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Autore: mgrandier    21/08/2019    15 recensioni
Une decisione può cambiare l'esistenza, la propria e quella di altri, ma è l'insieme delle scelte che compiamo, le nostre e quelle di chi gravita nella nostra vita, sospese tra istinto e ragione, a determinare la nostra storia e a renderla una vita vera.
Oscar ha scelto di vivere come un uomo: ma è veramente questo ciò di cui ha bisogno?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un uomo solo – parte prima
 
Si era alzato dal letto anticipando di un poco le prime luci dell’alba e, dopo aver consumato una frugale colazione nelle sue stanze, del pane e del formaggio che aveva lui stesso recuperato nella dispensa la sera precedente, era scivolato guardingo da un ambiente all’altro fino a raggiungere le scuderie. Era stato abile nell’evitare gli sguardi di coloro che già animavano i corridoi e le stanze di servizio della dimora e fermo nel proposito di non lasciarsi distrarre da nulla che potesse finire per ritardare i suoi piani. Ignorando il tramestio che giungeva dal fondo della scuderia, là dove, oltre un portone appena accostato, venivano custodite le diverse carrozze del Generale, in assoluta autonomia aveva provveduto a preparare il suo cavallo con meticolosa attenzione, assicurando ogni cinghia con i gesti decisi, che dentro di sé, con non poca soddisfazione, aveva giudicato giustamente esperti e adeguati. Nemmeno di fronte agli occhi lucidi e scuri degli stalloni si era lasciato intenerire, elargendo solo qualche tocco leggero sul muso grigio e possente di Brouillard[i], prima di tornare all’aperto, conducendo con sé la propria cavalcatura, insolitamente docile, quasi che anche lui avesse compreso la gravità del momento.
Era montato in sella, agile come era sempre stato, e si era accomodato sulla seduta stringendo le dita attorno al laccio della sacca dentro la quale aveva raccolto l’essenziale per affrontare il viaggio; infine, voltandosi appena a cercare le finestre delle proprie stanze, aveva definitivamente lasciato Palazzo Jarjayes, proprio mentre il sole iniziava a mostrarsi oltre il profilo della boscaglia al limitare orientale della tenuta: con la schiena dritta e lo sguardo fermo sulla scia di pietrisco che conduceva al cancello, aveva spronato il cavallo a partire, determinato come mai prima ad affrontare in modo definitivo la sua nuova vita.
Per questo, lungo la strada, per lungo tempo non si era voltato indietro. Era rimasto composto, quasi impettito, ed aveva forzato un poco l’andatura, attento a non esagerare perché il suo stallone non avesse a soffrirne sulla lunga distanza, ma deciso a rispettare i propri propositi di viaggio: una scelta coraggiosa, quasi un colpo di testa, quella di raggiungere la Normandia in soli tre giorni di viaggio[ii], che gli avrebbe permesso di giungere a destinazione più rapidamente rispetto al solito, al costo però di mettere alla prova il proprio fisico e quello del proprio cavallo. Una prova di forza e di determinazione che, sapeva bene, avrebbe vinto.
Così, al tramonto come aveva pianificato, giunse in vista di Evreux e, quasi istintivamente, tirò a sé le redini, arrestando il passo del cavallo. Per qualche istante, rimase ad osservare la sagoma scura della città facendo scorrere lo sguardo sul profilo frastagliato di tetti e torri, gli occhi socchiusi e la luce calda del sole ad accarezzare le lunghe ciglia e pungere le iridi. Si concesse di indugiare sul proprio successo, stringendo e rilasciando le dita sulle redini e poi posando la mano destra alla base del collo del suo cavallo, in una leggera carezza, quasi a ringraziarlo silenziosamente, mentre il suo sguardo procedeva, studiando l’intrico appena intuibile delle vie dell’abitato, alla ricerca di qualche dettaglio noto, fino a fermarsi in un punto preciso di quella macchia di tetti scuri; fino a quando le labbra non si piegarono istintivamente in un accenno di sorriso, stretto e soddisfatto.
 
Le vie del centro della città erano strette e, in alcuni punti, piuttosto tortuose, tanto da rendere impegnativo il suo avanzare tra la gente, ma, in un certo senso, si sentì sollevato dalla presenza di quelle persone e la sua attenzione era costantemente rivolta alle voci che udiva attorno a sé. Per tutta la giornata non aveva pronunciato una sola parola e non aveva avuto la possibilità di parlare con nessuno, consapevole di aver lui stesso deliberatamente scelto quel silenzio, evitando qualunque occasione di scambio o di incontro con altri.
Dapprima aveva lasciato che la sua attenzione venisse attirata da ciò che lo circondava, indugiando sul paesaggio, sul cielo e sui dettagli della campagna, sul profumo della terra umida e su quello della polvere; poi, incrociando un piccolo convoglio che lo aveva colto quasi di sorpresa, si era istintivamente concentrato sulla strada, sul percorso da seguire, sul tracciato che si insinuava tra le macchie della campagna e i piccoli centri abitati. Ad un bivio si aveva arrestato il passo, solo pochi istanti, per non perdere tempo, ma aveva dovuto riflettere per recuperare alla memoria quale fosse il cammino su cui procedere, quasi fosse la prima volta che percorreva quella strada; e infine, era giunto alla meta.
Era consapevole di essere già stato a Evreux in passato, nella mente aleggiava un vago ricordo di un viaggio al seguito del padre, ma in realtà non aveva una immagine distinta del reticolo cittadino, quasi che ogni suo passaggio fosse stato distratto da altro o  poco consapevole: quella non era tra le tappe fisse dei suoi viaggi, probabilmente la città non era ad una distanza da Palazzo Jarjayes considerata comoda per programmarci una sosta, o piuttosto la famiglia non aveva interessi commerciali di alcun genere con la città, o forse non c’era nemmeno una ragione precisa a motivare quella consuetudine, tuttavia gli parve un dettaglio curioso il fatto di non aver una locanda prescelta nella quale fermarsi per la notte.  Anzi, si rese conto del fatto che proprio quel dettaglio lo stesse rendendo insolitamente interessato a ciò che lo circondava, alle facciate degli edifici e alle insegne delle botteghe, agli odori intensi della strada.
Arrestò il passo, sollevando lo sguardo da una piastra brunita che cigolava dondolando appesa ad un’asta, inizialmente incuriosito dalla rosa dipinta da una mano incerta sul pannello dalla forma irregolare, ma poi si trovò ad arricciare il naso scorgendo, oltre il primo livello sul piano della strada, una facciata malconcia, con finestre dai vetri rotti e una gran quantità di stracci scuri e poco invitanti a penzolare dai davanzali.
Riprese quindi ad avanzare sulla via, facendosi largo tra una folla che si faceva più densa e difficile da penetrare; ad un crocevia, fu costretto a fermarsi, cedendo il passo ad alcuni carri traballanti il cui carico di casse e sacchi pareva aver attirato l’attenzione della folla circostante, apparentemente sempre più irrequieta nell’approssimarsi al centro cittadino.
Fu allora, nel trambusto di quel frangente, che si accorse che qualcosa lo stava strattonando, impedendo al suo cavallo di avanzare ancora. Si volse immediatamente, i sensi all’erta e la mano istintivamente all’elsa della spada legata sul fianco, ma nella confusione che lo attorniava e che pareva trascinarlo con sé, dovette assicurarsi alle redini, per governare il cavallo ormai insolitamente scosso e difficile da trattenere. Un colpo alle spalle, forse sferzato con un bastone, lo fece sobbalzare sulla sella e poi piegare sulla criniera bianca; un altro sul braccio lo indusse a ritrarsi, strattonando ancor di più le redini, mentre il suo stallone si sollevava sulle zampe posteriori, provocando un attimo di scompiglio attorno a sé. Si guardò attorno serrando i denti e cercando di recuperare la concentrazione necessaria, per poi intuire un accenno di frattura tra la folla scomposta che gli stava attorno, immediatamente determinato a lasciare quella bolgia irrequieta e pericolosa.
Affondò i talloni nel fianco del cavallo, spronandolo a partire senza indugio e si ritrovò a fendere la calca con il fiato corto, cercando di allungare il passo per sfuggire al trambusto che, fortunosamente, si stava lasciando alle spalle, e alla folla che, forse, lo aveva già dimenticato; si volse a controllare solo un paio di volte, rassicurato dall’affievolirsi della voce confusa di quella folla in tumulto e si concesse di arrestare la corsa solo quando raggiunse di nuovo il limitare dell’abitato, laddove alle costruzioni si intervallavano appezzamenti coltivati e terreni recintati, forse adibiti al ricovero di animali. Trattenne il fiato e si morse il labbro, mentre il respiro recuperava il suo ritmo e lo sguardo scrutava tutto attorno cercando conferma di una calma ritrovata; solo allora si rese conto di dover comunque trovare un ricovero per la notte … quello che aveva cercato inoltrandosi verso il centro della città, ma a cui aveva rinunciato a causa dei disordini in cui si era trovato coinvolto e che ora, con il buio ormai prossimo ad inghiottire la città, sembrava ancora più difficile da scovare. Scosse il capo, riprendendo a guardare attorno a sé, e poi fissò la propria attenzione su una costruzione poco distante, arretrata rispetto alla strada, circondata da un appezzamento di terreno, ma di dimensioni maggiori rispetto alle altre che poteva vedere, e che, soprattutto, si presentava in condizioni apparentemente più dignitose. Non indugiò oltre e spinse il cavallo verso lo stabile, lungo un breve passaggio sterrato; giunto all’edificio, scese a terra e prese a colpire a pugni stretti sui battenti scuri che chiudevano un modesto portone, fino a quando non gli parve di udire dei rumori oltre il legno e una voce non fermò il trambusto.
- Arrivo! Arrivo! – gridò una voce maschile, anticipando di un istante il movimento del battente, che si mosse appena aprendo uno spiraglio sottile oltre al quale riuscì a mala pena a intuire la presenza di un volto sottile e rugoso. L’uomo parve restare ad osservarlo per qualche istante a labbra strette e poi, per quanto poté vedere, sollevò il folto sopracciglio – Chi siete? Cosa volete? –
Per un istante, rimase in silenzio, quasi non fosse pronto a rispondere a quelle domande; poi si riscosse e, raddrizzando le spalle, si forzò a parlare – Sono Oscar François de Jarjayes, sono in viaggio e vi chiedo di ospitarmi per questa notte, perché in centro ho incontrato un tumulto e non mi è possibile raggiungere in sicurezza una locanda. –
Si fermò un istante, lasciando che lo sguardo oltre la fessura lo scrutasse con calma; a sua volta, si volse ad osservare il proprio cavallo, i finimenti di buona fattura, l’aspetto curato dell’animale e … solo allora si accorse dell’assenza della sacca del suo bagaglio. Represse un moto di stizza, irrigidendosi e socchiudendo gli occhi, mentre governava la propria voce per riprendere a parlare – Sono stato derubato del mio bagaglio, durante i disordini, ma ho ancora la possibilità di ripagarvi per il vostro disturbo, se vorrete accogliere me e il mio cavallo per questa notte. – chiarì.
- Siete solo? – chiese allora l’uomo, forse ponderando la possibilità di accoglierlo - Perché nessuno dovrebbe viaggiare da solo di questi tempi! E’ una vera imprudenza, soprattutto per un gentiluomo quale mi sembrate essere voi! -
- Sono solo. – rispose pronto, tagliando corto – Sono un uomo solo. -
 
[i] Nel mio universo narrativo, Brouillard è il cavallo del Generale Jarjayes
[ii] Ho consultato qualche fonte in internet e ho trovato interessante un testo che trattava la gestione degli spostamenti a cavallo in ambito militare, con stima delle velocità massime considerate accettabili per non sfiancare i cavalli; in definitiva, si consigliano tratte medie di 30-35 km al giorno, che possono arrivare anche quasi al doppio, ma solo in casi particolari e considerando adeguati periodi di riposo almeno ogni cinque-sei giorni di cammino. Per questo, stimando la distanza tra Parigi e la Normandia attorno ai 180 km, ho ritenuto che solitamente venisse percorsa in quattro giorni, con una certa calma, ed eccezionalmente in tre giorni, considerando la possibilità concreta di riposo all’arrivo alla meta.


Nota dell'autrice
E' stata un'estate impegnativa sotto tanti aspetti, soprattutto professionale e famigliare, ma non potevo ignorare questa idea che si è fatta strada e reclamava attenzione. Così, anche questa volta, ritagliando scampoli di tempo, le ho dato forma e il risultato finale ha sorpreso un po' anche me.
Ad ogni modo, come sempre, grazie a chi avrà la pazienza di leggere e di seguire questo nuovo racconto.
A presto,
Maddy
  
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