guardare la televisione, mentre Britney e Wood si erano ritirati al piano superiore. Al pensiero di ciò che probabilmente stavano facendo, Peter avvertì uno strano fastidio.
"No, la mia ragazza è Alison. Non ho alcuna ragione di essere geloso" si disse, sbuffando sonoramente.
Sentendolo sbuffare, Alison lo osservò interrogativa.
«È tutta la sera che sei stano» osservò. Peter scrollò le spalle.
«Mi dispiace, non avevo voglia di vedere Wood dopo il nostro momento, mi ha innervosito» ammise.
«Perché non l'hai detto subito?» domandò la ragazza, lasciandogli un bacio sulla guancia.
«Non volevo darti un dispiacere»
«Oh, Peter...»
La loro conversazione fu interrotta dalla porta d'ingresso che si apriva. I genitori di Alison erano tornati. Vedendoli entrare, Peter si irrigidì, lì dove si trovava.
«Alison, hai ospiti?» le chiese la donna. Peter la osservò con attenzione: somigliava molto ad Alison, era bionda, e la figlia aveva certamente ereditato i suoi lineamenti dolci, quasi infantili. Spostò poi l'attenzione sull'uomo, che invece somigliava di più a Britney.
«Lui è il mio ragazzo, Peter. Ve ne avevo parlato» disse Alison, rimanendo accoccolata tra le braccia di Peter.
«B-buo-buonasera» balbettò Peter, terrorizzato all'occhiata che l'uomo gli aveva appena rivolto. In un tentativo di salvarsi da una brutta figura, si alzò in piedi, andando a stringere la mano ad entrambi.
«Non state alzati troppo» disse la madre di Alison che, dopo avere tolto il pesante cappotto, si diresse al piano superiore. Suo padre, invece, rimase fermo a squadrare Peter.
«Peter Kane, sbaglio?» domandò, in tono duro.
«S-sono io» confermò Peter. Si sentiva tremare come una foglia.
"Cosa farebbe Mike?" si domandò. Prese un respiro profondo, sperando di cavarsela con più disinvoltura.
«Sì, vi ho visti insieme il giorno in cui siamo partiti per le vacanze di Natale» ricordò l'uomo.
Peter arrossì. Il bacio più appassionato che avesse mai dato ad Alison, era avvenuto davanti a suo padre.
«Ehm... mi scu-scusi se il mio comportamento l'ha of-offesa» balbettò.
L'uomo non rispose, rivolgendosi poi ad Alison.
«Tra mezz'ora, ti voglio a letto. Dov'è tua sorella?»
Alison osservò Peter, facendogli segno di non dire nulla.
«A letto, non voleva stare con noi a fare il terzo incomodo» disse con disinvoltura. L'uomo annuì, per poi dare educatamente la buonanotte ad entrambi, e seguire la moglie su per le scale.
«Credi che li sorprenderanno sul fatto?» sussurrò Peter, alludendo a Britney e Wood.
«No, lui scappa sempre dalla finestra» rispose Alison a mezza voce.

Mezz'ora dopo, come Alison aveva promesso, decise di andare a letto.
«Mi dispiace, ma sanno essere molto severi con le punizioni. Potrebbero impedirmi di vederti» sussurrò a Peter, tra un bacio e l'altro.
«Capisco benissimo» rispose lui, con lo stesso tono.
«Buonanotte, amore» sussurrò Alison contro le sue labbra, prima di sciogliere l'abbraccio in cui si erano stretti vari minuti prima, sulla porta di casa. Peter si pietrificò. Sentirsi chiamare in quel modo, da lei, lo fece impazzire.
Appoggiò entrambe le mani sul viso della ragazza, baciandola nuovamente.
«Posso farti una confessione?» sussurrò «Ho detto a mia madre che non sarei tornato, questa notte»
Vide il viso di Alison illuminarsi, poi la ragazza lo spinse con delicatezza fuori dalla porta d'ingresso.
«Aspetta cinque minuti» sussurrò, prima di chiudergli la porta in faccia.
Peter la osservò sbigottito, spalancando la bocca.
«Al...?»
Pochi attimi dopo, vide la finestra della stanza di Alison aprirsi, e la ragazza ne uscì completamente vestita, camminando con cautela sulla tettoia, fino a calarsi a terra.
«Eccomi» disse, rivolgendogli un ampio sorriso.
«Non era più semplice uscire dalla porta?» le chiese Peter.
«Mio padre era sveglio, dovevo assicurarmi che credesse che fossi a letto» rispose lei, scrollando le spalle.
«Allora, che vuoi fare?» le chiese Peter, felice di avere una notte per poter fare insieme ad Alison tutto ciò che volevano.
«Quanti soldi hai in tasca?»

Andarono a comprarsi del cibo al fast food, e poi dritti al cinema, che era aperto anche a quell'ora della notte, per vedere un film horror.
Alison si era dimostrata appassionata del genere e, con leggero disappunto di Peter, non sembrava affatto spaventata dalle scene della pellicola.
«Così non vale» sussurrò al suo orecchio, avvicinando intanto una patata fritta alle labbra della ragazza, che stava accoccolata in braccio a lui. Alison la mangiò lentamente, per poi osservare Peter con la coda dell'occhio.
«Cosa non vale?»
«Se non hai paura, non posso fingere di volerti consolare, non ho pretesti per baciarti» borbottò lui.
Alison gli sfiorò il viso con le dita, per poi posare le labbra sulle sue, in un bacio lento. Peter si affrettò a ricambiarlo, assaporando le labbra della ragazza, di cui ormai aveva imparato a conoscere ogni piccola sfumatura. Baciare Alison aveva un effetto calmante su di lui, ed ogni volta ne desiderava sempre di più.
Intrecciò lentamente la lingua a quella della ragazza, chiudendo gli occhi e mandando al diavolo il film. Lo spettacolo tra le proprie braccia, per lui, era molto più interessante di qualsiasi film.
«Ti amo» sussurrò Alison, facendogli avvertire un improvviso nodo allo stomaco e facendolo sentire a disagio. La osservò per qualche istante, prima di riprendere a baciarla, sperando di farle dimenticare che non le aveva dato una risposta. Non si sentiva pronto. Non credeva ancora completamente nell'amore.
La sala del cinema era a loro completa disposizione, eppure, Peter si sentì improvvisamente esposto, come se avesse paura che qualcuno potesse vederli. Le parole di Alison, per quanto brevi e semplici, lo avevano riempito di inquietudine. Sentì la ragazza muoversi sopra il proprio corpo, così le strinse con forza i fianchi, tentando di tenerla ferma. Tutta quella situazione lo stava mettendo a disagio, aveva una brutta sensazione.
Abbracciò la ragazza, convincendola a posare la testa sul proprio petto, per poi osservare in giro. Le loro due poltroncine erano invase dai sacchetti del fast food, ed un forte odore di fritto si era diffuso attorno a loro. Le poltroncine puzzavano di chiuso, ed un film era stato proiettato esclusivamente per loro, che erano gli unici visitatori del cinema. Tutto questo, lo fece sentire come se scambiarsi effusioni fosse estremamente sbagliato, ma, allo stesso tempo, si sentiva bene, perché Alison era con lui.
Le accarezzò il ventre, sperando che bastasse a tenerla buona fino alla fine del film, e fortunatamente, funzionò. Quando le luci si riaccesero, i due ragazzi raccolsero le cartacce ed i resti del cibo, e Peter controllò l'ora.
«Sono le quattro e mezza» disse ad Alison.
«Ho un po' di sonno» ammise lei. Peter la prese in braccio, conducendola fuori dal cinema.
«Puoi dormire, se ne hai voglia. Ti porto a casa» sussurrò al suo orecchio.

Quando raggiunse la casa di Alison, intorno alle cinque del mattino, lei era ancora sveglia, ma sull'orlo di crollare. Peter la salutò con un dolce bacio, pensando che sarebbe stato scortese insistere sul poter restare a casa della ragazza.
Come aveva previsto, appena la vide allontanarsi ed arrampicarsi per raggiungere la finestra, avvertì una sensazione di vuoto allo stomaco.
«Alison» la chiamò. La ragazza si fermò immediatamente, osservandolo.
«Sì?»
«Sono stato bene» le disse.
Alison gli rivolse un ampio sorriso, indicandogli la tettoia, poi la finestra della propria stanza.
«Non ho voglia di restare sola, questa notte» sussurrò.
Dovette fare fronte a tutte le proprie scarse abilità atletiche, per riuscire ad arrampicarsi fino alla tettoia, su cui camminò lentamente per paura di cadere, fino a raggiungere la finestra.
«Sono ancora vivo» sussurrò, arrampicandosi oltre il davanzale e rovinando a terra, sulla morbida moquette.
«Ti sei fatto male?» gli chiese subito Alison.
«No, non preoccuparti» si alzò nuovamente in piedi, per poi afferrare la ragazza per i fianchi e baciarla. Non gli dispiaceva, per una volta, abbandonarsi a quelle frivolezze.
Alison lo spogliò tra un bacio e l'altro, lasciandogli addosso solamente i boxer, poi Peter la vide dirigersi verso l'armadio, dove si procurò nuove lenzuola pulite, che sistemò sul letto.
«Ammetto di avere sonno» disse Peter, raccogliendo il cellulare dalla tasca dei jeans ed appoggiandolo sul comodino.
«Anch'io» fece Alison, spogliandosi e sdraiandosi a letto, rabbrividendo. Peter, notando quei brividi, afferrò la propria felpa da terra, avvicinandosi poi ad Alison e facendogliela indossare. Mentre lei si stringeva nell'indumento, Peter pensò di non averla mai vista arrossire così tanto. Era decisamente carina.
«Sei bellissima» le disse infatti, in uno slancio di sdolcinatezza.
Pochi minuti dopo, si ritrovarono nuovamente a letto. Abbracciati, alle cinque del mattino, come se nulla fosse successo in quelle ore, come se non si fossero mai mossi da lì.
Aveva la stranissima sensazione di avere un po' sprecato parte di quella notte, in fondo, non avevano fatto nulla di speciale, ma mai e poi mai avrebbe rinunciato a passarla con la ragazza.
Il cellulare di Alison, che vibrava sul comodino, lo svegliò bruscamente. Si stropicciò gli occhi, e per un istante vide un braccio della ragazza saettare davanti al proprio viso, e sentì la sveglia spegnersi.
«Scusa» sussurrò lei, accorgendosi che era sveglio «Devo avere inserito la sveglia per sbaglio senza accorgermene»
«Non preoccuparti... che ore sono?» borbottò lui, coprendo uno sbadiglio.
«Le nove del mattino» rispose Alison, spostandogli i capelli dalla fronte.
«È lo stesso un bel risveglio» sussurrò Peter, prendendola dai fianchi ed accarezzando dolcemente la pelle della ragazza. Alison gli lasciò alcuni baci sulle labbra, un altro ricordo che si aggiungeva a quelli creati durante la notte.
«Scusa, vado in bagno...» disse poi, scavalcandolo goffamente ed uscendo dalla stanza. Peter si ridistese, pensando a quello che era successo tra di loro, senza riuscire a smettere di sorridere. Poteva quasi dire che la sua vita stava diventando perfetta, ogni paura era svanita, ogni cosa stava finalmente iniziando a mettersi nel giusto ordine.

Un lampo di luce lo distrasse dai suoi pensieri. Si voltò verso destra, dove vide il cellulare di Alison ancora abbandonato sul comodino. Probabilmente era stato quello ad illuminarsi.
Chiuse gli occhi, e si crogiolò nella beatitudine per qualche secondo. Non era mai stato così felice in tutta la sua vita, anche se questo lo faceva sembrare un ridicolo ragazzino innamorato, che non fa altro che sorridere e sospirare.
Riaprì gli occhi, pregando che Alison tornasse presto dal bagno. Tutto quello che voleva era stare insieme a lei, in quel momento era il suo unico desiderio.
Il cellulare di Alison si illuminò di nuovo. Peter contò una, due, tre, quattro volte. Chi mai poteva avere un bisogno così urgente di contattarla? Una briciola di dubbio si insinuò nel suo cervello. Poteva essere importante, e lei al momento non era disponibile.
Guardò verso la porta oltre la quale si trovava Alison, poi di nuovo il cellulare. Ed andò avanti così per un po', porta, cellulare, porta, cellulare. Il dubbio continuò ad insinuarsi in lui. Poteva essere successo qualcosa di grave?
"E va bene. Facciamolo"
Con uno scatto fulmineo, prese il cellulare dal comodino, mentre tendeva l'orecchio, in modo da sentire i passi di Alison nel corridoio, in caso fosse tornata indietro. Una volta che ebbe il cellulare tra le mani, però, cambiò idea.
Lei era la sua ragazza. Lui si fidava di lei. Per quanto potesse essere successo qualcosa di grave, non aveva alcun diritto ad invadere in quel modo i suoi affari privati. E se fosse stata una cosa di famiglia in cui lui non doveva immischiarsi? No, meglio rimettere tutto al posto di prima. Poi, il telefono si illuminò per un'ultima volta, e Peter vide un nome lampeggiare sul display.
'David'
«E chi diavolo è questo David?» borbottò. Lanciò un'altra occhiata alla porta, poi prese la sua decisione definitiva, ed aprì i messaggi.
Ciò che si trovò davanti, lo lasciò a bocca aperta.
'Ho già la scusa perfetta, digli che devi studiare. Ci vediamo più tardi. Non vestirti troppo'
Peter scosse la testa, sconcertato. Cosa significava?
Cominciò a scorrere la conversazione dall'alto, cercando di capire di cosa si trattasse. Cominciava con messaggi normali, da semplici amici, con saluti e cose simili.
«Ciao... come stai... io sto bene...» mormorò, leggendo velocemente.
Non c'era niente di strano in quelle parole. Continuò a leggere, fino ad arrivare alle comunicazioni più recenti, che risalivano al giorno prima.
Il primo era dello sconosciuto, David, e recitava: 'Domani sera a casa mia?'
Probabilmente voleva solo invitarla insieme ad altri amici, si disse Peter.
'Sì, domani sono libera' aveva risposto Alison.
E poi, i sei messaggi che erano arrivati a breve distanza in quei pochi minuti.
'Perfetto'
'Scusami se ho smesso di risponderti ieri, mi ero addormentato'
'Sai che ti dico? Non resisto fino a sera, vediamoci oggi pomeriggio'
'Sento già che sarà ancora meglio dell'ultima volta, voglio che tutti ti sentano urlare'
'Non so se ce la faccio ad aspettare, tu mi fai impazzire. Fai in modo che quel tizio non sia tra i piedi. So che vi vedete tutti i giorni, ma liberati in fretta di lui'
E, per ultimo, il messaggio che Peter aveva già letto.
'Ho già la scusa perfetta, digli che devi studiare. Ci vediamo più tardi. Non vestirti troppo'
Dunque, non sembrava proprio che l'intento dello sconosciuto fosse un ritrovo di gruppo. Ed il 'tizio' a cui si riferiva David, con ogni probabilità era proprio lui, Peter.
Sentì il nervoso salire immediatamente alla bocca dello stomaco. Come poteva Alison fargli una cosa del genere? Come poteva farlo dopo quella notte?
«Peter, cosa fai con il mio cellulare?»

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** EVERYTHING I KNEW. ***


EVERYTHING I KNEW.


«Peter, ti ho chiesto cosa stai facendo con il mio telefono in mano» ripeté Alison.
Peter non riusciva a parlare, restava semplicemente lì a guardarla e a tremare dalla rabbia. Si era lasciato prendere in giro così, Alison aveva sfoderato un paio di sorrisi e lui ci era caduto con tutte le scarpe. Magari, mentre lui si faceva mille paranoie chiedendosi se fosse in grado di essere abbastanza, lei aveva avuto in mente quell'altro per tutto il tempo. Magari erano mesi che si divertivano alle sue spalle.
«Ma che ti prende?» domandò Alison avvicinandosi. Lui non rispose. Non riusciva nemmeno più a trovare un motivo per guardarla in faccia.
«Peter...» sussurrò lei, spostandosi dietro di lui e abbracciandolo.
«Lasciami stare» si divincolò lui.
Alison rimase interdetta.
«Che cosa è successo?» mormorò. Peter le rivolse un'occhiata piena di odio, un genere di sguardo che non aveva mai riservato nemmeno a Wood.
«Chiedilo a David» disse.
«David?» domandò Alison, con l'espressione di chi cade dalle nuvole.
«Sì, David!» fece lui, tendendole il cellulare con un gesto molto poco cortese. Senza nemmeno perdere tempo a guardarla raccolse tutte le sue cose ed uscì dalla stanza.
Voleva andarsene via da lì il più in fretta possibile, per cercare di fare finta che niente fosse successo. Invece era successo tutto quello che poteva succedere, non voleva pensare di essere passato così in fretta da uno stato di pace col mondo ad uno di odio verso una persona che nemmeno conosceva, ma erano bastati dei semplici messaggi a guastargli la giornata.
«Peter, aspetta! Dove vai?» urlò Alison.
Nel frattempo lui si era già rivestito con tanto di giacca e berretto e si stava allacciando le scarpe nell'ingresso. Sentì Alison scendere le scale di corsa, ma non si preoccupò di voltarsi a guardarla.
«Dimmi cosa è successo... Peter...»
Lui non fece altro che aprire la porta ed uscire senza voltarsi indietro.
«Peter!»
Si pigiò il cappello sulla testa come se fosse uno scudo contro tutto quello che poteva toccarlo. Quando andava in giro coperto in quel modo significava che si sentiva vulnerabile e che non aveva voglia di parlare.
Era così concentrato a guardare per terra e camminare spedito come un proiettile che urtò qualcuno.
«Uhm, chiedo scusa...» borbottò.
«Hai passato la notte a casa mia?»
Alzò lo sguardo e riconobbe Britney, che era in compagnia di Wood, abbastanza prevedibile. Entrambi lo stavano guardando con espressioni che non facevano intendere nulla di buono, spostando la loro attenzione da Peter ad Alison, che era ancora sulla soglia di casa ad urlargli di tornare indietro. Sicuramente avevano capito la situazione e si stavano chiedendo se dire tutto ai genitori delle ragazze per il solo gusto di metterlo nei guai.
«Non preoccuparti, me ne sto andando» disse, superando velocemente i due.
«È successo qualcosa?» gli chiese Britney. Peter si fermò per un solo momento per risponderle.
«Non mi va di parlarne. Ci vediamo a scuola»

Tornato a casa si chiuse immediatamente in camera sua, ignorando sua madre e suo fratello. Fece ben attenzione a chiudere la porta a chiave, non voleva vedere proprio nessuno.
Poi si stese sul letto e iniziò a pensare. Lui ed Alison avevano appena superato insieme quello che lo aveva spaventato di più fino a quel momento. Doveva essere felice. Lo sarebbe stato, e molto, se non fosse per quel David che si era intromesso nel momento più sbagliato di tutti. Non aveva nemmeno avuto il tempo di godersi la propria felicità, sembrava che fosse stato tutto programmato. Era così furibondo che aveva voglia di rompere qualcosa, di urlare, magari anche di piangere.
"Mai piangere per una ragazza" gli risuonò in testa la voce di Mike. Ma lui non era Mike. Era Peter, e subito dopo aver dato tutto se stesso ad Alison aveva scoperto che la prima ed unica ragazza che avesse frequentato in tutta la sua vita lo tradiva.
Aveva pensato davvero che Alison potesse renderlo felice, che potessero stare bene insieme. Ma forse era vero quello che i suoi odiosi compagni di classe gli avevano ripetuto per tutta la vita. Lui era uno che non piaceva a nessuno. Non sarebbe mai piaciuto a nessuno. Magari era destinato a restare da solo per il resto della vita e non si sarebbe mai più ripreso da quello shock.
In un momento come quello sentiva di non essere più capace di fidarsi di una ragazza per il resto della vita.
Nonostante avesse l'umore a terra, però, non versò nemmeno una lacrima. Non perché si vergognasse, ma perché non riusciva più a fare niente. Era vuoto, triste, ed aveva la sensazione di essere incredibilmente solo.
Non si mosse nemmeno quando sua madre andò a bussare alla sua porta per digli che la cena era pronta. Non parlava, non sentiva, si lasciava vivere e basta, steso su quel letto con gli occhi aperti a fissare il soffitto.
Quando la donna smise di insistere e non bussò più alla porta, la casa iniziò a farsi sempre più silenziosa. Peter non capiva quanto tempo stesse passando, non si rendeva conto di niente. Potevano essere passati dieci minuti o dodici ore, per lui era indifferente.
Alison gli aveva spezzato il cuore.

Si svegliò quando il sole filtrò attraverso le finestre della sua stanza e riuscì a fare breccia tra le sue palpebre stanche. Non sapeva che ore fossero, ma a giudicare dalla luce doveva essere già giorno inoltrato. Si era addormentato in una posizione scomoda, e adesso il collo e il braccio gli facevano male.
Aveva dormito con il cuscino accanto a sé, stringendolo così forte con la mano da provocare un piccolo strappo nella federa nel punto in cui le sue dita si erano accanite nella presa.
Con un moto di rabbia, lanciò il cuscino contro la parete opposta accompagnandosi con un gemito di dolore. Si portò subito le mani al collo, massaggiandosi il punto che aveva contratto per tutta la durata del suo sonno, e poi guardò la sveglia sul comodino.
Erano le due e mezza di pomeriggio, e quello era il suo ultimo giorno di vacanza. Bel modo di godersi la fine delle vacanze di Natale.
Solo in quel momento si rese conto di avere dormito vestito, e vedersi quegli indumenti addosso gli provocò una profonda tristezza perché gli ricordavano il suo ultimo momento felice con Alison prima che tutto sprofondasse.
Si liberò in fretta dei vestiti, gettandoli a terra e cercando nell'armadio qualcosa che fosse il più diverso possibile. Appena i suoi pantaloni toccarono terra sentì il rumore di qualcosa di duro che colpiva il pavimento.
Si chinò e cercò nelle tasche per scoprire che il suo lancio stizzito aveva crepato completamente lo schermo del cellulare, ma quell'aggeggio infernale trovava comunque l'umorismo di informarlo che aveva ricevuto parecchi messaggi. Pensando che fossero tutti di Alison, o quella, come decise di chiamarla da quel momento in poi, ignorò completamente la notifica e spense il telefono.
Continuò la sua ricerca dei vestiti e quando fu soddisfatto si rimise a letto, gettando malamente il telefono inutilizzato sul comodino.
Sua madre bussò alla porta.
«Peter, sei sveglio?»
Non rispose nemmeno questa volta. Lei aveva sicuramente sentito i tonfi dovuti alle cose che lui aveva lanciato in giro nella stanza, quindi gli stava ponendo quella domanda solo per spingerlo a parlare.
«Che cosa è successo ieri?» domandò allora la donna. Ancora una volta non ottenne risposta.
«Non vorrai costringermi ad aprire di nuovo la porta con una chiave di scorta, vero?»
Facesse pure quello che voleva, a lui non importava. Era troppo triste per fare caso a quello che la gente intorno a lui diceva e faceva.
«Guarda che lo faccio! Peter, apri subito questa porta!»
Dopo altri dieci minuti buoni, sua madre finalmente smise di urlare. Doveva essersi arresa al fatto che lui non aveva intenzione di uscire di lì molto presto, avere deciso che non aveva più voglia di fare fatica per costringere il più testardo dei suoi figli a parlare quando lui non voleva farlo.
Peter era intenzionato a non farsi vedere neanche per l'ora di cena, preferendo restarsene al sicuro nel suo piccolo rifugio. Fuori si era fatto buio e non aveva neanche voluto accendere la luce. A quel punto, però, sapeva che era arrivato il momento di fare i conti con sua madre.
«Esci di qui! Alzati!» urlò lei, aprendo la porta ed entrando a grande velocità. Peter era ancora steso a letto, nella stessa posizione in cui era rimasto per tutto il pomeriggio. Lei lo afferrò per un polso e lo trascinò giù dal materasso, facendogli sbattere per terra il ginocchio e il gomito.
«Alzati!» gli intimò, vedendo che lui stava fermo a terra come una bambola inanimata.
«Se non parli e non ti alzi subito per andare a mangiare ti porto in ospedale, vediamo poi se ti passa la voglia di comportarti così» lo minacciò lei. Peter, che aveva un vero e proprio terrore per gli aghi e le punture, e pensava a quelle ogni volta che sua madre pronunciava la parola 'ospedale', sbiancò.
«No, in ospedale no» disse.
«Molto bene, allora vai a tavola»
Si alzò ciondolando, barcollando per tutto il breve tragitto che separava la sua stanza dal tavolo della cucina. Sua madre lo seguiva a breve distanza, controllando che non cambiasse idea. Si lasciò crollare sulla sedia e rispose con un'occhiata stanca all'espressione interrogativa di Rob.
«Non ho fame» disse.
«Non mi interessa, adesso stai qui e mangi. E non ti alzi finché non hai finito!»
Sotto lo sguardo minaccioso di sua madre, Peter si sforzò di mangiare. Aveva lo stomaco chiuso, non riusciva a mandare giù nemmeno l'acqua. Ogni boccone gli provocava i conati. Ogni morso al cibo era una sofferenza.
«E adesso mi dici cosa ti è successo, non esiste che ti comporti così» disse la donna quando Peter le mostrò il piatto vuoto.
«Niente»
«Parla, e veloce» insistette lei.
«Ti prego, lasciami stare, sono stanco»
«Non ci provare!»
Ma Peter era ormai preso da altro: il fastidio che aveva provato nel mangiare stava già dando i suoi primi effetti. In meno di un momento l'intera cena gli tornò su e fu costretto a correre in bagno troncando la conversazione.
Ancora una volta, il suo stomaco doveva ringraziare il suo modo di essere, così nervoso e incapace di gestire le situazioni.

«Pete, apri» disse la voce di Mike oltre la porta.
Peter aveva vomitato per tutta la notte, così sua madre gli aveva concesso di non tornare a scuola per quel primo giorno. Nonostante questo non si era arresa, ed aveva continuato ad insistere perché Peter le rivelasse i motivi del suo malessere. Siccome lui si era ostinato a non rispondere, lei aveva evidentemente chiamato Mike in soccorso sperando che almeno Peter rivelasse il problema al suo migliore amico.
Visto che sua madre gli aveva requisito la chiave, Mike non ebbe problemi ad aprire la porta.
«Esci» borbottò Peter. Non avendo parlato per diverse ore la sua voce si era fatta bassa e roca.
«Non ci penso neanche» disse Mike, entrando e spostando la sedia dalla scrivania a vicino al letto.
Si sedette proprio all'altezza degli occhi di Peter, in modo che il ragazzo non potesse fare finta di non vederlo.
«Pete, che ti è preso? Tua madre mi ha chiamato perché è preoccupata per te. Capisci quanto sia grave la cosa se lei è arrivata al punto di chiamarmi personalmente per farmi venire qui?»
«Non ho niente, vattene» sibilò.
«Non hai niente, eh?» domandò Mike guardandosi intorno e posando lo sguardo prima sul cellulare scassato che giaceva sul comodino e poi sul cuscino e i vestiti sparsi a terra.
«No»
«Hai vomitato tutta la notte, non hai mangiato per un giorno intero, sei rimasto chiuso qui dentro tutto il tempo... devo continuare?»
«Che cosa vuoi? Lasciami in pace» replicò Peter, girandosi sulla pancia e nascondendosi la testa con la coperta.
«Ok, io non volevo farlo, ma mi costringi» disse Mike «John, entra pure»
Sentì i passi pesanti di John farsi strada attraverso la stanza, e poteva quasi immaginarlo torreggiare su di lui con quel suo sorrisetto irritante. Visto che era coinvolto John, immaginava che la strategia dei suoi amici fosse esasperarlo finché non avessero raggiunto una confessione. Se non altro poteva dire di avere degli amici che gli volevano davvero bene per correre da lui non appena dimostrava di avere bisogno di conforto.
«Allora, Kane, mettiamo subito una cosa in chiaro» disse John «Adesso la pianti di fare lo zombie e ci dici che diavolo ti passa per la testa»
Peter non rispose, così i suoi due amici si sedettero uno alla sua destra e l'altro a sinistra ed iniziarono a minacciarlo velatamente.
«Kane, se ci tieni ad uscire di qui con le tue gambe farai meglio a rispondere» fece John, tirandogli via le coperte.
«Rompimi pure tutte le ossa, non mi importa. Anzi, è meglio»
John e Mike si scambiarono uno sguardo preoccupato.
«Che hai? Non eri messo così neanche quando Wood te le ha date» fece Mike.
«E quella volta stavi peggio di un punching-ball» completò John.
Non li sopportava già più. Se fosse stato per lui, sarebbe sparito in quel momento, inghiottito dal pavimento. Invece doveva restare lì a sentire le parole senza senso di Mike e John, e non poteva riuscire a reggere le loro chiacchiere per un altro minuto. Sicuramente non avrebbero capito, ma tanto valeva farli contenti e sperare che se ne andassero in fretta lasciandolo solo contro il suo dolore.
«Mi ha tradito» sussurrò a voce molto bassa.
«Eh?»
«Alison mi ha tradito. Vuoi che lo ripeta? Mi ha tradito! Adesso hai capito o ti devo fare un disegno?»
«Va bene, calmati» gli disse John.
«Come fai a dire che ti ha tradito?» chiese Mike.
«Ho guardato nel suo telefono. C'erano un mucchio di messaggi con un tizio che le scriveva cose che lasciavano poco all'immaginazione» spiegò Peter.
«Ma ne sei sicuro? A volte anche le mie ragazz-»
«Mike, per favore, per una volta puoi non parlare delle tue dodicimila ragazze?» lo interruppe John.
«Volevo solo dire che le ragazze a volte scrivono dei messaggi che fanno sembrare che abbiano intenzioni strane quando in realtà non è così» disse Mike.
«No, non ho dubbi» rispose Peter depresso.
«Ma cosa c'era scritto?»
«John!» lo ammonì Mike.
«Cosa c'è? Visto che sta così tanto vale saperlo!» esclamò John.
«Lui le diceva che non vedeva l'ora di vederla il giorno dopo e la pregava di liberarsi di me» rispose Peter.
«Magari... magari dovevano vedersi per studiare» disse Mike, anche se non sembrava troppo convinto.
«No, me lo ricordo come se ce li avessi qui davanti in questo momento. Diceva... le diceva che voleva che tutti la sentissero urlare, e che sarebbe stato meglio dell'ultima volta»
«Va bene, come al solito Mike si sbagliava» commentò John, prendendosi una gomitata nelle costole da Mike.
«Non capisco come sia potuto succedere» disse Peter «Mi sembrava che andasse tutto così bene...»
«Magari si è stufata di aspettare che superassi tutte le tue fisse e si è cercata un altro con cui spassarsela in camera da letto» suggerì John.
«John!» urlò di nuovo Mike, dandogli un'altra gomitata così sonora che perfino Peter ne avvertì l'urto.
«Noi aveva... noi avevamo... avevamo appena...» balbettò Peter. Ripensarci gli faceva mancare l'aria, si sentiva troppo debole per sopportare quel pensiero.
«Sul serio? Grande, amico!» esclamò John, battendogli una mano sulla schiena. Peter gli fece un sorriso amaro. Si rendeva conto dello sforzo che John stava facendo per sdrammatizzare il tutto e lo apprezzava, ma non gli era utile più di tanto.
«Sì, peccato che abbia scoperto tutto subito dopo»
«Non è una bella cosa. Ma ti ricordi cosa ti ho detto?» domandò John. Peter scosse la testa.
«Che tu sei razionale e responsabile, e tra noi tre sei quello più in grado di trovare una soluzione ai tuoi problemi» gli ricordò John.
Adesso che lo diceva, Peter ricordava di averlo sentito fare un discorso del genere.
«Non vedo via d'uscita questa volta» ammise.
«Ti aiuto io. Sono un esperto di queste situazioni» si offrì Mike.
«Quante volte sei stato tradito?» gli chiese Peter.
«Ehm... nessuna»
«Fantastico. Davvero utile, complimenti» disse John.
«Guarda che so molto bene come curare un cuore infranto!» si difese Mike.
«Certo, conoscendoti mi aspetto che tu dica che lo rimetteresti insieme con la colla» fece John.
«So benissimo come ci si sente! Basta solo che...»
«Mike, non puoi consigliare a Kane di passare ad un'altra ragazza, non è il tipo» lo precedette John, sapendo bene quello che Mike stava per dire.
«No, io... adesso voglio solo dimenticare tutto. Magari domani mi sveglierò e scoprirò che è stato tutto un brutto sogno» disse Peter.
«Perché dimenticare quando puoi vendicarti?» domandò John.
«E poi hai il coraggio di dire che i miei consigli sono stupidi?» sbottò Mike.
«Lo sono infatti!»
«Siete tutti e due dei pessimi consiglieri» si intromise Peter sfregandosi gli occhi. Per come si sentiva in quel momento, non riusciva proprio a concepire l'idea di dover sopportare quei due ancora per molto.
«Ora scusate, ma stanotte ho dormito poco e vorrei riposarmi» aggiunse, recuperando la coperta.
«Come vuoi, ma domani vieni a scuola o sarà peggio per te. Non me la sento proprio di affrontare Bloomberg da solo» lo mise in guardia John.
«Certo... ci sarò» rispose Peter con il cuore in gola. Non voleva andare a scuola, ma né sua madre né i suoi amici glielo avrebbero permesso.
«Oh, e io credo che dovresti parlare con Alison una volta per tutte, oggi mi è sembrata sconvolta» disse Mike.
Al sentire il nome della ragazza, per poco non fu tentato di correre nuovamente in bagno per la nausea.
«No»
«Ascolta, Kane, è venuta a cercare perfino me per sapere cosa cavolo ti è preso. Se proprio vuoi lasciarla, almeno diglielo chiaro e tondo» spiegò John.
Quando i suoi amici lo ebbero salutato, Peter decise di riaccendere il telefono. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare Alison, e mettersi a scorrere i suoi messaggi ora che Mike e John gli avevano trasmesso un po' di buonumore gli sembrò la cosa migliore.
Quando accese il cellulare ormai scassato, quello sembrò andare in tilt. Era strapieno di messaggi in arrivo, tutti quanti provenienti dallo stesso mittente.
Decine di messaggi, tutti simili tra loro, che più o meno recitavano: 'Per favore, non dire che vuoi lasciarmi, non so neanche che cosa è successo'
Lesse ancora.
'Mi manchi tantissimo'
Avvertì un peso nel petto. Anche lei gli mancava, e molto. Ma non poteva più lasciarsi impietosire. Ci sarebbe voluto ben più di un 'mi manchi' per riparare il suo cuore che era esploso in milioni di pezzi.
'Peter, ti prego, spiegami che cosa ti ho fatto, ti giuro che non riesco a capire'
Quella insisteva. Ed aveva continuato ad insistere per tutto il giorno precedente e buona parte di quello in corso.
Continuò a scorrere finché non raggiunse l'ultimo messaggio, risalente a meno di un'ora prima.
'Ti voglio bene. Sai che è così. Devi credermi. Ti prego'
Aveva visto abbastanza. Il suo dito si spostò sulle informazioni del contatto della ragazza e poi si soffermò su una parola.
Blocca.
Bloccò il numero senza esitazione, sentendosi leggermente meglio. Almeno non sarebbe più stato invaso dai suoi messaggi né dalle sue telefonate. Poi, un altro comando attirò la sua attenzione.
Cancella.
Premette il tasto 'ok' senza pensarci troppo su. L'aveva simbolicamente cancellata dalla propria vita. Gli sarebbe piaciuto se cancellare anche i brutti ricordi e le sofferenze fosse stato altrettanto facile.

Il giorno dopo si presentò a scuola regolarmente, e fu accolto con una gran festa sia da Mike che da John, che gli rimasero intorno per tutto il giorno facendo battute e i loro soliti teatrini con il chiaro intento di distrarlo. Nessuno dei due menzionò Alison, facendo un grande favore a Peter.
Durante le lezioni John faceva del suo meglio per farlo pensare ad altro, mettendosi in mostra e ottenendo un paio di richiami da parte dei professori, mentre Mike non faceva altro che raggiungerlo tra una lezione e l'altra per parlargli di cose inutili come il tempo e quanto avrebbe voluto che arrivasse l'estate.
Peter però non riusciva a sorridere perché sapeva che presto o tardi avrebbe dovuto vedere Alison, e la cosa gli dava la nausea. Quel pensiero lo tormentava, lo disturbava e lo faceva stare così male che sembrava veramente uno zombie che gironzolava per la scuola. Alla fine della terza ora Britney lo raggiunse e lo chiamò da parte. Peter, sorpreso del suo improvviso interesse nei suoi confronti, decise di darle retta.
«Cosa vuoi?»
«Sapere cosa diavolo hai fatto a mia sorella» rispose lei scontrosa.
«Io?» fece Peter con una risata amara «Io non le ho fatto niente»
Britney si avvicinò tanto che la distanza tra i loro visi era quasi nulla.
«Senti un po', sono tre giorni che piange senza sosta, ed è sicuramente colpa tua. Ti ho visto mentre uscivi da casa mia, ti ricordi?»
Per un momento fu assalito da una certa tristezza nel sapere che Alison stava di nuovo male per colpa sua, ma scacciò in fretta quell'idea. Non era lui quello ad essere nel torto, era lei.
«Questa volta ha davvero esagerato, e non devo rendere conto a te di quello che faccio»
«Tu... sei impossibile!» sbraitò Britney.
«C'è qualche problema?» disse Wood, uscito dalla classe poco prima.
«No, nessuno. Abbiamo finito di parlare» disse Peter.
«Non abbiamo finito proprio niente, dimmi cosa le hai fatto!»
«Kane, vuoi che ti rompa di nuovo il naso?» lo minacciò Wood. Peter sospirò.
«Siamo qui, Pete» disse Mike, arrivando in tutta fretta insieme a John. Il fatto che quei due si fossero messi d'accordo per non mollarlo un secondo dopotutto si era rivelato utile.
«Allora? Rispondi alla sua domanda» insistette Wood. Peter lo guardò negli occhi. Non aveva più niente da perdere.
«E va bene. Ho scoperto che Alison si vede con un altro»
Wood sollevò le sopracciglia, mentre Britney spalancò gli occhi e si portò le mani alla bocca.
«Dici sul serio?» chiese il ragazzo.
«Sì»
"E adesso ridi pure di me, non mi importa"
Invece, Wood non disse niente. Si limitò a passare un braccio intorno alle spalle di Britney ed allontanarsi da lì.
«Pete! Hai tenuto testa a Wood e non hai avuto paura!» esclamò Mike.
«Sì, Mike, si chiama fare conversazione» disse John, dandogli una gomitata.
«Forse... forse è perché adesso ho capito che ci sono cose che fanno molta più paura di lui» disse Peter distratto, seguendo Wood e Britney con lo sguardo.
«Dai, andiamo» lo esortò Mike.
Il fastidio allo stomaco ogni volta che pensava ad Alison non passava, però Peter iniziava a sentirsi meglio. Almeno finché non la vide sbucare da dietro un angolo.
«Torniamo indietro, torniamo indietro!» esclamò.
«Hai affrontato Wood senza muovere un capello e hai paura di una ragazza piccola e carina come Alison?» fece Mike.
«Ammettiamolo, piccola e carina... quando non se la fa alle spalle di Peter con il primo che passa» disse John.
«Ecco, appunto. Andiamo via» fece Peter girando sui tacchi e cercando di scappare.
«No, falle vedere chi sei» lo bloccò John, prendendolo sotto un braccio. Mike lo prese dall'altro e lo tirarono su di peso, mentre Peter scalciava l'aria cercando disperatamente di tornare a terra per correre via.
«Lasciatemi andare!» gridò.
«No, scordatelo» ridacchiò John.
«John! Lasciami!»
«Peter?»
Sentire la voce di Alison così vicina lo pietrificò. La nausea tornò a presentarsi più forte di prima, e Peter dovette lottare per non crollare lì dove si trovava.
«Come vuoi» disse John, lasciando la presa. Mike fece altrettanto, e Peter finì lungo disteso a terra.
«Tornate qui! Razza di...»
«Puoi farcela!» fece John salutandolo con un sorrisone mentre Mike gli rivolgeva solamente un'espressione colpevole. Certo, dovevano avere programmato tutto il giorno prima ed essersi messi d'accordo per fare in modo che chiarisse le cose con Alison.
"Questa me la pagano"
«Hai... hai bisogno di aiuto?» gli chiese Alison, avvicinandosi.
«No, posso benissimo alzarmi da solo» le rispose, facendole segno di restare a distanza.
«Oh... ok...» fece lei triste.
«Ci vediamo in giro» disse lui dopo essersi rialzato. Era disgustato all'idea di essere così vicino a lei.
«Aspetta... almeno dimmi una cosa» lo richiamò lei.
Peter buttò fuori tutta l'aria che aveva nei polmoni e fissò i lacci delle sue scarpe. Non l'avrebbe guardata, ma John e Mike avevano ragione. Anche se pensava che lei sapesse perfettamente cosa stava succedendo, decise che una spiegazione sarebbe stata liberatoria e sarebbe bastata a chiudere per sempre la questione.
«Che cosa ti è preso? Io non... non riesco a capire»
«E va bene. Quella mattina, quando ci siamo svegliati dopo che noi... ecco...»
Perché stava esitando? Voleva che lei capisse la sua rabbia, e invece si metteva a balbettare.
«Ho capito. Vai avanti, per favore...» tagliò corto Alison.
«Continuavano ad arrivarti dei messaggi uno dopo l'altro, ed erano da parte di un certo David. Non ho resistito e...»
«Tu hai pensato bene di leggerli» fece lei.
«Sì, e a quanto pare ho fatto bene! Da quanto va avanti questa storia?» esplose.
«Peter, l'unico David che conosco l'ho conosciuto in vacanza a Natale»
«Ah, perfetto! Dunque hai pensato bene di usarmi mentre intanto ti vedevi anche con uno che conoscevi da una settimana?»
«Io non l'ho mai pensato. Non l'ho mai fatto. Era vero quando ti ho detto che tu eri l'unico» disse lei con tono piatto.
«Ma io ho letto i vostri messaggi! Non sono stupido, Alison!»
«Già, peccato che quello non fosse il mio telefono» rispose lei.
«Come no?» fece Peter fuori di sé. Non aveva mai urlato tanto in vita sua.
«Quel giorno, dopo pranzo... devo avere scambiato il telefono con Britney per sbaglio. È uguale al suo. I messaggi erano suoi»
Peter pensò che in effetti mentre era insieme ad Alison lei non aveva mai toccato il cellulare, e ricordò la sveglia che lei non credeva di avere impostato, e questo poteva anche rendere plausibile che non si fosse accorta dello scambio. Ma non era disposto a crederle.
«Credevi davvero che potessi tradirti dopo... dopo quello che c'è stato tra di noi?» fece Alison, avvicinandosi a lui ed iniziando a dargli piccoli baci. Peter si districò dalla sua presa.
«Non so se crederti» le disse.
«Controlla il mio telefono allora, leggi i miei messaggi» implorò lei, tendendogli il cellulare.
«Potresti anche averli cancellati»
«Peter, ti prego...» fece Alison, con le lacrime agli occhi.
«Continui a mentire, lo stai facendo anche adesso!»
«No, no, Pe-»
«Smettila di darmi fastidio! Non voglio più avere niente a che fare con te!» le urlò d'impulso. Si pentì di quelle parole appena le sentì uscire dalla propria bocca, ma ormai era troppo tardi. Non sapeva perché avesse reagito in modo così teatrale, non riusciva a spiegarselo. Magari era colpa di tutta quella rabbia che aveva represso negli ultimi giorni.
Se ne andò senza dire altro. Si sentiva male a lasciarla lì a piangere, ma se quello che lei gli aveva appena raccontato fosse stata una bugia il cuore già a pezzi di Peter sarebbe finito in polvere.

«Che faccia da funerale... non è andata bene la chiacchierata?» gli chiese John quando lo vide rientrare in classe.
«Per niente. E per la cronaca, questa me la paghi»
«Guarda che non è stata una mia idea. Ma cosa ti ha detto? Ha confessato tutto?»
Peter scosse la testa.
«No, dice che ha scambiato il telefono con quello di Britney. Che assurdità...»
«Magari è vero, sarebbe stupida come invenzione»
«Probabilmente è solo un'altra bugia»
Le lezioni proseguirono, ma Peter non riusciva a restare concentrato. Era talmente triste che nemmeno la fantasiosa interrogazione di storia di John sul fatto che la Rivoluzione Industriale fosse stata in realtà guidata dagli alieni lo fece ridere.
«Catham, non penso di avere mai dato un voto così basso ad uno studente da quando insegno in questo istituto» disse il professore.
«C'è sempre una prima volta per tutto» rispose John.
Le lezioni passarono una dopo l'altra, e finalmente quella giornata arrivò alla fine.

Una settimana dopo Peter era ancora con l'umore sottoterra, alimentato dal fatto che ogni volta che incrociava per caso Alison, era lei a voltarsi dall'altra parte.
«Ha fatto in fretta ad imparare ad odiarti» osservò John.
«Già... meglio così»
Non credeva di riuscire mai a superare del tutto la perdita di fiducia nei confronti della ragazza. Tra loro era stato tutto così bello e così rapido che non riusciva a capacitarsi che fosse finito così in fretta.
«Kane, interrogato» disse la professoressa Walstone con il solito tono autoritario.
Peter si avvicinò alla cattedra, per nulla sorpreso.
«Vediamo di fare un po' di ripasso» disse la professoressa «Mettimi a confronto tutti i temi dell'amore che abbiamo trattato di recente»
Peter scosse la testa. Sembrava davvero essere tutto contro di lui.
«Prof, io credo che non sia il momento di chiedergli una cosa del genere» si intromise John.
«Zitto Catham, le faccio io le domande qui. Allora, Kane?»
«Il concetto di amore è del tutto inutile. L'amore non esiste. Nessuno può rischiare di amare, o si finisce con il cuore spezzato. Sempre» borbottò Peter.
«Non so a cosa sia dovuto questo tuo discorso, ma ammetto che c'è comunque un miglioramento rispetto all'ultima volta... se non altro, non hai definito stupide le opere di Shakespeare»
Per tutto il corso dell'interrogazione Peter continuò a borbottare risposte tristi, e tornò a posto con una sufficienza stiracchiata.
Dal banco si sentì addosso lo sguardo di Rachel, che lo fissava come se volesse leggergli nel pensiero.
«Peter, posso parlarti?» gli disse la donna alla fine della lezione. Peter rispose di sì, pensando che quello che volesse dirgli lei non potesse essere peggio di quello che aveva passato.
«Durante l'interrogazione ho avuto l'impressione che in te fosse cambiato qualcosa»
«In che senso?»
«Non ho più visto quel ragazzino che alle prime lezioni non sapeva cosa fosse l'amore. Ti vedo cresciuto, sembrava quasi che conoscessi perfettamente il significato delle delusioni d'amore»
«Ho avuto qualche problema ultimamente» ammise Peter.
«Capisco. Tu sei un ragazzo sensibile, adesso tutto si spiega. Stai bene?»
«Penso... penso di sì. Passerà»
«D'accordo. Ti lascio andare, se dovessi avere qualche problema non vergognarti a chiedere a me»
«Va bene...» rispose Peter, anche se non avrebbe mai, mai accettato la sua offerta per tutto l'oro del mondo. Era già abbastanza imbarazzante essersi aperto anche così poco con Rachel, figurarsi chiederle un consiglio perché era triste per Alison.
«Peter, eccoti qui, ti stavo cercando» disse Britney andandogli incontro.
"Non vorrà urlarmi contro un'altra volta?"
«Tu e Alison... vi siete lasciati?» gli chiese subito la ragazza. Peter storse il naso.
«Non ne sono sicuro»
«In questo caso devo dirti una cosa» fece lei torcendosi le mani.
"Non è che vuole dichiararsi, vero?" pensò, arrossendo all'istante. No, non era possibile. Britney aveva già Wood a cui pensare, e certamente se Peter le fosse interessato avrebbe accettato le sue attenzioni molti mesi prima.
«Ho sentito quello che hai detto ad Alison ieri» disse Britney velocemente.
«Sì, ho esagerato un po' con le urla»
Britney gli fece segno di stare zitto.
«Ecco... Alison ha detto la verità. Il cellulare era il mio»
La frase lo spiazzò. Possibile che Alison fosse andata a chiedere aiuto a Britney per tirarsi fuori dai guai?
«E perché dovrei darti retta?»
«Guarda» disse lei.
Dopo essersi assicurata che intorno a loro non ci fossero occhi indiscreti, gli mostrò la conversazione con il famoso David. Era tutto lì, tutti i messaggi, tutte le parole che a Peter avevano fatto venire il voltastomaco. C'erano perfino messaggi risalenti a cinque minuti prima. Proprio mentre Peter stava osservando, un nuovo messaggio arrivò da parte di David.
'Non mi dispiace affatto per il tuo ragazzo, se è un incapace come dici peggio per lui. Io e te ci divertiamo molto di più insieme'
«Non prova niente, avreste potuto scambiarvi il telefono prima di entrare in classe» disse sospettoso.
«Secondo te io perderei tempo ad aiutare mia sorella rischiando di farmi scoprire da Will?»
«Beh, se lui fosse al corrente...»
«No. Guarda bene»
Britney gli mostrò un messaggio specifico.
'Perché non rispondi?'
'Scusa, mi sono accorta troppo tardi di avere scambiato il cellulare con quello di mia sorella, e ormai ero con Will, non potevo cercarlo o si sarebbe insospettito'
Risalivano al giorno in cui Peter se n'era andato dalla casa di Alison, e fu solo grazie a quei due messaggi che i suoi dubbi iniziarono a dissolversi. Era Britney quella che tradiva il suo ragazzo. Alison era innocente. E lui l'aveva trattata malissimo e certamente non sarebbe più riuscito a farsi perdonare. Si erano spezzati il cuore a vicenda.
«Perché mi hai fatto vedere questi messaggi?»
«Perché meriti di vedere il cretino che sei» rispose Britney, mettendo via il cellulare e facendo per allontanarsi.
«E... Alison come sta?»
«È distrutta, come potrai immaginare. Ma è molto meglio per tutti se voi due state lontani»
«Mi dispiace...»

«Aspetta, mi stai dicendo che Alison ti ha detto la verità fin dall'inizio?» esclamò John mentre uscivano da scuola.
«Sì»
«E che è Wood quello che si sta facendo crescere un intero palco di corna in testa?»
«A quanto pare»
«Non posso crederci!» rise John.
«Frena l'entusiasmo, questo vuol dire che me la sono presa con lei quando invece non aveva fatto niente»
«Ma no, non è colpa tua in fondo, avevi tutto il diritto di pensarlo»
«Già... cerchiamo Mike e andiamocene» tagliò corto Peter.
Trovarono l'amico mentre chiacchierava con una ragazza dell'ultimo anno. Lei sembrava totalmente rapita da lui e dal suo fare seducente, tanto che non si curava d'altro.
«Attenta, Mike ha un piccolo problema di perdita di gas» le disse John. La ragazza lo guardò sorpresa e poi rivolse un'occhiata disgustata a Mike prima di trovare una scusa per allontanarsi.
«Grazie mille John» sbottò Mike «Ormai era mia!»
«Scendi dal piedistallo mister fascino, non sareste durati due giorni» disse John.
«Cos'è, sei geloso?»
«E va bene, mi hai scoperto. Sono profondamente e perdutamente innamorato di te, vuoi sposarmi, Mike?»
Entrambi si guardarono negli occhi e poi scoppiarono a ridere senza controllo. Nel vedere i suoi amici così divertiti, Peter rise a sua volta. Gli sembrava che fossero passati secoli dall'ultima volta in cui aveva riso.  

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 3AM. ***


3AM.


Per tutte le notti successive non fece altro che pensare alle parole di Britney che lo avevano gettato nello sconforto completo. Si sentiva peggio che mai per aver dubitato di Alison anche quando lei aveva giurato di aver detto la verità. Invece era lui ad aver sbagliato, tanto per cominciare perché si era impuntato a voler invadere gli affari della ragazza e perché non le aveva dato nemmeno la possibilità di spiegarsi. Se l'avesse fatto non si sarebbero mai trovati in quella situazione.
Alison glielo aveva detto e ripetuto più e più volte, non c'era nessuno a cui tenesse quanto teneva a lui, aveva insistito per cercare di farglielo entrare in testa ma lui non aveva mai voluto ascoltarla. E adesso Peter aveva buttato via l'affetto più grande che una ragazza gli avesse mai concesso e sapeva di non poterlo recuperare. Questa volta ne era davvero sicuro, anche parlare con Britney glielo aveva confermato. Non c'era modo che lui ed Alison sistemassero le cose e tornassero ad essere quelli di prima.
La scuola era un vero inferno, e anche quelle poche materie in cui se l'era sempre cavata iniziavano a diventare impossibili per lui, che era sempre più distratto.
Durante la lezione di arte, invece di riprodurre un paesaggio come gli era stato chiesto, riempì il foglio di volti tristi e desolati, persone che piangevano e gente che mostrava vera e propria sofferenza.
«Kane, ti avevo chiesto un paesaggio» disse la professoressa quando girando tra i banchi e vide il suo operato.
«Lo so professoressa... non sono nel mio periodo migliore» spiegò Peter.
«In arte non è mai troppo presto per entrare nel periodo oscuro. Continua pure, non contenere le tue emozioni. Per questa volta può andare, ma che non si ripeta»
«La ringrazio»
La professoressa passò oltre e si soffermò sullo scarabocchio contorto di John, che nonostante la totale incapacità artistica del suo creatore riusciva ad essere piuttosto esauriente nei dettagli.
«Catham, neanche questo è un paesaggio»
«Ah, no? E che cos'è allora?» fece John con falsa sorpresa.
«Un nudo femminile» rispose la professoressa.
«Oh, mi perdoni, probabilmente anche io sto attraversando una fase come Kane. Sa... il periodo nudo» disse lui sfoderando il più smagliante dei suoi sorrisi.
«Bel tentativo. Dammi quell'affare e concentrati sul paesaggio»
«Ma a lui ha lasciato continuare il suo disegno!» si lamentò John.
«Perché lui ha tutte le potenzialità per diventare un vero artista, se ci si mette d'impegno» replicò l'insegnante, togliendogli il foglio dalle mani e consegnandogliene uno nuovo. John prese la matita imbronciato e cominciò a disegnare il paesaggio, lamentandosi ad intervalli di trenta secondi.
«Io sono un vero artista» diceva «Se lo sogna un'altra donna nuda dettagliata come quella»
«Catham, zitto e disegna»
Mentre Peter continuava ad esprimere il proprio stato d'animo nell'unico modo che conosceva pensò di poter fare qualcosa di più. Colto da ispirazione, prese un altro foglio ed iniziò a muovere la matita avanti e indietro, freneticamente, veloce e preciso come non aveva mai disegnato.
«Ma quella è...» fece John quando Peter posò la matita.
«Alison. Lo so»
«Credevo che non volessi più pensare a lei»
Peter scarabocchiò qualcos'altro sul foglio, tutto intorno al viso della ragazza. Decine e decine di volte, la circondò con le parole 'scusa' e 'perdonami'.
«Infatti. Ma disegnare mi libera la mente»
«Caspita, se non ti avessi visto disegnarlo davanti ai miei occhi direi che è una foto, non mi avevi detto di essere tanto bravo nei ritratti»
«Kane, vedo che abbiamo cambiato soggetto» intervenne la professoressa pochi minuti prima della fine della lezione.
«Sì... ho pensato che questo fosse più adatto»
La professoressa prese in mano il ritratto per poterlo vedere meglio.
«Grande tecnica. Sono sorpresa, questo è un lavoro molto al di sopra degli standard perfino per te, e in quanto l'hai completato, quaranta minuti? Stupefacente»
«Ho solo seguito la matita» rispose lui alzando le spalle.
«Io direi che è la matita ad aver seguito te. Tienilo pure, non ho bisogno di altre valutazioni per te» disse l'insegnante restituendogli il disegno.
«E io? Anche io rivoglio la mia opera» si lamentò John.
«Catham, l'unica cosa che avrai è un invito a studiare la storia dell'arte per sollevare la tua media a dir poco disastrosa nel disegno pratico»
«Lei non capisce, io sono un artista incompreso!»
«No Catham, ti assicuro che non sai proprio disegnare» disse la professoressa prima di allontanarsi e mettere fine alla discussione.
«Una volta ho vinto anche un concorso di disegno» spiegò John a Peter.
«E quanti concorrenti c'erano?»
«Cinque!»
«Questo sì che ti rende un artista...» fece Peter sarcastico.
«E la prof dice che non sono capace! A Van Gogh direbbe la stessa cosa per caso? Te lo dico io, no!»
«Tu non sei neanche lontanamente paragonabile a Van Gogh» gli fece notare Peter.
«Lo so, sono di un livello molto superiore, ma non dirlo in giro o penseranno che sono vanitoso» disse John facendogli l'occhiolino.
«Tranquillo, non c'è pericolo che lo pensino... che sei vanitoso lo sanno già tutti»

Alla fine della lezione uscirono sparpagliati. Peter ripose con attenzione il ritratto di Alison cercando di non farsi notare da nessuno oltre John. Non sapeva per quale motivo ma voleva tenere privata la storia del disegno, quasi come se si vergognasse. Senza contare che quando non disegnava si sentiva molto vulnerabile e non riusciva a pensare ad Alison senza sprofondare in un mare di tristezza.
Sotto la forte insistenza di John i due decisero di andare a cercare Mike per raccontargli dell'opera di nudo tanto criticata dalla professoressa.
«Dunque questa è la gente dell'ultimo anno, eh?» fece John quando si trovarono in mezzo ai compagni di classe di Mike. Neanche a dirlo, avevano appena terminato la lezione di inglese.
Mike stava parlando con un paio di ragazze, cosa che sembrò infastidire molto John.
«Cosa diavolo ci trovano tutte quelle ragazze in lui?» sbottò infatti il ragazzo. Peter alzò le spalle. Non contento, John fermò una compagna di classe di Mike e le rivolse la stessa domanda.
«Beh... è simpatico, intelligente, carino ed è anche gentile» rispose lei.
«Bah, tutte sciocchezze» replicò John «A proposito, lo sai che Mike dorme ancora con l'orsacchiotto?»
La ragazza si allontanò indignata, infastidita dai modi rudi di John.
«Sai, inizio a pensare che tu sia veramente geloso» rise Peter.
«Non dire sciocchezze» borbottò John.
«Però...»
«Kane, io e te siamo già abbastanza depressi, non peggiorare la situazione»
«Per cosa saresti depresso? Non eri quello che non è mai triste?»
«Lo so che sono una persona eccezionale, ma a volte anche io mi concedo il diritto di avere dei difetti» bofonchiò John.
«Che ci fate voi due qui?» domandò Mike quando se li trovò davanti.
«Buongiorno anche a te» disse John. Mike alzò gli occhi al cielo.
«Quello che intendevo dire è: è successo qualcosa?»
«Cos'è, non possiamo salutarti come tutte le persone normali? Adesso dobbiamo incontrarti solo su appuntamento?» fece John.
«Che ti prende John? Hai messo troppo acido nella colazione stamattina?»
«No, voleva solo passare a trovarti per avere la sua dose quotidiana di lamentele» spiegò Peter.
«Ho tutte le ragioni, Mike è l'unico in grado di mettere su una conversazione abbastanza irritante da farmi dimenticare che ho perso il mio capolavoro»
«John, ne abbiamo già parlato, quello non era un capolavoro»
«Prima di tutto grazie per avermi definito irritante, detto da te è un complimento. E poi che cos'è questa storia?» chiese Mike, probabilmente solo per cortesia.
«La Morris ha offeso il mio ego da artista!»
Mentre John raccontava a Mike l'accaduto, Peter pensò che per quanto quei due si sforzassero di sembrare infastiditi l'uno dall'altro in realtà erano molto legati. Si era subito accorto del cambiamento repentino dell'umore di John quando Mike aveva dedicato a lui tutta la sua attenzione ed aveva capito che John in realtà aveva molto più bisogno di Mike di quanto fosse disposto ad ammettere, e la stessa cosa valeva per Mike.
Poco dopo la sua attenzione, come quella della maggior parte dei ragazzi presenti, fu catturata da Rachel che usciva dalla classe.
«Ma guarda un po' chi c'è... signori, con permesso» disse John, sistemandosi la divisa e spettinandosi i capelli con la mano.
«Non hai alcuna speranza» gli disse Mike a mezza voce.
«Stai zitto»
Peter e Mike osservarono John e il suo disperato quanto ridicolo tentativo di iniziare una conversazione con la bella Rachel, tentativo che fallì miseramente.
«Ridete, ridete pure... almeno ci ho provato» disse John tornando da loro. Nonostante i due stessero ridendo fragorosamente di lui, non sembrava imbarazzato.
Quando Rachel passò loro accanto rivolse un grande sorriso a Peter.
«Ciao Peter» disse.
«Ehm... buongiorno» rispose lui, guardando John con la coda dell'occhio per assicurarsi che non se la prendesse troppo.
«Oggi ti senti meglio?»
«Sì... un po'...»
«Molto bene. Ci vediamo in classe, buona giornata!» disse Rachel allontanandosi.
«Arrivederci...»
«Devi dirci qualcosa, Kane?» domandò John. Aveva l'aria così irritata che Peter preferì non rispondere, sperando che Mike andasse in suo soccorso.
«John... sai che sembra incredibile ma mi è arrivata voce che ci siano alcune ragazze molto interessate a te?» fece Mike, capendo al volo le mute preghiere di Peter e cambiando velocemente discorso.
«Che cosa mi importa, a me piacciono quelle mature» borbottò John, facendo scoppiare a ridere sia Peter che Mike.

Uscendo dalla scuola Peter si sentiva leggermente sollevato. Aveva cercato di scaricare tutte le sue tensioni nell'arte ed era riuscito ad evitare Alison per tutto il giorno. Non se la sentiva di affrontarla, un altro rifiuto lo avrebbe distrutto.
«A che pensi?» gli domandò Mike.
«A niente»
«Non comportarti di nuovo così, ti prego, c'è un limite a tutto» fece John notando la sua tristezza.
«Oh, no...» mormorò Peter. In lontananza aveva intravisto dei capelli biondi che conosceva fin troppo bene, e subito cercò di nascondersi dietro John per non farsi notare.
«Ma che fai?» gli chiese l'amico quando Peter gli andò alle spalle e si fece piccolo piccolo.
«Non voglio che mi veda» rispose lui sottovoce.
«Chi?»
«Lei»
John si guardò un po' intorno e non ci mise molto a capire di chi stava parlando Peter.
«Guarda che non credo che Alison abbia intenzione di farti fuori, se è questo che ti spaventa» disse.
«No! Io non riesco neanche più a guardarla in faccia, mi sento in colpa!» esclamò Peter.
«Pete, non puoi nasconderti da lei per sempre» gli fece notare Mike.
«E chi lo dice?»
«Io» rispose John, che stava ancora lottando per allontanare Peter.
«E anche io» si aggiunse Mike.
«Non posso farci niente, mi sembra di averle fatto troppo male!»
«Diglielo» fece John alzando le spalle.
«Non posso»
John continuò a tenere lo sguardo fisso su Alison, mentre nel frattempo cercava di staccarsi Peter di dosso.
«Pericolo scampato, vieni fuori» ordinò.
«No, potrebbe tornare»
«Ho detto» disse John prendendolo per un orecchio «Vieni fuori!»
«John, non esagerare, così gli fai male» lo ammonì Mike.
John finse di non averlo sentito e Peter fu costretto a rimettersi dritto accanto all'amico e si lasciò sfuggire un gemito di dolore.
«Sei impazzito? Mi hai fatto male!»
«Si può sapere cos'hai dentro quel cervellino?» urlò John, ignorando completamente le lamentele di Peter.
«Non vuole parlarmi, e ogni volta che mi vede mi guarda con quegli occhi... come se mi odiasse. Non riesco a sopportarlo» rispose lui, massaggiandosi l'orecchio.
«Secondo me non ti odia affatto» osservò Mike. John sospirò.
«Che possiamo fare per rivedere il vecchio Kane?» chiese.
«Quale, quello che si faceva pestare da Wood o quello che rischiava di svenire ogni volta che parlava con una ragazza?» chiese Peter contrariato.
«Quello che mi ha subito trattato come un amico anche se non mi conosceva per niente» rispose John.
La risposta spiazzò Peter, non aveva mai pensato che John lo vedesse in quei termini. Perfino Mike sembrò sorpreso dalle parole dell'amico.
«John, hai appena detto qualcosa di sensibile?» chiese infatti.
«Adesso non farne una questione di stato, un cuore ce l'ho anch'io» borbottò John grattandosi la testa.
«Vorrei solo che lei mi desse il tempo di scusarmi...» spiegò Peter.
«Ti farebbe sentire meglio poterle parlare?»
«Penso di sì, ma non succederà, non vuole nemmeno avvicinarsi a me, figuriamoci se vuole ascoltarmi»
«Alison!» gridò John a gran voce, cercando di richiamare l'attenzione della ragazza e facendo sobbalzare Peter e Mike.
«Sei impazzito?» gli fece Peter, cercando di tappare la bocca del suo amico.
Alison però si avvicinò incuriosita, insieme alla sua solita amica che non aveva occhi che per John.
«Oh, c'è anche lei...» borbottò infatti John quando vide la ragazza.
«Hai bisogno di qualcosa?» gli chiese Alison.
John scambiò uno sguardo d'intesa con Mike e fece un sorrisetto che non contribuì a diminuire il disagio di Peter.
«Sì... io e Kane ci chiedevamo se potessi farci un favore» disse John con un sorriso ampio mettendo un braccio intorno alle spalle di Peter per costringerlo a restare fermo.
Alison spostò lo sguardo su Peter, e subito la sua espressione diventò terribile.
«Ciao...» le disse lui con il cuore in gola. Alison si voltò risoluta dall'altra parte.
Peter si sentì sprofondare. Tutto faceva pensare che non sarebbe più riuscito a farle sapere quanto gli dispiacesse.
«Tutto qui? Per favore, se proprio vuoi disturbarmi, almeno chiamami per cose importanti la prossima volta, non voglio stare ai tuoi giochetti solo perché questo idiota vuole parlare con me» disse Alison acida, allontanandosi mentre la sua amica salutava John con la mano.
«Non prendertela» gli disse Mike. Peter però era sempre più triste, voleva davvero scusarsi con Alison per averla trattata così male ma lei non gli dava la possibilità per farlo.
«Non so più cosa fare» sussurrò.
«Kane, che dici?»
«Ha ragione. Sono uno stupido, mi merito solo di essere odiato»

Quel sabato aveva programmato di fare qualcosa insieme a Mike e John, che come al solito avevano litigato sul luogo in cui andare ed avevano finito per rimandare la decisione. Probabilmente avrebbero finito per ritrovarsi tutti insieme a casa di uno di loro come sempre.
Sperava davvero che i suoi amici riuscissero a distrarlo perché era passato per gli stadi di tristezza, rabbia, sconforto, e adesso stava attraversando quello in cui si lanciava da solo insulti gratuiti, con la tentazione di sbattere la testa contro il muro ogni volta che ripensava ad Alison.
Era giusto in salotto a decidere insieme a Mike cosa fare per quella sera quando Rob arrivò e si piazzò davanti a loro. Di solito non disturbava mai Peter e Mike, quindi doveva per forza voler chiedere loro un favore.
«Cosa vuoi?» gli chiese Peter.
«Mi accompagni al locale stasera? Mamma ha detto che posso andarci se ci sei anche tu»
Peter spalancò gli occhi. Il locale a cui si riferiva Rob era certamente quello in cui aveva conosciuto Alison. Da quando lei gli aveva rivolto quelle parole così taglienti, Peter non era più riuscito a risollevarsi.
«Sono un idiota» borbottò.
«Oh no, eccolo che ricomincia» si lamentò Rob «Sono giorni che vai avanti così, la vuoi smettere?»
«È lì che ci siamo conosciuti» piagnucolò Peter.
«Sei una lagna» fece Rob.
«Rob, non credo che Pete abbia molta voglia di accompagnarti» gli fece notare Mike.
«Cosa ho fatto di male per avere lui come fratello?» urlò Rob, tornando in camera sua.
«Ha ragione, dovrei sparire dalla faccia della terra»
«Ehm, Pete... allora... cosa facciamo questa sera? Andiamo a casa di John?» chiese Mike, sforzandosi di cambiare discorso.
«Un cretino. Un vero e proprio cretino»
«Oppure preferisci se ci vediamo tutti a casa mia? Posso convincere i miei» insistette Mike.
«E lei non aveva fatto niente di male, capisci? Niente!»
«Allora è deciso, a casa mia» si affrettò a dire Mike, continuando nel suo disperato quanto inutile tentativo di riportare il discorso ad argomenti più allegri.
«Diceva anche di amarmi...»
«Pete, basta adesso!»
Da un po' di giorni praticamente non parlava più d'altro, piangendosi addosso per la propria stupidità. Prima di scoprire che in realtà era Britney a tradire Wood era stato quasi contento di lasciar perdere Alison e dedicarsi ad altro. Era meglio per entrambi stare lontani in una situazione come quella, ma poi aveva capito la verità e per quanto avesse provato ad avvicinare Alison, lei gli rivolgeva sempre parole poco gentili e si allontanava lasciandolo solo ad autocommiserarsi.
«Mike, ammazzami» fece Peter, scivolando lentamente giù dalla poltrona.
«Puoi anche scordartelo, tirati su»
«No, lasciami qui nel mio dolore»
«Rob ha ragione, sei una vera lagna» fece Mike, avvicinandosi a lui e tirandolo su di peso. Peter fu costretto dall'amico a rimettersi dritto e lo guardò contrariato.
«Sì, sono la persona più stupida di questo pianeta»
«Insomma, Pete...»
«Ti stai ancora lamentando per Alison?» disse sua madre entrando in casa e inciampando nel borsone da ginnastica di Rob. Le era bastata una semplice occhiata per capire che Mike stava tenendo Peter dritto in piedi a forza, mentre lui faceva di tutto per rendergli il lavoro difficile.
«Sì» rispose Mike.
«Svegliati, Peter! Non puoi andare avanti così, tutte le volte che ti succede qualcosa ne fai un dramma!» esplose la donna.
«Ma è colpa mia, è tutta colpa mia...»
«Se non ti piace qualcosa, cambiala!» gridò lei prima di andare a cercare Rob per lamentarsi del disordine.
«Sai, non è un brutto consiglio» suggerì Mike «Dille che ti dispiace»
«Ci sto provando da giorni, Mike!»
«Allora non ti stai impegnando abbastanza»
«Ho fatto di tutto, davvero di tutto, ma non vuole più vedermi»
«E tu fai in modo che non possa evitarti»
«Come?»
«Non lo so, fai qualcosa di eclatante... sorprendila»
«L'unico modo per impedirle di andarsene è cercarla sotto casa come uno stalker... fantastico, a quanto pare devo farmi arrestare per poter provare a parlare con lei»
«Nessuno si farà arrestare... ascolta, ho un'idea»
Mentre Mike parlava, Peter si lasciò cadere di nuovo sul divano, riempito di una nuova energia. C'era ancora un modo per riuscire a fare in modo che Alison lo ascoltasse, doveva solo trovarlo.

Aveva finito per declinare l'invito di Mike e John, deciso ad andare a letto presto con l'intenzione di svegliarsi risposato il giorno dopo per poter andare da Alison e, se fosse stato necessario, costringerla ad ascoltarlo. Mike gli aveva dato dei buoni consigli, ed insieme avevano concordato sul fatto che Peter avrebbe dovuto fare tutto da solo. Il problema era che non riusciva a dormire. Era nervoso e si sentiva in colpa, così continuava a rigirarsi nel letto, sentendo prima troppo caldo, poi troppo freddo, poi non riusciva a trovare una posizione comoda in cui addormentarsi.
"No, non ce la faccio ad andare avanti così"
D'impulso prese la sua decisione. Ignorò la sveglia, che indicava che l'ora consigliabile per andare a dormire era passata da un pezzo, e si vestì di tutto punto. Cercò di fare il più velocemente possibile, doveva portare a termine la sua missione prima di perdere il coraggio che lo stava spingendo a farlo.
Senza fare rumore andò nell'ingresso, si mise le scarpe, si coprì e sgattaiolò fuori, facendo ben attenzione a non sbattere la porta per non svegliare sua madre.
Una volta fuori si guardò intorno. Nella sua strada non c'erano lampioni, era praticamente buio. Si avviò velocemente all'incrocio più vicino, che era sufficientemente illuminato da una luce giallastra che rendeva tutto quasi spettrale. Faceva molto freddo, ma non gli interessava. Continuava a correre, maledicendo i trasporti pubblici che a quell'ora erano assenti. Se fossero stati disponibili avrebbe potuto prendere l'autobus per arrivare alla sua destinazione, ma era costretto a correre per almeno mezz'ora a piedi nella notte.
Era disposto a farlo, tutto pur di parlare con lei. Sì, perché aveva deciso di parlare con Alison per l'ultima volta, per chiarire tutto, e questa volta lo avrebbe ascoltato, non avrebbe avuto scelta. Non sarebbero tornati insieme, ma sperava che almeno lei avrebbe smesso di odiarlo una volta sentito quello che aveva da dirle. Proprio come era capitato a lui, Alison doveva essersi convinta che ogni momento passato insieme fosse stato un'illusione, e che quello che contava erano solamente le brutte parole che Peter le aveva detto spezzandole il cuore. Sapendo quanto lei teneva a lui, probabilmente la sua scarsa fiducia aggiunta al suo 'non voglio avere niente a che fare con te' per Alison era stata una vera e propria bomba che l'aveva fatta crollare.
Peter era deciso a rimediare almeno un po' perché conosceva la sensazione che lei stava provando. Non sarebbe stato in grado di fare molto e non voleva costringerla né tentare di convincerla a tornare ad essere come prima. Voleva solamente scusarsi con lei, non riusciva più a vivere con quel peso.
Stanco e sudato, arrivò finalmente alla casa di Alison. Fece per suonare il campanello, ma si ricordò che era troppo tardi per farlo e che probabilmente avrebbe svegliato l'intera famiglia. Prima di seguire l'istinto e correre fino a lì non aveva considerato come fare ad attirare la sua attenzione nel cuore della notte senza rischiare di svegliare tutti.
Pensò di fare come facevano nei film, raccogliendo qualche sassolino e lanciandolo contro la finestra di Alison, ma per quanto si sforzasse non si ricordava quale fosse la sua stanza.
«Andiamo...» borbottò, grattandosi la testa mentre pensava a cosa fare.
Se solo durante il suo moto di rabbia non avesse cancellato il suo numero di telefono avrebbe potuto chiamarla. Però aveva il numero di Britney, anche se non lo aveva mai usato.
Quella era un'emergenza, e sapeva anche cosa poter dire alla ragazza per convincerla ad aiutarlo, così cercò il nome di Britney nella rubrica e fece partire la chiamata. Sarebbe stato inutile mandare un messaggio, ma se avesse insistito abbastanza a far squillare il telefono forse lei si sarebbe svegliata.
«Pronto?» rispose la ragazza assonnata dopo qualche tentativo.
«Ciao Britney, scusa per l'ora» le disse.
«Ma chi è?»
«Sono Peter»
«Peter? Ti rendi conto di che ore sono?»
«Lo so, ma è un'emergenza. Sono fuori da casa tua»
«Vattene subito, non vorrai che chiami la polizia? Sei un maniaco!»
«Non sono qui per te, voglio vedere Alison» le spiegò.
«Cosa? Tu sei pazzo! Non puoi vederla di giorno come tutte le persone normali?»
«Ti prego, devo parlarle adesso, è molto importante. E poi mi devi un favore per non aver detto a Wood che in realtà i messaggi che ho letto erano tuoi»
Ci fu una lunga pausa carica di tensione.
«...Sì, d'accordo. Tanto ormai mi hai svegliata. Vai davanti alla porta, dico a mia sorella di scendere»
«Aspetta»
«Che altro c'è?»
«Non dirle che sono io, altrimenti non vorrà vedermi»
«E va bene... ma sappi che c'è un girone dell'inferno per quelli che svegliano la povera gente alle tre del mattino»
«Grazie»
Sollevato che Britney avesse accettato di aiutarlo, Peter fece come lei gli aveva detto e si mise ad aspettare davanti alla porta d'ingresso.
Dovette aspettare solo qualche minuto prima di sentire la serratura scattare. Alison aprì la porta in pigiama, stanca ed assonnata. Quando lo vide, i suoi occhi si spalancarono.
«Peter» disse sorpresa.
«Ciao» le disse tristemente.
«Scusami, devo... tornare a letto» fece Alison, cercando di chiudergli la porta in faccia. Peter sobbalzò e la fermò. Lottarono per qualche secondo, poi la ragazza decise di arrendersi.
«Cosa fai qui a quest'ora?» gli chiese.
«Dovevo parlarti. Non potevo più aspettare»
«Io non ho niente da dirti...»
«Io sì invece. Non so come... perdonami» le disse.
«Se servirà a farti andare via, sei perdonato» fece lei, stringendosi con le braccia e guardando a terra. Non era per niente difficile capire che qualcosa tra loro si era spezzato. Nell'aria c'erano un gelo ed una tensione che erano difficili da sopportare, e non era solo a causa del clima.
«Mi dispiace tanto, non avrei mai voluto che le cose andassero così»
«Nemmeno io. Ora vai via, per favore» fece lei.
Poteva farcela. Poteva dirle di averle voluto bene, poteva farla sorridere di nuovo, anche se sarebbe stata l'ultima volta prima di sparire dalla sua vita.
«Io... voglio che tu sappia che quando ti ho vista dormire lì vicino a me mi sono sentito la persona più fortunata del mondo, sul serio. Dovevo dirtelo» le disse tutto d'un fiato. Avrebbe dato tutto quello che aveva per poter tornare a quel momento in cui erano felici e niente sembrava poterli dividere.
«Peter, tu non hai voluto credere che fosse tutto un malinteso. Non hai neanche pensato di poterti fidare di me»
«Lo so... è per questo che sono qui a quest'ora. È quello che ho cercato di dirti per tutto il tempo. Mi dispiace»
«So che non volevi credere neanche a questo ma io so che quello che sento... sentivo... quello è amore. E non riesco a fare finta che tu non mi abbia fatto male»
Il verbo al passato fu come un colpo allo stomaco per Peter. Non c'era più niente da fare, Alison aveva deciso di guardare avanti. Non poteva fare altro che trovarsi d'accordo con lei, lui era stato il primo a non darle fiducia, e questo aveva inevitabilmente portato ad un mucchio di guai.
«Te l'ho detto, non possiamo sapere cosa sia l'amore»
«Pensala come vuoi. Tanto ormai è tardi»
«Ho bisogno di chiarire una cosa una volta per tutte» le disse.
«Cioè?»
«Cosa siamo noi?» fece Peter «Stiamo ancora... insieme?»
Alison esitava, e questo non faceva che agitare Peter. Aveva paura che lei rispondesse di no, non voleva sentirlo. Ma allo stesso tempo voleva quasi che lei gli dicesse che era tutto finito per sempre, in questo modo gli avrebbe impedito di farla soffrire ancora.
«Peter, io...»
Spinto da chissà quale forza, Peter la abbracciò, come faceva quando voleva farle capire che teneva a lei. Sentire che Alison non si stava ribellando alla sua stretta era confortante. Entrambi avevano bisogno di quell'abbraccio.
Con movimenti incerti, Alison ricambiò l'abbraccio, nascondendo il viso alla vista di Peter come aveva sempre fatto.
«Lo so che non mi perdonerai per non essermi fidato di te, lo capisco. Ti prometto che dovrai solo dirmelo e io non mi intrometterò mai più nella tua vita» le disse. La sentì muoversi, ma Alison non disse niente. Peter sapeva che Alison, che aveva la testa appoggiata sul suo petto, stava sentendo i mille battiti al minuto del suo cuore, sapeva quanto lui fosse agitato.
«Allora... è la fine?» le chiese. Nessuna risposta.
«Alison, non devi preoccuparti per me, rispondi sinceramente e basta»
«Io... io non lo so» fece lei sciogliendo l'abbraccio.
«Sì che lo sai»
Alison non rispose subito.
«Tu cosa vuoi fare?» gli chiese, dopo attimi interminabili. Sembrava davvero disposta a volergli dare una seconda possibilità. Fino a quel momento era stato quello che Peter aveva davvero voluto, ma adesso capiva che non era la propria felicità la cosa più importante. Quello che gli premeva davvero era che Alison potesse avere qualcuno in grado di darle l'attenzione che meritava.
«Non importa quello che voglio io» le disse.
«A me importa»
Peter fece una smorfia triste. Quello che avrebbe detto di lì a poco avrebbe condizionato irreparabilmente il suo rapporto con Alison, quindi doveva decidere in fretta cosa fare e scegliere le parole adatte.
Si sarebbe pentito per sempre, ma doveva fare la scelta migliore per entrambi.
«Io credo... credo di avere già fatto abbastanza danni nella tua vita. Non me la sento di continuare a farti stare male in questo modo. Nessuno di noi due può andare avanti così»
«Va bene»
Alison si avvicinò a lui e fece per dargli un bacio, facendo cadere ogni speranza di Peter di restare calmo.
«No, aspetta» le disse.
«Cosa c'è?»
«Per favore, non farlo»
«Perché no?»
«Perché baciarti di nuovo mi farebbe cambiare idea. E non posso»
Alison si allungò verso di lui per dargli un bacio sulla guancia, e anche questo fu freddo e rigido rispetto a quelli a cui Peter era abituato. Guardandola, immaginò di avere un'espressione triste tanto quanto quella della ragazza.
«Io spero... che riuscirai a trovare una persona che riesca a darti la fiducia che meriti. Io ho fallito. Ma non devi pensare... neanche per un momento... che ci sia qualcosa che non va in te. Promettimelo per favore» le disse, guardandola negli occhi. Alison sembrò voler analizzare la figura di Peter dalla testa ai piedi prima di decidersi a dargli una risposta.
«Te lo prometto»
«Bene. Era... tutto quello che volevo dirti. Scusa se ti ho svegliata a quest'ora» disse infine.
«Non importa... è stato bello vederti»
Peter la salutò con un cenno e si allontanò nella notte, pensando a quanto amore e quanta gioia avesse appena perso definitivamente con il suo discorso.
L'unica cosa che lo sollevava era che era sicuro che fosse stata la cosa giusta da fare.  

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** LONER IN LOVE. ***


LONER IN LOVE.


«Ti aspetti che io creda che sei andato a bussare alla porta di Alison nel bel mezzo della notte? Kane, non è proprio da te» disse John. Era domenica e si trovavano tutti a casa di John, e Peter aveva deciso di raccontare ai suoi amici quello che aveva fatto la notte precedente. Solo che convincere John si stava dimostrando molto più difficile di quanto pensasse.
«Insomma, perché dovrei dire una cosa del genere se non fosse vero?»
«Non sembri per niente stanco, eppure dici di essere stato sveglio per tutta la notte» osservò John sospettoso.
«Non per tutta la notte, solo fino a quando sono tornato a casa»
«Sì, come no. E poi sei tornato in pace con il mondo perché Alison ti ha perdonato»
«Quello no, ma parlarle mi ha aiutato» rispose Peter.
«Non ci credo, Kane. Tu non sei il tipo che fa queste cose, sei troppo timido per presentarti a casa di una ragazza e dirle... che le avresti detto?»
«Le ho chiesto scusa» disse Peter «E le ho detto che la lascerò stare»
«Sì, e io ho stretto un patto di amore eterno con Rachel»
«John, sono serio»
«Probabilmente la tua povera piccola mente l'ha solo sognato. Chissà, magari hai pensato un po' troppo alla nanetta prima di andare a dormire e così...»
«Ti dico che è successo, chiedi a Britney se non ci credi!» esplose Peter.
«No, non mi importa poi così tanto. L'importante è che tu abbia smesso di sospirare a tutte le ore, eri diventato insopportabile. Ti è passata la fase da artista depresso?»
«Più o meno... almeno adesso so che Alison non mi odia» fece Peter alzando le spalle.
«Che è quello che io e il tuo amico brutto ti abbiamo detto fin dall'inizio» disse John pavoneggiandosi.
«Il mio amico brutto?» domandò Peter perplesso.
«Certo, Mike tra noi è quello brutto! Io sono l'amico bello e tu sei la vittima da salvare, no?» spiegò John contando sulle dita.
«Io sarei la vittima?»
«Un povero ragazzo indifeso viene preso di mira. Starà al bellissimo, simpaticissimo, eccezionale e famosissimo eroe John Catham e alla sua spalla, l'inguardabile, privo di talento e noioso Michael Walpole, risolvere la situazione» recitò John.
«Se ne sei convinto»
«A proposito di Mike, sarà almeno mezz'ora che è in bagno, non è che è caduto dentro la tazza?» chiese John, voltandosi per guardare in direzione del corridoio in cui Mike era sparito tempo prima.
«Forse ha scelto di scappare nelle fogne perché non ti sopportava più» scherzò Peter.
«Ridi quanto vuoi, quel tizio non sa stare senza di me»
«State parlando male di me?» chiese Mike entrando nella stanza.
«No, anzi, stavo proprio dicendo a Kane quanto tu sia simpatico» rispose John prima che Peter potesse aprire bocca.
«Immagino che tu abbia detto solo cose gentili sul mio conto mentre non c'ero, giusto John?»
«Naturalmente»
«John, ma...» fece Peter.
«Non perdiamo tempo Kane, non vedi che Mike vuole sapere come continua la storia?» lo interruppe John.
«Allora, dove eravamo rimasti?» chiese a quel punto Mike.
«Kane stava raccontando storie fantasiose su Alison»
«Ti ho detto che è la verità!»
«Che è successo?» domandò Mike.
«Sono andato a casa sua e abbiamo parlato» spiegò Peter.
«E Kane dice di averla mollata, non è incredibile?» intervenne John con una risata. Era evidente che ancora non credeva alle parole di Peter.
«Non l'ho mollata, ho solo pensato che fosse meglio non darle altri problemi»
«Quindi l'hai mollata» ripeté John.
«Praticamente non c'era già più niente, non voleva neanche parlarmi... avevamo solo bisogno di ammetterlo chiaro e tondo»
«Come ti senti?» gli chiese Mike.
«Guarda guarda, lo psicologo è entrato in azione» lo prese in giro John.
«Chiudi quella bocca» sibilò Mike.
«Sto meglio di prima, questo è sicuro» disse Peter.
«Anche io» disse John.
«Nessuno te l'ha chiesto» gli fece notare Mike.
«Smettetela, voi due» li interruppe Peter. Non aveva voglia di passare il resto della giornata a cercare di calmare l'atmosfera perché loro si erano messi a litigare per l'ennesima volta.
«Pete ha ragione, dobbiamo fare qualcosa di produttivo» disse Mike.
«Io non ho detto che dobbiamo fare...»
«L'ho letto nei tuoi occhi, non c'era bisogno che lo dicessi» tagliò corto Mike con un sorriso.
«Che cosa proponi di fare? Anche se conoscendoti, una mezza idea ce l'ho» fece John.
«Adesso siamo tutti e tre sulla piazza, che ne dite di andare a festeggiare?» chiese Mike.
«Prevedibile» borbottò John.
«Hai un'idea migliore?» disse Mike guardandolo storto.
«Ne ho centinaia»
«Ad esempio?»
«Ecco...»
«Io penso che possa essere una buona idea» disse Peter.
«Tu da che parte stai, Kane? Non puoi pugnalarmi alle spalle così!» fece John, fingendosi offeso.
«Liberarci un po' la mente farebbe bene a tutti» osservò Peter.
«Non a me, avrei troppe ragazze da gestire» disse John incrociando le braccia.
«Da quando tu hai ragazze da gestire?» domandò Mike.
«Non ve l'ho mai detto perché sono molto modesto, ma ci sono almeno quattro ragazze che non fanno altro che assillarmi dalla mattina alla sera»
«Non ci credo neanche se lo vedo» disse Peter.
«A che cosa, alla modestia o alle ragazze? Perché io non credo a nessuna delle due cose» fece Mike.
«Sgorbio di poca fede. Guarda qua» disse John, estraendo il cellulare dalla tasca e mostrando a Mike il suo contenuto. Effettivamente c'erano davvero delle ragazze che non facevano altro che cercarlo e invitarlo continuamente da qualche parte.
«Chi l'avrebbe mai detto» commentò Peter.
«Perché le hai rifiutate tutte?» domandò Mike leggendo i messaggi sul cellulare di John.
«Bisogna spiegarti tutto? A me piacciono quelle mature, te l'ho già detto!» si difese l'altro.
«Ancora con questa storia... lo sappiamo che vedi solo Rachel, ma non è l'unica donna esistente»
«Questo lo so!»
«Allora che problema c'è se qualche ragazza vuole divertirsi un po' con te?»
«Non sono il mio genere» borbottò John. Sia Peter che Mike lo guardarono sorpresi.
«Si può sapere cosa c'è? Piantatela di fissarmi come dei baccalà»
«Che significa che le ragazze non sono il tuo genere?» disse Peter. John spostò lo sguardo da uno all'altro, evidentemente teso.
«C'è un motivo se non voglio uscire con quelle tipe tutte strane» iniziò.
«Allora spiegacelo» esortò Mike. John sospirò.
«E va bene. L'ultima volta che sono uscito con una ragazza della mia età è stato quando avevo tredici anni, ed è andata parecchio male. Crescendo ho deciso che non avrei più commesso lo stesso errore, così ho iniziato ad interessarmi alle donne più grandi. Non so perché, ma sembravano tutte avere una certa... passione per me, non so come spiegarlo. Le avevo tutte in pugno. Mi ha fatto sentire bene, e da allora non riesco più a farmi piacere le mie coetanee... mi sembrano tutte noiose» spiegò John.
«Questa sì che è una storia strana» commentò Mike.
«Non c'è niente da ridere!» si lamentò John.
«Nessuno sta ridendo» disse Peter.
«Fa lo stesso»
«Non capisco perché ti imbarazzi tanto. Ti vergogni forse?» domandò Mike. John scosse la testa.
«No, ma capite che questo mi fa sentire diverso. A volte mi sembra di essere pazzo»
«Di sicuro non sei normale» buttò lì Mike.
«Ve l'ho detto, non posso farci niente. Non è il mio genere e basta»
«Adesso dici così, ma vedrai che troverai una ragazza capace di farti cambiare idea» disse Mike.
«Ci sono più possibilità che Kane e Rachel si mettano insieme»
«Ehi! Perché mi tiri in mezzo al discorso?»
«Basta, non vi sopporto più. Andiamo ad annegare i nostri dispiaceri in qualche drink alla frutta fingendo che sia un superalcolico» disse John alzandosi.
«Drink alla frutta?» ridacchiò Peter.
«Hai ragione, prendiamo direttamente degli alcolici e dimentichiamo tutto per davvero» borbottò John, sorvolando sul fatto che alla loro età non potessero bere alcolici.

Il lunedì successivo nessuno dei tre era nelle condizioni migliori. Avevano passato l'intera serata fuori per accontentare John, che al passaggio di ogni ragazza si fermava ad indicarla ed elencare i motivi per cui non gli piaceva.
Non c'era quindi da stupirsi che la mattina fossero più simili a degli zombie che a degli studenti.
«Accidenti, la prossima volta che Mike propone una serata di domenica giuro che lo lego come un salame e lo chiudo in cantina» disse John con uno sbadiglio.
«Sei stato tu a trascinarci in giro per tutta la città» gli ricordò Peter.
«Non dare la colpa a me, anche tu ti sei divertito»
Il lunedì era sempre il giorno più difficile da affrontare. I due amici faticarono a restare svegli, dandosi pizzicotti a vicenda per non cadere addormentati sul banco.
«Vedo che qualcuno ieri sera è andato a divertirsi» disse il professore di ginnastica quando li vide. In palestra si erano messi in fila uno accanto all'altro come sempre, e mentre Peter si sforzava di tenere gli occhi aperti, John non si era fatto problemi e si era accasciato addosso a lui russando sonoramente.
«Catham!» gridò il professore quando gli passò davanti.
«Sì, cosa c'è? Sono pronto!» urlò John aprendo gli occhi. Tutti scoppiarono a ridere, e Peter lo spinse lontano da sé.
«Catham, non è il caso di dormire, qui stiamo facendo lezione»
«Non si preoccupi, continui pure la lezione, non mi disturba» rispose John assonnato.
«Pensi di essere divertente? Fai venti giri di campo di corsa, vediamo se questo ti tiene sveglio» ordinò il professore.
Con un vistoso sbadiglio, John iniziò a camminare trascinando i piedi, fermandosi ogni volta che il professore si voltava dall'altra parte.
«Ho detto di corsa, Catham!»
«Soffro d'asma, il medico mi ha vietato di correre» disse John.
«Peccato che io ti abbia visto correre ad ogni lezione dall'inizio dell'anno»
Quando John ebbe terminato i suoi giri di corsa, sembrava sul punto di svenire.
«Ti vedo un po' fuori allenamento» disse Peter quando l'amico si avvicinò a lui.
«Ridi pure, tu saresti morto al terzo giro»
«Bella lezione Catham, impressionante» ridacchiò Wood, che era poco distante.
«Vuoi una dimostrazione di boxe dritta sul naso?» fece John. Wood si mise sulla difensiva.
«Stavo solo scherzando» disse.
«Meglio per te. Oggi non è proprio giornata, gira al largo»
«Sei fortunato che dopo scuola io abbia altro da fare»
«Immagino»
Wood tornò ai suoi esercizi, mentre Peter e John si mettevano in un angolo della palestra cercando di non farsi notare dal professore.
«Da quando Wood ha smesso di prenderti di mira è diventato ancora peggio» osservò John.
«Non per me. Non mi era mai capitato di stare così tanto tempo senza essere picchiato» disse Peter.
«Questo lo so. Voglio dire, prima sapevamo che se la sarebbe presa con te quindi potevamo studiare una contromossa. Adesso non sai mai cosa potrebbe fare, e la cosa non mi piace»
«Secondo te dovrei tornare ad essere il suo bersaglio preferito?» chiese Peter con orrore.
John scosse la testa.
«No. Però tieni gli occhi aperti, non si sa mai»
«Catham, Kane, mi dispiace interrompere i vostri discorsi, ma abbiamo una lezione da fare» disse il professore.
Quando uscirono da scuola, stremati per le decine di giri di campo che erano stati costretti a fare per punizione, John convinse Peter a seguirlo.
«Dove andiamo?»
«Voglio capire cos'ha in mente Wood»
«Non voglio offenderti, ma io preferisco stare lontano da lui» disse Peter «E poi da quando ti interessa tanto quello che fa?»
«In condizioni normali ti darei ragione, ma guarda lì»
Peter vide Wood, che come sempre era circondato dai suoi amici e da Britney. Insieme a loro c'era anche Alison, cosa alquanto strana.
«Cosa ci fa Alison con loro?»
«Non ne ho idea, ma sembra divertirsi parecchio... guarda come sta appiccicata a Owens e Landon»
Peter non riusciva a capire perché Alison sembrasse così in confidenza con i due migliori amici di Wood, ma la cosa lo infastidiva parecchio.
«Non mi piace, John. Per niente. Andiamo via»
«Tu vai pure, io ho qualche cosa da fare... ci vediamo domani in classe»
Peter andò a cercare Mike, e quando lo trovò gli raccontò tutto quello che aveva visto.
«Dici che Alison era con loro? Non so, è la sorella di Britney... non ci vedo niente di strano» osservò il ragazzo.
«Probabilmente hai ragione. Devo smetterla di dare retta a John, sto diventando paranoico»
«Sante parole, amico mio»

Una volta a casa, Peter si mise a fare i compiti, lasciandosi distrarre continuamente dai propri pensieri. Possibile che Alison si fosse davvero avvicinata agli amici di Wood? E se fosse diventata come loro?
Aprì un cassetto della scrivania, in cui conservava il ritratto di Alison che aveva fatto durante la lezione di arte.
«Forse è davvero ora di dimenticarti del tutto...» sussurrò.
Per quanto ci avesse provato, non riusciva a metterla da parte. Non avrebbe mai buttato via quel disegno, non avrebbe mai cancellato i ricordi dei bei momenti con Alison.
Quella notte arrivò perfino a sognarla, rivivendo intensamente i momenti che avevano passato insieme.
Il loro primo incontro.
Il loro primo appuntamento.
Il loro primo bacio.
Il momento in cui Alison aveva insistito dicendo di amarlo.
Si svegliò di soprassalto, il sogno era stato talmente reale che aprendo gli occhi era rimasto deluso dal fatto di non trovarsi accanto la ragazza.
Forse doveva chiamarla, parlare con lei, certo che anche Alison stesse passando attraverso gli stessi problemi. Però aveva promesso di non intromettersi più nella sua vita, e non parlarle forse lo avrebbe aiutato a superare il tutto.
Guardò il ritratto di Alison, che aveva appoggiato sul comodino. Lo afferrò, e ne studiò ogni dettaglio per la centesima volta. Non aveva avuto bisogno di trovarsela davanti per disegnare una copia perfetta del suo viso, tanto lo conosceva bene. Le parole che le aveva disegnato intorno, quelle preghiere di scuse ripetute mille volte, ora erano più valide che mai.
"Devo smetterla. Basta" si impose, chiudendo il disegno nel cassetto e cercando di rimettersi a dormire.
Si svegliò come al solito con le urla di sua madre, e si alzò di malavoglia.
Come sempre, andò a scuola insieme a Mike.
Come sempre, aspettò che John arrivasse in classe per iniziare a lamentarsi insieme a lui.
Come sempre, prestò poca attenzione alle lezioni.
«Dove sei stato tutto il giorno ieri?» chiese a John, che dopo averlo salutato era sparito.
«Te l'ho detto che avevo delle cose da fare... sono stato lì ad osservare Wood per un po', poi sono andato ad una visita medica»
«È tutto a posto?»
«Sì, era solo una visita di controllo. Sei tu quello che dovrebbe preoccuparsi»
«Perché?» fece Peter incuriosito.
«Perché quel gorilla di Landon non me la racconta giusta. Ci stava provando con Alison in maniera spudorata»
Peter lanciò un'occhiata a Landon. Non gli sembrava proprio il tipo che potesse interessarsi ad Alison.
«Ne sei sicuro?» chiese poco convinto.
«L'ho visto con i miei occhi» confermò John.
«Forse ti sei sbagliato. In ogni caso non sono affari miei, e neanche tuoi»
John prese a bussargli sulla testa.
«C'è nessuno qui dentro? Io ti dico che Landon ci prova con la tua ex e tu dici che non importa?»
«Lascia perdere»
John però gli aveva messo addosso una certa agitazione. Era possibile che avesse ragione?
A lezione di informatica sarebbe stato seduto accanto a Landon, e quella sarebbe stata l'unica occasione per potergli parlare faccia a faccia senza avere Wood tra i piedi. Doveva chiarire questa faccenda.

«Ciao, Landon» gli disse quando il ragazzo prese posto al suo fianco.
«Ciao»
«Posso farti una domanda?»
Landon si voltò a guardarlo, proprio come avrebbe fatto un gorilla incuriosito.
«Cosa vuoi?»
«Tu conosci Alison?» gli chiese.
«Sì. La sorella di Britney» rispose Landon «E la tua ex»
Peter incassò il colpo. Perfino Landon infieriva sul fatto che si fossero lasciati.
«Sì, esattamente. Che ne pensi di lei?»
Landon alzò le spalle.
«Che ti importa?»
«Semplice curiosità. So che tu, lei e Owens vi siete visti ieri»
«Mi spii, Kane?» chiese Landon sospettoso.
«No, è stato un caso. Allora?» insistette Peter.
«Alison mi piace, è carina» rispose Landon.
«E lei cosa dice di te?»
«Non darmi fastidio, Kane» disse Landon.
«Voglio solo sapere cosa c'è tra te e Alison» insistette Peter.
«Perché vuoi saperlo? Non sono affari tuoi»
Peter lo sapeva, ma non poteva certo dimenticarsi di Alison da un giorno all'altro.
«Hai ragione, voglio solo assicurarmi che lei stia bene» spiegò.
«Stai dicendo che io non la tratto come merita?» si infiammò Landon.
«Non ho mai detto questo...»
«Tu l'hai lasciata, non io. Non venire a dirmi come devo trattarla!»
«Io non ho detto...»
Landon poteva anche essere il più tonto e inoffensivo del gruppo di Wood, ma Peter non aveva mai fatto caso a quanto fosse imponente.
Come al rallentatore lo vide alzarsi in piedi, così indietreggiò istintivamente, facendo cadere la sedia a terra e inciampandoci sopra. Doveva andarsene in fretta da lì.
Landon lo tirò in piedi, prendendolo per la camicia, e Peter desiderò non avere mai iniziato quel discorso con lui.
«Credi che ti lascerò parlare così di me o di Alison? Lasciaci stare!» gridò Landon.
Peter non si mosse, ad un tratto la paura aveva preso possesso del suo corpo.
«Che succede lì? Landon, lascialo!» ruggì la professoressa.
«No, prima devi dirmi che ti penti di quello che hai detto» ringhiò Landon in modo che solo Peter potesse sentirlo. In un attimo, sia John che Wood erano accanto a loro.
«Molla!» intimò John, con un'espressione talmente seria che a Peter vennero i brividi solo al vederlo.
«Non fare sciocchezze, Walt!» aggiunse Wood.
Entrambi cercarono di allentare la presa di Landon sulla camicia di Peter, ma anche se erano due contro uno non ebbero vita facile.
«Non vale la pena farti sospendere per Kane» disse Wood.
"E se non lo sa lui..." pensò Peter.
«Lascialo andare, altrimenti dovrai vedertela con me» lo minacciò John.
«Se solo ci provi sarai tu a dover fare i conti con me, Catham» fece Wood.
«Smettetela tutti e quattro!» intervenne la professoressa. Li aveva raggiunti, e torreggiava su di loro.
«Wood, Catham, tornate ai vostri posti. In quanto a voi due, sedetevi composti e venite da me alla fine della lezione»
John e Wood furono costretti a lasciar perdere e tornare a sedersi. Peter fu finalmente lasciato libero, e si sedette al proprio posto come la professoressa gli aveva detto, lanciando sguardi nervosi in direzione di Landon, temendo che potesse di nuovo esplodere in quel modo.
«Non volevo offenderti» gli disse «Scusami»
Landon non lo guardò ma annuì in segno che aveva capito.
Continuarono la lezione senza rivolgersi la parola, e quando la campanella suonò si diressero entrambi dalla professoressa.
«Chi dei due vuole iniziare a spiegarmi cosa è successo?» domandò la professoressa. Peter guardò Landon, che non sembrava avere intenzione di parlare.
«Credo che sia un po' colpa di tutti e due. Ho sbagliato, dovevo scegliere delle parole più adatte, probabilmente mi sono espresso male. Mi dispiace» disse.
«E a me dispiace di averti quasi preso a pugni» bofonchiò Landon.
«Le cose non si risolvono con la violenza, Landon. Potrei farti sospendere per questo» disse la professoressa.
Anche se a Peter non sarebbe dispiaciuto vedere Wood privato per qualche giorno di uno dei suoi, non trovò giusto che Landon dovesse essere sospeso.
«In fondo non è successo niente» si affrettò a dire «Ci siamo solo capiti male»
«Farò come vuoi, Kane. Landon, non ti farò sospendere, ma una nota disciplinare non te la toglie nessuno. Ora potete andare»
Mentre raggiungevano il resto della classe, Landon parlò.
«Grazie»
«Per cosa?»
«Mi avrebbe sospeso... grazie»
«Figurati»
«Perché l'hai fatto?» gli chiese allora Landon «Perché mi hai difeso?»
«Perché ho capito che avevi ragione, io non ho più niente a che fare con Alison. Non dovevo intromettermi»
«Sei una brava persona, Kane. Io al tuo posto non l'avrei fatto»
«Lo so» rispose Peter secco.
«È solo che da quando ho conosciuto Alison mi sento sempre messo a confronto con te»
«Perché me lo stai dicendo?»
«Perché voglio che tu sappia che farò di tutto per rendere Alison felice. Qualsiasi cosa»
«D'accordo. Ma se dovessi scoprire che l'hai fatta stare male ti verrò a cercare» lo minacciò Peter. Sapeva di non poter fare niente contro Landon, ma non aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere.

Finalmente le lezioni finirono e loro furono liberi di tornare a casa. La loro fu la prima classe ad uscire, quindi si fermarono ad aspettare Mike per andare via tutti e tre insieme.
«Che cosa è successo con Landon?» chiese nuovamente John.
«Niente, è tutto ok»
«Kane, stava per dartele di santa ragione. Non è tutto ok»
«Abbiamo trovato un accordo, non lo farà più»
«Non puoi pensare di pot-»
«Aspettiamo Mike e andiamocene» tagliò corto Peter.
«Dov'è finito quel perditempo?» fece John, improvvisamente distratto quando sentì il nome di Mike, controllando l'orologio. Finalmente riconobbero l'alta figura di Mike in lontananza, che dopo averli cercati con lo sguardo per qualche minuto li raggiunse rapidamente.
«Buongiorno, com'è andata oggi?» chiese.
«Sì, come ti pare» mugugnò John. Peter gli rivolse un cenno di saluto.
«Siete di cattivo umore per caso?» domandò Mike, guardando prima Peter e poi John.
«Landon se l'è presa con Kane dal niente» spiegò John.
«Sul serio, Pete?»
Peter non rispose. Aveva già messo le cose in chiaro con Landon, i suoi amici non avevano niente a che fare con quella storia.
«È tutto a posto» disse solo, fremendo perché voleva tornare a casa in fretta.
Aspettarono un minuto di troppo. Presto videro Alison raggiungere Britney e Wood, e Peter non ebbe bisogno di spiegare che cosa fosse successo a lezione perché John e Mike lo capirono da soli.
Videro Alison rivolgersi a Landon, e anche da quella distanza non faticarono a sentire le sue parole.
«Ciao, Walt»
«Allora è vera la storia di Alison e Walter Landon? Quella ragazza deve avere preso una bella botta in testa» disse John. Peter annuì tristemente. Non voleva crederci, eppure stava succedendo davanti ai suoi occhi.
«Come ho fatto a non accorgermi di una cosa così?» chiese Mike.
«Perché hai lo spirito di osservazione di un soprammobile» disse John. Mike gli tirò una gomitata, ma lo mancò e si ritrovò a barcollare per cercare di non cadere per terra come un sacco di patate.
Nel frattempo, Peter non staccò un secondo gli occhi da Alison. Sembrava che lei lo stesse facendo apposta ad essere così appariscente davanti a lui.
Stava sorridendo, proprio come sorrideva a Peter quando stavano insieme. Landon di rimando le offriva una smorfia disgustosa che nella sua testa doveva essere un sorriso gentile.
«Che schifo, come fa a stargli così vicina?» chiese John.
«Come fa anche solo a guardarlo?» aggiunse Mike.
«Non c'è bisogno di insultarlo per farmi sentire meglio, sul serio»
«Ma sta troppo vicino alla tua ex» insistette John.
«Appunto. Non stiamo più insieme, Alison può fare quello che vuole»
«Se vuoi posso rompergli il naso come lui ha fatto con te» si offrì John.
«Lascia stare. Può fare quello che vuole con chi vuole. Io ho giurato che non le avrei più dato fastidio»
«Sembra quasi che lo stia facendo apposta davanti a te» disse John, dando voce ai pensieri di Peter.
«Anche se fosse, non sono affari miei» rispose lui alzando le spalle.
«Sei troppo ottimista, Kane. Io gliene direi quattro»
«Ho detto che non mi importa. E poi ci ho già provato»
«D'accordo, la decisione sta a te» fece Mike.
«Quanto ci ha messo, quattro giorni a passare ad un altro?» domandò John, provocando un tuffo al cuore di Peter.
«Probabilmente si conoscono da più tempo» rispose «Landon è amico di Wood e Wood sta insieme a Britney, ricordi? Non sarà stato difficile per Alison e Landon incontrarsi»
«Ah, già... però lasciatelo dire, eri meglio tu»
«Se è un complimento, grazie»
«Andiamo via?» chiese Mike.
Peter annuì. Era meglio tornare a casa prima di sprofondare di nuovo in quell'umore nero che aveva imparato a conoscere bene. Prima che potessero incamminarsi, Alison abbracciò Landon e lo prese per mano prima di seguire Britney e Wood insieme a lui.
«L'ho detto e lo ripeto, è un vero schifo» commentò John.
«Sì, fa schifo» concordò Peter.  

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** OVER NOW. ***


OVER NOW.


«Non ci capisco niente»
«Ti ho detto che è facile, perché continui a sbagliare?»
«Perché sono sempre stato un incapace in matematica e lo sarò sempre»
«Se inizi così non ci riuscirai mai»
«Probabilmente è destino»
Si trovava in classe, durante la lezione di matematica, e come di consueto aveva preso posto in fondo all'aula per tenersi a distanza dalla cattedra. Dovevano svolgere degli esercizi, ma Peter non aveva capito assolutamente nulla della spiegazione del professor Bloomberg, così John aveva perso gli ultimi quaranta minuti a cercare di aiutarlo.
«Insomma, cosa c'è che non va in te? È un esercizio semplicissimo!» si lamentò John quando Peter sbagliò il procedimento per la terza volta di fila.
«Ti ho detto che non ho capito, non mi importa se è facile o no» si arrese Peter, lanciando via la matita. Quella rimbalzò sul banco e poi rotolò sul pavimento, finendo tre metri più in là.
«Devi solamente estrarre la radice quadrata e poi moltiplicare, non ci vuole un genio» insistette John, che invece aveva completato tutti gli esercizi nel giro di dieci minuti.
«Ma il risultato è sbagliato!»
«Questo perché hai copiato male il testo!»
«Non potevi dirmelo prima?»
«Credevo che te ne fossi accorto!»
«Kane, c'è qualche problema?» domandò il professore dalla cattedra. Peter si rese conto solo in quel momento di avere alzato un po' troppo la voce.
«No, mi scusi» disse.
«Vi ricordo che la prossima lezione ricominceremo le interrogazioni. Fate in modo di essere preparati, non voglio vedere nessuno di voi questa estate» fece il professore rivolgendosi all'intera classe.
«Credo di non poterla accontentare...» sussurrò Peter. John gli diede una pacca sulla schiena così improvvisa che Peter gridò dallo spavento.
«Su, ci pensa il professor John a farti recuperare, fosse l'ultima cosa che faccio»
«Hai visto che sono un caso perso» gli fece notare Peter.
«Questo è vero, sei il peggior caso di incapacità matematica che abbia mai visto. Ma penso di poterti insegnare qualcosa»
«Se ci riesci ti faccio una statua»
«In oro massiccio e in scala uno a uno, grazie» ridacchiò John.
«Prova a rispiegarmelo, stavolta cercherò di impegnarmi» disse Peter.
«Prima vai a prendere la matita, ti servirà»
«Catham, Owens, vorrei parlare con voi un momento» disse il professor Bloomberg. John guardò incuriosito Steven Owens, uno degli amici di Wood, ed entrambi si alzarono dalla sedia nello stesso momento.
Peter seguì in silenzio gli avvenimenti. John e Owens erano i migliori studenti del corso di matematica, era facile intuire perché il professore li avesse richiamati insieme.
Mentre cercava la matita in giro per tutta la classe riuscì a sentire qualche stralcio della loro conversazione, scoprendo che il professore aveva iscritto entrambi i suoi compagni di classe ad una specie di gara matematica.
"John non mi sembra molto contento..."
John aveva infatti un muso lungo fino a terra, mentre Owens non sembrava particolarmente dispiaciuto dalla richiesta del professore.

«Guarda cosa mi tocca fare, io non ne ho voglia» borbottò John mentre si dirigevano verso la classe di inglese.
Come Peter aveva intuito, il professore aveva chiesto a John e Owens di rappresentare la scuola alle competizioni matematiche regionali, visto che erano i migliori studenti dell'intero corso.
«Almeno tu non rischi il debito in matematica»
«Meglio cento debiti che un giorno in mezzo a quei tizi che credono che la matematica sia la cosa più importante sulla faccia della terra»
«Perché non dici al professore che non vuoi farlo? Capirà» suggerì Peter.
«Ci ho già provato, dice che se non ci vado mi darà compiti extra per il resto dell'anno»
«Allora non hai scelta. Almeno potrai saltare le lezioni per un paio di giorni»
«Ti dico la verità, mi dispiacerebbe non vedere tutto questo per qualche giorno» rispose John accennando a Rachel che era già in classe ad aspettarli.
«Non credevo che ti piacesse così tanto» disse Peter sorpreso. Per tutto il tempo aveva pensato che John si stesse semplicemente divertendo a fare apprezzamenti su Rachel, e solo ora che lo guardava bene si rendeva conto che in realtà il suo amico era stato sincero fin dall'inizio.
«Stai scherzando? L'hai guardata bene?»
«Ho avuto altre ragazze in mente...» iniziò Peter.
«Non di nuovo Alison, ti prego, abbi pietà» supplicò John.
«Stavo per dire che sto iniziando a guardare di nuovo anche le altre»
Era vero, dopo aver avuto la conferma che Alison aveva deciso di dimenticarlo facendosi 'aiutare' da Walter Landon, Peter si era sentito stranamente meglio. Viste le prime reazioni che aveva avuto, aveva pensato che sarebbe stato difficile accettare la cosa, invece vedere Alison insieme a Landon gli era stato utile. Sarebbe stata una perdita di tempo continuare a pensare a lei, così aveva fatto di tutto per distrarsi con altre cose.
Le lezioni di inglese, ad esempio, erano un'ottima distrazione.
Quel giorno stavano studiando poesia, e la professoressa Walstone aveva lasciato che fosse Rachel a condurre la lezione.
«Vediamo... chi vuole recitarci una poesia?» domandò la ragazza dopo aver elencato rapidamente le caratteristiche più comuni delle poesie.
«Che genere di poesia?» chiese Wood.
«Quella che volete. Tanto per capire quale genere di poesia preferite» rispose Rachel. John guardò Peter con il sorriso che faceva intendere che stava per combinare qualcosa.
«Io» disse infatti con disinvoltura.
Tutti si voltarono a guardarlo, alcuni ridacchiando e altri chiedendo se fosse impazzito.
«John Catham?» fece Rachel.
«Sì, spero che non ti dispiaccia»
«No, affatto. Che cosa vuoi farci sentire?»
«Mi piacciono molto le poesie d'amore» disse John alzandosi in piedi. Peter lo osservò per tutto il tempo, mentre il suo amico si schiariva la voce.
«D'accordo. Prego, ti ascoltiamo»
«Con piacere» fece John, guardando Peter con la coda dell'occhio.
"John... che cosa stai per fare?"
«Oh, Rachel, Rachel... ti prego non andartene mai. Se dovessi lasciarmi il mio cuore... il mio cuore... si spezzerebbe in due e non riuscirei a riprendermi, sai» recitò. Peter rise.
Non solo John si era appena inventato la poesia d'amore peggiore che avesse mai sentito, ma l'aveva addirittura dedicata a Rachel senza mostrare traccia di imbarazzo per la pessima figura che aveva fatto.
Rachel, invece, era arrossita violentemente.
Quando Peter si rese conto dell'imbarazzo generale che era piombato sulla classe si affrettò a soffocare la risata.
«Che dire? Ti ringrazio per questo omaggio, John. Ma non provarci mai più» disse Rachel dopo un'eternità.
«Sono contento che ti sia piaciuta» rispose John, tornando a sedersi.
«Catham, non puoi dare del tu agli insegnanti. E quella poesia, se così si può chiamare, era orribile e di pessimo gusto» lo riprese la professoressa Walstone. John alzò le spalle.
«Nemmeno i grandi poeti erano capiti, è indice di genialità» osservò.
«John, stai zitto» gli consigliò Peter a mezza voce.
«Ti sei guadagnato un'insufficienza» disse infatti la professoressa Walstone.
«Un giorno apprezzerà il mio modo di fare poesia» mormorò John compiaciuto.
«Bene... continuiamo...» fece Rachel, facendo di tutto per non guardare John.
«Tu sei completamente pazzo» sussurrò Peter.
«Guarda che ha funzionato. Hai visto quanto è arrossita?» bisbigliò John in risposta.
«Quello è imbarazzo, evidentemente è una parola che non conosci» spiegò Peter.
«Questo è poco ma sicuro» disse John con un sorrisetto.
«Dovresti chiederle scusa... guardala, non riesce più a restare concentrata»
Rachel infatti continuava a camminare avanti e indietro con il libro a pochi centimetri dalla faccia, sbagliando continuamente le parole che leggeva e urtando banchi e cattedra.
«Forse hai ragione. Lo farò alla fine della lezione» ammise John. Forse aveva finalmente capito di avere esagerato, perché aveva assunto un'espressione colpevole.
«Ti conviene. Povera Rachel»
«Secondo me le ha fatto piacere» borbottò John.
«Io non credo che...»
«Catham, Kane, visto che vi divertite tanto verrete in corridoio con me e vi interrogherò sulle ultime lezioni. Magari così vi passerà la voglia di comportarvi come se foste a casa vostra» disse la professoressa Walstone.
«Guarda cos'hai combinato, non posso permettermi un'altra insufficienza!» sibilò Peter.
«Adesso sarebbe colpa mia? Guarda che anche tu stavi parlando!»
«Muovetevi, fuori!» urlò la professoressa, aprendo la porta ed esortandoli ad uscire. John si alzò con calma, e Peter si ritrovò a seguirlo contrariato.
«Cos'è quella faccia? Non stiamo mica per essere giustiziati» chiese John.
«C'è poco da ridere, io non so niente» disse Peter sottovoce cercando di non farsi sentire dalla professoressa.
«Ti suggerisco io»
«Grazie ma non credo che servirà a molto»
Fortunatamente per Peter, la professoressa non ebbe il tempo di interrogare entrambi. Sembrava che il tentativo di poesia di John l'avesse infastidita molto, così passò tutto il resto dell'ora ad accanirsi contro di lui, ponendogli domande sempre più difficili.
John però fu all'altezza della situazione, come spesso accadeva, e riuscì a cavarsela senza alcun problema.
«Hai studiato. Molto bene, per questa volta puoi andare» disse la professoressa Walstone quando la campanella suonò «Però ti avverto: non mancare mai più di rispetto ad un'insegnante come hai fatto con Rachel o ti faccio buttare fuori»
I due tornarono in classe e, vista l'insistenza di Peter, John decise di parlare con Rachel.
«È permesso?» chiese John, restando sulla soglia. Rachel si voltò a guardarlo. Era ancora rossa in viso. Peter guardò storto John, che sembrò finalmente capire quanto il suo gesto avesse avuto effetto e abbassò la testa dispiaciuto.
«Oh, siete voi. Entrate pure»
«Hai caldo per caso?» le chiese John, ironizzando sul suo rossore. Peter gli tirò una gomitata.
Non era possibile che anche in quel caso il suo amico non perdesse occasione per dire sciocchezze.
«Forza, cosa devi dire?» gli fece. Rachel spostava lo sguardo dall'uno all'altro, in attesa che parlassero.
«Mi dispiace davvero, mi sono reso conto troppo tardi di averti messa in imbarazzo» disse allora John.
«Non preoccuparti, John. Sei stato carino a recitare quella poesia per me» rispose lei, accompagnandosi con un sorriso nervoso.
«Hai sentito? Ha detto che sono carino» disse John compiaciuto voltandosi verso Peter.
«Non ho detto che sei carino, ho detto che il gesto è stato carino» lo corresse Rachel.
«Ogni tanto John si monta la testa e sente solo quello che vuole, non farci caso» spiegò Peter.
«Me ne sono accorta»
«Quindi ti è piaciuta la mia poesia?» chiese John, seguendo un ragionamento tutto suo ed ignorando il resto del discorso.
«Te l'ho detto, sei stato gentile, ma avrei preferito se non l'avessi recitata davanti a tutta la classe...»
«Sei stata tu a chiedermelo»
Peter scosse la testa. Non riusciva a credere che John stesse approfittando della situazione fino a quel punto.
«Hai ragione. Allora siamo pari» fece Rachel.
«Allora... usciamo insieme sabato?» chiese John. Peter spalancò gli occhi.
«John!»
«Tranquillo, Peter. Scusami John, ma mi vedo costretta a rifiutare l'invito. Come immagini non è conveniente che un'insegnante frequenti uno studente» disse Rachel con calma.
«Oh... d'accordo. Magari quando la scuola sarà finita potrei chiedertelo ancora»
«Sì, certo... non ti assicuro che la risposta sarà diversa ma se vorrai fare un tentativo...» balbettò Rachel in stato di agitazione.
«Va bene. Allora ci vediamo presto» disse lui, voltandosi e uscendo con un piccolo inchino.
«Scusalo. Non capisce quando fermarsi, pensa che tutto sia un gioco» lo giustificò Peter.
«Non devi preoccuparti, ne ho conosciuti molti di tipi come lui. È divertente, ma a volte insiste un po' troppo»
«Già. Ma se non lo facesse non sarebbe più John»
«Anche questo è vero. Non dirglielo, ma è vero che lo trovo carino» bisbigliò Rachel ridacchiando. Peter accennò un sorriso a sua volta, chiedendosi cosa avrebbe detto John se lo avesse saputo.
«Assolutamente, non posso dirgli una cosa del genere, il suo ego è già smisurato»
«Penso che alla fine accetterò un'uscita con lui per sfinimento... spero solo che succeda il più tardi possibile, ci provocherebbe parecchi guai»
«Usciresti davvero con lui?» chiese Peter, senza riuscire a trattenersi.
«Forse se avesse dieci anni in più... non è proprio il mio tipo»
«Non mi sorprende» rise Peter.
«Peter, cosa fai qui con lei?»
Quando si trovò Alison davanti avvertì immediatamente un nodo alla bocca dello stomaco.
«Alison, sei qui per consegnare la tua ricerca?» le chiese subito Rachel dopo essersi schiarita la voce.
«Sì, ma non vedo la professoressa qui intorno» rispose lei, guardando Peter sospettosa.
«Puoi dare a me, ci penso io» fece Rachel. Alison le consegnò una cartelletta che teneva in mano, sempre senza staccare gli occhi da Peter.
«Ehm... penso sia meglio che vada...» disse lui.
«Va bene, Peter. Ricordati, tieni la bocca cucita su quella piccola faccenda» gli disse Rachel, facendogli l'occhiolino.
«Certo»
«Aspettami, ho bisogno di parlarti» lo richiamò Alison.
Con riluttanza, Peter si fermò ad aspettarla. Una volta che la ragazza si fu assicurata che la sua ricerca sarebbe finita tra le mani della professoressa Walstone uscì dalla classe rivolgendo un'occhiataccia a Rachel.
«Andiamo» ordinò a Peter.
«Non sono il tuo cane» rispose lui. Alison sospirò.
«Potresti seguirmi, per favore?» chiese allora.
«Molto meglio»
Si incamminarono, uno accanto all'altra, e Peter si sentì sempre più confuso. Avevano deciso di tagliare i ponti, allora perché adesso stavano camminando insieme per i corridoi della scuola?
«Cosa ci facevi da solo con lei?» gli domandò Alison acida.
«Lei ha un nome»
«Perché eri con Rachel?» insistette la ragazza, facendo trasparire una punta di odio quando pronunciò il nome dell'assistente della professoressa.
«Magari perché è un'insegnante. Comunque non sono affari tuoi, o sbaglio?» rispose lui con rabbia.
Alison si rabbuiò.
«No, infatti. Però...» balbettò.
«Però niente. Io ti ho vista con Landon, eppure non ti ho detto niente. Tu non hai nessun diritto di intrometterti nella mia vita, soprattutto se si tratta solo di parlare con una professoressa» la interruppe Peter. Non aveva mai parlato così apertamente e duramente con Alison, nemmeno quando le aveva detto di non voler più avere niente a che fare con lei. In questo caso non stava urlando, le stava solo parlando sinceramente.
«Mi hai vista?» fece lei spalancando gli occhi.
«Smettila, Alison. Anche John e Mike si sono accorti che lo stavi facendo sotto il mio naso solo per farti vedere da me. Cosa vuoi davvero?»
«Penso che lasciarci sia stato uno sbaglio. Io non voglio stare senza di te» ammise la ragazza.
«Un po' tardi, non credi? Sei stata tu a lasciare che fossi io a decidere. E ho deciso di uscire dalla tua vita. Accettalo, per favore» implorò Peter. Quella faccenda lo stava stancando, possibile che ogni volta che pensava di aver superato un problema se ne presentasse un altro?
«Non posso farlo. Credevo di riuscirci, ma... quando ti ho visto con Rachel...»
Peter si fermò e si mise di fronte a lei.
«Che senso ha? Sei veramente gelosa di una professoressa?»
«Sono gelosa di chiunque abbia la fortuna di averti nella sua vita» mormorò Alison, così piano che Peter dovette avvicinarsi per sentirla.
«Io sono felice di avere avuto te nella mia. Ma è stato difficile superare tutto quello che ci è successo, non complicare ancora le cose»
«Sei davvero convinto?»
«Sì. E poi, se stai giocando con Landon fermati subito. Non se lo merita»
«Credevo che lo odiassi»
Peter scosse la testa.
«No. Quando vuole è un tipo a posto»
«Magari in futuro ci riproveremo. Sai cosa provo per te» disse Alison a quel punto.
«Lo so, e non me lo dimenticherò»
Alison aveva gli occhi lucidi, ma Peter si concentrò per non lasciarsi impietosire. Troppe volte era caduto in quella trappola, troppe volte aveva ceduto allo sguardo di Alison. Troppe volte le aveva detto sì. Era arrivato il momento di dirle un no deciso.
«Io... ti vorrò sempre bene» disse Alison.
«Vale anche per me. Adesso però è ora di separarci una volta per tutte, lo capisci?»
Alison scosse la testa.
«No, non voglio»
Peter sospirò. Non riusciva a credere che dopo tutto quel tempo, dopo quello che era successo e quello che avevano passato, lei stesse tornando all'attacco. Doveva giocarsi l'ultima carta. Forse quelle soap opera che guardava sempre sua madre e che era costretto ad ascoltare mentre pranzava gli sarebbero tornate utili.
«Hai detto che mi ami. Vero?» le chiese. Alison annuì.
«Sì, l'ho detto. È la verità»
«Allora se mi ami davvero...» disse, guardandola negli occhi «Rispetta le mie scelte. Per favore»
Alison sembrava sconvolta, ma non tardò a rispondere.
«Hai ragione. Devo mettere il tuo bene prima di tutto»
"Non riesco a credere che un paio di frasi smielate rubate ad un qualche stupido programma abbiano funzionato davvero"
«Grazie, Alison» disse lui. Voleva andare in classe e troncare lì la conversazione, ma Alison parlò un'ultima volta.
«Peter... posso farti una domanda?»
«Sì»
«C'è qualche possibilità di restare amici?» gli domandò tesa.
«Credo di sì» le disse.
Era sorpreso di se stesso. Non era mai riuscito ad esprimere i propri sentimenti in quel modo, ma adesso aveva finalmente trovato il modo di spiegare ad Alison tutto quello che gli passava per la testa, e in tutto questo era anche riuscito a mantenere la calma.

«Non riesco a credere che Rachel mi abbia detto di no» si lamentò John per la milionesima volta.
«Sai, mi sorprendi. Non pensavo che l'avresti veramente invitata» disse Mike.
«Cosa credevi? Era solo questione di tempo, lo sanno tutti che lei mi piace»
«Però potevi risparmiarti di recitare quella cosa ridicola» gli ricordò Peter.
«Devi farmi sempre la predica?» sbottò John.
«Aspetta, com'era quella poesia, Pete? 'Rachel non lasciarmi mai, morirei... bla bla bla'» fece Mike in una brutta imitazione di John.
«Io non parlo così!»
«In verità un po' ti somiglia» commentò Peter.
«Io sono più bello di lui» disse John.
«E io non mi faccio rifiutare clamorosamente dalle ragazze» replicò Mike con un ghigno.
«Guarda cosa mi tocca sentire! Scommetto tutto quello che ho che non avresti il coraggio di invitare Rachel!» esclamò John.
«Non lo faccio solo perché so che piace a te. Non uscirei con lei nemmeno se fosse lei stessa a chiedermelo. Non sono un traditore» puntualizzò Mike. John sbuffò.
«E tu, Kane? Tu cosa faresti se Rachel dicesse di essere innamorata di te?»
«Non lo so... è un po' impossibile che succeda» rispose lui.
«Facciamo un'ipotesi. Che faresti?»
«Le direi di no, credo. Nemmeno io sono un amico traditore» disse infine.
«Voi due siete troppo santarellini. Io le salterei addosso senza farmi problemi» spiegò John stiracchiandosi.
«Anche se piacesse a me?» chiese Mike.
«Soprattutto se piacesse a te» rise John.
«Fai schifo come amico» disse Mike.
«Il sentimento è reciproco»
«E voi siete tutti e due dei pessimi ascoltatori» si intromise Peter.
«Perché? L'abbiamo sentita la storia di Alison. Faceva finta che Landon le piacesse solo per farti ingelosire, è il trucco più vecchio del mondo» fece John.
Quando Peter aveva raccontato l'accaduto, infatti, nessuno dei due era sembrato troppo sorpreso.
«Quello che mi chiedo è: ha funzionato? Insomma, ti sei lasciato ingelosire?» domandò Mike. Peter scosse la testa lentamente.
«No. La cosa strana è che non mi ha dato fastidio. Penso di aver cominciato a cicatrizzare quella ferita»
«Oppure hai semplicemente capito che visto che vi siete mollati, e sottolineo mollati, non aveva più senso frignare tutti i giorni per lei» lo corresse John.
«Penso che fosse quello che intendeva» gli fece notare Mike.
«Tutto quello che so è che adesso non sto più così male se penso a lei. O meglio, quando penso a lei. Non capita più così spesso»
«Questa sì che è una buona notizia. Ora, se non vi dispiace, devo preoccuparmi di come arrivare in fretta alla fine della scuola per poter invitare di nuovo Rachel a uscire con me»
«Guarda che non ha detto che ti dirà di sì» disse Mike.
«Lascialo sognare» rise Peter.  

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** WHAT I GO TO SCHOOL FOR. ***


WHAT I GO TO SCHOOL FOR.


«Tanto per cambiare, siamo in ritardo anche oggi» disse Rob.
I due fratelli si erano persi come al solito nel torpore mattutino, addormentandosi a tavola e in bagno, rigirandosi nel letto e finendo per ricordarsi all'ultimo minuto di avere bisogno di qualche libro e cose simili.
«Meglio se non ci facciamo scoprire dalla mamma» fece Peter.
«Sbrighiamoci, prima che si accorga che siamo ancora qui» concordò Rob. Uscirono di casa cercando di essere silenziosi, e Peter fu sorpreso di vedere Mike ad aspettarlo nonostante l'orario.
«Come mai sei ancora qui?» gli chiese.
«Oggi dovrei entrare un'ora dopo» rispose l'altro con uno sbadiglio «Ma mi sono alzato comunque perché voglio andare a studiare in biblioteca. Insomma, non ho fretta»
«Beato te» disse Rob «Io rischio di prendermi la terza nota di ritardo questa settimana»
I tre si incamminarono verso scuola a passo svelto, perché Rob insisteva dicendo che se fosse stato penalizzato un'altra volta gli sarebbe stato abbassato il voto di condotta, e tutti sapevano che quello era l'unico giudizio su cui sua madre pretendeva il massimo.
Cominciarono a correre, ed essendo Rob e Mike piuttosto atletici non ebbero problemi. Al contrario, Peter fece molta fatica a stare loro dietro, ed arrivò a scuola grondante di sudore.
«Potevi dirmi di rallentare, ti avrei aspettato» gli disse Mike quando lo vide ansimare. Peter scosse la testa.
«No... neanche io... voglio arrivare in ritardo» spiegò lui, mentre fu percorso da un brivido freddo lungo la schiena.
«D'accordo... ci vediamo dopo» disse Mike, salutandolo con un cenno.
«Ciao»
«Sei ridicolo, ti sei ridotto così per un paio di minuti di corsa?» chiese Rob. Peter lo guardò storto.
«Non eri in ritardo?» gli ricordò. Rob sbiancò.
«Già... ciao» disse, prima di sfrecciare via.
Peter sospirò. La campanella doveva essere suonata già da un pezzo, non aveva senso affaticarsi ancora visto che avrebbe comunque avuto un richiamo. Iniziò a salire le scale e disfarsi della giacca pesante, lamentandosi per il caldo e per il fiato corto.
Appena passò davanti ad una fila di finestre fu percorso da un altro brivido. Non era affatto un buon segno.
Scorse con lo sguardo tutte le porte fino a trovare quella dell'aula di arte. Prima di entrare bussò ripetutamente, sperando che la professoressa fosse di buon umore.
«Avanti» la sentì dire. Aprì la porta frettolosamente e notò che erano già tutti seduti e al lavoro.
«Mi scusi per il ritardo» disse. La professoressa Morris lo squadrò dalla testa ai piedi.
«Buongiorno. Vai a sederti» gli ordinò con calma. Accanto a lei c'era Audrey, una compagna di classe di Peter. A quanto pareva la stava interrogando.
«Avrò un richiamo?» chiese Peter alla professoressa, battendo i denti per il freddo dovuto ai vestiti umidi.
«Temo di sì, ma visto che è la prima volta che arrivi in ritardo ad una mia lezione non è una cosa grave»
«Ok. Mi scusi ancora»
Si diresse verso il banco vuoto accanto a John, che era talmente concentrato sul libro che non lo vide arrivare.
«Ciao» gli disse. John alzò lo sguardo.
«Oh, Kane» disse distrattamente «Quando sei arrivato?»
«Proprio adesso» spiegò Peter sedendosi.
«Per caso sta piovendo?» domandò John notando il sudore sul suo viso.
«Ehm, no... cosa stai facendo?»
«La prof ha detto che vuole interrogarmi quando avrà finito con Audrey. Che cosa vuoi che ne sappia io di questa roba?» fece John indicando una pagina del libro.
«Non hai mai sentito parlare di Picasso?» chiese Peter perplesso notando che i quadri che stava osservando John erano proprio quelli del famoso artista.
«Dovrei?»
«È solo uno degli artisti più famosi del mondo»
«Beh, io non lo conosco. Guarda come disegna, fa queste cose tutte storte... non capisco nemmeno da che parte si guardano» si lamentò John prendendo in mano il libro e mettendolo sottosopra.
«Quello che indica il libro è il verso giusto» spiegò Peter, rabbrividendo ancora. Gli sembrava che in quella stanza facesse molto freddo, i termosifoni dovevano essere spenti.
«Tu dici? Mi limiterò a studiare le didascalie» decise infine John.
«Io non credo che funzionerà»
«Non sottovalutarmi»
«Catham, è il tuo turno» disse la professoressa dopo qualche minuto. Audrey tornò a sedersi al suo banco, e John si alzò rassegnato.
«Vedrai, sarà la migliore interrogazione su Piero Picasso che lei abbia mai sentito» sussurrò a Peter.
«Non so se sarà la migliore, ma senza dubbio sarà l'unica che lei abbia mai sentito, visto che il nome di Picasso è Pablo» gli fece notare lui.
«Non cercare di confondermi» disse John con una risata.
Quando Peter rimase solo al banco, si accorse di avere sempre più freddo. Pensò di rimettersi il berretto in testa per contrastare i brividi, ma la professoressa lo riprese dicendo che non era buona educazione indossare i cappelli in classe.
«Mi dispiace, ma ho freddo» si giustificò.
«Purtroppo non posso lasciarti infrangere le regole, nemmeno se hai freddo»
Fu quindi costretto a togliere il berretto e non poter mettere addosso il suo fidato piumino, perché sapeva che i professori non gradivano quando la divisa veniva coperta alla vista.
"Il codice della scuola prevede che si possa indossare solo la divisa, o in alternativa la tuta da ginnastica fornita dall'istituto. Durante le lezioni non ci si può coprire con giacche, giubbotti o indumenti di alcun tipo, in quanto questo annullerebbe l'uguaglianza dettata dalle divise" recitò Peter nella propria testa. La scuola non poteva avere un regolamento più stupido, quale persona obbligava gli studenti a sentirsi male per non rovinare l'uguaglianza data dalle divise?
Passò il resto dell'ora ad annoiarsi, visto che non aveva nemmeno John accanto con cui parlare. Tenne lo sguardo fisso su Wood per buona parte del tempo, domandandosi per quale motivo il ragazzo avesse perso interesse nel tormentarlo da un giorno all'altro. Probabilmente aveva trovato un bersaglio più debole e facile da umiliare, o semplicemente aveva deciso di crescere e lasciare in pace gli altri.
"Impossibile, quelli come Wood non cambiano" pensò con amarezza. Eppure sembrava che fosse davvero così, perché per quel che ne sapeva nessuno si lamentava di lui o dei suoi due amici. Nemmeno Owens e Landon davano segno di voler continuare con la loro politica del terrore, al contrario sembrava che avessero finalmente deciso di concentrarsi su cose più serie.

«Sufficienza tiratissima. Ha detto proprio così» disse John esultante alla fine dell'ora.
«Credo che sia il tuo voto più basso finora»
«Forse, ma che importa? Almeno adesso non dovrò più studiare Picasso e quella roba sbilenca che lui chiama arte»
«Picasso è un grande artista» sospirò Peter.
«Sì, come no... se quello è un artista, lo sono anch'io»
Peter decise di arrendersi, non sarebbe mai riuscito a far capire a John che l'arte era un concetto molto più complesso di quello che si poteva pensare.
«Comunque adesso ho altro a cui pensare. Devo fare in modo che Rachel perda la testa per me» continuò John.
«Dopo la tua pessima figura con la poesia, dubito che vorrà ancora guardarti in faccia»
«Lei mi mangia con gli occhi» disse John con convinzione.
«Allora è molto brava a non farlo notare» lo prese in giro Peter.
«Ridi finché puoi, perché quando io e lei staremo insieme sarai costretto ad ammettere che avevo ragione»
«Se doveste mettervi insieme ti prometto che ti farò le mie scuse più sentite» ridacchiò Peter. John scosse la testa contrariato.
«Aspetta e vedrai, dovrai scusarti con me in ginocchio»
Entrarono in classe e furono sorpresi di non vedere né la professoressa Walstone né Rachel ad aspettarli.
«Dove sono?» chiese John, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
«Sembra che sia stato convocato un consiglio di classe, forse non ci sarà lezione oggi» spiegò Britney, che essendo una dei rappresentanti di classe era sempre molto informata.
«Potevano anche dircelo prima, io oggi sono venuto a scuola solo per vedere Rachel» bofonchiò John.
«No, tu sei venuto a scuola perché hai giurato che ti saresti comportato bene» lo corresse Peter. John lo zittì con un gesto.
«Vuoi smetterla di contraddirmi ogni volta che cerco di sembrare l'uomo perfetto per Rachel?»
Peter fu percorso dall'ennesimo brivido. Anche se ormai i suoi vestiti e capelli si erano asciugati, non aveva smesso di sentire freddo, e di tanto in tanto sentiva dei giramenti di testa.
«Che cosa succede qui? Sedetevi ai vostri posti, scalmanati» disse la professoressa Walstone autoritaria entrando in classe. Rachel la seguiva, e questo provocò un'esclamazione felice di John.
«Sapevo che non mi avrebbe abbandonato» disse a mezza voce.
«Non posso assentarmi per cinque minuti che questa classe si riduce ad uno zoo, siete vergognosi» si lamentò la professoressa Walstone.
John si avvicinò a Rachel e la salutò educatamente, tentando di iniziare una conversazione con lei mentre Peter prendeva posto in prima fila come al solito.
«Catham, siediti invece di fare il pagliaccio!» gridò la professoressa. John sobbalzò per lo spavento e schizzò subito al suo posto.
«Cavoli, che le è preso oggi? È perfino più cattiva del solito»
Peter alzò le spalle.
«Non lo so, ma per oggi sarà meglio stare zitti» sussurrò.
«Ottima intuizione, Kane. Ora, aprite il libro a pagina 85» ordinò la professoressa.
Per tutta la lezione Peter non osò alzare il naso dal libro, temendo che la professoressa Walstone sarebbe stata perfino capace di prendersela con lui e affibbiargli uno zero se solo avesse pensato che si era distratto. John invece continuava a guardarsi intorno, spesso e volentieri fissando Rachel ed esprimendo sottovoce a Peter le sue impressioni sulla ragazza.
«Nemmeno lei ha il coraggio di dire una parola, chissà che cosa è capitato alla Walstone» diceva. Oppure «Oggi è anche più bella del solito, come si aspetta che faccia attenzione alla lezione quando ho lei davanti?»
Ad un certo punto, John fece un apprezzamento a voce così alta che tutti si voltarono a guardarlo, comprese Rachel e la professoressa Walstone.
«Catham. In presidenza. Ora» gli disse lei, ordinando a Rachel di continuare la lettura mentre lei accompagnava John dal preside.
"Oggi non è proprio giornata per John" pensò Peter mentre osservava il suo amico allontanarsi.
«Continuiamo. Owens, leggi tu. Ad alta voce, per favore» fece Rachel.
Owens iniziò a leggere, e Peter si arrischiò ad alzare lo sguardo verso Rachel. Lei sembrava piuttosto preoccupata, e teneva lo sguardo fisso sulla porta invece che sul libro.
Di lì a poco iniziò a camminare avanti e indietro, correggendo di tanto in tanto la lettura di Owens. Quando fu abbastanza vicina, Peter la richiamò fingendo di non aver capito un passaggio.
«Sì? Dimmi pure, Peter» sussurrò piano lei per non distrarre gli altri studenti dalla lettura.
«Volevo solo sapere se va tutto bene» fece lui di rimando.
«Sì. Sono solo dispiaciuta per John, non è colpa sua se mia zia oggi è isterica» spiegò Rachel, tornando poi alla sua lettura.
Peter fu colpito da un altro giramento di testa, e poi sentì un calore intenso attraversare tutto il corpo. Non voleva nemmeno pensarlo, ma era possibile che la sudata di quella mattina lo avesse davvero fatto ammalare.

La situazione peggiorò verso la fine della giornata. La sua concentrazione era calata sempre di più, mentre i brividi erano aumentati insieme al mal di testa. 
John era tornato senza incidenti dalla presidenza, a quanto pareva era riuscito a difendersi grazie alle sue doti da oratore.
«In pratica hai parlato talmente tanto che il preside ti ha lasciato andare pur di non sentire più la tua voce» commentò Peter.
«In pratica» confermò John.
«Spero che tu abbia imparato che non puoi parlare in quel modo di Rachel... almeno, non davanti alla Walstone» disse Peter battendo i denti.
«Già. Peccato»
Si diressero lentamente verso la palestra, e ad ogni passo Peter si sentiva la testa più pesante.
«Che hai?» gli chiese John quando si accorse che non riusciva a camminare in linea retta.
«Mi gira la testa»
«Sei malato?»
«Forse...»
Arrivati in palestra si diressero verso gli spogliatoi maschili. Peter si sentiva sempre peggio, così decise di non cambiarsi nemmeno e chiedere al professore di poter andare in infermeria.
«Stai così male?» gli chiese John prima di togliersi la giacca della divisa. Peter annuì.
«Sì, ho male dappertutto e un gran freddo»
«Stammi lontano, non voglio prendermi le tue malattie» scherzò allora John. Almeno lui riusciva a trovare la cosa divertente.
Aspettò che John si cambiasse e lo accompagnò in campo, dove come sempre il professore li aspettava per poter fare l'appello.
«Bene, mettetevi tutti in fila, facciamo l'appello» ordinò il professore. Barcollando, Peter si mise in piedi in fondo alla fila, cercando di non farsi notare.
Speranze vane.
«Kane, perché non ti sei cambiato?» gli fu chiesto subito.
«Non mi sento molto bene» rispose. L'uomo sospirò.
«Che cosa c'è questa volta?» chiese con aria stanca.
«Penso di avere la febbre» spiegò Peter con un brivido.
«Kane, è risaputo che ormai passi più tempo in infermeria che in classe» sbuffò il professore «Questa volta non ti accontenterò. Vai a farti dare un termometro e torna immediatamente qui, solo perché pensi di essere malato non significa che sei libero di saltare le lezioni»
Peter annuì. In realtà era andata meglio di quanto avesse sperato, era convinto che l'insegnante lo avrebbe costretto a cambiarsi e partecipare comunque alla lezione.
Costeggiando il muro si avviò verso l'uscita, facendo ben attenzione a non inciampare o sbattere contro qualcosa, visto quanto gli girava la testa.
«Un momento, fermati. Ho dimenticato il registro. Dovrai andare a prenderlo» disse poi l'insegnante.
«Ci penso io» si offrì John. Chiaramente avrebbe fatto di tutto pur di evitare la lezione.
«No. Ci andrà Kane, visto che è convinto di non poter fare lezione. E in fretta, per favore» disse il professore.
Peter uscì, tremando di freddo. Era stata una cattiva idea non passare prima dallo spogliatoio per coprirsi di più. Il cielo grigio minacciava anche pioggia, quindi avrebbe fatto meglio a sbrigarsi.
Camminando più veloce che poteva e sfregandosi le mani per scaldarsi, percorse i pochi metri che lo separavano dall'edificio principale. Gli sembrava di aver camminato per un chilometro, tanto si sentiva indebolito. Andò dritto in infermeria, sperando di trovare qualcosa che lo facesse stare meglio.
«Chi è?» domandò l'infermiera quando lui bussò alla porta.
«Ehm... Peter Kane» rispose, affacciandosi.
«Di nuovo tu?» domandò la donna quando lo riconobbe «Che cosa hai combinato questa volta?»
«Mi gira la testa e ho i brividi»
«Fatti vedere» disse allora l'infermiera avvicinandosi a lui.
«Mh... sì. Direi che hai la febbre alta» sentenziò dopo avergli toccato velocemente il viso «Prendi il termometro e siediti»
«Non posso, il prof vuole che torni subito in classe» le spiegò Peter.
«Poche storie, non potrà dirti niente» insistette la donna.
Cinque minuti dopo firmò un foglio che diceva che Peter aveva effettivamente la febbre alta e che non poteva fare ginnastica.
«Non è una vera e propria giustificazione, ma basterà a non farti fare lezione. Conosco quell'uomo, e gli importa più della sua materia che della vostra salute. Credimi, con questo non avrà niente da ridire»
«Grazie»
Peter afferrò il foglio e lo ripiegò a fatica prima di metterlo in tasca. La febbre gli faceva formicolare le mani, e non vedeva l'ora di tornare a casa per potersi mettere a letto.
«Non può darmi qualcosa per la febbre?» chiese.
«Purtroppo no. Però posso chiamare a casa tua per farti venire a prendere»
«Non servirebbe, non c'è nessuno a quest'ora»
«Mi dispiace. Non posso fare altro»
«Non importa, grazie per la giustificazione»
Uscì dalla porta, massaggiandosi rozzamente le dita per tornare ad avere sensibilità.
"Ti resta solo un'altra ora e mezza, poi potrai tornare a casa" si disse, cercando di farsi coraggio. Confuso e spaesato, attraversò i corridoi che lo separavano dalla sua aula, cercando di fare in fretta. Voleva solamente tornare in palestra al caldo per potersi mettere addosso il piumino e magari smettere di tremare di freddo.
Quando abbassò la maniglia, però, scoprì che la porta era chiusa a chiave.
«Stiamo scherzando?» disse, tentando di nuovo di aprire la porta «Andiamo...»
«C'è qualche problema?»
Non stava facendo niente di male, ma si sentì comunque il cuore in gola quando riconobbe quella voce. Si voltò lentamente con aria colpevole ad osservare la professoressa Walstone e Rachel, che era come sempre al suo fianco.
«Perché non sei in classe? Mi sembrava di averti detto che devi darti una regolata» disse la donna severa.
«Non prendertela con lui, poverino. Sono sicura che c'è una spiegazione» fece Rachel.
«Rachel, devi smetterla di voler sempre vedere il buono in soggetti come Kane. Quelli come lui sono destinati a diventare solamente dei delinquenti, proprio come il suo caro amico Catham»
Rachel la ignorò e si rivolse direttamente a Peter.
«Come mai sei qui fuori?»
«Devo prendere il registro, il professore se l'è dimenticato in classe. Ma la porta è chiusa» disse, perdendo momentaneamente l'equilibrio.
Rachel guardò la professoressa con un'espressione da 'te l'avevo detto', e la donna ammutolì.
«Fai come vuoi. Devo andare in consiglio, non voglio più vederti in giro, Kane» disse poi.
«Vorrei solo...» fece Peter.
«Che c'è, Kane?»
«Ecco... sa dove potrei trovare la chiave?»
La Walstone alzò gli occhi al cielo.
«In portineria. Kane, frequenti questa scuola da quattro anni, presta attenzione. Comunque non posso aiutarti, come ho detto, sono in ritardo per il consiglio»
«Ci penso io a farti vedere la strada, andiamo» propose Rachel quando sua zia fu abbastanza lontana da non poterla sentire.
«Lei... tu... non devi andare in consiglio?»
Rachel scosse la testa.
«No, è solo per mia zia e gli altri veri professori. Ora andiamo, so dove tengono le chiavi»
Seguì Rachel fino all'ingresso, dove c'era la portineria. Non c'era nessuno, ma Rachel rovistò con sicurezza finché non trovò una scatola con su la scritta 'chiavi'.
«Ecco qua. Vediamo, la chiave che ti serve dovrebbe essere...» fece lei, controllando una per una le etichette di tutte le chiavi.
«Questa qui» disse poi, sollevandola quasi trionfante. Peter fece per afferrarla, ma Rachel la portò fuori dalla sua presa.
«Grazie... ora devo proprio andare» le disse, appoggiandosi al bancone per non cadere.
«Ti accompagno io. Non sembri stare troppo bene»
«Già... allora grazie»
"Oggi sto dicendo 'grazie' un po' troppe volte" pensò. Accompagnato da Rachel tornò davanti alla porta della classe, che si aprì con uno scatto quando lei fece girare la chiave nella toppa. Lei andò subito alla scrivania e aprì il cassetto più in alto.
«Ecco qui. Il tuo registro, Peter» disse Rachel, porgendogli il registro.
«Grazie»
«Oh, ha iniziato a piovere» osservò lei, indicando fuori dalla finestra. Peter rabbrividì di nuovo, stringendosi per scaldarsi.
«Sì. Devo proprio andare» disse.
Si sentiva sempre peggio, tutto iniziava a farsi più confuso e certamente il professore si sarebbe infuriato per il suo ritardo.
«Aspetta un momento, se non ti dispiace. Vorrei parlare un po' con te»
Peter fu colpito da un capogiro e dovette sedersi.
«Tanto ormai sono già in ritardo...» borbottò.
«Stai tanto male?» gli chiese Rachel.
«Sono stato peggio» rispose lui battendo i denti.
«Quello che ti è successo negli ultimi tempi è assurdo, Peter» osservò Rachel.
"Di cosa diavolo sta parlando?"
«Eh?»
«Sai, il pestaggio, la sospensione... è assurdo» spiegò lei, visibilmente preoccupata.
«Già, questo non è proprio un bel periodo, nemmeno in... amore» fece lui quando ebbe capito quello che stava dicendo Rachel. Non sapeva perché le stava raccontando tutto, forse era la febbre a parlare.
«Non è un bel momento neanche per me» fece lei «Ultimamente io e Joshua abbiamo qualche problema. Continua a lamentarsi perché voglio restarmene ancora qui invece di tornare a Londra»
«Joshua?» domandò Peter scosso dai brividi.
«Il mio fidanzato. Avevamo pianificato di sposarci, sai. Mai poi è cambiato tutto quando ho avuto questo lavoro. Da allora non facciamo che litigare» disse Rachel guardando fuori dalla finestra.
«M-mi dispiace...» balbettò Peter, quasi senza ascoltare quello che lei stava dicendo.
«Non preoccuparti, stavamo solo rimandando l'inevitabile. Ci saremmo lasciati comunque»
«Oh...»
«Purtroppo a volte bisogna accettare la realtà. E la realtà è che io e lui non eravamo giusti l'uno per l'altra. Mi segui, vero?»
«S-sì... mi è ca-pitata una cosa simile con... con Alison»
«Alison Adams? Adesso capisco perché sembrava così arrabbiata con me l'altro giorno. È la tua ragazza?»
«Lo era»
Rachel sospirò.
«Peter, c'è un motivo se il mio tirocinio non è ancora finito. Non ti è mai sembrato strano che io sia ancora qui?»
Si aggrappò al bordo del banco, facendo il possibile per mantenere la mente lucida. La febbre doveva essere veramente alta, perché faticava a capire quello che Rachel diceva.
«Beh... un paio di volte ci ho pensato, ma credo che non siano affari miei» disse.
«Sono rimasta qui solo e soltanto per te» disse Rachel rapidamente.
"Per me? Sto sognando. Deve essere un sogno"
«Cosa...»
«Hai capito bene. Sono qui per te» ripeté lei.
«M-ma pe-rché?»
«Peter, credimi, mi vergogno un po' a doverlo ammettere, non rendermi le cose difficili»
«I-io...»
«Sei un ragazzo adorabile. Mi dispiace doverti mettere in imbarazzo in questo modo, sul serio»
«N-non c'è problema...»
«Hai mai pensato a me in modo diverso oltre che ad una professoressa?» chiese Rachel con cautela.
«Ma a John hai detto che... niente relazioni tra studenti e insegnanti»
«So cosa ho detto, ma la mia domanda è un'altra. Hai mai pensato a me?» domandò ancora lei avvicinandosi. Peter era così confuso dalla febbre che era inconcepibile pensare ad una bugia, così fu costretto ad ammettere la verità.
«Ecco... s-sì...»
La osservò avvicinarsi sempre di più, e le palpitazioni aumentarono a dismisura. Si sentì girare la testa, e quando la vide a pochi centimetri di distanza capì che non era solo per via della febbre.

«Trentacinque minuti, Kane. Un vero record» commentò il professore quando lo vide tornare in palestra.
Senza dire niente, Peter gli porse il registro e il foglio dell'infermiera ed andò a sedersi in silenzio su una delle panchine nell'angolo.
«Cos'hai fatto per tutto questo tempo?» gli chiese John, sedendosi accanto a lui.
Peter si strinse nelle spalle.
«Ho cercato il registro» rispose a bassa voce.
«Ti si è alzata la febbre, eh? Sei rosso come un peperone»
«Catham, lascia in pace Kane e torna a fare i tuoi giri di corsa» gli intimò il professore. John lo guardò storto.
«E tu, Kane, non infastidire gli altri studenti»
Peter si raggomitolò sulla panchina, tremando di freddo e ripensando a quello che era successo in classe pochi minuti prima.
"Una cosa è certa. Questa è davvero una pessima giornata per John"  

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** MY GOOD FRIEND. ***


MY GOOD FRIEND.


Non aveva avuto il coraggio di raccontare a nessuno quello che era successo con Rachel, e più di una volta gli era capitato di pensare di avere immaginato tutto. Doveva essere a causa della febbre, fatto stava che i suoi ricordi sull'accaduto erano pochi e confusionari.
Ricordava bene di essere andato in classe insieme a lei e di aver preso il registro, ma non poteva giurare che il resto non fosse altro che il frutto della sua fantasia. A dire la verità sperava che fosse così, perché se fosse stato tutto vero non avrebbe più avuto il coraggio di guardare John in faccia.
"In fondo in quale universo una come lei potrebbe anche solo guardare uno come me?"
L'influenza aveva avuto un breve effetto, era dovuto restare a casa solamente per due giorni prima di poter tornare a scuola a perdere tempo e distrarsi durante le lezioni come al solito.
«Incredibile, sei l'unica persona che conosco capace di ammalarsi per aver corso per qualche minuto» lo prese in giro Mike quella mattina.
«Non è stata colpa della corsa, è che il virus è in giro» cercò di difendersi Peter.
«Certo, dicono tutti così» ridacchiò Mike.
«Guarda che è vero!»
Mike si fece pensieroso.
«In effetti in questi giorni alcune persone sono mancate a scuola. Un paio di miei compagni di classe, il vicepreside... e anche Rachel» disse. Peter trattenne il fiato nel sentire il nome di Rachel, sperò che nessuno avesse collegato la sua influenza con quella che aveva avuto lui.
«R-Rachel? Che coincidenza» fece, cercando di indagare senza dare nell'occhio.
«Sì, John non era molto contento. Sai come dice sempre, no? 'Vengo a scuola solo per vedere lei!' e tutte quelle sciocchezze che ripete in continuazione»
Peter rise forzatamente, sperando che Mike non si accorgesse di quanto quel discorso lo stesse innervosendo.
«Insomma, sembra davvero convinto di avere qualche possibilità con Rachel. Mi chiedo quando capirà che anche se noi le sbaviamo tutti dietro, lei non ci guarda neanche di striscio» continuò Mike.
«Sì... di striscio, giusto» balbettò Peter.
«A proposito di John, è in ritardo» disse Mike guardandosi intorno. Erano infatti arrivati a scuola da diversi minuti, ma del loro amico non c'era traccia.
«Forse è malato anche lui» azzardò Peter.
«Già, forse»
«Probabilmente quando tornerà ci racconterà che è stato contagiato da Rachel dopo una notte segreta di passione. E noi faremo finta di credergli» fece Mike divertito.
"Da quando parliamo così tanto di Rachel? La cosa non mi piace per niente" pensò Peter.
«Non è così divertente» osservò. Mike lo guardò perplesso.
«Sei ancora malato per caso? Da quando non trovi divertente l'ossessione di John per Rachel?»
«Non mi diverto se non c'è lui ad insultarti perché lo prendi in giro» disse Peter. Il vero motivo non era solamente quello, ma a Mike bastò la sua spiegazione.
«Odio ammetterlo, ma si sente la sua mancanza quando non è tra i piedi» disse Mike.
«Ti sei affezionato a John?» ridacchiò Peter.
«Se provi a dirgli una cosa del genere ti appendo per le orecchie al lampadario di casa mia e ti lascio morire lì» lo minacciò Mike.
«D'accordo, stavo solo chiedendo»
Mentre erano lì a prendersi in giro a vicenda e guardare gli studenti più piccoli sfilare davanti a loro, una ragazza si avvicinò.
«Ciao, Mike» disse.
«Ciao» rispose lui.
«Mi chiedevo se...» fece lei timidamente. Peter la guardò incuriosito. A giudicare dalla situazione, era il momento che Mike entrasse in azione.
«Vediamoci venerdì» la anticipò infatti il ragazzo con un sorriso incoraggiante. La ragazza sembrò sollevata.
«Certo... venerdì. Ehm, allora...»
«Ho il tuo numero, più tardi definiamo i dettagli» disse Mike gentilmente. Lei sorrise nervosa e si allontanò salutandolo freneticamente con la mano.
«Non hai ancora perso il tuo tocco con le ragazze?» gli chiese Peter quando lei fu abbastanza lontana da non poter sentire.
«Non ho mai smesso» rispose l'altro alzando le spalle.
«Mi ricordo bene di averti sentito lamentarti perché eri rimasto da solo» disse Peter, riportando alla mente le interminabili lagne di Mike sul fatto che Peter avesse Alison mentre lui non aveva nessuno.
«È stata solo una breve fase. Sono uscito con un paio di ragazze mentre tu eri ancora occupato a frignare per Alison, ho pensato che non fosse gentile dirtelo mentre eri in quelle condizioni» lo informò.
«Grazie per il pensiero»
«A proposito di ragazze, non pensi che sia ora di trovartene un'altra? Ad esempio, io ne conosco qualcuna che...»
«No, grazie» lo interruppe Peter.
«È perché pensi che sia ancora troppo presto, vero? Dimenticavo che per te con Alison è stato tutto nuovo»
«Sì, una cosa del genere...»
"Quello, e il fatto che devo ancora capire che cosa vuole Rachel da me... e cosa io voglio da lei"
«Vedrai che presto cambierai idea»
«Chi può saperlo»
Quando Peter andò in classe non riconobbe i capelli colorati di John da nessuna parte. Era strano tornare a fare lezione senza di lui, ormai ci era così abituato che aveva quasi dato per scontato il fatto che il suo amico sarebbe sempre stato lì a distrarlo e ad attirare l'attenzione di tutti gli insegnanti.
«Gli assenti di oggi... Barnes, Catham, Owens» disse la professoressa di geografia. Tutti gli studenti la prendevano in giro perché il suo cognome era Onion, 'cipolla', e lei si accaniva infatti ad insegnare la produzione agricola dei paesi di cui si occupava di volta in volta.
"Un nome che è tutto un programma"
«Allora, iniziamo a conoscere le caratteristiche economiche della Norvegia...»

John non si fece vedere fino alla quarta ora. A quanto pareva il professor Bloomberg lo aveva convocato in sala insegnanti prima dell'inizio delle lezioni per controllare che si stesse preparando per le gare matematiche.
«Non mi avevi detto che ti sarebbero servite lezioni extra» gli fece Peter.
«Non lo sapevo nemmeno io» spiegò John «Questa mattina per caso sono arrivato prima del solito, e quando Bloomberg è arrivato e mi ha visto mi ha chiesto di seguirlo per fare un po' di ripasso»
«Quattro ore di ripasso?» domandò Peter sorpreso «È esagerato per chiunque, e tu sei anche un genio»
«Ha voluto iniziare a spiegarmi anche degli argomenti nuovi che di solito non vengono insegnati in questa scuola. L'unica cosa buona è che mi ha fatto una giustificazione per evitare le prime quattro ore»
«Non so se siano peggio le lezioni normali o quattro ore di fila di matematica» gli fece notare Peter.
«Qualunque cosa mi salvi dai deliri di questi matti è un guadagno» commentò John, indicando distrattamente i loro compagni di classe.
Vedere John così allegro riempì Peter di sensi di colpa. Era uno dei suoi migliori amici, e lui lo aveva tradito lasciando che Rachel lo persuadesse.
"È inutile cercare di incolpare Rachel. È colpa mia"
«Facciamo qualcosa oggi? Io ho già studiato abbastanza, ho bisogno di divertirmi» disse poi John stiracchiandosi.
«Oggi è la serata della cena cinese...» gli ricordò Peter.
«Ah, già. Se a casa tua è la sera del cinese, questo vuol dire che a casa mia è la serata del gioco d'azzardo con gli zii e i loro amici. Non posso proprio mancare» fece John.
«Gioco d'azzardo?»
«Sì. Non ci giochiamo soldi veri, è solo per divertirci un po'. E modestamente, sto diventando piuttosto bravo»
«Magari un giorno mi insegnerai» disse Peter.
«Certo, perché no?» acconsentì John.
«E una volta potresti unirti a me e Mike e mangiare ravioli cinesi fino a scoppiare»

Alla fine delle lezioni i due si separarono, perché John doveva andare a casa a prepararsi per la sua serata e non aveva tempo di perdersi in chiacchiere.
Peter aspettò Mike e andarono a casa insieme.
«Oggi ho proprio una gran fame, potrei anche prendere due porzioni di tutto» disse Mike.
«Sei senza fondo»
«Che c'è? La prima regola della cena cinese è: non si va a dormire se non a stomaco super pieno!» esclamò lui felice.
«Va bene, come vuoi» acconsentì Peter.
Poche ore dopo erano in salotto circondati da diverse confezioni vuote di cibo cinese, beatamente seduti a godersi la sensazione della pancia piena.
«Ottima cena» disse Peter.
«Puoi dirlo forte»
Rimasero in silenzio per un po', e l'umore di Peter si guastò quando accendendo la tv videro un film su una professoressa che si divertiva a sedurre i suoi studenti. Sembrava che fosse fatto apposta.
«Pete, a cosa stai pensando?» gli chiese Mike quando notò il suo cambiamento di espressione.
«A molte cose»
«Devono essere cose molto importanti, visto che è un'ora che non dici una parola»
«Sì, certo... hai ragione» rispose distrattamente. Forse a Mike poteva parlarne. Ed era anche il momento ideale per farlo, visto che John non era nei dintorni.
«C'è una cosa che ho assolutamente bisogno di dire a qualcuno, ma non posso farlo» disse lentamente.
Mike si raddrizzò sulla poltrona, pronto ad ascoltare quello che Peter aveva da dire.
«Sembra grave. Posso aiutarti in qualche modo?» gli chiese preoccupato.
«Non ne sono sicuro. Se te lo dico dovrai prenderti anche tu questo peso ed è davvero difficile» rispose Peter, guardandosi intorno come in cerca di una via d'uscita da tutta quella situazione.
«Mi stai spaventando, Pete. Hai combinato qualcosa di grosso?»
«Più o meno...»
Mike impallidì.
«Se adesso mi dici che hai messo incinta Alison ti giuro che-»
«Ma no, che sciocchezze tiri fuori. No, si tratta di qualcos'altro» lo interruppe Peter. Non stava pensando ad Alison nemmeno lontanamente, ma capiva perché Mike potesse aver pensato quella cosa.
«Che cosa? Dimmelo, altrimenti mi verrà una crisi di nervi» pregò il suo amico. Peter si morse il labbro nervosamente. In qualche modo era certo che Mike lo avrebbe aiutato a capire quale fosse la cosa giusta da fare, ma non riusciva a trovare le parole per spiegargli quello che era successo.
«Se lo faccio, devi promettermi che non dirai una parola a John» gli disse, facendogli capire che si trattava di una questione seria.
«Te lo giuro» fece l'altro, mimando il gesto di giuramento.
«Va bene, allora... te lo dico. Ecco... l'altro giorno ero a scuola, ed ero malato...»
Si interruppe, pensando a cosa dire e cosa tralasciare. Non c'era bisogno di troppi dettagli.
«Sì...» lo esortò Mike.
«Non potevo fare ginnastica, quindi il prof mi ha mandato in classe a prendere il registro. Lungo la strada ho incontrato Rachel, e mi ha detto che voleva parlarmi» disse tutto d'un fiato. Mike sollevò una mano per interromperlo.
«Aspetta, non andrà a finire come penso?» chiese. Peter assunse un'espressione colpevole, e dallo sguardo di Mike capì che i dubbi del suo amico erano confermati.
«Sei davvero saltato addosso a Rachel?» esclamò Mike con gli occhi fuori dalle orbite.
«Diciamo che è lei che è saltata addosso a me, se vogliamo essere precisi»
«Non ci posso credere» disse Mike sconvolto.
«Io ci credo ancora meno»
«Ma... insomma, come?»
«Io non lo so, non mi ricordo molto, avevo la febbre alta. So solo che era lì e mi diceva cose... e poi...»
«E poi?» lo esortò Mike. Peter arrossì.
«E poi non ho avuto la forza di dirle di no. Non ho voluto dirle di no» concluse. Mike scosse la testa.
«Fare cose... con una professoressa. Non avrei mai pensato che proprio tu fossi il tipo» commentò, lo sguardo perso davanti a sé.
«Se la metti così sembro un maniaco. È stata lei ad iniziare, e poi non abbiamo esattamente fatto cose, come dici tu»
«Finirai nei guai» lo avvertì Mike «Se la cosa arrivasse alle orecchie del preside potrebbero anche buttarti fuori dalla scuola... per non parlare di come la prenderà John»
«Nessuno lo saprà. Rachel manterrà il segreto, e io sarò più muto di una tomba» spiegò Peter.
«Devi sperarlo, perché se qualcuno dovesse scoprirvi la tua pessima media in inglese sarà l'ultimo dei tuoi problemi»
«So benissimo che non avrei dovuto farlo, e non capiterà mai più»
Mike sembrava particolarmente colpito dalla notizia, e il fatto che avesse assunto la sua tipica posa pensierosa e non dicesse più una parola non fece altro che aumentare il nervosismo di Peter.
«John ti ammazzerebbe se lo sapesse» disse infine il ragazzo.
«È proprio per questo che non devi dirglielo»
Mike sospirò e si passò una mano tra i capelli, riflettendo.
«Ma certo, te l'ho promesso. Però dovresti farlo tu» gli consigliò.
«Non c'è bisogno che lo sappia» fece Peter testardo.
«Prima o poi lo scoprirà... si possono dire tante cose di John, ma di certo non è stupido. Capirà che tra te e Rachel è successo qualcosa»
«No, non lo farà se tu non glielo dirai»
«Terrò la bocca chiusa, ma non puoi pensare di cavartela così» lo ammonì Mike. Il suo comportamento infastidì Peter, gli aveva raccontato tutto perché sperava di trovare un appoggio, non per farsi dire quello che già sapeva, cioè che aveva agito in modo sbagliato.
«Io te l'ho raccontato perché pensavo che mi avresti aiutato, non per farmi fare la predica» disse acidamente.
«Che ti prende? Non ti sei mai comportato così» fece allora Mike. Peter si rese conto che era vero, forse era a causa di tutto quello che era successo in quei mesi che il suo carattere aveva iniziato a cambiare.
«Scusami. Questa storia mi innervosisce troppo, ho paura che qualcosa possa andare storto e che succeda un casino» disse, sforzandosi di respirare lentamente per rilassarsi.
«Moltissime cose possono andare storte. Spero solo che tu sappia quello che fai»
«Te l'ho detto, è stato solo per colpa della febbre. Non succederà una seconda volta»
«John si fida di te, Pete» gli ricordò Mike, dando a Peter il colpo di grazia. Adesso sì che si sentiva in colpa sul serio.
«Smettila di farmi sentire in colpa per favore, sto già abbastanza male»
«Sai anche tu cosa sarebbe giusto fare»
«Lo so, ma... non posso fare questo a John. Starà molto meglio senza saperlo» insistette.
«Rispetto la tua decisione. Però non sono d'accordo»
«Aiutami, Mike» si lagnò, sperando quasi che l'amico si trasformasse in un mago e tirasse una soluzione alternativa fuori dal cilindro.
«Ti ho già detto la mia opinione, non posso fare altro» concluse Mike.

Il giorno dopo a scuola Peter era deciso a raccontare a John l'accaduto. Forse non sarebbero più stati amici dopo aver parlato, ma era la cosa più corretta che potesse fare. Ci aveva dormito su, ed aveva deciso di non potergli tenere nascosta quella storia, perché John nei suoi confronti si era sempre comportato lealmente.
Se non fosse che, appena entrato nell'aula del professor Bloomberg, qualcuno bussò alla porta.
«Buongiorno professore» disse Rachel aprendo la porta. Peter si nascose immediatamente dietro il suo libro di matematica.
«Oh, buongiorno Rachel, vedo che è guarita dall'influenza» la salutò il professore.
«Sì... ho avuto un paio di brutte giornate ma adesso sto molto meglio»
«Cosa le serve?»
«Avrei bisogno di Peter Kane, abbiamo problemi urgenti con le sue valutazioni» disse. Tutti si voltarono a guardarlo, e Peter cercò di scivolare lungo la sedia per non farsi notare. Non voleva seguire Rachel fuori dalla classe, la sola idea di trovarsi di nuovo da solo con lei lo imbarazzava e agitava, senza contare che John si sarebbe sicuramente insospettito e gli avrebbe chiesto spiegazioni.
«Certo. Kane, vai pure»
Peter guardò John come per chiedergli il permesso.
«Che ti prende?» gli domandò l'amico.
«Ehm...»
Non sapeva cosa rispondere, così rimase semplicemente fermo finché il professore non lo esortò ad uscire per non sprecare minuti preziosi di lezione.
«Saluta Rachel da parte mia» disse poi John.
«Lo farò...»
Quando si trovò in corridoio con Rachel e lei ebbe chiuso la porta della classe, si guardò intorno in cerca di testimoni. Se ci fosse stato qualcuno intorno, lei non si sarebbe certamente azzardata a tentare mosse strane.
«Sai perché ti ho chiesto di uscire dalla classe?» gli chiese lei.
«Per i miei voti» rispose Peter, ripetendo quello che lei aveva detto all'insegnante poco prima. Rachel rise.
«Non sei davvero così ingenuo, Peter. Sai che ti ho chiamato perché ho bisogno di parlarti. Non potevo più aspettare»
«Dimmi» fece allora lui, spostando nervosamente il peso da un piede all'altro.
«Non qui, sono faccende... delicate»
Su richiesta di Rachel si recarono in una stanza in cui nessuno poteva sentirli. Forse era meglio così, perché se avesse iniziato a lamentarsi con Rachel nel bel mezzo del corridoio qualcuno si sarebbe accorto che il loro non era un normale rapporto tra studente e insegnante. O almeno, si sarebbero accorti che tra loro era successo qualcosa che non doveva succedere.
«Peter, io non so come scusarmi» esordì Rachel quando furono al sicuro all'interno di un'aula vuota.
«S-scusarti?» balbettò.
«Per l'altro giorno. Capisco di averti messo in una posizione difficile, mi dispiace. Mi sono lasciata trasportare dal momento»
Peter non riusciva a trovare le parole. Avrebbe voluto dirle che quel momento di follia gli era piaciuto ma che allo stesso tempo si sentiva in colpa per aver lasciato che succedesse, invece non disse niente. Annuì e basta, aspettando che fosse Rachel a continuare il discorso.
«Non voglio che tu finisca nei guai per colpa mia. Faremo finta che non sia mai successo» suggerì lei.
«Io... a dire la verità ho dei ricordi molto confusi... non so esattamente cosa sia successo» ammise.
«Immaginavo che avresti detto una cosa simile. Se vuoi posso dirtelo io cosa è successo»
Voleva saperlo? Forse sì, o magari era meglio restare nell'ignoranza.
«D'accordo» gli uscì detto.
«Ti ho accompagnato in classe a prendere il registro. Questo te lo ricordi, vero?»
Peter annuì.
«Sì, e mi ricordo la pioggia... poi ha iniziato a girarmi la testa»
«Ti ho chiesto se ti fosse mai capitato di pensare a me in un... certo modo» disse lei. Peter arrossì.
«E io cosa ho risposto?»
«Hai detto di sì»
«E... e poi?» chiese Peter, faticando a deglutire.
«E poi ci siamo baciati» disse Rachel, guardandolo con l'espressione di chi sapeva di avere fatto qualcosa di tremendamente grave. A quelle parole, Peter provò un desiderio irrefrenabile di cercare di ricordare le sensazioni di quel bacio. Come mosso da qualche forza esterna, si avvicinò a Rachel e la baciò, con un'intensità che non si aspettava da se stesso.
Si ritrasse appena si rese conto di cosa stava facendo, trovandosi davanti una Rachel con le guance molto rosse.
«Stai tranquillo. Resterà tra me e te» gli disse lei subito.
Peter balbettò parole incomprensibili, cercando di capire come fosse possibile che una cosa del genere fosse accaduta a lui.
«Nessuno deve saperlo, Peter. Un rapporto come questo tra insegnante e studente non deve esistere»
Peter spalancò la bocca, in un disperato bisogno di aria.
«I-infatti... e p-poi... J-John...» riuscì a dire.
«Che resti tra noi, ma stai tranquillo, per favore» fece Rachel notando il suo stato di confusione.
«S-sì...»
«Ora torna in classe, o penseranno che sei sparito»
"Magari riuscissi davvero a sparire..."

Nei giorni seguenti si trovò sempre più in difficoltà. Evitava Rachel quanto poteva, ma allo stesso tempo gli piaceva guardarla, gli piaceva ricevere i suoi sorrisi, e quando succedeva sentiva le farfalle nello stomaco.
Così, poco per volta, decise di rischiare. Sempre più spesso iniziò a passare del tempo da solo con Rachel, tra una lezione e l'altra o durante l'intervallo, con la scusa di non aver capito bene degli argomenti di inglese. Durante le lezioni si scambiavano sguardi badando bene a non farsi notare. E fu così che iniziò a conoscerla meglio, e scoprì con orrore che dopotutto, lei gli piaceva.
Una voce nella sua testa continuava a ripetergli che non poteva permetterselo, che non poteva fare questo a John.
Fu proprio durante la lezione successiva che capì che le cose gli stavano sfuggendo di mano.
«Kane, non ricordo di averti interrogato, ma qui c'è un voto un po' troppo alto segnato accanto al tuo nome. Hai cercato di manomettere i voti?» gli chiese la professa Walstone scorrendo il registro.
Peter scosse la testa. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere, e poi non sapeva nemmeno dove la professoressa tenesse il registro quando non lo usava.
«L'ho interrogato io, spero che non ti dispiaccia se ho aggiunto il voto senza dirtelo» intervenne Rachel. Peter spalancò gli occhi. Era forse impazzita? Certamente tutti si sarebbero accorti che stava mentendo, che non lo aveva mai interrogato, che gli aveva dato quel voto solo perché...
«Bene, ma gradirei se la prossima volta me lo comunicassi» disse la professoressa, interrompendo il corso di pensieri catastrofici di Peter.
«Certo, questa volta me ne sono dimenticata, mi dispiace» si scusò Rachel.
«E Kane, non riesco a credere che per la prima volta da quando ti conosco tu sia riuscito ad ottenere un voto accettabile»
«Sono sorpreso anch'io» rispose lui guardando Rachel. Lei gli rivolse un ampio sorriso, che risvegliò l'intera popolazione di farfalle nel suo stomaco e fece saltare un battito al suo cuore.
«Ti sei incantato?» gli chiese John pungolandolo sul braccio con la penna.
«Eh? No...»
«Si può sapere quand'è che Rachel ti ha interrogato? Io non mi sono accorto di niente»
«Uhm... l'altro giorno, quando mi ha fatto uscire dalla classe di Bloomberg» inventò Peter.
«Ah...»
Doveva assolutamente chiarire la situazione con Rachel, e in fretta. Se lei avesse davvero iniziato a fare queste cose, prima o poi qualcuno si sarebbe accorto che tra loro stava succedendo qualcosa che non doveva esserci.
"Però c'è da dire che è meno di una relazione vera e propria" cercò di consolarsi.
Quando suonò la campanella convinse John ad allontanarsi con una scusa, in modo da poter parlare da solo con Rachel. Aspettò che la professoressa Walstone uscisse per andare a prendere il suo consueto tè, e poi si avvicinò alla ragazza con cautela, controllando bene che non ci fosse nessun altro nei paraggi.
«Tu sei pazza» le disse subito. Rachel gli sorrise dolcemente.
«Ho pensato di darti una mano a scuola per scusarmi per l'inconveniente che c'è stato tra noi, visto che ho le possibilità» replicò lei facendogli l'occhiolino. Peter si sentì arrossire.
«No... non va bene. Non è corretto»
«Mi dispiace. Pensavo che ti avrebbe fatto piacere»
Peter sospirò. Rachel aveva un lato un po' infantile che lo irritava molto, ma si odiava perché non riusciva a resisterle.
«Hai rischiato che ci scoprissero» fece.
«Non ci scoprirà nessuno, tranquillo. Sono stata molto attenta» disse allora lei con un sorriso. Peter non si sentiva affatto tranquillo, ma Rachel sembrava convinta di quello che diceva.
«Però ho un'altra cosa di cui vorrei parlarti... il nostro discorso dell'altro giorno è rimasto in sospeso» continuò lei.
Gli tornarono in mente le parole che gli aveva detto John tempo prima, e le sentì proprio come se lui le stesse pronunciando in quel momento.
"Dovresti provare l'emozione di startene chiuso con un'insegnante in uno stanzino mentre al piano di sopra gli studenti la aspettano per fare lezione..."
Come avrebbe fatto a dirgli che lo aveva preso alla lettera?
«Rachel... ci ho pensato bene. Non posso fare questo a John»
«A John? John Catham?»
«Sì. Tu gli piaci davvero, e anche se sembra un duro gli spezzerebbe il cuore sapere che noi...» spiegò Peter.
«Sei così dolce, Peter»
«Dimmi che mi capisci»
«Certo che ti capisco. Però credevo che a preoccuparti fosse altro, anche se è stato piacevole» fece lei.
«Sì, molto piacevole, solo che... è sbagliato»
«Va bene. Hai ragione» concordò lei.
«Vorrei che andasse diversamente, ma oltre ai problemi che avremmo a scuola... John è mio amico»
«Adesso però lascia che ti spieghi una cosa. È giustissimo che tu ti preoccupi per John, siete amici e lo capisco. Però non puoi frenarti solamente perché io gli piaccio» gli disse. Peter la guardò sconcertato. Rachel non poteva avere appena ammesso di stare cominciando a provare qualcosa per Peter. Dovevano fermarsi subito.
«Rachel...»
«So di non doverti dare la responsabilità, ma con il mio fidanzato le cose vanno male e in te ho una valvola di sfogo. Forse è perché tra me e te ci sono poco meno di quattro anni di differenza... ma vorrei più libertà. E anche io ho diritto di fare le mie scelte»
«Non l'avevo mai vista sotto questa luce» disse, dopo aver analizzato le parole di Rachel. Effettivamente, non aveva mai considerato la faccenda dal suo punto di vista.
«C'è sempre un altro lato della medaglia» spiegò Rachel.
«Immagino di sì»
«Ad esempio, tu che cosa vuoi?» gli chiese allora Rachel.
Peter provò una bruttissima sensazione. L'ultima volta che una ragazza gli aveva posto quella domanda, lui aveva preferito scappare, dicendole di non volere più causare problemi nella sua vita.
«Io voglio... credo di volere solo un po' di felicità» ammise sinceramente.
«Ed è quello che voglio anch'io. Tu puoi essere felice, devi solo smettere di pensar che la tua felicità possa provocare dolore negli altri. Non è così che funziona»
«Cosa devo fare?»
«Se quello che ti preoccupa di più è la reazione di John, parla con lui. Raccontagli tutto, sii sincero. Non avere paura di dirgli quello che è successo e quello che provi. John è un ragazzo molto più intelligente di quello che sembra, potrebbe sorprenderti»
«Lo so, lo conosco bene»
«E non dimenticare...» fece Rachel, allungando una mano per accarezzargli il viso «Che io sono dalla tua parte. Se dovessi avere bisogno di me sarò pronta ad aiutarti»
«Che cosa stai facendo? Sei impazzito?» esclamò qualcuno.
Sia Peter che Rachel sobbalzarono, ma Peter tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che si trattava solamente di Mike.
«Mike... mi hai fatto prendere un colpo» disse, con il cuore che ancora batteva forte per lo spavento.
«Per tua fortuna sono solo io, ma sta arrivando gente» disse Mike critico.
«Aspetta, tu sai...» fece Rachel. Mike annuì.
«Peter, non dovevi dirlo a nessuno» lo ammonì Rachel «Meno persone sanno, meglio è»
«Quel che è fatto è fatto, ora...»
«C'è una festa e nessuno mi ha invitato?» domandò John entrando a sua volta in classe. Tutti e tre si voltarono a guardarlo.
«Che... che cosa sono quelle facce?» chiese perplesso. Peter guardò prima Mike e poi Rachel.
«John... devo dirti una cosa»


«Quindi mi stai dicendo che tu e Rachel...»
«Sì. Non avrei voluto che succedesse, ma è successo. Mi dispiace, mi sento uno schifo» disse Peter in fretta.
«Capisco perché l'hai fatto, insomma, chi potrebbe resisterle... ma non capisco perché hai pensato di dovermelo tenere segreto» disse John.
Erano a casa di John, che aveva invitato Peter e Mike per poter parlare con calma dell'accaduto. Fortunatamente era davvero un ragazzo molto più intelligente di quanto chiunque potesse pensare, ed aveva evitato di fare scenate inutili. Aveva permesso a Peter di spiegarsi con calma, senza urlare, insultarlo o altro.
Ancora una volta, Peter si sentì fortunato ad avere un amico come lui.
«Pensavo che ti avrebbe dato fastidio. Non volevo che succedesse per colpa mia»
John scosse la testa.
«Non preoccuparti. Evidentemente doveva andare così. Non ce l'ho con te»
«No?»
«Certo che no, sei mio amico! E se proprio Rachel deve sfuggirmi da sotto il naso, preferisco che sia con te»
«Cosa stai cercando di dire?»
«Che hai il mio appoggio. Tanto non avrebbe mai funzionato...»
«Mi dispiace»
«La vuoi smettere di scusarti? Non ce n'è bisogno» disse John ridendo «È vero che mi piace Rachel, ma non così tanto da morire per lei. Puoi stare tranquillo»
«Però tu continuavi a ripetere che volevi stare con lei» gli ricordò Mike.
«Se mi avessi conosciuto a Londra, avresti saputo che lo dico di quasi tutte le ragazze che mi interessano. A volte esagero un po'. Quindi Kane, dacci dentro, quando ti ricapita una così?» fece John.
«Non posso, mi sento in colpa» rispose lui.
«Se ti ho detto che non mi dispiace devi credermi. Sai che non mi faccio problemi a dirti quello che penso»
«E tu cosa farai?»
John alzò le spalle.
«Ne troverò un'altra, non sarà difficile»
Quella sera, Peter pensò che John meritasse sul serio il premio 'miglior amico dell'anno'.  

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** FALLING FOR YOU. ***


FALLING FOR YOU.


Pur sapendo che John non era contrario all'idea che Peter 'si desse da fare', era proprio Peter quello ad avere delle riserve. Non voleva rovinare tutto come aveva fatto con Alison, perché con Rachel era tutto diverso e questa diversità gli piaceva.
A scuola non potevano stare insieme perché avevano entrambi gli impegni delle lezioni e se qualcuno li avesse scoperti sarebbero stati separati e cacciati da scuola. All'inizio avevano evitato di guardarsi, ma più il tempo passava, più abbassavano la guardia. Di tanto in tanto capitava che a Peter saltasse qualche ora perché l'insegnante non si era presentato, così Rachel si affrettava ad inventare scuse e lo trascinava nella prima stanza libera che riusciva a trovare. Prima di allora Peter non aveva fatto niente di così eccitante e, in qualche modo, pericoloso. Vivevano nel terrore di essere scoperti, ma era proprio questo che aumentava i loro livelli di adrenalina, rendendo quei momenti insieme ancora più belli.
Il problema era a casa, perché per il momento avevano deciso di non mandarsi messaggi per non lasciare tracce che potessero metterli nei guai, e non si telefonavano a vicenda. Peter non aveva nemmeno il numero di Rachel, tanta era la paura che sua madre o qualcun altro potesse scoprirli.
«Devi rilassarti, le cose non devono andare per forza sempre male» continuava a dirgli Rachel. Peter però era sicurissimo, non voleva assolutamente rischiare di far finire entrambi nei guai.
Si accontentava di quelle che John aveva definito 'buone e sane scappatelle' e basta, non chiedeva altro.
«Mi sembra che ne ricaviate qualcosa tutti e due, non trovo niente di cui lamentarsi» disse John.
«Hai ragione, ma è snervante. Ogni volta che stiamo insieme ho paura che qualcuno possa vederci»
«Io so solo che saresti uno stupido a lasciarla andare via solamente per questo. Approfittane finché puoi»
«Non ho mai detto di voler lasciar perdere, ho solo detto che non mi sento molto a mio agio sapendo che potremmo essere scoperti in qualsiasi momento»
«Goditela e basta» replicò John mangiucchiando il suo sandwich.
«Pessimo consiglio. Vuoi trasformarlo in un pazzo scatenato come te?» chiese Mike, unendosi a loro in quel preciso momento.
«Ma che ne sai di quello che gli ho detto se sei appena arrivato?»
«Non ci vuole un genio a capire quello che gli stavi dicendo»
«Mike, tu sei il primo a fare cose del genere» osservò Peter.
«Lo so, ed è proprio per questo che ti dico di non ascoltare i consigli di questo qui. Tu non sei come me, la cosa giusta per te è una ragazza fissa e con cui non sei costretto a nasconderti»
«Non dargli retta, divertiti» disse John.
«No, ascoltami, usa il cervello e cerca di chiarire la situazione»
Era proprio come nei cartoni animati quando sulle spalle del personaggio comparivano l'angioletto e il diavoletto ed iniziavano a litigare, solamente che in questo caso Mike era l'angelo e John il diavolo.
"O magari è il contrario?" pensò Peter divertito osservando i suoi amici.
Non sapeva a chi dei due dare ascolto, probabilmente nessuno aveva ragione. Peter sapeva che cercavano solo di aiutarlo, ma in quel modo non facevano altro che trovare nuove scuse per litigare.
«A proposito, stasera voi due vi dovete vedere?» chiese John.
«Noi due?» fece Peter.
«Tu e la tua bella» spiegò John. Peter scosse la testa.
«No, non ci vediamo mai fuori da scuola»
Ore buche, qualche volta durante l'ora di inglese e prima delle lezioni, a patto che non ci fosse nessuno in giro. Questi erano gli unici momenti in cui potevano decidere di vedersi. Non uscivano insieme in nessun caso e non andavano a casa l'uno dell'altra, perché a casa di Peter c'erano sempre sua madre o suo fratello, mentre Rachel viveva con la zia, cioè la professoressa Walstone.
«Io ho un appuntamento stasera» disse Mike.
«Nessuno te l'ha chiesto» sibilò John.
«Credevo che volessi sapere se-»
«Kane, potresti venire a casa mia ed imparare a giocare d'azzardo come mi hai chiesto... direi di cominciare con le carte» continuò John, ignorando Mike e fissando Peter quasi supplicando.
«Certo, perché no» rispose Peter.
«Benissimo, allora ti voglio a casa mia per le sette, sarà una lunga serata» disse John sorridendo.
«Non hai pensato che magari voglio venire anch'io?» fece Mike indispettito.
«Non hai un appuntamento?»
«Sì, ma posso tranquillamente rimandare» rispose l'altro.
«Non se ne parla, hai preso un impegno e adesso lo porti a termine. Che razza di uomo sei?» lo prese in giro John.
«Un uomo d'onore, a quanto pare» borbottò Mike sarcastico.
«Con chi è che devi uscire?» gli chiese Peter.
«Una ragazza che è in classe con voi. Jenny, Abby...»
«Maddie?» domandò Peter.
«Sì, esatto! Maddie» esclamò Mike.
«Prevedo un appuntamento fantastico, visto che non ti ricordi neanche il suo nome» intervenne John. Mike alzò le spalle.
«Che vuoi che sia un nome... se me lo dimentico posso sempre usare dei nomignoli»
«Un vero colpo di genio, insegnami le tue tecniche, maestro» disse John alzando gli occhi al cielo.
«Oh, piantala»
«Però devo dirti una cosa...» fece John.
«Dimmela un'altra volta, ho un po' di fretta» lo interruppe Mike.

Quella sera Peter si preparò per andare a casa di John. Non sapeva cosa aspettarsi, visto che era completamente negato in qualunque gioco di carte e non aveva idea di che cosa avrebbe cercato di insegnargli John. Si vestì in tutta fretta e andò nell'ingresso. Le giornate iniziavano ad allungarsi, ma faceva ancora un po' troppo freddo per evitare di coprirsi. Stava giusto decidendo cosa mettersi addosso quando sua madre gli passò accanto.
«Peter, stai uscendo?» gli chiese. Lui annuì.
«Sì, vado da John»
«Potresti aspettare un momento? Ho una cosa da dire a te e tuo fratello»
Era strano che sua madre convocasse una riunione di famiglia in salotto in quel modo, di solito parlava tranquillamente di tutto durante i pasti o nei momenti morti della giornata.
Perplesso, Peter si sedette sul divano, dove poco dopo lo raggiunse anche Rob.
«Allora, che cosa c'è? Spero che sia importante, mi stai facendo fare tardi agli allenamenti» si lamentò Rob.
«Mi è stato chiesto di partecipare ad un progetto per il mio lavoro» disse la donna. Sia Peter che Rob annuirono.
«Congratulazioni» fece Peter, pensando che fosse quello che sua madre si aspettava da lui.
«Non ho finito. La prossima settimana dovrò partire per l'estero, e non posso portarvi con me» continuò la donna.
«E che problema c'è?» commentò Rob «Tanto mica starai via per degli anni, no?»
«Starò via di casa per una decina di giorni» spiegò la donna.
«Stai dicendo che ci abbandonerai a noi stessi?» domandò Rob, sfregandosi le mani felice, probabilmente pregustando l'idea della libertà totale dalle regole.
«Nessuno vi abbandona, siete abbastanza grandi da badare a voi stessi, Peter tra poche settimane sarà maggiorenne. E poi vi lascerò tutto il cibo che vi serve»
«E i soldi?» chiese Peter.
«Non fare il furbo. Non vi servono altri soldi, per quei pochi giorni vi basteranno quelli che avete già» rispose sua madre.
«E se dovesse esserci un'emergenza?» continuò Peter.
«Per qualsiasi problema potete chiedere alla signora Stubbs, l'ho già informata»
La signora Stubbs era la loro anziana vicina di casa, un po' sorda e parecchio lenta nei movimenti. Insomma, non era proprio la persona migliore da chiamare in caso di bisogno urgente.
«Mamma, la Stubbs ha già un piede nella fossa, osi affidare le vite dei tuoi due unici figli a quella mummia?» disse infatti Rob.
«Smettila. Si è sempre presa cura di voi fin da quando eravate piccoli, vi ha visti crescere»
«Preferirei che non ci vedesse anche morire» commentò Peter.
«Non sei gentile, la signora Stubbs ci sta facendo un grosso favore»
«Sì Peter, sei un maleducato. Perché parli male di quella povera vecchietta che non si accorgerebbe nemmeno di una guerra nucleare in corso nella sua sala da pranzo?» si aggiunse Rob.
«Basta, tutti e due. Le cose saranno così e basta, che vi piaccia o no»
«Va bene» disse Rob «Ora posso andare?»
«Sì»
Sua madre non aveva neanche finito di parlare che già Rob aveva preso quello che gli serviva per allenarsi ed era corso fuori di casa.
«Stai attento a tuo fratello mentre sono via» disse la donna a Peter, che nel frattempo si era alzato con calma.
«Lo farò, ma non mi prendo la responsabilità delle sciocchezze che potrebbe fare»
«Sei il più grande, devi badare a Rob»
«Va bene, ma non prendertela con me se lui dovesse fare qualcosa di stupido. Sarà anche più piccolo di me ma anche lui ha un cervello funzionante»
«Non cominciare adesso. Cercate di andare d'accordo»
«Farò il possibile. Ora però devo proprio andare, John mi sta aspettando» disse Peter aprendo la porta di casa.
«Non tornare troppo tardi, domani c'è scuola» gli urlò dietro sua madre.
Era un po' in ritardo, ma conoscendo John sapeva che non se la sarebbe presa, anche perché di solito era lui quello che arrivava più tardi di tutti. Fece comunque il possibile per raggiungerlo nel minor tempo possibile, e quando arrivò lo trovò sulla porta ad aspettarlo mentre guardava impazientemente l'orologio.
«Kane, finalmente! Credevo che ti fossi perso per strada» esclamò il ragazzo.
«Ho avuto un imprevisto» si affrettò a scusarsi Peter.
«Un imprevisto, eh? Beh, non importa. Andiamo, siamo già in ritardo» disse John, allontanandosi dalla casa a grandi passi.
Peter esitò a seguirlo, perplesso.
«Credevo che saremmo restati a casa» gli disse.
«Cambio di programma»
«Che cos'hai in mente?» domandò Peter notando lo sguardo strano dell'amico.
«Lo vedrai»
«John...»
«Non insistere, tra poco lo saprai»
Pochi minuti dopo si trovavano inginocchiati in un cespuglio di piante finte al centro commerciale, con John che si guardava intorno freneticamente come se credesse di essere il protagonista di un film di spionaggio scadente.
«Vuoi spiegarmi che ci facciamo qui?» chiese Peter, certo che il suo amico fosse finalmente impazzito una volta per tutte.
«Mike ha un appuntamento» mugugnò John in risposta.
«Sì, c'ero anch'io quando l'ha detto. E allora?»
«Allora io voglio vedere che cosa fa»
«Vuoi dire che siamo nascosti tra un mucchio di piante finte che mi fanno prurito solo perché vuoi vedere quello che fa Mike?»
«Perspicace, Kane»
«Tu hai qualche problema» disse Peter, cercando di alzarsi ed uscire allo scoperto.
«Cosa fai? Così ci farai scoprire!»
«John, non ho intenzione di passare tutta la sera nascosto qui in mezzo per spiare Mike, è una cosa folle. E dire che dovresti essere tu quello intelligente tra di noi!»
«Molto bene. Facciamo a modo tuo» disse John alzandosi in piedi e sedendosi su una panchina poco distante. Peter si affrettò a raggiungerlo, ancora infastidito dalla sensazione delle piante di plastica a contatto con la pelle.
«Perché non ti sei seduto subito qui invece di metterti in mezzo a quelle stupide piante?» si lamentò.
«Non volevo che Mike ci notasse, ma avevi ragione tu, era una pessima idea. Non ho niente di cui vergognarmi. Seguiremo Mike e Maddie senza preoccuparci di non farci vedere»
«Perché?» chiese Peter. Non riusciva a spiegarsi il motivo per cui John sembrasse così ossessionato da Mike e le sue ragazze.
«Perché Maddie aveva chiesto a me di uscire questa sera. Ha ripiegato su Mike solo perché sa che è un mio amico e che non dice mai di no»
«Stai scherzando» commentò Peter «Deve per forza essere uno scherzo»
John scosse la testa.
«No, me l'ha chiesto l'altro giorno. Io le ho detto che non ero interessato, allora è andata subito da Mike»
«Quindi non siamo qui perché vuoi vedere cosa fanno, siamo qui perché sei preoccupato per Mike» disse Peter divertito.
«Che stupidaggine. Lo sto facendo solo perché non mi va che Maddie si approfitti in questo modo di quel povero idiota di Mike che non è abbastanza intelligente da allacciarsi le scarpe da solo»
«Quindi sei preoccupato» insistette Peter malizioso.
«Oh, chiudi il becco Kane»

Passò un'ora prima che riuscissero a trovare Mike. Lo individuarono dentro uno di quei piccoli ristorantini di cui sono pieni i centri commerciali, seduto ad un tavolo insieme a Maddie.
«Guarda come si diverte... ancora per poco» borbottò John fissando Maddie con gli occhi che mandavano scintille.
«A volte mi fai paura» disse Peter.
«Davvero? Bene, vuol dire che mi rispetti» disse John, senza staccare lo sguardo dalla ragazza.
«E adesso che facciamo?»
«Entriamo in azione. Fai quello che faccio io»
Senza aspettare una risposta, John entrò nel locale e prese posto al tavolo di Mike e Maddie.
«Buonasera, scusate il ritardo!» disse con un ampio sorriso. Mike lo guardò con un'espressione terribile, mentre Maddie non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Capendo che John non intendeva lasciare i due da soli, Peter non rimase altro che prendere una sedia da un tavolo vicino e sedersi a sua volta accanto a loro.
«Nessuno ti ha invitato, John» disse Mike.
«Invece sì»
«Mi ricordo benissimo di non averlo fatto. Ora sparisci»
«Perché? Si sta così bene qui... vero, Maddie?» fece John, lanciando alla ragazza uno sguardo glaciale. Anche Peter e Mike la guardarono, e lei arrossì all'istante.
«Sì...» rispose con voce flebile.
«Visto? Lei è d'accordo» disse John guardando fisso Mike.
«Io no però»
«Kane, tu che ne pensi?» chiese allora John. Peter sobbalzò nel sentirsi chiamato in causa.
«Credo di non avere il diritto di immischiarmi in questa storia» rispose. John sospirò.
«Tocca sempre a me la parte del cattivo... allora Maddie, come sta andando l'appuntamento? È come ti aspettavi?»
Maddie annuì.
«Sì. Mike è eccezionale» disse. Si sentiva un velo di stizza nella sua voce.
«Eccezionale! Pensa un po'» commentò John.
«Lasciala in pace, non credevo che fossi capace di arrivare a questo punto» disse Mike.
«John» fece Maddie «Possiamo parlare un secondo? In privato però»
«Assolutamente no. Se devi dirmi qualcosa puoi farlo davanti a loro, non ho segreti con questi due» replicò John.
«Non è una cosa di cui parlare davanti a tutti» insistette Maddie. John guardò Mike, che aveva l'aria perplessa.
«C'è qualcosa di cui non sono a conoscenza?» chiese infatti.
Peter sperava con tutto il cuore che John avesse il tatto di non raccontargli la verità, perché sapeva che Mike ci sarebbe rimasto male se avesse saputo che Maddie lo stava usando. Il problema è che aveva completamente dimenticato che John non conosceva nemmeno il significato della parola 'tatto'.
«Senti, io non te lo volevo dire, ma penso di essere costretto. Maddie aveva chiesto a me di uscire, e quando le ho detto di no ha subito ripiegato su di te» ammise John.
Peter scosse la testa, Maddie arrossì violentemente, mentre Mike la guardava stupito.
«Non ci credo» disse poi.
«Ti assicuro che è la verità. Si sta solo approfittando di te»
«Non credergli» si intromise Maddie.
«John sarà anche il peggior amico che qualcuno possa avere» disse Mike «Ma non è un bugiardo»
«No, Mike...»
«Lasciami in pace» borbottò lui. Maddie scoppiò in lacrime all'improvviso e si allontanò dal tavolo correndo.
«Spero che tu sia felice» disse Mike. John sorrise.
«Abbastanza. Almeno non hai perso tempo con una che non ti voleva»
Mike sospirò.
«A me non importava molto, ho accettato solo per cortesia»
«Non avevo dubbi, è per questo che ti ho detto la verità»
«Un po' mi dispiace per lei» disse Peter fissando il punto in cui Maddie era scomparsa alla sua vista.
«Kane, non dispiacerti per persone che non esiterebbero a pugnalarti alle spalle» fece John dandosi arie.
«Dire cose del genere non ti fa sembrare più intelligente» lo punzecchiò Mike.
«Guarda Kane, Mike ha già superato lo shock. E tu che credevi che sarebbe rimasto traumatizzato»
«Di sicuro non gli ha fatto piacere» commentò Peter.
«Non è mai bello quando succede, ma non è la fine del mondo» disse Mike.
«Dunque, adesso che il tuo appuntamento è saltato, che ne dite di andare davvero a casa mia ad imparare a giocare d'azzardo?»

La mattina seguente Peter era così stanco che quasi non riusciva a tenere gli occhi aperti. Aveva passato l'intera serata a casa di John a cercare di capire le regole di chissà quale complicato gioco di carte, ed aveva finito col perdere tutti i soldi che aveva in tasca contro Mike, che invece si era dimostrato piuttosto abile.
Era stata una pessima idea restare fuori fino alle due di notte sapendo che il giorno dopo sua madre l'avrebbe comunque svegliato per andare a scuola. John era stato più furbo e non si era presentato a lezione. Dunque Peter fu costretto a restare da solo per tutto il giorno, combattendo contro il sonno e la noia. Finì anche per addormentarsi un paio di volte, e le continue urla dei professori non fecero altro che peggiorare la sua giornata. Non riuscì neanche a vedere Rachel, perché quel giorno erano entrambi coperti di impegni e Peter non aveva lezione di inglese. Insomma, una giornata da dimenticare.
Dopo quelli che sembrarono secoli, fu finalmente libero di tornare a casa. Voleva solamente passare il resto della sua vita a dormire, ma quando varcò la soglia di casa capì che non sarebbe stato possibile.
Appena messo piede nell'ingresso capì subito che c'era qualcosa che non andava. Sua madre era lì in piedi ad aspettarlo, ed era una cosa che normalmente non faceva.
«Cosa succede?» le domandò. Lei sembrò gonfiarsi come una gallina, il che sarebbe stato molto divertente se Peter non avesse prima notato la furia sul suo viso.
«Peter, ho ricevuto un'altra lettera sul tuo rendimento. In matematica sei migliorato, ma in inglese sei un vero disastro. È ora di prendere dei provvedimenti, non puoi continuare così» disse lei.
«Quali provvedimenti?»
«Delle ripetizioni. Non possiamo aspettare che ti dicano che devi ripetere l'anno, devi svegliarti adesso»
Peter si sentì mancare. Uno dei suoi peggiori incubi stava per diventare realtà. Sarebbe stato costretto a studiare inglese anche oltre l'orario scolastico.
«E chi credi che sia disposto a darmi ripetizioni?» domandò nervoso.
«Sul sito della scuola c'è scritto che la tua professoressa di inglese è disponibile per colloqui e chiarimenti, lo chiederò direttamente a lei. E tu verrai con me» rispose la donna andando verso la porta.
«Ma come, adesso?»
«Sì, e niente storie. Visto che tu non ti sei impegnato per niente, ci penserò io a costringerti a farlo»
Sua madre lo fece salire in macchina per assicurarsi che non potesse evitare di seguirla, e in pochi minuti furono a scuola. Peter aveva il cuore in gola, terrorizzato all'idea che la professoressa Walstone lo condannasse ad ore infinite di ripetizioni.
«Muoviti» ordinò la donna nel parcheggio della scuola. Aspettò che Peter scendesse dalla macchina e lo obbligò a precederla all'interno dell'edificio.
«Dov'è l'ufficio della professoressa di inglese?» gli chiese poi.
«Non ci sono uffici, ricevono in sala professori» spiegò Peter.
«Fammi vedere dov'è»
Peter salì due rampe di scale, guidando sua madre attraverso la scuola. Avrebbe preferito essere ovunque tranne che lì.
«Quella porta lì» disse poi, indicando la porta della sala professori, che in quel momento era socchiusa.
«Andiamo» fece sua madre spingendolo. In quel momento la porta si aprì e ne uscì Rachel, che quando si trovò Peter davanti non riuscì a trattenere uno sguardo triste.
«Salve. È qui che riceve la professoressa Walstone?» chiese la madre di Peter.
«Sì, è dentro, ma al momento è impegnata con un'altra persona. Non ci vorrà molto però» rispose Rachel.
«Aspetteremo»
Peter seguì Rachel con lo sguardo, e improvvisamente sentì il bisogno di parlare con lei.
«Devo andare in bagno» buttò lì.
«Fai presto, voglio che ci sia anche tu quando la professoressa mi parlerà dei tuoi voti» lo avvertì sua madre.
«Va bene»
Fece finta di andare verso i bagni, ma appena voltato l'angolo andò a cercare Rachel. La trovò mentre camminava in corridoio, così la raggiunse di corsa.
«Rachel, aspettami» sussurrò. Lei si voltò a guardarlo.
«Purtroppo mia zia ha scritto un'altra lettera a tua madre, non sono riuscita a impedirglielo» disse tristemente quando lui la raggiunse.
«Non preoccuparti, sarebbe stato strano se non l'avesse fatto» fece Peter sconsolato.
«Mi dispiace tanto»
«Lo dici come se fosse colpa tua... tranquilla, sono abituato a queste cose»
«Avrei dovuto fare di più. Alzare ancora i tuoi voti, oppure...»
«Oppure niente» disse Peter prendendole istintivamente le mani «Non c'è problema, me lo sono meritato»
«Non qui, aspetta» fece Rachel liberandosi dalla sua presa. Lo condusse verso l'aula più vicina, che vista l'ora era ormai vuota, e lo esortò a seguirla. Quando furono dentro si assicurò di chiudere bene la porta prima di parlare.
«Ecco, qui non corriamo rischi» disse poi. Peter si avvicinò a lei e tornò a prenderle le mani. Non sapeva perché, ma quel contatto lo faceva sentire meglio.
«Credo di essermela andata a cercare» le disse.
«Non è vero. Tu saresti bravo in inglese se solo volessi»
«Non ci riesco, ok? È più forte di me. E adesso mi toccherà anche prendere ripetizioni»
«Sei qui per questo?» gli domandò Rachel. Peter annuì.
«Mia madre vuole farsi consigliare da tua zia un insegnante per le ripetizioni»
Rachel sorrise.
«Forse potremmo girare la cosa a nostro vantaggio. Ho un'idea»
«Quale?»
«Lascia fare a me»
Gli diede un bacio veloce e inaspettato che bastò a fargli girare la testa, e poi uscì dalla stanza. Peter le trotterellò dietro, chiedendosi cosa avesse in mente.
«Ah, eccoti. La professoressa è pronta a riceverci» lo informò sua madre.
Peter si trattenne dal prendere la mano di Rachel e seguì sua madre in sala professori. Lì c'era la professoressa Walstone seduta ad un tavolo, che lo guardò severamente.
«Kane. Mi aspettavo di vederti» disse.
«Buongiorno» mormorò Peter prendendo posto di fronte a lei.
«Immagino che siate qui per la lettera?» domandò la donna alla madre di Peter.
«Sì. Vogliamo fare qualcosa per migliorare il suo rendimento, quindi vorrei sapere se lei fosse disponibile a dare ripetizioni a Peter»
«Purtroppo questo non posso farlo. Apprezzo che abbiate preso l'iniziativa, ma ho molto lavoro già per le lezioni normali» rispose la professoressa.
«Magari potrei pensarci io» intervenne Rachel.
Peter la guardò come se fosse impazzita.
«Tu? Sì, potrebbe essere una buona idea, in fondo conosci bene tutto il programma e i miei metodi di insegnamento. Tu che ne pensi, Kane?» commentò la professoressa.
«Ehm...»
«Sul serio lo faresti?» domandò la madre di Peter a Rachel.
«Certamente, sarebbe un piacere» rispose lei.
«Ti sarei grata se potessi dargli una mano. È un vero disastro, non ne vuole sapere»
«Quanto è vero, è uno scansafatiche» concordò la professoressa Walstone.
«Peter è un ragazzo molto intelligente, sono sicura che imparerà in fretta» fece Rachel.
«Bene, allora abbiamo risolto. Rachel, accompagnali fuori»
Peter uscì senza dire una parola, scortato da sua madre e da Rachel.
«Vi metterete d'accordo direttamente voi due sugli orari e sui giorni, se non è un problema» disse poi la madre di Peter.
«Certo che no, va benissimo. Non sei d'accordo, Peter?»

La prima volta che Rachel si presentò a casa sua, Peter fece di tutto per sembrare presentabile. Non voleva certo che lei pensasse che fosse un ragazzino, così staccò tutte le fotografie dai muri della sua stanza e sistemò alla meglio il resto dell'arredamento, si fece una doccia e cercò perfino di pettinarsi i capelli con cura.
Rob era a casa quel giorno, così non poteva lasciarsi andare a nessun genere di dimostrazione di affetto con Rachel. Quando la sentì bussare incrociò le dita, sperando che niente andasse per il verso sbagliato.
«Buongiorno» disse aprendo la porta.
Rachel era lì, sorridente e bella come sempre, e Peter si perse a guardarla. Mentre posava lo sguardo su di lei pensava solamente una cosa: era molto fortunato a poter passare dei momenti con lei, e ogni volta che la vedeva era così felice da sentire le farfalle nello stomaco.
Ma non stavano nemmeno insieme. Non era semplice come con Alison. Lei era Rachel, una donna, un'assistente insegnante, una che era stata ad un passo dal matrimonio.
E lui era solamente un diciassettenne senza particolari qualità che aveva passato gli ultimi dieci anni della sua vita a farsi prendere a botte.
«Ciao, Peter» gli disse lei «Pronto per la nostra lezione?»
«Prontissimo» rispose. In realtà non era pronto, era agitatissimo.
«Cavoli, anche io le prenderei le ripetizioni di inglese se la mia professoressa fosse così»
Il commento di Rob fece ridere Rachel e desiderare a Peter di essere da un'altra parte.
«Ehm... lui è mio fratello» si affrettò a dire. Rachel lo salutò gentilmente, e poi Peter la guidò verso il tavolo della cucina, l'unico abbastanza grande da poter accogliere i documenti ed i libri di entrambi. Si sedette di fronte a lei e chiuse la porta, minacciando Rob e intimandogli di non disturbare.
«Neanche che fosse la tua ragazza» replicò suo fratello.
"Non hai idea di quanto sei vicino alla verità, fratellino..."
«Scusa per mio fratello. Avevo programmato in modo che potessimo stare da soli, ma...» si scusò. Rachel sorrise.
«Non importa, basta stare insieme, no?»
«Sì» disse Peter in risposta. Rachel gli fece segno di sedersi, e poi passò in rassegna tutti i libri che aveva portato con sé.
«Cominciamo. Direi che possiamo iniziare ripassando l'ultima lezione, poi ci dedicheremo ai compiti» disse.
«Ok...»
I primi quaranta minuti furono molto complicati per Peter. Cercava di capire quello che lei gli spiegava, ma tutto gli sembrava talmente difficile da essere impossibile da memorizzare. E Rachel si comportava in modo così normale. Proprio come se fosse solamente una professoressa.
«Cosa c'è? Non hai capito?» gli domandò lei quando si accorse che Peter la fissava senza dire niente.
«No, è solo che mi aspettavo qualcosa di un po' diverso» ammise.
Rachel lanciò un'occhiata verso la porta chiusa e poi si sporse verso Peter per accarezzargli i capelli.
«Credimi, se fossimo soli sarei ben felice di integrare altri programmi alla nostra lezione» gli disse.
«Non possiamo direttamente saltare alla pratica?» domandò Peter. Rachel scoppiò in una risatina.
«Non dobbiamo rischiare, ricordi?»
«Sì, certo...»
«Bene. Continuiamo, non ti distrarre» gli ordinò poi Rachel, riprendendo a leggere dal suo libro. Peter abbassò lo sguardo, cercando di concentrarsi sulle parole invece di pensare al fatto che Rachel era a casa sua e che gli avesse praticamente detto che se Rob non fosse stato lì gli sarebbe saltata addosso.
Un tocco caldo lo distrasse. Rachel gli aveva preso la mano, senza smettere di leggere ad alta voce. Peter arrossì, felice per quel gesto così naturale.
«Rachel»
«Sì, Peter?»
«Sono felice che tu sia qui con me»
Rachel lo guardò dritto negli occhi.
«Anch'io» disse, con uno sguardo così intenso che Peter ne rimase incantato.
«Ora, quello che il nostro autore sta cercando di trasmettere...»

Il giorno della partenza di sua madre si avvicinava, e Peter continuava a prendere ripetizioni da Rachel. Con suo dispiacere, non riuscivano mai a restare completamente soli, così ebbe un'idea. Come prima cosa, doveva informare Rachel dei suoi piani.
«Pronto?»
«Rachel?»
«Peter, ciao. Come mai mi telefoni?»
«Ehm... ecco... volevo parlare delle ripetizioni»
«Certo, dimmi pure»
«Allora... tra qualche giorno mia madre sarà via per lavoro, quindi pensavo che se riusciamo a far coincidere l'incontro con gli allenamenti di mio fratello...»
«Ho capito cos'hai in mente. Va bene, dimmi quando»
«D-davvero?»
«Sì, perché quel tono sorpreso?»
«Non pensavo che avresti accettato»
«Perché no? Ci sarà tempo per fare tutto quello che vuoi... dipende da cosa vuoi però»
«Voglio te» disse tutto d'un fiato.
Doveva essere impazzito. Essere così diretto su quell'argomento, e al telefono poi. E con Rachel. Rachel! La nipote della sua professoressa di inglese. Rachel, che lo faceva sorridere ogni volta che gli rivolgeva la parola. Lei, che lo faceva sentire bene come nessun altro. Che quasi ogni giorno lo trascinava in una classe vuota badando bene a chiudere a chiave la porta per passare del tempo insieme senza essere disturbati. Ed ora aveva fatto incoscientemente la sua mossa, chiedendosi se veramente fosse arrivato il momento di godersi appieno uno dei loro momenti senza limiti di tempo o paura di essere disturbati.
«Vedremo, se ti comporterai bene potrei anche decidere di accontentarti» fece lei maliziosamente.  

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** THAT THING YOU DO. ***


THAT THING YOU DO.


Finalmente, il giorno della partenza di sua madre arrivò. Era mattina presto, ma Peter e Rob si erano comunque svegliati per salutarla perché sapevano che lei avrebbe avuto mille raccomandazioni per entrambi.
«Vedete di comportarvi bene, tutti e due» disse infatti la donna, puntando loro contro un dito ammonitore.
«Quello che si comporta male di solito è lui, non io» si difese Peter.
«Rob, non fare impazzire tuo fratello. E Peter, voglio tornare a casa sapendo che i tuoi voti in inglese sono migliorati»
«Continuerò a prendere ripetizioni anche mentre sei via» la rassicurò Peter.
«Lo spero per te. E non date fastidio ai vicini, non fate feste e andate a scuola tutti i giorni»
«Sì, mamma» dissero Peter e Rob all'unisono.
«D'accordo allora. Fate i bravi. E iniziate a prepararvi per la scuola, non voglio che facciate tardi» disse infine la donna, stampando un grosso bacio a tutti e due.
Peter si sentiva strano, non gli era mai capitato di dover avere a che fare con suo fratello per dieci giorni senza l'aiuto di nessuno, e questo lo agitava. Cosa sarebbe successo se non fosse riuscito a tenere Rob a bada? O peggio, cosa sarebbe successo se fosse stato picchiato di nuovo a scuola e fosse stato portato in ospedale lasciando Rob abbandonato a se stesso?
No, meglio pensare positivo. Salutò per l'ultima volta sua madre, che gli ricordò di chiamarla in caso di bisogno. Quando lei fu uscita di casa, Peter costrinse Rob a cambiarsi e fece altrettanto, poi trascinò suo fratello fino a scuola tirandolo per un braccio.
Rob, che sperava che il regime di Peter fosse meno severo di quello di sua madre, dovette ricredersi nel giro di dieci metri.
«Sei un isterico! Che vantaggio c'è ad essere a casa da soli se poi mi trascini a scuola?» si lamentò.
«Primo, non sono isterico. Secondo, l'istruzione è importante» disse Peter imitando la voce del professor Bloomberg.
«Proprio tu lo dici! I tuoi voti sono peggio dei miei!»
«Però io sono più grande» si difese Peter.
«E io sono più alto!»
«Pete, Rob, che ci fate già qui?» domandò Mike quando se li vide arrivare incontro.
«Mamma è partita, devo assicurarmi che questo qui non faccia tardi a scuola... o come minimo che si presenti in classe» spiegò Peter.
«Libertà totale, eh?»
«Già. Se non fosse che devo badare a lui sarebbe quasi divertente» commentò Peter.
«Poteva andarti peggio»
«Infatti, poteva avere un fratello come lui» borbottò Rob.
«Smettila, domani non c'è scuola, non hai niente di cui lamentarti» lo rimbeccò Peter.
Proseguirono in direzione della scuola, e una volta davanti all'edificio Rob corse via per liberarsi di Peter.
«Adesso capisco perché mamma dice che è difficile avere figli» borbottò Peter.
«Non è poi così male, almeno non devi cambiargli il pannolino» rise Mike.
«Che schifo, Mike!»
«Che c'è? Tutti prima o poi dovremo farlo» si difese l'altro.
«Non ti ci vedo a fare il padre»
«Io sarei un padre perfetto, pensa per te!»
La scuola cominciò a popolarsi, e Peter entrò in classe da solo, nascondendosi nell'angolo in fondo come al solito. John si unì a lui di lì a poco, chiedendogli perché fosse così in anticipo.
«Visto che mia madre è partita ero già sveglio, tanto valeva prepararmi per la scuola. » rispose Peter alzando le spalle.
«Dunque adesso sei il re della casa?»
«Ehm...»
«Potrei venire a trovarti uno di questi giorni. Una casa senza regole, praticamente un sogno» disse John.
«Ma già a casa tua vivi senza regole» gli fece notare Peter.
«È vero, ma immaginare di rivoltare casa tua da cima a fondo è più divertente»
«Non lo farai»
«Lo vedremo, Kane...»

Non riusciva più a stare fermo dall'agitazione. Continuava solamente a pensare a quello che doveva fare: controllare che Rob non avesse combinato niente di strano a scuola, tornare a casa insieme a lui, preparare il pranzo, costringere suo fratello a fare i compiti, preparare la cena, eccetera.
Se solo non fosse stato completamente negato in cucina non sarebbe stato così nervoso.
«Puoi sempre invitare a casa tua il tuo caro ed affamato amico John e chiedergli di cucinare per tutti. Ti ho mai detto che sono un grande cuoco?» scherzò John.
«Scusa ma non ti ci vedo proprio ai fornelli»
«Prima che venissi a vivere qui mia madre ha cercato di insegnarmi qualcosa, ma non mi ricordo niente» gli diede poi ragione l'altro.
«E chi cucina a casa tua?»
«Di solito mia zia, e quando non c'è lei mio zio mi porta al ristorante. Nessuno di noi due è in grado di fare qualcosa di commestibile»
«Nel peggiore dei casi ordinerò qualcosa di pronto» disse Peter.
«Oppure chiedi a Mike di prestarti il suo chef personale» fece John.
«Mike non ha uno chef personale»
«Ah no? Credevo che fosse abbastanza ricco da permettersene uno, ha addirittura una cameriera che gli pulisce la stanza!» esclamò John.
«La vuoi smettere?» si lamentò Peter infastidito.
«Se solo fossimo a Londra, ti presterei il mio di chef personale. Si chiamava Howard. Preparava certi filetti di tonno che ogni tanto li sogno ancora la notte» continuò John.
«Sul serio avevi uno chef personale?» gli chiese Peter sbigottito.
«Sì. Ma penso che i miei l'abbiano licenziato quando mi hanno mandato qui. Era mia madre a cucinare per il resto della famiglia, Howard si occupava solo di me. Mi dispiace per lui»
«Perché solo tu avevi uno chef?»
«Perché di solito quando era ora di mangiare a casa mia non c'era mai nessuno, fin da quando ero piccolo. I miei lavoravano e spesso tornavano a casa ad orari diversi dal mio, o non tornavano affatto, quindi mangiavano insieme al lavoro quello che cucinava mamma. Hanno pensato che Howard sarebbe stato la soluzione migliore per me»
«Deve essere stato difficile crescere stando sempre da solo» disse Peter.
«Non era poi così male, dopo un po' ci si fa l'abitudine» rispose John con noncuranza. Non sembrava che la cosa lo colpisse particolarmente.
«E non hai fratelli, sorelle, cugini o qualcun altro che potesse farti compagnia?»
«Sì, ho un fratello più grande, ma è sempre stato in collegio e tornava solo per le feste»
«Ti somiglia?»
John ci pensò su parecchio prima di dare una risposta.
«Uhm... no, direi di no. Lui è il classico figlio modello, quello che si comporta sempre bene, un po' come te. Io sono sempre stato la mela marcia della famiglia»
«Tu non sei una mela marcia» replicò Peter.
«Preferisci pecora nera?» rise John.
«Catham, cosa c'è di così divertente nella decapitazione dei sovrani di Francia?» li interruppe il professore.
«Il fatto che alla fine hanno perso la testa letteralmente e non metaforicamente» rispose John distrattamente.
«Non ci trovo niente da ridere» continuò il professore.
«Perché lei non ha senso dell'umorismo»
«Non avrò senso dell'umorismo, ma ho un registro su cui segnare che tu ne hai fin troppo»

Finalmente le lezioni terminarono, e Peter aveva la prospettiva di ore senza scuola che lo aspettavano. Era seccato all'idea di dover condividere quella libertà con Rob, ma non poteva fare altrimenti. Aveva promesso di comportarsi da fratello responsabile e non aveva intenzione di tirarsi indietro.
Aspettò che Rob uscisse da scuola e tornarono a casa insieme, cosa che di solito facevano raramente.
«Perché oggi mi hai aspettato?» gli domandò Rob.
«Voglio controllarti a vista» rispose Peter.
«Lasciami in pace, non ho bisogno del tuo aiuto»
Quando entrarono in casa Peter tirò un sospiro di sollievo. Era andato tutto come al solito, nessuno dei due aveva avuto voti troppo indecenti ed erano pronti a pranzare.
«Aspetta, non cucinerai tu, vero?» gli domandò Rob preoccupato. Peter aveva avuto lo stesso pensiero, poi si ricordò che sua madre gli aveva lasciato una lista in cucina con su scritti tutti i pasti già pronti in frigorifero.
«No, stai tranquillo» disse leggendola «Mamma ci ha lasciato da mangiare per tutta la settimana, dobbiamo solamente riscaldare questa roba»
«Fammi vedere» disse Rob strappandogli la lista dalle mani «Ci penso io, se lascio fare a te brucerai tutto e moriremo di fame»
«Quanta fiducia che hai in tuo fratello» borbottò Peter sarcastico.
«Dunque... io ho voglia di carne. Non mi interessa se sei d'accordo, oggi mangiamo carne» decise Rob.
Mentre suo fratello apriva il frigo per cercare quello di cui aveva bisogno, Peter iniziò a gironzolare per la cucina e apparecchiare, un po' perché non sapeva cosa fare e un po' perché voleva assicurarsi che Rob non desse fuoco alla casa. Nel giro di un quarto d'ora stavano già mangiando, e Peter continuava a lamentarsi perché quello che aveva nel piatto non si era scaldato neanche lontanamente.
«Pensa per te, il mio è perfetto» replicò Rob. Contrariato, Peter continuò a mangiare solo per non dover stare a sentire suo fratello, e quando i piatti di entrambi furono vuoti lì buttò alla meglio dentro la lavastoviglie, sperando che fosse la macchina a fare tutto il lavoro al posto suo. Mentre lui era impegnato in questa operazione, Rob corse in camera sua e ne uscì poco dopo con in mano il borsone da basket.
«Bene, ci vediamo tra qualche giorno» annunciò a Peter.
«Dove vai?» chiese lui sospettoso.
«La mia squadra di basket ha un torneo in trasferta» rispose Rob con semplicità.
«Mamma lo sa?»
«No, ed è meglio non dirglielo. Impazzirebbe se lo sapesse»
«Rob...»
«Che c'è?»
«Dove devi andare? E rispondi sinceramente stavolta» disse Peter serio.
«Non credevo che fossi così sveglio. Ok, tutti i miei amici vanno ad una festa a casa di Ben, e pensavo di restare a dormire lì»
«Quanto hai detto che vorresti restare?»
«Un paio di giorni. Lo conosci Ben, no?»
«No. E non puoi andarci» fece Peter deciso. Non poteva permetterglielo, sua madre gli aveva affidato la responsabilità di suo fratello, e se lo avesse scoperto sarebbe sicuramente finito nei guai.
«Non sei il mio capo, io faccio quello che voglio» replicò Rob.
«Non puoi, se ti succedesse qualcosa mentre dovresti essere a casa con me, mamma non me lo perdonerebbe mai»
«Cosa vuoi che succeda?»
«Qualsiasi cosa. Non si sa mai»
«Se non mi fai andare dirò a mamma della tua nuova ragazza... quella Rachel che è venuta ad insegnarti inglese l'altro giorno, giusto?» disse Rob con un sorriso malizioso. Peter sbiancò.
«Come sai di Rachel?»
«Vi ho visti tenervi per mano e baciarvi prima che lei andasse via. Sarò anche più piccolo di te, ma non sono cieco. Allora, affare fatto?»
Peter dovette resistere alla tentazione di sbattere la testa contro il muro. L'ultima volta che Rachel era passata a dargli ripetizioni era stato incauto e l'aveva salutata un po' troppo calorosamente pensando che Rob fosse distratto dalla televisione, mentre evidentemente non era così.
«Mi stai ricattando?» domandò teso.
«Pensaci. Avresti la casa tutta per te per due giorni, potresti invitare quella lì. So che non sei l'angelo ingenuo e sprovveduto che pensa mamma, l'ho capito benissimo che l'hai fatto»
«Che ho fatto cosa?»
Rob fece un gesto molto eloquente con le mani, e Peter arrossì per l'imbarazzo. Se l'aveva capito addirittura lui, doveva essere stato ben poco discreto su tutti i fronti.
«Va bene, hai vinto. Puoi andare dove ti pare, ma se vengo a sapere che hai bevuto, fumato o che ti sei fatto di qualsiasi sostanza ti possa venire in mente ti ammazzo con le mie mani»
«Ok, come vuoi» rispose Rob facendo un gesto di vittoria. Peter rabbrividì al pensiero di essere in pugno a suo fratello minore, ma non poteva fare altrimenti.
«Potrei chiamarti qualche volta, tieni il telefono acceso. Se non risponderai verrò a prenderti e ti trascinerò subito a casa» lo avvertì.
«Sei peggio di mamma»
«Preferisci chiedere il permesso a lei?»
«No... mi basti tu»
«Lo immaginavo. Adesso muoviti, prima che cambi idea»
«Che paura» fece Rob sarcastico.
«Potrò anche non farti paura, ma ti ricordo che ho dalla mia parte John... e anche Mike»
Rob abbassò la testa. Aveva sempre avuto un po' di soggezione nei confronti di Mike, quindi Peter usava sempre la cosa a proprio vantaggio.
«D'accordo. Ti mando un messaggio ogni tre ore, ma ti prego non spedirmi contro Mike»
«Vedo che ci siamo capiti. Torna domani prima di cena»
«Sì. Ciao»
«Ciao»

Permettere a Rob di uscire era l'idea peggiore del secolo, ma non poteva fare altrimenti se voleva evitare che sua madre sapesse cosa c'era veramente tra lui e Rachel.
Sconsolato, andò a sedersi in salotto cercando di pensare a qualcosa da fare. Era solo, con la casa a sua completa disposizione per due giorni, e tutto quello che stava facendo era stare seduto davanti al televisore senza fare niente. Per calmarsi decise di seguire il consiglio di Rob, e così telefonò a Rachel.
«Peter, credevo che fossimo d'accordo per domani» disse subito lei.
«Sì, ma c'è stato un cambio di programma»
«Cioè?»
«Mio fratello se n'è andato»
«Che vuol dire che se n'è andato? È scomparso?»
«No, è solo andato ad una festa, quindi sono rimasto a casa da solo»
«E mi hai telefonato per...?»
«Non lo so, avevo solo voglia di sentirti» disse Peter.
«Hmm... quanto starà via tuo fratello?»
«Fino a domani. Gli ho detto di tornare prima di cena»
«Bene, allora avrai molto tempo per divertirti, buon per te»
«Mi prendi in giro?» le fece divertito.
«Sì. Mi ricordo bene quello che avevi detto sul vederci questa settimana. Potremmo anticipare le ripetizioni di un giorno, cosa ne dici?»
La gola di Peter si seccò all'istante mentre ricordava le parole che gli aveva detto Rachel poco tempo prima.
"Ci sarà tempo per fare tutto quello che vuoi... dipende da cosa vuoi però"
«Direi di sì. Sì» rispose.
«In questo caso ci vediamo fra poco. Preparati psicologicamente, non voglio vederti distratto come l'ultima volta»
«Aspetta, stiamo ancora parlando delle lezioni di inglese?»
Sentì Rachel ridere prima che la chiamata terminasse.
«Non capisco cosa ci sia da ridere, la mia era una domanda seria» borbottò.
Visto che lei sarebbe arrivata da un momento all'altro si alzò dalla poltrona e andò a cercare i libri di inglese. Si fermò a pensare che non aveva mai studiato così tanto quella materia prima di allora, e se lo faceva era solo perché voleva passare del tempo con Rachel.
Forse doveva ringraziarla per averlo convinto ad impegnarsi almeno un po', ma d'altra parte non era ancora riuscito ad approfittare appieno delle loro ripetizioni.
Era abbastanza evidente, entrambi volevano qualcos'altro oltre alla semplice lettura di testi, qualcosa che non aveva niente a che vedere con i poeti o gli autori di qualsiasi tipo. Lo dimostravano già a scuola, anche se lì non avevano mai avuto il tempo o il coraggio di andare veramente fino in fondo, si erano scambiati solo qualche bacio.
Mezz'ora dopo sentì suonare il campanello. Andò ad aprire la porta quasi correndo, ansioso di vedere Rachel.
«Hai fatto presto» le disse.
«Sì... non volevo farti aspettare» rispose lei.
Peter la lasciò entrare in casa, pensando che lei si stesse divertendo molto a dirgli frasi ambigue per vedere la sua reazione.
«Hai già preparato i libri?» chiese poi Rachel.
«Sì, sono al solito posto» rispose, dove per 'solito posto' intendeva il tavolo della cucina.
«Bene»

Erano ormai tre ore che studiavano ininterrottamente ogni genere di poesia che la professoressa Walstone aveva insegnato durante l'anno, e Peter non riusciva più a prestare attenzione. Aveva sperato che la situazione si scaldasse in fretta in modo da non dover studiare più di tanto, ma sembrava che Rachel fosse di un altro avviso. Stava insistendo molto sul fatto che lui doveva studiare ed impegnarsi per migliorare i suoi voti perché non voleva che sprecasse l'anno scolastico, ma Peter era convinto di avere già fatto abbastanza per quel giorno, così si lasciava distrarre da qualsiasi sciocchezza.
«Adesso vediamo di ripassare questo» disse Rachel spingendo il libro verso di lui.
Peter osservò la pagina, che riportava uno stralcio del testo di Romeo e Giulietta.
«Questo l'abbiamo studiato mesi fa» si lamentò «Non ha senso rifarlo»
«Credimi, ne ha. Ho saputo in gran segreto da mia zia che lunedì ha intenzione di fare un ripasso di tutto quello che vi ha insegnato dall'inizio dell'anno, e non ho dubbi sul fatto che ci sarà anche questo»
«Dimmi che scherzi»
Rachel scosse la testa.
«No, non scherzo. Al lavoro»
«Ma stiamo studiando da almeno tre ore!»
«Peter...»
Peter iniziò a leggere svogliatamente, ripreso continuamente da Rachel che gli ordinava di scandire meglio le parole. Sarebbe stato certamente più facile concentrarsi se lei non fosse stata così vicina. Le scariche che attraversavano il suo corpo quando Rachel lo sfiorava anche solo distrattamente, il cuore che gli batteva più forte ogni volta che la guardava, le sensazioni intense che pensava esistessero solamente nei sogni non erano più solamente desideri, adesso erano la sua realtà.
Ma non erano la condizione migliore per studiare.
Ci mise venti minuti buoni solamente per decifrare poche righe, e una volta arrivato al punto della tragedia in cui Romeo e Giulietta si scambiano il primo bacio, Peter sollevò lo sguardo dal libro.
«Cosa c'è?» gli chiese Rachel.
«Sono tutte sciocchezze»
«Davvero? Ne sei convinto?»
«Sì. Non si possono innamorare in questo modo»
Rachel si avvicinò a lui, sempre di più.
«Non ti permetto di parlare in questo modo di Shakespeare» disse. Peter aprì la bocca per parlare, ma Rachel lo zittì con un bacio.
«Sei matta se credi che questo mi aiuterà a concentrarmi» le disse.
«Veramente penso che sia il momento di una pausa, ti vedo distratto»
Peter era così stanco di studiare che prese l'iniziativa prima che Rachel avesse il tempo di cambiare idea. Con lei non aveva certo paura di lasciarsi andare: era più grande, bellissima, e certamente aveva avuto un sacco di esperienze, passando da ragazzi timidi ad altri molto più prepotenti. Non aveva paura di impazzire e di farle del male, perché era sicuro che lei sarebbe stata in grado di gestire qualunque situazione e ricavarne il meglio.
In pochi secondi si erano già trasferiti ad una situazione piuttosto intima, dimenticando completamente i libri e spostandosi a tentoni verso l'unica stanza della casa in cui entrambi volevano veramente essere. Finalmente non dovevano più controllare che nei corridoi non passassero dei professori, non dovevano preoccuparsi di chiudere la porta a chiave, non avevano i minuti contati.
«E io che pensavo che fossi un ragazzo timido» disse solamente Rachel quando Peter decise di non porsi più freni. Per un momento, quella frase lo fece esitare.
«Ti dispiace?» le domandò. Rachel scosse la testa.
«Certo che no. È una sorpresa piacevole»
Finalmente, riusciva a provare solamente piacere senza darsi alcuna preoccupazione. Era Rachel a pensare a tutto al posto suo.

Più vestiti del solito affollavano il pavimento. Più persone del solito occupavano il letto.
E lui aveva paura di aprire gli occhi e scoprire di essersi sognato tutto.
La sentiva respirare, sentiva il suo calore accanto a sé.
Rachel era lì, con lui.
Si voltò a guardarla, e quando la vide addormentata sentì che quelle farfalle che sembravano avere ormai preso casa nel suo stomaco iniziarono a fare festa. Poteva stare lì per ore, percorso dai brividi di piacere e godendosi i ricordi di quello che c'era stato tra loro durante la notte.
In cuor suo sapeva che non se lo sarebbe mai dimenticato.
Nonostante la luce del sole avesse invaso la stanza già da un pezzo, lui si sentiva parecchio stanco, e visto che Rachel dormiva ancora pensò di fare altrettanto.
Si era già riaddormentato, ma poco tempo dopo fu svegliato dal trillo acuto del suo cellulare. Si insultò mentalmente per avere dimenticato di spegnerlo la sera prima.
Aprì gli occhi e sbadigliò, per poi accorgersi che il suono forte aveva svegliato anche Rachel.
«Buongiorno...» le disse con un ghigno.
«Buongiorno a te» gli fece eco lei con un sorriso.
«Scusa, devo rispondere, non sopporto più di sentire quel coso che suona»
Gattonò a fatica fino al comodino, dove il suo telefono giaceva abbandonato.
«Pronto» disse, con la voce impastata dal sonno.
«Che tono strano che hai, ho interrotto qualcosa?» il tono malizioso di John si percepiva anche a quell'ora del mattino.
«Sì, e ora lasciami tornare a quel qualcosa, grazie»
«Ehi, aspetta un mo-»
Troppo tardi, Peter gli aveva già chiuso la chiamata in faccia.
«Chi era?» gli chiese Rachel.
«Un rompiscatole» rispose Peter.
Tornò accanto a lei, ancora stordito dal sonno, e pensò che non sarebbe stato male rimettersi a dormire per un po'. Chiuse gli occhi e capì che non sarebbe rimasto sveglio ancora a lungo. Era quasi sprofondato di nuovo nel mondo dei sogni, quando il cellulare squillò di nuovo.
«E adesso chi è?» ruggì, esasperato.
Si rigirò nel letto, cercando di ignorare quel suono che gli perforava i timpani, mentre Rachel lo circondò con le braccia.
«Rispondi, dai. Magari è importante» gli disse.
«No...»
«Su, non perdere tempo» insistette lei, dandogli un bacio sul collo che gli provocò brividi dalla testa ai piedi. Peter sospirò e si decise a rispondere solamente perché era stata lei a chiederglielo.
«Pronto?» fece, senza sprecarsi in gentilezze.
«Ciao, volevo solo dirti che sto bene e che non mi sono drogato, visto che ci tenevi tanto a saperlo»
Solo dopo aver sentito la voce di suo fratello si ricordò di essere nel mondo reale e che sarebbe dovuto tornare ad essere una persona responsabile, e quella fu la sveglia più efficace in cui potesse sperare.
«Ah, Rob. Bene... quando ti fai riportare a casa?»
«Mi hai detto che devo essere lì prima di cena, no?»
«Va bene, chiamami se c'è qualche problema. Ma solo tra un paio d'ore»
«Aspetta, ma sei con quella?»
Inutile nascondere tutto a Rob, tanto quando sarebbe arrivato a casa se ne sarebbe accorto comunque.
«Sì»
«Oh. Non pensavo che l'avresti chiamata davvero» disse Rob sorpreso.
«Carpe diem, fratello. Ora scusami, ma ho da fare»
«Che schifo, mi hai fatto venire in mente un'immagine che proprio non volevo vedere»
«Quanto sei esagerato»
«Non riuscirò più a dormire per il resto della vita, bleah»
«Sì... ciao, Rob. Ci vediamo stasera»
Prima di posare il telefono lo spense, in modo da non avere più interruzioni.
«Tuo fratello?» gli chiese Rachel.
«Già. È insopportabile»
«Se ti somiglia anche solo un pochino, è già adorabile» disse lei, facendolo arrossire fino alla punta delle orecchie.
«Non dirmi queste cose» la supplicò, sentendo il solito calore fastidioso sulle guance.
«Perché no? Mi piace vederti arrossire» replicò lei, avvicinandosi quel tanto che bastava per far battere il cuore di Peter a velocità doppia rispetto al normale.
«Mi sento un idiota quando arrossisco» si lamentò Peter.
Rachel si allontanò un poco e si girò sulla pancia, sempre senza togliergli gli occhi di dosso.
«Allora, signor Kane, soddisfatto delle nostre ripetizioni di inglese?» gli chiese. Peter si perse nei suoi occhi, senza bisogno di cercare un motivo. La fissava con quella stupida aria da innamorato di cui si vergognava ma a cui non era in grado di rinunciare. Non poteva innamorarsi di Rachel, questo gli era ben chiaro, ci sarebbero state conseguenze troppo difficili da affrontare.
"Per essere uno che non crede nell'amore, mi comporto da innamorato un po' troppo spesso" pensò.
Non poteva evitarlo, in quel momento era patetico, inebetito... e ne era felice.
La baciò, lasciandosi scappare una risata.
«Soddisfattissimo» le rispose «Peccato che non possa usare nessuna di queste nozioni in classe»
«Se giocherai bene le tue carte potrei darti un bel voto»

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** BETTER THAN THIS. ***


BETTER THAN THIS.


Fu distratto per tutto il giorno. Rachel se n'era andata via prima di pranzo, sostenendo che sua zia si era certamente accorta del fatto che aveva una nuova relazione e non voleva che le ponesse domande al riguardo.
«Relazione? Hai detto relazione?» le aveva chiesto Peter.
«Certo. Sempre se ti piace questo termine»
«Sì. Perfetto»

L'aveva guardata andare via e questa volta non aveva quella strana sensazione. Lei aveva parlato di relazione, una cosa che Peter non si era nemmeno arrischiato a sperare. In qualche modo, grazie a quell'unica parola, sapeva che Rachel sarebbe tornata da lui, presto o tardi.
Dunque non si sorprese più di tanto quando quel pomeriggio sentì suonare il campanello. Andò ad aprire allegramente, pensando di ritrovarsi davanti l'altra metà della sua nuova e appena confermata relazione, invece...
«Cosa ci fate voi due qui?» domandò sbigottito.
Sulla porta c'erano i suoi migliori amici, con sorrisi maliziosi che andavano da un orecchio all'altro.
«Non avrai pensato che ti avremmo lasciato da solo per tutto il tempo, vero?» gli chiese Mike, spingendolo da parte per entrare.
«In realtà ci speravo» fece Peter.
«Mi dispiace per te, ma ormai siamo qui e non è educato cacciarci via. Cosa c'è da mangiare?» disse John, che si stava già sfregando le mani pregustando chissà quale cibo.
«Come sarebbe a dire?»
«La cena, presente?» specificò allora John.
«Oh... ci sono gli avanzi di ieri, altrimenti posso solo ordinare delle pizze» rispose Peter, stordito dalla velocità con cui quei due erano entrati e avevano iniziato a comportarsi come se fossero i padroni di casa.
«E pizza sia» fece John.
«Che egoista, hai la casa tutta per te e non ci inviti nemmeno» commentò Mike, misurando il salotto a grandi passi.
«C'è un motivo se non l'ho fatto» spiegò Peter.
«Quale?»
«Ho avuto altri ospiti» rispose, sentendosi arrossire fino alla punta dei capelli.
Mike e John si scambiarono un'occhiata complice.
«Già stamattina avevo avuto un presentimento sui tuoi ospiti. Una bella donna, alta più o meno così, con gli occhi marroni e du-»
«Abbiamo capito, John» lo interruppe Mike tappandogli la bocca.
«Ok, era Rachel, ma non parlare di lei in questo modo» disse Peter infastidito.
«Qualcuno qui è geloso?»
«Non sono geloso. Non è educato parlare di lei in questo modo» si intestardì Peter, sentendosi arrossire sempre di più.
«Non è educato! Cosa mi tocca sentire!» esclamò John.
«Lasciami in pace» si difese Peter.
«Allora, lei dov'è?» domandò John guardandosi intorno come se si aspettasse di vedere Rachel saltare fuori da dietro un mobile.
«È andata via stamattina» rispose Peter. Gli occhi di John brillarono.
«Spero per te che tu abbia cambiato le len-»
«John, nessuno ha voglia di sentire le tue battute di pessimo gusto, soprattutto prima di cena» si lamentò Mike.
«Sì John, falla finita» concordò Peter. John alzò le spalle.
«È la fame a parlare» si giustificò.
«A proposito di fame, se proprio volete accamparvi qui per cena dobbiamo aspettare mio fratello prima di ordinare» disse Peter.
«Immaginavo che non ci fosse, altrimenti non avresti invitato Rachel. Dove l'hai spedito?» gli chiese Mike.
«Non l'ho spedito da nessuna parte, è lui che se n'è andato» rispose Peter alzando le spalle.
«Ti è andata bene, no? Almeno così non saprà che te la fai con la prof» fece John. Peter sbuffò.
«Punto primo: non mi piace detta in questo modo. Punto secondo: Rob lo sa»
Sentì Mike trattenere il fiato, mentre John faceva un'espressione a metà tra il sorpreso e il divertito.
«Lo sa?» domandò Mike «Come fa a saperlo?»
«Ci ha visti l'ultima volta che lei è stata qui»
«Pete, eri proprio tu il primo a dire che bisognava fare attenzione» gli fece notare Mike.
«Lo so. Ma Rob sa tutto e mi ha praticamente ricattato. Ora dipendo da lui» spiegò Peter triste.
«Mi dispiace di averlo sottovalutato, quel piccoletto ha il mio rispetto» disse John.
«Cosa ha visto? Magari potremmo aiutarti a fargli credere che si è sbagliato» suggerì Mike. Peter scosse la testa.
«Ci ha visti mentre ci baciavamo. Non credo che ci siano scuse che tengano»
«Digli che se l'è sognato» fece John.
«Oppure fagli credere che Rachel non è un'insegnante»
«Anzi, risolvi il problema alla radice e uccidilo. Ci penso io ad aiutarti a nascondere il corpo»
«No, fai finta di essere stato rapito dagli alieni e sostituito con un clone»
«Digli che Rachel in realtà è vostra sorella e che il tuo era solo un bacio da fratello amorevole»
Mike e John presero ad elencare decine e decine di soluzioni una più assurda dell'altra, e ad ogni frase Peter doveva resistere alla tentazione di strangolarli.
«Avete finito?» sbottò quando John gli propose di emigrare in Messico, cambiare il nome in 'Pedrito' e non lasciare più tracce.
«Se non volevi il nostro aiuto bastava dirlo» disse Mike.
«Non mi state aiutando, vi state divertendo a dire sciocchezze» gli fece notare Peter.
«È vero» concordò John «Anche se al tuo posto un pensierino sul viaggio in Messico lo farei»
«Tornando seri, devi assicurarti che tuo fratello non racconti niente in giro» fece Mike.
«Ne approfitterà finché può, ma non credo che abbia davvero intenzione di fare la spia»
«Infatti. È quello che farei anche io al suo posto, se avessi la possibilità di spillarti un po' di soldi» commentò John. Il ragazzo si irrigidì all'occhiataccia di Peter e Mike.
«Che c'è? Per contrastare un ricattatore bisogna pensare come un ricattatore» disse.
«Oppure bisogna comportarsi da fratello maggiore e rimettere in riga tuo fratello facendo anche in modo che tua madre non venga a sapere niente» borbottò Peter.
«Hai qualcosa in mente?» gli domandò Mike.
«No. Cercherò di parlare con Rob, gli spiegherò che è importante che non si sappia in giro di me e Rachel»
«Attento a non dargli fastidio però, altrimenti la prima cosa che racconterà in giro sarà il tuo segreto» disse John.
«Lo so»

Rob tornò a casa in orario come promesso, e non fu sorpreso di scoprire che in salotto c'erano anche Mike e John.
«Lo sapevo che vi avrei trovati qui, mio fratello è troppo prevedibile» disse con uno sbadiglio. Prese posto sul divano, mentre i tre ragazzi non gli staccavano gli occhi di dosso. Tutti e quattro rimasero fermi a fissarsi con il fiato sospeso, aspettando che qualcuno parlasse. Peter voleva assicurarsi che Rob mantenesse la promessa di stare in silenzio sulla storia di Rachel, ma aveva paura di dire la cosa sbagliata e non riuscì a dire una parola. Mike fissava Rob, che rispondeva allo sguardo con una certa perplessità. John, dal canto suo, continuava ad alzarsi dalla poltrona e misurare la sala a grandi passi, lamentandosi di avere fame.
«Come stai, Rob?» chiese Mike dopo un'eternità. La tensione nell'aria era tanta, e Peter fu felice che fosse stato Mike a rompere per primo il silenzio.
«Bene. È stato divertente stare da Ben» rispose l'altro, spostando lentamente lo sguardo su John «Ma c'è dell'altro, vero? Vi state comportando tutti e tre in modo strano»
«Quello che vogliamo è semplice. Giura di non raccontare niente di Kane e di Rachel e non ti torceremo un capello» borbottò John, contrariato perché tutta quella situazione stava distraendo Peter dall'ordinare la cena.
«Altrimenti?» fece Rob sulla difensiva.
«Altrimenti se mi fai perdere altro tempo mi mangio te e risolvo il problema» rispose l'altro.
«John» fece Peter «Non serve a niente minacciare»
«Si può sapere cosa state complottando?» domandò Rob.
«Vogliamo solo essere sicuri che tu non dica niente» spiegò Mike «Davvero, è molto importante. Se qualcuno dovesse scoprire che Pete e Rachel stanno insieme succederebbe un vero e proprio disastro che colpirebbe loro, alcuni professori, il preside... e probabilmente anche te»
Rob guardò Peter.
«Se vuoi il mio silenzio, lo sai cosa voglio»
Peter sbuffò.
«Quanto?»
«Cento, per iniziare»
Peter sospirò. Se l'era aspettato, ma non poteva fare altrimenti. Comprare il silenzio di Rob significava salvarsi la pelle, almeno per il momento.
«Gli permetti di ricattarti?» fece John.
«Non è un ricatto, è un investimento» lo corresse Rob.
«Io questo lo chiamo ricatto»
«Non importa quello che è, se servirà a farci stare tutti tranquilli» intervenne Peter.
«Perché vi preoccupate tanto per questo qui?» chiese Rob.
«Siamo amici, non serve un perché» rispose Mike.
«Per me è stup-»
«Visto che abbiamo raggiunto un accordo, possiamo mangiare, per favore?» ruggì John.

«Spero che vi stiate comportando bene»
«Sì, mamma»
«State andando a scuola?»
«Certo, mamma»
«E tu ti stai impegnando per migliorare in inglese?»
«Naturalmente, mamma»
«Peter, cerca di essere serio. Ormai sei grande, comportati in modo responsabile»
Era quasi una settimana che Peter e Rob erano a casa da soli, e sua madre telefonava continuamente, preoccupata che potessero fare chissà cosa.
«Io sono responsabile. E neanche Rob si sta comportando male»
«Intendi dire che andate d'accordo? Se il risultato è questo, dovrei andare via per lavoro più spesso»
Peter l'avrebbe descritto in altri termini, ad esempio avrebbe detto che era lui a cercare di non dare mai a Rob motivo di prendersela per evitare che sorgessero problemi, ma non aveva voglia di spiegare questo a sua madre.
«Sì, più o meno è così»
«Passami tuo fratello, per favore»
«Va bene»
Mentre tendeva il telefono a Rob, Peter gli disse a gesti di dare sempre ragione alla madre in modo da chiudere in fretta quella telefonata.
«Mamma? Sì, ciao...» fece Rob, allontanandosi con il telefono in mano.
«Torna qui!» bisbigliò Peter.
«Lascialo andare, non c'è niente di cui preoccuparsi» lo rassicurò Rachel. Era tornata per dare altre ripetizioni a Peter, e lui le aveva subito raccontato tutto del ricatto di Rob, senza tralasciare un particolare. Rachel non si era dimostrata turbata, al contrario aveva fatto il possibile per convincere Peter che non sarebbe successo niente di male.
«Potrebbe raccontare tutto a mamma» si lamentò Peter. Rachel scosse la testa.
«Non lo farà, rilassati»
«Io... non ci riesco. Conosco mio fratello, e non riesco a fidarmi di lui. Non in questo caso»
Rachel gli passò una mano tra i capelli, provocandogli un piccolo brivido.
«Tutta questa agitazione ti fa male. Prova a dare una possibilità a tuo fratello» disse.
«Spero che tu abbia ragione»
In quel momento Rob rientrò in cucina, con espressione molto seccata.
«Peter, mamma vuole parlare con te» disse, prima di lasciargli il telefono ed uscire dalla stanza.
«Cosa c'è, mamma?»
«Rob può sentire?»
«No, è andato in salotto... c'è qualcosa che non va?»
«Mentre ero qui ho incontrato una persona. Vorrei farvelo conoscere quando tornerò a casa»
«Beh... non ci vedo niente di male... ma perché lo dici a me?»
«Perché non credo che Rob sia pronto a vedere un altro uomo a casa. Tu sei più comprensivo»
«Hai paura della sua reazione, vero?»
«So che la prenderebbe male. Vorrei solo che riuscissi ad abituarlo all'idea in questi giorni»
«Quello che mi stai chiedendo non è facile» disse Peter. Sentiva già il nervosismo salire a causa della richiesta di sua madre, e la cosa non gli piaceva per niente.
«Lo so, ma posso fare affidamento solo su di te»
«Vedrò quello che posso fare. Ma non contarci troppo»
«Va bene. Ora devo andare, cercate di mangiare abbastanza e studiate, ok? Ci vediamo tra qualche giorno»
«Sì, ciao...»
Chiuse la chiamata e si massaggiò le tempie, cercando di rilassarsi.
«C'è qualcosa che non va?» gli chiese Rachel.
«Tutto» le rispose «Ma troverò una soluzione»
«Vuoi parlarne?»
«No... questa volta preferisco fare da solo»
«Come vuoi, ma sai che se dovessi avere bisogno sono sempre qui» fece lei.
«Grazie. Ora, per favore... torniamo all'inglese»

Quella sera Peter era inquieto. Doveva tastare il terreno con Rob, cercare in qualche modo di rendergli meno pesante la nuova conoscenza di sua madre.
«Che hai? Rachel ti ha mollato?» gli domandò Rob quando lo vide così nervoso.
«No»
«Allora che c'è? Stai facendo preoccupare perfino me»
«Senti... tu come la prenderesti se mamma un giorno dovesse sposarsi di nuovo?» fece Peter. Non poteva resistere ancora con quel peso. Rob scoppiò in una risata forzata.
«Ma non succederà, giusto? Mamma ha giurato che non si sarebbe mai sposata un'altra volta»
«Considera la possibilità, non puoi pretendere che resti da sola per sempre...»
«Perché mi dici questo?»
«Ecco... mamma ha detto di avere conosciuto un tizio. Vuole presentarcelo» ammise Peter.
Rob si alzò, in preda alla rabbia.
«Non dici sul serio»
«Sì invece»
«Menti, non può essere!»
«Rob...»
«Tu non sai quello che stai dicendo, Peter, non hai mai capito niente!» esplose Rob. Peter non l'aveva mai visto così furioso e sconvolto fin da quando Rob era nato, quella notizia lo aveva scosso sul serio.
«Nemmeno a me convince tanto questa cosa, ma non puoi farne una tragedia!»
«È questo il tuo problema, tu accetti sempre tutto e non fai mai niente per cambiare quello che non ti va bene!»
«Non stiamo parlando di me, Rob!»
«Sì invece, si parla sempre di te! Peter di qua, Peter di là! Peter non vuole far sapere di Rachel, Peter il perfetto, Peter il più grande! Gira sempre tutto intorno a te!»
«Ma di cosa stai parlando...» mormorò Peter, colpito dalle parole del fratello.
«Non mi va di perdere tempo a spiegare. Ho bisogno di darmi una calmata» fece Rob, uscendo di casa senza aggiungere altro.
«Torna indietro, Rob!» gridò Peter correndogli dietro. Rob però era troppo veloce, e in pochi minuti scomparve alla sua vista.
«Rob!» lo chiamò Peter nell'aria fresca della sera. Stava cominciando a fare buio, e presto sarebbe stato troppo difficile riuscire ad individuare suo fratello nella notte.
Senza sapere cosa fare, tornò a casa, sperando che Rob tornasse di lì a poco. Dopo quattro ore però, Rob non si era ancora fatto vivo e Peter era un fascio di nervi.
Era inutile chiamare suo fratello al cellulare, perché l'aveva lasciato a casa. Aveva chiamato qualcuno dei suoi amici, ma nessuno aveva visto o sentito Rob. Non aveva idea di dove suo fratello si fosse cacciato.
«Vedrai che tornerà. Anche io lo facevo spesso alla sua età» disse Rachel all'altro capo del telefono. Peter le aveva telefonato per chiederle un consiglio, essendo lei la prima persona che gli era venuta in mente.
«Rob non è mai stato così» piagnucolò Peter, disperato. Non aveva mai creduto di potersi preoccupare così tanto per suo fratello.
«Stai tranquillo. Rob è abbastanza grande, sono sicura che non è in pericolo»
«Lo dici solo per non spaventarmi»
Il silenzio da parte di Rachel fu più esauriente di mille parole.
«Ascolta, so che sei preoccupato, ma agitarti così non servirà a niente. Adesso vengo a casa tua e ci organizziamo per cercarlo, d'accordo?»
Una ventina di minuti dopo Rachel era già alla porta, pronta a cercare Rob per tutta la città.
«Ho avvertito anche Mike e John, lo stanno già cercando» spiegò Peter.
«Hai fatto bene, più siamo meglio è»
«Allora cosa...»
«Forse è meglio se io vado a cercarlo e tu resti qui. Sei un po' troppo scosso»
«Credo che tu abbia ragione...»
Rachel si allungò per dargli un bacio veloce.
«Andrà tutto bene» gli disse, prendendo il viso di Peter tra le mani.
«Sì...» mormorò Peter. La guardò uscire, e per un momento fu tentato di richiamarla indietro e chiederle di restare con lui, ma pensò che Rachel avesse ragione, c'era bisogno di più persone là fuori alla ricerca di Rob.
"Se non lo ammazzo questa volta..."
Fu solo alle due di notte che ebbe notizie.
«Pronto?» fece, quando il cellulare squillò.
«Kane, ho trovato tuo fratello» disse la voce roca di John.
«Dici sul serio?»
«Sì, ma che diavolo gli hai detto? Ci è mancato poco che mi stendesse con un destro, era davvero fuori di sé»
«Mi dispiace. Quando lo vedrò ci penserò io a rimetterlo in riga»
«Ah, non darti tanto disturbo, non mi ha fatto male» 
Quando Rob tornò a casa, trascinato a forza da John, si rifiutò di dare spiegazioni.
«Si può sapere cosa ti è preso?» fece Peter.
«Sto bene»
«Sì, bene, come no! Infatti è risaputo che quelli che stanno bene aggrediscono gli amici dei fratelli» si lamentò John.
«Hai detto che non ti ha fatto male» gli ricordò Peter.
«Sì, ma mi ha fatto dannare per convincerlo a tornare»
«Rob, perché ti sei comportato così?»
«Che importa, sono tornato, no?»
Peter sospirò.
«Va bene, è inutile perdere tempo, tanto non concludiamo niente. Vai a letto, Rob»
Rob non se lo fece ripetere due volte, e si diresse verso la propria stanza dopo aver dato a Peter una forte spallata.
«Ahia, mi hai fatto male!»
«Aspettati di peggio» borbottò Rob.

La mattina dopo i fratelli si svegliarono entrambi di pessimo umore. Avevano dormito pochissimo, e nonostante volessero restare a letto, Peter ricordò di avere fatto una promessa a sua madre.
«Non possiamo saltare neanche un giorno di scuola» disse esasperato mentre cercava di convincere Rob ad alzarsi.
«Ne sei proprio sicuro?» sibilò l'altro.
«Sì. Alzati»
«Rimpiangerai questa scelta» disse Rob, alzandosi e iniziando a vestirsi.
Peter non poté evitare di rabbrividire a quella frase, non tanto per le parole che Rob aveva usato, quanto per il tono con cui le aveva pronunciate. Un tono che non faceva intuire niente di buono.
Per tutta la mattina, a scuola, fu nervoso oltre l'immaginabile. Sapeva di non averne motivo, perché non aveva mai avuto paura di suo fratello, ma qualcosa gli diceva che stava per arrivare una tempesta.
«Che c'è?» gli chiese John.
«Non so. Ho una brutta sensazione»
«È per colpa di quello che è successo ieri con tuo fratello?»
«In parte sì. Ho paura che succeda qualcosa di brutto» spiegò Peter. John inarcò le sopracciglia.
«Cosa vuoi che succeda?»
«Qualsiasi cosa. Non si sa mai»
All'intervallo vide Rachel, e fu sollevato di sapere che la sua mattinata era stata perfettamente normale.
«Certo che non è successo niente, cosa ti aspettavi?» gli chiese lei quando Peter le espresse le sue preoccupazioni.
«Rob era molto nervoso questa mattina, non vorrei che facesse sciocchezze»
«Te l'ho già detto, non devi preoccuparti»

Durante la penultima ora, però, Peter si pentì di avere distribuito in giro tutta la propria negatività. Era quasi come se tutta la sua preoccupazione avesse finalmente trovato motivo di esistere. Successe proprio nel bel mezzo della lezione, esplodendo forte e devastante come una bomba.
«Kane, lo senti anche tu? Che cos'è questo rumore?» fece John all'improvviso. La lezione era stata tranquilla fino a quel momento, ma adesso un paio di ragazzi della classe si mostravano distratti. Peter tese l'orecchio. In lontananza si sentiva un suono, come di decine di persone che parlottavano tra loro. Era un suono comune durante l'intervallo, ma in quel momento erano nel pieno delle lezioni.
«Sì, lo sento...» disse.
Fece per alzarsi incuriosito e insieme nervoso, e come lui un paio di altri suoi compagni di classe.
«Restate seduti» intimò il professore, minacciando poi di dare una nota a chiunque cercasse di alzarsi dalla propria sedia.
«Che cosa succede?» chiese subito John.
«Vado a vedere. Voi restate in classe» continuò l'insegnante prima di uscire in corridoio. Quando la porta dell'aula si fu richiusa, John saltò su dalla propria sedia e schizzò in corridoio senza esitare.
«John, dove vai? Dobbiamo restare qui» sibilò Peter.
«Credi davvero che voglia perdermi una delle poche cose interessanti che succedono qui dentro?» sbuffò John, guardandolo con uno sguardo carico di eccitazione. Era evidente che nella sua testa quel suono misterioso fosse la prima cosa stimolante che succedeva a scuola dopo mesi.
«Odio dirlo ma Catham ha ragione, neanche io voglio stare qui senza sapere» disse a quel punto Wood. Tutti si voltarono a guardarlo sorpresi. Era risaputo che tra lui e John non correva buon sangue, e sentirlo concordare con John stava spingendo tutti a domandarsi se non fosse davvero il caso di indagare oltre su quello che stava succedendo.
«Allora andiamo tutti?» domandò Wood. Peter scosse la testa e incrociò le braccia risoluto.
«Forza, Kane! Lo so che anche tu sei curioso» lo esortò John. Peter sbuffò. Tutti i suoi compagni di classe lo stavano guardando, chiedendosi perché non volesse unirsi a loro.
«Va bene, andiamo» acconsentì infine.

Seguendo gli altri, uscì in corridoio e si diresse verso l'atrio. A quanto pareva, c'era un vero e proprio spettacolo in corso, che aveva attirato decine di persone.
«Non potete farmi questo!» stava gridando qualcuno. Peter cercò di farsi largo per vedere di chi si trattasse.
«Rachel, sei una vera delusione! Cosa dirà tuo padre di quello che hai combinato?» disse una voce che Peter associò alla professoressa Walstone. Sentire il nome di Rachel lo fece rabbrividire. Poteva forse...?
«Ve lo ripeto, non potete mandarmi via!» esclamò Rachel. Peter prese a sgomitare senza preoccuparsi di chi lo circondava, e riuscì a farsi strada a fatica. Finalmente arrivò in prima fila, da dove poteva vedere Rachel, fronteggiata dalla professoressa Walstone, dal preside e da un paio di altri professori.
«Abbiamo le prove di una tua relazione con uno studente, è abbastanza!» disse il preside. Peter sbiancò. Era colpa sua. L'avevano scoperto.
Anche Rachel boccheggiò, ma non si mosse dalla sua posizione.
«Che genere di prove?» domandò, cercando di non mostrare la propria agitazione. Peter iniziò a tremare, e poi sentì una stretta forte sulla spalla. John lo aveva raggiunto.
«Devo aiutarla» mormorò Peter, accennando un passo verso Rachel. Si sentì tirare per una manica, e subito guardò John interrogativo.
«Lasciami» gli intimò. John scosse la testa.
«Stai zitto e fermo»
«No, non puoi dirmi cosa devo fare!»
«Mi costringi tu a farlo» bisbigliò John, prendendolo per le braccia e trascinandolo via, dove sarebbero stati nascosti da tutti gli altri.
«Devo andare da Rachel» si ribellò Peter.
«No, tu stai qui. Non puoi rischiare di farti scoprire»
«Ormai è tardi, lo sanno già!»
«Smettila di urlare e datti una calmata. Nessuno sa niente, Rachel ti ha protetto»
«Come fai a dirlo?»
«Se sapessero che si tratta di te, ti avrebbero già mandato a chiamare»
«Forse hai ragione...»
«Certo che ho ragione. Adesso cerca di non dare nell'occhi-»
«Pete, ti stavo cercando! Hai sentito?» disse Mike alle loro spalle con voce molto alta.
«Non parlare a voce così alta, genio» lo rimproverò infatti John. Mike lo ignorò.
«Cosa facciamo adesso?» chiese preoccupato a Peter.
«Voi niente. Restatene fuori» rispose lui risoluto. John e Mike si scambiarono uno sguardo.
«Sai che non lo faremo» disse John.
«Parla per te, per favore. Io non posso permettermi problemi» disse Mike alzando le mani in segno di resa. John gli lanciò un'occhiataccia.
«Dimenticavo che tu sei il perfettino»
«Smettetela! Ho già abbastanza problemi senza voi due che urlate in giro attirando l'attenzione» esplose Peter, costringendoli a tacere. Il tono di voce eccessivamente alto dei suoi amici aveva infatti fatto voltare parecchi curiosi nella loro direzione.
«Scusa. Ma il problema resta. Che facciamo?» domandò di nuovo Mike.
«Dobbiamo trovare il modo di far credere al preside che si sbaglia» rispose Peter pensieroso.
«Come?» sbuffò John.
«Non lo so. Dovrò parlare con Rachel prima»
«Stai attento a non farti scoprire» disse Mike a bassa voce.
«Per quello è un po' tardi, non ti pare Mike?» gli fece notare John acido.
«Già... come hanno fatto a saperlo?» fece Peter grattandosi la testa.
«Io un'idea ce l'avrei» disse John con calma. Peter e Mike lo guardarono, certi di sapere cosa volesse dire John, ma senza il coraggio di esprimerlo ad alta voce.
«Non può essere. Non voglio crederci» disse Peter.
«Nessun altro a parte noi lo sapeva. Io non sono stato. Tu nemmeno. E per quanto mi dispiaccia non poter dare la colpa a lui, non c'entra nemmeno Mike»
«John!» si lamentò Mike.
«Escludendo Rachel, che sarebbe stata completamente pazza a parlare... resta solo Rob» concluse John.
Peter scosse la testa.
«No. Mi rifiuto di pensarlo»

La campanella di fine lezioni suonò. Erano stati lì, tutti nei corridoi, per oltre un'ora.
Peter non voleva tornare a casa. Non voleva lasciare Rachel da sola in quel momento.
'Mi dispiace per quello che è successo. Fammi sapere se posso fare qualcosa' le scrisse.
La risposta arrivò prima di quanto avrebbe mai pensato.
'Dobbiamo finirla qui'  

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** RUNAWAY TRAIN. ***


RUNAWAY TRAIN.


Non voleva credere a quello che stava leggendo.
'Dobbiamo finirla qui'
Chiaro e limpido. Tre parole che non davano spazio all'immaginazione. Compose il numero di Rachel in fretta.
«Scusa, adesso non posso parlare» disse subito lei.
«Non mi interessa, che ti piaccia o no, starai ad ascoltarmi»
«Davvero, non-»
Peter sentì degli strani rumori, parlottare, e infine una voce maschile prese parte alla conversazione.
«Pronto? Chi parla?»
«Questo dovrei chiederlo io» fece Peter perplesso. Chi era? Cosa stava facendo Rachel?
«Mi permetta, signor preside... non si ripeterà più» sentì Rachel dire. Pochi istanti dopo lei chiuse la chiamata.
Cercò di richiamarla, ma senza successo. Aveva spento il cellulare.
"Bene, adesso cosa dovrei fare?"
Stava con Rachel da poco, da pochissimo se voleva contare i giorni che avevano realmente passato insieme, e già avevano dei problemi più grandi di loro. Lei stava parlando con il preside. La stavano cacciando ufficialmente dalla scuola.

Ribolliva dalla rabbia, e le parole di John continuavano a rimbombargli in testa. L'unica cosa che riusciva a pensare era che fosse colpa di Rob. Quando arrivò a casa sbatté la porta per preannunciare il proprio arrivo.
«Rob!» ruggì.
«Cosa vuoi?» chiese il fratello, raggiungendolo nell'ingresso.
«Sei stato tu a raccontare al preside di me e di Rachel?»
Poteva vedere la confusione negli occhi di Rob, ma non si lasciò impietosire.
«Perché avrei dovuto farlo? Mi paghi molto bene per tenere la bocca chiusa, sarei stato uno stupido a raccontare tutto» disse Rob.
«Questa mattina mi hai minacciato» gli ricordò Peter.
«Sì, ma non lo avrei mai fatto davvero» fece l'altro alzando le spalle. Guardò suo fratello, per cercare un qualsiasi segno di menzogna.
«Non sei stato tu?»
«No, te lo giuro. Se fossi stato io lo sapresti»
Peter soppesò le parole di suo fratello. Ad ogni occasione Rob faceva sempre il possibile per fargli sapere che qualche dispetto era opera sua.
«Per quanto odi ammetterlo, hai ragione. Allora chi può essere stato?» disse infine.
«John magari? O Mike?» azzardò Rob.
«No, loro non lo farebbero mai»
«Perché ne sei così sicuro?»
«Hanno fatto di tutto per aiutarmi con Rachel, non avrebbe senso buttare all'aria tutto il loro lavoro e la loro fatica» spiegò Peter.
«Però se non sbaglio a John piaceva la tua ragazza...»
«Come fai a saperlo?» fece Peter, sorpreso che Rob conoscesse anche quel dettaglio.
«Ho ragione, vero?» disse Rob, senza rispondere alla domanda.
«Sì, ma hai detto bene, gli piaceva. John mi ha detto che non era niente di che»
«Secondo me è stato lui»
«È la stessa cosa che ha detto lui di te... siete più simili di quanto sembri»
«Non paragonarmi a quello sbandato del tuo amico»
«John non è uno sbandato»
«Lasciamo stare, non mi va di perdere tempo per farti capire quanto siano strani i tuoi amici»
«E io non ho voglia di starti a sentire. E poi, adesso ho altro a cui pensare»
«Ad esempio?» domandò Rob.
«Probabilmente in questo momento stanno mandando via Rachel dalla scuola, e tutto solamente perché stiamo insieme» spiegò Peter. Era strano, pensò, quella era la prima volta che raccontava seriamente i propri problemi a Rob.
«Non è la fine del mondo» disse inaspettatamente il ragazzo.
«Che intendi dire?»
«Voglio dire che magari vi vedrete meno di prima, ma non c'è bisogno di farne una tragedia»
«Che puoi saperne tu? Hai solo quindici anni» si indispettì Peter.
«Tra un mese ne avrò sedici» fece Rob «E poi ho avuto più ragazze di te»
"Perché devono dirmi tutti quanti questa frase?" pensò Peter sconsolato.
«Questo non significa niente»
«Come ti pare, allora arrangiati. Per una volta che provo ad essere gentile con te... non importa, è meglio se vado agli allenamenti» borbottò Rob.
«Allenamenti?»
«Il basket, ricordi? È uno sport, una cosa che tu non hai mai praticato in vita tua»
«Falla finita e vattene prima che ti prenda a pugni» sbottò Peter infastidito.
«Come se ne fossi capace» replicò Rob prima di uscire di casa.
Non volendo ammettere che non sarebbe mai riuscito ad avere la meglio contro Rob, Peter preferì non rispondere e iniziò a misurare il salotto a grandi passi cercando di elaborare tutto quello che era successo quel giorno.
Qualcuno aveva fatto la spia.
Lui e Rachel erano stati scoperti.
Lei aveva cercato di interrompere la loro relazione.
C'erano tante, troppe cose accadute in quelle poche ore che non voleva rassegnarsi ad accettare.

Era così distratto dai propri pensieri che quasi non si accorse del suono del campanello. Convinto che fosse suo fratello che aveva dimenticato le chiavi, si alzò ed andò ad aprire la porta. Era strano però, perché Rob di solito stava fuori fino alle sette, ed erano solamente le cinque e mezza.
«Oh... Rachel»
Davanti a lui c'era proprio la sua... ragazza? Ex? Professoressa? Non lo sapeva più.
«Ciao. Posso entrare?»
Peter la guardò dall'alto in basso, per quanto la sua piccola statura lo permetteva.
«Entra» disse infine, spostandosi di lato per lasciarla entrare.
«Sono corsa qui appena ho potuto» spiegò Rachel frettolosamente. Peter la invitò ad accomodarsi con un gesto, ma lei scosse la testa.
«No, non c'è tempo» disse «La tua telefonata di prima ha provocato più danni di quanto immagini»
«Danni?»
«Sì. Mia zia ha visto che eri stato tu a chiamarmi. Non l'ho mai vista così arrabbiata, vuole convocare tua madre dal preside... ora sta venendo qui»
«Che cosa?»
Rachel sospirò.
«Mi dispiace, ho cercato di fermarla, ma non è servito»
«Sì, ma tu come stai? Cosa ti hanno fatto?»
«Mi hanno cacciata dalla scuola con effetto immediato»
Peter si sentì mancare.
«Non è possibile... è tutta colpa mia...»
«Peter, no...» balbettò Rachel, posandogli una mano sul braccio. Quel contatto ebbe un effetto calmante su Peter, che si lasciò cadere sulla fidata poltrona e si costrinse a respirare profondamente.
«Si può sapere come hanno fatto a scoprirci?» le chiese, sforzandosi di mantenere un tono di voce calmo.
«Ero al telefono con una mia amica e mia zia ha sentito mentre dicevo che stavo con un ragazzo più giovane... e penso di avere anche aggiunto che era... ehm... 'molto eccitante perché è un mio studente'»
Peter scosse la testa. Era peggio di quanto aveva pensato.
«Sei stata davvero così incauta?»
«Mi dispiace... non credevo che lei fosse in casa»
Peter si passò una mano tra i capelli, pensieroso.
«Beh, ormai il danno è fatto, giusto? Però credo che ci possa essere il modo di farti rimanere a scuola»
«Non preoccuparti per me, pensa a te. Ho spiegato come sono andate le cose e sono riuscita a convincerli. Non ti sospenderanno nemmeno, te la caverai con un richiamo»
Peter strinse i pugni.
«Non mi importa niente di quello che succederà a me, non capisci? Troveremo il modo di farti riammettere, basterà dire che è stato un malinteso»
«Peter» disse Rachel seria «Apprezzo il tuo impegno, ma non c'è niente da fare. Mia zia ha già comunicato tutto alla mia famiglia, devo tornare a Londra da loro»
Peter spalancò gli occhi. Non doveva succedere, Rachel non poteva tornare a casa.
«Nessuno può dirti cosa fare» boccheggiò.
«Visto che sono senza lavoro e senza soldi e che dovrò appoggiarmi a loro finché non troverò una soluzione, possono obbligarmi a fare quello che vogliono»
«Vieni a stare da me» buttò lì Peter.
«Non voglio che tu finisca nella mia stessa situazione. Per qualche miracolo, il preside ha dato a me tutta la colpa del nostro rapporto... non complichiamo ancora le cose»
«Credi che dovrei starmene qui senza fare niente mentre tu te ne torni a Londra?»
«Non credo niente, ma non c'è molto che tu possa fare»
«Posso dirti... che non ho intenzione di lasciarti, qualunque cosa succeda»
Rachel lo abbracciò, nascondendo il viso alla sua vista. Peter non era certo che lei stesse piangendo, non sapeva cosa fare per farla sentire meglio.
«Davvero, te lo prometto» disse.
«Sarebbe meglio se ci lasciassimo» la sentì dire.
«No. Se ti aspetti che io ti lasci per così poco, ti sbagli» fece risoluto.

Bussarono alla porta. Era passato solamente un giorno, quella era l'ultima sera di libertà prima che sua madre tornasse a casa, così Peter aveva chiamato Mike e John per lamentarsi beatamente con loro per l'ultima volta.
Ultima, perché era certo che sua madre non gli avrebbe più permesso di mettere il naso fuori di casa per il resto della vita.
«Salve Kane» disse John con un gran sorriso.
«Ciao» rispose lui.
«Mike è già arrivato?»
«Sono qui» urlò Mike dal salotto.
«E ti pareva. Rachel è qui?» domandò allora John. Peter scosse la testa.
«No, deve fare i bagagli. Parte domani mattina»
«Mi dispiace, amico» fece John.
«Non preoccuparti, stiamo bene tutti e due»
«Ti crederò sulla parola. Allora, che si mangia?»
«È già tutto pronto in cucina, aspettavamo solo te» fece Mike raggiungendo i due amici nell'ingresso. In quel momento anche Rob uscì dalla sua camera e attraversò l'ingresso.
«Ah, ecco i tre moschettieri» disse.
«C'è anche il piccolo Kane?» domandò John.
«Tranquillo, resterò con voi solamente a tavola»
«Oh lo spero bene, faccio parecchi discorsi vietati ai minori e non ho voglia che Mike mi sgridi ogni due secondi»
«John, anche tu sei minorenne» gli ricordò Mike.
«Ancora per cinque settimane, due giorni, quattro ore e ventidue minuti» disse John.
«Impressionante» fece Rob.
«Ho solo tirato numeri a caso sul momento» rispose John. Entrambi scoppiarono a ridere, con sorpresa di Peter e Mike.
«Da quando voi due andate d'accordo?»
Rob alzò le spalle.
«Ehi, io ho fame»

Stavano gustando una buona cena da asporto, ma Peter non fu sorpreso quando sentì il campanello suonare. Di solito la sua anziana vicina passava proprio a quell'ora per controllare che fosse tutto a posto, così si alzò per andare a parlarle.
Quello che vide, però, lo lasciò di stucco.
Ferma sulla soglia, con posa composta, c'era la sua insegnante di inglese, nonché la zia di Rachel. Era la professoressa Walstone.
«Pr-professoressa? Cosa ci fa qui?» chiese sconvolto.
«Vorrei parlare con tua madre. È in casa?» rispose la donna.
«Ehm...»
«Ti ho chiesto se tua madre è in casa» ripeté la professoressa con tono di voce più alto ed insistente.
«No, mi dispiace, è in viaggio di lavoro» rispose Peter. La professoressa Walstone si guardò intorno sospettosa.
«Come faccio a sapere che non è una delle tue solite scuse, Kane?»
«Se non ci crede può chiederlo a mio fratello» rispose Peter.
«Come ti permetti di rispondermi in questo modo!» fece la donna. Peter indietreggiò, preso alla sprovvista.
«Mi dispiace»
«Scuse, sempre scuse! Prima sei un disastro nella mia materia, poi scopro che hai una... una tresca con mia nipote, e adesso ti azzardi anche a mentirmi?»
«Non è una bugia, mia madre è veramente in viaggio!» fece Peter. Vide la professoressa assumere la stessa espressione che faceva in classe quando era costretta a ripetere la stessa cosa per tre volte.
«Va bene, farò finta di crederci. Quando tornerà?»
Mentire non sarebbe servito a niente, prima o poi sua madre avrebbe scoperto tutto comunque, e forse era meglio che accadesse il più presto possibile.
«Domani. Potrà trovarla qui domani sera»
«Allora tornerò domani. E a quel punto saranno guai seri per te, piccolo impertinente. È solo colpa tua se Rachel è stata licenziata, spero che tu ti senta in colpa»
La professoressa girò sui tacchi e fece per andarsene, ma Peter non riuscì a tenere la bocca chiusa.
«Io non ho fatto niente di male» disse.
«Che cosa hai detto?» fece la professoressa voltandosi a guardarlo. Sostenere il suo sguardo furibondo era difficile per Peter, ma lui cercò di fare del suo meglio.
«Non ho fatto niente» ripeté.
«Hai fatto licenziare mia nipote!» esclamò la donna fuori di sé. Peter si morse la lingua.
«No» disse a bassa voce.
«Puoi contraddirmi quanto vuoi, i fatti parlano da soli» disse la professoressa. Quando vide l'odio negli occhi della donna, Peter non riuscì più a trattenersi.
«Vuole sapere cosa dicono i fatti? Dicono che è stata lei a far licenziare Rachel, perché non ha saputo tenere chiusa quella bocca e si è sentita in dovere di andare a raccontare tutto al preside!»
Si pentì di quelle parole non appena uscirono dalla sua bocca, ma ormai era troppo tardi. La donna gli rivolse uno sguardo glaciale.
«Ti sei appena guadagnato la bocciatura in inglese, Kane» disse. Peter non aveva specchi in cui riflettersi, ma se ne avesse avuto la possibilità si sarebbe visto sbiancare come un lenzuolo.
«I-io...» balbettò.
«È troppo tardi per le scuse, dovevi pensarci prima e non mancarmi di rispetto»
Prese un respiro profondo, cercando di calmarsi.
«Non le volevo mancare di rispetto, ma trovo difficile rispettare qualcuno che mi tratta in questo modo» spiegò.
«Credi di potertela cavare così? Chi è dalla parte del torto secondo te?»
«Non saprei, forse nessuno di noi ha ragione»
La professoressa aveva un aspetto terribile, e solo pochi mesi prima Peter si sarebbe sicuramente dato alla fuga in una situazione del genere. Adesso però trovava che restare e far valere le proprie ragioni fosse la priorità.
«Vuoi metterla così? Non importa quello che farai, da questo momento le mie lezioni saranno un vero inferno per te. Forse non riuscirò a farti perdere l'anno, ma mi toglierò la soddisfazione di vederti sui libri per tutta l'estate, a studiare per l'esame di riparazione»
Peter la guardò con aria di sfida. Se la professoressa parlava sul serio, ormai lui non aveva più niente da perdere.
«E a me non importa quello che farà lei, io continuerò a stare con Rachel, che le piaccia o no»
Poteva vedere la sua insegnante diventare rossa dalla furia. Sapeva di essere in condizioni simili, ma non gli interessava.
«Non so come tu abbia fatto ad abbindolare mia nipote. Quando Rachel capirà il suo sbaglio sarà troppo tardi, è stata licenziata per colpa tua» disse la professoressa sprezzante. Peter la guardò storto. Non poteva più sopportare quel trattamento, soprattutto se doveva subirlo a casa sua.
«Arrivederci, professoressa» disse malamente, aprendo la porta e facendole intendere che voleva che se ne andasse.
«Domani, Kane. Sarà la fine per te» disse lei con puntandogli contro un dito ammonitore.
Tenne stretta la maniglia della porta, come se quel gesto potesse scaricare tutta la sua tensione. Guardò la donna allontanarsi, consapevole che se avesse iniziato a pensare a quello che era appena successo si sarebbe sentito male. La professoressa Walstone lo aveva minacciato dicendogli che certamente non gli avrebbe permesso di passare il corso di inglese. Lo aveva offeso. Aveva offeso Rachel.
E aveva detto che sarebbe tornata il giorno seguente. Sua madre non l'avrebbe presa bene, anzi. Prima di partire gli aveva detto di studiare e di migliorare i suoi voti, e invece questo era tutto quello che era riuscito ad ottenere.
"Ben fatto, Kane, davvero"

Tornò in cucina, dove Mike, John e Rob aspettavano con le bocche spalancate e gli occhi fuori dalle orbite. John in particolare gli stava dedicando tutta la sua ammirazione.
«Che avete da guardare?» domandò.
«Kane, tu sei il mio nuovo mito» disse John.
«Che cosa avrei fatto per fartela pensare così?» borbottò Peter.
«Vuoi scherzare? Rispondere in quel modo alla Walstone! Entrerai nella storia della scuola e dell'intera città» spiegò John con tono sognante.
«Ha ragione Pete, pochissime persone avrebbero fatto quello che hai fatto tu» gli fece eco Mike.
«Cioè? Farsi minacciare?»
«No» fece Mike «Hai mostrato gli attributi»
«Sempre con questo linguaggio da perfettino! E dillo una buona volta che ha avuto le pa-»
«John, modera il linguaggio» lo interruppe Mike.
«Ma se non ho ancora detto niente!»
«Ho immaginato dove volevi andare a parare»
John sbuffò.
«Beh, Kane... per dirla con i termini del signor perfetto Mike, la vostra cavalleria e spavalderia mi hanno largamente impressionato, lord Peter»
«Sei arretrato al medioevo?» gli chiese Mike.
«Qualunque cosa sia, Peter deve essere impazzito» si aggiunse Rob.
«Concordo» disse Mike.
«Assolutamente» fece John.
«Non sono impazzito, ho solo detto quello che pensavo» commentò Peter.
«Tu non puoi essere mio fratello... lui è un codardo» disse Rob.
«Grazie ragazzi, ma ora sono nei guai fino al collo» sospirò Peter.
«Che male c'è?» chiese John, aprendosi in un sorriso.
«Mia madre mi costringerà a prendere una pala, andare in giardino, scavare una fossa e seppellirmici dentro da solo»
«Solo se lascerai che sia la Walstone a dirle cosa è successo» intervenne Mike. Lui, che conosceva benissimo la madre di Peter, sapeva come lei avrebbe preso la notizia e ricordava anche quale fosse il modo migliore di annunciarle cose simili.
«Cosa intendi?» domandò Peter sconsolato.
«Già, la conosci. Sarebbe molto più comprensiva se a raccontarle tutto fossi tu» concordò Rob.
«Ma non posso dirle di Rachel...»
«Puoi e devi, Kane» fece John risoluto. Peter guardò attentamente i tre ragazzi, sperando che in qualche modo uno dei tre iniziasse a sghignazzare rivelando che era tutta una candid camera o qualcosa di simile. A volte avrebbe voluto che non fossero così affezionati a lui e che lo lasciassero in pace.
«Sai qual è la cosa giusta da fare» gli disse Mike.
«Devo proprio?» chiese Peter con l'aria di uno che avrebbe veramente preferito farsi seppellire vivo.
«Sì» risposero i tre all'unisono.

Mike e John se n'erano andati già da mezz'ora, quando Rob finalmente decise di riemergere dall'oscurità della sua camera e farsi vivo in salotto.
«Quei due se ne sono andati?» domandò guardandosi intorno.
«Sì, già da un po'»
«E cosa stai facendo lì da solo davanti alla tv spenta?» fece, sedendosi sul divano di fronte a lui.
«Sto solo riflettendo» rispose Peter alzando le spalle.
«Già, ho notato che quella poltrona è il tuo posto preferito per riflettere» commentò Rob.
«Mi aiuta a pensare»
«Allora, qual è i problema?»
«Credo che abbiate tutti ragione. È arrivato il momento di chiamare mamma» disse Peter. Rob lo guardò sorpreso.
«Dici sul serio? Sei sicuro?»
Non voleva farlo, ma doveva, altrimenti quando sua madre sarebbe arrivata a casa avrebbe scoperto tutto da sola e sarebbe stato mille volte peggio.
«Purtroppo sì, è l'unica cosa da fare»
Rob annuì.
«Allora fallo, prima che ti venga in mente di cambiare idea»
Peter era d'accordo con lui, doveva sbrigarsi o avrebbe perso anche quel briciolo di coraggio che gli restava. Sotto lo sguardo curioso di Rob compose il numero con il cuore in gola.
«Pronto?»
«Mamma? Sono io»
«Peter, è successo qualcosa? Come mai mi telefoni a quest'ora?»
Prese un respiro profondo.
«Ecco, ci sono alcune cose che devo dirti...»

Un rombo fortissimo lo svegliò.
Si sedette sul letto, con il cuore che batteva a mille per lo spavento. Con sollievo si rese conto che si era trattato solamente di un tuono, ma ormai si era svegliato e non sarebbe più riuscito ad addormentarsi.
«È quasi estate e piove, sembra che neanche il tempo voglia essere dalla mia parte» borbottò. Il suo umore era a terra, se fosse stato per lui avrebbe fatto scomparire tutto e tutti con uno schiocco di dita.
Guardò la sveglia, e capendo che Rob si sarebbe svegliato di lì a pochi minuti per andare a scuola decise di alzarsi e cercare qualcosa da mangiare in cucina.
Percorse il corridoio trascinando i piedi ed iniziò a frugare tra cassetti e contenitori vari, quando decise che il suo stomaco era troppo chiuso per riuscire a mangiare qualcosa di decente.
Mentre stava facendo colazione, o meglio, mentre mangiucchiava un biscotto a piccoli morsi perché era l'unica cosa che riusciva a mandare giù, Rob passò vestito di tutto punto.
«Perché non ti sei ancora vestito?» gli chiese quando lo vide ancora in pigiama.
«Dovrei vestirmi?» fece Peter.
«Sì, se non vuoi arrivare in ritardo a scuola»
«No, stamattina non ci vado» gli disse. L'espressione di Rob cambiò nel giro di un secondo.
«L'altro giorno mi hai fatto un mucchio di storie e adesso tu non vai a scuola? Ti dico quello che hai detto a me: abbiamo fatto una promessa a mamma e dobbiamo mantenerla»
«Non ti ho detto così»
«Insomma... più o meno» fece Rob scuotendo la mano con noncuranza.
«In ogni caso, pregarmi non serve a niente. Rachel partirà questa mattina»
Rob lo guardò, lo sguardo pieno di comprensione.
«Adesso capisco... sei ancora convinto di riuscire a farla restare?» gli chiese con un sorrisetto.
«Che male c'è se mi aggrappo a qualche speranza?» domandò Peter offeso. Rob alzò gli occhi al cielo.
«Certo, è giusto, anche se dopo tutto quello che hai combinato probabilmente non arriverai a domani. È stato bello conoscerti, fratello»
«Smettila»
«Siamo nervosi vedo... hai parlato con mamma?» gli chiese.
«Sì, arriverà a mezzogiorno» rispose Peter con un vistoso sbadiglio.
«Bene. Allora immagino che la accompagnerai a casa»
Rob sembrava tranquillo, forse era l'occasione buona per parlare con lui una volta per tutte.
«Sì. E con lei ci sarà anche...»
«Non dirlo» scattò Rob.
«D'accordo, ma non parlarne non cambierà le cose»
Rob non rispose e continuò a mangiare il suo toast con espressione contrariata.
«Vai a scuola, sei già in ritardo» gli disse Peter indicando il grande orologio appeso in cucina. Rob guardò a sua volta l'orologio, per niente preoccupato per il ritardo.
«Hai ragione» disse. Salutò Peter con calma, e poi si trascinò verso l'ingresso.
«Non farti sospendere» gli disse Peter prima che l'altro fosse troppo lontano per sentire.
«E tu cerca di sopravvivere a mamma, perché sicuramente ti ammazzerà»
«Lo so...»

Aveva ben chiaro quello che doveva fare: arrivare in stazione, scoprire l'orario d'arrivo di sua madre e trovare Rachel. Era seduto rigidamente su un sedile scomodo dell'autobus che lo avrebbe portato lì, e non riusciva a smettere di pensare che quella giornata avrebbe cambiato molto, forse tutto. Rachel sarebbe partita, se ne sarebbe tornata a Londra, e non poteva fare niente per fermarla. Dall'altro lato, sua madre sarebbe tornata a casa dopo il suo viaggio di lavoro, avrebbe presentato una persona a lui e Rob, qualcuno che forse era candidato a diventare una specie di nuova figura paterna.
Senza contare che ora che sua madre sapeva tutto di Rachel, del rischio di sospensione, del suo fallimento in inglese e delle minacce della Walstone, sicuramente l'avrebbe blindato in casa a vita. Al telefono era sembrata particolarmente inferocita, ma Peter aveva intuito che quello era solo un assaggio di quello che si sarebbe ritrovato a passare.
Scese dall'autobus barcollando, un po' per la stanchezza, un po' per l'agitazione.
Era stato in quella stazione migliaia di volte, ma la vista di quella struttura lo colpiva sempre. Decine, centinaia di persone che attraversavano quelle sale ogni giorno, ognuna con la propria storia. Da piccolo gli piaceva sedersi ed osservare i viaggiatori, cercando di capire chi fossero e perché si trovassero lì. Adesso però non aveva tempo. Corse verso i tabelloni in fondo alla sala con un nodo allo stomaco.
Tra le decine e decine di scritte che indicavano i treni in partenza e quelli in arrivo individuò quello su cui probabilmente si trovava sua madre. Era l'unico treno in arrivo a mezzogiorno in punto ed era perfettamente in orario, che significava che aveva ancora mezz'ora prima di dover iniziare a preoccuparsi.
Ora doveva solamente trovare Rachel. Il che era tutto dire, perché a quell'ora la stazione era incredibilmente affollata. Si guardò intorno per un po', cercando qualcosa che gli ricordasse i capelli di Rachel, il suo viso, la sua camminata. Finalmente, in un angolo della stanza, riconobbe una sagoma che litigava prepotentemente con una delle macchinette automatiche per i biglietti.

«Non riuscirò mai a capire come funzionano questi cosi...» stava dicendo Rachel.
«Aspetta, ti aiuto io» si offrì Peter. Lei si voltò a guardarlo, e quando vide di chi si trattava lo fissò spiazzata.
«Peter?»
«Già»
«Che cosa ci fai qui? Dovresti essere a scuola!» esclamò lei. Tipico di Rachel, si preoccupava più per la carriera scolastica di Peter che per il resto.
«Lo so, ma non potevo lasciarti partire senza salutarti»
«Non dovevi venire qui, sei già abbastanza nei guai con la scuola» lo rimproverò lei.
«Mi dispiace, ma non sei più la mia insegnante» replicò Peter. Rachel si rabbuiò, e subito lui sentì i sensi di colpa addosso.
«Scusa... non dicevo sul serio...» si affrettò a dire.
«Non ti preoccupare, in fondo hai ragione» fece Rachel.
«Quello che volevo dire è che adesso non devi più preoccuparti per come vado a scuola... anche perché senza di te non ho più ragione di andarci»
«Non devi dire neanche per scherzo una cosa del genere» si infiammò lei.
«Sai, questo momento non me l'ero immaginato così» ammise Peter imbarazzato. Rachel si addolcì un poco.
«Nemmeno io. Scusami per averti trattato così, oggi sono nervosa. Non so se sono pronta a rivedere i miei»
«Sì che lo sei» la incoraggiò Peter prendendola per mano.
«Insomma, vi volete dare una mossa?» si intromise un uomo irritato. Peter si guardò alle spalle, e si rese conto che la loro chiacchierata davanti alla biglietteria automatica aveva fatto formare una fila piuttosto lunga.
«Mi scusi...»
Si affrettò ad aiutare Rachel a fare il biglietto ed entrambi si spostarono in direzione del binario, facendo sospirare di sollievo l'intera fila.
«Mai una giornata tranquilla, eh?» disse Peter. Rachel scoppiò a ridere.
«Preferisco dire che da quando sto con te non ce n'è più stata una noiosa»
Non sapeva come rispondere a quella frase, ma fortunatamente la fastidiosa voce che annunciava l'arrivo del treno accorse in suo aiuto.
«Non è il tuo treno» disse Peter.
«Non ci provare» ridacchiò Rachel.
«Hanno appena annunciato che il tuo treno non parte più»
«Smettila» fece lei con un sorriso.
«D'accordo... anche se preferirei che restassi»
«Lo so, vale anche per me»
Il treno passò sul binario, impedendo a Peter di continuare la conversazione con parole imbarazzanti e sentimentali.
«È il momento» disse Rachel.
«Non sei costretta a farlo, possiamo trovare una soluzione» le disse ancora una volta Peter.
«Si vede che non hai mai conosciuto mio padre» fece Rachel con una risata amara.
«Un giorno lo conoscerò. Questa è una promessa»
«Peter...» Rachel alzò gli occhi al cielo. Sicuramente stava per contraddirlo in qualche modo, così per impedirglielo Peter la zittì con un bacio, cosa che di solito era lui a subire.
«Me lo dovevi... il bacio d'addio» le disse. Rachel si distese in un sorriso.
«Hai ragione. Ciao, Peter»
«Ciao»
Mentre Rachel saliva sul treno, fu pervaso da un senso di vuoto che aveva già conosciuto in passato. Questa volta però non voleva lasciarsi abbattere, non era come con Alison, forse adesso c'era ancora un futuro. O almeno, gli piaceva crederlo.
Guardò il treno allontanarsi, chiedendosi se sarebbe mai riuscito a rivedere Rachel.  

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** SLEEPING WITH THE LIGHT ON. ***


SLEEPING WITH THE LIGHT ON.


Gironzolò per la stazione, aspettando che sua madre si facesse viva. Non si era mai accorto di quanto l'attesa potesse essere noiosa e snervante allo stesso tempo. Si sedette su una panchina del binario ed iniziò ad osservare quello che gli succedeva intorno.
I treni arrivavano, si fermavano, la gente si salutava, saliva sul treno, altra scendeva e salutava gente ancora diversa, il treno partiva, e poi il ciclo ricominciava dall'inizio.
Questa successione dovette ripetersi tre volte prima che l'orologio scoccasse mezzogiorno ed il treno di sua madre si fermasse davanti a lui.
Quando le persone iniziarono a scendere, Peter si mise seduto composto e cercò sua madre con lo sguardo. Eccola ad una cinquantina di metri di distanza, mentre si faceva aiutare a trasportare la valigia da un uomo calvo e corpulento.
"Probabilmente è di lui che parlava" pensò.
Non si era creato aspettative, non aveva provato nemmeno una volta ad immaginare l'uomo che sua madre aveva deciso di presentare a lui e Rob, ma neanche volendo sarebbe riuscito a pensare ad una persona del genere. Questo perché, semplicemente, quell'uomo non poteva essere più diverso di così dal padre di Peter.
«Eccoti qua» fece sua madre quando lo vide. Peter si alzò dalla panchina, guardando l'uomo con un sorriso timido.
«Ciao mamma... com'è andato il viaggio?»
«È stato piacevole» rispose lei. Peter continuava a lanciare occhiate nervose all'uomo, che nel frattempo li aveva raggiunti e si era fermato ad un metro da loro.
«Oh, lui è Adam. È la persona di cui ti ho parlato»
Peter gli tese la mano, ed Adam la strinse con una presa ferrea.
«Tu devi essere Peter. Tua madre mi ha raccontato tutto di te, sei un artista, vero?»
«Diciamo che me la cavo a disegnare» rispose lui imbarazzato.
«Allora... come ve la siete cavata in questi giorni da soli? La casa è a posto? Rob sta bene?» chiese sua madre.
«Rob sta benissimo. La casa è in piedi e nessuno si è fatto male»
«Ne sono felice. Tu ed io però abbiamo molte cose di cui parlare, signorino» disse lei, facendosi seria tutto d'un colpo. Peter aveva quasi dimenticato di averle telefonato per raccontarle tutto, e ormai doveva continuare a dire la verità.
«Sì, è vero»
«Bene. Inizia a dirmi cos'hai combinato per farti bocciare in inglese» ordinò lei severa. Nel frattempo i tre uscirono dalla stazione, ed Adam si allontanò di un paio di metri per cercare un taxi.
«Non volevo. È che io sto con Rachel, e la prof l'ha scoperto, e allora se l'è presa con me e-»
«Fermati un momento, andiamo con ordine. Con quella ragazza che ti dava ripetizioni, pur sapendo che è un'insegnante?» fece sua madre, sempre più arrabbiata.
Peter annuì sconsolato.
«Quella che doveva venire a casa nostra durante la mia assenza per farti lezione?»
Peter annuì nuovamente. Il viso di sua madre si fece sempre più severo.
«Almeno spero che non abbiate fatto niente di sconveniente, pur avendo la casa a disposizione»
«Beh...»
«Peter!» fece lei sconvolta. Peter sospirò. Si sentiva in imbarazzo a fare quella conversazione davanti ad Adam, ma lui era ancora troppo concentrato a trovare un taxi per dare loro retta.
«Mamma, ho diciassette anni, è perfettamente normal-»
«Non è assolutamente normale! Non per uno come te che fino a ieri guardava i cartoni animati!»
«Prima o poi doveva succedere...» mormorò Peter a testa bassa.
«Speravo che succedesse più avanti... e certamente non con una professoressa» fece sua madre.
«Se può consolarti, prima c'è stata Alison» le disse Peter. Ormai erano entrati in argomento, una notizia in più non poteva essere così catastrofica.
«Anche con Alison? E sentiamo, con quante altre ragazze sei andato a letto?»
Lo sconvolgeva sentire parlare sua madre in quel modo, e per questo iniziò ad arrossire. Se non altro, era stata delicata con quel 'andato a letto'.
«Rispondimi»
«Nessun'altra. Solo loro due»
«Ne sei sicuro?»
«Certo»
«Sei stato attento?» domandò allora la donna.
«Che intendi?» fece Peter perplesso.
«Non è che adesso una di loro si presenterà a casa nostra dicendo che l'hai messa incinta, vero?»
«Oh, quello... no, non c'è pericolo. Con Alison è finita un sacco di tempo fa, se fosse successa una cosa simile lo saprei. E Rachel... lei sa badare a se stessa»
All'improvviso la donna gli diede una sberla così forte che Peter fu sicuro di aver sentito tutti i suoi organi scombinarsi dentro al corpo.
«Sei un disgraziato!» urlò sua madre.
«Mi hai fatto male!»
«Ben ti sta, così imparerai a non tenermi nascosto niente e a non fare certe cose con una professoressa»
«Ma...»
«È arrivato il taxi» annunciò Adam.
«Grazie Adam, arriviamo subito» rispose la donna con un sorriso gentile. Era incredibile la velocità con cui poteva passare dalla modalità 'drago sputafuoco' a 'gentile principessa'.
«Mamma, io...»
«Sali in macchina e non fiatare»

Tenne la bocca ben sigillata per tutto il viaggio di ritorno. Si era seduto davanti, in modo da lasciare sua madre ed Adam più comodi nello spazio dei sedili posteriori. In fondo, pensava, non era andata troppo male, visto quello che aveva combinato si era quasi convinto che sua madre lo avrebbe spinto sotto il primo autobus di passaggio.
Invece era vivo e vegeto, e già solamente per questo si sentiva sollevato. Ora però aveva un altro problema da affrontare, cioè pensare a come addolcire l'incontro tra Adam e Rob.
«Rob è andato a scuola oggi?» gli chiese sua madre quando arrivarono davanti al cancello.
«Sì. Nessuno di noi ha mancato un giorno... a parte oggi, chiaramente»
«Oh, prima mi sono dimenticata di dirtelo, sei in punizione. A vita»
Peter alzò le spalle e tirò fuori le chiavi di casa dalla tasca. Aprì cancello e porta senza dire una parola, e appena fu in casa si chiuse in camera. Non aveva voglia di parlare, gli era perfino passato l'appetito.
«Esci subito di qui» gli intimò sua madre dopo solamente cinque minuti.
«E perché mai?»
«Abbiamo un ospite, non è educato startene chiuso qui»
«Non è certamente venuto a trovarci per parlare con me... o mi sbaglio?»
Sua madre si irrigidì.
«Vieni fuori, non voglio ripetertelo. E poi devo andare a farmi una doccia, e non voglio che Adam rimanga da solo»
«D'accordo, come ti pare» si arrese lui.
Sbuffando e lamentandosi, Peter raggiunse il salotto, dove scoprì che Adam si era già accomodato su quella che era la sua poltrona preferita.
«Ciao, Pete!» esclamò l'uomo.
«Ehm... preferirei che mi chiamasse Peter, signore»
Adam scoppiò in una risata.
«Certo, certo! Mi sono preso troppa confidenza, scusami»
«Non importa...» rispose lui, prendendo posto sul divano. 
«Allora, Peter... cosa fate voi ragazzi qui?»
Peter non era certo di avere capito cosa Adam voleva sapere, così improvvisò una risposta.
«Andiamo a scuola. Io frequento il penultimo anno, Rob invece il secondo»
«E siete dei bravi studenti? A guardarti sembri un ragazzo intelligente»
«Beh... diciamo che potrebbe andare meglio»
«E senti» fece Adam, abbassando la voce e controllando che la madre di Peter non fosse in giro «È vera quella storia che la tua ragazza è più grande di te?»
«Sì»
«Ai miei tempi eri considerato un mito se riuscivi a fare quello che stai facendo tu. L'ho detto io che hai l'aria di un ragazzo intelligente» disse allora l'uomo, alzando nuovamente la voce al tono normale.
«Ehm, grazie»
«Cosa mi dici di tuo fratello invece?»
«Lui è un atleta. Spera di diventare un grande giocatore di basket»
«Il basket è uno sport interessante. Ottimo per la respirazione e lo sviluppo muscolare»
Più la conversazione procedeva, meno Peter riusciva a decidere se Adam gli piacesse o no. Sembrava che quell'uomo si stesse sforzando fino all'estremo pur di risultargli simpatico.
«Ecco, non saprei...»
«Sì, sì, te lo assicuro! Tu invece che sport pratichi?» domandò Adam con interesse.
«Nessuno sport. A meno che essere costantemente malmenato non sia uno sport»
«Chi ti malmena?»
«Preferisco non parlarne» tagliò corto Peter.
«Certo, scusami! Capisco che non sia un argomento piacevole da trattare»
«Già. Lei invece da dove viene?»
«Sono nato e cresciuto qui. Lavoro con tua madre da diversi anni, sai?»
«Sul serio?» fece Peter. Non gli sembrava che sua madre avesse mai parlato di quel tipo.
«Sì! E ho sempre avuto un debole per lei, insomma, converrai anche tu che non è certamente una donna da buttare via»
«Ehm... la prego di non parlare di mia madre in questi termini»
Adam gli diede una pacca sulla spalla improvvisa e forte, che fece mozzare il fiato a Peter.
«Mi piaci, Pete, sei uno con saldi principi morali!»
«Se lo dice lei...»

Peter fu costretto a parlare con Adam per parecchio tempo, perché sua madre fu particolarmente lenta a fare la doccia e ripresentarsi in salotto. Non era ancora uscita dal bagno quando la porta di casa si aprì e Rob entrò lanciando in giro le sue cose come al solito.
«Sono tornato! Peter, ci sei?» urlò stancamente.
«Sì, ciao Rob» rispose lui cautamente. Ormai stava contando i decimi di secondo, chiedendosi cosa mai sarebbe successo nel momento dell'incontro tra Rob ed Adam.
I passi di Rob si fecero sempre più vicini...
«Buongiorno» fece Adam. Rob si paralizzò nel vederlo. Peter si alzò, certo che da un momento all'altro sarebbe stato costretto ad intervenire per fermare la follia di suo fratello.
«Salve» disse Rob, molto teso.
«Immagino che tu sia Robert»
«Visto che conosci già Peter, e lui non si chiama Robert, è una cosa ovvia» rispose Rob sgarbato. Peter si avvicinò in fretta a lui e gli mise una mano sulla spalla per fargli capire che non doveva esagerare con le parole.
«Sei divertente, sai?» rise Adam.
«Che stai facendo?» sussurrò Peter all'orecchio di Rob.
«Voglio dare a questo parassita un benvenuto alla maniera dei Kane»
Quelle parole non facevano presagire niente di buono, così Peter si inventò una scusa alla svelta.
«Rob è molto stanco, deve andare a riposarsi prima degli allenamenti» disse con voce un po' più alta del normale. Rob lo guardò in cagnesco, mentre Adam annuiva.
«Naturalmente, naturalmente! Non vogliamo che il nostro atleta si stanchi e perda forma!» disse allegramente.
«Mi sta prendendo in giro per caso?» sussurrò Rob.
«No, è solo un po'... stranamente, terribilmente entusiasta»
«Non mi piace»
«Forse dobbiamo solo capire come prenderlo»
«Sei tornato, Rob?» chiese sua madre, finalmente pronta e vestita.
«Ciao» bofonchiò il ragazzo.
«Vi siete già conosciuti, vedo»
«I tuoi figli sono dei ragazzi molto simpatici!» esclamò Adam.
«Solamente quando vogliono» replicò lei.
«Ora io e Rob andiamo a...» fece Peter, cercando un modo per allontanarsi velocemente da lì.
«A fare i compiti» concluse Rob.
«Bene, andate. E non disturbate Adam»
«Questo è poco ma sicuro» borbottò Rob a mezza voce.
Peter seguì suo fratello fino alla sua stanza, poi Rob si congedò dicendo che aveva deciso sul serio di fare una dormita prima degli allenamenti.

***

Erano tre giorni che Adam si era installato a casa loro, e né Peter né Rob erano ancora riusciti a farci l'abitudine. Rob, in particolare, era sempre più frustrato perché ad ogni rispostaccia che rivolgeva ad Adam, l'uomo rispondeva con sorrisi e risate d'approvazione, lodando il fatto che Rob non avesse peli sulla lingua.
Peter, da parte sua, si sentiva sempre più solo. Sua madre lo costringeva a passare più tempo possibile con Adam, ed essendo Peter in punizione gli aveva anche proibito di vedere Mike. Con John, che per un giorno sarebbe stato fuori città con il professor Bloomberg, non si era neanche posta il problema. Fortunatamente per lui si era dimenticata dell'esistenza del cellulare, così quel giorno dopo pranzo riuscì finalmente a ritagliarsi un momento per sé e si chiuse nella sua stanza, dove nessuno poteva disturbarlo.
Adesso aveva il tempo di sentire Rachel.
Il cuore gli batteva stranamente forte, forse perché sapeva che Rachel si trovava a molti chilometri di distanza. Avrebbe veramente voluto rivederla, e non si dava pace perché nel profondo sapeva che quella situazione era tutta colpa sua.
«Peter! Mi chiedevo come mai non avessi risposto alle mie chiamate in questi giorni»
«Scusami, mia madre ha portato a casa un tizio e mi ha costretto a passare ogni secondo della giornata con lui» rispose contrariato.
«Un tizio?»
«Un suo collega di lavoro. Non ho ancora capito se tra loro c'è qualcosa, ma preferisco non pensarci perché l'idea è abbastanza agghiacciante»
Sentì Rachel ridere. Per lui quello era il suono più bello del mondo.
«Andiamo, non può essere così male»
«No, ma i genitori sono come gli insegnanti, non hanno vita sentimentale»
«Credevo che stare con me ti facesse capire che questo non è vero... io ero un'insegnante, ricordi?» fece Rachel divertita.
«Tu sei diversa»
«Sentiamo, per quale motivo sarei diversa?»
«Perché tu sei la mia ragazza»
Ci fu un silenzio imbarazzato. Aveva forse detto qualcosa di sbagliato?
«Ehm... come va lì a Londra?» chiese, nel disperato tentativo di rompere il silenzio.
«Potrebbe andare peggio. Mio padre è furibondo, ma sembra che sia disposto a perdonarmi»
«Mi dispiace che ti stia succedendo tutto questo»
«Smettila di scusarti, niente di quello che è successo è colpa tua» lo rimproverò Rachel.
«Va bene, ho capito. Però dovresti spiegarlo a tua zia, a scuola mi sta torturando»
Era vero, negli ultimi tre giorni la professoressa Walstone lo aveva bombardato di domande ed insufficienze, accanendosi solamente su di lui per tutta l'ora di lezione. In particolare quel giorno, vista l'assenza di John, che era andato a svolgere le gare matematiche in un'altra città, nessuno era stato disposto a difenderlo.
«Le avevo detto di lasciarti stare, questa volta non farò finta di niente» disse lei. Anche solamente dal tono Peter percepiva la sua serietà, certamente Rachel era intenzionata a fare un lungo discorso a sua zia.
«Fai con calma, tanto peggio di così non può andare... mi ha già detto che non ho superato il suo corso»
«Che cosa? Non può averlo fatto!»
«Invece sì. È successo l'altra sera, il giorno prima che tu partissi»
«Non posso crederci... no, non lo accetto. Più tardi la chiamerò, non ha il diritto di trattarti così»
«Sono io ad aver sbagliato. E poi sono anche stato sospeso quest'anno, non potrebbe andare diversamente» le ricordò Peter.
«Sei sicuro che non vuoi che parli con lei?» gli domandò Rachel.
«Sì, sono sicuro»
«D'accordo, visto che sei tu a chiederlo non farò niente. Ma non mi dimenticherò di come ti sta trattando»
«Lascia perdere, sul serio. Non ne vale la pena»
«Lo sapevo che sei troppo buono»
«A volte non è un male»
«Lo so. Sono fortunata ad avere te...»
Peter sentì un mormorare concitato all'altro capo del telefono, ma non riuscì a distinguere nemmeno una parola.
«Oh... scusami, mi stanno chiamando. Devo proprio andare, ci sentiamo presto, ok?» fece Rachel sbrigativa.
«Ehm... Rachel?»
«Cosa c'è?»
«Spero di rivederti presto»
«Anch'io. Non sai quanto lo voglio»
Prima ancora di avere la possibilità di salutarla, lei aveva già concluso la chiamata.

La settimana passò lentamente. Peter riusciva a malapena a mandare qualche messaggio isolato a Rachel durante la giornata, e lei rispondeva sempre con ore di ritardo. Probabilmente a Londra la vita non era così facile come lei voleva fargli credere, e la cosa lo preoccupava non poco.
Un miglioramento però c'era stato: Adam era tornato a casa sua, e sua madre era così presa da lui che si era dimenticata della punizione di Peter e gli aveva concesso di nuovo il permesso di vedere i suoi amici.
Anche John era tornato dalle gare come vincitore, stringendo una coppa enorme che era stata messa nella vetrina dei trofei della scuola, e Peter era grato che la sua assenza fosse durata così poco.
«Kane, finalmente sei uscito di galera, eh?» fece John non appena lo vide finalmente all'aria aperta con vestiti diversi dalla divisa della scuola.
«Non scherzare, è stato tremendo» sospirò lui.
«Andiamo, ammetterai che non può essere peggio della volta in cui ti sei preso la varicella all'asilo e sei rimasto blindato in casa per un mese» disse Mike.
«Avevo due anni e mezzo, e non avevo Rachel a cui pensare» lo liquidò Peter.
«Mi sembri nervoso» disse John.
«Ho solo bisogno di distrarmi un po', questi ultimi giorni sono stati orribili»
«Lo so, me ne sono accorto oggi in classe. Avevi la faccia di uno che è arrivato al limite» concordò John.
«Come sarebbe la faccia di uno che è arrivato al limite?» chiese Mike.
«Così, ecco» disse John, imitando un'espressione esasperata e stanca.
«Sei orrendo» lo prese in giro Mike.
«Parla per te, almeno io non sembro vecchio come te»
«Stai dicendo che sembro vecchio? Come ti permetti!» rise Mike. I due iniziarono a darsi finti pugni, mentre Peter se ne stava lì accanto con gli occhi al cielo.
«Volete smetterla? Vi stanno guardando tutti»
Si trovavano davanti ad un locale, in quel tiepido sabato sera di primavera. E, come Peter aveva fatto notare, tutti quelli che si trovavano in fila per entrare stavano fissando Mike e John.
«Non preoccuparti, stanno solo ammirando la mia bellezza. Non farci caso» disse John.
«Certo, la tua bellezza» fece Mike.
«Di sicuro non guardano un brutto gigante come te... anzi, somigli di più a un troll»
«Secondo me invece stanno guardando due idioti che si comportano come dei bambini dell'asilo» sbuffò Peter.
«Idiota io? Kane, mi sento offeso»
«E io ho tutto tranne il comportamento di un bambino dell'asilo»
«Allora ammetti di essere brutto»
«Rimangiatelo, testa arcobaleno!»
«Testa arcobaleno? Mi aspettavo un insulto migliore dal grande gigantor Walpole»
«Potrei insultarti in quattro lingue, ma sono troppo educato per farlo!»
«Ricordiamo alla gentile clientela che il signor Walpole, qui, è un piccolo lord che non si abbassa ai livelli della parlata colloquiale» disse John rivolto alle persone in fila. Tre o quattro ragazze scoppiarono a ridere, e la cosa mandò Mike su tutte le furie.
«Lo sai, sei veramente un... un...» disse. John lo guardò divertito.
«Dillo!»
«Sei un... un brutto maleducato!»
«E come vi ho precedentemente annunciato, signore, Michael Walpole ha una conoscenza delle parolacce inferiore a quella di un bambino delle elementari» concluse John. Mike, sconfitto, si fece largo nella fila ed entrò nel locale senza aspettare Peter e John.
«Dovevi per forza trattarlo così davanti a tutti?» chiese Peter.
«Ha cominciato lui!» fece John, nella perfetta imitazione di un bambino di tre anni.
«Per una volta cerca di essere serio, non ho voglia di vedere gente arrabbiata anche fuori di casa, mi basta già mio fratello»
«Va bene, hai ragione. Mi scuserò con Mike appena lo vedrò» disse John grattandosi la testa.

Il locale era quasi pieno. Non fu difficile individuare Mike, perché c'era un motivo se John lo prendeva sempre in giro per la sua altezza.
«Ecco Mike. Vai a parlargli»
«Non vedi che sta ballando? Non mi sembra educato disturbarlo»
«Adesso vieni a parlarmi di educazione?»
«Dovevo provarci» ridacchiò John.
«Forza, vai»
Peter aspettò in un angolo mentre osservava John avvicinarsi a Mike. Sapeva che John non aveva modi esattamente gentili, per questo fu sorpreso quando lo vide implorare Mike di perdonarlo. Mike, sorpreso tanto quanto Peter, non riuscì a rimanere serio e scoppiò a ridere.
La pace era stata ristabilita.
«Allora Pete, hai intenzione di restare lì impalato per tutta la sera?» chiese Mike avvicinandosi.
«Non so»
«Secondo me ha sete... ti prendo io qualcosa che ti rimette in sesto» si offrì John.
«No, grazie» si affrettò a rispondere Peter. L'ultima volta in cui John gli aveva fatto una proposta simile, Peter aveva passato il resto della serata a vomitare.
«E va bene, allora balla. Voglio vederti ballare» fece John.
«Quando metteranno delle canzoni che mi piacciono, puoi stare certo che lo farò»
«Ti prego Pete, non farlo» implorò Mike.
«Perché?»
«Perché... beh, è meglio se è un amico a dirtelo... insomma, balli in maniera imbarazzante»
«Ho imparato dal migliore» disse Peter.
«Punto per Kane!» esclamò John ridendo.
«Vi siete messi tutti e due contro di me?» domandò Mike.
«Non c'è stato bisogno, è ovvio che lui stia dalla mia parte» rispose John.
«Scusa, ma era da un po' che non uscivo e ho bisogno di distrarmi, e questo metodo funziona» fece Peter.
«In verità questa è la serata 'diamo fastidio a Mike'» disse John.
«Almeno ci sono sempre le ragazze...» borbottò Mike.
«E ti pareva» si lamentò John.
«Ehi Pete, guarda quella» disse Mike, iniziando a pavoneggiarsi per farsi notare da una bella ragazza che stava ballando a pochi metri di distanza.
«Non mi sembra il caso» borbottò Peter.
«E poi sono io il maleducato... guardati, stai sbavando» fece John, dando una bottarella sulla testa di Mike. Peter fu subito assalito da un senso di disagio. La ragazza che Mike stava guardando somigliava molto vagamente a Rachel, ma questo bastò per fargli sentire la sua mancanza.
«Forse dovrei tornare a casa, sapete... e chiamare Rachel. Sì, mi sembra la decisione migliore» disse Peter, facendosi strada per uscire dal locale.
«No, non ci pensare nemmeno. Io non ci resto da solo con questo qui» disse John trattenendo Peter per i vestiti.
«E va bene. Ma se la mia ragazza, e sottolineo ragazza, dovesse avere bisogno di me mentre sono irreperibile per colpa tua, stai pur certo che ti faccio a pezzettini e ti spedisco in Australia dentro una scatola da scarpe» bofonchiò Peter.
«Da quando sei così aggressivo?» domandò John.
«Da quando Rachel se n'è andata» rispose Mike.
«Non sono aggressivo!» si difese Peter.
«No, sei dolce come uno zuccherino» replicò John.
«Lasciami stare, ti prego» sbuffò Peter. John si accorse della sua esasperazione, e capì che era meglio non infierire.
«Come vuoi. Ora però inizia a divertirti, te lo puoi anche concedere ogni tanto»
Mentre parlavano, Mike si avvicinò alla ragazza che aveva già puntato, facendo finta che i suoi movimenti fossero del tutto casuali.
«D'accordo, facciamo qualcosa di divertente» disse Peter «Scommetto tutto quello che ho in tasca che Mike rimedia il suo numero in meno di dieci minuti»
John guardò Mike a sua volta, con un sorrisetto compiaciuto.
«Ah, la metti così? Io scommetto il doppio che invece si becca un bello schiaffo in faccia»
«Ci sto»
«Stai per perdere, Kane» disse John, che stava davvero iniziando a divertirsi.
«Conosco Mike, non mi deluderà»
Poco dopo, infatti, Mike tornò da loro con espressione soddisfatta, seguito dalla ragazza.
«Ragazzi, lei è Jess» disse «Ora, scusatemi...»
Peter guardò John ridacchiando, mentre il suo amico sbuffava.
«Mi hai appena fatto perdere un sacco di soldi, lo sai?» sbottò John.
«Non capisco di cosa tu stia parlando» fece Mike. John scosse la testa e si rivolse direttamente a Jess.
«Gli hai dato il tuo numero?»
«Eh?»
«Hai dato il tuo numero a questo qui?»
«Beh, no...»
«HA!»
L'urlo di John fu così forte da far sobbalzare tutti.
«John, smettila di comportarti come un cafone, abbiamo una signora tra noi» disse Mike guardandolo storto.
«Kane, è ancora tutto in gioco» fece John, che non sembrava curarsi né della presenza di Jess, né dell'espressione terribile che Mike gli stava rivolgendo.
«Va bene, te lo concedo» disse Peter.
«Aspetta, hai detto Kane?» si intromise Jess. Peter la guardò incuriosito.
«Sì»
«E per caso ti chiami Peter?»
«Sì, sono io»
«Allora sei lo studente che ha fatto licenziare Rachel!» esclamò Jess. Peter strabuzzò gli occhi. C'era qualche altra persona che non aveva mai incontrato prima a conoscenza di quella storia?
«Non è propriamente esatto» disse John.
«Tu conosci Rachel?» le chiese Peter. Jess annuì.
«Credo che tutti conoscano la storia del suo licenziamento. Ho lavorato in biblioteca per un periodo e lei veniva spesso a prendere in prestito dei libri. Si può dire che in questi mesi siamo diventate buone amiche»
«Oh, beh... allora è un piacere conoscerti. Rachel è la mia ragazza» disse lui tendendo la mano. Jess la strinse, ma la sua espressione cambiò.
«Come... non lo sai?»
«Che cosa?» domandò Peter perplesso. Jess alzò la voce, per essere sicura che lui potesse sentirla nonostante tutto il caos che li circondava.
«Rachel ha fatto pace con Josh, si sposano il mese prossimo»  

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** LOSING YOU. ***


LOSING YOU.


«Pete?»
«Mike, credo che sia meglio portarlo fuori di qui»
Non poteva essere vero. Non poteva e non doveva.
"Rachel..."
Sentì un paio di mani forti che lo prendevano per le orecchie e si lasciò portare all'esterno del locale.
«John, non così, gli fai male!»
«Secondo me in questo momento non si accorgerebbe neanche di un pugno in faccia»
«Pete, come ti senti?»
Peter annuì, come se bastasse a dare una risposta a Mike. Una volta all'aperto, John lo accompagnò su un lato del locale in cui non c'era nessuno.
«Butta tutto fuori, è peggio se lo trattieni» disse. Peter guardò interrogativo il suo amico, che arretrò come se avesse paura che lui potesse vomitargli addosso.
«Guarda che sto bene» lo rassicurò Peter.
«Tieniti a distanza lo stesso»
«Dov'è Mike?»
«Due metri più in là, a controllare che non ci siano oggetti con cui tu possa suicidarti» rispose John indicandogli il ragazzo.
«E non parlargli, si è offeso perché ho voluto portarti fuori da lì e ha dovuto mollare quella ragazza»
«Questa scena mi sembra di averla già vista...» sospirò Peter.
«Guarda che lo sappiamo benissimo tutti quanti che non è colpa tua, perfino io sono rimasto sconvolto dalla notizia» disse John.
«Non posso credere che sia la verità... Rachel non può sposarsi»
«Non ti ha detto niente al riguardo?» chiese John.
«Cosa avrebbe dovuto dirmi?»
«Non saprei, magari 'Peter, lo so che stiamo insieme e tutto, ma ho deciso di sposarmi con un altro'»
«Devo capire cosa sta succedendo. Non voglio credere alla prima sconosciuta che incontro» fece Peter.
«Questa è la cosa più intelligente che tu abbia detto da quando ti conosco» disse John. Peter scosse la testa.
«È solo la verità. Siamo qui per un motivo, non ti rovinerò la serata per una cosa che ha detto una persona che non ho mai visto prima»
«Allora te lo ricordi!»
«Certo che me lo ricordo, sei o non sei uno dei miei migliori amici?»
Erano usciti insieme perché allo scoccare della mezzanotte sarebbe stato il compleanno di John. Con tutto quello che era successo, Peter se ne stava quasi dimenticando.
«Prima te ne sei quasi andato, stavi per mollarmi qui da solo» gli ricordò John. Peter assunse un'espressione colpevole.
«Lo so. È che quella Jess mi ha ricordato Rachel, e per un momento mi sono dimenticato che sono venuto qui per te»
«Beh, non si può essere sempre perfetti, no?» concluse John «Andiamo, Mike mi sembra un po' seccato»

«Mike, adesso puoi smetterla di fare l'asociale»
«Sto solo pensando a Rachel» fece Mike pensieroso.
«Anche tu? Guarda che Kane è geloso»
«Sì, come no» replicò Peter.
«Ho pensato che è davvero strano che Rachel non ti abbia detto niente. Secondo me sapeva del matrimonio già prima di tornare a Londra»
«Perché avrebbe dovuto farmi una cosa del genere?» chiese Peter.
«Non ne ho idea» rispose Mike alzando le spalle.
«So io come tirarvi su di morale... qualcosa di forte per questi depressi!» urlò John al barman.
Erano tornati nel locale, ma nessuno di loro aveva voglia di ballare: Peter perché era in confusione per Rachel, Mike perché non trovava ragazze di suo gradimento e John perché non gli era mai piaciuto ballare e diventava suscettibile se qualcuno lo obbligava a farlo.
«Insomma, secondo me Rachel se la sta spassando laggiù a Londra sapendo che non sei tra i piedi» continuò Mike. John gli diede una sonora gomitata, tanto che Mike dovette aggrapparsi al bordo del bancone per non cadere dal suo sgabello.
«Ma sei scemo? Potevo farmi male!» si lamentò Mike.
«L'idea era quella. E poi, sono io quello che dovrebbe dire le cose sconvenienti, non tu» disse John.
«Hai l'esclusiva sulle frasi scomode?» chiese Mike scontroso.
«No, il fatto è che se sono io a dire una frase del genere, nessuno mi prende sul serio quindi non c'è pericolo che qualcuno ci rimanga male. Se lo fai tu rischi di essere ascoltato, perché di solito non dici certe cose» spiegò John. Sia Peter che Mike furono colpiti da quelle parole.
«Però ha ragione. Non so se il matrimonio sia vero, ma se lo dovesse esserlo probabilmente Rachel non pensa a me neanche un po'»
«Kane, su col morale» fece John.
«Non so se ci riesco»
John si sporse per afferrare il braccio di Mike ed osservare il suo orologio.
«Mancano ventiquattro secondi al mio compleanno, non ho intenzione di vederti con quel muso lungo»
«Ora puoi lasciare il mio braccio?» fece Mike.
«Chi me l'ha fatto fare di diventare amico di uno come te» borbottò John.
«Vi volete bene come due innamorati» fece notare Peter.
«Grazie Kane, ricorderò per sempre il mio diciottesimo compleanno con questa immagine agghiacciante»
«Beh, buon compleanno Johnny» disse Mike divertito.
«Non chiamarmi mai più Johnny o ti taglierò la lingua» fece John minaccioso.
«Johnny caro, vuoi un'altra bibita? Offro io» continuò Mike. Gli occhi di John brillarono.
«Super-iper-mega alcolica?» chiese.
«Ma certo» acconsentì Mike.
«Mi dispiace di averti trattato male prima. Ti prego, sposami e non lasciarmi mai più. E porta sempre con te il tuo portafoglio» disse allora John, afferrando la mano di Mike e mimando una proposta di matrimonio.
«Quanto amore c'è nell'aria...» commentò Peter. Sia Mike che John lo guardarono imbarazzati, e Peter lesse nei loro occhi l'esatto momento in cui i due si ricordarono di quello che avevano appena scoperto su Rachel e il matrimonio.
«Scusa Kane, non ci ho pensato...» fece John.
«Vorrà dire che il mio drink lo offrirai tu»
«Va bene, ma che sia solo un succo di frutta perché sei un bambino e non puoi sfondarti come me e mio marito-non-marito»
«Che onore, sono stato promosso di grado» rise Mike.
«Già, la fortuna è tutta tua» disse John.

I festeggiamenti per il compleanno di John rispecchiarono in pieno il ragazzo: furono colorati, rumorosi e completamente folli. Peter non ricordava di essersi mai divertito così tanto. Lui e Mike erano perfino riusciti a far ballare John insieme a qualche ragazza, complice qualche bicchierino di troppo.
Il problema fu verso le quattro del mattino, quando John era troppo provato per tornare a casa da solo e Peter e Mike dovettero accompagnarlo.
Entrando nel grande salotto, Peter aiutò John a sedersi sull'enorme divano, e Mike si sedette dall'altro lato del ragazzo.
«Voi umani siete veramente strani» disse John mentre accarezzava con movimenti meccanici i capelli di Mike, che a sua volta era leggermente brillo.
«Tu non sei umano?» chiese Peter, che era l'unico completamente sano. John aveva mantenuto la parola, ed aveva rifiutato di servirgli bibite diverse dal succo di frutta.
«No» ridacchiò John.
«E cosa saresti?» domandò allora Peter.
«Un pesce»
Peter scosse la testa, in quel momento il suo amico era troppo instabile per tenere una conversazione sensata. Rimase in silenzio per cinque minuti ad osservare John che dava pizzicotti in faccia a Mike, prima di iniziare a scrivere messaggi a raffica per Rachel.
La festa di John era stata un ottimo diversivo, almeno fino a quel momento, ma ora che aveva un momento di pace il pensiero della sua ragazza che poteva essere sul punto di sposarsi lo stava schiacciando.
'Ho bisogno di parlare con te di una cosa. Ti prego, è importante' scrisse.
'Magari non è niente di che, ma non posso saperlo finché non riuscirò a spiegarti che succede' aggiunse.
«Lo sai che i tuoi capelli sono morbidi?» stava dicendo John, scatenando l'ilarità di Mike.
«Credo che sia ora che il piccolo Johnny vada a nanna» disse Peter. John si voltò a guardarlo.
«Senti tu, solo il mio quasi marito può chiamarmi Johnny, e non mi importa quale Kane tu sia, non puoi farlo»
«D'accordo, d'accordo. Andiamo John...» insistette Peter. Lo aiutò ad alzarsi e si assicurò che il ragazzo si mettesse a letto, prima di tornare in salotto da Mike e convincerlo a tornare a casa.
«Sai Pete» disse Mike sulla via del ritorno «Questa sera John mi ha detto le frasi più affettuose che abbia mai sentito. Nemmeno le mie ragazze mi hanno mai dimostrato di volermi così bene»
«Probabilmente domani neanche ti ricorderai di avermi detto queste cose»
«Forse...»
«Però io l'ho sempre pensato che siete una coppia perfetta»

Dopo una domenica piena di ansia a causa di un silenzio completo da parte di Rachel, rivide i suoi amici a scuola il lunedì. Quando raccontò a John di quello che aveva detto a Mike durante la serata passata insieme, il ragazzo fece una smorfia disgustata.
«Ti prego, dimmi che non gli ho davvero accarezzato i capelli» disse.
«Invece lo hai fatto, così» rispose Peter, mimando accuratamente il gesto che John aveva compiuto.
«Oh no, adesso penserà di starmi simpatico» si lamentò John.
«Non è così?» gli chiese Peter. John sbuffò.
«E va bene, forse un pochino lo tollero. Ma tu non dirglielo» fece, incrociando le braccia.
«Kane, smettila di distrarre Catham» lo riprese la professoressa Walstone per la decima volta quel giorno.
«È colpa mia, professoressa» disse John. Ormai aveva preso l'abitudine di difendere Peter dalla professoressa di inglese, che aveva assunto un comportamento terribile nei suoi confronti.
«Potrà anche essere colpa tua, ma questo non cambia che Kane deve essere interrogato»
«Ma come, un'altra volta?» domandò una ragazza della classe ad alta voce. Peter la guardò sorpreso, non si aspettava che qualcuno oltre John avrebbe preso le sue difese.
«Devo interrogare qualcuno, e Kane ne ha bisogno» fece la professoressa.
«Mi offro volontario» disse subito John.
«No. Ho già abbastanza valutazioni per te»
«Per Kane ne ha almeno il quadruplo» le fece notare John.
«Sì, è vero professoressa... vorrei migliorare i miei voti, non potrebbe interrogare me?» intervenne un'altra delle ragazze della classe.
«No. Se ci sono altri volontari che vogliono fare un tentativo di salvare Kane lo dicano subito»
«Io»
Peter sentì un brivido scorrere lungo la schiena. Eppure sembrava che a parlare fosse stato davvero...
«Wood. Sei uno dei miei studenti migliori, perché vuoi essere interrogato?»
«Perché da gennaio non mi ha interrogato nemmeno una volta. Delle mie valutazioni ha veramente bisogno, non è come con Kane»
Doveva essere impazzito. Guardando Wood mentre si alzava per andare alla cattedra, Peter si sentì dispiaciuto per lui, non tanto per l'interrogazione quanto per il fatto che sapeva che Britney lo tradiva e non glielo aveva mai detto perché pensava che Wood si meritasse quel trattamento.
Ora, però, era quasi tentato di ricambiare quel gesto gentile con quell'informazione essenziale.
«Chi l'avrebbe mai detto?» commentò John.

Quando tornò a casa, Peter capì subito che c'era qualcosa di diverso dal solito, perché dal salotto non provenivano i suoni dei soliti programmi che guardava Rob, ma canzoncine di cartoni animati per bambini.
«Sono tornato» disse.
«Ciao Peter!»
Conosceva benissimo quella voce. Appoggiò la schiena alla porta per evitare che Jill lo facesse cadere nel saltargli addosso, cosa che succedeva regolarmente.
Non c'era niente di strano in una bambina di cinque anni che non faceva che ripetere di essere innamorata di lui, a parte il fatto che fosse sua cugina, avesse cinque anni e ripetesse continuamente di essere innamorata di lui.
«Ehm... mamma?» esclamò nel panico quando Jill lo strinse in una morsa e non diede segno di volerlo lasciare andare.
«Cosa c'è?»
«Perché Jill è qui?» chiese, cercando in tutti i modi di allontanare Jill per poter tornare a respirare.
«In casa sua sono tutti malati, così sono andata a prenderla prima che il virus contagiasse anche lei»
«Malati a maggio?»
«Circolano i virus più strani» rispose la donna.
«Non sei felice di vedermi?» domandò Jill. Peter le sorrise.
«Certo che sono felice, è solo che non mi aspettavo di trovarti qui»
«Oh. Ok» fece la bambina, prima di lasciare finalmente la presa. Peter le fu grato per quel gesto, perché stava iniziando a morire di caldo.
«Possiamo giocare insieme!» esclamò poi lei.
«Forse dopo. Devo fare i compiti...» si lamentò Peter triste.
«Io li ho già fatti» disse Jill. Peter si abbassò quel tanto che bastava per scompigliarle i capelli. Non sapeva perché, ma quel gesto piaceva molto a Jill e lui, che voleva sempre vederla sorridere, lo ripeteva spesso.
«Lo so, ma i miei sono un po' più difficili. E poi sono in punizione, devo farli per forza»
«Perché sei in punizione?»
«Beh...»
Non poteva certo dire tutto, soprattutto le motivazioni più intime che avevano spinto sua madre a condannarlo alla reclusione.
«Diciamo che ho combinato dei disastri con la mia... ecco... ragazza» disse, cercando di suonare il più innocente possibile.
«Che disastri?» saltò subito su Jill. Peter sospirò. Aveva dimenticato quanto sua cugina potesse essere insistente.
«Mamma...» chiamò Peter con voce un po' più alta del normale. Se avesse potuto si sarebbe preso a pugni per essere entrato in quel discorso.
«Peter, insomma! Si può sapere cosa stai facendo?» disse lei raggiungendolo nell'ingresso. Peter tirò un sospiro di sollievo, magari Jill avrebbe smesso di fargli domande.
«Jill mi ha chiesto di giocare con lei, ma non posso farlo... potresti spiegarglielo tu che ho dei compiti?» fece.
«Peter è in punizione, te l'ho già detto» disse la donna a Jill.
«Lo so, però non mi interessa!» urlò la bambina.
«Jill, per favore...» fece stancamente la madre di Peter, che sembrava pensare che forse non era stata proprio una buona idea portare lì Jill.
«Senti Jill» disse Peter, colpito da un'idea improvvisa «Te lo ricordi il mio amico? Quello che abbiamo incontrato a Natale?»
«Quello con i capelli colorati?» chiese subito Jill.
«Sì, lui. Se prometti di comportarti bene e mi lascerai stare fino a stasera, lo inviterò a cena» le disse. Jill, che di solito era molto allegra, sembrò farsi timida tutto in una volta.
«Hai sentito quello che ho detto? Farò arrivare John a casa» ripeté. Forse era uno scherzo della sua vista, ma gli sembrò che le guance di Jill fossero un po' più colorite del solito.
«Va bene» disse solamente lei, prima di allontanarsi verso il salotto.
«Che magia hai usato per convincerla a stare buona?» gli chiese sua madre.
«Credo che l'incantesimo Made in Catham abbia colpito anche lei» ridacchiò Peter.

Per una volta nella sua vita, John fu puntualissimo. Quando suonò il campanello, Peter era intento ad apparecchiare la tavola, così chiese a Rob di andare ad aprire.
«Aspetti qualcuno?» gli chiese suo fratello.
«Sì, è John»
Sentì Rob lamentarsi a bassa voce mentre andava ad aprire la porta.
"Mi dispiace fratellino, ma dovevo scegliere: o John, o Jill che ci rompe i timpani per tutto il giorno"
«Kane numero due! Come procede qui la vita?» sentì gridare John.
«Potrebbe andare meglio» rispose Rob.
«Ovviamente. Sono stato idiota io a domandarlo, chiedo perdono»
«John, smettila di fare lo scemo e vieni a darmi una mano» disse Peter ad alta voce.
John entrò in cucina trotterellando, e quando Peter gli chiese di mettere le posate in tavola, lui non fece altro che prendere un coltello ed iniziare a giocarci passandolo da una mano all'altra.
«Dimmi un po' mi hai invitato qui per chiedermi un consiglio su Rachel?»
«Senza offesa, ma non credo che tu sia la persona più indicata per questo genere di consigli» rispose Peter, impegnato a mettere i piatti in tavola.
«Grazie della fiducia. Ha almeno risposto ai tuoi messaggi?»
«Non ancora»
«Uhm... il mio sesto senso dice che avrai presto sue notizie» disse John.
«Grazie per la previsione non richiesta»
«Ma se non vuoi parlare di Rachel perché mi hai chiesto di venire con tutta questa urgenza?» gli chiese allora il suo amico.
«Ti ricordi di mia cugina Jill?»
«La bambina che non vuole riconoscere il fatto che sono il padrone del mondo? Mai nessuno mi aveva mancato di rispetto in quel modo, figurati se me la dimentico» rispose John, fingendo di essere offeso.
«Beh, oggi hai l'occasione per riscattarti. Lei è qui... e non ne sono sicuro, ma penso che abbia una cotta per te»
«Oh, le cose si fanno interessanti... cosa gli faccio alle donne» ridacchiò John, posando il coltello sul tavolo ed iniziando a specchiarsi sul retro di un cucchiaio in una perfetta imitazione di Mike.
«Ha cinque anni, John»
«Che problema c'è, aspetterò che cresca» rispose l'altro alzando le spalle.
«Piuttosto, chissà dov'è andata a finire» borbottò Peter.
«Proviamo a chiamarla... Jill!» urlò John. La bambina fu sulla porta della cucina quasi all'istante, ma sembrava rifiutarsi di guardare John in faccia.
«Eccoti qua! Non saluti?» le fece Peter.
«Ciao» disse Jill fissando il pavimento.
«Da quando sei così timida?»
Jill scosse la testa, e Peter guardò John interrogativo.
«Ehi, Jill» fece John «Buonasera. Lo sai che sono venuto a trovarvi solo perché Kane mi ha detto che c'eri anche tu?»
Jill sollevò la testa.
«Davvero?»
«Certo piccoletta! Ti ricordi di me?»
«Sì. Sei quello brutto che ho visto a Natale»
Peter scoppiò a ridere, ma fece del suo meglio per soffocare subito la risata.
«Questo è un vero colpo al cuore, e io che pensavo che potessimo avere un futuro» disse John con drammaticità.
«Smettila di fare il deficiente, Jill è troppo piccola per capire il sarcasmo» gli fece Peter a mezza voce.
«Cos'è sarcasmo?» chiese Jill.
«Ecco, appunto»
«Jill, lo conosci Mike?» le domandò John all'improvviso.
«Sì, è l'amico di Peter»
«Mi fido di te: chi è più bello, io o Mike?»
«Non puoi averle appena chiesto una cosa del genere...» disse Peter alzando gli occhi al cielo. Una vibrazione nella sua tasca lo distrasse da Jill, che era tornata di nuovo a fissare il pavimento, e questa volta non c'era pericolo di sbagliarsi sul rossore delle sue guance.
«Leggi il futuro, John... è Rachel. Dice che vuole parlarmi faccia a faccia» annunciò dopo aver estratto il telefono.
«Qui ci penso io, tu fai pure quello che devi» disse John.
«Grazie»
Mentre andava in camera sua sentì salire l'agitazione. Per dieci minuti buoni si mise d'impegno per far funzionare la sua webcam scassata, domandandosi cosa sarebbe successo di lì a poco. Finalmente Rachel gli rispondeva, finalmente dava segno di volergli parlare. Era arrivato il momento di chiarire tutto.

Sentì le farfalle nello stomaco quando vide l'immagine di Rachel comparire sullo schermo, una sensazione che solo lei era in grado di fargli provare. Era andata via solamente da poco più di una settimana, ma vederla gli provocava un dolore quasi fisico.
«C-ciao» balbettò.
«Ciao, Peter» disse lei, più sorridente che mai «Ho visto i tuoi messaggi, è successo qualcosa?»
Doveva restare calmo. Magari non era successo niente. Magari quella Jess, che gli aveva detto che Rachel stava per sposarsi, aveva mentito.
«Più o meno... devo chiederti una cosa»
«Dimmi pure»
«Ecco... una persona mi ha detto che stai per sposarti, vorrei sapere se è vero»
Nonostante la qualità scarsa dell'immagine vide distintamente lo stupore sul volto di Rachel.
«Chi è stato a dirtelo?»
«Beh... una ragazza che sosteneva di essere tua amica. Ha detto di chiamarsi Jess» spiegò tutto d'un fiato.
«Jess? Certo, ho capito di chi stai parlando»
«Allora ha detto la verità? Per favore, dimmelo. Sto diventando pazzo» domandò ansioso.
«Ecco... sì»
«Stai davvero per sposarti?»
«» rispose Rachel sconsolata.
In quel momento Peter capì cosa intendevano i grandi scrittori quando dicevano che perdere la persona amata è una cosa che uccide. Era questo che succedeva, ci si sentiva letteralmente morire.
«Perché non me l'hai detto?» chiese con un filo di voce. Stava malissimo, ma doveva sforzarsi di parlare, voleva capire.
«Pensavo che ci saresti rimasto male, non volevo ferirti»
«Ferirmi? Questo è molto peggio che una semplice ferita»
«Sei arrabbiato?» domandò lei. Peter scosse la testa.
«Magari riuscissi a prendermela con te. No, mi hai soltanto spezzato il cuore, una cosa da niente»
«Mi dispiace davvero tanto» fece Rachel con gli occhi lucidi «Se solo mi lasciassi spiegare...»
Gli era già capitato di trovarsi in quella situazione, e allora aveva sbagliato tutto, perdendo Alison. Doveva decidere bene quello che avrebbe detto, scegliere le parole giuste, per evitare di saltare a conclusioni affrettate un'altra volta. Se c'era una cosa che aveva imparato, era che spesso le cose non sono come sembrano.
«E va bene, spiega. Tanto peggio di così non potrà essere» disse, facendo il possibile per mantenere la calma. Non era stato preso da quella rabbia distruttiva che lo faceva impazzire, si sentiva semplicemente come un giocattolo rotto. O almeno, immaginava che i giocattoli rotti si sentissero in quel modo.
«Come sai, sono dovuta tornare a Londra dai miei quando mi hanno licenziata»
«Lo so, ero lì quando sei partita» disse sgarbatamente.
«Quando sono arrivata, mio padre è venuto a prendermi. Ha detto che ero la vergogna della famiglia, e che se avessi voluto di nuovo essere accettata da loro avrei dovuto fare tutto quello che mi dicevano»
«Questo non ha senso» borbottò Peter.
«Vedi, mio padre è una persona che tiene molto all'onore. Avere una figlia come me lo faceva sentire in imbarazzo. Ha detto che per riconquistare la sua fiducia avrei dovuto sposare Josh. Senza dirmi niente, aveva già iniziato ad organizzare il matrimonio ancora prima che partissi» spiegò Rachel.
«È per questo che vuoi farlo? Per fare un piacere a tuo padre?»
Rachel scosse la testa.
«Peter... mio padre sta morendo» disse con voce spezzata.
«Come sarebbe a dire?»
«Lui... è molto malato. Ho paura che se mi rifiutassi di fare questa cosa gli darei il colpo di grazia»
Peter sospirò. Era più complicato di quanto pensasse, e si sentiva troppo piccolo per affrontare un problema del genere. Non riusciva neanche ad immaginare come potesse sentirsi Rachel.
«Capisco che tu non voglia caricare troppo la situazione, ma non puoi passare il resto della tua vita con una persona che non è giusta per te solamente perché hai paura che questo potrebbe peggiorare la salute di tuo padre» disse con sincerità.
«So anch'io che è un grosso sacrificio... ma non me la sento di dirgli la verità»
«Cambierebbe qualcosa se fossi io a dirglielo?» azzardò Peter. Rachel si asciugò una lacrima solitaria.
«Sai che io voglio solo e soltanto te, ma non credo che ci sia una soluzione questa volta»
«Se pensi che lascerò che questo succeda senza provare a tenerti con me, ti sbagli»
«Non c'è niente da fare»
Una cosa da fare per convincerla c'era, o meglio, una cosa da dire. Ed era imbarazzante, talmente imbarazzante che lui avrebbe negato in eterno di averlo detto. Prese fiato, guardò direttamente la webcam e si impose di dire quelle parole.
«Rachel... qui lo dico e qui lo nego, ma credo di essermi innamorato di te»  

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** LAST SUMMER. ***


LAST SUMMER.


Quel bacio così dolce lo destabilizzò. Stando con Rachel, con cui era più che altro guidato dall'istinto, si era dimenticato della dolcezza che quel gesto potesse avere.
Per un attimo gli sembrò di risentire quelle farfalle che solitamente dormivano nel suo stomaco, ma si impegnò al massimo per non farci caso. Non poteva lasciarsi confondere di nuovo da Alison.
"Io voglio stare con Rachel. Mi sento così solamente perché non me l'aspettavo, tutto qui"
Sentì le dita di Alison muoversi tra i suoi capelli, e le farfalle nel suo stomaco iniziarono a fare festa. Era come pietrificato, non faceva niente per respingerla. A pensarci bene, non era certo di volerlo fare. Lei gli era saltata al collo così, nel mezzo del discorso, ma nonostante questo Peter non ne era dispiaciuto, al massimo era sorpreso.
Quando si separarono, Alison lo guardò dritto negli occhi, riportando alla mente di Peter moltissimi ricordi. Erano stati insieme, si erano lasciati, eppure lei lo trattava ancora allo stesso modo. Ripeteva gli stessi gesti, le stesse identiche espressioni che gli aveva sempre rivolto, come se niente fosse successo.
«Perché l'hai fatto?» le chiese in tono pacato.
«Lo volevo. E anche tu lo volevi» rispose lei.
«No, non è vero» rispose subito Peter.
«Certo che è vero, altrimenti mi avresti respinta» gli fece notare Alison. Lui ci pensò su per diversi secondi prima di trovare una risposta che credeva adatta, tanto era confuso dalla rapidità con cui tutto era successo.
«Non mi sono tirato indietro solo perché non me l'aspettavo»
Alison gli prese la mano e sul suo viso comparve un sorriso malizioso che a Peter ricordò terribilmente una delle espressioni più gettonate da John. E, di solito, se qualcosa riguardava John non portava a niente di buono.
«Smettila» disse ritraendo la mano. Era imbarazzato, si vergognava da morire perché non era riuscito a respingere Alison. O meglio, perché non aveva voluto farlo e non riusciva a spiegarsene il motivo.
«Non agitarti per così poco. È solo un bacio» fece Alison con tono rassicurante. Lei sapeva certamente come prenderlo, in passato era stata in grado di farlo calmare quando lui ne aveva avuto più bisogno, e quando Peter si rese conto che le parole della ragazza stavano avendo effetto ancora una volta prese ad indietreggiare.
Non voleva farsi stregare ancora una volta da Alison, si era ripromesso che non sarebbe successo. E poi c'era Rachel. Già, Rachel...
«Forse per te è solo un bacio. Per me è...» borbottò, senza sapere come finire la frase.
«Cosa?» lo esortò Alison.
Peter tornò indietro con la mente al momento in cui Alison lo aveva baciato per la prima volta. Si era ripetuto in testa che un bacio non era poi una gran cosa, che anzi era la cosa più semplice e sciocca del mondo, e che non aveva chissà quale significato. Adesso la pensava allo stesso modo, eppure c'era qualcosa che gli impediva di fare finta che non fosse successo niente.
«Non è giusto. Io ho una ragazza, che per quanto stia per sposarsi a centinaia di chilometri da qui resta comunque l'unica persona con cui voglio stare»
«Rachel ti ha accecato, Peter. Non riesci più a pensare con la tua testa» disse Alison seria. Peter scosse la testa.
«No, anzi. Era prima di lei che non riuscivo a ribellarmi a niente e a nessuno. Ora le cose stanno cambiando»
«Quando ci siamo messi insieme, meno di un anno fa, non avresti mai detto una cosa del genere» gli fece notare Alison.
«Sono successe tante cose. Ho capito di essere cresciuto» fece Peter. In realtà se ne stava rendendo conto solamente in quel momento: ogni volta che gli era capitato qualcosa di brutto, il suo carattere era inconsciamente diventato sempre più forte, crescendo con lui. Stava superando la fase del bambino spaventato.
«Anche io sono cresciuta, ma non sono diventata completamente un'altra persona»
«Tu sei sempre la stessa»
«Lo dici come se fosse una cosa brutta»
«Per niente»
«Allora perché mi tratti in modo diverso da prima?» gli chiese Alison. C'era qualcosa di strano in lei, sembrava che fosse animata da un fuoco di determinazione.
«Non ti sto trattando in modo diverso»
«Ma per favore!» urlò lei «Prima eviti in tutti i modi di guardarmi in faccia, e adesso cerchi di mentirmi? Cosa ti è successo, Peter?»
«Non lo so» disse con sincerità «Non ne ho la minima idea. In questo momento non sono nelle condizioni per pensare, ho troppi problemi intorno»
«Che vuoi dire?»
«Prima Rachel che si sposa, adesso ci si mette anche la scuola, e poi arrivi tu e mi fai... mi fai dubitare delle mie decisioni. Non ce la faccio, è troppo. Ti prego, almeno tu cerca di aiutarmi» le disse Peter quasi supplicando. Alison scosse la testa.
«Ti chiedo solo di pensare ad una cosa» gli disse con tono più calmo «Cerca di riflettere. Rachel sta per sposarsi. Stai per perderla per sempre. Io invece sono qui, e sono disposta a perdonarti e tornare con te»
«Alison, per favore, io...»
Alison lo zittì con un gesto.
«Non devi rispondermi adesso. Pensaci bene, prendi la tua decisione con calma. E per favore, promettimi che quando lo farai userai la testa e non farai sciocchezze»
Quel 'non fare sciocchezze' secondo l'ottica di Alison significava tornare insieme a lei e lasciar perdere Rachel, questo era più che evidente. Peter lo sapeva, sarebbe stato molto più semplice stare con Alison, che aveva appena compiuto sedici anni e certamente aveva molti meno problemi a cui pensare rispetto a Rachel.
«Va bene, ci penserò» acconsentì, sfinito dall'insistenza della ragazza. Dall'altro lato però, era grato che lei gli avesse permesso di non darle una risposta immediata, perché nelle condizioni in cui si trovava, Peter non era sicuro di essere in grado di fare la scelta giusta. La sua mente era come un vortice indistinto, in cui vorticavano Alison e Rachel, e lui si trovava proprio nel mezzo. Scegliere una significava perdere l'altra, e nonostante le difficoltà che aveva avuto con entrambe non era capace di rinunciare a nessuna di loro.
Era certo di una cosa però: stava con Rachel, e anche se in maniera impacciata, le aveva dichiarato il suo amore. Anche se non voleva che Alison uscisse dalla sua vita, non poteva e non doveva dimenticare questo fatto, perché aveva dovuto raccogliere tutto il coraggio che aveva in corpo per rivelare i suoi veri sentimenti. Forse Rachel lo sapeva già, ma non si erano mai soffermati troppo su questo punto. Ora che aveva avuto la forza di aprirsi con lei, non si sarebbe arreso così facilmente alla tentazione che Alison gli presentava.
«Prenditi tutto il tempo che ti serve, io non ti metterò fretta» disse Alison, schioccandogli un piccolo bacio sul collo che fece correre i brividi lungo la schiena di Peter.
Stava cominciando ad avere caldo, e non era solo per colpa dell'aria di giugno. Alison doveva essere andata fuori di testa per fare cose del genere in mezzo alla strada.
"Calmati Peter... non è niente, è solo un bacio... da amici..." cercò di dirsi mentalmente.
Alison però stava mandando in tilt il suo sistema nervoso. Ora se ne stava lì davanti a lui, guardandolo con quei suoi occhi marroni. I suoi bellissimi occhi marroni. Chiaramente, li definiva 'bellissimi' in qualità di amico. E adesso che riusciva a guardarla bene si ricordava perché la trovasse così carina... come amica. Alison era certamente un'amica, e solamente quello, perché lui aveva detto di essere innamorato di Rachel. Non Alison. Rachel.
«A-Alison» balbettò.
«Sì?»
Deglutì. Perché la bocca si seccava sempre nei momenti meno indicati? Proprio adesso che doveva parlare per uscire da quella situazione...
«D-devo andare. Si è... fatto tardi» riuscì a dire.
«Oh, certo. Allora ci sentiamo» fece lei.
Annuì velocemente e schizzò via come se dovesse battere il record dei cento metri.
"Cosa diavolo è appena successo?"

Per tutta la sera ed il giorno successivo si rifiutò di parlare con chiunque. Aprì bocca solamente al lavoro, dove gli era stato imposto di essere gentile con i clienti. Non aveva ceduto nemmeno alle continue lamentele di John in classe, non voleva dire una parola.
O almeno, non lo fece fino a quando la sera, di ritorno dal lavoro, si ritrovò davanti Mike. Il suo migliore amico si era accampato in salotto con un gran sorriso, e per una volta non sembrava avere fretta di uscire e trascinare Peter da qualche parte.
«Cosa ci fai tu qui?» gli chiese sgarbatamente Peter. Quando tornava a casa stanco dopo una giornata di lavoro, l'ultima cosa che voleva fare era avere a che fare con le litigate di John e Mike.
Mike sembrò intuire i suoi pensieri, perché disse: «John non c'è. Oggi sono da solo»
«Oh» fece Peter «D'accordo, allora. Vuoi fare qualcosa stasera per caso? Lasciami solo il tempo di fare la doccia e ci organizziamo. Prego solo che sia qualcosa di veloce perché ho sonno»
«No, non credo che sarebbe una buona idea. Sono qui per motivi non troppo piacevoli»
Peter sbadigliò. Era così stanco che voleva solamente farsi una doccia e mettersi a letto, ma doveva fare il buon padrone di casa ed essere gentile con Mike, per quanto permesso dal suo pessimo umore serale post-lavoro.
«Si può sapere perché sei qui?»
«Tua madre ha telefonato alla mia. In pratica mi hanno incastrato, così adesso mi tocca aiutarti a recuperare in storia» rispose Mike desolato.
«Ah già, il recupero...»
Si era quasi dimenticato di essere stato convocato dal preside per la sua media imbarazzante.
«Vieni, siediti» disse Mike, indicandogli la poltrona.
«Guarda che questa è casa mia, dovrei essere io a far-»
«Stai zitto e siediti» lo interruppe Mike con tono autoritario. Peter eseguì, se non altro per evitare uno dei soliti rimproveri da parte del suo migliore amico.
«Dunque, quanto tempo abbiamo per renderti un genio della storia?» chiese Mike allegramente una volta che Peter ebbe preso posto.
«Ho gli esami tra due settimane» rispose lui annoiato. La poltrona era così comoda che si sarebbe addormentato nel giro di cinque secondi, se non fosse stato per la parlantina di Mike.
«Oh, c'è un'altra cosa»
«Che cosa?»
«Tua madre mi ha detto di avere arruolato anche John per spiegarti matematica»
«Ah, perfetto» disse Peter sarcastico.
«Pete, devi prenderla seriamente stavolta» lo ammonì Mike.
«Non riesco a concentrarmi, non ce la farò mai senza Rachel» borbottò lui. Ormai diceva quelle cose più per abitudine che per vera e propria convinzione, tanto che era quasi una risposta meccanica alle domande di ogni genere che gli venivano poste. Improvvisamente, Mike si alzò e prese Peter per la collottola, tirandolo su di peso.
«Metti da parte Rachel per una volta, va bene? Adesso pensa a questo. Non voglio sentire storie»
Detto questo, Mike lasciò la presa e Peter si ritrovò a barcollare.
«Perché ti importa tanto dei miei voti?»
«Non è per i voti, è per te. Devi imparare a gestire le cose nella maniera giusta, evita di preoccuparti per Rachel ogni secondo della tua vita»
«Forse hai ragione» disse Peter con un colpetto di tosse.
«Già, forse... scusami per la reazione eccessiva, ho esagerato» replicò Mike imbarazzato.
«È tutto ok. Devo essere veramente esasperante se perfino tu sei arrivato a reagire così»
«Giusto un pochino»
«Va bene, smetterò di parlare di Rachel. E poi, non sono più sicuro che sia quella giusta» borbottò Peter.
«Frena un secondo, perché dici così?» chiese Mike, la curiosità alimentata dalle parole dell'amico. Sembrava essersi già completamente dimenticato del divieto di parlare dell'argomento.
«Ieri ho incontrato Alison. Mi ha chiesto di tornare insieme e mi ha baciato»
«Che cosa?» esplose Mike sconvolto. Se Peter non fosse stato così stanco, sarebbe scoppiato a ridere per l'espressione scioccata sul volto del ragazzo.
«È tutto qui. Solo che da quel momento ho iniziato a pensare che... forse con Alison sarebbe tutto più semplice» ammise. Mike lo fissava con la bocca spalancata, sembrava che non riuscisse a trovare le parole.
«Come sarebbe? Stai veramente pensando di tornare con Alison?»
«Sto solo dicendo che se volessi potrei farlo»
«E lo vuoi?» insistette Mike. Strano, pensò Peter, quanto velocemente si fosse dimenticato delle ripetizioni di storia.
«Non lo so»
«Aspetta, andiamo con ordine: è stata lei a baciarti? O sei stato tu?»
Mike voleva andare a fondo nei dettagli e Peter era pronto ad accontentarlo. Tutto, pur di non studiare storia. Si sentiva stretto nella poltrona, così si alzò ed iniziò a girare avanti e indietro per la stanza senza sosta, lamentandosi ad ogni passo.
«Ha fatto tutto lei»
«E tu che cosa hai fatto?»
«Io... niente. Ho aspettato che finisse» rispose Peter.
«Però è tutto ok, no? Voglio dire, ha iniziato lei, non è stata colpa tua»
«No, però...»
«Hai provato qualcosa? Cioè, cos'hai sentito mentre lei ti baciava?» insistette Mike. Peter iniziò a chiedersi se non sarebbe stato meglio raccontare prima tutto a John, che avrebbe certamente sdrammatizzato con una delle sue battutacce.
«Non ho sentito niente» mentì. Mike cambiò espressione, da interessato diventò preoccupato. Peter aveva dimenticato che nessun altro lo conosceva bene come lui, non sarebbe mai riuscito a dirgli una bugia e passarla liscia.
«Pete, sei sicuro di non voler tornare con Alison, vero?» gli chiese Mike, avvicinandosi per guardarlo negli occhi. Lo conosceva così bene che era in grado di capire ogni suo singolo pensiero anche senza parlare.
«Mi ha detto di essere disposta a lasciare Landon per me» disse Peter.
«Tu invece? Tu sei disposto a lasciare Rachel per lei?»
Era incredibile come fino a quel momento non avesse pensato di domandarsi una cosa così semplice, eppure per qualche motivo non aveva considerato la situazione sotto quel punto di vista.
Conosceva bene la risposta a quella domanda.
«No»
«Perfetto, problema risolto. Hai visto che non era poi così difficile?»

Forse per Mike non era una cosa difficile, ma Peter passò una brutta nottata. Senza John tra i piedi, i due amici erano riusciti a concludere una conversazione seria, arrivando al risultato che Peter doveva cercare in tutti i modi di evitare che Rachel si sposasse.
«Rachel ha detto che avrebbe parlato con quel Josh, e che avrebbe cercato di spiegare la situazione a suo padre con calma. Quell'uomo è malato, capisco che lei non voglia calcare troppo la mano»
«Strano, avrei detto che Rachel fosse molto più indipendente» commentò Mike.
«È umana. Anche lei ha delle debolezze» gli fece notare Peter.
«Certo, lo immagino. Solo che credevo che una come lei fosse... non so, più ribelle, per usare un termine un po' troppo forte»
«Ho capito quello che vuoi dire. E con me lo è, credimi. Quando siamo soli lei è molto... beh, diciamo che prende le iniziative e...» arrossì e non finì la frase, sperando che bastasse per far capire a Mike quello di cui stava parlando. Fortunatamente il suo amico la sapeva lunga sulle relazioni a due, e non ebbe bisogno di indagare oltre.
«Per farla breve, non hai niente di cui lamentarti»
«Esattamente. Lei ha tutto quello che potrei volere, a parte...»
«A parte?»
«Non è esattamente delicata quando stiamo insieme. Anzi, direi che è più aggressiva che dolce»
«E questo è il motivo per cui sei confuso riguardo ad Alison. Lei con te è sempre stata gentile e cauta, non è così?»
Peter annuì.
«Alison faceva le cose all'improvviso, ma non ha mai perso veramente la testa. Rachel invece è praticamente una bomba pronta ad esplodere. Con lei posso essere me stesso e non ho paura di impazzire, ma a volte mi piacerebbe... vorrei poterle dire quello che provo per lei senza avere paura di essere considerato ridicolo»
«Santo cielo, sei romantico fino alla nausea» lo prese in giro Mike. Peter lo fulminò con lo sguardo.
«Se avessi voluto delle critiche ne avrei parlato con John»
«Non prendertela, stavo scherzando. Devi solo decidere cosa preferisci, Pete»
Peter ebbe la fugace visione di se stesso che sfogliava un catalogo di ragazze e si ritrovava indeciso tra il 'modello Rachel' e il 'modello Alison'. Era questo che Mike lo stava spingendo a fare, scegliere tra le due dimenticando che si trattava di persone.
«Parli di loro come se fossero degli oggetti» disse infatti con stizza. Mike gli rivolse uno sguardo triste.
«Scusami. Sai che non lo faccio apposta. Intendevo dire che devi capire cosa provi per loro»
«Io credo... con Alison c'è stato qualcosa di bello, ma adesso è finita. Rachel invece è tutto per me»
Vide Mike sorridere, e quella vista gli diede una strana impressione.
«Tu sapevi fin dall'inizio come sarebbe andata, non è vero?»
«Se intendi che sapevo che avresti scelto Rachel, sì»
«La prossima volta dillo subito, così ci risparmiamo un sacco di tempo e ragionamenti inutili»
«E perdermi tutto il divertimento nel vederti mentre ti spremi quel cervellino?»
«Ti odio»
«Anch'io. È per questo che sei il mio migliore amico»

Il giorno dopo, a scuola, Peter era stanchissimo. Mike era rimasto a casa sua fino a tardi, e dopo la lunga chiacchierata su Alison e Rachel avevano iniziato a studiare storia insieme. Era utile studiare con Mike perché lui aveva già fatto quel programma di storia e conosceva bene molti degli argomenti, era anche molto bravo a spiegare. Questo però, aveva avuto come risultato il fatto che Peter era andato a dormire molto tardi, che aggiunto alla stanchezza provocata dal lavoro era stato un mix micidiale. Gli sembrava di aver dormito solamente pochi minuti, dunque ora che era costretto a restare sveglio era di pessimo umore.
Aveva perfino zittito John, imponendogli di non parlare a meno che non fosse strettamente necessario, così il suo amico aveva passato le lezioni a fare l'offeso.
«Prima ti vedi in segreto con il tuo amico yeti e poi non mi vuoi parlare, grazie tante» aveva detto.
Peter sapeva che l'arrabbiatura gli sarebbe passata presto, così non si preoccupò più di tanto. Quando arrivò l'ora di informatica, però, mise da parte tutti i suoi pensieri riguardo alla stanchezza perché si trovò al fianco di Walter Landon, che ufficialmente era il ragazzo di Alison.
Lui e Landon non erano mai andati d'accordo, ma forse avrebbe dovuto dirgli che Alison aveva cercato di riconquistarlo, se il suo poteva considerarsi un tentativo di riconquista. Per quanto potesse essere di cattivo umore, Peter aveva ancora dei solidi principi morali. Ma come avrebbe fatto ad affrontare l'argomento?
«Ehm... Landon?» disse, nervoso.
Landon si voltò goffamente a guardarlo, facendo scricchiolare la sedia.
«Cosa vuoi?»
Analizzò il viso di Landon come se dovesse disegnarlo. Non sembrava arrabbiato e nemmeno nervoso, il che era confortante perché c'erano basse probabilità che si mettesse sulla difensiva.
«Mi chiedevo... come va tra te ed Alison?» chiese. Meglio tastare prima il terreno, non poteva certo dire 'la tua ragazza è pronta a mollarti, aspetta solo un mio cenno'.
«Bene, come dovrebbe andare secondo te?»
«No... me lo domandavo solamente perché l'ho vista l'altro giorno e mi è sembrata un po' strana, tutto qui»
«Cosa vorresti dire, Kane? Io soddisfo la mia ragazza, se è questo che stai insinuando»
«No, niente del genere, è solo che... ehm...»
«Mi stai facendo innervosire» disse Landon.
«Alison mi ha chiesto di tornare con lei» sputò Peter tutto d'un fiato. Landon lo guardò perplesso per un attimo, poi scoppiò a ridere.
«Buona questa, Kane! Davvero divertente!»
«Non sto scherzando»
«Alison... tornare con te!» rise Landon.
«Io ci ho provato ad avvertirti...» borbottò Peter. Non capiva cosa ci fosse di così divertente in quello che aveva appena detto, ma Landon rideva di gusto come se avesse appena sentito la migliore battuta di sempre. Contrariato, Peter tornò a concentrarsi sul suo computer.
"Il mondo è completamente impazzito"

Come ormai faceva sempre, dopo scuola andò al lavoro. Mancava poco, e presto avrebbe avuto i soldi necessari per il viaggio a Londra. Doveva solamente continuare così per una decina di giorni.
Quando tornò a casa, fu sorpreso nel trovare Adam, il collega di sua madre, seduto in salotto.
«Buonasera, Pete!» disse l'uomo quando lo vide.
«Ehm... salve...»
«Sei stato al lavoro, eh?»
«Già...»
Solo in quel momento Peter si accorse che Mike era in salotto insieme ad Adam.
«Devi smetterla di presentarti a casa mia per studiare a quest'ora» gli disse.
«Non posso farci niente, le nostre madri si sono alleate» borbottò Mike «Però stasera me ne vado prima»
«Con chi devi uscire questa volta?» chiese Peter.
«Alexandra, quella carina della classe di fianco alla mia»
«E bravo Michael, così si fa! Una ragazza non è mai abbastanza, giusto?» si intromise Adam. Peter ridacchiò nervosamente mentre Mike concordava con l'uomo.
«Non so chi sia, ma conoscendoti sarà certamente una ragazza bella, senza cervello e pazza di te» disse poi Peter.
«A volte mi sembri John» sbuffò Mike.
«John ti direbbe che quella ragazza deve avere dei seri problemi di vista per uscire con uno sgorbio come te» recitò Peter in una perfetta imitazione di John.
«Quel ragazzo ha una brutta influenza su di te»
«Oppure è la mia salvezza» rise Peter.
Mike mantenne la parola e rimase lì per quaranta minuti, costringendo Peter a tenere il naso ben fisso sul libro.
«Prova a ripassare da solo, io devo andare» disse poi Mike dopo aver guardato l'orologio. Peter sbadigliò, felice di avere una scusa per mettere da parte il libro di storia.
"La storia è così noiosa..."

Doveva essersi addormentato.
Stropicciandosi gli occhi e sbadigliando, capì che la causa del suo risveglio era, come spesso gli era capitato, il suo cellulare che vibrava nella tasca. Ancora assonnato, cercò di decifrare le scritte sul display e rispose con un ampio sbadiglio.
«Pronto...»
«Peter» la voce di Rachel era affannosa, sembrava agitata. Peter si sentì subito sveglio. In un attimo si era già seduto con gli occhi spalancati, preoccupato.
«Che succede?»
«Mi dispiace, mi dispiace tanto...»
«Cosa?»
«Il nostro piano per evitare che io sposi Josh è saltato»
«Perché, cosa...»
«Hanno anticipato il matrimonio. Mi sposo domani mattina»  

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** AIR HOSTESS. ***


AIR HOSTESS.


Peter spalancò gli occhi. Ecco, era successo proprio quello che non doveva succedere. Era grave, era un problema, era un disastro. Non si aspettava una cosa del genere, e questo gli provocò la tachicardia.
«Perché l'hanno anticipato? Credevo che fosse tra due settimane!»
«A quanto pare Josh non ha voluto saperne di ascoltarmi. Ha fretta di sposarsi ed è riuscito a convincere mio padre a cambiare la data»
«Rachel... non sono ancora riuscito a trovare i soldi...»
«Aiutami» disse solamente lei.
«Cercherò una soluzione. Stai tranquilla, farò di tutto per raggiungerti»
«Il matrimonio è alle dieci» disse lei. Peter guardò la sveglia. Erano le nove e mezza, aveva circa dodici ore per trovare i soldi, arrivare a Londra e impedire che Rachel si sposasse.
«Non so come, ma ci sarò» disse.
«Pe-»
Non riuscì a sentire il resto, doveva essere caduta la linea. Cominciò a correre come un pazzo per la stanza, cercando di capire cosa fare. Doveva sbrigarsi, trovare una soluzione e correre a Londra.
Era praticamente impossibile.
Corse in salotto, preso dal panico. Lì c'era ancora Adam, che stava seduto mollemente a guardare la televisione.
«Adam!» gridò Peter con tutta l'aria che aveva nei polmoni, facendo sobbalzare l'uomo.
«Pete, mi hai spaventato... perché urli?» chiese lui.
«Dov'è mamma?» fece Peter. Era così agitato che aveva il respiro corto e si sentiva come se stesse per svenire.
«Nella sua stanza, sono due ore che si sta preparando perché stasera la porto fuori a cena» rispose Adam.
«Cosa sono tutte queste urla?»
Rob li aveva raggiunti nel salotto, incuriosito dall'alto tono di voce di Peter.
«Devo assolutamente andare... mi servono soldi...» farfugliò Peter.
«Che ti sei bevuto?» gli chiese Rob.
«Pete, respira, sei troppo agitato» cercò di calmarlo Adam. Peter però non riusciva a respirare, si era fatto prendere dal panico e adesso si sentiva malissimo.
«Perché siete tutti qui?» domandò sua madre, che li aveva appena raggiunti in salotto vestita di tutto punto.
«Ma... mamma...»
Quando la donna vide la faccia di Peter, cambiò subito espressione e si avvicino al figlio preoccupata.
«Peter, cos'hai? Sei bianco come un lenzuolo... siediti sul divano, vieni»
Sua madre si fece aiutare da Adam, ed insieme i due sollevarono Peter di peso e lo portarono al divano.
«Cosa c'è? Stai male?»
«R-Rachel... si sposa... domani... devo andare...»
L'espressione di sua madre passò da preoccupata ad arrabbiata.
«Non pensarci nemmeno, ne abbiamo già parlato. Tu non uscirai di casa»
«D-devo... mamma. Che a t-te piaccia o no»
Tutti i presenti si guardarono in faccia, probabilmente domandandosi se Peter fosse definitivamente impazzito.
«Vuoi andare al matrimonio della prof?» chiese Rob.
«È la mia ra-ragazza»
«Se ti azzardi anche solo a pensarlo ti chiudo in casa e non esci più. Basta con questa storia, è ora di finirla»
Peter fu percorso da un senso di rabbia. Non poteva lasciarsi fermare da sua madre, non proprio adesso.
«No!» gridò, alzandosi dal divano e correndo nella sua stanza. Se fosse stato necessario, sarebbe scappato di casa. Per fortuna, teneva tutti i suoi documenti in un cassetto della scrivania, non certo il nascondiglio più sicuro del mondo, ma almeno li aveva sempre a portata di mano.
Prese lo zaino di scuola, che giaceva abbandonato in un angolo, lo rivoltò senza troppi complimenti e lo riempì con tutti i documenti che aveva e i primi vestiti che trovò nell'armadio. Se ne sarebbe andato, non sapeva dove, non sapeva come, ma sarebbe arrivato a Londra entro dodici ore.
«Peter, torna subito qui!» gli gridò sua madre quando lo vide passare nell'ingresso.
«Mi dispiace, non posso»
«Peter!»
«Ci vediamo tra qualche giorno, mamma» disse lui, uscendo e chiudendosi la porta alle spalle.
Prima che qualcuno potesse inseguirlo, si mise a correre più veloce che poteva, cercando di pensare a dove andare e come raggiungere l'aeroporto. Con tutta la fretta con cui aveva preparato quel misero bagaglio, si era dimenticato di prendere dei soldi. Non gli bastavano i soldi per un taxi, figurarsi per un volo last minute per Londra.
C'era solo una cosa da fare.

«Kane, che ci fai qui a quest'ora?» chiese John quando lui gli bussò alla porta.
«Non sapevo dove andare» rispose Peter con un alone di tristezza. John capì subito che qualcosa non andava, così non perse tempo in domande.
«Vieni, entra e racconta tutto allo zio John»
«Rachel si sposa domani mattina»
Se John rimase sorpreso da quell'affermazione non lo mostrò.
«Ho capito dove vuoi arrivare...» disse.
«Voglio fermarla»
«Logico. Ma che ci fai qui?» domandò ancora John. Peter sospirò, riprendendo fiato per tutto quello che aveva dovuto subire fino a quel momento.
«Mia madre non è d'accordo, ha cercato di impedirmi di partire» spiegò.
«E quindi sei scappato di casa» concluse John.
«Già. John, io non so come, non ho un'idea di cosa fare, ma domani mattina devo essere a quel matrimonio» fece Peter.
«È una parola. Per andare a Londra ci vogliono i soldi. Se li avessi ti aiuterei, ma non ne ho»
Per un momento aveva sperato che John sarebbe riuscito a tirare fuori un miracolo dal cilindro, perché lo vedeva capace di risolvere qualsiasi situazione, quindi rimase un po' deluso quando il suo amico dimostrò di essere semplicemente un essere umano.
«Lo so. Grazie, comunque» disse. In fondo quell'idea era stata una vera e propria follia, forse era meglio non avere nemmeno i mezzi per partire.
«Figurati. Potessi essere ricco come Mike...» borbottò John.
«Cos'hai detto?» esclamò Peter con gli occhi fuori dalle orbite.
«Che se avessi tutti i soldi di Mike ti aiuterei subito»
«Certo, Mike! Come ho fatto a non pensarci?» urlò Peter afferrando John per le spalle e scrollandolo.
«Tieni giù quelle mani!» si lamentò John «Tu credi che ti darà i soldi?»
«Non lo so, ma almeno devo provare a chiedere»
«Ci penso io» disse John con un sorriso sghembo.

Mezz'ora dopo, un contrariatissimo Mike era nel salotto di John e sia Peter che John gli gridavano contro a pieni polmoni.
«Si può sapere perché mi avete fatto venire qui di corsa? Io avevo un appuntamento!»
«Sempre con questi appuntamenti, tanto non sarebbe mai andata bene» disse John.
«John, ti prego» lo implorò Peter.
«Ah già» fece John «Rachel ha anticipato il matrimonio. Ci servono soldi, Kane deve essere a Londra entro domani mattina»
Peter fu sorpreso e grato per la capacità di sintesi di John. In momenti come quello, era essenziale risparmiare tempo in ogni modo possibile. Dopo un paio di minuti di spiegazione esasperata, quindi, Mike era già venuto a conoscenza dell'intera storia.
«Ragazzi, sul serio, io sono pronto a finanziare questo viaggio, ma finirò in guai seri» disse nervosamente.
«Tutti ci finiremo» disse John.
«Come, vieni anche tu?» fece Mike scontroso. Certamente si aspettava di dover pagare solo per sé e per Peter, e l'idea di dover pagare il viaggio anche a John lo innervosiva parecchio.
«Vi servirà pure una guida, no? Io sono l'unico a conoscere Londra qui»
«Ha ragione, Mike. Lui ci serve» gli fece notare Peter.
«E va bene, tieni i soldi. Mio padre mi ammazzerà. È sicuro che mi ammazzerà» disse Mike estraendo la carta di credito dal portafoglio e porgendola a John.
«Poche storie, se non vivi un'avventura ogni tanto cosa vivi a fare?» fece John, strappandogli la carta dalle mani e allontanandosi di qualche passo verso il computer che aveva acceso poco prima che Mike arrivasse.
«Almeno sono sicuro di vivere» si lamentò Mike.
«Ah, che vita piatta. Allora, ho controllato gli orari dei voli, e a giudicare dal fatto che dobbiamo essere là prima delle nove del mattino, che dovremo cercare un passaggio, che dovremo sbrigare parecchie cose sia prima che dopo il volo, che dobbiamo anche andare verso l'aeroporto e contando un po' di tempo per gli imprevisti... direi che abbiamo un margine di un'ora circa» spiegò John in tono pratico.
«Per fare cosa?» chiese Peter. Era così agitato che avrebbe preferito partire in quell'esatto momento.
«Per prepararci, cercare i documenti che ci servono, raccogliere qualcosa in caso dovessimo fermarci un paio di giorni e cose così» disse John.
«Io ho già portato tutto» fece Peter accennando allo zaino che aveva lasciato sul divano.
«E bravo Kane. Mike, tu cosa mi dici?»
Mike alzò le spalle.
«Io non lo sapevo, non ho preso niente! Devo tornare a casa» disse irritato.
«Sbrigati. Hai venti minuti» gli disse John autoritario.
«Come sarebbe? Hai detto un'ora!» esclamò Mike.
«Un'ora alla partenza da qui» spiegò John con calma.
«Come pensi di arrivare in aeroporto? Nessuno di noi tre sa guidare» gli ricordò Peter.
«In taxi, è chiaro. Certo, se Mike avesse la macchina a disposizione per le cose importanti invece di farsela prestare solo quando ha gli appuntamenti...»
«Non dare la colpa a me!»
«Prendi qualche soldo in più, potrebbero servirci!» fece John spingendo Mike fuori dalla porta ed ignorando completamente le sue lamentele. Quando tutto fu tranquillo Peter si sedette sul divano, sforzandosi di respirare profondamente.
Stava veramente male, e non riusciva a credere che sarebbe partito sul serio. Stava succedendo davvero.
«John»
«Dimmi» fece il ragazzo, che stava recuperando tutti i documenti necessari per il volo.
«A Londra dove andremo? Ci hai pensato?»
John non rispose subito. Peter lo osservò sistemare accuratamente i documenti nel portafoglio prima che i suoi occhi gli rivolgessero di nuovo tutta la loro attenzione.
«Credo che sia arrivato il momento di rivedere i miei genitori»

La loro fu una corsa contro il tempo. Mike li raggiunse un minuto dopo il termine di venti minuti stabilito da John, e questo causò una litigata molto accesa tra i due, che Peter non si sforzò di sedare. Aveva paura che qualcosa potesse andare storto. Ad esempio, se avessero ritardato il volo, avrebbe rischiato di fare troppo tardi per il matrimonio. Senza contare che non sapeva muoversi a Londra, e non aveva idea di quanto tempo gli ci sarebbe voluto per arrivare nel luogo stabilito.
«John, sei sicuro di aver fatto tutto per bene, vero?» chiese all'amico mentre correvano attraverso l'aeroporto.
«Certamente, non devi preoccuparti»
«Da che parte dobbiamo andare?» chiese Mike guardandosi intorno spaesato. John gli indicò uno dei tabelloni su cui scorrevano le informazioni sui voli.
«Dobbiamo prendere l'aereo per Londra... il primo in alto a destra» disse.
«Andiamo!» urlò Peter. Avevano veramente pochissimo tempo, e non voleva rischiare di perdere l'aereo perché quello successivo sarebbe stato alle sei del mattino. Superati i controlli, cominciò a correre mentre Mike e John lo seguivano a breve distanza, lamentandosi l'uno dell'altro a intervalli regolari.
«Mike, ti vedo fuori forma!»
«Pensa per te, che corri come un gatto obeso!»
«Almeno io corro! E poi i gatti obesi sono bellissimi!»
«Siamo arrivati» fece Peter prendendo fiato. Finalmente erano arrivati all'imbarco e potevano rilassarsi per qualche minuto prima di salire sull'aereo.
«Vado in bagno» gli disse John a mezza voce «Tu assicurati che quello scemo non faccia niente di strano, mi sembra un po' smarrito»
Peter guardò in direzione di Mike, che in effetti sembrava avere perso un po' del carattere che lo contraddistingueva.
«Va tutto bene?» gli chiese avvicinandosi a lui. Mike annuì.
«Sì, è solo che è un po' che non volo» rispose.
«Sul serio? Credevo che fossi andato in vacanza con i tuoi genitori non più di un paio di mesi fa»
«Sì, ma quella volta siamo andati in treno perché io... insomma, non mi piace molto volare»
«Che vuol dire?»
«Ecco...» fece Mike guardandosi intorno circospetto «Non dirlo a John, ma io ho il terrore di volare»
«Davvero? Perché non me l'hai detto?» chiese Peter sorpreso. Era sempre stato convinto che Mike avesse viaggiato in aereo decine di volte.
«Non volevo tirarmi indietro. E poi, non potevo dare questa soddisfazione a John»
«Sei un pazzo» disse Peter con un sorriso.
«Sto cominciando a pentirmene» bofonchiò Mike.
«Pentirti di cosa?»
John li aveva raggiunti, e Peter non poteva certamente lasciare che lo sforzo che stava facendo Mike fallisse miseramente.
«Mike non si è portato l'ombrello» inventò sul momento.
«Non ne avremo bisogno, staremo al chiuso per quasi tutto il tempo» disse John.
«È un sollievo» fece Mike, senza suonare troppo convincente.
«Allora, siete pronti a volare?»

Presero posto sull'aereo, stretti come delle sardine. Peter si sistemò vicino al finestrino, Mike nel mezzo e John alla sinistra di Mike. John aveva fatto proprio un bel lavoro, era riuscito a trovare il primo aereo in partenza per Londra e si era assicurato che loro tre avessero dei posti vicini. A volte, Peter pensava che quel ragazzo avesse dei poteri magici per essere in grado di fare certe cose.
Intorno a loro decine di persone sistemavano i loro bagagli, camminavano e inciampavano, e tutti parlavano. C'era un fracasso tale che Peter riusciva a sentire solamente ronzare, come se migliaia di zanzare gli volassero intorno alle orecchie.
Mike, seduto accanto a lui, teneva lo sguardo fisso sulle spie luminose sopra la sua testa, al momento spente.
«Che combini?» gli chiese John.
«Niente» si affrettò a rispondere Mike, sempre senza distogliere lo sguardo dalla spia che indicava l'obbligo di allacciare le cinture.
«Certo, immagino che ci siano un mucchio di cose interessanti lassù» fece John seguendo il suo sguardo.
«Chiudi il becco» sibilò Mike.
«John, lascialo stare. Sul serio» intervenne Peter.
«Perché?» chiese lui con lo sguardo fisso su Mike.
«Non sono affari tuoi» rispose Mike. L'espressione di John cambiò improvvisamente.
«Aspetta... non dirmi che uno grande e grosso come te ha paura di volare?» disse con un sorrisetto.
«Stai zitto John» ringhiò Mike.
«Ho indovinato, eh? Se vuoi ti terrò la manina come i bambini» continuò John.
«In questo momento sono a tanto così dal picchiarti» lo minacciò Mike, ma quando John gli tese la mano lui la afferrò senza pensarci due volte.
«Allenta un po' la presa, mi fai male» disse John. Mike chiuse gli occhi, e John prese ad accarezzargli la testa con la mano libera con fare amorevole.
«Bravo bambino... andrà tutto bene...»
Peter li osservava divertito, sperando che quei due riuscissero a distrarlo quel tanto che bastava per dimenticare l'ansia per qualche ora.
«Siete incredibili» disse ridendo.
«Che ci vuoi fare, siamo fatti l'uno per l'altro» replicò John.
Finalmente, la voce del comandante nell'altoparlante annunciò la partenza imminente, e Mike iniziò a dare di matto.
«Nonononono...» borbottava strizzando gli occhi.
«Stai tranquillo, sono qui vicino a te...» rispondeva John con tono rassicurante.
«E se l'aereo cade?»
«Non cadrà»
«E se precipitiamo in mare?»
«Ma perché dovrebbe succedere?» fece John, scambiandosi occhiate divertite con Peter.
«E se... e se ci schiantiamo contro un altro aereo mentre siamo in volo?»
«Certo, o magari il comandante sbaglia la rotta e finiamo dritti dritti contro l'Everest» disse John sarcastico.
«Oh cavoli, potrebbe succedere?» chiese Mike terrorizzato. John soffocò una risata.
«No, era una battuta. È scientificamente provato che l'aereo è il modo più sicuro di viaggiare, lo dice anche Superman» spiegò.
«Che cappero vuoi che mi importi se lo dice Superman o Batman!» esclamò Mike, stringendo la presa attorno alla mano di John.
«Ahia! Vacci piano, mi stai distruggendo le dita!» esclamò John. Mentre parlava, una giovane hostess passò loro vicino.
«Siete pregati di allacciare le cinture, signori, stiamo per decollare» disse a John con un marcato accento straniero.
«Lo farei, ma questo cretino ha paura di volare e non vuole lasciarmi la mano» si lamentò John.
«Signore» disse la hostess rivolta a Mike «Le assicuro che andrà tutto bene»
Mike girò gli occhi per guardarla, e Peter capì dal suo sguardo che la paura di volare era appena passata in secondo piano.
«Salve» disse infatti Mike, cercando di darsi un'aria seducente.
«Signore, per favore, allacci la cintura» disse la hostess. Mentre John si allacciava la cintura, Mike ebbe parecchi problemi a fare lo stesso, così la ragazza dovette aiutarlo.
"Guarda un po' che vecchio furbacchione..." pensò Peter divertito mentre guardava Mike che si lasciava coccolare dalla giovane.
Presto l'aereo fu pronto per la partenza, e nonostante il rumore assordante Peter poteva sentire distintamente Mike che iniziava a sfoderare tutte le sue doti di playboy per darsi da fare con la bella hostess. John, per contro, aveva assunto un'espressione parecchio infastidita, anche perché la hostess stava invadendo i suoi spazi per sporgersi verso Mike.
«Io mi chiamo Mike» disse lui tendendo la mano. La hostess gli sorrise e fece per stringerla.
«Stiamo per schiantarci!» gridò all'improvviso John, prima che le mani dei due potessero entrare in contatto.
«Aiuto!» urlò Mike raggomitolandosi sul sedile.
L'aereo non si era ancora sollevato del tutto ma già era invaso dalla risata sonora di John, che aveva avuto la sua ennesima vendetta su Mike.

Dopo quella partenza un po' turbolenta, Mike non aveva fatto altro che ignorare completamente sia Peter che John per parlare con la hostess. Ogni volta che la ragazza si allontanava, lui la richiamava indietro con un pretesto in modo da poter parlare con lei.
«Le hai già chiesto venti bicchieri d'acqua, tra poco te la farai addosso» disse John. Sembrava molto irritato, e Peter non poteva biasimarlo. Era dal momento del decollo che Mike gli lanciava cose addosso, lo scavalcava, gli dava pizzicotti e gli chiedeva di ordinare cibo per convincere la hostess ad avvicinarsi.
«Non se adesso mi fai alzare e mi lasci andare in bagno» fece Mike slacciando la cintura e scavalcando John.
«Spero che rimanga chiuso dentro» borbottò John incrociando le braccia.
«Cerca di capirlo, ha paura e prova a distrarsi come può» disse Peter.
«A volte lo odio»
«No, non è vero»
John guardò Peter di sbieco.
«Sì invece. Lo odio quando fa così con le ragazze»
«Però ti piace quando si comporta così con te»
John distolse lo sguardo ed iniziò a fissare le proprie scarpe. Peter lo sentì distintamente sbuffare, e quando la hostess passò accanto a loro per la terza volta in dieci minuti, dovette assistere allo spettacolo di John che esprimeva tutto il suo disappunto.
«Insomma, si può sapere cosa ci trova Mike in lei?»
«Non so... il fascino della divisa?» azzardò Peter.
«Oppure semplicemente sbava per tutte senza distinzione»
«Eccomi qua» fece Mike, raggiungendoli e facendosi largo per tornare al suo posto. John lo incenerì con lo sguardo.
«Io ti detesto» disse.
«Ma cosa ho fatto?»
«Esisti»
Peter alzò gli occhi al cielo.
"Ed ecco che comincia il Mike e John show, solo per voi ad un prezzo speciale"
«Senti, non è che potresti chiamare la hostess? Ho un po' di fame...»
John si sciolse in un sorriso maligno.
«Ma certo, perché no? Però prima vorrei informarti che mentre eri in bagno il comandante ha detto di avere perso il controllo dell'aereo. Stiamo per schiantarci»
«Avevi detto che era sicuro!» gridò Mike, allacciando la cintura e stringendo le braccia intorno a John come se fosse l'unica salvezza. Peter avrebbe giurato di aver visto un sorriso soddisfatto sul viso di John quando la hostess si accorse che Mike lo stava stringendo in quell'abbraccio goffo.

L'atterraggio non fu dei più morbidi. Non sapeva che ore fossero, e rimpiangeva di aver dimenticato il cellulare a casa nella fretta. Fuori però era molto buio, quindi non era certamente troppo tardi per raggiungere il matrimonio.
«Mike» fece John.
«Sì?» rispose Mike, che aveva ancora gli occhi chiusi e stava aggrappato ai vestiti di John come se da quello dipendesse la sua vita.
«Lasciami. Andare. Siamo. Arrivati» scandì John.
«Puoi scordartelo, non ti mollo finché questo coso infernale non si ferma»
«Insomma, abbraccia Kane, cosa vuoi da me?» disse John cercando di divincolarsi.
«No»
«È tutto tuo, John. Io non ci tengo per niente» rispose Peter.
«Questo è il peggior volo della mia vita» si lamentò John. Mentre parlava, però, accarezzava la testa di Mike meccanicamente, per rassicurarlo.
«Eppure giurerei che ti stai divertendo» disse Peter, accennando alle carezze che il ragazzo stava facendo a Mike. John interruppe immediatamente il gesto e costrinse Mike a sedersi dritto.
«Stavo solo cercando di essere gentile» si difese.
«Sì, certo...» rise Peter. Finalmente l'aereo si fermò, e i passeggeri cominciarono a scendere disordinatamente. Peter, Mike e John rimasero seduti per un po', aspettando che il passaggio si liberasse.
«Johnny» chiamò Mike con voce incerta.
«Cosa c'è?»
«Ehm... grazie. Per avermi... ecco, tenuto la mano e tutto il resto. Stavo per morire di paura»
«Figurati. Grazie a te per avermi frantumato le dita» rispose John con una risata. Peter aveva tutta la sensazione di essere un terzo incomodo, tanto che dovette ricordare ai suoi due amici perché si trovassero lì.
«Allora, qual è il piano?» chiese ad alta voce. John e Mike si voltarono a guardarlo come se si fossero appena ricordati della sua presenza, ed entrambi si schiarirono la voce per togliersi dall'imbarazzo.
«Ehm... sì» fece John «Adesso te lo spiego, ma prima usciamo di qui»
Mike stava aspettando solamente quell'ordine. Saltò in piedi e corse verso il portellone dell'aereo. Prima di scendere, però, salutò la hostess con qualche sorriso e con le sue migliori mosse da seduttore.
«E muoviti, stai bloccando il passaggio!» urlò John dandogli un calcio.
«Non vedi che sto parlando?» disse Mike seccato. John avanzò a grandi passi verso la hostess.
«Grazie per esserti presa cura di mio marito per tutto il viaggio. Sai che siamo qui a Londra in viaggio di nozze?» disse con un sorriso a trentadue denti. La ragazza lo guardò sorpresa, e poi si rivolse a Mike imbarazzata.
«Mi scusi signore... arrivederci»
«Questa me la paghi John» disse Mike a mezza voce prima di iniziare a scendere i pochi gradini che lo separavano da terra.
«Certo. Contanti o assegno?»

Appena Peter toccò terra si innervosì ancora di più. Era tutto reale, era a Londra, ad un'ora imprecisata della notte, e stava per andare a cercare Rachel. Non conosceva i piani di John, che gli aveva assicurato che sarebbero arrivati in tempo, ma si fidava del suo amico.
«John, ora che facciamo?» domandò teso.
«Già John, come arriviamo... dove dobbiamo andare?»
John guardò l'orologio, e poi si guardò intorno seccato.
«Vi porto a casa mia»
«E come? In autobus?» chiese Peter.
«No, sono già le tre del mattino, perderemmo solo altro tempo e basta»
«Allora come?»
«Per tua fortuna, ho già pensato a tutto io» rispose John. I tre uscirono dall'aeroporto e John li trascinò verso una macchina nera dall'aria costosa.
«Ecco il nostro passaggio di prima classe per casa Catham» disse.
Mike guardava sbalordito la macchina, analizzandone ogni particolare.
«Questa macchina costa più di casa mia...» mormorò.
«Come, non te l'ho detto? A quanto pare i miei sono più o meno benestanti»
«Tu saresti ricco? Non farmi ridere»
«Beh, sono un maleducato, ho dimenticato di fare le presentazioni» disse John «Mike, ti presento la dura realtà. Dura realtà, questo yeti è Michael Walpole»
«Che spiritoso»
«Oh, sali in macchina e chiudi il becco» ridacchiò John.

L'autista si rivelò essere il fratello maggiore di John. Era un tipo simpatico, anche se era veramente molto diverso da suo fratello. Al contrario di John, lui aveva i capelli di un solo colore, un'aria elegante e raffinata, modi gentili e non usava parole sconvenienti.
Era anche un ottimo conversatore, ma a differenza di John sapeva quando tenere la bocca chiusa.
«Finalmente, John» disse «La mamma non faceva altro che lamentarsi perché sono mesi che non ti fai sentire»
«Ho avuto da fare» disse John con uno sbadiglio.
«Lo vedo. Cosa ti porta qui a Londra? Al telefono ho capito poco»
«Questo mio amico piccoletto, Kane, aveva urgenza di partire e ho deciso di accompagnarlo. Questioni d'amore» spiegò John, annuendo alla fine della frase per enfatizzare le proprie parole.
«Capisco. Beh, bentornato»
«A proposito, Kane ti ho già detto chi è. Quello brutto invece è Mike»
«Ehi!» esclamò Mike indispettito.
«Taci» lo ammonì John.
«Benvenuti a Londra» disse il fratello di John.  

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** CRASHED THE WEDDING. ***


CRASHED THE WEDDING.


Il fratello di John si chiamava Joe. Come Peter aveva immaginato, Joe era molto diverso da John: educato, vestito in maniera elegante, insomma, era un tipo dall'aria istituzionale.
«A proposito, che ci fai a casa? Credevo che fossi occupato tutto l'anno con la scuola» fece John.
«Sono tornato per qualche giorno, e in ogni caso non sono affari tuoi. Sai bene che io sono uno studente serio» rispose Joe.
«Joe si vanta tutto il giorno solo perché a quanto pare è uno studente dell'università di Oxford» spiegò John irritato.
«Intendi quella Oxford?» domandò Mike ammirato.
«Sì. Non chiedere altro o inizierà a parlare» borbottò John.
«A proposito di scuola, la mamma mi ha detto della tua sospensione» disse Joe «Sospeso per omissione di soccorso, è proprio da te»
«Ti conviene stare zitto se non sai cos'è successo davvero» sibilò John.
«D'accordo, hai ragione. Però se vuoi un consiglio, togliti quel piercing prima che mamma lo veda, ha già abbastanza cose da rimproverarti» fece Joe, accennando al piercing al sopracciglio di John.
«No, vado fiero del mio piercing» rispose lui, portandosi istintivamente la mano al sopracciglio. Joe alzò le spalle come a dire 'peggio per te'.
«E preparati per quando ti vedranno con i capelli conciati in quel modo» continuò Joe.
«C'è qualcos'altro che vuoi criticare?»
«Non erano critiche. Erano avvertimenti, hai fatto un po' troppi cambiamenti da quando te ne sei andato da qui» disse Joe. John sbuffò e non disse altro.
«Ehm... Joe?» fece Mike.
«Michael, giusto?»
«Sì. Ecco, mi chiedevo... com'è far parte dell'università di Oxford?»
Peter fu contento che John si fosse seduto davanti, perché a giudicare dalla sua espressione era certo che se avesse potuto avrebbe strangolato Mike.
Joe spiegò a Mike tutto quello che c'era da sapere sull'università, dandogli consigli ed informazioni per tutto il viaggio. Le poche pause tra una frase e l'altra erano riempite dalle lamentele di John, che non sembrava affatto interessato all'argomento.
«Datti una mossa, Joe. Sono le quattro del mattino, io vorrei andare a dormire»
«Siamo praticamente arrivati, guarda» replicò Joe indicando fuori dal finestrino.
«Finalmente!» esclamò John quando l'auto si fermò davanti ad una bella casa. L'edificio era simile a molti altri lì intorno, ma Peter era certo che casa Catham non celasse assolutamente qualcosa di ordinario. Tanto per cominciare, non poteva essere una casa normale, visto che John era cresciuto lì dentro.
Joe li precedette ed aprì la porta d'ingresso, mentre Peter, Mike e John si attardavano per raccogliere i loro pochi bagagli dalla macchina. Poi, all'improvviso, videro un enorme terranova nero correre e saltare addosso a John con una forza tale che il ragazzo si trovò lungo disteso a terra.
«Johnny!» esclamò Mike avvicinandosi a lui.
«Va tutto bene» disse John tra una risata e l'altra mentre cercava di allontanare il cane «È solo Bourbon»
«Hai veramente chiamato il tuo cane Bourbon?» chiese Mike.
«Preferivi che lo chiamassi vino? O magari birra?» fece John mettendosi seduto ed iniziando ad accarezzare il cane con espressione amorevole.
«Perché non tequila allora» commentò Mike scuotendo la testa.
«Perché tequila è un nome da femmina. Lui è un maschio» rispose John con calma.
«Beh, lasciatelo dire, è proprio il genere di cane adatto a te» fece Peter, misurando la stazza del cane.
«Sembra pericoloso ma in realtà è un giocherellone» disse John.
«Allora è esattamente come il suo padrone» disse distrattamente Mike. Sia Peter che John lo guardarono sorpresi, e lui si schiarì la voce imbarazzato.
«Che c'è? Lo stavi pensando anche tu» si difese, rivolto a Peter. John alzò le spalle.
«Comunque sia, sto morendo di sonno. Andiamo, prima che uno di noi svenga sul vialetto»
Non fecero in tempo ad avvicinarsi alla porta che una donna comparve sulla soglia. I tre amici si bloccarono, come se fossero stati congelati sul posto. Nessuno di loro sembrava voler avanzare di un altro passo.
Quello che li spaventava era l'espressione dura della donna, che li guardò tutti e tre dall'alto in basso.
«Allora?» disse dopo qualche secondo. John sospirò e si avvicinò a lei a grandi passi.
«Bentornato» disse lei piano, stringendolo in un abbraccio che anche dall'esterno aveva tutta l'aria di essere una morsa ferrea.
«Non respiro, lasciami...» si lamentò John, la voce soffocata dalla stretta della donna.
«Tutto questo tempo senza neanche una telefonata, sei un incosciente!» continuò lei, rifiutandosi di lasciarlo andare.
«Mamma, ti prego...»
«Lei è la madre di John?» chiese Mike guardando la donna con tanto d'occhi. Peter condivideva il suo stupore, vedendo John si era immaginato che sua madre fosse diversa da come era invece apparsa.
«L'unica e sola» disse John, ancora sepolto dall'abbraccio.
«Chiamatemi Kim. Immagino che siate amici di mio figlio, scusatelo per tutto quello che può avere combinato, è un disgraziato» rispose la donna lasciando finalmente libero John, che prese a tossire freneticamente.
«Disgraziato a chi?» sbottò.
«A te! Non hai idea di quanto sono stata in pensiero, ti costava tanto scrivere o telefonare una volta ogni tanto?»
«Potevi chiedere allo zio» si giustificò John.
«E poi, ti sembra questa l'ora di presentarti a casa?»
«È un'emergenza»
«Che genere di emergenza?»
«Te lo spiegherò un'altra volta, è una storia lunga»
Sua madre, Kim, lo guardò severamente, soffermandosi prima sul piercing al sopracciglio, poi sull'orecchino e infine sui capelli colorati. Poi si voltò a guardare Peter e Mike, che erano ancora fermi sul vialetto.
«Immagino che siate stanchi» disse. I due annuirono.
«Allora entrate, ci penserà Jonathan a mostrarvi la casa e le vostre stanze» fece Kim. Peter non se lo fece ripetere due volte, e in un attimo fu nel grande salone d'ingresso. Da fuori non avrebbe mai detto che quella casa fosse così grande. Di sicuro era molto curata, con finiture in legno lucido ovunque e tappeti e quadri costosi a fare da ornamento. Sembrava quasi di essere in un hotel a cinque stelle, e non in una casa.
«E con te» continuò la donna indicando John «Ho un paio di discorsi da fare su quel piercing e sui capelli»
John le rivolse un sorriso colpevole.
«Non puoi semplicemente essere felice perché il tuo adorato figliolo è tornato a casa e perdonarlo per aver tinto i capelli e fatto un paio di cose senza il tuo permesso?»
«No. Ma possiamo parlarne domani. Ora vai a letto, è tardi»
«Ok. Bourbon dorme con me» rispose John, chiamando il cane e facendo cenno a Peter e Mike di salire le scale.
«Non sul letto, lo riempie di peli!» gli urlò dietro sua madre.

La casa di John aveva molte stanze, e a quanto pareva ognuna aveva una funzione diversa.
«Mike, tu puoi dormire qui» disse John una volta raggiunta la stanza in fondo al corridoio «Di solito ci dormono i miei zii quando vengono a Londra, ma può andare bene anche per te»
Mike fece per aprire bocca, ma John lo spinse nella stanza e gli intimò di stare zitto perché era tardi e tutti dormivano.
«Il bagno è la porta qui davanti» gli disse. Mike annuì e si chiuse la porta alle spalle.
«E ora passiamo a te» fece John rivolto a Peter «Vieni, Bourbon»
«Non mi avevi detto di avere un cane» disse Peter, osservando il terranova tutt'altro che piccolo che seguiva John scodinzolando.
«Mi sarà passato di mente. È comunque un amico migliore di quanto Mike riuscirà mai ad essere»
Peter alzò gli occhi al cielo. John non riusciva proprio a stare senza parlare di Mike, nemmeno in sua assenza.
«Ecco, questa stanza la lascio a te» disse John indicandogli una porta.
«Sei sicuro che posso restare qui?» gli chiese Peter. Anche se ormai avevano deciso di stabilirsi lì, non aveva mai veramente chiesto a John il permesso di dormire a casa sua.
«Mi casa es su casa» recitò John sorridendo.
«Grazie. Mi stai salvando la vita»
«Non direi proprio la vita... al massimo la tua relazione» puntualizzò John.
«Chiamalo come vuoi»
«E ora fila a letto, sveglia alle otto»
«Alle otto?»
«Sì, se il matrimonio sarà veramente alle dieci allora avremo tutto il tempo di prepararci ed arrivare lì in tempo»
«D'accordo. Buonanotte»
«Dormi bene Kane»

Fu l'agitazione a svegliarlo. Non si ricordava di essersi addormentato, ma adesso che era sveglio tutto gli piombò addosso come una cascata.
Che ora era?
Dove si trovava?
Cosa era successo?
Controllò l'orologio, con il cuore che gli scoppiava nel petto. Erano le sei del mattino. Si guardò intorno. Si trovava a Londra, a casa di John. Quello era il giorno. Aveva ancora tempo.
Uscì dalla stanza, incapace di stare lì dentro da solo un minuto di più. Aveva bisogno di distrarsi, si sentiva talmente agitato che non riusciva a pensare.
Andò in bagno, e dopo avere aperto l'acqua nel lavandino ci si fiondò sotto con tutta la testa. Sputacchiando e gocciolando, afferrò a tentoni l'asciugamano che stava lì vicino e se lo strofinò sulla faccia. Non c'era sveglia migliore di quella.
Certamente gli altri stavano ancora dormendo, in fondo erano passate solamente due ore dal loro arrivo e John aveva fatto capire molto chiaramente di essere stanco.
Si ridistese sul letto, pensando a quanto avesse fatto tutto di fretta. In ventiquattro ore non aveva quasi avuto il tempo di andare in bagno, figurarsi se aveva avuto il tempo di realizzare quello che stava per fare. Quel giorno Rachel si sarebbe sposata. Chissà, magari in quel momento anche lei era a letto, sveglia, e stava pensando a tutto quello che sarebbe cambiato prima della fine della giornata. Forse stava pensando al suo vestito da sposa, o magari stava decidendo chi scegliere tra lui e Joshua.
"Sicuramente sono l'unico a farmi tante paranoie. Lei non sa nemmeno che mi trovo a Londra"
Non l'aveva avvertita della sua partenza, non aveva potuto chiamarla perché aveva lasciato a casa il cellulare e non ricordava il numero di Rachel a memoria.
Forse era meglio lasciare che le cose facessero il loro corso. In fondo era fin dall'inizio che tra loro si mettevano decine e decine di ostacoli, e poi Rachel era perfettamente in grado di vivere senza di lui. Joshua sarebbe certamente stato l'opzione migliore per lei, oltretutto il padre di Rachel approvava quell'uomo, mentre era contrario a Peter nonostante non si fossero mai incontrati.
A casa c'era Alison ad aspettarlo, anche se c'era ancora Landon. Non se la sentiva di fare un torto a Landon, che da quando stava insieme ad Alison si era comportato in maniera corretta verso di lui, mantenendo la promessa di prendersi cura della ragazza.
Forse doveva tornare a casa e lasciare che Rachel si sposasse, per il bene di tutti quanti.

Si erano ormai fatte le sette e mezza, e Peter non aveva ancora preso una decisione. Odiava essere così insicuro nei momenti meno opportuni.
Sentì dei passi in corridoio, così si alzò per andare a vedere di chi si trattasse.
«Oh, Kane» disse John «Stavo giusto venendo a chiamarti»
Aveva l'aria stanca, occhiaie marcate e non sembrava essere del tutto sveglio.
«Vedo che hai dormito tanto quanto me» fece Peter.
«Bourbon mi ha occupato tutto il letto, sono finito a dormire sul divano» bofonchiò John.
«Tutto fa pensare che questa sarà una gran bella giornata» commentò Peter sarcastico. Quando si stiracchiò, John si tappò il naso di scatto.
«Non ti chiedo di fare il gentile perché so che sei nervoso, ma per favore, ti imploro» disse John, mimando il gesto di preghiera «Lavati se non vuoi ammazzarci tutti»
«Sì, credo che sia il caso» borbottò Peter, rendendosi conto che in effetti non emanava affatto un buon odore.
«E ti conviene anche presentarti a tavola, mia madre ha preparato da mangiare per un esercito, io e Mike da soli non riusciremo a finire tutto»
«Ci penserò»
Tornò in camera e si spogliò rapidamente, preso da mille ansie. Il destino suo e di Rachel dipendeva da quello che sarebbe successo di lì a poco. Dipendeva da quello che avrebbe deciso.
Fece una doccia lampo, cercando di fare il più in fretta possibile. Non asciugò i capelli per evitare inutili perdite di tempo, e per questo si diresse in camera sgocciolando per tutto il corridoio.
Si vestì scegliendo a caso tra i pochi vestiti che si era portato dietro. Non aveva portato niente di adatto ad un matrimonio, ma questo era l'ultimo dei suoi pensieri.
Quando arrivò al piano di sotto, sentì distintamente Mike discutere con John. O meglio, era John ad urlare contro Mike.
«Si può sapere perché ti sei vestito così?»
«John, andiamo ad un matrimonio. L'eleganza è d'obbligo»
«Ma se sembri un pinguino troppo cresciuto!»
«E tu che mi dici? Presentarsi ad un matrimonio in maglietta e pantaloncini, sei cresciuto in una stalla per caso?»
«No, sono cresciuto qui!»
Quell'esclamazione mise fine alla discussione. Peter decise che ora la situazione era abbastanza calma per poter entrare in sala da pranzo ed unirsi ai suoi amici, così prese un respiro profondo e cercò di mostrare il suo miglior finto sorriso.
«Salve...»
«Buongiorno Peter» disse gentilmente la madre di John.
«Anche tu in maglietta? Non ci posso credere!» esclamò Mike.
«Attento, il pinguino è di cattivo umore» fece John.
«Almeno Peter ha avuto la decenza di mettersi i jeans!»
«In realtà ho scelto a caso» disse Peter.
«Michael ha ragione, è un'indecenza presentarsi ad un matrimonio in quello stato» disse Kim.
«Grazie!» esclamò Mike.
«Mamma, sono tuo figlio! Dovresti essere dalla mia parte!»
«Sono dalla parte dell'educazione. Vai a cambiarti» fece lei autoritaria «Peter, se dovessi volere qualcosa di più elegante, i vestiti che Joe portava qualche anno fa dovrebbero entrarti»
«Grazie»

Un'ora dopo si trovavano tutti fuori con tanto di elegantissimi completi da cerimonia. Mike sembrava soddisfatto di avere ottenuto quella piccola vendetta su John, che da parte sua non faceva altro che cercare di allargare il colletto della camicia sostenendo che si sentiva soffocare.
«Dimmi che con questo vestito non ho l'aria stupida come te» borbottò John.
«Se avessi un pizzico di classe in più, ti togliessi quel piercing e ti decidessi a togliere quelle ciocche colorate dai capelli sembreresti quasi il ragazzo perfetto» disse Mike.
«È una frecciatina quella che ho sentito? Oppure un complimento?» chiese John continuando ad allargare le braccia per controllare che la giacca che aveva indossato non fosse troppo piccola.
«Tutte e due» rispose Mike.
«Beh, in questo caso, tu hai quasi un aspetto decente. Non è vero che sembri un pinguino. Non troppo...»
«Grazie John»
«Se voi due avrete finito di flirtare possiamo partire» fece Joe. Peter, che era già salito in macchina mentre Mike e John parlavano, fece cenno agli amici di sbrigarsi. I due si affrettarono a salire sul veicolo, con John seduto accanto a Joe e Mike nel sedile dietro insieme a Peter, proprio come la sera precedente.
«Quanto ci vuole ad arrivare in chiesa?» domandò Peter con ansia.
«Non so, mezz'oretta credo» rispose John con uno sbadiglio.
«John, è una cosa importante!» gridò. John si stropicciò gli occhi.
«Calmati, ok? Ho tutto sotto controllo» disse con calma.
«E se Rachel non volesse vedermi?» fece Peter.
«Lei che cosa ti ha detto al telefono?» chiese Mike. John si voltò per dargli una botta in testa.
«Ahia, cosa ho detto stavolta?» si lamentò Mike.
«Statemi bene a sentire tutti e due, non ho rinunciato a Rachel perché Kane se la vedesse rubare sotto il naso» disse risoluto John «Siamo qui per un motivo, e faremo tutto quello che serve per portarlo a termine»
«Ma se avesse voluto veramente stare con me avrebbe detto di no al matrimonio» disse Peter in un sussurro, dando voce ai pensieri che avevano attraversato la sua mente al suo risveglio. John lo guardò furioso.
«Kane, svegliati, siamo a Londra proprio per questo. La costringerai ad ascoltarti, che le piaccia o no, e io e Mike saremo lì con te ad aiutarti. O preferisci che lei sposi un altro e ti dica addio in questo modo?»
«John, vacci piano» lo ammonì Mike.
«No! Lo sappiamo tutti che Kane è innamorato di Rachel, altrimenti non saremmo qui adesso. E non ho intenzione di stare a guardare mentre lui lascia che la sua vita sia distrutta da una cosa che poteva evitare»
«C-che potevo evitare?» balbettò Peter.
«Non è troppo tardi! Puoi evitare che succeda»
«Ma io...»
«Kane, apri gli occhi! Sei innamorato, capisci il significato di questa parola, vero? Non ha niente a che vedere con quello che facevi con Alison. E visto come sei finito quando hai lasciato Alison, se da innamorato dovessi perdere Rachel non ti rialzeresti più. E io non posso accettarlo»
«Io non sono innamorato» replicò Peter.
«Sì che lo sei. E te lo dimostro subito. Rachel ha detto che si sarebbe sposata, e tu sei andato in crisi, hai chiesto aiuto a me e Mike e hai mollato tutto senza neanche pensarci per correre qui e fermarla. Questo non si fa per una persona di cui non ti importa»
«Io le voglio bene» disse Peter. John alzò gli occhi al cielo.
«Anche Mike vuole bene alle sue tredici ragazze, ma scommetto quello che vuoi che non farebbe mai una cosa del genere»
«È vero» confermò Mike.
«Pensaci solo per un momento: se adesso ti tiri indietro, cosa farai quando capirai che potevi fermare tutto e hai deciso di lasciar perdere? Lo so io, non te lo perdoneresti mai. Quindi, poche storie e fai quello per cui sei volato fin qui»
Peter ammutolì, colpito dalle parole di John. Il suo discorso duro era stato molto più utile di tutte le parole gentili, a volte ci vuole davvero un bello schiaffo, e non una carezza, per svegliarsi ed affrontare i problemi.
«Tu sei mai stato innamorato, John?» chiese Peter. John si voltò di nuovo verso la strada, dando le spalle agli amici.
«Una volta. Ma non mi va di parlarne»
«Non mi sorprende. »

Arrivarono nella zona in cui si trovava la chiesa dopo molti minuti di sofferenza. Visto il traffico, Peter aveva paura di non riuscire più ad arrivare in tempo.
«Così non va bene» commentò John guardando nervosamente l'orologio «Mancano cinque minuti alle dieci e noi siamo imbottigliati nel traffico»
«Stai dicendo che abbiamo fatto tutto questo per niente?» disse Peter, preso dal panico.
«Non dire idiozie, Kane»
«Faremo tardi!»
«Ringrazia Mike che ci ha fatti vestire da pinguini. Ora zitto, devo pensare»
«Che facciamo adesso?» chiese Mike.
«Facci scendere qui» disse John a Joe.
«Mi devi i soldi per la benzina» rispose lui.
«Sì, sì, come vuoi. Ora scusami, ma abbiamo un matrimonio da far saltare» disse John scendendo dalla macchina.
«Pete, andiamo» fece Mike rassicurante.
«Ho paura» fece Peter in un sussurro.
«Lo so»
«Muovetevi voi due!» gridò John.
Peter scese dalla macchina, e subito si sentì spaesato. Non era mai stato in una città grande come Londra, non era abituato ad un ritmo così frenetico. John invece, era nel suo elemento.
«Forza, andiamo! Da questa parte!»
Si misero a correre, uno dietro l'altro, e come c'era da aspettarsi, Peter finì in fondo alla fila.
"Se solo avessi preso seriamente le lezioni di ginnastica..." pensò. Neanche adesso che doveva fare una cosa veramente importante riusciva a trovare le forze per correre abbastanza veloce.
L'unica cosa che lo faceva continuare a correre era il pensiero di Rachel. Doveva farle capire che c'era, e che ci sarebbe stato per lei. Doveva vederla.
Guardò avanti, in direzione di John, che sembrava aver rallentato. Mike ormai correva in maniera scomposta, sostenendo di non avere i vestiti adatti per una maratona.
«Datevi una mossa, perché se arriviamo tardi me la prenderò con voi!» urlò Peter.
«Calmati Kane, siamo quasi arrivati»
«Ne sei sicuro?»
«Sì, devi solo svoltare a destra e poi la seconda a sinistra»
«Pete, un momento...» fece Mike affiancandosi a lui.
«Cosa c'è?»
«Che cosa farai una volta dentro la chiesa?»
«Cosa intendi?»
«Cioè... ti sei preparato un discorso o qualcosa del genere?»
«No, improvviserò»
«Così si fa!» urlò John da davanti.
Gli sembrò di aver corso per ore. Finalmente, quando ormai non aveva più fiato, vide John fermarsi davanti ad una chiesa.
«È qui» disse John.
Peter si guardò intorno. C'era qualche persona che gironzolava lì fuori, soprattutto bambini che giocavano e qualche genitore a fare la guardia. La cerimonia doveva essere già iniziata, non c'era tempo da perdere.
«Sei pronto?» gli chiese John.
«Credo di sì»
«Pete» fece Mike «Siamo qui. Non ti lasciamo da solo»
«Puoi scommetterci la testa» gli fece eco John, accompagnandosi con un sorriso.
«Grazie»
«Ora forza, o facciamo notte»
John spinse il pesante portone, e si trovarono in fondo ad una piccola chiesa piuttosto affollata.
«Eccola» mormorò John indicando l'altare.
Peter guardò nella stessa direzione con un tuffo al cuore. Era vestita di bianco e con una pettinatura diversa dal solito, ma non aveva dubbi sul fatto che quella fosse Rachel.
«Coraggio» disse Mike battendogli una mano sulla spalla. Peter accennò qualche passo, ma non riusciva a capire a che punto della cerimonia fossero. Poteva avere a disposizione ore oppure secondi per decidere cosa fare.
Inavvertitamente, inciampò nel vestito di una vecchina seduta lì vicino.
«Oh, mi scusi...» borbottò. La donna lo guardò storto.
«E tu chi sei? Un parente di Joshua? Sicuramente non sei parente della mia Rachel» disse con un accento molto marcato.
«Ehm, no, io... sono un... amico di Rachel» rispose Peter.
«Un amico, eh?» fece la donna guardandolo dall'alto in basso. Aveva un'aria molto severa, e certamente il fatto che Peter le avesse appena sporcato di fango il vestito non la aiutava a provare simpatia nei suoi confronti.
«Sì... più o meno...»
«Sono la nonna di Rachel, e posso assicurarti che conosco tutti i suoi amici» continuò lei.
«No, io... vengo dalla scuola in cui lavorava prima»
Gli occhi della donna emanarono lampi.
«E sentiamo, tu conosci il motivo per cui è stata licenziata?» chiese, con uno strano tono.
«Sì» sussurrò Peter «Sono io quel motivo»
«Pete, ci siamo!» sibilò Mike, dandogli una pacca sulla spalla per richiamare la sua attenzione ed indicandogli l'altare. Peter si sentì il cuore in gola. I due stavano per scambiarsi le promesse.
«Cosa ci fai qui? Mio figlio ha ordinato a mia nipote di cancellarti dalla sua vita» gli chiese la vecchia.
«Lo so, ma non mi importa. Sono qui perché... perché sono innamorato di lei»
«Ne sei sicuro?»
«Sì»
«Allora diglielo, non è ancora troppo tardi» disse la donna. Peter non capiva a che gioco stesse giocando, ma suppose che la vecchiaia spingesse molto di più ad agire senza preoccuparsi delle conseguenze.
«Ma lei... suo padre sta male, non vorrei che avesse qualche...»
«Non inventarti scuse. Mio figlio è malato di cuore, questo è vero, ma non sarai tu a peggiorare la sua situazione dichiarando il tuo amore a Rachel»
«Però... è per questo che lei ha accettato di sposarsi oggi»
«Mia nipote è una ragazza apprensiva. Teme che suo padre possa finire in ospedale per colpa sua, nessuno riesce a convincerla del contrario. Ma io conosco bene mio figlio e le sue reazioni e so che non succederà niente di grave»
«Dice davvero?»
«Certamente. Ora, sbrigati» lo incoraggiò la donna.
Peter guardò Rachel. Lei non sapeva che lui si trovava lì, probabilmente aveva perso le speranze.
E poi, la fatidica domanda.
«Vuoi tu...»
Ora o mai più.
«ASPETTATE!»  

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** CRASHED THE WEDDING - PARTE 2. ***


CRASHED THE WEDDING - PARTE 2.


Sussultò. Quel grido così forte ed improvviso l'aveva spaventato. Sia lui che la nonna di Rachel erano rimasti pietrificati nelle loro posizioni, sorpresi dalla forza della voce che era esplosa a pochi metri da loro. Lentamente si voltò e guardò alla sua sinistra. John era lì con il solito ghigno stampato in faccia e le mani in costante movimento per allentare il colletto della camicia. Non era stato lui ad urlare.
Era stato Mike.
«Chi ha parlato?» ruggì il padre di Rachel dal lato opposto della chiesa. Come se gli invitati fossero tutti coordinati, si voltarono tutti nello stesso momento per guardare Mike, che sembrò rimpicciolire per la vergogna.
Con il cuore che batteva a mille, Peter osservò Rachel mentre si voltava a guardarlo.
«Scusate...» squittì Mike, cercando di nascondersi dietro a John.
«Sempre a combinare casini, yeti» borbottò John, spostandosi di un passo per permettere a tutti di vedere Mike.
«Walpole!» disse qualcuno in un sussurro irritato poco distante.
Peter l'aveva quasi dimenticato. La professoressa Walstone era la zia di Rachel, era prevedibile che si trovasse lì. E poi li conosceva da anni, era inevitabile che li riconoscesse.
«Buongiorno professoressa! Che casualità trovarla qui!» esclamò John con il suo miglior falso sorriso.
«C'è poco da scherzare, Catham» rispose lei.
«Chi siete?» chiese di nuovo il padre di Rachel.
«La cerimonia, signori...» fece il prete cercando di riportare l'ordine.
«Peter» mormorò Rachel sconvolta. Il suo promesso sposo si voltò a sua volta verso il fondo della chiesa. Per la prima volta, Peter vedeva Joshua in faccia.
«Hai detto Peter? E così è questo il bambinetto per cui volevi lasciarmi?» disse con odio.
Rachel guardò con terrore prima Joshua e poi suo padre, prima di spostare di nuovo lo sguardo su Peter. Il tempo sembrava essersi fermato. Tutti i presenti avevano lo sguardo fisso sui tre ragazzi, e nessuno diceva una parola.
«Ma quello è...» mormorò poi qualcuno.
«Oh no» borbottò John, spingendo avanti Mike e nascondendosi alle sue spalle. I due cominciarono a lottare silenziosamente perché nessuno di loro voleva stare al centro dell'attenzione.
«Io ci ho provato» sussurrò John a Peter «Ora tocca a te»
Peter sapeva che il momento sarebbe arrivato, anche se aveva sperato che non succedesse. Sospirò, chiedendosi cosa fare, quando sentì qualcuno tirargli l'orlo della giacca.
«Come ti chiami?» gli chiese la nonna di Rachel.
«Peter»
«Peter. Lascia che ti dica un paio di cose» fece la vecchia, mentre tutto intorno gli invitati iniziavano a parlottare animatamente.
«Quel Joshua non mi piace per niente. Si vede che non vuole davvero bene alla mia Rachel. Tu invece mi sembri un bravo ragazzo. Credo che ci guadagneremmo tutti qualcosa se tu facessi quello per cui sei venuto»
«Mi sta dicendo che vuole che io dica a Rachel di non sposarsi?»
«Esatto»
«Perché?»
«Te l'ho detto, quel Joshua non mi piace. Rachel merita di meglio»
«Ma io...»
«Coraggio!» fece John dandogli una spintarella.
Peter si guardò intorno. Non c'era nessun viso amichevole, sembrava che tutti lo considerassero solo il primo sconosciuto che passava per strada che aveva deciso di entrare in quella chiesa per rovinare il matrimonio. Di positivo c'era che erano rimasti tutti così sconvolti da dimenticare la cerimonia. Stavano solo aspettando che quel folle ragazzino si decidesse a dare spiegazioni.
«D'accordo, io... non so da dove cominciare» disse Peter dopo essersi schiarito la voce. Doveva cercare uno sguardo amico, quello di Rachel. Si avvicinò a lei timidamente, fermandosi ad un paio di metri dall'altare.
«Lo so che non ti aspettavi di vedermi qui» iniziò «Ma dovevo venire per forza»
Il prete fece per parlare, ma Rachel lo zittì con un gesto.
«Non hai più risposto alle mie chiamate»
«Ho dimenticato il telefono a casa» rispose Peter avvicinandosi a lei di qualche altro passo.
«Scusate se vi interrompo, ma qui ci stiamo sposando» disse Joshua furibondo.
«Ben detto, Joshua. Tu, ragazzino, esci da questa chiesa» gli fece eco il padre di Rachel.
«No» disse Peter deciso.
«Come sarebbe a dire 'no'? Tu non puoi venire qui e fare quello che ti pare!» fece l'uomo, visibilmente irritato.
«È un paese libero!» si intromise John dal fondo della chiesa. Tutti quelli che lo circondavano lo incenerirono con lo sguardo, così lui si zittì all'istante.
«Che sia libero o no, Rachel e Joshua si sposeranno. Non importa quello che diranno tre ragazzini. Prego padre, continui» disse il padre di Rachel. Il prete annuì.
«Dunque... vuoi t-»
«No» fece Rachel.
«Stai zitta» sussurrò Joshua, abbastanza forte da farsi sentire da chi era seduto nelle prime file.
«No» ripeté Rachel.
«Rachel, per carità» disse una donna che Peter pensò fosse la madre di Rachel.
«Adesso basta. Io non voglio sposarmi» disse Rachel decisa, guardando direttamente suo padre.
«Che cosa?» chiese lui. Il suo viso si stava facendo molto rosso dalla rabbia, e Peter sapeva quanto Rachel fosse preoccupata per la sua salute. Nonostante questo, però, lei aveva deciso di dire la verità, e non poteva fare altro che apprezzare il suo coraggio.
«Si-signore... lo so che non mi crederà, e che forse non le importerà neanche, ma io sono...» disse Peter.
«Coraggio, Pete!» urlò Mike per incoraggiarlo.
«Ben detto! Vai, Kane!» fece John.
Tutti i presenti li guardarono malissimo, e Mike si sedette nel posto vuoto più vicino e non si alzò più, imbarazzato. John, invece, percorse tutta la navata con un gran sorriso, finendo poi per rivolgere uno sguardo minaccioso a Joshua.
«Tu sei...?» fece il padre di Rachel.
Peter prese un respiro profondo. John lo raggiunse e si mise in piedi di fianco a lui. Era come se il John Catham Show fosse arrivato ad un livello superiore, ed ora anche Peter ne era protagonista. Sapere che il suo amico era lì gli diede coraggio.
«Sono innamorato di Rachel. So che potrà sembrare assurdo, sconveniente, magari anche ridicolo... ma non posso fare a meno di provare questi sentimenti per lei. Nonostante tutto quello che è successo tra noi, le cose belle... e anche quelle brutte... ho capito di non poter rinunciare a vederla felice. La felicità di Rachel è l'unica cosa di cui mi importa» spiegò. Rachel lo guardava con espressione indecifrabile, mentre Joshua stringeva i pugni. Peter guardò in direzione del padre di Rachel con la coda dell'occhio. Non sembrava che per il momento si sentisse particolarmente male, anche se era rosso di rabbia.
«Rachel» chiese l'uomo «Questo è il ragazzino che ti ha fatta licenziare?»
«Sì. Ed io non voglio sposarmi con Josh. Voglio stare con lui. Scusa se ti darò un dispiacere, ma non puoi obbligarmi a fare quello che vuoi tu»
«Non capisci quanto ho lavorato per combinare questo matrimonio!» gridò l'uomo, diventando sempre più rosso in viso. Sembrava quasi che stesse per esplodere.
«Caro... calmati» fece sua moglie.
«Non dirmi di calmarmi! Questo è uno scandalo!»
«Rachel, io ho avuto molti ripensamenti fino a questa mattina. Non credevo di essere quello giusto per te. Pensavo che Joshua fosse adatto, lui... lui è adulto, ha un lavoro vero e piace a tuo padre» spiegò Peter.
«Puoi giurarci che io sono meglio di te» ringhiò Joshua.
«Signori, per favore... la cerimonia...» si intromise il prete. Rachel lo ignorò.
«Non importa se piace a mio padre o se ha un lavoro, questo lo sai»
«Scusa se ci ho messo tanto a capirlo. Direi... fino all'ultimo momento» fece Peter.
«È stata anche colpa mia. Ero convinta che sposandomi avrei fatto la cosa giusta per tutti, ma non è così»
«Insomma, questo matrimonio lo facciamo sì o no?» chiese il prete esasperato.
«Naturalmente» disse Joshua, prendendo la mano di Rachel.
«No» fece Rachel.
«Rachel!» gridò suo padre.
«Scusa. Scusatemi tutti. Ma io non posso farlo» continuò lei.
Sembrava la scena di un film, tra le più teatrali e smielate. Invece era proprio così che era andata.
Peter la osservò scendere quei pochi gradini che li separavano, e Rachel gli gettò subito le braccia al collo. Quell'abbraccio era il più sentito che si fossero mai scambiati.
«Andiamo» le disse poi, prendendola per mano.
«Rachel!» ruggì suo padre «Se provi ad uscire da questa chiesa, non azzardarti mai più a presentarti a casa»
Sentì l'indecisione di Rachel, così le strinse più forte la mano.
«Signore, con tutto il rispetto, credo che Rachel abbia il diritto di decidere da sola quello che vuole fare. Non può minacciarla in questo modo. Non è giusto» disse Peter.
«Rachel» fece Joshua «Sei veramente una stupida se mi lasci per quello»
Rachel scosse la testa.
«Adesso basta. Per tutta la vita siete stati voi a dirmi cosa fare, e sapete una cosa? Da quando io e Peter stiamo insieme mi sento finalmente libera di decidere»
Detto questo, si voltò ed uscì a grandi passi dalla chiesa, tenendo saldamente la mano di Peter e lasciando tutti gli invitati a bocca aperta.

«Direi che tutto sommato è andata piuttosto bene» commentò John. Si era finalmente liberato della giacca ed aveva completamente sbottonato la camicia, quindi il suo umore era decisamente migliorato.
«Non la metterei in questi termini... insomma, non ti rendi conto di quanti problemi abbiamo causato?» gli fece notare Mike.
«No, voi mi avete salvata. Non sarei mai riuscita a dire di no senza il vostro arrivo» disse Rachel.
Lei se ne stava abbracciata a Peter, e non aveva la minima intenzione di lasciarlo andare.
«Cavaliere dall'armatura scintillante Jonathan Lancillotto Catham III al suo servizio, signorina» ridacchiò John mimando il saluto militare.
«Grazie, cavaliere» disse Rachel, dandogli un bacio sulla guancia. John arrossì violentemente, facendo scoppiare tutti a ridere.
«Ehi, potrei anche abituarmici» disse.
«Il tuo secondo nome è veramente Lancillotto?» chiese Mike.
«Certo che no. Era solo per fare un po' di scena» rispose John.
«Sei strano» replicò Mike.
«Intanto mi sono guadagnato un bacio da Rachel»
«L'ha fatto per pietà... e copriti, sei osceno» fece Mike indicando il petto nudo di John. John, per tutta risposta, gli fece una linguaccia.
«Sono due bambini dell'asilo» borbottò Peter. Rachel ridacchiò e gli appoggiò la testa sulla spalla. Era una sensazione molto strana trovarsi di nuovo insieme a lei dopo aver pensato di perderla per sempre, e c'erano ancora alcune cose da mettere in chiaro. Il problema era che non potevano farlo né in quel momento, né in quel luogo.
«John, Mike... non voglio interrompere i vostri discorsi da coppietta innamorata, ma ora dove andiamo?» chiese.
Effettivamente si erano semplicemente rifugiati in un bar qualsiasi poco distante dalla chiesa, decisamente non la scelta migliore.
«Se mio fratello si sbrigasse ad arrivare con la macchina potremmo andare a casa mia» disse John.
«Non preoccupatevi» fece Rachel «Andremo a casa di mia nonna. Abita qui vicino, possiamo arrivarci a piedi»
«Sei sicura che non le dispiacerà?» chiese Peter.
«A questo punto non credo che sia un problema. E poi nessuno verrà a cercarci lì, mia nonna odia avere ospiti»
«E quando tornerà a casa cosa faremo?» domandò Mike.
«Le spiegherò tutto. Capirà, mia nonna è la più intelligente della famiglia»
«Rachel... ti ho portata via dal tuo matrimonio. Non credo che farà finta di niente» le ricordò Peter.
«Kane, dobbiamo trovare un posto in cui andare, e in fretta. Secondo me quelli sono pronti ad inseguirci con i forconi» disse John.
«Non siamo nel Medioevo» fece Mike.
«Tu dici? Eppure mi sembravano molto arretrati come mentalità. Senza offesa» disse John, rivolgendo l'ultima frase a Rachel.
«Tranquillo, ho sempre pensato la stessa cosa» rispose lei.
«Scusami per tutto, ho combinato un casino» disse Peter triste.
«Va tutto bene» sorrise Rachel.
Si incamminarono verso la casa della nonna, cercando di non attirare l'attenzione. Non era molto facile, perché loro tre erano tutti vestiti da cerimonia e Rachel indossava il vestito da sposa.
«Che avete da guardare? Stiamo facendo un cosplay» disse John quando un gruppo di curiosi prese a fissarli.
«Non prendertela» gli disse Mike.
«Me la prendo perché se ci vedono vestiti così penseranno che sono come te»
«Ma se sembri uno che sta andando al mare... ti manca solo il costume»
John si riabbottonò la camicia indispettito.
«Meglio?»
«Johnny» disse Mike con un mezzo sorriso «Non era una critica»
«Sei impazzito? Da quando perdi un'occasione per criticarmi?» fece John sorpreso.
«Ho le mie ragioni» rispose Mike gongolando.
«Tu sei tutto matto» disse John, sbottonandosi di nuovo la camicia.
«Ecco, questa è la casa di mia nonna» disse Rachel a Peter. Non si erano lasciati la mano da quando erano usciti dalla chiesa, e quando lei cercò di divincolarsi Peter si aggrappò a lei.
«Devo prendere la chiave» fece lei con un sorriso.
«Fallo fare a loro» disse Peter.
«D'accordo» acconsentì Rachel.
«Dov'è questa chiave?» chiese Mike. John alzò gli occhi al cielo.
«Ci scommetto quello che vuoi che è sotto quel vaso vicino alla porta»
«Come fai a saperlo?» gli chiese Rachel.
«Intuizione» rispose John. Mike spostò il vaso e come previsto trovò la chiave.
«Prego, entrate» fece Rachel.
«Cosa credi che dirà tua nonna quando ci troverà qui?» le chiese Mike.
«Lei ha detto che preferiva me a Joshua» disse Peter.
«Davvero?» gli chiese Rachel. Peter annuì.
«Mia nonna è fantastica» disse allora Rachel. Li condusse in salotto, dove c'era un piccolo divano molle ed un'enorme quantità di decorazioni di pizzo.
«Cavoli Rachel, quest'affare è veramente inquietante» disse John indicando una bambola di porcellana che si trovava su un mobiletto.
«È molto antica» spiegò Rachel.
Peter la guardò negli occhi. Ora che erano al sicuro, era il momento delle spiegazioni.
«Vorrei parlarti di un po' di cose» le disse.
«Che cosa?»
«Ehm... credo che sia meglio se io e John andiamo... sì, andremo in bagno» disse Mike con un piccolo colpo di tosse.
«Io non ci voglio venire in bagno con te, pervertito!»
«Vieni e non fare storie» fece Mike trascinando John per il braccio. Lo sentirono urlare per tutto il corridoio.
«Non avrai il mio corpo!»
«E chi lo vuole?»
«Tu! È evidente, te lo leggo negli occhi»
«Non è vero, che schifo!»
«Scusali» disse Peter a Rachel.
«Sono divertenti»
«Già...»

Eccolo lì. Aveva aspettato quel momento fin da quando al locale aveva scoperto del matrimonio di Rachel. Aveva pensato mille volte a cosa le avrebbe detto. Eppure, ora che se la trovava davanti, non riusciva ad aprire bocca.
«Cosa mi volevi dire?» gli chiese Rachel.
«Tante cose» mormorò.
«Sei così strano, mi stai facendo preoccupare»
«No, non è niente di grave...»
«Allora perché non mi guardi in faccia?»
Meglio cominciare dall'inizio.
«Alison mi ha baciato» disse. Rachel non sembrò sorpresa.
«Ok. Quindi... hai paura che me la prenda con te per un bacio?» domandò gentilmente.
«Beh, pensavo che sarebbe successo» rispose Peter. La reazione di Rachel lo sorprendeva, in una certa misura era anche rimasto deluso perché pensava che le avrebbe dato fastidio immaginarlo mentre baciava un'altra.
«Non me la prenderei mai con te per questo, soprattutto perché so che non è colpa tua. E poi nemmeno io sono stata proprio... fedelissima, diciamo. Mi sono rifiutata di fare le cose più intime, naturalmente, ma...»
«Stai dicendo che anche tu...»
Rachel annuì tristemente.
«Purtroppo sì. E morivo dentro ogni volta che succedeva, mi sentivo in colpa verso di te»
La notizia non gli faceva piacere, ma nonostante tutto la capiva. Era stata ad un passo dal matrimonio con quell'uomo, era inevitabile che succedessero cose simili, soprattutto se negli ultimi giorni lei si era convinta che a Peter non importasse più niente di lei. Però era contento di sapere che lei con Joshua non era andata fino in fondo perché invece pensava a lui.
«È successo anche a me. Però... per un momento ho pensato di lasciar stare e tornare con Alison»
«Capisco. E adesso sei confuso» disse Rachel comprensiva.
«Sì. No, insomma... non lo so»
«Peter» disse Rachel «Anche io ero sempre confusa alla tua età. Fa parte della vita»
«Ma non dovrei esserlo, capisci?» esclamò lui.
«Perché?»
«Perché se non so cosa voglio non ho nessun diritto di impedirti di sposarti. Forse ho sbagliato tutto, dovevo lasciarti vivere la tua vita. A quest'ora saresti sposata con un uomo in grado di darti tutto quello di cui hai bisogno, tuo padre non ti avrebbe cacciata di casa e non saresti costretta a nasconderti in questa casa piena di pizzo e bambole spaventose» fece lui, a metà tra il disperato e il desolato. Rachel gli diede un piccolo bacio sulla guancia e si strinse a lui.
«Mi hai fatto un grande favore portandomi via da quella chiesa. Avrei rimpianto quel matrimonio per tutta la vita»
«Davvero?»
«Certamente. Mi sembrava di avertelo detto, con Josh è finita tempo fa. Lo avrei sposato solamente per far piacere agli altri, non a me»
«Perché sei così comprensiva?» gli venne da chiedere.
«Perché so che per te deve essere stato difficile. E so anche che ci è voluto molto coraggio per fare quello che hai fatto»
«John dice che questa è la prova del fatto che io sono innamorato di te» disse Peter pensieroso.
«Forse John ha ragione»
«Come si fa a capire se...»
«Non c'è un modo preciso per capirlo. Lo senti e basta»
Pensò ad Alison. Gli mancava? Non proprio. L'unica volta in cui aveva pensato a lei da quando era partito, non aveva provato il minimo fastidio nell'immaginarla insieme a Landon. Al contrario, era convinto che la cosa migliore fosse lasciarli stare perché non voleva intromettersi tra di loro.
Invece, aveva sentito la mancanza di Rachel non appena lei era partita. Ricordava tutte le sofferenze che aveva passato perché lei non era al suo fianco. Ricordava la sensazione orribile che aveva provato quando era stato convinto di perderla.
E ricordava di averle detto una cosa importante.
«Ecco... ti ricordi...» fece.
«Sì?»
«Ti ricordi quando ti ho detto che ero innamorato di te...»
«Sì»
«E anche tu mi hai detto che eri innamorata di me»
«Certo, me lo ricordo»
«Ehm... insomma...»
«Vuoi sapere se ho cambiato idea?»
«...sì»
«No. Non è cambiato niente. Anzi, se è possibile, ti voglio ancora più bene di prima»
«Bacio! Bacio!» si sentì urlare da un angolo della stanza.
«John!» urlò Mike.
«Cosa c'è? Non posso neanche fare il tifo?»
Peter scosse la testa. Quei due non riuscivano proprio a farsi gli affari propri.
Rachel però scoppiò a ridere, alleggerendo gli animi di tutti.
«Potete darci ancora cinque minuti?» chiese. John annuì e se ne andò con un piccolo inchino, e Mike lo seguì sbuffando e lamentandosi per il comportamento dell'amico.
«Allora, dove eravamo rimasti?» chiese Rachel quando furono di nuovo soli.
«Mi stavi dicendo che sei innamorata di me»
«Giusto»
«E stavo per dirti che quando ho creduto di perderti è stato il momento peggiore della mia vita»
«Mi dispiace di averti fatto tutto questo. Avrei dovuto troncare subito tutta la storia del matrimonio, sono stata una stupida»
«Non devi scusarti. Probabilmente doveva succedere, o non sarei mai arrivato a Londra»
«Che dici, ce la vogliamo dare un'altra possibilità? In questo modo avrai il tempo di capire se stare con me è quello che vuoi oppure no»
«Provare non costa niente»

Forse era un modo un po' strano di tornare insieme a tutti gli effetti, ma Peter era contento del risultato del suo viaggio. Ora aveva la possibilità di rilassarsi un po', e capire per quale motivo fossero nati i suoi dubbi riguardo a Rachel.
Solo quando si fece sera, la nonna di Rachel tornò a casa, e non fu sorpresa di vedere la nipote e i tre ragazzi che affollavano il suo salotto.
«Sapevo che ti avrei trovata qui. Ho convinto tuo padre a non diseredarti, almeno per il momento» disse subito. Non sembrava arrabbiata, né offesa, e la cosa sollevò un poco il morale di Peter.
«Grazie, nonna» fece Rachel triste.
«Vedo che abbiamo ospiti» disse la donna.
«Oh, sì. Nonna, lui è Peter»
Peter si alzò in piedi per stringerle la mano, e la nonna di Rachel mise gli occhiali per vederlo meglio.
«Ci siamo già conosciuti noi due»
«Sì... in chiesa» fece Peter.
«Comportati bene con mia nipote, eh? Altrimenti dovrai assaggiare la mia vendetta»
«N-non si preoccupi»
«Bene. E voi due chi siete?»
John e Mike si stavano divertendo un po' troppo per i gusti di Peter, infilando nei discorsi con la nonna di Rachel parecchie battute sconvenienti e allusioni che lasciavano ben poco all'immaginazione. Andarono avanti a parlare per tutta la sera, fino all'ora di cena.
«Ma mio fratello è andato a parcheggiare in Antartide per caso?» fece John.
«Magari se n'è semplicemente andato» disse Mike alzando le spalle.
«È in ritardo di quasi dieci ore» gli fece notare John.
Una telefonata veloce rivelò che dopo averli lasciati per strada Joe era tornato a casa. A quanto pareva, la famiglia era così abituata a non avere John tra i piedi che si erano dimenticati di loro.
«Stai scherzando?» ruggì John.
«Che ci vuoi fare, ci è passato di mente. Eravamo convinti che fossi ancora a casa dagli zii» disse Joe all'altro capo del telefono.
«Ti odio, lo sai?»
«Come potrei dimenticarlo, me lo ripeti in continuazione!»
«Joe, devi venirci a prendere!» fece John offeso.
«Potete restare qui, per me non ci sono problemi. C'è tanto spazio in casa» disse la nonna di Rachel.
«Dice davvero?» fece Peter.
«Gli amici di Rachel sono sempre i benvenuti»
«Ecco, problema risolto» sentirono Joe dire.
«Non credere che sia tutto a posto!» si lamentò John. Il ragazzo si alzò ed andò a litigare al telefono in un'altra stanza, dove poteva urlare senza disturbare nessuno.
«Allora, ehm...» fece Mike «Possiamo restare a cena?»
«Potete restare anche a dormire» disse Rachel.
«In letti separati!» la ammonì sua nonna.
«Ehm... sì, ovviamente» disse Peter.
«Anche perché io non ho intenzione di dormire con John, ho paura che mi possa fare cose strane durante la notte» fece Mike con un brivido.
«Credo che si riferisse a me e Rachel» gli fece notare Peter.
«Guarda che l'avevo capito. Però ammetterai anche tu che corro più pericoli io con John che Rachel con te»
«Immaginare te a letto con John è abbastanza inquietante»
«Chi è che viene a letto con me?» disse John, entrando nella stanza.
«Mike» rispose Peter. John sbiancò.
«Eh no! Già oggi pomeriggio ha cercato di... di...» fece, fingendosi sconvolto.
«Non ti ho fatto niente, testa vuota di un Johnny» borbottò Mike.
«Lo so, ma loro non c'erano, potevi anche lasciargli credere per un attimo che viviamo un amore passionale e clandestino» rise John.
«Meglio di no. Sto ancora sperando di rivedere quella hostess meravigliosa»
«Banale» fece John.
«Ma sentilo! Dove sono finite tutte le ragazze di cui ti vantavi?» lo prese in giro Mike.
«Sono in giro per la città, mi basta un colpo di telefono per vederti finalmente sigillare per sempre quella boccaccia»
«A proposito di città, tuo fratello viene a prenderci?» chiese Peter.
«No» rispose John «Quello scemo si è offeso e ha detto che dobbiamo arrangiarci da soli»
«A me non dispiace» disse Rachel maliziosa.
«Andateci piano, non sono psicologicamente pronto a vedere dei piccoli Kane che girano per casa» disse John.
«John!» lo ammonì Mike.
«E neanche a sentire voi due che fate cose nella stanza di fianco alla mia»
«John!» gridarono Peter e Mike all'unisono.
Quando si guardarono in faccia, scoppiarono tutti in una risata travolgente.  

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** SHE WANTS TO BE ME. ***


SHE WANTS TO BE ME.


Peter non ricordava l'ultima volta in cui aveva mangiato così tanto e così bene. La nonna di Rachel aveva cucinato abbastanza da sfamare un esercito, e lui, Mike e John non si erano fatti problemi a ripulire tutto.
«Ci voleva proprio, avevo una gran fame» disse John, sbottonando nuovamente la camicia e allentando la cintura.
«Sei veramente volgare» fece Mike con gli occhi al cielo. John tamburellò sulla propria pancia.
«Beh, scusami se ti ho offeso, ma ho mangiato talmente tanto che se tenessi addosso la camicia volerebbero via i bottoni. E tu non vuoi essere colpito nell'occhio da un bottone, vero?»
«C'è modo e modo di comportarsi, e tu riesci sempre a scegliere quello sbagliato» si lamentò Mike.
«Pazienza» disse John alzandosi da tavola.
«Dove credi di andare? Bisogna dare una mano in cucina!» gli urlò Mike.
«Non preoccuparti, non so perché, ma ho la sensazione che sia meglio se John sta lontano dagli antichissimi piatti di porcellana di mia nonna» ridacchiò Rachel.
«Ti aiuto io» si offrì Peter.
«E anche io» gli fece eco Mike.
«Assolutamente no, voi due siete ospiti, e gli ospiti non fanno i lavori di casa» disse la nonna di Rachel.
«Signora, insisto» disse Mike con fare elegante. Peter notò lo sfoggio che il suo amico faceva delle buone maniere. Probabilmente stava approfittando della presenza della nonna di Rachel per comportarsi a modo perché quando era con Peter e John, che in quanto a galanteria erano praticamente degli uomini delle caverne, era inutile fare il perfetto gentiluomo.
«Sembra che finalmente abbia trovato qualcuno disposto ad assecondare i suoi modi da damerino» ridacchiò Peter. Rachel gli diede un colpetto sul braccio.
«Non prenderlo in giro, un po' di educazione non fa mai male»
«Scusa»
«Non si preoccupi, ci penserò io a lavare i piatti» stava continuando Mike.
«In questo caso, Michael, sarai il primo ad avere una fetta di torta» gli sorrise la nonna.
«Anche meglio di quello che speravo!» disse Mike. Mentre lui si alzava da tavola e aiutava la donna a preparare l'occorrente per lavare i piatti, Rachel iniziò a sparecchiare.
«Vai ad aspettarmi in salotto, arrivo subito» disse a Peter.
«Anche io voglio dare una mano»
«Meno siamo in cucina, meglio è. Forza, non insistere»
Peter fu costretto ad andare in salotto, dove John stava spaparanzato sul divano e fissava una bambola di porcellana con sguardo di sfida.
«Se cerchi di battere la bambola ad una gara di sguardi, non credo che vincerai» gli fece notare Peter.
«Non mi piace quella cosa. Sembra quasi viva» disse John.
«È solo una bambola»
«Una volta ho sentito una storia di una bambola come questa che era stata posseduta dal fantasma del proprietario precedente. Si muoveva di notte e alla fine ha ucciso l'intera famiglia»
«Tu guardi troppi film» fece Peter scuotendo la testa.
«Può darsi» rispose John distogliendo finalmente lo sguardo dalla bambola.
«Comunque ho pensato a cosa fare. Non credo che ci convenga dormire qui, possiamo tornare a casa mia»
«E come?»
«Mai sentito parlare di metropolitana?»
«Non ho un soldo» gli disse Peter «Ho lasciato tutto a casa tua»
«E io ho bisogno di una doccia. I soldi te li presto io, non c'è problema»
«Va bene. Aspettiamo Mike e sentiamo il suo parere»
I due amici si misero a guardare la tv, quando Rachel li raggiunse e si sedette vicino a Peter.
«Già finito di pulire da cima a fondo la cucina?» le chiese John.
«La nonna e Mike stanno sfornando la torta e mi hanno gentilmente chiesto di andarmene perché intralciavo il lavoro»
«Se la metti così...» fece Peter avvicinandosi a lei.
«Scusate» li interruppe John «Ho appena mangiato, non vorrei che la vista di voi felici e innamorati mi rovinasse la digestione»
«Cosa?» rise Rachel.
«Concorderete con me sul fatto che non è piacevole vedere due che si scambiano le tonsille subito dopo mangiato» continuò John con un sorrisetto.
«Che schifo, John! Tu hai una mentalità malata» fece Peter.
«Guarda» disse Rachel, stampando un sonoro bacio sulle labbra di Peter.
«I miei occhi! Bruciano!» scherzò John.
«Non ti lamenteresti tanto se ci fossi tu al mio posto» disse Peter. John alzò le spalle.
«Chi lo sa? Certo, se potessi mettere le mani su quelle... ehm... quegli...»
«Johnny, sii educato» lo interruppe Mike, che li aveva raggiunti nella stanza mangiando un'enorme fetta di torta.
«Stavo per dire a Rachel quanto io apprezzi i suoi occhi» disse John.
«Gli occhi, naturalmente» fece Rachel ridendo.
«Assaggiate questa torta, è troppo buona» disse Mike tra un boccone e l'altro.
«Non mangiarne troppa, altrimenti chi ti sopporta più quando deciderai di rimetterti in forma» gli fece John a mezza voce.
«Chiudi il becco tu. Voi ne volete?» chiese Mike a Peter e Rachel.
«Perché no? Almeno una torta riuscirò a mangiarla, anche se non per il mio matrimonio» rispose lei, allungando la mano per afferrare il piatto che Mike le stava tendendo.
«Ho sentito un velo di 'incolpiamo Peter' nella tua frase?» fece Peter divertito. Rachel avvicinò il viso al suo.
«Può darsi» gli disse con un sorriso.
«E mi tratti così dopo che ho fatto un'irruzione degna dei migliori film?» replicò lui.
«Quanto dovete essere mielosi ancora? Se dovete fare queste cose esistono le camere da letto!» li interruppe John.
«Qualcuno è di cattivo umore» osservò Mike.
«Ci puoi giurare»
«Pete, ti prego, trova qualche passatempo per John, sta diventando insopportabile»
«E cosa dovrei fare?»
«Che ne so, trovagli una ragazza»
«A proposito John, ce l'hai una ragazza da qualche parte?» gli chiese Rachel.
«Preferirei non parlarne» rispose John.
«È perché non ce l'ha» disse Mike.
«Non parlare se non sai le cose» fece John indispettito.
«Che cosa vuol dire?» chiese Mike, improvvisamente molto interessato al discorso.
«Questo è un brutto momento e un brutto luogo per parlarne, lasciami in pace»
«Ehm... allora, che facciamo?» domandò Peter.
Né John né Mike erano troppo contenti di passare la notte a casa della nonna di Rachel. Mike continuava infatti ad insistere per prendere la metropolitana ed attraversare la città, mentre John sosteneva di non riuscire a dormire sapendo che in quella casa ci fossero quelle inquietanti bambole di porcellana.
«Allora è deciso, andiamo a casa» disse John.
«Non ci sarebbero stati problemi per noi» fece la nonna.
«Torneremo domani» disse Peter a Rachel.
«Tu potresti restare»
«No, non è il caso, ho già fatto abbastanza danni per oggi»

Quando uscì dalla casa seguendo Mike e John, Peter avvertì subito il senso di vuoto, unito ad un senso di soddisfazione.
«Sarai contento» gli disse Mike «Sei riuscito a fare tutto quello per cui sei venuto a Londra»
«Sì. Anche se mi sembra di aver fatto più casini che cose buone»
«Non dire così, Kane. Ti avrei tirato il collo se dopo tutta quella fatica avessi lasciato perdere» fece John.
«Ma ora Rachel...»
«Rachel se la caverà. E poi secondo me le hai fatto un favore» lo interruppe John.
«Johnny ha ragione, vedrai che starà bene»
«Lo spero...»
Camminarono per una ventina di minuti, finendo per ritrovarsi sempre nello stesso posto, e sia Peter che Mike iniziarono a dubitare del senso dell'orientamento di John.
«Johnny, sei sicuro di conoscere la strada per tornare a casa?» chiese Mike.
«Sì, perché?»
«Perché siamo già passati di qui due volte»
«Ti sbagli» borbottò John «Andiamo, lì c'è la metro»
Seguirono John in metropolitana, sperando che lui sapesse quello che faceva. Né Peter né Mike conoscevano Londra e non erano in grado di orientarsi, dunque erano affidati completamente a John.
«Posso chiedervi perché avete insistito per mangiare dalla nonna di Rachel?»
«Kane, te l'ho detto, non ho più il mio chef personale a casa»
«Non credo alla storia dello chef» bofonchiò Mike.
«Sei solo invidioso perché tu non ne hai mai avuto uno» disse John con una linguaccia.

Miracolosamente arrivarono a casa di John, dove Bourbon iniziò ad abbaiare non appena li vide. Nell'ingresso incontrarono il nonno di John, lo stesso che Peter aveva incontrato a Natale.
«Bourbon, stai buono!» urlò l'uomo.
«Ciao nonno» disse John alzando gli occhi al cielo.
«Ah sì, tuo fratello mi ha detto che eri in giro per Londra» fece il nonno.
«È sempre delizioso rivederti» replicò John sarcastico.
«Immagino che tu abbia commesso qualche crimine»
«Signore... si ricorda di me?» fece Peter. L'uomo lo fissò perplesso.
«Ci siamo incontrati a Natale. Lei ha parlato con mia cugina» gli ricordò Peter.
«Ah, certo, la bambina che mi ha augurato buon Natale. Sì, mi ricorda qualcosa»
«Io sono Mike» si intromise Mike. Il vecchio lo guardò dall'alto in basso.
«Esibizionista con manie di protagonismo» disse. John soffocò una risata, mentre Mike arretrava indispettito.
«Me ne vado a letto» annunciò allora Mike.
«Sì, anch'io» gli fece eco John. A Peter, che non voleva restare solo con il nonno, non restò altro che imitarli.
«Buonanotte signor Catham»
«Buonanotte»
Erano successe così tante cose quel giorno che Peter faticava ad elaborarle. Il matrimonio, Rachel, Londra... sembrava quasi un sogno, o per certi versi addirittura un incubo. Si rigirò nel letto più e più volte, troppo preso dai propri pensieri per addormentarsi.

Il mattino seguente, Peter non aveva chiuso occhio. Alle nove andò a svegliare Mike e John per convincerli ad accompagnarlo da Rachel. Non avevano ancora deciso quando sarebbero tornati a casa, e forse quella giornata era adatta per parlare tutti insieme ed arrivare ad una conclusione.
«Siete già qui, non vi aspettavo così presto» disse Rachel aprendo la porta.
«Kane ci ha tirati giù dal letto» spiegò John.
"Almeno tu hai dormito" pensò Peter.
«Scusa il disturbo, Rachel. Non abbiamo pensato che potesse essere un po' presto per te e tua nonna» disse Mike.
«Oh no, nessun disturbo! Anzi, abbiamo già ospiti»
«Quali ospiti?» chiese Peter.
«Le mie cugine, Erin e Jane. Non vedo l'ora di presentarvele»
«Non me ne hai mai parlato» fece Peter curioso.
«Davvero? Beh, invece a loro ho parlato molto di te»
«Io vado in bagno»
«Non ci serve la telecronaca, Johnny» bofonchiò Mike.
«Tu evita di dire che mi hai visto qui piuttosto» disse John.
«Perché?»
«Fallo e basta. Anzi, fatelo tutti» intimò John.
«Quel ragazzo ha grossi problemi di testa» disse Mike, mentre John spariva nel corridoio, evitando accuratamente di affacciarsi in salotto.
«Lascialo stare, sarà di cattivo umore perché non ha dormito abbastanza» fece Peter.
«Probabile. Allora, queste cugine, ce le presenti o no?»
Rachel condusse i ragazzi in salotto, dove la nonna stava già parlando con due ragazze che avevano all'incirca l'età di Peter.
«Ciao» disse una delle due. Peter fu contento di scoprire che le due gemelle non erano identiche. Aveva sempre avuto qualche problema a distinguere i gemelli e non gli piaceva l'idea di fare figuracce confondendoli uno con l'altro.
«Mi chiamo Erin» continuò la ragazza.
«Ciao Erin» disse Mike «Io sono Mike, e lui è Peter...»
«Io invece sono Jane» fece l'altra gemella.
«Tanto piacere» fece Peter. Mike gli diede una gomitata.
«Perché l'hai fatto?» sussurrò Peter.
«Non si dice mai 'piacere' quando incontri qualcuno per la prima volta. Ma le conosci le buone maniere?» replicò il ragazzo.
«Non c'è nessun altro con voi?» chiese Erin.
Peter scambiò uno sguardo d'intesa con Mike.
«No, siamo solo noi due»
«Oh. Credevo... ieri, in chiesa...»
«Veniamo da lontano» disse Peter, cercando di cambiare discorso. Non sapeva perché John avesse chiesto di non essere menzionato, ma certamente doveva esserci un motivo e prima o poi lo avrebbe scoperto.
 

«È grandioso, potrò dire di esserci stata nel momento in cui è successo l'evento più teatrale e coraggioso che la mia famiglia abbia mai visto» disse Jane entusiasta. Stavano parlando del matrimonio di Rachel, e tutte le donne di casa concordavano sul fatto che l'intromissione di Peter fosse un evento degno di nota.
«Non avevo intenzione di essere così... insomma, ho solo seguito l'istinto» spiegò Peter timidamente.
«Sei stato davvero romantico Peter, quanto vorrei che qualcuno facesse la stessa cosa per me» continuò Jane sognante «Rachel, sei fortunata ad avere trovato un ragazzo come lui»
«Lo so bene, è per questo che non me lo lascerò scappare» disse Rachel rivolgendo a Peter un grande sorriso. Lui sorrise imbarazzato di rimando, sentendosi arrossire. Non gli sembrava di avere fatto chissà quale gesto romantico. Aveva semplicemente smesso di preoccuparsi per le conseguenze perché si era reso conto di non riuscire a stare senza Rachel.
«Beh, è anche merito di quel ragazzo con i capelli colorati che ti è stato vicino in chiesa. A proposito, chi era?» chiese Erin.
«Lui...» fece Peter, guardando Mike in cerca d'aiuto.
«Un tizio che abbiamo conosciuto qui. Ci ha fatto da guida per la città, è stato un caso che fosse lì con noi» inventò Mike sul momento. Anche lui doveva aver capito che John aveva qualcosa che non andava, e continuava a lanciare occhiate nervose al corridoio sperando di vedere l'amico fare capolino da un momento all'altro.
«Oh. Mi era sembrato di conoscerlo, sai» fece Jane.
«Il mondo è pieno di gente che gli somiglia, anche a me ha ricordato un mio amico» disse Mike. Erano in salotto a parlare già da un'ora e mezza, e di John non c'era traccia.
Peter si avvicinò lentamente a Rachel, parlandole sottovoce.
«Vado a parlare con John. Non so cosa gli sia successo, ma un comportamento così da parte sua non è normale» sussurrò a Rachel.
«Sono preoccupata anch'io» rispose lei.
«Spero solo che non sia l'ennesima scenata di gelosia verso Mike, ormai ne ho fin sopra i capelli» disse Peter con una smorfia.
Si allontanò, diretto verso il corridoio. Dove poteva essere andato il suo amico?
Aprì qualche porta a caso, ma erano tutte camere da letto vuote ed un bagno. Infine trovò John steso sul letto in una stanza in fondo al corridoio, intendo a guardare il soffitto.
«John?»
Vide l'amico sobbalzare quando lo chiamò.
«Oh... sei solo tu» borbottò John.
«Sì... chi ti aspettavi che fosse?»
«Nessuno» rispose John tornando a stendersi sul letto.
«Allora perché ti stai nascondendo qui da quando hai saputo che ci sono anche le cugine di Rachel?» gli chiese Peter facendo il giro del letto per guardare John in faccia.
«Non mi va di socializzare»
«Non ti credo»
John guardò Peter con aria di sfida, per poi sbuffare.
«Già, neanche io ci credo. E va bene, te lo racconterò, ma tu non prendermi per pazzo»
Peter si mise in ascolto, aspettando che John iniziasse a parlare.
«Dunque, prima di tutto rispondi a questa domanda... le cugine di Rachel, Erin e Jane, sono gemelle?»
«Come fai a saperlo?»
John scosse la testa desolato.
«Lo sapevo... siamo nei guai. Io sono nei guai»
«Ehm... c'è qualcosa che non va?»
John si alzò dal letto con gli occhi fuori dalle orbite, si avvicinò a Peter e prese a scrollarlo.
«Dimmi che quel cretino di Mike non ha iniziato a sfoderare le sue tecniche da conquistatore, ti prego»
«Eh?»
«Kane, è una cosa importante! Sta facendo lo scemo con quelle ragazze?»
Peter si allontanò da John, pregando che lui smettesse di comportarsi come un folle.
«Lo sai com'è Mike, quando vede una bella ragazza...»
«Questo è un disastro!» gridò John.
«Non sarà ancora questa storia della gelosia tra voi due?»
«No, non è per quello» disse John «È che Erin è la mia ex»
«Che cosa?»
«Sì. Erin è stata la mia ragazza»
«Quindi... sei geloso perché Mike ci sta provando con lei?» chiese Peter perplesso. John sospirò.
«Ascoltami bene e non giudicare, ti assicuro che quello che sto per dirti è la verità»
«Va bene, John. Calmati adesso»
John si sedette sul letto, in evidente stato di agitazione, e prese un respiro profondo.
«Va bene, ma non è facile stare qui a spiegare mentre so che nella stanza accanto Mike sta facendo lo scemo con la mia ex»
Peter annuì.
«Quello non è un grosso problema, basterà spiegarlo a Mike. Piuttosto, cos'ha fatto questa Erin di così sconvolgente?»
«Beh... lei era una specie di stalker. Io me ne sono andato da Londra in tutta fretta perché non volevo più avere niente a che fare con lei, e adesso me la ritrovo qui» ammise John.
«A me è sembrata una ragazza normalissima»

John iniziò a raccontare, arricchendo la storia con particolari piuttosto intimi che Peter avrebbe preferito non conoscere. Fu così che si scoprì che Erin aveva un comportamento a dir poco strano, e per questo motivo quando si era presentata l'occasione John aveva scelto di scappare senza darle più notizie. Stando a quello che raccontava John, Erin era letteralmente ossessionata da lui, tanto da seguirlo tutto il giorno, spuntando fuori all'improvviso e terrorizzandolo.
«Dunque è per questo che adesso ti sei fissato con le donne più grandi» fece Peter, ricordando che parecchio tempo prima l'amico era stato molto misterioso al riguardo «È perché credi che quelle della nostra età siano tutte come lei»
«Sì. Quando mi avete chiesto di raccontarvelo, non ho avuto il coraggio di dire la verità. Ma la storia è questa. Erin mi perseguitava. Aveva iniziato a comportarsi esattamente come me. A volte mi sembrava di parlare ad uno specchio. Faceva paura» spiegò John con un brivido.
«E ti sei nascosto qui perché non vuoi vederla»
«Già»
«Credi che ci fosse un motivo se si comportava così?»
«Ho avuto molto tempo per riflettere da quando me ne sono andato da qui, e credo che fosse perché non era abituata a stare senza sua sorella. Fin da piccole avevano sempre fatto tutto insieme, si vestivano uguali e tutto il resto, e quando le ho separate ha iniziato ad imitare me»
«Possibile che qui non succeda mai niente di normale?» chiese Peter.


Aspettò che John si fosse calmato, prima di lasciarlo solo nella stanza e tornare da Mike e Rachel per spiegare loro la situazione. Sapeva che non sarebbe stato facile convincerli, ma se anche loro avessero visto John così spaventato non avrebbero avuto dubbi al riguardo.
Una volta in salotto, vide Mike seduto sul divano con Jane in braccio, mentre Erin gli stava molto vicina e parlottava con lui. Rachel era in piedi in un angolo della stanza e li osservava in silenzio.
Si diresse verso di lei, molto teso.
«Va tutto bene?» gli chiese lei piano. Peter scosse la testa.
«No, John è terrorizzato»
«Da cosa? Non mi sembra proprio il tipo che si lascia spaventare» fece Rachel stupita.
«È una storia delicata...»
«Pete, dov'eri finito?» gli chiese Mike quando lo vide.
«Già, Pete, sentivamo la tua mancanza» disse Erin con un sorriso.
«Preferirei che mi chiamassi Peter» fece lui.
Si ricordò di quello che John gli aveva raccontato, che prima di tutto Erin aveva iniziato a parlare come lui. Forse stava iniziando ad ossessionarsi anche con Mike? Non poteva essere, si conoscevano solamente da un'ora. L'idea era già abbastanza inquietante di per sé.
«Allora? Che ti ha detto John?» sussurrò Rachel.
«Potremmo andare in un'altra stanza a parlarne?»
«Certo»
Peter convinse Rachel a seguirlo, in modo che fosse John a spiegarle tutta la storia. Il suo amico era molto nervoso, ad ogni rumore che sentiva in corridoio sobbalzava pensando che fosse Erin.
«Mia cugina non mi ha mai raccontato niente del genere» fece Rachel sconvolta.
«Ti giuro che è la verità. Ho dato un'occhiata al salotto prima, e l'ho riconosciuta. È lei»
«Però... forse c'è una spiegazione» disse Rachel.
«Voi mi credete, vero?» domandò John.
«Sì» rispose Peter.
«Io... non lo so...» balbettò Rachel «Mi stai chiedendo di dubitare di mia cugina... forse dovrei parlarle e capire il suo punto di vista»
«Potrebbe essere una buona idea» concordò Peter.
«E se dovesse capire che mi trovo qui?» chiese John.
«Prima o poi dovrai affrontarla» gli disse Peter.
«Forse...»
«Andiamo, tu sei John Catham, non hai paura di niente!»
«Peter ha ragione, John. Adesso non preoccuparti, farò di tutto per capire la situazione. Lascia che parli con Erin» disse Rachel.
«Va bene» acconsentì John «Ma sappiate che non mi sento tranquillo»
«Non c'è niente di cui avere paura» lo rassicurò Rachel.
«Io non ho paura di Erin, ho paura di quello che potrebbe farmi. Una volta ha cercato di farmi investire, è pazza» spiegò John.
«John» lo ammonì Peter sottovoce «Non parlare così di lei davanti a Rachel, è pur sempre sua cugina»
John abbassò lo sguardo, sconsolato.
«Voglio tornare a casa»

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** LATE NIGHT SAUNA. ***


LATE NIGHT SAUNA.


Fu difficile convincere John ad alzarsi da quel letto ed uscire dalla stanza. Peter e Rachel provarono a persuaderlo per diversi minuti, ma nessuno dei due riusciva a sollevarlo di peso né convincerlo a parole. Questo, almeno, fino a quando Peter ebbe un'idea.
«Non vorrai lasciare che si struscino tutte e due addosso a Mike, vero?» disse.
Non aveva ancora finito di pronunciare la frase, che John si era alzato ed aveva già raggiunto la porta.
«Cosa state aspettando? Andiamo!» esortò, andando verso il salotto a grandi passi. Peter guardò Rachel, grattandosi la testa.
«Incredibile l'effetto che hanno uno sull'altro» disse. Rachel annuì.
«Andiamo, prima che succeda qualcosa»
Peter si affrettò a prendere la ragazza per mano, uscendo dalla stanza ed incrociando Mike, che gli diede per sbaglio una spallata.
«Scusa» borbottò il suo amico.
«Mike, va tutto bene?»
«Chiedilo a quel cretino» borbottò Mike con voce rotta, subito prima di chiudersi in cucina. Peter guardò Rachel stranito, ed insieme andarono in salotto, dove trovarono John seduto sul divano insieme alle gemelle. Il ragazzo rideva e parlava a voce molto alta, quasi come se volesse farsi sentire da tutti nella casa.
«Mi dispiace ammetterlo per Mike, ma non è più lui quello che fa svenire tutte le ragazze» rise John, a voce altissima. Peter guardò la scena a bocca aperta. Non era possibile che John avesse fatto un cambiamento del genere da un momento all'altro e che ora si sentisse a suo agio con le gemelle.
«Si può sapere che cos'ha Mike?» chiese Peter, avvicinandosi all'amico.
«Io non lo so» rispose John alzando le spalle, tornando subito a ridere con le gemelle. Peter lo guardò storto.
«Dimmi la verità, cosa gli hai fatto?»
«Niente!» disse John, scaldandosi.
«John...»
«Ehm... ragazze, aiutatemi a scegliere dei nuovi vestiti» disse Rachel, portando con sé le gemelle, capendo che fosse meglio lasciare soli i due amici.
«Che stai facendo, John?» chiese subito Peter «Mike sembrava sconvolto»
John abbassò lo sguardo.
«Kane, lo sai che a Mike non farei mai niente di brutto di proposito»
«Che cosa gli hai fatto?» domandò Peter ancora una volta.
«Proprio niente! Perché deve essere sempre colpa mia?» replicò John stizzito.
«Perché ti conosco, John»
«Giuro che stavolta sono innocente, sta così perché Erin gli ha detto che se proprio avesse dovuto scegliere tra uno di noi avrebbe scelto me» disse infine il ragazzo.
«Eh?»
John sbuffò.
«Uffa, mai una volta che tu stia attento a quello che dico... ho detto che Mike se l'è presa perché Erin preferisce me a lui»
«Non può essere tutto lì il problema»
«Chiediglielo»

Peter non se lo fece ripetere due volte. Si alzò dal divano, andando in cucina a cercare Mike. Lo trovò a mangiare biscotti preparati dalla nonna di Rachel, con espressione incredibilmente triste.
«Cos'hai Mike?» gli chiese.
L'altro alzò le spalle.
«Un po' di tutto... stare lontano da casa, l'ansia perché so che i miei me la faranno pagare cara e cose così. In tre giorni non ci siamo fermati un attimo, e adesso che ho un po' di tempo per pensare mi sta crollando tutto addosso»
«Scusami per averti trascinato in tutto questo. Lo so quanto è difficile per te» disse Peter, prendendo una sedia e prendendo posto accanto al suo migliore amico.
«Lo faccio con piacere, altrimenti non sarei qui. Per me sei come un fratello» disse Mike a testa bassa.
«E... John non c'entra nulla con il tuo malumore?»
Mike strinse i pugni, tremando leggermente, ma non disse una parola.
«Ehm... hai voglia di prestarmi il cellulare per chiamare mia madre?» propose allora Peter nel tentativo di distrarlo, preoccupato. In quel momento, sentirono la porta della cucina aprirsi, notando John.

«Che succede Mike?» domandò il ragazzo. Tutta la sua proverbiale sicurezza sembrava scomparsa, aveva una semplice espressione preoccupata.
«Non voglio vederlo» disse Mike a Peter.
«John, per favore, potresti...»
John afferrò una sedia, sedendosi proprio davanti a Mike.
«Se hai un problema con me, voglio che tu me lo dica»
Mike scosse la testa, e Peter notò che teneva ancora stretti i pugni.
«John, credo che...» iniziò Peter, nervoso.
John lo ignorò e mise le mani su quelle di Mike, stringendole.
«Mikey» disse, in tono dolce «Mi stai facendo preoccupare, e io non mi preoccupo mai per nessuno»
«Ora io sono l'unico single tra noi» sussurrò a quel punto Mike, senza guardarlo. John guardò Peter per una frazione di secondo, poi tornò a guardare Mike.
«Sei sicuro che sia questo il problema?»
«Johnny, non farmelo dire» il tono di Mike faceva intendere quanto stesse supplicando.
«Dillo»
«No...»
«Ti prego. Per me. Non pensare agli altri»
Entrambi guardarono Peter, che si voltò dall'altra parte, fingendo di non ascoltare.
«Non mi piace l'idea che tu abbia una ragazza» ammise Mike. Peter poté sentire John tirare un sospiro di sollievo.
«Lo sapevo. Vale anche per me»
«Allora...»
«Allora niente. Ti pare?»
«Sì. Mi pare»
Peter si voltò verso i suoi amici, notando che entrambi erano molto rossi in viso.
«Vi lascio soli, così potete chiarire» sussurrò in imbarazzo, prendendo il cellulare di Mike dal tavolo ed uscendo dalla cucina.

Dopo mezz'ora, sua madre non si era ancora calmata. Aveva passato gli ultimi minuti ad insultarlo e dargli dell'incosciente, gridando così forte che non c'era bisogno di impostare il vivavoce per riempire la stanza con la sua voce.
«Perfino tuo padre si è preoccupato» disse la donna, dall'altra parte della cornetta.
«L'hai chiamato?» chiese Peter, sorpreso. Era raro che sua madre nominasse suo padre, erano anni che ci aveva fatto l'abitudine, e non si aspettava una frase simile da lei.
«Sei scappato, e lui è pur sempre tuo padre» spiegò la donna.
«Mi dispiace mamma»
«Penserò alla tua punizione quando tornerai a casa, e che sia nell'immediato futuro» ammonì lei.
Peter osservò Rachel, che era rimasta al suo fianco dall'inizio della telefonata ed aveva già avviato qualche ricerca sul computer per il volo di ritorno.
«Il prossimo volo è domani pomeriggio» disse ad alta voce, in modo che Peter capisse bene e potesse comunicare l'informazione alla madre.
«State tutti bene? Avete mangiato? Avete dove dormire?»
«Sì, mamma, non preoccuparti, ci hanno ospitati il mio amico John e Rachel. La famiglia di John vive a Londra» spiegò.
«Questo mi fa stare un po' più tranquilla. Anche Linda è preoccupata»
Linda era la madre di Mike. Sicuramente nessuno dei loro genitori doveva essere contento della loro partenza improvvisa, ma ormai quel che era fatto non poteva più essere cambiato.
«Gli dico subito di chiamarla. Va bene... mamma, ci vediamo domani»
Nel frattempo, anche Rachel, forse ispirata dalla sua telefonata, aveva deciso di parlare con la madre.
«Chiamo mia madre»
Peter capì immediatamente il disagio di Rachel nel dargli quell'informazione. Era arrivato il momento che lei si chiarisse con la sua famiglia, dunque pensò che fosse meglio andarsene per lasciarla parlare tranquillamente. Si sentiva in colpa per aver causato quel disastro ed aveva tutte le intenzioni di scusarsi con l'intera famiglia, ma prima doveva lasciare che fosse Rachel a chiarire il proprio punto di vista.
Fece per uscire, ma Rachel gli fece segno di restare. Peter si sedette sul letto a guardarla mentre lei camminava avanti e indietro parlando al telefono.
«Pronto... sì. Ciao mamma. No, non ho ancora sentito papà... oh, mi dispiace davvero. Sì. Sì, lo capisco. Ti voglio bene. Sì, sono felice così. Grazie... ciao»

La telefonata fu molto breve, ma bastò a cambiare radicalmente l'umore di Rachel. Stringeva il telefono così forte che Peter aveva l'impressione che presto o tardi lo avrebbe ridotto in polvere.
«Rachel...»
«Mio padre si è offeso per il mio comportamento al matrimonio, lo considera una mancanza di rispetto. A quanto pare, non vuole più vedermi né sentir parlare di me» spiegò lei.
«Mi dispiace»
Peter non sapeva che altro dire, si sentiva terribilmente in imbarazzo e divorato dal rimorso. Se avesse saputo che la sua azione avventata avrebbe rovinato i rapporti di Rachel con la sua famiglia avrebbe certamente agito in un altro modo.
Rachel scosse la testa.
«No, ho già capito cosa stai pensando. Non sentirti in colpa, non ne vale la pena»
«Ma tuo padre...»
«Lascia stare mio padre, gli passerà»
«E... uhm... tua madre?» chiese allora Peter nervoso.
«Lei è disposta a perdonarmi, anche se penso che ci vorrà del tempo. Credo che abbia capito il motivo per cui ho scelto te e non Joshua»
Rachel non sembrava troppo turbata, nonostante quello che aveva appena detto.
«La verità è che tu, piccolo folle, mi hai fatto un enorme favore. Sarebbe stato un errore imperdonabile sposare quel... quel...»
«Non sforzarti di trovare un insulto, non è il tuo forte» la prese in giro Peter. Rachel gli sembrava abbastanza di buon umore per scherzare, e così fu.
«Guarda cosa mi tocca sentire! Vogliamo parlare di te, che sei un angelo?» ridacchiò lei. In un attimo fu al letto e gli lanciò addosso un cuscino.
«Hai una bella mira!» rise Peter, prendendo a sua volta un cuscino e lanciandoglielo contro.
Di lì a poco stavano già lottando con i cuscini, e presto crollarono sul letto tra le risate.
Erano tornati ad essere vicini come prima che lei partisse e, come prima, Peter si poteva perdere nei suoi occhi. Però non aveva più senso baciarla in quel momento. Avrebbe potuto farlo se avesse voluto, lei era così vicina che non sarebbe stato difficile. Aveva ottenuto quello che voleva, Rachel non si era sposata e loro due erano tornati insieme. Allora perché non riusciva ad essere felice?
«Mi dispiace di averti rovinato la vita, non sono nessuno per prendere queste decisioni al tuo posto» disse, evitando il suo sguardo.
«Cosa dici?»
«La verità. Per colpa mia ti hanno licenziata, tuo padre non vuole più vederti...»
«... e sono molto più felice di quanto non sia mai stata» lo interruppe Rachel. Peter scosse la testa.
«Senza di me non saresti in questa situazione. sono un disastro»
La mano di Rachel si avvicinò alla sua. La strinse d'istinto.
«Te l'ho detto, non devi sentirti in colpa. Anzi, dovrei ringraziarti»
«Ringraziarmi?»
«Sì. È solo grazie a te se non passerò il resto della mia vita insieme a quel cretino di Joshua»
«Però io... non so se posso sopportare l'idea di averti fatto tutto questo»
Rachel si avvicinò a lui e gli posò la testa sulla spalla.
«Io ti ho fatto di peggio» gli disse.
«No, certo che no»
«Non posso permetterti di buttare via il tuo futuro, lo capisci?»
«Lo capisco. Ma smettila di comportarti come la mia professoressa»
«Non posso farne a meno, è più forte di me»
«Comportati solo come la mia ragazza, ok?»
«Peter...»
«Ti prego»
Rachel lo baciò con una cautela e una dolcezza che Peter non sarebbe mai stato in grado di immaginare. Si stesero sul letto, uno accanto all'altra, senza dirsi una parola, ma si alzarono appena sentirono degli schiamazzi provenire dal salotto.

Mike e John erano seduti sul divano, e guardavano le gemelle che si destreggiavano a ballare davanti a loro con musica molto alta. Peter prese posto al fianco di Mike, e Rachel si sedette sulle sue gambe.
«Cosa state facendo?» chiese Peter.
«Ci godiamo la vista» rispose Mike, prendendosi una gomitata da John.
«Non chiedi a una delle ragazze di ballare con te?» fece John. Mike non lo guardò, ma sorrise impercettibilmente.
«No, se non lo farai anche tu» gli rispose.
«Da quando la pensi così?»
«Potrai anche essere il peggiore amico che abbia mai avuto, ma non voglio lasciarti qui da solo mentre io vado a divertirmi con qualche ragazza»
I due rimasero fermi lì, avvolti da una nuvola di imbarazzo. Entrambi continuarono a guardare le ragazze, mentre Peter e Rachel li osservavano a bocca aperta.
«Insieme?» chiese Mike dopo un po'.
«Insieme» acconsentì John.
I due ragazzi si alzarono insieme, avvicinandosi ciascuno ad una ragazza e ballando con loro in modo molto provocante.
«Prendetevi una stanza» scherzò Peter, prima di guardare Rachel e baciarla. La ragazza sorrise, ricambiando i baci che Peter le stava dando.
«Mi mancava sentirti così vicino» disse Rachel tra un bacio e l'altro.
«Anche a me»
«Oooh, ti amo» fece John con una vocetta acuta.
«Anche io, vieni qui, baciami, fammi sognare» fece Mike.
«Tesoro, credevo che non me l'avresti mai chiesto» continuò John con il suo teatrino, avvicinandosi a Mike e fingendo di baciarlo. In meno di un secondo, i due si ritrovarono stesi a terra, John sopra Mike, e la stanza cadde nel gelo e nell'imbarazzo.
«Volete farla finita voi due?» urlò Peter.
«Ci si diverte come si può» disse John alzandosi e spolverandosi i vestiti.
«Pete, odio ammetterlo ma John ha ragione, siete un po' esagerati»
«Senti chi parla! Tu alle tue ragazze fai regali costosi dopo una settimana!» si difese Peter.
«In effetti sei l'ultimo a poter parlare, Mike» disse John.
«Tu stai zitto perché ne ho anche per te, signor 'Erin è la mia ex ma non voglio dirvelo'» borbottò Peter.
«Io mi fidavo di te!» disse John fingendosi offeso.
«Cos... Erin è la tua ex?» domandò Mike, guardando prima John e poi le gemelle.
«Già. Non c'è bisogno che mi applaudi, lo so che è un'ottima conquista. E non provare a metterle gli occhi addosso»
«Ma... Erin... lei...»
«Devo farti un disegno? Erin e io siamo stati insieme. Come loro. Solo che passavamo molto più tempo in camera da letto e molto meno a parlare» spiegò John, mentre la ragazza confermava la sua storia.
«Jo-Johnny, tu... l'hai detto a Pete e non a me» balbettò Mike, pallido.
«Mica devo dirti tutto, no?» sbuffò John, incrociando le braccia e guardando Mike, lasciando trasparire un pizzico di preoccupazione.
«Sì...»
«E poi ci siamo lasciati»
«Non devi giustificarti solo per farmi contento. E poi, niente mi dice che oggi non vi siete baciati, potrebbe anche essere una storia ricominciata» replicò Mike.
«Oh, stai zitto per una volta nella tua vita» rispose John. Prese Erin per un braccio, portandola nel piccolo corridoio e parlottando concitato con lei. Si resero subito conto che John non stava neanche provando ad essere gentile. Inaspettatamente, lei stampò uno schiaffo in faccia a John, così forte da lasciargli il segno.
«Non l'ha fatto davvero» disse Mike con orrore.
«Guarda...» gli fece Peter, indicando John.
Il loro amico non si era minimamente scomposto, e continuava a parlare massaggiandosi il viso. Ad un certo punto lo videro addirittura sorridere, come se niente fosse successo.
«Jane, andiamo!» gridò Erin, uscendo dalla casa come una furia. La gemella si affrettò a seguirla, scusandosi con tutti, mentre John tornò da Mike e lo prese per le spalle, guardandolo negli occhi, nonostante l'amico fosse parecchio più alto di lui.
«Tu sei sempre il mio Gigantor numero uno» sussurrò, arrossendo come un peperone, facendo calare il silenzio. Peter notò le orecchie di Mike arrossarsi, prima di sentirlo rispondere.
«Lo so»
Peter guardò Rachel, non potendo fare a meno di chiedersi cosa fosse successo tra quei due quando li aveva lasciati soli, ma decidendo di non indagare per rispettare le loro faccende private.
«Che caldo, sembra di essere in una sauna» borbottò John, schiarendosi la voce per togliersi dall'imbarazzo «Vado a prendere qualcosa da bere»
Detto ciò, si allontanò dal salotto.
«Io... ehm... vado a telefonare a mia madre» disse Mike, sparendo a sua volta.

Rimasti soli, Peter e Rachel tornarono nella stanza che era stata riservata loro, seduti sullo stesso letto. Lei si accoccolò tra le braccia di Peter, come se fosse indifesa. Aveva dimenticato di come Rachel diventasse simile ad una bambina quando stavano insieme. Era in quei momenti che sentiva di dover essere protettivo con lei, solo in quei momenti si sentiva veramente adulto e non più uno sciocco ragazzino che aveva un'esperienza minima.
La voleva tutta per sé.
«Non ti lascio» sussurrò, vedendola alzare lo sguardo.
«Neanche io»
«Voglio solo vederti felice» disse, baciandola più e più volte. Se fosse servito, l'avrebbe fatto per il resto dei suoi giorni pur di vederla sorridere di nuovo. All'improvviso, Rachel lo bloccò, guardandolo negli occhi prima di dargli un bacio molto più approfondito.
Peter dischiuse le labbra, con il disperato desiderio di trovare in quel bacio tutta la dolcezza che Rachel non gli aveva mai concesso. Voleva davvero che funzionasse, lo voleva più di ogni altra cosa. Le sue mani si spostarono sul viso di Rachel.
Anche se non la vedeva, poteva immaginare il rossore delle sue guance perché ne sentiva il calore. La accarezzò, lentamente, tentando di farle capire il suo bisogno di tenerezza. Era di questo che si trattava. L'unica cosa che chiedeva era sentirsi amato, una volta nella vita. Essere amato dalla persona che lui amava.
Il suo respiro iniziò ad affannarsi. Tutto quello che lo circondava sembrava amplificato e rallentato, gli faceva quasi girare la testa. Il profumo di Rachel si insinuava prepotentemente nelle sue narici, mentre lei cominciava ad arrendersi alla dolcezza smisurata di Peter. Stava finalmente comprendendo che lui non voleva una cosa fatta di corsa per istinto, forse anche per passione, ma un bacio come si deve. Uno di quelli che non si riescono più a dimenticare.
Fu lui stesso a porre fine a tutto, quando si sentì soddisfatto. Lentamente distaccò le labbra da quelle di Rachel ed aprì gli occhi. Il viso accaldato di lei era ancora molto vicino, e Peter realizzò di avere finalmente avuto quello che aveva desiderato fin dall'inizio.
«Io» le disse con respiro affannoso «Ti amo»
Il suo cuore batteva forte, lo sentiva. Così forte da poterlo percepire anche senza volerlo.
«Sei sicuro di quello che dici?» gli chiese Rachel piano.
«Sì» rispose lui. Niente imbarazzo questa volta, non c'era niente di cui vergognarsi. Quelli erano i suoi sentimenti, tanto valeva che Rachel lo sapesse una volta per tutte.
«Ti amo anch'io» fece lei inaspettatamente. Peter trattenne il fiato. Non si aspettava che Rachel potesse dire qualcosa di simile. Aveva imparato a vederla come una donna fragile nella vita ma molto sicura nei momenti di intimità, e anche piuttosto maliziosa. Una che quando stavano insieme si lasciava trasportare da quella passione travolgente, senza perdersi in carezze e parole dolci. Era la stessa donna che lo aiutava a liberarsi della divisa negli stanzini della scuola, tra una lezione e l'altra.
Ma ora gli stava dicendo qualcosa di romantico. E Peter non poteva essere più felice di così.
«Davvero?» le chiese.
«Con tutta me stessa»

Quella non era la prima volta che lo facevano, ma era la prima volta in cui non avevano avuto fretta, pressioni esterne o paura che qualcuno entrasse e li vedesse insieme nel momento meno opportuno.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** WHEN DAY TURNS INTO NIGHT. ***


WHEN DAY TURNS INTO NIGHT.


Furono i rumori provenienti dal salotto a svegliarlo. Sembrava che fosse in atto un'accesa discussione, probabilmente uno dei soliti litigi di Mike e John. Se fosse stato più in forze si sarebbe alzato e avrebbe intimato ai suoi amici di smetterla, ma era troppo stanco.
Mosse il braccio sul materasso, capendo in un istante di essere solo. Rachel doveva essersi già svegliata.
Sentì la porta aprirsi. Credendo che Rachel fosse entrata per prendere qualcosa, Peter sbadigliò e si girò dall'altra parte. Qualcuno aprì le tende, inondando la stanza di luce. Strizzò gli occhi, dopo tutto quel buio era quasi doloroso doversi abituare alla luce del sole.
«Kane, mi dispiace svegliarti» disse John, scuotendolo. Dal tono della voce, sembrava agitato, cosa molto strana per lui, così Peter si sedette subito.
«No, ero già sveglio. Cosa sono tutti questi rumori?» gli domandò. John si grattò la testa.
«Credo che sia meglio se vieni a vedere coi tuoi occhi»

«Non ti importa nemmeno quello che ho dovuto passare per colpa tua?»
«Smettila, lo sappiamo benissimo tutti e due che non sei qui per questo» rispose lei.
«Mi hai umiliato! Tutti i miei parenti erano lì per vedermi sposato con te!»
Le grida venivano dall'ingresso. Mike, Rachel e la nonna se ne stavano davanti alla porta, puntando gli occhi su Joshua.
«Josh, abbassa la voce. Mi dispiace se ti sei sentito in imbarazzo, ma le cose cambiano, e non puoi obbligarmi a fare quello che vuoi tu»
«Senti un po', tu...» disse Joshua, avanzando un passo verso Rachel.
«Che sta succedendo qui?» si intromise Peter, camminando velocemente e mettendosi davanti a Rachel, in modo che l'uomo non potesse toccarla.
«Tu!» gridò Joshua con odio.
«Io» rispose lui, teso «C'è qualche problema?»
Anche senza vederli, sentì John al proprio fianco, e Mike dall'altra parte, pronti ad intervenire in caso di bisogno.
«Sono questioni tra me e lei» tagliò corto Joshua.
«Josh, smettila» disse Rachel.
«Lasciala in pace» gli intimò Peter, serio.
«Rachel è la mia fidanzata. Sai che significa? Che siamo prossimi al matrimonio» disse Joshua, puntando un dito contro Peter.
«Non credo proprio. Se lo fosse, adesso voi due sareste sposati» fece Peter.
«Vuoi costringermi ad usare le maniere forti? Vattene, sto parlando con Rachel»
«Fai pure, ne ho prese talmente tante nella mia vita che una volta in più non sarà un dramma» rispose Peter con calma.
Quando Joshua si avvicinò a lui, Peter non si mosse di un passo. Non si sarebbe mai tirato indietro, se quello era il prezzo per difendere Rachel.
Joshua gli tirò un pugno dritto sui denti, ma non forte come Peter si era aspettato. Con la mente vagò fino al momento in cui Wood e i suoi lo avevano riempito di botte, e capì che in confronto dover affrontare Joshua non era praticamente nulla. Erano uno contro uno, e lui non aveva paura.
«Stai indietro!» sentì Mike esclamare.
Peter lo vide accorrere in suo aiuto insieme a John, ed entrambi si posizionarono tra lui e Joshua come per fargli da scudo.
«Vuoi mandarmi contro i tuoi cani da guardia?» disse Joshua.
«No» rispose Peter «Posso benissimo cavarmela da solo»
«Ma Pete...» fece Mike.
«So quello che faccio» lo rassicurò lui.
Né Mike né John sembravano troppo convinti, ma si fecero da parte per accontentarlo.
«Tu sei fuori, Kane» commentò John.
«Peter, hanno ragione... lascia perdere, non devi dimostrare niente» si aggiunse Rachel.
Peter però non voleva sentire ragioni. Doveva farsi valere da solo, altrimenti Joshua non avrebbe mai più lasciato in pace Rachel.
«Mi dispiace che sia andata così, e lo dico sinceramente. Non augurerei nemmeno al mio peggior nemico di essere lasciato all'altare. Per questo ti chiedo scusa. Però non mi pento di quello che ho fatto» disse con calma.
«Ti pentirai di questo» fece Joshua, tirandogli un altro pugno. Non gli fece male, ma bastò a fargli perdere l'equilibrio. Quando toccò terra, Joshua gli tirò un calcio in bocca, e a quel punto Peter sentì il sapore del sangue.
«Peter!» sentì Rachel gridare.
«Sto bene» disse.
Quando Joshua si chinò su di lui per deriderlo, raccolse tutta la forza che aveva in corpo e gli assestò un calcio nello stomaco, che fu abbastanza per bloccargli il fiato. Questa volta fu Joshua a piegarsi in due con espressione sorpresa, mentre Peter si rialzava e si puliva il sangue con l'orlo della maglietta.
«Non voglio fare a botte, siamo tutti e due persone adulte e civili. Per favore, adesso vattene» disse.
Joshua gli rivolse un'espressione furente e caricò nuovamente il pugno.
«Eh no, direi che è abbastanza!» intervenne Mike, bloccando il pugno di Joshua a mezz'aria.
«Non ci si comporta così davanti ad una signora» disse poi John, avvicinandosi a sua volta.
Joshua spostò lo sguardo da uno all'altro, lasciando trasparire odio e vergogna.
«Stai sbagliando, Rachel» disse, prima di andare verso la porta.
«Sono sicura che avrei sbagliato di più se avessi sposato te» rispose lei.
«Ti pentirai di non averlo fatto quando questo moscerino si dimostrerà essere il bambino che è» disse Joshua con disprezzo.
«È mille volte più uomo di te»
Rachel sembrava molto decisa, anche se era evidentemente scossa per ciò che stava accadendo.
«Ma se avrà dodici anni!»
«Ne ha diciotto. E adesso vattene, non sei più gradito in questa casa» intimò infine la ragazza, indicandogli la porta.

Prima di uscire, Joshua si guardò intorno con rabbia, e colpì la persona che era più vicina a lui: Mike. Gli diede una spinta abbastanza forte da farlo barcollare, ma si affrettò a richiudere la porta per evitare le conseguenze.
Mentre Peter si alzava da terra, vide John correre verso la porta come una furia.
«Gli spacco la faccia a que-»
«John!» gridò, raggiungendo l'amico ed afferrandolo per i vestiti. Tutti gli altri assistevano alla scena, sconvolti, e Rachel andò svelta verso la porta, chiudendola a chiave.
«Lasciami andare Kane! Nessuno può maltrattare Mike, tranne me!» gridò John, agitandosi.
«Vuoi darti una calmata?»
«Non dirmi di stare calmo!» continuò a urlare John. Peter lo tenne per i vestiti, trascinandolo verso il salotto, e avrebbe giurato di avere visto un sorriso sul volto di Mike.
«Siediti, per favore... potreste lasciarci soli un momento?» disse, mentre la nonna portava Mike e Rachel in bagno per prendere il kit di pronto soccorso.
«Tu non capisci!» borbottò John, sedendosi sul divano.
«Non fai altro che lamentarti di Mike, si può sapere perché adesso te la prendi tanto?»
«A volte vorrei strozzarlo, ma ammazzerei chiunque provasse a fargli qualcosa»
John abbassò lo sguardo, mentre Peter lo fissava stupefatto.
«Ti prego, dimmi che non l'ho detto davvero» fece John.
«L'hai detto eccome»
«Perfetto, sono ridicolo. Mi sono rammollito per quello scemo» sussurrò John.
«Io non ti trovo per niente ridicolo»
«Se glielo dici, sarà la tua fine»

Pochi minuti dopo, Peter si trovava in bagno, sotto lo sguardo di una Rachel particolarmente preoccupata.
«Vuoi che ti porti al pronto soccorso?»
«Non è successo niente, sto bene»
«Stai sanguinando»
Mentre Peter cercava di lavare via il sangue dalla bocca, Rachel misurava la stanza a grandi passi, lamentandosi di Joshua.
Il lavandino era inondato di acqua sporca, ma come Peter aveva immaginato la natura della ferita era molto meno preoccupante di quanto era sembrata all'inizio.
«Scusami» disse Rachel, riflessa nello specchio.
«Per cosa?»
«Per averti messo in questa situazione. È tutta colpa mia»
«Ad essere precisi ho fatto tutto da solo»
«Non dovevi! Perché ti sei intestardito in quel modo?»
«Mi sembrava di avertelo già detto. Non permetterò a nessuno di toccarti, anche a costo di rimetterci un braccio»
«O un dente»
«Che fai, mi prendi in giro adesso?»
Rachel gli fece un sorriso così dolce che Peter rimase a fissarla senza più trovare le parole.
«Grazie» gli disse lei.
«Figurati. Basta che tu stia bene, il resto è un niente»
«A me importa. Fammi un po' vedere»
Rachel si avvicinò e gli passò un dito sulle labbra.
«Il taglio ha smesso di sanguinare»
«Non guardarmi così»
«Così come?»
«Con quegli occhi. Mi provochi pensieri vietati ai minori» fece lui imbarazzato.
«Qui siamo tutti maggiorenni» ridacchiò Rachel prendendolo in giro.
«Lo sai cosa voglio dire»
«Peter, sei instancabile! Non ti è bastata la notte scorsa?» rise Rachel.
«Se tu non mi provocassi continuamente, magari...»
«Cosa mi tocca sentire! Adesso è colpa mia?»
«È sempre colpa tua»
«Guarda la tua maglietta, non puoi tenerla addosso»
«Vedi? È proprio di questo che stavo parlando»
«Intendevo dire che l'hai sporcata di sangue, bisogna lavarla»
«Oh. Me n'ero quasi dimenticato»
«Toglila, ci penso io a lavarla»
«Non ci sono doppi sensi erotici in questa frase, vero?»
«Solo se vedi qualcosa di erotico nella lavatrice»

«È ora di tornare a casa, Pete» gli disse Mike, trovando un Peter intento a richiudere tutti i suoi vestiti ormai sporchi nell'unico, misero bagaglio che aveva. Erano tornati a casa di John, Rachel li aveva accompagnati in macchina e li stava aspettando per portarli all'aeroporto.
«Non sono sicuro di volerlo fare» sussurrò, sedendosi sul letto.
«Devi farlo. E basta» rispose Mike risoluto.
«Mi mancherà. Continuo a pensare che a casa per me non sia rimasto più niente, mentre qui ho Rachel»
«Potresti venire a lavorare d'estate come cameriere per la mia famiglia» disse John, che si era affacciato nella stanza in quel momento.
«Tu sì che sei d'aiuto, Johnny» disse Mike, alzando gli occhi al cielo.
«Sono venuto a parlare con Kane, c'è una cosa che devo dirgli» replicò John «In privato»
Mike uscì dalla stanza borbottando, e John si assicurò che fosse lontano prima di chiudere la porta, mentre Peter lo guardava curioso.
«Kane» disse il ragazzo. Sembrava stranamente teso.
«Che c'è, John?» chiese Peter, sbigottito nel vedere l'amico arrossire.
«Ti ricordi quando mi hai chiesto se sono mai stato innamorato?»
«Sì»
«Ecco... è stato allora che ho capito che ormai si ama solo per avere soddisfazioni» disse John, sedendosi sul letto accanto a lui.
«Soddisfazioni?»
«Sì. Si strumentalizza l'amore, ci si illude di amare solo perché così non ci si sente troppo squallidi»
«Io non la vedo così»
John si passò una mano tra i capelli, la sua frustrazione era evidente.
«Certo, per te è diverso. Tu non hai mai voluto ottenere solo il piacere. Tu provi dei veri sentimenti per Rachel. Ma la maggior parte delle persone si convince di amare solo per poter arrivare a quello»
«E tu eri così?»
«Lo ero. Poi ho capito la verità quando mi sono innamorato sul serio»
«Posso chiederti di chi ti sei innamorato?»
«Non ora, Kane. Forse un giorno te lo dirò»

«Kane, così perdiamo l'aereo!» gridò John. Mike, al suo fianco, gli diede una sonora gomitata nelle costole e borbottò qualcosa sul rispetto. Dovette funzionare, perché John si zittì e rimase a massaggiarsi le costole contrariato.
Ormai erano in aeroporto, e sebbene John fosse impaziente di andarsene da Londra, Peter si stava attardando per salutare Rachel.
«Guarda che io lo rispetto, solo non quando mi fa perdere tempo!»
Era ormai arrivato inevitabilmente il momento di salutarsi. Tra pochi minuti avrebbero passato i controlli e sarebbero andati oltre, dove Rachel non poteva seguirli.
Voleva parlarle più di ogni cosa, ma non riusciva a trovare le parole. Si limitava a tenerla per mano, senza avere il coraggio di guardarla. Nonostante lei avesse cercato di rassicurarlo in tutti i modi, adesso aveva di nuovo paura che lasciandola andare l'avrebbe persa per sempre.
«Mi mancherai» disse. Non seppe perché gli uscirono quelle parole, ma bastarono ad impressionare Rachel.
«Questo non è un addio» puntualizzò lei.
«Potresti venire con me» propose lui per la milionesima volta.
«Non ancora»
«Vorrei restare, lo farei se me lo chiedessi»
«No. Tu devi tornare a casa, studiare, diventare uno studente eccezionale e diplomarti. Allora, e solo allora, potrai fare tutto quello che vorrai» spiegò Rachel, mettendogli le mani sulle spalle.
«Posso già farlo, sono maggiorenne!»
«Purtroppo l'età è solo un numero. Ci sono cose che devi fare, esperienze che devi vivere, prima di poter dire di essere davvero libero»
Peter aprì bocca per replicare.
Rachel lo baciò, forse per impedirgli di rispondere, forse perché era da quando erano partiti di casa quella mattina che aspettava di farlo.
Non stava più cercando di ottenere nulla, sapeva che se fosse rimasto lei non avrebbe approvato.
Sentì il suo odore, e in un attimo fu riportato al giorno in cui aveva la febbre e lei gli si era avvicinata confessandogli i suoi sentimenti nella classe vuota.
Il cuore gli batteva fortissimo.
Si baciarono ancora per qualche minuto, lui non voleva lasciarla andare per nessuna ragione al mondo, ma quando sentì le grida di Mike e John che dicevano che ormai era tardi, Rachel si separò da lui.
«Chiamami appena arrivi» fece «Voglio sentirti dire che sei arrivato sano e salvo»
Peter sorrise.
«Lo farò, ma tu devi promettermi che risponderai» rispose.
«Lo prometto. E giuro anche che non sarà una separazione lunga. Tornerò indietro prima che tu possa accorgertene»
«Potresti venire con me e andartene via da Londra adesso» disse, forse per la centesima volta.
«Sai che non posso. Devo sistemare alcune cose, ma ci vedremo presto. Scrivimi. Telefonami ogni volta che vorrai»
«Vale lo stesso per te. Se avrai bisogno di me, fammi una telefonata e volerò subito qui da te»
I lamenti di John in sottofondo si fecero sempre più frequenti e rumorosi, tanto che Mike, esasperato, lo prese per un braccio e lo trascinò via, dove non poteva dare fastidio.
«Forse potrei tornare per qualche giorno questa estate, e tu venire a trovarmi» continuò Peter.
«Sì, questa è davvero una bella idea» sorrise Rachel.
Strinse più forte la mano di Rachel. Non voleva andarsene. Fecero ancora qualche passo insieme.
«Posso accompagnarvi solo fino a qui» disse lei.
Peter annuì. Pensò che se si fosse voltato a guardarla e le avesse parlato non sarebbe più voluto tornare a casa, e questo non poteva succedere.
Si lasciò baciare un'ultima volta e superò i controlli, osservandola da lontano. La seguì con lo sguardo, aspettandosi di vederla sparire dietro l'angolo, ma lei non si muoveva.
«Ti amo» sussurrò, più a se stesso che a lei, dato che non poteva sentirlo.

«Dov'è andata a finire la mia bella hostess?» fece Mike guardandosi intorno non appena salì sull'aereo.
«Si è fatta cambiare volo perché aveva paura di vederti un'altra volta» disse John divertito.
«Ti piacerebbe» sibilò Mike.
«Sì, mi piace quando le cose con le ragazze ti vanno male» rise John.
Peter allacciò la cintura e guardò fuori dal finestrino. Stava tornando a casa, lo stava facendo davvero. Dopo essere volato a Londra per impedire che Rachel si sposasse. Dopo averle promesso di dedicarsi sempre e solo a lei. Dopo aver accettato le sue condizioni e aver giurato di impegnarsi nello studio.
"Ok, forse questa promessa non riuscirò a mantenerla" pensò.
L'aereo si mise in movimento, mentre al suo fianco Mike e John iniziavano a darsi gomitate e lanciarsi cose, scalciando e gridando tanto da attirare l'attenzione della nuova hostess.
«Signori, devo chiedervi di fare silenzio» disse la donna. Mike la guardò dall'alto in basso, chiaramente speranzoso di riconoscere in lei la bella hostess a cui non aveva più smesso di pensare. Rimase deluso, perché questa non era la ragazza che gli era stata intorno per tutto il volo precedente. Al contrario, era una donna più adulta, con tanto di fede al dito.
«Non la vedrò mai più» borbottò allora Mike, sedendosi composto e lasciando perdere John.
«Perché devo essere io quello seduto in mezzo a due depressi per amore?» domandò John a quel punto. Non aveva tutti i torti: alla sua destra c'era Mike, che piagnucolava e cercava di allungare il collo per vedere se la sua hostess fosse nei dintorni, mentre alla sua sinistra c'era Peter, tutto intento a sospirare e guardare fuori dal finestrino.
«Lo dicevo io che le ragazze portano solo guai» borbottò John guardando l'orologio.
Il volo fu molto meno teso rispetto a quello di andata, perché questa volta non avevano fretta. John, stanco delle loro continue lamentele, aveva deciso di approfittarne per dormire un po', mentre Mike passava il tempo leggendo un libro che gli era stato dato dalla nonna di Rachel.
Peter invece non si era spostato di un millimetro, aveva continuato a guardare fuori per tutto il tempo, osservando mentre si faceva buio. Era seccante dover tornare a casa a quell'ora, era certo che la rabbia di sua madre fosse direttamente proporzionale al tempo che avrebbe impiegato a ripresentarsi da lei.
Finalmente, l'avviso sonoro e luminoso di allacciare le cinture per l'atterraggio lo distrasse da quello stato quasi di trance.
«John, svegliati» disse, dando un colpo all'amico, che stava dormendo con la bocca aperta.
«Siamo arrivati?» chiese lui con uno sbadiglio.
«Sì»
«Bene. Finalmente potrò dormire in un letto vero» disse l'altro sfregandosi gli occhi.
Mike ripose il libro e si sedette dritto, aspettando con impazienza che l'aereo toccasse terra. Sia Peter che John ricordarono che quello era il momento del volo che Mike odiava di più, così preferirono non disturbarlo, ma Peter non poté fare a meno di notare che la mano di John andò a stringere quella di Mike.
«Dimmi, Kane» fece John «Sei soddisfatto di com'è andato il viaggio?»
Peter annuì.
«Sì, ho fatto quello che dovevo fare. E grazie per avermi accompagnato»
«Non c'è problema, Londra mi mancava parecchio, ci abbiamo guadagnato tutti e due»
«In questo caso, mi fa piacere. E grazie davvero, senza di te saremmo ancora lì a vagare per le strade di Londra senza sapere dove andare»
«Se mai dovessi avere un'altra avventura del genere per me, chiamami pure»
«I miei mi ammazzeranno. È sicuro, mi faranno fuori appena mi vedranno» piagnucolò Mike, che teneva gli occhi chiusi per ignorare il più possibile la discesa dell'aereo.
«Mikey, su con la vita!» esclamò John, dandogli un colpo così forte da farlo sobbalzare.
«Sei morto, Johnny»

Camminò verso l'uscita dell'aeroporto, seguendo il fiume di gente che si stava dirigendo dalla stessa parte. I primi della fila stavano già varcando le porte, quelle che avrebbero simbolicamente segnato la fine di tutta quella folle avventura. Andò dietro a Mike a testa bassa, domandandosi se grazie a quel viaggio sarebbe successo qualcosa di buono nel futuro. Un grido lo fece voltare verso destra.
«Peter!»
Come aveva immaginato, sua madre era lì ad aspettarlo. Trascinando i piedi, si avvicinò a lei, che lo guardò severa.
«Mi dispiace per essere partito senza averti detto niente» le disse a bassa voce. L'aria condizionata sull'aereo gli aveva dato fastidio alla gola, ed era stanchissimo, era normale che non avesse nemmeno la forza di parlare. Lei sospirò, prendendo il misero bagaglio del figlio.
«Adesso è tardi e sembri stanco, ne parliamo domani. Aspettati una punizione severissima. Andiamo»
Superarono Mike, che stava venendo rimproverato pesantemente da entrambi i suoi genitori. Non sembrava affatto felice e teneva la testa bassa. Nonostante l'altezza, sembrava che sua madre torreggiasse su di lui, tanto si era curvato per la vergogna. John era poco lontano dai tre Walpole, e ridacchiava delle sventure di Mike mentre controllava su un tabellone gli orari degli autobus per tornare a casa.
«John, vuoi un passaggio?» gli chiese la madre di Peter, in uno slancio di generosità.
«No, grazie. Tanto a casa mia non c'è nessuno, preferisco fare con calma» rispose lui «E poi dovrò confortare Mikey dopo la punizione che prenderà... come farebbe senza di me?»
Peter lo guardò divertito.
«Mikey?»
John alzò le spalle.
«Forse è vero che gli voglio bene» disse, voltandosi a guardare Mike con un sorriso sincero.
«L'ho sempre detto» osservò Peter «Sei sicuro che non sia lui la persona di cui ti sei innamorato?»
John osservò Peter, ridacchiando.
«Kane, se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti» gli rispose, facendo l'occhiolino.

Lungo la via di casa, Peter raccontò a sua madre l'accaduto, scendendo nei particolari e spiegando le proprie ragioni. Lei era molto contrariata, ma lasciò che il figlio terminasse il racconto prima di commentare.
«Sei in grossi guai, Peter. Non potrai uscire più fino alla fine dell'anno scolastico» disse solo.
Era una punizione meno pesante di quanto Peter pensasse. Contando che per due giorni aveva fatto credere a sua madre di essere scomparso, che era andato a Londra da solo in compagnia dei suoi amici senza preavviso, che aveva rovinato un matrimonio e che aveva giurato che avrebbe vissuto una storia d'amore insieme alla sua ex professoressa, non era andata poi tanto male.
«Però sono felice di vedere che finalmente prendi delle iniziative» disse la donna all'improvviso. Lui la guardò con molta sorpresa negli occhi.
«Grazie, mamma» disse solo.
«Questo non vuol dire che io non sia ancora arrabbiata con te. Sono arrabbiatissima»
«Lo so»
In fondo, una punizione non era così male. Le cose sarebbero potute andare molto peggio. Sarebbe stato a studiare per i giorni successivi per poter superare gli esami, avrebbe chiesto aiuto a Mike e John, si sarebbe sfogato con Rachel, si sarebbero visti per tutta l'estate.
A volte le cose non sarebbero state facili, lo sapeva, ma era pronto ad affrontare il futuro con un pizzico di ottimismo in più, e niente sarebbe più stato in grado di farlo desistere dall'impegnarsi per raggiungere i suoi obiettivi.

FINE

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3841682