Elsa's story

di Yanez76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La storia della buonanotte ***
Capitolo 2: *** Medaglia d'argento ***
Capitolo 3: *** Il Graal e la Svastica ***
Capitolo 4: *** Intrigo a Venezia ***
Capitolo 5: *** Fortuna et Gloria ***
Capitolo 6: *** The spy who loved me ***
Capitolo 7: *** Compleanno a sorpresa ***
Capitolo 8: *** Il cavaliere e la strega ***
Capitolo 9: *** Who wants to live forever? ***



Capitolo 1
*** La storia della buonanotte ***


Fuschlsee presso Salisburgo, 1917
 
La bambina si tuffò nelle limpide acque azzurrine del lago e, con una serie di bracciate eleganti e decise, raggiunse in breve una piattaforma galleggiante di legno, vi salì con sicurezza e si alzò in piedi con un sorriso di trionfo. La piccola si scostò dagli occhi una ciocca di capelli biondi e bagnati, poi guardò verso suo padre che la seguiva dalla riva con uno sguardo amorevole e pieno d’orgoglio e agitò la manina in segno di saluto.
“Hai visto papà?”, gridò.
“Sì, tesoro, sei bravissima!”
“Oh, Hans, non sarà pericoloso?”, chiese un po’ allarmata la madre della piccola, afferrando il braccio del marito.
“Ma dai, Lotte, non c’è alcun pericolo: Elsa nuota come un pesce. È una bambina molto coraggiosa e sa badare se stessa.”
“Stai sempre a darle corda tu; secondo me dovrebbe dedicarsi ad attività più consone ad una futura signorina…”
“Andiamo, Lotte, io non ci vedo proprio niente di sconveniente: anche la nostra povera imperatrice amava nuotare e fare sport.”
“Già, e guarda come è andata a finire: pugnalata da un anarchico a Ginevra. Lo dicevo io, se fosse rimasta a Vienna…”
“Sarebbe forse ancora viva; ma sarebbe sicuramente stata infelice. Uno spirito libero non sta bene in una gabbia, neppure in una gabbia dorata.”
Lotte sorrise al marito e scosse la testa, sospirando rassegnata.
“Certo che, con un padre come te, non c’è proprio da stupirsi che Elsa abbia tanti grilli per il capo. Pensa che mi ha detto che da grande vuole addirittura andare all’Università!”
“E fa benissimo! Io l’ho sempre detto che anche le ragazze dovrebbero studiare e istruirsi invece di sprecare tutto il loro tempo a occuparsi solo di acconciature, vestiti, feste e altre frivolezze.”
“A molti uomini non piacciono le donne che ne sanno più di loro… Se diventa una bas bleu, come farà a trovare un buon partito per sistemarsi?”
“Ma cara, siamo nel ventesimo secolo! Troverà qualcuno che sappia apprezzare la sua intelligenza e non solo il suo aspetto. E voglio che possa scegliere lei qualcuno che le piaccia veramente e non solo uno con cui sistemarsi, come dici tu.”
“Io vorrei solo vederla felice.”, sospirò Lotte.
“Lo sarà, se saprà restare fedele ai suoi sogni.”, rispose Hans abbracciando dolcemente sua moglie.
“Hans, sei proprio un inguaribile sognatore! Me lo aveva detto mio padre…”
“Già, ed è per questo che mi hai sposato, nonostante io a lui non andassi affatto a genio.”
Lotte sorrise, guardando amorevolmente il marito.
“Sì, e ti risposerei di nuovo mille volte. Ti amo, Hans.”
“Ti amo anch’io, Lotte.”
I due coniugi si scambiarono un bacio mentre la piccola Elsa aveva ormai riguadagnato la riva.
“Vieni qui tu, birbantella.”, le disse la mamma correndole incontro con un asciugamano, “Asciugati bene e cambiati, se no rischi di buscarti un raffreddore. Poi vieni a mangiare.”
La famigliola si sedette per il picnic attorno alla linda tovaglia a quadri bianchi e rossi stesa sul verde prato. La giornata era magnifica: il sole splendeva nel cielo, l’aria era frizzante e gli uccelli cantavano sui rami. Hans Schneider rimase per un attimo incantato a guardare quella scena idilliaca; in quel momento, il mondo gli appariva talmente bello e pieno di vita che gli sembrava impossibile che, in quello stesso istante, a non troppa distanza da lì, migliaia e migliaia di uomini come lui si stessero scannando nelle trincee. Cacciò con forza quel pensiero dalla mente: almeno quei pochi giorni di licenza non voleva rovinarseli ripensando all’inferno che aveva lasciato solo poco fa e a cui tra poco avrebbe dovuto fare ritorno, voleva goderseli con le persone più importanti della sua vita, con sua moglie e sua figlia.
Finito di mangiare, la bambina corse allegramente a giocare sul prato, la natura era magnifica in primavera e piena di meraviglie da scoprire.
“Era tutto buonissimo cara. Sei una cuoca fenomenale.”, disse Hans rivolto alla moglie.
“Bah, con questa maledetta guerra devo fare i salti mortali per trovare qualcosa da mettere sotto i denti: c’è il razionamento dei viveri, pane ce n’è poco e non parliamo dei dolci che non si trovano praticamente più…”
“Sarà stato un vero lutto per la nostra piccola golosona.”, disse Hans, cercando di scherzarci su, indicando la piccola Elsa, intenta a cercare attentamente qualcosa tra l’erba
“Già, poverina, dovresti vedere il suo sguardo sconsolato quando passa davanti alla vetrina vuota di una pasticceria.”, fece Lotte, tentando anche lei di scherzare; ma poi lo sguardo della donna si fece triste.
“Oh, Hans, quando finirà? Non ne posso più di questa maledetta guerra.”
Hans l’abbracciò teneramente per confortarla, cercando di apparire rassicurante per celare alla moglie il suo stesso turbamento.
“Coraggio, cara, vedrai che finirà presto. Anche il papa ha parlato contro questa inutile strage e, al comando, ho sentito dire che il nostro Imperatore ha scritto al presidente Wilson. Ci sarà una conferenza che porrà fine a questa guerra assurda, oppure faremo una pace separata e lasceremo che la guerra la continuino solo i Tedeschi, se lo vogliono: è stata una follia allearsi con Guglielmo e i suoi generali.”, disse Hans.
D’un tratto, l’allegra voce argentina di Elsa venne a spazzare quei cupi pensieri.
“Papà, papà, guarda cos’ho trovato.”, disse trionfante la bambina esibendo un vecchio bottone tutto sporco di terra.
“Che ne dici, papà, sarà dell’epoca di Napoleone? Oppure potrebbe essere appartenuto ad un crociato…”
“Mah, non lo so se i crociati usassero i bottoni…”
Lotte scosse il capo.
“Siete proprio uguali voi due, con questa vostra passione per le anticaglie… Andiamo, sarà meglio avviarci prima che faccia buio.”
Quella sera, quando ebbero finito la cena, Hans si schiarì la voce con aria misteriosa e divertita insieme come se meditasse qualcosa.
“Ehm, adesso parliamo di cose serie: come è stata la tua pagella quest’anno, Elsa?”, chiese l’uomo, tentando con poco successo di assumere un’aria severa.
“Ho preso il massimo in tutte le materie!” esclamò la piccola orgogliosa.
“Davvero?”, fece l’uomo fingendosi dubbioso.
“Sì, caro, Elsa è stata davvero bravissima”, intervenne la moglie sorridendo, “se non fosse…”, s’interruppe redarguendo scherzosamente la figliola, “che le piace arrampicarsi sugli alberi del giardino durante la ricreazione…”
“Ma mamma, volevo solo vedere che panorama si vede da lassù…”
Il padre rise soddisfatto.
“Sei proprio brava e intraprendente, figlia mia. In questo caso bisogna festeggiare.”, concluse l’uomo estraendo un pacco che aveva tenuto nascosto e disponendolo sul tavolo.
Hans prese ad aprire con aria solenne l’involto su cui si poteva leggere: “DEMEL k.u.k. Hofzuckerbäcker”.
“La Sachertorte! La mia preferita!”, esultò Elsa quando ne vide il contenuto.
“Hans, è quasi impossibile da trovare di questi tempi…”, fece Lotte meravigliata.
“Beh, un veterano di ritorno dal fronte ha ancora qualche piccolo privilegio.”, ammiccò l’uomo.
Dopo aver gustato ben due fette della saporita torta, Elsa, da brava bambina, fu mandata a pulirsi i denti e, dopo aver dato la buonanotte ai genitori, si mise a letto.
Ben infilata sotto le coperte pulite profumate di lavanda, Elsa attendeva quieta ma impaziente; era ormai diventato una specie di rito: le volte che papà era a casa, era sempre lui a raccontarle la storia della buonanotte. Ad Elsa piacevano troppo le storie meravigliose che papà le raccontava e non si sarebbe addormentata senza averle sentite. Non erano le solite favole che sentivano anche gli altri bambini: Elsa si addormentava con le gesta di re Artù e dei suoi impavidi cavalieri che partivano da Camelot per compiere le loro fantastiche imprese.
“Allora Elsa, quale vuoi sentire?”, disse l’uomo sedendo accanto al letto della figliola.
“Quella in cui i cavalieri cercano il Graal: è la mia preferita.”, rispose la piccola.
“È anche la mia preferita.”, fece il padre sorridendo e prendendo a raccontare.
Quella volta, però, quando Hans giunse a parlare del Re Pescatore che giaceva ferito e del suo regno devastato e ridotto ad una terra desolata, la sua voce involontariamente ebbe un tremito. Si era ripromesso di non dedicare neppure un pensiero alla guerra in quei pochi giorni che gli era concesso passare accanto ai suoi cari, eppure quelle parole “terra desolata” gli avevano fatto balenare davanti agli occhi le scene orribili a cui aveva dovuto assistere: i campi di battaglia cosparsi di cadaveri, corpi di uomini straziati aggrappati ai reticolati, sventrati dalle baionette, bruciati dai lanciafiamme…
L’uomo dovette arrestare il suo racconto cercando di reprimere un singulto, poi una manina piccola ma ferma venne a posarsi sul suo braccio, come a infondergli coraggio, riscuotendolo da quell’orrida visione.
“Non devi disperarti, papà, ser Galahad, riuscirà a ritrovare il Graal e il Graal riporterà la pace e la felicità nel regno del Re Pescatore”, disse rassicurante la vocina di Elsa.
“Sì, sì, certo, tesoro mio, è proprio così…”, mormorò l’uomo sorridendo alla bambina che lo guardava con occhi azzurri e profondi.
Mio Dio, perché esistono tante atrocità quando la vita potrebbe essere così bella?” Si chiese mentalmente Hans.
“Ma poi, il Graal, dov’è finito?” chiese Elsa curiosa, dopo aver sentito la fine della storia.
“Nessuno lo sa. Però c’è un’altra leggenda che narra di tre valorosi cavalieri della prima crociata.”
“Quella di Goffredo di Buglione?”
“Bravissima Elsa, proprio quella. I tre cavalieri partirono alla ricerca del Graal; ma solo due di loro fecero ritorno, e tornarono incredibilmente vecchi dopo che erano passati centocinquant’anni da quando erano partiti! Uno dei due, poco prima di morire, riuscì a raccontare la sua storia ad un monaco. Si dice che il terzo cavaliere custodisca ancora il Graal in un tempio segreto e misterioso...”
“Quando sarò grande, cercherò il Graal e lo troverò; così non ci sarà più la guerra e tu, papà, starai sempre con me e la mamma a raccontare le tue bellissime storie!”, concluse sicura la bambina.
“Sì, Elsa, sono sicuro che ce la farai.”, disse Hans commosso, rimboccando le coperte ed accarezzando la testolina bionda i cui occhi si chiudevano ormai per il sonno.
Rinchiusa piano la porta della cameretta dove Elsa era appena partita per il mondo dei sogni, Hans raggiunse la moglie che lo aspettava con uno sguardo amorevole e canzonatorio.
“Non so chi tra voi due sia più bambino, sempre persi a parlare di quelle fantasticherie. Comincerò ad essere gelosa della regina Gisella…”
Ginevra non Gisella… E poi non sono solo semplici favole, sono sicuro che queste saghe celino dei significati molto più profondi di quello che appare in superficie.”
“Non cambierai mai, Hans…”
“Ehi, vorresti forse che mi trasformassi in un azzimato uomo d’affari che si occupa solo di lavoro e di soldi, come sarebbe piaciuto a tuo padre?”, ridacchiò Hans.
“Non provarci nemmeno, Hans! Non devi cambiare di una virgola: è così che mi piaci!”, disse Lotte, stringendosi al marito per baciarlo teneramente.
“Oh, Hans, quanto mi sei mancato.”
“Anche tu mi sei mancata, Lotte. Mentre ero al fronte non c’è stato giorno che io non abbia pensato a te.”
Hans strinse a sé la moglie e i due si scambiarono un bacio appassionato.
“Non voglio perdere un solo istante di questi pochi giorni che passiamo assieme. Vieni, mio bel cavaliere…”, gli sussurrò Lotte all’orecchio con un sospiro appassionato.
“Agli ordini, mia regina”, rispose Hans, sollevandola tra le braccia e varcando la porta della camera da letto, che si richiuse discreta dietro di loro.

Quei giorni felici passarono troppo in fretta per il tenente Hans Schneider e, una brutta mattina, dovette alzarsi presto per recarsi alla stazione e prendere il treno che lo avrebbe riportato al suo reggimento. L’uomo si vestì, dette un lungo bacio appassionato a sua moglie con le gote rigate di lacrime e si avviò per uscire. Si fermò un istante davanti la cameretta della piccola Elsa che dormiva ancora profondamente e, senza far rumore, socchiuse piano la porta. La bambina, placidamente abbandonata sul cuscino, sorrideva come facesse un sogno meraviglioso; Hans si chinò a sfiorare la fronte della figlia con un bacio a fior di labbra, per non svegliarla.
“Lo troverai, Elsa, so che tu lo troverai.”, sussurrò quasi impercettibilmente; poi s’avviò ed uscì silenziosamente da casa.
Hans Schneider non sarebbe tornato mai più.

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Capitolo 2
*** Medaglia d'argento ***


 
Los Angeles, agosto 1932
 
“Accidenti! Per così poco!” pensò la bionda atleta, colpendo l’acqua con una manata di dispetto nell’apprendere della classifica che le assegnava solo il secondo posto.
La giovane uscì dalla vasca, coperta dal suo costume olimpico; asciugò il suo corpo snello e slanciato, avvolgendosi nell’accappatoio che le veniva porto e si diresse poi al podio per la premiazione.
“Per due soli decimi di secondo… è proprio una beffa!” si disse rigirando tra le dita il disco d’argento appeso al suo collo mentre ascoltava con una punta d’invidia le note dell’inno americano che si diffondevano nello Swimming Stadium.
Quando, una volta rivestitasi, uscì dallo spogliatoio, fu accolta da una voce squillante.
“Complimenti Elsa!”
“Magda!”, fece Elsa abbracciando l’amica.
“Ti va di andare a mettere qualcosa sotto i denti?”
“Mi sembra davvero un’ottima idea, la gara mi ha messo appetito.”
“Potremmo provare quel ristorante di cui parlano tutti, il Brown Derby.”
“Quello che sembra un buffo cappello marrone?”
“Sì, proprio quello; è sul Wilshire Boulevard, vicino al nostro albergo.”
Le due amiche raggiunsero il locale e presero posto, ordinando due sostanziose Wiener Schnitzel con contorno di riso.
“Ah, ah, che idea un ristorante a forma di cappello. Certo che questi americani non sanno proprio più cosa inventare.”
“Già, ma bisogna dire che nello sport sembrano imbattibili.”
“Non dirlo a me…”, ribatté Elsa con nella voce un tono di rimpianto.
“Dai, non te la prendere… Almeno tu sei riuscita salire sul podio, io nei tuffi non sono andata oltre il sesto posto.”
“Beh, siamo sportive, la Madison è veramente fenomenale.”, rispose Elsa con un sospiro rassegnato.
“Sarà, ma tu sei sicuramente più carina. Sapessi quante lettere e mazzi di rose sono stati recapitati a tuo nome anche stamattina.”, aggiunse Magda con una strizzatina d’occhio.
“Bah, lo sai che non bado a quei pappagalli che vogliono solo pavoneggiarsi facendosi vedere in giro con una bionda. Non mi va essere considerata alla stregua di un oggetto da esibire, come fossi un’automobile o un gioiello…”
“Già, dimenticavo: Elsa Schneider tutta sport e studio; però non me la racconti giusta, ho visto come ti sei emozionata quando è arrivata quella lettera l’altro giorno…”, fece Magda ammiccando ironicamente.
“Oh, ma che hai capito? Quella era di un professore dell’Università di Vienna: mi sono laureata con lui il mese scorso.”
“Uhm, sarà…ma chissà perché ho idea che non si tratti di un vecchio professore barbogio, o sbaglio?”
“No, a dire il vero il professor Stein sarà sulla quarantina…”
“Carino?”
“Beh, diciamo di sì, credo almeno…”, fece Elsa imporporandosi, “Oh, Magda, smettila! Non è come credi tu… Insomma, il fatto è che con lui mi sento valorizzata: mi ha incoraggiato nelle mie ricerche, chiede il mio parere, tiene conto delle mie idee.”
“Certo, certo, sarà come dici tu; ma non me la fai: conosco quello sguardo e sono sicura che il tuo interesse per lui non è puramente accademico. Secondo me ti sei presa una bella cotta, cara Elsa.” ridacchiò Magda.
“Ma dai Magda, è sposato!”
“Già, ma non credo che questo per lui sia un problema: girano certe voci sul prof. Stein, si dice che sia un vero dongiovanni con uno stuolo di studentesse ai suoi piedi.”
“Smettila, Magda! Io non sono una di quelle che per passare gli esami alzava la gonna!”, rispose Elsa piccata.
“Va bene, va bene: stavo solo scherzando. Lo so benissimo che non hai bisogno di usare certi mezzi.”
Le due finirono di mangiare, conversando allegramente; poi, ormai libere dagli allenamenti e dalla tensione della competizione atletica, decisero di passare il pomeriggio a passeggio per la città, approfittando della giornata estiva e soleggiata.
“Potremmo andare dalle parti di Hollywood, magari con un po’ di fortuna potremo incrociare Jean Harlow o Grata Garbo e farci fare un autografo.”
“Ottima idea! Mi piacerebbe incontrare Clark Gable, è il mio autore preferito.”
Le due giovani atlete passarono un piacevole pomeriggio a zonzo per la città californiana, aguzzando la vista nella speranza di incrociare qualche celebrità sul Sunset Boulevard o attorno agli studios della Paramount prima di far ritorno al Chapman Park Hotel.
“C’è qualcosa per me?” chiese Elsa al concierge.
“Sì, dottoressa Schneider, è arrivato un telegramma per lei.”, fece l’uomo dietro il bancone dell’albergo porgendole un biglietto.
Emozionata, Elsa aprì il telegramma e lo lesse.
 
Sono a Los Angeles. Ho bisogno di parlarti. Ti aspetto stasera davanti l’Hotel Ambassador.
Tuo Isaac
 
Elsa arrossì emozionata, mentre Magda le lanciava un’occhiata ammiccante.
La giovane era confusa: anche se non lo avrebbe mai ammesso davanti a Magda, Isaac le piaceva eccome. Dopo la morte di suo padre era forse la prima figura maschile su cui sentisse di poter contare.
Dopo la fine della guerra, la vita per Elsa e sua madre era stata dura; l’Austria era ormai irriconoscibile: da un grande impero multinazionale era diventata una piccola repubblica instabile, attraversata da lotte intestine e scontri violenti tra le varie fazioni politiche, emerse dopo la fine della monarchia degli Asburgo. La crisi economica seguita alla sconfitta aveva ridotto sul lastrico, assieme molte altre, anche la famiglia Schneider.
Elsa era ancora una bambina quando, dalla sua vita comoda e sognante era precipitata all’improvviso in un incubo di miseria e privazioni. Avevano dovuto vendere la loro bella casa sulla Ringstraße, i mobili e gli oggetti d’arte per andare a vivere in un tugurio spoglio, freddo e malandato. Le scintillanti pasticcerie che avevano riempito di felicità i primi anni della sua vita, quando le visitava assieme al padre sempre pronto a soddisfare ogni suo capriccio, erano ormai solo un lontano ricordo e i magri pasti che lei e la madre si potevano ora permettere bastavano a malapena a calmare la fame.
Una lacrima scese lungo la gota di Elsa al ricordo della madre che solo l’anno prima l’aveva lasciata dopo una breve malattia. La povera donna, che un tempo era stata la moglie felice di un uomo benestante, si era consumata di fatica, dovendo adattarsi ai lavori più duri pur di tirare avanti e di procurarsi di che vivere per sé e la figlia.
Lotte era ancora una bella donna; tuttavia non si era mai voluta risposare: dopo la perdita di Hans, il suo unico grande amore, sapeva che non avrebbe mai potuto amare nessun altro uomo.
Madre e figlia avevano dovuto rinunciare a tutto; ma su un punto Lotte non aveva voluto cedere: a prezzo di qualsiasi sacrificio, aveva voluto che Elsa potesse studiare. Proprio lei che un tempo era stata scettica sul fatto che una figlia femmina andasse all’Università, considerava ormai come un dovere, come l’ultimo atto d’amore verso la memoria del marito, esaudire quella che era stata la sua volontà.
Dal canto suo, Elsa non si era certo mostrata indegna dell’opportunità che le veniva offerta; si era sempre sentita portata per lo studio e, dopo la morte del padre, aveva raddoppiato il suo impegno per onorarne la memoria.
Quando avevano dovuto vendere la bella biblioteca di Hans, piena di volumi antichi e preziosi, Elsa aveva conservato tre libri, quelli preferiti da suo padre: Gli Idilli del Re di Tennyson, il Parzival di Wolfram von Eschenbach e la Morte d'Arthur di Sir Thomas Malory. Elsa li aveva letti e riletti fino ad impararli praticamente a memoria: erano ormai l’unica cosa che le rimaneva di suo padre, l’unico filo che ancora la legasse al genitore perduto e ogni volta che rileggeva quelle meravigliose avventure che, almeno per un po’, le facevano scordare la sua triste condizione attuale, le sembrava di risentire la voce paterna che per prima gliele aveva narrate.
A volte, specialmente quando Elsa si sentiva mancare le forze, quando era tentata di mollare tutto per cedere alla disperazione, il padre le faceva visita in sogno; lo vedeva chinarsi sorridente e benevolo a baciarle la fronte e ogni volta lo sentiva sempre sussurrare quelle stesse parole, ormai impresse nel suo subconscio: “so che tu lo troverai”.
Elsa, in mezzo alle asperità della vita, aveva dovuto crescere in fretta, il suo carattere si era indurito e la ragazza aveva riversato tutta la sua passione nel suo amore per il sapere, snobbando le numerose profferte romantiche dei compagni di scuola o di Università che considerava alla stregua di smancerie per donnicciole.
La bionda fanciulla aveva imparato presto che gli uomini trovavano attraente il suo aspetto. Un giorno, mentre andava a scuola, nel periodo più duro del dopoguerra, quando era ancora poco più che una ragazzina adolescente, un vecchio laido le si era avvicinato con in mano alcune banconote che le aveva allungato proferendo una proposta oscena; lei lo aveva colpito violentemente al volto con la cartella, assestandogli anche un calcio nelle parti basse, prima di scappare a perdifiato.
All’Università, Elsa aveva incontrato un professore di Storia dell’Arte, Isaac Stein, che per certi versi le ricordava suo padre, con la sua grande passione per il medioevo e le sue leggende di cui indagava le antiche simbologie. Isaac era un uomo affascinante: poco più che quarantenne, elegante, dal fisico sportivo, in possesso di una vastissima cultura ed Elsa era rimasta letteralmente incantata dalle sue lezioni in cui ritrovava quei temi e quei personaggi che ormai sentiva far parte di sé.
Ovviamente, Elsa non aveva mancato di notare come l’aitante professor Stein mostrasse di apprezzare parecchio la compagnia delle studentesse più avvenenti, le quali, dal canto loro, non si facevano certo pregare, e non era certo ingenua al punto di non essersi accorta di come gli sguardi dell’uomo a volte si soffermassero a sfiorare le sue forme che si erano ormai pienamente sviluppate in quelle di una bellissima giovane.
Isaac era un gentiluomo e non aveva mai oltrepassato i limiti della galanteria e del buon gusto, non tentando mai di forzarla in nulla; ma non ci voleva certo un genio per capire che gli sarebbe molto piaciuto che tra lui e quella che era presto diventata la più brillante delle sue allieve il rapporto non si limitasse al solo piano accademico. Elsa tuttavia non aveva mai voluto che tra loro ci fosse di più, non era certo bigotta o moralista, ma non voleva correre il rischio di essere scambiata con una delle tante che cedevano alle lusinghe del professore, sperando magari in un aiuto per passare il suo esame. Per Elsa lo studio di quella materia era una missione che le era stata affidata dal padre e pertanto aveva assunto per lei un carattere quasi sacrale che non doveva essere sfiorato neppure alla lontana da sospetti o maldicenze.
Così Elsa si era laureata con il massimo dei voti in Storia dell’Arte e il prof. Stein si era profuso in complimenti per la sua tesi sulla simbologia delle miniature medievali nei codici della biblioteca abbaziale di Melk.
E adesso quel telegramma… perché il professor Stein era venuto fino a Los Angeles per vederla? Si trattava di una questione professionale o c’era anche dell’altro? Sentiva che una parte di lei lo desiderava ardentemente; ma un’altra parte temeva che lui potesse solo usarla, che la considerasse solo l’ennesima preda da aggiungere alla collezione. Ma chi attraverserebbe mezzo globo solo per una scappatella?
La bionda dottoressa si preparò un bel bagno caldo e profumato, era proprio quello che ci voleva per rilassarsi, pensò entrando nell’acqua tiepida, avvolta in una nuvola vaporosa.
Quando uscì dalla vasca, Elsa si era decisamente schiarita le idee; con un sorriso compiaciuto, si fermò a rimirare lo specchio appannato che rifletteva le forme eleganti e superbamente modellate del suo corpo nudo e gocciolante.
Si sentiva in forma, bella e nel fiore degli anni, di cosa avrebbe dovuto aver paura?
Indossò l’abito più elegante che aveva portato e si preparò accuratamente, truccandosi e pettinandosi, per presentarsi all’appuntamento.
“A noi due herr professor!”, ridacchiò tra sé.
“Buona serata e divertiti col tuo professor rubacuori!”, la salutò Magda facendole l’occhiolino.
Elsa arrossì, “Oh, basta con queste sciocchezze, Magda. Sicuramente riguarderà una qualche ricerca per cui il professore vuole il mio consulto e…”
“Già, e ti sei messa in ghingheri per esaminare qualche polveroso reperto?”
“Oh, sei sempre la solita…”, le fece Elsa avviandosi.
Trovò Isaac che l’aspettava davanti al ristorante dell’albergo.
“Elsa! Che piacere rivederti, sono contento che tu sia venuta.”
“Beh, di solito non accetto inviti a cena ma…”
“Questa è un'occasione speciale.”, le disse Isaac, abbracciandola e dandole un bacio sulla guancia.
“In questo caso permetto.”, fece Elsa sorridendo, mentre il professore le porgeva galantemente il braccio, conducendola al tavolo che aveva prenotato nell’elegante ristorante.
“Allora come mai a Los Angeles.”, chiese finalmente Elsa, che moriva dalla curiosità.
“Devo vedere un amico a Princeton e ho pensato di fare una piccola deviazione per vedere come nuotava la mia migliore allieva.”
“A Princeton? Ma si trova sulla costa orientale! È lontanissimo da qui.”
“Non si va mica in America ogni giorno, vale la pena farsi un giretto, no? Anzi, ti andrebbe di accompagnarmi? Tanto i giochi olimpici stanno per finire.”
“Accompagnarti? Fino a Princeton, ma…”
“Vedi, il fatto è che il mio amico ci terrebbe tanto ad incontrarti.”
“Ma, non capisco… io non conosco nessuno a Princeton. Chi sarebbe questo amico?”
“Si chiama Henry, professor Henry Walton Jones, insegna letteratura medievale all’Università di Princeton.”
A sentire quel nome Elsa per poco non si strozzò con il boccone che stava masticando.
“Ma…stai dicendo sul serio!!?? Intendi proprio quel professor Henry Jones?! Ma è il maggior esperto mondiale del Graal!! Ho praticamente divorato tutti i suoi libri: La Ricerca di Galvano e Cercando il Santo Graal. Incontralo di persona, sarebbe veramente un sogno…”
“Seguimi e il tuo sogno si avvererà…”
“Ma Isaac, sei sicuro che lui accetterà di ricevermi, voglio dire lui è la massima autorità sul Graal e io mi sono appena laureata e non so se…”
Isaac ridacchiò con aria sorniona: “Ma se è stato proprio lui in persona a chiedermi espressamente di incontrarti. ”
“Non…non mi stai prendendo in giro? Veramente Henry Walton Jones vuole…”
“Vedi Elsa, da quando, due anni fa, è stato scoperto quel codice nella cattedrale di Salisbury con le Cronache di Sant’Anselmo, Henry sta contattando i maggiori esperti della tradizione del Graal per unire gli sforzi e lavorare assieme. Mi sono permesso di inviargli una copia della tua tesi ed alcuni tuoi articoli che hai pubblicato sulle miniature delle pergamene ritrovate dal povero Cordiroli; Henry ne è stato entusiasta ed ha insistito perché tu facessi parte del progetto."
“Isaac, non ci sto capendo nulla. Progetto? Di quale progetto parli?”
“Ma della ricerca del Graal, ovviamente.”, fece il professore come fosse la cosa più naturale di questo mondo.
Elsa ebbe un capogiro, si diede un pizzicotto per essere sicura di non stare sognando, il cuore ormai le batteva all’impazzata.
Isaac sorrise, osservando la reazione della ragazza, poi continuò con studiata lentezza.
“Si tratta di un gruppo di ricerca internazionale: Henry ne è ovviamente a capo, ma ci lavorano anche il professor Staubig di Heidelberg e il professor O’Lochlainn di dell’Università Dublino.”
“Staubig… O’Lochlainn…”, mormorò Elsa ormai sul punto di venir meno dall’emozione a sentire quei nomi che era abituata a leggere sulle copertine dei libri su cui aveva studiato.
"Sì, Staubig è già al lavoro. Attualmente si trova in Jugoslavia alla ricerca della tomba di uno dei tre cavalieri del Graal"
"I tre cavalieri del Graal?!"
“Sì, conosci quella leggenda che parla di tre fratelli cavalieri della prima crociata che trovarono la coppa?”
“Sì, sì, certo…la conosco…”, mormorò Elsa trattenendo una lacrima, rivedendosi per un attimo bambina mentre ascoltava le parole di suo padre, “ma Isaac, vuoi…vuoi dire che…che esiste veramente!?”
"Sì, sembrerebbe proprio che la leggenda abbia un fondo di verità. Henry ha trovato un riferimento nelle Cronache di Sant' Anselmo: si dice che la tomba del cavaliere si trova nella Regina di Dalmazia e, secondo il professor Staubig, si tratta dell'antica Repubblica di Ragusa, l'odierna Dubrovnik."
Elsa si diede un altro pizzicotto per essere assolutamente certa di non stare sognando; quelle poche parole di Isaac erano state sufficienti a conferire improvvisamente un senso del tutto nuovo alla sua vita: allora non era solo una storia, era reale! Finalmente avrebbe avuto la possibilità di dimostrare al mondo che suo padre non era solo un sognatore che si perdeva dietro a vecchie favole, finalmente tutti i sacrifici e gli sforzi suoi e di sua madre sarebbero stati coronati, finalmente il destino le avrebbe concesso quella rivincita che sentiva di meritarsi. Sì, era un segno del destino, suo padre in fondo lo aveva sempre saputo. Risentì la sua voce risuonarle dolcemente nella mente: tu lo troverai. Nello stato di esaltazione in cui si trovava, Elsa percepiva ormai le parole affettuose di Hans come una missione sacra che le era stata affidata: sì, era così, Elsa Schneider, la figlia di Hans Schneider, avrebbe trovato il Graal!
“Elsa, sei ancora tra noi?”, ridacchiò Isaac, prendendole affettuosamente la mano nella sua.
“Ah, sì, Isaac…stavi dicendo?”, fece Elsa riscuotendosi improvvisamente dal suo sogno ad occhi aperti; ma lasciando che Isaac continuasse a tenerle la mano.
“Ti stavo chiedendo se ti va di essere della partita, di darci una mano a trovare il Graal”
“Mio Dio, sì, sì, Isaac accetto. Allora andiamo a Princeton dal professor Jones, allora quando si parte?”
“Beh, ci vorranno almeno un paio di giorni per i preparativi.”
“Oh, Isaac, non sto più nella pelle…”
“Ah, ah, calma, calma, Elsa. Innanzitutto dobbiamo fare una cosa: festeggiare degnamente l’avvenimento.” e, senza attendere risposta, l’uomo richiamò l’attenzione del cameriere con un cenno ed ordinò una bottiglia di champagne.
“Al Santo Graal”, dissero facendo tintinnare il cristallo delle coppe.
“Al Santo Graal e… alla meravigliosa avventura che stiamo per cominciare assieme.”, disse ancora Isaac, rimarcando eloquentemente l’ultima parola, mentre le sfiorava nuovamente la mano.
“Sai pensavo che magari, se non sei troppo stanca, potremmo andare a dare un’occhiata a certi testi che volevo mostrarti e che ho dimenticato nella mia camera d’albergo…” continuò il professore con nonchalance.
Inebriata dalle parole di Isaac più ancora che dalle bollicine di champagne che le facevano il solletico nel naso, Elsa non poteva essere più su di giri. Era evidente che il professore ci stava provando alla grande; ma ormai Elsa sentiva di essere pronta a tutto, non c’era motivo di negarsi più a lungo: ormai lei non era più una ragazzina, una studentessa tra le tante: Isaac era l’uomo che aspettava, qualcuno che apprezzava la sua intelligenza e capiva ciò che lei aveva nel cuore.
Lasciò che le labbra dell’uomo le sfiorassero la guancia, prima di unirsi alle sue in una bacio appassionato.
“Isaac, io non ho…non ho mai…” mormorò Elsa con un ultimo attimo di esitazione al momento di varcare la porta della stanza dell’uomo.
“Non c’è nulla di cui aver paura mein liebchen.”, le disse dolcemente Isaac, prendendola tra le sue braccia forti e rassicuranti e baciandola ancora.

“Uhm, mi sa che la serata è stata interessante… Allora com’era il tuo reperto polveroso?”, le fece Magda con aria maliziosa, al vederla ritornare nel cuore della notte con la bionda capigliatura in disordine.
Elsa avvampò, poi scambiò con Magda uno sguardo di complicità e le due amiche scoppiarono in una risata.
“Sai Magda, credo proprio che mi fermerò ancora qualche giorno qui prima di tornare in Austria. In fondo ci sono un sacco di cose da vedere qui in America...”
Prima di addormentarsi, Elsa ripensò alla vita che le si apriva davanti radiosa. Quella sera era diventata una donna e che donna: lei era la futura scopritrice del Graal!

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Capitolo 3
*** Il Graal e la Svastica ***


Vienna, gennaio 1938
 
Mentre camminava nervosamente lungo un vialetto del Prater, Elsa si tirò su il colletto di pelliccia, rabbrividendo per il freddo pungente.
Erano ormai passati quasi sei anni, ma le ricerche sembravano essere arrivate ad un punto morto. Avevano praticamente passato al setaccio tutto l’Adriatico orientale per cercare l’ubicazione di quella dannata Regina di Dalmazia dove avrebbe dovuto trovarsi la tomba del cavaliere, senza riuscire a cavare un ragno dal buco. L’antica Ragusa, Zara, Sebenico e Spalato si erano rivelate altrettante false piste; avevano allora pensato a Salona, l’antica città romana che custodiva la tomba di Elena di Zara, regina di Croazia, ma anche lì avevano fatto un fiasco completo ed erano rimasti con un pugno di mosche.
Maledizione! Che destino beffardo! Proprio quando la meta pareva vicina, a portata di mano, tutto sfumava, pensava Elsa sconsolata facendo volare un ciottolo con un calcio.
Ad un tratto, la sua attenzione fu attratta da un manifesto che annunciava la programmazione della Volksoper.
“Ma guarda, danno Eine Nacht in Venedig di Strauss… anche a Isaac piace l’operetta, potrei proporgli di andare a vederla assieme, ho proprio bisogno di distrarmi e rilassarmi un poco.”
Elsa iniziò a canticchiare frutti di mare quando all’improvviso si bloccò, dandosi una manata sulla fronte.
“Ma certo, è ovvio! Come ho fatto a non capirlo prima?!”
La giovane donna fece di corsa tutta la strada fino all’Università, fermandosi solo per riprendere fiato ed entrò ansimando nell’ufficio del professor Stein.
“Questa volta sono sicura, Isaac, è Venezia! La Dalmazia è stata per secoli un dominio della Repubblica Serenissima e la capitale veniva indicata come la dominante per cui la Regina della Dalmazia non può essere altro che Venezia! Del resto anche il mare Adriatico anticamente veniva chiamato Golfo di Venezia!”
Isaac annuì, senza staccare gli occhi dal giornale che stava leggendo.
“Ma… Isaac, mi stai ascoltando?! Non hai sentito quello che ti ho appena detto? Ce l’abbiamo fatta…” fece Elsa interdetta dall’atteggiamento strano del professore, che si era aspettata vedere far salti gioia nell’apprendere la notizia.
“Sì, si, Venezia dici? Può essere…”, bofonchiò Isaac distrattamente, sempre senza degnarla di uno sguardo.
“Isaac, ma si può sapere cosa ti prende? Vuoi finirla di leggere quel dannato giornale e dirmi cosa succede? È…è forse per Ester? Tua moglie ha forse scoperto di noi?”
“Dannazione Elsa!”, sbottò infine l’uomo, “Sei tale e quale ad Henry Jones! Sapete pensare solo a voi stessi ed ai vostri studi, per voi il mondo esterno non esiste! Beh, vi sbagliate: ecco cosa succede, maledizione!”, fece Isaac alzandosi e sbattendo con rabbia sulla scrivania il quotidiano che riportava in prima pagina la fotografia di Adolf Hitler, intento ad arringare una folla oceanica di nazisti.
“Mio Dio”, continuò l’uomo con un profondo sospiro, portandosi le mani alla fronte, “cosa è mai diventato il mondo? Mi sembra di vivere un incubo: sono tutti impazziti, fascisti, comunisti, nazisti, franchisti… Io non posso più rimanere qui, Elsa, è troppo rischioso: il povero Codirolli è stato ammazzato di botte a Roma dalle camicie nere di Mussolini e in Germania i nazisti non hanno pietà di nessuno, donne, vecchi, bambini...”
“Sono d’accordo con te, Isaac, ma qui siamo in Austria non in Germania.”
“Ma non ti rendi conto che Hitler vuole annettersi anche l’Austria? Ormai è questione di giorni: presto i nazisti saranno qui e lo sai cosa fanno agli ebrei come me… Maledetto imbianchino pazzo!” disse Isaac, imprecando contro l’immagine del dittatore tedesco.
“Ma Isaac, tu non sei veramente ebreo… voglio dire, quando l’altra sera siamo stati in quella heuriger a Grinzing ti sei fatto fuori un piatto intero di salsicce e poi non sei neppure… ehm, neppure circonciso…”, fece Elsa con un sorrisetto malizioso.
“E credi che a quelli importi qualcosa se non sono religioso? Se i miei erano laici? Per loro è una questione di sangue, di razza. No, Elsa, non posso lasciare che Ester e i bambini corrano pericoli: ho già dato le dimissioni dall’Università, la prossima settimana ce ne andiamo, partiamo per la Svizzera. Ho parlato con il Rettore, avrai tu il mio posto; nessuno lo merita più di te: sei la migliore allieva che abbia mai avuto.”
“Ma…e noi due? Che ne sarà di noi? Io non …non voglio lasciarti Isaac…portami con te, verrò ovunque andrai.”
“Mi dispiace Elsa, lo sai che non è possibile... Non posso lasciare Ester e i bambini, mi capisci vero?”
“Sì, certo, capisco…”, fece Elsa, distogliendo lo sguardo.
L’uomo le afferrò una mano, portandosela alle labbra.
“Elsa, senti, mi dispiace… Però, prima di lasciarci, abbiamo ancora un po’ di tempo e se… se vuoi possiamo ancora…”
“No, Isaac, credo che sia meglio di no.”, disse lei ritirando la mano, “Addio Isaac e buona fortuna.”, concluse Elsa uscendo precipitosamente dall’ufficio del professore. Non voleva che la vedesse piangere.
Elsa respirò profondamente la fredda aria invernale, mentre i suoi piedi la portavano a vagare senza meta per la città. Non ce l’aveva con Isaac, non riusciva a fargli una colpa se, in quel frangente, non se l’era sentita di abbandonare moglie e figli; anzi, se l’avesse fatto, Elsa sentiva che lo avrebbe disprezzato per la sua viltà. Tuttavia, la giovane donna sentiva che qualcosa dentro di lei si era spezzato.
Non sapeva neppure lei perché, qualche giorno dopo, avesse puntato la sveglia alle quattro del mattino e fosse uscita prima dell’alba per nascondersi in un androne, presso la casa del professor Stein, per guardarlo mentre usciva, al fianco della moglie e seguito da due bellissimi bambini. Elsa vide i loro occhi volgersi sconsolati per l’ultima volta verso la casa che erano costretti a lasciare, vide lo sguardo triste, spaventato e al contempo infinitamente tenero che l’uomo scambiò con la moglie e non ebbe più dubbi che Ester fosse l’unica donna che il prof. Stein amasse veramente. Rimase immobile a guardare la famiglia caricare le valige, salire in macchina e partire, poi rimase ancora per un po’ in quell’androne prima di uscire senza sapere dove andare, cosa fare o pensare.
Elsa riandò con la memoria a quell’estate di sei anni prima, a quel viaggio entusiasmante dalla California al New Jersey. Le sembrava di sentire ancora il vento che scompigliava i suoi lunghi capelli biondi, mentre la decapottabile attraversava rombando il torrido e spettacolare deserto americano; ripensò con un fremito ai loro corpi nudi e sudati che si avvinghiavano tra le lenzuola delle camere dei motel della Route 66, ricordò come lui avesse giurato di amarla e come tutto sembrasse perfetto: era giovane allora, innamorata, con davanti una carriera brillante. Come, in quei giorni, il futuro le pareva dischiudersi roseo e come adesso capiva che non si era trattato che di una bella illusione.
Come aveva potuto essere tanto stupida? Lei era bella, Isaac l’aveva desiderata come aveva desiderato le altre, ecco tutto. Cosa pretendeva in fondo? Si erano divertiti, lui era bravo a fare l’amore, come aveva potuto credere che ci fosse altro?
Elsa scosse la testa con decisione, cacciando a forza dalla sua mente quei ricordi struggenti.
“Basta con le sciocchezze romantiche!”, si disse, “L’amore non è altro che un’illusione, buona al più per i romanzetti sentimentali da quattro soldi.”, concluse con un sorriso amaro.
Aveva ben altro a cui pensare. Lei aveva un obiettivo nella vita: il Graal.
Da quando era diventata l’assistente del professor Stein, Elsa aveva dovuto ingoiarne parecchie di occhiate maliziose, battute e frecciatine da parte dei “baroni” universitari, quei professoroni paludati che non riuscivano in alcun modo a prendere sul serio una studiosa di sesso femminile. Per loro, lei era sempre rimasta solo l’amichetta che il professor Stein si era preso come assistente per portarsela a letto. Beh, tutti quei vecchi barbogi tronfi e pieni di pregiudizi avrebbero dovuto ricredersi quando sarebbe giunto finalmente il momento in cui lei, Elsa Schneider, una donna, avrebbe trionfato dove tanti uomini avevano fallito: lei avrebbe sollevato la sacra coppa tra le sue mani e sarebbe stata sempre ricordata come colei che aveva ritrovato il Graal.
Elsa si esaltava sempre di più a quel pensiero; sì, era così, andava dicendo a se stessa, era quella l’unica cosa ad avere davvero importanza, solo il Graal contava e lei ormai avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di averlo.
Alcuni mesi più tardi, Elsa era seduta davanti ad una cioccolata calda fumante al tavolino di un caffè del centro; finalmente la fortuna aveva iniziato a girare nel verso giusto: il professor Henry Jones si era mostrato subito entusiasta quando lei gli aveva comunicato la sua ipotesi che il cavaliere fosse sepolto a Venezia. Jones le aveva anche detto di essere stato contattato da un facoltoso mecenate, un certo Donovan, un miliardario americano proprietario di una miniera in Turchia dove era stato ritrovato il frammento di una stele di pietra che indicava il luogo in cui era custodito il Graal. Purtroppo il frammento non era sufficiente ad individuare il luogo esatto; ma quel ritrovamento confermava che la leggenda diceva il vero e che erano sulla strada giusta. Jones era certo che nella tomba a Venezia fosse stata posta una seconda stele con le indicazioni dettagliate su dove trovare la coppa e aveva invitato Elsa ad unirsi a lui per una spedizione sul posto che Donovan si era generosamente offerto di finanziare. Le cose sembravano finalmente mettersi bene; era certa che quella sarebbe stata la volta buona.
“Dottoressa Schneider?”, risuonò una voce fredda dal marcato accento prussiano.
Assorta nei suoi pensieri, la donna non si era accorta dei due uomini che si erano avvicinati al suo tavolo. Portavano entrambi l’uniforme tedesca, uno delle Schutzstaffel l’altro della Gestapo.
“Non perdono certo tempo questi, sono entrati in Austria solo da un paio di giorni…”, pensò Elsa, reprimendo il suo disgusto. Non sopportava quei fanatici che, tra l’altro, le avevano fatto perdere Isaac.
“Cosa volete? Non mi pare di conoscervi…”
“Colonnello Ernst Vogel”, si presentò l’ufficiale delle SS, “desideriamo porgerle gli omaggi di un suo grande ammiratore.”
“Ditegli che, se desidera parlarmi, all’Università gli daranno il mio orario di ricevimento.”, fece freddamente Elsa
“Temo non sia possibile… Vede, si tratta del nostro amato Führer, Adolf Hitler. Il Führer è molto interessato alle sue ricerche sul Graal e, adesso che lei è diventata tedesca, dopo che l’Austria è stata accolta in seno al glorioso Reich millenario, vorrebbe darle un posto al nostro Istituto di Cultura Ariana.”
“Mi dispiace, non mi occupo di politica…”, fece Elsa evasiva.
“Suvvia, dottoressa Schneider, in fondo lei è la figlia di un eroe di guerra, dovrebbe essere contenta di vedere come il nostro Führer stia guidando i popoli germanici verso la vendetta per la sconfitta del 1918.”
Punta sul vivo, Elsa scattò: “Non si permetta mai più di nominare mio padre! Lui non era un militarista, credeva nella convivenza pacifica di tutti i popoli dell’Impero non nel vostro Terzo Reich. Lui aveva giurato fedeltà alla dinastia degli Asburgo non certo al vostro dannato Führer!”
“Non le conviene fare la furba con noi!”, sbottò l’uomo della Gestapo che finora era rimasto in silenzio, “sappiamo molte cose su di lei fräulein, sappiamo come ha avuto il suo posto all’Università e dei suoi rapporti con Isaac Stein.”, sbraitò il nazista buttando sul tavolo alcune fotografie che la ritraevano in pose compromettenti assieme ad Isaac.
Elsa digrignò i denti per la rabbia: era stata spiata! Come avevano osato quei maledetti?
“Cosa significa questo? Un ricatto? Mi spiace per voi, ma io non ho un marito a cui dover render conto delle mie azioni. La mia vita privata sono affari miei; non ho fatto nulla di illegale.”
“Nulla di illegale?”, fece il nazista con un risolino isterico, “Una donna di stirpe germanica che si accoppia spudoratamente con un membro di una razza inferiore commette un crimine contro la razza ariana! Noi sappiamo tutto, fräulein Schneider, sappiamo che per avere il suo posto all’Università lei ha aperto le cosce a quello sporco giudeo!”
SCHWEIN!!!”, urlò Elsa, balzando in piedi ed assestandogli un furioso manrovescio che fece risuonare tutto il locale.
L’uomo della Gestapo fece per reagire, ma un cenno di Vogel lo fermò.
“Calma, calma”, fece Vogel mellifluo, “il mio aiutante ha usato forse parole forti, ma noi non possiamo più tollerare che nelle Università del glorioso Terzo Reich insegnino esponenti delle razze inferiori né quanti si sono fatti contaminare dal contatto con elementi ebraici. Sappiamo che gli Ebrei vogliono corrompere la purezza della razza ariana e per far ciò sono molto abili ad insinuarsi e a conquistare la fiducia della gente. Lei si è lasciata insozzare da quel giudeo che, dopo averla usata per i suoi scopi nefandi, è fuggito per sottrarsi alla giusta punizione per i suoi crimini.”
Elsa avvertì un conato di vomito nel sentire le ripugnanti parole del nazista, chiuse gli occhi e rivide Isaac con la moglie e i bambini e, in cuor suo, ringraziò il cielo che fossero in salvo. Avrebbe voluto alzarsi e sputare in faccia a quei due nazisti; ma rimase immobile. Sapeva bene che ora erano loro ad avere il coltello dalla parte del manico.
Vogel sorrise e continuò con tono condiscendente: “Tuttavia, il nostro Führer nella sua immensa bontà e generosità, è disposto a perdonarla, dottoressa Schneider. Se lei dimostrerà di redimersi, accettando la nostra generosa offerta, non avrà nulla da temere, diventerà una figura di spicco del nostro prestigioso Istituto di Cultura Ariana.”
“Cosa…cosa dovrei fare?”
“Oh, ma quello che aveva già programmato: lei andrà a Venezia con il professor Jones e dovrà ricavare da lui tutte le informazioni utili per i recupero della coppa che poi naturalmente riferirà a noi.”
“Come fate a sapere del progetto del professor Jones?”
“Come ha già visto, noi sappiamo molte cose, dottoressa Schneider”, rispose Vogel, con un ghigno sinistro, “Walter Donovan ci ha informato su tutti i particolari ed ha già organizzato il suo incontro con Henry Jones a Berlino. ”
“Donovan? Anche lui lavora per voi?!”
“È un uomo intelligente che ha capito chi saranno i prossimi dominatori del mondo. Lei verrà con noi a Berlino dove le verranno date le istruzioni necessarie, poi incontrerà Jones. Dovrebbe ringraziarci, fräulein, noi le stiamo dando la possibilità di realizzare il suo sogno, lei avrà l’incommensurabile onore di trovare la coppa per consegnarla al nostro Führer.
Elsa rimase a lungo in silenzio, tentando di riordinare i pensieri che le tumultuavano nel cervello. Una spia nazista, ecco quello che le proponevano di diventare, pensava con raccapriccio. Certo, avrebbe potuto fuggire all’estero, come aveva fatto Isaac, ma avrebbe perso il suo posto all’Università e, senza i finanziamenti di Donovan, la ricerca del Graal non sarebbe potuta proseguire. No, non poteva rinunciare a tutto ciò per cui aveva lottato tutta la vita, non adesso che era così vicina.
Non credeva ad una sola parola dei deliri razzisti di Vogel, tuttavia non era neanche più una ragazzina ingenua per credere ancora alla bontà, ai sentimenti e simili illusioni romantiche. Ormai aveva imparato a sue spese come andava il mondo: chi voleva ottenere qualcosa doveva prenderselo, usando tutti i mezzi necessari. In fin dei conti, anche il professor Stein l’aveva ingannata facendole credere di amarla per avere da lei quello che voleva, adesso sarebbe venuto il suo turno e anche lei si sarebbe presa ciò che voleva.
Il suo viso assunse un’espressione dura e determinata. Il Graal sarebbe stato suo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per averlo, qualsiasi cosa…
Ovviamente, una volta trovata la coppa non aveva la minima intenzione di consegnarla a quel pazzo di Hitler, avrebbe trovato un modo per tenersela. In fondo, per una intelligente come lei non sarebbe stato poi troppo difficile farla in barba a quella banda di fanatici idioti, pensò tra sé per calmare gli ultimi sussulti della coscienza.
Pochi giorni dopo, la dottoressa Elsa Schneider partiva per Berlino.

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Capitolo 4
*** Intrigo a Venezia ***


Venezia, 1938
 
Il professor Henry Jones non avrebbe saputo dire se fosse più l’emozione di essere ormai arrivato ad un passo dalla meta delle ricerche di tutta una vita o più l’insonnia, dovuta all’età che avanzava, a non lasciarlo dormire.
Quel Donovan venderebbe sua madre per un vaso etrusco; ma bisogna dire che non bada certo a spese, pensò aggirandosi per il lussuoso appartamento nel centro storico di Venezia che il miliardario americano aveva messo a sua disposizione. La tappezzeria verde prato ed alcuni quadri dal gusto alquanto pacchiano appesi alle pareti non erano il massimo; ma i tavolini di marmo intarsiato e la superba collezione di libri antichi avevano destato l’ammirazione del professore.
Henry si avvicinò alla porta della stanza da bagno, girò la maniglia di ottone e fu investito da una nuvola di vapore, accompagnata da un acuto gridolino femminile.
“Ops… scusami Elsa, pensavo stessi dormendo…”, fece imbarazzato Jones Senior, trovandosi a rimirare la testa bionda e l’aggraziato piedino bianco che emergevano dalla montagna di schiuma che riempiva la vasca.
“Neanch’io riuscivo a prendere sonno e non c’è niente di meglio di un bel bagno caldo per rilassarsi.”, fece Elsa sorridente, sollevando una spalla candida e rilucente d’acqua, “Mi passeresti l’accappatoio per favore?”
Arrossendo, Henry le porse l’indumento, cercando di distogliere lo sguardo, ma non resistendo alla tentazione di dare almeno una fugace sbirciatina a tanto splendore.
“Ehm, sarà meglio che vada, devo ancora consultare alcune carte…”, bofonchiò uscendo felicemente scombussolato.
Inutile negarlo, Elsa lo aveva proprio stregato. Quando Walter Donovan lo aveva spedito a Berlino per incontrarsi con un certo professor Schneider, Henry non aveva subito compreso che si trattasse proprio della graziosa biondina che aveva conosciuto a Princeton sei anni prima, durante la visita del professor Stein. Fin da quei giorni, infatti, essendo subito entrato in sintonia con quella ragazza così carina, preparata e simpatica aveva preso l’abitudine a chiamarla per nome e anche Isaac, nelle sue lettere, si riferiva a lei sempre come Elsa.
Nel giungere a Berlino, Henry aveva constatato con profondo sgomento che quella città, un tempo capitale ricca di cultura e famosa per i suoi musei, si presentava ora come un lugubre teatro, tappezzato da stendardi con minacciose croci uncinate e percorso da parate di mentecatti che facevano il passo dell’oca davanti a folle di fanatici a braccio teso. Ritrovare lì quella ragazza spigliata che, nel frattempo, si era meravigliosamente sviluppata in una bellissima giovane donna, era stato per l’attempato professore come trovare un’oasi di grazia e purezza in quella terra sacrilega dove imperversavano le forze delle tenebre.
Dopo aver passato alcuni giorni assieme a lei a Venezia, Henry si sentiva ringiovanito di trent’anni. Il professore severo e azzimato che i suoi terrorizzati studenti avevano soprannominato Attila aveva recuperato l’entusiasmo di un ragazzo, pendendo letteralmente dalle labbra della bionda storica dell’arte quando lei gli illustrava i principali monumenti della città o i capolavori esposti alla galleria dell’Accademia. Avevano passato lunghe giornate alla Biblioteca marciana o alla Biblioteca della chiesa di San Barnaba, spulciando con ansia febbrile antichi codici e pergamene polverose. Mai, negli occhi di nessun altro, Henry aveva visto la luce che brillava nello sguardo di Elsa al trovare ogni minimo indizio che potesse portarli sulla pista della sepoltura del cavaliere: solo quella ragazza mostrava una devozione per il Graal pari alla sua.
In fondo, si diceva Henry, era stato solo grazie a Elsa se erano riusciti ad arrivare fin lì, se il mistero su cui lui si era inutilmente spremuto le meningi per anni era stato finalmente svelato. Solo uno spirito puro poteva aver avuto accesso all’illuminazione che le aveva rivelato la corretta interpretazione di quella frase enigmatica che lui aveva trovato sulla consunta pergamena delle Cronache di Sant’Anselmo: “Equestri sepulcrum in… Regina… Dalmatiae”. Lei doveva certamente aver visto giusto, la frase era: “Equestri sepulcrum in urbe regina maris Dalmatiae”, la tomba del cavaliere nella città regina del mare di Dalmazia, cioè Venezia.
Pensando a lei, gli vennero in mente i versi di una poesia veneziana che aveva sentito da un certo Eugenio, il podologo che l’altro giorno gli aveva curato un piede dolorante; un tipo davvero originale: fascista della prima ora, ebreo e poeta dilettante.

Quando, Venezia mia, su le to case,
una gloria de sol xe sparpagnada,
lassime dir, se’l paragon te piase,
che ti me par na tosa spensierada.

Durante il viaggio che li aveva portati dalla capitale tedesca alla città lagunare, i due avevano avuto modo di parlare a lungo e la giovane si era confidata con lui, gli aveva raccontato di quanto fosse spaventata dai nazisti che avevano invaso la sua patria e di come fosse rassicurante per lei la compagnia di un uomo come Henry. Trattenendo a stento le lacrime, Elsa gli aveva raccontato di come era finita la sua storia con Isaac, di come, fidando nelle sue promesse, lei gli avesse sacrificato la propria purezza e di quanto adesso si sentisse sola, abbandonata, ferita e sperduta e vedesse in lui, Henry Jones, l’unica ancora di salvezza.
“Povera piccola”, aveva mormorato Henry, passandole un braccio attorno alle spalle e lasciando che lei appoggiasse la testa bionda sul suo petto per trovare conforto.
Certo, Henry non poteva che compiangere la sorte del povero Stein, costretto a fuggire dalla sua patria ed a prendere la via dell’esilio; ma non poteva proprio giustificarlo. Povera Elsa, come aveva potuto Isaac prendersi gioco di quella fanciulla così dolce e innocente? Stein era incapace di controllarsi e di mettere la testa a posto, proprio tale quale a suo figlio, quel disgraziato di Junior che, infatti, anche lui aveva compromesso una povera ragazza.
Henry era venuto a sapere quel che suo figlio aveva fatto alla figlia del povero Abner Ravenwood. Era semplicemente disgustoso: prima l’aveva sedotta, approfittandosi di lei quando era ancora una ragazzina innocente, poi l’aveva tradita con la giovane moglie di un aristocratico italiano, facendo scoppiare uno scandalo che aveva finito per mandare a monte le faticose ricerche del professor Ravenwood che ne aveva avuto la vita rovinata e, infine, quando, con anni di ritardo, sembrava finalmente volersi prendere le proprie responsabilità, portando la ragazza all’altare, si era nuovamente sottratto ai suoi doveri di gentiluomo abbandonandola alla chetichella, senza una parola, ad una settimana dalle nozze! Non c’erano giustificazioni: Junior era proprio incorreggibile e senza vergogna!
Henry scosse la testa ripensando a suo figlio; erano anni ormai che i due non si parlavano. Mai una lettera, mai una cartolina. Le uniche notizie che aveva di lui erano costituite dagli articoli di giornale che parlavano delle sue sconclusionate ricerche. Quale peccato doveva aver mai commesso, si chiese il vecchio Jones, perché gli fosse capitato un figlio così degenere e sregolato? Chissà cosa stava facendo adesso? Sicuramente, invece di impegnarsi in qualcosa di serio, stava sprecando il proprio tempo in baggianate come andare alla ricerca delle città di Cibola o cose del genere. Cosa ci si poteva mai aspettare del resto da uno che si faceva chiamare con il nome del loro cane?
 “Bah, avere un figlio così è come non averlo. Per lui è come se io neanche esistessi.”, biascicò amaramente tra sé il professor Jones, con un gesto di stizza.
Sicuramente adesso, dopo aver spezzato il cuore di Marion, Junior era impegnato a rincorrere qualche altra sottana. E pensare che, finché era in vita sua moglie, Henry non l’aveva mai tradita neppure con il pensiero…
“Certo, però, che adesso che la mia povera Anna mi ha lasciato…” si disse Henry con un sospiro, mentre gli pareva di risentire il fremito che lo aveva attraversato quando aveva scorto Elsa nella vasca.
“Bah, non pensiamoci, potrebbe essere mia figlia…”, bofonchiò il vecchio Jones. Eppure… eppure mi ha detto lei stessa che era attratta da Isaac perché le piacciono gli uomini dal fascino maturo, visto che i ragazzi della sua età sono un branco di buoni a nulla e, su questo, non si può certo darle torto… ma allora…forse…, pensò Henry con un sorrisetto speranzoso. In fondo fantasticare non era mica un delitto e lui era un uomo fatto di carne come gli altri…
Mentre il professor Jones era assorto in tali pensieri, Elsa, ritiratasi nella sua stanza, si rigirava nel letto, sprofondata in un sonno inquieto. Si rivedeva a Berlino, avvolta in un lugubre soprabito di pelle nera, ritta su un palco adornato da sinistri drappi scarlatti con le svastiche. Era circondata dai massimi gerarchi del partito nazista, i folli occhi sgranati di Goebbels e la gelida inespressività di Himmler le toglievano il fiato, mentre sentiva con ribrezzo su di sé lo sguardo porcino di Göring. Adolf Hitler in persona, con il suo freddo sorriso, si complimentava con lei, le diceva che era una grande scienziata ariana, che il Graal simboleggiava la superiorità delle stirpi germaniche ed altre deliranti idiozie. Il suo istinto le diceva di scappare, di sottrarsi a tutto quell’orrore, eppure non ce la faceva e, mentre la bocca di Hitler vomitava quelle assurdità trasudanti d’odio, lei rimaneva lì, tendeva il braccio come le era stato insegnato e continuava a ripetere Mein Führer, Mein Führer, Mein Führer…
“Mamma! Papà!”, gridò, svegliandosi di soprassalto, ansimante, con il cuore che le batteva all’impazzata, quasi a volerle balzare dal petto. Quanto avrebbe voluto adesso le braccia amorevoli di sua madre e le parole dolci e rassicuranti di suo padre che la consolavano dopo un brutto sogno, come quand’era bambina.
Purtroppo, però, stavolta non si trattava solo di un brutto sogno: Elsa quella scena l’aveva vissuta realmente.
Aveva cercato di non pensarci; rivedere Venezia, i suoi splendidi palazzi, i suoi ricchi musei, la Tempesta del Giorgione, i capolavori di Tiziano, del Veronese, del Tiepolo e del Tintoretto, gustare un meraviglioso piatto di sfogi o di bigoi in salsa l’aveva distolta per qualche giorno da quei foschi pensieri. Si sentiva emozionata come una scolaretta; lavorare a fianco del professor Jones, il massimo esperto vivente del Graal, l’autore dei libri su cui lei si era formata, era sempre stato il suo sogno. Era entusiasta di quello che stavano per scoprire; ma, a volte, senza darlo a vedere, era presa da un profondo sconforto: quello che doveva essere uno dei momenti più belli della sua vita, il coronamento di tante fatiche, era anche quello in cui compiva l’azione più meschina: il tradimento. Henry era l’uomo che più ammirava ed ora lei lo stava spiando, stava tradendo ignobilmente la sua fiducia.
Elsa sapeva bene che il Graal non aveva nulla a che fare con i nazisti; anzi, con il loro culto blasfemo della violenza e dell’odio, essi erano i peggiori nemici di tutto ciò che il Graal veramente rappresentava: i valori della cavalleria, l’onore, la cortesia, la difesa dei deboli, la ricerca di elevazione spirituale. Ma, nonostante tutto, continuava a ripetersi che non aveva scelta, che quella era l’unica cosa da fare, che in fondo i suoi scopi erano buoni, che alla fine non avrebbe permesso che la sacra coppa finisse in mano dei nazisti. Aveva fatto giurare a Vogel che non avrebbe fatto del male ad Henry e - si diceva per giustificarsi e convincere se stessa – in fondo la sua non era che una piccola finzione momentanea per raggiungere uno scopo ben più alto. In realtà, non stava facendo il doppio gioco ma il triplo: quando lei avrebbe avuto il Graal tutto per sé – continuava a ripetersi per tacitare la coscienza – per farsi perdonare, avrebbe permesso ad Henry di studiarlo assieme a lei.
Eppure, per quanto si sforzasse, tutti quei bei ragionamenti non riuscivano a farla dormire tranquilla.
“Elsa! Cosa succede? Stai bene?”, risuonò la voce di Henry, accorso premurosamente al sentire il grido della giovane donna.
Per un istante, Elsa pensò di precipitarsi da lui e confessargli tutto: metterlo in guardia dal complotto di Vogel, rivelargli la complicità di Donovan. Sapeva che erano costantemente sorvegliati dagli agenti nazisti; ma forse sarebbero riusciti a fuggire assieme e a porsi in salvo. Tuttavia, confessare tutto ad Henry e fuggire con lui voleva anche dire rinunciare a tutto proprio ora che stavano per trovare la tomba del cavaliere… No, lei questo non poteva permetterlo!
Elsa si alzò per aprire la porta e il cuore di Henry sobbalzò quando lei gli comparve davanti, avvolta nella sua morbida veste da camera di satin rosa pallido, le cui trasparenze mettevano in risalto più che nascondere il suo corpo perfetto.
“Sto… sto bene, grazie. È stato solo un incubo. C’erano i nazisti tutto intorno a me, Hitler e…”
Henry l’abbracciò, “Non devi temere, piccola, ti proteggerò io, non lascerò che ti facciano del male”.
Si tennero stretti per un lungo istante, Henry vide brillare gli occhi di Elsa e, quasi sospinto da una forza irresistibile, le accarezzò il viso. La sua mano le sollevò il mento e le loro labbra si sfiorarono e finalmente si unirono in un bacio caldo e appassionato.
Elsa si lasciò andare; ovviamente, fin da subito, aveva compreso quanto Henry fosse attratto da lei e così, nei giorni precedenti, un po’ per gioco, un po’ per vanità femminile e un po’ perché ciò avrebbe contribuito a far abbassare le difese del professore, facilitando la sua missione, si era divertita a stuzzicarlo.
Adesso, però, non stava fingendo: in quel momento sentiva solo il bisogno di essere amata, di abbandonarsi tra le braccia di un uomo che, almeno per un poco, le facesse scordare tutto il resto. Gli affondò le dita tra i capelli, attirandolo verso di lei e gli restituì il bacio con passione.
Ormai completamente inebriato da lei, Henry la strinse a sé. Le sue mani, sciolta abilmente la cintura che chiudeva la veste di satin, percorsero quel giovane corpo, accarezzandone le membra frementi di voluttà, mentre le sue labbra scendevano dolcemente a sfiorarle la pelle bianca e liscia che ancora sapeva di sapone profumato. Perso in un vortice di sensazioni che non provava da tempo, Jones Senior non poteva resistere oltre e si slanciò su di lei che lo accolse, avvolgendosi calda attorno a lui.
Travolti entrambi da un’incontenibile passione, i due, appassionati e insaziabili, protrassero a lungo i loro giochi d’amore; Henry sapeva come far felice una donna ed Elsa, quella notte, non finse nulla quando, più volte, gemette per il piacere.
Infine, i due giacquero spossati e appagati, sussurrandosi con respiro affannato le solite meravigliose sciocchezze che gli amanti si scambiano in tali frangenti.
“Non avrai saltato con un balzo dalla testa del leone; ma di sicuro hai dimostrato il tuo valore, orsacchiotto mio.”, mugolò Elsa.
“Beh, il punto dove si trova il Graal lo scopriremo presto; ma direi che intanto abbiamo trovato il mitico punto di Regnier de Graaf, micetta mia”, le sussurrò Henry, ridacchiando soddisfatto.
Tra scherzi, baci, coccole e risolini, finalmente s’addormentarono. Poco dopo, però, Henry si risvegliò e, imprecando contro gli anni che passavano, dovette prendere la via del bagno. Quando tornò in camera, si fermò a contemplare Elsa che dormiva illuminata da un raggio di luce lunare che filtrava dalla finestra e faceva risaltare le forme superbe del suo corpo nudo.
Gli ritornarono in mente i versi della poesia.

Che ti me par; quando ti dormi in pase      
dai basi de la luna inarzentada,
in mezo l’aqua del to mar che tase,
la poesia che sogna inamorada

Lo sguardo rapito di Henry indugiava ancora su quelle gambe snelle ed eleganti, sulla morbida curva dei fianchi, sul ventre piatto, sul seno generoso, sul viso fine e delicato, assorto nel sonno, quando, d’improvviso, Elsa sussultò e il suo volto assunse un’espressione dura e agitata, come se fosse turbata da visioni cupe e angosciose.
Pensando avesse un incubo, Henry si avvicinò a lei per svegliarla e sentì distintamente le parole che stavano uscendo dalle labbra della bella dormiente.
Mein Führer, Mein Führer, Mein Führer…”
Il cuore di Henry mancò un battito. Raggelato, come fulminato, sentì il mondo crollargli addosso.
Una nazista! Aveva fatto all’amore con una nazista! Come aveva potuto essere tanto stupido? Si era unito ad una dei peggiori nemici del Graal!
Nella sua mente, nutrita di letteratura cavalleresca, tutto si fece infine chiaro: lei era la strega Kundry, mandata dal malvagio mago Klingsor per sedurlo e distoglierlo dalla ricerca del Graal. Parsifal aveva saputo resistere alla tentazione; ma lui invece aveva fallito la prova. Aveva peccato come Lancillotto del Lago, si era lasciato abbagliare dalle lusinghe di quella maliarda che lo aveva irretito nelle spire della sua lussuria. Si sentì perduto, si chiese chi mai adesso avrebbe potuto compiere la sua missione. Poi si ricordò di Galahad, il figlio che Lancillotto aveva abbandonato, era lui il cavaliere destinato a trovare il Graal e, improvvisamente, seppe quello che doveva fare.
Henry non la svegliò, doveva stare attento a non metterla sull’avviso: lei non doveva sospettare che lui ormai sapeva chi lei era veramente. Così, tornò a letto accanto ad Elsa, dando ancora un’occhiata di sottecchi alla subdola incantatrice che lo aveva stregato la quale adesso, ignara di tutto, dormiva di nuovo tranquilla.
“Certo che non assomiglia proprio alla strega cattiva di quel film a cartoni animati che ha fatto tanto successo lo scorso anno…”, sospirò.
La mattina seguente, al suo risveglio, Henry cercò di apparire naturale: si stiracchiò e sorrise ad Elsa, impegnata nella stessa attività. Lo stomaco di Elsa brontolò per la fame e quello di Henry fece lo stesso; ridacchiarono entrambi, scherzando affettuosamente sulle energie che avevano consumato nella notte appena trascorsa. Fecero colazione e poi, come di consueto, si recarono alla Biblioteca di San Barnaba per proseguire le loro ricerche.
Giunti al loro tavolo, come al solito, Henry tirò fuori dalla sua cartella di pelle gli appunti sui cui stavano lavorando, uno dei fogli riportava tre numeri romani: III, VII e X. Da giorni, ormai, cercavano di capire il significato di quelle tre cifre che sapevano celare il mistero dell’ubicazione della tomba del cavaliere. Elsa aveva osservato che Henry consultava spesso un taccuino fittamente annotato, il frutto di anni di studi e ricerche. Vogel le aveva ordinato di impadronirsene; ma lei, finora, aveva esitato: se avesse messo in sospetto Jones prima che la tomba fosse stata individuata, tutto sarebbe andato a monte, visto che, senza l’esperienza e le straordinarie conoscenze di Henry, non le sarebbe mai stato possibile trovarla da sola.
Con nonchalance, Henry chiese ad Elsa di andare alla sezione cartografica per prendere un’antica pianta della città, sapeva che era una ricerca complessa che l’avrebbe tenuta impegnata per un po’.
Appena la donna se ne fu andata, Henry si alzò e, preso con sé il suo taccuino, il diario del Graal, uscì dalla Biblioteca. Affrettandosi più che poté, raggiunse un ufficio postale, vi entrò e dopo esservisi trattenuto per alcuni minuti, ne uscì dirigendosi alla stazione di Santa Lucia.
Quando Elsa tornò, non trovando più Henry, lo aspettò per qualche tempo, poi, non vedendolo tornare, si allarmò: temeva potesse essergli accaduto qualcosa di grave.
Si affrettò a tornare all’appartamento; ma, quando aprì la porta, ebbe la sgradita sorpresa di trovarsi davanti il colonnello Vogel.
Elsa sussultò con il cuore in gola: ora era certa che qualcosa di grave doveva essere accaduto.
“Che succede? Dov’è Jones?”
 “Lo abbiamo preso mentre tentava di fuggire.”
“Cosa…cosa gli avete fatto?” chiese trafelata.
“Non si preoccupi, è nella sua stanza.”
Elsa corse nella stanza di Henry e lo trovò legato ad una sedia.
“Henry! Stai… stai bene?”
“Puah! Come se te ne importasse qualcosa, strega nazista!”, sbraitò l’uomo.
Il colonnello Vogel li raggiunse.
“Allora, professor Jones, vuole dirci dove ha nascosto il suo diario oppure preferisce che usiamo le maniere forti?”, fece il nazista rivolto allo studioso.
“Non ve lo dirò mai, maledetti! Volete torturarmi? Accomodatevi: ormai sono vecchio e non resisterò che pochi minuti prima di rendere la mia anima. Sono fiero di offrire la mia vita per il Graal e voi resterete con un pugno di mosche!”
“Ah sì? Ora vedremo…”, abbaiò rabbiosamente Vogel, avvicinandosi minacciosamente a Jones.
“Fermo!” urlò Elsa.
 “Sembra che lei ci tenga molto all’americano, doktor Schneider, del resto è comprensibile dopo questa notte…” le disse il nazista, ridendo con quel suo riso freddo e crudele.
“Cosa, cosa ne sapete voi di…”, fece Elsa, arrossendo per la rabbia e l’imbarazzo.
“Oh, abbiamo solo preso qualche piccola precauzione per evitare sorprese…”, fece Vogel spostando un quadro, dietro il quale si celava un piccolo microfono.
“Mi…mi stavate spiando!”, ruggì Elsa.
“Un’indiscrezione intollerabile!” fece Jones
“Il professor Jones è stato un bravo amante, fräulein? Sembra che stanotte lei abbia recitato la sua parte con molta… passione.”, continuò Vogel con una risatina isterica e beffarda.
Elsa avrebbe voluto sputargli in faccia, ma riuscì a controllarsi.
“Non sia sciocco, herr Vogel, sa bene che il mio unico obiettivo è il Graal e farei qualsiasi cosa per ottenerlo. Jones ci serve vivo: nel caso non riuscissimo ad individuare la tomba del cavaliere, potremmo avere ancora bisogno di lui.”
Vogel ebbe un moto di dispetto, vedendo sfumare la possibilità di eliminare personalmente Jones come avrebbe voluto; ma i suoi superiori gli avevano ordinato di seguire le direttive di Elsa e lui non voleva rischiare la punizione che gli sarebbe toccata se avesse disobbedito.
“Come desidera, professor Schneider. Vado ad avvisare gli uomini dell’Abwehr, darò ordine che Jones sia portato in un luogo sicuro e sorvegliato.”, disse il nazista, sbattendo i tacchi prima di uscire dalla stanza.
Elsa attese che Vogel si fosse allontanato, poi fracassò con rabbia il microfono spia e si volse verso Henry, che distolse lo sguardo da lei.
“Henry, lo so che sei arrabbiato con me ma... cerca di capire... mi dispiace, mi dispiace immensamente, io non volevo che…”
“Risparmiami le tue bugie, razza di ipocrita!”
“Henry, ascoltami: io non sono una nazista, io credo nel Graal, come te!”
“E allora perché stai dalla parte dei nemici di tutto ciò che il Graal rappresenta? Dimmelo, dannazione!”
“L’unica cosa importante è il Graal; e posso arrivarci solo con il loro aiuto. Credimi, avrei tanto voluto che ci fosse un altro modo ma…”
Henry era sempre stato contrario ad ogni forma di violenza; ma, se avesse avuto le mani libere, avrebbe tanto voluto afferrarla per le spalle e scuoterla vigorosamente perché la smettesse di dire sciocchezze.”
“Tu non credi veramente nel Graal, Elsa, tu ti illudi di trovare un bottino”, fece il vecchio Jones lanciando su di lei uno sguardo di fiero disprezzo che la costrinse ad abbassare gli occhi, confusa.
“Non riesci proprio a capirlo? La ricerca del Graal è una gara contro le forze del male. Se cadesse in mano ai Nazisti, le armate delle tenebre marcerebbero su tutta quanta la Terra! Ti rendi conto di quello che hai fatto?”
Elsa tacque; sentiva avvicinarsi i passi degli uomini di Vogel che venivano a prendere Henry. Gli sfiorò il viso con la mano, lui ritrasse la testa, sdegnato. Si chinò su di lui ed Henry fremette ai ricordi struggenti che il profumo della sua pelle gli riportava alla mente.
“Ti prego, cerca di capire la mia situazione…” gli disse, senza ottenere risposta.
I passi dei nazisti erano sempre più vicini, Elsa sapeva che non c’era più tempo. Henry avvertì il soffio caldo del respiro di lei che avvicinava la bocca al suo orecchio.
“In ogni caso, voglio che tu sappia che non dimenticherò mai questa notte: sei stato meraviglioso.”, bisbigliò.
“Beh, grazie. Anche tu sei stata fantastica…” bofonchiò Henry, arrossendo lusingato.
Lei lo baciò con passione e stavolta Henry non si ritrasse, restituendole il bacio.
Si staccarono un attimo prima che Vogel e i nazisti irrompessero nella stanza.
“Ho già provveduto ad avvisare Walter Donovan. Sembra che presto avremo il piacere di conoscere un altro professor Jones. Mi auguro che stavolta lei avrà più successo, fräulein Schneider.”, le disse Vogel con uno sguardo sarcastico, quando gli agenti dell’Abwehr se ne furono andati, trascinando con loro il povero Henry.
Quando anche Vogel se ne fu andato, Elsa rimase a lungo in silenzio, da sola, ripensando a ciò che era accaduto e alle parole di Henry. Una lacrima imperlò una delle sue gote rosate. No, decisamente non era contenta di se stessa. In quel momento avrebbe solo voluto buttarsi sul letto e dormire, sognare i suoi genitori, sentire ancora una volta la voce di suo padre. Eppure, chissà perché, quella voce, nei suoi sogni, Elsa non riusciva ad udirla più …

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Capitolo 5
*** Fortuna et Gloria ***


AVVERTENZA:
Per evitare ripetizioni, questo capitolo dà per scontati gli eventi narrati nel film “Indiana Jones e l’ultima crociata” nonché nella mia precedente fic “L’ultima impresa del cavaliere del Graal”.
 
Tempio del Graal, Valle della luna crescente, Hatay, 1938
 
Elsa se ne stava pigramente distesa con gli occhi chiusi, ripensando a quante cose erano successe in quegli ultimi giorni.
Dopo quel giorno in cui gli uomini dell’Abwehr avevano portato via Henry, si era buttata a studiare i pochi appunti lasciati dal vecchio Jones, senza tuttavia approdare a nulla: cosa diavolo significavano quei misteriosi numeri romani? Aveva pensato potessero riferirsi a capitoli e versetti delle Sacre Scritture e aveva vagliato tutte le possibili combinazioni senza tuttavia concludere nulla. Indicavano forse distanze? Coordinate? I tomi di un libro? Non c’era nulla da fare: senza il diario, non sarebbe mai riuscita a cavare un ragno dal buco.
Doveva ammettere che il professor Jones era più scaltro di quanto lei pensasse. Nonostante fosse riuscita a sedurlo, Henry non aveva abbassato la guardia e aveva capito il suo gioco. Si era chiesta come avesse fatto a scoprirla e soprattutto cosa ne avesse fatto del diario. Henry l’aveva con sé quando era fuggito dalla Biblioteca; ma Vogel, perquisendolo, non aveva trovato nulla. L’aveva gettato? Elsa aveva subito scartato quell’ipotesi: impossibile che Henry buttasse via anni ed anni di ricerche che erano state lo scopo della sua vita, doveva averlo dato o spedito a qualcuno, ma a chi? Non lo aveva spedito a se stesso: Donovan aveva fatto setacciare la casa del professore a Ferndale ma nella posta arrivata non c’era nessun diario. Lo aveva forse mandato a suo figlio, anche se, a quanto ne sapeva, non erano in buoni rapporti? Oppure al curatore del National Museum, Marcus Brody?
Quando, qualche settimana dopo, aveva incontrato Indiana Jones assieme a Brody all’attracco del vaporetto davanti alla chiesa della Salute, Elsa sospettava che il diario dovesse essere in possesso di uno di loro. Non aveva potuto fare a meno di rimanere affascinata da Indy. Aveva subito compreso che il giovane Jones era fatto della stessa pasta di suo padre: in lui rivedeva lo stesso sguardo che aveva visto negli occhi di Henry e il suo stesso entusiasmo, inoltre doveva ammettere che, anche se il padre non era affatto da buttare, il fisico atletico del figlio era decisamente molto attraente. Quando, sul Ponte dei Pugni, Indy aveva rubato un fiore per lei, le era sembrato di riconoscere il fare galante di Isaac e, per quanto di solito non sopportasse le smancerie, era rimasta molto compiaciuta, nel constatare l’interesse che l’archeologo mostrava di provare nei suoi confronti, accarezzando l’idea dei possibili sviluppi che la cosa avrebbe potuto assumere tra loro due.
Era stato un giorno veramente memorabile, Elsa non si era affatto ingannata: Indiana Jones era veramente un tipo eccezionale come suo padre. Erano bastati pochi minuti perché riuscisse a sciogliere l’enigma di quei numeri romani e, grazie a lui, avevano finalmente trovato l’ingresso alle catacombe. Elsa non avrebbe mai dimenticato l’emozione che aveva provato quando avevano finalmente scoperto la tomba di Sir Richard e le indicazioni per arrivare al Graal.
Poi c’era stato quel terribile incendio e la fuga precipitosa nelle catacombe e per i canali di Venezia, inseguiti dagli uomini di quella strana setta. Lei e Indy avevano rischiato la vita, lottando fianco a fianco, aiutandosi a vicenda e la comune esperienza del pericolo li aveva avvicinati ancora di più. Elsa, però, era ancora ossessionata dal libretto di Henry, così aveva frugato la camera di Indy cercando inutilmente di trovarlo. Perché non si sospettasse di lei, aveva poi messo a soqquadro anche la propria stanza ed era andata a farsi un bagno, accendendo il grammofono ad alto volume in modo da rendere credibile che qualcuno potesse essersi introdotto di nascosto nell’appartamento, senza che lei se ne accorgesse. La bionda austriaca pensò che il padre era caduto tra le sue braccia dopo averla vista nella vasca da bagno e forse, allo stesso modo, avrebbe avuto anche il figlio.
Indy aveva creduto alla messinscena; ma il diario del Graal era ancora in mano sua, l'aveva sempre tenuto con sé. Elsa avvertì con dispetto che, nonostante tutto il suo fascino e la sua astuzia, non le sarebbe stato tanto facile mettere nel sacco Indiana Jones. “Le ho permesso di venirmi dietro”, aveva avuto il coraggio di dirle! Era proprio un dannato maschilista prepotente. Pensava forse che bastasse regalarle un bel fiore perché lei lo seguisse? Per chi l'aveva presa? E pensare che se non fosse stato per lei, sarebbe rimasto al molo ad aspettare! 
Si erano affrontati con sguardi fiammeggianti e, inevitabilmente, tra loro era scoccata la scintilla: bisticciando, avevano iniziato a rubarsi i baci a vicenda, finché non erano caduti abbrancati sul letto e la battaglia d’amore aveva avuto inizio.
Brody, udendo gli inequivocabili rumori che provenivano dalla camera, comprese subito la piega che stavano prendendo gli eventi e si affrettò ad eclissarsi, uscendo per una passeggiata tra le calli e i campielli.
Henry, con lei, era stato protettivo, tenero ed attento: quasi timoroso di farle male o di deluderla, aveva saputo aspettare i suoi tempi per donarle il massimo del piacere e l’aveva poi coccolata a lungo con infinita dolcezza. Indy era diverso: con lui c’era competizione, era una sfida eccitante senza esclusione di colpi in cui ognuno dei due cercava di dominare l’altro. Lui l’aveva stretta rudemente a sé e l’aveva presa con impazienza, come il leone con la leonessa, possedendola furiosamente mentre i denti e le unghie di lei lasciavano i loro segni sulla sua pelle. Per poco, i due focosi amanti non avevano sfasciato il letto, dando sfogo alla loro passione.
Il giorno seguente, erano partiti verso il castello di Brunwald, dove Kazim aveva rivelato che Henry era tenuto prigioniero. Raggomitolata sul sedile della Mercedes noleggiata da Indy, Elsa ebbe un tuffo al cuore rivedendo le Alpi austriache e i luoghi dove aveva passato i giorni felici dell’infanzia. Una piccola lacrima sfiorò le sue ciglia quando passarono accanto al laghetto dove i suoi genitori la portavano a nuotare da piccola.
Si fermarono a pranzare in una piccola Gasthaus lungo la strada. Elsa si sgranchì le gambe, chiuse gli occhi e, con il nasino un po’ arrossato dal freddo, inspirò profondamente l’aria montana che le riportava alla mente tanti ricordi.  Il cielo, prima limpido, si stava coprendo di nubi e un raggio di sole filtrò improvviso tra i nembi, facendo risplendere di riflessi infuocati l’oro dei suoi capelli raccolti che facevano capolino da sotto un delizioso baschetto nero e sbarazzino.
Indy la guardava rapito, abbacinato dalla sua bellezza. Elsa era perfetta: bellissima, intelligente, colta, raffinata, coraggiosa, sensuale, aveva tutte le qualità per essere amata, eppure… eppure non era lei. L’archeologo sperava che con Elsa avrebbe finalmente scordato la ferita indelebile che si portava impressa nel cuore; ma, dentro di sé, sapeva bene che nessuna donna sarebbe mai veramente riuscita a prendere il posto di Marion.
“Sai, io sono cresciuta tra questi monti. Ho così tanti ricordi…”, gli disse lei con un sorriso leggermente malinconico.
“Uhm… visto che è ora di pranzo, scommetto che stai ricordando qualche piatto tipico. Già da piccola dovevi essere una buona forchetta.”, scherzò Indy, ricordando come Elsa avesse fatto onore ai piatti che avevano mangiato nelle trattorie veneziane.
“Ah, ah, già, avresti dovuto assaggiare le favolose Palatschinken di mia nonna.”, ridacchiò lei.
“Pala…che?”
Palatschinken, è un dolce che mi preparava per la merenda. Ma adesso avrei più voglia di una Leberknödelsuppe e di Zwiebelrostbraten mit Schwammerin Gebacken. Ho giusto un languorino…” disse accennando alla Gasthaus.
“Già, anch’io sto morendo di fame.”, rispose Indy, “Speriamo che questi piatti austriaci siano più facili da mangiare che da pronunciare…”.
Dopo pranzato, avevano ripreso il viaggio arrivando al castello verso sera, sotto una pioggia scrosciante e, messo fuori combattimento il maggiordomo, erano entrati.
Quando Jones aveva scavalcato una finestra dicendole: “torno subito” e si era lanciato nel vuoto aggrappato solo alla sua frusta, rischiando seriamente di sfracellarsi, Elsa aveva trattenuto il respiro con il cuore in gola.
Anche se cercava di non darlo a vedere, era terribilmente agitata: ormai la resa dei conti era imminente e lei non aveva ancora idea di come sarebbe andata e soprattutto di cosa lei avrebbe fatto.
Indy sarebbe riuscito a liberare suo padre? Elsa lo sperava sinceramente; in fondo, nulla era impossibile per un uomo come Indiana Jones... Henry gli avrebbe certo raccontato tutto di lei e della sua collaborazione con i nazisti; ma lei avrebbe potuto dire che era stata costretta, cosa che non era poi del tutto falsa. Indy l’amava e avrebbe certo capito. Probabilmente, anche Henry l’amava ancora e anche lui avrebbe finito col perdonarla. Poi, assieme, sarebbero andati a prendere il Graal in barba a Vogel, a Donovan e a Hitler. Chissà, fantasticava, magari i due Jones si sarebbero messi a gareggiare per lei, come due baldi cavalieri. Chi avrebbe scelto? Henry era dolce, Indy appassionato: sarebbe stato divertente farsi corteggiare, tenendo entrambi sulla corda per un po’.
Ma se, invece, fosse andata male? Finché lei era a capo del progetto, poteva controllare Vogel; ma cosa sarebbe successo se i nazisti avessero scoperto che lei era passata dalla parte dei Jones? Conosceva bene i loro metodi e la fine che riservavano a chi tradiva… Doveva stare molto attenta e, se le cose si fossero messe al peggio, doveva essere pronta a saltare dall’altra parte della barricata: era l’unico modo per salvare se stessa e per tentare di salvare anche Indy ed Henry.
Sentendo qualcuno aprire la porta della stanza, Elsa trasalì e si voltò, sperando ardentemente di veder giungere Indy con Henry; ma si trovò, invece, di fronte al ghigno di Vogel che, trovato il maggiordomo svenuto, era accorso accompagnato da numerose sentinelle.
Il respiro le si mozzò in gola ma, facendo appello a tutto il suo sangue freddo, ebbe la presenza di spirito di reagire immediatamente.
“Finalmente, herr Oberst, cominciavo a temere non arrivaste più.”, disse altezzosamente, fingendosi sollevata.
“Dov’è Jones?”
“Nella stanza accanto, con suo padre.”
“E perché non è venuta ad avvisarci, professor Schneider?”, chiese Vogel, sospettoso.
 “Era troppo rischioso: Jones mi ha detto di non muovermi da qui e, se fossi uscita, lui avrebbe potuto accorgersene. Vi ho portato il libretto del Graal: si trova nella tasca di Jones; come vede, ho tutto sotto controllo…”, rispose prontamente Elsa.
Con un cenno, il colonnello mandò i suoi uomini nell’altra stanza. Si udirono voci concitate, seguite dalla raffica di una mitraglietta. Elsa trattenne il respiro, pregando che Indy fosse vivo, finché, con immenso sollievo, sentì la sua voce assieme a quella di Henry nel corridoio.
Il braccio sinistro di Vogel l’afferrò, serrandola in una morsa d’acciaio; Elsa sentì la fredda canna della Luger premere dolorosamente contro la sua gola.
“Quel maledetto americano ha ucciso i miei uomini, ma ora lei mi aiuterà a catturarlo. Non è vero, fräulein Schneider?”, le sibilò all’orecchio in un tono che non ammetteva repliche.
La voce del colonnello nazista aveva un tono beffardo, Elsa capì che non si fidava di lei. A quel punto, rifiutarsi di collaborare sarebbe stato come ammettere il suo tradimento e lei sapeva che, in quel caso, Vogel non avrebbe esitato a spararle.
“Butti quell'arma, Jones, o la fräulein muore!” abbaiò la voce teutonica di Vogel rivolta all'archeologo, che arrivava seguito dal padre.
“Non dargli ascolto! Lei è una di loro, è una nazista!”
Elsa sentì nelle parole di Henry tutto il disprezzo ed il rancore che solo un amore tradito può provocare.
“Ti prego, Indy, fa' come dice...”, lo implorò lei.
La paura che Indiana Jones lesse nei suoi occhi era autentica, il dolore che le provocava l’arma premuta sulla gola era reale e - Elsa ne era convinta - anche le minacce di Vogel di ucciderla se Indy non si fosse arreso erano reali.
Indy posò l’arma e il nazista, con disprezzo, spinse Elsa verso di lui che l’abbracciò.
“Mi dispiace... mi dispiace immensamente.”, gli disse lei.
Per un attimo, gli occhi di Elsa mostrarono tutto il suo dolore e la sua disperazione: si sentiva terribilmente in colpa; quanto avrebbe voluto che le cose fossero andate in modo diverso, quanto le pesava fargli questo.
Poi, però, il suo sguardo si abbassò verso la tasca della giacca di Indy che conteneva il diario del Graal e, quando la sua mano, tremante per l’emozione, lo prese, in lei si produsse un improvviso mutamento e di nuovo la bramosia ebbe la meglio.
“Avresti dovuto ascoltare tuo padre...”, disse, mentre un sorriso le si disegnava sulle labbra, ritraendosi dall’abbraccio di Indy che la guardava attonito, senza parole per la sorpresa e la delusione.
“Già, peccato che non lo abbia mai fatto…”, sibilò Henry con riprovazione.
Elsa era soddisfatta: adesso le cose erano tornate sotto il suo controllo; le dispiaceva per Indy, ma lui aveva avuto la sua occasione ed aveva fallito. Quella era una gara per la conquista della sacra coppa e chiunque avrebbe fatto di tutto per vincerla; non era poi colpa sua se lei era stata più abile degli altri e, questa volta, la medaglia d'oro spettava a lei...
L'euforia per il successo e la sua fiducia in se stessa non vennero meno neanche quando Donovan, a cui aveva consegnato il libretto, si accorse che erano state strappate le pagine contenenti la mappa che indicava il luogo dov'era custodito il Graal. Ci voleva altro per farla ad una come lei: la mappa poteva essere in un unico posto, Indy poteva averla consegnata solo a Brody. Recuperarla era solo questione di tempo, poi lei avrebbe finalmente avuto quello che cercava da tutta la vita.
L'invito all'Istituto di Cultura Ariana l’aveva contrariata: era una vera seccatura, non poteva proprio soffrire quell'accozzaglia di fanatici imbecilli; ma doveva andarci: la sua presenza era stata richiesta “al più alto livello” cioè, in altre parole, dal Führer in persona.
Ormai, Elsa riponeva una tale fiducia nelle proprie capacità da credere di poter esercitare il suo ascendente anche su Hitler in persona; intelligente com'era, si diceva, per lei sarebbe stato un gioco da ragazzi giocare quell'imbianchino pazzo, come lo chiamava Isaac. Hitler le avrebbe dato il comando della missione per il recupero del Graal e, una volta trovata la coppa, lei si sarebbe inventata qualcosa per eclissarsi con il reperto; non sarebbe poi stato troppo difficile farla in barba a quell'idiota di Vogel e ai suoi tirapiedi. Sì, lei non poteva fallire.
Vogel era intenzionato ad eliminare Indy e suo padre; ma Elsa lo aveva bloccato, salvando loro la vita ed alleggerendo un po’ il peso che si portava sulla coscienza. Ormai, i due Jones non costituivano più un pericolo e, una volta a Berlino, lei avrebbe convinto il Führer ad essere clemente e a graziarli
Quando Donovan e il colonnello erano usciti, lei ne aveva approfittato per tentare di giustificarsi in qualche modo con i due Jones. Si era chinata per dare a Indy un bacio appassionato; poverino, stavolta era lui ad aver avuto la medaglia d'argento e in fondo se lo meritava un contentino. Avrebbe dato volentieri lo stesso premio di consolazione anche ad Henry se quell'imbecille del colonnello non fosse ricomparso al momento meno opportuno, interrompendola per condurla alla macchina che l'aspettava per condurla a Berlino.
Mi dispiace, Henry, prometto che la prossima volta ci sarà un bacetto anche per te, si disse Elsa tra sé e sé. Giunta in macchina, prese una sigaretta: Ah, già, devo ricordare di farmi restituire l'accendino da Indy quando lo rivedo...
A Berlino, però, non andò affatto come lei si aspettava e le toccò vedere i suoi peggiori incubi farsi realtà: dovette assistere in silenzio mentre una folla di fanatici urlanti mandava in cenere centinaia di libri; vide ragazzini delle scuole che mandavano in fumo con entusiasmo opere di poesia, romanzi, studi e ricerche che avrebbero invece fatto bene a leggere, solo perché gli autori non erano di razza ariana o perché le loro idee non coincidevano con i deliri del regime. I suoi occhi erano gonfi di pianto davanti allo scempio compiuto da quei barbari.  Le tornò in mente suo padre, lui che fin dalla più tenera età le aveva insegnato a rispettare i libri come un qualcosa di sacro, i mattoni con cui era edificato il tempio della conoscenza li chiamava.
Quando poi volle rivolgere a Hitler la sua richiesta di clemenza, il dittatore la liquidò in un attimo rispondendole, con un gelido sorrisetto, di aver già ordinato di giustiziare immediatamente quelle due spie americane.
Indy, Henry morti... al sentire le terribili parole del Führer un brivido di indicibile orrore le corse lungo la schiena; si sentì soffocare e una morsa di ghiaccio le serrò lo stomaco. Fino al quel momento, si era illusa di poter essere lei a condurre il gioco; ma solo ora iniziava a capire realmente con chi aveva a che fare e in che razza di trappola era andata a cacciarsi: era solo una pedina in mano a forze oscure molto più grandi di lei.
Devastata, istupidita, abbattuta dal senso di colpa, Elsa sentiva il bisogno di starsene un po’ da sola e camminava tristemente, trascinandosi lungo il colonnato che delimitava il luogo del raduno nazista che si andava ormai sciogliendo.
Fräulein Doktor”, la chiamò qualcuno alle sue spalle. Sentendo quella voce, che credeva di non poter udire mai più, per un attimo, temette di trovarsi davanti ad un fantasma in cerca di vendetta.
“Indy! Oh, Indy, sei… sei tu?! Sei vivo! Oh, sono così contenta, pensavo ti avessero… Come… come sei arrivato qui?”, annaspò lei, incredula e sollevata allo stesso tempo.
Indiana Jones la squadrò con uno sguardo duro e freddo come il ghiaccio, che rivelava tutto il suo dolore ed il rancore per il tradimento subito. L’afferrò con rabbia, spingendola in modo brusco nell’ombra dietro una colonna, iniziando a perquisirla, frugandola dappertutto alla ricerca del diario.
“Dove l’hai messo? Lo voglio assolutamente!”, le intimò.
Elsa fremette, sentendo le mani di lui percorrere il suo corpo.
“Beh, è tutto allo stesso posto dell’ultima volta che hai controllato.”, fece lei, cercando di scherzare, per stemperare la tensione.
Lui la ignorò e continuò a tastarla finché non le ebbe strappato ciò che cercava.
“Sei venuto fin qui per quel libretto?”, disse Elsa interdetta, scuotendo la testa confusa.
Per un momento, aveva pensato che Indy fosse venuto lì per lei. Capiva fosse molto arrabbiato; ma credeva volesse almeno sentire da lei le ragioni per cui si era comportata così.
“Mio padre non voleva che lo mandaste in cenere in una di queste vostre festicciole: c’è tutta la sua vita qua dentro.”
Le parole di Indy la colpirono peggio di un pugno allo stomaco. Era questo ciò che pensava di lei? Che fosse una di quei fanatici idioti in camicia bruna? Lei credeva nel Graal non nella svastica!
Elsa fece per trattenerlo, voleva che lui l’ascoltasse, voleva dirgli ciò che lei veramente pensava, ciò che veramente provava. Avrebbe voluto che Indy la portasse via con sé, che la salvasse da tutto quell’orrore.
Ma Indy non era più disposto ad ascoltarla: l’aveva appena vista al fianco di Adolf Hitler, dell’uomo che ai suoi occhi incarnava maggiormente l’idea del Male assoluto, e ormai se ne infischiava di ciò che lei pensava o sentiva.
La mano destra dell’uomo le afferrò la gola; nel suo sguardo adesso Elsa vedeva solo una rabbia implacabile. Per un istante, che sembrò infinito per entrambi, i due si guardarono fissi negli occhi; lei sapeva che lui non avrebbe stretto le dita, lui sapeva che lei non avrebbe gridato per dare l’allarme. Lentamente, lui lasciò la presa e si voltò, andandosene senza una parola.
Lei lo guardò allontanarsi e raggiungere Henry, felice di vedere che anche lui stava bene; trattenne il respiro per lo spavento quando lo vide sospinto dalla folla verso Hitler in persona e sorrise di sollievo nel vedere l’individuo che quegli imbecilli veneravano come un superuomo, autografare il libretto e riconsegnarglielo senza capire assolutamente nulla di quanto accadeva.
Ormai Elsa provava solo odio per i nazisti, ma era in trappola e non aveva scelta: doveva fingere di collaborare, aspettando il presentarsi di una buona occasione. Contrariamente alle sue aspettative, Hitler aveva affidato il comando della spedizione a Walter Donovan e non a lei. Nel corso del viaggio per giungere in Hatay, era stata costretta a frequentare Donovan e più tempo passava con lui, più quell’uomo arrogante e presuntuoso le ripugnava. Era un tipo volgare, privo di cultura e di gusto; in realtà, non gl’importava nulla del vero significato della ricerca del Graal, voleva solo un mezzo per non morire e continuare così a godersi i suoi soldi in eterno.
Quando furono nel Tempio del Graal, aveva dovuto assistere inorridita mentre Donovan ordinava ai soldati del sultano di avanzare verso i trabocchetti posti a difesa del Graal: una cosa crudele e stupida, lei sapeva bene che era del tutto inutile cercare di passare senza avere le indicazioni necessarie a superare le prove; ma Donovan doveva essere pazzo oltre che sadico e continuava a mandare con noncuranza quei poveracci incontro ad una morte certa.
Ormai temeva che non avrebbe più rivisto Indy ed Henry; così, quando li vide arrivare e seppe che erano riusciti a sconfiggere Vogel e i suoi uomini, ne fu così felice che per poco non si tradì correndo ad abbracciarli. Donovan la trattenne bruscamente, tirandola indietro in malo modo, poi estrasse la pistola. Elsa dovette assistere con sgomento mentre minacciava Indy e poi, all’improvviso, faceva fuoco contro Henry.
“No!! Henry!”, Elsa gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Fece per gettarsi in avanti e correre da lui: non le importava più di tradirsi, non le importava neppure il fatto che, in quel momento, Henry probabilmente la odiasse, voleva solo stargli vicino e vedere come stava. Se Henry le avesse sputato in faccia, lei lo avrebbe accettato. In fondo era colpa sua: se fosse stata sincera, se a Venezia gli avesse detto tutto, ora lui non sarebbe stato sul punto di morire, ucciso da quel pazzo di Donovan.
Ma la mano brutale di Donovan l’afferrò di nuovo, trattenendola. Elsa si fece forza e riuscì a controllarsi; su una cosa quel folle aveva ragione: ora bisognava trovare il Graal, con i suoi poteri di guarigione era ormai l’unica speranza di salvare Henry.
Indy avanzò verso il trabocchetto; nel tempio era calato il silenzio e, in un’atmosfera carica di tensione, gli occhi di tutti erano fissi su di lui mentre Henry, a terra, sanguinante, seguitava a ripetere: “Solo l’uomo penitente potrà passare.
Quando l’archeologo si gettò a terra, passando indenne tra le lame mortali, Elsa respirò. Donovan entrò a sua volta nel passaggio, mettendosi a seguire i passi dell’archeologo ed Elsa andò con lui.
La seconda prova era decisamente più semplice, Elsa capì subito che la parola di Dio si riferiva al termine latino IEHOVA e avanzò facilmente, saltellando sulle lettere corrispondenti, come faceva da piccola quando si divertiva a giocare a campana.
Arrivata alla fine del passaggio, si ritrovò sull’orlo di una profonda voragine; sollevando lo sguardo, non poté trattenere un grido di spavento e meraviglia: vedeva Indy che stava camminando sospeso nel vuoto, come il cavaliere ritratto in quello schizzo che aveva visto nel diario di Henry. Per un attimo, rimase sbalordita di fronte a quella che sembrava una visione soprannaturale; ma poi il suo buon senso riprese il sopravvento: ci doveva essere una spiegazione razionale.
Indy, che intanto aveva raggiunto l’altra parete, si girò e vide Elsa, titubante e sconcertata, indugiare sull’orlo del baratro. Vedendola sgranare gli occhi con espressione interrogativa, le indirizzò uno dei suoi sorrisetti canzonatori: Non ci arrivi da sola, eh, biondina? Vorresti un aiutino…
Elsa lo vide chinarsi a raccogliere una manciata di polvere e ciottoli, lanciandola poi sopra l’abisso, dove i detriti disegnarono la sagoma del ponticello. La giovane storica dell’arte avanzò con cautela, sporgendosi a destra e a sinistra per ammirare quello straordinario stratagemma. Brillante, veramente ingegnoso, mormorò affascinata, comprendendo l’arcano: si trattava di una passerella perfettamente mimetizzata con la parete di fondo in modo che, grazie al gioco prospettico ed alla scarsa illuminazione, risultasse del tutto invisibile finché non ci si saltava sopra.
Seguita da Donovan, percorse in fretta lo stretto camminamento. Bah, comunque ci sarei arrivata lo stesso, in fondo bastava solo pensarci un attimo… bofonchiò un po’ piccata dal sorriso sbruffone che le aveva rivolto Indy.
Giunta finalmente nella stanza più interna del tempio, Elsa trattenne il fiato per la meraviglia al vedere una moltitudine di coppe, calici, vasi, boccali e piatti che facevano bella mostra di sé, disposti su una tavola di pietra, sfavillando alla luce delle torce, con i mille baluginii dell’oro, dell’argento e delle pietre preziose. Indy era lì, affiancato da un uomo che sembrava molto anziano il quale portava una cotta di maglia metallica e le insegne di un cavaliere crociato.
 Donovan, con lo sguardo sempre più esaltato, estrasse nuovamente la pistola.
“Okay, qual è?” chiese bruscamente, accennando alle coppe.
“Devi scegliere tu”, disse il cavaliere con tono solenne, “ma scegli con saggezza, perché se il vero Graal di darà la vita, quello falso te la strapperà.”
“Non sono uno storico, non ho idea di che aspetto abbia! Ditemi qual è!” sbraitò.
Al vederlo brandire l’arma contro Indy e il Cavaliere, Elsa rivide la scena in cui quell’uomo, solo pochi minuti prima, non aveva mostrato la minima esitazione a sparare freddamente contro il povero Henry.
Ripensò alle parole che le aveva detto Henry: “La ricerca del Graal è una gara contro le forze del male” e seppe quello che doveva fare.
“Lasci che scelga per lei”, disse, presentando poi a Donovan una coppa d’oro, sfavillante di smeraldi, che l’uomo si affrettò a strapparle avidamente dalle mani.
Il volto della giovane non tradiva il minimo turbamento, solo i suoi occhi rivolsero un rapido sguardo a Indy in un impercettibile cenno d’intesa, mentre Donovan si affrettava a trangugiare l’acqua della fonte che aveva attinto con quella che considerava la coppa del Re dei Re, convinto di ottenere così la vita eterna.
Sebbene Elsa odiasse quell’uomo, non poteva certo immaginare l’orrore che la prese vedendolo invecchiare in pochi istanti sotto i suoi occhi. Capendo di essere stato ingannato, Donovan si volse contro di lei, che urlava di raccapriccio in preda al panico, stringendo le sue dita raggrinzite attorno alla sua gola, in un estremo tentativo di vendicarsi.
Per fortuna, Indy giunse in suo soccorso, spingendo lontano da lei il corpo ormai ischeletrito di Donovan, che andò ad infrangersi orribilmente contro la parete, riducendosi in polvere. L’archeologo l’abbracciò per calmarla e assicurarsi che stesse bene. Non c’era tempo da perdere: Henry stava morendo e dovevano trovare il vero Graal per salvarlo, ogni momento poteva essere vitale.
Erano di nuovo una squadra e, assieme, individuarono rapidamente la coppa: era quella di un umile falegname, non poteva essere d’oro.
Elsa, trepidante, lo guardò bere, pregando con tutte le sue forze di aver visto giusto.
“Hai scelto con saggezza.”, disse il Cavaliere.
“Ce l’abbiamo fatta, Indy! Il Graal è nostro!”, esultò Elsa, sospirando di sollievo. Gli buttò le braccia al collo e si baciarono.
“Adesso fai bere anche me…”, disse.
“Non c’è tempo, Elsa, dobbiamo correre da mio padre…” rispose Indy, riempiendo nuovamente la coppa e precipitandosi nel passaggio.
Elsa lo seguì, sospirando tra i denti. Fu felice di vedere Henry riprendersi e Sallah mettere in fuga i nazisti; finalmente tutto era finito bene e adesso nessuno le avrebbe tolto quello che considerava ormai suo.
Ho superato anch’io tutte le prove e il Graal l’abbiamo trovato assieme, io e Indy. Spetta anche a me! pensò, mentre raccoglieva la coppa da terra. Aspettava quel momento da tutta la vita, era felice, entusiasta. Guardò Indy: ce l’avevano fatta, il Graal era loro! Era così euforica e sopraffatta dall’emozione che non ricordò l’avvertimento del Cavaliere e non sentì neppure Indy e Henry che le gridavano disperatamente di fermarsi.
“È nostro, Indy, tuo e mio!”
Quando la scossa tellurica la gettò a terra, il suo pensiero fu ancora per il Graal e si buttò cercando disperatamente di recuperarlo. Successe tutto in pochi attimi: il crepaccio che si apriva, le mani di Indy che l’afferravano, il Graal così vicino, così facile da raggiungere, il buio della caduta…
Poi si era svegliata nella stanza del cavaliere, che adesso era diverso, molto ringiovanito. Anche lei si sentiva diversa, lui l’aveva salvata, curandola con l’acqua del Graal.
Non aveva mai capito come avesse fatto a sopravvivere a quella caduta: forse l’altezza da cui era precipitata non era poi così grande, le nuvole di polvere non permettevano di vedere il fondo del crepaccio e di valutarne la reale profondità; forse, quando aveva baciato Indy, qualche gocciolina dell’acqua del Graal era penetrata tra le sue labbra, preservando così la sua vita all’interno del tempio; oppure, come sosteneva il Cavaliere, contribuendo a salvare la coppa dalle mani empie di Donovan e dei nazisti, lei aveva dimostrato di credere veramente nel Graal e i suoi mistici poteri non avevano permesso che lei perisse.
In ogni caso, adesso il Graal era lì, davanti a lei. Finalmente poteva prenderlo, tenerlo tra le sue mani e contemplarlo con calma.
 “Lo troverai, Elsa, so che tu lo troverai.”, nella sua mente risuonavano ancora le parole di suo padre che, fin da quand’era piccola, avevano segnato tutta la sua vita. Hans Schneider era stato buon profeta: forse, nel pronunciare quella frase, non immaginava che essa si sarebbe realizzata letteralmente; ma adesso lei era riuscita dove tanti altri avevano fallito.
Per secoli e secoli valorosi paladini, principi ambiziosi, mistici, archeologi, occultisti o semplici pazzi avevano consumato le loro vite alla ricerca di ciò che le sue dita stavano ora accarezzando. Quanto avrebbe voluto che suo padre potesse vederla adesso; ma che cosa avrebbe detto? Sarebbe stato orgoglioso di lei, per quello che aveva ottenuto? Oppure l’avrebbe rimproverata per quello che aveva fatto?
“Anch’io non riuscivo a staccare gli occhi dal Graal, i primi tempi che ero qui.”, le disse il Cavaliere vedendola fissare la coppa. “Adesso, però, sei tu che catturi i miei sguardi.”, continuò con un sorriso, cingendole le spalle con il braccio.
“Oh, cavaliere…”, mormorò Elsa, arrossendo di piacere e scambiando uno sguardo languido con l’uomo che, bevendo l’acqua del Graal, aveva cancellato i segni della sua età secolare, riacquistando l’aspetto virile di un tempo.
In quel momento, le sembrava di vivere realmente dentro le favole che l’avevano fatta sognare da bambina.
Su, Elsa, non montarti troppo la testa, è facile fare colpo quando si è la prima donna che vede dopo sette secoli... pensò, ridacchiando tra sé.
La giovane aveva tentato di raccontare al Cavaliere le vicende che l’avevano portata in quel luogo.
L’uomo si era grattato la testa perplesso, sentendo quelle strane storie di battelli che corrono veloci senza remi né vele, di carri senza cavalli che portano un nome di donna iberica, Mercedes, per non parlare di navi che volano attaccate ad un pallone pieno d’aria.
“Non avrei mai creduto che il Sacro Romano Impero potesse cadere tanto in basso.”, commentò l’uomo dopo aver appreso delle malefatte dei tedeschi.
“Vedi, sono cambiate un po’ di cose negli ultimi tempi… adesso in Germania non c’è più il Sacro Romano Impero c’è il Terzo Reich.”
“Bah, questi Alemanni sono proprio esagerati: non bastava un Impero solo? Dico io, che bisogno c’era di averne tre?”, commentò il Cavaliere visto che Elsa, parlandogli in latino, aveva reso “Terzo Reich” con “Tertium Imperium”.
Quando poi, lei gli aveva raccontato di come avesse saputo del Graal, parlandogli delle opere di Chrétien de Troyes e degli altri autori che avevano narrato della sacra coppa, il Cavaliere aveva alzato le spalle borbottando: “Bah, questi scrittori moderni non sanno proprio più cosa inventarsi…” Era però rimasto molto lusingato del fatto che, anche dopo tanti secoli, qualcuno continuasse a narrare la sua storia e quella dei suoi fratelli.
Poi era stato il suo turno di raccontarle la sua vita e le sue avventure, di come lui e i suoi fratelli, un giorno lontano, avessero intrapreso la ricerca del Graal, spinti dalla loro indomabile passione per l’avventura e dal fascino della scoperta dell’ignoto. Le aveva anche mostrato i meravigliosi reperti che si trovavano nel tempio ed Elsa li aveva esaminati tutti con grande entusiasmo. Osservando la spada del Cavaliere, aveva notato un’iscrizione riportata sull’elsa che le suonava in qualche modo familiare: FORTUNA ET GLORIA.
“Si tratta del motto della mia famiglia”, le aveva spiegato l’uomo con un certo orgoglio.
“Uhm, e ditemi, Cavaliere, siete mai stato in Scozia?”, gli aveva chiesto lei. Sapeva che Henry era originario di quel paese ed era curiosa di verificare una certa sua teoria che le era venuta in mente.
“Certo, è di là che mi sono unito alle schiere crociate.”
“Capisco, eravate certo ansioso di liberare il Santo Sepolcro…”
“Beh, a dirla tutta, se devo essere sincero, quello che mi convinse fu il fatto che, prendendo la croce, si veniva automaticamente perdonati di tutto ciò che si poteva aver commesso fino ad allora ed io, vedete… in quel momento mi trovavo… ehm, in una certa situazione alquanto delicata…”
“Una situazione delicata?”, fece Elsa, stupita.
“Beh, ecco, in quell'occasione le cronache ingigantirono molto quel piccolo incidente. Quella donzella mi aveva detto di essere una fantesca, non potevo certo immaginare che si trattasse della figlia del sire di Glencoe… Lui non la prese affatto bene e minacciava di farmi tagliare…”
“Oh, capisco… minacciò di tagliarvi la testa.”
“Ehm, no, no, non era la testa... era il mio... fu tutto un equivoco!”
Elsa sorrise, ora era decisamente certa che il Cavaliere dovesse essere un lontano antenato dei Jones.
“Oh, messere, immagino abbiate trionfato in molte imprese di tal genere…”, scherzò lei.
 “Uhm, in alcune, mia signora, ma questa è certo la più bella in cui io mi sia mai cimentato...”, le rispose lui, baciandole una spalla, mentre le allacciava al collo una meravigliosa collana di fattura orientale che aveva finora tenuto nascosta.
“Grazie! È bellissima…”, fece Elsa, contemplando a bocca aperta quello straordinario monile, sfavillante di gioielli.
“La sua bellezza non è nulla, paragonata alla vostra.”
 “Maramaldo, scommetto che lo dicevate anche alle altre…”, lo stuzzicò lei.
“Osate mettere in dubbio le mie parole? Vi sfido a duello…”, ribatté lui, ridendo.
“Uhm, un duello notturno?”
“Senza esclusione di colpi…”
“Sarete di certo un campione…”
“Anni e anni di pratica…”
“Posso tenere addosso la vostra collana? O sarebbe un’arma sleale?”
“Andate a letto con i gioielli, principessa?”.
“Sì, e niente altro…”
Si baciarono con passione. Evidentemente, certe caratteristiche sono ereditarie… pensò Elsa.
Quella notte, quando si addormentò al fianco del Cavaliere, Elsa sognò: si rivide bambina con sua madre, era triste, come le succedeva dopo essere stata ripresa per aver combinato qualche marachella. Anche le volte in cui doveva rimproverarla, però, Lotte non era mai troppo dura con lei e, alla fine, quando la vedeva mogia e pentita, la consolava, prendendola dolcemente tra le sue braccia e baciandola affettuosamente. “Certo che ti perdono, Elsa, ti voglio bene e te ne vorrò sempre, l’importante è che tu abbia capito la lezione.”, le diceva, ferma ma dolce. Sognò anche suo padre, quando le raccontava le storie dei vari paladini che avevano cercato il Graal. “Ma perché, papà, alla fine nessuno dei cavalieri ha mai potuto tenere il Graal per sé?”, aveva chiesto un giorno la piccola Elsa. Hans aveva sorriso e le aveva spiegato: “Vedi, Elsa, il Graal non è fatto perché qualcuno lo tenga come un tesoro, il suo vero posto è nel nostro cuore e sta a noi cercarlo, affrontando le forze del male dentro e fuori di noi. Solo se sapremo vincerle, possiamo sperare di trovarlo veramente…”
Il mattino dopo, quando Elsa si svegliò, si sentì sollevata: era finalmente serena e in pace con se stessa. Era stata proprio sciocca ad aver pensato di poter arrivare al Graal grazie a quelle forze oscure che il proprio la ricerca del Graal insegnava a combattere.
“Sì, papà, adesso l’ho trovato, l’ho trovato davvero.”, mormorò.

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Capitolo 6
*** The spy who loved me ***


Territet, Canton Vaud, Svizzera, 1942
 
L’imperatrice Elisabetta d’Austria teneva il segno del libro con l’indice della mano destra mentre volgeva uno sguardo melanconico verso le magnifiche vette alpine che si stagliavano aldilà del lago.
Certo che si era scelta proprio un bel posto per evadere dalla vita di corte. Povera Sissi… pensava Elsa, seduta su una panchina del piccolo e grazioso giardino che circonda la bella statua in marmo di Carrara, contornata da splendide rose, che ritrae l’infelice sovrana che, proprio da quei luoghi, un giorno di più di quarant’anni prima, era partita per Ginevra, incontro al suo tragico destino.
Elsa si alzò pigramente, rivolgendo a Sissi un ultimo sguardo, mentre ripensava a suo padre che aveva dato la vita per gli Asburgo e che le parlava sempre con grande rispetto e ammirazione della bella imperatrice dallo spirito libero; poi s’incamminò, passeggiando un po’annoiata lungo le stradine linde e ordinate della cittadina svizzera.
Gli Svizzeri erano famosi per la loro efficienza e discrezione e la fama era ben meritata: i falsi Graal che Elsa aveva preso nel tempio erano stati venduti ad un’asta a Ginevra a prezzi da capogiro ed il ricavato, versato su un conto bancario di Losanna, era più che sufficiente per permetterle di vivere agiatamente e senza preoccupazioni per il resto della sua vita. Solo la collana che le aveva donato il Cavaliere non aveva voluto venderla: la conservava tra i ricordi più cari e, ogni volta che la guardava, sospirava come presa da un dolce ricordo.
Territet, incastonata tra i dolci declivi del Lavaux, coperti di floridi vigneti, e affacciata sull’elegante Riviera del Lemano, era decisamente un luogo idilliaco; poco distante, il castello di Chillon con il suo aspetto suggestivo e romantico sembrava fatto apposta per rievocare gli scenari di un’avventura cavalleresca. In mezzo a tanta pace e tranquillità, sembrava veramente impossibile che, in quello stesso momento, a poca distanza da lì, si stesse compiendo il più orribile massacro che la Storia ricordasse: una carneficina talmente immane da far impallidire persino la terribile ecatombe che, un quarto di secolo prima, le aveva strappato suo padre.
Elsa ricordò con un brivido il suo incontro con Hitler durante quel raduno a Berlino nel 1938; a quel tempo, nonostante il ribrezzo che aveva provato alla presenza del dittatore, non avrebbe certo potuto immaginare ciò che quel folle sarebbe stato in grado di scatenare negli anni successivi. La bionda storica dell’arte sperava ardentemente che gli Americani, da poco entrati nel conflitto, potessero rovesciarne le sorti e che un giorno anche il suo paese, l’Austria, potesse riacquistare la sua libertà; ma, intanto, le truppe naziste sembravano inarrestabili e dilagavano per il continente europeo, portando devastazione ovunque.
La Svizzera, circondata dalle minacciose truppe del Reich e dei suoi alleati, era diventata un crocevia, percorso da ogni genere di rifugiati, disertori, diplomatici, spie di tutte le nazioni o semplicemente da gente che intendeva continuare a godersi la vita nonostante la guerra. In quell’oasi di pace, Elsa conduceva esattamente il tipo di vita che potrebbe condurre una giovane e bella donna che, ricca e annoiata - come può annoiarsi chi ha raggiunto l’obiettivo cui ha dedicato tutta la prima parte della sua vita e non ha idea di cosa fare nel prosieguo - inganna il tempo tra escursioni in montagna, nuotate nel lago, cocktails con gente raffinata e più annoiata di lei, epiche mangiate di fonduta, qualche fugace avventura amorosa e serate al casinò.
Una sera, al bar del Casinò di Montreux, un accanito giocatore inglese dai modi un po’ volgari le aveva attaccato bottone dopo aver perso con nonchalance una buona quantità di fiches al tavolo del baccarat. Diceva di essere un uomo d’affari della Universal Exports, ma Elsa era convinta che si trattasse solo di uno di quei ricchi figli di papà che, lasciando i compatrioti a difendere il loro paese, si erano imboscati in Svizzera in attesa di tempi migliori. George McHale, così si chiamava quell’inglese, aveva già vuotato un paio di bicchieri di scotch quando era stato raggiunto da quello che doveva essere il suo segretario; costui era poco più di un ragazzino, avrà avuto sì e no vent’anni, e si era diretto con fare deciso al banco del bar dove aveva ordinato un Vodka Martini, raccomandando al cameriere di non mescolarlo. Elsa approfittò del suo arrivo per lasciare il Casinò, che ormai cominciava ad impregnarsi di un odore di fumo e sudore che le dava la nausea; non era certo interessata a proseguire la conversazione con quel pappagallo, convinto di potersela portare a letto sventolando mazzetti di banconote. Doveva ammettere però che il segretario era interessante, la sua faccia le ricordava qualcuno… doveva averla già vista… ma dove?
“Elsa! Anche tu qui?! Che bella combinazione…”, la fermò una voce familiare sulla porta del Casinò.
“Herr Oberhauser!”, fece Elsa, sorridendo nel riconoscere il viso simpatico del suo vecchio maestro di sci.”
“Cosa ci fate qui? Vi credevo sempre a Oberaurach.”
“Bah, con questa maledetta guerra a Kitzbuhel non si vede più l’ombra di un turista che voglia farsi dare lezioni di sci o di scalata e così ho pensato di cambiare aria. Almeno da queste parti non devo vivere chiedendomi quando verrà il prossimo allarme aereo.”
“Già, dannata guerra!”, fece Elsa.
“Ti va di fare due passi? La serata è ancora tiepida.”
“Buona idea, ho proprio bisogno di una boccata d’aria.” ripose Elsa.
I due passeggiarono per un po’ sul lungolago, chiacchierando del più e del meno fino a giungere ad una zona poco illuminata sotto una macchia di alberi da cui, all’improvviso, emerse la figura di un uomo armato di una luger.
 “Piacere di rivederla, doktor Schneider”, disse l’uomo, puntandole contro l’arma, “non tenti di gridare, qui non c’è nessuno che possa udirla.”
“Cosa vuole? I soldi? Se li prenda…”, fece Elsa titubante, allungando le mani a prendere il borsello. In fondo non aveva molti contanti con sé e non era il caso di rischiare per fare gli eroi.
“Ferma! E tenga le mani bene in vista. Mi ha forse preso per un volgare ladro? Suvvia Fräulein non si ricorda più del nostro incontro a Vienna quattro anni fa?”
Elsa lo guardò meglio ed ebbe un sussulto riconoscendo l’uomo della Gestapo, il laido tirapiedi di Vogel che lei aveva schiaffeggiato in un caffè di Vienna.
“Cosa…cosa vuole da me?”
“Ah, ah, non se lo immagina, Fräulein? Lei sa qual è la pena per il tradimento… Lei era stata incaricata dal Führer di compiere una missione, una missione fallita miseramente. Il corpo del colonnello Vogel è stato ritrovato in fondo ad un burrone e i soldati superstiti hanno riferito che Walter Donovan è scomparso in un passaggio sotterraneo dove era entrato con lei e dal quale lei è ricomparsa al fianco di quella spia americana, Jones. Credeva davvero di potersi prendere impunemente gioco di noi? Non mi sono mai fidato di lei. Cosa ci si può aspettare da una donna capace di darsi ad un ebreo?”
“Aspetta, Helmut, questo non era nei patti! Avevi detto che volevi solo farle delle domande. Elsa è un’amica, ho accettato di fartela incontrare ma…” intervenne Oberhauser.
Il calcio della pistola colpì violentemente il volto della guida alpina. Con un gemito, Oberhauser crollò sulle ginocchia, portandosi le mani al viso imbrattato del sangue che gli usciva dal naso.
“Idiota!”, urlò l’agente della Gestapo, “Tu stanne fuori e lasciami lavorare. Ringrazia il cielo che non ti abbia ucciso per aver tentato di difendere questa traditrice”.
Poi il nazista puntò di nuovo l’arma verso Elsa.
“No…no, la prego, mi lasci, posso darle molti soldi se vuole…”
“Ah, ah, e a cosa mi servirebbero? Se tradissi, loro non mi lascerebbero certo il tempo di godermeli. Ha fatto male i suoi calcoli, doktor Schneider, noi nazisti siamo invincibili, chiunque tenti di contrastarci sarà schiacciato senza pietà! Io l’ho capito subito e ho saputo schierarmi dalla parte giusta, quella dei vincitori, della razza superiore, dei padroni del mondo! Adesso sta a lei rendere le cose facili o difficili…”, disse il nazista con un ghigno beffardo, posando con fare lascivo la sinistra sul seno della giovane donna che lo fissava muta e terrorizzata.
 “Fermo!”, si udì gridare una voce dall’accento inglese che Elsa riconobbe come quella di McHale.
“Maledetto inglese!”, fece il nazista, voltandosi e sparandogli a bruciapelo.
McHale cadde a terra imprecando, riuscendo però a mettersi al riparo dietro un albero.
Il nazista avanzò cautamente verso di lui con la luger spianata.
“Ora regolerò i conti con te, ficcanaso, così come faremo tra poco con la tua miserabile isoletta.”
All’improvviso, dal cespuglio dove finora si era tenuto nascosto, il giovane che accompagnava McHale balzò sul nazista, facendogli saltare l’arma di mano con un calcio ben assestato e atterrandolo con un potente gancio alla mascella.
Il nazista si rialzò estraendo un pugnale e si avventò sul giovane inglese, che, con un abile mossa, riuscì a bloccargli il braccio armato. I due rotolarono a terra, lottando avvinghiati per alcuni lunghi istanti, finché non si udì un grido strozzato. Poi il giovane inglese si alzò, gettando un’occhiata sprezzante al corpo del nazista che giaceva stecchito con il proprio pugnale affondato nel petto e si scosse via la polvere dallo smoking con fare quasi da dandy.
“Tutto bene, George?”, fece il giovane rivolto a McHale.
“Sì, James, per fortuna il crucco mi ha preso di striscio.”
I due inglesi si affrettarono poi a raggiungere Elsa ancora sotto shock.
“Non abbia paura, miss Schneider, quell’uomo non le farà più del male.”, le disse McHale, aiutandola ad alzarsi.
“Grazie…mio Dio, c’è mancato poco. Ma voi chi…chi siete?”
“Servizio segreto di Sua Maestà Britannica.”
Il giovane inglese si era intanto avvicinato a Oberhauser che giaceva ancora a terra e, quando lo vide in faccia, non poté trattenere un’esclamazione di sorpresa.
“Hannes!”
“James!” gli fece eco l’austriaco, afferrando la mano che l’inglese gli aveva porto per aiutarlo a rialzarsi.
“Che succede, James?”, intervenne Mc Hale, “Lo conosci?”
“Sì, George, è tutto a posto. Hannes è un vecchio amico.”
La guida alpina si guardò attorno e, incrociando lo sguardo di Elsa, abbassò gli occhi confuso.
“Perdonami Elsa… loro sono venuti a prendermi perché sapevano che ci conoscevamo… mi hanno detto che volevano solo farti qualche domanda e poi ci avrebbero lasciati in pace… io ho una famiglia, dei figli… lo sai cosa fanno a chi si mette contro di loro… non ho avuto il coraggio di dire di no, ma io non ne so niente di questa storia… ti giuro che non immaginavo che…”
Elsa sorrise, posando una mano sulla spalla dell’uomo.
“Sì, so bene quanto sa essere convincente quella gente…”
“Ma, cosa succede? Perché l’Intelligence Service si interessa a me?”, fece la donna rivolta ai due agenti inglesi.
“Le spiegazioni a dopo. Andiamocene prima che arrivi qualcuno che ha sentito lo sparo.”, ripose Mc Hale.
“Faccio sparire il corpo?”, fece James rivolto a McHale, accennando al cadavere dell’agente della Gestapo.
“Ci penseranno i colleghi dei servizi elvetici a mettere a tacere la cosa. Anche se sbandierano la loro neutralità, sanno benissimo che, se non fermiamo Hitler, loro saranno il suo prossimo boccone.”
“Addio, Hannes. Mi raccomando, tu non hai visto nulla.”, fece il giovane inglese, congedandosi dalla guida alpina.
“Non preoccuparti, James, dirò che mi hanno colpito e sono svenuto.”
Anche Elsa salutò il suo vecchio maestro di sci, poi seguì i due inglesi fino ad una macchina posteggiata poco lontano. McHale si mise al volante ed in breve i tre furono al sicuro nella stanza dell’Hôtel des Alpes che fungeva da base per gli agenti del S.I.S.[1]
“Sigaretta?”, chiese l’agente giovane, porgendo galantemente ad Elsa un elegante portasigarette, “È una miscela speciale, turca modello Macedonia, preparata da Moreland di Grosvenor Street.”
“Grazie, mi ci voleva proprio.”, rispose la giovane, prendendone una con le dita ancora leggermente tremanti per lo spavento provato poco prima.
 “Bene”, esordì Elsa, espirando una nuvoletta di fumo azzurrino, “adesso qualcuno vorrebbe cortesemente spiegarmi cosa sta succedendo?”
“Presto detto, miss”, rispose McHale, versandosi l’ennesimo bicchiere di scotch della serata, “i nazisti non hanno gradito la vostra defezione di quattro anni fa in Hatay.”
“E voi come fate a sapere tutto questo? E cosa c’entrate in questa storia?”, fece Elsa stupita.
“Ho conosciuto un vostro vecchio amico che adesso lavora per l’O.S.S.[2]  e mi ha raccontato un sacco di cose interessanti su di voi, miss Schneider”, fece l’uomo con un sorriso che la irritò leggermente.
Ovviamente, non poteva trattarsi che di Indy. Lui ed Elsa non si erano più rivisti dopo l’avventura nel Tempio del Graal; ma lei gli aveva scritto per fargli sapere che se l’era cavata. Lo sguardo ironico di McHale la indispettiva, facendole sospettare che le “cose interessanti” che l’archeologo americano andava raccontando in giro su di lei non si limitassero al solo ambito professionale.
“A quanto pare, lei ha lavorato all’Istituto di Cultura Ariana e sa molte cose sui progetti dei nazisti per accaparrarsi leggendari reperti di cui intendono sfruttare gli straordinari poteri. Ci hanno provato con l’Arca dell’Alleanza e poi con il Graal, ma non credo che la lista finisca qui.”
“No di certo, ricordo che volevano inviare degli agenti in Irlanda alla ricerca della lancia di Longino, che secondo la tradizione ha trafitto il costato di Cristo, e si interessavano anche agli alchimisti, alla Clavicula Salomonis e ad un manoscritto di Alberto Magno con cui sperano di realizzare la Pietra Filosofale, al codice di Voynich e…”, rispose Elsa.
“Va bene, va bene, risparmiateci la conferenza, professoressa Schneider. Le vostre conoscenze possono rivelarsi molto utili per noi. Sapete troppe cose, così i nazisti hanno deciso di chiudervi la bocca; ma non preoccupatevi, se accettate di aiutarci, noi possiamo proteggervi.”
Elsa sapeva di essere ormai nel mirino dei suoi vecchi alleati; ma non fu solo la paura della vendetta dei nazisti ed il bisogno di ottenere una protezione a spingerla ad accettare la proposta di McHale. Forse il destino le stava finalmente offrendo una possibilità di riscatto, di riparare ai suoi errori passati, schierandosi dalla parte giusta e contribuendo alla sconfitta di quelle forze oscure con cui un tempo si era compromessa.
“Bene”, concluse infine McHale, quando la studiosa ebbe accettato di collaborare con i servizi alleati, “probabilmente i nazisti pensavano fosse facile eliminarvi ed hanno inviato solo quell’uomo della Gestapo; ma è meglio non correre rischi: il mio collega vi scorterà alla vostra stanza, per fortuna, alloggiamo nello stesso albergo. Fate le valige, miss Schneider, domani mattina partiremo per Berna. All’Ambasciata americana, l’agente 110 le darà ulteriori istruzioni. Tutto chiaro?”
“Chiarissimo”, annuì Elsa, congedandosi da McHale ed uscendo scortata dal giovane agente.
“Conoscete anche voi Oberhauser?”, chiese la donna, rimasta sola con il giovane.
“Da ragazzo passavo le vacanze scolastiche a Kitzbuhel, lui mi ha insegnato a sciare e a scalare le montagne. È stato come un secondo padre, dopo che i miei sono morti quando avevo undici anni.”
“Oh, mi dispiace. Anch’io ho perso mio padre quand’ero piccola: è caduto in guerra.”
“I miei sono morti entrambi in un incidente in montagna, vicino a Chamonix. Mia madre era nata da queste parti, era svizzera, del Canton Vaud, mio padre invece era scozzese di Glencoe.”
“Uhm, scozzese di Glencoe avete detto?”, fece Elsa pensosa. Ma certo! Ecco dove avevo già visto quella faccia. Questo ragazzo è praticamente identico ad una foto di Henry da giovane che ho visto in un libro.
“Conoscete il professor Jones di Princeton?”
“Professor Jones? No, non lo conosco. Del resto non vado granché d’accordo con i professori da quando mi hanno buttato fuori da Eton per una storia con una cameriera…”
Hai capito il ragazzino… mi sa che l’aspetto non è l’unica cosa che ha in comune con i Jones…
 “Ecco fatto, quando partiamo?” disse Elsa, dopo aver saldato il conto e preparato la valigia.
“Immediatamente.”, rispose il giovane inglese. Poi, d’improvviso, si chinò a baciarle le labbra. “Beh, quasi immediatamente… In fondo la camera è pagata ancora per questa notte e sarebbe uno spreco non approfittarne…”.
“Come osate! Non conosco neppure il vostro nome!”, sbottò Elsa, cercando di apparire più arrabbiata di quanto non fosse in realtà. Ma guarda che razza di insopportabile impertinente! Certo che è dannatamente carino però…
“Oh, se è solo per questo ti accontento subito, bellezza… Il mio nome è Bond, James Bond!”
 
[1]                    Secret Intelligence Service, servizio segreto britannico conosciuto anche come MI6.
[2]                    Office of Strategic Services, il servizio segreto statunitense, precursore della C.I.A.

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Capitolo 7
*** Compleanno a sorpresa ***


Bedford, Connecticut, primo luglio 1949.
 
Indiana Jones non voleva festeggiare il suo compleanno. Chiuso nel suo appartamento, con l’umore sotto i tacchi, continuava a ingollare del bourbon cercando di venire a patti con l’idea che era ormai trascorso mezzo secolo dalla sua nascita. Cinquant’anni… aveva cinquant’anni, continuava a ripetersi incredulo. Lui, che si riteneva sempre un eterno ragazzo, non riusciva proprio a capacitarsene.
Aveva ormai perso il conto di tutte le volte che era riuscito a scampare per un pelo alla morte ed era questo quello che ci aveva guadagnato: invecchiare.  Certo, non era ancora proprio decrepito; ma le migliaia di chilometri percorsi e gli innumerevoli strapazzi cui aveva sottoposto il proprio corpo avevano lasciato il loro segno. Aveva ormai valicato la linea d’ombra, era giunto al giro di boa: la giovinezza era definitivamente alle sue spalle e davanti a sé aveva una monotona vecchiaia da trascorrere abbarbicato ad una cattedra universitaria a scrivere tomi illeggibili che sarebbero serviti da strumenti di tortura per gli studenti, prima di andare a raccogliere polvere sugli scaffali di qualche oscura biblioteca.
Le fantastiche avventure di un tempo sarebbero presto divenute solo ricordi talmente sbiaditi da far persino dubitare che avessero mai realmente avuto luogo. In fondo, le sue più clamorose scoperte erano coperte da segreto militare, come quella dell’Arca dell’Alleanza che l’esercito si era affettato a requisire per tenerla chissà dove, o erano così pazzesche che non poteva parlarne senza correre il rischio di essere sepolto dagli sberleffi dei suoi colleghi che si reputavano archeologi seri. Chi mai infatti avrebbe potuto credergli seriamente se lui avesse raccontato di aver incontrato un crociato ancora vivo in pieno ventesimo secolo? O di aver restituito la prosperità ad un villaggio in India semplicemente recuperando delle pietre magiche, dopo aver affrontato una setta di adoratori di Kalì che gli Inglesi avevano debellato un secolo prima? Lo avrebbero certo preso per un vecchio pazzo e probabilmente l’unica cosa che ci avrebbe guadagnato sarebbe stato il ricovero in un istituto psichiatrico.
La verità era che, adesso che gli occhi di tutti erano rivolti con preoccupazione al futuro, a nessuno sembrava importare più nulla del passato, pensò malinconicamente l’archeologo. Si versò dell’altro whiskey e sedette sulla sponda del letto; sul comodino c’era il libro che stava leggendo, era nuovo, uscito neanche un mese prima. Gli piaceva quello scrittore, di lui aveva letto Senza un soldo a Parigi e Londra e La fattoria degli animali, ma quell’ultimo lavoro era veramente eccezionale e, al contempo, totalmente agghiacciante. L’autore aveva immaginato un mondo dominato dal totalitarismo dove non c’era più posto per la libertà individuale e dove il passato veniva cancellato e riscritto da chi stava al potere.
Un ghigno sarcastico gli si disegnò sul viso, ormai lui era inesorabilmente incamminato sul viale del tramonto; ma, in fondo, il mondo non stava poi messo molto meglio: i nazisti e i Giapponesi erano stati sconfitti solo per lasciare posto alla minacciosa potenza sovietica. Era questione di poco e i Russi sarebbero riusciti a dotarsi di armi nucleari così che la terza guerra mondiale avrebbe sancito la definitiva scomparsa dell’homo sapiens.
Un bel botto finale, forse in fondo non ci meritiamo altro…, pensò amaramente, vuotando il bicchiere.
Si volse allo specchio ed ebbe un moto di stizza quando, nell’immagine che esso gli restituiva, gli sembrò di intravvedere le fattezze di suo padre. Decise che doveva sbarazzarsi della barba che iniziava ad ingrigire, aumentando fastidiosamente la sua somiglianza con il genitore. Era quello il suo destino? Sarebbe diventato anche lui un vecchio professore bilioso, spauracchio dei suoi studenti, i quali, dal canto loro, lo avrebbero considerato solo un rudere del passato?
Sebbene, dopo l’avventura alla ricerca del Graal, lui e Senior avessero riallacciato i rapporti, non si vedevano spesso, giusto per le feste comandate. Gli davano sui nervi tutti quei suoi predicozzi pedanti sulla necessità di mettere la testa a posto, farsi una famiglia e dargli finalmente un nipote. Lui non era fatto per quel tipo di vita, era uno spirito libero e nessuna donna sarebbe mai riuscita ad incatenarlo stabilmente a sé, neanche la sua collega Sophia Hapgood ci era riuscita, così come non c’erano riuscite Willie o Elsa e neppure…
Indy buttò giù un altro sorso di bourbon mentre l’immagine di Marion gli si riaffacciava alla mente. Le altre donne che aveva avuto erano delle avventuriere; in fondo, loro erano come lui: volevano solo divertirsi senza tante complicazioni. Erano piene di risorse e, di certo, se la sapevano cavare perfettamente anche senza di lui: Willie aveva la sua brillante carriera artistica e frotte di ammiratori adoranti; Elsa poi era stata addirittura capace di riemergere sana e salva da un abisso apparentemente senza fondo! Se mai, un giorno, delle sventole del genere avessero deciso di accasarsi, non avrebbero certo avuto problemi ad accalappiare qualche ricco pollo da spennare. Ma Marion era diversa, lei ci aveva creduto veramente…
Chissà dov’era adesso, chissà se si era rifatta una vita con qualcun altro, qualcuno che la meritasse davvero, che non l’abbandonasse davanti l’altare, chissà se talvolta pensava ancora a lui, se lo odiava ancora per tutto quello che lui le aveva fatto…
Il campanello suonò, distogliendolo dai suoi foschi pensieri.
“Arrivo, arrivo, un momento”, bofonchiò Jones, infilando le pantofole e avviandosi verso l’uscio.
“Il professor Jones?” chiese l’uomo alla porta con una voce che rivelava un accento straniero; aveva il volto leggermente abbronzato e gli occhi inespressivi di un azzurro slavato.
“Sono io, cosa desiderate?”, rispose l’archeologo in tono seccato, preparandosi a congedare sbrigativamente l’ennesimo piazzista di aspirapolveri.
“Ecco, professore, vorrei che esaminaste il mio libro…”, fece l’uomo, sollevando il grosso volume che teneva tra le mani.
Indy alzò gli occhi sbuffando, credendo di trovarsi davanti l’ennesimo mattoide che, convinto di aver fatto chissà quale scoperta sensazionale, veniva ad assillarlo, proponendogli i suoi deliri.
“Adesso sono molto occupato. Se volete, la mia segretaria al Marshall College sarà lieta di fissarvi un appuntamento.”, disse spazientito, facendo per chiudergli la porta in faccia quando, d’improvviso, l’uomo premette il dorso del volume e, con un rumore secco, dall’apertura superiore della costola del libro uscì una lingua di fuoco ed un proiettile sfiorò di pochi millimetri il corpo di Jones andando ad esplodere contro il muro dietro di lui.
“In alto le mani, professore! In questo libro, ci sono dieci proiettili 25 dum-dum, sparati da una batteria elettrica: un trucchetto che mi consente di girare tranquillamente armato sotto il naso di voialtri imbecilli dei servizi americani.”
“Ah! Allora voi dovete lavorare per la concorrenza, per i Russi…”, sibilò Jones tra i denti, con una smorfia di disgusto.
“Esattamente, professor Jones, ora state indietro e tenete le mani bene in alto!”, intimò l’agente sovietico, costringendo Indy a retrocedere fino alla parete in fondo alla stanza; poi, mentre con una mano continuava a tenere sotto tiro l’archeologo, puntandogli contro il finto libro, con l’altra estrasse dal taschino una fialetta, versandone il contenuto nel bicchiere del bourbon.
“Bevete!”, ordinò.
“Cos’è?”, chiese Jones, rabbrividendo.
“Idrato di cloralio. Non temete, servirà solo a mettervi fuori combattimento per un po’ in modo che non mi creiate problemi quando vi impacchetterò per bene e vi consegnerò ai miei superiori. Vogliono farvi alcune domande a proposito di ciò che avete visto a Roswell due anni fa.”
“Roswell? Volete dire Roswell nel New Mexico?”, fece Jones scoppiando a ridere, “E cosa volete che abbia mai visto a Roswell? Cristo santo, non c’è assolutamente nulla da vedere in quel buco di paese!”
“Non cercate di fare il furbo con me, Jones! Sappiamo perfettamente che vi sono stati mostrati i resti di una nave spaziale aliena precipitata in quel luogo.”
“Una nave… spaziale? Ah, ah, questa sì che è buona. Certo che ne avete di fantasia voialtri, non credevo che anche in Russia leggeste Amazing Stories.”
“Basta! Non sono qui per ascoltare i vostri ridicoli tentativi di guadagnare tempo. Bevete!”.
“Crepa, compagno!”
“Vi consiglio di non farmi perdere la pazienza: prima vi ho mancato di proposito, ma io non sbaglio mai. Ho l’ordine di prendervi vivo; ma conosco dei punti molto dolorosi dove posso colpirvi pur lasciandovi in vita…”
Indiana Jones rivolse uno sguardo fulmineo alla porta d’ingresso alle spalle del sovietico e il suo viso parve rasserenarsi un poco mentre sulle sue labbra compariva l’accenno di un sorriso ironico.
“Patetico! Siete davvero patetico, Jones! Credete forse di essere in uno di quei vostri stupidi film americani e di riuscire a farmi voltare fingendo di aver visto qualcuno dietro le mie spalle? È il trucco più vecchio e scontato del mondo! Voi Americani siete proprio un branco di pagliacci, dei palloni gonfiati, non avete neppure idea del potenziale di quello che avete trovato in quella nave spaziale, ma quando ci metteremo le mani noi…”
Il russo non terminò la frase, il calcio della colt si abbatté pesantemente sul suo occipite, facendolo crollare a terra senza un gemito.
“Grazie mille, è il cielo che vi manda!”, fece Indy con un sospiro di sollievo.
“Di nulla, voi dovete essere il professor Jones, immagino.”
“In carne ed ossa.”
“Felix Leiter.”, si presentò l’uomo, tendendo la mano in un gesto amichevole, “Lavoro anch’io per la ditta. Mi hanno detto che siete un collega.”
“Sì, ho lavorato per l’OSS durante la guerra.”
L’agente della CIA si voltò verso la porta, “Potete entrare, generale.”
Indiana Jones fu felice di vedere apparire il generale Robert Ross, che entrò accompagnato da due militari.
“Tutto bene, Indy?”, si informò il graduato.
“Adesso sì, ma ti confesso che me la sono vista brutta.”
“SMERSH, Smiert Spionam.”, spiegò Leiter, accennando all’uomo che giaceva a terra. “In russo vuol dire Morte alle spie, è la sezione più segreta dei Servizi sovietici.”
Il generale fece un cenno ai due militari, che si affrettarono a prelevare l’agente sovietico, ancora privo di sensi, portandolo via dopo averlo legato saldamente. Felix Leiter li seguì con lo sguardo, volgendosi verso la porta.
“Ehi! Ma guarda chi c’è… Benvenuta bellezza!”
Seguendo lo sguardo di Leiter, Indy si girò anche lui verso la porta per vedere a chi l’agente segreto avesse rivolto quel saluto e non poté trattenere un’esclamazione di sorpresa nel riconoscere l’aggraziata figura femminile che era appena entrata.
“Ehilà, Indy! È un pezzo che non ci vediamo…”, fece la donna, indirizzandogli un sorriso radioso.
“Elsa! Che diavolo ci fai tu qui?!”
“Sorpreso di vedermi?”
“Figuriamoci, evidentemente anche tu sei come una moneta falsa, spunti sempre fuori…”
“Beh, lo sai che in questi ultimi tempi collaboro anch’io con la ditta.”
“Già, immagino ti troverai a tuo agio a lavorare come spia… In fondo avevi già maturato una bella esperienza nel settore, Mata Hari.”, fece Indy sarcastico.
“Invece di prendermi in giro, dovresti ringraziarmi! Se abbiamo saputo in tempo che i servizi russi si interessavano a te, è solo grazie all’aiuto di un mio amico inglese che ho conosciuto in Svizzera durante la guerra.”, rispose Elsa piccata.
“Ah, ah, sei si tratta di Gimbo, posso immaginare in quale modo avete fatto amicizia, biondona!”, intervenne Leiter, ridacchiando in modo allusivo.
“Grazie per averci tolto le castagne dal fuoco, Leiter.”, li interruppe il generale Ross, “Ma adesso muoviamoci: dobbiamo interrogare il russo, speriamo possa dirci qualcosa…”.
“Sarà difficile”, rispose Leiter, “Quelli della SMERSH sono ossi duri. Secondo le nostre informazioni, i Russi sembrano molto interessati a quell’incidente in New Mexico ed hanno incaricato quella vecchia carogna di Rosa Klebb e la sua migliore allieva, una certa Spalko, di scoprire cosa c’è sotto. Stalin deve tenerci davvero tanto a quei marziani per aver mandato loro...”
Ross lo fulminò con lo sguardo, irritato dal tono vagamente ironico dell’agente segreto.
“Senza offesa, generale, ma sapete che sono un tipo con i piedi per terra e faccio fatica a prendere troppo sul serio tutte quelle storie di omini verdi provenienti dallo spazio o di armi magiche di secoli fa. Vedete, a me, per combattere, non servono trucchi magici: mi basta avere la mia fedele sputafuoco in mano e una bistecca al sangue e un po’ di whiskey di quello buono nello stomaco.”
“Va bene, va bene… Ma adesso muoviamoci!”, bofonchiò Ross.
Il generale salutò Indiana Jones: “Ci vediamo, Indy. Stai tranquillo, abbiamo smantellato la rete degli agenti comunisti che ti stavano alle costole; per il momento almeno non ci dovrebbero essere altri pericoli, ma tieni gli occhi aperti, ok?”
“Ok, Bob, grazie del consiglio.”
“Andiamo, ragazzi! Viene anche lei, dottoressa Schneider? Se vuole, posso darle un passaggio.”
“No, grazie, generale, vorrei scambiare due parole con il professor Jones.”
Il generale uscì, seguito da Leiter e dagli altri militari che chiusero la porta, lasciando Indy solo con Elsa.
“Posso offrirti da bere?”, fece Indy indicando il bicchiere di bourbon.
“Indy! Ti avverto che tentare di narcotizzare un’agente della CIA per approfittare della situazione potrebbe essere considerato alto tradimento…ridacchiò Elsa.
Indiana Jones rimase per un attimo senza parlare fissando quella donna che gli suscitava sentimenti contrastanti. Certamente era molto felice di vederla sana e salva e in perfetta forma: quando lei gli era letteralmente scivolata dalle mani, cadendo in quel crepaccio, lui ne era stato sinceramente addolorato e si era anche sentito terribilmente in colpa per non essere riuscito a salvarla. Se, però, nel piangerla come morta era stato pronto a perdonarle tutto, adesso, al vedersela davanti viva e vegeta con quell’aria sfrontata e baldanzosa, gli ritornavano alla mente tutti i suoi inganni, tutta la doppiezza di cui si era mostrata capace pur di ottenere quello che voleva.
Se è venuta qui non è certo un caso, questa vuole certo qualcosa… pensò tra sé.
“Avanti, bella, sputa il rospo.”, le disse, seguitando a fissarla con il suo solito sguardo ironico.
“Andiamo, Indy, non guardarmi così… Non sarai mica ancora arrabbiato per quel piccolo ehm… equivoco che c’è stato tra di noi?”, fece Elsa cercando di assumere l’aria più innocente di questo mondo.
“Elsa! A causa di quel piccolo equivoco, come lo chiami tu, io e mio padre abbiamo rischiato di restarci secchi! I tuoi amichetti nazisti hanno tentato di più volte di farci la pelle e abbiamo anche rischiato di finire arrosto in quel maledetto castello di Brunwald!”
“Quelli non erano i miei amichetti! Io… beh, ammetto di aver fatto qualche errorino di valutazione, una svista e…”
Ma sentila! Una svista …
“Oh, Indy, cerca di capire… ero in difficoltà, non avevo scelta, e poi, a Brunwald, non è stata tutta colpa mia: sei stato tu ad incendiare tutto… E poi, in fondo, non sono stata forse io quella che ha fermato Vogel quando voleva farvi fuori? E nel tempio del Graal, con Donovan che ti minacciava con la pistola, non sono stata sempre io a salvare la situazione? Andiamo… perché parlare sempre del passato? Adesso lavoro per la CIA, sono dalla parte dei buoni, no?”
Che spudorata! Guarda come rigira la frittata adesso… Voglio proprio vedere dove andrà a parare.
“Ascolta, Indy, vedi, lo sai che io sono una studiosa, il mio posto è in un’Università. Ammetto che lavorare per la ditta può essere divertente; ma alla lunga stanca, e così ho pensato di fare domanda per essere assunta al Marshall College e se magari… ecco, se tu mi appoggiassi un pochino potrei facilmente ottenere la cattedra di Storia dell’Arte…”
Ah, lo dicevo io, ecco cosa voleva…
“Ci pensi, Indy? Potremmo tornare a lavorare assieme, in fondo siamo un’ottima squadra. E poi… beh, potremmo anche riprendere quel che abbiamo iniziato a Venezia…”, disse lei con un sorrisetto birichino più che eloquente.
“Uhm, come a Venezia dici? Sembra una proposta interessante...”, fece Indy sorridendo.
Lo sapevo che avresti ceduto, Indiana Jones, non si resiste al mio fascino… È stato persino più facile del previsto, pensava Elsa, soddisfatta di sé.
“Oh, Indy, grazie! Lo sapevo che potevo contare su di te. Sono certa che, lavorando assieme, faremo molta strada.”
“Beh, per la verità, al momento, mi accontenterei di andare a farmi una doccia. Dopo tutto quello che è successo oggi, sento di averne bisogno…”, rispose l’archeologo.
Uhm, anche quella volta a Venezia è successo dopo che ero uscita dalla doccia… si disse tra sé la bionda, presa da una fantasia maliziosa.
“Uhm, sì, mi sembra una buona idea: anch'io ho bisogno di una doccia. Che ne dici, posso farti compagnia?”, propose Elsa, facendogli l’occhiolino.
“Ma ti bagnerai tutta…”
“Sono già tutta bagnata...”
Ma sì, perché no, in fondo, alla mia età, ogni lasciata è persa si disse Jones.
Le si avvicinò, accarezzandole il viso con una mano; lei chiuse gli occhi, offrendogli le sue labbra carnose. Si baciarono appassionatamente; poi, tra risolini eccitati, iniziarono a spogliarsi a vicenda, armeggiando impazienti con bottoni, cerniere e gancetti.
Lei si girò, volgendogli la schiena perché lui le slacciasse il reggiseno. Erano passati undici anni; ma Elsa, quasi quarantenne, sfoggiava ancora un fisico invidiabile. Impaziente, l'archeologo agganciò con le dita l’elastico delle mutandine, facendo scivolare via, lungo le gambe slanciate della donna, l'ultimo indumento che ancora la ricopriva. Trattenendo il fiato, contemplò le candide rotondità dei suoi glutei che gli parvero così perfette da poter rivaleggiare con una statua marmorea di Afrodite callipigia. Quando, però, volle posare le sue mani su quella pelle morbida e levigata, lei si ritrasse con civetteria.
Voglio renderlo completamente pazzo di me. Facciamolo soffrire ancora un po’ …
“Mani a posto, ragazzaccio!”, lo redarguì scherzosamente agitando l’indice, prima di voltarsi e condurlo per mano nella stanza da bagno.
Elsa fece scorrere l'acqua, calda come piaceva a lei, ed entrò nella nuvola di vapore, seguita da Indy. Là dentro, in due, ci stavano un po’ stretti; ma di certo la cosa non li infastidiva affatto. Restarono per un po’ ad assaporare la piacevole sensazione dell’acqua che scorreva sui loro corpi nudi, costretti a sfiorarsi di continuo.
Indy cominciò a stuzzicarla, baciandole il collo e le spalle e dandole qualche piccolo pizzicotto; ma Elsa fu irremovibile: chiuse l’acqua, prese una saponetta ed iniziò ad insaponarlo, strofinandolo accuratamente dappertutto mentre ammirava ogni dettaglio di quel corpo ancora muscoloso e virile. Divertito, lui la lasciò fare, finché non fu completamente imbiancato.
“Ora tocca a me.”, disse infine, prendendo la saponetta dalla mano di Elsa per ricambiarle il favore. Fece scorrere il sapone sopra quei meravigliosi seni che si protendevano sfrontati verso di lui finché non furono coperti di schiuma ad eccezione delle rosse punte dei capezzoli che, rizzatisi al tocco delle sue dita, facevano capolino sbucando dalla massa bianca. Un languido sospiro sfuggì dalle labbra di Elsa mentre Indy scendeva ad insaponarle il pancino piatto e il folto ciuffetto biondo che proteggeva il suo punto più delicato e sensibile. Poi lui la girò, prendendo ad insaponarle la schiena.
“Ecco, adesso un po’ qui… e ancora un po’ là... Oh, accidenti! Mi è scivolato il sapone.”
“Non preoccuparti, Indy, lo prendo io.”
Fingendo una mossa maldestra, ma in realtà perfettamente calcolata, la mano di Elsa giunse esattamente al punto cui mirava.
“Ooops… Oh!”
“Elsa! Guarda che quello non è il sapone…”, ridacchiò lui.
“Ooh, Indy…”, mugolò lei, constatando che ciò che teneva in mano si stava selvaggiamente impennando tra le sue dita insaponate.
L’archeologo infilò audacemente una mano tra le cosce di Elsa, costringendola a divaricarle e, mentre con l’altra ne saggiava la saldezza del seno, prese ad esplorare la sua parte più segreta e misteriosa, già tutta stillante dei suoi umori più arcani, strappandole un gemito di voluttà quando giunse a scoprirne il piccolo rilievo nascosto, reso turgido dal desiderio.
Il getto caldissimo e vaporoso che sciacquò i loro corpi non servì di certo a calmarli. Anelanti, rossi in viso, frementi di bramosia, i due unirono le loro labbra, prendendo a baciarsi con voracità mentre le loro lingue guizzavano, sfiorandosi smaniosamente. La passione, ormai incontenibile, li travolse: cedendo ai propri istinti, Indy l’afferrò saldamente alla vita, sollevandola e appoggiandole la schiena contro le piastrelle della parete. Elsa, ormai troppo eccitata per resistere oltre, gli serrò i fianchi tra le sue lunghe gambe, attirandolo a sé e guidandolo con la mano nella sua calda femminilità, ribattendo poi colpo su colpo ai suoi affondi e stringendolo con tutta la forza del suo corpo atletico, quasi a volerlo fagocitare dentro di sé. I loro respiri si fecero sempre più rapidi e affannosi, i loro cuori martellavano impazziti nei petti e i loro fianchi si muovevano ritmicamente sempre più veloci, finché due gridi gutturali e simultanei non segnarono la conclusione della danza d’amore.
Uscirono ansimanti dalla doccia, Indy le porse un asciugamano e ne prese uno per sé, asciugandosi vigorosamente; poi, lasciandola alle prese con i suoi lunghi capelli biondi e arruffati, uscì dal bagno e andò a indossare la sua veste da camera.
Quando Elsa uscì, ancora avvolta nell’asciugamano, era radiosa in volto e sulle sue belle labbra aleggiava un sorrisetto soddisfatto, di trionfo.
Al vederla così, bellissima e sfrontata, Indiana Jones fu preso da un moto di rabbia.
Credi di avere già vinto, eh? Pensi di tenermi in pugno, di potermi manovrare come un burattino, di fare di me il tuo giocattolo…
Ancora dolcemente stordita, Elsa fece per prendere una sigaretta dalla sua borsa.
“Ok, bella, adesso che mi hai dato il tuo regalo di compleanno, puoi anche portare quel tuo bel culetto fuori da casa mia.”, le disse con il suo solito sorrisetto sarcastico.
Elsa lo guardò esterrefatta.
“Ma... Indy, cosa stai dicendo? Non capisco...”
“Dico che puoi scordarti che io ti faccia ottenere un posto al Marshall.”
“Cosa?! Brutto vigliacco traditore! Come... come puoi farlo dopo… dopo che… tu, tu mi, mi hai...”
“Usata? Giocata? Tradita? Esattamente le cose che tu hai fatto a me, a mio padre e chissà a quanti altri.”
Elsa si morse le labbra, fremente di rabbia.
“Ancora con quella vecchia storia?! Ma ti ho detto che...”
“Che non credi nella svastica? Sì, questo lo so bene: tu non credi in niente altro che non sia il tuo tornaconto personale. Sei sempre disposta a tutto per ottenere quello che vuoi. Credevi che dopo aver fatto un po’ di ginnastica con te nella doccia avrei fatto tutto quello che volevi? Che ti avrei seguita come un cagnolino? Credevi che mi avresti fatto innamorare? Mi spiace deluderti; ma tu non sei lei e non lo sarai mai. Mi dispiace, carina, sei una gran bella puledra ed è stato piacevole montarti; ma non puoi avere sempre tutto quello che vuoi semplicemente aprendo le gambe.”
Lo schiaffo di Elsa lo colse in pieno volto, risuonando forte nella stanza.
“Ora, mi sono stancato!”, riprese lui furente, “Ti do cinque minuti per rivestirti ed uscire da qui con le tue gambe, altrimenti ti butterò fuori così, nuda come sei; quindi ti conviene sbrigarti se non ci tieni a far vedere le tue grazie per le strade di Bedford!”
Elsa si rivestì in silenzio, le sue labbra erano contratte dalla collera, i suoi occhi, stretti come feritoie, mandavano lampi infuocati.
Quando Indy le aprì la porta per farla uscire, si chinò ancora una volta su di lei, protendendo le labbra.
“Non mi saluti più come fate in Austria?”, la canzonò.
Il ginocchio di Elsa scattò rapidissimo, colpendolo in pieno al basso ventre.
“No, questo saluto l’ho imparato in America!” disse, con una smorfia che esprimeva tutta la sua rabbia e il suo orgoglio ferito, “Non ho idea di chi sia questa lei; ma se, come mi sembra di capire, non vuole avere più nulla a che fare con una carogna come te, Indiana Jones, posso solo dire che fa benissimo!”, aggiunse, prima di andarsene sbattendo la porta, lasciando l’archeologo, piegato e dolorante, a proferire le imprecazioni più irripetibili.
Ma guarda quel cafone imbecille! In fondo, stavolta, non avevo cattive intenzioni, non facevo nulla di male! Sono una scienziata, una studiosa, volevo solo avere un posto degno di me, non vedo cosa ci sia di sbagliato! Gli ho chiesto solo un piccolo aiutino, non mi pare poi un crimine… Gli ho anche dato un piccolo “incoraggiamento” e lui… lui mi tratta così dopo… dopo avermi… si diceva Elsa, camminando furente per le vie di Bedford.
Dopo che lei gli aveva dato quello che lui voleva, quello zoticone non aveva neppure voluto esaudire una sua piccola innocente richiesta, quindi, quello in torto era evidentemente lui! Messasi a posto la coscienza con questo ragionamento, la bionda, calmatasi un attimo, sedette su una panchina pensando al da farsi.
Bah, ormai il Marshall me lo sono giocato, devo provare in qualche altra università…
“Ma certo!”, esclamò, schioccando le dita, “Come ho fatto a non pensarci prima? Andrò a Princeton!”

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Capitolo 8
*** Il cavaliere e la strega ***


Ferndale, New York, 1949.
 
L’acquazzone non accennava a smettere, picchiettando incessante le folte chiome degli alberi di Pine Road.
“Che tempaccio!”, borbottò Henry Jones Senior, affacciandosi alla finestra. I suoi reumatismi si stavano facendo sentire, rammentandogli il passaggio inesorabile degli anni. Ormai aveva passato la settantina, pensò malinconicamente, era vecchio e solo. Junior non veniva a trovarlo che per le feste comandate e, anche in quelle occasioni, sembrava sempre impaziente di andarsene; mentre Marcus Brody, l’unico vero amico che avesse mai avuto, risentiva anche lui degli acciacchi dell’età e, come lui, ormai si muoveva di rado da casa.
Dopo una vita intera dedicata alla ricerca del Graal, dopo che, seppur per pochi istanti, aveva potuto posare le sue labbra sulla sacra coppa, dopo aver ritrovato anche la mitica Lancia di Longino, la sua vita sembrava ormai essersi esaurita. Se ne era andato in pensione carico di gloria e riconoscimenti; ma aveva dovuto rassegnarsi all’idea: era ormai diventato un vecchio.
Ripensò al cavaliere crociato che, per pochi istanti, aveva intravisto nel tempio del Graal: quel vegliardo lo aveva guardato, alzando la mano in un gesto misterioso, forse un cenno di richiamo. Allora lui si era sentito debole e indegno, gli era mancato il coraggio di restare al suo fianco come eterno custode del luogo ove era conservata sacra coppa; ma adesso, a volte, gli capitava di rimpiangere quella scelta.
Si avvicinò ad uno scaffale e prese in mano un grosso volume polveroso che non apriva da anni. Dalle pagine leggermente ingiallite, cadde in terra un piccolo cartoncino rettangolare; Senior, posato il librone sulla sua scrivania ingombra di volumi, tornò sui suoi passi e, non senza lamentarsi per qualche doloretto, si piegò a raccoglierlo. Lo girò e vide che si trattava di una fotografia scattata a Venezia, in piazza San Marco. Era una delle solite foto ricordo che si fanno scattare i turisti, circondati da uno stormo di piccioni svolazzanti e becchettanti; lui vi compariva assieme ad Elsa Schneider, sorridevano felici e divertiti con nelle mani qualche chicco di riso da dare ai volatili. Il vecchio professore sospirò profondamente mentre, con un tuffo al cuore, ripensava a quei tempi: com’era bella Elsa, così giovane e piena di vita, come sprizzavano entrambi entusiasmo per la loro ricerca e com’era felice lui, a qual tempo, quando bastava un sorriso di lei per farlo sentire ringiovanito di vent’anni…
Così bella e così bugiarda: il suo amore non era che un inganno! pensò con rabbia e amarezza, riscuotendosi bruscamente dal suo sogno ad occhi aperti. Quella che aveva creduto una creatura celestiale lo aveva usato nel modo più subdolo, giocando con i suoi sentimenti, spezzandogli il cuore. Si era illuso, si era fatto abbindolare da lei come un allocco; ma in fondo cosa si aspettava? Come aveva potuto credere che una come lei potesse davvero provare qualcosa per un vecchio? Senior chiuse gli occhi, una lacrima gli rigò la guancia.
Quando l’aveva vista cadere nel crepaccio, aveva avuto per lei parole dure, severe, parole di rabbia che solo un amore deluso e ferito sa pronunciare: aveva detto che lei non aveva mai creduto nel Graal, che era solo una persona avida a caccia di un bottino, una strega cattiva accecata dalla brama di fama e ricchezza. Eppure, quella stessa notte, nel deserto, quando Junior, Sallah e Marcus si furono addormentati, Senior, sicuro che nessuno potesse vederlo o udirlo, si era lasciato andare: aveva pianto calde lacrime, singhiozzando come un ragazzino. Anche se non voleva ammetterlo neppure con se stesso, lui quella strega, quella perfida Kundry, l’aveva amata.
Gli veniva rabbia solo a pensarci, l’aveva tanto pianta e poi l’ennesima beffa: aveva ricevuto una sua lettera in cui lei spiegava di essere riuscita ad uscirne completamente illesa. Bah forse è sul serio una specie di strega…
Il campanello suonò. Accidenti, chi mai può essere con questo tempo? si chiese il professore, tirando su col naso, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano ed avviandosi ad aprire.
Ciò che si trovò davanti lo lasciò a bocca aperta: la giovane della foto, ormai trasformata in una splendida donna, se ne stava lì, alla sua porta, sgranando due occhioni azzurri da cerbiatta.
“Elsa! Tu?! Tu qui?!!”
“Ehm, ciao Henry, quanto tempo, eh? Come va? È un po’ umido qua fuori… Non… non mi faresti entrare?”
Senior si diede un pizzicotto per essere certo che non si trattasse di un sogno e rimase a fissarla per qualche secondo indeciso sul da farsi. Una parte di lui avrebbe voluto semplicemente sbatterle la porta in faccia; ma non fu la parte che prevalse.
Non posso mica lasciarla sotto la pioggia: rischia di buscarsi un malanno, povera piccola, mi porterei il peso sulla coscienza …
“Ehm, sì, certo. Entra, vieni ad asciugarti.”
“Oh, grazie, Henry, sei così gentile, tu sì che sei un vero cavaliere…”, disse Elsa, entrando con un sorriso radioso e gli occhi che le brillavano.
“Figurati. Stavo per farmi un tè, ne vuoi un po’?”, rispose l’attempato professore.
“Grazie, accetto volentieri. È proprio quello che ci vuole con questo tempaccio.”
Lui l’aiutò galantemente a togliersi l’impermeabile e la fece accomodare su una poltrona del salotto; poi, dopo aver armeggiato un poco in cucina, tornò portando un vassoio con due tazze fumanti e un piatto con dei pasticcini.
“Oh, che bello”, squittì Elsa, aspirando beatamente il profumino invitante della bevanda. “E quei dolcetti sembrano proprio appetitosi.”
“Sono i tuoi preferiti, se non sbaglio.”
“Oh, Henry, come sei caro, te ne sei ricordato…”
Ma cosa diavolo sto facendo? Non posso cascarci così, non di nuovo! Devo stare in guardia: lei è Kundry, la maliarda. Certo è qui per uno dei suoi inganni… si disse l’uomo, riscuotendosi, mentre il suo volto si faceva serio.
“Uhm, non mi sembra che io ti fossi poi così caro quando mi hai ingannato e tradito…” le disse freddamente, risentito.
Elsa sospirò, facendo del suo meglio per assumere un’aria contrita.
“Ascolta, Henry: lo so che in passato non mi sono sempre comportata benissimo; però adesso ho capito i miei errori, non sono più dalla parte sbagliata e…”
“Già, già, come Von Braun… Adesso, con il Progetto Paperclip[1] voialtri ex nazisti siete diventati tutti santerellini…”
“Oh, adesso sei ingiusto, Henry… Io avevo chiuso con i nazisti già dal ’38, in tempi non sospetti, e collaboro con i servizi alleati dal ’42… Non sono una nazista, non lo sono mai stata davvero. Loro mi minacciavano, avevano il coltello dalla parte del manico e io… beh, credevo di riuscire a mantenere il controllo della situazione, credevo di riuscire ad usarli. Lo so che ho sbagliato; ma in fondo è acqua passata…”
“Credevi di riuscire ad usarli… già, è proprio questo che fai tu di solito: usi le persone, come hai usato me! Anche…  anche quella notte, a Venezia: era tutta una finzione!”
“Oh, Henry, questo non è affatto vero! Quello non me l’avevano ordinato i nazisti, non faceva parte del piano: è successo perché lo volevo ed è stato bellissimo!”
“Andiamo, Elsa, basta con le bugie! Non sono ancora del tutto rimbambito: mi ricordo bene di Brunwald! Quando hai detto che era stato meraviglioso, che non lo avresti mai dimenticato, io credevo che tu parlassi con me e per un attimo mi ero illuso che… Invece tu parlavi a Junior! Magari con lui non hai finto perché è più giovane! Ti sei solo presa gioco di me: sei stata crudele, mi hai spezzato il cuore!”
“Aspetta, Henry, non saltare alle conclusioni, pensaci bene, non è come credi. Eravate legati schiena contro schiena, Indy aveva l’orecchio accanto al tuo e ha pensato che dicessi a lui; ma era a te che parlavo in realtà…”
“E allora si può sapere perché hai baciato solo lui?!”, fece Senior con aria offesa.
“Henry, cerca di capire… Vogel lo aveva appena catturato, io gli avevo sottratto il diario, tu gli avevi detto che ero una nazista e lui aveva capito quello che c’era stato tra di noi… Non me la sono sentita di dirgli la verità, sarebbe stato il colpo di grazia per lui…”
“Ma si può sapere di che diavolo vai farneticando, Elsa? Quale verità non potevi dirgli?”
“Beh, vedi, immagino che per un uomo come lui sia molto dura da accettare che il proprio padre sia più bravo in certe cose…”, disse Elsa, sorridendo ammiccante, “Andiamo, Henry, lo sai com’è tuo figlio: superficiale, affrettato, sempre troppo impaziente di iniziare e rapido nel concludere. Diciamocelo: è un vero troglodita che crede che i preliminari consistano nel togliermi di dosso la biancheria intima!”, fece Elsa, addentando poi un pasticcino.
“Beh, sì, in effetti devo dire che Junior non ha mai imparato a comportarsi in modo appropriato… Ehm… cioè staresti dicendo che… che veramente con me è stato più…”, bofonchiò Henry, tossicchiando ed arrossendo di malcelato orgoglio, prima di mandar giù una gustosa sorsata di tè.
“Oh, Henry… Con te è stato molto diverso: tu sei un vero gentiluomo, tu sai come trattare una donna, come farla felice…”
Non abbassare la guardia! Ti sta lusingando perché trama qualcosa! Lo ammonì una vocina dentro di lui.
“Oh, adesso basta, Elsa! Non mi fanno più effetto le tue moine…”, mentì spudoratamente, “Lo so che sei venuta per chiedermi qualcosa.”
“Sì, Henry, è così. Ed è qualcosa che posso chiedere solo a te.”, fece Elsa, ritornando seria ed estraendo dalla valigetta che aveva con sé un plico di carte, accuratamente avvolto perché non si bagnasse.
“Cos’è quello?”, chiese il professore, incuriosito.
“Sono degli appunti che ho preso nel Tempio del Graal. C’è anche la trascrizione completa del codice manoscritto che il cavaliere teneva su un leggio. Si tratta di un testo del tutto sconosciuto che fa luce su molti aspetti misteriosi della materia del Graal.”
“Elsa! Sta…stai dicendo sul serio? Un testo inedito sul Graal! Ma è… è una scoperta straordinaria!” disse Senior, in brodo di giuggiole, “Beh, che aspettiamo? Mettiamoci al lavoro!”
I due si misero alla scrivania, iniziando subito a studiare quegli appunti. Henry, più esperto, le illustrava i punti più difficili, interpretando le espressioni più astruse. Elsa era una studiosa e fare luce sulla materia del Graal costituiva per lei una ragione di vita; gettarsi in quella nuova scoperta, esaminare quel testo affascinante e misterioso assieme all’uomo che considerava il suo maestro, sui cui libri si era formata, la rendeva emozionata come una scolaretta. Totalmente assorbiti da quello studio, persero la nozione del tempo e quando guardarono l’orologio era ormai mezzanotte passata. Fuori il tempo non era migliorato: continuava a piovere a dirotto e si era alzato anche un forte vento che sibilava scuotendo le fronde degli alberi.
“Oh, povera me, com’è tardi! Sarà dura tornare a casa adesso…”, fece Elsa.
“Oh, non se ne parla proprio, Elsa: è pericoloso uscire con questo tempo. Non temere, puoi restare qui stanotte, io mi accomoderò sul divano.”
Elsa sorrise, le cose si stavano mettendo nel migliore dei modi: una volta decifrato quel testo misterioso insieme ad Henry, la scoperta le avrebbe certo spalancato le porte di Princeton. Come collaboratrice del celebre professore, con il suo appoggio, non avrebbe certo avuto problemi ad ottenere una cattedra di ruolo. Sì, la giornata era stata veramente grandiosa, perché la notte non poteva esserlo altrettanto?
“Vuoi veramente dormire sul divano? Magari, se ci stringiamo un po’, entriamo tutti e due nel letto…”, fece lei, strizzandogli l’occhiolino.
Senior era interdetto, stordito, in pochissimo tempo, erano successe talmente tante cose: l’arrivo inaspettato di Elsa, la scoperta di quel testo sconosciuto e, adesso, quelle sensazioni che lo assalivano, sensazioni che ormai pensava di non dover provare mai più in vita sua.
La donna si avvicinò ad un palmo da lui; ora Henry sentiva nuovamente il suo calore, percepiva nuovamente il suo profumo e ricordi che credeva ormai sepolti si risvegliarono, affollandosi all’improvviso nella sua mente.
Beh, in fondo non sono poi ancora così vecchio… pensò con un certo compiacimento, avvertendo che il proprio corpo aveva iniziato a reagire per conto proprio alla prossimità di Elsa.
Cosa stai facendo Henry! Non puoi cedere adesso! Lei è Kundry, devi stare in guardia!
“A…Aspetta, Elsa… io, io… noi… non possiamo…”
“Uhm…e perché?”, chiese lei maliziosa, avvicinandoglisi sempre di più.
“È… è peccato!”
“Ci confesseremo…”
“Tu sei Kundry, la strega!”
“Può, darsi… Ma Kundry è anche la messaggera del Graal, no? E poi, in fondo, non è così cattiva: alla fine si redime, o almeno credo…”
“Ma…ma Parsifal ha sputo resistere alle sue tentazioni!”
“Già, ma tu sei Lancillotto…”
Lui l’afferrò, stringendola tra le braccia. Si baciarono appassionatamente.
Poi Henry si staccò da lei, in un estremo tentativo di resistenza.
“Non… non posso…”
Elsa si fermò, abbassando lo sguardo.
“Oh, è vero. Scusami, Henry, capisco… avrei dovuto immaginarlo, sono passati tanti anni e…”
“Elsa! Ma che cavolo stai dicendo? Che cosa c’entrano gli anni, adesso?”
“Beh, voglio dire… penso sia normale dopo una certa età… non devi vergognarti se non…non ce la fai più a…”
“Cosa?! Vorresti forse insinuare che io…?”
“Quel che è troppo e troppo. Adesso ti faccio vedere io!” disse, prendendola in braccio e sollevandola per portarla in camera, deciso a farle rimangiare quell’oltraggiosa insinuazione.
Kundry o non Kundry, un fiero figlio delle Highlands scozzesi non può certo permettere che si metta in dubbio il suo valore…
E fu così che, dopo un’epica tenzone a corpo a corpo, la bella Kundry, trafitta dal prode Lancillotto, giacque finalmente spossata.
“Allora, calunniatrice di una Kundry, chi sarebbe il vecchietto che non ce la fa più?”, la canzonò lui.
Alla faccia del vecchietto… mi ha fatto arrivare al dunque per tre volte! Pensò lei compiaciuta.
“Oh, ser Lancillotto, perdonatemi, come mi ero ingannata…”, ansimò Elsa, “Vi siete fatto tanto onore in questa impresa, che si dovrebbe eternarla in un poema.”
“Uhm, un nuovo poema, dici? Sì, penso che l’evento lo meriti.”, disse Henry sorridendo e, dopo qualche attimo, assumendo un’aria scherzosamente ispirata, iniziò a declamare.
 
Fuori il nembo tuona e rugna
Lampa e piover fa a dirotto
E s’accese l’alta pugna
Tra la strega e Lancillotto
Lui dice affannosamente
“Or ti ho presa Kundy mia!”
Poi l’afferra saldamente
“Non ti lascio scappar via!
 Calda siete a sufficienza
Ed al rogo non vi mando
Altra ho per voi sentenza
Assaggiar vi fo il mio brando.”
Lei ridacchia e dice allora
“Il solletico non vale!”
Quando la gran barba sfiora
Il suo punto più sensuale
I capelli d’oro fino
Or qua e là Kundry dimena
Ormai cotta è a puntino
Grida già di piacer piena
Come andò quel dolce gioco
A dir la sarebbe lunga
A capir ci vuole poco
E l’autor non si dilunga
Poi sentendo un po’ fatica
Lancillotto il labbro bagna
Beve assieme alla nemica
Una coppa di sciampagna
Fumata una sigaretta
Giace Kundry sulla pancia
Ma non sa cosa l’aspetta
Se torna in resta la lancia
Mentre se ne sta distesa
Con le membra soddisfatte
Lui la prende di sorpresa
Lì dove il sole non batte
Chiede lui: “Vi spiace forse
Finire così infilzata?”
Lei s’inarca e il labbro morse
“Me lo sono meritata”
E così la bella maga
Furba al pari d’una volpe
Nel modo che più le aggrada
Pagò il fio delle sue colpe.
 
“Ah, ah, ah, Henry, sei un vero Minnesänger[2]”, ridacchiò Elsa, rannicchiandosi contro di lui, e appoggiando la bionda testa al suo petto. 
“Posso chiederti una cosa, Elsa?”, chiese poi Jones.
“Certamente.”
“Hai tenuto per te quegli appunti per più di dieci anni, perché non hai mai detto niente a nessuno di questa scoperta fondamentale?”
 “Beh, vedi, si tratta di un testo molto complesso e non so se riuscirei a capirlo completamente da sola, così volevo prima studiarlo assieme a te. Ho sempre sognato di diventare la tua assistente, di lavorare assieme a te… Ma purtroppo temo sia impossibile: a Princeton hanno molti pregiudizi e non assumerebbero mai una donna…”, disse con un’aria avvilita e sconsolata.
“Ma cosa dici, Elsa, tu sei bravissima! I tuoi studi sono eccezionali. Ormai sono in pensione, ma lasciami solo fare una telefonata al Rettore e ti assicuro che tutto si sistemerà.”
“Oh, Henry, lo faresti davvero…”, disse Elsa con gli occhi che le brillavano di gioia.
Lui le passò un braccio attorno alle spalle, stringendola a sé e le accarezzò dolcemente i capelli.
“Lo sai che non posso resisterti, streghetta mia…”
Elsa sorrise; per un attimo, aveva temuto che finisse come con Indy, e che, passato il momento della passione, lui la cacciasse in malo modo.
Le piaceva il modo come Henry la riempiva di tenerezze. In fondo, dentro quella donna così determinata, caparbia e spregiudicata si celava una bambina bisognosa di coccole. Forse per questo era sempre stata così attratta da quelli più grandi di lei, quasi figure paterne per lei che il padre l’aveva perduto davvero troppo presto.
Elsa chiuse gli occhi e sospirò, pensò ad Henry ed a quello che c’era stato tra loro e non poté evitare di sentirsi un poco in colpa. Lo stava di nuovo ingannando? Ancora una volta lei stava usando i suoi sentimenti per ottenere ciò che voleva; ma, si diceva tentando di giustificarsi, stavolta non voleva nulla di sbagliato. Dopo tutti quegli anni passati a combattere per ottenere la posizione che le spettava non aveva alcuna intenzione di farsi fare le scarpe da qualche collega maschio che avrebbe dato la scalata all’accademia dopo averle soffiato la sua scoperta. Era successo troppe volte e non voleva correre rischi, così ne aveva parlato ad Henry perché era l’unico di cui si fidava, l’unico da cui non temeva di essere tradita. In fondo che male c’era a dargli una piccola motivazione in più per aiutarla? Certo, dopo la delusione patita con Isaac, nessun altro uomo era riuscito a farla innamorare a parte forse il misterioso cavaliere che l’aveva salvata; ma si può restare fedeli a qualcuno chiuso in eterno nel suo mondo senza tempo? Elsa aprì gli occhi e si volse verso Senior; lo vide sorridere beato e si tranquillizzò: lo aveva reso felice, quindi come strega non era poi così cattiva. Magari non era proprio amore ma era bello lo stesso. Richiuse gli occhi, sì era così bello lasciarsi andare, sognare dolcemente tra le sue braccia…
Il leggero respiro di Elsa si fece più lento e regolare e Senior seppe che si era addormentata. La guardò e sospirò profondamente: era bastato così poco per mandare i fumo tutti suoi buoni propositi: si era nuovamente lasciato dominare dai desideri della carne, era stato ancora debole, aveva ceduto, aveva peccato eppure… eppure non riusciva a sentirsi in colpa.
Solo poche ora prima, si sentiva un uomo finito. Era scoraggiato, amareggiato, senza più uno scopo che lo tenesse attaccato ad una vita che sembrava non avere più nulla da dargli e poi, in un attimo, Elsa gli aveva restituito tutto il suo entusiasmo. Adesso era di nuovo lanciato in una ricerca appassionante, di nuovo curioso di nuove scoperte. Si sentiva di nuovo utile, di nuovo importante: Elsa contava su di lui e lui non l’avrebbe delusa. Lei gli aveva dimostrato che non era affatto un vecchio pronto per l’ospizio, in nessun senso.
Aveva letto accuratamente tutte gli articoli e i libri che lei aveva pubblicato e doveva ammettere che era davvero una studiosa di prim’ordine, la cattedra di ruolo se la meritava.
 
Adesso, più che Kundry, Elsa gli ricordava Viviana che sedusse Merlino per apprendere la sua sapienza e poi lo ammaliò con i suoi incantesimi, tenendolo prigioniero di un dolce sogno nella foresta di Brocéliande.  Henry pensò che anche a lui come al saggio mago sarebbe piaciuto farsi incantare per sempre.
Elsa si mosse leggermente nel sonno e socchiuse le labbra; sorrideva come stesse facendo un bel sogno. Senior trattenne il fiato; con un brivido, si ricordò dell’altra volta, quando, proprio in quel modo, aveva scoperto l’inganno di quella donna e, in cuor suo, pregò che la storia non si ripetesse: stavolta era certo che la delusione sarebbe stata troppo grande e gli avrebbe spezzato il cuore.
Oh, Mein Ritter, ich liebe dich...” mormorò la donna nella sua lingua madre.
Mio cavaliere ti amo… pensò Senior, grattandosi la testa. Ma certo: era lui, Lancillotto! Ma… ma allora voleva dire che…
“Oh, micetta mia, perdonami se ho dubitato di te…”, le disse, abbracciandola teneramente. Elsa sospirò dolcemente e continuò a dormire.
Fuori, il vento sferzava ancora le cime degli alberi e la pioggia batteva insistente contro le finestre.  Un tuono rimbombò in lontananza, mentre la luce si spegneva nella stanza.

Il mattino seguente, il temporale era finito ed Elsa si svegliò con l’allegro cinguettio degli uccellini che popolavano le ampie fronde dagli alberi di Pine Road. La bionda si stiracchiò pigramente e cercò inutilmente Henry nel letto vuoto accanto a sé. Poi la porta si aprì e il professore entrò reggendo un vassoio pieno di leccornie e con due tazze fumanti.
“Wow, la colazione a letto! Vuoi proprio viziarmi, Henry…”
“Oh, ti prego, Elsa, perdona questo vecchio orso sospettoso: sono stato troppo duro con te ieri sera…”
“Uhm, troppo duro dici? Forse… ma non mi è dispiaciuto affatto!”, ridacchiò maliziosa.
“Mi perdoni, micetta mia?”
“Solo se continui a portarmi la colazione a letto, orsacchiotto mio…”, mormorò la donna dandogli un bacetto.
Accipicchia, se va avanti così tra un po’ chiederà la mia mano. Uhm, diventerei la matrigna di Indy, sarebbe divertente… pensò tra sé Elsa, addentando una frittella.
 
[1] Operazione gestita nel dopoguerra dai servizi segreti americani di reclutamento di scienziati dell’ex Germania nazista.
[2] Letteralmente: «cantori d’amore», poeti lirici tedeschi del 12° e del 13° secolo.
 

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Capitolo 9
*** Who wants to live forever? ***


Provincia di Hatay, Turchia, 1998
 
Il grosso fuoristrada avanzava rombando, sollevando al suo passaggio la polvere del deserto. La guidatrice, una bionda sulla trentina con gli occhi di un blu intenso dallo sguardo fiero, teneva saldamente in mano il volante, manovrando abilmente il mezzo sul terreno accidentato. Seduta accanto a lei, stava una donna anziana in cui però si notavano ancora le tracce di un’antica bellezza la quale guardava il paesaggio dando, di tanto in tanto, indicazioni alla compagna sulla strada da seguire.
La dottoressa Alexandra Johnson, stimata archeologa, curatrice del Museo di Storia antica di New York, era rimasta stupita e onorata quando, alcuni mesi prima, la professoressa Schneider le aveva chiesto di accompagnarla in quel viaggio. Il momento non era forse dei più favorevoli: il dittatore iracheno, Saddam Hussein, aveva nuovamente rifiutato le ispezioni dell’ONU, complicando ulteriormente la già intricatissima situazione mediorientale e, da un momento all’altro, quella zona di confine tra Turchia e Siria avrebbe potuto esplodere come una polveriera; ma, in fondo, i rischi non avevano mai fermato due come loro.
Alexandra rivolse uno sguardo alla donna accanto a lei che continuava a fissare fuori dal finestrino, assorta nei suoi impenetrabili pensieri. Per tanti anni, Elsa Schneider era stata un mentore per la giovane archeologa, un modello da seguire, sia come studiosa sia come donna d’azione; aveva vissuto una vita incredibile, incontrando dei veri e propri miti dell’archeologia: aveva lavorato con il professor Henry Jones Sr. e aveva anche incrociato più volte suo figlio, il celeberrimo Indiana Jones; aveva poi ritrovato le perdute Miniere di Re Salomone e vissuto mille altre incredibili avventure.
Quel paesaggio brullo che le scorreva davanti riportava alla memoria di Elsa quel giorno di sessanta anni prima in cui aveva percorso quegli stessi luoghi. I Turchi chiamavano quei monti Nur Dağları, monti della luce; forse era un segno del destino che la sacra coppa del Graal, quella straordinaria fonte di luce spirituale, fosse custodita proprio tra di essi. Ripensò ad Henry ed al tempo che avevano passato assieme: era stato veramente un uomo incredibile, uno studioso serio e rigoroso che a volte però sapeva tirare fuori lati insospettabili della sua personalità che ne facevano una persona piena di vita e di passione. Ripensò agli ultimi anni che aveva passato assieme a lui e sorrise di un sorriso dolce e un po’ malinconico: in fondo, si erano divertiti molto assieme, nonostante le inevitabili maldicenze sollevate dalla loro differenza di età e dal fatto che lei fosse una sua allieva e collaboratrice. Poi, all’improvviso, lui era diventato scostante, chiuso in se stesso e un giorno, inaspettatamente, se n’era andato. Avevano detto che era stato un infarto improvviso a portarselo via. Quand’era successo, Elsa, impegnata in una ricerca, non si trovava in America e così non aveva neppure potuto rivederlo un’ultima volta il giorno del funerale[1]. Ripensò anche ad Indy ed al loro rapporto burrascoso; lui non aveva mai veramente accettato la relazione tra lei e suo padre, l’aveva accusata apertamente di approfittarsi di lui, cosa che aveva portato ad un’aspra discussione tra il giovane ed il vecchio Jones, il quale non poteva ovviamente sopportare di essere trattato dal figlio come un qualunque vecchio rimbambito che si fa abbindolare.
Dopo la morte di Senior, lei e Indy si erano ritrovati talvolta a dover collaborare e l’aiuto dell’archeologo era stato particolarmente prezioso in quella faccenda delle Miniere del Re Salomone. Ma, per il resto, i loro rapporti erano rimasti piuttosto freddi soprattutto dopo che Jones aveva sposato la Ravenwood, la quale, sospettando quello che c’era stato tra loro due, non vedeva certo di buon occhio che suo marito la frequentasse.
Infine, qualche anno fa, anche Indy se n’era andato ed Elsa aveva capito di essere rimasta sola, testimone di un tempo ormai passato; sentiva che non c’era più nulla per lei in quel mondo che le era divenuto estraneo. Da tempo, lottava contro un cancro ai polmoni, certo causato dalla sua passione per le sigarette e, sapendo che ormai le rimaneva poco tempo, non intendeva certo passarlo ad agonizzare in un letto d’ospedale.
Il fuoristrada si fermò nel punto che Elsa aveva indicato e l’anziana donna si rivolse alla giovane collega.
“Alex, adesso che siamo arrivate posso finalmente dirti come stanno veramente le cose e perché ti ho chiesto di accompagnarmi in questo viaggio: io ho il cancro, Alex, sono vecchia e malata, sto morendo e non ho intenzione di passare i giorni che mi rimangono come una larva attaccata ad un respiratore. Voglio che tu mi lasci qui, voglio concludere degnamente la mia vita in questo deserto dove, tanti anni fa, ho vissuto la più grande avventura della mia vita.”
La donna si interruppe e aprì la sua borsa, traendone una grossa busta che porse alla giovane studiosa. “Prendi, qui dentro ci sono gli atti legali con cui ti ho intestato tutte le mie proprietà: la casa, i miei libri e tutte le mie sostanze. Tu sei la mia migliore allieva e ti considero come una figlia, voglio che le abbia tu: io non ho più nessuno al mondo.”
Elsa tacque e guardò Alex che l’aveva ascoltata in assoluto silenzio senza far motto. Elsa ne fu un po’ indispettita: si sarebbe aspettata un abbraccio, una lacrima, uno sguardo di tristezza, di gratitudine o almeno di sorpresa.
Infine, Alex si riscosse, infilò una mano sotto il giaccone e la tirò fuori impugnando una pistola.
“Ma, Alex, sei forse impazzita!?”, strillò Elsa, “Cosa credi di fare con quella pistola?”
“Mi dispiace, professoressa, mi dispiace davvero ma c’è qualcos’altro che lei deve darmi.”
“Ti ho detto che ti ho lasciato tutto, cosa altro dovrei darti?”
“Io voglio il Santo Graal.”
“Il Santo… ma dico, Alex, hai preso un colpo di sole? Ritorna in te, non dire sciocchezze…” fece Elsa, cercando di ridere forzatamente.
“È inutile che lei cerchi di negarlo, so perfettamente quello che è accaduto qui sessant’anni fa. È stato quasi per caso: il mio compagno ha un negozio di antiquariato e, qualche tempo fa, ha acquistato ad un’asta una cassa di documenti che si dice fossero appartenuti a Himmler, tra cui parte degli archivi dell’Istituto di Cultura Ariana. Lì ho trovato la relazione redatta dalla commissione d’inchiesta delle SS sul fallimento della spedizione organizzata dal Terzo Reich per il recupero del Graal, spedizione di cui anche lei faceva parte.”
“E allora? Non ho mai fatto mistero di aver lavorato per l’Istituto e di aver partecipato a quella spedizione.”
“Sì, ma nella relazione c’erano anche dei particolari inediti: un soldato sopravvissuto ha potuto testimoniare che la coppa del Graal era stata effettivamente rinvenuta e che essa si era rivelata realmente dotata di poteri miracolosi avendo risanato le ferite mortali del professor Jones Senior. Quel soldato ha anche detto di averla vista cadere in un profondo crepaccio nel quale lei doveva aver sicuramente trovato la morte. Il dossier riportava poi la notizia della sua ricomparsa in Svizzera qualche anno dopo e conteneva la sua condanna a morte per alto tradimento firmata da Hitler in persona.”
“Quale onore…”, disse Elsa con un sorrisetto, “Certo, è tutto vero: i nazisti hanno cercato di assassinarmi in Svizzera nel ’42; ma, per fortuna, sono stata salvata da due agenti britannici, di cui uno, per inciso, era anche molto carino. Non capisco però cosa c’entri adesso tutto questo.”
“Beh, gli Inglesi l’avranno salvata dai nazisti; ma ammetterà che è piuttosto curioso ricomparire perfettamente integri dopo essersi sfracellati in fondo a un crepaccio…”
“Beh, come disse Mark Twain: La cronaca della mia morte era una vera e propria esagerazione.”
“Andiamo, professoressa, giochiamo a carte scoperte. Non ci vuole poi molto a mettere assieme tutti i pezzi: lei esce miracolosamente illesa da un incidente che avrebbe ucciso chiunque proprio nel luogo in cui è conservata una reliquia dai poteri taumaturgici e, adesso, gravemente malata, ritorna nello stesso luogo. Mi pare evidente che lei non vuole affatto chiudere la sua vita ma vuole prendere il Graal per vivere in eterno, giusto?”
“Beh, l’ho sempre detto che sei una ragazza brillante…”, rispose Elsa.
Alex abbassò la pistola e assunse un’espressione accorata.
“Ascolti, professoressa Schneider, io la stimo immensamente e non voglio mettermi contro di lei; ho accettato di aiutarla, di portarla fino a qui e adesso tutto quello che le chiedo è di farmi bere dalla coppa del Graal. Mi creda, la mia non è ambizione, io ne ho veramente bisogno.”
“Ne hai bisogno? In che senso?”
Alex sospirò. “Si ricorda, professoressa, di quella spedizione che ho guidato in quel sito archeologico in Giappone?”
“Sì, la grotta del leggendario mago Nakano, mi sembra sia stato quattro anni fa.”
“Esattamente, è stato nel corso di quella ricerca che ho conosciuto l’uomo che amo.”
“Sì, devo averlo visto qualche volta quando è passato a prenderti all’Università. Beh, devo farti i complimenti: davvero un gran bel ragazzo. Si chiama Russell, giusto?”
“Sì, anche se il suo vero nome sarebbe Connor: è scozzese, nato nelle Highlands.”
“Ehi, anch’io ho frequentato un highlander qualche tempo fa, e devo dire che non sono per niente male.”, fece Elsa sorridendo al ricordo di Henry.
“Sì, ma il fatto è che lui non è un tipo come gli altri lui è, come dire… speciale.”
“Beh, le persone che amiamo lo sono sempre.”
“Ma lui non lo è solo in quel senso: lui è immortale”.
“Immortale?”
“Sì, in realtà lui è nato all’inizio del XVI secolo e ora ha quasi 500 anni.”
“Uhm, se li porta bene a quanto sembra.”
La giovane chiuse gli occhi mentre le lacrime iniziavano a rigarle le gote: “Sì, è proprio questo il punto: lui non invecchia. Ci sono dei giorni in cui accende delle candele, sniff… lo sa perché?”, mormorò con la voce che le si spezzava in gola, rotta da un singulto di pianto.
“Beh, dalla tua espressione direi che non è per preparati una cenetta romantica…”
“Sono per ricordare le donne che ha amato e che sono morte: Heather, Sarah, Brenda… Lui accende una candela per ricordare il giorno in cui festeggiavano i loro compleanni. Di loro non resta ormai che una ciocca di capelli, un dipinto, una foto che lui a volte fissa con uno sguardo malinconico e io non posso non pensare che un giorno sarà così anche per me. Adesso sembra che lui abbia qualche anno più di me; ma presto sembreremo coetanei, poi sembrerò sua madre, sua nonna e poi… sniff… No! Non voglio, non voglio diventare per lui solo un’altra candelina… La prego, professoressa Schneider, mi creda, non sono pazza, mi aiuti, non voglio finire così, non voglio…”
Elsa abbracciò Alex per calmarla e le tolse dolcemente dalle mani la pistola che la giovane, ormai in preda ad una crisi di pianto, aveva già abbassata.
“Io non penso affatto che tu sia pazza: nella mia vita ho visto tante di quelle cose che a prima vista sembravano assurde e che invece erano reali, da non stupirmi più di nulla. Credimi, tu mi sei molto cara e ti aiuterei volentieri; ma il Graal non può darti ciò che desideri. Guardami, Alex, non ti sto mentendo: io ho bevuto dalla sacra coppa e sono guarita, è vero, ma ciò non mi ha impedito di invecchiare. Mi dispiace, Alex, mi dispiace veramente tanto, ma l’immortalità conferita dal Graal ha un limite ed un prezzo: quello di non lasciare il tempio dove esso è custodito.”
Alex la guardò e capì che Elsa diceva la verità. La ragazza pianse sommessamente.
 “Ascoltami, Alex, lo so che l’idea di dover un giorno lasciare coloro che amiamo può essere molto triste; ma pensaci bene: in fondo la tua situazione non è poi così diversa da tutti gli altri mortali. Tutti hanno un tempo limitato da vivere con i loro cari e tutti un giorno diventano per loro solo dei dolci ricordi; ma questo non impedisce che la vita possa essere meravigliosa lo stesso. Non possiamo decidere la lunghezza delle nostre vite; ma possiamo fare in modo di viverle nel modo migliore. Se lui ti ama veramente come dici, continuerà a farlo anche quando tu porterai i segni del tempo che passa e il vostro amore non sarà per questo meno bello e meno intenso…”, continuò Elsa dolcemente, senza smettere di abbracciarla.
Alex si asciugò le lacrime. “Sì, è vero, adesso comprendo. La prego di perdonarmi, mi ero lasciata prendere dalla disperazione. Mio Dio, non so cosa mi è preso: le ho addirittura puntato contro una pistola, dovevo essere impazzita…”
“Sei solo innamorata.”, le disse Elsa, abbracciandola di nuovo.
Poi, dopo essersi salutate per l’ultima volta, le due donne si lasciarono. Elsa scese dal fuoristrada e rivolse un ultimo sguardo ad Alex che rimise in moto e ripartì.
L’anziana donna guardò la vettura che spariva all’orizzonte, lasciandosi dietro nuvole evanescenti di polvere che il vento si affrettò a disperdere, poi si diresse decisa verso la parete rocciosa dove, ben mimetizzato dalle rocce, si apriva uno stretto passaggio: lo stesso dal Elsa era uscita, sei decenni prima.
“Povera Alex”, pensò, “Mi è dispiaciuto non poterla aiutare. Del resto, non a tutti è concesso di poter vivere e amare eternamente come a me.”, concluse tra sé con un sorrisetto soddisfatto, mentre affrettava il passo.
Era quasi arrivata alla meta, quando sentì improvvisa una fitta al petto che le mozzò il fiato in gola. “No, non può finire così…”, pensò con terrore, sentendo la vita sfuggirle, “mancano solo pochi metri, sarebbe una beffa troppo grande…”. Con la forza della disperazione si slanciò in avanti, vide il pertugio nella roccia, si sentì cadere, poi tutto si fece buio attorno a lei.
Quando riaprì gli occhi, si sentiva confusa, era dolorante e si trovava in un ambiente stretto e oscuro. Per un attimo, temette di essere morta e che, con la vita che aveva condotto, non si fosse propriamente meritata il paradiso. Poi si sollevò faticosamente a sedere e si guardò attorno, dietro di lei vide l’apertura che dava sull’esterno, sulla soglia vide il sigillo.
Sospirò di sollievo, poi scoppiò in una risata di trionfo: ce l’aveva fatta! Aveva passato il sigillo, era dentro il tempio e lì chi aveva bevuto dalla sacra coppa non poteva morire.
“Sapevo che saresti tornata, amore mio.”, udì una voce accanto a lei.
Si volse e vide il cavaliere: non era cambiato minimamente dal giorno in cui si erano lasciati.
Come le avesse letto nel pensiero, il cavaliere le porse la coppa e di nuovo, come era accaduto tanti anni prima, le mani di Elsa Schneider si posarono sul Santo Graal.
Accostò la coppa alle labbra riarse e rinsecchite e bevve avidamente; di nuovo percepì quella sensazione ineffabile di pace e benessere che ricordava di aver provato l’altra volta. Restituì al cavaliere la coppa vuota; si sentiva strana, come se tutto il suo corpo fosse attraversato da un’intensa ondata di energia. Un forte fremito la percorse tutta, Elsa sentì i muscoli flettersi con rinnovata forza, le sue carni farsi nuovamente turgide e la sua pelle che si tendeva.
Mise freneticamente una mano in tasca, traendone uno specchietto ed esitò un attimo prima di guardare.
“Sì! Sì, ha funzionato!”, gridò ebbra di gioia, contemplando il viso della splendida ventottenne che lo specchio le rimandava. Sputò via l’ormai inutile dentiera, passandosi la lingua sui denti appena rigenerati, candidi e perfetti.
“Evviva, sì, sì! Lo sapevo, lo sapevo che era possibile: ho di nuovo l’età che avevo quando ho bevuto per la prima volta! Sono di nuovo giovane e stavolta sarà per sempre.”
Si volse verso il cavaliere.
“Ho vissuto la mia vita all’esterno, come avevo detto di voler fare; ma adesso che essa è finita, non vedo perché non dovrei godermi l’eternità. Ci pensi amore mio? Adesso non dovrai più soffrire la solitudine.”
“Ehm, ecco madamigella Elsa, a questo proposito c’è una cosa che dovreste sapere…”, disse il cavaliere un po’imbarazzato.
“Sì, lo so cosa stai per dire: tu sei un cavaliere senza paura e senza macchia e quello che ho in mente non sarà forse propriamente immacolato; ma ascolta: da quando sei entrato qui dentro, la scienza è un po’ progredita e ti posso assicurare con certezza che il mondo non finirà ancora per parecchi milioni di anni. Quindi, visto che abbiamo tutto il tempo che vogliamo per pentirci, possiamo peccare un pochino. Che ne dici? Facciamo un milioncino di anni o due?”, gli disse, strizzandogli l’occhiolino.
“Vedete, madamigella, il fatto è che…”
“Shhh, non parlare, baciami.”, gli sussurrò Elsa, allacciandogli le braccia attorno al collo.
Il cavaliere obbedì alla sua dama e le loro labbra si unirono appassionatamente.
“Amore mio, quanto mi sei mancato. Adesso non ci lasceremo più, mai più. Abbiamo tutta l’eternità per noi: saremo assieme per sempre, noi due soli soletti…”
Il cavaliere fece per parlare di nuovo quando, dal fondo della caverna, rimbombò una voce che pareva provenire dalle viscere della montagna.
“Ah, ah, che ti dicevo Junior? Lo sapevo che sarebbe arrivata!”
Elsa sgranò gli occhi per la sorpresa. “Ma… questa voce…  non è possibile! Henry!”
“Papà, ti ho già detto di lasciarla perdere quella…”, aggiunse un’altra voce che, anch’essa, risuonò molto familiare alle orecchie di Elsa.
“Indy! Ma… ma come?!...”
Elsa non credeva ai propri occhi: Henry ed Indy erano lì davanti a lei, ed erano tali e quali li aveva visti nel 1938. Indy non portava neppure più la benda sull’occhio.”
“Ma, ma… non è possibile, voi siete, siete…”
“Morti? Già, come te più o meno.”
“Allora volete dire che anche voi avete solo inscenato le vostre morti per venire qui…”
“Andiamo, biondina, credevi forse di essere l’unica a cui seccava lasciare questa valle di lacrime?”
“Addio privacy…”, sospirò Elsa, scuotendo la testa.
Poi la bionda si volse verso il cavaliere che allargò le braccia rassegnato e disse, assumendo il suo tono più saggio: “Penso che fosse scritto nel destino: tutti noi, seppure diversi, abbiamo cercato il Graal e il Graal stesso, permettendoci di arrivare fin qui, ci ha scelti come suoi eterni custodi. Io, molto tempo fa, avevo cercato la coppa inseguendo un sogno e voi, ascoltando la storia delle mie gesta, vi siete messi alla ricerca, inseguendo lo stesso sogno. Adesso, altri potranno sognare, sentendo raccontare le vostre avventure, e forse è proprio questo il più grande potere del Graal: fare sì che l’umanità non smetta mai di sognare e di inseguire i propri sogni.”
“Oh, cavaliere”, mormorò Elsa, “allora forse anche noi siamo fatti della stessa materia dei sogni?”
“Forse”, rispose filosoficamente il cavaliere, “quello che è certo è che voi siete il mio sogno più bello, madamigella Elsa.”, disse, chinandosi a baciarle i capelli.
“Bah, volete smetterla con tutte queste smancerie, piccioncini? Sono indecorose in questo santo luogo.”, sibilò Henry piccato.
“Siete forse invidioso, messere, che la donzella preferisca la mia compagnia?”
“Ma figurarsi, potrei raccontarvi due o tre cose di quella donzella che…”
“Papà, alla tua età non dovresti più pensare a certe cose…”
“Oh, stai zitto tu, Junior. Mi spiace per te, ma anche alla mia età potrei tranquillamente darti dei punti: ricordo benissimo che lei ha detto che con me è stato più…”
 “Andiamo, papà! Potrebbe essere tua figlia!”
“E smettila con questa storia, Junior. Se è per quello, potrebbe anche essere la sua bis-bis-bis-bis nipote, ma questo non gli ha certo impedito di…”.
 “Basta! Volete star buoni tutti e tre?!”, sbottò infine Elsa, rimettendoli in riga, “È mai possibile che voialtri maschietti dobbiate sempre litigare come galletti davanti ad una ragazza?!”
Tutti si fermarono e scoppiarono a ridere.
Elsa scosse la testa, poteva solo immaginare le battutine, gli ammiccamenti e i colpi di gomito che quei tre dovevano essersi scambiati in attesa del suo arrivo.
I quattro si incamminarono e raggiunsero in breve l’interno del tempio.
“Bene”, concluse Henry, “adesso finalmente possiamo iniziare a giocare in quattro.”
“Henry! Questa da te non me la sarei proprio mai aspettata! Come puoi pensare che…”
Senior estrasse dalla tasca un mazzo di carte da gioco.
“Hai idea di quanto sia difficile trovare un gioco da fare in tre? Adesso finalmente possiamo fare le coppie: io e Junior contro tu e il cavaliere; ma vi avverto che non avete alcuna possibilità: nessuno batte i ragazzi Jones!”
Elsa alzò gli occhi: “Questo lo vedremo, dai le carte!”
 
FINE (per il momento)
 
Con questo capitolo si concludono le avventure di Elsa (ma non è detto che in futuro non si possa raccontare qualche altro episodio finora tralasciato).
Il mio raccontino vuole essere un omaggio al mio Indiana Jones preferito: “l’Ultima crociata” di cui quest’anno ricorre il trentennale. Spero che i lettori che hanno avuto la pazienza di arrivare fino in fondo si siano divertiti a leggerlo come io a scriverlo. Mi farebbe comunque piacere sapere ciò che ne pensate.
Mi sono divertito a far incontrare la nostra anche con personaggi provenienti da universi narrativi diversi: in particolare James Bond, Hannes Oberhauser e Felix Leiter vengono dai romanzi di Ian Fleming e dai film che ne sono stati tratti; mentre Alex Johnson viene dal terzo Highlander, ciò anche in omaggio a Sean Connery, indimenticabile Henry Jones Sr , James Bond e Juan Sánchez Villa-Lobos Ramírez.
 
[1] Non c’è concordanza tra le fonti sulla data della morte di Senior: il libro di Jim Luceno la fissa nel 1951; ma una frase pronunciata da indiana Jones nel quarto film sembrerebbe invece datarla decisamente al 1955.

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