Inked Love - Amore d'Inchiostro.

di ArchiviandoSogni_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Admiring you in secret. ***
Capitolo 2: *** Listen to your Heart. ***
Capitolo 3: *** NEWS ***



Capitolo 1
*** Admiring you in secret. ***


Cap 1


Molto spesso, ci sono solo bivi che si incontrano, creando strade principali immense, affollate e ricche di vita.
Nasce così l'amore, con strane scorciatoie ed insolite discese.



 




Benvenuti nel mio Sogno






Admiring you in secret

























Osservavo ormai, da una decina di minuti, quella dolce e lenta caduta di foglie. L’arancione era il colore predominante che si confondeva facilmente con il grigio scuro del cielo novembrino.
Io ero sempre lì : nell’aula di disegno a scarabocchiare, mentre il professore spiegava la bellezza delle curve, delle linee sottili e del contorno pulito.
Non potevo fare a meno di lasciare la mente a briglia sciolta ed abbassare lo sguardo verso la finestra a me vicina.
Era lì.
Sempre e perennemente lì disteso sull’erba.
Non importava il susseguirsi delle stagioni e tanto meno delle condizioni climatiche ostili. Da Luglio a Dicembre, da Gennaio a Giugno, lui era sempre lì; nel grande prato del campus sotto l’unico Salice Piangente.
Sorrisi per l’ironia di quella scelta. Il Salice che aveva una figura così elegante e curvilinea, con rami leggeri e facilmente accarezzabili dal vento : era in realtà un simbolo di disperazione.
Disperazione.
Quel ragazzo sembrava la personificazione umana più perfetta e fedele di quel folle sentimento. Quegli occhi verdi glaciali si confondevano facilmente con le conifere invernali e quei capelli castano scuro, ricordavano la terra più nascosta dai raggi solari nei sottoboschi più lascivi.
Quella accoppiata di agghiacciante bellezza perdeva, però, la sua freddezza originaria quando si leggeva la disperazione di quello sguardo; quell’ombra perenne che non lo abbandonava mai. Ancora più sconcertanti erano quelle labbra che stonavano con la compostezza e la calma che lui ostentava pubblicamente.
Emanavano passione e desiderio. Si muovevano veloci per parlare e rimanevano immobili nei pochi sorrisi che soleva fare.
Sbuffai quando rividi cosa era comparso tra i miei appunti perennemente disordinati.
Joe.
Sempre e solo quel nome che sarebbe rimasto tale, per me.
Non potevo conoscere la persona che si nascondeva dietro di esso, semplicemente perché lui non me lo permetteva.
Lui voleva il meglio intorno a sé. Anche le donne rientravano in quella scelta.

La campana suonò e fece terminare il mio adorato corso pomeridiano.
In fondo, nonostante non ascoltassi molto la teoria, ero brava nella pratica.
Mr. Smith mi considerava il vero talento del club artistico, ma io liquidavo sempre gentilmente quell’appellativo. Non volevo avere nessun tipo di privilegio rispetto agli altri solo perché sapevo fare qualche disegno più realistico o linee più precise. E nonostante la mia timidezza, ero sempre stata una persona limpida e corretta verso tutti, senza vantarmi o atteggiandomi.

Scossi così la testa, uscendo non solo mentalmente dai miei pensieri, ma anche fisicamente dal grande edificio.
Trovai subito ad aspettarmi la mia migliore amica Catherine, preferibilmente conosciuta come Cat, che non smetteva di agitare le mani per farsi vedere. Cercai di nascondere l’imbarazzo e la raggiunsi raggiante.
“Hi, Honey. Disegnato abbastanza?”
Presi tra le mani la lattina di Coca Cola che lei mi porse, sorseggiando avidamente il suo contenuto.
“Neanche un po’, sinceramente. Mr. Smith non la smetteva più di elogiare l’armonia delle curve e l’amore sconfinato verso il disegno artistico a dispetto di quello tecnico.”
“Interessante. Sai che non ho capito niente di quello che hai detto?” Scosse così l’enorme chioma rossiccia, fingendo tristezza.
“Diciamo che l’intelligenza non è una delle tue qualità, ma ti voglio bene lo stesso.”
Mi colpì con una bella gomitata nel fianco, ma io riuscii a non cadere rovinosamente sul prato.
“Cat! Dai come sei suscettibile oggi! Litigato con il capo, per caso?”
L’occhiata glaciale che ricevetti mi fece arretrare leggermente.
“Ci sei andata a letto ancora? Ti prego, dimmi di no!”
Non cambiava mai, dannazione. Io l’adoravo, era il mio guru personale, per molti aspetti, ma non condividevo molto la sua visione dell’Amore.
Semplicemente io volevo sempre il cuore di chi possedevo, lei si accontentava del corpo.
Diceva sempre che l’Amore era solamente un modo per giustificare il bisogno fisico.
Erano abbastanza ovvie le litigate che susseguivano quei commenti.
Io sono sempre stata un’inguaribile romantica che vedeva perennemente un risvolto dolce e zuccheroso in ogni singola cosa.
L’amore per me era come nei film d’animazione firmati Walt Disney. Principe azzurro sul suo amato destriero bianco, fate che ti combinano appuntamenti lampo con il più bello del reame, oppure simpatici nani che ti veneravano come loro regina, solamente per cucinare e pulire un casa di dimensioni assai ristrette. In fin dei conti, sapevo che era abbastanza infantile avere una considerazione del genere di un sentimento così profondo, ma sognare non aveva mai fatto del male a nessuno. E io ero molto brava a farlo.
“Si e non incominciare con i tuoi soliti principi moralistici del cazzo. Oggi non li tollero molto, ti avverto.”
La tirai per una mano, per farla girare verso di me.
“Quando la smetterai di ferirti da sola? Quando la smetterai di capire che, amare non è sbagliato e non preclude per forza il lato fisico?”
I suoi occhi azzurri mi sfiorarono appena, perché si muovevano troppo velocemente per poter guardare realmente qualcosa o qualcuno.
“Fa male, Han. Terribilmente male. Non riuscirò più ad innamorarmi.. Tanto vale divertirmi finché posso.”
Notai il luccichio tenuto fieramente sotto controllo e capii cosa fosse successo.
Si era innamorata di nuovo dell’uomo sbagliato.
La sua bellezza disarmante le assicurava sempre un’ottima fila di ammiratori, ma purtroppo poteva essere drasticamente dimezzato il numero di chi era interessato davvero ad amarla.
La presi per mano, perché sapevo che non voleva essere abbracciata in pubblico.
Intrecciamo le dita e l’accompagnai con dolcezza alla caffetteria del campus, mentre con la coda dell’occhio, mi accorsi della presenza di Joe in lontananza sul prato. Ma non mi girai a verificare con cura, perché la mano calda di Cat, in quel momento, era dannatamente fredda.
E faceva male da morire non poterla aiutare.

***

“Ci voleva questa cioccolata. Oggi ero veramente in fase depressiva. Grazie, Han. Scusa per l’ennesima sceneggiata.”
Il clima si era alleggerito ed anch’io avevo ripreso il mio buon umore. Purtroppo ero metereopatica e l’inverno mi faceva incupire terribilmente.
Vedere la me stessa del mese di Agosto a confronto con quella di Novembre, era decisamente sconcertante.
“Figurati, sai che adoro fare la tua personale psicanalista. Cambiando argomento… Sai che sono totalmente fottuta?” La fissai più del dovuto, per assorbire in qualche modo, la sicurezza che negli anni avevano reso la mia amica, la donna più forte che io avessi mai conosciuto.
“Perché?”
Sospirai impercettibilmente.“Lo sai della festa di Judith, no?”
Soppesò un attimo la mia frase, rubando un’altra sorsata di cioccolata dalla sua tazza.
“Quella del club letterario?”
“No! Fa con me il corso di disegno. Dai.. Quella biondissima, occhi da favola blu cobalto e tipica parvenza tedesca. L’amica di Marilyn, ricordi?”
“Ah sì.. Quella simpaticona che si fa mezzo campus. Certo, ricordo.”
Sorrisi mentre giocherellavo con una ciocca dei miei lunghi capelli. “ Sei sempre la solita. Dai è simpatica! Se solo tu la conoscessi, cambieresti idea.”
“Se solo mia nonna avesse avuto le ruote l’avrei chiamata nonna cariola. Ma che cazzate dici? Non faccio amicizia con la concorrenza.”
Risi di gusto mentre osservavo la sua faccia disgustata.
“Tornando serie, sono nel panico più totale. Sai quanto io sia un tipo poco incline a quel tipo di feste. Hai presente il telefilm The O.C ? Togli la California e aggiungici solamente una marea di belli da far paura. Hai capito in che razza di posto dovrei andare? Sono praticamente nella merda.”
Sottolineai l’ultima parola con enfasi disarmante, tanto che Cat scoppiò a ridermi in faccia.
“ NON CI CREDO!” Cominciò a sbattere le mani sul tavolo, continuando a ridere.
”TU CHE VAI A DIVERTIRTI SUL SERIO? LA FINE DEL MONDO È SEMPRE PIÙ VICINA!”
Grazie alla sua voce soave quasi tutti i presenti si voltarono verso di noi. Evitai di nascondermi, perché così avrei incrementato l’imbarazzo. Ma un bel calcio, sulle sue ballerine scamosciate, le diede la giusta ricompensa.
“Aia! Ma sei fuori?”
“Evita di urlare i miei problemi sociali ai quattro venti e io la smetterò di torturare i tuoi piedoni da clown.”
“Colpo basso, Hanna.”
“Mmm.” Non le risposi, perché la cioccolata mi aveva riportata sulla retta via.
“Hai ragione, comunque. Non sei pronta per un party di quel tipo.”
“Vedi che quando ragioni dici cose intelligenti?”
“Domani mattina ricordami di metterti un topo dentro al letto. Vediamo quanto ammirerai la mia intelligenza.”
Le risposi con una linguaccia e mi alzai per andare a pagare la mia consumazione.

Uscita dal locale il vento mi investì dolcemente, facendomi così sollevare di riflesso la giacca fino alle guance.
“Potresti semplicemente non andarci, no?”
Cat mi affiancò velocemente. Avere un metro di gambe ti permetteva di ricoprire facilmente la distanza di chi invece, aveva forse un solo metro d’altezza.
Scherzo dai.
Al metro e sessanta ci arrivavo tutta.
Forse.
“Non posso, dai. Ho già accettato senza pensarci. Era così entusiasta che non ho potuto dirle di no. In fondo è sempre stata gentile con me e siamo ottime amiche da due anni ormai. Ho solo bisogno di un bel vestito, un trucco discreto e uno dei miei migliori sorrisi. Non è necessario che io mi dia alla pazza gioia, sessualmente parlando.”
“Quei party sono fatti essenzialmente per QUEL tipo di approccio, Han. Sono delle orge dichiarate, consacrate e affermate da secoli. Dai, rinuncia e andiamo a farci una bella birra insieme da Lucas.”
Per quanto l’idea fosse allettante, dovevo rispettare la parola data. Ero abbastanza fiscale da quel punto di vista. E avevo la fama di essere una “donna con i cosiddetti d’acciaio, con tanto orgoglio e una buona parolina per tutti.”. Per cui, non potevo semplicemente rifiutare; finivo per perdere credibilità e non volevo farlo.
Me stessa era l’unica cosa a cui tenevo davvero.
“Beh nessuno mi costringerà a fare niente. Sai quanto io sia brava nell’autodifesa sia verbale che fisica..”
Oltrepassammo la libreria in cui lavoravo da un anno ormai, per poi immetterci nelle vie laterali ricche di boutique a prezzi stracciati.
“Altro che se lo so. Mi ricordo ancora quando a 13 anni, in campeggio, dormivamo nella stessa tenda. Terribile esperienza. Sono tornata a casa con una quantità di lividi talmente alta che mia madre voleva chiamare Save The Children!”

Ridemmo come due sceme ricordandoci della nostra infanzia spensierata e felice.
Non che ora fossimo tristi. Solamente che la crescita aveva un perenne sapore dolceamaro che lasciava sempre tanti Se e tanti Ma anche nei momenti di felicità assoluta.
“Guardiamo qua dentro. Di solito ci sono tanti vestiti deliziosi!”
Trascinandomi dentro provai una seria compassione per la commessa che di lì a poco avrebbe dovuto sopportare ogni nostra piccola e gentile richiesta.

***

Ero distesa sul mio letto da un’ora con l’Ipod che trasmetteva il sottofondo ideale per lo scorrere dei miei pensieri.
Era usuale per me confinarmi nel mio mondo, perché non mi sentivo mai a disagio. Non dovevo ricoprire i silenzi imbarazzanti, perché semplicemente non esistevano. Non dovevo stare simpatica a tutti, perché la sola persona con cui dovevo relazionarmi era : me stessa.
Egoisticamente parlando, non era una cosa malvagia rimanere nella propria solitudine, però sapevo che abusarne fosse sbagliato. Bisognava confrontarsi, parlare e crescere con gli altri. Solo che mi ritrovavo molto spesso stanca di tutto quel sistema che mi circondava e mi teneva in catene. Catene di cui non avevo mai avuto la chiave.
Il mio unico diversivo era diventato il sogno perché, per quello, non ho mai avuto bisogno di niente, oltre che la mia infinita immaginazione.
Sbuffai sistemandomi meglio sul cuscino. Quelle giornate erano tutte uguali, alla fine. Scuola, corsi aggiuntivi e dormitorio. Vedevo scorrere la mia vita tra le mani, ma era come se fossi stata sempre indietro di un secondo da tutto. Un secondo da afferrare quel misero brandello di minuti, mesi ed anni.
Non erano mai completamente pieni. Quegli attimi che caratterizzavano il mio passato, erano giorni a metà; mattine sprecate e serate distruttive. Ero il risultato di un’adolescenza talmente banale da sembrare recitata malamente da un attore di serie b.
Eppure mi sono sempre sentita diversa, io ero diversa. Ma in fondo è un pensiero comune a molti. Vogliamo diversificarci perché essere la copia di qualcun’altro fa paura.
Fa paura stare in mezzo ad una folla e non capire chi sei.

Abbandonai le cuffie in preda ad una crisi di nervi.
Mi innervosivano continuamente quei pensieri stupidi.
Dovevo semplicemente cogliere l’attimo. Dovevo buttarmi in qualche amore impossibile come Cat, oppure trovare qualcosa per cui valeva la pena passare quegli attimi mezzi vuoti.
Qualcosa che mi riempiva fino all’orlo di me stessa, quel qualcosa che mi spegneva il cervello e iniettava sangue puro al mio cuore arrugginito.

Dopo pochi minuti, dei rumori soffocati provenienti dal corridoio, mi deconcentrarono dai miei discorsi interiori.
Non era strano sentire qualche coppia che si imboscava nelle camere per darsi alla pazza gioia e molte volte nemmeno arrivavano nel luogo prestabilito.
I corridoi erano sempre da evitare o da percorrere velocemente per evitare occhiate velenose o insulti gratuiti.
Ah, l’Amore.
Come riuscivo a crederci ancora?
Intanto quei rumori continuavano a farsi sempre piùù forti ed assordanti, facendomi incuriosire più del dovuto.
“Ah.. Joe.”
Rendendomi conto di cosa stesse davvero succedendo, corsi verso la porta e socchiudendola leggermente, mi misi a sbirciare come una vecchietta di paese.
Ed eccolo lì.
Joe con una bella bionda che si salutavano allegramente contro la porta della fortunata.
Doveva chiamarsi Lorelai ed era una delle solite ragazze facili che tanto detestavo e che gli uomini invece adoravano.
Beh, adoravano per una notte e via; però avevano comunque sempre qualcuno intorno che li alleviava la giornata.
Joe la schiacciava, come una belva faceva contro la propria vittima. La divorava con le labbra che passavano con voracità dal viso di lei al suo lungo collo diafano e ricco di fondotinta.
Storsi il naso al solo pensiero, ma non riuscii a staccarmi da quella vista. Non tanto perché ero sempre stata un’impicciona a livelli planetari, no. Ero attratta dai movimenti sinuosi, ma allo stesso tempo brutali, di Joe.
Si muoveva come in una lenta danza che precludeva una morte finale della vittima. Una dolce e violenta morte di passione.
Quei jeans stropicciati e il giubbino nero in pelle, continuavano a muoversi velocemente anche quando lui si fermò per guardare Lorelai negli occhi. Ecco che sarebbero passati velocemente in camera per concludere la loro patetica danza.
Sbuffai silenziosamente e iniziando a chiudermi la porta alle spalle. La mia intenzione però non fu tale, perché non riuscivo a chiudere quella maledetta porta.
Voltai lentamente la testa verso la maniglia, ma non vidi niente che le impediva di muoversi. Spostando poi lo sguardo verso lo stipite, scorsi delle dita ricche di anelli che tenevano leggermente la porta aperta.
Non feci in tempo a collegare i miei pensieri alle mie azioni e ritrovai la mia porta aperta con due occhi glaciali inchiodati ai miei.

“Cosa ti disturba, signorinella?”
Joe mi fissava con espressione fredda e allo stesso tempo ironica.
Cavolo, ero stata beccata senza essermene resa conto. Sempre la solita sfiga.
“Evito di essere scortese, perché sono abbastanza gentile di natura. Mi infastidiva leggermente il brusio e i rumori che provenivano dal corridoio. Niente di che.”
Per fortuna la mia solita facciata da dura mi aiutava in momenti come quello. Se l’interlocutore avesse avuto la possibilità di leggermi nella mente, si sarebbe fatto davvero una grossa risata.
Joe alzò un sopracciglio fingendo poi una sorriso divertito.
“Pensa un po’! A me non infastidiva per niente. Sei per caso gelosa, verginella? Hai bisogno di divertirti anche tu con me?”
Brutto bastardo.
Per fortuna che avevo avuto il dono dell’intelligenza.
“Oh, come hai fatto a capirlo? Cavolo, purtroppo ho finito i soldi per questo mese.. Fai anche prestazioni gratuite alle verginelle?”
Avrei voluto marcare di più l’ultima parola, ma la mia attenzione si era focalizzata sullo stupore che si era instaurato in quello sguardo glaciale.
“Niente male come insulto. Per essere una verginella sei molto divertente. Potrei farci un pensierino..”
Ma il nostro minidialogo venne prontamente interrotto. “Hey Joe? Dove sei?”
Lorelai spuntò fuori dalla sua camera con addosso solamente un accappatoio rosa confetto. Mi innervosii leggermente, ma evitai di abbassare lo sguardo.
In fondo non ero io quella che se ne stava in giro ad amoreggiare per luoghi pubblici.
“Certo, Sweetie. Sono qui.”
Mi dedicò un ultimo sguardo, scrutandomi dall’altro in basso e abbandonò la mia porta per addentrarne un’altra con indubbia preferenza.
Ero accalorata e nervosa.
Chiusi con troppa forza la porta e mi accasciai lungo di essa, stremata.
Era una decisamente demoralizzante come primo approccio, senza dubbio. Mi aveva derisa e completamente snobbata.
Ovviamente, io ero troppo poco per il grande Joseph Matthew Davis che faceva tanto l’alternativo, ma che non era molto diverso dagli altri figli di papà del college.
Voleva solo belle tette e niente legami futuri.
Ma io non potevo certamente annullarmi per piacere a lui ed avere così la possibilità di essere il suo amore di una notte.
Io volevo il suo cuore e la sua fiducia.
Spostai le mani sulla moquette porpora, ritrovandomi a tastare un pezzetto di carta arrotolata. Probabilmente l'aveva lasciato cadere in un mio momento di distrazione, cercando di non farsi scoprire. Lo presi velocemente e strabuzzai gli occhi leggendo il suo contenuto .

Chiamami **********
                          Joe

Dopo pochi minuti ricchi di speranza e felicità, il mio volto si addombrò. Quel bigliettino era sicuramente uno degli innumerevoli che aveva sempre con sé. Non era personale, non cercava veramente me.
Voleva semplicemente la sua prossima vittima e io non lo sarei mai stata.
Io ero diversa.
Io ero la scelta non l’alternativa.



_____________________


Salve a tutti voi :)
E’ la prima volta che pubblico qui un’originale quindi siate clementi, per favore!
Non ho molto da dire, è solo un capitolo introduttivo. Spero vi sia piaciuto e non mi dispiacerebbe ricevere già dei vostri commenti, anche negativi :)

Se volete conoscermi o leggere le altre mie storie, questo è il mio gruppo su facebook.

Ora vi saluto e vi auguro un buon inizio di settimana.

A presto <3


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Capitolo 2
*** Listen to your Heart. ***


Cap 2.
 

Listen to your Heart







 






Qualcosa non andava.
Passavano i giorni eppure mi sentivo continuamente sotto controllo, come se qualcuno mi stesse osservando con estrema accuratezza.

Ma ovviamente, distratta com’ ero, non avevo mai dato realmente peso a quella mia continua ansia.

Ansia di essere osservata da tutti e derisa.

Non so bene perché, forse per un’infanzia ricca di battutine sulla mia vecchia forma fisica o anonima bellezza. Ho passato così la mia adolescenza e le ferite non si sono mai del tutto rimarginate.
Sono ancora là che a volte pulsano e fanno male per ricordarmi cosa ero e cosa sono ora.
Pur avendo gli occhi di un anonimo nocciola chiaro e i capelli di un castano molto luminoso, non ho mai avuto una bellezza che sbalordisce a primo impatto. Fisico normale, forme giuste ed un viso che apparentemente sembrava perfetto. Niente segni giovanili, niente pelle rovinata. Eppure non mi curavo maniacalmente, addirittura mi truccavo poco.

In pratica ero una ragazza come tante altre, con i soliti pregi e difetti. Per questo non potevo contare solamente sull’apparenza per conquistare l’attenzione delle persone.

Soprattutto di una.

A me, in quel momento, interessava solo essere considerata da Joe.

Sfortunatamente però, dopo il burrascoso incontro di poche sere prima, avevo rovinato ogni possibilità di piacergli.
Piacergli davvero, non solo per una notte e via.
Volevo innamorarmi di lui ma spiegarlo a parole, non era mai stato facile per me.
Infatti disegnavo, da sempre. Mi esprimevo disegnando perché faceva meno paura e meno male. Dopo tutto , se non ottenevo ciò che imprimevo su carta, potevo accartocciare il foglio e gettarlo via semplicemente.
Ma le parole dette, sono difficili da dimenticare e non si possono semplicemente cancellare dalla memoria.

In quel momento, nella grande e silenziosa biblioteca, avevo ripreso il tanto e amato blocco da disegno e stavo disegnando con molta cura il profilo di quel ragazzo che tanto mi aveva stregata qualche mese prima.

Come mai? Perché lui?
Me lo chiedevo ogni giorno, ma non c’era una risposta sensata. Non si può scegliere di chi innamorarsi, ad un certo punto ti ci trovi in ballo e non puoi far altro che entrare in pista e lasciarti trasportare dalla musica. Oppure puoi osservare la tua opportunità scemare con anche il tuo interesse.

Non era nuovo per me, comunque. Con gli altri miei ex era stato solo per fortuna, o meglio per altrui volontà. Io non mi sono mai innamorata, erano gli altri a farlo per me.
Mi capitava di apparire attraente per una piccola percentuale di uomini, loro semplicemente si presentavano a me ed io accettavo.

Perché lo facevo?

Purtroppo non ho mai trovato nemmeno questa risposta. Mi dispiaceva dire un semplice No e poi pensavo semplicemente che tutto faceva esperienza e che ogni lasciata era persa.

Ripensandoci, ero cambiata molto in quegli anni. Avevo ormai 22 anni eppure mi sentivo molto più vecchia e molto più matura.
Avevo semplicemente smesso di uscire con un ragazzo per gentilezza o per fare esperienza.
Avevo smesso di idealizzarli e pensare che ogni ragazzo potesse diventare un ipotetico principe azzurro anche se non mi piacevano davvero.

Così mi ritrovavo in quell’ambiente a me familiare e invece di pensare a prepararmi a dovere per l’imminente esame di letteratura, distruggevo il mio unico neurone per colpa di quel ragazzo che mi aveva destabilizzato l’intero equilibrio creato da una vita.

Mentre ripassavo gli occhi con il carboncino, non potevo non essere così pensierosa. Quegli occhi stessi erano perennemente velati da pensieri probabilmente infelici.
Quanto avrei voluto vederli sorridere. Quanto avrei voluto essere io a farli illuminare di vita.

Ma purtroppo non sono mai stata un eroina da fumetti Marvel e tanto meno una crocerossina pronta a soccorrere tutti.

Lascia velocemente il carboncino per cercare una penna nella borsa. Avevo in mente delle frasi da imprimere vicino a quel disegno. Ero usuale farlo. Oltre a disegnare ciò che vedevo o provavo, scrivevo per completare questo mio strano modo di comunicare. Il disegno era il corpo e la scrittura l’anima. Uno strano mix che a volte, come quella, mi richiedeva molto tempo e decisamente altrettanta energia.
Concluso quel mini paragrafo; chiusi stremata il blocco, massaggiandomi poi le tempie energicamente.

Non potevo continuare di quel passo, dovevo muovermi a fare qualcosa.
Forse l’idea di dichiararmi non era poi così male. Solo che avevo paura.

Non potevo semplicemente mostrargli un disegno e usarlo come tacita dichiarazione?

Improvvisamente una mano si posò vicino alla mia, derubandomi del mio fedele amico.
Non ci voleva mica un genio per capire chi fosse.
Spostai lo sguardo senza posarlo su nulla in particolare, semplicemente evitavo di guardare verso la sua direzione.

“Vedo che le verginelle sono anche delle assidue studiose. Sai che sei proprio triste?”

Perché io invece di odiarlo, in quel momento non volevo fare niente se non sfioragli la mano con la mia?
Alzai poi lo sguardo vedendolo ghignare per la sua finta ironia. Percepivo che voleva solo provocarmi e farmi fare una figura pessima nel mio luogo sacro, nel mio tempio di pensieri e riflessioni.

“Per lo meno evito di essere patetica; Verginella ma non stupida. Mi spiace Joseph.”
Abbandonai così il mio intento di studiare e mi diressi fuori dall’edificio.
Ci vollero diversi pesanti secondi prima che sentissi il ragazzo raggiungermi, senza correre, ma incalzando un passo dietro l’altro come se fossi io quella a dover aspettare lui.
Stavo cominciando a ricredermi. Io odiavo quel tipo di persone, odiavo chi si atteggiava come se fosse un Dio dell’Olimpio. Eppure, diamine. Lui non lo odiavo, non riuscivo.
L’odio prima di arrivare nei miei sensi, si trasformava in pura adorazione.

“Ottima uscita di scena, non posso non concederti una piccola vittoria. Eppure l’altra sera mi sembravi così dispiaciuta che non fossi tu la donna tra le mia braccia.. Sono qui per rimediare.”

Mi aveva affiancato, sventolando in continuazione il mio piccolo tesoro.

Non si rendeva conto cosa rappresentasse per me quel blocco? Eppure non mi spiegavo la mia continua voglia di farmi del male.

Perché mi ero così fissata su di lui?

“Senti.” Mi fermai per guardarlo meglio in viso. “ Non sono dell’umore giusto per fare la simpatica con te. Restituiscimi il mio blocco e facciamola finita.”
Mi guardò forse per la prima volta. Posò il suo sguardo in maniera diversa dal solito. Non c’era accusa, né rabbia o semplicemente malizia.
“Perché dovrei? Credo che tu sia diventata il mio nuovo giocattolo. Che ne dici? Andiamo in camera mia?”
Sorrisi sfacciatamente perché era facile mascherare l’amarezza che mi stava crescendo nel petto.
“Smettila. Restituiscimi ciò che mi appartiene e lasciami in pace.” Mi allungai sulle punte dei piedi per arrivare a prendere il libro, lui lo spostò volutamente da una parte all’altra per evitare che io lo recuperassi.
“No, no, no; dolcezza! Credo proprio che me lo terrò io, ho visto prima che espressione avevi quando ci scrivevi dentro. Ho per caso preso il tuo piccolo diario segreto?”

Mi si gelò il sangue.
Voleva vedermi arrabbiata? Voleva sentirsi insultare?

“Senti : Vaffanculo.”

Si, lo dissi davvero e me ne andai senza troppi giri di parole.
Lo lascia li, nel cortile dell’università che divideva il dormitorio dal plesso universitario.
Mi sentivo così contraddittoria, Dio. Sentivo che ogni mia idea non era per niente supportata a dovere.

Joe mi piaceva, altro che se mi piaceva.
Adoravo il suo sguardo perennemente misterioso e in qualche modo triste.
Adoravo le sue labbra così visibilmente morbide e non potevo far a meno di ammirare quel fisico da modello mancato.

Ma mi stavo rendendo conto che era solo il lato fisico che mi attraeva. Appena mi ci ritrovavo di fronte, smettevo di vederlo con quegli occhi a cuoricino da perenne adolescente in crisi ormonale.
Iniziavo a capire che forse non era un innamoramento platonico il mio, era pura e semplice attrazione.
Ma era così forte quel legame che avevo creato da sola, così dannatamente reale ai miei occhi.
La semplice attrazione era in grado di far nascere tutte quelle sensazioni che sguazzavano allegramente nel mio cervello incasinato?

Sbuffai come solevo fare,mentre ritornavo nella mia camera al dormitorio.
Per fortuna Cat era ancora al lavoro e non dovevo subirmi un suo spietato interrogatorio con tanto di sentenza finale.
Mi avrebbe dato della rincoglionita, decerebrata e senza spina dorsale.
Eppure non ero così prima, nessun ragazzo mi aveva mai ridotta così.

Accesi lo stereo lasciando come sottofondo Ironic di Alanis Morisette. Si era davvero tutto ironico. Guardandomi allo specchio, stentavo a riconoscere quel rossore sulle guance. Ero ancora totalmente in collera con me stessa per non avergli risposto a dovere. Però, sorrisi nel pensarlo, la vecchia me non si sarebbe fatta molti problemi.
Molti insulti e magari anche schiaffi.
Ero davvero tremenda una volta; una piccola Gangster.
Dopo il periodo infantile ricco di frecciatine sul mio fisico; con l’arrivo dello sviluppo, cambiai radicalmente. Non solo il fisico si formò e diventò molto più femminile ed attraente, anche il carattere schivo e timido si trasformò in ribelle ed esuberante. Avevo così ottenuto tante piccole vendette e vittorie verso coloro che si erano approfittati della mia precedente innocente bontà. Poi, finita anche la fase adolescenziale, venne finalmente plasmata la me stessa di oggi. Esuberante e colloquiale con gli amici, schiva e timida con gli sconosciuti. Un mix un po’ strambo ma per il momento abbastanza funzionale.

Mi legai in una coda alta i capelli castano chiari, per poter essere più libera. Infilai dei pantaloni della tuta ed una maglietta larga per distendermi poi sul grande letto. Era davvero strano quanto preferissi starmene per i fatti miei invece che mescolarmi alla moltitudine di ragazzi dell’università.

Effettivamente non dovevo nemmeno accettare di andare a quella festa. Quella sera sarei stata tutto il tempo a disagio, senza subbio. Mi sarei chiusa in me stessa e aspettato invano il taglio della torta, per poter terminare quell’insopportabile tortura.
Nessuno ovviamente mi obbligava, ma avevo radicato dentro di me un profondo senso del dovere. Non era perché gli altri si comportavano male con me io dovevo farlo di conseguenza.
Ah, brutta cosa la consapevolezza. Avrei voluto ostentare meno maturità a volte, per utilizzare l’ignoranza come scudo protettivo.

La musica sovrastava tutto ed anche i miei pensieri così turbolenti lasciarono spazio alla progressiva calma che si insinuò tramite quel dolce suono di chitarra e dall’energica voce della Morisette.
Mi ritrovai distesa sul mio letto a cantare a squarcia gola, urlando più del dovuto ed estraniando il dolore che mi riempiva il cuore.

La vita era stata molto crudele con me rendendomi una ragazza perennemente insoddisfatta di quello che facevo e con pochi sogni da realizzare . Forse era solamente uno il più grande, il più nascosto e il più agognato : diventare una disegnatrice.

Lo sentivo, sentivo quando prendevo la matita in mano che le figure prendevano possesso della carta con estrema naturalezza. Sembravo quasi posseduta dalla voglia compulsiva di esprimere ciò che a parole non mi era mai stato possibile fare . Volevo essere me stessa senza girare lo sguardo o esibire parole crude come difesa personale.
Volevo far vedere al mondo che Hanna, era molto di più che una ragazza pensierosa e sempre seria.
Era divertente, era libera, era spontanea, era anticonformista.

Volevo sventolarglielo in faccia con sfacciataggine.
Soprattutto a loro, i miei genitori.
Scappai di casa pur di non dovere più sopportare i loro continui litigi e le loro idee bigotte.
Per loro, dovevo diventare un’abile dottoressa, come tutte le femmine della mia famiglia da generazioni. Come mia madre. Quel diavolo dal viso angelico, quella donna bellissima che aveva sempre cercato di rendermi come lei.
Snob, bigotta, falsa, montata.
Ma l’ho sempre ignorata e i risultati sono stati i seguenti : fuori di casa dall’età di 18 anni.
Per fortuna avevo trovato un università adatta a me e beh.. Anche un alloggio all’interno compreso nella rata. Ironia della sorte, dopo pochi mesi, i miei amati genitori erano ritornati sui loro passi pregandomi di ritornare a casa. Gli ignorai completamente e avevo così preferito dare ripetizioni a qualche studente e lavorare nella libreria in centro per pagarmi tutto.
Matite, acquarelli, tempere, pennelli e libri.
Compravo anche molto altro, ma principalmente l’arte era nei miei bisogni primari.
Sentivo che un rosso accesso di un colore ad olio mi comprendeva più di un suntuoso completo di Victoria’s Secret; non che detestassi comunque concedermi uno dei suoi deliziosi completino ogni tanto.

E mentre la canzone cambiava e le prima note di Listen to your heart si diffondevano con estrema lentezza nella stanza, qualcuno bussò.

Leggermente infastidita mi alzai, ma appena ritrovai quegli occhi velati di infinita tristezza a guardarmi, ogni mio singolo movimento si congelò ed anche l’arrabbiatura precedente svanì come sabbia nel vento.

“Joe?”
“Hanna.”

Aveva letto il mio blocco, dannazione. Ora non solo sapeva il mio nome, ma conosceva i miei segreti più nascosti, la paure più terribili e le passioni più folgoranti. Per questo odiavo che la gente si intromettesse nella mia vita.
E quel quaderno, per me, era una parte stessa della mia anima. Era tutto ciò che le parole non sono mai riuscite a dire, che i gesti semplicemente banalizzavano.
E quelle frasi, concetti, riflessioni che appuntavo insieme ai disegni; creavano ciò che per anni ho definito il mio unico modo di sopravvivere.

Io sopravvivevo con la carta che mi nascondeva e l’inchiostro che comunicava per me.
Ma in quel momento, in quell’istante; tutta quella certezza vacillava.
Perché mi continuava a guardare senza colmare quel muto silenzio?
Perché semplicemente non mi lasciava il quaderno tra le mani e non spariva dalla mia vista già contaminata dall’imbarazzo?

Non parlavo nemmeno io, a dirla tutta. La vergogna mi ostruiva i polmoni e l’aria faticava a seguire il suo normale compito. Per questo ad un tratto indietreggiai fino a sedermi ai piedi del mio letto.

“L’hai letto?”

Sentii la porta chiudersi e pochi secondi dopo un leggero movimento del materasso mi fece capire che si era seduto accanto a me.

Listen to your heart urlava la cantante della canzone, ma io avevo paura di seguire quel consiglio indiretto. Non potevo ascoltare semplicemente il mio cuore perché in quel momento avrei voluto approfittare della situazione. Farmi avanti, fargli capire cosa provavo davvero.
Ma ero una codarda, avevo paura dei miei stessi desideri.

“Sì.”
“Uomo di tante parole. Posso riavere indietro ciò che mi appartiene?”

Sulle mie ginocchia si appoggiò con delicatezza il mio amato quaderno e il sollievo che aspettavo mi colpisse; non arrivò.

La tensione, l’inquietudine e la vergogna, pulsavano terribilmente partendo dalle mie tempie fino ai polsi. Il sangue stesso ribolliva per la pressione emotiva a cui mi ero auto esposta.

“Senti, penso che tu ti sia fatta un’idea sbagliata di me.”

Bang. Primo colpo al ventricolo destro.

“Nessuno ti ha dato il diritto di leggere e di vedere ciò che c’è in questo quaderno. Non mi interessa se ho un’ idea sbagliata e stereotipata di te.”

Sentii una mano scivolare sul mio braccio finché il mio viso, voltandosi , si ritrovò a pochi centimetri da quello di Joe.

“Odio le ragazzine come te. Quelle che stanno al loro posto, sedute ad aspettare che la fortuna le baci e il principe azzurro le prendi con disinvoltura in braccio per portarle nel castello delle fiabe. Pensi che grazie alla lettura di quelle parole, vedere quei bei disegni, io possa innamorarmi improvvisamente di te?”

Beh, potevo aspettarmi di tutto, di tutto davvero. Ma di essere rifiutata in quel modo così incivile, così poco delicato : no.
Non me lo meritavo, non ero una stupida ragazzina che aspettava l’intervento del fato tacitamente.
Mi scansai così da quella mano che fece fatica a lasciare la mia pelle.
Se io ero la ragazzina che sperava, anche lui non era da meno. Poteva anche usare quelle parole da stronzo, ma i suoi gesti e i suoi occhi; non mentivano. Mi implorava, implorava che io non smettessi di farlo. Eppure quelle parole crude furono più veloci del mio cervello che cercava di farmi vedere la realtà che mi circondava non ciò che Joe volesse farmi credere.
Anche il mio cuore mi stava dicendo di non mollare, che la realtà non era come l’apparenza me la facesse vedere.
Ma non riuscivo. Anche guardalo negli occhi mi risultava difficile. Il mio cervello aveva sempre avuto fin troppo controllo sui miei pensieri, sulle mie sensazioni ed io non riuscivo a buttarmi semplicemente tra quelle braccia che agognavo e baciarlo infine con trasporto, come nei film.

“Io odio chi si nasconde. Sarò anche una sognatrice da quattro soldi che vive di inchiostro indelebile e di comune carta, però non fingo. Non ho mai mentito a me stessa.”
Lui abbassò il suo sguardo verso di me, incatenandomi in quel turbine di inquietudine che lui stesso mascherava quasi eccellentemente.

“Vedi? Credi già di conoscermi solo perché mi osservi da mesi. Ha già creato la trama della tua storia, il protagonista bello e dannato e la classica sfigata che entra magicamente nelle sue grazie. Per favore, non voglio essere protagonista di un tuo sogno ad occhi aperti.”
Si alzò e mise le proprie mani in tasca, come se il contatto con la mia pelle fosse diventando proibito.

Perché i suoi gesti mi sembravano così chiari da interpretare? Mi stavo davvero creando un mondo tutto mio per paura del suo rifiuto?

Dio, che mal di testa. Eccolo che ritornava più forte che mai.

“Va bene, va bene. Ma visto che io non conosco te, tu non conosci nemmeno me. Quindi puoi semplicemente far finta di non aver letto niente, di non aver visto le mie cavolate e girare l’angolo.
Prego, la porta è aperta.”

La indicai con la mano mantenendo la mia posa immobile. Le ginocchia in quel momento tenevano in custodia il colpevole di tutta quella situazione e sicuramente non erano in grado di alzarsi senza vacillare.
In realtà, non ero preparata a tutto quello. Cavolo, non avevo minimamente preso in considerazione il fatto che lui potesse leggere i miei pensieri e le miei inquietudini interiori. Era anche difficile simulare tenacia in quella occasione.

Avrei voluto urlare quanto la cantante di quella canzone che adesso mi stava facendo innervosire.

Ascoltare il cuore?
Neanche per idea. Per colpa sua stavo per rovinarmi anche il piccolo mondo che mi ero creata da anni e con ligia precisione.

Joe nel frattempo si era avvicinato alla porta mostrandomi le sue spalle, mettendo così ancora più distanza tra di noi di quanta già ce ne fosse.

“Me ne vado e spero che tu smetta di crearti mondi che non esistono. La realtà farà anche male ma è l’unica cosa che ci appartiene davvero.”

“Non ci credi nemmeno tu a quello che dici.” Sussurrai, ma purtroppo quando lui si voltò, capii che non era stato solo un semplice sussurro.

“Non mi CONOSCI. Smettila sei irritante.”
Si rigirò così, senza darmi opportunità di replica.

“Addio Hanna, buona continuazione. Ah comunque…” Si rivoltò per l’ennesima volta, prendendo con una mano la maniglia. “ Canti da fare schifo.”

E senza aspettare altro, se ne andò sbattendo la porta più del dovuto.

Ero frastornata.
Ma che era successo?
Perché improvvisamente quei mesi spesi a guardarlo in silenzio a cercare di conoscerlo solo attraverso i gesti e le sue abitudini, mi sembravano essere stati semplicemente buttati nel gabinetto?

Rabbia, la rabbia cresceva dentro il mio petto insieme alla delusione.
Finiva sempre così. Complicare la vita era una delle cose che mi usciva meglio.
Mi alzai e camminai nervosamente tra quelle pareti bordeaux e quel parquet rovinato. I pensieri mi inondarono di nuovo, il cervello mi fece capire che ormai il danno era bello che fatto.
Ma non avrei pianto, non era da me. Piuttosto avrei pestato il muro, urlato a più non posso, preso una penna e scritto.

Scrivere.

Presi quel quaderno e girai le pagine fino a quando ritrovai il disegno di quel pomeriggio e una parte del racconto che avevo iniziato a scrivere su di lui.

Quegli occhi erano diventati il mio personale traduttore per capire i suoi comportamenti. Era lunatico, cambiava idea ogni volta che il vento cambiava direzione e se prima mi stava parlando con allegria, ora era ritornato il solito lupo solitario. Quegli occhi guardavano il cielo, come l’animale guardava la luna. E io volevo diventare quel cielo per insegnare a J. l’esistenza dell’amore; a crederci almeno quanto ci credessi io..
Volevo essere la sua stella guida, il suo percorso più facile per la Luna. Il suo pass esclusivo per la felicità.

“Scema, scema e stra scema!” Mi rimproverai ad alta voce.

Ma non potevo continuare in eterno ad esasperarmi per niente. Lui rifiutava di aprirsi? Affari suoi.
Non potevo ridurmi davvero a livelli così catastrofici per colpa di un ragazzo esibizionista, viziato e per niente maturo. Avevo bisogno di un uomo al mio fianco.. Un uomo. Un uomo come.. Joe.
Mi diedi per l’ennesima volta della cretina e presi a disegnare convulsamente come sempre.
Il disegno non era armonioso. Comparivano degli occhi glaciali, un volto in ombra e un ghigno malvagio che mi intimoriva solo a guardarlo. Mi vennero così in mente, le parole adatte ad accompagnare quello strano accostamento monocromatico.

Odioso e adorabile. Ombra in una giornata di luce sorprendete. Lacrima su un volto gioioso. J. racchiudeva in se stesso gli opposti della natura. Gli elementi antagonisti si univano con incredibile disordine in lui, creando una personificazione perfetta del Caos. Era il Caos. Il Caos in cui volevo perdermi. Perdermi per l’eternità.

Quando Cat entrò in camera, smisi di scrivere. Mi sentivo libera e decisamente più calma dopo quella scarica di energia dovuta all’inchiostro e al carboncino. Appena i nostri sguardi si incrociarono, lei disse semplicemente “ Joe” ed io annuii gettandomi all’indietro sul letto.

Lei mi si avvicinò accarezzandomi un braccio, mentre cercavo di coprirmi il viso.
Odiavo che la gente mi guardasse negli occhi quando ero emotivamente distrutta. Bastava poco per farmi crollare e non volevo. Non volevo mai mostrarmi agli altri per quello che ero.

Terribilmente instabile.

“Cosa ha fatto questa volta?”
“Niente.” Mi girai dall’altra parte per porre fine alla questione.
Ma quando si parla di Cat, niente è prevedibile e soprattutto niente va come tu vuoi che vada.
“Ah.. Non me ne frega un cazzo se sei in fase depressiva-incazzosa. Sono tua amica, la migliore a dirla tutta, e quindi voglio sapere cosa ti turba. Smettila di fare l’eroina e spara la bomba. Tanto non mi muovo da qui.”

Le lanciai il cuscino in faccia scoppiando a ridere poco dopo.
Cat era davvero la migliore.

“Ma sei impazzita?”
“E’ colpa tua. Io sono depressa e cominci a fare la stronza di turno? “
“Uhm.. Dai, io non sempre così; anche quando sei felice. Ora, cambiamo argomento per un momento? Non voglio incavolarmi ulteriormente e sparare insulti a random verso quel dolce e benpensante ragazzo.”
Quegli aggettivi erano intinsi dell’ acido più corrosivo esistente al mondo. E Cat aveva ragione, dannazione! Ero io a dovermi incavolare e sbraitare. Dovevo insultarlo, maledirlo e comprare un set completo per le bambole voodoo. Ma in amore si è stupidi ed incoerenti.
Un po’ come ero io in quel momento.

“Devi andarci.”
“Dove?”
“Alla festa! Ora più che mai! Stasera ti dai alla pazza gioia, bella mia.”
Mossi la testa convulsamente in segno di protesta.
“Ma proprio no! Sei pazza? Con il mio stato emotivo disastroso, se toccassi un goccio di alcool, finirei direttamente a ballare sui tavoli con tanto di spogliarellisti attaccati al sedere! No, no e no. Scordatelo.”
La mia cara amica mi guardava con un ghigno spaventoso. La sua mente diabolica stava elaborando qualcosa.. qualcosa di orribile.

“Vieni con me. Stasera ti vestirai come dico io. Ti truccherai e ti profumeria quanto la regina di Inghilterra! Ti voglio come Jessica Rabbit, capito? Muoviti, abbiamo del lavoro da fare.”

E con ormai la desolazione nell’animo, mi feci condurre da quelle mani maledette verso il bagno.

Ed era solo l’inizio, pensai esasperata prima di chiudermi la porta alle spalle.

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Eccomi di nuovo qui!
Che ne pensate? Pian piano la storia sta prendendo la sua strada. Spero che vi sia piaciuta!
Io sono abbastanza soddisfatta della trama e dei protagonisti. Se ci fossero eventuali errori, li correggerò il prima possibile!
Grazie mille per la vostra gentile attenzione e buona giornata!

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A presto ;)

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Capitolo 3
*** NEWS ***


Ciao a tutte!

Sono passati tanti anni dalla fine di questa storia.
Ho deciso di cancellarla da questo portale, perchè non era protetta a dovere da eventuali plagi e scopiazzature.
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Baciotti,

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