In un Battito di Ali

di LaSignorinaRotterMaier
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -1- ***
Capitolo 2: *** -2- ***
Capitolo 3: *** -3- ***



Capitolo 1
*** -1- ***


In un battito di ali.

 
 
 
 
 
Mentre attendo nello studio dentistico, per far passare il tempo, sfoglio una di quelle riviste imbarazzanti che molte ragazzine leggono avide, manco fosse il sacro Graal sui consigli d’amore. La mia attenzione viene immediatamente catturata dal titolo: “L’amore dura due anni” Sì… ma in base a cosa, questo giornaletto da due soldi, appura quanto affermato?
Lancio letteralmente quell’inutile spreco di carta sul tavolino in vetro pensando che, dalla mia consolidata esperienza in fatto di relazioni, si possono di sicuro ricavare contenuti più interessanti.
Mio caro Vogue, lo sai perché l’amore dura relativamente poco? Non solo per colpa nostra, che ci etichetti sempre come i soliti bastardi di turno, ma perché le relazioni s’assomigliano tutte: i primi tempi è tutto meraviglioso e poi, come per magia, quel sogno si trasforma in un vero incubo. Non so di preciso cosa accade nel mezzo, so soltanto che ad un certo punto è meglio tenersene alla larga.
Ti dirò di più, mia cara rivista - e credimi, ti ho fatto un complimentone a definirti tale- che ci piaccia o no, le relazioni fanno perdere il controllo di se stessi, ci instupidisce, ci sottomette. All’inizio si è preda di un innamoramento sfrenato rapiti dall’entusiasmo della novità poi, ad un certo punto, questo entusiasmo s’assesta e la relazione diviene abitudine. In qualche modo si diventa prigionieri rinchiusi in una gabbia fatta di esigenze dell’altro col tacito accordo di doverle sempre soddisfare.
Per quanto mi riguarda, io non ho mai dimenticato i miei bisogni, la mia identità individuale. Forse è per questo che le mie storie non sono mai state così lunghe ma… La verità? Preferisco così, sinceramente.
Non è che uno si sveglia la mattina e decide di voler intraprendere una relazione, così, di punto in bianco, senza pensarci duecento volte e senza neppure dormirci su perché, come si suol dire, la notte porta consiglio. Avere una relazione significa essere pronti ad andare in guerra e non conoscere per nulla il nemico.
Per carità, quando c’è un problema c’è sempre qualcuno con cui poterne parlare ma, vogliamo considerare anche l’altro lato della medaglia? Avanti, consideriamola!
Tutti sappiamo che i comportamenti umani si basano su un calcolo aritmetico molto semplice: il dare deve essere proporzionale al ricevere. Dunque, in base a questa semplice formula, come si può non pensare al fatto che anche quel qualcuno voglia essere ascoltato, considerato, etc? Non riesco a prestare attenzione al mio migliore amico per più di due minuti, figuriamoci stare ore e ore a subire il partner lagnarsi e, per di più, doversi anche ingegnare per risolvere i problemi perché, se non lo si fa, si diventa automaticamente dei pezzi di merda.
 
Ho tutta questa “fiducia” nelle relazioni grazie a Veronica.
Ricordo che quando arrivava quella putrida festa degli innamorati, lei si aspettava dei cioccolatini con annessa frase romantica rubata chissà da quale coglione su internet che ancora non ha capito nulla della vita. Pretendeva cene fuori in ristoranti col menù fisso, le candele profumate e quelle rare volte in cui non avevo la luna storta e l’accontentavo, non capivo il perché ma, seduti agli altri tavoli, non vedevo coppie ma decine, se non migliaia, di corna. Il colmo l’aveva raggiunto quando se ne usciva che voleva una Spa oppure un viaggio in mete impensabili come la Cappadocia o in Birmania… Alla fine l’ho mandata a quel paese e non so dire se le abbia fatto piacere ma, in ogni caso, spero che lei abbia gradito. È pur sempre un viaggio!
 
Seriamente, se la penso così sull’amore è semplicemente perché durante il proseguo della mia vita non ho fatto altro che incontrare casi umani e ad un certo punto, mi sono talmente scoraggiato che ho acquisito una visione pessimistica delle relazioni. Ma non tutto il male viene per nuocere, no? Le mie relazioni adesso si limitano al caro e sempre ben gradito sesso. È solo così che le cose filano per il verso giusto e la mia sanità mentale rimane intatta. Nessun sbattimento, di alcun tipo. Manco il cazzo. 
 
C’è da precisare una cosa: non è che io sia nato con queste impostazioni, di non voler qualcuno d’amare. Un tempo io l’amore l’aspettavo, lo pretendevo persino, come se quello fosse un mio diritto. Ma, dopo anni, sono arrivato alla conclusione che non ho la predisposizione fisica né mentale per innamorarmi. Nell’amore o si è portati, oppure si fa una fatica bestiale a gettare i primi semi, creare solide fondamenta. Forse sono poco incline ai sentimentalismi…Chissà?
Non sono nemmeno quel tipo di persona insicura o timida ma, nonostante ciò, non posso nemmeno ritenermi in pace con me stesso, non a causa dell’amore. Non solo per quello, almeno.
Da come ne parla Steve – il mio migliore amico -  l’amore pare un miracolo, una suggestione, il jackpot di una lotteria. Si presenta come un privilegio esclusivo a cui io non ho accesso e non ne capisco il motivo… Insomma, si è accoppiato perfino lui, perché non io? 
 
<< Mi segua, signor Jackson >> dice improvvisamente la bella segretaria, facendo capolino dall’ingresso della sala d’aspetto. 
 
Mi alzo, lanciando un sospiro di sollievo. Finalmente il Dottor Caleb ha deciso di ricevermi. Seguo la donna dal bellissimo culo, rotondo come due pagnotte e prima di lasciarmi solo davanti alla porta del suo capo, mi sorride con fare flirtante.
Scuoto la testa, ridendo della sua sfacciataggine tuttavia ben gradita.
 
<< Caleb? Posso entrare? >> mi sbrigo a chiedere, solo per mera cortesia in quanto apro ugualmente la porta, fregandomene della sua risposta. Ho aspettato i suoi comodi già abbastanza.
 
<< Ma che cazzo! >> esclama il dottore, saltando dallo spavento.


Nonostante gli fossi davanti, Caleb non si smuove dalla sua posizione. È chinato con la schiena sul carrello sul quale sono posizionati quei terrificanti arnesi da medico e solo dopo aver capito chi sono, si tranquillizza. Prende un bel respiro, abbassa il capo e con una sniffata decisa tira su la cocaina, quella che regolarmente gli vendo.
 
<< Oh merda, ora sì che mi sento meglio! >>
 
<< Poveri e ignari pazienti >> proferisco, posandogli sulla scrivania la sua amata bustina in plastica trasparente.
 
<< Ho saputo che questa sarà l’ultima volta che ti vedrò >> dice, evitando di rispondermi male come al suo solito. Il suo tono è stranamente calmo.
 
<< Ti mancherò, mio caro dottore? >> sdrammatizzo, facendogli un occhiolino. Quel suo atteggiamento riguardevole nei miei confronti mi dà il voltastomaco.
 
Mi guarda aggrottando la fronte con espressione nauseata, pentito per quell’attimo di puro altruismo nei miei confronti e torna a contare i soldi che mi spettano.
 
Tuttavia si, non tornerò più qui in questa stanza che pare di cristallo sterilizzato. Non è stata una bella trovata quella di fregare il boss per il quale lavoro. Pensavo che vendere la loro merce ad un prezzo maggiorato e racimolare a fine mese qualche verdone in più, mi avrebbe consentito di pagare un appartamento migliore rispetto alla topaia nella quale vivo ora. Ma, tutto è andato a puttane per colpa di Tom che per ingraziarsi il capo, ha fatto la spia…Sappi che mi vendicherò, Tom! Eccome se lo farò!
 
<< Prima che tu te ne vada per sempre dai coglioni, dì ad Alice di raggiungermi qui, nello studio >>
 
<< La tua segretaria? >>
 
<< Si, porca troia. Ora smamma >> mi liquida, muovendo la mano a mezz’aria come per invitarmi ancora una volta a filarmela via di lì.
 
<< Buona scopata, Caleb. Alla mia salute! >> gli auguro, sgattaiolando fuori dal suo studio prima di beccarmi qualche protesi dentaria dietro la testa.
 
 
 
Esco definitivamente dalla struttura ospedaliera con l’immagine del sorriso malizioso di Alice, felice di condividere attimi di godimento sessuale col suo capo. E poi uno si chiede perché io sia così titubante nei confronti dell’amore. Non c’è alcuna speranza per me e per fortuna col tempo ci si abitua a questo stile di vita e nemmeno ci pensa più.
Accendo una sigaretta e guardo il cielo che man mano si tinge di blu.
Le coppie durano due anni, eh?
Che amarezza pensare che in alcuni casi particolari – e mi riferisco al mio – l’amore non ha ancora avuto neanche modo di esprimersi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Mia madre mi avrebbe voluta diversa.
Non così turbolenta, pessimista, spigolosa e feroce. Chi vorrebbe mai una figlia del genere?
Lei avrebbe voluto che fossi sposata, con almeno un bambino, una bella famiglia alle spalle… ma ha riposto le sue speranze in Patricia, la sua seconda chance di vedere i mei fallimenti diventare successi.
All’apparenza appaiono normali e tranquille, come una di quelle che la sera s’addormentano presto perché la mattina dopo devono arrivare a lavoro più riposate e lucide.
Provo una gran pietà nei confronti dei loro colleghi/amici/parenti/fidanzato/marito. Il motivo? Bè, solo io conosco il loro vero essere ed è difficile averci a che fare, soprattutto se sono del segno zodiacale opposto al loro: io sono dello scorpione e loro dei gemelli.
Sono maledettamente arroganti, poco collaborative e se ne fregano delle esigenze altrui, soprattutto delle mie. Sono fin troppo ambiziose, esibizioniste e narcisiste. 
Mia madre ha subissato mia sorella di stimoli, spunti, idee, non lasciando spazio a Patricia di definire una sua personalità, una sua identità. È stata modellata a suo piacimento ed ora mi ritrovo in una situazione in cui quelle due mi stanno inevitabilmente sulle palle.
 
Dulcis in fondo, ieri Patty mi dà la notizia che il ragazzo le ha chiesto di sposarla. Non che sia un fulmine a ciel sereno, insomma…me l’aspettavo. Quei due stanno insieme da tanto tempo ormai. Non è che sia invidiosa di lei, ci mancherebbe altro, siamo sorelle e ho sinceramente gioito per lei e per il fatto che la sua vita vada a gonfie vele. È stato tutto fantastico, finché non mi ha costretta a partecipare all’addio al nubilato che Trisha e Betty– le sue migliori amiche – hanno organizzato. Da ragazze che si vestono come bagasce (minigonna raso-fica e cosce perennemente scoperte, senza alcuna traccia di ritenzione idrica) cosa potevo mai aspettarmi? Esattamente questo: un viaggio con destinazione Cuba.
Come ogni persona che abbia un minimo di amor proprio, mi sono rifiutata di partecipare a questo evento ridicolo ma, sotto pressione di mia madre e di Patty, ho dovuto accettare.
 
Sono in camera da letto che preparo le valigie.
Mi lego i lunghi capelli rossi in una coda e non posso far a meno di pensare al perché mia sorella non potesse ritrovarsi affianco due persone normali come amiche. Quelle che le organizzano un normale addio al nubilato tra pochi intimi. E Invece no. La mia vita è maledetta dal sacro rito del “mai una gioia” e non è facile liberarsene, cazzo. Sarà che sono io il problema? Probabilmente sì, considerando che la generazione di oggi è stronza e io, facendo parte di quella precedente, sono semplicemente la vittima. I ragazzi di oggi sono precoci, fin troppo. Ho visto mia cugina di quattordici anni stare davanti allo specchio con il culo in fuori e la bocca a papera. A miei tempi, a quell’età, si pensava a tutt’altro che mettersi in posa per ricevere approvazioni dal pubblico del web.
C’è da dire che io sono sempre stata un po' restia agli eventi che tendono a mutare, anche ora che ho messo su un paio di chili, non posso fare a meno di continuare a fissarmi allo specchio. Afferro tra due dita l’adipe in eccesso, che schifosamente straborda dall’elastico delle mutande e la scuoto. Guardo le onde che vanno a formarsi sull’addome con espressione disgustata, come se stessi guardando la scena di un film splatter.
 
 
<< Ma che diamine stai facendo, Zoe? >>
 
Patty è entrata in quella che un tempo è stata la nostra camera da letto e mi osserva, aggrottando le sopracciglia alla visione di me che agito in bella vista quel grasso di troppo.
 
<< Sono ingrassata >> le dico, formando una smorfia afflitta sul volto.
 
Dal riflesso dello specchio, vedo mia sorella avvicinarsi per scrutarmi meglio, per dirmi la sua, come è solita fare su qualunque cosa. È sempre stata la tipica persona che dice quello che pensa, senza darsi alcun contegno, senza utilizzare alcun tipo di filtro.
 
<< Ancora? >> mi chiede, poggiando un dito sul mio pancione << La mamma non sarà contenta di questo >>
 
Finché si tratta di me, la mamma non sarà mai contenta di nulla, Patty. Si allontana e cambia subito argomento per finire a parlare di sé, del suo imminente matrimonio e di quanto sia fantastico Ken - il suo promesso sposo. Io, invece, ritorno a guardare la figura riflessa nello specchio e vedo solamente una pancia tonda, enorme, adiposa e tremolante come la consistenza di un budino.  
 
Se penso a quante volte mi son dovuta sentir dire “grassa”, “cicciona”, “obesa”, “culona”, mi vien da ridere. Anche se vengono dette con serietà, cattiveria, goliardia da persone estranee, parenti, amici e chi più ne ha, più ne metta, mi ci sono talmente abituata che oramai quelle parole non mi feriscono più.
 
<< Cavolo, Zoe! È inutile stare lì a fissarti allo specchio. Se pensi di aver messo peso, vai a farti una corsetta al parco e risolvi il problema >> dice Patty, con le braccia conserte, infastidita dal fatto che non era lei al centro della mia attenzione e che non era idolatrata manco fosse la statua di una dea dell’antica Grecia.
Sbuffo scocciata rivestendomi velocemente e faccio finta di interessarmi al racconto del suo meraviglioso Ken, pensando in realtà a quanto lui fosse ridicolo coi suoi muscoli che mette perennemente in mostra perché – almeno solo dal suo punto di vista – fa figo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non posso crederci. Sul serio? Ernest Hemingway… Ma scherziamo? È la prima volta che vedo una mia coetanea leggere una raccolta di poesie di quell’artista. Di solito, le letture delle ragazze che ho conosciuto e frequentato si limitano a quel dannato Vogue o chissà a quale altra insulsa rivista da pochi spiccioli.
Guardo attentamente la persona seduta di fronte a me e i miei occhi subito cadono sulle sue lentiggini, che sembrano formare delle bellissime costellazioni sul suo volto paffuto.
 
Anche io leggo, amo farlo quando mi sento solo –  e capita quasi sempre - consulto qualche libro certo che è sicuramente meglio che ascoltare i vaneggi di Steve, dopo una dose di cocaina.
 
Mi sistemo meglio sulla sedia imbottita del treno, sprofondando il capo nel poggiatesta non staccando mai i miei occhi su di lei. Continuo a fissarla, come se stessi guardando un stupendo tramonto sul mare.
 
<< Tu non sei i tuoi anni
 Né la taglia che indossi,
non sei il tuo peso
o il colore dei tuoi capelli.
Non sei il tuo nome,
o le fossette sulle guance,
sei tutti i libri che hai letto
e tutte le parole che dici,
sei la tua voce assonnata al mattino
e i sorrisi che provi a nascondere,
sei la dolcezza della tua risata
e ogni lacrima versata,
sei le canzoni urlate così forte,
quando sapevi di essere tutta sola,
sei anche il posto in cui sei stata
e il solo che davvero chiami casa,
sei tutto ciò in cui credi,
e le persone a cui vuoi bene,
sei le fotografie nella tua camera
e il futuro che dipingi.
Sei fatta di così tanta bellezza
ma forse tutto ciò ti sfugge
da quando hai deciso di esser
tutto quello che non sei. >>
Proferisco, con un sorriso beffardo sulle labbra e a quel punto, finalmente scopro il colore dei suoi grandi occhi. Quelle due nocciole mi guardano: confusione, smarrimento e meraviglia si lanciano su di me ed io inizio a divertirmi.
 
<< Volevi fare colpo? >> chiede, alzando un sopracciglio e sciogliendo il ghiaccio tra noi.
 
<< Ci sono riuscito? >> rispondo, contraendo le labbra in un sorriso. 
 
<< No, considerando che quella poesia non è tra le mie preferite >>
 
<< Posso riprovare? >>
 
La vedo mentre chiude il libro che prima stava leggendo, sintomo che ora la sua completa attenzione è tutta su di me.
 
<< Vederla è un dipinto
sentirla è una musica
conoscerla un'intemperanza
innocente come giugno
non conoscerla una tristezza
averla come amica un calore
vicino come se il sole
ti brillasse nella mano >>
Recito, dandomi addirittura un tono teatrale.
 
<< Non è Hemingway >> dice cinica << ma Emily Dickinson è comunque tra le mie autrici preferite >> riprende alla fine con un sorriso.
 
<< Quindi… Stavolta son riuscito a fare colpo? >>
 
<< Bè, di questi tempi è difficile incontrare un ragazzo che s’interessa alla poesia >>
 
<< Anche se non sembra, sono un tipo acculturato >>
 
<< E anche molto umile, devo dire! >>
 
Ridiamo entrambi e quell’atmosfera creatasi così spontaneamente tra noi è piacevole. Sento già che quella sconosciuta è molto diversa dalle tipe con le quali uscivo e suscita in me un’irrefrenabile voglia di conoscerla meglio.
 
<< Questo bel ragazzone che ti è seduto davanti, si chiama Cole. Piacere >>
 
Ride di gusto e senza farsi alcun problema, anche lei si presenta. Diversamente dalle altre volte in cui, se capitava, il mio approccio veniva interpretato solo come un mero tentativo di ottenere qualcosa. Quanto povero e superficiale può essere il mondo?
 
<< Dove è che sei diretta, Zoe? >> le chiedo, soddisfatto e felice di poter scambiare due parole con qualcuno.
Sbuffa energicamente, sbattendo con la schiena contro il morbido velluto grigio che riveste lo schienale della sedia << Solo al pensiero di dover prendere l’aereo per Cuba, mi vien mal di stomaco >> conclude, sfogando il suo nervosismo su una ciocca di capelli.
 
<< Mal d’aereo? >>
 
<< Peggio! >> esclama, assumendo un’espressione imbronciata << Non posso nemmeno tirarmi indietro, cazzo, altrimenti … >> 
 
<< Altrimenti? >>
 
<< No, nulla >> dice, chiudendo bruscamente il discorso << Tu dove sei diretto, invece? >> chiede, spostando l’attenzione su di me ed io colgo subito l’occasione per non indugiare oltre e superare quell’argomento evidentemente scomodo per lei. Non avevo voglia di sapere cosa ci fosse che non le andava. Sono uno stronzo, lo so ma che posso farci? Non sono mai stato bravo ad ascoltare le persone e dunque, per facilitarmi la vita, la assecondo e facciamo prima.
 
<< Non ho una meta ben precisa, in verità >>
 
Mi guarda con occhi perplessi, come se in quel momento avesse davanti un alieno venuto da chissà quale galassia.
 
<< Non ho mai incontrato un ragazzo strano come te >>
 
<< Grazie per il complimento >>
 
<< Quanto vorrei intraprendere anche io un viaggio senza destinazione e scappare via, lontano da tutto e da tutti >> inizia a dire improvvisamente, guardando in alto con fare trasognante.
 
Le sorrido << Andare via e lasciare tutto è un’esperienza che all’inizio può mettere timore. Ma, se sei abbastanza coraggioso e curioso, si possono vivere esperienze fuori dal comune. Amo viaggiare, credo che non ci sia modo migliore di crescere e… >> mi fermo improvvisamente, stupito dal fatto che stavo inconsapevolmente raccontando me stesso ad un perfetto sconosciuto. Per la prima volta, una strana sensazione adrenalinica prende possesso del mio solito autocontrollo << Facciamolo, cazzo >> le dico, sorridendole sornione << Vieni via con me >>
 
 
 
 
 
 

 Note dell'autore

Salve Salvino, miei cari lettori!
Spero che questo primo capitolo sia di vostro gradimento. Ovviamente ringrazio anticipatamente tutti coloro che leggeranno questa Mini-long e la commenteranno ^^.
Questa storia partecipa a tre contest e ringrazio Shilyss, wurags e Soul_Shine per aver indetto questi contest fantastici!
In ultimo, vorrei avvisarvi che mercoledì prossimo uscirà il secondo capitolo e martedì 10 Settembre, l'ultimo capitolo. 
Detto ciò, auguro a tutti una buona lettura! 
Alla prossima!
LaSignorinaRotterMaier.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** -2- ***


In un battito di ali.

 
 
 
 
 
 
 
 
Lo guardo come se avessi davanti una forte luce, quella che da tempo cerco per scappare da questa vita grama.
Non ho mai viaggiato perché avevo il timore di annoiarmi e di ritrovarmi e sentirmi sola anche se insieme a qualcun altro.
Ho ventisei anni e non ho mai lasciato la Florida… è imbarazzante. Quando mia sorella mi poneva quelle domande apparentemente innocue, ma subdole a loro modo, mi sentivo come un pesce fuor d’acqua: “Cos’hai fatto nel weekend?” Non è che debba uscire per forza tutti i venerdì e sabati sera, manco me lo avesse prescritto il medico. Capita, a volte, che sono talmente giù di corda – e capita quasi sempre a dir la verità – da non reputare opportuno andare in qualche locale e mostrare la mia faccia appestata all’intera società. Mi rinchiudo in camera e guardo qualche serie su Netflix, ingozzandomi di patatine. Che cosa c’è di male?
Oppure: “Cosa fai a Capodanno?” Di certo non ho in programma di baciare qualcuno a mezzanotte e no, nemmeno avere un frettoloso rapporto sessuale di natura scaramantica perché, come si suol dire: “Chi non scopa a Capodanno, non scopa tutto l’anno”.
Ma, naturalmente, non può mancare la domanda più insidiosa di tutte: “Che programmi hai per l’estate?” Perché mai dovrei avere per forza in serbo qualche viaggio? Non ho mai avuto il coraggio di partire in gruppo perché ho una capacità di adattamento vergognosamente scarsa, figuriamoci di stare per parecchio tempo fuori dalla mia comfort-zone. Preferisco passare quelle settimane di relax facendo qualsiasi cosa e l’anno scorso mi cimentai in un corso di fotografia per esempio, una delle mie più grandi passioni.
Tuttavia, la proposta che mi ha fatto Cole, invece, mi entusiasma.
 
<< Ti ho lasciata senza parole? >>
 
Mi sorride, con quella smorfia che gli conferisce un’aria da vecchio volpone che se la sta spassando mentre guarda la mia faccia confusa e meravigliata.
 
<< È… un po' improvviso >>
 
<< Vedilo come un tentativo di due disperati che cercano di staccare la spina dalla loro vita di merda >>
 
Mi scappa una piccola risata al pensiero di quanto quelle parole rappresentino quella che è la realtà dei fatti: noi siamo per davvero due disperati che tentano da anni la fuga.
 
<< Hai già in mente una meta? >>
 
Lo vedo spalancare il suo sorriso in uno a trentadue denti e devo ammettere che la sua allegria mi contagia ed è strano, considerato che io e il buonumore camminiamo su due strade opposte ed asincrone.
 
<< Dobbiamo per forza averla? >>
 
Questo botta e risposta così naturale non solo mi fa sentire a mio agio, mi ammalia, mi affascina. Non ho mai incontrato un ragazzo come lui. Non che abbia tanta esperienza in merito ma, seppur l’avessi avuta, mai nessuno sarebbe stato come Cole. Ne sono certa.
Forse, nella mia miserabile vita, ho bisogno esattamente di questo: di uno sconosciuto che mi propone di commettere qualche follia. Se potessi cristallizzare questo momento, imbalsamarlo, metterlo sotto formaldeide e conservarlo così com’è, lo farei. Non perché sia un momento perfetto, quello che aspettavo da una vita, ma perché è stato in grado di generare dentro di me una sensazione di adrenalina che mai ho provato in vita mia. Chissà? Potrei stare meglio dopo questo viaggio. Sentirmi viva, non procurandomi dolore per accorgermi di esistere. Vivere bene. Vivere serena e non di merda. Vivere come una che, per la prima volta, non se ne frega un cazzo di dover fare per forza qualcosa nei weekend, ai Capodanni e in estate per sentirsi al pari con gli altri. Vivere di cose normali e non dover essere troppo stravagante per trovare una felicità che di fatto non esiste. Un vivere così… spensierato.
 
<< Vieni con me >> mi dice, afferrandomi una mano e invogliando ad alzarmi da lì.
 
Entrambi, con lo zaino in spalla, ci dirigiamo verso l’uscita del treno e senza badare a quale fermata scendere, siamo fuori dal mezzo di trasporto.
 
<< Cosa hai in mente? >> gli chiedo, un po' affannata.
 
Stiamo correndo fuori dalla stazione ferroviaria e lui mi tiene ancora per mano. Per quanto sia tutto così assurdo, non riesco a trattenere l’eccitazione. Chiunque al mio posto e con un po' di sale in zucca, sarebbe stato riluttante nell’accettare una proposta del genere. È la cosa più giusta da fare, in effetti. Ma, se consideriamo che per tutta la vita ho sempre dato ascolto a quello che mi dicevano gli altri, per una volta, voglio dar retta ai miei desideri e se seguire uno sconosciuto in un viaggio senza destinazione è ciò di cui ho bisogno per sentirmi viva, non m’importa niente del resto.
Quando usciamo fuori dalla stazione, mi rendo conto di trovarmi a Orlando. È soprannominata “La bellissima città” e il simbolo che la contraddistingue è il lago Eola. Per il suo clima subtropicale, è spesso devastata da uragani ma la popolazione ha imparato a conviverci, attrezzandosi di conseguenza e non rappresentando più un problema né per loro e nemmeno per i turisti.
 
<< Adesso, non dobbiamo fare altro che aspettare >> dice Cole, portandosi una sigaretta alle labbra, per ammazzare il tempo.
 
Lo guardo con espressione disorientata e lui prontamente mi assicura di non essere un malintenzionato che ha l’intento di rapirmi e chiedere riscatto alla mia famiglia.
 
<< Non sono preoccupata di questo… paradossalmente >> preciso a dire, facendomi scappare un sorriso << È che non capisco il motivo di questa attesa >>
 
<< Lo so che è difficile data la situazione ma devi provare a fidarti di me >>
 
 Lo vedo mentre guarda davanti a sé e sorride, aspirando il tabacco da quella portatrice di tumori.
 
<< Hai la patente? >>
 
<< Sì >>
 
<< Te la cavi a guidare? >>
 
<< Non che ami farlo ma, sì, non sono ancora divenuta un pericolo pubblico >>
 
<< Perfetto >>
 
Improvvisamente un’auto decapottabile di un vivido rosso fiammeggiante si ferma di fronte a noi. A bordo c’è un ragazzo piuttosto magrolino e con le guance scavate. Non mi sembra che il tipo goda di ottima salute ma non mi soffermo più di tanto, piuttosto mi concentro su Cole che prende a volo le chiavi del veicolo e mi invita a depositare lo zaino nel cofano.
 
<< Per adesso sarai tu alla guida e stasera ti darò io il cambio >> proferisce, porgendomi le chiavi.
 
Le presi di rimando ma non riuscendo ancora a focalizzare per bene la situazione. Seguo Cole in ogni sua movenza, mentre abbraccia quel suo amico e lo saluta come se entrambi avessero consapevolezza che non si sarebbero mai più rivisti.
Prendo posto al lato guida e accendo la macchina, facendo rombare i motori. Nonostante sia una Fiat 124 spider oldtimer, è ben piazzata. Non sono una gran fanatica di automobili, per carità ma, grazie a mio padre che da bambina mi portava a spasso in mostre di macchine d’epoca piuttosto che nei parchi, sono abbastanza informata al riguardo. Lui ha sempre desiderato un figlio maschio e per sua somma felicità, gli sono capitate due femmine. In assenza di qualcuno con cui condividere le sue passioni per le auto e, considerando pure che Patty è la cocca di mamma, ha ripiegato su di me questo suo bisogno di colmare le sue mancanze.
 
<< Sei pronta? >> domanda Cole, prendendo posto anche lui in auto.
 
<< Prontissima >>
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Per qualche strano caso del destino, mi sono ritrovato a parlare della mia vita di merda con Zoe ed è un evento più unico che raro considerando che non sono il tipo che sbandiera ai quattro venti i propri fatti personali. Ma, lei ha uno strano ascendente su di me: non m’imbarazza, non mi fa sentire costantemente sotto giudizio.  Mi sono esposto e lei mi ha compreso. Sono stato criticato, è vero, ma costruttivamente. Mi ha offerto prospettive diverse, intuizioni originali, riflessioni spassose ma talvolta anche amare. Zoe ha un animo delicato e sanguigno, una mentalità vivace e feconda, un atteggiamento ironico, sincero e aperto alle persone e alla vita, in tutte le sue sorprese e contraddizioni. Non è che starò sognando? Insomma… Non può esistere una ragazza che vada così in sintonia con me, che sono una testa di cazzo.
Nella mia vita non ho fatto altro che prendere decisioni sbagliate e non incolpo nessuno di questo, sono io la causa del mio malessere esistenziale. Avrei potuto frequentare il college - l’intelligenza non mi manca -  eppure ho preferito spacciare droga e seguire le orme di mio padre, un uomo che si commuove facilmente. Gli ho visto scivolare lacrime sulle guance innumerevoli volte e da piccolo non lo reputavo figo, per niente. Ero cresciuto con l’idea che gli uomini dovevano puzzare di testosterone, impassibili, virili e che non si dovevano lasciar scalfire da nulla. Vedere puntualmente mio padre manifestare le sue emozioni, lo faceva apparire un debole ai miei occhi. Ma ora, alla veneranda età di ventisei anni, ho capito che la capacità di piangere da parte di un uomo rappresenta un atto di profonda intelligenza, perché vuol dire che è consapevole della propria dimensione emotiva. Si è ritrovato a condurre una miserevole vita per colpa della mia cocainomane madre. È morta molti anni fa da overdose e papà, non sapendo come affrontare la situazione e con un nanerottolo di appena tre anni sulle spalle, si è dato allo spaccio.
Lo sento di rado ora ma, ogni volta che ascolto la sua voce al cellulare, mi dona una rassicurante sensazione di tranquillità.
 
<< Che dici? Per stasera ci fermiamo a Jacksonville? >>
 
<< Non ce n’è bisogno >> le dico, allontanando la sigaretta dalle labbra << Posso prendere io il tuo posto >>
 
<< Te lo dico chiaramente >> la vedo sorridere imbarazzata << Non so tu, ma noi esseri umani dobbiamo soddisfare i nostri bisogni primari>>
 
<< Ci siamo fermati quaranta minuti fa all’autogrill. Soffrirai mica di incontinenza? >> le dico, ridendo per quel buffetto istintivo che lei ha lanciato al mio braccio.
 
<< Idiota! Viaggiare on the road significa che ad un certo punto dobbiamo pur fermarci da qualche parte e visitare la città >>
 
<< Non hai tutti i torti >> alzo le mani in segno di resa.
 
<< Devi sapere una cosa di me >> esordisce, con sguardo beffardo << Io non ho mai torto >> conclude, girando di botto per l’uscita della Main St. Bridge, in direzione della Ocean St., entrando definitivamente a Jacksonville.
 
Dopo pochi metri, ci avviciniamo ad un veicolo che, a detta di Trip Advisor, vende il miglior cibo spazzatura ambulante di tutta Jacksonville. In effetti, quei sandwich non sono affatto male e dall’espressione soddisfatta che ha Zoe sulla faccia, anche lei sembra gradire. Anche io vorrei godere come lei di quel pasto ma un martellante pensiero mi frena dal farlo.
 
<< Dimmi qualcosa su di te >> esordisco all’improvviso.
Morde il panino e mi fissa, trattenendo un sorriso. Sorseggia della Coca Cola e mi sta chiaramente tenendo sulle spine, di proposito.
 
<< Non avevi detto che non ti piace impicciarti delle turbe altrui? >>
 
<< Beh… è vero. >> le rispondo, non lasciandomi smontare dai suoi vani tentativi di spegnere la mia irrefrenabile curiosità << Ma ora la situazione è diversa >>
 
Stranamente, non fa alcuna obiezione e mi accontenta. Probabilmente sente l’esigenza di parlare con qualcuno e io sono capitato al momento giusto seppur ci conosciamo da appena dieci ore.
 
<< Devi sapere che, in tutta la mia vita, verso in uno stato di paranoia catatonica >> inizia a dire, così, di punto in bianco e poi prosegue << Mi capita di piagnucolare spesso e, a differenza di tuo padre, non ho sempre un vero motivo. Per me non rappresenta nessun problema manifestare le mie emozioni anche quando non conosco perfettamente il perché, mi sta bene, davvero. Ma, quando ho qualcuno che rompe i coglioni sul perché piango o fa discorsi stereotipati riguardo al reagire su qualsiasi cosa mi sia successa… mi sale il nervosismo. A volte piangere è un modo per far respirare l’anima, per rallentare l’apnea, per smollare la tensione accumulata ma gli americani medi tendono a non capirlo subito >>
 
Accendo una sigaretta, sorridendo per i suoi modi molto diretti e schietti. Adoro ascoltarla perché non è per nulla noiosa, al contrario, è sarcastica, ironica e divertente. Mi piace.
 
<< Insomma, conosco bene i miei demoni, quelle forze oscure della mia psiche che aggravano la mia condizione di degrado ma, chi mi sta intorno, non ne ha minimamente idea. Appunto per questo, dovrebbero evitare di parlare a vanvera. A che serve farlo? Solo ad indispettirmi e mia sorella Patty riesce magistralmente in questo. Non lo fa nemmeno perché è una persona premurosa e vuole il mio bene, anzi. Il suo obiettivo è semplicemente quello di atteggiarsi a donna matura e vissuta e ci tengo a precisare che è più piccola di me. Capisci, dunque, che i suoi spettacolini del cazzo non attaccano affatto con la sottoscritta. Insomma, alcuni dolori li sopporti ma altri sono talmente radicati da essere intoccabili, nessuno può avvicinarsi. Sono dei veri malfunzionamenti interiori coi quali bisogna scendere a compromessi e imparare a conviverci. Per fortuna, il mio psicoterapeuta è stato molto bravo a trovarli per me e non dico che ora stia bene ma almeno ora riesco a vivere una vita dignitosa >>
 
<< Psicoterapeuta? E per cosa ti serviva? >>
 
<< Cole >> mi dice, con tono ammonitore << Vuoi che ti parli di me? Non farmi pentire della mia decisione facendo queste domande, per favore >>
 
<< Va bene, va bene. Scusami >> le rispondo, alzando le mani.
 
<< Stavo dicendo… Ah, sì! Vivere una vita dignitosa vuol dire che nonostante il tanfo dei problemi irrisolti, delle ansie, delle paure, dei fallimenti, delle debolezze, l’olezzo indigesto del disamore per se stessi, bisogna semplicemente continuare a vivere e io solo recentemente sono arrivata a questa conclusione. Prima ero un modello di disordine, di indisciplina, di ribellione a me stessa, ero il più sordido contrappasso che si possa immaginare e adesso sono anche altro. E così, mentre quel pover’uomo del mio psicologo mi ascoltava, mi guardava piangere, pazientava di fronte a quei miei silenzi perché non sempre avevo voglia di dirgli che mi consideravo solo una deprimente cicciona che provava molto spesso a farsi del male; è riuscito a mettere a posto la mia vita. Se da un lato ha compiuto un miracolo – letteralmente - dall’altra, ha creato una dipendenza. Io dipendo da lui e se mi dicesse un giorno di non respirare, devo farlo se voglio stare bene >>
 
Prende una pausa, conservando il panino rimasto, accartocciando l’alluminio. Non aveva più fame e non la biasimo.
So cosa vuol dire avere l’inquietudine in corpo e, quando arriva, difficilmente va via. È un ospite sgradito che sporca le giornate e occupa i spazi più interiori e profondi dell’animo umano. Steve diceva spesso che è necessario agire quando si è in questo filone emotivo. Ma, puntualmente, mi chiedevo quando era il momento giusto per farlo, sembrava non esserlo mai.
 
<< Zoe >> la chiamo, porgendole l’ultimo sorso di Guinness << La vita fa davvero schifo >>
 
<< Non posso che essere d’accordo con te >> mi risponde, afferrando la bibita e scolandosela in una sola volta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Io e Cole abbiamo deciso di rimanere a Jacksonville per la notte e ripartire l’indomani, verso un’altra casuale meta. Stavolta è lui al volante e devo ammettere che, a guardarlo meglio, è proprio un gran figo. È alto, muscolatura ben piazzata, capelli chiari e leggermente ondulati, occhi azzurri e un sorriso da far impazzire chiunque. Inoltre, è simpatico, furbo – fin troppo – e ha quella dose accettabile di “stronzaggine” che non guasta nella vita.
 
<< Terra chiama Zoe! >> esclama Cole, riportandomi bruscamente alla realtà.
 
<< Che succede? >> gli rispondo, dandomi un tono per nascondere il mio imbarazzo per quei miei pensieri assurdi su di lui.
 
<< Ti va di fare una sosta? >>
 
<< E dove? >>
 
Cole mi indica una villa imbrattata e messa in disordine da dei ragazzi universitari che stanno facendo baldoria.
 
<< Vuoi intrufolarti a casa di sconosciuti? >>
 
<< Perché no? >> dice, esibendo quel suo arrapante sorriso.
 
<< Non credo sia una buona idea >> gli dico, scendendo dalla macchina. << Se vuoi non sei costretto a non andarci, io mi farò un giro per la città >>
 
<< Dai, ti proteggo io dai malintenzionati >> esce anche lui dall’auto << Avanti, seguimi! >> conclude, prendendo la mano e trascinandomi alla festa. Entriamo e mentre lui si mescola alla gente, io sparisco e mi defilo. Vado lontano da quell’inferno pieno di tentazioni e in fretta, prima che Cole si accorga della mia assenza.
 

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Capitolo 3
*** -3- ***


In un battito di ali.
 
 
 
 
 
 
 
 
Il corpo di Cole si muove al ritmo di quella fastidiosa musica remixata. Tutti ballano attorno a lui che si gira verso la mia direzione, scuotendo le spalle con la sigaretta tra i denti. Sorridente e soddisfatto per essere riuscito a trascinarmi a quella festa, continua ad ondeggiare, lasciandosi coinvolgere da quell’atmosfera fin troppo fomentata e guarda in alto, chiudendo lentamente le palpebre con chissà quale fantasia in testa.
 Ad ogni città dove mettevamo piede, il nostro viaggio prevedeva una sosta ad un party qualsiasi. Questo almeno per Cole. Avrei voluto tanto poter evitare ma, stavolta, non so esattamente come, sono qui seduta su uno scomodo divano, per nulla motivata a interagire con questa massa delirante di festaioli. Sono sicura che se il Dottor Parker – il mio psicologo – fosse qui, mi guarderebbe contrariato col suo tipico fare da paparino dolce ma severo. Invece quell’idiota di Cole si sta sballando alla grande. Tutto ciò mi riporta alla mente Alicia. Non ci vediamo e non ci parliamo più da dieci anni ormai. Lei era il mio modello, l’amica figa che sta simpatica a tutti e io volevo essere come lei, per cui stupidamente acconsentivo ad ogni sua richiesta. Fu in questa modalità che provai la mia prima canna, poi fu il turno della pasticca, fino ad arrivare all’eroina. Ricordi strazianti si imbastiscono nella mia mente. Ricordi di un’allegria quasi delirante, circondata da un’onda di confusione e insensatezza e poi il terrore riflesso nello specchio del bagno una volta tornata a casa. Nemmeno il trucco sembrava capace di migliorare il mio aspetto, anzi, in quello stato sembrava addirittura marcare ancor di più la mia bruttezza e non parlo del mio viso; la mia stessa anima mi faceva schifo a quel tempo.
 
Ingozzarsi di cibo, fino ad auto procurarsi il vomito. Urlare dalla frustrazione e assumere delle pillole per sollevare immediatamente l’umore. Roteo su me stessa, come se avessi la testa chiusa in una bolla di sapone ma, una volta scoppiata, la realtà si sbatteva in faccia turbandomi e facendomi battere forte il cuore. Faticavo a respirare. Tentavo di regolarizzare il fiato ma senza successo. La rabbia e la collera presero possesso di me e mi mordicchiavo le mani per costringermi a restare zitta per non farmi sentire da nessuno. Ma tanto a chi importa di cosa faccio o non faccio? Sicuramente a nessuno in questa casa! Risi con disperazione e intanto le lacrime non smettevano di rigarmi il viso. Che disastro.
 
Accidenti! Era per questo preciso motivo che ho evitato le feste per tutto questo tempo! Sconvolta e impaurita mi accingo a camminare verso le scale che portano al secondo piano della villa mentre la gente continua a ballare, a dimenarsi come degli ossessi. Salgo i gradini, stando attenta a non calpestare nulla, così da salvaguardare la mia salute ed evitare di contrarre qualche malattia venerea. Dopo tanto cercare, riesco ad appartarmi in una stanza vuota. Chiudo la porta, in modo da occuparla e tenere lontano gli intrusi. Mi sdraio sul letto e tiro fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni. WhatsApp era pieno di messaggi della mamma e di Patty i primi giorni di questa fuga, poi è bastata una settimana per farle smettere. Una settimana e una banalissima scusa per tenerle tranquille. Una madre normale non si accontenterebbe di così poco, una madre normale vorrebbe sapere la verità. Invece Bridget Sullivan, dolce come un caffè annacquato senza zucchero, era capace di prendersi cura soltanto della sua casa. Rileggo velocemente i messaggi di Patty che mi dà della stronza, oltre che una guastafeste. Fino all’ultimo dove mi manda a quel paese e mi spiattella in faccia che si sarebbe divertita lo stesso, anche in mia assenza. Fanculo Patty. Fanculo mamma. Metto lo smartphone in standby e lo poggio sul comodino posizionato affianco al letto. Nonostante fuori la stanza ci sia un forte chiasso, le mie palpebre diventano pesanti e senza accorgermene, finisco con l’addormentarmi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sono particolarmente contento di essere a questa festa, stasera. A differenza delle altre, questa non è molto movimentata – gira poco alcol e la droga, figuriamoci – ma è quella in cui ho convinto Zoe a venire che, a proposito, non ho idea di dove è. Spero con tutto me stesso che non si sia defilata via di nascosto come ha già fatto e comincio a cercarla.  Per me non avrebbe senso divertirsi se non si sta divertendo anche lei. So che è strano sentirlo dire da un egoista come me, ma Zoe è diventata una presenza fondamentale, senza la quale ormai non riuscirei a stare. Sento che
non incontrerò mai più una persona come lei, capace di farmi sentire più a mio agio lei nel giro di qualche settimana che un amico d’infanzia in tanti anni. È un fenomeno assolutamente eccezionale considerando tutto il tempo a stare sempre sulle mie e a tenere tutti alla larga. Quando ho espresso la mia riluttanza sulla vita di coppia, non ho mai mentito. La penso così tutt’ora. Non ho neppure finto di considerarla una figata, sia chiaro. Al contrario, ho sempre creduto che rimanere solo è un’esperienza sì, formativa ma, d’altra parte non si può restare così per sempre, no? In quanto animali sessuati e che provano emozioni, noi esseri umani abbiamo bisogno di amare e sentirci amati. Non sono per nulla certo ma credo di essere inciampato in un’esperienza figa, potente, nuova e, a tratti, stupefacente.
Io pensavo di conoscere già l’amore, non solo, presumevo che non potesse più stupirmi, che addirittura non facesse per me e la trattavo con ambivalenza. La snobbavo e poi la bramavo, tutto ad un tratto. L’amore che fa bene, non sapevo neppure cosa fosse. Ne vedevo traccia in Steve e la sua fidanzata ma, di fatto, non l’avevo mai sperimentato in prima persona. Poi, un giorno, per caso, incontro Zoe. Lei mi sconvolge, mi ha fatto scoprire un mondo fatto di esperienze sentimentali e che prima faticavo a vivere. Mi ha rivoluzionato l’esistenza e non dico di essere follemente innamorato di lei ma, di sicuro, nutro un forte interesse.
Vago per la villa alla ricerca di Zoe, ho il bisogno di stare con lei. Raggiungo quindi il secondo piano e un coro di gemiti mi accoglie, sembra di essere in uno zoo. Cammino per il lungo corridoio e apro tutte le porte, fregandomi di interrompere quei decerebrati mentre scopano. Dopo tante bestemmie e minacce di morte, raggiungo l’ultima porta rimasta e la apro lentamente. Zoe è sul letto, che dorme beatamente in posizione fetale. Sorrido dolcemente e senza fare troppo rumore, mi siedo accanto a lei, osservandola dormire in tutta la sua tenerezza. Quel momento idilliaco dura poco, in quanto si sveglia e quando mi vede, si stiracchia e poi mi prende in giro sul fatto che l’abbia osservata mentre era nel mondo dei sogni.
 
<< Vuoi sdraiarti anche tu? >> mi chiede, mentre mi fa spazio.
 
Mi affianco a lei tentando di nascondere il fatto che mi sento un pò accaldato e, non rivedere la mia stessa reazione in lei, mi infastidisce. Pensavo di piacere alle donne, invece Zoe sembra essere immune al mio fascino, tanto che è lei stessa ad invitarmi sul letto accanto a lei!  
 
<< Dimmi, sei riuscito a scopare con qualcuna? >>
 
Contro le mie aspettative, scatto in avanti a quella domanda del tutto fuori luogo. Amicona del cazzo.
 
<< C’è qualcosa che non va, Cole? >> domanda, preoccupata.
 
Inizio ad incazzarmi. Di certo il suo sguardo perplesso per la mia reazione del tutto inaspettata, non mi aiuta a rimanere lucido di fronte ad una situazione in cui palesemente sono io lo strano e non lei. Il dubbio mi assale. E se questo agglomerato di sensazioni fossero solo passeggere? Eppure non ho mai apprezzato così tanto la compagnia di una ragazza. Io voglio stare qui, ad ascoltare qualsiasi parola uscita dalla sua bocca, per ore ed ore. La tachicardia che sento al cuore non è immaginaria.
 
<< Cole? >>
 
<< Perché mi chiedi se ho scopato con qualcuna? A te cosa interessa? >>
 
Attende un po' prima di rispondermi. Probabilmente, non riesce a capire il perché di quel mio atteggiamento iracondo.
 
<< Non c’è un reale motivo per cui te l’abbia chiesto >>
 
<< Non c’è un reale motivo, eh? >>
 
Mi alzo da lì e in preda alla rabbia, cerco le sigarette dalla tasca dei miei jeans. Ne porto una alla bocca ma le mie mani tramano e faticano a bruciare la sua estremità. Lancio con violenza l’aggeggio per terra, facendo trasalire Zoe per quel mio strano comportamento.
 
<< Ma stai bene? >>
 
<< No, Zoe. Non sto bene e la colpa è tua >>
 
<< Mia? Che vuoi dire? >>
 
<< È evidente, cazzo. È evidente! >>
 
Vado su e giù per la stanza, agitato e al tempo stesso ferito. Ad un tratto, vengo trattenuto per un braccio e a quel punto i nostri sguardi s’incrociano. La sua espressione è triste e preoccupata. Immediatamente, mi sento in colpa per quella mia sceneggiata priva di senso. Mi siedo al bordo del letto e Zoe si affianca a me, senza lasciarmi il braccio, avvinghiandosi contro.
 
<< Zoe >> le dico, con voce sussurrata e con il capo chino << devi essere davvero una stupida per non capire quanto sia evidente il fatto che tu mi piaci e non credere che sia solo attratto dal tuo corpo, non è quel piacere passeggero, dettato dalla follia del viaggio che stiamo facendo >> prendo un respiro e poi proseguo << Tu mi piaci davvero e, per la prima volta dopo tanto tempo, sento il desiderio di conoscere qualcuno. Voglio sapere chi sei >> avverto la sua stretta farsi sempre più leggera, sempre più impercettibile << Ma so che per te non è la stessa cosa, che mi vedi sono come un amico con cui hai condiviso un momento di sana pazzia >>
 
Stavolta è lei a tenere la testa bassa, ad essere scostante da me.
 
<< Cole >> mi chiama, con voce tremante ma al tempo stesso decisa << Lascia che ti confessi una cosa: anche tu mi piaci. Sei il ragazzo che ho sempre desiderato avere al mio fianco. Non mi è mai capitato di parlare così a lungo con qualcuno. Tu sei capace di tirare fuori la parte vera di me e non mi disprezzi per questo, non ti dispiace affatto la Zoe lamentona, paranoica e con una considerazione tremendamente bassa di sé e del mondo. Tu mi apprezzi per quello che sono >> mi guarda negli occhi, con un sorriso dolce stampato sulle labbra.
 
Il mio cuore è in un brodo di giuggiole all’udire di quelle parole ma qualcosa nelle sue iridi non mi fa gridare dalla gioia.
 
<< E nonostante tutto questo, io non posso stare con te >>
 
Ecco, lo sapevo.
 
<< Non posso restare accanto ad una persona come te perché una come me ne uscirebbe indebolita e fatta a pezzi >>
 
Non proferisco parola, serro le mascelle aspettando che continui il suo discorso.
 
<< Non sono abbastanza forte. È passato del tempo ma, tu potresti essere il mio buon motivo per perdere tutto ciò che di positivo ho raccolto finora. Vivo ancora col riflesso del mio passato da eroinomane, da psicopatica, da disturbata compulsiva >>
Mi prende di colpo la mano e la rinchiude nella sua << Spero che un giorno tu possa perdonarmi, Cole >>
 
 
 
 
 
<< La nostra breve avventura è giunta al termine quindi >> esordisce Cole, spezzando quel silenzio creatosi in macchina.
 
<< Già >>
 
Siamo di fronte alla stazione di Dakota e, nonostante il mio cuore mi spinge a tenerlo al mio fianco, perché è perfettamente consapevole del fatto che non incontrerà mai più un ragazzo come Cole, la mia coscienza vuole esattamente che lo lasci andare via, se voglio un giorno stare bene. Il destino ha voluto che noi ci incontrassimo nel momento più buio della nostra vita e, al tempo stesso, scontrandoci, ha dato l’opportunità ad entrambi di poter ricominciare, come una fenice che rinasce dalle proprie ceneri. Nonostante questo, è comunque dura. È difficile separarsi da qualcuno che riesce a farmi ridere a crepapelle, che mi fa stare bene, da farmi dimenticare dell’odio che ho per me stessa e per il mondo intero…È estremamente faticoso, cazzo. 
 
 
<< Ci rincontreremo un giorno, vero? >> mi chiede improvvisamente Cole, mentre scendo dall’auto.
 
<< Certamente >> gli rispondo, abbassandomi all’altezza del finestrino.
 
<< Promesso? >>
 
<< Promesso >>
 
 
 
 
Epilogo
 
 
 
 
 
 
Ho trentatré anni, oramai.
Ho un lavoro fisso, un marito e sono in stato interessante. Ho un’automobile, un’assicurazione sanitaria, per fortuna i soldi non mi mancano. Sorprendentemente, ora viaggio spesso. Mangio e dormo altrettanto bene e, se tutto procede secondo i miei piani e continuo a seguire questo stile di vita, non dovrei schiattare a breve, come credevo che sarebbe successo qualche anno fa.
Accarezzo l’addome gonfio e mi chiedo: come può essermi accaduta una cosa simile? Prima avrei gridato a squarciagola: IO NON VOGLIO AVERE FIGLI!
E invece, mi ritrovo sposata e incinta… Come si cambia nella vita!
Sono uscita da quel tunnel buio, trovando la luce, grazie alla mia forza e alla mia determinazione. Ho ribaltato completamente me stessa come un calzino e, oltre ad averlo fatto – in primis - per il mio bene, sono riuscita a guardare avanti anche perché avevo il pensiero fisso di voler Cole nella mia vita.
 
 
 
 
 
 
 
 Oggi, l’incontro con il nuovo gruppo è andato piuttosto bene. Certo, Steve ha bisogno di più tempo per ambientarsi, ma son sicuro che riuscirà a fare un ottimo lavoro all’interno del mio centro di recupero, sotto la guida dello staff. Ricordo che anche io, come lui, quando frequentavo la comunità per tossicodipendenti, non era stato affatto semplice abituarmi a quel modo di vedere la vita. Prima ero solamente un cazzone che aveva paura di assumersi le proprie responsabilità ma, è stato grazie a Zoe se ho deciso di cambiare, di essere un uomo migliore. Tutto questo volevo farlo per lei, per dimostrarle che potevo valere di più, che non ero una causa persa. Dopo tanti sacrifici, sono riuscito a portare a termine il mio obiettivo e piano piano, Zoe ha iniziato a occupare sempre meno la mia mente. Finché non è arrivata Mary, a scacciare completamente l’immagine del suo viso elfico dal mio cuore. Nonostante sia felicemente sposato e diventato da poco padre di una meravigliosa bambina, Zoe avrà sempre un posto speciale nei miei ricordi.
Guardo l’orologio da polso e per fortuna, sono arrivato con dieci minuti in anticipo al mio consueto bar, dove solitamente prendo un caffè con mio padre.
Entro nella struttura dall’arredo molto semplice e casalingo e mi dirigo al tavolo al quale noi siamo soliti consumare la nostra colazione. Ma, di sfuggita, vedo una sagoma che legge un libro dalla copertina molto familiare. Ernest Hemingway? Spalanco gli occhi quando realizzo che la figura attenta a leggere le sue poesie è Zoe. Sono passati sette anni e non è cambiata di una virgola e sorrido dalla felicità quando mi rendo conto che è in dolce attesa. Questo vuol dire che è riuscita a superare le sue paure, le sue difficoltà.
 
 << Tu non sei i tuoi anni
 Né la taglia che indossi,
non sei il tuo peso
o il colore dei tuoi capelli.
Non sei il tuo nome,
o le fossette sulle guance,
sei tutti i libri che hai letto
e tutte le parole che dici,
sei la tua voce assonnata al mattino
e i sorrisi che provi a nascondere,
sei la dolcezza della tua risata
e ogni lacrima versata,
sei le canzoni urlate così forte,
quando sapevi di essere tutta sola,
sei anche il posto in cui sei stata
e il solo che davvero chiami casa,
sei tutto ciò in cui credi,
e le persone a cui vuoi bene,
sei le fotografie nella tua camera
e il futuro che dipingi.
Sei fatta di così tanta bellezza
ma forse tutto ciò ti sfugge
da quando hai deciso di esser
tutto quello che non sei. >> recito, a bassa voce e abbassandomi con le gambe, per farmi guardare dai suoi grandi occhioni da cerbiatta.
 
 
 
 
 
Rimango spiazzata di fronte a quell’inconfondibile sorriso da vecchio volpone e che anche col trascorrere degli anni non è mai cambiato. Indossa un vestito casual e di buona fattura. Ha con sé una ventiquattrore e sembra un uomo d’affari conciato in quel modo. Non posso appurarlo con certezza ma di certo, per permettersi tutto questo, è riuscito a trovarsi un buon lavoro e sono contenta di vederlo così, più spensierato e soprattutto fiero e orgoglioso dell’uomo che è diventato.
 
<< Volevi fare colpo? >> gli domando, chiudendo il libro e, con gli occhi lucidi, rido di gusto per quel nostro familiare siparietto.
Ci guardiamo intensamente ripensando al nostro giro per l’America, senza nessun posto dove fare ritorno.
 
Nel proseguo della nostra vita, abbiamo incontrato tante persone.
 
 
 
Le abbiamo conosciute fin nel profondo.
 
 
 
Ma, un giorno per caso, ho incontrato te.
 
 
 
Che in pochi istanti.
 
 
 
Hai cambiato la mia vita per sempre.





Angolo Autore:
Siamo giunti alla fine di questa storia! 
Spero che sia stato di vostro gradimento ^^
Grazie mille a tutti per le letture! Alla prossima!

LaSignorinaRotterMaier.

 

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