Lion's Pride

di Calia_Venustas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ✭ Daybreak Town ***
Capitolo 2: *** ✭ The Clock Tower ***
Capitolo 3: *** ✭ Dive to the Heart ***
Capitolo 4: *** ✭ The Station of Awakening ***
Capitolo 5: *** ✭ Darkness Looms ***
Capitolo 6: *** ✭ The Rose Gardens ***
Capitolo 7: *** ✭ The Control Room ***
Capitolo 8: *** Interlude I ***
Capitolo 9: *** ✭ The Pendulum Bridge ***
Capitolo 10: *** ✭ Camelot ***
Capitolo 11: *** ✭ The Sword in the Stone ***
Capitolo 12: *** ✭ Gears in Motion ***
Capitolo 13: *** ✭ The Light that Burns ***
Capitolo 14: *** ✭ Foxtrot ***
Capitolo 15: *** ✭ Points of View ***
Capitolo 16: *** ✭ One of a Kind ***
Capitolo 17: *** ✭ Radiant Garden ***
Capitolo 18: *** χ Twinkle Twinkle Little Star ***
Capitolo 19: *** ✭ Make Mine Music ***
Capitolo 20: *** χ Negative Emotions ***
Capitolo 21: *** Interlude II ***
Capitolo 22: *** ✭ Sand and Data ***
Capitolo 23: *** χ We have come for you, my Liege ***
Capitolo 24: *** ✭ To See Beyond ***
Capitolo 25: *** ✭ The Depths ***
Capitolo 26: *** χ Every Time We Say Goodbye ***
Capitolo 27: *** χ No Heart ***
Capitolo 28: *** ✭ The Gazing Eye ***
Capitolo 29: *** ✭ The One Who Bears The Sigil ***
Capitolo 30: *** χ Day Off ***
Capitolo 31: *** χ Princesses ***
Capitolo 32: *** ✭ Time for Answers ***
Capitolo 33: *** ✭ Outsiders ***
Capitolo 34: *** ✭ The Boy Who Fell ***
Capitolo 35: *** χ I Know You ***
Capitolo 36: *** ✭ The Lost Empire ***
Capitolo 37: *** χ Frogs ***
Capitolo 38: *** ✭ Darkness Strikes ***
Capitolo 39: *** χ Demons ***
Capitolo 40: *** ✭ The Children of Pride ***
Capitolo 41: *** χ Chain of Memories ***
Capitolo 42: *** ✭ The Shadow That You Cast ***
Capitolo 43: *** ✭ The Beginning of the End ***
Capitolo 44: *** ✭ The Tyranny of Light ***
Capitolo 45: *** χ Heartaches ***



Capitolo 1
*** ✭ Daybreak Town ***


Lion's Pride
di Calia Marini


Ringrazio Sara/Malakia per avermi lasciato usare la sua bellissima illustrazione del Maestro dei Maestri!

INTRODUZIONE: questa storia è ambientata prima degli eventi di Kingdom Hearts X Back Cover e racconta l'origine del Maestro dei Maestri e dei suoi sei apprendisti, con uno speciale focus su Ava, Luxu e il Maestro stesso. Tutto nel finale di KH3 sembra indicare che i Veggenti saranno i nuovi villain della saga e questa storia ha il fine di illustrare le loro motivazioni e le ragioni che a mio parere li renderanno un gruppo di antagonisti completamente diversi dallo 'squadrone Xehanort' che abbiamo affrontato in passato. Il Maestro dei Maestri e i suoi apprendisti sono, nella mia interpretazione, prima di tutto una famiglia allargata non dissimile da quella di Sora e dei suoi amici anche se i loro rapporti si svilupperanno in circostanze molto diverse.
  • Rating: arancione
  • Coppia/e: Luxu/Ava, Luxu/Maestro dei Maestri, Invi/Ira, Ava/Gula, Soggetto X/Isa, Lauriam/Elrena
  • Personaggi: Maestro dei Maestri, Ava, Luxu, Aced, Gula, Ira, Invi, Chirithy, Ventus, Ephemer, Brain, Strelitzia, Lauriam, Elrena, Skuld, Braig/Xigbar, Vanitas.
  • Avvertimenti: Contenuti forti di vario genere (crudeltà sugli animali/dream-eaters puccettosi, horror psicologico, descrizioni moderatamente dettagliate di scene cruente, eventuali capitoli dal rating rosso perché lemon saranno postati come one-shot a parte. Potrete leggere l'intera storia senza dovervi sorbire i miei momenti da pervertita se così preferite.)
  • Avvertimenti EXTRA: : Visti i recenti capitoli, mi tocca pure inserire "furry" nella lista delle robe che potenzialmente potrebbero disturbarvi. Ma tranquilli, ci teniamo sul rating verde-giallo per quella parte dato che si tratta di una cosa prettamente estetica. Lettori avvisati, mezzi salvati :3
  • Contesti: Pre-Kingdom Hearts X Back Cover / Kingdom Hearts Union X / Kingdom Hearts 358/2 Days / Kingdom Hearts II / Birth By Sleep / Post-Kingdom Hearts 3 (se davvero ci arriviamo coi capitoli!)

NOTE:
In questa storia, i Veggenti hanno dei nomi differenti prima di essere ribattezzati dal Maestro dei Maestri e associati ad un peccato capitale. I loro nomi sono tratti dai volumi che troviamo nella biblioteca della Fortezza Oscura in KH1.

Maestro dei Maestri (Perbias): Theon
Luxu: Khama
Ava: Mava
Aced: Salegg
Ira: Azal
Gula: Hafet
Invi: Nahara

Col procedere della trama e per facilitare la vita sia a me che a voi, ho deciso di contrassegnare i titoli dei capitoli con due simboli:
e χ

✭ Titolo ✭
  = capitoli ambientati nell'Era delle Fiabe, ossia quelli che primariamente seguono la formazione di Luxu e l'evolversi dei piani del Maestro. Cronologicamente parlando, si tratta di tutti gli avvenimenti compresi tra 10 anni prima di Back Cover e la prima Guerra dei Keyblade.
χ Titolo χ = capitoli ambientati post Birth By Sleep
con Luxu nei panni di Braig/Xigbar, Soggetto X, Isa, Lea, Xehanort e il resto dell'allegra compagnia. Da 2 anni dopo BBS fino all'Epilogo di KH3. E magari, persino al Finale Segreto :P



Buona lettura!

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DAYBREAK TOWN

 

Standing on a road I didn't plan,
wondering how I got to where I am.
I'm trying to hear that still small voice...
I'm trying to hear above the noise!
[Need You Now - Plumb]

Quando la carrozza uscì dalla fitta boscaglia e il paesaggio si spalancò immenso e sereno davanti ai suoi occhi, Khama rimase a bocca aperta, il nasino schiacciato contro il vetro.

Non aveva mai visto niente di simile.

La città dai tetti viola-azzurri s’estendeva a perdita d’occhio nella radura e una torre che con la sua altezza vertiginosa sembrava sfidare ogni legge della fisica segnava il trascorrere delle ore con il pigro oscillare di un enorme pendolo. Alberi da frutto e graziosi giardini fioriti punteggiavano i viali illuminati dalla tremula luce dei lampioni e ovunque si scorgevano persone intente a passeggiare e a godersi quella tiepida serata di fine estate.

“Bella eh? Scommetto che in questo momento ti senti terribilmente fortunato ad essere stato affidato a me. Avrai una stanza tutta tua proprio in quella torre.” disse il suo accompagnatore, indicando l’imponente struttura con l’indice guantato di nero.

Khama lo guardò di sottecchi, ancora scombussolato dagli eventi delle ultime ventiquattro ore. Solo la sera prima un paio di ragazzi più grandi l’avevano riempito di calci nel vicoletto sul retro dell’orfanotrofio che aveva sempre chiamato casa eppure adesso si ritrovava a viaggiare in una sfarzosa carrozza di mogano diretto ad Auropoli dove avrebbe cominciato il suo apprendistato.

Ancora stentava a credere che tra tutti i bambini, il Maestro avesse scelto proprio lui. E, cosa ancora più incredibile, Khama non riusciva a capacitarsi di come quel ragazzo mingherlino e dai modi strambi che sedeva di fronte a lui fosse il famigerato Maestro in persona.

Quando l’educatrice l’aveva fatto entrare nella sala comune, continuando a dilungarsi su quale grandissimo onore la sua presenza lì rappresentasse per l’istituto, Khama non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che dovesse trattarsi di un elaboratissimo scherzo di pessimo gusto. E tale convinzione non fece che rafforzarsi nel momento in cui il cosiddetto “Maestro” attraversò la sala a grandi falcate per posargli una mano sulla spalla e separarlo dal resto dei bambini vestiti di abiti di seconda mano. “Questo qui andrà benone!” Aveva esclamato rivolgendo un sorriso a trentadue denti alla donna che era rimasta basita a fissarlo sulla porta. “Dove devo firmare?”

Con le dita del Maestro ancora serrate sulla spalla, Khama lo aveva scrutato di sotto in sù senza sapere cosa dire o pensare. Non poteva avere più di sedici anni e, se non fosse stato per l’elegante completo nero con tanto di guanti e papillon che indossava e che lo facevano sembrare un insolito direttore d’orchestra, non sarebbe stato difficile scambiarlo per uno dei tanti orfanelli dell’istituto.

Eppure, tutti conoscevano le mirabolanti storie che si raccontavano sul suo conto, tutti sapevano che il Maestro era il protettore del Reame della Luce e che i suoi ancor più giovani apprendisti si stavano sottoponendo ad un duro allenamento per essere considerati degni di seguire le sue orme.

Sin dall’alba dei tempi, il Reame della Luce era minacciato dall’avanzare lento ed inesorabile dell’Oscurità, ma il Maestro sembrava aver trovato un modo per contrastarla.

Là, dove centinaia di guerrieri, scienziati e stregoni avevano miseramente fallito, quel ragazzo mingherlino che sedeva di fronte a lui nella carrozza, dondolando le gambe giù dal sedile con fare svogliato, aveva trionfato.

“Spero tu abbia un bel pò di fiato, perché la torre è parecchio alta e io vivo all’ultimissimo piano. Non soffri mica di vertigini, vero?” continuò il Maestro stiracchiandosi e riportando il piccolo Khama alla realtà.

“No, signore.” rispose lui con un filo di voce, troppo intimidito per sostenere lo sguardo dell’altro. Quelli del Maestro erano gli occhi più grandi ed azzurri che Khama avesse mai visto. Facevano quasi paura.

Un sorriso disegnò una mezzaluna perfetta sul volto del ragazzo più grande. “Signore? Maddai, chiamami per nome! Sei parte della famiglia adesso. Vedrai, i tuoi compagni di studio saranno felicissimi di conoscerti.”

“Non credo… non credo ci siamo ancora presentati.”

Il Maestro sgranò gli occhi, dandosi una pacca sulle ginocchia “Accidenti, hai ragione! Che sbadato che sono. Da quando tutti hanno preso a chiamarmi Maestro di qui, Maestro di là, ho perso l’abitudine di usare il mio nome...” tese la mano verso di lui con un gesto teatrale “Sono Perbias, piacere di conoscerti, Luxu.”

Il bambino ricambiò la stretta con esitazione, la sua piccola mano pallida che quasi scompariva nel guanto del Maestro “Luxu? Ma signore, il mio nome-”

“Ah-ah, cosa ti ho appena detto sul chiamarmi ‘signore’?”

Khama trasse un profondo sospiro “Scusatemi… Perbias. Ma vedete, ci deve essere stato un errore, forse la Signora Dorsett si è confusa. Il mio nome è-”

“Luxu.” insistette l’altro, interrompendolo di nuovo e posando anche la seconda mano su quella che ancora stringeva la sua “Il tuo nome è Luxu. E da oggi, sei il mio nuovo apprendista.”

Senza sapere come controbattere, Khama si limitò ad annuire improvvisamente consapevole che quel semplice gesto aveva il valore di una bizzarra cerimonia d’investitura. Qualcosa gli diceva che niente sarebbe stato più lo stesso d’ora in avanti. Per la prima volta da quando erano partiti, si sentì improvvisamente euforico all’idea di intraprendere quella nuova avventura. La prima della sua vita che non includesse sfuggire alle angherie dei bulli e il passare la notte in un dormitorio gelido dopo aver trangugiato una tazza di brodaglia.

Un nuovo nome, una nuova vita.

Avevano ormai raggiunto i confini di Auropoli e la carrozza trainata da due cavalli dai finimenti argentati a forma di stella sfrecciava rumorosa su uno degli alti ponti che collegavano la periferia al quartiere centrale. “Domani Salegg ti porterà a fare un giro nei dintorni, ci sono tante cose da vedere qui in città. E mi raccomando, digli che non faccia lo spilorcio e che ti porti a mangiare ciambelle nella nuova pasticceria.”

Alla vista dell’espressione sognante di Khama, Perbias ridacchiò “Non c’erano molte ciambelle lì all’orfanotrofio, eh? Tranquillo, avrai tutto il tempo per recuperare le scorpacciate di dolci che ti sei perso.”

L’orfano sentiva già l’acquolina in bocca, ma cercò di non darlo troppo a vedere “Salegg è un altro apprendista?”

Il Maestro si rassettò la marsina orlata d’argento con fare distratto “Esatto, un gran brontolone. Ma sotto sotto ha il cuore tenero, sono certo che diventerete ottimi amici.”

Il bambino tornò a guardare all’interno dell’abitacolo dopo essere rimasto incantato dai vivaci giochi d’acqua della fontana che la carrozza aveva appena oltrepassato. “Siamo solo in due?”

“Certo che no. Tu sei il sesto della lista e…l’ultimo.”

Khama si grattò la testa, un pò a disagio “Spero di essere all’altezza…”

Perbias gli scompigliò i capelli con un buffetto che colse Khama del tutto impreparato e che lo portò istintivamente a ritrarsi contro lo schienale. Anni ed anni di sberle e punizioni avevano condizionato i suoi riflessi e il Maestro se ne accorse. “Certo che lo sei. Perchè mai sarei venuto a prenderti di persona per portarti via da quel postaccio?” lo rassicurò, posandogli benevolmente la mano sul capo. Nonostante la giovane età, c’era qualcosa di paterno nei modi del Maestro. Come se quel ragazzino dal corpo ancora gracilino e acerbo fosse molto più vecchio dei suoi sedici anni e possedesse una maturità e una consapevolezza che andava ben oltre la comprensione del piccolo Khama. Eppure, persino un bambino come lui riusciva a percepire quanto straordinario fosse l'individuo che aveva di fronte. E questo lo fece immediatamente sentire del tutto inadeguato ad essere stato scelto per seguire le sue orme, ovunque esse l'avrebbero portato.

“Ma non so fare niente di speciale!”

“Non ancora!” ribatté vivacemente l’altro “Che Maestro sarei se non avessi intenzione d’insegnarti? Sono certo che non mi deluderai, Luxu.”

“Luxu…” gli fece eco il bambino a voce alta, assaporando il suono di quel nuovo nome sulla lingua. “Mi piace.”

Il Maestro gli rivolse una strizzata d’occhio, scompigliandogli di nuovo i capelli ramati. “Non ne avevo alcun dubbio. Vieni, siamo quasi arrivati, prendiamo le tue cose.”

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Capitolo 2
*** ✭ The Clock Tower ***


THE CLOCK TOWER

Never had a very real dream before.
Now I got a vision of an open door.
Guiding me home, where I belong,
dreamland I have come!
[The Tower - Avantasia]

 

Il Maestro non mentiva quando gli aveva detto di abitare all’ultimissimo piano.

Trascinandosi dietro il suo magro bagaglio, Luxu cercava di tenere il passo sulla ripida scala a chiocciola che collegava l’atrio principale della torre campanaria ad una delle alte torrette che la sormontavano come le punte di una corona.

Perbias saliva i gradini senza sforzo, una mano dietro la schiena e l’altra posata sul corrimano mentre tutt’intorno a loro regnava il silenzio rotto soltanto dal ritmico scattare degli ingranaggi che tenevano in funzione l’enorme pendolo sospeso tra le due torri principali.

Luxu si domandò se sarebbe riuscito a dormire con quell’incessante ticchettio in sottofondo, ma in quel momento era troppo preso a guardarsi intorno pieno di meraviglia per preoccuparsi di come avrebbe passato la notte.

Mentre salivano di pianerottolo in pianerottolo, stanze sempre più bizzarre e misteriose facevano capolino oltre gli archi di pietra. Luxu scorse corridoi illuminati da globi azzurri e fluttuanti, enormi sale stipate di libri di ogni genere, una sala comune al cui centro troneggiava un massiccio tavolo rotondo e infine, raggiunto il piano più alto dopo quella che al bambino era sembrata un’eternità, persino un planetario semibuio dove un telescopio d’ottone scrutava il cielo stellato attraverso una feritoia nel soffitto.

Perbias entrò nella stanza circolare e batté le mani per aumentare l’intensità delle lampade a petrolio che pendevano dalla cupola dipinta di blu, poi si voltò in direzione di Luxu che col fiato corto lo aveva appena raggiunto dalla tromba delle scale.

“Posticino niente male, vero?”

Luxu si tolse lo zaino dalle spalle doloranti, ammirando le fini cesellature sul piedistallo del telescopio e la sedia girevole rivestita di broccato rosso ad esso collegata. “Sembra un museo. O una biblioteca…”

“È un pò entrambe le cose. E al tempo stesso, nessuna delle due. Domani gli altri ti spiegheranno tutto, adesso seguimi.” così detto il Maestro attraversò la sala diretto verso un corridoio sulla cui parete destra s’aprivano delle alte finestre ad arco con vetrate colorate.

Luxu gli corse dietro, sbirciando oltre i davanzali con una certa apprensione. Erano davvero molto…. molto in alto.

Più in alto di quanto avrebbe immaginato un edificio costruito dalla mano dell’uomo potesse arrivare. E ben più in alto di quanto aveva avuto l’impressione di salire mentre arrancava per le scale dietro al Maestro.

Perbias si fermò davanti ad una porta in mogano contrassegnata da una placca di metallo a forma di stella e, con un rapido gesto della mano, produsse una chiave d’argento che rimase sospesa a pochi centimetri dal suo palmo, ruotando su sé stessa.

Luxu fissò il gingillo a bocca aperta come se avesse appena assistito ad uno strabiliante gioco di prestigio anche se sapeva benissimo che quella del Maestro era vera magia.

Tutti potevano, almeno in teoria, imparare ad esercitarla perché essa era una delle tante cose prodigiose che il cuore umano era in grado di manifestare. Ma Luxu non aveva mai conosciuto un mago prima di allora e quindi quel semplice giochetto lo impressionò notevolmente.

“Ecco a te.” disse il Maestro serrando le dita attorno alla chiave e porgendogliela con un sorriso sghembo “Da oggi in poi dormirai qui, con Auropoli ai tuoi piedi. Così come si confà ad un futuro Maestro. Su, che aspetti? Apri la porta!”

Lui s’affrettò ad obbedire, inserendo la chiave nella toppa.

Perbias lo spinse dentro senza troppe cerimonie, battendo nuovamente le mani per illuminare la stanza avvolta nell’oscurità.

Il cuore di Luxu spofondò.

Lo sapeva.

Lo sapeva che era tutto un dannato scherzo.

Tutt’intorno a loro c’erano solo polvere e ragnatele. La sua “stanza” era un ripostiglio stretto ed umido stipato fino alle travi del soffitto di vecchi mobili, casse ricolme di cianfrusaglie e manichini coperti da drappi laceri che davano al tutto un aspetto a dir poco spettrale. Non c’era neppure una branda dove avrebbe potuto stendersi.

Era persino peggio del dormitorio dell’orfanotrofio.

Luxu sentì gli occhi inumidirsi di lacrime e cercò di convincersi che a causarle fosse stata soltanto la polvere e non la profonda delusione ed imbarazzo che provava in quel momento.

“Allora, che te ne pare?”

Il bambino si voltò verso il Maestro con un’espressione furibonda “Mi prendi in giro?!”

Perbias inarcò un sopracciglio, guardandolo dall’alto della sua statura con perplessità.

Luxu sfuggì il suo sguardo, asciugandosi stizzosamente le lacrime per poi serrare i pugnetti chiusi lungo i fianchi, sopprimendo un impeto di rabbia ed umiliazione.

Il Maestro s’inginocchiò al suo fianco, portandosi alla sua altezza. “Cosa c’è che non va?”

Sbalordito dal candore di quella domanda, il bambino tornò a fissarlo ad occhi sgranati. Possibile che non si rendesse conto di-!

Fu allora che Perbias gli rifilò una pacca giocosa sulla schiena, trattenendo a stento le risate. “Ci sei cascato! Ma che, pensi sul serio che ti avrei fatto dormire in questa topaia? Dammi un po’ di credito, mio caro Luxu!”

Rimettendosi in piedi, Perbias avanzò verso il cumulo di cianfrusaglie che occupava l’intera soffitta e, con un gesto così rapido che Luxu riuscì a malapena a seguire con lo sguardo, tirò via quello che si rivelò essere uno spesso tendone. “Voit-là!”

L’immagine del ripostiglio pieno di paccottiglia e ragnatele si accartocciò su sé stessa mentre il drappo cadeva, rivelando un’ampia sala illuminata dalla placida luce della luna.

Un soffice tappeto rivestiva il pavimento di pietra grigia e di fianco al letto ricoperto di cuscini e animaletti di pezza stava una bella scrivania ingombra di libri e candele.

Sulla parete opposta, c'erano un armadio a doppie ante ed un manichino su cui era posata una lunga veste grigia e ocra con finiture dorate che sembrava essere proprio della taglia di Luxu.

La vista di quella camera così spaziosa e tutta sua fece immediatamente dimenticare al bambino il tiro mancino che il Maestro gli aveva riservato poco prima “Mamma mia, è fantastico!”

Perbias finì di arrotolare il drappo illusorio che aveva usato per proiettare una simulazione in tre dimensioni della soffitta della torre ovest e se lo gettò sulle spalle come un sacco. Rivolse poi un sorriso magnanimo al suo giovane apprendista che aveva preso a correre di qua e di là, guardandosi intorno con gli occhi pieni di meraviglia.

“Quelli sono degli abiti speciali che ho fatto preparare per te. Anche gli altri apprendisti li indossano. Ti terranno al caldo quando arriverà l’inverno e non ci sarà mai bisogno di farli ingrandire. Cresceranno con te, ma non si laveranno da soli! Perciò di questo dovrai occupartene tu. Qui nei cassetti troverai una tunica di riserva.”

Luxu toccò la stoffa spessa con una certa apprensione, percependo chiaramente gli incantesimi in essa intessuti. La magia scorreva nelle fibre come una lieve corrente elettrica.

“Maestro, io… io non vi deluderò. Lo prometto.” disse tutto d’un fiato.

Perbias si posò le mani sui fianchi “Oh non ne ho alcun dubbio. Ma dovrai impegnarti molto, sai? Sono un tipo esigente.”

“Potete contare su di me! Voglio imparare! Mi insegnerete ad usare la magia, non è vero?”

Il ragazzo in frac lo raggiunse vicino al manichino, fissando l’abito ben inamidato per qualche secondo prima di riportare lo sguardo sul bambino al suo fianco e sui suoi occhioni castani.

Lo aveva già perdonato per quello scherzetto innecessariamente crudele che gli aveva riservato. Il suo cuore, proprio come quello degli altri ragazzini che aveva preso sotto la sua ala, era così pieno di luce da essere quasi abbagliante.

Esattamente ciò di cui lui aveva bisogno.

“Domani vedremo che cosa nascondi qui dentro.” disse, premendo l’indice guantato contro il petto di Luxu “La magia viene dal Cuore, e ognuno di noi ha una certa… come posso dire? Affinità, per un dato tipo di magia. Ogni Cuore è diverso, così com’è diverso il potere che contiene.”

Luxu aggrottò le sopracciglia “Sembra complicato.”

“Oh, lo è eccome. Il Cuore è uno dei più grandi misteri del nostro mondo. Ma l’importante non è capirlo, quanto seguirlo. Perciò, che il tuo Cuore possa essere la tua Chiave Guida, Luxu. Dormi bene!”

C’erano così tante altre domande che il bambino avrebbe voluto fargli, ma Perbias si era congedato e richiuso la porta alle spalle senza dargli il tempo di fare altro oltre il sussurrare un timido “Oh, sì… Buonanotte.”

Rimasto solo nel silenzio ovattato della notte, Luxu gettò lo zaino in un angolo tastando con soddisfazione i cuscini in piuma d’oca impilati l’uno sull’altro sul letto. Niente più brande che puzzano di piscio, niente più strilli nel cuore della notte, niente più punizioni ed angherie.

Si gettò sul letto preda di una gioia incontenibile, stringendo a sé uno dei pupazzi che sembravano lì per accoglierlo con le loro faccine sorridenti.

Senza neanche togliersi i vestiti, Luxu si raggomitolò sulle coperte trapuntate di stelle e sprofondò in quel sonno sereno di cui solo i bambini sono capaci.

Stretta al petto, teneva una capretta nera di pezza dalle lunghe corna ricurve.

 



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Grazie per aver letto fino a qui! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a seguirmi. Del resto, il nostro buon Luxu ha un grande futuro davanti a sè ;)
- Calia

 

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Capitolo 3
*** ✭ Dive to the Heart ***


PROMEMORIA NOMI: così non dovete andarveli a ricercare nel primo capitolo.

Ava: Mava
Gula: Hafet
Luxu: Khama
Ira: Azal
Aced: Salegg
Invi: Nahara
Maestro dei Maestri: Perbias/Theon

Buona lettura!

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DIVE TO THE HEART

Hours of study flying by,
words soaked up by beady eyes.
Long debates into the night,
pages flying everywhere,
seek the language word by word.
[Ravens in the Library - S.J. Tucker]

 

Luxu si sentiva strano e goffo in quella nuova uniforme, ma quando si guardò allo specchio dopo aver abbassato il cappuccio sulla fronte, non poté fare a meno di sorridere. La spilla appuntata sulla mantellina ocra la teneva ben salda sulle sue spalle e le maniche non erano nè troppo lunghe né troppo corte, un vero e proprio evento, dato che all’orfanotrofio gli capitava assai di rado di mettere le mani su vestiti che fossero della sua taglia.

Erano da poco passate le otto e il sole filtrava oltre le tende viola avvolgendo la stanza in un piacevole chiarore. Prima di vestirsi, il bambino aveva sistemato le sue poche cose sullo scaffale per poi esplorare con calma la camera alla luce del giorno.

Posò con esitazione la mano sulle costolette dei libri rilegati in pelle, sfogliandone uno con meraviglia alla vista delle delicate illustrazioni ad acquarello e degli elaborati capolettera. Erano per lo più cronache della storia del Regno della Luce, raccolte di leggende e racconti tramandati dall’alba dei tempi. Persino un orfano come lui conosceva molte di quelle fiabe, eppure si soffermò comunque sul primo passaggio come se lo stesse leggendo per la prima volta.

In principio, v’era l’Oscurità.

Da essa nacque la Luce e, come la faccia opposta di una stessa medaglia, il Regno in cui viviamo emerse dalle tenebre.

Il Regno della Luce è sconfinato, una sola vita non basterebbe per attraversarlo tutto, neanche se l’intrepido viaggiatore non smettesse di camminare per un solo istante.

Un solo grande mondo, composto da tantissimi altri molto più piccoli, tutti collegati tra loro. Su tutti splende lo stesso sole, sorge la stessa luna, si allineano le stesse stelle.

Tutti i mondi, anche il più insignificante, condividono lo stesso cielo ed uno stesso destino.

Su di essi veglia Kingdom Hearts, la Luce di tutti i cuori.

Elusiva, incontenibile, nascosta alla vista eppure sempre presente.

Luxu si fermò ad osservare attentamente l’illustrazione di un grande cuore luminoso sospeso sopra i tetti aguzzi di una città che avrebbe potuto benissimo essere Auropoli, anche se la torre campanaria non era visibile. Arrampicate sulle tegole sconnesse, decine e decine di persone scrutavano il cielo. Alcune si tenevano per mano, altre spalancavano le braccia, beandosi del calore della Luce.

Con quell’immagine ancora impressa nella mente, Luxu uscì e scese le scale, raggiungendo la sala del telescopio.

Il Maestro non c’era, ma su un tavolo ingombro di carte stellari e strani alambicchi, Luxu scorse una vistosa cartolina rossa sulla quale spiccavano grosse lettere scritte con inchiostro nero.

Buongiorno Luxu,

Quando sei pronto, scendi nella sala comune al 149esimo piano.

PS: metti i vestiti nuovi mi raccomando!

  • P

Centoquarantanovesimo piano… più facile a dirsi che a farsi! A quale piano si trovava adesso? Luxu non sapeva dirlo con certezza, ma cominciare a scendere era l’unica soluzione.

Tentando una porta per volta mentre scendeva, il bambino si sorprese nello scoprire che i tantissimi piani della torre erano completamente deserti. Un edificio del genere sembrava adatto ad ospitare un’intera corte di servitori, guardie e dignitari ma fu soltanto quando raggiunse il piano indicatogli dal Maestro che Luxu incontrò il primo segno d’anima viva.

Una ragazzina poco più grande di lui gli dava le spalle, parlottando tra sé e sé mentre passava in rassegna uno scaffale su cui erano ordinatamente impilati rotoli di pergamena a formare una piramide.

Indossava abiti dalla foggia identica ai suoi, ma anziché essere realizzati in stoffa grigia e ocra erano bianchi e rosa antico. Teneva il cappuccio abbassato e questo permise a Luxu di vedere i lunghi capelli ondulati color lavanda che portava raccolti in una coda vaporosa. Nel sentirlo entrare, la bambina si voltò di scatto, fissandolo con un’espressione sorpresa.

“Oh, ciao. Devi essere il nuovo apprendista.” disse, rimettendo a posto la pergamena che aveva estratto per metà prima di raggiungerlo sulla soglia. Aveva un viso appuntito e grandi occhi verdi semi-nascosti dalla frangetta.

“Sì, mi chiamo Kha- cioè… Luxu. Il Maestro mi ha chiamato Luxu.”

Lei inarcò un sopracciglio “Come sarebbe a dire ‘ti ha chiamato’? Non è il tuo vero nome? Se il Maestro ha sbagliato faresti bene a correggerlo, sai? Certe volte è proprio svampito.”

Luxu non sapeva come rispondere “...no, credo che sappia che non mi chiamo così. Ma gli ho detto che va bene lo stesso. E Luxu mi piace più del mio vero nome, in ogni caso.” cercò di spiegarsi facendo spallucce “E il tuo, invece? Sei sua allieva come me, no?”

La bambina annuì, anche se era chiaro che qualcosa nel ragionamento dell’altro non le quadrasse “Sì, esatto. Sono arrivata ad inizio anno, ma gli altri dicevano che sarebbe arrivato anche un sesto ed eccoti qui. Finalmente ci siamo tutti. Puoi chiamarmi Mava, piacere mio.”

Luxu ricambiò il sorriso “E’ questa la sala comune?”

“Sì, solo un po’ più avanti. Andiamo insieme, dai. Ti stavamo aspettando.”

“Sono in ritardo?”

“Non direi, sei comunque arrivato prima del Maestro.” sospirò lei alzando gli occhi al cielo. “Mi domando dove si sia cacciato questa volta.”

“Il Maestro… sì, insomma… è sempre così?”

Lei sbuffò divertita “Se con ‘così’ intendi sempre in ritardo, allora sì.”

“Intendevo…” Luxu si mordicchiò il labbro inferiore, ripensando al pessimo scherzetto che gli aveva giocato la sera prima, ma non osò menzionarlo a Mava “...sempre così strano.”

La bambina accelerò il passo “Ti ci abituerai. Anzi, posso assicurarti che vedrai tante di quelle cose assurde nei prossimi giorni che Mastro Perbias sarà l’ultimo dei tuoi pensieri.”

“Cos’è esattamente che facciamo, qui? Cosa ci insegna?”

Mava si fermò, gettandogli un’occhiata indecifrabile “Cosa sai sul conto del Maestro? Prima di arrivare qui io ne avevo sentito parlare, come tutti. Ma confrontandomi con gli altri è saltato fuori che ognuno di noi s’aspettava qualcosa di completamente diverso.”

Luxu ci pensò su “Non molto, a dire il vero. Ricordo solo che… stava per succedere qualcosa di molto brutto. I grandi sapevano di cosa si trattasse ma non volevano dircelo. Quella notte, la governante ci fece chiudere tutti nel dormitorio dopo aver sbarrato le finestre. Si sentivano strani rumori provenire dalla strada e le pareti stesse erano piene di scricchiolii, come se qualcosa vi strisciasse dentro. Ci dissero che erano soltanto i ratti… ma non ricordo bene, ero molto piccolo. Quel che so è che dopo quella notte tutti iniziarono a parlare del Maestro, dicendo che aveva fermato l’Oscurità.”

“Uhm, non male. Ne sai già abbastanza, sicuramente più di quanto ne sapessi io quando sono arrivata.”

“Davvero?”

“Già.”

I due bambini raggiunsero la fine del corridoio e fecero il loro ingresso in un’ampia sala circolare dalle cui pareti sbucavano i grandi e rumorosi ingranaggi della torre dell’orologio. Più Luxu esplorava la struttura, e più aveva l’impressione che fosse essa stessa un’enorme macchina di cui anche loro facevano parte.

Quel pensiero aveva un che di sinistro, ma lui non sapeva dire esattamente perché.

Seduti attorno ad un lucido tavolo rotondo stavano altri quattro bambini, tre maschi e una femmina, intenti a discutere tra loro in toni decisamente animati.

“Salegg, piantala di lamentarti!” sbottò l’apprendista vestito di giallo posando stancamente la guancia sul palmo della mano.

“Hafet ha ragione, dovresti saperlo che il Maestro ti assegna sempre questo compito perchè si fida di te.” rincarò un ragazzo di qualche anno più grande degli altri, sollevando lo sguardo dal libro rilegato in pelle che stava leggendo.

“Lo dite come se fosse una ricompensa, invece è solo una seccatura.” ribatté il terzo maschio, incrociando sul petto le braccia muscolose. Era il più alto dei tre e il suo cipiglio scontroso riportò alla mente di Luxu le parole del Maestro. Quello doveva essere Salegg.

“Piantatela tutti e tre. E se hai qualcosa da ridire parlane con il Maestro invece di sprecare tempo a lagnarti qui con noi.” intervenne l’ultima componente del gruppo, alzandosi dalla sedia per tirarsi fuori dalla conversazione.

“Vedo che siete tutti di ottimo umore, stamattina.” ironizzò Mava attirando l’attenzione dei compagni e salutandoli con la mano. “Questo è Luxu, il novellino.”

Luxu nel sentirsi apostrofare in quel modo se ne risentì un pò, ma il tono scherzoso della bambina suonava decisamente bonario quindi decise di stare al gioco “Salve a tutti!”

Il ragazzo con il libro sollevò gli occhiali da lettura per vederlo meglio “Ben arrivato, spero tu abbia fatto buon viaggio. Io sono Azal, piacere di conoscerti.”

“Io sono Hafet, e questi sono Nahara e Salegg. Ecco fatto, fine dei convenevoli.” sospirò il ragazzo in giallo, tagliando corto “Adesso manca soltanto il Maestro.”

“Non essere scortese Hafi.” Lo redarguì la seconda ragazza andando incontro a Luxu. Sembrava un poco più grande di Mava e indossava una tunica azzurra che ben si sposava con i capelli ametista che le incorniciavano il viso di un ovale perfetto. “Da dove vieni?”

Luxu si grattò il capo, un po’ imbarazzato di dover immediatamente mettere in luce le sue origini campagnole “Dal villaggio di Veridiana.”

“Bel posto, ci siamo stati una volta, vero Azal?”

“Non è dove il Maestro ci ha mandati per la prima volta in missione tutti insieme?” ponderò Mava.

“Già, mi pare proprio di sì. Abbiamo fatto un gran bel lavoro laggiù.”

Hafet si strinse nelle spalle “Ma se il Maestro è dovuto venire a tirarci fuori dai guai all’ultimo secondo…”

“E questo che c’entra, badare a noi è il suo lavoro!”

Luxu cercò di inserirsi di nuovo nella conversazione, approfittando della piega che aveva appena preso “In cosa consistono queste missioni, esattamente? Cosa vi ha mandato a fare?”

“Non hai ancora fatto il Tuffo, non è così?” ribatté Salegg intercettando la sua domanda con un’altra, fissandolo dal lato opposto del tavolo. Luxu sentì l’improvviso bisogno di farsi piccolo piccolo sotto lo sguardo indagatorio dell’apprendista più anziano. Nonostante non potesse avere più di dodici o tredici anni, i suoi lineamenti erano già forti e decisi, conferendogli un’aria a dir poco minacciosa. Luxu non si sarebbe stupito di vederlo nei panni di uno dei bulli che perseguitavano i bambini più piccoli all’orfanotrofio per rubare loro anche solo pochi spiccioli.

“Il… cosa?” riuscì a mormorare, malcelando la propria inquietudine.

“Non lo aiuti mica così, sai?” gli fece notare Nahara scuotendo il capo “Di solito è il Maestro a spiegare queste cose, ma dato che oggi non sembra intenzionato a farsi vivo, lascia che sia io a chiarirti un pò le idee. Vieni, siediti pure.”

C’erano esattamente sette sedie attorno al tavolo, l’ultima delle quali Luxu immaginò dovesse essere destinata a Perbias, visto che aveva lo schienale più alto ed imbottito delle altre.

Ad un’occhiata superficiale quella distinzione poteva sembrare irrilevante eppure evocava curiosi pensieri nella mente suscettibile di Luxu. Ricordava una storia che aveva sentito raccontare molto tempo prima, in cui un re buono e saggio sedeva i suoi cavalieri attorno ad una tavola rotonda così che tutti fossero equidistanti dal centro e uguali tra loro in nobiltà e forza d’animo.

Quando ebbe preso posto alla destra della sedia vuota del Maestro, Nahara posò le mani in grembo ed iniziò a raccontare.

“Il nostro mondo è minacciato dall’Oscurità, sicuramente lo avrai sentito dire. Fino a poco tempo fa, i due Reami erano in equilibrio ma qualcosa ha fatto pendere la bilancia dalla parte sbagliata. Le creature del Mondo Oscuro stanno entrando nel nostro, un poco alla volta, andando in giro a catturare i cuori delle persone.” Nahara stirò le labbra “Prima che il Maestro trovasse una soluzione, tutti coloro che tentavano di affrontarle venivano sconfitti o costretti a ritirarsi.”

Luxu serrò le dita sul bordo del tavolo, deciso a non lasciarsi sfuggire una sola parola.

“Il Maestro scoprì che la sola cosa che poteva contrastare quelle creature era la stessa che esse bramavano più di ogni altra: il Cuore. O meglio, scoprì come liberarne il potenziale nascosto.” proseguì Azal sollevando lentamente la mano destra.

Con un sonoro clangore e un bagliore di luce, una strana arma si manifestò serrata tra le dita del ragazzo con gli occhiali. Era realizzata in un lustro metallo argentato con dettagli e cesellature finissime. Sull’elsa era scolpita in rilievo la testa di un unicorno dagli occhi fiammeggianti e la lama proseguiva dritta ed affusolata fino alla cima dove andava ad allargarsi come la testa di un’ascia bipenne. Una mezzaluna di acciaio nero completava il lato tagliente di quell’arma a dir poco impressionante. Pareva così affilata da poter tagliare l’aria stessa.

Luxu fece un balzo indietro sulla sedia “Woah! E’... è una spada?”

Azal sorrise, sollevandola così che il nuovo apprendista potesse vederla meglio “Una spada e molto di più. Questa è, prima di ogni altra cosa, una chiave che permette di aprire o chiudere qualunque serratura. Se usata contro le creature che rubano i cuori, permette di liberarli dalle loro grinfie e restituirli a chi li ha perduti.”

“Guardalo come se la tira.” bofonchiò Salegg incrociando le braccia “Solo perchè sei l’unico di noi ad essere riuscito ad evocarla non significa che devi farne sfoggio in questo modo davanti all’ultimo arrivato!”

Luxu scambiò un’occhiata con Mava “Voi non ne avete una?”

“Non ancora. Ma ce l’avremo presto, vero Nahara? Io e te siamo molto più sveglie di questi altri due testoni qua!” rise, alludendo con un gesto ad Hafet e Salegg che si limitarono a sbuffare contrariati.

“Questa non è una competizione, Mava.” le ricordò l’altra ragazza tornando poi a rivolgersi a Luxu “Ma è la risposta alla tua domanda. Essere in grado di brandire una di queste lame è ciò a cui il Maestro ci sta preparando. Così potremo aiutarlo a difendere il Regno della Luce e a ricacciare indietro l’Oscurità.”

“Ma perché ciò possa accadere,” riprese Azal posando sul tavolo la straordinaria arma lucente “il Maestro ha aperto il cuore di ognuno di noi. So che messa così sembra una cosa piuttosto spaventosa…”

“Non lo sembra soltanto, lo è.” rettificò Mava tamburellando nervosamente sul tavolo con la punta delle dita, come se stesse ricordando qualcosa di estremamente spiacevole.

“Il Tuffo non è facile per nessuno, Luxu. E’ la prima prova da superare e non è da prendere alla leggera. Diamine, avrei voluto averle io tutte queste informazioni prima che il Maestro mi avesse fatta tuffare, considerati fortunato, novellino.” cercò poi di buttarla sullo scherzo, ma a Luxu non sfuggì il barlume inquieto nei suoi occhi.

“Hai proprio ragione, cara la mia Mava. Forse dovremo procedere senza indugiare oltre, altrimenti di questo passo rovinerete al vostro nuovo amico tutta la sorpresa.”

I sei apprendisti si voltarono quando il Maestro finalmente fece il suo ingresso. Come il giorno prima, indossava un lustro completo nero, anche se stavolta invece di richiamare alla mente di Luxu l’immagine di un direttore d’orchestra, qualcosa nel taglio dei suoi abiti lo faceva sembrare più un cameriere o il facchino di un hotel di lusso.

Alla luce del sole, Luxu ebbe finalmente l’occasione di assimilare tutti i dettagli del suo curioso aspetto. La carnagione che sotto la luce della luna gli era parsa vagamente abbronzata si rivelava adesso in tutto il suo colorito olivastro e i lineamenti fini del volto del Maestro sembravano essere stati cesellati da uno scultore dell’antichità, dandogli la solennità enigmatica di una sfinge. Al sortire di quell’effetto contribuivano in larga parte i suoi grandi occhi azzurri e i lucidi capelli blu cobalto.

“Buongiorno Maestro!” lo salutarono all’unisono i cinque apprendisti, mentre Luxu era impegnato ad osservare il nuovo venuto.

“Buongiorno a voi, vedo che avete già fatto amicizia col piccolo Luxu. Che bravi, sapevo di poter contare su di voi.” così detto, Perbias si avvicinò a Luxu con un sorriso che sembrava tanto bonario quanto birbone. “Ma non posso lasciare che Luxu venga a sapere troppe cose riguardo il Tuffo. Sapete meglio di me che è una questione molto delicata. Le vostre parole potrebbero influenzare l’esito della prova.”

“Ci perdoni, Maestro. Non credevamo-” cercò di scusarsi Nahara ma l’altro la interruppe con un gesto “Lo so, lo so, l’avete fatto in buona fede. Essere già così premurosi nei confronti del vostro nuovo compagno vi fa onore. Ma adesso, vi chiedo per cortesia di lasciarci soli.”

Luxu sentì un improvviso groppo alla gola ma si sforzò di mantenere il sangue freddo. Qualunque cosa fosse esattamente quel “Tuffo”, era qualcosa che gli altri apprendisti avevano affrontato e superato. Non poteva essere così difficile.

Tornò a posare lo sguardo sull’arma lucente che Azal aveva evocato come se niente fosse e rimase nuovamente incantato dalla sua splendida fattura, chiedendosi se mai un artigiano sarebbe stato in grado di replicare quella che altro non era se non una manifestazione fisica del cuore.

Si ritrovò a chiedersi che aspetto avrebbe avuto la sua lama, se mai fosse riuscito ad impugnarne una.

Armato di una nuova determinazione, si voltò nuovamente in direzione di Perbias “Sono pronto, Maestro.”

Lui parve decisamente compiaciuto nell’udire quelle parole. “Molto bene.”

“Buona fortuna, Luxu!” lo incoraggiò Mava prima di uscire dalla stanza seguita a ruota dagli altri.

Azal richiamò l’arma nella sua mano facendola svanire in uno sprizzo di scintille bianche “Siate prudenti, tutti e due.”

Perbias sollevò i palmi delle mani “Non lo sono sempre?”

“Beh, a dire il vero… no.” gli fece notare Hafet con un filo di nervosismo nella voce.

“La tua fiducia in me mi fa quasi commuovere.”

Il ragazzo sobbalzò “N-no, non intendevo- sì, insomma-”

Il Maestro scoppiò in una calorosa risata “Starò attento, lo prometto. Adesso andate, sù, sù!”
 


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Ed eccoci alla fine del terzo capitolo, grazie a tutti quelli che hanno letto fin qui. Mi sono dedicata un pò al worldbuilding perchè personalmente è uno degli aspetti di back cover che preferisco. La scena in cui Chirithy descrive l'era delle fiabe e il ruolo dei Veggenti sembra proprio parte di una leggenda lontana e dimenticata. Il misticismo e la semplicità della narrazione mi fanno tornare in mente i tempi di KH1, quando tutto era vago, metaforico e misterioso, un feel che spero di essere riuscita a catturare in questo nuovo capitolo nonostante gli inevitabili spiegoni!
Da ora in poi, le cose iniziano a farsi interessanti e abbiamo finalmente fatto la conoscenza dei magnifici sette al completo! Che cosa attenderà Luxu all'interno del suo cuore? Scopritelo nel prossimo capitolo <3

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Capitolo 4
*** ✭ The Station of Awakening ***


Musica: Destati

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THE STATION OF AWAKENING

 

Così tanto da fare,

così poco tempo.

“Dove… dove mi trovo?”

Fai con calma.

Non avere paura.

“Maestro?”

La porta è ancora chiusa.

Luxu si sentiva come sospeso in un liquido impalpabile. Tutt’attorno a lui non v’era altro che viscosa oscurità.

Ora vieni avanti.

Ci riesci?

Il bambino mise un piede davanti all’altro, anche se non riusciva a vedere la superficie su cui stava camminando. Tese le mani, brancolando nel buio più totale.

È giunta l’ora.

Era come venir svuotati da qualunque pensiero, ogni passo lo faceva sentire leggero come una piuma. Le tenebre avrebbero dovuto spaventarlo, invece lo facevano sentire al sicuro.

Era tutto così familiare...

Quelle sensazioni, quel silenzio ovattato rotto soltanto dalla voce disincarnata che gli riecheggiava nella testa...

Destati.

Il pavimento s’infranse in un’esplosione di luce, costringendolo a ripararsi gli occhi per non venirne accecato.

Un frenetico batter d’ali lo travolse, mentre decine di colombe bianche si libravano in volo verso gli insondabili abissi oscuri che si spalancavano sopra di lui.

Quando la luce si attenuò, Luxu mise a fuoco il disco di vetro su cui si trovava e si stupì di trovarvi impressa sopra un’immagine di sè stesso.

La raffigurazione, identica a lui fin nei minimi dettagli, lo ritraeva disteso su un fianco, le vesti da apprendista gonfiate dal vento, gli occhi chiusi.

Il potere è con te.

Il rosone colorato fu scosso da un fremito che lo fece barcollare. All’estremità della piattaforma, si materializzò un piedistallo intarsiato che sembrava adatto a sorreggere un trofeo o una statua preziosa, ma in quel momento restava curiosamente vuoto.

Se gli dai forma,

ti darà forza.

Luxu chiuse gli occhi.

Sapeva cosa doveva fare, anche se non riusciva a spiegarsi come fosse possibile.

Proprio come aveva detto il Maestro, l’importante non era capire… quanto seguire l’istinto.

Il suo cuore gli avrebbe indicato la via. Doveva solo lasciarsi andare.

Solo trovare il coraggio di tuffarsi e sprofondare.

Su, rimembra!

Su, trepida!

Dai, ricorda!

Ricordare cosa?

Si concentrò, lasciando che la melodia misteriosa lo cullasse sempre più in profondità.

Un tepore lieve gli colmò il petto mentre il battito del suo cuore si faceva sempre più udibile, sempre più nitido.

Tendi la mano!

Obbedì, spalancando di nuovo gli occhi.

Sospesa sul suo palmo, c’era una sfera di luce calda che schizzò immediatamente in direzione del piedistallo, fluttuando sopra di esso per un breve istante prima di espandersi ed acquistare forma.

Un arco dall’impugnatura elaborata circondato da frecce simili ad aguzze schegge cristalline levitava adesso sul piedistallo.

Il potere dell’arciere.

Una vista acuta.

Il dono della lungimiranza.

Luxu coprì la distanza che lo separava da quell’arma dall’aspetto leggendario come spinto da una forza invisibile. Serrò le piccole dita attorno all’impugnatura, scoprendo che essa s’adattava perfettamente alla sua presa.

L’arco era leggerissimo e traslucido, quasi etereo. Le frecce restavano sospese attorno ad esso, dritte e pronte ad essere incoccate.

Hai acquisito il potere di combattere.

Dovrai combattere…

Un fruscio distolse Luxu dallo stato di contemplazione in cui era sprofondato. Si voltò di scatto, gli stivali di cuoio che squittivano sulla superficie di vetro.

Contro coloro che mirano alla tua forza.

Dozzine di vibranti occhi gialli s’accesero nell’impenetrabile oscurità in cui fluttuava la piattaforma circolare su cui si trovava.

Luxu indietreggiò, serrando la presa attorno all’arco mentre una goccia di sudore freddo gli scendeva lungo il collo.

Mani nere come la pece si protesero oltre l’orlo della vetrata, graffiando la superficie con i lunghi artigli. Le creature avanzavano verso di lui caracollando in modo innaturale, i corpi contorti ed esili come ombre proiettate dal sole al tramonto.

Gli abitanti del mondo dell’Oscurità stavano venendo a prenderlo, proprio come aveva detto Nahara.

Riportò lo sguardo sull’arco di cristallo che teneva tra le mani, nato dalla luce del suo cuore e un bagliore determinato gl’illuminò il volto.

Prima che una delle creature potesse avventarsi su di lui, Luxu incoccò una delle frecce e prese la mira, tendendo l’arco senza sforzo. La corda non sembrava opporre alcuna resistenza, eppure le estremità dell’arma s’incurvarono all’indietro, pronte a rilasciare il loro dardo letale.

Anche se non aveva mai tirato con l’arco in vita sua, il bambino sapeva esattamente cosa fare, come se l’arma fosse un’estensione naturale del suo corpo. La freccia cominciò a risplendere, caricandosi d’energia. Aveva bisogno soltanto di un po’ più di tempo!

Le ombre si facevano sempre più vicine, saltellando sgraziate sul rosone mentre Luxu indietreggiava, l’arco teso e vibrante.

Gettò uno rapido sguardo dietro di sè prima di muovere un altro passo. Era arrivato al margine del disco che costituiva la surreale arena della prova a cui il Maestro lo stava sottoponendo.

Cadere avrebbe significato fallire.

Forse, ipotizzò Luxu con inquietudine, addirittura perdere il suo cuore per sempre.

Il dubbio e la paura s’impossessarono di lui, facendolo vacillare sulle ginocchia alla vista della marea sempre più numerosa di esseri color carbone che avanzava verso di lui. Come poteva, da solo, fronteggiare tutti quei mostri?

Le mani presero a tremargli, facendo tintinnare la freccia luminosa contro l’impugnatura dell’arco.

Eh? Come?

Non lo vuoi?

Tuttavia t’appartiene.

La creatura che più delle altre era riuscita ad avvicinarsi s’avventò su di lui con un balzo feroce, gli artigli sfoderati e gli occhi gialli brillanti come due fari nella notte.

Non avere paura.

Tu hai l’arma più potente di tutte.

Luxu scoccò la freccia che ormai ardeva e sfrigolava come una stella cadente tra le sue mani.

Una falce di luce bianca fendette il buio, squarciando a metà la prima fila di creature e facendole esplodere in una nube di fumo nero.

Estasiato, il bambino tese nuovamente l’arco per scagliare una raffica in rapida successione e i dardi s’abbatterono sulle ombre come un’incessante grandinata.

Più nemici sconfiggeva e più Luxu acquistava sicurezza, aumentando il ritmo degli attacchi, alternando singoli proiettili caricati con colpi ad ampio raggio. Le frecce obbedivano alla sua volontà anche una volta scoccate, deviavano a mezz’aria, inseguivano con letale precisione i mostriciattoli che tentavano di darsi alla fuga, si frammentavano in dardi più piccoli e veloci.

Nel giro di pochi istanti, la battaglia fu vinta. Luxu si ritrovò solo ed ansimante al centro della vetrata, una freccia brillante stretta tra le dita mentre si guardava attorno con aria circospetta.

Aveva superato la prova?

La tua avventura inizia al tramonto,

non sarà facile,

ma alla fine ti aspetta il sole nascente.

Uno scricchiolio fu l’unico avvertimento che Luxu ebbe prima che la vetrata andasse in frantumi, facendolo ripiombare nell’oscurità totale.

Le schegge gli graffiavano il viso e le braccia mentre precipitava, tentò di gridare ma era come se il vuoto della caduta gli avesse risucchiato tutta l’aria dai polmoni.

Perse la presa sull’arco, annaspando disperatamente in cerca di un appiglio, grosse lacrime calde gli sfuggirono dagli occhi, trasportate verso l’alto dalla velocità sempre crescente.

Il giorno in cui aprirai la porta

è sia molto lontano che molto vicino.

***

“Ehi, Luxu? Ehiiii? E’ l’ora di svegliarsi!”

Tutto attorno a lui continuava a vorticare in modo convulso, dandogli la nausea.

Se il Maestro non lo avesse afferrato per le spalle, probabilmente sarebbe caduto giù dalla sedia.

“D-dove...” Luxu si portò una mano alla bocca, reprimendo un conato di vomito.

“Ahia.” commentò Perbias rivolgendogli uno sguardo preoccupato “Ti serve un secchio, ragazzo?”

“N-no… sto… sto bene.” biascicò in risposta il bambino.

“Sicuro? Hai davvero una brutta cera.”

Luxu tirò un respiro profondo, cercando di calmare il battito del suo cuore impazzito. “Sì. Sì, sto bene.”

Il ragazzo più grande battè le mani “Beh, allora lascia che ti faccia le mie congratulazioni! Davvero un Tuffo coi fiocchi. E...” si scostò di lato, così che Luxu potesse vedere l’oggetto poggiato sul tavolo dove solo pochi minuti prima Azal aveva disposto la sua spada-chiave.

L’arco che aveva impugnato in quell'allucinazione era lì davanti a lui, trasportato nella realtà materiale dai poteri magici del Maestro, senza alcun dubbio. “...e il tuo è davvero un cuore molto interessante. Non ti facevo tipo da combattimento a distanza.”

“Quello…” iniziò a dire Luxu sporgendosi un poco per pentirsene immediatamente. Soltanto muovere la testa gli dava ancora un terribile capogiro.

“Questo,” proseguì Perbias sollevando l’arco e tendendone la corda con evidente difficoltà “è una manifestazione del tuo cuore. Qualcuno più saggio di me sarebbe in grado di interpretare che cosa un’arma come questa riveli sul tuo conto, sul tuo vero io, ma non sono mai stato troppo bravo a leggere le persone.” posò nuovamente l’arma sul tavolo, sedendosi di fronte a lui dopo aver raccolto una scatola di latta dallo scaffale.

“Tieni, mangia una di queste, ti sentirai meglio.”

Luxu prese la cialda zuccherata con le mani che ancora gli tremavano, ma non riuscì neppure a portarsela alla bocca. Il sapore di bile che sentiva sulla lingua era troppo forte.

“Stamattina Azal ti ha mostrato la manifestazione fisica di un cuore forte nella sua pienezza. Un artefatto che è al tempo stesso un’arma contro l’Oscurità ed una chiave in grado di spalancare nuovi orizzonti a chi la possiede. Un Keyblade, per metterla in termini semplicistici.”

Perbias si cacciò in bocca una manciata di cialde, continuando a parlare mentre masticava, senza curarsi delle briciole che così facendo spargeva sul tavolo “Il tuo arco ha il potenziale di diventare un Keyblade, un giorno. Ed è questo a cui da ora in poi dedicherai i tuoi studi.”

Il bambino azzardò un piccolo morso al biscotto “Anche voi avete un Keyblade, Maestro?”

L’altro fece spallucce “Esattamente, l’ho usato per aprire il tuo cuore e farti raggiungere la Stazione del Risveglio. Non per montarmi la testa, ma che io sappia, nessuno prima di me era mai riuscito ad evocarne uno. In effetti, il nome Keyblade l'ho inventato io di sana pianta. Suona bene però, non ti pare? Rende l'idea.”

Luxu stava per fargli un'altra domanda, ma dei colpi alla porta interruppero il flusso dei suoi pensieri.

“Maestro? Va tutto bene?” domandò dall’altra parte la voce sottile di Mava.

Perbias si alzò in piedi “Oh sì, abbiamo appena finito. Entrate pure e fate i complimenti al nostro giovane arciere!”


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Eccomi di nuovo, grazie a tutti quelli che hanno seguto la storia fin qui e per tutti i messaggi d'incoraggiamento che mi mandate! Siete dei tesori.
Questa volta riservo un ringraziamento speciale a Malakia che mi ha dato il permesso di utilizzare i suoi disegni del Maestro e di Luxu come ispirazione per questa ficcina! Tornate al primo capitolo per vedere la copertina :) In cambio mi toccherà infilare nella storia un pò di momenti tenerelli tra Luxu ed Ava visto che sono la sua coppia preferita e non abbiamo fatto altro che parlarne insieme l'altra sera. Andate e seguitela su deviantart che ne vale la pena, fa dei disegni davvero bellissimi! Alla prossima!
- Calia

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Capitolo 5
*** ✭ Darkness Looms ***


DARKNESS LOOMS

I can feel the dark,
fester in my heart.
I can feel the bitter decay,
wasting me away.
And one day you'll see,
through the lies I left behind.
And one day you'll see,
it's especially true of me.
[The Bitter Decay - Oberon]

 


Perbias sedeva nel suo studio, la penna d’oca che scorreva lentamente sulla pergamena.

Alambicchi ed ampolle di ogni forma e dimensione occupavano gli scaffali in legno massello e il calderone gorgogliava lentamente sul focolare, riempendo la stanza di un’acre aroma metallico.

Qualcosa cercò di sfuggire da sotto il pesante coperchio, ma un grosso lucchetto impediva al pentolone di scoperchiarsi, lasciando sbuffare fuori il vapore attraverso delle sottili fessure.

Ignorando lo squittio agonizzante della creatura che stava bollendo viva, Perbias gettò la testa all’indietro sullo schienale, traendo un lungo, rassegnato sospiro.

Tutti i pezzi del puzzle erano al loro posto. Adesso non doveva far altro che procedere con l’addestramento dei sei apprendisti e sperare che tutto andasse per il meglio.

Che cosa non avrebbe dato per avere la certezza che tutti i suoi sforzi sarebbero valsi a qualcosa...!

Prese un ultimo appunto prima di alzarsi per raggiungere il tavolaccio che utilizzava per i suoi esperimenti e mettersi a trafficare con alcune provette piene di quelli che sembravano finissimi cristalli luccicanti.

Come al solito, aveva incaricato Salegg di occuparsi del nuovo arrivato in sua vece e si era congedato dai suoi altri studenti dando loro appuntamento per la consueta lezione delle cinque.

Quel giorno, avrebbe condiviso con loro i suoi studi sul funzionamento dei corridoi di luce che permettevano di spostarsi da un luogo all’altro in un solo istante. Per Luxu sarebbe stata una gran quantità d’informazioni da assimilare in una sola volta ma Perbias aveva fiducia nelle capacità del ragazzo, gli sembrava un tipo piuttosto sveglio.

Del resto, era proprio quello il problema.

Erano tutti svegli, capaci, determinati. Per essere così giovani, dimostravano già delle doti a dir poco straordinarie e una risolutezza che avrebbe fatto sfigurare quella di molti adulti. I cuori di quei ragazzini erano incredibilmente forti. Era un tale peccato...

Versò due gocce di un vibrante liquido verde acido all’interno della fiala con la sabbia cristallina ed osservò la reazione chimica con distacco accademico.

Le scintille colorate e il profumo dolciastro non lo affascinavano più come una volta. Non dopo aver compiuto lo stesso test su sei bambini con cuori particolarmente luminosi.

Era per questo che li aveva scelti. Azal, Salegg, Nahara, Hafet, Mava e adesso Khama… o meglio, Luxu. Il solo tra loro a cui aveva conferito un nuovo nome per uno scopo ben preciso.

Perbias versò il contenuto della fiala in una bacinella sospesa su un tripode di ferro e si portò una mano al petto, premendo le dita contro la camicia bianca che indossava.

Chiuse gli occhi, concentrandosi sul momento in cui il suo cuore e quello del piccolo Luxu si erano toccati durante il Tuffo.

La “scienza” e le regole che governavano quel processo non erano chiare neanche a lui, era qualcosa che semplicemente era in grado di fare, un talento unico nel suo genere.

Perbias poteva legare a sé i cuori degli altri e, attraverso tale connessione, permettere ad altre persone di accedere al potere dei Keyblade.

Fino a che punto il legame stabilito fosse solido, non sapeva dirlo. Una cosa però era certa, senza di esso, nessuno dei suoi apprendisti sarebbe riuscito a manifestare una propria chiave.

Divenire suoi allievi significava molto di più che ricevere i suoi insegnamenti, era come firmare un contratto non scritto e dar via qualcosa di molto prezioso senza neppure realizzarlo.

Una parte di lui avrebbe voluto essere sincera con i suoi studenti. Forse, si ripeteva, un giorno avrebbe potuto dire loro tutta la verità e chiedere perdono. O come minimo, un pò di comprensione.

Per adesso, non poteva fare altro che ricacciare in fondo al cuore tutti i sensi di colpa e continuare su quella strada.

Liberò dal suo petto il frammento di cuore che aveva sottratto a Luxu e lo fissò mentre galleggiava sospeso sul palmo della sua mano.

Il cuore di un individuo poteva assumere molte forme, ma solitamente appariva come vetro o cristallo. Durante la cerimonia iniziatica del Tuffo, tutti i suoi allievi lo avevano manifestato sotto forma di un bellissimo rosone, simile a quello di una cattedrale.

Il pezzo che Perbias teneva tra le mani era un piccolo tassello sottratto a quella stessa vetrata.

Lasciò scivolare il frammento nella bacinella che ancora schiumava e ribolliva e una tenue luce violetta s’irradiò nella stanza prima di affievolirsi di nuovo.

Perbias estrasse una spessa giara di vetro da sotto il tavolo e vi riversò il contenuto del piatto per poi richiudere il coperchio ermetico. Con un gesto, fece materiallizare un lucchetto d’argento che andò a sigillare il tutto e si fermò un istante per ammirare il frutto del suo lavoro in controluce.

Il pezzo di cuore splendeva immerso in un denso liquido azzurro, pronto ad entrare a far parte della sua macabra collezione di emozioni, paure, desideri e speranze sottovuoto.

Ancora una volta, si trovò a chiedersi se davvero ne valesse la pena.

Legare a sé quei sei bambini innocenti, marchiare Luxu con il simbolo della Diserzione... Ma quale altra scelta aveva? Non poteva permettere che l’Oscurità prendesse il sopravvento, doveva concentrarsi sul presente, su Auropoli, sul bene comune.

Non poteva permettersi di essere egoista. Non poteva...

Un brivido gli corse lungo la schiena e per poco Perbias non si lasciò sfuggire la giara dalle mani.

Conosceva bene quella sensazione, quell’improvvisa presenza opprimente, quell’odore di ferro incandescente e catrame.

Serrò la mascella, posando il frammento di cuore sul tavolo prima di voltarsi per fronteggiare l’intruso.

“Stai diventando bravo. Mi é sempre più difficile celare la mia presenza. Ah, non importa.”

La voce disincarnata gli echeggiava nella testa come una cantilena.

“Che cosa ci fai qui?” indagò il Maestro, scrutando lo studiolo immerso nella penombra. Nonostante il sole splendesse già alto, tirava sempre le tende quando si dedicava ai suoi esperimenti. Non voleva insospettire i suoi allievi o i cittadini con bizzarri lampi di luce, ma in quel momento desiderò poter spalancare tutte le finestre.

“E’ un po’ che non ci vediamo. Dimmi, come procede il tuo grande piano?”

“Non sono cose che ti riguardano.” protestò Perbias facendo saettare lo sguardo da una parte all’altra. Era come se la voce provenisse da ogni dove.

“Credi davvero di potermi fermare? Credi sul serio che il mondo possa essere salvato da sole sette persone?”

“Sì, se sarà necessario!” la voce del Maestro s’incrinò “Fatti vedere!”

“Se proprio ci tieni…”

Una silhouette vagamente umana apparve all’angolo estremo del suo campo visivo, costringendo Perbias a voltarsi di scatto. Era una figura alta e nebulosa, per lo più senza forma, costituita interamente di nerissima ombra. Quella vista gli gelò il sangue nelle vene. “Oscurità…!”

“Sì. Esisto in ogni cuore. In quello dei tuoi allievi, di tutte le persone che così ardentemente desideri proteggere e, ovviamente, anche nel tuo. Si potrebbe dire che siamo una cosa sola, io e te... Maestro.”

L’inflessione canzonatoria di quell’ultima parola fece scattare qualcosa dentro di lui. Una scintilla di collera, una goccia di veleno.

In un balzo, il Maestro s’avventò contro Oscurità, Keyblade stretto in pugno.

La sferzata fendette la silhouette eterea come fosse fatta di fumo.

“Sei patetico. Credi di essere importante, di avere uno scopo, un grandioso destino da portare a termine…”

“Sta zitto!” Perbias continuò ad infierire sulla figura nonostante i suoi colpi non incontrassero alcuna resistenza. Sbilanciato, andò ad urtare uno scaffale mandando in frantumi un espositore pieno di farfalle ed altri insetti fissati con spilloni.

“Ti ergi a difesa della Luce perchè vuoi l’adorazione delle folle e la devozione dei tuoi apprendisti. Non c’è niente di disinteressato in ciò che fai.”

“STA ZITTO!”

“Sei egoista e crudele. Guardati, giochi a fare l’eroe eppure ti circondi di cose morte, chiudi in gabbia quelle morenti e fai a pezzi il cuore di coloro che si fidano di te.

Sei uno stregone, un ciarlatano.”

Col fiato corto, Perbias allentò la presa sull’impugnatura cesellata del Keyblade, guardando la lama di cui tanto andava fiero. Era bianca immacolata, con delicati dettagli in oro che avvolgevano l’elsa decorata da due ali piumate ripiegate verso il pomolo. Niente nel suo aspetto suggeriva che potesse essere impugnata per compiere atti malvagi. No, il suo cammino non l’avrebbe condotto verso le tenebre.

Riacquistata la sua solita compostezza, il Maestro tornò a fronteggiare Oscurità a testa alta.

“Ti proverò che ti stai sbagliando sul mio conto.” disse freddamente.

“Oooh, vogliamo fare una scommessa?”

La risata di Perbias riecheggiò sinistramente nello studio. Oscurità, sembrò sussultare.

“Se sono così cattivo come dici, non scommetterei un bel niente se fossi in te. Se davvero cedessi all’Oscurità, credi che lascerei che tu mi dominassi? No, non sarebbe nel mio stile. Mi prenderei tutto ciò che hai.”

“E’ questo che mi piace di te. Non vuoi essere mai secondo a nessuno, né nella Luce, né nell’Oscurità.”

“Sai, su questo hai proprio ragione. Sono egoista. Ed orgoglioso, terribilmente orgoglioso.” Il Maestro sogghignò, e qualcosa nella curva delle sue labbra rese il suo volto stranamente innaturale ed inquietante.

“Adesso vattene.”

“Al nostro prossimo incontro. Sono davvero curioso di vedere come andrà a finire.”

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Oh?! Il mistero s'infittisce!
Sinceramente adoro pensare che il Maestro sia un personaggio un pò alla Riku, in bilico tra il bene e il male e con il potenziale di essere sia un alleato per Sora che un nemico accanito. Anche se nei giochi che verranno dovessero inequivocabilmente bollarlo come malvagio, mi piacerebbe che fosse uno di quei cattivi che credono di essere nel giusto e che anche noi, come spettatori, possiamo comprendere fino ad un certo punto.
Grazie per aver letto fin qui! Se vi piace la storia plz lasciate una recensione costruttiva che sto cercando di migliorare sempre più e ogni consiglio è ben accetto!

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Capitolo 6
*** ✭ The Rose Gardens ***


THE ROSE GARDENS

Who shot that arrow in your throat?
Who missed the crimson apple?
It hung heavy on the tree above your head...
This chaos, this calamity, this garden once was perfect!
[Red Wine - The Hush Sound]

 

Salegg faceva strada, il cappuccio color crema calato sugli occhi e un fagotto di carta chiuso con lo spago sottobraccio.

“Una consegna del Maestro per il negozio di accessori nella piazza principale.” aveva spiegato a Luxu mentre uscivano dalla torre, costeggiando il fiume che tagliava in due Auropoli.

L’aria del mattino era fresca e profumata, un vero toccasana per i nervi ancora piuttosto provati di Luxu. “Che cos’è?”

“Medicine. Il Maestro è un abile alchimista, tra le altre cose. Non il solo in città, certo, ma cerca sempre di aiutare quando possibile. Vieni, da questa parte. Cerca di memorizzare il percorso, questi vicoli sono un labirinto.”

Luxu stava per obbiettare che sarebbe stato molto difficile perdersi visto che la torre campanaria svettava così alta da essere visibile da ogni angolo della città, ma preferì restare in silenzio.

Salegg non gli piaceva granchè. Certo, era scortese giudicare qualcuno dalle apparenze e senza conoscerlo a fondo, ma Luxu avrebbe preferito essere scortato in città da qualunque altro degli apprendisti o dal Maestro stesso.

Accanto a Salegg si sentiva piccolo e inappropriato.

Raggiunsero un crocevia affollato dove la quotidanità di Auropoli sembrava prendere vita. Ovunque c’erano cittadini affaccendati, bambini che giocavano in strada con le biglie o a pallone e donne ben vestite che ammiravano le vetrine sapientemente illuminate.

Alcuni operai seduti sull’impalcatura che circondava un’alta casa-torre ridevano e scherzavano dando fondo ai loro cestini del pranzo. A quella vista, Luxu s’accorse improvvisamente di avere fame.

Era mezzogiorno passato e non aveva mangiato niente ad eccezione della cialda offertagli dal Maestro, ma non voleva interrompere il suo giro orientativo per fermarsi a comprare qualcosa. Soprattutto visto che non aveva munny con sé e non voleva che fosse Salegg a pagare per lui.

Mentre attraversavano, facendo attenzione ai numerosi carri e passanti, uno di questi li indicò dal lato opposto della strada “Sembra che il Maestro abbia un nuovo apprendista…” lo sentì mormorare.

Una donna con un vistoso cappello piumato si fermò per osservarlo e Luxu ebbe l’istinto di tirarsi su il cappuccio per nascondere la faccia. Non gli piaceva essere al centro dell’attenzione.

“Con questo fanno sei, no? Mi chiedo cosa abbia in mente il Maestro.” mormorò qualcun’altro tra la folla.

“E chi lo sa. Sono solo bambini...”

“Ho sentito dire che sono tutti orfani, poverini.”

“Il Maestro è proprio generoso... E poi, scommetto che non sa che farsene di tutto quello spazio libero nella Torre. Se non altro così sta aiutando dei ragazzini in difficoltà.”

Luxu guardò Salegg di sottecchi. Aveva l’impressione che nell’origliare quella conversazione si fosse irrigidito, ma il ragazzo tirò dritto senza fare una piega, sgomitando tra la gente nella strada affollata.

“Ci siamo quasi, continuiamo giù fino al ponte e poi tagliamo a destra per i giardini. Arriveremo in piazza in un batter d’occhio.”

“Senti Salegg, posso farti una domanda?” azzardò Luxu facendosi coraggio.

L’altro annuì “Tutte quelle che vuoi, sono la tua guida personale per oggi.”

“Non è esattamente una domanda sulla città. Da quanto tempo sei un apprendista? Mava ha detto di essere arrivata l’anno scorso.”

“Due anni. Stessa cosa per Nahara, mentre Azal è qui da tre. Hafet è arrivato qualche mese prima di Mava. E adesso ci sei anche tu.”

“Il Maestro ha detto che sono l’ultimo.”

“E chi lo sa, potrebbe cambiare idea. È molto volubile.”

“Ho notato. Ma... è un bravo insegnante? Non so esattamente cosa aspettarmi.”

Salegg rise, spostandosi una ciocca di capelli color grano dietro l’orecchio “A modo suo, lo è. Ma non chiedermi altro, non mi perdonerebbe mai se ti rovinassi la sorpresa. E, in ogni caso, avrai un assaggio delle sue lezioni questo pomeriggio, quindi porta un pò di pazienza. Oh, ecco i giardini, manca poco. Acceleriamo il passo.”

I due apprendisti entrarono nell’area di verde cittadino passando sotto ad un grazioso porticato rivestito di glicine profumatissimo. La luce del sole filtrava tra le foglie dipingendo il sentiero acciottolato di tremolanti macchie d’oro e Luxu si trovò a pensare che nessuna città potesse essere più bella di Auropoli. Era come se la natura, la tecnologia e gli esseri umani coesistessero in perfetta armonia, i tetti avevano lo stesso colore del cielo all’alba e le fontane zampillavano vivaci offrendo frescura e acqua pulita alle colombe. Persino la torre dell’orologio, così mastodontica da proiettare la sua immensa ombra su interi quartieri della città mano mano che il sole saliva in cielo, si fondeva piacevolmente col paesaggio circostante.

“Questo posto è incredibile.” si lasciò sfuggire, pensando a voce alta.

“Ah già, tu non sei di queste parti. Posso capire che ad un forestiero Auropoli faccia questa impressione.” commentò Salegg tirando indietro le spalle con fare orgoglioso.

“E tu invece, Salegg? Sei di qui?”

“Sì, i miei genitori facevano parte delle guardie della torre, quando ancora era la residenza dei sovrani.”

Luxu sbattè le palpebre, colto alla sprovvista “Aspetta, stai dicendo che la torre dell’orologio era il castello di un re?!” alzò la mano per schermare gli occhi dal sole e guardare dritto in direzione della struttura. In effetti, se si escludeva il curioso pendolo che oscillava tra le due guglie, l’intero edificio aveva l’aspetto di un castello fortificato, completo di torrette merlate e feritoie.

Salegg scosse il capo con aria divertita “Non sai proprio niente, eh?”

“Non c’è bisogno di girare il coltello nella piaga, sono ancora dannatamente confuso! E fino a ieri credevo che non avrei mai visto questa città con i miei occhi!” si risentì il bambino incrociando le braccia.

Salegg stava per rispondere quando un suono acuto e stridulo li fece sobbalzare entrambi. I due apprendisti si guardarono intorno allarmati, ma i giardini apparivano deserti e silenziosi.

Una zaffata di polline e petali si levò dalle aiuole investendoli con il suo profumo agrodolce.

“Cos’è stato..?” azzardò Luxu a mezza voce.

L’apprendista più anziano avanzò con cautela verso il roseto che costeggiava il sentiero principale “Non lo so, ma non mi piace. Stiamo all'erta, c’è qualcosa di-”

Di nuovo, lo strillo risuonò nel silenzio ovattato del primo pomeriggio e stavolta fu chiaro ad entrambi che si trattava del gemito sofferente di un animale.

Istintivamente, Luxu e Salegg presero a correre in direzione del rumore, seguendo l’eco di quei guaiti strazianti tra le alti siepi del roseto “Da dove viene?”

“Non lo so, ma qualunque cosa sia ha bisogno d’aiuto! Dobbiamo trovarlo!”

“Di qua!” Salegg deviò bruscamente verso destra seguito a ruota da Luxu e quando finalmente sbucarono fuori dal labirinto di cespugli, si trovarono di fronte una scena a dir poco agghiacciante.

Un gruppo di quattro ragazzini all’incirca della loro età stavano scagliando sassi e manciate di ghiaia contro un gattino terrorizzato e ferito. La bestiola, dalla pelliccia tigrata ed incrostata di sangue, era raggomitolata contro il muro di cinta, paralizzata dalla paura.

Luxu si coprì la bocca con le mani, improvvisamente travolto da un senso di nausea e repulsione così forte da farlo barcollare.

Non era soltanto la crudezza di quello spettacolo ad esercitare su di lui un simile effetto, quanto il fatto che l’intera scena appariva ai suoi occhi distorta ed ottenebrata, come se la stesse osservando attraverso il fondo di una spessa bottiglia.

I bambini che ridevano sguaiatamente continuando a tartassare di sassate quell’animale indifeso apparivano a Luxu come avvolti in una cappa di tenebre.

L’Oscurità esalava dalle loro bocche ghignanti come fumo da una ciminiera, i volti distorti in maschere grottesche.

Per la prima volta nella sua breve vita, Luxu ebbe la certezza di trovarsi al cospetto del Male nella sua forma più pura. Non era un concetto astratto, non era una questione morale o filosofica.
Era lì, davanti a lui, nitida sotto il sole del primo pomeriggio… l’Oscurità. Vorace e pulsante come un organismo vivente, sembrava espandersi, occupare tutto lo spazio, allungare i suoi tentacoli di fumo verso di lui.

Pronta a divorargli il cuore.

Salegg lo spinse da parte, costringendolo ad interrompere il contatto visivo e facendogli riacquistare un minimo di controllo sulle proprie emozioni.

“Ehi, razza di teppisti! Lasciate in pace quella povera bestiola!” L’apprendista si parò davanti al gattino ferito, deflettendo la grandinata di sassi con un fendente dell’arma magica che aveva appena evocato nella mano destra.

Luxu riacquistò l’equilibrio e, sebbene si sentisse ancora malfermo sulle gambe, corse al fianco di Salegg richiamando a sua volta l’arco per poi gettare uno sguardo alla mannaia di acciaio nero impugnata dal compagno. Era un’arma dal profilo irregolare e grossolano, con la lama spessa e un’impugnatura lunga abbastanza per essere brandita a due mani. Un’ascia brutale e devastante, perfetta per uno come Salegg, si trovò a pensare Luxu prima di tornare a concentrarsi sull’Oscurità davanti a sé.

Uno dei bambini avanzò dal gruppetto di teppisti con aria di sfida, le spire d’ombra che lo avvolgevano fremevano ad ogni sua parola “Toglietevi di mezzo se non volete che facciamo la festa anche a voi!”

“Perchè siete così cattivi? Quel poverino non vi ha fatto niente!” gridò Luxu con una rabbia che non s’aspettava di trovare acquattata nel profondo del suo cuore. Eppure eccola lì, soppressa da anni ed anni di angherie subite negli squallidi corridoi dell’orfanotrofio.

Gettò uno sguardo impietosito in direzione dell’animaletto tremante alle sue spalle e desiderò incoccare una freccia e piantarla dritta in mezzo agli occhi a quei maledetti per dar loro una lezione.

“Sta calmo, Luxu.” Salegg gli posò una mano sulla spalla, tirandolo indietro “Questi mocciosi non hanno idea con chi hanno a che fare. Toglietevi di mezzo se non volete passare dei guai.”

Per tutta risposta, i bambini risero di nuovo e a Luxu si gelò il sangue nelle vene.

“E chi sareste, sentiamo?”

“Quelli che vi sistemeranno per bene. Anzi, basterò soltanto io. MAGNETE!” con un cenno della mano, Salegg evocò dal nulla una sfera di energia incolore che s’espanse sopra le teste dei ragazzini per poi comprimersi in un’ellisse distorcendo lo spazio tutto intorno a sé.

Luxu fece un balzo indietro colto alla sprovvista ma s’avvide immediatamente del fatto che la magia non aveva alcun effetto su di lui nonostante la potente forza magnetica che esercitò immediatamente sul gruppetto di malcapitati.

I ragazzini smisero immediatamente di fare i gradassi quando si ritrovarono da terra e imprigionati in un vortice di energia che gli schiacciava l’uno contro l’altro.

Salegg balzò in avanti, sciogliendo l’incantesimo un istante prima di scaraventare i malcapitati di nuovo a terra con un violento fendente della sua arma.

Luxu s’aspettava di vedere i quattro rantolanti in una pozza di sangue ed interiora ma con sua enorme sorpresa si accorse che la mannaia di Salegg non aveva causato alcun danno ai corpi dei ragazzini, ma aveva fatto a brandelli la coltre d’Oscurità che emanavano.

In un certo senso, era come se la sua fosse stata una vittoria morale, piuttosto che materiale. Come se Salegg avesse sconfitto i loro pensieri malvagi, l’Oscurità nel loro cuore. Luxu spostò lo sguardo sull’arco che ancora stringeva in mano.

Ma certo! Il Maestro aveva estratto quelle armi dal loro cuore, non aveva senso che potessero ferire fisicamente qualcuno.

Combattere con esse era una lotta tra cuori, una prova di carattere. Era per questo che lui era in grado di centrare un bersaglio da grande distanza e tirare con l’arco come un professionista. Non sarebbe riuscito a farlo con un “vero” arco, quello era semplicemente il modo in cui il suo cuore manifestava la propria forza.

Il pietoso miagolio alle sue spalle lo costrinse a voltarsi.

“Salegg, dobbiamo aiutare questo piccoletto!” esclamò, accorrendo dal povero animale ferito e raccogliendolo delicatamente dal pavimento. Il gattino non poteva avere più di tre mesi, era un miracolo che respirasse ancora dopo tutte quelle percosse. Aveva gli occhi chiusi e ricoperti di sangue rappreso, un orecchio quasi completamente reciso. Luxu sentì le lacrime inumidirgli gli angoli degli occhi a quella vista. Come si poteva essere tanto crudeli?

Si accostò il micino al petto per condividere con lui un po’ di calore. “E’ messo male, non penso ce la farà...”

“Torna alla Torre, portalo dal Maestro. Ricordi la strada?”

“Sì, credo di sì.” annuì Luxu facendo svanire l’arco.

“Vai allora. Io devo occuparmi di questi teppisti.” tagliò corto Salegg avvicinandosi ad uno dei ragazzini che ancora si lamentava sulla ghiaia, piangendo indecorosamente per le sbucciature causate dalla caduta.

“Non è più così divertente adesso che sei tu a prendere le legnate eh, moccioso?”

Luxu non aveva idea di cosa Salegg avrebbe fatto a quelle carogne ma non gl’importava. Anzi, sperava che non fosse affatto piacevole. Così ci avrebbero pensato due volte prima di prendersela con un’altra creaturina indifesa.

Affrettò il passo, tenendo stretto a sé il gattino in fin di vita. Avrebbe voluto mettersi a correre per raggiungere la torre il più in fretta possibile, ma sentiva il battito del cuoricino dell’animale contro il palmo ed era così debole che temeva si sarebbe fermato da un momento all’altro. Costringerlo a sopportare gli scossoni di una corsa a perdifiato era l’ultima cosa di cui quel piccoletto aveva bisogno. Tutto quel che poteva fare era procedere a passo svelto e pregare che la magia del Maestro potesse strapparlo dalle grinfie della morte.

All'improvviso, Auropoli con i suoi bei giardini e casette graziose non gli sembrava più il luogo idilliaco che aveva elogiato soltanto poco prima. Ripensando a quel momento molti, moltissimi anni più tardi, Luxu avrebbe storto le labbra in un sorriso sarcastico. In futuro, gli storici avrebbero chiamato quell'era, la sua era, l'Era delle Fiabe, dipingendola come un tempo meraviglioso ed immacolato, dove la Luce regnava sovrana ed assoluta. Ma lui sapeva meglio di chiunque altro che il Male c'era sempre stato, che le Fiabe e i bambini a cui esse vengono raccontate sono spesso molto più crudeli di quanto si possa immaginare.

 

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Grazie per aver letto fino a qui! I tasselli iniziano ad andare al loro posto...
Che dire, questa storia m'ispira davvero molto, ci sono tantissime cose che non sappiamo riguardo Kingdom Hearts in generale ma ho sempre trovato morbosamente affascinante l'idea che la Guerra dei Keyblade, sebbene fomentata dai veggenti, sia stata essenzialmente una guerra tra bambini. E' uno degli espedienti narrativi più dark che si possa immaginare e lo troviamo in un gioco bollato Disney, tra tutte le cose! Il nostro buon Luxu non è estraneo alla crudeltà gratuita, sa che i suoi coetanei possono essere davvero cattivi e non avere la minima idea di essere nel torto, incapaci di realizzare quanto male facciano alle persone che insultano e feriscono. I bambini sono "puri" anche nella loro cattiveria, come descritto in storie intramontabili come l'originale Peter Pan di Barrie o Il Signore delle Mosche di Golding.
Ci vediamo nel prossimo capitolo... e nel frattempo, fate i bravi, come direbbe lo zio Xigbar ;)

- Calia

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Capitolo 7
*** ✭ The Control Room ***


THE CONTROL ROOM

There are worlds beyond what you have known yet.
The variety is vast!
If you went to a new world as each new day unfold,
could still never reach the last.
There are worlds that you’ve never dreamed of,
and there is one that is waiting for you.
[Out of your world - Daniel Boys]

 

“Tieni.”

Luxu alzò la testa dal tavolo e vide Mava porgergli una tazza di brodo caldo.

“Non ho fame.” mormorò abbassando lo sguardo, i capelli rossi che gli scivolavano disordinati sugli occhi castani.

La ragazzina sospirò “Lo so che sei digiuno da stamattina, non fare lo stupido, hai bisogno di tenerti in forze.” posò la tazza davanti a lui, sedendosi poi al suo fianco. “Mi dispiace per quello che è successo. Deve essere stato terribile. E proprio il tuo primo giorno… assistere ad una cosa del genere...”

Luxu la guardò di sottecchi “Pensavo che qui le cose sarebbero state diverse.”

Lei si morse il labbro inferiore “Il Maestro dice che l’Oscurità alberga in ogni cuore. Non è qualcosa che si può cambiare.”

“Sarà anche vero, ma io non ho mai voluto massacrare a sassate niente e nessuno.” ribatté lui frustrato. “Nemmeno quando certe persone se lo sarebbero meritato.”

Mava esitò. Non sapeva niente del passato di Luxu, ma l’asprezza nella sua voce le fece intuire che dovesse averne passate di cotte e di crude “Questo perchè hai un cuore forte.” disse infine “E’ questa la differenza tra chi domina la propria Oscurità e chi lascia che essa lo controlli.”

“Quei ragazzini ne erano completamente immersi.”

“Uh?”

Luxu tirò la tazza fumante verso di sé, mescolando nervosamente il brodo col cucchiaio “Io ho… visto l’Oscurità. Era tutta attorno a loro, come una veste, un manto d'ombra.”

“Te l’ho detto che avresti visto molte cose assurde nei prossimi giorni. Ma non mi sarei aspettata che tu incappassi immediatamente in una delle più spiacevoli.”

“Puoi vederla anche tu?”

Mava si strinse nelle spalle “E’ uno degli effetti collaterali del Tuffo nel Cuore. Perbias la chiama “apertura del terzo occhio” o qualcosa del genere. In parole povere, io, te, gli altri apprendisti e il Maestro siamo più ricettivi del normale.”

Luxu bevve una sorsata di brodo. Scottava, ma inghiottì comunque. “Pensi che il piccoletto ce la farà?” Chiese senza staccare lo sguardo dalle rondelle di carote sul fondo della tazza fumante.

Lei si voltò in direzione del laboratorio dove il Maestro s’era rinchiuso da ormai più di un’ora, portando con sé il gattino. Quando Luxu si era precipitato nella sala comune con quel fagottino tremante tra le braccia, il sorriso smagliante del Maestro era scomparso immediatamente. Perbias raramente si rabbuiava in quel modo.

"Non lo so. Il Maestro è là dentro da un pezzo. E’ un potente mago, ma nemmeno lui può fare miracoli..."

Luxu accostò di nuovo le labbra alla tazza, sforzandosi di buttar giù il liquido nonostante il groppo che si sentiva in gola e la torre dell’orologio sprofondò nuovamente nel suo consueto silenzio scandito dagli scatti degli ingranaggi.

Finalmente, dopo quella che ad entrambi era sembrata un’eternità, il Maestro apparve sulla porta del laboratorio. Sopra al frac nero indossava un rozzo grembiule di cuoio chiazzato qua e là di una viscosa sostanza viola iridescente e sembrava più pallido del solito. I grandi occhi blu erano arrossati e stanchi.

“Per il momento il tuo piccolo amico è fuori pericolo, Luxu.” disse rivolgendogli un lieve sorriso. “Ma potrebbe avere una ricaduta, era davvero messo male. Venite.”

I due bambini si precipitarono nella sala adiacente e Perbias li seguì fino al divanetto dove il gattino riposava raggomitolato su una morbida sciarpa di lana. Il pelo arruffato e sporco di sangue era adesso grigio e lucente ma là dove le violente percosse ne avevano strappato interi ciuffi esponendo la pelle escoriata, Perbias aveva applicato delle variopinte toppe di colori e fantasie differenti.

Quando Luxu realizzò che queste ultime erano cucite al corpo dell’animale con uno spesso filo viola, e che lo stesso trattamento era stato riservato all’orecchio morsicato e all’occhio destro che Perbias non era riuscito a salvare, la sua reazione fu un misto tra fascino morboso e ribrezzo.

Era chiaro dal suo respiro tranquillo che quei grossolani punti di sutura non causassero al micetto alcun dolore, eppure Luxu non poté fare a meno di domandarsi se veramente rammendare un essere vivente come un pupazzo fosse il modo in cui tutti i maghi risanavano le ferite o se quello fosse il personalissimo metodo del Maestro.

“Poverino…” mormorò Mava allungando una mano con fare esitante “Posso toccarlo, Maestro?”

“Ha decisamente bisogno di tutte le attenzioni che potete dedicargli. Il corpo si può riparare, ma se il suo cuore smetterà di lottare, non c’è magia al mondo che possa salvarlo. Ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui a tempo pieno per i prossimi giorni.”

Luxu si fece avanti “Lo farò io, Maestro.”

“Temo che non sia possibile, ragazzo mio. Sei l’ultimo arrivato e dovrai lavorare sodo per metterti al passo con gli altri negli studi. E anche tu, Mava, hai ancora delle lezioni da recuperare. Se ne occuperà Azal e voi potrete andarlo a trovare nel tempo libero ogni volta che vorrete.”

Il micetto aprì l’unico occhio che gli era rimasto quando Mava prese ad accarezzarlo sul dorso e prese debolmente a fare le fusa.

“Appena Salegg sarà di ritorno mi aspetto di trovarvi nella sala controlli nella torre Nord.” proseguì Perbias sfilandosi i guanti. Il suo tono era più pacato del solito “Sarà una lezione d’importanza fondamentale perciò non lasciarti distrarre, Luxu. Lo so che sei preoccupato, ma ci sono cose più importanti di un animale da compagnia che richiedono la tua totale attenzione.”

Luxu si sedette sul divano di fianco al gattino e Mava allontanò la mano così che potesse essere lui a riservare al micetto un po’ di moine d’incoraggiamento.

“Cercherò di non distrarmi, Maestro.”

“Molto bene. Vedrai, con Azal questa piccola palla di pelo sarà in buone mani. Mava, per favore, mostra a Luxu la strada per la sala controlli e spiegagli come azionare l’ascensore principal-” la frase restò incompiuta perchè Perbias fu scosso da un violento ascesso di tosse.

"Maestro, state bene?" Esclamarono all'unisono i due bambini. Persino il gattino sembrò scrutare il ragazzo più grande con aria preoccupata.

Perbias tirò su col naso "Sì, sì sto bene. Mi sono soltanto stancato un pò, tutto qui. Il vostro amico peloso era più di là che di qua, ho dovuto usare una buona dose dei miei poter-." Tossì di nuovo, stavolta così violentemente da coprirsi la bocca con un fazzoletto che aveva frettolosamente estratto dalla manica. Luxu avrebbe giurato di averlo visto chiazzato di sangue mentre lo riponeva al suo posto... di un sangue curiosamente scuro.

"Datemi giusto un secondo..." Disse afferrando una fiala esagonale dall'armadietto delle pozioni e strappandone via il tappo con i denti. Un bagliore magico si sprigionò dal flacone mentre Perbias ne trangugiava avidamente il contenuto, leccandosi poi le labbra. "Molto meglio. Un Etere fa davvero miracoli, in questi casi!" Sorrise ai due, scoprendo i denti bianchissimi ancora gocciolanti di brillante filtro azzurro.

C'era qualcosa di sguaiato e animalesco in Perbias, qualcosa che disturbava Luxu in un modo che non sapeva spiegarsi. Quel ragazzo dai talenti strabilianti era il suo benefattore, l'eroe del regno, l'amato Maestro di Mava e dei suoi compagni. Aveva appena speso tempo ed energie per salvare un gattino randagio che altri avrebbero dato per spacciato, ma lo aveva fatto in modo grottesco, come uno scienziato pazzo piuttosto che come un guaritore.

Luxu non sapeva veramente cosa pensare. La linea tra genio e follia sembrava essere davvero sottilissima.

Azal entrò nel laboratorio, gli occhiali come sempre al loro posto sul suo naso sottile "Mi avete fatto chiamare, Maestro?"

Perbias prese il micetto tra le braccia, sottraendolo alle moine di Luxu "Ho bisogno che ti prenda cura di questo piccoletto durante la lezione di oggi. Farò un'introduzione e ripasso, quindi non ci sarà bisogno della tua presenza."

"Come desiderate, Maestro. Salegg mi ha detto cos'è successo." Azal si voltò verso Luxu "E che sei stato molto coraggioso."

"Ha davvero detto così?" Indagò Luxu sorpreso.

"Ah bene, bene. Se Salegg è tornato allora ci siamo tutti e possiamo cominciare." Perbias affidò il gattino ad Azal, togliendosi poi il grembiule di cuoio rivelando il frac immacolato che portava al di sotto "Seguitemi."

Salirono agli ultimi piani della torre usando l'ascensore circolare e Perbias scortò i due bambini in una sala dalle pareti interamente occupate da grandi schermi illuminati. Era come entrare nell'ala televisori di un negozio di elettrodomestici, mille colori s'irradiavano dalle cornici di metallo e immagini sempre diverse si alternavano sugli schermi.

Dopo una rapida occhiata, Luxu capì che quei video erano riprese in tempo reale fatte nei luoghi più disparati del Regno della Luce. Deserti, giungle profonde, città brulicanti e graziosi paesini immersi nel verde. C’erano persino l’inquadratura di un castello sommerso e di una cupa collina illuminata dal plenilunio che sembrava andare contro ogni legge della fisica.

La parete opposta all’ingresso ospitava un gigantesco terminale imbullonato al muro e completo di tastiera, visore per la realtà virtuale e persino un paio di controller da videogioco. Luxu ridacchiò tra sé e sé nell’immaginare il Maestro alle prese con un gioco online competitivo, ma al tempo stesso trovò la cosa estremamente divertente. Perbias era pur sempre un ragazzo, dopotutto.

“Questa è la sala di controllo.” spiegò il Maestro prendendo posto alla console e digitando rapidamente la password per accedere al menu di sistema “Da qui possiamo monitorare i luoghi più importanti del reame e intervenire direttamente sul posto, quando necessario. Da un anno a questa parte, mi sono anche messo in contatto con alcune persone nei vari mondi in modo da avere aggiornamenti in tempo reale. Se ci sarà bisogno del nostro intervento, ci contatteranno direttamente da qui.”

Luxu si sedette di fianco ad Ava su una lunga panca posizionata dietro ad un altrettanto lungo tavolo coperto di scartoffie, cd, cavi e parti di computer disassemblate. “Chi ha costruito tutto questo?” chiese ad un certo punto.

“Intendi la torre?”

Luxu annuì “E tutta quest’attrezzatura… sembra che questo posto sia in funzione da molto tempo. E Salegg mi ha detto che originariamente era un castello, o qualcosa del genere.”

Perbias ruotò la sedia girevole verso i suoi allievi, la luce dello schermo proveniente dalle sue spalle metteva la sua intera figura in penombra “Luoghi come questi non sono costruiti da mani umane. Sì, la cittadina che vedi sotto di noi lo è, gli uomini arrivano, reclamano un pezzo di terra e vi costruiscono sopra la propria dimora, ma questa torre esiste sin dall’inizio dei tempi. E’ stata usata in molti modi, nel corso della storia, ci sono stati re e regine, dittatori spietati, principesse dai lunghi capelli, macchine senzienti, visitatori da un’altra dimensione… tutto quello che riesci ad immaginare e molto, molto di più. Luoghi come questo sorgono esattamente sul Cuore dei Mondi e ne sono una sua manifestazione, cambiano, si trasformano, si adattano alle esigenze e allo scorrere del tempo. Quando sono entrato qui per la prima volta…” il ragazzo s’interruppe, come se stesse rivivendo un ricordo lontano e molto prezioso “...la torre si è plasmata attorno a me, dalle fondamenta fino alle guglie più alte. Ogni stanza accomoda i miei desideri, le mie necessità. Avevo bisogno di un luogo da cui tenere sott’occhio il Regno della Luce e la torre mi ha fornito questa stanza. Quando decisi di accogliere sei apprendisti, sei nuove camere e tutto il necessario per il vostro addestramento si è materializzato là dove prima vi erano solo spesse pareti di pietra.”

“In parole povere” s’intromise Mava sorridendo “al Maestro basta volere qualcosa perché essa diventi reale qui dentro.”

Luxu si guardò attorno con rinnovato stupore “E’... è pazzesco.”

Perbias rise “Ti ci abituerai. Ma non pensare che sia tutto rosa e fiori! La torre ha il suo bel caratterino, è viva, in un certo senso. E ci offre tutto questo in cambio del nostro aiuto. Vedi, il Cuore di questo Mondo è speciale. E’ quello che in termini tecnici potremo chiamare un nexus, il punto di convergenza da cui tutti gli altri regni e mondi provengono. E’ il punto d’origine, l’epicentro dell’intero universo. Ed è per questo che Kingdom Hearts può apparire solamente qui, solamente nel luogo da cui tutta la Luce si è originata.”

“Messa così fa quasi paura, eh?” disse Mava giocherellando distrattamente con una pallina di carta.

“Abbastanza.” Ammise Luxu abbassando lo sguardo “Il centro di tutto…”

“Ma bando alle ciance, non siamo qui per filosofeggiare! Oggi vi parlerò dei corridoi di Luce e del loro funzionamento, Mava e gli altri li hanno già utilizzati, ma sono stato io a crearli per loro in quanto un Keyblade è necessario per aprirli.” riprese Perbias dando nuovamente loro le spalle per aprire un’immagine a tutto schermo.

“Non dovremo aspettare gli altri, Maestro?” indagò Mava sollevando un sopracciglio.

“Ah, fa niente, per loro è semplice ripasso. Andremo al sodo quando ci raggiungeranno, nel frattempo voglio dare un’infarinatura generale al nostro Luxu.”

La ragazzina porse un quaderno tempestato di adesivi colorati al proprio compagno di banco. “Prendi appunti, ne avrai bisogno.”

“Dunque, come stavo dicendo ci sono tanti regni e mondi differenti, no? Li potete vedere su questi schermi. Alcuni sono simili ad Auropoli e dintorni, altri completamente differenti, così tanto che per sopravvivervi dentro e non spaventare la popolazione locale dobbiamo prendere delle precauzioni extra prima di poter intervenire. Sai farmi un esempio, Mava?”

Lei annuì “Nelle Terre del Branco non ci sono esseri umani e gli animali possono parlare. Presentarsi in forma umana non è necessariamente un male, ma gli abitanti sono molto più diffidenti nei nostri confronti. Trasformarsi in animali è la soluzione più logica.”

Luxu la fissò ad occhi sgranati. Trasformarsi… in… animali?!

“Esattamente!” si complimentò Perbias “Ovviamente è solo uno dei tanti esempi, in generale, gli abitanti del Regno della Luce sono a conoscenza dell’esistenza di Auropoli e degli altri mondi, ma le distanze che ci separano gli uni dagli altri sono così sconfinate che è come se gli altri mondi fossero poco più che una leggenda.”

Ignorando lo sbigottimento di Luxu, Mava sfogliò il proprio quaderno mostrandogli un esaustivo elenco di mondi e dei rispettivi accorgimenti che dovevano adottare per “integrarsi.”

“Dopo te lo lascio copiare.”

“Uhm… okay.”

“Per ovviare a questo problema, esistono i corridoi della Luce. Sono dei portali che collegano tra loro due luoghi a prescindere da quanto distanti tra loro essi siano. Tramite essi, in un batter d’occhio si può raggiungere l’altro capo del pianeta. Sono generalmente sicuri ma è possibile incontrare alcune interferenze durante il viaggio, per questo non ho ancora permesso ad Azal di aprirne di propri nonostante il suo Keyblade adesso glielo permetta. Finché non sarò sicuro che sappiate cavarvela senza di me, userete soltanto i corridoi aperti dal sottoscritto.”

Perbias premette un pulsante e l’immagine sullo schermo che prima raffigurava un vicoletto tranquillo di Auropoli fu sostituita da un’inquadratura leggermente diversa dove un vorticante portale bianco squarciava i limiti dello spazio e del tempo, rivelando il paesaggio idilliaco di un’isola tropicale dall’altra parte.

“Questo è il potere più grande del Keyblade.” disse, in tono stranamente solenne “Non la sua forza come arma, non l’abilità di sigillare o aprire qualunque serratura… no. L’abbattimento di ogni barriera, la libertà assoluta di viaggiare oltre ogni confine. Questo è il vero potere del Cuore di un individuo.”

Perbias si alzò, tornando a guardare i suoi allievi, le dita pensierosamente intrecciate dietro la schiena.

“Nel palmo stringete questa Chiave, se avete ciò che serve, essa renderà le vostre intenzioni ferme.” scandì lentamente come se fosse la strofa di una filastrocca e Luxu s’accorse che Mava sorrideva.

“I suoi padroni un giorno sarete,” continuò la bambina, ripetendo a memoria “e in amicizia, lì mi troverete.”

Il Maestro la raggiunse, posandole affettuosamente una mano sui capelli color lavanda come aveva fatto con Luxu il giorno del suo arrivo.

“Nessun oceano, né cielo, né terra potrà trattenervi, nessun limite vi potrà fermare mai.”

“Se coloro che amate, proteggerete.” concluse Mava rispondendo allo sguardo d’intesa di Perbias e stringendo i pugni con convinzione.

“Non fare quella faccia da stoccafisso, Luxu. Questa che hai appena sentito è una potente formula magica.” lo redarguì il Maestro.

“Sul serio? Sembra una canzoncina per bambini…”

“Perchè, tu cosa sei? Il nostro Luxu si sente già grande?”


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Nuovo capitolo, certo non si può dire che la vita di Luxu sia noiosa da quando il Maestro dei Maestri l'ha preso sotto la sua ala... e siamo soltanto agli inizi!
Ho cambiato il testo della cerimonia della Keyblade Inheritance perchè la traduzione Italiana che hanno inserito in Birth by Sleep è atroce. Non è facile tradurla, e me ne rendo conto, anche la mia non è perfetta ma sicuramente s'avvicina di più al senso originale e penso pure che suoni meglio. Farò la stessa cosa per altri termini rovinati dall'adattamento italiano, come per esempio userò il termine inglese Unversed piuttosto che l'atroce 'Nesciens' usato nella nostra traduzione, quando arriverà il momento d'introdurre Vanitas. Ciao a tutti e grazie per aver letto fin qui :D

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Capitolo 8
*** Interlude I ***


Il prossimo capitolo arriverà presto, nel frattempo volevo condividere con voi questa fanart realizzata da Malakia che aveva già disegnato per me la mia versione di Loki per un progetto che purtroppo ho abbandonato per mancanza d'ispirazione e interesse da parte dei lettori, ma che potete trovare tra le mie fanfiction qui su EFP se vi interessa la mitologia scandinava.
Prima di iniziare a scrivere Lions' Pride mi sono fatta un giro su google alla ricerca di fanart dei Veggenti e ho scoperto che Mal aveva già disegnato il Maestro dei Maestri! E l'aveva fatto come un gran bello gnoccone, lasciatemelo dire X°D! Nomura farà bene a darsi da fare perchè il design di Mal sarà difficile da detronizzare nella mia testa come MoM canonico! Mi ha ispirato tantissimo per costruire la sua personalità e chiacchierando con Mal su discord ci siamo inventate un sacco di caratteristiche e modi di fare buffi e pure inquietanti che questo personaggio così oscuro potrebbe avere e che vedrete introdotti nella storia nei prossimi capitoli. E proprio oggi mi ha sorpreso con un disegno a dir poco adorabile ioi
 

E poi, ovviamente, c'è stata l'E3 con il trailer di Re:MIND che mi ha scombussolato tutti i piani che m'ero fatta per questa storia (Nomura, mortacci tua)... voi che ne pensate? A me il trailer ha lasciata piuttosto indifferente con l'eccezione della prima scenetta dato che di Luxord già sapevamo che veniva dal tempo di UX. Ma il MoM che spunta nel presente senza spiegazione?! Mi fa pensare che le teorie che sostengono che lui venga dal futuro e si sia accasato nell'Era delle Fiabe non siano poi così sballate. Chi vivrà vedrà, suppongo.
Ci sentiamo nel prossimo capitolo! Arriverà presto, promesso!
 

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Capitolo 9
*** ✭ The Pendulum Bridge ***


THE PENDULUM BRIDGE

Love, gimme love,
I don't need it, but I'll take what I want from your heart!
And I'll keep it in a bag!
In a box!
Put an X on the floor!
Gimme more, gimme more!
[Na Na Na - My Chemical Romance]

 

Luxu sedeva al tavolo circolare della sala comune col gattino tigrato acciambellato sulle ginocchia. Azal glielo aveva affidato per il resto della serata dopo che il Maestro gli aveva chiesto di trattenersi con lui nella sala di controllo al termine della lezione e il bambino era ben felice di poter passare un pò di tempo con la creaturina.

Era ancora molto debole e, stando ad Azal, aveva rifiutato di mangiare quando gli aveva offerto una scatoletta di pesce. Luxu immaginò che dovesse essere ancora troppo scosso per avere appetito, proprio come si era sentito lui quella mattina al termine del Tuffo nel Cuore.

Accompagnato dalle fusa del micetto, passò in rassegna il plico di appunti che Mava gli aveva prestato e intinse la penna d'oca nel calamaio per cominciare a copiare.

Non era abituato a scrivere con quella roba ma non era riuscito a trovare una penna a sfera da nessuna parte. In compenso, frugando in giro aveva notato come gli utensili, vettovaglie e mobilia che si trovavano all'interno della torre provenissero tutti da epoche e mondi differenti. Alla tecnologia della sala di controllo s'affiancavano vecchie pergamene e alambicchi, marmo e moquette sintetica rivestivano i corridoi e persino candelabri e lampadine coesistevano generando bizzarri giochi di luce.

La calligrafia di Mava era tondeggiante e disordinata, ma Luxu riusciva comunque a leggerla senza troppa difficoltà e passò le due ore successive a copiare indisturbato, assimilando a poco a poco tutte quelle strane nozioni.

La realtà dipinta dagli insegnamenti del Maestro era ben diversa da quella che aveva sempre conosciuto. Era un luogo dove fisico e metafisico s’intrecciavano, dove infiniti mondi potevano spalancarsi l’uno dentro l’altro, esistere allo stesso momento in modi completamente differenti, ripiegarsi su sè stessi e scomparire nell’Oscurità o in fondo ad un sogno dimenticato. E i maestri del Keyblade potevano muoversi indisturbati tra i vari piani, tuffandosi dritti nel loro cuore e in quello degli altri.

Luxu tirò un sospiro, abbandonandosi contro lo schienale della sedia. Il gattino dormiva placidamente sulle sue cosce, il respiro calmo e regolare.

“Beato te che non hai da preoccuparti di tutta questa roba complicata.” mormorò tra sè e sè, grattandogli affettuosamente il dorso ricoperto di toppe di stoffa variopinta.

In quel momento, la porta alle sue spalle si aprì e Azal e il Maestro uscirono conversando animatamente.

O meglio, il Maestro conversava animatamente senza lasciare tempo ad Azal di intervenire se non con un rapido cenno del capo “Ed è per questo che dobbiamo porvi rimedio al più presto. Non possiamo certo lasciare che cose del genere continuino ad accadere proprio sotto il nostro naso-”

Azal finalmente riuscì ad introdursi nel discorso “-e cosa pensate di fare, esattamente?”

“Ah, è molto semplice: quando tu e i tuoi compagni sarete pronti, risveglieremo il potenziale latente di molti altri, i volontari non mancheranno! Sai, sto lavorando ad una cosettina, giù nei sotterranei. Quando sarà il momento te ne parlerò, per adesso è soltanto teoria ma… ”

“Abbiamo dei sotterranei?” indagò Azal aggrottando le sopracciglia. Certo, la Torre dell’Orologio aveva delle fondamenta e un disastrato sistema idraulico, ma l’apprendista non credeva che Perbias si riferisse alla sala delle caldaie.

“Li abbiamo da ieri sera. Li ho programmati nella Torre qualche giorno fa, ma solo adesso il sistema ha finito di caricare i dati dei piani inferiori.”

“Capisco. Per il momento, quindi, dobbiamo concentrarci sulla preparazione degli altri.”

“E della tua. Sarai anche in grado di brandire un gran bel Keyblade, ma sei ben lontano dall’essere un Maestro. E…” Perbias sollevò i palmi delle mani guantate “...anch’io ho molta strada da fare. Fidati, neanch’io so esattamente come funziona tutta questa roba! Bel Maestro che sono...”

“Ne sapete comunque più di noi, questo automaticamente vi rende la massima autorità in materia.” lo rinfrancò Azal e il Maestro sogghignò “Sempre il solito adulatore. Oh, Luxu, ragazzo mio!” esclamò d’un tratto, avvedendosi della presenza del bambino. “Ti sei già messo a studiare, ma che bravo.”

Lui si grattò la testa, un po’ in imbarazzo “Mava mi ha dato i suoi appunti. E’ tutto molto… come posso dire? Difficile da metabolizzare in una sola volta. I Mondi, i Corridoi di Luce, il Potere del Risveglio...”

“Prenditi il tuo tempo, sono cose che devi sentire dentro, non capire con la testa. Ti sarà più facile una volta che avrai fatto un pò d’esperienza sul campo, vedrai. E, proprio a proposito di questo, vorrei che domani venissi con me ed Hafet a Camelot, abbiamo alcune faccende da sbrigare e per te sarà sicuramente molto istruttivo.”

Luxu gettò una rapida occhiata al quaderno impataccato d’inchiostro. Aveva appena finito di copiare un passaggio sul regno chiamato “Camelot”.

“Gli appunti dicevano che è lì che andiamo a studiare la magia…” azzardò, temendo di ricordare male o aver frainteso la calligrafia riccioluta di Mava.

“Già, una mia cara amica si è offerta di aiutare con la vostra istruzione.”

“Si è offerta? Direi piuttosto che l’avete persuasa voi, Maestro.” s’intromise Azal rivolgendo a Perbias un’occhiata ironica che lasciava sottintendere qualcosa di noto soltanto a loro due.

Il Maestro ignorò la frecciatina “Quel che conta, è che il suo è un tipo di magia molto peculiare, perfetto per mettervi alla prova. Magari potresti partecipare all’addestramento insieme ad Hafet, se ci sarà tempo.”

Azal si avvicinò a Luxu per controllare le condizioni del gattino “Dorme della grossa eh?”

“Si è svegliato un paio di volte.” spiegò il bambino abbassando lo sguardo sulla creaturina “Ma non si è mai tirato sù sulle zampe, al massimo mi guardava e muoveva un pò la coda. Sembra davvero molto debole, anche se non direi che è spaventato. Non più, almeno.”

“Dobbiamo fargli mangiare qualcosa. Magari della carne fresca lo invoglierà un po’.” propose l’allievo vestito di bianco.

“Dovrebbe essercene un bel tocco giù nelle cucine. Provate a dargliene qualche bocconcino, ma senza esagerare. E, parlando di cibo, direi che per oggi abbiamo fatto tutti un gran bel lavoro e ci meritiamo una fetta di torta!”

“Maestro, se continuate a proporre cene a base di dolciumi finiremo tutti in overdose da zuccheri. E’ la terza volta questa settimana.” gli fece notare Azal traendo un sospiro rassegnato. In quanto allievo più anziano, era ormai abituato ai capricci del Maestro e certe volte si sentiva in dovere di intervenire per dare un minimo di rigore al suo scoordinato stile di vita. Fosse stato per Perbias, la loro dieta sarebbe stata composta all'80% di cioccolato e biscotti.

“In ogni caso, ci meritiamo qualcosa da mangiare! Faccio preparare la tavola, ci vediamo giù tra una mezz’oretta.” così detto, Perbias sparì nel corridoio, lasciando i due allievi nella sala comune.

“Ti vedo più tranquillo.” osservò Azal sedendosi al suo fianco. “Salegg ha fatto una bella lavata di capo a quei delinquenti e Nahara è andata ad informare i loro genitori. Vedrai, la prossima volta ci penseranno due volte prima di mettersi a tirare sassi.”

“Pensi che le crederanno?”

Azal si accigliò “Cosa intendi?”

“Gli adulti non mi credevano mai quando andavo a raccontare tutte le cattiverie che i ragazzi più grandi facevano di continuo all’orfanotrofio. Ho sempre trovato più facile risolvere le cose senza l’aiuto di nessuno.”

“Nahara si è presentata a nome del Maestro, ovviamente. Lo so che non sembra esattamente la persona più autorevole del mondo ma credimi, qui ad Auropoli la gente lo rispetta. Forse perché a nostra differenza, non devono fare i conti con le sue stramberie.” Azal si massaggiò il mento con fare pensieroso e Luxu notò che era velato da un ben visibile accenno di barba.

A sua differenza, Azal e Salegg camminavano ormai sull'orlo estremo dell'adolescenza e Luxu non si sarebbe stupito di vederli crescere tutto d'un colpo nei mesi a venire. Già in passato si era trovato a confrontarsi con il diventare grandi, un processo che ai suoi occhi di bambino appariva alieno e disgustoso. Ricordava come il pessimo odore nel dormitorio maschile si fosse fatto dieci volte peggiore quando una buona parte dei suoi occupanti aveva iniziato a ricoprirsi di peli e brufoli.

“Hai bisogno d’aiuto con quegli appunti?” aggiunse Azal con un sorriso genuino, distogliendolo da quei pensieri.

“Sinceramente, la testa mi sta scoppiando. Il Maestro ha ragione, per oggi è meglio chiuderla qui.”

“Bene allora, ti lascio alla tua serata.” Così detto, il ragazzo raccolse il gattino dalle ginocchia di Luxu e l’animale si raggomitolò immediatamente contro la sua tunica bianca. “Vediamo se riesco a fargli mangiare qualcosa, ci vediamo dopo, Luxu. ricordati della cena.”

Rimasto solo, il bambino raccolse quaderni, penna e calamaio e si avviò su per la ripida scala a chiocciola che conduceva ai suoi alloggi e dopo essersi dato una sciacquata al viso rimase fermo davanti allo specchio, ricambiando lo sguardo del suo riflesso.

L’acqua gli scivolava giù sulle guance spruzzate di lentiggini, le gocce che picchiettavano ritmicamente sul lavandino vuoto. Non riusciva a pensare a nient’altro che al viaggio in programma per l’indomani e alle sconvolgenti verità sulle leggi dell’universo che gli erano state rivelate dalla calligrafia tondeggiante di una bambina. E poi, quasi senza accorgersene, si scoprì intento ad esaminarsi la faccia alla ricerca di peluria sospetta, ridendo al contempo della propria stupidità. Non c'era niente al mondo di più normale di crescere e prima o poi anche lui avrebbe dovuto farvi i conti. Da una parte, non vedeva l'ora di lasciarsi alle spalle quell'aspetto gracilino per lasciar spazio ad una figura degna del "Maestro del Keyblade" che Perbias stesso sperava un giorno di poter rappresentare. Ma dall'altra temeva di cambiare così tanto da non riconoscersi più.

“Tu devi essere quello nuovo. ”

Luxu sobbalzò, voltandosi di scatto. Era sicuro di aver chiuso la porta a chiave, di essere completamente solo. E quella voce…!

“C-chi è là?!”

“Luχu, eh? Interessante. Ti ha marchiato... ma perchè?”

Il bambino si guardò intorno preda di una paura così schiacciante da costringerlo a far saettare gli occhi da una parte all’altra senza muovere un solo altro muscolo. Sentiva di dover rimanere immobile, come se ne andasse della sua stessa vita. La voce sembrava provenire da ogni direzione, era roca e stridula al tempo stesso, giovane e vecchia come il mondo. Suonava beffarda e sofferente, faceva vibrare l’aria e le fiammelle delle candele tremolavano ad ogni sillaba.

“Cos’hai di speciale?”

Una colonna di nebbia densa e scura si manifestò nella cameretta piena di libri e giocattoli. Sembrava una nube carica di tempesta, percorsa internamente dal crepitare del fulmine e pronta a distruggere ogni cosa, ma aveva una forma solida, quasi umana, al punto che Luxu la vide allungare un’estremità verso di lui. Forse una mano, forse una zampa di bestia dai lunghi artigli. Rimase immobile, completamente paralizzato dal terrore, mentre le dita di fumo gli scostavano una ciocca di capelli.

“Povero piccino. Si è già preso il tuo nome, ha già cominciato… In cosa ti trasformerà, mi domando?”

Luxu tentò disperatamene di liberarsi dallo stato di completa trance in cui la presenza di quell’essere l’aveva fatto sprofondare, cercò con tutte le sue forze di chiudere gli occhi, interrompere il contatto visivo con quella massa turbinante e sempre più vicina, ma non ci riuscì. Sentiva le lacrime scendere lungo le guance, ma non poteva muoversi, riusciva a malapena a respirare.

“Non fidarti del Maestro. Credimi, lo conosco meglio di chiunque altro, meglio di quanto lui conosca sé stesso. Ma so anche che non mi darai ascolto. Sei il suo prediletto, dopotutto. E presto tutti se ne accorgeranno.”

La voce si fece così stridula che una fitta di dolore acuto gli corse tra un orecchio e l’altro. Luxu avrebbe voluto prendersi la testa tra le mani e precipitarsi a perdifiato giù per le scale, giù, giù, lontano e fuori da quella torre simile ad una macchina infernale ma la figura di fumo, nebbia e tuoni era cresciuta a dismisura, occupando tutta la stanza, succhiandogli l’aria dai polmoni.

“Fa che queste parole s’incidano sul tuo cuore, povera pecorella smarrita. Esse torneranno da te quando sarà il momento e allora forse ti chiederai se il prezzo della tua lealtà è troppo alto. Se quando il mondo sprofonderà nel buio avrai lo stomaco di restare fermo a guardare… una seconda volta.”

Un enorme occhio giallo come brace si spalancò nelle profondità della tempesta di polvere, come se Luxu si trovasse sospeso davanti alle fauci di una creatura gigantesca.

"Temi la Bestia con un Solo Occhio!"

°°°

Luxu si svegliò di soprassalto nel proprio letto, la capretta nera di pezza che lo fissava bonariamente dal comodino. Il cuore gli batteva all’impazzata nel petto.

Istintivamente si tastò addosso, scoprendo di star indossando ancora i suoi abiti da apprendista al posto del vecchio pigiama che aveva portato con sé dall'orfanotrofio. Cos’era accaduto? Non ricordava di essere andato a dormire la sera prima.

E perchè si sentiva così scosso ed esausto? Come se avesse corso a perdifiato per miglia e miglia, aveva forse fatto un brutto sogno? Non ricordava niente… ma che altra spiegazione poteva esserci?

La luce del mattino filtrava attraverso le tende, proiettando un rettangolo di luce rosata sul pavimento.

Tirando un respiro profondo per calmarsi, Luxu fece scivolare gli stivali giù dal letto e si trascinò verso il bagno, davanti allo specchio là dove i ricordi della sera prima sembravano interrompersi.

Lo spazzolino era ancora dentro al bicchiere, il dentifricio col tappo svitato sul lavandino. Fissò quegli oggetti così mondani con aria corrucciata, certo di aver dimenticato qualcosa d’importante. Spremette il tubetto e iniziò a lavarsi i denti continuando a pensarci su, chiedendosi se vuoti di memoria come quello fossero un’altra delle stramberie che lo aspettavano da lì in poi. Del resto, soltanto il giorno prima Mava gli aveva detto che vedere l’Oscurità del cuore come una mefitica esalazione di fumo nero era soltanto l’inizio.

Infilò in tasca il taccuino con gli appunti e scese nella sala comune dove trovò Nahara e Hafet intenti a discutere dell’imminente partenza di quest’ultimo.

“Quanto starai via?”

“Credo tre giorni, il Maestro mi rivuole in servizio quanto prima, ma devo fare pratica extra con gli incantesimi avanzati. Sono alle prese con Reflect e Stop. Una vera rogna.”

“Ti credo sulla parola, del resto sei sempre stato portato per quella roba, a mia differenza…” si lamentò lei sbuffando. “Oh, ciao Luxu. Buongiorno.”

Lui salutò i due apprendisti con un cenno della mano “Ciao… ecco, mi stavo giusto chiedendo di questo viaggio a Camelot. Che posto è?”

Hafet alzò gli occhi al cielo “Umido, senza elettricità, si mangia bene però. Cacciagione a volontà.”

“A me piace, è molto pittoresco.” ribatté la ragazza trattenendo una risata “Ma lo vedrai con i tuoi stessi occhi, no? Il Maestro ha detto che andrai con lui ed Hafi.”

“Così pare, sono un po’ nervoso… non ho mai lasciato questo mondo. A dire il vero, non lo ho nemmeno visitato tutto e già mi venite a dire che devo andare a vederne un altro…”

“Quella è la parte migliore, siamo visitatori, non abitanti. Ci godiamo il colpo d’occhio. E’ come collezionare cartoline di viaggio”

“A meno che tu non sia me. Mastro Perbias mi manda da quella strega almeno una volta al mese.” borbottò Hafet rassettandosi la mantella sulle spalle. “Ormai faccio il pendolare.”

“E’ perché sei il più capace nelle arti magiche e vuole valorizzarti, lo sai. Poi, se vuoi la mia opinione, è perchè pensa che sarai il prossimo ad evocare un Keyblade.”

Il ragazzo biondo sbatté le palpebre “Sei seria? Ma tu e Salegg siete qui da molto più tempo di me!”

“Non vuol mica dire niente, sai? A nostra differenza tu hai già trovato la tua strada.”

Hafet incrociò le braccia “Sai che bella strada!”

“Oh ma finiscila. Piuttosto Luxu, hai fame? Ieri sera non sei venuto a cena. Il Maestro è andato a cercarti ma ha detto che ti ha trovato addormentato e ha preferito lasciarti tranquillo.”

“Ah.” Luxu fissò la giovane in abiti azzurri con aria confusa “Immagino sia andata così, sì.”

“Che intendi?” indagò Hafet lanciandogli un’occhiata interrogativa.

Luxu si grattò la nuca con un pò d’imbarazzo “Non ricordo bene cos’è successo ieri sera, è tutto nebuloso. E’ possibile che mi sia semplicemente addormentato. Scusatemi se vi ho fatto preoccupare.”

“Figurati. Ho visto il gattino che tu e Salegg avete salvato ieri mattina, probabilmente dovevi essere ancora un pò provato da tutti questi eventi. In ogni caso, sei ancora in tempo per la colazione, vieni, scendiamo sul ponte del pendolo.”

“Ponte del che…?” le fece eco Luxu incuriosito.

“Diciamo che è la cosa più simile ad una colazione in giardino che possiamo permetterci senza lasciare la Torre. Un’idea del Maestro, ovviamente.”

“Chissà come mai, non lo dubitavo.” rise il bambino dai capelli rossi e Nahara ricambiò con un cenno del capo.

“Impari in fretta.”

“A fare cosa?”

“A riconoscere a prima vista le idee balzane di Perbias.”

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Ciao a tutti! Questo capitolo è stato un pò più lento ma spero vi abbia incuriosito per il prossimo dove finalmente iniziamo il World Tour in compagnia di Gula/Hafet :D! Che ci crediate o no, questa parte l'avevo in testa già da prima che uscisse il trailer di Re:MIND perchè, seriamente, in che altro modo potrebbe il buon Maestro dei Maestri insegnare la via del Keyblade ai suoi allievi se non spedendoli in giro per i mondi come loro stessi faranno in futuro coi membri delle Unions? La teoria conta fino ad un certo punto se non si ha esperienza sul campo e Luxu sta per farsene una buona dose.
Perchè Camelot? Perchè è un mondo Disney che non abbiamo mai visitato nei giochi e dal quale proviene Merlino, ma ovviamente, essendo questa l'Era delle Fiabe ed essendo questa tutta una balzana idea del Maestro dei Maestri, non vi aspetterete mica di trovare il vecchio mago come consulente magico di Gula e Luxu, non è vero? Avanti, lo sappiamo tutti che ai tempi c'era in giro anche una certa fattucchiera dai lunghi capelli viola...

 

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Capitolo 10
*** ✭ Camelot ***


CAMELOT

There's a hole in the sky that leads nowhere,
a link gone missing from the chain.
There's a hole in our hearts, an empty promise there.
Can you tell me if we'll ever be the same?
[All The King's Horses - Triumph]

 

La risata di Perbias riempiva la fragrante aria mattutina. Rideva così forte e così di gusto che la voce finì per incrinarglisi, eppure continuò imperterrito, asciugandosi le lacrime con un lembo della tovaglia immacolata. Salegg brontolò qualcosa a mezza voce, si era soltanto versato addosso un pò di caffè, per la miseria! Che bisogno c’era di ridere tanto? Eppure, anche gli altri apprendisti sembrano trovare quel piccolo incidente oltraggiosamente divertente

Nell’assistere a quella scena surreale, sospesa nel vuoto sul ponte di pietra tra le due torri, Luxu non riuscì a  togliersi dalla testa una filastrocca che aveva letto molti anni prima in un vecchio tomo polveroso trovato nella soffitta dell'orfanotrofio. Un pugno di versi che da quel momento in poi non avevano mai abbandonato la sua mente, perché continuavano a riproporsi nella sua vita quotidiana con allarmante frequenza.

 

Schadenfreude!

Non c’è miseria più lieta di quella degli altri,

nessuna fortuna più grande della sventura degli altri,

Schadenfreude!

Oh quale gioia!

 

Il pendolo della torre dell’orologio oscillava minacciosamente sopra le loro teste come la lama di un boia ubriaco, ma Luxu si sforzò di ignorarlo e raggiunse i compagni attorno al tavolo deliziosamente apparecchiato. Un finissimo servito di porcellana completo di posate laccate d’oro era disposto sulla tovaglia color pesca e un’infinita selezione di dolciumi ricoperti di glassa, formaggi e vasetti di marmellata faceva bella mostra di sé al centro della tavola.

Mava era piegata in due dal troppo ridere, ma alzò il viso quando Luxu si sedette al suo fianco. La bambina aveva gli occhi lucidi e un sorriso contagioso.

“Buongiorno...” la salutò Luxu e lei rispose col fiato corto “Buon… pfff… buongiorno a te.”

“Cos’avete tanto da ridere?” indagò Hafet servendosi un’altra tazza di cioccolata calda con panna.

“Esatto! Non c’è proprio niente di divertente!” protestò Salegg incrociando le braccia sulla tunica vistosamente impataccata di marrone.

Perbias si dette una pacca sulle ginocchia “E’ solo che…” tirò la testa all’indietro per riprendere fiato “...te la prendi per qualsiasi piccola cosa! Come si fa a resistere?”

“Per qualsiasi piccola cosa?” gli fece eco l’altro, l’incredulità impressa in volto “Mi avete fatto lo sgambetto!”

“E lo rifarei.” ammise Perbias con un tale candore che persino Luxu non riuscì a trattenere un sorrisetto. Era davvero matto da legare. “Ridere fa bene al cuore, sai? E adesso sù, va a cambiarti così che io e i tuoi compagni possiamo complottare indisturbati alle tue spalle.”

Salegg alzò gli occhi al cielo “Se non mi volevate presente, potevate semplicemente dirlo, Maestro.”

“Non sarebbe stato altrettanto divertente.” ribatté Perbias scatenando un’altra ondata di risatine.

“Siete tremendo.” concluse l’apprendista con asprezza “D’accordo, d’accordo. Me ne vado. Mi chiedo il perché di tutta questa segretezza, però!”

“Lo saprai quando sarà il momento.” lo rassicurò Perbias, stavolta con un sorriso più gentile “Adesso vai, per cortesia.”

“E va bene…” Salegg si allontanò a passi pesanti, lasciando gli altri cinque apprendisti soli sul ponte sospeso assieme al Maestro.

“Bene, dove eravamo rimasti?”

Azal gettò un paio di zollette nel suo tè, lanciando a Perbias un’occhiata velata di disapprovazione “Parlavamo del viaggio di oggi, Maestro. Ma, se posso permettermi-”

“Non puoi.” lo zittì Perbias con un cenno “Salegg deve imparare a controllarsi. Un cuore iroso come il suo può facilmente cadere preda dell’Oscurità. Non lo stuzzico di continuo per puro divertimento.” il ragazzo si morse le labbra, nascondendo un ghigno “Beh... non solo per divertimento”

L’apprendista con gli occhiali restò impassibile “Dunque, di cosa volevate parlarci?”

“Questa è la prima volta che vi lascerò da soli a gestire l’intera baracca.” disse, alzandosi in piedi e camminando verso il parapetto, le code del frac che svolazzavano dietro di lui nella brezza mattutina. “Dopo aver scortato Hafet e Luxu a Camelot, mi assenterò per alcuni giorni. Devo accertarmi di una cosa e non so quanto tempo impiegherò.”

Perbias si voltò a guardare i suoi apprendisti che lo stavano fissando interdetti da dietro la tavola imbandita. “In mia assenza, lascio il comando ad Azal. Obbeditegli senza discutere, mi raccomando.”

Mava e Nahara annuirono all’unisono.

“La vostra fiducia in me mi fa onore, Maestro. Ma perché tenerlo nascosto a Salegg? Non pensate che senza sapere che siete stato voi a darmi questo incarico...” azzardò Azal posando nervosamente la tazza sul tavolo.

“...penserà che tu ti sia montato la testa e auto-proclamato mio sostituto? E’ proprio quello che voglio capire, Azal. Vedi, sento che Salegg sia molto vicino al manifestare un proprio Keyblade e che la sola cosa ad impedirglielo sia la rivalità che ha sempre avuto nei tuoi confronti. Consideralo un test sia per lui che per te. So che non mi deluderai.”

L’apprendista chinò il capo, le sopracciglia aggrottate in un cipiglio pensieroso “Farò del mio meglio, Maestro.”

“E adesso veniamo ai nostri due viaggiatori.” Luxu e Hafet si stavano rimpinzando di dolciumi, ma smisero immediatamente di masticare quando gli occhi blu del Maestro si posarono su di loro.

“Questa è la prima volta per Luxu, perciò Hafet, proprio come Azal dovrà tenere d’occhio gli altri qui ad Auropoli, tu dovrai badare al nostro nuovo acquisto in mia assenza. Non vorrei che Madam gli mettesse gli occhi addosso e se lo cucinasse per cena.”

Nell’udire quelle parole Luxu impallidì visibilmente, ma Hafet gli rifilò una gomitata complice “Scherzate, non è vero? Madam si mangia soltanto i ragazzi carini. E chiaramente il sottoscritto è molto più attraente!”

Perbias intrecciò le dita dietro la schiena “Non pensi che dovremo lasciar giudicare alle signorine qui presenti?” propose, rivolgendosi a Mava e Nahara che già stavano ridacchiando tra loro alla vista dell’espressione sbigottita di Luxu. “Qual’è il verdetto della giuria?”

Nahara si strinse nelle spalle “Per me è più carino Luxu.”

“Sapevo che non dovevo passarti gli appunti di magia bianca, brutta ingrata...” bofonchiò Hafet tra le risate generali.

“Ma come, ti sto salvando la vita! Che c’è, vuoi essere mangiato da quella vecchia strega?”

“Figuriamoci! Ma ne va comunque del mio orgoglio.” ribatté lui, ravviandosi vanitosamente all’indietro i capelli biondi  “Allora, tu che dici Mava?”

La ragazzina vestita di rosa sembrò prendere quella domanda molto sul serio e fissò intensamente i due ragazzini con i grandi occhi verde acqua. Hafet sorrideva gagliardo mentre Luxu si ritraeva istintivamente contro lo schienale della sedia da giardino, messo a disagio dall’essere all’improvviso al centro dell’attenzione.

“Siete entrambi due mocciosetti insipidi.” giunse infine, lapidario, il verdetto della ragazzina, strappando a Perbias un’altra delle sue fin troppo sguaiate risate. Sollevato, anche Luxu si lasciò sfuggire un largo sorriso. L’atmosfera giocosa e surreale che aleggiava su di loro ogni volta che il Maestro interveniva stava cominciando a piacergli. Era una sensazione che non aveva mai provato prima e non sapeva se fosse un buon segno o meno. Forse, si disse, nel giro di qualche tempo si sarebbe assuefatto a tal punto alle stranezze da considerarle del tutto normali.

“Immagino che saranno entrambi al sicuro, allora. Vedi Luxu, non hai di che preoccuparti. Madam avrà, come al solito, occhi soltanto per il sottoscritto.” lo rassicurò il Maestro continuando a sghignazzare.

“Adesso andiamo, però. Non vorremo mica far aspettare la vostra insegnante, no? Non è carino.”

“Vieni, Luxu.” Hafet lo guidò al fianco del maestro dopo essersi ficcato in bocca l’ennesimo bignè glassato.

“Non dovremo prendere le nostre cose?” chiese Luxu a mezza voce, ma l’altro scosse la testa. “Troveremo già tutto là. Poi ti spiego come funziona.”

Perbias avanzò, guardando dritto davanti a sé oltre il parapetto che s’affacciava sui tetti appuntiti di Auropoli con i loro graziosi comignoli ed abbaini. Eppure, era come se i suoi occhi vedessero molto più lontano, oltre l’orizzonte.

Il formicolio della magia elettrificò l’aria e in una vampa di luce, il Maestro evocò il proprio Keyblade nella mano destra, puntandolo contro il sole che era da poco spuntato  da dietro le colline.

Luxu non riusciva a staccare gli occhi dall’arma, sorpreso dalla sua linea elegante ed affusolata. A confronto con il Keyblade di Azal, quello di Perbias sembrava più uno stocco che uno spadone. La lama era finemente cesellata, quasi traslucida e persino cava in alcuni punti, come fosse fatta di sottilissimo cristallo che poteva infrangersi in ogni momento. La guardia dell’elsa era formata da due ali piumate che andavano a chiudersi attorno alla mano. Là dove la lama andava ad allargarsi per formare la ‘testa’ della chiave, una serie di rientranze simili ad uncini si sovrapponevano ad una stella a cinque punte realizzata in argento purissimo. La stella, aveva notato Luxu, era un simbolo ricorrente in tutta Auropoli. Era dipinto sui segnali stradali, riportato sul selciato con tessere di colori differenti, sugli stendardi che adornavano la piazza principale e persino le siepi dei giardini erano potate in modo da formare una miriade di stelle.

A differenza del Keyblade di Azal, quello del Maestro non aveva una testa d’animale al centro dell’elsa ma al suo posto campeggiava una gemma azzurra che sembrava emettere una flebile luce.

Perbias fece volteggiare l’arma tra le dita con maestria e fece un rapido balzo indietro per aggiustare le distanze e poi sollevare nuovamente il Keyblade. Un raggio di luce bianca fendette l’aria, espandendosi poi tutto d’un colpo per formare un varco esattamente là dove si trovava il parapetto. A poco a poco, il portale si stabilizzò rivelando un corridoio vorticante di luci color pastello che sembrava estendersi all’infinito oltre il ponte.

“Dopo di voi.” gli incitò Perbias facendo smaterializzare il Keyblade e avvicinandosi all’ingresso del tunnel spazio-dimensionale, la luce abbagliante che si rifletteva sui suoi lustri abiti neri.

Hafet andò per primo. “Ci vediamo!” salutò, e camminando spedito e senza timori, svanì inghiottito dalle spire del portale.

“Non avere paura.” Lo rassicurò il Maestro leggendo l’esitazione negli occhi di Luxu ed allungando una mano per posargliela sulle spalle “Entrerò subito dopo di te. E’ questione di un attimo, Hafet sarà probabilmente già quasi a destinazione.”

Luxu si fece coraggio e avanzò in direzione della luce. Era così abbagliante che a malapena riusciva a tenere gli occhi aperti, così decise di chiuderli e sentì la mano di Perbias dargli una spintarella prima di lasciarlo andare.

Immediatamente, il mondo andò tutto sottosopra.

Sentì il vento gonfiargli la veste e la pressione dell’aria contro la faccia. Aprì gli occhi, scoprendosi avvolto da miriadi di luci che sfrecciavano tutt’intorno a lui come se si trovasse all'interno di un condotto che viaggiava ad altissima velocità attraverso lo spazio infinito. Con la coda dell’occhio, scorse la silhouette della torre dell’orologio di Auropoli farsi sempre più piccola e distante fino a scomparire completamente alla sua vista, lasciando i suoi sensi in totale balia dei bagliori e del tintinnio celestiale di quelle che sembravano migliaia di campane di cristallo.

A rompere quell’attimo di quiete fu il fischiettare di Perbias che, lo raggiunse fluttuando al suo fianco, girato sul dorso e con le braccia incrociate dietro la testa come se stesse nuotando pigramente in piscina piuttosto che viaggiando attraverso un varco spazio-temporale.

Teneva gli occhi chiusi e canticchiava tra sé e sé, apparentemente ignaro della presenza di Luxu.

 

“Si narra che un dì,

l'Inghilterra fiorì

di audaci cavalieri.

Il buon Re morì senza eredi e così

agognarono tutti al potere.

Soltanto un prodigio poté salvare

il regno da guerre e distruzione.

Fu la Spada nella Roccia

che un bel dì,

laggiù comparì.”

 

Il Maestro aprì pigramente un occhio, ricambiando l’occhiata interrogativa del bambino. Sentirlo recitare un vecchio poema cavalleresco in una situazione come quella rendeva il tutto ancora più surreale di quanto già non fosse.

“Una storia da cui possiamo imparare molto, non pensi?” gli chiese, scalciando per andare un po’ più veloce, imitato immediatamente da Luxu.

“E’ la storia di Camelot?”

“Sì, ma c’è chi sostiene che non riguardi solamente il destino di questo Mondo. Dicono che sia una profezia per l’intero Regno della Luce. Per questo sto andando ad investigare.” spiegò, tornando a chiudere gli occhi. “Del resto, non sarebbe la prima spada magica ad essersi manifestata in un momento di bisogno.”

Luxu si schermò gli occhi con la manica dalla luce che si faceva sempre più intensa. Dovevano essere quasi arrivati. “Parlate del Keyblade?”

“Lettera più, lettera meno...”

“Uh?”

“Tieniti forte, stiamo per atterrare.”

“OUCH!”

 

°°°

 

Luxu cadde faccia a terra sul prato ricoperto di rugiada. La testa gli girava da morire.

Perbias lo aiutò ad alzarsi “Direi che è andato tutto liscio.” asserì dandogli una pacca d’incoraggiamento sulle spalle.

“Maestro, non vi cambiate?” chiese Hafet, voltandosi verso di loro. In effetti, tra i tre presenti il solo a sfigurare nella verdeggiante radura dove si erano teletrasportati era proprio lui, con i mocassini lustri già per metà affondati nel fango.

La foggia degli abiti di Luxu ed Hafet, invece, s’adattava piuttosto bene al contesto medievaleggiante e gli alti stivali offrivano loro protezione dai rovi del sottobosco.

“Oh giusto. Stavo quasi per dimenticare.”

In uno schiocco di dita, il frac di Perbias fu sostituito da stivali al ginocchio, calzoni di cuoio e gambeson. Tutto rigorosamente nero ad eccezione del blasone ricamato in argento sulla tunica smanicata che raffigurava un leone rampante.

Magrolino com’era, non lo si sarebbe scambiato certo per un cavaliere fatto e finito, ma Luxu pensò che potesse tranquillamente farsi passare per uno scudiero.

“Molto meglio.” commentò Hafet dirigendosi verso il limitare della radura “Vieni, Luxu. La casa di Madam Mim è da questa parte.”

“Vi accompagno. Devo discutere un paio di cosette con lei prima di recarmi in città.” disse Perbias picchiettandosi pensierosamente il mento “Come ti è sembrato il viaggio, Luxu?”

“Ancora non ci credo che siamo dall’altra parte del mondo.” ammise lui, distratto dal cinguettare degli uccelli e da un paio di scoiattoli dispettosi che si rincorrevano sui rami sopra le loro teste. “Piuttosto, chi è questa Madam, esattamente?”

“Oh, la chiamano in molti modi. Mim, Morgana, Marlene, Magò… è una strega molto potente.”

“E vive qui, nella foresta?” chiese Luxu con un filo d’apprensione alla vista del fitto intrico di rami e sterpaglie che si stava chiudendo tutt’intorno a loro mentre proseguivano lungo il sentiero. Il bosco era così denso che i raggi del sole a malapena riuscivano a penetrare oltre le fronde degli alberi.

“E’ una donna dai talenti tragicamente incompresi. In generale, la gente di queste parti non vede di buon occhio la pratica delle arti magiche, perciò maghi e streghe preferiscono starsene in disparte.”

“E non preoccuparti di essere mangiato, prima a tavola stavamo tutti scherzando. Madam non cuoce i bambini nel pentolone… almeno non che io sappia. E ormai la conosco da un pezzo.” lo rassicurò Hafet allontanando uno sciame di moscerini con la mano.

Luxu celò un sospiro sollevato, continuando a camminare spedito, la ghiaia e le foglie che scricchiolavano sotto le suole lisce dei suoi stivali.

Proseguirono fino a raggiungere una scarpata piuttosto ripida che conduceva ancora più a fondo nel groviglio di alberi e cespugli contorti e scesero con cautela, attenti a non ruzzolare giù in mezzo ai sassi. Al termine della discesa, seguirono un tortuoso ruscello fino alla casa in pietra della strega. L’edificio era piccolo e rustico, ricoperto in parte d’edera e muschi. Il tetto in paglia annerita era sproporzionatamente alto rispetto alle pareti stesse e ricordava a Luxu uno stereotipico cappello a punta.

Dal comignolo s’alzavano dense zaffate di fumo e una luce rossastra riverberava attraverso le finestrelle.

I due apprendisti raggiunsero il Maestro sotto il portico mentre quest’ultimo bussava alla porta, picchiettando un buffo motivetto con le nocche.

“Madam?”

Un fracasso assordante, come quello di pentole e padelle che sbattevano tra loro riecheggiò nella vallata dall’interno della casa.

Luxu gettò ad Hafet un’occhiata interrogativa ma il ragazzo aveva impressa in volto un’espressione impassibile, quasi annoiata.

La porta si aprì di uno spiraglio, quanto bastava per poter dare una sbirciata fuori, per poi venir spalancata di colpo un istante dopo.

“Perbias, mia bella stellina del mattino! Cosa ti porta da queste parti, mascalzone che non sei altro?”

Il Maestro rispose con un inchino fin troppo profondo “Il dovere. Come sempre, del resto. Vi trovo… uhm… non particolarmente in forma, se posso permettermi. Che vi è successo, carissima?”

Luxu strabuzzò gli occhi nell’udire quelle parole. La donna sulla porta era probabilmente la più bella che avesse mai visto in tutta la sua vita. Sui vent’anni, altissima e formosa, con lunghi capelli viola e gli occhi verdi e brillanti come gemme. Indossava un abito di due tonalità di fucsia con la gonna sopra il ginocchio e un’ampia scollatura che metteva ben in mostra il seno prosperoso. Il solo elemento del suo aspetto che rimandava vagamente all’idea che Luxu si era fatto della stereotipica strega che vive nei boschi era il naso dritto ed insolitamente lungo.

“Oh, questo… vedi, ho dovuto recitare la parte della fanciulla indifesa per togliermi dai piedi un paio di ficcanaso venuti a cercare la casa della strega.” la donna sospirò facendo cenno ai tre di accomodarsi all’interno della capanna.

“Sembra proprio una bella seccatura. Ma non c’è niente di cui preoccuparsi adesso, mettetevi pure comoda.” la incoraggiò Perbias lasciandosi cadere di peso su una sedia rivestita di pelli d’animale come se fosse a casa propria.

“Buongiorno Madam.” la salutò Hafet con un sorrisetto “Ho completato tutte le pergamene come mi avete chiesto. Sono qui per l’ultima parte dell’addestramento.”

“Ma certo, ma certo.” tagliò corto lei spostando l’attenzione degli occhi iridescenti su Luxu “E tu invece? Vedo che Perbiassuccio ha adottato un altro randagio...”

“Ah sì, lui è Luxu, il nuovo arrivato. Se possibile, vorrei che testaste le sue abilità come avete fatto con Hafet. Credo che abbia del potenziale, ma siete voi l’esperta.”

La strega si avvicinò pericolosamente a Luxu, prendendogli il mento tra il pollice e l’indice delle mani affusolate e bianchissime “Oh sì… sì, c’è qualcosa di tremendamente interessante dietro questo faccino lentigginoso.” mormorò, sollevandogli la mascella così tanto da far male. "Qualcosa di spaventosamente interessante."

“L-lieto di conoscervi, Madam.” balbettò lui senza sapere cos’altro fare, mentre la donna continuava ad osservarlo con aria decisamente famelica. Le labbra rosse e sottilissime stirate in un sogghigno che avrebbe potuto rivaleggiare con quello del Maestro.

Perbias unì i polpastrelli “Posso contare su di voi?”

“Cosa me ne viene in cambio?” chiese lei lasciando finalmente la presa così che Luxu potesse tornare a respirare.

Perbias rise “La mia gratitudine?”

Lei gli scoccò un’occhiata tutt’altro che divertita “Perchè piuttosto non usi quella tua bella chiave per farmi un piccolo favore?”

Il Maestro afferrò una giara dallo scaffale, scrutando la lucertola sotto spirito contenuta al suo interno con fare distratto “Dipende dal favore.”

Madam Mim si portò un dito alle labbra “Vedi, ci sarebbe un certo grimorio in possesso di un certo mago del quale desidero carpire i segreti. Ma ahimè, la sua casa è sigillata da una potente magia...”

Perbias sospirò “Consideralo fatto. Chi è il fortunato ad aver attratto la vostra attenzione, stavolta?”

“Merlino.” sibilò la strega con malcelato disgusto.

“Pensavo non v’interessaste di magia bianca, signora.” s’intromise Hafet sollevando un sopracciglio.

“Figurati!” sbuffò lei giocherellano con una lunga ciocca di capelli “Voglio soltanto dimostrare a quel gran seccatore che i suoi trucchetti non sono così infallibili come pensa.”

“Vi porterò il libro di Merlino, Madam. In cambio, farete del mio apprendista un abile stregone?”

“Se ne ha la stoffa, certamente.”

Perbias tese la mano guantata “Oh, credo proprio che ce l’abbia. Come Hafet, del resto.”

“Affare fatto, allora.” rispose lei, ricambiando la stretta. “Oh, quasi dimenticavo…” con uno schiocco ed un flash di luce verde, la donna si scrollò di dosso l’incantesimo illusorio che la faceva apparire così procace e voluttuosa per riacquistare il suo aspetto originale, quello di una donnetta tarchiata e cicciottella con un’indomabile chioma di ispidi capelli viola simili alla pelliccia arruffata di un animale.

Non era necessariamente brutta, e nemmeno così vecchia come una prima occhiata potesse lasciar sospettare, (in effetti, non dimostrava più di una quarantina d'anni) ma di certo non aveva niente a che spartire con la bambolona che aveva appena rimpiazzato. In presenza di quella donnetta dall’aspetto persino un pò buffo però, Luxu si sentiva molto più a suo agio. Gli ricordava una delle inservienti della mensa dell’orfanotrofio, quella che tutti evitavano perché troppo rimbambita per curarsi di distinguere le scodelle sporche da quelle pulite quando arrivava l’ora della minestra.

“Ah, adesso vi riconosco!” esclamò Perbias, sorridendole gioviale “Orribile come sempre.”

“Grazie, caro. Sai sempre come lusingare una signora.”

“Mi piacerebbe restare ma purtroppo ci sono un paio di cosette di cui devo occuparmi a Camelot.” spiegò il ragazzo, avviandosi verso la porta “Vi affido i miei studenti per questi giorni, tornerò a prenderli appena tutto sarà sistemato. E con il libro che mi avete chiesto, ovviamente.”

“Sei sempre il benvenuto.”

“Un’ultima cosa, prima che vada…” Perbias si fermò sulla soglia, la maniglia d’ottone stretta in pugno “...sapete dirmi qualcosa sulla profezia?”

Madam Mim gli rivolse un’occhiata furba “Ah. Ecco il vero motivo per cui sei qui.”

“Tra le altre cose.” ammise lui con un’alzata di spalle.

“E’ esattamente come hai sentito dire. Una spada è comparsa di punto in bianco, infissa in un incudine nel cuore di Londra e nessuno è ancora riuscito ad estrarla.”

“E perchè dovrebbero farlo?”

La donna s’arrampicò sulla sedia fin troppo alta per la sua statura ridotta e raccolse dal tavolo un mazzo di carte da gioco, prendendo a mischiarle con abilità “Come, non lo sai? Chi la tirerà fuori sarà proclamato Re.”

“Interessante. E ovviamente, non sappiamo come ci sia arrivata in mezzo a Londra, dico bene?”

“Dici bene.” gli fece eco la strega preparando il suo solitario “Proprio come non sappiamo come tu sia arrivato in mezzo ad Auropoli, ragazzo mio. Un vero ed inspiegabile prodigio.”

Luxu scambiò un’occhiata interrogativa con Hafet, ma l’altro apprendista gli fece cenno di rimanere in silenzio.

Perbias chinò il capo, un sorriso velato di tristezza impresso sulle labbra. “Grazie per l’aiuto, Madam. Al nostro prossimo incontro.”
 


 

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Succedono cose sempre più strane e Gula/Hafet dovrà a Luxu un pò di spiegazioni... sempre che escano vivi dall'addestramento magico di Maga Magò, questo è chiaro!
Ho preferito usare il nome inglese Madam Mim per differenziarla da quella che conosciamo nel cartone animato. Parliamo della stessa strega, ma questa storia è ambientata molto tempo prima degli avvenimenti del film, quando la Spada nella Roccia è appena comparsa, Artù non è ancora nato e Merlino e Magò sono relativamente giovani per dei maghi ultracentenari :D. Mi piaceva l'idea che così come Yen Sid e Merlino faranno in futuro da guida ed insegnanti a Sora, anche Luxu e gli altri Foretellers avessero l'assistenza non solo del loro Maestro ma di altri potenti personagg Disney. Del resto, se c'è una cosa di KH che proprio non mi piace è quanto slegati gli uni dagli altri siano la trama principale e i mondi Disney. In questa storia, cerco di integrarli meglio che posso.
I cambiamenti nella timeline della Spada nella Roccia  li ho fatti per tener fede all'idea che i mondi visitati dai personaggi di KHUX siano proiezioni del futuro e non lo stato corrente del mondo. Questo visitato da Luxu e Hafet non è una proiezione del libro delle profezie (che Perbias non ha ancora scritto) ma bensì il VERO mondo di Camelot nel regno della Luce.

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Capitolo 11
*** ✭ The Sword in the Stone ***


THE SWORD IN THE STONE

Note: vi lascio qui l'intro de La Spada nella Roccia perchè sono certa che come me non lo guardate da un pezzo ;) visione facoltativa, ma consigliata!
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Luxu sedeva a gambe incrociate sul ceppo di un’antica quercia, gli occhi color cioccolato pieni di meraviglia che non si staccavano un attimo da Hafet che, a distanza di sicurezza, si stava esercitando con una serie d’incantesimi sempre più complicati.

Madam Mim aveva animato lo sgraziato spaventapasseri del suo orto di erbe medicinali perché fungesse da bersaglio mobile, rimettendosi insieme nel giro di pochi istanti ogni volta che le magie del ragazzo lo danneggiavano. Era uno spettacolo a dir poco incredibile. Fiamme, cristalli di ghiaccio e persino fulmini piovuti direttamente dal cielo terso s’abbattevano in rapida successione sul fantoccio, ma fu quando Hafet passò agli incantesimi difensivi che Luxu si scoprì a trattenere il fiato, preso com’era dall’incalzare del combattimento.

La marionetta di sterpaglie e rami secchi piroettò nell’aria prima di scagliarsi contro l’apprendista in giallo, ma quest’ultimo intercettò l’attacco proiettando una barriera sferica tutt’intorno a sé. L’impatto fu così violento da spingere Hafet indietro, gli stivali che slittavano sull’erba bagnata, eppure il ragazzo non fece una piega, mantenendo la concentrazione e l’asta da incantatore evocata dalle profondità del suo cuore alta davanti a sé.

Nell’osservarla, Luxu si chiese che tipo di armi brandissero gli altri suoi compagni e tornò a pensare al suo arco, richiamandolo quasi inconsciamente nella mano sinistra.

Si fermò ad ammirarlo con un filo d'orgoglio chiedendosi come avesse fatto a cavarsela senza di esso fino a quel momento. Avere un potere simile sempre a portata di mano lo faceva sentire molto più al sicuro. 

Madam Mim lo raggiunse a passetti svelti, sollevando la gonna fucsia per muoversi nell’erba alta come una faina che zampetta in direzione del pollaio “Allora novellino, che ne dici di buttarti anche tu nella mischia?”

Luxu fece svanire l’arco in una sprizzata di scintille bianche “Non so veramente niente sul come funziona la magia, Madam. Finirei solo per intralciare Hafet.”

“Con un atteggiamento del genere non andrai molto lontano, giovanotto.” lo rimproverò la strega incrociando le braccia “Il vero potere si risveglia soltanto gettandosi a capofitto nel pericolo! L’adrenalina che sale, il cuore che batte così forte che sembra stia per scoppiare! La magia è istinto di sopravvivenza, dominio su quel che ti circonda.” si sedette accanto a lui, spingendolo di lato senza troppe cerimonie “E viene dal cuore, proprio come quel gingillo che ti stavi rigirando tra le mani poco fa. Il principio è lo stesso.”

“State dicendo che potrei scagliare una palla di fuoco… semplicemente volendolo? Credevo servissero anni di studio per-”

“Ad una persona normale, servono eccome. Ma per voi? Perbias ha già abbattuto tutte le barriere attorno al tuo cuore. Devi soltanto allungare la mano e vedere cosa contiene. Di solito, ogni cuore tende a prediligere un determinato tipo di incantesimi e, anche se può tecnicamente apprenderli tutti, è sempre buona cosa specializzarsi prima in quelli che ci vengono più naturali. Il tuo amico laggiù ha un’affinità particolare con la forza del tuono, ma come vedi ormai riesce a dominare tutti gli elementi. Per questo quando avrà finito di riscaldarsi passeremo a qualcosa di un pò più difficile.”

“Questo è solo il riscaldamento?” chiese Luxu sbalordito mentre Hafet evocava una folata di vento scaraventando lo spaventapasseri così alto nel cielo che impiegò almeno dieci secondi prima di ripiombare a terra.

“Già. Il bello deve ancora arrivare. Piuttosto, dimmi un pò...da quanto tempo fai parte della ghenga?”

Lui sollevò un sopracciglio “Della… cosa?”

“Dei trovatelli di Perbias.”

“Ah. Sono arrivato solo da pochi giorni.”

“Carne freschissima, insomma. Vedo che non ha perso tempo a spedirti lontano da Auropoli eh.”

“Conoscete bene il Maestro, signora?”  azzardò lui cercando di dirottare la conversazione su Perbias dato che una domanda assillante continuava a ronzargli in testa.

“Da quando era piccolo così.” rispose la donnetta, segnando la statura con il palmo della mano. “Ad Auropoli non sapevano cosa fare con lui, così l’hanno portato da me. Brutto caso d’amnesia, il suo.”

“Non lo sapevo.” mormorò Luxu abbassando lo sguardo “A dire il vero, non so quasi niente di lui.”

“Allora sali a bordo, che siamo tutti sulla stessa barca.” sospirò lei dondolandosi avanti e indietro sul ceppo “Nessuno sa da dove venga, nè perchè la Torre di Auropoli reagisca alla sua presenza in quel modo. Destino, dicono in molti, e chi può biasimarli?"

"Chi sono questi molti?"

"Beh, molti per modo di dire. Ne puoi contare uno o due per Mondo, quindi paragonati alla gente normale sono pochi. E si da il caso che la sottoscritta sia una di questi pochi." Si portò vanitosamente la mano al petto, sogghignando "Siamo persone che sanno più di quanto danno a vedere. Siamo osservatori che guardano i secoli scorrere, ridendo delle tribolazioni dell'umanità, della vanità dei loro conflitti e del ripetersi sempre degli stessi, tragici errori."

Nonostante l'aspetto trasandato e buffo della sua interlocutrice, e il tono così leggero con cui trattava tali argomenti esistenziali, il bambino sentì che c'era grande verità nelle sue parole. Lasciò che andassero a fondo nei suoi pensieri, interiorizzandole, facendole sue. E mentre scendavano sempre più giù nei meandri della sua mente, incontrarono e s'intrecciarono con un'altra, curiosa parola che era lì in attesa da molto tempo.

 

Schadenfreude.

 

"Negli ultimi anni sono state sussurrate tante profezie ed è innegabile che un po' ovunque stiano accadendo cose fuori dall'ordinario. Dei veri e propri prodigi, che sfuggono alla comprensione di ogni tipo di magia o scienza conosciuta. E il tuo Maestro è uno di essi, anche se è presto per dire quanto straordinario…" Madam Mim alzò lo sguardo, gli occhi verdi come il veleno fissi contro quelli di Luxu "...o quanto terribile, si rivelerà in futuro."

Luxu sentì un brivido corrergli lungo la schiena e stava per chiedere alla strega che cosa intendesse esattamente con un'affermazione così infausta ma una violenta folata di vento raggiunse la bizzarra coppia seduta sul ceppo, mandandoli entrambi a gambe all'aria.

Hafet corse verso di loro, scusandosi ripetutamente per essersi avvicinato troppo e aver perso il controllo dell'incantesimo Aero mentre Madam Mim lo tempestava di improperi più o meno coloriti, dimenandosi come una coccinella riversa sul dorso.

Luxu si tirò sù a sedere, ripulendosi la veste dalla polvere e zolle di terriccio che Hafet gli aveva inavvertitamente scagliato contro e insieme al compagno di apprendistato aiutò la strega a rialzarsi.

"Che cosa ti ho detto riguardo agli attacchi ad area, ragazzino?"

Hafet sospirò "Sempre disattivare il fuoco amico."

"Ecco, che ci vuole! Fossimo rozzi cavalieri che si prendono a mazzate con pezzi di ferro appuntiti potrei capire, ma siamo maghi! La magia ce l'ha un cervello, può distinguere un bersaglio dall'altro se ti prendi la briga di chiedergli di farlo!"

"Prometto che non succederà più, signora."

"Sì, certo, come no. Fine dei giochi, ragazzo mio, adesso facciamo sul serio: la tua prova inizia ora. Fammi vedere di che pasta sei fatto." La strega si rimboccò le maniche, piantando i piedi a terra con atteggiamento minaccioso e richiamato al suo fianco lo spaventapasseri-fantoccio che se ne era rimasto in disparte fino a quel momento.

"Fossi in te, Luxu, mi andrei a barricare in casa." Disse Hafet con un sorriso, assumendo a sua volta una posizione offensiva. Era chiaro che aspettasse quel momento da molto tempo e nei suoi occhi brillava una grande determinazione.  "Madam parla tanto, ma è la prima a dimenticarsi del fuoco amico."

"Puah, ma sentitelo!" Rise lei di gusto "Tale Maestro, tale apprendista. Perbias ha avuto una pessima influenza su di te."

Hafet serrò le dita attorno all'asta e Luxu sentì l'aria caricarsi d'energia ad una rapidità a dir poco allarmante. Forse avrebbe fatto bene a seguire il suo consiglio e correre ai ripari...

Cosa che fece immediatamente e senza alcuna vergogna quando Madam Mim agitò la mano trasformando lo spaventapasseri in un gigantesco abominio di legno e paglia armato di due affilatissime falci gemelle. L'essere si raddrizzò in tutta la sua statura, svettando sugli alberi come la torre dell'orologio faceva su Auropoli e proiettando la propria ombra contorta sull'intera vallata.

Hafet sollevò il bastone pronto ad attaccare e, mentre correva a perdifiato verso la casetta di pietra, Luxu sentì chiaramente la forza del cuore del compagno irradiarsi dalla sua arma.

Entrò nella cucina disordinata della strega, e si richiuse la porta alle spalle, restando solo in quella stanza piena di grotteschi animali impagliati e giare di occhi e cervelli sotto spirito.

Tirato un respiro profondo, Luxu corse alla finestra per non perdersi un solo istante di quello straordinario duello tra maghi.

 

  °°°

 

Perbias camminava inosservato tra la folla, il cappuccio calato sugli occhi azzurrissimi.

Aveva visitato Londra molte volte da quando il Keyblade era diventato suo. Anzi, aveva visitato molte Londre differenti perché il reame della Luce era talmente vasto da poter ospitare più copie di una stessa città senza che le varie versioni interferissero le une con le altre. 

A gusto personale, preferiva di gran lunga i bassifondi di una specifica Londra medio-ottocentesca dove erano ratti e topi a farla da padroni, ma anche il buio medioevo dei cavalieri di Camelot aveva il suo fascino.

Attraversò la piazza del mercato temporaneamente adibita ad arena per i duelli di giostra seguendo un drappello di energumeni in armature ammaccate e cigolanti, certo che lo avrebbero condotto esattamente dove desiderava andare.

Del resto, in città non si parlava d'altro.

Sotto lo sguardo vigile delle guglie di un'antica chiesa, una folla di cavalieri e viaggiatori si era radunata nell'adiacente camposanto, rompendo la quiete con i propri schiamazzi.

Là in mezzo, infissa in un incudine di pietra, stava la spada della profezia.

Gli uomini facevano a turno per cercare di estrarla, tirando l'elsa con tutta la forza che avevano in corpo, al punto di sbiancare le nocche e tendere i muscoli fino allo spasimo. Alcuni cadevano all'indietro stremati per lo sforzo, altri provavano un approccio più metodico, tentando di scalfire la roccia stessa oppure unendo le forze, tirando a quattro o più mani. Il tutto in un'atmosfera tesa e bellicosa dove volavano insulti diretti ai casati presso cui i vari cavalieri avevano prestato giuramento e che spesso sfociavano nello scoppiare di vere e proprie risse.

La morte del re aveva precipitato quel mondo in tempi molto bui. Gli uomini diffidavano gli uni degli altri e Perbias si sentiva quasi soffocare dalla cappa d'oscurità che aleggiava sull'intera scena come una nube carica di tempesta pronta a scatenarsi da un momento all'altro. Ma si fece coraggio e, ignorando le spinte e le gomitate, si mise in fila come tutti gli altri per avere anche lui l'occasione di estrarre la spada.

Non che fosse quello il suo vero intento, questo sia chiaro. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era essere proclamato re di un altro mondo quando già aveva le sue belle gatte da pelare ad Auropoli, ma aveva bisogno di toccare con mano quell'arma misteriosa venuta da chissà dove.

Doveva capire se davvero ci fosse una connessione tra essa ed il Keyblade che lui stesso brandiva. Era come se le due armi fossero fatte della stessa materia e forgiate dalla stessa mano.

La presenza del Sigillo della Diserzione non poteva essere una semplice coincidenza.

 

Eχcalibur

 

"Togliti di mezzo, moccioso!" Lo apostrofò un ragazzone in abiti da fabbro spingendolo da parte con così tanta forza da mandarlo a sbattere contro la persona che gli stava davanti.

Perbias riacquistò l'equilibrio appena in tempo per non finire faccia a terra sul selciato, ma il pover uomo che aveva urtato non fu altrettanto fortunato.

"Mi scusi!" Esclamò il Maestro tendendogli la mano per aiutarlo a rimettersi in piedi. "Sono mortificato."

"Tranquillo, ho visto che non l'hai fatto apposta." Le dita lunghe e nodose dell'uomo si serrarono sulle sue e Perbias sentì il familiare formicolio della stregoneria.

E ovviamente, lo stesso valse per il suo interlocutore che gli rivolse un caloroso sorriso dietro la barba e i baffi brizzolati. "Ah-ha! Un collega! Che piacere. Anche se in una situazione come questa, non è poi così inaspettato."

"Immagino voi siate Merlino." Azzardò Perbias rispondendo con più calore alla stretta di mano.

"Oh? Vedo che la mia fama mi precede!" Esclamò giovialmente l'altro che in quel momento sembrava aver fatto tutto il possibile per non sembrare un mago. Proprio come Perbias, indossava gli abiti poco appariscenti di uno scudiero o manovale. A tradire il suo travestimento, oltre alla potente aura magica, erano però le dita macchiate d'inchiostro che, in un mondo dove il 95% della popolazione è analfabeta, potevano significare solamente due cose: carriera monastica o pratica della stregoneria. "Purtroppo non posso dire lo stesso della vostra, giovanotto. Con chi ho il piacere di discorrere?"

"Sono solo di passaggio, ma potete chiamarmi Theon." Disse, certo del fatto che nonostante i suoi poteri, il mago non potesse rilevare quell'affermazione come una bugia.

Perchè non lo era. Theon era il nome che la gente di Auropoli gli aveva dato quando lo avevano trovato a vagare spaesato e senza ricordi per le vie della città. Il borgomastro e sua moglie si erano presi cura di lui per qualche tempo, consultando dottori e stregoni alla ricerca di una cura per la sua amnesia. Ma quando i loro rimedi non avevano ammontato a nulla, era stato spedito da Madam Mim nonostante la sua reputazione come fattucchiera non fosse delle più immacolate. 

A mali estremi, estremi rimedi.

Ovviamente, lui aveva sentito parlare di Merlino. E non soltanto da Madam Mim che passava la metà del tempo ad insultarlo così gratuitamente che Perbias non poteva fare a meno di domandarsi se fossero stati una coppia romantica ad un certo punto. Le probabilità sembravano piuttosto alte, sinceramente.

Così come era altamente probabile che Merlino sapesse che la strega dei boschi e il Maestro di Auropoli collaboravano ormai da anni. Ma, se c'era una cosa positiva del vivere in un regno sconfinato e di essere uno dei pochissimi in grado di percorrerne i corridoi spazio-temporali, era che quasi nessuno sapesse quale fosse il suo vero aspetto. Anche quando erano al corrente dell'esistenza di un "Maestro" nella città dell'alba, in pochi avrebbero creduto che si trattasse di uno smilzo quattordicenne come lui.

“Anche voi qui a dare un'occhiata alla spada?" chiese, riportando la sua attenzione sulla marmaglia che s’accalcava attorno all’incudine.

Merlino si grattò pensierosamente il mento barbuto “Già. Chiamalo sesto senso, ma non credo che nessuno dei presenti qui oggi sia qualificato per estrarla.”

Perbias annuì “Lo penso anch’io.”

“Ahimè, certe volte il disordine è destinato a regnare per un certo periodo. Ci aspettano tempi bui, qui a Camelot. Anni, forse decenni di Oscurità prima dell’arrivo di chi è destinato a rimettere a posto le cose. Immagino sia parte delle leggi della natura, dell’equilibrio delle cose.” aggiunse il mago con fare sconsolato “Ma alla fine la Luce torna sempre, anche dal buio più profondo.” concluse, rivolgendogli un sorriso incoraggiante. 

Il giovane Maestro non disse niente, continuando a fissare la spada conficcata nella roccia, inamovibile e solida nonostante le mani avide che si stringevano una dopo l’altra attorno alla sua elsa. E tutto intorno, i cavalieri gridavano e s’insultavano, persino coloro che sotto il governo del buon Re defunto avevano cooperato e vissuto in armonia adesso sembravano pronti a saltarsi alla gola. La coltre nera sopra le loro teste si faceva sempre più densa.

Perbias dubitava che il mago potesse vederla così chiaramente come faceva lui, ma di certo non serviva aver aperto il proprio cuore in modo letterale per percepire che la tensione nell’aria stava montando fin troppo in fretta. “Vieni, ragazzo. Andiamocene di qui prima che questi villani dissacrino questo luogo di prodigi con una gran rissa.”

Il Maestro non poteva essere più d’accordo e seguì il mago oltre il cancello di ferro che delimitava il cimitero “Non posso fare a meno di notare che sotto quel cappuccio nascondi delle curiose fattezze. Da dove vieni, Theon?”

“Da Giardino Radioso.” Ancora una volta, non era una bugia. Non sapendo dove fosse nato, non poteva mentire. Almeno non tecnicamente parlando. E la gente di Giardino aveva nelle vene il sangue di Auropoli, visto che la cittadina era stata fondata da pellegrini provenienti proprio dalla città della Torre meccanica. E a detta di tutti, lui aveva l’aspetto di un nativo di quella terra anche se nessuno aveva idea da dove esattamente fosse saltato fuori.

“Ah, adesso che me l’hai detto, riconosco il taglio degli occhi. Quasi cento anni fa conobbi un cavaliere errante che proveniva proprio da lì. Un grande eroe, anche se con un gusto discutibile in fatto di elmi cornuti e una personalità non proprio frizzantissima. Mi piacerebbe visitare Giardino, un giorno. Deve essere un vero incanto.”

 

°°°

Attraverso i vetri a rombi della casa della strega, Luxu assistette a bocca aperta allo svolgersi del combattimento più spettacolare che avesse mai visto.

Il ragazzino che solo poche ore prima si stava rimpinzando di bigné sul ponte della torre dell’orologio adesso era intento a duellare con lo spaventapasseri gigante di Madam Mim come un cavaliere contro un drago.

Hafet si muoveva sicuro e veloce, la stola della veste gialla che lo seguiva come una scia mentre schivava e scagliava proiettili elementali in direzione del suo accanito avversario. 

Deviò un fendente con l’incantesimo Reflect per poi scivolare con una capriola tra le lunghe gambe della creatura, uscendo dal suo campo visivo quel poco che bastava per caricare un nuovo incantesimo. Lo spaventapasseri si voltò di scatto, contorcendo il corpo di paglia e sterpaglie in modo innaturale, ma era ormai troppo tardi.

“STOP!” scandì Hafet conficcando a terra la punta del bastone mentre il quadrante di un orologio iridescente si proiettava davanti a lui come un'ologramma, le lancette che si muovevano sempre più lentamente fino a fermarsi sulla mezzanotte spaccata.

La creatura si irrigidì con uno spasmo e tutto il colore sembrò venir risucchiato via dalla sua figura, lasciandola  pietrificata nel bel mezzo della vallata come una statua grottesca.

Madam Mim si abbandonò ad un applauso sguaiato e Luxu fece lo stesso, contento per il trionfo dell’amico ed estasiato all’idea di poter diventare, un giorno, abile quanto lui.

La strega ridusse nuovamente lo spaventapasseri al proprio stato originale e fu solo allora che Hafet sciolse l’incantesimo, rilassando i muscoli e tirando un sospiro di sollievo e soddisfazione.

Mim prese l’apprendista sottobraccio, trascinandolo verso casa a saltelli, quasi danzando.

Luxu li accolse entrambi con un sorriso a trentadue denti “Sei stato grande!”

“Sì, sì, è stato bravo.” ammise la strega orgogliosamente “Del resto, ha imparato dalla migliore!”

“Credo che anche il Maestro debba prendersi parte del merito…” le fece notare Hafet, asciugandosi la fronte imperlata di sudore col dorso della manica “Se so schivare così è solo grazie alle sue simulazioni nella Torre.”

“Puah, roba da principianti. E’ stato il tuo sangue freddo e dominio sulle forze della natura a farti vincere, non dimenticarlo!” minimizzò lei avvicinandosi al focolare dove stava pigramente bollendo un pentolone di stufato sul cui contenuto Luxu pensò fosse meglio non indagare.

“Adesso mi insegnerete finalmente la grandemagia?” chiese Hafet sedendosi e giocherellando distrattamente con le carte sparse sul tavolo.

“Non toccare il mio solitario, bada a te. E no, non sei ancora pronto per gli incantesimi di livello ‘za’. Per almeno un paio d’anni non li devi nemmeno guardare da lontano gli ‘za’.”

“Così tanto? Uffa!” sbuffò Hafet poggiando il mento sulle braccia incrociate sul tavolo.

“...’za’?” chiese Luxu aggrottando le sopracciglia.

“La roba davvero forte. Thundaza, Aeroza, Stopza e compagnia bella. La magia che davvero fa la differenza.” brontolò l’altro apprendista con fare sconsolato.

“Anche la magia che può radere al suolo un intero quartiere se non stai attento. Io una responsabilità del genere non me la prendo!” se ne tirò fuori Mim assaggiando una cucchiaiata di stufato per poi contrarre le labbra screpolate in una smorfia. “E in ogni caso, non crederai mica che sia finita qui, vero? Ti aspettano altre prove nei prossimi giorni.”

“Non sarebbe meglio se ti concentrassi su Luxu? Dai, Mim... sai meglio di me che ormai padroneggio tutta questa roba!” continuò a lagnarsi Hafet mentre il ragazzo coi capelli rossi si sedeva al suo fianco. “Potrei aiutarti ad addestrare lui!”

“Apprezzo l’offerta, ma prima Luxu deve abituarsi all’idea, capire cosa si sposa bene col suo arco. A tua differenza, lui non è un mago puro, questo è certo.” chiarì la strega grattandosi pensierosamente il mento.

“Cioè…?”

“Cioè che non possiamo aspettarci né un rendimento simile al tuo, né che possa combattere in modo efficiente senza ricorrere alla sua arma come primaria fonte di danni. Insomma, come fanno anche Salegg e Azal. Chi l’avrebbe detto che proprio le ragazze mi avrebbero delusa così tanto sul fronte magico... “ sospirò Mim scuotendo la testa e facendo ondeggiare la chioma cespugliosa. “La piccola Mava ha persino capelli viola come i miei! Sarebbe stata una streghetta perfetta.”

“Mava non usa la magia?” intervenne Luxu, sorpreso.

“Conosce le basi e ha una spiccata propensione per le Illusioni, come il Maestro, del resto. Ha chiaramente preso da lui, ma in battaglia il suo è puro gioco di contatto. E’ molto veloce.” chiarì Hafet “Siamo tutti molto diversi l’uno dall’altra. Una cosa che Perbias sembra apprezzare molto.”

Luxu ripensò all’illusione dello sgabuzzino disordinato che il Maestro aveva proiettato al posto della sua stanza la sera del suo arrivo. Se ne era quasi dimenticato. Anche Mava poteva fare una cosa del genere? L’illusione del Maestro era così convincente!

“Per fartela breve, dato che sei l’unico della ghenga ad usare un’arma a distanza, molti dei vantaggi strategici di incantesimi a proiettile come Fire e Blizzard ti sarebbero pressoché inutili. Certo, puoi impararli e lungi da me scoraggiarti dal farlo, ma se vuoi davvero essere efficiente dobbiamo trovarti qualcosa di adeguato con cui fare pratica.” ponderò la strega passando in rassegna la scaffalatura sghemba e straripante di libri rilegati in pelle di drago.

“Mmmh… fammi pensare.” afferrò un pesante tomo dalla copertina borchiata e lo aprì sul tavolo, rivelando pagine e pagine di scrittura fittissima e strani simboli dipinti in inchiostro rosso. “No… no… neanche…” borbottava Mim tra sé e sé saltando di capitolo in capitolo.

“Ah-ha! Questo è perfetto!” esclamò, schizzando tutto d’un tratto in piedi sulla sedia. Per una donnetta della sua età e stazza, era incredibilmente vivace e scattante.

“Immagina! Il tuo avversario ti ha appena messo all’angolo, cerchi di colpirlo con una raffica di frecce ma non c’è niente da fare, le schiva, le riflette, le spezza con i suoi attacchi. E si avvicina. Sei in trappola.” mentre parlava, la strega mimò il gesto di tendere davanti a sé un arco invisibile, utilizzando il lungo cucchiaio di legno con cui fino ad un attimo prima aveva rimestato il calderone come fosse la freccia appena incoccata. Guardando Luxu dritto negli occhi, domandò “Cosa fai?”

Lui ci pensò su. Chiaramente, la soluzione ideale sarebbe stata portarsi in una posizione di vantaggio, preferibilmente nascosta alla vista, da cui effettuare un attacco a sorpresa. Sì, ma come?

“Te lo dico io cosa fai.” continuò Mim con un sorriso compiaciuto, svanendo con uno schiocco davanti ai loro occhi, lasciando solo una sprizzata di scintille viola a depositarsi sulla sedia vuota.

Luxu e Hafet si scambiarono un’occhiata spaesata prima che il cucchiaio, cadendo dall’alto e perpendicolare rispetto al pavimento, non colpì Luxu dritto in testa, rimbalzando sul tavolo.

“Hey!” i due ragazzini alzarono lo sguardo all’unisono, incontrando quello della strega che se ne stava appesa a testa in giù al soffitto della capanna, le mani ancora tese davanti a sè a simulare la presa su un arco immaginario.

“Gravity…” mormorò Hafet visibilmente colpito. “Ma certo!”

Mim si portò le mani sui fianchi, chiaramente molto orgogliosa di sé stessa e Luxu notò che non soltanto stava camminando a testa in giù, ma che persino i suoi abiti e capelli si rifiutavano di obbedire alla forza di gravità, puntando invece verso l’alto.

Se avesse potuto fare anche lui una cosa del genere… sfuggire al pericolo, spostarsi, disorientare l’avversario e colpirlo alle spalle quando meno se l’aspettava…!

“Madam, siete un genio!” 

 

 

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Ed eccoci qua, finalmente ad integrare Disney e plot KH-oso in tutti i modi più intelligenti che mi vengono in mente. Il MoM pondera sulle tendenze auto-distruttive degli uomini quando c’è in ballo un grande potere e Luxu scopre la sua vocazione da cecchino in un modo che decisamente non si sarebbe aspettato… oh beh, tutti dobbiamo pur cominciare da qualche parte!

Al prossimo capitolo, bellissimi!

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Capitolo 12
*** ✭ Gears in Motion ***


GEARS IN MOTION

But then fate knocks me to my knees,
and sets new heights beyond my reach!
Below the earth, below concrete...
The whole world shackled to my feet.
[Antigravity - Starset]

 

Quando Merlino gli offrì un vassoio di biscotti, Perbias non fece complimenti nonostante avesse fatto colazione soltanto poche ore prima.

Si guardò intorno sgranocchiando allegramente, sorpreso dalla sensazione familiare che la casa del mago gli trasmetteva. Ovunque vi erano libri ed alambicchi alchemici, ma anche macchinari e lavagne ingombre di progetti il cui livello tecnologico ben poco si confaceva al mondo prettamente medievale al di fuori di quelle quattro mura. In particolare, il Maestro rimase colpito da alcuni modellini di alianti e locomotive a vapore in bella mostra su un alto scaffale.

“Immagino abbiate viaggiato molto.” osservò, raccogliendo una ad una le briciole dal tavolo. “Non ho visto mezzi di trasporto avanzati come quelli da nessuna parte qui a Camelot. Souvenir di altri mondi, presumo?”

Merlino scosse il capo “Ahimè, purtroppo non ho mai avuto l’occasione di viaggiare. Tutto quel che vedi in questa stanza appartiene a questo luogo, anche se quei marchingegni esposti là in alto non saranno inventati che tra molti secoli. I miei modelli non sono nemmeno lontanamente paragonabili alle meraviglie scientifiche che gli uomini costruiranno nelle ere a venire.”

Perbias restò interdetto, l’ennesimo biscotto sospeso a pochi centimetri dalla sua bocca “State dicendo che avete visto il futuro?”

Il mago sorrise, spazzolandosi la manica della tunica azzurra che era tornato ad indossare adesso che era lontano dagli occhi indiscreti dei suoi concittadini “Ci sono anche stato, ragazzo mio. Per questo, lascerò che la storia faccia il suo corso qui a Londra. Anche se dovesse significare decadi di guerre intestine, so che prima o poi tornerà a regnare la pace e tutto andrà al suo posto. E gli uomini di domani saranno più saggi di quelli di oggi.”

Il ragazzo sollevò le sopracciglia. Forse aveva sottovalutato le abilità del suo interlocutore. “Quindi… sapevate anche che ci saremmo incontrati oggi?”

Merlino sbuffò con fare divertito, mentre con un gesto della mano incantava cucchiaino e zuccheriera perché addolcissero il suo tè.  “Certo che no! La chiaroveggenza è un fardello troppo pesante da portare se usato costantemente. Rovina tutte le gioie della vita! Tutta la sorpresa, il timore, l’anticipazione… incontrarti oggi non sarebbe stato altrettanto interessante se l’avessi saputo in anticipo, non pensi?” 

“Immagino di no. Ma…” Perbias si morse il labbro inferiore, rabbuiandosi.

“Cosa c’è, ragazzo?”

“Mi stavo chiedendo se non sarebbe comunque preferibile sapere, piuttosto che vivere nell’incertezza.”

“Come stavo dicendo, dare una sbirciatina al futuro non è poi questa gran cosa. Il mondo, anzi… tutti i mondi, tendono a rimettersi in piedi anche dopo l’era più buia. E’ parte della natura degli uomini e del loro cuore, il non arrendersi mai. Il problema…” Merlino si picchiettò il mento con la punta del dito indice “...il problema è che i cuori sono fragili quando sono soli. E il veggente che scruta nel futuro è sempre solo, ragazzo mio. E lo è ancora di più al ritorno dal proprio viaggio, perché nessun altro ha visto ciò che lui ha visto, nessuno del suo tempo può capirlo quando parla di aeroplani e locomotive. Ah, il dramma della mia vita!” sospirò il mago, alzandosi dalla sedia con aria sconsolata “Ci vuole parsimonia e saggezza per scrutare nel futuro senza rovinarsi il presente.” fece una pausa, fissandolo da dietro le cespugliose sopracciglia scure “Perciò non pensarci neanche ad intrallazzare con questo tipo di magia alla tua età. Già vedo gli ingranaggi che girano all’impazzata in quella tua testolina, ma farai meglio a farli smettere subito se non vuoi finire in un mare di guai.”

Perbias si strinse nelle spalle, rivolgendogli un sorrisetto colpevole che però mutò istantaneamente nel suo caratteristico sogghigno tagliente  “Parlate per esperienza personale?”

Il Mago trasalì.  “Sei un ragazzo sveglio.” fu costretto ad ammettere, visibilmente colpito.

“Lo so.” minimizzò l’altro inzuppando finalmente il biscotto nel tè, come per celebrare quel piccolo trionfo. Doveva ancora incontrare qualcuno in grado di metterlo veramente in difficoltà, qualcuno a cui non fosse in grado di mentire, qualcuno che non finisse per dire o fare esattamente quello che lui voleva. 

“Immagino tu abbia una buona ragione per essere così interessato a conoscere il futuro.”

“Ho molte responsabilità.” disse lui semplicemente “Persone che contano su di me e che non voglio deludere.”

“Una motivazione nobile, ma il gioco non vale la candela. Specialmente quando si tratta di predirre il futuro di persone a noi molto vicine. Si rischia d’incappare in profezie auto-adempienti, ossia catene di eventi che si mettono in modo solo perché la profezia stessa è stata formulata. So che sembra complicato, ma lascia che ti faccia un esempio…”  Merlino si avvicinò alla lavagna e, dopo che la cimosa si fu sollevata magicamente per ripulirla tutta, il gessetto bianco iniziò a scribacchiare sulla superficie nera mentre il mago raccontava “Molto, molto a sud di qui oltre i confini di Camelot e quelli del sultanato di Agrabah, sorge una fiorente cittadina ai piedi di un grande monte chiamato Olimpo, Tebe. Purtroppo, tanti anni fa vi visse un re molto sfortunato poiché lui e sua moglie non riuscivano ad avere figli. Così, il re consultò un potente oracolo che predisse lui la nascita imminente di un erede ma anche il fatto che quest’ultimo avrebbe portato grande rovina, uccidendo il suo stesso padre e finendo per sposare la propria madre.”

Perbias si mise comodo, divertito dall’idea di trovarsi per una volta nel ruolo dello studente piuttosto che del Maestro. Conosceva molte storie provenienti dalla bella Tebe, leggende di eroi e creature mostruose, ma questa gli era del tutto nuova, perciò non vedeva l’ora di sapere come sarebbe andata a finire e quale brillanti conclusioni ne avrebbe tratto il mago vestito di turchese.

“Il re fece di tutto per impedire alla profezia di avverarsi: strappò il figlio tanto desiderato alle braccia della madre e lo abbandonò nella foresta, preda delle bestie feroci. Il fato volle che un pastore di passaggio lo trovasse, portandolo al sicuro in una città vicina dove fu accolto nella casa dei sovrani e cresciuto come un principe. Edipo, questo era il suo nome, crebbe felice con i falsi genitori che credeva essere suoi, diventando un bravo guerriero e condottiero. Ma gli altri giovani rampolli della famiglia reale erano invidiosi di lui e quando uno di loro osò insinuare che Edipo non fosse il vero figlio del re, il nostro giovane eroe si recò dal medesimo Oracolo che aveva predetto il suo fato già una volta e ottenne la stessa risposta. ‘Ucciderai tuo padre e sposerai tua madre.’” 

La lavagna era ormai piena di figure stilizzate che rappresentavano i vari personaggi del racconto, collegati da frecce e nomenclature.

“Lasciatemi indovinare… Edipo abbandona i genitori adottivi per evitare di far loro del male e, guarda caso, torna a Tebe dove finisce per uccidere il vero padre e sposare la vera madre senza saperlo.”

“La morale, è che più si cerca di evitare il compimento di un futuro spiacevole, più questo si concretizza. Un motivo in più per stare lontani anche dai viaggi nel tempo, oltre che dalla chiaroveggenza. La vita va vissuta nel presente, ragazzo. Perciò…” il mago raccolse un vecchio libro polveroso dal leggio e lo porse a Perbias che lo guardò con fare confuso. “...adesso vai e vivila.”

“...per me?”

“Per quella vecchia megera che ti ha sicuramente messo in testa un sacco di strane idee.” sospirò Merlino godendosi l’espressione sconcertata del ragazzo. “Ti ha chiesto di portarglielo, non è così? Un pagamento per i suoi servizi, immagino.”

“Quando l’avete capito?” mormorò Perbias stringendo il tomo tra le dita e sentendosi all’improvviso il più grande idiota che fosse mai vissuto. Aveva decisamente sottovalutato quel mago dall’aria così bonaria e innocua.

“Sentirei la puzza della capanna di Madam Mim anche ad un miglio di distanza. Ti si attacca ai vestiti dopo un pò.”

Perbias raccolse tra le dita un lembo del mantello per annusarlo “Non avete tutti i torti… bleah.”

“Non me ne parlare. Mi ci sono voluti anni per togliere quel tanfo dalla mia roba.”

“Ma quindi, voi due…” ammiccò il ragazzo con un sorriso beffardo.

Merlino alzò gli occhi al cielo “Lasciamo perdere, per favore.” 

“Come desiderate.” assentì Perbias reprimendo a stento una risatina “Tolgo il disturbo.”

“Sì, sì certo. E’ stato un piacere conoscerti, giovane Maestro.” lo salutò calorosamente il fattucchiere, accompagnandolo fino alla porta di legno e sollevando il pesante chiavistello “Se mai dovessi avere bisogno del mio incantesimo per sbirciare nel futuro, lo trovi a pagina 232.”

Il ragazzo ricambiò la stretta di mano “Pensavo che fosse qualcosa con cui uno della mia età non dovesse ‘intrallazzare’...”

“Vedi, il fatto è che anch’io ho avuto la tua età ad un certo punto. Lo so, sembra impossibile, ma è vero!” ribatté Merlino affabilmente “E so che non c’è niente da fare quando si è giovani e determinati. Ti chiedo soltanto di essere prudente. In ogni caso, non aspettarti di trovare niente di troppo avanzato lì nel libro. Se davvero vorrai diventare un veggente, ti servirà ben più che una formuletta magica da principianti. E mi auguro di tutto cuore che non avrai mai bisogno di arrivare a tanto.”

 

°°°

 

Nei giorni che seguirono, Luxu scoprì sulla propria pelle quanto stressante fosse addestrarsi sotto l’occhio vigile di Madam Mim.

A differenza delle prove a cui Hafet veniva sottoposto, e che consistevano essenzialmente in simulazioni di combattimento contro fantocci animati, Luxu era confinato per ore ed ore sulla pelle di lupo stesa a mò di tappeto in mezzo alla cucina con due sassolini bianchi disposti davanti a sé. Lo scopo? 

Manipolare la gravità per farli levitare. Doveva cominciare dalle piccole cose se sperava di riuscire ad usare quel medesimo incantesimo per spostarsi agevolmente in battaglia. Eppure, per quanto si concentrasse, i due ciottoli se ne restavano immobili ed indolenti sul pavimento.

“Respira più lentamente.” Lo corresse la Strega camminando avanti e indietro alle sue spalle, osservandolo con attenzione. “Sei troppo teso.”

“Se respiro più piano di così tanto vale che non respiri affatto” borbottò lui tra i denti.

“Zitto e concentrati. Devi volerlo col cuore e comandarlo con la testa. Questo deve diventare il tuo pane quotidiano, un gioco da ragazzi, non un ostacolo da prendere a pugni. Perciò smetti di fissare quei sassi come se volessi incenerirli, non stiamo studiando Fire.” 

Luxu tirò nuovamente un sospiro carico di frustrazione, posando le mani sulle ginocchia per rilassare la schiena dolorante dopo quasi sei ore consecutive passate lì seduto a terra. “Non ci riesco.”

La donna alzò gli occhi al cielo "Dai, mettiti in piedi e ascoltami, cambiamo approccio. Senti il peso degli abiti contro la pelle, le maniche della tunica tirate verso il basso dalla gravità. Senti il tuo centro, da esso dipende il tuo equilibrio quando cammini, corri o salti. Si sposta con te, è indispensabile per muoversi sulla superficie della terra. Riesci ad individuarlo? Ecco, concentrati adesso. E’ come un nodo all’altezza dello stomaco se stai dritto in piedi. Un nodo che devi sciogliere. Ci sono catene che ti tengono inchiodato a terra, che tengono tutte le cose ferme e solide al loro posto. Ma come ogni forza naturale, anche la gravità può essere manipolata dalla volontà."

Luxu si alzò barcollando, le gambe intorpidite che non sembravano in grado di sorreggerlo. Si premette una mano sul ventre, cercando di sentire questo "nodo" gravitazionale al centro del suo corpo.

"Bravo, così. Rilassa le spalle, senti il tuo peso distribuito sulle piante dei piedi. Adesso spingi nella direzione opposta, ma non con prepotenza! Chiedi alla Gravità di lasciarti andare. Solo per un attimo."

Luxu aggrottò le sopracciglia, cercando di fare ciò che gli era stato detto. Come accidenti faceva a 'chiedere' qualcosa ad una forza astratta come la gravità? Non sapeva nemmeno come visualizzarla, non era come pensare ad una fiamma o ad un fulmine. Però…

Luxu abbassò lo sguardo sui suoi stivali sporchi di fango.

Però non era forse simile all'incantesimo che aveva visto lanciare a Salegg contro quella banda di teppisti? No, non era proprio la stessa cosa, magnetismo e gravità erano due cose differenti, ma di certo altrettanto difficili da immaginare. Eppure la magia di Salegg aveva la forma di una sfera e i colori di una galassia piena di stelle cangianti. 

Il cielo stellato riempì i suoi pensieri. Era una strana immagine da associare ad una forza che ti teneva inchiodato al suolo, ma in qualche modo, si trovò a pensare Luxu, aveva senso. L’intero reame della Luce era tenuto insieme dalle stesse leggi, anche se di mondo in mondo queste potevano piegarsi per assecondarne la natura. Ma il principio di base era sempre lo stesso. Ovunque si andasse, c’era sempre un unico cielo a splendere sopra la testa di tutti. Tutta l’umanità, tutti gli animali ed esseri che erano entrambe le cose camminavano sulla stessa terra, per quanto vasta e mutevole.

Tutti erano incatenati al suolo, costretti ad alzare lo sguardo per vedere le stelle.

Forse, lui sarebbe stato un’eccezione.

Tutto d’un tratto, Luxu sentì una scossa percorrergli l'intero sistema nervoso, facendolo tremare da capo a piedi e intorpidendogli le dita. Faceva male, come sentirsi bruciare dall’interno mentre si veniva immersi nel ghiaccio. Per un breve, terrificante attimo, credette che il suo corpo sarebbe andato in mille pezzi come una statua di cristallo. Un grido di dolore e paura gli morì sulle labbra quando tutta l’aria che aveva nei polmoni fu risucchiata via.

Ma, appena un istante dopo, tutto tornò alla normalità e lui si trovò ad annaspare comicamente come un pesce saltato fuori da una boccia.

“Calmati ragazzo. Ci sei.” giunse confortante la voce di Madame Mim “Apri gli occhi.”

Lui obbedì, realizzando immediatamente che qualcosa era cambiato. Si sentì scivolare, ma istintivamente riacquistò l’equilibrio curvandosi in avanti. Fu allora che si rese conto che i suoi piedi a malapena sfioravano il pavimento. Era come se qualcuno lo stesse tirando su di peso da dietro, senza però riuscire a staccarlo completamente da terra. Luxu barcollò, allargando le braccia per mantenersi in equilibrio e nel farlo s'accorse che il suo intero corpo rilasciava una scia di scintille azzurro-viola, proprio come aveva visto fare a Madam Mim.

La punta dei suoi stivali sfiorava ancora il pavimento, ma tutto il resto del suo corpo stava, di fatto, levitando. Era una sensazione così surreale che Luxu si chiese se fosse solo uno strano sogno. Tutte le cose che Mim gli aveva elencato in precedenza, come il peso degli abiti e delle sue stesse membra… erano svanite. La porta della capanna si aprì di scatto e quel rumore brusco fu sufficiente a rompere l’incantesimo, mandando Luxu a cadere rovinosamente col fondoschiena per terra.

“Ops, scusa.” mormorò Hafet con un sorrisetto colpevole “Stai andando benone, vedo.” aggiunse poi, scuotendo i capelli biondi per liberarli dalle foglie secche che vi si erano impigliate.

“Ci sono voluti tre giorni!” sbuffò Mim, chiaramente per nulla impressionata dai progressi “E a malapena riesce a staccarsi da terra. Per non parlare poi di far staccare altre cose...”

Hafet fece spallucce “Devo ricordarvi quanto tempo ci misi io ad imparare Haste? Non darle ascolto Luxu, piuttosto, penso ci sia qualcosa che dovreste vedere Madam.” l’apprendista in giallo si fece stranamente serio. “Ho trovato uno dei vostri fantocci fatto a pezzi. Inanimato, senza più un briciolo di magia dentro. E vi posso giurare che non sono stato io.”

Mim si piantò le mani sui fianchi “Un altro intruso?”

“Può darsi. Non ho visto nessuno però… ma ovviamente ho smesso subito di allenarmi e sono venuto ad avvertirvi.”

“Devono essere ancora quei maledetti fanatici. Da quando il Re è morto, non fanno altro che dare la colpa di qualsiasi sventura alla strega di turno.”

“Lo dite come se non foste stata voi a rovinare il raccolto per due stagioni di seguito…” le fece notare Hafet con un sorrisetto.

“E questo che c’entra, i proprietari di quel podere se lo meritavano. Nessuno si prende gioco di Madam Mim.”

Luxu, ancora seduto a terra, decise finalmente di rimettersi in piedi anche se si sentiva ancora piuttosto scombussolato. “Di cosa state parlando?”

“Un cavaliere e la sua famiglia hanno chiesto un incanto a Madam. Ma quando è arrivato il momento di pagarla si sono rifiutati perché il risultato non era quello in cui speravano.” spiegò Hafet appoggiandosi contro la porta chiusa.

“Quei balordi volevano una menzogna, ecco cosa volevano.” bofonchiò la strega afferrando la scopa di saggina che se ne stava impolverata e coperta di ragnatele in un angolo della capanna “Una profezia che legittimasse il loro figlioccio viziato come prossimo Re d’Inghilterra. Ma figuriamoci. Le sole cose che il destino ha in serbo per quella canaglia sono una tavernaccia da quattro soldi e litri e litri di sidro. Gran bel Re che sarebbe stato.”

“Volevano che mentiste?”

“Già. Mi ordinarono una profezia fabbricata a tavolino, da spacciare come vera.”

“Ma… se non era vera, perché preoccuparsi?” chies Luxu, perplesso. “Non si sarebbe avverata comunque, no?”

“E’ qui che ti sbagli, giovanotto. Se abbastanza persone credono in qualcosa, una leggenda, una bugia, una falsa profezia, queste cose finiscono per avere un effetto tangibile sul mondo. Forse non si avverano nella loro interezza, ma cambiano il modo d’agire delle persone. Se anche solo uno di questi bifolchi avesse creduto sul serio che quell’incapace fosse il nuovo Re predestinato, avrebbe fatto di tutto per entrare nelle grazie della sua famiglia, aspirando, magari, ad un posto come cavaliere o vassallo in un futuro prossimo. E se invece di uno fossero stati cento? Mille bifolchi? D’un tratto ci saremmo ritrovati con un vero e proprio esercito pronto a dar battaglia agli altri lord per mettere sul trono un Re da quattro soldi. ” la strega fece scostare Hafet, aprendo la porta quanto bastava per dare una sbirciata fuori. “E invece bum, si sono beccati una bella infestazione di cavallette nei granai di famiglia e adesso mendicano tutti per le strade.”

“Non vi sembra una punizione un tantinello esagerata?”

“Shhhh!” Mim agitò la scopa nella sua direzione e Luxu si zittì. “C’è davvero qualcuno. Anzi...”

La donna serrò le labbra, gli occhi verdissimi ridotti a due fessure  “Qualcosa.”

Hafet evocò il bastone intarsiato nella mano destra e Luxu lo imitò, richiamando dall’etere il proprio arco. Erano in pericolo?

“Restate qui.” ordinò Mim con un tono che non ammetteva repliche ma i due apprendisti scossero la testa all’unisono.

“Neanche per sogno, Madam.” ribatté Hafet “Lo sento anch’io. E’ qualcosa di grosso. E si avvicina.”

Luxu rabbrividì. Il suo compagno aveva ragione. Esclusi i loro respiri e il gorgogliare monotono del calderone, la vallata era immersa in un silenzio innaturale e gelido. Gli uccelli avevano smesso di cantare e persino le fronde degli alberi erano mute e immobili in assenza del minimo alito di vento.

Eppure in lontananza era come se brontolasse il rombo di un tuono.

“Che cos’è…?” mormorò Luxu a voce così bassa che i suoi interlocutori riuscirono a malapena a sentirlo.

“L’Oscurità.” fu la grave risposta della strega. “Ha preso qualcuno. Ed è affamata.”

La donna aprì la porta della capanna, avanzando cautamente sul selciato infestato d’erbacce. I due ragazzi la seguirono a ruota e lei, nonostante gli avesse appena ordinato di restare in casa, non tentò di persuaderli ulteriormente. Sentiva la determinazione nei loro cuori e sapeva che non le avrebbero dato ascolto.

E poi, una mano le avrebbe probabilmente fatto comodo. 

Un’ombra nera schizzò tra gli alberi che abbracciavano la radura, spezzando rami e sollevando zaffate di foglie morte. Poi, con un balzo, si avventò su di loro ad artigli e zanne scoperte.

Con una prontezza che lasciò Luxu a dir poco sbalordito, Madam Mim intercettò l’attacco facendo schizzar fuori dal terreno una serie di radici d’albero affilate come picche. La bestia d’ombra ululò di dolore e frustrazione, balzando indietro per preparare un altro attacco.

Hafet corse davanti a Luxu, alzando l’asta per evocare una sfera di fuoco che la creatura evitò senza troppa difficoltà. Adesso che era stata costretta ad arretrare però, Luxu potè finalmente vederla nella sua interezza e la prima cosa a cui sentì di poterla paragonare, era un ammasso di rovi viventi, intrecciati tra loro a formare una vaga forma d’animale a quattro zampe. Forse una pantera, forse un lupo o un alligatore dalle possenti mascelle. Più probabilmente una commistione di tutte e tre le cose. I rovi che la formavano erano una massa d’oscurità viscida e pulsante come carne viva priva della pelle, come se i muscoli rosso-violacei fossero esposti all’aria.

La bestia ruggì, spalancando le mascelle seghettate, fissando i tre con i suoi brucianti occhi gialli.

Luxu incoccò una freccia, mentre una goccia di sudore freddo gli scendeva lungo il collo. Hafet e Madam Mim gli si erano parati davanti, consapevoli che fosse ancora inesperto e non volendo per questo esporlo direttamente al pericolo, ma questo non significava che non avrebbe fatto la sua parte.

Non gli era stata assegnata un’arma a distanza senza un motivo.

“Non ho mai visto un Heartless come questo nel manuale del Maestro” Disse Hafet caricando un secondo incantesimo mentre una scarica di elettricità percorreva il suo bastone da mago nella sua interezza.

“Che ne dici se prima ce ne liberiamo e dopo ci fermiamo a catalogarlo, eh?”

Il mostro balzò nuovamente in avanti, stavolta evitando le radici affilate di Madam Mim come se niente fosse, le zampe artigliate che slittavano sul terreno umido di rugiada, strappando intere zolle di erba e fiori.

La strega puntò la scopa di saggina verso la creatura come se fosse una spada “Blizzaga!” 

Un immenso cristallo di ghiaccio si materiallizzò sospeso in aria, portando con sè una freddissima folata di vento che spingeva in direzione opposta a quella della carica feroce della bestia. Prima che la creatura potesse avvistare l’origine del pericolo, il proiettile gelido s’abbattè sulla sua schiena come un colpo d’artiglierie aerea, frantumandosi in mille schegge taglienti che affondarono nei rovi carnosi del suo corpo.

Lanciando un uggiolio agghiacciante, l’animale sferzò l’aria con la coda con tale forza che la pressione mandò la strega a gambe all’aria e avrebbe fatto lo stesso con Luxu ed Hafet se quest’ultimo non avesse proiettato una barriera Reflect davanti a sé.

“Luxu, distrailo!” gli gridò l’apprendista balzando in avanti non appena la folata di vento si fu dissipata, per correre in soccorso di Madam Mim. 

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, iniziando a correre in direzione della foresta per distogliere l’attenzione della creatura dai suoi due compagni. Mentre si spostava, scagliò una rapida raffica di frecce dritte sul muso della bestia. I proiettili di cristallo non sembravano causarli nemmeno lontanamente lo stesso dolore che gli incantesimi di Hafet e Mim gli avevano provocato, ma risultarono abbastanza irritanti da convincere il mostro a prenderlo di mira. Affondati gli artigli nell’erba, la creatura caricò quello che Luxu realizzò troppo tardi essere una sfera d’energia diretta verso di lui. Non s’aspettava che un essere dall’aspetto così bestiale potesse lanciare incantesimi e quello era stato un grosso errore.

La sfera d’oscurità esplose dalle fauci del mostro come una cannonata, falciando l’erba alta e scompigliando le chiome degli alberi circostanti.

Luxu fu gettato a terra dalla forza del colpo ancor prima che il proiettile nero e pulsante lo raggiungesse e si ritrovò ad arrancare pietosamente all’indietro in mezzo al fango e alle sterpaglie, gli occhi sgranati per il terrore, fissi davanti a sè.

Nel momento in cui il suo cuore vacillò, l’arco che stringeva tra le dita si sgretolò come un’effige di sabbia.

Appena un istante prima dell’impatto che Luxu era certo avrebbe messo fine alla sua breve esistenza, una gabbia di radici contorte si formò attorno a lui avvolgendolo come in un bozzolo e assorbendo l’onda d’urto della sfera d’energia oscura, facendola dissipare.

Ancora avvolto in quella barriera di legno e foglie e col cuore che gli martellava follemente nel petto, Luxu vide Hafet scatenare un vero e proprio inferno di fuoco contro la creatura, costringendola a battere in ritirata. Cenere incandescente invadeva l’aria e il ragazzo vestito di giallo avanzava con la determinazione impressa in volto, sfere di fiamme e magma fuso che ruotavano attorno a lui pronte ad essere scagliate. Hafet era ansimante e madido di sudore, ma Luxu non mise in dubbio nemmeno per un istante che avesse la situazione sotto controllo. E per la prima volta, provò nei suoi confronti anche qualcosa di vagamente assimilabile alla paura.

Sì, lo aveva visto lanciare incantesimi prodigiosi per tre giorni interi, ma soltanto in quel momento lesse nei suoi occhi la chiara intenzione di usare quel suo talento nelle arti arcane per ridurre in cenere un essere vivente.

Anche se fatto d’Oscurità.

Madam Mim corse verso di lui, afferrandolo bruscamente per un braccio “Basta così.” gli intimò a denti stretti. 

“Se la lasciamo andare potrebbe ancora fare del male!” protestò il ragazzo serrando la stretta sul bastone.

“E se la uccidi adesso il cuore che l’oscurità ha rubato sarà perduto per sempre. Vuoi portarti un simile peso sulla coscienza?” insistette lei, continuando a trattenerlo “La immobilizzeremo, e faremo in modo che sia Perbias ad occuparsene al suo ritorno.”

La bestia ringhiò, ormai spinta al limitare della radura dal muro di fiamme, con gli alberi contorti che incombevano nuovamente su di lei. Se fosse stata saggia, se la sarebbe data a zampe levate fuggendo nel folto della foresta.

Ma l’Oscurità incarnata non aveva alcun senso di auto-conservazione, esisteva solo per infestare e consumare tutto ciò che toccava. Avrebbe combattuto fino al suo ultimo rantolo.

“Ma potrebbe tornare tra una settimana! Forse di più! Non possiamo tenere quest’affare sottochiave per così tanto, Mim! Neanche la tua magia sarebbe abbastanza-”

“Fortuna che sono un tipo puntuale, allora.” la voce del Maestro risuonò cristallina nella radura devastata dal combattimento.

Luxu alzò gli occhi appena in tempo per vederlo scagliarsi contro la creatura d’ombre, Keyblade in mano e un bagliore divertito negli occhi azzurri.

Con un solo fendente così violento da emettere un suono acuto simile allo schiocco di una frusta, Perbias falciò in due la belva mostruosa, facendola dissipare in una fumata di oscurità e rovi spezzati.

Abbassò il Keyblade, seguendo con lo sguardo il cuore luminoso che si librava solitario nel cielo, finalmente libero dalla prigione oscura in cui era stato intrappolato.



 

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Nuovo capitolozzo dove la sottoscritta tiene a ricordare a Nomura e a tutti quanti che Merlino è cento volte più carismatico e tamarro di Yen Sid e che avrebbe dovuto fare un lavoro coi fiocchi nell'addestrare Kairi e Lea invece di lasciarli da soli a pascolare sui prati.

 

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Capitolo 13
*** ✭ The Light that Burns ***


THE LIGHT THAT BURNS

I just want to turn the lights on in these volatile times,
I drove through countries like a marching funeral.
In the search of fools and utopias,
along the lonely roads with all the empty human souls.
[Volatile Times - IAMX]

 


Luxu, Hafet e il Maestro se ne stavano distesi sull'erba l'uno accanto all'altro. Quel giorno così movimentato sembrava destinato a concludersi con una notte sorprendentemente tranquilla e le stelle già facevano capolino oltre le nuvole tinte di rosso e viola dal sole che tramontava.

Perbias masticava pensierosamente un lungo filo d'erba come fosse un bastoncino di zucchero, facendolo ondeggiare al ritmo di una musica che solo lui sembrava in grado di sentire.  I suoi occhi avevano una tinta rosata alla luce del crepuscolo e questo li faceva sembrare persino più grandi del solito. Così grandi, che Luxu non si sarebbe stupito potessero contenere il cielo intero e tutte le sue costellazioni.

Essendo sdraiato alla destra di Perbias, il bambino non riusciva a vedere cosa stesse facendo Hafet ma a giudicare dal suo respiro regolare, immaginò che dovesse essersi addormentato. Il combattimento lo aveva messo chiaramente a dura prova, ma Luxu pensava che il suo compagno d’apprendistato fosse stato semplicemente incredibile. E non v’era dubbio che fosse a lui e a Madam Mim che Luxu dovesse la sua stessa vita.Pazzesco pensare che solo poche ore prima aveva rischiato di rimetterci le penne e adesso se ne stava placidamente steso sull’erba a frescheggiare come se niente fosse.

Il ritorno di Perbias di certo aveva contribuito a calmarlo, dato che il ragazzo s’era immediatamente messo a sdrammatizzare il tutto con le sue consuete battute strambe. 

Madam Mim aveva fatto ricrescere l’erba bruciata in un batter d’occhio e persino le querce abbattute dalla sfera d’oscurità erano tornate dritte e possenti al loro posto. Guardandosi intorno, sarebbe stato impossibile trovare alcuna traccia della violenta battaglia da poco conclusasi.

Durante la cena, il Maestro era stato molto vago riguardo a cosa avesse fatto in quei giorni d’assenza, ma si vantò di aver trovato il tempo d’intrufolarsi in casa di Merlino e impossessarsi del sul libro di magia, cosa che rese Mim estremamente felice.

Ripensandoci adesso, Luxu si domandò se davvero sottrarre un oggetto dall’aria così antica e preziosa al suo legittimo proprietario fosse qualcosa di cui il Maestro dovesse andare fiero, ma preferì non fare domande. Quello che davvero lo interessava era capire perché Madame Mim fosse stata così adamantina sul fatto che fosse lui, con il suo Keyblade, a dare il colpo di grazia a quell’essere oscuro. 

“Maestro, posso farvi una domanda?”

L’altro assentì con un mugolio.

“Che cos’era esattamente quella cosa che ci ha attaccati?”

Perbias incrociò le braccia dietro la testa, usandole a mò di cuscino. “Quello era un Heartless. E’ ciò in cui si trasformano gli uomini quando soccombono completamente all’Oscurità.”

Luxu scattò in piedi a sedere “Quel coso era una persona?”

“Non necessariamente. Qualunque essere o cosa in possesso di un cuore può diventare un Heartless, ho detto ‘uomini’ per generalizzare. Di solito sono gli esseri umani a cambiare, è parte della nostra natura, ma anche un animale, uno spirito o un oggetto senziente può subire la stessa sorte.”

Il bambino guardò in direzione della foresta buia ed affollata di lucciole che li circondava “Anch’io potrei diventare così?”

“Non credo. Almeno non un Heartless così grosso e violento.” rispose Perbias, sfilandosi di bocca il filo d’erba, gettandolo via “Secondo me sei troppo buono.”

“Dovrebbe essere un complimento..?” indagò Luxu incerto sul come interpretare il suo tono di voce.

“Dipende.” sogghignò l’altro “A me piace essere cattivo, di tanto in tanto.”

Il bambino si voltò nella sua direzione, fissandolo. Il ragazzo non aveva ancora lasciato scemare il proprio sorriso sornione. “Ho come l’impressione che non dovreste dirmi queste cose.”

Lui fece spallucce “Hafet dorme della grossa. E c’è ancora così tanto che non sai...” raddrizzò la schiena, stringendo le ginocchia al petto per portarsi alla stessa altezza di Luxu “Qualunque sia la sua natura, il Keyblade esiste per servire la Luce. E’ il solo modo per restituire il cuore a coloro che lo hanno perso e, quando questo non è possibile, per restituirlo al cuore di tutti i mondi, a Kingdom Hearts stesso.”

“Quindi è lì che è andato il cuore che avete liberato da quel mostro?”

“Lo spero. Non è una scienza esatta… non ancora, per lo meno. Ma sembrerebbe così, non ti pare? Se Hafet avesse incenerito quell’Heartless, il suo cuore non si sarebbe librato libero nel cielo. Sarebbe scomparso, probabilmente per sempre. Per questo spero che tu e gli altri svilupperete presto la capacità di brandire una vostra chiave. Voglio che liberiate i cuori di chi s'è smarrito nel buio, non che li estinguiate.”

"Di certo sarei meno restio ad affrontare questi… heart-cosi, se sapessi di star facendo del bene." Ci pensò su Luxu, mordicchiandosi il labbro inferiore.

“Agire nell’impunità è sicuramente un bonus, ma credimi, nessuno ti biasimerà per aver eliminato una di quelle creature. Sono violente e senza cervello, puro istinto. Pura fame di cuori. Eliminarli è solo un gesto di pietà nei loro confronti e un modo per tenere al sicuro coloro che ancora non si sono trasformati. Se mai dovessi trovarti a decidere se infliggere o meno il colpo di grazia, non esitare.”

“Anche senza un Keyblade?”

“Anche senza un Keyblade.” gli fece eco Perbias, annuendo. Quella sera sembrava più serio del solito. “Siamo solo sette, del resto. Non è realistico pensare che possiamo occuparci di tutti gli Heartless in esistenza. Ci saranno sempre altri guerrieri e stregoni che li sconfiggeranno senza liberare i loro cuori. In parole povere, non potremo mai salvarli tutti.”

“Avrei voluto essere più d’aiuto oggi. Invece mi sono solamente messo in pericolo.” ammise Luxu un po’ in imbarazzo.

“Se avessi saputo che ti aspettava un pericolo del genere, ti avrei fatto far pratica con Mava e Nahara all’interno della camera di simulazione. Considerando che era la tua prima vera battaglia, te la sei cavata anche fin troppo bene. E mi piace il tuo stile.” Perbias si alzò in piedi, spazzolandosi i calzoni neri e tendengogli la mano per aiutarlo ad alzarsi “In effetti, sarei curioso di duellare con te un giorno.” 

Luxu l’afferrò “Mi fareste a pezzi…”

“Chi lo sa. Hey, Hafi, dai svegliati che è tardi!” così dicendo, diede un calcetto agli stivali del ragazzo che ancora dormiva della grossa sull’erba. Hafet si rigirò dall’altra parte mugolando in segno di protesta.

“Bah, lasciamolo qui.” tagliò corto il Maestro senza pensarci due volte, avviandosi svogliatamente verso la capanna di Madam Mim prima che Luxu potesse ribattere.

L’apprendista trasse un sospiro tra il rassegnato e il divertito, chinandosi di nuovo sul compagno per svegliarlo “Dai, Hafet! Qui finisce che ci lasciano fuori di casa se non ti dai una mossa!”

 

°°°

Il vortice di stelle colorate e filamenti di luce gialla s’avvolse tutto attorno a lui mentre Luxu si gettava nel corridoio spazio-dimensionale aperto dal Maestro.

Anziché lasciarsi trascinare dalla corrente come un peso morto, stavolta Luxu tentò di assecondare il flusso e in un attimo si ritrovò a sfrecciare rapido attraverso la conduttura luminosa. Nel giro di pochissimo, il cielo azzurro screziato di rosa e oro di Auropoli si spalancò davanti a lui e la Torre Meccanica sembrò sorgere dal terreno come l’illustrazione di un libro pop-up.

Maestro ed apprendisti uscirono fuori dal portale con un balzo e persino Luxu riuscì ad atterrare dritto in piedi sul ponte sospeso. Sotto di loro, il fiume scorreva tranquillo e l’enorme pendolo oscillava placidamente sulle loro teste come al solito.

Perbias si affacciò oltre la ringhiera, schermandosi gli occhi dal riverbero del sole col dorso della mano. Era tornato ad indossare i suoi soliti abiti stravaganti e stavolta si trattava di una blusa con doppiopetto imbottonato e persino un cappello dalla lustra tesa nera dalla foggia vagamente militaresca.

“La città non sta andando a fuoco, quindi direi che Azal e gli altri se la sono cavata anche senza di noi. Oh, beh, poco male.” commentò con un’inflessione che Luxu non seppe bene come decifrare. Sembrava quasi che sperasse di trovare Auropoli in preda al caos o qualcosa del genere…

Salirono le scale fino all’ascensore principale e, mentre gli enormi ingranaggi si mettevano in moto e gli stantuffi sbuffavano vapore tutt’intorno a loro, Luxu si trovò a pensare al gattino che il Maestro aveva affidato ad Azal. Nei tre giorni spesi con Madam Mim era stato troppo impegnato per preoccuparsene, ma adesso che era di ritorno quella bestiolina era di nuovo al centro dei suoi pensieri.

Mentre la piattaforma circolare saliva rapida lungo la torre di destra, Perbias armeggiò con i comandi dell’ascensore attivando quello che sembrava un interfono per le emergenze. “Comunicazione interna a tutto il personale, fare rapporto al capotreno nella carrozza di testa, per cortesia.” scandì, mimando la voce robotica dell’annunciatore di una stazione dei treni. All’improvviso, il cappello da ferroviere aveva un suo senso e Luxu non potè fare a meno di sorridere all’idea che Perbias si divertisse ad interpretare ruoli sempre diversi, costringendo i suoi sventurati allievi a stare al gioco.

Uno dopo l’altro, tre schermi olografici si proiettarono sospesi in aria. “Bentornato Maestro!” scandirono quasi all’unisono tre dei quattro apprendisti rimasti a vegliare sulla Torre in assenza del proprio mentore. 

“Buongiorno a voi. Niente da dichiarare?” chiese Perbias poggiandosi le mani sui fianchi.

Le immagini di Azal, Salegg e Nahara apparvero nitidamente al centro dell’inquadratura dei rispettivi schermi “Mava si trova nella camera di simulazione, dovrebbe uscire a breve.” lo informò Nahara “Per il resto tutto liscio come l’olio. Com’è stata la visita a Camelot?”

“A parte che Luxu si è quasi fatto ammazzare, tutto bene.”

“Hey!” Se ne risentì il ragazzino mettendo il broncio.

“Tutto nella norma, insomma.” commentò Salegg, incapace di nascondere un sorrisetto “E tu, Hafet?”

Il biondo si raddrizzò pieno d’orgoglio “Passato l’esame di Mim a pieni voti. Per un pò non dovrò più tornare da quella megera.”

“Hafet!” lo riprese Nahara “Non è carino parlare così di una signora.”

“Probabilmente Mim lo considererebbe un complimento.” le fece osservare Luxu incrociando le braccia.

“Molto probabile.” s’intromise di nuovo Perbias adesso che l’ascensore cominciava a rallentare “Ho dei compiti da assegnare a ciascuno di voi. Prendete Mava e presentatevi nella cabina di comando della locomotiva tra dieci minuti.”

“Intende la sala controlli, Salegg.” chiarì Azal in risposta allo sguardo confuso di quest’ultimo. 

“Ah… okay.”

“Su, non fateci aspettare! Tutti ai propri posti, ciuff ciuff!” concluse frettolosamente il Maestro, chiudendo la comunicazione nel momento esatto in cui le porte scorrevoli dell’ascensore s’aprivano cigolando.

 

°°°

Il compito che Perbias aveva affidato a Luxu era piuttosto semplice. A differenza degli altri, lui doveva ancora prendere la mano con il funzionamento della Torre e dei segreti del Cuore, perciò fu incaricato di fare esattamente questo.

I suoi giorni iniziarono a susseguirsi in modo piuttosto routinario. Passava la maggior parte del suo tempo ad esplorare i vari piani della torre in compagnia del gatto che lui e Salegg avevano salvato ormai oltre due mesi prima. Finalmente, l’animaletto si era rimesso in sesto, mangiava voracemente e non era raro trovarlo appollaiato sulle spalle di Luxu mentre quest’ultimo se ne stava chino sui libri di magia. Come tutti i cuccioli, era anche cresciuto molto in fretta, passando dall’essere un frugoletto di pochi grammi ad un gatto fatto e finito. Le toppe di stoffa che Perbias gli aveva cucito addosso per guarirlo avevano fatto il loro corso e il Maestro le aveva rimosse personalmente qualche tempo prima, rivelando la pelliccia lucida ed intatta al di sotto. L’orecchio era ancora monco e non c’era stato niente da fare per l’occhio mancante, ma a parte questo era diventato un micione bellissimo ed affettuoso che lo seguiva ovunque a coda alzata.

Quando non era impegnato con lo studio, faceva piccole commissioni in città per conto del Maestro e prendeva parte ad intense sessioni di combattimento simulato all’interno di una camera speciale dove era possibile ricreare interi ambienti tridimensionali. 

Mava fu spesso la sua compagna di simulazione e ciò non fece per niente bene alla sua autostima. All’inizio dava per scontato che fosse l’anno di vantaggio che aveva su di lui a fare la differenza, ma quando la vide mettere al tappeto Salegg in un nonnulla si dovette ricredere.

Nonostante la statura minuta e le armi eteree dall’aria decisamente poco minacciosa, una coppia di ventagli di tela dipinta, era indubbiamente una delle migliori combattenti del gruppo. Là dove Salegg poteva contare sulla forza bruta, Mava compensava con l’ingegno e il suo straordinario talento per le illusioni.

Poteva creare copie di sé stessa così convincenti da ingannare persino Perbias, far apparire ostacoli dall’aria insormontabile davanti ai suoi avversari e persino convincerli di star correndo verso di lei quando invece davanti a loro c’era soltanto il solidissimo muro della camera d’addestramento. Inutile dire che chiunque le prendesse da lei, persino lo stoico Azal, non riuscisse ad astenersi dal commentare su come la piccoletta stesse 'giocando sporco', ma Perbias non faceva altro che riempirla di lodi, incoraggiandola ad architettare stratagemmi sempre più subdoli.

Lo sconforto iniziale che Luxu aveva provato nell’essere sconfitto così tante volte di fila si tramutò ben presto in una sfida con sé stesso. Se Mava poteva giocare sporco, allora l’avrebbe fatto anche lui.

Una volta apprese le sue intenzioni, Perbias gli fornì tutti gli strumenti necessari per mettere in atto il suo piano d’attacco, lieto che la competizione tra i suoi studenti li stimolasse nell’apprendimento, ma premunendosi di ricordargli che erano pur sempre dalla stessa parte e che Luxu avrebbe dovuto essere contento degli ottimi risultati di Mava.

Iniziò a prendere seriamente l’idea suggeritagli da Madam Mim e vi aggiunse un suo tocco personale una volta che, con suo enorme orgoglio, si scoprì piuttosto portato nell’aprire piccoli varchi nello spazio. A differenza dei corridoi di Luce aperti dal Keyblade, i suoi erano a corto raggio e non potevano teletrasportarlo in nessun luogo che non fosse in grado di vedere, ma Luxu non aveva intenzione di passarci attraverso in ogni caso. Voleva usarli per rendere imprevedibile il luogo di provenienza delle proprie frecce, scagliandole all’interno di un portale per farle poi sbucare da un altro ad un’angolazione completamente diversa. 

Prese ad esercitarsi ogni giorno, chiedendosi con trepidazione quando avrebbe avuto occasione di mettere in pratica quel che aveva imparato al di fuori di una simulazione tridimensionale. Più s’abituava ad usare la magia e più essa diventava parte integrante del suo quotidiano. Proprio come aveva detto Madam Mim, non era più un ostacolo ma un’alleata indispensabile, un’amica dalla quale non avrebbe mai più voluto separarsi. La prima volta che riuscì con successo ad invertire il proprio centro di gravità e ad ancorarsi solidamente al soffitto, passò l’intera giornata a passeggiare e correre come un ossesso su e giù per la facciata della Torre Meccanica, attirando ben più di uno sguardo sbigottito da parte dei cittadini di Auropoli.

Col vento che gli colpiva la faccia e l’altezza vertiginosa che si spalancava terrificante sotto di lui, i tetti delle case ridotti a minuscoli quadratini viola e il fiume ad una strisciolina argentea, Luxu pensò di non essersi mai sentito così libero e felice in vita sua. Si lasciò persino sfuggire una risata che non suonava per niente sua, velata com’era dell’instabilità che echeggiava nelle risate di Perbias.

Il suo amico felino lo seguiva con lo sguardo dalla finestra aperta, domandandosi se al suo padroncino fosse saltata qualche rotella, ma le carezze che quest’ultimo gli riservò una volta balzato di nuovo in camera spazzarono via ogni quesito che l’animale si fosse mai posto.

Le lezioni di Perbias si susseguivano seguendo uno schema sorprendentemente ordinato e sebbene il Maestro avesse la tendenza a divagare molto durante le proprie spiegazioni, era anche in grado di riprendere il filo del discorso con sorprendente abilità rendendo quelle digressioni parti integranti dell’insegnamento. 

Luxu imparò così che esisteva un compendio in continuo aggiornamento contenente tutti i tipi di Heartless che il Maestro e i suoi allievi avevano affrontato in passato. Nahara era incaricata di aggiornarlo e raccogliere informazioni anche da fonti esterne, come avvistamenti e testimonianze dei cittadini di Auropoli e dintorni. 

Desideroso di prenderlo in prestito per studiarlo, fu messo al corrente del fatto che, come tutti i libri presenti nella torre, il compendio poteva essere duplicato all’infinito con un semplice “Ctrl+C” sul terminale della sala di controllo. La natura digitalizzata dell’intera Torre Meccanica si rivelò a Luxu in modo sempre più prepotente mano mano che vedeva Perbias plasmarla a suo piacimento: tutto ciò che li circondava era indubbiamente reale, fatto di pietra, stoffa o metallo ma per renderlo manifesto Perbias si affidava ad un’interfaccia di facile utilizzo, rappresentata fisicamente dal suo super-computer.

Oltre al libro sugli Heartless e al sapere in esso contenuto, Perbias condivise con loro la sua conoscenza sulla natura del Cuore degli uomini, enfatizzando più volte sul come Luce e Oscurità esistessero per coesistere in perfetto equilibrio e che era proprio per questo che era necessario tenere sotto controllo le forze delle tenebre, recentemente tutt’altro che interessate a mantenere lo status quo.

Quale fosse la causa di quello squilibrio non era chiara, ma loro sette avrebbero fatto di quella missione la loro ragione d’esistere. Avrebbero ripristinato l’ordine a qualunque costo.

E parlò loro di quali fossero le componenti del Cuore e perché fossero tutte necessarie alla creazione di un individuo completo e stabile. La prima era ovviamente la capacità di provare emozioni e, nello specifico, tutte le emozioni. Persino la paura, il rancore, la collera e l’invidia erano parte integrante di un Cuore integro e funzionale. La seconda erano i ricordi, una galleria di esperienze passate che caratterizzavano il modo di pensare e agire di un individuo. E per ultime, vi erano le connessioni coi cuori degli altri, i legami tra le persone, di qualunque natura essi fossero. Persino la rivalità, e qui Perbias aveva scherzosamente alluso al fatto che Mava li stesse stracciando tutti e cinque in combattimento, era un legame prezioso che teneva unite le persone.

“Maestro” s’era intromesso Luxu a quel punto “cosa succederebbe se una persona non avesse alcuna oscurità nel proprio cuore? Non sarebbe una condizione ideale?”

Perbias aveva tratto un sospiro profondo, mettendo in pausa, il video in loop di un piccolo Heartless dagli occhi gialli e le antenne frementi proiettato sullo schermo “Sembra la soluzione più ovvia, te lo concedo.” il Maestro si alzò in piedi, picchiettandosi pensierosamente il mento con la punta della matita “Ma pensaci bene, sarebbe davvero ideale vivere in un mondo dove splende sempre il sole? Un sole rovente, afoso che brucia tutto quello che tocca? La Luce non è più gentile dell’Oscurità, non è qualcosa di debole ed indifeso che dobbiamo trattare con delicatezza. E’ una forza, tanto devastante quanto quella dell’Oscurità e proprio per questo motivo da essa è contenuta. Ti sei mai chiesto dove si trova fisicamente Kingdom Hearts quando non appare a dispendiare miracoli nelle vecchie storie?”

Luxu inarcò un sopracciglio “...no.”

Perbias prese un libro dallo scaffale, sfogliandolo in fretta alla ricerca di uno specifico passaggio. Poi, dando alla sua voce il tono più femminile e comico possibile, lesse:

 

“‘La Dea aprirà la Porta, accogliendo i cuori dei defunti. E quando ciò accadrà, una Luce abbagliante uscirà dal Regno dell’Oscurità e tutti coloro che vedranno quella Luce saranno benedetti da un grande potere. O almeno così racconta la leggenda del regno da cui provengo.’ disse la principessa Hoshi.”

Il Maestro tornò ad usare il proprio normale tono di voce, per poi alternarlo con l’altro nell’interpretare i due personaggi “‘Abbiamo la stessa leggenda anche qui.’ rispose il principe.

‘Quindi è vero? Avete ricevuto questo tipo di potere?’

‘Non credo di volere niente del genere. Sto bene come sono.’

‘Lo penso anch’io. Non importa quanto grande, se un simile potere fosse concesso in cambio della vita di così tante persone… mi darebbe gli incubi.’

‘Anche a me.’ rispose il principe Yozora. ‘Fortuna che è solo una favola.’”


Perbias chiuse il libro, stringendolo tra le dita così forte che i suoi sei allievi sentirono scricchiolare la copertina di pelle. Nonostante avesse recitato quella storia in modo più che canzonatorio, era chiaro che il messaggio che essa trasmettesse lo toccasse particolarmente da vicino.

“...peccato non sia una favola.” concluse Luxu abbassando lo sguardo. “Kingdom Hearts è davvero il posto dove vanno i cuori dei morti.”

“E la fonte di tutta la Luce, rinchiusa in una prigione d’Oscurità. Non vuoi avere una cosa come quella a splenderti sopra la testa ogni santo giorno, credimi. Così come non vuoi il sole allo zenit con cinquanta gradi all’ombra tutto l’anno. Altre domande?”

Mava, che se n’era rimasta in silenzio per l’intera durata della lezione, alzò la mano “Posso prendere il libro in prestito?”

“Anch’io.” s’affrettò a dire Luxu, sentendosi stupido per non averci pensato.

“Prima finite di studiare il compendio. Nei prossimi giorni vi porterò di nuovo in missione in un Mondo diverso e le storielline d’amore come questa non vi saranno di grande aiuto contro gli Heartless.” li redarguì il Maestro riponendo il tomo al suo posto mentre i due studenti si scambiavano un’occhiata delusa.

“Dove andiamo?” chiese Hafet, stranamente pimpante “Non vedo l’ora di tornare in azione!”

“Non ho ancora deciso. Abbiamo ricevuto due segnalazioni ma non so ancora a quale rispondere.”

“Perchè non ad entrambe?” azzardò Azal alzandosi in piedi “Potrei… potrei occuparmi della seconda al vostro posto.”

Salegg lo fulminò con lo sguardo “Come se fossi in grado di farlo tutto da solo!” sbottò.

“Mmmh, non hai tutti i torti, Salegg. Dovresti andare con lui.” lo prese in contropiede Perbias e Luxu vide chiaramente l’ormai familiare curva sadica increspargli le labbra.

“Cosa!? Non è questo che intendevo-” tentò di tirarsene fuori l’apprendista ma ormai era troppo tardi. 

“Allora è deciso, ci divideremo in due gruppi. Azal, Salegg e Nahara, voi andrete ad Atlantica. Mi raccomando, massima discrezione e ripassatevi per bene l’incantesimo di trasfigurazione che non voglio sentire lamentele.”

La reazione degli apprendisti più anziani fu così violenta che Luxu non seppe se preoccuparsi, compatirli o scoppiare a ridere. Nahara, l’unica dei tre che sembrava perfettamente a suo agio con quell’assegnazione, si rivolse ai compagni  ridendo dell’espressione allucinata che s’era impressa sul volto di entrambi “Spero che siate migliorati nel nuoto dall’ultima volta…”

“E’ tutta colpa tua!” soffiò Salegg tra i denti tirando Azal per la manica, ma lui s’affrettò a riacquistare la propria compostezza “Faremo del nostro meglio, Maestro.”

“Bene, bene. Non ho alcun dubbio. Vi fornirò tutti i dati necessari, avete una settimana di tempo per prepararvi, del resto sarà la vostra prima uscita in solitario. Procedete con prudenza. E invece, per quanto riguarda voi tre...” Perbias spostò lo sguardo su Luxu, Mava e Hafet “Voi verrete con me.”

Il bagliore negli occhi azzurri del Maestro a Luxu non piacque per niente.

Aveva letto gli appunti di Mava e sapeva che Atlantica era un regno sommerso popolato da tritoni e sirene. Inutile dire che per visitarlo e risolvere qualunque problema l’Oscurità stesse causando, anche Azal, Salegg e Nahara avrebbero dovuto farsi crescere una bella coda di pesce. Se a loro aveva affidato il Mondo più ‘semplice’... cosa aspettava lui e i suoi due compagni?

Hafet era evidentemente innervosito quanto lui e non riuscì a trattenersi oltre “Per andare dove?”

“Diamine, ce l’ho sulla punta della lingua!” esclamò Perbias. Era così palese che stesse mentendo solo per tenerli sulle spine che Luxu avrebbe voluto tirargli un pugno in faccia. “Come si chiama quella città sul golfo tutta divisa a settori, con i vari ecosistemi integrati e i quartieri residenziali sospesi tra gli alberi...”

Mava saltò sù a sedere, gli occhi verdi  sgranati per la sorpresa e l’eccitazione “...Zootopia?!”

Zootopia.” le fece eco il Maestro, continuando a sogghignare.



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Heeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeey bellissimi come va? :D Grazie per aver letto fin qui!
Non ditemi che non v'aspettavate Zootopia perchè non ci credo, i veggenti sono già dei furry in erba! :P solo non prendetevela se i prossimi capitoli non saranno una glorificazione del film. Lo trovo molto sopravvalutato e fondato su una metafora che smette d'avere senso se ci si pensa su per più di 10 secondi.
Il dialogo che il Maestro legge tra il Principe e la Principessa è tratto (e leggermente modificato) da questo vecchio trailer di Versus XIII un gioco che, vi ricordo, entrò in sviluppo immediatamente dopo Kingdom Hearts II e che ne rielaborava molte idee e tematiche in chiave più dark e matura prima di essere accantonato e riscritto come FFXV. Ad anni di distanza, lo stesso doppiatore di Noctis adesso presta la voce al Maestro dei Maestri e nel finale segreto veniamo introdotti al personaggio di Yozora come parte integrante della nuova saga. Coincidenza? Non credo proprio. E in questa storia, non lo è affatto. Alla prossima! <3

 

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Capitolo 14
*** ✭ Foxtrot ***


FOXTROT

Ride on, my gallant huntsmen! When must I come again?
For you should never want for a fox to chase all over the glen,
and when your need is greatest, just call upon my name!
[Black Fox - Heather Dale]


Il Maestro e i suoi sei apprendisti stavano dritti in piedi nella sala comune, a poca distanza dal grande tavolo circolare.

Erano già divisi in due gruppi e Azal e Perbias impugnavano saldamente i rispettivi Keyblade.

“Pensate davvero che sia saggio partire nello stesso momento?” chiese Nahara con apprensione.

Il Maestro sollevò i palmi delle mani “Non potrò esserci sempre a tirarvi fuori dai guai. E poi non hai di che preoccuparti, sei con i due ragazzoni del gruppo, no? Chi potrebbe mai tenervi testa?”

“Non vi deluderemo, Maestro.” assentì Azal con la sua solita solennità.

“D’accordo, d’accordo, ma rilassatevi, okay? Andate in un gran bel paradiso sottomarino, mica in una landa inospitale! Fate il vostro dovere, ma non scordatevi di godervi il viaggio.”

“Non posso fare a cambio con Hafet? Atlantica proprio non mi va giù.” protestò Salegg, burbero come sempre.

“Solo perchè non sai nuotare.” gli rimbrottò Nahara con un sorrisetto. “Ma lo sai che con coda e tutto non rischi di annegare, vero?”

“E questo che c’entra, mi mette comunque a disagio! E poi SO nuotare!”

Hafet si posò le mani sui fianchi “Quello si chiama ‘saper stare a galla’, non ‘nuotare’.” precisò, scatenando un’ondata di risatine tra tutti i presenti.

“Vorrà dire che una volta completata la missione andremo tutti in spiaggia e colmeremo questa tua lacuna, Salegg.” lo rabbonì Perbias dandogli una pacca sulla spalla “E adesso tutti ai propri posti!”

Mava saltellava dall’eccitazione “Ho sempre voluto andare a Zootopia!” confessò a Luxu a bassa voce, tirandolo per la manica.

“Non fai che ripeterlo da una settimana.” le fece notare lui, ricambiando però il suo sorriso elettrizzato.

“Scusami.” rise la bambina avvolgendo una ciocca di capelli viola attorno al dito “Ma chissà che animali diventeremo!” spostò lo sguardo su Azal e Perbias che si erano appena fatti avanti, sollevando all’unisono i loro Keyblade per evocare due corridoi di Luce ai lati opposti della sala.

“Conoscendo il Maestro, sicuramente qualcosa di ridicolo.” sospirò Luxu.

“Non funziona mica così, sai? Non è la persona che lancia l’incantesimo a decidere.”

“Ah no?”

“Già, ha a che fare col cuore del mondo che visitiamo. E il nostro, ovviamente. Entrano in risonanza e ci cambiano di conseguenza.” s’intromise Hafet, riparandosi gli occhi dalla luce abbagliante che si sprigionò dai due portali.

Saperlo mise Luxu un pò a disagio. E se fosse stato lui il solo a trasformarsi in qualcosa di ridicolo?

“Tutti pronti?” chiese Perbias rivolgendosi ai suoi apprendisti dopo aver controllato che il corridoio aperto da Azal fosse stabile.

Tutti i presenti annuirono, chi con più convinzione di altri.

“Ci rivediamo qui tra tre giorni esatti. Se uno dei due gruppi impiegasse meno tempo a completare la missione, tornerà qui in anticipo e aspetterà l'arrivo del secondo gruppo. Se a rientrare per primi sarete voi…” Perbias alluse alla squadra capeggiata da Azal “E noi dovessimo ritardare, non fatevi venire strane idee e non venite a cercarci a Zootopia. Ci penso io a riportare questi tre a casa tutti interi, okay?”

Così detto, Perbias si portò di fianco al portale alla sua destra, facendo cenno al suo team di procedere “Buona fortuna a tutti.”

°°°

Nel momento stesso in cui Mava e i suoi due compagni attraversarono il portale, la ragazzina capì immediatamente che c’era qualcosa che non andava.

Fece per voltarsi alla ricerca di Perbias, che sicuramente sarebbe entrato dopo di loro, ma prima di riuscire a farlo si trovò scaraventata nella direzione opposta come dalla forza di un torrente in piena. Trascinata dalle raffiche di vento andò a sbattere contro qualcosa che cacciò un grido di dolore esattamente come lei, ma se si fosse trattato di Luxu o Hafet non avrebbe saputo dirlo. Sentì il sapore del sangue invaderle la bocca e Mava si raggomitolò istintivamente su sé stessa in preda al panico. Quello che solitamente era un viaggio a tutta velocità attraverso un corridoio ampio e dritto sembrava essersi trasformato in una turbolenta corsa ad ostacoli. Mille stelle infuocate esplosero attorno a lei e la luce si fece così intensa da costringerla a chiudere gli occhi, senza poter fare nient’altro che pregare che quel vorticare spaventoso finisse presto.

“Mava!”

La voce di Perbias la raggiunse oltre lo sfrigolare delle scintille “Mava!”

La bambina aprì gli occhi a fatica, abbagliata dai continui flash luminosi e vide il Maestro fluttuare rapido verso di lei in mezzo a quella tempesta abbagliante, le mani tese in avanti a proiettare una barriera Reflect tutt’intorno a sè e a Luxu ed Hafet, che lo seguivano a ruota.

La bambina tese la mano, combattendo contro la forza dell’aria incandescente che le strinava la pelle e le faceva evaporare le lacrime prima ancora che potessero scendere.

Perbias stava per fare altrettanto, era ormai abbastanza vicino per afferrarla, ma una vistosa crepa si fece largo sullo scudo magico che avvolgeva lui e i due altri apprendisti, come se un gigante avesse preso quella loro biglia di vetro e la stesse sgretolando tra le dita.

Mava non avrebbe mai dimenticato l’espressione di puro terrore che comparve sul volto del Maestro, i suoi immensi occhi blu sgranati di fronte alla forza dirompente di quella tempesta di luce in cui si trovavano intrappolati.

Prima che potesse reagire, un nuovo mulinello di energia li scaraventò di nuovo lontani, Mava che tornava a rannicchiarsi strillando e piangendo mentre Perbias era costretto ad incanalare così tanto potere attraverso le mani per tenere in piedi la barriera che i suoi guanti bianchi presero a sfilacciarsi sulle punte delle dita, bruciati dal flusso d’energia.

“Dobbiamo salvarla!” squittì Hafet, la voce strozzata.

Luxu si portò una mano alla bocca, guardando con orrore mentre la sfera che li avvolgeva si ricopriva di spaccature sempre più ampie, come una lastra di ghiaccio che cede sotto il peso di un viandante incauto. E Mava era là fuori… senza alcuna protezione!

Vide il Maestro vacillare, ed era certo che sarebbe crollato giù in ginocchio se lui non lo avesse sorretto all’ultimo momento “Maestro, cosa facciamo?!”

Perbias non rispose, i denti stretti e scoperti nello sforzo, le mani ormai prive dei guanti che iniziavano ad arrossarsi per il calore intollerabile che stavano trattenendo. Era madido di sudore, i muscoli tesi per lo sforzo lo facevano tremare come una foglia nella stretta di Luxu. il ragazzo rabbrividì alla vista dello sguardo spiritato con cui fissava dritto davanti a sé.

La barriera s’infranse in mille pezzi.

Prima che la violenza dell’impatto s’abbattesse su di loro, trascinandoli nelle profondità del corridoio inter-dimenzionale proprio come era successo a Mava, Luxu vide Perbias trasfigurarsi davanti ai suoi occhi. Durò solamente una frazione di secondo, ma mentre le schegge di cristallo della sfera schizzavano come proiettili tutt’intorno a lui, il giovane apprendista avrebbe giurato di aver visto un ghigno malvagio aprirsi ben oltre gli angoli della bocca del suo maestro, squarciandogli le guance come un colpo di coltello. Le mani che tenevano alta la barriera non erano più ustionate dal calore, ma rosse come il sangue, deformi, munite di lunghi artigli.

E gli occhi che risposero al suo sguardo erano gialli come i fari di un’auto nella notte.

Prima che Luxu potesse gridare, la tempesta di luce e stelle cadenti li investi entrambi, spazzandoli via.

°°°

Mava sbattè le palpebre, tirando via la faccia dall’erba bagnata in cui era sprofondata. Le tempie le pulsavano dolorosamente e quando aggrottò le sopracciglia sentì un rivoletto di sangue sgorgare di nuovo dalla ferita che aveva appena iniziato a cicatrizzarsi.

Si mise a sedere a gambe incrociate, le mani sulle ginocchia e la testa ciondoloni. Trasse uno, due, tre respiri profondi.

Era tutta intera.

Ed era arrivata da qualche parte.

Che fosse a destinazione o meno, in quel momento non le importava. Le bastava sapere di non essersi persa in chissà quale gorgo spazio-temporale. Ovunque fosse finita nel Regno della Luce, poteva sempre trovare un modo per contattare il Maestro e tornare a casa.

...sempre che lui e gli altri stessero bene.

Gli occhi sbarrati di Perbias le tornarono di nuovo alla mente. Non lo aveva mai visto così sconvolto, quasi sul punto di piangere. Qualsiasi cosa fosse successa durante il viaggio, era di certo un’anomalia mai vista prima, qualcosa che aveva colto lui alla sprovvista tanto quanto loro. Adesso, la sua priorità doveva essere capire dove si trovasse e come fare per riunirsi coi suoi compagni. Forse, si disse per farsi coraggio, erano arrivati anche loro in quello stesso mondo e si sarebbero rincontrati presto.

Già, ma dov'era finita?

Mava alzò lo sguardo verso le cime degli alberi dai tronchi contorti e sulla verdeggiante vegetazione che la circondava. A giudicare dal sottobosco pieno di felci e fiori colorati, doveva trovarsi in un’ambiente sub-tropicale. Anche la temperatura afosa e umida sembrava confermare questa sua ipotesi.

Libellule e farfalle svolazzavano qua e là, riempendo il sottobosco del fremito delle loro ali iridescenti.

Si mise in piedi, guardandosi intorno con fare circospetto, ma quando tentò di camminare in direzione di quello che sembrava un sentiero immerso nella vegetazione, inciampò nei suoi stessi piedi ricadendo a terra lungo distesa.

Sputando una boccata d’erba e chiedendosi come accidenti avesse fatto a scivolare in modo così stupido, Mava era sul punto di ritirarsi su quando si bloccò di colpo, fissando le zampe pelose che sbucavano oltre l’orlo delle lunghe maniche della sua tunica.

L’incantesimo di Perbias aveva funzionato! Ma allora… era davvero arrivata a Zootopia?

Passò in rassegna quelle nuove ‘mani’ così diverse da quelle umane a cui era abituata. Erano molto meno affusolate, ma non per questo meno agili, soprattutto grazie alla presenza di un pollice opponibile perfettamente funzionante. Quattro cuscinetti di pelle spessa e scura si trovavano all’estremità di ogni dito e uno più largo occupava la parte superiore del palmo, offrendo presumibilmente un punto d’appoggio per correre a quattro zampe qual’ora se ne presentasse la necessità.

Ma gli animali di Zootopia erano tutti bipedi, stando a quanto aveva visto nelle fotografie. Camminare su due zampe era il principale balzo evolutivo che aveva permesso loro di sviluppare una società avanzata e simile a quella umana, perciò non c’era motivo per cui non sarebbe dovuta riuscire a camminare.

Si alzò di nuovo, stavolta prendendosi un momento per trovare l’equilibrio di quel nuovo corpo. Non erano solo le sue mani ad essere diverse, tutta la sua postura era cambiata, le giunture di ginocchia e caviglie completamente rimodellate e la spina dorsale… non s’interrompeva più al coccige.

Mava passò le dita sulla pelliccia soffice della coda che ondeggiava pigramente dietro di lei e provò a muoverla, scoprendosi immediatamente in grado di controllarla proprio come avrebbe fatto con ogni altra parte del suo corpo originale. Un sorriso le snudò i canini appuntiti. Fantastico!

Mise cautamente un piede avanti all’altro, tastando accuratamente il terreno, bilanciandosi col movimento della coda e nel giro di pochi minuti si sentì così salda e sicura su quelle nuove gambe che azzardò persino un breve tratto di corsa.

Ripreso fiato e decisa a procedere col suo piano di rintracciare gli altri, la giovane apprendista s’incamminò giù per il sentiero che costeggiava il rivoletto fresco di un fiumiciattolo. L’acqua era troppo poca perché lei vi si potesse specchiare, ma sperava che sarebbe andato a confluire in una pozza più grande. Non vedeva l’ora di sapere in quale esatto animale si fosse trasformata. Sicuramente era un canide, ma capire se si trattasse di un coyote, un lupo o una qualche razza di cane domestico non era così semplice da determinare. Specialmente visto che la pelliccia color crema della sua coda vaporosa andava a sfumare negli stessi toni viola chiaro che avevano i suoi capelli quando era umana e nessun’animale che conosceva aveva un aspetto simile.

Mentre procedeva a passo spedito giù per la stradina acciottolata, Mava teneva le orecchie ben aperte, apprezzando l’acutezza del suo nuovo senso dell’udito. Sentiva il frinire delle cicale come non l’aveva mai sentito prima, come una melodia complessa anzichè una cacofonia di suoni striduli.

E sentì anche l’avvicinarsi di passi leggeri molto prima che i responsabili di quel rumore entrassero nel suo campo visivo. Distinguendo due paia di zampe abbattersi sul terreno, Mava sperò di tutto cuore che si trattasse di Luxu ed Hafet, ma invece si trovò faccia a faccia con una coppia di gazzelle intente a chiacchierare placidamente tra loro. A giudicare da come erano vestite, sembravano una normale coppia intenta a fare una scampagnata, perciò Mava non si preoccupò più di tanto e anzi, andò loro incontro con l’intenzione di chiedere cortesemente indicazioni e procedere poi per la sua strada.

Quando però i due erbivori la videro, s’irrigidirono entrambi, smettendo immediatamente di parlare.

Mava rallentò, chiedendosi che cos’avesse fatto di sbagliato quando la gazzella maschio si parò immediatamente tra lei e la compagna, puntandole contro un dito/falange di zoccolo con fare accusatore “Hey, questa è proprietà privata!”

Lei lo fissò di sotto in sù, confusa “Eh..? Scusatemi, non lo sapevo-”

“Sì, certo, come no!” la incalzò la gazzella, visibilmente alterato. “C’è una recinzione di tre metri tutt’intorno alla proprietà, con cartelli ovunque! Come sei entrata? Non mi dirai mica che ti sei persa, eh?”

“A dire il vero sì, signore.” cercò di giustificarsi lei, per quanto quella situazione potesse sembrare assurda. “E se foste così gentile da indicarmi la strada per uscire, toglierei immediatamente il disturbo.”

“Guarda che con me non attacca.” la freddò lui in risposta, frugando nella tasca dei bermuda color kaki alla ricerca del telefono cellulare. “La ditta di sicurezza mi sentirà! Possibile che non si riesca a tenere in piedi una recinzione senza che qualche sbandato vi faccia un buco per intrufolarsi e combinare qualcosa di losco!”

“Vi giuro che non ho fatto niente di male!” protestò Mava iniziando a spazientirsi.

“Vallo a raccontare agli sbirri. Scommetto che come minimo hai nascosto qualche chilo d’erba gatta nella mia proprietà!”

“No, non un’altra volta!” si lamentò la moglie con un’espressione se possibile ancora più seccata di quella del compagno. “Lo sapevo che non avremo dovuto prendere casa in questo quartiere, Roger. C’è così tanta micro-criminalità… tutta questa gioventù bruciata allo sbando...”

Mava li fissò con un’espressione a metà tra lo sbigottito e il profondamente offeso “Non sono una criminale!”

“Sì certo, come no, e io non sono un erbivoro! Prova a prendere per i fondelli qualcun’altro, Volpe. Io non ci casco.” Le rimbrottò la gazzella premendo il tasto verde sul display del cellulare “Pronto, polizia? Devo denunciare una violazione di domicilio-”

Senza attendere oltre, Mava girò sui tacchi e prese a correre nel fitto della boscaglia più velocemente che poteva.

“Hey, torna qua! Ecco, che ti avevo detto? Se davvero non aveva niente da nascondere non sarebbe scappata, la canaglia! Sì, sì, pronto? Siete ancora in linea? Una volpe si è introdotta nella mia proprietà!”

Le felci le sferzavano le gambe e l’abito da apprendista le rimase impigliato tra i rami, strappandosi qua e là mentre la ragazza-volpe procedeva spedita nella propria corsa a perdifiato. Balzò sopra un tronco caduto, atterrando con una capriola e rimettendosi immediatamente a correre. La coda non faceva altro che rendere i suoi movimenti più rapidi e precisi che mai, dandole un tale controllo sul proprio corpo che Mava non potè fare a meno di sorridere nonostante la pessima situazione in cui s’era andata a cacciare. Si sentiva leggera come il vento, impossibile da catturare.

Proprio come anticipatole da quell’antipatico di una gazzella, raggiunse il limitare della ‘tenuta’ e si trovò faccia a faccia con l’alta rete elettrificata. Per una normale volpe della sua taglia, sarebbe stato un balzo semplicemente impossibile. E scalarla era ovviamente fuori discussione per via del voltaggio elevato.

Fortuna che Mava fosse tutto fuorché una volpe normale.

Piantò le zampe bene a terra, le unghiette che affondavano nell’erba fresca e tirò indietro le braccia, evocando le sue armi eteree, i suoi fidati ventagli da combattimento.

O almeno quella era la sua intenzione.

Nel sentire le dita della zampa destra serrarsi attorno ad un’impugnatura sconosciuta, Mava vi spostò sopra lo sguardo, sbattendo le palpebre per l’incredulità.

Le sue dita munite di piccoli artigli neri stringevano l’elsa di un Keyblade.

Mava lo sollevò confusa, ammirandone le sfumature iridescenti e la sua estrema leggerezza. Era completamente diverso da quello di Azal e del Maestro, meno minaccioso nel suo aspetto, quasi fosse fatto di fumo o onde cristallizzate. Alla base della lama, stava uno stemma araldico raffigurante una testa di volpe.

Come e quando si fosse manifestato, la ragazza non lo sapeva. Ma avrebbe fatto meglio a togliersi prima dai guai e successivamente perdersi in disquisizioni esistenziali sul perchè il suo cuore avesse deciso proprio in quel momento di fare il grande passo.

Si guardò indietro, assicurandosi che le due gazzelle non l’avessero seguita e sollevò la sua nuova arma sopra la testa. “Aero!” scandì a voce alta, evocando una potente folata di vento che la sollevò da terra e oltre la recinzione, lasciandola poi ricadere al suolo dolcemente, una volta oltrepassato il filo spinato.

Si trovava adesso in una strada alberata affiancata da graziose villette con giardino. Proprio come aveva detto la gazzella, la ‘foresta’ dove si era ritrovata per puro caso era un parco privato, come messo ben in chiaro dai grossi cartelli che minacciavano di pericolo di morte per scossa elettrica chiunque cercasse di scavalcare la recinzione.

Tutt’intorno non c’era nessuno, ma Mava penso che sarebbe stato saggio mettere almeno un paio di isolati tra lei e la pattuglia che sicuramente sarebbe arrivata a setacciare l’area. Gettò un ultimo sguardo al suo nuovo e fiammante Keyblade prima di farlo scomparire nell’etere e s’avviò a passo svelto giù per la strada principale, seguendo i cartelli che indicavano il centro città.

Del resto, Perbias era stato contattato dal sindaco in persona, perciò era logico pensare che il municipio fosse il posto ideale dove iniziare a cercare i suoi compagni.

 

°°°

In un vicolo buio e sporco dei bassifondi di Zootopia, un essere che nessuno degli abitanti avrebbe guardato senza prendersi un colpo stava rannicchiato su sé stesso, ansimando e digrignando i denti nella semi-oscurità.

Un rivolo di saliva gli colò sul mento, ma Perbias aveva ben altro di cui preoccuparsi. Teneva la mano destra saldamente ferma con l’altra, le dita serrate attorno al polso come per bloccare la circolazione, quasi cercasse di contenere l’espandersi di quell’innaturale colorazione vermiglia che gli tingeva le dita a tutto il resto del braccio.

"Così peggiori solamente le cose."

Lui soffocò un gemito di dolore e frustrazione, inarcando la schiena contro il muro di mattoni sconnessi.

"Predichi tanto ai tuoi allievi di accettare un po’ d’Oscurità nei loro cuori, ma poi la rigetti in questo modo quando essa ti offre il suo aiuto?"

“Tu non sei quel tipo d’Oscurità.” ringhiò Perbias aprendo a fatica gli occhi. Il sinistro era tornato del suo consueto e profondo azzurro, ma l’altro brillava ancora giallissimo all’ombra dei suoi capelli scuri.

"Non più. Ed è soltanto grazie a te."

“Va a farti fotter-!” l’insulto gli morì strozzato in gola, quando una fitta di dolore lancinante lo costrinse a piegarsi in due, mozzandogli il fiato.

"Cerca di non tirare le cuoia adesso, Maestro. I giochi sono appena iniziati."
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Sicuramente uno dei capitoli più difficili da scrivere fino ad adesso! Ancora una volta mille grazie a Mal per aver dato una faccia (in questo caso, un musetto!) ai personaggi di Back Cover con i suoi bellissimi disegni. Sì, se ve lo state chiedendo, nei prossimi capitoli vedrete anche le forme 'furry' degli altri e vi posso già anticipare che Luxu è così puccioso da far male al cuore XD.
Parlando di cose serie, invece direi che il nostro buon Maestro non se la stia passando troppo bene. Se siete voraci consumatori di [chi] ed UX come sono io, avrete probabilmente intuito cosa gli stia succedendo... altrimenti non importa, sarà comuque spiegato più avanti.
Notina finale: il titolo del capitolo è il nome dell'attacco speciale della medaglia di Ava in KHUX e deriva da un tipo di danza stile charleston o ragtime. Un dettaglio che ho trovato particolarmente curioso visti gli scenari che ho in mene per lei, Luxu e Skuld nei capitoli futuri...

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Capitolo 15
*** ✭ Points of View ***


POINTS OF VIEW

 

There is a principle of nature,
that most every creature knows.
It's called survival of the fittest,
and this is how it goes:
The animal that wins has got to
claw and bite and kick and punch.
And the animal that doesn't,
winds up someone else's lunch.
[Biggering - The Lorax]


Una voragine si spalancò improvvisamente nella parete abbagliante del corridoio di luce. Non era l’uscita, ma uno squarcio inaspettato che sbalzò Luxu fuori dal flusso ininterrotto di stelle cadenti e scintille.

Il cielo azzurro riempì la sua visuale e con esso arrivò la consapevolezza di essere di nuovo alla mercé della forza di gravità.

Il vento lo fece rovesciare a mezz’aria, la lunga stola della sua veste da apprendista che schioccava sulle sue spalle come una bandiera mentre precipitava verso il basso a velocità vertiginosa. Sotto di lui, una distesa di alberi, grattacieli dalla forme bizzarre e strade trafficate s’estendeva a perdita d’occhio.

In preda al panico, Luxu si sforzò di richiamare il proprio potere magico per rallentare la caduta e fortunatamente le scintille viola non tardarono a manifestarsi tutt’intorno a lui, dangogli uno strattone verso l’alto come se qualcuno l’avesse bruscamente afferrato per la collottola.

L’incantesimo non fu potente abbastanza da tenerlo sospeso, ma se non altro aveva rallentato il suo precipitare ad un ritmo che lo faceva sentire abbastanza sicuro di poter raggiungere il suolo senza sfracellarsi. O almeno lo sperava.

Le fronde degli alberi si erano fatte pericolosamente vicine.

“Luxu!”

Con la coda dell’occhio, l’apprendista scorse la sagoma gialla di Hafet cadere dall’alto proprio come lui, ma prima che potesse rispondere al compagno o tentare di afferrare la sua mano tesa, attraversò con ben poca grazia il primo strato della volta arborea.

Proteggendosi istintivamente il volto con le mani dal violento schiaffo delle foglie, Luxu ruzzolò giù da un ramo all’altro continuando la sua rovinosa caduta, ormai ricoperto di contusioni e graffi. Strinse gli occhi, anticipando l’imminente e doloroso impatto col terreno… ma invece, a raggiungerlo fu l’ennesima serie di frasche dai rami acuminati. Quando finalmente le percosse cessarono, consentendogli di riaprire gli occhi, quel che vide fu tutto fuorché rassicurante.

Anziché ritrovarsi a poche decine di metri dal suolo, sotto di lui s’apriva un baratro ancora più profondo, fatto di cascate vertiginose e ponti di liana sospesi nel vuoto. Sforzandosi di mantenere i nervi saldi e di ricacciare indietro il conato di vomito che sentiva salirgli in gola, lanciò nuovamente l’incantesimo anti-gravità e stavolta rimase finalmente fermo a fluttuare in aria, il cuore che gli batteva all’impazzata nel petto.

Prima ancora che potesse trarre un sospiro di sollievo, Hafet gli cadde addosso, spezzando la sua concentrazione e scaraventandoli entrambi nella voragine d’acqua e liane.

Stavolta però, l’apprendista più anziano prese in mano la situazione e prima che i due sparissero nella nube generata dallo scrosciare delle cascate mastodontiche, li avvolse entrambi in una sfera Reflect.

L’impatto col suolo fu meno doloroso di quanto Luxu s’aspettasse, ma l’improvviso gelo che lo investì da ogni parte quando la barriera magica si dissolse e l’acqua gelida si richiuse tutt’intorno a lui fu tale da fargli quasi perdere i sensi.

Boccheggiando, il ragazzo si trascinò fino all’orlo della pozza in cui era precipitato, faticando non poco ad issarsi fuori dall’acqua gelida.

“Luxu, stai bene?!”

Lui tossì, così attanagliato dal freddo da riuscire a stento a parlare “Com’è che ogni volta che sono con te finisco sempre quasi-” Luxu si ammutolì di colpo, non appena ebbe messo a fuoco Hafet. “...ammazzato..?” concluse infine, incapace di staccare gli occhi dalla pelliccia maculata che ricopriva ogni parte esposta del corpo del compagno.

Hafet lo fissava altrettanto sbigottito, immerso per metà nel cumulo di neve che aveva attutito la sua caduta, ma si riprese in fretta dallo stupore e, liberatosi con un calcio, barcollò fino a lui, insicuro sulle nuove zampe felpate, tendendogli una mano per aiutarlo ad uscire completamente dall’acqua.

O meglio, tendendogli una zampa che Luxu afferrò con quello che molto generosamente si poteva definire il goffo tentativo dell’evoluzione di rendere prensile uno zoccolo.

“Sei… un leopardo.” osservò Luxu con un certo sollievo, come se il fatto di trovarsi di fronte quel che sembrava a tutti gli effetti un soffice animale di peluche fosse esattamente quello di cui aveva bisogno dopo una caduta del genere. “E non un leopardo qualsiasi, un leopardo delle nevi. Doppiamente fico.” si complimentò, nonostante stesse battendo i denti per il freddo.

Hafet sorrise, scoprendo le gengive nere e i denti da carnivoro del suo nuovo muso da felino “Neanche tu sei malaccio.” rispose, afferrando l’amico per le spalle e mormorando una formula magica che combinando sapientemente Aero e Fire asciugò i suoi abiti fradici in un lampo. “Belle corna.”

Luxu le tastò cautamente con le strane appendici ossee che si ritrovava al posto delle dita, seguendone la curvatura decisa. “Che animale sarei, esattamente?”

Hafet si lasciò cadere seduto sulla neve, passando in rassegna ogni dettaglio del suo nuovo corpo con interesse scientifico. Schiacciò il polpastrello sul palmo della mano, meravigliandosi alla vista degli artigli retrattili. “Non sono sicuro. Uno stambecco? Una capra?”

“Poteva andarmi peggio, suppongo.” bofonchiò Luxu, voltandosi per gettare uno sguardo alla corta coda nera che sbucava da un’apposita feritoia nella sua tunica ocra, esattamente come faceva quella lunga e maculata di Hafet.

Quest’ultimo si rimise in piedi, ancora insicuro sulle gambe. “Dove pensi che siamo finiti?” domandò, guardandosi intorno.

In quella settimana di tempo che avevano avuto per prepararsi al viaggio, Luxu aveva memorizzato i nomi dei quartieri ed ecosistemi artificialmente ricreati all’interno dei confini di Zootopia, perciò si sentì di poter rispondere con una certa sicurezza “Credo che siamo precipitati giù dal distretto della foresta pluviale fino a Tundratown. Il clima non lascia molto spazio all’interpretazione.”

Hafet annuì, aguzzando la vista dei suoi nuovi occhi dalla pupilla verticale nella speranza di scorgere qualcosa in mezzo a quella distesa di ghiacci, ma il pulviscolo delle cascate che si lanciavano giù dal quartiere sub-tropicale si condensava al contatto con l’aria fredda formando un impenetrabile coltre di nevischio.

“Spero che Mava e il Maestro stiano bene. Li ho persi di vista quando la barriera si è rotta. Sono stato fortunato a riuscire ad afferrarti, altrimenti ci saremmo separati anche noi.” disse, tornando a voltarsi verso Luxu che nonostante gli abiti asciutti era ancora tutto intirizzito. “Faremo meglio a muoverci, a mia differenza non mi sembri equipaggiato per queste temperature. E poi, dobbiamo trovare gli altri.”

Luxu si calò il cappuccio sugli occhi e incassò la testa nelle spalle, imbacuccandosi più che poteva nella mantella. “E se non fossero arrivati in questo mondo?” chiese, inquieto.

“Improbabile. Non so esattamente cosa sia successo mentre viaggiavamo ma eravamo comunque all’interno del corridoio di luce, no? Quei cosi, almeno in teoria, sono strade a senso unico. Penso che siamo semplicemente sbucati in punti diversi rispetto a quello prestabilito, come se fossimo saltati giù da un treno in corsa prima di entrare in stazione.”

“Ha senso, speriamo tu abbia ragione.” annuì Luxu facendo qualche cauto passo in avanti sul ghiaccio che offriva ben poca presa alla suola liscia dei suoi zoccoli. “Da che parte andiamo?”

°°°

Mava impiegò circa 20 minuti per raggiungere il centro città. Fortunatamente, il guidatore dell’autobus per Ficus Groove, un enorme toro dall’aria piuttosto inquietante, si dimostrò ben più cortese e paziente con lei di quanto avessero fatto le due gazzelle e le spiegò chiaramente come raggiungere Downtown Zootopia.

Pagò il biglietto con le monete incantate dal Maestro che si convertivano automaticamente nella valuta del Mondo visitato e prese posto sul sedile accanto al finestrino. Altri passeggeri s’affrettarono a sedersi e ben presto Mava si trovò circondata dalla folla più variegata e variopinta che avesse mai visto.

Leoni e giaguari in giacca e cravatta discutevano animatamente di tassi d’interesse e politica, una mamma coniglio accompagnava a scuola almeno una decina di coniglietti sovraeccitati e un gruppo di orsi e panda seguiva con estremo interesse la telecronaca di una partita di rugby che uno di loro stava trasmettendo sul proprio cellulare di ultima generazione.

Il contrasto delle forme animalesche degli abitanti con la città moderna e vibrante che li circondava era a dir poco inusuale, ma al tempo stesso affascinante.

Quando un’anziana signora pecora dalla lana ormai ingrigita dagli anni salì a bordo alla fermata successiva, Mava s’affrettò ad alzarsi per cederle il posto e la vecchina le rivolse un sorriso di gratitudine “Grazie cara.” belò con voce tremula “E’ bello vedere così tanti giovani Predatori per bene, al giorno d’oggi. Mica come ai miei tempi...”

Mava piegò un orecchio con aria confusa, ma accettò comunque il complimento, sempre che di uno si trattasse.

“Volpettina, la tua fermata è questa!” la chiamò a gran voce l’autista “Da qui vai tutto a dritto giù per Spotted Street e poi giri a destra al crocevia. Da lì troverai le indicazioni per il municipio.”

“Molte grazie, signore!” lo salutò lei scendendo con un balzo ed avviandosi nella direzione che le era stata appena indicata. Alti grattacieli lucidi come specchi costeggiavano lo stradone trafficato che stava percorrendo e ovunque, appese ai lampioni e sui balconi degli edifici più bassi, stavano dozzine e dozzine di fiori, ciuffi d’edera e piante rigogliose. Proprio come aveva letto nei libri, Zootopia era davvero il culmine dell’armonia tra natura e tecnologia sottoforma di città. A suo modestissimo parere, superava persino i risultati ottenuti a Giardino Radioso.

Lì a Zootopia, ogni cosa era pensata per accomodare i bisogni di creature di varia stazza ed esigenze. Gli autobus avevano scompartimenti con tetti più alti per poter ospitare i lunghi colli delle giraffe, c'erano corridoi in miniatura per topolini e gerbilli, le automobili erano grandi abbastanza da ospitare un’intera famiglia di elefanti e persino aree apposite climatizzate per offrire refrigerio agli animali polari e zone riscaldate ed umide per quelli tropicali.

Il fatto che tutti quegli esseri così differenti coesistessero in uno stesso posto era a dir poco pazzesco. Certo, il reame della Luce era ancor più vasto ed ancor più variegato, agli umani di Auropoli (da cui discendevano anche quelli di Giardino Radioso e Shibuya) si affiancavano altri esseri umani di etnie molto diverse, come gli abitanti delle regioni desertiche di Agrabah e gli onorevoli guerrieri della Terra dei Dragoni, ma anche creature che con l’umanità avevano ben poco da spartire come i Mostri di Mostropoli e della città di Halloween… ma i contatti tra i vari gruppi erano così minimi ed infrequenti che sarebbe stato stupido paragonarli alla coesistenza continua dei vari animali di Zootopia.

Mava era persa in questa e molte altre divagazioni quando ad un tratto si sentì strattonare per la manica. “Occhio. Il semaforo è rosso.”

Lei si riscosse “Oh, grazie mille.” disse, voltandosi verso la sua interlocutrice e fermandosi ad osservarla con un certo stupore. Anche ad Auropoli non era raro imbattersi in ragazzi e ragazze vestiti di nero e giacconi borchiati, pieni di piercings e preda di una costante rabbia adolescenziale, ma vedere una graziosa cerbiatta sfoggiare lo stesso look e atteggiamento faceva tutto un altro effetto.

“Figurati.” Rispose l’erbivora lanciandole un’occhiata di sbieco. “Bei capelli.” commentò, alla vista delle ciocche viola che sbucavano dal cappuccio della volpe. Anche la cerbiatta sfoggiava un ciuffo di pelliccia tinto di un verde vibrante “Chi è il tuo parrucchiere?”

“Oh, io non sono di queste parti.” s’affrettò a rispondere Mava mettendo le mani avanti. Il semaforo era ancora rosso e le automobili sfrecciavano rapide davanti a loro.

“Beata te. Questo posto è uno schifo.” sbuffò l’altra alzando gli occhi al cielo “Non sai cosa darei per andarmene.”

Mava s’accigliò “Sarà perchè sono una turista, ma a me sembra tutto bellissimo…”

“Un corno. E’ tutta facciata, tutto tirato a lucido in previsione delle nuove elezioni del sindaco. Dicono che siamo tutti uguali, ma ci sono sempre animali più uguali degli altri. Sai da quanti anni non abbiamo un sindaco Preda? Senza offesa, eh, non prenderla sul personale. Sembri una apposto, per un Predatore.”

“...Come dicevo, non so davvero come vanno le cose qui.” ammise la volpe, improvvisamente a disagio. Una parte di lei avrebbe voluto tagliar corta la conversazione e procedere dritta per la sua strada, ma qualcosa le diceva che avrebbe dovuto investigare. Del resto, non erano andati in quel mondo esplicitamente per risolvere problemi? Scacciare l’Oscurità? Forse la cerbiatta poteva darle qualche indizio su dove cominciare. “Ma vorrei capire.”

“Cosa c’è da capire? Quelli in alto stanno sulle spalle di quelli più in basso. La forza lavoro è composta all’ottanta per cento di Prede che si spaccano la schiena tutti i giorni e a trarne profitto sono i tipi in giacca e cravatta. Se succede qualcosa ad una tigre puoi star certa che sarà su tutti i giornali, ma se un’intera famiglia di gerbilli sparisce nel nulla nessuno batte ciglio.”

Il semaforo s’illuminò di verde e le due mammifere attraversarono insieme, in mezzo al resto degli animali indaffarati nella loro routine quotidiana. Giunte dall’altro lato, la cerbiatta le rivolse un cenno di saluto “Ma che ci possiamo fare? E’ così che va il mondo. Stai attenta se capiti dalle parti di Tundratown, girano dei brutti ceffi ultimamente.”

“Grazie.” la salutò Mava, con un una zampa “Buona giornata.”

“Anche a te.” le fece l’occhiolino l’altra, tirandosi lo zaino tempestato di spille e toppe di band punk sulle spalle e scendendo le scale che conducevano alla stazione della metropolitana.

Mava gettò uno sguardo alle indicazioni stradali sulla cartina alla fermata dell’autobus più vicina ed inboccò Lion’s Maw Street, raggiungendo finalmente la piazza principale. L’enorme area lastricata era gremita di animali intenti a correre di qua e di là per tornare in tempo a lavoro dopo la pausa pranzo. La statua dei due fondatori, una pecora ed un lupo, troneggiava al centro della piazza. Li raffigurava mentre si stringevano la zampa di fronte ad un modello in scala della città. A giudicare dagli abiti seicenteschi che le due statue di bronzo indossavano, Mava intuì che nel corso della sua storia, Zootopia fosse andata incontro a molti cambiamenti e difficoltà, così come ogni grande città.

Entrò nell’androne principale del municipio e per poco non calpestò un gruppo di topolini indaffatatissimi che stavano trasportando pacchi e pacchi di pratiche piccole come post-it. Scusandosi ripetutamente, la ragazza-volpe si diresse verso lo sportello informazioni dove una zebra dall’aria annoiata si stava distrattamente limando gli zoccoli con una lametta. “Siamo chiusi al pubblico, torni domani per cortesia-”

Mava si chinò in avanti, lasciando scivolare un biglietto attraverso la fessura nel vetro dello sportello. “Sono certa che per me farete un’eccezione. La mia presenza e quella dei miei compagni è stata richiesta dal sindaco in persona.“

La zebra si raddrizzò gli occhiali sul lungo muso striato, osservando il pezzo di carta. Non appena riconobbe il sigillo che vi era impresso, i suoi grandi occhi marroni schizzarono di nuovo sulla volpe che la fissava sorridendo e Mava non si lasciò sfuggire l’ombra di inquietudine che li aveva attraversati, anche se soltanto per un istante.

“Siete un’Estranea?

Era così che gli abitanti di un mondo si riferivano a qualsiasi altra creatura che non fosse nativa del posto. O almeno era così che i pochi a conoscenza dell’esistenza degli altri mondi facevano. Per un cittadino qualunque, quella domanda avrebbe avuto tutto un’altro senso e probabilmente l’avrebbe lasciato piuttosto confuso.

“Sì. I miei compagni sono già arrivati? Abbiamo avuto un piccolo inghippo.”

“Temo di no, signorina. Preferite aspettarli qui? Oppure posso… posso farvi accomodare sul retro, se volete.” era chiaro che la zebra non si fosse mai trovata a dover gestire una situazione come quella ed era visibilmente a disagio. Nella sua testa, immaginava chissà quale forma mostruosa nascondersi sotto l’aspetto illusorio della volpe che aveva davanti. Mava trovava la cosa piuttosto divertente, ma al tempo stesso non voleva mettere troppo a disagio l’impiegata. “Ditemelo voi, preferite che stia qui?”

“Se andate sul retro, il sindaco potrebbe già aver tempo per ricevervi.”

“Molto bene. E, state tranquilla signora, non mordo mica.”

La zebra si lasciò sfuggire una risatina nervosa, uscendo dalla cabina con un mazzo di chiavi tra gli zoccoli per sbloccare la porta dell’ascensore di servizio “Qui a Zootopia, non si può mai sapere con certezza.”

“Ma io non sono di queste parti.” le fece notare Mava con un sorriso. Pessima idea, dato che mise in bella mostra le zanne mandando un brivido lungo la schiena della sventurata impiegata.

°°°

La tormenta si faceva sempre più impetuosa, infierendo sugli edifici fatiscenti e abbandonati come carcasse in quell’immensa distesa di ghiacci.

Luxu, stringendo tra gli zoccoli la manica della tunica di Hafet, lasciava che fosse lui a fare strada in quella tempesta di neve ma era chiaro che neanche lui riuscisse più ad orientarsi. Com’era possibile che nel bel mezzo di una città ci fosse una zona così inospitale? Era come se un intero quartiere fosse stato abbandonato all’improvviso e lasciato in balia delle intemperie. Eppure, entrambi gli apprendisti avvertivano chiaramente la presenza di qualcuno. Si sentivano osservati sin da quando avevano messo piede in quella sottospecie di baraccopoli artica.

Che razza di animali potevano vivere in un posto del genere?

Nell’udire un ululato in lontananza, Luxu si pentì di essersi fatto quella domanda.

“Hafet questa situazione non mi piace affatto.” disse a mezza voce, arrancando dietro all’amico in mezzo alla neve.

“Nemmeno a me. Ma non possiamo restare fermi qui o moriremo assiderati. Se davvero siamo a sud di Glacier Falls, non manca molto a raggiungere Downtown, dobbiamo solo arrivare alla funicolare.”

“Oh, perchè tanta fretta? Siete appena arrivati…” una voce graffiante risuonò alle loro spalle, facendoli sussultare entrambi. I due apprendisti si voltarono di scatto, trovandosi faccia a faccia con un grosso cane husky dall’aria tutt’altro che raccomandabile. Indossava una lunga giacca di pelle nera e il suo orecchio destro era quasi interamente mancante, probabilmente morsicato durante una rissa.

“Perchè non vi fermate un pò a fare due chiacchiere, eh? Non riceviamo molte visite quaggiù.”

Al suo fianco, anche un orso polare ed una coppia di linci artiche dall’aria altrettanto minacciosa emersero dalla coltre di neve.

Hafet sentì la stretta di Luxu sul suo braccio farsi così forte da bloccargli la circolazione e il ragazzo-leopardo non se la sentì di biasimarlo. Qualcosa nei suoi nuovi istinti da erbivoro doveva aver bypassato la consapevolezza di essere in realtà un essere umano sotto un incantesimo e stava intimando a Luxu di correre ai ripari. Era una Preda circondata da Predatori.

“Non siamo in cerca di guai.” disse Hafet a muso duro, piantando bene le zampe nella neve. “Lasciateci passar-”

“Oh, ma noi sì, vero capo?” ringhiò l’orso polare, scrocchiandosi le dita artigliate. Una delle due linci sogghignò, ma l’altra, e questo fu Luxu a notarlo, si tirò indietro nell’ombra dell’esemplare più grande.

“Sembra l’occasione perfetta per mettere alla prova il nostro nuovo acquisto.” assentì l’Husky voltandosi verso la lince più giovane “Vuoi far parte della banda, pivello? Suonale quattro a queste mammolette e sei dei nostri.”

Il felino si fece avanti con passo incerto. Non poteva essere molto più grande dei due apprendisti, forse persino più giovane di loro. Indossava un paio di jeans strappati, anfibi ed una maglia con impresso il logo di un teschio di lupo. Tutto nel suo aspetto lasciava trasparire che volesse farsi passare per qualcuno di più maturo e più pericoloso di quanto in realtà non fosse.

“Allora?” insistette il capobranco, inarcando un sopracciglio.

“Io…” il cucciolo di lince fissò Hafet e Luxu immobili in mezzo alla neve. Il leopardo rispose al suo sguardo con determinazione, come per sfidarlo a provarci, ma la capra gli rivolse un’espressione carica di comprensione e sembrava sul punto di dire qualcosa, ma fu interrotto prima che potesse farlo.

“Guarda e impara, ragazzino!” con una risata, la lince adulta si avventò senza alcun preavviso contro Luxu, facendogli perdere la presa sul braccio di Hafet e mandandolo a ruzzolare nella neve. La lince lo sbattè a terra con le spalle contro il ghiaccio, sollevando una zampa per prepararsi a colpire. Alla vista degli artigli affilati, Luxu reagì in preda al panico, si spinse in avanti e scalciò così forte da mandare la lince a zampe all’aria

“Luxu!” Hafet si voltò di scatto e l’orso polare ne approfittò per assalirlo a sua volta, afferrandolo per le braccia ed immobilizzandolo contro il largo torace peloso.

Hafet si dimenò nella sua stretta “Mettimi giù!”

La lince si rimise in piedi e soffocò un gemito di dolore. Tenendosi una zampa sul ginocchio dolorante che Luxu aveva colpito, puntò gli occhi gialli con le pupille ridotte a due capocchie di spillo contro quelli dell’apprendista “Questa me la paghi, mangia-erba!”

Hafet tentò di liberarsi di nuovo, affondando le unghie negli enormi avambracci dell’orso, ma la sua pelliccia era così spessa e fitta che non sortì alcun effetto. “Luxu, scappa!”

“Figurati se ti lascio qui!” Luxu balzò in piedi a sua volta, combattendo con tutte le sue forze contro l’istinto che gli diceva di seguire il consiglio dell’amico.

L’husky si affiancò alla lince più giovane che era rimasta immobile ad assistere all’intera scena, troppo spaventata per intervenire. “Ragazzo mio…” gli soffiò in un orecchio chinandosi su di lui, l’intera dentatura bianchissima scoperta e grondante di saliva “...non erano questi gli accordi. Se vuoi guadagnare qualcosa e aiutare quella cara sorellina a cui tieni tanto, dovrai darti da fare.”

“Signore, io…”

“Sei un Predatore sì o no?!” ruggì il capobranco strattonandolo per il bavero “Fatti crescere una spina dorsale, per la miseria! I rammolliti come te sono esattamente il motivo per cui le Prede la fanno da padrone in questo mortorio di città!”

“Non dargli ascolto!” Strillò Luxu, serrando i pugni “Non ho la minima idea di cosa accidenti stia succedendo ma una cosa la so: siete soltanto un branco di bulli da quattro soldi! E io sono stanco di vedere i più forti prendersela ogni volta con chi non può difendersi!”

“Sentitela, la capretta!” il cane uggiolò dal ridere “Dovresti prendertela con Madre Natura, non con me! Questa città ci vuole addomesticati e con la museruola, ma non è per questo che siamo nati! Anche il tuo amico qua...” gesticolò vagamente in direzione di Hafet che continuava a tentare di liberarsi. “...se potesse sbranarti senza temere le conseguenze legali di questa trappola che chiamiamo ‘civiltà’ lo farebbe senza alcuna esitazione!”

“Il solo a cui vorrei sbranare qualcosa sei tu, cagnaccio!” soffiò Hafet e, motivato da un nuovo slancio di rabbia, affondò i denti nella pelliccia dell’orso e più precisamente nel palmo della zampa dove il cuscinetto di pelle esposta cedette sotto la pressione delle sue zanne.

Con un ringhio, il bestione allentò la presa e Hafet riuscì finalmente a svicolare fuori dalla sua morsa, voltandosi di scatto e graffiandolo dritto sul muso.

L’orso si passò gli artigli sulla ferita, un’espressione sorpresa impressa sul volto bianco chiazzato di sangue “Mi piaci, gattino! Ci sai fare!” Si complimentò con una risata mista ad un ruggito “Hey, capo! Perchè non prendiamo lui nella banda al posto di questa mezza cartuccia?”

Il cucciolo di lince abbassò lo sguardo sulla punta delle scarpe.

“Che ne dici, leopardo? Di unirti ai tuoi fratelli Predatori? Cosa ci stai a fare con quel pezzo di carne da macello?”

“Sto bene dove sto, grazie.” gli rimbrottò Hafet, monitorando Luxu con la coda dell’occhio visto che la lince adulta si stava preparando ad assalirlo di nuovo. Avrebbe voluto correre ad aiutarlo, ma non poteva farsi cogliere alla sprovvista una seconda volta. “E anche tu, ragazzino! Non dargli ascolto! Queste carogne ti stanno solo usando!”

Il cucciolo di lince guardò il giovane leopardo con gli occhi pieni di paura e confusione “D-devo farlo…”

“Esatto.” insistette l’Husky posandogli una zampa sulla spalla “Altrimenti non rivedrai la tua amata sorellina.”

“Che cosa le avete fatto?!” ruggì Hafet decidendo finalmente di usare le maniere forti. Evocò dall’etere il suo bastone magico e lo tenne alto davanti a sé, facendo sobbalzare i tre animali che gli stavano di fronte. Alle ortiche la loro copertura, qui la faccenda si stava facendo troppo seria ed era chiaro che non erano soltanto loro ad essere in pericolo, ma anche quella povera giovane lince.

“Cos’è quell’affare…?” chiese l’orso facendosi guardingo “E’ apparso dal nulla!”

“Qualcosa con cui vi farò molto male.”

Alle sue spalle, Hafet poteva sentire il combattimento tra Luxu e la lince farsi sempre più violento nonostante la neve ovattasse i loro passi rapidi.

Il felino adulto si scagliò contro Luxu ad artigli sfoderati e Luxu balzò indietro, facendo materializzare l’arco e scagliando una freccia dritta in faccia al suo aggressore.

La lince non si fermò, come se il proiettile le fosse passato attraverso.

“Ma cosa-?!”

La zampa artigliata si chiuse attorno alla spalla dell’apprendista, affondando le unghie nella carne e Luxu si trovò sollevato di peso da terra e poi scaraventato di nuovo giù, il muso affondato nella neve. Cercò di rialzarsi, ma la lince gli schiacciò giù la testa con un piede “Esatto, capretta. Quello è il tuo posto!”

Hafet serrò la mascella. “Ne ho abbastanza!” sollevò l’asta sopra la testa, deciso a mettere fine a quell’assurda colluttazione una volta per tutte “STOP!”

L’Husky e l’orso si scambiarono un’occhiata di sufficienza prima di scoppiare a ridere. “Stop? Ma che, sei scemo? Perchè accidenti dovremo obbedirti?!”

Hafet si rigirò il bastone tra le mani senza capire. Perché non aveva funzionato? La sua magia non l’aveva mai tradito in questo modo! E di certo non era una restrinzione imposta dall’incantesimo di trasfigurazione di Perbias perchè mentre lui e Luxu stavano cadendo, entrambi avevano lanciato incantesimi per proteggersi.

Ma allora perchè non sentiva nemmeno una scintilla di magia correre attraverso l’asta?

Il capobranco tornò ad aizzare la giovane lince “Vallo a prendere, novellino. Fallo e sei dei nostri. Dai, Lysander ci sta rubando tutto il divertimento, guarda come ha messo al tappeto quel mangia-erba.”

Lo sguardo del cucciolo si rabbuiò. Era chiaro che qualunque barlume di speranza quei due estranei potessero avergli offerto s’era già spento.

Le loro erano solo belle parole. Favolette per bambini. Il più forte vince sempre, il più forte schiaccia gli altri.

E se lui non fosse diventato forte a sua volta, il capobranco gliel’avrebbe fatta pagare. A lui, e a sua sorella.

Il cucciolo sfoderò gli artigli, un bagliore feroce nato dalla disillusione e dalla frustrazione ad accendergli gli occhi gialli.

Mentre si preparava ad attaccare, Hafet indietreggiò alla vista di una densa coltre d’Oscurità che sorgendo dalla neve bianchissima andava ad avviluppare il piccolo.

Anche l’husky e l’orso la videro, sgranando gli occhi per la paura “Ma che diamine-?!”

Hafet serrò la presa attorno al bastone e lo sentì nuovamente caricarsi d’energia mentre la colonna di buio si solidificava attorno al corpicino della giovane lince come un’armatura, avvolgendolo in una cappa d’ombre pulsanti.

“Ma certo, come ho fatto a non capire?” si domandò Hafet con la voce ammantata di tristezza “Voi siete carogne così di bassa lega che l’Oscurità neanche si prende la briga di manifestarsi. Ma un cuore ancora puro… quello si che è un bel premio da reclamare.”

La lince che teneva Luxu fermo a terra era così affascinata dalla manifestazione dell’Heartless che Luxu riuscì finalmente a sollevare la testa quanto bastava per vedere quel che stava succedendo. “Ma guarda un pò!” ruggì la lince “Chi l’avrebbe mai detto che quella mezza tacca fosse un mostro del genere!”

“Ma dico, ti sembra una cosa normale?!” abbaiò l’Husky in risposta “Però, sai una cosa? Hai proprio ragione. Con questa bestia dalla nostra parte, saremo inarrestabili!” il capobranco tornò a sghignazzare e a sbavare “Falli a pezzi, pivello! Facci vedere di che pasta sei fatto!”

 

°°°

Rimasta sola nella sala d’attesa, Mava gettò la testa all’indietro traendo un sospiro sconsolato. Era passata quasi un’ora e del maestro e i suoi compagni neanche l’ombra. Stava iniziando davvero a preoccuparsi. Ma cosa poteva fare? Non aveva idea di dove cercarli, potevano essere ovunque! E se non erano arrivati a Zootopia quante possibilità aveva di rintracciarli?

“Possa il mio cuore essere la mia chiave guida.” mormorò, prendendosi la testa tra le zampe e sforzandosi di trovare una soluzione.

In quel momento, la porta dell’ufficio del sindaco si aprì ed un gorilla-poliziotto scortò fuori una cucciolotta di lince con gli occhi ancora arrossati dal pianto. “Stai tranquilla, piccolina.” la rassicurò il mammifero in uniforme “Troveremo tuo fratello prima che gli accada qualcosa di brutto, te lo assicuro.”

Alla vista del velo d’Oscurità che aleggiava intorno alla piccola, Mava trasalì.

La bambina si torse nervosamente le zampette, sforzandosi di ricacciare indietro le lacrime “E’ tutta colpa mia! E’ andato da quei brutti ceffi perché voleva aiutarmi-”

“C’è qualcuno che può occuparsi di te mentre procediamo con le indagini?”

“Io e mio fratello… siamo solo noi due…”

Il gorilla non sembrava per niente sorpreso e Mava lesse chiaramente la tristezza nei suoi occhi. Non doveva essere la prima volta che quel poliziotto si trovava a fronteggiare una situazione del genere. Vedere un animale così grande e grosso sciogliersi di fronte ad una bambina le strinse il cuore in una morsa.

“Ti porterò alla centrale, da lì vedremo di trovare qualcuno che possa badare a te-”

“Voglio mio fratello!” singhiozzò lei, scacciando la manona del primate “Nessun’altro! Riportatelo da me!”

Lui si raddrizzò in tutta la sua statura, traendo un sospiro profondo “Faremo il possibile, piccolina.”

“Signore..?” Mava s’intromise con più tatto possibile “Non ho potuto fare a meno di origliare e me ne scuso. Ma forse posso esservi d’aiuto.”

Il gorilla la scrutò di sotto in su con perplessità “Siete una civile?”

“Non esattamente.” disse lei, estraendo nuovamente dalla tasca il biglietto recante il sigillo del Maestro. Non sapeva se l’animale che aveva di fronte fosse un comune poliziotto o una figura con un qualche tipo d’autorità, ma valeva la pena tentare.

Se non avesse riconosciuto il simbolo, si sarebbe inventata qualcosa.

Invece, alla vista del cuore alato impresso sulla carta, lo sguardo del primate si fece improvvisamente serio. “Vi ascolto.”


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Un intero capitolo senza la mamma Perbias?! Oddio! D:
Sembra quasi che a Zootopia nessuno sia contento della propria situazione. Forse perchè, come il matrimonio di Renzo e Lucia, quello tra Prede e Predatori 'non s'ha da fare'?
Chiedo venia per le citazioni di George Orwel affiancate a quelle di film animati di serie B, ma Kingdom Hearts è una serie strana che m'ispira robe strane. Alla prossima :D

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Capitolo 16
*** ✭ One of a Kind ***


ONE OF A KIND

These are the lies and the lives of the taken,
these are their hearts but their hearts don't beat like ours.
They burn 'cause they are all afraid,
But mine beats twice as hard.
[The World is Ugly - My Chemical Romance]


 

L’Heartless si lanciò alla carica lasciando profondi segni d’artiglio nel ghiaccio. Le zampe possenti scuotevano il terreno e la nube d’Oscurità che avvolgeva la creatura si fece così densa da oscurare il cielo.

Hafet non arretrò di un solo passo, nuovamente in possesso delle sue straordinarie abilità magiche e chiamò in suo soccorso lo stesso ambiente frigido che lo circondava. Con un movimento deciso del bastone, scagliò un incantesimo Blizzara proveniente dal basso, facendo spuntare decine di affilatissimi cristalli di ghiaccio e creando una barriera insormontabile tra lui e i suoi aggressori.

L’husky e l’orso polare si trovarono improvvisamente isolati in compagnia di una bestia d’ombre decisamente infuriata ed ebbero ben poco tempo per rendersi conto di cosa li aspettasse prima che l’Heartless si avventasse su di loro.

Ignorando gli uggiolati di terrore oltre la barriera, Hafet girò sui tacchi correndo in soccorso di Luxu, ancora schiacciato sotto la zampa artigliata della lince adulta. “Come diamine hai fatto a-?!” ruggì quest’ultima in preda al panico alla vista della muraglia di ghiaccio, improvvisamente consapevole di essersi cacciata in qualcosa di ben troppo pericoloso per un delinquente da quattro soldi come lui.

Una violenta nube di nevischio s'abbattè su tutti i presenti e il suo arrivo fu così improvviso e prorompente da non lasciare alcun dubbio sulla sua origine magica, almeno non per Luxu ed hafet che erano familiari con quel tipo di fenomeno. Hafet si fermò, proteggendosi gli occhi dalle folate di vento tagliente.

La lince si guardò attorno sbalordita, gli occhi gialli che saettavano da una parte all'altra "Ma che diamine-"

Fu sbalzata via da con tale violenza che persino Luxu si trovò sollevato in aria per un istante prima di ricadere faccia a terra nella neve.

Sentì il Predatore farfugliare qualcosa di incoerente e, quando Luxu sollevò nuovamente la testa cornuta, scorse la sua sagoma sfocata in mezzo alla tempesta tentare di darsi alla fuga, ruzzolando rovinosamente sul ghiaccio solo per essere colpita di nuovo con ferocia e scaraventata nella direzione opposta.

Qualcosa di grosso e indefinito si muoveva al ritmo della tempesta, era come un ombra che appariva e scompariva, facendosi sottile per poi allargarsi di nuovo, occupando tutto lo spazio, oscurando il sole pallido come l'ombra del batter d'ali di una falena di fronte alla fiamma. La 'cosa' balzò sul muso della sventurata lince, e il luccicare dei suoi artigli fendette il muro di nevischio. Il grido di dolore che seguì gelò a Luxu il sangue nelle vene più di quanto la neve in cui era affondato non avesse già fatto. La lince crollò a terra, priva di sensi.

E fu allora che Luxu li vide, centinaia di snervanti occhi blu, fissarlo spalancati in mezzo alla tormenta. Che razza di animale poteva avere così tanti occhi? Un ragno gigante? Una bestia aliena proveniente da un altro mondo?

Una risata riecheggiò tra i palazzi fatiscenti mentre la tempesta andava acquietandosi. Gli occhi blu fremettero, chiudendosi uno dopo l’altro fino a scomparire e una figura snella emerse dalla bufera al loro posto, le zampe nodose e dai lunghi artigli che procedevano sicure sul terreno ghiacciato.

Davanti a loro, dritto in piedi e con la lunga coda iridescente drappeggiata dietro di sé come il mantello d’ermellino di un sovrano, stava nientemeno che un pavone dal lustro piumaggio blu cobalto, lo stesso colore dei capelli del Maestro.

“Scusate il ritardo.” trillò allegramente, schiudendo il becco grigio in un sorriso fin troppo familiare.

Luxu si tirò su a sedere, fissando il nuovo venuto senza credere ai propri occhi.

Perbias gli passò affianco, le ali ripiegate contro i fianchi che sembravano imitare la posa contemplativa che amava assumere anche da umano. Indossava ancora i suoi abiti eleganti, il colletto inamidato con tanto di papillon che cingeva il lungo collo ricoperto di piume lustre e i pantaloni del gessato che s’interrompevano all’altezza delle ginocchia ripiegate in avanti. Nonostante il suo aspetto fosse nel complesso piuttosto buffo, Luxu era certo che nessun animale avrebbe voluto ritrovarsi alla mercé delle sue zampe artigliate da velociraptor. Di certo, non la lince che aveva appena messo al tappeto.

“Cosa abbiamo qui? Un leopardo e una capra, ma che carini che siete!”

Hafet fu il primo dei due a riprendersi dalla sorpresa e dalla foga della battaglia appena conclusasi “E voi siete un uccello.” boccheggiò, tirando il fiato.

“Così pare.” rispose Perbias arruffando le piume. Sembrava perfettamente a suo agio in quel corpo e chissà come mai, Luxu non ne fu per niente sorpreso. In effetti, si domandò se esistesse sulla faccia della terra un altro animale che potesse calzargli a pennello più di un pavone dai colori sgargianti.

“In una città popolata esclusivamente da mammiferi?” gli fece notare Hafet inarcando un sopracciglio. “Bel modo di passare inosservato!”

Il Maestro inclinò la testa sorretta dal lungo collo “Sai meglio di me che sono il cuore del Mondo e il nostro a decidere l’aspetto che assumiamo. Evidentemente, il cuore di questo Mondo ha pensato fosse opportuno farmi spiccare tra la folla.”

“Siete unico nel vostro genere, questo ve lo concedo.” Rise Hafet tornando però poi a farsi serio “Ma, adesso che siete qui, dovremo occuparci di questo poverino.” spostò lo sguardo sulla gabbia di ghiaccio in cui aveva intrappolato l’Heartless e la creatura ringhiò, artigliando la parete liscia nel vano tentativo di evadere. Degli altri due animali non v’era più alcuna traccia.

Il pavone raggiunse il leopardo con balzi rapidi “...poverino?” indagò con perplessità, fissando la bestia feroce attraverso i cristalli.

“Lo abbiamo visto trasformarsi.” spiegò Luxu “Non voleva combatterci, ma gli altri lo hanno aizzato contro di noi. E’ soltanto un cucciolo!”

“Ed è diventato così.” ponderò il pavone sfregandosi la punta del becco con le piume dell’ala destra. Proprio come gli zoccoli di Luxu presentavano un terzo ‘artiglio’ che fungeva da pollice opponibile, anche le ali di Perbias erano modellate in modo da ricordare vagamente delle mani. I processi evolutivi degli animali di quel Mondo erano davvero sorprendenti.

“C’è qualcosa che possiamo fare per aiutarlo?” chiese Luxu, speranzoso. “Forse non è troppo tardi!”

“Posso liberare il suo cuore, questo è certo. Ma farlo tornare come prima? Non credo che sia possibile.” Perbias si rabbuiò, gli occhi blu dalle palpebre spesse adombrati dalle sopracciglia fatte di piume “Si è lasciato andare completamente. Non ha solo lasciato entrare l’oscurità, ha lasciato che essa lo divorasse. E’ facile cedere in questo modo quando si è bambini: tutto ci sembra molto più serio e tragico di quanto non sia in realtà, ogni piccola cosa sembra la fine del mondo.”

“Quelle carogne lo stavano ricattando.” disse Hafet, la voce piena di disgusto “Minacciavano di far del male a sua sorella.”

“Tragico. E decisamente non causato da un’inezia. Doveva avere un cuore molto forte.” Lo sguardo del maestro si fece mesto. E nel vederlo così abbattuto, Luxu capì che non c’era davvero niente che potessero fare. “Se fossi arrivato prima-” si voltò, fissando intensamente i suoi apprendisti “Ma è inutile piangere sul latte versato. Ve l’ho detto tante volte, non possiamo salvarli tutti.”

“Quello che non capisco,” riprese Hafet, cercando di farsene una ragione “è perché soltanto lui ha attratto l’Oscurità? Gli altri erano decisamente più cattivi!”

“Era un cucciolo di che cosa? Predatore, presumo?”

“Lince.” mormorò Luxu “Come quel bastardo che me le ha suonate.” alluse con un gesto all’animale privo di sensi alle loro spalle.

“Ti sei difeso bene.” lo rassicurò Hafet dandogli una pacca sulle spalle.

“Sì, come no…!” {As if..!}*

“Questo mondo sembra obbedire a leggi diverse dal nostro per quanto riguarda cos’è Luce e cos’è Oscurità. Si comportano come esseri umani, per la maggior parte, ma gli abitanti di Zootopia sono pur sempre degli animali. E’ ‘oscuro’ assecondare la propria natura? Se il tuo gatto si mangiasse un topo, Luxu, questo lo renderebbe un malvagio?”

Il ragazzo-capra ci pensò su “Immagino di no. E capisco dove vuoi arrivare: quei Predatori si stavano comportando secondo natura. E’ il fatto che fossero vestiti e in grado di parlare che ce li fa sembrare cattivi, perchè pensiamo a loro come esseri umani.”

“Bingo!” annuì il Maestro, facendo ondeggiare la cresta di piume che aveva sul retro della testa “Per questo è stato solo lui ad essere influenzato dall’Oscurità. Non voleva combattervi, non voleva assecondare la propria natura. Ed è stato l’opporre resistenza a renderlo vulnerabile, oltre al fatto di essere molto giovane ed influenzabile, probabilmente.”

“Ma allora questo significa…” Hafet sbattè le palpebre “...che cercare di far coesistere Prede e Predatori non fa altro che costringere questi ultimi a reprimere i loro istinti?”

“Sembra la spiegazione più logica, anche se è difficile dirlo con certezza. Ma nel frattempo...” Perbias spiccò un balzo, aprendo le larghe ali screziate di arancio e marrone e atterrando dritto sull’orlo della barriera di punte di ghiaccio. Evocò il suo Keyblade e Luxu notò che la forma dell’impugnatura era cambiata per adattarsi alla sua nuova mano piumata “...occupiamoci di questo poverino.”

°°°

L’ululare delle sirene delle volanti della polizia riempiva l’aria e i marchi scuri dei pneumatici imbrattavano la neve come gli scarabocchi di un bambino su un muro immacolato.

I poliziotti ammanettarono la lince, tenendola immobilizzata contro il cofano dell’auto e ricordandogli che aveva il diritto di rimanere in silenzio, ma quest’ultima non sembrava per niente intenzionata a farlo. Dimenandosi e soffiando, continuava a strillare in direzione di Luxu, Hafet e Perbias “Quei tre! Sono stati quei tre dovete credermi! Non sono animali normali, loro-”

“Certo, certo, risparmiati le frottole per il giudice.” sbottò un rinoceronte-poliziotto spingendolo all’interno della vettura e sbattendogli la portiera in faccia. “Portatelo via!”

Un’altra automobile li raggiunse slittando un poco sul ghiaccio nonostante le grosse gomme da neve. A differenza delle volanti della polizia, era tirata a lucido come un’auto di rappresentanza e portava lo stemma della municipalità di Zootopia impresso sul cofano.

Scortato da due alani bodyguard in giacca e cravatta, il sindaco di Zootopia in persona scese dall’auto dirigendosi verso i tre Estranei. Era una tigre femmina, vestita di un rigoroso tailleur nero e con la pelliccia perfettamente acconciata tra le orecchie rotonde. Dall’alto della sua statura di animale adulto, torreggiava sui tre con aria intimidatoria, ma Perbias non fece una piega. “E’ un piacere incontrarvi di persona, Signora Sindaco.”

“Immagino siate il ‘Maestro’.” rispose lei, senza curarsi di celare la propria diffidenza. Si aspettava un individuo un tantinello più solenne ed imponente di uno strano uccello colorato. Ovviamente, sapeva che quello non era il suo vero aspetto ma di certo non contribuiva a farle una migliore prima impressione.

I mammiferi di Zootopia avevano ben poco a che spartire con i loro cugini rettili ed uccelli che vivevano in zone completamente isolate del loro Mondo, limitando al massimo i contatti gli uni con gli altri.

Perbias si esibì in un breve inchino, ripiegando un’ala contro il petto e stendendo l’altra in tutta la sua, notevole, ampiezza. “In persona. E questi sono i miei studenti, Hafet e Luxu.”

“Ve ne siete persa una per strada, temo.” gli fece notare la tigre, accennando all’automobile. Mava scese con un balzo, correndo incontro ai compagni.

“Mava!”

La bambina si gettò al collo di Perbias affondandogli il musetto tra le piume. Non sembrava per niente sorpresa del fatto che il Maestro fosse un animale completamente diverso da loro. “Finalmente vi ho trovati!”

Lui sorrise, becchettandole affettuosamente un orecchio “Dove eri finita, ragazza mia?”

“Sono caduta nel quartiere sub-tropicale.” spiegò, mettendo il broncio “Ma sono riuscita ad arrivare al municipio e ho spiegato tutto alla Signora Sindaco.” aggiunse poi, orgogliosamente.

“Proprio così. Per questo, trovarvi già sul luogo dell’indagine non mi sorprende affatto.” riprese la tigre incrociando le braccia “Come ogni città, anche Zootopia ha il suo substrato criminale ma da qualche tempo a questa parte stiamo incontrando ostacoli che sono al di fuori della nostra portata.” il Sindaco fece cenno ai suoi sottoposti di allontanarsi, così che potessero parlare in privato. I due bodyguard annuirono, assicurandosi che nessuno dei poliziotti s’avvicinasse abbastanza da poter origliare la loro conversazione.

“Alcuni animali si stanno trasformando in mostri. Letteralmente. Possiamo gestire individui violenti, ma questo è qualcosa che esula dalla nostra comprensione. Persino alcune Prede si sono trasformate.”

Luxu inarcò un sopracciglio “Anche le Prede?”

“Non mi stupisce.” disse Perbias, facendosi pensieroso “E’ lo stesso problema che abbiamo dalle nostre parti. E, come lei sa, da noi non esiste una distinzione netta tra Preda e Predatore.”

“Quindi, può succedere a chiunque?”

“A chiunque e a qualunque cosa abbia un cuore. Quello che dobbiamo capire è perchè sta succedendo.”

“Maestro, al municipio ho incontrato una cucciola di lince. Teme che suo fratello si sia invischiato in giri pericolosi e-”

Il sindaco di Zootopia la zittì con un cenno “Queste sono informazioni confidenziali, signorina Mava.”

“Ma noi possiamo aiutare!” insistette lei tornando a rivolgersi al Maestro “Non è vero?”

Luxu ed Hafet si scambiarono un’occhiata inquieta, chiedendosi come Perbias le avrebbe comunicato la brutta notizia. Lui tirò un sospiro amareggiato “Siamo arrivati-” esitò “Sono arrivato troppo tardi.” si corresse, stirando gli angoli del becco in una linea dura. “Si era già trasformato.”

Mava lo guardò spiazzata, i grandi occhi verdi e lucidi che sembravano processare quell’informazione e tutte le sue ramificazioni. Luxu temeva che sarebbe scoppiata a piangere, invece, dimostrando un’inaspettata maturità disse, abbassando lo sguardo “La piccola è davvero sola al mondo, adesso.”

La tigre le posò una zampa sulla spalla in un gesto conciliante “No che non lo è. Ci prenderemo cura di lei, le troveremo una meravigliosa famiglia adottiva. Zootopia si prende cura dei propri orfani.”

“Me la segnerei questa, sembra un’ottima storia da mettere in circolazione durante il periodo di propaganda pre-elezioni.” le fece notare Perbias con una punta di sarcasmo.

“State forse insinuando che le mie intenzioni non siano sincere, signor Maestro?” lo prese in contropiede il Sindaco, sdegnata.

“Tutt’altro. Era un consiglio. Io non l’ho mai sbandierato ai quattro venti, eppure tutti pensano che sia particolarmente magnanimo per aver preso sotto le mie ali questi giovanotti.” così dicendo, aprì le ali, posandole sulle spalle di Luxu ed Hafet, tirandoli in avanti in una dimostrazione a dir poco letterale di quel che aveva appena detto.

“Anzi, sa che le dico?”

Mava lo guardò interdetta, cercando di capire dove volesse andare a parare con quella messinscena.

“Penso che dovreste adottarla voi. E’ una decisione difficile da prendere, lo so. E certamente vi invito a considerarla con attenzione. Ma vi prego di pensarci.”

La tigre lo squadrò di sotto in sù. Qualcosa era cambiato nei suoi occhi e Mava non avrebbe saputo identificare esattamente cosa fosse, ma non era la prima volta che assisteva all’effetto sorprendente che le parole di Perbias avevano su qualcuno. Nonostante disponesse di una certa dose di carisma, non era esattamente l’oratore più brillante che fosse mai vissuto, eppure riusciva a mettere le sue idee in testa agli altri come se niente fosse.

“Lo terrò in considerazione.” disse infine il Sindaco, dopo una lunga pausa. “Adesso, gradireste aggiornarmi su cosa è successo qui, esattamente?”

Lui lasciò andare i due apprendisti, che fino ad allora erano rimasti curvi sotto le sue ali senza protestare “Purtroppo non c’è molto altro da dire, Signora Sindaco. Penso che il problema che avete per le zampe non sia di facile soluzione. Se quello che io e i miei apprendisti abbiamo ipotizzato dovesse dimostrarsi esatto, è Zootopia stessa ad essere il problema.”

“Non la seguo.”

“Prede e Predatori che coesistono in perfetto equilibrio? E’ come aspettarsi che il fuoco e la paglia stiano fianco a fianco senza che l’uno finisca per attizzare l’altro. Non si può impedire al fuoco di bruciare, lo si può solo contenere. Lei è un Predatore, sono certo che capisce cosa intendo.”

“Sta forse mettendo in dubbio il mio autocontrollo?”

“Tutt’altro, sto mettendo in dubbio il mio. In quanto onnivoro, sono sia Preda che Predatore e vorrei tanto mangiarmi una cavalletta o una lucertola in questo momento, ma la mia principale preoccupazione è tenermi a debita distanza da lei. I suoi antenati si mangiavano quelli come me per colazione ogni santo giorno, nella giungla.”

“Ma voi non siete un vero pavone.”

“Se preferite, posso anche tornare umano, eh.” sogghignò lui. Anche il suo becco privo di denti riusciva in qualche modo a replicare lo stesso sorriso infame che così spesso lampeggiava sulle sue labbra umane.

“Preferirei di no.” Sospirò il Sindaco. “Prego, continui.”

“Dicevo, non sono un vero animale… ed è proprio questo il punto. Il fatto che sia un Estraneo è l’esatta ragione per cui dovreste darmi ascolto. Io e i miei allievi possiamo offrirle un punto di vista esterno, imparziale. Non è forse per questo che ci avete chiamati?”

“A dire il vero, speravo poteste aiutarci a risolvere il problema dei mostri.”

Perbias fece alcuni passi nella direzione opposta con fare meditabondo. “Sa, Zootopia è un esperimento coraggioso, sicuramente degno di essere tentato. Lungi da me bollarlo come intrinsecamente destinato a fallire." Tornò a voltarsi verso la sua interlocutrice, precisando "Non che abbia alcuna autorità o diritto di farlo, sia ben chiaro. Questo è il vostro Mondo, spetta a voi decidere quale strada percorrere. Quel che posso dirvi è che l’Oscurità… quei ‘mostri’, come li chiamate voi, saranno inevitabili se continuate su questo sentiero. Purtroppo, non può esserci progresso senza correre qualche rischio.”

La tigre abbassò lo sguardo “State dicendo che non possiamo farci niente?”

“Sto dicendo che il problema che avete qui è ben diverso da quello che di solito incontriamo negli altri Mondi. La maggior parte delle volte, il nostro intervento si limita al rimuovere… il più delicatamente possibile… l’individuo o gli individui che sono la causa dell’anomalia. Usurpatori di troni, draghi che rapiscono le principesse, cose del genere. Ma qui? Cos’è che esattamente dovremo combattere secondo lei? Ogni volta che mettete una Preda e un Predatore nella stessa stanza esiste la possibilità concreta che la situazione sfugga di mano, c’è ben poco che possiamo fare se non augurarvi di riuscire a trovare un compromesso, lavorando insieme.”

Mava fece un passo avanti “Non tutti sono stati amichevoli con me quando mi sono persa, alcuni non mi hanno lasciato neanche spiegare senza darmi della criminale! Ma ho anche incontrato person- scusate, animali gentili che dicevano che Zootopia è molto migliorata rispetto al passato, altri che si lamentavano del problema opposto a quello che state discutendo adesso: Prede che si sentono oppresse dai Predatori e non viceversa. E’ tutto molto complicato, ma…” la volpe sorrise, rivolgendosi al sindaco “...avete costruito questa bella città tutti insieme, no? Secondo me potete farcela!”

Perbias si posò un’ala sul fianco “Esatto, questo è lo spirito giusto. E per quanto riguarda gli Heartless, se avrete bisogno di noi in futuro sapete come contattarci. Vi chiedo solamente di non farlo per casi isolati se siete in grado di gestirli da soli. Le vostre forze dell’ordine sembrano molto capaci.”

“Lo sono, abbiamo il miglior corpo di polizia sulla piazza.”

“Un giorno lo avremo anche noi. Per ora siamo solo in sette, ma anche il sottoscritto ha in programma di rimpolpare le fila, quando i tempi saranno maturi. E allora potrete chiamarci anche per i casi isolati. Avremo personale in esubero.” disse Perbias, rivolgendo un sorriso benevolo al Sindaco prima che i due si congedassero con una cortese stretta di zampe.

Luxu si domandò se il Sindaco fosse rimasta soddisfatta o meno del loro intervento e se le parole di Perbias l’avessero davvero convinta, ma si sentiva di dar ragione al Maestro su tutta la linea. Quell’incursione in quel mondo così familiare eppure così alieno era stata un’esperienza a dir poco illuminante. Non sarebbe mai più riuscito a guardare un animale, meno che mai il suo affettuoso gattino, con gli stessi occhi.

Mentre il pavone e la tigre si scambiavano gli ultimi convenevoli, Mava raggiunse i suoi compagni, tirandosi il cappuccio sugli occhi per proteggersi dal freddo “Il Sindaco mi sembra una brava tigre. Spero davvero che prenderà con sé quella lince! Ne deve aver passate davvero tante, la poverina.”

“Il Maestro ha liberato il cuore di suo fratello, se non altro.” disse Luxu alzando lo sguardo al cielo dove meno di una mezz’ora prima s’era librato il cuore che il Keyblade aveva restituito a Kingdom Hearts.

“Chissà cosa significa davvero. Dici che i cuori tornano al loro posto prima o poi?”

“Se non lo sa il Maestro, figurati se lo so io.” disse lui sconsolato “Ma sperare non fa mai male, no?”

“Già.” lei si grattò un orecchio con fare pensieroso. Poi, tutto d’un tratto, gli rivolse un sorriso birbone “Stavo quasi per dimenticare, voi due siete ADORABILI!”

“Eh?” Hafet e Luxu la guardarono di sbieco.

“Massì, sembrate due peluche!”

“Senti chi parla.” bofonchiò Luxu, grato che la peluria nera sulle sue guance celasse il suo imbarazzo. Ancora una volta, era una Preda in mezzo a due Predatori e anche se i due in questione erano i suoi amici, la cosa non lo faceva sentire meno patetico. Come se il fatto che Mava fosse molto più brava di lui in duello non fosse abbastanza!

“Oh! Aspettate!” Mava sobbalzò, come se all’improvviso si fosse ricordata di qualcosa di importante “Maestro?! Maestro venite qui!”

Perbias li raggiunse saltellando sulla distesa ghiacciata, gli occhi blu sulla coda piumata che rilucevano alla luce del sole che iniziava a calare. “Sì?”

“Ta-daaan!” Mava sollevò una zampa, evocando il suo Keyblade nuovo di zecca con un’espressione di puro orgoglio impressa sul musetto.

Sia Hafet che Luxu impiegarono come minimo una decina di secondi ad accorgersi di essere rimasti entrambi con la bocca spalancata.

Perbias, al contrario, s’era fatto di nuovo serio. E per quella che sembrò un’eternità, rimase chiuso in un gelido silenzio, gli occhi fissi sull’arma lucente ed affusolata che la piccola volpe teneva stretta in pugno.

“Maestro…?”

Lui si riscosse tutto d’un colpo, tornando lo stesso Perbias esuberante di sempre “Ma guarda un pò che sorpresa! E brava la mia Mava!”

“Come accidenti hai fatto?” le domandò Hafet ancora sbigottito, avvicinandosi per vedere meglio “C’è una volpe sull’elsa! Hey, ma il Keyblade di Azal non ha una testa d’unicorno nello stesso punto?”

Luxu aggrottò le sopracciglia “Questo significa che tutti i nostri Keyblade avranno l’animale in cui ci trasformiamo qui a Zootopia impresso sopra?”

“Dubito che Azal diventerebbe un unicorno in questo mondo senza magia. Massimo un cavallo!”

“Ottima osservazione... “ bofonchiò Luxu triplamente invidioso della compagna: animale predatore, brava nei duelli e adesso pure armata di Keyblade! Quella ragazzina non finiva mai di stupirlo.

“Non so bene come ho fatto.” disse lei facendo spallucce “Mi ero messa nei guai con un paio di gazzelle e dovevo saltare una recinzione per allontanarmi in fretta, così ho evocato i miei ventagli per lanciare Aero ma si è manifestato questo!”

Perbias le posò un’ala sulla spalla “Te la sei cavata benissimo, tutta sola. Mi dispiace che ci siamo separati, immagino tu sia stata molto spaventata. Ma se non altro hai imparato qualcosa di nuovo e tutto s’è concluso per il meglio.”

Lei annuì “Ho cercato di mantenere la calma come mi hai insegnato tu!”

Il pavone non potè fare a meno di sorridere. E non con il suo solito ghigno sardonico, ma genuinamente. “Oh e ovviamente siete stati bravi anche voi. Che non si vada a dire che non sono un insegnante imparziale!” aggiunse poi, rivolgendosi a Luxu ed Hafet, ancora intenti a studiare il Keyblade di Mava quasi cercassero di carpirne il segreto.

“Adesso però, torniamo a casa che mi si stanno congelando le penne. E speriamo di non incontrare problemi, questa volta. Ma teniamoci per mano mentre attraversiamo il portale, non si sa mai. Cerchiamo di non dividerci di nuovo, okay?”

“Maestro” s’intromise Hafet “Cos’è successo esattamente durante il viaggio di andata?”

Perbias sospirò “Vorrei tanto saperlo. Analizzerò i dati una volta tornati alla Torre per cercare di dare un senso a tutto questo. Se c’è qualcosa, o qualcuno, che interferisce con i nostri viaggi lo scopriremo.”

°°°

Illuminato dal riverbero verdastro degli schermi della Sala di Controllo, il volto del Maestro era come il barlume di una candela nella notte più nera, gli occhi blu fissi contro i numeri e i caratteri che scorrevano sul monitor.

La caffettiera sulla scrivania era vuota e la tazza che aveva riempito così tante volte adesso presentava uno spesso strato di rimasugli di zucchero tinto di marrone.

Era rimasto alzato tutta la notte, nonostante l’interfaccia utente della Torre Meccanica stesse facendo il grosso del lavoro al suo posto. Avrebbe potuto stendersi sulla branda e aspettare i risultati della diagnosi di sistema, ma gli avvenimenti della giornata non gli davano tregua, continuando a ripresentarsi nella sua mente ogni volta che chiudeva gli occhi.

Posò lo sguardo sulle dita olivastre che battevano rapide sulla tastiera. Mani giovani di ragazzo, con le unghie quadrate e rosee.

Le stesse mani che avevano quasi strappato il cuore dal petto ad una delle sue apprendiste.

Mava non lo ricordava, non si era accorta di niente, troppo impegnata a proteggersi il volto dalla furia incendiaria del Corridoio di Luce in avaria per notarlo mentre si avvicinava.

Ma l’aveva fatto, oh sì se l’aveva fatto! Poteva ancora sentire le scintille bruciargli la pelle mentre si scagliava contro di lei attraverso la marea di luce dopo essere stato scaraventato lontano da Luxu. Aveva teso la mano, gli artigli rosso sangue sfoderati, un ghigno folle a squarciargli le guance. Il solo pensiero di poter mettere le mani su un cuore integro lo faceva vibrare, scuoteva ogni fibra del suo essere. Gli riempiva la bocca di saliva.

Un cuore integro, per riparare quello che lui stesso aveva fatto a pezzi.

Ma una bolla d’energia aveva avvolto il corpo della piccola, respingendolo indietro con tale violenza da restituirgli un minimo di lucidità, abbastanza per ricominciare a lottare contro quella parte di sé che già una volta aveva tentato di sopprimere, finendo solo per peggiorare le cose.

Aveva chiaramente percepito il Keyblade di Mava manifestarsi per proteggerla, per difenderla dalla stessa persona che le aveva donato la capacità di impugnarne uno. I Keyblade servivano la Luce e lui, in quel momento, era una minaccia.

Ma Mava non lo sapeva, e così gli era saltata al collo ignara e festosa come sempre, felice di rivederlo come soltanto lei sapeva essere. E lui aveva ricambiato le sue moine, sforzandosi di non dare a vedere quanto martellante ed opprimente fosse la parola che continuava a rimbombargli nella testa.

Ipocrita.

Smise di digitare, serrando le mani a pugno.

Ipocrita.

Oscurità non sembrava intenzionato a farsi vivo quella notte. E senza un diretto avversario con cui prendersela, Perbias rimase solo nel buio con i suoi foschi pensieri e l’inesorabile ticchettare del meccanismo della Torre dell’Orologio. Trovava ironico il desiderare la sua compagnia piuttosto che quella dei suoi apprendisti o di chiunque altro, ma Perbias era sempre stato tragicamente consapevole della propria unicità. Soltanto Oscurità... la sua Oscurità, il parassitico gemello siamese da cui si era separato ormai molti anni prima, sapeva cosa significasse essere lui.

E’ facile cedere in questo modo quando si è bambini: tutto ci sembra molto più serio e tragico di quanto non sia in realtà, ogni piccola cosa sembra la fine del mondo.

Il quadrante sospeso tra le due guglie scandì le cinque del mattino e il canto della campana echeggiò su Auropoli mentre l’alba sorgeva.



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*{As if..!} la frase iconica di Braig/Xigbar in tutti i giochi, difficile da tradurre in Italiano con lo stesso effetto. Ci dobbiamo accontentare di un "Sì, certo, come no!"

Vi giuro che non avevo alcuna intenzione di trasformare il Maestro in un pavone. Questa storia s'intitola LION'S PRIDE per la miseriaccia! E ho usato l'immagine del re degli animali in passato, Perbias ce l'aveva sul suo completino medievale a Camelot e in generale me lo immagino molto gattoso come atteggiamento, per non parlare poi del fatto che il suo gazing eye ha la pupilla verticale stile felino (o stile SOLDIER alla FF7, a voi la scelta) ma quando Mal mi ha fatto vedere il disegno sono morta dal ridere.
Ho dovuto scriverlo come un pennuto!
Quindi ringraziatela per averci graziato con questa perla XD adesso se Nomura lo farà leone come Sora sarò perennemente insoddisfatta.
Alla pro
χima, bacioni a tutti voi che avete letto fin qui :D

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Capitolo 17
*** ✭ Radiant Garden ***


NOTA: questo è probabilmente il capitolo più "meta" che abbia scritto fino ad ora. Ci saranno riferimenti a Final Fantasy VI, IX, XV e Tactics. Per chi non fosse familiare con questi giochi, ho messo degli asterischi con corrispondente legenda in fondo alla pagina. E in ogni caso, se non avete giocato i Final Fantasy in questione (tranne il 15 che potete anche risparmiarvi XD) cosa ci fate ancora qui a perdere tempo con questa fanfiction?! Andateveli a giocare e acculturatevi, fanno bene al cuore e allungano la vita! :D


RADIANT GARDEN

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“Il corpo non è che un contenitore per il cuore,
una marionetta che si piega alla sua tirannia.
Ed ecco, il corpo non è eterno,
perché deve nutrirsi della carne degli altri,

affinché non ritorni nella polvere da cui proviene.
Perciò il cuore deve ingannare, disprezzare e uccidere gli uomini,

se la vita eterna è ciò che brama."
---------------------------------------------- Rapporti Segreti di Orran Durai - Archivi Reali di Giardino Radioso

L’estate era andata e venuta in un lampo, la frutta matura era stata colta e il selciato di Auropoli finalmente aveva smesso di ribollire sotto il sole cocente, risvegliando in Luxu la voglia di passeggiare per le sue viuzze colorate.

Ormai era entrato in sintonia con quella pittoresca cittadina e ne aveva abbracciato ogni aspetto, anche quelli meno piacevoli. Ormai, anche quelle zone d’ombra gli erano familiari e insieme ai compagni s’era dato da fare per rendere la città un posto più sicuro per tutti.

Quel giorno, lui e Azal avevano appena finito di occuparsi di un’infestazione di Heartless nel sistema della metropolitana ormai in disuso, un luogo dove tipicamente si radunavano criminali di bassa lega per condurre i loro affari e riciclare Munny sporchi. Probabilmente era scoppiata una lite e l’Oscurità aveva fatto il resto.

Nel riemergere dalle gallerie, i due studenti erano stati accolti da una piccola ma calorosa folla di cittadini venuta a ringraziarli per essere intervenuti così tempestivamente. Alcuni bambini di poco più piccoli di Luxu già guardavano ad Azal come al loro eroe personale, sostenendo che un giorno sarebbero diventati guerrieri della luce proprio come lui.

L’apprendista più anziano sorrideva, spiegando che lui stesso diceva sempre la stessa riguardo il suo Maestro. Al che, i bambini si guardavano confusi e Luxu non aveva difficoltà ad intuire perchè. Gli adulti sapevano dell’esistenza di quel giovane dai poteri straordinari, ma ben pochi avevano visto il Maestro di persona, specialmente negli ultimi tempi.

Dal loro ritorno da Zootopia, Perbias si era fatto se possibile ancora più elusivo del solito e lasciava la torre molto raramente. In effetti, era più frequente che s’allontanasse per visitare un altro Mondo situato a miglia e miglia di distanza piuttosto che per accompagnare i suoi studenti in città.

Non che questo fosse un grosso problema dato che Auropoli si governava da sola. Il Borgomastro si occupava delle questioni pratiche lasciando al Maestro e ai suoi apprendisti il compito di tenere sotto controllo le manifestazioni dell’Oscurità.

Luxu aveva persino scoperto che né alle guardie cittadine né a nessun altro era permesso entrare nella Torre Meccanica senza essere esplicitamente invitati o senza richiedere udienza con largo anticipo. La loro torre era un pò come un’ambasciata in terra straniera, una zona off-limits che obbediva alle proprie leggi. Faceva un pò strano sapere di vivere in un posto del genere.

Mentre procedevano verso la piazza della fontana, i due studenti presero a conversare del più e del meno, godendosi un pò di riposo dopo la missione appena conclusa. Tutt’intorno a loro, la città vibrava dei colori brillanti della festa d’inizio autunno. Festoni e ghirlande di rami secchi e spighe di grano adornavano le case a graticcio e alcuni operai in bilico su altissime e traballanti scale stavano installando i cordoni di lampadine luccicanti che avrebbero rischiarato le lunghe notti a venire.

Un vecchio con indosso un paio di pantaloni color pesca con bretelle coordinate ed un buffo cappello a cono li salutò allegramente offrendo loro di comprare qualcosa dal suo carretto di leccornie refrigerate. “Tra poco arriverà il freddo e non avrete più voglia di mangiare gelati, godetevi l’ultimo assaggio dell’estate!” Luxu non se lo fece ripetere due volte e acquistò un paio di biscotti farciti, offrendone uno al compagno.

Azal lo tolse dall’involucro addentando la frolla al cioccolato “Ormai è quasi un anno che sei qui con noi, Luxu.”

In effetti, erano passati oltre sei mesi dalla loro disavventura a Zootopia. Il che significava che erano ormai otto abbondanti che viveva lì con gli altri apprendisti. “Il tempo vola. Sembra ieri. Sono successe così tante cose.”

“Sei cresciuto molto.”

“Senti chi parla, ‘signor-mi-rifaccio-il-pizzetto-tutte-le-mattine’.” gli rimbrottò lui scherzosamente.

“Touché.” incassò Azal sfregandosi il mento ormai stanzialmente occupato da un ciuffo di barba azzurra. “E tu dovresti tagliarti i capelli.”

Luxu si soffiò via dagli occhi una ciocca rossa. In effetti, l’ultima volta che li aveva tagliati era stata all’orfanotrofio. Sempre che quella frettolosa tosata a colpi di rasoio elettrico che l’inserviente aveva dato a tutti gli orfani per renderli un tantinello più presentabili in occasione della visita del Maestro si potesse definire un taglio di capelli. “Non mi va.”

“Almeno legali.” sospirò l’altro con fare rassegnato: Luxu era proprio come Mava. Anche a lei, l’apprendista doveva sempre rammentare di tenersi in ordine. Del resto, erano i più piccoli del gruppo ed era comprensibile che non fossero ancora accorti abbastanza da prendersi cura del loro aspetto. “Sennò va a finire che ti acciufffa Perbias e te li taglia lui. Chiedi pure a Mava, a lei è già successo una volta e non è stato per niente divertente.”

“Oh mamma, come l’aveva conciata?” chiese Luxu senza sapere se doversi mettere a ridere o compatire la sventurata ragazzina. La sola idea di avere Perbias armato di forbici a pochi centimetri dalla sua faccia lo metteva terribilmente in ansia.

Azal dette un altro morso al biscotto “Diciamo solamente che Mava s’è rifiutata di togliersi il cappuccio per mesi interi.”

“Poveretta…”

“Ragazzi! Eccovi qua, finalmente vi ho trovati.” Nahara corse loro incontro facendosi largo tra la folla di operai intenti a decorare la piazza.

“Ciao Nahara, cosa c’è? E’ successo qualcosa?” indagò Azal notando che aveva il fiato corto.

“Niente di grave, tranquilli. Il Maestro mi ha assegnato un compito e vorrei portarlo a termine prima di sera, così da non perdermi la parata. E’ tutto l’anno che aspetto questo giorno e proprio oggi-”

“Parata?” le fece eco Luxu, incuriosito.

“Oggi inizia la settimana di celebrazioni prima della festa d’autunno e, come da tradizione, ci sarà una grande parata per le strade di Auropoli. E non ho alcuna intenzione di perdermela, perciò per favore possiamo andare, Azal?” spiegò frettolosamente Nahara.

L’apprendista vestito di bianco si accigliò “Andare dove? E perchè ci tieni tanto alla parata? Capisco che sia bella da vedere ma la fanno tutti gli anni-”

Lei alzò gli occhi al cielo “E va bene, va bene. Ho un appuntamento stasera, okay? Un ragazzo mi ha chiesto di uscire e non voglio dargli buca perchè Perbias se n’è venuto fuori con una delle sue trovate all’ultimo minuto!”

Luxu sbuffò. Tipico, scemenze da ragazze.

“Sembra quasi che il Maestro l’abbia fatto di proposito…” insinuò Azal scherzosamente anche se sotto sotto non si sarebbe sorpreso se fosse stato veramente così. Perbias aveva la brutta abitudine di mettere costantemente il naso nei loro affari privati.

“Anche se fosse, se partiamo subito sono certa che riusciremo a tornare in tempo. Devo solo prendere in prestito alcuni libri dalla biblioteca di Giardino Radioso. Il Maestro dice che gli servono per investigare l’anomalia che avete incontrato nel Corridoio di Luce.”

“In effetti, non siamo mai riusciti a capire cosa fosse successo veramente.” ponderò Luxu “Ma il problema non si è più ripresentato e siamo sempre riusciti a viaggiare tranquillamente in questi ultimi mesi. Anche quando tu e Salegg siete andati a Zootopia è filato tutto liscio, no?”

Azal annuì “Già, pensavamo che potesse esserci un problema con quel Mondo in particolare ma non abbiamo incontrato alcuna difficoltà. E’ un vero mistero.”

“Esatto, quindi se prendiamo quei libri e torniamo indietro prima di cena forse potremo risolverlo!” insistette Nahara “Ho chiesto al Maestro di aprire per me un Corridoio di Luce ma mi ha detto di lasciar fare a te. Vogliamo andare?”

“Posso venire con voi?” chiese Luxu, intrigato dalla possibilità di visitare un nuovo Mondo. Non era mai stato a Giardino Radioso ma sapeva che non si trovava molto distante da Auropoli (probabilmente meno di un giorno o due di viaggio in carrozza) e che era abitato da persone identiche a loro in tutto e per tutto, perciò non sarebbero state necessarie strane trasformazioni o travestimenti. Un vero sollievo, dopo le ultime ‘gite’ nella città di Halloween e nelle Terre del Branco.

Azal sollevò i palmi delle mani “Se hai il pomeriggio libero, non vedo perché no.”

“D’accordo, ma niente giro turistico, okay? Andiamo di fretta.” gli rammentò Nahara arrossendo un poco. Si stava mettendo in ridicolo con la sua esagerata trepidazione e se ne rendeva conto, ma non poteva fare altrimenti. Non voleva davvero perdersi quella serata.

“Tranquilla, voglio vederla anch’io la parata!” la rassicurò Luxu, rassettandosi la mantella ocra sulle spalle.

“Molto bene, spostiamoci in una strada un po’ più appartata.” assentì Azal gettando nella spazzatura la cartaccia del gelato appena finito, imitato da Luxu.

“Certo che dev'essere bello avere un Keyblade tutto tuo.” sospirò l’apprendista più giovane mentre imbucavano una viuzza tranquilla e adombrata dai tetti indaco delle case. “Poter andare dove vuoi, quando vuoi…”

“Non è un potere da prendere alla leggera, Luxu. Dobbiamo usarlo solo per-”

“Per proteggere i Mondi dall’Oscurità, lo so. Però se le regole non fossero così ferree avremo potuto usarlo per teletrasportarci in spiaggia il mese scorso invece di prendere il battello.”

Nahara sbiancò al solo ricordo. La traversata non era stata per niente piacevole per lei che soffriva il mal di mare. “Concordo al cento per cento.”

Azal sorrise, manifestando il proprio Keyblade nella mano destra, gli occhi rossi come rubini dell’unicorno sull’elsa che sembravano mandare lampi. “Andiamo!”

°°°

I tre apprendisti sbucarono in un vicoletto tranquillo non molto diverso da quello che si erano appena lasciati alle spalle, ma era chiaro che si trovassero in un’altra città.

Là dove Auropoli era tinta di giallo ed indaco, Giardino Radioso era principalmente ricavata nell’ardesia bluastra che abbondava nelle cave della regione. Tubature d’ottone collegavano un palazzo all’altro, trasportando l’energia pulita ricavata dal moto delle maree che circondavano l’isola fortificata.

L’odore dei fiori ed erbe aromatiche che ricoprivano ogni superficie non destinata ad essere calpestata era così forte da risultare quasi fastidioso ad una prima boccata, ma una volta che ci si faceva l’abitudine si trasformava in un piacevole retrogusto fresco sul fondo del palato.

Nahara indicò la torre del castello. “La biblioteca si trova lì dentro. Ho la tessera del Maestro qui con me, non dovrebbero farci storie una volta dentro.”

“Che libri devi procurargli?”

“Il primo è una raccolta dei Rapporti di Orran Durai*, il secondo… ‘Sarò il tuo Passerotto” di Lord Avon**.”

Azal sbatté le palpebre “Una cruda e farraginosa cronaca di guerra e un’operetta romantica? Tipico del Maestro.”

“Non ho idea cosa voglia farci con questa roba, ma se me li ha chiesti ci sarà un motivo.”

Luxu e Azal si scambiarono un’occhiata “Secondo me vuol solo farti saltare l’appuntamento.” concluse l’apprendista più giovane, ridacchiando.

“E voi non state facendo altro che aiutarlo! Su, diamoci una mossa!” sbottò lei, uscendo dal vicolo a passo svelto. Il corso principale era curiosamente silenzioso a paragone con quello in piena attività di Auropoli. Non tutti celebravano la fine dell’estate come dalle loro parti, a quanto pareva.

L’ampio spazio pubblico era piastrellato di grigio e azzurro e le tessere formavano il mosaico di un grande fiore ad otto petali al centro della piazza. Da lì, i tre apprendisti potevano godere di un’ottima vista del castello dalle guglie bianche e affusolate. Non aveva la stessa imponenza della Torre Meccanica, ma era sicuramente un edificio sorprendente che sembrava fluttuare nel cielo chiaro, sorretto dagli zampilli delle fontane e dal fluire continuo di decine e decine di cascate che confluivano in una fitta rete di canali che percorreva l’intera città.

Il viale che conduceva al castello tagliava per un rigoglioso parco pieno di cipressi e conifere che i ragazzi attraversarono senza fiatare, rapiti dalla bellezza dei giochi d’acqua e dai fiori esotici che crescevano ovunque si guardasse. Adulti, anziani e bambini passeggiavano e correvano in quell’immensa area verde in mezzo alla città, schizzandosi l’un l’altro nelle fontane e godendosi gli ultimi raggi del sole estivo. Inutile dire che la città meritava davvero il nome di Giardino Radioso e che i suoi abitanti sembravano condividere l’amore per la natura di chiunque avesse progettato quella meraviglia.

Arrivati ai piedi dell’altissimo portone d’ingresso del castello, i tre apprendisti si fermarono di colpo nell’udire il rimbombare di passi pesanti sul selciato.

Luxu sgranò gli occhi alla vista dell’imponente armatura meccanica che apparve dall’altra parte del sentiero, sferragliando e sbuffando vapore come la locomotiva di un treno.

“Quella è un’armatura Magitek!***” esclamò eccitato.

“Proprio così, qui le usano come mezzi di pattuglia.” disse Azal indicando altre armature, al momento inattive, appostate sui bastioni aguzzi del castello. Si reggevano su due zampe uncinate ed avevano una coppia di artigli al posto delle mani, il faro al centro del corpo largo e tarchiato ricordava un unico, inquietante occhio.

“Mi chiedo sempre se c’è davvero bisogno di affari del genere per tenere al sicuro questo posto. Qui non ci sono Heartless.” commentò Nahara lasciando che l’enorme macchina da guerra li oltrepassasse sulle possenti gambe meccaniche prima di attraversare.

“Nemmeno uno? Ma com’è possibile? Credevo che quei cosi spuntassero ovunque.” indagò Luxu, incapace di staccare gli occhi dal congegno sferragliante.

“La città fu fondata qui proprio per questo motivo. C’è un cristallo speciale custodito nel castello che tiene lontana l’Oscurità. In effetti, le armature Magitek servono più a proteggere il cristallo dalle brame degli altri Mondi che dall’Oscurità stessa.” chiarì Azal “Il Maestro ha cercato molte volte di ottenere il permesso di studiare il cristallo, ma il Re di Giardino Radioso glielo ha sempre negato.”

“E sai com’è la regola, no? ‘Interferire il meno possibile’, perciò non è che il Maestro ha potuto insistere più di tanto. Non voleva causare tensioni tra le due città.” proseguì Nahara tirando dritta verso il portone, sorvegliato da guardie in uniforme blu marino.

Prima che i tre potessero raggiungere l’ingresso però, il guidatore dell’armatura Magitek si voltò nella loro direzione, raggiungendoli in poche ampie falcate. “Perdonatemi per aver origliato, ma mi sembra di capire che siete gli apprendisti di Mastro Perbias di Auropoli?” domandò, sporgendosi dall’abitacolo dell’alta macchina bipede per vederli meglio.

“Proprio così, signore.” confermò Azal esibendosi in un cortese inchino.

“E andiamo piuttosto di fretta!” rincarò Nahara piantandosi le mani sui fianchi.

Luxu rise “Suvvia Nahara, non essere scortese…”

“E’ un piacere conoscervi! Sono stato incaricato dal bibliotecario di condurvi da lui, vi sta aspettando.” disse la guardia “Datemi solo un attimo per parcheggiare quest’arnese!”

“Oh, ma allora il Maestro li vuole davvero quei libri…” commentò Nahara, genuinamente sorpresa.

L’armatura Magitek si mosse di nuovo, zampettando fino ad un angolo della strada dove non avrebbe ostruito il passaggio di nessuno e s’accucciò, spegnendosi a poco a poco mentre il ronzio del motore cessava.

La guardia slacciò le cinture di sicurezza e balzò giù dal macchinario, tornando poi a correre verso di loro.

Era un ragazzo sui venticinque anni, alto e allampanato, con i capelli biondo grano ordinatamente raccolti dietro la testa in un’alta coda di cavallo. Come tutti i nativi di Giardino, aveva lineamenti sottili ed efebici e i suoi occhi orlati di ciglia foltissime erano così verdi da sembrare due gemme investite dalla luce diretta di una torcia. Indossava la divisa blu scuro delle guardie reali: giacca doppiopetto, stivali neri al ginocchio e lunghi guanti bianchi, ma nonostante il rigore del suo abbigliamento, sembrava voler uscire dagli schemi sfoggiando un paio di lustri orecchini di vetro rosso.

“Scusate per l’attesa!” riprese, esibendosi in un rapido saluto militare “Soldato di fanteria Magitek Palazzo Kefka**** al vostro servizio! Seguitemi prego, il Dottor Totto***** vi sta aspettando.”

Scortati dalla guardia, i tre apprendisti oltrepassarono il posto di blocco di fronte ai cancelli del castello e si trovarono nell’androne principale, un’ampia sala con due rampe di scale curve che conducevano ai piani superiori. Soldati in divisa e cortigiani elegantemente vestiti s’affaccendavano per il salone, lanciando sguardi incuriositi ai nuovi arrivati.

“Sapete, ho incontrato il vostro Maestro alcuni anni fa. Un giovanotto davvero singolare.” cercò di riattaccare bottone il soldato, guidandoli verso la biblioteca reale.

“Oh, questo è certo.” rispose Azal scambiando un’occhiata divertita con i compagni.

“Anche allora era venuto per consultare il nostro eminente bibliotecario. Non particolarmente sorprendente, visto che vantiamo una delle più vaste collezioni di libri e pergamene dell’intero Reame. Il nostro Re è un vero mecenate delle arti e della cultura, siamo così fortunati che la Prima Pietra della Luce abbia scelto lui come sovrano.”

Luxu si accigliò. Non voleva fare domande per non suonare ignorante ed irrispettoso, ma non aveva la minima idea di che cosa il biondo stesse parlando.

Nahara dovette accorgersi della sua confusione perchè s’affrettò a precisare “Ricordi il cristallo di cui parlavamo prima? Qui a Giardino Radioso, l’aspirante nuovo Re deve sottoporsi alla sua prova. Se ne esce vittorioso, può governare.”

“Proprio così.” confermò la guardia oltrepassando un paio di studiosi dalle lunghe barbe che stavano trasportando bracciate di libri dall’aria piuttosto pesante, raggiungendo finalmente l’ingresso della biblioteca. Sotto di loro, un labirinto di scaffali in legno massello s’estendeva a perdita d’occhio, occupando l’intero salone che con il suo altissimo soffitto ospitava oltre tre piani colmi di sapere e conoscenza. Comode scrivanie erano disposte sui balconi e una placida luce dorata filtrava attraverso le finestre ad arco riflettendosi sui lustri pavimenti di marmo verde.

“Sono passati ormai quindici anni dal suo insediamento, io ero poco più che un bambino quando Re Ardyn****** salì al trono.” Spiegò, premendosi una mano sul petto con fare nostalgico “Sotto di lui, Giardino Radioso non ha fatto che prosperare! La città è cresciuta tantissimo e l’istituzione del programma Magitek ha richiamato i migliori scienziati da ogni parte del globo. Grazie ad esso, malattie terribili sono state debellate e la qualità della vita dei cittadini è migliorata esponenzialmente-”

“Ssssh!” lo zittì uno studioso intento a riordinare i libri su uno scaffale, scoccandogli un’occhiataccia. “Questa è una biblioteca, non una piazza per comizi!”

Il soldato si grattò la testa con fare imbarazzato “Perdonatemi, signore!” poi, tornò a rivolgersi ai tre apprendisti, parlando a voce così bassa che a malapena riuscirono a sentirlo “L’ufficio del bibliotecario si trova al piano di sopra, sono sicuro che sarà più che lieto di chiarire qualsiasi altro vostro dubbio.”

Il Dottor Totto li attendeva seduto dietro ad una scrivania ingombra di pesanti volumi rivestiti in pelle. Era uno strano ometto tarchiato e dalla pelle color pergamena, con lunghi baffi fulvi e ispidi capelli rossi. A differenza degli altri cittadini di Giardino, proveniva chiaramente da un altro Mondo e Luxu si domandò persino se fosse davvero un essere umano o qualcosa di completamente diverso. Teneva il naso simile al musetto appuntito di una talpa immerso tra le pagine ingiallite di un vecchio manoscritto, ma spostò immediatamente lo sguardo dei piccoli occhietti neri su di loro quando fecero il loro ingresso.

“Ah eccovi, finalmente!”

“E’ sempre un piacere rivedervi, Dottor Totto.” lo salutò calorosamente Nahara “Conoscete già Azal, questo invece è Luxu, il nuovo apprendista.”

L’ometto si raddrizzò gli occhiali rotondi sul nasone “Vedo, vedo… benvenuto giovanotto. Prima visita alla nostra biblioteca, presumo?”

“Sissignore.” confermò Luxu con un filo d’esitazione nella voce.

“Splendido! Accetta questo come mio dono di benvenuto allora, così potrai prendere in prestito tutti i libri che vorrai.” Il Dottor Totto gli porse una tessera stampata su una carta ruvida dall’aria molto preziosa. “Ovviamente mi riferisco alle versioni digitalizzate dei testi, i libri fisici non devono mai lasciare queste sale.”

“Gli spiegherò io come funziona il terminale della biblioteca.” si offrì volontario Azal “Sapevate del nostro arrivo, quindi suppongo che abbiate già preparato i volumi richiesti dal Maestro?”

“Certamente. Il vostro mentore è un lettore assai peculiare… sapete, per molti anni si è temuto che i Rapporti di Orran Durai fossero andati perduti per sempre. Insieme a molti altri scritti dell’era di Ivalice, furono messi al bando e ogni singola copia bruciata… così come il loro autore, accusato di eresia e condannato senza prove. Possederne anche solo un frammento era considerato un terribile reato.”

“Tutto questo, soltanto per un libro?” indagò Luxu, alzando le sopracciglia.

“Conosci il detto ‘ferisce più la penna che la spada’? Durai scrisse grandi verità nei suoi Rapporti, verità molto scomode per quelli che al tempo erano al potere. Il suo libro era potenzialmente più pericoloso di un intero esercito.” il bibliotecario fece spazio sulla scrivania disordinata spingendo da una parte le pile di scartoffie ed estrasse due volumi dal cassetto, posandoli al centro del tavolo.

“Per questo non fu mai pubblicato e la sua esistenza fu per molti secoli soltanto una leggenda bisbigliata nei circoli frequentati da professori occhialuti come il sottoscritto.” Totto rise, passando una mano artigliata sulla copertina consunta del primo volume “Almeno fino a quando Arazlam Durai, un lontano discendente di Orran, non riscoprì gli scritti del suo antenato e decise di condividerli con il mondo. O almeno, questo è quello che sostiene la maggior parte degli studiosi di Durai.” concluse il bibliotecario con una punta d’asprezza nella voce.

La guardia reale, che fino a quel momento se ne era rimasta in silenzio alle loro spalle, fece un passo avanti “Un altro argomento accademico su cui avete qualcosa da ridire, Dottore?” chiese, con tono accondiscendente.

Totto incrociò le braccia “Ben più che qualcosa da ridire! Quei bigotti dell’accademia di Toleno non riconoscerebbero la verità nemmeno se fosse proprio sotto il loro naso!”

“Beh, a loro discolpa, le vostre idee sono sempre state piuttosto radicali e fuori dagli schemi.” controbattè l’altro, rivolgendogli un ampio sorriso che mise in bella mostra i denti bianchissimi.

L’ometto scoccò un’occhiata di sufficienza al soldato, malcelando il proprio disappunto “...non dovreste tornare alla vostra ronda, Palazzo? Se il capitano vi becca di nuovo a bighellonare e a perder tempo saranno guai.”

Il biondo agitò svagatamente la mano “Ma no, ma no! Mi sono fatto bello agli occhi del generale, ormai è praticamente sicuro che mi danno una promozione. Nientemeno che per il nuovo programma Magitek sperimentale, un’opportunità più unica che rara! Giri di ronda e pattugliamenti saranno soltanto un lontano ricordo.” spiegò poi, visibilmente eccitato.

“Congratulazioni..?“ azzardò Nahara prendendo i libri che Totto le stava porgendo. L’entusiasmo della guardia era a dir poco contagioso.

“Grazie! Beh, grazie in anticipo! Lo prendo come un augurio. Come dicevo, ancora non c’è niente di certo ma ci spero tanto! Comunque, adesso è davvero meglio che vada. Mandate i miei saluti al vostro Maestro e speriamo che al nostro prossimo incontro non sarò più un semplice soldato di fanteria!” Così detto, il giovane si congedò scattando sull’attenti “Fate il tifo per me, mi raccomando!”

Quando si fu richiuso la porta alle spalle, Totto si lasciò sfuggire un sospiro divertito “Ah, i giovani! Sempre così pieni d’energia e speranze. Sapeste quanto vi invidio.”

“Sembra un tantinello troppo rilassato per qualcuno sul punto di ricevere una promozione.” notò Luxu, un pò perplesso.

“E’ un giovanotto un pò bizzarro, ma le sue intenzioni sono buone. Forse una posizione di maggior responsabilità è proprio quello che ci vuole per tirargli giù la testa dalle nuvole.” rispose il bibliotecario, soffocando una risatina. “Tutto a posto con la copia dei volumi, Nahara?” chiese poi, osservando l’apprendista intenta a scannerizzare il primo tomo all’interno di una colonna situata in un angolo dello studio.

“Ho quasi finito.”

Luxu si avvicinò per vedere meglio. Incassato nella parete, quello che sembrava un pilastro portante del castello era in realtà un terminale d’accesso collegato ad una piattaforma rotante. Nahara recuperò il primo libro e lo porse ad Azal perchè lo restituisse al Dottor Totto. Poi, preso il libriccino della commedia di Lord Avon, lo posizionò all’interno della colonna e premette un pulsante, avviando la scansione. L’intera struttura ruotò su sé stessa di 360 gradi, restituendo il libro esattamente così come v’era stato inserito. Una volta rimosso anche quello, due libri identici a quelli appena scannerizzati si materializzarono sulla piattaforma, l’unica differenza tra questi e gli originali era la loro chiara natura digitale, resa ben evidente dall'alone luminoso e dalla semi-trasparenza dei volumi duplicati.

Nonostante apparissero quasi impalpabili, Nahara li raccolse proprio come se fossero fatti di vera carta e li sfogliò per assicurarsi che non vi fossero errori di copiatura.

Azal restituì i tomi originali al bibliotecario "Non conoscevo i retroscena degli scritti di Durai." ammise, sentendosi un pò colpevole per averli bollati semplicemente come una 'farraginosa cronaca di guerra' soltanto una mezz'ora prima. "Il loro contenuto è davvero così sovversivo da giustificare un simile accanimento da parte dei censori? Addirittura l'assassinio dell'autore?"

Totto si carezzò la barba fulva "All'epoca, essi avrebbero svelato una terribile cospirazione, fatto scoppiare uno scandalo. Ma oggi, sono ancora fonte di grande dibattito per un motivo ben diverso. Alcuni studiosi, tra cui il sottoscritto, ritengono che l'autore non sia affatto morto..."

I tre apprendisti rimasero come impietriti di fronte a quell'affermazione. Forse, la guardia non aveva tutti i torti a sostenere che il Dottor Totto avesse idee un pò troppo eccentriche per una pacata discussione tra accademici.

"...e che il suo cosiddetto 'lontano discendente', nonchè scopritore di testi così a lungo ritenuti perduti, altro non sia che Orran stesso. Tornato sulle scene per vendicarsi di coloro che l'avevano privato della propria voce e per far conoscere al mondo intero la verità." Il bibliotecario unì le punte delle dita tozze, godendosi l'espressione sbigottita dei ragazzi "Ovviamente si tratta soltanto di una teoria. Ma se mai decideste di cimentarvi nella lettura di questo bel malloppo, tenetela a mente mentre vi muovete di capitolo in capitolo. E posso garantirvi che noterete un filo conduttore, una trama sotto la trama, come se il narratore avesse vissuto non una, ma molte vite in successione al solo fine di raccontare proprio a voi la sua lunga e tormentata storia."



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E niente, ragazzi, che vi devo dire! :\ altro capitolo senza il Maestro e pieno di fuffa e lorebuilding di cui probabilmente non frega niente a nessuno. Ma forse avrete notato che sto cercando di dare un'origine e una spiegazione ai talenti e ai piani contorti del Maestro dei Maestri. Da Merlino coglierà l'idea della preveggenza, dagli scritti di Durai l'abilità di trasferire un cuore da un corpo all'altro che si rivelerà fondamentale per permettere al Libro delle Profezie di esistere. E chissà, magari il programma Magitek è il primo germoglio del programma Replica che diventerà poi così cruciale ai fini della nuova Organizzazione... di cui, diciamocelo, il Maestro dei Maestri è l'onorario N°0? :3
Vi lascio alla legenda piena di commenti superflui. Un bacione a tutti e alla prossima, MAY YOUR
BE YOUR GUIDING KEY!

 

Legenda:

 

 


* Rapporti di Orran Durai (Durai Papers): un libro bandito dalla Chiesa di Glabados in Final Fantasy Tactics. Racconta la storia di Ramza Beoulve e del mondo di Ivalice.
** Sarò il tuo Passerotto di Lord Avon (I’ll be your Canary): è l’opera teatrale recitata all’inizio e alla fine di Final Fantasy IX, parodia di varie opere Shakespeariane tra cui Romeo e Giulietta e Re Lear.
*** Armatura Magitek: Introdotte in Final Fantasy VI e poi riutilizzate in vari altri giochi tra cui XV e XIV sono macchine da guerra tipicamente sviluppate in seguito a ricerche ben poco etiche
. Sto forse dicendo che a Radiant Garden questa cosa ce l'hanno di vizio? :P Probabilmente si.











 





 

**** Kefka Palazzo: antagonista principale di Final Fantasy VI. Prima di diventare 'il Joker di Final Fantasy' (ossia un pazzo omicida con un god-complex da far paura) in seguito ai terribili esperimenti subiti, era un ambizioso soldato dell'Impero Gehstaliano e probabilmente persino una persona decente. E in questa fic, siamo qui per celebrare le persone decenti che si rovinano da sole o si fanno rovinare dagli altri :D














***** Dottor Totto (Dr. Tot) è il paciocchissimo insegnante della Principessa Garnet in Final Fantasy IX. Nonostante sia un personaggio minore, mi è sempre piaciuto molto per il suo ruolo di mentore e consigliere.



 



 




 

****** Ardyn (Ardyn Izunia / Ardyn Lucis Caelum) Ops, un altro cattivone! :3 Ardyn è l'antagonista principale di Final Fantasy XV nonchè il primo re della stirpe a cui anche il protagonista del gioco, Noctis, appartiene. Da qui, l'idea di renderlo uno dei primi sovrani di Radiant Garden. Sento già i puristi che minacciano di uccidermi per aver messo lui come re e Kefka (BEST VILLAIN EVAH) come suo sottoposto ma insomma... se siete puristi arrabbiati dovreste saperlo che Kefka non rimane mai il sottoposto di qualcuno per molto a lungo! E che Ardyn è stato chiaramente modellato usando Kefka come ispirazione in quanto entrambi ricoprono il ruolo di braccio destro di un imperatore fantoccio che manipolano (ed eliminano) per i propri fini e che entrambi portano il mondo di gioco nello stato di completa devastazione che è il World of Ruin, ossia un lasso di tempo in cui, a tutti gli effetti, l'antagonista ha di fatto trionfato sui buoni.

 

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Capitolo 18
*** χ Twinkle Twinkle Little Star ***


NOTA: questo è il primo grosso salto temporale della storia. Ma non preoccupatevi, torneremo ad occuparci dei giovani veggenti molto presto... Nel frattempo, aprite la vostra copia del Libro delle Profezie al capitolo Kingdom Hearts Birth By Sleep e saltate dritti al paragrafo "due anni dopo l'inizio dell'apprendistato di Xehanort presso Ansem il Saggio". Siamo sempre a Radiant Garden, ma in un lontano futuro... buona lettura.

χ TWINKLE TWINKLE LITTLE STAR χ

Cruising miles offshore, life seems breakable,
a never ending kiss, I need to find.
'Cause I'm a fragile soul, a dandelion,
to keep me safe, I need you by my side.

[Dandelion - Ivan Torrent]

Aprì gli occhi, mettendo a fuoco il soffitto macchiato d’umidità della sua cella.

Il fievole bagliore azzurro delle lampade appannava costantemente i corridoi del laboratorio sotterraneo, non c’era nessuna finestra da cui potessero filtrare i raggi del sole e della luna e da quando i due bambini vestiti di rosso e di blu avevano smesso di farle visita, il tempo per lei aveva smesso di esistere.

Solo lo sporadico presentarsi degli scienziati con i loro asettici camici bianchi dava un ordine e un senso al lento trascinarsi delle ore.

Da un lato, attendeva il loro arrivo con trepidazione, dall’altro con profonda inquietudine. Non sapeva mai chi avrebbe oltrepassato quella soglia nè cosa le avrebbe fatto, ma persino il più doloroso dei loro esperimenti era preferibile alla solitudine in cui era intrappolata.

C’erano altre celle vicine alla sua, ma per quanto gridasse nessuno dei suoi compagni di prigionia aveva mai risposto, sempre che ci fosse davvero qualcuno intrappolato là sotto proprio come lei.

Il pensiero di essere completamente sola la terrorizzava. Cosa sarebbe successo se gli scienziati si fossero dimenticati di lei? L’avrebbero lasciata lì a morire se non si fosse dimostrata utile alla loro ricerca ? Era forse questo che era accaduto agli occupanti delle altre celle? E cosa ne era stato di quei due poveri bambini?

Non dovevano trovarsi lì, questo era chiaro.

E Lea, il più vivace tra i due, non aveva mai fatto segreto di quanto difficile fosse intrufolarsi nei sotterranei. Ovviamente lo diceva per vantarsi, ma anche per scacciare la paura che lo attanagliava ogni volta che in compagnia di Isa scendeva la scalinata buia delle prigioni per parlare con lei.

Il fatto che avessero deciso di non tornare era probabilmente la cosa migliore.

Eppure, non poteva dimenticare il bagliore che aveva visto negli occhi acquamarina di Isa mentre, con una serietà che poco s’addiceva alla sua giovane età, le aveva giurato che l’avrebbero salvata.

E stando a quello che diceva Lea, il suo amico teneva sempre fede alle proprie promesse...

Cosa sarebbe successo se le guardie li avessero scoperti? Sarebbero finiti anche loro a marcire in una cella fredda proprio come lei?

Non avrebbe mai potuto perdonarselo.

Questi e molti altri oscuri pensieri l’attanagliavano durante le lunghe ore di vuoto scandite solamente dal passo ritmico della ronda dei carcerieri. Aeleus e Dilan, così si chiamavano i due uomini dalle spalle larghe e la divisa blu notte che pattugliavano il sotterraneo senza proferire una parola e senza mai degnarla di uno sguardo.

Conosceva i loro nomi soltanto perché il capo-ricercatore Even li faceva convocare nella sala dove avevano luogo gli esperimenti affinché la scortassero di nuovo nella sua cella.

I soli ad interagire con lei adesso che i bambini erano scomparsi, erano gli scienziati. Ma lo facevano con distacco, tempestandola di domande che non comprendeva, chiedendole di ricordare cose che non aveva mai vissuto o dimenticato.

Non c’erano più risate, né il calore di una manina che s’allungava oltre le sbarre per stringere la sua e darle conforto. Solo l’orrore degli esperimenti.

Il peggiore tra gli scienziati era Xehanort. Quando arrivava il suo turno di sottoporla al test della memoria, lei riusciva a malapena a reggersi in piedi al termine della procedura. A niente servivano le sue suppliche, il ricercatore teneva gli occhi dorati fissi sui diagrammi che lampeggiavano sullo schermo, completamente incurante delle lacrime che rigavano il volto della ragazza che si dimenava sul tavolo operatorio.

Imperterrito, rovistava dentro di lei, violandola fin nei meandri più oscuri del suo animo alla ricerca di ricordi perduti, scavando così in profondità da farle desiderare di potersi cavare il cuore dal petto per non sentire più dolore.

Rabbrividendo al solo ricordo, si sedette sulla branda e raccolse le ginocchia al petto, rimboccando la manica della tunica bianca ed impersonale per rivelare i lividi bluastri che aveva attorno ai polsi.

Lea e Isa dicevano che fuori era pieno di persone, pieno di alberi e fiori, che il castello visto dall’esterno era bellissimo e circondato di fontane.

E lei desiderava credere che fosse vero. Doveva esserci qualcosa là fuori ad aspettarla, qualcuno che la stava cercando. Doveva esserci per forza.

Certe volte, quando era immersa nel dormiveglia, in bilico tra torpore e sonno profondo, un’immagine ricorrente le appannava la mente come un sogno.

Una torre alta, con due guglie e un ponte sospeso tra di esse.

E lei che guardava in sù, ai piedi di quell’edificio così imponente con quattro presenze al suo fianco. Una mano le sfiorava la spalla, un paio di occhi azzurri le sorridevano. Poi… la chiave.

Una chiave grande ed affilata come una spada. Nera come la pece.

Era lei ad impugnarla? O il proprietario di quegli occhi così blu?

E soprattutto, quanto c’era di reale in quella visione sfocata? Quanto era stato influenzato dai racconti di Lea e Isa e quanto veramente apparteneva al suo subconscio?

Scavando nella sua memoria, non trovava nient’altro che quella cella e i volti arcigni degli scienziati, niente oltre alle cinghie con cui la legavano mani e piedi, niente oltre quei corridoi interminabili fiancheggiati da dozzine di celle vuote.

Quell’immagine… quella torre, quelle quattro figure… erano solo un sogno.

Niente di più.

Trattenne a stento le lacrime.

“Possa il mio cuore…”

Un beep la fece sobbalzare.

Periodicamente, un nuovo set di indumenti puliti le veniva consegnato tramite il medesimo sportello che le recapitava i pasti e gli scienziati insistevano perché lei si prendesse cura della propria persona in modo da essere sempre pulita e in ordine nell’eventualità di un nuovo esperimento.

E all’inizio, lei aveva ubbidito. Non aveva alcun motivo per non farlo. A lungo aveva sinceramente sperato che gli scienziati potessero aiutarla a recuperare la propria identità… ma più il tempo passava, più la solitudine e l'angoscia si chiudevano su di lei come un paio di fauci.

Quegli esperimenti altro non erano che una forma di gratuita e crudele tortura.

Così, per pura ripicca, si era lasciata andare completamente, incurante del sudore che le inzuppava la veste e i capelli, ignorando il cibo e rifiutandosi di alzarsi dalla branda adesso che la spia gialla sulla porta della cella annunciava che era giunta l’ora di un nuovo test. L’ora di presentarsi da Ansem obbediente come un cane.

Era stufa di obbedire. Stufa di essere tenuta al guinzaglio.

Era il solo atto di ribellione che le era concesso. E dopotutto, s’era detta, cos’aveva da perdere?

Quel poco di dignità che le era rimasta, a quanto pareva.

Il capo ricercatore Even andò su tutte le furie nel trovarla ad attenderlo in quello stato, sdegnosa ed indolente. Quella era la prima volta che lo incontrava al di fuori del laboratorio. Nel suo immaginario, quell’uomo alto e segaligno faceva parte dell’attrezzatura e le era difficile immaginare che avesse una vita al di fuori di quella sala di tortura.

“Tiratela fuori.”

Ignorando le sue proteste e incassando ogni calcio, graffio e morso che lei gli stava rifilando, Aeleus la trascinò fino alle docce, serrandole i polsi in una morsa nervosa. Era chiaro che si stesse trattenendo per non farle troppo male, anzi, per non “danneggiarla”, come Even gli aveva stizzosamente raccomandato di non fare, ma lei continuò a dimenarsi e a gridare.

Un uomo della stazza di Aeleus avrebbe potuto spezzarle il braccio senza alcuna difficoltà, ma la ragazza non aveva paura, era troppo esausta e disillusa per averne.

“E dai, non abbiamo mica tutto il giorno!” protestò Dilan strappandola alla presa del collega.

Senza neppure darle il tempo di togliere i vestiti, l’uomo la spinse sotto il getto gelido della doccia, sbattendole in faccia la porta bianca del cubicolo prima che potesse tentare di svicolare fuori.

La ragazza rimase immobile e tremante sotto il sifone aperto, gli abiti ormai completamente fradici che le aderivano al corpo magrolino e acerbo. Posò lo sguardo sulle mattonelle del pavimento, guardando l’acqua scrosciare giù nello scarico tra i suoi piedi nudi e ascoltando la conversazione che si stava svolgendo nell’anticamera.

Lacrime grosse e calde le rigavano le guance mischiate al getto dell'acqua.

“Ma che diamine le è preso?”

“E che ne so. Facciamo alla svelta prima che Even si rimetta a strillare.”

Si chiese cosa accidenti s’aspettava che accadesse. Che nel vederla puntare i piedi e ribellarsi gli scienziati l’avrebbero trattata diversamente? Che assurdità.

Era sola, senza memoria, senza un perché.

“‘Rendetela presentabile’ dice lui… puah! Even lo fa sembrare facile. Cioè, dobbiamo... lavarla? Non è capace di farlo da sola?”

“Smettila di lamentarti, Dilan.”

“Ma che cazzo, possibile che in questo intero castello non ci sia un inserviente? Una donna delle pulizie? Perchè tocca sempre a noi pulire il piscio dei soggetti che se la fanno sotto?”

Soggetti… già. Era così che chiamavano quelli come lei. Non aveva neanche un nome. Solo X.

“Ma guardati Dilan, se non ti conoscessi direi che quel che davvero ti mette a disagio è l’idea di vedere una ragazzina tutta nuda…”

“Tsk, solo un vecchio porco come te potrebbe pensare una cosa del genere in un momento come questo!”

“Forse. Un motivo in più per lasciar fare a me, non ti sembra?”

“D’accordo, occupatene tu.”

“Aeleus che cazzo dici?! Non possiamo rischiare che Soggetto X-”

“Come dicevo, pensaci tu. Ma tieni le mani a posto.” rincarò Aeleus zittendo Dilan.

“Non vi garantisco niente. E’ carina?.”

“Vai a farti fottere, Braig.”

“Anche tu Dilan. E adesso lasciatemi passare così possiamo farla finita con questa pagliacciata.”

Incapace di trattenere oltre i singhiozzi, la ragazza si abbandonò contro la parete della doccia. Parlavano di lei come se non fosse presente, come se fosse un guscio vuoto senza dignità e un cuore che batte.

La porta laccata di bianco si aprì, rivelando una figura in controluce. Lei tenne lo sguardo fisso sul pavimento.

“Hey.”

La voce graffiante dell’uomo la fece sobbalzare.

“Datti una mossa, Stellina. Non ho tutto il giorno.”

Indugiò con lo sguardo sulle punte lucide degli stivali della guardia.

Stellina...?

L'uomo fece un passo avanti, lasciando che la porta si chiudesse dietro di lui e allungò una mano guantata verso la manopola, aumentando gradualmente la temperatura dell'acqua. Il getto adesso lo colpiva di riflesso, rimbalzando sul capo e sulle spalle della giovane.

“Fai la brava, datti una ripulita. Se non collabori sarò costretto a toglierti i vestiti e i miei colleghi potranno andarsene in giro dicendo con cognizione di causa che sono un vecchio porco. Vediamo di non dare questa soddisfazione a quei due idioti, okay?”

Fu solo allora che la ragazza realizzò di non aver mai udito la sua voce prima d’ora. Doveva essere uno dei nuovi assunti, oppure era semplicemente stato assegnato a quella sezione per la prima volta. Le guardie con cui era familiare sembravano conoscerlo piuttosto bene.

Si decise finalmente ad alzare lo sguardo.

L’uomo era a meno di un passo di distanza da lei, la mano ancora sulla manopola. Indossava la medesima divisa blu e bianca dei suoi colleghi con l’aggiunta di un vistoso foulard rosso attorno al collo. A differenza di Aeleus e Dilan, era decisamente meno muscoloso e piazzato, ma non per questo aveva un’aria meno minacciosa.

In effetti, la ragazza si trovò a pensare che sembrasse il più pericoloso dei tre. C’era qualcosa di crudele nei suoi lineamenti, forse l’arco deciso delle sopracciglia o il bagliore famelico del suo unico occhio giallo.

“F-faccio da sola.”

Lui sogghignò. E Soggetto X rabbrividì alla vista delle due file di denti seghettati rivelati da quella smorfia.

“Brava Stellina, adesso fa quel che ti dico e ti prometto che ti farò uscire di qui.”

Nell'udire quelle parole, la ragazza sobbalzò. Doveva essere uno scherzo. Una bugia per approfittarsi di lei. Sicuramente le avrebbe chiesto di fare qualcosa di riprovevole soltanto per poi sbatterla di nuovo in cella. Se persino Aeleus e Dilan erano così prevenuti nei suoi confronti, un motivo doveva pur esserci. Quel tipo non avrebbe sfigurato tra gli avventori di un locale losco dove si gioca d’azzardo e si abbordano giovinette poco sobrie. Sembrava uno sciacallo pronto a spolparle la carne dalle ossa.

Leggendo la diffidenza nei suoi occhi, lui sospirò, aumentando ulteriormente la pressione dell'acqua così che il rumore coprisse le sue parole. "Senti, ho un conticino in sospeso con la persona che ti sta cercando. E tu mi porterai da lei."

X schiuse le labbra come per dire qualcosa, ma all'ultimo istante decise di tacere. Che fosse stato mandato da Lea ed Isa? Le avevano promesso che sarebbero venuti a salvarla…!

Ma la guardia aveva detto… ‘lei’.

Una donna.

Soggetto X non conosceva nessuna donna.

"Non hai niente da perdere. Di solito io sono quello che i soggetti li porta dentro, non fuori. Sai, come il nostro caro ragazzone prodigio…”

Lei lo fissò, sempre più diffidente.

"Si, insomma, Xehanort, no? L’ho trovato io. E adesso che sai di avere a che fare con l’accalappiacani di Ansem, e che ti sta sinceramente offrendo una chance di uscirne viva, dovresti coglierla al volo.”

"Chi… chi sei?"

"Il mio nome non ha importanza."

"Le guardie ti hanno chiamato 'Braig'."

"Peccato non sia il mio vero nome, Stellina. Ma fa lo stesso, puoi chiamarmi così se vuoi. Ora, vuoi uscire di qui, sì o no?"

X si morse il labbro inferiore.

“Ho già rischiato molto per arrivare a te. Rubare il tuo fascicolo dall’archivio non è stato semplice. Ma dovevo assicurarmi che fossi una di loro.”

“Una… di chi?”

“Non c’è tempo per spiegare-”

“No, rispondimi!” Mossa da un istinto che non seppe spiegarsi, la ragazza lo afferrò per il braccio. “Sai chi sono?!”

L’uomo le premette una mano sulla bocca “Sssh!”

“Senti…” sospirò poi, con fare esasperato “Se dico 'Possa il mio cuore-', tu cosa rispondi?”

Lei sgranò gli occhi ambrati, mentre le dita velate dal guanto ormai fradicio le scivolavano via dalle labbra.

“...essere la mia chiave guida.” mormorò a mezza voce.

“Brava Stellina. Offre conforto come nessun'altra frase al mondo, eh?"

“Come fai a-”

"Conoscerla? Oh, potrei averla letta nei rapporti di Even e usata solo per accattivarmi le tue simpatie. Pare che tu non faccia altro che ripeterla nel sonno. O magari, qualcuno l'ha detta anche a me, tanto tempo fa. Ma sai che cosa significa veramente?" Fece una pausa. "Significa libertà di fare ciò che si vuole e al diavolo tutto il resto. Una celebrazione dell’egoismo nella sua forma più pura. Ma nel tuo caso, di chi altri dovresti preoccuparti? Ci sei solo tu. E tu vuoi andartene da questo postaccio, vero?"

Lei annuì ripetutamente. Nonostante l'acqua che la colpiva adesso fosse tiepida, la ragazza tremava visibilmente. Forse per la paura, forse per l'emozione. Braig non avrebbe saputo dirlo.

"Allora fa come ti dico. Lavati in fretta, vestiti, vai da Even. Ti sottoporranno di nuovo alla procedura. Stringi i denti. Non fare o dire niente di sospetto. Quando ti riporteranno in cella, verrò a prenderti.”

Era sicuramente una trappola. L’ennesima bugia. Soltanto il nuovo modo escogitato dai ricercatori per torturarla. Doveva esserlo.

Eppure, qualcosa scattò dentro di lei. Tutta l’angoscia che s’era tenuta dentro, quella che non aveva mai condiviso nemmeno con Isa e Lea, si riversò giù dai suoi occhi in un pianto convulso.

"Non ce la faccio più..." gemette, affondando le dita nella stoffa della divisa del suo interlocutore "Se mi aprono di nuovo il cuore per guardarci dentro- si spezzerà. Mi ucciderà-"

"È possibile, non lo nego. Nessuno ha sopportato tanti test quanto te. E’ perchè sei speciale, Stellina, scelta tra migliaia."

“...scelta da chi?” ansimò, senza fiato, le spalle scosse dai singhiozzi.

“Dalla stessa persona che ha scelto me.” Sulle sue labbra s’aprì di nuovo quel ghigno da sciacallo.

“Da un grandissimo figlio di buona donna.”

°°°
 

“Dov’è X?” lo freddò Dilan non appena ebbe messo piede fuori dal disimpegno del bagno.

“Si sta lavando da sola, proprio come volevi.” Brag si tolse i guanti bagnati. “So essere molto persuasivo se voglio.”

“Con la faccia che ti ritrovi non dev’essere difficile.”

“Almeno io ho le palle di vedermela con una ragazzina che fa i capricci.” soffiò l’altro, caustico.

Aeleus li raggiunse nel corridoio, interrompendo quella che si presagiva come l’ennesima accesa discussione condita di insulti gratuiti “Braig, Re Ansem vuole parlarti nel suo ufficio.”

“Perchè non sono sorpreso?” sbuffò lui alzando al cielo il suo unico occhio. “Vado, vado! E voi date a Soggetto X cinque minuti di tregua, è pur sempre una signora, ha il diritto di farsi attendere.”

Mentre la guardia si allontanava, Aeleus rientrò nella sala docce lasciando fuori Dilan a borbottare tra sé e sé.

Dalla fessura sotto la porta del cubicolo, poteva scorgere i piedi nudi della ragazza sulle piastrelle fradice d’acqua insaponata. Così, si sedette su una delle lunghe panche in legno dello spogliatoio e aspettò.

Braig aveva ragione, si meritava un pò di tranquillità.

°°°
 

“Pensi davvero che interferire col ruolo della Maestra Ava sia una buona idea?”

Braig si strinse nelle spalle, procedendo con tutta calma lungo il corridoio fievolmente illuminato “Non ricordo nemmeno quand’è stata l’ultima volta che ho avuto una buona idea.”

“Beh, l’importante è esserne consapevoli.”

“E poi scusa, com’è che quando è lei a sgarrare non dici niente ma se lo faccio io mi salti subito alla gola?”

“Perchè sei sotto la mia tutela, ecco perché.” gli rimbrottò seccata la vocina squillante. “E non voglio che tu ti metta nei guai!”

“Rilassati, palla di pelo. Sai meglio di me che non potrei mandare all’aria il piano nemmeno se volessi. E poi cosa c'è, è proibito fare una buona azione di tanto in tanto?”

Una testolina rotonda coperta di soffice stoffa striata fece capolino da dietro le sue spalle in uno sbuffo di fumo colorato “Certe volte non sono sicuro di voler sapere cosa ti frulla in testa, ragazzino.*”

“Potrei sorprenderti.”

“Ne dubito. Ti sei persino preso il merito di aver sottratto i documenti dall’archivio quando invece ha fatto tutto il sottoscritto! ”

“Vorrà dire che la prossima volta mi sceglierò un contenitore piccolo abbastanza da passare per i condotti di aerazione.”

“Spiritoso. Dovresti prenderti più cura dei tuoi contenitori, altrochè.” gli rimbrottò l’animaletto, agitando le zampe dalla punta bianca.

“Ma se mi lavo i denti tutte le sere…” rispose Braig, fingendo un’espressione profondamente ferita.

L’altro sospirò “Sei sempre il solito.”

“Perchè invece di lagnarti non vai a dare un’occhiata a come se la sta passando Stellina?”

“Oh? Sei… preoccupato?”

“No. So riconoscere una combattente nata quando ne vedo una. Non la spezzeranno. Ma di certo non vorrei essere nei suoi panni in questo momento.”

°°°

La capsula della memoria si richiuse attorno a lei, avvolgendola nella sua soffocante oscurità.

Soggetto X strinse i denti, preparandosi all’ormai fin troppo familiare fitta di dolore al petto. Le cinghie che le tenevano immobilizzate mani e piedi alla sedia già le tagliavano la carne.

Sentì il marchingegno caricarsi d’energia, un pulsante alone blu che andava a poco a poco a diffondersi attorno a lei, rivelando le intersezioni dei ‘petali’ che componevano il bozzolo in cui era stata avvolta. Se non fosse stato per il dolore che quella diavoleria le provocava, X l’avrebbe considerata persino bella. Vista da fuori, quando era aperta, sembrava un fiore d’alabastro.

Ma altro non era che una pianta carnivora pronta a sciogliere quel poco che restava di lei nel suo nettare acido.

“Brava Stellina, adesso fa quel che ti dico e ti prometto che ti farò uscire di qui.” le parole dell’uomo con la benda sull’occhio le tornarono alla mente mentre la capsula prendeva a ronzare.

Stellina.

Per qualcuno senza nome e senza ricordi come lei, persino un nomignolo come quello era qualcosa a cui aggrapparsi.

E X fece proprio questo, con tutte le sue forze, quando un colpo dritto al centro della cassa toracica le mozzò il respiro come un affondo di lancia, facendola accasciare contro lo schienale in uno stato catatonico. Gli occhi sbarrati e vitrei, fissi davanti a lei, la bocca storta e aperta in un grido silenzioso mentre il flusso d’energia della macchina andava a focalizzarsi su uno specifico ricordo sepolto nei meandri del suo cuore.

Un boato assordante, la terra che trema, una mano tesa per afferrare la sua.

Le dita si sfiorano, vede il proprio riflesso negli occhi blu di fronte ai suoi, per una frazione di secondo pensa di essere salva, che lui non la lascerà andare.

Il mondo intero si dilania intorno a loro e il cielo screziato dei colori dell’alba si tinge di un grigio crepitante, come il disturbo statico di una vecchia televisione.

Niente è reale... ma allora perchè fa così male?

L̫̫̺̗̹̫͖ͅo̫͙ ͙̦̤͚̻ͅd̠̠͙͙̖e̖c̯̬̭̤̳͈͚i̩͓̖ḓ̮o̹ ̖͓̮͕ͅi̫͚̹o̦̙͎̬̖̹̞̜ ̥̺c͇̲̭͉ͅo̙̙̬͉̟͈͈s̰͔͖̬͎’͍̰̱̲̪̘ͅè̺̻̰̙̺ ̩͇̻r̙̖͙e̹̺̫͍̠͉̟a̺̼̯l̙̜̳e͈̙̻ ̜̯̗̤̜̘͎e͔̠̳͖̖̱ ̝͇͉c͖̼o͔̮͈s̘̭̼͓̩̭a̖̝͈̮̝̦̹ ̖̤̫̙̱̻͕͇͇ṇ̲̞̜̯͓͖̗o̗̤͈̝.͈̘̭ ̭̼̯̫U͙͈͚̻̮͚n̠̫ͅ ̯̙c͙̟̩̣̥̲̖̻͙u͍o̗̠̱̯͓r͙̬e͙͍ ͔p͎͈̳̤͈̦̘u̲̼̼̬̖ͅò̫̼̹ ͔̖͎͎̟̭v̤͓̣̪ị̟̱v̹̳̼e͓͚̯̝͎̟̺̱r͍͈͙͎̣̫̝̤ḛ̹̼̳ ̪̳̠ͅo͎̦̗̣̼̲͉v͇͔̩̦̩u͍̤͇͚͎n͖̣͕ͅq̮u͎̬̟͙͚̲͈̝̹e̠̠͎̻͈͓ͅ.̝̺

Il livello dell’acqua continua a salire. L’intera città sta sprofondando.

Gli occhi blu sono scomparsi, sostituiti da uno solo.

Grande, sbarrato, ma non saprebbe dire se per il terrore o una folle esaltazione.

Chi sei?

Una musica lontana riecheggia sopra le strade e gli edifici sommersi.
E’ familiare, ma distorta, contaminata. Non c’è niente di melodioso nelle sue note.

I͕̼o̱͔ͅͅ ̙̯͚̬͍͚͕s͔͔̪̫̥̺o̟̫no͈͖̳̯͉̠̞ ͈̰̟̹̙͎ͅi̜̯̞̣l̮̝̫͚̼͙ ̝̲̥f̬̤̠̻̫͓͔u͈̰̲̖̫͔̬t̖̥̘̣͓̙ͅu̹͓̬̻̲̰̬͚r͎͓o̳̭̲̯̩̣̱.͈̘̯͎̻̘̙̮
 

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* Ragazzino ('Kiddo'): Chirithy chiama il giocatore 'kiddo' molto spesso e Xigbar fa lo stesso con Roxas in 358/2 Days.

Luxu, che ragazzaccio che sei diventato! O:
Eccoci qua alla fine del primo flashforward... che è, ironicamente, il primissimo capitolo che ho scritto oltre due mesi fa.
Mi sono presa la libertà di cambiare la scena in cui Soggetto X (che è Skuld, già ve lo anticipo tanto ormai lo sappiamo tutti) incontra Braig in modo che abbiano una vera e propria conversazione prima che lui la porti via. Ho grandi piani per questi due!
Al prossimo capitolo :3

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Capitolo 19
*** ✭ Make Mine Music ***


NOTA: Torniamo ad Auropoli nell’Era delle Fiabe con un capitolo primariamente fluff e un pochetto multisensoriale! :D citerò due brani musicali che sono esattamente gli stessi uditi dai personaggi della storia quindi vi consiglio caldamente di clikkare sui link (segnati in blu) mentre leggete per calarvi nell’atmosfera!

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✭ MAKE MINE MUSIC ✭

Music will play the shadows away,
when everything seems to go wrong.
So make mine music,
and life will be a song!
[Make Mine Music / Musica, Maestro! - Walt Disney Records - 1946]

Mancava poco al calar del sole quando i tre apprendisti attraversarono il portale, lasciandosi alle spalle Giardino Radioso.

I preparativi per la parata di Auropoli sembravano ormai ultimati. La piazza era adorna di festoni e la grande luminaria ancora spenta era stata installata lungo tutto il corso principale.

Una volta oltrepassato il ponte che separava la Torre Meccanica dal resto della città, Luxu e Azal si salutarono dandosi appuntamento per quella sera mentre Nahara, con i volumi richiesti dal Maestro sotto il braccio, schizzò via come un fulmine per andare a prepararsi per la sua fantomatica uscita romantica.

Luxu decise di tornare nelle sue stanze per riposarsi un po’ e non appena mise piede in corridoio, avvertì uno zampettare familiare al suo fianco. La testolina grigia del gatto gli si strusciò contro le caviglie.

“Hey, ciao!” lo salutò, chinandosi per prenderlo in braccio e l’animale gli balzò subito sulle spalle, mettendosi a fare le fusa. Mentre saliva le scale, l’apprendista ripensò a quello che gli aveva detto Mava la settimana prima, ossia che avrebbe fatto bene a trovare un nome a quel micione dato che ormai si era accasato a tempo pieno lì con loro… ma Luxu non era mai stato bravo con i nomi e la bambina non aveva offerto alcun suggerimento, insistendo che dovesse essere lui a dargliene uno.

Anche se tutti lì nella torre, Perbias compreso, si divertivano a giocare col gatto e a fargli carezze, era chiaro come il sole che quest'ultimo avesse una particolare predilezione per Luxu ed era per questo che gli altri sostenevano che fosse il ‘suo’ gatto. Magari poteva trarre ispirazione da uno dei libri del Maestro...

Grattando affettuosamente il micio sotto il mento, Luxu raggiunse l’ultimo piano ed entrò nella sala del planetario dove l’enorme telescopio stava in attesa, il suo occhio di vetro sempre fisso contro il cielo. Non si era mai domandato perché la sua stanza si trovasse lassù mentre quelle dei suoi compagni erano disposte in un corridoio oltre cinque piani più in basso, ma in quel momento si fermò a rifletterci su, ascoltando le fusa vicine al suo orecchio.

Essendo lui l’ultimo arrivato, forse Perbias riteneva fosse necessario tenerlo d’occhio…? Eppure i due s’incrociavano nell’anticamera che separava le loro stanze solo molto raramente. Nonostante rispettasse (più o meno…) gli orari delle lezioni, Perbias viveva il resto delle proprie ventiquattro ore ad un ritmo assurdo, alzandosi nel cuore della notte e andando a dormire in pieno pomeriggio, per non parlare poi delle volte che non dormiva affatto e i ragazzi lo vedevano trascinarsi per la Torre con l'immancabile tazza di caffè in mano.

Sempre meglio dei giorni in cui spariva completamente, lasciandosi dietro un biglietto per avvisarli che non ci sarebbe stata alcuna lezione.

Forse, si disse Luxu con un sospiro, era per questo che il Maestro lo teneva così vicino a sè, perchè lui trovasse i maledetti bigliettini che seminava in giro e comunicasse agli altri le sue intenzioni senza doversi scomodare.

Curioso, visto che l’intera Torre era dotata di un interfono e gli sarebbe bastato accedervi dal proprio terminale per dar loro istruzioni.

Quando Luxu e i suoi compagni non riuscivano a trovare il Maestro da nessuna parte, le possibilità erano due. La prima, e la più frequente, era che se ne fosse andato in chissà quale Mondo lontano attraverso un Corridoio di Luce, mentre la seconda era di scoprirlo sul ponte del pendolo intento a fissare il vasto oceano che s’estendeva alle spalle della Torre, laddove il fiume che tagliava in due la città andava a sfociare.

Quali pensieri gli passassero per la testa in quei momenti, nessuno dei suoi apprendisti sapeva dirlo. L’immensa distesa d’acqua si rifletteva burrascosa nei suoi occhi ed era difficile stabilire quale delle due cose fosse tinta della tonalità di blu più intensa.

Luxu passò davanti alla stanza del Maestro, rallentando il passo fino a fermarsi. Una linea di tremula luce violetta si proiettava in corridoio attraverso la fessura della porta socchiusa e una musica lieve, simile a quella di un carillon, risuonava dall'interno.

Nonostante la curiosità, Luxu non voleva impicciarsi né tantomeno disturbare Perbias in quello che era probabilmente un momento di relax, ma quando alla melodia tintinnante andarono a sovrapporsi intense note di pianoforte, il bambino non riuscì a trattenersi.

Strinse il pomello in pugno e spinse quanto bastava per sbirciare all’interno mentre la musica lo investiva come l’onda dell’alta marea.

Davanti a lui si apriva una stanza lunga e angusta che si perdeva verso il fondo immersa nel bagliore color lavanda delle vetrate colpite dagli ultimi raggi del sole.

Era disordinata in modo sorprendentemente artistico, con cataste di libri in equilibrio che formavano altissime torri poggiate contro gli scaffali e persino archi e ponticelli accuratamente bilanciati, come se Perbias si fosse divertito ad impilare i volumi come per costruire un castello di carte.

Una scaletta sghemba conduceva ad un soppalco rudimentale, chiaramente aggiunto in un secondo momento, dove si poteva scorgere un letto sfatto ricoperto di cuscini ed un lume a petrolio.

Nel vedere quanto fosse risicato lo spazio all’interno, Luxu si domandò perché Perbias non avesse ampliato la stanza usando il controllo totale che aveva sui locali della Torre. Avrebbe potuto vivere in una suite degna di un hotel di lusso e invece se ne stava rintanato in uno stretto sgabuzzino.

Senza neanche accorgersene, il bambino prese a vagare per quel curioso labirinto, come attratto dalla melodia del pifferaio magico. Persino il gatto sulle sue spalle sembrava incantato dalla musica.

Da dietro un muro di cianfrusaglie, tra cui spiccavano persino numerose piante in vaso ormai cresciute così tanto da affondare le radici in mezzo al resto degli oggetti impolverati, veniva il bagliore di uno schermo ovale incassato in un bizzarro macchinario.

Quella curiosa diavoleria di tubi d’ottone e bobine percorse da rapide scosse elettriche fremeva al tocco delle mani di Perbias che danzavano leggere sulla tastiera d’avorio.

Il Maestro gli dava le spalle, le scapole fasciate dalle bretelle nere che sobbalzavano al ritmo delle note mentre lo schermo s’accendeva di colori e forme astratte a tempo di musica. Il riverbero del monitor tingeva le cataste di libri e le pareti come un caleidoscopio, riflettendosi sugli specchi ossidati disseminati un po’ ovunque.

Ve n’erano di grandi ed ovali, piccoli e senza cornice, posati sulle scaffalature come fossero portafotografie, creando un bizzarro gioco di pieni e vuoti, riflessi e colori.

Gli ingranaggi della Torre Meccanica riempivano interamente il soffitto, incombendo sulle loro teste come lame di ghigliottina pronte a calare. Quel luogo era al contempo curiosamente accogliente e profondamente sinistro.

La melodia raggiunse il suo apice e Perbias la seguì, completando la scala di note con uno svolazzo della mano per poi addolcire il tocco sempre più, finchè la musica non andò a scemare nel silenzio.

Luxu si chiese se c’era qualcosa in cui il Maestro non eccellesse. Proprio come la sua stanza, anche Perbias era tanto straordinario quanto spaventoso.

Stava pensando a questo quando, richiuso il coperchio del piccolo pianoforte, il ragazzo si voltò verso di lui, inchiodandolo sul posto con i suoi occhi color ghiaccio.

Nel momento di imbarazzo che seguì, Luxu non poté fare a meno di notare che aperta sul leggio del marchingegno stava la copia digitale dei Rapporti di Orran Durai che Nahara gli aveva consegnato.

Non aveva alcun senso, eppure il bambino non riuscì a togliersi dalla testa l’idea che Perbias avesse appena usato quel libro come uno spartito.

“La curiosità uccide il gatto, non lo sai?”*

Luxu sobbalzò e il micio gli affondò gli artigli nelle spalle per lo spavento, quasi avesse capito quel che Perbias aveva appena detto.

“Perdonatemi, non volevo ficcanasare!” si scusò sentitamente. “Non sarei dovuto entrare, ma la porta era aperta e-”

“Figurati. Mettiti pure comodo. Sempre se riesci a trovare dove sederti… dovrei proprio dare una ripulita a questo posto.”

Il bambino fece un passo indietro “N-no, davvero, tolgo il disturbo-”

“Com’è andata a Giardino Radioso?” lo prese in contropiede lui e Luxu non poté far altro che dargli corda.

“E’ stato interessante. Ho preso anch’io alcuni libri in prestito.” raccontò, prendendo il gatto da sotto le zampe visto che stava cominciando ad agitarsi, tenendolo in braccio.

“Puoi lasciarlo gironzolare, non è un problema.” gli diede il permesso il Maestro, mettendosi a frugare in un cassetto per poi alzarsi e raggiungere uno specchio rettangolare circondato di lampadine e appeso sopra una toeletta come nel camerino di un attore.

“Non vorrei che buttasse a terra qualcosa...”

“Tanto è tutta robaccia.” minimizzò Perbias pettinandosi all’indietro i capelli cobalto.

Con grande sollievo del gatto, Luxu obbedì e l’animale balzò immediatamente sullo sgabello da cui Perbias s’era appena alzato, acciambellandosi sul cuscino ancora caldo.

“Piuttosto Luxu, dimmi un pò che sono curioso…” proseguì il Maestro, allacciando il papillon nero sotto al colletto inamidato della camicia “...Nahara gliel’ha chiesto poi ad Azal di uscire? Ho cercato di farmi raccontare com’é andata quando è venuta a portarmi i libri ma ha evitato le mie doman-”

Nel vedere l’espressione sbigottita del suo allievo, Perbias capì immediatamente come stavano le cose. “...no, direi che non gliel’ha chiesto.”

Luxu non si sentiva a suo agio a parlare di quel genere di cose, specialmente visto che Nahara era chiaramente imbarazzata dall’intera faccenda. Diamine però, se l’avesse saputo non si sarebbe imbucato con loro a Giardino Radioso… adesso si sentiva in colpa. Forse, si disse, se fosse rimasta sola con Azal senza avere lui tra i piedi avrebbe trovato il coraggio di chiedergli di uscire invece di accampare scuse raccontando di essere già d’accordo con qualcun’altro.

Non che Luxu avesse la presunzione di capire cosa passasse per la testa di una ragazza di cinque anni più grande, ma Nahara era un pò come una sorella maggiore per lui e gli dispiaceva averla messa a disagio senza nemmeno accorgersene.

“Poco male.” proseguì il Maestro, sorridendo al proprio riflesso prima di tornare a voltarsi verso di lui “Vorrà dire che stasera io e te le daremo una spintarella.”

“Maestro, io non sono per niente bravo con queste cose.” mise immediatamente le mani avanti Luxu “Combinerei un disastro, perciò per favore, non coinvolgetemi-”

Perbias lo raggiunse e, mentre gli si avvicinava, Luxu notò che era in pantofole e che i pantaloni gessati gli andavano corti di almeno una decina di centimetri, lasciando scoperte le caviglie magre e i buffi calzini a righe. La vita all’orfanotrofio aveva reso Luxu un esperto in materia di abiti fuori taglia, perciò aveva l’occhio allenato a notare orli troppo lunghi o troppo corti.

E la verità, era che stavano crescendo tutti quanti. Nahara con la sua prima cotta seria, Azal col pizzetto sul mento e Perbias coi pantaloni corti e i bottoni della camicia che tirano sul torace che iniziava a farsi ampio.

“Prendila come una lezione extracurriculare sui legami tra i Cuori. E poi, potrebbe tornarti utile in futuro, non pensi?” proseguì il Maestro, posandogli affabilmente una mano sulla spalla.

Il bambino fece una smorfia. “A me? Non credo proprio!”

L’altro rise “Mai dire mai. Piuttosto, non dovresti andare a cambiarti? Non puoi venire alla festa senza metterti in ghingheri!”

“Non ho niente da mettermi-”

Il volto del Maestro s’illuminò “Perché non l’hai detto subito?!”

Luxu si maledisse per non aver tenuto chiusa quella sua boccaccia. Avrebbe potuto dargli ragione e svicolare in camera sua e invece sentì le dita di Perbias serrarsi sulla sua spalla come tenaglie.

“Maestro, apprezzo l’offerta ma manca poco alla parata-”

“Sciocchezze, quanto pensi che ci voglia al sottoscritto per trovarti qualcosa di elegante da mettere?” s’interruppe, scompigliandogli i capelli con un colpetto di mano “Più che dei vestiti, dovremo occuparci di questi… ti sono cresciuti tutti storti e hai un sacco di doppie punte...”

Nell’udire quelle parole e al ricordo di quel che Azal gli aveva detto riguardo alla disavventura di Mava l’ultima volta che il Maestro s’era improvvisato parrucchiere, Luxu avrebbe voluto sprofondare.

Il gatto, ancora accoccolato sullo sgabello del pianoforte socchiuse gli occhi tronfiamente, quasi provasse un certo gusto sadico nel vedere il proprio padroncino in difficoltà.

E a quella vista, Luxu capì di aver appena trovato il nome perfetto per quella palla di pelo ingrata.

Schadenfreude.

Schad, per gli amici.

°°°

Mava e Nahara sedevano sul tetto del municipio, sgranocchiando a piene mani da un grosso sacchetto di popcorn dolci ricoperti di glassa colorata.

Non erano le sole ad essersi abbarbicate tra gli abbaini ed i comignoli. La piazza era così gremita di gente che tetti e balconi eranol'unica opsione possibile.

Le due apprendiste avevano dismesso le loro consuete tuniche color pastello in favore di qualcosa di più mondano ma non per questo meno grazioso. Nahara indossava un vestito cartazucchero sopra il ginocchio con una cintura in vita ed un coprispalle di maglia ricamato a fiori per tenere lontani i brividi del venticello d’inizio autunno.

Mava invece era molto più sportiva, con maglioncino smanicato a collo alto color glicine, gonna a pieghe nera e scaldamuscoli.

“Quindi… te ne sei andata senza dirgli niente?” chiese quest’ultima, afferrando una manciata di pop-corn.

Nahara si mordicchiò il labbro inferiore “Non volevo fare la figura della stupida.”

“Maddai, lo sai che Azal avrebbe accettato! Sei una fifona.”

“Forse è proprio questo che mi spaventa davvero. Ho avuto paura che mi rispondesse di sì.” disse l’altra, torcendo una ciocca di capelli tra le dita “Ma vedi, non voglio rovinare la nostra amicizia. Hai ragione, sono proprio una fifona.”

Mava sospirò “Azal non è mica così superficiale, sai? Se ne parlate apertamente, sono sicura che capirebbe. E poi scommetto che gli piaci.”

“Come fai a dirlo?”

L’apprendista più giovane sogghignò “Ricordi quando il Maestro ci chiese chi era più carino tra Luxu ed Hafet? A colazione, qualche tempo fa?”

Nahara s’accigliò “...si?”

“Ebbene, Azal era seduto accanto a me e s’è irrigidito tutto quando hai detto che preferivi Luxu. Magari adesso anche lui è lì a piangersi addosso perché teme tu abbia un debole per i peldicarota lentigginosi.”

“Ma stavo scherzando!”

“Io mi limito a riferirti quel che ho notato.” minimizzò Mava, sgranocchiando rumorosamente la glassatura dei dolcetti. “A te il compito di trarne le conclusioni!”

“Immagino tu abbia ragione.” ammise Nahara tirando la testa all’indietro, sospirando. Il cielo era ormai buio e trapuntato di stelle, ma i lampioni della città avvolgevano la notte in un tiepido alone dorato.

Le due apprendiste passarono alcuni minuti in silenzio, ascoltando il chiacchiericcio eccitato della folla e godendosi la frescura.

“Piuttosto…” riprese ad un certo punto Nahara, rivolgendole un sorriso malizioso “...sbaglio o tu hai dribblato la domanda del Maestro, quella mattina?”

Mava le lanciò un’occhiata di sottecchi “Hey, non sono io quella coi problemi amorosi qui.”

“...per ora.”

“Ho detto la verità, non mi piace nessuno dei due. Posso capire Azal, se ti piace il genere: alto, capelli fluenti, sempre così posato e onorevole… Ma quei marmocchi? Piuttosto Salegg!” scherzò lei “Poi vabbè, c’è il Maestro ma lui non fa testo...”

Nahara rise, tornando a guardare il firmamento. Nel frattempo in piazza, gli organizzatori della parata dirigevano gli ultimi ritardatari ai lati della strada, pregando chi si era accaparrato un posto in prima fila sul marciapiede di lasciarli passare per sgombrare la carreggiata.

“Com’è che non faccio testo, scusate?” trillò alle loro spalle proprio la voce di Perbias.

Mava si voltò, un’espressione di sufficienza impressa in volto “Perchè siete un grande spione, ecco perchè!”

Perbias slittò giù dal tetto aguzzo con la sicurezza di uno skater professionista, le suole lisce dei mocassini che scivolavano sulle tegole. Era vestito di tutto punto e portava i capelli pettinati all’indietro con abbondanti leccate di brillantina.

“Hey Luxu, dai non essere timido! Vieni a spettegolare con me e le signorine!”

Le due ragazze si voltarono, scorgendo l’apprendista dritto in piedi sul cornicione sopra di loro. Da quell’angolazione non riuscivano a vederlo bene in volto, ma notarono che indossava un completo nero simile a quello del maestro. Chiaro segno che era finito nelle sue grinfie per un completo makeover. “Neanche per sogno!”

“Dai Luxu, vieni giù!” lo chiamò Mava allegramente, curiosa di scoprire come Perbias l’avesse conciato.

L’apprendista sospirò, rassegnato.

Lanciando una forma leggera di Gravity per assicurarsi di non ruzzolare giù, il ragazzino li raggiunse a passo svelto, lasciandosi cadere a sedere al fianco di Mava.

La ragazzina lo fissò, assimilando tutti i dettagli del suo nuovo aspetto.

“Stai… molto bene.” ammise poi, genuinamente sorpresa.

Luxu inarcò un sopracciglio, certo che lo stesse prendendo in giro.

“Un taglio un po’ estroso, ma concordo.” rincarò Nahara, sorridendogli.

“Visto? Che ti avevo detto?” gongolò Perbias, dondolando svagatamente i piedi giù dal tetto.

Il bambino si passò una mano tra i capelli appena tagliati con fare un po’ imbarazzato. Il Maestro aveva preso il rasoio elettrico e partendo dalla nuca gli aveva rasato tutto il lato sinistro della testa, sostituendo le lunghe ciocche ondulate con una soffice capigliatura di due o tre centimetri di lunghezza. Il lato destro, invece, era stato scalato a colpi di forbice e pettinato da una parte, così che non gli ricadesse sugli occhi anche se qualche ciuffetto ribelle non mancava mai di sfuggirgli sulla fronte.

“Dove sono gli altri?” chiese, affrettandosi a cambiare discorso.

Nahara tornò a guardare verso la piazza. “Azal e Salegg dovrebbero essere qui a momenti. Hafet, invece, è andato a parlare col Borgomastro. Credo per la questione dei fuochi d’artificio.”

“Faranno i fuochi d’artificio?” le fece eco Luxu, eccitato. Li aveva visti soltanto una volta quando un luna park itinerante s’era fermato nei pressi dell’orfanotrofio. E nonostante ciò, era così distante che a malapena era riuscito a scorgere i bagliori delle esplosioni oltre le fronde degli alberi del cortile.

“Auropoli è un mortorio durante tutto l’anno, ma quando si tratta di dare spettacolo non badano a spese. Ormai sono anni che diamo loro il permesso di istallare tutto il comparto pirotecnico sulla Torre. Hafet fa da supervisore per assicurarsi che non facciano danni.” spiegò Perbias, rubando una manciata di pop-corn dal sacchetto ormai quasi vuoto.

Un’improvvisa folata d’aria spazzò verso il cielo i petali dei gerani rossi del balcone vicino a loro e Azal, Salegg e Hafet li raggiunsero, balzando sul tetto con l’aiuto dell’incantesimo Aero.

“Hey, occhio!” gridò qualcuno tra la folla accalcata attorno al municipio.

”Scusi!” si sporse Hafet per poi tornare a rivolgersi al Maestro e ai compagni “Scusate il ritardo!”

“Era ora.” bofonchiò Mava appallottolando il sacchetto di dolciumi a cui Perbias aveva dato fondo “Abbiamo già finito i pop-corn e la parata non è neanche iniziata!”

Azal estrasse dalla borsa una dozzina abbondante di dolcetti al riso soffiato ricoperti di cioccolato, glassa e praline di zucchero “Tranquilla, ci ho pensato io.”

Perbias ne addentò uno a forma di zucca di Halloween, passando gli altri ai propri allievi mentre tutti prendevano posto a sedere.

Luxu si rigirò lo stecco del dolcetto tra le dita. Il suo aveva la forma di un castello stilizzato, glassato di bianco e argento ed un aspetto fin troppo familiare.

“..sarebbe il castello di Giardino Radioso, questo?” chiese, addentando una delle torri con esitazione. Il riso era gommoso e dolce sotto i denti, s’attaccava al palato che era una meraviglia.

“Proprio così.” confermò Nahara dando un morso al suo, che invece rappresentava una pagoda. “Non si celebra soltanto la fine dell’estate ma anche la bellezza degli altri Mondi. Auropoli è una città piuttosto cosmopolita, in questo senso. Per questo la gente di qui ama dire che ‘il mondo è piccolo’, anche se non potrebbe essere più falso.”

“Beh, di certo è piccolo per noi che abbiamo accesso ai Corridoi.” commentò il Maestro con un sorriso lieve “Ma quello che intendono qui, è che nessuna distanza può spezzare i legami tra i Cuori delle persone. Ed è una verità sacrosanta, qualcosa meritevole d’essere celebrato.”

Sotto di loro, un gruppetto di figure in abiti da festa si radunò attorno alla fontana e il Borgomastro prese posto su un piccolo palchetto addobbato allestito per l’occasione. Impugnato il microfono, si schiarì la voce per chiedere silenzio e tutt’attorno il chiacchiericcio della folla andò ad acquietarsi, lasciando come unico suono lo scrosciare dell’acqua e lo sgranocchiare degli snack.

Una grave nota musicale iniziò a salire di volume attraverso gli altoparlanti disposti ai quattro angoli della piazza, poi un vivace squillo di trombe annunciò ufficialmente l’inizio della celebrazione. Ma non si trattava di un suono naturale, quanto piuttosto quello che una tromba sintetizzata elettronicamente avrebbe prodotto.

La stessa distorsione fu applicata alla voce del Borgomastro, quando iniziò a parlare

“Signore e signori, ragazzi e ragazze!

Siamo orgogliosi di presentare il nostro spettacolare corteo di magia notturna ed immaginazione,

immerso in centinaia di luci brillanti e nell’incanto dei suoni elettro-sinte-magnetici!

La Parata Elettrica di Auropoli!”

Tutti i lampioni si spensero all’unisono, lasciando la piazza immersa nell’oscurità quasi totale per un istante prima che il massiccio portone di legno che conduceva ai giardini non venne spalancato, rivelando il primo di una lunga serie di carri interamente rivestiti di lampadine di mille colori che s’accendevano e spegnevano a ritmo di musica.

All’inizio, Luxu non rimase particolarmente impressionato. In fin dei conti si trattava pur sempre di semplici affari su ruote ricoperti di cavi elettrici e bulbi, ma mano a mano che i carri sfilavano e la musichetta gli entrava in testa, si ritrovò a sorridere e a battere il tempo come tutti gli altri.

Ai primi convogli un po’ deludenti, ne seguirono altri bellissimi ed elaborati, con figuranti in abiti luminosi a condurli lungo la via, esibendosi in specifiche coreografie che richiamavano le tradizioni del Mondo a cui il carro era dedicato

Alcuni carri erano così enormi e ben studiati da sembrare compresi di parti fluttuanti e le luci intermittenti erano programmate in modo da dare l'illusione dell'aprire e chiudersi dei petali di un fiore oppure del batter d'ali di una farfalla. In più di un'occasione, Luxu si trovò a domandarsi come fosse possibile ottenere illusioni così convincenti senza l'uso della magia e d'improvviso rivalutò l'intera esperienza come qualcosa di assolutamente imperdibile e che era certo non avrebbe dimenticato tanto in fretta.

Forzandosi di distogliere lo sguardo dalla vivace processione che gli stava sfilando davanti, riportò l'attenzione sui propri compagni e osservò le loro espressioni assorte, i volti illuminati dai colori stroboscopici.

Salegg e Azal, sempre a battibeccare durante il giorno, sembravano amici per la pelle in quel momento, scambiandosi i dolciumi come due bambini a Natale. Nahara pareva aver lasciato andare tutte le sue preoccupazioni e si stava godendo lo spettacolo mentre Mava e Hafet ridevano, indicando i ballerini e facendo commenti sui costumi.

Perbias sedeva al suo fianco, masticando pensierosamente lo stecco del dolcetto di riso soffiato, la testa persa chissà dove.

Quando anche l'ultimo carro fu scomparso alla vista e la musica si fece più fievole, un fischio seguito da un sonoro BOOM avvertì tutti i presenti dell'inizio dello spettacolo pirotecnico.

Il Maestro e i suoi sei apprendisti allora scattarono in piedi, raggiungendo il punto più alto del tetto e rimasero incantati a guardare il cielo sopra Auropoli ricamarsi di fiori incandescenti mentre dozzine di razzi schizzavano dalle guglie della Torre Meccanica.


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“La curiosità uccide il gatto, non lo sai?”* (curiosity killed the cat) idioma anglosassone simile al nostro ‘Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino’, ossia che a forza di fare una cosa proibita, si finisce per essere beccati e farsi male. Nella versione inglese è più adatta al contesto.

Bene, quanti di voi hanno voglia di andare a Disneyland adesso?! Soltanto io?! E lo sapevate che la Torre di Auropoli è basata sulla Tower of Terror di Tokyo Disneyland? Difficile non notare la somiglianza, specialmente di notte quando l'accendono di viola! :D
Nessuno ha chiesto una spiegazione lore-friendly dietro alle Attrazioni di KH3 eppure eccomi qui a proporvela: è tutta robaccia dell'Era delle Favole, mondi un tempo connessi che ricordano ancora di esserlo stati, di aver tutti fatto parte di un'unica, grande parata e che percepiscono l'abisso oscuro che adesso li separa come una ferita da rimarginare e Sora che va in giro, connettendo le persone, creando ponti tra i cuori... forse il VERO Kingdom Hearts sono gli amici che incontriamo lungo il cammino ;)
Ovviamente, le Attrazioni di KH3 sono specificatamente prese dalla versione di Tokyo Disneyland della Parata Elettrica, nonché una delle più belle ad aver mai sfilato per i parchi e che vi consiglio caldamente di vedere qui nel filmato :D.
Capitolo un pò TANTO fluff nel complesso, ma impariamo comunque cose nuove, come il talento del Maestro per la musica. No, tranquilli, non sto insinuando che lui sia Demyx nel presente... ma mi lascio aperta la porta nell'eventualità che dovesse essere così, perchè io di Nomura non mi fido mica D:!
Personalmente ritengo che la musica sia sempre stata un tema portante di KH, ne rappresenta l'identità in un modo in cui altri videogiochi si possono solo sognare e l'inclusione di Sinfonia della Stregoneria in DDD non ha fatto altro che rinforzare questa mia percezione. La mia interpretazione di Perbias è principalmente basata sull'idea dell'artista folle, sia esso uno scrittore, un attore o, appunto, un compositore che dirige la grande ed articolata orchestra che è la trama di questa saga.

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Capitolo 20
*** χ Negative Emotions ***


NOTA: questo capitolo segue direttamente gli eventi di χ TWINKLE TWINKLE LITTLE STAR χ.
Col procedere della trama e per facilitare la vita sia a me che a voi, ho deciso di contrassegnare i titoli dei capitoli con due simboli: e χ

= capitoli ambientati nell'Era delle Fiabe, ossia quelli che primariamente seguono la formazione di Luxu e l'evolversi dei piani del Maestro. Cronologicamente parlando, si tratta di tutti gli avvenimenti compresi tra 10 anni prima di Back Cover e la prima Guerra dei Keyblade.
χ = capitoli ambientati post Birth By Sleep
con Luxu nei panni di Braig/Xigbar, Soggetto X, Isa, Lea, Xehanort e il resto dell'allegra compagnia. Da 2 anni dopo BBS fino all'Epilogo di KH3. E magari, persino al Finale Segreto :P


χ NEGATIVE EMOTIONS χ

Run boy run! This race is a prophecy.
Run boy run! Break out from society.
Tomorrow is another day,
and you won't have to hide away.
You'll be a man, boy!
But for now it's time to run, it's time to run!

[Run Boy Run! - Woodkid]


Il vasto oceano d’oscurità era gelido e quieto. Asteroidi e relitti orbitavano placidamente attorno a colossali agglomerati di ghiaccio e cristallo e le stelle splendevano tutt’intorno, ognuna di esse un Mondo lontano e inesplorato.

Soggetto X se ne stava raggomitolata sul sedile del passeggero della Gummi Ship, fissando i grandi occhi castani contro le profondità cavernose del cosmo.

L’emozione che l’aveva travolta nel rivedere il cielo dopo due lunghi anni nei sotterranei del castello non era niente di paragonabile a quello che provava in quel momento, mentre se ne stava seduta nell’abitacolo di una navicella spaziale al fianco di un perfetto sconosciuto.

Braig le porse un paio di pantaloni da uomo e una t-shirt sformata perché li indossasse al posto della tunica bianca che era stata il suo unico indumento sin da quando riuscisse a ricordare. Lei non se lo fece ripetere due volte.

Mentre si cambiava, sola nella stiva colma fino al soffitto di casse di provviste, taniche di plasma e cannoni laser di riserva, X si domandò se quei vestiti fossero appartenuti al suo inaspettato benefattore. Sembravano nel suo stile, ma erano troppo piccoli per lui. Forse li aveva conservati da quando era più giovane.

Abbottonò i jeans ed infilò la maglia sul torso nudo, deliziata dal tocco della stoffa tiepida sulla pelle. Abbassò lo sguardo sulla tunica da cavia di laboratorio appallottolata a terra e la calciò via con stizza.

Non voleva più vedere quello straccio in vita sua.

L’indumento slittò sul pavimento imbullonato e si fermò contro il fianco di un massiccio baule nero. In mezzo ai pallet di metallo stivati di cibo e munizioni, quest’ultimo spiccava per il suo aspetto antico ed elaborato.

Incuriosita, X si avvicinò, sfiorando il rivestimento consunto del forziere. La scatola era foderata di uno spesso strato di cuoio nero e tenuta ermeticamente sigillata da tredici grandi serrature, tre su entrambi i lati corti e sette su quello anteriore. Sul coperchio, un blasone rosso incorniciato d’argento recava una scritta misteriosa e scolorita.

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| χ
super |
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La ragazza si accigliò. X…?

 X come lei?

Indugiò con la mano sullo stemma, chiedendosi che cosa potesse mai contenere un baule del genere e perché si trovasse lì, nella stiva di una nave spersa in mezzo al cosmo. Un oggetto come quello sembrava provenire da un altro tempo.

Una vocetta sottile la fece sobbalzare. X credeva di essere sola. “Non la toccherei se fossi in te, Braig diventa nervoso quando la gente gironzola intorno alla Scatola.”

“Scusami tanto, io-” disse, voltandosi verso il suo interlocutore per rimanere poi a fissarlo a bocca aperta.

Dritto in piedi davanti a lei, nel bel mezzo della stanza, stava un buffo pupazzo di pezza dalle sembianze di un gatto grigio. Camminava su due zampe ed aveva la testa sproporzionatamente grande rispetto al corpo, il che, se possibile, gli dava un aspetto ancora più surreale. L’animaletto la fissò di sotto in su con gli occhietti ricamati in filo azzurro e la ragazza si accorse che il destro era stato sostituito da un bottone cucito a mano che ricordava vagamente una benda sull’occhio, proprio come quella di Braig.

“Non mi sono ancora presentato, sono Chirithy… o meglio sono un Chirithy, ma puoi chiamarmi Schad. Piacere di conoscerti signorina!”

“Piacere mio. Vorrei tanto dirti come mi chiamo, ma purtroppo non conosco il mio nome.” disse lei, un pò imbarazzata, dando le spalle alla Scatola Nera.

“Tranquilla, non c’è problema. So che ne hai passate di cotte e di crude… e i nomi non sono poi così importanti.”

X si inginocchiò per non obbligare la creaturina ad inclinare all’indietro la testa per guardarla in faccia “Ce ne sono altri come te?”

“Un tempo ce ne erano molti di più.” disse il pupazzetto, con fare sconsolato “Ma non serve piangere sul latte versato. Piuttosto, come ti senti? Vuoi mangiare qualcosa? Io e il padroncino abbiamo un sacco di cose buone qui!”

“Il tuo ‘padroncino’... è Braig?” chiese lei, un pò perplessa. L’ultima cosa che si sarebbe aspettata da quell’energumeno era che avesse un pupazzetto così carino come mascotte.

“Yep.” assentì lui. “E so cosa stai pensando: cosa ci fa un affarino come me con quello là, eh?”

X sorrise con fare colpevole. “Colpita e affondata.”

“Non è cattivo come sembra.” il pupazzo esitò “Beh, non sempre, almeno.”

“Ma chi è? E cosa vuole da me?”

“Questa è una domanda da un milione di munny, ragazzina.” disse Schad, drizzando le orecchiette flosce “E una a cui davvero non posso rispondere, nonono!”

“Non fa niente.” sospirò lei, anche se in realtà avrebbe voluto afferrarlo per la collottola e minacciarlo di strappargli fuori tutta l’imbottitura se non avesse sputato il rospo.

“Tutto okay là dietro, Stellina?” la voce tagliente di Braig li raggiunse attraverso il portellone chiuso.

“Faremo meglio a tornare di là.” disse il pupazzo, saltellando verso la cabina di comando ed indicando il piccolo terminale che azionava la porta automatica.

Soggetto X poggiò la mano sul pannello luminoso e seguì l’animaletto fino all’abitacolo. Oltre il parabrezza bombato, lo spazio aperto era così nero che sembrava volerla risucchiare via.

Braig sedeva ai comandi, le mani guantate serrate attorno alle leve dello stabilizzatore di volo. La seguì con l’unico occhio che gli era rimasto mentre prendeva nuovamente posto al suo fianco e si lasciò sfuggire uno sbuffo quando vide Chirithy balzarle sulle ginocchia.

“Vedo che siete già ottimi amici.”

X sfiorò la testolina rotonda dell’animaletto con esitazione.

“Non dico mai di no ad un po’ di carezze. Da quant’è che non me ne fai una tu, eh Braig?” gli rinfacciò Schad, prendendo immediatamente a strusciarsi contro il palmo della ragazza

“Smettila di lagnarti.”

“Uffa!”

“Braig…” cercò d’intromettersi lei, sollevando lo sguardo dai lividi bluastri che aveva attorno ai polsi “...dove mi stai portando?”

Lui schiacciò l’acceleratore e la Gummi Ship s’insinuò a colpo sicuro in un banco d’asteroidi “In un gran bel posto. Dove Xehanort non potrà trovarti.”

Nell’udire il nome dello scienziato, Soggetto X rabbrividì così violentemente che Braig non potè fare a meno di distogliere lo sguardo dal parabrezza. “Cerca di non pensarci, Stellina. Il peggio è passato.”

“Perché dovrebbe venire proprio lui a cercarmi?” chiese lei in un sussurro.

“Perchè è da lui che Ansem vuole tenerti lontana.”

Lei si strinse a Chirithy per scacciare il freddo improvviso che l’aveva invasa “É stato Ansem a chiederti di..?”

“...rapirti?” completò Braig con un sogghigno.

La ragazza lo guardò di traverso. “E’ questo che stai facendo?”

“Se Ansem mi avesse ordinato di portarti via sarebbe stato un ‘salvataggio’. Ma così non è. Vedi, il vecchio non mi ha ordinato di fare proprio un bel niente. Diciamo solo che gli ho dato più di una buona ragione per lasciarmi agire indisturbato.”

Schad socchiuse l’occhietto azzurro “Ansem deve aver pensato che qualsiasi malefatta tu avessi in mente non potesse essere peggiore di quelle architettate da Xehanort.” ridacchiò “Anche se sinceramente non ne sono così sicuro. Del resto non sei stato tu a-”

“Tappati la bocca.” lo freddò Braig e il pupazzetto girò la testa di lato, fingendosi offeso.

“Come siamo nervosetti oggi...”

Soggetto X si morse il labbro inferiore. Aveva così tante domande in testa che a stento riusciva a udire i suoi stessi pensieri. Era certa che Braig avesse tutte le risposte a cui il suo Cuore tanto anelava. Poteva quasi sentirlo nell’aria, il sapore della verità, del suo vero io, la rassicurante consapevolezza di essere qualcuno, di non essere sola, di non essere un errore… ma al contempo, percepiva anche qualcos’altro.

Qualcosa di opprimente, viscido, strisciante, un soverchiante senso di disperazione e vacuità. Da dove proveniva? E perché così all’improvviso si sentiva di nuovo impotente e vulnerabile come quando era chiusa in cella…?

Braig tirò a sè la cloche, sterzando così bruscamente da scaraventare Chirithy contro il pannello di controllo “Reggetevi!”

“Un pò tardi per avvisare, cretino!” gemette l’animale di pezza, aggrappandosi ad una leva per non cadere mentre la navicella piroettava vorticosamente, zigzagando fuori dal campo di meteoriti diretta verso lo spazio aperto.

X si resse al sedile come meglio poté, ma l’ennesimo scossone le fece perdere la presa. Per un lungo, terrificante istante, la ragazza temette che si sarebbe sfracellata contro il soffitto che in quel momento si trovava dove fino ad un secondo prima stava il pavimento.

Invece, in un bagliore violaceo, una forza innaturale ed improvvisa la spinse nuovamente contro l’imbottitura della sedia, tenendola inchiodata sul posto ignorando ogni legge fisica. Certo, si trovavano nello spazio, ma la cabina di pilotaggio aveva un sistema di micro-gravità simulata che impediva alle cose e alle persone di fluttuare in giro per l’abitacolo.

E a giudicare dal volo che lei e Schad avevano appena fatto, il sistema funzionava ancora perfettamente.

Ma allora cos’era a tenerla ferma sul sedile mentre le stelle vorticavano vertiginosamente oltre l’oblò?

Col cuore in gola, riportò lo sguardo su Braig e vide che le sue mani ancora serrate sui controlli erano avviluppate in un brillante bagliore viola.

Lo stesso colore delle scintille che le danzavano sulla pelle, tenendola al sicuro.

Braig le aveva lanciato addosso un incantesimo mentre si destreggiava coi comandi della nave, spingendo i propulsori al massimo.

Qualcuno li aveva forse seguiti? Da cosa stava scappando?

Quando la risposta a quelle domande oscurò l’intero parabrezza, X si pentì di averle poste.

"UNVERSED?!" Squittì Schad spaventato "Credevo ci fossimo liberati di questi cosi dopo la scomparsa di Vanitas!"

X non aveva idea di che cosa il pupazzo stesse parlando, ma l'enorme creatura grigia e sgusciante che li bloccava la strada non aveva bisogno di chissà quali retroscena per essere compresa. Era chiaramente lì per fare a pezzi la navicella e non esitò un solo istante ad assalirli, manovrando il gigantesco pungiglione seghettato come un arpione.

Braig abbattè il pugno su un grosso pulsante verde e una barriera d'energia lampeggiò tutto attorno al velivolo, deflettendo il colpo all'ultimo secondo.

"Dobbiamo farlo fuori, non ci lascerà passare." Disse, serrando la presa attorno al joystick che controllava il cannone principale della navicella, l'indice sul grilletto.

X non riusciva a distogliere lo sguardo dalla maschera piangente sulla sommità di quel mostro mastodontico simile ad una medusa. L'ovale di metallo squarciato da due stilizzati occhi rossi s'impresse a fuoco nella sua mente. E fu allora che capì che quel soverchiante senso di disastro ed ineluttabilità era emanato proprio dalla creatura, quasi fosse essa stessa un concentrato d'emozioni nefaste che le stava infettando la mente come un virus.

Sentì la disperazione affondarle le unghie nel cuore, trascinandola giù con sé.

Era così che sarebbe finita la sua storia?

Liberata da una cella dopo anni di torture solo per morire stritolata tra le lamiere di una navicella in mezzo al niente?

Il mostro si scagliò contro di loro.

Sputando un improperio così volgare che X si sarebbe vergognata a ripetere, Braig aprì il fuoco sull'Unversed, schivando l’ondata di elettricità statica che il corpo bioluminescente di quell’abominio alieno aveva appena scagliato loro contro.

X sentì lo stomaco andarle sottosopra, ma si sforzò di tenere gli occhi aperti.

Schad balzò sulla console dei comandi, zampettando sulla tastiera con l’abilità di un co-pilota provetto, dando inizio all’armamento dei cannoni pesanti. Per qualche motivo, la ragazza non si sorprese affatto di scoprire che quella nave era armata fino ai denti e che un tenero pupazzetto di stoffa grigia s’occupasse del puntamento dei cannoni laser.

Aveva visto una cosa più assurda dell’altra nelle ultime ventiquattro ore e il suo cervello aveva semplicemente deciso di zittire la parte razionale che continuava a strillare che tutto ciò era semplicemente impossibile.

“Laser pronti!” cinguettò Schad aggrappandosi con tutto il proprio peso alla leva che controllava i portelloni sulla fusoliera, rivelando le bocche dei cannoni.

L’Unversed vorticò su sé stesso come una trottola, le ampie falde grigie del suo corpo gelatinoso che s’avviluppavano attorno al tronco principale, attirando la navetta in una spirale di detriti.

Frammenti d’asteroide e scaglie di ghiaccio tartassarono di colpi lo scudo esterno della Gummi Ship, obbligando persino Braig ad interrompere il fuoco per reggersi, ma fortunatamente, la barriera tenne.

Qualunque diavoleria tecnologica l’uomo avesse fatto installare a bordo della nave, funzionava alla grande.

Prima ancora che il mostro potesse rendersi conto che attrarli così vicini a sé fosse stata una pessima idea, Braig s’aggrappò di nuovo ai controlli e, tirando indietro la cloche in una spettacolare manovra evasiva, svuotò l’intera carica delle celle al plasma dritta al petto della creatura, là dove era impresso un simbolo nero simile ad un cuore acuminato.

L’Unversed cacciò un verso così straziante da costringere Soggetto X a coprirsi le orecchie con le mani e cominciò ad accartocciarsi su sé stesso, come un palloncino bucato che prende a sgonfiarsi. Agitando le appendici gommose convulsamente e liberando un’ultima, disperata scarica elettrica, iniziò a precipitare verso il basso mentre Braig schiacciava il pedale a tavoletta.

La Gummi Ship schizzò in avanti come un fulmine, i reattori del motore che rombavano lasciandosi dietro una scia incandescente.

Alla vista del contorno sfocato ma familiare del Mondo dove erano diretti, Braig trasse finalmente un sospiro di sollievo, rilassando la schiena contro il sedile. “Oh beh, direi che è andata bene. Non pensi Stelli-?”

“Luxu!”

L’uomo si voltò di scatto. Schad si lasciava sfuggire il suo vero nome soltanto in momenti d’estrema tensione e la sua voce allarmata non lasciava presagire niente di buono.

L’animaletto era salito nuovamente in grembo a Soggetto X e stava vanamente cercando di farla tornare in sé. La ragazza s’era afflosciata sullo schienale, madida di sudore e pallida come un cadavere, i capelli scuri attaccati al collo e gli occhi sgranati, fissi davanti a sé in un’espressione vitrea e senza vita.

Braig mollò i comandi e corse al suo fianco, afferrandola bruscamente per le spalle “Stellina?!”

Lei non rispose, il capo che le pendeva dalle spalle come quello di una bambola di pezza. “Cazzo! Svegliati! Non ho fatto tutta questa fatica perché tu mi pianti in asso così!”

Chirithy tirò l’uomo per la manica “Il suo cuore è molto debole… l’ultimo esperimento deve averla davvero sfiancata.”

“Merda!”

“Adesso calmati!” gli rimbrottò il pupazzo, con tono sorprendentemente autoritario “Ha bisogno di cure, non delle tue parolacce!”

Lui scosse il capo, strappandosi via dal collo la bandana rossa. Chirithy aveva ragione. Come sempre.

C’era un ottimo motivo se proprio lui era il solo compagno designato a restare al suo fianco attraverso i lunghi secoli della sua esistenza. Quell’irritante palla di pelo era la cosa più simile ad una Coscienza che gli fosse rimasta.

Già, proprio come il Grillo Parlante lo era per quella marionetta che bazzicava Giardino Radioso combinando un sacco di guai.

Braig reclinò lo schienale del sedile del passeggero, così che la ragazza inerme potesse starvi distesa anzichè scivolare sempre più in basso con la testa penzoloni e si rimise al volante.

Agganciata l’orbita del Mondo avvolto in una densa coltre di nebbia, dette inizio alla sequenza d’atterraggio selezionando il punto preciso dal display luminoso. Aveva un suo posticino preferito dove nascondere la Gummi Ship e sgattaiolare fuori inosservato, mischiandosi alla gente comune, ma in quel momento la sua destinazione non era il centro città, bensì un’isolata lingua di terra fangosa in mezzo alla palude.

°°°

Con gli stivali inzaccherati di fango quasi fino al ginocchio, Braig irruppe nella casa-barca della Regina Voodoo del Bayou, il corpo esamine di Soggetto X tra le braccia.

“Mama Odie!” chiamò a gran voce la guardia di Giardino Radioso, guardandosi intorno alla ricerca della vecchia sacerdotessa. La stiva del relitto arenatosi sulla fronda di un gigantesco salice piangente durante una tremenda alluvione era stipata di animali impagliati, feticci tempestati di spilloni e barattoli contenenti cose sia vive che morte.

In un certo senso, gli ricordava il laboratorio dove il Maestro si era ritirato per giorni interi prima di convocare lui e i suoi compagni, uno ad uno, ed assegnare loro i ruoli che avrebbero dovuto portare a termine. Prima di scomparire nel nulla.

“Mama Odie?!” ripeté, adagiando la ragazza sulla sedia di vimini a pochi passi da un’antica vasca da bagno sorretta da zampe di leone e ripiena di un liquido ambrato sulla cui natura Braig preferiva non indagare. Anche se aveva un vago sentore di gumbo, una zuppa speziata tipica del posto.

“Ahi, ahi… E’ messa male, la poverina!”

Braig sobbalzò, avvertendo improvvisamente la presenza della sacerdotessa al suo fianco.

“Spostati, fammi vedere!” l’anziana donna vestita di bianco lo scacciò con un gesto ampio della mano e lui si fece da parte, peritandosi di farle notare che essendo cieca come una talpa avrebbe potuto vedere ben poco.

Almeno non senza ricorrere ad un pizzico di magia.

Mama Odie aprì la bocca della ragazza che se ne stava immobile come un manichino e le passò in rassegna la dentatura. Le strappò poi una manciata di capelli gettandoli nella vasca dove svanirono all’istante, sfrigolando come se immersi nell’olio bollente. “Ha perso la strada in un ricordo... qualcosa che non le appartiene, che non doveva essere nella sua testa tanto per cominciare! Di chi è stata l’idea brillante, sentiamo un pò?” indagò lei, posandosi una mano sul fianco, facendo tintinnare i bracciali d’oro.

“Speravo poteste dirmelo voi.” ammise Braig, allargando le braccia.

La sacerdotessa scoppiò a ridere “Hai quattro volte i miei centoottantanove anni e ancora vai a chiedere consiglio a tutte le vecchie eremite che incontri?”

“Una seconda opinione non fa mai male.” chiarì lui. “Potete fare qualcosa per lei?”

“Certo, certo, che domande sono.” borbottò la donna raccogliendo un mestolo dalla rastrelliera piena di attrezzi di ogni genere ed usandolo per mescolare energicamente la zuppa ambrata. “Portala di sopra, mentre preparo la medicina. Una specialità del Bayou, la rimetterà in forze, ma solo per un pò. Neanch'io posso fare miracoli e sai meglio di me che c’è un solo modo per curare un cuore provato come il suo. Deve essere lei a rimetterlo insieme, pezzo per pezzo.”

Braig si caricò nuovamente X in braccio, la guancia di lei schiacciata contro il doppio petto della divisa “Io non posso badare a lei, Mama Odie. Devo tornare prima che notino la mia assenza. Posso contare su di voi?”

La vecchia sorrise bonariamente, scoprendo i pochi denti storti e marci che le restavano “Lascia fare a me, cher. Consideralo il mio modo di ripagare quel debituccio che ho contratto con la tua maestra, tanto tempo fa. Conosco proprio le persone adatte per questo lavoro.” così detto, la sacerdotessa Voodoo tornò ad occuparsi della zuppa, arraffando un ingrediente più disgustoso dell’altro dalle giare ed ampolle sugli scaffali.

L’uomo prese a salire la stretta scaletta di legno, facendo attenzione a non battere la testa contro il soffitto.

Chirithy apparve sulla sua spalla in uno sbuffo di fumo. “Mi sa che la battaglia spaziale non ci voleva proprio, dopo tutto quello che ha passato.”

“Già. Deve aver fatto scattare qualcosa nella sua memoria. Alla fine, un cuore non è per niente diverso da una banca dati. Una volta scoperta la parola chiave, puoi sfondare tutte le porte.”

“Era di questo che parlava prima Mama Odie?”

Raggiunto il pianerottolo del battello, Braig adagiò la ragazza su un fianco sopra una delle brande riservate all’equipaggio, accomodandole la testa sul cuscino perché respirasse meglio.

“Ansem non ha avuto paura di quel poco che X ha ricordato del proprio passato una volta sottoposta agli esperimenti… ma di quelle cose che non avrebbe dovuto sapere affatto. Che nessuno dovrebbe sapere, perchè non si sono ancora verificate.” Così dicendo, Braig le sollevò la maglia madida di sudore, rivelando la schiena nuda.

Tra le sue scapole, inciso sulla pelle nivea come una marchiatura a fuoco, stava un simbolo fin troppo familiare agli occhi di chiunque, come loro, provenisse dall’Era delle Fiabe.

“Perbias le ha caricato nel cuore il Libro delle Profezie?!” esclamò esterrefatto Schad, prendendosi la testa tra le zampette “Tutto quanto?! E tu lo sapevi?”

“Lo sospettavo, ma non si fa alcuna menzione di questo marchio negli appunti di Even. Il che significa che non lo aveva addosso prima di oggi, è stato il nostro intervento a rivelarlo. E sai cosa ha detto il Maestro riguardo il Libro delle Profezie: io non devo averci niente a che fare.”

“Eppure eccoti qui.” gli fece notare il pupazzo con fare meditabondo. “Pensi di aver sbagliato qualcosa? Guarda che se hai combinato uno dei tuoi soliti casini-”

“Non è possibile che abbia sbagliato.” lo interruppe Braig, sedendosi di peso su una branda libera “L’esistenza del Libro stesso dipende dal mio successo. Non potrebbe essere qui, digitalizzato dentro di lei, se avessi fallito.”

“Ma allora… cosa significa?”

Lui sospirò, amaramente, stancamente. Aveva passato tutta la sua esistenza cercando di stare al passo, di correre forte abbastanza da riuscire anche soltanto a sfiorare la figura incappucciata di nero davanti a lui, per costringerla a voltarsi. A fermarsi. Ma Perbias era sempre stato più veloce di lui e ancora una volta l'aveva lasciato indietro nella polvere, scomparendo alla vista.

“Significa che anche dopo tutto questo tempo non ho la minima idea di cosa accidenti stia succedendo.”

Non gli restava altro che continuare a correre.
 

°°°

Certe notti sogno ancora quella cella buia.
E quando succede, le ali tatuate sulla mia schiena bruciano da morire.

Le domande degli scienziati tornano ad affollarmi la mente.
Non avevo risposte da dare allora, e non ne avrei di concrete neppure adesso, se dovessero ricatturarmi.

Questo mondo non è il mio. Lo so, lo sento. Eppure è la cosa più simile ad una casa che abbia mai avuto e nel mio cuore ha un posto speciale.
È il mio appiglio in mezzo all'oceano, la mia sola chance di non affogare. Quello, e la promessa che mi ha fatto l'uomo che mi ha portata qui.

Una promessa già infranta alla quale continuo scioccamente ad aggrapparmi.
"Ti spiegherò tutto" diceva. Ma non è mai tornato.

Eppure non è il solo uomo con un solo occhio ad annidarsi nei miei ricordi.
L'altro ha il sorriso più bello che abbia mai visto.
Ma mi fa paura.

Chi è?
Chi sono io?
Possa il mio cuore essere la mia chiave guida.
 - ☆ 




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Cia' a tutti!
Come vi sembra il formato saltellante? Passare da un'era all'altra è troppo confusionario secondo voi, o si segue bene? I capitoli con Braig e X/Skuld sono stati i primi che ho scritto quindi è per questo che ne ho pubblicati due così ravvicinati tra di loro, li sto soltanto revisionando un pò per assicurarmi che tutto fili liscio con la trama.
E finalmente iniziamo a svelare alcuni dei punti in sospeso di KHUX: Skuld è la Union Leader a cui Ava ha passato il Libro delle Profezie su ordine del Maestro, ma non si è limitata a dargliene in mano una copia, nossignore: quando i Dandelions sono stati spostati nell'Auropoli Digitale (dove tra le altre cose troviamo anche Oscurità e Malefica a fare i loro sporchi comodi) Skuld ha ricevuto un download endovena dei contenuti del Libro che vanno a confodersi con i suoi veri ricordi. Per questo è così resistente ai tentativi di sondarle il cuore e sempre per questo quando gli scienziati finalmente ci sono riusciti, Ansem ha capito che le informazioni contenute dentro di lei potessero essere pericolosissime se finite nelle mani sbagliate. E per ironia della sorte, il nostro buon Luxu ha finito per essere considerato il minore dei mali.
Adesso ci manca soltanto di aspettare gli updates del gioco per vedere se la mia profezia sul Libro delle Profezie (haha!) si rivelerà corretta o meno. Nel frattempo salutiamo l'entrata in scena del Mondo Disney che più di ogni altro avrei voluto vedere in un KH e che ancora Nomura non si è degnato di inserire, ossia New Orleans della Principessa e il Ranocchio.
Eddai, Nomura :( :( :( non sprecare la possibilità di avere Braig e Dr.Facilier nella stessa scena! Io di certo non me la lascerò sfuggire!


 

 

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Capitolo 21
*** Interlude II ***


Interrompiamo di nuovo le trasmissioni per un secondo interludio artistico.
Ancora una volta tutto il merito va alla bravissima Malakia che ha ispirato questa storia con i suoi disegni e alla quale mi sento in dovere di fare più pubblicità possibile! Seguitela!!! Questi sono i design originali che aveva pubblicato sul suo Tumblr prima che cominciassi a scrivere Lion's Pride. Quando li ho visti me ne sono innamorata e le ho chiesto il permesso di usarli per la storia e Mal mi ha detto immediatamente di sì TwT

Mentre questi sono disegni modificati per adattarsi alla mia storia, dando a Perbias la sua giacchina elegante. Vederli crescere mi mette troppa tenerezza ioi!

 
Questo Mal non voleva che lo pubblicassi perchè non è finito, ma a me piace lo stesso!
La scenetta di Make Mine Music con i nostri due ragazzacci che si mettono in ghingheri.
 

Ci becchiamo nel prossimo capitolo! <3

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Capitolo 22
*** ✭ Sand and Data ***


Torniamo nuovamente nel passato, qualche tempo dopo gli eventi di MAKE MINE MUSIC
Volevo inoltre informarvi che ho creato un account su Wattpad e sto pubblicando i capitoli di questa storia anche lì :). Ma EFP rimarrà il posto dove caricherò per primi i nuovi aggiornamenti!
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✭ SAND AND DATA ✭

 

When I was a young boy,
my father took me into the city
to see a marching band.
He said, "Son, when you grow up
would you be the savior of the broken
the beaten and the damned?"
He said, "Will you defeat them
your demons, and all the non-believers
the plans that they have made?
Because one day I'll leave you
a phantom to lead you in the summer...
to join the Black Parade."
[Welcome to the Black Parade - My Chemical Romance]

 

Quel giorno, il Maestro li convocò tutti quanti nella camera di simulazione. Quando i proiettori olografici erano spenti, si presentava come un enorme androne bianco immacolato, dal soffitto così alto da occupare oltre tre piani della Torre Meccanica. Il pavimento e le pareti erano contrassegnati con strisce di spesso nastro adesivo nero, marchiando le postazioni di partenza dei partecipanti e i principali elementi geografici delle varie arene che potevano essere proiettate.

Come a suo solito, Perbias era in ritardo e i suoi sei apprendisti iniziarono a bighellonare per la sala, conversando distrattamente tra loro. Mava si sedette dietro al terminale da cui era possibile monitorare lo svolgersi della simulazione senza prenderne parte.

“Perchè non facciamo un duello per ingannare l’attesa?” chiese di punto in bianco, rivolta a Luxu e Salegg. “Da quando ho evocato il mio Keyblade non avete più avuto il coraggio di sfidarmi!”

“Scusaci tanto se non ci teniamo ad essere usati come sacchi da kick boxing.” sospirò Luxu, giocherellando col fiocco nero della mantella.

“Fifoni!”

“Hey, Luxu parla per te!” sbottò Salegg, spingendolo da parte e dirigendosi verso la ragazzina a gran passi “Sfida accettata! Fai partire la simulazione.”

“Non così in fretta ragazzi, non così in fretta…” Perbias fece finalmente il suo ingresso, mostrando loro il CD-rom che teneva stretto tra indice e medio della mano destra. “Ho preparato una cosetta speciale per tutti voi. Una sfida a squadre: Io, Mava e Azal contro voi quattro.”

Hafet li raggiunse, torvo “Ma come sarebbe? Voi muniti di Keyblade contro noi che non ce l’abbiamo ancora? E col Maestro nella vostra squadra? Ci massacrerete!”

“Ah, apprendista di poca fede! Lasciatemi spiegare. Ho speso gli ultimi mesi a lavorare su questo gioiellino…” il Maestro inserì il dischetto nel terminale e il proiettore olografico della stanza immediatamente fece materializzare le schematiche di un curioso Keyblade dall’impugnatura indaco. “E’ soltanto un prototipo, ma voi mi aiuterete a testarlo, non è vero?”

“Che cos’è esattamente? Un Keyblade… artificiale?” indagò Nahara osservando la semplice struttura geometrica dell’oggetto. A differenza delle chiavi di Perbias, Azal e Mava che condividevano lo stesso stile organico ed intricato che soltanto un fabbro esperto sarebbe riuscito a forgiare, quello sembrava un giocattolo assemblato da un bambino. Aveva persino una buffa stellina gialla attaccata alla base e un pomolo arrotondato lá dove avrebbe dovuto trovarsi la punta della lama.

“Precisamente. Un Keyblade non estratto dal cuore di qualcuno in particolare, una template vuota, come una tela bianca, su cui chiunque può dipingere.”

Gli apprendisti si scambiarono un’occhiata confusa. “Quindi… anche noi che non possiamo ancora evocarne uno?”

Perbias premette un pulsante e quattro chiavi identiche a quella del progetto si materializzarono davanti a Luxu, Nahara, Hafet e Salegg. “C’è un solo modo per scoprirlo!”

I ragazzi fissarono quelle buffe armi con diffidenza, ma Nahara afferrò la sua senza esitare e non appena le sue dita sfiorarono l’impugnatura, un bagliore verde sul display del terminale confermò che l’arma era stata caricata con successo nel profilo di simulazione della ragazza.

“Benissimo! Su, dai che aspettate? Prendete anche le vostre.” esclamò il Maestro con un sorriso compiaciuto. Sembrava molto soddisfatto del proprio lavoro. “Che fate lì impalati, voi altri? Indossate l’attrezzatura così possiamo cominciare.”

Luxu allungò a sua volta la mano verso il Keyblade, imitato dai suoi due compagni. Proprio come aveva fatto quello toccato da Nahara, anche le loro chiavi si dissiparono in una nuvola di dati, assorbiti dalla loro interfaccia utente.

Il Maestro aprì uno scomparto sotto la tastiera ed estrasse sette polsiere di metallo cromato che i ragazzi s’affrettarono ad indossare, rimboccando le ampie maniche delle tuniche. Con quei dispositivi, qualunque arma avessero richiamato dall’etere sarebbe stata sostituita con una sua copia digitale permettendo così agli apprendisti di combattere tra loro senza ferirsi veramente.

Certo, una brutta caduta o una gomitata facevano male comunque, ma la sola cosa incenerita da un incantesimo di fuoco lanciato attraverso la polsiera sarebbero stati i punti salute che adesso lampeggiavano ben in vista sopra la testa di ognuno di loro, accompagnati da una barra verde.

Esattamente come in un videogioco.

Il fatto che i punti salute fossero calcolati in base alla loro reale costituzione era sempre stato fonte d’imbarazzo per Luxu, dato che ne aveva un terzo di quelli di Salegg e soltanto un centinaio più di Mava.

“Tutti pronti?” chiese Perbias, allacciando a sua volta il dispositivo al braccio.

Come sempre, il punteggio sopra la sua testa rimase celato dietro una serie di ???, come s'addiceva ad ogni boss di fine livello che si rispetti.

Gli apprendisti annuirono, chi con più convinzione di altri. Mava riusciva a stento a contenere l’eccitazione e Luxu si ripromise che questa volta non gliel’avrebbe fatta passare liscia. Le avrebbe dato filo da torcere.

Perbias dette inizio alla simulazione e il terminale prese controllo del proiettore, facendo sparire il progetto del Keyblade artificiale per tingere l’intera stanza di blu. Mentre il potentissimo processore della Torre Meccanica elaborava i dati, a poco a poco un ambiente familiare iniziò a prendere forma davanti ai loro occhi.

La sensazione di stare in piedi su un pavimento liscio fu sostituita da quella di affondare con gli stivali nella sabbia e nel giro di un battito di ciglia l’oceano si spalancò vasto e maestoso davanti ai loro occhi. In piedi sulla spiaggia sabbiosa battuta dalle onde, i sette si divisero in due squadre come ordinato dal Maestro e tesero le mani all’unisono, richiamando le proprie armi.

D'istinto, Luxu pensò al suo arco ma fortunatamente focalizzò l’immagine del Keyblade artificiale prima di fare una pessima figura. L’arma si materializzò nella sua mano e il bambino la fissò con incertezza, realizzando improvvisamente che nessuna delle tecniche che aveva appreso in quell’ultimo anno potevano essere eseguite con un'arma corpo a corpo.

Certo, s’era esercitato anche a combattere a distanza ravvicinata e, all’occasione, il suo arco poteva essere impugnato al contrario usando le frecce di cristallo allineate al suo interno come il filo di una lama seghettata, ma non era certamente il suo stile preferito.

Serrò le dita attorno all’impugnatura con risolutezza. Poco importava. Del resto, prima del Tuffo nel Cuore non era mai stato in grado di tirare con l’arco, eppure una volta ottenuta la sua arma eterea s’era dimostrato un arciere provetto. Doveva sperare che la stessa logica s’applicasse anche all’imitazione di un Keyblade creato artificialmente dal Maestro.

Del resto, prima o poi anche Luxu ne avrebbe impugnato uno tutto suo e allora avrebbe dovuto dire addio al suo amato arco.

“Tutti pronti?”

Gli apprendisti annuirono all’unisono, assumendo una posizione offensiva.

Tutt’intorno a loro, l’idilliaco paesaggio tropicale sembrava trattenere il fiato come in attesa, consapevole che stava per scatenarsi una tremenda tempesta.

E quando Perbias dette loro il via, fu esattamente quello che accadde.

Nonostante fossero soltanto un gruppo di ragazzini, riuscirono nel giro di pochi secondi a stravolgere interamente l’ambiente che li circondava.

Salegg, come al solito, fu il primo a caricare a testa bassa ma prima che il suo nuovo Keyblade artificiale potesse incontrare quello di Azal, Hafet scagliò un proiettile di ghiaccio dritto in faccia a quest’ultimo, costringendolo a bloccare con Reflect. Il violento fendente di Salegg s’abbatté sulla barriera magica, mandandola in mille pezzi ma scaraventandolo all’indietro per il contraccolpo.

Approfittando della situazione, Mava s’insinuò tra i due combattenti rispedendo al mittente il secondo cristallo di ghiaccio che Hafet già stava lanciando in direzione di Azal, lasciato scoperto dall’infrangersi del proprio incantesimo.

La bambina corse sulla sabbia, sollevando il Keyblade simile ad un’affusolata onda di fumo colorato e si scagliò contro Hafet. Il ragazzo in giallo parò il suo colpo con il Keyblade, ma i suoi riflessi non furono rapidi abbastanza per proteggersi dal secondo, repentino assalto della ragazzina.

Piccola com’era, sembrava impossibile che potesse convogliare così tanta potenza nei suoi colpi, eppure l’altro apprendista si trovò costretto ad arretrare e a tenersi costantemente sulla difensiva, stringendo i denti ogni volta che Mava riusciva a penetrare la sua guardia, decimando a vista d’occhio i suoi punti salute.

Come Luxu, anche Hafet prediligeva il combattimento a lungo raggio, perciò finché fosse rimasto bloccato dall’assalto di Mava, non avrebbe potuto contribuire granché al risultato della squadra.

Doveva intervenire!

In un vortice di particelle viola, Luxu lanciò l’incantesimo Gravity dritto sulla ragazzina e Mava si ritrovò scaraventata verso l’alto, cacciando uno strillo.

Luxu aprì immediatamente uno squarcio spazio-temporale, teletrasportandosi sopra di lei che soltanto in quel momento stava realizzando cosa le fosse successo e dove si trovasse. Mentre la spinta dell’incantesimo andava esaurendosi e il corpo di Mava veniva reclamato verso il basso, la ragazzina fissò gli occhi verdi e sgranati contro i suoi, iniziando a precipitare.

Senza lasciarsi impietosire e con il Keyblade stretto in pugno, Luxu si lanciò di peso giù con lei. Le loro lame cozzarono, liberando una sprizzata di scintille ma, con la forza di gravità dalla sua, fu Luxu ad uscirne vincitore, scaraventandola giù a velocità ancor più vertiginosa.

Perbias slittò sulla battigia, le scarpe lustre che affondavano nella sabbia bagnata e afferrò Mava all’ultimo secondo, per evitare che si facesse troppo male. Nonostante l’impatto fosse stato attutito, i punti salute della bambina scesero di oltre un terzo e Luxu non poté fare a meno di sfoggiare un sorriso compiaciuto, osservandola dall’alto in basso, ancora sospeso in aria.

“Bella mossa, Luxu.” si complimentò il Maestro, posando gentilmente Mava a terra, ma la ragazzina era livida in volto, tesa come un fascio di nervi. Fulminò il suo avversario con lo sguardo. “Aero!” gridò, cavalcando la corrente appena evocata per raggiungere di nuovo l’altezza di Luxu.

Lui, che non s’aspettava di vederla tornare alla carica così in fretta, fu colto alla sprovvista e fu solo per pura fortuna che riuscì a deflettere il primo di una lunga serie di fendenti che la ragazzina gli scaricò addosso.

Da sotto, Perbias li guardava divertito.

Senza il minimo sforzo e senza staccare gli occhi dai due ragazzini, il Maestro bloccò l’attacco ‘a sorpresa’ di Nahara.

Lei balzò indietro, preparandosi ad attaccare di nuovo. Non s’aspettava di mettere a segno quel colpo gratuito, ma era valsa la pena tentare.

Perbias riusciva a deflettere i loro attacchi anche quando si trovavano fuori dal suo campo visivo. Se gli si chiedeva come facesse, rispondeva semplicemente che anche loro avrebbero sviluppato una sorta di sesto senso andando avanti negli anni e continuando ad esercitarsi.

E quella non era la sola cosa fuori dall’ordinario che il Maestro sfoggiava durante la battaglia. Aveva un controllo tale sul proprio cuore da poter manipolare la realtà attorno a sé a suo piacimento senza dover ricorrere al lancio di veri e propri incantesimi. Di fatto, esercitando un potere telecinetico a corto raggio che gli permetteva di levitare costantemente a pochi centimetri dal suolo e manovrare il proprio Keyblade senza neppure impugnarlo. In quei momenti, l’arma fluttuava al suo fianco, come dotata di una mente propria.

“Che ne pensi, Nahara?” le chiese, voltandosi verso di lei e sollevando la lama argentea, pronto a difendersi da un altro attacco.

Lei prese la rincorsa, caricando il Keyblade artificiale d’energia come era solita fare con la sua frusta spinata. Il Maestro evitò il suo affondo con un balzo laterale, prendendo poi a duellare serratamente con lei, il braccio libero elegantemente ripiegato dietro la schiena.

“Di che cosa?” indagò lei, tra una sferzata e l’altra.

“Dei nostri due piccioncini lassù.” sorrise lui, alludendo a Mava e Luxu che ancora si rincorrevano, dandosele di santa ragione ad almeno una trentina di metri sopra le loro teste. Mava continuava a lanciare Aero, balzando da una corrente ventosa all’altra mentre Luxu si teletrasportava, lasciandosi dietro una scia di scintille violacee. Ogni volta che i loro Keyblade si scontravano, era come assistere allo scoppio di un fuoco d’artificio.

Quando Nahara sollevò lo sguardo, Perbias ne approfittò per sbaragliare le sue difese e puntarle l’arma alla gola “Ah-ha, non distrarti.” le ricordò bonariamente, ripristinando la distanza tra di loro.

Lei inarcò un sopracciglio, rispondendo a quel trucchetto con un impulsivo lancio di Thunder. Il Maestro evitò le saette dorate che piovvero dal cielo tutt’intorno a lui, ma Nahara non si lasciò scoraggiare, lanciandosi di nuovo alla carica.

“Più rilassata, ragazza mia.” le raccomandò, sbilanciandola con un colpetto di tacco ma afferrandola al volo prima che cadesse. “Dev’essere come danzare.”

“Lo fate sembrare così facile!”

Lui rise e stava per replicare quando un’ombra tremolante oscurò improvvisamente il sole, costringendo entrambi a voltarsi appena in tempo per vedere un’onda gigantesca che montava alta e schiumosa sopra le loro teste.

“Oh-oh.” mormorò Perbias, il sorriso che gli moriva sulle labbra.

Quando il cavallone si schiantò sulla battigia, Hafet e Salegg si scambiarono un batti il cinque “Grande, preso in pieno!” si complimentò quest’ultimo mentre Azal, trafelato, correva a soccorrere i due poveri malcapitati.

“Maestro, Nahara… state bene?! Non sono riuscito a fermarli, è colpa mia!”

Seduta a terra con la tunica zuppa di sabbia bagnata, lei si scostò i capelli fradici dal viso, aprendo la lunga frangia come una tenda “Hey, voi due! Credevo fossimo in squadra insieme!” protestò, osservando con apprensione i propri punti vita precipitare vertiginosamente.

Quelli del Maestro, invece, si ridussero di una tacca microscopica.

Hafet, ancora avviluppato nel vortice dell’incantesimo Idrora, rivolse alla ragazza un sorrisetto per niente colpevole “Ne valeva la pena per segnare punti contro il Maestro! Sei stata sacrificata per la causa.”

Perbias si rassettò la giacca gocciolante, gettando via una lunga alga verdastra che s’era impigliata ai bottoni del suo panciotto. A differenza di Nahara, non era stato spinto via dalla forza dell’acqua, rimanendo dritto in piedi esattamente dove si trovava prima d’essere travolto dall’onda anomala. “Direi che vi state divertendo un mondo con quei Keyblade-replica, o sbaglio?”

“Oh sì, è tutta un’altra cosa.” commentò Salegg soppesando l’arma argento e indaco. Anche se si trattava solamente di una simulazione, il metallo riluceva perfettamente realistico tra le sua mani e poteva chiaramente sentirne il peso e la vibrazione percorrergli il braccio ogni volta che colpiva un ostacolo.

“Non vedo l’ora di averne uno tutto mio.”

Luxu ed Ava finalmente toccarono di nuovo il suolo. O meglio, incespicarono sulla sabbia, continuando a guardarsi in cagnesco col fiato corto e le armi ancora strette in pugno.

Mava era sempre in vantaggio, ma il dislivello tra i loro punteggi non era poi così vasto, almeno non se paragonato alle volte in cui lei aveva azzerato la barra di Luxu nel giro di un minuto. Il ragazzino poteva ritenersi più che soddisfatto.

“Vedo che abbiamo fatto progressi anche su questo fronte, molto bene.” si congratulò Perbias scrollando i capelli cobalto, senza preoccuparsi minimamente degli schizzi che andarono a colpire Azal dritto in faccia, facendo serpeggiare una risatina in tutto il gruppo. “Sembra che stavolta Luxu si sia fatto valere, eh Mava?”

I due bambini abbassarono i Keyblade, sorridendo. La verità era che adesso che Luxu stava recuperando terreno, i loro duelli cominciavano a farsi interessanti e, anche se Mava restava indubbiamente un gradino al di sopra, persino divertenti. “E’ stato bravino.” disse lei con fare saccente, facendogli la linguaccia.

“Come sarebbe a dire ‘bravino’!” sbottò lui, piantandosi una mano sul fianco “Te le ho suonate, altro che!”

“Buoni, ragazzi…” cercò di rabbonirli Azal, togliendosi gli occhiali per asciugare le lenti schizzate con un lembo della tunica.

Perbias si stiracchiò, lo sguardo fisso contro il sole virtuale che stava cominciando a tramontare “Direi che per oggi abbiamo raccolto abbastanza dati. Con questi, dovrei essere in grado di perfezionare il prototipo a cui sto lavorando.”

Azal aggrottò le sopracciglia “Maestro, questo Keyblade artificiale ha forse a che fare col progetto di cui mi avete parlato? La creazione dellle Unioni?”

Lui annuì. “Non so ancora se sia realizzabile, ci sono fin troppe variabili da prendere in considerazione trattandosi di un numero così grande di persone…”

“Di cosa state parlando?” lo interrogò Salegg, visibilmente alterato all’idea che il Maestro avesse confidato informazioni ‘riservate’ ad Azal e non a lui.

“Immagino che questo sia un momento buono come un altro per parlarvene... Ma prima mettiamoci comodi, è una cosa molto importante.”

“Non faremo meglio ad uscire dalla simulazione, prima?” azzardò Mava, sorpresa.

“E perchè mai? Il mare è così bello. Anche se è fatto soltanto di dati, per il cuore non fa alcuna differenza.” rispose lui, avviandosi placidamente lungo la battigia, diretto ad un isolotto collegato alla terra ferma da un grazioso pontile di legno.

I suoi allievi lo seguirono, prendendo posto attorno a lui quando si mise a sedere sul tronco ricurvo di una palma. Il paesaggio idilliaco che li circondava era quello di un’isola tropicale dalla sabbia bianchissima e un verdeggiante entroterra ricco di frutti succosi.

Il cielo e il mare si specchiavano l’uno nell’altro, tinti del rosa del tramonto.

“Consideratela la fase due del vostro percorso. Quando tutti voi avrete evocato un vostro Keyblade e sarete in grado di padroneggiarlo completamente, voglio che mi aiutate ad addestrare nuovi custodi.”

Nahara alzò gli occhi azzurri su di lui “Intendete dire… che avremo dei nostri apprendisti?”

“Beh, sarete dei Maestri anche voi, un giorno. Ed è a questo che serve un Maestro, no? A tramandare quel che ha imparato.” rispose semplicemente Perbias, dondolando le gambe giù dal tronco “Non succederà dall’oggi al domani, ma per quando sarete pronti, spero di aver trovato un metodo infallibile per permettere pressappoco a chiunque di attingere al potere del Keyblade.”

“A chiunque? Anche a chi non ha effettuato il Tuffo?” cercò di capire Salegg, posando le braccia muscolose sulle ginocchia “Credevo che quello fosse un requisito fondamentale.”

“Lo è. Per questo sto cercando un modo di replicare il processo senza dover sbloccare ogni cuore individualmente.”

“Sembra pericoloso.” disse Luxu, a mezza voce. “Ma quel che mi chiedo è, perchè dovrebbe essere necessario? Di quanti apprendisti stiamo parlando, esattamente?”

“Quanti ne serviranno.” il Maestro socchiuse gli occhi “Al momento, il Reame della Luce è al sicuro. Sì, abbiamo qualche covo di Heartless da disinfestare e qualche cuore malvagio che cade preda dell’Oscurità di tanto in tanto, ma nel complesso, le cose vanno bene. Ma ho motivo per credere che non sarà così ancora per molto.”

“Cos’è che ve lo fa pensare?” domandò Hafet, inclinando il capo con aria perplessa.

La piacevole brezza salmastra scompigliava i capelli del Maestro e il sole rosso proiettava ombre tremule sul suo viso. Era strano vedergli impressa in volto un’espressione così seria e contemplativa.

“Credo che sia il destino di questo Reame. E’ nato dall’Oscurità, e ad essa vuole ritornare. La nostra Torre è situata sul centro nevralgico da cui, tanto tempo fa, tutti i Mondi hanno avuto origine. Il motivo per cui sono io il ‘Maestro’, è perché la Torre risponde a me, e a me soltanto. Mi ha scelto per un motivo, così come io ho scelto voi. E anche se non ho la presunzione di capire cosa accidenti l’Universo stia cercando di dirmi…” mentre gesticolava, la sua voce tradì una nota di frustrazione. “...sto facendo tutto quello che posso per scoprirlo. E vi prometto, anzi, vi giuro solennemente che un giorno avrò tutte le risposte.” Perbias tornò a guardare l’orizzonte. “Tutte quante.”

“Abbiamo fiducia in voi, Maestro.” disse immediatamente Azal, chinando il capo cerimoniosamente. “La vostra lungimiranza è ammirevole.”

“Su, Azzy, non essere così formale.” lo riprese immediatamente Perbias, tornando sorridente come a suo solito. “Non voglio essere colto impreparato, tutto qui. E ovviamente, voglio la stessa cosa per voi.”

“Certo però… l’idea di essere un Maestro non suona poi tanto male.” ponderò Hafet, sfregandosi il mento “Io insegnerei ai miei allievi tutto sulle arti magiche. Anzi, recluterei soltanto persone con uno spiccato talento per la stregoneria!”

“Una banda di cervelloni, insomma…” ridacchiò Salegg.

“Scometto che i tuoi sarebbero tutti grandi, grossi e con la zucca vuota come te!”

“Hey!”

Nahara alzò gli occhi al cielo, esasperata da quell’ennesimo battibecco “Voi due sareste un pessimo esempio per qualunque allievo, non diventerete mai Maestri se prima non vi date una calmata.”

“Nahara ha ragione. Suvvia, cercate di non saltarvi alla gola… eravate andati così bene durante il duello, gran lavoro di squadra.” si complimentò Perbias e i due apprendisti smisero immediatamente di bisticciare, chiaramente orgogliosi di udire quelle parole.

“E voi?” chiese Mava tutto d’un tratto, rivolta al ragazzo in frac.

“Uh?”

“Cosa farete quando saremo tutti dei Maestri con i nostri rispettivi allievi? Prenderete un altro gruppo di apprendisti?”

Quella domanda sembrò fluttuare nell’aria come una piuma e la lunga pausa che la seguì lasciò ben intendere che nessuno, nemmeno il Maestro stesso, ci avesse ancora pensato.

Luxu sentì un nodo stringergli lo stomaco, ma non riuscì a spiegarsi perché quella prospettiva lo mettesse così a disagio.

Forse perché Perbias immaginava un mondo dove tutti potessero brandire il Keyblade, dove li avrebbe rimpiazzati con un gruppo di perfetti sconosciuti e dove tutto quello che li rendeva speciali sarebbe stato alla portata di chiunque.

Hafet e gli altri sembravano non comprendere le reali implicazioni di quel mondo ipotetico, estasiati all'idea di avere degli apprendisti e parlando di loro come di un'armata di soldatini nuova di zecca. Il tipo di giocattolo costoso che un genitore regala ai propri figli per distrarli da qualcosa di brutto che è appena accaduto.

Luxu non ci si vedeva proprio nei panni dell'insegnante o del leader. E detestava i bambini viziati.

E...

Era geloso delle attenzioni del Maestro.

Ma chi poteva biasimarlo? Nessuno prima di allora gli aveva dedicato così tanto del suo tempo, nessuno s'era mai congratulato con lui per il lavoro svolto, nessuno gli aveva mai tagliato i capelli e dato un bel vestito nuovo per accompagnarlo a vedere una parata.

Luxu non aveva la minima idea di cosa significasse avere una famiglia, ma Perbias era senz'ombra di dubbio la cosa più simile ad un genitore o ad un fratello maggiore che avesse mai avuto. Nonostante le sue bizzarrie, il suo temperamento scostante e quel senso di inquietudine che certe volte gli trasmetteva, il Maestro era la cosa migliore che gli fosse mai capitata. Forse era proprio il suo essere al tempo stesso così confortante ed incomprensibile a renderlo così speciale ai suoi occchi e Luxu, nel suo egoismo di bambino, non voleva condividerlo con nessuno.

"Nah, voi sei bastate ed avanzate." sdrammatizzò il Maestro, sogghignando. "Figurarsi se mi prenderei la briga di ricominciare da zero col rischio di ritrovarmi per le mani altri combinaguai come voi."

"Come sarebbe a dire!" protestò Salegg, imbronciandosi.

Luxu scoppiò a ridere insieme agli altri, sollevato.

"Magari potrei prendermi una bella vacanza, quando tutto questo sarà finito." proseguì Perbias, stendendosi con la schiena contro il tronco.

"Lasciate fare a noi, Maestro. Terremo alta la bandiera e condivideremo con gli altri tutto quello che ci avete insegnato." disse Azal, con convinzione.

"Mi sono appena resa conto di una cosa.." s'intromise di nuovo Mava, le sopracciglia color lavanda aggrottate "Voi non smetterete di essere il nostro Maestro quando saremo grandi, non è vero?"

Perbias non disse niente, ma il suo sorriso si fece più caldo. E la bambina lo prese per un sì.

"Allora questo significa che quando saremo Maestri anche noi, voi sarete... il Maestro dei Maestri!"

Lui sbatté le palpebre, gli occhi blu che s'illuminavano tutto d'un colpo. E Luxu ormai sapeva che quando ciò accadeva, qualcosa scattava nella sua mente brillante. Un'epifania, un'idea, un nuovo progetto, qualcosa di completamente fuori dalla sua comprensione.

"Suona bene." disse, fissando Mava con gli occhi lucidi, come se le parole della bambina lo avessero riempito d'orgoglio. "Suona molto, molto bene."

 


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Salve!
Stavolta non ho molto da dire su questo capitolo se non che il datascape e l'aspetto 'virtuale' di KH non mi hanno mai fatta impazzire ma, come molti degli aspetti più dibattuti della storia, ritengo che KHUX li stia integrando molto bene all'interno della narrazione, dando loro una funzione concreta ed enfatizzando quanto simili alla realtà possano essere.
Sinceramente mi aspetto che il Libro delle Profezie sarà usato come un gigantesco retcon per spiegare tante incongruenze sia passate che recenti (come Game Central Station e Verum Rex) e spero tantissimo che si tratterà di un retcon competente. Dai Nomurino, che sei sulla strada giusta!
Alla proχima!
- Calia

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Capitolo 23
*** χ We have come for you, my Liege ***


Continuiamo qualche mese dopo gli eventi di χ NEGATIVE EMOTIONS χ
Per la precisione, da questa precisa scena di Dream Drop Distance che vi consiglio caldamente di guardare prima di leggere :D (minuto 11:33)
Anche se quasi nessuno recensisce, lo so che ci sono almeno una 40ina e più di persone che puntualmente leggono i capitoli quando li pubblico quindi ciao anche a voi, invisibili lettori! Apprezzo moltissimo le vostre visualizzazioni e spero che la storia vi stia piacendo! Buona lettura! :D :D :D

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χ WE HAVE COME FOR YOU, MY LIEGE χ

Tired eyes, barely open,
crippled by a promise broken.
I have seen an empire falling,
hopeless, can you hear me calling?

Turn away from all that I know,
burning this bridge behind me,
light the way and I'll follow

where you go.
Can you tell me what is real?
Cause I've lost my way again...
Can you tell me how to feel?
Cause I don't feel anything.
[Down with the Fallen - Starset]

“Hey! Volevi che andasse così?! Xehanort! Ti scoccia aggiornarmi?”

“Io sono…” mormorò lo scienziato, fissandolo con uno strano bagliore negli occhi per poi spostare lo sguardo sul proprio palmo, aprendo e richiudendo le dita come se avesse appena riacquistato la capacità di muoverle dopo mesi di paralisi.

In uno sprizzo di scintille, Xehanort evocò dall’etere il proprio Keyblade e Braig trasalì alla vista dell’Innominata. L’arma scintillava minacciosa ed affilata sotto la luce asettica dei neon del laboratorio proprio come il giorno che il Maestro gliel’aveva affidata.

La guardia fece un passo avanti, confusa. “Ti ricordi ora o…” un pensiero lo folgorò “..aspetta! Mi stai dicendo che non hai mai perso la memoria?”

Braig ebbe a malapena il tempo di registrare quella possibilità e tutte le sue implicazioni che l’apprendista di Ansem il Saggio si scagliò contro di lui, Keyblade stretto in pugno. La punta acuminata dell’Innominata lo trafisse dritto al cuore con precisione chirurgica.

Un’ondata di terrore lo investì mentre abbassava lo sguardo sull’arma conficcata nel suo petto, un'arma che avrebbe dovuto essere sua e che invece era stata rivolta contro di lui. Sentí il suo potere penetrargli fino alle ossa, spezzando uno ad uno i vincoli che tenevano il suo cuore incatenato al corpo.

Una miriade d’immagini sfocate gli affollarono la mente, annebbiandola, sopraffacendola.

Si dice che quando si è in punto di morte, ci si vede passare tutta la vita davanti agli occhi, ma Braig aveva vissuto così tante vite che sicuramente avrebbe tirato le cuoia prima di arrivare ai titoli di testa di quel raccapricciante film riprodotto al contrario.

“Quello non è il mio nome. Non sono… Xehanort.” soffiò l’apprendista, girando la chiave contro il suo petto, sfondando anche l’ultima barriera attorno al suo cuore.

L’ultima cosa che Braig vide prima di perdere conoscenza fu l’occhio azzurro incastonato sulla cima del Keyblade rispondere al suo sguardo angosciato con la consueta indifferenza.

Maestro…!
Ho…

Ho fallito…?

Tutto attorno a lui si fece nero.

L’uomo cadde all’indietro, battendo violentemente la schiena e la nuca contro il pavimento, ma il suo cuore era ormai pronto ad abbandonarlo e perciò l’impatto non causò in lui alcuna reazione, neppure un grugnito di dolore.

“Il mio nome…” soffiò Xehanort, abbassando l’arma e contemplando il risultato del proprio lavoro. “E’ Ansem.”

Un sorriso tagliente si fece largo sul volto abbronzato dell’apprendista mentre seguiva con lo sguardo la scia lasciata dal cuore fluttuante della sua vittima, ma vi rimase impresso soltanto per una frazione di secondo perché qualcosa di piccolo, ma chiaramente animato da istinti omicidi, gli si avventò dritto sulla faccia.

“Non fa alcuna differenza come accidenti ti chiami, vai al diavolo!” squittì la vocetta sottile del suo aggressore, alterata dalla collera.

Barcollando all’indietro fino ad andare a sbattere contro i comandi del terminale, Xehanort riuscì finalmente a liberarsi, scaraventando lontano l’animaletto di pezza con un fendente del Keyblade.

Schad rimbalzò vicino al corpo esamine di Braig mentre quelli di Ienzo ed Even, riversi a terra proprio come lui, scomparivano definitivamente, dissipandosi in una vampata di fili di fumo nero.

Il Chirithy si sollevò a fatica sulle zampe, trascinandosi al fianco del proprio padrone, incurante dell’ampio squarcio che il colpo appena ricevuto gli aveva aperto su un lato della testolina, esponendo l’imbottitura morbida.

Xehanort-Ansem sembrava provare un certo sadico divertimento nell'osservare quella scenetta patetica, ma al contempo le sue innate tendenze da scienziato gli imponevano di interrogarsi sulle origini di quella bizzarra creatura apparsa dal niente.

Schad tirò Braig per la bandana tentando vanamente di svegliarlo, ma il suo corpo stava cominciando a disfarsi proprio come quello degli altri due ricercatori adesso che il cuore lo aveva abbandonato. E la stessa cosa, realizzò il pupazzo con sconforto, stava succedendo anche a lui.

Dov’è che avevano sbagliato?

Dopo tutto quello che avevano passato insieme, proprio adesso che erano così vicini a portare a termine il loro compito...!

Non poteva finire così!

“P-padroncino…” con l’occhietto cucito in filo azzurro umido di lacrime, Schad si accasciò contro la spalla dell’uomo che aveva guidato e protetto per gli oltre ottocento anni della sua esistenza prima che l’oscurità li inghiottisse entrambi.

°°°

Braig sbatté la palpebra del suo unico occhio, abbagliato dal candore che lo circondava.

Si sentiva come se gli fossero passati sopra con uno schiacciasassi. Il suo intero corpo era intorpidito, la testa un vortice confuso di frasi, colori e ricordi lontanissimi mischiati a quelli di appena pochi giorni prima.

Si tirò su a sedere e nel farlo scoprì di essere a torso nudo e di avere una dozzina di elettrodi attaccati al torace e sul braccio. Istintivamente, mosse l’altra mano per staccarli ma un irritante colpetto di tosse fin troppo familiare lo fece desistere.

“Cosa significa tutto questo, Even? Cosa cazzo è successo?” indagò Braig rigirandosi sulla branda per guardare in volto lo scienziato.

Quel che vide avrebbe dovuto farlo sobbalzare, magari persino ruzzolare giù dal lettino per la sorpresa. Invece, trovandosi di fronte ad una figura vestita della medesima cappa nera creata dal Maestro dei Maestri, non batté ciglio. E fu il non provare niente di niente di fronte a quello che avrebbe dovuto essere un momento topico nella sua esistenza secolare, a far capire a Braig cosa gli fosse accaduto.

Quel capo d’abbigliamento così unico che un tempo era appartenuto soltanto a lui e al suo Maestro era il primo vero segno tangibile della presenza di Perbias, o come minimo, delle sue macchinazioni, lì nel presente. E sebbene la sua parte razionale riconoscesse l’importanza di quella rivelazione, Braig non provò alcuna gioia, né stupore, né nostalgia.

Fu così che capì che il suo cuore non c’era più.

Even lo raggiunse, controllando le sue funzioni vitali sul display della macchina a cui era collegato. “Sei stato privo di sensi per sei giorni e otto ore.” disse lo scienziato, spostando i grandi occhi verdi su di lui. “L’ultimo ad aver ripreso conoscenza. Come ti senti?”

“Una merda.” rispose lui, atono, continuando a fissare la lunga tunica nera con cui Even aveva rimpiazzato il proprio camice. Era identica al modello originale creato nell’Era delle Fiabe, perfetta fin nelle minime cesellature del tiretto della cerniera. Persino il materiale era lo stesso, una stoffa lustra ed elastica che s’adattava alla perfezione al corpo di chi la indossava, rivelando la fisionomia sottostante.

Ava diceva sempre che era persino troppo aderente e che lui e il Maestro non avevano alcun diritto di andarsene in giro mettendo in bella mostra la forma dei pettorali mentre i Veggenti dovevano starsene imbacuccati nelle loro tuniche fuori moda.

Quel ricordo gli avrebbe probabilmente fatto salire un sorriso alle labbra se avesse avuto un cuore. Invece, si trovò a ponderare che Ava non avesse tutti i torti adesso che era costretto a vedere l’effetto che un simile capo d’abbigliamento aveva sulla fisionomia dei suoi colleghi di Giardino Radioso. Ad Even stava uno schifo, come se l’abito non si fosse adattato alla sua statura come avrebbe dovuto. Le maniche erano troppo lunghe, così come l’orlo che per poco non toccava terra.

“Modera il linguaggio.” lo riprese seccamente l’altro “E rispondimi, il Superiore vuole sapere entro quanto potrai essere operativo.”

“Chi?”

“Lo incontrerai a breve. Ti basti sapere che abbiamo una nuova gestione.”

“E direi pure una nuova location, a meno che non abbiate assunto un decoratore d’interni mentre schiacciavo un pisolino.” gli fece notare Braig alludendo alla stanza bianca immacolata che di certo non faceva parte dei cupi sotterranei del castello. “Dove siamo?”

“In un altro Mondo. E per la precisione, anche in un altro Reame.” spiegò Even inarcando teatralmente un sopracciglio come era solito fare quando si lanciava nelle sue disquisizioni “I tuoi parametri si sono stabilizzati e la tua memoria sembra intatta, perciò dovresti essere in grado di capire cos’è cambiato in te. Ebbene, è esattamente come pensi: non sei più in possesso di un cuore. E lo stesso vale per il sottoscritto.” si spazzolò distrattamente una delle maniche del cappotto, così lunga da coprirgli quasi interamente le dita “Raggiungere questa condizione era il fine delle ultime fasi della nostra ricerca. Ci ha permesso di arrivare in questo luogo, nel Reame di Mezzo e di lasciarci alle spalle tutte le distrazioni e le inezie della condizione umana.” Gli occhi viridescenti dello scienziato sembravano brillare “Adesso potremo dedicarci interamente alla ricerca.”

“Sarebbe stato carino da parte vostra mettermi al corrente di tutto questo.” gli fece notare Braig, stirando le labbra.

“Xehanort riteneva che sarebbe stato controproducente. E mi trovo d’accordo con lui.”

“E perchè mai? Non ho forse dimostrato ben più d'una volta di essere degno di fiducia?”

Lo scienziato ignorò la sua domanda e gli dette le spalle, resettando il macchinario che fino ad allora aveva monitorato i suoi parametri vitali. Prima che lo schermo si facesse nero, Braig vide che il suo elettrocardiogramma era una perfetta linea orizzontale.

Niente battito.

Eppure respirava, poteva parlare e muoversi liberamente. A dire il vero, si sentiva persino più agile e scattante di quanto fosse mai stato. Forse c’era del vero nel detto ‘il cuore è un pesante fardello’.

Si staccò gli elettrodi dal braccio, tornando a fissare Even di sottecchi. “Dove sono le mie cose?”

“Non ti serviranno qui.”

“La benda mi serve eccome.”

L’altro sospirò “Quella l’abbiamo conservata, ovviamente. Anche se continuo a non capire perché ti ostini a non farti sostituire l’occhio. Potrei farlo io stesso, sarebbe questione di un attimo.”

“A differenza di voi altri, io non ho problemi a vivere con le conseguenze dei miei errori.”

“Credevo che ci fossimo lasciati alle spalle questo genere di sciocco sentimentalismo.” sospirò l’altro, contrariato “Una percezione alterata della profondità influisce negativamente sul tuo rendimento in battaglia. L’efficienza dovrebbe essere in cima alla lista delle tue priorità.”

“Baggianate. Potrei farti saltare le cervella anche facendo l’occhiolino.”

Lo scienziato ignorò quella battuta velata di minaccia “Troverai la tua nuova uniforme nella stanza accanto.”

“Quel bel completino da funerale? Non c'è in altri colori? Chi è il nostro nuovo sarto?”

“Lamentatene pure con il Superiore, non sono io a dettare le regole qua dentro. Se così fosse, di certo non saresti il N°II.” sbottò Even facendogli cenno di sbrigarsi “Adesso vattene, ho da fare.”

Braig balzò giù dalla branda, stiracchiandosi “Il N°II di che cosa?” chiese, sbadigliando.

“Dell’Organizzazione, naturalmente. Davvero non capisco che cosa Xeha-” l’uomo dai lunghi capelli biondi s’interruppe, correggendosi “-che cosa il Superiore veda di tanto speciale in te.”

“Hey, frena un pò. Il ‘Superiore’ è Mister X? Perché non l’hai detto subito invece di fare tanto il criptico!” protestò Braig.

“Perché non é Xehanort, così come io non sono Even. In effetti, dovresti chiamarmi Vexen da ora in poi. Anche gli altri hanno dei nuovi nomi e presto ne verrà assegnato uno anche a te. Perché non sei Braig, ma il guscio vuoto che s’è lasciato dietro quando il suo cuore ha ceduto all’Oscurità. Hai i suoi ricordi, pensi di essere lui, ma è solo una menzogna. Scoprirai però che la nostra nuova condizione porta con sé un sorprendente numero di vantaggi. Non tutti la pensano in questo modo, ma sono certo che tu saprai apprezzare quello che l'essere un Nessuno ha da offrire."

“Ti credo sulla parola…” Braig sospirò “....Vexen. Ma risparmiati la teoria per Ienzo, o come diamine si chiama adesso. A me basta avere qualcosa su cui svuotare il caricatore. Se il ‘Superiore’ ha bisogno di me per quel genere di lavoro e se l'essere un Nessuno si dimostrerà utile, allora sarò ben lieto di essere il suo N°II.”

Vexen non rispose, ma gli scoccò un’occhiata di sufficienza che diceva più di mille parole. Ai suoi occhi, lui altro non era che un gretto scagnozzo da quattro soldi. Un mastino da combattimento tenuto alla catena in attesa di essere aizzato contro qualcuno.

Ed era esattamente quello che Braig voleva che lui credesse.

Hai proprio ragione, Vexen. Si trovò a pensare, lasciandosi alle spalle il laboratorio rivestito di pannelli bianchi ed imboccando un corridoio altrettanto monocromatico ed asettico.

Non sono Braig. Non lo sono mai stato.

Ma a tua differenza, io una X nel nome l'ho sempre avuta.

Anche se non provava alcun reale senso di conforto o soddisfazione nel pensarlo, l’uomo con un occhio solo sogghignò. E il suo sorriso, per quanto falso, era terribilmente convincente.

Se lo scienziato avesse avuto il benché minimo sospetto riguardo la sua identità, probabilmente gli sarebbe presa una crisi isterica, anche come l’insensibile Nessuno che era diventato.

Lui e Xehanort si erano eccitati come bambini a Natale quando avevano scoperto che Soggetto X proveniva dal passato, ignorando che al loro fianco vi fosse un essere quasi millenario e in possesso di tutti i propri ricordi. Molte delle cose che avevano estratto a forza dal cuore della povera X, lui avrebbe potuto raccontarle davanti ad una tazza di caffè fumante.

Braig possedeva conoscenze per cui Even si sarebbe venduto l’anima, sapeva dell’esistenza dei Nessuno da moltissimi secoli, in quanto già nell’Era delle Fiabe erano stati fatti studi al riguardo proprio nei laboratori di Giardino Radioso.

Perché il cuore non tornava al proprio stato originale quando l’Heartless che aveva generato veniva sconfitto? Cosa accadeva al corpo, una volta che il cuore lo abbandonava, avviluppato dalle tenebre?

Persino Perbias si era posto tali quesiti e aveva compiuto macabri esperimenti in cerca di risposte. Le stesse mani che avevano così amorevolmente ricucito Schad avevano fatto a pezzi il cuore di centinaia di creature, imbrattando di polvere di sogni e frammenti di cuori spezzati il pavimento. E Luxu era sempre stato lì a ripulire il laboratorio, silenzioso ed ubbidiente, straccio e scopa alla mano.

Era proprio attraverso quegli studi e il codice estratto dai rapporti di Orran Durai che il Maestro aveva perfezionato l’arte di trasferire il cuore di qualcuno da un corpo all’altro, di fatto, interferendo col processo di creazione di un Nessuno.

Un’arte che Luxu aveva fatto propria e della quale era ormai l’incontestato maestro.

°°°

N°II.

Era sempre stato il numero due.

Xigbar.

Lettere riarrangiate a formare un nuovo nome, ma lui aveva sempre portato il Sigillo della Diserzione con sé.

La cappa nera.

Sempre la stessa, tiepida e comoda come nessun altro abito al mondo.

Le cose non sembravano cambiate di una virgola.

Eppure era tutto completamente diverso. E la cappa… da dove veniva?

Sollevò lo sguardo, incrociando gli occhi ambrati del N°I.

“Sai cosa devi fare.” La voce profonda e atona di Xemnas sembrò far calare bruscamente la temperatura dell’aria.

C’erano solo loro due, seduti sugli alti troni bianchissimi della Sala Circolare.

“Trovare altri cinque agnelli sacrificali.” Assentì Xigbar, rilassandosi contro il bracciolo. “Qualche preferenza?”

Il Nessuno di Xehanort chiuse gli occhi. A differenza degli altri membri dell’Organizzazione, lui non aveva mantenuto il suo aspetto del tutto inalterato e Xigbar credeva di sapere perché. Quello che il N°II aveva di fronte era chiaramente il corpo del giovane Terra, eppure le memorie e la forza che lo animavano erano quelle del Maestro Xehanort, in tutto il suo cinismo e ingegno calcolatore. Il risultato di quella malandata fusione era qualcosa di così innaturale da dargli il voltastomaco, anche se non riusciva esattamente a capire perché.

Non che Xigbar provasse pena per Terra, questo no. Lui non era mai stato così tonto e manipolabile nemmeno quando era soltanto un ragazzo. Non aveva mai permesso a nessuno di decidere per lui, nemmeno al Maestro, e si era sempre preso piena responsabilità delle proprie scelte di vita balzane. Anche le più sconsiderate e quelle che aveva finito per rimpiangere.

Per questo, era un fermo sostenitore che tra l’essere ingenui e l’essere degli assoluti imbecilli ci fosse un abisso di differenza e Xigbar ne aveva abbastanza di sprecare tempo a compatire la stupidità altrui.

La sola cosa che Xigbar doveva concedere a Terra, era che aveva la testa dura. Così dura, che nemmeno Xehanort in tutta la sua incrollabile determinazione era stato in grado di calciarlo fuori dal suo stesso corpo.

Ecco, era questo a disgustarlo.

Il vecchio non era riuscito a sopprimere del tutto il cuore di Terra e questo s’era annidato dentro di lui in quegli ultimi tre anni come un tarlo nel legno, come una malattia, propagandosi a tutte le sue incarnazioni, incluso il suo Nessuno che un cuore neppure lo aveva. Non ancora, almeno.

Sì, era proprio per questo che Xemnas gli dava i brividi. In ottocento e passa anni di brillante carriera come body snatcher, nessuno era mai riuscito a resistere alla sua possessione…

Sarebbe finito anche lui come Xemnas se Braig, il vero Braig, avesse opposto resistenza? Non voleva neanche pensarci.

“L’ideale sarebbe trovare candidati in possesso delle medesime qualità della compianta Soggetto X.” riprese il Superiore, tornando a fissarlo “La connessione che individui come lei hanno con l’antica Guerra dei Keyblade e i segreti del Vero Kingdom Hearts è di vitale importanza per l’avanzamento dei nostri piani.”

Xigbar inclinò la testa di lato. “E immagino che tu sappia dove cominciare a cercare questi fiorellini speciali, dico bene?

”Per nostra sfortuna, il mio saggio maestro ha distrutto una buona parte della mia ricerca.”

Xemnas posò entrambe le mani sui braccioli del trono, stringendo il marmo bianco tra le dita come se volesse sgretolarlo “Ma questa volta, non interferirà.”

“Quindi tocca a me andare allo sbaraglio sperando in un colpo di fortuna, come al solito. Ricevuto.”

“Sono certo che non mi deluderai.”

Xigbar incrociò le braccia, preparandosi a lasciare la Sala Circolare “Ti farò sapere appena avrò trovato una pista.” concluse, svanendo in un vortice d’ombre sibilanti lasciando Xemnas da solo nell’immensa sala vuota.

°°°

Xigbar uscì dal Corridoio Oscuro, camminando lentamente per le strade cupe del Mondo Che Non Esiste. Si guardò intorno con curiosità, assorbendo ogni dettaglio di quel luogo sospeso tra la luce ed il buio. Gli alti palazzi erano completamente deserti nonostante molte finestre fossero illuminate e le insegne al neon si riflettessero tremule sull’asfalto bagnato di pioggia. Automobili e camion rovesciati bloccavano le strade come se gli abitanti avessero tentato una fuga disperata e lui si domandò se realmente quel luogo avesse mai conosciuto un periodo di splendore o se il suo aspetto desolato fosse dovuto al fatto che fosse popolato soltanto di Nessuno.

Non gli era difficile immaginare che, proprio come tanti altri mondi inghiottiti dall’Oscurità, anche quello fosse stato distorto e reso irriconoscibile quando il Reame della Luce era andato in frantumi, sparpagliando i vari Mondi nell’abisso. Mentre ponderava su queste possibilità, avvertì un fruscio alle sue spalle e rallentò il passo, lasciando che le creature che lo stavano seguendo da quando aveva messo piede nel vicolo lo raggiungessero.

Sgusciando e contorcendosi come serpenti, una dozzina di entità bianche dalle fattezze vagamente antropomorfe si radunarono tutt’intorno a lui, fissandolo con anticipazione.

Xigbar si posò le mani sui fianchi, le sopracciglia sollevate “Ebbene?”

Una delle creature si fece avanti, quasi timidamente. Le appendici lunghe ed affusolate erano scosse dai fremiti continui della sua condizione di essere inesistente. Era come se la sua intera fisionomia riuscisse a stento a mantenere una forma solida.

“SiAmO vEnUti PeR vOi, Mio SiGNoRe.”

“Ah, così siete i ‘Simili’ di cui mi ha parlato il capo...” comprese il Nessuno, tirandosi il cappuccio sul volto.

“DaTeCI UnO ScOpO e Noi ObBediReMO.”

“Dice che sapete rendervi utili. Ma a guardarvi non si direbbe.”

“DoNatECI la VosTRa SilHOUeTtE e NoI vi SErVIremO.”

“E’ così che funziona, eh? Eravate troppo patetici come esseri umani per mantenere la vostra forma una volta caduti nell’Oscurità e adesso vi attaccate come sanguisughe a quelli come me? Poco male.”

Rispondendo ad un suo gesto come un branco di cani addestrati, i Simili sciamarono ai suoi piedi, aggrappandosi alla cappa nera e ai suoi stivali con devozione, come se semplicemente toccando un Nessuno dell’Organizzazione sperassero di poter recuperare un pò della loro umanità perduta.

Xigbar afferrò il primo che gli capitò a tiro per la testa aguzza e lo sollevò alto davanti a sé mentre la creatura simile ad un pupazzo di lucido raso bianco si dimenava nella sua stretta. Gli altri s’irrigidirono, assistendo come ipnotizzati alla raccapricciante trasformazione che il loro compagno subì davanti ai loro volti senza occhi.

Il Simile si gonfiò e contorse orribilmente, come un palloncino annodato rumorosamente da un pagliaccio, riplasmandosi in una forma vagamente umana che sembrava ricalcare le fattezze di Xigbar.

Quando quest'ultimo lo lasciò andare, il Simile balzò in piedi sui nuovi stivali color prugna, la parte superiore della testa celata da un elmetto con zoom ottico incorporato in corrispondenza dell’occhio destro mentre una bocca ghignante e seghettata s’apriva sulla superficie liscissima del volto pallido. Tra le sue mani artigliate, si materializzò una balestra acuminata non dissimile da quelle che Xigbar stesso impugnava.

Gli altri Simili squittirono trepidanti, prendendo a loro volta a dilatarsi e distorcersi per assumere lo stesso aspetto del compagno.

“Ma guarda un pò, Vexen aveva ragione. Essere un Nessuno ha i suoi vantaggi.”

Le creature fremevano e si smaterializzavano tutt’intorno a lui e Xigbar, alla vista di quel piccolo esercito di patetici cloni di sé stesso, rise. Una risata gelida e vacua che rimbombò nel vicolo buio.

“Cecchini!” li chiamò all’adunata, aprendo un Corridoio Oscuro davanti a sé con un gesto della mano “Ho del lavoro per voi. Andate!”

I Nessuno non se lo fecero ripetere due volte, accalcandosi e sgusciando l’uno sull’altro per oltrepassare il portale finché Xigbar non si trovò nuovamente solo, sotto il cielo senza stelle di quel Mondo inesistente.

Richiuse il Corridoio con un sospiro, chiedendosi se veramente fosse stata una buona idea inviare quei… cosi…. anziché recarsi sul posto di persona. Ma non poteva fare altrimenti.

Aveva promesso a Stellina che sarebbe tornato per spiegarle come stavano le cose. E, prima che Giardino Radioso gli fosse letteralmente crollato sulla testa, aveva tutta l’intenzione di farlo.

Perbias gli aveva detto di seguire quel che il suo cuore riteneva fosse giusto e tenere al sicuro il Libro delle Profezie, e X di conseguenza, era esattamente quello che sentiva di dover fare. Ma adesso che il suo cuore l’aveva abbandonato, poteva ancora fidarsi delle proprie decisioni? Cos’era a muoverlo e guidarlo in quel momento? Soltanto la sua testa?

Quelli come Vexen consideravano l’essere un Nessuno come un netto miglioramento, un modo per liberarsi dalle pulsioni e dagli istinti più bassi. Ma Xigbar aveva riposto cieca fiducia nel proprio cuore così a lungo che in quel momento non se la sentiva di affidarsi esclusivamente al raziocinio.

Per questo, decise che finché il suo cuore non avesse ricominciato a crescere, non sarebbe tornato a New Orleans, lasciando che fossero i suoi nuovi e sguscianti servitori a tenere d’occhio X.

Portare altri sopravvissuti dei Denti di Leone tra le fila dell’Organizzazione era un conto, avrebbe potuto tenerli d’occhio da vicino e, chissà, magari attirare l’attenzione di Ava, costringendola a rivelarsi. Ma consegnare il Libro delle Profezie in mano a Xemnas era tutta un’altra cosa.

Perché il piano del Maestro seguisse il suo corso, il futuro non doveva essere conosciuto prima del tempo e ciò significava che X doveva restare nascosta.

Il fatto che Xigbar stesso l’avesse portata via da Giardino Radioso appena prima che Xehanort effettuasse il suo coup d’état non poteva essere una coincidenza. Non c’erano coincidenze nel piano del Maestro dei Maestri, soltanto eventi curiosamente convenienti che s’inanellavano alla perfezione l’uno con l’altro, forgiando una lunghissima catena.

X avrebbe dovuto cavarsela senza di lui per un pò. Sperava soltanto che i suoi Cecchini fossero furbi abbastanza da riuscire a tenerla d’occhio senza farsi notare.

Del resto, portarla a New Orleans piuttosto che sbatterla in un mondo virtuale o metterla in stasi era stato il suo modo di farle avere una vita normale mentre i ricordi di quella che aveva perduto andavano a poco a poco a riordinarsi.

Dopo che Mama Odie l’aveva rimessa in sesto con i suoi filtri Voodoo, Xigbar aveva seguito il suo consiglio scortando X fino alla magione di Mister Elijah La Bouff, un ricco magnate del posto, con la scusa di voler presentare una vantaggiosa proposta d’affari.

Mentre lui (accuratamente travestito per l’occasione) e l’uomo discutevano, X aveva fatto conoscenza della figlia del ‘Re di New Orleans’, un’esagitata quindicenne di nome Charlotte, e della sua ben più pratica e posata amica Tiana.

L’accordo fu firmato in un battibaleno, tra le varie clausole, quella che Mister La Bouff si sarebbe occupato di trovare una sistemazione alla ‘protetta’ del suo nuovo socio, dato che quest’ultimo sarebbe spesso stato fuori per affari.

E, quando a fine serata Charlotte aveva immediatamente preso X sottobraccio pregandola di uscire con loro per fare compere e spettegolare, Xigbar aveva capito che se la sarebbe cavata.

Dopo tutto quello che aveva subito nel laboratorio di Giardino Radioso, X aveva bisogno di tornare ad essere una normale adolescente e divertirsi. Le aveva fornito documenti falsi, Munny a sufficienza per sopravvivere per anni e s’era raccomandato di contattare Mama Odie per qualsiasi evenienza.

I segreti nascosti nel profondo del cuore della ragazza avrebbero dovuto aspettare ad essere rivelati.

Nel frattempo, Stellina doveva dimostrargli di avere la risolutezza necessaria per divenire il prossimo anello della catena.

Xigbar aveva vissuto abbastanza a lungo da essere in grado di ammettere a sé stesso quando, in mezzo alla marea di persone che lo lasciavano completamente indifferente, una catturava inequivocabilmente la sua attenzione e X era certamente una di queste .

Sin dal momento in cui l'aveva vista per la prima volta, infreddolita e raggomitolata sul pavimento del laboratorio, in lei aveva ritrovato il sé stesso di così tanti secoli prima. L'orfanello umiliato e deriso che i ragazzi più grandi rinchiudevano per ore nel ripostiglio, minacciando di prenderlo a calci se si fosse messo ad urlare.

Quel che lui aveva passato non era lontanamente paragonabile agli orrori affrontati da quella povera bambina e da tutti gli altri soggetti che lui stesso aveva trascinato per i capelli nelle celle sotto al castello, ignorando i loro strilli e lacrime. Invecchiando, era diventato un bullo a sua volta, oltre che un grandissimo ipocrita.

Forse, era proprio per questo che di tanto in tanto sentiva il bisogno di compiere una buona azione. Aveva fatto così tante cose deplorevoli negli ultimi tempi che iniziare di nuovo ’a fare il bravo’ {'to be a good boy'*} gli sembrava il minimo.

Del resto il momento della Riunione si stava avvicinando e Xigbar riteneva che i tempi fossero maturi per adempiere alla seconda parte del ruolo assegnatogli dal Maestro.

"Tramanderai il Keyblade al tuo apprendista e lui ai suoi, così che il mio Occhio possa vedere il futuro."

Ormai da secoli, si domandava se avesse frainteso quel passaggio. O meglio, se Perbias avesse voluto affidargli un secondo ruolo che si sarebbe reso ovvio solo col trascorrere inesorabile del tempo.

Ephemer era stato il primo a cui aveva ceduto l'Innominata ma, davvero poteva considerare quel ragazzino che aveva visto sì e no un paio di volte… il suo apprendista?

"Significa che hai addestrato un degno apprendista, tramandato questo gran bel Keyblade e completato il tuo ruolo! Congratulazioni! Hey, cosa c'è? Hai fatto un lavoro coi fiocchi, almeno sorridi un pochino!"

Lui non aveva addestrato proprio nessuno. Affidare l'Innominata a qualcuno come un pacco postale non poteva essere considerato 'addestrare'.

Il che significava una cosa sola: doveva ancora adempiere a quella parte del suo compito. E mai come con Soggetto X, il suo cuore perduto gli aveva detto di trovarsi di fronte alla persona giusta.

Alla ragazza destinata sin dal principio a divenire l'apprendista… dell'apprendista del Maestro dei Maestri.

Ironico, visto che lui a differenza dei suoi compagni Veggenti non era mai stato a capo di un’Unione né aveva mai desiderato esserlo.

X sarebbe stata il suo segreto, il suo piccolo progetto personale. Non poteva rischiare che Xemnas la trovasse.

Doveva soltanto aspettare che il suo cuore ricominciasse a battere.


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* 'to be a good boy': in Inglese, Xigbar ripete spesso a Sora di 'fare il bravo', soprattutto in KH2.

 

Ciao! :D Allora allora… visto che sto cercando di dare un senso ai millemila retcon di questa saga, ecco come ho deciso di interpretare alcuni eventi non proprio chiari:

  • Xehanort è in combutta con Even (e quest’ultimo si tira dietro Ienzo, dicendogli che Ansem li ha traditi) per quanto riguarda la creazione dell’Organizzazione ma ovviamente Even non sa che il vero fine è creare 13 contenitori per il cuore di Xehanort. Per lui è semplicemente lo stadio successivo della loro ricerca sui cuori e sulle repliche.

  • Xehanort è però in combutta anche con Braig che invece sa benissimo della questione dei contenitori ma non ha la minima idea che il piano includa trasformare tutti in Nessuno, pensando che Xehanort semplicemente voglia ‘nortizzare’ altra gente. (Braig stesso era già “metà Xehanort” come il meme comanda, quindi dal suo punto di vista, essere trasformato in Nessuno è un sovrappiù. Ma una volta divenuto uno di loro, realizza immediatamente tutti i vantaggi di questa nuova condizione in particolare l’avere accesso ai Corridoi Oscuri e il controllo sui Nessuno inferiori.)

Non so se abbia senso, ma è l’unico modo in cui credo di poter far incastrare i dialoghi di KH3 dove Ienzo dice che lui e gli scienziati sono diventati Nessuno di loro spontanea volontà mentre Braig (nella scena di DDD) sembra cadere dalle nuvole quando Xehanort lo trasforma. Il fatto che non siano molto coerenti lo possiamo attribuire al fatto che Xehanort/Ansem non abbia ancora tutti i suoi ricordi (?) mentre Xemnas sembra averli? ….boh? Io ci ho provato!
Altre cose riguardo le mie predizioni per Union X:

  • Ephemer riceve l'Innominata/No Name da Luxu. L'altro candidato plausibile a mio parere è Brain, ma Luxu SA che Brain è un impostore quindi non penso che glielo andrebbe a dare intenzionalmente... anche se sospetta che pure il virus faccia parte del piano perchè le vie del Maestro dei Maestri sono INFINITE! Amen.

  • Sterlitzia era originariamente il leader cerchiato in rosso sulla lista di Ava, ossia quella a cui affidare il Libro delle Profezie. Dopo la sua morte e l'insediamento di Brain nel gruppo (che non implica necessariamente che sia stato lui ad ucciderla) i dati del Libro vengono passati a Skuld che ricopre il non proprio lusinghiero ruolo di chiavetta USB ambulante.

  • Siccome Nomura fa retcon persino tra UX, Back Cover e KH3, vado a mettere pezze anche qui: che fine ha fatto la questione che Luxu debba 'addestrare' un'apprendista se in realtà quel che si limita a fare è mollare l'Innominata in mano a qualcuno per poi svignarsela? Risposta: Luxu addestrerà Skuld direttamente sotto il naso di Xemnas (durante i suoi 'giorni liberi' presso l'Organizzazione, è un uomo molto impegnato :P) dedicandosi al contempo alla ricerca di tutti i superstiti dell'Era delle Fiabe che riesce a trovare in giro.

  • Non oso ancora pronunciarmi riguardo Luxord e Demyx perchè ancora non sappiamo niente su di loro :<

PS: mi scuso anche con Lisaralin per i velati insulti a Vexen XD secondo me la veste lunga gli sta da dio, ma qui è Luxu che parla e sinceramente ce lo vedo a fare la parte del vecchietto della situazione, agitando il suo figurativo bastone da passeggio e lagnandosi di come i giovani d’oggi portino la camicia fuori dai pantaloni. E' un purista del taglio classico della Cappa Nera :P

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Capitolo 24
*** ✭ To See Beyond ***


Eccomi di ritorno dalle ferie! Vi sono mancata?
Riprendiamo da SAND AND DATA ma con un bel saltone temporale! Ci stiamo avvicinando al tempo di Back Cover, tutti crescono e le cose si complicano. E spero mi perdonerete per il passaggio in un mondo Disney già visitato nella saga (e pure uno di quelli non proprio amatissimi dai fan XD) nonostante la promessa di usare solo mondi inediti ma vi giuro che la cosa si legherà ad alcuni eventi mai chiariti di KH1 e porterà direttamente al prossimo, ed ultimo, mondo Disney che ho in programma d'introdurre in questa storia. E sarà quello più rilevante di tutti. Forse così rilevante che potrei avere un tantinello esagerato.
Buona lettura!


✭ TO SEE BEYOND ✭

 

Weep for yourself, my man,
You'll never be what is in your heart.
Weep little lion man,
You're not as brave as you were at the start.
Rate yourself and rake yourself,
Take all the courage you have left.
Wasted on fixing all the problems that you made in your own head.
But it was not your fault but mine,
and it was your heart on the line
.
I really fucked it up this time...
Didn't I, my dear?
[ Little Lion Man - Mumford and Son]

 

Dopo la sua prima visita ad Atlantica, Luxu aveva capito perché i suoi compagni detestassero recarsi in quel Mondo in particolare.

Non era tanto l'esperienza una volta in acqua… era l'arrivarci ad essere rognosamente difficoltoso.

Perché? Perché non si poteva aprire un Corridoio di Luce che avesse come destinazione una località in fondo al mare senza allagare un intero piano della Torre Meccanica, con l'acqua che prendeva a spillare dal portale appena aperto.

Luxu lo sapeva bene, visto che nei sei anni che aveva passato lì ad Auropoli era successo ben tre volte. Due delle quali, per colpa di Mava.

Perbias come al solito l'aveva presa a ridere, galleggiando imperturbato sulla sua sedia come su un gonfiabile da spiaggia mentre i suoi apprendisti annaspavano in preda al panico con l'acqua alla gola.

Ovviamente avrebbe potuto chiedere alla Torre di occuparsi della cosa, aprendo magicamente dei canali di scolo per far defluire tutto nel fiume sottostante… ma non sarebbe stato altrettanto divertente.

Era molto più 'istruttivo' lasciare che fossero loro a asciugare tutto armati di stracci, secchi ed incantesimi.

Per evitare che l’incidente si ripetesse, chi impugnava il Keyblade e apriva il portale doveva concentrarsi su un luogo dell'entroterra dove sorgeva un pacifico regno costiero e pregare d'azzeccare le coordinate. Azal ci riusciva sempre, ma Mava era decisamente meno portata di lui per la geografia.

Per questo, quando il Maestro gli disse che la missione del giorno lo avrebbe visto recarsi proprio ad Atlantica e proprio con Mava, Luxu alzò gli occhi al cielo.

"Maestro, devo proprio?"

L'altro si voltò, scrutandolo oltre l'alto schienale della sedia imbottita. "Gli altri sono già impegnati. Azal e Nahara sono nella città di Halloween, Hafet e Salegg nel Dominio Incantato.”

Già, da qualche anno a quella parte anche Hafet aveva evocato un suo Keyblade e poteva viaggiare dove voleva.

I pesi morti rimasti erano lui, Nahara e Salegg, sempre bisognosi di un accompagnatore munito di chiave per portare a termine le loro missioni.

E nel caso specifico di quel giorno, lui aveva bisogno di Mava.

Quello che Luxu non capiva era perché mai lei dovesse aver bisogno di lui. Le sarebbe soltanto stato di peso. Luxu avrebbe preferito di gran lunga starsene lì alla Torre a catalogare il nuovo carico di libri digitalizzati che Perbias si era fatto mandare da Giardino Radioso, ma se era espressa volontà del Maestro che lui si recasse ad Atlantica con Mava, non avrebbe fatto storie.

Non troppe, almeno.

“Dobbiamo risolvere la cosa alla svelta, a quanto pare c’è un Heartless molto grande nei paraggi. Un vero e proprio mostro marino, se così possiamo dire. Mi hanno contattato ben tre volte nelle ultime ventiquattro ore. Ti passo il rapporto sul tuo terminale." Così dicendo, Perbias aprì una schermata raffigurante la battigia ai piedi delle scogliere che sovrastavano l’oceano di Atlantica. Attorno a quel paesaggio da cartolina, stavano una decina di foto sfocate degli avvistamenti del cosiddetto ‘mostro’. “Andrei io stesso, ma ho alcune faccende da sbrigare."

"Nessun problema, ce ne occupiamo noi.”

Perbias ripose la penna d’oca nel calamaio per alzarsi in piedi e Luxu si scoprì ancora una volta intimidito dalla sua statura prodigiosa.

Certe volte stentava a credere che il ragazzino dinoccolato che l'aveva portato via dall'orfanotrofio una manciata di anni prima si fosse tramutato nella figura imponente che gli stava di fronte.

Il Maestro aveva conosciuto una crescita repentina che lo aveva portato a rivaleggiare con i suoi apprendisti più anziani non solo per quanto riguardava la statura, ma anche la massa muscolare. Tra lui e il nerboruto Salegg non c'era ormai molta differenza e la cosa lasciava Luxu di stucco ogni volta che ripensava a che razza di scricciolo Perbias fosse stato da adolescente.

Anche Luxu era cresciuto, ovviamente. Aveva quasi quindici anni ormai, ma il Maestro era comunque più alto di lui di tutta la testa e i suoi lineamenti levigati s'erano fatti taglienti, gli zigomi alti e duri, le labbra sempre increspate in quel suo sorriso inconfondibile che faceva lampeggiare la dentatura affilata.

Non lo si sarebbe definito ‘bello’, almeno non secondo i canoni tradizionali delle genti di Auropoli e, per estensione, di Giardino Radioso. Perbias aveva troppi spigoli, il naso troppo importante a confronto con quelli piccoli e quasi femminili degli Auropoliani, la bocca troppo larga, gli occhi troppo grandi dalle palpebre pesanti e sempre cerchiati di scuro. Tutto era ‘troppo’ nei suoi lineamenti, eppure da qualche tempo a quella parte qualcosa aveva preso a contorcersi nello stomaco di Luxu ogni volta che erano vicini.

Perbias lo raggiunse e si chinò su di lui, le dita guantate di bianco intrecciate dietro la schiena.

Il Maestro lo aveva sempre messo un pò in soggezione, ma quel che provava adesso quando le iridi azzurre dell'uomo si specchiavano nelle sue era qualcosa di completamente diverso e, anche se Luxu non riusciva esattamente a capire cosa fosse, era qualcosa che gli faceva salire il rossore alle guance.

"Ti starai domandando perché Mava non è qui. Le ho chiesto di presentarsi più tardi, prima io e te dobbiamo fare una chiacchierata. Ovviamente, mi aspetto che quel che sto per dirti rimanga tra noi.” disse Perbias, dandogli un colpetto affabile sulla spalla “Considerala la tua prima missione segreta!”

Luxu lo fissò, sorpreso. “Non vi seguo...”

“Semplice: vai con Mava, occupatevi degli Heartless come al solito. Ma, prima di tornare...” il Maestro lo indicò teatralmente “...voglio che tu giochi un po’ a fare il detective. Vedi, ho motivo di credere che dietro ai problemi di Atlantica si nasconda l’interferenza di un altro Mondo.”

Luxu inarcò un sopracciglio “Intendete dire che a generare quell’Heartless gigante potrebbe essere stato un Estraneo?”

“Per quel che ne so, l'Heartless potrebbe essere l’Estraneo. Magari si tratta di una bestia mitologica sfuggita da Tebe e finita chissà come nel mare di Atlantica. Di certo, non è una creatura del posto. E vorrei che tu investigassi per mio conto.”

“Chiaro. Ma non capisco perchè Mava debba esserne tenuta all’oscuro.”

“Se quel che sospetto è vero, lo capirai nel momento in cui scoprirai la verità.”

“Non avete alcuna intenzione di essere meno criptico di così, non è vero?”

L’altro rise “Ovviamente no.”

Luxu sospirò con rassegnazione, rassettandosi la tunica sulle spalle. “E’ così strano che un Estraneo causi problemi in un Mondo che non è il suo? Cioè, capisco che è raro che qualcuno percorra una simile distanza senza ricorrere ad un Corridoio, ma non è impossibile. Specialmente se parliamo di una grossa creatura… presumibilmente munita di pinne, ali e chissà cos’altro.”

“Non ti chiederei di agire con discrezione se non avessi il sospetto che ci sia dell’altro, non pensi?”

“Come desiderate.” mormorò l’apprendista, voltandosi nel sentir cigolare la porta alle sue spalle.

“Maestro, mi avete fatta chiamare?” Mava si affacciò all’interno.

A differenza dei due giovani uomini, lei era rimasta decisamente più minuta. Arrivava a malapena alle spalle di Luxu, ma anche lei era cresciuta, a modo suo. A cambiare era stato principalmente il suo corpo di cui la tunica stretta in vita adesso evidenziava la forma a clessidra. In quegli anni, si era fatta allungare i capelli e aveva iniziato a pettinarli tutti i giorni senza che fosse Nahara a doverla acciuffare per darle una spazzolata. Le ciocche setose ed ondulate le incorniciavano il viso di un ovale perfetto, illuminato dal sorriso vivace che si apriva adesso su un paio di labbra rosee e... morbide.

Non che Luxu sapesse se lo erano realmente, come avrebbe potuto? Ma lo sembravano, oh sì. Molto morbide.

“Oh, ciao Luxu, vieni anche tu?” chiese la ragazza, notandolo.

Lui trasalì, alzando lo sguardo dalla bocca di lei per incontrare gli occhi verde acqua. Perchè accidenti si era fissato in quel modo sulle sue labbra?!

“Già, andiamo in missione insieme oggi.” annuì, ricomponendosi “Ad Atlantica. Quindi vedi di non combinare guai col corridoio, intesi?”.

Lei gli fece la linguaccia “Voglio proprio vedere quanti guai combinerai tu quando avrai il tuo Keyblade.”

“Su, non bisticciate.” li riprese il Maestro tornando a sedersi “Ho già spiegato tutto a Luxu, potete partire quando volete.”

“Sissignore.” risposero i due all’unisono. “Torneremo il prima possibile.”

“Ci conto. Portate via un pò di ostriche fresche già che ci siete, ne ho una voglia matta.” li salutò Perbias ruotando la sedia girevole verso il monitor e dando loro le spalle.

“Ostriche? Bleah.” commentò Mava mentre uscivano in corridoio.

Luxu sorrise “Scommetto che non piacciono nemmeno a lui. Vuol farsi passare per un palato raffinato ma sai meglio di me che se non ci fossimo noi ad impedirglielo mangerebbe soltanto schifezze.”

“E’ buffo che tocchi a noi fare da genitori al Maestro.” ponderò lei, giocherellando col fiocco della mantella.

“Non abbiamo molta scelta, siamo tutti orfani.” rispose Luxu in un sospiro. “Anche lui.”

“Già.” Mava si morse il labbro inferiore “E il Maestro non sa davvero niente della sua famiglia.”

“Per me è spuntato un giorno in un campo come una margherita. Probabilmente già con il frac cucito addosso.” rise Luxu, ma Mava s’era rabbuiata.

”...ci pensi mai?”

Luxu sollevò un sopracciglio “A che cosa?”

“Ai tuoi genitori. Perbias non lo dà a vedere, ma secondo me anche lui vorrebbe sapere-”

Lui rallentò il passo, spostando lo sguardo sul pavimento.

“Accidenti, mi sono appena resa conto che non ti ho mai chiesto-”

“No, tranquilla. Di loro so soltanto quello che mi hanno detto all’orfanotrofio: mio padre è morto e mia madre non poteva occuparsi di me, così mi ha dato via. Non la ricordo e non è tornata nemmeno una volta negli anni che ho passato lì. All’inizio speravo che lo facesse, del resto ero tra i pochi ‘fortunati’ che un genitore là fuori ancora ce l’aveva. E la governante diceva che a volte, in casi come il mio, i genitori tornavano a prendere i propri figli quando la situazione migliorava. Per questo mi spingevano sempre in fondo alla lista delle adozioni, dando la precedenza ai bambini più piccoli e a quelli che non avevano nessun parente ancora in vita.”

Quasi inconsciamente, Mava gli posò una mano sull’avambraccio e lui si fermò, grato per quel gesto affettuoso che la ragazza gli aveva riservato. Tornò a sorriderle, cercando di sdrammatizzare “Poi un giorno arrivò il Maestro e, ignorando tutte le regole e le procedure d’adozione si fece condurre nella sala comune. Lo ricordo bene perché quella mattina ci avevano fatto mettere i nostri abiti migliori, anche se nessuno sapeva esattamente perché. Immaginammo che uno dei benefattori dell’istituto sarebbe venuto a far visita e la preside volesse fare bella figura con lui. Invece un paio d’ore prima di pranzo, iniziò a circolare la voce che sarebbe stato il Maestro a venire. E che avrebbe scelto tra noi il suo prossimo apprendista. Pensavamo fosse tutto uno scherzo. Io di sicuro lo pensavo.”

“E invece eccoti qui.” disse lei, lasciando andare il suo braccio, quasi si fosse improvvisamente accorta di averlo stretto un pò troppo forte e troppo a lungo.

“Chissà dove sarei adesso se non fosse per lui. Ero considerato troppo grande per essere adottato già allora. Tu invece? Se non vuoi rispondere mi sta bene, tranquilla. Ma non abbiamo mai avuto occasione di parlarne. Nahara mi ha detto che sei di Shibuya, è vero?”

“Figurati, te l’ho chiesto io per prima.” lo rassicurò lei “Già, vengo proprio da lì, il Maestro mi ha presa con sé durante un suo viaggio. Sono stata lasciata sulla soglia di un Jinja quando ero ancora in fasce e mi hanno cresciuta i sacerdoti del tempio. Non ho idea di chi fossero i miei veri genitori, non si sono degnati di lasciare nemmeno un biglietto nella coperta in cui mi avevano avvolta. Sono un’incognita, un pò come il Maestro, ma almeno io non ho problemi di memoria.”

“Sembra la backstory di un’eroina destinata a fare grandi cose, come nei romanzi.” le fece notare lui, colpito.

“Non sei il primo a dirlo, ma non è niente di speciale, davvero. Ma non posso lamentarmi, al tempio erano tutti molto buoni con me e quando il Maestro mi portò via mi sentii anche un po’ triste. Ovviamente posso andare a far loro visita ogni volta che voglio e lo facevo spesso, specialmente all’inizio. Ma ormai sono certa che i sacerdoti siano ben lieti di non avere più una bambina pestifera tra i piedi. Mi chiamavano Chīsai Kitsune, la piccola volpe combinaguai.

“Non mi stupisce che tu ne abbia una sul tuo Keyblade, allora. Né che ti trasformi in volpe quando andiamo a Zootopia o nelle Terre del Branco.”

“E a me non stupisce che il tuo animale sia un caprone, vista la zucca dura che ti ritrovi.” ridacchiò lei, spingendolo giocosamente e accelerando il passo.

“Se non altro a me non spunterà una coda da pesce rosso una volta ad Atlantica.” le fece notare, sogghignando.

Mava lo guardò in tralice, manifestando il proprio Keyblade nella mano destra “E’ una coda da carpa Koi, non da pesce rosso. C’è differenza.”

“Dai, sto scherzando. Non distrarti adesso, che altrimenti passeremo le prossime ore ad asciugare il pavimento. Apri il portale e prendi bene la mira, dobbiamo arrivare sulla spiaggia.”

“Lo so, lo so.” gli rimbrottò Mava, tenendo la chiave alta davanti a sé e chiudendo gli occhi, concentrata.

Luxu si fermò al suo fianco, ripensando alle parole del Maestro.

Doveva investigare sull’origine dell’Heartless senza che lei lo scoprisse. Ma perchè tutta quella segretezza? Cos’era che Perbias si aspettava di trovare in quel mondo sottomarino? Doveva avere qualcosa a che fare con i suoi recenti studi, Luxu non ne aveva alcun dubbio. Peccato che non avesse idea a che razza di diavoleria stesse lavorando questa volta. Perbias era terribilmente scostante e la sua mente iperattiva faceva fatica a restare focalizzata su un solo argomento per più di qualche giorno. Una settimana poteva dedicarsi alla creazione di un Keyblade artificiale e quella successiva decidere che dovevano assolutamente fare un’escursione nel regno di Corona alla ricerca di un fiore magico di cui aveva letto una volta in un libro.

Ma se c’era una cosa che Luxu aveva imparato vivendo sotto il suo stesso tetto era che il Maestro aveva sempre un buon motivo per dar loro ordini così specifici come quello che lui aveva ricevuto.

Beh, quasi sempre. Tranne quando lo faceva solo per divertirsi assegnando loro compiti impossibili.

Quando il Keyblade di Mava sparò il sottile raggio di luce blu, Luxu sobbalzò, riscosso dai propri pensieri. Il portale s’aprì all’istante, un’ellissi perfetta al centro del salone rivestito di carta da parati verde.

“Visto? Niente acqua!”

“Bel lavoro.” si congratulò l’apprendista, raggiungendo il Corridoio. “Ricordi l’incantesimo per la coda di pesce?”

“Ovviamente. Ma lanciamolo una volta arrivati, non voglio ritrovarmi arenata sulla spiaggia come l’ultima volta.”

“Dovremo assicurarci che nessuno ci veda mentre ci trasformiamo.”

“Nessun problema, nuotiamo a largo quanto basta e poi boom, sirenetti.”

“Si può fare.” annuì lui, tendendole la mano.

Dopo lo spiacevole incidente del viaggio a Zootopia, avevano preso l’abitudine di tenersi sempre l’uno all’altro quando viaggiavano. Lo facevano anche quando si spostavano tutti e sette, prendendosi per mano in quello che il Maestro chiamava scherzosamente il ‘girotondo’.

Quando le dita di lei scivolarono nelle sue, Luxu si scoprì intento a tastarle il dorso della mano con il pollice senza quasi accorgersene. La pelle di lei era liscia e calda sotto le sue dita, ben diversa da quella sempre sudaticcia e appiccicosa di caramelle che aveva da bambina.

Ancora una volta, qualcosa in fondo al suo stomaco si contorse, ma Luxu si sforzò d’ignorarla.

I due apprendisti avanzarono, varcando il portale nello stesso istante e si trovarono catapultati nel vortice luminoso del Corridoio.

Il vento gonfiava gli abiti colorati e tirava indietro i loro capelli, scoprendo i volti puliti e giovani dei due ragazzi mentre sfrecciavano rapidi in mezzo ad una pioggia di stelle.

°°°

Circondato dai suoi strumenti scientifici, Perbias posò la fronte sui palmi delle mani, leggendo e rileggendo la pagina incartapecorita che Merlino gli aveva dato il giorno delle sue indagini sulla comparsa di Excalibur.

La scrittura inclinata del mago era adesso contornata da decine e decine di appunti scritti in inchiostro rosso.

Annotazioni, le avrebbe chiamate qualcuno.

Lui preferiva definirle miglioramenti.

L’incantesimo originale era stato preso e rivoltato come un guanto, trasformato in qualcosa di alieno che il saggio mago di Camelot avrebbe stentato a riconoscere. Una lunga fila di rune s’estendeva su una serie di post-it aggiunti per dare più spazio alla pagina e un complesso diagramma riempiva interamente le due facciate del quaderno posato di fianco alla pergamena strappata. Gli occhi azzurrissimi di Perbias seguivano il groviglio di frecce, asterischi e simboli come quelli di un gatto fanno col riflesso di uno specchietto sul muro.

Traendo un sospiro carico di frustrazione, il Maestro ripose la pagina strappata all’interno del quaderno, richiudendolo con uno scatto.

Si alzò, camminando avanti e indietro per quella sala ingombra di alambicchi, isolatori di porcellana, antenne periscopiche e mille altre diavolerie come un animale in gabbia, i passi pesanti e nervosi. Il calderone ribolliva sul fuoco, sigillato ermeticamente dal pesante coperchio di metallo.

Possibile che non ci fosse un modo per andare oltre? Per vedere oltre?

In quegli ultimi anni, si era esercitato con infaticabile dedizione nell’arte della chiaroveggenza con risultati piuttosto deludenti. Di tutti gli incantesimi che aveva provato, il solo a dare risultati consistenti era quello di Merlino, e ciò non lo sorprendeva dato che era probabilmente lo stregone più potente sulla piazza.

O almeno, lo era tra quelli che professavano apertamente le arti magiche e con i quali Perbias era riuscito ad entrare in contatto. C’erano altri maghi e scienziati rinnegati con i quali avrebbe desiderato scambiare due parole, ma quel tipo di persone non se ne andava certo in giro a distribuire biglietti da visita.

Un allegro trillo elettronico lo avvisò dell’arrivo di un messaggio sul terminale e il giovane uomo si precipitò alla postazione, aprendo la casella di posta.

La sua espressione speranzosa si spense lentamente mano mano che leggeva, la luce verdastra del monitor che lo faceva sembrare molto più pallido e stanco.

Ancora una volta, Re Ardyn di Giardino Radioso gli aveva negato il permesso di avvicinarsi alla Prima Pietra della Luce per studiarla.

Perbias serrò le mani a pugno, facendo scricchiolare i guanti bianchi.

Non aveva altra scelta se non sperare che Luxu confermasse i suoi sospetti sulla vera natura di quel misterioso Heartless che s’aggirava negli abissi marini. Se il cristallo di Giardino Radioso era fuori dalla sua portata, sarebbe andato alla ricerca del suo equivalente di cui aveva così tante volte letto nei libri di leggende. Ma prima doveva assicurarsi che non fossero soltanto un mucchio di frottole e il che rendeva imperativa una breve escursione nell’unico posto che realmente lo spaventava e dove non aveva mai osato avventurarsi nemmeno in compagnia dei suoi allievi.

In cuor suo sapeva che quella avrebbe dovuto essere la sua prima scelta, ma il timore reverenziale che i resoconti di chi vi si era avventurato avevano instillato in lui era difficile da ignorare.

La paura era sempre stata per Perbias un inseparabile compagna.

La paura di essere inadeguato al ruolo che Kingdom Hearts, l’Universo intero, sembrava avergli caricato sulle spalle l’aveva portato a rinnegare la propria Oscurità ed essa non l’aveva mai perdonato, tornando a tormentarlo ogni volta che ne aveva l’occasione.

La paura della solitudine lo aveva convinto a rubare una scheggia del cuore di tutti i suoi allievi, legandoli a sé come animali alla catena.

E la paura del futuro, di perdere tutto ciò che aveva, di non essere pronto quando il momento sarebbe arrivato… quella rendeva insonni le sue notti e lo spingeva ad addentrarsi in studi ed esperimenti che nessuno che si proclamasse un difensore della Luce avrebbe mai dovuto contemplare.

La paura...

Era lei a guidare la sua mano, camminando silenziosa nella sua ombra, celata dietro al suo sorriso e ai suoi modi di fare eccentrici. Si dice che la risata sia la miglior cura per tutti i mali ma in tutti quegli anni Perbias aveva appurato che serviva soltanto ad aiutarlo ad ignorare quel che lo spaventava. E anche quando riusciva a distrarsi abbastanza da dimenticare per un pò le sue preoccupazioni… il suo cuore ricordava, sempre, infallibilmente.

Certe volte avrebbe voluto strapparselo fuori dal petto. Un giorno, forse, l’avrebbe fatto.

Il calderone che bolliva lentamente sulla fiamma azzurra tremò sul treppiedi mentre un viscoso rivolo di liquame nero filtrava attraverso il coperchio sigillato, spillando nel fuoco e liberando una vampata sulfurea.

Con un sospiro, il Maestro prese posto sulla panca accanto al camino e tolse i blocchi che tenevano ermeticamente chiuso il pentolone, sollevando il tappo con cautela. Uno sbuffo di fumo nero lo fece tossire, ma Perbias non distolse lo sguardo dalla creatura morente e semi-liquefatta che si contorceva sul fondo in una pozza d’oscurità catramosa.

L’Heartless alzò flebilmente le antenne, guardandolo con gli occhi gialli ormai deformati e quasi completamente spenti. Stretto tra le zampe scheletriche, stringeva ancora il proprio cuore nella forma di un cristallo rosato. Ignorando lo squittio sofferente della creatura, il Maestro strappò la gemma dalle sue dita con una lunga tenaglia e l’heartless si disfece del tutto, ridotto ad una macchia d’inchiostro sul fondo del calderone.

L’uomo ripulì il cuore cristallizzato con un panno e lo ammirò in controluce prima di riporlo all’interno della tasca del panciotto. Là dove stava andando, era necessario pagare un dazio per poter attraversare e lui sperava che un oggetto raro come quello sarebbe stato un pagamento sufficiente.



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Ed ecco che il nostro Luxu è passato da bambino pacioso a essere un teenager sessualmente molto confuso nel giro di un capitolo XD!

E mentre lui si pone quesiti esistenziali, la stessa cosa la fa il Maestro ma con problemi un bel pò più seri. Dove starà andando? Seguendo gli indizi potete provare a indovinare, altrimenti ci vediamo nei prossimi capitoli.
Vi lascio con un altro disegnino adorabile di Mal, tanto per farvi andare in overdose di zuccheri. Ciao a tutti!
- Calia


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Capitolo 25
*** ✭ The Depths ***


THE DEPTHS


Foretelling events you wouldn't
ever believe and so you shouldn't
.
This is a memory
of the times that never were
It'll be short and sweet,
you won't have to listen much longer
.
Hopefully this will linger
in your mind for years to come
So the lesson will stay with you,
when the story's dead and done.

[Fairytale - Rachel Macwhirter]

 

Luxu non aveva mai avuto molta fortuna con le trasfigurazioni necessarie per passare inosservati in certi Mondi, ma la forma che assumeva ad Atlantica era sempre stata una delle sue preferite.

Forse perchè, per una volta, non si ritrovava nella pelle lanuginosa di un placido erbivoro ma in quella abrasiva di uno squalo. Beh, almeno dalla vita in giù.

A differenza delle altre trasformazioni quella in tritone era probabilmente la più complicata da gestire e quella a cui non era facile abituarsi in fretta. Tutto funzionava diversamente, dalla respirazione fino al semplice atto di spostarsi in linea retta.

Saper nuotare in forma umana non era di grande aiuto, non solo perché la coda di pesce aveva un’ossatura completamente diversa da quella di un paio di gambe ma soprattutto perché Luxu non si era mai posto il problema di come pesci e mammiferi marini si muovessero così agilmente sott’acqua.

Non era solo merito della forma idrodinamica e della muscolatura possente della coda, ma anche di un organo sconosciuto a chiunque non si interessasse di biologia marina... una sorta di terzo polmone chiamato ‘vescica natatoria’ che doveva essere controllata consapevolmente in ogni istante se non si voleva finire pancia all’aria o colare rovinosamente a picco.

Per questo motivo, Perbias si prendeva la briga di insegnare ai suoi allievi come nuotare in occasione della loro prima visita nel mondo sommerso e ovviamente con Luxu non aveva fatto eccezione. Il ragazzo ricordava ancora con un certo divertimento le facce sorprese dei suoi compagni quando si era  trascinato sulla battigia sfoggiando la coda affusolata di uno squalo toro. Per una volta, era lui ad essere in cima alla catena alimentare e tutti lo sapevano.

Perbias gli aveva sorriso, sfilandosi e gettando sotto l’ombrellone la più brutta camicia hawaiiana che Luxu avesse mai visto per raggiungerlo in acqua, le mani affondate nelle tasche del costume a pantaloncino.

“Guarda guarda... chi l’avrebbe mai detto che il piccolo Luxu avesse il terrore degli oceani nascosto nel cuore, eh? Forse non sei poi così buono come sembri.” aveva scherzato, tuffandosi al suo fianco per riemergere un poco più a largo dove lanciò l’incantesimo di trasfigurazione anche su sé stesso. In un bagliore azzurro seguito da una nube di bollicine, anche Perbias assunse la sua forma di tritone e Luxu non fu per niente sorpreso del fatto che si fosse mutato nell'ennesimo animale insolito.

Laddove tutti i suoi apprendisti assumevano le sembianze di pesci ossei o mammiferi acquatici, la ‘coda’ di Perbias si apriva in due ampie ali da manta che creavano l’illusione di un lungo mantello nero.

Luxu ripassò mentalmente la sua lezione mentre si toglieva la tunica, appallottolandola sul fondo di una cassa che poi lui e Mava avrebbero nascosto sotto la sabbia con un incantesimo.

Lei scrutava l'orizzonte assolato della mattina, i capelli lavanda che ondeggiavano nella brezza salmastra. "Sei pronto?"

"Quasi." Disse lui calciando via i pantaloni per riporli insieme agli stivali e far sparire ogni traccia del loro forziere pieno di vestiti e provviste. Coi piedi nudi che affondavano nella sabbia fine, la raggiunse poi sulla battigia.

"Com'é l'acqua?"

"Gelida...”

"Se non altro ci dará una bella svegliata, non so te ma io sono ancora tutto assonnato." disse lui stiracchiandosi.

Mava fece alcuni passi in avanti, le onde che adesso le s’infrangevano all’altezza dei fianchi e rabbrividì, stringendosi nelle braccia. “No, non hai capito. E’ davvero fredda. Freddissima! C’è un così bel sole, non è naturale!”

“Dai, mica è fredda. Tiepidina, direi.” minimizzò Luxu sorpassandola con fare baldanzoso, ma lei s’accorse che per quanto si sforzasse di nasconderlo, anche lui tremava come una foglia.

“Non fare  il gradasso.” sbottò lei raccogliendo un pò d’acqua per bagnarsi le braccia e cercare d’acclimatarsi il prima possibile “Se vai in ipotermia io non ti salvo, eh!”

“Ma che cara che sei.” rise lui,  buttandosi là dove l’acqua iniziava a farsi più profonda, prendendo a dare bracciate rapide verso il mare aperto.

“Luxu, aspetta!” 

Cercò di trattenerlo, ma quando si rese conto che il ragazzo non aveva alcuna intenzione di voltarsi e che la stava lasciando indietro, Mava si fece coraggio e s’immerse a sua volta, trattenendo il fiato e nuotando vicina alle rocce sommerse.

Mentre procedeva con la vista appannata dalla massa d’acqua gelida che la circondava, vide immediatamente che c’era qualcosa che non andava. Il fondale disseminato di conchiglie, alghe e coralli rigogliosi era completamente ricoperto da un irregolare formazione di cristalli di ghiaccio.

A quella vista, la giovane s’affrettò a riemergere, spuntando tutta infreddolita a poca distanza dall'amico.

“Ma dove siamo, al polo nord?” si lamentò, battendo i denti. “Luxu, il fondale è tutto ghiacciato!”

L’espressione scherzosa di lui lasciò spazio ad un cipiglio. “Ma che, sei seria?”

“Guarda tu stesso se non mi credi!” protestò lei annaspando in superficie.

Lui cacciò nuovamente la testa sott’acqua, poi la tirò fuori rivolgendole un’occhiata perplessa  “Pensavo che stessi esagerando! Pensi possa essere il motivo per cui ci hanno chiamato qui?”

“Non c’è niente di simile nei rapporti.” ponderò Mava. “Immagino che sia uno sviluppo recente, magari una conseguenza dell’attività dell’Heartless gigante. Faremo meglio a trasformarci e ad indagare. Se restiamo fermi, altro che ipotermia. Hai già le labbra viola.”

Lui esitò “Ma se sotto dovesse fare ancora più freddo…”

“C’è un solo modo per scoprirlo.” tagliò corto lei, premendosi i palmi sulle cosce e mormorando a bassa voce l’incantesimo. In uno sbuffo di bolle luminescenti, Luxu intravide le gambe snelle della giovane saldarsi insieme in una coda di pesce dalle lunghe pinne frastagliate e ricoperta di lucenti scaglie bianche e rosse.  

Il ragazzo s’affrettò a fare lo stesso, sentendo un brivido percorrergli la spina dorsale mentre questa si faceva come liquida, allungandosi dal coccige e fondendosi alle ossa ormai dissolte delle gambe per formare quella che era a tutti gli effetti un’estensione della cassa toracica. Era al tempo stesso la sensazione più affascinante e disgustosa che Luxu avesse mai provato e il che era tutto un dire, visto che s’era trasformato più volte in un quadrupede. Eppure, c’era qualcosa di molto più alieno nel trasformarsi in qualcosa soltanto per metà piuttosto che cambiare completamente aspetto. La familiarità che aveva con la parte superiore del suo corpo non si sposava bene con la completa trasformazione che aveva appena avuto luogo dalla cintola in giù dove adesso si trovava una lunga coda di squalo completa di acuminata pinna dorsale. 

Dopo essersi scambiati un’occhiata d’intesa, i due neo-sirenetti s’immersero agilmente con un colpo di pinne, scendendo rapidi nelle profondità degli abissi marini.

Tutto intorno a loro era denso e gelido.

La luce filtrava dalla superficie in un gioco di riflessi cangianti che si faceva sempre più flebile mano mano che scendevano. Fortunatamente, i loro nuovi occhi da membri del popolo del mare erano adatti a catturare anche il minimo barbaglio luminoso e offrivano loro una visione incredibilmente nitida.

In basso, la sconfinata distesa di ghiaccio s’estendeva a perdita d’occhio, ricoprendo intere formazioni rocciose, colonie di coralli e persino un enorme relitto abbandonato sul fondale sabbioso.

“Non mi piace affatto.” borbottò Luxu, lasciandosi sfuggire di bocca un filo di bollicine.

Mava aggrottò le sopracciglia “Atlantica è da quella parte. Spero che avranno qualche indizio per noi.” disse, indicando una profonda spaccatura nel fondale. Se fossero stati in superficie, quella voragine avrebbe potuto essere una valle circondata da montagne così alte da avere i picchi immersi nelle nubi.

Luxu annuì. “Teniamo gli occhi aperti.”

Accelerarono l’andatura e raggiunsero il fondale ghiacciato. Tutt’intorno a loro, banchi di pesci argentei si muovevano agitati, evidentemente disturbati da quell’improvviso calo di temperatura. Con un certo sconforto, Mava notò che centinaia di animali di vario genere e taglia erano prigionieri nelle lastre di ghiaccio che sembravano coprire il terreno come una glassatura. In un cristallo di ghiaccio grande quanto un palazzo di tre piani, una balenottera dal dorso macolato era intrappolata come un insetto in una goccia d’ambra.

“Perchè non si scioglie…?” indagò Mava stringendo le braccia al petto per scaldarsi. Indossava solamente la fascia rossa del costume a due pezzi. “Dev’essere una magia, per forza.”

“Guarda, la scia di ghiaccio sembra formare un sentiero.” le fece notare Luxu, indicando in lontananza. “E’ come se qualcosa fosse passato di qui, congelando tutto sul suo cammino.”

“Mi sa proprio che è il nostro bersaglio.”

“Puoi dirlo forte. Chissà se è una cosa recente o se queste sono tracce vecchie di giorni.”

Mava si spinse in avanti con un colpo di coda, la pinna dorsale semi-trasparente che si fletteva per accomodare il flusso dell’acqua “Ci siamo quasi, Atlantica è oltre quella foresta di alghe.”

“Mi domando se ci riserveranno lo stesso benvenuto della volta precedente.” ponderò Luxu, ricordando con quanto calore il Re dei Mari avesse accolto il Maestro di Auropoli e i suoi sei apprendisti durante la loro precedente visita. Il popolo del Mare era pacifico, ricco, dedito alle arti e alla bellezza prima che ad ogni altra cosa. Il loro sovrano era imparentato con gli Dèi dell’Olimpo venerati dai cittadini di Tebe e possedeva dunque grande saggezza e potere. Il fatto che avesse richiesto più volte l’assistenza di un’Estraneo come il Maestro denotava la sua grande umiltà e desiderio di porre il benessere dei propri sudditi al di sopra di qualunque pregiudizio.

“Lo scopriremo presto, suppongo.” rispose Mava rabbrividendo mentre continuavano a scendere. “Certo che fa veramente freddo…”

“Non mi sento più la punta della coda.” bofonchiò Luxu, rallentando “Rischiamo veramente grosso se la temperatura continua a calare così. Dovremo scaldarci un pò.” Così detto, il ragazzo evocò una vampa di Fire che si tramutò in uno sprizzo di bolle calde all’immediato contatto con l’acqua. Luxu ripeté l’incantesimo, passandosi la mano ad una decina di centimetri dal corpo per scaldarsi, come stesse usando un phon per asciugare degli abiti fradici. “Molto meglio, mi si stava bloccando la circolazione!”

Mava lo imitò e poi ripresero a scendere verso la verdeggiante distesa di alghe.

Scostando le fronde intricate con le mani, si fecero largo fino ad un sentiero nascosto che conduceva ad un tunnel con le pareti rivestite di anemoni fosforescenti. Il ghiaccio non sembrava esser penetrato fino alla città, ma i due apprendisti tennero comunque gli occhi ben aperti quando sbucarono dal lato opposto della grotta. Davanti a loro si spalancava una rigogliosa valle sottomarina costellata di affusolati edifici simili ad enormi conchiglie. Il palazzo della famiglia reale svettava sulla valle con i suoi eleganti colonnati e le torri di madreperla riflettevano la luce di centinaia di lanterne piene di muschi bioluminescenti, avvolgendo l’intero castello in un alone mistico e solenne.

Luxu e Mava ne avevano visti di paesaggi mozzafiato, probabilmente più di quanti la maggior parte delle persone avrebbe visto in tutta la vita, eppure entrambi si fermarono a contemplare quella meraviglia sommersa come se fosse la prima volta.

“Venire qui sarà anche una scocciatura, ma ne vale sempre la pena.” disse lei, senza staccare lo sguardo dalle guglie scintillanti in lontananza.

Luxu annuì, distogliendo però lo sguardo dal panorama per riportarlo su di lei. Mava sembrava pensierosa, persino un po’ corrucciata, ma i capelli le ondeggiavano dolcemente sulle spalle gonfiati dalla corrente e la carnagione pallida sembrava risplendere dello stesso chiarore degli edifici in lontananza.

E forse fu perché quella era la prima volta che la vedeva senza la tunica da quando era diventata una signorina, ma Luxu si trovò a pensare che la ragazza al suo fianco fosse improvvisamente molto più interessante da guardare di qualsiasi bel panorama.

Scacciò quei pensieri con un certo imbarazzo quando gli tornarono alla mente i ricordi di una certa mattina dell'anno prima. Svegliato dagli strilli della ragazza, si era precipitato in corridoio per ritrovarsi di fronte ad una Mava in lacrime, aggrappata al collo del Maestro, e che sosteneva di essere certamente gravemente malata dato che s’era svegliata con le lenzuola sporche di sangue.

Perbias aveva sdrammatizzato come a suo solito, spiegandole in termini semplici come stavano le cose e che avrebbe fatto meglio a consultare Nahara per i ‘dettagli’, ma Luxu non avrebbe mai dimenticato l’occhiata assassina che la ragazza gli aveva rivolto mentre lei e il Maestro si allontanavano. 

“Fanne parola con gli altri e ti ammazzo.”

Non l’aveva detto ad alta voce, ma era così che Luxu aveva interpretato quello sguardo.

Il suono ovattato di un paio di pinne in avvicinamento lo distolse da quei pensieri.

Due guardie di Atlantica, una coppia di Tritoni armati di lance, li raggiunse nuotando agilmente “Alt! Identificatevi.” 

Mava sorrise calorosamente, mostrando il sigillo del Maestro che per l’occasione era stato impresso all’interno della conchiglia che la ragazza portava al collo.

La guardia osservò l’amuleto con un’espressione indecifrabile “Il nostro sovrano ha esplicitamente richiesto la presenza del Maestro di Auropoli. Perché lui non è qui? La situazione è davvero critica.”

“Vi assicuro che saremo in grado di gestirla. Abbiamo saputo dell’avvistamento di un Heartless gigante.” s’intromise Luxu.

“Potete contare su di noi.” Rincarò Mava, rimettendosi la collana.

“Non abbiamo molta scelta.” sbottò il secondo soldato, facendo loro cenno di seguirlo. “Venite, il Re vi riceverà immediatamente.”

Scortati dai due tritoni, Luxu e Mava percorsero il sentiero sopraelevato che conduceva all’androne principale del palazzo, sospinti da una piacevole corrente manipolata da un complesso sistema di gallerie per facilitare il nuoto.

Il corridoio che separava l’ingresso dalla sala del trono era gremito di sirene e tritoni che parlottavano nervosamente tra loro. La tensione era palpabile nell’acqua fredda e tanti paia di occhi si puntarono su di loro mentre percorrevano la stanza accompagnati dalle guardie.

Luxu accelerò l’andatura per non essere lasciato indietro. Nonostante avesse una pinna da squalo, in quella stanza si sentiva come una trota in una vasca di piranha. 

“Non proprio la stessa accoglienza dell’altra volta, eh?” bisbigliò Mava.

Il ragazzo stirò le labbra in risposta, grato che le guardie avessero tirato un drappo di alghe intrecciate alle loro spalle per separarli dalla folla arcigna nella sala a fianco.

Ad attenderli sul trono di corallo bianco stava un giovane uomo-pesce dalla folta capigliatura bruna ed un accenno di barba e baffi sulla mascella squadrata. Indossava due spessi bracciali d’oro e una corona a cinque punte e non appena li vide si raddrizzò sul seggio, atteggiandosi nel modo più autoritario ed ufficioso che la sua giovane età gli consentiva.

Luxu e Mava lo riconobbero all’istante dato che era stato la loro guida durante la prima visita ad Atlantica risalente ormai a due anni prima: era il Principe Tritone, figlio di Re Nettuno.

“Bentornati, Custodi delle Chiavi.” esordì l’uomo, poggiando le mani sui braccioli di corallo “Avrei preferito incontrarvi di nuovo in circostanze meno drammatiche, ma verrò subito al punto. Il popolo di Atlantica è in grave pericolo, da giorni ormai siamo assediati da uno sciame di creature d’ombra, quelle che voi chiamate Heartless, e da una bestia particolarmente selvaggia e crudele. Sicuramente avrete visto la devastazione che lascia dietro sé al suo passaggio venendo qui.”

“La scia di ghiaccio…” disse Mava.

“Esattamente. Mio padre e i suoi soldati sono riusciti ad allontanarla dalla città prima che fosse troppo tardi, ma il prezzo da pagare è stato alto.” un’ombra scura attraversò il volto del tritone. “Re Nettuno non è più con noi. E io sono qui in sua vece, non ancora ufficialmente proclamato Re, ma presto lo sarò.”

Luxu s’affrettò ad inchinarsi profondamente “Le nostre condoglianze più sentite, Altezza.” disse, sinceramente mortificato. Ricordava bene il sovrano di Atlantica, era un uomo estremamente gioviale e bonario oltre che un amico di vecchia data del Maestro e Madame Mim. Entrambi sarebbero stati sicuramente molto rattristati da quella notizia.

“Grazie. Come potete intuire, la popolazione è irrequieta, vorrebbe sentirsi al sicuro e non approva il fatto che mi sia appellato a degli Estraneii anziché risolvere questa crisi con le mie sole forze. Ma questa è stata l’ultima richiesta di mio padre e ho deciso di onorarla.” Tritone scoccò ad entrambi un’occhiata diffidente “Lui ha sempre riposto grande fiducia in voi e nel vostro Maestro, adesso è giunto per voi il momento di dimostrarmi che non si sbagliava.”

Luxu e Mava si sentirono improvvisamente schiacciati dalla pressione che quel compito stava caricando sulle loro spalle, ma si sforzarono di mantenere la calma.

“Il tempo stringe, dobbiamo recuperare il Tridente di mio padre prima che finisca nelle mani sbagliate.”

I due apprendisti sapevano esattamente a cosa si riferisse. Durante la loro prima visita, Perbias aveva spiegato loro che il Re dei Mari esercitava il proprio potere grazie a quell’antica reliquia tramandata di generazione in generazione. Il Maestro l’aveva paragonata alla folgore di Zeus e persino al Keyblade. Non tutti i mondi possedevano artefatti così potenti, ma erano piuttosto comuni in quei luoghi dove la pratica delle arti magiche era ampiamente diffusa.

“Diteci da dove possiamo cominciare.” disse Mava, facendosi avanti.

“Vi scorterò personalmente sul luogo dell’ultimo avvistamento di quella creatura-” rispose Tritone, alzandosi dal trono. 

“Apprezziamo l’offerta, ma non credo che sia saggio, Altezza.” lo interruppe lei “Se questo Heartless è pericoloso come dite non possiamo rischiare di mettervi in pericolo. La vostra gente ha bisogno di voi.”

“Ha anche bisogno di vedere che non sono un codardo che si nasconde dietro ad un gruppo di cosiddetti ‘salvatori’ provenienti da un altro mondo.” 

Luxu sbatté le palpebre, colpito da tanta ostilità “E’ questo che pensate di noi?” chiese, genuinamente offeso.

“Ho ragione di pensare che le vostre azioni non siano disinteressate come sembrano.” rispose asciuttamente il Principe del Mare, incrociando le braccia. “Spero mi farete ricredere.”

I due ragazzi si guardarono con la preoccupazione e il disorientamento impresso in volto, eppure qualcosa in fondo alla coscienza di Luxu gli diceva che Tritone non avesse tutti i torti. E il ricordo di Perbias che strappava una pagina dal grimorio di Merlino senza farsi vedere da Madam Mim gli attraversò la mente come un fulmine.

Ripensò alle continue lettere inviate a Giardino Radioso per ottenere il permesso di studiare la Prima Pietra della Luce, ai campioni di Midnicampum Holicithias che la sindaca di Zootopia gli aveva spedito come pagamento per i loro servigi un paio di anni prima, alle bambole di pezza create nella Città di Halloween e che Perbias utlizzava per i propri esperimenti sulla natura del Cuore...

E ovviamente ripensò al messaggio criptico di quella mattina, al suo incarico di scoprire l’origine dell’Heartless gigante senza condividere quell’informazione con Mava.

In cuor suo, Luxu sapeva ormai da molto tempo che Perbias stesse lavorando a qualcosa. Non era un mistero per nessuno di loro, dato che non faceva altro che cianciare di nuovi esperimenti e dati da raccogliere, ma soltanto in quel momento il ragazzo si interrogò seriamente sulla natura e sull'etica della sua ricerca.

Mava dovette accorgersi del suo rimuginare interiore perché lo tirò per un braccio per attirare la sua attenzione ed incitarlo a seguire Tritone fuori dalla sala attraverso un oblò nel soffitto che si spalancava verso l’oceano aperto.

 

°°°

 

I cancelli dell’Oltretomba si richiusero alle sue spalle non appena l’affusolata gondola nera fu passata, ondeggiando pericolosamente sul lento fiume di anime umane.

Perbias se ne stava immobile seduto a poppa, gettando di tanto in tanto occhiate circospette allo scheletrico traghettatore che lo stava trasportando, spingendo faticosamente la barca con un lungo remo quando non lo usava per tirare manganellate sulle mani delle anime più intraprendenti che cercavano di issarsi a bordo.

L’aria era viziata e densa di esalazioni sulfuree e l’intera galleria era avvolta nell’innaturale crepitare di fiaccole di fuoco blu che emanavano ondate di gelo anziché di calore.

Se i suoi allievi, le persone che lo conoscevano meglio di chiunque altro, l’avessero visto in quel momento avrebbero stentato a riconoscere in lui il Maestro burlone e gioviale di sempre. Nei suoi occhi blu brillava un’oscura determinazione e le dita serrate sulle ginocchia erano così nervose e tese da essere visibilmente impallidite. Ombre scure proiettavano strane figure sul suo viso angoloso, dandogli un’aria sorprendentemente spettrale e crudele, quasi fosse lui l’indiscusso signore di quel regno sotterraneo.

Un’altra porta s’aprì cigolando davanti a loro, come una bocca di rana pescatrice irta di denti affilatissimi, rivelando in lontananza un isolotto immerso nella nebbia da cui una tortuosa scalinata di onice saliva verso l’alto.

Un ringhio sommesso riecheggiò alla sua sinistra e Perbias fece appena in tempo ad alzare il braccio e ad evocare il suo Keyblade prima che le fauci grondanti di saliva di Cerbero si richiudessero attorno al suo corpo. 

Uggiolando, la prima delle tre enormi teste costrinse l’intera bestia ad indietreggiare sulla riva di sabbia nera e il Maestro rimase in equilibrio sull’asse centrale della gondola che aveva preso ad ondeggiare pericolosamente per via dell’impatto. 

Il traghettatore non sembrò nemmeno accorgersene e proseguì imperterrito a remare mentre il giovane uomo in frac teneva il cane a tre teste a debita distanza brandendo l’arma lucente alta davanti a sé.

Cerbero continuò a ringhiare e ad abbaiare dalla riva fino a che i suoi sei occhi rossi non furono soltanto puntini luminosi nella nebbia e quando questo accadde, la barca aveva ormai raggiunto l’isola al centro della laguna.

Perbias pagò lo scheletro con il cuore cristallizzato che aveva estratto dall’Heartless e il demone lo afferrò voracemente con le dita avvizzite, ingoiandolo in un sol boccone.

Con il suono raccapricciante del cristallo che andava in pezzi sotto i denti marci del traghettatore a riecheggiargli nelle orecchie, il Maestro prese a salire le scale sforzandosi di non apparire nervoso o affrettato. 

Rallentò l’andatura, ma tenne il Keyblade ben saldo nella mano destra.

Era arrivato a metà scalinata quando il silenzio rotto soltanto dal gemere lamentoso delle anime ormai piccole e lontane sotto di lui fu interrotto dal goffo zampettare di due diavoletti che gli corsero incontro inciampando e spingendosi l’un l’altro per accaparrarsi il diritto di accogliere quell’inaspettato visitatore. 

“Un mortale, un mortale!” strepitò il più grassoccio dei due, un demonietto violaceo dalle corna corte e tozze e alette così piccole che non sembravano in grado di sollevare il suo corpo rotondo.

“Ade lo sa? Ci ha detto che doveva arrivare qualcuno e ce ne siamo dimenticati?” s’interrogò il secondo, ben più magro e con una vocetta dal suono decisamente nevrotico. “Diamine, se è così poi chi lo sente!”

“Non Ade, sono state le Parche a dirlo, cretino!”

“Ma no, Pena! Le Signore parlavano di una ‘sorella’... questo è un uomo!”

“Sei sicuro? Ha delle gran belle ciglia.” borbottò il più tarchiato dei due, scrutando il nuovo venuto da sotto in su con perplessità.

“Scusate se v’interrompo…” rise Perbias, sentendosi stranamente sollevato dalla presenza di quei buffi spiritelli in un luogo così tetro. “Se le Parche stanno aspettando qualcuno, allora sono decisamente io quella persona. Sono qui per incontrarle.”

“D’accordo bello… o bella… ma il permesso ce l’hai? Il capo non la prende bene con chi s’intrufola nella sua proprietà, non so se mi spiego.” insistette Pena piantandosi le zampette artigliate sui fianchi.

“Ho pagato il traghettatore, se è questo che indendete.”

“Mmmh, immagino che sia sufficiente… del resto se Ade non viene a saperlo-”

“No, no e poi no! Non è saggio fargli le cose sotto il naso! Ricordi l’ultima volta che gli abbiamo tenuto nascosto qualcosa? Ci ha fatti appendere per gli alluci sopra al vortice delle anime!” 

“Hey, tranquilli. Se questa è la procedura, portatemi prima da Ade, allora. Non voglio causarvi guai.” cercò di tranquillizzarli il Maestro. Abituato com’era a viaggiare per i Mondi, aveva ormai imparato che era meglio osservare certe regole e certe tradizioni per risparmiarsi guai in futuro. E poi era curioso di conoscere uno dei fantomatici Dei dell’Olimpo di cui aveva letto più e più volte nei libri di leggende.

“E’ questo il problema, Signore… o Signora-”

“Signore.” lo corresse Perbias, educatamente.

“Te l’avevo detto che era un uomo!” sibilò l’altro diavoletto con aria da saputello.

“Chiudi quella boccaccia, Panico. Allora, stavo dicendo che è proprio questo il problema: Sua Lugubrità non è in casa al momento. Sa, affari da Dei, sacrifici da reclamare, eroi da raggirare, problemi con la suocera...”

“Capisco. Ma… avete detto che le Parche mi stavano aspettando, non è così? Sarebbe scortese farle attendere.” insistette Perbias caricandosi il Keyblade sulla spalla “E anch’io ho fatto un lungo viaggio. E pagato il pedaggio come da tradizione. Sono sicuro che il Signore dell’Oltretomba capirà.”

“E’ evidente che non lo conoscete.” sbottò Pena tirando un sospiro rassegnato “Ma tanto troverebbe comunque una scusa per sfogare su di noi le sue frustrazioni. Venite, da questa parte. Spero che Cerbero non vi abbia spaventato, Signore. Prende il suo essere un cane da guardia un po’ troppo sul serio, ma in realtà è un cucciolone.”

I due diavoletti scortarono Perbias fino alla cima delle scale, conducendolo in un androne dall’alto soffitto sorretto da pilastri di calce ed ossa umane. Tripodi pieni di carbonella azzurra rendevano l’ambiente particolarmente luminoso ma altrettanto gelido. “Beh, ha senza dubbio fatto il suo dovere.” minimizzò l’uomo sforzandosi di apparire coraggioso ma ripensando con una certa angoscia alle tre bocche zannute che per poco non l’avevano fatto a pezzi.

Poco più avanti, il corridoio s’apriva in un’ampia sala circolare con vista sul lago delle anime, un trono di pietra acuminata e un tavolo rotondo occupato interamente da una mappa dipinta a mano della regione di Tebe e dintorni. Su di esso, statuette di varie forme e dimenzioni erano posizionate accuratamente come in un gioco di strategia.

L’odore di tabacco e whiskey che aleggiava in quel gelido ma curiosamente accogliente salottino rinvigorì ulteriormente la curiosità di Perbias nei confronti del Signore dell’Oltretomba. C’erano tante cose che avrebbe potuto imparare da qualcuno che faceva dello smistamento delle anime il proprio mestiere. Perbias, dal canto suo, aveva sempre preferito approfondire lo studio del Cuore ma anche l’Anima era un componente importante dell’essere umano del quale avrebbe desiderato carpire i segreti.

Panico gli fece cenno di accomodarsi “Aspettate qui, andiamo a chiamare le Par-”

“Siamo già qui.” trillarono all’unisono tre stridule vociacce di donna mentre le Parche si materializzavano dall’altra parte della sala in un vortice di vesti lacere.

Perbias accennò istintivamente un inchino “Per me è un onore conoscervi, Signore.”

Le tre figure ammantate di nero gli sciamarono immediatamente attorno e là dove una persona normale le avrebbe fissate con repulsione e disgusto, il Maestro sembrava legittimamente affascinato da quelle tre creature distorte e curve dalle orbite vuote e nere come la pece.

“Ma che bel giovane, ancora meglio dal vivo che nella nostra visione, non è vero Sorelle mie?” cinguettò una di loro, stringendosi vezzosamente nelle spalle quando Perbias ricambiò il complimento con un sorriso gioviale. 

“Non lo sai che il Maestro è qui per un motivo ben preciso? Piantala con queste frivolezze.” la riprese stoicamente la più alta delle tre.

“Immagino non ci sia bisogno che illustri la mia situazione.” disse lui, ben conscio che le tre Dee sapessero benissimo quale fosse la sua richiesta.

“Sei sveglio, non come Ade che ci propina i suoi piani contorti ogni santa volta. Mi piaci.” confessò la terza sorella, una creatura avvizzita e dalla bocca larga con una sola, profonda orbita nera in mezzo alla fronte.

“Non lo so se è adatto, però…” ponderò la Parca con la pelle verdastra, prendendolo per un braccio e sfregandovi affettuosamente contro la guancia “E’ un vero spreco! Un così bel faccino, dei così begli occhi! Lo sai cosa ti aspetta, vero, giovanotto?”

“Clotho ha ragione, Theon.” insistette la più alta delle tre, pronunciando il suo vero nome con una solennità inaspettata che fece improvvisamente sentire il Maestro scoperto e vulnerabile. Non v’erano segreti per le Parche. “Sei un mortale. E sai cosa succede ai mortali quando osano troppo. Lo sai così bene che ti sei dato un nuovo nome come monito. Eppure non sembri seguire i tuoi stessi consigli, né gli insegnamenti delle storie che leggi ai tuoi apprendisti…”

“Apprezzo la vostra premura, davvero. Ma sapete meglio di me che ho già preso la mia decisione.” 

“Sì… sì lo sappiamo.” mormorarono le tre, soffocando una risatina. “Sappiamo tutto.”

Seguì un lungo, opprimente momento di silenzio.

Pena e Panico si scambiarono un’occhiata confusa, troppo stupidi per intuire cosa stava per accadere.

Perbias chiuse gli occhi, le mani serrate a pugno lungo i fianchi, il cuore che gli batteva a mille nel petto.

Fece smaterializzare il Keyblade, rilassando le spalle. 

“E allora procediamo.” 

Non aveva neanche finito di pronunciare l’ultima sillaba che le tre vecchie gli avevano affondato le dita ossute nella carne, spingendolo di forza sul tavolo rotondo e facendo rotolare giù le statuette di Dei e mostri che lo occupavano.

Perbias ansimò, le spalle premute contro la mappa dipinta sul ripiano e, alla vista delle forbici acuminate, le stesse che le Parche usavano per recidere le vite degli uomini, fu assalito da una paura così primordiale e soverchiante che prese a implorare e a divincolarsi, ma le tre donne risero sguaiatamente inchiodandolo sul posto come un agnello sull'altare.

La veste nera e lacera frusciò su di lui quando Atropos, la Dea monocola, gli balzò sul petto, pesante come un macigno nonostante la piccola taglia. Clotho lo tirò bruscamente indietro per i capelli, tenendogli la testa ferma e il collo esposto mentre con l'altra mano gli graffiava il volto per aprirgli a forza l'occhio sinistro. Obbligandolo a tenerlo spalancato e a guardare in preda all'orrore la megera accucciata sopra di lui impugnare le forbici nere al rovescio, come un pugnale sacrificale.

Pena e Panico corsero a rannicchiarsi dietro ad una colonna di ossa, coprendosi le orecchie e tremando di paura mentre l'intero Oltretomba risuonava delle grida strazianti del Maestro dei Maestri.



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Non so che dirvi, ormai questa storia ha preso una vita propria e fanculo il canon X°°°D. Specialmente stavolta che vi propongo un capitolo che sebbene non sia stato scritto a quattro mani, prende direttamente ispirazione dalle illustrazioni di Mal che dovrebbe smetterla di non prendersi il credito che si merita. Il Maestro in questa storia è tanto figlio mio quanto figlio suo, soprattutto per quanto riguarda
gli aspetti più tetri della sua persona. L'idea delle Parche è tutta sua e nata per scherzo (suggerendo che al posto delle 3 Fate della Bella Addormentata che creano i vestiti per Sora &Co, Luxu e il Maestro avessero ricevuto la Cappa Nera dalle 3 Parche), ma io l'ho presa molto seriamente.
...forse troppo seriamente.
Ouch.
Povero Perby.
Alla pro
χima!
 

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Capitolo 26
*** χ Every Time We Say Goodbye ***


Torniamo a New Orleans dopo χ WE HAVE COME FOR YOU, MY LIEGE χ :D pronti?! VIA!
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χ EVERY TIME WE SAY GOODBYE χ 

Every time we say goodbye,
I die a little.
Every time we say goodbye,
I wonder why a little,
why the gods above me...
..who must be in the know...
Think so little of me,
they allow you to go.
[Every Time We Say Goodbye - Ella Fitzgerald]
 

“Sei stata fantastica, Stella!” starnazzò Charlotte La Bouff, stritolandola in un abbraccio soffocante.

“Suvvia Lottie, lasciala respirare.” La rimproverò benevolmente Tiana rassettandosi le pieghe dell’abito.

La ragazza dagli occhi color miele e i lunghi capelli neri sorrise ad entrambe, ricambiando la stretta dell’amica “Ero così nervosa…”

“Sei andata alla grande. Vedrai, i proprietari del locale ti chiederanno di fare il bis la prossima settimana, ne sono sicura.” continuò la mora mentre le tre camminavano spedite lungo il marciapiede, attirando ben più di uno sguardo e fischio d’approvazione da parte dei musicisti perditempo seduti sotto i bei balconi del quartiere francese a bere caffè corretto col rhum. 

In effetti, il curioso terzetto era una visione rara persino in una città multietnica come New Orleans. Charlotte era una tipica southern belle, biondissima, di buona famiglia ed energica come poche, Tiana una giovane afroamericana dal sorriso smagliante dotata di determinazione incrollabile e infine c’era lei… l’orfana dagli occhi a mandorla, senza ricordi e senza nome..

Ovviamente, un nome alla fine aveva dovuto sceglierselo perché non sopportava l’idea di essere chiamata X come quando era ancora una cavia di laboratorio. E aveva scelto di chiamarsi Stella non perché le piacesse particolarmente, ma perché sentiva che c’era un significato nascosto dietro al nomignolo che Braig le aveva affibbiato ormai due anni prima.

Nella sua memoria nebulosa e sconnessa c’erano sempre delle stelle. Cucite sugli abiti, disegnate dai ciottoli sul pavimento, impresse sulla pelliccia morbida di un animaletto… erano frammenti slegati, schegge di una vetrata mandata in pezzi, ma lei s’aggrappava ad ognuna di esse nella speranza di riuscire prima o poi a rimetterle insieme.

E nel frattempo, cercava di farsi una nuova vita in quella città che ormai da qualche tempo sentiva di poter considerare casa propria.

Charlotte e Tiana le erano sempre state vicine, loro si conoscevano sin dall’infanzia ed erano amiche per la pelle, ma non c’era voluto molto perché anche lei diventasse parte del gruppo. Charlotte in particolare era incredibilmente affascinata dal suo passato misterioso, cosa che faceva galoppare la fervida immaginazione della bionda in tutte le direzioni ogni volta che la conversazione virava su quell’argomento.

Tiana, d’altro canto, cercava sempre di tenere a bada l’irruenza dell’amica per non costringere Stella a rivangare ricordi che sapeva essere molto dolorosi per lei.

Nessuna delle due native di New Orleans sapeva esattamente cosa le fosse successo prima di trasferirsi lì, e sebbene Stella desiderasse davvero poter parlare con loro dell’esistenza degli altri Mondi, Mama Odie era stata molto chiara al riguardo. 

Per la sicurezza di Tiana e Charlotte, tutto quello che riguardava la sua prigionia a Giardino Radioso doveva rimanere un segreto. Stella lo capiva, Braig stesso, prima di partire, aveva rimarcato più e più volte sulla necessità di mantenere un basso profilo.

Ripensare al suo improbabile benefattore la innervosiva sempre un pò, per questo non appena il sogghigno infame della guardia le balenò nella mente, Stella tornò a concentrarsi sulla conversazione sperando di distrarsi.

Era grata a Braig per averla salvata ma…

Ma l’aveva anche lasciata in un mondo sconosciuto e senza risposte. 

E aveva infranto la sua promessa.

Erano passati più di due anni e lui non era mai tornato, svanendo nel nulla insieme alla sua unica speranza di scoprire qualcosa sul suo passato.

“E questo ovviamente significa che sei già prenotata per l’intrattenimento serale quando avrò il mio ristorante!” disse Tiana, con gli occhi bruni che le brillavano come ogni volta che parlava del suo grande sogno “Già me lo immagino, un palcoscenico con pianoforte tirato a lucido, luci soffuse e tu in un bel vestito di paillettes a cantare…  i miei clienti andranno in delirio!”

Lei si strinse nelle spalle “Non sono così brava-”

“Io dico che sei cieca! Non le hai viste le facce del pubblico là dentro? Erano tutti incantati.” rincarò Charlotte calcandosi bene il cappello color caramella sui riccioli vaporosi.

“Quel che ti serve è un buon manager che ti faccia esibire nei locali giusti. C’è una competizione serrata tra i cabarettisti ma per me tu hai una marcia in più.” proseguì Tiana, mentre le tre sbucavano all’angolo nord di Armstrong Park.

“Senza contare che sei uno schianto e il sex-appeal di certo aiuta nel mondo dello spettacolo.” rincarò Charlotte posandosi una mano sul fianco ed esibendosi in una caricaturale camminata seducente. “In confronto a te, io e Tia sembriamo due rospi!”

“Ma non è vero!” rise Stella prendendole entrambe sottobraccio “Piuttosto, avete piani per stasera?”

Tiana alzò gli occhi al cielo “Ho il turno di chiusura al Duke’s, mi spiace Stella.”

“Anch’io ho da fare.” Ammise Charlotte sbuffando “Gran Papà ha l’ennesimo incontro d’affari e vuole che stia in salotto ad intrattenere le mogliettine dei compratori.”

“Come farebbe senza di te?”

“Me lo chiedo anch’io. Ah, la mia vita è fatta di privazioni e doveri!” scherzò la bionda con fare eccessivamente drammatico. “Hai qualcun’altro con cui uscire? Oppure possiamo rimandare ad un’altra sera…”

Stella scosse il capo “Non fa niente, mi è venuto in mente che devo passare a trovare una persona.”

“Oh? Chi?” indagò Charlotte ammiccando “Un ammiratore segreto? Dai, lo sappiamo che hai sempre la buca delle lettere intasata di bouquet dei tuoi spasimanti-”

“Mica ve lo dico.” sorrise furbescamente lei “E’ un segreto.”

“Così non vale! Tia, diglielo che non è giusto! Adesso passerò tutta la sera a rodermi il fegato!” protestò Miss La Bouff facendo gli occhioni a Tiana, ma la ragazza di colore si limitò a trascinarla via di peso “Ci vediamo domani al Duke’s?”

La mora annuì “Puoi contarci. A domani, ragazze.”

“Ciao, dai Lottie smettila di fare i capricci, andiamo-”

Stella le guardò sorridendo mentre sparivano dietro la cancellata di ferro battuto del parco cittadino e, finalmente rimasta sola, trasse un sospiro di sollievo. Voleva bene ad entrambe come a delle sorelle ma Charlotte era veramente esasperante certe volte.

Prese a camminare a passo svelto lungo la recinzione, i tacchi delle scarpe lucide che ticchettavano sull’asfalto già spruzzato di coriandoli nonostante mancassero oltre due settimane a Mardì Gras.

La gente di New Orleans trovava sempre una scusa per fare baldoria, per questo Stella non dette gran peso alle grida che sentì provenire dal parco in un primo momento. Non era raro che qualche ubriacone si mettesse a inveire contro la luna o chissà che altro, ma quando udì distintamente la voce spaventata di Tiana incitare Charlotte a correre più veloce che poteva, la ragazza fece dietro front correndo a perdifiato in mezzo ai gelsi e alle palme del parco.

“Charlotte? Tia?!” chiamò ad alta voce, guardandosi intorno coi sensi all’erta.

Non c’era anima viva e le lucciole giocavano frenetiche sotto le ampie fronde dei salici.

Stella sgranò gli occhi e il cuore le saltò un battito.

Quelle lucine non erano lucciole.

Erano dozzine di paia di occhi gialli.

 

Heartless.

 

Quella parola le balenò nella mente come una diapositiva.

Conosceva quelle creature, le aveva sentite descrivere dal capo ricercatore Even durante una delle sue dissertazioni… erano ciò che restava di coloro che cedono all'Oscurità. Cuori sopraffatti che fuggivano il corpo e diventavano mostri.  

Li aveva visti negli angoli bui del sotterraneo, prima che la spostassero nella cella di isolamento.

Come lei, erano chiusi in gabbia, prelevati per degli esperimenti e torturati…

Avrebbe dovuto provare pietà per loro, eppure nutriva per quelle creature un disprezzo istintivo e viscerale.

Come se fossero da sempre i suoi più acerrimi nemici.

Tiana e Charlotte apparvero di corsa, scavalcando un cespuglio di rosa canina senza curarsi di strappare i vestiti da sera “Scappa, Stella! Stanno arrivando!”

La ragazza non si mosse, gli occhi color ambra fissi sulla marea di ombre viventi che si stava riversando sul prato ben curato. 

Le due amiche la raggiunsero, sorpassandola a tutta velocità, ma non appena s’accorsero che era rimasta lì impietrita, inchiodarono bruscamente “Ma che stai facendo?! E’ pericoloso!”

Lei non si mosse, continuando a guardare davanti a sé, lo sguardo perso nel vuoto, in un ricordo lontanissimo rimasto sepolto per anni in fondo al suo cuore.

Era all’aperto, in una vallata rigogliosa circondata da dolci colline e l’oceano che scintillava alla luce del sole. Al suo fianco c’erano decine di altri ragazzi come lei. Eccitati e sorridenti, stavano tutti raccolti attorno ad una donna mascherata seduta su una roccia con un libro aperto tra le mani. Lei li chiamava uno ad uno con voce dolce, presentandosi e dando loro il benvenuto.

 

“Benvenuti, custodi del Keyblade. 

Io sono la Veggente Invi, leader dell’Unione Anguis. 

Con i miei quattro compagni e le loro rispettive Unioni, rappresentiamo la prima linea di difesa contro le forze dell’Oscurità.

Sconfiggere gli Heartless è la vostra missione. 

Così facendo, libererete la Luce che essi hanno imprigionato-"

 

Tiana la spinse via, riscuotendola dalla sua visione “Stella, attenta!”

Le due finirono a terra appena in tempo per evitare l’assalto di uno Shadow che ruzzolò alle loro spalle, appiattendosi contro l’erba e trasformandosi in un’ombra sgusciante.

Charlotte strillò, afferrando un ramo caduto e brandendolo come un manganello improvvisato. “Lasciatele stare, razza di bestiacce!”

Finalmente tornata lucida, Stella afferrò Tiana per il braccio “Scusatemi, non so cosa mi sia preso-”

“Andiamocene, presto!” Gridò l’afroamericana e stavolta lei non se lo fece ripetere due volte.

“Ma cosa diamine sono?!” strepitò Charlotte, visibilmente pallida in volto e col mascara che aveva preso a colarle sulle guance per colpa del sudore freddo.

“Non fare domande e accelera!” ansimò Tiana continuando a correre.

“Quei mostri sono-” Stella non poté portare a termine la frase che qualcosa di viscoso e nero le si avviluppò attorno alla caviglia, gettandola a terra e trascinandola indietro.

La ragazza si coprì istintivamente il volto con le braccia per proteggersi dalle zolle di terra, ghiaia e rami su cui il tentacolo nero la stava trascinando e prese a divincolarsi e a scalciare nel tentativo di liberarsi.

“Stella!”

Con la coda dell’occhio, vide Tiana e Charlotte venire in suo soccorso solo per restare bloccate da uno sciame di Heartless prima che potessero raggiungerla.

Stella si rovesciò sulla schiena, le braccia nude coperte di escoriazioni e l’abito da charleston sporco di terra e sabbia e mise a fuoco l’origine dell’appendice che l’aveva intrappolata.

Il tentacolo d’ombra emergeva dal laghetto pieno di ninfee al centro del parco e la stava trascinando inesorabilmente verso l’acqua. Anche se lo stagno non era molto profondo, sarebbe stato più che sufficiente per farla annegare se la creatura l’avesse trattenuta sott’acqua.

In preda al panico, la ragazza affondò le dita nel terreno, tentando disperatamente di trovare un appiglio ma l’erba e la ghiaia le sfuggivano tra le dita coperte di graffi insanguinati.

Sentì Tiana gridare, il dolore sordo dell’orlo piastrellato dello stagno artificiale che le urtava un ginocchio, poi il gelido abbraccio dell’acqua stagnante. 

Tutto attorno a lei si fece ovattato e torbido. Vedeva le foglie a disco delle ninfee in superficie, la luce dei lampioni filtrare attraverso le cannicciole di palude.

E sentì la presa della creatura farsi ancora più salda attorno alla sua caviglia.

Boccheggiò terrorizzata, inghiottendo una lunga sorsata d’acqua. Era sul punto di perdere conoscenza.

Ma un suono curiosamente familiare riportò i suoi sensi ottenebrati sull’attenti. 

Era qualcosa di estraneo a quel Mondo, un suono sintetico proveniente da un’altra epoca… l’esplosione di un’arma al plasma.

Un reticolo di puntatori laser fendette l’acqua scura tutt’intorno a lei prima che una raffica di proiettili rosso vivo s’abbattesse sulla superficie, lasciandola illesa ma tartassando di colpi la creatura acquattata sul fondo dello stagno e pronta a fare di lei il suo prossimo pasto.

Cacciando uno stridulo gemito di dolore, l’Heartless la lasciò andare e Stella annaspò in superficie, sputando acqua e tossendo mentre s’issava sulla riva, fradicia e tremante come un pulcino.

La scena che le si parò davanti era così surreale che per una frazione di secondo Stella dimenticò che avrebbe fatto bene a mettere più distanza possibile tra sé e quel maledetto stagno.

L’intero parco pubblico si era trasformato in un campo di battaglia tra due fazioni di creature chiaramente distinte dal colore della loro pelle. I nuovi arrivati erano bianchi e lucidi, quasi indossassero aderentissime tute di satin e avevano delle fattezze decisamente più antropomorfe ma non per questo meno distorte ed innaturali. Si muovevano come prive di peso, sgusciando nell’aria e torcendosi in pose innaturali mentre prendevano la mira con le balestre appuntite e facevano fuoco sull’orda di Heartless che ancora imperversava.

Una delle creature bianche cadde rovinosamente ai piedi della ragazza, squittendo e respirando affannosamente dopo essere stata colpita dal suo stesso proiettile laser quando un Heartless corazzato l’aveva rispedito al mittente.

Stella avrebbe dovuto approfittare del caos generale per correre via, ma qualcosa nel mostriciattolo sofferente riverso sull’erba la obbligò a fermarsi.

L’essere la vide e sembrò rilassarsi, come se fosse sollevato di vedere che era del tutto incolume nonostante il tuffo fuori programma.

 

“SaLVa… sIeTE SAlvA…”

 

...le aveva parlato?! 

Pallida in volto, Stella non poté fare a meno di accovacciarsi al fianco della creatura e, mentre la osservava chiedendosi se ci fosse qualcosa che potesse fare per aiutarla, capì cosa del suo aspetto la turbava così tanto.

...sembrava Braig.

O meglio, un fantoccio grottesco creato per assomigliare a Braig, fin nei minimi dettagli… i guanti svasati lunghi fino ai gomiti, il taglio militaresco della casacca, la bocca perennemente stirata in un ghigno e ovviamente, un solo occhio.

Anche i suoi compagni, ancora intenti a combattere ferocemente tutt’intorno a loro, avevano il medesimo aspetto.

 

“Il NoSTro sigNORe sArà SoDDisFaTto…”

 

Biascicò, contorcendosi per il dolore.

Stella lo guardò impietosita. La repulsione innata che provava per gli Heartless non s’applicava a quelle strane creature. Al contrario, la sua voce atona e senz’anima sembrava affondarle un pugnale dritto nel cuore. C’era qualcosa d’incredibilmente triste in quell’essere, anche se non riusciva esattamente a capire cosa fosse.

“Stai parlando di Braig? E’ lui il vostro ‘Signore’?” chiese, allungando istintivamente una mano per sfiorare quella dell’essere.

Lui sembrò sconvolto da quel contatto, ma non si ritrasse. Il suo occhio vuoto s’oscurò per metà, come socchiuso. E a Stella riportò alla mente quello di un vecchio gatto che finalmente ricomincia a fare le fusa dopo anni spesi senza ricevere una sola carezza.

 

“LuI pORTa iL SigiLLo oRa...”

 

La ragazza non sapeva cosa intendesse, ma lo prese per un sì. “Dov’è adesso?”

 

“NeL MOndO cHe nOn EsiSTe...”

 

Lei sollevò le sopracciglia “...cosa? Come sarebbe ‘che non esiste’?”

 

“VaI… aL SiCurO… Io… DeVo... prOteGgerE...”

 

“No, hai bisogno di cure, ti porterò da Mama Odie, vedrai lei saprà-”

Stella sobbalzò nel sentire la mano guantata della creatura disfarsi sotto il tocco delle sue dita come un castello di sabbia.

Il fantoccio le gettò un ultimo sguardo, prima che il suo occhio rotondo diventasse completamente nero.

 

“SeI BuoNa cOn NoI… anChE sE sIaMO… NesSunO.”

 

In un battito di ciglia, la creatura bianca era svanita, lasciandosi dietro soltanto una scia di polvere brillante ed una ragazza infreddolita e confusa inginocchiata nel cuore della Città a Mezzaluna.

 

"GrAzie…"

 

Stella si rimise in piedi, la paura che aveva lasciato spazio ad un improvviso senso di malinconia e tagliò per un sentiero laterale allontanandosi più in fretta che poté dal luogo della battaglia che ancora imperversava nonostante i Nessuno stessero avendo la meglio, forti del loro intelletto più sottile e delle potenti armi a distanza.

Anche Charlotte e Tiana erano riuscite a mettersi in salvo e le tre amiche si ricongiunsero pochi minuti dopo alla luce dei lampioni, stringendosi in un abbraccio colmo di sollievo. Qualunque fossero stati i loro piani per la serata, era il momento di mandare tutto a monte e correre a rifugiarsi nella sicurezza della magione dei La Bouff.

 

°°°

 

“Devi avere pazienza, ragazza mia.”

Stella si piantò le mani sui fianchi. “...pazienza?” La luce dorata del mattino filtrava attraverso le tende della casa-battello e Juju, il serpente da compagnia di Mama Odie che si stava crogiolando al sole sul davanzale, trasalì quando la ragazza alzò la voce. “Sono passati due anni! Due anni e ancora non so nemmeno come mi chiamo, da dove vengo...” s’interruppe, storcendo le labbra in una smorfia di frustrazione “E soprattutto non so da dove arrivano queste immagini, queste voci che mi ronzano nella testa… ho rischiato di rimetterci la pelle per colpa di una di queste visioni. Sembrano così reali, mi trasportano via dal presente-”

“Te l’ho detto, Cher. Qualunque sia la magia che è stata lanciata su di te, non solo non appartiene a questo mondo ma va anche ben oltre la mia portata.”

“Lo so, non volevo dire questo. Siete stata così paziente con me...”

La sacerdotessa le prese una mano tra le sue, rugose e indurite dai calli “Vorrei poterti aiutare più di così.”

“Non è colpa vostra. E’ lui che mi ha piantata in asso.” sbottò lei, lasciandosi cadere giù a sedere sulla sedia di vimini di fronte a quella della vecchia. Poi, scimmiottando la voce graffiante di Braig, riprese “‘Ti spiegherò tutto Stellina, tornerò presto Stellina!’ e invece non si è più fatto vivo. Dovrei essergli grata per avermi tirato fuori da quella cella ma… perché lasciare le cose a metà? Aveva altri progetti per me, lo so...” Stella scosse il capo, come per schiarirsi le idee, i lunghi e liscissimi capelli neri che le ondeggiavano sulle spalle. 

Poi, tratto un lungo sospiro, proseguì. “La verità è che sono preoccupata, Mama Odie. E spaventata. Da quando sono comparse quelle creature con gli occhi gialli, è come se fosse scattato qualcosa in me… Un istinto, un riflesso incondizionato, un ricordo forse.” ponderò, mordendosi il labbro inferiore “Sembra pazzesco, ma io so che posso sconfiggere quei mostri. Io… io credo che combattere quelle cose fosse parte del mio quotidiano, nella mia vecchia vita. Assurdo, no? Eppure è così che mi sento. Penserete che sono uscita di testa.”

“Tutta New Orleans pensa che io sia matta da legare, ma mica me ne faccio un cruccio.” sdrammatizzò la sacerdotessa dandole una pacca affettuosa “E in ogni caso, quelle bestiacce non lasciano presagire niente di buono: nascono dagli angoli oscuri, strisciano sul pavimento proprio come gli amici dell’Uomo-Ombra.”

Stella s’accigliò. Sapeva esattamente a chi si riferiva: al Dottor Facilier, uno stregone dalla reputazione non esattamente immacolata che praticava la magia ‘solamente con la mano sinistra’, offrendo i suoi servigi in cambio di denaro e a scapito dell’incolumità altrui, tutte cose che secondo Mama Odie non facevano altro che infangare il buon nome dei praticanti del Voodoo.

 “Pensate davvero che ci sia lui dietro a tutto questo?”

La sacerdotessa si alzò a fatica, Juju che s’affrettava a strisciarle accanto per guidarla nella baracca irta di ostacoli e oggetti taglienti che il povero, devotissimo serpentello si premuniva di allontanare dalla traiettoria della vecchia padrona. “Ci metterei la mano nella zuppa. Se avessi saputo che sarebbe diventato un simile screanzato col cavolo che l’avrei istruito nelle arti magiche!” sbottò amareggiata. “E pensare che era un così bravo ragazzo. I Loa hanno davvero un pessimo senso dell’umorismo... certe volte mi domando se non sono stata troppo esigente con lui e se è stato quello a spingerlo sulla via delle Ombre. Ma ahimé è questo il fardello di noi maestri: facciamo del nostro meglio per inculcarvi in zucca un pò di buon senso ma alla fine sta all’apprendista decidere quale strada percorrere.”

La ragazza la fissò sorpresa “Non avevo idea che fosse stato vostro allievo.”

“Non è certo una cosa di cui vado fiera.” rispose asciuttamente l’altra. “Ma non serve piangere sul gumbo versato… piuttosto, parlami delle altre creature che hai visto, quelle che ti hanno difesa.”

Stella abbassò gli occhi sul pavimento rivestito di stuoie di giunchi.

“Ve l’ho detto, Mama Odie… quegli esseri somigliavano a Braig. Erano come un piccolo esercito di suoi cloni. E ancora una volta, non posso fare altro che domandarmi chi sia lui in realtà. Lo so… lo sento che è molto più di quello che sembra.”

"Piacerebbe saperlo anche a me, Cher. Quel che posso dirti é che se pensi che io sia vecchia, lui a confronto è un fossile.” rispose la sacerdotessa, raccogliendo un vecchio quotidiano ingiallito e mettendosi a sfogliarlo nonostante fosse cieca come una talpa. “E quando si è così vecchi, s’impara a tenersi stretti i propri segreti.”

Stella s’accigliò. Non era la prima volta che Mama Odie alludeva al fatto che Braig fosse molto più anziano dei suoi anni. Ma com’era possibile? Non dimostrava più di quarant’anni, non poteva essere così vecchio...

“Lo so che non lo sembra, ma l'apparenza inganna.” proseguì la donna, quasi le avesse letto nel pensiero “Quel garçon est un diable! Qui da noi, probabilmente lo definiremmo un bokor come quel derelitto del mio apprendista, ma a sua differenza, Braig serve i Loa con entrambe le mani."

Stella conosceva quell'espressione. Era gergo voodoo per 'praticare sia la magia bianca che quella nera'. 

“Come me.” aggiunse poi la vecchia, regalandole un sorrisone con la sua bocca sdentata. "Se vuoi il mio parere sei fortunata ad averlo dalla tua parte." Aggiunse poi la sacerdotessa, raddrizzandosi gli occhiali scuri sul naso bitorzoluto.

"Non credo lui stia dalla parte di nessuno. Meno che mai dalla mia.”

"E allora come spieghi i suoi piccoli imitatori? Loro ti hanno difesa, non é così?” le domandò la donna. 

Stella rimase in silenzio, ripensando alla creatura che aveva cessato d'esistere davanti ai suoi occhi. 

“Cher… lascia che ti racconti una cosa.” Mama Odie ripiegò il giornale, tornando a voltarsi verso di lei, un’espressione grave impressa sul volto segnato dalle rughe. Attraverso le lenti scure, la ragazza poteva scorgere gli occhi velati di bianco dell’anziana donna. "Ho perso la vista molto tempo fa, ma da allora i Loa mi hanno aiutata a vedere. Non importa che aspetto hai, non importa cosa indossi, che tu sia umana, un cane, un gatto, un maiale... per me non fa differenza! Io vedo cosa hai qui dentro." e così dicendo le premette un dito sul petto "E il tuo amico lì è un enigma. Quando lo guardo, vedo un bambino ed un vecchio, un eroe e un malvagio, qualcuno che conosce tutte le rotte e qualcuno completamente in balia della marea. E soprattutto vedo che non smette mai di correre. Se per scappare da qualcosa o per raggiungere qualcos'altro, non saprei dirlo. E in fin dei conti non fa molta differenza. Sappi solo che per te, lui s'è fermato, anche se per poco." Mama Odie sorrise compiaciuta. "E pare che continuerà a fermarsi, di tanto in tanto. Entra pure, garçon!" 

La porta del battello s'aprì cigolando, inondando di luce l'emporio magico della Regina Voodoo del Bayou  

Stella scattò in piedi incredula e nei suoi occhi d'oro si specchiò una figura alta e dinoccolata, avvolta in una lunga cappa nera.

“Mi avete sentito arrivare?”

“Io no, ma sono venti minuti buoni che le lucciole del Bayou non fanno altro che lamentarsi perché hai parcheggiato la Gummiship nel loro stagno. In ogni caso, bentornato. Sei in ritardo solo di un paio d’anni."

Il nuovo arrivato abbassò il cappuccio, scoprendo le orecchie appuntite e il volto sfregiato del carceriere di Giardino Radioso. Si era lasciato crescere i capelli e adesso li portava legati sulla nuca in una corta coda di cavallo, ma per il resto era esattamente lo stesso energumeno dalle movenze e dai lineamenti ferini che Stella ricordava. “Lo so. Scusami, Stellina.”

La ragazza gli corse incontro senza nemmeno sapere se per abbracciarlo o tirargli uno schiaffo, ma lui l’afferrò per le spalle prima che potesse fare una qualsiasi delle due cose. 

“Perché ci hai messo così tanto?!” lo attaccò lei a muso duro.

Xigbar stirò le labbra nel suo solito sorriso. Un paio di Mardì Gras in più sulle spalle e Stellina aveva già tutta un’altra cera. Aveva messo su peso, i capelli neri erano più lucenti che mai e gli occhi smarriti e colmi di paura con cui l’aveva guardato l’ultima volta che si erano visti adesso si fissavano furiosi contro il suo. 

Era una tosta, la sua Stellina.

Se avesse avuto un cuore più grande di una decino, probabilmente sarebbe stato molto orgoglioso di lei. Ma il germoglio che aveva così faticosamente attecchito nel suo asettico corpo di Nessuno era ancora troppo giovane ed acerbo per permettergli di provare un’emozione complessa come quella.

“Non è stata una mia scelta. Sono successi un sacco di casini e credimi, i recenti sviluppi non ti piaceranno per niente. Perciò calmati e mettiti a sedere, dobbiamo parlare.”

Lei si liberò con stizza dalla sua presa “E t’aspetti che io ti creda?”

L’uomo fece spallucce. “Posso anche andarmene, se è questo che voi. E io che pensavo saresti stata felice di vedermi-”

“Non ti azzardare!” scattò lei, afferrandolo per un braccio in una mossa rapinosa di cui si pentì immediatamente. “Scusami.”

Allentò la presa sulla sua manica, trasformando quella stretta incollerita in qualcosa di più simile ad una carezza. “Ma… temevo non saresti più tornato… perché adesso?” mormorò, rifuggendo il suo sguardo.

Lui inclinò la testa di lato “I miei Cecchini mi hanno riferito che gli Heartless sono giunti in questo mondo e che te la sei vista molto brutta tre sere fa. Questo posto non è più sicuro per te.”

Stella tornò a guardarlo in volto “Stai… stai dicendo che sei venuto a portarmi via?”

“Nah, ormai tutti i Mondi sono un gran macello, non avrebbe senso spostarti da qualche altra parte. E poi, sembri esserti ambientata bene, ho visto le locandine delle tue serate al Duke’s. Repertorio di Ella Fitzgerald, eh? Non male, com’è che fa quella canzone? Every time we say goodbye, I die a little~

“Frena, frena! I tuoi Cecchini?! Stai parlando di…” lo interruppe Stella, impedendogli di assassinare brutalmente una così bella canzone con la sua voce da cornacchia “...di quelle creature bianche che mi hanno aiutata?”

“Te l’ho detto, Stellina... sediamoci e parliamone." Xigbar si richiuse la porta alle spalle, dando una grattatina sulla testa di Juju che gli si stava sfregando affettuosamente alle caviglie come un gatto.
"Spero ti piacciano le storie molto lunghe.”


 

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Se Nomura può lasciarci appesi alla lunga storia di Luxu alla fine di KH3 allora posso farlo anch'io alla fine del capitolo! U_U
Una lettura un pò noiosetta dopo la bomba tirata nel capitolo precedente ma Skuld ne avrà di rivelazioni esplosive nelle prossime ore (dite che Luxu riesce a farle un riassunto in 20 minuti senza dover ricorrere a diapositive e diagrammi? Io dico di no! XD) quindi è bene se prendiamo le cose con calma.
Alla pro
χima e che il vostro cuore possa essere la vostra chiave guida!

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Capitolo 27
*** χ No Heart ***


χ NO HEART χ 


 
Come vedete, restiamo in compagnia di Skuld e Xiggy. Diretto follow-up di χ EVERY TIME WE SAY GOODBYE χ
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The only way out is through everything she's running from,
wants to give up and lie down.
So stand in the rain.
Stand your ground.
Stand up when it's all crashing down!
You stand through the pain,
you won't drown.
And one day, whats lost can be found.
[Stand in the rain - Superchick]


L’improbabile coppia composta da una graziosa diciottenne in abito da charleston e da un guercio vestito di nero da capo a piedi sedeva al tavolo ingombro di barattoli di spezie e bamboline Voodoo del salottino di Mama Odie.

Le pale del ventilatore da soffitto cigolavano pigramente sopra le loro teste, proiettando ombre tremolanti sui loro volti.

Xigbar arraffò uno dei biscotti bruciacchiati e dall’aria per niente appetitosa che Mama Odie aveva portato loro prima di congedarsi e, con la bocca piena di briciole, iniziò a raccontare.

La verità era che da quando il suo cuore era andato perduto e il suo legame con Schad s'era interrotto, lui si era ritrovato completamente solo per la prima volta in oltre ottocento anni. Era un sollievo poter nuovamente parlare con qualcuno che come lui proveniva dall’Era delle Fiabe, anche se la persona in questione non ricordasse praticamente niente della loro antica casa.

Lasciar fluire liberamente la marea di segreti che si teneva dentro era una bella sensazione, o almeno così gli sembrava. Difficile dirlo quando hai nel petto un nuovo cuore appena nato, ancora quasi del tutto cieco e sordo.

Eppure, il solo pronunciare il nome di Auropoli ad alta voce bastò a riportarlo indietro, a fargli sentire di nuovo il profumo dei gerani e dei dolci glassati che non mancavano mai sulla tavola del Maestro.

Parlò a lungo e lentamente, senza che la ragazza osasse interromperlo, gli occhi ambrati fissi contro il suo, le sopracciglia leggermente aggrottate mentre processava quel mare di informazioni.

“Il Maestro dei Maestri dette nuovi nomi ai suoi sei apprendisti e assegnò loro i ruoli che avrebbero dovuto interpretare. Io ero uno di loro, e il  mio ruolo era osservare. Lo sto facendo anche in questo momento, il mio compito non è ancora concluso. Agli altri cinque furono affidate delle reclute, giovani dal cuore puro in grado di brandire il Keyblade, un’arma dai poteri prodigiosi, capace di sconfiggere l’Oscurità.” Xigbar fece una pausa, intrecciando le dita sul tavolo.

“La chiave che ricordi è esattamente una di queste armi, ma è unica nel suo genere. E’ stata forgiata dal mio Maestro e possiede un potere particolare: può isolare un intero mondo all’interno di una bolla temporale e farlo sparire senza lasciare traccia. Perchè fare una cosa del genere, mi chiederai? Per tenere quel mondo al sicuro dall’Oscurità, ovviamente. E non solo da essa, ma anche da coloro che avrebbero potuto saccheggiarlo di tutte le sue ricchezze e conoscenze. Auropoli era una città straordinaria, sorta sul punto di convergenza di tutta la Luce e a suo modo era essa stessa una fonte di grande potere. Io ricevetti l’ordine di cedere il Keyblade in questione ad una persona che l’avrebbe usato saggiamente e così ho fatto.”

“Quindi…” Azzardò Stella mordendosi il labbro inferiore “Il nostro Mondo è ancora sigillato da qualche parte, in attesa?”

“In teoria.”

“Io ricordo una città-” proseguì lei sforzandosi di richiamare alla mente quelle immagini nebulose “-una piazza con una fontana, un alto campanile…”

“I tetti d’ardesia, i ponti sui canali, il faro all’orizzonte...” continuò Xigbar.

“Sì! E i giardini con le siepi in fiore, una terrazza affacciata sul mare-”

“Vedo che ti sta tornando la memoria.”

“Magari fosse così.” si risentì lei “Sono solo immagini senza capo né coda ma… sapere che tutto ciò è reale è un tale sollievo! Credevo fosse tutto un sogno, una bugia che mi raccontavo per convincermi di non essere completamente priva di ricordi…” Stella strinse le mani al petto, traendo un respiro profondo. “Dimmi di più, ti prego!”

“Sono qui per questo.” la rassicurò Xigbar “Facciamo un passo indietro: come dicevo, i cinque apprendisti e i loro seguaci furono incaricati di raccogliere la Luce intrappolata dalle creature dell’Oscurità. Ma le cose andarono in malora piuttosto in fretta: i cinque gruppi entrarono in conflitto e quella che era iniziata come una competizione amichevole si trasformò a poco a poco in una lotta perenne. L’avidità ebbe la meglio sui protettori della Luce e molti di loro caddero preda dell’Oscurità. La guerra era imminente ed inevitabile e io, ovviamente, avevo il compito di assistervi senza prenderne parte. Consapevole che la guerra non avrebbe lasciato superstiti, il mio Maestro aveva preparato un piano di riserva, incaricando un’altra dei suoi apprendisti di prelevare un gruppo selezionato di custodi del Keyblade e tenerli al sicuro mentre la battaglia si consumava.

Tu, Stellina, facevi parte di quel gruppo segreto che il mio Maestro chiamava ‘Denti di Leone’. E non eri una qualsiasi, nono, eri una dei cinque leader. I soli a conoscere il tragico esito della guerra mentre tutti gli altri erano stati privati della loro memoria dallo stesso incantesimo che, una volta fuori controllo, ha poi finito per cancellare anche la tua. Anche se eravate scampati alla guerra, c’erano altri pericoli ad attendervi, incluso un impostore nei vostri ranghi. Un leader che il mio Maestro non aveva scelto e che aveva preso il posto di un altro. Questa persona è il principale responsabile della tua comparsa a Giardino Radioso quattro anni fa. L’impostore ha interferito con la linea temporale, scaraventando te e i tuoi compagni avanti nel futuro, qui nel presente che viviamo adesso.” Xigbar storse le labbra.

“Ho indagato, ma non sono mai riuscito a scoprire chi fosse né se avesse ricevuto un aiuto dall’esterno. In ogni caso, Stellina, tu sai combattere. Hai sterminato migliaia e migliaia di Heartless in passato, devi solamente ricordare come si fa. E io posso aiutarti, posso insegnarti.”

La ragazza lo fissò ad occhi spalancati. “...davvero?”

“Lo so che è difficile prendermi sulla parola dopo che ti ho piantata in asso per due anni.” le concesse lui “Ma, sì. Davvero. Vedi, credo sia ciò che il mio Maestro s’aspetta da me. Osservare ed addestrarti. Ti ha scelta lui per essere una dei cinque leader, così come ha scelto me per essere il sesto incomodo.”

“E tu fai sempre quel che dice il tuo Maestro? Non mi sembri tipo da obbedire agli ordini.” indagò Stella, cercando d’immaginarsi che razza d’uomo potesse essersi guadagnato la devozione di qualcuno come Braig.

“Ecco, il punto è che il mio Maestro è un tipo un pò particolare... può vedere il futuro. Letteralmente. E non sbaglia mai. ”

Stella chiuse gli occhi, poggiando la fronte sul palmo delle mani. “Quando dicevo di voler sapere del mio passato non m’aspettavo niente del genere. Guerre, Unioni, viaggi nel tempo… e adesso questo? Vedere il futuro? Seriamente?!”

L’uomo in nero prese a tamburellare con le dita sul tavolo “Benvenuta nel mio mondo. Dovresti esserne onorata! Sei il mio azzardo più grande, ecco cosa sei. Ci siamo visti soltanto per un paio di giorni eppure mi sono già sbottonato riguardo informazioni per cui altri ucciderebbero! E il che non è per niente saggio da parte mia. Ma l'uomo che mi ha assegnato il mio ruolo ripeteva sempre che dovevo fare quel che il mio cuore ritenesse giusto. E, dato che ho preso la decisione di fare di te la mia apprendista quando ancora un cuore ce l'avevo, non posso far altro che continuare su questa strada. "

Stella trasalì nell’udire quelle parole “Stai scherzando, spero. Come sarebbe a dire che non hai un cuore-” 

“Te l’ho detto. I recenti sviluppi a Giardino Radioso non sono stati per niente piacevoli. E in parte, beh, è stato per colpa mia. Quando si venne a sapere della tua scomparsa, Xehanort ed Even andarono su tutte le furie, convinti che fosse stato Ansem a farti portare via. Per averti tutta per sé, per non condividere con loro la sua preziosa cavia di laboratorio. Per fartela breve, gli scienziati si sono ammutinati in massa e Giardino Radioso ne ha pagato lo scotto. Tralascerò i dettagli a meno che tu non sia particolarmente in vena di rivisitare i vecchi tempi spesi in cella, ma sai meglio di me di che cosa Xehanort fosse capace. Se non poteva avere te, avrebbe trovato altri soggetti per i suoi esperimenti, in un modo o nell’altro. E cominciò dal personale del castello. Da me, Aeleus, Dilan… persino Ienzo. Hai mai conosciuto Ienzo? Ne dubito...”

Stella lo fissò, pallidissima e incredula. Ecco cos’era quella nota piatta nella sua voce, quello strano senso di malessere che Braig le trasmetteva. C’era qualcosa di sbagliato in lui, qualcosa di rotto, di mancante.

“Cosa… cosa ti ha fatto Xehanort?”

“Quello che probabilmente avrebbe fatto anche a te se non fossi intervenuto. Saresti diventata un Nessuno. Ti avrebbe strappato il cuore e lasciato che la tua carcassa se ne andasse in giro come uno zombie. Non è poi così male, ci si abitua. E ha tutta una sua serie di vantaggi. Uno su tutti, avere questi simpaticoni al mio servizio.”

Xigbar schioccò le dita e un paio di Cecchini si manifestarono nella stanza illuminata dal tiepido sole del primo pomeriggio. I fantocci abbassarono immediatamente le balestre e presero a guardarsi intorno, sorpresi dal non essere stati convocati durante una battaglia.

“Come mai ti somigliano così tanto? Che cosa sono?”

“Sono Simili. Nessuno di rango inferiore. Quando hanno perso il loro cuore, la loro volontà non era forte abbastanza da mantenere la forma originale. Così, adesso servono i Nessuno più potenti come me e prendono le loro sembianze.”

“Stai dicendo che quelle cose sono… persone?”

“Lo erano.”

Stella si coprì la bocca con la mano, sconvolta “Gli Heartless ne hanno uccisi così tanti...”

“Non fartene un cruccio. Esistono a malapena, sono così effimeri che hanno bisogno di emulare ed attaccarsi ad altri per avere uno scopo. Quando un cuore cede all’Oscurità e diviene un Heartless, loro sono quello che viene lasciato indietro, un guscio vuoto, niente di più. Piuttosto, se vuoi dare una mano ai Nessuno dovresti accettare la mia offerta.” così detto, lui poggiò il mento sulle dita intrecciate.  “Ti trasformerò in una provetta sterminatrice di Heartless. Potrai difenderti da sola e tenere questo mondo al sicuro. E sai cosa succede quando sia l’Heartless che il Nessuno di qualcuno vengono sconfitti, specificatamente dal Keyblade? La persona originale torna ad esistere. Completa, col cuore di nuovo al suo posto. E io sono la fuori a rischiare la pelle ogni santo giorno… capisci dove voglio arrivare?”

“...vuoi che sconfigga il tuo Heartless. Così, se tu dovessi… morire... torneresti umano.”

“Perbias non poteva scegliermi un’allieva migliore. ”

Perbias?”

Xigbar si riscosse, quasi non si fosse accorto di aver pronunciato il nome del suo mentore ad alta voce.

“Il tipo che vede nel futuro.”

La ragazza si passò una mano sul viso, evidentemente confusa e frustrata. “Quindi mi stai dicendo che questo tizio ha organizzato tutto quanto, nascondendo il nostro Mondo, salvando un gruppo di persone dalla guerra, facendomi viaggiare avanti nel tempo… perchè io mi trovassi qui ed ora e diventassi la tua allieva?”

“Ha fatto lo stesso con me, tanto tempo fa. Beh, più o meno. Quindi la risposta è sì.” confermò lui, sbrigativo. “E dovrebbe esserlo anche la tua. ‘Sì, Xigbar, sarò la tua allieva!’”

“...Xig-che?”

“Diamine, lascia perdere. Mi cambiano il nome ogni cinque minuti, continua pure a chiamarmi Braig, sennò sai che confusione-”

“Ti ha fatto del male?”

La domanda arrivò improvvisa e secca. Stella lo guardava intensamente, coi pugni serrati e Xigbar avrebbe giurato che fosse pronta a fare a botte con qualcuno.

Vedendolo così confuso, Stella rincarò “Xehanort. Ti ha fatto del male?”

Il Nessuno sorrise perché in quel momento chiunque l’avrebbe fatto e perché il suo cervello ancora si ricordava come comportarsi da essere umano. “Ti preoccupi per me?”

“Non dovrei?” sbottò lei “Ti sono grata per avermi salvato la vita. Ovvio che mi preoccupo per te!”

“Non ho rimpianti, se è questo che ti stai chiedendo. Dovevo portarti via da lì e così ho fatto. E poi ho la pellaccia dura, sono sopravvissuto a casini ben peggiori.” minimizzò lui sospirando e congedando i Cecchini con un cenno. “Ma apprezzo la premura. Non so se me la merito.”

“Sei tornato. Te la sei guadagnata.” lo rassicurò la ragazza.

“Non ti ci abituare. Il mio nuovo capo non è molto generoso per quanto riguarda i giorni liberi. Potrei sparire di nuovo per chissà quanto tempo.”

“Lavori ancora come Guardia del castello?”

“Non esattamente… diciamo che ci siamo messi in proprio. Nuova sede, nuova uniforme, nuovi colleghi. La paga è peggiorata però. Quasi rimpiango la vecchia gestione.”

“Ma non riesci mai a stare serio?” lo riprese lei, contrariata.

“Oh credimi, per il tuo bene farai meglio a starmi alla larga quando succederà. Le cose tendono ad esplodere tutt’intorno a me quando sono serio.” lui sospirò “La verità è che non c’è più alcun castello a cui fare da guardia, Stellina. Giardino Radioso è stato completamente divorato dall’Oscurità. Fortunatamente per noi, ce n’eravamo già andati quando le cose hanno veramente iniziato a mettersi male.”

Lei lo fissò impietrita.

Raggelata dalla calma e dalla superficialità nella sua voce.

“Cosa…?” balbettò, incredula.

“Mi hai sentito.”

“Come sarebbe a dire che Giardino è stato-”

“Perchè t’importa? Tu più di ogni altro dovresti rallegrarti nel sapere che quel postaccio non esiste più.”

Stella si morse il labbro, incapace di sostenere oltre lo sguardo freddo del Nessuno. Non aveva tutti i torti ma....!

Isa! Lea!

“Braig, che ne è stato dei cittadini?”

Lui inarcò un sopracciglio. “Ripeto la domanda: perchè t’importa?”

“Prima di tutto perché stiamo parlando di persone innocenti-” gli rimbrottò lei, ora visibilmente furiosa “E poi perché si da il caso che conoscessi due ragazzi che vivevano lì. Anche Aeleus e Dilan li conoscevano-”

“Ah, parli dei due stronzetti ficcanaso. Tranquilla, stanno benone.” 

La ragazza scattò in piedi, gli occhi lucidi per il sollievo “Sono al sicuro?”

“Gli Heartless non se li sono mangiati a colazione, se è questo che intendi.” chiarì lui, facendo spallucce. Poi, i lineamenti del suo volto si distesero, come se avesse improvvisamente realizzato qualcosa. “...adesso capisco.”

“Non tenermi sulle spine, rispondi alla mia domanda.” lo pressò lei, avvicinandoglisi. 

Xigbar si rilassò contro lo schienale sghembo della sedia. “Qualche tempo dopo la tua ‘scomparsa’ e prima che tutto andasse in malora, due ragazzi del posto si presentarono alle porte del castello. Volevano diventare assistenti di laboratorio ma Dilan e Aeleus li riconobbero immediatamente, mettendo in guardia Ansem sulle loro precedenti incursioni clandestine. Lui non sembrò turbato dalla cosa. Forse sperava di poter portare i ragazzi dalla sua parte se Xehanort avesse tentato un colpo di testa. Fatto sta che divennero parte della ‘famiglia’, per un pò e a me e alle altre guardie fu chiesto di tenerli d’occhio, senza però intrometterci troppo. Sapevamo che sgusciavano fuori dalle loro stanze di nascosto per cercare chissà cosa negli archivi, ma non avrei mai immaginato che stessero cercando te.”

“Venivano a tenermi compagnia di tanto in tanto. La loro presenza mi dava conforto, mi hanno aiutata a non perdere la speranza...” confessò Stella, torcendosi nervosamente le mani. “Ti prego, non dirmi che anche loro..!”

Lui s’alzò fiaccamente in piedi “Mi dispiace, Stellina.” scandì in quella sua voce così aspra eppure così piatta. No che non gli dispiaceva, non aveva un cuore, non poteva dispiacersi proprio di niente!

La ragazza indietreggiò, quasi barcollando. Il peso di quella rivelazione le gravava sul cuore e sulla coscienza come un macigno. Lacrime calde presero a rigarle le guance e lei le asciugò con foga. 

“E’ colpa mia-”

“Non essere stupida.”

“Se non mi avessero mai incontrata-!” singhiozzò lei, premendosi una mano sulla bocca.

“Sarebbero stati divorati dall’Oscurità, proprio come tutti gli altri. Giardino sarebbe caduto lo stesso, che tu fossi stata presente o no, era solo questione di tempo. Non darti troppe arie, sei importante, ma non così importante.”

“Questo dovrebbe farmi sentire meglio?!” gridò lei, preda di una frustrazione bruciante e sempre crescente “Vai al diavolo, Braig!”

Lui non ebbe alcuna reazione a quel suo scoppio di collera se non l’accenno di un sorriso sottile “Se può consolarti, posso dirti che i tuoi amichetti non si sono trasformati in Simili. Hanno mantenuto il loro aspetto originario, come me. E se fosse per merito tuo? Ti sorprenderà sapere quanta differenza faccia per un Nessuno avere un obiettivo da perseguire. Aiuta a non lasciarsi sfuggire l’identità e i ricordi tra le dita. Forse quei due hanno conservato un po’ della loro umanità proprio grazie a te.”

La ragazza non disse niente, continuando a singhiozzare e a tormentarsi finché Juju non sfregò affettuosamente la testolina squamata contro il suo braccio per confortarla. Quel contatto la riscosse, convincendola ad ingoiare le lacrime e a tornare a guardare Braig dritto in faccia. 

Avrebbe voluto arrabbiarsi con lui, ma l’inespressività del suo viso era disarmante. Anche Isa e Lea erano ridotti così? Solo pensarlo le dava la nausea.

“Hai detto che i Nessuno tornano ad essere umani se i loro Heartless vengono distrutti dal Keyblade, giusto?” 

Braig annuì, tendendole la mano “Affare fatto, quindi?”

Stella trasse un profondo sospiro, cercando di calmarsi. Recuperare le sue memorie del Keyblade le avrebbe permesso di aiutare Isa e Lea, sdebitarsi e scusarsi con loro per tutti gli orrori che avevano dovuto affrontare per causa sua.

Di fronte ad una simile possibilità, il suo desiderio egoistico di scoprire di più sulle sue origini passava in secondo piano.

E poi, per quanto Braig s’ostinasse a dire che non gl’importava, sentiva che anche lui non vedeva l’ora di tornare umano. Sarà anche stato un gran bastardo, ma era pur sempre il bastardo che l’aveva tirata fuori da quella cella.

“Affare fatto.” rispose con decisione, stringendo la mano guantata del Nessuno. “Allora, quando cominciamo? 

“Oh?” L’occhio dorato dell’uomo sembrò brillare, il sopracciglio che s'alzava di scatto. Il primo guizzo di vita ed emozione genuina ad apparire sul suo volto dall’inizio della conversazione.

A quella vista, Stella sorrise.  


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Doppio capitolo per Xiggy e Stellina. Da un lato abbiamo il Maestro che addestra Luxu e gli altri veggenti e dall'altro abbiamo Luxu che s'appresta ad insegnare a Skuld. Come disse George Lucas quando i fans l'accusarono di star riciclando la stessa storia per i prequel 'come in poesia, la ripetizione fa la rima' e KH di sicuro è una serie che fa mooolte rime, riproponendo simili archi narrativi più e più volte. O forse dovremo semplicemente accettare quello della relazione tra studenti ben più saggi dei loro maestri incompetenti come un tema portante della serie? Chi lo sa.
Dai Stellina, vai e fai fuori tutti gli Heartless dei Nessuno dell'Organizzazione così che possiamo andare a coprire ANCHE quel buco di trama :P


 

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Capitolo 28
*** ✭ The Gazing Eye ***


✭ THE GAZING EYE ✭

Being like you are, well, 
this is something else.
Who would comprehend? 
But some that do,
lay claim divine purpose blesses them.
That's not what I believe,
and it doesn't matter anyway.
A part of your soul ties you to the next world,
or maybe to the last but I'm still not sure.
But what I do know is to us the world is different
As we are to the world,
[Illusion - VNV Nation]
 

Scortati da tre guardie di Atlantica su ogni lato, Mava e Luxu seguirono Tritone lontano dalla città, tornando ad immergersi nelle acque gelide che la circondavano.

Nuotarono a lungo nell’oscurità quasi totale degli abissi marini, scambiandosi di tanto in tanto un’occhiata nervosa senza però osar proferire parola. Il freddo gl’intirizziva di nuovo le pinne ma nessuno dei due si fermò per riscaldarsi un pò con un incantesimo.

Tritone impugnava una lancia in osso di balena proprio come i suoi soldati ma era chiaro che non si sentisse affatto a proprio agio senza il Tridente di suo padre. Come ogni principe che si rispetti, anche lui era stato addestrato nell’arte della guerra ma la consapevolezza di poter brandire un giorno l’arma magica dei suoi antenati era sempre stata lì a confortarlo. In cuor suo, sapeva che laddove la sua forza e la sua abilità non fossero state sufficienti, il potere del Tridente avrebbe sopperito, aiutandolo a mantenere la pace.

Senza di esso, si sentiva molto più indifeso ed inadeguato di quanto volesse ammettere e Luxu non poteva biasimarlo.

Infatti, proprio nello scorgere l’inquietudine negli occhi del giovane principe, l’apprendista del Maestro dei Maestri pensò al Keyblade che ancora non si era manifestato nelle sue mani. Vedere i suoi compagni apprendisti avere successo nel richiamarlo era sempre stata per lui fonte di grande conforto. Del resto, se potevano farlo loro, poteva riuscirci anche lui! E poi Salegg e Nahara erano ancora sulla sua stessa barca…

Nonostante ciò, la possibilità di deludere le aspettative del Maestro gli dava morsi di puro panico dritti nelle budella. 

Così come Tritone s’era preparato per tutta la giovinezza a prendere il posto del padre, Luxu aveva lavorato sodo per diventare un Maestro del Keyblade. Eppure entrambi si dirigevano praticamente disarmati verso l’ignoto, sforzandosi d’apparire coraggiosi mentre in realtà tremavano di paura.

Un soldato bloccò l’avanzare del gruppo con un cenno improvviso e i suoi commilitoni schizzarono immediatamente attorno al loro futuro sovrano, creando un cerchio difensivo tutt’intorno a lui e ai due Estranei.

Tritone aggrottò le sopracciglia, scrutando l’oscurità azzurrognola che s’estendeva immensa davanti a loro. Il fondale buio era ricoperto di punte di ghiaccio.

“E’ questo il posto.” disse con voce grave. “Tenete gli occhi aperti.”

Annuendo, Mava e Luxu evocarono le proprie armi guadagnandosi un’occhiata sorpresa da parte dei soldati che per la prima volta assistevano alla magia proveniente dagli altri Mondi.

Tritone gli richiamò tutti alla concentrazione e riprese ad avanzare con decisione, la forte pinna rivestita di scaglie azzurre che riluceva alla flebile luce proveniente dalla superficie.

Scesero verso il basso, là dove la temperatura era così bassa da risultare a malapena tollerabile. Luxu serrò la mascella per non battere i denti.

Sotto di loro s’apriva uno scenario a dir poco raccapricciante. Il fondale era segnato da profondi solchi, rocce immense ricoperte di alghe e molluschi fossilizzati migliaia di anni prima erano state ridotte in frantumi e carcasse congelate di animali e tritoni giacevano sul fondo, i cuori spenti ma ancora intrappolati nel ghiaccio e incapaci di raggiungere Kingdom Hearts. In alcuni punti, era come se il suolo fosse stato colpito da un raggio concentrato di calore che aveva bruciato tutto quello che incontrava sul suo cammino, lasciando marchi neri sulla distesa gelata. Lance d’osso spezzate e punte di ghiaccio erano conficcate nel terreno di quello che era chiaramente stato un cruento campo di battaglia.

“Mio Signore!” Esclamò una delle guardie, puntando l’indice verso una fenditura nella roccia “Il Tridente!”

Conficcato nel bel mezzo della spaccatura, l’affusolato scettro del Re dei Mari riluceva di un tenuo alone dorato in mezzo al blu tenebroso. Guardandolo da quell’angolazione, era chiaro che fosse stato il Tridente stesso a causare quell’impressionante frattura nella parete rocciosa. Come se fosse stato scagliato contro di essa da una forza disumana.

Tritone scattò in avanti con un colpo di pinna, costringendo i suoi uomini a seguirlo a capofitto “Vostra Altezza, aspettate! Potrebbe essere una trappola!” lo richiamò uno dei soldati mentre anche Luxu e Mava si lanciavano all’inseguimento.

I due apprendisti avvertirono immediatamente la presenza di una grande Oscurità e si mossero all’unisono veloci come anguille, portandosi ai lati di Tritone e lanciando l’incantesimo Reflect appena in tempo per deflettere una raffica di aculei provenienti dalla voragine davanti a loro.

Tritone serrò la stretta attorno alla lancia, scambiando un’occhiata con i due giovani apprendisti. Era difficile ammetterlo per qualcuno testardo come lui, ma i due estranei gli avevano appena salvato la vita. Le sue guardie non avevano neanche fatto in tempo a capacitarsi di cosa fosse appena successo.

Con un ruggito così assordante da far tremare l’intero oceano, gli occhi luminosi di una bestia gigantesca s’accesero nel buio prima che un abbagliante raggio d’energia blu fendesse le tenebre.

“Via, via!” strillò Mava, e il plotone di soldati si disperse, scampando per un soffio al triste destino di venir tramutati in statue di ghiaccio.

L’Heartless emerse dall’anfratto nella pietra contorcendosi ed agitando le possenti zampe da crostaceo, demolendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Ghiaccio e rocce si frantumavano sotto i possenti colpi di coda mentre tra le fauci composte da quella che sembrava un’infinita serie di mandibole andava a caricarsi un nuovo raggio congelante.

Luxu si trovò spinto all’indietro dalla corrente impetuosa generata dall’avanzare del mostro ma si riaddirizzò senza perdere la presa sull’arco. Non era la prima volta che lui e i suoi compagni affrontavano un mostro di quelle dimensioni. Di solito, Heartless del genere avevano dei punti deboli piuttosto evidenti ed erano spesso posti in svantaggio dalla loro mole imponente piuttosto che avvantaggiati… ma era chiaro che la creatura che si trovavano di fronte non assomigliasse nemmeno lontanamente a qualsiasi cosa avessero affrontato prima.

Il carapace da crostaceo era interamente rivestito di uno scuro metallo verdastro. Incisioni illuminate d’azzurro arabescavano le enormi placche ricoperte dai segni di mille battaglie e, quando sollevò la testa per metterli a fuoco e tornare alla carica, rivelò un paio di brucianti occhi rossi a fessura.

Quella cosa non era un mostro marino, né tantomeno un Heartless che aveva assunto quelle sembianze...

Era una macchina.

Il che, di per sé, non costituiva chissà quale grande rivelazione per i due apprendisti. Del resto, avevano viaggiato per mondi interamente popolati da robot, alieni e pupazzi animati ma la presenza di una diavoleria del genere in un mondo come Atlantica confermava ampiamente i sospetti del Maestro. Quella macchina proveniva sicuramente da un’altro mondo e nessuno dei due ragazzi avrebbe saputo dire quale.

Mentre la creatura si preparava nuovamente ad attaccare, Mava raggiunse Luxu combattendo contro la forza della corrente gelida “Sei pronto?!” gridò, per farsi sentire oltre il crepitare del raggio laser che già vibrava nelle fauci del mostro.

Luxu incoccò una freccia nell’arco e questo immediatamente si trasformò tra le sue mani, raddoppiandosi in lunghezza al punto da poter rivaleggiare con un’arbalestra da assedio mentre la freccia pulsava d’energia. Non era ancora riuscito ad evocare il proprio Keyblade, questo era vero, ma ciò non significava che non avesse affinato le sue tecniche di combattimento. Col passare degli anni, Perbias aveva insegnato loro a plasmare la forma delle proprie armi così che potessero adattarsi ad ogni situazione. Azal, Mava e Hafet che già possedevano un Keyblade erano in grado di compiere trasformazioni ben più complesse, ma anche lui si sapeva difendere.

Mava lo imitò, estendendo la propria chiave in una lama di luce dorata che ne aumentava ampiamente la portata e la potenza.

Tritone spostò lo sguardo sul Tridente che ancora luccicava sul fondale ricoperto di macerie. “Distraetelo! Soldati, aiutate i due Estranei!”

Il raggio gelante fendette nuovamente l’acqua. Luxu e Mava schizzarono in direzioni opposte per evitarlo e cavalcando la corrente si lanciarono all’attacco, determinati a portare a termine la loro missione.

Prima ancora che Mava potesse raggiungere la testa corazzata del mostro, Luxu la stava già tartassando di colpi, le frecce di luce violetta che fendevano l’acqua senza incontrare alcuna resistenza data la loro natura magica. 

La macchina vorticò su sé stessa liberandosi del tutto dalla fessura nella roccia e schizzò in avanti, il corpo affusolato da aragosta che spostava immense masse d’acqua con ogni singolo movimento. Mava s’avvolse in uno scudo d’energia prima di gettarsi attraverso una corrente contraria e ne sbucò illesa dall’altra parte senza venir spazzata via. Col Keyblade impugnato a due mani, evocò una proiezione di dieci cloni di sè stessa, ogni illusione che impugnava una lama di energia assolutamente reale e tagliente.

Imitando alla perfezione i movimenti della Mava originale, lo squadrone di cloni s’abbatté sul carapace screziato del mostro prendendo di mira le giunture tra le enormi scaglie di metallo. 

Nel vedere una delle placche saltar via come una conchiglia scrostata dallo scoglio, Tritone e i suoi uomini rimasero a bocca aperta, senza riuscire a capacitarsi di come quei due ragazzetti mingherlini fossero in grado di infliggere simili danni a quella creatura mastodontica.

Il Principe del Mare si riscosse in fretta dal suo stupore e approfittò del momento per gettarsi a capofitto verso il fondale, deciso a reclamare il Tridente e con esso la possibilità di contribuire sostanzialmente alla battaglia.

Luxu si teletrasportò in uno sprizzo di bolle per evitare la carica frontale del mostro che aveva preso a dimenarsi forsennatamente, evidentemente messo in difficoltà dalla loro piccola taglia. Il ragazzo non aveva difficoltà ad immaginare che una macchina del genere fosse letale contro un vascello, ma di certo non sembrava abituata a prendersela con due puntini insignificanti in grado di scaricarle addosso la stessa potenza di fuoco di un sottomarino militare.

Mava riassorbì i suoi cloni illusori e utilizzò l’energia accumulata dai loro attacchi per potenziare la propria lama che adesso le brillava tra le mani lunga quasi quanto una lancia da giostra a cavallo. Ogni fendente illuminava le profondità marine rivelando il fondale disseminato di corpi congelati.

“Luxu, colpisci il fianco scoperto, ora!” gli gridò la ragazza, dopo aver scalcato via un’altra placca dal dorso dell’aragosta meccanica, rivelando il complesso meccanismo al di sotto.

Lui, che non aveva una visione chiara del punto indicato dalla ragazza poichè si trovava dal lato opposto della creatura mastodontica, non si perse d’animo. Con un gesto della mano, aprì due portali, uno sotto di sé e l’altro a fianco di Mava, l’apertura diretta contro il fianco del mostro. Scagliò una raffica di frecce nel portale sotto di sé prima di scivolarvi dentro, apparendo accanto alla ragazza in una frazione di secondo.

Di nuovo fianco a fianco, i due apprendisti allinearono le armi e Mava trasferì la carica della propria lancia alla freccia appena incoccata da Luxu, trasformando il suo colpo successivo in un proiettile d’energia dalle capacità di perforazione devastanti.

Fu come vedere un’aragosta colpita in pieno da un colpo di fiocina, nonostante le proporzioni di preda e cacciatori fossero completamente invertite.

La macchina cacciò uno stridio agghiacciante, l’energia congelante che si spegneva nella sua bocca piena di mandibole d’acciaio mentre la creatura si contorceva in preda all’avaria. 

Luxu e Mava erano sul punto di scambiarsi un sorriso soddisfatto e magari di battere il cinque pensando alla faccia che avrebbe fatto il Maestro nel venire a sapere che razza di combo fighissima erano riusciti a mettere insieme, ma l’euforia durò poco.

Una luce azzurra riverberò attraverso i meccanismi interni della macchina, abbagliando tutti i presenti. Tra i cavi tranciati e i pistoni ridotti in pezzi, il nucleo di quella macchina di morte era ormai completamente esposto e pulsava tra i rottami come una cosa viva…

...come un Cuore.

Un cuore di cristallo azzurro.

Prima che i due apprendisti potessero reagire, la Macchina che avevano quasi spezzato in due si riassemblò davanti ai loro occhi increduli e con una mossa improvvisa e rapinosa, li scaraventò via entrambi con un fendente della chela d’acciaio.

L’impatto con la parete rocciosa fu così violento da far sputare a Luxu una boccata di sangue. La vista gli si annebbiò, mentre un fischio acutissimo gli riempiva le orecchie, assordandolo.

Strinse i denti, sforzandosi di tenere gli occhi aperti e vide la sagoma gigantesca della creatura incombere su di lui, il raggio congelante nuovamente pronto a colpire mentre le due fessure rosse che aveva al posto degli occhi sembravano sogghignare.

Certo che questa volta non se la sarebbero cavata, Luxu allungò istintivamente la mano cercando il corpo di Mava accasciato accanto al suo. La pelle della ragazza era fredda come il marmo, ma rispose alla sua stretta con forza inaspettata, intrecciando le dita alle sue. E a quel contatto i loro cuori entrarono in risonanza, avvicinati dall'orribile consapevolezza che quella poteva essere la loro ultima ora. Di comune accordo e senza proferire parola, decisero che se davvero dovevano andare, allora sarebbero andati insieme. Così come erano stati fianco a fianco durante il loro apprendistato, sin da quando erano bambini.

Un raggio di luce dorata colpì il mostro dritto alla testa, deviando il getto congelante quanto bastava per evitare che i due apprendisti rimanessero intrappolati in un cubo di ghiaccio per tutta l’eternità.

"Perbias... Perbias è venuto a salvarci..." Vaneggiò Luxu, ancora troppo tramortito dal colpo ricevuto per razionalizzare che ciò non fosse assolutamente possibile. Il loro Maestro era ancora ad Auropoli, del tutto ignaro delle loro attuali condizioni. Eppure, a dar retta all'inconscio che in quel momento dettava il filo dei pensieri confusi di Luxu, il Maestro sapeva sempre tutto. Vedeva tutto.

Tritone, seguito a ruota dai suoi uomini, stringeva nuovamente il Tridente che gli spettava di diritto e, puntandolo con rabbia contro l’enorme macchina, scagliò una raffica di colpi magici a dir poco devastanti. L’arma incantata incanalò la sua furia e determinazione aprendo vistose voragini incandescenti nel carapace della creatura che, dopo un’ultima repentina manovra evasiva si scagliò nuovamente contro la parete, sgusciando nell’anfratto tenebroso da cui era uscita.

Ma, indebolita com’era e ancora sotto i colpi feroci del Tridente, si schiantò contro il muro ricoperto di coralli ghiacciati causando un altro massiccio crollo seguito da una letale pioggia di macerie.

Tritone interruppe immediatamente il suo assalto “No…! I ragazzi!” gridò, in preda al panico, dimenticando immediatamente tutti i suoi pregiudizi e teorie del complotto nei confronti dei due Estranei, adesso che si erano messi in pericolo per lui ed i suoi uomini “Andate a prendere i ragazzi!”

Le guardie obbedirono all’istante, lanciandosi a capofitto in mezzo ai macigni rotolanti e alle schegge di ghiaccio che esplodevano in ogni direzione, ma quando raggiunsero la scarpata dove erano precipitati i due Estranei e il polverone fu spazzato via dalla corrente, trovarono solamente un’alta catasta di macerie. L’ultima cosa che Luxu mise a fuoco prima di perdere i sensi fu la mano pallida di Mava che scattava verso l’alto per lanciare un incantesimo.

Poi, tutt’intorno a lui s’era fatto nero.

 

°°° 

 

Perbias sedeva immobile sul trono puntuto del Signore dell'Oltretomba, la testa incassata nelle spalle e i capelli che gli scendevano suo volto come un velo.

I suoi abiti eleganti erano stati sostituiti dalla medesima tunica nera indossata dalle Parche, gli orli frastagliati, le maniche svasate, il cappuccio appuntito.

“Non solo avete fatto entrare questo intruso senza il mio permesso, ma lo avete anche fatto sedere sulla MIA POLTRONA?!”

Pena e Panico si rannicchiarono servilmente ai piedi di Ade “Vostra Lugubrità sono state le Parche ad ordinarcelo... “ tentarono di scusarsi i due diavoletti, ma il Dio dei Morti aveva già voltato loro le spalle, rivolgendo un sorriso affilato ed accondiscendente alle tre megere.

"Sono certo che si tratti di un disguido gestionale, signore. Perdonate i miei imperdonabilmente imperdonabili servitori. Sareste così gentili da rimuovere questo... vegetale dal mio trono? Tagliate il filo della sua vita se necessario, ponete fine alle sue sofferenze e procediamo col piano eh, che ne dite, signore?"

"Ah, Ade sempre così impaziente!” lo rimproverò Lachesis scuotendo il capo. “Si sveglierà molto presto e potrà andarsene sulle sue gambe.”

Il Dio dell’Oltretomba inarcò un sopracciglio "A me sembra che l’abbiate ridotto proprio male, altroché.”

Atropos sogghignò “Cosa c’è, Ade? Avresti preferito ricevere tu il dono dell’Occhio che Scruta?”

“Sia mai! E poi, anche se si svegliasse non potrebbe usare i suoi poteri come fate voi. E’ soltanto un mortale!” sbottò la figura ammantata di grigio. 

Il dio dell’Oltretomba aveva l’aspetto di un uomo alto ed emaciato, il volto lungo e dal profilo aquilino era illuminato dalle braci degli occhi infossati e da una tiepida fiamma azzurra che gli copriva il cranio rasato formando una curiosa capigliatura in costante movimento. La sua pelle grigia sembrava confondersi con ciò che lo circondava e l’orlo della toga ricamata si dissolveva in spiraleggianti volute di fumo nero.

“Un mortale molto coraggioso.”

“O molto stupido.” insistette Ade seccato e Pena e Panico fecero capolino da dietro la sua veste evanescente per rincarare la dose.

“Sì, come dice il padrone! Vedete? E’ cotto!” il diavoletto azzurrognolo trotterellò fino al trono, dando un colpetto sul ginocchio del giovane uomo immobile sul seggio di pietra. Perbias non ebbe alcuna reazione.

“Eggià, finito!” insistette Pena unendosi al compagno nell’ispezionare le condizioni dell’estraneo. Balzò goffamente sul bracciolo e gli dette una spintarella sufficientemente forte da farlo accasciare inerme contro lo schienale. Attraverso la frangia color cobalto, un solo occhio spento rispose allo sguardo curioso dei due spiritelli. “Stecchito!”

“Andato!”

“Questo è certo.” Lachesis frugò nella mantella alla ricerca del filo della vita del Maestro e lo mostrò alle altre Parche “Che ne pensate, sorelle?”

Il cordoncino di seta nera riluceva teso tra le dita scheletriche delle vecchie mentre se lo passavano l’un l’altra, studiandolo con cura certosina.

“Un filo spesso… forte…!”

“Ha una lunga vita davanti a sé… eppure non la vediamo.”

“Già, la nostra vista s’interrompe…”

"Andato... non ancora. Ma presto! Oh sì, molto presto!" sentenziò Clotho battendo le mani con aria eccitata. 

“Cosa significa?” la interrogò Ade, massaggiandosi la tempia fiammeggiante.

Il Dio si zittì di colpo quando vide il filo sfavillare d’azzurro per un breve istante per poi svanire come fumo spazzato via dal vento.

“Ah, ecco! Proprio come dicevamo, visto? E’ andato!” trillò Clotho succhiandosi le labbra rugose.

Ade fu costretto a far appello a tutte le sue energie per impedire alla sua mascella di toccare terra. “...andato dove?!”

“E chi lo sa?” 

Le fiamme azzurre sul cranio del Dio aumentarono d’intensità adesso che cominciava davvero alterarsi “Voi! Voi siete le Parche, sapete tutto! ‘Lo sappiamo Ade, lo sappiamo!’ Non dite sempre così? Volete forse farmi credere che questo-” s’interruppe per gesticolare animatamente in direzione dell'uomo in stato catatonico “-questo damerino qua esula dalla vostra preveggenza?”

“Esatto. E’ fuori dalla nostra portata.”

“Nemmeno un Dio può sfuggire al proprio fato, me l’avete detto voi! Se fosse una passeggiata, se potessi semplicemente tirarmi fuori dai piani cosmici pensate che me ne starei qui in questo mortorio a complottare contro quel bellimbusto di mio fratello?” Gli occhi spiritati del Dio dell’Oltretomba saettavano con fare accusatorio da una Parca all’altra e Pena e Panico si fecero piccoli piccoli dietro il trono temendo una delle sue proverbiali esplosioni di rabbia.

Atropos incrociò le braccia, la lingua biforcuta che saettava tra i denti scheggiati “Mica è colpa nostra se questo mortale ha trovato un modo per sfuggire al suo fato.”

“E forse non è poi tanto ‘mortale’... non più, almeno.” rincarò Lachesis puntando un indice cadaverico verso il seggio dall’altro lato della sala “Guarda.”

Ade si voltò lentamente, traendo un profondo sospiro nel vano tentativo di tenere a freno la sua imminente crisi di nervi. Se non fosse stato abituato a convivere con cose e creature grottesche su base giornaliera, quel che vide probabilmente lo avrebbe fatto trasalire.

Perbias non si era mosso, il capo ancora chino, la postura scomposta, il petto che a malapena s’alzava ed abbassava all’unisono col respiro flebile… ma l’occhio che teneva in equilibrio sul palmo della mano aperta si era rovesciato, puntando l'iride blu dritto contro di loro. A quella vista, Pena e Panico balzarono via dalla paura. 

Ade aggrottòla fronte alla vista della pupilla affilata che lo stava fissando. Quello era un occhio di mostro, di gorgone, non certo quello di un essere umano.

Che cos’era quel ragazzo? 

Uno dei tanti figliastri che suo fratello Zeus e i suoi amichetti dei piani alti si divertivano a generare coi mortali? Semi-Dei di nome, ma mostri di fatto, come i ciclopi progenie di suo fratello Poseidone? Nah… quel tizio doveva essere qualcosa di ancora più strambo se poteva rimuoversi dal destino del mondo senza muovere un dito.

“Signore, volete illuminarmi?” 

Le tre sghignazzarono, poi, Lachesis sollevò la mano ossuta verso il cielo, facendo materializzare l’Occhio che Scruta che condivideva con le sorelle. Il bulbo oculare giallastro aveva una grande iride rosso sangue e la pupilla dilatata all’estremo. Lei lo afferrò delicatamente per inserirlo all’interno di una delle sue orbite nere e cavernose, poi allargò le braccia magrissime in un gesto sorprendentemente autoritario.

 

“Nel suo passato,

egli cercò di aprire la Porta

che al Mondo Prossimo trasporta

e porre così fine ad una guerra terribile

la cui conclusione sembrava impossibile.

Un grande sacrificio però era richiesto

al buon Maestro che di coraggio era sprovvisto.

Di questo lui non conserva ricordi,

ma sa che il leone non s’addice ai codardi.”


Recitò, prima che Clotho la tirasse per la manica logora e, cavatole l’occhio per ficcarlo nel proprio cranio, continuò:

 

“Perciò nel presente,

della sua ombra ha ancora paura

e la fugge ogni volta che cala la notte oscura.

Per sapere com’è che inizia e finisce

e sfuggire al giorno in cui ogni speranza perisce.

Le Parche oggi ha interrogato

e una di noi, più o meno, è diventato.”

 

Arrivò il turno di Atropos di ricevere il bulbo oculare all’interno della sua unica orbita nera.

 

“Nel futuro, 

un bieco piano dovrà architettare, 

dove i mille cadranno per i sette salvare.

Sceglierà così i suoi fidi apprendisti

abbandonando tutti gli altri a destini ben tristi.

Ai suoi prediletti darà il compito più ingrato di tutti,

restare a guardare, mentre i mondi saranno distrutti.”

 

Le tre vecchie iniziarono allora a cantilenare all’unisono, le voci che s’accavallavano.

 

“La terra si spacca, il cielo s’oscura

è questa la fine della loro avventura?

Più in là il nostro Occhio non vede e non sa

quello che ai sette davvero accadrà.”

 

“Interessante. Molto, molto interessante.” Ade si picchiettò il mento con una delle lunghe dita ossute, tornando a fissare il giovane uomo immobile sul suo trono. “Ed inquietante. Stiamo parlando di affari su scala cosmica qui, ho capito bene Signore?”

Le Parche ridacchiarono “Geloso, Ade?”

“No! No che non sono geloso!” strillò lui, lasciandosi finalmente sfuggire una vampa di fuoco vivo sul cranio rasato. “Mi chiedo solamente se questo tizio possa influire sui miei piani, ecco cosa mi chiedo!”

Atropos sghignazzo “Dà retta a noi, il tuo momento di ascendere all’Olimpo è ancora molto lontano. Devi essere paziente. Vedi, mentre scrutavo nel futuro di questo giovane si dà il caso che abbia visto anche il tuo…”

Il Dio dell’Oltretomba s’irrigidì di colpo “...e?”

“E per il tuo grande piano i pianeti non sono ancora in posizione.”

“Già…” s’intromise Lachesis, tirandosi il cappuccio nero sulla testa grinzosa. “...ma lo saranno presto per il piano del Maestro. Vedrai, Ade. Ci sarà da divertirsi.”





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Sono felicissima di aver aspettato l'ultimo update di Union X prima di caricare questo capitolo! E ancora più felice di aver usato lo scontatissimo trucco dell'amnesia per lasciarmi libero e vago il passato di Perbias... anche se sinceramente non m'aspettavo che lo avrebbero discusso così presto su Union X, considerando quanto tempo c'è voluto a Nomura per dare un minimo di backstory a Xehanort e Eraqus.
Sono molto contenta della direzione presa dalla narrazione anche se scombussola un tantinello i miei piani... ma non troppo. C'ero andava parecchio vicina in ogni caso! Forse sto sviluppando anche io un'Occhio che Scruta tutto mio che mi permette di leggere nella mente malata di Nomura...
O forse no X°D. In ogni caso, Maestro dei Maestri da bambino e alle prese con una strana 'oscurità' mutaforma... CONFERMATO :D :D :D son soddisfazioni!

 

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Capitolo 29
*** ✭ The One Who Bears The Sigil ***


✭ THE ONE WHO BEARS THE SIGIL ✭


Down deep the oceans,
lie the ashes of ages.
As in the solace, we will forever be as one.
As we have never been so close to reach the sun.
Our land is moving out of sight. (...)
Till the stars shine on our hearts.
Tides won't last, our time is dying fast.
But this moment, our moment...
It will shine bright on our hearts.
[Forever - Frozen Crown]
 


Luxu si sentì trascinare di peso fuori dall’acqua gelida.

Mani grandi e forti lo adagiarono sulla battigia di ghiaia nera prima che un secondo paio, ben più sottili e morbide (chiaramente mani di donna, pensò, ancora intontito) gli premessero contro le guance e fronte per valutare le sue condizioni.

Un mormorio confuso ed appena intelligibile serpeggiò tutt’intorno a lui mentre le persone che l’avevano tratto in salvo discutevano sul da farsi.

Il ragazzo si lasciò sfuggire un gemito quando qualcosa o qualcuno gli urtò le gambe e, nonostante il dolore lancinante, ciò dette a Luxu la conferma che l’incantesimo di trasfigurazione s’era sciolto.

Il che era sicuramente un bene, visto che gli umani che abitavano il regno costiero a due passi da quello sottomarino di Atlantica credevano che sirene e tritoni fossero soltanto una leggenda ma…

...ma Luxu non riusciva a capire che cosa i suoi soccorritori stessero dicendo. 

Inizialmente aveva dato la colpa ai suoi sensi ancora annebbiati e al rombo assordante dell crollo della parete rocciosa che ancora gli riecheggiava nelle orecchie, ma adesso che il suo udito s’era fatto di nuovo chiaro, era palese che stessero parlando una lingua sconosciuta.

Nessuno, a parte esseri pluri-millenari come i djinn di Agrabah o i titani imprigionati da Zeus eoni prima della fondazione di Tebe, parlava una lingua diversa dal resto del Reame della Luce. 

Con la mente scossa da quella realizzazione e nel sentire il tocco gelido di una punta fredda ed affilata contro il suo petto, Luxu si decise finalmente ad aprire gli occhi e cacciò un grido di stupore e spavento alla vista di un paio di enormi e luminosi occhi blu accompagnati da una larga bocca zannuta.

Tentò di trascinarsi indietro in preda al panico, incapace di distogliere lo sguardo da quell’apparizione da incubo china su di sè, ma il dolore al ginocchio non gli permise d’andare molto lontano. 

“Chi-chi siete?!” strepitò tra le lacrime, soffocando un singhiozzo di dolore.

Oltre all’enorme faccia allungata che ancora lo fissava, altre due si voltarono nella sua direzione nell’anticamera buia. Si trovava al limitare di una pozza d’acqua scura all’interno di quella che sembrava una grotta sottomarina, ma la presenza di alte colonne scolpite tradiva il chiaro intervento della mano dell’uomo.

Le figure mostruose che lo accerchiavano avevano gambe e braccia ridicolmente piccole a confronto dell’enorme testa dagli occhi luminosi e Luxu realizzò il perchè di quell’innaturale fisionomia quando la creatura che gli si era avvicinata per prima tirò indietro la faccia ghignante che si rivelò essere un mascherone scolpito.

Celato dalla maschera stavano il volto ed il corpo perfettamente proporzionato di una giovane donna vestita in abiti tribali e succinti, i suoi lineamenti angolosi illuminati dal pendente di cristallo che portava al collo.

Luxu la fissò a bocca aperta, troppo sorpreso e confuso per formulare un pensiero o una frase coerente.

La donna gli si avvicinò di nuovo dopo aver gettato a terra la lancia ricurva con cui l’aveva punzecchiato per assicurarsi che fosse ancora vivo e senza dire una parola tornò ad occuparsi delle sue ferite. 

Quando l’incantesimo s’era rotto, Luxu aveva riacquistato gli abiti che indossava al momento della trasfigurazione e il che significava che adesso si trovava a fronteggiare quella situazione assurda in costume da bagno. 

Il sangue gli sgorgava a fiotti dal ginocchio ma per fortuna non c’erano segni d’infezione o schegge conficcate nella carne anche se a giudicare da quanto male gli faceva, doveva avere come minimo un paio di ossa rotte. Forse persino la rotula stessa.

La donna gli fece cenno di stare fermo, rivolgendogli un’occhiata rassicurante prima di poggiare la punta dell’amuleto di cristallo azzurro sulla sua ferita. 

Il ragazzo trasalì alla vista del bagliore di luce e della scarica elettrica che lo percorse da capo a piedi, ma quando tornò ad aprire gli occhi si rese conto che ogni traccia di sangue e tumefazione era scomparsa dalla sua gamba. Ancora incredulo, la mosse prima con cautela e poi s’azzardò a piegare il ginocchio fino a raccoglierlo contro il petto.

Il dolore era completamente svanito.

“...grazie.” mormorò, incerto sul da farsi ma decisamente meno preoccupato per quanto concernesse le intenzioni dei suoi misteriosi salvatori.

Il volto della donna tradì un accenno di sorriso, ma poi tornò immediatamente a farsi austero. “Parla, straniero. Perchè porti il sigillo?”

Lui inarcò un sopracciglio, sorpreso dal fatto che improvvisamente lei parlasse la sua lingua e per la natura così insolita e specifica di quella domanda. S’aspettava un ‘da dove vieni’, ‘come sei arrivato qui’, ‘che cosa vuoi’ o roba del genere.

“Quale sigillo..?”

Lei stirò le labbra, torreggiando sopra al ragazzo con fare solenne e autoritario. “Il sigillo che porti sul cuore.”

Luxu avrebbe tanto voluto darle una risposta ma non aveva la minima idea di cosa stesse parlando. 

“Non fare il finto tonto.” Insistette la donna, avanzando minacciosamente. Aveva il fisico scolpito di una guerriera e non sembrava in vena di perdere tempo in chiacchiere. “La giovane che era con te impugna l’arma proibita e tu ne porti il marchio. Perchè?”

Lui sobbalzò, ignorando completamente la sua domanda. “Mava?! Lei dov’è? Sta bene?”

La donna sembrò genuinamente perplessa dalla sua reazione, ma indicò il lato opposto della grotta e Luxu vide il corpicino pallido della ragazza avvolto in una coperta di stoffa grezza. “E’ incosciente, ma non in pericolo.” una delle altre due figure mascherate raccolse il Keyblade di Mava e lo porse alla donna che lo sollevò alto davanti a sè mentre i suoi due compagni indietreggiavano quasi preda di un timore reverenziale.

“Il marchio… del Keyblade… sul mio cuore?” ripetè Luxu ad alta voce, senza nemmeno rendersene conto.

“Come può uno straniero possedere un’arma simile? Come sai il suo nome?” lo incalzò la guerriera, ma uno degli uomini mascherati la interruppe, parlando in quella loro lingua incomprensibile.

Lei ribattè a muso duro, per poi tornare a rivolgersi a Luxu.

“Dicono che avete combattuto il Leviatano. E’ così che siete entrati? E’ la verità?”

Luxu si strinse nelle spalle, infreddolito “Abbiamo combattuto una… macchina. Credevamo fosse un mostro ma-”

“Ve ne siamo grati. La creatura era impazzita da settimane.” proseguì asciuttamente lei, tornando poi a rivolgersi ai suoi compagni che continuavano veementemente a protestare. “Dobbiamo vederci chiaro, portarli con noi e-”

“Il Re non approverà, Kidagakash.” la prese in contropiede uno degli uomini mascherati, parlando stavolta nella lingua comune e scoprendo il volto. Proprio come la donna, anche la sua carnagione era scura, lustra e segnata da tatuaggi dipinti in pittura azzurra. “Agli estranei non è permesso vedere la città e vivere per raccontarlo, lo sai.”

“Ma questi estranei sono diversi. Guardate questo!” insistette la donna sollevando nuovamente il Keyblade color dell’aurora di Mava “Vogliono farci credere che niente di tutto questo sia reale, che l’χ-Blade sia solo una leggenda e che il grande cataclisma sia avvenuto perchè-”

“Bada alle tue parole. Non ci teniamo ad essere accusati di tradimento per colpa tua! Il Re chiuderà anche un occhio sulle tue accuse ma non farà lo stesso con noi.”

“...scusate?” azzardò Luxu mettendosi cautamente in piedi. Mentre i tre discutevano, s’era improvvisamente ricordato delle parole del Maestro, realizzando che quei misteriosi individui erano la chiave dell’enigma che era stato incaricato di risolvere. “Avete detto che quella macchina era impazzita? E’... vostra? Io e la mia compagna siamo venuti perché stava terrorizzando la popolazione di questo mondo.”

“Hai sentito? Questo straniero sa troppe cose!” ringhiò il guerriero puntando la lancia contro Luxu “Se li lasciamo andare porteranno qui altri estranei!”

“Proprio per questo li scorteremo da mio padre.” disse lei con fare autoritario. “Prendete la ragazza.” si rivolse poi a Luxu, abbassando su di lui lo sguardo dei grandi occhi in cui si rifletteva il bagliore bluastro del cristallo “Riesci a stare al passo?”

Lui esitò, incerto sul da farsi. Qualunque destino avessero in serbo per loro, sicuramente non sarebbe stato piacevole. 

Agli estranei non è permesso vedere la città e vivere per raccontarlo.

La città… quale città?

“Signora, mi sembrate una persona ragionevole.” puntò i piedi Luxu, facendosi coraggio nonostante il gelo della caverna lo facesse apparire piccolo e tremante “Conoscete l’arma che stringete in pugno e sono certo che sappiate di cos’è capace. Se ci tenete prigionieri o peggio, altri verranno a cercarci.”

“Ci sono altre persone con armi come questa… là fuori?”

Lui s’accigliò. 

“Nei Mondi esterni?” precisò lei.

“Sì.”

“Tu puoi impugnarne una?”

Quella domanda gelò a Luxu il sangue nelle vene. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Era una situazione così surreale. Essere sincero o fare il gradasso e mentire? Forse se avesse minacciato di usare il Keyblade contro di loro, quelle persone lo avrebbero trattato coi guanti bianchi. Mava era incosciente, ma lui no. E sembravano nutrire una paura genuina nei confronti dei Keyblade…

Fu allora che una realizzazione improvvisa lo colpì.

Non…

Non era stato Perbias a forgiare il primo Keyblade?

...non era stato lui a dar loro quel nome?

Come accidenti potevano quelle persone parlarne come se fossero armi provenienti da un’antica leggenda?

All’improvviso il voto di segretezza che il Maestro gli aveva richiesto prima di partire acquistò senso. Perbias sapeva, o come minimo sospettava, che si sarebbero imbattuti in quelle strane persone? Che l’Heartless gigante non fosse affatto un Heartless ma bensì una macchina senziente?

Perbias…

Aveva mentito nel dire che i Keyblade erano una sua creazione?

Attanagliato da quei dubbi, quasi si dimenticò di rispondere ma lo sguardo torvo della guerriera lo riportò bruscamente alla realtà. “No. Io non sono in grado di usare il Keyblade.” ammise, per quanto quella confessione gli facesse male.

“Ma i miei compagni e il mio Maestro ne sono capaci. E non la prenderanno bene se ci farete del male.”

Lei storse le labbra carnose in una smorfia che si tramutò tutto d’un tratto in un sorriso di trionfo. “Lo sapevo!”

Il ragazzo la fissò interdetto.

“Mio padre non potrà più continuare a tener nascosta la verità sul nostro passato.” insistette lei, euforica, tornando a rivolgersi ai compagni mascherati “L’eredità del nostro popolo vive ancora! Fuori dai confini di Atlantide!”

Luxu non sapeva più come raccapezzarsi in mezzo a quel mare d’informazioni sconcertanti ma un pensiero in particolare continuava a ripresentarsi sempre più prepotentemente nella sua testa più si soffermava ad osservare la giovane donna. Era balenato per la prima volta nel momento in cui l’aveva vista sorridere e adesso che gli s’era avvicinata e il cristallo le aveva illuminato il viso, era diventato semplicemente impossibile da ignorare.

Il suo incarnato bronzeo, gli zigomi alti, il naso forte e dritto e i suoi grandi occhi blu come il mare e il cielo fusi insieme, erano incredibilmente familiari.

Quella strana donna tatuata e vestita da amazzone che viveva nascosta sul fondo dell’oceano...  somigliava incredibilmente al Maestro.

 

°°°

 

Un Corridoio di Luce si aprì nel laboratorio semibuio della Torre Meccanica e Perbias barcollò fuori, inciampando nella lunga tunica lacera e andando a sbattere rovinosamente contro un mobiletto stipato di strumenti alchemici. Incurante delle ampolle andate in frantumi, l’uomo si trascinò più in fretta che poté fino alla scrivania, sprofondando nella sedia imbottita, la testa rovesciata all’indietro sullo schienale e l’occhio cavatogli dalle Parche ancora stretto tra le dita.

Rimase fermo ad ansimare e a grondare sudore freddo come un animale braccato per quella che gli sembrò un’eternità. Teneva chiuso l’unico occhio che gli era rimasto mentre l’altra orbita ormai vuota restava orribilmente spalancata, una voragine nera e perfettamente cicatrizzata nel suo teschio, proprio come quelle delle Parche.

Quando finalmente si sentì abbastanza in forze e abbastanza lucido da affrontare la situazione, sollevò la palpebra per incontrare lo sguardo dell’occhio che stringeva tra le dita.

Fu come guardarsi allo specchio, ma in modo così distorto che si trovò costretto a soffocare un conato di vomito e a distogliere lo sguardo. 

Grazie alla magia delle Parche, poteva vedere attraverso l’occhio che gli avevano strappato proprio come se fosse ancora connesso al nervo ottico.

Ecco… era a questo che le tre vecchie si riferivano quando gli avevano detto che l’Occhio che Scruta da solo non gli sarebbe servito a niente. Loro si erano limitate a dargli lo strumento principale per quella macabra forma di divinazione, ma spettava a lui capire come utilizzarlo per vedere il futuro. Al momento, esso gli avrebbe mostrato solamente il presente.

S’azzardò nuovamente a sbirciare oltre il buio rassicurante della palpebra e vide li dorso della sua mano, pallida e sudata a celare l'altro occhio. La scostò quanto bastava per scoprire l'iride azzurro e-

Pessima… pessima idea!

In un istante si ritrovò giù dalla sedia, ginocchia e palmi contro il pavimento mentre rigettava quel poco che aveva mangiato sul tappeto.

L’Occhio che Scruta gli sgusciò dalle dita finendo sotto uno scaffale e ricoprendosi di ragnatele, polvere e capelli mentre rotolava.

Sputando via una boccata di saliva e bile, Perbias si prese la testa tra le mani. La sentiva scoppiare, come se un sadico torturatore gli stesse perforando il cranio con mille aghi acuminati. Una densa colata di lacrime gli rigò la guancia destra mentre si trascinava fino allo scaffale per recuperare l’occhio. 

Tastò alla cieca in mezzo alla lanuggine finché non lo trovò, gelido e duro come una biglia di vetro, ma viscido al tatto.

Si mise in ginocchio, ripulendo l’Occhio che Scruta sulla veste nera per poi cacciarselo nuovamente nell’orbita che lo accolse con un sonoro e disgustoso PLOP.

Sbatté le palpebre e l'occhio ruotò nella sua alcova per allinearsi all'altro poi, entrambe le pupille sottili come spilli si dilatarono nel buio e il Maestro rimise a fuoco il mondo attorno a sé. 

Nello specchio bordato d’ottone si vide prostrato a terra, la tunica nera imbrattata di vomito, i capelli scarmigliati, gli occhi mostruosi pieni di lacrime che ricambiavano il suo sguardo allucinato.

Una risata gutturale e spezzata dai singhiozzi gli salì in gola, risuonando nelle sale della Torre Meccanica e scuotendola fino alle fondamenta. Gli enormi ingranaggi nelle pareti presero a girare a ritmo sostenuto e le lancette dell’orologio sospeso tra le due guglie completarono in pochi secondi la rotazione che normalmente avrebbe loro impiegato un intero giorno. L’immenso macchinario sembrò venir spinto all’estremo, gli stantuffi che pompavano impazziti, le catene ben oliate che stridevano nelle guide mentre l’ascensore principale piombava verso il piano terra, le ruote dentate che sfregavano così rapidamente le une contro le altre da divenire incandescenti.

Svegliata da quel trambusto di stantuffi e campane, Nahara spalancò la finestra della sua camera per guardare fuori e lo stesso fecero i suoi compagni per poi precipitarsi in corridoio e scambiarsi occhiate allarmate.

Poi, d’un tratto, proprio come era cominciata, l’avaria della Torre cessò.

Tutto riprese a funzionare come nella norma, le lancette tornarono a segnare la giusta ora e il pendolo rallentò la sua oscillazione. Gli ingranaggi si raffreddarono, l’ascensore smise di precipitare.

Ma da qualche parte in quel meccanismo così complesso, qualcosa non riprese a funzionare come avrebbe dovuto. Forse un bullone allentato, forse una vite spanata o un piccolo ingranaggio schizzato via dal suo supporto…

Qualunque cosa fosse, quel minuscolo malfunzionamento sfuggì all’ispezione che Azal e Hafet condussero il giorno successivo all’interno della Torre e di certo non fu notato dai suoi allievi quando Perbias si presentò a colazione con un gran sorriso e con indosso un nuovissimo, lungo abito nero.

Andati erano i giorni dei suoi papillon sgargianti, delle giacche a doppia coda e dei guanti bianchi e impunturati. Da quel giorno in poi, non avrebbe mai indossato nient'altro.

Eppure, se un bravo orologiaio avesse dato una sbirciata all’interno della testa del Maestro in quel momento avrebbe detto che anche lì, proprio come nella Torre, qualcosa aveva smesso irreparabilmente di funzionare.

E che era soltanto questione di tempo prima che l’intero meccanismo s’inceppasse.

“E questo conclude il rapporto della giornata di ieri, Maestro. Ma non posso fare a meno di notare che Luxu e Mava non siano ancora rientrati.” disse Azal, sorseggiando pensierosamente il suo tè. “Missione impegnativa, presumo?”

Perbias sgranocchiò rumorosamente una manciata di biscotti “Dipende.” si limitò a commentare, arraffando la zuccheriera e rovesciandone più di metà nella propria tazza.

“Erano ad Atlantica, no? Non li invidio.” commentò Salegg servendosi una fetta di torta.

Come al solito, la colazione si teneva sul ponte sospeso tra le guglie della Torre Meccanica e una brezza piacevole e tiepida carezzava il tavolo decorato con fiori di stagione e così tanti pasticcini e dolcetti da far invidia ad un gran buffet.

“Piuttosto, Maestro… dove avete preso quella tunica? E’ molto… uhm… sobria, per i vostri standard.” indagò Hafet, senza staccare lo sguardo dall’abito lineare e privo di ricami indossato dal loro mentore.

“Ah, questa…” Perbias scosse via alcune briciole dalla grande chiusura lampo che percorreva fino ai piedi la cappa nera. Una sua aggiunta personale, per dare un tocco pratico all’abito donatogli dalle Parche. “Diciamo che le mie tre fate madrine hanno deciso di farmi un regalo.”

Nahara inarcò un sopracciglio, sorpresa da quella risposta inaspettata ma lo squillare sonoro dell’interfono della Torre Meccanica li fece sobbalzare tutti quanti. Quel trillo così acuto e fastidioso era riservato esclusivamente per le emergenze e non prometteva assolutamente niente di buono.

Perbias scattò in piedi con la preoccupazione impressa in volto, imitato dai suoi allievi. 

“Ho un brutto presentimento.” disse Azal a mezza voce mentre i cinque si precipitavano nell’ascensore diretti alla sala di controllo.

Sferragliando, la piattaforma schizzò in alto sorretta dai possenti ingranaggi della torre e Perbias s’infilò nervosamente i guanti, schiacciando ripetutamente il pulsante dell’ultimo piano come se così facendo l’ascensore si sarebbe mosso più velocemente.

Nahara e Azal si scambiarono uno sguardo preoccupato “Pensi che sia successo qualcosa a Mava e Luxu?”

Salegg serrò i pugni con frustrazione “Se tutti quanti avessimo un nostro Keyblade non sarebbe così pericoloso…!”

“Tranquilli, ragazzi. E’ tutto sotto controllo.” cercò di calmarli Perbias, ma per una volta, era più che chiaro che stesse rivolgendo quelle parole principalmente a sé stesso.




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Ho tirato una bella bomba eh? Penso che questo sia il momento in cui voi cari lettori potete valutare se la direzione della storia vi piace o meno. Non ho ancora detto tutto quello che ho in mente, ma è chiaro che ho deciso di prendere una strada che più lontana dal canon di così si muore. Nel frattempo, mi prendo la soddisfazione di celebrare uno dei miei film Disney preferiti in assoluto, Atlantis - L'Impero Perduto e farlo sposando quel che sappiamo del passato del Maestro da Union X e quella che semplicemente era la mia pazza idea originale.
Spero che vi stiate divertendo tanto quanto me XD
Ancora una volta i ringraziamenti per l'illustrazione vanno a Malakia <3
Alla proχima!

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Capitolo 30
*** χ Day Off ***


χ DAY OFF χ

 
Love like magic
Casts a spell
Sometimes leaving scars
I guess it's just as well
Not to know what's written in the stars
Still written in the stars
And written in your eyes
The prophecy fulfills
The dream that never dies
[Written in the stars - Blackmore's Night]
 

Era l’imbrunire di una noiosa giornata di giovedì nella Città Mezzaluna, ma la quiete stava per finire per la ragazza che con indosso un paio di alti stivali di gomma, uscì a passo svelto dal proprio appartamento diretta verso la tetra palude del Bayou.

Il cielo era tinto di infinite sfumature che andavano ad accendere gli occhi della giovane di un brillante bagliore arancio. Stella salì sul tram che s’era appena fermato cigolando accanto al marciapiede e si fece largo tra la massa di corpi sudaticci dei lavoratori che finalmente s’avviavano verso casa e si sedette sul retro del convoglio, guardando distrattamente fuori dal finestrino.

Come al solito, sarebbe stata l’ultima a scendere prima che il veicolo facesse dietro front per rientrare in città.

Mentre gli edifici variopinti del quartiere francese e della ben meno pittoresca periferia della città sfrecciavano davanti ai suoi occhi, Stella si domandò che cosa Braig avesse in serbo per lei quella sera. 

Erano ormai passati otto mesi dal suo ritorno e da allora, il suo improbabile benefattore (e adesso, ancor più improbabile maestro) non era mai mancato ad un appuntamento. 

Non le piaceva pensare che fosse improvvisamente diventato così diligente soltanto perchè considerasse il suo addestramento parte del ‘ruolo’ di cui tanto amava blaterare, ma se non altro, grazie a lui la sua memoria aveva fatto grandi progressi.

Sentiva di essere sul punto di ricordare il proprio nome e i volti sfocati dei quattro compagni che, a detta di Braig, erano probabilmente gli altri quattro leader dei Denti di Leone.

Lei… una leader. 

Difficile pensare che fosse stata a capo di qualcosa, qualsiasi cosa, dato che in quel momento a malapena riusciva a tenere insieme la vita scombinata che si trovava a condurre.

E aveva ricordato una chiave. Non la chiave nera di cui Braig le aveva parlato, no… il suo Keyblade.

Luce Stellare.

Argento e indaco, con una stella sulla lama e un’altra appesa alla catenella dell’impugnatura.

L’aveva sempre saputo che le stelle erano un indizio e quando il ricordo si fu solidificato abbastanza, la chiave portentosa le si era materializzata tra le mani sotto lo sguardo attento, anche se privo d’emozione, di Braig.

Stella si strinse nella giacca a vento, accoccolandosi contro il finestrino e chiuse gli occhi, ripensando a come lui avesse descritto quell’arma incantata. Anche se dopo averla impugnata, lei sentiva di conoscerla da sempre.

 

“Il Keyblade non è un pezzo di metallo, è il tuo cuore manifestato in forma d’arma. La sua forza dipende da te, non si spezzerà mai se il tuo cuore non vacilla. Maneggiarlo non ti costerà alcuno sforzo, sarà leggero tra le tue dita e pesante come un macigno quando colpirà. Con esso al tuo fianco, non dovrai più temere la prigionia. Nessuno potrà catturarti o trattenerti contro la tua volontà.”

 

Quando riaprì gli occhi, il tram aveva quasi raggiunto il capolinea. Le strade trafficate e le palazzine dipinte avevano lasciato posto ad una campagna incolta e paludosa. Se si voleva procedere verso Pearl River bisognava scendere e prendere una corriera che attraversasse il Bayou. Fortunatamente per lei, il suo passaggio era già arrivato.

Braig l’aspettava appoggiato al lampione della stazione, la consueta cappa nera sostituita da un gessato color terra d’ombra completo di cravatta e lustre scarpe di vernice. Utilizzare il vecchio trucco di trasfigurazione del Maestro per cambiarsi d’abito lo metteva sempre di buon umore, per quanto un Nessuno potesse essere di qualsiasi umore.

Il suo volto sfregiato era solitamente fonte di stupore ed apprensione in molti dei Mondi che visitava, ma non a New Orleans e dintorni. Lì, i delinquenti vestiti da gentiluomini erano parte del substrato sociale e facevano girare l’economia col contrabbando di tabacco e liquori. Oltre che quello di anime, se si finiva invischiati negli affari degli stregoni meno raccomandabili, s’intende.

Stella scese dal tram, stiracchiandosi.

“Dormito bene?” la punzecchiò lui, scortandola lungo il sentiero sterrato che conduceva ad una vecchia piantagione dove Xigbar parcheggiava la Rolls Royce noleggiatagli da Gran Papà La Bouff.

La ragazza si strinse nelle spalle, le suole degli stivali di gomma che affondavano nella fanghiglia. “Non è facile avere un’identità segreta.” disse, pensando a come le sue giornate fossero ormai divise tra la caotica quotidianità della Città della Mezzaluna e le lezioni di magia nel bel mezzo del Bayou.

“Lo dici a me? Non faccio altro che sfacchinare per l’Organizzazione e poi passo i miei giorni liberi a farti da babysitter.”

Lei gli scoccò un’occhiata in tralice. Non sapeva mai se le sue fossero battute scherzose o se veramente la considerasse un peso. Era difficile capire cosa ci fosse di fittizio e cosa di autentico nella sua voce anche se dopo tutti quei mesi il cuore di Braig doveva per forza essersi sviluppato un poco... 

Il suo tono non era più completamente piatto e ogni tanto si lasciava sfuggire una risata o uno sbuffo, ma la ragazza sentiva che ancora non v’era niente di spontaneo nel suo modo di parlare ed atteggiarsi. E questo continuava a darle i brividi. 

Se non altro, lei aveva approfittato della sua calma innaturale per tempestarlo di domande ed imparare molte cose sui Nessuno e sull’Organizzazione XIII, incluso il fatto che Braig non condividesse le mire del suo Superiore limitandosi ad assistere al susseguirsi degli eventi come il suo vero ‘capo’ (che lui chiamava il ‘N°0 dell’Organizzazione’) gli aveva ordinato di fare.

Stella aveva obiettato più volte che stare dalla parte dei malvagi anche solo per finta non lo esonerava da nessuna colpa, ma a Braig non sembrava importare.

Era chiaramente disposto a fare qualsiasi cosa e a sporcarsi le mani nei modi più indegni se questo significava portare a termine il proprio ruolo e lei non sapeva se trovare un simile comportamento ammirevole o inquietante.

Da un lato, quell’uomo tutto spigoli e dalla parolaccia facile s’era rivelato una persona estremamente umile e leale, ma dall’altro, Stella non poteva fare a meno di vederlo come una marionetta controllata da un sadico burattinaio che s’approfittava della sua devozione.

Raggiunsero la casa-battello della sacerdotessa Voodoo in pochi minuti, facendosi largo tra le mangrovie ricoperte di edera tillandsia.

Sulla battigia dello stagno illuminato dallo zigzagare di centinaia di lucciole, tutto l’occorrente per l’addestramento della giornata era stato predisposto, incluso un grammofono ed una collezione di vinili di musica jazz.

Di solito, i due sedevano all’ombra dell’enorme salice piangente e la voce roca di Braig riempiva la laguna, unendosi al canto incessante delle cicale e al gracidare delle rane. Prima di passare alla pratica, cercava di aiutarla con la sua memoria lacunosa, parlandole di come i Mondi fossero stati uno solo, dei Corridoi di Luce usati per viaggiare, della competizione amichevole tra le Unioni prima che le cose degenerassero. 

Storie che a poco a poco riempivano il vuoto siderale dei suoi ricordi, restituendole frammenti ed esperienze come il tocco d'una mano amica, il sapore del gelato sulla lingua e la voce squillante del suo Chirithy che, proprio come Schad, era perso chissà dove tra le pieghe dello spazio e del tempo. Braig le aveva spiegato che la creaturina era in realtà un Divorasogni, un abitante del mondo Onirico, e che non era più in grado di manifestarsi nella realtà da quando il legame tra i loro cuori s’era interrotto e quello di Braig era caduto preda dell’Oscurità, trasformandosi in un Heartless.

Spesso, il volto mascherato di una donna avvolta in abiti color dell’aurora faceva capolino nei ricordi di Stella e, interrogando il Nessuno sulla sua identità, aveva scoperto che si trattava della Maestra Ava, leader dell’Unione Vulpes, nonché la donna che Braig stava cercando. 

In effetti, le aveva confidato, sperava che i ricordi di Stella potessero aiutarlo a scoprire dove si trovasse e cosa stesse facendo, ma per il momento la ragazza non era riuscita a fornirgli alcun indizio utile.

Stella non ne aveva la certezza, ma qualcosa le diceva che tra lei e Braig doveva esserci stato del tenero, o come minimo un qualche tipo di complicità, perché ogni volta che cercava di investigare, Braig tagliava corto e le chiedeva di evocare la sua chiave, richiamando dall’etere le pistole gemelle.

Il fatto che quell’argomento in particolare lo spingesse a reagire con così tanta veemenza era per Stella motivo di divertimento e conforto, perché le confermava senz’ombra di dubbio che il cuore del suo benefattore non era più così atrofizzato come lo era stato al principio. Non si può mettere in imbarazzo un guscio vuoto, dopotutto.

Braig aveva rinunciato al proprio Keyblade molto tempo prima, ma questo non significava che non fosse in grado di insegnarle come padroneggiare quell’arma dai poteri apparentemente illimitati.

Potevano allenarsi per ore all'ombra dei grandi salici, certi che se i bagliori dei loro incantesimi avessero attirato l’attenzione di qualche incauto pescatore, la barriera magica di Mama Odie e gli alligatori che s’aggiravano nella palude sarebbero stati più che sufficienti a tenere a debita distanza i curiosi.

Per questo motivo entrambi rimasero di sasso nello scoprire che qualcuno s’era intrufolato nel loro piccolo santuario e stava curiosando in giro nonostante le accese proteste di Mama Odie e il sibilare irritato di Juju.

“Te l’ho detto garçon, non ho idea di cosa tu stia parlando!” protestò la donna piantandosi le mani sui fianchi “E smettila di giocare con il giradischi, guarda che le puntine sono delicate!”

Non appena lo riconobbe, Xigbar spinse Stella in un cespuglio di felci senza troppe cerimonie e le intimò di restare nascosta.

La ragazza protestò, ritrovandosi di tutto un colpo seduta nell’acqua limacciosa, ma l’occhiata che il Nessuno le rivolse la convinse a chiudere la bocca.

“Non farti vedere.” Le disse a bassa voce, prima di raggiungere l’intruso e Mama Odie a gran passi.

“Hey Braig, era ora che tu arrivassi. Questo tizio è amico tuo?” chiese la sacerdotessa con tono palesemente seccato.

La figura ammantata di nero si voltò e Xigbar scorse il lampo di un sorriso nell’ombra del suo cappuccio.

"Xiggy, eccoti qua!"

“Oh ma guarda un pò chi c’è. Qual buon vento, novellino?” lo apostrofò lui, ficcandosi le mani nelle tasche del panciotto.

“Missione di ricognizione.” Spiegò l’altro con un sospiro esausto. “Una noia mortale! Tu piuttosto, che fai qui vestito in quel modo?”

Xigbar fece spallucce “E secondo te mi metto a vuotare il sacco sui miei affari? Sei il N°IX, ragazzino. Certe informazioni sono classificate per te.”

“Eddai Xiggy!”

L’uomo con un occhio solo sogghignò. Demyx gli piaceva. E tra tutti i membri dell’Organizzazione era sicuramente quello che gli dava meno pensiero adesso che Stella era nei paraggi e a rischio di essere scoperta. Era da poco stato arruolato nell’Organizzazione e non faceva parte del gruppo iniziale composto dagli apprendisti di Ansem il Saggio, dalle guardie di Giardino Radioso e dai due ragazzini ficcanaso che s’erano ritrovati invischiati in quel brutto affare. In sostanza, non aveva alcun legame con Soggetto X e non c’era motivo per Xemnas e Vexen di metterlo al corrente della loro preziosa cavia di laboratorio. 

Anche se Demyx l’avesse vista… probabilmente non sarebbe stata la fine del mondo.

Ma Xigbar non aveva alcuna intenzione di rischiare e il fatto che l’avessero mandato in ricognizione proprio in quel mondo e che invece di esplorare la città fosse finito in mezzo al Bayou poteva significare soltanto due cose: Xemnas s’era accorto delle sue frequenti visite a New Orleans e s’era insospettito… oppure Demyx era così tonto e distratto da essersi smarrito in una palude infestata d’alligatori.

Onestamente, entrambe gli sembravano valide possibilità anche se sperava con tutto sé stesso che la seconda fosse quella giusta.

Avrebbe comunque preso tutte le precauzioni necessarie per tenere Stella al sicuro, ma in quel momento doveva togliersi Demyx dai piedi.

“Com’è che sei finito qui in mezzo al pantano? Il Superiore non ti ha chiesto di tenere d’occhio l’Uomo-Ombra?”

Il Nessuno più giovane scacciò una lucciola che gli ronzava attorno al cappuccio con così tanta enfasi da farselo scivolare giù sulle spalle, rivelando un eccentrico taglio a spazzola di capelli color del grano. “L’Uomo-Che?”

Xigbar alzò il suo unico occhio al cielo “Lo hai letto il rapporto di missione, almeno? Non ti hanno chiesto di monitorare la presenza degli Heartless in questo mondo? Pensavo fosse quello il motivo per cui New Orleans è finita sul radar di Xemnas.”

Demyx sembrò pensarci su come se ricordarsi una cosa così semplice gli costasse uno sforzo di ginnastica mentale sovrumano “Può darsi..?”

“Lasciamo perdere.” sospirò Xigbar camminando placidamente in direzione di Mama Odie e il più lontano possibile dal cespuglio dov’era nascosta Soggetto X. “Questo pivello vi ha infastidita, Madame?”

La vecchia si posò le mani sui fianchi “Tu che dici?”

Xigbar rise. Una risata così piatta e falsa che fece rabbrividire Stella fino alle ossa.

Scostando appena il fogliame fitto per sbirciare quel che stava succedendo, la ragazza si soffermò con lo sguardo sul ragazzo in abito nero. Doveva avere all’incirca la sua stessa età e il suo comportamento era sorprendentemente spontaneo e rilassato per un Nessuno. Forse, si disse Stella, era in quella condizione da molto più tempo di Braig e il suo cuore s’era già quasi completamente ripristinato, anche se probabilmente lui non se ne rendeva conto. O forse ogni Nessuno era diverso e riusciva a simulare le emozioni in modo più o meno credibile.

Mordendosi pensierosamente il labbro inferiore si trovò a chiedersi che razza di Nessuno fossero diventati Lea e Isa. Erano atoni ed inquietanti come Braig con rari sprazzi d’umanità oppure potevano ancora passare per esseri umani come quel ragazzo coi capelli buffi?

Non dovette aspettare molto prima d’ottenere risposta.

Un Corridoio Oscuro s’aprì alle spalle di Demyx, facendolo sobbalzare.

Xigbar inarcò un sopracciglio, chiedendosi chi altro sarebbe venuto a far loro visita lì nel Bayou.

Alla vista dei capelli indaco di Saïx, il Nessuno più anziano s'irrigidì. Adesso sì che la situazione si faceva pericolosa. Senza neppure voltarsi, percepì un movimento repentino tra i cespugli. Un sussulto, la mano di Stella che correva a soffocare un’esclamazione di sorpresa ed incredulità.

Il ragazzino composto ma sorridente che ricordava era di nuovo davanti a lei ma sembrava tutta un'altra persona. Anzi, qualcosa che a malapena si poteva definire una persona. 

I suoi limpidi occhi verdi erano tinti di un giallo fosco e sanguigno e il loro sguardo era quello di una bambola senza vita.

Come se non bastasse, portava spesse bende incrociate sul volto a nascondere una ferita recente che a giudicare dalla fasciatura aveva seriamente rischiato di accecarlo.

“Woah, Saïx…! Che ti sei fatto?!” esclamò Demyx, fissandolo a bocca aperta.

Xigbar mantenne inalterata la sua espressione, ma serrò la mascella.

Ha messo il naso dove non doveva e ne ha pagato lo scotto.

Ecco cos’ha fatto.

Quasi senza accorgersene, il N°II si portò la mano al petto. Anche se non c’era nessuna cicatrice a forma di X sul torace del corpo che abitava in quel momento, la sua influenza s’era trasferita di contenitore in contenitore, così come il ricordo di quando era stata impressa sulla sua pelle, secoli e secoli prima.

Non avrebbe mai dimenticato il tanfo dell’Oscurità, il suo unico occhio giallo e bruciante... e soprattutto, non il suo ghigno crudele. 

Xigbar si domandò se Xemnas avesse avuto la stessa espressione folle mentre sfregiava il volto di quel ragazzino ficcanaso. Probabilmente no. Del resto, persino la sofferenza altrui, persino la Schadenfreude,  aveva bisogno di un cuore per essere assaporata.

Il nuovo arrivato scoccò a Demyx un’occhiata di sufficienza. “Mi sono ferito durante una missione." Spiegò, spicciolo. "Ma non sono qui per questo. Xemnas vi vuole entrambi a rapporto. Immediatamente.”

Stella sentì il suo cuore stringersi in una morsa di ghiaccio. La voce di Isa… era così spenta. Così vuota. Persino più piatta di quanto lo fosse mai stata quella di Braig.

La ragazza dovette combattere contro l’istinto di corrergli incontro e scrollarlo per le spalle, pregandolo di riprendersi e di tornare ad essere il ragazzo gentile che le aveva teso la mano attraverso le sbarre della cella.

Mama Odie si ritirò cautamente verso la propria dimora, percependo la tensione e l’Oscurità addensarsi nell’aria. Se avesse potuto, avrebbe cercato lo sguardo di Xigbar per assicurarsi che Stella fosse al sicuro, ma il massimo che poté fare fu impartire un ordine silenzioso a Juju che s’affrettò a sgusciare via tra i cespugli.

Demyx fece spallucce “Di già? Ma se sono appena arrivato!”

“Sei qui da quasi sei ore.” disse Saïx, lapidario.

“Sul serio?! Oh, immagino che potrei essermi addormentato durante la traversata in battello-”

Xigbar s’avvicinò al portale oscuro e vorticante, afferrando Demyx per il cappuccio e tirandoselo dietro “Hai sentito il N°VII. Tempo di RTC.”

“...de che?”

L’uomo sbuffò. “Tempo di levare le tende! Ma dico, non ti ricordi proprio niente di quel che ti ho insegnato l'altro giorno?”

Demyx si grattò nervosamente la testa rasata “Te l’ho detto che non sono tagliato per questo lavoro…”

Saïx sbatté lentamente le palpebre come un gatto assonnato. “Xigbar, faresti meglio ad indossare la cappa prima di attraversare.”

Lui spinse Demyx nel portale nonostante le sue proteste, tornando poi a rivolgersi verso il Nessuno più giovane. “Non c’è bisogno che me lo ricordi. Tu piuttosto, dovresti essere più cauto. Avresti potuto rimetterci un occhio, credimi, ne so qualcosa. Con chi ti sei azzuffato? Xaldin mi ha detto che la Bestia era di cattivo umore, ultimamente...”

Saïx non rispose, osservandolo con distacco mentre Xigbar cambiava i suoi abiti eleganti nell’anonima cappa nera e sollevava il cappuccio, cacciandovi dentro la lunga coda di cavallo.

“Cosa c’è di così urgente, in ogni caso? Xemnas proprio non può starsene tranquillo per cinque minuti? Era il mio giorno libero.”

Il ragazzo dai capelli blu si guardò intorno, storcendo il naso alla vista della palude infestata di zanzare “E allora perchè passarlo in questo postaccio?”

“Perchè, tu cosa fai durante i giorni liberi?” ribatté Xigbar, la voce sottilmente velata d’ironia.

Saïx socchiuse gli occhi, riducendo le pupille ambrate a due fessure “Non sono cose che ti riguardano.”

“Ah, sempre così sulla difensiva. Suvvia, non vorrai farmi credere che non ti piace il jazz? Se apprezzi il buon cibo e la bella musica questo è tutto fuorché un 'postaccio'.” l’ex guardia di Giardino Radioso gli posò una mano sulla spalla che il ragazzo scostò immediatamente e con malcelata stizza nonostante il volto inespressivo.

“Oh beh, fa come ti pare allora. Ci si vede.” concluse Xigbar incrociando le braccia dietro la testa e prendendo a canticchiare tra sé e sé, mentre attraversava il portale oscuro.

 

In the South Land, there's a city, way down on the river ♪

Where the women are very pretty, and all the men deliver~

They got music, it's always playin' ♪

Start in the day time, go all through the night~”

 

Saïx scosse il capo, infastidito dalla leggerezza con cui i suoi colleghi prendevano i loro doveri verso l’Organizzazione e stava per seguirlo quando un fruscio alle sue spalle lo convinse a voltarsi.

Girò la testa lentamente, come se l'idea che qualcuno potesse avere l'audacia di attaccarlo alle spalle gli fosse inconcepibile.

La palude era afosa nel rossore del tramonto e il gracidare delle rane s'era fatto più forte adesso che il chiacchiericcio dei tre Nessuno era cessato.

Stella sentì i suoi occhi gialli scandagliare il sottobosco limaccioso e s’irrigidì quando si soffermarono sulle felci che la nascondevano. 

La mano che teneva ancora premuta sulla bocca le scivolò sul petto mentre un dolore sordo le stringeva il cuore.

Come lei, anche Isa era cresciuto in quei tre anni. I suoi lineamenti s’erano fatti più duri, i capelli più folti e lunghi, le spalle più ampie. Il suo volto inespressivo e malamente bendato a nascondere una ferita potenzialmente mortale gli ricordava quello sfregiato di Braig. Ma se quest’ultimo era un energumeno grande e grosso e con un buon motivo per prendere parte ai piani nefasti dell’Organizzazione, Isa s’era trovato invischiato in quel brutto affare solo per colpa sua. 

Il fatto che fosse rimasto ferito così gravemente era colpa sua.

Un ragazzo così giovane non avrebbe dovuto far parte di un gruppo così losco e dalle mire così oscure, anche se non era più un essere umano. 

Cosa sarebbe successo se l’avesse vista..?

L’avrebbe riconosciuta oppure il diventare un Nessuno l’aveva privato di pezzi della sua memoria? 

Stella voleva alzarsi da quella pozza di fango e correre ad abbracciarlo, trascinarlo via da quel portale nero che sembrava una bocca spalancata pronta a divorarlo. 

Un piano sconsiderato prese forma nella sua testa. Potevano fuggire insieme, lontano da New Orleans, magari in un mondo completamente diverso… se Braig poteva usare quei portali, allora di certo poteva farlo anche Isa... e una volta al sicuro avrebbero trovato un modo per sottrarre anche Lea dalle grinfie dell'Organizzazione…!

Non poteva sopportare l’idea che li accadesse qualcosa di terribile per causa sua!

Fece per alzarsi, determinata ed avventata come soltanto una ragazza preda delle pulsioni incontrollate del proprio cuore sa essere, ma prima che potesse uscire dal proprio nascondiglio o pronunciare una sola parola, un paio di mani guantate di viola l’afferrarono da dietro, coprendole la bocca e trascinandola in un portale oscuro che s’era appena spalancato sotto i suoi piedi.

Saïx tornò a guardare in quella direzione, corrucciando appena le sopracciglia e tendendo istintivamente la mano per evocare la sua Claymore ma la lasciò immediatamente ricadere lungo il fianco quando la fonte del rumore si rivelò essere un grosso serpente verde pallido che strisciava in mezzo all’erba alta.

Juju inarcò la testolina triangolare, fissando gli occhi grandi e dalle pupille affilate come spilli contro quelli del ragazzo vestito di nero.

Saïx si lasciò sfuggire un sospiro, voltando le spalle all’animale e scomparendo oltre il portale in una folata d’oscurità violacea.

 

°°°

 

Stella e il suo rapitore si materializzarono sulla sponda opposta dello stagno e la ragazza si divincolò preda di una paura così schiacciante e viscerale che la portò ad evocare il suo Keyblade e ad utilizzarlo per colpire alla cieca qualunque fosse la cosa che la stava ancora trattenendo.

Nessuno l'avrebbe fatta di nuovo prigioniera. NESSUNO!

Il Simile uggiolò di dolore, sgusciando lontano da lei con aria risentita, l’elmo a scodella che nascondeva la bocca zigrinata e contratta in una smorfia.

“Maledizione!” Imprecò lei tagliando l’aria con una sferzata colma di frustrazione. “Avresti dovuto lasciarmi stare, stupido manichino che non sei altro!”

Il Nessuno si smaterializzò davanti ai suoi occhi per riapparire appostato su un albero poco distante, continuando a fissarla col suo unico occhio munito di sistema di puntamento.

Ancora fumante di rabbia, la ragazza serrò le dita attorno all’impugnatura del Keyblade facendosi sbiancare le nocche. Poi, trasse un profondo sospiro, cercando di calmarsi.

“Scusami. Lo so che esegui soltanto gli ordini di Braig.” aggiunse poi, a denti stretti. “Ma non immaginavo di essere sotto sorveglianza continua. Mi sembra quasi di essere tornata in cella!”

Il Cecchino inclinò la testa con fare confuso, era chiaro che non avesse la minima idea di che cosa stesse parlando. Del resto, di Simili come lui ce n’erano a migliaia e soltanto perchè tutti rispondevano ai comandi di Braig non significava che condividessero con lui memorie e conoscenze. Il N°II dava loro dei compiti da svolgere e loro obbedivano, come bravi soldatini. Niente di più.

Luce Stellare le svanì tra le dita in un bagliore argentato e lo stesso fece il Nessuno appollaiato sull’albero. Ritrovatasi di nuovo sola in compagnia delle lucciole, si prese un attimo per riflettere seriamente su quel che era successo e si domandò se Braig avrebbe preso qualche provvedimento adesso che i suoi colleghi dell’Organizzazione avevano iniziato a frequentare il mondo in cui l’aveva nascosta.

Con quel pensiero fisso in testa e mille dubbi ad attanagliarla, la ragazza fece dietro front diretta verso la fermata della corriera, decisa a tornare in città. Aveva davvero bisogno di distrarsi un pò.



 

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Il fatto che Luxu abbia 3 nomi (4, se aggiungiamo anche Khama) sta diventando un pò complicato da gestire quindi mi sono messa delle regoline. Nella narrazione, userò sempre il nome che corrisponde al suo stato attuale: se è un Nessuno lo chiamerò Xigbar, se è umano lo chiamerò Braig. Tornerò a chiamarlo Luxu solo dopo gli eventi dell’Epilogo.

Gli altri personaggi invece useranno i vari nomi in base alla loro esperienza.

  • Skuld lo chiama Braig perché è così che lo ha conosciuto. Anche quando lui è un Nessuno, non lo chiama mai Xigbar.

  • Schad lo chiama Luxu quando sono da soli, altrimenti usa il nome adeguato alla sua situazione.

  • Sora e compagni lo chiamano sempre Xigbar.

  • I personaggi di BBS lo chiamano Braig.

  • I Veggenti e il Maestro ovviamente lo chiamano Luxu.

Alla prossima!!!
 

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Capitolo 31
*** χ Princesses ***


χ PRINCESSES χ
 
NOTA: Due paroline su cosa accidenti sta succedendo nell'Organizzazione e nell'universo in generale così chiarisco a che punto della storia siamo arrivati.
  • Siamo qualche anno prima di KH1.
  • Vexen non ha ancora creato le sue repliche.
  • Non tutti i membri dell'Organizzazione sono stati reclutati (mancano ancora Luxord, Marluxia, Larxene, Roxas e Xion).
  • Ansem ha mandato Kairi alle isole del Destino ( come rivelato nell'Ansem Report 11, in KH1) in cerca del 'custode della chiave'.
  • Giardino Radioso è caduto preda dell'Oscurità e Malefica ne ha preso il controllo con i suoi Heartless.
  • L'Organizzazione sta mettendo in atto il suo piano di creare un Kingdom Hearts artificiale ma ancora non possiedono un membro in grado di usare il Keyblade quindi i cuori che stanno accumulando sono solo quelli liberati dal solo custode ancora in circolazione, che a questo punto della storia è Re Topolino, visto che Aqua è intrappolata nel Dark World, Ventus è addormentato nel Castello dell'Oblio e Eraqus è kaput.
Okay, tutto chiaro? LET'S GO!
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When my fist clenches, crack it open,
Before I use it and lose my cool.
When I smile, tell me some bad news,
Before I laugh and act like a fool.
And if I swallow anything evil,
Put your finger down my throat.
[Behind Blue Eyes - The Who]


“TIANA, STELLA E’ FANTASTICO! SEMPLICEMENTE FAN-TA-STI-COOO!” la voce da gallinella strozzata di Charlotte fece sobbalzare le due ragazze sedute placidamente nel salottino tappezzato di rosa della magione dei La Bouff.

“Avete saputo?! Eh? Ditemi, non è fantastico?!”

Stella e Tiana si scambiarono un’occhiata confusa. Erano abituate ai modi esagitati della bionda ma la ragazza che si era precipitata nella stanza in quel momento era ben più euforica di quanto Charlotte lo fosse di solito.

“Cosa sono quelle facce lunghe? Non avete sentito?! Il Principe Naveen di Maldonia arriverà a New Orleans questo sabato! Oh, per Dio, non sapete quanto ho aspettato questo momento!”

Tiana inarcò un sopracciglio “...Maldonia? Mai sentita nominare. Sei sicura che non sia tutta una balla?”

“Oh no, no no! Ho controllato, cosa credete?! Sono una tipa esigente io, e Naveen è assolutamente un reale di sangue blu, bluissimo anzi!”

“Sai almeno com’è fatto?” chiese Stella, incapace di nascondere un sorriso. Charlotte la metteva sempre di buon umore con la sua smodata fissazione per la nobiltà. Tiana le aveva confidato che sin da quando erano bambine, Charlotte insisteva che prima o poi avrebbe sposato un vero principe e vissuto una vita da sogno in un castello in qualche esotico regno oltreoceano. E nonostante ormai fosse quasi un’adulta, non aveva assolutamente intenzione di lasciarsi alle spalle quell’obiettivo così fiabesco e fidanzarsi con uno dei tanti spasimanti che le ronzavano attorno. Molti di loro, se non tutti, erano assurdamente ricchi ed attraenti, ma se un regno e una corona non erano inclusi nella lista di nozze per Charlotte era come se non esistessero.

La ragazza bionda saltellò fino a loro, lasciandosi cadere sul divano tra le due amiche ed estrasse un ritaglio di giornale dal corpetto rosa confetto “Certo che lo so! Guardate che schianto!”

“Non male.” si trovò ad ammettere Stella, osservando la foto in bianco e nero ritraente un baldanzoso giovane con capelli ed occhi scuri ed un sorriso a dir poco fotogenico. “Tu che ne dici, Tia?” chiese poi, rivolgendole un sorrisetto malizioso.

“Dico che di certo sembra il tipo da passare ore ed ore a lisciarsi i capelli con la brillantina prima di uscire.”

“Non dire sciocchezze Tia, di certo ha uno stuolo di servitori che si occupano del suo aspetto ogni santo giorno!”

L’afroamericana sbuffò “Scommetto che non sa nemmeno come spalmarla, la brillantina.”

“Suvvia Tia, lasciala sognare.” rise Stella restituendo la foto a Charlotte. Dopo quanto era accaduto nella palude solo una manciata d’ore prima, Stella non aveva voglia di sentire battibecchi. Aveva già troppe cose di cui preoccuparsi.

“E va bene…” acconsentì Tiana, traendo un sospiro rassegnato “Sentiamo un po’, cos’hai intenzione di fare per accalappiarlo? Perché è questo che vuoi, vero Lottie?”

“Certo che sì! Non vedevo l’ora che me lo chiedessi!” esclamò Charlotte battendo le mani “Gran Papà ha già pensato a tutto, ma avrò bisogno anche del vostro aiuto!” proseguì, passando un braccio attorno al collo delle due ragazze e attirandole a sé in un abbraccio caloroso “Ho del lavoro per voi!”

“Sabato ho da fare al Casey’s Corner-” tentò di tirarsene fuori Tiana, ma la bionda l’anticipò.

“Nessun problema, Gran Papà manderà qualcuno a sostituirti! Tu mi servi in cucina sabato sera, ragazza mia! Ovviamente ti pagheremo per il disturbo!”

Gli occhi scuri della cameriera presero a brillare “Sono tutt’orecchi. Di cosa hai bisogno?”

“Tanti bignè! Ma proprio tantissimi! Il party di sabato sarà una vera bomba, la lista degli invitati è sterminata e ci saranno fuochi d’artificio, prelibatezze d’ogni genere e ovviamente…” Charlotte pizzicò Stella sulla guancia “...e ovviamente la miglior intrattenitrice da cabaret di tutta New Orleans!”

“Questo sabato?!” sobbalzò la mora, colta alla sprovvista. “Ma non ho un repertorio adatto ad una cena di gran classe, Lottie…”

“Oh, non preoccuparti! Visto che Mardi Gras è alle porte Gran Papà ed io abbiamo deciso di organizzare qualcosa di… come dire? Un tantinello più pittoresco! Sarà una festa in maschera e l’accompagnamento musicale che abbiamo in mente è il jazz preso direttamente dalle strade, duro e puro! Ma ovviamente prepara anche qualcosa di lento e sexy per quando io e Naveen balleremo, perché succederà, oh sì! Dovesse cascare il mondo!”

“Hai pensato veramente a tutto, Lottie. Sono impressionata.” ammise Tiana liberandosi dal suo abbraccio soffocante. “Puoi contare su di noi, vero Stella?”

"Assolutamente." annuì la mora, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Però... non ti preoccupa che quelle creature con gli occhi gialli possano rovinare la festa? Stanno diventando sempre più numerose."

"Figurarsi se mi lascio scoraggiare da una minuzia del genere." Sospirò Charlotte "Avremo uno stuolo di buttafuori larghi come armadi ad ogni porta e... oh! Tia, prima che me lo dimentichi! Al party ci saranno anche i fratelli Fenner dell’agenzia immobiliare, dovresti approfittarne per fare la tua offerta per lo zuccherificio!”

Gli occhi color cioccolata dell’altra s’illuminarono, ma sulle sue labbra carnose s’aprì un sorriso mesto “Non ho abbastanza soldi per fare un’offerta competitiva, Lottie…”

“Li avrai dopo il servizio di catering, puoi starne certa.” ribatté Lottie incrociando le braccia “Gran Papà sarà mooolto generoso, te l’assicuro. E poi, di che ti preoccupi? In un paio di giorni sarò sposata con un futuro sovrano! Potrai avere tutti gli zuccherifici che vuoi!”

“Ma che principessa magnanima.” la prese in giro Stella, tornando poi a rivolgersi a Tiana con rinnovata serietà “Scherzi a parte, non dovresti farti sfuggire quest’occasione. E non dimenticare che anch’io sono interessata ad investire nel tuo ristorante, sarebbe un onore per me potermi esibire lì.”

Tiana fece rimbalzare lo sguardo tra le due amiche visibilmente commossa dal loro supporto incondizionato “Lo so che avete buone intenzioni ma non voglio la carità di nessuno-” tentò di protestare, ma la mora la interruppe “Te l’ho detto, Tia. Io voglio diventare tua socia, altro che carità! E poi devo dimostrare a Braig che so cavarmela da sola, fa parte dei nostri patti, in un certo senso.”

“A proposito, anche il Signor Braig è invitato, ovviamente.” sorrise Charlotte, porgendo a Stella un'elegante busta chiusa con un sigillo di ceralacca. “E’ in città o fuori per lavoro come al solito?”

“E chi lo sa.” sospirò la mora rigirandosi la lettera tra le dita con fare pensieroso “Ha la brutta abitudine di sparire con allarmante frequenza.”

“Sai Stella, non ho mai capito esattamente come stanno le cose tra di voi.” buttò lì Charlotte, approfittando come di consueto per ficcare il naso nei suoi affari. “Gran Papà dice che non dovrei impicciarmi ma come si fa a non essere curiosi quando una delle tue migliori amiche ha un tutore così… mmh….”

“...losco?” sogghignò Stella.

“Sì! Cioè... NO! No, non volevo dire questo!”

La mora scoppiò a ridere “Non preoccuparti Lottie, nessuna offesa. Nemmeno da parte di Braig, te l’assicuro. E per quanto riguarda la tua domanda, beh, non c’è molto da dire. Non mi ha preso sotto la sua tutela perché è un uomo di buon cuore, sta semplicemente facendo il suo lavoro. E’ stato il suo…” Stella esitò, pensando a quale fosse il termine più adatto da utilizzare in quel contesto. ‘Superiore’ le balenò in testa, ma scartò immediatamente quella parola perchè le riportava alla mente Xehanort. “...il suo capo ad essersi interessato a me. Non l’ho mai conosciuto, ma immagino dovesse essere un…” ancora una volta si trovò a tentennare alla ricerca di una spiegazione plausibile da offrire a Charlotte “...amico della mia famiglia o qualcosa del genere.”

“Diamine, è più complicato di quanto pensassi.” mise il broncio la bionda.

“Non siamo tutte nate nella bambagia come te, Lottie.” la stuzzicò Tiana bonariamente.

“Ed è per questo che vi voglio vedere entrambe al meglio di voi.” ribatté lei alzandosi in piedi, diretta verso l’enorme armadio pieno di vaporosi abiti da sera che Eudora, la madre di Tiana, aveva confezionato per Charlotte sin da quando era bambina.

“Se non si nasce principesse, allora lo si diventa! Venite dai, dovete trovare qualcosa di elegante da mettere! E’ una festa in maschera, dopotutto, possiamo sbizzarrirci!”

Stella e Tiana si scambiarono un’occhiata divertita prima di raggiungere Charlotte che stava già mettendo a soqquadro l’armadio tirando fuori una sottogonna a balze dopo l’altra.

“Hai qualcosa di nero?” indagò Stella, raccogliendo un vestito rosa confetto dal pavimento con malcelato disgusto. Quella roba piena di fiori e fiocchi non faceva per lei.

“NERO?! E’ un ballo, non un funerale!” esclamò Charlotte, scioccata.

“Il nero è di gran classe, Lottie. E non passa mai di moda.” le rammentò Tiana scherzosamente.

“Mmmh forse ho qualcosina… roba di mia nonna…”

Stella rise di cuore, aiutando Tiana a riordinare il cumulo di abiti pastello che si stavano impilando sul tappeto mano mano che Charlotte scavava nei meandri del suo sconfinato guardaroba.

“Che ne dici di questo, Tia? Il giallo ti dona un sacco!”

L’afroamericana si provò l’abito da cortigiana medievale contro il corpo, guardandosi allo specchio “Non male, pratico e colorato, come piace a me.”

“Eh lo so, ti conosco troppo bene.” Si vantò Lottie “Oh-oh! Aspetta, ho trovato! Guarda un pò questo, Stella!”

Charlotte si voltò con un sorrisone a trentadue denti stampato in faccia, sollevando un lustro tubino da charleston dai ricami intricati e una pioggia di paillettes argentate sugli orli. Aveva due file di frange nere sul retro della gonna lunga fino al ginocchio ma nell’insieme era esattamente quello che Stella aveva in mente: elegante ma sbarazzino, sobrio nel suo essere nero ma acceso dagli specchietti e dalle perline che sembravano disegnare un collier di diamanti attorno alla scollatura.

“E’ bellissimo, Lottie!” Esclamò lei, prendendo la gruccia dalle mani della bionda per provarselo davanti allo specchio. Nel momento in cui voltò l’abito alla ricerca della zip però, il luccichio negli occhi della ragazza dai capelli neri svanì.

“E’ troppo aperto sul retro?” chiese Tiana, sempre la più perspicace quando si trattava di capire perchè Stella si rabbuiasse.

Lei restituì il vestito a Charlotte che invece la fissava confusa “Non posso metterlo, la scollatura sulla schiena è troppo profonda. Si vedrebbe la cicatrice.”

“Oh, giusto. L’avevo completamente dimenticato…” si scusò la bionda mordendosi il labbro inferiore. “Vediamo se trovo qualcos’altro…”

“Non ce n’è bisogno, Lottie. Davvero. Posso mettere uno dei miei soliti vestiti…”

“Nemmeno per sogno, ti voglio vedere tutta in ghingheri! Non lo faccio per me, Stella… voglio vedervi contente, tutte e due!” insistette la padrona di casa, incrociando le braccia “Principesse per una serata, tutte e tre, com’è giusto che sia! Non ci meritiamo niente di meno!”

Il sorriso tornò a riaffiorare sulle labbra della ragazza proveniente dal passato “Beh, potrei trovare una giacca da portare sopra, magari con un collo di pelliccia…”

“Adesso ragioniamo!” tornò ad eccitarsi Charlotte “Vediamo cos’ho!”

Mentre lei si ficcava nuovamente nell’armadio, Tiana raggiunse Stella dall’altra parte della stanza, rivolgendole un sorriso incoraggiante “E’ davvero un bell’abito, Stella. Dovresti indossarlo così com’è e al diavolo quella cosa che hai sulla schiena.”

Stella abbassò lo sguardo, pensierosa.

Tiana ricordava bene con quanta sorpresa lei e Charlotte avevano reagito la prima volta che, durante una torrida giornata d’estate, avevano intravisto il marchio bruciato sulla pelle chiara dell’amica. Erano uscite per una passeggiata lungo il Mississippi e un gruppo di ragazzacci s’era messo a tirare secchiate d’acqua alle sfortunate giovinette di passaggio per dare una sbirciata ai loro indumenti intimi una volta che i vestiti di lino leggero s’inzuppavano per bene.

Imbarazzate e furiose, le ragazze erano corse a casa di Tiana più in fretta che potevano e, mentre Eudora metteva i loro abiti ad asciugare, le tre si erano cambiate nella stessa stanza. Non notare e non commentare il cuore alato che campeggiava sulla schiena di Stella era stato semplicemente impossibile.

Come molte altre cose che la riguardavano, anche quel curioso tatuaggio era un mistero e qualcosa di cui Stella non amava parlare. Ma qualche tempo dopo l’accaduto, aveva confessato a Tiana di non avere la minima idea di come fosse finito impresso sulla sua pelle e di cosa significasse. E la cosa frustrava Stella da morire perchè persino il Signor Braig si rifiutava categoricamente di fornirle qualsiasi spiegazione al riguardo.

Stella riprese in mano l’abito nero e argento, sfiorando le paillettes con la punta delle dita. Si vedeva lontano un miglio che moriva dalla voglia di provarlo.

Tiana la incoraggiò con una pacca sulle spalle “Dai, mettilo! Vediamo come ti sta!”

La mora le rivolse un’occhiata colma di gratitudine.

Era soltanto uno stupido disegno sulla pelle, dopotutto. Una ferita, come quella sul volto di Isa.

Lui non avrebbe potuto nasconderla in alcun modo una volta cicatrizzata. L’avrebbe dovuta mostrare ogni volta che guardava in faccia qualcuno proprio come faceva Braig.

E lui sfoggiava le proprie ferite con una buona dose d’orgoglio.

“Lividi e cicatrici dimostrano che hai affrontato qualcosa di brutto e sei sopravvissuta per raccontarlo.” le aveva detto una volta, mentre si allenavano nella palude immersi nell’acqua limacciosa fino alle ginocchia. Uno dei suoi proiettili l’aveva appena colpita sulla guancia, lasciandovi un livido grosso e bluastro che il Nessuno si rifiutò di curare con un incantesimo prima che la sessione d’allenamento fosse finita.

“Dimostrano che sei diventata più forte. È meglio poter sfoggiare una mappa di cicatrici sul corpo che ricevere una sola, letale pugnalata al petto.”

"A meno che tu non sia un Nessuno senza un cuore da trafiggere." Aveva scherzato lei, bloccando la successiva raffica di proiettili luminosi con un fluido movimento del polso, Luce Stellare che vibrava nelle sue mani.

"Come pensi che Xehanort mi abbia sottratto il cuore, eh, Stellina?" Braig aveva sogghignato, premendosi la mano guantata sullo sterno "Un colpo di Keyblade, dritto qui in mezzo. Avrei di gran lunga preferito un'altra bella cicatrice sulla guancia, te l’assicuro."

°°°

Xigbar serrò le dita sui braccioli del seggio bianco situato a metri e metri da terra nella sala circolare.

Era la terza volta in due giorni che Xemnas li faceva convocare tutti lì.

Xaldin gli scoccò un'occhiata interrogativa prima di tornare a fissare il Superiore, quasi sperasse che il N°II fosse al corrente di qualcosa di cui lui invece era all’oscuro.

“A cosa dobbiamo l’onore, stavolta?"

“Questa riunione è stata convocata su richiesta di Vexen.” rispose il N°I mentre l’ex ricercatore di Giardino Radioso si schiariva la gola con un colpetto di tosse.

“Sarò breve.” Esordì, raddrizzandosi contro la pietra bianca dello schienale “Abbiamo ragione di credere che un custode del Keyblade stia agendo nei Mondi a nostra insaputa. C’è un nuovo flusso di cuori provenienti dal Mare d’Oscurità che si sta incanalando nei nostri sistemi."

Demyx alzò lo sguardo dall’orlo della manica con cui stava distrattamente giocherellando “Non potrebbe essere ancora quel topastro?”

“Improbabile. Teniamo sotto osservazione le attività del Re ormai da anni, questo è diverso.” s’intromise Zexion, fissando il biondo attraverso la frangia di capelli argento. Il Nessuno che era stato il giovanissimo apprendista di Ansem il Saggio sembrava una minuscola macchia d’inchiostro sull’imponente trono immacolato, ma la sua voce atona era forte e chiara. Era poco più che undicenne quando le stesse persone che l’avevano preso sotto la propria ala gli avevano asportato il cuore dal petto, trasformandolo in un guscio senz’anima che continuava a muoversi, parlare e crescere senza provare alcuna emozione.

Xigbar s’era domandato più volte se una volta tornato umano, il piccolo Ienzo sarebbe regredito alla condizione di bambino brillante e fiducioso a cui i suoi ‘tutori’ l’avevano strappato ormai quasi tre anni prima o se la sua esistenza come Nessuno si sarebbe fusa al suo cuore perduto creando quella che era a tutti gli effetti una nuova personalità.

Perbias probabilmente avrebbe saputo rispondere a quel quesito. Del resto, non aveva fatto altro che giocare con i cuori dei suoi apprendisti sin da quando erano bambini. Xigbar non s’era sentito poi così diverso quando era tornato in possesso di quel frammento di cuore che, ad insaputa di tutti, il loro subdolo Maestro aveva preso in prestito e tenuto in una boccetta sottovuoto per quasi un decennio… ma era anche vero che lui non aveva tenuto per sé quella scheggia molto a lungo. Forse, pensò Xigbar, la sua intera vita sarebbe andata diversamente se fosse stato un tantinello più egoista.

In ogni caso, la sua esperienza non gli forniva alcun indizio utile per speculare sulla futura condizione di Zexion e lui non s’era mai reputato uno scienziato né chissà quale grande pensatore. Ciò non toglieva che vedere quel ragazzino così giovane e così serio lì in mezzo a loro avesse del surreale.

Ma in quel momento, Xigbar aveva ben altre cose di cui preoccuparsi.

“E com’è esattamente che siete giunti alla conclusione che c’è un altro custode in circolazione?” indagò, inarcando un sopracciglio.

Vexen esitò, scambiando con Xemnas un’occhiata interrogativa, come per chiedere il permesso di divulgare all’intero gruppo un’informazione fino a quel momento rimasta classificata.

Il Nessuno dai capelli bianchi prese le redini della conversazione “Ogni giorno siamo un passo più vicini all’attuazione del nostro piano. Il canale non è ancora del tutto stabile, ma adesso siamo in grado di deviare il flusso di cuori liberati dal Keyblade e farli convergere qui, al Castello che Non Esiste.”

“Far convergere i cuori…?” gli fece eco Xaldin sfregandosi la mascella quadrata “Per evocare Kingdom Hearts?”

“Esattamente.” annuì Xemnas “Così che esso possa restituire a noi ciò che ci appartiene. Ma per riuscirci abbiamo bisogno di molti più cuori. Se potessimo raccoglierli noi stessi non sarebbe così arduo...” fece una pausa “Per questo dobbiamo scoprire l’identità di questo nuovo Custode. E portarlo tra le nostre fila.”

Nell’udire quelle parole, Xigbar nascose un sorriso gelido. Era il solo in quella stanza a sapere che il Superiore non avesse fatto altro che raccontare una balla dopo l’altra in quegli ultimi tre anni. E il solo a sapere che la persona che Xemnas stava cercando fosse la stessa ragazzina che gli era svanita sotto il naso già una volta.

Il vero scopo dell’Organizzazione XIII non era mai stato evocare Kingdom Hearts… quella cosa nebulosa che stava prendendo forma sulle guglie del castello altro non era che una sua patetica imitazione, ma del resto cos’altro potevano sperare di creare dei fantocci senza cuore come loro?

Un gruppo di Nessuno non aveva alcuna possibilità di comprendere il cuore, figurarsi essere in grado di evocare la sua manifestazione suprema. Il semplice fatto che nessuno tra loro avesse obiettato che ricreare scientificamente qualcosa di imprevedibile come il cuore umano fosse un’idea assurda, era la prova che erano esseri dotati soltanto di arido intelletto, senza un briciolo d’istinto o sesto senso.

Un essere umano… un Qualcuno… l’avrebbe capito.

Avrebbe capito che i cuori che Xemnas stava raccogliendo non sarebbero stati usati per restituire loro le vite che li erano state sottratte.

Un Qualcuno avrebbe capito che Xemnas voleva tenerli in quella condizione il più a lungo possibile. Vuoti ed obbedienti.

Meri contenitori in attesa di essere riempiti.

“Quindi qual’è il piano, Xemnas?” sbottò Axel, accavallando le gambe magre sotto la tunica nera “Piantiamo in asso tutto quello che stavamo facendo e ci mettiamo a cercare questo presunto custode?”

“Completare Kingdom Hearts è la nostra priorità. E non possiamo farlo senza un Keyblade.” rincarò Saïx senza nemmeno volgere lo sguardo in direzione del vecchio compagno di marachelle.

Axel si stiracchiò tronfiamente “Abbiamo almeno una pista?”

“Se Xigbar e Demyx ci facessero la cortesia di aggiornarci sui recenti sviluppi nel Mondo chiamato New Orleans...”

Il Nessuno più giovane trasalì nel sentirsi chiamare in causa mentre Xigbar non ebbe alcuna reazione evidente.

“Oh sì, giusto… il rapporto della missione di ricognizione… datemi soltanto un secondo…” farfugliò Demyx frugando nelle tasche della cappa nera alla ricerca di uno sgualcito blocco di appunti.

“Gli Heartless si stanno moltiplicando,” disse asciuttamente Xigbar, sporgendosi in avanti perché tutti, anche i nuovi membri seduti sui seggi più in basso, potessero vederlo “sotto l’influenza di uno stregone conosciuto da quelle parti come l’Uomo-Ombra. Un’opportunità gli si è presentata in guisa di un principe tanto ricco quanto tonto e l’ha colta al volo. Si sta muovendo per mettere in atto i suoi piani, ma essi non sono di alcun interesse per noi se non fosse per il fatto che in quel mondo si sta concentrando un numero particolarmente alto di Heartless, alcuni dei quali molto potenti.”

“Sì, esatto, come dice Xiggy.” rincarò Demyx, sfogliando il suo taccuino “Niente da riferire oltre a questo.”

“Sei sicuro, Demyx?” insistette freddamente Vexen inarcando un sopracciglio, le labbra sottili tirate in un’espressione indecifrabile.

“Sicurissimo!”

“Confido che ci terrete aggiornati.” asserì Xemnas "Nella speranza che questo nuovo flusso di cuori ci conduca da colui che brandisce la chiave. Vexen, ci sono notizie della bambina?"

Lo scienziato incrociò le braccia, le dita affusolate che sparivano nelle maniche lunghe "L'abbiamo rilevata per l'ultima volta due settimane fa alle Isole del Destino e Lexaeus e Zexion si sono recati sul posto per confermare la sua presenza. Anche se è difficile metterla a fuoco con i nostri strumenti, continueremo a monitorarla… lei e i due ragazzini che l'accompagnano, s'intende. Nessuno dei due ha ancora dimostrato il KBP, ma abbiamo ragione di credere che lo faranno presto."

Demyx ascoltò l'intera conversazione con un'espressione così confusa e persa stampata in voto che Xigbar dovette sforzarsi di non sorridere. Forse il suo cuore stava crescendo persino troppo in fretta!

"La riunione è conclusa. Tornate pure alle vostre mansioni." Concluse Xemnas gravemente e i vari Nessuno dell’Organizzazione XIII iniziarono a lasciare i loro seggi, venendo avviluppati in una colonna di tenebre uno dopo l’altro.

"Non tu, Xigbar."

Il Nessuno col volto sfregiato si abbandonò di nuovo contro lo schienale, ricacciando indietro il corridoio oscuro che aveva appena iniziato ad aprire. E ti pareva.

Rimasti soli nella sala circolare, i due uomini in nero rimasero immersi in uno snervante silenzio per alcuni istanti. Poi, il Superiore riprese a parlare. "Se quel che Vexen sostiene è la verità, allora il Cercatore dell'Oscurità presto farà il primo passo. Dobbiamo prepararci.”

"L'altro voi stesso?"

"Il cuore ottenebrato dell'individuo di cui io sono il Nessuno."

"Potete anche chiamarlo per nome. Eravamo grandi amiconi, io e il vegliardo.” sbottò lui. Xemnas aveva sempre avuto la brutta abitudine di essere verboso oltre l’inverosimile. “Beh… cosa volete che faccia?"

"Trova un custode del Keyblade, uno qualsiasi. Il tempo stringe."

"Cosa pensate che abbia fatto per tutto questo tempo? Non crescono esattamente sugli alberi."

"Xaldin ne ha trovato già uno, anche se il suo potenziale é.. discutibile."

Xigbar sollevò le sopracciglia, genuinamente sorpreso. Era stato Xaldin a reclutare Demyx qualche mese prima, ma Xigbar non aveva idea che... "Il N°IX... è un custode?"

"Ha il KBP, ma non sappiamo altro. Non soffre d’amnesia, ma a parte questo non c’è niente di rimarchevole in lui. Non ha alcun talento o predisposizione, nessuna utilità sul campo." proseguì Xemnas, freddamente. Quel che aveva appena detto poteva essere considerato un insulto, ma il suo tono così piatto e asettico lo faceva sembrare una verità scientifica ed incontestabile.

“Sembra quasi che siate deluso dalla nuova recluta.” gli fece notare Xigbar “Vi aspettavate di assemblare un all-star-team? Dobbiamo prendere quel che ci manda la sorte, non credo possiate permettervi di fare lo schizzinoso.”

Il Superiore annuì, serrando le dita guantate sui braccioli del trono. “In ogni caso, adempierà al suo compito come tutti gli altri. Un contenitore è sempre un contenitore.”

Xigbar sbuffò, e il suo occhio giallo sembrò luccicare sinistramente nell’ombra del cappuccio. “Esattamente.”



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Altra nota post-lettura:
KBP = KeyBlade Potential. L'Organizzazione usa acronimi piuttosto buffi come RTC e ho pensato fosse carino ne avessero uno anche per quest'occasione ;) Nei capitoli precedenti, Xigbar ha aiutato Skuld a recuperare il proprio Keyblade dandole specificatamente il compito di tenere a bada gli Heartless nel mondo in cui si trova, perciò l'influsso di cuori 'extra' rilevato dalle strumentazioni del laboratorio di Vexen proviene da lei, anche se ovviamente i nostri cattivoni non lo sanno ad eccezione di Xigbar che sarà obbligato a prendere provvedimenti se vuole tenere Skuld nascosta... almeno finché non arriverà Sora sulla scena.

Con questo capitolo si conclude (per ora!) la parte 'χ' della storia in quanto mi sembra stupido proseguire con l'introduzione di Luxord e l'approfondimento di Demyx dato che Re:Mind è ormai alle porte e Nomura ci ha promesso rivelazioni su questi due personaggi in particolare. Continuerò ad aggiornare con i capitoli riguardanti il Maestro e i Veggenti ma non torneremo a Luxu e Stellina se non dopo l'uscita del DLC. Grazie mille per aver seguito questa storia fino a qui e buon Dicembre/Natale a tutti!
- Calia

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Capitolo 32
*** ✭ Time for Answers ***


NOTA: Ciao a tutti e ben ritrovati. Siete eccitati quanto me per Re:Mind? Bene!
Oggi vi presento un nuovo capitolo ambientato nell'Era delle Fiabe così che possiamo dribblare i punti dolenti della trama che potrebbero essere rivelati o come minimo, sfiorati, il prossimo Gennaio. Nel frattempo spero che la mia interpretazione (ben poco canonica! XD) del passato del nostro buon Maestro dei Maestri vi sappia intrattenere finchè Nomura non ci comunicherà la sua versione de fatti. Buona lettura e buone feste!
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✭ TIME FOR ANSWERS ✭


 
We are Atlantis.
[ Matthew Tobin Anderson ]

Luxu era l’ultima persona al mondo ad aver paura dell’altezza, ma raramente gli capitava di camminare su un traballante ponte di corda sospeso sopra un’immensa distesa di lava bollente.

Una zaffata di calore più intensa delle altre fece gonfiare il drappo di stoffa ricamata d’oro che la donna mascherata gli aveva offerto per coprirsi e questo gli ricadde dritto sugli occhi, strappando una risata alla sua accompagnatrice.

“Dovresti legarlo in vita, non portarlo sulle spalle.” lo redarguì lei, tirandogli la stoffa via dalla faccia. “Devi davvero venire da un’altro Mondo per non sapere come s’indossa un abito così semplice, ”

“Signora… posso farvi una domanda?” azzardò lui, voltandosi indietro per assicurarsi che Mava fosse ancora al sicuro tra le braccia di uno dei soldati che li scortavano. Era impossibile vedere dove stessero andando perchè il vapore generato dal continuo scrosciare di una dozzina di enormi cascate dritte nella pozza di lava sotto di loro offuscava l’aria tutt’intorno.

“Chiamami Kidagakash.” disse la guerriera, seguendo il percorso del suo sguardo “E non preoccuparti, non sarà fatto del male a te o alla tua compagna finché ci sarò io.”

“E’ un grande sollievo.” sospirò Luxu, tornando a fissarla “Come conoscete il Keyblade? E che cos’è questo ‘marchio’ di cui parlavate prima?”

La donna si accigliò “Lo porti, e non sai che cosa sia?”

“Non capisco cosa intendiate, non ho addosso marchi d’alcun tipo…” disse, passandosi in rassegna le braccia e il petto nudo, quasi s'aspettasse di trovarsi addosso un tatuaggio che non aveva mai visto prima “...non che io sappia, almeno.” Aggiunse poi, con un sorrisetto.

“Non si vede ad occhio nudo. E’ una cosa che s’imprime sul cuore delle persone e, in alcuni casi, nel loro nome.”

“Ma a che cosa serve? Non capisco.”

“Dipende, il suo utilizzo è cambiato nel corso del tempo. Nella maggior parte dei casi però è un simbolo di infamia per identificare i traditori e i condannati. E far sì che vengano riconosciuti ovunque vadano, nel caso tentino di sfuggire alla loro sentenza.”

Luxu sgranò gli occhi. “E io avrei addosso una cosa del genere?! Ma non sono un criminale!”

“Ha altri significati, ovviamente. Ma nessuno indica qualcosa di particolarmente positivo. Ecco, guarda tu stesso.” così dicendo, Kida raccolse il pendente di cristallo che portava al collo e lo porse al ragazzo, tendendo il cordino di cuoio. “Toccalo.”

Lui obbedì, esitante, e nel momento esatto in cui le sue dita sudaticce sfiorarono la superficie gelida della pietra azzurra, un simbolo apparve chiaro e nitido davanti ai suoi occhi, come se l’avesse impresso sulla retina. Non importava in quale direzione guardasse, il marchio restava chiaro e splendente davanti a lui.

“Una X?

“...Ics?” gli fece eco la donna, confusa. “Oh, intendi 'Chi'... E’ così che si pronuncia. Il suo significato letterale é 'fine', 'conclusione'... persino 'morte', in certi contesti, come quando usato per marchiare i condannati."

Luxu ebbe la pessima idea di guardare in basso, rabbrividendo alla vista della roccia fusa nonostante la temperatura a dir poco intollerabile. Quelle parole gli riportarono alla mente una conversazione che aveva avuto con il Maestro durante la sua prima settimana alla Torre Meccanica.

Non ci aveva messo molto ad abituarsi al nuovo nome che Perbias gli aveva affibbiato, ma prima della volta in cui lui e Hafet si erano accidentalmente scambiati i quaderni, non si era mai posto il problema di come si scrivesse ‘Luxu’.

Così aveva improvvisato, e scritto il suo nome così come il Maestro lo pronunciava, ossia ‘Lushu’, sulla copertina.

Il fatto che Perbias avesse immediatamente notato il suo errore e si fosse preso la briga di correggerlo non gli era parso per niente sospetto allora, ma adesso che la ‘X’ nel suo nome si era rivelata essere ben più di una semplice lettera, l’apprendista non poté fare a meno di domandarsi che razza di mente malata dovesse avere il Maestro per architettare una cosa del genere alle spese di un bambino di otto anni.

Perbias s’era assicurato che fosse a conoscenza della presenza di quella X nel suo nome. Del fatto che l’avesse marchiato con lo stesso simbolo che si usa per stigmatizzare i traditori. Perchè diamine avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Lui, un traditore? Ma che diamine?!

Il piccolo gruppo procedeva spedito sul ponte di corda e la foschia iniziò finalmente a diradarsi, rivelando un’altura ricoperta di vegetazione lussureggiante e imponenti strutture di pietra grigia che sembravano cesellate nel crinale della montagna.

Se la sommersa Atlantica di Tritone era uno spettacolo semplicemente meraviglioso da ammirare, allora la perduta Atlantide era qualcosa di ancor più incredibile.

Tutto, nell’enorme città che emergeva a poco a poco dalla nebbia, trasudava di magnificenza mista a romantica decadenza e nostalgia. Imponenti idoli ricoperti di alghe e conchiglie facevano capolino dalle acque fumanti dell’isola sospesa sul mare di lava e, ovunque si volgesse lo sguardo, esso veniva catturato da qualcosa di antico e mistico, come un obelisco spezzato o la guglia di una torre su cui avevano fatto il nido creature volanti dall’aspetto preistorico e selvaggio.

Edifici più recenti ed una vivace piazza del mercato adorna di festoni sgargianti li attendevano all’estremità opposta del ponte e Luxu fu ben lieto di rimettere i piedi sulla terraferma non soltanto perché il ponte sospeso cominciava a dargli il mal di mare ma anche perché il selciato era ricoperto di brillanti tessere di pietra che andavano a comporre un meraviglioso mosaico di simboli ed animali fantastici.

L’arrivo di Kidagakash fu immediatamente salutato con calore dagli abitanti che interruppero le loro consuete mansioni per rivolgerle un cenno o un inchino per poi spostare lo sguardo su Luxu e farsi tutto d’un tratto seri e silenziosi come statue.

Lo stesso stupore che il ragazzo scorgeva nei loro occhi doveva essere impresso anche sul suo volto perché, più si guardava intorno, più si convinceva che la somiglianza tra il suo Maestro e quel popolo rimasto nascosto per chissà quanti secoli sul fondo dell’oceano non potesse essere una semplice coincidenza.

I cittadini di Atlantide erano accomunati dalla lustra carnagione scura e da lineamenti così affilati da sembrare sbozzati a colpi di scalpello, ma sfoggiavano anche un’altra curiosa caratteristica che Perbias non possedeva: avevano tutti i capelli bianchi.

E di certo non era per via dell’età, dato che persino i bambini e Kida, che aveva messo definitivamente da parte il mascherone, avevano liscissimi capelli serici.

Altri soldati armati di lance e pugnali ricurvi li raggiunsero nella piazza, additando Luxu e chiedendo spiegazioni che Kida fornì sbrigativamente nella sua lingua.

“Ci scorteranno da mio padre, non temere.” lo rassicurò lei rassettandogli alla bell'e meglio il drappo sulle spalle “Lascia parlare me, d’accordo?”

“Signora, io non so veramente-”

“Kida. Chiamami Kida.” gli rammentò lei con un sorriso ben più aperto ed amichevole dei precedenti. “Lo so che sei confuso, ma questo…” sollevò il Keyblade di Mava, che stringeva ancora saldo in pugno “...questa è la prova che tutte le mie teorie sono corrette.”

Lui s’accigliò “Che genere di teorie?”

La gente indietreggiò al loro passaggio, lanciando occhiate sospettose in direzione di Luxu e della ragazza dai capelli color lavanda ancora pesantemente addormentata tra le braccia della guardia.

Attraversarono un vicolo ombreggiato dalle fronde di alberi da frutto curiosamente sinuosi e raggiunsero un placido giardino pieno di stagni e fontane. L’erba e i fiori erano così verdi e succosi da sembrare gemme e Luxu quasi si sentì in colpa nel calpestarli mentre camminava.

“Tanto tempo fa, la nostra civiltà andò incontro ad un cataclisma terribile. Questa che vedi è una città ricostruita sulle rovine del nostro passato, quel che siamo riusciti a rimettere insieme di un’epoca ormai perduta. La nostra legge proibisce severamente il solo menzionare l’evento catastrofico che ci ha ridotti così.” spiegò lei con espressione addolorata. “So soltanto che da allora, armi come questa furono proibite e un’ala del palazzo reale fu sigillata. Mio padre sostiene che sia per il nostro bene, ma io non la penso così. Non più, almeno. Pensavo che le cose sarebbero migliorate con il tempo, ma non abbiamo fatto altro che cadere sempre più in basso e diventare sempre più ignoranti.” proseguì lei, serrando con evidente frustrazione la presa sull’impugnatura del Keyblade.

“Se il mio popolo sapesse quel che abbiamo perduto, quanta conoscenza, quanto potere abbiamo gettato via e dimenticato… non continuerebbe a trascinarsi nell’apatia, verso una fine lenta e inesorabile!”

Luxu sollevò le sopracciglia, colpito. Non s’aspettava che la donna s’aprisse così tanto nei suoi confronti, ma il tono della sua voce era così ispirato e colmo di determinazione che il ragazzo non potè fare a meno di empatizzare con lei.

“Per questo, devi dirmi com’è possibile che degli Estranei come voi siano entrati in possesso di Keyblade come questi. Credevo che il segreto della loro forgiatura fosse sparito con noi, sul fondo dell’oceano. Nessuno ad Atlantide è in grado di manifestarli, al giorno d’oggi. La tecnica fu prima proibita, poi dimenticata.”

L’apprendista si morse il labbro mentre i vari tasselli cominciavano ad incastrarsi a poco a poco nella sua testa. Non c’era altra spiegazione.

“E’ stato il mio Maestro a forgiarli. O meglio, ci ha insegnato… ci sta insegnando… a evocarli dal nostro cuore.”

Kida trasalì, gli occhi azzurri grandi e fissi contro quelli castani di Luxu “Il tuo Maestro? Chi è costui?”

“Vorrei tanto saperlo anch’io!” strepitò lui, preda di un’improvvisa e violenta frustrazione che spiazzò non poco la sua interlocutrice “Non siete l’unica ad essere stata tenuta all’oscuro di qualcosa, sono confuso e sorpreso quanto voi.” ammise, incrociando nervosamente le braccia sul petto “Quello che mi state raccontando va contro tutto quello che ho sempre creduto di sapere! Secondo il Maestro, non c’erano mai stati custodi del Keyblade prima di lui, ma se quello che dite è vero, se queste armi esistevano già al tempo del cataclisma che vi ha colpiti, allora non può essere vero. Quanto tempo fa è successo?”

Kida ci pensò su “Non ricordo bene. Ero molto, molto piccola.”

Luxu sbatté le palpebre. “Oh. Credevo fosse accaduto secoli fa, devo aver frainteso…”

“Altro che secoli, saranno passati come minimo sei o settemila anni.” sbuffò lei, soffiando via una ciocca di capelli bianchi dal viso angoloso “Ma so che voi Estranei non vivete a lungo quanto noi, perciò non mi stupisce che tu abbia pensato ad un lasso di tempo così breve.”

Luxu la scrutò da capo a piedi chiedendosi se stesse scherzando e le guardie si scambiarono un’occhiata divertita nell’osservare la sua reazione sconcertata. “State dicendo che siete così vecchia?! ...cioè, senza offesa! Ma com’è possibile?!”

La donna rise di gusto e ancora una volta, il lampo della sua dentatura bianca riportò alla mente di Luxu i sorrisi affilati di Perbias.“Grazie a questo.” rispose, sollevando l’amuleto di cristallo azzurro. “Tutti ne riceviamo uno alla nascita. Ci tiene al sicuro dalle malattie e rallenta il nostro invecchiamento. E’ un potente talismano. Ma non siamo qui per parlare di questo.” la sua espressione si fece nuovamente seria mentre con un cenno ordinava alla comitiva di fermarsi.

Avevano ormai raggiunto il lato opposto dei giardini e un’arcata ricoperta di piante rampicanti dai vivaci fiori amaranto li separava dall’aggraziato colonnato che conduceva alle porte del palazzo reale.

“Dimmi di più sul tuo Maestro. E’ chiaro che il suo ruolo in tutto questo sia la chiave per risolvere i dubbi che ci affliggono.”

Luxu stirò le labbra, cercando il coraggio di esprimere a voce alta quel sospetto che lo tormentava. “Credete sia possibile che…” il ragazzo tentennò. “No, ma che vado a pensare. Mi avete appena detto che l’uso dei Keyblade è andato perso insieme a molte altre conoscenze millenni fa, non può essere.”

“Che cosa?” lo incalzò lei, chinandosi su di lui per stringergli delicatamente le dita sulla spalla per incoraggiarlo. “Sii onesto e non preoccuparti di dire qualcosa che può sembrare illogico.”

“E’ possibile che il mio Maestro sia...“ Lui scosse la testa, certo di star per sparare una grande assurdità. “...uno di voi?”

Kida scattò indietro come fulminata e anche le guardie che li scortavano sembrarono profondamente scioccate da quell’idea.

“E’ quello che sospettavo. Ma per essere uno di noi…” ponderò la donna camminando avanti e indietro, la testa chiaramente invasa da migliaia di teorie e congetture “...e essere a conoscenza dei segreti dell’arma proibita, dovrebbe aver lasciato la città prima o durante il cataclisma. Non è così impensabile, purtroppo molti cittadini di Atlantide sono andati dispersi in quel periodo ma…” Kida strinse il cristallo tra le dita, premendolo contro il petto “...i nostri amuleti non possono essere usati fuori dalla città. La loro magia è strettamente legata a questo luogo. Anche supponendo che qualcuno sia sopravvissuto, a quest’ora sarebbe morto di vecchiaia, senza il cristallo a sostenerlo.”

“Ve l’ho detto, non può essere andata così. Il mio Maestro era molto giovane quando ha fatto di me il suo allievo. L’ho visto crescere e invecchiare come tutti gli altri negli ultimi dieci anni.” sospirò Luxu, grattandosi pensierosamente la testa. “Eppure…”

Kida lo guardò trepidante, incitandolo a continuare.

“Eppure lui vi somiglia moltissimo. In un modo quasi inquietante, oserei dire.” ammise lui, un pò imbarazzato “Perciò scusatemi se continuo a fissarvi come uno stoccafisso. Vi giuro che non c’è niente di malizioso da parte mia-” Luxu si morse la lingua, rendendosi conto di quanto quel che aveva appena detto lo facesse sembrare un completo idiota “-cioè, non sto dicendo che non siete attraente, è solo che-”

La donna ignorò il suo sproloquio e lo zittì con un gesto “La tua amica si sta svegliando.”

L’apprendista si voltò appena in tempo per incontrare lo sguardo ancora assonnato di Mava e le corse incontro, aiutandola a scendere dalle braccia nerborute del soldato Atlantideo per rimettersi in piedi.

“Stai bene?” chiese, preoccupato.

“...Luxu?” biascicò la ragazza, ancora confusa. “...dove siamo?”

Era vero che il Maestro gli aveva espressamente chiesto di tenere Mava all’oscuro di qualsiasi ‘scoperta’ avesse effettuato sul conto dell’Heartless che li aveva inviati a cacciare, ma non c’era modo di nascondere il fatto che si trovassero in un Mondo completamente sconosciuto. Così, rivolgendole un sorriso stanco, le dette una pacca sulle spalle e disse “E’ una lunga storia.”

°°°

Nahara posò una mano sull’avambraccio di Azal e questo si voltò, rivolgendole un’espressione talmente sconfortata che la ragazza si sentì stringere il cuore in una morsa di ghiaccio.

“Li troveremo, vedrai.” cercò di rassicurarlo, ma era ben consapevole di quanto magre fossero le loro possibilità.

Il Maestro di Auropoli e i suoi quattro apprendisti esploravano il fondale marino da oltre due ore, assistiti da un gruppo di ricerca inviato dal Principe Tritone. Perbias nuotava rapido e nervoso, le ampie ali da manta che planavano sulle correnti marine mentre i suoi occhi blu setacciavano la parete di roccia congelata.

Hafet lo raggiunse con un colpo della corta ma potente coda screziata “Ancora niente, Maestro. Abbiamo scandagliato tutta la zona, inclusi i due sistemi di gallerie che siamo riusciti a trovare nella scarpata… di loro nessuna traccia.”

Perbias si fermò, i capelli che gli ondeggiavano lentamente attorno al viso corrucciato “Continuate a cercare. Sono qui… lo so. Li troveremo.”

Il ragazzo biondo annuì, cercando di farsi coraggio, ma i suoi occhi verde cupo erano velati di un’ombra di ansia e disperazione che non sfuggì all’esame del Maestro.

La verità era che erano tutti preoccupati da morire per Mava e Luxu. E nessuno più di Perbias che li aveva mandati allo sbaraglio, troppo preso dai suoi problemi e dalle sue macchinazioni per rendersi conto di quanto li avesse messi in pericolo.

Aveva mandato Luxu con la ragazza nella speranza che potesse fornirgli informazioni valide sul Leviatano, la creatura che veniva menzionata di continuo negli antichi testi che aveva consultato. Nella speranza che quella bestia leggendaria fosse reale e che potesse condurli alle rovine della città favolosa che, secondo le leggende di Giardino Radioso, era stata la culla di tutta la civiltà del Reame della Luce. Da Atlantide, si diceva provenisse la tecnologia Magitek e la Prima Pietra della Luce, custodita sotto chiave nei sotterranei del castello di Re Ardyn.

Il cristallo che non aveva fatto altro che affascinarlo e chiamarlo a sé per tutti quegli anni, ma la cui visione gli era sempre stata preclusa. Così, aveva deciso di dirigere la sua attenzione altrove, direttamente alla fonte di quel potere straordinario che a malapena riusciva a comprendere…

E adesso i suoi due migliori apprendisti erano dispersi chissà dove. Forse sepolti vivi sotto un cumulo di macerie, forse brutalmente congelati e fatti a pezzi dal temibile Leviatano.

E invece di essere al loro fianco, lui era andato a patteggiare con le Parche in cambio di un occhio che nemmeno funzionava!

Doveva trovarli… doveva trovarli subito!

Chiuse gli occhi, premendosi spasmodicamente la mano sul petto nudo, l’acqua gelida che lo avvolgeva da ogni parte come un sudario. Si concentrò, chiamando a sé i cuori dei propri allievi scomparsi. Aveva stretto un legame indissolubile con loro molto tempo prima quando, dopo aver permesso loro di accedere alla Stazione del Risveglio, li aveva silenziosamente accompagnati nel loro tuffo, sottraendo una scheggia di vetro dai rosoni del loro cuore.

Anche se quei frammenti restavano nascosti in un’ampolla nel suo laboratorio, ciò non toglieva che gli appartenessero e in quel momento, Perbias li utilizzò per tracciare una connessione mentale coi propri apprendisti.

Senza quasi rendersene conto, evocò il suo Keyblade e lo puntò verso la parete rocciosa, usandolo come la bacchetta di un rabdomante per determinare in quale direzione muoversi. Quando d’un tratto l’arma argento e oro vibrò tra le sue mani, un sorriso colmo di sollievo gli salì alle labbra. Poteva sentire i cuori dei due ragazzi battere forte nella sua mente. Erano vivi, e non sembravano in imminente pericolo.

“Azal, Hafet, Nahara, Salegg! Venite qui!” li chiamò, sbracciandosi per farsi vedere nella semi-oscurità delle profondità oceaniche e i suoi apprendisti gli furono immediatamente a fianco, nuotando rapidi e sicuri nel loro aspetto di tritoni e sirene. Le scaglie bianche sulla coda di Azal quasi s’andavano a confondere con il fondale ricoperto di uno spesso strato di ghiaccio. “Da questa parte, dobbiamo aprirci un varco.”

I quattro apprendisti studiarono la parete con perplessità, ma richiamarono dall’etere le loro armi senza esitare, Azal e Hafet in prima linea coi loro Keyblade avviluppati in un crepitare di scintille magiche.

“Al mio tre!”

Aprire un varco nella roccia solida non era un’impresa facile, ma Perbias non sembrava intenzionato a risparmiarsi e i suoi allievi rimasero a bocca aperta di fronte alla manifestazione più pura del suo potere. Era un’occorrenza più unica che rara vedere il Maestro entrare in una delle sue ‘forme’ da battaglia (una tecnica di combattimento avanzata che nessuno tra loro era ancora abbastanza abile da replicare) e meno che mai vederlo in quella condizione quando era nelle sembianze di un tritone.

In condizioni normali, una vampa d’energia lo avvolgeva da capo a piedi permettendogli di librarsi ad un paio di spanne dal suolo senza il minimo sforzo mentre i suoi abiti, qualsiasi essi fossero, si tingevano di un bianco abbagliante.

E poi, ovviamente c’era il suo Keyblade che invece di restare saldo nella sua mano sembrava acquisire una vita propria, moltiplicandosi in dozzine di lame di luce che Perbias poteva manovrare a proprio piacimento e che utilizzò in quel frangente come un’improvvisata trivella per prendere d’assalto la parete di roccia.

Col supporto dei raggi di luce covogliati dalle armi dei suoi allievi, l’attacco sortì il suo effetto in modo ben più devastante del previsto, generando una violenta esplosione sottomarina il cui boato fece tremare le fondamenta del castello di corallo di Atlantica, situato a svariati chilometri dalla faglia.

Hafet inglobò sé stesso e i compagni in una barriera protettiva mentre il Maestro usava le lame ancora a sua disposizione per deviare e ridurre in mille pezzi i detriti di roccia e ghiaccio che la deflagrazione aveva scagliato dritti contro di loro.

Quando la foschia iniziò a diradarsi, i cinque Estranei si trovarono di fronte ad un’ampia voragine nera che sembrava perdersi nelle profondità della terra.

Dopo aver scambiato un’occhiata coi propri allievi per assicurarsi che stessero tutti bene, Perbias s’avvicinò all’apertura con un colpo di coda, scrutando le tenebre dense. Il suo nuovo occhio non sarà stato ancora in grado di vedere il futuro, ma la sua visione notturna era esponenzialmente migliorata. La caverna invasa dai detriti gli appariva perfettamente nitida, come se stesse utilizzando una telecamera ad infrarossi. Poteva sentire la pupilla dilatarsi a dismisura, come fosse un nuovo muscolo volontario con cui il suo corpo stava prendendo familiarità. Poteva ordinare all’Occhio che Scruta di mettere a fuoco proprio come fosse stato l'obiettivo di una fotocamera.

Quel pensiero, per quanto strano e persino un po’ macabro, lo fece sorridere.

“Da questa parte.”

Azal e Salegg lo seguirono a ruota, facendo da apripista agli apprendisti più giovani mentre scendevano in quelle acque fredde e oscure, seguendo la scia luminosa lasciata dal loro mentore.

Perbias, ancora affiancato dalle lame eteree in cui s’era frammentato il suo Keyblade, nuotava spedito verso il fondo della grotta che si rivelò essere molto più vasta di quanto gli fosse sembrata ad una prima occhiata.

Hafet sobbalzò alla vista dell’enorme testa di una statua crollata quando questa fu rivelata dalla luce del Keyblade del Maestro.

“Questo posto… è una rovina sommersa.” commentò Nahara, intravedendo il profilo di un colonnato parzialmente abbattuto e ricoperto di alghe e conchiglie.

“Un vecchio insediamento del Popolo del Mare?” ipotizzò Salegg.

Azal aggrottò le sopracciglia e Perbias gli lesse immediatamente in faccia che stava iniziando a capire. Il suo apprendista più anziano era sempre stato un grande studioso e se c’era qualcuno, lì in mezzo a loro, che potesse aver letto qualcosa riguardo Atlantide, quello era certamente Azal.

“Non credo sia stato il Popolo del Mare a costruire questo posto.”

“E chi altri, sentiamo?”

“Gente della superficie. Guardate là, le persone sui mosaici sono tutte su due gambe.”

Gli altri aguzzarono la vista nella direzione indicata dal ragazzo dai capelli azzurri mentre Perbias s’avvicinava alla parete ricoperta di complessi pittogrammi e figure come ipnotizzato.

I suoi allievi riuscivano soltanto a vedere una piccola porzione dell’immenso murale, quella illuminata dalle lame che vorticavano ancora attorno al suo corpo ma lui, grazie all’Occhio che Scruta, si trovò bombardato da ogni parte da immagini e colori sgargianti che l’oceano aveva preservato pressoché intatti in quella grotta sommersa.

Anche senza sapere veramente perché, il suo cuore prese a battere più forte, come se sentisse qualcosa… sapesse qualcosa… che lui ancora non era in grado di comprendere a livello razionale.

Il mosaico raffigurava una scena a dir poco impressionante che gli riportò alla mente i portoni della grande cattedrale della Cité des Cloches. La scena riprodotta sulla parete non aveva niente da invidiare ad un Giudizio Universale e alla sua potente rappresentazione allegorica.

L’intero muro era occupato da un campo di battaglia con due fazioni schierate ai lati opposti. Stendardi garrivano al vento e il cielo blu intenso tempestato di stelle cadenti era invaso da quelle che sembravano a tutti gli effetti terrificanti macchine volanti dagli occhi blu.

Una fonte di Luce così abbagliante da costringere i soldati nelle prime file a coprirsi gli occhi stava sospesa sul luogo del massacro, i suoi raggi violenti sembravano scandagliare le file dei due eserciti, anche se era impossibile stabilire se per incenerire sul posto i malcapitati o chissà che altro.

Meravigliati e confusi, i quattro apprendisti si persero in quel vortice di forme e colori proprio come il loro Maestro, quasi avessero dimenticato il motivo per cui si trovavano lì.

Finché ad un tratto, Nahara non fu riportata alla realtà dalla realizzazione che tutte le figure che facevano parte dello schieramento vestito di bianco… impugnavano armi simili ad enormi chiavi.

“Maestro…” mormorò a mezza voce, mentre a poco a poco anche i suoi compagni metabolizzavano quel dettaglio sconcertante e si voltavano, perplessi, in direzione del loro mentore “...che cosa significa?”

Perbias sobbalzò, come se le parole della ragazza l’avessero strappato via da uno stato di trance.

“Non lo so.” ammise, senza staccare gli occhi dalla fonte di Luce raffigurata come un’enorme stella o un diamante sospeso in cielo. “Ma lo scoprire-”

Prima ancora che il Maestro potesse voltarsi, un verso agghiacciante rimbombò nella caverna e due feroci occhi rossi s’accesero nelle tenebre alle loro spalle.

Salegg deflettè il raggio congelante con un una sferzata così violenta della propria arma eterea che lo spostamento dell’acqua mandò Hafet a testa in giù, ma l’apprendista più giovane non si lasciò spaventare e, evocando il suo nuovo Keyblade con una testa di leopardo scolpita sull’elsa, riacquistò immediatamente l’equilibrio.

“Ma che roba è?!” esclamò Salegg scrollando via uno spesso strato di ghiaccio dalla mannaia.

Perbias non rispose, generando una nuova sfilza di lame di luce attorno al proprio corpo e lanciandosi all’attacco contro la creatura acquattata nell’ombra che il suo Occhio speciale gli permetteva di vedere alla perfezione.

Sapeva che era il Leviatano, un'antica unità Magitek. E dalle sue condizioni non gli era difficile intuire che fossero stati Luxu e Mava a ridurlo in quello stato. La corazza di metallo verdastro era crivellata di fori di proiettile e una voragine s’apriva nel suo dorso, rivelando il cristallo pulsante che teneva in funzione i suoi antichi meccanismi.

Era giunto il momento di finire quel che i suoi allievi avevano iniziato.

Dopo, sarebbe arrivato il momento delle domande.

E forse, si disse con un filo di inquietudine, persino delle risposte.

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Buonsalve a tutti, spero che il capitolo vi sia piaciuto! :D
Per concludere, vorrei fare una piccola comunicazione di servizio... ossia chiedere i vostri cortesi voti per far si che EFP inserisca i personaggi della nuova saga nella lista dei nomi! Non sono l'unica a stare scrivendo dei Veggenti e del MoM, perciò ragazzi, facciamoci sentire!
Andate sulla pagina generale delle fanfiction di Kingdom Hearts e in alto a destra troverete il comando 'Aggiungi Personaggi' dove potete votare quelli già inseriti in lista e proporne altri, cosa che io ho intenzione di fare molto presto con Yozora, Ephemer, Skuld, Brain e compagnia bella. E' fastidiosissimo per me non poter taggare questa storia come si deve :<


Grazie per l' attenzione e buone feste!

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Capitolo 33
*** ✭ Outsiders ***


✭ OUTSIDERS ✭
 

As I rise from golden slumbers,
to my own mortality.
And I want to take you with me,
to my lone tranquility-
Then you vanish right before me,
And the room smells like a flower.
In the palace of the kings...
Yet the fruit is sometimes sour.
My dandelion, my liberty!
My dandelion, your devotee!
My dandelion, this alchemy!
As I stumble to the parlor,
I am filled with no regret.
And I am but a troubadour,
I am the last prophet.
[Dandelion -Black Country Communion]


Un boato assordante riecheggiò per le strade di Atlantide seguito da una cacofonia di grida e versi di animali spaventati.

La gente si precipitò in strada con il cuore in gola e i figli stretti al petto mentre le bestie da soma sfuggivano alla presa dei pastori per lanciarsi in folli corse giù per le viuzze tortuose, rovesciando vasellame e banchi del mercato e costringendo gli sventurati che capitavano nella loro traiettoria a gettarsi a terra per non essere calpestati vivi.

Tutti gli uccelli s’alzarono in volo all’unisono da alberi e guglie, creando un unico, impressionante stormo di creature terrorizzate e starnazzanti sopra la città.

Ovunque, si potevano udire bambini piangere a squarciagola e le persone chiamarsi l’un l’altra mentre i cani abbaiavano, unendosi al caos generale.

Soltanto le vedette che si trovavano sulle mura esterne sapevano quale fosse la causa di quel terribile rumore che aveva gettato l’intera città nel panico, ma non fecero in tempo a suonare i corni d’allarme per avvertire i cittadini che già il mostruoso Leviatano si librava scoordinato e sofferente sopra la città, la corazza di metallo ridotta ad un colabrodo.

La macchina mortale stridette come avrebbe fatto una bestia ferita, le grandi chele ormai ridotte a moncherini che s’agitavano pateticamente nell’aria in un ultimo disperato tentativo di togliersi di dosso i suoi minuscoli, ma irrefrenabili, cinque assalitori.

Prima di sfondare la parete rocciosa che dalla grotta sommersa conduceva al ponte sospeso sul mare di lava, la creatura aveva ingaggiato una lotta all’ultimo sangue con il Maestro e i suoi apprendisti che, una volta trovatisi di nuovo all’asciutto, avevano immediatamente invertito l’incantesimo di trasfigurazione e riacquisito il loro aspetto umano per tenere salda la presa sulla corazza del mostro.

Con un balzo, Salegg aveva reciso di netto una delle chele del Leviatano mentre Nahara e Hafet correvano sul dorso dell’animale lasciandosi dietro una devastante scia d’incantesimi d’elemento fulmine che faceva schizzare via una ad una le placche metalliche, esponendo i delicati meccanismi idraulici sottostanti.

Perbias allora aveva guardato in basso, consapevole che i suoi allievi sarebbero stati troppo presi dalla foga della battaglia per preoccuparsi dei danni collaterali causati dalla caduta dell’enorme carcassa e, schizzando davanti al muso martoriato della bestia, la attirò nella direzione opposta, verso il mare di lava ribollente e lontano dagli edifici.

Quando fu sicuro che avrebbero potuto finirlo senza causare un disastro, convogliò tutta la sua forza in un ultimo attacco perforante e il Keyblade si manifestò di nuovo nella sua mano, le lame eteree che tornavano a fondersi con esso.

Si mosse così rapidamente che per un istante i suoi allievi credettero fosse svanito nel nulla per poi ricomparire e gettarsi in picchiata sulla testa della creatura, fracassando il carapace e facendo a pezzi gli ingranaggi che la tenevano in funzione mentre la lama incandescente del Keyblade affondava sempre più in profondità.

L’impatto col suolo sollevò una nuvola di polvere e detriti così grande da oscurare l’intera carcassa del Leviatano. Mentre i cittadini fuggivano terrorizzati, uno squadrone di guardie Atlantidee accorse il più in fretta possibile sul luogo dell’impatto, le lance puntate contro la foschia densa e crepitante di scintille.

Quando finalmente il vento iniziò a fare il suo dovere e a schiarire la visuale, quella che il drappello di soldati si trovò davanti agli occhi fu una scena a surreale e persino un poco terrificante.

L’enorme macchina da guerra giaceva inerme sul ciglio del precipizio, la parte inferiore del corpo penzolava sul mare di lava fusa e sarebbe immediatamente scivolata giù trascinando tutto il resto con sé se non fosse stato per la lama conficcata nella sua testa che, come un enorme chiodo, la teneva saldamente ancorata alla roccia.

Inginocchiata sul cranio fratturato della bestia stava una figura completamente avviluppata di nero, le mani guantate saldamente strette attorno all’impugnatura dell’arma affondata nella testa del Leviatano.

“Tutti giù, sbrigatevi.”

Azal, Nahara, Hafet e Salegg non se lo fecero ripetere due volte e balzarono giù dal corpo della creatura così che Perbias potesse mollare la presa e lasciarla precipitare nella lava sottostante.

Il Maestro si alzò fiaccamente, scendendo a sua volta con un piccolo salto e poi richiamò il Keyblade nella mano destra. Nel momento in cui esso si smaterializzò dalla sua posizione precedente, il Leviatano capitombolò all’indietro trascinato dal suo stesso peso, lasciando un profondo solco nella roccia e scomparendo per sempre alla vista.

I quattro apprendisti erano così affannati e felici di aver rimesso piede sulla terraferma che neanche s’accorsero dell’avvicinarsi delle guardie finchè non si ritrovarono le loro lance ricurve puntate addosso.

Gli uomini che li avevano accerchiati portavano tuniche monospalla blu e bronzo, bracciali e cavigliere di cuoio e un amuleto di pietra azzurra attorno al collo. Alcuni avevano il viso pulito, mentre altri sfoggiavano vistosi tatuaggi azzurri sulle guance o sul torace. L’altra curiosa caratteristica che li accomunava, era il fatto che avessero i capelli bianchi come la neve, nessuno escluso.

Salegg si parò immediatamente davanti ai compagni, rispondendo per le rime agli ordini impartiti da uno dei soldati anche se non aveva capito una sola parola di quel che gli era stato detto “Abbassate le armi se non volete fare i conti con me!”

“Calmati, Salegg. Hanno ragione ad essere spaventati. Guarda che casino abbiamo combinato!” lo sgridò Hafet restituendo il Keyblade all’etere e sollevando le mani in segno di resa. “Non siamo qui per farvi del male! A dire il vero, non sappiamo nemmeno perché siamo qui. Né… dove siamo.”

Gli uomini in abiti tribali si scambiarono occhiate confuse. Adesso che riuscivano a vederli bene, si resero conto che gli ‘invasori’ non erano altro che un gruppo di ragazzini con indosso bizzarre tuniche variopinte.

“Maestro, dov’è che siamo esattamente?” proseguì Hafet a denti stretti, senza sapere come avrebbero reagito quegli omaccioni tatuati se avesse interrotto il contatto visivo.

Perbias fece alcuni passi avanti, raggiungendo i suoi apprendisti ed ignorando gli avvertimenti e le lance puntate nella sua direzione. I suoi occhi blu, nascosti nell’ombra nera e densissima del cappuccio tessuto nelle profondità dell’Ade, saettavano da ogni parte, assorbendo ogni dettaglio del mondo sconosciuto che lo circondava.

“Siamo ad Atlantide.” disse semplicemente, guadagnandosi uno sguardo inquisitorio da parte di Azal e quello sbigottito degli altri suoi allievi.

“Non sembrate sorpreso.” commentò il suo apprendista più anziano, arguto e perspicace come sempre “Eppure pensavo fosse soltanto una leggenda.”

“Della sua esistenza, non ho mai avuto dubbi.” confessò il Maestro, tornando a rivolgere la sua attenzione allo stuolo di guardie che sebbene si fosse fatto ben più numeroso, non osava avvicinarsi o fare alcunché di avventato. Del resto, li avevano appena visti abbattere il Leviatano come se niente fosse. Avevano le loro buone ragioni per essere cauti, specialmente nei confronti della figura alta ed incappucciata di cui non potevano nemmeno vedere il volto.

“Ma non mi aspettavo che ci fossero persone qui.”

“Si può sapere di che state parlando?” strepitò Salegg, frustrato. “Maestro, cosa facciamo? Questi tizi non parlano la nostra lingua!”

“Il che, dovrebbe farti comprendere che siamo di fronte ad un mondo ben diverso da tutti quelli che abbiamo visitato finora.” lo redarguì Azal “Questo posto non esiste su alcuna mappa. Probabilmente siamo i primi Estranei a visitarlo.”

Nahara sgranò gli occhi “...sul serio?”

L’apprendista vestito di bianco annuì gravemente e stava per aggiungere qualcosa ma prima che potesse farlo Salegg lo prese di nuovo in contropiede “Non siamo qui per fare gli esploratori, Azal. Dobbiamo trovare Luxu e Mava!”

“E lo faremo.” concordò Perbias facendo un altro passo avanti in direzione del drappello di soldati che immediatamente scattarono sul chi vive, tenendolo sotto tiro. “Per favore, fateci passare. So che capite la mia lingua.”

Nell’udire quelle parole, l’uomo che Perbias suppose essere il capitano delle guardie si fece avanti, facendo cenno ai suoi sottoposti di abbassare le lance. Era un energumeno vestito in blu e oro, alto come una montagna e con la pelle bruna segnata da molteplici tatuaggi e cicatrici. Portava i lunghi capelli bianchi legati in un'alta coda di cavallo e il cristallo che teneva al collo era affiancato da altri monili composti di zanne e artigli d’animale. “Come fate a sapere il nome della nostra città, Estraneo?”

“Negli altri mondi ci sono molti libri che parlano di questo luogo. Alcuni resoconti sono più accurati di altri, oserei dire.” spiegò lui con un filo di sarcasmo, guardandosi intorno e ripensando alle descrizioni un tantinello esagerate di Platone “Ma noto con piacere che alcune delle informazioni in mio possesso sono corrette. Inclusa quella sulla radice comune delle nostre due lingue.”

“Immagino siate qui per i due ragazzi.” proseguì il capitano delle guardie, puntellando a terra la lancia ricurva.

“Proprio così. E ci scusiamo infinitamente per il trambusto.”

L’uomo sospirò. “Il Leviatano doveva essere fermato e per questo, ve ne siamo grati. Inoltre...” s’interruppe per esibirsi in quello che Perbias immaginò essere un saluto militare “Avete dimostrato di essere un abile guerriero e avete il mio rispetto.”

“Ah. Grazie, Capitano.”

I quattro apprendisti si rilassarono un poco nel vedere che il loro Maestro fosse già intento ad intrattenere una conversazione più che civile con quelle persone dall’aria esotica e primitiva.

“Hey, e noi?!” protestò però Hafet, realizzando tutto d’un tratto che Perbias si stava prendendo tutto il merito “Anche noi abbiamo fatto la nostra parte!”

“Zitto, Hafet!” lo strattonò Nahara, dandosi una pacca sulla fronte. “Piuttosto…” proseguì poi in un sussurro, tirando a sé il compagno per parlargli direttamente all’orecchio “Dimmi che non sono pazza e che lo vedi anche tu.”

Hafet s’accigliò “Ma di che accidenti parli?”

“Di questa gente! Guardali! Non ti ricordano nessuno?!”

L’apprendista con la tunica gialla passò in rassegna la dozzina volti confusi e guardinghi che li fissavano come fossero cinque strani animali da circo. Non che Hafet si sentisse di biasimarli, visto che lui e i suoi compagni erano piombati giù dal cielo così di punto in bianco. Era perso in quella riflessione quando all’improvviso, quel che Nahara aveva cercato di fargli notare gli si palesò davanti agli occhi chiaro come il sole. Per un lungo istante, Hafet non riuscì a fare altro che guardare dritto davanti a sé, a bocca spalancata.

“Hai ragione!” esclamò recuperando un minimo di contegno e tornando a voltarsi verso di lei. “Se non fosse per i capelli bianchi…! Ma che cavolo…?! Che vuol dire?!”

Nahara strinse la presa sulla sua spalla, spostando lo sguardo dei suoi grandi occhi rosa sulla figura completamente velata di Perbias, ancora intenta a conversare con il Capitano.

“Per questo, lasciate che vi dia un consiglio.” stava dicendo la guardia. “Al Re questa storia non piacerà affatto. Prendete i vostri compagni e andatevene più in fretta che potete. E non tornate, dimenticate questo posto.”

“Il Re?”

“Non so come ne siete entrato in possesso, ma quella cosa che tenete in mano qui è severamente proibita. Passerete un sacco di guai, e ci farete passare un sacco di guai. Non siete i benvenuti qui, non vogliamo grane.”

Perbias sollevò appena il Keyblade, inclinando il capo con fare confuso. “Voi… sapete che cos’è questo?”

“Voi no?”

Quella domanda spiazzò il Maestro più di quanto avrebbe voluto ammettere.

Lui… credeva di sapere cosa fosse il Keyblade.

Di sapere come funzionasse e come dovesse essere usato. Del resto, non era stato lui a manifestare il primo? Non era stato lui a dargli quel nome? Ma certo che era così, s’era anche fatto una bella risata pensando a quanto fosse appropriato e buffo al tempo stesso dare ad un’arma così speciale un nome così semplice…

Aveva scoperto come usarlo per aprire portali di luce e viaggiare senza sforzo, come aiutare altre persone a manifestarne uno a loro volta, come manipolare il Keyblade in battaglia e trasformarlo in base ai propri desideri…

Era stato davvero lui a fare tutte quelle cose? Non si era mai posto seriamente quella domanda. E perché avrebbe dovuto? Era soltanto un bambino con un potere unico e formidabile tra le mani. Nessuno ad Auropoli sapeva che cosa fosse quella sua strana chiave, nè tantomeno lo sapevano gli abitanti degli altri Mondi.

Quale altra spiegazione poteva esserci se non che lui fosse unico e speciale, il prescelto del Keyblade?

Eppure, il murale all'interno della grotta sommersa raffigurava centinaia di persone armate di grosse chiavi.

Il suo interesse per Atlantide si era limitato alla sua tecnologia e al suo Cristallo, una fonte di potere che Perbias speculava fosse legata a Kingdom Hearts. Forse era un portale verso di esso, forse una sua manifestazione minore… qualcosa che lui avrebbe potuto studiare ed usare a suo vantaggio, esattamente come facevano gli scienziati ed ingegneri di Giardino Radioso con la loro tecnologia Magitek.

Invece aveva trovato una città piena di persone che sembravano sapere molte più cose di quanto lui potesse immaginare.

Un nodo doloroso gli strinse la gola.

"Venite, vi scorterò dai vostri compagni. Così forse potremo evitare che la principessa faccia scoppiare il finimondo.” proseguì l’uomo tatuato, del tutto ignaro delle tribolazioni interiori del suo interlocutore. “E, non conosco i vostri costumi, ma vi devo chiedere di scoprire il volto. Tutti quanti."

Hafet, Azal, Salegg e Nahara obbedirono, tirando indietro i cappucci colorati e il Maestro fece lo stesso, anche se i suoi allievi scorsero in lui un poco d’esitazione.

"Perdonatemi Capitano, ma sono obbligato a rifiutare il vostro consiglio.” La densa ombra nera s’assottigliò fino a scomparire quando Perbias abbassò il cappuccio, rivelando la sua pelle scura e i grandi occhi blu. “Non credo potrei mai dimenticare questo luogo. E una sola visita non sarà di certo sufficiente a rispondere a tutte le mie domande.”

Il soldato Atlantideo lo fissò incredulo, per poi far rimbalzare lo sguardo tra l’uomo in nero e seguaci che lo accompagnavano. Non aveva idea che razza di rapporto legasse tra loro quei cinque Estranei, ma se facevano tutti parte della stessa famiglia, non c’era alcun dubbio su chi tra loro fosse stato adottato.

I giovani vestiti nelle tuniche colorate non si somigliavano moltissimo, erano di corporatura e stazza diversa e i loro capelli erano tra i più variopinti ed appuntiti che l’uomo avesse mai visto, ma erano chiaramente originari dello stesso luogo. Avevano tutti la carnagione chiara, gli occhi luminosi e i lineamenti sottili e femminei, mentre l’uomo in nero avrebbe potuto essere scambiato per un Atlantideo fatto e finito se solo avesse indossato abiti appropriati e si fosse decolorato i capelli.

“Chi siete?” chiese tutto d’un fiato, rassegnandosi all’idea che non sarebbe riuscito a tenere il Re all’oscuro di quella brutta faccenda.

Perbias sorrise con un misto di sarcasmo e autocommiserazione “Questa, mio buon Capitano… è proprio una bella domanda.”

“Maestro…?” Nahara gli si avvicinò, preoccupata. “Va tutto bene?”

“Mica tanto!” sbottò lui, in uno dei suoi tipici sbalzi d’umore, alzando i palmi delle mani “Ma potrebbe andar peggio, tutto considerato. Potrebbero esserci altre aragoste volanti che ci sparano addosso.” rimarcò, cercando di alleggerire i toni ma si vedeva lontano un miglio che non aveva alcuna voglia di scherzare.

Un altro soldato si fece largo nel drappello di guardie per raggiungere il capitano. Aveva il fiato corto e la fronte imperlata di sudore, come se avesse corso a perdifiato per tutta la città per recapitare il suo messaggio. Parlò in fretta, la voce rotta dal respiro affannato e il capitano delle guardie si fece scuro in volto, tornandosi poi a rivolgere verso il Maestro e i suoi allievi. “Il Re sa che siete qui.”

“Le voci corrono.” commentò Perbias, lapidario “Meglio così. Portatemi da lui se è lì che troverò i miei apprendisti.”

“Non ho altra scelta.” sospirò l’uomo, con fare rassegnato. “Voi, fateci da scorta. Andiamo, e per favore non fermatevi a curiosare in giro. Il Re non ama aspettare.”

“Non sembrate molto bendisposto nei confronti del vostro sovrano, se posso permettermi.” azzardò Perbias, con la sua solita flemma.

L’Atlantideo gli scoccò un’occhiata in tralice “Capirete presto il perchè, ne sono certo.”

“Oh, non ne dubito. E’ quello il palazzo reale?” chiese poi il Maestro, additando uno degli edifici più imponenti costruito sul crinale della montagna.

°°°

Luxu e Mava si ritrovarono gettati a terra di peso, catene d’ottone ai polsi e costretti dalle lance acuminate dei loro carcerieri a tenere la testa bassa mentre l’intera città esplodeva in una cacofonia di grida e schiamazzi.

Kida li raggiunse a gran passi al centro della sala del trono “Lasciateli immediatamente!” intimò ad uno dei soldati avviluppati in un’austera toga rosso carminio, ma l’uomo non tentennò.

“Sono soltanto dei ragazzini!” insistette, sempre più furiosa “Padre, esigo una spiegazione! Da quando trattiamo i nostri ospiti in questo modo? Non sono dei criminali!”

All' ombra di un baldacchino di stole ricamate, il Re di Atlantide si issò faticosamente a sedere sull'ampio seggio di pietra. “Non senti che la città è in tumulto, figlia mia? Questi Estranei sono appena arrivati e già hanno portato scompiglio.”

“Non siamo stati noi…” protestò Mava a denti stretti, guardando Luxu col volto pallido ed impaurito.

“Conosci bene le nostre leggi, Kidagakash. Sono in possesso dell’Arma Proibita e questo significa che devono essere puniti. Inoltre, la loro presenza qui mette a repentaglio la sicurezza della nostra gente-” proseguì il Re in tono severo, le grosse mani nodose posate sui braccioli del trono.

“Certo che conosco le leggi, ma sono anche vostra figlia e voi l’uomo col potere di cambiarle! Per tutta la vita mi sono sentita dire che queste Armi… questi Keyblade sono proibiti ma non vi siete mai degnato di spiegare il perchè! E se quello che questi ragazzi dicono è vero, allora ho ragione di credere che niente di buono possa venire dal continuare a vivere nell’ignoranza.”

“E cos’è che dicono, sentiamo? Che hanno derubato le nostre cripte, spogliato i nostri defunti del loro oro e delle loro armi malvage per portare nuovamente il caos ad Atlantide?”

Mava si raddrizzò a fatica, fissando i grandi occhi verdi contro quelli liquidi e velati del sovrano, avvedendosi soltanto in quel momento che egli fosse cieco.

Era un uomo anziano e rugoso, dalla lunga barba bianca e sopracciglia folte, vestito di una ligia tunica blu orlata d’oro. Nonostante l’aspetto piuttosto gracile, emanava una presenza sorprendentemente autoritaria e la sua voce era roca e graffiante come il crepitare del tuono.

“Noi…” La ragazza si rimise in piedi, aiutata da Kida “...noi siamo gli allievi del Maestro di Auropoli. Rispondiamo alle richieste d’aiuto di tutto il Reame della Luce e combattiamo l’Oscurità.”

“Voi giocate con il fuoco, ecco cosa fate.” fu la risposta caustica del Re. “Con un potere che non comprendete e che speravo di essere riuscito ad eradicare per sempre.”

Un altro boato proveniente dall’esterno del palazzo fece tremare le colonne scolpite.

“Che sta succedendo là fuori..?” mormorò Luxu, affiancandosi alla compagna, facendo tintinnare le pesanti catene che portava ai polsi.

“Padre, finitela con gli indovinelli. Dite sempre che quando sarò regina capirò cos’è meglio per il mio popolo ma io voglio comprenderlo sin da adesso. Cosa accadde esattamente durante il Mehbelmok?”

L’uomo s'irrigidì di scatto, sporgendosi in avanti “Non osare pronunciare quella parola!”

“Preferite ‘grande inondazione’? Chiamatela come volete, non m’interessa. Voglio sapere perché avete cancellato un’intera era della nostra storia, perché continuiamo a restare nascosti qui quando il resto del Reame della Luce vive in pace e-”

“Quella pace, Kida… dipende dal nostro isolamento. Credi di sapere cos’è meglio per Atlantide ma la tua arroganza ed il tuo egoismo sono esattamente gli stessi peccati che causarono la caduta del nostro impero-”

“Oh, intendi la tua arroganza ed il tuo egoismo?” lo freddò la giovane donna a denti stretti, gli occhi blu come il mare che mandavano scintille. “Comincio a pensare che il motivo per cui non vuoi che scopra la verità è perché riporterebbe a galla qualcosa che ti causa grande vergogna.”

Il Re sospirò, il volto ridotto ad una maschera impenetrabile, come una statua di pietra. “Chi non sa niente non può capire niente. E tu, Figlia mia, hai ancora così tanto da imparare. La verità non sempre è la cosa migliore. Certe volte, dobbiamo mantenere viva una menzogna al punto di convincerci che essa sia reale se questo significa agire nell’interesse del popolo. E della Luce, per sua diretta estensione.”

L’ennesima guardia irruppe nella sala, aggiungendosi al piccolo squadrone che teneva sott’occhio Luxu e Mava “Re Kashekim!” esclamò, fermandosi un istante per riprendere fiato. “Altri Estranei! Sono qui! Hanno… hanno ucciso il Leviatano e-”

Prima ancora che il soldato potesse finire, un vortice di luce si spalancò in mezzo alla sala rivestita di mosaici e cinque figure si materializzarono nella placida pozza d’acqua piena di ninfee e grossi ciottoli disposti a formare un simbolo a spirale.

“Maestro!” Svicolando dalla presa delle guardie di palazzo, Luxu e Mava si precipitarono dai compagni e Perbias li accolse con un gran sorriso, facendo immediatamente saltar via le manette che i due ragazzi avevano attorno ai polsi con un colpo di Keyblade.

“Sono contento che stiate bene.” li salutò con fare sorprendentemente tranquillo considerata la situazione assurda in cui si trovavano.

“Eravamo così preoccupati!” confessò Nahara, ricambiando l’abbraccio caloroso di Mava.

“E’ tutto merito della signorina Kida.” spiegò Luxu, gesticolando in direzione della donna coi capelli bianchi.

“Anche le manette erano merito suo?” indagò Hafet, inarcando un sopracciglio con fare malizioso alla vista degli abiti succinti dell’Atlantidea e della sua corporatura a dir poco mozzafiato.

“Quelle no.” sbottò Luxu, infastidito dal fatto che l’apprendista in giallo fosse in vena di scherzare in un momento simile “Lei e i suoi compagni ci hanno trovati e curato le nostre ferite.”

Re Kashekim assistette allo scambio di battute con un’espressione fortemente contrariata. Nonostante non potesse vedere i nuovi arrivati, aveva chiaramente udito il suono dell’apertura di un portale e per questo motivo l’improvvisa comparsa di così tante voci non lo sorprese affatto.

“Immagino uno di voi sia il ‘Maestro’.” disse, e la sua voce tonante riportò immediatemente il silenzio e l’ordine nell’androne pieno di ragazzini e guardie sbigottite.

Perbias si voltò nella sua direzione con una mezza giravolta che si trasformò in un inchino profondo. Era abituato a trattare con i sovrani dei vari Mondi, fossero essi re, regine, sindaci o borgomastri, lui aveva sempre un discorsetto di presentazione pronto per promuovere i suoi servigi e quelli dei suoi allievi, ma qualcosa gli diceva che ad Atlantide niente di tutto ciò sarebbe stato apprezzato.

“Sono io, Vostra Maestà. Il mio nome è Perbias.”

“Andrò dritto al punto. Esigo di sapere come siete entrato in possesso delle Armi Proibite.”

Il Maestro fece spallucce, avvedendosi soltanto in quel momento del fatto che il suo interlocutore fosse cieco e quindi non potesse notare la familiarità dei suoi lineamenti come invece aveva già fatto la giovane donna Atlantidea che Luxu aveva presentato come Kida.

Quest’ultima lo fissava intensamente, le labbra strette e i pugni serrati lungo i fianchi. Era impossibile intuire quali pensieri affollassero la sua mente, ma specchiandosi in quegli occhi blu così simili ai suoi, Perbias una cosa la sapeva.

Il destino aveva veramente un pessimo senso dell’umorismo.

“Se rispondo alle vostre domande, mi sarà concesso porne altrettante?” chiese, preparandosi a contrattare. Lui e i suoi allievi non se ne sarebbero andati senza averci visto chiaro.

“Padre, quest’ uomo…” tentò di dire Kida, incapace di staccare gli occhi di dosso al nuovo venuto, ma il Re la ignorò.

“Hai la mia parola. Adesso rispondi.” assentì Kashekim, congedando le guardie con un gesto della mano bruna e coperta di macchie. Queste obbedirono all'istante, lasciando il Re solo con i sette Estranei e la propria figlia.

Luxu si trovò a ponderare che, considerando quanto vecchia Kida sostenesse di essere, il Re doveva essere in vita da almeno il doppio dei suoi anni e si domandò cosa si provasse a vivere così a lungo. Lui aveva appena sedici anni e già gli sembrava di aver vissuto un’eternità… forse per il fatto che con il Maestro non c’era mai un momento di noia e la vita era un’avventura continua. Le esperienze che lui e i suoi compagni avevano accumulato nei vari Mondi nel giro di pochi anni avrebbero fatto impallidire le biografie di molti esploratori ormai ritiratisi dalle scene.

Del resto… avevano persino scoperto Atlantide.

Quante altre persone sulla faccia della terra potevano vantarsi di un’impresa simile? Eppure, Luxu e Mava di Auropoli, c’erano riusciti. Due ragazzini come tanti altri la cui unica peculiarità era quella di essere stati scelti, apparentemente senza alcun merito, per camminare a fianco di Perbias.

Il Maestro trasse un profondo sospiro, restituendo il Keyblade all’etere ed avvicinandosi di qualche passo al trono drappeggiato del sovrano, così da non dover parlare a voce troppo alta ed iniziò a raccontare.

I suoi apprendisti s’aspettavano la solita storiella striminzita che si erano sentiti ripetere molte altre volte, ma per un motivo che nessuno di loro riuscì bene a comprendere, Perbias decise di entrare molto più nel dettaglio di quanto faceva solitamente quando gli si domandava del suo passato.

E per la prima volta, parlò di una strana porta che aveva trovato ed aperto nei sotterranei della Torre Meccanica quando era soltanto un bambino.

La porta che aveva lasciato entrare l’Oscurità.


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Ciao a tutti!
Spero che abbiate passato delle belle vacanze invernali e che a mia differenza non abbiate mangiato troppi dolci X) adesso mi aspettano mesi di insalate per rimettermi un pò in forma!
Ma bando alle ciance, la storia continua in quel di Atlantide e i nostri eroi si sono riuniti al cospetto del Re. E Perbias sembra avere una bella storia in serbo per lui, ma anche per i suoi stessi allievi.
Piccolo trivia legato a questa scena, una specie di easter egg se così vogliamo chiamarlo, è il fatto che in lingua originale il doppiatore di Re Kashekim Nedakh fosse nientemeno che Leonard Nimoy che noi conosciamo come lo Xehanort originale di Birth By Sleep.
Coincidenza? O forse no?
Chi lo sa ;)
Alla prossima!


 

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Capitolo 34
*** ✭ The Boy Who Fell ***


NOTA: questo capitolo è scritto intenzionalmente in modo frammentato perchè ripercorre in parte una storia raccontata ad alta voce e in parte i pensieri inespressi del Maestro. Lascio a voi decidere quanto effettivamete abbia rivelato ai suoi allievi e quanto invece si sia tenuto per sè (e per voi ;) ). Buona lettura e spero di non starvi annoiando con questa parentesona abbastanza fine a sè stessa. Ma se siete arrivati fin qui dopo oltre 30 capitoli, confido che un minimo d'affetto per la mia versione del Maestro ormai lo abbiate sviluppato. Grazie ancora di tutto e felice 2020!
PS: vi ricordo che 'Theon' è il nome che era stato affibbiato al Maestro al suo arrivo ad Auropoli e quello che poi ha abbandonato in favore di Perbias che è una mia invenzione. Theon invece, come quello di tutti gli altri Veggenti, è preso direttamente dalle 7 collane di libri che troviamo nel puzzle della Fortezza Oscura in KH1.


✭ THE BOY WHO FELL ✭

And when I reach the landing every ghostly face,
Is waiting for me there commanding me to RUN!
The walls are lifting, lockdown's already begun,
The staircase shatters as my fate I fly to meet,
The wood is splintering beneath my stocking feet,
At last I'm past the gate, at last I'm at the cell
That's kept me from the sun and hidden me in Hell!
[The Key - Emilie Autumn]

Tiene lo sguardo fisso sulla scodella di zuppa di cavolfiore, il cucchiaio stretto tra le dita ma mai sollevato.

E’ una bella giornata ad Auropoli e i raggi del sole filtrano attraverso le tende della graziosa casetta a graticcio del borgomastro mentre la donna seduta al lato opposto del tavolo gli sorride con fare incoraggiante, pregandolo di mangiare qualcosa.

Il bambino senza memoria sembra sentirla a malapena. Accenna un sì con la testa, ma non obbedisce e così la zuppa continua a raffreddarsi.

Nella stanza accanto, la voce di una strega venuta da un Mondo lontano dipinge un quadro clinico tutt’altro che roseo. Ha sondato il cuore del trovatello ed esso è così severamente danneggiato, così corroso, che a stento riesce a credere che sia ancora in vita.

“Anche se dovesse guarire” dice con amarezza, “probabilmente non recupererà mai i suoi ricordi.”

“Theon?”

Lui si decide finalmente a sollevare lo sguardo e i suoi occhi blu sono così grandi, limpidi e spaesati da sembrare due pozzanghere in cui si specchia il cielo.

La moglie del borgomastro sente una stretta al cuore a quella vista.

“Sì, signora?” Ha un accento strano, impossibile da identificare. Quando lo hanno trovato, ha quasi staccato un dito a morsi alla sventurata guardia cittadina che lo teneva in braccio nel momento in cui ha ripreso i sensi. Per giorni, non ha dato alcun segno di comprendere cosa gli venisse detto, continuando ad aggredire chiunque cercasse di avvicinarlo, gridandogli contro in una lingua sconosciuta o forse inventata di sana pianta.

Ora siede davanti a lei in modo composto, con una camicia ben stirata addosso e il visino pulito. Sono passati tre mesi dalla notte in cui il cielo s’è spalancato e una pioggia di meteoriti s’è abbattuta sulla città, riempiendo le strade di crateri e i tetti di terrificanti voragini.

La decrepita Torre Meccanica che sovrasta la città è stata l’edificio a risentirne maggiormente, al punto che la sua demolizione è stata presa in seria considerazione, per la sicurezza di tutti.

In quei tre mesi, Theon ha fatto molti progressi. Ha iniziato a parlare, imparato a vestirsi da solo, a sedere a tavola anche se raramente mangia più di un boccone. Per essere così giovane, ha dimostrato un’intelligenza sorprendente. Quasi spaventosa. Eppure nella maggior parte dei casi, continua a comportarsi come un selvaggio allevato da un branco di lupi.

Non cerca la compagnia di altri bambini, non ascolta i rimproveri degli adulti e reagisce in modo irragionevolmente violento se lo si tocca.

Inutile dire che non è affatto popolare tra i suoi coetanei. L’istitutrice l’ha trascinato più volte di fronte al borgomastro e sua moglie dopo averlo separato a forza da altri ragazzini con cui aveva fatto a botte. Ma neanche loro sanno cosa fare con lui.

E intanto, i suoi capelli bianco latte stanno, a poco a poco, diventando blu.

✭✭✭

Aveva speso i suoi primi mesi ad Auropoli brancolando nel buio. Senza sapere cosa fare, di chi fidarsi, domandandosi se restare oppure sgattaiolare via nella notte, diretto neanche lui sapeva dove. Soltanto le visite di Madam Mim gli erano davvero gradite. Forse perchè la fattucchiera di Camelot era sempre stata un pò matta, esattamente come lui. E tra matti ci si intende.

Ed era stata proprio Mim a riuscire a rimetterlo un tantinello in riga. Era la sola che gli diceva le cose come stavano, senza indorare la pillola. E la sola in grado di farlo sentire in colpa dopo aver fatto qualcosa di sbagliato, come ad esempio rifilare un pugno dritto in faccia ai teppistelli che lo prendevano in giro per i suoi capelli scoloriti.

Paradossalmente però, quando iniziò a calmarsi e a smettere di reagire, la paura che gli altri bambini nutrivano nei suoi confronti si tramutò in vigliacca cattiveria. E il fatto che voci sempre meno lusinghiere avessero preso a spargersi sul suo conto anche tra gli adulti, non aiutava affatto.

Dopotutto, lui era arrivato lo stesso giorno della pioggia di stelle cadenti che aveva devastato la città e agli occhi di molti non era assurdo pensare che fosse stato lui, in qualche modo, ad aver causato tutti quei danni. Soprattutto perché dopo quell'evento avevano iniziato a manifestarsi gli Heartless.

La gente sapeva della loro esistenza grazie alle antiche storie tramandate dall’inizio dei tempi e la teoria più popolare che iniziò a serpeggiare tra i cittadini era che lo squarcio nel cielo fosse un portale verso il Reame Oscuro da cui erano precipitati giù frammenti di Mondi divorati dal buio e...beh, e lui.

“Madam, pensate davvero che sia andata così?” le aveva chiesto un giorno, mentre la donna sedeva accanto a lui nello studiolo del borgomastro. Mandarlo a scuola si era dimostrato praticamente impossibile, così alla fine era stato deciso che Madam Mim si sarebbe occupata personalmente della sua istruzione e in quel momento la vecchia megera di Camelot e il bambino piovuto dal cielo erano alle prese con le equazioni.

“Le persone dicono e credono tante cose che non sono vere, Theon.” aveva risposto lei, mordicchiando la matita rossa alla ricerca di errori di calcolo che sapeva benissimo non avrebbe trovato.

La testa di quel ragazzino era come un super-computer.

“Ma se fosse vero- se venissi sul serio dal Reame Oscuro-”

“Nessuno tranne gli Heartless viene dall’Oscurità, ragazzo mio. Ti trovavi lì quando quel portale si è aperto? Senza alcun dubbio. Ma devi per forza venire da qualche altro posto. I bambini non nascono nel Reame Oscuro, lì niente cambia, niente si crea né si distrugge. E’ un luogo senza tempo.”

Theon serrò la mascella, il labbro inferiore che sporgeva appena “E allora perché tutti dicono che sono cattivo?”

La strega ridacchiò, scompigliandogli i capelli ormai quasi completamente blu “Perché sei una gran peste, ecco perchè!”

“Dico sul serio!” protestò lui e nel vederlo sull’orlo delle lacrime, lo sguardo di Madam Mim s’addolcì.

“A Camelot dicono lo stesso di me. Che sono una perfida strega cattiva. E beh, forse non hanno tutti i torti.” sospirò lei, ironica “Ma non c’è niente di male nell’essere un pò cattivelli, di tanto in tanto. Quel che conta, ragazzo mio, è sentirsi bene nella propria pelle. Vuoi essere l’eroe? Allora comportati come tale, dimostra a tutti che si sbagliano sul tuo conto.”

✭✭✭

“Vattene, non ti vogliamo qui!”

Il sasso lo colpì così forte alla tempia da tingergli la vista di rosso per un lungo, doloroso istante.

“Tornatene nel buco da cui tu e tutti questi maledetti mostri siete striciati fuori!”

“Hey, Theon! E’ vero che tua madre s’è scopata un Heartless ah?”

“Questa è buona! Spiegherebbe tante cose!”

Un altro sasso, stavolta in pieno petto, mentre lui cercava di rialzarsi.

Sta calmo Theon, sta calmo.

“Lasciatemi stare.” ringhiò a denti stretti, incerspicando verso l’uscita del vicolo.

“Hey, dove credi di andare? Abbiamo appena cominciato!”

Uno strattone al braccio, un pugno, una ginocchiata.

“Sai cos’è successo alla mia casa il giorno che sei piovuto dal cielo? Una stella cadente l’ha centrata in pieno, il terzo piano e la soffitta, completamente polverizzati.”

Un calcio dritto nelle costole, una boccata di sangue vermiglio sulla neve.

“Dentro c’era la mia sorellina!”

Di nuovo il sapore ferroso sulla lingua e l’impatto col marciapiede ghiacciato.

“Mi- mi dispiace…”

“Bugiardo!”

Ci ammazzeranno se non reagiamo.

Theon rotolò su un fianco, sfuggendo per un pelo all’ennesima percossa e scattò in piedi con gli abiti sporchi di brina e di sangue.

Possiamo dare a questi stronzetti la lezione che si meritano. Siamo più furbi, più forti.

No.

E allora stiamo qui a prenderle? Gran bel piano.

Zitto.

Senza sapere dove stesse andando nè cosa avrebbe fatto una volta arrivato lì, iniziò a correre a perdifiato, rischiando di scivolare sul selciato velato di ghiaccio.

Altre pietre ed insulti furono scagliati nella sua direzione ma Theon non si fermò. Sentiva il cuore battergli come un tamburo nelle orecchie e i polmoni sembravano sul punto di esplodere per la foga della sua corsa scoordinata. Cadde rovinosamente e si rialzò una miriade di volte, lasciandosi alle spalle le strade più trafficate per perdersi in vicoli sempre più bui e sempre più angusti dove mai aveva messo piede.

La città intera sembrava chiudersi sopra di lui come una bocca irta di denti aguzzi, pronta a divorarlo, a farlo sparire per sempre.

A nessuno sarebbe importato.

Probabilmente tutta Auropoli avrebbe tirato un gran sospiro di sollievo se quello scomodo ragazzino venuto dal buio fosse scomparso senza lasciare traccia.

Che ironia, si ritrovò a pensare mentre un lancio di sasso più forte e preciso degli altri lo colpiva dritto alle gambe, sbilanciandolo al punto da farlo cadere di peso contro il muro marcescente di uno dei tanti edifici abbandonati che circondavano la Torre Meccanica che ancora stava lì, alta e cigolante, in attesa di essere demolita.

Che ironia che nemmeno nella città dell’Aurora vi fosse posto per qualcuno che, come lui, era emerso dalle tenebre in cerca della luce.

Il muro di assi sconnesse cedette sotto il suo peso, catapultandolo in una stanza invasa di polvere e ragnatele grandi come lenzuola. Il pavimento di legno era stato ridotto ad un colabrodo dalle infiltrazioni d’acqua e il suo peso fu sufficiente per farlo crollare definitivamente.

Precipitò per quella che gli sembrò un’eternità.

Chiuse gli occhi, aspettando l’inevitabile impatto con le fondamenta di pietra. Se era fortunato, sarebbe morto sul colpo.

Invece ad accoglierlo arrivò il gelido abbraccio dell’acqua.

Annaspò in superficie, aggrappandosi ad una trave ricoperta di muschio e guardò verso l’alto con gli occhi blu sgranati per la paura.

Una luce fievole delineava i mattoni fradici che rivestivano il tunnel fetido e profondo in cui era intrappolato e la raggelante consapevolezza che non sarebbe mai riuscito a scalare le sue pareti viscide gli strinse il cuore come una morsa.

“Dite che è ancora vivo?”

Uno dei ragazzini calciò un sassolino giù nella voragine e questo andò a colpire Theon dritto in testa. Intirizzito dal freddo e così scosso da riuscire a malapena a parlare, implorò i suoi aguzzini di tirarlo fuori. Di chiamare aiuto, di non lasciarlo morire lì.

Alcuni scoppiarono a ridere, dicendo che quello era esattamente il posto adatto a lui, ma altri protestarono a gran voce che non si trattava più di uno dei loro sadici giochetti e che avrebbero dovuto davvero chiamare qualcuno. Una fitta discussione s’accese decine e decine di metri sopra di lui ma l’eco e l’accavallarsi delle voci gli resero impossibile capire quale fosse stato il verdetto finale.

Dolorante e troppo spaventato per pensare in modo coerente, si aggrappò all’asse più forte che potè cominciando sommessamente a piangere.

A poco a poco, le voci cessarono e lui si ritrovò solo nel buio quasi totale, bagnato fradicio e scosso da brividi di freddo così violenti da risultare dolorosi.

Smettila di frignare. Troviamo un modo per uscire di qui.

Theon annuì, continuando a tremare. E prese a guardarsi intorno alla ricerca di un appiglio, una botola… qualunque cosa.

L’odore non lasciava alcun dubbio sul fatto che fosse finito dritto nel sistema fognario della città, perciò doveva esserci un modo per risalire. Il canale sotterraneo s’allargava per diversi metri su entrambi i lati ma non vi erano scale o tombini d’emergenza… eccezion fatta per una griglia semiaperta attraverso cui l’acqua sembrava scorrere via, ma che era sommersa nella sua interezza.

Anche se fosse riuscito ad aprirla e a passarvi attraverso, non c’era modo di sapere se dall’altro lato avrebbe trovato una sacca d’aria ad aspettarlo o una cisterna senza uscita dove la forza dell’acqua sarebbe stata così forte da impedirgli di tornare indietro.

Preso di nuovo dallo sconforto, ricominciò a piangere e stavolta persino la voce nella sua testa non riuscì a trovare parole aspre ma incoraggianti per convincerlo ad agire. Tentare quella strada sarebbe stato un suicidio.

Ma affogare era comunque preferibile al morire di fame e di freddo.

Con lo stesso spirito di rassegnazione con cui aveva affrontato la caduta, Theon prese una gran boccata d’aria e s’immerse, tirando a sé la griglia che bloccava l’accesso alla conduttura e vi sgusciò dentro, certo che non avrebbe mai più rivisto la luce del giorno.

Forse gli altri bambini avevano ragione.


Continuò a nuotare, l’aria che sempre più in fretta andava a mancargli nei polmoni, gli occhi arrossati dalle peggiori schifezze chimiche disciolte nell’acqua torbida.

Forse non sarebbe mai dovuto arrivare nel Reame della Luce.

Forse il suo posto era lì, nelle acque scure dell’Abisso.

Inghiottì un primo sorso d’acqua, ma continuò a nuotare, scalciando nella stretta conduttura.

Ricordò una spiaggia dalla sabbia grigia come la cenere e un mare nero come l’inchiostro e di essere stato seduto sulla sua sponda per un tempo apparentemente infinito.

Fermo immobile, a guardare quella distesa di oscurità liquida davanti a sé.

Poi, ad un tratto, sospeso sulle acque stagnanti era apparso un rettangolo di luce. E lui aveva teso la mano verso di esso, proprio come stava facendo in quel momento verso la superficie.

Si issò fuori dalla vasca con un rantolo, sputando acqua melmosa e tossendo tanto forte da farsi sanguinare la gola.

Era salvo.

Era all’asciutto.

Era…

Tutto intorno a lui era ombroso e gelido. Ma una fievole luce proveniente dalle feritoie nel soffitto gli permise di mettere a fuoco quella che ad una prima occhiata poteva sembrare la sala macchine di una nave o una stanza delle caldaie. Tubazioni contorte come radici ed enormi ingranaggi rugginosi occupavano interamente il soffitto e le pareti. Alcune ruote dentate erano così grandi da somigliare a quelle di un mulino e, ad un’ispezione più ravvicinata, si rivelarono essere esattamente questo: ruote ad acqua che grazie al loro movimento mettevano in funzione tutti gli altri meccanismi. Ma il canale da cui Theon si era appena trascinato fuori era praticamente prosciugato e perciò quell’immensa diavoleria meccanica restava ferma.

Diavoleria meccanica…

Era forse finito nei sotterranei della Torre?

Tutti ad Auropoli guardavano a quell’edificio con inquietudine e costernazione. Era stato un grande e bellissimo castello molto tempo prima, un luogo dove i cittadini erano ammessi e una lunga serie di sovrani magnanimi e potenti maghi aveva vissuto e governato.

Ma poi, come tutte le cose, era lentamente caduta in disuso e nell’incuria e la pioggia di stelle cadenti l’aveva colpita così duramente da ridurla ad un rudere che sembrava essere stato preso a cannonate da una temibile nave pirata.

Il ponte che collegava le due guglie principali era parzialmente crollato e i tetti erano per lo più scoperchiati, lasciando gli interni spogli in balia delle intemperie. Il quadrante del grande orologio meccanico che i cittadini avevano ormai da tempo smesso di consultare per conoscere l’ora era collassato su sè stesso, il pendolo e le sue lancette perdute sul fondale del fiume sottostante.

Theon aveva sempre pensato che fosse un grande peccato.

E mentre camminava, solo e infreddolito tra gli ingranaggi immobili si sentì pervadere da un senso di tristezza così assoluto da risultare stranamente confortante. Per lui fu come guardarsi allo specchio e vedersi per la prima volta e la malinconia si tramutò in accettazione e determinazione. D’un tratto, sentì come se qualcuno l’avesse preso per mano, guidandolo in quel sotterraneo labirintico dove non aveva mai messo piede prima d’allora. Eppure sapeva dove andare, cosa fare.

E mentre camminava, sempre più sicuro e sempre più svelto, quasi a passo di danza, quasi saltellando, sfiorava uno ad uno gli ingranaggi e i marchingegni della Torre e questi, come risvegliati dal suo tocco, riprendevano vita.

La chiusa che bloccava il passaggio dell’acqua nelle condutture di piombo si aprì di scatto, riversando onde violente contro le vecchie ruote dentate che, cigolando sonoramente, ripresero immediatamente a girare.

Un sorriso estatico s’aprì sulle labbra del bambino che sembrava aver dimenticato l’esperienza traumatica appena vissuta mentre saliva sempre più su sulla scala a chiocciola, saltando i gradini a due a due.

La Torre sembrò stiracchiarsi come un pigro animale appena uscito dal letargo.

All’esterno, i cittadini di Auropoli restarono come stregati a guardare l’enorme rudere riacquistare il proprio aspetto originale a velocità sorprendente. Il quadrante tra le due guglie si rimise in funzione e le enormi lancette d’ottone presero a girare in senso anti-orario non appena gli ingranaggi mancanti emersero dal letto del fiume sottostante e, come manovrati da una forza invisibile, tornarono a prendere posto nei loro alloggiamenti. Un’intera torretta si ricostruì da sola, le tegole che s’allineavano perfettamente sul tetto a cono mentre una musica lieve, come quella di un carillon, echeggiava per le strade della città.

Theon raggiunse la cima delle scale mentre ingranaggi e intere porzioni di muro crollato volteggiavano attorno a lui come prive di peso. Il ponte sospeso si ricomponeva mentre lo attraversava perché potesse sempre avere abbastanza spazio per proseguire senza temere di scivolare giù. Ancora infreddolito e con gli abiti gocciolanti, serrò le manine attorno all’inferriata del parapetto per guardare giù, ma era ancora troppo piccolo per arrivarci e così infilò la testa tra le sbarre, godendosi il panorama di quella gelida ma soleggiata mattina d’inverno.

Sembrava che l’intera città si fosse radunata nella piazza principale e a quella vista, il primo sorriso diabolico della sua lunga ed illustre carriera fece capolino sulle labbra del bambino.

Vedere tutto così dall’alto metteva davvero le cose in prospettiva.

✭✭✭

Almeno uno dei ragazzacci che lo avevano inseguito doveva aver avuto rimorsi di coscienza perché nel giro di poche ore, il borgomastro si presentò al cancello principale della Torre Meccanica, chiamandolo a gran voce.

A Theon bastò pensarlo perchè il massiccio portone di legno chiodato si aprisse per lasciar passare l’uomo che sin dal suo arrivo si era preso la responsabilità di tutte le sue azioni. Al bambino sembrava una persona per bene, per quanto alla sua età fosse in grado di giudicare qualcuno. Ma non aveva mai nutrito nei suoi confronti più di una superficiale gratitudine, lo stesso tipo che si prova nei confronti di qualcuno che sta solamente facendo il proprio dovere.

L’uomo s’addentrò nelle ampie sale dell’edificio, meravigliandosi alla vista delle vetrate nuovamente intatte che lasciavano filtrare la luce del primo pomeriggio disegnando sul pavimento un caleidoscopio di colori.

Trovò Theon nella tromba dell’ascensore che percorreva verticalmente l’intera struttura, seduto su ciglio della piattaforma mobile e intento a riarrangiare a proprio piacimento le varie stanze, come fossero i comparti di una gigantesca casa delle bambole.

Le pareti che avrebbero dovuto separare i vari ambienti dall’ascensore erano state rimosse così che fosse possibile vedere il contenuto di ogni alcova. Con semplici gesti, il bambino poteva cambiare la disposizione degli arredi e persino di porte e finestre. La realtà stessa sembrava distorcersi attorno a lui mentre la Torre produceva stanze piene di giocattoli e libri, una cucina che sfornava solamente biscotti e persino una piscina al coperto con un groviglio di scivoli degno di un acquapark.

Nonostante l’ingenuità di quelle creazioni infantili, il Borgomastro non poté fare a meno che rabbrividire dinnanzi ad una simile manifestazione di potere.

“Theon..?”

Lui si voltò e tutt’intorno a loro la Torre sembrò fermarsi, come in attesa. Un divano rivestito di velluto verde fluttuava a mezz’aria sopra le loro teste, bloccato mentre stava per spostarsi da una stanza all’altra.

“Ci hai fatto preoccupare.”

Il bambino sorrise, scoprendo i dentini bianchissimi. “Mi dispiace, prometto che non succederà più. Ho capito da dove vengono fuori gli Heartless.”

Il Borgomastro trasalì nell’udire quell’affermazione inaspettata uscire dalla bocca di un bambino di otto anni. Ne aveva viste di cose strane nella sua vita, ma quel ragazzino piovuto giù dal cielo le batteva tutte.

“C’è una Porta, nascosta sotto la Torre. Ho paura di essere stato io ad aprirla, quando sono arrivato. Mi dispiace moltissimo. Ma posso chiuderla, lo giuro.”

“Di cosa stai parlando…?” balbettò l’uomo, raggiungendolo sul ciglio dell’ingranaggio.

Theon rispose con semplicità, come se fosse la cosa più naturale del mondo. “E’ una Porta con dietro una grande luce. E’ calda. E molto bella.”

...Kingdom Hearts?

“Ah, è così che si chiama?”

“Io… non lo so.” ammise il Borgomastro, cercando le parole giuste per continuare “E’ una cosa che nemmeno gli adulti capiscono. E di certo non qualcosa di cui dovresti preoccuparti...”

“Ma se la chiudessi, non ci sarebbero più Heartless! E tutti smetterebbero di dire che è colpa mia!” insistette lui, con un candore a dir poco disarmante.

“Nessuno lo pensa davvero… e se lo fanno, allora sono degli stupidi. Sei solo un bambino.”

“Oh lo pensano eccome.” Mise il broncio lui, raccogliendo le ginocchia al petto. “Anche tu. Lo sento che hai paura.” aggiunse poi, con aria sconsolata. Non sembrava arrabbiato, solo deluso.

L’uomo sentì una goccia di sudore freddo scendergli lungo il collo.

Il ragazzino gli stava leggendo la mente e il cuore come un libro aperto.

Sì, aveva paura.

Paura perché erano mesi interi che sapienti provenienti da ogni angolo del Reame della Luce cercavano di contenere la breccia che dal cielo sembrava essersi trasferita nelle profondità della terra sotto la Torre Meccanica. La demolizione dell’edificio, ormai programmata da tempo, era dovuta alla consapevolezza di non poter tenere la popolazione all’oscuro del pericolo imminente ancora per molto.

Dovevano agire sulla Porta e chiuderla al più presto se non volevano trovarsi un’invasione incontrastabile di Heartless per le mani.

Ed era ormai chiaro che Theon fosse la chiave di tutto.

✭✭✭

Mentre Perbias raccontava, mettendosi a nudo come mai aveva fatto prima di allora, Luxu non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.

Non aveva idea di cosa avesse passato. Sapeva che era stato ‘trovato’ ad Auropoli senza memoria, ma nella sua testa l’aveva sempre immaginato immediatamente lucido e sorridente, magari persino col Keyblade già stretto in pugno.

Invece aveva dovuto convivere con l’idea di essere letteralmente saltato fuori dalla stessa porta da cui erano usciti gli Heartless senza nessuno in grado di offrirgli risposte concrete.

Ma come accidenti c’era finito un bambino nel Reame dell’Oscurità?

“Quando arrivai ad Auropoli, i miei capelli erano bianchi. Ma persero quel colore nel giro di pochi mesi.”

Luxu spostò lo sguardo sui capelli serici di Kida e riformulò la sua domanda.

Come accidenti c’era finito un bambino di Atlantide nel Reame dell’Oscurità?

L’incredibile somiglianza di Perbias con quel popolo non lasciava più spazio ad alcun dubbio. Possibile che l’evento cataclismico che aveva fatto scomparire la città e sul quale Kida stava così ardentemente investigando avesse qualcosa a che fare con lo smarrimento di Perbias?

Magari s’era aperto un qualche strano portale e il poveretto c’era caduto dentro, venendo poi risputato fuori chissà quanto tempo dopo in un luogo completamente diverso.

Del resto, e questo Luxu lo sapeva perché era stato Perbias stesso ad insegnarglielo, il tempo scorreva diversamente nel Reame dell’Oscurità rispetto al Reame della Luce. O almeno era questo ciò che molti studiosi sostenevano e c’era persino chi ipotizzava che il tempo lì non esistesse affatto.

Per quanto quel ragionamento fosse logico, sebbene fondato su una supposizione un pò azzardata, Luxu sperò di tutto cuore di non averci preso. Perchè se la sua teoria si fosse dimostrata corretta… questo significava che Perbias aveva passato un’eternità completamente solo, nel posto più terrificante dell’intero universo. Luxu non riusciva neppure a capacitarsi di come un bambino fosse riuscito a sopravvivere in una situazione simile.

All’improvviso, tutte le stranezze di Perbias, le sue reazioni imprevedibili e il suo costante bisogno di sorridere e scherzare assunsero connotati ben più tragici. Erano forse il modo istintivo ed inconsapevole con cui scendeva a patti con tutta l’Oscurità che aveva affrontato? Con tutte le cose terribili che dovevano essergli capitate in quel lasso di tempo dilatato all'infinito in cui era rimasto prigioniero?

“Così la decisione fu presa e il borgomastro preparò l’intera città all’apertura della Porta. Perchè per chiuderla definitivamente, dovevamo prima spalancarla di nuovo. Sono certo che i miei allievi, anche se all’epoca erano molto giovani, ricorderanno una lunga notte più buia delle altre. Una notte terribile in cui il vento soffiò forte e l’Oscurità dilagò ovunque. Vi risparmierò i dettagli, ma si da il caso che quella notte il sottoscritto manifestò il proprio Keyblade e lo utilizzò per sigillare la Porta.”

Nahara si strinse le mani al petto “Certo che lo ricordiamo. Tutti celebrarono le vostre gesta. Quella fu la prima volta che sentii parlare di voi.”

“Lo stesso vale per me.” confermò Azal “Ma, Maestro… perché non ce ne avete parlato prima?”

“Lo sai come sono fatto. Non mi piace vantarmi.” ironizzò lui e Luxu trattenne a stento una risatina sebbene la situazione fosse terribilmente seria. Che faccia tosta!

Al termine del racconto, Re Kashekim maledisse più che mai la perdita della propria vista. Non solo essa l’aveva privato della gioia di veder crescere sua figlia ma adesso gl’impediva anche di fugare il terribile sospetto che come un tarlo si era fatto largo nella sua mente.

Possibile che...?

Senza altra alternativa, si rivolse a Kida nella sua lingua natia così che gli Estranei non potessero comprenderlo e le chiese di descrivere l’uomo che gli stava di fronte.

La principessa trasse un respiro profondo prima di rispondere, anche lei visibilmente scossa e confusa dagli avvenimenti delle ultime ore e da quel racconto così triste e bizzarro.

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Capitolo 35
*** χ I Know You ***


 

Nota dell'autrice: Eccoci qua di ritorno dopo le (poche!) rivelazioni di Re:Mind. Non hanno scombussolato quasi per niente i miei piani, perciò posso finalmente procedere con i capitoli di Braig e Skuld. Questo in particolare è fortemente basato (per non dire che ce l’ho proprio costruito intorno) sulla reinterpretazione della canzone Once Upon a Dream di Dimie Cat che qui serve da prestavoce per Skuld. Consiglio caldamente di ascoltare il brano in sottofondo oppure al termine della lettura :D
La traduzione del testo è letterale e perciò non corrisponde con l’adattamento Italiano della Bella Addormentata nel Bosco, ma ritengo che il testo originale si addica di più alla situazione. Buona lettura!

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χ I KNOW YOU χ


 

Xigbar non era tipo da stupirsi facilmente ma doveva ammettere che quando si trattava di organizzare un party, i LaBouff non erano secondi a nessuno.

Il grande giardino della sontuosa villa in stile coloniale era stato tramutato in una foresta incantata popolata dalle creature più bizzarre. Oltre cento invitati mascherati si affollavano sulla terrazza di marmo attorno al buffet mentre lampadari di cristallo sospesi tra i rami dei salici illuminavano il tutto in modo a dir poco scenografico.

Tiana attirò la sua attenzione da dietro un tavolo stracolmo dei suoi rinomati bignè alla crema “Signor Braig, che piacere vederla!”

Lui le si avvicinò, curandosi di addolcire un poco il suo sogghigno da sciacallo. In quegli anni aveva imparato a conoscere la giovane cittadina di New Orleans e aveva capito perchè Mama Odie avesse insistito affinchè Stella potesse vivere accanto a lei e Charlotte. 

Essendo una ragazza coi piedi per terra, probabilmente Tiana si sarebbe messa a ridere se qualcuno le avesse detto che era una Principessa del Cuore, ma la luce abbagliante che la giovane afroamericana irradiava non lasciava alcuno spazio al dubbio. Ironico, visto che quella ossessionata con l’essere una Principessa era Charlotte e non lei.

Secondo la Sacerdotessa Voodoo, la luce di Tiana avrebbe contribuito a tenere celata la presenza di Stella in quel mondo. In un certo senso, il cuore puro di Tiana avrebbe offuscato quello della Custode del Keyblade e visti gli ultimi sviluppi, Xigbar si domandò per quanto ancora ciò sarebbe stato sufficiente. 

In effetti, quella sera si trovava lì per parlarle proprio di questo. Non aveva ancora deciso cosa fare, ma era chiaro che Stella non poteva continuare ad attirare l’attenzione dell’Organizzazione e che dovevano prendere provvedimenti.

“Buonasera Tiana, vedo che gli affari vanno a gonfie vele.” la salutò lui giovialmente, arraffando un bigné fumante dal vassoio per cacciarselo in bocca.

“Oh sì. Se tutto fila liscio, stasera avrò in tasca il contratto per lo zuccherificio sul canale! Oh, perdonatemi, non so se Stella ve ne ha parlato…” s’interruppe lei, frenando a stento il proprio entusiasmo. Vedere una ragazza così giovane e così motivata era piuttosto inusuale, perciò Xigbar non potè fare a meno di domandarsi se fosse proprio quella sua grande forza d’animo a rendere il suo cuore così luminoso. Non tutte le Principesse del cuore erano dei fiorellini delicati, dopotutto.

“Mi ha accennato qualcosa, sì. Un ristorante, vero? Un investimento molto ambizioso.”

“Già…” ammise lei, passandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio “Era il sogno di mio padre, sapete? Non facevamo altro che immaginare il giorno dell’inaugurazione, sin da quando ero bambina.” Tiana sospirò, nostalgica. 

“Se questi bignè sono solo un assaggio di quel che il tuo ristorante avrà da offrire, allora direi proprio che tuo padre ci aveva visto giusto. Sprecare un simile talento sarebbe un vero crimine.” 

“Mi ritengo una persona piuttosto umile, ma non quando si tratta della mia abilità culinaria.” ammiccò lei, scherzosamente. “Potrei accontentarmi di un posto come cuoca nel ristorante di qualcun’altro ma vedete, non voglio che tutto il lavoro di mio padre sia stato per niente. Nonostante si sia spaccato la schiena per tutta la vita, non ha avuto l’opportunità di cogliere i frutti di quel che aveva seminato. Per questo motivo non posso accontentarmi, capite?”

“Certamente. Dovevate essere molto legati.” commentò Xigbar, abbassando lo sguardo del suo unico occhio celato nell’ombra della maschera dalle sembianze di un teschio dalle lunghe corna ricurve. “T’invidio un pò, sai? La mia figura paterna non si è lasciata alle spalle un’eredità altrettanto positiva. I miei fratelli presero a scannarsi tra loro non appena rimanemmo da soli.”

La giovane donna lo fissò interdetta, senza sapere veramente come rispondere ad una simile affermazione. “Oh. Mi… mi dispiace.” 

“Bah, ormai è acqua passata.” minimizzò lui, prendendo un altro bignè. “Piuttosto, sai dove posso trovare Stella?”

“E’ di sopra con Charlotte.” disse Tiana indicando il primo piano della villa. “Doveva essere sul palco già da dieci minuti ma visto che il nostro ospite d’onore, il principe… com’è che si chiama? Naveen? Sì insomma, visto che il principino non si è degnato di arrivare in orario Lottie ha avuto uno dei suoi soliti crolli nervosi e Stella è andata su per cercare di calmarla.”

“Quella ragazza è una santa!” rise Xigbar sbocconcellando il dolcetto. “Beh, immagino andrò a fare un giro e continuerò a rimpinzarmi fino a che la padrona di casa non ci onorerà con la sua presenza.”

“Mi sembra un buon piano.” assentì Tiana, facendogli l’occhiolino. “Se avete bisogno di me, sapete dove trovarmi.”

“Senz’altro. E buona fortuna per lo zuccherificio.”

Col bignè ancora in mano, Xigbar girò sui tacchi mischiandosi alla folla di invitati avviluppati in travestimenti sgargianti e abiti ricoperti di paillettes. Sebbene si trattasse di una festa in maschera, non v’era un vero e proprio tema perciò si poteva assistere a scenette piuttosto surreali come la conversazione tra un uomo in un costume da aragosta gigante ed una ballerina di can can. 

Per quanto riguardava lui, Xigbar non aveva una grande simpatia per quel tipo d’eventi mondani ma trovava l’idea di indossare una maschera che raffigurasse il suo animale totemico, il caprone, piuttosto divertente. Soprattutto perché in molti mondi quella placida bestiola era considerata un simbolo di malaugurio e non falliva mai d’’attrarre gli sguardi, spesso velati di disapprovazione, dei presenti. 

E Xigbar, nella sua esistenza pluricentenaria e ormai afflitta dalla noia, avrebbe fatto veramente qualsiasi cosa pur di sfuggire alla monotonia e godersi, anche solo per qualche secondo, lo sdegno di un gruppo di riccastri pomposi.

Era un pò come entrare alla corte del Principe Prospero indossando le vesti della Morte Rossa.

Uno squillo di trombe e lo strillare del maggiordomo di casa LaBouff annunciarono finalmente l’arrivo del tanto sospirato principe Naveen e Charlotte apparve in cima alle scale della villa con una rapidità sconcertante, al punto che Xigbar si domandò se si fosse teletrasportata attraverso un Corridoio Oscuro o chissà quale altra diavoleria.

La bionda venne investita dalla luce dei riflettori mentre scendeva rapidissima e saltellante nel suo gran bel vestitone rosa per andare ad accogliere l’ospite d’onore.

Naveen, vestito di bianco da capo a piedi e con il sorriso più smagliante e perfetto che si potesse immaginare, la prese immediatamente tra le braccia, conducendola verso la pista da ballo mentre gli invitati sussurravano eccitati tra di loro.

Il ticchettare svelto dei tacchi di Stella distolse l’attenzione di Xigbar da Charlotte e il suo bellimbusto ma la ragazza non sembrò accorgersi della presenza del suo ‘tutore legale’ mentre prendeva posto sul palco ornato di festoni.

Una strimpellante scala di pianoforte annunciò l’inizio della performance mentre gli altri musicisti prendevano posto, sostituendo i menestrelli muniti di arpe e violoncelli con una squadra di jazzisti in smoking armati di sax e percussioni.

 

I know you~♪     [So chi sei]

 

La voce vellutata della giovane risuonò nel giardino come il canto di una sirena ammaliatrice e il chiacchiericcio dei presenti cessò immediatamente.

 

I walked with you once upon a dream~♪     [Ho camminato con te una volta in un sogno]

 

Stella apparve sul palco illuminata dalla luce soffusa dei lampadari di cristallo e Xigbar sorrise orgoglioso, mentre il suo cuore atrofizzato veniva scosso da un guizzo di vitalità mai provato sin dalla sua trasformazione in un Nessuno. Sapeva che non avrebbe dovuto attribuirsi tutto il merito per come fosse ‘venuta sù’ quella ragazzina, ma al tempo stesso sentiva di meritarsi un pò di riconoscimento. 

Stella non era una principessina zuccherosa come Charlotte nè tantomento una ligia al dovere e tutta d’un pezzo come Tiana e se il Principe Naveen avesse avuto un briciolo di cervello, avrebbe lasciato perdere tutte le altre donzelle per tentare d’accalappiare la femme fatale che si stava esibendo sul palcoscenico, sicura di sé come non mai.

Il mascara e il trucco deciso la facevano sembrare la protagonista di un film noir e la sua voce forte ma sbarazzina non faceva altro che renderla ancora più misteriosa ed intrigante.

Stella era una ragazzaccia...

Come lui.

Appoggiandosi tronfiamente ad un capitello sormontato dalla statua di un putto grassottello, Xigbar afferrò un calice di champagne dal vassoio di un cameriere distratto preparandosi a godersi lo spettacolo. Stava per accostare il bicchiere alle labbra quando qualcosa lo costrinse ad immobilizzarsi di colpo.

 

I know you~♪     [So chi sei]

 

Erano secoli che non sentiva quel profumo.

L’uomo si voltò, l'occhio giallo che scrutava la folla, arguto e spalancato.

Possibile che…?

Come un segugio, inspirò profondamente nella speranza di rintracciare quella scia sfuggente, posando il calice sulla balaustra di marmo.

Ed eccolo, il tanfo dolciastro dei fiori di ciliegio che ricoprono le strade, i petali rosati che a poco a poco appassiscono e marciscono.

Lei era lì.

 

The gleam in your eyes is so familiar a gleam~♪     [La luce nei tuoi occhi è così familiare]

 

Ava. 

La più giovane tra gli apprendisti del Maestro dei Maestri.

La sua vecchia compagna di giochi e d’avventure.

Il suo primo amore ed il suo primo bacio.

E ovviamente colei che aveva dato inizio alla Guerra dei Keyblade, puntando la lama contro di lui così che la Torre Meccanica scandisse il rintocco decisivo.

Non ne aveva alcun dubbio, avrebbe riconosciuto il suo profumo tra migliaia.

Ma lei era una maestra dell'illusione e poteva assumere l'aspetto di chiunque, rendendosi identica all'originale sin nel minimo dettaglio. Soltanto i fiori di ciliegio l'avrebbero tradita, ma in mezzo a tutta quella gente accaldata dalle danze e dal troppo champagne non sarebbe stato facile individuarla.

 

Yet I know it's true~♪   [Anche se so che è vero]

That visions are seldom all they seem~♪    [Che visioni come questa raramente sono ciò che sembrano]

 

Perché si trovava lì?

Aveva forse seguito le tracce di Stella? Certo, non poteva essere altrimenti. Aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe venuta a reclamare il suo dente di leone smarrito, in effetti, ci sperava.

Mentre sgusciava tra la folla di avventori mascherati, Xigbar si domandò se la Veggente si fosse già accorta della sua presenza. E se era così, si chiese se l'avrebbe sfuggito o se gli sarebbe corsa incontro. Del resto, non si erano detti addio nel più amichevole dei modi.

Si erano quasi uccisi a vicenda su quella collina solitaria, quasi ottocento anni prima.

Xigbar aprì il suo cuore atrofizzato più che poté, autorizzandola tacitamente ad entrare e tese una mano nel vuoto che li separava. 

 

But if I know you~♪   [Se so chi sei]

I know what you'll do~♪   [Allora so quel che farai]

 

Vagò in quella marea di corpi colorati per quella che gli sembrò un’eternità, la voce dolce di Stella a cullarlo in quell’atmosfera ovattata e surreale mentre l’odore si faceva sempre più intenso. Non stava cercando qualcuno che le assomigliasse. Ava non sarebbe mai stata così incauta da mostrarsi con le sue vere sembianze, perciò poteva fare affidamento soltanto sulle indicazioni sconclusionante offerte dal suo cuore malandato. 

‘Possa il tuo cuore essere la tua chiave guida’. Si certo, come no. [As if.] Avercelo, un cuore!

Charlotte e il principe Naveen gli volteggiarono davanti leggiadri e la sua concentrazione vacillò, distratto dall’ingombrante vestito rosa di Miss LaBouff e dalla sua espressione adorante e innamorata. Sarebbe stata proprio una scena saltata fuori da un libro di fiabe se non fosse stato per il fatto che…

 

You'll love me at once~     [Mi amerai all’istante] 

 

Qualcosa di freddo e cilindrico gli premette tra le scapole. E Xigbar s’irrigidì, ben consapevole che si trattasse della canna di una pistola, probabilmente uno di quei piccoli modelli da borsetta che tanto andavano di moda tra le spigliate donne di New Orleans.

Una mano guantata di bianco gli si serrò sul braccio, tirandolo indietro in mezzo alla folla.

"Avevo sentito delle voci, storie ormai entrate a far parte delle leggende di molti Mondi. Parlano di un demone che veste la pelle delle sue vittime. Speravo fossero infondate... e invece eccoti qui, Luxu."

Lui si voltò lentamente, quanto bastava per dare una sbirciata alle sue spalle, ma lei gli affondò le unghie nella carne. "Ah. Non sentivo quel nome da così tanto tempo…"

“Zitto.”

The way you did once~    [Come facesti una volta]

 

Xigbar sbuffò, tornando a guardare davanti a sé. "Che c’è, mi avresti preferito morto? Non è un tantinello ipocrita visto che sei qui anche tu? Si raccontano storie non proprio lusinghiere anche sul tuo conto. Dicono che sei una fata cattiva che rapisce i bambini."

"Buffo, visto che sei stato tu ad aver preso una dei miei Denti di Leone. Dimmi dov’è la ragazza."

"Dritta al punto, eh? Nemmeno un abbraccio al tuo vecchio compagno di scuola?"

La canna della pistola premette ancora più forte contro la sua schiena, ma il Nessuno non sembrava affatto spaventato. Non avere un cuore a pieno servizio aveva i suoi vantaggi e in ogni caso, sapeva bene che Ava non avrebbe fatto niente di così avventato in mezzo a tutti quei civili innocenti. 

O almeno lo sperava.

"Non vedo perchè dovrei dirti dove trovarla, visto che sei così scortese." ironizzò, divertito dal fatto che Ava non avesse riconosciuto Stella. Non che si sentisse di biasimarla, quella ragazzina era cresciuta moltissimo negli ultimi anni e la mezza maschera di pizzo nero che le lasciava scoperte solamente mento e labbra completava alla perfezione il suo travestimento.

“Ma si da il caso che sia di buon umore, perciò ti dirò dove si trova la mocciosetta... ma non qui. Non stasera. Hai aspettato ottocento anni per farti viva, sono certo che puoi aspettare ancora un altro pò."

Se dovevano giocare, Luxu non l'avrebbe fatto senza dettare le proprie regole.

"Non se ne parla. Rispondimi, altrimenti-”

"Mi spiace, Chisai Kitsune. In questo momento ho io il coltello dalla parte del manico anche se sei tu quella con la pistola. Finché saremo qui, in mezzo alla gente, le tue minacce non hanno alcun valore."

“Mi stai sottovalutando.” rispose lei, a muso duro. La sua voce era più profonda di come Xigbar la ricordasse. Più adulta. “Potrei celare entrambi con un illusione e gli invitati non s’accorgerebbero di niente nemmeno se ti lasciassi morto stecchito in mezzo alla pista da ballo.”

“Come sei diventata cruenta...”

“E tu sei insopportabile! Ah. Adesso capisco.” Ava scosse il capo e Xigbar scorse una ciocca dei suoi capelli color glicine con la coda dell’occhio. Se prima aveva addosso una qualche magia illusoria adesso era chiaro che l’avesse lasciata dissipare. Se si fosse voltato, si sarebbe trovato faccia a faccia con la stessa Ava dei suoi ricordi?

 "Il tuo cuore… lo sento a malapena. Sei un Nessuno. Ecco perchè ti comporti in modo così sconsiderato."

"Sconsiderato io? Non diciamo sciocchezze. Il cuore è solo una distrazione.” minimizzò lui.

"Se è così, allora sarai ben consapevole che non sono la sola a star trafficando con le illusioni, qui tra i presenti"

“Sì, ho notato. C’è sicuramente lo zampino dell’Uomo-Ombra. La povera principessina di casa ci resterà molto male quando scoprirà che il suo fidanzato è un impostore." 

Ava serrò con più forza il calcio della pistola e gli si avvicinò quanto bastava per sussurrargli dritto all’orecchio. "Senti chi parla."

"Questo è un colpo basso. Paragonarmi ad un simile dilettante!” Accusò lui, sarcastico. “Certo che ci sono cose che non cambiano mai... L'Oscurità attecchisce sempre nei cuori dei deboli. Quindi, perché non facciamo squadra per sconfiggere i cattivi come ai vecchi tempi, eh Ava?"

La sentì sbuffare. “Uno ce l’ho già sotto tiro.”

Xigbar alzò l’occhio al cielo. “Ava, Ava… davvero lo pensi?” così detto si girò di scatto, afferrandola per il polso e sollevandole l’arma in aria, così che un eventuale colpo sarebbe stato sparato verso il cielo notturno anziché dritto tra le sue costole, ma lei non aveva neppure il dito sul grilletto. A quella vista, il Nessuno sogghignò. “No che non lo pensi.” concluse compiaciuto, lasciando la presa così che Ava potesse far scivolare l’arma nell’ampia manica del cappotto, per nasconderla ad occhi indiscreti.

La donna che gli stava di fronte celava il proprio volto dietro una maschera da colombina, e senza illusioni ad alterare il suo aspetto, essa non rappresentava certo un ostacolo per Xigbar che aveva imparato a riconoscere i suoi compagni dell'Organizzazione soltanto dal loro portamento quando erano coperti da capo a piedi nelle tuniche nere.

Con Ava poi, aveva già fatto pratica visto che la maschera da volpe era diventata una costante della sua persona sin da quando era stata nominata Maestra.

In quel momento, la Veggente indossava un elegante tailleur in due pezzi e un lungo cappotto dal collo di pelliccia, per mimetizzarsi alla perfezione tra le altre donne dall'aria sofisticata che erano state invitate al party.

Soltanto le onde di capelli rosati che le incorniciavano il viso tradivano il fatto che fosse un'Estranea, ma il resto dei presenti dava per scontato che si trattasse di una parrucca eccentrica indossata per l'occasione.

Era minuta proprio come la ricordava, una bambolina graziosa e dall'aria inoffensiva. Ma Xigbar la conosceva meglio di chiunque altro e sapeva che dietro quell'apparenza fragile si nascondesse una forza tale da scuotere le montagne. Era sempre stato quel suo dualismo ad affascinarlo perché Ava sembrava l'ultima persona al mondo in grado di compiere le azioni estreme e spesso efferate che il suo ruolo richiedeva.

Era sempre stata la cocca del Maestro, la sua insospettabile arma segreta. Era stato lui ad insegnarle ad ingannare la vista ed il cuore. E se Perbias t’insegnava qualcosa, esso diventava parte di te.

Esattamente come l'abilità di trasferire il proprio cuore nel corpo di un altro ed estendere così la propria vita all'infinito era diventata parte di Luxu.

I loro sguardi s'incrociarono attraverso le fessure delle maschere.

Xigbar aveva dimenticato quanto fossero grandi e verdi i suoi occhi.

Lei invece lo fissava con un’espressione imperscrutabile, quasi stesse cercando di rintracciare qualcosa di familiare nel volto che intravedeva oltre il teschio dalle corna ricurve. Se cercava i suoi capelli rossi e le sue lentiggini, di certo non le avrebbe trovate. 

Era delusione quella che le leggeva negli occhi? Nostalgia? O forse rabbia?

“Hai un occhio solo.”

“Davvero? Non me n’ero accorto.”

Ava stirò le labbra e lui non seppe dire se per celare un sorriso o trattenersi dal mandarlo al diavolo.

Il suo profumo di fiori si fece ancora più forte e Xigbar si sforzò d’ignorarlo. Sapeva che la Veggente lo stava usando contro di lui, quell'aroma così invitante e languido da essere quasi soporifero. Non doveva abbassare la guardia.

 

Upon a dream...~♪    [In un sogno...]

 

Il pubblico prese ad applaudire al termine della canzone e Stella rivolse agli invitati un grande sorriso, inchinandosi ripetutamente e ringraziandoli per il loro entusiasmo. Qualcuno raccolse le rose disposte nei vasi di cristallo per gettarle sul palco, chiedendo a gran voce il bis e lei sembrò ben lieta di accontentarlo. Posò nuovamente le mani guantate di nero sul microfono, facendo cenno al pianista di attaccare con qualcosa di un tantino meno mieloso dato che Charlotte aveva già avuto il suo momento di gloria e se ne stava attaccata al Principe di Maldonia come un koala al tronco di un eucalipto.

Fu proprio in quel momento che la voce alterata di Tiana e il tonfo sordo di un tavolo che si rovesciava attirarono l’attenzione di Xigbar e Stella.

Gli invitati neanche si curarono della poveretta caduta a terra, reclamando una seconda canzone ma la ragazza venuta dal passato ignorò le loro proteste, scendendo di corsa giù dal palco per andare a soccorrere l’amica.

Anche Charlotte, incredibilmente, si scrostò da Naveen per raggiungere Tiana ed aiutarla ad alzarsi. L’afroamericana aveva l’abito giallo sporco di fango e zucchero a velo ma fu la sua espressione ad allarmare seriamente le due ragazze. Sembrava che le fosse appena crollato il mondo addosso.

“Tia! Che è successo?”

“N-niente, sono scivolata. Mi dispiace per i bignè…”

“Oh chi se ne importa, vieni, devi cambiarti!” reagì immediatamente Charlotte, prendendola sottobraccio nonostante Stella tentasse vanamente di attirare la sua attenzione per farle capire che non erano certo le condizioni del suo vestito ad aver abbattuto così all’improvviso il morale della giovane donna.

Stella si voltò verso la folla e non fece alcuna fatica ad individuare i veri colpevoli. I fratelli Fenner, i due tarchiati agenti immobiliari che detenevano la proprietà dello zuccherificio che Tiana tanto desiderava acquistare, se la ridevano mangiando a due a due i bignè che avevano saccheggiato dal tavolo di Tiana… sicuramente dopo averle detto in faccia che non avevano intenzione di venderle un bel niente.

La Custode del Keyblade sentì montare dentro di sé un’ondata di rabbia ma Tiana le lanciò un’occhiata sconsolata, come per dirle di lasciar perdere e che non c’era motivo di rovinare con i suoi problemi la serata perfetta di Charlotte. 

Stella serrò la mano a pugno, trattenendosi a stento dall’evocare Luce Stellare e seguì le due amiche su per la grande scalinata dell’atrio di casa LaBouff.

Fuori, sotto le fronde fruscianti dei salici, Xigbar e Ava erano rimasti in silenzio ad osservare la scena e lei in particolare non aveva staccato gli occhi dal principe Naveen nemmeno per un istante. Una maestra delle Illusioni come lei poteva chiaramente vedere che l’aitante e abbronzato principe altro non era che un ometto grassoccio e calvo sotto l’effetto di un incantesimo. E un incantesimo a tempo limitato, per giunta.

“Luxu?”

L’uomo le rivolse il sorriso più sornione che avesse mai visto. Persino Perbias avrebbe avuto difficoltà ad euguagliarlo. Era chiaro che ci stesse godendo un sacco nel vederla costretta a dargli ragione. “Allora, andiamo a dare la caccia ai cattivi come ai vecchi tempi?” le chiese, mellifluo.

Lei sospirò, rassegnandosi all’idea di dover collaborare con lui se voleva spillargli una qualsiasi informazione riguardo la ragazza rapita. Quel mondo non aveva alcun valore per lei, ma entrambi sentivano che l’Oscurità era all’opera ed erano stati condizionati sin dall’infanzia a reagire quando essa si manifestava. Combatterla era per loro un riflesso quasi incontrollabile, specialmente per Ava che a differenza di Xigbar aveva brandito il proprio Keyblade contro gli Heartless migliaia di altre volte.

“Come ai vecchi tempi.” annuì lei, freddamente “Ma non farti illusioni. Non siamo dalla stessa parte. Risolta questa cosa, mi condurrai da Skuld.”

Lui sbattè la palpebra del suo unico occhio.

Quindi era così che si chiamava Stellina.

Skuld. 

Un nome calzante. Fin troppo. 

Il nome di una Valchiria e di una delle tre Norne… tre dee del destino che a Tebe venivano chiamate Parche e portavano i nomi di Atropos, Clotho e Lachesis... ma che nelle leggende di altri mondi erano conosciute come Wyrd, Verdandi e Skuld.

Perbias aveva ricevuto l’Occhio che Scruta dalle tre megere che dimoravano nell’Ade, e con esso aveva scritto il Libro delle Profezie che poi era stato affidato ad un’ignara bambina che portava a sua volta il nome di una Dea del fato. Per la precisione, di quella in grado di vedere il futuro.

Non c’erano coincidenze nei piani del Maestro. Ormai avrebbe dovuto esserci abituato, eppure ancora una volta si ritrovò ad ammirare la precisione del suo grande, anzi grandissimo disegno. Il Futuro architettato dal suo mentore era come un perfetto meccanismo ad orologeria, ogni piccolo pezzo aveva una funzione ben precisa ed indispensabile.

“Inseguiamo il nostro falso principino e vediamo se ci conduce alla fonte di tutta questa Oscurità. Sai, ti confesso che ho sempre voluto fare due chiacchiere con l’Uomo-Ombra.”

“Sembri piuttosto familiare con questo mondo, Luxu.”

“Non immagini neanche quanto.”

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Capitolo 36
*** ✭ The Lost Empire ***


✭ THE LOST EMPIRE ✭

I saw the end.
I saw the ending at the start.
Though I never said a word aloud,
I knew it in my heart.
All I ever wanted was to make the smiles real.
I felt that was worth the hurt and time it took to heal.
[Lantern in the Night -
Rachel Rose Mitchell]


L’espressione del Re s’era fatta cupa e imperscrutabile. Raccogliendo il lungo scettro in legno scolpito, si alzò in piedi e la sua figura nerboruta assunse un aspetto estremamente autoritario nonostante l’evidente debolezza delle sue vecchie membra.

“Qualunque cosa tu stia cercando, non la troverai qui.” disse risoluto, usando il tono aspro di chi è abituato a comandare. La sua voce era come carta vetrata.

Perbias abbassò il capo in un gesto sorprendentemente umile “Con il dovuto rispetto, Vostra Altezza-”

“Non mettere alla prova la mia pazienza, Straniero. Ti sto dando l’occasione di ritirarti, ma vedo che non hai alcuna intenzione di approfittare della mia magnanimità.”

“Con il dovuto rispetto,” ripeté Perbias imperturbabile, sollevando nuovamente lo sguardo “mi trovate in disaccordo. Se voi foste in grado di vedermi, capireste che le probabilità che io sia uno ‘straniero’ sono molto labili.”

“Mia figlia è i miei occhi. Conosco il tuo aspetto e so cosa stai insinuando. Vuoi sapere se appartieni al nostro popolo-”

“A dire il vero, no.” rispose il Maestro cogliendo un pò tutti alla sprovvista, soprattutto Kida. “Certo, sarebbe un bel colpo di scena, una gran bella rimpatriata ma… tutti veniamo da qualche parte. E il vostro Mondo non è per me più speciale di altri semplicemente perché si è inabissato migliaia di anni fa.”

Luxu sbattè le palpebre senza credere alle proprie orecchie. Dopo il racconto strappalacrime sulla sua infanzia, l’apprendista s’aspettava che il Maestro si sarebbe lasciato andare al sentimentalismo e invece, ancora una volta, Perbias aveva disatteso le sue aspettative. Che stesse fingendo o meno, di certo sapeva come apparire distaccato se la situazione lo richiedeva.

“La verità è che non è facile sorprendere chi, come me ed i miei apprendisti, viaggia continuamente di Mondo in Mondo. Ho visto luoghi ben più strani di una città sotterranea.” fece una pausa, cercando di interpretare l’espressione indecifrabile del Re “La sola cosa che non ho mai incontrato nel resto dei miei viaggi, sono persone a conoscenza del Keyblade. Perciò, è questa la domanda che vi pongo. Che cosa sono i Keyblade, esattamente?”

“E perché sono stati proibiti?” incalzò Kida andando a spalleggiare lo straniero in quella raffica di domande così scottanti. L’uomo dai capelli blu sembrava deciso a svelare il medesimo mistero che l’aveva tormentata per tutti quegli anni e lei non poteva lasciarsi sfuggire un’occasione simile. “Padre, vi supplico.”

Nel ritrovarsi con le spalle al muro, Re Kashekim realizzò finalmente con che razza d’individuo avesse a che fare. Il cosiddetto ‘Maestro’ era molto più astuto di quanto gli avesse dato credito. Da un lato, il vecchio sovrano provava nei confronti di una simile sfrontatezza una buona dose di rispetto, ma dall’altra sapeva di dover fare di tutto per eludere quella domanda. Non aveva tenuto il segreto seppellito nella sabbia per ottomila anni soltanto per farlo rivelare da un estraneo dalle dubbie intenzioni.

Del resto, se ciò che aveva raccontato corrispondeva al vero, allora egli era stato prigioniero nel Reame dell’Oscurità per un tempo indefinito e Kashekim non aveva dimenticato le sottigliezze della politica e sapeva benissimo come poter rovesciare la situazione a proprio vantaggio.

“Kida, pensi sul serio che non abbia a cuore il tuo bene e quello delle nostra gente?” disse il Re, facendo appello al buon senso della figlia, anche se questo significava doverle rivelare almeno un poco di verità.

“Il mio unico scopo è preservare e proteggere il nostro popolo da persone come loro. Ignoranti e con troppo potere tra le mani! Atlantide ha combattuto l’Oscurità in passato, l’avevamo debellata da questo Mondo e da tutti gli altri. E per far sì che essa non potesse tornare, bandimmo le Chiavi che collegano questo Reame a quello dell’Oscurità.” Kashekim puntellò il bastone a terra con autorità, additando Perbias “La storia che quest’uomo ti ha appena raccontato non è forse l’ennesima buona ragione per cui dovremo abbandonare queste armi, questi Keyblade, nell’oblio? Basta così poco, Kida. Un bambino è sufficiente ad aprire le porte all’Oscurità. Nessuno dovrebbe essere in grado di farlo, meno che mai qualcuno con un cuore giovane ed impressionabile, spaventato persino dalla propria ombra.”

Perbias accusò quelle parole come un violento colpo allo stomaco. Luxu lo vide vacillare sulle caviglie per un istante, prima di riacquistare l’equilibrio e la sua solita flemma sfacciata. Ma il giovane apprendista sapeva che Re Kashekim aveva colto nel segno, lì dove al Maestro faceva davvero male.

“Ma un bambino è anche sufficiente a richiudere queste porte. Io l’ho fatto. Sto continuando a farlo… ma nuovi squarci si aprono ogni giorno tra i due Reami. Se davvero la vostra gente vinse l’Oscurità già una volta, perchè tenete queste conoscenze per voi invece di condividerle con gli altri mondi?” a quel punto, il Maestro fece una cosa che nessuno dei suoi apprendisti si sarebbe mai aspettato di vederlo fare e Hafet si lasciò persino sfuggire un sonoro ‘gasp’ mentre Perbias s’inginocchiava.

Non era uno dei suoi soliti inchini svolazzanti, ma un segno di umile e totale sottomissione.

Luxu lo fissò spiazzato. Perchè comportarsi in quel modo se il Re nemmeno poteva vederlo? Per chi era veramente quella messinscena?

“Sono venuto qui alla ricerca di un modo per debellare l’Oscurità una volta per tutte. Vi prego, anzi, vi imploro di rivelarmi come posso riuscirci.”

Kashekim si lasciò sfuggire un lento, rauco sospiro. “Le tue parole dimostrano quanto tu sia stolto. Se fosse davvero possibile eradicare l'Oscurità tu non saresti qui. Non s'aprirebbero squarci tra i due Reami, non ci sarebbero mostri divortatori di cuori che terrorizzano gli innocenti. L'Oscurità non può essere fermata, solo cotenuta. Ormai dovresti averlo capito.”

“Vostra Maestà-”

“Non un’altra parola. Tornatevene da dove siete venuti. Questo è il mio ultimo avvertimento.”

Perbias si rimise in piedi fiaccamente “Come desiderate.” scandì atono, evocando il Keyblade ed aprendo un portale dritto in mezzo alla sala del trono.

“Maestro, ce ne andiamo davvero via così?!” protestò Salegg facendosi avanti. Anche Luxu e gli altri erano sul punto di mettersi a protestare. Era davvero inusuale che il loro mentore si lasciasse scoraggiare così in fretta…!

“Avete sentito il Re. Non siamo i benvenuti, e conoscete le regole. Dobbiamo interferire il meno possibile negli affari degli altri Mondi.” li interruppe Perbias asciuttamente, avviandosi verso il varco luminoso.

“Ma-” tentò di di farlo ragionare Mava, raggiungendolo prima che potesse attraversare “Questo è il vostro Mondo!”

Lui le sorrise stancamente, scompigliandole i capelli rosa “Forse. O forse no. In ogni caso, Auropoli è casa mia. E poi, dico, mi ci vedresti in gonnellino e pittura tribale? Non è nel mio stile.”

“Su questo non ci piove, ma Maestro-”

“Andiamo, dai. Torniamo a casa.” tagliò corto lui, tirandosi il cappuccio sul volto e spingendo sia lei che Salegg verso il portale “E’ stato un onore, Vostra Altezza. Confido che un nostro prossimo incontro possa svolgersi in un clima meno teso.”

E con queste parole ed una vampa di luce azzurra, i sette Estranei scomparvero nel nulla.

Kida fulminò il Re con lo sguardo e lui percepì chiaramente la sua delusione e rabbia anche se non era in grado di vederla in viso.

“Dì ciò che hai da dire, Kidagakash” le accordò il permesso, tornando faticosamente a sedersi sul seggio di pietra circondato di fiori e incensieri profumati.

La donna stava per sfogargli contro tutta la sua frustrazione, ma invece serrò le labbra e corse fuori dalla sala del trono lasciando Re Kashekim solo con i propri pensieri inquieti.

“Maledizione!” imprecò Kida non appena ebbe messo piede fuori dal palazzo, scaraventando la lancia ricurva in uno dei cespugli rigogliosi che costeggiavano il colonnato.

Per tutta la vita aveva atteso un’occasione come quella, la prova che i suoi sospetti erano fondati… e la possibilità di scoprire finalmente la verità si era volatilizzata davanti a lei in un battito di ciglia!

Un portale che si apre e chiude in un istante e i sette stranieri che spariscono senza lasciare traccia, come fossero stati un’allucinazione collettiva dell’intera città.

Ma il Leviatano era stato abbattuto e la sua carcassa era adesso niente più che una chiazza di metallo fuso sulla superficie del mare di lava… era successo davvero e lei non aveva potuto fare niente!

Camminando avanti e indietro come una pantera in gabbia, la giovane donna ruminava sul da farsi, ripensando alle parole di suo padre e a quelle del ‘Maestro’. Non sapeva davvero quale avrebbe dovuto essere la sua prossima mossa e ora più che mai si sentiva sola ed impotente.

Se non ci fosse stata un’insormontabile barriera d’acqua a separare la città dai Mondi Esterni, avrebbe fatto i bagagli e sarebbe andata là fuori in cerca di risposte.

Era terribilmente ingiusto!

Ingiusto che quell’uomo vestito di nero, un Atlantideo proprio come lei, potesse andare e venire tra i mondi a suo piacimento soltanto perché in possesso di una maledetta chiave, mentre lei, la figlia del Re, era intrappolata lì, in una città morente, costretta ad obbedire ai dettami antiquati di un padre troppo orgoglioso.

Raccolta la lancia che aveva gettato via preda della frustrazione, s’addentrò nella giungla fitta che aveva a poco a poco inglobato la parte più antica della città quando la popolazione l’aveva abbandonata in favore dei crinali della montagna. Doveva tirare un bel respiro e schiarirsi le idee.

Camminare in mezzo ai ruderi e alle statue menomate la riempiva sempre di grande tristezza ma anche di un senso di calma e pace. Era come viaggiare indietro nel tempo, sfogliando le pagine di un libro di storia.

Kida sorrise mestamente a quel pensiero, perché, proprio come tutti gli altri abitanti di Atlantide, non aveva mai imparato a leggere. La scrittura era stata proibita immediatamente dopo il Mehbehlmoak, proprio come i Keyblade.

Un groviglio di piante lussureggianti s’apriva davanti a lei e Kida lasciò vagare lo sguardo sulle carcasse delle macchine volanti che giacevano semi-sommerse nelle pozze d’acqua cristallina. Un tempo quei rottami erano stati mezzi di locomozione velocissimi e pericolosi tanto quanto il Leviatano. O almeno era questo che la ragazza era riuscita a dedurre dalle pitture che aveva rinvenuto sulle pareti di un antico palazzo inondato quasi fino al soffitto. Anche se non sapeva leggere i cartigli, le immagini erano inequivocabili.

Per anni aveva provato a riattivare una di quelle macchine, sperando che potesse offrirle una via di fuga da quel Mondo così statico e ostile, ma senza successo.

°°°

“Maestro, perchè non ce ne avete mai parlato prima?” lo incalzò immediatamente Mava, non appena rimisero piede nell’accogliente sala delle riunioni della Torre Meccanica.

“Perchè è acqua passata, no?”

La ragazza aggrottò le sopracciglia, specchiandosi nei grandissimi occhi blu dell’altro “Sì, ma-”

“Maestro, mi trovo d’accordo con lei. Avreste dovuto parlarcene!” s’intromise Hafet.

“Suvvia, ragazzi. Sono qui per essere il vostro insegnante, non per crucciarvi con i miei problemi. Specialmente non quelli risalenti a quasi sedici anni fa.”

“Immagino che nella vostra posizione avrei fatto lo stesso.” commentò Salegg con voce grave. “Mostrare debolezza poteva compromettere la vostra autorità ai nostri occhi.”

“Non siamo in una dittatura militare, Salegg.” gli fece notare Nahara. “Se il Maestro ha delle preoccupazioni, deve sentirsi libero di discuterle con noi.”

“Vedete, è per questo che sarete dei Maestri coi fiocchi.” li rassicurò lui, dando un colpetto affettuoso sulle spalle dei due allievi. “Avete ragione entrambi. Un leader deve sapere quanta corda può dare ai propri desideri e problemi personali e quanto deve invece tenersi dentro per il bene del gruppo. Quando anche voi avrete i vostri allievi, lo capirete.”

“D’accordo, ma questo non significa che dovete affrontare questa cosa da solo, intesi?” s’impuntò Mava e nel vederla così determinata, Perbias sorrise. “E’ un pensiero molto dolce, ragazza mia. Grazie.”

“Piuttosto…” s’intromise Luxu, riacquistando magicamente i propri abiti da apprendista e togliendosi dalle spalle la stola ricamata che Kida gli aveva offerto per coprirsi “...è vero? Atlantide è sul serio il vostro mondo di origine?

Perbias si lasciò cadere sulla sedia imbottita vicino alla scrivania. “Voi cosa ne pensate? Voglio risposte sincere.”

Seguì un lungo momento di silenzio in cui i sei apprendisti restarono come imbambolati a fissare il volto adombrato del loro mentore. Perchè non si fosse abbassato il cappuccio nonostante fossero al coperto, restava un mistero per tutti quanti.

Azal fu il primo a parlare “Io penso che… spiegherebbe molte cose.”

“Ah?”

“Inutile girarci tanto intorno, Maestro. La somiglianza non mente.” rincarò Luxu “Voi e Kida potreste essere fratello e sorella.”

“E se lo fossimo?”

Quelle parole fecero ripiombare nuovamente la sala nel silenzio.

Nahara si mordicchiò nervosamente le unghie “Allora… questo farebbe di voi un Principe.”

“Hey, aspettate! Io stavo parlando in senso figurato!” protestò Luxu, sorpreso dal fatto che tutti l’avessero preso alla lettera.

“Ne sei sicuro, Luxu?” lo prese in contropiede il Maestro, inclinando la testa incappucciata in una mossetta curiosa “O magari hai detto esattamente quello che il tuo cuore pensa sia la verità?”

L’apprendista si ritrovò gli sguardi di tutti puntati addosso “..dite che è così?” bisbigliò, più a sé stesso che agli altri mentre si portava una mano al petto “Anche il vostro cuore vi dice la stessa cosa, Maestro?”

Perbias annuì solennemente. “Penso lo sappia anche lei.”

“Ma com’è possibile?” domandò Salegg, confuso.

“Il Re sembra averla tenuta all’oscuro di molte cose. Hai sentito che accuse ha mosso contro di noi.” gli rammentò Azal sfregandosi il mento con fare pensieroso.

"Beh, potremmo chiedere alla scientifica di Zootopia di fare un paio di test del DNA, se proprio volete togliervi il dubbio…" azzardò Mava, esitante. “Dite che lo sanno confrontare il DNA non animale?”

Perbias rise. "Di quando in quando si fanno test di paternità per principi e principesse perdute?"

"Concordo che rovinerebbe il misticismo dell’intera faccenda. Ma è una cosa importante, Maestro! Dovreste andare fino in fondo.”

L’uomo trasse un sospiro profondo, poggiando i gomiti sulle ginocchia. "Per la prima volta in tutta la mia vita mi sento davvero perso. Strano, no? Quando non avevo la minima idea di chi fossi e da dove venissi, credevo di sapere cosa dovevo fare, ma adesso..."

"Benvenuto tra i comuni mortali." lo canzonò Hafet bonariamente “Non abbattetevi, Maestro. E poi, come sarebbe a dire che non sapete cosa fare? Dovete tornare lì e parlare con quella sventola, ecco cosa!”

“Hafet!” Lo riprese Nahara, esasperata. “Non è carino parlare così di una signora, meno che mai se dovesse essere davvero la sorella del Maestro!”

“Ma le stavo facendo un complimento!”

“Ragazzi…” li interruppe Perbias con una voce insolitamente seria. “Potreste lasciarmi solo per un momento? Ho bisogno di riflettere.”

I sei apprendisti si scambiarono un’occhiata contrariata. Era chiaro che non volessero perdersi nemmeno un istante di quell’inaspettato colpo di scena ma rispettavano il volere e la privacy del loro mentore al di sopra ogni altra cosa, perciò si affrettarono a lasciare la stanza, congedandosi uno ad uno.

Luxu sarebbe stato l’ultimo ad uscire, ma prima di farlo e chiudersi la porta alle spalle gettò uno sguardo in direzione dell’uomo alla scrivania. Perbias gli dava le spalle, cappuccio calato sul volto e le dita intrecciate sul ripiano del tavolo. Capire cosa gli passasse per la testa in quel momento era più difficile del solito.

“Chiamatemi se avete bisogno. Per qualsiasi cosa.”

L’uomo in nero rilassò le spalle contro lo schienale imbottito “Avrei una domanda, prima che tu vada.”

“Certamente.” assentì l’apprendista, cercando di identificare la strana inflessione della sua voce.

“Qualcosa da riferire?”

Luxu esitò.

“A dire il vero, sì. Una cosa ci sarebbe.”

°°°

Kida avanzò nella laguna, diretta verso l’alta statua di un antico guerriero sulla cui testa amava salire per contemplare dall’alto la città. Usando l’edera e le sporgenze per arrampicarsi, raggiunse il punto più elevato e si sedette a gambe incrociate, la lancia posata sulle ginocchia e lo sguardo dei grandi occhi blu fisso contro il soffitto dell’enorme caverna che conteneva Atlantide. Anche se era abbastanza alto da donare l’illusione di un cielo terso, se si guardava bene non era difficile scorgere enormi stalattiti incombere minacciosamente su quel che restava del più grande Impero di tutti i tempi.

“Questo mondo è troppo piccolo.” Si ritrovò a borbottare tra sé e sé, traendo un sospiro amareggiato e passandosi una mano tra i lunghi capelli bianchi come il latte.

“Beh, non deve esserlo per forza.”

La guerriera fece un salto a piè pari per lo spavento e, senza neanche pensarci, vibrò una sferzata di lancia in direzione della voce che le aveva sussurrato a poca distanza dall’orecchio.

La lama ricurva intercettò il profilo finemente cesellato di un Keyblade e le scintille scaturite da quel contatto illuminarono il sorriso dell’uomo incappucciato che lo impugnava.

“Woah! Hey, sei veloce!”

Lei scattò indietro, facendo attenzione a non avvicinarsi troppo al bordo della statua. “Sei… lo straniero di prima.” L’espressione della donna si distese un poco “Credevo che-”

“Non avrei dovuto sgattaiolarti alle spalle in questo modo.” si scusò l’altro abbassando l’arma e lasciandola dissipare nell’etere a dimostrazione delle proprie intenzioni pacifiche. “Tuo padre ha ragione sul mio conto. Non so cogliere al volo l’occasione di ritirarmi quando me la si offre.”

“In questo caso, sono lieta che sia così. Ho molte domande da farti.”

“Allora mi spiace deluderti, temo di non avere le risposte che cerchi. Ma...” Perbias si coprì l’orbita destra con la mano, lasciando scoperto l’Occhio che Scruta e fissando intensamente la sua interlocutrice con la pupilla nera stretta come uno spillo. “...forse so come trovarle, quelle risposte. Per questo, spero potrai perdonare la mia intrusione. Desideravo davvero parlare con te in privato.”

“Lo stesso vale per me.”

Il Maestro sorrise, lasciandosi scivolare a sedere sullo scalino di pietra formato dal copricapo dell’enorme statua. “Ah, che bello trovarsi in sintonia su questo genere di cose.” disse, visibilmente eccitato “Il mio fidato apprendista Luxu mi ha riferito che anche tu stai cercando di scoprire i segreti di questo mondo, perciò non ho saputo resistere. Dovevo venire subito.”

Kida lo guardò circospetta “Che cos’è che vuoi, esattamente?”

“La stessa cosa che vuoi tu: capire.” chiarì lui, spicciolo. “Mi ha detto che tu... eri lì, durante la Grande Inondazione. Che l’hai vista con i tuoi occhi. Che hai quasi ottomila anni.”

L’Atlantidea si strinse nelle spalle.

“E’ vero.”

“Li porti bene.”

La donna ignorò la sua battuta. “Questo non significa che la mia memoria non ne abbia risentito. Quei giorni per me sono così lontani… del Mehbehlmoak, ricordo solo il cielo farsi scuro, la terra che tremava e poi, d’un tratto, una grande luce blu, discendere dall'alto.”

“Vedi.. il punto è che mi sono fatto due calcoli e le probabilità che anch’io mi trovassi ad Atlantide durante il cataclisma sono sostanziali. A tua differenza non ne conservo nemmeno la memoria più vaga, ma...” Perbias allargò le braccia con teatralità “...si da il caso che io sia un Veggente in erba.”

Kida lo fissò interdetta “...puoi vedere il futuro?”

“Su quello ci sto ancora lavorando.” ammise lui con una leggerezza disarmante, come fosse la cosa più scontata del mondo “Però, vedere il passato mi riesce piuttosto bene. Ma ad una condizione. Devo essere stato presente quando un determinato evento si è verificato se voglio riviverlo. In parole semplici, posso rivisitare soltanto le esperienze che ho vissuto in prima persona. Che ho visto con i miei stessi occhi... beh, occhio.” la guardò pieno d’aspettativa per capire se la guerriera si fosse persa nei suoi discorsi o se lo stesse ancora seguendo.

Kida sollevò le sopracciglia bianche “Quindi se davvero ti trovavi qui durante il cataclisma… dovresti essere in grado di vederlo. Anche se non ne hai memoria.”

“Corretto!” esclamò lui piacevolmente colpito, battendo le mani. “O almeno lo spero. Forse dire che sono un Veggente è un po’ inesatto, ma queste sono mere tecnicalità. Quello che vorrei che tu facessi, Principessa, è aiutarmi a ricordare qualcosa. Qualcosa che possa aiutarmi a tracciare una rotta da seguire a ritroso nel tempo.”

Il Maestro si alzò di nuovo in piedi, tendendole la mano con grande enfasi “Se potessi tornare indietro e rivivere quei momenti, forse potrò rispondere anche alle tue domande. Affare fatto?”

Lei esitò prima di stringere la sua mano tesa. Per quanto la sua curiosità fosse grande, non sapeva se poteva veramente fidarsi di quell’Estraneo vestito di nero di cui a malapena riusciva a scorgere il volto.

Era indubbiamente eccentrico e il suo modo di fare e di parlare era strano e alieno ai suoi occhi. Come se non soltanto venisse da un altro Mondo, ma anche da un’altra epoca, un’altra realtà. E Kida, volente o nolente, era cresciuta con l’idea che chiunque venisse dai Mondi Esterni fosse un nemico.

Lo guardò dritto negli occhi blu che vedeva scintillare nel buio del suo cappuccio “Ad una condizione.”

Siii?” soffiò lui, con trepidazione. Sembrava quasi che non vedesse l’ora di patteggiare.

“I Keyblade possono aprire qualsiasi serratura, non è vero?”

“Ovviamente. Sono chiavi, dopotutto.”

“Voglio che tu apra una porta per me.”

“Lasciami indovinare, una porta che il Re ha sigillato e dove ti proibisce categoricamente di andare?”

L’Atlantidea sbatté le palpebre, visibilmente spiazzata “Come fai a…”

Perbias soffocò una risatina strozzata “Beh, sei una Principessa e tra te e tuo padre c’è chiaramente tensione. E’ più tipico di quanto pensi. Conosco almeno altre dieci principesse e damigelle con l’esatto problema: una cantina misteriosa dove è proibito scendere, una scatola che non dev’essere aperta per nessuna ragione, un frutto che non deve essere mangiato… siete tutte uguali, voi donne.”

Kida avrebbe dovuto offendersi ad una simile generalizzazione, ma il tono gioviale del suo interlocutore e il fatto che ci avesse visto giusto le strapparono uno sbuffo divertito. Forse i Mondi Esterni non erano poi tanto diversi da Atlantide, in fin dei conti. Le sarebbe piaciuto vederli e magari fare conoscenza con queste altre ‘Principesse’.

Accortosi di esserci andato un tantinello pesante, l’uomo in nero aggiustò il tiro. “Cioè… sono un padre single con sei figli di cui due femmine. Ne so qualcosa!”

“Sono davvero figli tuoi?” indagò lei, visibilmente dubbiosa.

“Adottati.” chiarì lui, spazzolando distrattamente la manica della cappa nera.

Kida gli dette le spalle, tornando a contemplare il panorama che s’estendeva a perdita d’occhio sotto di loro. “Mio padre ha fatto sigillare un’ala del palazzo, quella che conduce ai sotterranei. La scusa è che la cripta sia pericolante ed allagata ma, beh, praticamente si può dire la stessa cosa di tutta la città. Eppure quella porta in particolare è stata chiusa con la massima cura.”

“Una cripta?”

“Un’altra cosa che ricordo del giorno del cataclisma…” riprese l’Atlantidea facendo vagare lo sguardo sulle guglie e statue colossali in lontananza. “E’ che la luce in cielo si portò via mia madre, la Regina.”

 

Gli occhi di Perbias si fecero improvvisamente più attenti “Cosa intendi con ‘portata via’?”

“E’ il solo modo in cui riesco a spiegarlo, o forse i miei ricordi sono confusi e mi traggono in inganno.” sospirò lei “Resta il fatto che lei non c’è più, e la cripta di famiglia è inaccessibile. Non ho nemmeno una tomba su cui piangerla.”

L’uomo le rivolse uno sguardo comprensivo e la sua voce si fece più calda e rassicurante “Mi dispiace molto. E se è questo ciò che desideri, allora consideralo fatto. Aprirò la porta.”

Solo allora Kida gli strinse calorosamente la mano guantata di nero, un sorriso ampio e brillante impresso in volto. “Affare fatto. Per quanto riguarda i tuoi ricordi… hai idea da dove iniziare?”

“Sinceramente no. Speravo in un breve tour turistico sotto la tua guida.” ammise, ricambiando la stretta della donna. Le sue dita abbronzate erano forti e salde, chiaramente quelle di qualcuno abituato a maneggiare armi e a scalare pareti di roccia a mani nude. Forse, si disse Perbias sentendosi un pò in colpa per l’allusione di poco prima, Kida non era esattamente come le altre Principesse che aveva conosciuto.

“D’accordo, ma sarà difficile passare inosservati con gli abiti che indossi.” gli fece notare lei, scrutando quella strana veste lustra. Sembrava fatta di cuoio nero, ma aderiva al corpo del suo interlocutore come una seconda pelle.

“Oh, non preoccuparti, sono bravo con i travestimenti.” ammiccò lui, tirando giù il cappuccio per rivelare una lustra chioma di capelli bianchi come la neve. “Ovviamente si tratta di una magia.” spiegò, in risposta allo sguardo basito della donna. “Immagino sia l’effetto di quel cristallo che portate al collo a rendere bianchi i capelli della tua gente, non è così?”

Kida non ci aveva mai pensato, perciò non sapeva come rispondergli. Il fatto che gli Atlantidei condividessero tutti lo stesso colore di capelli era per lei assolutamente normale e in ogni caso, era troppo presa ad assistere alla trasformazione dei vestiti del suo interlocutore per formulare una spiegazione coerente.

In un istante, l’uomo che aveva davanti aveva rimpiazzato la veste nera con un abito ben meno esotico agli occhi di Kida, una tunica blu dalle bordature dorate che gli lasciava scoperta una spalla, rivelando la pelle scura e la muscolatura ben definita del torace.

“Non lo so.” ammise lei, impressionata da quella magia. Se non fosse stato per il suo strano modo di parlare, nessuno avrebbe mai immaginato che quell’uomo fosse appena arrivato da un altro mondo.

Perbias le sorrise giovialmente “Un altro mistero su cui fare luce. Allora, possiamo andare?”

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Capitolo 37
*** χ Frogs ***


χ FROGS χ

And I remember us now.
But I forgot what we felt like,
somewhere along the way. 
You're watching me rebel,
believing stories only hearts can tell.
But when is it enough?
When do I call my feelings on their bluff?
[Homeless - Maria Mena]


Stella aiutò Tiana a cambiarsi mentre Charlotte, seduta alla specchiera della propria sontuosa camera da letto, si rifaceva il trucco continuando vivacemente a cianciare.

“Avete visto in che modo stava ballando con me?! Una proposta di matrimonio non può tardare molto! Grazie, stella della sera!” cinguettò, incipriandosi il naso. “Sapete, cominciavo a pensare che esprimere desideri alle stelle fosse una cosa da bambini o da persone un po’ matte…”

Da dietro il paravento, Stella roteò gli occhi con fare divertito strappando un mezzo sorriso anche alla povera Tiana, ancora persa nei suoi cupi pensieri.

Charlotte aveva letto in un libro di fiabe che le stelle erano in grado di esaudire i desideri e da allora, prendendo quell’espressione poetica alla lettera, ogni sacrosanta sera aveva chiesto ai puntini luminosi del firmamento di inviarle un bel principe da sposare.

Inutile dire che la sua dedizione a quel piccolo rituale sembrava aver dato i suoi frutti, dato che il prestante Naveen era ad attenderla al piano di sotto per un secondo giro sulla pista da ballo. Peccato che lo stesso non si potesse dire per il sogno di Tiana, che invece s’era appena vista sbattere in faccia la dura realtà dei fatti.

Mentre Stella le allacciava il corpetto del bel vestito celeste che Charlotte le aveva prestato, la ragazza di colore s’era sfogata con lei, dicendole che se non avesse pagato l’intera somma entro mercoledì, lo zuccherificio che tanto desiderava acquistare sarebbe stato venduto ad un altro offerente.

Con i soldi del catering di quella sera e i risparmi di una vita, Tiana aveva abbastanza denaro per iniziare un pagamento rateale… non di certo per comprare tutto in una sola volta.

Stella, a dire il vero, una soluzione ce l’aveva proprio lì nella borsa… una Carta Munny che, a detta di Braig, era di uso comune quando i Mondi erano uno solo e che permetteva ai viaggiatori di acquistare qualsiasi oggetto a prescindere dal mondo in cui si trovavano, senza curarsi della diversa valuta.

Nel caso della Carta di Stella, essa era collegata ad una riserva apparentemente inesauribile. Che si trattasse di denaro sporco o chissà che altro, poco importava. Quando aveva bisogno di pagare qualcosa, le bastava pensare al quantitativo e una volta messa la mano nella borsa, avrebbe trovato l’esatto numero di banconote lì ad aspettarla.

Ovviamente, farne un uso moderato faceva parte della sua copertura e in ogni caso, a Stella non piaceva abusare di quello strumento per puro principio. Vedere Tiana che lavorava così duramente non solo per guadagnarsi da vivere ma anche per finanziare i suoi progetti era per lei una grande fonte d’ispirazione.

Ed era esattamente per questo che fu tentata di materializzare un pacco di bigliettoni e metterli in mano all’amica per assicurarle che no, non avrebbe perso quel maledetto ristorante!

Già, ma come spiegarle da dove arrivavano tutti quei soldi? Se davvero aveva tempo fino a mercoledì, forse Stella poteva inventarsi una scusa plausibile…

Nel frattempo, non poteva far altro che starle vicina. “Ecco fatto.” le disse, dandole una pacca affettuosa sulla spalla. “Stai una favola. Guardati allo specchio.”

Tiana sospirò, raggiungendo stancamente il lettone a baldacchino di Charlotte senza nemmeno gettare uno sguardo alla propria immagine riflessa.

Charlotte si voltò, visibilmente colpita “Oh! Che meraviglia… sei… sei bella come una magnolia a maggio.” 

Ed era assolutamente vero. Nonostante l’espressione triste, Tiana sembrava tutta un’altra persona.

“Sembra soltanto ieri che eravamo bambine che sognavano sui libri di fiabe?” continuò la bionda, raggiungendo l’amica con un sorriso affettuoso per posarle sulla testa un grazioso cerchietto d’argento, tocco finale del suo nuovo costume da principessa. “E stasera finalmente i sogni si avverano!” 

Stella si passò una mano sul viso con frustrazione. Certe volte Charlotte era proprio tonta e troppo presa dalle proprie fantasticherie per accorgersi dello stato d’animo degli altri, ma Tiana sapeva che la ragazza non aveva intenzionalmente rigirato il coltello nella piaga, perciò lasciò correre.

“Beh, dai, che aspettiamo? Si torna nella mischia!” continuò imperterrita la padrona di casa, aggiustandosi il decolté prima di correre di nuovo giù per le scale, chiamando a gran voce il nome del suo principe azzurro.

Tiana rimase in silenzio appoggiata ad una delle quattro colonne del letto a baldacchino, lo sguardo fisso sul pavimento.

Stella fece per posarle una mano sulla spalla “Vedrai, troveremo una soluzione…” ma l’afroamericana la scostò gentilmente, seppure con fermezza. “Scusami Stella, ho bisogno di restare un po’ da sola. Torna pure a goderti la festa, il Signor Braig ti stava cercando.”

La ragazza mora s’accigliò. Cosa era venuto a fare Braig ad una serata come quella? L’ultima volta che si erano visti la loro sessione d’allenamento era stata interrotta dall’arrivo di Isa… possibile che fosse successo qualcosa? Anche se avrebbe voluto rimanere a fianco dell’amica in quel momento, sapeva di dover investigare.

Aveva un bruttissimo presentimento.

“Promettimi che non te ne starai rintanata qui per tutto il resto della serata.”

Tiana sorrise stancamente “Promesso.”

Stella annuì, congedandosi con una pacca affettuosa sul braccio dell’altra. Poi, prima di lasciare la stanza, mormorò “Possa il tuo Cuore essere la tua Chiave Guida.” richiudendosi la porta alle spalle.

Nel vedere l’amica uscire, Tiana non potè fare a meno di indugiare sul vistoso tatuaggio impresso sulla schiena della ragazza, visibile anche attraverso i suoi lustri capelli neri. La vista di quel marchio le fece pensare che, in fin dei conti, non era la sola a star affrontando un momento difficile e che anche Stella aveva una bella gatta da pelare per via del suo passato misterioso.

Peccato che pensarlo non la facesse sentire per niente meglio… anzi, non faceva che rimarcare quanto dura e crudele fosse la realtà al di fuori dei libri di fiabe che Charlotte amava tanto.

Scoraggiata, si trascinò fino al balcone che s’affacciava sul retro della villa, un grazioso spazio verde libero dal chiasso e dalle luci della festa e s’appoggiò al parapetto, gli occhi color cioccolato fissi contro il cielo pieno di stelle.

Alla vista della stella polare, la più brillante e grande di tutte, un pensiero completamente folle le balzò in testa. 

Del resto, se aveva funzionato per Charlotte ed il suo principe…

E visto che non aveva più niente da perdere…

Vergognandosi come una bambina colta in flagrante con le mani nella marmellata, Tiana estrasse la pagina di rivista raffigurante un ristorante di lusso su cui suo padre aveva, ormai così tanto tempo prima, scarabocchiato sopra ‘Tiana’s Palace’, promettendole che un giorno ne avrebbero aperto insieme uno identico. 

Con le lacrime agli occhi e stringendo il foglio sgualcito contro il petto, Tiana espresse il suo desiderio alla Stella della Sera e restò a guardarla per qualche minuto, riflettendo su quanto fosse stupido ciò che aveva appena fatto.

Che cosa s’aspettava, esattamente? Che un assegno da cinquantamila dollari le piovesse giù dal cielo dritto in mano?

S’afflosciò contro il parapetto, ancor più depressa di prima. Adesso non aveva neanche più un briciolo di dignit-

“AH!” La ragazza per poco non fece un salto a piè pari per lo spavento, alla vista di qualcosa di grosso e verdastro appollaiato sulla ringhiera di marmo a poca distanza da lei, ma riacquistò immediatamente il proprio autocontrollo nel rendersi conto che si trattava soltanto di una rana.

In Louisiana, la gente era abituata ad avere a che fare con alligatori ed enormi uccelli trampolieri su base giornaliera e il che rendeva ovviamente un ranocchio una cosa davvero da poco. E in ogni caso, a Tiana gli anfibi non avevano mai fatto paura, soltanto un pò schifo.

Perciò, invece di mettersi a urlare, la giovane donna trovò quella coincidenza sarcasticamente divertente. Se Charlotte fosse stata al posto suo e avesse visto apparire un rospo subito dopo aver chiesto alla Stella della Sera di mandarle un principe, probabilmente non avrebbe esitato un solo momento a sbaciucchiarlo.

Lei invece gli rivolse un’occhiata di sufficienza “Molto divertente. Che si fa adesso? Per caso vorresti un bacio?”

“Baciarsi non sarebbe male, sì.” rispose il ranocchio.

Solo allora Tiana si mise a strillare.

 

°°°

 

Stella uscì dalla porta principale della magione, iniziando a cercare Braig in mezzo ai presenti.

Chissà se s’era mascherato come tutti gli altri... Questa voleva proprio vederla! 

Mentre sgomitava per farsi largo tra la folla, scorse Charlotte già nuovamente avvinghiata al Principe Naveen e passò oltre, certa che Braig avrebbe cercato di starsene alla larga dai due piccioncini per evitare di essere al centro dell’attenzione.

I musicisti avevano ripreso a suonare un lento accompagnamento e il buffet ancora stracolmo di ghiottonerie di ogni tipo era fin troppo invitante perché lei potesse resistere. Così, servendosi una fetta di torta alle fragole e continuando a girovagare con il piatto in mano, prese a sbocconcellarla chiedendosi dove accidenti si fosse andato a cacciare Braig.

S’era appena messa in bocca un'altra forchettata di dolce quando d’un tratto lo scorse in mezzo alla marea di invitati. Lo riconobbe immediatamente anche se le dava le spalle per il suo portamento sgraziato e i lunghi capelli tirati indietro, ma la sorprese enormemente vederlo a fianco di una donna sconosciuta.

Questa era davvero minuta a suo confronto, forse persino più bassa di lei, eppure sembrava avere totale controllo sulla conversazione. Gli teneva una mano saldamente serrata sul braccio e Stella dubitava che fosse perché avevano appena finito di ballare. Sembrava piuttosto che lo stesse trattenendo. Anche la sconosciuta le dava le spalle, ma la ragazza percepì immediatamente che possedesse uno straordinario potere magico.

Non sapeva come spiegarlo, ma soltanto guardarla le faceva correre un brivido, come una scossa elettrica, attraverso tutto il corpo. Lì a New Orleans, soltanto due persone le trasmettevano quella stessa sensazione ed erano Mama Odie e l’Uomo-Ombra, quelle rare volte che l’aveva visto raggirare qualche sventurato con i suoi trucchi di magia nell’affollata piazza principale.

Il che significava che quella donna era una maestra di magia, esattamente come loro… eppure qualcosa le diceva che fosse più simile a Braig che ai due sacerdoti Voodoo originari della città.

Chi era?

...perché aveva l’impressione di conoscerla?

Posando quel che restava della torta, sgusciò attraverso la marea di corpi colorati per raggiungere la strana coppia, ma prima che potesse attraversare la pista da ballo tutto ad un tratto scoppiò il finimondo.

A Stella occorsero un paio di secondi per capire il motivo per cui gli invitati avevano di colpo preso a correre e a strillare come dei pazzi e restò come imbambolata ad assistere al rovinoso inseguimento di due ranocchi saltellanti da parte del grosso cane da guardia dei LaBouff che, nemmeno a farlo apposta, si chiamava Stella esattamente come lei.

Gran Papà LaBouff, vestito come un imperatore romano con tanto di corona d’alloro e toga, istigava l’animale ad acciuffare i due ospiti indesiderati nonostante il passaggio della cagnolona non facesse altro che gettare scompiglio, rovesciare interi tavoli del buffet e mandare a gambe all’aria i poveri sventurati che si trovavano nella sua traettoria.

In mezzo a quel caos, con calici di cristallo che andavano in frantumi e chili e chili di ottimo cibo che finivano sparpagliati per terra, Stella perse di vista Braig e la donna misteriosa e fu costretta a correre in soccorso di Charlotte che, dopo essere scivolata, non riusciva a rialzarsi da sola per colpa dell’ingombrante gonna a gabbia.

“Hey Lottie, tutto bene?” Le chiese, rassettandole il vestito vaporoso.

La bionda si guardò intorno con aria allucinata “Dov’è andato?!”

Stella sbatté le palpebre, confusa “Eh? Chi?”

“Il Principe Naveen! Era qui un attimo fa!”

 

°°°

Dall’altro lato del giardino, il Principe Naveen sgattaiolò nella dependance che il Signor LaBouff utilizzava come ufficio per ricevere i propri soci in affari e corse ad aprire l’armadio in fondo alla stanza piacevolmente riscaldata dal caminetto acceso.

Alla vista del barattolo vuoto e scoperchiato, il suo cuore sprofondò. “Oh no…”

“L’hai fatto scappare!” tuonò una voce alle sue spalle, facendolo sobbalzare per la paura. Sapeva esattamente chi si sarebbe trovato di fronte non appena si sarebbe voltato.

“Q-quel poveretto boccheggiava!” tentò di giustificarsi, indietreggiando mentre i penetranti occhi viola dell’Uomo-Ombra si fissavano furiosi contro i suoi “Così ho allentato il coperchio… appena un pochino..!”

Inciampò all’indietro quando l’ombra vivente del suo interlocutore gli fece lo sgambetto, lasciandosi poi sfuggire una sguaiata risata nonostante il suo padrone, il Dottor Facilier, fosse mortalmente serio.

“Come ho potuto farmi coinvolgere nel voodoo? E’ una follia!” si pentì il Principe, o meglio, l’impostore che in quel momento lo stava impersonando, reso identico all’originale in tutto e per tutto dai poteri dello stregone. “Mi rifiuto di continuare così!” si strappò dal collo l’amuleto a forma di maschera tribale che l’Uomo-Ombra gli aveva dato, riacquistando all’istante l’aspetto di un corpulento ometto di mezza età.

Lawrence era stato il maggiordomo del vero Naveen per tutta la vita, correndogli sempre a presso e cercando disperatamente di tenere in riga quel mascalzone senza mai avere nulla in cambio. Per questo, quando lo stregone gli aveva offerto l’opportunità di scambiare la propria identità con quella del suo ex padrone, non aveva esitato un solo istante.

Peccato che mantenere attivo l’incantesimo richiedesse di ricaricare l’amuleto con il sangue del principe con una certa regolarità… e adesso che il principe divenuto ranocchio era evaso dal barattolo, ciò non sarebbe stato più possibile a meno che non l’avessero riacciuffato.

“Ne ho abbastanza, mettete voi al collo questa cosa orribile!” esclamò con frustrazione l’ometto, scagliando il monile in direzione dello stregone che si gettò su di esso per afferrarlo prima che s’infrangesse al suolo.

“Attento, no! NON SI DEVE ROMPERE, altrimenti-!” gridò Facilier, chiaramente terrorizzato da quella possibilità al punto da sollevare minacciosamente il bastone da passeggio per colpire Lawrence. Poi però, riacquistata la solita flemma, si tirò indietro con un ghigno malvagio e, mettendosi l’amuleto al collo, spiegò “Un particolare buffo sul voodoo, Larry… non posso fare incantesimi su me stesso.”
 

“Ah, questo perchè la tua maestra ti ha cacciato a pedate prima che potesse insegnarti come si fa...” 

I due uomini si guardarono intorno allarmati. Chi diamine aveva parlato? Credevano di essere soli!

“Luxu, chiudi quella maledetta bocca. Ci hai fatti scoprire.” intervenne una seconda voce, esasperata.

“Eddai, tanto che altro c’era da sentire?”

L’Uomo-Ombra arricciò il naso, gli occhi color ametista ridotti a due fessure. All’improvviso la stanzetta arredata da eleganti librerie, dipinti e trofei di caccia era stata invasa da un dolciastro aroma di fiori. “Magia...” commentò a denti stretti. “Fatevi vedere!”

Lawrence per poco non se la fece sotto quando vide che due delle maschere di Mardi Gras appese alla parete di fronte al camino s’erano staccate dal muro e avanzavano verso di loro come indossate da due fantasmi.

Persino l’Uomo-Ombra sembrava turbato da quell’illusione così perfetta. Quando il velo si sollevò ed un uomo ed una donna in abito da sera apparvero davanti a loro, i volti celati dietro le medesime maschere che s’erano appena mosse, fu paurosamente chiaro che erano stati presenti per tutta la durata della conversazione.

“Oh diamine e adesso che altro c’è?!” strepitò Lawrence, sempre più confuso, facendo rimbalzare lo sguardo tra il Dottor Facilier e i due nuovi arrivati “Altra stregoneria?!”

Xigbar sogghignò “Già. Stregoneria vera, non questa roba da dilettanti.”

Controllando il proprio temperamento, questa volta l’Uomo-Ombra non si lasciò intimidire e anzi, mutò completamente il suo approccio. Era un ciarlatano di professione, del resto. Sapeva come rigirare situazioni come quella a suo vantaggio.

“Signori, mi sembra chiaro che ci avete colti con le mani nel sacco. I miei complimenti. E’ sempre un piacere incontrare altra gente del mestiere...”

“Non paragonarti a me, stregone.” lo freddò Ava, immediatamente infastidita dal suo tono viscido e mieloso.

“Oh, allora forse posso appellarmi a voi, Monsieur? Sono certo che possiamo risolvere quest’increscioso malinteso senza ricorrere alla violenza. Cos’è che volete? Una fetta della torta della fortuna di Gran Papà?”

Xigbar fece una smorfia, per sforzarsi di non ridere “Aspetta, questo è il tuo grande piano?” gesticolò in direzione del confusissimo Lawrence “Far sposare la principessina con questo impostore? Per denaro? Avevo sentito un sacco di storie spaventose sul tuo conto, Uomo-Ombra… m’aspettavo qualcosina di più.” 

“Certe cose non cambiano proprio mai.” commentò la donna mascherata con un sospiro “A cadere preda dell’Oscurità sono sempre i più vili e patetici. Facciamo in fretta, Luxu. Abbiamo altre cose di cui discutere.”

Facilier, nel sentirsi trattare alla stregua di un fastidioso sassolino nella scarpa da quei due perfetti sconosciuti andò su tutte le furie. “Se pensate che vi lascerò mettermi i bastoni tra le ruote vi sbagliate di grosso!” Si voltò verso Lawrence, mettendogli nuovamente in mano l’amuleto intriso di sangue “Trova il ranocchio, ci penso io a questi guastafeste!” così detto, lo stregone spalancò un portale oscuro calciandovi dentro il pover uomo senza troppe cerimonie e senza che Xigbar ed Ava potessero intervenire, per poi tornare a fronteggiare i due intrusi. “Non so chi siete nè cosa volete ma in questa città nessuno si mette sulla mia strada senza pagarne le conseguenze.”

Una bolla d’oscurità violacea s’espanse tutt’intorno allo stregone e Ava, d’istinto, evocò una sfera di Reflect per attutire il colpo che li travvolse entrambi.

Xigbar nemmeno si mosse, lasciando che fosse lei ad occuparsene, mentre scandagliava la stanza rivestita d’oscurità dalle cui pareti stavano iniziando a scivolare fuori dozzine e dozzine di Heartless di vario rango.

Dopo un rapido calcolo balistico, Xigbar evocò le sue pistole gemelle e senza scomodarsi più di tanto, scagliò due singoli proiettili di luce viola. I dardi saettarono per la stanza rimbalzando sulle pareti e mandando in poltiglia qualsiasi Heartless incontrassero, perforando i loro corpi gelatinosi e passando oltre, senza rallentare. A quella vista, Ava non poté fare a meno di sorridere.

Se c’era un posto dove davvero non volevi trovarti a combattere contro il sesto apprendista del Maestro dei Maestri, quello era sicuramente un ambiente stretto dove i suoi proiettili potevano rimbalzare sulle pareti e cambiare angolazione ogni due secondi. Lei l’aveva sperimentato di persona durante il loro addestramento, anche se all'epoca la sua arma eterea era un lungo arco affusolato e non un paio di pistole automatiche. Quel cambiamento la diceva lunga sul tipo di uomo che Luxu era diventato... un mercenario ed un sicario, piuttosto che il nobile arciere che lei ricordava.

Nel giro di pochi istanti, l’intera dependance fu di nuovo sgombra e lei non aveva nemmeno dovuto evocare il suo Keyblade.

“Tutto qui?” lo stuzzicò Xigbar, abbassando le pistole. Il suo unico occhio giallo sembrava sprizzare scintille in fondo all'orbita cavernosa della maschera di teschio e Ava si domandò se davvero fosse un Nessuno senza sentimenti. Pareva si stesse divertendo un mondo.

Facilier era livido in volto, le mani scure serrate sul bastone da passeggio con così tanta forza che la Veggente avrebbe giurato fosse sul punto di spezzarlo. 

“No. Ho appena cominciato.”

Quel che accadde dopo fece immediatamente scomparire i sorrisetti dai volti dei due antichi maestri. Il pavimento si spalancò sotto i loro piedi ed un vortice di ombre dall’aspetto grottesco s’avventò su di loro, scaraventandoli non soltanto contro la porta, ma colpendola con tale forza che questa si spalancò facendoli ruzzolare sull’erba bagnata del giardino.

“Questi Heartless non sono altro che uno spreco di tempo.” commentò Facilier, raggiungendoli all’esterno ma rimanendo all’ombra del grazioso porticato di legno. “Avrei dovuto ricorrere ai miei Amici nell’Aldilà sin da subito.”

Le ombre mostruose s’erano radunate tutte attorno a lui ed erano adesso perfettamente nitide contro la facciata color crema della dependance sotto la luce della luna. Erano sagome per metà umane e per metà animale, con teste zannute, capelli irti e artigli ad uncino.

Xigbar sapeva benissimo che quelli fossero i Loa, le stesse potenti divinità che Mama Odie evocava in suo aiuto per creare i suoi filtri magici ed ottenere il dono della seconda vista. Ma quelli al servizio del Dottor Facilier erano i peggiori tra i Loa, creature dedite al disordine e alla crudeltà.

Ava si rimise in piedi con un balzo e il suo Keyblade dei colori dell’aurora si manifestò tra le sue mani in una folata di petali di ciliegio. Xigbar non lo vedeva da quando si erano scontrati sulla cima della collina, quasi ottocento anni prima, eppure ne ricordava ancora ogni minimo dettaglio.

Sapere che questa volta la giovane donna non l’avesse evocato per puntarglielo contro era una bella sensazione. Ma Xigbar sapeva che non l'avrebbe mai perdonato per ciò che aveva fatto.

Il tempo aveva solamente reso quella ferita un pò meno dolorosa, ma entrambi sapevano che non si sarebbe mai rimarginata.

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Capitolo 38
*** ✭ Darkness Strikes ***


✭ DARKNESS STRIKES ✭

Monsters and bed sheets to creep.
While underneath my bed it hears me speak
about these problems I've yet to find.
These monsters read my mind,
with ears and eyes to paralyze, demise.
Tell me, how can I contain everything inside?
Slow down! Do you wanna slow down?
In the moment that you start to fall,
Are you comfortable?
Devils come out at night.
In the form of people that I love.
[Start to fall - Get Scared]
 

Gli occhi blu dello straniero saettavano qua e là brillanti e vivaci, senza lasciarsi sfuggire il minimo dettaglio.

Kida, al contrario, non riusciva a concentrarsi su nient’altro che non fosse lui. Quell’uomo era al contempo così familiare e così sconosciuto che davvero non sapeva come doveva comportarsi con lui.

Lo stava conducendo in giro per i luoghi più importanti della città come la piazza del mercato, il tempio e il quartiere dei tessitori e dei vasai, ma la sua attenzione veniva irrevocabilmente attratta dalle rovine che ancora circondavano le zone abitate. Gli edifici più recenti non destavano in lui alcun interesse, ma continuava a tartassarla di domande su cosa ci fosse stato sulla cima di un determinato colle cosparso di macerie, dove conducesse una galleria ormai collassata e se c’erano mai state delle sculture sul parapetto di un ponte crollato e lei, ovviamente, non aveva alcuna risposta da dargli.

Era come se Perbias stesse ricostruendo una mappa mentale della città prima del cataclisma e quando dopo alcuni minuti fu in grado di anticipare, senza il minimo margine d’errore, in quale rovina si sarebbero imbattuti una volta girato l’angolo, Kida fu definitivamente costretta a scendere a patti con lo stesso dubbio che aveva offuscato il volto di suo padre nella sala del trono.

“C’era una terrazza con una grande fontana alla fine di questo sentiero, oltre i giardini?”

Kida smise di camminare e il Maestro si fermò a sua volta, guardandola con fare confuso. “Principessa?”

Lei serrò la mascella. “Quella terrazza c’è ancora. Il cataclisma l’ha risparmiata.”

“Allora non può che significare che sono già stato qui!” esclamò lui, visibilmente eccitato “Anche se non lo ricordo… posso vederlo. E’ così curioso.”

“Come fai a vedere queste cose, esattamente?”

L’uomo sorrise appena “Sono sceso fin nelle profondità dell’Ade per stringere un patto con le Dee del Fato.”

Kida lo fissò incredula, senza riuscire a capire se stesse scherzando o se fosse maledettamente serio. Temendo di ricevere conferma della sua seconda ipotesi, scelse di non approfondire “Questo può aiutarti a capire cosa sia successo quando eri qui?”

“Credo che troveremo le risposte nel luogo dove hai sempre saputo che fossero. Dietro la porta che tuo padre ha sigillato.” proseguì lui, tornando a scrutare l’orizzonte velato dai vapori generati dalle colossali cascate che si gettavano nel mare di lava. “Penso di sapere che cosa nasconde.”

Nell’udire quelle parole, lei sobbalzò “Che cosa?”

Perbias estrasse un libro dalle pieghe della tunica, porgendolo alla sua interlocutrice dopo averlo aperto ad una specifica pagina. Il tomo era rilegato in pelle e punzoni di metallo, con un curioso simbolo a spirale sulla copertina. Lei se lo rigirò tra le mani con evidente nervosismo. Non le era difficile interpretare l’illustrazione sulla sinistra, ma il blocco di fitti caratteri geroglifici sull’altra pagina era per lei del tutto incomprensibile nonostante riconoscesse l’alfabeto come lo stesso presente sugli obelischi e murali di Atlantide.

“Tu… tu sai leggere qui?” chiese, impressionata.

“Diciamo che mi sono fatto aiutare da un computer. Decodificare testi come questo non è facile... Ecco, vedi questo simbolo?” le indicò il disegno raffigurante una stella luminosa sospesa sulla città. “Ogni Mondo là fuori ha un cuore. Un centro nevralgico dove tutte le emozioni dei suoi abitanti si coinvogliano, alimentandolo e sostenendolo e in cambio il cuore tiene vivo il Mondo. Rende fertile la terra, dona poteri straordinari a persone e cose, permette alla realtà stessa di obbedire a regole completamente diverse da quelle degli altri mondi.”

“Questo cristallo… è il cuore di Atlantide?”

“Sì. Ma è diverso dai cuori degli altri Mondi. Forse perchè a differenza di tutti gli altri, è connesso direttamente a Kingdom Hearts.”

Lei lo guardava sempre più confusa “E pensi che sia ciò che mio padre sta nascondendo?’

“Vedi, qui il diario dice che ‘Il Cuore di Atlantide si specchia negli Occhi del Suo Re.’” 

Kida si morse il labbro inferiore “...i sotterranei del palazzo! Si estendono sotto la sala del trono dove siede il re!”

Perbias annuì energeticamente “Esattamente ciò che pensavo.”

“Ma perchè mio padre dovrebbe-” Kida s'interruppe di colpo "...la luce dei miei ricordi! È questo 'Cuore', non é così?"

"Lo scopriremo presto. Mostrami la porta per i sotterranei."

 

°°°

 

Era ormai notte fonda ma Luxu non riusciva a dormire sapendo che il Maestro non era ancora tornato e dopo le mille peripezie e rivelazioni delle ultime ventiquattro ore. Se ne stava lì, con Schad acciambellato sulle ginocchia, a guardare fuori dalla finestra la luna che a poco a poco saliva sempre più alta.

Soltanto il giorno prima, lui e i suoi compagni avevano combattuto un enorme mostro marino, passeggiato tra le rovine di una civiltà perduta e scoperto che il loro eccentrico Maestro ne faceva parte. Era difficile raccapezzarsi in mezzo a tutto quel caos, ma non era quello ad impedirgli di prendere sonno.

La Torre Meccanica, sempre così accogliente gli trasmetteva uno strano senso di disagio e sembrava più buia del solito, come se le lampade alogene non stessero ricevendo l’adeguata dose di corrente elettrica. 

Nel momento stesso in cui mise piede in corridoio, capì che c'era qualcosa che non andava.

Raggiunse la stanza del Maestro guardandosi attorno con circospezione, incapace di scrollarsi di dosso l’inquietante sensazione di essere osservato. Bussò alla porta senza ricevere alcuna risposta e così decise di provare ad abbassare la maniglia e dare una sbirciata all’interno. Proprio come prevedeva, la stanza era aperta.

Probabilmente, pensò Luxu avanzando cautamente in mezzo alle altissime colonne di libri, il suo Maestro riteneva superfluo perdere tempo con le serrature quando stava addestrando i suoi allievi nell’uso di chiavi magiche in grado di aprire qualunque porta.

Gettò uno sguardo sul letto a soppalco per assicurarsi che il Maestro non fosse già tornato senza che lui se ne accorgesse, ma la stanza era completamente deserta e silenziosa.

Stava per richiudersi l’uscio alle spalle e tornare ad accoccolarsi nel letto assieme a Schad, ma qualcosa lo convinse a trattenersi all’interno dello studio. Forse un presentimento, forse una sensazione…

Qualcosa…

Qualcosa lo stava chiamando.

 

Non avere paura.

 

Avrebbe dovuto allarmarsi, guardarsi in torno alla ricerca del possessore della voce, sobbalzare e chiedere “Chi è là?” ma invece si sentiva innaturalmente calmo.

E quella voce… era così familiare!

Vieni avanti.

 

Il ragazzo obbedì senza esitazione. Era come se stesse obbedendo ai suoi stessi desideri e pensieri. Sapeva che la voce non gli avrebbe fatto del male.

 

Quel che hai perduto,

diventerà uno solo.

 

Perduto…? Cos’è che aveva perduto?

Aveva ormai raggiunto la scrivania del Maestro rischiarata da un tiepido lume giallo. Il curioso macchinario simile ad un organo a canne collegato da grossi tubi direttamente ai meccanismi della Torre aveva il coperchio sollevato, rivelando le due file di tasti neri e bianchi che Perbias suonava con così tanta abilità.

 

Più vicino.

 

Luxu sentì la strana voce rimbombargli nella cassa toracica fin su nella gola.

Quella era la voce che aveva udito così tanti anni prima durante il Tuffo nel Cuore!

Era la sua voce!

“Possa il mio Cuore… essere la mia Chiave Guida” mormorò il ragazzo mentre un’espressione sbalordita si faceva largo sul suo viso lentigginoso. Era questo che significava lasciarsi guidare dal proprio Cuore? Era come venir presi per mano da un amico invisibile e accompagnati lungo il cammino. “...cosa vuoi mostrarmi?”

 

Quel che hai perduto.

 

“Cos’è che ho perduto?” ripeté, cercando di barcamenarsi meglio che poteva in quella situazione così surreale.

 

Un pezzo di te stesso.

Reclamalo.

Torna ad essere uno.

 

Un bagliore improvviso si sprigionò dall’interno dell’armadietto di mogano poggiato contro il muro. Era anonimo proprio come tutto il resto della mobilia stipata di libri ed alambicchi da laboratorio. Le ante non erano chiuse da alcun lucchetto e la luce filtrava intensa attraverso la fessura che le separava.

Ancora una volta, il ragazzo si mosse senza esitazione, completamente incurante del fatto di star mettendo il naso là dove non gli competeva, tra le cose del Maestro, nella sua camera privata così simile alla tana di un animale, con le sue gallerie scavate nelle montagne di libri e gli strumenti scientifici gettati un po’ ovunque alla rinfusa.

Luxu afferrò i pomelli d’ottone e spalancò le ante.

 

Non avere paura.

Ma la aveva.

Eccome se aveva paura! 

Restò a fissare le sei giare ordinatamente disposte sui ripiani interni in file di tre come impietrito. Oltre il vetro spesso ed appannato dal calore, splendevano sei piccoli pezzi di cristallo che fluttuavano sospesi ciascuno all’interno della propria boccia.

Luxu non aveva mai visto niente del genere, eppure un brivido di puro e viscerale terrore lo percorse da capo a piedi, facendolo vacillare sulle ginocchia.

Quelli… erano Cuori. O almeno, frammenti di Cuori, tenuti sotto vetro come una macabra collezione di trofei. O peggio ancora, come ingredienti in attesa di essere gettati nel calderone per compiere chissà quale maleficio.

Sei giare sigillate da sei lucchetti d’argento.

Luxu allungò una mano verso i barattoli. Le dita gli tremavano così visibilmente che dovette far appello a tutta la sua forza di volontà per non ritrarre la mano e correre fuori dalla stanza a gambe levate.

Sapeva benissimo a chi appartenessero quei frammenti. E le implicazioni di quella scoperta erano così inquietanti da lasciarlo paralizzato ed intontito. La sua mente era una tabula rasa. 

Obbediva soltanto alla voce tenue e gentile del suo Cuore che altro non desiderava se non riunirsi con il pezzo che gli era stato sottratto.

Sfiorò la prima giara e capì immediatamente che essa conteneva una scheggia del cuore di Mava. Poteva quasi sentire la sua voce risuonare con quella che gli cantilenava insistentemente nella testa. Spostò le dita sulla boccia successiva e poi su quella adiacente e puntualmente ricevette una risposta dai cuori intrappolati al loro interno.

Nahara, Salegg, Azal, Hafet.

C’erano tutti.

E ovviamente, c’era anche il suo.

Prese la giara, sollevandola alla luce flebile della lampada. Era così surreale tenere tra le mani un pezzo del proprio Cuore. Posò nuovamente lo sguardo sull’armadietto. A giudicare dalla polvere depositata sulla mensola, era chiaro che quei sei contenitori fossero lì da molto tempo.

Com’era possibile che non si fossero mai accorti di niente? Davvero avevano vissuto le loro vite in quello stato, incompleti e ignari?

Era stato il Maestro a far loro questo?

Quando diamine era successo? E come?

Perbias li aveva forse drogati e vivisezionati su un tavolo operatorio come uno scienziato pazzo? Come accidenti si faceva a strappare a qualcuno un pezzo del loro cuore?

E soprattutto… perchè l’aveva fatto?

Luxu non sapeva veramente dove sbattere la testa, cosa fare, cosa pensare. Sentiva solo un terribile senso di vuoto, la consapevolezza improvvisa di essere stato derubato e tradito dalla persona in cui più di ogni altra riponeva la sua fiducia. 

Sfortunatamente, non ebbe il tempo di far maturare lo shock e la rabbia che le lampade già tremolanti della stanza si spensero del tutto, lasciandolo nel buio completo eccezion fatta per i sei cristalli sotto vetro.

“Ma che diamine sta succedendo in questo posto?” mormorò, stringendo istintivamente al petto la giara. Era come se la torre avesse smesso di funzionare, eppure l’immancabile ticchettio degli ingranaggi incassati nelle pareti di pietra non era cessato. 

Con una goccia di sudore freddo che gli scendeva lungo il collo, Luxu si mosse a tentoni verso la porta, urtando le pile di libri al suo passaggio. Non aveva alcuna intenzione di restare lì un minuto di più, ma non poteva neanche privarsi della sua unica fonte di luce. Doveva scendere al piano di sotto e svegliare gli altri, rivelare loro cos’aveva scoperto, dovevano confrontarsi, stare uniti, pensare a cosa fare senza lasciarsi prendere dal panico…

 

“Hey Luxu, dove credi di andare?”

 

Quella voce…!

Luxu ebbe appena il tempo di voltarsi che qualcosa lo colpì dritto alla tempia così violentemente da fargli perdere la presa sulla giara mentre il ragazzo s’accasciava, cacciando un grido.

Il barattolo sigillato rotolò lontano da lui, lasciandolo nel buio più assoluto.

Con le orecchie che gli fischiavano e la fronte che pulsava dolorosamente, Luxu arrancò, aggrappandosi ad uno scaffale per rimettersi in piedi. “C-chi sei?!”

Un paio di occhi gialli s’accesero nella fitta tenebra che l’avvolgeva, a pochi passi da lui.

 

“Lui non si è mai degnato di darmi un nome. Ma puoi chiamarmi Oscurità.”

 

Stringendo i denti, Luxu evocò il suo arco ed incoccò una freccia, mirando in direzione dei due puntini incandescenti. L’alone magico dell’arma rischiarò l’area tutt’intorno al ragazzo, ma non era abbastanza potente da rivelare la figura del suo interlocutore che rimaneva una massa nera al limitare del cerchio di luce. “Fatti vedere!”

Per tutta risposta, l’essere si avventò su di lui senza alcun preavviso. Per Luxu fu come vedere un filo di fumo nero fendere la bolla luminosa proiettata dal suo arco, poi sentì un senso di gelo così intenso da mozzargli il fiato e nuovamente l’impatto brutale con qualcosa di solido, stavolta dritto contro il petto.

Il ragazzo rantolò a terra, ma nel farlo lasciò la presa sulla corda dell’arco e la freccia fu scagliata attraverso la stanza, rimbalzando sulle superfici e mandando in frantumi specchi ed alambicchi. 

Si sentì afferrare bruscamente da un paio di mani nere come la pece e sbattere con la schiena contro la scaffalatura stipata di libri che caddero tutt’intorno a lui. Nonostante il dolore e il buio quasi totale in cui era prigioniero, Luxu non smise di dimenarsi “Lasciami andare!”

 

“Neanche per sogno.”

 

La giara contenente il frammento del suo cuore fluttuò come sorretta da una forza invisibile e la sagoma nera che incombeva su di lui la afferrò tra le dita filacciose e semi-trasparenti. Il lucchetto argentato che teneva sigillato il coperchio saltò via senza opporre alcuna resistenza e la mano di Oscurità si serrò con crudeltà attorno al frammento di cristallo. Nell’estrarlo dal contenitore, Oscurità dette uno strattone e il ragazzo annaspò senza fiato, come se quella stessa mano fosse serrata attorno alla sua gola.

 

“La senti, non è vero? La catena che ti ha messo al collo. Senti come tira, quanto è pesante… E’ il momento di scoprire quanto sarà sincera la tua lealtà una volta che ti avrò tolto il guinzaglio.”

 

Sibilò Oscurità in un gorgoglio divertito per poi conficcargli la scheggia di cuore dritta tra le costole senza alcun preavviso, come fosse la lama di un pugnale.

Luxu sgranò gli occhi, non perché il cristallo gli avesse causato una vera ferita mentre penetrava sempre più a fondo fino a tornare ad unirsi al resto del suo cuore, ma perché d’un tratto fu come se una parte di lui si fosse risvegliata.

Con una rapidità e risolutezza che stupirono lui per primo, spalancò un portale dritto dietro di sé con l’ausilio dei suoi poteri di manipolazione dello spazio e lasciò che fosse la pressione del corpo fumoso del suo aggressore a spingerlo dentro, per poi richiudere immediatamente il varco mentre un secondo s’apriva nel bel mezzo del corridoio appena fuori dalla stanza. 

Ascoltando le grida di frustrazione di Oscurità, Luxu balzò fuori dal portale e prese a correre a perdifiato diretto verso la scala a chiocciola, la luce della luna che gli permetteva di vedere quanto bastava per non andarsi a schiantare contro un muro.

Il petto gli faceva male da morire, ma quando la consapevolezza di essere tallonato da qualcosa di grosso e strisciante s’abbattè su di lui non poté far altro che stringere i denti ed accelerare ancora.

Era come se ogni ombra in quell’edificio senza corrente elettrica si stesse protendendo per trattenerlo. Adesso assolutamente terrorizzato e col cuore appena ricompletato che gli martellava furiosamente nel petto, il ragazzo si fiondò giù per le scale strillando i nomi dei compagni nella speranza che venissero a soccorrerlo.

Un’ombra lo afferrò per la caviglia facendogli perdere l’equilibrio ma la sua presa non fu salda abbastanza da trattenerlo e il ragazzo ruzzolò rovinosamente giù per l’ultima rampa di scale e fin nel corridoio dove si trovavano le camere degli altri apprendisti.

Svegliati dal baccano, i cinque ragazzi si precipitarono fuori sorprendendosi del buio soffocante e chiedendo a gran voce cosa diamine stesse succedendo. 

Luxu afferrò il primo di loro che gli capitò a tiro per il braccio “C’è qualcosa al piano di sopra! Sta arrivando!” farneticò, mentre le mani di Salegg si posavano sulle sue spalle nel tentativo di calmarlo. 

“Che diamine succed-” ebbe appena il tempo di dire l’apprendista più anziano prima che le ombre striscianti li assalissero in massa.

Quello che seguì fu puro caos.

Luxu sentì Mava gridare mentre il bagliore crepitante di uno degli incantesimi di Hafet percorreva il corridoio con tale violenza da far schizzare via le piastrelle dal pavimento e crollar giù i quadri dalle pareti. Nonostante la visibilità ridotta e il fatto che non avessero la minima idea di cosa stessero combattendo, Azal e Nahara reagirono ben più prontamente degli altri studenti, fendendo l’onda d’oscurità con un attacco combinato delle loro armi. Il Keyblade argenteo di Azal generò una vampa di fiamme bianche così intensa da ricacciare su per la scala a chiocciola qualunque fosse quella cosa oscura e strisciante che li aveva assaliti mentre Nahara creava una barriera magica per proteggerli tutti e sei da un eventuale nuovo attacco.

Finalmente illuminate dal bagliore dello schermo Reflect, Luxu vide le espressioni allarmate e scosse dei compagni. Azal restava in testa al gruppo, col Keyblade ancora sollevato e gli occhi grigi fissi contro l’ingresso della scalinata. 

Nahara corse incontro a Luxu, prendendogli il viso pallidissimo tra le mani con la premura di una sorella maggiore ed immediatamente iniziò a mormorare le parole magiche di un incantesimo di guarigione. Fu solo in quel momento che il ragazzo si rese conto di avere un brutto taglio sulla fronte e la camicia del pigiama imbrattata di sangue. 

“Luxu, che è successo lassù?” lo interrogò Hafet, senza fiato.

Il ragazzo scosse la testa, ancora confuso “Io… io non lo so. Ho sentito una voce e-”

“Azal, andiamo a controllare.” tagliò corto Salegg, serrando la presa sulla propria arma eterea.

“Vengo con voi!” esclamò Mava, raggiungendoli ed evocando il suo Keyblade. Vedere i suoi compagni così combattivi nonostante indossassero solamente camicie da notte e pantofole era l’ennesima situazione surreale in cui Luxu avrebbe decisamente preferito non trovarsi.

“No, resta qui.” la tenne a bada Azal “Se quella cosa dovesse tornare-”

“Siamo sei, Azal. Se proprio dobbiamo dividerci allora lo facciamo in gruppi di tre!” insistette la ragazza con risolutezza.

“Che ne dite se invece non ci separassimo affatto?” strepitò Hafet. “Non ho la minima idea di cosa sia quell’affare che ci ha assalito! Ho studiato tutto il compendio ma non ho mai visto un Heartless come quello...” proseguì, continuando a tenere d'occhio la tromba delle scale.

“So riconoscerlo un Heartless quando lo incontro. E questo è qualcosa di molto peggio.” controbatté Luxu rabbrividendo.

“Come fai a dirlo?” lo incalzò Mava “Luxu, cos’hai visto?”

“Non ho visto un bel niente è questo il punto! Ma quella cosa mi ha parlato, maledizione! Gli Heartless non parlano!”

Nahara posò una mano sulle spalle dei due apprendisti più giovani cercando di calmarli, ma era ovvio che anche lei fosse molto nervosa  “Dovremo aspettare il Maestro, non lanciarci incontro al pericolo-”

Un verso agghiacciante proveniente dal piano di sopra li fece ammutolire tutti quanti.

Era difficile capire che cosa fosse, se una voce o il latrato di un animale… ma l’altro suono che seguì fu quello inconfondibile ed acuto del miagolare furioso di un gatto.

Luxu sgranò gli occhi “Schad!”

Senza che gli altri potessero impedirglielo, il ragazzo dai capelli rossi si lanciò di corsa su per le scale, troppo preoccupato per il proprio animale domestico per pensare a quanto fosse stupido esporsi di nuovo in quel modo.

“Luxu, sei uscito di testa?! Torna qui!” gridò Azal tentando di afferrarlo per la camicia ma prima che potesse anche solo raggiungerlo sulle scale, Mava gli sgusciò a fianco e prese a salire a sua volta.

“Oh, maledizione vorrà dire che andremo tutti!” sbottò Salegg spingendo il compagno su per la ripida rampa a spirale.

Luxu correva davanti a tutti con il cuore ancora dolorante che gli rimbombava nelle orecchie.

Non era preoccupato solamente per Schad… ma anche per i pezzi di cuore che aveva lasciato incustoditi nella camera del Maestro.

Che cosa sarebbe successo se quella cosa avesse preso le giare di vetro? Un normale Heartless non avrebbe esitato un solo istante ad ingurgitarne il contenuto e Luxu nemmeno voleva pensare a cosa sarebbe successo se un pezzo del loro cuore fosse finito in pasto alle tenebre… ma ‘Oscurità’ non era un Heartless, di questo Luxu ne era certo. Perchè diamine avrebbe dovuto restituirgli il suo frammento invece di consumarlo? 

E tutto quel parlare di catene, lealtà da dimostrare…! A chi? A Perbias? Oscurità voleva sapere se sarebbe rimasto leale al Maestro? Chi accidenti era questa ‘Oscurità’? Niente aveva più un briciolo di senso! 

Non sapeva neanche come diamine avrebbe fatto a dire agli altri della macabra scoperta che aveva fatto nella camera del Maestro, figurarsi cercare di raccapezzarsi in mezzo a tutte quelle domande.

Luxu arrivò sul pianerottolo col fiato corto, seguito a ruota dagli altri apprendisti e il suo cuore sprofondò nel preciso istante in cui vide il corpicino esanime del gatto tigrato.

Schad giaceva immobile in mezzo al corridoio, come se si fosse frapposto tra loro ed il secondo tentativo da parte di ‘Oscurità’ di scendere verso i piani inferiori. 

Il ragazzo raccolse la creaturina tra le braccia con mani tremanti e gli fu immediatamente chiaro che stavolta nemmeno l’intervento tempestivo del Maestro sarebbe riuscito a salvare l’animale. Schad non era più un cucciolo disperatamente attaccato alla vita ma un gattone ormai vecchio e pigro che però non aveva esitato un solo istante ad agire se questo significava proteggere il proprio padroncino.

Prima ancora che Luxu potesse dargli un’ultima carezza o versare una sola lacrima, l’animale fu avvolto in una sfera di luce bianca e si dissolse tra le sue dita, il suo cuoricino splendente che si librava nell’aria.

Mava si portò una mano alla bocca trattenendo a sua volta i singhiozzi. “Luxu... mi dispiace.”

Salegg si precipitò alla porta della stanza del maestro e sollevò la mannaia d’ottone pronto a colpire chiunque o qualsiasi cosa si trovasse dall’altro lato, ma quando aprì la porta con un calcio, si trovò di fronte una  camera vuota e ben illuminata.

Con un ronzio, la corrente tornò a circolare per tutta la torre e i sei apprendisti furono costretti a stringere gli occhi per non restare abbagliati dopo quei lunghi minuti di panico spesi nel buio quasi totale. Restarono come impietriti a guardarsi intorno per alcuni secondi preda di un’inquietudine così pesante da essere quasi soffocante. Soltanto i singhiozzi sommessi di Luxu gli strapparono da quello stato di paralisi e in un attimo, tutti e cinque si strinsero attorno a lui per cercare di consolarlo, ma il ragazzo si liberò dalla loro stretta e si precipitò nella camera invasa di libri. 

Le giare con i frammenti di cuore…!

Le giare erano scomparse, ad eccezione di quella che aveva contenuto il suo cuore e che ancora stava lì, vuota ed immobile sul pavimento.

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Buongiorno/sera a tutti quanti... sono tornata! E dopo Re:Mind e gli ultimi aggiornamenti di KHUX, finalmente le cose si fanno serie! Ci avviciniamo ai momenti clou della storia, perciò allacciate le cinture! Come al solito, grazie mille per tutti i bei commenti ed incoraggiamenti, ci vediamo nel prossimo capitolo :)
- Calia

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Capitolo 39
*** χ Demons ***


χ DEMONS χ


 

Stop the masquerade.
There's no one left.
Just you and me,
just empty seats.
Don't say your lines.
Say what you feel.
There is no script,
this show is real.
[Crashing and Burining - Cinema Bizarre]


Quando finalmente l’ordine fu ristabilito attorno al buffet e gli affaccendatissimi camerieri al servizio dei LaBouff ebbero finito di ripulire la pista da ballo, la festa riprese come se niente fosse successo.

Ma Stella e Charlotte erano troppo preoccupate per lasciarsi nuovamente coinvolgere nelle danze. Non soltanto il Principe Naveen sembrava essere svanito nel nulla con grande sgomento della padrona di casa, ma la scomparsa di Tiana le aveva gettate entrambe nel panico. Non era da lei andarsene senza salutare e nessuno tra gli invitati sembrava averla vista.

Sapendo quanto fosse depressa dopo quanto accaduto con i Fratelli Fenner e temendo il peggio, Stella era corsa al piano di sopra e aveva avuto un mezzo infarto alla vista della finestra spalancata.

Precipitatasi sul balcone, aveva guardato giù temendo di trovare il corpo dell’amica spiaccicato sul selciato tre piani più in basso ma fortunatamente ad accoglierla trovò solamente un grazioso pergolato di glicine illuminato dalla luce della luna.

Aveva appena tratto un sospiro di sollievo quando Charlotte le apparve alle spalle, silenziosa come un gatto nonostante i tacchi a spillo, facendola trasalire “Accidenti ma dove s’è andata a cacciare quella testona? Abbiamo cercato ovunque!”

Stella rispose al suo sguardo preoccupato con altrettanta apprensione “Non lo so, è così strano. Non è da lei.”

“Quelle arpie delle mie zie dicono che se l’è svignata col mio Principe. Ma io ho detto ‘Figurarsi! Lui è un gentiluomo e Tiana una con la testa sulle spalle!’ non lo pensi anche tu, Stella?”

“Il fatto che entrambi siano scomparsi nello stesso momento è un po’ sospetto, però…”

“Oh, per la miseria non mettertici anche tu! Tiana non lo farebbe mai!”

Stella alzò gli occhi al cielo “Non sto dicendo che se la sono svignata insieme, Lottie. Ma forse è successo loro qualcosa.”

Charlotte impallidì visibilmente “Non starai mica… mica dicendo che potrebbero essere stati rapiti?!”

“Non era quello che intendevo ma-”

“Ma certo, ma certo… le principesse vengono sempre rapite dai malvagi! E i principi corrono a salvarle! Se è in compagnia di Naveen, allora Tiana non ha nulla da temere!”

“Le cose non funzionano così nel mondo reale, Lottie. E poi Tiana non è nemmeno una principes-” prima ancora che Stella potesse finire, un violento bagliore viola immediatamente seguito da un assordante rombo proveniente dal retro della villa scosse l’edificio fino alle fondamenta.

Charlotte strillò per la paura e la strinse a sé “Ah! C-che cos’è stato?!”

Stella allungò istintivamente la mano lungo il fianco, pronta ad evocare il suo Keyblade se fosse stato necessario “Non lo so.” ammise, afferrando l’amica per il braccio per confortarla “Ma non mi piace per niente.”

“S-stella…” Gli occhi azzurri di Charlotte si fecero d’un tratto grandissimi e spauriti, mentre alzava un dito tremante per indicare qualcosa alle spalle dell’altra “Scappiamo!”

Senza lasciarle il tempo di voltarsi, Charlotte la trascinò via dal balcone appena prima che un Heartless balzasse giù dal tetto, mulinando gli artigli affilati preda della frustrazione per aver mancato il bersaglio.

Charlotte gli sbattè la porta a vetri dritta sul muso privo di bocca ma stavolta fu Stella ad afferrarla, tirandola indietro all’interno della camera da letto tappezzata di rosa. “Non serve a niente, Charlotte quei cosi-”

Anticipando quel che stava per dire, il NeoShadow si ridusse ad un’ombra sottilissima sul pavimento e sgusciò all’interno passando sotto la porta “...quei cosi entrano ovunque.” finì di dire frustrata, parandosi davanti alla bionda.

“Hey, ma che fai?! Dobbiamo andarcene!” esclamò Charlotte tirandola per il vestito ricoperto di paillettes.

“Stai tranquilla. Ho tutto sotto controllo, ti proteggo io.” asserì Stella facendo un passo avanti mentre altri Heartless scivolavano all’interno della stanza, avanzando verso le due ragazze con il loro passo caracollante ed imprevedibile.

“Volevi sapere qualcosa sul mio passato, no? Beh, questa è la tua occasione, Lottie. Ti chiedo soltanto di tenere le domande per dopo.”

La bionda la guardò a bocca aperta mentre avanzava con decisione verso le creature d’ombra. Non riusciva a credere quanto Stella sembrasse diversa in quel momento, era come se la sua intera postura fosse cambiata, come se fosse diventata tutta un’altra persona. E, quando un’arma oro e viola simile all’incrocio tra una gigantesca chiave ed una bacchetta magica si manifestò tra le sue mani, Charlotte non seppe nascondere un sussulto. “Stella…!”

L’antica custode del Keyblade partì alla carica, l’arma sollevata sopra la testa e i tacchi delle lustre scarpe di vernice che ticchettavano rapidi sul pavimento “Fatevi sotto!”

°°°

Facilier comandò ai Loa di attaccare con un imperioso gesto del bastone da passeggio. I suoi Amici avrebbero insegnato a quei due intrusi a non mettere il naso nei suoi affari.

E poi, si disse con un filo d’eccitazione, i Loa lo avrebbero sicuramente ricompensato se li avesse consegnato due anime fresche di mietitura. Già immaginava le oltraggiose richieste che avrebbe potuto avanzare dopo essersi tolto dai piedi quei due.

Le ombre serpeggiarono sull’erba umida, silenziose e leggerissime come soltanto le creature di pura oscurità possono fare e si avventarono sulla coppia in abiti eleganti.

Ava le allontanò con una vampa di scintille dorate mentre Xigbar si spostava fuori dalla loro portata teletrasportandosi in aria. Ricaricò le pistole e sparò una raffica di proiettili incandescenti che andarono ad inchiodare i suoi nemici al suolo come fossero figurine di carta fermate da letali punti di spillatrice.

Le ombre così intrappolate presero a dimenarsi e ad ululare tirando con tutte le loro forze nel tentativo di trarsi in salvo ma la Veggente non dette loro alcuna tregua, carbonizzandole all’istante e lasciando una chiazza d’erba bruciata sul terreno.

I due antichi Maestri continuarono con quella strategia mentre cercavano di raggiungere lo stregone per attaccarlo direttamente. Xigbar tentò di coglierlo alla sprovvista sparando una raffica di proiettili attraverso un piccolo portale che aveva evocato attorno alla sua pistola per poi aprirne un secondo direttamente alle spalle di Facilier, ma questi non si lasciò fregare e rispedì al mittente i dardi incandescenti con una barriera magica decorata dall’insignia del suo Loa-Patrono, il Baron Samedì.

Xigbar evitò i proiettili con una capriola a mezz’aria mentre un’altra ombra aggirava l’alone bruciante di Ava per tentare di colpirlo adesso che era distratto. L’espressione impaurita negli occhi vuoti della sagoma nera strappò al nessuno un sorrisetto sadico mentre la falciava in due con un colpo di laser che lasciò un solco fumante nel bel mezzo del giardino.

Ava portò l’impugnatura del Keyblade all’altezza del petto e chiuse gli occhi, proiettando quattro copie illusorie tutt’intorno a sè e lasciando che fossero loro a fungere da distrazione mentre lei inceneriva senza posa qualsiasi Ombra strisciante fosse tanto ardita da avvicinarlesi.

Esattamente come Xigbar ricordava, la giovane donna maneggiava il Keyblade con incredibile maestria, l’arma che sembrava danzare assieme a lei, abbandonando le sue dita per compiere sferzate più ampie obbedendo al suo controllo telepatico per poi tornarle saldamente stretta in pugno. Anche lui aveva imparato a controllare le proprie armi col pensiero, ma a differenza di Ava ci aveva messo un sacco di tempo. Non era mai stato uno studente particolarmente brillante ma Perbias non si era mai spazientito con lui.

Erano tecniche raffinate come quella a separare un custode alle prime armi da una Maestra come Ava. A forza di combattere al fianco della propria chiave, essa entrava sempre più in sintonia col suo proprietario e in alcuni casi poteva persino evolversi e cambiare aspetto e capacità offensive, come ad esempio la forza elementale di cui era intrisa.

Il Keyblade di Ava era rimasto lo stesso, a differenza del suo arco etereo che era andato incontro a molte trasformazioni nel corso della sua lunga vita, ma Xigbar percepiva chiaramente che Ava fosse diventata molto più abile nell’usarlo.

Stava riflettendo su questo quando all’improvviso uno dei Loa fece qualcosa di completamente inaspettato. Invece di cercare di colpire direttamente lui o Ava... prese di mira le loro ombre.

Xigbar, ancora sospeso ad un paio di metri da terra e con le pistole spianate, si sentì di colpo strattonare verso il suolo ed ebbe appena il tempo di girarsi a mezz’aria per proteggersi con gli avambracci dall’impatto con il terreno.

Il Loa munito di artigli aveva afferrato l’ombra del Nessuno che la luce della luna proiettava sulla facciata di casa LaBouff e l’aveva scaraventata a terra con forza, trascinandosi dietro il vero Xigbar.

Immediatamente, gli altri Loa fecero lo stesso con Ava, sgusciando lontani da lei per prendere d’assalto le cinque silhouette nere della donna (le illusioni di Ava erano così convincenti da simulare persino le ombre) e fecero a pezzi le sue copie a colpi d’artiglio. Lei si voltò appena in tempo per rendersi conto di cosa stesse succedendo ma fu sbalzata all’indietro da una forza invisibile quando uno degli spiriti maligni s’avventò contro l’ultima ombra ancora proiettata sulla parete.

La Veggente gridò preda della frustrazione, scalciando contro il niente per assicurarsi che la sua ombra non si lasciasse sconfiggere senza lottare, ma un secondo colpo d’artiglio la lasciò ansimante sull’erba bagnata, il cappotto di pelliccia lacerato sulla schiena da cinque profondi graffi.

“L’abbiamo sottovalutato un pò, eh?” bofonchiò Xigbar, piegando a fatica un braccio dietro la testa dopo essersi guardato alle spalle per fare in modo che la sua ombra prendesse bene la mira.

Vedere il suo proiettile far saltare le cervella ad una sagoma appiattita contro il muro faceva uno strano effetto, ma dava comunque una certa soddisfazione.

“Avete combattuto bene Madame et Monsieur, ma questo è il capolinea.” Gongolò Facilier, scendendo le scalette della dependance a passo di danza “Ora, se non vi dispiace, ho un ranocchio da trovare e una città da conquistare.”

“Nei tuoi sogni.” ringhiò Ava, falciando un’ombra per venir però immediatamente spinta a terra dalle zampe artigliate di altre due.

Lo Stregone la ignorò, continuando a sorridere sornione “Sono tutti vostri, miei cari Amici! Due anime come antipasto, prima della portata principale!” esclamò e i Loa si lanciarono in una cacofonia di risate gutturali ed ululati “Bon voyage!” Concluse Facilier con una sarcastica alzata di cappello.

Prima ancora che Ava potesse ribattere, le dita nodose dei Loa le coprirono la bocca ed un portale si spalancò sotto di lei mentre altre decine di mani l’afferravano per trascinarla giù nelle viscere della terra.

Xigbar non fu più fortunato, ma a differenza della donna non sprecò alcuna energia nel cercare di difendersi o imprecare e chiuse il suo unico occhio, apparentemente pronto ad accettare il suo destino. O forse, era il fatto che non possedesse un cuore pienamente funzionante a permettergli di restare così calmo.

Quando i portali ebbero inghiottito completamente i due guastafeste, lasciando il giardino di nuovo finalmente silenzioso e vuoto, Facilier girò sui tacchi fischiettando un motivetto allegro e puntellandosi elegantemente sul bastone da passeggio mentre si allontanava.

La sua mente era già nuovamente immersa nel pianificare la prossima mossa alle spese di New Orleans e della famiglia LaBouff quando qualcosa di nero serpeggiò al suo fianco.

Seguì l’ombra di uno dei suoi mostruosi ‘Amici’ sgusciare sull’erba veloce come una saetta per andarsi a rintanare nell’accogliente oscurità offerta dalla chioma di un salice piangente.

Lo stregone si fermò, gli occhi viola intenso fissi sulla figurina tremante del Loa e d’un tratto un terribile presentimento s’impossessò di lui, costringendolo a voltarsi.

Non era possibile…!

In un’esplosione di luce viola così violenta da scaraventarlo quasi a terra, il portale per l’Aldilà si spalancò di nuovo e i Loa si riversarono fuori come formiche in fuga da una nuvola di pesticida.

Gli spiriti oscuri che gli avevano offerto incredibili poteri in cambio della promessa di un grande banchetto di anime… stavano scappando.

Le stesse entità malvagie che con il suo aiuto avrebbero potuto spadroneggiare sull’intera città, si ritraevano impaurite, temendo per la loro vita al cospetto dei due sconosciuti che stavano riemergendo da un luogo da cui non avrebbe dovuto esserci ritorno.

Facilier fu costretto a sollevare una mano per proteggersi dalla luce abbagliante del portale e fu proprio in quell’istante di cecità quasi totale che scorse due sagome mostruose avviluppare i corpi dei due stranieri mentre s’issavano fuori dal Guinee, l’Oltretomba della religione Voodoo.

Lo stregone aveva incontrato molti spiriti maligni nel corso della sua carriera. Sin da quando era giovane, aveva fatto esperienza con creature soprannaturali di ogni genere sotto il tutoraggio di Mama Odie, dai rougarou che infestano le paludi quando c’è la luna piena fino agli zombie richiamati dalla tomba dai sacerdoti haitiani…

Ma mai, prima di allora, aveva incontrato un vero e proprio Demone. Eppure in quel momento non ebbe alcun dubbio che i due stranieri fossero esattamente questo.

A contrasto con la luce del portale, le loro sagome apparivano distorte ed allungate, munite di artigli, corna, zoccoli, code e zanne proprio come le ombre dei Loa, ma a confronto dei suoi ‘Amici’, quell’apparizione era immensamente più grande e tangibile.

La silhouette tremolante alle spalle dell’uomo con un occhio solo gli era fin troppo familiare: era Baphomet, un mostruoso satiro dalle lunghe corna ricurve che incarnava ogni forma di perdizione, mentre la bestia a nove code al fianco della giovane donna era una Kitsune, un malevolo ed astuto spirito della cupidigia.

Chiunque fossero quei due, anzi, qualsiasi cosa fossero quei due, se i Loa avevano paura di loro, anche Facilier avrebbe fatto bene ad averne. Con un pallore mortale impresso in volto e le mani che gli sudavano per l’agitazione, lo stregone ingoiò il suo orgoglio e spalancò un portale attraversandolo in tutta fretta. Se voleva avere una chance di portare a termine il suo piano, doveva lasciare quella festa in maschera tutto intero ed escogitare una nuova strategia.

Ava e Xigbar si scambiarono un’occhiata perplessa, completamente ignari della mostruosa visione dello stregone mentre la voragine piena di spiriti urlanti andava a poco a poco chiudendosi alle loro spalle.

“Se l’è data a gambe?” chiese il Nessuno, spazzolandosi la giacca color amarena dalle zolle di terriccio. Sembrava che fossero appena strisciati fuori da una tomba e… beh, in un certo senso era esattamente quel che avevano fatto. C’erano molti ‘Aldilà’ in giro per i Mondi e quello non era certo il primo che visitavano, né probabilmente sarebbe stato l’ultimo.

Ava gli si piantò davanti, il Keyblade ancora stretto in pugno “Adesso devi mantenere la tua parte dell’accordo. Dimmi dove si trova la ragazza.”

“Non hai sentito quello che ho detto? Il cattivone se l’è data a gambe.” ripetè lui, gesticolando animatamente “Non abbiamo ancora finito qui.”

Lei non lo lasciò continuare, puntandogli il Keyblade alla gola “Sai cosa penso?” lo freddò, gli occhi ridotti a due fessure dietro la maschera bianca “Che stai solo cercando di prendere tempo. O peggio ancora, non vuoi che scopra che cosa le hai fatto.”

Per qualche motivo, quell’accusa bruciava più di quanto Xigbar avrebbe voluto ammettere. Il fatto che fosse proprio lei a fargli la predica…! “E cos’è che le avrei fatto, sentiamo un pò?" Le rimbrottò asciuttamente. "Smettila di parlarmi come se fossi un mostro mangiatore di bambini!”

“Non lo farei se tu ti degnassi di spiegarti!”

“Perchè invece non cominci a farlo tu?” la prese di nuovo in contropiede il Nessuno, fissando il suo unico occhio contro quelli smeraldini della donna. Nonostante ne avessero appena passate di cotte e di crude, nessuno dei due aveva ancora rimosso la propria maschera e Xigbar moriva dalla voglia di scoprire se il volto della Veggente fosse lo stesso che ricordava. A sua differenza, era chiaro che lei non avesse mai abbandonato il suo corpo originale e questo lo frustava oltre ogni dire. Il lavoro sporco ed ingrato toccava sempre a lui.

Ma la domanda che più di ogni altra lo assillava sin da quando era venuto a sapere che Ava fosse arrivata nel suo tempo, era come accidenti ci fosse riuscita.

Proprio come i suoi quattro compari mascherati, anche lei avrebbe dovuto restare sospesa nel limbo. Non avrebbe dovuto svegliarsi così presto.

E invece eccola lì, a puntargli contro il Keyblade.

Come quell’ultima volta sulla cima della collina.

Xigbar storse le labbra in una smorfia indecifrabile. La verità, era che col passare dei secoli il grande piano di Perbias aveva iniziato a mostrare segni di cedimento ed imperfezioni. La prima di queste crepe, da cui tutte le altre sembravano essersi ramificate, era stato permettere che un impostore infiltrasse i ranghi dei nuovi Leader delle Unioni. Il risveglio prematuro di Ava forse era l’ennesima imprevedibile conseguenza di quel primo errore, o forse il modo in cui il Maestro, nella sua lungimiranza, stava cercando di sistemare le cose. Forse quegli incidenti di percorso altro non erano che felici coincidenze. Forse era scritto nel Libro delle Profezie che lui ed Ava dovessero incontrarsi prima della Riunione.

Anche perchè, se doveva essere del tutto onesto, Xigbar non poteva dirsi neanche assolutamente sicuro che Ava si fosse mai addormentata come avevano fatto gli altri Veggenti. Era possibile che, proprio come lui, fosse stata sempre cosciente.

Anche senza viaggiare avanti nel tempo come aveva fatto Skuld, era possibile che la donna avesse atteso il passare dei secoli in un luogo dove il tempo non scorreva come, per esempio, un mondo dormiente.

Chi poteva dirlo? Perbias stesso era un perfetto esempio di questo, visto che aveva trascorso ottomila anni nel Reame dell’Oscurità per poi uscirne ancora bambino, anche se con la sua bella collezione di turbe.

“Come sei arrivata qui, sentiamo un pò? E che cos’hai fatto per tutto questo tempo? Lo so che non sei tornata l’altro ieri.”

La Veggente lo fissò visibilmente confusa, abbassando un poco l’arma. Ma prima che potesse rispondere, Xigbar continuò, la frustrazione evidente nella sua voce come se il suo cuore malandato avesse ripreso tutto ad un tratto a funzionare e lui si fosse reso conto soltanto in quel momento di quanto quella situazione lo facesse infuriare.

“Perchè se proprio vuoi sapere cos’ho fatto IO, beh, ho fatto il tuo diamine di lavoro, ecco cosa! Non era forse compito tuo assicurarti che quei mocciosi arrivassero sani e salvi? E invece guarda a chi è toccato fare da babysitter ai tuoi fiorellini smemorati!”

Ava aprì e richiuse la bocca senza emettere alcun suono, troppo spiazzata dal suo improvviso cambio d’atteggiamento e dal veleno nelle sue parole. Nonostante non riuscisse a vederlo in viso, percepì chiaramente che quella era la prima volta da quando si erano rincontrati che stava parlando con il vero Luxu e non con il suo Nessuno. Quella consapevolezza le strinse il cuore in una morsa e Ava provò l’improvviso desiderio di allungare la mano per strappargli via la maschera, rivelando il volto del perfetto sconosciuto che era diventato il ragazzo timido ed impacciato dei suoi ricordi.

Ma prima ancora che potesse fare un solo passo verso di lui, delle grida risuonarono all’interno della villa, costringendo i due antichi maestri ad interrompere il contatto visivo e a voltarsi in direzione del rumore.

Dietro i tendaggi delle finestre del terzo piano, lampeggiava un bagliore dorato che Xigbar aveva imparato bene a conoscere, quello emesso da Luce Stellare quando Skuld la impugnava.

A conferma di ciò, una decina di cuori appena liberati dalle grinfie dell’Oscurità si librarono in cielo attraversando il grazioso tetto di tegole della magione per finire dritti nel canale convogliatore dell’Organizzazione che li allontanava dal vero Kingdom Hearts e attirava verso il Castello Che Non Esiste.

Se Skuld avesse continuato di questo passo, Vexen si sarebbe certamente accorto di quel flusso sospetto.

E l’ultima cosa di cui Xigbar aveva bisogno era che Xemnas mandasse la cavalleria adesso che Ava era nei paraggi. Maledizione, non aveva fatto in tempo ad avvertire Skuld del pericolo nonostante fosse il solo motivo per cui si era presentato a quella dannata festa tanto per cominciare!

Senza neppure rivolgere uno sguardo ad Ava, il suo cuore nuovamente gelido come la pietra, Xigbar si smaterializzò, teletrasportandosi all’interno della villa mentre la Veggente sobbalzava, spaesata nel ritrovarsi di punto in bianco completamente sola.

Sebbene il suo primo istinto fosse quello di imprecare e corrergli dietro, Ava riuscì a controllarsi, serrando dolorosamente le mani lungo i fianchi, le unghie che le affondavano nei palmi. Luxu non aveva tutti i torti, per quanto le pesasse ammetterlo.

“Ma non sei il solo ad avere un ruolo da portare a termine, razza di idiota!” sibilò tra i denti, alzando lo sguardo verso la luna piena.

°°°

Teletrasportarsi in un luogo che non si poteva vedere era sempre un rischio, ma Xigbar era sufficientemente familiare con i corridoi di casa LaBouff per poterlo fare senza temere di trovarsi con una gamba incastrata in una parete.

Al suo arrivo, andò a sbattere contro un tavolino e il prezioso vaso di cristallo che vi era poggiato sopra s’infranse in mille pezzi sul pavimento ma il Nessuno non se ne curò. Del resto, i Neo Shadow che avevano preso d’assalto la casa avevano già fatto la loro bella dose di danni, lasciandosi dietro una scia di distruzione. Seguendo il tintinnio metallico dei fendenti di Luce Stellare, l’uomo raggiunse la camera di Charlotte e v’irruppe senza tante cerimonie, i Tiratori Scelti ancora stretti in pugno.

Doveva fare soltanto una cosa: portare Stellina via da lì. Al diavolo la loro copertura, il posto ormai brulicava di Heartless. Facilier probabilmente voleva tenerli occupati mentre si riorganizzava e gli Heartless erano pur sempre un’ottima distrazione.

Se la situazione non fosse stata così critica, probabilmente Xigbar avrebbe riso di gusto alla vista della scenetta che gli si palesò davanti.

Charlotte se ne stava come pietrificata con le spalle al muro con un’espressione mista tra puro terrore e genuina meraviglia mentre Skuld, ancora in abito da sera, falciava un’ondata di Heartless dopo l’altra sorridendo come una psicopatica. Sembrava si stesse divertendo un mondo e il Nessuno non se la sentiva di biasimarla. Quando ci prendevi la mano, andare a caccia di Heartless diventava quasi uno sport, parte della routine quotidiana dei tanti giovani custodi che abitavano Auropoli prima che venisse inghiottita dalle onde.

Ma quello non era il momento di giocare. Più cuori raggiungevano il Mondo Che Non Esiste, più Skuld rischiava di venir localizzata dall’Organizzazione ed era qualcosa che lui non avrebbe mai permesso. Consegnare lei… e di conseguenza il Libro delle Profezie nascosto nei suoi ricordi in mano a Xehanort avrebbe mandato tutto a rotoli.

Ignorando Charlotte, l’uomo si gettò nella mischia respingendo i Neo Shadow con dei colpi ravvicinati simili a quelli esplosi da un fucile a pompa ed afferrò Stella per il braccio che impugnava il Keyblade, impedendole di far fuori l’ennesimo Heartless.

“Braig?! Cosa...”

"Stellina, dobbiamo andare."

Gli occhi color miele della giovane si fecero grandissimi e confusi, e lui vi lesse dentro una miriade di domande ed obiezioni. Ma non avevano più tempo.

Xigbar spalancò un portale oscuro dritto davanti a sé e cambiò i suoi abiti eleganti nella cappa nera, le catenelle attorno al collo che tintinnavano mosse dall’energia vorticante del varco spazio-dimensionale. "L'Organizzazione sa che sei qui e ci saranno addosso in un attimo. Dobbiamo battercela, ora!"

"Che cosa? No… no, Tiana lei- le è successo qualcosa-" tentò di protestare lei, completamente impreparata ad affrontare una situazione del genere. Andare via… adesso?! Dove l’avrebbe portata? Sarebbe mai potuta tornare…?

"Tiana dovrà cavarsela da sola! Se davvero vuoi tenere al sicuro le persone di questo mondo, allora devi venire con me!" insistette lui, tendendole la mano guantata “Non costringermi a trascinarti, ragazzina!”

“Va con lui, Stella.”

La voce di Charlotte li prese alla sprovvista entrambi mentre la bionda, fattasi coraggio nonostante l’assurdità di quella situazione, faceva un passo avanti con le mani giunte e il viso pallidissimo sporco di mascara sciolto “Non ho idea di cosa stia succedendo ma non preoccuparti per Tia, ci penserò io a lei, te lo prometto!”

La determinazione nello sguardo della ragazza in rosa era a dir poco sorprendente e persino Xigbar si trovò a guardarla con una certa ammirazione “L’ho sempre saputo che eri speciale, Stella! E diamine, questa ne è la prova! Magia, mostri, spade incantate… Combatti come una vera guerriera!” Charlotte le corse incontro, prendendole le mani tra le sue come per darle coraggio e Stella sentì un nodo stringerle la gola. “Quindi va e compi il tuo destino!” declamò con fin troppa drammaticità ma la custode del Keyblade apprezzò quell’augurio dal profondo del cuore e strinse Charlotte in un abbraccio caloroso.

Qualcosa diceva alle due amiche che non si sarebbero mai più riviste e quella consapevolezza era palpabile nell’intensità con cui si strinsero l’una all’altra.

Xigbar svuotò il caricatore contro un’altra orda di New Shadow e strappò burberamente Stella dall’abbraccio dell’amica. Lei protestò, ma il Nessuno la zittì rivolgendosi alla bionda prima di attraversare il portale “Statemi bene, Signorina LaBouff. Vi affido alla protezione dei miei servitori.”

Uno squadrone di Cecchini si materializzò tra Charlotte e gli Heartless che continuavano ad avanzare e, puntuali come soldati, questi iniziarono immediatamente a fare piazza pulita dei Neo Shadow con letali colpi alla testa.

Stella non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi per rivolgere a Charlotte un ultimo saluto che Xigbar già l’aveva spinta nel Portale Oscuro. Le lacrime le appannavano la vista impedendole di vedere cosa stesse accadendo, ma tutt’intorno a lei poteva sentire mormorii e grida oltre ad una terribile puzza di catrame e decomposizione… l'odore dell'Oscurità.

Qualcosa di viscido le si attaccò ad una gamba, affondandole gli artigli nella carne e Stella gridò, attirando l’attenzione del Nessuno che l’aiutò a liberarsi dalla presa dell’Heartless con una scarica di proiettili infarcita di imprecazioni.

Era la prima volta che Stella viaggiava attraverso i corridoi spazio-dimensionali ed era talmente scossa e disorientata che non oppose alcuna resistenza quando Xigbar le passò un braccio attorno alla vita per stringerla a sé, sperando che così facendo l'effetto repelli-oscurità della cappa nera si sarebbe esteso anche a lei.

Viaggiare così senza un'adeguata protezione era da matti, ma non avevano avuto molta scelta.

E in ogni caso, erano quasi arrivati.

Uscirono dal portale come scaraventati fuori da un'auto in corsa dopo un brutto incidente. Xigbar si raggomitolò su sé stesso mentre ruzzolavano sul pavimento imbullonato della Gummiship, proteggendo la ragazza dagli urti meglio che poteva. Era abituato a prendere botte come quelle e sapeva in quale posizione fosse meglio cadere per non rompersi l'osso del collo, ma l'impatto con la parete fu comunque più violento di quanto s'aspettasse.

Restò intontito per un lungo istante, ansimando e digrignando i denti per il dolore mentre Stella lo spingeva via, la paura adesso tramutatasi in pura collera. "Riportami subito indietro!" gridò, richiamando Luce Stellare per puntargliela dritta contro il petto.

Prima Ava lo minacciava con un Keyblade e adesso pure la sua allieva? Diamine, doveva essere proprio il suo giorno fortunato!

"Altrimenti che fai, mi conci per le feste?" bofonchiò il Nessuno, sputando a terra un grumo di sangue e saliva prima di continuare "Sei proprio una mocciosetta ingrata, ti ho appena salvato la vita."

"Nessuno te l'ha chiesto!"

"Dai, Skuld. Lo so che sei più sveglia di così. Non c'era altro modo e lo sai. E non preoccuparti per la biondina, se la caverà."

"Come… come mi hai chiamata?"

"Skuld. È il tuo nome, l’ho appena scoperto. Credevo ti avrebbe fatto piacere saperlo."

La ragazza barcollò all'indietro come fulminata, il Keyblade che si dissipava tra le sue dita mentre si prendeva la testa tra le mani.

"S-Skuld…" ripeté, fissando il vuoto davanti a sé.

Xigbar si alzò a fatica, lanciandole un'occhiata preoccupata "Ti ricorda qualcosa? HEY!" ebbe appena il tempo di fare un passo verso di lei che la ragazza era già crollata in ginocchio, le lacrime che sgorgavano copiose dai suoi occhi sbarrati.

"Ventus…!"





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Angolo dell'Autrice: mamma mia che passione scrivere questo capitolo! L'avrò sistemato cinquanta volte... un grazie sentitissimo a Malakia per avermi fatto da beta reader perchè ci stavo veramente impazzendo. Ci sono ancora alcune incongruenze che non sono riuscita a sistemare ma per adesso non sono riuscita a fare di meglio. Ho cambiato la timeline dell'incontro tra Luxu ed Ava (che nella mia prima bozza accadeva post KH2... mentre qui siamo appena prima di KH1!) e questo mi ha obbligata ad aggiustare un pò tutto di conseguenza... boh, spero che vi sia piaciuto comunque XD

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Capitolo 40
*** ✭ The Children of Pride ***


✭ THE CHILDREN OF PRIDE ✭
 

It's in my blood, it's in my water.
You try to tame me, tame me from the start.
When the din is in your eye, flash your flesh,
desperate for a need to rise.
With a silver crystal on
how well you used to know how to shine.
In the place that's safe from harm,
I had been blessed with a wilder mind.
[Wilder Mind - Mumford & Sons]

 


Allontanare le guardie dal massiccio portone ricoperto d'edera non fu troppo difficile.

Lo straniero chiamato Perbias aveva un carisma tutto suo, e le sue parole melliflue e giocose furono più che sufficienti per distrarre il drappello di soldati mentre Kida orchestrava un piccolo diversivo.

"Siamo una bella squadra, tu ed io." Commentò l'Atlantidea raggiungendolo davanti alla porta adesso incustodita.

Il Maestro le rivolse un sorriso sghembo per poi tornare a studiare il sigillo scolpito sulla pietra. Nonostante lo stile tribale del bassorilievo, esso rappresentava chiaramente il contorno del buco di una serratura. Quella porta era stata chiusa da un Keyblade, su questo non aveva alcun dubbio.

"Pronta?" le chiese, manifestando il proprio nella mano destra.

Kida annuì severamente e l’uomo puntò l’arma in direzione del sigillo. Un fascio di luce scaturì dall’estremità e andò a colpire il portale che immediatamente s’illuminò d’azzurro, le iscrizioni nascoste dai rampicanti che s’accendevano come le spie di un enorme macchinario.

Lei indietreggiò un poco quando il portone iniziò a muoversi faticosamente, sollevando un denso polverone per rivelare una scura rampa di scale che sembrava scendere fin nelle profondità della terra.

Perbias si voltò verso di lei, abbassando il Keyblade “Faremo meglio a chiuderci la porta alle spalle una volta dentro se non vogliamo trovarci le guardie alle costole. Non staranno lontane dai loro posti ancora per molto.”

Kida annuì, anche se l’idea di scendere là sotto quando la sola persona in grado di aprire l'unica via d’uscita era un perfetto sconosciuto non la entusiasmasse affatto. 

Il Maestro intuì quello che stava pensando e si sbrigò a dire “Tranquilla, non ti chiudo mica dentro!”

“Non è che abbia un'alternativa al prenderti sulla parola.” sospirò lei rassegnata, seguendolo giù per le scale polverose, la lancia saldamente stretta in pugno. Per quanto volesse riporre fiducia nello straniero, non era così stupida da affidarsi ciecamente a lui. Ma era la sua unica occasione di scoprire la verità perciò non poteva tirarsi indietro proprio adesso.

Perbias sigillò nuovamente il portale e prima che questo si richiudesse del tutto, lasciandoli nel buio assoluto ad eccezione del cristallo luminoso che Kida portava al collo, s’affrettò ad evocare una sfera galleggiante che rischiarò l’ambiente attorno a loro.

“Quindi… questa è la cripta della tua famiglia?” chiese, guardandosi in giro incuriosito. Il suo tono era sorprendentemente calmo, così come lo erano i suoi occhi blu, resi ancora più limpidi dal lume magico. Il solo dettaglio dissonante era la sua pupilla sinistra, dilatata a dismisura nella semi-oscurità.

“Credo di sì. Quando ero piccola… piccolissima anzi, ricordo che mia madre mi portò qua sotto per bruciare incenso per i defunti. E’ soltanto un’immagine, niente di più. Non ricordo nemmeno chi fossero le persone che venivamo ad onorare. Probabilmente i re e le regine del passato.”

Perbias annuì, scendendo cautamente le scale, i sandali del suo nuovo completo da Atlantideo che scricchiolavano sui gradini ricoperti di sabbia e muschi.

“E’ terribilmente umido qua sotto.”

“Tutta Atlantide è umida.” minimizzò lei, seguendolo “Le fondamenta della città sono ancora in larga parte sommerse.”

Perbias sfiorò i bassorilievi geometrici che adornavano il corridoio dell’angusta scalinata, seguendone l’andamento spiraleggiante con le dita senza dire niente.

Scesero per quella che sembrò un’infinità, guidati dalla bolla di luce sospesa e dal riverbero azzurro del cristallo di Kida finché non raggiunsero un’ampia sala dal soffitto altissimo. A sorreggerlo, vi erano state un tempo otto possenti colonne ma soltanto sei di queste erano ancora intatte mentre le altre erano crollate sul pavimento, i blocchi di pietra sparsi ovunque. Era un miracolo che le colonne restanti non fossero collassate sotto il peso della volta. Se fosse successo, probabilmente un’intera ala del palazzo reale sarebbe sprofondata.

Perbias si fermò di colpo quando la sfera di luce che fluttuava al suo fianco fece emergere dal buio i profili affilati e lustri di dozzine… no, centinaia di Keyblade infissi disordinatamente nella terra bagnata.

A differenza di quelli impugnati da lui e i suoi allievi, le chiavi che giacevano abbandonate in quella cripta avevano una foggia più primitiva, priva dei fronzoli e delle elaborate decorazioni a cui il Maestro era abituato. Erano chiaramente Keyblade nati dai cuori di un popolo antico quanto il Reame della Luce.

“Ecco dov’è che mio padre ha nascosto tutte queste armi…” commentò Kida, guardandosi attorno. Non s’aspettava che si sarebbero imbattuti così presto in una rivelazione così importante, ma al tempo stesso qualcosa in quella scoperta le dava i brividi.  

“Questi Keyblade…” Perbias esitò, allungando una mano verso il più vicino, sfiorandone l’impugnatura arrugginita dai millenni. Un’ondata di gelo lo percorse da capo a piedi, arrivandogli dritta al cuore in una fitta dolorosa “...sono tutti morti. Siamo in un cimitero, non in un’armeria.”

Lei lo fissò spaesata, mentre il Maestro ritraeva la mano, un’espressione indecifrabile impressa in volto.  “...morti?” Come faceva un oggetto ad essere ‘morto’?

“I Keyblade non si creano con l’incudine e la forgia. E’ il loro possessore a dar loro forma, e i cuori a cui questi erano connessi sono ormai perduti.” spiegò Perbias, passando in rassegna la distesa di chiavi prive di vita “Quel che non capisco è perchè siano ancora tutti qui.”

“Cosa intendi?”

L’uomo stirò le labbra “Ho sempre dato per scontato che un Keyblade non potesse esistere senza il proprio padrone. Credevo che alla morte di un custode… la sua arma sparisse con lui. In certi casi, persino venir messi fuori combattimento o restare feriti gravemente è sufficiente a far smaterializzare il proprio Keyblade. Non capisco.”

Lei s’accigliò, cercando di pensare ad una spiegazione logica me era chiaro che fosse lui l’esperto in materia. “Proseguiamo, forse scopriremo qualcos’altro.” azzardò, indicando l’estremità opposta della sala circolare. Anche se era immersa nel buio, si sentiva una lieve corrente d’aria provenire da quella direzione. “Credo ci sia un’uscita.”

Lo straniero annuì, ripensando al murale in cui lui e i suoi allievi si erano imbattuti prima di essere attaccati dal Leviatano e cercò di rimettere insieme i pezzi di quel confuso puzzle di eventi. Era chiaro che ci fosse stata una guerra combattuta tra persone armate di Keyblade e non c’era certo bisogno di affidarsi all’Occhio Che Scruta per intuire che fosse stato quel conflitto a causare il collasso della civiltà di Atlantide. Quel cimitero di Keyblade ne era solamente l’ennesima prova. Re Kashekim aveva preso tutte le chiavi e le aveva sigillate dietro ad una porta che poi aveva, a sua volta, chiuso con l’ausilio di un Keyblade. Qualcosa diceva a Perbias che se c’era qualcuno ancora in possesso di una delle cosiddette ‘armi proibite’, quel qualcuno era esattamente chi le aveva messe al bando.

Il Re aveva escogitato un ottimo piano per tenere al sicuro i propri segreti e ci sarebbe probabilmente riuscito se non fosse stato per lui… l’improbabile sopravvissuto sfuggito a quel remoto cataclisma.

C’era qualcosa di stranamente buffo in tutto ciò. Qualcosa di così cliché da fargli venir voglia di scoppiare a ridere perchè sapeva benissimo che le coincidenze non sarebbero certamente finite lì.

Luxu ci aveva visto giusto nel suggerire una parentela tra lui e la giovane donna che gli camminava a fianco, del resto, Il suo apprendista era sempre stato perspicace. E lui stesso ormai avrebbe dovuto essersi abituato a quel genere di cose.

Ma quei Keyblade che ancora restavano in attesa dei propri padroni defunti… non gli piacevano per niente. Il fatto che fossero conficcati nel terreno come tante lapidi gli gelava il sangue e Perbias non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che ci fosse qualcosa a tenerli ancorati lì in quella cripta dimenticata, impedendoli di tornare all’etere.

Presero ad arrampicarsi su un cumulo di macerie e una volta raggiunta la cima, Perbias si voltò indietro per porgere a Kida la mano ed aiutarla a salire. Lei accettò, ma ci tenne a precisare “Ce la faccio da sola.” con uno sbuffo. “Piuttosto, pensi davvero che troveremo il cristallo descritto nel tuo libro?”

Lui annuì. “Ti confesso che era la sola cosa che mi aspettavo di trovare qui.”

“Cosa intendi?”

“Non mi aspettavo ci fossero persone. Ricorda che nel luogo da cui provengo, la tua città è soltanto una leggenda. Molti dubitano persino che sia mai esistita. Io credevo che al massimo avrei trovato ruderi e vasellame. Un’iscrizione sbiadita o due, magari.”

“Perché ti interessa tanto il cristallo?” indagò lei, cercando di immaginarsi come fosse stata la vita del Maestro là nei Mondi esterni. “E soprattutto, è vero quel che hai detto nella sala del trono?”

“Ogni parola.” annuì lui, chinandosi per scivolare sotto una colonna abbattuta per continuare ad avanzare. “In effetti, le tue domande hanno una sola risposta. Credo che sia grazie a quel cristallo se in passato il tuo popolo poté bandire l'Oscurità. Usavate il potere del Cuore di Atlantide per compiere veri prodigi e in un certo senso, lo fate ancora, anche se non ve ne rendete conto." Perbias indicò il medaglione di cristallo che la donna portava al collo "Come estendere la durata della vostra vita, per esempio. Negli altri Mondi, ci sono persone che ucciderebbero pur di non invecchiare eppure per voi é una cosa normalissima. Mi chiedo cosa si provi a vivere tanto a lungo. Immagino tu veda le cose in modo molto diverso da come le vedo io." 

“Ti stupiresti di sapere quanto sia stata monotona la mia vita qui." rispose lei, incerta sul come interpretare il suo curioso tono di voce. Sembrava affascinato dalla cittá e dai suoi misteri proprio come lo sarebbe stato uno studioso, ma al tempo stesso la donna percepiva una punta d'amarezza in lui. Probabilmente la consapevolezza di essere stato strappato al proprio mondo di origine senza avere alcuna voce in capitolo. O forse la ragione era tutt’altra e lei stava solamente perdendo tempo nel cercare di indovinare i suoi pensieri. Del resto, non sapeva niente di lui. "Sai, in realtà un pò ti invidio."  

“Ah sì?” 

“Non fraintendermi. Dev'essere stata molto dura, ma l'essere sopravvissuto al Mehbelmok ti ha liberato. Devi aver visto così tanti Mondi, incontrato così tanta gente...” Kida s'interruppe, rendendosi conto di essersi lasciata prendere la mano "...perdona il mio entusiasmo. Non dovremo perdere altro tempo. E non sappiamo se questo luogo sia sicuro perciò non è il momento adatto per fare conversazione." si giustificò, sollevando il pendente di cristallo per utilizzarlo come una torcia.

Tutt’intorno a loro, i Keyblade scintillavano proiettando lunghe ombre nere che scivolavano sul pavimento al passaggio della fonte di luce.

Lui però non fece una piega. “Perché non vieni ad Auropoli una volta che avremo risolto questo mistero?” 

Kida lo fissò allibita. “Sul… sul serio?”

“La mia prassi è di non interferire troppo con gli altri Mondi, specialmente se come in questo caso è stato messo bene in chiaro che la mia presenza non sia gradita...” iniziò a dire lui, indicando l’arcata che dava accesso alla sala successiva “Ma la mia apprendista ha ragione. Se questo mondo è anche il mio, allora non ho ragione di peritarmi. E in ogni caso, sarebbe una tua decisione. Mi sembri una che sa il fatto suo e sa prendersi la responsabilità delle proprie azioni.”

Kida inarcò un sopracciglio, sospettosa “Che cosa te ne viene? Non vorrai farmi credere che lo faresti soltanto per farmi un favore.”

“Aprire un portale non mi costa niente.” fece spallucce lui “E poi, credo che fossimo destinati ad incontrarci. Non pensi?”

Senza alcun preavviso, lei lo afferrò per la manica orlata d’oro della tunica, trattenendolo. “Credo di sì, ma cosa significa? Lo senti… lo senti anche tu?”

Lui inclinò la testa di lato. Se c’era qualcuno a cui credeva di non dover spiegare una cosa come quella, quel qualcuno era sicuramente la donna che gli stava di fronte e il cui cuore pulsava così forte e così vicino al suo. 

“‘Possa il tuo Cuore essere la tua Chiave Guida’” citò, specchiandosi negli occhi blu della donna. “Da dove pensi che provenga questa cosa che senti? Questa intuizione?”

L’espressione di lei si fece improvvisamente limpida, priva di ogni dubbio o timore, proprio come quella di una bambina ancora ignara di tutti i mali del mondo, ma non riuscì ad esprimere ad alta voce quello che provava, quel che il suo cuore sapeva.

Fortunatamente, il Maestro le risparmiò la fatica di trovare le parole giuste. “Sì. La risposta è sì.”

“Non può essere.” rispose seccamente lei, più in fretta di quanto avrebbe voluto, senza quasi lasciarlo finire di parlare.

“Eppure sai che è così, non è vero? Lo sai...” l’uomo si posò una mano sul petto “Come lo so io. Me lo dice questo.”

Kida lo guardava a labbra strette, le iridi blu fisse contro quelle identiche del suo interlocutore e d’un tratto la sua incredulità andò in mille pezzi come un specchio infranto.

"Quando ero piccola, circolavano delle voci…” mormorò, come se l'infinita serie di coincidenze ed indizi che aveva avuto sotto il naso per tutta la vita avesse improvvisamente acquistato un senso. "...dicevano che mia madre non era stata la sola ad essere scomparsa in circostanze poco chiare. Che in mezzo ai tanti morti e dispersi c’erano anche… persone che erano state fatte sparire. Che il Re non voleva fossero mai ritrovate. Avversari politici, persone scomode… ma tutti mi dicevano che erano soltanto calunnie messe in giro per screditare mio padre. E invece eccoti, l’ennesima verità taciuta...” la guancia tatuata d'azzurro della donna fu attraversata da una prima lacrima mentre la sua mano si spostava dalla manica dello straniero al suo volto spigoloso. "Fratello."

A quel contatto lui sorrise, socchiudendo gli occhi dalle lunghe ciglia come avrebbe fatto un grosso gatto in procinto di fare le fusa. Era raro per il Maestro abbassare la guardia in quel modo, abbandonarsi anche solo per un'istante alle emozioni che sopprimeva quotidianamente, eppure in quel momento sentì di poterselo permettere. E forse fu proprio quell'improvvisa onestà impressa sul suo volto a spazzare via gli ultimi dubbi della Principessa di Atlantide.

Kida non era un’ingenua. Comprendeva i motivi che spingevano un sovrano a tenere il proprio popolo all’oscuro di certe verità, ma questo non significava che giustificasse le azioni di Re Kashekim.  Non si rimaneva saldi ed incontestati sul trono per quasi ottomila anni se non si era scaltri e suo padre era un uomo noto per la sua lungimiranza… ma perché nascondere l’esistenza del proprio figlio? Che male ci sarebbe stato nel dirle che oltre a sua madre aveva perso anche un fratello…?

La risposta a quella domanda, purtroppo, non era così difficile da intuire. 

Tutti avevano perso qualcuno durante il Cataclisma e il fatto che le vite dei sopravvissuti fossero così lunghe non faceva altro che rendere quelle assenze ancora più difficili da ignorare. Forse Re Kashekim pensava che tenendola all’oscuro le avrebbe risparmiato altro dolore e d’un tratto tutta la collera che Kida provava nei confronti del padre si dissipò. 

Poteva essere un sovrano severo e per certi versi persino crudele, ma Kida non aveva mai dubitato delle sue buone intenzioni, almeno per quel che la riguardava. E per lei non era certo un segreto che Kashekim soffrisse profondamente per l’assenza della moglie. In effetti, Kida si era sempre domandata se non s’incolpasse per la sua morte e forse, persino, per l’intero Cataclisma. Nessuno sapeva esattamente quale fosse stata la causa del declino del loro impero ma la leggenda che era stata tramandata era una parabola sulla superbia dell’uomo. Atlantide era diventata così grande, potente e florida che persino gli Dei si erano ingelositi e avevano punito l’umanità per aver osato aspirare a tanto. Ma quella, proprio come tante altre storie, conteneva soltanto pezzi di verità.

Del resto, i sapienti dicevano anche che il tempo potesse guarire ogni tipo di ferita, ma gli abitanti di Atlantide sapevano meglio di chiunque che questo non fosse affatto vero. Nelle loro vite millenarie avevano così tanto tempo per rinvangare il passato e torturarsi per i propri errori da essere divenuti incapaci di perdonarsi e andare avanti. Forse era per quello che la loro civiltà non si era mai davvero ripresa nonostante nel frattempo fossero sorti migliaia di nuovi regni in altrettanti altri Mondi.

Quei pensieri erano sul punto di trascinarla giù in un vortice di domande ed emozioni indecifrabili da cui Perbias l’aiutò a riemergere, allontanando gentilmente la mano dalla sua guancia per stringerla tra le sue. “Un motivo in più per cui dovresti venire ad Auropoli, non ti pare? Abbiamo un sacco di tempo da recuperare, sorella.” cercò di sdrammatizzare con una delle sue solite mossette eccenriche.

Lei si asciugò una lacrima, nascondendo un sorriso ampio ed un po’ sghembo, proprio come quello del suo interlocutore  “Hai preso questa rivelazione molto meglio di me.”

“Nah, ho solo avuto più tempo per metabolizzare la cosa. Ero già giunto a questa conclusione prima ancora di tornare qui. In effetti, sono stati i miei apprendisti a suggerirmi di farlo non appena ho espresso loro i miei sospetti sulla nostra… beh, parentela.”

“Se è così, allora immagino di doverli ringraziare.”

“Anch’io dovrei farlo più spesso.” s'appuntò lui, dandole una pacca d’icoraggiamento sulle spalle nude “Ma avrai tempo di farlo di persona quando avremo finito qui. Sono certo che in fondo al sotterraneo troveremo anche gli ultimi pezzi di questo puzzle. Siamo fratelli, d’accordo. Ma ci sono ancora un sacco di cose che non quadrano.”

“Hai ragione.” si riscosse lei, guardandolo adesso con occhi del tutto nuovi. Le sarebbe occorso del tempo per smettere di vederlo come uno straniero ed accettare il fatto che fossero così strettamente imparentati, ma quella loro esplorazione aveva già assunto connotati molto diversi. Non erano più due sconosciuti uniti da comuni interessi.

Entrarono nel corridoio successivo e il vento freddo li investì entrambi. Era chiaro che ovunque conducesse quella galleria, dovesse esserci un’apertura che dava verso l’esterno. 

Mentre procedevano, la sfera di luce che li accompagnava rendeva visibili le iscrizioni sulle pareti e il Maestro si fermò più volte ad osservarne alcune lungo il cammino. Non era abbastanza bravo da riuscire a leggerle senza incespicare un pò, ma i toni lugubri dei primi cartigli misero immediatamente i suoi sensi sull’attenti.

“Che cosa dice?” lo interrogò Kida, vedendolo farsi d’un tratto così rigido.

“Non ne sono sicuro.” disse lui, aprendo nuovamente il libro per confrontare i caratteri “Sembra un avvertimento.” aggrottò le sopracciglia mentre seguiva i caratteri con le dita. La pupilla dell’Occhio Che Scruta si fece sottilissima ed attenta come quella di un gatto.

Iniziò a tradurre “‘Dove i nostri amati… abbiamo... bandito. Il cuore…’ credo ci sia scritto cuore, non sono sicuro.  ‘Il cuore è il solo’... mmh… ‘campo di battaglia’? Una… ‘prigione’. Una prigione per ‘chi si è smarrito’... qui non riesco proprio a capire, non riconosco questi simboli.”

“Siamo prudenti d’ora in poi.” asserì Kida, serrando le dita attorno alla lancia. “Niente distrazioni.”

“Sono d’accordo.”

Raggiunsero la fine del tunnel ricoperto d’iscrizioni e ancora una volta si trovarono in una sala immensamente più vasta dello stretto cunicolo che avevano attraversato. Era come se il sotterraneo fosse composto da grandi stanzoni collegati da corridoi angusti.

Il pavimento era fradicio e invaso da muschi ed alghe, come se la marea si fosse da poco ritirata lasciando scoperto il fondale marino. A differenza della prima stanza, non v’erano colonne né Keyblade, soltanto una gelida e densa oscurità che le loro fonti di luce non erano sufficienti a rischiarare.

Perbias sollevò una mano, aumentando l’intensità del globo luminoso che fluttuava sopra di loro ma neanche così riuscì a strappare quella camera dall'immensità delle sue tenebre.

Avanzarono con cautela, attenti a non scivolare sulla fanghiglia che sapeva di marcio e di salsedine. Entrambi si sentivano estremamente a disagio e non soltanto per via di quel buio così claustrofobico che li avvolgeva. Perbias in particolare sentiva come un dolore sordo farsi sempre più intenso nelle sue viscere. Tutto ad un tratto sentì lo stomaco bruciare ed un sapore disgustoso salirgli in gola. 

“Torniamo indietro.”

Kida lo guardò come se fosse improvvisamente diventato matto “...cosa?”

Lui la afferrò per il braccio, trascinandola verso l’uscita senza troppe cerimonie ma quando arrivò a mettere piede fuori dalla stanza, una barriera d’energia si alzò improvvisamente davanti a lui, sbalzandolo indietro e separandolo da Kida che invece aveva raggiunto il corridoio appena in tempo.

La donna riacquistò l’equilibrio ed immediatamente prese a colpire quel velo di luce apparentemente sottilissimo eppure duro come la pietra. “Perbias?! Stai bene?!”

Dall’altra parte, il Maestro si tirò su a sedere a fatica, ancora intontito dall'ondata di energia che l’aveva investito. Sul pavimento era comparso un complesso disegno luminoso che Perbias riconobbe immediatamente come un circolo magico, anche se non avrebbe saputo identificarne la funzione. Stregonerie di quel tipo erano usate per proteggere, purificare, sigillare e persino per contenere qualunque cosa vi capitasse all’interno. Finalmente, le dimensioni di quella stanza così buia furono rese evidenti dal cerchio magico e le parole che poco prima aveva letto sulla parete viscida acquistarono un senso. 

Illuminate dalla luce intensa irradiata dal simbolo sul pavimento, centinaia di creature che giacevano addormentate ed ammucchiate le une sulle altre tutt’intorno a lui iniziarono a risvegliarsi, i loro occhi gialli come fanali che accendevano le tenebre.

Istintivamente, Perbias scattò in piedi e fece per richiamare a sé il proprio Keyblade, ma prima ancora che potesse serrare le dita attorno all’impugnatura si trovò scosso da un violento ascesso di tosse.

Sapeva bene cosa fosse quel sapore acre sulla lingua e anche che, una volta allontanata la mano con la quale si era coperto la bocca, l’avrebbe trovata grondante non di sangue, ma di un viscoso liquido nero.

Digrignò i denti, evocando  la propria chiave al secondo tentativo, l’Oscurità pura che aveva appena sputato che grondava viscida giù dall’elsa.

Kida era probabilmente troppo lontana per vederlo chiaramente attraverso la barriera, ma il suo volto olivastro era mortalmente pallido e l’incantesimo di trasfigurazione che aveva lanciato sui propri abiti e capelli si era dissipato, restituendogli il suo aspetto originale e la protezione della cappa nera.

Le creature che lo accerchiavano presero ad avvicinarsi, muovendosi rapide sulle zampette calzate. 

 

“Tu… tu sei....”

 

Perbias barcollò, scosso da un altro violento attacco di tosse. Quelle cose… quelle cose parlavano?!

Ad una prima occhiata le si sarebbe potute scambiare per degli Heartless. Avevano la stessa fisionomia dinoccolata, gli stessi occhi rotondi e vuoti… ma il Maestro sapeva benissimo che cosa fossero. Riconobbe le loro bocche seghettate e le mani dagli artigli ricurvi e vermigli. Quegli esseri avevano lo stesso ghigno che più di una volta aveva visto squarciare le guance del suo riflesso nello specchio e le stesse unghie rosso sangue con cui aveva quasi fatto a pezzi la sua apprendista durante il suo primo, disastroso viaggio a Zootopia.

 

“Tu sei come noi.”

 

Quelle creature non erano Heartless.

Erano i proprietari delle centinaia di Keyblade che giacevano nella stanza accanto.

Custodi completamente soggiogati dall’Oscurità ma il cui cuore non aveva mai abbandonato il corpo… contaminandolo a poco a poco dall’interno e distorcendolo in quelle forme grottesche.

Avevano anche loro una seconda voce nella loro testa? Si erano forse ridotti così perchè l’avevano lasciata vincere? Assecondato i suoi sussurri spregevoli?

 

“Cominci a capire.”

 

Perbias sollevò minacciosamente  il Keyblade, anche se non sapeva se per avventarsi contro la marea di occhi gialli e bocche ghignanti che lo circondava o se per colpirsi nuovamente al petto come aveva fatto ormai così tanti anni prima per mettere a tacere quella dannata voce. Era Oscurità a parlare o quella massa di creature pietose?

 

“Non preoccuparti. Ti lasceremo proseguire. Hai ancora tanto da imparare.”

 

“Cosa diamine…” L’uomo tossì di nuovo “Cosa diamine siete?!”

 

“Della Superbia noi siamo i Figli, coloro che pagarono il prezzo più alto.

Un tempo due, ora uno solo. Chi non lo capì qui ci ha sepolto. 

Tu sei come noi, ma il patto hai scordato. Perciò procedi e non titubare.

E se un nome è ciò che vuoi, allora Darklings ci puoi chiamare.”

 

Il cerchio magico sul pavimento si divise in due e la barriera s'abbassò creando un corridoio che attraversava l'enorme camera da un'estremità all'altra, permettendo a Kida di raggiungere il Maestro. 

Lui si rilassò un poco, ripulendosi la bocca grondante di saliva nera prima che lei potesse notarla. 

"Tutto bene?" Chiese la donna, guardandosi attorno con inquietudine, la lancia sollevata in direzione delle creature imprigionate dal sigillo che ancora s'agitavano e graffiavano furiosamente le pareti d'energia blu.

"Sì, ho solo preso una bella botta." 

Al sicuro in quel lembo di terra privo degli effetti di contenimento dell'incantesimo, i due fratelli si scambiarono un'occhiata e Kida gli lesse chiaramente in faccia che no, non stava per niente bene. E alla vista di quegli esseri deformati e storti, non se la sentiva di biasimarlo. "Che cosa sono?"

Lui serrò le labbra "Altri sopravvissuti al Cataclisma." Perché le stesse dicendo la verità, nemmeno Perbias sapeva spiegarselo. Forse aveva bisogno di dirlo ad alta voce per convicersi che fosse reale. "Custodi del Keyblade come me."

Lei si portò una mano alla bocca, le sopracciglia sollevate per lo stupore e l'orrore "Per questo le chiavi nell'altra stanza sono ancora lì."

"Già."

"Ma cosa gli è successo? Perché si sono trasformati così? È terribile!" Kida si morse il labbro inferiore  "É per questo che mio padre li ha rinchiusi qui? Sono qua sotto da quasi ottomila anni!"

Forse anch'io ero stato imprigionato qui. E forse sarei dovuto restarci. Pensò Perbias senza il coraggio di dirlo ad alta voce. 

La donna rabbrividì "Abbiamo visto abbastanza. Torniamo in superficie, parleremo con mio padre e-"

"Il Re non ti ascolterà. Dobbiamo continuare."

"Forse ascolterà te." Controbattè Kida, risoluta. 

"Siamo vicini al cristallo, riesco a sentirlo. Potremmo non avere un'altra occasione come questa. Se chiedessimo a tuo padre, ci racconterebbe solo altre mezze verità."

"È anche tuo padre."

Il Maestro rise di gusto e in modo del tutto inappropriato alla gravità della situazione. "Già. Immagino che sia così, eh?”

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Capitolo 41
*** χ Chain of Memories ***


 
Wellà, rieccomi! :-)
Torniamo alle prese con Xiggy e Skuld con la nostra eroina che comincia a ricordarsi robe piuttosto importanti. Adesso se solo Union Cross si decidesse ad andare avanti potrei anche scoprire se le mie previsioni per il salto temporale effettuato dagli Union Leaders sono giuste e finire i capitoli che ho abbozzato...
Con il passato del Maestro mi sono già presa fin troppe libertà ma per Skuld e gli altri Denti di Leone vorrei restare un pò più ligia al canon per quanto sia possibile. Probabilmente avrei dovuto posticipare anche il ritorno di Ava ma a forza di aspettare gli aggiornamenti mi sono rotta le scatole e così ho finito con l'inserirla in anticipo. Mi considero una persona molto paziente ma ho dei capitoli a rating rosso che aspettano di essere condivisi ormai da quasi un anno! >___>" (non vi spaventate, la storia non si trasformerà all'improvviso in un porno. Ma ci sono cose da cosare okay? XD)
A tal proposito chiedo un parere a voi cari lettori: preferite che i capitoli 'osè' vengano postati separatamente in una seconda storia con link vari ed eventuali oppure che io cambi il rating di questa fic per tenere tutto insieme? Sinceramente pensavo di optare per la prima opsione in modo da lasciare questa storia accessibile a tutti ma ditemi voi! Non saranno capitoli completamente privi di trama, ma niente che non si possa riassumere in poche righe.
Intanto godetevi un altro capitolo senza zozzerie!
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χ CHAIN OF MEMORIES χ


A dark congregation of familiar faces
gathered around the quiet earth.
A red rose fell upon the soft snow, 
prayers were whispered so slow from our mouths.
Our breath rose in the cold like a hundred souls escaping.
Save me, I am swallowed by the guilt of this,
you're gone, sleeping in the dust.
We will not let time erase us.
[Dark Congregation - The Hush Sound]



"Ventus…!"

Xigbar inarcò un sopracciglio. Tra tutte le persone di cui Skuld poteva ricordarsi in quel momento, proprio quella mammoletta di Ventus? 

La cosa non avrebbe dovuto stupirlo visto che era uno dei cinque Leader dei Denti di Leone… beh, più o meno… ma quel ragazzino non gli era mai piaciuto. 

E il fatto che i loro sentieri si fossero incrociati più volte nel corso dei secoli rendeva quella situazione ancora più frustrante. Skuld non l'avrebbe presa bene se avesse scoperto il ruolo centrale che lui aveva giocato nella tragica conclusione dell’avventura di Ventus e dei suoi due compagni, di questo era certo.

A dire il vero, non sapeva esattamente cosa fosse successo a Ventus e all’altra allieva di Eraqus, ma Xigbar non si era mai interessato più di tanto al loro destino, l’importante era che non gli stessero tra i piedi. Essere costretto a vedere la faccia di Terra ogni volta che Xemnas lo chiamava a rapporto, era più che sufficiente. Una parte di lui coglieva la sottile ironia di quella situazione e s’augurava che Perbias, ovunque fosse, si stesse facendo delle grasse risate nel vederlo prendere ordini da qualcuno con le sembianze della persona che l’aveva sfregiato.

Purtroppo lui in quel momento aveva fin troppe cose a cui pensare per potersi abbandonare all’autoironia e una di queste era proprio la ragazzina scossa e tremante che gli stava di fronte.

Skuld sbatté i pugni a terra, preda della frustrazione più profonda "Era… era importante, lo so! L'ho lasciato solo… quel bambino coi capelli biondi… e gli altri… maledizione! Non ricordo niente!"

Il Nessuno s'inginocchiò al suo fianco "Cerca di calmarti."

"Calmarmi?!" Lei sollevò la testa, fulminandolo con gli occhi arrossati dal pianto "Perché ogni giorno che passa succede qualcosa di orribile alle persone che amo?! Perché non posso mai fare niente per impedirlo? Isa, Lea, Tiana… e adesso questo?! Che ne è stato di Ventus, Braig?"

Lui sostenne il suo sguardo senza tradire la minima emozione. "Non lo so." Beh, non era esattamente una bugia. Se l’avesse saputo, l’avrebbe detto a Xemnas così che la piantasse di passare ore ed ore nella Camera che aveva fatto costruire in gran segreto all’interno del Castello che Non Esiste.

"Ma forse posso aiutare Tiana, se mi prometti di startene qui senza combinare casini.”

La ragazza  strinse le braccia al petto nel tentativo di regolarizzare i battiti del suo cuore "Ha a che fare con l'Organizzazione?" chiese, con un filo di voce.

"Nah, tutta colpa dell'Uomo-Ombra. Una cosetta da niente, a confronto. Posso gestirlo." rispose lui spicciolo, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi, ma lei non si mosse, continuandolo a fissare con fare sospettoso.

"...e la aiuteresti soltanto perché é mia amica?"

Lui stirò le labbra.

"Cosa te ne viene, Braig?"

"Ho le mie ragioni, Stellina. E si da il caso che si allineino perfettamente con i tuoi interessi."

"Ha a che fare con quella donna, non è così?" 

"Oh. Ci hai visti, dunque."

"Chi è?"

"La mia ex." 

Skuld lo fissò basita. "Quella... era la Maestra Ava?!"

Stavolta fu lui a sorprendersi. Non le aveva mai detto come stavano le cose tra di loro, in effetti aveva sempre cercato di evitare l'argomento… il che, ripensandoci, era probabilmente il motivo per cui Skuld era giunta a quella conclusione. 

Ottocento anni di esperienza nel bluffare e nemmeno con il cuore ridotto ad una prugna avvizzita era in grado di tenere quei segretucci per sé!

Fortuna che la mocciosetta non lo avesse mai interrogato più di tanto sul conto del Maestro, altrimenti avrebbe scoperto della cotta che aveva per lui quando era ragazzo nel giro di cinque minuti. 

Certe volte si domandava se davvero fosse riuscito a metterci una pietra sopra o se fosse soltanto la loro prolungata separazione ad aiutarlo a non pensarci troppo su.

Del resto non si dice forse 'occhio non vede, cuore non duole'? Di sicuro quell’espressione non s’applicava ad Ava. Anche senza vederla, non era mai davvero riuscito ad allontanarla dai suoi pensieri.

"Sì. E’ complicato. Ma non è questo il momento di discuterne. Lo vuoi il mio aiuto sì o no?"

La ragazza abbassò lo sguardo "Vorrei potermi fidare di te..."

"Non farlo, sarebbe una pessima idea." Sogghignò lui. "In ogni caso non posso permettere che l'universo venga privato dei bigné di Tiana. Sarebbe un crimine orrendo." così detto, Xigbar le fece l'occhiolino. O meglio, quanto di più simile ad un occhiolino un guercio come lui fosse in grado di replicare e, volente o nolente, Skuld si scoprì a sorridere. Per quanto tenesse a Tiana, Charlotte e agli altri amici che si era fatta a New Orleans, Skuld sapeva bene che il suo posto non era in mezzo a loro ma con gli altri custodi del Keyblade, ovunque essi fossero. Ma per il momento Braig era il solo legame tangibile che aveva col suo passato e perciò, che le piacesse o meno, aveva bisogno di lui.

Inoltre, sarebbe stato insincero da parte sua dire che non si fosse affezionata almeno un pò a quel brontolone

"Fai del tuo peggio." Gli accordò il permesso, traendo un sospiro rassegnato.

"Puoi contarci. Tu adesso mettiti qui tranquilla e non combinare guai, intesi? Sul retro c’è una branda se vuoi stenderti e delle provviste. Tornerò appena possibile, poi c’inventeremo qualcosa per far perdere all’Organizzazione le tue tracce."

“Come hanno fatto a trovarmi, esattamente?” lo interrogò lei, decidendosi finalmente ad accettare la sua mano per tirarsi su.

“Colpa di Vexen e delle sue diavolerie. Ha una macchina che gli permette di monitorare il flusso dei cuori liberati dal Keyblade. Una specie di radar, per intenderci.”

“Vexen…?” gli fece eco lei, ma prima che il Nessuno potesse spiegarsi, la ragazza fece due più due “Oh, parli di Even, non è così? Dovrei sentirmi lusingata dal fatto che quello scienziato da strapazzo non si sia ancora arreso?”

Xigbar si strinse nelle spalle. “Ogni volta che sconfiggi un Heartless con il Keyblade, l’uccisione viene registrata. E’ così che l’Organizzazione traccia i movimenti dei custodi. Lo spicinìo di Heartless che hai fatto a casa LaBouff non passerà inosservato, te l’assicuro. Ricordatelo per la prossima volta, okay? Niente più massacri sconsiderati per te, signorinella.”

Il Nessuno svanì attraverso l'ennesimo Portale Oscuro dopo averle dato una pacca giocosa sulla spalla e Skuld si trovò di nuovo sola nell'abitacolo della Gummiship.

Il velivolo era parcheggiato in una grotta sulla superficie inospitale di un enorme asteroide ghiacciato nel bel mezzo dello spazio oscuro. Il nascondiglio ideale per Soggetto X e l'enigmatica Scatola Nera.

Se guardava fuori dall'oblò, poteva scorgere le miriadi di mondi e frammenti di comete che colmavano l'oscurità viola-arancio. Sembrava impossibile che lei e Xigbar avessero appena attraversato quell'immensità nel giro di pochi istanti e che lui si trovasse già dall’altro capo della galassia.

La ragazza entrò nella stiva e, presa una coperta dall'armadietto si sedette sul divano stinto e consumato che s'affacciava sull'oblò posteriore. Le vecchie molle squittirono sotto il suo peso mentre la ragazza, ancora nel suo anacronistico abito da charleston, si rannicchiava contro lo schienale avvolgendosi nella coperta.

Il flusso dei suoi pensieri era come un animale scalpitante lanciato in corsa. Qualcosa che era stato tenuto in gabbia così a lungo che alla prima occasione s'era dato alla fuga, sparpagliando i suoi ricordi in tutte le direzioni.

Chiuse gli occhi, cercando di mettere ordine nella sua testa ed ammansire nuovamente quella creatura spaventata, riallacciando uno ad uno gli anelli di quella catena spezzata.

La prima cosa su cui riuscì a focalizzarsi fu il visino spaurito di Ventus. Il bambino era più basso di lei di una buona dozzina di centimetri, con gli occhi grandi e la voce sottile. Sorrideva sempre, o almeno era così che lo ricordava in quel frammento di memoria che l’aveva sopraffatta tutto ad un tratto soltanto pochi minuti prima.

Chissà perchè scoprire che 'Skuld' fosse il suo vero nome le aveva riportato alla memoria proprio il suo viso. C'erano altre persone nel suo passato sbiadito, come il ragazzo coi capelli bianchi e gli occhi blu, la veste cerulea e la maschera d'argento della Maestra Invi… ma in quel momento Ventus era il solo che riuscisse a mettere a fuoco.

Skuld chiuse gli occhi, stringendo le ginocchia velate dai collant contro il petto e cercò di richiamare a sé quella visione. Dopo i primi minuti di smarrimento, iniziò a mettere a fuoco i contorni sfocati di quel ricordo. Sentì il pizzicore della brezza sulla pelle, il rumore dei suoi passi sul ponticello lastricato che scavalcava il fiume al di sotto della Torre Meccanica. Guardò verso l’alto, seguendo il pigro oscillare dell’enorme pendolo sospeso tra le due guglie.

La città dell’alba e del principio, dove tutto era cominciato...  e dove la sua vecchia vita s’era interrotta.

"Sembra proprio che possa nevicare anche in questo mondo-data."

Skuld trasalì, spostando lo sguardo dal cielo gravido di nubi sul ragazzino che le stava a fianco.

"Già. Mi chiedo se stia nevicando anche nella vera Auropoli." Le parole le uscirono di bocca senza che lei ne comprendesse veramente il significato. La Skuld di allora e quella che viveva nel presente erano tornate tutto ad un tratto ad essere una, le loro menti sovrapposte così come i loro sensi.

Una fresca spolverata di neve aveva iniziato a cadere.

Lui annuì, un po’ insicuro "Immagino sia così. Dove sono gli altri?”

“Brain ed Ephemer stanno cercando un modo di tornare al mondo reale. E Lauriam è ancora in cerca di sua sorella.” Ancora una volta, la sua voce pronunciò parole e nomi che non le appartenevano più, ma Skuld li impresse a fuoco nella sua memoria, cercando di rimettere insieme i pezzi. Le quattro figure del suo unico ricordo, il solo che non l’aveva mai abbandonata… avevano finalmente un nome!

Ephemer, con la sua vistosa sciarpa rossa e i capelli argento, sempre pronto all’azione, sempre alla ricerca della verità…

Brain era poco più che una silhouette illuminata dalla luce vibrante dei mille schermi della Sala di Controllo, il cappello abbassato sugli occhi, le dita agili che volavano sulla tastiera…

Lauriam lo ricordava invece alle prese con pozioni ed alambicchi mentre seguiva diligentemente le istruzioni all’interno del libricino verde che anche lei possedeva. Cristalli e fiori sminuzzati nelle ampolle per creare una miriade di amichevoli creature che oltre ai Chirithy, accompagnavano i giovani custodi del Keyblade nelle loro avventure…

E poi infine ecco Ventus, il più piccolo del quintetto, poco più che un bambino smarrito determinato però a fare la sua parte, certo che i suoi amici avrebbero fatto la cosa giusta.

“Cosa dovremo fare noi, allora?”

Skuld si appoggiò contro il parapetto del ponte, guardando i fiocchi di neve sciogliersi a contatto con l’acqua che scorreva lenta sotto di lei “Non lo so…”

Ventus le corse a fianco, rivolgendole un sorrisone ampio e caloroso “Perché intanto non facciamo un pupazzo di neve, Skuld?”

La ragazza si voltò nella sua direzione, sorpresa da quella proposta. Avevano avuto così tante cose a cui pensare da quando erano stati scelti per diventare i nuovi Leader delle Unioni e prendere il posto dei Veggenti, che aveva quasi dimenticato cosa significasse comportarsi come una normale adolescente.

“Mi sembra un’ottima idea.” rispose contagiata dall’entusiasmo del più giovane.

“Pensi che anche gli altri si siano accorti che sta nevicando? Brain se ne sta sempre chiuso nella sala di controllo…” proseguì Ventus, balzando a sedere sulla ringhiera.

Lei rise “Dovremo dirglielo. Anche loro hanno bisogno di distrarsi un pò.”

“Sì!” esclamò eccitato “Facciamo qualcosa tutti insieme! Una battaglia di palle di neve, magar-”

Prima ancora che il ragazzino potesse concludere la frase, uno sbuffo di fumo azzurro li fece sobbalzare entrambi mentre un curioso Chirithy con indosso un minuscolo paio di stivali ed un cappello piumato apparve in equilibrio sul corrimano ricoperto da un leggero strato di neve. Quel cappello aveva qualcosa di fin troppo familiare.

“Oh! Eccoti qua, ti ho cercato in tutta la torre!” esclamò il pupazzetto, rassettando il colletto del buffo mantello rosso e nero “Mi manda Brain! Vorrebbe parlare con te, Ventus.”

Sembrava proprio che giocare nella neve avrebbe dovuto aspettare ancora un pò...

“Con me?” indagò perplesso il ragazzo biondo “Sei sicuro?”

“Eccerto che sì!” ribatté il Chirithy, piantandosi le zampette bianche sui fianchi “Brain dice che è importante e che devi venire subito!”

“Andiamo. Magari ha scoperto qualcosa.” annuì Skuld staccandosi dal parapetto e facendo per incamminarsi verso la torre insieme a Ventus.

“H-hey! Non da quella parte!” strepitò il pupazzo saltellandoli davanti per fermarli “E poi la vostra presenza non è richiesta, signorina!”

I due Leader si scambiarono un’occhiata perplessa. Ogni volta che c’era qualcosa da discutere, l’avevano sempre fatto tutti e cinque insieme. Ephemer, che era stato eletto capo del gruppo, insisteva che non dovessero esserci segreti tra di loro e che restare uniti era il solo modo in cui sarebbero riusciti a gestire una situazione così delicata che caricava di così tanta responsabilità le loro giovani spalle. Del resto, era stata la Maestra Ava a scegliere Ephemer per primo e nessuno, fino ad allora, aveva mai messo in discussione il suo giudizio.

Per questo motivo, la richiesta di quel curioso Chirithy insospettì Skuld non poco. “Non se ne parla.” lo interruppe freddamente “Vengo anch’io.”

“Ma… signorina!”

“Niente ma.” insistette lei, risoluta “Dov’è che Brain vuole incontrare Ven?”

Il Chirithy scosse la testolina con fare sconsolato, rendendosi bene conto che non sarebbe riuscito a far cambiare idea alla ragazza “D’accordo, d’accordo! Venite, da questa parte.” si arrese, saltellando nella direzione opposta alla Torre, verso la strada principale.

“Dov’è che andiamo?” gli chiese Ventus, correndogli appresso seguito a ruota da Skuld.

“Sulla collina!”

Skuld si accigliò. Quello era il luogo dove altre volte lei ed Ephemer si erano trovati a parlare tra loro e con la Maestra Ava. Era un posticino tranquillo a pochi minuti di cammino dalla periferia di Auropoli dove i custodi si recavano per mangiare il gelato in compagnia e godersi il tramonto o i fuochi d’artificio di fine anno. Non era esattamente appartato o segreto in alcun modo, fatto che rendeva ancora più sospetta quella strana richiesta da parte del Chirithy.

Il ricordo di Skuld s’interruppe bruscamente mentre lei e Ventus inseguivano la creaturina saltellante nel dedalo di strade tortuose che conduceva fuori città e la ragazza si trovò nuovamente nel presente, raggomitolata sul divanetto a pochi passi dalla misteriosa Scatola Nera che se ne stava a prendere polvere nella stiva della Gummiship di Braig.

Frustrata, cercò disperatamente di richiamare quei momenti. Voleva sapere che cosa Brain avesse da dire di così tanto importante a Ventus, voleva rivedere Ephemer, Lauriam…

Anche se i suoi ricordi erano frammentati, sapeva che quei ragazzi erano importanti per lei, che erano stati al suo fianco nel momento del bisogno proprio come avevano fatto Lea ed Isa eppure Skuld non poteva fare niente per loro. Non sapeva dove fossero, né tantomeno se come lei avessero viaggiato avanti nel tempo… Per quanto ne sapeva, potevano essere tutti morti. 

O chiusi in qualche cella alla mercè dell’ennesimo scienziato pazzo. Potevano aver viaggiato nel tempo ma essersi svegliati secoli e secoli prima del suo arrivo a Giardino Radioso o perché no, persino nel futuro.

Quei pensieri la raggelarono fino alle ossa, facendola sentire ancora più persa e sola di prima. C’erano così tante incognite che a malapena riusciva a dare un filo logico alle sue congetture.

Ma…

Ma la Maestra Ava era tornata.

E se c’era qualcuno al mondo in grado di darle le risposte di cui aveva bisogno, quel qualcuno era certamente colei che per prima l’aveva reclutata nei Denti di Leone. Ma anche questo, secondo Braig, era stato fatto su ordine del suo elusivo Maestro. Era stato lui ad incaricare Ava di mettere in salvo un gruppo selezionato di custodi e di investire Skuld e i suoi quattro compagni del ruolo di Leader. 

Qualsiasi sentiero cercasse di percorrere a ritroso nella sua memoria, tutto si ricollegava, sempre e comunque, a lui.

Ma che razza di uomo avrebbe usato le vite di un gruppo di bambini alla stregua di pedine sacrificabili?

E perché, se davvero era una sola persona a muovere i pezzi sulla scacchiera, i risultati erano così imprevedibili e sconclusionati? V’era crudeltà o inettitudine alla radice di tutto quel caos, di tutte quelle vite spezzate e amici strappati gli uni all’abbraccio degli altri e sparpagliati per i mondi senza alcuno scrupolo?

Diamine, avrebbe dato qualsiasi cosa per poterne dire quattro a questo cosiddetto ‘Maestro’!

Eppure Braig si fidava di lui. E sebbene Skuld non se la sentisse di considerarlo come la persona moralmente più integerrima che avesse mai incontrato, di una cosa era sicura: Braig non era stupido. Né qualcuno che si lasciava impressionare o manipolare facilmente.

Doveva esserci qualcosa che non le aveva mai detto riguardo al Maestro, un motivo per cui non solo lui, ma anche Ava, Invi e gli altri Veggenti avessero sempre seguito i suoi ordini senza esitazione alcuna. Qualcosa che andava ben oltre il fatto che fosse in grado di predirre il futuro.

E se lei s’augurava di tutto cuore di potersi fidare di Braig, allora doveva sperare anche che la fiducia che quest’ultimo aveva nel proprio mentore fosse ben riposta.

 

°°°

Il ritorno di Xigbar a casa LaBouff fu accolto da un silenzio a dir poco straniante se paragonato al clima di festa che vi regnava soltanto qualche ora prima.

Tutti gli invitati se ne erano andati e le luci del giardino erano spente, i tavoli rimasti ancora in piedi erano stati lasciati così com’erano, con le pietanze a raffreddarsi sotto il gelido sguardo della luna. Un pò ovunque v’erano i segni di una fuga precipitosa, come impronte di scarpe col tacco lasciate sull’erba umida, soprabiti abbandonati sulle sedie, piatti e festoni strappati sparsi un po’ ovunque.

La porta di casa era sbarrata e tutte le finestre erano chiuse, ma era chiaro che all’interno vi fossero ancora le luci accese. 

Senza curarsi di cambiarsi d’abito, Xigbar raggiunse il porticato guardandosi intorno con circospezione. Quasi s’aspettava di trovare l’intera Organizzazione lì ad aspettarlo al varco ma non sembrava esserci nessuno nei paraggi ad eccezione della cagnolona di Charlotte che gli corse incontro trotterellando e sporcandogli di bava l’orlo della cappa nera in cerca di una carezza.

Il Nessuno la scostò con la punta dello stivale “Sta giù Stella, da brava.” mormorò, prima di teletrasportarsi all’interno della casa senza neanche suonare il campanello. Il tempo di mantenere le apparenze era finito e, in ogni caso, Charlotte lo aveva già visto svanire attraverso un Portale Oscuro. Che gli piacesse o meno, ormai la biondina c’era dentro fino al collo.

“Signor Braig!”

Charlotte lo fissava seduta sul divano del boudoir squisitamente arredato e lui nascose una smorfia alla vista dei suoi Cecchini intenti a fare razzia di dolciumi dal tavolincino al centro della stanza. A differenza degli Heartless, i Nessuno ricordavano ancora cosa si provasse ad essere soggetti agli istinti più naturali e raramente rifiutavano del cibo se questo veniva loro offerto, ma alla vista del loro signore i quattro Simili smisero immediatamente di ingozzarsi, come fossero bambini colti in flagrante con le mani nella marmellata.

“Vedo che vi state divertendo.” commentò sarcastico, scoccandoli un’occhiata di rimprovero ma Charlotte si alzò per andargli incontro, distogliendo la sua attenzione dai suoi imbarazzanti sottoposti. 

“Signor Braig, vi prego ditemi cosa sta succedendo! Stella è al sicuro? Dove l’avete portata? E Tiana? Tiana sta bene?” lo assalì lei, sparando le domande a raffica e parlando così in fretta che quasi incespicava sulle sue stesse parole. “La vostra amica ha detto che c’entrava qualcosa l’Uomo-Ombra e che sarebbe andata nel Bayou per-”

“Frena, frena!” Il Nessuno l’afferrò per le spalle, interrompendo quella fiumana di parole. “Chi sarebbe la ‘mia amica’?”

Charlotte inarcò un sopracciglio e Xigbar non poté fare a meno di notare che nonostante tutto quello che aveva appena passato, la bionda avesse comunque trovato il tempo di rifarsi il trucco. 

“La signora con la pelliccia di volpe.” spiegò lei, interdetta alla vista dello smarrimento nel suo sguardo “...non è vostra amica?” 

Lui non rispose, allentando la presa sulle braccia della ragazza. Aveva veramente mandato tutto a puttane, eh? E bravo Xigbar. Ottocento anni d’esperienza e ancora faceva questi errori da principiante. Ma certo che Ava aveva colto l’occasione per fare domande!

Ma perchè correre dietro a Tiana e all’Uomo-Ombra se la sola cosa davvero importante per lei era Skuld? Non aveva un briciolo di senso. Ma era anche vero che, non essendo un Nessuno, Ava non aveva accesso ai Corridoi Oscuri e quelli di Luce che lui e i suoi compagni d’apprendistato utilizzavano quando i mondi erano ancora tutti uniti non erano più percorribili. La Veggente doveva aver pensato che se voleva rintracciare lui e Skuld, seguire le tracce di Facilier fosse la sola cosa logica da fare.

O forse, anche lei aveva nascosto una Gummiship o un qualche veicolo simile in mezzo alla palude?

“Hai detto che è andata nel Bayou?”

“Credo di sì.” assentì Charlotte, mordendosi nervosamente le unghie laccate di rosa ma prima che potesse aggiungere altro, l’ululare lamentoso delle sirene della polizia di New Orleans riecheggiò in fondo al vialetto. “Oh accidenti, proprio adesso? Gran Papà ha chiamato la gendarmeria ma non pensavo che sarebbero arrivati-” la ragazza s’interruppe, accorgendosi di star parlando al niente. Là dove un istante prima si trovava l’uomo vestito di nero, adesso v’era soltanto uno sfuggente alone di luce viola che si dissipò senza lasciare alcuna traccia.

“...così presto.” sospirò lei con aria afflitta, massaggiandosi le tempie. Tutta quelle magia e quel caos le stavano cominciando davvero a dare sui nervi! Se qualcuno le avesse detto che al termine della serata il Principe Naveen sarebbe stato l’ultimo dei suoi pensieri, Charlotte probabilmente sarebbe scoppiata a ridere. E invece eccola lì, a spingere i quattro Nessuno affamati fuori dalla finestra prima dell’arrivo degli sbirri e ad abbandonarsi contro il davanzale con fare sconsolato, terribilmente preoccupata per le due amiche scomparse.



 

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Capitolo 42
*** ✭ The Shadow That You Cast ***


✭ THE SHADOW THAT YOU CAST ✭

You are a strange sight,
some new kind of wonder
with good hidden under.
I'm sure that it's true.
Strange,
how your dark doesn't faze me.
No, I won't give up on you.
[Strange Sight - K.T Tunstall]

Il Maestro lacerò le spesse ragnatele zuppe d’umidità con un colpo di Keyblade e Kida lo seguì circospetta, gli occhi blu fissi contro la densa oscurità che sembrava acquattarsi alla fine di quel tunnel. Più avanzavano e più le pareti del corridoio si facevano strette ed opprimenti, costringendoli a passare uno alla volta.

“Sei sicuro di stare bene?”

“Sì. Non preoccuparti.”

Kida strinse al petto il monile che portava al collo per farsi coraggio. “Non può mancare molto ormai. Lo sento anch’io, il cristallo di cui parli. E’ come una canzone nella mia testa.”

Perbias si voltò per rivolgerle uno sguardo indagatore “Che cosa dice?”

“Non lo so. Non riesco a distinguere le parole.”

Scavalcarono un cumulo di detriti ricoperto di alghe e conchiglie e raggiunsero una brusca curva nel sentiero. Appena svoltato l’angolo, videro finalmente l’uscita che baluginava in lontananza rischiarata da una tenue luce blu.

Impazienti di lasciarsi quel cunicolo angusto alle spalle, i due fratelli accelerarono il passo e ben presto si ritrovarono a fare il loro ingresso nell’ennesima enorme sala sotterranea.

Sospeso sopra una gelida pozza di acqua nera fluttuava un abbagliante sfera di cristallo azzurro che pulsava e si dilatava come un organismo vivo. Attorno ad essa, ruotavano pigramente enormi mascheroni di pietra raffiguranti volti stilizzati dagli occhi incandescenti, non troppo diversi dalla maschera tribale che Kida stessa possedeva.

La giovane donna s’irrigidì di colpo, la litania nella sua testa che si faceva sempre più insistente mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. “Questi sono… i Re del nostro passato.”

Perbias non ebbe neanche il tempo di voltarsi per risponderle che Kida si era già buttata in ginocchio, il braccio ripiegato sotto la fronte in quella che il Maestro sospettava essere una posizione di preghiera.

Istintivamente si chinò su di lei per aiutarla a rialzarsi ma si bloccò con la mano a mezz’aria ancor prima di sfiorarle la spalla. Kida stava ripetendo una formula a bassa voce, come un mantra.

“Questi sono i re di Atlantide,

custodi delle emozioni di migliaia di cuori.”

Nonostante la principessa stesse parlando nella sua lingua natia, Perbias aveva compreso ogni parola. E non solo questo, ma sapeva anche quali versi le avrebbero seguite.

La volontà di chi ha vissuto

è ciò che sostiene le nostre figlie e figli.”

Kida sollevò la testa di scatto nel sentirlo pregare insieme a lei. Il suo accento era strascicato e un pò sgradevole, ma non c’erano dubbi sul fatto che avesse appena parlato in Atlantideo.

“Le loro luci mai si spegneranno

finché impugneranno le chiavi della ruota della vita.”

Dissero all'unisono, riportando nuovamente lo sguardo sui volti arcigni scolpiti nelle pietre che fluttuavano sopra di loro.

“Ecco perchè mia madre mi portava qui sotto. Il cristallo… non credo che si trovasse qui al tempo. Ma le statue degli antichi Re ci sono sempre state. Venivamo a rendere loro onore.” mormorò Kida con voce piena di nostalgia.

“Il cristallo era all’aperto, sospeso sopra la città come un sole.” asserì Perbias nel suo Atlantideo stentato, rimettendosi in piedi ed aiutandola a fare lo stesso. "O almeno credo."

“Dev'essere così. Cos'altro potrebbe essere la luce dei miei ricordi? Ma la preghiera che hai appena ripetuto...”

Il Maestro si massaggiò le tempie doloranti “Qualcuno me la insegnò, tanto tempo fa.”

“Nostra madre?” chiese Kida, gli occhi improvvisamente grandi e lucidi al solo pensiero. Era incredibilmente triste, ma anche curiosamente rassicurante poter condividere con qualcuno quella perdita, quella confusione di ricordi che l'aveva sempre attanagliata.

“Forse. Lo scopriremo presto.”

Così detto, Perbias dette le spalle alla donna per nascondere alla sua vista quel che stava per fare. Premette con decisione sotto la palpebra inferiore dell’Occhio che Scruta, scalcandolo fuori dall’orbita con un suono a dir poco disgustoso che mandò un brivido lungo la schiena di Kida.

“Ma che diamine….”

“Shhh.” la zittì lui, tornando a voltarsi verso il cristallo mentre con l’altra mano spostava le ciocche color cobalto a coprire la parte sinistra del viso, celando la cavità nera lasciata dall’occhio mancante.

Sollevò poi l’Occhio che Scruta verso il cristallo, allentando a poco a poco le dita guantate che aveva richiuso attorno ad esso. Quando la luce blu si specchiò nella pupilla, questa si restrinse immediatamente come quella di un gatto mentre il prodigioso occhio delle Parche trasportava il Maestro indietro di oltre ottomila anni.

La cameretta immersa nel silenzio era graziosamente illuminata dal riverbero dell’amuleto di cristallo azzurro che risplendeva dello stessa luce del Cuore di Atlantide. Tutt'intorno alla lettiga a baldacchino erano sparsi libri, giocattoli e modellini che riproducevano sin nei minimi dettagli le aeronavi da guerra che rendevano la città così potente e temuta.

Il giovane principe dormiva della grossa raggomitolato sui cuscini, la testolina di capelli argento resa quasi iridescente dal riflesso del monile che portava al collo.

"Hey, sei sveglio?"

Lui mugolò qualcosa, girandosi dall'altra parte.

"Dai, andiamo a giocare!"

Il bambino aprì stancamente gli occhi blu come il mare, fissando lo scacciapensieri di conchiglie e monetine che tintinnava appeso alla finestra. Atlantide dormiva un sonno inquieto quella notte nonostante i suoi cittadini fossero al sicuro dietro le sue spesse mura e sotto l’occhio vigile del Cristallo che, come una luna, splendeva alto sopra la città. Soldati in livrea bianca e blu pattugliavano serratamente le strade a bordo di agili macchine volanti simili ai pesci delle profondità e le fiaccole ardevano sulla cima delle torri di vedetta.

"Non dovresti essere qui, è pericoloso.”

"Sono bravo a nascondermi. Lo sai.”

“In ogni caso, papà ha detto che non devo parlare con te."

“E da quand'è che fai quel che ti dice?"

Il principe si tirò su a sedere "Che mi piaccia o no, dovrò farlo fino a quando non sarò Re." Disse a bassa voce stiracchiandosi nella larga camicia da notte.

"Spero che lo sarai presto. Così potremo giocare ogni volta che vorremo e fare quello che ci pare."

"Già. Comunque cosa ci fai lì sotto?" Domandò l'altro, sporgendosi per guardare sotto il letto e dimenticandosi immediatamente delle raccomandazioni di suo padre.

"Fuori c'è troppa luce. Mi fa male agli occhi."

"Come sei delicatino!" Lo stuzzicò il bambino, ridendo.

"Dico sul serio."

"Dai, non fare il frignone e vieni fuori." Così detto, gli tese la mano.

"Ma se hai appena detto che potrebbero scoprirmi…"

"Non se stiamo attenti. E poi, non volevi giocare? È un sacco che non ci vediamo. Dove sei stato?"

"Ovunque fosse abbastanza buio."

"Come al solito, eh?"

S'udì un sonoro sospiro provenire da sotto il letto, poi, cinque dita nere come la pece si strinsero attorno alla manina del giovane principe, le unghiette rosse che punzecchiavano la sua pelle abbronzata.

"Visto, non era difficile." Lo salutò quest'ultimo con un gran sorrisone quando l'altro si fu raddrizzato "Accidenti, quanto sei alto! E… sei diverso!"

"Ciao." Rispose l'ombra, schermandosi gli occhi gialli dalla luce dell’amuleto indossato dal suo interlocutore, la sua voce era squillante ed infantile tanto quanto quella del suo amichetto umano, ma il tono era decisamente meno allegro. "Sì, sono cambiato ancora. Non so perché succede…" Mormorò l'ombra senza guardarlo in faccia.

“Stai alla grande!”

Oscurità abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Soltanto qualche mese prima poteva vedervi attraverso, ma adesso avevano una forma definita ed una certa consistenza, anche se rimanevano gommose a confronto con quelle del principe. Era come se il suo intero corpo si fosse stabilizzato, adattandosi a quel mondo sconosciuto in cui era capitato e dove tutto era così caldo e luminoso.

Il bambino s’avvide dell’espressione confusa impressa sul musetto nero e privo di naso del suo improbabile amico "Qualcosa non va?"

Oscurità sospirò e le antenne ritorte che protrudevano all’indietro dalla sua fronte si afflosciarono come avrebbero fatto le orecchie di un animaletto sconsolato. "Tutti hanno paura di me."

"Hey, io non ho paura!" Si vantò il principe piantandosi le manine paffutelle sui fianchi "Io non ho paura di niente. E poi, tra noi due, sei sempre stato tu il fifone! Come quella volta che abbiamo preso quella grossa lucertola e tu facevi tutto lo schifiltoso quando le si è staccata la coda…"

Oscurità sorrise. Quel marmocchio viziato non perdeva mai l'occasione di vantarsi e sapeva essere davvero insopportabile... ma era anche il suo più caro amico.

Il suo unico amico.

“Ma vedi...” la voce del bambino si fece di colpo seria. “La verità è che la gente ha paura di tutto, di questi tempi. E’ per via della guerra.”

“La guerra…” ripeté pensierosamente Oscurità. “Non ti preoccupa nemmeno un pò?”

“Nah, l’esercito di papà non ha rivali. Gli altri mondi non hanno alcuna possibilità contro di noi. E poi, lo so che a te non piace perché brilla troppo, ma il cristallo lassù nel cielo ci protegge da qualsiasi pericolo. Sai, è per questo che la gente è invidiosa di Atlantide, vorrebbero rubarcelo.” spiegò il principe, stringendo la mano a pugno attorno all’amuleto luminoso che portava al collo.

“Gli adulti sembrano preoccupati, però.” gli fece notare l’ombra, sedendosi al suo fianco sulla lettiga e raccogliendo le ginocchia al petto. Laddove un normale bambino umano avrebbe avuto due graziosi piedini paffutelli, Oscurità sfoggiava un paio di tozzi artigli simili a zoccoli “Ho sentito il consigliere di tuo padre parlare mentre venivo qui, muovendomi nelle ombre. Era molto nervoso.”

Il principe abbassò lo sguardo e la consueta vivacità nei suoi occhi blu svanì tutto d’un tratto. “A dire il vero…” iniziò a dire, grattandosi nervosamente il braccio “...anche la mamma ha paura. Non vuole dirmi perché ma io so che é così. Per questo ci sono così tante guardie qui a palazzo. Hai notato?”

“Eccome se l’ho notato. Sono giorni che cerco di entrare nelle cucine per mangiare qualcosa, ma temevo di essere scoperto e così ho rinunciato.”

L'altro lo fissò ad occhi sgranati "Non mangi niente da GIORNI?! Perché non l'hai detto subito?"

"Io-"

"Dai, ti prendo qualcosa!"

"Hey, non importa… non ho fame…"

"Sciocchezze! E poi non c’è bisogno di andare fin giù in dispensa, mi basterà chiamare uno dei servitori. Non sono mica un ladruncolo da quattro soldi come te, io!"

Nell'udire quell'ennesima vanteria, Oscurità scoppiò a ridere "C’è qualcosa che non puoi fare?"

L'altro gli rivolse un sorrisetto furbo, avviandosi verso la porta "Beh, non so ancora pilotare un Ketak ma Papà mi insegnerà presto. Dai aspettami qui, torno tra un attimo."

Oscurità rimase solo nella cameretta del principe e dopo essersi cautamente guardato attorno si accomodò meglio sul lettino.

Le lenzuola erano ancora calde e i cuscini erano così morbidi… non come il giaciglio di pietra dove si ritirava a riposare quando il sole si faceva troppo alto ed abbagliante per i suoi occhi di creatura delle Tenebre. Non si sentiva a suo agio nello stare così esposto in una stanza non chiusa a chiave. Chiunque sarebbe potuto entrare da un momento all’altro e coglierlo di sorpresa ma il suo amico era davvero fortunato ad avere un posto come quello dove potersi sentire al sicuro. L'intero palazzo era il suo parco giochi e i servitori le sventurate vittime delle sue marachelle.

In quelle stesse sale viveva anche un’altra bambina chiamata Kida e, quando Oscurità aveva chiesto al principe se anche lei fosse una sua amica, l’altro aveva risposto di sì, ma anche detto che non era proprio la stessa cosa, dato che era anche sua sorella.

Gli aveva chiesto cosa significasse ma il bambino non era mai riuscito a dargli una spiegazione soddisfacente, limitandosi a dire che i fratelli sono come gli amici… ma per qualche motivo tendono a somigliarsi e a vivere sotto lo stesso tetto, con altre persone che chiamano ‘genitori’. Il principe s’atteggiava sempre da so-tutto ma l’ombra sapeva bene che in realtà certe cose non le comprendeva neanche lui, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Nonostante ciò, Oscurità aveva assimilato questo e molti altri concetti al meglio delle sue possibilità e sapeva bene che avrebbe fatto meglio a tenersi alla larga dagli altri membri della famiglia.

La sua amicizia col principe era, e sarebbe dovuta rimanere, un segreto.

Specialmente dopo che la piccola Kida l’aveva visto aggirarsi per i corridoi nel bel mezzo della notte ed era corsa piangendo ed urlando ad avvertire i suoi genitori che avevano fatto rivoltare il palazzo da cima a fondo alla sua ricerca. Oscurità sapeva bene che se l'avessero trovato per lui non vi sarebbe stato scampo.

Fortuna che era sempre stato bravo a nascondersi, era un’ombra dopotutto, e rimpiattarsi anche nell’angolo più angusto era la sua specialità. In effetti, era proprio questo quel che stava facendo quando lui e il principe si erano incontrati per la prima volta, ormai quasi un anno prima.

Era appena giunto in quel mondo sconosciuto e aveva fatto la sola cosa che sapeva fare: andare a caccia di Cuori. La fame era la sola costante della sua esistenza, un vuoto cavernoso ed incolmabile nel suo ventre, un bisogno così preponderante da non lasciar spazio per nient'altro nella sua esistenza.

Mangiare, consumare, soffocare tutta la luce e poi ricominciare da capo.

Ma a differenza delle altre ombre, lui era piccolo e debole, un cucciolo, se così possiamo dire, e se i viandanti che si perdevano nel Mondo Oscuro erano per lui facili prede, sfiniti e privati della loro volontà, questo non era altrettanto vero per le creature di carne e sangue che popolavano quel nuovo mondo in cui era lui ad essere un estraneo.

Sarebbe sicuramente morto di stenti e di fame se non fosse stato per l’inaspettata generosità (o forse, ingenuità) del giovane principe. Invece di finirlo con un colpo di quella sua strana chiave, tanto simile ad un giocattolo nelle sue mani di bambino, il futuro re di Atlantide lo aveva tartassato di domande, più incuriosito che spaventato da quella strana creaturina di tenebre che aveva appena tentato di mangiargli il cuore, fallendo miseramente.

Oscurità non aveva mai parlato con qualcuno prima di allora. A dire il vero, non sapeva nemmeno di esserne capace o di avere una voce propria e forse fu proprio per questo che la modulò inconsciamente ad imitazione di quella del suo interlocutore.

Ripensare al loro primo incontro lo metteva sempre di buon umore. Da allora, erano cambiate così tante cose…



 

E, proprio come gli aveva fatto notare poco prima il principe, lui era cambiato. Cresciuto, per la precisione. Non era più soltanto una forma evanescente, un groviglio di ombre e fame privo di raziocinio ma qualcosa di più solido, di più umano, in un certo senso. Giocare con il suo amico era molto più divertente adesso che potevano toccarsi, rotolandosi ed azzuffandosi sul pavimento come due leoncini.

Mangiare ‘cibo vero’ era l’altra cosa che aveva imparato a fare e la brama di cuori che l’aveva sempre tormentato era sparita senza che lui se ne accorgesse, sostituita dal desiderio di assaggiare cose nuove e, a sua insaputa, saziata per sempre dal fatto che lui stesso stesse sviluppando un cuore tutto suo.

La voragine dentro di lui s'era a poco a poco colmata ed era solo merito del suo amico e del tempo che avevano trascorso insieme. All'inizio, il principe lo trattava più come un curioso animaletto che come un suo pari, ma Oscurità imparava e s'adattava in fretta. Era come una spugna, terreno fertile pronto ad assorbire gli stimoli esterni e farli propri.

La porta della cameretta cigolò sui cardini facendolo sussultare e riscuotendolo dai suoi pensieri. Immediatamente, i sensi d’Oscurità scattarono sull’attenti, gli artigli sfoderati e i muscoli tesi sotto la pelle lustra e nerissima, pronto a difendersi o a scappare se ve ne fosse stata necessità.

“Sono io.” s’annunciò il principe in un bisbiglio prima di entrare con un fagotto di stoffa bianca tra le braccia. “Visto? Un gioco da ragazzi.” si pavoneggiò, tornando a sedersi accanto a lui. “Scommetto che ti piacerà, ho preso una cosa speciale.”

In circostanze normali, Oscurità avrebbe smaniato per scoprire quale leccornia il suo amico gli avrebbe proposto questa volta, ma in quel momento era ancora assorto nei suoi pensieri e nei suoi dubbi. “Lo so che te l’ho già chiesto… ma cosa significa essere fratelli?”

L’altro alzò gli occhi al cielo. “Ancora con questa storia?”

L’ombra si strinse nelle spalle, risentita “Non riesco a capirlo. Ricordi che mi hai detto che i fratelli si assomigliano?”

“Beh, non tutti i fratelli si assomigliano… diciamo che è più che altro una delle cose che a colpo d’occhio ti permette di capire se due persone sono fratelli. Ma non è una regola-”

“Ma se vale quasi per tutti...” Oscurità aggrottò la fronte “...allora io devo avere tantissimi fratelli. Ce ne sono altri, tutti uguali a me."

"Intendi le altre Ombre?"

"Già...” la creatura rabbrividì visibilmente.

“Quelli non sono fratelli tuoi.” lo rassicurò il bambino, accorgendosi del suo disagio “Nemmeno per sogno!”

“Come fai a dirlo?”

“lo so e basta!” rincarò l’altro premendosi una mano sul petto per poi dare al compagno una spintarella giocosa “E poi, quelli là sono davvero grossi e cattivi, mica delle mammolette come te!”

Oscurità si coprì la bocca con gli artigli, trattenendo una risatina. “In ogni caso, non m'importa di loro. Non voglio essere come loro."

“Esatto, questo è lo spirito giusto." esclamò il principe compiaciuto. Di solito, Oscurità era sempre timido ed indeciso, perciò in quel momento fu bello sentirlo così sicuro di sé. “E sentiamo un pò, a chi vorresti assomigliare?” gli chiese poi, porgendogli lo spicchio di un curioso frutto giallo a forma di stella che aveva appena estratto dall’involto di stoffa.

“Che cos’è?” lo interrogò l’ombra, ignorando la sua domanda.

Il principe aveva già la bocca piena di pappa gialla e gommosa “E’ un frutto Paopou. E’ dolce, dai assaggia.”

Oscurità prese la punta di stella che l’altro gli stava offrendo e l’accostò alle labbra, fermandosi ad annusarla prima di darvi un piccolo morso. Era delizioso. Dolcissimo, sapato. Come una grossa caramella.

“Vorrei assomigliare a te.” ammise, cacciandosi in bocca il resto del boccone e tendendo la mano per prenderne ancora. Ridendo, il bambino gli lasciò finire la sua parte, pulendosi le mani appiccicose di succo e zucchero sulla tunica.

“Allora sei fortunato che stiamo proprio mangiando uno di questi. Sai, dicono che se due persone dividono lo stesso Paopou allora è un po’ come se diventassero fratelli. Per questo mio papà ne spezza sempre uno a metà coi suoi generali e alleati, così sa di potersi fidare di loro quando va in guerra.”

Oscurità guardò l’ultimo bocconcino di Paopou che ancora stringeva tra gli artigli con rinnovato interesse e deferenza “E’ una promessa, allora.” disse poi, con fare solenne.

Il Principe lo guardò perplesso “Che cosa?”

La creatura sorrise, scoprendo i dentini affilati e nerissimi dietro le labbra spesse “Puoi fidarti di me. Ti prometto che sarò la tua ombra, qualunque cosa succeda!”

Perbias riusciva a stento a credere a quel che vedeva.

Oscurità sedeva al suo fianco sbocconcellando il frutto dolciastro con aria contenta, la lingua violacea che sgusciava tra gli artigli per ripulirli dalla polpa succosa.

Era davvero la stessa Oscurità che lo tormentava incessantemente da decenni?

Anche attraverso la visione surreale di quel ricordo, percepiva la sua innocenza, quanto quella creatura fosse giovane, confusa, debole persino. Ai suoi occhi di bambino doveva essere sembrata poco più che un amico immaginario che col passare del tempo s’era fatto sempre più reale.

Qualunque fosse la vera natura di Oscurità, una cosa adesso gli era spaventosamente chiara.

Non era la sua Oscurità.

Era un essere con cui aveva stretto un legame molto forte, ma che non faceva intrinsecamente parte di lui. Perbias e Oscurità non erano due gemelli siamesi che si odiavano a tal punto da volersi dividere a tutti i costi, rimanendo entrambi storpiati e segnati a vita da quell'orrorifica separazione… no.

I loro cuori s’erano sovrapposti, così come le voci nelle loro teste e avevano finito per dimenticare come e perchè quell’unione fosse avvenuta, l’amicizia che avevano forgiato, le promesse che si erano fatti. Avevano completamente dimenticato di essere stati due persone diverse.

Se da un lato quella rivelazione sollevava un gravosissimo peso dalle spalle del Maestro, rassicurandolo finalmente del fatto che non fosse sempre stato così instabile senza un valido motivo, essa riempiva anche la sua testa di una nuova miriade di inquietudini e domande.

Oscurità aveva perso la memoria esattamente come lui? Pensava davvero di essere sempre stato parte del suo cuore oppure in tutto quel tempo non aveva fatto altro che perpetrare quella menzogna per tormentarlo? Per fargliela pagare per aver cercato di sopprimerlo?

Per la prima volta in tutta la sua esistenza, Perbias provò pietà per la sua nemesi. Oscurità lo guardava con i grandi occhioni gialli attraverso quel ricordo appena recuperato e il solo pensare che fossero passati da ridere e giocare insieme a cercare di distruggersi l’un l’altro lo raggelò. Era così che Oscurità lo vedeva? Come l’amico che aveva infranto la promessa, che l’aveva tradito e abbandonato?

Scacciò via quel pensiero. L’Oscurità del suo presente non aveva più niente a che spartire con quella buffa creaturina e, se quello che il suo io più giovane aveva detto era vero, allora era chiaro che fosse diventato proprio come le altre ‘Ombre’ con cui aveva spergiurato di non voler avere niente a che fare.

Era diventato ‘grosso e cattivo’, crudele e vendicativo.

Ma cos’era Oscurità, veramente? Pura, assoluta tenebra che esisteva sin dall’alba dei tempi, una forza primordiale come il fuoco e la tempesta?

Si poteva davvero definire ‘cattiva’ una cosa del genere? La piccola Oscurità di quel ricordo era puro potenziale, come la scintilla che può dar vita alla fiamma che renderà tiepida e accogliente una casa oppure finirà con l’incenerirla consumando tutti i suoi abitanti.

Perbias si alzò dal lettino rivestito di pregiate stoffe ricamate lasciando il piccolo sé stesso e Oscurità ai loro giochi. C’era ancora molto altro da vedere.





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Salve a tutti!
Mi ero ripromessa di non aggiornare fino al prossimo update di KHUX (cioè domani) ma in fin dei conti questa parte della storia non ha quasi niente a che fare con i Denti di Leone e i loro travagli quindi non c'è davvero motivo di tenermi i capitoli del Maestro e di Atlantide chiusi nel cassetto. In ogni caso, la pausa mi ha fatto bene, ne sono convinta XD ho avuto occasione di riorganizzare un pò le idee e revisionare i capitoli precedenti così come i successivi. Spero che queste ultime rivelazioni vi abbiano intrigato!
Ancora una volta ringrazio Malakia per l'adorabile illustrazione e per aver suggerito i versi della canzone che propongo all'inizio di ogni capitolo. Un caloroso saluto e alla prossima!

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Capitolo 43
*** ✭ The Beginning of the End ***


✭ THE BEGINNING OF THE END ✭


I'm completely incomplete,
I can't struggle on alone.
You made me strong when I was weak.
My red eyed friend where are you now?
My red eyed friend I miss you so!
[Red Eyed Friend - Sonic Syndicate]

 


Perbias s'addentrò ancor più nella visione, seguendo la scia di briciole lasciata dai suoi ricordi sbiaditi.

A poco a poco le sale del palazzo reale divennero per lui tanto familiari quanto i corridoi della Torre Meccanica e mentre procedeva, fluttuando in quella forma incorporea che l'Occhio che Scruta aveva manifestato per rendere più facile la sua navigazione, iniziò a rivivere tanti brevi scorci di vita quotidiana.

Vide il sé stesso bambino correre a perdifiato sui pavimenti a mosaico inseguito da Kida, così piccola e spericolata che non faceva altro che inciampare nei suoi stessi piedini con grande angoscia dei servitori. Ma si rialzava ogni volta, mettendo il broncio ed ingoiando i lacrimoni decisa a dimostrare al fratello che  sapeva stare al passo. Gli ricordava Mava durante i suoi primi giorni alla Torre, quando ancora disorientata dalla vastità della sua nuova casa lo seguiva ovunque andasse, tempestandolo di domande e tirandolo per la camicia per attirare la sua attenzione.

Con un sorriso indecifrabile sulle labbra, il Maestro si domandò se l'affetto che provava per i suoi allievi, in particolare per i più giovani, fosse un riflesso inconsapevole di quello che doveva aver provato nei confronti della sorellina.

E perché no, magari persino di quel curioso legame che aveva con la creatura chiamata Oscurità.

Chissà, forse era per questo che Mava e Luxu gli erano così affini. Non amava fare favoritismi, ma sarebbe stato disonesto negare che loro fossero sempre stati i suoi preferiti. Del resto, non si era forse ripromesso di non prendere con sé altri apprendisti proprio dopo aver reclutato Mava e Luxu? Non ne sentiva più il bisogno, il suo cuore era soddisfatto, come se la sua lunga ricerca si fosse finalmente conclusa. Aveva tutti i pezzi necessari per iniziare a giocare la sua personale partita a scacchi contro il fato.

La visione continuò, presentandogli una lunga serie di giorni spensierati. Già a quell'età Perbias si scoprì in possesso del proprio Keyblade e assistette persino alle rudimentali lezioni di scherma impartitegli dal maestro di corte. Vide anche Re Kashekim complimentarsi con lui, posargli affettuosamente una mano sui capelli argento e assicurargli con orgoglio che un giorno sarebbe diventato un grande re e un grande guerriero. 

Accettare Kida come parte della famiglia gli era stato molto più facile di quanto lo sarebbe stato fare lo stesso con il Re, ma in quel momento Perbias sapeva di dover proseguire nel fiume dei ricordi e scoprire cosa fosse successo durante il Cataclisma.

Solo così Kida avrebbe ottenuto le risposte che cercava. Solo così lui avrebbe capito cosa fosse andato storto.

Si mosse rapido tra i ricordi fino a che uno in particolare non si spalancò davanti a lui come il maxischermo di un cinema. 

In una sala sontuosamente arredata si stava tenendo una riunione importante e lui non avrebbe dovuto trovarsi lì. Era il consiglio di guerra di suo padre e gli animi si stavano surriscaldando, la tensione si sarebbe potuta tagliare con un coltello. Accuse di complotto e tradimento venivano scagliate in ogni direzione e persino la lealtà di famiglie da sempre alleate del Regno di Atlantide era messa in discussione.

Il dibattito si fece così acceso che Re Kashekim fu più volte costretto a richiamare all'ordine i presenti mentre le guardie tenevano d'occhio gli elementi più violenti.

Il giovane principe assisteva alla scena nascosto sotto gli spalti di legno che sorreggevano i seggi dei re e dignitari, Oscurità era acquattata al suo fianco, nervosissima e molto più grande di quanto lo fosse stata nei ricordi precedenti. A suo confronto, Oscurità aveva ora la stazza e la fisionomia di un adolescente. I suoi occhi rotondissimi s'erano fatti a mandorla e il loro colore tendeva adesso al rosso-arancio piuttosto che al giallo puro. Anche il suo musetto aveva assunto un contorno più maturo e sulla schiena ricoperta di un'ispida pelliccia blu notte erano visibili rudimentali protuberanze simili ad ali. Oscurità non era un Heartless, e nemmeno uno dei Darkling imprigionati nei sotterranei del palazzo di Re Kashekim ma una creatura unica, in costante evoluzione. Qualcosa di mai visto prima.

"É tutta colpa mia!" Piagnucolò, mordendosi gli artigli.

"Non essere stupido." Gli rimbrottò il bambino a bassa voce.

"Ma è così… tutte queste persone! Non lo vedi? I loro cuori sono caduti preda dell'Oscurità."

L'altro rimase in silenzio, senza sapere cosa controbattere. Suo padre, dall'alto del suo trono rivestito d'oro, aveva appena lanciato la stessa accusa, puntando il dito contro uno dei suoi consiglieri.

L'accusato si alzò dal proprio seggio tremante di rabbia, le mani serrate a pugno lungo i fianchi.

Perbias conosceva quell'uomo da tutta la vita. Era sempre vissuto a palazzo, un cortigiano saggio e paziente che aveva persino dato lezioni a lui e Kida, insegnando loro i principi base della magia e della filosofia. Non poteva essere un traditore…

Non poteva…!

Eppure l’uomo s’avventò su suo padre animato da un'improvvisa furia omicida, il Keyblade saldamente stretto in pugno.

Re Kashekim defletté il fendente all'ultimo istante, evocando una lama di cristallo che Perbias riconobbe come incredibilmente simile alla propria ma non ebbe il tempo di assimilarne i particolari perché Oscurità lo stava trascinando via dalla sala del consiglio mentre al suo interno scoppiava il finimondo.

"No! Devo aiutare papà!" protestò, cercando di liberarsi.

Oscurità non cedette, gli artigli rossi serrati attorno al polso dell’amico "Non c'è niente che puoi fare! Devi andartene!"

Mentre strisciavano fuori dal cunicolo in cui si erano nascosti, il bambino cominciò a singhiozzare "Perché il Maestro Jirad dovrebbe fare una cosa del genere? Cosa sta succedendo? Sembrano tutti impazziti!"

L'Ombra si voltò per guardarlo in faccia. Non aveva mai visto il principe così spaventato e scosso. “Te l’ho detto, è colpa mia. Di quelli come me.” ripeté, sperando che stavolta il suo amico afferrasse il concetto.

“Tutte quelle persone sono state prese dalle Ombre, anche tuo padre, temo. E’ questo che facciamo, ci nascondiamo nei cuori della gente e a poco a poco...” Oscurità abbassò lo sguardo, come se quello che stava per dire gli causasse grande vergogna “...ne prendiamo il controllo. Era questo che volevo fare con te quando ci siamo incontrati. Avrei inghiottito il tuo cuore e non te ne saresti neanche accorto finché-”

“Allora sai com’è che funziona!” Il principe lo afferrò per le spalle, interrompendolo speranzoso “Ci deve essere qualcosa che puoi fare per risolvere questo disastro!”

Oscurità sussultò, sorpreso da quella reazione. Nell’udire quell’ammissione di colpa chiunque altro gli avrebbe voltato le spalle ma non il principe. Lui seguiva sempre quel che gli diceva il cuore, non la testa. “Vorrei aiutarti, ma non so come. Le altre Ombre non mi ascolteranno… non posso semplicemente dir loro di lasciare libere quelle persone.”

Spingendo giù la grata d’ottone, i due sgattaiolarono fuori dalla conduttura e si trovarono nel corridoio del palazzo. Guardie e membri della servitù correvano in tutte le direzioni in preda al panico mentre fuori dalle finestre ad arco Atlantide risuonava dell’eco dei corni d’allarme. Come già altre volte sin dall’inizio della guerra, quell’ululato sinistro indicava l’arrivo di macchine da guerra nemiche e avvertiva i cittadini ed i soldati di correre ai propri posti.

Il principe si guardò attorno disorientato, le spalle premute contro la parete affrescata per non venir travolto dalla folla di dignitari in fuga “Dobbiamo trovare Kida e la mamma e andare ai rifugi.”

Oscurità s’appiattì contro il muro, il suo corpo nerissimo che si fondeva con l’ombra del bambino per non attirare l’attenzione. 

“Sì, è la cosa migliore.” gli sussurrò all’orecchio “Ma dovrai andare da solo.”

“Come sarebbe? Vieni con me! Puoi stare nascosto nella mia ombra come adesso..!” cercò di protestare il principe ma Oscurità gli diede uno spintone, incoraggiandolo ad allontanarsi dal muro ma lui puntò i piedi a terra.

“Sta per succedere qualcosa. Lo sento, le altre Ombre… sento le loro voci nella mia testa. Devo andare da loro.”

“Cosa? No, non se ne parla!” il bambino si voltò, gli occhi fissi contro la sagoma nera proiettata sulla parete. Se non avesse saputo che il suo amico s’era nascosto lì dentro, sarebbe stato proprio come parlare ad un muro. “Me l’hai promesso! Mi hai detto che saresti stato la mia ombra!”

Oscurità sembrò sospirare con aria risentita “Lo so, ma io-” la sagoma nera sussultò, sollevando una mano artigliata “...attento!”

Il principe ebbe appena il tempo di voltarsi che un paio di mani lo afferrarono per le spalle, sollevandolo di peso da terra. 

La guardia di palazzo sogghignò, premendogli la lama del gladio contro la gola e il bambino scorse un bagliore giallo e malsano negli occhi dell’uomo. Non conosceva il nome di tutti i soldati al servizio di suo padre ma il suo era un volto amico e familiare, qualcuno su cui il principe non avrebbe esitato a fare affidamento in un momento di bisogno. Eppure, proprio come il Maestro Jirad aveva appena attaccato il Re nella sala delle udienze, anche quella guardia aveva rivolto la spada contro il proprio principe.

Prima ancora che l’Ombra o il bambino potessero reagire, l’assalitore fu messo fuori combattimento da un colpo alla testa ben assestato.

L’uomo rantolò a terra mentre una nube di tenebra violacea esalava via dal suo corpo inerme, confermando che fosse stato posseduto dalle ombre proprio come aveva detto Oscurità.

“Mamma!”

La Regina di Atlantide prese il figlio tra le braccia, il Keyblade che aveva appena usato per bandire le tenebre ancora stretto in pugno. Il principe affondò il viso nel petto della madre, i loro capelli bianchi che si mischiavano in una stretta colma di sollievo. “Dobbiamo andare, il Cristallo ci proteggerà.” tagliò corto la donna dai luminosi occhi blu, dandogli un’energica scrollata per assicurarsi che il figlio fosse ancora tutto d’un pezzo e pronto ad affrontare quella fuga improvvisa.

Kida si teneva saldamente stretta alla veste della madre e tese la mano al fratello maggiore che l’afferrò con risolutezza, gettando uno sguardo in direzione di Oscurità prima di cominciare a correre.

L’Ombra lo guardò allontanarsi, incerta sul da farsi. L’ululato dei corni sulle torri di vedetta si faceva sempre più assordante e i fari abbaglianti delle prime macchine da guerra punteggiavano l’orizzonte di quella notte colma di terrore. Che fossero nemici o alleati, non faceva alcuna differenza. L’Oscurità s’era infiltrata in ogni luogo, in ogni famiglia. Nessuno poteva più fidarsi di nessuno, chiunque poteva essere un traditore o un congiurato. Era così che l’Oscurità prendeva possesso di un mondo… lo distruggeva dall’interno, seminando sospetto e paranoia.

E lui, a differenza di tutte le altre Ombre che l’avevano preceduto, se ne rendeva conto. In mezzo a quella moltitudine di Oscurità senza nome e senza senno, lui e soltanto lui provava un soverchiante senso di colpa. Anche se era nella sua natura di creatura delle tenebre, anche se non avrebbe dovuto biasimare i suoi ‘fratelli’ per agire secondo il loro istinto di divoratori di mondi… Oscurità non riusciva a perdonarselo.

Un’esplosione così violenta da far tremare le colonne del palazzo e mandare in frantumi le vetrate lo scaraventò indietro, facendolo ruzzolare fuori dall’angolo buio in cui si era rifugiato. L’intera città fu investita da una nube di vento ed acqua che estinse tutte le luci, lasciando Atlantide rischiarata solamente dal bagliore azzurro ghiaccio del Cristallo che fluttuava sopra di essa. Quando Oscurità riuscì a rimettersi in piedi e a balzare sul cornicione per guardare di nuovo fuori, il suo piccolo cuore di ombre prese a battere così forte da sembrare sul punto di scoppiare. 

All’orizzonte, oltre le mura sormontate di statue e torri di guardia, un’enorme muro d’acqua stava avanzando a velocità vertiginosa verso la città, travolgendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino, distruggendo ponti e sommergendo i campi coltivati.

Per la prima volta nella sua esistenza, Oscurità comprese il significato della parola ‘terrore’. Temette per la sua vita, per quella del suo amico umano e persino per il destino di tutte le cose inanimate che esistevano in quella città che a poco a poco aveva imparato a conoscere e a chiamare casa.

Digrignando i denti in una smorfia di rabbia e frustrazione, Oscurità ridusse nuovamente il proprio corpo ad una silhouette nera ed impalpabile e corse a raggiungere il principe e la sua famiglia, anche se questo significava avvicinarsi pericolosamente al Cristallo la cui luce abbagliante era per lui tanto spaventosa quanto l'onda distruttrice alle sue spalle.

°°°

 

Luxu non sapeva cosa fare.

Dopo quanto successo con Oscurità e col Maestro ancora assente, lui e i suoi compagni s'erano riuniti nella sala circolare e seduti attorno al tavolo, cercando di pianificare la prossima mossa.

Mava aveva immediatamente suggerito che si recassero tutti ad Atlantide per rintracciare il Maestro ma Salegg aveva obiettato che non potevano lasciare incustodita la loro base quando qualcosa di oscuro s'aggirava per le sue sale. Dividersi sembrava una pessima idea ma era anche la loro unica opzione. Perciò, quando Hafet si offrì di andare da solo a cercare il Maestro, gli altri non poterono far altro che accordargli il permesso.

In fin dei conti, doveva soltanto recapitare il messaggio e poi lui e Perbias sarebbero stati di ritorno in un attimo. Nel frattempo, gli altri sarebbero rimasti tutti insieme a vegliare sulla Torre e la città che ancora dormiva tranquilla e ignara sotto di loro. Era la soluzione migliore.

Ma mentre i suoi compagni discutevano di questo, Luxu non riusciva a togliersi dalla testa le giare con i frammenti di cuore e nonostante avesse tentato più volte, non aveva ancora trovato il coraggio di guardare in faccia i propri compagni e condividere con loro quella scoperta.

Il suo cuore, da poco tornato completo, faceva ancora male e lo riempiva di dubbi e paranoie che non aveva mai sperimentato prima. All'improvviso si trovò a mettere tutto in discussione e a domandarsi se quello non fosse esattamente ciò che Oscurità voleva. 

 

"E’ il momento di scoprire quanto sarà sincera la tua lealtà."

 

Luxu deglutì a fatica, alzandosi dalla sedia "Scusate, devo andare un secondo al bagno." Si giustificò, temendo che se avesse detto ai propri compagni che aveva bisogno di starsene da solo a riflettere non lo avrebbero lasciato andare. Ma hey, ai bisogni fisiologici non si comanda e infatti nessuno ebbe niente da ridire.

Appena ebbe raggiunto la fine del corridoio Luxu svoltò in direzione opposta dei servizi igienici e andò verso le scale. Aprì una delle finestrelle e sgusciò fuori sul cornicione sferzato dalla dolce brezza notturna senza troppi preamboli. 

Con i suoi poteri di manipolazione della gravità, il ragazzo salì verticalmente lungo la parete esterna della Torre Meccanica, le mani in tasca e lo sguardo perso davanti a sé mentre il cuore dolorante palpitava nel suo petto come un uccellino in gabbia.

Auropoli dormiva ancora profondamente sotto di lui. La piazza della fontana era deserta e tutti i lumi erano spenti rendendo la luna il solo faro in quella notte tersa.

Più in alto, poteva vedere le ante chiuse della finestra della sua stanza e gli occhi gli si inumidirono al pensiero che non avrebbe più trovato Schad ad aspettarlo sul davanzale col suo unico occhione azzurro e la lingua ruvida che gli lappava le dita in risposta alle sue carezze.

Raggiunse la finestra, le guance ormai umide di lacrimoni caldi e copiosi. Si sedette sul davanzale senza aprire la finestra, la schiena premuta contro il vetro e le gambe che penzolavano nel vuoto. Il vento soffiava più forte là in alto, ma il ragazzo non aveva paura di cadere. Un tempo quell’altezza vertiginosa gli avrebbe fatto girare la testa ma adesso lo aiutava a pensare, a mettere le cose in prospettiva. Tutto era così piccolo ed insignificante se osservato da lassù.

Schad era solo un animale, dopotutto. E per essere un gatto, era anche piuttosto vecchio ma il fatto che non gli restasse comunque molto da vivere non lo aiutava a mettersi l’animo in pace. Se c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni di missioni e viaggi nei mondi più disparati era che i cuori erano tutti uguali, non importava se appartenessero ad una creatura più o meno longeva o intelligente. Il fatto che Schad non fosse in grado di comunicare con lui come avrebbe potuto fare uno degli animali bipedi di Zootopia non significava che non avesse capito cosa stesse succedendo, cosa stava rischiando nel mettersi tra il suo padrone e quella nube di fumo e tenebra.

“Un cuore è pur sempre un cuore.” diceva il Maestro durante le sue lezioni. “Al mondo non c’è niente di più imprevedibile e potente.” 

Il ragazzo strinse le ginocchia al petto, confuso e angosciato come non lo era mai stato in vita sua.

“Il cuore è un pesante fardello.”

S'asciugò gli occhi, tirando su il cappuccio ocra della mantella da apprendista come per nascondersi dallo sguardo giudicante della luna e restò così, immobile e rannicchiato contro il vento freddo nonostante sapesse benissimo che una sua assenza prolungata avrebbe immediatamente messo gli altri apprendisti in allarme.

Sapeva di doversi dare un contegno e tornare da loro, affrontando il problema a testa alta… ma qualcosa lo tratteneva lassù, tra le guglie che incoronavano la Torre Meccanica.

Tutto d’un tratto, sentì qualcosa muoversi al suo fianco. Un tocco tiepido e familiare contro le braccia che teneva incrociate sopra le ginocchia.

“...Schad?!”

Luxu sussultò e alzò la testa di scatto, riconoscendo il modo in cui il suo animaletto da compagnia aveva così tante volte attirato la sua attenzione, dandogli un colpetto con la testolina pelosa. 

Ma ovviamente davanti a lui non c’era niente di niente, soltanto il cielo vuoto e le colline in lontananza… eppure Luxu avrebbe giurato di aver visto un barlume con la coda dell’occhio, una scintilla di luce bianca, proprio come quelle in cui Schad s’era dissolto tra le sue braccia poche ore prima. Fantastico, adesso aveva pure le traveggole.

Si rimise in piedi, le spalle incurvate con fare sconsolato e ripercorse a ritroso i suoi passi, rientrando in corridoio con un balzo.

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Capitolo 44
*** ✭ The Tyranny of Light ***


✭ THE TYRANNY OF LIGHT ✭
I’m the story you don’t speak of.
I’m the one they call the underdog,
‘Cause every time that push comes to shove,
I’m climbing over you to reach the top!
‘Cause I want everything or nothing at all.
Don’t care what you think,
Or what you believe
‘Cause I’m gon’ turn the world upside down!
[Everything or Nothing - Willyecho]


Il Maestro sollevò lo sguardo verso il cielo mentre questo si tingeva completamente di nero. Un vortice di nubi spiraleggiava sopra la città, attratto dal Cristallo che aveva preso ad emettere crepitanti scariche d’energia.

Il piccolo sé stesso lo sorpassò, correndo al fianco della madre mentre si lasciavano alle spalle i giardini pensili del palazzo reale per mischiarsi alla folla di cittadini terrorizzati.

L’onda era adesso ben visibile a tutti e la consapevolezza che si sarebbe abbattuta su di loro nel giro di pochi istanti sembrava aver paralizzato l’intera città in preda all’orrore.

Tutti i presenti, in cuor loro, sapevano che correre e porsi domande non sarebbe servito a niente. Non c’era nessun luogo dove rifugiarsi, nessuna torre abbastanza alta su cui arrampicarsi.

L’onda avrebbe travolto ogni cosa.

Un Ketak precipitò dal cielo, gli alettoni di metallo che sbarbavano via il tetto di un palazzo mentre il pilota tentava disperatamente di riacquistare il controllo del mezzo.

La Regina si fermò appena in tempo e tirò a sé i figli per evitare che la pioggia di detriti incandescenti li investisse e scambiò con loro uno sguardo che diceva più di mille parole. Kida scoppiò a piangere, spaventata dalle grida e dal riverbero dell’esplosione causata dallo schianto della macchina volante mentre la donna cercava vanamente di consolarla, assicurandole che sarebbe andato tutto bene. Il principe, dal canto suo, era grande abbastanza da capire che la madre stava solamente cercando di tenerla calma e che non nutriva alcuna legittima speranza che la loro civiltà potesse sopravvivere quel cataclisma.

Ma lui sì. Anzi… lui sapeva che non correvano alcun pericolo.

“La mamma ha ragione.” disse, posando la mano sul braccio nudo della bambina e cercando di confortarla “Il Cristallo ci terrà al sicuro, perciò non piangere, d’accordo? Che fine ha fatto la mia sorellina guerriera, eh? Fatti coraggio!”

La piccola staccò il visino dalla spalla della madre per incontrare il suo sguardo e lui le rivolse il sorriso più ampio e caloroso che riuscì a produrre, stringendo al petto l’amuleto di cristallo con convinzione. “Il Cuore di Atlantide ha protetto la nostra famiglia per generazioni! Rispedirà indietro tutta quell’acqua in men che non si dica!”

L’espressione sul volto provato della Regina sembrò ammorbidirsi per un istante in un sorriso carico d’orgoglio e di apprensione. Il principe conosceva le vecchie leggende e sapeva che la forza dell’impero che un giorno avrebbe governato era legata a doppio filo alla magia del Cristallo, ma non era al corrente dell’intera storia.

Ai suoi occhi di bambino, quella gemma che splendeva luminosa sopra di loro altro non era che un’alleata del suo popolo, ma la Regina si era ripromessa di insegnargli a rispettare e a temere quella straordinaria fonte di potere. Quando sarebbe stato grande abbastanza, gli avrebbe rivelato che il Cristallo chiedeva sempre qualcosa in cambio…

La donna serrò duramente le labbra, sopraffatta dall’amara ironia di quella situazione. Quella lezione che probabilmente non avrebbe mai avuto occasione d’impartire al proprio figlio era qualcosa che suo marito aveva dimenticato o scelto d’ignorare per troppo tempo.

E adesso, l’intera Atlantide ne avrebbe pagato le conseguenze.

Il Perbias del presente s’avvicinò alla madre col suo aspetto incorporeo, imprimendosi nella mente i suoi lineamenti angolosi e regali mentre si domandava quali pensieri stessero affollando la mente della regina in quel momento.

Era così surreale… rivivere un ricordo perduto in modo così chiaro. Non v’era spazio per le sfocature, per le imperfezioni della memoria. L’Occhio che Scruta non era un occhio nuovo che le Parche avevano sostituito al suo, ma un incantesimo che lo aveva trasformato retroattivamente, permettendogli di accedere a tutto quel che aveva visto fino a quel momento. Proprio come una telecamera, l’Occhio aveva registrato tutto fin nei minimi particolari e lui doveva esaminare quelle immagini con l’analiticità di un detective che spera di scorgere un criminale nei filmati di sorveglianza. Non doveva lasciarsi prendere emotivamente da quelli che sapeva essere gli ultimi istanti di vita della donna che l’aveva messo al mondo, ma ciò si stava dimostrando più difficile di quanto avesse anticipato.

Il momento della verità era appena dietro l’angolo.

Il cielo era scuro, proprio come Kida aveva detto di ricordare. Il cristallo prese a pulsare di una sinistra luce rossa e a sprizzare lapilli incandescenti mentre violenti fasci di luce venivano proiettati dall’alto sulla città, scandagliandone le strade come in cerca di qualcosa.

Immediatamente Perbias ricordò il bassorilievo che lui e i suoi apprendisti avevano scoperto all’entrata della tana del Leviatano e capì di star rivivendo l’esatto momento in esso raffigurato. Al termine di un lungo periodo di guerre combattute contro gli altri mondi, il conflitto s’era rivolto verso l’interno e i soldati di Atlantide, i primi custodi dei Keyblade, erano caduti preda dell’Oscurità e preso a lottare tra loro sotto la luce di quello che chiamavano ‘Cuore di Atlantide’...

Ma che Perbias sapeva, in cuor suo, essere nient’altro che Kingdom Hearts. O quantomeno una porta verso di esso.

Certo, non aveva l’aspetto con cui era raffigurato nei libri di leggende, ma a quello era facile rimediare. Sorridendo mestamente tra sé e sé, il Maestro sollevò le mani verso il Cristallo, le dita giunte a formare la sagoma di un cuore che usò per incorniciare la Luce abbagliante che splendeva sopra la città.

Quella Luce che ancora viveva nei ricordi di Kida e che, dotata di un’intelligenza e di un volere propri esattamente come lo era il suo amico Oscurità, stava cercando qualcuno che potesse difenderla. Un campione, un avatar, un martire.

Un sacrificio.

Inutile dire che quel qualcuno era proprio lui, il primogenito del Re. Un adeguato prezzo da pagare in cambio di secoli di prosperità e dominio indiscusso su tutti i mondi.

Uno dei fasci di luce rossa proveniente dal cielo si fermò sul principe e Perbias guardò il sé stesso più giovane abbandonare il fianco della madre come in trance, gli occhi blu intrisi dell’azzurro del cristallo, la gemma che portava al collo che fluttuava splendente davanti a lui, il cordino di cuoio che lo tirava come un guinzaglio.

La regina balzò in piedi, allungando una mano per strappar via il proprio figlio da un destino crudele che una madre non avrebbe mai potuto accettare, nemmeno in cambio della salvezza dell’intera città.

Il Cristallo però la pensava diversamente e la spinse via con un’ondata d’energia. La donna si rialzò a fatica, supplicando a gran voce d’essere scelta al posto del figlio.

Kida tremava di paura mentre guardava il fratello allontanarsi, incapace di capire perchè non rispondesse ai suoi richiami finchè la madre tornò a stringerla, facendola voltare per proteggerle gli occhi dalla luce sempre più bruciante del Cristallo.

Il Perbias del presente al contrario non riusciva a distogliere lo sguardo dal volto inespressivo del sé stesso bambino. I suoi occhioni erano completamente pieni dell’azzurro della Luce ma vacui e privi d’intelletto. Qualunque cosa Kingdom Hearts gli stesse facendo, gli stava risucchiando l’anima.

Riusciva quasi a sentirlo, quell’assoluto senso di vuoto, l’assenza di qualsivoglia emozione o sentimento. Non provava neppure dolore o paura, soltanto un vago torpore, come l’azione lenta di un veleno.

La visione si fece nebulosa e Perbias temette che si sarebbe interrotta da un momento all’altro, riportandolo nei sotterranei al fianco di Kida senza alcuna risposta concreta ma poi le immagini ripresero a scorrere indisturbate, rivelando l’ultimo atto di quella surreale proiezione di ricordi.

Sotto gli occhi attoniti della Regina, una creatura d’ombre era apparsa dal nulla scagliandosi contro la barriera apparentemente insormontabile che aveva avvolto il principe.

Oscurità si fece largo a colpi d’artiglio attraverso il bozzolo di schegge di luce cristallizzata, l’energia prorompente del Cuore di Atlantide che gli bruciava la pelle e faceva lacrimare gli occhi ma lui non se ne curò, continuando ad avanzare, allungando le mani verso l’amico che la Luce stava chiamando a sé verso il cielo.

Lo afferrò per un braccio e il principe si voltò lentamente a guardarlo, gli occhi spenti e la mente svuotata, come fosse caduto in un profondo stato catatonico. Oscurità affondò gli artigli nel terreno mentre con tutte le sue forze tentava di impedire al raggio di Luce di attirarlo a sé. L’Ombra chiamò l’amico ancora e ancora e Perbias vide la sua disperazione mutarsi in frustrazione e furia. I suoi occhi ambrati sembravano due tizzoni ardenti a contrasto col nero assoluto della sua pelle.

Oscurità non aveva mai odiato la Luce prima di quel momento. Sì, ne aveva paura, così come chiunque con un briciolo di buon senso avrebbe avuto paura di toccare una fiamma a mani nude, ma in quel momento Oscurità provò una rabbia incontrollabile scuoterlo fino alle ossa.

La Luce non avrebbe portato via il suo amico.

Non glielo avrebbe permesso!

Anche se questo significava…!

L’Ombra lasciò la presa sul terreno, lasciando che il raggio li sollevasse entrambi verso il Cristallo ma, prima che potessero raggiungerlo, tirò a sè il bambino mentre il suo corpo nero come la pece si dissipava in una nube di tenebra viva e fremente.

In un attimo, Oscurità fece quel che avrebbe dovuto fare il giorno del loro primo incontro e s’insinuò fin nelle profondità del suo animo, tuffandosi nel limbo di acqua e vetro chiamato Stazione del Risveglio per raggiungere il cuore del principe e divorarlo in un solo boccone, avvolgendolo nella sua cappa di tenebre.

Immediatamente, il fascio di Luce proveniente dal cielo lasciò andare la sua piccola vittima.

Adesso che c’era così tanta Oscurità nel cuore del principe, egli non era più adatto ad ospitare il volere del Cristallo e fu quindi rigettato senza alcun ripensamento. Lasciato a precipitare nel vuoto da un’altezza più che sufficiente ad ucciderlo senza alcuna cura.

Perbias vide l’espressione atterrita di sua madre e Re Kashekim che era finalmente accorso sulla scena scortato dai pochi soldati a lui ancora rimasti fedeli, poi il sotto ed il sopra cominciarono a confondersi e un dolore lancinante alla testa lo costrinse a stringere gli occhi, oscurando la visione dell’Occhio che Scruta.

L’ultima cosa che vide prima di tornare alla realtà fu… l’acqua.

Non quella dell’onda che si sarebbe di lì a poco abbattuta su Atlantide ma l’acqua scura e gelida dell’Abisso senza fondo del Reame dell’Oscurità.

Quello era un posto che Perbias conosceva bene e il solo di cui conservava ricordi prima del suo arrivo ad Auropoli. La visione si faceva sempre più nebulosa ma il Maestro sapeva che in qualche modo doveva essersi trascinato fuori dall’Abisso e disteso esausto ed ansimante sulla battigia nera del Margine Oscuro.

A quel punto il ricordo s’interrompeva del tutto e Perbias si ritrovò così bruscamente riportato alla realtà da incerspicare nella Cappa Nera e cadere all’indietro sulla sabbia esattamente come il sé stesso bambino nell’ultimo fotogramma di quel viaggio allucinante appena conclusosi.

Kida gli fu immediatamente al fianco, le iridi color del cielo che saettavano dal suo volto pallido e provato all’occhio mostruoso che l’uomo stringeva ancora tra le dita.

“Perbias..?”

Lui trasse un sospiro profondo, abbandonando la testa all’indietro incurante della sabbia che gl’imbrattava i capelli e di esporre l’orbita vuota alla vista della sorella “Che storia, ragazzi. Se me l’avessero raccontata non ci avrei creduto.” disse a mezza voce, trattenendo una delle sue classiche risatine.

“Sei riuscito a-” lo incalzò lei, ma il Maestro non le dette il tempo di porre la domanda per intero.

“Nostra madre è stata scelta dal Cristallo per proteggere la città. Questo è quello che ricordi: la Luce l’ha presa e portata via ma… io ero la sua prima scelta.” Perbias alluse ai mascheroni dei Re che fluttuavano sospesi sopra di loro “A quanto pare, il diamantone lassù ha un debole per i sangue blu.” proseguì, intrecciando le dita sul torace. “Aveva preso me, ma la regina cercò di salvarmi. Immagino sapesse che fosse inutile tentare, ma provò comunque, senza successo.”

Kida si morse il labbro inferiore, cercando di immaginare che cosa dovesse aver provato sua madre nel vedere il proprio figlio venir catturato da una forza mistica e spaventosa. “Avrebbe fatto lo stesso per me.” mormorò, tornando a fissare il Cristallo la cui presenza aveva improvvisamente assunto connotati ben più sinistri. “Ma se non è stata lei, allora chi è stato? Nostro padre?”

“No. Diciamo che…” Perbias chiuse il suo unico occhio, stremato da quell’intenso viaggio nei propri ricordi perduti “...che è stata l’Oscurità a salvarmi dalla tirannia della Luce.”

“E’ qui che ti sbagli, straniero.”

La voce roca di Re Kashekim li fece sobbalzare entrambi. L’anziano monarca fece il suo ingresso nella camera del Cristallo, puntellandosi faticosamente sul bastone con una mano e brandendo un Keyblade luminoso nell’altra. Era solo, o come minimo aveva ordinato alle sue guardie di attendere nella sala adiacente.

“Padre…” tentò di intervenire Kida ma l’uomo la mise a tacere con un gesto imperioso.

“L’Oscurità non ti ha ‘salvato’. Ti ha usato. Si è nascosta dentro di te per sopravvivere all’epurazione, facendo di te la sua arca per raggiungere un futuro lontano dove avrebbe potuto attecchire di nuovo, indisturbata.”

Perbias si tirò su a sedere sulla sabbia umida. Teneva le labbra serrate, lo sguardo fisso contro gli occhi velati del Re.

“Immagino abbiate ragione.” fu costretto ad ammettere, mentre con fare forzatamente noncurante ripuliva l’Occhio che Scruta sul dorso della manica per poi ricacciarlo al suo posto con un ‘plop’ disgustoso che mandò un brivido lungo la schiena di Kida. “E in ogni caso, le sue intenzioni di allora non hanno più importanza. Ora è una minaccia e la mia domanda rimane la stessa, Re Kashekim: come la fermo?”

L’uomo serrò le dita nodose sull’impugnatura cesellata della chiave di Cristallo. “Come avresti fatto millenni fa se l’Oscurità non avesse interferito. Come ha fatto mia moglie, prendendo il tuo posto.”

“Devo immolarmi per la causa, dunque. Afferrato il concetto.” Concluse Perbias balzando in piedi.

“Non funzionerà, l'Oscurità ha lasciato il suo marchio su di te. Ho riconosciuto il suo fetore nel momento stesso in cui ti sei presentato nella sala del trono. Il Cuore di Atlantide ti ha rifiutato già una volta e lo farà ancora. ” lo redarguì il Re facendo un esitante passo avanti.

“Poco male, non ho alcuna intenzione di gettare via la mia vita. Ma se esiste un altro modo, lo troverò...” Il Maestro indugiò con lo sguardo in direzione di Kida e la guerriera intuì immediatamente a che cosa stesse alludendo. Se lui non era più adeguato a compiere quel sacrificio, l’altra candidata non poteva che essere lei, la secondogenita. Quella consapevolezza arrivò improvvisa e raggelante come una folata di vento. Perbias stava forse insinuando che LEI avrebbe dovuto rinunciare alla sua vita?

Avvedutosi del suo sgomento, un sorriso sornione lampeggiò sul volto del Maestro mentre s’affrettava a rassicurarla “...e farò sì che nessuno debba sacrificarsi al posto mio.”

“Non esiste un altro modo.” lo freddò aspramente il Re “E anche se ci fosse, non posso correre un tale rischio. Non metterò a repentaglio la vita di mia figlia in cambio della remota possibilità di successo offerta da qualcuno che è stato toccato così profondamente dall’Oscurità. Anche se essa non ha più alcuna influenza su di te, cosa che dubito fortemente, le tue buone intenzioni si sgretoleranno una volta che ti renderai conto contro cosa stai combattendo. E allora ripiegherai sull’unica soluzione possibile.” L’uomo sollevò minacciosamente il Keyblade, la voce roca pregna di collera e frustrazione. “E non posso permettertelo, questo mondo ha già sofferto abbastanza. La mia famiglia ha già sofferto abbastanza.”

Perbias non se la sentiva di biasimarlo. I suoi timori e le sue paranoie erano più che giustificate e in fin dei conti, lui non era altro che un estraneo apparso dal nulla per riportare in superficie una minaccia che il Re credeva sepolta per sempre.

Anche Kida, solitamente così rapida ed istintiva nel controbattere, esitò, improvvisamente consapevole che Re Kashekim stava anteponendo la salvezza del mondo intero alla sua incolumità. Pur di non perderla, pur di non esporla nuovamente al pericolo, aveva lasciato che l’intera città sprofondasse non solo negli abissi, ma anche nelle nebbie del mito. In quel momento stava persino rinnegando il suo stesso primogenito, il cui ritorno avrebbe dovuto riempire di gioia e speranza il cuore del vecchio Re, pur di tenerla al sicuro.

“E voi, invece? Non siete anche voi un potenziale agnello sacrificale?” lo prese in contropiede Perbias, allargando teatralmente le braccia “Un buon re si sacrificherebbe senza indugio per il bene del suo popolo e della sua stirpe… O forse siete così inquietato dalla mia liaison con l’Oscurità perchè riconoscete qualcosa di voi stesso in me? Non vi sto giudicando… in verità mi sono sempre chiesto da chi ho preso.”

Re Kashekim sembrò rattrappirsi sotto il peso di quell’accusa e a quella vista il Maestro seppe di aver fatto centro. Probabilmente, il sovrano aveva già tentato di offrire sé stesso alla Luce per risparmiare alla figlia quel destino crudele, ma Kingdom Hearts l’aveva rifiutato più e più volte, convincendolo che tenere nascosto il Cristallo e i suoi segreti fosse l’unica soluzione.

“Smettetela adesso, tutti e due!” Strillò Kida, raggiungendo il padre e stringendoglisi al fianco per confortarlo mentre scoccava a Perbias un’occhiata di rimprovero. “E’ del mio destino che state parlando. Non pensate che dovrei avere voce in capitolo?”

“No se questo significa che deciderai di buttar via la tua vita! Ti conosco, figlia mia, e so che non esiteresti un solo istante-” protestò Kashekim, ma Kida lo interruppe di nuovo.

“Sarebbe una mia decisione, padre. Ne ho il diritto-”

“E io ho il diritto di chiedervi di darmi una possibilità.” S’intromise a sua volta il Maestro, scrollandosi via la sabbia dai capelli blu notte mentre faceva un passo avanti. “Sono più sveglio di quanto sembro, potrei davvero riuscire a trovare una soluzione. Quel che Vostra Maestà ha detto riguardo all’Oscurità è vero, ma forse possiamo sfruttare questa cosa a nostro vantaggio. L’ho temuta così a lungo, respingendola, cercando di soffocarla. Ma adesso la capisco, almeno un pò.”

Il sovrano di Atlantide scosse gravemente il capo “Ti stai illudendo. Non c’è niente da capire, l’Oscurità è implacabile e astuta.”

Perbias ridacchiò. “Ed è esattamente per questo che siamo fatti l’uno per l’altra. Perché anch'io sono implacabile ed astuto.”

Prima che Kida o Re Kashekim potessero controbattere a quell’affermazione inaspettata e dal suono incredibilmente sincero, il Maestro proseguì col suo tono giocoso “Capisco che siate deluso, padre. Immagino che i vostri progetti per me non includessero millenni di kindergarden nel Reame dell’Oscurità, un’adolescenza complicata sotto la tutela di una strega e una vita da scapolo con sei figli a carico ma… eccomi qui. Tutto sommato sono venuto su piuttosto bene. E se c’è una cosa che davvero non mi manca è l’iniziativa. Sono un uomo pieno di risorse e se vi dico che troverò un modo per rispedire l’Oscurità da dove è venuta, potete star certi che ci riuscirò.”

Kida sentì il Re irrigidirsi al suo fianco. Era chiaro che il sarcasmo e le parole melliflue del Maestro non fossero quel che Kashekim avrebbe voluto sentire in quel momento. “Mio figlio è morto ottomila anni fa.” sillabò a denti stretti.

Perbias abbassò lo sguardo, celando un sorriso indecifrabile “Le mie condoglianze.” mormorò con quello che la Principessa di Atlantide interpretò come un inappropriato sospiro di sollievo che fu però troncato a metà da un gemito di dolore.

Perbias si piegò in due, le mani strette al petto come se una lancia invisibile l’avesse appena colpito dritto al cuore e scivolò in ginocchio sulla battigia, le tempie che gli pulsavano mentre la fitta al torace a poco a poco s’attenuava, permettendogli di tornare a respirare. Kida gli fu di nuovo al fianco in un baleno, sorreggendolo per le spalle e cercando di capire che cosa gli fosse preso. Erano forse i postumi della sua visione del passato? O l’effetto che esercitava su di lui la vicinanza del Cristallo?

“Allontanati da lui, Kida!” gridò il sovrano, ma la giovane donna lo ignorò.

Perbias chiuse gli occhi e sondò il suo cuore con la mente alla ricerca della causa di quell’improvviso senso di vertigine e debolezza. Non occorse scavare molto a fondo per scoprire che cosa c’era che non andava.

La connessione che aveva stretto anni prima col cuore di Luxu s’era interrotta. Il filo che li legava l’uno all’altro era stato reciso completamente e per un lungo e terrificante istante Perbias si sentì sprofondare.

“Luxu…!” boccheggiò, barcollando faticosamente per rimettersi in piedi.

Doveva essere successo qualcosa alla Torre Meccanica… forse Luxu era ferito...! O peggio…!

Oppure…

Kida lo afferrò per le spalle “Perbias, che cosa succede?!”

“I miei apprendisti… è successo loro qualcosa...” proseguì lui nel suo vaneggiamento, allontanando le sue mani “Devo andare-”

“Vengo con te.” affermò lei con decisione “Sono in pericolo?”

“Kida, te lo proibisco!” ruggì Re Kashekim, stavolta con tale furia da far lampeggiare d’azzurro il cristallo del suo antico Keyblade. Nonostante l’aria gracile, il sovrano di Atlantide comandava ancora un incredibile senso d’autorità e Perbias non aveva dubbi che fosse ancora in grado di combattere perchè percepiva il suo immenso potere magico anche da quella distanza. In altre circostanze, il Maestro l’avrebbe persino istigato solo ed esclusivamente per saziare la propria curiosità di vedere un altro Signore del Keyblade in azione.

Invece di farlo però, Perbias si rivolse gentilmente alla sorella “Il Re ha ragione. Resta qui.”

“Non se ne parla!” tentò di protestare lei ma lo straniero le rivolse uno dei suoi sorrisi storti, visibilmente provato da quell’improvviso dolore al petto ma grato che la giovane donna volesse restargli a fianco anche se erano poco più che due sconosciuti.

“Non stavolta, Kida. Ma ti ho dato la mia parola.” Perbias si smaterializzò sotto lo sguardo attonito dell’Atlantidea per riapparire all’altro lato della camera del Cristallo, mettendo lo specchio d’acqua scura tra di loro così che la ragazza non potesse raggiungerlo e seguirlo attraverso il Corridoio di Luce che aveva appena aperto “E se quel che dice paparino è vero, allora beh, vorrà dire che sarà il tuo fratello morto a portarti a fare un giro per i Mondi. Un pò macabro ma eccitante, non pensi?” Il Maestro abbassò il cappuccio sugli occhi, tirandosi la cerniera della Cappa fin sotto il naso, oscurando completamente il viso alla vista. “Ma prima devo assicurarmi che i miei apprendisti siano ancora tutti interi!”
 

 
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Ciao a tutti! Col prossimo update di UX all'orizzonte spero di poter tornare ai capitoli di Skuld e Xigbar il prima possibile... nel frattempo ecco la conclusione della -prima :P- parte legata al passato del Maestro e ad Atlantide. Ovviamente sono successe un sacco di cose e Perbias dovrà fare i conti con molti cambiamenti da ora in poi ma soprattutto avrà un pò di spiegazioni da dare al povero Luxu!
Come al solito ringrazio tutti i lettori per le recensioni e la costanza con cui mi seguite, siete il principale motivo per cui questa storia continua ad andare avanti da più di un anno :D
Buona quarantena fase 2 a tutti e a presto!
- Calia

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Capitolo 45
*** χ Heartaches ***


Nota: Salve a tutti, sono passati secoli! Speravo che KHUX avrebbe aggiornato in tempi umani e che fossimo molto più vicini alla conclusione ma chiaramente mi sbagliavo così ho riarrangiato questo capitolo per procedere un pochetto. Sennó sapete che noia se dobbiamo aspettare Nomura! Buona lettura!

Riprendiamo la storia di Skuld dal capitolo 41, CHAIN OF MEMORIES. Ecco un riassuntino per rinfrescarvi la memoria se non avete voglia di tornare indietro a rileggerlo: siamo a New Orleans durante il party in maschera organizzato dalla famiglia LaBouff per accogliere in città il Principe Naveen. Mentre Tiana, Charlotte e Stella/Skuld sono alle prese con la festa, Luxu ed Ava si incontrano per la prima volta dopo quasi ottocento anni.

La rimpatriata è però interrotta dal loro incappare nei piani malvagi del Dottor Facilier. I due antichi Maestri confrontano lo stregone costringendolo ad una temporanea ritirata ma non prima di richiamare in suo soccorso un esercito di Heartless dai quali Skuld protegge Charlottte, rivelando però così i suoi poteri ed identità all'amica.
Temendo che l’Organizzazione possa localizzare Skuld tracciando il flusso di cuori liberati dal suo Keyblade, Luxu porta via la ragazza attraverso un portale oscuro, mettendola al sicuro nella sua Gummiship al momento nascosta in un remoto angolo dell’Oceano di Oscurità che separa i mondi. Qui, Skuld ha un breve flashback riguardante Ventus.

°°°

χ HEARTACHES χ

Alone in the night you whisper
Thinking no one can hear you at all
You wake with the morning sunlight
To find fortune that is smiling on you
Don't let your heart be filled with sorrow
For all you know tomorrow
The dream that you wish will come true

[A Wish is a Dream your Heart Makes - Cinderella]

Skuld non sapeva dire quando si fosse addormentata, ma era certa di stare sognando.

Per un lasso di tempo indefinibile aveva fluttuato nel buio più assoluto, scendendo lentamente ma inesorabilmente verso il fondo di quell’abisso curiosamente tiepido e melodioso.

Tutt’intorno a lei echeggiava un coro di voci incorporee intente a cantilenare una dolce canzone che la ragazza sentiva di conoscere da sempre. Era rassicurante come una ninnananna e sembrava provenire dritta dalle profondità del suo cuore.

Chissà, forse era proprio lì che si trovava. Del resto, aveva visitato già una volta la Stazione del Risveglio… era così che si chiamava, no? Vaghe memorie delle lezioni teoriche della Maestra Invi le riaffioravano alla mente in quel momento e con esse le complicate nozioni sulla natura stessa del Cuore che la donna mascherata le aveva impartito con la sua voce chiara e rigorosa.

Quando le sue scarpe col tacco toccarono finalmente terra, la ragazza trasse un lungo sospiro e si decise ad aprire gli occhi che aveva socchiuso durante la caduta.

Proprio come immaginava, era atterrata su un magnifico rosone di vetro che sormontava un pilastro immerso nelle tenebre.

Ebbe appena il tempo di compiere un esitante passo in avanti che uno schermo si materializzò sospeso di fronte a lei, riscuotendola dal suo stato di semi-catatonia con il suo aspetto moderno e digitale a confronto con la vetrata gotica. La proiezione sfrigolò per un istante come avrebbe fatto un vecchio televisore e subito dopo mostrò una barra di caricamento che andava rapidamente riempendosi.

5%...

10%....

Skuld sbatté le palpebre, cercando di leggere i nomi dei programmi che venivano inizializzati uno dopo l’altro ma il caricamento avveniva così rapidamente che riuscì a distinguere soltanto quelli che si trattenevano sullo schermo più a lungo degli altri, probabilmente per via della maggiore mole di dati in essi contenuti:

BoP.exe

verumrex.exe

material.mainTexture

Loading CastleofDreams 2.0...

Soltanto quest’ultimo aveva per lei un briciolo di senso. Era il nome di uno dei tanti mondi che aveva visitato in compagnia di Ephemer e gli altri Denti di Leone attraverso i portali evocati dal Libro delle Profezie. Un reame incantato popolato di topolini industriosi e crudeli matrigne.

Già… il Libro delle Profezie! Come aveva fatto a dimenticarlo? Quante volte l’aveva visto tra le mani della Maestra Invi con la sua copertina azzurra e vellutata?

Quante volte lei e gli altri leader delle Unioni si erano chinati sulla copia posseduta da Brain…?

Ma certo, era proprio di questo che il ragazzo dal cappello piumato voleva parlare con Ventus. Brain lo aveva fatto chiamare sulla cima della collina per condividere con lui una scoperta tutt’altro che lieta, qualcosa che aveva scosso profondamente il giovane Ventus e lasciato lei ed Ephemer impietriti ed incerti sul da farsi… ma di cosa si trattava esattamente? Cos’è che Brain aveva letto nel Libro e che li aveva allarmati tutti così tanto? Perché non riusciva a ricordarlo?! Maledizione!

Preda della frustrazione, Skuld riportò l’attenzione sullo schermo nell’esatto momento in cui la barra raggiunse il 100% per venir immediatamente sostituita da un logo scintillante prima che l’intera Stazione del Risveglio fosse inglobata in un flash di luce bianca.

Reticoli di poligoni e stringhe di codici numerici lampeggiarono tutt’intorno a lei per un breve istante prima di venir sostituiti da un’accuratissima riproduzione della sala da ballo del castello del Principe Azzurro, con le sue imponenti colonne di marmo rosa e il pavimento lucidato a specchio. Anche gli abiti che la ragazza aveva indosso si trasfigurarono, le paillettes del tubino nero da charleston che lasciavano posto ad un vaporoso abito a balze che non avrebbe sfigurato nell'armadio di Charlotte.

La sala, solitamente animata dal chiacchiericcio degli invitati e dalla servitù indaffarata, era in quel momento completamente deserta e Skuld si guardò attorno con apprensione, sentendosi immensamente a disagio in quello scenario così desolato.

La custode del Keyblade si voltò di scatto con Luce Stellare stretta in pugno nell'udire un’eco di passi alle sue spalle. Era pronta a colpire, ma quel che vide placò all'istante i suoi istinti bellicosi.

Il nuovo arrivato era ormai a poca distanza da lei, vestito di bianco da capo a piedi. Teneva le dita intrecciate dietro la schiena e si dondolava sui tacchi come avrebbe fatto un bambino vivace che proprio non riesce a stare fermo nemmeno quando le circostanze lo richiedono.

Lei… conosceva quell'uomo.

“Oh, bentornata. Ne è passato di tempo.” la accolse lui, sorridendo allegramente.

Il lampeggiare della sua dentatura affilata fugò qualsivoglia dubbio la ragazza potesse avere. Un sorriso come quello, così ampio da sembrare sul punto di sbranarti come quello del Lupo Cattivo delle fiabe, non era qualcosa che si dimenticava facilmente e lei lo aveva già visto in tanti altri sogni identici a quello. Lo aveva persino menzionato nel suo diario...

L'altro uomo con un occhio solo.

Avrebbe dimenticato anche quell'incontro al suo risveglio? Quante altre volte s’era ripetuto quello strano siparietto?

"Io… mi ricordo di te. Ma non ti conosco." Ammise, sentendosi infinitamente stupida nel pronunciare quelle parole.

“Non preoccuparti. E’ difficile andare e venire dal Reame della Luce fin qui alla Stazione del Risveglio e non dimenticarsi di me. Lascia che mi presenti ancora una volta: sono l'Interfaccia Utente del Libro delle Profezie. Al tuo servizio."

"Il Libro delle Profezie...?" gli fece eco lei, completamente colta alla sprovvista da una risposta così inaspettata. Un'interfaccia? Che diamine voleva dire?!

L'uomo non fece una piega "Il Libro delle Profezie i cui dati sono conservati nel database del tuo Cuore. Io stesso sono parte di quei dati."

Skuld lo fissò con aria allucinata senza riuscire a spiccicare parola. Sentiva la gola terribilmente secca.

"E sono anche il loro creatore, o più precisamente, sono stato programmato da lui per mostrarmi con il suo aspetto ai Creativi come te."

Skuld sbatté le palpebre. Tra i suoi ricordi v’erano alcune nozioni sul funzionamento del datascape e anche senza comprenderne le minuzie, quel che sapeva le fu sufficiente per intuire di cosa accidenti stesse parlando. "La persona che ti ha programmato… è il Maestro di Braig, non é così? Hai le sembianze di Perbias."

"Bingo!" annuì lui visibilmente soddisfatto. "E non solo quelle. Io e lui condividiamo molte cose. Non per vantarmi, ma posso simulare la sua personalità e reazioni con un'accuratezza dell'85%."

Skuld lo osservò attentamente. Il suo viso era aguzzo e arcigno come quello di un goblin, completo di naso adunco e labbra larghe e screpolate. Decisamente non il tipo di volto che ben si sposava con la livrea bianca e mantello rosso e oro da principe delle fiabe che indossava.

Aveva la carnagione olivastra, le orecchie grandi e curiosamente aguzze come quelle di Braig, e proprio come lui portava una spessa toppa di stoffa su un occhio, oscurandolo completamente alla vista. L’altro occhio, che Skuld notò essere opposto rispetto a quello ancora funzionante di Braig come se i due fossero l'uno il riflesso capovolto dell'altro, era blu come il mare e orlato di folte ciglia scure.

“E tu sei Skuld...” continuò l'Interfaccia, tendendole la mano guantata di velluto come per invitarla a danzare e distogliendo la ragazza dall'attento studio dei suoi lineamenti. “...la Skjaldmær allieva del fedele Freischütz.”

Lei tentennò, chiedendosi se le parole che aveva appena udito fossero in un’altra lingua o se lui le avesse inventate di sana pianta, magari interpretando male una stringa di codice corrotta. "Cos'è che sarei, scusa?"

"Sei tante cose e una più grande dell’altra! Sei la valchiria che ha raccolto i valorosi sul campo di battaglia della Guerra dei Keyblade, la custode del Futuro e, per riflesso, la mia custode. Ma sei anche la Principessa Stella nel mondo del Vero Re e la reginetta del ballo qui tra le pagine del Libro delle Profezie. Sei importante, ragazza mia, più di quanto immagini."

Lei abbassò lo sguardo sull’ampio abito a balze che s’era ritrovata addosso quando lo scenario era cambiato. Nonostante non fosse nel suo stile, doveva ammettere che la stoffa fosse davvero bella, di un cangiante color vino e venata di ricami floreali così sottili da essere quasi impercettibili. Sembrava davvero il vestito incantato creato da una fata. Era difficile credere che si trattasse soltanto di un mucchio di dati.

“Sarò anche tutte queste cose, ma di certo non sono una principessa.” commentò, cercando di barcamenarsi in quella valanga di informazioni che 'Data-Perbias' le aveva appena sbattuto in faccia senza troppe cerimonie.

“Non tutti i reali nascono con la corona sul capo, sai? Prendi la tua amica Tiana, lei il titolo se lo guadagnerà sposando un principe, non certo perché la sua famiglia ha origini nobili.” continuò lui flemmatico, ignorando il fatto che quella della ragazza fosse stata più che altro un'affermazione retorica.

La reazione di Skuld però fu tutt’altro che flemmatica nel sentir tirare in ballo l’amica che era stata costretta ad abbandonare nel momento del bisogno “Aspetta un po’, come sarebbe a dire che Tiana sposerà un principe? Stai forse parlando di-”

“Del Principe Ranocchio, naturalmente.” La interruppe l'altro “Oh, scusa! Dimenticavo che Braig ti ha portata via prima che tu potessi scoprire del maleficio che ha colpito il povero Principe Naveen…”

“Stai dicendo che mentre io sono qui rinchiusa in una scatoletta di latta dall’altra parte dell’universo la mia migliore amica sta avendo a che fare con un maleficio? E’ questo che ha architettato l’Uomo-Ombra?!” lo incalzò lei, ignorando la sua mano ancora tesa.

“Proprio così, ma non preoccuparti per lei. Braig si occuperà di tutto… oh cielo, perdonami per tutti questi spoiler! Mi sono un tantinello lasciato andare ma sai, era così tanto tempo che non avevo occasione di spifferare a qualcuno un pò delle mie conoscenze del Futuro. Beh, le conoscenze del mio Creatore. E’ eccitante.”

“Hai accesso alle visioni del Futuro del Maestro?” indagò Skuld.

Il suo sorriso si distese con fare comprensivo “Io sono quelle visioni. Sono il Futuro trascritto dal mio Creatore sotto forma di Dati. Per questo sono stato affidato a te durante la tua permanenza nel datascape. Il Libro e i suoi contenuti dovevano essere preservati.”

Skuld si morse il labbro inferiore “Mi ricordo l’Auropoli fatta di Dati. All’inizio non c’eravamo nemmeno resi conto di non essere più in quella vera.”

“Esattamente. La differenza tra adesso e allora è che quando tu e gli altri quattro leader siete stati trasferiti nell’Auropoli digitale anche il vostro corpo è stato convertito in Dati. Voi eravate sempre voi, non so se mi spiego. Mentre io e te in questo momento siamo copie. Là fuori c’è il vero Perbias, fatto di carne e ossa, esattamente come in questo momento la vera te sta dormendo nella stiva della navicella.”

“Tutto questo per dirmi che è come se stessimo chattando in un gioco online attraverso due avatar?”

“Non esattamente, io non sono manovrato da lui in questo momento. Il Maestro non è… raggiungibile.” l’Interfaccia Utente sospirò tristemente, palesando quanto sentisse la mancanza del proprio creatore. “Non lo è da molto tempo, ormai. Ma come dicevo, posso dare il via ad una simulazione e rispondere alle tue domande come se fossi lui. Entro i limiti della mia programmazione, s’intende.”

Skuld si passò una mano sul viso, esasperata "Renderebbe il tutto un tantinello più naturale di così. Per cortesia."

"Farò del mio meglio. Qual'è la tua prima domanda?"

“Perché dev’essere sempre tutto così complicato?”

“Perchè se fosse facile potrebbe farlo chiunque.” l’uomo si strinse nelle spalle con falsa modestia.

Lei sollevò le sopracciglia “Fare cosa?”

“Salvare il mondo, naturalmente.”

“Oh, dunque è questo che vuoi fare? L'obiettivo del grande piano in cui hai coinvolto così tante persone contro la loro volontà?”

Data-Perbias continuò a tenere tesa la mano, nonostante la ragazza in rosso lo avesse appena incenerito con lo sguardo. “Non mi aspetto che tu capisca. Se viaggiassi indietro nel tempo e incontrassi il me stesso dell’Era delle Fiabe nemmeno lui capirebbe.” Il fatto che il suo interlocutore avesse cominciato a parlare in prima persona come se fosse veramente il Maestro era un poco straniante. La sua intera postura sembrava essere cambiata, così come il tono della sua voce.

“E non hai alcuna intenzione di aiutarmi a comprendere, non è così?”

“Sei testarda. Niente che io possa dirti ti persuaderebbe perciò no, non ne ho intenzione.”

Skuld si morse il labbro inferiore “Non so se sia un complimento o un insulto ma-”

“Un complimento, senza alcun ombra di dubbio. Perdersi in futili discussioni sarebbe uno spreco di tempo per entrambi e ci sono cose più importanti di cui dobbiamo parlare. Perciò, mi concedi l’onore di questo ballo?”

Skuld lo squadrò di sotto in su con aria di sufficienza “Perché dovrei?”

“Perchè ogni lasciata è persa! E poi siamo tutti agghindati per l’occasione in questa bella sala, quindi perchè non approfittarne?” ribatté lui rivolgendole uno sguardo comicamente supplichevole.

“Lo dici come se non fossi stato tu ad architettare tutto questo. Scommetto che hai scelto persino questo vestito.”

“Che c’è, non ti piace? Personalmente trovo che sia molto grazioso.” rispose Data-Perbias come se le parole della ragazza l’avessero ferito profondamente.

Lei sollevò la mano guantata di velluto con esitazione “Non dovrei fidarmi di te, ma....”

“Ma?” soffiò furbescamente l’altro, continuando a mutare atteggiamento in quella sua gran pantomima. Era chiaro che si stesse divertendo un mondo a giocare con lei.

“Ma il mio Cuore-” mormorò Skuld interrompendo il contatto visivo col suo unico e penetrante occhio azzurro.

“-è la tua Chiave Guida, non è così?”

Il volto di lei si fece serissimo, le labbra velate di rossetto ridotte ad una linea sottile “L’hai inventato tu questo motto non è vero? L’hai insegnato ai Veggenti e loro a noi.”

“Già, un piccolo regalo da parte mia.”

“Ma è davvero un regalo o qualcosa che ci hai ficcato in testa per manipolarci tutti quanti?” continuò ad incalzarlo lei, decisa a vederci chiaro.

“Sono solo una manciata di parole e da sole non hanno né potere né significato se non gliene assegni uno. Ognuno le interpreta in modo diverso, ed è questo il punto. Io voglio che le persone pensino con la loro testa. Perciò dimmi, che cosa significano per te?”

Lo sguardo di Skuld si rabbuiò mentre tornava con la mente ai suoi giorni come cavia di laboratorio, ai suoi giorni come Soggetto X.

A quel tempo quelle parole erano tutto ciò che aveva, la sola ancora di salvezza in mezzo al niente che minacciava di inghiottirla.

All’improvviso sentì le lacrime bagnarle le guance e s’affrettò ad asciugarle preda della frustrazione. “Per me sono state tutto.”

All'ombra delle sopracciglia folte, l’occhio azzurro del suo interlocutore era grande e placido come uno stagno e in quel momento il suo sguardo sembrò a Skuld il più dolce e paterno che avesse mai visto.

Accidenti, ma che diamine andava a pensare?! Era sicuramente una trappola, una montatura... come faceva quel tipo ad essere così sinistro, losco ed incredibilmente puro al tempo stesso?! Perché il buon senso che avrebbe dovuto metterla in guardia nei suoi confronti restava muto? Perché diamine il suo Cuore le stava dicendo di fidarsi di lui?

Abbandonandosi ad un sospiro rassegnato, la ragazza prese la mano che il Maestro le stava porgendo e si trovò immediatamente tirata al suo fianco mentre prendevano a volteggiare per l’enorme sala deserta mentre una dolce musica prendeva a risuonare tra le alte colonne di marmo rosa.

Lui era incredibilmente alto, con le spalle larghe drappeggiate dal mantello rosso carminio e Skuld si sentiva poco più che una bambolina di carta tra le sue braccia. Una foglia solitaria in balia del vento e della tempesta... ma con sua enorme sorpresa, si scoprì ad essere anche quella incaricata di guidare la danza.

Bastarono pochi passi scoordinati a farle capire che, per quanto bravo ad improvvisare, il Maestro non sapesse ballare. O come minimo stesse fingendo di non saperlo fare.

Quel che a Perbias mancava in coordinazione era però più che compensato dal suo entusiasmo e nel giro di poco Skuld si trovò a ridere con lui, piuttosto che di lui e della sua goffaggine. E cominciò a capire come persino qualcuno come Braig potesse nutrire per lui una così grande ammirazione. C’era qualcosa di magnetico nel Maestro a cui era davvero difficile resistere.

“Allora dimmi.... è vero che sei onniscente?” gli chiese senza troppi giri di parole, sentendosi improvvisamente e completamente a suo agio al suo fianco.

Perbias per poco non inciampò nelle sue stesse scarpe “Dritta al punto, eh?”

“Hai detto che ogni lasciata è persa.”

“Molto bene, e Carpe Diem sia. La risposta è no. Non sono onniscente, ma so abbastanza per dare l’impressione di esserlo, specialmente se combino le informazioni a mia disposizione con il mio innato carisma.”

Skuld sbuffò. "Quindi che cosa sai di quel che succederà a New Orleans?”

“Come dicevo, la tua amica Tiana sposerà il principe Naveen.”

“Non ci credo. Non è il suo tipo!”

“Magari quel dongiovanni dal sorriso incredibilmente fotogenico potrebbe sorprenderla. Forse non è soltanto un rampollo viziato e superficiale. Magari è un grande lavoratore, proprio come la cara Tiana. Prendi me, ad esempio. Di sangue Blu che più Blu non si può eppure mi spacco la schiena a lavorare dietro le quinte da millenni.”

“Tu, un principe?”

Perbias inarcò un sopracciglio, visibilmente ferito dal suo scetticismo “Che c’è, il completino immacolato non mi dona?”

“Pensavo fosse un… costume. Sai, per fare pendant con lo scenario.”

“Mettiamola così, se indossassi la veste regale storicamente accurata al mio mondo di origine sarei molto meno agghindato e coperto di così. Il clima mediterraneo, sai com’è...”

Alla ragazza occorsero alcuni secondi per processare quel che aveva detto. “Non vieni da Auropoli?”

“Sarebbe troppo semplice, non ti pare?”

“...immagino di sì.”

“In ogni caso, la tua amica se la caverà. E avrà il ristorante che ha sempre voluto. Oh, e un alligatore. Come ho fatto a dimenticarmi dell’alligatore?!”

L’espressione di Skuld virò dal confuso al divertito “Sei proprio matto.”

“I mondi sono matti, ragazza mia! Il fato lo è. Succedono cose folli come questa ogni santo giorno. Prossima domanda?”

“Sei umano?"

“Oh, andiamo sui quesiti esistenziali! Mi piace. Beh, sono un Qualcuno, se è questo che mi stai chiedendo. Anche se... forse non del tutto. Non più." Una punta di mestizia s’insinuò nella sua voce altrimenti squillante e chiara.

“Cosa intendi?”

“Il mio cuore si è rotto, più e più volte. Mi sono perso alcuni pezzi per strada e questo, ahimè, può cambiare una persona. E per sostituire quei pezzi, ne ho presi altri non miei.”

“Rotto? Com’è possibile? Come fai ad essere ancora vivo?” Skuld lo fissò scettica. Sapeva che i cuori non sparivano quando l’Oscurità s’impossessava di loro. Essi abbandonavano il corpo originale per mutarsi nelle creature d’ombra chiamate Heartless… ma anche in quel caso, restavano integri, intrappolati all’interno di una nuova forma. Un cuore rotto, invece, era tutta un’altra storia.

“In larga parte grazie a te. E al buon Luxu, ovviamente.” rispose lui facendola piroettare per poi attirarla di nuovo al suo fianco, la mano guantata a cingerle la vita. Per tutta risposta, la ragazza piantò i piedi a terra interrompendo la danza così bruscamente che il Maestro per poco non le andò a sbattere contro.

“Hey, tutto bene?”

Luxu…” Skuld si portò una mano alla tempia, stringendo i denti mentre si sforzava di focalizzarsi su un ricordo che continuava a sfuggirle “...chi è Luxu?

Perbias inclinò la testa con un movimento quasi serpentino “Guarda più a fondo. Conosci già la risposta. Concentrati.”

Lei chiuse gli occhi e Data-Perbias indietreggiò d'un passo, lasciandola sola col battito del suo cuore e le sue memorie confuse. Dopo pochi secondi però, Skuld aggrottò le sopracciglia “Perché non puoi semplicemente dirmelo invece di farmi fare tutta questa fatica?”

L’altro sbuffò “Ah, i giovani d’oggi. Vogliono sempre tutto servito su un piatto d’argento!”

“Oh e va bene, d’accordo.” cedette lei, lasciandosi di nuovo scivolare nel passato.

Luxu… perché quel nome le era così familiare?

°°°

Il ricordo ricominciò esattamente da dove si era interrotto. Auropoli, o meglio la sua copia digitale, s'estendeva davanti a lei ai piedi della collina verdeggiante dove Brain aveva fatto chiamare Ventus.

Nel sentirli arrivare, Ephemer si voltò, la lunga sciarpa rossa che ondeggiava dolcemente al vento. Immediatamente, il suo sguardo corrucciato fece intendere a Skuld che qualsiasi cosa Brain avesse da riferire non fosse niente di buono.

Persino la neve aveva smesso di cadere, quasi a voler ricordare a tutti loro che no, non era finita. Non avevano il tempo di fermarsi a giocare e ad essere di nuovo dei normali ragazzini.

L’Oscurità incombeva, ma Ventus non se ne rendeva minimamente conto.

Corse incontro agli amici, seguendo i passi saltellanti del Chirithy di Brain mentre questo tornava tra le braccia del proprio padrone.

"Hey ragazzi! Che succede?" chiese il biondo sorridendo mentre anche Skuld lo raggiungeva senza dire una parola. "Avete visto? Stava nevicando!"

Ephemer gettò uno sguardo in direzione del Divorasogni "Li hai portati tutti e due?"

Il Chirithy col cappello piumato fece spallucce "Non ho avuto molta scelta, la signorina ha insistito."

Skuld annuì severamente per rimarcare il concetto. "Immagino non abbiate chiamato Ventus qui per parlare del tempo. Cos'é tutta questa segretezza? E…" la ragazza si guardò attorno "Dov'è Lauriam?"

Ephemer fece un passo avanti e solo allora Skuld s'accorse che teneva in mano quel che sembrava a tutti gli effetti un innocuo pezzo di carta mentre Brain…

No, non era possibile!

La Skuld del passato si sorprese alla vista del Libro delle Profezie ma la sé stessa del futuro fu scossa da un violento sussulto. Eccolo là, azzurro e finemente rilegato proprio come un libro di fiabe… il Libro che un giorno avrebbe risieduto nel suo cuore sottoforma di datascape. Il luogo virtuale dove lei e l'Interfaccia con le sembianze del Maestro dei Maestri si trovavano in quel momento.

"Forse dovremo parlare con ognuno di loro separatamente." Suggerì Ephemer affiancando il ragazzo col cappello nero, ma quest'ultimo scosse la testa. "Ho delle domande per voi." Disse invece, rivolgendosi ad entrambi i nuovi arrivati. "Chi vi ha investito della carica di Leader delle Unioni?"

"La Maestra Ava." Rispose Skuld senza esitazione e Ventus le fece eco.

"Stessa cosa per me."

"E dove eravate quando é successo?"

La ragazza stirò le labbra con fare stizzito. "Che cos’è questo? Una specie d'interrogatorio? Ero proprio qui su questa collina se proprio ci tieni a saperlo. Che differenza fa?"

"Abbi un attimo di pazienza. Ci sto arrivando." La pregò Brain mettendo le mani avanti. "E tu, Ventus?"

"Io…" Ventus esitò "ero vicino alla Torre Meccanica."

Gli occhi grigi di Brain si ridussero a due fessure "Interessante."

Il ragazzino biondo si tirò indietro, quasi a volersi nascondere dietro Skuld "Siamo sospettati di qualcosa?"

"No." Lo rassicurò Ephemer immediatamente "Ma potreste essere rimasti coinvolti in qualcosa senza rendervene conto."

Brain sollevò il Libro delle Profezie "Vedete, la Maestra Ava lo ha affidato a me dicendomi di consultarlo solo quando l'avessi ritenuto necessario. E con la scomparsa della sorella di Lauriam e gli strani accadimenti degli ultimi tempi ho pensato che fosse giunto il momento di farlo."

Ephemer restituì al compagno il foglio di carta "Ed é stato a quel punto che Brain ha trovato al suo interno una nota scritta dal Maestro della Maestra Ava. Una lista con i nostri nomi, uno dei quali cerchiato in rosso per stabilire chi di noi dovesse ricevere il Libro delle Profezie."

Skuld sentì il terreno venirle a mancare sotto i piedi. Anche senza vedere la lista, sapeva che il nome marcato in rosso non poteva che essere il suo. Era stato quello il momento in cui il Maestro dei Maestri l'aveva messa sulla traiettoria spazio-temporale che l'avrebbe condotta a Giardino Radioso, poi a New Orleans e a diventare l'apprendista di Braig. Il che significava…

"Il mio nome non è quello cerchiato in rosso." Proseguì Brain aprendo il libro e sfogliandolo distrattamente "Lady Ava ha deciso di disobbedire agli ordini del suo mentore nel tentativo di modificare il contenuto del Libro stesso, affidandolo a me anziché alla persona designata. Ma questa non é l'unica differenza."

Il ragazzo moro spostò la sua attenzione su Ventus "Anche la lista dei cinque membri non combacia. Ma non credo che ciò sia opera di Lady Ava."

Ephemer sospirò amareggiato "Strelitzia, la sorella minore di Lauriam, doveva essere una dei cinque. Così noi Leader avremmo rispecchiato i Veggenti originali. Tre uomini: Ira, Gula e Aced per me, Brain e Lauriam… e due donne: Ava ed Invi per Skuld e Strelitzia."

Skuld sentì Ventus al suo fianco farsi ancora più piccolo ed impaurito. "Ma allora- il mio nome non-"

"Proprio così." L'espressione sul volto di Brain s'era fatta mesta e comprensiva "Non sei sulla lista, Ventus. Non so come, né perché, né per mano di chi, ma in qualche modo hai finito per prendere il posto della sorella di Lauriam."

Ventus fissò il compagno ad occhi sgranati senza sapere come raccapezzarsi in quella situazione.

"Ma non preoccuparti." Lo rassicuró Ephemer "Vi abbiamo fatto quelle domande perché volevamo capire se ne eri al corrente o meno. Prima ancora di chiamarti qui, Brain ed io avevamo stabilito che niente tra di noi sarebbe cambiato. Lista o meno, sei sempre un nostro compagno, Ventus, e abbiamo bisogno del tuo aiuto più di quello di ogni altro per risolvere questo mistero."


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Nota:

Visto che Nomura s’è dato alla mitologia, ho deciso di rimarcare anch’io la cosa ;)
Data-Perbias chiama Skuld
‘Skjaldmær’ che significa ‘fanciulla con scudo’ (Shieldmaiden) ossia le leggendarie donne guerriere della mitologia norrena, spesso associate alle Valchirie a seconda della fonte.
‘Freischütz’ è invece il ‘Franco Tiratore’ (Freeshooter in Inglese, il titolo di Xigbar all’interno dell’Organizzazione) del folklore germanico, un pistolero che fa un patto con il Diavolo in cambio di sette pallottole stregate che non mancano mai il bersaglio. E qui, non scordiamoci che ‘Diabolus’ ('l'accusatore, l'ingannatore, chi divide e semina discordia') è anche noto come Lucifero... il portatore di Luce ;P

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