Light in the Thunder

di queenjane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Light in the Thunder ***
Capitolo 2: *** Paradise ***
Capitolo 3: *** The Prophecy ***
Capitolo 4: *** The Heir is Born ***
Capitolo 5: *** Alexei The Light ***



Capitolo 1
*** Light in the Thunder ***


La sua nascita ebbe luogo il 16 maggio 1868, evento annunciato da colpi di cannoni dalla Fortezza dei Santi Pietro e Paolo, a San Pietroburgo, capitale del regno di tutte le Russie.
Era il figlio dello zarevic Alessandro e di sua moglie Maria, principessa di origini danesi, che in principio doveva sposare Nicola, fratello di Alessandro, tranne che il ragazzo era morto giovane e Alessandro si era trovato erede al trono, con una fidanzata già assegnata.
La loro unione fu lunga, feconda, fedele.

Nella capitale, si stapparono vodka e champagne.
 
I Romanov avevano un nuovo discendente, ottima cosa ma i più superstiziosi rilevarono che la data fosse di cattivo auspicio,infatti,  il 16 era il giorno di San Giobbe, il più sventurato tra i santi ortodossi.

Il bambino venne chiamato Nicholas, come il bisnonno e il fratello premorto di Alessandro, e il suo nomignolo per gli intimi era  Nicky.
Lo zar Alessandro II, suo nonno,  era detto il sovrano liberatore,che aveva abolito la servitù della gleba, aveva fede nel progresso, peccato era morto giovane, in un attentato, nel 1881.

La sua agonia fu lenta e penosa, raccontò attento e preciso, dopo,  Nicky, le urla, il sangue che impiastrava le mani, gli arti staccati dal colpo della bomba, lui era presente e stupito di spartire la infausta tradizione dei Romanov di morire nel sangue piuttosto che tranquilli nel proprio letto (un presagio? Lui non avrebbe fatto eccezione).

Noi prenderemo seriamente i destini del nostro impero, che da ora in avanti saranno discussi solo tra noi e Dio”, dichiarò Alessandro III salendo al potere, nel 1881, sua legge erano il ferro ed il sangue, non conosceva alcuna misericordia, non voleva conoscerla, stante la tragica fine di suo padre.

Sua moglie, Maria, dimostrò talento nel predisporre grandi feste, circondata da un cercle mondano e spassoso, chic e curata, era sempre all’ultima moda. Invece il marito era assai più parco, agli intrattenimenti scintillanti organizzati dalla consorte preferiva la vita in famiglia.
 Lavorava come un amanuense certosino alla scrivania, studiando tutti i documenti che affluivano da ogni angolo dell’impero.
Massiccio e altissimo, poteva piegare a forma di ferro di cavallo una forchetta per divertire i figli e i suoi sbuffi risuonavano come una stufa scoppiettante.


Lo  zarevic e i suoi fratelli crebbero in modo duro e spartano, a titolo di esempio era frugale il sonno in un duro lettino da campo come il cibo, una volta si mangiò l’interno di cera di un crocifisso d’oro donatogli per il battesimo, al cui interno vi era un asserito frammento della vera croce, per la fame, trangugiò tutto. Si vergognava, ma era buono, ammise poi.


Nel 1884, uno zio di Nicola, Sergio, sposò Elisabetta d’Assia, tra le damigelle vi era la sorellina di lei, Alix, che contava 12 anni, lo zarevic 16.
Nicky annotò nel suo diario che aveva cenato vicino ad Alix e che gli piaceva moltissimo.
Elisabetta sposò il granduca Sergio nella cappella del Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo, la sua sorellina era vestita di bianca mussola, una acconciatura di rose sulla testa.
Alix disegnava abiti da sposa nel suo diario, lei era la nubenda, Nicky annotava  che, in ogni occasione, si sedeva vicino a lui, giocando e correndo nel giardino, scambiando fiori e parole, scrivendo addirittura i loro nomi sulla mensola di una finestra. Si amavano, scrisse Nicola, un tenero ed ingenuo sentimento.



Comunque, Nicky era cresciuto, giovane e snello, con appena un accenno di barba, ora prestava servizio negli ussari,  cene e balli e feste, un flirt con la ballerina Ksensiskya e via dicendo.. Le sbornie erano solenni e rinomate, giocavano ai lupi, ovvero i giovani ufficiali pascolavano a carponi nelle sere estive, lappando le botti di vino e chiaretto che i premurosi valletti rovesciavano loro addosso. Il risultato erano inaudite sbornie e emicranie il giorno successivo. 


 E nel 1889 lo zarevic aveva ritrovato Alix d’Assia, alta, sottile e avvenente, dai bei capelli color oro fulvo, che soggiornava di nuovo in Russia, dalla sorella, ma quel crescente e rinnovato affetto incontrava l’ostilità dell’imperatrice madre, che disapprovava, un conto gli sfoghi ed i flirt giovanili, altro le nozze dell’erede al trono, che ben  poteva trovare di meglio rispetto alla figlia timida e sgraziata di un oscuro granduca... In termini di rango e prestigio..
Nicky pensava alla ballerina, a Alix e … alla principessa E., scoprendosi “infiammabile”, e rifletteva sulla stranezza del cuore umano, che oscillava come un periscopio.
Era giovane e lo zar suo padre lo preparava poco ai futuri compiti, il Grand Tour, compiuto nel 1890 fu una occasione di svago in Oriente, vi furono molte bisbocce ma poco studio, un gioco goliardico, non la seria osservazione sui luoghi e i costumi  che era la ragione ufficiale.
In Giappone, lo zarevic fu vittima di un tentativo di agguato, da cui ricavò una cicatrice sulla fronte e una eterna antipatia per i musi gialli, una definizione spregiativa per i giapponesi.
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Nello specifico, colei che faceva battere il cuore del giovane zarevic era nata come Alix d’Assia e del Reno, sestogenita del granduca Luigi e di Alice d’Inghilterra, figlia di Vittoria, Regina di Gran Bretagna e Irlanda, poi imperatrice delle Indie.
Vantava illustri ascendenze, da Carlo Magno, a Elisabetta di Ungheria, passando per Maria di Scozia,  e di  tale retaggio sarebbe sempre stata orgogliosa.
 
Alice d’Inghilterra si era sposata nel luglio 1862, appena sei mesi dopo la morte del Principe consorte, Alberto di Sassonia Coburgo,l’amato marito tedesco di Vittoria.  
 La Regina, da allora in avanti cominciò a vestire  sempre di nero, uniche concessioni al colore una candida cuffietta sopra la pingue faccia e qualche gioiello d’oro.
 
Un testimone riferì che pareva più la celebrazione di un funerale piuttosto che di uno sponsale, tutti piangevano e all’uscita dalla chiesa scoppiò un temporale apocalittico.
Un tragico monito per una delle più sventurate famiglie reali della storia.

La corte degli Assia non era ricca e le continue guerre nel corso degli anni successivi, come quella dei ducati del 1864, contro la Prussia nel 1866 e via di seguito, ne ridussero ancora di più le sostanze.

La famiglia granducale era tuttavia in continua espansione, così che per risparmiare Alice allattava lei stessa i suoi bambini, ne riciclava i vestiti, le vacanze erano Inghilterra, ospiti della regina Vittoria, tranne che i soldi per l’acquisto di treni e navi dovevano essere accantonati con largo anticipo.
 Non  concedeva agi o mollezze, così come prescriveva la sua rigida educazione  ma nel contempo faceva di necessità virtù. I suoi bambini facevano bagni in acqua fredda, mangiavano porridge e mele al forno.

Dura e inflessibile, sosteneva che la vita era fatta di doveri, non di piaceri, che "la felicità non appartiene a questo mondo”, frase che ripeteva spesso, per prepararsi alla malasorte ma così non era, quando giunse era un mero pro forma.
Nel 1873 morì il più piccolo dei suoi figli maschi, Frittie, di tre anni appena per le conseguenze di una caduta.
Anche se  il bimbo riprese conoscenza, le complicanze dell’emofilia di cui soffriva ne causarono il decesso.
Alice non si riprese mai dalla morte di Frittie, scriveva a sua madre di essere lieta di avere una piccola immagine colorata del suo tesoro, ma si sentiva  più triste che mai e le mancava  fino allo spasimo, continuamente, sognava il paradiso con il suo bimbo e il padre morto troppo presto.
Quella tragedia la segnò,ineludibile,  da quel giorno Alice d’Inghilterra non rise quasi più, mentre aumentava la distanza con il marito Luigi, ritenuto dalla moglie farfallone e distratto.
 
L’eterna mancanza di mezzi finanziari, la gestione della Casa reale e del Granducato (erano saliti al trono nel 1876) esaurirono ancora di più la principessa inglese, che cercava ristoro nei libri  e nella musica e nelle lunghe conversazioni con il teologo Strauss, creando non poco scandalo intorno a lei, la definivano atea, se non libertina.
Si preoccupava di tutto e tutti, cercava di fare del proprio meglio.
Sempre tesa e preoccupata, cercava di  soccorrere gli afflitti e aveva sempre un rimprovero per il marito, così Alix ricordava sua madre, anni dopo, aggiungendo che aveva perso la salute in giovane età, cosa che poi accadde alla sua piccola figlia.
 
Gli eventi precipitarono nel dicembre 1878.
Morì di difterite, dopo avere seppellito la figlia più piccola Maria.
Lasciava un  vedovo e cinque figli, la più grande aveva 15 anni, Alix solo di 6.
 
La bambina, chiamata Sunny, ovvero "Raggio di Sole", in famiglia per il suo carattere vivace ancorché timido, divenne sempre più malinconica e triste, sviluppando un grande attaccamento verso il padre Luigi e il fratello Ernie, nomignolo di Ernesto Luigi.
 
La regina Vittoria, detta “Granny”, o “Gangan”, si occupò sia da vicino che da lontano dell’educazione della bambina, di cui lodava lo splendido aspetto e cercava di indurla ad acquisire maggiore fiducia in sé stessa, invitandola a fare discorsi dinanzi a un circolo di sedie vuote, o suonare il pianoforte dinanzi a più di due persone.
Cardini educativi della giovane principessa furono l’impegno, il ferreo senso della morale, l’abnegazione, l’imperativo che non bisognava mai cedere né moralmente né spiritualmente.
 
La sua bionda avvenenza e la sua incantevole timidezza colpirono il giovane zarevic.

Dopo il soggiorno di Alix in Russia nel 1889, i due giovani svilupparono una corrispondenza per il tramite della granduchessa Ella, sorella di Alix e zia acquisita di Nicola, che divenne sempre più appassionata negli anni.
 
Il matrimonio del futuro zar di Russia non era solo un affair di cuore, sottolineava Alessandro III, occorreva che la sposa portasse un ottimo nome, una buona dote e ricche alleanze.
Per quanto nipote della regina Vittoria, dal 1876 imperatrice delle Indie, la giovane Alix  era  solo la figlia di un piccolo granduca, di scarsi mezzi e fortuna.
Per quanto avvenente, la sua timidezza poteva essere un freno nella vita dell’alta società, considerato l’impegno mondano in cui si erano profuse le ultime imperatrici russe.
Che la giovane fosse colta, educata, pia e di inoppugnabili costumi non pareva interessare nessuno tranne che Nicola.
Principe cui erano proposte varie candidate, possibili unioni che per un motivo o l’altro non si completavano, come la principessa Elena di Orleans o Margaret di Prussia.

Verso la metà del 1893 la salute di Alessandro III cominciò a declinare e le lettere tra i giovani conobbero un nuovo slancio.
Tuttavia vi era una questione, la sposa dello zar doveva essere di credo ortodosso  ma Alix era di fede luterana, occorreva che si convertisse, come avevano fatto tante altre principesse prima di lei.
 
“.. Mio caro Nicky, cerca di capirmi, sai quello che provo per te.. ma questo fatto mi tormenta e mi rende infelice …. Non posso agire contro la mia coscienza e mutare credo religioso, sarei afflitta per tutta la vita. Come potrebbe essere felice una unione che inizia senza la benedizione di Dio? È un peccato cambiare la religione in cui sono cresciuta e che amo, perderei la pace e sarei una compagna indegna, di nessun aiuto nelle difficoltà della vita…”
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 Nel mese di aprile 1894 Nicola si recò a Coburgo per le nozze di Ernesto, il nuovo Granduca di Assia, amato fratello di Alix,  essendo il loro padre Luigi morto nel 1892, dopo una vita di scandali e illusioni mancate.
Nicholas aveva il permesso di proporsi, tuttavia, ove lei lo avesse rifiutato, si sarebbe messo l’anima in pace e avrebbe cercato altrove.
La sposa, Vittoria Melita di Edimburgo, era molto graziosa, faceva una splendida figura con Ernie, era un accordo, non un amore, lui era omosessuale, lei era innamorata di un altro, tranne che le attenzioni erano rivolte a Alix e a Nicola.
Lui si propose e lei rifiutò, in lacrime.
 
Tuttavia, il loro comune cugino, Guglielmo, detto Willy, imperatore di Germania dai folti baffi e dalla radiosa risata, si mise in mezzo, come la granduchessa Elisabetta, sorella di Alix e zia acquisita di Nicola, che aveva sposato uno dei fratelli dello zar Alessandro III, ovvero Sergio.
Il cugino Willy convinse Nicola a riprovare, poi parlò alla “cara Alix”, rilevando che era una grande occasione e Elisabetta rincarò la dose, evidenziando i punti di contatto tra il credo luterano e quello ortodosso.
Era inutile che facesse la martire, la vita era già un duro affare e ormai aveva quasi 22 anni, rischiava di rimanere zitella, la assediarono con quei discorsi e la ragazza un poco piangeva e un poco rideva..
Si voleva solo far convincere e recitare la martire.

Non era affatto una stupida e comprese che quella era davvero la sua ultima occasione.
Il giorno dopo, Nicky si propose di nuovo e lei accettò,tra lacrime e preghiere,  cosi che furono fidanzati, in modo ufficiale,  la sua felicità era palese, era vestita di grigio fumo e tra rose e lillà Nicola la baciava, si sarebbero sposati, aveva il suo lieto fine, al dito il suo anello di fidanzamento con le perle rosa e in testa un suntuoso elenco di gioielli da chiedere.
Amava sia perle e zaffiri come rubini e smeraldi e ametiste, la futura suocera chiedeva di scegliere tra una di quelle gemme, la cara Alix precisò di non avere preferenze, che tutte erano gradire, fin da principio apparve avida e smaniosa.
Molti anni dopo, Alix rievocava quei giorni di primavera, i lillà e i baci di Nicola, il vestito che indossava,  la trepida felicità di quei giorni.
Da figlia di una nullità o quasi in termini araldici, dopo avere rifiutato proposte più o meno prestigiose, sarebbe divenuta imperatrice di Russia, signora di un sesto delle terre emerse, ricca, riverita e potente, sposata all’uomo che amava.
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Quell’estate, Nicola raggiunse Alix che faceva le sue vacanze in Scozia, studiava il russo e il credo ortodosso in vista della sua conversione.
Nicky raccontò alla sua fidanzata della relazione intrattenuta con la ballerina, che tra loro non dovevano esservi segreti
Una rivista inglese, “The Lady”, in un numero uscito nel luglio 1894, dichiarava, come molti testimoni, che il loro comportamento era tale da far apparire che il loro era un matrimonio d’amore.
Alix era ferrea nel senso della morale, non tollerava che una donna sposata avesse relazioni, mentre una etoile era ammissibile che fosse di facili costumi, uno scapolo doveva pur sfogarsi.
Alix era bella e fredda e timida, così timida che il suo disagio e la sua goffaggine passavano per alterigia e freddezza e noncuranza.


Nell’autunno 1894, la salute dello zar Alessandro III peggiorava di ora in ora, era a Livadja, in Crimea, i medici erano costernati, incerti i ministri, lo zarevic in attesa dell’arrivo della fidanzata.

Non sono pronto, disse Nicholas,  nella camera ardente, lo zar suo padre spirato da poche ore, era il 10 novembre 1894 e adesso era lui lo ZAR, supremo autocrate di tutte le Russie, e si chiedeva cosa sarebbe stato di tutti loro, non sapeva governare o parlare con i ministri, diceva,sono il sovrano ma senza idea di come agire.
E sorsero i dubbi, leciti, se entrava in crisi per organizzare i funerali del padre, come se la sarebbe cavata a governare la nazione?
Alla fine la salma del defunto giunse, dopo un lungo viaggio, nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a San Pietroburgo, dopo un trasporto in ferrovia, i funerali si tennero tra incenso, preghiere e centinaia di candele e canti ..
 
Lei si convertì alla religione ortodossa, assumendo il nome di Alessandra Feodorovna, devota credente.
 

Non fu a favore di Alessandra giungere dietro a una bara, quella dello zar Alessandro III, e sposarsi pochi giorni dopo, la chiamavano per quello la sposa in lutto . Per i più, avrebbe portato solo lutti e devastazione. 

Il 26 novembre 1894 lo zar Nicola II sposò Alix, pardon Alessandra, ornata di seta candida e oro e diamanti e piume.
 

Suo fratello Ernie l’aveva accompagnata all’altare, scortandola attraverso una galleria umana di uniformi e abiti di lusso inaudito, che la scrutavano in ogni minimo particolare.
Prima della vestizione aveva pianto, per la tensione, la stanchezza, il nervosismo, ma era orgogliosa e felice mentre si avvicinava all’altare, un mazzo di rose e mirto tra le dita, sorrideva a Nicola che ricambiava di rimando, erano una coppia innamorata e felice.
La  cerimonia si tenne nel primo pomeriggio, seguì un lungo banchetto e poi gli sposi si ritirarono, che lei aveva il  mal di testa. La mattina dopo lei scrisse sul diario che mai avrebbe creduto che ci potesse  essere una felicità così completa al mondo, un tale senso di armonia tra esseri mortali, lo amava, quelle parole raccoglievano in sé tutta la sua vita.
Era tenera e feroce, la figlia di un drago.
Inesorabile verso la rovina.
E anni dopo Alix avrebbe sempre rievocato quei giorno di primavera a Coburgo,  i dolci baci che aveva sognato e desiderato da “Nicky” per lunghi anni, conservava il vestito grigio che indossava e i fiori rosa che avevano raccolto in romantiche passeggiate.
Tutto per lui e con lui.

 

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Capitolo 2
*** Paradise ***


Si tolse le forcine di squisita fattura, che  assicuravano le lunghe ciocche alla crocchia che soleva portare.
Tutto  quello che aveva era splendido, dalla biancheria di lino e batista alle lenzuola di seta con il suo monogramma.
Per non tacere dei vestiti, che ordinava da Worth e Paquin, gli equivalenti della sua epoca della famosa mademoiselle Bertin, che aveva vestito Marie Antoniette.
 I suoi passi parevano seguire i suoi, la regina austriaca si era librata con la grazie di una farfalla sui pavimenti, vera incessuit pauit dea, parafrasando Virgilio quando discorreva di Venere, madre di Enea.. Pavimenti che lei aveva percorso oggi, ammirando la famosa Galleria degli Specchi, per non tacere delle fontane che avevano zampillato, in fastosi, ampi getti.
I  giardini di Versailles erano una meraviglia, come quelli di Babilonia, le foglie  viravano nel rame e nell’oro, quando avevano visitato Parigi le migliaia di alberi presenti sulle strade che avevano percorso erano stati ornati da fiori artificiali di ippocastano, appositamente creati..
 Sorrise nello specchio, flettendo la testa dorata, gli occhi grigio azzurri assorti e remoti.
Anche Antonietta era stata bionda, con grandi occhi, dotata di grazia ed eleganza, brillante in ogni occasione, lei, invece, in pubblico arrossiva, la sua timidezza cronica era percepita come arroganza, il suo delizioso incarnato, che gli inglesi appellavano “pesche e panna” diventava orribile.
Si alzò, andando verso il letto a baldacchino, stupendi e raffinati i tendaggi, Antonietta doveva avere pensato che era splendido. Come la trovata dell'ambasciatore francese di regalarle un arazzo di Gobelin con la regina e i suoi figli, lo avrebbe messo nel suo salotto arredato nei toni del malva e del lilla, nel  prediletto palazzo di Alessandro, a Carskoe Selo, sua residenza preferita.
 Alessandra Feodorovna si addormentò sorridendo.
Era il 1896, era in viaggio con suo marito per le corti di tutto il continente europeo dopo la solenne incoronazione di Mosca.
Era zarina di Russia, moglie di Nicola Secondo, sposato per amore, giovane e avvenente.
La sola cosa che mancava a rendere completa la sua gioia era un figlio maschio, nel novembre precedente aveva dato alla luce la sua prima figlia, Olga.
 Un erede per rendere completa la sua gioia, la sua vita.
La sua infanzia era stata triste, la madre e la sorella più piccola morte di difterite quando aveva sei anni, prima ancora un fratellino, il padre quando ne aveva venti, per non tacere della lunga lotta per sposare Nicola. Sua nonna Vittoria d’Inghilterra, potente sovrana, si era opposta con ogni fibra a quel matrimonio, ritenendo la Russia troppo instabile, arrendendosi quando si erano fidanzati ufficialmente, in una primavera di rose e viole e dolci baci a Coburgo,


Per lei era un onore dormire in quelle stanze, appunto, mentre il suo seguito lo considerava un cattivo segno, come la scelta di regalarle quel particolare arazzo.
 La regina austriaca aveva avuto una tragica morte, sulla ghigliottina, dopo che la rivoluzione del 1789 le aveva tolto il  titolo, il marito ed i figli, schernita, derisa, umiliata fino al suo ultimo giorno.
 

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Capitolo 3
*** The Prophecy ***


Una tragedia che aveva funestato gli inizi del regno, nel 1896.
Una leggenda, una grande avventura che si mischiava alla verità,  una tragica e vera storia.

Nel mese di maggio 1896 si svolgeva la solenne incoronazione a Mosca, la cerimonia dentro il Cremlino fu di superba bellezza e lusso.
Era la completa assunzione al trono, l’investitura di forma, dopo quella di sostanza al momento della morte di Alessandro III.
La cattedrale dell’Assunzione rutilava di ori e icone, di una folla abbigliata in modo splendido, che resistette circa cinque ore, il tempo dell’elaborata celebrazione, tra salmi e prediche, le fiammelle delle candele vorticavano sospinte dai palpiti d’aria come l’incenso che saliva dai turiboli, parevano ricami danzanti contro le scure pareti, gli zar erano commossi mentre venivano cinti della sacra corona.
Erano  i signori della Russia, incoronati, gli unti del Signore, solo Dio e gli angeli erano loro superiori, avvolti da porpora e ermellino parevano divinità, ieratiche e perfetti nei volti e le espressioni. Tale sensazione si era avuta la sera prima, quando Alix, affacciatisi al balcone per salutare la folla, ricevette un mazzo di fiori dai notabili. Quando lo aveva preso in mano, un congegno nascosto aveva inviato un messaggio alla centrale elettrica di Mosca, che rispose inviando la corrente a tutte le lampadine, rosse, verdi, viola e blu, poste su ogni albero, cupola e cornicione, così che tutte le luci si accesero, stelle palpitanti, la città a festa illuminata solo per LEI
Venne tenuto un imponente banchetto per i nobili e i dignitari, mentre quello per il popolo era stato organizzato nei pressi della spianata di Chodynka, usata come luogo di esercitazioni militari, quindi ricco di buche e fossati.
Erano stati allestiti teatri, grandi buffet per recare i cibi e i doni dell’incoronazione, 20 spacci pubblici per le bevande, insomma una grande fiera,  ma la sera che precedeva il banchetto per il pubblico era circolata nel popolo la voce che i doni commemorativi non sarebbero bastati per tutti, quindi la folla cominciò a radunarsi per essere in prima fila fin dai primi bagliori dell’alba.
Da una cronaca di quei giorni "Una forza di polizia composta da circa 1800 persone non riuscì a mantenere l'ordine pubblico e sfollare quanti si erano radunati. L'ondata di panico che si verificò non durò più di quindici minuti nei quali 1 389 persone furono calpestate a morte e all'incirca 1 300 furono ferite.”
Lo  zar dichiarò che non si sarebbe presentato al ballo organizzato per quella sera presso l’ambasciata francese, ma gli zii paterni, lo convinsero a parteciparvi ugualmente per non offendere il diplomatico di Parigi. Alla fine,Nicola II si arrese.
Il commento di Witte, ministro di lungo corso: «Noi ci aspettavamo che la festa venisse annullata. Invece essa ebbe luogo come se nulla fosse accaduto e le danze vennero aperte dalle Loro Maestà ballando una quadriglia. Fu una serata infausta: l'imperatrice appariva sofferente e l'ambasciatore britannico ne informò la regina Vittoria.”
Molti russi ritennero che il disastro del campo di Chodynka fosse un presagio del fatto che il regno sarebbe stato infelice; altri, usarono la tragedia per rimarcare la spietatezza dell'autocrazia e  la superficialità del giovane zar e della sua "consorte tedesca".
Principiarono a chiamare l’imperatore "Nicholas the Bloody", ovvero Nicola il Sanguinario.
Un regno cominciato nel sangue si sarebbe concluso nel martirio e nella tragedia, riecheggiando un luogo comune, ventidue anni dopo la profezia si sarebbe avverata. 

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Capitolo 4
*** The Heir is Born ***


Nel 1904, la notizia dell’attacco giapponese giunse per telegramma, senza dichiarazioni di guerra o altro.
Pleve, ministro degli esteri russo, ne fu lieto. Infatti, riteneva che una "piccola guerra vittoriosa" fosse l’ideale per distogliere l’attenzione dai problemi interni, stimolando i patrioti e stroncando gli oppositori.
Santa Madre Russia aveva interesse a espandersi in Asia e il barbaro, pagano Giappone sarebbe stato stritolato dal gigantesco impero russo.
Mio zio Sasha Rostov-Raulov, era perplesso. Cresciuto insieme allo zar Nicola II e a mio padre Petr, era parte dell’esercito ed era molto attivo. Aveva le mani in pasta in ogni dove. E conosceva segreti rapporti che parlavano di deficienze e falle,avendoli stilati lui stesso, in ricognizione, oltre che da persone di sua fiducia.
Era cosciente che Port Arthur, avamposto russo nelle terre d’Asia, aveva una scarna guarnigione, poche le scorte e deficitari i collegamenti.
Con lo zar erano amici fin dall’infanzia e io avevo perpetuato la tradizione. Ero nata nel gennaio 1895, mi dividevano dieci scarsi mesi da Olga Nicolaevna, primogenita della coppia imperiale. Eravamo cresciute insieme, amiche e sorelle, come Nicola II e Sasha, che rimanevano sempre legatissimi, pure se ben di rado uno seguiva i consigli dell’altro, come per me e Olga.
Aspettate, Maestà, non siamo pronti, fu il consiglio di mio zio, e fu inutile..



Fu guerra, comunque, devastante, sanguinaria e rovinosa, un conflitto che acuì i problemi interni, portando scioperi e rivolte e sedizione. Infatti, i giapponesi sconfiggevano i russi senza rimedio.


Era il 12 agosto 1904, la zarina sedeva sul suo divano, ingrossata e oppressa da emicrania e cattivi presagi. Pochi giorni avanti si era rotto uno specchio in mille frammenti senza che nessuno lo avesse sfiorato, si era staccato mentre lei vi passava davanti, toccandosi protettiva il ventre ormai enorme.

Cose che capitano, peccato che i russi fossero molto superstiziosi, era certo un cattivo segno, per il bimbo che doveva nascere. Era mal fissato, osservai io, figurati se deve succedere qualcosa.

Si sperava in un maschio, dopo Olga erano giunte Tatiana, Marie e Anastasia, le mie sorelline putative. Peccato che fossero dinasticamente inutili, come osservava la loro nonna paterna, che, per la legge salica, solo un principe poteva ereditare il trono. Come se una donna non potesse regnare, la mia replica, io che mi chiamavo Catherine, come la grande Caterina II. Ovvero, il mio nome era Ekaterina Petrovna Raulov, principessa, tranne che io e Olga adoravamo il francese, come la zarina di cui sopra, così che lei (Olga) mi appellava sempre Catherine.
O Cat, quando imparava a parlare, per economia, che nome e patronimico erano troppo lunghi per quella solenne e paffuta bambina, che adorava i gatti e alle volte mi diceva addirittura Kitty Kat, gattina, e guai a me se non facevo le fusa.
Comunque, fusa o meno, verso le 12 mattutine la zarina percepì i noti dolori del parto, il quinto, dopo un'oretta giunse il tanto atteso bambino, un maschio, desiderato e cercato.
Alle una lo Zar si inchinò dinanzi a lei, che ancora non sapeva l’esito, appariva così debilitata che nessuno aveva osato darle la bella notizia, tuttavia, la lesse sul viso del marito.
“Non può essere, è davvero un maschio?”
“Sì..” Parole frantumate “ Sarà Aleksej..” come il padre di Pietro il Grande, il sovrano preferito dello Zar, fin qui nulla di male. Tuttavia quello era stato anche tranne il nome del figlio di Pietro il grande, che aveva complottato contro il suo stesso padre, morendo poi per suo ordine.


Aleksej Nicolaevic Romanov, lo Zarevic, atamano di tutti i cosacchi e.. una infinita lista di appellativi, considerai vedendolo nella grande culla dorata. Mi pareva troppo piccolo per quelle responsabilità, ed era splendido, pesava cinque chili e aveva un buffo nasino e le sopracciglia chiare, la bocca pareva un bocciolo di rosa, mentre orecchie erano buffe e tenere, come una conchiglia. Cacciò uno sbadiglio e mosse le mani
“ Lo puoi toccare, Cat, se vuoi, non si rompe” mi disse Olga, esperta, io ero figlia unica e di bimbi piccoli ne sapevo il giusto.
“Non me la sento”
“E dai..Non ti morde o manco si rompe..hai paura, allora”
“NO”
“E allora toccalo”mi sfidò, inchiodandomi.
Sporsi una mano vicina alle sue, osservando incantata le minuscole dita, fornite addirittura di unghiette, sfiorai un pugnetto con il pollice e mi ritrassi subito dopo.

Telegrammi di congratulazioni piovevano a ritmo serrato, padrino onorario era ogni soldato e ufficiale dell’esercito, oltre all'imperatore tedesco e al principe di Galles. Tra l'altro, lo zarevic ebbe il titolo onorario di colonnello di molti reggimenti, nastri e decorazioni. Tra i doni e i regali ve ne era per tutti i gusti, ebbe addirittura un elefante.
Il battesimo venne celebrato il 3 settembre. Era un piovoso martedì a Peter Hof, io fremevo di eccitazione, che, indossavo una versione in piccolo formato del gran vestito di corte, di seta chiara con inserti e ricami meravigliosi, che vibravamo a ogni respiro, con annesso, prezioso copricapo di corte, posato sui capelli sciolti. A ciò andava aggiunta la fascia rossa di traverso sul petto,propria dell' ordine di S. Caterina (!!), come le granduchesse. Insomma, brillavamo, radiose. Facevamo un figurone, i ragazzi avevano una uniforme militare in miniatura. Eravamo adulti, solenni, buffissimi, investiti da una grande responsabilità, pomposi come pochi. Allora, per la snellezza e la statura superiore alla media, parevo un giovane salice, regale quando volevo al pari di un giovane sultano, ossequiosa e solenne. E aspettavamo, come tutti, la carrozza dorata che, scortata da un drappello di soldati di cavalleria lo avrebbe condotto al fonte battesimale.
Lo portava tra le braccia la principessa G., guardarobiera imperiale, su un cuscino d’oro, assicurato alle spalle della madrina da una fascia dorata, per precauzione aveva delle suole antiscivolo. Era avvolto in un mantello d’oro, ricamato di ermellino, come era uso, per l’erede al trono, pareva un essere fatato. Stranamente, pianse forte, come un bambino comune, quando venne immerso nell’acqua battesimale.
Lo mangiammo con gli occhi, dopo esserci coperte la bocca, con una mano, per discrezione, onde evitare che le nostre risatine si propagassero troppo, mentre Alessio scalciava sul cuscino con vigore, strillando come un'aquila, sdegnato per l'incontro con il sacro liquido, che era freddo. 

Per tradizione russa, i genitori erano assenti al battesimo, tuttavia, finita la cerimonia, l’imperatore giunse in chiesa di gran carriera. Sia lui che l’imperatrice erano nervosi, che temevano che la principessa G. potesse far cadere l’infante o che l’anziano sacerdote affogasse il bimbo nel fonte battesimale.

“Pare una bambola” annotai dopo, mentre Olga lo cullava, era una delle madrine, come la sottoscritta, compito che la riempiva di gioia e orgoglio.
“Siediti, ora lo prendi in braccio..Muori dalla voglia Catherine, ci scommetto, e fidati, se la guardarobiera non l’ha buttato per terra, tu non potrai fare peggio”
“Sempre gentile, eh”
Me lo passò, delicata, spiegando che era bene che gli tenessi la testolina con il gomito, poi eccolo tra le mie braccia, un gesto che avrei ripetuto in un numero infinito di volte, sempre con amore.
“Ciao Aleksej” Lo confrontai con le bambole meccaniche con cui giocavamo, lui non aveva bulloni, solo era tenero e magico, e odorava di pipì e borotalco, latte e acqua di rose, avvolto nelle fasce e nei pannolini. Era luce e innocenza, anche quando non sapeva parlare comunicava con gli occhi, dentro vi è sempre stato un mondo intero.

Mi rispose con uno sbadiglio, io con un bacio. “Ciao tesoro.. Piacere mio” In inglese, francese e russo, affettuosa e poliglotta, sempre. Il giovane sultano si sciolse, adorante, con una manina sfiorò una ciocca dei miei capelli castani, nel sole erano lucidi come rame. Ero sempre a svolazzare nella nursery, un farfalla impazzita verso una lanterna. Il mio Aleksey. Il mio piccolo principe. Ricordo che in principio gli zar, orgogliosi, non trascuravano occasione per mostrarlo. Quando Nicola incontrò Aleksander Mosolov, capo della cancelleria di corte, gli disse “Non credo che abbiate visto ancora il mio caro piccolo zarevic, ora ve lo mostro” Entrarono, raccontò poi Mosolov, stavano facendo il solito bagno quotidiano al bimbo, che tirava calci nell’acqua. Lo zar prese il piccolino dall'accappatoio, i piedini nel cavo di una mano, reggendolo con l’altro braccio. Era nudo, colorito, paffutello, uno splendore, una bellezza, dopo lo zar informò sua moglie che aveva fatto sfilare lo zarevic. “Principessa Raulov” “Sì Maestà” “Qualcuno vuole stare con te” Mi ero tesa, prendendolo. “Sei bellissimo, sai” Un piccolo sussurro. “Aleksej..sei bellissimo” lui gorgogliò, beato, un piccolo rigurgito di saliva fiorì sulla spalla dove lo tenevo raccolto. Adesso, appena capitava l'occasione, lo prendevo spesso in braccio, meravigliandomi di come fosse leggero. E lo adoravo, ero rapita e estasiata dai movimenti delle mani e dei piedi, i mormorii, non vedevo l’ora che cominciasse a sorridere. Tutto il pacchetto, insomma. Piccoli miracoli, così scontati da non parere possibili e tanto era, stemperava la mia malinconia, anche quando sorridevo avevo sempre lo sguardo triste. Aleksey. Amore. 

 
A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco, la maledizione che si ripeteva, per colpa di sua madre e delle sue antenate.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta.

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Capitolo 5
*** Alexei The Light ***


Sei bellissimo, sai” Un piccolo sussurro, ero seduta nella famosa mauve room di Alix, l’imperatore appellava sempre in quel modo la sua diletta sposa, con il nome di battesimo. Nata Alix Von Hesse, lo aveva sposato nel 1894, convertendosi alla religione ortodossa e adottando il nome di Alessandra Feodorovna. “Aleksej..sei bellissimo”  lui dormiva, beato, un piccolo rigurgito di saliva fiorì sulla spalla dove lo tenevo raccolto, ora lo prendevo spesso in braccio, meravigliandomi di come fosse leggero, lo adoravo, ero rapita e estasiata dai suoi sorrisi. E dai movimenti delle mani, i gorgoglii.. Tutto il pacchetto, insomma.
Mi era ritornata la voglia. Volevo un fratello o una sorella, ero figlia unica, viziata e ottenevo spesso quanto volevo ma non quello, in compenso avevo le granduchesse, rideva mia madre, lasciando indietro il suo profumo di cipria e peonia, i vantaggi di avere delle sorelle senza spartire l’ attenzione dei genitori.
Spesso, durante la stagione invernale, capitava che dormissi a Carskoe Selo, nel palazzo di Alessandro, la giovane zarina preferiva quella cittadina a venti chilometri circa dalla capitale e il palazzo di cui sopra, più tranquillo e raccolto rispetto ai fasti ufficiali del proprio rango.
Anche io partecipavo al programma di studi, mi alzavo presto, come loro, dividevamo i pasti, le lezioni, ci tenevamo occupate con i ricami e le lezioni di pianoforte.. Tranne che in queste due ultime attività ero negata, senza rimedio,  le mie performances musicali un disastro, Olga mi metteva un libro in mano, raccomandandomi di non cantare, per non spaccare i vetri e i timpani. Ne ridevamo sopra, lei invece era bravissima, meno male che avevo senso del ritmo, ballavo bene, le lezioni di danza mi divertivano. Tata era superlativa, aggraziata, si muoveva come una farfalla, io me la cavavo.. A cavallo, senza falsa modestia, ero superlativa io. Una sorta di compensazione, senza invidia, mi divertivo più con loro che a stare sempre da sola, in senso lato, con precettori e tata. Unico tratto privilegiato era che avessi una stanza per me, invece le ragazze dormivano due a due, Olga con Tata, Marie con Anastasia.
E tutte e cinque adoravamo Aleksey.
Non era un mistero che la zarina, tornando a noi, preferisse la quiete della sua famosa mauve room a un ballo scintillane.
Ecco di nuovo il profumo di lillà, i vasi pieni, mescolati al suo profumo preferito White Rose e alle sigarette che fumava, nei momenti di quiete che di fretta, ovvero sempre, una sigaretta appresso l’altra.
Quella era la sua stanza preferita, piena di mobili ordinati per corrispondenza ai grandi magazzini inglesi Marple’s- (cosa che aveva prodotto altra frecciata ai suoi danni, che bisogno aveva di ordinare quegli acquisti quando disponeva delle squisite collezioni e degli splendidi arredi dei palazzi dei Romanov? Era e rimaneva una Hausfrau, una casalinga in tedesco,una piccola borghese, anche in quello si palesava la sua inadeguatezza). A me piacevano, davano un senso di maggior calore e raccoglimento rispetto ai mobili di antiquariato e alle rutilanti collezioni dei vari palazzi.
Il pianoforte verticale.
La chaiselongue ove era adagiata, lo sguardo appuntato sulla parete colma di foto, della madre Alice, di sua nonna la regina Vittoria di Inghilterra e paesaggi della Germania e della Gran Bretagna, un quadro dell’Annunciazione e un arazzo Gobelin che rappresentava Maria Antonietta e i suoi figli, dono dell’ambasciata francese.
Negli anni Alessandra usava ricevermi lì e sorrideva di più; se mia madre non mi accompagnava, alla fine la faceva rientrare nel novero di chi era contro di lei.
Io ero una bambina, amica delle sue figlie e lo zar suo marito voleva che le frequentassi e non recedeva da quella posizione, lui che di solito accontentava la zarina in tutto, anche troppo dicevano i più nei minimi come nei massimi.
Aveva occhi chiari, di un colore stupendo e cangiante, che esprimevano tutte le sue emozioni.
Era bella, alta e sottile. Cercava di fare del bene, la corte russa, famosa per i suoi fasti, non la comprendeva, lei aveva un alto senso del giusto e dello sbagliato, una ferrea moralità e non comprendeva come i russi apprezzassero più il lusso e l’ostentazione  che a compiere il proprio dovere, giorno per giorno, con modestia.
Ora guardava me che coccolavo lo zarevic, seduta su una poltrona da cui si scorgevano i giardini innevati, the photo’s corner, che molte delle foto di famiglia venivano scattate lì.
Insomma, non ci pensavo, che in genere odiavo essere fotografata, ero presa da Aleksej, avvolto in una copertina candida, la testa sulla mia spalla, e zac!! Immortalati.
Lo strinsi più forte, innervosita, e lui si svegliò, mettendosi a strillare, e mi tirai in piedi, camminando per la stanza, Alix rideva, mentre cercavo di calmarlo, appena mi fermavo riprendeva a piangere, era buffo, morbido, un pugnetto mi avvolgeva il dito.
Andammo avanti in quel modo per non so quanto, alla fine ebbe pietà e lo riprese “Gli piaci proprio, sai” mormorò vezzeggiandolo. Forse, o era solo viziato, a pochi mesi aveva già capito che le sue voglie sarebbero state soddisfatte a prescindere, tutti facevano a gara a tenerlo in braccio, a complimentarsi, che era bellissimo, davvero, irresistibile, e tanto fin da piccolo voleva fare tutto a modo suo, veramente un autocrate come suol dirsi.
“Se lo dite voi..”A dimostrazione di quanto sopra Aleksej mi tese le manine, io mi nascosi fuori dalla vista.
Seguì un regale strillo, di indignazione, e la risata della zarina.
Rispuntai dopo tre secondi, che gli strilli aumentavano, “Maestà posso sedermi nella sedia a dondolo e cullarlo? Sennò vi consumo il pavimento.. Sono qui, zarevic, ti piace come idea”retorica domanda chiaro, lo raccolsi contro il busto, posando il palmo contro la sua testolina piena di capelli. Dopo e poi, saremmo stati sempre in confidenza, e quelli erano i primi passi, la perfezione e la grazia che aveva fin da piccolo incantavano, era una meraviglia, la mia.
 
La nascita di Alexei fu una gioia immensa per gli zar, una felicità troppo presto interrotta.
Quando aveva sei settimane circa,  iniziò una emorragia dall’ombelico, che non si arrestava nonostante le bende che i medici gli mettevano sotto gli occhi sbarrati e spauriti dei suoi genitori, che erano in uno stato di dura, terribile ansia.
Il sangue si fermò dopo due giorni.
Iniziava l’orrore.
La zarina aveva avuto un fratello emofiliaco, sua nonna, la regina Vittoria aveva generato un figlio con quel morbo, due delle sue figlie, la madre della zarina e un’altra, lo avevano trasmesso a parte della loro prole maschile, a loro volta le loro figlie lo avevano passato ai loro bambini maschi ..  e il morbo si era fatto strada nelle case reali di Germania, Spagna, Russia e Inghilterra.
Era un segreto, un orrore, un baratro di disperazione.
Alessandra non poteva eludere quel problema, la malattia di suo figlio fu la tragedia della sua vita, un monito continuo e costante.
Ineludibile come la luna sorgiva, le maree.
Gli zar scelsero il segreto, quella storia non doveva trapelare.  Quando Alessio stava male, le note ufficiali riferivano di un raffreddore, una storta. Quando la zarina appariva in pubblico, in rare e obbligatorie occasioni, il viso era rigido e teso, per occultare la preoccupazione, ma la gente, non sapendo, la definiva altera.
Con il tempo, le voci ufficiose definivano lo zarevic epilettico, stupido, un ritardato mentale.
Più saliva l’isolamento, maggiori erano e critiche, le proteste.
La tragedia era alle corde.
Ma Alexei era  e rimaneva la luce del fulmine, the light in the thunder.
La vita.
 

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