Distanze

di E niente
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Migliorerò ***
Capitolo 2: *** Abitudine ***
Capitolo 3: *** Riconoscenza ***
Capitolo 4: *** Non è servito a niente ***
Capitolo 5: *** Siamo cresciuti ***
Capitolo 6: *** Perché? ***
Capitolo 7: *** Contatto ***
Capitolo 8: *** Per sempre ***
Capitolo 9: *** Impossibile ***



Capitolo 1
*** Migliorerò ***








Migliorerò

Aveva sempre apprezzato la signora Byers, Jonathan e Will. Andare a vivere con loro non le dispiaceva in fondo. Se non fosse che Hopper era morto e che gli altri sarebbero stati lontani. Mike.
Però non si lamentava. Non poteva lamentarsi di fronte alla voce dolce di Joyce, o allo sguardo triste di Will. Non era l'unica a star soffrendo.
In realtà, Undici non parlava quasi. Non per scelta, non perché si sentiva così, ma perché era quello il suo modo di fare, da sempre. E se quella non era mai stata una barriera con Hopper, né con Mike, la ragazzina cominciò a percepire qualche ostacolo. Lo leggeva nello sguardo di Joyce che, dopo averle parlato, sembrava sempre desiderare di più, come se volesse trovare un contatto più forte. Lo percepiva nei momenti di silenzio al telefono con Mike che, per la prima volta da quando si conoscevano, la stavano mettendo in imbarazzo. Non avevano mai avuto bisogno di raccontarsi la giornata, lei e Mike: condividevano quasi tutto. Adesso però il silenzio aveva sostituito i baci, e questo la rendeva incredibilmente triste e preoccupata per il futuro.
"Undici, ti piace leggere?" le aveva chiesto Jonathan.
"Leggere… cosa?" aveva risposto lei, senza capire.
Le aveva portato una pila di libri che l'avevano messa in allarme.
"Non sono un esperto, nemmeno li ho letti questi" aveva continuato il ragazzo. "Ma forse ti possono piacere"
"Che libri sono?"
"Libri… che raccontano storie" aveva spiegato Jonathan senza sapere nemmeno lui cosa dire. Alla fine aveva aggiunto: "vedi, più leggi più parole impari. Provaci, magari… se vuoi".
Undici aveva visto il sorriso imbarazzato e aveva capito che Jonathan le stava facendo qualcosa di buono, non voleva prenderla in giro né farla sentire stupida. Non era ancora totalmente convinta quando aveva preso in mano il primo libro, e leggere le era sembrato tanto faticoso, i primi giorni! Poi aveva cominciato a capire. Man mano che leggeva si appassionava, e pian piano stava diventando più veloce. Le sembrava poi, dopo aver letto il primo libro, di sentirsi più capace: capace di comprendere, capace di inventare a sua volta le frasi. Cominciò a sentirsi piena di entusiasmo, aveva finalmente trovato la soluzione!
"Parlerò di più, te lo prometto" diceva a Mike al telefono. E all'altro capo della cornetta scappava un sorriso.










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Capitolo 2
*** Abitudine ***






Abitudine

Era sempre stato timoroso. Ogni volta che andava da qualche parte, involontariamente era portato a mantenere un profilo basso: silenzioso, sguardo incollato al terreno sotto i piedi. Il suo desiderio era quello di non farsi notare.
C'erano due soli posti in cui la ritrosia lo abbandonava: casa sua, e il seminterrato di Mike. Davanti alla sua famiglia e ai suoi amici, Will Byers sentiva di portare un peso in meno, e sorrideva spontaneamente. Era felice quando si trovava con loro.
Dopo tutto quello che era successo, Will sarebbe stata l'ultima persona a dire a sua madre che non voleva andar via da Hawkins. Non condivideva la sua scelta, ma non voleva vederla soffrire. Sperava con tutto il cuore che questo non lo avrebbe portato ad allontanarsi tanto dai suoi amici. "Povero illuso" rispondeva la parte oscura del suo cuore. "Loro ti dimenticheranno e tu non li conoscerai più".
Il primo giorno di scuola, ancor prima di entrare nell'edificio, si sentì impacciato, e si odiò per questo. Quanto avrebbe voluto avere uno dei suoi amici, con lui! Però, qualcosa sì, lo consolava: era Undici, al suo fianco. La ragazza era molto silenziosa, troppo, ma si scambiarono un breve sguardo e tanto bastò a Will per capire quanto fossero simili.
Okay, Undici non era per lui quello che invece sarebbe stato Lucas, o Mike, o Dustin. Ma dopotutto si sarebbe abituato, no? Si era già abituato ad averla intorno, e ancora prima aveva accettato l'aggiunta di Max al loro gruppo. Adesso si sarebbe abituato a condividere più cose con lei. La vita cambiava, certi rapporti si indebolivano e altri si rafforzavano, si diceva così? Era perfettamente normale, vero? Era solo questione di abitudine. E allora perché continuava ad avere paura?
C'erano delle domande che gli frullavano in testa e che lo gettavano nello sconforto più totale: la prima era se mai sarebbe riuscito a trovare dei nuovi amici. La seconda, se era giusto farsi nuovi amici. La terza, se mai avrebbe trovato qualcuno all'altezza di Dustin, Lucas e Mike.
Fermo di fronte all'entrata della scuola con Undici, pensò che sarebbe stato un periodo duro. Ma non solo per lui.






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Capitolo 3
*** Riconoscenza ***






Riconoscenza

C'erano giorni in cui gli sembrava tutto un brutto sogno. Quella non era la vita vera: un giorno, al suono della sveglia, avrebbe aperto gli occhi e si sarebbe trovato nella sua stanza, in quello che per diciott'anni era stato il suo letto. Magari con Nancy accanto, come era successo negli ultimi tempi, prima di trasferirsi altrove.
C'erano altri giorni in cui si diceva: "ma che sarà mai, alla fine siamo sempre io e la mia famiglia. Mi basta avere un lavoro, e chiamare Nancy tutte le sere. Mettere soldi da parte, così da poter partire nel weekend e raggiungerla. Qui non si sta da schifo, è un posto carino, una città tranquilla. La città giusta per i Byers". Ma la sensazione era sempre quella di incompletezza. Si trattava sempre di doversi accontentare, di una situazione che "si stava meglio prima". Era innegabile.
Invano Jonathan cercava di riportare alla memoria i brutti momenti, quando la paura avrebbe potuto mangiarlo vivo, e invece si era sempre ritrovato a reagire a sangue freddo. Lo faceva per dirsi: "ecco, adesso siamo al sicuro, adesso stiamo meglio". Se ci ripensava, adesso, lontano da Hawkins, non riusciva nemmeno a capacitarsi di tutta quella forza d'animo che lo aveva spinto a combattere, ogni volta, nelle situazioni più disperate. Si sentiva così svuotato, adesso.
Un pomeriggio, senza nemmeno dare un nome alla frenesia che sentiva addosso, aveva scoperchiato la scatola delle cassette e si era messo ad ascoltarle una a una. Cosa stesse cercando, non lo sapeva nemmeno lui. Ma lo trovò: quando le prime note, irriverenti e gioiose, risuonarono nella sua nuova stanza, a Jonathan parve che il mondo intero si fosse fermato. Should I stay or should I go viaggiò per tutta la casa, mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime e dei passi veloci sulle scale. Si voltò, e non fu affatto sorpreso dal vedere suo fratello sull'uscio della sua camera. Quella canzone era praticamente un richiamo, anche se era tanto tempo che non la ascoltavano.
Rimasero congelati sul posto per alcuni secondi, guardandosi attoniti. Poi Will prese a muovere le braccia, in quella maniera buffa e scoordinata che era il suo modo di ballare, e lo fece immediatamente sorridere. Urlarono insieme i cori della seconda strofa, alzando il volume della radio. E mentre Jonathan rideva, le lacrime gli scapparono dagli occhi.










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Capitolo 4
*** Non è servito a niente ***






Non è servito a niente

"È da un po' che non disegni" aveva detto Joyce a suo figlio. Aveva sperato che la sua affermazione fosse sembrata sufficientemente spontanea, ingenua. Una semplice constatazione. Neanche un giorno e Will aveva ripreso a riempire fogli su fogli di schizzi.
Non voleva forzarlo, davvero. Eppure Joyce sorrideva, e non ci poteva fare nulla: era felice che suo figlio avesse ripreso a fare qualcosa di normale. Come prima, quando era tutto okay.
Non si illudeva, Joyce, che fosse facile andare avanti. Non lo era per lei soprattutto, che aveva perso troppo. A volte si chiedeva se avesse sbagliato a portar via i suoi figli da Hawkins, come se li avesse costretti, in qualche modo, a rinunciare a persone che però erano ancora vive. Lo erano gli amici di Will, lo era Nancy.
Ma la famiglia Byers meritava un po' di tranquillità. Anche Undici la meritava. E poi, avrebbero potuto mantenere i contatti, come d'altronde stavano già facendo. Sarebbero stati tutti meglio, era solo questione di tempo.
Lo pensava davvero Joyce, mentre osservava il disegno che Will, sorridendo, stava attaccando alla porta della sua stanza. Quando il figlio se ne fu andato, si avvicinò per osservarlo meglio e sorrise anche lei: Will aveva disegnato Dustin, Lucas e Mike in sella alle loro biciclette. Era proprio bravo, Will, a disegnare.
Nemmeno un attimo dopo e il sorriso le morì sulle labbra. No, non poteva fingere che andasse tutto bene. In quel disegno mancava qualcuno, mancava Will, che consapevolmente o no, aveva trascurato di disegnare se stesso insieme ai suoi amici. E la signora Byers si ritrovò a singhiozzare senza ritegno, sperando che nessuno la sentisse.
Era una necessità dopo la morte di Bob, era diventato un dovere con la morte di Hopper. Ma era proprio così? Aveva fatto davvero bene a far trasferire la sua famiglia in un altro posto? A conti fatti, i fantasmi continuavano a perseguitarla, e i suoi figli erano stati separati dai loro amici.
Joyce sperò che quello fosse solo un attimo di sconforto. Un attimo, ci poteva stare. Se lo doveva concedere, era umana dopotutto. Ma poi avrebbe ripreso a stringere i denti.







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Capitolo 5
*** Siamo cresciuti ***






Siamo cresciuti

La signora Wheeler non si era lamentata della bolletta del telefono, che era aumentata vertiginosamente. Entrambi i suoi figli chiamavano ogni sera a casa Byers, e non accennavano a voler smettere quella che era diventata una tradizione. Mike aveva visto più volte suo padre aprire bocca e provare a dire qualcosa, ma la moglie era stata lesta nel cambiare argomento ogni volta che ce ne fosse stato bisogno.
Anche quella sera, Nancy parlava al telefono, e Mike aspettava pazientemente il suo turno. Era una situazione ridicola, se pensava che prima Nancy passava la notte fuori senza mai dirlo ai suoi genitori. Adesso invece parlava al telefono e poi subito filava a letto.
Dalla cucina, sentì suo padre provare a mettere in piedi una rimostranza. Sua madre subito lo mise a tacere, ma il suo tono di voce era troppo basso e Mike non aveva capito esattamente quello scambio di parole.
Si allontanò dal soggiorno, affacciandosi in corridoio. Guardò l'esile figura di sua sorella ritta di fronte al telefono, con la cornetta rossa fra le mani. Nancy ricambiò lo sguardo, mentre Mike poggiava la testa alla parete. Piagnucolare non sarebbe servito a nulla. Era questo che sembrava dire la figura di sua sorella, stoicamente dritta al centro del corridoio. Nancy era nella sua stessa identica situazione, eppure non aveva mai detto una parola di sconforto. Guardarla gli infondeva coraggio, gli faceva sentire che quella situazione era normale, e non la fine del mondo.
Ne era passato di tempo, da quando bisticciavano e preferivano ignorarsi. Adesso si capivano anche con una semplice occhiata, lì, in corridoio, lei al telefono e lui con la testa poggiata al muro.
Nancy era stata presa al college, e Mike sapeva già che gli sarebbe mancata.
"Scusa Jonathan, come dici? Sì, partirò fra due giorni. Ti chiamo appena arrivo, sì."













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Capitolo 6
*** Perché? ***






Perché?

"Tu non vai da nessuna parte!" le aveva detto Neil.
La risposta di Max non si era fatta attendere. Gli aveva risposto che doveva ritenersi fortunato, perché sapeva esattamente con chi sarebbe uscita – con Lucas, e non con il ragazzo di turno – e perché lui ne era al corrente. C'erano un sacco di ragazze che nascondevano ai genitori di essere fidanzate; purtroppo Neil era stato informato già diverso tempo prima da Billy, altrimenti anche Max avrebbe fatto volentieri a meno di farlo sapere in famiglia.
"Non vorrai uscire certo con un ragazzino nero" era stato il commento di Neil.
"E invece sì, problemi?" aveva risposto lei, irriverente, sotto lo sguardo insolitamente intimorito di Billy.
Nessuno aveva fatto più storie. Quella sera, però, era ripartito all'attacco. Sarà stata la mancanza di Billy, forse, a far desiderare a Neil di avere qualcuno con cui prendersela?
Alla fine Max era sbottata: "E poi tu non sei mio padre!" gli aveva urlato.
Neil aveva serrato la mandibola, spostando lo sguardo sul pavimento. Non aveva aggiunto altro, e quell'accenno di ira che aveva provato a scatenare si era subito spenta. Max si era resa conto in quel momento di fremere, furente. Quel silenzio la stava facendo impazzire.
Ok, sapeva di avere ragione, Max: Neil non era suo padre e mai lo sarebbe stato, e non poteva impedirle di uscire con Lucas. Ma quello che le stava dando ancora più fastidio, dopo quest'ultimo litigio, non era il tentativo stesso di Neil di imporsi su di lei, no: era, piuttosto, quello che con lei non c'era stato, ma che con Billy non si era mai fatto attendere.
Urla. Schiaffi. Quante volte le aveva sentite, chiusa nella sua stanza, ed era rimasta ad ascoltare in silenzio, aspettando la risposta di Billy che mai arrivava? E adesso cosa aspettava, Neil, a riservare con lei lo stesso trattamento? Quanto gli ci voleva a mollarle una sberla e a trascinarla in camera con la forza, chiudendo a chiave la porta?
"Perché a me no e a Billy sì?" era quella la domanda. In fondo, aveva sempre saputo che Neil con Billy era stato ingiusto. Era innegabile, per quanto cattivo potesse essere il suo fratellastro, niente poteva essere comparato alla violenza che Neil gli riservava. Solo che Max aveva sempre fatto finta di non vedere, mentre adesso non faceva altro che pensarci.
Adesso: che cosa inutile e orrenda. Adesso era troppo tardi.










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Capitolo 7
*** Contatto ***






Contatto

"Cazzo, cazzo, cazzo!" esordì Lucas in bicicletta, ai piedi della collina che avrebbe dovuto salire. Chissà dove erano arrivati gli altri, non riusciva nemmeno a vederli dal basso.
Aveva perso tempo con Erica, a casa. Incredibile ma vero, la sorella gli aveva chiesto di aiutarlo con il compito di chimica, in quanto "non sono secchiona come te e i tuoi amici, io".
"Se non vuoi essere secchiona tieniti tutto il pacco" le aveva risposto Lucas facendole il verso. Ma poi lei aveva accennato qualcosa riguardo a un vulcano, e a qualcosa da far esplodere. Non aveva saputo resistere.
E così si era inevitabilmente fatto fregare da sua sorella. E aveva fatto tardi all'appuntamento con gli altri.
Quando finalmente riuscì ad arrivare in cima, la prima cosa che sentì fu: "Will, Undi, mi ricevete? Passo"
"Forte e chiaro, Dustin. Passo"
Si gettò sull'erba, sfinito, affianco a una Max particolarmente irritata. "Alla buon'ora, Lucas."
Mike lo guardò alzando le sopracciglia, sguardo che poteva significare un "sei nei guai, amico", ma anche un "che fine avevi fatto?"
"Ho aiutato Erica con un compito di chimica" disse con il poco fiato che aveva.
"Certo, come no" rispose Max.
"Dico sul serio! Mi ha chiesto una mano con il suo vulcano" esclamò risentito.
"E quindi il dio dei fuochi d'artificio non poteva tirarsi indietro" lo prese in giro Mike.
"Qui Lucas sta provando a giustificare il suo ritardo, per il quale si è perso l'ardua ricostruzione dell'antenna che il temporale dell'altro ieri ha buttato giù. Passo" spiegò Dustin agli altri due.
"Cavolo, ci sarà voluto un sacco! Passo" rispose Will, rimandandogli la linea.
"Un sacco di tempo, e un sacco di sudore! Puzzo come un maiale. E comunque, Lucas, Erica è più secchiona di te: non aiutarla, la prossima volta."
"Idiota" aggiunse Max. Lucas si sentì un po' bullizzato. Si voltò verso la ragazza, sperando che non ce l'avesse troppo con lui. Non riuscì a decifrare il suo sguardo, ma pensò che se non stava aggiungendo altro, dopotutto, non era poi così arrabbiata.
"E andiamo! Adesso sono qui, e, cosa più importante, non mi sono perso niente!" Lucas balzò verso la ricetrasmittente, ignorando le lamentele di Dustin sulla sua ultima affermazione. "Come butta da voi? Passo!"







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Capitolo 8
*** Per sempre ***






Per sempre

Dopo aver parlato con Will e Undici era difficile rimanere solo senza essere molestato. In particolare da Max e Lucas.
"Adesso chiamerai Suzie, Dustinuccio?"
"Siete pregati di andarvene e di lasciarmi solo con la mia ragazza, grazie!"
"Ma come, non ce la vuoi presentare? Non ci fai parlare con lei neanche un po'?"
"Ma non avete niente di meglio da fare, voi due?!"
Alla fine, grazie all'aiuto di Mike, i due venivano convinti a lasciare Dustin alle sue faccende private. Dustin si chiedeva per quanto tempo ancora quei due avrebbero avuto voglia di prendere in giro la sua storia d'amore. La verità, secondo Dustin, era che Max e Lucas non erano pronti a vivere sul serio nemmeno la loro, di storia, e dunque non potevano capire affatto la sua fedeltà a Suzie.
Poco importava, in ogni caso. Prima o poi sarebbero cresciuti anche loro. "E per quel giorno, io sarò ancora con Suzie".
Di questo ne era fermamente convinto, checché ne dicessero tutti. Un mese scarso di conoscenza era più che sufficiente per far scoccare la scintilla tra quelle che erano due anime gemelle. E sarebbero stati insieme per sempre. Come facevano gli altri a non capire quanto straordinaria fosse Suzie? Però da un lato era contento, di essere l'unico ad apprezzarla così. Questo dava prova di quanto straordinario ed esclusivo fosse il loro amore: solo loro potevano amarsi e capirsi fino in fondo, e il loro amore andava ben oltre la distanza fisica che intercorreva fra di loro.
La loro storia era incorruttibile, era eterna. Ed ecco perché Neverending Story era la loro canzone.
Ultimamente, però, Dustin aveva provato un certo fastidio nel cantare quella canzone con Suzie. Un fastidio che andava ben oltre l'esibizione stonata di Max e Lucas sulle stesse note. Dustin non tollerava l'idea che tutti sapessero di quella canzone, e che non fosse più speciale solo per lui e per Suzie. Ormai era speciale per tutti, anche se in modo diverso. A Mike poteva ricordare il momento in cui aveva paura di perdere Undici, allo Starcourt. Per Steve era quando si trovava con Robin nel retro della macchina di Jonathan. Per la signora Byers e per Aquila Calva era il momento in cui non c'era più tempo, perché i russi erano vicini e Hopper sarebbe morto.
No, quella canzone non aveva più lo stesso sapore di prima.








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Capitolo 9
*** Impossibile ***






Impossibile

Se c'era una cosa che Robin, un anno prima, avrebbe considerato impossibile, sarebbe stato sentire la mancanza di Steve. No, si sarebbe messa a ridere alla sola idea. Primo, perché lei e Steve erano due mondi a parte, due rette parallele senza rotta di collisione. Secondo, perché viste le premesse sarebbe stato impossibile anche solo considerare l'idea di fargli delle ripetizioni.
Poi però erano successe un po' di cose, dal lavorare come gelatai con delle ridicole divise marinaresche, al decifrare messaggi russi in codice, all'infilarsi in una base segreta ed essere catturati, all'uscirne drogati, al vomitare nel bagno del cinema, al tirare fuochi d'artificio contro un bestione di dieci metri. Il tutto sempre con quelle stupide divise addosso. Insomma, erano successe tutta una serie di assurdità che avevano rapidamente trasformato l'impossibile in probabile, in reale addirittura.
Ed ecco che Steve Harrington, il figo impossibile da raggiungere, non solo adesso respirava la sua stessa aria senza farsi problemi di scala sociale, ma era anche un suo amico. Robin si era abituata in fretta al cambiamento, ma ogni tanto non poteva fare a meno di pensare alla montagna di assurdità che Steve, chino sul libro accanto a lei, costituiva, e di scoppiare a ridere.
"Che c'è?" chiese Steve sollevando la testa dalla pagina, senza capire il motivo di quella risata esagerata che la stava portando addirittura alle lacrime. Robin avrebbe voluto rispondergli che rideva perché sapeva che avrebbe sentito la sua mancanza, il che era ridicolo secondo la sua ottica dell'anno scorso, ma decise di non dirlo. Perché, in fondo, quella risata era amara, e non c'era niente da ridere.
"Sto ridendo perché è impossibile che dopo un mese di integrali ancora riesci a dimenticare le derivate" mentì lei, godendosi l'irritazione di Steve e l'espressione annoiata con cui la fissava, cercando di porre fine alla risata dell'amica.
"Non le ho dimenticate… dovevo soltanto andare a controllare una formula che mi era sfuggita."
"Certo, Steve, certo" rispose Robin, sarcasticamente.
"Non ce la farò mai" ammise lui, buttando la testa all'indietro sulla sedia, mentre il ciuffo sulla fronte faceva un giro della morte. E allora Robin cercò di rassicurarlo, facendogli notare i progressi che aveva fatto negli ultimi mesi, soprattutto considerando che al liceo non aveva studiato quasi nulla.
"Riuscirai a passare il test, entrerai al college e verrai alla videoteca solo per dirmi "visto, Robin? Ce l'ho fatta"" concluse, facendogli il verso.
Steve sorrise, guardandola pensieroso. "Robin"
"Mm?"
"Grazie."














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