A Life To the End

di queenjane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Life 1913 ***
Capitolo 2: *** 1913 The Prince ***
Capitolo 3: *** Before The End ***
Capitolo 4: *** Tears and Secrets ***
Capitolo 5: *** In fieri ***
Capitolo 6: *** The Roses ***
Capitolo 7: *** 1914 Alexei ***
Capitolo 8: *** I am with You ***
Capitolo 9: *** It's over ***
Capitolo 10: *** The True Prince ***
Capitolo 11: *** Back ***
Capitolo 12: *** Back for Good ***
Capitolo 13: *** End of the World ***
Capitolo 14: *** The Young Lion ***
Capitolo 15: *** The final Journey ***
Capitolo 16: *** My Kingdom's come ***



Capitolo 1
*** A Life 1913 ***


Avanzavi con serena fiducia lungo il corridoio, Olga Nicolaevna Romanova, figlia dello zar Nicola II, imperatore di tutte le Russie, figlia amata e viziata, protetta e sicura.

Fin da piccola conscia del tuo rango, le tue sorelle dicevano come riesci a farti chiamare altezza imperiale se appena arrivi al tavolo con la fronte.
Scemenze, sei cresciuta, dietro a te e vicino  a te una amica inimitabile, che ami come una sorella,  elettiva, Ekaterina Petrovna Raulova, detta Catherine, alla francese, che tu appelli  Cat.
Ti guarda, dal palco con i suoi genitori, i principi Raulov,  la hai appellata principessa Sherazade, principessa cantastorie, tale è la sua sapienza narrativa, nel forgiare fiabe e leggende, tranne che stasera una storia la inventi tu.

Ricorre il 1913, 300 anni che gli zar tuoi antenati comandano la Russia, vi sono feste e celebrazioni, ma tuo fratello, Aleksej non sta bene, si riprende ora dai fatti di Spala, una emorragia se lo stava portando via, ha lottato, non è morto, come un guerriero, come Achille.

Stasera danno una rappresentazione di gala, “Una vita per lo zar”.
Alessio indossa l’uniforme del suo reggimento di cavalleria, tutto scarlatto e dorato, il monogramma H II sul colletto, tu e le tue sorelle siete vestite di chiari colori, perle alle orecchie e alle gola.
Quando hanno cantato l’inno nazionale, tutti gli spettatori si sono levati in piedi, un omaggio bello e semplice, al presente, allo zar e al suo erede, al passato e ai fasti che rappresentano .
E il ballo e l’opera, balla Matilde K., amata da tuo padre prima delle nozze.

Tua madre, vestita di velluto bianco e diamanti, il nastro blu dell’ordine di Sant’Andrea disposto in diagonale sul petto, il ventaglio di bianche piume d’aquila che fa vento alle sue chiazze rosse sulla pelle si ritira,  in imbarazzo, come al solito e sempre nelle occasioni ufficiali, la gente nota come si eclissi e la critica a piene mani.
Ti vergogni per lei, in imbarazzo, come al solito, sei intelligente, colta, ami i libri e la quiete, ma sai agire in pubblico.
Come la madre di Catherine, la bellissima principessa Elisabetta, detta  Ella.
Catherine.. scruti i palchi damascati, gli sguardi si incrociano.

FORZA.
CORAGGIO.
E nella pausa vi stringete le nocche, come petali di rose, senza parole.
 
Dio salvi lo zar,
maestoso e potente,
possa Egli regnare per la nostra gloria,
  far tremare i nostri nemici.
Un inchino collettivo.
Sei in piedi, inclini la bionda testa in omaggio, come tuo padre e Aleksej, il fragile e emofiliaco erede, patologia trasmessa da vostra madre, la zarina, che preferisce ritirarsi e lasciarvi contro le fauci del mondo.
Catherine  si inchina tra gli ultimi, le sue iridi scure come onice fisse contro le tue, di zaffiro.
Io combatterò .
Questo, tra l’altro, ricorderai poi Olga Romanov nella fine.
Tu sei la figlia dello zar.
Catherine ti ricorderà, facendosi tatuare un drago che stringe tra le zampe una rosa,   sopravvissuta, tu no, fino alla fine non ha dimenticato.


 

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Capitolo 2
*** 1913 The Prince ***


In ogni caso, la stagione mondana del 1913, a prescindere dalla solita assenza di Nicola II e dei suoi più intimi famigliari, brillò per sfarzo ed arroganza.  La madre di Catherine,  Ella,  partecipò al ballo della principessa Obolenskij ispirato alla mitologia ellenica,  gli ospiti si aggiravano nel magnifico palazzo neoclassico avvolti in tuniche e sandali, mangiando grappoli d’uva e sorbendo i vini provenienti dalla Crimea, mentre la neve cadeva copiosa. Meriel Buchanan, figlia dell’ambasciatore inglese, per il ballo nella loro ambasciata si premurò di creare vari tableaux vivants avente un tema macabro, basti pensare che, tra gli altri, figuravano Barbablù e Jack the Ripper. E la contessa Kleinmichel organizzò una serata di splendide danze in bianco e nero, ove gli ospiti parevano confondersi sullo sfondo dei pavimenti marmorei del suo palazzo, appunto a scacchi, candidi e neri.
Fiorivano le danze ed i pettegolezzi, come quello sul famoso Nijinskij, ballerino di punta al teatro Marinskij, che ebbe l’idea di danzare con un costume indossato direttamente sulla pelle, le sue grazie en plein air sotto gli occhi dell’imperatrice madre, che, presente sul palco imperiale, si era fatta dare un binocolo e aveva osservato per un momento o due, salvo allontanarsi in fretta. Il giorno dopo, il ballerino era stato bandito.
E  Catherine sapeva, visitando poveri e orfanotrofi, che la situazione era satura, una volta suo zio R-R sbraitò che per ogni poliziotto e per ogni centocinquanta abitanti di Piter vi erano, a voler stare modesti, tre o quattro prostitute, che era incredibile!
Si diceva che tutto fosse compromesso, perduto, come era  perduta la dinastia, a febbraio si era tenuto un ricevimento al Palazzo d’Inverno, per tre ore dignitari e dame erano sfilati dinanzi allo zar, inchinandosi, e baciando la mano alle due imperatrici, la vedova e la regnante, salutando poi lo zarevic, il ragazzino delle tragedie, delle sventure.
Il ragazzino non ce la faceva a stare in piedi, perché soffriva ancora per i postumi di Spala, una crisi quasi ferale,   ed era semisdraiato su una poltrona, pallido e sofferente, distante nel suo mondo.
 Pareva un addio, un funerale, non un omaggio a una speranza, tutto era perduto. Quando era stato il  turno di Catherine l’aveva riconosciuta, di primo acchito, stendendo una mano, gli aveva stretto il palmo, allontanandosi poi veloce dopo l’inchino di rigore.. Stai tranquillo Alessio, ci vediamo poi, non ora, non  è il caso, il protocollo incombe, il suo sussurro, le loro dita strette l'avevano riempita di dolore e dolcezza.
Volle attribuire alla stanchezza, allo sfinimento fisico delle lunghe ore in piedi, per le cerimonie civili e religiose che  la voglia di piangere. 
 Ah Alexei.. il principe combattente.

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Capitolo 3
*** Before The End ***


Nel maggio 1913, la  famiglia Romanov si imbarcò in un pellegrinaggio commemorativo in onore di Michele I,  fino a Kostroma ove viveva quando apprese di essere salito al trono, primo zar della dinastia.
Olga, sorella dello zar, rievocò le manifestazioni di lealtà, le folle riunite per dare una fuggevole occhiata, persone che si inginocchiavano per baciare l’ombra di Nicola II, gli applausi.
Altri  scorsero invece la mera curiosità, le celebrazioni non avevano colpito nessuno in particolare, le speranze del popolo di una rinascita, un miglioramento non trovarono riscontro.
Comunque, l’arrivo a Mosca fu una conquista. 
Scesero alla stazione circondati da un numero incredibile di dignitari, lo zar salì su un cavallo bianco e cavalcò da solo, davanti  alla sua scorta, verso il Cremlino dalle rosse mura circondato da una folla plaudente, un conquistatore, facendosi beffe degli eventuali attentati.
Le decorazioni erano superbe, drappi di velluto con i simboli dei Romanov sul boulevard di Tyerskaya, ogni edificio coperto di pennoni e  bandiere.

Nicola  scese nella Piazza Rossa, tutte le processioni religiose convergevano lì, si incamminò tra folle di sacerdoti metropoliti ieraticamente vestiti, dalle lunghe barbe, vi era odore di cera e incenso, sacri inni vibravano nell’aria, camminando leggero sulla passatoia di velluto scarlatto per entrare nella cattedrale.
Molti  sentirono un colpo al cuore quando scorsero il giovane zarevic, che doveva percorrere a piedi le ultime cento iarde come la zarina e le sue sorelle, prima di entrare nella cattedrale, una volta scesi dalle carrozze.
Stava a malapena in piedi, ancora i postumi dell’emofilia, o almeno così suggeriva un libro di recente pubblicazione, “Dietro il velo della Corte Russa”,  tanto che un cosacco della guardia lo prese tra le braccia, portandolo dentro, tra le esclamazioni addolorate di tutti.
Il piccolo  principe raddrizzò la testa e le spalle, senza fallo, deglutendo il nodo che gli serrava la gola, sapeva il suo dovere.
  Grande  evento regale del 1913 dell’Europa  fu il matrimonio a Berlino della figlia di Guglielmo II, imperatore di Germania, il 22 maggio. La città rutilava di bandiere, stendardi e pavesi, la stazione ferroviaria dove giungevano i vari sovrani era presidiata come un campo militare, per tema di attentati.
Il banchetto di Stato fu allietato da 250 ospiti, tra uniformi e gioielli era tutto un grande, immenso scintillio.
Il Kaiser, Guglielmo, in uniforme di gala da dragone reale inglese, l’ordine russo di Sant’Andrea di traverso sul petto, dava il braccio alla regina Mary d’Inghilterra, seguiva re Giorgio V, in uniforme da colonnello dei dragoni prussiani, conduceva l’imperatrice tedesca. Lo zar, pure lui nell’uniforme di colonnello dei dragoni prussiani con l’ordine dell’Aquila nera degli Hohenzollen, dava il braccio alla zia del Kaiser, seguiva la zarina di tutte le Russie, al braccio del principe ereditario tedesco.
festeggiamenti mascheravano la tensione, le danze il nervosismo, le candele nei lampadari di cristallo balenavano nei preziosi intarsi dei mobili e sui monili, un ultimo palpito di luce prima che scoppiasse la catastrofe.
Che l’anno dopo il mondo era in guerra, scoppiava il primo conflitto mondiale.

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Capitolo 4
*** Tears and Secrets ***


“Cat, che bello vederti!!” feci un passo indietro, complimentandomi per come era cresciuto, Alessio mi abbracciò, contento. Abbronzato, snello e scattante pareva lontano dal bambino che era quasi morto a Spala, unico tratto in comune i grandi occhi azzurri, gioiosi, quindi mi toccò il gomito, il 12 agosto 1913 compiva nove anni.
 “Sono contenta di vederti pure io”
“Rimani vero..? Da giugno è stata lunghissima.. cioè,  la crociera, le vacanze estive, cioè facevamo tante cose.. però..” un chiacchiericcio affastellato, su giochi in spiaggia, escursioni, letture e risate “Rimango il pomeriggio” mi incuneai in una pausa, ogni tanto doveva recuperare il fiato. Tirò un sassolino dentro una delle meravigliose fontane di Peter Hof, una squisita trina di pietra con alti e allegri zampilli. “E domani torno.. è il tuo compleanno”
“Sì, ma poi andiamo a Livadia e … “
“Come sempre, ci andate tutti gli anni..” calcando sul verbo. Mi venne un dubbio atroce, lui magari pensava che sarei rimasta, che sarebbe tornato come prima, cioè, ogni tanto, avevo fatto dei viaggi all’estero ed ero sempre ritornata, la cerimonia di giugno l’occasione di una bella messa con un ottimo banchetto, ed era il mio matrimonio, rimarchevole differenza.
…. 

“Cat .. vieni a giocare, dai”
“Zarevic” mi sedetti sulla panchina, la gola palpitante, avevo perso l’allenamento a giocare ad acchiapparello, gli tesi le mani e mi venne sulle gambe, un braccio dietro al mio collo, lo raccolsi contro di me, mi fece il solletico “ Duemila ottocento e coda” sancì.
“ Che numero è, Zarevic?” Ossa di fumo, capelli di seta, mi sarebbe mancato e tanto inutile che me ne dolessi, ipocrita sì, ma non su tutto.
“Sono chilometri, sai, la distanza tra Piter e Parigi”
“Vero .. un lungo viaggio”
“Quando andate di preciso?” con tristezza, repentina. “A Parigi, dico, e quanto state”
“Il 14 agosto .. fino a metà estate, la prossima” gli dissi la verità, in automatico.


“E’ che..se ti sposavi con un russo, rimanevi in Russia. Mica sono scemo, che pensi, la moglie segue il marito. Mamma è nata in Germania e  quando ha sposato Papa è venuta stare in Russia, mia nonna Marie in Danimarca e ora sta in Russia, tornano dove sono nate per le vacanze o in visita” con perfetta logica, ineccepibile, era intelligente, ricordai, con una fitta, anche troppo per la sua età. “E lui è francese, quindi ..”
“Ho 18 anni, prima o poi mi sarei sposata, lo sai, e non ho mai pensato che tu sia stupido, Zarevic, mai”
 “ .. E’ da quando hai 14 anni che ti chiedono in moglie, accidenti.. Non eri una vecchia zitella, che dopo la terza stagione mondana deve scappare in India per non rimanere nubile”



Increspò le labbra, mi si spezzò il cuore “Posso dire che mi mancherai? Almeno questo”  sospirò e si ricompose.
 “Comunque l’anno prossimo sono dieci, di anni, promettimi che ci sarai, al mio compleanno”
Dialoghi e frammenti.. dall'altrove,

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Capitolo 5
*** In fieri ***


Nel 1913 il mondo vibrava di nuove meraviglie meccaniche, dagli aspirapolveri ai dirigibili, cambiavano le mode e le idee, si facevano strada nuovi balli come il tango ed il ragtime. La lotta delle suffragette era all’apice, fu l’ultimo anno in cui si verificò un duello d’onore all’alba.
 
Il mondo era in fieri.
Cosa  era cambiato? Tutto e nulla, valutava Olga, seguivano la stessa ruotine di sempre, le vacanze a Livadia, il ciclo di lezioni, visite a comitati organizzativi e beneficenza, la presenza costante della Vyribova, presso la cui “augusta “ dimora (o meglio angusta, chiosava la ragazza, tra sé, era un microscopico villino con le fondamenta fatte male, perennemente gelido) la zarina riceveva le visite di Rasputin e spesso loro passavano la serata, se non era Anya a venire da loro, presenza amicale continua e costante.
Lo zar, dopo cena, leggeva ad alta voce, libri in russo o in inglese, loro ragazze leggevano, ricavano o lavoravano a maglia, la domenica la zia Olga, se erano a Carskoe Selo, le portava con Alessio a pranzo dalla nonna paterna e poi a un tè, un giro per i negozi.
Senza fallo, il tea time delle 17 era servito su candide tovagliette, squisite le argenterie e le porcellane, burro e pane caldo o i biscotti inglesi che adorava la zarina.
 
Mancava lei, ecco tutto, e tanto doveva farsela passare. E mancava a tutti loro fratelli, soprattutto allo zarevic. Poteva averlo avvisato, di Parigi e che avrebbe vissuto lì, ma per il bambino era dura. Era capitato che si svegliasse, di botto, chiamandola a gran voce, confuso sul momento, salvo rimanerci male, che non vi era. E non la potevano chiamare al telefono, in continuazione, anzi, che la piantasse, sarebbe stato meglio, la tua maledetta amica, come diceva la zarina Alessandra, la ama anche a distanza.
Lei aveva la sua vita, come loro. Il legame non si era spezzato, era diventato diverso, una specie di mutamento, una alchimia.
Solo che lei ci arrivava, alla lunga, spiegarlo allo zarevic era un duro affare. Per tante cose era ancora un bambino, come aveva rilevato, che non si aspettava cambiamenti nel suo piccolo mondo, si era abituato ad averla sempre con lui, lo faceva ridere e aveva una grande pazienza, a livelli epici, per farlo mangiare e nel sopportare le sue monellerie, che si erano acuite e moltiplicate, con la complicità di Anastasia.
Si scrivevano, lettere singole, oltre che collettive, indirizzate da e per OTMA (acronimo formato dalle iniziali delle figlie delle zar) a e per Catherine.
“.. mi manchi, accidenti a te.. manchi a tutti Cat, ogni tanto Alessio piange e chiede di te, mica gli va giù.. eri la persona che gli stava meno addosso, che cercava di lasciarlo libero, quello che poteva fare e NON il proibito” scancellò la frase “…noi vediamo i limiti della malattia, che non può fare nulla.. e tu cercavi di lasciarlo fare..”

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Capitolo 6
*** The Roses ***


Nel  luglio 1914  il presidente francese, Poincarè,  si sarebbe recato in via ufficiale in Russia, intanto, le cancellerie europee erano in pieno fermento.
Poche settimane prima uno studente serbo aveva ucciso a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, erede degli Asburgo, se vi fosse stata una dichiarazione di guerra il gioco degli equilibri e delle alleanze, il senso dell’onore avrebbero condotto al conflitto.
La Russia per tradizione proteggeva i popoli slavi e la Serbia era composta da slavi. Se fosse stata guerra sarebbe stata di tutti contro tutti.
Effetto domino, pensava Alexei, rilevando la singolare (come no) coincidenza che durante la visita del presidente francese erano state organizzate due parate militari di vaste proporzioni.
Il Kaiser Francesco Giuseppe scrisse al suo imperiale collega tedesco, Guglielmo, che quello era un crimine efferato, non imputabile a un singolo individuo, la complicità era certo da imputare al governo serbo, che voleva unificare tutti gli slavi, situazione che poteva essere un pericolo per i suoi domini e certo non potevano lasciare correre. 
L’arciduca Francesco Ferdinando era morto a Sarajevo il 28 giugno 1914, poche ore dopo, in Siberia, nel suo villaggio di provenienza, Rasputin  venne accoltellato da una finta mendicante, in realtà una prostituta con turbe mentali, allo stomaco, ferendolo dallo sterno all’ombelico, lo operarono di urgenza ma era mezzo morto, rimase a letto per mesi.  E non morì, per sventura comune.
Alexei era vispo, intelligente, al di là dei suoi anni, le sue sofferenze lo avevano reso acuto, consapevole. Tuttavia, era ancora un bambino, quell’estate Catherine, la sua Cat era tornata dalla lunga assenza  e la gioia di rivederla fece passare tutto in secondo piano, tuttavia, assistendo alle parate militari si sentì orgoglioso, un giorno sarebbe stato zar, avrebbe comandato sui soldati e su un sesto del mondo, lui, dalla nascita era atamano (comandante) di tutti i Cosacchi.
Uno spettacolo marziale, enfin, le squadre che marciavano, le bande militari, qualche coro dalla folla, vecchi e giovani, alla fine ecco lo zar in groppa a un cavallo bianco, superbo e magnifico, dietro di lui i suoi zii e cugini, poi le carrozze con a bordo la famiglia imperiale.
Catherine salutò con un cenno della mano bianca guantata, intanto che la banda modulava l’Inno della Sera, era il tramonto, sangue e ruggine,  e un presagio di guerra.
“Mi ha dato la Legione d’Onore!” lo zarevic sventolò il cordone, il pranzo con Poincarè era terminato e brillava di orgoglio
 “E’ un attestato di stima, Aleksej”
“E dice che parlo bene il francese, con un ottimo accento”
“Monsieur Gilliard è un ottimo precettore” gli insegnava il francese.
“ E tu una grande chiacchierona, come sempre!” ironico, affettuoso “Grazie Cat!!”
“E di cosa?”
“Di tutto”
I bambini lo sanno quando sei triste. Ti vengono vicino e ti fanno credere di aver bisogno di coccole. Ed invece sono loro che le fanno a te, mi prese il viso tra le mani, soffiando tra le ciocche di capelli, eravamo in confidenza, di nuovo, si fidava.
Fiorivano le rose.
 

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Capitolo 7
*** 1914 Alexei ***


I bambini lo sanno quando sei triste.Ti vengono vicino e ti fanno credere di aver bisogno di coccole. Ed invece sono loro che le fanno a te, mi prese il viso tra le mani, soffiando tra le ciocche di capelli, eravamo in confidenza, di nuovo, si fidava.
 E giocavamo a carte, scacchi e dama, mi confessò che, a prescindere da tutti i giocattoli, quell’inverno, guardava spesso dalle finestre, che, ai tempi andati, gli raccontavo le storie sui i fiori del ghiaccio, gli elfi e la geometria dei fiocchi di neve, gli mancavo.. ah se gli ero mancata.
ALEXEI ..

 Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. tempi e frammenti, avevi partecipato alla visita ufficiale e ritrovarci era stato un piacere amaro, eri preoccupata come tutti per il probabile scoppio di un conflitto armato, (…) peccato che eri allegra solo in apparenza, atteggiamento condiviso da molti, se non tutti. “

Russia, Francia e Inghilterra erano alleate, come tra loro Germania e Austria, la mossa di una avrebbe implicato quella delle altre, bisognava restare uniti, rifletteva lo zar, che in fondo, riteneva Guglielmo II, imperatore di Germania, troppo accorto per gettare il suo paese allo sbaraglio, Francesco Giuseppe d’Austria era vecchio e voleva certo morire in pace.
Vienna aveva mandato richieste e ispettori in Serbia, sostenendo che l’assassinio del granduca era frutto di un complotto organizzato da Belgrado, la pistola era stata fornita da funzionari serbi  e le guardie di confine erano cospiratori. Si chiedevano poteri illimitati per le indagini degli ispettori austriaci, di sopprimere tutti i gruppi nazionalistici e cessare la propaganda contro Vienna..
 
Il 28 luglio 1914, la Serbia ricevette la dichiarazione di guerra dell’Austria, il giorno dopo iniziarono i  bombardamenti contro Belgrado.
Per tradizione, Santa Madre Russia si considerava protettrice dei popoli slavi e la Serbia si rivolse allo zar per avere aiuti, Nicola II ordinò di mobilitare le truppe ai confini contro l’Austria,  a sua volta venne soccorsa da Guglielmo II.
Non si trattava di scaramucce banali,  tutti erano contro tutti, già parte della storia.
Il 31 luglio, a mezzanotte, l’ambasciatore tedesco, Pourtales,  si recò dal ministro russo degli esteri,Sazonov, con un messaggio da Berlino: la Russia, doveva annullare entro 12 ore la mobilitazione delle truppe.
A mezzogiorno del primo agosto non era giunta alcuna risposta e il Kaiser ordinò alle sue truppe di andare sui confini.
Sempre quel primo agosto Pourtales si recò da Sazonov, chiedendo che la Russia annullasse la mobilitazione, lo chiese tre volte e la risposta fu sempre negativa, era  tardi. “In tal caso, Signore, il mio Governo mi incarica di trasmettervi il seguente messaggio”la voce si inceppò,  riprese “ Sua maestà l’imperatore, mio augusto sovrano,  nel nome dell’impero, accetta la sfida e si considera in stato di guerra contro la Russia” Erano le 19.10. 
La famiglia imperiale cenava alle 20, in genere,  Nicola tardava, Alessandra attese suo marito per quasi un’ora, prima che lui comparisse, scosso e nervoso, comunicandole che era stata dichiarata la guerra. Alessandra scoppiò in pianto e lasciò la stanza.

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Capitolo 8
*** I am with You ***



La Germania dichiarò guerra alla Russia il primo agosto, passata la metà del mese mio marito e altri soldati partirono per gli acquitrini della Prussia orientale. Sono volutamente sintetica, lo strazio  era appena iniziato, cerco di non ricordare..
Per soffrire meno.

Alessandra aveva organizzato un ospedale militare a Carskoe Selo, decidendo di frequentare con le due figlie maggiori un corso per infermiere.
A Tannenberg, in Prussia, i russi rimasero schiacciati tra i prussiani e le sabbie mobili,con perdite ingenti.
Fu allora che iniziò a dirsi che se il conflitto andava male era colpa della Nemka, la tedesca, la zarina.
Ci si aspettava una vittoria rapida e facile, l’esercito russo era immenso, uno schiacciasassi, peccato che mancassero addestramento, armi e munizioni..
…………….
 “Che bello, uno spaniel.”
“Già come lo chiamerai, Zarevic? Vedo che ti rimane simpatico” avevo parlato con sua madre, prima, certo che prendevano un cucciolo, davo allo zarevic una cosa che voleva e mi toglievo io, sua campionessa.

E gli lasciavo un ultimo segno, qualcuno con cui stare, un cane sarebbe stato meno solo di me
 

“Joy. O Achilles “ Stringendo il cucciolo che gli avevo regalato tra le braccia, osservandone il piccolo muso scuro, le buffe orecchie. Rapito. Contento, e sul momento non rilevava il mio viso scavato, che ero un corvo in lutto, abbracciò me e il cagnolino, almeno avrebbe avuto qualcuno che sarebbe stato sempre con lui, fedele, che non lo avrebbe lasciato, vedi sopra.



E tanto ero oltre la misura.
Volevo solo chiudere gli occhi e non svegliarmi mai più.
Almeno da morta non avrei patito in quel modo.
Moralmente, una diserzione, tu ci sei sempre stata, lasci così, specie Alessio.. bugiarda su tutto, tranne che era vero che mi voleva bene, il cagnolino era solo un palliativo.. ed uno scarico di coscienza,  tardiva.

“Meglio Joy.” Gioia in inglese, che ironia, che sarcasmo, ma lui doveva stare bene, senza sentire le mie bestemmie, i piani di congedo e fuga.
Era cresciuto, ancora, sarebbe diventato alto e ben fatto,mi abbracciò per la vita rovesciando il viso, premendolo poi contro il busto, annotando il mio vestito scuro, da lutto, alla fine, che Luois fosse morto non glielo avevo detto, e tanto… lui ascoltava tutto, sempre, anche se non pareva..mi si serrò addosso, stretto.
“Le mie storie le ricordi. “ una cosa che gli lasciavo, un dono d’amore, l’ultimo del mio cuore spezzato,  e tanto ero vuota e spenta, nulla meritavo.
“Certo. Sempre”

“Cat. Quando torni?” Un sussurro che finsi di non sentire.
Probabilmente mai più. Non tornerò mai più.

Gli diedi un bacio e mi congedai, approfittando di una scusa. “Cat..”

 


Sei qui..
Certo..
Io con te sono al sicuro..
Alessio, ti illudevi.. io non sapevo badare nemmeno a me stessa, che fole ti inventavi? E peggio ancora ci credevi. Al risveglio sarebbe stata dura, le illusioni cadute, saresti stato male Non volevo fare nulla, ti avevo detto addio. Ed era per sempre,  o ritenevo..
Younger now... than we were before
I am  with You

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Capitolo 9
*** It's over ***


“Basta Alessio!! Non torna, non tornerà!” glielo aveva chiesto in un sussurro, senza aspettare che si riprendesse, sua sorella era stanca e irritabile dopo ore di turno in ospedale, tra gemiti e feriti.
“Sei cattiva!!”
“Smettila di chiamare Catherine, di cercarla .. ti ha promesso qualcosa? Di specifico” il ragazzino scrollò le spalle strette, da uccellino.   “No.. però. Mi manca.” Come al solito, come sempre.
“Sarò cattiva e quello che ti pare .. ma non tornerà, mai più. La principessa che conoscevamo.. ha una nuova casa, altri amici” speriamo, per te, Catherine, che ritrovi un  minimo di pace,   sei riuscita ad andartene senza scoppiare..
“E allora?” ansioso, impaziente.
“E’ finita, zarevic, non tornerà mai più, impara a dimenticare”
“NO”
“Invece sì. Mi sono abituata io, a stare senza, figuriamoci te “ E mentiva, sapendo di mentire.
“Sei bugiarda e sei cattiva, scrive..”
“Alessio .. non la rivedrai più, per come la conoscevi, ha finito, io ho finito..”il pianto del bambino si perse tra le nuvole, non osò infierire e tanto era finita, prima capiva e meglio era, anche se quelle parole erano una coltellata
 “Lasciami solo! Lasciatemi in pace!!”
“Calmati, rischi di sentirti male! ” E l’aveva cercata lui, a proposito.
“La voglio..”
“Che ti ha detto, quando ti ha salutato?”
“Cerca di stare bene e .. addio.. Colpa tua, se avete litigato solo colpa tua..” Olga diventò color brace, fosse stato un ragazzino normale non la avrebbe passata, si preparò a somministragli una amara lezione  “Addio significa mai più.. Se abbiamo litigato o  meno non è di tua spettanza..”
“Invece sì..se le conseguenze mi riguardano! Dove vai, Olga?” i suoi pugni stretti di ragazzino contro il fato, deluso e sconfitto, lo aveva lasciato.
“In corsia e ..tanto da questo orecchio non senti” una pausa “Sono stanca, Alessio, facciamo turni di 12 o 14 ore e preferisco continuare” piuttosto  che perpetuare quello strazio.


Il Natale 1914 fu quieto, Alexei osservava sua madre che, seduta di nero, al collo un crocifisso di zaffiri, pochi e sobri i gioielli, i capelli raccolti in modo sobrio, il trucco poco appariscente, che ripeteva come sempre che la vita fosse fatta di doveri.
Quell’inverno, Anastasia cercava di emulare le prodezze delle sorelle nel pattinaggio, cadeva spesso e aveva l’eleganza di un sacco di patate.
Lezioni, la torre di neve, il lancio di palle di neve, anche, ogni tanto un concerto suonato da un’orchestra rumena, i cui suoni e armonie commuovevano la zarina Alessandra. Le altre sere, se non andavano a casa della Vyribova, che in denegata ipotesi si autoinvitava, le sue sorelle ricamavano o leggevano, Olga suonava il pianoforte, la zarina suonava a maglia, se c’era lo zar leggeva un libro ad alta voce, in inglese.. Lui andava a letto prima di tutti, diceva le sue preghiere e nel buio, cercava di rimanere sveglio il più a lungo possibile, immaginando di poter cavalcare e molto altro ancora, che non sempre ricordava..
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Capitolo 10
*** The True Prince ***


Tornava indietro, nel  passato.
Il due agosto 1914, dal Palazzo d’Inverno, Nicola II dichiarò pubblicamente  guerra alla Germania. Migliaia di persone affollavano la piazza quando lo zar, scese dal battello e percorse la banchina prima di scomparire nell’edificio,  per un solenne Te Deum.
Tutti erano seri e tesi, raccontò poi Olga, molte donne o ragazze come me tormentavano fazzoletti, gli occhi arrossati,  le teste chine sotto i grandi cappelli, gli uomini nervosi, il viso di mamma pareva scolpito nel marmo, alla fine della cerimonia i presenti si inginocchiavano, baciavano le mani, quindi  uscimmo sul balcone che dava sulla Piazza, drappeggiato di rosso, sotto  una folla immensa.
Erano trascorsi meno di dieci anni dalla domenica di sangue lì  occorsa, ora la folla con i suoi boati acclamava lo zar, dopo averlo maledetto come un tiranno.


Alessio ancora non camminava, per una recente storta,  ed era rimasto a casa, amareggiato. Come al solito, lui non poteva fare nulla, non era come gli altri, un invalido o tale, come sua madre, la tedesca,  pensava ed era il ritratto della desolazione “… hai voglia di stare con me, invece?”
  “Catherine..”stupito, quindi  contento  tese le braccia, ricambiato con amore, nel piccolo padiglione vicino a una delle tante fontane, lontano il rombo del mare, il golfo di Finlandia recava brezze e sale, odore di rose, i  venti della guerra.
Il 17 agosto 1914, come da prassi, lo zar si recò con i suoi a Mosca per impetrare la divina benedizione, il suo erede portato in braccio da un cosacco, che non riusciva a camminare.  Un  presagio di sventura, la gente aveva ritirato fuori le storie che la zarina portava solo malasorte, bastava vedere il ragazzino.

Comunque, lo zarevic aveva ben appreso il suo mestiere di principe ereditario, che deve essere sempre compito, regale, affabile come dimostrò a Mosca sempre in quei giorni. Con il precettore Gilliard, ogni mattina uscivano in auto  e visitavano vari posti, come la collina dei monaci, da cui si scorgeva la valle della Moscova e della città, dalle quaranta volte quaranta chiese, ricca di cupole,  con snelli campanili, parchi e palazzi, immensa e solenne, i colori smaglianti in quella fine estate.
Da quell’altura Napoleone aveva visto la città, prima di entrarvi nel 1812.
L’auto si fermò, per la ressa di persone in una delle strette stradine, era gente comune. “Lo zarevic!! Lo Zarevic” lo avevano riconosciuto, andandogli incontro, alcuni addirittura salirono i gradini dell’auto e lo sfiorarono. “L’ho toccato! Ho toccato l’erede!”
“Testa alta, un sorriso e una parola gentile per  tutti è sempre un bene” un consiglio di  Catherine, inopinato, risorse dalla memoria, erano esuberanti, gentili, non doveva spaventarsi, scorse i sorrisi e nonostante il pallore e l’imbarazzo ricambiò, un sorriso e un palmo teso.
“Grazie.. Viva la Russia.. Grazie..” gli sfioravano le mani, le baciavano, come se fosse una sacra icona, sorrideva e finalmente due poliziotti dispersero la folla e l’auto proseguì.
Aveva fatto quanto doveva, nonostante la sorpresa, la novità e l’imbarazzo, era un vero principe.

 

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Capitolo 11
*** Back ***


Dal diario di Olga, “21 settembre 1914. In qualunque modo ti mostri, qualsiasi maschera indossi..dentro  sei una sola.. quando lo capirai, Catherine??”


Dai quaderni di Olga Romanov” la guerra, iniziata con tanto slancio, recò invece delle promesse vittorie morti e feriti e sconfitte inenarrabili. Lo so con cognizione di causa, che nel mese di agosto 1914 avevo frequentato con mia madre e Tatiana un corso per infermiere, trovandoci poi a lavorare nel Palazzo di Caterina riconvertito in ospedale militare, dopo avere assistito a una messa alle sette di mattina. Se tutto andava male la colpa era dei tedeschi e quale migliore capro espiatorio della zarina nata in Germania? Il pomeriggio frequentavamo i corsi supplementari, la mattina assistevamo agli interventi, facendo le medicazioni e assistendo e confortando come potevamo. Sporcizia, fatica, nausea.. la prima volta che mi hanno dato un braccio amputato da mettere via stavo quasi per vomitare, a malapena sono riuscita a non svenire. Leggevo i giornali, interrogavo gli ufficiali, cercavo di capire. E mi mancavi, anche se tenevo duro. Era un addio, no.  Ai tuoi tanti gesti impulsivi e scriteriati ero abituata, definirti egocentrica era un dato oggettivo, tranne che a quel giro non ne venivo a capo. La morte di tuo marito era stata un colpo atroce, choc, panico e dolore, ma tagliavi tutti i ponti e te saresti andata..”
Dove era  finita la bambina che era stata sua amica, la principessa cantastorie, la paladina di Alexei?
Tra il nulla e l’addio, poi sarei tornata..
Era il  settembre 1915, Mogilev, Quartiere Generale, lo zar aveva portato suo figlio in quel posto, scopo era instillargli la sicurezza di sé, il senso del comando, nonostante il grande spauracchio dell’emofilia e dei suoi limiti. Ogni giorno, da allora in poi, la zarina scrisse al marito, dando ogni genere di consiglio e limite sul figlio, che viveva la sua grande avventura. Era sollecita, ogni pensiero era per  il bambino, sera dopo sera, prima di coricarsi, si recava nella stanza del piccino e pregava per la sua sicurezza.
Aveva seminato il suo marinaio infermiere, le guardie,tralasciamo che era davvero presto, una felice combinazione, il suo nuovo passatempo, più cresceva e meno tollerava l’essere guardato a vista, era diventato bravo come un agente della polizia segreta, un vero segugio a cercare varchi, osservare e via così, il mio degno discepolo, in un dato senso.

Ed era una alba come una altra, pallide nuvole scialbavano il cielo a oriente, tipiche della fine dell’estate, indaco e grigio, pensava a tutto, tranne che non si sarebbe aspettato di trovarmi.
Vestito come un ragazzo che seguiva le truppe, nel suo lungo cappotto di cadetto, vicino al quartiere generale, era passato come un semplice soldato, la figura sottile ed elegante.
“Cat..!!”
“Aleksej, amore, ciao”lo baciai, commossa, sussurrando, non mi pareva vero che fosse con me“Tesoro mio, che bello, come sei diventato grande..” le ginocchia per terra, lo serravo tra le braccia, stretta con pari zelo.
Ero  a casa, ero tornata, il  cuore non era più vuoto.
 

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Capitolo 12
*** Back for Good ***


 
Lui mi  riempiva il viso di baci, le dita contro i miei corti capelli. L’ultima volta che mi avevo visto li portavo lunghi fino alla vita,raccolti in suntuose trecce o chignon,  nel 1915 erano corti come quelli di un paggio irriverente.
Era cresciuto e, insieme, era rimasto il fanciullo che avevo amato, che amavo, desideroso di storie,che amava Achille.
Di profilo, ora ci somigliavamo come incisioni.

“ Cosa fai qui?” Ridendo. Commosso.  “Sei tornata, Catherine, Cat, sei tu.. Vero, non era un addio” già .. avevo fatto finta di non sentire quella sua domanda, ansiosa, precisa, illudendomi che era un bambino e avrebbe dimenticato, conoscevo tante lingue, non avevo saputo mentirgli su quella questione specifica. “Ti tocco, ci sei, sei vera”
“Una sorpresa. Forse. Hai sbattuto da qualche parte?sono io … più ossa che carne, e tanto sono io, Zarevic, ti fa male qualcosa”
“NO. Catherine. Sono sicuro” prevenendo la successiva, ansiosa domanda.
“Sono qui, in segreto” Le mie labbra si aprirono in un sorriso mentre valutava gli stivali, i pantaloni e la scura giacca che indossavo.
“ E non devo dirlo”, contrattò svelto. “Desidero .. Anzi voglio che.. “
Lo zar scosse la testa, rassegnato. “Sentiamo, cosa vuoi?”



“Passare la giornata con te. Con te, Catherine, Papa. Mi è mancata, la voglio, è mia” Ricordava così tanto Olga da spezzarmi il fiato, e non ero la sola, anche lo zar pensava la stessa cosa. E io volevo stare con lui”Senza marinai o precettori. Per favore, ti prego, Papa“un tono a mezza strada tra la supplica e il comando, e mi si era cacciato e stretto addosso, ricambiato con trasporto, lo stringevo ed era una liberazione dal dolore e dal buio di quelle lunghe stagioni.
“Va bene. Dalle retta, le devi obbedire in tutto, nessun capriccio, non scappare a  destra e manca, come fai di solito, o è la volta buona che ti metto in punizione, te la senti, principessa?”
 
“Lo sapevo, che tornavi, anche se ci hai messo tanto”Glissammo di correggere il refuso grammaticale. Mi augurai di saperlo gestire, intanto mi si era già attaccato alle gambe, per maggiore sicurezza, e sradicarlo sarebbe stato un duro affare, eravamo noi, di ritorno, attenti e fragili, finalmente lo rivedevo, un tesoro senza merito.
 Rise quando lo baciai sulle guance, gioia, stupore, meraviglia, il suo nome un incantesimo contro il male, lui ripeteva Cat e mi stringeva, districarlo sarebbe stata una inutile cattiveria. E sarei andata via, senza fallo, la felicità di quei momenti l’avrebbe riscontata alla partenza.
Per questo avrei preferito non vederlo. E intanto  ero tornata a casa.
“Alessio, zarevic, tesoro”
“Prendimi in braccio.. forza” mi sdraiai sull’erba, stringendolo “Forza, Catherine, dai”mi mise i gomiti sul petto, ridendo da capo, enunciando che ero tanto buffa. “Il MIO DRAGONE” ricordando una mia storia, lo avvolsi tra le braccia, risi a caso, dopo.

   Most people think that shadows follow, precede or surround beings or objects. The truth is that they also surround words, ideas, desires, deeds, impulses and memories..

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Capitolo 13
*** End of the World ***


Gli anni dell’infanzia, trionfanti, malinconici per la malattia e gioiosi per il resto, una eterna mortalità, notti e pomeriggi amari in cui era fermo per la malattia, scarabocchi indefiniti,  e gioiosi attimi di vitalità, quando stava bene. 

Da annotazioni del marzo 1917”.. a marzo sono cominciati i disordini, la gente aveva fame, i prezzi delle cibarie dall’inizio del conflitto erano aumentati del 400 per cento..l’8 marzo, donne affamate si sono unite a gruppi di scioperanti e socialisti, gridavano “Abbasso l’autocrazia” e cantavano la Marsigliese. Le violenze sono cominciate il 9 marzo, hanno saccheggiato i negozi per prendere il poco cibo rimasto..(..) Tafferugli, pattuglie male in arnese ..(..) scoppiò l’anarchia, il governo era paralizzato, sparatorie.. i soldati che sparavano gli uni contro gli altri e si unirono ai rivoltosi.. Effetto domino.(..) il governo si dimise e ne venne formato uno provvisorio, il cui leader era Kerenskij..Lo zar era alla Stavka (..) Saccheggi e vandalismi, sui palazzi sventolavano le bandiere rosse..La guardia imperiale disertò (…) L’abdicazione di Nicola II, per sé e suo figlio, a favore di suo fratello Michele, che rinunciò a sua volta al trono, fecero terminare 304 anni di storia..” 



Dei servi che si erano recati a Piter tornarono con  manifesti che recavano l’annuncio dell’abdicazione,  recato il venerdì pomeriggio dal granduca Paolo, zio di Nicola II, a quel punto Alessandra barcollò e lasciò la stanza, arrivando in una vicina,. “Abdiquè..”
“Quanto deve avere sofferto, da solo, io non l’ho aiutato..”
Pianse, come pianse in seguito annunciandolo ai membri del seguito, tuttavia sostenne che era la volontà divina per salvare la Russia.


Era la fine di una vita, di un mondo.


Da una nota “..  lo zar fumava, via via che giungevano le informazioni, tutti lo scongiuravano di abdicare,  (.. ).  Fumò continuando a scrutare fuori, in silenzio, poi chiese di parlare con il dottor Federov.”Ditemelo in tutta franchezza, la malattia di mio figlio è incurabile?”  “La scienza ci insegna, sire, che non vi sono cure e tuttavia alcuni malati, qualche volta, giungono ad un’età avanzata. Tuttavia, Aleksey Nicolevic è alla mercé di qualsiasi accidente..” E sicuramente, il governo provvisorio, già ostile agli imperatori, ben difficilmente gli avrebbe concesso di tenere con sé il ragazzo, in caso di esilio li avrebbero separati.  Lo zar scosse la testa, mormorò tristemente che lo sapeva, che Aleksey non avrebbe potuto servire la Russia come voleva per lui, aveva quindi il diritto di tenerlo con sé e i suoi.  Verso le nove giunsero due inviati della Duma e del Governo provvisorio, iniziarono con i loro sproloqui e vennero interrotti da un cortese cenno della mano “Il discorso non serve, ho deciso di rinunciare al trono, fino alle tre di oggi pensavo a favore di mio figlio, ora ho mutato opinione in favore di mio fratello, confido che comprenderete i sentimenti di un padre. Firmò un nuovo atto di abdicazione, secondo i propri desideri. Come noto, Michele non accettò e finì così” 

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Capitolo 14
*** The Young Lion ***


 


Gilliard disse ad Alessio che lo zar sarebbe ritornato  dal Quartiere Generale e non vi avrebbe più fatto ritorno.
“Perché?” Teso, allibito.
“Vostro padre non è il Comandante  in Capo.” Dopo un momento o due il precettore aggiunse” Sapete, vostro padre non vuole essere più zar, Aleksey Nicolaievich.” Lo scrutò spiazzato, cercando di decodificare gli eventi. “COSA! Perché?” che succede?
“E’  molto stanco e ultimamente ha avuto tanti problemi”
“Sì, Mamma mi ha detto che hanno fermato il suo treno mentre voleva tornare qui. Ma non potrebbe tornare a essere Zar?” fissando l’uomo, poi le icone che tappezzavano la sua parete, illuminate da tante candele, gli spiegava che suo padre aveva abdicato a favore del granduca Michele, che  a sua volta aveva rinunciato al trono. “E chi sarà Zar, allora?” Gilliard disse che non lo sapeva, sul momento nessuno, Alessio non compì alcuna allusione ai suoi diritti di erede, era diventato rosso e si stava agitando, dopo un breve silenzio chiese, mancando l’imperatore, chi avrebbe governato la Russia.
“Hanno formato un governo provvisorio, che governerà il Paese ..ci sarà una Assemblea Costituente e forse vostro zio Michele riprenderà il trono..” Aleksej fece un piccolo cenno con la testa, poi domandò se poteva chiamare sua madre, per favore, o la principessa Fuentes.
“Mama, non andrò più al Quartiere con Papa?”chiese il ragazzino
“No, mio caro, mai più”la replica, abbracciandolo.
“Potrò vedere i miei reggimenti o i miei soldati?”Ansioso, Alix scosse la testa, mentre gli occhi, azzurri, immensi,  gli si riempivano di lacrime “Oddio.. e lo yacht, e tutti i miei amici, non salperemo mai più?”Continuava a indagare, mentre a sua madre si spezzava il cuore, rispose di no, che lo “Standard” non era più loro.
 
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L’infanzia dello zarevic finì in quel mese di marzo 1917.
Un tempo dolce amaro, con le sue sorelle, sue certezze e compagne fidate, infanzia che non avrebbe più fatto ritorno.
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Quando lo zar aveva assunto il comando delle truppe, a partire dall’agosto 1915, si era stabilito a Mogilev, sede del Quartiere Generale, portando con sé suo figlio Alessio. Quella fu la sua grande avventura.
Il mio fratellino, che marciava, mangiava zuppa e pane nero come i comuni soldati, dolce, tenero, prezioso, a fighter..
E l’affetto, l’amore che aveva Alessio per me ed io per lui non erano venuti meno, rimasero sempre, immutabili e saldi, quante volta ha dormito sereno tra le mie braccia, le ciglia immense chiuse nelle vie del sonno, al risveglio raccontava di avere fatto sogni su di un cavaliere, lotte e regni incantati.
Alexei has grown very much and developed in every sense of the word…
And me too. Just a little.


Aleksej
 Romanov. 
In principio era l’erede, atamano di tutti i cosacchi, viziato e coccolato, poi fu  prigioniero,  figlio di un uomo senza nessun titolo, lui che un tempo aveva regnato su circa un sesto del globo, .. tranne che Colonnello Romanov, la madre una tedesca, una meretrice senza onore. 
Quel ragazzino  aveva il coraggio di un leone..

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Capitolo 15
*** The final Journey ***




I figli dell’ultimo zar di tutte le Russie si chiamavano Olga, Tatiana, Maria, Anastasia e Alexei, la loro storia doveva avere termine, per chi li fucilò, nelle prime ore del 17 luglio 1918 in una cantina .. nessuno doveva ricordarsi di loro..
E la loro storia visse e vive ancora.
 Their  story  lives and lived on for years.
Ed in alcuni giorni, quando il dolorei sprangava il respiro, come un ferro rovente, una maschera di vetro, le parole erano troppe o nessuna, respiravo, ancora e di nuovo, e lasciavo fluire le sillabe, scrivendo.
 
Per  non dimenticare, chi siamo stati e chi siamo..


Il massacro dei Romanov occorse nelle prime ore del mattino del 17 luglio 1918.
 Il 25 luglio 1918, l’esercito controrivoluzionario, i Bianchi, conquistò  Ekaterinburg.
Il precettore di francese delle granduchesse e dello zarevic, Gilliard, visitò casa Ipatiev, ne percorse  le stanze e la cantina.
Notò  la svastica, il simbolo di buon augurio usato dalla zarina Alessandra, inciso su una finestra, una icona che pendeva sul letto da malato di Aleksey, la sedia a rotelle usata dal ragazzino malato.
Oggetti commoventi. 
In attesa, del ritorno,  come  Joy, il cagnolino di Alessio.
Scorse  i muri crivellati di proiettili e sangue dello scantinato, le scritte oscene, un verso che Baldassarre fu ucciso nella notte dai suoi servi.
Si raccolsero i mormorii di chi raccontava di un viaggio, un furgone Fiat che si precipitava  nella notte, a gran velocità,  e di roghi.
Misteriosi fuochi erano stati accesi nella notte siberiana, prima erano stati acquistati immensi quantitativi di acido corrosivo dal comandante  di casa Ipatiev, denominata a “destinazione speciale”, ultima dimora dei Romanov. 

Gilliard comprese e dentro si aprì il vuoto, il cuore perse più di un battito, i giorni sarebbero stati vuoti, feroci ed opachi.



 Il giurista S. condusse una accurata indagine, prima che i rossi riprendessero la città, concludeva che la famiglia imperiale era stata fucilata in quella cantina, insieme ai pochi fedeli rimasti con loro, undici persone in tutto.
La Grande Guerra finì nel novembre 1918.
Crollò l’impero austriaco, crollò l’impero tedesco, non ne rimase in piedi uno..
La chiamarono la Grande Guerra che aveva coinvolto tutto il mondo, tutti contro tutti, il mondo di ieri era mutato in modo irreversibile e senza scampo.
 

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Capitolo 16
*** My Kingdom's come ***


La sepoltura dei Romanov e dei loro ultimi fedeli, fucilati con loro in quella notte di luglio, rimase ignota per anni. Pur  se voci e pettegolezzi enunciavano che alcuni erano sopravissuti. Taluni videro le granduchesse e la zarina Alessandra a Perm, negli anni che seguirono spuntarono sedicenti principesse o apparenti zarevic, la più famosa fu Anna Anderson, che si spacciava per Anastasia, lo scopo era ricevere quel che restava della favolosa eredità dell’ultimo zar di tutte le Russie.
Biografie, resoconti, inchieste furono scritti a fiumi nei tempi successivi, in particolare su Alessandra e Nicola, sulla loro grande storia d’amore, Rasputin, l’emofilia dello zarevic, film e molto altro.  Come la malattia di un ragazzino, la disperazione di una madre, la debolezza di un padre avessero cambiato il destino di un impero, una rivoluzione che aveva squassato il mondo, dilaniato dai conflitti mondiali.
Furono oggetto di un oblio durato per decenni, oppure di una selvaggia vituperazione,  cui si tentava di porre rimedio, quando ormai gli anni erano trascorsi.



Nel  1981 la zarina Alessandra  venne canonizzata a New York, dalla Chiesa Russa ortodossa in esilio, come martire della fede,  insieme ai suoi.
Era un feroce giorno di vento autunnale. Le candele danzavano, riflettendosi sugli affreschi e le icone, la vecchia bandiera imperiale russa era rappresentata da garofani nelle gradazioni del bianco, del blu e del rosso deposti sull’altare, ove vi era una icona. Vi era raffigurato Gesù Cristo che scendeva dal cielo, circondato da una turba di angeli, per accogliere i Romanov, avvolti in manti di candido zibellino, una dorata aureola che li cingeva la testa, gli sguardi sereni, voltati verso l’altrove.
 
Le ossa furono infine trovate in una fossa anonima, intorno alla fine degli anni settanta, la riesumazione iniziò nel 1991, i resti furono portati al dipartimento di patologia legale, iniziò l’indagine per una esatta, netta identificazione, che venne data il 28 luglio 1992, dopo esami condotti da team medico-legali sia russi che americani.  

Furono poi sepolti nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo nel 1998, 80 anni dopo l’eccidio, tra l’altro alla presenza del presidente Boris Eltsin, che ebbe a dire che un giorno storico per la Russia,che per anni era stato mantenuto il segreto su quel crimine mostruoso ma infine la verità era stata rivelata.
Ad ogni buon conto, furono rinvenuti solo nove corpi, invece degli undici previsti, all'appello mancavano quelli dello zarevic e di una delle  sorelle.



Nicola, Alessandra, tre delle loro figlie ebbero i solenni funerali nel 1998.
Cinque piccole bare di rovere, con dentro le ossa, sopra le insegne imperiali, furono posate accanto alle tombe dei loro antenati. Glorioso, il profumo delle rose era recato dal vento, al pari degli omaggi e delle fanfare.





".. Cat...you are my heart, even if you are  broken"
"...and You’ve taught  me wrong from right, and I show you what I am"
 I resti di Alexei e di sua sorella furono rinvenuti nel 2007, in una fossa poco lontana.

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