BORUTO - LA MORSA DEL DESTINO:

IL PIANTO DEL CUORE

 

UNO SGUARDO SUL FUTURO

UN ERRORE FATALE

SITUAZIONE INGESTIBILE

URLO DISPERATO

NUMB
(Linkin Park)

I'm tired of being what you want me to be, Feeling so faithless, lost under the surface. I don't know what you're expecting of me, Put under the pressure of walking in your shoes. (Caught in the undertow) Every step that I take is another mistake to you.   I've become so numb, I can't feel you there. Become so tired, So much more aware By becoming this all I want to do Is be more like me and be less like you!   Can't you see that you're smothering me? Holding too tightly, Afraid to lose control. 'Cause everything that you thought I would be Has fallen apart right in front of you Every step that I take is another mistake to you And every second I waste Is more than I can take!   And I know I may end up failing too. But I know you were just like me, With someone disappointed in you!   I'm tired of being what you want me to be.

Mi sono stancato di essere ciò che tu vuoi io sia, Sentendomi così sleale, perso sotto la superficie. Non so cosa ti aspetti da me, Mi tieni sotto pressione per assomigliarti. (Intrappolato nella risacca) Ogni passo che faccio è un altro errore per te.   Sono diventato così intorpidito, Non riesco a sentirti lì. Sono diventato così stanco, Così tanto più consapevole. Tutto quello che voglio nel diventare così È essere più come me e meno come te.   Non vedi che mi stai soffocando? Tenendomi troppo stretto, Per paura di perdere il controllo. Perché tutto quello che pensavi io potessi essere È crollato proprio di fronte a te. Ogni passo che faccio è un altro errore per te. E ogni secondo che spreco È più di quel che posso accettare!   E so che potrei finire per sbagliare anche’io. Ma io so che tu eri esattamente come me, Con qualcuno deluso da te!   Sono stanco di essere ciò che tu vuoi che io sia.

 

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25 Ottobre, 0010 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Residenza dell’Hokage
01: 27

IL CORAGGIO DI MORIRE

BRING ME TO LIFE
(Evanescence)

How can you see into my eyes Like open doors? Leading you down, into my core, Where I've become so numb. Without a soul. My spirit's sleeping Somewhere cold, Until you find it there, and lead it back… Home.   (Wake me up) Wake me up inside! (I can’t wake up) Wake me up inside! (Save me) Call my name and save me from the dark! (Wake me up) Bid my blood to run, (I can’t wake up) Before I come undone! (Save me) Save me from the nothing I've become!   Now that I know what I'm without, You can't just leave me. Breathe into me and make me real. Bring me to life.   (I’ve been living a lie) (There is nothing inside)   Frozen inside, without your touch, Without your love, darling Only you are my life Among the dead   All this time, I can’t belive I couldn’t see, Kept in the dark, but you were there, in front of me. I've been sleeping a thousand years it seems, Got to open my eyes to everything Without a thought, without a voice, without a soul. Don’t let me die here. There must be something more.   BRING ME TO LIFE!   Bring me to life!   (I’ve been living a lie, there’s nothing inside.)   Bring me to life!

Come fai a vedere nei miei occhi Come se fossero delle porte aperte? Guidandoti nelle profondità, nel mio cuore, Dove sono diventato così intorpidito. Senza un’anima. Il mio spirito sta dormendo In qualche luogo freddo, Fino a quando lo troverai e lo ricondurrai indietro… A casa.   (Svegliami) Risvegliami dentro! (Non riesco a svegliarmi) Risvegliami dentro! (Salvami) Grida il mio nome e salvami dalle tenebre! (Svegliami) Ordina al mio sangue di scorrere, (Non riesco a svegliarmi) Prima che io venga distrutto! (Salvami) Salvami dal nulla che sono diventato!   Ora che so cosa mi manca, Non puoi lasciarmi. Respira dentro di me e rendimi vero. Riportami in vita.   (Ho vissuto in una bugia) (Non c’è niente dentro)   Ghiacciato dentro, senza il tuo tocco, Senza il tuo amore, tesoro. Solo tu sei la mia vita In mezzo alla morte.   Per tutto questo tempo, Non posso credere che non potevo vedere, Chiuso nel buio, ma tu eri lì,  davanti a me. Mi sembra di aver dormito per un migliaio di anni, Devo aprire i miei occhi a tutto. Senza un pensiero, senza una voce, senza un’anima. Non lasciarmi morire qui. Deve esserci qualcos’altro.   RIPORTAMI IN VITA!   Riportami in vita!   (Ho vissuto in una bugia, non c’e nulla dentro.)   Riportami in vita!

 

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L’INIZIO DELLA STORIA

 

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SGUARDO

LA FINE DELL’INIZIO

12 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Distretto del Clan Hyuuga
15:00

Boruto schiaffò lontano da sé un palmo che lo avrebbe centrato in pieno volto con una mano, ricambiando la cortesia con un pugno mirato al mento dell’avversario. Quest’ultimo però reagì subito prima di poter essere colpito, sferrandogli un calcio sul petto che lo fece allontanare da sé con un grugnito.

Boruto strinse i denti, ricomponendosi subito ed assumendo una posa d’attacco. I suoi occhi erano puntati con forza e determinazione contro quelli della persona con cui si stava allenando da ormai due ore piene.

La suddetta persona ricambiò il suo sguardo con i suoi occhi pallidi attivati ed un sorriso sulle labbra, annuendo con soddisfazione e rilassandosi un attimo.

“Sei migliorato parecchio, Boruto!” disse Hanabi, il suo sorriso pieno di orgoglio. “Sei quasi riuscito a mettermi alle strette un paio di volte! Non pensavo possedessi una tale rapidità e prontezza di riflessi!”

Il biondo sorrise appena, asciugandosi una goccia di sudore dal mento con una mano. “Metterti alle strette un paio di volte non basta.” ribatté a sua volta, il suo tono serio e deciso. “Se voglio continuare a migliorare devo fare molto di più.”

Il sorriso di Hanabi si fece più ampio all’udire ciò. Era davvero stupita della crescita così esponenziale delle abilità del suo nipotino. L’abilità di Boruto nell’utilizzo della Tecnica del Pugno Gentile migliorava di giorno in giorno visibilmente. Era da più di tre anni che lei e Boruto avevano preso ad allenarsi periodicamente almeno per tre volte al mese, e doveva ammettere di essere rimasta piacevolmente stupita dalle doti del biondino che miglioravano così in fretta. Boruto era incredibilmente abile sotto molti punti di vista, e se avesse continuato con questo ritmo allora in breve tempo sarebbe potuto diventare un ninja davvero strepitoso.

“I tuoi colpi si stanno facendo più precisi e potenti,” riprese a dire la giovane Hyuuga. “Così come la tua rapidità ed i tuoi movimenti. Inoltre fai sempre meno affidamento sui cloni per riuscire a sopraffarmi. Direi che come risultato per adesso è più che soddisfacente.”

Boruto scosse la testa. “No. Devo fare molto di più di così. Per favore Hanabi, continuiamo per un altro po’.”

La ragazza lo fissò con attenzione col Byakugan. “È così determinato da voler continuare?” pensò tra sé con una punta di divertimento e stupore. “Ma le sue energie si stanno esaurendo sempre più. Non riuscirà a continuare ancora a lungo.”

“Molto bene allora!” disse poi lei ad alta voce, riassumendo la posa di difesa standard del clan Hyuuga. “Allora vieni a me e attaccami con tutta quella tua determinazione!”

Boruto non se lo lasciò ripetere due volte, scattando in avanti e preparandosi a rilanciare per l’ennesima volta un’offensiva.

Intanto, mentre Boruto e Hanabi ripresero a lottare tra loro senza interruzione, una terza figura che se restava in disparte continuò a fissare con i suoi occhi pallidi i due giovani allenarsi nello spiazzo del Distretto riservato alle lotte, il suo volto serio ed il suo sguardo attento puntato sulla figura del biondino.

Un sospiro colmo di affetto e orgoglio gli sfuggì dalle labbra nel vedere i miglioramenti di quel ragazzino. Hiashi non poté fare a meno di sentirsi profondamente orgoglioso e soddisfatto dei risultati che suo nipote stava ottenendo nell’utilizzo della Tecnica del Pugno Gentile. Vederlo così deciso e costante nei suoi allenamenti gli riempiva il cuore di orgoglio.

Boruto era sempre stato talentuoso nelle Arti Ninja sin da quando era piccolo. Tutti lo consideravano un prodigio già a cinque anni, quando per la prima volta era riuscito ad incanalare il suo chakra ed utilizzare una Tecnica ninja da solo. Senza contare poi la mostruosa abilità nella lotta che il ragazzino aveva sviluppato in questi anni grazie alla sua costanza negli allenamenti. Boruto era decisamente molto più forte rispetto ai ragazzi della sua età, pensò Hiashi con fierezza, e prendeva con molta più serietà di altri suoi coetanei le sessioni di allenamento che venivano impartite e consigliate ai suoi compagni di classe.

L’anziano continuò a sorridere, ripensando a quanto era rimasto contento il giorno di tre anni fa quando suo nipote era venuto a trovarlo, chiedendogli di addestrarlo nelle tecniche di lotta del loro clan. Hiashi era stato più che felice di accontentarlo, anche se nella pratica lui aveva lottato con suo nipote solo un paio di volte a causa dell’età. La maggior parte degli allenamenti venivano supervisionati da sua figlia Hanabi, la quale era stata sempre molto forte e ben disposta ad aiutare il ragazzino. Con l’esperienza e l’allenamento di sua figlia, Boruto stava diventando sempre più abile giorno dopo giorno, ed i risultati erano visibili ad occhio nudo.

Il sorriso di Hiashi si fece più nostalgico. Se soltanto avesse risvegliato anche lui il Byakugan, allora Boruto sarebbe potuto essere un prodigio pari o persino superiore a Neji.

“Chissà cosa penseresti di lui se tu fossi qui, Neji…” pensò l’anziano tra sé.

Nel mentre Hiashi pensava queste cose, Boruto evitò di striscio uno schiaffo abbassandosi con un movimento rapido, scagliando poi un palmo in avanti verso Hanabi, la quale lo deviò con una mano e ricambiò la cortesia avvitando il corpo di lato e sferrando un pugno verso la testa del giovane. Ma Boruto intuì la sua mossa dopo un istante, scartando immediatamente di lato anche lui e sferrando un calcio laterale con la gamba destra verso sua zia.

Hanabi sgranò gli occhi, balzando lontano dalla traiettoria del calcio appena un secondo prima di essere colpita.

“Bella mossa, ma così non riuscirai mai a colpirmi! Fai troppo affidamento sulla tua vista, trascurando gli altri sensi del corpo!” disse lei appena si fu distanziata abbastanza.

Boruto si fermò un secondo, riprendendo fiato ed osservando sua zia con uno sguardo confuso.

Hanabi ghignò misteriosamente subito dopo, per poi comparire improvvisamente dinanzi a lui con un movimento rapidissimo impossibile da vedere ad occhio nudo. Boruto sgranò gli occhi, scioccato.

“Il Taijutsu non si basa solamente sulla vista, Boruto…” disse lei con un tono sarcastico, sferrandogli un pugno sulla faccia. Il ragazzino gemette di dolore, ma non ebbe neanche il tempo di fare qualcosa che subito una ginocchiata lo investì sullo stomaco, facendolo crollare in ginocchio.

“…esso si impara ascoltando il movimento del corpo…”

Un altro pugno lo centrò sulla tempia, annebbiandogli i sensi per un secondo.

“…prestando attenzione ai suoni…”

Un palmo aperto lo colpì sullo sterno con una potenza micidiale, facendogli rigettare di botto aria e saliva dalla bocca.

“…agli spostamenti d’aria…”

Poi Hanabi afferrò con una mano il giovane dal braccio destro, portandoglielo dietro la schiena e schiacciandolo completamente a terra con una gamba.

“…ed imparando a percepire le vibrazioni del terreno e dell’avversario!” concluse la giovane dai capelli castani, sorridendo trionfante.

Boruto gemette dolorosamente, tentando invano di liberarsi dalla presa di sua zia. Tuttavia, dopo alcuni secondi di resistenza inutile, il biondino si arrese rilassando il proprio corpo, e Hanabi lo lasciò andare immediatamente dopo.

Il ragazzino si rimise in ginocchio lentamente, stringendo i denti per il dolore e la fatica.

“N-Non sono ancora al tuo livello, questo è certo…” ansimò Boruto, il suo fiato corto.

Hanabi lo aiutò subito a rimettersi in piedi, dandogli poi un bacetto affettuoso sulla fronte che lo fece arrossire leggermente. “Suvvia Boruto. Non essere così pessimista. I tuoi progressi si vedono ad occhio nudo. Non puoi strafare e pretendere di imparare tutto in soli tre anni di allenamenti. Il tuo ritmo di crescita è già al di sopra della media, quindi puoi ritenerti pienamente soddisfatto!”

“Hanabi ha ragione,” disse poi Hiashi, portandosi vicino ai giovani. “Stai migliorando ad un ritmo che non mi sarei mai aspettato, Boruto. Anche se non possiedi ancora il Byakugan, quello che hai imparato fino ad oggi è più che abbastanza. Sono fiero di te.”

Boruto sorrise all’udire l’elogio che l’anziano gli stava rivolgendo. Suo nonno non era certo il tipo di uomo che faceva complimenti per nulla, perciò quelle parole significavano molto per lui.

“Grazie mille, nonno!” disse il ragazzino. “Eppure non riesco ancora a trovare un modo per eludere la visione dei vostri occhi. Né sono ancora riuscito a capire come fare per attivare i miei…”

Lo sguardo di Hiashi si fece serio. “Ti riferisci al tuo occhio destro?” domandò.

Il biondino annuì. “Già. Non riesco a capire il perché abbia pulsato in quel modo così strano in passato. Se si tratta davvero del Byakugan, dovrebbero esserci dei modi per riconoscerlo, vero?”

Hanabi annuì. “È vero. Ma, come sai bene, in questi tre anni che ti alleno non ho mai visto nessun segno che fosse riconducibile al Byakugan nei tuoi occhi. Non abbiamo modo di dire se il tuo occhio sia speciale o meno, almeno per il momento.”

Boruto sospirò pesantemente. “Detto così, alla fine sembra quasi che io abbia inventato una patetica scusa…”

“Non dire così,” lo rassicurò suo nonno, accarezzandogli la testa e scompigliandogli leggermente i capelli. “Sai bene che ci fidiamo di quello che dici. Se sei certo che il tuo occhio abbia avuto qualche strana reazione in passato, allora noi ci fidiamo di te. Non avere dubbi al riguardo.”

“Lo so, lo so,” disse il biondo, sorridendo. “È solo che vorrei capire cosa mi è successo. Ma ormai è inutile pensarci ancora. Se accadrà qualcosa, ve lo farò sapere.”

Hiashi annuì, soddisfatto. Poi però la sua espressione si fece grave, i suoi occhi più pesanti di prima.

“E come va con il resto?” gli domandò con lentezza. “Come vanno le cose tra te e i tuoi genitori?”

L’espressione di Boruto si fece immediatamente più fredda di prima all’udire quella domanda. I suoi occhi si posarono a terra, incapaci di sostenere lo sguardo di sua zia e suo nonno.

“Come sempre.” rispose alla fine con un sospiro. “Ma preferisco non parlarne, scusatemi.”

Hiashi sospirò a sua volta chiudendo gli occhi con pesantezza, mentre Hanabi continuò ad osservare suo nipote con uno sguardo triste. Entrambi sapevano bene della situazione difficile che Boruto viveva nella sua famiglia. Il biondino aveva raccontato loro diversi anni fa del fatto che i suoi rapporti con Naruto ed Hinata si stavano facendo sempre più distaccati e freddi. Questa cosa li faceva soffrire immensamente entrambi. Tuttavia loro nipote non aveva mai lasciato trapelare nessuna spiegazione del perché i loro rapporti si stessero frantumando in questo modo, lasciandoli sempre allo scuro del motivo per cui ci fosse così tanto risentimento da parte sua nei confronti dei suoi genitori.

“Boruto,” cominciò a dire Hanabi lentamente. “Sei certo di non volerne parlare con noi neanche adesso? Se hai dei problemi puoi dirceli senza esitare.”

Il biondo scosse la testa, il suo sguardo puntato a terra. “Non c’è niente di cui parlare.” rispose lui, il suo tono freddo ma non cattivo. “Quel che è stato è stato, e niente potrà farmi cambiare idea su questo. Non voglio accollarvi i anche miei problemi. Voi due avrete già molto a cui pensare semplicemente nella gestione del Clan.”

“Non è un peso per noi aiutare un membro della famiglia.” lo corresse pacatamente Hiashi. “Tu sei pur sempre un membro del Clan, con o senza Byakugan. Se ci sono delle difficoltà che stai vivendo e da cui non riesci a risollevarti, sappi che noi saremo sempre disposti ad aiutarti.”

Boruto non rispose, limitandosi ad annuire lentamente con la testa. Sapeva bene che suo nonno ed Hanabi erano sinceramente preoccupati per la situazione che la sua ‘famiglia’ stava vivendo, ma lui restava sempre dell’idea che quello era un suo problema, e che lui da solo avrebbe dovuto risolverlo con i suoi metodi. Non poteva accollare il peso della realtà che aveva infranto la sua famiglia anche su di loro. Non era giusto ai suoi occhi.

Anche perché, se c’era una cosa che Boruto odiava oltre ai suoi genitori, essa era la compassione degli altri.

“Comunque, adesso è meglio che vada.” disse improvvisamente il ragazzino, voltandosi verso i suoi parenti. “Ho delle faccende da sbrigare prima di tornare a casa. E preferisco riposarmi un po’ di più per essere in forma domani.”

“Oh, è vero!” esclamò Hanabi, mentre le sue labbra si incurvarono in un sorrisetto. “Domani iniziano gli Esami di Selezione! Dovrai impegnarti parecchio per riuscire a superarli!”

Boruto sbruffò sarcasticamente. “Come no! Impegnarmi parecchio…”

“Il mio nipotino diventerà un Genin!” esclamò poi la giovane dopo un attimo di silenzio, scattando verso di lui ed abbracciandolo con fare esageratamente emotivo. “Mi sembra soltanto ieri quando ancora ti tenevo in braccio! E adesso stai per diventare un vero ninja!”

Boruto sospirò pesantemente, lasciandosi strapazzare dalla zia con un’espressione irritata. “Ma che diavolo di problemi ha la gente con gli abbracci?”

Appena il giovane fu liberato dalla morsa della zia, Hiashi si portò davanti a lui e lo guardò negli occhi con un’espressione seria. “Non sottovalutare gli Esami di Selezione, Boruto.” lo ammonì seriamente l’anziano. “Anche se sei indiscutibilmente abile, non abbassare mai la guardia e rifletti prima di agire.”

Boruto annuì con un sorriso. “Lo so, nonno. Non preoccuparti.” Poi, senza perdere altro tempo, il giovane si voltò ed incominciò ad allontanarsi verso l’uscita del Distretto, alzando una mano in segno di saluto. “A presto allora! La prossima volta che ci vedremo, state certi che sarò diventato uno Shinobi a tutti gli effetti!”

“Buona fortuna!” lo salutarono Hanabi e Hiashi contemporaneamente, i loro volti sorridenti.

Poi, quando Boruto se ne fu andato, i due continuarono a fissare punto in cui loro nipote era svanito, i loro sguardi carichi di affetto.

“Diventerà un ninja senza dubbio.” disse Hanabi con sicurezza. “Quel tipetto è furbo e scaltro. Sono certa che non avrà difficoltà negli Esami.”

Hiashi annuì. “Ne sono convinto anch’io.”
 

12 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Negozio di Urahara
17:13

“WAAAAH! COSA POSSO FARE ADESSO?” urlò disperatamente Sora, passandosi ripetutamente le mani nei capelli in un moto di tensione e sconforto.

Boruto ridacchiò sommessamente nel vedere la sua disperazione. “Te l’avevo detto di studiare giorno per giorno quando seguivamo le lezioni all’Accademia. Non puoi pretendere di imparare tutto adesso in soli tre giorni.”

Sora buttò pesantemente la testa sul tavolo, facendo cadere a terra i libri di matematica e fisica con cui stava cercando di studiare per gli Esami di domani. Il biondo scosse leggermente la testa, ormai abituato all’ingenuità del suo amico. Sora era sicuramente molto forte, ed era anche una persona meravigliosa a cui voleva molto bene, ma la sua ingenuità e la sua pigrizia a volte lo inibivano sotto certi punti di vista. Il moro non amava di certo studiare come faceva lui, e per questo si lasciava spesso andare senza prendere sul serio le cose, e adesso era preoccupato di non riuscire a passare il test scritto degli Esami a causa del suo studio ‘altalenante’.

O meglio, quasi inesistente.

Mikasa fece il suo ingresso dalla porta che dava nel corridoio, entrando nella cucina con la sua solita espressione indifferente. I suoi occhi neri si posarono sulla figura del moro buttato sul tavolo per un istante, per poi spostarsi su Boruto con un sospiro esasperato.

“Non ha fatto progressi, vero?” domandò al biondino, conoscendo già la risposta.

Boruto scosse la testa, trattenendo a stento una risatina appena udì una specie di gemito sconsolato provenire da Sora. “Speravi forse il contrario?” ribatté lui sarcasticamente.

La nera alzò le spalle ed accennò un sorriso. “No di certo, conoscendo Sora e la sua pigrizia.”

“CHE COSA POSSO FARE?” esclamò subito dopo il moro, rialzandosi di scatto col busto e guardando coi suoi occhi azzurri colmi di tensione gli altri due che erano con lui. “Non so nulla! Non riuscirò mai a passare il test di domani in questo modo! Vi prego, Mikasa, Boruto! Aiutatemi a studiare!”

Mikasa sospirò. “È inutile, non servirebbe a nulla ormai. Dovevi pensarci prima.”

Sora divenne immediatamente depresso all’udire la risposta dell’amica, tornando a poggiare la testa sul tavolo. “E allora cosa farò domani? Non sarò mai in grado di superare la parte scritta dell’Esame. Sarò costretto a restare indietro rispetto a voi…”

Boruto gli diede una pacca sulla spalla. “Suvvia Sora, non serve a nulla deprimersi così. Non resterai indietro a noi, te lo assicuro! Noi tre supereremo gli Esami tutti assieme, diventeremo dei Genin e resteremo una squadra per sempre! Nessuno di noi tre verrà lasciato indietro!”

Il moro alzò leggermente la testa, confuso. “Huh?”

Boruto lo guardò con un sorriso confidente. “Il test scritto di domani non verrà superato soltanto grazie alle conoscenze che noi studenti possediamo!” gli spiegò l’Uzumaki con serietà. “Lo scopo principale dell’Esame è farci riuscire ad ottenere le risposte al test attraverso le abilità ninja! In pratica, il vero obiettivo della prima parte dell’Esame è vedere il potenziale degli studenti e la loro abilità di ottenere informazioni!”

Sora sgranò gli occhi. “C-Cioè…” cominciò a dire, il suo tono speranzoso. “Lo scopo del test è riuscire a copiare le risposte?!”

Boruto ghignò. “Precisamente!”

Mikasa lo guardò di sbieco con interesse. “Come fai ad esserne così sicuro?” gli chiese, dubbiosa. “E se non fosse questo il vero obiettivo dell’Esame?”

Il biondo si voltò verso di lei, il suo ghigno sempre presente. “Non ricordate? Shino-sensei ha detto qualche giorno fa che ‘Dobbiamo leggere le domande e formulare una strategia’! Questo significa che per passare il test non basta sapere le conoscenze teoriche che già possediamo! Lo scopo dell’Esame scritto è vedere se noi futuri ninja riusciremo a collaborare per ottenere le risposte alle domande senza farci scoprire da lui!”

Mikasa si portò una mano sotto il mento, riflettendo per diversi secondi. “In effetti la cosa ha senso…”

“GRAZIE MILLE!” esclamò immediatamente Sora subito dopo, abbracciando pateticamente il biondo. “Grazie mille Boruto! Non sarei mai riuscito a capirlo senza di te! Sei davvero troppo intelligente!”

Mikasa scosse la testa. “Dovevo aspettarmi che un genio come te sarebbe riuscito a capire subito lo scopo dell’Esame.”

Boruto si grattò la testa, imbarazzato. “Non sono un genio. Semplicemente mi piace pensare alle cose da un altro punto di vista.”

Sora e Mikasa sorrisero all’udire ciò. Il loro amico era forte e determinato, ma in questi anni loro avevano notato che il suo vero punto di forza era la sua incredibile astuzia. Boruto era il più in gamba dei tre, almeno dal punto di vista strategico, e loro due ne erano pienamente consapevoli.

Ognuno di loro eccelleva in qualcosa che andava a supportare e coprire le mancanze degli altri, proprio come una vera e propria squadra.

Boruto era un portento in quasi tutti gli aspetti della lotta e delle Arti ninja. Eccelleva abilmente in tutti i campi del ninjutsu, taijutsu e kenjutsu, ed era il vero stratega del gruppo grazie alla sua spiccata arguzia ed intelligenza.

Sora invece era lo specialista del gruppo. Il suo arsenale di jutsu era il più vasto ed il più efficiente dei tre, ed anche se il giovane moro non brillava molto in intelligenza e prontezza fisica, la sua forza ed il suo controllo del chakra erano invidiabili per chiunque, e lo rendevano capace di effettuare potenti Tecniche anche per tempi prolungati.

Mikasa invece era imbattibile nella lotta, e la sua potenza e prontezza fisiche erano invidiabili ed incomparabili rispetto a quelle degli altri due. La ragazzina era abile anche nel campo del ninjutsu, ma il suo vero punto di forza era il taijutsu. Mikasa era incredibilmente portata per la lotta fisica e per il combattimento ravvicinato, senza contare inoltre le sue abilità e conoscenze mediche che miglioravano di giorno in giorno.

In fin dei conti allora, tutti e tre i giovani andavano a coprire le mancanze degli altri in base alle loro abilità individuali, aiutandosi a vicenda e compensando ciascuno le mancanze e i punti deboli del resto della squadra. Boruto era la mente, Mikasa il braccio, e Sora lo spirito.

Perciò, in fin dei conti, loro tre formavano una vera e propria squadra a tutti gli effetti.

L’espressione di Mikasa si fece all’improvviso preoccupata mentre pensava a queste cose. Sora e Boruto si resero subito conto del suo strano atteggiamento, e si voltarono verso di lei con gli sguardi confusi.

“Cosa succede Mikasa?” domandò Sora, alzandosi dalla sedia. “Perché sei così tesa?”

La ragazza li fissò negli occhi per alcuni secondi prima di rispondere, il suo sguardo penetrante e serio. “Credete che riusciremo a finire nello stesso team una volta superati gli Esami?” domandò a sua volta lei, il suo tono pacato e basso.

Boruto e Sora sgranarono gli occhi all’udire la domanda della loro amica. Le loro espressioni si fecero improvvisamente tese ed incerte. Nessuno dei due sapeva rispondere a quella domanda. Nessuno dei due sapeva cosa dire, cosa fare.

Quello era davvero un quesito a cui non sapevano rispondere.

Tutti loro desideravano ardentemente finire nello stesso team. Dopotutto, quei tre ragazzini si conoscevano ormai da anni, ed il loro lavoro di squadra era impareggiabile rispetto a quello dei loro compagni di classe. All’Accademia tutti sapevano della loro incredibile affinità e vicinanza. Per anni loro tre si erano allenati insieme, per anni erano rimasti sempre vicini e si erano presi cura l’uno dell’altro in ogni occasione. Erano letteralmente inseparabili. Loro tre, nonostante tutte le loro differenze, condividevano un’amicizia unica e profonda che nessun altro loro coetaneo condivideva. Qualcosa che andava oltre il semplice legame affettivo. Qualcosa che superava la pura e semplice amicizia tra coetanei. Qualcosa di molto più simile al legame che c’era tra veri e propri consanguinei. Qualcosa che, senza dubbio, li rendeva più uniti che mai.

Perché loro tre, in fin dei conti, erano diventati in tutto e per tutto una famiglia.

Questo era la loro vera forza. Questo era il loro punto forte. Il legame che connetteva quei tre era qualcosa di unico, qualcosa che loro tre avevano costruito insieme nel corso di questi cinque anni di convivenza e di condivisione di tutto.

Perché loro tre, dopotutto, erano uguali.

Sora, Boruto e Mikasa erano uguali. Tutti loro erano rimasti da soli. Tutti loro avevano sofferto ingiustamente nelle loro brevi vite. Tutti loro, in un modo o nell’altro, avevano perso la loro famiglia.

E proprio per questo motivo, quei tre ragazzini ne avevano formato letteralmente una nuova tra di loro.

Loro tre erano una famiglia. Condividevano ogni cosa tra di loro. Le proprie conoscenze, le proprie esperienze, i propri dubbi, le proprie passioni.

I propri dolori.

Tutti e tre condividevano lo stesso identico dolore. Il dolore generato dalla perdita di ciò che più avevano a cuore: la famiglia.

Perciò quei giovani ragazzini erano riusciti a superare completamente tutte le loro differenze. Per questo semplice ed inaspettato motivo tutti loro erano riusciti a mettersi insieme in quel modo così insolito. Avevano perso tutto allo stesso modo, perciò si erano messi insieme prendendosi cura l’uno dell’altro.

E, tutti insieme, erano riusciti ad andare avanti.

Proprio per questo motivo non potevano accettare di separarsi. Loro tre rappresentavano letteralmente tutto per ciascuno di loro. La loro vicinanza, l’affetto e la fiducia che condividevano tra loro andava oltre qualsiasi tipo di amicizia. E per questo motivo l’idea di doversi separare non piaceva loro neanche un po’.

Boruto serrò i pugni con forza. “Noi tre non ci separeremo mai!” dichiarò improvvisamente con ferocia e determinazione.

Mikasa e Sora si voltarono verso di lui, fissandolo con gli occhi pieni di stupore per la decisione che ardeva nel suo tono di voce.

“Noi tre resteremo per sempre insieme,” continuò a dire il biondo, ricambiando i loro sguardi coi suoi occhi azzurri carichi di decisione e sicurezza. “Anche se dovessimo finire in team diversi, io non accetterò di separarmi da voi per nessuna ragione al mondo. Ho già perso la mia famiglia in questo modo, non tollererò che una cosa del genere accada di nuovo con voi! Non permetterò alla distanza forzata di portarmi via anche voi!”

Sora fece un passo avanti, portandosi un pugno sul cuore. “Anche per me vale la stessa cosa!” ringhiò con fermezza. “Io resterò sempre e solo con voi, a qualunque costo! Se dovessi finire in un altro team, allora io mi rifiuterò di accettare il titolo di Genin! Noi siamo una famiglia, e voi due siete le uniche persone con cui io posso continuare a crescere!”

Anche Mikasa si portò vicino a loro subito dopo, afferrando con le sue mani quelle dei suoi amici e stringendole a sé. I due ragazzini la guardarono con stupore.

“Noi tre siamo una famiglia,” disse lei lentamente. “E, in quanto tale, abbiamo il diritto ed il dovere di restare sempre uniti. Non permetterò a nessuno di separarci, per nessun motivo al mondo!”

Boruto e Sora la guardarono con gli occhi sgranati. Non riuscivano a credere a ciò che stavano vedendo. La Mikasa che conoscevano era sempre seria ed impassibile dinanzi a tutto, perciò non poterono fare a meno di restare profondamente stupiti e sconvolti nel vederla agire e comportarsi in questo modo così inaspettato. Era davvero raro per lei lasciarsi andare a dimostrazioni di affetto e dedizione così evidenti.

“E poi,” continuò a dire la ragazza, fissando i due giovani con i suoi occhi neri ed abbozzando un sorriso. “Voi due non sareste in grado di sopravvivere un solo giorno senza di me. Devo restare necessariamente con voi per tenervi d’occhio.”

Boruto scoppiò a ridere. Ecco, quella era la Mikasa che conosceva. Persino Sora non poté lasciarsi sfuggire un sorrisetto dentato.

“Allora è deciso!” dichiarò Boruto con forza e decisione dopo un attimo di silenzio. “Noi tre resteremo sempre insieme! Nessuno potrà mai dividerci in alcun modo! Né l’Hokage, né nessun altro!”

Mikasa strinse le mani dei suoi amici alle sue, poggiandosi a loro col corpo in un gesto di conferma e protezione. Sora Ricambiò il gesto senza esitazione, ghignando con confidenza. Boruto si unì a loro dopo un solo istante.

“Insieme! Per sempre!” dissero tutti e tre allo stesso tempo, le loro parole unite in un a sola voce.

E quella era una promessa che non si sarebbero mai più rimangiati fino alla fine delle loro vite.

“AAAAWW!” fece una voce irritante e comicamente allegra all’improvviso alle loro spalle. “Come siete teneri così abbracciati tutti insieme!”

I tre giovani si voltarono lentamente dietro di loro, lanciando tutti delle occhiate irritate e rabbiose verso Urahara, il quale era misteriosamente comparso all’improvviso dinanzi alla porta d’ingresso della cucina e li stava guardando con un sorriso patetico.

“Beh?” fece l’uomo col cappello appena vide le loro espressioni, confuso. “Cosa sono quelle facce?”

Mikasa lo perforò con lo sguardo. “Si può sapere dov’eri finito?” lo incalzò la ragazza, il suo tono minacciosamente più serio del solito. “È da stamattina che non ti fai vedere. Ho dovuto badare io al negozio per tutto il giorno.”

Urahara ridacchiò nervosamente, portando le mani in avanti in sua difesa. “Ahahah… Suvvia Mika-chan, non prendertela! Ho avuto delle faccende da sbrigare che mi hanno impegnato fino ad adesso! Non volevo sparire così all’improvviso!”

La ragazza continuò a fissarlo con un’espressione irritata, mentre invece gli altri due si limitarono a sospirare e scuotere la testa.

“Non cambi proprio mai…” sussurrò Boruto, esasperato dai modi di fare così stravaganti e strani del suo maestro.

Poi però, appena il biondo finì di parlare, l’espressione di Urahara divenne improvvisamente seria, i suoi occhi penetranti oscurati dall’ombra del cappello sulla sua testa.

“Mettiamo da parte questo discorso per dopo,” disse il trentenne subito dopo, il suo tono incredibilmente serio. “C’è una cosa di cui voglio parlare con tutti voi.”

Boruto, Mikasa e Sora s’irrigidirono all’istante appena udirono quel suo tono di voce, focalizzando immediatamente tutta la loro attenzione sull’uomo dinanzi a loro. Urahara era un tipo buffo e giocherellone, ma da quando lo conoscevano tutti e tre avevano imparato che quando il suo tono di voce diventava serio e freddo come adesso, allora significava che aveva qualcosa di veramente importante da dire. E Urahara non scherzava MAI quando usava quel tono di voce.

I tre giovani si portarono proprio davanti a lui un secondo dopo, uno di fianco all’altro.

Urahara li fissò uno ad uno, i suoi occhi penetranti. “Boruto, Sora, Mikasa,” pronunciò i loro nomi con solennità e lentezza. “Adesso che è giunto per voi il momento di affrontare l’Esame di Selezione, ho una domanda da fare a ciascuno di voi. Ormai non siete più dei bambini, perciò mi aspetto una risposta seria e sincera da parte vostra. Sono stato chiaro?”

I ragazzini annuirono, i loro sguardi tesi puntati sul suo volto.

Lo sguardo di Urahara si fece ancora più penetrante di prima. “Perché volete diventare degli Shinobi?” domandò, la sua voce glacialmente seria.

Boruto e gli altri lo guardarono con stupore e confusione. “Huh?”

“Il mondo degli Shinobi in cui state per entrare è un luogo crudele e pieno di pericoli e avversità,” spiegò seriamente l’uomo col cappello, fissando i suoi tre allievi con i suoi occhi scuri che sembravano scrutargli dentro. “Non è un luogo adatto a chiunque. Una volta che ci sarete dentro, tutti voi dovrete lottare ogni giorno per riuscire a superare le inevitabili difficoltà e gli imprevisti che incontrerete durante la vostra strada. Per questo voglio che abbiate una valida motivazione per decidere di intraprendere questa strada. Se non avete uno scopo, una motivazione che possa sostenervi e darvi la determinazione che vi serve, allora non sarete mai in grado di superare le difficoltà che il mondo degli Shinobi vi lancerà addosso.”

I tre ragazzini deglutirono nervosamente.

Gli occhi di Urahara si assottigliarono. “Allora, quale sono le vostre motivazioni? Perché volete diventare dei ninja?”

Boruto, Sora e Mikasa rimasero per diversi secondi in silenzio sotto lo sguardo serio e penetrante del loro sensei. Tutti e tre chiusero gli occhi ad un certo punto, riflettendo profondamente sulla domanda che Urahara aveva fatto a tutti loro.

Perché volevano diventare dei ninja?

Quella era una domanda che tutti loro si erano posti almeno una volta nel corso di questi anni. Tutti loro si erano fatti quella stessa domanda in passato, almeno una volta. Una domanda simile non sarebbe potuta mai essere stata ignorata da quei tre. Non dopo tutti gli allenamenti, tutti i sacrifici e tutti gli sforzi che ognuno di loro aveva fatto pur di diventare sempre più forti. Quella era una domanda che conoscevano bene, una domanda a cui sapevano perfettamente che avrebbero dovuto rispondere almeno una volta nella loro vita.

E adesso tutti e tre erano più che pronti a farlo.

“PER PRTOTEGGERE LA NOSTRA FAMIGLIA!” dichiararono contemporaneamente tutti loro allo stesso tempo, le loro voci forti, decise e cariche di determinazione e ferocia.

Urahara continuò ad osservarli attentamente, i suoi occhi puntati su di loro con uno sguardo indecifrabile e serio.

“Ho deciso di diventare un ninja molto tempo fa!” dichiarò Sora per primo con foga, il suo volto ardente di decisione. “Perché voglio seguire Boruto e Mikasa in questo viaggio ad ogni costo! Voglio essere al loro fianco. Voglio dare loro una mano. Ho preso questa decisione perché voglio proteggerli, e nessuno al mondo mi impedirà di restare al fianco dei miei amici. Io diventerò un ninja per proteggerli tutti e due, perché loro sono la mia famiglia!”

Mikasa ricambiò lo sguardo di Urahara con ferocia e freddezza. “Anche per me vale la stessa cosa!” dichiarò anche lei senza esitazione. “Ho già perso la mia famiglia una volta. Non permetterò per nessuna ragione al mondo che una cosa del genere possa accadere di nuovo! Loro due sono tutto ciò che mi resta in questo mondo, e ho preso questa decisione perché voglio proteggerli ad ogni costo!”

Urahara annuì, voltandosi poi per fissare l’ultimo membro del gruppo coi suoi occhi seri.

Boruto abbassò lo sguardo a terra, restando in silenzio per alcuni secondi.

“Fino a qualche anno fa,” cominciò poi a dire lentamente. “Io volevo diventare un ninja per riuscire finalmente a lasciarmi alle spalle la mia vecchia famiglia. Questa era l’unica cosa che desideravo. La mia unica motivazione. Volevo diventare un ninja semplicemente per fuggire lontano da quelle persone. Niente di più, niente di meno.”

Sora e Mikasa si voltarono verso di lui. Urahara continuò a fissarlo in silenzio.

Poi però il biondo alzò la testa, ricambiando lo sguardo del suo sensei con decisione e feroce determinazione. “Ma adesso non più!” dichiarò con foga, il suo volto privo di esitazione. “Adesso questo non mi basta! Io diventerò un ninja perché voi mi avete salvato dalla disperazione e dalla morte, e io ho intenzione di proteggervi e di restare con voi per sempre, anche se per farlo dovessi perdere la vita! Voi siete la mia famiglia adesso! Siete le uniche persone preziose che ho al mondo! E diventare uno Shinobi è solo il primo passo che farò per riuscire a proteggere la mia famiglia ad ogni costo! Io voglio diventare uno Shinobi perché voglio proteggere tutti voi, voglio proteggere la mia vera famiglia!”

Il silenzio calò nella cucina dopo quelle parole per diverso tempo. Urahara non rispose subito alle parole dei tre ragazzi, limitandosi a continuare a fissare i loro volti ardenti di sicurezza e decisione con uno sguardo serio e penetrante per diversi secondi. Poi, dopo quella che parve loro un’eternità, l’uomo col cappello sorrise, annuendo con la testa.

“Sono fiero di voi, ragazzi miei.” disse alla fine con un tono sincero e soddisfatto. “Siete diventati davvero dei ragazzi d’oro. Il vostro cuore è saldo, e tutti voi avete lo stesso obiettivo negli occhi. Non lo state facendo per la fama, per la gloria o per diventare più forti, ma per uno scopo nobile e sacro. Tutti voi volete diventare dei ninja per proteggere le persone che avete a cuore. Volete diventare ninja per proteggere la vostra famiglia. E io sono convinto che non possa esistere una ragione più nobile e valida di questa per intraprendere il cammino arduo che vi attende. Sono davvero fiero di voi. Sono certo che diventerete tutti degli ottimi Shinobi. Se continuerete ad aiutarvi a vicenda e non perderete mai il vostro obiettivo, allora niente e nessuno potrà riuscire a vincervi. Né ora, né mai.”

Boruto, Mikasa e Sora sorrisero tutti insieme. “Sì!” dissero con determinazione.

Urahara annuì di nuovo, dando a ciascuno di loro un’affezionata carezza sulla testa. “Andate a riposarvi allora,” disse loro con un tono gentile e orgoglioso. “Domani avrete bisogno di tutte le vostre energie. Non stancatevi troppo e recuperate le forze. Ne avrete bisogno.”

I tre giovani annuirono. “Sì, sensei!”

Urahara allora fece per andarsene a badare al negozio, quando all’improvviso uno di loro lo richiamò prima che potesse uscire dalla cucina.

“Solo una domanda, sensei.” disse Boruto con un tono curioso. “Che tipo di faccende hai dovuto sbrigare oggi?”

Urahara si limitò a sorridere, dandogli le spalle. “Questo,” rispose misteriosamente. “Lo scoprirete domani sera. Buona fortuna per il vostro Esame.”
 

13 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Accademia Ninja
08:30

Il mattino dopo giunse in un batter d’occhio per i nostri tre amici.

Quella mattina, Boruto, Mikasa e Sora entrarono nella classe per primi appena la campanella suonò l’ingresso per gli studenti, occupando immediatamente i posti che ormai erano soliti usare da più di quattro anni, nell’ultima fila più in alto. Boruto si mise al centro, affiancato alla destra da Mikasa e a sinistra da Sora

“È giunto il momento della verità!” disse il biondino, sorridendo con trepidazione. “Adesso inizia il nostro primo passo verso il futuro!”

Mikasa osservò col suo sguardo perennemente freddo gli altri compagni che iniziarono ad entrare nella classe. “Sembra che tutti siano tesi per gli Esami…” fece notare la ragazza, osservando i loro volti nervosi e carichi di tensione.

“Beh, non puoi certo dire che non lo sia anche un certo nostro amico!” fu il successivo commento sarcastico di Boruto, il quale lanciò un’occhiata provocatoria alla persona alla sua sinistra.

Sora non se ne curò affatto, tanto era preso dalla tensione e dal nervosismo. “Spero solo di riuscire a passare questo maledetto test!” esclamò lui, la sua voce piena di trepidazione.

“Lo passeremo di sicuro!” lo confortò il biondo. “Tutti insieme!”

Gli altri due annuirono contemporaneamente alle sue parole, ma nessuno ebbe il tempo di dire nulla che subito un’altra persona si portò vicino al gruppo, una mano alzata in segno di saluto.

“Yo, Boruto! Come vanno le cose? E ciao anche a voi, Mikasa, Sora!” li salutò Shikadai, la sua espressione annoiata.

Boruto ricambiò il saluto con un cenno del capo. “Shikadai. Ti vedo annoiato. Non sei felice di lasciare finalmente questo posto dopo cinque anni?”

Il Nara sbruffò dal naso. “Tutti questi Esami sono solo una seccatura.” sospirò il giovane con un tono irritato. “E quando usciremo da qui allora tutti noi dovremo affrontare un’infinità di missioni che saranno una seccatura. E poi ancora dovremo superare altri Esami per diventare Chuunin che saranno una seccatura. Che seccatura…”

“Wow! Come siamo allegri stamattina.” disse subito dopo di lui Inojin, comparso dal nulla alle sue spalle assieme ad altri ragazzi.

Sora si voltò verso di loro. “Inojin, tu invece sei felice di diventare finalmente uno Shinobi?” domandò il moro.

Il biondino sorrise in maniere leggermente inquietante. “Certo! Così non sarò più costretto a vedere le vostre brutte facce ogni giorno!”

Sora e gli altri ragazzi presenti rimasero stranamente disturbati dalle sue parole, tranne ovviamente Mikasa che lo ignorò completamente. Boruto invece si limitò a scuotere la testa. “Cominciamo bene…” pensò tra sé con un sospiro mentale.

“OHI! A chi diavolo ti stavi riferendo?” esclamò improvvisamente un ragazzo alto e dalla pelle scura, il quale afferrò dalla collottola il Yamanaka con fare minaccioso.

Tuttavia, se Inojin si fosse spaventato non lo diede minimamente a vedere. “Chi lo sa…”

“C-Calmati Iwabe!” lo esortò nervosamente Denki da dietro di lui, il suo tono teso. “Non conviene cominciare a litigare prima degli Esami!”

Iwabe mollò la presa sul biondino all’istante, continuando però a lanciargli un’occhiataccia che prometteva dolore in seguito.

“Certo che voi maschi ne fate di baccano!” fece un’altra voce improvvisamente.

Boruto e tutti gli altri si voltarono appena sentirono quelle parole, ritrovandosi dinanzi al gruppo delle ragazze che aveva appena fatto il suo ingresso nella classe, composto da Sarada, Chocho, Sumire, Wasabi e Namida .

“Sarada,” la salutò Shikadai con un sopracciglio incurvato. “Sei più loquace del solito oggi. Di solito non ci rivolgi mai la parola.”

La giovane Uchiha si sedette sul posto appena davanti a Boruto, alzando le spalle in un moto di sufficienza. “Tu dici? Vorrà dire che stamattina trovo il vostro fracasso più irritante del solito.”

Lo sguardo di Shikadai si fece irritato all’udire ciò. “Beh, perdonaci se non siamo tutti silenziosi come Mikasa!” ribatté lui con sarcasmo.

La ragazza in questione tuttavia continuò ad ignorare le battutine che ormai i ragazzi le rivolgevano da anni come se non le avesse sentite, voltandosi verso il biondo alla sua sinistra come se nulla fosse e passandogli subito dopo un quaderno dal suo piccolo zaino.

“Boruto, hai dimenticato questo ieri sera da noi.” disse la nera, il suo tono monotono e pacato.

Il giovane Uzumaki prese il quaderno, sorridendo in maniera imbarazzata. “Huh? È vero! G-Grazie Mikasa! Non me n’ero accorto…”

La nera annuì, fissandolo con un sorriso a malapena visibile.

Tuttavia, appena videro l’interazione di Boruto con lei, tutti gli altri ragazzi (tranne Sora) lanciarono contro di lui un’occhiataccia piena di gelosia ed invidia. Non potevano contenersi, dopotutto. Non potevano fare a meno di essere gelosi di lui. Dopotutto Mikasa era indiscutibilmente una delle ragazze più belle della classe, ma sin dal primo giorno che l’avevano conosciuta, tutti sapevano bene che lei rivolgeva la parola soltanto a Boruto e Sora per qualche oscuro motivo, limitandosi a parlare con tutto il resto della classe soltanto se necessario e solo con frasi brevi e concise.

Suscitando così l’invidia generale della fazione maschile che desiderava da parte della nera un tipo di attenzione simile a quella che riceveva Boruto.

“Oh? Non immaginavo che il grande ‘Bolt Uzumaki’ fosse così smemorato!” ghignò ironicamente Iwabe, fissando il suddetto biondino con sarcasmo nel tentativo di vendicarsi in qualche modo.

Lo sguardo di Boruto si fece istantaneamente freddo all’udire quel patetico nomignolo che gli altri compagni gli avevano affibbiato sin da quando aveva smesso di comportarsi da idiota cinque anni prima. Tuttavia non rispose, limitandosi ad ignorare il suo compagno come se non lo avesse sentito. Ma gli altri notarono il cambiamento della sua espressione, e decisero di continuare a stuzzicarlo per sentirsi più forti.

“Cosa c’è, Bolt? Mikasa ti ha mangiato la lingua?” fece un altro studente a caso della classe, sottolineando il suo soprannome con ironia. “Oppure ti ritieni al di sopra di tutti noi comuni mortali soltanto perché sei il primo della classe?”

Il biondino represse un ringhio di frustrazione. La sua mente fu seriamente tentata dall’idea di stritolare quell’ignoto idiota che lo stava insultando. Per fortuna però non ebbe il tempo di dire o fare nulla che subito qualcuno accorse a prendere le sue difese.

“S-Suvvia ragazzi! Non c’è bisogno di essere così cattivi! Boruto-kun è una brava persona, e tutti noi dovremmo prendere esempio da lui!”

Chocho si voltò verso la ragazza che aveva parlato, sgranocchiando nel mentre un pacchetto di patatine. “La Rappresentante di classe ha ragione, idioti.” disse la ragazza con un tono saccente. “Soltanto perché voialtri siete invidiosi dei suoi risultati, questo non vuol dire che avete il diritto di insultarlo.”

“Oh? E chi di noi ha chiesto il tuo parere, cicciona?” ribatté di nuovo l’ignoto studente di prima.

L’espressione della ragazza si fece colma di furore all’udire quell’insulto. Allo stesso tempo, Mikasa, Sora, Boruto e Sarada sospirarono pesantemente. “Che branco di idioti…”

Però, prima che potesse scoppiare una rissa tra di loro, un’altra figura si portò in mezzo agli altri ragazzi con un movimento rapido e quasi impercettibile, fissandoli uno ad uno con un’espressione falsamente cordiale.

“Vi suggerirei di smetterla una buona volta con questa inutile farsa.” disse il misterioso ragazzo dai capelli bianchi, Mitsuki, la sua voce soave che lasciava trapelare una punta di minacciosità. “Le ragazze hanno ragione. Boruto-kun è il più bravo tra di noi. Non dovremmo insultarlo così. Anzi, la sua figura dovrebbe ispirare tutti noi a dare ancora di più il massimo nei nostri allenamenti.”

Boruto sorrise mentalmente nel vedere Mitsuki. “Almeno qualcuno qui ha un minimo di cervello…”

Tutti gli altri si calmarono all’istante all’udire il tono del loro compagno. Mitsuki era a sua volta uno dei ragazzi più forti della classe, e nessuno osava andare contro di lui. Dopotutto, nessuno era mai riuscito a vincere contro di lui durante gli allenamenti di lotta.

E così, uno dopo l’altro, tutti gli studenti si allontanarono da lui e dal resto del gruppo, prendendo posto nei banchi liberi della classe.

Boruto sospirò. “Grazie per avermi difeso, Mitsuki.” ringraziò sinceramente il biondino. “Hai evitato un’altra volta lo scoppio di una bella rissa.”

Mitsuki si voltò verso di lui senza esitare, guardandolo con i suoi occhi gialli ed offrendogli un sorriso che il ragazzino dovette ammettere di trovare piuttosto inquietante. “Non preoccuparti Boruto. Lieto di esserti stato d’aiuto.” Detto ciò, l’albino si voltò e si mise a sedere a sua volta su un banco in fondo alla classe.

Boruto si limitò ad annuire, confuso, osservando il suo compagno con uno sguardo attento e calcolatore. Mitsuki era uno dei pochi compagni della sua classe che lui non riusciva a comprendere appieno. Quel ragazzo era un vero e proprio mistero per lui. Si era trasferito a Konoha due anni prima dal Villaggio della Nebbia, e sin da subito quel tipo aveva dimostrato di possedere uno strano e misterioso interesse per lui. Mitsuki in passato era solito seguire Boruto diverse volte al giorno mentre erano all’Accademia, ed era sempre pronto a fare qualsiasi cosa lui gli dicesse o a supportare ogni sua decisione senza alcun apparente motivo.

E questa cosa, secondo lui, era piuttosto inquietante.

Sora ghignò. “Secondo me quel tipo è innamorato di te!” sussurrò con ironia, conoscendo quanto quel tipo facesse stare all’erta il biondo.

Boruto deglutì nervosamente. “Non è divertente, Sora!”

“Parla per te! Io mi diverto sempre un sacco!” ribatté l’altro, sghignazzando sommessamente nel vedere il suo amico così preoccupato all’idea che aveva suggerito prima.

Mikasa invece si limitò a lanciare un’occhiata gelida a Mitsuki mentre lui non era attento, come per riuscire a scoprire qualcosa su di lui con lo sguardo.

Boruto si riscosse dallo stupore dopo alcuni secondi. “E grazie anche a te per avermi difeso prima, Sumire.” disse poi il giovane, rivolgendosi alla Rappresentante seduta accanto a Sarada e Chocho sul banco davanti al suo. “È bello notare che ci sono alcune persone che riescono ad andare oltre gli scherzi come fai tu.”

La ragazza arrossì all’udire i ringraziamenti del giovane, abbassando lo sguardo a terra ed abbozzando un sorriso. “D-Di nulla, Boruto-kun!”

Prima però che qualcun altro potesse dire qualcosa, improvvisamente la porta della classe si spalancò di botto, e da essa entrò con passo rapido e deciso Shino-sensei, la sua faccia perennemente priva di emozione. Tutti gli studenti si misero immediatamente seduti.

“Buongiorno a tutti!” disse l’uomo con il suo tono lento e pacato di sempre appena il silenzio fu totale. “Oggi finalmente è arrivato per voi il momento che stavate aspettando da mesi. Oggi, dopo ben cinque anni di lezioni, tutti voi sarete sottoposti all’Esame di selezione per diventare Genin.”

Le espressioni dei presenti si fecero subito più tese di prima.

“Oggi,” continuò l’Aburame con serietà. “È arrivato il momento per tutti voi di essere giudicati per vedere se siete pronti o meno a diventare degli Shinobi!”

Boruto sorrise feralmente. “Finalmente si comincia!”
 

13 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Accademia Ninja
08:30

Iruka sospirò pesantemente mentre se ne stava seduto sulla poltrona del suo ufficio, i suoi occhi intenti a fissare l’uomo che era seduto dinanzi a sé, oltre la scrivania.

“La ringrazio per essersi offerto come volontario per supervisionare gli Esami di Selezione quest’anno,” disse il preside con un tono pacato, ormai sempre più prossimo alla vecchiaia. “Il suo contributo ci aiuterà notevolmente sotto molti punti di vista!”

L’altro lo silenziò affettuosamente con un gesto della mano. “Suvvia, non essere così formale Iruka-sensei!” disse con un tono imbarazzato. “Dopotutto, per me è un piacere aiutarti in questo compito. Senza contare che sono davvero curioso di vedere come sarà questa nuova generazione di Shinobi. Non posso fare a meno di voler vedere coi miei occhi che razza di studenti usciranno quest’anno dall’Accademia.”

Iruka sospirò, scuotendo leggermente la testa in un moto di falsa esasperazione. “Non è cambiato per niente eh…” mormorò il preside. “So che la sua presenza sarà davvero utile per tutti noi, ma le chiedo di non andarci troppo pesante con i miei studenti.”

“Lo so, lo so.” rispose subito l’altro, il suo tono pacato e calmo. “Tuttavia, anche se siamo in tempi di pace, non possiamo permettere agli studenti troppo problematici di diventare degli Shinobi così facilmente.

Iruka chiuse gli occhi, sospirando per la terza volta. “Lei è sempre lo stesso, Rokudaime…”

“Molto bene allora,” disse subito dopo il Sesto Hokage, sorridendo appena sotto la sua maschera. “Sono proprio curioso. Non vedo l’ora di scoprire quanti di loro riusciranno a resistere fino alla fine.

Poi, l’uomo si alzò dalla sedia con un movimento lento del corpo, il suo sguardo serio e penetrante puntato alla finestra che dava sul Villaggio. Kakashi sorrise maliziosamente.

“Dopotutto, il mio Esame potrebbe essere… molto difficile da superare!”
 

NOTE DELL'AUTORE!!!

Salve a tutti, lettori e lettrici! Sono finalmente tornato XD!

Vi chiedo scusa per avervi fatto attendere così tanto, ma ho ripreso il computer solamente ieri pomeriggio a causa del problema tecnico che vi avevo accennato in passato. C'è voluto un pò di tempo per rimetterlo a posto, ma adesso tutto si è risolto, quindi la storia e i capitoli riprenderanno a scorrere con il ritmo di sempre!

Il prossimo capitolo dovrebbe uscire tra un paio di giorni se tutto va bene. Dal prossimo cominceremo a vedere come si svolgerà l'Esame di Selezione Genin per Boruto e tutti i nostri amici. Riusciranno i nostri eroi a superare questa prova?

Ringrazio in anticipo coloro che leggeranno e che commenteranno! A presto!

ESAME DI SELEZIONE (1)

13 Febbraio, 0015 AIT
Area 44, Terra del Fuoco
Foresta della Morte
10:30

“Visto?” disse Boruto, rivolgendosi al suo amico con un sorriso soddisfatto. “Te l’avevo detto che saremmo riusciti a superare il primo test tutti insieme.”

Sora annuì con un ghigno di gioia pura. “Già! Ed è tutto merito tuo! Se non avessi distratto Shino-sensei durante il test, non sarei mai riuscito a copiare le risposte! Ti devo un favore, Boruto!”

Il biondo scosse la testa. “Il merito è anche tuo. Io non ho fatto niente di che.”

Accanto al biondo, Mikasa scosse la testa con un’espressione mista tra esasperazione ed invidia. “Smettila di fare il falso modesto. Sei riuscito a rispondere a quasi ogni tipo di domanda senza neanche aver bisogno di copiare. La tua genialità è così irritante a volte…”

Boruto ridacchiò nervosamente, grattandosi la nuca. “Non che possa negarlo…”

Al momento i tre amici non si trovavano più nell’Accademia, ma si erano spostati bensì nella zona esterna ad est del Villaggio, proprio dinanzi ai cancelli che sancivano l’ingresso ad una gigantesca e fitta foresta che si estendeva per chilometri e chilometri lungo il confine orientale di Konoha, conosciuta ed evitata da tutti gli abitanti del Villaggio a causa della sua gigantesca estensione e delle belve feroci che la abitavano.

La Foresta della Morte.

Assieme a loro erano presenti anche tutti i loro compagni di classe che erano riusciti a superare a loro volta il test. Sarada, Iwabe, Sumire, Shikadai e tutti gli altri erano intenti a parlare tra di loro, tesi e nervosi. Tutti i ragazzi si erano radunati in uno spiazzo aperto all’inizio della foresta, in attesa di cominciare la seconda e decisiva parte dell’Esame di Selezione.

Lo sguardo di Mikasa si posò sulla gigantesca foresta dinanzi a loro. “Questo posto non mi piace.” disse lei con un tono serio, i suoi occhi che studiavano la grossa massa di alberi. “C’è qualcosa di strano in questa foresta. L’aria stessa che la circonda è tesa e pungente. Non mi sento al sicuro neanche adesso che ci siamo vicini.”

Boruto fissò a sua volta con determinazione la fitta coltre di alberi e piante. “Ho sentito dire una volta da Urahara che la Foresta della Morte è un luogo molto, molto pericoloso.” disse a sua volta, la sua voce tesa. “Tutta la foresta pullula di animali terribili come ragni e serpenti giganti, e molte delle piante che la compongono sono velenose. Non è un luogo da sottovalutare. Soltanto i ninja più abili sono in grado di attraversarla con facilità. Fino a qualche anno fa infatti, questa foresta veniva usata durante gli Esami per diventare Chuunin.”

Sora si voltò verso di lui, completamente confuso. “Cosa? Ma se questo posto veniva usato per gli esami dei Chuunin, allora perché noi che non siamo ancora neanche dei Genin dobbiamo entrare lì dentro?”

Fu Mikasa a rispondere alla sua domanda. “Perché i tempi sono cambiati.” spiegò la nera. “Noi viviamo in un tempo di pace e prosperità che non si è mai visto prima nella storia di questo mondo. E proprio perché tutti quelli della nostra generazione sembrano aver dimenticato il passato di sangue dei ninja, il Villaggio non può permettersi di lasciare che i ragazzi senza una valida motivazione possano diventare degli Shinobi. Stanno semplicemente testando la nostra risoluzione aumentando subito la difficoltà dell’Esame.”

Boruto le lanciò un’occhiata divertita. “E poi sarei io il saputello del gruppo!” scherzò lui, facendole l’occhiolino. Mikasa si limitò ad ignorarlo, sorridendo appena.

Poi, improvvisamente, Shino-sensei comparve dal nulla dinanzi ai cancelli d’ingresso alla Foresta con uno Shunshin no jutsu (Tecnica del Movimento Corporeo Istantaneo), attirando immediatamente l’attenzione di tutti gli allievi.

“Shino-sensei!” esclamò Metal Lee appena lo vide.

L’Aburame rimase impassibile come al suo solito. “Adesso che siete tutti qui,” cominciò a dire ad alta voce. “Passerò subito a spiegarvi le regole e le modalità con cui si svolgerà l’ultima parte dell’Esame. Ascoltatemi attentamente.”

Poi, Shino tirò fuori da una tasca con una mano una serie di bandane bianche, mostrandole a tutti gli studenti.

“Per prima cosa legatevi questa bandana attorno alla fronte,” istruì loro seriamente, distribuendo una bandana a ciascuno degli studenti. “Essa rappresenta la vostra vita. Se vi verrà sottratta, allora sarete automaticamente squalificati dall’Esame.”

Uno ad uno, tutti gli studenti si legarono la fascia bianca sulla fronte.

Appena tutti ebbero finito, Shino riprese a parlare. “L’Esame si svolgerà sostanzialmente con le modalità di un combattimento reale. Il luogo del suo svolgimento è la Foresta della Morte nella sua interezza. Una volta entrati, tutti voi dovrete combattere contro di noi per riuscire ad andare avanti e raggiungere il vostro obiettivo.”

Gli studenti rimasero confusi all’udire la spiegazione. “Combattere contro di voi?” ripeté Sarada, confusa. “Ma lei è da solo, sensei. Sta dicendo che tutti noi dovremo combattere contro di lei da solo?”

Shino sorrise. “Io non sono solo.” rispose subito il maestro. “Perché? Perché ci saranno altre tre persone assieme a me che mi aiuteranno a svolgere l’Esame.”

Appena l’Aburame finì di pronunciare quella frase, dal nulla comparvero dietro di lui altre due persone con uno Shunshin no jutsu come aveva fatto lui prima, sorprendendo tutti i presenti con la loro comparsa così improvvisa.

La prima figura era una donna di mezza età dai capelli viola, di statura bassa e corporatura piuttosto grassoccia. La seconda un uomo sulla ventina alto e molto robusto.

“Oh?” esclamò Mitsuki, sorridendo con fare piacevolmente stupito. “Non pensavo che ci sareste stati anche voi, Anko-sensei, Konohamaru-sensei.”

Konohamaru sorrise, portandosi davanti agli studenti. “Da adesso combatterete contro di noi.” spiegò loro con la sua voce forte. “Il limite di tempo che avete per superare l’Esame è di cinque ore. Il vostro obiettivo è riuscire a superare ognuno di noi per arrivare in tempo alla Torre che si trova al centro di questa foresta.”

“Inoltre,” disse subito dopo Anko, ghignando maliziosamente ed indicando la bandana che tutti gli studenti portavano legata alla fronte. “Tutti coloro che non riusciranno a raggiungere la Torre con la loro bandana ancora legata sulla fronte verranno immediatamente squalificati. Non importa quanto forti o abili voi siate, se la perderete, allora avrete fallito l’’Esame.”

Gli occhi di Boruto si ridussero a due fessure. “Capisco…” pensò tra sé. “Le bandane rappresentano il nostro coprifronte. Stanno cercando di farci intuire il valore che il simbolo del nostro Villaggio ha per ogni Shinobi. Patetico…”

Shikadai alzò una mano. “Quindi, tutto ciò che dobbiamo fare per passare l’Esame è riuscire a superare ognuno di voi e raggiungere incolumi la Torre?” domandò il Nara, inarcando un sopracciglio.

“Non proprio.” rispose una voce sconosciuta all’improvviso.

Tutti gli studenti si voltarono di scatto verso la direzione della voce misteriosa. Una terza persona era comparsa misteriosamente all’improvviso, e si stava avvicinando a tutti loro con un passo lento e rilassato.

Shikadai e tutti gli altri sgranarono gli occhi. Boruto s’irrigidì nervosamente, mentre i suoi occhi si assottigliarono ancora di più nel vedere quella persona che non aveva più incontrato sin da quando aveva sette anni.

“Quindi è lui il vero ostacolo dell’Esame…”

Dalla fitta ed oscura vegetazione della foresta uscì fuori Kakashi Hatake, il Sesto Hokage.

Tutti gli studenti emisero urla e grida di stupore e shock appena lo videro comparire davanti a loro. “Rokudaime!” esclamò anche Iwabe, scioccato dal vedere il leggendario Hokage dinanzi ai suoi occhi. “Cosa ci fa lei qui?!”

Kakashi lo guardò di sbieco, i suoi occhi annoiati. “Huh? Come sarebbe, cosa ci faccio qui?” disse a sua volta, osservando tutti i presenti con il suo sguardo penetrante. “Io sono il vostro esaminatore.”

Passarono alcuni secondi di silenzio assoluto. Poi tutti gli studenti rimasero a bocca aperta.

“EEEEEEHHHH?” urlarono praticamente quasi tutti.

“I-Il Sesto Hokage è il nostro esaminatore?!” balbettò nervosamente Denki, serrando i pugni nervosamente.

Inojin sospirò pesantemente. “Non ci credo…”

“Certo, sarà venuto a testare di persona la mia forza!” esclamò tra sé Chocho, persa nel suo mondo idilliaco.

Shikadai si portò una mano sulla faccia. “Sento puzza di una gran seccatura…” sospirò esasperatamente.

Mentre tutti gli altri ragazzi presero a commentare ciascuno a suo modo l’inaspettata comparsa del Sesto, Sora si voltò verso i suoi due amici con uno sguardo euforico. “Che ne pensate?” domandò loro con enfasi e trepidazione. “Il leggendario Sesto Hokage sarà il nostro esaminatore! Non siete eccitati?”

Boruto sorrise appena con le labbra. “Sarà sicuramente interessante vedere come si svolgeranno questi Esami.” disse con un tono basso e serio. “Tuttavia faremmo bene a non lasciarci prendere troppo dall’entusiasmo.”

Mikasa annuì. “Il Sesto Hokage non è una persona da sottovalutare. La sua presenza in un modo o nell’altro non sarà certamente un vantaggio per tutti noi. Dobbiamo stare all’erta.”

Le urla e gli schiamazzi di stupore continuarono ancora per qualche altro secondo, quando poi Kakashi si portò in mezzo agli altri maestri ed alzò la mano, silenziando all’istante tutti gli studenti.

“Ho sentito parecchie cose su questa nuova generazione di studenti.” cominciò a dire l’uomo con la maschera, osservando i ragazzi uno ad uno. “E devo dire che le voci che circolano su di voi non mi piacciono per niente.”

Tutti i presenti s’innervosirono all’udire quelle parole. “Che cosa ha sentito dire su di noi?” domandò Inojin, confuso.

Lo sguardo del Sesto si fece freddo. “Che siete un branco di teppisti senza regole e senza motivazione!” rispose gelidamente l’Hokage.

Tutti sgranarono gli occhi appena registrarono quelle parole.

“Proprio per questo motivo sarò io il vostro esaminatore,” continuò imperterrito Kakashi. “Non posso permettere che delle persone che causano soltanto problemi possano diventare dei ninja. Questo non è posto per dei mocciosi senza ritegno come voi.”

Le parole dell’Hokage lasciarono spiazzati tutti quanti. Boruto e Mikasa strinsero i pugni. Sarada serrò i denti.

“Sarò io a decidere se avete o meno la stoffa necessaria per diventare degli Shinobi.” disse ancora l’uomo mascherato, fissandoli con freddezza e serietà. “Intanto però, lasciate che vi spieghi una cosa…”

Poi, appena finì di parlare, Kakashi tirò fuori dalla tasca una piccola campanella grigia legata ad un filo rosso, mostrandola a tutti i presenti con una mano.

“Chi riuscirà a rubarmi questa campanella sarà promosso.” spiegò loro seriamente. “Per essere più precisi, il vostro obiettivo è superare tutti i vostri insegnanti per raggiungere la Torre al centro della Foresta. Io sarò lì ad aspettarvi, e chi di voi arriverà lì e riuscirà a prendere la mia campanella sarà ufficialmente nominato Genin. Tutto chiaro?”

Tutti gli studenti mormorarono tra di loro sommessamente. Lo sguardo freddo e calcolatore di Boruto era puntato sulla campanella nella mano di Kakashi.

“Qualcosa non mi convince…”

Fu tuttavia Shikadai a dare voce ai suoi dubbi. “Io avrei una domanda, tanto per essere certi.” fece il Nara, guardando Kakashi con un sopracciglio incurvato. “Ci sono tante campanelle quanti siamo noi, giusto?”

Il Sesto Hokage lo guardò con uno sguardo annoiato. “No.”

Shikadai sgranò gli occhi. “Eh?” balbettò, confuso.

“C’è solo questa campanella.” rispose Kakashi, il suo tono pacato e leggermente provocatorio. “Non ce ne sono altre.”

“Coosa?!” urlarono tutti gli studenti allo stesso tempo.

“A-Aspetti un attimo!” esclamò subito dopo Sumire, scioccata ed incredula. “Q-Questo vuol dire che lei promuoverà soltanto u-uno di noi?”

Il Sesto li perforò con lo sguardo. “Se la cosa non vi va bene potete sempre rinunciare,” ribatté con sufficienza. “Ovviamente però sareste immediatamente squalificati. Per come stanno adesso le cose, abbiamo già abbastanza uomini che sono già degli Shinobi. Per noi non sarà un problema anche se nessuno di voi verrà promosso.”

“Che cosa!” esclamò Iwabe, sconvolto ed infuriato. “Che razza si spiegazione assurda è questa?”

“Cos’avrebbe di assurdo questa cosa?” ribatté improvvisamente Shino a tutti gli allievi, la sua voce fredda ed autoritaria. “In un vero combattimento non potrete mai sapere in che modo si evolverà la situazione, per quanto assurda essa possa diventare.”

Konohamaru annuì, incrociando le braccia. “Non dimenticatevelo!” disse a sua volta con serietà e decisione, rivolgendosi a tutti. “Il mondo degli Shinobi dentro cui volete entrare è uno in cui si può morire per un minimo errore! Ecco come stanno le cose!”

Il ghigno sul volto di Anko si fece sempre più ferale. “Fareste bene a mettervelo in testa!” sibilò la donna ferocemente. Tutti i ragazzi si fecero sempre più tesi e nervosi di prima nel realizzare la situazione in cui si trovavano.

Shino si portò affianco a Kakashi subito dopo. “Noi faremo da spalla al Sesto Hokage.” dichiarò con fermezza. “Prima di arrivare a lui dovrete combattere contro di noi.”

“E non abbiamo nessuna intenzione di farvi passare facilmente!” aggiunse poi Anko, ghignando con sicurezza.

Konohamaru sorrise a sua volta con confidenza. “Non andateci piano ed attaccateci come se voleste ucciderci! Noi faremo altrettanto!”

Sarada si aggiustò gli occhiali, osservando con serietà gli adulti del gruppo. “Ho capito. Vogliono testare le nostre capacità individuali per vedere chi di noi riuscirà a raggiungere il Sesto prima degli altri.”

Appena gli insegnanti finirono di parlare, Kakashi fece un passo avanti. “Ecco, adesso sapete tutti come stanno le cose.” disse con il tono pacato che usava sempre, fissandoli col suo sguardo serio e penetrante. “Mostratemi la vostra DETERMINAZIONE!”

Detto ciò, lui e tutti gli altri insegnanti svanirono nel nulla con uno Shunshin no justu. Tutti gli studenti non persero neanche un secondo, scattando subito dopo in avanti ed entrando senza esitare nella Foresta della Morte.

L’Esame di Selezione era iniziato.
 

“CORAGGIO RAGAZZI!” esclamò Sora con un tono serio, saltando da un ramo all’altro tra gli alberi della Foresta. “Di questo passo non raggiungeremo mai il Sesto Hokage!”

Boruto si portò vicino a lui e lo afferrò da un braccio. “Calmati Sora!” lo incalzò seriamente lui, rallentando la sua avanzata. “Non scaldarti troppo! Agire d’impulso non ti porterà a niente!”

Sora si fermò subito, atterrando assieme a Boruto e Mikasa sopra un grosso ramo di un albero. Si voltò verso il suo amico, guardandolo con confusione. “Cosa vuoi dire?”

“Prova a riflettere prima di agire,” lo richiamò seriamente Mikasa, osservandosi attorno con circospezione. “Siamo in un luogo pieno di pericoli. Non possiamo agire senza elaborare un piano. E poi, anche se riuscissimo a raggiungere il Sesto per primi, credi davvero che riusciremo ad avere la meglio su di lui? Deve sicuramente esserci qualcosa sotto tutta questa faccenda.”

Sora la guardò con un sopracciglio alzato. “Ma anche se fosse, allora cosa dovremmo fare?”

La ragazza si voltò verso il biondino, fissandolo con i suoi occhi neri profondi e seri. Lei e Sora sapevano bene che lui era il più intelligente del gruppo, perciò non esitarono a chiedere subito il suo consiglio, fidandosi delle sue abilità di ragionamento. “Boruto, cosa ne pensi?”

Il giovane Uzumaki si portò una mano sotto il mento, riflettendo per diversi secondi. “C’è sicuramente qualcosa sotto,” cominciò a dire. “Lo scopo dell’Esame non è di certo quello di riuscire a farci ottenere quella campanella dal Sesto Hokage.”

Sora tentò di ragionare a sua volta. “Ma allora perché prima il Sesto ci ha detto che solo chi avrebbe rubato la campanella sarebbe passato?” chiese di nuovo, incapace di comprendere appieno la situazione.

Gli occhi di Boruto si assottigliarono mentre continuava a ragionare. “Doveva sicuramente intendere qualcos’altro. Se dovessimo seguire alla lettera ciò che ci ha detto, allora questo Esame non avrebbe nessun senso da principio!”

Mikasa lo guardò di sbieco. “Che vuoi dire?” gli domandò.

“Non vi sembra strano?” tentò di fargli capire il biondino. “Che senso avrebbe riuscire a rubare all’Hokage quella campanella se poi soltanto uno di noi verrà promosso? Non ha alcun senso!”

Sora si grattò la testa. “In effetti persino io lo trovo strano…”

Boruto annuì verso di lui, continuando a parlare. “Il Sesto intendeva dire qualcos’altro quando ci ha spiegato le regole. Kakashi è sempre stato un uomo misterioso ed un doppiogiochista della peggior specie. Non mi stupirei se alla fine avesse persino mentito durante la spiegazione.”

Mikasa lo guardò con attenzione. “Da come ne parli sembra che tu lo conosca abbastanza.” Non era una domanda.

Boruto annuì, il suo sguardo freddo. “Quell’uomo è stato il maestro di mio- del Settimo- quando era giovane. L’ho incontrato diverse volte quando ero piccolo. A volte veniva a trovarci nella residenza dove abitavo. Ma era da anni ormai che non lo vedevo di nuovo.”

“Sai qualcosa su di lui a parte questo?” domandò poi Sora, cercando di farsi un’idea del loro avversario.

Boruto guardò negli occhi i suoi amici con uno sguardo indecifrabile. “L’unica cosa che posso dirvi,” rispose lentamente. “È di non sottovalutarlo se ce lo dovessimo trovare davanti. Quel tipo è pericoloso. Molto pericoloso.”

Prima però che uno di loro potesse ribattere, una voce improvvisa riecheggiò alle loro spalle.

“Boruto!”

I tre giovani si voltarono di scatto, tesi nel caso di un’imminente pericolo, ma poi si rilassarono appena videro la persona che aveva attirato la loro attenzione. Sarada e Sumire atterrarono sul ramo dove si trovavano i tre ragazzini dopo un secondo, i loro sguardi tesi.

“Sarada,” disse Boruto con un tono serio, fissando la ragazza con gli occhiali con uno sguardo calcolatore. “A cosa devo il piacere?”

L’Uchiha ricambiò il suo sguardo con determinazione. “Vedo con piacere che almeno tu non sei come il resto di quegli idioti che sono partiti alla carica senza neanche tentare di riflettere.” disse lei con sarcasmo. “Volevo soltanto sapere la tua opinione riguardo a tutta questa situazione riguardante questo Esame.”

Mikasa la fissò con uno sguardo glaciale. “E come mai sei interessata così tanto alla sua opinione?” domandò con un tono sospettoso e talmente privo di emozione che l’Uchiha non riuscì a non sentirsi in soggezione. Sumire e Sora rimasero muti a guardare la scena, visibilmente tesi e preoccupati.

“Due menti sono meglio di una,” riuscì a dire Sarada alla fine, fissando con incertezza ed esitazione la ragazza dai capelli neri. “Credo che sia molto più vantaggioso unire le forze per il momento, non trovi? Da soli non avremmo di certo nessuna possibilità contro tre Jonin ed un Hokage.”

Boruto la osservò con interesse. Il biondo doveva ammettere di essere rimasto piuttosto colpito dal fatto che l’Uchiha avesse deciso di sua spontanea volontà di unirsi a loro. Quella ragazza di solito preferiva sempre tenere le distanze con tutti i ragazzi, e tra lei e lui non c’era mai stato un vero e proprio rapporto di amicizia, nonostante entrambi si conoscessero di vista da anni. Ma al momento Sarada sembrava essere disposta a mettere da parte le loro differenze per poter ragionare tutti insieme, e la cosa non era scontata.

“Tranquilla Mikasa,” disse allora il biondino. “Sarada ha ragione. Credo che provare a ragionare tutti insieme sia una buona idea.”

La nera continuò a squadrare l’Uchiha con uno sguardo glaciale e sospettoso per alcuni secondi, ma poi si calmò subito e prese a voltarsi verso Boruto con un cenno del capo.

Sumire emise un sospiro di sollievo. “Grazie mille, Boruto-kun!” disse la ragazza dai capelli viola con un sorriso sincero. “Io e Sarada eravamo preoccupate. Tutta questa situazione non ci sembra coerente. Il tuo aiuto potrebbe davvero ribaltare la nostra posizione.”

Il giovane inarcò un sopracciglio, sinceramente confuso. “Ti ringrazio, ma non capisco da dove venga tutta questa vostra fiducia nei miei confronti.”

La viola si fece subito paonazza in volto. “Ehm… Ecco… È solo che…” cominciò a balbettare in preda al panico e all’imbarazzo, muovendosi freneticamente. “T-Tu e Sarada siete i migliori della classe. C-Credo che se ci aiutassimo a vicenda… allora potremmo trovare una strategia… tutti insieme…”

Sarada sospirò. “Quello che la Rappresentante vuole dire è che entrambe riconosciamo la tua forza,” spiegò la corvina sommessamente, le sue guancie leggermente più colorate del solito. “Vogliamo unirci a voi così da riuscire a superare tutti insieme questo Esame. Che ne dici?”

Boruto ci rifletté per diversi secondi. Poi si limitò ad alzare le spalle. “Per me non ci sono problemi.” rispose semplicemente. “Voi che dite?”

Sora annuì, ghignando. “Perché no? Più siamo meglio è!”

Mikasa esitò solo un istante prima di sospirare ed annuire lievemente con la testa. “Se per voi la cosa va bene, allora va bene anche per me.” concesse loro alla fine.

Boruto sorrise. “Molto bene.” disse con un tono serio. “Allora, per prima cosa propongo di formulare una strategia nel caso dovessimo incontrare uno degli insegnanti prima di giungere alla Torre. Non possiamo semplicemente buttarci contro di loro senza essere preparati. Sarebbe un suicidio.”

“Ma non è esattamente quello che tutti gli altri stanno facendo?” domandò Mikasa. “Cosa sperano di fare tutti contro Shino-sensei e gli altri maestri?”

Boruto annuì. “In effetti la cosa è strana.” disse con un tono sospettoso. “Le parole del Sesto Hokage e dei maestri ci hanno fatto sparpagliare in tante direzioni sin dall’inizio. Possibile che…”

Sarada lo guardò con uno sguardo serio e attento mentre tentava di ragionare. “Cosa vuoi dire?” gli chiese.

“Voglio dire che sin dall’inizio dell’Esame tutti noi siamo stati ingannati.” rispose dopo un paio di secondi Boruto, il suo sguardo puntato verso il centro della Foresta. “L’intento del Sesto Hokage e degli altri insegnanti era quello di farci separare gli uni dagli altri, convincendoci ad attaccarli individualmente per riuscire ad ottenere per primi la campanella. E dubito che questo loro intento possa essere qualcosa di insignificante…”

Sarada e tutti gli altri sgranarono gli occhi. La spiegazione di Boruto era incredibilmente plausibile. Da quando la seconda parte dell’Esame era iniziata infatti, tutti i loro compagni si erano sparpagliati nella Foresta da soli, ognuno intenzionato a raggiungere per primo la Torre dove li aspettava il Sesto Hokage per ottenere la campanella e superare l’Esame.

“B-Boruto-kun” cominciò a dire Sumire, esitando un attimo. “Credi che Shino-sensei e tutti gli altri abbiano tentato di ingannarci?”

Sora sgranò gli occhi. “Ma perché lo avrebbero fatto?” esclamò il moro, confuso e scioccato. “Che senso ha ingannare tutti gli studenti in questo modo per spingerli inevitabilmente a perdere l’Esame?”

“Invece un senso tutto questo ce l’ha,” riprese a dire Boruto, voltandosi di nuovo verso i suoi compagni e sorridendo con confidenza. “Volevano testare la nostra abilità di leggere tra le righe del loro discorso e di svelare le menzogne velate dietro le loro parole. Nessuno degli insegnanti ha mentito. Ci hanno semplicemente indotti a credere inconsciamente che questo Esame verrà superato soltanto da una persona, spostando la nostra attenzione sulle bandane che ci hanno dato e sulla singola campanella del Sesto.”

Sarada sorrise. “Una mossa astuta, senz’altro!” esclamò appena ebbe compreso il piano.

Mikasa si voltò verso Boruto, fissando il suo amico con uno sguardo interrogativo. “E adesso cosa facciamo?”

Il biondino si voltò verso il centro della Foresta, dando loro le spalle. “Vi spiegherò il mio piano mentre continuiamo ad avanzare,” rispose, sorridendo con decisione tra sé. “Prima dobbiamo procedere verso il centro. Per far funzionare la mia idea, abbiamo bisogno di un’altra persona che ci dia una mano. E ho già in mente la persona adatta a questo compito…”

Sora inarcò un sopracciglio. “E chi sarebbe?”

Boruto si limitò a ghignare.
 

“Ehi, Iwabe!” esclamò Denki, ansimando profondamente dopo l’ininterrotta corsa che continuava da più di venti minuti. “Non credi che ci sia qualcosa di strano qui intorno?”

Iwabe si voltò verso di lui senza fermarsi. “Lo hai notato anche tu?” disse lui con un tono teso, osservandosi attorno e scrutando in mezzo alla fitta vegetazione.

“Già! Anche io sento qualcosa di strano nell’aria!” disse subito dopo Metal, puntando con un dito verso un albero alla sua destra. “Sono certo di aver già visto quello stesso albero qualche minuto fa!”

Gli occhi di Iwabe si sgranarono. “Non sarà forse…”

Dalla cima di un albero lì vicino, senza che nessuno dei tre ragazzi se ne fosse accorto, Anko continuava a guardare con uno sguardo annoiato i giovani continuare a correre in tondo, tutti e tre vittime dell’Arte Illusoria che aveva utilizzato su di loro ben cinque minuti prima.

“Questi ragazzi di oggi,” sospirò la donna mentalmente. “Non riescono neanche a percepire un Genjutsu (Arte delle Illusioni) di basso livello… Che delusione…”

Poi però la donna percepì improvvisamente una presenza alle sue spalle, sgranando di scatto gli occhi e balzando via dal ramo sopra cui era poggiata appena un secondo prima di essere investita da una raffica sibilante di serpenti bianchi.

La donna atterrò sul terreno, alzando la testa in alto e sorridendo maliziosamente. “Oh! Non avrei mai pensato di incontrare proprio te tra tutti gli altri mocciosi!” esclamò con un tono divertito.

Mitsuki ricambiò il sorriso, fissandola dal ramo dell’albero di prima. “Credo che mi abbia sottovalutato un po’, Anko-sensei!”

Anko ridacchiò sommessamente. “Beh, forse avrei dovuto aspettarmelo,” disse di nuovo lei, il suo sorriso divenuto più ferale di prima. “Visto che anche tu come me sei legato a quell’uomo…”

Mitsuki si limitò a balzare giù dall’albero senza risponderle, discendendo ad ampia velocità verso la donna e sferrandole un calcio mirato alla testa. Ma Anko fu più veloce, evocando immediatamente col pensiero una scia di serpenti dal braccio destro che andò a colpire il giovane nel fianco. Mitsuki però si riprese subito, roteando nell’aria e passando in rassegna a dei sigilli con le mani.

“Fuuton: Toppa!” (Sfondamento) esclamò, inspirando dalle narici ed emettendo con la bocca una raffica di vento micidiale che si diresse contro la donna senza pietà.

Anko ghignò, utilizzando la scia di serpenti che aveva evocato prima per aggrapparsi su un ramo di un albero e portarsi lontano dalla tecnica prima di essere colpita. Ma quello era proprio ciò che il giovane si aspettava, e con una velocità disarmante l’albino scattò verso di lei e portò un braccio in avanti, allungandolo come se fosse fatto di gomma e sferrando un pugno contro la Jonin. Anko si portò lontano da lui appena in tempo, bloccando il pugno con una mano.

“Ehehe, non sei male ragazzino!” commentò la donna, osservando il giovane dai capelli bianchi.

Il sorriso di Mitsuki si allargò. “Mi lasci passare, sensei.” disse con un tono pacato ma allo stesso tempo serio. “Devo trovare Boruto e dargli una mano.”

Le labbra di Anko si incurvarono all’insù in un sorrisetto sadico. “Oh? Come mai sei così interessato a quel moccioso?” domandò sarcasticamente. “Preferisci stare in compagnia di quel biondino che non spiccica mai una parola piuttosto che con una bella e seducente donna come me?”

Mitsuki fu tentato per un secondo dall’idea di commentare la questionabile ‘bellezza’ della Jonin, visto che negli ultimi anni la donna era ingrassata parecchio a causa della sua folle mania per i dolci, ma il suo istinto di sopravvivenza lo frenò appena prima di compiere quel fatale errore.

Fece per dire un’altra cosa, quando però all’improvviso una raffica di shuriken comparsa dal nulla sfrecciò con rapidità verso Anko da dietro di lei, pronta a colpirla alle spalle. Ma la donna si rese conto del pericolo dopo un attimo, balzando lontano dal raggio dell’attacco. Mitsuki sgranò gli occhi.

Boruto comparve dopo un secondo nel luogo dello scontro, atterrando in ginocchio accanto a lui con un tonfo leggero.

“Mitsuki!” disse il biondo appena raggiunse l’altro ragazzo, la sua voce seria. “Ti stavo cercando!”

L’albino si avvicinò subito a lui, confuso. “Boruto!” esclamò, sorpreso di vederselo comparire così. “Mi stavi cercando anche tu?”

Il biondo annuì col capo, osservando la figura di Anko a qualche decina di metri da loro. “Ho bisogno di te. Ti va di aiutarmi?” domandò l’Uzumaki senza perdere di vista la donna.

Mitsuki sorrise ampiamente all’udire la richiesta. “Certo! Lieto di poterti essere d’aiuto, Boruto!” rispose senza esitazione.

Il biondino annuì in segno di ringraziamento, cercando di ignorare la strana sensazione d’inquietudine che provava ogni volta che quel tipo lo supportava in tutto ciò che faceva. I suoi occhi però non persero mai di vista la Jonin.

Anko ghignò feralmente. “Bene bene!” disse con un tono sorpreso. “Parli del diavolo e spuntano le corna, eh? Vedo che alla fine anche tu ti sei unito alle danze!”

“Spiacente, sensei!” ribatté Boruto, la sua voce priva di emozione. “Non sono qui per lei. Ho un altro impegno adesso, e non ho tempo da perdere per poter danzare con lei!”

Detto ciò, il biondo afferrò la spalla di Mitsuki con una mano, e dopo un secondo tutti e due i ragazzini sparirono nel nulla con uno Shunshin no jutsu. (Tecnica del Movimento Corporeo Istantaneo).

Anko rimase a bocca aperta appena vide ciò. “Sa usare già il Shunshin no jutsu?!” esclamò mentalmente lei, sconvolta. “Come fa a conoscere quella Tecnica? Non la insegniamo ancora ai ragazzi che non sono diventati Chuunin!”

Dopo un attimo di esitazione però, il volto della donna si adombrò di botto, i suoi occhi contorti di rabbia. “Comunque sia,” disse tra sé la donna, la sua voce spaventosamente minacciosa. “Se quel moccioso arrogante pensa di potermi scaricare così, allora si sbaglia di grosso!”

La Jonin fece per partire all’inseguimento dei due fuggitivi, quando all’improvviso una voce riecheggiò dietro di lei.

“Anko-sensei!” urlò Iwabe, tirando fuori il suo bastone e preparandosi ad attaccare. “Sembra proprio che lei sarà la sfortunata vittima della mia ira dopo avermi rinchiuso in quel Genjutsu!”

Anko si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con i tre ragazzi che aveva intrappolato nel Genjutsu appena qualche minuto fa.

“YOOOOSH!” esclamò anche Metal, assumendo una posa di attacco. “Coraggio, sensei! Mi faccia vedere se le mie Fiamme della Gioventù sono diventate più forti!”

“Si sono liberati dall’illusione?!” gridò nella sua testa la donna, scioccata. Com’è possibile? Non avrebbero dovuto essere in grado di annullare il Genjutsu da soli! A meno che qualcuno non abbia spezzato l’illusione dall’esterno, allora non avrebbero avuto modo di-”

Una realizzazione le fulminò subito i pensieri. La donna scosse la testa, sorridendo appena con le labbra e scuotendo la testa.

“Quel moccioso arrogante,” pensò tra sé con un misto di irritazione e stupore. “È riuscito a fregarmi senza nemmeno affrontarmi. Che nervi…”

“Sei veramente un genio!” lo elogiò per la centocinquantatreesima volta Sora, sorridendo come un idiota. “Soltanto tu potevi riuscire a depistare una Jonin Speciale come Anko-sensei in quel modo, Boruto!”

Boruto sospirò per quella che gli parve la millesima volta, ignorando le risatine generali di Sarada, Sumire e Mitsuki mentre lui e tutti gli altri continuavano a correre per la Foresta della Morte, addentrandosi sempre più a fondo alla ricerca della Torre.

“Te l’ho già detto, Sora!” rispose lui con un tono esasperato. “Ti sono grato per i complimenti, ma non serve ripeterlo troppo! Ho capito, cavolo!”

Il moro ghignò. “Era per sottolineare il concetto!” disse con ironia.

Il biondo lo ignorò, concentrandosi sul piano. Se volevano raggiungere il Sesto Hokage, allora lavorare in gruppo era la soluzione migliore. Aveva già spiegato il suo piano a Mitsuki, e adesso tutti erano pronti a metterlo in atto. Tutto ciò che restava da fare era proseguire fino agli altri insegnanti. Ma avrebbero dovuto tenere gli occhi aperti e stare sempre in guardia per fare in modo che la strategia che aveva ideato contro di loro potesse funzionare. Non potevano permettersi di sottovalutare dei Jonin pieni di esperienza come quelli che stavano affrontando adesso.

“Ricordatevi di stare tutti all’erta!” li esortò il biondino seriamente, continuando a correre. “Non avremo una seconda possibilità di riuscita se la nostra strategia dovesse fallire!”

Mikasa, Sora e tutti gli altri annuirono.

Poi il giovane si voltò verso Mitsuki. “Mitsuki, hai capito il piano?” domandò con un tono basso.

L’albino annuì. “Sì, Boruto!” rispose subito quello. “Non temere, sono certo di potermela cavare senza troppo difficoltà!”

Boruto esitò un attimo prima di annuire. Mitsuki era probabilmente l’unico a parte lui e i suoi due amici che avrebbe potuto riuscire ad affrontare e distrarre abbastanza a lungo un Jonin. Di questo ne era certo.

Dopotutto, se i suoi sensi e la sua intuizione passata erano giusti, Boruto era pronto a giurare che quel tipo fosse incredibilmente più forte di quel che dava a vedere nelle apparenze. Per questo lo aveva scelto per il suo piano.

“Bene, bene, bene! Guarda un po’ cosa abbiamo qui!” fece poi un’improvvisa voce dal nulla, spaventando a morte i giovani ragazzi. Boruto e gli altri arrestarono subito la loro corsa, osservando con gli sguardi aggrottati la figura che era comparsa così all’improvviso dinanzi a loro.

Gli occhi di Boruto si ridussero a due fessure alla vista di quell’uomo che, proprio come il Sesto Hokage, lui conosceva molto bene e che avrebbe voluto evitare molto volentieri.

Konohamaru Sarutobi, il nipote del Terzo Hokage, nonché allievo e rivale dell’uomo che lui aveva la sfortuna di chiamare padre.

“Yo, Boruto!” lo salutò il giovane maestro con un sorriso. “Vedo che hai convinto a portare con te anche gli altri. Astuto da parte tua…”

Il biondo ignorò le sue parole, assumendo immediatamente una posa di difesa, imitato subito dopo anche da tutti gli altri dietro di lui. Non aveva nessuna voglia di parlare con lui. Boruto non aveva nulla di personale contro quell’uomo, ma da quando lui aveva rinnegato la sua famiglia di sangue, i rapporti con gli amici di suo padre si erano fatti di conseguenza molto più freddi e distaccati e avevano perso ogni tipo di interesse da parte sua. Inoltre la fervida ammirazione che Konohamaru mostrava da sempre verso suo padre era qualcosa che a lui dava sui nervi in maniera incredibile. Non riusciva a credere che quel tipo potesse ammirare e venerare un mostro senza cuore come il Settimo Hokage. La cosa gli faceva venire la nausea al solo pensiero ogni volta.

Boruto si riscosse da quei pensieri, focalizzandosi di nuovo sul presente.

“ORA!” urlò l’Uzumaki dopo un secondo, scattando in avanti verso di lui assieme a Mikasa e Sora. Mitsuki, Sarada e Sumire invece balzarono in alto, salendo sopra i rami degli alberi nello stesso istante.

Konohamaru s’irrigidì immediatamente appena vide che Boruto non gli aveva dato minimamente retta, preferendo invece passare alle maniere forti. Il biondo caricò contro di lui senza esitare, saltando in alto e sferrandogli un calcio teso in avanti con precisione e forza. Ma il Sarutobi lo bloccò facilmente con un braccio, ricambiando il favore con un pugno diretto allo stomaco che Boruto evitò con uno schiaffo preciso.

Konohamaru reagì all’istante, afferrando con una mano il polso del biondino e bloccandogli con l’altra un pugno diretto alla faccia.

“Non è molto carino da parte tua non rispondere ad un adulto, sai!” disse l’uomo, sorridendo con confidenza.

Per tutta risposta, Boruto ghignò feralmente, ricambiando il suo sguardo con i suoi occhi freddi e gelidi. “Spiacente sensei, ma sono di fretta! Dovremo rimandare i saluti ad un’altra volta!”

PUFF

Konohamaru ebbe solo un momento per restare confuso dalle sue parole, quando poi tutto il corpo di Boruto scomparve in una nuvola di fumo bianca, lasciandolo stupito e confuso per un paio di istanti.

“Era un clone!” realizzò il giovane maestro, voltandosi di scatto verso il vero Boruto che aveva approfittato de suo attimo di distrazione per scappare da lui assieme a Mikasa e Sora. “Quel tipo è furbo!”

Tuttavia non gli avrebbe permesso di scappare così facilmente.

“Non così in fretta!” esclamò allora Konohamaru, scattando a sua volta verso di loro, quando però all’improvviso fu costretto a fermarsi di botto appena gli si piazzarono davanti Sarada, Sumire e Mitsuki, bloccandogli la strada verso gli altri tre.

“Beh?” domandò loro il Jonin, inarcando un sopracciglio con uno sguardo confuso. “Voi non li seguite?”

Sarada tirò fuori una serie di shuriken con le mani. “Anche volendo lei non ce lo lascerebbe fare, vero?” ribatté la corvina, i suoi occhi oscurati dal riflesso degli occhiali. “Se vogliamo davvero proseguire, allora dovremo prima occuparci di lei, sensei.”

Konohamaru sorrise, assumendo una posa di difesa. “Siete furbi, ve lo concedo.” si complimentò il Sarutobi. “Ma cosa vi fa credere di potermi sconfiggere in tre?”

Mitsuki si portò davanti alle ragazze, sorridendo in maniera poco amichevole. “Non ci sottovaluti, sensei. Potremmo sorprenderla.” Detto ciò, l’albino emise un’ondata di chakra dal suo corpo, preparandosi allo scontro ed accumulando chakra nel suo sistema.

Sarada lanciò un cenno col capo alla sua compagna. “Facciamolo, Rappresentante!”

Sumire annuì, afferrando un kunai con una mano.

Konohamaru deglutì nervosamente. “Ohi, ohi! Quello è…”

Un secondo dopo, gli occhi di Sarada divennero rosso fuoco.
 

Boruto, Sora e Mikasa continuarono a correre per la fitta e densa vegetazione della foresta, i loro sensi costantemente all’erta in caso di pericoli imminenti. Proseguirono per quelli che dovevano essere stati altri cinque minuti ininterrotti. Mancava davvero poco ormai per raggiungere il centro della Foresta della Morte, ne erano certi. La Torre non poteva essere troppo distante.

“Non manca molto!” disse Sora, rivolgendosi agli altri due ed accelerando il passo. “Presto! Mancano poco più di due ore alla fine dell’Esame! Dobbiamo darci una mossa!”

Boruto e Mikasa si portarono subito affianco a lui, accelerando il passo a loro volta.

“Non così in fretta!” fece però un’altra voce improvvisa subito dopo.

I tre giovani non fecero neanche in tempo a voltarsi che subito una gigantesca massa di insetti volanti si scagliò contro di loro dal nulla, pronta a colpirli in pieno.

Boruto e Mikasa si voltarono di scatto, sgranando gli occhi. “Sora!” esclamarono allo stesso tempo.

Il moro non perse neanche un secondo, unendo le mani insieme ed inspirando a pieni polmoni. “SUITON;” disse senza neanche formulare sigilli e portandosi dinanzi ai suoi amici. “Mizurappa!” (Tromba d’Acqua)

Dopo un secondo, dalla sua bocca si scagliò con un ruggito scrosciante una grossa massa d’acqua portentosa che andò subito ad investire lo sciame ronzante di insetti che stava per colpirli, dissolvendolo con precisione e facendo cadere gli insetti a terra.

Boruto e Mikasa si guardarono attorno con attenzione e circospezione, scrutando ogni angolo della foresta coi loro occhi. Poi, di colpo, Mikasa puntò un dito di lato, i suoi occhi seri e decisi. “Laggiù!”

Il maestro Shino comparve dal nulla dopo un secondo nel punto indicato dalla nera, sbucando fuori da uno sciame di vespe e calabroni ronzanti. Boruto e gli altri assunsero immediatamente delle pose di difesa.

“Ero certo che voi tre sareste riusciti a raggiungermi.” disse loro l’uomo con la sua voce monotona, osservandoli con serietà. “Perché? Perché la vostra forza e il vostro lavoro di squadra sono i migliori che io abbia mai visto in qualsiasi altra classe che ho avuto fino ad oggi. Sapevo che sareste sicuramente rimasti insieme durante questa prova.”

“Si risparmi le lusinghe, Shino-sensei,” disse Boruto con un tono basso e serio. “Sappiamo già cosa dobbiamo fare per superare questo Esame. Non serve che lei continui a darci delle frecciatine.”

Shino sorrise leggermente all’udire ciò. “Capisco,” rispose semplicemente, abbassando la testa e facendo uscire uno sciame di formiche volanti dalle maniche della sua maglia verde. “Allora sapete già cosa fare. Fatevi avanti, dunque. Non vi tratterrò oltre!”

Boruto lanciò un’occhiata verso i suoi compagni. “Ricordate il piano?”

Sora e Mikasa annuirono, fissandolo con serietà e decisione.

Il biondino annuì a sua volta, esitando poi solo un secondo. “Siete… Siete certi di potercela fare?” domandò poi con un tono basso, i suoi occhi per la prima volta pieni di incertezza e timore. “Sarete da soli adesso…”

“Lo sarai anche tu se è per questo,” ribatté Mikasa, ricambiando il suo sguardo con uno ardente di decisione. “Abbi fiducia in noi. Il nostro avversario è molto meno pericoloso del tuo. Se c’è qualcuno che dovrebbe stare bene all’erta, quello sei tu.”

Sora annuì a sua volta, facendogli l’occhiolino subito dopo. “Non temere, Boruto! Lo sistemeremo senza problemi e ti raggiungeremo in un batter d’occhio!”

Boruto esitò un ultimo istante, poi sorrise a sua volta.

“Mi fido di voi, ragazzi!”

“Anche noi!”

Detto ciò, i tre amici annuirono per l’ultima volta insieme, guardandosi negli occhi.

E poi, subito dopo, il biondo partì alla carica in avanti, scattando lontano dai suoi amici e dirigendosi ad ampi balzi verso il centro della Foresta.

Shino tentò subito di bloccarlo scattando verso di lui, ma Mikasa e Sora si portarono immediatamente dopo dinanzi a lui, sbarrandogli la strada verso il loro compagno.

“Non si distragga, sensei!” disse Sora con un ghigno dentato pieno di confidenza. “I suoi avversari sono proprio qui davanti a lei!”

L’Aburame sorrise di nuovo. “Sembra che siate parecchio confidenti nel vostro amico.” disse con un tono serio e basso. “Allora non potrò andarci piano con voi due!”

Mikasa fece schioccare le dita. “Non le permetteremo di raggiungere Boruto.” disse, portando le mani in avanti e preparandosi all’attacco. “Per farlo dovrà passare sopra i nostri corpi.”
 

Boruto avanzò per una buona decina di minuti prima di riuscire finalmente a raggiungere la Torre situata proprio al centro della Foresta della Morte. Appena la raggiunse, il biondo la studiò con attenzione in ogni suo angolo.

La Torre era di un colore rossastro, aveva una forma sferica ed era composta da nove piani precisi che si stagliavano in alto per almeno dieci metri di dimensioni. Era costruita completamente a gradi, con ogni singolo piano che si restringeva mano a mano che la torre diventava più alta. Su ogni lato della torre poi, erano presenti almeno una quarantina di finestre e di aperture che permettevano l’ingresso nella struttura da ogni suo lato.

Boruto si fermò proprio dinanzi la base della Torre, osservandola con uno sguardo circospetto, ogni suo singolo senso all’erta nel caso di pericolo.

“Non sembra che sia arrivato nessun altro qui prima di me,” ragionò il ragazzino nella sua testa. “Ma questo non sembra affatto un buon segno. Dove diavolo si trova il Sesto?”

Appena finì di pensare nella sua mente quella frase, i suoi sensi allenati lo allarmarono all’istante, ed il biondino fece appena in tempo a voltarsi all’indietro per essere subito colpito in faccia da un calcio dalla potenza immane che lo scaraventò all’indietro con un gemito acuto di dolore.

Tuttavia, prima che potesse crollare a terra, tutto il corpo di Boruto scomparve in una nuvola di fumo.

PUFF!

Kakashi si guardò attorno con un’aria annoiata, sorridendo appena sotto la sua maschera e rialzandosi lentamente dopo essere atterrato dinanzi alla Torre.

“Avrei dovuto capire subito che eri un clone,” disse il Sesto Hokage ad alta voce, voltandosi verso un albero alla sua destra. “Dopotutto, tu e tuo padre siete molto simili.”

Boruto comparve davanti a lui dopo un istante, atterrando al suolo senza fare un singolo rumore.

Il suo sguardo freddo e privo di emozione si posò sugli occhi sottili e penetranti dell’Hokage.

“Ci rincontriamo ancora una volta, Rokudaime.” si limitò a dire Boruto, il suo tono e la sua espressione gelidi come il ghiaccio.

“Boruto Uzumaki,” disse a sua volta Kakashi, ricambiando lo sguardo del biondo senza problemi ed infilando le mani nelle tasche. “È bello rivederti dopo tutto questo tempo. Non mi stupisce che tu sia riusci-”

“Non mi faccia perdere tempo in chiacchiere, Sesto Hokage,” lo interruppe freddamente il biondo. “Non sono venuto a scambiare due parole con lei.”

Kakashi si limitò ad inarcare un sopracciglio alle sue parole, osservando il corpo del ragazzino irrigidirsi ed assumere una posa di attacco.

“Sono venuto perché ho un Esame da superare,” riprese a dire Boruto, il suo sguardo privo di emozione ed il suo tono gelido. “E adesso mi prenderò quella campanella, che le piaccia o meno!”

ESAME DI SELEZIONE (2)

I WILL NOT BOW

(Breaking Benjamin)

13 Febbraio, 0015 AIT
Area 44, Terra del Fuoco
Foresta della Morte
14:03

“E adesso mi prenderò quella campanella,” dichiarò freddamente Boruto, fissando con gli occhi aggrottati il volto serio ed impassibile del Sesto Hokage. “Che le piaccia o meno!”

Kakashi lo perforò con lo sguardo per diversi secondi, la sua espressione indecifrabile. La campanella legata al suo fianco sinistro trillò leggermente al movimento del corpo.

“Capisco,” disse alla fine, chiudendo gli occhi e sospirando. “Vedo che hai intenzione di passare subito all’azione. Tale padre tale figlio, eh? Siete entrambi così impulsivi a volte…”

Gli occhi di Boruto si ridussero a due fessure.

“Tuttavia,” riprese a dire lentamente l’uomo con la cicatrice, riaprendo gli occhi. “Credi davvero di poterci riuscire?”

Per tutta risposta, Boruto scattò immediatamente in avanti appena l’altro finì di parlare con una rapidità sorprendente per la sua età, preparandosi a combattere senza rispondere. Kakashi s’irrigidì all’istante.

Boruto si portò vicino all’Hokage in due secondi, sferrando subito dopo un palmo verso la sua faccia. Ma Kakashi fu più veloce di lui e reagì subito, bloccandogli il palmo con una mano e ricambiando la cortesia con un calcio che il biondo bloccò con il braccio libero. Poi però il giovane scattò di nuovo verso di lui con un balzo, lanciando la gamba destra in avanti per calciare in faccia il suo avversario che però lo bloccò portandosi davanti al volto un avambraccio in difesa.

Boruto usò il piede poggiato sull’arto del Sesto come appoggio per balzare lontano da lui, le sue mani che formulavano diversi sigilli.

“FUUTON;” esclamò mentalmente. “Kaimaitachi!” (Lame del Vento)

Dalle sue braccia partirono immediatamente dopo due lame eteree fatte completamente di aria compressa e vento, le quali si stagliarono contro il Sesto Hokage con rapidità e precisione, pronte ad affettarlo a metà. Ma l’uomo non si lasciò minimamente intimidire, balzando all’indietro in meno di un secondo ed evitando gli attacchi che si schiantarono al suolo con un sibilo.

Kakashi atterrò dinanzi l’ingresso della Torre, il suo corpo immobile ed intento ad osservare con curiosità ed uno sguardo calcolatore il suo avversario. Boruto non rinunciò all’offensiva, evocando con un movimento delle mani una serie di shuriken e scagliandoli con precisione verso l’ex Hokage.

Gli shuriken non raggiunsero mai il bersaglio. Appena un secondo prima di essere colpito infatti, il Sesto si portò con tutto il corpo verso la sua destra, evitando facilmente la raffica mortale.

Kakashi guardò il giovane con uno sguardo annoiato. “Dovrai impegnarti molto più di così.” lo canzonò saccentemente l’uomo con un tono provocatorio.

Boruto lo ignorò, tirando fuori da una piccola sacca un kunai ed assumendo di nuovo una posa di attacco. Poi, dopo due secondi di studio visivo dell’avversario, il biondino si lanciò in avanti con ferocia, il suo pugnale pronto a colpire.

Il Sesto evitò un affondo laterale al collo inclinandosi leggermente all’indietro col busto, poi parò un pugno diretto al suo fianco con una mano e calciò via un palmo con il piede destro, attaccando a sua volta con un pugno diretto al volto del ragazzino. Tuttavia Boruto riuscì in qualche modo ad anticiparlo, evitandolo appena in tempo e lanciando due kunai evocati subito dopo nella mano libera contro l’avversario che però li evitò entrambi.

Poi il biondo scattò di nuovo verso di lui, sferrando un colpo di kunai al fianco dell’Hokage dove era attaccata la campanella, che però lo bloccò con un movimento brusco del braccio e che subito dopo lo attaccò a sua volta con un pugno. Boruto strinse i denti, schiaffando via il pugno del Sesto e balzando subito lontano da lui per evitare un calcio sferratogli immediatamente dopo, roteando in aria con tutto il corpo ed atterrando in ginocchio in mezzo agli alberi.

Kakashi sorrise appena con le labbra sotto la sua maschera, guardando coi suoi occhi neri il biondo davanti a sé. “Devo ammettere che sei piuttosto bravo,” disse l’uomo con un tono pacato. “Hai dei buoni riflessi. È stato Naruto ad allenarti?”

Boruto non rispose alla domanda, limitandosi a rimettersi in piedi ed assumendo una posa di difesa.

“No, certo che no.” si rispose da solo il Sesto, vedendo che il giovane continuava ad ignorarlo. “Tuo padre mi ha parlato molto di te in questi mesi, e mi ha raccontato molte cose sul vostro rapporto padre-figlio e sulla situazione che è nata a causa tua.”

Gli occhi del biondino si assottigliarono. “Quindi ne è a conoscenza…” pensò tra sé, cercando di non far trapelare sul volto la rabbia che stava nascendo nel suo cuore.

Se lo doveva aspettare, pensò tra sé il giovane. In fondo suo padre ed il Sesto Hokage si conoscevano praticamente da sempre, e quindi era più che plausibile che Naruto avesse deciso di confidare il suo problema familiare con il suo vecchio maestro.

Lo sguardo del Sesto si fece più duro e severo. “Devo dire che sono rimasto molto deluso da ciò che ho sentito su di te,” continuò imperterrito Kakashi, fissando il giovane davanti a sé con disappunto. “Stai facendo soffrire ingiustamente tuo padre e la tua famiglia con questo tuo atteggiamento, Boruto. Non ti credevo così infantile.”

Boruto sentì per un attimo la collera accarezzargli la mente, ma la represse subito. Non poteva lasciarsi distrarre dalle provocazioni di quell’uomo. Urahara glielo aveva detto molte volte. Non ci sarebbe cascato così facilmente.

“Con tutto il dovuto rispetto,” lo incalzò il biondino, il suo sguardo più freddo che mai. “Non siamo qui per parlare della mia vita personale, Rokudaime. E come io decida di comportarmi con quelle tre persone non è una cosa che la riguarda.”

Lo sguardo di Kakashi si fece ancora più perforante e gelido. “Invece mi riguarda eccome,” ribatté il Sesto freddamente. “Perché non posso permettere ad un moccioso come te che non fa altro che tenere il broncio ai suoi genitori di diventare un ninja. Un comportamento del genere non è degno di uno Shinobi.”

Gli occhi di Boruto si fecero ricolmi di rabbia per un secondo. Il biondo represse un vero e proprio ringhio a causa della furia che prese a scorrergli nelle vene. Come osava? Come osava quel vecchio fargli la paternale quando non sapeva nulla su di lui? Si erano incontrati giusto qualche volta quando era piccolo, e questo avrebbe dovuto dargli il diritto di mettersi a rimproverarlo? Chi si credeva di essere?

Hokage o non Hokage, Boruto non gli avrebbe permesso di continuare a guardarlo dall’alto in basso in quel modo.

“Moccioso?” ripeté gelidamente il biondo, il suo sguardo puntato sul volto severo del Sesto. “Mi risparmi la predica, Sesto. Lei non sa niente su di me, quindi le consiglio di non parlare di ciò che non conosce.”

Kakashi scosse la testa, sospirando pesantemente. “Parole forti le tue. Oltre che ad essere diventato infantile sei anche diventato arrogante, vedo.”

“Non mi interessano i suoi discorsi,” riprese a dire Boruto freddamente, infondendo chakra nel corpo ed evocando tre cloni con un sigillo delle mani. “L’unica cosa che mi interessa è superare questo Esame! Quindi eviti di farmi la paternale, Sesto Hokage, e si prepari a combattere!”

Kakashi lo fissò con uno sguardo indecifrabile per alcuni secondi. “Come desideri.” disse alla fine con un tono privo di emozione.
 

Sarada lanciò con rapidità e precisione una serie di shuriken contro il suo avversario, balzando lontano dal ramo di un albero appena prima di essere investita a sua volta da una scia elettrica bluastra che bruciò completamente il legno e la corteccia esterna dell’albero.

Konohamaru evitò con facilità la raffica di shuriken spostandosi di lato, ma appena un secondo dopo essersi mosso, una mano sbucò fuori dal terreno sotto i suoi piedi, guizzando in avanti come un serpente e andando ad avvolgersi completamente attorno al suo busto, immobilizzandolo.

Il maestro sgranò gli occhi. “Cosa?”

Mitsuki però non gli diede il tempo di fare nulla, allungando subito dopo anche l’altro braccio e scagliandolo poi verso il bersaglio con un kunai puntato verso di lui.

Tuttavia, appena il kunai colpì il collo della vittima, tutto il suo corpo esplose in una nuvola di fumo.

PUFF!

Mitsuki ritirò a sé le braccia appena vide che il suo bersaglio non era mai stato lì. “Un clone, eh?” realizzò tra sé con un sorriso divertito.

Sarada e Sumire si portarono subito accanto a lui, tutte e due tese e con un kunai in mano.

Konohamaru comparve dinanzi a loro ancora una volta, le sue braccia incrociate ed il suo volto serio e rigido. “Tutto qui quello che sapete fare?” domandò loro seriamente. “Non riuscirete mai a vincermi di questo passo.”

Sumire si asciugò un rivolo di sudore dalla fronte. “Il sensei ha ragione,” disse a bassa voce agli altri due accanto a lei. “Non riusciremo mai a raggiungere Boruto-kun e gli altri di questo passo!”

Mitsuki la guardò di sbieco. “Cosa facciamo?” domandò seriamente.

Sarada fece schioccare le ossa, fissando col suo Sharingan attivato l’avversario. “Ho un piano!” disse subito dopo l’Uchiha, il suo tono teso. “Io cercherò di distrarlo attaccandolo frontalmente, voi due provate a combinare insieme un attacco allo stesso tempo mentre è abbastanza distratto! Non lasciamogli il tempo di agire di nuovo per difendersi!”

Gli altri due annuirono senza esitare, e così Sarada scattò subito in avanti contro il maestro, caricando un kunai verso di lui.

Konohamaru le lanciò addosso uno shuriken con un colpo di braccio, ma l’Uchiha lo evitò abbastanza facilmente anticipando la sua traiettoria grazie ai suoi occhi e piegandosi di lato col corpo. Il Jonin sgranò gli occhi.

Sarada gli arrivò davanti in due secondi, sferrandogli un colpo di kunai da destra che l’uomo bloccò con un altro kunai, sfregando metallo contro metallo e generando una serie di scintille luminose. La ragazzina ritentò l’offensiva con un calcio laterale, ma il giovane Sarutobi lo bloccò con un braccio, parando allo stesso tempo un successivo colpo di pugnale con la mano libera.

“Vedo che hai già risvegliato i tuoi occhi!” disse Konohamaru con un sorriso, tenendola ferma con le braccia. “Questa sì che è una bella sorpresa!”

Sarada sorrise in maniera lupesca, fissando gli occhi del maestro con un ghigno ed attivando un piccolo Genjutsu attraverso lo Sharingan. L’effetto si fece sentire immediatamente, e Konohamaru s’irrigidì di colpo, restando incapace di muoversi a causa dell’illusione che gli aveva castato addosso la giovane.

“C-Che succede?” esclamò mentalmente. “Non riesco a muovermi! È forse un Genjutsu?”

Sarada si voltò di lato con la testa, la sua espressione seria e determinata. “Mitsuki! Rappresentante! Adesso!” urlò a pieni polmoni.

Entrambi i suoi compagni non persero un solo istante, unendo le mani insieme e formulando ciascuno una serie di sigilli.

“RAITON;” esclamò Mitsuki. “Hebi Ikazuchi!” (Serpente del Fulmine)

“SUITON;” fece invece Sumire. “Suireha!” (Proiettili d’Acqua)

Entrambi i giovani portarono le mani in avanti allo stesso tempo, facendo fuoriuscire rispettivamente dalle loro dita un grosso serpente fatto di elettricità gialla ed una serie copiosa di getti d’acqua simili a proiettili.

Gli attacchi sfrecciarono con una velocità disarmante verso il maestro ancora incapace di muoversi, centrandolo in pieno dopo un solo secondo e generando una grossa esplosione che riecheggiò nella foresta per diversi secondi. Sarada si allontanò da lui appena in tempo per mettersi in salvo dalla combo delle due tecniche, ritornando accanto ai suoi compagni.

“L-Lo abbiamo colpito!” esclamò Sumire appena l’esplosione scemò, le sue labbra aperte in un sorriso gioioso. “Lo abbiamo colpito!”

Sarada ghignò con soddisfazione e trepidazione.

Mitsuki invece si voltò di scatto, sferrando uno dei suoi bracci allungabili in avanti con un movimento serpentino del corpo che spaventò le ragazze accanto a lui, incapaci di comprendere la sua reazione così improvvisa. Konohamaru però evitò il pugno inclinandosi di lato col busto, afferrando poi il braccio di Mitsuki con una mano e guardando con i suoi occhi seri i tre giovani davanti a sé.

“C-Come ha fatto a comparire alle nostre spalle?” esclamò Sarada, i suoi occhi rossi sgranati.

Il maestro li continuò a guardare con severità. “Credevate davvero che una tattica così basilare mi avrebbe colto di sorpresa?” domandò loro sarcasticamente. “Certo che mi avete sottovalutato parecchio. E questo è un errore che potrebbe risultarvi fatale in una vera missione!”

I tre giovani guardarono con timore l’espressione di Konohamaru farsi improvvisamente più seria e fredda di prima.

“Mai sottovalutare uno Shinobi!” dichiarò il maestro con fermezza, facendo un passo in avanti. Sarada, Sumire e Mitsuki s’irrigidirono, più tesi che mai.

Poi però, Konohamaru si arrestò di botto, il suo corpo teso e rigido e la sua espressione stupita e confusa. I tre giovani sgranarono gli occhi.

“C-Che sta succedendo adesso?” domandò il Jonin a denti stretti, incapace di muoversi.

“Credo che sia stato lei a sottovalutare noi studenti, sensei!” fece la voce di Shikadai improvvisamente da dietro di lui. “È stato piuttosto facile riuscire ad immobilizzarla con il mio Kage Mane no jutsu (Tecnica del Controllo dell’Ombra) mentre era distratto!”

Dopo che il loro compagno finì di parlare, Inojin e Chochi comparvero immediatamente accanto al corpo immobilizzato del maestro, puntandogli due kunai al petto con le mani.

“Credo che abbia perso stavolta, sensei!” disse Inojin, sorridendo in modo piuttosto ironico con gli occhi chiusi.

“Già!” fece subito dopo la Akimichi con un sorrisetto beffardo. “La mia bellezza è ciò che ci ha fatto vincere! Adesso dovrà ripagarmi dandomi quella campanella!”

“Non è a lui che devi chiederlo, cicciona!” ribatté esasperatamente Inojin. “La campanella ce l’ha il Sesto!”

Sarada tirò un sospiro di sollievo nel vedere il resto dei suoi compagni, rilassando il proprio corpo. La loro improvvisa comparsa li aveva davvero salvati. Sumire si accasciò a terra, la sua espressione colma di sollievo. Mitsuki invece si limitò a sorridere, il suo sguardo puntato sul volto teso e stupito del maestro.

Avevano vinto.

Konohamaru sospirò pesantemente. “Va bene, ve bene, mi avete fregato!” ammise alla fine con un tono irritato. “Adesso liberatemi. Non vi farò più niente. Promesso.”

Tutti i ragazzi scoppiarono a ridere.
 

Il biondo non perse tempo neppure per un secondo. Appena il Sesto evitò un’ennesima raffica di shuriken con un balzo, Boruto e le sue tre copie scattarono in avanti con una velocità che Kakashi non si sarebbe mai aspettato, caricando tutti e quattro contemporaneamente contro di lui.

Un primo clone saltò oltre la figura dell’Hokage, atterrando alle sue spalle e sferrandogli due calci consecutivi che però l’uomo parò facilmente con le braccia. Il secondo clone poi gli balzò addosso appena un secondo dopo, pronto a colpirlo in faccia con un palmo aperto. Ma Kakashi era più esperto e non fece fatica a colpirlo prima con un pugno, dissolvendo la copia nel nulla. Ma questo era ciò che il biondo si aspettava, e così gli altri due cloni rimasti gli sferrarono contemporaneamente un calcio ciascuno da entrambi i lati, costringendo il Sesto a bloccarli subito con entrambe le braccia. Tuttavia l’offensiva non era di certo finita.

Subito dopo infatti, con una rotazione rapidissima del corpo, i due cloni ai lati dell’avversario ruotarono di scatto all’aria, sferrando entrambi contemporaneamente due calci sulle spalle dell’Hokage senza che lui potesse bloccarli in alcun modo, centrandolo in pieno sulla schiena.

Kakashi emise un gemito sommesso di sorpresa e dolore, rotolando in avanti sul terreno per il colpo subito e rimettendosi in ginocchio dopo un paio di secondi.

Il Sesto guardò il biondino di sbieco voltando leggermente la testa di lato, il suo sguardo leggermente sorpreso. “Ci sai fare.” si complimentò seriamente l’uomo.

Boruto e le sue due copie rimaste sorrisero con determinazione, ricambiando lo sguardo dell’Hokage con confidenza.

Kakashi si rimise lentamente in piedi. “Sei riuscito già a colpirmi una volta senza essere ancora diplomato all’Accademia,” continuò a dire dopo un attimo di pausa. “Ho visto tanti ragazzini abili, ma devo dire che tu li superi tutti. Persino ai miei occhi non puoi fare a meno di dimostrare la tua abilità superiore alla media. Sei un vero prodigio.”

I suoi occhi neri scrutarono dalla testa ai piedi le figure dei tre giovani le cui espressioni rimasero sorridenti ma serie. “Lo ammetto,” disse poi il Sesto. “Sei un vero genio per la tua età.”

Boruto e le sue copie si limitarono a sorridere. “Le lusinghe non serviranno a farmi abbassare la guardia, Rokudaime!” lo ammonì il biondo.

Lo sguardo di Kakashi però si fece improvvisamente gelido dopo quelle sue parole. “Tuttavia questo non è abbastanza,” dichiarò seriamente l’uomo, lasciando confuso e teso il biondino dinanzi a lui. “Tu non sei ancora portato per essere un ninja!”

Gli occhi di Boruto si ridussero a due fessure. “Che cosa?” ringhiò sommessamente.

Kakashi continuò a fissarlo severamente, i suoi occhi più ombrosi e oscuri del solito. “Ti manca un elemento essenziale!” continuò a dire il Sesto Hokage freddamente. “E fino a quando non mi dimostrerai di averlo, allora io non ti permetterò di superare l’Esame!”

“Le ho già detto che non mi interessano le sue parole,” lo incalzò di nuovo il biondo con un tono privo di emozione, evocando allo stesso tempo un kunai ed infondendolo di elettricità con un movimento del polso. “Dopotutto, mi basta riuscire a prendere quella campanella e sarò promosso, giusto?”

Kakashi lo guardò con sufficienza. “Ma certo…” si limitò a rispondere.

Boruto allora non se lo fece ripetere due volte, scattando subito dopo in avanti verso l’avversario assieme alle due copie. I suoi cloni poi formarono contemporaneamente gli stessi sigilli con le mani, portandosi dietro al biondino dopo un secondo.

“FUUTON;” esclamarono poi i due cloni allo stesso tempo, evocando un fitto e vorticoso getto di vento nei loro palmi. “Reppushou!” (Palmo dell’Uragano)

Il terzo biondino saltò all’aria un attimo dopo, poggiando i piedi sui palmi delle mani delle sue copie e prendendo la mira col suo kunai infuso di elettricità.

Il ragazzino sorrise ferocemente. “Boruto Stream!” sussurrò.

E poi, dopo neanche un secondo, i due flussi d’aria vorticosa generati dai coloni si contorsero e svanirono nel nulla, scagliando però in avanti il biondo dopo un solo istante con una velocità inaudita. Boruto schizzò all’aria verso l’avversario davanti a sé come un missile.

Kakashi sgranò gli occhi, allibito, ma non ebbe il tempo di fare nulla. Il biondo portò in avanti il kunai, pronto a trafiggerlo.

Boruto raggiunse il Sesto in meno di un secondo con il suo kunai puntato verso di lui, ma Kakashi s’inclinò immediatamente all’indietro con tutto il corpo con un movimento disumano dovuto ad anni ed anni di esperienza, evitando di striscio di essere colpito dal kunai. Boruto e l’Hokage si fissarono faccia a faccia per un secondo, quasi come se il tempo per i due si fosse fermato per un attimo.

Poi, di colpo, Boruto ghignò.

PUFF!

Kakashi rimase a bocca aperta.

Appena il suo clone scomparve in una nuvola di fumo, il vero Boruto comparve invece all’improvviso da sotto terra ai piedi di Kakashi, la sua mano puntata in avanti verso la campanella legata al fianco dell’Hokage ed il suo volto ghignante. Le sue dita afferrarono l’oggetto di metallo dopo neanche un secondo.

“Presa!” esclamò il giovane con ferocia, sbucando fuori del tutto dal terreno, mentre Kakashi rotolò all’indietro per diversi metri alle sue spalle, innalzando un nuvolone di fumo al suo movimento.

Boruto ghignò. “L’ho fregato!” esultò mentalmente. “Sono riuscito a rubargli la campa-”

Tuttavia, dopo neanche un secondo, il giovane sgranò gli occhi.

L’euforia e la soddisfazione svanirono all’istante come fumo appena il giovane vide l’oggetto nella sua mano. Non riusciva a credere ai suoi occhi. Quella che aveva in mano non era affatto la campanella, ma bensì una misera foglia.

“Cosa?!” esclamò mentalmente, scioccato. Com’era possibile? Era certo di averla presa fino ad un momento fa! Cos’era successo?

Mentre era immerso nei suoi pensieri, il biondo voltò la testa di scatto verso il punto dov’era finito Kakashi, ed i suoi occhi si sgranarono all’inverosimile appena videro che, al posto dell’Hokage, un tronco di legno si trovava buttato a terra.

La realizzazione lo colpì come un mattone in testa. “Ha usato il Kawarimi no Jutsu!” (Tecnica della Sostituzione) realizzò mentalmente, stringendo i pugni ed i denti.

Un senso di rabbia e frustrazione lo pervase per un secondo. C’era andato così vicino! Sarebbe bastato solo un secondo in più! Un solo secondo gli sarebbe bastato per riuscire a sottrargli quella dannata campanella una buona volta.

Poi, però, accadde l’inaspettato.

Boruto si riscosse immediatamente dai suoi pensieri, guardandosi attorno attentamente, i suoi sensi che gli stavano letteralmente gridando di stare in guardia. I suoi occhi si sgranarono all’improvviso appena vide ciò che stava succedendo attorno a sé.

Tutta la foresta aveva preso a muoversi in maniera irreale ed inaspettata dopo un solo istante, con una miriade di foglie che presero a cadere in basso dagli alberi e che cominciarono a girare attorno a Boruto con ritmicità e costanza senza un apparente motivo.

“Che sta succedendo?” esclamò mentalmente il biondino, teso come non mai. “Cosa-”

“Hai nascosto per tutto questo tempo il tuo vero corpo sottoterra e mi hai attaccato coi cloni senza mai farti notare…” lo interruppe di botto la voce del Sesto Hokage dal nulla, riecheggiando nell’aria della foresta in maniera irreale e profonda. “Sei quasi riuscito a rubarmi davvero la campanella…”

Boruto si guardò freneticamente attorno, spaventato e teso. “Dov’è?” urlò nella sua testa. “Dove diavolo-”

Una mano lo afferrò all’improvviso dalla gamba con una presa salda prima ancora che potesse finire di concludere la frase, facendolo crollare a terra con un tonfo. Il biondo gemette di dolore e tentò subito di rialzarsi, ma qualcosa di duro e pesante gli schiacciò la testa a terra, mentre una mano gli afferrò un braccio e glielo piegò dietro la schiena con un movimento secco.

Boruto urlò di dolore.

“Taijutsu, Ninjutsu…” continuò a dire il Sesto Hokage, comparendo sopra di lui dal nulla fuori da un ammasso di foglie che presero a svolazzare all’aria. “Eccelli facilmente in tutti i campi, e sei decisamente più abile di tutti i tuoi coetanei. Possiedi senza dubbio le abilità di un Genin- anzi – le abilità di un Chuunin.”

Boruto strinse i denti dal dolore, fissando di sbieco coi suoi occhi rabbiosi il volto del Sesto che continuava a tenerlo immobilizzato.

“Ed è per questo,” dichiarò Kakashi crudelmente. “Che la tua strada termina qui!”
 

Sora atterrò pesantemente sul terreno con un tonfo, le sue mani che passavano in rassegna ad una complessa serie di sigilli.

“DOTON: Nagemasu no Doro! (Getto di Fango)” gridò, sputando dalla bocca un getto copioso di fango che andò ad investire lo sciame pulsante e convulso di insetti parassiti che stavano volando contro di lui in quello stesso istante. Gli insetti morirono all’istante, cadendo a terra come minuscole gocce d’acqua durante la pioggia.

Il maestro Shino sorrise lievemente, piacevolmente stupito dall’incredibile varietà di Tecniche ninja che il giovane dai capelli castani possedeva. Tuttavia il suo sorriso durò solo un istante, poiché subito dopo il Jonin dovette voltarsi di scatto, trovandosi facci a faccia con la figura di Mikasa che stava correndo verso di lui ad una velocità pari a quella di un Chuunin, la sua espressione fredda e glaciale.

La nera scattò verso di lui con un balzo, sferrandogli un pugno con precisione e foga. Shino reagì all’istante, portando una mano in avanti ed evocando col pensiero uno sciame di scarabei dal corpo duro che andarono a formare un vero e proprio scudo attorno a lui, proteggendolo completamente.

Mikasa balzò lontano dallo sciame di scarabei appena vide che il suo attacco era andato a vuoto, formulando diversi sigilli con le mani ed inspirando dalle narici.

“KATON;” esclamò mentalmente. “Karyuu Endan!” (Fiato del Drago)

Un soffio portentoso di fiamme scarlatte venne eruttato dalle sue labbra appena la tecnica ebbe effetto, il quale andò ad investire in meno di un secondo il bozzolo di insetti dentro cui si era riparato Shino, arrostendoli tutti all’istante.

La ragazzina arrestò le fiamme dopo alcuni secondi, atterrando accanto a Sora. Tuttavia, appena il fuoco si fu estinto, del maestro non c’era traccia nel punto in cui fino ad un attimo prima si trovava il bozzolo di insetti.

Sora ammiccò, confuso. “È sparito di nuovo!” esclamò con stupore. “Quel tipo è un mago!”

Mikasa sospirò in un moto di leggera esasperazione. “No, Sora.” lo corresse pazientemente la nera. “È uno Shinobi.”

“Ah già!” rispose il moro, grattandosi la testa per l’imbarazzo e ridacchiando nervosamente. Mikasa scosse la testa. A volte la fantasia del suo amico si lasciava trasportare davvero troppo. E sebbene a volte persino lei trovasse l’innocenza del membro della sua famiglia molto buffa, non era certo una buona cosa in battaglia.

Tuttavia, subito dopo questa loro interazione, Shino comparve all’improvviso su un ramo di un albero sopra le loro teste, la sua espressione compiaciuta.

“Sono davvero colpito.” disse il Jonin con un tono serio che lasciava trapelare una punta di emozione. “Perché? Perché non mi aspettavo che voi due foste così forti. Sapevo che eravate abili, ma non immaginavo che il vostro potenziale fosse così alto.”

Mikasa lo guardò coi suoi occhi spenti. “Non è una regola di base degli Shinobi non sottovalutare mai un avversario?” domandò lei per tutta risposta, la sua voce priva di emozione.

Il sorriso di Shino si allargò. “Giusto.” concesse loro. “Ammetto di avervi preso alla leggera fino ad ora. Ma vi consiglio di prepararvi da adesso. Perché?”

I due ragazzini lo fissarono con confusione.

“Perché adesso ho intenzione di impegnarmi anche io!” disse il maestro, evocando un’infinità di insetti volanti neri simili a mosconi che uscirono dai suoi vestiti e che presero a discendere verso di loro come una specie di onda.

“Ugh! Quel suo modo di parlare mi confonde troppo!” mormorò Sora con esasperazione, le sue mani che formulavano allo stesso tempo dei sigilli. Il suo sguardo s’incrociò poi con quello di Mikasa per alcuni secondi, un’idea che balenò nella mente di entrambi senza bisogno di parlare.

I due agirono allo stesso tempo.

“SUITON: Suidan no jutsu!” (Bomba d’Acqua) disse il moro, rigettando dalla bocca un getto fitto e vorticoso di acqua azzurra che andò a colpire in un solo secondo tutto lo sciame di mosconi, esplodendo poi con fragore.

Nel mentre Mikasa portò le mani in avanti, incanalando quanto più chakra poteva nelle braccia. “Raiton: Sandabolt!” (Lampo del Fulmine) esclamò lei, generando una grossa sfera di elettricità che generò a sua volta una scia fitta e immediata di saette elettriche che andarono ad unirsi alla tecnica del moro, investendo poi tutti gli insetti volanti con un boato.

L’esplosione generata dalla collisione riecheggiò con forza nella foresta, generando un sibilo elettrico che squarciò l’aria per diversi secondi. Poi, quando tutto fu finito, i due ragazzini presero di nuovo a fissare la figura del maestro che ancora non si era mossa dall’albero, i loro sguardi seri e tesi.

“Così non funziona,” disse Sora, il suo tono diventato improvvisamente frustrato e teso. “È da troppo tempo che continuiamo a restare così in stallo! Dobbiamo riuscire a colpirlo almeno una volta, altrimenti non faremo altro che stancarci inutilmente!”

“Per una volta hai ragione,” disse anche Mikasa, annuendo col capo. “Dobbiamo muoverci. Manca meno di un’ora alla fine dell’Esame. Dobbiamo raggiungere Boruto al più presto.”

Sora la guardò con un sorriso comprensivo all’udire ciò. Sapeva bene quanto la sua amica tenesse a Boruto. “Sei preoccupata per lui, vero?”

La ragazza non rispose subito alla domanda, il suo sguardo puntato sul maestro che continuava a studiarli dall’alto. “Boruto non riuscirà a sopravvivere in questo mondo senza di me,” disse alla fine la nera, il suo tono deciso e serio come non mai. “Devo necessariamente tenerlo d’occhio per impedirlo. E la cosa vale anche per te.”

Il moro sospirò a sua volta all’udire ciò, scuotendo la testa dinanzi all’incapacità della sua amica di essere sincera coi suoi sentimenti. Tuttavia si riscosse subito, focalizzandosi di nuovo sulla battaglia.

“Creerò un diversivo con una delle mie Tecniche,” disse allora Sora, sorridendo con confidenza e fissando il Jonin con decisione. “Ti fornirò l’occasione per avvicinarti a Shino-sensei. Quando ne avrai l’opportunità, colpiscilo con tutta la tua forza disumana!”

Mikasa annuì, più che pronta ad ascoltare al consiglio del moro.

Sora unì le mani insieme, formando un sigillo comune. “Bushin no jutsu!” (Tecnica della Moltiplicazione) esclamò, evocando un’altra copia di sé stesso con facilità. Poi lanciò a terra una bomba fumogena, nascondendosi alla vista dell’avversario.

“Capisco, vuole tentare di prendermi di sorpresa.” realizzò Shino nella sua mente. “Vediamo che cosa riuscirà a tirare fuori stavolta.”

Appena l’uomo finì di pensare queste cose, Sora sbucò fuori dalla cortina di fumo con uno scatto in avanti, compiendo poi due rapidi balzi sul tronco dell’albero e portandosi davanti al maestro con un urlo di guerra.

Shino alzò di scatto un braccio verso di lui, scagliandogli addosso uno sciame di vespe che lo centrarono in pieno petto. Tuttavia, appena gli insetti centrarono il bersaglio, la copia di Sora scomparve immediatamente, riversando sul Jonin sotto di lui un getto appiccicoso di acqua gelida che lo investì senza che potesse fare nulla per difendersi.

“Un clone d’acqua!” realizzò Shino, cercando asciugarsi dall’acqua la maschera che portava sugli occhi.

“SUITON;” fece poi una voce all’improvviso, riscuotendolo dallo stupore. “Mizurappa!” (Tromba d’Acqua)

Dalla cortina di fumo si scagliò contro di lui un getto azzurro che sfrecciò contro Shino ad una velocità disarmante. Ma il Jonin reagì all’istante, balzando lontano dal raggio della tecnica appena un secondo prima di essere investito dall’inesorabile getto scrosciante.

Ma era caduto in trappola.

Mikasa comparve dietro di lui neanche un secondo dopo grazie ad uno Shunshin no jutsu (Tecnica del Movimento Corporeo Istantaneo), la sua espressione glaciale e la sua mano destra caricata all’indietro e circondata da un’aura elettrica scattante.

Shino ebbe soltanto il tempo di voltare la testa, allibito. “Shunshin no justu!” esclamò mentalmente, sconvolto. “Come fa a conoscere quel-”

Ma il maestro non riuscì a fare altro.

“RAITON: Fanon Ganon!” (Pugno del Fulmine) sussurrò Mikasa, scagliando il pugno in avanti. Shino aprì la bocca, sconvolto.

CRUNCH!

Il pugno lo centrò in pieno sulla schiena con una potenza ed una ferocia disumane, togliendogli il respiro per alcuni secondi ed investendo tutto il suo corpo con una scarica elettrica fulminante che lo avvolse senza pietà. Il Jonin gemette di dolore, emettendo un urlo silenzioso con la bocca. Poi, dopo neanche un secondo, tutto il suo corpo venne scagliato in basso verso il suolo, schiantandosi alla base di un albero con un tonfo pesante e generando una nuvola di terra a causa dell’impatto.

Mikasa atterrò a sua volta dopo un paio di secondi, dissolvendo la tecnica nella sua mano e fissando con serietà il punto dove era caduto il maestro.

“Lo sapevo,” pensò tra sé la ragazzina. “Shino-sensei è debole nel corpo a corpo. Senza i suoi insetti non è in grado di difendersi molto efficacemente.”

Sora si portò vicino a lei con un salto dopo un paio di secondi. “Sei stata grandiosa!” esclamò il moro, ghignando con soddisfazione. “Lo hai preso in pieno!”

Mikasa abbozzò un sorriso. “Non sarei mai riuscita a colpirlo se tu non l’avessi distratto col tuo diversivo.” disse lei con un tono pacato. “Il merito è anche tuo. Sei stato bravo.”

I due non ebbero il tempo di dirsi altro però, che subito la nuvola di fumo e terra si dissolse, rivelando la figura di Shino inginocchiata per terra, il suo volto contratto in una smorfia di dolore ma con le labbra incurvate all’insù in un sorriso.

“D-Devo farvi i miei complimenti, Mikasa, Sora.” disse il maestro, il suo tono leggermente ansimante. “Mi avete colto di sorpresa all’ultimo secondo. Vi ho sottovalutati, e questo è stato un errore fatale per me.”

Mikasa si portò vicino a lui dopo un attimo, il suo volto una maschera priva di emozione. “Non saremmo mai riusciti ad avere la meglio se lei avesse fatto sul serio sin dall’inizio,” disse lei con serietà. “Aveva ancora un sacco di altri insetti da poter utilizzare, sensei.”

“Già!” confermò anche Sora, sorridendo a trentadue denti. “Lei è davvero molto più forte di quel che credessi! Non è stato per niente facile coglierla di sorpresa! Se questo fosse stato uno scontro reale, noi non avremmo mai potuto vincere!”

Il sorriso di Shino si allargò. “Beh… Non posso certo tentare di uccidere i miei studenti,” si difese il Jonin, rimettendosi in piedi. “Ma ciò che siete riusciti a farmi non è da poco. Sono davvero colpito. Potete ritenervi soddisfatti.”

Mikasa si limitò ad annuire all’udire i complimenti del maestro, mentre Sora si grattò il naso con un sorriso confidente e soddisfatto.

“Andate adesso,” disse poi Shino, guardandoli con serietà. “Perché? Perché Boruto avrà sicuramente bisogno di voi. Non fatelo aspettare. Il Sesto Hokage non è una persona che ci va piano con gli altri.”

Mikasa non se lo fece ripetere due volte, voltandosi di scatto all’indietro e scattando in avanti. “Andiamo, Sora.” disse con un tono serio, dirigendosi verso il centro della Foresta della Morte.

Sora si voltò dopo un secondo. “Ohi!” esclamò subito dopo, arrancando dietro di lei. “Aspettami!”

Shino invece rimase a guardarli con un sorriso mentre si allontanavano, senza muoversi per diversi secondi.

“Quei tre diventeranno qualcosa di grande in futuro,” pensò tra sé il maestro. “Non ho dubbi al riguardo…”
 

Boruto serrò i denti, cercando di non urlare per il dolore e guardando con uno sguardo di pura furia e rabbia il volto del Sesto Hokage che continuava a tenerlo immobilizzato a terra con un braccio dietro la schiena.

Kakashi ricambiò lo sguardo furioso del giovane con uno prettamente annoiato. “Vuoi che ti spieghi come fare per uscire da questa situazione?” domandò sarcasticamente l’Hokage, il suo tono ironico.

Il biondo continuò semplicemente a fulminarlo con gli occhi, la sua faccia contratta in una smorfia di dolore e rabbia.

“L’unico modo per riuscire a liberarti,” rispose allora il Sesto. “È rompendoti un braccio da solo.”

Boruto gli lanciò un’occhiata gelida. “Crede forse che non ne sia capace?” ringhiò ferocemente, tentando invano di divincolarsi dalla presa dell’uomo.

Kakashi ridacchiò sommessamente. “Oh, non ho dubbi sul fatto che saresti in grado di farlo,” lo corresse immediatamente, confondendolo per un secondo. “A differenza di molti tuoi compagni, tu possiedi una motivazione ed una determinazione che sono invidiabili. Saresti disposto a molto pur di ottenere ciò che vuoi, vero?”

Il biondino lo guardò con uno sguardo confuso e dolorante.

Kakashi chiuse gli occhi, scuotendo leggermente la testa. “Gli studenti di quest’anno sono un vero disastro. Tutti i tuoi coetanei sono privi di motivazione e di spirito. Ovviamente tra di loro ce ne sono alcuni dotati di determinazione, certo, eppure molti di loro pensano che essere ninja sia una cosa da nulla. Non sanno quanto possano essere gravosi gli incarichi degli Shinobi. E non possono nemmeno immaginare quante cose illogiche li attendono al varco. Gente del genere non posso considerarla degna di diventare ninja.”

Boruto continuò a divincolarsi futilmente mentre lo ascoltava, serrando i denti e gli occhi per il dolore al braccio.

“Ma tu tutto questo lo sai, invece.” riprese a dire seriamente il Sesto, la sua espressione divenuta nuovamente fredda. “Ne sei consapevole forse molto più di tutti gli altri tuoi coetanei. Tuttavia, per quanto tutto ciò sia ammirevole, questo non basta. Non sei ancora degno di diventare un ninja. Anche se possiedi la motivazione giusta che manca agli altri, anche se sei il più determinato di tutti a diventare uno Shinobi, ti manca ancora un elemento fondamentale che invece tutti gli altri nella tua classe possiedono.”

Kakashi si inclinò in avanti, perforando il giovane con il suo sguardo penetrante. “La fiducia nei tuoi compagni!” dichiarò l’Hokage.

Boruto sgranò gli occhi.

Il Sesto aumentò la pressione della sua presa sul braccio del giovane. “Credi che non me ne sia accorto?” riprese a dire ancora una volta, il suo tono falsamente cordiale. “In questi ultimi giorni io ed i tuoi insegnanti abbiamo visto molte cose su di te, Boruto. Abbiamo visto il modo in cui sei cambiato. Come ti sei distanziato da tutti i tuoi amici.”

“Di che sta parlando?” ribatté rabbiosamente Boruto, stringendo i denti per il dolore. “Lei non sa nulla di me!”

“Invece so molte più cose su di te di quel che tu creda.” lo incalzò nuovamente l’altro. “In questi ultimi giorni all’Accademia ti abbiamo controllato costantemente. Io e gli altri insegnanti abbiamo osservato i tuoi comportamenti, le tue interazioni, i tuoi interessi e le tue giornate accademiche senza sosta.”

Boruto sentì la morsa dell’inquietudine azzannargli con prepotenza la mente appena comprese quelle parole. Lo avevano tenuto d’occhio in quest’ultimo periodo? Cosa voleva dire? Perché lo avevano fatto? Che cosa avevano scoperto?

“Abbiamo visto la tua determinazione,” continuò a spiegare l’Hokage, riscuotendolo da quei pensieri oscuri. “E abbiamo notato anche il tuo esemplare impegno accademico. La tua costanza e la tua dedizione sono delle qualità più uniche che rare, ma in questi giorni abbiamo notato anche la tua quasi totale mancanza di interazione ed interesse verso la maggior parte dei tuoi compagni. Una cosa del genere non è assolutamente da tralasciare.”

“Di che diavolo parla?” sibilò sommessamente Boruto. “Sta dicendo forse che io non ho amici? Che non ho relazioni con gli altri miei coetanei?”

“Niente affatto,” rispose subito l’uomo con la cicatrice. “Sto semplicemente dicendo che i tuoi rapporti con gli altri tuoi coetanei si sono incrinati in un modo piuttosto preoccupante. Mentre ti osservavamo abbiamo visto chiaramente il modo in cui ti sei chiuso a tutti. Non prendi più parte alla vita della classe, ti isoli rispetto agli altri e hai perso l’interesse nel crearti delle nuove amicizie con tutti. Invece le persone con cui ti sei aperto sono rimaste sempre le stesse, ovvero quei due marmocchi con cui passi la maggior parte del tuo tempo. Mi sbaglio, forse?”

“E con ciò?” ribatté il ragazzino, sprezzante. “Non esiste nessuna regola nel mondo ninja che obblighi uno Shinobi ad aprirsi con chiunque! Il suo discorso non ha alcun senso!”

Kakashi emise una risata priva di calore all’udire ciò. “In effetti hai ragione,” gli concesse appena smise di ridere. “In teoria non c’è niente che possa davvero impedirti di diventare un ninja. Possiedi tutte le qualità e le conoscenze necessarie a diventarlo.”

“Allora perché mi sta dicendo il contrario?!” esclamò rabbiosamente il biondino, fissandolo in cagnesco.

L’espressione di Kakashi tornò fredda e glaciale come prima. “Perché quest’anno hai avuto la sfortuna di avere me come esaminatore all’Esame.” rispose.

Boruto aprì la bocca per parlare, ma il Sesto lo zittì subito. “Un tempo io ero proprio come te, Boruto. Forte, deciso, intelligente e pieno di rabbia. La gente mi dava del genio, proprio come adesso tutti fanno con te.”

Boruto continuò a fissarlo con sgomento e rabbia.

“E proprio perché io ero come te non posso considerarti degno di diventare un ninja.” spiegò crudelmente il Sesto. “Gente come te, gente com’ero io in passato non è degna di diventare Shinobi. L’errore che io ho commesso in passato è stato quello di volermi affidare soltanto a me stesso, e questo mi ha portato via tutto già da quando avevo solo dodici anni. Non posso permettere che tu faccia il mio stesso errore. Non posso lasciare che una persona come te, un ragazzino così inutilmente pieno di rabbia e risentimento, possa continuare su questo percorso.”

Gli occhi di Boruto si ridussero a due fessure. “Eppure lei è ancora qui,” ribatté il biondo. “Ed è persino riuscito a diventare Hokage. Il suo discorso è molto contraddittorio…”

“Io sono cambiato nel corso degli anni,” rispose Kakashi, fissando il biondo con fermezza e severità. “Ed ho imparato a fidarmi dei miei compagni. Ho imparato a non fare le cose tutto da solo. Questo è ciò che mi ha salvato e che mi ha fatto arrivare dove sono oggi.”

Boruto lo ascoltò in silenzio.

“Ma non posso lasciarti correre il rischio che ho corso io, Boruto.” disse ancora il Sesto. “Non permetterò che il figlio del mio stesso allievo possa finire nello stesso baratro d’odio e disperazione che ho vissuto io. Mi dispiace, ma fino a quando non riuscirai a cambiare anche tu, allora ai miei occhi non sarai mai in grado di essere uno Shinobi. Fino a quando non riuscirai a superare la tua rabbia infantile, allora resterai per sempre un misero ragazzino viziato.”

L’espressione di Boruto si fece contorta dalla rabbia appena Kakashi finì di parlare, i suoi occhi ricolmi di furia. “TUTTO QUESTO NON HA SENSO!” ringhiò il ragazzino. “Lei vorrebbe impedirmi di diventare un ninja soltanto perché teme che io possa avere una brutta vita e perché non le va bene che io non abbia un bel rapporto con la mia famiglia? Non mi faccia ridere! Lei non ha il diritto di ostacolare il mio futuro! Quello che sta facendo è ingiusto e privo di senso!”

Kakashi sospirò. “La vita è ingiusta, Boruto.” ribatté a sua volta l’Hokage. “Mi dispiace, ma per te finisce qui. Anche questo fa parte della dura vita da Shinobi. Impara a crescere e ad accettare questa cosa, e allora un giorno potrai diventare un ninja.”

Detto ciò, Kakashi mosse la mano libera e la poggiò sulla testa del biondo, afferrando la bandana attorno alla sua fronte ed accingendosi a rimuoverla.

Boruto sgranò gli occhi. “No!”

ZAC!

Il kunai sfrecciò con rapidità e precisione contro l’Hokage dalla sua sinistra, ma Kakashi lo afferrò tra le dita senza nemmeno voltarsi a guardarlo.

“RAITON: Fanon Ganon!” (Pugno del Fulmine) fece poi una voce subito dopo.

Mikasa comparve all’improvviso alla sua destra, il suo pugno rivestito di elettricità bluastra teso verso di lui per centrarlo in faccia. Il Sesto mollò la presa sul biondo, alzando una mano ed infondendola di elettricità a sua volta.

La scattante scia di fulmini viola dell’Hokage andò a bloccare con precisione e forza il pugno azzurro della ragazza, generando un sibilo elettrico che riecheggiò con forza nell’aria. Mikasa e Kakashi si fronteggiarono l’un l’altro mentre i loro attacchi continuavano a scontrarsi tra loro, due occhi feroci ricolmi di furia e determinazione contro altri due annoiati e freddi.

Poi, dopo appena un secondo, la terra ai piedi di Kakashi tremò all’improvviso e s’innalzò in alto, avvolgendo completamente la figura di Boruto che era ancora buttato al suolo. Il Sesto Hokage fece un passo indietro dal punto dove si trovava prima, scagliando allo stesso tempo lontano da sé Mikasa con un solo movimento del braccio.

Appena fu liberato dalla carica della giovane poi, Kakashi tirò fuori un kunai e colpì con forza e precisione il cumulo di terra che aveva avvolto Boruto, dissolvendo e sgretolando la terra fino a quando il cumulo non si distrusse del tutto. Ma al suo interno, al posto del biondino di prima, adesso si trovava soltanto una galleria vuota scavata nel suolo.

“Me l’avete fatta,” disse voltandosi verso la ragazza dai capelli neri posizionata a qualche decina di metri da lui. “Ma cosa avete intenzione di fare adesso?”

La ragazza dai capelli neri lo fissò con uno sguardo freddo e determinato. “Semplice,” rispose lei seriamente. “Superare questo Esame.”

Accanto a lei comparve dopo un secondo anche Sora, assieme poi a Boruto che prese a fissare con uno sguardo di odio puro il volto dell’Hokage.

“Stai bene, Boruto?” domandò la nera senza distogliere lo sguardo dal Sesto.

Il biondo annuì. “Sto bene, ma quel tipo è dannatamente scaltro. Dobbiamo lavorare tutti insieme per riuscire a rubargli quella campanella. Non abbassate mai la guardia.”

“Molto bene allora!” ghignò Sora, snudando i denti. “Facciamogli vedere cosa sappiamo fare!”

Senza perdere neanche un secondo, tutti e tre i giovani scattarono con decisione e rapidità contro l’avversario, lanciando ciascuno un grido di lotta rabbioso e feroce.

Kakashi allargò le braccia e divaricò le gambe, preparandosi a difendersi. Parò facilmente una raffica di pugni del biondino con le braccia, scagliando allo stesso tempo Mikasa lontano da sé con un calcio sul petto ed abbassandosi subito dopo per evitare un colpo di kunai di Sora. Poi il Sesto ricambiò l’offensiva con un pugno dalla velocità disarmante che centrò Boruto in piena faccia e lo fece rotolare a terra per diversi metri, saltando in aria dopo un secondo e sferrando una ginocchiata verso Mikasa, la quale fece appena in tempo ad attutire il colpo portandosi le braccia in avanti in difesa.

“SUITON;” fece poi la voce di Sora alle sue spalle, facendolo voltare di scatto. “Mizurappa!” (Tromba d’Acqua)

L’Hokage mascherato passò in rassegna a diversi sigilli con le mani, sbattendo poi i palmi a terra. “DOTON: Doryuheki!” (Muro di Terra)

Una grossa parete di terra si innalzò subito dopo dal suolo colpito dalla sua tecnica, andandolo a difendere completamente dalla rapida tromba d’acqua scrosciante del moro che lo avrebbe investito in pieno.

Kakashi ebbe solo un secondo per rilassarsi, però. Infatti, senza dargli un attimo di tregua, il terreno sotto i suoi piedi tremò e si frantumò all’improvviso, e da esso sbucò fuori Mikasa, il suo braccio destro caricato contro di lui.

Kakashi sorrise sotto la maschera. “Troppo lenta!” disse, sferrandole un calcio in pieno volto con una rapidità disarmante. La ragazza crollò a terra dopo un secondo, gemendo sommessamente cogli occhi serrati per il dolore.

Boruto comparve dietro di lei dopo un secondo, rapido come una saetta, scagliandosi contro l’Hokage con un’espressione di rabbia e caricando un palmo aperto per colpirlo. Gli occhi del Sesto si assottigliarono.

Prima ancora che il biondino potesse colpirlo poi, l’uomo con la cicatrice scomparve nel nulla con uno Shunshin no jutsu, (Tecnica del Movimento Corporeo Istantaneo) riapparendo alle sue spalle e sferrandogli un pugno sulla schiena. Boruto gemette di dolore con un urlo acuto, riprendendosi però dopo un secondo e portandosi immediatamente accanto a Mikasa e Sora. I tre giovani assunsero delle pose di difesa tutti insieme, ansimando per la fatica.

Kakashi li fissò con i suoi occhi severi. “Siete davvero senza speranza,” disse con un tono esasperato e freddo. “Avete almeno ascoltato una sola delle cose che ho detto prima?”

“Ci risparmi le sue parole, Hokage-sama!” rispose Sora con affanno. “Abbiamo già capito lo scopo di questo Esame da tempo!”

“No, non l’avete capito affatto!” lo incalzò Kakashi con sufficienza e severità. “Per come siete adesso non state ancora compensando la differenza di potere che c’è tra me e voi! Siete ancora tutti troppo inesperti e scoordinati tra di voi! Oppure credevate che per riuscire a sconfiggermi sarebbe bastato attaccarmi tutti insieme?”

I tre giovani si limitarono ad osservarlo coi loro occhi ridotti a due fessure.

Lo sguardo di Kakashi si assottigliò a sua volta. “Non sottovalutate un ninja!”

Boruto sorrise feralmente. “È lei quello che ci sta sottovalutando!” ribatté con decisione il biondo, scagliandosi contro di lui con uno scatto in avanti.

“Lo sapevo, l’unica soluzione per voi è una sconfitta bruciante…” sospirò l’Hokage, esasperato nel vederli continuare ad attaccarlo così inutilmente.

Tuttavia, appena un secondo prima di raggiungerlo, Boruto ghignò feralmente, cogliendolo di sorpresa per un secondo.

“Adesso, ragazzi!” urlò il biondo. Kakashi sgranò gli occhi, afferrando però con le mani le braccia di Boruto prima che potesse colpirlo.

Ma appena il biondo finì di dare il segnale, il terreno sotto i piedi dell’Hokage si illuminò improvvisamente di una leggera luce biancastra che andò a formare un cerchio luminoso attorno a lui. Dal centro del cerchio inoltre partirono decine e decine di scie luminose che si sparpagliarono in tutte le direzioni con un sibilo acuto, fino a raggiungere Sora, Mikasa e altri punti della Foresta.

E poi, come per magia, tutto il corpo di Kakashi venne paralizzato all’istante, rendendolo incapace di muoversi.

“C-Che cosa?!” esclamò il Sesto, scioccato. “Un Fuuinjutsu (Tecnica di Sigillo) paralizzante? Ma come avete-”

Prima che potesse terminare la frase però, dal nulla in mezzo agli alberi comparvero Shikadai, Inojin, Chocho, Sarada, Sumire, Iwabe, Mitsuki e tutti gli altri studenti che avevano preso parte all’Esame, le loro mani unite nel Sigillo del Toro similmente a come avevano fatto anche Mikasa e Sora.

I suoi occhi si sgranarono. “C-Cosa?”

“Che ve ne pare, Rokudaime?” disse Denki ad alta voce con un sorriso soddisfatto. “Non riesce più a muoversi grazie alla nostra Tecnica di Sigillo Multi-coordinata, vero?”

Kakashi si voltò di sbieco con fatica a causa della paralisi. “Ho capito, mi avete condotto inconsciamente sul punto del sigillo mentre combattevamo!” sibilò lentamente.

Boruto continuò a ghignare, aumentando la forza della sua pressione e puntando una mano verso il campanello legato al fianco del Sesto. “È stato quando lei mi ha immobilizzato a terra che sono riuscito a formulare il sigillo su questo punto del suolo,” spiegò con un tono feroce. “Avrebbe dovuto immobilizzarmi entrambe le braccia quando ne aveva l’occasione, Sesto!”

Gli occhi di Kakashi si ridussero a due fessure mentre continuava a respingere con tutte le sue forze la mano di Boruto che si stava pericolosamente avvicinando alla campanella. “Q-Questo ragazzino,” realizzò mentalmente con stupore. “Era sempre stato consapevole di tutto questo sin da quel momento! È riuscito ad ingannarmi facendomi credere che io avessi il controllo della situazione per tutto questo tempo!”

Sora sorrise con confidenza, incanalando quanto più chakra poteva nella tecnica. “Allora, Rokudaime!” esclamò con soddisfazione. “È difficile riuscire a liberarsi dalla Tecnica quando ha contro di lei tutti noi messi assieme, vero?”

Kakashi si limitò a stringere i denti, ringhiando leggermente per la fatica.

“Gliel’avevamo detto,” disse subito dopo Boruto ancora una volta, attirando la sua attenzione e fissandolo negli occhi con uno sguardo bramoso di vittoria. “Avevamo già capito da molto tempo lo scopo di questo Esame! Per tutto questo tempo lei ha cercato di ingannarci facendoci credere che per essere promossi avremmo dovuto raggiungerla per primi ed ottenere la campanella. Ma il vero obiettivo dell’Esame era quello di farci agire insieme come una squadra ed aiutarci a vicenda per superare tutti gli insegnanti fino a raggiungere lei. Il suo obiettivo era quello di farci agire tutti insieme. O forse dovrei dire che lo scopo era spingere tutti noi a ‘fidarci dei nostri compagni’?”

Gli occhi di Kakashi si sgranarono all’udire quelle parole.

Il ghigno di Boruto divenne ferale appena un istante dopo. “Come vede io non ho mai agito da solo contro di lei!” dichiarò con sicurezza e orgoglio. “Per tutto questo tempo io e gli altri abbiamo lavorato come una squadra, seguendo una strategia precisa che prevedeva che tutti loro si separassero per permettermi di raggiungere lei. Il mio compito era quello di tenerla occupato fino a quando tutti quanti avessero sistemato gli altri insegnanti, facendo da esca contro di lei per poi riuscire a catturarla in questa tecnica!”

Il Sesto Hokage sgranò gli occhi. “C-Com’è possibile? Come diavolo ha fatto Boruto ad ideare un piano così complesso?!”

“E adesso,” continuò a dire il biondo, ghignando in maniera feroce e trionfante. “Mi prenderò quella campanella una volta per tutte!”

Kakashi chiuse gli occhi appena il ragazzino finì di parlare. Doveva ammettere che il piano che avevano escogitato era davvero brillante, ma lui non gli avrebbe di certo permesso di vincere così facilmente. Non avrebbe permesso a dei ragazzini di avere la meglio su di lui.

“E va bene,” pensò tra sé. “Lo avete voluto voi…”

Poi il Sesto aprì nuovamente gli occhi di scatto, fissando il biondino con sarcasmo e trionfo ed incanalando chakra in tutto il suo corpo.

“Shiren!” (Fulmine Viola)

Appena finì di pronunciare il nome della Tecnica, dal suo corpo venne emessa una portentosa scarica scattante di fulmini viola, la quale andò a colpire ed investire senza pietà tutto il corpo del biondino prima che potesse toccare la campanella. Boruto urlò di dolore, contorcendosi a causa delle scosse elettriche.

Poi però, accadde l’inaspettato.

PUFF!

Rivelando a tutti di essere un clone, Boruto scomparve in una nuvola di fumo bianco con uno scoppio sommesso, per poi ricomparire di nuovo dopo un secondo alle spalle dell’Hokage con uno Shunshin no jutsu. Kakashi rimase letteralmente sconvolto e allibito.

“Mi delude, Rokudaime!” disse il ragazzino con sarcasmo. “Credevo che una persona come lei avesse capito che io non avrei mai neppure pensato di avvicinarmi a lei una seconda volta come prima. Forse l’età l’ha fatta arrugginire un po’!”

Kakashi si voltò indietro di scatto con la testa, ritrovandosi la figura ghignante di Boruto che lo fissava con uno sguardo trionfante ed una mano sollevata in aria.

Una mano che reggeva tra le dita una campanella di metallo.

La bocca dell’Hokage si spalancò sotto la maschera.

Tutti gli studenti esultarono dopo un secondo, dissolvendo immediatamente la Tecnica che lo teneva paralizzato e cominciando a lanciare all’aria urla di euforia, trionfo e gioia. Tutti presero a gridare ed esultare a gran voce, abbracciandosi, saltando in alto e lanciando al cielo urla di vittoria che riecheggiarono nella Foresta per diversi secondi.

Kakashi rimase imbambolato ed in silenzio per alcuni secondi a fissare il volto sorridente di Boruto, la sua espressione contemporaneamente confusa, stupita e sorpresa. Poi, come se non fosse successo mai niente, il Sesto Hokage tossì in maniera forzata per attirare l’attenzione di tutti, silenziando all’istante tutti gli studenti.

E poi, appena ebbe tutta l’attenzione su di sé, il Sesto Hokage scoppiò a ridere.

“Ma tu pensa un po’!” esclamò con un tono sorpreso e allegro. “Siete riusciti a fregarmi e a rubarmi la campanella! Non me lo sarei mai aspettato! Non è mai successo prima d’ora! Devo davvero farvi i miei complimenti! Ahahahaha!”

Tutti gli allievi lo guardarono con stupore e shock mentre continuava a ridere, le loro espressioni confuse e scioccate nel vedere quell’uomo solitamente serio ed indifferente mentre rideva come un idiota.

“Molto bene!” dichiarò allora Kakashi appena si fu calmato. “Allora, adesso dichiaro ufficialmente concluso l’Esame di Selezione Genin.”

Poi la sua espressione si fece più seria, ma un sorriso era chiaramente visibile sotto la sua maschera.

“Siete tutti promossi!”

Passarono alcuni secondi di silenzio totale.

E poi, uno ad uno, tutti gli studenti presero ad esultare con più forza ed enfasi di prima.
 

“Ce l’abbiamo fatta!” esclamò Sora con un tono che esprimeva gioia pura, abbracciando pesantemente Mikasa e Boruto a sé e facendoli crollare a terra assieme a lui col suo peso. “Siamo dei Genin!”

Boruto lo fissò con un sorriso beffardo. “Avevi forse qualche dubbio?” ribatté con ironia, il suo sorriso sempre più largo.

“Siamo dei Genin! Siamo dei Genin!” riprese a gridare il moro senza mollarli un secondo, troppo euforico per riuscire a calmarsi. “Siamo passati!”

Mikasa sorrise appena con le labbra, fissando i suoi amici con un’espressione più dolce del solito. “Sapevo che ce l’avremmo fatta.”

Boruto annuì e fece per parlare, quando all’improvviso Shino, Konohamaru e Anko apparvero in mezzo a loro e a tutti gli altri studenti in mezzo allo spiazzo davanti alla Torre della Foresta.

“Congratulazione a tutti!” disse ad alta voce Shino, attirando l’attenzione di tutti. “Siete riusciti a superare l’Esame. Da oggi, tutti voi siete ufficialmente dei Genin del Villaggio della Foglia!”

Poi, formulando un sigillo con la mano, tutte le bandane che erano legate attorno alle fronti di ogni studente emisero uno scoppio seguito da una nuvola di fumo, per poi rivelare al loro posto dei coprifronte ufficiali e nuovi di zecca. Tutti i ragazzi rimasero a bocca aperta.

Kakashi si portò davanti agli altri insegnanti. “Vi faccio di nuovo le mie congratulazioni,” disse il Sesto Hokage con un tono pacato. “Da oggi, tutti voi siete diventati degli Shinobi ufficiali del nostro Villaggio. Ma prima di concludere e di lasciarvi finalmente ai vostri festeggiamenti, c’è un ultimo consiglio che mi piacerebbe donarvi.”

Boruto e tutti gli altri si misero sull’attenti.

“Il mondo degli Shinobi è un posto crudele,” disse lentamente Kakashi, fissandoli uno ad uno. “Ci sono molte leggi e molte regole da rispettare in questo mondo, e coloro che infrangono le regole vengono considerati feccia. Tuttavia… coloro che non si curano dei propri compagni e che pensano soltanto a se stessi sono peggio della feccia. Questo è il consiglio che vorrei lasciare a ciascuno di voi. Anche se, come si è visto oggi in base alla vostra performance di prima, voi studenti di quest’anno sembrate averlo già compreso chiaramente. Quindi vi faccio di nuovo i miei più sinceri complimenti.”

Appena l’Hokage finì di parlare, Shino si portò davanti a tutti gli studenti ancora una volta e parlò a nome degli altri insegnanti. “In questo Esame, coloro che avessero abbandonato i propri compagni senza curarsi di loro, avrebbero fallito inevitabilmente. Invece, coloro come voi che avrebbero unito le forze per superare tutti gli ostacoli lungo il cammino, sarebbero stati promossi. Perché? Perché quando in futuro vi troverete in una missione reale, allora tutti voi incontrerete numerose difficoltà, e per riuscire a superarle dovrete necessariamente fare affidamento sui vostri compagni. Questa è la lezione più importante per uno Shinobi. Una lezione che ognuno di voi dovrà ricordare per sempre.”

Boruto sorrise, guardando di sbieco i suoi due amici.

Shino-sensei sorrise. “Adesso andate a casa a festeggiare,” li esortò con un tono soddisfatto. “Vi aspetto tra due giorni all’Accademia per comunicarvi la disposizione dei vostri Team. Con questo è tutto. Congratulazioni.”

“Sì!” risposero in coro tutti gli studenti.
 

13 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Accademia Ninja
17:30

“Allora, che ne pensa dei nuovi Genin di quest’anno?” domandò Iruka, guardando con un sorriso soddisfatto il volto del Sesto Hokage mentre era intento a sedersi sulla poltrona dell’ufficio.

Kakashi si voltò verso la finestra, il suo sguardo pensieroso. “Hmmm… Beh, hanno del potenziale, non c’è dubbio. Sono ancora un po’ troppo indisciplinati e grezzi, ma hanno dimostrato di avere fegato. Sono piuttosto soddisfatto.”

Il sorriso del preside si allargò. “Mi fa piacere sentirglielo dire.” disse con un tono sollevato. Poi, di colpo, la sua espressione si fece improvvisamente seria e seccata, i suoi occhi ardenti di fastidio. “Comunque sia… ho saputo che lei si è lasciato trasportare un po’ troppo con gli studenti durante l’Esame, o sbaglio?”

Kakashi si voltò verso di lui, confuso e nervoso. “…eh?”

“Lei è sempre lo stesso!” continuò a rimproverarlo Iruka, il suo tono esasperato e furioso. “Possibile che non riesce mai a trattenersi? Non può imparare un po’ di moderazione?”

Kakashi si grattò la tesa, ridendo nervosamente. “Ahahah… Beh… Ecco… Scusa.”

“Dovrebbe davvero essere più considerato con gli studenti!”

“Mi dispiace…”

“Possibile che non riesca mai a comportarsi in maniera pacata?

“Ho già detto scusa…”

“Lei è davvero senza speranza Rokudaime!”

“Ma ho chiesto scusaaaa!”
 

Dopo altre due ore di discussione, quando il cielo era ormai giunto al tramonto, Kakashi riuscì finalmente ad uscire incolume dall’ufficio del preside e prese ad incamminarsi lungo i corridoi dell’Accademia, la sua testa ancora piena dei rimproveri che si era sorbito per tutto quel tempo da parte di Iruka.

“Certo che Iruka-sensei non si smentisce mai…” pensò tra sé il Sesto con una nota di nervosismo e timore. “Quando ci si mette è in grado di rimettere in riga persino me…”

L’Hokage continuò a camminare in silenzio per i corridoi con le mani nelle tasche, quando poi all’improvviso si fermò dinanzi alla rampa di scale che conduceva all’ingresso principale.

I suoi occhi si fermarono con serietà verso un altro paio di occhi che lo fissarono a sua volta dal buio delle scale.

“Non credevo di incontrarti di nuovo oggi,” disse il Sesto con un tono monotono, senza distogliere lo sguardo dal volto dell’altro. “Cosa ci fai qui a quest’ora?”

L’altra persona lo perforò coi suoi occhi azzurri. “Vorrei farle una domanda, se non la disturbo.”

Kakashi non rispose, invitandolo silenziosamente a continuare.

“Quello che ha detto prima su di me,” domandò allora l’altro, il suo tono privo di emozione. “È vero?”

Gli occhi del Sesto Hokage si assottigliarono leggermente. “Chissà perché mi aspettavo questa domanda da parte tua…” disse a bassa voce, più a se stesso che a lui.

L’altro non disse nulla, limitandosi a mantenere il suo sguardo posato sul volto dell’uomo con la cicatrice in attesa di una risposta.

Kakashi sospirò. “Sì,” disse alla fine dopo alcuni secondi di silenzio. “È vero.”

Gli occhi azzurri dell’altro si ridussero a due fessure sottili. “Perché?”

“È stato Naruto a chiedermelo.” riprese a dire Kakashi, il suo tono pacato e serio e la sua espressione indecifrabile. “Era preoccupato per te. Mi chiese di tenerti d’occhio in questi giorni per assicurarmi che tu fossi capace di diventare uno Shinobi. E anche per un motivo che immagino tu sappia molto meglio di me.”

Nessuno dei due parlò per diversi secondi dopo che si furono scambiati quelle parole, restando entrambi in silenzio, intenti a fissarsi a vicenda con i loro sguardi freddi e calcolatori.

Poi, dopo quella che parve loro un’eternità, l’altro si staccò dalla parete su cui si era poggiato e ed incominciò ad andarsene scendendo le scale. “Capisco. Grazie per avermi risposto. Buona serata.”

“Quello che stai facendo è sbagliato,” lo richiamò il Sesto con un tono freddo e distaccato, facendo fermare l’interlocutore sulle scale. “Ti stai comportando come un bambino. Oggi mi hai dimostrato di essere degno di qualcosa di più. Mi hai dimostrato di avere del potenziale. Mi aspetto che tu faccia altrettanto con lui.”

L’altro non rispose subito, limitandosi a guardare davanti a sé in silenzio.

“Gliel’ho già detto, Rokudaime.” disse alla fine Boruto con un tono glaciale, senza voltarsi verso di lui. “Questa è una cosa che non la riguarda.”

Detto ciò, il biondino riprese a scendere le scale come se nulla fosse, senza mai voltarsi verso l’adulto alle sue spalle. “Le auguro una buona serata.” disse.

E poi scomparve nel buio.

Kakashi rimase fermo a fissarlo per diversi secondi.

“Boruto Uzumaki,” pensò tra sé. “Spero davvero che tu possa realizzare i tuoi errori e fare la cosa giusta…”



 

Note dell'autore!!!

Salve a tutti! Come vi avevo promesso, ecco a voi il nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto.

Il prossimo dovrebbe uscire giovedì 15 Febbraio!

Ringrazio coloro che leggeranno e che commenteranno! A presto!

UNA NUOVA VITA

NEW DIVIDE
(Linkin Park)

13 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Negozio di Urahara
18:30

“SAPEVO CHE CE L’AVRESTE FATTA!” urlò Urahara gioiosamente, stringendo a sé tra le braccia i tre ragazzini dall’aria irritata e seccata. “I MIEI PICCOLI ALLIEVI SONO DIVENTATI DEGLI SHINOBI! SONO FIERO DI VOI!”

Boruto tentò furiosamente di divincolarsi dalla stretta dopo una decina di secondi, la sua espressione visibilmente contrariata. “Va bene, va bene, adesso basta!” ringhiò sommessamente. “Abbiamo capito che sei contento, mollaci!”

L’uomo li lasciò andare dopo parecchie insistenze.

“Ugh, stavo soffocando…” gemette Sora dolorosamente, sedendosi a terra e scuotendo la testa.

Mikasa lanciò a Urahara un’occhiata gelida. “La prossima volta che provi ad abbracciarmi ti farò pentire di averci provato.” dichiarò senza mezzi termini.

L’uomo si limitò a ridere alle sue minacce. “Suvvia, non siate così cattivi. È solo che sono rimasto così felice di vedervi arrivare con i vostri coprifronte in testa che non sono riuscito a trattenermi!”

Poi però, l’espressione di Urahara si fece più seria, ma il sorriso di prima rimase sempre presente sul suo volto. “Comunque,” riprese a dire osservando i suoi allievi con uno sguardo soddisfatto. “Adesso che siete finalmente diventati Genin, c’è una cosa che voglio donare a ciascuno di voi.”

I giovani lo guardarono con degli sguardi irritati, i loro sopraccigli che si contraevano dall’esasperazione. “Speriamo non sia un altro abbraccio…”

Urahara si voltò si scatto ed aprì con un movimento rapido un armadio sulla destra, tirando fuori da esso tre oggetti, ciascuno avvolto completamente in un telo. Poi si girò di nuovo verso di loro, consegnando a ciascuno dei tre ragazzi uno dei tre oggetti nelle sue mani.

Boruto osservò con un sopracciglio incurvato l’oggetto coperto nelle sue mani di forma piuttosto allungata. “Che cosa sarebbero questi?” domandò con confusione.

Le labbra di Urahara si dischiusero in un ghigno. “Diciamo che sono dei regali per celebrare la vostra promozione,” rispose con un tono maliziosamente strano. “Coraggio, apriteli.”

I tre ragazzi esitarono un attimo, poi annuirono e ognuno di loro prese a togliere il telo che avvolgeva l’oggetto nelle loro mani, aprendo ciascuno il misterioso pacco che avevano ricevuto.

I loro occhi si sgranarono dopo alcuni secondi.

“NON CI CREDO!” urlò Sora entusiasticamente, osservando l’oggetto che aveva ricevuto con le stelle negli occhi. “Un bastone da battaglia!”

Il moro aveva ricevuto un piccolo bastone di metallo argentato, di circa trenta centimetri di lunghezza e quattro centimetri di diametro, simile quasi ad un piccolo paletto di metallo al cui centro del piccolo bastone si trovava un’impugnatura nera.

“Guarda bene sull’impugnatura,” lo esortò l’uomo col cappello. “E clicca sul pulsante che si trova nello spazio per le dita.”

Sora obbedì all’istante, cliccando un piccolo pulsante appena visibile sull’impugnatura del piccolo paletto di metallo. Appena fece ciò, le estremità del bastone si allungarono con uno scatto secco, facendo raggiungere al bastone le dimensioni effettive di almeno due metri, al cui vertice di un’estremità era comparsa una piccola lama appuntita.

Sora osservò il bastone con uno sguardo sognate ed estremamente entusiasta. “Non posso crederci!” esclamò come un bambino che avesse appena ricevuto il giocattolo dei suoi sogni. “Un vero bastone da guerra allungabile! È una figata pazzesca! Non riesco crederci! Posso davvero tenerlo?”

“Certo,” rispose subito Urahara, fissandolo con un tono soddisfatto. “Quel bastone è stato fatto proprio su misura per te. È leggero e resistente a qualsiasi tipo di impatto, inoltre può essere infuso di chakra e aumentare così la sua potenza di danno. La punta provvista di lama ti potrebbe permettere persino di usarlo come lancia o di scagliarlo come una freccia. Visto che nel corpo a corpo tu non eccelli rispetto ai tuoi amici, quest’arma sarà utile per tenerti a distanza dai nemici durante le tue missioni e per difenderti in maniera decente in caso di scontri ravvicinati.”

Sora lo fissò con gli occhi che lacrimavano per l’emozione. “N-Non riesco a crederci, sensei! Non mi sarei aspettato un dono simile da parte tua! Grazie! Grazie!”

Urahara annuì con un sorriso, voltandosi poi verso l’unica ragazza del gruppo. Anche lei aveva ricevuto un’arma, o meglio due. Nelle sue mani infatti si trovavano due tirapugni di metallo nuovi di zecca, i quali si legavano saldamente dagli avambracci e che avvolgevano i palmi e le nocche delle mani con una fascia durissima di argento.

“Mikasa, tu sei un vero e proprio portento nel corpo a corpo,” cominciò a dire l’uomo con un tono sincero. “Quei tirapugni di ultima generazione saranno un grosso incremento alla potenza dei tuoi attacchi. Tuttavia non sono solo dei semplici tirapugni come gli altri. Infatti, sono in grado di estrarre a comando dai bracciali che avvolgono i tuoi avambracci due lame nascoste di dimensioni ridotte e dalla resistenza quasi totale a qualunque tipo di impatto. In questo modo potrai avere sempre con te delle armi a corto raggio per essere in grado di difenderti ed attaccare.”

Mikasa indossò i tirapugni, legandoseli agli avambracci ed estraendo con uno schiocco secco le lame diverse volte per prova, osservando il regalo del suo maestro con uno sguardo più felice del solito.

“Grazie, sensei.” lo ringraziò sommessamente, abbozzando un sorriso.

Urahara ridacchiò nel vederla così imbarazzata, voltandosi infine verso il biondino del gruppo, il quale era intento a fissare il suo regalo con gli occhi e la bocca aperti più del normale.

“So che il tuo regalo non è di ultima generazione come quello dei tuoi amici,” disse l’uomo lentamente. “Ma ho pensato che per un tipo determinato come te qualcosa di vecchio stampo sarebbe andato bene.”

Boruto continuò a fissare l’oggetto nelle sue mani con uno sguardo allibito ed incredulo. “D-Davvero?” balbettò dopo alcuni secondi di silenzio totale. “Posso tenerla? È-È veramente mia?”

Il sorriso di Urahara si allargò. “Ma certo. Congratulazioni per aver superato l’Esame.”

Boruto esitò per un secondo. Poi, dopo aver ricevuto conferma dal sensei, il ragazzo afferrò con una mano tremante l’elsa dell’arma, tirandola fuori dal suo fodero con un movimento lento e solenne.

La spada uscì fuori dal fodero nero con un sibilo acuto, generando uno scintillio metallico di luce appena venne illuminata dalla luce esterna. Boruto la osservò con gli occhi pieni di meraviglia. Era una spada magnifica, senza ombra di dubbio. L’elsa era lunga e nera con delle striature giallastre, mentre la lama argentea e sottilissima era di forma simile a quella di una katana, e raggiungeva una lunghezza complessiva di una settantina di centimetri circa. Il fodero della spada invece era fatto interamente da un tessuto foderato simile al cuoio di colore nero che si legava alla schiena mediante un laccio grigio.

Urahara incrociò le braccia, osservando il volto incredulo del biondo con un sorriso. “Quella spada è una delle migliori che potrai mai vedere in vita tua,” spiegò con un tono orgoglioso. “Proviene dalla mia terra natale, e la lama è fatta con un metallo particolare che la rende sottile, leggera e resistente come il diamante. È in grado di tagliare praticamente qualsiasi oggetto non metallico, e la sua versatilità è una delle migliori che troverai mai in una katana.”

Boruto brandì la spada con meraviglia, muovendo all’aria la lama per prova. “Q-Quanto ti è costata questa spada?” domandò, il suo tono incredulo.

Il sorriso dell’uomo si allargò. “Nulla,” rispose con semplicità, sconvolgendolo. “Quella spada mi è stata donata molto tempo fa da una persona a me cara. E adesso, io voglio donarla a te.”

“M-Ma perché?” domandò ancora Boruto, fissando il suo maestro con confusione ed incredulità. “Se questa spada è un dono che hai ricevuto, allora perché vuoi darla a me?”

“Perché te la sei meritata,” rispose Urahara, fissando i suoi allievi con uno sguardo orgoglioso. “Tutti voi vi siete meritati questi regali. Durante tutti questi cinque lunghi anni, io vi ho visto crescere ogni giorno, ragazzi. Vi ho allenato fino allo sfinimento, vi ho insegnato tutto ciò che sapevo, vi ho aiutati a crescere come meglio potevo. E ogni singolo giorno ho visto il vostro duro lavoro, la vostra determinazione e tutti i sacrifici che avete fatto per arrivare dove siete adesso. Il vostro impegno e la vostra dedizione costanti vi hanno permesso di diventare Shinobi, e per questo motivo adesso che state per entrare in questo duro e arduo mondo voglio donare a ciascuno di voi qualcosa che possa aiutarvi nel vostro cammino. Non ho altro da insegnarvi ormai, perciò l’unica cosa che potevo fare era regalarvi questi ultimi doni. Spero che possano aiutarvi durante il vostro viaggio. Sono fiero di voi, ragazzi miei.”

I tre giovani lo guardarono con gli occhi sgranati. “D-Dunque è per questo che ieri sei sparito per tutto il giorno,” realizzò Mikasa, la sua voce più alta del normale. “Eri andato a prendere queste armi per tutti noi?”

“Esatto!” rispose l’altro. “Ieri sono andato in incognito al Laboratorio di Ricerca Tecnologica Ninja, e lì ho comprato sotto falso nome il bastone e i tirapugni che voi due avete appena ricevuto. La spada invece era un vecchio dono che possiedo da anni, e adesso finalmente l’ho tramandata ad un degno erede che sarà in grado di darle un nuovo scopo ancora una volta.”

Sora sgranò ulteriormente gli occhi. “Il laboratorio di Ricerca Tecnologica Ninja?” esclamò, allibito. “Ma quello è il posto dove sviluppano le armi tecnologiche di ultima generazione!”

Urahara lo guardò con un ghigno. “Cosa credi che siano le armi che vi ho donato?” lo incalzò con un tono beffardo e soddisfatto. “Sia il tuo bastone che i tirapugni di Mikasa sono armi tecnologiche di ultima generazione. Sono dei prototipi che avevo fatto progettare in incognito appositamente per voi due, e avrete modo di scoprire molto presto che possiedono delle abilità che potranno esservi molto utili in battaglia.”

Mikasa e Sora guardarono con uno sguardo allibito e scioccato l’uomo col cappello, incapaci di parlare. Urahara aveva fato progettare quelle armi appositamente per loro due in segreto? Come diavolo aveva fatto?

“Sensei… non sappiamo davvero cosa dire…” cominciò a ringraziarlo Sora, ma Urahara lo silenziò con un movimento della mano.

“Non ringraziatemi. Vi ho già detto perché vi siete meritati queste armi. Non c’è bisogno di dire altro.” Poi si voltò verso Boruto, guardandolo con un sorriso più sottile. “Spero che tu non sia rimasto dispiaciuto del tuo dono, invece. Capisco bene che una spada antica possa sembrare meno invitante rispetto a dei gioielli di ultima-”

“No, non sono per nulla dispiaciuto, sensei!” lo incalzò il biondino, sorridendo con sincerità e stringendo la spada al petto. “Non importa se sia all’avanguardia o meno. Ho sempre desiderato avere una spada sin dal giorno in cui mi hai iniziato ad allenare nel Kenjutsu. Questo dono per me vale tanto quanto quello degli altri. Grazie.”

Urahara annuì con soddisfazione. “La tua abilità nel Kenjutsu è davvero migliorata nel corso di questi anni. Ormai posso quasi affermare con sincerità che tu sia diventato un maestro nel mio stile di lotta con la spada. Con un altro po’ di esercizio e di esperienza pratica, allora in un batter d’occhio potrai definirti un vero e proprio maestro nel kenjutsu. Così come anche voi due, Mikasa, Sora, siete incredibilmente migliorati ciascuno nel proprio campo di abilità. Ormai le cose che posso insegnarvi io sono terminate. Il resto dovrete perfezionarlo da soli, tutti e tre.”

Poi però l’espressione di Urahara si fece maliziosa e ironica, mentre l’uomo tirò fuori dal nulla un ventaglio verde con cui prese a farsi aria. “Tuttavia questo non significa che il vostro allenamento sia concluso,” disse subito dopo con un tono ironico. “Anche se non ho più nulla da insegnarvi, io continuerò ad allenarvi ogni giorno come prima! Avete ancora molte cose da imparare oltre a ciò che avete appreso in questi anni, e non ho alcuna intenzione di farvi battere la fiacca, specialmente adesso che siete diventati dei ninja!”

Boruto, Sora e Mikasa si misero tutti sull’attenti, inchinandosi leggermente col busto. “Sì!”

Urahara annuì. “Ma da oggi in poi io non sarò più il vostro unico mentore,” disse l’uomo, portandosi una mano sotto al mento ed assumendo una posa riflessiva. “Tra due giorni verrete chiamati a formare un team tutto vostro, e un nuovo maestro verrà assegnato per la vostra squadra. Mi raccomando, dovrete essere sempre rispettosi con il vostro nuovo sensei, e dovrete anche ubbidire a ciò che lui o lei vi dirà di fare. Siamo intesi?”

I suoi giovani allievi annuirono tutti insieme.

Urahara allora si diresse verso l’armadio di prima una seconda volta, cominciando a rovistare tra la varia roba che si trovava al suo interno. “Un’ultima cosa!” disse, voltandosi verso di loro e porgendo a ciascuno dei ragazzi tre rotoli sigillati di colore rosso. “Prendete anche questi rotoli con voi. Questo è davvero l’ultimo dono che posso farvi prima di lasciarvi entrare nel mondo degli Shinobi.”

Boruto e gli altri li presero senza esitazione. “Cosa sono?” domandò il moro.

“All’interno di quei tre rotoli si trovano le conoscenze e i metodi di apprendimento per delle Tecniche Proibite,” spiegò loro Urahara, il suo tono serio e pacato. “Le Tecniche spiegate in quei rotoli sono estremamente rare e potenti, ma sono anche molto difficili da usare. Voglio che tutti voi le impariate e vi addestriate nell’utilizzo delle conoscenze di ciò che è scritto dentro quei rotoli che vi ho dato.”

Boruto osservò il suo rotolo con attenzione ed uno sguardo dubbioso. “E questi dove li hai presi invece?” domandò con un tono sospettoso.

Urahara alzò le spalle. “Diciamo che trovai le Tecniche contenute dentro quei rotoli molti anni fa durante uno dei miei viaggi. Ero partito per lasciare la mia terra natia, e per puro caso ebbi la fortuna di incrociare delle rovine abbandonate molto lontane da qui che se non erro si trovano nella Terra del Caos. Lì trovai un antico rotolo sconosciuto, e una volta letto e memorizzato il contenuto di esso, decisi di ricopiarlo diverse volte per tramandare le conoscenze scritte nel rotolo originale anche ai posteri. Tuttavia decisi dopo un po’ di tempo di abbandonare quell’idea, poiché le tecniche che appresi quel giorno erano molto, molto pericolose. Non potevo permettere che qualche Shinobi con intenzioni malvagie potesse entrarne in possesso.”

Boruto e gli altri ascoltarono la storia con interesse e stupore. Della Tecniche Proibite talmente potenti da essere considerate pericolose anche da Urahara? Questa era nuova.

“E perché adesso ci stai dando queste Tecniche?” gli chiese improvvisamente Mikasa, il suo tono dubbioso e basso. “Perché hai deciso di rivelare a noi queste cose?”

L’uomo col cappello la guardò seriamente. “Perché voi siete gli unici di cui possa fidarmi ormai,” spiegò con serietà e lentezza. “Vi ho visto crescere in questi anni, e ho preso la decisione di affidarvi la conoscenza di queste Tecniche perché voglio che possiate riuscire a diventare più forti. Il mondo degli Shinobi sta cambiando, ragazzi miei. Noi viviamo in un tempo di pace, ma l’oscurità e i pericoli non sono terminati. Là fuori, il mondo è ancora pieno di persone pericolose che un giorno, in un modo o nell’altro, tutti voi finirete per incontrare. Voglio che possiate almeno essere in grado di badare a voi stessi. Questo è l’unico motivo per cui ho deciso di darvi quei rotoli. Teneteli sempre con cura e non rivelate mai a nessuno della loro esistenza. Questo è il mio unico avvertimento.”

I tre giovani annuirono, le loro menti trepidanti e tese all’idea di avere la possibilità di imparare e studiare delle Tecniche antiche e sconosciute.

“Un giorno dovrai dirci la verità sul tuo conto, Sensei…” disse poi Boruto, guardando l’uomo con uno sguardo sospettoso e gli occhi sottili. “Un semplice proprietario di un negozio di dolci non sarebbe mai stato senza un motivo dall’altra parte del globo a studiare Tecniche perdute nella Terra del Caos. Non avrebbe mai avuto le tue conoscenze e le tue abilità nella lotta, né tantomeno si sarebbe interessato di studiare Tecniche antiche. Dovrai vuotare il sacco e raccontarci tutto su di te un giorno, lo sai vero?”

Urahara ricambiò il suo sguardo con uno pieno di sicurezza e qualcosa di strano ed indecifrabile, nascondendosi il volto dietro al ventaglio.

“Un giorno vi dirò tutto, ragazzi miei. Ve lo prometto. Un giorno vi dirò tutto.”

Detto ciò, l’uomo col cappello si riscosse all’improvviso, osservando Boruto con uno sguardo serio e calcolatore. “Comunque sia,” disse. “Boruto, adesso che sei diventato un Genin, allora questo Villaggio e tutto il mondo degli Shinobi ti riconoscerà come un adulto a tutti gli effetti.”

Boruto s’irrigidì appena si ricordò della cosa.

“Sai cosa vuol dire questo?” domandò Urahara, fissandolo negli occhi.

Boruto ricambiò il suo sguardo con decisione e fermezza. “Certo!” rispose lentamente, la sua espressione feroce e determinata. “Vuol dire che è giunto finalmente il momento di agire!”

Sora e Mikasa si voltarono verso di lui, guardandolo con delle espressioni tese e preoccupate.

“Quando… Quando vorresti cominciare?” domandò Sora, fissando il volto del suo amico con timore e preoccupazione.

Boruto ricambiò lo sguardo del moro con sicurezza, ma i suoi occhi lasciarono trapelare una punta di timore e tensione. “Adesso.” rispose dopo alcuni secondi.

“Ne sei certo?” chiese Urahara, portandosi vicino a lui. “Sei davvero deciso a farlo?”

Boruto annuì. “Ho aspettato questo momento per cinque anni!” dichiarò con un tono serio. “Non ho dubbi sulla mia scelta. Non desisterò mai su questa cosa, e lo sai anche tu! È giunto per me il momento di lasciarmi il passato alle spalle ed incominciare una nuova vita!”

Maestro e allievo continuarono a fissarsi negli occhi per diversi secondi in silenzio. Poi, dopo un lasso di tempo indefinito, Urahara annuì. “Molto bene,” disse alla fine. “Allora sai cosa fare, Boruto.”

Il biondo annuì a sua volta. “Lascio qui la spada e il rotolo, sensei. Ci vediamo più tardi.”

Detto ciò, il biondo prese ad incamminarsi per andare via dal negozio, quando all’improvviso Mikasa e Sora si portarono davanti a lui, i loro sguardi seri.

“Boruto,” disse la nera. “Veniamo con te.”

Il biondino li guardò con uno sguardo serio, scuotendo leggermente la testa. “No ragazzi,” ribatté lui con lentezza. “Questa è una cosa che devo fare da solo. Voi restate qui.”

“Col cavolo!” ribatté a sua volta Sora ferocemente, portandosi davanti a lui e mettendogli le mani sulle spalle. “Non ti lasceremo andare lì da solo! Sappiamo quanto sia difficile per te, e proprio per questo non possiamo permettere che tu vada senza di noi! Vogliamo aiutarti!”

Anche Mikasa si avvicinò a lui. “Boruto, non puoi fermarci.” disse lei con la sua voce seria e decisamente più ferma del solito. “Non ti lascerò andare ancora da quelle persone senza di me! Non di nuovo!”

Boruto ricambiò i loro sguardi con frustrazione, i suoi occhi pieni di riconoscenza e dolore. “Ragazzi… Vi prego…”

“Boruto ha ragione,” disse Urahara all’improvviso. “Mikasa, Sora, voi due resterete qui con me. Boruto deve andare da solo.”

La nera si voltò verso di lui con ferocia. “Mai!” rispose con determinazione. “Non permetterò che quei tre possano fermarlo! Non dopo tutto ciò che gli hanno fatto!”

“Mikasa ha ragione!” disse anche Sora. “E se lo costringessero a restare? Se gli facessero di nuovo qualcosa? Non possiamo permettere che Boruto continui a vivere così, sensei! Noi tre siamo una famiglia, e una famiglia resta sempre insieme nonostante tutte le difficoltà! Ce l’hai insegnato tu!”

“Lo so,” disse ancora una volta l’uomo col cappello con un tono lento e pacato. “Proprio per questo dobbiamo restare qui. Questa cosa è troppo importante per Boruto. Lui lo sa bene. Non possiamo aiutarlo in questo. Se lui è veramente deciso a fare ciò che ha in mente, allora deve andare lì da solo. Deve affrontarli da solo ancora una volta. Questo è l’unico modo che esiste per permettergli di ricominciare.”

Mikasa lo guardò con rabbia. “Non lo lascerò andare incontro a loro senza di me!” urlò con una ferocia e una determinazione incredibili. “Non posso lasciarlo soffrire! Non quando…”

“Mikasa, Sora, vi ringrazio.” disse improvvisamente Boruto, la sua voce bassa e piena di emozione.

I due ragazzi si voltarono verso di lui.

Boruto li guardò entrambi con affetto e con amore. “Vi ringrazio,” ripeté di nuovo, il suo tono sincero. “Ma questa cosa devo farla da solo. Vi prego, non seguitemi.”

“Ma perché?” domandò lei, confusa.

“Perché altrimenti non sarò mai in grado di lasciarmi il passato alle spalle.” rispose lentamente il biondo. “Se voglio riuscire a ricominciare, se voglio davvero essere libero per sempre dal dolore del mio passato, allora devo andare da solo. Vi prego, ragazzi, lasciatemi andare. Devo fare questa cosa da solo.”

Mikasa e Sora lo guardarono negli occhi per diversi secondi carichi di emozioni, mille sentimenti che danzavano nei loro sguardi.

Poi, alla fine, i due ragazzi abbassarono la testa ed annuirono.

Boruto sorrise debolmente. “Grazie ragazzi. Grazie di cuore per tutto.”

E poi, senza voltarsi neanche una volta, il biondo prese a camminare verso l’uscita, fermandosi soltanto una volta davanti alla porta e pronunciando un’ultima frase prima di uscire definitivamente dalla casa di Urahara.

“Tornerò tra poco.” disse. “Per sempre.”

Detto ciò uscì senza voltarsi.
 

13 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Residenza dell’Hokage
20:50

Boruto si fermò dinanzi alla porta d’ingresso dell’abitazione che un tempo aveva chiamato ‘casa’. Il suo volto era teso e rigido, la sua espressione spenta e priva di emozione mentre osservava in quell’istante il pomello della porta.

Era giunto il momento.

Cinque anni. Cinque lunghi, interminabili anni di allenamenti e sacrifici erano passati. Cinque anni di ricordi, di dolore e di incubi nella notte erano passati da quella fatidica notte, quella notte in cui lui aveva rischiato di morire. Cinque anni in cui non aveva fatto altro che sognare la sua vendetta, la sua rivincita, il suo momento di gloria contro quelle persone che lo avevano spinto così a fondo della disperazione, erano finalmente passati.

E adesso era giunto il momento.

Era arrivato il giorno che aveva tanto agognato. Era giunto il suo momento di gloria. Era arrivato finalmente il suo turno di vendicarsi contro quelle persone che lo avevano abbandonato. E adesso lui avrebbe finalmente avuto la sua rivincita. Adesso, Boruto avrebbe finalmente spezzato le catene del suo passato che lo avevano accompagnato per tutto questo tempo.

Avrebbe lasciato alle spalle la sua vecchia famiglia.

Non esitò neanche un attimo questa volta. Aprì la porta di casa con un movimento deciso e privo di esitazione, entrando nell’ingresso dell’abitazione con un volto privo di alcuna emozione.

Il suo cuore prese a battere più forte di prima, trepidante per l’attesa.

“Bentornato, Boruto!” fece una voce femminile subito dopo.

Il biondo ebbe appena il tempo di richiudere la porta alle sue spalle che ecco, subito sua madre era comparsa dalla porta della cucina dinanzi a lui, il suo volto più sorridente del solito e i suoi pallidi occhi puntati sul coprifronte che portava legato alla testa.

“Congratulazioni, Boruto!” disse ancora la donna, il suo sorriso sempre più largo. “Sei diventato uno Shinobi! Sono davvero fiera di te!”

Il biondo continuò a fissarla con uno sguardo privo di emozione, la sua mente che trepidava dalla voglia di spezzare quell’insulsa e patetica speranza che vedeva brillare così fastidiosamente negli occhi di quella donna una volta per tutte.

E lui era più che mai pronto a farlo con piacere.

“La ringrazio, Hinata-sama.” le rispose con un tono serio il biondo, entrando in casa senza neanche togliersi i sandali.

Hinata si accorse subito della sua strana azione. “Boruto, non ti togli le scarpe?” domandò allora lei, confusa da quel suo gesto così strano.

Il biondo aprì la bocca per rispondere, quando all’improvviso una seconda figura comparve alle spalle della donna, sbirciando fuori dalla porta della cucina con la testa e muovendosi con fare teso ed insicuro.

Himawari posò gli occhi sul volto di suo fratello in maniera timida ed impacciata, abbozzando appena un sorriso con le labbra.

“Fratellone,” cominciò a dire appena vide il coprifronte legato saldamente alla testa del biondo. “C-Congratulazioni. Sapevo che saresti riuscito a passare l’Esame.”

Boruto la ignorò, tornando a focalizzare tutta la sua attenzione su sua madre.

“Himawari,” disse con un tono serio e fermo. “Vai in camera tua. Io e tua madre dobbiamo parlare.”

Madre e figlia sgranarono gli occhi all’udire le sue parole, restando entrambe interdette per diversi secondi. Boruto che voleva parlare con sua madre? Questa era nuova. Non se l’aspettavano proprio. Erano anni ormai che il biondo non parlava più con i suoi genitori. Cosa stava succedendo adesso così all’improvviso?

“C-Cosa?” domandò la piccola, confusa da quella richiesta di suo fratello. “Ma perché?”

“Hima, fai come dice.” la incalzò anche sua madre dopo un secondo, il suo sguardo puntato con decisione sul volto del biondino fermo dinanzi l’ingresso.

Himawari esitò, insicura sul da farsi. “M-Ma io credevo che dovevamo festeggiare-”

“Festeggeremo dopo,” la interruppe sua madre senza voltarsi, fissando sempre con forza il volto di suo figlio. “Io e tuo fratello parleremo per un po’, e poi quando ci saremo chiariti ti chiamerò e mangeremo tutti insieme. Va bene?”

La piccola Uzumaki annuì debolmente, lanciando un’occhiata esitante ed incerta verso il suo fratellone che ancora non aveva mai posato gli occhi su di lei. Poi uscì dalla cucina e si diresse a passo rapido sulle scale, salendole senza mai voltarsi indietro fino a quando raggiunse la sua camera di corsa, come per paura di vedere qualcosa che l’avrebbe spaventata a morte alle sue spalle.

Madre e figlio continuarono per tutto il tempo a scrutarsi a vicenda negli occhi, senza parlare per diversi secondi. Tutt’intorno a loro, il mondo sembrò dissolversi nel nulla per un istante, focalizzandosi solamente su di loro a vicenda. L’aria attorno a loro si fece di colpo tesa.

“Non riesco a leggere più i tuoi occhi, tesoro.” esordì alla fine Hinata, rompendo il silenzio che si era andato a creare tra lei e suo figlio. “Ricordo ancora quando quei tuoi occhi erano così vivaci, così sinceri. Come quelli di tuo padre. Ma oggi non riesco davvero a capire cosa mostrino invece quei tuoi occhi freddi, Boruto. Ogni volta che li vedo, mi si spezza sempre il cuore.”

Le labbra di Boruto si incurvarono all’insù in un sorriso privo di calore. “Una madre che non riesce nemmeno a capire le espressioni di suo figlio.” disse sarcasticamente. “Che genitore esemplare, Hinata-sama.”

“Volevi parlare con me solamente per insultarmi senza farti sentire da tua sorella?” lo interruppe Hinata, la sua voce decisa ma avvolta da un’inconfondibile nota di dolore.

“Niente affatto. Voglio al contrario comunicarle una bella notizia, ovviamente se lei ha intenzione di concedermi questo onore.”

Hinata guardò con un’espressione piena di rammarico il suo amato primogenito. Quanto le faceva male al cuore sentirlo rivolgersi a lei in quel modo così contemporaneamente freddo, formale e tagliente. Quanto avrebbe desiderato invece essere chiamata ancora una volta da lui ‘mamma’, e non ‘Hinata-sama’. Era agonizzante per lei trovarsi il suo piccolo Boruto davanti e sentire i suoi occhi gelidi e privi di emozione puntati su di lei mentre la osservavano con malizia e sarcasmo. Mentre ricambiavano il suo sguardo pieno di amore con uno ricolmo solamente di un solo, terribile sentimento.

Indifferenza.

“Andiamo in cucina,” riuscì a dire alla fine Hinata, entrando nella suddetta sala. “Puoi toglierti le scarpe comunque.”

Il biondo ignorò le sue parole, muovendosi subito ed entrando in cucina un paio di secondi dopo rispetto a sua madre senza togliersi i sandali. Dopotutto, non aveva la minima intenzione di restare ancora a lungo in quella casa. Questo era certo per lui.

Hinata si sedette su un piccolo divano posto alla sinistra della sala, guardando suo figlio con tutta l’attenzione del mondo. Boruto invece si fermò dinanzi a lei senza sedersi, restando in piedi e ricambiando il suo sguardo con freddezza e serietà.

“Allora, Boruto?” domandò sua madre, il suo tono speranzoso. “Cosa vuoi dirmi, tesoro?”

Boruto inspirò profondamente per un secondo, facendo appello a tutto il suo coraggio. Era finalmente giunto il momento che stava aspettando. Era quasi giunto il momento che aveva sognato per tutti questi anni. Adesso, finalmente, avrebbe potuto compiere il primo passo per muoversi verso il suo nuovo futuro.

La sua esitazione svanì dopo un secondo, tutta l’ansia e il timore si dissolsero come fumo.

“Voglio semplicemente comunicarle una bella notizia,” disse il biondo con un tono monotono ma lievemente più emotivo del solito. “A partire da questo momento, io non abiterò più in questa casa.”

Dovette ammettere che la reazione di sua madre fu davvero inconsueta. Si era aspettato che la donna fosse esplosa dalla rabbia, oppure che fosse scoppiata a piangere, o persino che si fosse oltraggiata oltre misura all’udire la sua dichiarazione. Tuttavia Hinata non fece nessuna di quelle cose elencate sopra.

La donna rimase semplicemente immobile, i suoi occhi privi di iridi sgranati in maniera quasi disumana, la bocca aperta come un pesce morto ed il corpo rigido e teso come una statua di marmo.

Passarono diversi secondi in cui il silenzio regnò sovrano dopo quelle sue parole. Nessuno dei due si mosse, né madre né figlio.

Hinata si riscosse dopo un’eternità dallo stupore che l’aveva paralizzata prima. “C-Che cosa?” esalò, la sua voce fioca e debole, come se di colpo tutta l’aria che aveva nei polmoni fosse sparita.

Boruto non batté neanche ciglio. “Vuole che lo ripeta?” ribatté sarcasticamente. “A partire da questo momento io non abiterò più in questa casa. Questo è ciò che ho detto prima.”

Gli occhi sgranati di Hinata non si rilassarono neanche un secondo. “C-Che stai dicendo? Cosa vuol dire?”

“Vuol dire che andrò ad abitare altrove,” rispose il biondo, il suo volto una maschera d’indifferenza ed il suo tono freddo e tagliente come una lama. “Lascio questa casa per sempre. Cambio abitazione. Mi trasferisco. Me ne vado. Sono stato abbastanza chiaro adesso oppure vuole che trovi altri sinonimi per farle capire meglio?”

Hinata si alzò di scatto dalla poltrona, il suo volto ricolmo di sconvolgimento, orrore, shock e dolore. “Che stai dicendo?” esclamò con un tono affranto. “Cosa vuol dire che te ne vai?”

“Esattamente quello che ha appena detto anche lei,” la incalzò Boruto, il suo sguardo freddo come il ghiaccio. “Me ne vado da questa casa a partire da questo momento. Da oggi, io non abiterò più qui.”

“Non puoi fare una cosa del genere!” esclamò freneticamente sua madre, guardandolo con i suoi occhi colmi di orrore al solo pensiero di ciò che stava alludendo suo figlio. “Sei troppo giovane per poter anche solo pensare di-”

“Devo forse ricordarle che a partire da oggi sono diventato legalmente un adulto, Hinata-sama?” la interruppe senza esitare Boruto, puntando un dito al coprifronte che teneva in testa. “Coloro che diventano Shinobi diventano automaticamente adulti da ogni punto di vista giuridico, legale e penale. Perciò posso andarmene eccome, e lo farò.”

“No invece!” ribatté subito sua madre, portandosi dinanzi a lui e fissandolo con severità e feroce determinazione. “Perché io non ti lascerò fare una cosa del genere! Sei troppo giovane per poterti ritenere in grado di andare ad abitare altrove! Non te lo lascerò fare!”

Boruto non si lasciò intimidire, alzando la testa e ricambiando lo sguardo di Hinata con il suo. “Vuole per caso ricevere una denuncia da parte mia?” riprese a dire di nuovo, il suo tono più minaccioso e freddo di prima. “Lei non può fermarmi! Non ha più alcun diritto su di me dal momento che adesso sono considerato un adulto! E nemmeno l’Hokage può impedire ad uno Shinobi di cambiare la propria residenza se questo non costituisce una minaccia per il Villagio! Lei e suo marito non potete fermarmi in nessun modo senza andare contro ad un procedimento penale che perderete di sicuro!”

“NON MI INTERESSA!” urlò disperatamente Hinata, i suoi occhi che avevano iniziato a versare lacrime come fiumi. “IO SONO TUA MADRE, E IN QUANTO TALE NON LASCERÒ CHE MIO FIGLIO VADA VIA DA CASA MIA!”

Appena udì quelle parole, lo sguardo di Boruto si fece immediatamente ricolmo di una rabbia ed un odio indescrivibili a parole. I suoi occhi si assottigliarono pericolosamente, mentre tutto il corpo del ragazzino prese a tremare per la furia che cominciò a scorrere nelle sue vene.

“Lei non è mia madre!” ringhiò ferocemente Boruto, fulminando con gli occhi la donna.

Hinata trasalì appena udì quelle parole come se fosse stata fisicamente colpita. I suoi occhi si sgranarono all’inverosimile, le sue mani si fecero fredde e tutto il suo corpo s’immobilizzò per lo shock, l’incredulità e l’orrore generato da quelle parole.

“Lei non è mia madre!” ripeté Boruto, fissandola in cagnesco. “Una madre non è una persona che ignora suo figlio quando lui ha un disperato bisogno di lei! Una madre non è una persona che tratta suo figlio come un estraneo in casa sua! Una madre non è una persona che abbandona lo stesso sangue del suo sangue alla disperazione e al dolore!”

Hinata tentò di parlare mentre il dolore e l’ansia presero ad inondarle la mente alle parole del suo primogenito, ma Boruto la batté sul tempo.

“Lei non è mia madre!” continuò a dire il ragazzino, il suo tono freddo come mai. “Ha perso ogni diritto di considerarsi tale dopo quello che mi ha fatto!” sibilò velenosamente il giovane.

Hinata sentì il proprio cuore contorcersi nel suo petto, provocandole un dolore straziante ed agonizzante che le tolse il fiato per diversi secondi. Le parole che suo figlio stava usando contro di lei le riecheggiavano nella testa come dei sussurri velenosi che le riempivano l’animo di vergogna, dolore e sconforto.

“Ti prego Boruto,” esclamò allora lei appena riuscì a trovare le forze ed il coraggio per parlare, il suo volto una maschera di dolore e il suo tono supplicante e disperato. “T-Ti chiedo scusa per come ti abbiamo trattato! Abbiamo sbagliato, lo so, ma noi volevamo farti-”

“Voi volevate cosa?” la incalzò gelidamente lui ancora una volta, alzando la testa in un moto di disgusto e fissandola negli occhi con crudeltà. “Farmi soffrire? Farmi cadere nella depressione? Distruggere il mio unico sogno? Istigarmi al suicidio? Beh, complimenti allora! Perché ci siete riusciti davvero alla grande!”

Hinata trattene con forza il fiato appena udì l’ultimo esempio. Tutto il suo mondo si arrestò per diversi secondi appena realizzò e comprese il significato di quella frase.

“I-Istigarti al suicidio?” esclamò, affranta e sconvolta. “Di cosa parli, Boruto? Noi non abbiamo mai-”

“Oh lo avete fatto invece!” ribatté prontamente l’altro con ferocia, alzando la sua maglietta con un movimento del braccio e rivelando la grossa cicatrice che ancora restava sul suo petto. “E questa è la prova!”

Hinata sgranò gli occhi in maniera disumana. Tutto il tempo parve arrestarsi per lei appena i suoi occhi ricolmi di lacrime si posarono sull’orribile cicatrice sul petto di suo figlio. Un sospetto orribile e rivoltante le accarezzò la mente appena vide quella grossa X scavata con crudeltà sul cuore di Boruto, un sospetto talmente sconvolgente e disgustoso che appena la realtà le colpì la mente, il suo corpo venne investito da un attacco di nausea e panico che per poco non la fece piegare in due a vomitare.

“Vuole sapere come mi sono procurato questa cicatrice?” domandò sarcasticamente Boruto vedendo che Hinata non riusciva a spiccicare parola. “È stato durante quei giorni in cui lei ed il resto di questa schifosa famiglia avete cominciato ad evitarmi! Ero talmente depresso e distrutto emotivamente per il modo in cui mi stavate trattando che dopo aver passato tre giorni e due notti a piangere, una notte scappai di casa senza farmi vedere, correndo senza una meta per tutto il Villaggio in preda alla disperazione più totale!”

Hinata continuò ad ascoltare le sue parole senza riuscire a dire nulla, mentre un senso di terrore e paura viscerale le mordeva sempre più a fondo l’anima ogni secondo che passava.

“Ad un tratto mi fermai in mezzo ad un bosco;” continuò a raccontare rabbiosamente Boruto, il suo tono carico di odio e disgusto. “Non ricordo nemmeno come feci ad arrivarci, ma appena giunsi lì, trovai per caso un kunai buttato a terra in mezzo al nulla. Ed è stato in quel momento, tanto ero preso dalla depressione e dal buio cupo della disperazione più totale per il modo in cui ero stato trattato, che decisi di togliermi la vita da solo trafiggendomi il cuore! Lo capisce adesso, Hinata-sama? Le sue azioni e quelle del resto di questa famiglia mi hanno portato ad UCCIDERMI!”

Hinata scoppiò a piangere appena Boruto urlò quell’ultima parola, crollando in ginocchio ed affondando il volto nelle mani in preda ai singhiozzi. “ Oh dio…” urlò nella sua testa la donna, la sua mente cupa e carica di orrore e sconvolgimento per la rivelazione. “N-Non può essere… Cosa abbiamo fatto… Oh dio! Oh dio! Oh dio!…”

CRASH!

Hinata alzò di scatto la testa dalle mani appena sentì quel rumore provenire dal corridoio, mentre Boruto si voltò di scatto allo stesso tempo. Madre e figlio osservarono con stupore la figura di Himawari che era comparsa all’improvviso all’ingresso della cucina alle loro spalle e ai cui piedi si trovava un bicchiere frantumato in mille pezzi. Due occhi pallidi e pieni di shock, dolore e disperazione assieme ad altri due occhi azzurri freddi e glaciali che si posarono sulla bambina con forza nello stesso istante.

Himawari ricambiò i loro sguardi coi suoi occhi sgranati all’inverosimile puntati sulla cicatrice sul petto del biondo, la sua faccia colma di sconvolgimento ed incredulità.

“Himawari!” esclamò sua madre, il suo tono affranto e scioccato. “Cosa ci fai qui? Vai in camera tua! Mamma ti verrà a chiamare quando tutto sarà-”

“È vero?” la interruppe la bambina improvvisamente, i suoi occhi puntati sempre sul petto sfigurato del fratello. “È… È vero? Q-Quello che hai detto? Fra-Fratellone… Noi… ti abbiamo davvero… fa-fatto questo?”

“Hima! NO!” urlò disperatamente sua madre, cercando di impedirle di vedere, di sentire la risposta di Boruto, ma lei non le diede retta.

Boruto la fissò con i suoi occhi freddi, la sua espressione seria e glaciale. “Sì,” rispose alla fine. “È tutto vero. Voi mi avete fatto questo.”

Himawari rimase immobile appena udì la risposta del fratello. I suoi occhi rimasero sempre sgranati, la sua faccia perennemente sconvolta e spaventosamente pallida. La bambina non reagì in nessun modo, il suo sguardo divenuto improvvisamente spento, sconvolto, come se quello che avesse appena sentito l’avesse gettata in uno stato di trance.

Boruto la osservò per diversi secondi, tornando poi a focalizzare nuovamente la sua attenzione sulla figura di Hinata buttata a terra che piangeva ininterrottamente.

“Capisce come stanno adesso le cose, Hinata-sama?” riprese a dire lentamente. “Capisce adesso perché lei ai miei occhi non è una madre? Come potrei considerarla di nuovo mia madre dopo tutto quello che lei mi ha istigato a fare su me stesso?”

Hinata abbassò lo sguardo a terra, il suo volto pieno di vergogna, timore, dolore e sconforto puro.

“Io sono morto dentro quella notte,” disse ancora il biondo, il suo tono tornato serio e freddo come prima. “Quella notte venni fermato prima che potessi uccidermi da alcune persone che mi trovarono per puro caso, ma il danno dentro di me era stato fatto lo stesso. Il mio cuore era stato già distrutto. Io sarei dovuto essere morto a quest’ora. E tutto questo per colpa sua e di suo marito.”

Hinata non riuscì a rispondere, continuando a singhiozzare incessantemente.

Boruto si inginocchiò davanti a lei, fissandola con un sorriso privo di calore ed uno sguardo freddo come il ghiaccio che le fece rabbrividire la schiena appena lo vide. “E adesso lei viene a dirmi che io non posso andarmene da questo posto? Lei vorrebbe seriamente forzarmi a restare dentro questa casa dopo tutto ciò che lei e gli altri che vi abitano mi avete fatto? Una cosa del genere sarebbe davvero mostruosa. Non crede anche lei, Hinata-sama?”

Hinata aprì la bocca per parlare, ma suo figlio la batté sul tempo.

“A partire da oggi io non abiterò più in questa casa,” ripeté di nuovo Boruto con un tono monotono, rialzandosi da terra lentamente. “E né lei, né nessun altro può impedirmi di proseguire sulla mia strada o farmi desistere da questa decisione. Sono stato abbastanza chiaro adesso?”

Hinata gemette di dolore nel sentire quelle parole così sprezzanti, così cariche di odio e rabbia rivolgersi contro di lei, tanto che tutto il suo cuore sembrò essere perforato da una lama gelida che parve toglierle il respiro e le forze. Non riuscì a fare letteralmente nulla per diversi secondi se non piangere. Non riuscì a rialzarsi, a reagire, a pensare. La sua mente era finita in uno stato di disperazione così totale e così profondo che il suo corpo non riusciva a rispondere alla sua volontà.

“Sì, proprio così!” esclamò poi il biondo con un tono follemente malvagio, osservandola con un sorriso da predatore crudele e sadico. “Quest’espressione! Questa disperazione! Lo capisce adesso? Questo dolore, questa disperazione, questa vergogna che lei sta provando in questo momento, non sono NIENTE in confronto a quello che ho provato io quella notte! NIENTE!”

Hinata sgranò gli occhi, sconvolta.

“E adesso lo capisci anche tu, cara sorellina,” ricominciò a dire Boruto, voltandosi lentamente verso Himawari. “Capisci adesso perché io non posso restare qui? Capisci adesso le conseguenze delle azioni che i tuoi genitori ti hanno costretta a commettere contro di me? Dimmi, sorellina, lo capisci?”

Himawari non rispose, continuando a fissare il volto di Boruto con gli occhi sgranati, come se fosse completamente in trance.

“Voi due, assieme anche al ‘grande e possente’ Settimo Hokage, mi avete ucciso!” disse ancora Boruto, rivolgendosi ad entrambe. “Mi avete abbandonato al mio destino! Io sarei potuto morire quella notte, e voi neanche sareste venuti a saperlo! Come potrei mai desiderare di restare ancora con voi dopo tutto questo, eh?”

Nessuna delle due rispose alla sua domanda. Nessuna delle due riuscì a parlare, troppo sconvolte, troppo piene di dolore, shock e orrore nei loro cuori per poter riuscire a formulare una sola parola.

Boruto sospirò sommessamente dopo alcuni secondi di silenzio. “Da questo momento in poi, io non abiterò più in questa casa.” disse ancora per la quarta volta. “Questo era tutto ciò che volevo dire. Questa era la bella notizia che volevo comunicarle, Hinata-sama. Una bella notizia. Per me.”

Poi, il biondino si voltò verso il corridoio, cominciando ad andarsene. “Non si preoccupi per i vestiti, Hinata-sama.” disse con un tono di finalità. “Ho mandato un clone a prendere tutto ciò che mi serviva nella camera mentre noi parlavamo. Non dovrà scomodarsi per svuotare la mia stanza.”

Poi Boruto fece per andarsene, quando all’improvviso una voce lo richiamò con un tono sommesso e disperato.

“P-Perdonami…”

Il ragazzino si fermò di botto.

Hinata si rialzò lentamente da terra, il suo sguardo puntato ancora al suolo. “Perdonami, Boruto…” ripeté di nuovo lei, la sua voce disperata. “Ha-Hai ragione… Ho fallito… Non ho mai avuto idea di quel… di quello che le nostre azioni ti hanno quasi istigato a fare… Hai ragione a provare odio e risentimento… nei miei confronti…”

Boruto si voltò di nuovo lentamente verso di lei, i suoi occhi sgranati colmi di muto stupore ed incredulità.

Hinata si portò davanti a lui un istante dopo, gettandogli le braccia attorno al corpo ed abbracciandolo di colpo mentre continuava a piangere copiosamente.

“Mi dispiace!” esclamò disperatamente lei, il suo tono devastato e rotto dal pianto. “Mi dispiace, tesoro! Non-Non volevo farti tutto questo! Sono davvero una madre orribile! Mi dispiace! Mi dispiace! Mi dispiace! Mi dis…”

Boruto rimase immobile mentre Hinata continuava ad abbracciarlo e a ripetere ininterrottamente le sue scuse, i suoi occhi perennemente sgranati, la sua mente confusa e agitata da una miriade di emozioni contrastanti.

“T-Tuttavia,” singhiozzò ancora sua madre, stringendolo di più a sé con le braccia. “Sono davvero felice… che tu sia ancora qui! Sono davvero felice di non averti perso! Ho-Ho rischiato di perderti senza saperlo per così tanto tempo! Ma adesso non permetterò che una cosa del genere possa accadere di nuovo! Ti prego, Boruto! Ti prego! Perdonami! Non andartene! Non lasciarci! Dacci una seconda possibilità! Ti prego! Ti prego…”

Boruto rimase completamente immobile durante tutto il discorso disperato di sua madre, incapace di reagire. Il suo corpo era rimasto talmente scioccato da quelle sue parole, da quel suo gesto di affetto e sollievo che lei gli stava rivolgendo, che adesso si rifiutava di muoversi. La sua mente si svuotò all’improvviso appena sua madre smise di parlare, incapace di reagire per diversi secondi.

Il suo corpo si lasciò cullare dall’abbraccio, mentre sentì due lacrime colargli sulla spalla dal volto disperato e scosso della donna che lo teneva stretto a sé. La sua mente riprese a funzionare solo dopo un lasso di tempo a lui indefinito, e gli impose di agire, di fare quello che doveva, di seguire il proprio cuore e di lasciarsi andare a quello che il suo animo provava dentro. E Boruto lo fece.

Il biondo alzò a sua volta le braccia e le avvolse attorno al busto di sua madre.

Per poi spingerla lontano da sé con tutta la forza che aveva in corpo.

Hinata venne scaraventata all’indietro con una forza che lei non si sarebbe mai aspettata, barcollando all’indietro sulle gambe per diversi metri prima di riuscire a riprendere l’equilibrio e fermarsi. I suoi occhi pieni di lacrime si posarono sul volto del suo primogenito, e quello che videro le fece letteralmente trattenere il fiato per il dolore.

Boruto la stava fissando con quello sguardo, quello stesso sguardo che due anni prima aveva rivolto a Naruto durante la loro prima discussione. Quello sguardo più freddo del ghiaccio. Quello sguardo ricolmo solo di odio, rabbia e disgusto. Quello sguardo che continuava da anni a tormentarle la mente al solo ricordo.

Quello stesso sguardo che adesso era fisso su di lei e che la stava osservando come se fosse la cosa più disgustosa al mondo.

“Provi ancora una volta a toccarmi e non esiterò ad attaccarla!” ruggì il biondo dinanzi a lei, riscuotendola dal suo stupore e dallo sconvolgimento.

“B-Boruto!” tentò di nuovo di dire lei, più disperata di prima. “Ti prego! Ascoltami! Mi dispiace! Io e tuo padre non volevamo-”

“Non m’interessa!” la interruppe il biondo ferocemente. “Le ho già detto che lei non è più mia madre, quindi risparmi il fiato e mi lasci in pace!”

Appena finì di pronunciare quelle parole, Boruto si voltò di scatto e uscì fuori dalla stanza, avviandosi verso l’uscita senza degnare di uno sguardo sua sorella che era rimasta impalata nello stesso punto di prima.

Hinata sgranò gli occhi all’istante appena realizzò che suo figlio, il suo amato figlio di dodici anni, stava per andarsene per sempre da casa. L’istinto materno e la paura viscerale che la pervasero la fecero riscuotere immediatamente dallo shock, e Hinata scattò subito all’inseguimento del biondo, scattando in avanti e raggiungendolo appena fuori dall’ingresso della casa, proprio nel giardino.

“BORUTO! NO!” urlò disperatamente, il suo volto pieno di lacrime. “NON ANDARE! POSSIAMO ANCORA RICOMINCIARE! IO E TUO PADRE-”

“Mio padre?” ripeté il biondo sarcasticamente, voltandosi verso di lei e fissandola con quello stesso sguardo gelido di prima. Hinata si arrestò all’istante appena rivide quei suoi occhi ricolmi di odio, restando impalata come una bambina terrorizzata.

“Io ho un padre?!” esclamò velenosamente Boruto, lasciandola spiazzata per alcuni secondi con quella domanda. “Non mi faccia ridere! Io non ho MAI avuto un padre! E se ce l’ho, allora dov’è lui adesso? Perché non è qui? Perché non è qui, mentre lei tenta inutilmente di fermarmi? Perché se ho davvero un padre, lui non è qui adesso? Risponda, Hinata-sama! RISPONDA! DOVE CAZZO È MIO PADRE?! DOV’È STATO MIO PADRE PER TUTTI QUESTI ANNI IN CUI IO VOLEVO UNA FAMIGLIA COMPLETA E LUI NON C’ERA MAI, EH? RISPONDA!”

Hinata sentì la disperazione e lo sconforto inondarle di nuovo il cuore con prepotenza all’udire quel tono rabbioso e colmo di dolore e ferocia che suo figlio stava tirando fuori nei confronti di Naruto. In quel momento, in quel tragico e disperato momento, Hinata desiderò più di quanto avesse mai fatto in tutta la sua vita che suo marito potesse in qualche modo ritornare a casa, ritornare da lei per aiutarla, aiutarla a fermare il loro figlio primogenito dall’abbandonare la sua casa.

Perché lei stava per cedere, e niente avrebbe potuto impedire a Boruto di andarsene se Naruto non fosse tornato.

Vedendo che sua madre era incapace di rispondere, Boruto scoppiò a ridere crudelmente. “Esatto!” disse alla fine, sorridendo in maniera fredda e velenosa. “Lo vede anche lei adesso! Un padre che non c’è mai per la sua famiglia non è un padre! Dov’è il suo amato Hokage adesso? Perché ora che lei ne ha così disperato bisogno lui non si presenta qui, eh?”

Hinata tentò futilmente di trattenere le lacrime e di parlare, ma Boruto non le diede il tempo di fare nulla.

“E dov’eravate lei e suo marito quando io ero immerso nella depressione?” domandò ancora lui. “Se vuole davvero che io resti qui, se vuole davvero fermarmi, allora risponda a questa domanda: dov’eravate voi quando quel bambino di sette anni viveva nel dolore e nel terrore? Dov’eravate voi quando quel bambino di sette anni voleva amore e attenzioni, mentre invece riceveva soltanto odio e disprezzo? Dov’eravate voi quando quel bambino di sette anni tentò di togliersi la vita con le sue stesse mani? DOVE?”

Hinata scoppiò a piangere di nuovo, incapace di rispondere a quelle domande, quelle domande di cui sapeva bene la risposta. Una risposta che era crudele e spietata. Una risposta che, in fin dei conti, provava che quel che Boruto stava dicendo era vero.

Ovvero che lei e Naruto non c’erano stati per loro figlio quando ne aveva bisogno.

Boruto la fissò con uno sguardo disgustato mentre continuava a piangere. “Come volevasi dimostrare…” sussurrò alla fine.

Poi il biondo si voltò di nuovo verso la strada, pronto più che mai ad andarsene una volta per tutte.

“Ti prego, Boruto! Aspetta! Non andare!” continuò a supplicarlo sua madre dietro di lui, il suo tono talmente carico di disperazione e sofferenza che le parole le uscirono fuori come singhiozzi. “Ti supplico! Se hai ancora un briciolo di affetto nei miei confronti, se hai ancora un briciolo di amore per me o per tua sorella, ti prego non andare! Siamo la tua famiglia!”

Il biondo si fermò all’udire quella parola, i suoi occhi puntati con rabbia e ferocia al suolo dinanzi a sé.

“Ed è qui che lei si sbaglia, Hinata-sama,” dichiarò allora Boruto, senza mai voltarsi verso di lei. “Io ho già una famiglia. Ma lei ed il resto della sua patetica famiglia non ne fate parte!”

Hinata sgranò gli occhi all’udire ciò.

“Le auguro una buona serata, Hinata-sama,” disse alla fine il biondo, voltandosi di sbieco e fissandola con un’espressione gelida e priva di emozione. “Mi saluti l’Hokage se lo vedrà. E non si preoccupi per me, perché me la caverò benissimo da solo. Dopotutto, non mi sembra che in passato sia stato un problema per voi lasciarmi al mio destino.”

Detto ciò, Boruto si voltò di nuovo e scomparve nel nulla con uno Shunshin no jutsu (Tecnica del Movimento Corporeo Istantaneo) prima che la donna potesse fermarlo di nuovo.

E così, appena rimase da sola, Hinata si buttò a terra, piangendo con tutte le sue forze e urlando impotentemente al cielo la sua disperazione ed il suo dolore, completamente incurante del fatto che laggiù dentro casa, ferma immobile nella cucina, Himawari fosse rimasta per tutto questo tempo nella stessa posizione di prima.

E quello fu come, quella notte, la famiglia Uzumaki venne divisa irrimediabilmente dalla morsa crudele del Destino.
 

13 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Negozio di Urahara
21:50

Boruto corse.

Corse per quella che gli parve un'eternità. Corse senza fermarsi mai, muovendosi nel buio della notte come un fantasma silenzioso. Corse, muovendosi per le vie affollate di gente, passando per i canali disabitati, attraversando i ponti e saltando su tetti spogli e freddi.

Corse, incurante di ogni cosa, senza pensare a niente, il suo cuore che scalciava impazzito nel petto per un motivo oscuro, la sua testa che pulsava dolorosamente senza ragione, il suo animo che grondava di un sentimento che lui non riusciva a decifrare.

Ma lui ignorò tutto questo.

Continuò a correre. Corse, corse a corse come non aveva mai fatto prima d'ora sin dai tempi in cui era scappato di casa, quella notte di cinque anni prima, quella notte in cui si era avventurato da solo verso l'ignoto, accompagnato solamente dal dolore e dalla disperazione verso una meta oscura e l'oblio.

Ma stavolta era diverso.

Stavolta, Boruto non stava scappando. Non stava fuggendo via dal dolore. Non stava abbandonando tutto come in passato a causa del dolore.

No, questa volta era diverso.

Stavolta, Boruto stava per tornare a casa.

Arrivò dinanzi la porta del negozio dopo un tempo impreciso di corsa ininterrotta. La sua mente era vuota, pesante e fredda. Il suo volto era scuro e privo di qualsiasi emozione. I suoi occhi gelidi erano oscurati dai capelli.

Esitò un istante. Poi fece un passo in avanti.

Non ebbe neanche bisogno di aprire la porta. Non dovette fare nient'altro.

Appena fece quel singolo passo verso l’ingresso, subito la porta si aprì da sola. Da essa, dopo un secondo solo, sbucarono fuori le tre figure dei buffi e bizzarri abitanti di quella casa che lui conosceva bene. Tutti intenti a guardarlo con espressioni piene di timore, preoccupazione e affetto. Tutti intenti ad osservarlo con dedizione, compassione e comprensione.

Tutti intenti ad offrirgli dei piccoli ma sinceri sorrisi d'amore.

E appena li vide, Boruto non riuscì più a resistere.

Fu appena si rese conto dei loro sguardi che il suo cuore si arrese completamente. Fu nel vedere l'amore e la comprensione che gli stavano rivolgendo che il suo animo non riuscì più a trattenere il groppo pesante e struggente che aveva dentro.

Il suo cuore si lasciò andare, riversando finalmente all'esterno tutto ciò che aveva accumulato dentro in quell'ultima ora sotto forma di lacrime.

E così, dopo un’ora intera di dolore e rabbia, dopo un'ora intera in cui aveva trattenuto tutto il suo tumulto interiore, dopo un'ora intera in cui era stato costretto ad ingoiare e nascondere tutto ciò che aveva dentro, Boruto esplose e scoppiò a piangere.

Ma nemmeno stavolta dovette dire o fare altro. Bastò solo quello.

Gli altri tre lo raggiunsero in un istante, cingendolo immediatamente con le braccia ed abbracciandolo tutti insieme senza esitazione. E Boruto rimase così per diversi minuti senza fare nulla, continuando a singhiozzare, a piangere, a urlare, a far uscire tutto ciò che aveva dentro con le sue lacrime, lasciandosi nel mentre cullare e trasportare dal calore di quell’abbraccio e facendo uscire tutto lo stress e tutta la frustrazione che aveva accumulato precedentemente dentro di sé.

Mai prima d'ora ne aveva avuto un così disperato bisogno.

Non seppe dire per quanto tempo continuò a piangere. Non riuscì a stabilire il tempo preciso che passò durante tutto il suo sfogo. Lui rimase semplicemente là, immerso in quel calore che sapeva di affetto e casa, in quel luogo che aveva ambito per tutta la vita, in quel gesto che oggi, come anche cinque anni prima, lo aveva salvato dal dolore.

In quell'abbraccio che lo aveva finalmente accolto a casa.

Finché poi, alla fine, il biondino riuscì a riprendersi un minimo e a tirare su col naso.

“Sono tornato.” fu tutto ciò che riuscì a dire.

Urahara e Sora non dissero nulla, ma annuirono con un sorriso pieno di emozione e gli occhi pieni di lacrime, accarezzandogli la testa. Mikasa invece lo strinse di più a sé con affetto e cura, sorridendo e piangendo a sua volta.

“Bentornato a casa.”

 

UN ALLENAMENTO DIVERSO

14 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
09:43

Naruto sentì il suo cuore spezzarsi a quella visione.

Mentre quella mattina se ne restava fermo, seduto ed immobile come una statua dietro la sua scrivania piena di fogli e documenti da firmare, intento a fissare il volto di suo figlio che aveva fatto chiamare appositamente nel suo ufficio appena dieci minuti prima, il Settimo non poté fare a meno di comprendere la terribile ed oscura realtà dei fatti. Adesso, adesso non poteva più negare l’esistenza di ciò che la notte precedente era successo a casa sua in sua assenza. Adesso, Naruto aveva compreso la verità.

Mentre osservava con un volto pieno di dolore e rammarico quello freddo e privo di emozione di suo figlio, Naruto finalmente non riuscì più a negare il fatto che la sua famiglia avesse seriamente cominciato a frantumarsi in mille pezzi.

“Mi ha mandato a chiamare, Hokage-sama?”

La voce fredda e tagliente di suo figlio lo fece riscuotere da quei pensieri appena un secondo dopo. I due biondi continuarono a fissarsi a vicenda per diversi secondi, l’adulto che studiava attentamente il volto del giovane ed il giovane che guardava il volto dell’adulto con sospetto. Finché, alla fine, il silenzio venne interrotto da uno dei due.

“Perché?”

Quella sola e semplice parola uscì fuori dalle labbra dell’Hokage piena di emozioni contrastanti.

Boruto si limitò ad inarcare un sopracciglio. “A meno che io non impari a leggere nella mente, non sono in grado di rispondere ad una domanda così vaga, Hokage-sama.” rispose ironicamente il ragazzino.

Naruto serrò i pugni con così tanta forza che i palmi iniziarono a dolergli. “Perché lo hai fatto?” domandò di nuovo l’uomo, la sua voce pesante e carica di dolore e pesantezza. “Ti rendi conto di cosa hai fatto ieri sera?”

“Certo.” fu la risposta immediata dell’altro. “Ho semplicemente fatto ciò che ambivo a fare da una vita: andarmene una volta per tutte da quell’inferno di casa!”

Il volto di Naruto si contrasse per un istante dal dolore e dall’incredulità all’udire ciò, ma il Settimo si riscosse subito, cercando di mantenere la sua espressione più neutrale possibile.

“Ti rendi conto di quello che hai fatto?” ripeté di nuovo. “Tua madre, tua madre non ha fatto altro che piangere ininterrottamente per tutta la notte! Tua sorella non ha spiccicato una sola parola, UNA SOLA PAROLA, per tutto il tempo da ieri sera! Ti rendi conto della gravità della situazione? Hinata e Himawari sono diventate emotivamente instabili, e ho dovuto persino portarle entrambe all’ospedale ieri nel cuore della notte a causa di ciò che tu hai fatto! TE NE RENDI CONTO?”

L’espressione di Boruto non cambiò neanche una volta. “Per quanto la cosa non mi tocchi minimamente, posso sinceramente offrirle il mio dispiacere.”

Naruto emise un inconfondibile suono d’incredulità all’udire quella risposta. “N-Non ti tocca?” ripeté, scioccato. “Tua madre e tua sorella sono all’ospedale per colpa tua e la cosa non ti interessa?”

Boruto lo fissò coi suoi occhi glaciali. “E perché dovrebbe?” ribatté, sprezzante. “Mi sembra di aver messo in chiaro esplicitamente ieri sera che io non faccio più parte della vostra famiglia, per cui quello che lei e quelle altre due persone vivete non mi riguarda.”

“Come puoi dire una cosa del genere?!” urlò Naruto, il suo tono pieno di orrore e foga. “Noi siamo la tua famiglia!”

“No invece,” lo incalzò immediatamente Boruto, il suo volto una maschera d’indifferenza. “Non più ormai! Non dopo quello che mi avete fatto!”

Vide Naruto trasalire ed esitare appena pronunciò l’ultima frase, come se fosse finito a corto di parole all’udire quella sentenza. Le sue labbra si mossero in un sorriso privo di emozione.

“Vedo che sua moglie le ha detto la verità riguardante il mio passato,” cominciò allora a dire il giovane, provando un piacere perverso nel vedere l’espressione di suo padre farsi sempre più colma di dolore e vergogna. “Allora lei dovrebbe essere già al corrente della cicatrice sul mio petto.”

Naruto lo guardò con gli occhi che grondavano di rammarico.

Boruto si inclinò leggermente verso di lui col busto, un sorriso ferale che gli comparve in volto. “Capisce adesso, Nanadaime?” riprese a dire, il suo tono vacuo. “Voi non siete la mia famiglia! Non avete più il diritto di considerarvi tale! Non dopo che le vostre azioni mi hanno quasi portato alla morte!”

“Noi non volevamo farti questo!” esclamò subito dopo suo padre, il suo tono pieno di dolore e la sua faccia una maschera di disperazione e tristezza. “Eravamo disperati! Volevamo solo che tu potessi smettere di soffrire a causa mia! Volevamo spingerti ad accettare le cose solo per questo motivo! Non avevamo nessuna intenzione di farti soffrire ancora di più, Boruto!”

Il ragazzino lo fissò in silenzio per diversi secondi, i suoi occhi glaciali puntati su quelli acquosi e tremolanti dell’Hokage.

“Risponda a questa domanda allora, Hokage-sama.” disse allora il biondino dopo un attimo di silenzio. “Che cosa ho fatto io l’altro ieri pomeriggio?”

Naruto lo fissò con gli occhi sgranati, completamente confuso da quella domanda.

“Che cosa ho fatto io due giorni fa?” continuò a chiedere ancora Boruto. “E il giorno prima? E quello prima? E quello prima ancora? Mi risponda, Settimo Hokage, cosa ho fatto io in tutti questi giorni dopo che finivo le lezioni ed uscivo dall’Accademia? Mi dica una cosa, una sola cosa che io ho fatto in questi cinque anni durante i quali non ci siamo mai parlati.”

Naruto continuò a fissarlo in silenzio, incapace di comprendere quelle domande così improvvise.

Boruto sorrise. “Non lo sa, non è vero?” rispose da solo, godendo nel vedere suo padre abbassare gli occhi a terra per la vergogna. “Lei non sa assolutamente nulla su di me! Non ha la minima idea di quello che ho fatto io nel corso di questi cinque anni, né di cosa mi piaccia, cosa non mi piaccia o altre cose in generale su di me!”

Naruto aprì la bocca per parlare, ma nessun suono uscì dalle sue labbra.

“E sa perché non sa tutte queste cose?” domandò ancora il biondino, il suo tono ironico e crudele. “Perché lei non è mai stato un padre per me! Un padre che non è mai presente per suo figlio non è degno di portare questo nome! Un padre che passa le sue giornate ad occuparsi del bene del Villaggio e non di quello della sua famiglia non è un padre! Un padre che non sa niente, NIENTE, su suo figlio, non è degno di considerarsi un PADRE! ”

Naruto sentì la morsa dell’orrore e della disperazione azzannargli il cuore all’udire quelle parole. I suoi occhi sgranati rimasero puntati sul volto ghignante del suo primogenito.

“Ma lei questo lo sa bene,” riprese a dire il piccolo Uzumaki dopo un attimo di pausa, la sua voce sempre più fredda. “Lo sa talmente tanto che in questi giorni lei ha persino chiesto al Sesto Hokage e ai miei vecchi insegnanti di spiarmi durante le lezioni per scoprire qualcosa su di me! Oppure mi sbaglio, Hokage-sama?”

“Ero solo preoccupato,” tentò di difendersi Naruto, il suo tono basso e sincero. “Volevo soltanto accertarmi che-”

“Lei non è mio padre!” lo interruppe bruscamente Boruto, facendogli trattenere il fiato con quella sua dichiarazione. “Mio padre non avrebbe mai ordinato ai suoi ninja di spiarmi! Mio padre non avrebbe mai permesso al suo lavoro di renderlo costantemente assente dalla vita di suo figlio e del resto della famiglia! Un vero padre non avrebbe mai fatto una cosa del genere!”

Naruto sentì il dolore nel suo cuore farsi sempre più agonizzante a causa delle parole così ricolme di odio e rabbia che Boruto stava rivolgendo contro di lui. Le sue mani presero a tremare leggermente per il terrore e la disperazione che il suo animo stava provando dentro.

Boruto poi sorrise di nuovo. “E lei e sua moglie volevate davvero convincermi a restare in una famiglia simile?” domandò sarcasticamente. “Beh, allora mi perdonerete se io non sono riuscito ad accettare di vivere in una situazione così! Una famiglia del genere farebbe meglio a non esistere per me!”

“Io sono l’Hokage, Boruto,” disse allora Naruto, il suo tono fermo ma carico di dolore. “Hai ragione. Ammetto che la situazione in cui la nostra famiglia si è trovata a causa del mio lavoro deve essere stata dura per te. Ma non c’era altra scelta, lo capisci? Non potevo, non posso lasciare il Villaggio senza una guida!”

L’espressione di Boruto si fece furiosa e disgustata. “E questo motivo dovrebbe andarmi bene? Tutta questa patetica spiegazione sarebbe dovuta bastarmi a farmi accettare quella situazione devastante per un bambino di sette anni? La consapevolezza di ciò avrebbe forse compensato il vuoto e il dolore che il vivere in una famiglia spaccata in questo modo generava in me?”

Boruto si portò ancora più vicino a suo padre, fissandolo negli occhi con freddezza e con puro odio.

“Io non ho mai chiesto di avere un Hokage come padre!” dichiarò, la sua voce gelida che lasciava trapelare tutto il dolore ed il risentimento che il ragazzo provava nel cuore. “Non ho mai voluto tutto questo! Tutto ciò che volevo era una famiglia! Quello era il mio unico sogno, il mio unico obiettivo! Ma lei ed il resto della sua patetica famiglia lo avete calpestato e distrutto con le vostre azioni, senza mai provare a farmi vedere le cose da un punto di vista diverso o tentare di venirmi incontro! Tutto ciò che avete fatto è stato ignorarmi per giorni e giorni, senza curarvi di me e lasciandomi sprofondare nel baratro della depressione e della morte!”

Naruto sentì il suo cuore contorcersi come se fosse stato appena trapassato da un pugnale. Sentì il panico e lo sconforto accarezzargli la mente. Lo sguardo freddo e gelido che suo figlio gli stava rivolgendo gli provocò un dolore ed una vergogna immensi. Non riuscì a resistere oltre, abbassando gli occhi a terra, incapace di reggere lo sguardo di Boruto.

“M-Mi dispiace, Boruto.” disse alla fine, il suo tono affranto. “Ho… Ho fallito. Non volevo causarti tutto questo…”

“Le sue scuse non mi servono,” lo incalzò gelidamente l’altro. “Se vuole davvero dimostrarmi il suo dispiacere, allora mi faccia un favore e mi lasci in pace. Da oggi fino alla fine dei suoi giorni.”

Naruto scosse la testa, affondando la schiena sulla sedia. “N-Non posso farlo, Boruto.” rispose subito dopo con un tono così pieno di tristezza e sconforto che le sue parole sembrarono quasi gemiti di dolore. “Non posso lasciarti andare via. Tu sei mio figlio… Io ti voglio bene… Io e tua madre non possiamo vivere con la consapevolezza che tu ci odi così… Ti prego, Boruto… torna a casa!”

Boruto lo fissò senza il minimo interesse. “Spiacente, ma la cosa è fuori discussione.” riprese a dire senza esitare. “Suo figlio è morto quella notte di cinque anni fa. Io non sono più lo stesso Boruto che lei crede. Adesso ho una nuova vita, e non ho intenzione di lasciarmi tutto alle spalle solamente per venire incontro a voi.”

Naruto sospirò pesantemente, tentando di frenare il magone che rischiava di uscirgli dalle labbra. Non poteva permettere che suo figlio continuasse così. Non poteva. Non ci riusciva. Era suo figlio. Non poteva lasciare la sua famiglia spezzata in quel modo.

“Capisco,” disse allora Naruto, cercando di ricomporsi un po’ e riassumendo un tono più serio e autoritario. “Mi dispiace davvero, Boruto, ma a quanto sembra dovrò davvero prendere dei provvedimenti seri con te. Non volevo arrivare a tanto, ma la tua espressione mi sta dicendo che non ho altre alternative ormai…”

Gli occhi del ragazzino si ridussero immediatamente a due fessure. “Di che sta parlando?” domandò lentamente, il suo sguardo teso e sospettoso come non mai.

“A partire da domani comincerai ad essere visitato da un terapista, Boruto.” disse suo padre, fissandolo con serietà e determinazione. “So che l’idea potrebbe non piacerti, ma se quello che vedo è vero, allora ciò che hai vissuto per causa mia ti ha lasciato una cicatrice che va ben oltre a quella che porti sul petto. Voglio solo fare in modo che tu possa migliorare e superare questo problema che ti ha ferito dentro, figlio mio.”

Ma Boruto smise di ascoltare le sue parole dopo la prima frase. La sua mente che scandagliava le miriadi di conseguenze e di implicazioni di ciò che suo padre aveva appena detto.

Che razza di scherzo di cattivo gusto era questo? Non riusciva a crederci. Un terapista? Che cosa diavolo aveva in mente suo padre? No, anzi! Non gli interessava minimamente la sua opinione. Lui non aveva bisogno di un terapista. Era già stato trattato come un sacco da spazzatura da tutta la sua famiglia in passato, e non avrebbe permesso che adesso lo trattassero come una specie di malato mentale. Come osava quell’uomo anche solo pensare una cosa del genere?

Lui era perfettamente sano!

Con un movimento che sorprese non poco Naruto, il biondino si portò davanti alla scrivania dell’ufficio e sbatté con forza e prepotenza la mano su di essa, crepando il legno a causa della forza usata.

Padre e figlio si fissarono a vicenda, due paia di occhi azzurri freddi e gelidi come il ghiaccio che fulminarono un altro paio di occhi azzurri pieni invece di dolore e sconforto.

“Ho avuto un’infanzia schifosa, e con ciò?” sputò velenosamente il giovane, continuando a fissare con furia il volto dell’Hokage. “Non devo vedere nessun terapista! Io sto bene, e non sono pazzo come lei crede!”

Boruto rimase fermo a fissare con ferocia e ardente disgusto suo padre per diversi secondi appena finì di parlare. Come osava? Come osava quel maledetto e disgustoso mostro fargli una cosa simile? Non gliel’avrebbe permesso! Per nessuna ragione al mondo! Non si sarebbe lasciato manipolare da quell’uomo in questo modo!

“Non sto dicendo che sei pazzo, Boruto.” disse Naruto con calma e lentezza, cercando sempre di non far trapelare il dolore nelle sue parole. “Ma è evidente che hai dei problemi che devono essere affrontati. So che non ti fidi di me, e posso solo dare la colpa a me stesso per questo, ma sto facendo questo perché sono certo che sia la cosa migliore per te.”

Boruto assottigliò gli occhi, il suo volto una maschera di rabbia pura. “Lei mi ha ignorato per cinque anni interi, e adesso viene a dirmi che si preoccupa per me?” ribatté sprezzante.

La rabbia che stava provando in quel momento era così forte che il biondo si rese conto solo vagamente del fatto che avrebbe potuto cominciare a dire qualcosa di troppo. Tuttavia dovette ammettere che fu molto gratificante vedere Naruto abbassare lo sguardo a terra per la vergogna e l'amarezza dopo le sue parole.

Boruto decise che ne aveva avuto abbastanza, voltandosi subito e preparandosi ad uscire dall’ufficio prima che potesse cominciare ad attaccare quell’uomo per la rabbia.

“Aspetta!” lo fermò immediatamente Naruto alzandosi in piedi, la sua voce forte e autoritaria come mai prima d’ora. “Potrai anche non rispettarmi come padre, ma io sono l’Hokage! Sono il tuo capo! E in quanto Shinobi di questo Villaggio sei obbligato ad ascoltarmi! Quello che ti ho detto non era un suggerimento, ma un ordine! Sono stato chiaro?”

Boruto si fermò di botto all’udire quelle parole, il suo corpo che tremolò pericolosamente per la furia che gli scorreva nelle vene. Si voltò di sbieco con la testa verso di lui dopo un secondo, fulminandolo con uno sguardo talmente freddo e pieno d’odio che Naruto non poté evitare di reprimere un brivido.

“Lei osa cadere così in basso nello squallore da decidere persino di usare la sua posizione per fermarmi?” ribatté freddamente Boruto, il suo tono provocatorio e sarcastico. “Beh, non dovrei essere sorpreso in realtà. In fondo, questo è tutto ciò che lei è per me. Lei è il mio Hokage, e niente più!”

Bastarono quelle parole a distruggerlo completamente.

Naruto sentì le lacrime formarsi da sole negli occhi all’udire quelle parole così terribili e sprezzanti uscire dalla bocca di suo figlio. Il suo cuore prese a dolergli fisicamente nel petto. Non riuscì a fare niente appena finì di registrare quella dichiarazione, letteralmente niente, come se di colpo tutta la sua determinazione, la sua grinta, la sua speranza fossero state frantumate dagli occhi e dalle parole di suo figlio.

Boruto si voltò dopo un secondo verso di lui con tutto il corpo, inginocchiandosi a terra con le gambe ed abbassando la testa in basso come facevano gli ANBU, i Jonin e i Chuunin dinanzi all’Hokage.

“Ai suoi ordini, Nanadaime.” disse allora il biondino, il suo tono freddo come il ghiaccio. “Cosa posso fare per lei?”

Naruto esitò, completamente incapace di reagire dinanzi alla palese dimostrazione di sottomissione che suo figlio, suo figlio di dodici anni stava compiendo dinanzi ai suoi occhi. Tutta la sua determinazione sparì di botto nel vedere Boruto inginocchiato davanti a lui come un qualsiasi altro ninja, tutto il suo ardore ed il suo coraggio scemarono nel vederlo così sottomesso, così sprezzante della sua figura di padre tanto da abbassarsi a rispettarlo solo come Hokage.

Le lacrime colarono da sole dal suo volto.

“Coraggio, Hokage-sama,” riprese a dire Boruto sarcasticamente, senza alzare mai la testa da terra. “Mi dia i suoi ordini. Mi ordini di andare da un terapista. Mi ordini di ritornare a casa sua. Mi ordini tutto quello che vuole. Non avrò altra scelta se non quella di ubbidirle. Tutto quello che lei deve fare è ordinarmelo!”

Ma Naruto non lo fece. Non riusciva a farlo. Non poteva farlo. Non poteva abbassarsi a tanto. Non poteva permettere a se stesso, a suo figlio, a tutta la sua famiglia di dividersi ulteriormente a causa della sua posizione di Hokage. Perché lui lo sapeva bene. Lo aveva capito in quel preciso istante. Lo aveva finalmente compreso vedendo suo figlio inginocchiarsi davanti a sé.

Aveva capito che se adesso lui gli avesse ordinato davvero quelle cose, la sua famiglia sarebbe stata per sempre distrutta. E niente al mondo sarebbe più riuscito a rimetterla insieme.

Naruto rimase in silenzio, singhiozzando disperatamente ed abbassando la testa verso terra. Tutto il dolore, la vergogna e la disperazione generati dalla realizzazione delle conseguenze che le sue azioni avevano avuto su suo figlio lo colpirono come un mattone, distruggendogli finalmente l’ultimo barlume di speranza e di autocontrollo, facendolo scoppiare in lacrime dinanzi a Boruto.

Il ragazzino lo fissò di sbieco mentre teneva la testa bassa, il suo volto contornato da un piccolo, bieco sorriso.

“Le auguro una buona giornata, Hokage-sama.” disse semplicemente.

Detto ciò, il biondino si rialzò ed uscì dall’ufficio in silenzio, ignorando i singhiozzi sommessi di suo padre.
 

Boruto prese a camminare per le strade affollate del Villaggio appena uscì fuori dalla torre dell’Hokage. Il suo volto era piuttosto sereno adesso, un piccolo sorriso che gli incurvava all’insù le labbra al pensiero di essere effettivamente riuscito a mettere a tacere e a far desistere il Settimo dalla decisione di vedere un terapista.

“Che vero e proprio idiota…”

Non riusciva a credere che quell’uomo avesse seriamente potuto proporgli una cosa del genere. Specialmente dopo tutto ciò che gli aveva causato con le sue azioni.

Si era completamente dimenticato di lui per cinque lunghi anni in cui l’aveva visto si e no una volta a settimana (se andava bene), e adesso voleva portarlo a fare una seduta psicologica come un malato mentale? Questa era bella.

Tuttavia, adesso che era finalmente riuscito ad uscire da quel maledetto ufficio, il giovane poteva dedicarsi finalmente alla sua nuova vita. Adesso era libero. Era un ninja. Poteva finalmente fare ciò che voleva, senza dover più attendere con quella costante rabbia e ferocia di sempre ogni notte in cui era costretto a ritornare in quella casa con quelle persone. No, adesso non più.

Adesso era finalmente libero di tornare nella sua vera casa con la sua vera famiglia.

“Boruto?”

Il biondo ammiccò diverse volte quando sentì una voce stranamente familiare chiamarlo alle sue spalle. Si voltò lentamente, trovandosi faccia a faccia con due persone che non avrebbe mai pensato di incontrare oggi.

“Sarada, Mitsuki,” li salutò l’Uzumaki, il suo tono pacato e leggermente stupito. “A cosa devo il piacere?”

Sarada lo guardò con un sopracciglio incurvato. “Come sei formale. Certo che sei davvero cambiato rispetto a quando eri piccolo.”

Boruto le lanciò un’occhiata analitica. Lui e Sarada si conoscevano di vista sin da quando erano molto piccoli. L’Uchiha era venuta diverse volte a casa sua – la sua vecchia casa, si corresse - con sua madre per andare a trovare Hinata. A quanto lui sapeva, i loro genitori si conoscevano ed erano amici di lunga data. Ma, nonostante questo, il suo rapporto con Sarada non era mai stato per nulla intimo. Da piccoli si ritenevano antipatici a vicenda, mentre adesso entrambi continuavano a tenere le distanze tra di loro, nonostante nessuno dei due avesse nulla contro l’altro.

Mitsuki invece lo guardò con un sorriso piuttosto inquietante. “Cosa ci fai qui?” gli domandò con un tono gioviale e stranamente allegro.

Il biondo lo guardò con curiosità e falsa cordialità “Potrei fare ad entrambi la stessa domanda…” rispose lui.

“Stavamo andando ad allenarci nei campi d’addestramento,” cominciò allora a spiegare l’Uchiha, il suo tono saccente. “Quando poi Mitsuki ti ha visto da lontano e ha deciso di venire a salutarti. È raro vederti in giro per il Villaggio. Di solito sparisci senza mai farti vedere da nessuno per giorni interi.”

Boruto inarcò un sopracciglio. Era davvero così strano vederlo girare per il Villaggio? Forse doveva seriamente cominciare a riconsiderare la quantità di tempo che spendeva nel negozio di Urahara. Passava tutte le giornate lì ad allenarsi che persino i suoi compagni di classe non potevano che restare stupiti dal vederlo in giro casualmente.

“In effetti passo la maggior parte del tempo con Mikasa e Sora. Di solito non esco mai, ma oggi l’Hokage voleva vedermi. Quindi adesso mi stavo avviando a casa.”

Sarada lo fissò con curiosità. “Tuo padre voleva vederti all’ufficio? Per quale motivo?”

“Niente di rilevante.” si limitò a rispondere, per nulla intenzionato a raccontare all’Uchiha la verità dei fatti.

“Ehi,” cominciò allora a dire Mitsuki, fissandolo coi suoi occhi gialli. “Se non hai nulla da fare, perché non vieni ad allenarti con noi?”

Sarada si voltò di scatto verso l’albino. “EEh?” esclamò, stupita dall’improvvisa uscita dell’amico. Boruto invece inarcò solo un sopracciglio alla domanda.

Mitsuki la guardò di sbieco. “Per te è un problema?” chiese, il suo tono sempre allegro.

Sarada guardò per un istante Boruto, le sue guance più colorate del solito. “N-No, certo che no! Perché dovrebbe?” rispose subito, la sua voce stranamente più acuta del solito.

“Allora, che ne dici?” domandò di nuovo Mitsuki, rivolgendosi di nuovo al biondo.

Boruto ci rifletté per diversi istanti. Non gli sarebbe costato nulla provare ad allenarsi con loro, ragionò nella sua testa. In fondo, che fosse con Sora e Mikasa o con qualcun altro, a lui non importava molto purché potesse allenarsi. Inoltre era una buona occasione per vedere quanto forti fossero quei due. Sarada era la kunoichi più brava della classe assieme a lui, mentre Mitsuki era un tipo misterioso che Boruto era intenzionato a conoscere meglio per qualche strana ragione.

Dopotutto, il biondo era convinto che quel tipo fosse molto più forte di quel che dava a vedere.

“Certo, perché no.” rispose alla fine, alzando le spalle.
 

14 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Campo di Addestramento n.7
11:00

I tre giovani raggiunsero il campo di addestramento dopo una ventina di minuti, solo per venire a scoprire che esso era già occupato da altre tre persone che tutti loro conoscevano bene.

“Wow, sembra che oggi tutti abbiano voglia di allenarsi…” commentò sarcasticamente Sarada, aggiustandosi gli occhiali ed osservando i tre che stavano occupando il campo.

Shikadai, Inojin e Chocho si voltarono verso i nuovi arrivati. “Ehi, Sarada, Mitsuki e… Boruto?! Che sta succedendo qui?” domandò il Nara, osservando il terzo membro del gruppo con uno sguardo allibito e confuso.

Mitsuki si portò vicino a lui, sorridendo come al suo solito. “Eravamo venuti ad allenarci qui e Boruto si è unito a noi. Ma non sapevamo che oggi anche voi tre avreste deciso di allenarvi in questo posto.”

“In effetti è strano,” disse anche Sarada. “Perché non siete andati ad esercitarvi nella Foresta del Clan Nara? Di solito è lì che vi fanno allenare.”

Inojin sospirò. “Hanno chiuso il nostro campo di allenamento oggi senza preavviso per dei lavori di manutenzione,” spiegò con un tono annoiato. “E quindi siamo venuti qui.”

Boruto guardò i tre con uno sguardo confuso. “Voi tre vi allenate sempre insieme?” chiese loro.

Chocho annuì, sgranocchiando delle patatine sbucate fuori dal nulla. “Già. Noi tre sappiamo già che finiremo nello stesso team da domani. Sono anni che i nostri genitori ci allenano per farci migliorare nel lavoro di squadra.”

Boruto annuì. “Ti riferisci al famoso trio Ino-Shika-Cho?” domandò con un tono serio.

“Già, che seccatura…” confermò Shikadai, grattandosi la testa con un tono seccato. “I nostri genitori ci tengono molto, e non se la prenderebbero bene se battessimo troppo la fiacca. Quindi abbiamo approfittato del giorno libero di oggi per allenarci di nuovo prima di diventare ufficialmente un team.”

Mitsuki rifletté per un istante, poi si voltò verso Sarada e Boruto. “Che ne dite se facciamo una sfida tre contro tre?” propose all’improvviso. Tutti gli altri lo fissarono con delle espressioni stupite.

“Vuoi dire noi tre contro di loro?” domandò Sarada, confusa.

Inojin sorrise in maniera confidente. “In effetti così potremmo prendere due piccioni con una fava,” disse. “Noi tre potremmo collaborare insieme contro di voi migliorando così il nostro lavoro di squadra, mentre voi fareste lo stesso l’allenamento che volevate.”

Sarada ci pensò un istante. L’idea di fare una sfida tre contro tre non era per niente male. E così avrebbe persino avuto la possibilità di sfidare il trio così tanto famoso all’Accademia. E avrebbe anche avuto l’allettante possibilità di collaborare per la prima volta in un combattimento insieme con Boruto. Non poteva perdere quest’occasione. “Per me va bene. Boruto?”

Il biondo sorrise. “Per me non ci sono problemi,” rispose subito, fissando i tre avversari con uno sguardo trepidante. “Sfidare il futuro trio Ino-Shika-Cho è sicuramente un’occasione da non lasciarsi sfuggire. Ci sto.”

Con un cenno del capo reciproco, la sfida iniziò.
 

I sei sfidanti si fronteggiarono testa a testa portandosi in mezzo al prato verde del campo di addestramento, i loro sguardi puntati verso i propri avversari con determinazione e decisione. Il trio Ino-Shika-Cho assunse immediatamente la formazione standard da battaglia, con Shikadai che si portò dietro agli atri due, Inojin che tirò fuori un grosso rotolo ed un pennello intriso d’inchiostro violaceo e Chocho che fece schioccare le ossa in trepidazione.

Boruto, Sarada e Mitsuki invece si portarono uno di fianco all’altro, scambiandosi un’occhiata prima di partire all’attacco.

“Che piano vogliamo attuare?” domandò Boruto agli altri due, i suoi occhi puntati agli avversari a qualche decina di metri da loro.

Sarada si aggiustò gli occhiali con un dito. “Credo che ci convenga studiare prima i loro punti di forza e di debolezza,” disse con un tono serio e conciso. “Sarebbe inutile attaccare da subito senza una strategia.”

Mitsuki annuì. “Come facciamo?”

“Io posso fornirvi supporto da lontano mediante le mie tecniche,” disse Boruto, senza mai perdere d’occhio i suoi avversari come Urahara gli aveva detto sempre di fare. “E me la cavo discretamente anche nel corpo a corpo. Voi due sareste in grado di attaccarli da vicino senza esporvi troppo?”

Mitsuki annuì con un sorriso. “Io posso farlo senza problemi.” rispose subito.

Sarada sorrise con confidenza. “Anche io posso cavarmele senza troppi problemi,” dichiarò dopo un secondo. “Posso anticipare molti attacchi grazie ai miei occhi.”

Boruto la fissò di sbieco. “I tuoi occhi?” ripeté.

Sarada lo guardò con un sorriso confidente, attivando il Dojutsu (Arte Oculare)del suo clan. Infondendo chakra nelle sue retine infatti, i suoi occhi passarono immediatamente da un colore nero come la pece ad un rosso fiammeggiante, al cui centro dell’iride si trovava una specie di cerchio nero con un piccolo tomoe per ogni occhio.

Boruto guardò con fascinazione e meraviglia gli occhi della ragazza, il suo sguardo allibito.

“Capisco,” realizzò mentalmente tra sé. “Quella deve essere l’Arte Oculare tanto famosa del Clan Uchiha! Lo Sharingan!”

“Con questi occhi posso prevedere molti attacchi e copiare diversi jutsu semplicemente guardando i sigilli delle mani,” spiegò a bassa voce Sarada, rivolgendosi a lui. “E posso anche castare piccoli Genjutsu mediante contatto visivo con l’avversario. Mitsuki mi ha già visto usare molte volte lo Sharingan, perciò io e lui possiamo attaccare frontalmente mentre tu ci fornirai supporto da lontano!”

Boruto esitò soltanto un secondo per assimilare le informazioni, poi annuì e tornò a focalizzare la sua attenzione sugli avversari. “Molto bene. Procediamo.”

Detto ciò, Sarada e Mitsuki scattarono in avanti. Saltarono all’aria appena un secondo dopo che una specie di ombra serpeggiante scattasse verso di loro dal terreno che partiva ai piedi di Shikadai. Poi i due formularono diversi sigilli con le mani mentre erano ancora in aria, esalando allo stesso tempo rispettivamente una sfera di fuoco rosso ed una d’acqua trasparente addosso al mittente della tecnica d’ombra.

Shikadai si levò subito dal raggio d’azione delle tecniche, evitando gli attacchi con un balzo. Chocho si portò un secondo dopo contro i due ragazzi che erano all’aria, la sua mano che aumentava di dimensioni di secondo in secondo.

“Bubun Baika no jutsu!” (Tecnica dell’Espansione Parziale) esclamò l’Akimichi, scuotendo la grossa mano verso di loro.

Mitsuki allungò una delle proprie braccia fino ad afferrare Sarada, mentre usò l’altro per afferrare un albero e portarsi lontano dal raggio della mano di Chocho assieme all’Uchiha.

Gli occhi di Boruto si mossero ad osservare gli avversari da lontano, cercando un’opportunità per unirsi alla battaglia. Vide Inojin che era intento a scrivere sul proprio rotolo col pennello, le sue mani che si muovevano abilmente. Boruto inalò dal naso e gli sparò dalla bocca un proiettile d’aria compressa.

Inojin lo evitò appena in tempo, mentre il proiettile d’aria continuò la sua traiettoria e colpì un albero alle sue spalle. Boruto continuò a sparare una raffica di proiettili di vento sul biondo, cercando di impedirgli di disegnare sul suo rotolo. Con la coda dell’occhio poi, il giovane Uzuamki guardò di nuovo verso Mitsuki e Sarada.

“Chocho!” udì gridare Shikadai nello stesso istante. La ragazza formulò diversi sigilli per poi sbattere un palmo sul suolo, generando un muro di terra che s’innalzò davanti a Inojin e lo difese dalla tecnica di Boruto. L’ultimo proiettile d’aria si schiantò addosso al muro un secondo dopo, senza neanche scalfirlo.

Da dietro il muro poi balzarono fuori due leoni fatti interamente d’inchiostro, ruggendo e graffiando il suolo coi loro artigli. Videro Boruto e gli caricarono addosso subito, le loro fauci spalancate. Boruto vide nello stesso istante Sarada smettere di attaccare Chocho e scattare verso di lui per soccorrerlo.

Scosse la testa per segnalarle che poteva gestire la situazione da solo, formulando una serie di sigilli con le mani. Poi sputò dalle labbra un getto sottile e perforante di vento gelido con uno scatto della testa, il quale colpì con precisione i due leoni e li dissolse nel nulla, riducendoli a mere macchie d’inchiostro. Poi, annullando la tecnica, Boruto evocò un solo shuriken con una mano, infondendolo di elettricità.

Altri leoni balzarono fuori da dietro il muro dopo appena un secondo, i quali presero a dirigersi verso Mitsuki con un ruggito. Boruto lanciò lo shuriken elettrico verso il muro con potenza e precisione, forandolo grazie al chakra di elettricità bluastra che gli ronzava attorno. Fu ricompensato da un urlo sommesso di stupore da parte di Inojin che fu quasi colpito dall’attacco a sorpresa.

Boruto si voltò di nuovo verso i suoi compagni di squadra, osservandoli con serietà e uno sguardo calcolatore. Sarada e Mitsuki lavoravano molto bene insieme, dovette ammettere il biondo. Si completavano a vicenda, in un certo senso. Entrambi attaccavano e creavano diversivi in contemporanea, guardandosi le spalle a vicenda ed aiutandosi nel corpo a corpo contro Chocho.

“Kage Mane no jutsu!” (Tecnica del Controllo dell’Ombra) sentì dire Shikadai alle sue spalle. Fece per voltarsi di scatto, ma si rese conto dopo un solo istante che non ne era capace. I suoi occhi si sgranarono appena realizzò di essere stato messo in trappola. Shikadai gli aveva inviato contro un filamento di ombra attraverso le ombre degli alberi alle sue spalle, riuscendo a coglierlo di sorpresa e ad immobilizzarlo.

Guardò con un senso di tensione crescente la figura di Inojin scattare verso di lui con un ghigno stampato in volto, la sua mano destra serrata in un pugno e caricata contro di lui.

“Boruto!” esclamò Mitsuki, scattando all’istante verso di lui appena si rese conto del pericolo. Con un movimento rapido, l’albino sferrò in avanti il suo braccio destro, allungandolo e colpendo in pieno con un pugno in faccia Inojin, che non si aspettava una simile reazione da parte sua. Il giovane Yamanaka crollò a terra con un gemito, mentre Boruto sorrise con soddisfazione.

Ma il suo sorriso durò solo un istante, perché dopo un secondo Chocho scattò verso di lui da destra e lo colpì in pieno con un pugno dalle dimensioni di un armadio, centrandolo in pieno. Boruto sgranò gli occhi. Mitsuki e Sarada osservarono la scena allibiti.

PUFF!

Tutto il corpo di Boruto scomparve in una nuvola di fumo appena la mano gigante dell’Akimichi lo centrò in pieno, facendole perdere l’equilibrio e cadere a terra subito dopo.

“Chocho!” esclamò Shikadai, scattando verso di lei per aiutarla a rimettersi in piedi. “Presto, rialzati! Non abbiamo tempo-”

Ma il Nara non ebbe il tempo di dire nulla che subito Boruto comparve dal nulla dal suolo sotto di lui, la sua mano destra puntata in avanti verso la sua faccia per colpirlo. Shikadai imprecò e lo evitò di striscio per un rapido colpo di riflessi, ma Boruto non si lasciò scoraggiare e lo inseguì con un solo scatto in avanti, evocando un kunai e sferrandogli un affondo di lato. Shikadai lo parò evocando a sua volta un kunai, e i due ragazzi presero a scambiarsi per un paio di secondi dei colpi di lame a vicenda, generando scatti metallici ad ogni loro scontro.

Chocho nel frattempo si era rimessa in piedi e tentò subito di soccorrere il suo compagno, ma Sarada le comparve dietro all’istante con un balzo, sferrandole un pugno con una potenza incredibile per la sua età. La ragazza riuscì in tempo a portarsi le braccia in avanti per difendersi, ma la potenza del colpo si fece comunque sentire, scagliandola a terra con un gemito acuto.

Inojin invece tentò invano di evocare una seconda ondata di leoni con la sua tecnica di disegno, ma Mitsuki si portò vicino a lui con una velocità disarmante e muovendosi all’aria come un serpente, sferrandogli un calcio in pieno petto che lo scagliò indietro. L’albino poi si voltò verso Boruto, osservando con interesse il suo scambio di colpi con Shikadai.

I due giovani continuarono a tentare di colpirsi a vicenda coi kunai, ma Boruto in quel momento si stava trattenendo non poco. I suoi innumerevoli allenamenti con Urahara nel kenjutsu lo avevano reso in grado di prevedere con largo anticipo ogni singolo colpo del Nara, e Boruto riuscì ad evitare ogni affondo e ogni attacco con facilità.

Poi, quando il suo avversario si fu stancato, il biondo decise di finirla una buona volta, schiaffando via dalla mano di Shikadai il kunai con un colpo secco e preciso e sferrandoli un palmo sulla faccia. Il ragazzo gemette di dolore, ma non ebbe il tempo di fare nulla che subito un calcio laterale dalla potenza decisamente inaspettata lo centrò sulla spalla sinistra, scagliandolo a terra con forza.

Shikadai fece per rialzarsi appena riacquistò i sensi, solo per trovarsi però con il kunai di Boruto puntato davanti alla faccia, l’espressione del biondino sorridente in maniera confidente e trionfante.

“Che seccatura…” sospirò il Nara. Quel biondino si muoveva così in fretta che la sua tecnica d’ombra non sarebbe riuscita a fermarlo in tempo. “Abbiamo perso.” dichiarò lentamente.

Chocho si rialzò lentamente da terra, sospirando con un tono dolorante. “Sarada! Potevi trattenerti un po’ con quel pugno!” gemette lei.

Sarada ridacchiò, grattandosi un braccio. “Ma l’ho fatto…”

Inojin si sedette a terra, alzando all’aria la testa con un movimento irritato. “Come abbiamo fatto a farci sconfiggere così facilmente? Sono decine e decine di volte che noi tre ci alleniamo tutti insieme!”

Boruto osservò l’espressione di Shikadai farsi più seria e analitica. “La loro strategia è stata rapida ed efficace.” cominciò a dire ai suoi due compagni. “Inojin, tu sei stato immediatamente bloccato da Boruto e per questo non sei riuscito a supportarci con i tuoi disegni. Senza quella parte della formazione, io e Chocho siamo rimasti completamente senza difesa. Sarada e Mitsuki hanno poi approfittato della nostra debolezza a loro vantaggio. Sarada ha usato il suo Sharingan per prevedere le mosse di Chocho per tutta la sfida, mentre io non sono riuscito a bloccare prima Mitsuki con la mia ombra a causa della sua rapidità. Inoltre…”

Lo sguardo del Nara si posò sull’Uzumaki.

“Boruto era un fattore sconosciuto all’equazione. Avremmo dovuto testarlo, scoprire i suoi punti di forza e di debolezza, prima di decidere di attaccare lui per primo con le ombre. Con Sarada e Mitsuki avremmo potuto persino riuscire ad avere la meglio, visto che conosciamo i loro stili di lotta. Se ci fossimo concentrati prima su di loro piuttosto che su Boruto, noi tre avremmo potuto vincere.”

Inojin sospirò pesantemente. “Proprio come dice sempre mia madre…” mormorò a bassa voce. “Il Team Ino-Shika-Cho si basa sul lavoro di squadra. Quando loro tre sono riusciti a bloccarmi fuori dalla formazione, il nostro piano è stato distrutto.”

Chocho annuì, la sua espressione seccata.

Mitsuki li guardò con un sorriso. “Però è stato divertente, non trovate?” domandò con un tono sincero e stranamente allegro.

“Comunque sia, voi tre siete stati eccezionali!” esclamò immediatamente dopo Chocho, guardando i tre giovani con un sorriso saccente. “Il vostro lavoro di squadra è stato davvero incredibile nonostante questa fosse la prima volta che combattevate assieme!”

Sarada guardò la ragazza con un’espressione colpita. “T-Tu dici?”

Shikadai annuì, guardandoli con un tono esasperato. “Avete coperto bene le vostre debolezze tenendovi sempre a distanza da noi. Inoltre ognuno di voi è sempre stato pronto a soccorrere un compagno nel caso fosse finito nei guai. Non credo che sia male come inizio.”

“Credo che voi tre potreste formare un team davvero efficiente.” disse anche Inojin, sorridendo appena con le labbra.

I tre ragazzi rimasero piuttosto confusi e colpiti da quelle parole. Era davvero così che la pensavano gli altri? Il loro lavoro di squadra era davvero stato così efficiente come dicevano?

“A me non dispiacerebbe finire in squadra con voi!” disse alla fine Mitsuki, guardando Sarada e Boruto con un sorriso. Anche se in realtà il suo sguardo era puntato principalmente sul biondino.

Sarada li guardò con i suoi occhi neri. “Chi lo sa…” si limitò a dire. “Per me chiunque va bene, basta che non sia un peso per la mia squadra.”

La ragazza si rese conto solo parzialmente delle occhiate furtive che stava rivolgendo al biondino accanto a sé.

“Però…” riprese a dire con un tono incerto, fissando Boruto di sbieco. “Non posso negare che lavorare con voi oggi mi sia dispiaciuto. Forse potrebbe funzionare…”

Boruto invece rimase sempre in silenzio senza dire la sua opinione, i suoi occhi privi di emozione che scrutavano con attenzione gli altri due compagni di lotta.

Mitsuki lo guardò con un’aria interrogativa. “Tu che ne pensi, Boruto?” gli domandò allora, vedendo il suo silenzio.

Il biondino lo guardò di sbieco, riflettendo sulla domanda.

La sua riposta gli era già chiara nella sua mente. Lui non avrebbe accettato per nessun motivo al mondo di finire in una squadra senza Sora e Mikasa, e su questo per lui non c’erano dubbi. Non era perché avesse qualcosa di particolare contro gli altri compagni della sua classe, ma perché lui aveva scelto di diventare uno Shinobi per proteggere la sua nuova famiglia. E, per farlo, avrebbe dovuto restare sempre al fianco di quei due.

I suoi occhi continuarono a scrutare Sarada e Mitsuki con uno sguardo calcolatore. Non aveva nulla contro di loro, ma l’idea di finire in un team con quelle persone non lo incitava parecchio. Certo, doveva ammettere che il loro lavoro di squadra precedente era stato molto efficace contro il trio Ino-Shika-Cho, ma questo non bastava a formare una vera squadra. La cosa che contava di più per lui era il rapporto e la fiducia reciproca che ogni membro di un team aveva nei confronti dei suoi compagni.

E Boruto era certo di non fidarsi di nessun’altra persona che non fossero Mikasa e Sora. La loro compatibilità era indiscutibilmente assoluta.

Anche Sarada Uchiha era indiscutibilmente abile e dotata, ma lui non la conosceva di certo abbastanza da poter dire di fidarsi di lei. L’Uchiha, sin da quando l’aveva conosciuta, era sempre stata seria e determinata su qualcosa, e si era sempre tenuta a distanza da tutti. La sua forza e la sua intelligenza erano innegabili, ma a volte il suo atteggiamento di superiorità e sufficienza finiva per essere piuttosto irritante. Inoltre, oggi Boruto aveva contato almeno una decina di volte in cui lei gli aveva rivolto di nascosto delle occhiate strane ed indecifrabili, quasi come se stesse cercando di scoprire qualcosa su di lui. Questa cosa, anche se non voleva ammetterlo ad alta voce, lo aveva messo in guardia un paio di volte.

Dopotutto, quei suoi occhi rossi non lo rassicuravano per niente.

Mitsuki invece era un caso a parte. Quell’albino era forte, decisamente forte. Boruto lo aveva capito già durante gli allenamenti che si svolgevano all’Accademia. I movimenti di Mitsuki erano precisi, rapidi e privi di esitazione. Si muoveva con una versatilità ed un’agilità impareggiabili persino per lui, e conosceva molte tecniche e abilità che Boruto non aveva mai visto in nessun altro studente. Era quasi come se quel ragazzino fosse abituato sin da sempre a combattere. E la cosa era sospetta agli occhi di Boruto.

Tutto ciò che lui sapeva su Mitsuki era che si era trasferito dal Villaggio della Nebbia per un motivo sconosciuto, e che la sua abilità nella lotta era una delle migliori che la sua classe avesse mai visto. Inoltre, a quanto pareva, lui e Anko-sensei erano capaci di evocare e comandare orde di serpenti col solo pensiero, una cosa che a Boruto ricordava in maniera molto sospetta i discorsi che Urahara gli aveva fatto una volta su un certo Sannin che aveva una fissazione per l’immortalità.

E poi, come ciliegina sulla torta, Boruto non poteva fare a meno di sentirsi in soggezione ogni volta che si trovava in prossimità di Mitsuki. Quell’albino era sempre disponibile e gentile con lui. TROPPO gentile e disponibile. Mitsuki seguiva ogni cosa che lui diceva con un’attenzione morbosa e quasi esagerata, ed era sempre pronto a seguire Boruto alla prima occasione che gli si poneva davanti, proprio come oggi. Quasi come se volesse in qualche modo stare vicino a lui per un qualche misterioso motivo.

E questo era molto, molto sospetto.

“Non credo che noi tre potremo finire nello stesso team.” rispose alla fine Boruto, risollevandosi da quei pensieri nella sua testa. “Siamo troppo diversi per riuscire a lavorare efficientemente in squadra. La compatibilità non si basa solo sul lavoro di squadra.”

Sarada e Mitsuki lo guardarono con delle espressioni stupite.

“Sia come sia,” continuò poi il biondino, senza dare loro tempo per parlare. “Alla fine saranno gli insegnanti a decidere. E io sono già a conoscenza della disposizione della mia squadra.”

Sarada lo guardò con i suoi occhi neri carichi di confusione e stupore. “Lo sai già?” esclamò, incredula. “Come fai a saperlo?”

Boruto si limitò a guardare di sbieco lei e tutti gli altri, la sua espressione indecifrabile. “Diciamo che non ho dubbi sulla mia scelta.” disse solamente.

Poi, appena finì di dire queste cose, il biondino incominciò ad andarsene senza voltarsi verso gli altri cinque.

“Adesso devo andare,” disse loro, alzando una mano in segno di saluto e continuando ad avanzare. “Grazie dell’allenamento. È stato piuttosto divertente combattere assieme a voi. Ci vediamo.”

Detto ciò, il biondino svanì tra le ombre degli alberi senza un solo rumore.

Chocho ammiccò. “Certo che quel tipo è davvero strano…”

Shikadai si grattò la testa. “E pensare che un tempo era così solare ed allegro,” disse con un tono confuso. “Certo che il tempo cambia le persone in maniera davvero inaspettata.”

Mitsuki continuò a fissare il punto in cui era svanito Boruto. “Non il tempo,” disse alla fine, la sua voce seria più che mai. “Le esperienze cambiano le persone.”

Tutti gli altri si voltarono verso di lui.

“Che vuoi dire?” domandò Sarada.

Mitsuki si limitò a scuotere la testa.
 

14 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Negozio di Urahara
16:00

“Dov’eri finito?” lo incalzò Mikasa appena lo vide entrare nella sala degli allenamenti, la sua voce seria e concisa.

Boruto si limitò ad alzare le spalle. “Ad allenarmi.”

Sora si portò accanto a loro dopo un secondo. “Com’è andata dall’Hokage?” domandò poi con un tono serio e teso. “Ci sono stati problemi?”

Boruto scosse la testa, offrendo ai suoi amici un sorriso sincero. “Niente di preoccupante,” ripose con confidenza. “Quell’idiota del Settimo ha provato solo a costringermi a fare ciò che lui voleva, ma alla fine sono riuscito ad impedirglielo e a farlo ammutolire. Non preoccupatevi.”

Mikasa lo squadrò con uno sguardo sospettoso e teso per diversi secondi, poi però si rilassò e sorrise appena con le labbra. “Meglio così…” si limitò a dire.

Boruto annuì, riprendendo a sua volta a sorridere con confidenza. “Coraggio dunque!” dichiarò con foga e ardente decisione. “Non perdiamo tempo e continuiamo ad allenarci! Da domani, noi tre formeremo per sempre una vera squadra di ninja!”

Mikasa e Sora annuirono, trepidanti e felici all'idea di poter finalmente restare insieme come una vera squadra e una vera famiglia. Quello che avrebbero fatto l'indomani sarebbe stato il loro primo passo verso un nuovo futuro. Un futuro pieno di incertezze e pericoli.

E i tre ragazzini non potevano permettersi di restare impreparati per affrontarlo.
 

NUOVO TEAM

15 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Accademia Ninja
09:00

Boruto, Mikasa e Sora si allinearono uno affianco all’altro in posizione di attesa, imitati anche da tutti gli altri studenti della loro classe.

Dinanzi a loro, il maestro Shino si ergeva con serietà e fermezza, fissando i suoi allievi con uno sguardo orgoglioso e determinato. Dietro di lui, diversi Jonin di tutte le età si trovavano posizionati con le spalle al muro, ognuno di loro in attesa di scoprire i membri della loro futura squadra proprio come i ragazzi davanti a loro.

Tutti erano nervosi e tesi, ed ognuno degli studenti sentiva la trepidazione e il nervosismo salire di secondo in secondo.

“Prima di comunicarvi la disposizione delle squadre vorrei dirvi una cosa,” cominciò a dire Shino, la sua voce sempre monotona e seria. “Avete superato l’Esame di diploma, ma quello non era altro che un punto di passaggio. Tutti voi non avete ancora terminato il vostro percorso per diventare degli Shinobi, non dimenticatevelo. Da oggi in poi, dovrete fare affidamento sul vostro nuovo sensei per riuscire a migliorare e crescere. Sono stato chiaro?”

“Sì!” risposero all’unisono tutti i ragazzi.

Shino annuì. “Come tutti sapete,” riprese poi a dire di nuovo. “Un team è un’unità composta da tre persone selezionate per svolgere insieme delle missioni. Ma il concetto non si ferma soltanto a questo. Una squadra a tre indica dei compagni a cui si può affidare la propria vita. Perché? Perché nelle vostre future missioni il lavoro di squadra e la fiducia tra compagni possono fare la differenza tra la vita e la morte.”

Boruto e tutti gli altri annuirono.

“In questo momento,” continuò il maestro. “Tutti voi vi trovate sulla soglia di quella che sarà d’ora in avanti la vostra vita come ninja. Non dimenticatevelo.”

Poi, appena finì di pronunciare quel discorso, Shino tirò fuori dal nulla un rotolo sigillato con lo stampo dell’Hokage marchiato sopra di esso. Poi lo srotolò ed incominciò a leggerlo.

“Queste sono le combinazioni delle squadre. Appena finirò di elencare i membri di un team, tutti quelli che saranno stati chiamati si rechino nell’altra aula assieme ai loro maestri. Tutto chiaro?”

Gli studenti s’irrigidirono. “Sì!”

Shino li fissò con serietà e decisione, cominciando poi ad elencare ogni singolo studente.

“Denki Kaminarimon, Metal Lee, Iwabe Yuino. Voi tre sarete il Team 5.”

I tre ragazzi in questione sorrisero ampiamente, uscendo dalla sala e preparandosi ad incontrare il loro sensei.

“Wasabi Izuno, Namida Suzumeno, Houki Taketori. Voi tre sarete il Team 15.”

E così, l’elenco si protrasse per altri dieci minuti buoni, fino a quando il numero degli studenti rimasti si ridusse drasticamente. Boruto e i suoi amici continuarono a lanciarsi delle occhiate nervose tra di loro, sperando ognuno in cuor proprio di finire nello stesso Team.

“Chocho Akimichi, Inojin Yamanaka, Shikadai Nara. Voi tre sarete il Team 10.”

I tre ragazzi sospirarono, uscendo dalla stanza con i loro volti annoiati.

“Che sorpresa…”

Poi, il maestro Shino prese a fissare gli ultimi sei studenti rimasti nella classe, il suo sguardo serio e penetrante.

“Adesso, le ultime due squadre saranno queste,” dichiarò l’Aburame, i suoi occhi nascosti dalla maschera fissi sul rotolo nelle sue mani.

Tutti quanti sentirono la tensione salire alle stelle. Questo era il momento che tutti stavano aspettando.

“Ti prego!” disse mentalmente Boruto, rivolgendosi a qualsiasi divinità potesse esistere. “Ti prego!”

“Sora Hikari, Mikasa Ackerman, Sumire Kakei,” disse Shino-sensei con serietà. “Voi sarete il Team 3.”

Boruto, Mikasa e Sora rimasero di sasso all’udire ciò.

“Invece,” continuò a dire il maestro. “Sarada Uchiha, Boruto Uzumaki e Mitsuki formeranno l’ultima squadra di quest’anno: il Team 7.”

Il silenzio assoluto fu l’unica risposta che Shino ricevette appena finì di leggere le combinazioni. Nessuno dei presenti si mosse per diversi secondi. Nessuno osò aprire bocca per un lasso di tempo indefinito.

Finché, alla fine, Mitsuki si voltò verso il suo compagno di squadra con un sorriso. “A quanto sembra siamo davvero finiti in squadra insieme.” disse con la sua voce allegra di sempre. “Non è fantastico, Boruto?”

Ma il biondino non rispose, continuando a fissare con gli occhi sgranati la figura di Shino-sensei.

Finché, alla fine, tutta la rabbia che aveva dentro esplose all’improvviso.

“No!” dichiarò con decisione, riscuotendo tutti dal silenzio.

Shino e gli altri si voltarono subito verso la persona che aveva pronunciato quella parola con così forza da aver fatto riecheggiare la sua voce per tutta l’aula deserta, le loro espressioni confuse.

“Mi rifiuto di accettarlo!” continuò a dire Boruto, fissando il maestro con feroce determinazione. “Non accetterò di entrare in questo Team!”

Mitsuki, Sarada e Shino rimasero allibiti. “Che cosa?” esclamò il maestro, confuso da quell’atteggiamento così inaspettato del biondo.

“Non accetto di entrare nel Team 7,” ripeté Boruto, la sua voce e la sua faccia serie e prive di esitazione. “Sensei, richiedo ufficialmente di entrare in squadra con Mikasa e Sora. Non accetterò di essere combaciato con nessun altro!”

L’Aburame sgranò gli occhi sotto la maschera all’udire ciò. “Boruto, cosa stai dicendo?”

“Anche noi richiediamo la stessa cosa!” fece anche Mikasa dopo di lui, fissando assieme a Sora il maestro con i volti pieni di determinazione. “Richiediamo che Sumire sia sostituita con Boruto, e non abbiamo alcuna intenzione di cedere!”

La Rappresentante si voltò verso i suoi compagni, confusa e stupida da quelle loro parole. “M-Ma perché?” domandò lentamente, incapace di comprendere.

Sora si voltò verso la ragazza dai capelli viola. “Non te la prendere, Rappresentante,” cominciò a dire, la sua voce più seria del solito. “Noi non abbiamo nulla contro di te. Ma non abbiamo intenzione di finire in squadra con nessun altro che non sia Boruto!”

Sumire e gli altri lo fissarono a bocca aperta, scioccati. Tuttavia, prima che qualcuno potesse controbattere, anche Boruto decise di chiarire le cose.

“Anche per me vele lo stesso!” disse con fermezza, voltandosi verso i suoi compagni ufficiali. “Sarada, Mitsuki, io non ho nulla contro di voi. Ma non permetterò a nessuno di separarmi da Mikasa e Sora. Non posso restare in squadra con voi. Mi dispiace.”

I due lo guardarono con gli occhi sgranati. “Ma perché?” domandò Sarada. “Perché siete così intenzionati a restare insieme? Perché non vuoi restare in squadra con noi, Boruto?”

Boruto la fissò con determinazione. “Perché loro due sono le uniche persone di cui io possa fidarmi e a cui voglio bene.”

Mitsuki e Sarada sgranarono gli occhi.

“Boruto, non essere impulsivo.” lo richiamò Shino-sensei dopo un secondo. “Tu sei stato personalmente selezionato per entrare in questa squadra. Il Team 7 è da sempre stato costituito dagli studenti più eccellenti dell’Accademia. Lo stesso Sesto Hokage, così come anche tuo padre e i genitori di Sarada, fecero tutti parte di questo Team.”

Boruto si voltò verso di lui, fissandolo con i suoi occhi freddi.

Shino continuò a parlare. “Boruto, tu sei lo studente più bravo della classe. Assieme a te, Sarada e Mitsuki sono dei ragazzi che eccellono in ogni campo della lotta e del Ninjutsu. Proprio per questo motivo voi tre siete stati scelti per portare avanti il Team 7. Non puoi semplicemente chiedere di essere trasferito con così tanta leggerezza.”

Gli occhi del biondino si assottigliarono. “A me non interessa del passato e della storia del Team 7.” disse lentamente. “Io sto semplicemente dicendo che voglio entrare in squadra con le uniche persone con cui posso collaborare.”

Poi, tirando fuori uno shuriken dal nulla, Boruto lo lanciò con precisione addosso a Shino-sensei, il quale lo afferrò con le dita senza sforzo.

“Che modi sono questi, Boruto?” domandò l’Aburame con un tono serio.

Boruto non si lasciò intimorire. “Una squadra a tre indica dei compagni a cui si può affidare la propria vita, giusto? In questo caso, occorre un buon bilanciamento e una sintonia eccellente tra i membri della squadra! Ad esempio, gli shuriken volano dritti solo se hanno un buon bilanciamento!”

Poi, il biondo evocò un secondo shuriken con una mano, lanciandolo a caso all’aria. L’arma roteò verso il maestro Shino per un paio di secondi, prima di perdere l’equilibrio e cambiare traiettoria da solo, conficcandosi a terra senza aver colpito il bersaglio.

“Ma, come ha appena visto, uno shuriken sbilanciato non potrà mai procedere verso il bersaglio,” continuò a dire Boruto subito dopo. “La stessa cosa vale per le squadre a tre! Io riconosco il talento e le abilità di Sarada e Mitsuki, ma se si parla di affinità allora il discorso cambia completamente!”

Mitsuki lo guardò con un sopracciglio incurvato. “Eppure, ieri quando ci siamo allenati insieme abbiamo collaborato efficacemente tutti e tre. Non è forse una buona affinità questa?”

Boruto scosse la testa. “Un buon team non si basa soltanto sul lavoro di squadra,” rispose con un tono serio, rivolgendosi a tutti. “Ma sulla fiducia e l’unione dei propri membri. Io non ho nulla contro voi due, ma le uniche persone di cui mi fido e a cui affiderei la mia vita sono Mikasa e Sora. Nessun altro.”

“E lo stesso vale per noi due,” dichiarò anche Mikasa. “Io e Sora accetteremo di entrare in squadra solo e soltanto con Boruto.”

Sumire li guardò con confusione. “Ma… allora cosa vorreste fare?”

Sora puntò un dito verso di lei. “Scambiare te con lui,” rispose semplicemente il moro. “Non è così difficile. Basta che tu prenda il suo posto nel Team 7 e lui il tuo nel nostro. Per te sarebbe un problema?”

La Rappresentante scosse la testa lentamente, i suoi occhi che si muovevano a fissare Boruto e gli altri. “N-No. Per me non cambia molto…”

“Allora non vedo dove sia il problema!” disse Boruto con decisione, rivolgendosi al maestro. “Le basterà scambiare i nostri nomi e tutto si sarà risolto. Non crede anche lei, Shino-sensei?”

L’Aburame lo squadrò con gli occhi. “Quindi, se ho capito bene, tu vuoi stare in squadra solo con le persone che ti sono più gradite? Mi sembra una decisione impulsiva da parte tua.”

Boruto scosse la testa. “Sbagliato.” rispose. “Voglio restare in squadra solo con le uniche persone a cui possa affidare volentieri la mia vita! Non sto agendo d’impulso, ma bensì sto cercando di convincerla a non farmi rifiutare l’incarico di ninja che lei stesso mi ha conferito due giorni fa! Io ho deciso di diventare ninja per proteggere le mie persone care. Non posso farlo senza un team di persone che possa aiutarmi a raggiungere il mio obiettivo.”

Shino e Boruto si fissarono negli occhi per diversi instanti senza proferire parola. Nell’aula, l’aria si fece tesa e pesante per diversi secondi.

Finché, alla fine, l’Aburame abbassò la testa e sospirò. “Molto bene,” disse lentamente. “Se voi tre ne siete davvero convinti, allora venite con me.”
 

Venti minuti dopo, nella sala professori dell’Accademia, Shino finì di scrivere con un moto rapido sopra un rotolo di carta rossa, avvolgendolo una volta finita la stesura e consegnandolo a Boruto, Mikasa e Sora che stavano dietro di lui intenti ad osservarlo.

Boruto lo prese in mano. “Che cos’è?” domandò con un tono confuso.

Shino lo fissò con serietà. “Una concessione straordinaria,” rispose. “Ho deciso di acconsentire alla vostra richiesta solo per un motivo. Perché? Perché voi tre mi avete mostrato in questi anni una sintonia ed una collaborazione tra di voi impareggiabili. Perciò ho scritto e firmato con il mio consenso una richiesta di concessione all’Hokage per fare in modo che voi tre possiate finire insieme nello stesso Team.”

I tre giovani si inchinarono col busto all’udire la sua spiegazione, sinceramente grati al loro maestro per il favore enorme che gli stava concedendo.

“Grazie mille, sensei.” lo ringraziò Sora con serietà. “Lei non sa quanto il suo aiuto significhi per noi.”

Il maestro sorrise appena con le labbra. “Comunque sia,” riprese a dire di nuovo, il suo tono tornato di nuovo serio. “Per raggiungere il vostro obiettivo dovrete dimostrare a me e a tutti gli altri insegnanti la vostra compatibilità e la vostra decisione in merito a questa scelta. Se non lo farete, allora la vostra richiesta verrà considerata nulla.”

Boruto lo guardò con determinazione. “Cosa dobbiamo fare?”

“Dovrete consegnare voi stessi questa concessione all’Hokage,” spiegò loro l’Aburame. “Tuttavia, il Settimo al momento si trova fuori dal Villaggio, in una zona ad accesso limitato a nord dei Cancelli della zona Est di Konoha.”

Mikasa non batté neanche ciglio. “Ci basterà raggiungerlo lì dunque.”

Shino annuì. “Esatto, ma la cosa non sarà così semplice per voi.” rispose con un tono lento e solenne. “Perché? Perché il corpo di guardia dell’Hokage è stato appena avvisato della vostra visita dal sottoscritto, ma non vi faranno passare molto facilmente solo per questo. La zona dove si trova il Settimo è ad accesso limitato, e solo i Jonin di rango elevato possono superarla. Superare la guardia non sarà semplice per voi Genin.”

“Di questo non deve preoccuparsi,” dichiarò Boruto con confidenza appena il maestro finì di parlare. “Perché noi non ci lasceremo fermare da una simile bazzecola.”

Sora annuì con decisione. “Consegneremo all’Hokage quel rotolo! A qualunque costo!” disse a sua volta. Mikasa si limitò ad annuire con un solo, deciso cenno del capo.

Shino li osservò per diversi istanti con serietà ed uno sguardo indecifrabile. Poi sorrise, annuendo a sua volta.

“Molto bene, sapete cosa fare.” disse. “Andate.”

I tre ragazzi non se lo fecero ripetere due volte.

15 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Zona Nord ad Accesso Limitato
11:35

Boruto fermò la sua corsa saltando sopra un ramo di un albero della foresta esterna ai Cancelli orientali del Villaggio. “Siamo arrivati!” disse.

Dietro di lui, Mikasa e Sora atterrarono sopra il suo stesso ramo, osservando ciò che sorgeva davanti a loro, a circa duecento metri di distanza dal punto in cui si trovavano.

Era un lungo ponte di legno che separava due argini di un fiume, i quali erano alti almeno due o trecento metri rispetto al livello dell’acqua. Il ponte era interamente fatto di corde e tavole di legno, e si ergeva nel vuoto senza problemi, mentre in basso il fiume scorreva rapido e scattante, il rumore dell’acqua che si faceva sentire anche da quell’altezza.

“La zona ad accesso limitato comincia da oltre quel ponte,” disse Mikasa, la sua voce perennemente priva di emozione. “Una volta superato, non dovrebbe essere difficile trovare il Settimo.”

“Che stiamo aspettando allora,” disse Sora, accingendosi a procedere. “Non perdiamo tempo e andiamo subito lì!”

Ma, prima che potesse fare un solo passo, Boruto lo afferrò saldamente con una mano.

“Non essere avventato, Sora.” lo ammonì lui seriamente, fissando il ponte con uno sguardo calcolatore. “Gettarsi lì a capofitto senza un piano sarebbe come finire volontariamente nella trappola degli avversari!”

Sora lo guardò con un sopracciglio incurvato. “Trappola?” ripeté, confuso.

Boruto gli fece un cenno col capo verso il ponte. “Guarda bene i punti di sostegno delle corde,” lo esortò il biondino. “Quella è una trappola.”

Sora e Mikasa osservarono da lontano i punti indicati da Boruto. I loro occhi si sgranarono. Quattro piccoli kunai erano stati conficcati proprio sotto i punti in cui erano legate le corde che sostenevano il ponte. Se ci fossero passati sopra senza curarsene, allora il loro peso avrebbe fatto abbassare verso il basso le corde di sostegno, inducendole a tagliarsi da sole a causa dei kunai.

“Shino-sensei ha detto di aver avvisato il corpo di guardia del nostro arrivo,” continuò a dire Boruto, sorridendo dalla trepidazione. “Perciò si aspetteranno la nostra comparsa senza dubbi. Ma non ci lasceranno passare senza tentare almeno di ostacolarci. Capite adesso? Questa è una sfida che dobbiamo superare per riuscire a consegnare all’Hokage il rotolo e per dimostrare che siamo davvero decisi a restare uniti come un Team. Il corpo di guardia del Settimo sarà il nostro avversario durante questa prova.”

Gli occhi di Mikasa si assottigliarono. “Capisco,” disse a bassa voce. “Il loro intento è cercare di vedere se la nostra motivazione è abbastanza salda da riuscire a superare anche questa prova…”

“Ma perché non ce lo dicono e basta?!” esclamò lentamente Sora, esasperato da tutta questa faccenda. “Certo che questi ninja sono davvero meschini!”

Boruto e Mikasa sospirarono. C’era un fondo di verità nelle sue parole.

Adesso che si erano accorti della trappola, i tre giovani scesero dal ramo e si diressero a passo lento verso il ponte, accingendosi a rimuovere i kunai conficcati nei punti di sostegno.

Tuttavia, prima che potessero farlo, accadde qualcosa.

“Fermi lì!” fece una voce misteriosa all’improvviso.

Boruto e gli altri si fermarono all’istante. Una figura misteriosa apparve dal nulla dinanzi al ponte, dall’altro argine del fiume, intenta a fissare i tre ragazzini con un sorrisetto confidente. Era una ragazza di poco meno di vent’anni, senza ombra di dubbio. Indossava gli abiti standard del corpo di guardia, aveva dei capelli neri corti portati similmente ad un caschetto sciolto e dei profondi e grandi occhi rossi.

Boruto la riconobbe all’istante. “Mirai, che piacere rivederti.” disse con un tono ironico ma non malevolo.

La ragazza, Mirai, sorrise ampiamente. “Boruto,” ricambiò il saluto, il suo tono serio ma pacato. “Che bello rivederti. Come vanno le cose?”

Il biondino alzò le spalle, sorridendo appena. “Non mi lamento.”

Sora guardò la loro interazione con confusione e stupore. “La conosci?”

Boruto annuì, gli occhi sempre puntati sulla ragazza. “Mirai Sarutobi. Chuunin del Villaggio, maestra nelle Arti Illusorie e Capo della guardia del corpo del Settimo. È anche la nipote del Terzo Hokage e la cugina di Konohamaru-sensei. Veniva spesso a trovare me e mia sorella quando ero piccolo a casa. La sua abilità e la sua forza sono rinomate in tutto il Villaggio. Non è un avversario da sottovalutare.”

Poi, il biondino fece un passo in avanti, guardando Mirai con decisione e serietà. “Siamo qui per incontrare il Settimo Hokage,” disse ad alta voce. “Dobbiamo consegnargli una petizione personalmente.”

Mirai scosse la testa, fissandolo con serietà e fermezza. “Abbiamo l’ordine di non lasciar passare nessuno senza autorizzazione,” ribatté lei. “Indistintamente.”

I tre ragazzini si portarono l’uno affianco all’altro.

“Credo che a questo punto dovremo usare la forza.” disse Sora agli altri due, sorridendo appena con le labbra.

Mikasa annuì. “Ma Boruto ha detto che quella è una Chuunin. Non avremo speranza se farà sul serio contro di noi.”

Boruto si mosse lentamente verso il ponte, rimuovendo uno dei kunai nascosti sotto le corde. “Dovremo agire tutti insieme se vogliamo superarla.” disse seriamente, gettando il kunai nel vuoto. “Attacchiamo insieme in contemporanea senza però avvicinarci a lei tutti e tre. In questo modo potremo studiare i suoi movimenti e massimizzare le possibilità di vittoria.”

Mikasa e Sora rimossero i kunai rimasti. “Come?” domandò la nera.

“Io e te cercheremo di distrarla attaccandola frontalmente, mentre Sora ci supporterà da lontano.” rispose il biondo.

Gli altri due annuirono.

Mirai sorrise, tirando fuori dalle tasche i suoi caratteristici pugnali. “Vedo che vi siete accorti della trappola,” si complimentò lentamente. “Siete piuttosto svegli, ve lo concedo.”

Senza dire poi un’altra parola, Mikasa e Boruto scattarono in avanti.

Mirai li imitò immediatamente, portandosi dinanzi a loro sul ponte e sferrando un colpo di pugnale mirato alla testa di Boruto che però lo parò con un suo kunai. Ma Mirai effettuò immediatamente dopo un balzo in aria, sferrandogli un calcio sulla guancia che lo fece tentennare per diversi secondi.

Boruto però si riprese dopo un secondo, lanciandogli un altro colpo di kunai dal basso. Mirai scartò con un passo indietro lontano dall’attacco, solo per ritrovarsi alle spalle Mikasa, la quale era pronta a colpirla con un kunai alla testa.

Tuttavia, con un rapido movimento del corpo, la ragazza si abbassò di scatto ed afferrò Mikasa con una mano, scagliandola addosso a Boruto con un movimento secco. Boruto la afferrò con le braccia, rimettendola in sesto.

Poi, con uno scatto in avanti, il biondino si portò davanti all’avversario e le sferrò un rapido affondo laterale con il kunai. Mirai fece appena in tempo per evitarlo che subito però il biondo deviò la traiettoria del colpo con uno scatto decisamente rapido, puntando adesso al suo cuore. La Chuunin sgranò gli occhi, bloccandolo appena con uno dei suoi pugnali.

Lei e Boruto continuarono a scambiarsi colpi di lame per un paio di secondi, nessuno dei due che riusciva ad avere la meglio.

“Sei migliorato!” disse Mirai con un sorriso, cozzando un pugnale contro il kunai del ragazzino. “Non mi aspettavo una simile abilità e prontezza di riflessi da parte tua! Non sono riuscita a colpirti nemmeno una volta senza neanche trattenermi troppo.”

Boruto sorrise, sferrandole un pugno verso la faccia che la Chuunin evitò con un balzo. Mikasa approfittò del momento di distrazione per lanciarle addosso una raffica di shuriken, ma Mirai li parò con i suoi pugnali.

“SUITON;” fece poi la voce di Sora. “Suireiha!” (Proiettile d’Acqua)

Mirai sgranò gli occhi, osservando con stupore una serie di getti di acqua diretti contro di lei mentre era ancora in aria. I proiettili perforanti le si scagliarono addosso con rapidità, ma lei riuscì ad evitarli di striscio avvitando abilmente tutto il corpo in aria.

Sora serrò i pugni. “Boruto non scherzava,” pensò tra sé. “Quella tipa è davvero abile nella lotta. I suoi movimenti sono davvero rapidi e precisi, ed è riuscita ad evitare una raffica di shuriken seguita dalla mia tecnica con relativa facilità!”

Appena l’avversario atterrò sul ponte, Mikasa scartò in avanti con due kunai nelle mani, evitando con un movimento rapido del corpo un pugno da parte di Mirai e sferrandole due fendenti dai lati che la giovane Chuunin parò coi suoi pugnali.

Mikasa però se lo aspettava, lanciandole contro poi un calcio dalla potenza non indifferente che la centrò in pieno petto, scagliandola all’indietro con un grugnito.

Mirai si fermò dall’altra estremità del ponte. “Siete bravi, lo ammetto!” disse loro con un sorriso, toccandosi il petto dolorante. “La vostra coordinazione e i vostri colpi sono davvero eccellenti! Adesso capisco perché siete così famosi all’Accademia!”

Boruto si portò affianco a Mikasa, assumendo entrambi delle pose di difesa.

“Ma adesso basta giocare!” disse ancora la Chuunin. “Mi avete fatto venire la voglia di insegnarvi la cruda realtà degli Shinobi!”

Detto ciò, Mirai scattò in avanti verso di loro, le sue mani che si mossero a formulare diversi sigilli.

Boruto assottigliò gli occhi. “Genjutsu, eh?”

Con un rapido scatto in avanti, il biondo si portò di nuovo dinanzi a lei, sferrandole un calcio laterale prima che potesse attivare la tecnica illusoria. Mirai interruppe i sigilli, bloccando il calcio con un braccio e allontanando da sé il biondo.

Ma Mikasa reagì all’istante, comparendole dinanzi in un solo secondo e sferrandole un'altra raffica di kunai che la Chuunin fu costretta a bloccare con i pugnali. Poi, appena le due finirono di scontrarsi, Mikasa afferrò con una presa salda della mano sinistra il braccio di Mirai, impedendole di allontanarsi.

La Chuunin sgranò gli occhi. “Cosa?”

“Adesso, Sora!” esclamò Mikasa.

Il moro non se lo fece ripetere, lanciando con un movimento rapido del polso uno shuriken addosso a Mirai, la quale non poteva evitarlo a causa della presa della ragazzina dai capelli neri.

Tuttavia, appena prima che potesse essere colpita, Mikasa mollò la presa di botto, e Mirai finì per sbilanciarsi da sola all’indietro, evitando di striscio il kunai che le sfrecciò di lato.

CRAC!

I suoi occhi si sgranarono appena sentì il legno sotto i suoi piedi cedere all’improvviso, ma la giovane Chuunin non ebbe il tempo di fare nulla che subito una mano la afferrò saldamente dalla caviglia, facendola cadere in basso senza controllo.

Mirai urlò dalla sorpresa, cadendo verso il basso oltre il foro sul ponte causato da un clone di Boruto senza potersi fermare. Tuttavia, prima che potesse finire nel fiume, Sora le scagliò addosso un kunai avvolto da una corda che si legò saldamente attorno alle sua braccia e al suo busto, arrestando la caduta di botto.

Dall’alto, i tre giovani la guardarono con un sorriso di trionfo stampato in faccia.

Mirai tentò di divincolarsi dalle corde invano, la sua espressione contrariata ed imbronciata. “Tch! Siete riusciti a fregarmi nascondendo quel clone sotto il ponte per tutto questo tempo…” borbottò tra sé.

Sora ghignò. “Alla fine sei stata tu a finire in trappola!” dichiarò con soddisfazione. “Eri troppo concentrata su Boruto e Mikasa per riuscire a notare che avevo mandato un clone di Boruto sotto il ponte per danneggiare il legno in modo che si rompesse sotto il tuo peso!”

“Chi la fa l’aspetti!” la canzonò anche Boruto, sorridendo con confidenza.

Mirai sbruffò come una ragazzina. “Va bene, lo ammetto! Avete vinto!” disse alla fine, esasperata ed imbarazzata. “Siete liberi di raggiungere l’Hokage. Adesso però tiratemi su!”

Tuttavia, i tre giovani si limitarono a legare la corda al ponte senza fare nulla.

“Ehi!” gridò ancora Mirai, tesa e nervosa. “Mi avete sentito? Vi ho detto di tirarmi su!”

Il sorriso di Boruto divenne lentamente più largo e ferale. “Spiacente, Mirai!” disse con ironia e divertimento. “Ma se non ricordo male mi avevi promesso diversi anni fa delle caramelle che però non mi hai mai portato! Ho tenuto il broncio per tutto questo tempo, sai?”

Mirai ridacchiò nervosamente, la sua faccia che prese a sudare dalla tensione. “Ahahah… T-Te lo ricordi ancora?”

“Io non dimentico mai!” disse ancora il biondo. “Diciamo che ho avuto la mia rivincita per quella tua mancanza! Siamo pari adesso!”

Detto ciò, lui e gli altri due compagni cominciarono ad andarsene, diretti verso la zona ad accesso limitato.

“Ehi!” esclamò ancora la Chuunin freneticamente, penzolando pateticamente dal ponte. “NON PUOI FARLO! T-TE NE COMPRERO’ ALTRE DI CARAMELLE! NON LASCIATEMI QUI! EHI! EHIIII!”
 

15 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Zona Nord ad Accesso Limitato
15:59

Tutti i ninja attorno a lui crollarono a terra con dei gemiti di stanchezza, esausti e grondanti di sudore dalla testa ai piedi.

Naruto disattivò la modalità chakra della Volpe dopo un secondo, fissando tutti i suoi Jonin della Squadra di Difesa Speciale con uno sguardo serio e determinato.

“Non sappiamo quando potrebbero comparire dei nuovi aggressori del Villaggio,” dichiarò con la sua voce seria e ferma. “Dobbiamo continuare a stare all’erta e proteggere Konoha a tutti i costi. Non sarete mai in grado di proteggere il Villaggio in questo modo!”

Poi però, prima che potesse dire altro, una voce lo richiamò da dietro di sé.

“Nanadaime!”

Naruto sgranò gli occhi, riconoscendo all’istante la voce di suo figlio e voltandosi di scatto dalla direzione del richiamo. Dinanzi a lui comparvero Boruto, Mikasa e Sora, tutti intenti a guardarlo con degli sguardi seri e determinati.

“Ragazzi!” esclamò l’Hokage, confuso. “Che ci fate qui?! In questa zona dovrebbe essere proibito entrare! Che è successo a Mirai?”

I tre giovani si fermarono dinanzi a lui, fissandolo con i loro sguardi seri.

“Abbiamo una concessione speciale da consegnarle.” rispose Boruto freddamente, fissando suo padre con uno sguardo privo di emozione.

Naruto fu pervaso per un secondo dal dolore nel rivedere suo figlio rivolgersi per l'ennesima volta così freddamente nei suoi confronti, ma lo represse dopo un secondo. Quello non era il momento di pensare a queste cose.

“Una concessione speciale?” ripeté, afferrando il rotolo dalle mani di Boruto. “Non ditemi che volete cambiare assegnamento di squadra!”

Mikasa fece un passo avanti. “Sì invece, Nanadaime-sama!” rispose con un tono serio ed uno sguardo ardente di decisione. “Richiediamo il trasferimento di Boruto Uzumaki nel Team 3!”

“Shino-sensei ci ha dato la sua approvazione e ha sottoscritto la nostra richiesta!” aggiunse anche Sora. “La prego, Hokage-sama! Ci conceda questa richiesta!”

Naruto li fissò tutti e tre con uno sguardo allibito per diversi secondi, incapace di reagire. La loro determinazione negli occhi era evidente per lui. Tutti e tre erano riusciti persino a superare Mirai pur di raggiungerlo. Non riusciva davvero a capire perché fossero così determinati a restarsene insieme in squadra.

I suoi occhi si posarono su suo figlio.

“Boruto,” cominciò a dire lentamente. “Il Team 7 è quello che ha sempre ospitato i ninja più valorosi e talentuosi del nostro Villaggio. Tu sei indubbiamente forte, ed essere candidato per una squadra del genere non è da poco. Sei sicuro di questa scelta?”

Boruto annuì senza un attimo di esitazione, fissando suo padre con due occhi azzurri freddi e determinati. “A me non interessa l’eredità del Team 7,” disse con un tono serio. “Io sono diventato un ninja per proteggere le persone che mi stanno a cuore! L’unico modo per riuscirci è restare al fianco dei miei amici! Non ho intenzione di cedere, Settimo!”

Naruto lo guardò negli occhi per diversi secondi, una miriade di emozioni che gli inondavano il cuore nel vedere il suo primogenito che stava rifiutando l’eredità del Team in cui lui stesso era stato da giovane. Un’ombra di tristezza gli velò la mente per un attimo.

“Siamo davvero diversi io e te, figlio mio…”

Era una realtà che aveva compreso da molto tempo ormai. Boruto non era affatto il bambino spensierato e sorridente di un tempo. Non era più il suo piccolo mostriciattolo che era solito giocare con lui ogni giorno. No. Non era più quella stessa persona.

Questo Boruto dinanzi a lui adesso era cresciuto. Era diventato freddo, intelligente e forte. Era diventato un ragazzo talentuoso e una persona estremamente diversa rispetto a prima.

Era diventato un figlio che aveva rinnegato lui e sua madre per colpa delle sue azioni.

Tuttavia non poteva negare che suo figlio e quegli altri due ragazzi accanto a lui fossero indubbiamente uniti. La determinazione che vedeva nei loro occhi era così ardente e sicura che nessuno avrebbe mai potuto negare la loro amicizia. Non c’era nemmeno una traccia di esitazione nei loro volti. Nemmeno un solo barlume di incertezza.

“Io sono diventato un ninja per proteggere le persone che mi stanno a cuore!” aveva appena detto suo figlio.

Naruto prese la sua decisione.

“Molto bene,” disse alla fine con un sospiro. “Allora questo è l’inizio di una nuova squadra di Shinobi. Voi tre, a partire da adesso, sarete il Team 3.”

Boruto, Mikasa e Sora s’inchinarono allo stesso tempo.

“Sì!”
 

15 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Accademia Ninja
18:00

Shino sorrise, osservando fuori dalla finestra il panorama sul Villaggio della Foglia.

“Mi avete messo in difficoltà diverse volte, ma so che riuscirete a superare i pericoli che incontrerete in futuro.” pensò tra sé, la sua mente rivolta su quei tre ragazzi che aveva promosso poco tempo fa. “Mikasa, Sora, Boruto. Voi tre avete del potenziale. Il potenziale per diventare degli Shinobi di prima categoria. Perché?”

Il suo sorrise si allargò nel ricordare i loro volti pieni di determinazione.

“Perché siete degli studenti che si sono guadagnati la mia stima.”



 

Note dell'autore!!!

Salve a tutti gente! Ecco a voi il nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto.

Il prossimo uscirà, purtroppo, con un pò di ritardo. Avevo intenzione di pubblicarlo domenica, ma un impegno improvviso è sbucato fuori ieri e ha staravolto i miei piani. Tenterò comunque di farlo uscire il prima possibile, promesso.

A presto! ;)

MAESTRO

16 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Campo di Addestramento n.10
08:35

“Spero solo che il nostro nuovo sensei arrivi presto…” sospirò sommessamente Sora, la sua schiena poggiata contro un albero in mezzo alla radura.

Boruto e Mikasa annuirono senza rispondere, entrambi seduti attorno all’albero assieme a lui. Le loro menti erano tese e nervose, tutte trepidanti dall’attesa. Era da più di cinque minuti che i tre amici stavano aspettando l’arrivo del loro nuovo maestro in quel campo di addestramento, ma ancora di questa suddetta persona non era comparsa nemmeno l’ombra.

Il giorno precedente, subito dopo essere stati ufficialmente riconosciti come un Team, Boruto e i suoi inseparabili compagni avevano ricevuto l’ordine dall’Hokage di recarsi il mattino seguente nel luogo dove si trovavano adesso alle otto e trenta. Lì, aveva assicurato Naruto, tutti e tre avrebbero fatto la conoscenza del loro nuovo sensei ed avrebbero cominciato il loro primo allenamento da Shinobi.

E così, seduti addosso ad un albero e coni cuori trepidanti dalla tensione, i nostri eroi continuarono ad aspettare.

Aspettarono, aspettarono ed aspettarono. Continuarono ad aspettare fino a quando i minuti si fecero ore, e le ore si fecero lente e interminabili.

Finché, dopo almeno due ore di attesa, uno di loro non riuscì più a contenersi.

“AAAARGH!” esclamò esasperatamente Sora, passandosi le mani tra la chioma appuntita di capelli in un moto di frustrazione e nervosismo. “NON NE POSSO PIÙ! QUANTO CI METTE QUESTO TIPO AD ARRIVARE?”

Mikasa lo zittì con un pugno sulla testa. “Calmati. Arrabbiarsi non serve a nulla.”

Il moro si grattò il cranio con un gemito di dolore, fissando la nera con uno sguardo esasperato. “Ma non ne posso più!” esclamò ancora. “Sono ore che aspettiamo! Non ce la faccio a restarmene qui senza fare nulla!”

“In effetti la cosa è strana,” disse subito dopo Boruto, facendo voltare gli altri due verso di lui. “Di solito un maestro non farebbe mai attendere i suoi nuovi Genin così a lungo senza un motivo. Non è concepibile.”

Mikasa lo guardò con un sorrisetto. “Sbaglio o hai appena compreso qualcosa?” domandò sarcasticamente, conoscendo già la risposta.

Boruto annuì, sorridendo coi denti snudati. “Pazienza.” rispose. “Il nostro nuovo sensei sta volontariamente evitando di mostrarsi a noi per testare la nostra pazienza. Non può che essere così!”

Gli occhi di Sora si sgranarono a dismisura. “Coooosa?!” urlò, scioccato. “Stai dicendo che il nostro maestro, chiunque egli sia, ci sta facendo aspettare di proposito? Solo per vedere se abbiamo pazienza?!”

Boruto alzò le spalle. “O è così o abbiamo la sfortuna di avere un sensei davvero stronzo.” ribatté, alzandosi in piedi.

Mikasa lo guardò con un sopracciglio incurvato. “Che vuoi fare?”

Il biondino si mise a guardarsi attorno. “Se la mia deduzione è corretta, allora il maestro dovrebbe essere nascosto qui nei paraggi intento ad osservarci. Voglio semplicemente fargli capire che non ho più intenzione di perdere tempo a causa sua.”

I due si alzarono assieme a lui un secondo dopo. “E come vorresti fare?” chiese Sora.

“Allenandoci.” rispose Boruto. “Se il suo intento è testare la nostra pazienza, allora appena vedrà che tutti noi abbiamo cominciato a sfruttare la sua assenza in maniera costruttiva e vantaggiosa, il nostro misterioso sensei potrebbe finalmente decidere di saltare fuori.”

Detto ciò, con un cenno del capo reciproco, i tre amici balzarono contemporaneamente lontano dagli altri, separandosi ed iniziando a fare attività fisica. Mikasa prese ad eseguire una rigida serie di addominali con una rapidità disarmante, Sora invece cominciò a cimentarsi all’allenamento con delle flessioni. Boruto, da parte sua, decise di migliorare la sua mira e la sua abilità di lancio cominciando a lanciare contro ad un ramo di un albero distante una serie di shuriken e kunai.

Dopo cinque minuti buoni di esercizi, il piano ebbe successo.

“Vedo che alla fine avete deciso di sfruttare al meglio il vostro tempo.” fece una voce sconosciuta alle loro spalle.

Boruto, Mikasa e Sora si voltarono lentamente, osservando con interesse e stupore la figura che era apparsa dal nulla in mezzo alla radura senza fare un solo rumore.

Era una donna, o meglio, una ragazza che non poteva avere più di vent’anni. Forse persino di meno. Era di statura piuttosto bassa e magra, ma anche da sotto i suoi vestiti era possibile notare che il suo corpo fosse ben proporzionato e piuttosto muscoloso rispetto a quello di una ragazza di quell’età. Aveva dei capelli biondi di taglio piuttosto corti, legati all’indietro con una sola frangia che ricadeva sul volto dalla parte destra, mentre la sua pelle aveva una colorazione chiara, quasi pallida. La testa era ovale, con un naso piuttosto pronunciato e sporgente e due grossi occhi azzurri che erano assottigliati in quella che sembrava un’espressione di pura noia e disinteresse. Indossava una specie di maglia brunastra con i simboli della Foglia tatuati in diversi punti, con un coprifronte del Villaggio legato saldamente sul braccio destro. Indossava dei pantaloni neri e dei grossi stivali scuri, mentre sotto la sua maglia si intravedeva una maglietta bianca con striature nere.

La misteriosa ragazza li squadrò tutti e tre dalla testa ai piedi, i suoi occhi freddi e apparentemente indifferenti.

“E così voi siete i Genin che mi sono stati affidati ieri,” disse dopo averli studiati con gli occhi per diversi secondi, la sua voce bassa e priva di emozione. “Ho sentito molte cose sul vostro conto.”

Boruto e gli altri si portarono davanti a lei, ricambiando il suo sguardo con i loro occhi aggrottati che la studiavano a loro vota.

“Finalmente la conosciamo, sensei.” disse allora Boruto per rompere il ghiaccio. “Comprendo che la pazienza è una virtù necessaria per ogni Shinobi, ma non le sembra eccessivo averci fatto attendere due ore intere?”

La bionda lo guardò per diversi secondi con uno sguardo indecifrabile.

“Capisco,” disse alla fine, incrociando le braccia. “Vedo che avete compreso il perché non mi sono mostrata a voi prima. Sembra che le voci sul vostro conto siano fondate, dopotutto.”

Sora inarcò un sopracciglio. “Quali voci, se posso chiedere?”

La misteriosa sensei li guardò con i suoi occhi glaciali. “Ho saputo di voi soltanto ieri sera,” cominciò a spiegare loro con un tono basso. “Il Settimo mi ha convocata soltanto ieri notte e mi ha chiesto specificatamente di diventare la maestra di questo Team. Il motivo di ciò è che, a quanto sembra, voi tre siete stati degli studenti piuttosto particolari nel corso dei vostri anni passati all’Accademia.”

Gli occhi di Boruto si assottigliarono. Suo padre aveva richiesto specificatamente che quella ragazza diventasse la loro maestra? Perché? Cosa voleva dire tutto questo?

“Cosa intende dire?” chiese, sospettoso.

“Intendo dire che voi tre siete un gruppo di Genin dalle abilità inconsuete e straordinariamente più avanzate rispetto alla media.” rispose lei senza battere ciglio. “La vostra crescita in questi anni è stata esponenziale rispetto a quella dei vostri coetanei, e il vostro talento supera di gran lunga quello dei ragazzi della vostra età. Per questo motivo il Settimo mi ha ordinato di assumermi l’incarico di addestrare tutti voi.”

Le espressioni di Mikasa e Boruto si adombrarono all’udire ciò. Quello che la bionda dinanzi a loro stava implicando era piuttosto sospettoso per loro.

Sora, dal canto suo, non riuscì ancora a comprendere il punto. “E… perché l’Hokage ha scelto proprio lei, scusi?” domandò con confusione, grattandosi la testa.

Prima che la bionda potesse rispondere, Boruto pronunciò una parola.

“ANBU.”

La sensei e gli altri due ragazzi si voltarono verso di lui.

Il biondino fissò la sua maestra con uno sguardo freddo, i suoi occhi sottili e calcolatori puntati su quelli di lei, la sua espressione indecifrabile. “Lei è un ANBU, non è vero?” disse con un toro serio e glaciale. “Non può che essere così. Quell’espressione, quel portamento e quegli occhi non sono comuni. Soltanto coloro che hanno visto la cruda realtà del mondo possono manifestare questi segni particolari come lei. Solo coloro che conoscono quanto sporco e marcio sia realmente il mondo degli Shinobi possono avere gli stessi occhi che ha lei. E gli unici ninja che si sporcano le mani compiendo le più meschine e riprovevoli missioni per conto di questo Villaggio sono gli ANBU. Mi sbaglio, forse?”

La bionda lo osservò con gli occhi aggrottati, sinceramente stupita dal ragionamento e le conoscenze che quel ragazzino stava dimostrando di avere.

“Oh?” fece lei, il suo tono piuttosto ironico e provocatorio. “Se credi di essere così intelligente, allora deduco che tu abbia già capito perché io sono stata scelta come vostra maestra.”

Le labbra di Boruto si incurvarono in un sorriso privo di calore. “Data per corretta la mia deduzione precedente, allora lei deve essere senza dubbio una persona molto abile ed incredibilmente portata nelle abilità ninja per riuscire ad entrare negli ANBU alla sua età palesemente giovane. L’Hokage deve aver scelto lei probabilmente per due motivi: tenerci costantemente d’occhio e contemporaneamente fare in modo che una persona con del talento eccezionale come lei possa aiutare noi tre giovani particolarmente abili a crescere e migliorare in tempo record. Ho ragione, sensei?”

Gli occhi della ragazza si aprirono leggermente di più all’udire la sua spiegazione, tuttavia riprese il contegno dopo una frazione di secondo.

“Adesso capisco perché molti ti considerano un genio, Boruto Uzumaki.” disse lei con un tono basso e soddisfatto. “Il tuo modo di ragionare e le tue abilità sembrano essere decisamente molto più elevate e precise rispetto alla media.”

I suoi occhi si posarono subito dopo sugli altri due. “E anche voi due siete speciali, Sora Hikari e Mikasa Ackerman.” riprese a dire con un tono serio. “Entrambi avete dimostrato di possedere abilità, conoscenze e poteri molto più in là rispetto agli altri. Ed è per questo che io sono qui. Come ha già detto il biondino, anche io ero considerata un prodigio alla vostra età, e sono sempre stata molto abile in molti campi del Taijutsu e delle arti Ninja in generale. Sono un membro del corpo degli ANBU da diversi anni, ma ieri l’Hokage mi ha rimosso temporaneamente dalla mia precedente posizione e mi ha nominata maestra del Team 3, affinché io possa portare all’apice il potenziale che voi tre sembrate possedere proprio come me alla vostra età.”

I tre ragazzini la fissarono con delle espressioni indecifrabili per diversi secondi.

“E lei come si chiama, sensei?” chiese poi Mikasa con un tono di voce freddo.

La bionda li guardò con freddezza. “Il mio nome è Annie Leonhardt. E da oggi sarò la vostra maestra e la responsabile di questo Team.”
 

Boruto e suoi amici continuarono a fissare la sensei con i loro sguardi freddi.

“Allora,” cominciò a dire Annie, la sua voce seria e priva di emozione. “Visto che mi sono presentata, che ne dite di cominciare la vostra prima lezione?”

Anche se poteva sembrarlo, quella non era affatto una domanda.

Tuttavia, appena finì di pronunciare quella frase, Sora alzò una mano in alto. Annie si limitò a fargli un cenno col capo.

“Ecco, mi scusi per la domanda,” cominciò a dire con un tono visibilmente confuso. “Ma non dovremmo, che ne so, conoscerci meglio prima di passare subito al sodo e allenarci? Insomma, noi non la conosciamo nemmeno!”

Annie non rispose subito alla domanda, limitandosi a fissare il moro con un’espressione indecifrabile che gli fece venire i brividi. Poi sospirò di colpo, chiudendo gli occhi e muovendosi verso un albero lì vicino.

“Credo che tu abbia ragione,” disse alla fine pacatamente, poggiandosi con la schiena al tronco. “Forse è meglio conoscerci meglio a vicenda prima di passare all’allenamento.”

I tre giovani sentirono una punta di confusione inondare loro la mente.

“Che problemi ha questa qui?” pensò Boruto tra sé. “Prima è tutta seria e fredda e poi si mette a riflettere e ad assecondare una richiesta così banale come se non le fosse neanche passata per la mente! Che cosa diavolo le passa per la testa?”

Annie li guardò con indifferenza, facendo un cenno verso di loro con una mano. “Allora, potete cominciare.” disse semplicemente. “Ditemi qualcosa su di voi in modo da approfondire la nostra conoscenza. Robe tipo i vostri hobby, ciò che vi piace o non vi piace, passioni, sogni per il futuro… Roba inutile del genere, insomma.”

Sora e gli altri repressero una smorfia di incredulità. Possibile che quella tipa fosse così indifferente e sprezzante su tutto? Non sembrava provare nemmeno il minimo interesse per ciò che stava dicendo. Come poteva chiedere loro di presentarsi a lei senza nemmeno curarsi di venirgli incontro?

“Perché non comincia lei, sensei?” la incalzò dopo un secondo di esitazione Boruto, il suo sguardo sospettoso.

Gli occhi azzurri di Annie si posarono su di lui. “Quel tipo è furbo,” realizzò nella sua testa. “Mi sta studiando esattamente come lo sto facendo io con loro. Non abbassa mai la guardia e tenta di spostare l’attenzione su di me per estrapolare informazioni.”

“Molto bene, allora comincerò io” si limitò a dire ad alta voce. “Vi ho già detto il mio nome. Comunque sia, ho diciannove anni e sono un ANBU specializzato nel corpo a corpo. Ci sono moltissime cose che non mi piacciono in generale, tra cui i mocciosi che non portano rispetto verso i loro superiori.”

Appena finì di dire quella frase, i suoi occhi si assottigliarono e fissarono i tre giovani con uno sguardo intento. Boruto e gli altri sentirono un brivido percorrere le loro schiene sotto quello sguardo, e presero tutti e tre a segnarsi mentalmente di non permettersi mai di mancare di rispetto a quella tipa.

“Le cose che mi piacciono invece non sono molte. Tra esse ci sono i dolci e i libri. I miei hobby sono principalmente allenarmi e leggere. Per quanto riguarda il mio sogno… non credo di averne uno. Questo è tutto quel che vi basta sapere su di me.”

I tre ragazzi inarcarono i sopraccigli.

“Alla fine non ha rivelato niente di importante,” pensò il biondino. “Avrei dovuto aspettarmi che un ANBU non rivelasse con leggerezza le informazioni su di sé.”

Annie incrociò le braccia, facendo un cenno col capo verso Sora. “Tocca a te.”

Il moro ghignò con confidenza, puntandosi un dito al petto. “Io sono Sora Hikari!” dichiarò senza esitazione. “Mi piace allenarmi, scherzare, ridere e passare il tempo coi miei amici. Oh! E anche dormire non mi dispiace, eheheh.”

Mikasa e Boruto sospirarono all’udire ciò. Annie si limitò a restare in silenzio.

“Non mi piace invece quando qualcuno mi prende in giro o mi guarda con superficialità!” disse poi con un tono più serio, i suoi occhi puntati su quelli della maestra. “E soprattutto non mi piace quando qualcuno ferisce o si comporta male con i miei amici! Questa è una cosa che non tollererò mai e poi mai!”

Poi, la sua faccia tornò allegra come sempre. “I miei hobby invece sono allenarmi e sonnecchiare ogni tanto. Il mio sogno è diventare più forte per riuscire a proteggere la mia famiglia.”

Annie annuì, posando poi il suo sguardo sul prossimo.

Mikasa ricambiò lo sguardo coi suoi occhi neri privi di emozione. “Mikasa Ackerman.” disse semplicemente la nera. “Non ci sono molte cose che mi piacciono, mentre non mi piacciono le persone deboli e quelli che giudicano soltanto dalle apparenze. Non ho hobby, ma allenarmi è una cosa che faccio ogni giorno, quindi può ritenerlo come tale se lei vuole. Il mio sogno è vivere una vita pacifica e tranquilla con Boruto e Sora.”

Il sopracciglio destro di Annie si incurvò all’udire ciò, ma la ragazza nera si limitò a restare in silenzio, senza degnarsi di chiarire il concetto. Poi Annie guardò l’ultimo dei tre che doveva ancora presentarsi.

Boruto sospirò, i suoi occhi incollati a quelli della maestra. “Sono Boruto Uzumaki,” cominciò a dire lentamente. “Mi piace allenarmi, studiare, leggere e apprendere sempre nuove cose. Le cose che non mi piacciono invece sono… troppe per essere elencate. Il mio unico hobby è allenarmi. Per quanto riguarda il mio sogno invece… credo che sia diventare più forte per proteggere sempre e a ogni costo i miei amici e le persone a cui voglio bene. Non c’è altro da dire.”

Dopo che tutti e tre ebbero finito di presentarsi, la giovane sensei rimase in silenzio per diversi secondi, assimilando le informazioni ricevute.

“Capisco. Quel marmocchio dai capelli spigolosi non spicca in intelligenza ma è determinato e deciso. La ragazzina dagli occhi privi di vita è un’emarginata sociale che non esiterebbe ad uccidere chiunque le vada contro, e il marmocchio del Settimo è un genietto che sa il fatto suo ma che nasconde qualcosa. Anzi, tutti loro nascondono qualcosa.”

Senza dare voce a quei pensieri però, Annie si staccò dall’albero su cui era poggiata e si portò davanti alla sua squadra.

“Adesso che ci siamo conosciuti, voglio vedere coi miei occhi quello che sapete fare,” dichiarò con un tono serio e fermo. “Inizieremo il nostro primo allenamento in questo preciso istante.”

I tre giovani si misero sull’attenti. “Cosa dobbiamo fare?” domandò Boruto.

Annie li fissò con i suoi occhi glaciali. “Voglio che tutti voi mi attacchiate e combattiate contro di me,” disse loro senza battere ciglio. “Per riuscire a comprendere appieno i vostri punti di forza e le vostre debolezze, ho intenzione di accertarmi di persona di cosa siete in grado di fare. Mostratemi questo vostro talento di cui ho tanto sentito parlare.”

Detto ciò, la maestra assunse immediatamente una posa di difesa che nessuno dei tre ragazzini aveva mai visto prima, con le gambe leggermente divaricate e le braccia sollevate sopra la testa coi pugni serrati, simile alla posa da boxe.

“Ovviamente mi aspetto che facciate del vostro meglio,” disse ancora lei senza dare loro il tempo di parlare. “Attaccatemi con l’intento di uccidere. Io non ci andrò piano con voi.”

Boruto, Mikasa e Sora assunsero delle pose di difesa a loro volta.

“Ci dia un segnale.” disse semplicemente Boruto.

Annie annuì, gridando appena con la voce. “ORA!”

Detto ciò, tutti e tre i ragazzini balzarono via da lei, nascondendosi in mezzo alla fitta vegetazione e agli alberi del campo.

La maestra annuì mentalmente. “Almeno hanno capito che la furtività è più vantaggiosa.”
 

“Allora, che cosa facciamo?” domandò Mikasa, fissando i suoi due amici coi suoi occhi seri e freddi. Anche se in realtà, il suo sguardo era puntato prevalentemente sul biondino del gruppo, dato che era lui lo stratega dei tre.

Boruto osservò di nascosto dalle fronde degli alberi in cui lui e gli altri due si erano acquattati di soppiatto la figura di Annie, ancora ferma ed immobile in mezzo alla radura. La maestra era in piedi con gli occhi chiusi e la testa rivolta verso il cielo, il suo corpo apparentemente rilassato e completamente immobile.

“Credo che dovremmo semplicemente attaccarla tutti insieme come abbiamo fatto ieri con Mirai.” disse Sora con un tono più serio del solito. “Dopotutto, Annie-sensei vuole solo testare la nostra forza, vero?”

Boruto scosse la testa. “Non credo proprio.” ribatté senza mai perdere di vista l’avversario. “Il suo intento è quello, ma non possiamo agire senza una strategia. Lei è un ANBU. Non è per niente paragonabile a Mirai. Inoltre, nessuno di noi sa quale sia la sua vera forza ed il suo stile di lotta. Non possiamo permetterci di sottovalutarla.”

“Sei sveglio, biondino,” fece la voce di Annie all’improvviso. “Dunque sei tu lo stratega del gruppo.”

Boruto e gli altri due si voltarono di scatto alle loro spalle, i loro occhi sgranati e i loro corpi rigidi a causa dello spavento. Annie era comparsa proprio dietro loro tre senza fare un solo rumore, intenta a guardarli con i suoi occhi freddi.

“C-Com’è possibile?” esclamò mentalmente il biondo, voltandosi di nuovo verso la radura dove era certo che la maestra si trovasse fino ad un secondo prima. Tuttavia, appena i suoi occhi si posarono sul punto che aveva in mente, fu con enorme sorpresa e sconvolgimento che comprese che lì non si trovava più nessuno.

“Credevate davvero che vi avrei lasciato formulare una strategia?” continuò a dire la sensei, il suo volto gelido come il ghiaccio. “Spiacenti, ma in uno scontro reale non è così che funzionano le cose.”

Il resto accadde tutto in un attimo.

Mikasa tentò di balzarle addosso appena finì di parlare, ma la loro maestra le sferrò un calcio sulla spalla con una velocità disarmante che la fece schizzare all’indietro con un urlo acuto di dolore. Poi scattò verso Boruto e Sora con un movimento talmente rapido che nessuno dei due riuscì a vederla, lanciando un pugno sul volto del biondo e una ginocchiata allo stomaco del moro senza esitazione e con forza.

I due ragazzi crollarono giù dal ramo con dei gemiti di dolore, incapaci di reagire.

“Dannazione!” imprecò il biondo, formulando un sigillo con le mani mentre cadeva verso il suolo.

“Kage Bunshin no jutsu!” (Tecnica Superiore della Moltiplicazione del Corpo) esclamò.

Tre nuvole di fumo comparvero sul terreno sotto di lui un attimo dopo, e i cloni apparsi così all’improvviso lo afferrarono prima che potesse schiantarsi a terra, le loro mani ricoperte da un getto d’aria compressa e sibilante. Boruto evocò un kunai nella mano.

“Boruto Stream!” urlò il biondino dopo appena un secondo. I cloni lo lanciarono all’aria con le loro tecniche, e Boruto scattò con una velocità inaudita verso il punto dove era rimasta la maestra, la sua mano puntata verso di lei con ferocia e determinazione, pronto a vendicarsi.

Eppure, quello che accadde dopo, lui non se lo sarebbe mai aspettato.

Con una rapidità che era completamente disumana, Annie lo evitò scartando di lato prima che potesse essere centrata in pieno dalla sua figura, per poi sferragli un calcio dalla potenza indescrivibile appena un millisecondo dopo.

Boruto urlò di dolore, schizzando come una saetta all’indietro e crollando a terra con un tonfo pesante.

Annie abbassò la gamba dopo averlo colpito, osservando attentamente il punto in cui si era schiantato il giovane Genin. “Conosce la Tecnica Proibita di suo padre. Inoltre ha usato il vento per scattare contro di me e cogliermi di sorpresa. Non male, ma non è abbastanza.”

“SUITON: Mizurappa!” (Tromba d’Acqua)

Annie balzò lontano dal ramo dove si trovava un attimo prima di essere colpita da un getto copioso di acqua, voltandosi poi di scatto con la testa giusto in tempo per vedere Sora che era comparso dietro di lei con uno Shunshin no jutsu. (Tecnica del Movimento Corporeo Istantaneo), la sua mano destra puntata verso di lei con un kunai.

Reagì all’istante. Afferrando il braccio del moro con le mani, la maestra avvitò il corpo in aria con una precisione e un’abilità incredibili, scagliando il ragazzino lontano da lei con un urlo di sorpresa.

Atterrò sullo spiazzo di prima, i suoi occhi freddi che guardavano con uno sguardo indecifrabile il punto dove era finito il biondino. Boruto si rimise in piedi dopo un paio di secondi, stringendo i denti dal dolore. Mikasa e Sora comparvero accanto a lui dopo un attimo, entrambi doloranti e furiosi.

“Devo venire di nuovo io, oppure stavolta mi attaccate voi?” domandò sarcasticamente lei, il suo tono serio e piatto.

I tre giovani ringhiarono dalla rabbia, ma non se lo fecero ripetere una seconda volta. Tutti e tre scattarono verso di lei con decisione, attaccando contemporaneamente.

Mikasa le sferrò un pugno con ferocia e forza, ma Annie lo bloccò con una mano con relativa facilità. Allo stesso tempo Boruto le fece un affondo con un kunai dal fianco, ma lei lo calciò lontano con un calcio rapidissimo che lo centrò sulla faccia, abbassandosi poi per evitare un pugno di Sora.

Mikasa ritentò a sua volta l’offensiva con un calcio verso la sua spalla, ma la maestra lo bloccò con un braccio e la afferrò dalla caviglia con la mano destra, lanciandola lontano con un movimento del braccio. Boruto nel frattempo si era ripreso dal colpo subìto, ed era balzato addosso a lei con un palmo diretto alla sua faccia. Annie reagì immediatamente, bloccandogli la mano con la sua e sferrandogli un calcio con la gamba destra. Boruto però riuscì a reagire a sua volta, bloccandolo con il braccio libero senza subire troppi danni e ricambiando la cortesia con un affondo del kunai che però la maestra evitò con un balzo.

Sora le comparve davanti con un movimento rapido, effettuando una serie di sigilli con le mani e rigettandole addosso un getto di fango melmoso a meno di un metro di distanza da lei. Annie scartò di lato appena un secondo prima, evitandolo con facilità.

Mikasa poi la raggiunse dopo un secondo, cominciando a tempestarla di attacchi fisici. Lei e Annie continuarono a sferrarsi colpi e a evitare pugni e calci a vicenda per diversi secondi, quando poi la maestra ne ebbe abbastanza e decise di farla finita, sferrando un pugno con una rapidità disarmante sul volto della nera e calciandola lontano da sé con una gamba.

Boruto e Sora la afferrarono tutti insieme da dietro, aiutandola a riprendersi subito dopo. Annie continuò a fissarli coi suoi occhi freddi.

“Tutto qui quello che sapete fare?” domandò loro con sarcasmo e delusione. “Il vostro lavoro di squadra è buono, ma da solo non vi porterà nessun risultato. Credevo che tutti voi foste capaci di fare di meglio. Forse mi sbagliavo sul vostro conto.”

Boruto, Mikasa e Sora la fulminarono lanciandole delle occhiate rabbiose e feroci, tuttavia le loro espressioni tornarono fredde dopo un paio di secondi.

“Ha ragione, sensei,” disse allora Boruto. “Ci dispiace di averla presa alla leggera fino ad adesso. Ora cominceremo a fare sul serio.”

Detto ciò, Boruto lanciò un’occhiata rapida ai suoi amici, e tutti e tre annuirono dopo un secondo. Annie si limitò ad inarcare un sopracciglio, continuando ad osservarli da lontano.

Dopo nemmeno un secondo, accadde l’inaspettato.

Boruto formulò un solo sigillo con la mano destra, imitato anche da Mikasa e Sora nello stesso istante. Poi, con uno scoppio improvviso di fumo nelle loro mani, dal nulla comparvero dinanzi a ciascuno dei tre ragazzini tre oggetti. Una spada, una specie di bastone e due tirapugni.

Gli occhi si Annie si ridussero a due fessure. “Cosa vogliono fare?”

Boruto si legò la spada alla schiena, sguainandola lentamente con una mano e portandola davanti a sé nella posa che gli aveva insegnato Urahara. Sora allungò il bastone cliccando il pulsante sull’impugnatura, facendolo roteare un paio di volte con la mano. Mikasa infine indossò sugli avambracci i tirapugni, schioccando le ossa.

E poi, tutti e tre scattarono verso di lei con degli urli di rabbia.

Annie ebbe il tempo di restare sorpresa per un momento, ma fu immediatamente costretta ad evitare un colpo rapidissimo di bastone che l’avrebbe impalata nello stomaco con uno scatto laterale, per poi dover evitare un affondo mostruosamente pericoloso sul collo abbassandosi di botto con il busto. Mikasa approfittò del suo momento di distrazione per sferrarle un pugno micidiale sul petto, ma Annie lo parò con le braccia, sibilando di dolore a causa dell’impatto prepotente con il metallo sulle nocche della ragazzina.

Boruto le sferrò nello stesso istante un calcio che la colpì sull’avambraccio, tentando subito dopo di colpirla con un colpo di spada che però la maestra evitò buttandosi in basso e rotolando lontano da loro con tutto il corpo.

“Prendi questo!” esclamò subito dopo Sora, sfrecciando contro di lei con la lama del bastone puntata verso di lei mentre era ancora a terra. Annie si riscosse subito, aggottando gli occhi e issandosi con le braccia in alto, roteando poi con le gambe e centrando il moro con un piede sulla testa prima che potesse colpirlo.

Fece appena in tempo a rialzarsi però che subito dovette evitare un kunai diretto verso di lei con uno scatto di lato della testa, evocando subito dopo un kunai anche lei per bloccare un fendente alla testa da parte di Boruto.

Boruto però non si arrese, continuando a sferrarle colpi decisi e rapidi di spada senza sosta, anticipando i movimenti della maestra con precisione. Annie e il ragazzino continuarono a sferrarsi e bloccare a vicenda i loro colpi, cozzando spada e kunai per diversi secondi con forza e ferocia.

“I-I suoi colpi sono diventati più rapidi e precisi di prima!” esclamò mentalmente Annie, tentando di restare il più calma possibile. “Non c’era nessun rapporto nella scheda dell’Hokage che diceva che questo ragazzino fosse in grado di usare una spada! Dove diavolo ha imparato a combattere così bene?”

Persa nei suoi pensieri, la giovane maestra si riscosse appena in tempo per evitare un ennesimo pugno rafforzato di Mikasa, allontanando con un colpo di braccia il biondo che continuava a incalzarla con la spada. Ma anche Sora le apparve di nuovo davanti, roteando il suo bastone metallico contro di lei senza esitazione, il suo volto contornato da un sorriso feroce.

Annie bloccò il bastone con le braccia, trasalendo per il dolore dell’impatto dell’arma durissima con la sua pelle. Sora ne approfittò per balzare in alto e roteare il proprio corpo in aria, sferrandole un calcio con precisione verso la testa. Ma la maestra lo evitò facilmente, sferrandogli poi un pugno sul busto che lo fece crollare a terra.

Fece per colpirlo ancora, ma Boruto corse davanti per menarle un fendente laterale con la lama, ma Annie stavolta reagì con prontezza, sgusciando sotto di lui con le braccia e calciandogli una gamba, togliendogli l’equilibrio. Il biondino sgranò gli occhi e aprì la bocca in un urlo silenzioso di sorpresa, quando poi la sua sensei scattò verso di lui e gli passò con rapidità un braccio attorno al collo, usando la gamba destra per colpire quella del ragazzino e facendolo cadere a terra in un secondo.

Boruto gemette di dolore e strinse i denti per resistere alla presa che Annie aveva su di lui, tentando inutilmente di strattonare il braccio che gli avvolgeva il collo e che lo stava soffocando.

“Non avevo idea che sapessi usare una spada così bene,” disse a bassa voce Annie mentre lo teneva immobilizzato nella presa. “Dove hai imparato il Kenjutsu? Non ho mai visto uno stile come il tuo.”

Boruto continuò a serrare i denti, gemendo per il dolore e fissandola con rabbia ed impotente frustrazione.

Tuttavia Mikasa venne immediatamente in suo soccorso, portandosi sopra la maestra e calciandola con la gamba destra. Tuttavia Annie scomparve prima di poter essere colpita con uno Shunshin no jutsu, liberando dalla presa soffocante il biondino.

“Stai bene, Boruto?” esclamò Mikasa, aiutandolo a rimettersi in piedi.

Il ragazzo annuì, sputando a terra. “Come diavolo fa ad essere così veloce?” ringhiò con frustrazione. “Non siamo riusciti a colpirla neanche una volta.”

“ATTENTI!”

Boruto e Mikasa si voltarono di scatto con spavento, giusto in tempo per vedersi comparire davanti Sora che li aveva salvati bloccando col suo bastone un colpo di kunai della giovane sensei, comparsa dietro di loro dal nulla.

Annie però calciò immediatamente dopo il moro lontano da sé, facendogli sfuggire un urlo acuto di dolore.

“RAITON;” gridò allora Boruto, formulando una rapida successione di sigilli con le mani. “Raikyu!” (Sfera Elettrica)

Una grossa palla di elettricità bluastra scattante gli apparve dinanzi le mani dopo un secondo, e poi Boruto la scagliò con precisione addosso alla sensei senza esitare. Ma Annie balzò in alto, evitando l’attacco e portandosi alle spalle di Mikasa e del biondino con rapidità.

Mikasa scattò verso di lei, sferrandole una rapida successione di calci e pugni, ma l’altra li evitò tutti con facilità. Mikasa allora fece scattare le lame celate nei suoi tirapugni allo stesso tempo, cogliendola di sorpresa per un secondo e mirandole un affondo alla gola.

Annie però aveva altri piani in mente, abbassandosi di nuovo e muovendo un kunai verso la nera con precisione. Ma la lama di Boruto cozzò all’improvviso contro il suo pugnale, sorprendendola per un istante prima di sentire un calcio potente centrarla in pieno sulla spalla, cortesia di Mikasa che aveva sfruttato il suo attimo di distrazione per colpirla.

Con un gemito inaudibile, Annie allontanò la nera con una mano, bloccando un secondo affondo da parte del biondino col kunai. Boruto però usò a sua volta quel momento di distrazione per colpirla con un palmo direttamente sul mento con la mano sinistra, facendole scattare la testa verso destra. Annie sgranò gli occhi, allibita.

Sora intanto sbatté il bastone sul terreno con forza, creando un piccolo cratere nel punto sopra cui si trovava la maestra. Boruto balzò lontano dall’avversario nello stesso momento.

“DOTON: Doro Domu!” (Prigione di Terra)

Un grosso muro fatto interamente di terra andò a coprire tutta la figura di Annie in meno di un secondo prima che lei potesse fare nulla, rinchiudendola dentro una prigione senza uscite.

Mikasa passò in rassegna a dei sigilli con le mani, inspirando dal naso. “KATON: Goukakyuu no jutsu!” (Palla di Fuoco Suprema)

Una gigantesca sfera di fuoco rosso di dimensioni enormi uscì fuori dal suo soffio, la quale andò a centrare con un ruggito assordante tutto il cumulo di terra che aveva avvolto la maestra poco meno di due secondi prima, generando un’esplosione fragorosa subito dopo.

Poi, dopo appena tre secondi di boato, tutto tacque.

Boruto si portò accanto a Mikasa e Sora, ansimando assieme a loro per la fatica.

“L-L’abbiamo presa?” domandò il moro, il suo tono molto affaticato.

Mikasa e Boruto continuarono a fissare il punto colpito dalla tecnica, i loro occhi stanchi puntati con attenzione sulla cupola di terra distrutta e fumante. Il silenzio regnò sovrano per diversi secondi. Nessuno de tre si mosse.

Quando poi, all’improvviso, Boruto sgranò gli occhi e si voltò di scatto alle spalle, scagliando con la mano sinistra un kunai dietro di sé. Mikasa e Sora si girarono un attimo dopo di lui, tesi come non mai.

Annie bloccò il kunai con una mano senza fatica, i suoi occhi freddi e annoiati come sempre. “Basta così.” disse lei con un tono serio e deciso, fissando i ragazzini con freddezza. “Adesso calmatevi. Come prima sessione di lotta è abbastanza. Abbassate le armi.”

Boruto e gli altri esitarono un istante, poi si rilassarono e abbassarono le armi con un sospiro di sollievo.

Sora si buttò a terra pesantemente. “Sono esausto!” esclamò, il suo respiro pesante. “N-Non mi stancavo così da una vita! Questo allenamento è stato troppo intenso!”

Annie guardò i ragazzini con la sua solita espressione indifferente. “Devo dire che mi aspettavo di più.” disse loro subito dopo. “I vostri movimenti e i vostri riflessi sono buoni, ma il vostro tempo di reazione e i vostri attacchi sono lenti e privi di decisione. Tutti voi siete incredibilmente portati e abili nella lotta, ma avrete bisogno di fare molto di più contro uno Shinobi come me.”

Il suo sguardo si posò su Mikasa. “Mikasa, i tuoi attacchi sono estremamente potenti e letali, ma mancano di precisione e di velocità. Non ti servirà a nulla essere forte se non riesci a colpire neanche una volta il tuo avversario. Devi diventare più veloce e più precisa quando ti muovi e ti difendi.”

Mikasa abbassò lo sguardo a terra, i suoi occhi divennero occhi più tristi del solito appena udì le parole della maestra.

Poi Annie si voltò verso Sora. “Sora, tu invece sei lento e meno preciso negli attacchi rispetto ai tuoi compagni, ma sei più veloce e forte di loro nel Ninjutsu. Le tue Tecniche ci mettono meno tempo ad essere formulate e sono estremamente letali. Ma se non impari a reagire in tempo nel corpo a corpo non potrai formulare nessun jutsu prima di essere attaccato da un nemico.”

Il moro serrò i pugni, annuendo debolmente con la testa. “L-Lo so…” disse alla fine, visibilmente deluso.

Infine, la maestra posò gli occhi su Boruto, fissandolo con uno sguardo indecifrabile per diversi secondi. Il biondo ricambiò lo sguardo senza esitazione, i suoi occhi affaticati ma decisi a non perdere quella sfida di sguardi.

“Boruto,” cominciò a dire poi lei. “Tu sei veloce, rapido e forte con la spada. Ho fatto davvero fatica a seguire i tuoi movimenti con quella tua katana. Ho dovuto seriamente impegnarmi mentre ci scambiavamo i colpi. Questa cosa non è da poco. Non ho mai visto uno stile di lotta con la spada come il tuo.”

Gli occhi del ragazzo non smisero mai di fissare il volto della giovane sensei.

“Tuttavia,” riprese a dire Annie subito dopo. “Quando non impugni una spada diventi più lento e meno potente nei colpi. Sei abile nel taijutsu, ma devi lavorare ancora molto sui tuoi riflessi e la tua forza se vuoi migliorare. Compensare la tua mancata velocità con quelle patetiche Tecniche ninja come il tuo ‘Boruto Stream’ non ti servirà a nulla.”

Il biondo serrò la sua presa sull’elsa della spada in un moto di frustrazione.

Annie sospirò nel vedere la loro evidente delusione, chiudendo gli occhi. “Ma non c’è motivo di essere tristi,” li richiamò pacatamente dopo un secondo di silenzio, attirando di nuovo la loro attenzione. “Siete ancora dei semplici Genin. Avete molto tempo a disposizione per migliorare. Dopotutto, io sono qui per questo.”

I tre ragazzi sgranarono gli occhi, fissandola a bocca aperta.

Annie riaprì gli occhi, fissandoli con uno sguardo meno freddo di prima. “Inoltre, come vi ho già detto, tutti voi siete incredibilmente più dotati e abili rispetto alla media. Non so come abbiate fatto a diventare così forti già da adesso, ma possedete senza dubbio le abilità da Chuunin.”

Poi, i suoi occhi si ridussero a due fessure e li perforarono con la loro intensità. “E questa cosa è davvero strana. Dove avete imparato tutte quelle mosse e quelle Tecniche di livello avanzato? Non le insegnano di certo all’Accademia.”

I tre giovani spostarono lo sguardo dai suoi occhi, cercando di non far trapelare il loro nervosismo e la tensione che stavano provando in quel momento.

“Con tutto il dovuto rispetto,” cominciò allora a dire Boruto, facendosi coraggio e rinfoderando la spada dietro la schiena. “Non vedo perché la cosa le sembri tanto sospetta. È così strano per lei pensare che noi tre possiamo esserci allenati nel corso di questi anni da soli?”

Annie si limitò a fissarlo con quei suoi occhi freddi. “Credimi, ragazzino. Dopo che entri a far parte degli ANBU riesci a vedere anche ad occhi chiusi quando qualcuno mente o nasconde qualcosa. E non è saggio mantenere segreti con il proprio sensei.” La sua voce suonò quasi minacciosa.

Boruto deglutì, cominciando a credere che forse quella ragazza sarebbe davvero potuta diventare un suo terrore in futuro con quell’atteggiamento così freddo e diretto.

“I segreti fanno parte della vita di ogni Shinobi,” ribatté dopo un attimo di esitazione il biondo, portandosi davanti ai suoi amici. “E lei sarà anche la nostra sensei, ma io non mi fido di lei, esattamente come lei non si fida di noi. Cosa le dà il diritto di voler sapere tutto ciò che ci riguarda? Il suo rango è sicuramente più alto del nostro, ma anche un Genin non è obbligato a fare alla lettera ogni cosa che un Jonin o un ANBU gli dice di fare.”

Annie e Boruto rimasero in silenzio per diversi secondi dopo che quelle parole furono pronunciate. Tutti e due continuarono a fissarsi negli occhi, senza indietreggiare o esitare per un secondo.

Finché, alla fine, la giovane maestra sospirò. “Sei davvero scaltro,” si complimentò con serietà. “Quella tua intelligenza è davvero acuta. Non è un bene fidarsi di tutti, anche del proprio sensei. Oggi mi avete dimostrato di avere del talento da vendere. Vi faccio i miei complimenti.”

Boruto sorrise, portandosi davanti a lei e offrendole una mano.

Annie lo fissò per un secondo, leggermente stupita da quel suo gesto, prima di ricomporsi e afferrare la mano del biondino con la sua e stringerla con decisione.

“Da oggi, dichiaro ufficialmente attivo il Team 3.” disse la sensei, fissando i suoi allievi con serietà. “Preparatevi, tutti e tre. Presto cominceremo a svolgere delle vere missioni.”

I tre giovani si misero uno affianco all’altro. “Sì, Annie-sensei!”
 

16 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Negozio di Urahara
18:30

“Allora, come è andata?” domandò loro Urahara appena li vide entrare nel salotto, fissandoli con un sorriso curioso.

I tre ragazzini si buttarono tutti e tre su un divano, le loro espressioni completamente esauste.

“È stato orribile!” riuscì a dire alla fine Sora, stanco. “Annie-sensei ci ha fatto combattere contro di lei per tutta la mattina, e poi ci ha fatto allenare fino allo stremo con degli esercizi di manipolazione e controllo del chakra per tutto il pomeriggio! Concludendo il tutto con una prova di resistenza fisica che ci torturerà per i prossimi due mesi!”

Urahara inarcò un sopracciglio. “Una prova di resistenza fisica?” ripeté, confuso.

Mikasa alzò lentamente un braccio in alto, rivelando sotto la manica una specie di fascia attaccata al suo avambraccio sopra cui era stata segnato una scritta in nero: ‘Peso’

“Annie-sensei ci ha posto sulle braccia e sulle gambe questi Sigilli per aumentare il nostro peso,” spiegò lentamente la ragazza, il suo tono un misto tra l’irritato e l’esausto. “Ha detto che da oggi dovremo abituarci a portarli ogni giorno addosso anche mentre ci alleniamo in modo da riuscire a rendere in nostri movimenti più veloci e precisi col tempo e la nostra resistenza più elevata. E ha detto anche che aumenterà gradualmente il peso dei Sigilli ogni settimana.”

L’uomo col cappello ridacchiò nervosamente. “Questa Annie-sensei sembra essere una persona parecchio rigida e severa nell’allenamento. Che impressione vi ha dato?”

Boruto e gli altri gli raccontarono nel dettaglio il loro incontro con la sensei e ciò che avevano scoperto su di lei durante quella giornata. Appena ebbero finito di spiegare, Urahara rimase per diversi secondi in silenzio, riflettendo tra sé nella testa sulle informazioni che i suoi giovani ragazzi gli avevano riferito.

“Un ANBU, eh?” disse poi a bassa voce. “Non mi aspettavo certo che l’Hokage avrebbe preso questa decisione nei vostri riguardi…”

Boruto si risollevò con la schiena dal divano. “Che vuoi dire?” domandò seriamente, la sua mente che tentava di comprendere ogni singola conseguenza che implicava la scelta di suo pa - del Settimo, si corresse – di affidare a loro tre un membro del corpo ANBU come sensei.

Urahara lo fissò con uno sguardo serio. “Vi ho già spiegato in passato a grandi linee cosa sono gli ANBU, ma ci sono molte cose che ancora non sapete su di loro.” disse l’uomo col cappello, il suo tono serio. “Gli ANBU sono essenzialmente i ninja più fedeli e più abili al servizio del Villaggio. Agiscono nell’ombra, compiendo qualsiasi tipo di missione per conto dell’Hokage. Non esitano neanche a sporcarsi le mani col sangue pur di eseguire una missione, e sono in pratica le forze segrete dell’Hokage. A loro vengono affidati gli incarichi segreti e più pericolosi di tutti.”

I tre giovani lo ascoltarono con attenzione.

Boruto aggrottò gli occhi. “Ne ero certo.” disse subito dopo. “Annie-sensei non era per niente un ninja comune. La sua forza e le sue abilità erano decisamente al di sopra di qualsiasi altro ninja che io abbia mai visto. Persino il Sesto Hokage non era veloce come lei, anche se durante gli Esami quell’uomo si è trattenuto molto contro di noi.”

Mikasa annuì. “Ma quella donna non è soltanto forte,” aggiunse lei. “È molto pericolosa. Lo sguardo che aveva sempre in faccia era davvero inquietante.”

Urahara la fissò con attenzione e serietà. “Lo sguardo?”

“Avresti dovuto vedere i suoi occhi, sensei.” chiarificò Boruto. “Quelli erano gli occhi di qualcuno che ha visto la cruda realtà del mondo. Gli occhi di chi è finito nel baratro della disperazione. Gli occhi di chi una volta ha perso tutto ciò che possedeva.”

Boruto assunse un’espressione glaciale, fissando il volto del suo maestro con uno sguardo freddo e privo di emozione.

“Lei ha i nostri stessi occhi.”

Urahara serrò la mascella con un moto appena visibile delle labbra, chiudendo gli occhi ed inspirando da naso, come se quello che il biondino aveva appena detto gli avesse fatto realizzare qualcosa di spiacevole.

“Capisco,” fu tutto ciò che si limitò a rispondere loro. “Se quello che dite è vero, allora dovrete stare molto attenti ogni volta che sarete assieme a lei. Gli ANBU sono le macchine da guerra dell’Hokage, non vi conviene sottovalutarla. Il Settimo l’avrà assegnata alla vostra squadra perché vorrà tenervi costantemente d’occhio e osservare attraverso di lei ogni vostra singola azione. Dovrete stare sempre con gli occhi bene aperti, ragazzi.”

Sora lo guardò negli occhi. “Cosa ci consigli di fare?” gli chiese ala fine.

“Fate tutto ciò che questa Annie vi dirà di fare senza obiettare,” rispose. “ Cercate di ubbidirle senza destare troppi sospetti su di voi. Anche se non vi consiglio di rivelarle le vostre vere abilità, dovrete in qualche modo riuscire a conquistare la sua fiducia, almeno in parte. Conoscendo gli ANBU, lei non smetterà mai di osservarvi nemmeno tra cinque anni, o forse più. Perciò, l’unica cosa che potete fare è ubbidire alla vostra maestra, senza però rivelare nulla sul vostro conto.”

Mikasa incrociò le braccia. “Ma perché?” domandò appena l’uomo finì di parlare. “Perché l’Hokage vuole tenerci d’occhio in questo modo? Che cosa vuole da noi?”

Gli occhi di Urahara si posarono sul biondo del gruppo. Boruto abbassò lo sguardo a terra, serrando i pugni.

“Vuole Boruto,” rispose con un tono basso e decisamente serio. “Il Settimo vuole riuscire a tenere d’occhio suo figlio. Dato che i suoi rapporti con lui sono… inesistenti, l’Hokage deve aver deciso di far luce sul mistero e sui segreti che girano attorno a lui a suo modo. E se è stato disposto persino ad affibbiarvi un ANBU pur di controllare ogni azione di Boruto, questo vuol dire che non si fida completamente di voi.”

Il biondino serrò i pugni con forza e rabbia. Il suo volto si contrasse in una smorfia a causa della furia e dell’odio.

Quel maledetto Hokage non si decideva mai a lasciarlo in pace! In un modo o nell’altro, suo padre continuava incessantemente ad intromettersi nella sua vita senza mai dargli tregua. Era come una maledizione. Perché quel dannato Hokage non riusciva a capire che lui non voleva avere più nulla a che fare con lui? Perché doveva sempre farlo soffrire, anche adesso che lui aveva deciso di lasciarlo per sempre dietro di sé?

“Mi dispiace, ragazzi,” sussurrò rabbiosamente Boruto dopo un paio di secondi, il suo sguardo furioso rivolto al pavimento. “Per colpa mia adesso abbiamo sulle nostre spalle anche il sospetto dell’Hokage. Non volevo coinvolgere anche voi in questo….”

“Non è colpa tua,” lo incalzò Mikasa dopo un secondo, poggiandogli una mano sulla spalla. “Il Settimo è l’unico responsabile delle sue azioni, non tu! Non affibbiarti colpe che non hai.”

Sora lo fissò a sua volta con un sorriso. “Mikasa ha ragione,” confermò lui con un cenno del capo. “E poi, noi tre siamo una famiglia. Non importa cosa il mondo ci lancerà addosso, noi lo affronteremo a testa alta! Tutti insieme! Non sei da solo in tutto questo!”

Boruto li guardò con i suoi occhi ricolmi di gratitudine per quelle parole. Le sue labbra si incurvarono dopo un secondo in un sorriso.

Mikasa e Sora avevano ragione. Lui non era più solo. Non importava cosa avrebbe fatto l’Hokage pur di riuscire a mettergli i bastoni tra le ruote, non importava cosa avrebbe tentato di fare quell’uomo pur di avvicinarsi ancora a lui, Boruto non avrebbe mai ceduto. Perché lui non era più da solo. Perché lui, adesso, aveva una nuova famiglia che lo avrebbe aiutato per sempre.

E questo gli avrebbe permesso di resistere alle grinfie di suo padre.

“Grazie mille, ragazzi.”


 

TRE DOMANDE PARTICOLARI

17 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Ospedale
10:10

Naruto avanzò con passo esitante per i corridoi dell’ultimo piano dell’ospedale di Konoha. Esso era riservato quasi esclusivamente per i ninja della Foglia, ed era personalmente mantenuto e gestito dai migliori medici che il Villaggio avesse mai avuto nella sua storia.

Lui stesso era stato su questo piano dell’ospedale diverse volte nella sua vita. La maggior parte di esse perché era stato ricoverato lì dopo una battaglia, come era stato dopo lo scontro con Kakuzu o Sasuke. Ma altre volte vi era stato perché i suoi amici erano ricoverati lì. E quelle volte erano sempre le peggiori. Lui odiava vedere le sue persone care soffrire. Avrebbe decisamente preferito soffrire lui stesso dieci volte di più di loro piuttosto che vedere i suoi amici patire anche le più lievi sofferenze.

Ma questa volta, per il Settimo Hokage, era persino peggiore di tutte le altre volte.

Perché oggi ad essere ricoverati lì in quel piano non erano più i suoi amici, ma bensì la sua famiglia.

Si fermò nervosamente dinanzi una delle numerose porte lungo il corridoio. Un grosso cartello bianco era attaccato sopra l’ingresso della stanza, il numero 379 segnato su di esso per indicare la numerazione delle varie sale ospedaliere.

Raccogliendo tutto il suo coraggio, Naruto bussò lentamente alla porta.

“Entra.” fece una voce al suo interno.

Il Settimo entrò nella stanza un secondo dopo, e sentì immediatamente gli artigli gelidi della paura affondargli il petto a causa delle visione che gli apparve davanti agli occhi.

Hinata e Himawari erano stese su due letti posti l’uno affianco all’altro, entrambe con gli occhi chiusi e delle espressioni decisamente poco rassicuranti nei loro volti. Hinata era pallida, molto più pallida del solito, e la sua faccia era visibilmente più magra e stressata di quanto non fosse mai stata. Stava dormendo, come anche la piccola accanto a lei, ma anche nel sonno i suoi occhi sembravano serrati in un moto di dolore e disperazione, le sue labbra secche e ridotte ad una piccola fessura sottile.

Himawari invece aveva un’espressione più tranquilla, ma il suo respiro era affannoso nel sonno, come se stesse soffrendo per qualcosa. Naruto ebbe un tuffo al cuore nel vederla così irrequieta mentre dormiva.

Sakura era proprio in mezzo ai due letti, vestita con un camice bianco e con una piccola serie di fogli di appunti e di esaminazione mediche nelle mani. Appena lo vide, la sua amica e vecchia compagna di Team gli offrì un piccolo e rapido sorriso, tentando di sollevargli il morale.

“Sta solo sognando,” disse lei per rassicurare Naruto. “Non preoccuparti. Himawari sta bene.”

Naruto annuì lentamente, i suoi occhi incollati sul volto di sua figlia. Poi il suo sguardo si spostò su sua moglie, e la sua espressione si fece più tesa e triste.

“C-Come sta Hinata?” domandò a bassa voce, temendo di risvegliarle.

Le labbra di Sakura si incurvarono giù leggermente, ma la donna si ridestò seriamente dopo un secondo. “Ho fatto tutto quello che potevo, ma si rifiuta ancora di collaborare,” disse, la sua voce bassa e triste. “Non fa altro che piangere e auto-commiserarsi da due giorni. Si da del mostro ogni cinque minuti, nonostante io e Tsunade-sama abbiamo tentato di parlare con lei diverse volte per convincerla a calmarsi e a lasciarsi aiutare. Si rifiuta persino di magiare. Ho dovuto attaccarle una flebo per permetterle di ricevere delle sostanza nutritive.”

Naruto ascoltò con orrore crescente la diagnosi, mentre sentiva sempre più il suo cuore risalirgli in gola di secondo in secondo nel tentativo di far uscire fuori tutto il dolore che aveva dentro.

Non riusciva a credere a quanto gravemente sua moglie avesse reagito all’allontanamento di Boruto. Hinata era sempre stata una donna emotiva, ma il suo amore e la sua dedizione totale per la famiglia erano così ardenti in lei che il vedere il suo primogenito andare via di casa l’aveva spezzata completamente. Non era riuscita a fare nulla se non piangere, disperarsi e insultarsi per tutto questo tempo.

Hinata, la sua dolce e amata Hinata, era diventata emotivamente instabile a causa di loro figlio.

Naruto trasalì leggermente appena si rese conto che Sakura si era mossa verso di lui e lo aveva abbracciato gentilmente. Rimase confuso per un solo istante, quando poi sentì all’improvviso una sensazione di bagnato invadergli le guance, lasciandolo sbalordito e confuso per un paio di secondi. Infine, si rese conto vagamente del fatto che aveva iniziato a piangere senza preavviso soltanto dopo cinque secondi.

“Non preoccuparti,” lo rassicurò Sakura dolcemente, stringendolo a sé con le braccia. “Farò di tutto per aiutare lei e Himawari. Te lo prometto, Naruto.”

Il biondo annuì, grato alla sua amica per quelle parole. Tuttavia esse non bastarono certo a placare il dolore che stava provando dentro in quel momento. La stretta che gli avvolgeva il cuore era troppo angosciante, troppo dolorosa per riuscire ad essere ignorata. E Naruto non poteva ignorarla. Non ci riusciva. Non ce la faceva.

Aveva fallito come padre. Lo aveva compreso in questi giorni. Lo aveva compreso forse sin da quando aveva avuto quella discussione con Boruto, due anni prima. Aveva fallito nel riuscire a fare la cosa più importante di tutte per un Hokage.

Proteggere la sua famiglia.

La cruda realizzazione di ciò gli fece inevitabilmente serrare i pugni e i denti in un moto disperato di rammarico e tristezza. Come aveva potuto essere così sciocco? Come aveva potuto permettere a suo figlio di soffrire così tanto a causa sua e del suo lavoro? Non voleva che le cose finissero così. Non era questo il suo sogno.

Aveva raggiunto molti obiettivi nella sua vita. Naruto era riuscito persino a coronare il suo sogno di diventare Hokage. Era la sua più grande ambizione, la sua meta che lo aveva spinto sempre ad andare avanti per tutta la sua vita. Ma quello non era stato il suo solo sogno. Non era quello l’unico obiettivo che aveva avuto da piccolo. Ce n’era stato un altro. Un altro sogno, un altro obiettivo che lui credeva di aver raggiunto da tempo, ma che adesso stava rischiando per la prima volta di frantumarsi in mille pezzi davanti ai suoi occhi.

Avere una famiglia.

Naruto lo aveva desiderato da sempre. Aveva sognato, letteralmente sognato la notte, di avere una famiglia. Da piccolo, mentre gli altri bambini sognavano avventure mirabolanti e viaggi fantastici, lui aveva sognato di possedere una famiglia. Una madre. Un padre. Un fratello o una sorella. Nel corso degli anni poi, il suo sogno era cambiato in una moglie e un figlio, o una figlia. Ma lui non aveva mai dato apertamente voce a questo sogno. Dopotutto, chi mai avrebbe voluto formare una famiglia con lui? Un orfano? L’ultimo della classe? La Forza Portante del Kyuubi?

‘Come siamo allegri stamattina…’ disse sommessamente Kurama nella sua testa. Naruto sospirò, troppo depresso per riuscire a dare retta alla Volpe.

L’Hokage si riscosse dai suoi pensieri, guardando Sakura con un’espressione piena di tristezza. “Quando si sveglieranno, fammelo sapere.” le disse lentamente. “Tornerò a vedere come stanno tra un paio d’ore nel caso non si siano ancora risvegliate.”

Sakura annuì, offrendogli un sorriso triste. “Lo farò.”

Naruto annuì debolmente, voltandosi subito dopo e cominciando ad uscire dalla stanza.

“Naruto.” lo richiamò però la sua amica prima che potesse andarsene. Il biondo si voltò verso di lei.

Sakura lo guardò di sbieco, la sua espressione seria e i suoi occhi puntati sui suoi. “Hinata mi ha detto tutto,” disse lei con un tono basso e serio, rivelando ciò che lui già sospettava. “Io non ti giudicherò per ciò che hai fatto. Né lo farò con Hinata. Tuttavia voglio che tu ti renda conto che non è ancora finita. Puoi ancora riuscire a sistemare le cose con lui, se ci provi. Non è tutto perduto.”

Naruto la fissò con i suoi occhi azzurri colmi di dolore per diversi secondi, incapace di rispondere a quelle parole.

Voleva davvero credere a ciò che la rosa gli aveva detto. Voleva davvero crederci. Voleva crederci così tanto che il suo cuore gli faceva male. Ma, se doveva essere sincero, non sapeva se quello che Sakura gli avesse detto fosse vero. Boruto, suo figlio, non sembrava per nulla intenzionato a ricominciare con lui. Né tantomeno con Hinata e Himawari. Era andato via dalla sua famiglia, dalla sua casa, da tutto ciò con cui era cresciuto. E lo aveva fatto con così tanta determinazione, così tanta rabbia e odio negli occhi che Naruto non aveva potuto fare a meno di sentirsi profondamente addolorato per ciò che lui stesso aveva indotto Boruto a fare. E adesso, per colpa sua, suo figlio si era completamente allontanato da loro senza curarsi del dolore che aveva generato in tutta la sua famiglia, ignorando sia lui che Hinata e Himawari del tutto.

“Esattamente come tu l’hai ignorato cinque anni fa…” gli sussurrò una vocina maledetta nella testa. Il solo pensiero di ciò servì solo a riempirgli il cuore di vergogna.

Incapace di rispondere alla sua amica, Naruto annuì con la testa, uscendo dalla stanza senza proferire parola.

Camminò per i corridoi dell’ospedale con la testa bassa e le spalle pesanti, incurante di tutto ciò che lo circondava. Diverse infermiere e molti medici lo videro passare vicino a loro, fermandosi per rivolgergli un inchino in segno di saluto e rispetto, ma lui li ignorò.

Finché, dopo un lasso di tempo indefinito, una figura si portò davanti a lui senza esitazione, bloccandogli la strada.

Naruto alzò lo sguardo da terra, ritrovandosi faccia a faccia con il volto furioso e a malapena riconoscibile di Hiashi. I pallidi e rugosi occhi dell’anziano erano aggrottati e pieni di rabbia e dolore, e lo stavano fissando con uno sguardo colmo di disappunto e di una furia che Naruto non gli aveva più visto in volto sin dai tempi della Guerra.

“Come hai potuto permettere che accadesse una cosa del genere?” gli sbraitò in faccia il vecchio Hyuuga appena lo vide, il suo tono visibilmente arrabbiato.

Naruto abbassò di nuovo lo sguardo a terra, incapace di sostenere lo sguardo del padre di sua moglie.

“Hinata mi ha detto tutto!” continuò imperterrito Hiashi. “Non riesco a credere che tu abbia potuto fare una cosa del genere, Naruto! E hai coinvolto persino mia figlia in tutto questo! Cosa diavolo ti è passato per la testa?! EH?!”

“…”

“Hai istigato mio nipote al suicidio!” Hiashi non accennava minimamente a voler terminare la sua scenata. “Ciò che hai fatto lo ha portato a lasciare la sua famiglia! E come se non bastasse adesso mia figlia e mia nipote sono ricoverate qui dentro a causa del trauma mentale che TU hai contribuito a creare in loro convincendole a trattare mio nipote come un estraneo! TI RENDI CONTO DI QUELLO CHE HAI FATTO???”

Naruto rimase in silenzio per tutto il suo discorso, la testa bassa e gli occhi puntati a terra ricolmi di vergogna, dolore, sconforto e rammarico. Non alzò mai gli occhi nemmeno una volta. Non osò neanche una sola volta incontrare lo sguardo di Hiashi, restando sempre in silenzio ed accettando senza fiatare tutti gli insulti e le urla piene di dolore e stress che suo suocero gli stava lanciando addosso.

La urla dell’anziano andarono avanti per minuti interi, senza mai fermarsi o cedere una sola volta. Per tre minuti interi Naruto rimase ad ascoltare con vergogna e disperazione gli insulti e le minacce di suo suocero. Ogni singola parola, ogni singolo insulto che riceveva fu per lui come un colpo durissimo che lo centrava in pieno petto, facendogli contorcere il cuore dal dolore. Ma Naruto non reagì, accettando in silenzio tutta quella rabbia, tutto quel dolore e tutta la sua punizione senza obiettare.

Aveva commesso un errore terribile, e adesso sapeva di doverne pagare le conseguenze.

“Mi dispiace.” fu tutto ciò che riuscì a dire appena Hiashi terminò di urlargli in faccia.

Il vecchio Hyuuga lo guardò con un’espressione rabbiosa, ancora ansimante per tutte le urla che gli aveva rigettato addosso. “E meno male che ti dispiace!” ribatté con disappunto. “Hai la più pallida idea di cosa hai fatto?”

Naruto si limitò ad annuire ancora una volta.

Hiashi lo perforò coi suoi occhi pallidi per diversi secondi. Poi, dopo un’interminabile pausa di diversi secondi di silenzio, il vecchio serrò i pugni e prese ad incamminarsi oltre l’Hokage, il suo volto perennemente infuriato.

Tuttavia, prima di andarsene del tutto, gli rivolse un ultimo scambio di parole. “Farai meglio a risolvere questa situazione quanto prima!” gli disse con fermezza e rabbia, senza voltarsi verso di lui. “Non accetterò che mio nipote se ne vada dalla famiglia. Né per il suo bene, né per quello di mia figlia e mia nipote. Hokage o meno, non permetterò che questo tuo errore possa distruggere la famiglia di Hinata.”

Detto ciò, Hiashi riprese ad incamminarsi verso la sala dove si trovava sua figlia, senza mai voltarsi neanche una volta indietro.

Naruto rimase fermo per un tempo indecifrabile, ingoiando le proprie lacrime con un singhiozzo sommesso e riprendendo a dirigersi subito dopo verso il suo ufficio.

“Che cosa ho fatto…”
 

17 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Strada Principale
11:00

“Cosa c’è che non va?”

Sarada si girò verso Sumire, la sua espressione confusa da quella domanda. A cosa si stava riferendo?

“Cosa vuoi dire?” chiese a sua volta lei con un tono confuso, incapace di capire.

Sumire la guardò con uno sguardo intento, e anche Mitsuki si voltò verso di lei a fissarla coi suoi occhi gialli mentre continuavano a camminare per le vie del Villaggio.

“Mi sembri stranamente pensierosa oggi,” disse alla fine la ragazza dai capelli viola. “È da ieri che ogni volta che non ci alleniamo ti chiudi in te stessa con un’espressione quasi assente. C’è qualcosa che ti turba, Sarada?”

L’Uchiha la guardò con gli occhi più sgranati del solito. Aveva davvero fatto tutto ciò? Aveva davvero dato a Sumire l’impressione di essere sempre chiusa in se stessa per tutti questi giorni che erano stati in squadra insieme? Non se n’era accorta.

“No, no! Non c’è niente che mi turba!” si affrettò subito a chiarire la nera, sorridendo nervosamente per l’imbarazzo. Poi però il suo volto si fece più serio, e i suoi occhi si posarono a fissare davanti a sé senza un vero punto da osservare. “È solo che,” riprese poi a dire lentamente. “Stavo riflettendo su una cosa.”

I suoi due compagni la guardarono con un sopracciglio incurvato. “E a cosa stavi pensando?” chiese questa volta Mitsuki.

Sarada non rispose subito alla domanda, insicura su cosa dire. Dopotutto, ciò che l’aveva continuamente distratta per tutti questi due giorni era stato un solo pensiero. Un solo ed unico pensiero che continuava incessantemente a tormentarle la mente senza che lei ne sapesse il motivo. Una sola, incessante domanda che riecheggiava nella sua testa, desiderosa di una risposta che lei non sapeva darsi.

Una domanda a cui lei voleva a tutti costi rispondere, senza però sapere perché.

Ed il problema era proprio questo: perché non riusciva a capire il suo interesse per quella questione?

Sarada non era mai stata una persona loquace. Né tantomeno era abituata ad aprirsi con gli altri, se non in eccezionali casi come con Chocho e Sumire, a volte. Era una ragazza, come a lei piaceva sempre definirsi, semplice e schietta. Non badava agli affari che non la riguardavano e non si curava delle persone che non la interessavano. Semplice. Efficace. Diretto.

Ma allora perché?

Perché in questi giorni quella domanda continuava ad affollarle la mente senza sosta? Cos’era successo in lei di così improvviso da spingerla ad interessarsi così, su due piedi, a qualcosa che non la toccava minimamente?

No, un momento. In realtà la cosa l’aveva toccata. Anche lei era stata coinvolta dalla questione, anche se soltanto in minima parte.

Forse era semplicemente questo il motivo. Ma se le cose stavano davvero così, allora cos’era questa bruciante voglia, questa ardente necessità di sapere la risposta alla domanda che da due giorni continuava a ronzarle in testa?

Sarada non ne aveva idea.

“Credo che dire ciò che ti turba potrebbe aiutarti molto, sai?” la voce di Mitsuki la riscosse dai suoi pensieri come un fulmine. “Non è un bene trattenersi tutto dentro.”

Sarada lo fissò di sbieco per diversi secondi. “È davvero così evidente?” domandò, riferendosi alla sua chiusura improvvisa.

I suoi compagni di Team annuirono semplicemente.

La giovane Uchiha sospirò. Forse Mitsuki aveva ragione. Forse, se voleva davvero cominciare a capire il perché quella domanda le era sorta in testa, allora lei avrebbe semplicemente dovuto porla all’attenzione degli altri. Forse, l’unica cosa che doveva fare era condividerla con qualcuno.

Konohamaru-sensei aveva ripetuto per centinaia e centinaia di volte in questi giorni che la fiducia tra compagni di Team è indispensabile. Ormai lei e gli altri due compagni erano stufi di sentirlo ripetere sempre quella dannata frase sul ‘lavoro di squadra’.

Però, forse, quei suoi consigli potevano aiutarla in questo momento.

Decise di fidarsi. Dopotutto, non aveva nulla da perdere.

“In questi giorni ho sempre avuto in testa una domanda,” cominciò a dire allora, rivolgendosi a Mitsuki e Sumire. “E ancora adesso non riesco a capire il perché questa domanda mi interessi così tanto. Ogni volta che ci penso, finisco sempre per rinchiudermi nei miei pensieri.”

Sumire la guardò con attenzione. “Qual è questa domanda, Sarada?” le chiese, sinceramente incuriosita dalla faccenda.

L’Uchiha si voltò a fissare i suoi compagni con uno sguardo serio ed esitante. “Mi prometterete di non rivelarla a nessuno?” domandò loro a sua volta. “E di non prendermi in giro?”

Sumire e Mitsuki la guardarono con serietà, annuendo con il capo.

“Non ti prederei mai in giro, Sarada!” disse subito la Rappresentante con un sorriso. “Ci conosciamo da anni ormai. Sai che puoi fidarti di me, vero?”

Sarada le rivolse un sorriso sincero per ringraziarla.

Mitsuki invece sorrise a sua volta, chiudendo gli occhi con un’espressione contemporaneamente allegra e seria. “Non dirò nulla a nessuno. Né ti prenderò in giro per un qualche motivo. Lo prometto.”

La ragazza con gli occhiali lo fissò allora con un’occhiata analitica. Mitsuki era un tipo strano che a volte lei non riusciva a comprendere per nulla, ma non sembrava cattivo o bugiardo. E da quando era finito nel suo Team non si era mai comportato male nei suoi confronti. Decise di fidarsi anche di lui. Glielo doveva, dopotutto. Erano nella stessa squadra. Avrebbero dovuto imparare a fidarsi l’uno dell’altro prima o poi.

Perciò, facendo un grosso respiro, la ragazza fece la sua domanda.

“Secondo voi, perché Boruto non ha voluto restare nel Team 7 assieme a noi?”

Appena finì di pronunciare quella frase, i due ragazzi che la ascoltavano ebbero due reazioni diverse.

Sumire sgranò leggermente gli occhi, portandosi le mani istintivamente al petto in un moto di quello che doveva essere, secondo Sarada, nervosismo e confusione. Mitsuki invece inclinò la testa di lato, la sua espressione indecifrabile ed il suo sguardo che si posò verso la strada affollata di gente.

Nessuno dei tre parlò per diversi secondi.

“È questa la domanda che ti ha fatto stare così tanto in pensiero, Sarada?” chiese Sumire con un tono basso, il suo sguardo puntato a terra.

Sarada annuì leggermente con la testa. “Già,” ammise lei dopo un attimo di esitazione, la sa voce bassa come se stesse rivelando qualcosa di segreto. “Da quando… da quando quel giorno Boruto ha rifiutato di restare in squadra con me e Mitsuki, questa domanda mi è sempre rimasta impressa nella mente. E non riesco a capire il perché. Perché Boruto non ha voluto restare con noi? Cos’aveva di tanto speciale per lui la squadra di Mikasa e Sora? Cos’hanno quei due più di noi?”

I suoi compagni non dissero nulla per un paio di istanti. Il silenzio prese a regnare tra di loro, interrotto dal vociare rumoroso e frenetico delle persone e dei passanti per la strada. Finché, alla fine, uno di loro prese la parola.

“I-Io non posso dirlo con certezza,” cominciò a dire Sumire, i suoi occhi violacei che guardavano Sarada con uno sguardo esitante. “Ma credo che Boruto-kun sia molto legato a Sora e Mikasa. Se ricordate, disse che loro due erano le uniche persone di cui si fidava. Credo che sia per questo che lui abbia scelto di restare con loro. Ma non so dire il perché si fidi così tanto di loro.”

La ragazza dai capelli neri annuì. Ricordava bene le parole che Boruto aveva detto a lei e a Shino-sensei quella mattina. La determinazione, la decisione e la sicurezza che il biondino aveva usato nel suo tono di voce quel giorno le erano in qualche modo rimaste impresse nella memoria. Non c’era stata una sola traccia di esitazione nelle parole che il biondino aveva usato per giustificare la sua decisione. E anche Sora e Mikasa non avevano esitato a supportare la sua idea.

Quei tre, per un qualche strano motivo, erano decisi più che mai a restare insieme.

“Forse,” riprese a dire lei dopo un attimo di riflessione. “Boruto semplicemente non voleva stare con noi perché non gli andiamo a genio.” Il suo tono di voce le suonò stranamente sommesso nel pronunciare quella frase.

Mitsuki la guardò di sbieco. “Perché sembri così scoraggiata da questa cosa?” le domandò, notando la sua strana tonalità di voce.

Sarada si voltò verso di lui. “Scoraggiata?” ripeté, sinceramente confusa. “Non sono scoraggiata!”

“Però mi sembra che la decisione di Boruto ti abbia lasciata piuttosto delusa, o sbaglio?” chiese subito dopo l’albino, fissandola con i suoi occhi gialli penetranti. “Altrimenti perché avresti dato peso a questa cosa?”

Sarada fece per ribattere, quando però si rese conto di non essere in grado di dare una risposta precisa a quella domanda. I suoi occhi si sgranarono. La sua bocca si richiuse di scatto, come se si fosse appena pentita di aprirsi. La sua mente fu pervasa da una nota strana di incertezza e confusione.

Era davvero così che stavano le cose? Possibile che Mitsuki avesse ragione? Possibile che lei, proprio lei, fosse rimasta in qualche modo delusa dalla decisione di Boruto di non entrare a far parte della sua squadra? E se, per un qualche illogico motivo, questa cosa fosse vera, allora perché era rimasta delusa in principio?

Tutte queste erano domanda a cui lei non sapeva davvero rispondere.

“Sarada,” disse improvvisamente Sumire, riscuotendola da quei pensieri. “Per-Per caso… a te piace Boruto?”

Sarada la guardò con un sopracciglio incurvato per un secondo. Poi, di colpo, la sua faccia divenne paonazza come un pomodoro maturo.

“EEEEEEH?” esclamò l’Uchiha, muovendo il corpo in maniera rapida ed imbarazzata. “R-RAPPRESENTANTE! CHE STAI DICENDO?”

Sumire le rivolse un sorrisetto piuttosto strano, assottigliando gli occhi. “Lui ti piace?” ripeté lei, senza smettere di fissarla negli occhi. “Sei interessata a lui?”

Sarada scosse la testa con forza, le sue guance rosse come non mai al solo pensiero. “Certo che no!” rispose con imbarazzo. “Perché mai mi hai domandato una cosa simile?”

La viola la guardò per diversi secondi coi suoi occhi aggrottati e quel suo sorriso piuttosto saccente, uno strano scintillio che brillava nelle sue pupille. Mitsuki si limitò a guardare la scena, prettamente confuso.

“Beh, io invece sono interessata a lui!” dichiarò Sumire dopo un paio di secondi di silenzio.

Sarada e Mitsuki sgranarono gli occhi. “Eh?”

La Rappresentante sorrise, le sue guance piuttosto arrossate. “Boruto-kun mi piace,” ammise di nuovo, il suo tono deciso ma avvolto da un leggero tremore di nervosismo. “In quest’ultimo anno all’Accademia credo di essermi presa una cotta per lui…”

“Oh?” esclamò allegramente Mitsuki, sorridendo con la sua solita espressione indecifrabile. “Questa sì che è una sorpresa, Sumire. Non me lo aspettavo.”

Sarada dal canto suo continuò a fissare la sua amica con gli occhi sgranati e la bocca aperta, completamente allibita. “C-Cioè, stai dicendo che sei innamorata di lui?” domandò di nuovo, incredula.

Sumire annuì lentamente, intrecciandosi una ciocca di capelli con le dita. “S-Sì,” ammise abbassando lo sguardo a terra. “Boruto mi piace. All’Accademia è sempre stato forte, deciso e abile in tutto, ed è sempre stato gentile e disponibile con me. Ma quello che mi è sempre piaciuto di più di lui è la sua determinazione. Credo che sia stato questo a farmi prendere una cotta per Boruto. Per diverso tempo ho sperato di finire in squadra assieme a lui, soprattutto nei giorni passati.”

Sarada sgranò gli occhi.

“Tuttavia non è successo,” riprese a dire la viola, il suo sorriso un po’ più tirato. “E quando quel giorno ho visto che era finito in squadra con te, Sarada, ammetto di essere stata leggermente invidiosa.”

L’Uchiha rimase in silenzio, i suoi occhi neri puntati intensamente su quelli viola di Sumire.

“Ma Boruto-kun è riuscito di nuovo a stupirmi quel giorno,” disse ancora lei. “Affermando dopo appena un secondo di voler restare in squadra solo e soltanto con Sora e Mikasa. Quel giorno, se devo essere sincera, non sono davvero riuscita a capire perché Boruto-kun fosse così attaccato a quei due, ma ammetto di averli invidiati un po’, anche nel corso degli anni passati. Boruto-kun si è chiuso molto con tutti noi che eravamo in classe con lui nel corso di questi anni, ma con quei due invece è stato l’opposto. Con Mikasa e Sora lui è stato sempre aperto e disponibile in ogni momento, e spesso ho desiderato ricevere da parte sua quel tipo di attenzione. Ancora adesso ci spero, in realtà.”

Sarada rimase allibita all’udire quelle sue parole.

“Ma perché ci stai dicendo questo?” riuscì a chiederle dopo un attimo di incertezza. “Perché adesso ci stai dicendo di essere innamorata di lui?”

Sumire sorrise. “Quando hai detto prima di essere rimasta turbata dalla scelta di Boruto-kun, ho pensato che anche tu potessi essere interessata a lui come me,” spiegò semplicemente la ragazza dai capelli viola. “Perciò ho preferito dirti quello che provo io. Non perché voglia che tu stia alla larga da lui o qualcosa del genere, ma perché speravo di aver trovato un’altra persona che potesse in qualche modo capire quello che provavo io.”

Poi, di colpo, il suo sorriso si fece più saccente, e i suoi occhi si assottigliarono di nuovo. “In realtà, continuo a sperarlo ancora adesso, sai? Sei davvero sicura di non esserti innamorata anche tu?”

Sarada tornò ad essere paonazza. “Nononono!” rispose immediatamente, scuotendo la testa con nervosismo. “Ti sbagli, Sumire! N-Non sono per niente interessata a lui!”

La Rappresentante non disse nulla, continuando a sorridere tra sé con divertimento e saccenza. “Chi lo sa…”

Sarada si voltò subito dopo verso Mitsuki per cambiare discorso, il quale era rimasto sempre in silenzio per tutto il tempo.

“Tu che ne pensi invece, Mitsuki?” gli chiese, cercando di ignorare quell’occhiata saccente che Sumire le stava ancora rivolgendo alle spalle.

L’albino alzò lo sguardo al cielo, il suo volto indecifrabile. “Credo che Boruto abbia i suoi motivi per aver preso una decisione del genere,” rispose semplicemente. “Tuttavia, la cosa per me è indifferente. Se ha deciso così, per me va bene.”

Anche se, in realtà, non era per niente così che la pensava quel ragazzo.

Sarada e Sumire lo guardarono con delle espressioni confuse, stupite dall’improvvisa impassibilità del loro compagno di Team. Tuttavia prima che potessero chiedergli chiarimenti, il ragazzo si voltò di nuovo verso di loro, sorridendo e facendo un cenno col capo verso la strada.

“Dovremmo affrettarci,” disse loro, il suo tono ritornato allegro come sempre. “Konohamaru-sensei non vorrebbe che facessimo ritardo.”

Le ragazze si riscossero dal loro stupore, annuendo leggermente con la testa.

“G-Giusto.” disse alla fine Sumire, riprendendo a camminare per la strada, muovendosi per seguire l’albino che aveva cominciato ad incamminarsi verso il loro solito campo di addestramento.

Sarada li seguì a ruota, la sua mente che riprese di nuovo ad immergersi nei pensieri ancora una volta. Si stupì di quanto si sentisse più libera adesso che aveva rivelato quel suo pensiero anche ai suoi compagni di squadra. Quella domanda non sembrava più così opprimente e bruciante come era stata fino a pochi minuti fa. Era ancora presente, ma adesso la sua presenza non le sembrava più fastidiosa.

Tuttavia un altro pensiero prese ad accarezzarle la mente in quegli istanti successivi. Un altro pensiero che, con suo sommo stupore ed imbarazzo, prese a colorarle la faccia di rosso, facendola inconsciamente avvampare di calore.

Scosse la testa per distogliere quel ricordo, serrando i pugni e prendendo a correre e saltare tra i tetti dei palazzi dietro ai suoi compagni. Non poteva essere, dopotutto. Sumire si era semplicemente sbagliata. Quella domanda adesso non le avrebbe di certo fatto venire in testa pensieri strani. Sarada ne era certa.

Tuttavia, quella domanda riecheggiò lo stesso un pio di volte nella sua testa, solo per essere bellamente ignorata dalla giovane Uchiha.

Sarada represse un sospiro di esasperazione. “Accidenti a te, Sumire…” pensò tra sé, irritata e confusa. “Adesso dovrò vivere con il ricordo costante di questa cosa!”

Quella domanda sarebbe stata molto importante nella sua vita da quel giorno in poi.

“A te piace Boruto?”
 

17 Febbraio, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Cima della Montagna degli Hokage
11:30

Sora si voltò di scatto nel vedere il suo movimento. “Che succede?”

Boruto si limitò a scuotere la testa, grattandosi furiosamente un orecchio. “Niente,” rispose. “Mi fischiano le orecchie. Tutto qui.”

Mikasa si inclinò verso di lui di scatto all’udire ciò, guardandolo negli occhi con attenzione e tensione. “Potrebbe essere un sintomo di sinusite o di qualche febbre passeggera!” esclamò con serietà. “Come ti senti? Ti gira la testa? Ti fa male da qualche parte? Te l’avevo detto di indossare la canottiera in questi giorni! L’aria è ancora fredda in questo periodo dell’anno!”

“Eddai Mikasa!” la supplicò esasperatamente il biondo, cercando di farla desistere da quelle sue attenzioni così insistenti e appiccicose. “È un semplice fischio di orecchie! Non sono malato!”

Sora ridacchiò sommessamente. “Certo che da quando ti sei messa a studiare quei libri sulle basi della Medicina stai diventando sempre più attenta alla nostra salute, Mikasa!”

La nera non spostò mai lo sguardo dal volto del biondo. “Voi due non riuscireste sopravvivere un solo giorno senza di me,” rispose lei con un tono monotono. “Perciò devo sempre accertarmi che stiate bene.”

Boruto sospirò, sorridendo appena con le labbra. Mikasa era davvero troppo protettiva nei loro confronti a volte. Si prendeva cura di loro quasi come una specie di mamma. E per quanto sapesse che questo era il suo modo di dimostrare affetto nei loro confronti, a volte la ragazza era davvero esageratamente appiccicosa con loro.

Anzi, con lui soprattutto.

I suoi occhi azzurri si posarono sul volto della ragazza, osservando di sbieco la sua faccia. Era davvero bella, pensò inconsciamente il biondo. I suoi occhi neri così profondi, quel suo viso ovale, quella sua pelle chiara come il latte… tutto di lei pareva accentuare in qualche modo una bellezza che Boruto non aveva mai riscontrato con nessun’altra ragazza che avesse mai visto. Persino il modo in cui il vento le muoveva quei suoi lunghi capelli neri adesso, mentre se ne restavano tutti e tre seduti sulla gigantesca testa del Quarto Hokage a fissare il panorama del Villaggio, per lui era incredibilmente soave e bello.

A proposito di capelli…

“Ehi, Mikasa,” disse dopo un secondo Boruto, fissandola con uno sguardo attento e sincero. “Hai mai pensato di tagliarti i capelli?”

Sora e Mikasa si girarono verso di lui, confusi.

“Tagliarmi i capelli?” ripeté lei, il suo tono monotono ma curioso.

Boruto allungò una mano e le mosse una ciocca nera che le cadeva oltre la spalla. “Credo che siano un pò troppo lunghi,” continuò a dire lui. “Non vorrei che potessero esserti di intralcio durante gli allenamenti.”

Mikasa si toccò una punta dei suoi capelli, fissandola con gli occhi seri e profondi di sempre. Le sue mani ebbero un leggero fremito. I suoi occhi si adombrarono per diversi secondi carichi di tensione.

Sora invece cominciò a sudare sette camice all’udire ciò che Boruto aveva appena detto, fissando il suo amico e fratello da dietro con uno sguardo scioccato.

“È-È impazzito?!” urlò nella sua testa, spaventato a morte. “Non lo sa che per le ragazze i capelli sono sacri?! Mikasa lo ucciderà adesso che gli ha detto questo!!”

Boruto però rimase del tutto tranquillo, ignaro del pericolo che stava correndo in quel momento.

“E poi,” aggiunse subito dopo, chiudendo gli occhi e sfoggiando un sorriso dentato e sincero verso la ragazza. “Credo che saresti molto più carina coi capelli corti!”

La sua unica risposta fu un silenzio glaciale.

Sora sgranò gli occhi in maniera sproporzionata appena registrò quelle parole, scioccato dalla naturalezza e semplicità con cui Boruto aveva dichiarato una cosa simile davanti a Mikasa. Possibile che il suo amico fosse così incurante del pericolo in cui si trovava in quel momento? Possibile che non riuscisse a capire quanto fosse delicata la sua posizione?

I suoi occhi poi si mossero verso la ragazza seduta accanto a lui, temendo il peggio a causa delle parole che Boruto le aveva rivolto e che lui era certo che l’avrebbero fatta infuriare a morte.

Ma quello che vide lo lasciò sconvolto.

Il volto di Mikasa aveva assunto una strana colorazione rosa sulle guance, mentre i suoi occhi neri, che fino ad un attimo prima erano freddi e minacciosi, adesso erano sgranati in maniera poco consueta al suo carattere e fissi sulla roccia che componeva la testa dell’Hokage su cui erano seduti. La ragazza era rigida come una statua, le sue mani immobili poggiate sulle gambe, e a giudicare dalla sua espressione imbambolata sembrava essere stata colpita da uno schiaffo in piena faccia.

Ma quello che sconvolse davvero il moro fu ciò che accadde dopo.

Mikasa abbassò la testa all’improvviso, nascondendosi il volto nella sciarpa rossa che portava sempre al collo con una mano, i suoi occhi adombrati dai capelli.

“Ok…” sussurrò a voce bassa.

Boruto inarcò un sopracciglio. Sora rimase a bocca aperta.

“S-Se dici così,” sussurrò ancora la nera, fissando sempre a terra senza mai mostrare il suo volto. “Allora li taglierò.”

Sora sentì la sua mascella crollare a terra all’udire ciò. Boruto invece ghignò con gioia. “Davvero!?” esclamò, entusiasta. “Fantastico! Vedrai che così non correrai mai il rischio che possano offuscarti la vista!”

Mikasa sembrò irrigidirsi di nuovo a quel commento, voltandosi stavolta di sbieco con la testa per lanciare un’occhiata gelida al biondino, lasciandolo confuso per un istante.

“Huh? Perché mi guardi così?” domandò lui, confuso.

La sua unica risposta fu un pugno sulla testa che lo fece crollare a terra con un gemito acuto di dolore. Mikasa sbruffò, voltandosi di nuovo verso il panorama dinanzi a sé.

Sora sospirò, scuotendo la testa con un sorriso incredulo e massaggiandosi la faccia con una mano. “Boruto… sarai anche un genio in tutti i campi della lotta e del Ninjutsu, ma non sai davvero nulla del cuore di una donna…”