虹 – Aspettando l’arcobaleno

di Sabriel Schermann
(/viewuser.php?uid=411782)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



– Aspettando l’arcobaleno

 

 

 

 

 

Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo.
Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero.
Ma su un punto non c’è dubbio.
Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.

 (Kafka sulla Spiaggia – Haruki Murakami)

 

 

 

 

 

Era notte fonda quando squillò il telefono. Quel rumore fastidioso gli fece spalancare gli occhi e battere il cuore come solo i peggiori incubi riuscivano a fare: odiava i rumori forti e improvvisi. Si stropicciò gli occhi per qualche istante, si rigirò nel letto inquieto, fino a quando non decise di alzarsi e andare a rispondere. Gli cadde casualmente lo sguardo sull’orologio a forma di gatto appeso sopra la porta della stanza e realizzò con amarezza di avere ancora solamente due ore di riposo.
«Pronto?» disse con voce ancora impastata dal sonno, lasciando fuoriuscire un po’ d’asperità. Dall’altra parte, solo silenzio. L’udito che aveva imparato a sviluppare grazie al suo lavoro poteva percepire un sottile brusio provenire dall’altra parte della cornetta, il ronzio tipico di un apparecchio elettronico.
«Pronto!» ripeté con durezza. Nessuna voce sembrava sovrastare quell’irritante vibrazione, per cui decise di riagganciare il telefono e tornarsene a letto.
Una nuova e faticosa giornata sarebbe iniziata prima che Ninomiya se ne potesse rendere conto.

 

˜

 

Durante le prove del giorno successivo, si resero tutti rapidamente conto che c’era qualcosa che non andava in Ohno Satoshi. Si era assentato dal lavoro chiedendo delle ferie per malattia per una settimana, posticipando tutti gli impegni della band e mandando su tutte le furie il manager e gli organizzatori. Quel giorno si era finalmente presentato alle prove, ma era chiaro che non stava affatto bene. Era arrivato in ritardo e in camerino lo avevano accolto calorosamente, ricevendo in risposta solamente un grugnito.
Nino era genuinamente preoccupato, ma non aveva avuto il tempo di rivolgergli una parola fino alla pausa per il pranzo. Appena raggiunse il camerino, lo vide accovacciato sul divanetto con le ginocchia al petto, prendendo posto accanto a lui.
«Satoshi» lo interpellò con tono severo, «mi vuoi dire che cosa c’è che non va?» si addolcì, osservandolo attentamente in viso. Lo sguardo del leader si era posato su qualcosa di indefinito sul pavimento, disperso nel vuoto; le labbra scarlatte erano semiaperte e Ohno sembrava assorto nei propri pensieri come un bambino che, appiccicato alla vetrina di un negozio, osserva il proprio giocattolo preferito sapendo di non poterlo mai avere.
Nino aprì il proprio bentō¹ senza fretta, mescolando il riso bianco con la verdura accuratamente tagliata a lato del contenitore.
«Kazunari» si sentì chiamare con un suono simile a un sibilo, che doveva essere appena uscito dalla bocca del giovane uomo accanto a lui, nonché l’unica persona presente nella stanza in quel momento. «Ho deciso di mollare» concluse il più grande quasi sussurrando, con un tono che di deciso stavolta non aveva assolutamente nulla. Nino lasciò che le bacchette gli scivolassero dalle mani. Si voltò incredulo, cercando un contatto visivo che però rimase soltanto un desiderio.
«Vuoi mollare? Ho sentito bene?» chiese osservando il ragazzo con occhi sbarrati. Un fragoroso silenzio calò nella stanza come la musica col volume più alto che esista.
Un violento mal di testa colpì improvvisamente il più giovane, che si vide costretto a posare il contenitore sul tavolino accanto al divano per prendersi la testa tra le mani: «Ma non puoi farlo!» sbraitò subito dopo. Satoshi lo guardò negli occhi. Non ne aveva avuto il coraggio fino ad allora, ma ormai la verità era stata svelata e tutt’a un tratto la paura di affrontare i propri compagni era svanita.
Sarebbe stato sincero, avrebbe dato le giuste motivazioni, anche se in fondo non sapeva darne nemmeno a se stesso. Voleva solo essere felice, perché non lo era più da troppo tempo.
Ne aveva il sacrosanto diritto anche lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

¹ bentō: contenitore porta-pranzo con coperchio, molto utilizzato in Giappone.


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



«Vuoi salire?» chiese Ninomiya, appena usciti dal ristorante sotto casa sua. Lui e quella che ormai era diventata la sua band si erano conosciuti solamente qualche mese prima, debuttando insieme a Honolulu. Il più grande era stato scelto come leader quel giorno stesso e aveva dunque offerto la cena a tutti. La serata fu intensa, ma intorno a mezzanotte tutti vollero rincasare per poter riposare: nonostante l’impegno, davanti ai cinque giovani si prospettava un futuro colmo di successo.
«Se vado a dormire fra mezz’ora, il tempo di arrivare a casa, mi rimangono sei ore di sonno» aveva calcolato velocemente Ohno, immobile davanti al portone del palazzo del più giovane, controllando l’orologio annodato al polso.
«Puoi dormire da me» si affrettò a dire Nino. Per qualche motivo detestava restare da solo durante la notte. Nonostante fosse ormai totalmente buio, il più giovane poteva chiaramente sentire lo sguardo bruciante dell’altro su di sé, seguito poi da un lieve cenno d’assenso che poté percepire all’ombra del suo profilo. Salirono le scale in silenzio, raggiungendo l’appartamento al terzo piano dell’edificio.
«Mi servirà della biancheria pulita» disse Ohno poggiando la propria roba sul piccolo divano nel salotto. «Quella non ti servirà» si lasciò sfuggire il sedicenne in un mormorio. Un silenzio imbarazzante avvolse i due ragazzi per qualche istante, permettendo al più giovane di sgattaiolare in camera da letto, quasi come a nascondersi, seguito poi dal compagno.
Ninomiya si sedette sul bordo del letto a testa bassa, imitato dall’altro che, con passi furtivi, prese posto accanto a lui, sollevandogli il mento con l’indice.
«Non ci credo» mormorò Nino, «davvero non lo avevi capito?» continuò. I loro sguardi si incrociarono per qualche istante. Satoshi ebbe la fugace impressione di aver notato un velo di lacrime negli occhi del ragazzo.
«Non lo so…» rispose con aria assorta, sdraiandosi sul letto, incrociando le braccia dietro il capo, «forse» Il più giovane si voltò verso di lui, prima guardandolo in viso, poi scorrendo con lo sguardo sul suo corpo, osservandone attentamente l’addome disegnato dalla maglietta semiaderente, l’ombelico che si intravedeva dal bordo dei pantaloni, un incavo minuscolo in mezzo a un deserto di pelle liscia e abbronzata.
Di nuovo, il silenzio si impadronì della stanza. Poi il più grande si alzò di colpo, togliendosi la maglia, lasciando intravedere la vita stretta e i capezzoli scuri sul petto, facendo per togliersi anche i pantaloni, quando l’altro lo fermò.
«Cosa stai facendo, Ohno Satoshi?» chiese Nino allarmato, tirandosi in piedi di scatto. Il più grande fremette a sentire pronunciare il proprio nome per intero. Non aveva memoria di nessun altro che lo avesse fatto, se non i professori a scuola e sua madre quando era particolarmente nervosa. «Ho bisogno di farmi una doccia e prepararmi per la notte» rispose noncurante il ragazzo, levandosi i pantaloni.
Nino non poté impedirsi di far scivolare lo sguardo: un paio di boxer neri col bordo grigio campeggiavano dinanzi a lui, mettendo particolarmente in risalto il fondoschiena del ragazzo. Nino si passò una mano sul volto, deciso ad andare in cucina a bere un bicchier d’acqua, ma non fece in tempo a pensarlo che l’altro gli si avvicinò, premendo il proprio corpo contro il suo, abbracciandolo teneramente.
Un capogiro raggiunse il più giovane, stretto tra le braccia del compagno. Raramente era stato abbracciato in quel modo nella propria vita. Stringendolo di rimando, fece scorrere una mano lungo la schiena, assaporandone ogni angolo. Poteva sentire il profumo della sua pelle nuda, levigata sotto il suo tocco fugace. Ohno piegò leggermente la testa nella sua direzione, respirando sulle guance del più giovane, per poi sfiorargli le labbra con dolcezza.
Un bacio casto, sincero, a cui ne seguirono altri cento, intimi e passionali, nascosti nel buio della notte.

 

˜

 

Il pranzo di Nino era rimasto sul tavolino, intatto. Quando tornò a casa quella sera, si sedette sul divano, senza sapere bene come spiegarsi ciò che sentiva. Di certo non era raggiante, ma non poteva definirsi nemmeno afflitto; conosceva bene anche lui le sensazioni che doveva provare Satoshi in quel periodo, sapeva bene che i suoi desideri non erano quelli di continuare a esibirsi per Johnny².
La fama li aveva lentamente distrutti, anche se nessuno di loro lo voleva ammettere realmente. Nonostante i compagni non avessero accolto la notizia con allegria, Nino sapeva che in fondo non erano angosciati. All’inizio il successo sembrava un sogno divenuto reale e Ninomiya stesso si reputava il ragazzo più fortunato al mondo.
Debuttare a soli sedici anni come idol, farsi applaudire per qualsiasi cosa facesse, guadagnare tanto denaro era ciò che aveva sempre reputato una bella vita. Col tempo però, si accorse che tutto ciò portava con sé anche diversi lati negativi: la quasi totale assenza di una vita sentimentale normale, non solo a causa della propria omosessualità, ma soprattutto a causa del suo lavoro.
Non era possibile nemmeno comprare un pezzo di pane senza essere pedinati e fotografati da chiunque. Spesso era costretto a mascherarsi meticolosamente prima di uscire, per nascondere accuratamente il proprio viso in modo da renderlo irriconoscibile.
Sapeva che se lui soffriva per questi motivi, Ohno ne risentiva ancora di più. Sapeva di non poter fare altro che accettare la sua decisione. Gli Arashi si sarebbero presto sciolti, ma era sicuro che sarebbero rimasti in qualche maniera uniti, nonostante la frenesia della vita. Forse avrebbe avuto la possibilità di ricostruire un qualche tipo di vita privata con Satoshi, o forse no.
Solo il tempo avrebbe potuto trarre le proprie conclusioni.

 

˜

 

Erano passati alcuni mesi da quando la sua relazione con Ohno aveva avuto inizio e dopo aver letto i giornali quel giorno, su cui campeggiava una foto del ragazzo con un paio di adolescenti seminude, lo aveva chiamato chiedendogli spiegazioni, accettando poi l’invito dell’altro ad una gita su un lago, noleggiando una barca per andare a pescare.
«Pensavo stessimo insieme» si lasciò sfuggire il più giovane, pentendosene nello stesso istante in cui lo disse, «hai letto i giornali questa mattina?» proseguì. Ohno si voltò con aria cupa, per poi posare lo sguardo nuovamente sulla canna da pesca. «Dobbiamo concentrarci sul lavoro adesso. Dobbiamo creare una tempesta in tutto il mondo³».
Un lieve sorriso gli si dipinse sulle labbra e Nino si chiese per un istante se avesse realmente sentito ciò che gli aveva chiesto. Ohno non era così stupido come voleva far credere. Non era neanche particolarmente buono come appariva.
Con questi pensieri, il cantante si voltò verso il lago, osservando la distesa blu illuminata qua e là da piccole stelle luccicanti come pietre incastonate nell’acqua. Pensò che in fondo il più grande aveva ragione, il lavoro era il loro primo obiettivo, come si erano sempre promessi fin dal loro debutto, quasi un anno prima. Si voltò verso il ragazzo accanto a lui, osservandone attentamente il profilo, notando un giovane uomo, forse sciocco o forse solo agli albori della vita per poter realmente comprendere i propri desideri. Vide un uomo dal naso leggermente aquilino che si godeva ogni minuto della propria esistenza, prendendolo un po’ come veniva, accettandone le conseguenze.
E decise di voler fare lo stesso: mordere la vita, masticarla fino a quando non si sarebbe stancato, per poi sputarla via come una vecchia gomma e tentare di eliminarne l’amaro sapore trangugiando un bicchier d’acqua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

² Johnny: Johnny Hiromu Kitagawa, il fondatore dell’agenzia scopritrice di talenti Johnny & Associates, che nella sua carriera ha prodotto numerosi gruppi musicali J-pop, tra cui gli Arashi.

³ “Creare una tempesta in tutto il mondo”: l’obiettivo della band secondo l’agenzia di talenti Johnny’s, che per questo motivo scelse il nome Arashi , ossia “tempesta”.


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3848205