Uomo

di mgrandier
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un uomo solo - parte prima ***
Capitolo 2: *** Un uomo solo - parte seconda ***
Capitolo 3: *** Solo un uomo ***
Capitolo 4: *** Un solo uomo ***



Capitolo 1
*** Un uomo solo - parte prima ***


Un uomo solo – parte prima
 
Si era alzato dal letto anticipando di un poco le prime luci dell’alba e, dopo aver consumato una frugale colazione nelle sue stanze, del pane e del formaggio che aveva lui stesso recuperato nella dispensa la sera precedente, era scivolato guardingo da un ambiente all’altro fino a raggiungere le scuderie. Era stato abile nell’evitare gli sguardi di coloro che già animavano i corridoi e le stanze di servizio della dimora e fermo nel proposito di non lasciarsi distrarre da nulla che potesse finire per ritardare i suoi piani. Ignorando il tramestio che giungeva dal fondo della scuderia, là dove, oltre un portone appena accostato, venivano custodite le diverse carrozze del Generale, in assoluta autonomia aveva provveduto a preparare il suo cavallo con meticolosa attenzione, assicurando ogni cinghia con i gesti decisi, che dentro di sé, con non poca soddisfazione, aveva giudicato giustamente esperti e adeguati. Nemmeno di fronte agli occhi lucidi e scuri degli stalloni si era lasciato intenerire, elargendo solo qualche tocco leggero sul muso grigio e possente di Brouillard[i], prima di tornare all’aperto, conducendo con sé la propria cavalcatura, insolitamente docile, quasi che anche lui avesse compreso la gravità del momento.
Era montato in sella, agile come era sempre stato, e si era accomodato sulla seduta stringendo le dita attorno al laccio della sacca dentro la quale aveva raccolto l’essenziale per affrontare il viaggio; infine, voltandosi appena a cercare le finestre delle proprie stanze, aveva definitivamente lasciato Palazzo Jarjayes, proprio mentre il sole iniziava a mostrarsi oltre il profilo della boscaglia al limitare orientale della tenuta: con la schiena dritta e lo sguardo fermo sulla scia di pietrisco che conduceva al cancello, aveva spronato il cavallo a partire, determinato come mai prima ad affrontare in modo definitivo la sua nuova vita.
Per questo, lungo la strada, per lungo tempo non si era voltato indietro. Era rimasto composto, quasi impettito, ed aveva forzato un poco l’andatura, attento a non esagerare perché il suo stallone non avesse a soffrirne sulla lunga distanza, ma deciso a rispettare i propri propositi di viaggio: una scelta coraggiosa, quasi un colpo di testa, quella di raggiungere la Normandia in soli tre giorni di viaggio[ii], che gli avrebbe permesso di giungere a destinazione più rapidamente rispetto al solito, al costo però di mettere alla prova il proprio fisico e quello del proprio cavallo. Una prova di forza e di determinazione che, sapeva bene, avrebbe vinto.
Così, al tramonto come aveva pianificato, giunse in vista di Evreux e, quasi istintivamente, tirò a sé le redini, arrestando il passo del cavallo. Per qualche istante, rimase ad osservare la sagoma scura della città facendo scorrere lo sguardo sul profilo frastagliato di tetti e torri, gli occhi socchiusi e la luce calda del sole ad accarezzare le lunghe ciglia e pungere le iridi. Si concesse di indugiare sul proprio successo, stringendo e rilasciando le dita sulle redini e poi posando la mano destra alla base del collo del suo cavallo, in una leggera carezza, quasi a ringraziarlo silenziosamente, mentre il suo sguardo procedeva, studiando l’intrico appena intuibile delle vie dell’abitato, alla ricerca di qualche dettaglio noto, fino a fermarsi in un punto preciso di quella macchia di tetti scuri; fino a quando le labbra non si piegarono istintivamente in un accenno di sorriso, stretto e soddisfatto.
 
Le vie del centro della città erano strette e, in alcuni punti, piuttosto tortuose, tanto da rendere impegnativo il suo avanzare tra la gente, ma, in un certo senso, si sentì sollevato dalla presenza di quelle persone e la sua attenzione era costantemente rivolta alle voci che udiva attorno a sé. Per tutta la giornata non aveva pronunciato una sola parola e non aveva avuto la possibilità di parlare con nessuno, consapevole di aver lui stesso deliberatamente scelto quel silenzio, evitando qualunque occasione di scambio o di incontro con altri.
Dapprima aveva lasciato che la sua attenzione venisse attirata da ciò che lo circondava, indugiando sul paesaggio, sul cielo e sui dettagli della campagna, sul profumo della terra umida e su quello della polvere; poi, incrociando un piccolo convoglio che lo aveva colto quasi di sorpresa, si era istintivamente concentrato sulla strada, sul percorso da seguire, sul tracciato che si insinuava tra le macchie della campagna e i piccoli centri abitati. Ad un bivio si aveva arrestato il passo, solo pochi istanti, per non perdere tempo, ma aveva dovuto riflettere per recuperare alla memoria quale fosse il cammino su cui procedere, quasi fosse la prima volta che percorreva quella strada; e infine, era giunto alla meta.
Era consapevole di essere già stato a Evreux in passato, nella mente aleggiava un vago ricordo di un viaggio al seguito del padre, ma in realtà non aveva una immagine distinta del reticolo cittadino, quasi che ogni suo passaggio fosse stato distratto da altro o  poco consapevole: quella non era tra le tappe fisse dei suoi viaggi, probabilmente la città non era ad una distanza da Palazzo Jarjayes considerata comoda per programmarci una sosta, o piuttosto la famiglia non aveva interessi commerciali di alcun genere con la città, o forse non c’era nemmeno una ragione precisa a motivare quella consuetudine, tuttavia gli parve un dettaglio curioso il fatto di non aver una locanda prescelta nella quale fermarsi per la notte.  Anzi, si rese conto del fatto che proprio quel dettaglio lo stesse rendendo insolitamente interessato a ciò che lo circondava, alle facciate degli edifici e alle insegne delle botteghe, agli odori intensi della strada.
Arrestò il passo, sollevando lo sguardo da una piastra brunita che cigolava dondolando appesa ad un’asta, inizialmente incuriosito dalla rosa dipinta da una mano incerta sul pannello dalla forma irregolare, ma poi si trovò ad arricciare il naso scorgendo, oltre il primo livello sul piano della strada, una facciata malconcia, con finestre dai vetri rotti e una gran quantità di stracci scuri e poco invitanti a penzolare dai davanzali.
Riprese quindi ad avanzare sulla via, facendosi largo tra una folla che si faceva più densa e difficile da penetrare; ad un crocevia, fu costretto a fermarsi, cedendo il passo ad alcuni carri traballanti il cui carico di casse e sacchi pareva aver attirato l’attenzione della folla circostante, apparentemente sempre più irrequieta nell’approssimarsi al centro cittadino.
Fu allora, nel trambusto di quel frangente, che si accorse che qualcosa lo stava strattonando, impedendo al suo cavallo di avanzare ancora. Si volse immediatamente, i sensi all’erta e la mano istintivamente all’elsa della spada legata sul fianco, ma nella confusione che lo attorniava e che pareva trascinarlo con sé, dovette assicurarsi alle redini, per governare il cavallo ormai insolitamente scosso e difficile da trattenere. Un colpo alle spalle, forse sferzato con un bastone, lo fece sobbalzare sulla sella e poi piegare sulla criniera bianca; un altro sul braccio lo indusse a ritrarsi, strattonando ancor di più le redini, mentre il suo stallone si sollevava sulle zampe posteriori, provocando un attimo di scompiglio attorno a sé. Si guardò attorno serrando i denti e cercando di recuperare la concentrazione necessaria, per poi intuire un accenno di frattura tra la folla scomposta che gli stava attorno, immediatamente determinato a lasciare quella bolgia irrequieta e pericolosa.
Affondò i talloni nel fianco del cavallo, spronandolo a partire senza indugio e si ritrovò a fendere la calca con il fiato corto, cercando di allungare il passo per sfuggire al trambusto che, fortunosamente, si stava lasciando alle spalle, e alla folla che, forse, lo aveva già dimenticato; si volse a controllare solo un paio di volte, rassicurato dall’affievolirsi della voce confusa di quella folla in tumulto e si concesse di arrestare la corsa solo quando raggiunse di nuovo il limitare dell’abitato, laddove alle costruzioni si intervallavano appezzamenti coltivati e terreni recintati, forse adibiti al ricovero di animali. Trattenne il fiato e si morse il labbro, mentre il respiro recuperava il suo ritmo e lo sguardo scrutava tutto attorno cercando conferma di una calma ritrovata; solo allora si rese conto di dover comunque trovare un ricovero per la notte … quello che aveva cercato inoltrandosi verso il centro della città, ma a cui aveva rinunciato a causa dei disordini in cui si era trovato coinvolto e che ora, con il buio ormai prossimo ad inghiottire la città, sembrava ancora più difficile da scovare. Scosse il capo, riprendendo a guardare attorno a sé, e poi fissò la propria attenzione su una costruzione poco distante, arretrata rispetto alla strada, circondata da un appezzamento di terreno, ma di dimensioni maggiori rispetto alle altre che poteva vedere, e che, soprattutto, si presentava in condizioni apparentemente più dignitose. Non indugiò oltre e spinse il cavallo verso lo stabile, lungo un breve passaggio sterrato; giunto all’edificio, scese a terra e prese a colpire a pugni stretti sui battenti scuri che chiudevano un modesto portone, fino a quando non gli parve di udire dei rumori oltre il legno e una voce non fermò il trambusto.
- Arrivo! Arrivo! – gridò una voce maschile, anticipando di un istante il movimento del battente, che si mosse appena aprendo uno spiraglio sottile oltre al quale riuscì a mala pena a intuire la presenza di un volto sottile e rugoso. L’uomo parve restare ad osservarlo per qualche istante a labbra strette e poi, per quanto poté vedere, sollevò il folto sopracciglio – Chi siete? Cosa volete? –
Per un istante, rimase in silenzio, quasi non fosse pronto a rispondere a quelle domande; poi si riscosse e, raddrizzando le spalle, si forzò a parlare – Sono Oscar François de Jarjayes, sono in viaggio e vi chiedo di ospitarmi per questa notte, perché in centro ho incontrato un tumulto e non mi è possibile raggiungere in sicurezza una locanda. –
Si fermò un istante, lasciando che lo sguardo oltre la fessura lo scrutasse con calma; a sua volta, si volse ad osservare il proprio cavallo, i finimenti di buona fattura, l’aspetto curato dell’animale e … solo allora si accorse dell’assenza della sacca del suo bagaglio. Represse un moto di stizza, irrigidendosi e socchiudendo gli occhi, mentre governava la propria voce per riprendere a parlare – Sono stato derubato del mio bagaglio, durante i disordini, ma ho ancora la possibilità di ripagarvi per il vostro disturbo, se vorrete accogliere me e il mio cavallo per questa notte. – chiarì.
- Siete solo? – chiese allora l’uomo, forse ponderando la possibilità di accoglierlo - Perché nessuno dovrebbe viaggiare da solo di questi tempi! E’ una vera imprudenza, soprattutto per un gentiluomo quale mi sembrate essere voi! -
- Sono solo. – rispose pronto, tagliando corto – Sono un uomo solo. -
 
[i] Nel mio universo narrativo, Brouillard è il cavallo del Generale Jarjayes
[ii] Ho consultato qualche fonte in internet e ho trovato interessante un testo che trattava la gestione degli spostamenti a cavallo in ambito militare, con stima delle velocità massime considerate accettabili per non sfiancare i cavalli; in definitiva, si consigliano tratte medie di 30-35 km al giorno, che possono arrivare anche quasi al doppio, ma solo in casi particolari e considerando adeguati periodi di riposo almeno ogni cinque-sei giorni di cammino. Per questo, stimando la distanza tra Parigi e la Normandia attorno ai 180 km, ho ritenuto che solitamente venisse percorsa in quattro giorni, con una certa calma, ed eccezionalmente in tre giorni, considerando la possibilità concreta di riposo all’arrivo alla meta.


Nota dell'autrice
E' stata un'estate impegnativa sotto tanti aspetti, soprattutto professionale e famigliare, ma non potevo ignorare questa idea che si è fatta strada e reclamava attenzione. Così, anche questa volta, ritagliando scampoli di tempo, le ho dato forma e il risultato finale ha sorpreso un po' anche me.
Ad ogni modo, come sempre, grazie a chi avrà la pazienza di leggere e di seguire questo nuovo racconto.
A presto,
Maddy

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Capitolo 2
*** Un uomo solo - parte seconda ***


Un uomo solo – parte seconda
 
Aveva poi proseguito con maggiore accortezza il proprio viaggio, rispettando quanto aveva pianificato, e, infine, era giunto alla villa di famiglia, quella residenza in Normandia dove si era recato numerose volte durante la giovinezza e della quale conservava ricordi che considerava tra i frammenti d’infanzia e adolescenza a cui più si sentiva legato.
All’arrivo, era stato accolto dalla governante che, nonostante fosse abituata a non essere avvisata per tempo dell’arrivo dei Jarjayes alla villa, gli era parsa inaspettatamente rigida nell’accoglierlo. Così, aveva infranto quel sottile specchio di sospetto e sorpresa con la propria risolutezza, ordinando che venisse sistemata al più presto la propria stanza e disponendo perché una cena leggera gli fosse servita nella sala da pranzo, appena possibile. Poi si era ritirato in biblioteca, deciso a sfruttare al meglio ogni istante di quel periodo di riposo e di isolamento che aveva deliberatamente scelto per comporre, un pezzo alla volta, quella nuova vita che, lo sentiva dentro di sé, gli spettava di diritto.
Nei giorni seguenti, aveva trascorso la maggior parte del suo tempo a cavallo, in lunghe passeggiate che, snodandosi lungo le strade sterrate della costa e dell’entroterra, lo avevano portato alla ricerca ossessiva di ogni singola traccia del proprio passato, di altre passeggiate e di altre corse, quasi a volerne ricalcare ogni dettaglio, fino a riscrivere i propri ricordi e le immagini impresse nella memoria. Alla vista di quei luoghi, si era sentito libero e al contempo stretto nel bisogno di una sempre maggiore libertà; realizzato e nello stesso istante insoddisfatto, mentre dentro di sé avvertiva crescente la necessità di ottenere sempre di più da se stesso, quasi volesse insistere per portare il proprio limite sempre più lontano, fino a stordirsi di stanchezza, là dove la mente pareva poter soccombere al corpo, nel corso di quelle giornate che, un tempo rapide e vivaci, ora gli parevano, al contrario, sempre più lunghe, inutili e insoddisfacenti.
Nelle interinabili ore trascorse in solitudine, aveva preso ad ascoltare il sibilo del vento, la voce sommessa delle fronde e quella inquieta delle onde; si era concentrato su ogni fruscio e su ogni rumore, come se in quei suoni senza voce potesse trovare un rimando diretto a se stesso, una risposta al suo intimo bisogno di confronto. Aveva evitato i centri abitati e il loro brulicare di vita, ma cercato incessantemente la compagnia degli elementi e quelle presenze indipendenti e apparentemente inafferrabili che al contrario, attorno a sé, parevano capaci del dialogo più profondo e trasparente. Aveva recuperato la propria capacità di ascoltare e quasi dimenticato la propria inutile voce, serbando ogni respiro per un nuovo sforzo, una nuova corsa a fendere il vento.
In quei giorni, in un crescendo continuo, era passato dalle prime brevi cavalcate sull’arenile, fino a lunghe ed estenuanti uscite che lo avevano tenuto lontano dalla dimora fin dalle prime luci dell’alba, per poi fare ritorno ben oltre dopo il tramonto, provato fisicamente, eppure inspiegabilmente mai pago nell’animo.
Un pomeriggio, dopo aver cavalcato a lungo, lasciando che anche i pensieri corressero liberi ad accarezzare i profili dolci del paesaggio, era giunto ad un luogo che ricordava di aver visitato in numerose occasioni in passato, uno spiazzo ombreggiato dalle fronde lunghe degli alberi, aperto ad occidente su un declivio morbido che digradava dolcemente fino alla via principale per Fecamp; affascinato dal paesaggio e dimentico quasi di se stesso, aveva arrestato la corsa di Cesar, scendendo a terra mosso da un inspiegabile istinto, inebriato dal momento e dal luogo, lasciando spazio ad un sottile entusiasmo, al brivido che quel luogo gli aveva donato. Aveva sguainato la spada, pregustando l’adrenalina del duello, e voltandosi aveva teso la lama alle proprie spalle, sollevando il braccio pronto ad un guizzo, con un sorriso di soddisfazione e di sfida già a fiorire sulle labbra.
- En garde! – aveva intimato … per poi restare in sospeso, ad osservare il proprio cavallo, indifferente, solo e con il capo chino a terra, già intento a brucare poco lontano. L’adrenalina era scemata in un soffio, la lama aveva fischiato tagliando l’aria, per poi scendere a conficcarsi nel terreno, mentre lo sguardo scivolava via dalla radura, fuggendo lontano, oltre la vegetazione, lasciando il suo animo in sospeso nell’orgoglio, incapace di accettare il fatto che quel duello non combattuto altro non fosse che una sorta di sconfitta.
Così, senza una vera giustificazione, aveva sentito le membra farsi inaspettatamente intorpidite e l’animo si era lasciato cogliere da una improvvisa stanchezza. Aveva raccolto la spada e ricomposto il proprio animo, per poi riprendere la via di casa, imponendosi di fuggire da ciò che era accaduto.
Di nuovo, proprio con quella stessa spossatezza nel corpo e insoddisfazione dello spirito si trovò a rientrare alla dimora anche nei giorni seguenti, quando ormai era in Normandia da oltre una settimana. Durante la giornata si era spinto ben oltre il limitare delle proprietà di famiglia, giungendo a settentrione in una zona di cui aveva letto sulle mappe custodite in biblioteca, ma che mai aveva visitato davvero. Per un istante, aveva colto dentro di sé quel brivido ancestrale che ricordava di aver provato in un lontano passato, quando, in situazioni analoghe, aveva intuito di aver infranto l’ennesimo limite; aveva socchiuso lo sguardo, annusando l’aria come un conquistatore, o un rapace, e aveva asciato che la vista accarezzasse lenta il panorama che, dalla sommità dell’altura, gli si era mostrato, scivolando lungo i pendii che digradavano dolci verso la costa. Era riuscito ancora a godere di quel brivido antico, si era sentito vivo e vincitore, e le labbra si erano tese nell’ombra di un sorriso, mentre la sensazione di essere sospeso sul proprio futuro lo faceva vibrare e il suo desiderio di andare oltre il proprio essere era parso, per un attimo, soddisfatto, finalmente sazio. Allora l’istinto l’aveva indotto a voltarsi, guardando alle proprie spalle, quasi che si aspettasse di trovarvi qualcosa che potesse riportagli certezza, che potesse legittimare la sua vittoria e gratificarlo, dandogli la prova concreta di aver davvero raggiunto il proprio scopo; e fu allora che il suo sorriso si sciolse, spegnendosi quasi, trovandosi ancora così come aveva desiderato e scelto di essere: finalmente e definitivamente solo.
Aveva serrato i denti, riconoscendo in quel mentre la nuova sfida che aveva inconsapevolmente lanciato contro se stesso, e sollevando il mento con determinazione, aveva lasciato alle proprie spalle quel mondo appena raggiunto, spronando il cavallo a tornare sui propri passi, dapprima lento, ma poi sempre più spedito.
Era giunto alla scuderia di casa sfinito, aveva lasciato Cesar alle attenzioni dello stalliere senza nemmeno attardarsi a ricompensarlo con qualche delizia, come al contrario era solito fare indugiando nel ricovero dei cavalli, e raccogliendo le ultime forze, chiuso in un silenzio cupo, si era diretto alla biblioteca, accasciandosi sul divano del salotto di lettura, con il capo riverso all’indietro, sorretto dal bracciolo, e un braccio sollevato a coprirsi gli occhi con la piega del gomito.
Il mattino seguente, aveva sorpreso la governante rifugiandosi in biblioteca, quasi che fosse giunto alla consapevolezza di poter proseguire i propri viaggi solo e soltanto là dove nessuna cavalcata avrebbe potuto condurlo, attraverso la lettura.
Nei giorni successivi, aveva perseverato nello studio, dedicandosi ai testi classici e a qualche trattato di scienze, sentendosi quasi sollevato dal quel nuovo impegno di lettura; per qualche giorno ancora si era ancora riservato, nel tardo pomeriggio, il piacere di una breve passeggiata, mosso, gli pareva, da uno spirito nuovo, quasi che finalmente, dividendosi tra studio e cavalcate, gli fosse riuscito di trovare l’equilibrio giusto per godere appieno di quei momenti di svago. Poi, anche la lettura si era tramutata in una sfida e lo studio, progressivamente, aveva consumato le ore di luce facendosi quasi ossessivo, fino a assorbire il tempo delle passeggiate e rubare il tempo del sonno, ricalcando con la stanchezza i contorni di una nuova, inammissibile, insoddisfazione.
 
Il bussare vigoroso sul battente di legno della porta della biblioteca lo strappò bruscamente dalle vicende di Achille provocandogli un sussulto; sollevò lo sguardo dalla pagina puntando cupo verso il punto da cui gli era giunto il richiamo, scorgendo la governante ferma sull’uscio, con lo sguardo accigliato.
- Sì? – chiese asciutto corrugando la fronte e invitando la donna a parlare.
- Chiedo perdono, ma la cena si sta freddando anche questa sera. – rispose lei calcando l’accento volutamente su quell’anche.
- Oh … - gli riuscì appena di rispondere, cercando di rammentare se veramente, nei giorni passati, avesse cenato oltre l’orario consueto, o anche solo se avesse realmente cenato – Ehm … lasciate pure tutto nella sala da pranzo; arrivo tra un attimo solo. –
Gli parve di scorgere sul viso della donna un riflesso di fredda soddisfazione, che tradusse nell’ombra del pensiero del non dover indugiare ancora fino a tardi nel rassettare la cucina e la sala da pranzo, e, in risposta, tornò svelto e silenzioso alla propria lettura.
Si aspettava di essere lasciato solo, ma dopo qualche istante si accorse di non aver ancora udito i passi della governante allontanarsi oltre il corridoio; così alzò di nuovo lo sguardo sull’uscio, trovando conferma al proprio pensiero.
- C’è altro, Rose? – chiese allora, insospettito dall’insolito indugiare della donna, che conosceva diretta e risoluta, e che invece ora appariva piuttosto incerta.
- Sì, Mad … Monsieur. – si corresse lei, frugando tra le pieghe sul fianco della sua gonna e traendo dalla tasca un piccolo involto di carta – Ecco … poco fa è giunto un messo da Palazzo con una missiva per voi. In realtà, è per questo che mi sono permessa di disturbarvi nonostante foste impegnato qui nelle vostre letture. –
Svelto, richiuse il testo che tratteneva tra le mani, allungandosi fino a posarlo sul tavolo poco distante, e seguendo l’istinto si sollevò dalla poltrona.
- Il messo ha lasciato anche un messaggio per me? – chiese allora, raggiungendo la donna sulla soglia della biblioteca – Vi ha riferito qualcosa in particolare? –
- No, Monsieur. – si affrettò a rispondere Rose, mentre consegnava la missiva tra le sue mani – Ha detto soltanto che si trattava di una lettera per voi da parte del Generale Jarjayes. -
- Puoi andare, Rose. – la congedò allora senza troppi giri di parole, spingendola quasi oltre la soglia della biblioteca e chiudendole alle spalle i battenti della porta, per poi affrettarsi a rompere il sigillo di famiglia che assicurava l’integrità della missiva. Riuscì a dare solo un inquieto sguardo d’insieme a quelle righe in cui riconosceva chiaramente la grafia rigorosa del padre, mentre lo sguardo veniva attratto inspiegabilmente da un nome quasi nascosto tra le fitte righe e il respiro si spezzava, portando tumulto al centro del petto e una improvvisa instabilità alle sue ginocchia.


Angolo dell'autrice: colgo l'occasione per fare gli auguri di buon compleanno ad André... che pur non comparendo, in questo capitolo si fa sentire.
Vi lascio la seconda parte del racconto e non posso che ringraziare tutte le lettrici che si sono coraggiosamente avventurate nel seguire questa nuova storia che so essere un po' sopra le righe.
Grazie a tutte, devvero, di cuore,
Maddy

 

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Capitolo 3
*** Solo un uomo ***


Solo un uomo
 
Contro ogni razionalità, e contro le insistenze bonarie e ragionevoli della governante, era partito immediatamente, senza curarsi della notte imminente e di tutto quanto avrebbe comportato intraprendere un viaggio simile al calar del buio.
A grandi falcate aveva raggiunto la scuderia e lo stalliere l’aveva dovuto rincorrere per arrivare ai cavalli e intromettersi tra lui e il fido Cesar, in modo da poter proseguire con la preparazione dello stallone di cui lui stesso aveva iniziato ad occuparsi. Qualche istante dopo era giunta anche la governante, trafelata e rossa in volto, a consegnargli una sacca preparata alla meglio e tutte le proprie preoccupazioni.
- Non partite ora, Madamigella! – aveva allora ripreso Rose, sempre più sinceramente accorata e senza falsi modi – Sapete anche voi che si tratta di una imprudenza! Io sono qui fin da quando ero una ragazzina e non ricordo che qualcuno abbia mai lasciato la dimora dopo il tramonto; si è sempre atteso il nuovo giorno! –
Tuttavia, lui era risolutamente rimasto concentrato sui movimenti rapidi e sapienti dell’anziano stalliere, senza quasi reagire agli appelli della donna.
- Diglielo anche tu, Robert: - aveva poi ripreso Rose, rivolta al marito ancora occupato nel controllare lo stallone bianco – il Generale se la prenderà con noi e ci punirà severamente quando saprà che vi abbiamo permesso di … -
- E’ proprio per soddisfare una richiesta di mio padre che non intendo rimandare la partenza a domani. – si era allora intromesso lui, raddrizzando le spalle e fissando i propri occhi, fermi e determinati, in quelli preoccupati della governante e rispondendo con le proprie ragioni, deciso a non ammettere altre discussioni – Sapete bene che non ci sarà alcun castigo per voi due e, se mai ce ne dovesse essere necessità, sarò io stesso a difendervi al suo cospetto. – aveva poi concluso, mentre già conduceva Cesar al di fuori della scuderia – Mio padre ha richiesto la mia presenza a Palazzo e io non intendo indugiare oltre, prima di partire. -
Era salito in sella e, dopo aver spronato lo stallone al passo, era riuscito appena ad udire la voce di Rose, velata di preoccupazione, porgere ancora un ultimo saluto - Fate buon viaggio, allora … -.
Si era voltato un istante, chinando appena il capo in segno di ringraziamento, forse più perché la donna aveva smesso di opporsi alla sua partenza, che per l’augurio appena udito, ed era riuscito a scorgerla, sulla porta della scuderia, appena illuminata dalle ultime luci della sera, con le braccia piegate sul petto prosperoso e le mani strette una nell’altra, in una sorta di silenziosa preghiera.
- Per mio padre … - aveva mormorato allora tra sé, concedendosi una sola motivazione per quell’atto che sapeva sconsiderato, ma che sentiva assolutamente necessario – Solo per mio padre … - e poi aveva spinto Cesar ad aumentare l’andatura, lasciandosi alle spalle tutto e tutti.
 
Aveva cavalcato tutta la notte, procedendo sulla via che si snodava nelle campagne, evitando quanto più possibile le boscaglie e cercando di sfruttare al meglio la luce lattiginosa della luna piena che, fortunatamente, schiariva un poco quella notte.
Dapprima, si era sentito invincibile; il vento sul viso, fresco e umido della notte, gli aveva risvegliato le membra e aveva sopito, invece, i suoi pensieri, permettendogli di concentrarsi più sul viaggio, che sulle ragioni di quella partenza improvvisa. Per le prime ora aveva prestato attenzione alla strada, al cielo e a tutto quanto lo circondava, alle terre che attraversava e agli animali che aveva udito e intravisto scappare a nascondersi nei cespugli, disturbati dal suo passaggio. Aveva scorto la sagoma nera di un uccello notturno solcare il cielo in volo e non aveva potuto che invidiargli il privilegio di quelle ali maestose, capaci di sollevarlo da terra e di allontanarlo dal terreno e dal peso di doversi trascinare nella polvere, lungo la via sterrata. Poi, procedendo nella sua corsa, si era sentito sempre più pesante, incapace di coprire miglia su miglia come avrebbe desiderato fare, come sentiva di avere la necessità di fare …
Aveva superato più di un villaggio, ignorando le poche insegne delle taverne e distogliendo lo sguardo dalle locande, ripetendo a sé stesso di non poter perdere tempo … concentrato sul bisogno di proseguire il più possibile la propria corsa e forse anche impegnato a ignorare ogni segno di stanchezza e, più di ogni altra cosa, la voce del proprio animo turbato.
Solo in prossimità di un canale, laddove la strada per un lungo tratto costeggiava l’acqua, permettendogli una buona visuale tutto attorno a sé, si era concesso di prendere fiato per qualche istante, per far abbeverare Cesar e lasciare che recuperasse anch’esso le forze. Allora scorgendo con la coda dell’occhio la sacca assicurata alla cavalcatura, aveva avuto modo di riflettere su quel piccolo involto preparato dalla governante, che lui aveva afferrato e legato alla sella senza nemmeno chiedersi cosa fosse, preso, in quegli istanti concitati, da altre preoccupazioni. Ascoltando finalmente il proprio corpo, si era reso conto di non aver nemmeno cenato prima della partenza e aveva istintivamente affondato una mano nella sacca, ringraziando mentalmente la donna per quella inattesa gentilezza. Aveva riconosciuto, tra involti di stoffa, la sagoma e la consistenza di una forma di pane e l’aveva tolta dalla sacca, mettendosi poi a sedere per terra, ad un passo da Cesar; aveva inspirato profondamente, concedendo alla stanchezza di avere il sopravvento, rilassando le membra e adombrando per un istante la mente e ogni pensiero razionale; poi aveva raddrizzato la schiena indolenzita e, fissando lo sguardo stanco su quanto aveva tra le mani, aveva spezzato la pagnotta a metà.
Allora, solo allora, con lo sguardo perso su quei due pezzi di un’unica pagnotta, aveva lasciato il proprio pensiero libero di vagare nella notte del proprio animo. Anche la fame, in quel momento, si era spenta, e l’istinto l’aveva indotto a sollevarsi da terra, a riporre il pane per poi frugare avidamente nelle tasche della giacca, fino a trovare la lettera, quel foglio ripiegato a cui aveva dato una sola lettura, incapace di ripercorrere quelle righe e bloccato nel tentativo di comprendere e al contempo di soffocare il significato di quanto letto.
Aveva ripreso la lettera e aveva tentato di rileggerla, ma lo sguardo si era di nuovo arenato su quelle poche, dirette e brucianti parole: Ho necessità di parlare con te, figlio mio, per questioni ufficiali e in merito al futuro del tuo attendente; in attesa del tuo rientro, André resterà comunque rinchiuso nella segreta di palazzo.
 
Quando giunse al limitare della tenuta, nella tarda mattinata del terzo giorno di viaggio, portava su di sé tutti i segni dello sforzo che aveva compiuto per arrivare prima possibile a destinazione: i capelli e gli abiti impolverati, il fiato corto, i nervi tesi, il volto segnato profondamente dalle poche ore di sonno trascorse senza mai concedersi il conforto di un vero giaciglio.
La prima volta, si era ridotto a posare il capo sul tavolaccio di una osteria quando, consapevole che Cesar avesse bisogno di rifocillarsi e riposarsi, si era imposto una sosta e, per concedergli il tempo necessario, aveva finito per ordinare anche un pasto per sé. Aveva faticato a ingoiare il cibo e non era riuscito nemmeno a terminare quella pietanza che, se pur gustosa, non era riuscita a recare nessun sollievo perché la spossatezza aveva avuto il sopravvento; fino a che non si era svegliato, di soprassalto e con la schiena dolorante, il riposo segnato da una postura inadeguata, e aveva deciso di riprendere il proprio viaggio. Non si era curato del ritmico alternarsi della luce e del buio, aveva ignorato ogni prudenza, avido di tempo, ormai perso in quell’unico pensiero fisso: arrivare a Palazzo il prima possibile. Aveva soffocato i bisogni del proprio corpo, riuscendo in parte anche a governare la propria mente, eppure vi erano stati frangenti nei quali ogni sforzo era stato vano e la coscienza aveva avuto la meglio sulla sua stessa volontà: allora nella sua mente si erano alternate immagini cupe, la porta cieca della segreta di palazzo e il corridoio umido che conduceva ad essa, e poi l’ombra di quella stanza dall’aria stantia e in quell’ambiente solitario e opprimente, il profilo del corpo di André, chino a terra, con la schiena curva, quasi fosse ormai stremato dal quel castigo. Era la sua immagine a comparire con sempre maggiore insistenza, strappando al suo respiro più di un singulto e serrando in gola un nodo sempre più stretto, forte al punto da togliergli il fiato. Contro quella visione gli era stato inutile combattere e tentare di essere forte; a quell’immagine rassegnata si era lui stesso arreso, cedendo alla forza del proprio sentire.
Ancora una volta si era fermato, quando Cesar era parso veramente spossato e si era reso conto di aver chiesto troppo anche allo stallone; allora, scorto un gruppo di abitazioni, lo aveva raggiunto e aveva chiesto accoglienza e aiuto, per sé e soprattutto per il cavallo. In quell’ambiente famigliare e tranquillo, aveva ceduto al sonno e questa volta si era anche disteso su una specie di lunga panca; tuttavia, di nuovo il riposo si era spezzato quando la coscienza aveva diradato i fumi della stanchezza, insinuando nel sogno il solito, unico vero scopo della sua corsa, rendendolo torbido, fino ad un brusco risveglio. Così, il viaggio era ripreso, ancora più irrequieto e irrazionale, fino a giungere alla dimora di famiglia.
Portò Cesar fino dinnanzi all’entrata principale, scivolando a terra senza nemmeno attendere che si fosse fermato e senza preoccuparsi di lasciarlo alle cure dello stalliere, nell’istintiva consapevolezza che il cavallo ben sapesse dove cercare riparo. Superò con un salto i gradini dell’ingresso e varcò la soglia, abbracciando con un’unica occhiata il grande atrio; sussultò quasi, scorgendo in fondo all’ambiente una figura ben nota verso cui istintivamente si mosse.
- Jerome! – lo chiamò deciso, afferrandogli le spalle e puntando lo sguardo in quello dell’uomo – Mio padre? -
L’attendente del Generale rispose pronto – Nel suo studio, Monsieur, – indicando con un cenno del capo lo scalone dell’atrio che conduceva al piano nobile e poi al corridoio occidentale, lungo il quale si trovavano gli ambiento privati del suo signore – fin a pochi istanti fa si trovava lì. –
Lasciò l’uomo e a grandi falcate si diresse alla scala, ignorando la schiera di inservienti che, avvisate prontamente del suo rientro, si stavano schierando per rendergli saluto.
 
Bussò vigorosamente alla porta dello studio, ma non attese risposta e si precipitò al suo interno - Padre, cosa è accaduto? –
Il Generale, seduto alla sua imponente scrivania e intento a scrivere, sollevò appena il capo, fissandolo senza mostrare alcuna emozione - Bentrovato, Oscar. Non ti aspettavo così presto. –
- Ho ritenuto necessario rientrare al più presto possibile, dopo aver ricevuto il vostro messaggio. – si giustificò allora, avanzando un poco verso il padre, controllando a fatica la propria agitazione – Voi stesso avete fatto cenno a questioni di grande urgenza. –
- A cosa ti riferisci, Oscar? – chiese allora il Generale, posando la penna e rilassando le spalle contro lo schienale della propria seduta, mostrandosi oltremodo pacato.
- Per quale ragione André è rinchiuso nelle segrete? – chiese allora con impeto, avanzando ancora, fino a fermarsi ad un soffio dalla scrivania – Come avete potuto? – insistette, piegandosi e puntando i palmi sul grande piano di lavoro, fino quasi a sovrastare il padre – Cosa … cosa può aver fatto di tanto grave?! –
Il Generale non parve impressionato da tanta insistenza e rimase impassibile per qualche istante, mentre lo osservava ansimare e cercare a fatica di governare il proprio respiro teso. Poi portò le mani ai braccioli della seduta, spingendola all’indietro per potersi alzare, e mosse qualche passo verso la grande finestra aperta sul giardino settentrionale – Questo dovresti dirmelo tu, Oscar. –
Spiazzato dalle parole del padre, non seppe rispondere, riuscendo solo a scuotere appena il capo, negando di sapere alcunché.
- Davvero non hai nulla da dire in proposito, Oscar? – insistette l’uomo, forzandolo a rispondere, ma ancora lui rimase in silenzio, fermo e teso, fin quasi a vibrare.
Il Generale, allora, mosse ancora qualche passo, come intento a riflettere, unendo le mani dietro la schiena, prima di riprendere a parlare – Perché, vedi, dopo la tua partenza solitaria per la Normandia, sono rimasto molto a riflettere per cercare di comprendere le motivazioni della tua decisione, senza riuscire a darmi risposte. Così, mi sono rivolto all’unica persona che potesse conoscere le motivazioni della tua insolita fuga: André. In tanti anni al tuo fianco, solo lui è sempre riuscito a comprendere cosa passasse nella tua testa; solo lui avrebbe potuto spiegarmi … Tuttavia … - lo sguardo dell’uomo si fece sottile, quasi tagliente, le sue labbra si tesero, prima che potesse proseguire - … tuttavia, dapprima André ha negato di conoscere le ragioni della tua partenza e poi, messo alle strette … ha preso su di sé la colpa del tuo gesto inspiegabile. –
All’udire le parole del padre, dovette arretrare di un passo, allungando un braccio per reggersi alla poltrona, colto da un improvviso capogiro – Cosa … cosa ha fatto? –
- Ha fatto quello che ho detto, Oscar: si è dichiarato responsabile del tuo gesto. – ribadì il Generale.
- Ma non è possibile! – si intromise allora – Io sono partito da solo perché … perché volevo dimostrare a me stesso di non aver bisogno di appoggiarmi a nessuno! Perché un uomo non ha bisogno di sostegno e deve affrontare da solo la sua … -
- Questa è un’assurdità, Oscar! – lo fermò allora il Generale, impedendogli di proseguire – Sai bene che io stesso ho sempre al mio fianco Jerome e che da solo non potrei certo svolgere le mie mansioni al meglio! – gli spiegò – E forse ora comprendo le ragioni di André, che conosceva il tuo assurdo desiderio di restare solo reagendo in modo inconcepibile … per poi tentare di coprire il tuo operato sconsiderato … - mormorò poi quasi tra sé - … Anche se continuo a non capire perché arrivare ad attirare l’attenzione su di sé, confessando quello che ti ha fatto, che resta comunque un gesto imperdonabile! –
Le parole del padre gli spezzarono il respiro – Aspettate padre: André è stato imprigionato per qualcosa che ha fatto a me? – chiese incredulo – Cosa mai mi avrebbe fatto? –
Lo sguardo del Generale divenne profondo, la voce grave – Davvero non ne sai nulla, Oscar? Perché vedi … André ha confessato di averti aggredito e ... –
- No! – lo interruppe d’istinto, stringendo i pugni, senza sapersi controllare – Non è vero niente di quello che vi ha raccontato! – e portando il Generale ad irrigidirsi, colto di sorpresa dalla sua reazione.
- Non è vero? – chiese il Generale di rimando – Ma allora perché avrebbe mentito? Perché avrebbe continuato a farlo, anche quando l’ho frustato per punirlo? –
- Cosa gli avete fatto?! – incalzò allora, con la voce rotta e i pugni serrati, mostrando sempre maggiore agitazione – Voi lo avete rinchiuso e lo avete frustato solo sulla base delle sue parole? – continuò incredulo, avvicinandosi sempre di più al Generale, fino quasi a fronteggiarlo – Io vi conosco severo, padre, ma anche giusto e non posso credere che abbiate potuto punire André senza verificare quello che vi ha confessato! –
L’uomo non perse il controllo di sé, mentre lo sguardo riconosceva sul volto del figlio i segni di un profondo sgomento – Cosa avrei dovuto fare, Oscar? Perché non credergli, quando lui stesso si è accusato? –
- Perché è impossibile! – gridò allora in risposta, giungendo ad un soffio dal viso del padre; – Perché ho fronteggiato André per una vita intera, con la spada e lottando corpo a corpo, e non è mai riuscito ad avere la meglio su di me! – proseguì – Perché è razionale e riflessivo, molto più di quanto non sia io e perché … perché qualunque sia la sua colpa, non è possibile che ora voi lo abbiate trattato in questo modo … - la voce si chiuse in gola, sotto lo sguardo fisso del Generale che, alle sue parole, era rimasto fermo, quasi pietrificato. Cercò di controllare il proprio respiro affannoso, chiuse gli occhi, sperando quasi che il Generale intervenisse, invocando la capacità di non perdere la ragione di fronte a lui, nonostante il pensiero di ciò che era accaduto lo stesse dilaniando. Arretrò di un poco, chinando il capo e portando lo sguardo alle finestre, celando il proprio viso alla vista del Generale.
- Io devo parlare con André, padre. – chiese allora, governando il tono della voce, che sentiva incrinarsi sotto il peso dell’emozione – Permettetemi di vederlo, vi prego. – domandò poi, tornando a fissare il proprio sguardo in quello del proprio padre.
Il Generale dischiuse le labbra, come volesse intervenire o opporsi, ma lui proseguì, con maggiore decisione.
- So che voi custodite le chiavi delle segrete, padre; ma in qualità di vostro erede, ho il diritto di accedere a quelle chiavi e di farne uso. – dichiarò allora fermo; per qualche istante sostenne lo sguardo pensieroso del Generale, intuì il velo del dubbio e forzò quell’ultimo ostacolo – Lo domando al padre che so essere uomo d’onore e di valore, ma soprattutto lo domando all’uomo giusto che conosco e che stimo più di ogni altro … - proseguì – e ve lo chiedo per la stima che so che portate ad André, perché qualunque cosa vi abbia confessato, vera o falsa che sia, non dimentichiate che lui è un uomo di grande valore, ma resta solo e soltanto un uomo … -


Angolo dell'autrice: chiedo perdono per l'assenza durata quasi una intera settimana! Ero ad un campo scuola a fare da cuoca (per fortuna non da sola) ad un gruppo scalmanato di 53 giovani dall'appetito piuttosto impegnativo ... Tuttavia, il peggio è stata la pessima connessione a internet (purtroppo nelle valli alpine si fa quel che si può), che non mi ha permesso di leggere e di rispondere ai commenti che avete lasciato al secondo capitolo: farò del mio meglio per porre rimedio al più presto e ringrazio di cuore chi è passato lasciando il suo commento.
Intanto, vi lascio la terza parte del racconto.
Grazie a tutti/e
Maddy

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Capitolo 4
*** Un solo uomo ***


Un solo uomo
 
- Voglio la verità, Oscar. –
Queste erano state le parole pronunciate dal Generale mentre, con lo sguardo fisso nel suo, aveva consegnato le chiavi della cella nelle sue mani; non aveva aggiunto nessun’altra parola, si era limitato a seguirlo con lo sguardo, certo di non poter fare altro, se non fidarsi del giudizio e dell’istinto del proprio erede.
 
Allora lui aveva lasciato lo studio del padre, dapprima controllando i propri passi e poi, via via che si allontanava da quella stanza, lungo l’austero corridoio del piano nobile, lasciando che le gambe si muovessero sempre più rapide, attraverso l’atrio, il corridoio secondario e poi giù per la scala minore e per lo spoglio passaggio che conduceva alle cantine segrete.
Con il cuore che martellava in gola, superò alcune porte di sicurezza, notando appena il fatto che nessuno fosse stato posto di guardia ad assicurarsi che il prigioniero non potesse fuggire; si mise a correre lungo i corridoi del piano interrato, dove la luce incerta di alcune lampade si aggiungeva a quella fioca delle strette feritoie aperte nella parte alta dei muri. Giunse dinnanzi alla porta dell’ultima cella e, a fatica, governando appena le dita tremanti, riuscì a sbloccare anche l’ultimo meccanismo che teneva sigillata la stanza. Dovette fare forza per smuovere il massiccio battente e, per qualche istante, non riuscì a scorgere nulla nel buio umido che governava il locale; allora avanzò di un passo, scrutando attorno a sé, mentre lo sguardo si abituava alla poca, pochissima luce, fino a che non riuscì a scorgere una sagoma accasciata a terra, immobile.
- André! – lo chiamò d’istinto, con la voce dell’angoscia, precipitandosi verso l’ombra e cadendo sulle ginocchia dinnanzi a lui – André … - mormorò poi più delicatamente, sollevando le mani tremanti fino a sfiorargli il capo.
André era seduto a terra, con le gambe piegate, i gomiti poggiati alle ginocchia e il capo chino, affondato tra le braccia; era rimasto immobile al suo ingresso, quasi inerme, e solo ora, come risvegliato dalla sua voce e dal suo tocco, aveva appena smosso il capo, sollevandolo lentamente dalle braccia.
Al vedere che André si era risvegliato, riprese a chiamarlo, muovendo ancora le dita sul suo capo, in una sorta di carezza gentile – André, sono io, Oscar … Mi senti? Riesci a vedermi? –
Una luce fioca diede forma al viso dell’uomo a terra, rivelando al suo sguardo l’occhio cerchiato dalla sofferenza e il segno umido ancora visibile delle lacrime, sotto le ciocche arruffate dei capelli che coprivano parte del volto; André aggrottò la fronte, incredulo, e chiuse e riaprì gli occhi più volte, prima di socchiudere appena le labbra, per inumidirle e sussurrare un nome – Oscar? –
Al vederlo finalmente un poco lucido, gli si fece più vicino, portando i palmi al suo viso e parlando ad un soffio da lui.
– Sono io, André, e sono venuto a prenderti, a portarti via da qua. – gli spiegò – Ce la fai ad alzarti? Forza, sollevati da terra, ti aiuto io … – proseguì, iniziando a muoversi e accennando ad afferrarlo per le braccia, per poi bloccarsi, avvertendo come André opponesse una sorta di pacata resistenza.
- Non posso, Oscar … - mormorò André - … io sono rinchiuso qui perché … perché il Generale sa cosa ti ho f… -
- E io sono qui perché devi essere liberato! – lo interruppe, stringendo di più la presa sulle braccia di André e riprendendo gli sforzi per sollevarlo da terra – Non capisco come tu possa esserti accusato di una cosa simile di fronte a mio padre … ma non ho nessuna intenzione di lasciarti in questa cella un minuto di più! – lo riprese, con maggiore determinazione, riuscendo a farsi seguire da André e a rimetterlo in piedi, se pur barcollante e con le spalle appoggiate al muro.
- Oscar, aspetta … - chiamò allora lui, che pareva lentamente farsi più cosciente – Tu eri in Normandia … e ora sei qui … Tu sei tornata per me? – chiese confuso.
Si morse le labbra, prima di rispondergli, rivivendo le ore di angoscia vissute dall’arrivo della missiva del padre e riordinando i pensieri, finendo poi per annuire e sollevare lo sguardo verso il suo – Sì: mio padre ha mandato un messaggio avvisandomi che eri rinchiuso qui e io … io non potevo restare lontano sapendo che il mio … che tu eri in pericolo, chiuso qui dentro … - ammise.
Riuscì ad intuire il suo sguardo di nuovo umido, che si chiuse celando le lacrime, mentre lui deglutiva, scuotendo il capo lentamente – Io ti ho fatto del male, Oscar: io sono un pericolo per te … -
- Non dirlo nemmeno per scherzo, André! – riprese allora con ritrovata enfasi – Abbiamo fatto a scazzottate per anni, io e te; ci siamo presi per i capelli e rotolati nell’erba; sai bene che non ti ho mai considerato un pericolo! –
Con lo sguardo adattato all’ombra, Oscar ormai riusciva a scorgerlo bene: André rimase per qualche istante in silenzio; parve riflettere, o ponderare forse le parole da dare in risposta, proprio come da sempre faceva quando i loro discorsi si facevano tesi e il peso di ogni frase era maggiore. Riconobbe in lui il giovane che conosceva da una vita, l’amico di cui aveva cercato la presenza nel vuoto dei giorni passati in Normandia e l’uomo di cui, ammise, giorno dopo giorno aveva sentito sempre più distintamente la mancanza.
- Sai bene che niente è più come era prima, Oscar. – prese infine a spiegarle André, con la voce tremante, che rivelava uno sforzo immane, per mantenersi apparentemente saldo – Io ti ho aggredita, ti ho rubato un … un bacio disperato e ti ho confessato i miei sentimenti. – proseguì con sempre maggiore difficoltà, cercando di sostenere il suo sguardo, vincendo anche la vergogna che gli serrava il respiro – Ti ho mostrato cosa sia un uomo e quale sia la sua parte peggiore … la mia parte peggiore. Tu non potrai più guardarmi e vedere colui che vedevi un tempo: tu mi hai allontanato da te e per questo io non … -
Un violento schiaffo gli impedì di proseguire, spezzando le parole che avrebbe voluto pronunciare, mentre Oscar gli afferrava poi il lembi della camicia, strattonandolo, per poi immobilizzarlo con le spalle contro il muro.
- Mi hai aggredito e mi hai rubato un bacio - gli ringhiò contro – e, lo ammetto, volevo allontanarti da me, ma … - la voce si incrinò appena, rendendo più caldo il tono delle sue parole - … ora so che era una assoluta pazzia pensare di risolvere i miei problemi rinunciando a te … perché vedi, in questi giorni, senza di te, e dopo averti perso … beh io non ho ritrovato nemmeno me stesso … - ammise infine.
Restò immobile, fissando il proprio sguardo in quello tremante di André e scorgendovi un riflesso insolito, che non seppe leggere e gli provocò un fremito; le mani trattenevano ancora i lembi della sua camicia, mentre sulla sua guancia la scia lucida delle lacrime rendeva visibile il segno rosso dello schiaffo ricevuto poc’anzi. Per un istante, si sentì in bilico, in equilibrio tra vittoria e sconfitta, ma pronto all’ultima mossa, disperata: l’aveva in pugno, quasi inerme, con la schiena al muro, le braccia lungo i fianchi e il capo chino, rivolto verso il suo, ma ancora inesorabilmente fermo nel suo insopportabile silenzio.
- Tu hai ragione, André, ma ora mi devi ascoltare: - mormorò allora, deciso a non lasciare nulla in sospeso e pronto a giocarsi tutto – mi hai aggredito e io ti allontanato da me; io stesso ti ho aggredito, adesso, e non puoi nemmeno negarlo, perché ne porti i segni sulla guancia, -  sottolineò sfiorando il livido rosso con la punta delle dita - e tu hai opposto resistenza quando ti ho detto di seguirmi fuori di qui … - precisò con un mezzo sorriso, sempre più certo che lui non avrebbe replicato – Perciò, se ti senti davvero ancora in colpa e vuoi che tutto torni alla pari … -
Rimase a fissarlo ancora, in silenzio, scivolando con lo sguardo sul suo viso, scoprendone i lineamenti come fosse la prima volta che li vedesse; scrutò la linea della mascella, la guancia rasata con qualche imperfezione e lo zigomo pulito; seguì il folto ciuffo morbido calato sull’occhio che sapeva ferito, avvertendo un brivido risalire la schiena e diffondersi, lento, anche su per il collo, per poi sparire e riemergere, profondo, in una sorta di stretta al ventre. Prese fiato e si inumidì le labbra, mentre muoveva le braccia, portando i palmi aperti, sulle spalle di André e poi lasciandole scendere, fino a fermarsi sul suo petto; avvertì il martellare furioso del suo cuore sotto le mani e, di concerto, anche il suo stesso cuore parve accendersi e rispondere a quel richiamo.
Sollevò il capo, fissando lo sguardo sulle labbra di André, il respiro mescolato al suo e la mente annebbiata, capace di un solo pensiero: - … allora devo rubarti un bacio. –
 
Dalla cella giunsero le loro voci, un sommesso sovrapporsi di parole appena udibili, e solo dopo qualche istante, anche le loro figure emersero dalla penombra oltre lo specchio della porta; lui camminava a fatica, provato dalla lunga immobilità, e avanzava lentamente, sostenuto da lei, sulle cui spalle aveva allungato il suo braccio: un solo uomo, alto e bruno, sostenuto dal fisico snello che da sempre lui stesso aveva sorretto.
Quando, procedendo lungo il corridoio, attraversarono la lama di luce di una delle feritoie, i loro volti, per il tempo di un passo, furono finalmente visibili; vicini, rivolti l’uno all’altra, lei illuminata da uno sguardo emozionato, quasi sognante, e lui visibilmente commosso, con una espressione quasi incredula.
Si sostennero procedendo ancora fino a che, d’un tratto, lei non arrestò i passi, rivolta a lui con un sussurro.
- Non ti faccio male, tenendo il braccio appoggiato alla tua schiena? – gli chiese, sollevando il braccio dalla stoffa della camicia.
Lui scosse il capo, negando e sorridendo con lo sguardo – No, Oscar. La schiena non è un problema. –
- Ma … - riprese lei preoccupata, in difficoltà a fare riferimento alla punizione - … la frusta non ha … -
- Non sono stato frustato, se è questo che intendi. – la rassicurò subito lui – Tuo padre ha avuto molto riguardo, nei miei confronti: ho avuto cibo ogni giorno. – precisò – E acqua per rinfrescarmi a rasarmi … -
Lei restò un istante in sospeso, sorpresa, cercando di comprendere, mentre lui la fissava, sereno domandandosi il perché di quello scrupolo; infine, anche lei parve risollevarsi.
- Oh … certamente ricordo male, allora: io davvero avevo creduto che mio padre … - gli confidò.
- Sto bene, davvero. – la tranquillizzò ancora – Sotto ogni aspetto; soprattutto ora. –
Il viso di lei parve illuminarsi ancora, un sorriso timido le tese le labbra e dopo uno scambio silenzioso di sguardi, tornarono ad accomodarsi per riprendere il loro cammino, avanzando lungo il disimpegno, lasciando lentamente alle proprie spalle la porta della cella.
- Chiederò alla nonna di preparare un bagno caldo per entrambi. – riprese lei, dopo qualche passo – E poi di lasciarti salire per mangiare qualcosa insieme a me: sono davvero stanca di consumare da sola i miei pasti. –
Lui la guardò di traverso, senza commentare, e lei proseguì, seguendo il filo dei propri pensieri – Prepariamo i bagagli e domani partiamo per la Normandia: devi assolutamente venire a vedere fin dove sono riuscita a arrivare cavalcando verso nord! Resterai senza fiato! –
- Oscar … - la chiamò allora lui aggrottando la fronte, dubbioso - … non avevi detto di voler vivere come un uomo, senza il mio appoggio …? -
- Ho detto tante cose, André, ne sono consapevole; ma la verità è che ciò che ricordo davvero sono le tue parole … non le mie. – ammise lei accennando un sorriso – Continuerò a vivere come un uomo, perché è quello che ho sempre fatto … anche grazie a te. – concesse infine, per poi riprendere – Anche per questo torneremo in Normandia e riprenderemo gli allenamenti; e non aspettarti che io non sia in grado di renderti ogni singolo colpo che riuscirai e mettere a segno! – concluse mostrando sicurezza.
- Tutto quello vuoi, Oscar. – rispose appena lui, chinando il capo accondiscendente, la voce appena udibile, ma velata di un intimo sorriso.
Procedettero ancora, fino a che lui non strinse il suo braccio sulle spalle di lei, quasi volesse richiamarla a sé, mentre lei già reagiva, pronta, preoccupata per lui.
- Cosa c’è, André? – gli chiese immediatamente – Non … non stai bene? –
- No … - la rassicurò lui, negando con il capo, con la piega di un sorriso già a segnare il volto – E’ solo che … a questo punto, mi chiedevo, dopo … dopo quello che mi hai detto poco fa … -
Lei raddrizzò la schiena, facendosi ancora più vicina a lui, fino a fiorare la sua fronte con la propria, con una espressione attenta, rapita quasi dalle sue parole rimaste in sospeso.
- Voglio dire: … significa che se io dovessi rubarti di nuovo un … ecco … allora poi tu …? –
La sua risata limpida e leggera riuscì a scaldare l’aria umida del passaggio, portando con sé anche il sommesso riso di lui, mentre entrambi parevano stringersi ancora di più uno all’altra e le loro spalle si muovevano appena in sussulti trattenuti.
- Cosa posso dirti, André … - rispose infine lei ad un soffio appena dal viso di lui - … puoi correre il rischio, se ne hai il coraggio, e vedere tu stesso quali saranno le conseguenze! –
Non si udirono altre parole; solo, dopo qualche istante, riprese il ritmico susseguirsi di passi gemelli, quasi una danza, nel disimpegno e poi fino alla scala che saliva al piano terra, scomparendo oltre il varco delle cantine per tornare al bagliore proveniente dal corridoio aperto sul giardino.
 
La luce del pomeriggio si era affievolita, scemando nel buio della sera; Jerome aveva provveduto a ravvivare le fiamme più volte, ma aveva avuto l’accortezza di rispettare il suo silenzio, scomparendo ogni volta in un soffio, così come si era presentato nello studio, solerte e ossequioso nei confronti del proprio signore.
Era rimasto per lo più immobile, affondato nell’abbraccio della poltrona, con le gambe accavallate; così, aveva fissato la fiamma viva del camino per lungo tempo, restando immobile con lo sguardo perso in quelle volute irrequiete e indomabili. I pensieri si erano avvolti uno sull’altro, stretti tra loro e sulla coscienza, portando moti di rabbia, di sconforto, di sgomento; aveva costruito e distrutto piani su piani e discorsi, aveva domato l’istinto di correre lontano e urlare tutto quello che gli era cresciuto come un’onda nel petto, tendendo i muscoli e annebbiando la mente … Tuttavia, si era dominato, recuperando sempre se stesso e la propria innata capacità di agire e di decidere, sempre e comunque; e, alla fine, aveva scelto.
Nella penombra dello studio, illuminato ormai solo dalla fiamma del camino, attese impassibile che Jerome facesse ritorno, chiedendo il permesso di potersi ritirare per la notte.
- Puoi andare, Jerome. – lo congedò senza scomporsi.
- Vi ringrazio, Monsieur. – rispose l’attendente, arretrando con un leggero inchino - Vi auguro una buona notte. – aggiunse poi, prima di richiudere i battenti alle proprie spalle, decretando, con un gesto, il termine della sua giornata e, soprattutto, riconsegnando al proprio signore l’assoluta solitudine.
Solo allora, atteso qualche minuto per avere conferma della propria riservatezza, puntò le mani sui braccioli e si sollevò, emergendo dalla poltrona e attraversando con passi decisi l’intero studio, fino a giungere alla scrivania. Armeggiò per qualche istante con il proprio panciotto, estraendo da un taschino nascosto una piccola chiave decorata. Rimase ad osservarla, rigirandola tra le dita, prima di voltarsi e di agire su uno stipetto segreto, nella libreria alle proprie spalle, fino ad aprire un cassetto nascosto. Di lì, tolse un involto morbido, il bianco della seta a brillare appena nella penombra, e lo strinse tra le dita, portandoselo al viso. Chiuse gli occhi, riconoscendo in quella stoffa delicata il soffio discreto di un profumo che gli era noto e rimase ancora per qualche istante così, fermo in un ultimo, sofferto pensiero, mentre le dita scivolavano appena su un fermaglio decorato su cui in un delicato rilievo riuscì a riconoscere il profilo dello stemma di famiglia.
Riaperti gli occhi, si mosse, tornò dinnanzi al caminetto e in un unico, deciso, gesto lanciò l’involto bianco tra le fiamme, consegnando al fuoco l’ultima prova di quella che era stata, ormai ne era certo, solo il grido della segreta e disperata follia di un uomo che, d'ora in poi, non sarebbe mai più stato lasciato solo.


Angolo dell'Autrice: ecco dove volevo arrivare... e dove volevo accompagnarvi con questo viaggio.
Io ringrazio di cuore tutte voi che siete arrivate fino alla conclusione, per i commenti che mi avete lasciato e per i tanti interessantissimi spunti di riflessione che mi avete offerto; perchè mi avete accolta dopo tanto tempo con inatteso entusiasmo e perchè mi avete fatto compagnia in queste settimane.
Grazie, davvero.
Maddy

 

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