Da lontano

di etienne86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Deriva ***
Capitolo 2: *** Disgelo ***
Capitolo 3: *** Condanna ***
Capitolo 4: *** Amore infine ***
Capitolo 5: *** Distanze ***
Capitolo 6: *** Attrazioni ***
Capitolo 7: *** Passato ***
Capitolo 8: *** Cuore ***
Capitolo 9: *** Bersagli ***
Capitolo 10: *** Cambiamenti ***
Capitolo 11: *** Carriera ***
Capitolo 12: *** Incontro ***
Capitolo 13: *** 13- Felicità ***
Capitolo 14: *** Realtà ***
Capitolo 15: *** Sfide ***
Capitolo 16: *** Riflesso ***
Capitolo 17: *** Miraggio ***
Capitolo 18: *** Parole ***
Capitolo 19: *** Rimpianti ***
Capitolo 20: *** Titani ***
Capitolo 21: *** Luci ***
Capitolo 22: *** Pensieri ***
Capitolo 23: *** Abisso ***
Capitolo 24: *** Fuoco ***
Capitolo 25: *** Fumo ***
Capitolo 26: *** Visioni ***
Capitolo 27: *** Rinascere ***
Capitolo 28: *** Segreti ***
Capitolo 29: *** Fantasmi ***
Capitolo 30: *** Prospettive ***
Capitolo 31: *** Verità ***
Capitolo 32: *** Rivelazioni ***
Capitolo 33: *** Dopo il temporale ***



Capitolo 1
*** Deriva ***


 1- Deriva


Versailles, Palazzo Jarjayes.
Marzo 1782

Le porte del palazzo si spalancarono al suo arrivo.
Era furente.
Non degnò di uno sguardo la povera Nanny, che singhiozzava nell'androne, sebbene fosse stato un suo messaggio a richiamarlo a casa.
"Oscar! Oscar!"
Mentre chiamava la figlia, si diresse a grandi passi verso i suoi appartamenti.
Aprì con furia la porta della camera, urlando per l'ennesima volta il suo nome.
Il grido gli morì in gola.
Nel letto sfatto giaceva un giovane uomo, supino, completamente nudo.
Nanny lo raggiunse.
"Chi diavolo è?" sibilò alla governante.
"Il giovane de Bouille..." gemette la donna, consapevole  della reazione che questa rivelazione avrebbe causato.
"Ha festeggiato ieri la sua nomina ad ufficiale..."
"Lo vedo bene, come ha festeggiato!" replicò il generale, stringendo i pugni.
"Fallo rivestire e riportare immediatamente ai suoi alloggi. E speriamo che il padre non debba mai scoprire questo increscioso... incidente!"
Continuò, voltando lo sguardo.
"Ma dove diavolo è Oscar?"
Uno sparo proveniente dal giardino fu la risposta.
"Maledizione!" imprecò l'uomo, uscendo sulla balconata.
Capì il motivo di tanta apprensione da parte di Nanny.
Oscar, discintamente coperta da un lenzuolo, se ne stava davanti alla fontana, prendendo di mira con la pistola le statue che la decoravano.
Rideva barcollando, come ubriaca,  gridando a gran voce.
"Il  miglior tiratore di tutta la Francia! Nessuno che sappia eguagliare la sua mira e la sua precisione!"
E detto questo sbeccava malamente le sagome di tufo davanti a lei, impugnando l'arma con la mano sinistra.
Il generale si coprì il volto con le mani e tutta la rabbia mutò in pena ed amarezza.
La sua voce divenne un sussurro.
"Coprila, Nanny, e toglile di mano quella pistola..."
Poi si diresse stancamente verso il suo studio.
"Prenderò dei provvedimenti una volta per tutte...te lo prometto!"


Marguerite de Jarjayes era seduta nello studio del generale, le mani in grembo, consapevole che la sua presenza in quella stanza era il chiaro segno che il marito non sapeva più quali decisioni assumere riguardo ad Oscar.
Quando le parve che il silenzio del consorte fosse un implicito invito a parlare,  si schiarì leggermente la voce.
"Dobbiamo allontanarla da Parigi, dalla sua vecchia vita. Troppi ricordi...troppo dolore"
Il generale sospirò, con un velo di irritazione.
"L'ho già fatto, ricordate? Il suo soggiorno ad Arras. Un disastro. Avete forse dimenticato la rissa alla taverna, con i sovversivi cappeggiati da quell'avvocato... Robespierre? Se non fosse intervenuto il proprietario, che ci conosce, sarebbe finita molto male per lei..."
Ebbe come un brivido al ricordo di quell'episodio.
"Non avevo in mente  un posto come Arras, in realtà..."
L'uomo si voltò a fissare la moglie e attese in silenzio che continuasse.
Capì che forse, almeno lei, aveva un'idea per uscire da quella situazione.
"Pensavo ad un luogo che fosse del tutto sconosciuto ad Oscar, abbastanza lontano da Parigi da non essere raggiunto dalle cronache e dalle notizie di corte...dove qualcuno  possa vegliare su di lei..."
Alzò timidamente gli occhi ed incrociò lo sguardo di attesa del marito.
"Ecco, forse un posto come Chablis..."
"Chablis? Quella vecchia tenuta in piena campagna, circondata da vigneti?"
Aveva ben presente quel possedimento, eredità della moglie.
Non gli era mai piaciuto: troppo lontano dalla città, una casa padronale vecchia e scomoda...non se ne era liberato solo per l'ottimo vino che produceva, divenuto  uno dei preferiti del vecchio sovrano, Luigi XV, e tuttora molto apprezzato  nelle cene che la famiglia  De Jarjayes offriva  ai propri amici.
Scosse la testa.
"Temo che nostra figlia passerebbe tutto il tempo rintanata nelle cantine della tenuta, attaccata alle botti di vino..." replicò con amarezza, volgendo nuovamente lo sguardo fuori dalla finestra.
"Non credo che Andrè glielo permetterebbe..."
"Andrè?"
L'uomo si voltò di scatto, come avesse udito il nome di un fantasma.
"Si, Andrè Grandier, non vi ricordate di lui?"
Nella mente del generale si formò l'immagine di un ragazzo sveglio e generoso e il ricordo di un rapporto di fratellanza con la figlia, di tempi felici, carichi di aspettative per un futuro glorioso...
"Certo che mi ricordo di Andrè...avevo dimenticato che vivesse nella proprietà di Chablis"
Si accarezzò il mento con aria pensierosa. Forse la moglie non aveva tutti i torti.
Il giovane aveva sempre avuto un ascendente positivo sugli aspetti più spigolosi del carattere di Oscar.
Certo, non si vedevano da anni, ma in fondo, cosa aveva da perdere?
Si sedette di fronte alla moglie.
"Va bene, organizzerò la partenza di Oscar per Chablis.
Spero non opponga troppa resistenza all'idea di lasciare Parigi"
"Non lo farà" replicò Marguerite.

Non ora che Fersen è partito per l'America... pensò, senza dar voce a quella convinzione.
"Ottimo!" concluse il generale, visibilmente sollevato.
Per un uomo della sua tempra, non c'era niente di più insopportabile che l'impossibilità di agire: ora aveva una missione e questo lo faceva già sentire meglio.
"Allora vi lascio, avrete molta corrispondenza da sbrigare per i preparativi..."  si affrettò a rispondere la moglie, alzandosi ed avvicinandosi alla porta.
Si voltò a guardarlo un'ultima volta, prima di lasciare il suo studio, già intento ad intingere la penna nel calamaio, già lontano con la mente dalla conversazione con lei.
Salì lentamente le scale e raggiunse la camera di Oscar.
Bussò delicatamente ed entrò senza attendere risposta.
La giovane guardava fuori dalla finestra, la braccia lungo il corpo, il viso quasi attaccato al vetro, talmente persa nei suoi pensieri da non essersi accorta della presenza della madre.

Nella stessa posizione tante volte assunta da suo padre, pensò la donna.
Una tazza di cioccolata, che non aveva toccato, giaceva sul tavolino dietro di lei, emanando un dolce profumo, a cui sembrava assolutamente indifferente.
Apparivano  così lontani i tempi in cui si sarebbe lasciata consolare da questo piccolo gesto d'affetto e dedizione della sua balia.
Quando stava per lasciare la stanza, senza aver pronunciato  una sola parola, la voce di Oscar la fermò, sorprendendola.
"Seguirò qualsiasi decisione voi e mio padre abbiate preso per me..."
Quella frase la rattristò, invece di sollevarla.
Quanta rassegnazione, quanta amarezza!
Cercò di rievocare con la memoria l'immagine di sua figlia prima che tutto succedesse. Il suo orgoglio, la sua determinazione, la sua fierezza.
Sembrava trascorsa una vita da allora, invece che una manciata di anni.
Eppure, al di là degli avvenimenti che avevano scosso l'esistenza di Oscar, modificandone irrimediabilmente il decorso, Marguerite era certa che le difficoltà  per lei fossero iniziate molto tempo prima,
con la sua separazione da Andrè, il suo attendente ed amico.
E che forse, riportandola vicino al quel giovane, avrebbe ritrovato la rotta per dare un senso pieno alla sua vita, ormai alla deriva.



Di solito non lascio note a piè di pagina, ma questa storia è un casino anche per me, che l'ho scritta, quindi volevo dirvi due parole.
L'idea iniziale si basa su due spunti che avevo in mente per la precedente fic (I labirinti del cuore) e che poi ho scartato perchè mi sembravano appesantire la trama: il primo, nella logica di quella storia dove si invertivano le parti rispetto all'originale, era che fosse Oscar a rimanere ferita in modo permanente, invece di cavarsela sempre come accade nell'anime /manga; la seconda è quello di vincere un mio personale tabù  e per farlo, senza farmi violenza, ho dovuto "eliminare" Andrè (capirete, mi auguro, come).
Ok, adesso potete chiamare la neuro...


1- Deriva 1- Deriva


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Capitolo 2
*** Disgelo ***


  Facendo un po' di pasticci, cioè duplicando il testo, ho inserito una fanart di Elisa nel capitolo 1


Da lontano
il nodo non cede per niente,
è un serpente che stringe e respira
anche quando mi nomini a mente
si sente

Raf- Il nodo



2- Disgelo


Chablis, fine marzo 1782

I due uomini rientrarono in casa scuotendo i pesanti mantelli.
Avevano trascorso l'intera mattina sulla collina a nord-est,  per controllare i vigneti, dopo quella che si auguravano fosse l'ultima  gelata di quel lungo inverno.
Si sfilarono  gli stivali, in silenzio,  e raggiunsero il piccolo studio, dove il caminetto era  acceso dalle prime luci dell'alba.
Prima che potessero riprendersi dalla lunga camminata e cominciare con la lettura della corrispondenza, di solito piuttosto scarsa, furono interrotti dall'ingresso tumultuoso di un ragazzino, al colmo dell'eccitazione.
"Padre, padre! E' arrivata una lettera col  sigillo reale! Apritela, non resisto più dalla curiosità!"
Andrè  rivolse al figlio  un sorriso ironico.
Il vecchio Monsieur Florent, amministratore della proprietà,  alzò lo sguardo mentre avvicinava al volto una piccola montatura di lenti con cui tentava invano di contrastare l'inesorabile decadimento della sua vista.
"Suvvia, Sebastiane, come puoi pensare che una lettera dei sovrani sia indirizzata a noi?" lo riprese Andrè.
"Ma si, padre, ne sono sicuro. Stamane hanno portato una pergamena, chiusa con la ceralacca e..."
"L'ho trovata, l'ho trovata! Adesso calmati!" lo interruppe l'anziano, cercando l'oggetto di tanta curiosità tra le svariate carte disposte disordinatamente sul suo scrittoio.
"In effetti c'è un sigillo, ma non è quello dei borboni, mio caro Sebastiane!"
"Ma ho visto lo stemma di un leone  e di una spada..." continuò,  lamentandosi.
Andrè strinse istintivamente i braccioli della sedia.
Un brivido gli attraversò la schiena.  Florent sembrò accorgersene.
"Questo è l'effige della famiglia De Jarjayes, i proprietari della tenuta."

Il ragazzino lo fissò ammutolito e deluso.
"Non l'avevo mai visto..." continuò, quasi a giustificarsi per l'equivoco.
"In effetti il Generale de Jarjayes mi scrive raramente, di solito comunico direttamente col suo segretario personale..."
Alzò gli occhi dalla lettera e li fissò in quelli di Andrè.
"Credo che l'ultima sua missiva riguardasse proprio il vostro arrivo qui,  Andrè..."
Il giovane  non riusciva a parlare.
"Adesso vedremo di che si tratta, Sebastiane, ma non penso siano notizie che possano interessare un giovinetto come te"
"Già..." replicò il ragazzo, intuendo l'invito a lasciare la stanza.
Rimasti soli, Florent allungò il foglio ripiegato ad Andrè, deputato, fin dal suo arrivo, alla lettura della corrispondenza.
"Leggetela voi, vi prego..." rifiutò l'uomo, alzandosi improvvisamente e portandosi vicino alla finestra.
Scostò il pesante tendaggio e guardò nel giardino.
Sebastiane si era già distratto  e cercava di guidare chissà dove un piccolo gruppo di oche, aiutandosi con  un bastone.
Seguirono alcuni istanti di silenzio, poi l'anziano lasciò cadere pesantemente il foglio sulla scrivania e si rivolse al suo giovane aiutante.
"Il figlio del Generale si trasferirà qui, per qualche tempo..."
Andrè si voltò di scatto, sgranando gli occhi.

Il figlio?

Florent scrutò per un momento la sua reazione, poi continuò.
"E' un colonnello della Guardia Reale, in un periodo di congedo dall'esercito, per un imprecisato motivo di salute..."
Ancora silenzio.
"Si chiama Oscar..."
Andrè si appoggiò al vetro con entrambe le mani all'udire quel nome, come per sorreggersi.
"L'avete conosciuto, vero Andrè?"
L'uomo annuì, senza voltarsi.

Conosciuto....
"Il generale mi invita a rivolgermi a voi per quanto riguarda il servizio personale al figlio". Fece una breve pausa .
"Riferisce che eravate già al suo servizio, otto anni fa  e che quindi conoscete le sue necessità meglio di chiunque altro..."
Andrè restò immobile, muto.
Florent non era certo il tipo da forzare un commento o un parere a chicchessia e aveva imparato ad aspettare, soprattutto con Andrè.
Lo conosceva da diversi anni, ormai, e aveva sempre intuito che ci fosse una specie di ferita aperta che lo legava alla famiglia de  Jarjayes.
Questa lettera sembrava riportare alla luce un vissuto doloroso.
"Volete occuparvene, Andrè? Se l'incombenza non vi aggrada troverò un'altra soluzione: in fondo il Generale si trova a svariate miglia da qui, non verrà certo a controllare chi sella il cavallo di suo figlio..."
"No, Antoine, vi ringrazio ma...va bene così, mi farò carico io di tutto ciò di cui avrà bisogno"
"Bene, allora la questione è risolta!" 
Andrè non manifestò il medesimo sollievo.
"Possiamo leggere il resto della corrispondenza dopo aver desinato, non credete?" concluse l'amministratore, alzandosi.
Solo allora Andrè si voltò e si avvicinò alla porta.
Quando gli fu abbastanza vicino, al punto di vedere chiaramente nei suoi occhi, Florent concluse.
"Il suo arrivo è previsto tra due settimane"
Era anziano, la sua vista ormai precaria, ma avvertì chiaramente un lampo di luce negli del giovane. Una sorta di brivido di paura, ma anche di eccitazione.
Qualcosa che non aveva mai visto attraversare quello sguardo.
Forse quel piccolo, grande dolore che l'uomo si portava appresso fin dal giorno del suo arrivo aveva un volto e un nome.
Forse si chiamava Oscar.
 






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Capitolo 3
*** Condanna ***


3- Condanna
Volevo ringraziare tutte le lettrici che, in pubblico e in privato, mi hanno lasciato un commento, dimostrando di seguire con molta attenzione la storia. Spero davvero di non deludere le vostre aspettative

3- Condanna



Versailles, maggio 1774

Sembrava un giorno come tutti gli altri.
Loro due insieme, a cavallo, diretti a Versailles.
Ma Oscar quella mattina era nervosa, controllata, ma in ansia.
Lo aveva capito subito, da come inarcava impercettibilmente la fronte, dalla piega delle sue labbra, da come stringeva le redini di Cesar.
Gli aveva già ripetuto almeno cinque volte, da quando si erano incontrati nelle scuderie, di prestare la massima attenzione.
Quel giorno la delfina Maria Antonietta avrebbe cavalcato per la prima volta nella sua vita, davanti all'intera corte. La reazione infantile della giovane all'esibizionismo volgare ed arrogante della contessa Du Burry. Proposito avvallato dal suo regale consorte, che non trovava altro modo per dimostrare il suo sincero attaccamento se non accontentarla incondizionatamente.
Sorrideva di nascosto di fronte alle preoccupazioni di Oscar.
E non perchè le considerasse futili, tuttaltro. Erano per lui la dimostrazione di quell'intuizione femminile che prescindeva l'educazione  ed il ruolo tipicamente  maschili  impartiti in tutti quegli anni.
A lui, comunque, non era mai sfuggita, nemmeno per un istante, la sua femminilità, sin da quando l'aveva vista la prima volta.
E se durante l'infanzia questa consapevolezza aveva acuito il suo senso di protezione, ora agitava nel suo cuore sentimenti e sensazioni più forti, di cui a volte si spaventava lui stesso.
Mentre cavalcava alle sue spalle, si perdeva a seguire la curva della sua figura, la vita stretta dalla fascia della divisa, le gambe lunghe e affusolate  disegnate dai pantaloni aderenti di tipo militare, e si sentiva guidato in questo da un istinto prettamente maschile.
Allora si sforzava di volgere lo sguardo altrove e lo puntava sulle cime degli alberi che costeggiavano la strada, mossi dal vento, o sulla criniera del suo cavallo, luccicante sotto i raggi del sole. Ma avvertiva il suo profumo raggiungerlo ed insinuarsi nella sua mente, come se i suoi sensi giocassero tra loro per carpire ogni aspetto del suo essere donna, nonostante tutto.
Si sentiva attratto da lei, bisognoso della sua vicinanza e per questo non si allontanava mai dalla sua persona, nemmeno durante le sue attività in caserma o a corte.
A nessun popolano era permesso essere così vicino ai membri dell'alta aristocrazia parigina e alla stessa famiglia reale.  
Girodel lo aveva redarguito più di una volta, ricordandogli la sua posizione.
Ma era certo che le motivazioni del giovane ufficiale non avessero nulla a che fare con l'etichetta di corte.
"Sono geloso di lei,  è assurdo!" si era detto dopo l'ultimo scambio di battute con Girodel. Eppure era la verità.
Non era solamente geloso di un altro uomo, sempre così vicino a lei, ma anche di tutte le energie ed attenzioni che dedicava al suo lavoro ed al suo compito.
E questo non era ammissibile. Troppo giovane ed inesperto per dare un nome a tutte le nuove sensazioni  che si infiltravano del suo decennale rapporto con Oscar, temeva tuttavia che gli avrebbero portato tanta amarezza e frustrazione.

Aveva scacciato i suoi pensieri non appena giunto a Versailles, dove la principessa ed il suo seguito attendevano il grande evento. Si era diretto alle scuderie reali, per prendere il cavallo precelto dal futuro re in persona. Quando era tornato nei giardini conducendo un giovane arabo scalpitante,  Oscar gli si era immediatamente avvicinata.
"Quest'animale è troppo..."
"Indomito e certamente non mansueto! -la interruppe- Ma l'ha indicato lo stesso Luigi Augusto, ritengo basandosi unicamente sul suo aspetto!"
"Non è adatto" sibilò Oscar tra i denti, mentre già la delfina si avvicinava con occhi estasiati.
"Oh, è stupendo! Non trovate che si addica perfettamente alla mia figura?"
Le dame di corte annuirono, imitando il suo entusiasmo.
Oscar appoggiò la mano guantata sul braccio dell'amico.
"Mi raccomando Andrè, massima prudenza!"
L'attendente aiutò la principessa a montare, ancora colpito dal tocco premuroso sul suo braccio.
Poi tutto accadde in un attimo.
La principessa che si agitava inutilmente sulla sella, stringendosi all'animale in modo improprio e la piccola folla di adulatori che si erano avvicinati innervosirono il puledro. Andrè fece appena in tempo a cogliere negli occhi dell'animale il panico  e la paura che questi cominciò a correre in direzione opposta alla reggia in modo rabbioso.
Strinse le redini e si fece trascinare inutilmente, mentre avvertiva la terra del selciato fare a brandelli i suoi vestiti e lacerargli dolorosamente la pelle, nelle orecchie le grida convulse della principessa e la voce perentoria di Oscar che gli ordinava di lasciare i finimenti del cavallo.
Resistette, finchè gli fu possibile, poi le briglie di cuoio cedettero e superato il Gran Canal rotolò nella polvere mentre il cavallo ormai imbizzarrito correva veloce inseguito da Caesar.
Perse i sensi e si riebbe solo quando due guardie lo sollevarono di peso e lo trascinarono verso la reggia. Non sapeva come fosse terminata la folle corsa del cavallo, ma capì quanto la sua situazione fosse grave quando varcò un salone, sempre scortato e si trovo innanzi  una moltitudine di nobili che si apriva al suo passaggio. Non capiva, non osava chiedere, la mente annebbiata dal dolore che avvertiva al petto.
Poi ci fu un silenzio irreale, che precedette l'ingresso del sovrano in persona.
La sua condanna a morte fu decretata con poche, semplici parole.
Il vociare degli astanti fu spento dall'improvviso ingresso  del capitano delle Guardie Reali. Andrè alzò  appena il capo e vide tra le lacrime la schiena di Oscar, inginocchiata tra lui e Luigi XV. E notò immediatamente una macchia di sangue scuro allargarsi vistosamente sulla manica sinistra della sua divisa immacolata.
La sentì pronunciare parole in sua difesa, con ardore e coraggio.  
Vide il conte di Fersen unirsi a lei in un appello per scongiurare la sua morte.
E non potè sfuggirgli lo sguardo che Oscar rivolse al nobile svedese, un misto di ammirazione ed attrazione.

La sua condanna a morte fu commutata in un esilio a vita  dall'intera regione di Versailles*, con sollievo di tutti.
Ma lui fu il solo a capire che il re, con quella decisione, gli stava togliendo la vita, comunque.


* all'epoca Versailles comprendeva la reggia con l'ampio parco e le costruzioni come il Trianon, più le svariate residenze dei nobili vicini alla corte chiamati grand hotels, tra cui ho dedotto ci fosse palazzo Jarjayes e lo stesso villaggio di Versailles. Quando Oscar indica la reggia a Rosalie si vede che è praticamente una vicina di casa della regina.

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Capitolo 4
*** Amore infine ***


 
4- Amore infine

Entrò lentamente.
Voleva accertarsi che nessun altro fosse nella sua stanza.
Scorse, alla debole luce della candela, la cuffia celeste di sua nonna appoggiata sulle coperte, accanto al braccio inerme di Oscar.
Si sedette all'altro capo del letto e sospirò. Ora che il dottore aveva terminato di conferire col generale e l'intera famiglia aveva lasciato la stanza, insieme al conte di Fersen, poteva raggiungerla e vegliarla.

Era rimasta ferita in quello stupido incidente, il medico aveva dichiarato che la lesione non era grave, ma aveva perso molto sangue.
E non si risvegliava, da due giorni ormai.
Distrattamente aveva ascoltato una conversazione tra sua nonna e Madame, aveva sentito il nome di Chablis. Una proprietà ignorata dai Jarjayes, dove non aveva mai messo piede, forse sarebbe stata la sua futura destinazione.
Non riusciva più a pensare a quello che sarebbe stato il suo destino, desiderava con tutte le sue forze che riaprisse gli occhi.
Lei sembrava dormire, col capo mollemente adagiato sui cuscini e i riccioli biondi sistemati accuratamente dalla sua balia  ad incorniciarle i lati del viso.
Aprì le tende e lasciò che la fredda  luce lunare illuminasse il suo volto.
Cercava nei suoi lineamenti  il ricordo della ragazza che gli era familiare, che aveva accompagnato la sua quotidianità dal momento che aveva messo piede a palazzo.  E invece i suoi occhi si soffermavano sulla pienezza delle sue labbra, pallide e serrate, sulle lunghe ciglia, così femminili, sulla pelle, liscia e candida come la superficie delle statue marmoree che adornavano i saloni di Versailles.
Sentiva il suo cuore pulsare, come di fronte a qualcosa di proibito e attraente al contempo.
Diede una rapida occhiata a sua nonna, che russava sommessamente, consapevole che quello che la sua mano stava compiendo non era ammissibile tra loro.  Eppure lentamente, fissando i suoi occhi chiusi, allungò una mano e le accarezzò una guancia, sfiorandola con i polpastrelli.
Gli sembrò, in quel momento, che non ci fosse nulla al mondo di più liscio e morbido della sua pelle.

"Andrè..."
Il suo nome ruppe il silenzio di quella notte in un sussurro, al punto che temette di averlo immaginato. Poi vide i suoi occhi aprirsi lentamente e la sua bocca schiudersi in un leggero sorriso. Ritrasse la mano, spaventato.
Li richiuse quasi subito, ma dalla sua bocca uscì un'inaspettata richiesta.
"Resta qui, stanotte"
Guidato da un istinto  sconosciuto, posò la testa sul letto, sfiorandole il braccio. Come in risposta, Oscar allungò la mano e affondò le dita nei suoi capelli.
E lui rimase immobile, stupito da quell'insolito contatto, col cuore colmo di una felicità spropositata, mista ad una crescente consapevolezza.
Avrebbe lottato con tutte le sue forze per difendere e proteggere il suo legame con Oscar. Che lo mandassero pure in capo al mondo: avrebbe trovato il modo di riavvicinarla, di tornare a far parte della sua esistenza.
Perchè lei era la sua vita, ogni giorno di più, anche da lontano.
Lei era amore, lo aveva compreso, infine.

Grazie Elisa!

 

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Capitolo 5
*** Distanze ***


 
Mi abituerò a non cercarti
mi abituerò a voltarmi e non ci sarai
mi abituerò a non pensarti
quasi mai, quasi mai


Ligabue

 


5- Distanze

Versailles-Chablis, aprile 1774


Il viaggio verso Chablis parve senza fine.
Il primo giorno fu particolarmente doloroso. Attraversare le periferie alle porte della capitale, così desolate e piene di miseria, fu davvero pesante per Andrè e in alcuni frangenti temette persino per la sua incolumità e per quella del suo cavallo, l'ultimo regalo di Oscar.
Poi il paesaggio si trasformò, diventando sempre più omogeneo e ripetitivo, le campagne sempre meno popolose e le diverse località cominciarono a sfumare e confondersi nella sua memoria.
Di giorno viaggiava senza fretta, quasi fosse  senza meta, smarrito lungo le strade polverose. Di notte sostava presso qualche locanda, non di rado in un giacilio improvvisato, all'interno di fienili o stalle, e i suoi sogni erano vividi e densi del suo amore per Oscar.
Nelle sue fantasie non era più la sua antica compagna d'infanzia o la sua padrona, ma una donna bellissima e sensuale, che gli apparteneva in tutti i modi che la sua giovane mente poteva immaginare. E quando si risvegliava gli sembrava di essere diretto da lei e non sempre più lontano, tanto si sentiva sospinto, anima e corpo, verso la sua figura, il suo pensiero.
Quando la realtà tornava con forza nella sua mente, si incupiva e trascorreva il resto della giornata quasi alienato da ciò che lo circondava.
Giunse infine a Chablis all'alba di una domenica nebbiosa.
Il villaggio era costituito da alcune case ed una piccola chiesa.
Fu proprio  un  gruppo di donne appena uscite dalla prima messa ad indicargli la direzione per raggiungere la domaine dei Jarjayes.
Dopo un paio di curve lungo una stradina sterrata si ritrovò innanzi ad una vecchia villa in mattoni rossi, circondata da un fossato.
Raggiunse l'ingresso principale, con due basse colonne di marmo annerito a reggere una piccola architrave, ma quando fece per bussare si rese conto che il portone era sbarrato da due grosse travi di legno.
Rimase un attimo interdetto, quando udì una voce alle sue spalle.
"Per di qua, Monsieur"
Al di là del fossato una donna lo fissava. Era completamente vestita di nero, il capo coperto da un velo dello stesso colore, calato fin quasi sugli occhi. Senza attendere una sua risposta, si spostò rapidamente verso il retro dell'abitazione e scomparve in un cortile, dietro alcune filiere di lenzuola stese.
Dopo un attimo di esitazione, Andrè lasciò il cavallo e la seguì, attraversando un esile ponticello e inciampando in un gruppo di galline che razzolavano liberamente. Trovò davanti a sè una piccola porta, lasciata aperta, dalla quale filtrava una flebile luce.
Bussò educatamente ed entrò con circospezione, trovandosi dopo pochi passi in una cucina col pavimento in pietra ed un grosso camino acceso, davanti al quale armeggiava un'anziana donna, voltandogli le spalle. Al suo fianco, su una vecchia sedia a dondolo, un uomo con radi capelli brizzolati, sciolti sulle spalle, cercava invano di accendersi la pipa.
"Scusate, signore" disse piano Andrè, convinto di essere nel posto sbagliato.
"Mi chiamo Andrè Grandier, sto cercando la proprietà dei conti de Jarjayes"
L'uomo lo degnò appena di uno sguardo e tornò a concentrarsi sulla pipa.
"L'avete trovata, giovanotto, l'avete trovata"
Il giovane si chiuse la porta alle spalle e cominciò a guardarsi attorno, per quel poco che la luce del camino ed un'unica candela al centro del tavolo lasciavano scorgere.
L'anziano sospirò pesantemente, poi abbandonò la pipa e si diresse verso Andrè.
"Sono Antoine Florent, amministratore della tenuta e lei è Marie, lanostra unica domestica, ma noi tutti la chiamiamo  Muet perchè...è una donna di poche parole"
La donna non fece nemmeno cenno di aver udito quella sommaria presentazione e continuò imperterrita nelle sue faccende.
Andrè stava per rispondere, quando un rumore sinistro attirò la sua attenzione. Proveniva da una stretta rampa di scale, avvolta nell'oscurità. Sembrava qualcosa che strisciasse e cadesse nello stesso tempo.
Istintivamente, senza porre domande, afferrò la candela accesa e diresse la luce verso quel suono, sempre più vicino.
"Sei tu, Sebastiane?" chiese Florent.
Rispose una voce flebile, infantile.
"Si, nonno"
Andrè fece un passo in avanti ed illuminò il volto serafico di un bambino, all'incirca di tre anni. Aveva l'aria assonnata e i capelli schiacciati, come di chi si fosse appena alzato dal letto. Un viso angelico e due grossi occhi chiari lo stavano scrutando, per poi aprirsi in un sorriso timido e accattivante.
Andrè stava per ricambiare quel sorriso, quando il piccolo si mosse, producendo quel fastidioso rumore. Solo allora spostò la luce sul corpo del bambino ed il sorriso gli morì sulle labbra.
Il piccolo trascinava pesantemente la gamba destra, completamente flaccida, che sotto la camiciola appariva più corta, con un piede deforme.  Come un arto morto, sbatteva ad ogni gradino, mentre il bambino era costretto ad aggrapparsi con entrambe le mani alla ringhiera e a sostenere con queste e l'unica gamba sana il peso del corpo.
Non sapeva cosa dire. Gli sembrava di essere in un incubo, dove anche le cose più innocenti si trasformavano in mostruosità.
"Devo...devo andare a prendere il mio cavallo"disse e, abbandonando la candela sul tavolo, si precipitò fuori, come se gli mancasse l'aria.
Colpì malamente le lenzuola al suo passaggio e con rapidi balzi superò il fossato, come se avesse bisogno di porre una distanza tra sè e quel luogo.
Si prese il volto tra le mani e si sentì sommergere dallo sconforto.
Non poteva essere la sua nuova casa, quella specie di antro abitato da vecchi cenciosi e da un bambino deforme. Come poteva starci anche un solo giorno dopo aver vissuto quindici anni  insieme ad  Oscar e a tutto lo splendore di casa Jarjayes. Il palazzo con  le enormi vetrate a illuminare il marmo degli splendidi saloni,
  i giardini fioriti,  il profumo confortante dei dolci che sua nonna preparava per loro due.
"Ti prego Oscar, fa qualcosa. Ti prego, portami via da qui" sussurrava sconvolto mentre stringeva la sella del suo cavallo, quasi tentato di ignorare l'ordine del Re e tornare indietro, supplicare il Generale perchè lo destinasse altrove.
Ovunque, tranne che a Chablis.
Nascosta  dalla cortina di lenzuola bianche, come una fragile, candida muraglia, la giovane donna vestita di nero che lo aveva condotto lì lo stava fissando intensamente. Poi  rientrò in casa.
"Muet, vai a chiamare Monsieur Grandier quando sarà pronta l'acqua per il bagno" disse rivolgendosi alla cameriera, che usciva dalla cucina reggendo un pesante secchio di rame colmo fino all'orlo.
Si avvicinò alla finestra e continuò a spiare gli spostamenti del nuovo ospite.
"Allora, Estelle, che te ne pare di questo giovanotto di città?"
Chiese Florent, avvicinandosi alle sue spalle.
Si strinse nello scialle e sospirò.
"Beh, padre, credo...credo che sia una bravo ragazzo, pulito, a posto..."
"Speriamo che tu abbia ragione, cara. E' quello che serve a questa vecchia tenuta in decadenza" le rispose, allontanandosi.
Estelle rimase ancora a guardarlo, custodendo i suoi veri pensieri.

Credo che tu conosca il dolore, Andrè Grandier.
Un sorriso curvò le sue labbra.
Credo che tu sappia cos'è l'amore.

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Capitolo 6
*** Attrazioni ***


 6- Attrazioni


Palazzo Jarjayes, maggio 1774

"Basta così, madamigella Oscar! Mi avete strapazzato abbastanza per oggi"
Riusciva a sorridere Hans anche sotto i fendenti della giovane.
Rise anche lei ed abbassò la spada.
"Non so cosa ne pensi il vostro medico, ma ritengo siate perfettamente guarita" continuò, scostandosi i capelli dal viso e scendendo con agilità dal bordo della fontana, sul quale Oscar lo aveva costretto con i suoi affondi.
Guilleme, il nuovo attendente che Girodel aveva immediatamente procurato al suo comandante, si avvicinò per ritirare le spade.
Era trascorso quasi un mese dall'incidente alla delfina e quasi altrettanto dalla partenza di Andrè ed Oscar non aveva ancora ripreso il suo posto di Capitano delle Guardie Reali.
In tutta sincerità non aveva fretta di farlo.
Aveva temuto la noia e l'inerzia del riposo forzato, imposto dalle sue condizioni, ma in realtà era stata bene. Fersen, in qualità di messaggero personale di Maria Antonietta, non mancava di farle visita nemmeno un giorno, e lo stesso si poteva dire di Girodel, che si era dimostrato un subalterno leale e sollecito.
"Siete forse stanco?" chiese lei, con una punta di ironia.
Lui si avvicinò al suo viso, al punto che poteva vedere la luce del sole creare incredibili bagliori nei suoi occhi trasparenti come il ghiaccio.

I vostri occhi...il vostro sorriso...non riesco a concentrarmi su nient'altro quando mi state così vicino!
Era certa di essere arrossita mentre quell'involontario pensiero aveva attraversato la sua mente.
"Affatto, madamigella. Andiamo a vedere il tramonto dalla collina? Siete in forza per cavalcare fino a là?"
"E' una sfida, conte di Fersen?"
"Hans...quando sto con voi sono solo Hans"
A queste parole dovette proprio distogliere lo sguardo e lo fece con la scusa di chiamare Guilleme e ordinargli di sellare i cavalli.
All'inizio li spronarono al galoppo, gareggiando a superarsi, poi mantennero un trotto leggero e rimasero in silenzio. Senza farsi notare, Oscar spiava il profilo del cavaliere al suo fianco.
Stava bene in sua compagnia. Inizialmente lo aveva giudicato un rampollo viziato e superficiale, ma aveva dovuto ricredersi sul suo conto.
Figlio di un noto diplomatico svedese, Hans era cresciuto  a contatto con le più svariate  personalità di tutto il nord Europa. Parlava cinque lingue, aveva viaggiato in Inghilterra, Austria ed Italia, era una persona estremamente colta ed educata. Era un piacere ascoltarlo parlare, aveva un modo suadente e al contempo spontaneo di affrontare qualsivoglia argomento.
Uomo di spirito, apprezzava il buon vino e l'ottima cucina senza mai eccedere,  si trovava a proprio agio a discorrere tanto col Generale Jarjayes quanto col giardiniere di palazzo.
Oscar iniziava a comprendere l'attrazione che una fanciulla come la principessa poteva provare per Fersen, soprattutto se paragonato a Luigi, il futuro sovrano, timido e sfuggente, refrattario a qualsiasi mondanità e divertimento.
La sua prestanza fisica contribuiva ad accrescere il suo fascino. Da quando aveva cominciato ad allenarsi con la spada insieme a lui, per mantenersi in esercizio, aveva notato la sua agilità e la sua forza.
Trovava curioso che lui le sorridesse sempre, anche nei momenti più concitati del duello. Lo viveva realmente come un gioco, senza sentire, come lei, il bisogno di dimostrare il suo valore. Sapeva di averne.
E non avvertiva realmente la rivalità con lei. Come se la consapevolezza del suo essere donna non lo abbandonasse mai, nemmeno quando si affrontavano come sfidanti.
Raggiunta la sommità della collina, smontarono e condussero i cavalli fino ad una piccola radura.
Fersen guardava il panorama con aria assorta, un ombra a velare la serenità sul suo volto.
"Sapete, Oscar, spero che voi possiate tornare presto a corte."
"Era mia intenzione riprendere servizio proprio domani, Hans, ma perchè me lo dite così? Non capisco..."
"La reggia è davvero un covo di vipere velenose e Maria Antonietta, la principessa volevo dire, ha bisogno di avere accanto a sè persone fidate e sincere, che pensino al suo bene...soprattutto ora."
"E' successo qualcosa? Ci sono forse novità che Girodel mi ha omesso?"
Fersen sospirò, senza distogliere lo sguardo dalle nuvole in lontananza, tinte ormai di rosso.
"No, madamigella, ma...io....penso che presto lascerò la Francia"
Oscar rimase gelata da quelle parole, come se un improvviso vento freddo le avesse attraversato il petto. Voleva trovare qualcosa da dire, ma la sua mente era come svuotata.
"Il vostro è una paese incantevole, sono stato ricevuto e trattato come uno di famiglia, ma...forse questo non è stato un bene..."
"Continuo a non capire"
"La principessa...la preferenza che mi ha accordato ha suscitato l'invidia di molti, soprattutto dei nobili francesi..."
Si alzò e si allontanò da lei di qualche passo.
"Anche se l'ultima cosa che vorrei è lasciarla...cioè lasciare la Francia, sono consapevole che la mia presenza rappresenta una minaccia e un pericolo per lei"
Avrebbe voluto dirgli che stava esagerando, convincerlo a tornare sulle sue decisioni, ma in realtà Girodel le aveva riferito, in più di una occasione, dei pettegolezzi e dei malumori diretti contro la futura regina e alimentati dalla presenza di Fersen a corte. Abbassò il capo, rassegnata.
"Quando pensate di partire" riuscì a dire, con un filo di voce.
Si voltò per risponderle quando la figura di un uomo col cavallo lanciato al galoppo nella loro direzione attirò la sua attenzione.
"Guardate, Oscar...sembra stia cercando noi"
La giovane si alzò e riconobbe l'azzurro ceruleo della divisa di Girodel.
Il tenente smontò velocemente e si irrigidì nel saluto militare.
"Comandante, finalmente vi ho trovato" esordì, provocandole un lieve rossore di imbarazzo, come se l'avesse colta in fallo  con quella osservazione.
"Sua maestà Luigi XV ha avuto un malore durante una battuta di caccia, si è rapidamente aggravato e i medici di corte temono..." si interruppe, spostando lo sguardo su Fersen, a pochi passi da loro.
"Parlate, Girodel!"
L'ufficiale si fece più vicino ed abbassò la voce.
"Temono si tratti di vaiolo"
Oscar strinse i pugni e gli occhi, solo per un attimo.
Un attimo in cui, nella sua mente, scorrevano le immagini dell'imminente futuro.
Se il Re moriva così, improvvisamente, Luigi sarebbe salito al trono a soli vent'anni. Maria Antonietta stava per diventare la Regina di Francia.
"Andate pure, Girodel. Domani all'alba sarò a Versailles"
Fersen ed Oscar si fissarono a lungo, mentre in lontananza si perdeva il rumore degli  zoccoli del cavallo di Girodel.
"Credo che domani...domani preparerò i miei bagagli e..."
La dolce voce del giovane svedese si incrinò a quelle parole.
Erano così vicini, nel silenzio irreale sceso dopo la partenza di Girodel, coi volti infuocati dalla luce del tramonto.
"Porgete voi i miei saluti alla principessa, madamigella Oscar"
"Hans..."
Lui le sorrise, nonostante tutto il rammarico che lo stava devastando, e le sfiorò una guancia col dorso della mano.
Sentì la sua voce dirgli "Mi mancherete"
"Anche voi, Oscar" e le prese una mano per portarla alle labbra.
Nessuno le aveva mai fatto un simile omaggio e avrebbe trafitto con la spada chiunque ci avesse solo provato, ma Fersen no, sapeva trattarla da donna senza offenderla o sminuirla per questo.
"Vi scriverò, ve lo prometto. Abbiate cura di voi e di Maria Antonietta"
Lasciò che si allontanasse da solo e rimase immobile  a guardarlo, finchè la sua figura scomparve lungo il crinale della collina.


 


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Capitolo 7
*** Passato ***


 

Capitolo un po' noioso, ma necessario per raccontare il passato... e per conoscere Estelle, grazie ad Elisa.


 

7 - Passato


 

Chablis, aprile 1774


 

Si svegliò con la testa pesante, come dopo una sbornia e si guardò attorno, stupito. Nulla di quella stanza gli era familiare ed impiegò alcuni istanti per ricordare che non si trovava a Palazzo Jarjayes, non più.
Scese di scatto dal baldacchino e studiò la camera.
Su una sedia accanto al letto qualcuno aveva sostituito gli abiti sporchi usati durante il viaggio con un completo pulito, accuratamente piegato e gli aveva lasciato una brocca d'acqua ed un catino vicino ad un piccolo specchio appeso alla parete.
Si vestì in fretta mentre sentiva una voce femminile provenire dal cortile. Scostò le tende e guardò fuori, ma tutto quello che riuscì a scorgere furono un paio di braccia che raccoglievano e piegavano le lenzuola asciutte.
Il sole era ormai alto nel cielo, dovevano essere circa le dieci del mattino e aveva fame.
Mentre percorreva le scale per raggiungere la cucina non potè ignorare le pessime condizioni in cui si trovava la casa: i muri erano anneriti, i pochi quadri coperti da teli ormai ingrigiti, i candelabri appesantiti da strati di ragnatele e lo stesso pavimento di legno mostrava i segni di ripetuti cedimenti.
Persino la cucina era ridotta ad una stanza buia, con le pareti annerite dal fumo, occupate da vecchi arnesi ed utensili, rotti o in disuso.
Non c'era nessuno.
Andrè aprì la porta per uscire si trovò di fronte ad una giovane donna, con una cesta di biancheria sottobraccio.
Rimase senza parole davanti a quegli occhi azzurri che lo fissavano con curiosità, a quei lineamenti delicati, così insoliti in una popolana, alla cascata di capelli biondi e lisci, lunghissimi, raccolti con una semplice coda.

Oh scusate, madame..” esclamò per la sorpresa.
Poi , dopo un attimo di imbarazzo, le prese la cesta e si guardò attorno, non sapendo dove sistemarla.

Potete appoggiarla su quella panca, grazie Andrè” gli indicò, sorridendogli.
Scese tra loro un silenzio pesante, che lei interruppe presentandosi.

Mi chiamo Estelle Avion, sono la figlia di Monsieur Florent” disse semplicemente
E voi siete Monsieur Grandier” continuò, mentre apparecchiava la tavola.
Accomodatevi. Vi preparo subito qualcosa da mangiare.”
Gli servì una tazza di latte bollente ed alcune fette di pane nero.

Posso portarvi qualcos'altro?”
No grazie, siete molto gentile”
Lei si sedette di fronte a lui.
Mentre mangiava, in silenzio, la studiava con occhiate furtive.
Era delicata, con mani molto curate, dita affusolate ed un incarnato pallidissimo, messo in risalto dall'abito scuro ed accollato. Pensò che Sebastiane dovesse essere suo figlio, la somiglianza era innegabile. E che la sua eleganza e la sua bellezza contrastassero fortemente con l'ambiente decadente e trasandato che la circondava.

Vi abbiamo aspettato per tanto tempo, sapete?” esordì lei.
Prego?”
Intendo dire che mio padre aveva richiesto al Generale Jarjayes la possibilità di prendere un aiutante per mandare avanti la tenuta già da molto tempo...dalla morte improvvisa del precedente, circa due anni fa. Qui nel villaggio tutti conoscono il lavoro, ma non sanno leggere né far di conto. Finora mio padre ha potuto contare solo su di me, e purtroppo è poco...”
Un velo di tristezza oscurò quegli occhi chiari e per Andrè fu una specie di conferma: l'abito scuro che indossava, la presenza di un bambino piccolo senza che ci fosse traccia del padre...l'assistente di Florent era stato il marito di Estelle.

Quando avrete finito la colazione, se volete, potete fare un giro a cavallo ed iniziare a conoscere la tenuta”
Andrè annuì, anche se non immaginava minimamente in cosa consistesse il suo lavoro e cosa si aspettassero da lui.
Sapeva curare i cavalli, pulire e riordinare armi di ogni genere, sapeva come muoversi nel mondo dell'aristocrazia, ma non conosceva nulla di come si manda avanti un vigneto e su come produrre vino.
Sentiva tuttavia il bisogno di guardarsi attorno, la dimora era sporca e deprimente. Decise quindi di seguire il consiglio di Estelle.
Portò con se il fioretto con cui era solito allenarsi insieme ad Oscar, sperando di poter trovare un angolo tranquillo in cui esercitarsi. Non riusciva ad abbandonare l'idea che il suo soggiorno a Chablis fosse di breve durata e che presto avrebbe assunto nuovamente le sue mansioni di attendente a palazzo Jarjayes.
Le colline attorno al villaggio erano tutte coltivate a terrazza, sui filari spiccava lo stemma della famiglia De la Borde (1).
La monotonia del paesaggio fu interrotta dalla presenza di un piccolo rilievo ancora selvaggio e incolto, in cui Andrè si diresse. E quando finalmente trovò uno spazio erboso, smontò da cavallo, si sfilò la giacca e cominciò a menare fendenti in aria. Gli bastava socchiudere gli occhi per immaginare Oscar di fronte a lui, per rivivere i momenti dei loro duelli, i suoi movimenti agili e fluidi, così naturali da sembrare innati ed ora, nei suoi ricordi, così sensuali da restarne incantato. 
Una voce profonda, quasi baritonale, lo sorprese alle sue spalle.

In guardia giovanotto!”
Andrè si voltò, sorpreso di incontrare qualcuno in quel luogo disperso, e vide davanti a sé un uomo elegantemente vestito, con indosso una parrucca bianca ed incipriata, leggermente ridicolo nel puntargli contro la propria spada.

Scusate, signore. Non intendevo...mi sto solo esercitando” concluse, abbassando l'arma.
Per l'appunto” replicò lo sconosciuto, senza cambiare posizione.
Per quanto sorpreso, Andrè rialzò la spada ed iniziarono a colpirsi. Fu facile avere la meglio, il suo avversario appariva decisamente fuori allenamento. Ma nonostante la sconfitta,  gli sorrise cordialmente, si asciugò la fronte imperlata di sudore e si avvicinò al giovane.

Piacere di conoscervi, sconosciuto spadaccino di Chablis! Permettete che mi presenti: sono Lord George Edoard Weston”
Andrè avvertì un improvviso imbarazzo, temette che la sua destrezza con la spada avesse indotto il suo avversario a valutarlo diversamente da ciò che era.

Mi chiamo Andrè Grandier, signore”
Ah, il nuovo aiutante di Monsieur Florent! Finalmente siete arrivato! Bene , mi fa piacere che siate così abile con la spada, mi mancava qualcuno con cui esercitarmi, come avrete notato! Queste sono le mie proprietà, sono il vostro vicino” 
Sorrise cordialmente. 
“Dopo questa faticaccia non potete rifiutare di accompagnarmi e di rifocillarvi in mia compagnia”
Il giovane rimase interdetto. Forse il nobile inglese non aveva compreso di  trovarsi di fronte ad un popolano.

Signore, io sono...un servitore della famiglia De Jarjayes...”
Ed io della corona di Inghilterra!”
Andrè non sembrava capire l'ironia della risposta.

Suvvia giovanotto, qui siamo in campagna, lontani da certe formalità! Se dovessi frequentare solo persone del mio rango, dovrei percorre decine di miglia per finire dalla Marchesa De Ruvet” e dopo aver pronunciato quel nome si avvicinò ad Andrè ed abbassò la voce.
Una vecchia sorda e noiosa, che per decenni ha cercato di appiopparmi in moglie la figlia !” e scoppiò a ridere da solo.
Andrè sorrise. Di certo si trovava di fronte ad un tipo eccentrico e fuori dal comune e decise di assecondarlo.
La sua dimora era una villa maestosa, circondata da vigneti ormai abbandonati, che tendevano a confondersi con i boschi circostanti.

Voi non...seguite le vostre vigne, Lord Weston?”
No, mio caro Andrè, non ne sarei capace! Ai nobili come me non viene mai insegnato niente di utile, non lo sapete forse? Ho una discreta rendita da parte della mia famiglia e qui non necessito poi di granchè, è ampiamente sufficiente per le mie esigenze”
Fece accomodare il suo ospite in salotto ed ordinò del vino e della frutta. Andrè avvertiva un leggero imbarazzo, nessuno lo aveva mai servito come a Chablis, nemmeno sua nonna quando era ammalato o era il suo compleanno!

Come vi è sembrata la tenuta De la Borde?” chiese Lord Weston.
Andrè fu sincero e lapidario: “Decadente”
Ma sentì la necessità di spendere due parole positive per Estelle.

Davvero in contrasto con la gentilezza e la grazia della figlia di Monsieur Florent, madame Estelle”
Weston sorrise, fissando il contenuto del proprio calice.

Già, un vero angelo caduto in terra, la giovane Estelle”
Andrè non seppe resistere dal chiedere di lei.

Il piccolo Sebastiane è suo figlio, vero?”
Si, certamente. Estelle era la moglie di Sebastiane Avion, l'attendente di Monsieur Florent. La vita è stata molto crudele con lei” continuò, abbandonando il tono ilare che lo aveva accompagnato fino a quel momento.
Andrè tacque, inducendolo a continuare.

Estelle è sempre stata bella quanto delicata. Quando a otto anni Florent è riuscito a farla visitare, gli hanno detto che era ammalata al petto...”
Tisica?”
Esatto, stavo cercando la parola. Hanno avvisato i genitori che sarebbe sempre stata molto cagionevole, se fosse vissuta...e per questo fu mandata a vivere in città, da una lontana zia di Madame Florent, una signora dalle condizioni agiate e senza figli. Qui Estelle è cresciuta come una vera gentildonna, ha imparato a dipingere, ricamare e suonare il pianoforte. E a diciassette anni era fidanzata col figlio di un noto commerciante, con grande soddisfazione di Monsiuer Florent, quando...”
Alzò gli occhi ed incontrò lo sguardo sempre più curioso di Andrè.

Quando?”
Madame Florent morì ed Estelle tornò a Chablis per i funerali. Conobbe il giovane Sebastiane, che fin da ragazzino aveva seguito suo padre, aveva imparato il mestiere e rappresentava ormai il suo braccio destro in tutto.
Fu amore a prima vista. Un amore intenso e travolgente, a cui neppure Florent seppe opporsi”
Andrè ascoltava in silenzio.

Estelle ruppe il suo fidanzamento e in meno di un mese divenne Madame Avion. Ricordo perfettamente quel giorno. A Chablis non si era mai vista sposa più bella.
Ma a volte il destino sembra accanirsi proprio sulle persone più felici, quasi provasse godimento a strappargli la gioia, petalo dopo petalo...
Nell'inverno del 1772 ci fu una terribile epidemia (2) a Chablis e nei villaggi circostanti. Un morbo che uccise molti e lasciò storpio chi soppravvisse.
Estelle sembrava predestinata, con la sua salute cagionevole, messa a dura prova dalla gravidanza e dalla nascita del suo bambino. E invece la malattia le portò via il giovane marito e segnò suo figlio, lasciandola illesa. 
Ma anche sola a crescere un orfano tra mille difficoltà. 
Suo padre si è ritrovato vecchio e gravato dell'intero peso del lavoro della tenuta. Una terra da sempre trascurata dai legittimi proprietari, senza un futuro dopo di lui.
Si è lasciato andare, la dimora padronale è ormai in rovina, anche la produzione è stata ridimensionata...
Voi Andrè siete la speranza per la domaine, siete il futuro per tutti quelli che vi lavorano. Non dimenticatelo mai!” e alzò il calice di vino in un brindisi che tuttavia suonava amaro.
Andrè fece ritorno a Chablis cavalcando lentamente, perso nei suoi pensieri. Piano piano, dentro di lui, si stava facendo largo un'idea fissa, un progetto che divenne una scelta concreta nel momento in cui pose nuovamente lo sguardo sul portone sbarrato della villa.


(1)Il nome della famiglia della madre di Oscar
(2) si tratta di poliomielite


 


 


 


 


 

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Capitolo 8
*** Cuore ***


 Breve capitolo, che vorrebbe introdurre qualche spiegazione, ma temo getterà scompiglio...

8- Cuore

Palazzo Jarjayes,  aprile 1782

"La carrozza sarà pronta tra pochi minuti, madamigella Oscar, stanno già preparando Caesar..."
Le parole di Nanny si persero nell'ostinato silenzio della giovane.
L'anziana donna era eccitata ed in continuo movimento, Oscar sempre lontana, indifferente a tutto il trambusto che circondava la sua partenza.
"Volete che controlli un'ultima volta la vostra camera per accertarmi che le cameriere non abbiano dimenticato nulla?" chiese Nanny, mentre volgeva lo sguardo da un capo all'altro della stanza.
"Per esempio, quel piccolo cofanetto sul vostro scrittoio?"
Oscar si voltò lentamente verso l'oggetto indicato dalla sua balia, poi lo raggiunse e lo prese tra le mani, titubante.
"Contiene forse qualche documento importante? In questo caso sarebbe opportuno che voi..."
"No, Nanny, nessun documento importante" la interruppe.

Solo il mio cuore, in tanti piccoli frammenti....
"Puoi riporlo tranquillamente in soffitta, non appena sarò partita..." e sempre stringendolo tra le mani, si lasciò cadere sul letto.
La governante rimase un attimo interdetta, poi si riebbe ed uscì dalla camera con un inchino appena accennato. Solo allora Oscar permise ad una lacrima di sfuggire ai suoi occhi e sparire tra le coltri.
Conosceva a memoria ogni singola parola scritta su pergamena e custodita in quella cassetta.
Le lettere di Hans.
Le tante che le aveva inviato quando, a soli diciannove anni, aveva lasciato la Francia, al fine di non accrescere il suo già evidente trasporto per la delfina. E, aveva sperato, quello che lei stessa nutriva  per lui.
Lettere che invece avevano sortito l'effetto opposto, le avevano permesso di conoscere il suo animo riflessivo e sensibile, la sua intelligenza, la sua cultura e la ricchezza delle sue esperienze.
Con lui aveva viaggiato in tanti paesi e luoghi diversi, lei che non aveva mai lasciato la regione di Parigi, vincolata da obblighi militari fin dall'infanzia.
Quando infine era tornato e, per un caso fortuito, le aveva salvato la vita, si era sentita rinascere.  Aveva avvertito un dolce languore per tutto il corpo, qualcosa che la portava a sorridere al solo immaginare il suo volto. Aveva capito di amarlo e aveva deciso che il suo cuore sarebbe sempre e comunque appartenuto a lui.
Ma, sopra a tutte le missive legate con un nastro blu, provenienti dalla Svezia e dai suoi soggiorni nei diversi paesi europei, c'era l'ultimo messaggio che le aveva lasciato.
Quello che aveva posto sul comodino accanto al suo letto, mentre dormiva, sotto lo stelo di una rosa bianca.
Quello con cui la lasciava, fuggendo da lei e dai suoi tormenti, dai suoi amori colpevoli, per gettarsi in un conflitto dall'esito incerto, in un altro continente.
Implorando perdono per la sua codardia, per non aver avuto il coraggio di affrontarla a viso aperto, dopo averla illusa di essere il suo uomo e di ricambiare il suo amore.
No, non voleva portarsi dietro tutto quel dolore. Aveva già pianto tanto, in segreto, sulle ultime, vigliacche parole di Fersen.
Da allora aveva deciso di tornare a comportarsi come un uomo.
Come prima. Forse persino più di prima.
Si alzò di scatto dal letto, abbandonandovi sopra il cofanetto di legno.
Si avvicinò allo specchio e si infilò la giacca.
Poi, come d'abitudine, sistemò il braccio destro dentro la fasciatura appesa al collo.
Marron  irruppe nuovamente nella sua camera.
"Oh, per fortuna siete pronta, madamigella! La carrozza vi attende..."
Oscar lasciò la stanza, senza voltarsi.
Nanny la seguì, ricoprendola di raccomandazioni per le quali non riusciva a prestare la minima attenzione. Poi furono le sue ultime parole a ricondurla alla realtà.
"E vi prego di portare i miei saluti al mio adorato nipote!"
Stringeva un fazzoletto tra le mani, ormai travolta dalla commozione.
Sentì quasi la necessità di dire il suo nome, davanti allo sguardo attonito di Oscar.
"Salutate  il mio Andrè"





 
 

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Capitolo 9
*** Bersagli ***


 Altro breve capitolo di transizione, dove tutto è prevedibile...o quasi  

9- Bersagli

Chablis, maggio  1782

Socchiuse le palpebre per prendere la mira.
Avvertì una goccia di sudore scendere dalla fronte e lambirgli la tempia.
Si sentiva più teso dell'arco che imbracciava.
Infine, quando aprì le dita per scoccare la freccia, chiuse istintivamente gli occhi. Li riaprì solo dopo aver udito il rumore secco della punta  di ferro che colpiva il bersaglio,  ma incurante alzò lo sguardo verso il cielo, distratto dal volo di un falco.
"Non siete concentrato, mio caro amico!"
Lord Weston lo redarguì bonariamente, avvicinandosi all'albero e constatando  quanto l'asta si fosse conficcata lontana dal centro.
"Si, lo ammetto" replicò Andrè 
"Dovete scusarmi, in questi giorni sembra non riesca davvero a concentrami su nessuna cosa..."
"O forse vi concentrate troppo su di una sola..." buttò lì il nobile inglese, sbirciando la sua reazione. Andrè chinò il capo, senza rispondere.
"Quindi  a giorni  dovrebbe arrivare il conte de Jarjayes, dico bene?"
"Esattamente..."
"Non mi avete ancora descritto che genere d'uomo sia..." continuò Lord Weston, mentre si allontanava dall'albero, stringendo il suo arco per eseguire il suo prossimo tiro.
Andrè cercava nel suo cuore le parole per descrivere Oscar.
Per definire quell'incredibile creatura, la donna più bella che avesse mai incontrato, trasformata per volere del padre in un soldato abile e coraggioso.
Per spiegare un sentimento che non sembrava scemare, ma che rappresentava per lui dolore  e amarezza. Un laccio stretto attorno al cuore che ogni tanto si allentava, dandogli respiro, illudendolo di essersi dissolto per sempre, per poi tornare a stringere, rammentandogli la sua incompletezza, il suo vivere così simile ad una condanna da espiare, nell'attesa di ricongiungersi con la sua naturale metà mancante.
Sebbene fossero passati otto anni, ricordava nitidamente il loro ultimo  incontro: lei ancora convalescente, seduta sotto il gazebo  del giardino, coinvolta in una partita a scacchi col giovane Fersen, divenuto ormai una presenza quotidiana a palazzo Jarjayes.
Davanti a quella scena  aveva avvertito una fitta di gelosia mescolarsi al dolore di quella separazione e alla consapevolezza che era destino ciò che si palesava sotto i suoi occhi. Oscar era nobile, attraente, non avrebbe potuto certo passare la sua intera esistenza legata unicamente alla sua amicizia.
Eppure, quando si era accorta della sua presenza ed aveva alzato lo sguardo su di lui, aveva sentito che li univa qualcosa di forte ed unico, qualcosa che gli occhi non vedevano e la ragione non avrebbe mai accettato, ma che tuttavia era lì, presente e reale, come il sole nel cielo.
Negli occhi limpidi della giovane aveva letto il coraggio e la sicurezza di chi non si arrende alle pieghe del destino imposto da altri, la certezza che quella era solo una separazione momentanea, qualcosa a cui avrebbe posto rimedio. Gli sorrideva, per dargli forza, mentre lui lasciva scorrere lacrime silenziose, senza vergogna.
Tante volte lo aveva deriso per la sua dirompente emotività, paragonandolo ad una donnicciola, ma quella volta gli aveva chiesto di avvicinarsi e senza staccare gli occhi dai suoi, gli aveva preso la mano.
"Non ti preoccupare, Andrè. Appena sarà possibile, quando questo incidente sarà dimenticato, chiederò alla delfina di intercedere presso il Re perchè ritorni sulle sue decisioni.
Fino ad allora porta pazienza e aspettami. Alla prima occasione di godere di un permesso, verrò a trovarti, magari con tua nonna..."
Andrè era partito pochi minuti dopo, con il cuore gonfio di quelle promesse, aggrappandosi alla speranza che fosse solo un allontanamento di breve durata. E anche se così non era stato, la speranza che un giorno le loro strade si sarebbero incrociate nuovamente non lo aveva mai abbandonato.
Estelle era stata l'unica alla quale aveva confidato questi sentimenti, ma non le aveva mai rivelato che Oscar fosse una donna. E lei,
certa che in fondo il destino di ciascuno fosse già scritto e predeterminato, lo aveva sempre incoraggiato a non disperare. Anche dopo essere diventata sua moglie. 
"Mio caro Andrè, questa volta vi ho battuto! "
Le parole di evidente soddisfazione dell'amico, che aveva perso le ultime sfide di tiro con l'arco, riportarono Andrè alla realtà di quel pomeriggio.
Si avvicinò al bersaglio per riporre le frecce, mentre in lontananza si sentiva il rintocco delle campane di Chablis battere le quattro del pomeriggio.
"Siamo anche in perfetto orario per il the" proseguì soddisfatto, mentre un sorriso ironico affiorò sulle labbra di Andrè.
Nonostante Lord Weston vivesse in Francia da quasi vent'anni e mostrasse il più totale disinteresse per tutto ciò che riguardava il suo paese natio, aveva mantenuto un attaccamento quasi ridicolo per il rito del the alle cinque del pomeriggio.
Stavano raggiungendo i loro cavalli quando un nitrito richiamò la loro attenzione verso una macchia di alberi  sul pendio della collina.
Appena lo vide, il cuore di Andrè sembrò fermarsi.
Avrebbe riconosciuto quello stallone bianco anche tra cento.
"Caesar..."
Il suo nome gli sfuggì dalle labbra. E come se l'animale lo avesse sentito, si gettò al galoppo verso di lui.

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Capitolo 10
*** Cambiamenti ***


 10- Cambiamenti

Chablis, aprile 1774

"Ma cosa diavolo?"urlò Florent, svegliandosi di soprassalto.
Sembrava fossero arrivati gli invasori. Sentiva un incessante martellare attorno a lui, alternato al rumore di passi pesanti e a grida di richiamo.
Balzò giù dal letto e senza togliersi la cuffia da notte aprì la porta della sua camera e sbirciò fuori.
La casa era in effetti invasa da una dozzina di uomini, tra i quali riconobbe diversi dei suoi braccianti e il falegname di Chablis, con i suoi apprendisti.
Si sfregò gli occhi, temendo di essere ancora immerso in un sogno.
Qualcuno sollevava a forza le assi di legno del pavimento, altri portavano fuori i mobili; scorse infine sua figlia che scendeva le scale carica dei vecchi lenzuoli con cui avevano protetto i quadri ed il mobilio.
"Psss, Estelle!" la chiamò a bassa voce, coprendosi con la porta.
"Oh, padre, buongiorno! Temevo che gli operai vi avrebbero svegliato!" disse in tono allegro, sfoggiando un tenero sorriso.
"Si può sapere cosa sta succedendo? E cosa fai tu con quella roba in mano?"
"Stiamo liberando i locali da ristrutturare. Prima cominceranno dai pavimenti e dagli infissi, poi continueremo..."
"Chi comincerà? Quali pavimenti? Ma di che diamine stai parlando?" cercava di tenere basso il tono della voce, ma aveva già il volto rubizzo per l'ira che  doveva controllare.
Estelle sospirò e appoggiò il suo carico. Come se stesse spiegando qualcosa di elementare ad un bambino ottuso continuò "Andrè ha deciso  di dare una sistemata alla villa padronale"
"Andrè chi??? Grandier?" Restò un attimo interdetto, poi sentì montare la rabbia.
"Aspetta qui" ordinò alla figlia, sbattendole la porta in faccia.
Quasi si strappò di dosso la camicia da notte e cominciò ad infilarsi i calzoni, imprecando a voce alta.
"Grandier! Andrè Grandier ha deciso di dare una sistemata! Damerino fanfarone dei miei stivali! Ma chi si crede di essere? Il padrone, qui?"
Uscì come una furia dalla stanza.
"Portami dal nostro grand'uomo!" intimò alla figlia.
"Glielo faccio vedere io, chi comanda alla domaine De la Borde!"
Dovette girare mezza casa per trovarlo e infine sentì la sua voce provenire dai piani superiori. Attese che il manovale a cui dava indicazioni lasciasse la stanza e poi vi entrò precipitosamente, seguito dalla figlia che tentava di calmarlo. Si aspettava che fosse lui il primo a scusarsi e dargli qualche spiegazione, invece il giovane lo salutò e gli sorrise amabilmente, mentre si sedeva sul davanzale della finestra, per poi volgere lo sguardo all'esterno della casa, lungo i pendii sui quali si disponevano ordinatamente i filari di viti.
Questa noncuranza lo irritò ulteriormente.
"Monsieur Grandier, io...io... pretendo delle spiegazioni per quello che sta succedendo tra queste mura! Forse non vi è stato chiarito, prima della vostra partenza, quale fosse il vostro compito, qui, e soprattutto quale fosse il MIO!"
Andrè si voltò e lo fissò in silenzio, corrugando le sopracciglia, come se non capisse.
"Sono io che comando, qui, Monsieur Grandier! Non so con quali grilli per la testa abbiate intrapreso questa rivoluzione, ma avete dimenticato che sono io quello che decide, dispone e ordina!" e l'ultima parola  gli uscì come un urlo strozzato.
"Padre" cercò di calmarlo Estelle, tirandolo per un braccio.
Florent si liberò, stizzito.
"Padre un corno! E' solo uno stupido arrogante, che non conosce il significato della buona creanza e del rispetto!"
Seguì un lungo momento di silenzio.
"Le vostre vigne sono così perfette, ordinate, curate..." esordì Andrè, dopo aver lanciato un'ultima occhiata al vigneto.
"Certo-grugnì l'altro- se aveste iniziato ad occuparvi di questo, invece di giocare all'architetto, vi avrei spiegato che per ottenere un ottimo vino le piante devono..."
"Eppure per la vostra persona, per vostra figlia e vostro nipote non prestate la minima cura...
Quand'è stata l'ultima volta che i padroni hanno visitato la tenuta?"
"Ma...e questo cosa c'entra adesso?"
"Rispondete" lo incalzò Andrè.
"Non lo so, non mi ricordo..." ribattè Florent, indispettito.
"Forse durante il fidanzamento tra il conte De Jarjayes e Mademoiselle Marguerite..."
"Più di vent'anni fa, dico bene?"
"Non tentate di cambiare discorso, giovanotto!"
"Lamentate il totale disinteresse della famiglia De Jarjayes, ma mi volete spiegare come potreste accoglierli degnamente se volessero venire a sincerarsi di come conducete la proprietà? Avete la più pallida idea del tipo di sistemazione a cui sono abituati? Neppure mia nonna, che fa la governante, si azzarderebbe a mettere piede in questa che voi chiamate casa ! Questo, Monsieur Florent, lo chiamate rispetto?"
L'uomo rimase a bocca aperta, senza repliche di fronte alle incalzanti argomentazioni del giovane.
Pensò a come gli era parso spaurito e taciturno, solo poche ore prima.
Chi l'avrebbe mai detto che avesse questa parlantina...  pensò tra sè.
Ma non voleva dargliela vinta, anche se dentro di sè sentiva già affievolirsi la rabbia che l'aveva condotto sin lì. Nel frattempo Andrè  era tornato a volgere lo sguardo verso la finestra, come se non si aspettasse una risposta alla sua ultima provocazione.
Florent inspirò profondamente.
"E di grazia, come intendete  affrontare economicamente tutte le spese di questa vostra...impresa?"
Si sentì soddisfatto della propria osservazione, di certo quel presuntuoso sognatore con la testa tra le nuvole non ci aveva pensato, a questo.
"Ho versato gli anticipi sui lavori con i soldi che avevo con me, ma non basteranno...Dovrete scrivere ai padroni, per chiederne altri. E se proprio non vi rallegra l'idea di rendere questa dimora più confortevole per loro, pensate a quanto farà guadagnare i vostri lavoranti, che al momento non sono occupati nelle vigne! " Rispose serio, scendendo dal davanzale e avvicinandosi all'uomo.
"Scrivete a Madame, non al Generale. Non è ancora morta e  tiene a questa antica proprietà della sua famiglia certamente più del marito!"
E senza aggiungere altro lasciò la stanza.
Florent si voltò allibito verso la figlia. Quel moccioso gli aveva dato un ordine. Lui lo aveva affrontato per ricordargli chi comandava e lui gli aveva dato un ordine.
Estelle gli sorrise e alzò le spalle.
"Visto, padre? Anche voi potete rendervi utile..."


I soldi arrivarono.
Nonostante Florent si alzasse tutte le mattine brontolando, lamentandosi per qualsiasi cambiamento si concretizzasse sotto i suoi occhi, con la sola, muta solidarietà di Muet, i lavori proseguirono e la casa cambiò rapidamente aspetto. E non solo la casa.
Benchè Andrè trascurasse il lavoro nei vigneti e lui borbottasse spesso con Estelle che non era un arredatore quello che aveva chiesto al Generale, non potè ignorare la luce nuova che illuminò sua figlia dal momento che iniziò la ristrutturazione.  La prima novità, e la più evidente, fu che smise immediatamente gli abiti a lutto. Poi, su richiesta di Andrè, scelse le tinte per le pareti ed i broccati per i tendaggi.
Una mattina la trovò con la sua tavolozza dei colori in mano intenta a decorare una stanza con tanti piccoli fiori, mentre il piccolo Sebastiane giocava ai suoi piedi. E gli vennero le lacrime agli occhi.
Andrè si dimostrava entusiasta di ogni sua idea, la incoraggiava ad esprimersi, la consultava per qualsiasi decisione e lei ne traeva soddisfazione, era evidente. Spesso Florent era tentato di chiamarla per farsi aiutare: in quel periodo gli mancò l'apporto della figlia e dell'aiutante che aveva richiesto, ma non disse nulla. Andrè si diede molto da fare.
Era il primo a mettersi all'opera e l'ultimo a coricarsi.

Seguì assiduamente il falegname al punto di diventare in breve tempo il migliore ed il più veloce dei suoi apprendisti. E tutte le settimane scriveva entusiasta a sua nonna, descrivendole la bellezza del luogo, la fatica ma anche la soddisfazione che gli procurava occuparsi di quella proprietà ed apportarvi tutte le migliorie per renderla una degna e confortevole residenza, allorquando sarebbe venuta a trovarlo. Con Oscar.
Era questo pensiero che lo sosteneva e gli permetteva di andare avanti.  Certo, ricordava perfettamente gli argomenti con cui aveva affrontato la resistenza di Florent al suo progetto e non li rinnegava. Ma quello che più premeva al suo cuore era rivedere Oscar. Rivederla lì. Amarla attraverso il calore e la bellezza di quella casa. Quando si consumava la pelle delle mani levigando le assi di legno del pavimento, pensava ad Oscar, che ci camminava sopra, col suo passo fiero ed inconfondibile. Quando restava alzato a notte fonda, rifinendo gli intarsi dello scorrimano alla fioca luce di una candela, immaginava le dita di Oscar sfiorare leggere il legno che aveva lavorato, mentre saliva le scale. Quando aveva inciso, una ad una, le miniature sulla testata di legno del suo baldacchino, aveva sognato i suoi biondi capelli sparsi sul cuscino, fondersi con esse, mentre dolcemente scivolava nel sonno. Voleva che tutto fosse pronto perchè la vendemmia d'autunno, le feste di Natale, l'assaggio del vino nuovo, all'inizio della primavera erano tutte occasioni adatte ad una visita da parte dell'erede della famiglia Jarjayes!

I mesi passarono così, veloci.
Per settembre i lavori non erano ancora finiti ed Andrè fu quasi sollevato quando sua nonna gli scrisse rimandando la sua venuta, ma nonostante i ritardi, alla fine l'opera fu terminata.
Erano tutti esausti e al contempo felici della nuova sistemazione, persino Muet, che era riuscita ad ottenere un piccolo spazio per lei vicino alla cucina, mentre le camere di Estelle, suo padre ed Andrè  erano state collocate, come d'uso, nella mansarda.
Nonostante la stanchezza di quell'ultima giornata di lavoro, Estelle non riusciva a prendere sonno. Uscì dalla stanza, lasciando nel letto il piccolo Sebastiane e alla luce di una candela scese lentamente le scale.
Quella casa, che aveva sempre temuto di notte, per il suo aspetto vagamente spettrale, adesso le appariva meravigliosamente familiare. Percorse il corridoio del primo piano, con le porte chiuse delle  stanze padronali, compiacendosi di ogni dettaglio, respirando l'aria ancora intrisa dell'odore del legno fresco e dei tessuti nuovi. Notò una lama di luce sotto la porta del salone e si avvicinò.
Aprì lentamente la porta e fu investita dal calore proveniente dal camino acceso, davanti al quale sedeva Andrè, spalle all'ingresso, intento a lavorare con un piccolo scalpello.
"Santo Cielo, Andrè, è tardissimo, cosa fai ancora alzato?"
Da mesi ormai si davano del tu, quando erano soli. Il giovane si voltò e le sorrise.
"Ho quasi finito" disse mostrandole l'oggetto del suo lavoro.
Estelle si avvicinò e corrugò la fronte. Non aveva idea di cosa fosse quel pezzo di legno e a cosa servisse.
"E' una stampella, per Sebastiane, vedi?" Le mostrò come utilizzarla , mettendola sotto l'ascella e appoggiandovi il peso del corpo. La donna non riusciva a parlare.
"Ne avevo vista una alla corte di Versailles...ricordo un  vecchio barone che la usava, per un problema simile a quello di tuo figlio. Certo, la sua  aveva il manico rivestito in oro e avorio" continuò, quasi a giustificarsi per la pochezza di quella che aveva in mano.
"Però, vedi, in questo modo, Sebastiane può camminare in piedi, invece di gattonare o trascinarsi cercando sempre un appiglio..."
Estelle si avvicinò e gliela prese dalle mani. Forse non era ricoperta d'oro, ma Andrè aveva inciso su tutta l'asta le sagome di tanti animali: la testa di un gufo, il muso di un elefante, copiato da un libro illustrato di animali esotici che Estelle si era portata indietro dal suo soggiorno in città e che suo figlio adorava sfogliare,  una fila di piccoli pesci. La base era leggermente allargata, non esile come quella di un comune bastone.
La donna continuava a girarla e a studiarla, senza dire una parola.
"Che c'è?- le chiese- non ti piace?"
Quando tornò a guardarlo, aveva gli occhi pieni di lacrime. Appoggiò la gruccia e si spinse lentamente  tra le sue braccia.
"E' bellissima, Andrè, grazie! Sono sicura che impazzirà dalla gioia quando la vedrà"
Andrè ricambiò il suo abbraccio e le baciò i capelli, poi si alzò, gettò gli ultimi trucioli di legno nel camino e la aiutò a rialzarsi.
"Adesso andiamo a dormire. Sono certo che da domani tuo padre mi farà scontare tutto il tempo in cui sono stato dietro alla casa anzichè alle vigne"
"Andrè" lo richiamò, prima che lasciasse la stanza.
Gli si avvicinò e passò  le dita sulla ciocche di capelli scuri che gli ricadevano sulla fronte, spruzzate di segatura.
"Sono...felice che tu sia arrivato a Chablis"
 Lui le sorrise e le fece strada con una candela in mano, senza replicare.
Come vorrei che lo fossi anche tu, Andrè...
   

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Capitolo 11
*** Carriera ***


 Scusate il ritardo, una settimana durissima...

11- Carriera

Versailles, inverno 1775

Si sfilò stancamente la giacca della divisa e gli stivali e si lasciò cadere  a peso morto sul letto alle sue spalle. Chiuse gli occhi. Un'altra serata di balli e festeggiamenti  si era conclusa. Si sentiva sfinita.
Il Re era morto.
Fersen era partito.
Oscar Francois de Jarjayes era stato promosso ai gradi di colonnello.
E per lei era cominciata un periodo frenetico, a seguire la nuova regina nella sua spumeggiante vita mondana, tra appuntamenti con la sarta, prove teatrali, balli  e cene, a corte e altrove,  rientrando all'alba.
Ormai sempre più spesso delegava le attività che si svolgevano di giorno in caserma a Girodel. Sempre più spesso  si fermava a riposare negli appartementi riservati a sua madre, alla reggia di Versailles, a volte fino al primo pomeriggio. E sempre più spesso a destarla era sua madre stessa o una delle altre dame di compagnia di Maria Antonietta, che le annunciava, piena di gaiezza, i progetti mondani della sovrana per la serata.
Soffriva questi momenti di divertimento esasperato, di lusso portato agli eccessi, quando poi non si sapeva più quali strade percorrere a Parigi per evitare i quartieri poveri, con l'aria maleodorante per la fatiscenza delle abitazioni, ridotte a baracche, con i senzatetto che dormivano in mezzo alle vie, sporchi e coperti di stracci.
Ma non sembrava esserci nessuno, vicino a lei, che mostrasse il suo stesso sentire sulla realtà delle cose. Tutti i nobili di sua conoscenza, compresi i suoi genitori, si curavano unicamente della propria posizione, di accrescere i propri privilegi, di trovarsi nella cerchia di eletti che ruotava attorno alla vita dei sovrani.
Vi sentite mai sola, Oscar? le aveva scritto Fersen nella sua ultima lettera.
Si, le capitava, sempre più spesso.
Si guardava attorno, a quei balli molto frequentati, e si accorgeva di non riconoscere un solo sguardo amico.
La regina le appariva lontana, irraggiungibile.
E si chiedeva se era davvero questa la carriera per la quale suo padre l'aveva forgiata, con severi addestramenti, per tanti anni. Quella di seguire una giovane donna da una festa ad un'altra, sempre in piedi, appoggiata ad una colonna o vicino ad una finestra, ad osservare chi l'avvicinava, a seguire i suoi spostamenti. Sempre all'erta, sapendo che l'unico pericolo per la regina era se stessa, le sue pulsioni, la sua innocente sconsideratezza.
Conosceva la risposta a questi dubbi.
Proprio per questo, quando certi pensieri la opprimevano più del solito, si concedeva qualche distrazione, si serviva con noncuranza dai calici di vino pregiato che passavano davanti a lei, ordinatamente disposti nei vassoi d'argento e terminava la sua ricerca dell'oblio quando il suo compito era finito, quando rientrava nelle sue stanze, lontano da occhi indiscreti.
Le piaceva quel leggero stordimento che le procurava l'alcool, quella sensazione di leggerezza. Ogni turbamento, ogni retrogusto di infelicità spariva e scivolava in un sonno leggero e prolungato, denso di sogni ad occhi aperti.
Riaffiorava nella sua mente l'infanzia e la prima giovinezza vissute a palazzo Jarjayes, le sue giornate scandite dalle esercitazioni e dallo studio, scaldate dai momenti di vicinanza con Andrè. Sempre con lei, un passo dietro, come si addice ad un servitore, ma al suo fianco, col cuore, che tutto coglieva di lei e tutto sapeva comprendere.
La sua balia le aveva raccontato che sognare la propria infanzia è presagio di morte prematura ed era certa di essere prossima alla sua dipartita tanto frequenti erano i suoi viaggi onirici nei ricordi della sua vita passata.
Quando gli effetti dell'acool svanivano, spazzati via dalla vivida luce del mattino, Oscar rientrava lentamente nel suo ruolo. Era come chiudere un baule colmo di vecchi ricordi e di oggetti dimenticati e riprendere a vivere il presente.
Si ripresentava al cospetto di Maria Antonietta, col viso rinfrescato, le perdonava qualsiasi eccesso e negligenza, leggeva nei suoi occhi la stessa insoddisfazione che albergava nei suoi, certa di essere l'unica a comprenderla davvero, perchè legata alla mancanza della medesima persona.

I mesi passarono così, veloci
.(1)
Il vuoto che circondò Oscar durante il primo periodo del regno di Luigi XVI lasciò il posto all'odio ed al desiderio di vendetta. Troppe frasi senza veli, troppa poca riverenza e sottomissione nei confronti di chi si credeva pari ai sovrani, o come tale pretendeva di essere considerato.
Oscar non dava importanza al risentimento, si credeva più forte di ogni meschinità, ma rapidamente, attorno a lei, si tessevano alleanze e si ordivano complotti per eliminarla.
Una sfida a duello all'ultimo sangue, benchè severamente vietata dalla legge, divenne quasi inevitabile. Il pretesto fu una disputa provocata dal Duca di St.Germain, stretto parente del re.
Maria Antonietta fu informata delle intenzioni dei due sfidanti ed intervenne, obbligando Oscar ad un mese di consegna.
Suo padre sarebbe stato lontano da casa per qualche giorno, sua madre era a Versailles. Le sembrò di essere tornata ragazzina, quando lei ed Andrè vivevano spensierati i momenti di assenza dei suoi genitori, ingegnandosi per imbrogliare la povera Nanny e poter sfuggire ai loro obblighi. Questa impresa riusciva spesso ad Oscar, mentre Andrè finiva col prendere colpi di mestolo in testa anche per lei.
Uscì fischiettando dalla sua camera e raggiunse le cucina per fare colazione, nonostante fosse già quasi mezzogiorno.
"Santo Cielo, madamigella Oscar, vi sembra l'ora di svegliarvi questa? Se lo sapesse vostro padre!"
Ma, se a parole la rimproverava,  di fatto si stava già adoperando per prepararle qualcosa da mangiare. Oscar si sedette ad un capo del tavolo, ridendo e guardò davanti a sè, al lato opposto.
Manca solo Andrè, e poi sarebbe davvero tutto come era prima....
"Quanto mi dispiace lasciarvi sola proprio adesso che siete confinata a palazzo..."
Oscar si voltò a guardarla, sorpresa.
"E perchè mai mi dovresti lasciare, Nanny? Sei stata anche tu promossa a dama di compagnia della regina?" disse ridendo.
"No, no- le rispose seria- è che dopodomani dovevo partire per Chablis...per andare a trovare il povero Andrè!"
"Stai partendo per andare da Andrè?"
"Si, anche se adesso...forse dovrei scrivergli per rimandare...ancora..."
Cercò negli occhi della giovane la risposta al dilemma che la attanagliava.
"E' che ho già rinviato questo viaggio tante volte e temo che se lo farò nuovamente, diventerò troppo vecchia e malata per affrontarlo davvero"
"Non devi preoccuparti per me, Nanny, non sono più una bambina! Anzi, sai che ti dico? Verrò anch'io a Chablis a vedere come se la passa il vecchio Andrè. In fondo, gliel'avevo promesso..."
"Ma, madamigella, voi...voi non potete! Siete in consegna, per ordine della Regina! Quando lo verrà a sapere vostro padre..."
"..saremo già in viaggio! Potremmo scrivergli una lettera nella quale racconti  di come sono impazzita, al punto che hai dovuto portarmi in un ospizio..."
(2)
Marron non riusciva a condividere l'ilarità della giovane, sapeva bene che il Generale non si dimostrava  tenero di fronte alle negligenze di sua figlia, ma decise di assecondarla e diede ordini perchè fossero preparati i suoi bagagli.


Tornò dalla sua missione il giorno prima della partenza e i presentimenti negativi di Nanny si realizzarono. Quando seppe della sua decisione di accompagnarla a Chablis, il Generale divenne una furia e la schiaffeggiò con violenza.
"Sei uno stupido, Oscar! La regina avrebbe potuto allontanarti per sempre dal tuo ruolo e invece ti ha confinato a palazzo: ti sei chiesto perchè?"
Oscar lo fissava impassibile, ancora a terra dopo il violento colpo al viso.
"Per proteggerti! Non può puntare il dito contro i familiari di suo marito, che ti vorrebbero eliminare, ma sta cercando di salvarti, come può!"
"Credete forse che i sicari del duca o di qualcun'altro arriverebbero fino a Chablis per uccidermi ?"
"No- rispose suo padre, sospirando profondamente- ma se sapessero che hai violato un ordine di consegna e hai lasciato il palazzo, pretenderebbero dai sovrani una punizione esemplare. Daresti loro argomenti per infangarti e per screditare la regina! Perchè lei si fida di te, mentre tu ignori un suo comando!
Io non so se ti rendi conto della schiocchezza che stavi per compiere, ma stai pur certo che dovrai passare sul mio cadavere per lasciare questa casa!"
E prima di uscire, sbattendo la porta, le gridò "E se qualche volta non hai proprio niente da fare, pensa ad esercitarti con la spada!"
(2)   


Quella che aveva immaginato come una piacevole vacanza, si trasformò in un periodo tedioso.
Sola, obbligata a non uscire dai confini della sua proprietà, Oscar si annoiava terribilmente.
Leggeva e rileggeva  le lettere di Fersen, invidiava la sua libertà da obblighi e restrizioni, la possibilità di viaggiare, di scegliere per sè.
Lei era stata costretta a non partire insieme a Marron, non sapeva se e quando sarebbe mai stata libera di decidere per se stessa. Anzi, cominciava a temere che non lo sarebbe stata mai.
Eppure non riusciva a credere di non poter rivedere Andrè, per tutta la vita.
In quelle lunghe giornate di inedia, Oscar maturò la convinzione di adoperarsi per il ritorno del suo vecchio attendente.
Certo, non era semplice.
Bisognava intervenire presso il sovrano in persona per convertire una sentenza espressa dal suo predecessore ed era impensabile chiedere un siffatto favore senza il consenso e l'approvazione di suo padre. Non era sicura che il Generale avrebbe voluto spendere un gesto di generosità del Re per riavere a casa un servitore. E poi avrebbe dovuto trovare una sistemazione per Guillame, attualmente al suo servizio; era sposato, in attesa del terzo figlio, non voleva creargli delle difficoltà in questo momento.
Era persa in questi pensieri quando lo stesso Guillame l'avvisò, una sera, dell'improvviso malore di sua madre, a corte.
Oscar la raggiunse immediatamente con la carrozza e l'attese davanti all'ingresso, nascosta dietro le tende dell'abitacolo. Questo non impedì alla regina, che stava lasciando Versailles per l'ennesimo appuntamento mondano a Parigi, di notarla e di ordinarle di ripresentarsi alla reggia il giorno seguente.
Durante il tragitto verso casa, Oscar rimase silenziosa.
Quasi non sapeva se essere felice di riprendere il suo posto alle Guardie Reali, benchè consapevole della grande generosità dimostratale da Maria Antonietta.
Sua madre, seduta di fronte a lei, la fissava teneramente.
"Mi spiace che tu debba rientrare a corte proprio quando mi vengono concessi dei giorni di riposo da trascorrere a casa"
Siamo davvero tutti burattini, madre? pensò lei di rimando.
"So che ti è spiaciuto non poter accompagnare Marron da Andrè" continuò.
"Ma non vedo l'ora che torni a raccontarci tutto quello che ha visto"
La figlia alzò lo sguardo e la scrutò, con aria interrogativa.
"Andrè ha scritto spesso a sua nonna, in tutti questi mesi. Ha preso in mano la conduzione della casa ed è il braccio destro dell'amministratore della tenuta, Monsieur Florent. Non sai com'è orgogliosa, Nanny, del suo piccolo nipote e ti confesso che anch'io sono felice di saperlo là. Ho sempre nutrito un attaccamento particolare per quella proprietà e non ho mai smesso di sperare che potesse tornare splendida come la ricordo io! Ma tuo padre...beh, lo conosci. Tutto per l'esercito ed il Re, per nulla motivato a seguire l'andamento di una tenuta di campagna..."
Oscar sorrise, celando i suoi sentimenti, che le apparivano confusi ogni momento di più. Desiderava riavere Andrè con sè,  ma soprattutto voleva la sua felicità. Ad un tratto le parve meschino ed egoista strapparlo alla sua nuova vita, colma di soddisfazioni e di prospettive, per riportarlo al suo compito di stalliere e tuttofare ai suoi ordini.
Si disse che poteva aspettare, prendere tempo, sentire com'era la situazione direttamente dalla voce di Nanny. Perchè una volta riportato a palazzo Jarjayes, avrebbe dovuto dire addio a quello che aveva costruito  in quel periodo di lontananza.
Scese il silenzio nella carrozza. Madame chiuse lentamente gli occhi e in breve tempo si addormentò.
Oscar guardava fuori dal finestrino: un cielo cupo, senza luna e senza stelle, sembrava rispecchiare quello che sentiva nel suo cuore. Un dolore sordo, come qualcosa che si spezza, per sempre. Una lacrima le sfuggì lungo la guancia e con la mano guantata si affrettò a frenare la sua corsa. Si voltò verso sua madre, confortata dai suoi occhi addormentati, che nulla avevano visto.
E in quel momento sentì, mai come allora, la nostalgia per Fersen!
Se almeno tu tornassi, Hans...
Si ritrovò con questa supplica tra le labbra. E con questa ultima speranza nel cuore. 


(1) volutamente uguale a quanto scritto nel precedente capitolo
(2) Frasi e situazioni che fanno riferimento agli episodi dell'anime n.13-16

  
 

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Capitolo 12
*** Incontro ***


 12- Incontro

Chablis, maggio 1782

Oscar infilò lentamente i guanti e si avvicinò alla carrozza.
Ormai la sosta era durata più di due ore e non vedeva l'ora di lasciare Auxerre per giungere infine a Chablis.
"Mi spiace, conte" l'avvicinò il cocchiere.
"Non sono ancora arrivati i cavalli per il cambio, ormai dobbiamo organizzarci per pernottare qui e ripartire domani"
Maledizione! imprecò a voce bassa.
"Quanto dista Chablis?"
" Si trova subito al di là di questa collina, ma la strada percorribile in carrozza è più lunga..."
Non fece in tempo a terminare la frase.
"Sellate il mio cavallo allora!"
"Ma, conte..." cercò di obbiettare l'uomo, posando gli occhi sul braccio destro inerme della giovane. Oscar lo trapassò con un'occhiata che non ammetteva repliche.
Dopo pochi minuti era già in sella a Caesar, diretta verso la tenuta vinicola dei Jarjayes.

Dovevano essere trascorse un paio d'ore da quando aveva lasciato Auxerre e cominciava ad avvertire la fatica di quella cavalcata.
Si era inoltrata in un bosco di querce ed ippocastani, ma scrutando l'orizzonte non vedeva nemmeno l'ombra di un vigneto. Era ormai convinta di essersi persa, infastidita all'idea del tempo che aveva sprecato, quando udì delle voci in lontananza.
Guidò Caesar in quella direzione, poi si fermò di colpo.
In una radura, ai piedi della collina, un giovane fissava un punto lontano, tendendo un arco con tutte le sue forze.  Notò appena l'altro uomo accanto a lui, un tipo tarchiato, vestito di tutto punto, con un elegante abito dai colori vivaci, sgargianti come le piume di un pavone sotto i raggi del sole.
L'arciere indossava invece una camicia bianca e dei pantaloni neri, i lunghi capelli raccolti in una coda, con riccioli scuri a incorniciargli il viso, mossi dal vento.
Sentì la stessa brezza giocare con i suoi, oscurandole la vista per qualche istante, eppure rimase ferma lì, come rapita. Finchè percepì il rapido  e deciso movimento del suo cavallo, come se lo avesse spronato  a raggiungere il prato dove si trovavano i due uomini.
Senza riuscire a frenare l'animale col solo braccio sinistro, si trovò in pochi attimi davanti ai due sconosciuti.
Il più giovane alzò lo sguardo su di lei; si sentì come trafitta dagli occhi più belli e profondi che avesse mai visto. E nonostante le sue labbra fossero sigillate, sentì una voce calda ed affettuosa chiamare il suo nome.
Una voce remota eppure familiare.
Andrè...
La sua bocca pronunciò quel nome prima che se ne rendesse conto.
I suoi occhi, dapprima sgranati, colmi di sorpresa, si fecero freddi, impenetrabili.
"Conte de Jarjayes" rispose lui, accennando un inchino.
Smontò da cavallo senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo volto.
Sembrava imperturbabile, come se non fossero passati anni dal loro ultimo saluto e i suoi modi non tradivano alcuna emozione, mentre lei sentiva la bocca asciutta e, per la prima volta dopo tanto tempo, il battito accelerato del suo cuore.
Quando sollevò il capo e gli fu più vicina, si stupì di quanto la superasse in altezza, di come fossero più ampie le sue spalle e muscolose le sue braccia, di come fosse diverso dal ragazzo che ricordava tanto simile a lei.
Ed avvertì un forte imbarazzo, una distanza immaginaria che non c'era mai stata tra loro, che sembrava irrigidire il suo comportamento.
Andrè non si scompose, indietreggiò e presentò Lord Weston.
"Onorato di fare la vostra conoscenza, conte"
"Lord Weston" rispose Oscar agli ossequi del nobiluomo.
Inglese pensò, con una punta di astio.
"Vi aspettavamo fra qualche giorno...alla tenuta..."
Le parole di Andrè ruppero il silenzio.
Perchè mi dà del voi?
La risposta era semplice, eppure Oscar sentiva la testa vuota.
La profondità dello sguardo con cui la fissava, senza tradire alcuna soggezione, nonostante l'atteggiamento riverente nei suoi confronti, la teneva lì, incatenata, muta. Abbassò gli occhi sulla sua bocca e si sentì persino peggio. Dovette rivolgersi direttamente allo sconosciuto inglese per riuscire a formulare una risposta decente.
"Sono partita alcune ore fa da Auxerre...la carrozza con i mei bagagli arriverà domani"
"Benissimo, Conte de Jarjayes. Se non siete troppo affaticato, sarebbe per me un onore accogliervi per una sosta nella mia dimora. Io e Monsieur Grandier ci stavamo appunto ritirando per il the"
"Perdonate, Lord Weston- intervenne Andrè- posso affidarvi il nostro ospite mentre io raggiungo la residenza e predispongo un'adeguata accoglienza per il conte?"
Oscar si voltò verso di lui, ma il giovane  sfuggì al suo sguardo.
"Ma certo, Andrè, andate pure. E state tranquillo che il conte de Jarjayes è in buone mani"
Con un gesto istintivo dettato dall'abitudine, benchè
fossero passati  tanti anni, Andrè tenne le redini di Caesar, mentre Oscar montava in sella.
Gli rivolse un sorriso di gratitudine, che lui non parve notare, e seguì il nobile inglese verso la sua tenuta, poco distante da lì.
Entrando nella villa padronale di Lord Weston notò immediatamente tutti i difetti delle tipiche case dei nobili di campagna e rammentò quanto le detestasse suo padre: verde e rampicanti ovunque, animali domestici in libertà, scale strette, stanze anguste e male illuminate.
Una cameriera la condusse in una camera per potersi rinfrescare e infine
l'accompagnò in una piccola veranda arredata con  poltroncine rivestite di velluto ed un piccolo tavolo in ferro battuto, dove era già apparecchiato il servizio da the.
Lord Weston si unì a lei rientrando dal giardino e le sorrise in modo cordiale. Eppure, nonostante i suoi modi affabili, Oscar non riusciva a rimuovere il pensiero che fosse un inglese, che i soldati del suo paese stessero affrontando ed uccidendo i tanti francesi partiti per la guerra oltreoceano.

E gli uomini come Hans...
Come se le avesse letto nel pensiero, non appena fu servito il the ed il domestico si allontanò, l'uomo cominciò a raccontarle la sua storia.
"Vi starete chiedendo come mai un nobile inglese viva nella sperduta campagna di Francia?"
"Quanto voi vi starete domandando cosa abbia portato un colonnello delle Guardie Reali a rifugiarsi  nella  medesima, sperduta campagna..."
Weston rise sonoramente.
"Siete un uomo di spirito, de Jarjayes. Ma siccome è evidente che non volete dirmelo, dovrò scoprirlo da solo...mentre io vi eviterò la seccatura di formulare inutili congetture."
Oscar accusò il colpo e si concentrò sulla piccola spirale di vapore che si levava dalla sua tazza.
"Vedete, conte, la cosa vi stupirà, ma io sono per metà francese"
"Questo spiega perchè siate quasi privo di accento straniero" aggiunse Oscar, sperando potesse suonare come un complimento.
"Mio padre era un ricco commerciante inglese, con un titolo nobiliare per... meriti, non per nascita. La sua famiglia combinò il matrimonio con mia madre, figlia di un nobile e antico casato francese, ahimè senza lustro nè sostanze. Ho trascorso la mia infanzia qui e ho raggiunto Londra quando mio padre ed  mio fratello maggiore hanno deciso che cominciassi a fare la mia parte per il prestigio della famiglia. Che so, seguire le loro orme, sempre un passo indietro, ovviamente;  combinare un matrimonio economicamente vantaggioso. Insomma, nulla che mi allettasse.
Ho scelto di tornare qui, dove non dò fastidio a nessuno, non avanzo pretese, non minaccio il potere di mio fratello. Non ho nemmeno avuto figli con cui dovrà dividere l'eredità"
"E non trovate noioso tutto questo...disimpegno?" chiese la sua ospite con tono pungente.
Weston sembrava insensibile al suo sarcasmo.
"In effetti, caro conte, la vita di campagna può essere estremamente tediosa! Ma devo riconoscere che l'amicizia con  Monsieur Grandier ha sinceramente ridimensionato questo difetto"
Oscar lo fissò con attenzione per la prima volta dal momento della loro presentazione.
Aveva avvertito una voragine tra lei e Andrè nell'istante in cui lo  aveva riconosciuto.  Non era più il ragazzo sempre in ombra che aveva diviso con lei la sua giovinezza.
Sembrava che la vita avesse infine regalato più soddisfazioni a  lui e ne avesse privato lei, come in un gioco beffardo dove i ruoli si invertono.
"Potete spiegarvi meglio?"
"Vedrete con i vostri occhi! Tra pochi giorni ci sarà la Festa di Primavera, qui a Chablis. E' un evento che richiama gente anche dai villaggi vicini, fino ad Auxerre! Una festa che ha radici antichissime, ma che grazie al vostro Andrè  è ritornata agli antichi fasti".
Oscar sorrise per gentilezza.
Quell'uomo aveva forse dimenticato a che genere di feste e mondanità fosse abituata lei? Voleva paragonare un ballo di paese alle sfarzose serate alla reggia di Versailles e nella città di Parigi?
E poi l'idea di un ballo, di qualsiasi ballo, le era insopportabile per i ricordi che riportava alla sua mente.
Dopo pochi minuti si congedò dal suo ospite, che l'affidò ad un proprio servitore per indicarle la strada.
Rimasto solo sulla soglia di casa, Lord Weston la guardò allontanarsi  sul vialetto di ghiaia in sella al suo destriero bianco, ridendo tra sè.
"Che donna originale...questo Grandier non me lo aveva detto. Sarà un soggiorno interessante, il suo. Per tutti!"
E dopo aver lanciato una rapida occhiata al cielo prossimo al crepuscolo
si ritirò  scuotendo la testa.
 




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Capitolo 13
*** 13- Felicità ***


 Non ridete...il titolo fa molto Albano e Romina :DD

13- Felicità

Chablis, maggio 1782

Andrè fece ritorno alla tenuta in pochi minuti, senza neppure la consapevolezza di respirare. Ma non si fermò alla villa. Tutto era già predisposto, bastava scaldare l'acqua per consentire al conte di riprendersi con un bel bagno.
Lentamente, senza forzare l'andatura del cavallo, girò dietro alla casa e raggiunse la collina. Salì fino alla sommità, lasciandosi alle spalle i vigneti e i frutteti. Qui rimaneva un ampio spazio erboso non coltivato, perennemente spazzato dal vento, con pochi alberi, da cui si poteva ammirare la pianura che si stendeva fino ad Auxerre. Si mise all'ombra di una grande quercia e appoggiò entrambe le mani sulla ruvida corteccia. Chiuse gli occhi.
Nella sua mente le ultime immagini di Oscar, appena incontrata nelle terre di Lord Weston, si sovrapponevano ai suoi ricordi, ormai lontani.
Era ancora più bella di come ricordasse, decisamente più femminile.
Chi avrebbe mai potuto credere che fosse un uomo? Con quei capelli lunghi e dorati, la vita stretta e le mani delicate e quel sorriso...quello che gli aveva rivolto mentre l'aiutava a montare in sella...chi poteva pensare che quella bocca, così dolce e sensuale, non appartenesse ad una giovane, meravigliosa creatura di sesso femminile?
Però aveva colto anche del dolore, su quel viso.
Gli occhi, che ricordava fieri ed impenetrabili, il simbolo stesso della sua forza, sembravano velati da un'ombra  di dolore misto a rabbia. Qualcosa che la stava divorando, dentro.
E poi, pur fingendo di non averlo notato, aveva osservato il suo braccio destro, immobile, come privo di vita. Chi le aveva voluto talmente  male da ridurla così? Possibile che sua nonna lo avesse tenuto all'oscuro di un evento simile?
Cos'era diventata la sua vita dopo quella menomazione, che le precludeva la possibilità di ricoprire il suo ruolo, accanto alla famiglia reale?
Come aveva affrontato tutto questo, da sola, ricordando bene quanto il Generale avesse a cuore la carriera militare della figlia, ripercorrendo nella mente tutti gli anni di duro lavoro per fare di lei l'erede maschio che la natura gli aveva negato?
Quando si allontanò dall'albero e riprese le redini del suo cavallo, la vide mentre si avvicinava alla villa, dietro ad uno dei domestici di Lord Weston.
Il vento si trasformò in una leggera brezza. Il suo cuore si aprì ad un sentimento di pace. Era felice.
Non aveva più sperato di rivederla.
Anche successivamente alla missiva del Generale Jarjayes, aveva atteso da un momento all'altro una lettera di smentita.
E invece era arrivata, era a Chablis. Ferita, nell'anima e nel corpo, ma lì con lui.
Sapeva di dover custodire i suoi sentimenti, lui non era più il ragazzo che otto anni prima aveva lasciato Versailles e nemmeno lei era più il giovane capitano delle Guardie Reali.
Quando raggiunse la villa, Oscar era già scesa da cavallo e stava entrando nelle scuderie.
"Scusate, conte. Mi occupo immediatamente di Caesar"
L'animale emise un nitrito e voltò il capo verso Andrè, quasi avesse capito le sue parole.
"Grazie" rispose, sorpresa di vederlo arrivare a cavallo in quel momento nonostante si fossero salutati più di un'ora prima.
"Andrè, ecco...io..." iniziò esitante, poi assunse un tono deciso, come se impartisse un ordine.
"Un tempo ci davamo del tu, non c'era tutta questa formalità tra noi"
Andrè appoggiò la sella che aveva appena sfilato  e si voltò a fissarla.
"Come vuoi, Oscar. Adesso usciamo, ti mostro la casa"
La precedette, sentendo il suo sguardo puntato sulla sua schiena.
All'ingresso Florent era già pronto a presentarsi. Lo seguì nel suo studio.
"Tra poco il vostro bagno sarà pronto, così potrete rinfrescarvi prima di cena. Immagino che domani, o nei prossimi giorni, sarete interessato a conoscere la vostra tenuta "
Esordì Florent, poi la fece accomdare e le offrì del vino, che rifiutò.
Non era mai stato abile ad intavolare lunghe conversazioni e trovarsi di fronte a quel giovane nobile, nonchè figlio del padrone, dall'aspetto così effeminato, non lo aiutava di certo. Notò il suo sguardo soffermarsi su un ritratto vicino alla finestra. "E' mia figlia, Estelle. L'ha dipinto lei stessa"
"Davvero graziosa e molto dotata" commentò Oscar, poi calò il silenzio. Fortunatamente Andrè li interruppe per accompagnarla alla sua sistemazione. Suo padre le aveva parlato di un luogo molto al di sotto della loro residenza a Versailles, ma  notò con piacere che, seppur arredata con materiali semplici e priva delle raffinatezze di palazzo Jarjayes, era tuttavia molto curata ed accogliente.
Quando raggiunsero il primo piano, il giovane le mostrò la sua stanza.
"Io dormo nella camera accanto, per qualsiasi problema non hai che da bussare"
Voleva chiedergli come mai in quella casa non fosse prevista un'ala per la servitù, ma preferì soprassedere.
Andrè la salutò rapidamente e raggiunse le scuderie. Si avvicinò a Caesar e gli allungò una mela. L'animale l'afferò avidamente.
"Vedo che almeno tu non sei cambiato, vecchio volpone..." disse ridendo.
Lo condusse fuori, vicino ad una grossa vasca nel cortile e cominciò a strigliarlo.
Sebastiane lo raggiunse poco dopo. Lasciò la stampella e appoggiandosi al cavallo  imitò il padre, passando la spazzola sul fianco opposto. Per qualche minuto l'aria fu piena solo del rumore ritmico delle setole che sfregavano il pelo dell'animale.
"E' arrivato, padre?" disse infine il ragazzo, come se si fosse trattenuto fino a quel momento dal porre la domanda.
Andrè sorrise. Sapeva che Sebastiane era consumato dalla curiosità di conoscere un vero soldato, che avesse frequentato la reggia, che avesse mille avventure da raccontare.
"Si, questo è il suo cavallo"
Caesar nitrì e scosse la testa.
"Bello.... Sentite, padre, potrò farmi raccontare qualcosa dal colonnello, stasera, a cena, o pensate che sia troppo stanco?"
"Non cenerà con noi, Sebastiane" rispose secco.
"E' un nobile, il padrone della tenuta. Cenerà nella sala da pranzo"
Seguì un momento di silenzio.
"Da solo?" chiese piano il bambino.
Andrè esitò un attimo, poi concluse "Certamente"
Il figlio sembrò deluso e lui avvertì tutta l'amarezza di quella situazione.
Avevano sempre cenato insieme, lui ed Oscar, ma non voleva stare con lei e lasciare nelle cucine Florent e gli altri. 
Quando si avviarono verso casa, alzò istintivamente lo sguardo verso la finestra di Oscar e la vide in piedi, dietro al vetro.
Si fissarono, senza abbassare lo sguardo.
Lei notò il ragazzino al suo fianco, l'andatura claudicante ma svelta, e si chiese chi potesse essere. Prima di varcare la soglia, il piccolo si soffermò a giocare con un cane e lei vide chiaramente il suo volto, una copia perfetta del ritratto che Florent custodiva nello studio.
Poi lo sentì gridare rivolto al portone ancora spalancato.
"Padre, aspettatemi"
Ed improvvisamente, senza capire perchè,  quel posto le parve il più brutto della terra. 

 

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Capitolo 14
*** Realtà ***


 14- Realtà

Chablis, marzo 1775

L'abbracciò teneramente prima di darle il braccio ed aiutarla a salire in carrozza. Marron piangeva in silenzio, alternando lacrime e sorrisi, singhiozzi e carezze.
"Sono davvero orgogliosa di te, Andrè. Ti auguro una vita piena e felice, come meriti!"
Così lo aveva infine salutato.
Lui era rimasto a fissare la carrozza che si allontanava, fino a sparire dalla sua vista, dietro ad una curva.
Tutto il rammarico, il dolore e la frustrazione, che aveva represso nelle tre settimane di permanenza di sua nonna, emersero con prepotenza.
Si guardò attorno. L'aveva accompagnata fino ad Auxerre, per trascorrere ancora qualche ora insieme e non desiderava fare ritorno alla tenuta.
Aveva bisogno di dare sfogo al suo dolore, di provare a lenirlo, se possibile e non voleva farlo  a Chablis, sotto gli occhi di chi lo conosceva, sotto lo sguardo indagatore di Estelle.
Si diresse alla locanda della posta, legò il cavallo ed entrò sicuro.  
Cercò un tavolo appartato, chiese un letto per la notte ed ordinò da bere.
Una volta, due volte, tre volte, mentre gli avventori si alternavano, mentre scendeva la sera, mentre il locale si svuotava e rimanevano solo l'oste ed altri come lui, ormai storditi dall'alcool.
Sentì due braccia robuste scuoterlo e sollevarlo, accompagnandolo malamente al suo giaciglio. Vi cadde pesantemente e rimase con gli occhi aperti, persi nel vuoto. L'ebbrezza che aveva cercato per tutta la sera riusciva solo a rendere più confusi le parole, le immagini e i sentimenti che vagavano nella sua testa, ma non a cancellarli.
Fissava il soffito a cassettoni e rivedeva l'arrivo di sua nonna, sola, come gli aveva preannunciato con una lettera già a Natale, il suo entusiasmo per la casa e tutti i lavori che vi aveva fatto. I suoi sorrisi complici verso Estelle, che "sarebbe una moglie perfetta", come gli aveva ripetuto fino allo sfinimento durante il suo soggiorno e infine le poche, misurate parole su Oscar, quasi timorosa di alimentare un affetto antico e pericoloso. La sua carriera sfolgorante ma fonte di invidie e gelosie; la sua solitudine, dopo la partenza del conte di Fersen; il suo vivere così lontano dalla sua vera natura, a cui Nanny attribuiva i suoi momenti di malinconia e la debolezza di affrontarli con l'aiuto di un bicchiere di vino. Ma sua nonna era stata ben attenta a non entrare nei dettagli, a cambiare immediatamente argomento non appena notava il suo interesse, a concludere che comunque, nonostante tutto, Oscar stava centrando tutti gli obiettivi che la sua famiglia si attendeva da lei.
Andrè, però, aveva compreso una sola, devastante verità: il suo legame con Oscar era come una corda tagliata. Il corso degli eventi lo aveva spezzato definitivamente. Il suo amore per lei avrebbe potuto trovare spazio per esprimersi solo se lui fosse rimasto al suo fianco, col ruolo di attendente.
Non era possibile, lui popolano, lei nobile, in una situazione come quella attuale. Si era illuso quando aveva pensato di poterle trasmettere il suo amore creando per lei una dimora accogliente. Probabilmente non l'avrebbe mai vista.
E questa consapevolezza era un dolore intenso, che lo torturava senza sosta, di cui non vedeva la fine. Lo aveva nascosto, aveva dissimulato gaiezza e serenità fintanto che Nanny era rimasta con lui. Ma dopo la sua partenza, non riusciva più a dominarsi.
Non ricordava ormai da quanto tempo si trovasse in quel limbo di ubriachezza e disperazione, forse tre giorni, forse una settimana. Ma quando i soldi finirono l'oste gli diede ancora una giornata per riprendersi senza toccare vino e gli consigliò di fare ritorno a casa.
"A casa". Non aveva mai considerato Chablis come casa sua. Era il suo esilio, la sua prigione. Solo una tappa, non la meta. Ma riconsiderava queste cose, mentre cavalcava al passo, curvo sul suo cavallo, diretto alla domaine.
Arrivò a Chablis verso le cinque del pomeriggio. Si era levato un vento gelido, che spazzava le piccole strade, deserte.
Quando giunse di fronte alla villa avvertì una strana sensazione.
Non c'era nessuno nel cortile, nemmeno un cane. Le finestre erano tutte buie, come se la casa fosse disabitata. Per un attimo gli sembrò di aver viaggiato nel tempo e di essere ritornato al momento del suo arrivo lì, quasi un anno prima. Poi notò un'unica, flebile luce, dalla finestra della camera di Estelle. E lo colse un'improvvisa paura.
Smontò da cavallo, spinse l'animale nelle scuderie, senza liberarlo dalla sella. Si precipitò all'ingresso e lo spalancò.
"Monsieur Florent? Sono Andrè!"
Nessuno rispose.
"Monsieur Florent? Madame...Estelle?" chiamò più forte, con angoscia crescente.
Richiuse la porta alle sue spalle e si precipitò per le scale.
La camera di Estelle era socchiusa. Si avvicinò per guardare ed i suoi peggiori presentimenti si realizzarono.
Bussò leggermente ed entrò.
"Oh, siete voi, Andrè" disse Florent, quasi come un lamento. Aveva gli occhi rossi, i capelli più disordinati del solito, la barba incolta. Sembrava non essersi nemmeno accorto della prolungata assenza del suo assistente.
Estelle giaceva nel letto, immobile. La pelle bianca, diafana, le labbra schiuse, pallide, che tremavano in cerca di aria, la fronte imperlata di sudore.
Seduto al suo fianco, Sebastiane le teneva la mano e le sorrideva. Si voltò verso Andrè e fu l'unico a parlargli.
"La mamma sta male, da qualche giorno, ma poi si alzerà dal letto e tornerà a giocare con me, vero mamma?" concluse rivolgendosi alla donna. Ma nel silenzio che seguì si udiva solamente il flebile soffio del suo respiro.
In quel momento Andrè si sentì un vigliacco. Si era rintanato per giorni come  un animale ferito, a tentare di soffocare il suo dolore, in modo riprovevole e aveva lasciato Estelle sola a combattere contro la sua malattia e Sebastiane ad assistere senza nessun conforto.
Si chinò su Florent. "Andate a letto, Antoine. Penserò io a vegliare vostra figlia"
L'uomo sembrava inebetito, si alzò farfugliando una risposta e lasciò la stanza rivolgendo un ultimo sguardo sofferente alla giovane.
"Anche tu devi andare a letto, giovanotto!" disse in direzione del bambino.
Siccome era abituato a stare con la madre, lo portò in camera sua, lo aiutò a svestirsi e gli rimboccò le coperte.
"Stai tranquillo, Sebastiane. Vedrai che domani andrà meglio"
Il piccolo lo guardava con aria fiduciosa. Aveva bisogno di credere alle sue parole. Andrè avvertì una stretta al cuore mentre i due grandi occhi celesti lo seguivano fino all'uscio.
Tornò nella stanza di Estelle. Era gelida. Scese allora nella camera padronale sotto la sua, accese il camino, ancora immacolato, in modo che il calore si diffondesse nella canna fumaria fino alla mansarda e depose alcuni tizzoni incandescenti nel braciere che portò da Estelle. Le rinfrescò il viso con una pezzuola e si sistemò su una piccola poltrona, poco distante dal letto.
Gli sembrò stesse meglio, il suo respiro divenne meno sofferto.
E lui si addormentò con una pace nel cuore che non avvertiva più dal momento della sua partenza da Versailles. Quella che deriva dall'aver agito per il bene di qualcuno  e dall'aver preso una decisione importante e definitiva per sè.


Benchè fosse scomodo, dormì finchè non sentì qualcuno bussare alla porta e la voce di Estelle che lo invitava ad entrare.
"Estelle! Come stai?" le disse piano avvicinandosi al letto, mentre Muet si avvicinava silenziosa.
Il suo voltò si illuminò.
"Sei tornato...da quanto tempo?"
"Solo ieri sera. Tu non stavi affatto bene, respiravi a fatica..."
Estelle si sollevò seduta, allontanò le coperte e poggiò i piedi a terra, rivolta verso la domestica.
"Oh, ma ora sto bene! Non devi preoccuparti, Andrè, mi capita diverse volte l'anno, soprattutto d'inverno. Ma se Dio vuole, riesco a riprendermi."
Sorrise a Muet prima di congedare il giovane.
"Adesso dovrei darmi una sistemata, mi aiuterà lei..."
"Oh, si, certo scusa" balbettò, notando solo in quel momento che era davanti a lui vestita della sola camicia da notte.
Balzò dalla sedia che fece quasi cadere indietro e a grandi passi lasciò la stanza.
Raggiunse la sua, dove Sebastiane, ormai sveglio, si stava vestendo.
"La mamma sta meglio, sai? Adesso scendi a mangiare qualcosa, mentre si prepara, così potrai andare a salutarla dopo"
Il bambino sorrise felice. Andrè non attese che lasciasse la stanza, spalancò il piccolo armadio addossato alla parete e cominciò ad ammucchiare il contenuto sul proprio letto, come preso da una sorta di frenesia.
Quando rialzò lo sguardo, Estelle e suo figlio lo stavano osservando dal vano della porta.
"Pensi di...andartene, Andrè?" chiese la donna, con un sussurro.
"Decisamente si, Estelle"
Vide i suoi occhi spalancarsi, smarriti.
"Quale camera preferisci?" continuò, afferrando i lembi della coperta e sollevandone il contenuto.
"Camera?" ripetè, senza capire.
"Si, camera" le fece eco, passandole davanti con quel bagaglio improvvisato.
"A me piace molto quella con le pareti verdi, se per te va bene"
E lasciandola esterrefatta, scese al primo piano e spalancò una delle stanze padronali. Con calma, iniziò a sistemare le sue cose.
"Andrè, ma cosa state facendo?"
Questa volta fu la voce di Florent ad intervenire.
Il giovane si voltò.
"Ditemi voi perchè dovrei vivere in una stanza della servitù? Un luogo umido e gelido di inverno, senza un camino, caldo ed afoso d'estate, con solo un piccolo abbaino come finestra, quando non c'è nessun padrone da servire, qui? Perchè vostra figlia, con la sua salute delicata e vostro nipote, ancora piccolo, devono sottostare a queste condizioni di vita? Per lasciare queste camere, i loro preziosi mobili, i loro arredi costosi in pasto ai tarli? Perchè dobbiamo patire il freddo e lasciare questi camini spenti? Perchè dobbiamo riposare su poveri giacigli e non approfittare di questi comodi letti? In nome di chi? Del Generale de Jarjayes? Lui si aspetta dei rendiconti, una rendita e qualche botte di ottimo vino! Non gli importa come vive Andrè Grandier, non verrà mai a vederlo con i suoi occhi" disse con voce ferma, velata di rabbia, avvicinandosi al volto sbalordito di Florent
"Ma a me si. Non mi sono spaccato la schiena perchè tutto questo vada alla malora" Le sue parole assunsero una sfumatura di tristezza, tradirono un dispiacere ed un rammarico di cui il vecchio non comprendeva appieno l'origine.
Florent non seppe ribattere, com'era successo mesi addietro, quando il suo aiutante aveva iniziato la sistemazione della casa.
Sua figlia ed il bambino seguirono immediatamente l'esempio di Andrè, mentre lui cercò di opporre una certa resistenza, che tuttavia crollò miseramente quando  i suoi dolori alle ossa cominciarono a tormentarlo, con l'arrivo della primavera.
Dovette ammettere, suo malgrado, che il trasferimento nell'ala padronale della villa non fu l'unico cambiamento del giovane Grandier.
Da quel giorno Andrè lo seguì con attenzione e senza discutere in ogni attività  relativa alla cura delle vigne, imparò tutto quello che gli poteva insegnare, si prodigò, senza risparmiarsi, perchè il raccolto non andasse perduto, sfidando la grandine come la calura, alzandosi all'alba e lavorando fino al tramonto, concedendosi pochi momenti di svago, di solito insieme a Lord Weston.
Trascorse le sue sere nella cucina della villa, finchè il clima fu rigido, poi nella piccola veranda, sul lato posteriore della casa, quando giunse la bella stagione, sempre insieme al piccolo Sebastiane e a sua madre. Qualche volta raccontandogli  lontani ricordi della sua infanzia, a palazzo Jarjayes, le marachelle in cui veniva coinvolto dal rampollo di casa, salvo poi beccarsi le terribili punizioni di sua nonna; altre rimanendo in silenzio, intagliando per lui miniature di animali o soldatini di legno con cui giocare, mentre Estelle leggeva qualche libro, ad alta voce o cuciva, pensierosa. Prima di coricarsi, doveva sempre portare in braccio il bambino, che immancabilmente si addormentava, cullato dalla voce della madre o dalle sue storie.
Ma nonostante fosse quella, ora, la realtà della sua vita, Andrè non riuscì mai a dimenticare Oscar. Il suo sentimento per lei era come cristallizzato nel suo cuore, qualcosa che ogni tanto affiorava, come un ricordo struggente, altre volte come un sordo dolore, che tuttavia era diventato parte di sè. Era la forza  e la determinazione che infondeva nel suo lavoro, era il silenzio e la pace che talora cercava, allontanandosi da tutti.
Decise di non combattare più contro di esso, ma di lasciarsi segnare dalla sua potenza ed intensità, come terra scavata dall'aratro. E alla forza di quell'amore egli attribuì tutti i frutti insperati che raccolse a Chablis, nel corso degli anni.
  






  

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Capitolo 15
*** Sfide ***


 Torniamo a palazzo Jarjayes e alla sua nuova ospite, una Rosalie decisamente OOC

15-  Sfide


Palazzo Jarjayes, aprile 1775

Quando il viaggio di ritorno terminò, a Nanny sembrò di essere invecchiata di dieci anni. Era dolorante, affamata e coperta di polvere.
Entrò nelle cucine scuotendo la cuffietta, che aveva definitivamente perso il suo candore ed ordinò dell'acqua alla sguattera seduta accanto al focolare spento, intenta a spennare una grossa oca.
Mentre sbuffava, aspettando, udì
provenire dal giardino il tipico rumore di due spade che si colpiscono.
"Fersen! Possibile che sia tornato?" si chiese con un tuffo al cuore.
Si precipitò alla finestra, speranzosa, ma la scena che le apparve spense immediatamente i suoi entusiasmi.
Oscar si stava battendo, decisamente in vantaggio, con un'... altra ragazza!
Il suo avversario era una giovane, minuta ma determinata, con folti capelli biondo cenere, raccolti in un' acconciatura di tipo maschile ed una frangia a coprirle la fronte fin quasi sugli occhi.  
Oscar  avanzava menando fendenti, gridandole come rispondere, finchè con una mossa repentina la spinse a terra e puntò la lama contro il suo collo, teso e sudato.
"Molto bene, Rosalie" le disse, aiutandola ad alzarsi.
"Devi migliorare la difesa e la stabilità sulle gambe"
"Che mi venga un colpo!" bisbigliò Marron, dimenticando l'acqua e precipitandosi
fuori.
"Oh Nanny, bentornata!" la salutò Oscar.
"Ma...bambina...che succede? Chi è quella giovane...donna? Perchè è una ragazza, vero?" chiese la balia balbettando ed indicando col dito una figura che si stava dirigendo verso l'ingresso posteriore del palazzo.
Oscar sorrise.
"Tra poco potrai fare la sua conoscenza, e avrai ancor meno dubbi sulla sua identità!" replicò la giovane, ridendo.
"Ma direi, cara Nanny, che hai bisogno quanto lei di una rinfrescata!" continuò, squadrandola con ironia.
"Se sapessi che viaggio lungo ho fatto, saresti più indulgente sulle mie condizioni" si lamentò la governante.
Oscar la seguì verso casa e divenne pensierosa.
"Com'è la tenuta? E come sta Andrè?" chiese, evitando lo sguardo della sua balia.
"Oh, la villa è davvero graziosa e Andrè, beh, quello sciagurato è davvero caduto nella bambagia...L'ho trovato felice, soddisfatto come un gallo in un pollaio..." rispose Nanny, ansiosa di cambiare discorso.
"Adesso, però, devo davvero  darmi una sistemata e riprendere in mano le redini della casa. Chissà cosa avranno combinato i domestici in mia assenza..." e si allontanò rapidamente.

Poco prima di cena, Marron raggiunse Oscar in camera sua per portarle della biancheria pulita. Quasi non riconobbe la giovane spadaccina di quel pomeriggio, vestita con un bell'abito rosa ciclamino,  i capelli perfettamente raccolti da nastri dello stesso colore.
"Marron, ti presento Mademoiselle Rosalie Lamorliere"
La fanciulla sorrise timidamente e si inchinò, sollevando appena le gonne del vestito.
La governante ricambiò, stupita.
Rosalie non disse una parola, finì di sistemare un vaso di rose che aveva appoggiato sul camino della stanza e sempre con un leggero inchino si congedò dalle due donne.
Nanny aveva ancora la bocca aperta per lo stupore.
"Madamigella, io non capisco..."
"Rosalie si è presentata a palazzo subito dopo la tua partenza, con una lettera di accompagnamento per me, scritta dal padre. Adottivo.
Era uno degli armaioli del mio reggimento. E' morto improvvisamente circa un mese fa, lasciando questa ragazza orfana e senza altri parenti."
"E come mai l'ha affidata proprio a voi?"
"Rosalie sa che quell'uomo non era il suo vero padre, ma non conosce l'identità dei suoi genitori. E' la figlia illegittima di una giovane contessa, all'epoca nubile,  e di un suo conoscente aristocratico, già sposato.
Quando la bambina è nata, in segreto, è stata affidata all'attendente del padre e a sua moglie, che l'hanno cresciuta come una figlia.
La piccola ha sempre avuto una passione smisurata per le armi, in particolare per il fioretto ed il padre putativo l'ha assecondata, insegnandole a maneggiarle ed addestrandola come un maschio."
Abbassò gli occhi e sorrise.
"Proprio come me. Per questo me l'ha affidata dopo la sua morte. Perchè mi conosceva e sapeva che l'avrei aiutata a continuare in questa sua passione"
Nanny era sbalordita. Non riusciva a credere che esistesse un altro genitore scellerato come il generale Jarjayes.
"Già, però lei non indossa la divisa!" brontolò al termine del racconto.
"Non ancora, Nanny, ma chi può dirlo?"
"Cosa?" fece di rimando l'anziana balia, già pronta ad infuriarsi.
Poi colse lo sguardo canzonatorio della sua padrona ed uscì sbuffando dai suoi appartamenti.
Oscar tornò seria e si avvicinò alla finestra. Rosalie  se ne stava seduta su una panchina del giardino, circondata dai roseti, con un libro tra le mani, completamente assorta nella lettura.
Aveva preferito non raccontare tutta la verità a Nanny, così come aveva fatto con la sua giovane protetta. Aveva mantenuto il segreto sul nome della vera madre di Rosalie, diventata ora una delle nobili più potenti di Versailles, ma anche una donna priva di qualsiasi scrupolo. Non aveva confessato che la ragazza era stata affidata a lei perchè, pur essendo nobile di nascita e degna di frequentare la corte, doveva essere protetta dall'irrefrenabile ambizione della sua vera madre.
Il padre adottivo aveva scelto di indirizzarla ad una persona del suo rango, generosa, in grado di insegnarle come muoversi nel mondo viscido e pericoloso della reggia di Versailles e come difendersi. L'unica che avrebbe avuto il coraggio di sfidare un personaggio così  temuto come la contessa di Polignac.   


Versailles, 1775-1778

"Il suo vero nome è Rosalie Lamorliere, figlia di un popolano che lavorava per il reggimento delle Guardie Reali"
Bisbigliò l'uomo, chiuso nella carrozza con le tende tirate, come in un confessionale.
La donna di fronte a lui, col volto nascosto dal cappuccio del suo mantello, ebbe un fremito, ma non pronunciò una sola parola. Allungò una piccola sacca di pelle piena di monete al suo informatore e con un gesto secco della mano gli ordinò di uscire dall'abitacolo.
Ordinò al cocchiere di partire al galoppo  e solo di fronte ai cancelli di Versailles  abbassò il copricapo e si sistemò una ciocca di capelli.
"Lasciate passare la carrozza della contessa de Polignac" gridò una delle guardie.
La donna entrò decisa da uno degli ingressi secondari della reggia e raggiunse rapidamente i propri appartamenti, ordinando alla sua cameriera personale di non disturbarla per nessun motivo.
Si sedette davanti alla toeletta e fissò la propria immagine nello specchio.
Il suo respiro tradiva un lieve affanno.
Aveva finalmente scoperto l'identità della giovane che da anni frequentava la corte insieme  al colonnello delle Guardie Reali. Non aveva mai creduto alla storia della lontana cugina da parte di madre che Oscar aveva propinato alla regina.
Aveva temuto ad uno stratagemma per colpirla ed ora, scoperto che in realtà si trattava della figlia illegittima avuta anni addietro, ne era certa.
Oscar Francois de Jarjayes avrebbe usato quella giovane per ricattarla e tenerla in pugno. Questo era il suo scopo.
Non aveva mai sopportato quella specie di donna soldato, la sua condotta irreprensibile, la sua onestà senza compromessi, la sua immagine senza macchia. Lei aveva lottato con le poche armi che il destino le aveva fornito per arrivare dov'era, la famiglia dei Polignac non aveva mai avuto il lustro e la fama che lei gli aveva procurato, grazie alla sua amicizia con la regina.
Certo, qualche pecca da nascondere l'aveva avuta, compresa quella figlia nata da un attimo di debolezza della carne, alla quale aveva rinuciato senza ripensamenti pur di non compromettere il suo futuro. E se era stata capace di strapparsi una propria creatura dal seno allo scopo di continuare per la  sua strada, non si sarebbe certamente lasciata fermare dalla purezza cristallina di madamigella Oscar!
Ormai i tempi erano maturi, doveva eliminarla.
Appoggiò le mani alla fronte e chiuse gli occhi. Doveva ragionare, doveva escogitare un piano perfetto, non si poteva permettere errori.
Quale sarebbe stato il primo appuntamento mondano a cui avrebbe partecipato, oltre le mura di Versailles, in assenza della sovrana?
Una serata che comportasse uno spostamento in carrozza, di sera, per poter approfittare delle tenebre, per indurre Oscar a cadere in un tranello, facendola convocare con urgenza da Maria Antonietta?
Alzò di scatto la testa e tornò ad ammirarsi nello specchio, soddisfatta.
Aveva in mente la data perfetta.
Oscar Francois de Jarjayes aveva i giorni contati. 

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Capitolo 16
*** Riflesso ***


 ATTENZIONE!
Ho due note  da farvi:
1- ho aggiunto una fanart di Elisa al capitolo 12
2- Siamo a Chablis nel 1777, cinque anni prima dell'arrivo di Oscar. Il protagonista è Andrè. Leggete con la mente aperta e il cuore sgombro dei ricordi della storia originale. Poichè preme a molte sapere quando si torna nel "presente" (nonostante mi abbiano scritto che anticipo troppi dettagli, vero Sere?), vi anticipo che torniamo nel 1782 al cap. 18.
Siate forti....





16- Riflesso

Chablis, inverno 1777

L'alfiere nero scivolò lungo la scacchiera, eliminando la torre bianca.
"Accidenti, Grandier, siete...letale!" si lamentò Lord Weston, dopo il colpo inatteso dell'amico.
Scese il silenzio.
Entrambi sembravano concentrati sulla partita. Poi, senza distogliere lo sguardo dal gioco, Andrè interruppe la quiete con una frase ancor più destabilizzante della sua ultima mossa.
"Forse mi sposerò con Estelle, in primavera. Forse..."
Weston puntò lo sguardo sul suo avversario.
"E' una tattica per distrarmi, Andrè?"
Il giovane alzò gli occhi, senza capire se stesse scherzando, come al solito.
"Vi sembrano le parole giuste per annunciare un matrimonio?"
"Non so- replicò con sincerità- in realtà ci sto pensando da un po'..."
"My God...questa poi! E da quanto, precisamente?"
Andrè rise, imbarazzato.
"Da quasi un anno..."
"Santi numi, ragazzo! Quando uno pensa ad una giovane come moglie, lo sa se  la vuole o no! Se poi si tratta di una fanciulla desiderabile come Estelle..."
"Veramente...è stata lei a propormelo"
Gli tornò alla mente il momento in cui gliene aveva accennato, arrossendo un poco e sottolineando che, nonostante toccasse all'uomo quella parte, era certa che lui avrebbe aspettato almeno dieci anni per farlo!
Lord Weston non riuscì nemmeno a replicare, si alzò e si versò del liquore in un calice, abbondando con decisione.
"Sentite Andrè...con me potete essere sincero, e vi giuro che nulla di quello che mi confiderete muterà la natura della nostra amicizia..."
Si voltò di scatto verso di lui.
"A voi...ecco...a voi piacciono le donne?"
Sgranò gli occhi, di fronte alla mal celata insinuazione del nobile inglese.
Poi gli tornò in mente con forza l'immagine di Oscar, della sua femminilità così discreta e al contempo abbagliante e rispose senza esitazione.
"Certamente. Perchè me lo chiedete?"
Weston svuotò il bicchiere tutto di un fiato.
"Andrè, voi avete ventitre anni, siete a Chablis da quasi quattro, vivete nella stessa casa della ragazza più attraente del posto e sembrate più disinteressato al gentil sesso di Gesù Nazareno! Lasciamo perdere Estelle, ma non c'è fanciulla in età da marito, qui e nei villaggi vicini, che non abbia un debole voi!"
"Non vi  sembrano un po'...errate, queste stime?"
"Si, avete ragione!" continuò, versandosi nuovamente da bere.
"Anche tutte le donne già maritate sotto i trent'anni ce l'hanno!" 
Andrè scoppiò a ridere, incredulo.
"Insomma, non mi sembrate il tipo d'uomo arido ed incapace di provare teneri sentimenti. Conosco i tipi così, perchè io mi ritengo tale."
Andrè cercò di interromperlo, ma l'uomo alzò la mano per fermarlo.
"Però sembra che il vostro cuore non sia capace di farsi rapire da nessuna donna e non capisco perchè..."
Il giovane abbassò gli occhi.
Il mio cuore, nel senso che dite voi, è già stato portato via molto tempo fa...  
"Ci sono molti tipi di amore, Lord Weston. Estelle e suo figlio sono le persone a cui tengo di più,  qui, a Chablis. Mi piace tornare a casa dopo una giornata di lavoro e ritrovarle, raccontare cosa mi è successo, ascoltare quello che hanno da dirmi. Se lei dovesse andare in moglie a qualcun'altro, se Sebastiane chiamasse quell'uomo "padre", io soffrirei tantissimo.
In fondo, sposandoci, non cambieremmo poi di tanto le nostre vite, rispetto a come le viviamo ora. E sarei a tutti gli effetti un padre per il piccolo."
Weston l'aveva ascoltato in silenzio.
"Il matrimonio non è solo questo, Andrè. Tuttavia riconosco che molte unioni si fondano su elementi ancor più discutibili di questa vostra affezione per Estelle e il bambino"
Si riavvicinò alla scacchiera e finse di tornare a concentrarsi sulla partita.
Era da sempre convinto che il suo giovane amico serbasse un segreto. Qualcosa di estremamente intimo, senza dubbio legato alla sua vita presso la famiglia Jarjayes. Aveva considerato anche l'ipotesi di una particolare inclinazione verso il suo stesso sesso, ma gli era parso sincero nel negarla con fermezza. Questo tuttavia infittiva il mistero legato alle palpitazioni segrete del cuore di Monsieur Grandier.
Stava infine per spostare il cavallo, quando Andrè lo interruppe nuovamente.
"Sareste il mio testimone di nozze?"
Lord Weston alzò gli occhi e fissò con molta serietà quelli innanzi a lui.
Annuì con il capo.  E in cuor suo pregò che quello strano, negativo presentimento riguardo quell'unione fosse sbagliato.


Il 25 maggio 1778 fu celebrato il matrimonio.
I festeggiamenti coinvolsero l'intero villaggio e gli abitanti delle campagne circostanti e si protrassero fino a tarda sera, tra musica e balli.
Gli sposi fecero ritorno a casa esausti, con Sebastiane tra le braccia dopo che si era addormentato ai piedi dei musicanti.
Quando Andrè si svegliò, la luce del sole filtrava dalle finestre illuminando la stanza. Era talmente stordito da non ricordare nemmeno di essersi spogliato, la sera precedente. Si accorse di essere nudo, nel letto, col corpo di Estelle abbracciato al suo, i lunghi capelli sparsi sul suo petto.
Avvertì una specie di panico, uno smarrimento per una situazione che, lo capì immediatamente, non sapeva gestire.
Quasi avesse percepito  i suoi pensieri, Estelle si svegliò, sollevò il capo e lo fissò negli occhi.
Non si erano mai detti "Ti amo". Di volersi bene si, tante volte, non solo a parole, ma di amarsi nemmeno una.
Cosa si aspettava sua moglie, adesso? Non lo sapeva. E persino il suo stesso cuore gli era oscuro in quel momento.
"Hai mai fatto l'amore, Andrè?"
Era stata molto seria, mentre glielo chiedeva.
Fu sincero.
Si sollevò da lui e si sfilò la camicia da notte.
"Estelle...io...non pretendo...non devi..."
Gli posò l'indice sulle labbra.
"L'amore non si parla, si fa"
Tornò a chinarsi sul suo corpo e lui sentì la pienezza dei suoi seni sfiorare la sua pelle, le sue labbra morbide e calde coprirlo di baci sempre più arditi.
Gli sembrò che una gelida corazza si spaccasse al tocco delle sue carezze, che sotto di questa le sue membra cominciassero a prendere fuoco.
Chiuse gli occhi. Fu travolto da una forza mai provata e al contempo familiare, che lo spinse a stringere il corpo di lei, a rispondere ai suoi baci, a prenderla infine con intensità crescente, fino a farsi mancare il respiro, mentre lei gemeva, stretta a lui.
Quando riaprì gli occhi, vide la sua immagine riflessa nella vetrata della finestra.
Era steso sul suo petto, sentiva sotto di sè la sua pelle morbida e liscia, le sue gambe lo avvolgevano.
Aveva provato un piacere estremo, desiderava provarlo ancora.
Estelle accendeva la sua carne  e sapeva placarla come mai avrebbe creduto.
Ma non ti appartengo...diceva quel volto riflesso.
Il mio cuore è stato portato via molto tempo fa.




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Capitolo 17
*** Miraggio ***


 So che questo passaggio della storia sarà indigesto a molte (per non infierire ho unito quello che in origine erano due capitoli....). Mi auguro che resistiate alla tentazione di uscire dalla pagina con un click  e possiate notare il parallelismo con il cap. 16, sforzo in cui mi sono profusa :-), nonchè farvi consolare dalla delicatezza della fanart di Elisa, che devo ringraziare per il coraggio di volermi affiancare in questa "svolta" narrativa.

17- Miraggio

Versailles, 1778

Avvolta da una luce accecante. Così si sentiva. Le palpebre pesanti, un bagliore a ferirle le pupille.
Poi lo vide. Tra raggi di sole, così intensi da farle male, i suoi occhi, dapprima, poi il suo volto, incorniciato dai suoi morbidi capelli.
"Hans...siete voi, Hans?"
Il suo sorriso le giunse come una carezza.
"Si, Oscar. Sono qui"
Abbassò le palpebre. Da lontano sentì la voce del medico che invitava tutti a lasciare la stanza per farla riposare, i singhiozzi sommessi di Nanny e Rosalie.
Precipitò nell'oblio, ma il volto di Fersen non l'abbandonò più e il pensiero che fosse finalmente tornato in Francia  aprì il suo petto come una sorgente segreta che scavi il ghiaccio.
Riprese definitivamente conoscenza il giorno dopo, mentre il dottor Lasonne terminava di esaminare la ferita.
In un attimo rivisse gli eventi di quella notte: la festa privata dai conti Girodel per il compleanno di Victor, i preparativi con Rosalie, che mal celava il suo interesse per il giovane ufficiale, poi il messaggio riservato da parte della Regina, l'urgenza di incontrarla con riservatezza e l'improvvisa partenza in carrozza.
Durante il tragitto quattro individui col volto coperto le avevano teso un agguato in aperta campagna, con la precisa intenzione di eliminarla. Ricordava di averne affrontati due, mentre a fatica Guillame si batteva col terzo. Ma il quarto complice l'aveva colpita alle spalle.
Non rammentava altro, non avrebbe saputo indicare un solo dettaglio per acciuffare quei malfattori.
Poi, come in sogno, le era apparso Fersen, e in quel momento si stava chiedendo se si fosse trattato davvero di un miraggio o se il suo ritorno fosse reale.
"Chi mi ha salvato, dottore, lo sapete?"chiese, tradendo un velo di ansia nella voce.
"Il conte di Fersen, madamigella. E' già tornato due volte per sincerarsi delle vostre condizioni"

Fersen...
Il medico la fissò stupito. Era certo di non aver mai visto il volto di madamigella Oscar così trasognato, temette di aver esagerato con il laudano.
"Mi raccomando, la ferita non è grave ma è profonda. Dovete rispettare quindici giorni di assoluto riposo, o potreste perdere per sempre l'uso del braccio destro"
Oscar annuì, distratta dalle voci che provenivano dal corridoio.
L'uomo raccolse i suoi strumenti, si sciacquò le mani e si congedò.
Pochi istanti dopo, Fersen varcava la soglia della sua camera, accompagnato da Rosalie.
"Fersen, siete tornato. Mi era parso di scorgere il vostro volto la scorsa notte"
"Si, sono tornato, Oscar. Stavo appunto venendo da voi per un saluto quando ho incrociato quella banda di assassini.
Ma perchè vi volevano uccidere? Chi può aver organizzato l'agguato?"
Abbassò gli occhi.
La contessa di Polignac? Il Duca d'Orleans? Il marchese di St. Germain? Ormai l'elenco si allungava, come le mostrine sulla sua divisa.
"Non saprei. Ho molti nemici tra i nobili" ammise, con amarezza.
"Ma anche molti amici, ne sono certo" rispose il giovane prendendole la mano.
Un'onda di calore risalì da quel contatto fino alle sue guance.
Come poteva nascondere la gioia che sentiva esploderle nel petto? Quale nome poteva dargli?
"Adesso dovete riposare" le sussurrò, avvicinandosi al suo viso. E prima che potessero trasparire i suoi timori, la rassicurò.
"Domani tornerò a trovarvi e mi auguro che potremo trascorrere più tempo insieme e che potrete raccontarmi qualcosa di lieto che vi è accaduto mentre ero lontano"
Raggiunse la porta e si voltò a guardarla ancora una volta.
"Sono felice che siate tornato, Hans"
"Anche io lo sono, Oscar. Ma sappiate che vi ho sempre portato con me, ovunque sia stato, nel mio cuore"
La porta si chiuse, la sua figura scomparve.
Perchè doveva sentirsi così? Perchè quelle parole risuonavano incessantemente nella sua mente, arricchendosi di continue, nuove sfumature? Perchè il volto di Fersen, la magia della sua voce, il calore della sua mano, la dolcezza del suo sguardo dovevano impossessarsi così dei suoi pensieri, al punto da mettere in secondo piano quello che era successo, il desiderio di conoscere la verità, di smascherare i mandanti dei suoi aggressori?
Non aveva risposte. Ma da quel momento tutto il mondo, tutto quello che non fosse Fersen passò in secondo piano, divenne un eco di fondo nelle sue giornate, qualcosa di trascurabile.
Non sapeva ancora che quei granelli di sabbia, lasciati cadere distrattamente dalle sue dita, sarebbero diventate valanghe sulla sua esistenza. Che l'avrebbero travolta e atterrata. Non sapeva che il miraggio dell'amore l'avrebbe condotta lontano, dove non sarebbe più riuscita a trovare se stessa.


Ignorò i consigli del medico e dopo una sola settimana si ripresentò a corte, insieme a Fersen, per essere con lui durante il primo incontro con la Regina.
Per proteggerlo dalle malelingue, per vedere con i propri occhi come veniva percepita e raccontata dai nobili di corte la sua frequentazione a Versailles.
O almeno queste erano le giustificazioni che si ripeteva quando il dubbio di essere mossa da ben altre motivazioni affiorava alla sua mente.
Ignorò i primi segni che qualcosa non andava, al suo braccio. La faccia perplessa di Nanny ogni volta che le cambiava la fasciatura, le febbriciattole che la colpivano sempre più frequentemente e soprattutto il vigore che non tornava, nonostante passassero i giorni.
Quando, circa un mese dopo l'agguato, arrivò la data di un prestigioso evento mondano, a cui avrebbe partecipato il conte di Fersen e la stessa Maria Antonietta, Oscar non era ancora guarita. 
Evitava gli sguardi indagatori dei suoi genitori, in particolare quelli di suo padre, che cominciava a temere una qualche conseguenza nefasta per la futura carriera della figlia, ma lei lo rassicurò, mentendogli, asserendo che a parere dello stesso medico si trattava del normale tempo di guarigione per una ferita simile.
Nanny entrò quella sera in camera sua per chiederle quale divisa volesse indossare per il ballo. Sarebbe bastata una scusa qualsiasi per non andare.
La sua balia non avrebbe mai discusso una sua decisione.
Ma quello era un momento cruciale. Se lo sentiva.
"Preparami l'alta uniforme, Nanny" ordinò, fissandosi nello specchio.
Svolse la fasciatura con cui teneva a riposo il braccio ferito, si tolse la camicia. Un dolore acuto la fermò per un istante.
E in quell'attimo pensò al rischio che correva, alle parole del medico, a quello che poteva succedere. Ma sopra tutti questi timori c'erano gli occhi fiduciosi di Fersen, che in lei aveva il suo unico sostegno nel covo di vipere in cui ormai si muoveva Maria Antonietta. Dalla quale era, nonostante tutto, attratto, come una falena dalla luce.
Capiva quei sentimenti, perchè ormai erano gli stessi che muovevano le sue azioni. In cuor suo sapeva che Hans stava lottando per liberarsi dal demone di quell'infatuazione e sperava di aiutarlo, voleva essere con lui quando ci fosse finalmente riuscito.
Così chiuse gli occhi e prese la sua decisione.
Non aveva paura, per lui non ne avrebbe avuta.
Indossò la candida divisa dell'Alta Uniforme senza le fasce che usualmente portava per mimetizzare le curve del suo seno. Non riusciva più a sopportarle dalla sera dell'agguato, perchè stringevano sulla ferita.
Osservò la propria immagine nello specchio, prima di uscire insieme a Rosalie, avvolta in un elegante abito da sera color rubino. 
L'uniforme bianca e aderente segnava le sue curve come mai prima d'ora, i suoi capelli sciolti e dorati accentuavano la sua femminilità. Si vide donna, anche senza un vestito come quello della sua protetta.
E sorrise al volto riflesso che la guardava, quasi a farsi coraggio. In fondo l'insoddisfazione e l'infelicità di tutti quegli anni potevano essere finalmente spazzate via. Non era il momento della prudenza.

L'amore richiede coraggio....
Quando entrarono nel salone delle danze, un brusio si alzò tra gli invitati.
Lo stesso Fersen, che per l'occasione indossava l'alta uniforme dei Dragoni di Svezia, rimase incatenato all'elegante e sinuosa figura di Oscar che avanzava lentamente, riflettendosi nel marmo del pavimento, gli occhi puntati in direzione della Regina. La quale venne incontro all'amica, mentre si inginocchiava innanzi a lei, con gli occhi pieni di stupore.
"Oscar, questa uniforme...Intendete ballare quindi, stasera? Sarebbe la prima volta..."
"Si, maestà"
"E ditemi- aggiunse chinandosi verso di lei ed avvicinando il ventaglio per coprire le sue parole - sceglierete di farlo come dama o cavaliere?"
Oscar alzò lo sguardo verso la sovrana, decisa a lasciarla scegliere a riguardo. Se avesse voluto allontanare le dicerie sulla sua amicizia con il conte di Fersen, le offriva la possibilità di farlo con eleganza, le permetteva di trovare una via d'uscita ad una situazione che non avrebbe portato altro che infelicità ad entrambi. Se avesse voluto liberare il giovane svedese da quel legame, prima che si trasformasse in una triste e lenta agonia, lei sarebbe stata lì, come l'alba di un nuovo giorno.
"Sapete, Oscar- sussurrò allora Maria Antonietta, perdendo ogni traccia di ilarità- la vostra Regina ha commesso un'imprudenza, consegnando il suo carnet per le danze ad un solo cavaliere"
La fissò negli occhi e Oscar capì immediatamente a chi si riferisse.
"Ma voi la salverete dall'offrire un'immagine così sconsiderata di sè, vero?"
Sulle ultime parole della sovrana l'orchestra cominciò a suonare le prime note di un minuetto
(1) e prontamente Fersen si presentò al cospetto della regina, per condurla al centro della sala.
Con una disinvoltura che solo lei possedeva, Maria Antonietta scese gli ultimi gradini del palco reale e poggiò le mani guantate sul braccio sinistro di Oscar e sul destro di Fersen. Come scortata dalle due stupende figure in alta uniforme raggiunse gli altri ospiti, già allineati, che la aspettavano per aprire le danze.
Ma quando fu il momento di percorrere col proprio cavaliere il corridoio tra le due ali di ballerini, con un movimento lieve ed elegante, unì le braccia di Oscar e Fersen, formando un'insolita, bellissima coppia e a passo leggero li precedette, fino a fare ritorno al podio reale, per poi abbandonare, poco dopo, la sala, accompagnata dalle sue dame di compagnia.
Hans capì il messaggio recondito di quel gesto.
Oscar, dopo un attimo di smarrimento, si lasciò guidare dalla musica, dai passi leggeri delle dame attorno a lei, dall'intreccio e dagli scambi con gli altri cavalieri, tra i quali, tra una giravolta ed un girotondo, ritrovava gli occhi di Hans. Dapprima velati di sorpresa ed amarezza, poi sempre più luminosi, colmi di pace.
"Oscar, che ne dite se ce ne andassimo da qui?" le sussurrò con tono complice mentre le passava di fianco. Solo quando si riavvicinarono potè chiedergli se intendesse lasciare la festa di quella sera.
"Si...ma...non solo da questa sala. Lasciamo Parigi, queste inutili serate, questi manichini imbellettati..." continuò, quasi ridendo. Oscar si guardò attorno, temendo che qualcuno lo avesse sentito.
"Siete mai stato sulle spiagge della Normandia, Hans?" gli sussurrò, mentre procedevano affiancati.
Il giovane le afferrò la mano, interrompendo bruscamente i passi di danza.
"E Normandia sia!"
Corsero fuori dal salone, ridendo, col fiato corto, guardandosi negli occhi.
Due creature divine, uniche, sotto un cielo di stelle.


 
Chiuse gli occhi.
Dalla terrazza poteva sentire il ritmico, dolce rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia, sotto di lei, l'odore salmastro che le riempiva il petto, là dove percepiva il proprio cuore agitarsi come un animale in gabbia.

"Oscar..."
La sua voce la fece sobbalzare. 
Era davanti a lei, il volto illuminato dalla luce di una candela che teneva davanti a sè, il resto del suo corpo perso nelle sfumature di buio della notte.
Le sembrò una specie di visione, temette quasi di averlo chiamato lei, in qualche modo, con i suoi pensieri ricorrenti, da molto tempo centrati su di lui.

Rimase un istante a fissarlo, senza sapere cosa dire, poi trovò il coraggio di parlargli.
"Non riuscite a dormire, Hans?"
Scosse il capo.
"Continuo a pensare a voi, Oscar, non riesco a cancellare dagli occhi la vostra accecante bellezza, neppure nell'oscurità della notte"
Schiuse le labbra di fronte a quelle parole.
Sentì qulacosa incrinarsi dentro di lei, avvertì con assoluta certezza, ed altrettanta disperazione, che il muro faticosamente eretto attorno al suo cuore di donna stava per cedere.
Chiuse gli occhi, colpita e pregò nella sua mente che il conte se ne andasse. Ma quando li riaprì si era fatto ancor più vicino e con naturalezza le stava prendendo la mano.

Se solo potessi incontrare una donna eccezionale ed unica come lei, allora potrei sperare di liberarmi da questo amore dannato, potrei conoscere la felicità completa...
Le sue parole risuonavano nella sua testa come il canto di una sirena, a cui faceva sempre più fatica a resistere.
Senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, l'uomo fece scorrere leggere le dita lungo il suo braccio fino alla spalla, poi continuò seguendo lo scollo della camicia e le prese il mento, dolcemente.
Si chinò sulle sue labbra, come per baciarla, così chiuse gli occhi. Invece le sfiorò la guancia e continuò fino all'orecchio, respirando il suo profumo, torturando la sua pelle.
Oscar si irrigidì a quel contatto. Ma Hans non sembrava arretrare.
"C'è una felicità, nell'amore, che voi neppure immaginate, Oscar. Un abbandono del corpo...un'estasi dei sensi..." e mentre pronunciava queste parole, piano, quasi nascondendole contro la sua pelle, la baciava dolcemente, dal lobo dell'orecchio, al collo, avvicinandosi alla bocca.
E quando finalmente la raggiunse, Oscar  si abbandonò, quasi inerme, senza porsi più domande, seguendolo come un bambino segue la propria guida.
Nel letto della sua camera, sopra di lui, sopra di sè.
Trattenne dentro il suo cuore le parole di paura, i dubbi che l'avvolsero in quei momenti, lasciò che fosse lui a compiere il miracolo di fare di lei una donna, completamente. Perchè sopra ogni cosa voleva che Hans le appartenesse, che fosse suo con ogni fibra del suo essere. E credeva che niente fosse paragonabile al possesso carnale tra due che si amano.
Lasciò che le sue mani la cercassero e la trovassero, sotto la camicia che tuttavia non le tolse. E negli attimi in cui fu dentro di lei, dolce e naturale come solo lui  sapeva essere, Oscar fu certa che fossero diventati una cosa sola.
Poi l'abbracciò teneramente e si addormentò tenendola stretta, in silenzio.
Quando la luce violenta del sole inondò la sua camera dalla finestra lasciata spalancata, Oscar si risvegliò sola, nell'ampio letto.

E nonostante il piacere di quella notte la stesse ancora avvolgendo, avvertì nuovamente quel senso di incompletezza, quella stupida inquietudine a cui non riusciva a dare un nome, quel perenne senso di perdita che neppure le braccia di Fersen erano riuscite a cancellare.

(1) Nella famosa puntata in cui Oscar si presenta in alta uniforme e balla con la regina, eseguono un valzer, ballo che verrà introdotto nelle corti europee solo nel 1800. Mi sono sparata un bel filmato sul minuetto, realmente in voga a Versailles,
www.youtube.com/watch?v=bXMyxqS2JAo&feature-fwrel








 

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Capitolo 18
*** Parole ***


 18- Parole

Chablis, maggio 1782


Si alzò all'alba, dopo un sonno agitato.
Fuori, la nebbia avvolgeva ogni cosa col suo manto umido.
Sarà una bella giornata pensò.
Ormai conosceva  il clima del luogo e sapeva che una mattina nebbiosa era spesso il preludio di una giornata soleggiata.
Mentre si vestiva, pensava a come Oscar avesse trascorso la sua prima notte a Chablis, dopo che aveva preferito cenare da sola, in camera sua.
In cucina incrociò l'immancabile Muet, già china sul focolare, prese una mela dal cesto vicino all'ingresso e uscì, diretto alle scuderie.
Passando accanto ad un piccolo roseto sul fianco della villa, recise una rosa damascena e se la infilò nell'occhiello della giacca.
Doveva recarsi presto al villaggio per discutere alcuni degli ultimi dettagli per la festa di primavera.
Si sorprese di trovare la porta spalancata e rallentò il passo.
Quando stava per entrare, la vide attraverso l'apertura.
Già vestita di tutto punto, porgeva con la mano destra uno spicchio di mela a Caesar, che lo afferrò delicatamente. Quindi passò le dita sul suo muso fino al ciuffo di criniera tra le orecchie, in un'affettuosa carezza.
Andrè si fermò ad osservarla senza interromperla. Non si aspettava di trovarla in piedi così presto e gli fece tenerezza vederla sola in quella stalla, vicino all'unica cosa che le era familiare in quel luogo, che conosceva e che era parte della sua vita da molti anni ormai.
La osservò mentre faceva scivolare la mano sotto al collo fino al mento dell'animale, poi, inaspettatamente sentì la sua voce, come se gli parlasse.
"Una mano che non può più ferire con la spada, ma può cogliere un fiore e regalare carezze..."
Si lasciò andare quasi ad un singhiozzo mentre appoggiava la fronte contro quella del suo cavallo.
"Perchè mi ha detto queste parole...e perchè non riesco a dimenticarle, Caesar?"
Andrè si allontanò di scatto dal portone, come se avesse colto in flagrante due amanti. Non voleva che lo vedesse e capisse che l'aveva sentita.
Si riavvicinò fischiettando, dandole modo di rendersi conto che stava arrivando qualcuno e quando spalancò la porta, Oscar era di fianco a Caesar, composta.
"Buongiorno, Oscar. Sei mattiniera, oggi. Spero sia riuscita a riposare dopo il lungo viaggio"
"Si, Andrè, grazie"
"Devo andare a Chablis per sbrigare alcune faccende e pensavo di mostrarti la tenuta più tardi, ma se vuoi puoi accompagnarmi e visitare la proprietà quando avrò terminato. Nel frattempo potresti porgere i tuoi omaggi al curato della chiesa. Ci tiene tantissimo a fare la tua conoscenza. Sai, dopo Lord Weston, è il personaggio più importante del villaggio" disse con ilarità, sperando di strapparle un sorriso.
Ma lei gli rispose volgendosi all'animale.
"Come vuoi tu"
Andrè non se lo fece ripetere due volte, sellò rapidamente Caesar e la sua cavalla nera e condusse gli animali fuori dalle scuderie.
Percorsero il breve tratto che separava la tenuta dal paese in silenzio, fianco a fianco perchè Andrè le facesse strada.
L'uomo la spiava ogni tanto, senza farsi notare: manteneva la schiena eretta e gli occhi fissi innanzi a sè e questa posa gli era familiare, anche se era abituato ad osservarla di spalle.  Ma alla fierezza  che caratterizzava lo sguardo della sua padrona, si era sostituita una cupa tristezza, di cui non comprendeva l'origine.
Non poteva essere unicamente per l'infermità al braccio. Si trattava di qualcosa che le era capitato e che l'aveva completamente travolta e nella sua mente non riusciva a capacitarsi di cosa si trattasse. Era un evento legato alla sua sfera personale ed intima, ne era convinto, dal momento che sua nonna non ne aveva fatto cenno nelle sue lettere, mentre gli aveva raccontato dell'agguato ordito ai suoi danni.
Guidò i cavalli fino alla piccola chiesa in stile gotico che troneggiava sulla piccola piazza di Chablis.
L'anziano sacerdote era lusingato della visita del giovane erede De Jarjayes, si profuse in complimenti ed inchini ed invitò Oscar a visitare la canonica ed il cimitero che circondava la chiesa, dove, ci tenne a precisare con orgoglio, si trovava la cappella votiva della famiglia De la Borde, con le tombe dei suoi augusti trisavoli.
Andrè si congedò, cogliendo nella giovane uno sguardo di rammarico.
Si propose di sbrigare le sue faccende il prima possibile, consapevole che lei si trovasse completamente spaesata, lontano dal suo mondo e dal suo ambiente aristocratico e che, sebbene non si fossero più visti negli ultimi otto anni, lui costituisse l'unica figura vagamente familiare ai suoi occhi.
Prima del suo arrivo si era ripromesso di comportarsi esclusivamente come un servitore, nelle maniera che sua nonna gli aveva predicato per dieci anni, inascoltata. Ma gli era bastato meno di un giorno per sentirsi nuovamente attratto da lei, dalla sua vita, dal dolore che l'aveva riempita, mentre erano lontani.
Oscar seguì il curato nella chiesa, mentre questi le illustrava incessantemente ogni piccolo dettaglio, chi aveva donato quel candelabro, a quale epoca risalisse la tale imagine sacra e via discorrendo. Lo ascoltava distrattamente quando, passando innanzi all'altare,  una sua parola richiamò prontamente la sua attenzione.
"Questo coprialtare di lino, così finemente ricamato, fu il dono per la chiesa  di Monsieur Grandier e la giovane figlia di Monsieur Florent, il giorno delle loro nozze"
Si voltò allora ad osservare la navata del piccolo edificio e cercò di immaginarsi come fosse Andrè quel giorno, mentre conduceva davanti al ministro di Dio la donna che sarebbe stata sua moglie. La giovane di cui aveva visto il ritratto nello studio di Florent. E che avrebbe conosciuto quasi certamente quel giorno, al suo ritorno alla villa. Avvertì un subitaneo fastidio, la necessità di allontanarsi da quel luogo.
"Volete essere così gentile da mostrarmi la cappella di famiglia? Vorrei visitare le tombe dei miei avi prima di congedarmi da voi, ho già approfittato troppo della vostra squisita cortesia".
Il sacerdote sorrise compiaciuto ed le indicò l'uscita, lasciandole il passo.
Oscar entrò chinandosi nella piccola costruzione in pietra  e fece scorrere gli occhi sui nomi e le date delle tombe; riconobbe quelle dei genitori di sua madre ed una dolce nostalgia la pervase, ripensando alla sua infanzia ed alle visite così carolose dei nonni materni.
Quando lasciò la cappella, si sentì investire dalla luce intensa all'esterno.
Coprì gli occhi con la mano e lo vide.
Andrè la stava aspettando, tenendo le briglie dei loro cavalli, oltre il piccolo muro di cinta del cimitero.
La stessa nostalgia appena provata la invase nuovamente, al ricordo di quella immagine così familiare eppure dimenticata, di lui che l'attendeva, paziente, con un sorriso appena accennato sulle labbra.
Sentì le sue gambe accelerare il loro movimento, dirette verso il giovane.
Poi fu un attimo.
Uno di quei dettagli che stranamente entrano nella visuale e la catturano, quando vediamo qualcosa che abbiamo già notato, ma altrove.
Così rallentò inconsapevolmente il passo quando scorse, ai piedi di una piccola lapide bianca, la rosa che aveva osservato con curiosità appuntata sulla giacca di Andrè.
Le bastò questo ed un rapido movimento del capo per leggere poche parole e capirne molte.
Brilla per sempre su di noi, Estelle. 1753-1780   

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Capitolo 19
*** Rimpianti ***


 Scusate, volevo aggiornare mercoledì, ma è stata una settimana incasinata...

19- Rimpianti


Chablis, 1782

Dopo la visita a Chablis trascorsero il resto della mattinata sulle proprietà della famiglia Jarjayes.
Raggiunsero la sommità di una collina e da lì Andrè le indicò quali fossero i loro possedimenti,  la tenuta di Lord Weston e le sue vigne, le spiegò come distinguere i vitigni più pregiati e le lavorazioni  da seguire nei diversi periodi dell'anno.
Oscar lo ascoltava in silenzio, ammirata.
Quanto era cambiato rispetto all'Andrè che ricordava, un ragazzo sempre molto pacato, praticamente invisibile nella realtà dorata di Versailles, addestrato alla riservatezza e all'ubbidienza, ad anticipare le sue esigenze e le sue necessità, senza mai dimostrare di averne di proprie.
Invece lì, tra i filari di viti ed alberi da frutto, alternati ad angoli di bosco selvatico, sembrava il reale padrone di quelle terre. Le possedeva perchè le conosceva.
Ma se al principio lo aveva ritenuto un individuo semplicemente baciato dalla fortuna, ora sapeva che nella sua vita c'erano stati momenti tristi. Aveva perso sua moglie solo due anni prima, era rimasto solo con un figlio da crescere ed una proprietà da mandare avanti. Eppure i suoi occhi brillavano, erano pieni di vita mentre si muovevano a cercare i suoi. Le sue parole erano come un balsamo alle sue orecchie.
Quella distesa di verde, interrotta da poche costruzioni, le campane di Chablis che riempivano l'aria dei loro rintocchi, la leggera brezza che muoveva i suoi capelli e la candida criniera di Caesar la colmavano di serenità, tenevano la sua mente lontana dai ricordi velenosi che tormentavano il suo cuore.
Ormai aveva dimenticato cosa significasse sentirsi così: non le capitava da prima del viaggio in Normandia con Fersen? No, ancora prima. Si era sentita in pace nel periodo trascorso ad occuparsi di Rosalie? Nemmeno. Correva indietro nella memoria per ritrovare un momento di semplice felicità come quello e stentava a trovarlo.
"Forse ho parlato troppo, ti sto stancando..." si interruppe Andrè, notando il suo sguardo assente.
Abbassò il capo e sorrise.
"No, Andrè, affatto"
"E' meglio che rientriamo, non voglio che ti affatichi  il tuo primo giorno di permanenza qui"
Tirò le redini e girò il proprio cavallo in direzione della magione, seguito da Oscar.
Trascorsero alcuni momenti di silenzio, poi si decise a parlargli di quello che aveva notato al cimitero.
In quel preciso istante, una nube oscurò il sole, attenuando la luce che ravvivava i colori della natura attorno a loro.
"Ho visto la tomba di Estelle, a Chablis"
Andrè strinse istintivamente le briglie dell'animale, irritandolo e facendogli perdere il passo.
Oscar continuò, cercando di essere il più delicata possibile.
"La figlia di Florent era tua moglie, non è vero?"
Riuscì unicamente ad annuire, con un filo di voce.
Estelle era un ricordo dolce e doloroso al contempo. Un piccolo, grande rimpianto che la morte rendeva perenne.
"Io...io non sapevo nemmeno che ti fossi sposato..." continuò, quasi sentendosi in colpa per quell'ammissione.
E chiedendosi, in quel preciso istante, quale momento particolare stesse attraversando la sua vita perchè una notizia del genere non le fosse arrivata, anche come semplice pettegolezzo, da Nanny  o da qualche altro domestico.
"Non volevo risvegliare tristi ricordi con le mie parole..."
"Il nostro matrimonio è durato solo due anni, ma le nostre anime erano già molto vicine,  prima che Dio benedicesse la nostra unione. Estelle mi ha lasciato tanto. Ha fatto di Sebastiane mio figlio, un ragazzino stupendo, in cui rivedo i suoi occhi sinceri ed il suo dolce sorriso ogni giorno di più; mi ha insegnato la tenacia per poter ricominciare, sempre, la fiducia nelle proprie forze così come nei doni del Cielo.
Sono stato io quello in difetto nei suoi confronti."
Oscar alzò lo sguardo ed incrociò i suoi occhi.
C'erano sentimenti che non affioravano sulle sue labbra, ma che sembravano vibrare nelle sue iridi, così scure senza la luce del sole ad illuminarle.
"L'ho amata con tutto me stesso-poi improvvisamente abbassò il tono di voce, al punto che faticava quasi a sentirlo-l'ho amata come ho potuto, ma non come meritava."
Rimase ammutolita. Percepiva che qualcosa, in quelle parole, risuonava sotto la sua pelle.
Forse perchè anche lei era stata oggetto di un amore inadeguato per le sue aspettative?
Era così che Fersen avrebbe potuto descrivere quello che c'era stato tra loro?
La sua voce, che tornò vibrante, la distolse dai suoi pensieri. La stava fissando, intensamente.
"Possiamo perdere l'amore vissuto, la morte può strapparcelo via.
Ma è il rimpianto di quello che non abbiamo donato a tormentarci per il resto dell'esistenza"
Il raggi del sole sbucarono dalle nubi e tornarono ad illuminare il volto di Andrè e come se avessero scacciato dei cupi pensieri, il giovane tornò a sorridere.
"Ora è meglio che ci incamminiamo di buona lena. Muet è più taciturna di mia nonna, ma non meno permalosa se la si fa attendere per pranzo"
Rammentò il problema al braccio di Oscar e partì con un trotto leggero per non crearle difficoltà.
Quando svoltarono per il paese era mezzogiorno, le stradine di pietra erano deserte.
L'uomo chino sulla fontana, con una logora uniforme verde, non potè passare inosservato.
Quando sentì il rumore degli zoccoli,  si voltò con il volto grondante d'acqua.
Andrè fermò il suo cavallo, imitato dalla giovane.
"Buongiorno signori, scusate se mi rivolgo a voi, ma...ecco...volevo sapere...sono molto lontano dal villaggio di Fleys?"
Andrè smontò da cavallo e si avvicinò al soldato. Indossava una divisa di fanteria ormai consunta, aveva il volto smagrito e l'aria esausta. Stringeva tra le mani una piccola sacca di iuta come fosse il più prezioso  dei tesori.
"Voi siete un soldato di ritorno dalla guerra? Venite dall'America?"
"Si, signore. Ho promesso ad un mio compagno di riportare le sue cose alla sua famiglia, che vive a Fleys..."la voce gli morì in gola, i suoi occhi divennero lucidi e tristi.
"Fleys dista circa 10 miglia da qui." Il soldato sospirò, affranto.
"Perchè non fate una sosta qui a Chablis? Venite da noi, recuperate un po' le forze e ripartite domani."
Fece una pausa.
"Credo che il vostro compagno capirà se fate attendere la sua famiglia ancora un giorno..."
L'uomo ringraziò, commosso.
Andrè si voltò verso Oscar, in cerca di assenso: in fondo aveva invitato quel reduce come se la domaine fosse casa sua.
Rimase  stupito dalla sua espressione.
I suoi occhi erano inchiodati sul volto sofferente del soldato, ma sembravano  vedere qualcosa oltre  quel povero corpo segnato dalle privazioni della guerra, qualcosa che la toccava da vicino.
"Oscar?" la chiamò, con aria interrogativa.
"Si, certo che può venire- rispose, trasalendo-  Puoi occupartene tu?"
Era diventata improvvisamente una statua di ghiaccio.
Colpì leggermente i fianchi di Caesar e si allontanò senza aggiungere una parola.

Non la incrociò più per l'intera giornata.
Il soldato rimase per alcune ore in cucina, rifocillato da Muet, che nonstante la sua rudezza, era una donna generosa, si premurò di riempirgli un sacco con pane e frutta e di donargli una coperta per proteggersi la notte. Sebastiane gli faceva mille domande sulla guerra, ma contrariamente a quanto si sarebbe atteso, l'uomo non parlava volentieri di quello che aveva vissuto. Prima di salutarlo gli fece giurare che non si sarebbe mai arruolato, nonostante il bambino gli avesse fatto notare che con quella gamba sbilenca non l'avrebbero accettato in nessun esercito. Nel pomeriggio si ritirò nella stalla, rifiutando qualsiasi altra sistemazione e si addormentò profondamente.
Andrè doveva recarsi da Lord Weston, quel pomeriggio, e intendeva chiedere ad Oscar di accompagnarlo.
Stava già per bussare alla porta della sua stanza quando Muet lo bloccò.
"Non ha voluto mangiare nulla e ha chiesto di non essere disturbata" gli riferì la domestica.
Rimase un attimo fermo davanti alla sua porta, con la mano alzata, poi decise di assecondarla e uscì da solo.
Trascorse la serata dall'amico e fece ritorno  quando ormai era buio.
Passò davanti alla camera di Oscar e la trovò chiusa, come l'aveva lasciata quel pomeriggio.
Esitò un istante, poi raggiunse quella di suo figlio.
Era già a letto, ma non ancora addormentato. Alla flebile luce di una lampada ad olio stava giocando con i suoi soldatini di legno.
Alzò gli occhi verso suo padre, sentendolo entrare. Gli sorrise e si inginocchiò accanto al letto.
"Ancora sveglio?"
"Già..."replicò in tono triste.
"E' successo qualcosa mentre ero via?"
"No...è che...dopo aver parlato con quel soldato la guerra non mi sembra più una cosa così divertente per chi la combatte veramente"
Andrè sospirò.
"No, non lo è, Sebastiane"
"Anche lui è così infelice per questo? E' rimasto ferito in battaglia?"
"Lui...chi?"
"Il conte- continuò il bambino- non è uscito dalla sua camera per tutto il giorno e..-esitò un momento, avvicinando il volto a quello del padre- ...credo che si stia ubriacando!"
"Ubriacando, hai detto?" ripetè Andrè, palesemente stupito.
"Ma che dici, Sebastiane?"
"E allora perchè farsi portare del vino in camera. Per bere da solo?"
Cercava delle spiegazioni plausibili alle parole di suo figlio, ma il sospetto cominciava a farsi largo nella sua mente.
"Avrà voluto assaggiare il nostro ottimo vino!"
"Padre...prima di cena ne ha chiesto ancora, ed è la terza bottiglia"
Andrè si alzò di scatto. Cercava di mettere insieme quelle parole ed una verità che fosse diversa.
"Adesso dormi, che è tardi. Vado a vedere come sta il nostro colonnello, va bene?"
Sebastiane sembrò rassicurato, depose i giochi e si infilò sotto le coperte.
L'uomo prese la lampada ad olio e raggiunse la camera padronale.
Bussò, senza ricevere risposta. Quindi, senza attendere troppo, aprì lentamente la porta e la chiamò, dopo averla richiusa alle sue spalle.
La stanza era buia. Il vento che entrava dalla finestra spalancata agitava senza sosta le delicate tende di raso.
Spostò la luce cercandola e finalmente la illuminò. Era gettata su una sedia, scalza, la testa appoggiata allo schienale e i lunghi capelli riversi oltre questo, anch'essi mossi dal vento. Sul viso le tracce di lacrime lasciate asciugare sulla pelle.  Nella mano destra, che dondolava ritmicamente, stringeva un bicchiere, non ancora svuotato. Sul tavolino, innanzi a lei, due bottiglie ed una rovesciata, completamente vuota.
"Oscar! Oscar! Si può sapere cosa diavolo..."
Non riuscì a continuare la frase, quando lei si girò e vide i suoi occhi vuoti, offuscati dall'alcool.
"Oh, buonasera, Monsieur Grandier!"
Alzò il braccio, come per brindare.
"Davvero ottimo il vostro vino, il degno compagno per una serata all'insegna dei bei ricordi!"
L'uomo si avvicinò alla finestra e la chiuse. Le tende e i suoi capelli smisero di agitarsi. Nella sua mente sembrò calare il silenzio.
Si inginocchiò davanti a lei e la fissò negli occhi.
"Io non capisco, Oscar. Oggi non mi sembravi così...mi era parso che stessi bene. Cosa è successo?"
"Niente, non è successo niente. Un uomo non si può rallegrare la serata con un po' di vino?" aveva calcato la voce mentre si definiva tale.
"Tre bottiglie non sono un po'..."
Oscar alzò la testa sbuffando.
"Non farmi la predica... non sono un ragazzino! Se fossi come quel reduce, rintanato nelle nostre scuderie, non staresti qui a rimproverarmi!"
Non si fece distrarre dai suoi discorsi senza senso.
"Vuoi spiegarmi cosa ti è successo? Quel soldato c'entra, lo so. Sei cambiata non appena lo hai visto"
"Stai vaneggiando"
"Non credo"
"Quell'uomo è un poveraccio come tanti. Come me e te. Uno che si porta appresso il peso dei propri errori..."
Fece per alzarsi, ma barcollò immediatamente e dovette appoggiarsi alla trave del camino, voltandogli le spalle.
"Quali errori? Di cosa stai parlando?"
Taci, Andrè, taci!  Non hai idea di come sia riuscita a perdere tutto quello che contava nella mia vita nel giro di poche settimane...
"Sono stanca, Andrè, e tu...tu sei fastidioso, stasera. Lasciami in pace"
Il bicchiere le scivolò dalla mano e rotolò sul pavimento.
Andrè lo raccolse e lo appoggiò sul camino, cercando i suoi occhi nascosti dai ciuffi di capelli che le ricadevano sul volto.
Rise con voce roca, osservando la mano ormai vuota.
"Non guardarmi così. Solo una distrazione....una piccola distrazione.
Di quelle che compiamo mille volte in un giorno. Come dimenticarsi di essere un uomo e agire coma la più stolta delle donne."
Tacque un istante.
"Perchè non tutte le donne sono delle schiocche, sai? La contessa di Polignac o Rosalie Lamorliere...sono ben altro. Ma io... io si, caro Andrè. Per questo ho deciso che d'ora in avanti vivrò come un uomo..."
La bloccò immediatamente.
"Ero ancora a palazzo Jarjayes quando decidesti di vivere come un uomo, Oscar. Avevi quattordici anni e..."
Non terminò la frase.
Perchè non era a quel momento che lei si stava riferendo. Perchè evidentemente era accaduto qualcosa dopo la sua partenza da Versailles.
Aveva compiuto delle scelte seguendo il cuore di donna rinnegato da ragazza per vestire i panni dell'erede maschio del Generale Jarjayes.
Le si avvicinò e posò una mano sulla sua spalla.
"Non ho bisogno della tua compassione, Monsieur Grandier" disse con tono incattivito. "Riservala pure ai reduci di guerra!"
Voleva che gli aprisse il suo cuore, desiderava sinceramente capire cosa le era successo negli anni che li avevano visti divisi, ma a quelle parole sentì montare la rabbia. Afferrò la bottiglia mezza piena e gliela mise davanti agli occhi.
"Per stasera passi, Oscar. Ma non credere che tollererò ancora di vederti sprecare  così in  malo modo il mio lavoro e quello di coloro che si spaccano la schiena su queste terre. Il vino che hai scolato, senza neanche percepirne l'aroma e la fragranza, è il frutto di fatiche e sacrifici di molte persone, io per primo!"
Per la prima volta durante quella conversazione, Oscar si girò e lo guardò negli occhi.
"E io non ti permetto di trattarmi come l'ultimo dei tuoi garzoni! Vivi qui da anni e mandi avanti la tenuta, ma non scordarti chi sia il padrone! Se ne avessi le forze, ti darei una bella lezione, anche da ubriaca! Non dimenticarti chi sono io!" replicò, seccamente.
Le voltò lentamente le spalle e raggiunse la porta.
"Questo non l'ho mai fatto, Oscar. Non è passato un solo giorno da quando vivo a Chablis in cui non abbia ricordato chi sei"
La rabbia sembrava svanita, sostituita da una dolorosa consapevolezza.
"Sei tu ad averlo scordato"
Se ne andò senza aggiungere altro.
Solo quando lo vide entrare nella propria camera, Sebastiane uscì dal suo nascondiglio, nel corridoio, e tornò a letto.



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Capitolo 20
*** Titani ***


 Qualsiasi riferimento all'attività "vinicola" in questa fic è pura invenzione; mi scuso anticipatamente per qualsiasi eresia possa aver partorito....


20- Titani


Sbattè più volte le palpebre, mentre la luce del giorno la feriva, come spilli negli occhi. Li coprì con la mano, nel tentativo di attenuare il fastidio.
"Santo Cielo!" gemette, lasciandosi ricadere tra le lenzuola.
Sentiva addosso gli indumenti della sera prima, la bocca secca e impastata per la recente sbornia.
Il rumore di qualcuno che bussava alla porta le causò un' ulteriore fitta di dolore.
"Avanti!" urlò, per far cessare quella tortura.
Si aspettava di incrociare lo sguardo imperturbabile di Muet, o quello severo di Andrè, invece furono gli occhi celesti di Sebastiane a posarsi su di lei, mentre spingeva un carrello davanti a se.
"Buongiorno, Conte. Le ho portato la colazione"
Fece uno sforzo, non voleva maltrattare quel ragazzino, che non c'entrava nulla e non poteva sapere come si fosse ridotta solo poche ore addietro. Ma prima che potesse formulare una qualsiasi risposta, lo vide avvicinarsi al camino e raccogliere a fatica, sostenendosi con la stampella, ciò che rimaneva dei suoi eccessi di quella notte.
Cercò di fermarlo, alzandosi bruscamente, ma la colse una vertigine dolorosa che la bloccò sul suo baldacchino.
"Non dovete compiere movimenti così bruschi dopo aver bevuto...tanto"
Oscar sorrise, arrendendosi alle condizioni pietose in cui versava.
"Sembri esperto di queste faccende, Sebastiane" replicò, con ironia.
Sembrò esitare un attimo, prima di rispondere.
"Beh, non dovrei raccontarlo...e proprio a voi, ma...a mio nonno capita, ogni tanto. Quando è molto triste..." e si interruppe, perchè ben comprendeva quale fosse il dolore che non dava tregua al vecchio Florent.
Era anche il suo.
Dopo quella spiegazione Oscar si sentì, se possibile, anche peggio. Ma Sebastiane non sembrò dar peso a quel momento di imbarazzo e continuò.
"Vi ho portato del the bollente e molto forte, dovete berlo tutto"
Sembrava un piccolo dottore mentre le parlava. Si avvicinò alla sua toelette  e riempì il catino di acqua fresca.
"E questo per rinfrescarvi la faccia, avete un aspetto orrendo anche se...siete sempre una donna molto bella."
Oscar si voltò di colpo a guardarlo. Stava per ribattere, ma non aveva nessuna intenzione di negare questa verità e nemmeno le interessava sapere come lo avesse scoperto. Preferì assecondarlo.
"Avete qualche altra prescrizione da suggerirmi per rimediare al mio recente stato di ubriachezza, dottor Grandier?"
Sebastiane la fissò un istante, poi le rispose in modo molto serio, come un vero medico.
"Dovete vestirvi, indossare qualcosa di comodo e...raggiungermi nelle scuderie"
Solo quando la donna ricambiò il suo sguardo con uno colmo di stupore, il ragazzo si aprì in un sorriso accattivante e le strizzò l'occhio.
"Senza fretta, conte...contessa..."
"Va bene solo Oscar" sbuffò divertita.
"Come desiderate. Vi attenderò là" e piegandosi in un inchino esagerato, lasciò la stanza.


Era il pomeriggio di una giornata tiepida e soleggiata.
Cavalcavano insieme da circa mezz'ora. Sebastiane montava un pony pezzato, che riusciva a governare nonostante la sua gamba malata, e faceva strada a Caesar.
"Posso chiedere dove siamo diretti?" intervenne Oscar.
"Alle vigne decane " rispose il ragazzo, come se fosse una cosa ovvia.
"E a quale scopo?"
Non rispose, ma lasciò che lei affiancasse il suo cavallo e puntò il dito verso i filari.
Tra le viti perfettamente allineate si intravedevano numerosi braccianti, uomini e donne che lavoravano incessantemente, come api multicolori in un immenso alveare. E riconobbe immediatamente, tra tutte quelle persone, la figura di Andrè, che si muoveva  richiamato e salutato da tutti, mentre osservava il loro lavoro, dava indicazioni su come proseguire o semplicemente si fermava a valutare come procedeva l'attività.
"E' la potatura..." spiegò brevemente Sebastiane alle sue spalle.
Annuì di riflesso, mentre fissava Andrè bere l'acqua che una ragazza gli aveva offerto e ringraziarla con un qualche complimento che non riuscì a sentire, ma che ebbe l'effetto di farla ridere e correre da un'amica lì vicino, mentre lui passava oltre. E sentì che già il suo sorriso le mancava, che voleva che la salutasse, le augurasse il buon giorno e le spiegasse cosa stava accadendo in quella vigna.
"Venite con me!" Il ragazzo la richiamò alla realtà.
Lo seguì fino ad una radura, dove si trovavano altri cavalli legati e dove venivano accumulate le piccole fascine di rami secchi tagliati dalle piante.
"Cosa siamo venuti a fare, di grazia?" chiese infine.
Sebastiane le rivolse un sorriso raggiante.
"Andiamo a lavorare! Non sapete che l'ozio è il padre di tutti i vizi?"
Prima che potesse replicare, lo vide incamminarsi con la sua altalenante andatura tra i filari.
Riuscì a raggiungerlo prima di perderlo di vista. Quando arrivarono al terrazzo più in basso, il ragazzo si fermò e cominciò a spiegarle cosa dovevano fare, non come se lei fosse il nobile padrone di quelle terre, ma un braccainte al suo primo giorno di lavoro.
Le veniva da ridere.
"Su, non cercate scuse. Posso garantirvi che è molto più faticoso marciare reggendo la baionetta, sotto il sole e la pioggia!"
Si arrese, divertita dalla sua intraprendenza e dalla simpatica sfrontatezza che le riservava  e gli si avvicinò, dopo avergli ricordato che, in quanto ufficiale, lei sfilava sempre a cavallo e non aveva mai marciato sotto le intemperie. In tutta risposta Sebastiane fece spallucce e le allungo una specie di coltello  con la lama seghettata. Poi si accomodò a pochi passi da lei, all'ombra.
"Cosa pensi di fare, seduto lì?"
"Io vi indico quali rami tagliare, perchè non avete esperienza e potreste rovinare le piante. E poi chi lo sente mio nonno! E' un lavoro che non posso compiere, se devo reggermi in piedi con la stampella. Ma non temete: oltre a farvi da guida, raccoglierò i rami secchi e preparerò le fascine."
Oscar lo assecondò: in fondo non era mai stata schizzinosa ed era annoiata dalla sua forzata inattività. Pensò che da qualche parte doveva pur cominciare a conoscere e capire quel mondo contadino che adesso era anche il suo. Forse anche Andrè aveva mosso così i suoi primi passi in quella realtà così diversa da palazzo Jarjayes.
"Tenete ben stretto il ramo con la mano sinistra e colpitelo col braccio destro"
Sebastiane sembrava impartirle un ordine, con dolcezza, come se sapesse cosa stava facendo. Questa sua consapevolezza la stupiva e al contempo la incuriosiva.
"Non ho abbastanza forza col destro" replicò, sfiorandosi la spalla ferita.
I suoi occhi chiari, sempre ridenti, divennero terribilmente seri.
"La maggior parte dei rami da recidere sono quasi secchi, molto fragili...avanti, fate un tentativo!"
Rimase immobile. E lui si accorse che quello che stava realmente provando era paura.
"Fidatevi...fidatevi di me!" la esortò.
E così si buttò. Al primo colpo il ramo si piegò appena, al secondo era quasi completamente staccato dal tronco. Non aveva bisogno di voltarsi per capire che il ragazzo stava sorridendo.
Lavorarono così quasi tutto il pomeriggio e alla fine avevano sistemato circa due filari completi, più o meno quello che un uomo in forze avrebbe eseguito  in un a sola ora. Ma erano entrambi visibilmente soddisfatti.
"Vi duole il braccio?"
Oscar annuì.
"E' un ottimo segno. Davvero."
La donna lo guardò perplessa, inarcando un sopracciglio.
"Mia mamma mi diceva sempre che solo i morti non soffrono mai"
"Non c'era bisogno di farmi lavorare così per rendermi conto che non sono morta"
"E nemmeno il vostro braccio, se vi fa male"
Non replicò più nulla, il suo sguardo si posò sulla gamba rigida del ragazzo e pensò a quante lezioni sul dolore umano avesse già imparato, anche se poco più che bambino.
"Questa non è la strada di casa" notò quando lo vide svoltare verso una sentiero che si inoltrava nel bosco.
"No, infatti"
"Hai in serbo qualche altra sorpresa per me?"
Prima che potesse darle spiegazioni apparve all'orizzonte la villa di Lord Weston.
"E' l'ora del the, per caso?"
Sebastiane rise di gusto.
"State imparando in fretta, mio colonnello!" e spronò il pony in direzione della meta.
Quando furono ammessi di fronte al nobile inglese, questi li accolse compiaciuto.
"Quale onore, conte de Jarjayes! Sono commosso che vi siate ricordato di questo mio piccolo capriccio quotidiano".
Oscar e Sebastiane si scambiarono un'occhiata complice.
"Venite, venite, fate come foste a casa vostra! Sapete che non bado a certe formalità. Monsieur Grandier è già di là, nello studio" e mentre pronunciava queste parole, conduceva i suoi ospiti in un'ampia stanza con le pareti rivestite in legno e una possente scrivania in mogano, coperta di carte, dietro alla quale sedeva Andrè, intento a scrivere.
"Vado ad ordinare alla servitù di aggiungere altre due tazze del servizio" disse il padrone di casa, scivolando fuori dalla stanza.
"Io volevo dare dell'acqua ai cavalli, prima che il the sia servito" aggiunse Sebastiane, seguendolo.
Andrè alzò gli occhi dal suo lavoro e la vide. Erano soli.
Anche se ricordava bene le parole rabbiose che gli aveva gettato addosso solo poche ore prima, non potè ignorare quanto la trovasse attraente in quel momento, con le guance colorite, i capelli arruffati e i riccioli attaccati alle tempie per il sudore, le maniche rimborsate fino ai gomiti, senza quell'orrenda fasciatura con cui sosteneva il braccio malato. I suoi occhi seguirono rapiti il colletto della camicia, che aveva allentato, scoprendo la pelle del collo e lasciando intravedere le fasce con cui tratteneva il suo seno.  Distolse rapidamente lo sguardo, colpito lui stesso dall'intensità delle emozioni che provava quando le stava vicino.
"Ciao, Andrè"
Le parve imbarazzata, ma felice.
La salutò freddamente e tornò a chinarsi sul suo lavoro, sforzandosi di ignorarla.
"Sono stata nei vigneti, con Sebastiane...devo avere un aspetto orrendo!"
Non riuscì a frenare il sarcasmo.
"Sempre meglio di come ti ho visto ieri sera..."
Si sentì subito sleale per quel colpo basso.
"A proposito di ieri sera...ecco, io...non ricordo precisamente quali parole ho usato, ma...credo di essere stata sgradevole e..."
"Sei a casa tua, Oscar. E come mi hai giustamente ricordato, sei il padrone, puoi fare ciò che vuoi.
Non devi...giustificarti, con me"
Lo guardò, in silenzio, indecisa se continuare e scusarsi o tacere.
"Non c'è nulla che debba perdonarti, dico sul serio" proseguì, alzandosi e avvicinandosi a lei.
"Preferirei che mi aiutassi a capire come mai hai dovuto chiuderti in camera e bere quasi tre bottiglie di vino solo per aver incrociato un soldato di ritorno dalla guerra americana"
La vide irrigidirsi, i suoi occhi diventarono impenetrabili come il ghiaccio.
"Ma vedo che se più disposta a porgere scuse che ad aprire il tuo cuore"
Oscar si morse un labbro, evitando il suo sguardo.
La pendola sul muro battè le cinque.
"Lord Weston ci starà già aspettando..."
Le sfilò accanto ed aprì la porta.
Chiuse gli occhi, dentro di lei si affrontavano, come due titani, sentimenti contrastanti.
Il desiderio di confidarsi  con lui ed il pudore per i sentimenti che, nonostante la sua ferrea volontà di vivere come un uomo, la riportavano ai pochi momenti in cui si era concessa di agire come una donna.
"Andrè, io..."disse voltandosi.
Era già troppo lontano per udirla.
Era già troppo tardi per decidere.



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Capitolo 21
*** Luci ***


 Chiedo umilmente perdono per il ritardo dell'aggiornamento, non previsto. Ormai accuso l'età e gli impegni della mia vita....
Il mio Andrè fa impallidire il buon samaritano, ne sono consapevole, ma è tutto frutto del mio immenso amore per questo personaggio, a causa del quale perdo ogni lucidità!
Dopo questo capitolo, non sarà solo Sere a suggerirmi la psicanalisi :-)


21- Luci 


Chablis, fine maggio 1782

I giorni volarono e si ritrovò alla serata del ballo di primavera senza quasi rendersene conto. E soprattutto vedendo sempre più di rado il suo ex attendente, preso dai preparativi e dalle sue mansioni di amministratore, in stretta collaborazione con Lord Weston, dal quale spesso si fermava a desinare e persino a dormire.

Dal canto suo, lei trascorreva la maggior parte del suo tempo con suo figlio: lavoravano insieme nelle vigne, sotto lo sguardo sospettoso ed incredulo degli altri contadini, che tuttavia si abituarono in breve tempo all'andirivieni di quella coppia così curiosamente assortita.
Oscar capì in poco tempo  a che genere di qualità si fosse riferito Andrè parlando del ragazzo: Sebastiane era pieno di energia, sensibile e generoso, un attento osservatore ed uno spirito arguto.
Un pomeriggio, mentre si dirigevano da Lord Weston, avevano incrociato un gruppo di lavoranti, tra i quali camminava una ragazzetta supergiù della sua età, particolarmente graziosa.
Senza alcuna esitazione Sebastiane le aveva confidato che da grande l'avrebbe sposata.
"Si chiama Camille...non è la fanciulla più bella che abbiate mai visto?"
Oscar gli aveva risposto con un sorriso, chiedendosi se si fosse mai posto il problema della sua gamba, se non si fosse mai sentito uno storpio agli occhi degli altri.
"Lo so cosa pensate- aveva aggiunto- lei è perfetta, mentre io zoppico come un vecchio e non sarò mai alto e aitante come certi giovanotti di qui"
"No, Sebastiane...voglio dire..."
L'aveva interrotta, come sempre quando esitava di fronte a lui.
"Sapete cosa mi diceva sempre mia madre?"
Scosse la testa.
"Se avrai qualcosa di veramente bello ed unico da mostrare agli altri, non la vedranno neppure la tua gamba!"
"Ti ha lasciato molti insegnamenti, tua madre"
Il ragazzo guardò l'orizzonte, sorridendo.
"Penso che sapesse di non avere molta vita davanti a se...per questo mi elargiva sempre i suoi consigli e le sue massime, non appena ne aveva l'occasione. E forse li ho così a mente perchè è tutto quello che mi rimane di lei"
Oscar si sentì imbarazzata e al contempo sorpresa che Sebastiane parlasse sempre così, in totale serenità, sorridendole, senza cercare compassione da parte sua.
Proprio quel giorno le aveva mostrato la sua camera.
"Vi ho detto che le sagge parole di mia madre sono tutto ciò che ho di lei, ma ho dimenticato qualcosa di altrettanto importante" e così dicendo aveva aperto la porta di fronte ad Oscar e le aveva indicato le pareti della sua stanza: erano tappezzate di quadri.
Disegni in carboncino, acquarelli, tele ad olio di ogni misura.
Si era soffermata stupefatta davanti a quei tratti delicati e realistici.
E aveva rivisto Andrè.
Un suo ritratto quando aveva diciannove anni, i grandi occhi verdi e l'aria quasi spaurita.
Poi il giovane insieme al piccolo Sebastiane mentre pescavano, uno accanto all'altro, sull'argine di un canale. Un'immagine di lui sdraiato sotto ad una quercia, assopito, un'altra mentre intagliava assorto un ceppo di legno, davanti al fuoco del camino.
E poi rimase a bocca aperta davanti all'autoritratto che Estelle aveva fatto  nel giorno delle sue nozze. I capelli raccolti, con piccoli boccioli bianchi ad adornarli; l'abito chiaro, con un leggero strascico; un mazzo di fiori di campo stretto tra le mani.
Improvvisamente fu consapevole del tempo che era trascorso, di ciò che era stata l'esistenza di Andrè mentre lei seguiva come una falena impazzita la luce  della sua regina, i suoi capricci, i suoi amori impossibili, tutte le cose vane ed effimere con cui cercava di colmare le sue insoddisfazioni....Quello che in fondo aveva fatto lei stessa: la carriera sempre in ascesa, per gratificare le aspettative del generale, il suo cieco senso del dovere e dell'onore, il suo impegno ad occuparsi di Rosalie, a consolare Fersen...
Il ragazzino aveva notato lo sguardo ferito che aveva assunto la sua ospite e le aveva chiesto se andasse tutto bene. Si era sentita ancora peggio, mentre si perdeva in malinconici ricordi di fronte alle opere della madre di Sebastiane. Lo aveva rassicurato ed era uscita da quella stanza.
Lei ed Andrè erano distanti, li separavano otto lunghi anni, di cui si ostinava a non parlargli, e che in fondo rappresentavano il vero motivo per cui si trovava a Chablis.
Decise che gli avrebbe raccontato cosa ne era stato della sua vita, dopo che aveva lasciato palazzo.
Avrebbe atteso la fine della festa di primavera, che tanto lo teneva occupato, e avrebbe cercato di colmare quella distanza, così come Sebastiane e Lord Weston stavano facendo con il  passato del giovane.
Questi erano i suoi pensieri, mentre allacciava il gilet in raso e si preparava a raggiungere gli ospiti alla festa. La casa era deserta, tutti erano stati coinvolti nei preparativi, e persino Monsieur Florent aveva raggiunto la piccola piazza di Chablis subito dopo pranzo, con la scusa di dover tenere d'occhio Sebastiane. Quanto ad Andrè, sapeva che era fuori casa dalle prime luci dell'alba e non si erano visti per l'intera giornata.
Terminò di prepararsi che già si sentivano i musicanti provare gli strumenti e più volte le era giunto il vociare di gente venuta da fuori che passava davanti alla villa per raggiungere il luogo della festa ed il cigolio delle ruote di calessi e carretti diretti nella medesima direzione.
Sorrise tra se mentre ultimava i preparativi prima di uscire. Quanta agitazione per una semplice festicciola di paese! Nessuno di quelle persone, così eccitate ed euforiche, poteva anche solo immaginare la magia e le atmosfere surreali che si creavano nei giardini di Versailles, di come la regina sapesse trasformare ogni evento in una favola, della quale si rendeva sempre protagonista.
Quando udì i rintocchi della campana, che segnavano la fine dei vespri della sera, si decise ad uscire.
Sapeva che i festeggiamenti avrebbero avuto ufficialmente inizio solo dopo che fosse terminata l'ultima celebrazione religiosa nella chiesa del paese. Benchè ormai stesse calando il crepuscolo c'era luce sufficiente per non accendere candele e si diresse così, decisa, fuori dalla sua stanza giù per le scale.
In quello stesso istante Andrè rientrò rapidamente in casa e percorse velocemente i primi gradini, senza alzare il capo.
Oscar si fermò, non appena lo intravide e lui, salendo  due gradini per volta, quasi le finì addosso. Le loro mani si sfiorarono, strette sullo scorrimano. Solo allora il giovane alzò lo sguardo, di scatto e i loro occhi si incrociarono. Rimasero alcuni istanti immobili, ciascuno incatenato all'altro, nel silenzio surreale della villa.
La donna si sentì ancora una volta trafitta e penetrata dall'intensità di quegli occhi, dalla luce che sembravano emanare, messi in risalto dai riccioli bruni che incorniciavano il suo volto. E in quell'istante si rese conto che i suoi capelli erano più corti, non più stretti nella coda che ben conosceva, ma sciolti e liberi sulle sue spalle.
C'era qualcosa di selvaggio ed al contempo intrigante nel suo viso, senza la solita capigliatura ordinata.
"Ti sei...ti sei tagliato i capelli"
Si sentì stupida per quell'osservazione, ma le sfuggì quasi inconsapevolmente.
La sua risposta sembò altrettanto banale.
"Io...li taglio sempre all'inizio della stagione...sai...il lavoro diventa più faticoso e alla fine così sono...più pratici"
Oscar sorrise e lui lo interpretò come una specie di approvazione.
"Avevo dimenticato una cosa in camera mia. Se vuoi aspettarmi, possiamo raggiungere la festa insieme"
Annuì, avvertendo un sottile imbarazzo, il suo cuore battere un po' più forte. Si stava chiedendo come mai un giovane con cui era cresciuta, come fosse suo fratello, dovesse provocarle reazioni così, a cui non riusciva a dare un nome, poi Andrè uscì dalla sua stanza, la raggiunse sulle scale e lei si accorse di sorridere.

Sono felice, è questo che lui fa nascere in me...
Lasciarono insieme la casa e si avviarono verso la piazza.
Oscar alzò gli occhi e vide tutte le finestre delle case lungo i viottoli che percorrevano, illuminate da candele colorate ed adornate di fiori. Nell'aria l'odore della carne cotta alla griglia si mescolava al dolce profumo della frutta caramellata e all'aroma di cannella delle torte appena sfornate.
"Ti piace?" le chiese Andrè, notando come si guardava intorno.
E lei si sentì come una bambina portata per la prima volta alla fiera del paese, felice di quei piaceri semplici, ammalliata da quella bellezza così naturale e priva degli artifici abitualmente esposti a corte, ai quali si era ormai assuefatta.
Nella piccola piazza di Chablis era stato montato un palco di legno, circondato da alcuni tavoli e, da un lato, da una  orchestra risicata, che comprendeva alcuni suonatori di viole e violini ed una fisarmonica, illuminato da file di lenterne sospese sopra di esso.
L'effetto era davvero magico ed inatteso.
Andrè l'accompagnò ad un tavolo, elegantemente rivestito da una tovaglia ricamata ed apparecchiato con calici di cristallo, a cui sedeva, sorridente, Lord Weston.
"Sempre molto elegante, conte de Jarjayes! Prego, accomodatevi!"
Oscar fece appena in tempo a sedersi che già un  gruppo di ragazze, con indosso i tipici costumi locali, circondarono il giovane.
"Monsieur Grandier! Monsiuer Grandier! Complimenti, come sempre...gli addobbi e le decorazioni sono meravigliose!"
Andrè le salutò una per una, pronunciando i loro nomi e flettendosi in un leggero inchino, mentre portava alle labbra le mani di ciascuna di loro.
Oscar avvertì un certo fastidio, che non sfuggì al suo vicino.
"Eh, conte de Jarjayes, dovrete abituarvi! Qui i nostri nobili natali non hanno alcun ascendente sul gentil sesso. Le giovani sono tutte popolane e dirigono le loro attenzioni sul nostro Andrè e direi...su nessun altro"
Non gli rispose neppure, mentre lo guardava allontanarsi con una di quelle smorfiose sottobraccio.
Dopo pochi istanti iniziarono le musiche, si sarebbe aspettata che cominciasse a danzare con una delle esuberanti ragazze che lo avevano trascinato via.
Invece lo vide dirigersi  verso un tavolo in penombra, dove sedevano una vecchia vestita di nero ed una giovane smagrita, pallida, con lo sguardo vitreo, fisso innanzi a se. Lo vide pronunciarle qualcosa, mentre le si inchinava davanti, poi le sollevò delicatamente la mano che teneva in grembo e la condusse al centro del palco.
Ballarono soli, ammirati da tutti, per alcuni minuti, illuminati dalle luci fluttuanti delle lanterne, allontanandosi e avvicinandosi. Oscar si perse, rapita dai movimenti fluidi e sicuri con cui Andrè la guidava, cingendole la vita quando avanzavano affiancati, sfiorandole la braccia quando piroettavano uno attorno all'altro.  
La voce del nobile inglese le giunse come da un altro mondo.
"Sta ballando con Mademoiselle Marguerite Bolden...è una giovane che disgraziatamente...Per farla breve, è cieca"
"Cieca?" esclamò forte.
"Già, poveretta. Vive sola con l'anziana nonna. Nessuna possibilità di fare qualcosa nella vita, nessuna speranza che qualcuno la chieda in moglie" continuava Lord Weston.
"E Andrè apre sempre le danze con lei, ogni anno. Qualche altra giovane si è persino risentita di questo privilegio riservato alla cieca del paese. Ma come potrete immaginare..."
"Andrè è del tutto indifferente a queste critiche" concluse Oscar, mentre un sorriso increspava le sue labbra.
"Proprio così. E regala a questa fanciulla un momento di protagonismo all'inizio della festa, che seppur breve, è esclusivamente suo. Questo è Andrè Grandier."concluse Lord Weston.
Si, questo è il mio Andrè....diceva una voce dentro di lei, riempendole il cuore di uno strano calore.
Il nobile continuò la conversazione indicandole e presentandole i vari cittadini presenti alla festa.
"Conoscete davvero tutti"  rispose infine Oscar, all'ennesimo nome che uscì dalla bocca di Lord Weston.
L'uomo rise sonoramente.
"Beh, Chablis e i suoi dintorni sono un luogo piuttosto piccolo. E' quasi inevitabile...e poi, da quando risiede qui Monsieur Grandier..."
Oscar si girò a guardarlo, incuriosita. Era una casualità che le parlasse continuamente di lui?
"Dovete sapere che quando Monsieur Grandier è arrivato, quasi dieci anni fa, il paese non era come lo vedete ora, e nemmeno la vostra dimora...
Il vostro servitore ha cominciato con la sistemazione della villa padronale, che, non potete immaginarlo, ma era ridotta ad una catapecchia. Il falegname ha assunto tre lavoranti per stare dietro a tutte le opere necessarie e ha guadagnato bene. Andrè lo ha convinto ad acquistare dei terreni dalla canonica e a piantumarli per avere nuovo legname,  senza doverlo acquistare da fuori. Il parroco, con i soldi così guadagnati, ha fatto sistemare la piccola chiesa, dando così a sua volta lavoro a diversi operai, povera gente che era occupata nelle vigne d'estate ma che di inverno faceva la fame. Ha suggerito al capocarpentiere di investire i guadagni ottenuti dalla ristrutturazione della chiesa comprando del bestiame, che pascola sui terreni più impervi e incolti della vostra tenuta. Ha convinto persino me a mettere a frutto i miei possedimenti, in modo da consentire ad altre famiglie di insediarsi qui e di lavorare.
Amministra praticamente tutto lui, sotto l'effige dei Jarjayes e dei Weston, con il mio modesto contributo. E come sapete, le rendite dei nobili non sono tassate. Così avanza sempre qualche somma che devolve ad una nuova attività. Da due inverni paga un precettore perchè insegni ai ragazzini i rudimenti del calcolo e della scrittura nei mesi in cui non sono impiegati nei campi...
Qui non vedrete mai mendicanti. Monisuer Grandier trova sempre un'occupazione a chi cerchi un modo per sbarcare il lunario. E quelli che lo fanno per pigrizia, li cacciamo dal paese."
Oscar lo stava guardando attentamente. Aveva capito che Andrè fosse molto impegnato e coinvolto nelle diverse attività produttive di Chablis, ma non aveva capito quanto ne fosse anche l'artefice.
Lord Weston assunse un'espressione molto seria, insolita per lui.
"Andrè Grandier è una persona  dotata  di intelligenza e coraggio. Un connubio difficile da trovare in un solo uomo, soprattutto in un semplice servitore. Se fosse stato al mio servizio,  non avrei mai permesso che qualcuno lo allontanasse da me"
La giovane sentì una fitta di dolore accuita dalle ultime parole del nobile inglese.
Stava per replicare che un ordine del Re non si discute, che non poteva giudicarla, proprio lui che si era rintanato in quello sperduto angolo di campagna francese per sottrarsi ai più elementari obblighi legati alla sua condizione aristocratica e alla sua corona. Ma tacque, invece, e volse nuovamente lo sguardo in direzione dell'oggetto di quella conversazione. Andrè danzava col sorriso sulle labbra, muovendosi con eleganza e maestria tra i giovani del villaggio.
"Qui però ha trovato la felicità..." sussurrò, quasi a cercare una motivazione che nobilitasse la sua scelta di non intervenire per riportarlo a Versailles.
Lord Weston si chinò verso di lei, come per confidarle un segreto.
"E' maggiore la felicità che ha dato che quella che ha ricevuto. "
"Ma ha trovato l'amore..."
"Vi riferite ad Estelle, sua moglie?"
"Si..."disse piano, sentendo un leggero tremito sulle labbra.
"Ci sono anime che gli uomini uniscono in terra al cospetto di Dio, ma ce ne sono altre che nascono predestinate, indissolubilmente legate nonostante gli eventi le separino, congiunte a dispetto del volere degli uomini e forse di Dio stesso"
"Non capisco..." replicò la donna, ma non ricevette risposta. In quel momento Andrè smise di danzare e si avvicinò al tavolo, dove si sedette pesantemente, con aria sfinita.
"Cominciate ad accusare gli anni che passano, Monsieur Grandier?" lo sbeffeggiò Lord Weston.
"Già..." rispose, mentre si versava del vino.
"Non immaginavo che ballassi così bene..." intervenne Oscar.
"Ho decisamente messo a frutto le lezioni di danza impartiteci a palazzo Jarjayes, anche se i balli popolari sono meno...raffinati di quelli di corte. Puoi danzare anche tu, se lo desideri. Non sei in servizio come colonnello della Guradie Reali stasera"
Oscar alzò gli occhi dal suo bicchiere e lo fissò per un istante. Tante parole che tratteneva dentro sè da settimane giunsero con prepotenza alle sue labbra.
"Io...non sono più il comandante delle Guardie di Sua Maestà."
Andrè non comprese appieno il significato di quella spiegazione.
"Lo so, sei in congedo, ma..."
"No, Andrè, non lo sono ora, nè lo sarò più"
Nei suoi occhi lesse incredulità e stupore.
"Se non intendete danzare, conte de Jarjayes, vi consiglio di sgranchirvi le gambe con una passeggiata lungo le vie del villaggio, prima che faccia completamente buio. Non vi capiterà spesso di ammirare la nostra piccola Chablis così abbellita" suggerì Lord Weston.
Non fece in tempo a rispondere che Andrè si era già alzato.
"Andiamo...vengo con te" le disse, sorridendole. Una leggere brezza agitava le piccole lanterne e giochi di luce si alternavano sul suo volto.
Anche lei gli sorrise e uno accanto all'altra si allontanarono.
      

 

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Capitolo 22
*** Pensieri ***


 
22- Pensieri


Dopo pochi passi la musica e le voci provenienti dalla festa divennero un rumore sempre più attutito, un suono lontano. Raggiunsero la lavanderia, lo spiazzo con l'ampia vasca rettangolare usata come lavatoio dalle donne del paese, un piccolo specchio d'acqua in cui si rifletteva uno spicchio di luna. Videro una coppia di giovani allontanarsi rapidamente al loro arrivo per cercare un luogo più appartato.
Andrè si sedette sul bordo di marmo della vasca ed Oscar lo imitò, volgendosi tuttavia dalla parte opposta, quasi voltandogli le spalle. Lontano dalla strana atmosfera che avvolgeva il luogo della festa si sentiva leggermente a disagio, quasi pentita di avergli confessato la sua situazione.
Forse era meglio cambiare discorso, non aggiungere altro, ma quando si voltò verso di lui, pensando di portare la conversazione sulla riuscita della serata, notò come la guardava, assorto. E si sentì disarmata di fronte a quegli occhi così sinceri, al modo in cui si rivolgeva a lei. Capì che stava ascoltando anche il suo silenzio ed un improvviso impulso di piangere e scappare via fu sul punto di sopraffarla.
Andrè se ne accorse ed intervenne prima che sfuggisse ancora ad un confronto con lui.
"Perchè non sei più a capo delle Guardie Reali? Ci tenevi tanto, forse non all'inizio, ma quando è accaduto l'incidente alla delfina..."
"E' stata tutta colpa mia, Andrè" lo interruppe, fissando un punto lontano, nel cielo.
"Io...mi sono intromessa in relazioni molto complicate, ho preso distanza da tutta la nobiltà che gravita a Versailles e in particolare da una donna molto vicina alla regina e molto potente"
Si voltò nella sua direzione, come se si aspettasse una domanda. Ma Andrè rimase impassibile, in attesa che lei continuasse.
"Ho anche accolto a palazzo Jarjayes una sua figlia illegittima, per permetterle di condurre una vita degna della sua condizione ma lontano dagli influssi negativi della madre naturale"
Ancora silenzio.
"Per questo la nobildonna in questione ha ordito un agguato, allo scopo di eliminarmi. E ci è riuscita"
"Non capisco...la tua ferita...nelle sue lettere la nonna mi ha scritto che eri in via di guarigione, che non c'erano danni irreparabili..."
"Ho preso delle decisioni, a discapito delle raccomandazioni del dottore...te l'ho detto, è stata colpa mia. Della mia avventatezza, della mia inesperienza...non sono stata capace di difendermi"
Andrè non riusciva a credere a quelle parole: Oscar che si definiva vulnerabile di fronte alla violenza di una donna, per quanto astuta e potente, gli sembrava inconcepibile.
La guardò mentre poggiava la fronte sulla mano stretta a pugno, quasi a volersi colpire per la sua stoltezza e provò una pena immensa per lei. Avrebbe voluto stringerla a se, poggiare quella fronte sul suo petto e avvolgere con la sua mano quel pugno chiuso, ma si trattenne.
"Non sei mai stata diligente con i suggerimenti dei dottori, Oscar, fin da bambina. Ma non riesco ad immaginare la regina che ti allontana dal tuo incarico a causa di una ferita, per quanto invalidante..."
"Io...sono intervenuta in una situazione molto delicata...e personale. Mi sono messa, o meglio, ho cercato di frappormi tra lei e il conte di Fersen"
Pronunciò quel nome quasi in un sussurro e all'udirlo Andrè sentì il sangue fermarsi nelle vene.
Aveva sbirciato qualcuno dei libelli che dileggiavano la sovrana austriaca, con dettagliati racconti dei suoi amori clandestini, tra i quali primeggiava il bel conte svedese. Ma soprattutto ricordava perfettamente l'impressione che gli aveva lasciato Oscar quel pomeriggio soleggiato di quasi dieci anni prima, mentre lo salutava in compagnia di Fersen, la gelosia che aveva avvertito per quella luce particolare che illuminva il suo viso quando stava con lui.
Frappormi tra lei e il conte di Fersen...
"Volevi allontanarlo dalla regina? Volevi proteggere la sua reputazione?"
"Si...qualcosa del genere..."
La ascoltò raccontare di un loro incontro ad un ballo disertato da Maria Antonietta, della decisione di allontanarsi per un certo periodo da Parigi e rifugiarsi nella tenuta dei Jarjayes in Normandia, del segreto mantenuto con tutti, tranne che con lui,  riguardo alle reali condizioni del suo braccio.
"Ma non mi sono accorta che in Hans cresceva un tormento talmente grande che una semplice fuga lontano da lei non avrebbe potuto lenire..." Si alzò e fece qualche passo in direzione della piazza.
La sua voce divenne un sussurro.
"Una mattina ho scoperto che era partito...aveva lasciato la Francia per andare a combattere la guerra di Indipendenza in America"
E perchè questa sua decisione è stata così devastante per te, Oscar?
Stava per replicare che se le sue intenzioni erano allontanarlo dalla regina, il suo agire aveva avuto pieno successo, più lontano di così...ma si frenò, trafitto da  un pensiero molesto che cercava di ignorare
.
Oscar fece un respiro profondo, come per darsi coraggio e continuare.
"Per un momento ho anche pensato di raggiungerlo...ma non potevo arruolarmi col braccio destro in queste condizioni"
Arruolarti per seguire Fersen nelle Americhe?
"Invece sono rimasta in Normandia per quasi due mesi, con la scusa di una prolungata convalescenza. Quando infine mi sono decisa a tornare e a riprendere il mio ruolo a corte, ho scoperto che con tanta sollecitudine e premura ero stata...sostituita. La regina mi aveva tuttavia riservato un ruolo eminente tra i comandanti a capo dell'Accademia Ufficiali...come ad un vecchio generale prossimo a ritirarsi" concluse con un sorriso amaro.
"La regina ti ha esonerato dal tuo incarico?" ripetè incredulo.
"Già, debitamente consigliata dalla contessa De Polignac. La quale ha fatto ben presente alla sovrana quanto fosse pericoloso per la mia incolumità continuare a dirigere le Guardie Reali con un braccio infortunato, di come mi sarei sentita sollevata se il mio posto fosse stato ricoperto da una persona che stimavo e nella quale riponevo la più completa fiducia."
Andrè la fissò con aria interrogativa.
Oscar gli rispose con aria canzonatoria.
"Davvero non lo immagini, Andrè? Il mio fedele secondotenente, Victor Girodel. Non prima di aver combinato un matrimonio tra lui e Rosalie, la sua figlia illegittima. Che naturalmente ricopre l'incarico lasciato vacante dal marito stesso."
Andrè non riuscì a tradire tutto il suo stupore.
"Quindi c'è ancora una donna tra i comandanti delle Guardie Reali?"
"Beh, non una donna qualunque. La protetta di madamigella Oscar, la giovane contessa De Girodel e, tra non molto, ne sono certa, la figlia naturalmente riconosciuta della dama di compagnia più potente di tutta Versailles. La Polignac ha raggiunto il suo scopo senza ulteriore spargimento di sangue, inducendo la regina a credere di avermi salvato la vita e di avermi compiaciuto, scegliendo al mio posto persone degne della mia stima e della mia considerazione. Quelle che io stessa avrei nominato, se fossi stata deputata a decidere al suo posto. Sono le esatte parole usate da Maria Antonietta."
"Ma..ma tuo padre non ha sollevato obiezioni?"
"Certo che ne ha sollevate, sicuro che il mio problema al braccio fosse solo momentaneo. Ha addirittura proposto di replicare la sfida con la spada tra me e Girodel, come accadde dieci anni prima."
"E a questo punto la verità sulle tue condizioni è venuta fuori..."
Oscar annuì, con gli occhi pieni di lacrime che il pudore tratteneva a forza.
"Ma per certi versi è andata meglio così. Mio padre era comunque soddisfatto perchè non avevo perso i miei gradi e ricoprivo un ruolo importante e di prestigio, ed io finalmente vivevo  in un mondo tutto maschile, dove  le meschinità e le debolezze del cuore delle donne non avevano possibilità di entrare."
La sua voce mutò, assunse un tono di determinazione e sicurezza che Andrè ben ricordava.
"Sai, non credo di essermi mai veramente comportata da uomo come nel periodo che ho trascorso a selezionare ed addestrare i giovani rampolli delle famiglie aristocratiche francesi per farne degli ufficiali degni di questo appellativo"

Vivere da uomo? E' un prezzo troppo alto da pagare, anche per una donna come te, Oscar...
Si persero un attimo, ognuno ad inseguire i propri pensieri. Sapeva di non essere stata sincera fino in fondo, riguardo a Fersen e a come aveva condotto la sua vita al maschile in quegli ultimi anni*. Cancellando i sentimenti e prendendo solo il piacere, o quello che le sembrava tale, dopo una bevuta al circolo ufficiali. Concedendosi con la complicità delle tenebre e ritirandosi prima del sorgere del sole, senza una parola. 
Con la consapevolezza che si trattava di incontri che non avrebbero dato seguito ad altri.
 
Eppure, quandò portò nuovamente lo sguardo su Andrè, gli lesse in faccia una strana espressione e temette di essersi tradita, in qualche modo.
"Pensi che abbia sbagliato, vero? Che avrei dovuto abbandonare l'esercito una volta diventata inabile a combattere, giusto? Magari cominciare una nuova vita da donna..."

Una mano che non può più ferire con la spada, ma può cogliere un fiore e regalare carezze.
No Oscar, non ti avrei mai detto una frase simile...
Io quella mano te l'avrei stretta per non lasciarla andare più.

"In realtà mi chiedevo se il corso degli eventi sarebbe stato tanto diverso se io fossi rimasto al tuo fianco, allora" le rispose alzandosi dal bordo del lavatoio e avvicinandosi.
Una brezza fresca e leggera agitava i suoi capelli, mentre un vento più forte scuoteva il suo cuore.
"Però una cosa sola volevo dirtela, Oscar."
I loro volti erano vicini. I suoi occhi ancora una volta sembravano allacciarsi ai suoi.
"E' sempre il nostro cuore a guidarci. Sia che decidiamo di abbandonarci alla sua corrente e seguirla, sia che la combattiamo con tutte le nostre forze e ci opponiamo ad essa."
Nel silenzio della notte le sue parole vibravano come piccole fiammelle.
"E questo sia che il cuore batta nel petto di un uomo o di una donna..."
Oscar lo fissò senza rispondere.
Da lontano giunse il richiamo a gran voce di Sebastiane.
"Padre! Oscar! E' arrivato il momento cruciale, su, forza!"
Si voltarono insieme e lo videro all'imbocco della strada che agitava il braccio in direzione della piazza.
"Apriamo sempre una bottiglia di vino di annata  durante la festa di primavera"
"E scommetto che ogni anno presiedi tu questo momento cruciale" continuò Oscar, sorridendo ironica.
"Gia..."ammise, senza celare il dispiacere di essere stati interrotti.
"Allora andiamo..."lo esortò.
Quando ritornarono al luogo dei festeggiamenti  si levò un coro di incitamento ed approvazione.
Andrè si voltò un'ultima volta prima di salire sul palco.
"Credo di si, Andrè" gli disse, muovendo le labbra.
"Cosa?" chiese, mentre  lo sospingevano a raggiungere il tavolo su cui troneggiava la preziosa bottiglia.
"Sarebbe stato molto diverso se fossi stato al mio fianco in questi anni, ne sono convinta" disse tra se, quando ormai non riusciva più a scorgerlo, circondato da una piccola folla di festanti.
Si voltò verso il tavolo al quale aveva lasciato Lord Weston e lo vide sorridere nella sua direzione, sollevando un calice come in un simbolico brindisi. Poi alzò gli occhi ad ammirare ancora una volta il gioco di luci delle lanterne sospese, pervasa da un sentimento così insolito e quasi dimenticato.
Chiuse gli occhi e sorrise al cielo. Dopo tanto tempo, si sentiva a casa.

*
Secondo le bibiografie che ho trovato sul vero Fersen, sarebbe partito per l'America alla fine del 1778 


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Capitolo 23
*** Abisso ***


 Che dire...è Natale, siate buone e perdonate questo enorme ritardo!

23- Abisso



Assunse la posizione corretta e respirò profondamente.
Poi lentamente, aiutandosi col braccio sinistro, allungò un fendente nell'aria, spingendosi in avanti, flessa sulla gamba destra. Rimase immobile per qualche istante, mantenendo le due braccia tese di fronte a se. Piccole gocce di sudore le imperlarono la fronte per lo sforzo. Innanzi ai suoi occhi il metallo della spada luccicava come uno specchio.
Tornò alla posizione di riposo e abbassò gli occhi, sorridendo tra se.
Forza, Oscar...
Ripetè il medesimo movimento, stavolta senza l'ausilio del braccio sano. Le venne il fiato corto, e non capiva se fosse per la tensione di sostenere l'arma col solo braccio destro o per la constatazione  che, dopo tanto tempo, riuscisse a farlo.
Dalla finestra aperta udì il saluto di Andrè che lasciava la casa e si avviava nelle vigne.
Si avvicinò alle vetrate e guardò in direzione del  giardino nello stesso istante in cui lui alzava gli occhi verso la sua camera. Portò la mano alla fronte, in un gesto che era una via di mezzo tra un commiato ed un saluto militare e lei alzò la sua, di rimando, sorridendogli. Poi il suo sguardo proseguì ad accarezzare il clinale delle colline che le si stagliavano innanzi e fece un profondo respiro.
Stava bene  a Chablis. Bene davvero. La primavera era ormai nella sua pienezza, le giornate sempre più luminose. L'aria era densa di profumi, l'attività ferveva nelle campagne circostanti.
Trascorreva ancora le sue giornate seguendo Sebastiane, spesso osservando Andrè da lontano, mentre dirigeva gli uomini nei terreni coltivati. Spesso si riunivano tutti nella tenuta di Lord Weston ed era stato proprio il nobile inglese a proporle di cominciare ad allenarsi con lui, inizialmente con delle spade di legno, per riprendere definitivamente l'uso del suo braccio destro. Come avesse capito che questi acquisisse forza ogni giorno di più era un mistero.
Ma aveva ormai compreso che il signorotto di campagna, dietro quell'aria sorniona e distratta, era in realtà un attento osservatore della natura altrui. Non aveva dimenticato le parole che le aveva rivolto durante la festa e sempre più spesso si chiedeva se davvero non avesse sottovalutato l'importanza di Andrè nella sua vita.
Per anni le era stato inculcato nella testa che le uniche cose degne di valore fossero l'onore, la fedeltà alla corona di Francia, il rispetto per la propria famiglia. Nessuno le aveva mai neanche suggerito che quel piccolo orfano cresciuto con lei fosse qualcosa di più di un fedele attendente. Niente di diverso da quello che era stato Guilleme, dopo la partenza di Andrè.
Con Lord Weston aveva voluto riprendere il discorso interrotto riguardo ad Estelle.
Aveva colto l'occasione durante una loro passeggiata pomeridiana, mentre erano soli, e così le era stato descritto quel matrimonio.
"Quando Andrè mi riferì la sua intenzione a prendere in moglie la figlia di Florent, non mi sorpresi più di tanto. Mi sembrò una scelta dettata dalle condizioni in cui i due vivevano: entrambi soli, giovani, sotto lo stesso tetto...già prima della loro unione i pettegolezzi su di loro si sprecavano. Andrè, lo avrete notato, ha un forte ascendente sulle donne e Estelle...beh, era senza dubbio la ragazza più avvenente di Chablis, e la più...particolare. L'educazione ricevuta in città, a casa di una parente benestante, la rendevano unica rispetto a tutte le paesanotte del luogo. In questo erano simili, lei e Andrè, e non solo..."
"Quindi affermate che non fu un matrimonio dettato dai sentimenti ma dalla convenienza reciproca e dal bisogno di mettere a tacere voci malevole su di loro?"
"In effetti è quello che pensai, all'inizio. Estelle temeva per il figlio, a causa della sua cagionevole salute. Voleva dargli un padre, la possibilità di una nuova famiglia, se lei fosse mancata. E chi meglio di Andrè per questo compito? Lui...lui sembrava dover trovare a tutti i costi un motivo per ricominciare, qualcuno a cui dedicarsi per non lasciarsi andare...Non so perchè vivesse così il suo trasferimento qui. Come se gli avessero  strappato una parte di se nel mandarlo a Chablis...Ma, come vi ho già detto, non ha mai raccontato molto della sua vita precedente, per cui le mie sono tutte supposizioni..."
Oscar avvertiva un interesse crescente ed una strana sensazione allo stomaco. Il desiderio ed al contempo la paura di scoprire qualcosa sul suo ex attendente che ignorava completamente.
"Dicevate all'inizio ? Poi...vi è sembrato...differente?"
"In effetti, si"
Erano arrivati sulla sommità della collina alle spalle della sua tenuta, quella dove si erano incontrati per la prima  volta. Lord Weston fece una pausa e, mani sui fianchi, si fermò a rimirare il paesaggio.
"Quando ci si abitua a panorami del genere, a tutto questo verde e a questa luce, come si fa a vivere a Londra?"
Sembrava una domanda rivolta più a se stesso che alla sua interlocutrice. La quale taceva, in attesa che riprendesse il discorso interrotto.
Si voltò e raggiunse un tronco abbattuto, sul quale si sedette pesantemente. Oscar si avvicinò, ma rimase in piedi. Forse si era dimenticato di cosa stavano discorrendo e lei non sapeva come riprendere la conversazione. Quasi sobbalzò, quando riudì la sua voce, che si era fatta più profonda.
"Ma avreste dovuto vederli dopo. Dopo il matrimonio, intendo. Estelle era diventata ancora più angelica, gli occhi illuminati da una luce nuova, quella che si intravede in una giovane donna presa dall'amore e dalla passione, non so se capite a cosa mi riferisco" e voltandosi Oscar vide che il nobile le puntava lo sguardo addosso in modo insistente, al punto da farla sentire improvvisamente a disagio. Riportò lo sguardo verso l'orizzonte senza rispondere.
Vi riferite a quando una donna prova l'amore carnale e ne è appagata? Si sentì avvampare a quel pensiero.
"E Andrè emerse definitivamente dall'ombra in cui si era rifugiato al suo arrivo qui. Iniziò ad occuparsi a pieno titolo della tenuta, senza spodestare il vecchio Florent, anzi, lavorando prevalentemente da me proprio per lasciargli i suoi spazi alla domaine. Diventò l'uomo solare e generoso che tutti conoscono, al punto che quasi ci si dimentica che non sia uno nato qui. E per il piccolo Sebastiane è stato da subito un padre amorevole ed attento. Forse se non gli avesse costruito quello strano arnese con cui lo vedete camminare, non sarebbe mai riuscito a farlo.
E poi...poi...non dimenticherò mai il dolore che lo ha travolto quando Estelle...quando è morta"
La voce gli si ruppe, e si asciugò rapidamente gli occhi fingendo di detergere il sudore.
Anche Oscar sentiva qualcosa opprimerle il petto. Il dolore di un amore spezzato risuonava anche dentro di lei, eppure non gli chiese di interrompersi, voleva sapere.
L'uomo tacque per alcuni istanti e poi riprese.
"La giovane era spesso soggetta ad attacchi durante l'inverno, che la costringevano a letto anche per settimane, e in quei momenti Andrè non la lasciava un istante. Io credo, e vi prego di non ridere di me, che col suo amore la tenesse lì, con lui. Forse per  questo nessuno era preparato, quando accadde.
Era una limpida giornata di giugno e come spesso faceva, Estelle era salita sulla collina dietro la vostra villa, dominata da una quercia secolare, per dipingere all'ombra delle sue fronde.
Quando al tramonto Andrè non l'ha vista tornare, si è avviato là per riportarla a casa, senza alcun sospetto. Era solita fermarsi finchè c'era luce, così rapita dal suo lavoro."
Le parole cessarono e voltandosi Oscar notò che l'uomo aveva chinato il capo  e si copriva gli occhi con la mano. Stava per replicare che poteva fermarsi, se il ricordo era così doloroso, ma la sua voce, bassa, quasi impercettibile, la fermò.
"Non dimenticherò mai le sue urla di dolore, quando la rinvenne sotto la quercia, accasciata come se dormisse, ma ormai spirata per sempre. Ero sulla via di casa quando lo sentii e mi precipitai lassù. La teneva tra le braccia, cullando il suo corpo e levando il suo dolore al cielo, come una creatura ferita al cuore.
No, Conte de Jarjayes. Non ho più pensato che il suo fosse un matrimonio di convenienza.
Andrè era davvero legato a quella donna e in fondo l'esistenza che conduce, votata al lavoro per questa terra, che non gli appartiene e per quel ragazzo, che non è sangue del suo sangue, sono la dimostrazione che Estelle non è passata nella sua vita senza lasciare un solco dietro di se"
Avrebbe desiderato chiedere anche allo stesso Andrè di parlargli di quel dolore. Anzi, avrebbe voluto conoscere tutto quello che aveva provato, una volta che il destino li aveva separati, e in cuor suo sperava di essere parte dei motivi che tanto avevano legato il giovane alla sua vita a Versailles.
Ripose il fioretto e terminò di vestirsi per poi dirigersi, sola, alla proprietà di Lord Weston.
L'uomo la ricevette con la consueta cordialità, ma notò immediatamente la spada che la giovane aveva portato con se.
"Devo forse ritenere, Conte de Jarjayes, che vogliate sfidarmi con quell'arma?" le disse, con un lieve tono provocatorio.
"E' mio dovere avvisarvi che, dopo anni di esercizio con Monsieur Grandier, io sia diventato un eccellente spadaccino"
Oscar sfoderò la spada e puntò lo sguardo in quello del nobile, per poi dirigersi verso il retro della villa.
"Non aspetto altro che me lo dimostriate..."
Iniziarono così a duellare, e ad ogni fendente Oscar si sentiva sempre più sicura, stabile sulle gambe, per nulla affaticata col braccio. Lord Weston invece, dopo un timido inizio, cominciò a sudare copiosamente e a rispondere con ugual forza ai suoi attacchi. Stava ormai avendo la meglio sul suo avversario, quando improvvisamente si fermò, consentendo all'inglese di disarmarla.
A una decina di metri da loro, Andrè fissava la scena attonito. Solo quando notò lo sguardo perso della giovane, Lord Weston si voltò e lo vide a sua volta.
"Avete visto, Monsieur Grandier? Il colonnello de Jarjayes ha recuperato perfettamente l'uso del braccio ferito!"
Andrè annuì in silenzio, senza distogliere gli occhi dalla sua figura.
Oscar si avvicinò e gli sorrise.
"Non volete proprio dire una parola?" lo incalzò l'amico.
"Io..io non sapevo, non immaginavo neanche che fossi migliorato tanto..."
"Te ne avrei parlato...io...aspettavo di esserne sicura" replicò, a bassa voce, mentre già Lord Weston si voltava verso il suo attendente perchè riponesse le spade.
"Penso che sia giunto il momento che ricominci ad allenarsi con voi, Grandier" continuò il padrone di casa.
"L'età è dalla sua parte ed io mi ritrovo spesso col fiato corto. Ma quando vorrete cimentarvi con l'arco-disse rivolgendosi ad Oscar- troverete in me un avversario di notevole caratura"
La giovane lo ringraziò e tornò a fissare Andrè, ancora silenzioso.
"In effetti pensavo che potremmo esercitarci insieme...come facevamo a palazzo.."
"Dimentichi che adesso ho altre mansioni..."replicò asciutto.
"Non posso dedicarti il tempo che meriti"
Ma Oscar non si diede per vinta.
"Potrei...potrei aiutarti in queste tue altre mansioni, così avresti la possibilità di allenarti con me. Se lo desideri..."
Andrè si voltò di scatto a guardarla.
Se lo desideri...
Da quando i suoi desideri contavano qualcosa per lei?
Desideri...Fosse stato per lui avrebbe trascorso insieme a lei tutte le ore del giorno e della notte...
Avvertiva il pericolo di quel riavvicinamento, ora più che mai. Sentiva l'abisso pronto ad accoglierlo. Ma non c'era una singola fibra del suo corpo che non lo spingesse verso di lei.
Così si aprì in un sorriso e annuì.
"Va bene, Oscar. Come vuoi tu..."

 

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Capitolo 24
*** Fuoco ***


 Non fatevi ingannare dal titolo, è molto meno figurato di quanto immaginiate...
Buon anno a tutti!!!



24- Fuoco


Chablis, autunno 1782

"Forza sbrigati, Andrè!"
Il tempo di riaprire gli occhi e scorse la sagoma di Oscar che si dirigeva verso l'uscita stringendo la spada nella mano destra. Era la prima domenica di riposo dopo la vendemmia, si era finalmente seduto con i piedi appoggiati al camino e le mani in grembo, con l'intenzione di rilassarsi finalmente, quando lei gli era sfrecciata al fianco determinata ad iniziare un duello all'aria aperta.
"Ma Oscar" provò a lamentarsi, indicando le finestre da cui si intravedeva una fine pioggerellina che cominciava a bagnare  il selciato.
La giovane si fermò di colpo e si voltò a guardarlo con aria di sfida.
"E da quando quattro gocce di pioggia ti fermano, Andrè Grandier?"
L'uomo sbuffò, arreso, abbassò i piedi e si diresse a prendere la propria arma. Quando infine la raggiunse, stava già menando fendenti in aria per prepararsi alla sfida.
"Sei incorreggibile, Oscar! Poi non venire a lamentarti con me se ti prenderai un raffreddore"
Si mise in posizione di attacco  e gli sorrise.
"Promesso. Se accadrà, soffrirò in silenzio"
"Tu però rimani  a guardare sotto la tettoia, intesi?" urlò Andrè in direzione del figlio, che, come sempre, li aveva seguiti.
Iniziarono a colpirsi, lei subito aggressiva e spavalda, lui più guardingo e prudente, un po' concentrato sulle mosse da eseguire, un po' distratto dai capelli biondi che gli si agitavano davanti, dai movimenti rapidi e leggeri del suo corpo, dal tessuto della camicia che, bagnato dalla pioggia, aderiva ogni momento di più alle sue braccia ed al suo petto. La sua bellezza non cessava mai di stupirlo e rapirlo, così come la sua determinazione e la sua forza lo incatenavano lì, a sfidare il maltempo e la scarsa luce del crepuscolo pur di accontentarla.
Il duello si stava protraendo più del solito e per la prima volta da quando erano cominciate le loro esercitazioni insieme, ebbe la netta sensazione che sarebbe riuscita a batterlo. E fu ciò che accadde. Quando ormai credeva di averla respinta, sentì la lama fredda della sua spada contro il suo collo pulsante.
Sorrise felice ed incontrò due occhi blu come il mare in tempesta, colmi della stessa felicità.
"Avete vinto, Oscar!" gridò euforico il piccolo Sebastiane.
La donna abbassò rapidamente la spada e Andrè le si fece vicino.
"Sei davvero forte, Oscar" le sussurrò, mentre con la mano le spostava una ciocca di capelli bagnati che le ricadeva davanti agli occhi.
"Anche tu, Andrè" gli disse piano, di rimando.
Rimasero ancora un istante immobili uno di fronte all'altra, le lame abbassate, i petti ansanti per lo sforzo, qualcosa che non permetteva loro di muoversi e teneva il loro sguardo allacciato. Fu Andrè a rompere l'incanto.
"Dobbiamo rientrare adesso o ci ammaleremo davvero..."
Lei annuì senza parlare e lo seguì in casa.
"Vai a cambiarti nelle cucine, dove il camino è già acceso. Io nel frattempo andrò ad accendere quello della tua camera"
La giovane gli sorrise riconoscente e si allontanò.
Andrè si tolse rapidamente la camicia fradicia poi si diresse nella stanza accanto con una cesta di legna da ardere.
Sentiva qualcosa rimescolargli il sangue. Qualcosa che lei gli aveva trasmesso, mentre combatteva e subito dopo. Cercava di resistere al pensiero che Oscar nutrisse dei sentimenti per lui, simili a quelli che incendiavano il suo cuore da tempo immemore. Rimase qualche minuto chino davanti al focolare  e si rialzò all'udire i passi della donna che si avvicinavano.
Era ormai prossimo all'uscio quando il suo sguardo cadde sul piccolo scrittoio della camera e sulla pergamena sigillata in ceralacca lasciata in vista sopra di esso. Era indirizzata al generale.
Oscar spalancò la porta sorridente.
"Qui è tutto a posto. Ti lascio riposare tranquilla" e in un attimo abbandonò la stanza, mentre lei lo seguiva con lo sguardo, inarcando le sopracciglia. Sembrava un ladro colto sul fatto. Ma era troppo soddisfatta per lasciarsi distrarre dallo strano comportamento dell'amico. Senza porsi altre domande,  si sedette comodamente davanti al camino e in pochi minuti si addormentò.
Andrè si fiondò nella sua camera, col cuore in gola. Forse stava precipitando le sue conclusioni, ma temeva il contenuto di quella missiva e soprattutto le conseguenze che avrebbe potuto scatenare.
Oscar ci teneva a recuperare le sue abilità marziali, si era impegnata per l'intera estate con questo scopo. Ci credeva. E forse ambiva a riguadagnare anche la sua posizione gerarchica nelle Guardie Reali. Di certo sarebbe stato il sogno del padre se lei fosse tornata quella di un tempo.
La pioggerellina era cessata, seguita da un vento secco e sferzante, che faceva vibrare le vetrate delle finestre.
Lei è tornata quella di un tempo...
Non si trattava solo di maneggiare la spada con un braccio che sembrava ormai totalmente inabile. Oscar non si era più ubriacata, non si era più isolata dal mondo, anzi, era entrata appieno nella vita agreste di Chablis.
Avevano lavorato fianco a fianco per mesi, aveva imparato a tenere i registri delle diverse attività seguite da  Andrè, lo aveva accompagnato nelle vigne e controllare il raccolto, si era persino unita a Sebastiane nella pigiatura dell'uva.
Non aveva più dato segni di soffrire per quello che era successo a Versailles, per ciò che le era stato tolto, per coloro che credeva amici e le avevano voltato le spalle.
Strinse le tende tra le mani mentre il pensiero che lei potesse riprendere la strada della sua gloriosa carriera militare gli attanagliava il cuore. Ora che l'aveva ritrovata, che si era riscoperto ad amarla anche più di prima, più di quanto credesse possibile, non riusciva ad accettare l'idea di perderla di nuovo, di separarsi ancora una volta da lei. Probabilmente per sempre.
Certo, era anche possibile che ottenesse la grazia per lui e gli chiedesse di tornare ad essere il suo attendente. Non voleva trovarsi nella condizione di scegliere tra lei e suo figlio. Tra il suo amore per lei e la sua vita a Chablis.
Il sole era ormai tramontato da un pezzo e il vento aveva spazzato le ultime nubi. Il cielo era rischiarato dalla luna piena di stagione, bassa sull'orizzonte e ambrata.
Non avrebbe saputo dire da quanto tempo si trovava lì, perso nei suoi pensieri. Ma la casa era piombata nel silenzio e tutti si erano già ritirati per la notte. 
Dalla finestra notò immediatamente la luce vivida delle fiaccole e il vociare concitato che si avvicinava alla villa. Quando furono ormai sotto il portone riconobbe alcuni degli abitanti del villaggio e si precipitò giù dalle scale.
"Andrè, dovete venire immediatamente"
"Cos'è  successo, Baptiste?" chiese all'uomo che aveva parlato.
Avevano tutti il fiato corto e ansimavano, come se avessero corso per arrivare fin lì.
"Il fienile in contrada St. Marie è andato a fuoco. L'incendio si sta diffondendo alle case vicine e alle vigne"
"Contrada St. Marie...ma..."
La casa di Marguerite...se prende fuoco...coma faranno una povera vecchia e la nipote cieca?
"Aspettatemi, torno subito!"
Si diresse rapidamente in casa, prese alcune vecchie coperte e raggiunse la stanza del figlio. Lo svegliò scuotendolo e gli parlò mentre ancora si stropicciava gli occhi.
"Ascolta Sebastiane! E' scoppiato un incendio e devo andare con altri uomini..."
"Vengo anch'io, padre!"
Andrè lo bloccò, cercando di mitigare la delusione del ragazzo.
"No, Sebastiane. Qualcuno deve pur rimanere a vigilare sulla casa."
Lo baciò sulla fronte e si allontanò trattenendo le lacrime.
Passò davanti alla porta della camera padronale ed esitò un istante, la mano sollevata per bussare.
"Fate in fretta Andrè, per l'amor di Dio!" sentì il richiamo dall'ingresso.
Si voltò di scatto e in pochi istanti percorse le gradinata e lasciò la casa.
Il piccolo gruppo si allontanò in silenzio, stringendosi nei mantelli per proteggersi dalle folate di vento.
Nell'aria sentiva già l'odore acre del fieno bruciato e le grida delle donne che erano sopraggiunte dal villaggio.
Una fredda paura riempì il suo cuore.
Si voltò indietro, verso la villa, verso Oscar.
All'improvviso non averla salutata gli parve qualcosa di irrecuperabile, di definitivo.
Sentì sulle labbra il sapore salato delle sue stesse lacrime.
In gola quello di un ultimo addio.    

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Capitolo 25
*** Fumo ***


 25- Fumo


Freddo.
Odore di fumo.
Un rumore insistente, molesto, che alla fine riuscì a svegliarla.
Le ci volle qualche minuto per realizzare che si era addormentata ancora vestita sulla poltrona davanti al camino della sua camera, ormai spento. E che quel battere ripetitivo altro non era che uno scuro spinto con violenza dal vento contro la facciata della villa.
Si alzò rattrappita e, in un certo senso, sorpresa.
Nessuno l'aveva chiamata per la cena e stranamente Andrè, sempre così premuroso ed attento, aveva lasciato che il fuoco nella sua stanza si spegnesse, riducendosi ad un cumulo di cenere, dal quale si levava un odore che sembrava aver impregnato tutta l'aria della camera.
Raggiunse la finestra e la spalancò per fissare la persiana.
La luce violacea dell'alba rischiarava il cielo. Con suo stupore si accorse che l'odore di fumo non proveniva dall'interno della casa ma da una colonna di fuligine nerastra che si stagliava proprio di fronte a lei, levandosi dalla collina antistante.
La sua reazione fu immediata.
Mio Dio, un incendio, alle vigne....
Si precipitò nella camera di Andrè senza neppure bussare.
Era gelida e vuota.
Il letto perfettamente rifatto era la dimostrazione che l'uomo non si era nemmeno coricato prima di lasciarla. Su una sedia notò, gettata con noncuranza, la camicia che aveva indossato durante il loro allenamento la sera precedente.
Uscì rapidamente, la mente sempre più confusa. In quel momento le voci concitate di Florent e Sebastiane attirarono la sua attenzione verso la porta chiusa della cucina, al piano di sotto, dalla quale filtrava una lama di luce.
Scese di corsa le scale, mentre una strana inquietudine sembrava rallentare i suoi movimenti e raggiunse gli altri in cerca di spiegazioni.
Al suo ingresso il ragazzo e il nonno si interruppero immediatamente e si voltarono a guardarla. Poi tornarono a fissarsi con aria colpevole, come due ladri colti sul fatto.
Oscar non perse tempo e si rivolse all'amministratore.
"Monsierur Florent, cosa diavolo sta succedendo? Dalla collina a Sud-Est si leva una colonna di fumo e Andrè....Monsieur Grandier...non è nella sua stanza!"
Il vecchio abbassò gli occhi ma non proferì parola e non appena la giovane volse lo sguardo verso Sebastiane, il ragazzo esplose come un fiume in piena.
"Mio padre è là, conte de Jarjayes! Ha raggiunto contrada St. Marie non appena avvisato dell'incendio dagli uomini del villaggio. Ma è passata tutta la notte e non ha ancora fatto ritorno. Voglio andare a vedere cos'è successo, ma mio nonno sostiene che è pericoloso e che non devo disobbedire all'ordine di rimanere qui..."
Oscar uscì come un lampo dalla cucina e tornò dopo pochi minuti, vestita di giacca e stivali, lanciando un mantello in direzione del ragazzo.
"Seguimi nelle scuderie. Mentre sello Caesar mi spiegherai come raggiungere la località dell'incendio"
Florent tentò una timida obiezione, ma lo sguardo severo della donna lo dissuase.
Preparò il suo cavallo in pochi minuti, mossa da un'urgenza che sentiva montare dentro di lei ogni minuto di più e, dopo aver ascoltato attentamente Sebastiane, si lanciò al galoppo fuori dalla tenuta.
Sentiva il vento freddo del mattino agitare i suoi capelli ed insinuarsi  nello scollo della giacca, gelando la sua pelle. E sentiva lo stesso freddo nel suo cuore. Una paura sconosciuta la costringeva a tenere gli occhi spalancati, nonostante l'aria gelida che sferzava il suo volto e la induceva a spronare l'animale all'inverosimile. Le sue dita stringevano le redini come se potessero sfuggirle e con esse qualcosa di prezioso e vitale.
Nella sua mente un solo, unico pensiero: ritrovare Andrè.
Andrè, Andrè, Andrè....
Sembrava non ci fosse altro nella sua mente. E non ci fu altro nemmeno quando raggiunse il luogo dell'incendio.
Davanti a lei alcune casupole ormai incenerite, sul punto di crollare sotto i colpi del vento, ed alcuni filari completamente anneriti. L'aria pregna di un maleodorante odore di bruciato, sparuti animali che vagavano disorientati e piccoli gruppi di persone che non riuscivano a distogliere lo sguardo dal fumo che continuava a levarsi, inarrestabile. In un silenzio irreale, si udivano solo i muggiti dei bovini salvati alle fiamme e i pianti sommessi delle donne, che si tenevano vicine, strette negli scialli.
Oscar cominciò a muoversi in quello scenario spettrale come un fantasma. nessuno sembrava vederla, nessuno pareva riconoscerla. E mentre si avvicinava ad un gruppo di uomini e poi ad un altro, i suoi occhi cercavano incessantemente la figura familiare di Andrè. Senza trovarla.
"Conte de Jarjayes!"
Oscar si voltò senza riuscire a capire chi la stesse chiamando.
"Oscar!"
Strinse gli occhi ed infine riconobbe nell'uomo calvo che le si avvicinava
, con gli abiti sporchi di fuligine, Lord Weston.
Non l'aveva mai visto così. Senza la sua proverbiale parrucca incipriata e soprattutto senza quella perenne espressione beffarda dipinta sul viso.
Al contrario non le sfuggì l'aria provata che sembrava invecchiarlo improvvisamente di vent'anni.
Cercò l'amico dietro di lui, ma era solo.
"E Andrè? Dov'è?"
Silenzio.
"Avete visto Andrè?"
Quasi tacesse intenzionalmente, la donna lo prese per le braccia e lo scosse violentemente.
"Per l'amor di Dio, parlate Lord Weston! Ditemi come sta e dove posso trovarlo!"
"Ecco, vedete, conte..."
Sembrava trovare a fatica la voce per risponderle e lei sentiva montare rabbia e paura al contempo.
"Eravamo diretti alle vigne quando ha sentito le grida di aiuto di Mademoiselle Marguerite e dell'anziana nonna provenire dalla loro dimora ormai divorata dalle fiamme."
Alzò lo sguardo e incrociò due occhi azzurri come il ghiaccio ma ardenti come il fuoco che aveva affrontato in quella lunga notte.
"Per farla breve ci siamo separati e...abbiamo perso le sue tracce. Nessuno l'ha più rivisto da allora e sono passate diverse ore..."
"Qual è la casa di Madame e Mademoiselle Bolden?"
L'uomo indicò una bassa costruzione col tetto praticamente distrutto, di cui rimanevano riconoscibili  solo alcune pareti pericolanti.
Il suo cuore si fermò.
"Le donne? Si sono salvate?"
Lord Weston abbassò lo sguardo.
"Io e gli altri...non abbiamo visto uscire anima viva da quell'inferno, conte de Jarjayes..."
Una lama che la passava da parte a parte.
Questa fu l'unica cosa che riuscì a percepire quano l'inglese terminò.
Staccò gli occhi da lui e si volse nuovamente verso le case incendiate. Ma il mondo sembrava girare vorticosamente intorno a lei e si sentì mancare l'aria.
"Conte? State bene? Volete dell'acqua?"
Oscar si allontanò di qualche passo, senza rispondere, ancora schiacciata da un senso di oppressione al petto. Sentiva gli occhi riempirsi di lacrime che tuttavia non cadevano, rimanevano ad allagare la sua vista, a rendere tutto vacuo e confuso. In quel turbinio di immagini senza senso, il volto di Andrè si stagliava nitidamente. Si rivolse al cielo, sempre più chiaro e anche lì rivide il giovane.
Non com'era lì, a Chablis, quando le loro vite si erano nuovamente incrociate. Tra le nubi tinte di rosa scorse l'immagine di un ragazzino sorridente ed aperto, con gli occhi splendenti sempre fissi su di lei. Quell'espressione attenta, colma di dolcezza, di quando ascoltava i suoi sfoghi rabbiosi e i suoi silenzi feriti. Quell'aria spavalda che assumeva in tutte le loro sfide, prendendola sul serio e al contempo giocando con lei....
Non ho mai dovuto fingere con te perchè mi conosci e mi vuoi così come sono...
Poi un pensiero la colpì come un pugno nello stomaco.
Quanto mi sei mancato, Andrè.
Niente è più stato come prima senza di te.
Da quando sei partito, ho indossato solo e unicamente i panni del conte de Jarjayes, capitano delle Guardie Reali...che ne è stato di Oscar?

Quell'inquietudine, quella perenne insoddisfazione, quella continua sensazione che mancasse qualcosa alla sua vita...l'illusione di trovarla nell'amore di un uomo tanto affascinante quanto infelice o nella fratellanza con una giovane sfortunata in cerca di riscatto...
Eri tu, eri tu, eri tu...come ho fatto ad essere così cieca?
Perchè amo passare il mio tempo con te e con te non mi sembra sprecato nemmeno un istante? Perchè mi piace averti vicino e tuttavia non riesco a comportarmi con te come con tutti quelli per cui ho provato un capriccio?
Perchè al tuo fianco non temo nulla e sento di poter affrontare qualsiasi cosa?
Perchè la mia vita mi sembra degnamente vissuta solo nei momenti in cui l'ho condivisa con te, prima a Versailles ed ora qui a Chablis?
 
Sei tu, sei tu, sei tu...
Un braccio che la teneva saldamente la riscosse dai suoi pensieri.
Era ormai a pochi passi dalla casa in rovina dove si era addentrato Andrè.
"De Jarjayes che volete fare? Siete impazzito?"
La voce di Lord Weston la riportò alla realtà.
"Se entrerete là il fumo vi soffocherà prima che possiate rendervene conto"
Un gruppo di manovali sporchi, con gli indumenti bruciacchiati si era avvicinato alla coppia. Uno di loro le si rivolse con tono sarcastico, sollevando con le dita sudicie i suoi capelli fluenti.
"Col calore dell'incendio questa bella chioma prenderà fuoco non appena varcherete la soglia della baracca, conte. Che peccato per un damerino come voi..."
Oscar si voltò verso il cafone che l'aveva provocata e senza distogliere lo sguardo da quello insolente di lui, sfilò il coltello a serramanico che l'uomo portava infilato nella cintura.
Poi, senza dire una sola parola, raccolse i suoi lunghi capelli in una mano e li recise con un colpo netto. Soffici riccioli caddero lentamente ai suoi piedi. Con un movimento altrettanto preciso ripose l'arma da dove l'aveva estratta, facendo trasalire il proprietario.
"Vengo con voi" le disse Lord Weston, mentre le porgeva una coperta intrisa d'acqua.
"Copritevi il capo e tenetela davanti alla bocca"
Riuscì solo ad annuire, con riconoscenza.
Poi, sotto lo sguardo attonito degli astanti, sparirono con rapidi balzi dentro quell'angolo di inferno.

Il fuoco è un nemico che non si può sconfiggere.
Puoi solo tentare di limitare la devastazione, puoi cercare di sottrarre qualcosa dalle sue mani, ma non puoi fermarlo. Quando comincia la sua furiosa battaglia, a volte per assurde quanto piccole distrazioni degli uomini, devi lasciarlo sfogare.
Lui decide quando cominciare, lui decide quando spegnersi.
Erano considerazioni sentite mille volte, dalle persone più anziane, da chi ne aveva viste tante nella sua vita, ogni qualvolta scoppiava un incendio.
Ma nella sua permanenza a Chablis, non gli era mai capitato di assistere a qualcosa del genere. E quelle frasi che spesso aveva ritenuto esagerate, quando quattro vigorose secchiate d'acqua bastavano a spegnere il fuoco che sfuggiva al controllo  durante i roghi delle sterpaglie nei campi o quando un fulmine colpiva un grosso albero, mai come in quel momento gli sembravano appropiate.
Rimase solo un istante perso in quelle considerazioni, poi raggiunse gli uomini che dirigevano le operazioni, tra i quali riconobbe immediatamente Lord Weston.
Si stavano dividendo in gruppi, per sparpagliarsi lungo il fronte d'avanzamento dell'incendio, che aveva già raggiunto i primi filari lungo la collina.
Si sfilò rapidamente la giacca, si coprì il capo ed il naso con un telo fradicio d'acqua ed insieme ad altri uomini, sistemati come lui, si diresse alle vigne in fiamme.
Ma quando passò accanto alla dimora delle Bolden udì chiaramente un grido d'aiuto.
Fermò l'uomo che procedeva davanti a lui, tenendolo per un barccio.
"Le donne...laggiù -fece indicando la casa con un gesto del capo- sono già state messe in salvo?"
L'uomo alzò le spalle, senza parlare.
"Avvisa Lord Weston che vi raggiungo dopo. Vado a controllare la casa ....."
Si allontanò con rapidi passi e quando giunse alla casupola, un ramo infuocato staccatosi da un albero in fiamme cadde sfiorandolo.
Maledizione, non c'è tempo da perdere!
Varcò la soglia gridando a gran voce il nome delle due donne. Un urlo terrorizzato giunse dal sottoscala. Solo allora vide rannicchiate nonna e nipote: la prima sgranava il rosario senza muoversi, la seconda tentava di scuoterla con gli occhi inutilmente spalancati.
"Monsieur Grandier, che Dio vi benedica!" disse la giovane tra le lacrime.
"State tranquilla, mademoiselle......Ora vi guido fuori di qua"
Le porse la mano e la condusse rapidamente verso l'esterno, mentre la vecchia si ostinava a non muoversi.
Andrè prese una boccata d'aria all'esterno  e si accinse a rientrare. L'anziana sembrava non rendersi conto di quello che le accadeva intorno e continuava imperterrita a biascicare preghiere ed invocazioni.
"Forza madame....Se non usciamo subito, qui crolla tutto" insisteva l'uomo, alzando gli occhi verso il tetto che scricchiolava in modo sinistro.
Riuscì infine a spingere fuori la vecchia ma proprio un istante prima di lasciare quella casa, un forte rumore attirò il suo sguardo verso l'alto.
Un attimo, il tempo di scorgere una trave infuocata che si abbatteva su di lui.
Si ritrovò supino, immobilizzato da qualcosa che lo schiacciava a terra.
Avvertì un dolore lancinante e gridò con tutta l'aria che aveva in corpo.
Poi, improvvisamente, le forze scivolarono via, abbandonandolo.
Nella sua mente confusa, le fiamme che ardevano sopra di lui si trasformarono nella chioma dorata di Oscar, la sua Oscar. Ed ebbe la certezza che sarebbe morto, lì, in quel rogo, senza averle mai detto che l'amava, quanto l'amava.
Nessuno avrebbe mai potuto raccontarglielo, perchè non ne aveva mai parlato ad anima viva. Il suo amore sarebbe bruciato su quel pavimento, senza lasciare traccia.
"Non posso morire così, proprio non posso..."
Una lacrima appena sfuggita si asciugò prima di perdersi nei suoi capelli.
Chiuse gli occhi, sfinito.
Stranamente avvertì solo freddo.
Odore di fumo.
E dopo un tempo interminabile un rumore, un grido.
Il suo nome.
Cercò di sollevare le palpebre.
Devo essere morto...
Davanti a se vide un angelo, col volto di Oscar.
Ma non era reale,  sembrava circondata da coni di luce bianca che gli ferivano gli occhi e i suoi capelli erano più corti, come li portava da ragazzina.
"Oscar..."
Provò ad allungare una mano, per accarezzare quel viso, ma la sua mano non si mosse.
Devo essere morto...e il mio angelo ha le tue fattezze, amore mio...
Sorrise e abbassò le palpebre, felice.
 
 



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Capitolo 26
*** Visioni ***


 Mamma mia, che dire a mia discolpa per questo ritardo pazzesco? Scusate, siete state molto pazienti. Un grazie particolare a tutte coloro che mi hanno scritto in questi 2 mesi di latitanza per spronarmi a non mollare: purtroppo ci sono momenti in cui la "vita vera" ti prosciuga ogni energia (alla mia età poi).
Quasi quasi aggiungo un riassunto delle puntate precedenti :-)


26- Visioni

La porta era socchiusa. L'aprì leggermente, quel tanto che gli consentiva di vederla.
Era gettata a fianco del letto, il capo adagiato sulle coltri, accanto alla mano inerme di Andrè.
Era chiaramente stremata.
Tutto il coraggio e la forza dimostrati in quella lunga giornata sembravano averla completamente abbandonata.
Lo aveva trovato privo di sensi nella casa delle Bolden, sotto il peso di una trave staccatasi dal soffitto.  Aveva dato l'allarme, seguito i soccorsi, concordando con Lord Weston  di portare il ferito nella sua tenuta, più vicino rispetto alla villa dei Jarjayes, si era precipitata ad avvisare Sebastiane e gli aveva fatto incontrare il padre per pochi minuti. Gli aveva pulito il volto annerito e aveva tagliato delicatamente le ciocche di capelli bruciacchiati, prima dell'arrivo del medico, che aveva raggiunto Chablis solo nelle prime ore del pomeriggio.
Era rimasta impassibile di fronte al pessimismo del dottore, che aveva definito le ferite e le ustioni alle braccia molto serie. "Probabilmente nel corso dei prossimi giorni si infetteranno e daranno luogo alla gangrena" aveva concluso mentre terminava di fasciare le braccia di Andrè. "Ne ho viste anche di meno estese e purtroppo l'esito è molto spesso questo". Aveva lasciato sul comò accanto al letto un'abbondante dose di laudano, per sopire il dolore. "Ne avrà bisogno", aveva aggiunto, abbassando la voce.
E lei era rimasta forte, non aveva dato segno del minimo cedimento: Andrè era salvo, sarebbe guarito.
Ma vederla così, ora, con quell'aria distrutta, completamente immobile, il viso nascosto a celare le lacrime che non poteva più trattenere, gli faceva sanguinare il cuore. Non era più il momento di continuare quella commedia che aveva trovato a lungo divertente: fingere di non aver capito che fosse una donna e quali fossero i sentimenti che la legavano al suo ex attendente.
Aprì con decisione la porta  ed entrò, fermandosi a pochi passi da lei. Dai tendaggi che oscuravano quasi completamente la stanza filtrava un cono di luce rosata, mentre il sole volgeva al tramonto,  che sembrava illuminare solo il suo corpo.
"Dovete riposarvi, madamigella....posso chiamarvi così, vero?"
La giovane annuì col capo e Lord Weston fece un altro passo verso di lei.
"Siete stanca, è stata una giornata molto intensa e le prossime non saranno da meno. Io sarò lieto se vorrete accettare la mia ospitalità per tutto il tempo che occorrerà...ad Andrè...per riprendersi. Ho già fatto sitemare per voi la camera qui accanto." Silenzio.
"Se volete, vi accompagno..."
"No, grazie Lord Weston. Io...io vorrei restare ancora un po' qui, con lui. Lo so che non serve a niente, che non posso cambiare le cose..."
"In realtà, madamigella, penso che vi sbagliate.  Penso che voi possiate cambiare il decorso di questo tragico evento e aiutare  il nostro Andrè a lottare, per vivere. Rimanete con lui finchè vorrete, ma cercate di non abusare delle vostre forze e pensate a riposare anche voi. Potete sdraiarvi al suo fianco..."
Oscar alzò il capo e si voltò di scatto verso l'uomo. Sembrava sapere quello che lei aveva compreso solo nelle ultime ore.
"Non mi crederete così meschino da badare a certe...formalità?"le rispose, sorridendo.
E senza aggiungere altro lasciò la stanza.


Era morto.
E certamente si trovava all'inferno. Perchè le dita delle sue mani bruciavano e le braccia sembravano tizzoni ardenti infilzati nel suo corpo.
Sbattè le palpebre più volte. Sopra di lui intravide un soffitto  finemente decorato con immagini bucoliche. Lentamente e a fatica riuscì a distinguere la sagoma di un levriero dal muso appuntito, pronto a lanciarsi all'inseguimento di una lepre.
Non sembrava l'inferno.
Sentì un respiro al suo fianco e a fatica mosse il capo. Investiti dalla luce azzurrina  che filtrava dai tendaggi riconobbe i lineamenti delicati del suo angelo.
Possibile che sia in paradiso? E perchè soffro così terribilmente?
Si soffermò sulle labbra  dischiuse, su quello splendido volto, le ciglia scure a sigillare la luce degli occhi.
Provò a muovere una mano e fu trafitto da un dolore lancinante.  Eppure era così forte il desiderio di sfiorare la pelle diafana di quell'angelo che si vinse e sollevò lentamente la mano.  Sfiorò con i polpastrelli  le labbra carnose e percepì il respiro che da esse usciva.
Era così bella e così reale.  Poi improvvisamente l'angelo aprì gli occhi. Due iridi azzurre e scintillanti si posarono su di lui. Pochi secondi e quegli occhi si riempirono di lacrime.
"Oh, Andrè sei vivo! Come ti senti? Riesci a parlarmi?"
Non riuscì a risponderle. Era sopraffatto dalla consapevolezza di essere vivo e che quella creatura meravigliosa, stesa accanto a lui, così vicina, fosse Oscar, la sua Oscar.
"Cos'è successo?" sussurrò infine, recuperando un briciolo di lucidità.
"C'è stato un incendio, non ricordi? Ti sei ferito mentre mettevi in salvo le Bolden. Le tue braccia...le tue braccia sono gravemente ustionate"
"Si, bruciano...bruciano terribilmente"
Con un movimento rapido la giovane scese dal letto e si avvicinò al comò.
Prese un cucchiaio e lo riempì di un liquido denso e scuro.
"Bevi questo" gli ordinò con dolcezza, mentre lo aiutava a sostenere il capo.
Andrè sentì  le dita della donna tra i capelli e fu invaso da una sensazine meravigliosa.
Ricadde pesantemente sul cuscino e in pochi minuti tutto tornò ad essere confuso. Il levriero sopra di lui cominciò lentamente a muoversi e infine corse via.


Nei giorni seguenti Andrè rimase sospeso tra la veglia ed il sonno, tra il dolore e lo stordimento che il laudano recava alla sua mente. In questo il medico non aveva sbagliato. Erano il dolore e la sete a destarlo e il succo dell'erba medicinale non fu risparmiato. Dopo due giorni Muet si presentò a casa di Lord Weston accompagnata da Florent, con il compito di medicare le ferite e sostituire le fasciature. Oscar fu invitata a lasciare la stanza e ad attendere fuori. Fu sul punto di irrompere nella camera all'udire le urla del giovane e Florent faticò a trattenerla.
"Abbiate fede, Conte de Jarjayes. Muet è una donna molto esperta e soprattutto
non farebbe mai del male ad Andrè di sua volontà"
Oscar sospirò e si allontanò dalla porta.
"Che giorno è oggi, Monsieur Florent?" chiese distrattamente, mentre guardava all'esterno della casa. Era rimasta lì dal giorno dell'incendio, e cominciava ad essere confusa.
Nella risposta dell'amministratore colse una sfumatura di panico.
"Qualcosa vi preoccupa, Florent? A parte le condizioni di Andrè, intendo..."
"Beh, si, Conte. Potranno sembrarvi meschine queste considerazioni, con Monsieur Grandier ferito così gravemente, ma...ecco...questo è un momento di conteggi e bilanci. Non solo della nostra attività, ma di tutte quelle che Andrè seguiva per conto di tanti abitanti del villaggio!"
Oscar ripensò alle parole di Lord Weston, a quanto il lavoro ed il benessere di molti fosse legato all'opera di Andrè. Ma qualcosa aveva imparato, nel periodo in cui lo aveva affiancato. E il nobile inglese poteva rendersi utile e aiutarla. In fondo lo studio che utilizzava Andrè, tutti i documenti ed i registri si trovavano già alla villa. Poteva occuparsene lei finchè Andrè non avesse recuperato le forze.
"State tranquillo, Florent, ce ne occuperemo io e Lord Weston"
L'uomo sembrò sollevato da quella rassicurazione e quando Muet riaprì la porta, entrò per salutare suo genero. Nel frattempo Oscar diede ordine di riunire le carte e i registri che giacevano nello studiolo al piano di sotto e di portarli nella camera degli ospiti.
Quando infine le visite terminarono ed anche il piccolo Sebastiane lasciò la casa insieme al nonno ed alla governante, rientrò nella camera di Andrè e si sistemò al piccolo secretaire. Lavorò incessantemente, fino all'ora di cena, alzando ogni tanto gli occhi per sincerarsi che risposasse tranquillo, cullata dal suo respiro profondo e regolare. Muet le aveva sorriso e le aveva stretto un braccio, mentre le passava accanto; lo aveva interpretato come il segno di un presagio positivo, alla faccia dell'erudito pessimismo del dottore.
E lei aveva bisogno di alimentare le sue speranze durante quella lunga attesa e...di tenere la mente occupata nel frattempo. Assumere temporaneamente le funzioni di Andrè nella gestione della tenuta l'aiutava a sentirsi utile e a far passare le ore in quelle lunghe giornate di solitudine.
Quella stessa sera Lord Weston riuscì finalmente a convincerla ad unirsi a lui per la cena, nella sala da pranzo. Ebbe successo nell'intento di farla sorridere col suo umorismo garbato  e si trattennero qualche minuto nel salotto, accanto al fuoco, mentre lui fumava l'ultimo sigaro, prima di ritirarsi per la notte.  
Seduta innanzi al camino, mentre osservava il fumo formare piccole nuvole davanti al volto di Lord Weston, diede voce ad una domanda che le ronzava da giorni nella testa.
"Volevo chiedervi...ecco, mi domandavo come aveste capito che sono una donna.."
L'uomo la guardò un istante prima di esplodere in una sonora risata.
"Contessa de Jarjayes, non so a quali esemplari di virilità voi siate avvezza, a corte, ma qui, ve lo posso assicurare, il taglio maschile dei vostri indumenti o i vostri modi non hanno tratto in inganno: le fattezze chiaramente femminili della vostra figura sono parse subito evidenti a tutti. A cominciare dal cappellano per finire con l'ultimo dei braccianti, ve lo garantisco!"
Pensò a Sebastiane, che lo aveva capito subito dopo il suo arrivo e sorrise, abbassando gli occhi.
"E perchè tacere, allora e continuare a rivolgervi a me come ad un uomo?"
"E' mia abitudine accontentare una nobildonna, per quanto assurdo possa essere il suo volere" replicò ironico, accennando un inchino.
"Intendete affermare che sia assurdo per una donna diventare il comandante delle Guardie di Sua Maestà?"  
"No...assurdo no, ma insolito questo si, lo ammetto.
Assurdo è negare a tutti costi la propria natura. Assurdo e, se mi permettete, fallimentare"
Un velo di risentimento adombrò il volto della sua ospite e Lord Weston se ne accorse.
"Ma non temete, Oscar, non tutti i vostri segreti sono stati svelati da questa combriccola di campagnoli ignoranti!"
Si alzò e le voltò distrattamente le spalle.
"Il motivo del vostro ritiro qui, lontano dagli sfarzi della corte di Versailles, rimane per tutti un mistero..."
L'arguzia di quell'uomo riusciva inevitabilmente ad irritarla: sembrava sempre dove calare i suoi affondi. Cercò di stemperare il nervosismo.
"Questo mi è di grande conforto, Lord Weston. Non c'è nobildonna al mondo che non aspiri ad ammantarsi di un po' di mistero, dico bene?"
Il nobile inglese non replicò, gettò nel camino il mozzicone che ancora tratteneva tra le labbra e fece per accomiatarsi.
"La vita deve essere stata difficile per voi, madamigella. Avete dovuto vivere come un uomo in un ambiente che non ha mai dimenticato che foste una donna, di questo ne sono certo."
"Fino al momento dell'agguato e del ferimento, non è mai stato un problema..."
"E dopo?" la incalzò.
Il volto di Fersen affiorò con prepotenza nella sua mente e cominciò a tremare.
Lord Weston finse di non accorgersene. Aveva intuito che, piccolo o grande che fosse, il segreto chel Oscar celava la faceva soffrire ancora.
"Mi accorgo che questi discorsi vi innervosiscono e non è mia intenzione rovinare una così piacevole serata. Sono sicuro-concluse prima di lasciare la stanza- che avete sempre agito per il meglio, madamigella, senza voler nuocere a nessuno, esattamente come vi ho visto fare qui, a Chablis"
Lei alzò lo sguardo e ebbe timore che fosse sul punto di piangere.
"Lo sapete anche voi, ne sono certo, se solo guarderete nel vostro cuore e saprete accettarne i limiti"

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Capitolo 27
*** Rinascere ***


 C'era una volta una fic intitolata "Da lontano"....
Ringrazio anticipatamente tutte coloro che in questi mesi si sono fatte vive, dimostrandomi di non aver dimenticato la mia "creatura" :-)


27- Rinascere

Avanzava lungo i vialetti del giardino di palazzo Jarjayes, invocando il suo nome. Senza risposta.
Indossava la candida divisa di capitano delle Guardie Reali, con la spada legata alla cintola, che tuttavia risultava pesantissima e sembrava ostacolarla nella sua ricerca affannosa. Si diresse infine verso un pergolato, coperto di rampicanti, ma scuro, quasi buio. La investì l'odore acre di bruciato ed un fumo denso le fece stringere le palpebre. Stava per voltarsi ed allontanarsi quando sentì la sua voce chiamarla da lontano.
"Oscar, Oscar!"
E allora cominciò la sua corsa disperata verso quel richiamo, vincolata dall'insolito peso di quell'arma legata al suo fianco, vincendo la fame d'aria per il troppo fumo, finchè lo vide. Tra le fiamme si intravedeva solo il suo viso. Il volto da ragazzo, con i capelli legati da un nastro blu e i grandi occhi verdi, puntati nei suoi.
Quando scorse la sua mano tendersi verso di lei, fece altrattanto, ma il calore di una violenta fiammata la colpì, mentre il fuoco oscurava definitivamente l'immagine dell'amico.
Fece solo in tempo a gridare un'ultima volta il suo nome.
"Andrè!!!!"

Si svegliò di soprassalto, trovandosi seduta sul letto.*
Al buio che aveva caratterizzato il suo incubo si sostituiva la pallida luce di una mattina invernale, accompagnata dall'insolito cinguettio di un uccello nel giardino.
Si asciugò la fronte, madida di sudore.
Ancora quel sogno molesto, che tormentava le sue notti dal giorno dell'incendio. Sospirò, grata di essere sveglia e ormai lontana da quelle immagini dolorose. Fissò la pendola sopra il camino e con suo grande stupore si accorse che erano già passate le undici.
"Perchè mai ho dormito così a lungo? Sarà colpa dei liquori che Lord Weston mi offre dopo cena...chissà con cosa li fa!"
Scese rapidamente dal letto, si preparò con cura, come ogni mattina e uscendo si avvicinò alla porta della camera di Andrè, per salutarlo prima di cercare una cameriera e farsi preparare qualcosa di caldo.
Entrò con discrezione, temendo di disturbare il suo riposo, ma quello che trovò fu un letto vuoto e perfettamente sistemato.
Dopo pochi secondi di stupore, fu colta da un terribile presentimento e si precipitò verso le scale, percorrendo tre gradini per volta, per poi fermarsi bruscamente ai piedi della gradinata.
Sentiva la sua voce, giungere dalle cucine.
Spalancò gli occhi: stava canticchiando!
Forse stava ancora sognando. Avvicinò con cautela l'orecchio allo stipite, per udire meglio, e quasi ci sbattè malamente contro  quando Lord Weston sopraggiunse alla sue spalle.
"Buongiorno, madamigella Oscar! E che buon giorno!" ripetè, sfoggiando un sorriso pienamente felice.
"Buongiorno a voi, Lord Weston! Ma...questa voce...il motivetto...voglio dire..."
"Andrè si è svegliato questa mattina presto, finalmente libero dai dolori. Ha chiesto di alzarsi e di poter fare un bagno."**
Oscar lo guardava sbalordita, come se faticasse a comprendere le sue parole.
"Sebastiane è con lui e lo sta aiutando. Non è sorprendente?"
La giovane annuì, senza trovare nulla per rispondere, senza raccapezzarsi tra sentimenti contrastanti che agitavano il suo cuore.
"Si sente davvero meglio, sapete. Ha accettato di ricevere in visita mademoiselle Bolden, che dal giorno in cui l'ha salvata chiede di poterlo salutare e ringraziare."
Il nobile le riferiva tutte queste cose con sincero entusiasmo, mentre Oscar si sentiva stranamente fredda e distaccata. Aveva trepidato a lungo  per la vita di Andrè, che sembrava appesa ad un filo, ed ora che il peggio sembrava superato non riusciva a provare nulla. In realtà, un leggero fastidio si stava impadronendo di lei.
L'ho vegliato giorno e notte, mi sono fatta carico delle sue mansioni, e quando si riprende non mi fa chiamare, non cerca me, per prima, anzi, pensa a  mettersi in ghingheri per mademoiselle Bolden! E canticchia pure!
Strinse i pugni e udì la sua voce parlare priva di qualsiasi inflessione.
"Ottime notizie davvero, Lord Weston. A questo punto penso farebbe bene anche a me distrarmi un po'" lanciò una rapida occhiata alle vetrate verso il giardino.
"E' una giornata soleggiata e mite, penso che mi concederò una bella cavalcata con Caesar: siamo entrambi fermi da troppo tempo!"
E senza attendere una replica dal suo ospite, gli voltò le spalle e uscì dalla villa.
A Lord Weston ci vollero alcuni secondi per capacitarsi di quell'insolita reazione. Poi rammentò la missiva che Sebastiane aveva portato con sè quella mattina, indirizzata al conte de Jarjayes.
"Aspettate madamigella Oscar!"
La vide svoltare dirigendosi alle scuderie senza fermarsi.
Rientrò in casa, sospirando. Donne! In divisa o con la parrucca, sono tutte uguali! pensò tra sè.
Si avvicinò al tavolino del salotto, dove la lettera era stata lasciata. La prese tra le mani ed osservò lo stemma impresso nella ceralacca. Il simbolo dei Jarjayes.
Probabilmente un messaggio dei suoi familiari, niente di così importante che non possa attendere il ritorno del conte dalla sua cavalcata.

Oscar si diresse verso la sua tenuta. Voleva portare notizie a Muet, che tanto si era prodigata per Andrè, e chiederle di prepare il loro rientro. Se è in grado di fare il bagno, canticchiare e fare salotto, può anche stare seduto su un calesse per venti minuti...
Muet la accolse con un sorriso silenzioso, le offrì un pranzo abbondante e la lasciò ai suoi strani pensieri seduta nella veranda, avvolta nel mantello, con un cesto colmo di mele invitanti innanzi a lei. Stava meditando su quanto le mancasse la cioccolata fumante che Nanny le preparava in quei tiepidi pomeriggi invernali, quando scorse Sebastiane fare ritorno a casa.
Era raggiante e non potè evitare di dimostrarsi entusiasta per la rapida ripresa di suo padre.
"Per strada ho incrociato mademoiselle Bolden accompagnata da mademoiselle Fauvet! Non la smetteva di piangere e stringermi le mani per quanto mio padre ha fatto per lei e sua nonna, salvandole dall'incendio!" raccontò con orgoglio.
"Ricordate le due fanciulle, vero Oscar?"
La donna sorrise annuendo.

Eccome se me le ricordo! Con la prima ha aperto le danze alla festa di primavera, e la seconda gli ha cinguettato attorno per metà del tempo, lodando tutti i dettagli  di quella serata!
Sebastiane si allontanò velocemente, dopo aver afferrato una mela con fare furtivo.
"Buone notizie nella lettera che vi ho portato?" le chiese quando stava ormai rientrando in casa.
"Non ho ricevuto nessuna lettera, Sebastiane" replicò la donna, senza cambiare posizione.
Sentì il rumore ritmico della stampella del ragazzino che tornava sui suoi passi.
"Ma come? Stamattina ho portato da Weston una missiva per voi...accidenti, quel vecchio lord se ne sarà scordato!"
Oscar si alzò, stirandosi pigramente.
"Non ti allarmare, Sebastiane! Sono certa che non c'era nessuna comunicazione urgente per me, in quella pergamena. Comunque adesso tornerò alla villa e inseguirò Lord Weston con la mia spada se non mi consegnerà immediatamente la lettera!" concluse ridendo e mimando il gesto di stanare il nobile inglese col suo fioretto. Il ragazzo rise divertito.
"E se tuo padre sarà d'accordo, domani faremo rientro qui, alla domaine !"
"Evviva" esclamò per la gioia, lanciando la mela per aria.
Oscar afferrò a sua volta un frutto con cui viziare il suo fedele cavallo e si diresse alle scuderie.
Fece lentamente ritorno a casa, cavalcando al passo, assorta nei suoi pensieri.
Come sarebbe stato rivedere Andrè consapevole dei propri sentimenti? Come sarebbe continuata la loro vita a Chablis? Forse...forse per lei era giunto il momento di rientrare a Versailles: il suo braccio era guarito, non era più un soldato inabile, poteva combattere e riprendersi tutto ciò che era stato suo...
Mentre ormai intravedeva la sagoma della villa di Lord Weston incrociò due giovani donne che avanzavano spedite, tenendosi a braccetto. Parlavano fittamente, a capo chino.
Fermò il cavallo e si spostò sul ciglio della strada, per lasciarle passare. Le giunsero le parole che a voce non abbastanza bassa Mademoiselle Fauvet rivolgeva all'amica.
"Certo che si rifarà una vita! Ormai sono due anni che è vedovo, non penserai che voglia trascorrere il resto dell'esistenza da solo! E poi, secondo me, quando ti salvi per miracolo da morte certa ci pensi ancora di più a.."
Alzò lo sguardo davanti agli zoccoli di Caesar, interrompendosi immediatamente.
Impassibile, Oscar chinò il capo in segno di saluto.
"Oh, buonasera, conte de Jarjayes!" salutò di rimando, imitata dalla compagna non vedente.
La giovane le superò senza aprire bocca e per pochi istanti udì ancora le parole della ragazza.
"Cosa stavo dicendo? Ah, si: tutte le persone miracolate danno una svolta decisiva alla loro vita. Ti ricordi di Monsieur..."
Diede una rapida occhiata alle sue spalle: Lord Weston aveva ragione, erano molte le ragazze che speravano di accasarsi col giovane Monsieur Grandier.
Affidato Caesar allo stalliere, Oscar entrò in casa con passo deciso: avrebbe parlato ad Andrè per annunciargli il loro prossimo rientro a casa e certamente avrebbe cenato con il loro ospite inglese per ringraziarlo della sua generosa disponibilità.
Quando raggiunse il salotto, trovò Lord Weston appisolato davanti al camino. Fece scorrere lo sguardo per l'intera stanza, ma Andrè non c'era. Tossicchiò leggermente per ridestarlo.
"Oh, conte de Jarjayes, finalmente! Disperavo di riuscire a vedervi prima di cena!"
"Buonasera, Lord Weston.  Sono stata alla domaine per definire i dettagli del nostro rientro. Cercavo per l'appunto Monsieur Grandier per comunicargli quanto stabilito"
L'uomo rimase un attimo interdetto, stupito di un così precipitoso congedo da parte dei suoi ospiti. "Monsieur Grandier si è già ritirato nelle sue stanze. La visita delle due graziose madamigelle lo ha affaticato".
Fu certo di cogliere un lampo di fuoco negli occhi di Oscar all'udire le sue ultime parole.
Rispose cercando di dissimulare la delusione.
"Non è importante. In fondo a Monsieur Grandier non è richiesto alcun contributo per i preparativi della nostra partenza...se non quello di astenersi da frequentazioni troppo...faticose"
"Oh, ma Andrè si è raccomandato perchè vi avvisassi che vi avrebbe aspettato prima di coricarsi..."
Stava per inventare una scusa e declinare l'invito implicito a raggiungere Andrè nella sua camera, quando ebbe la netta sensazione che fosse una specie di stupido trabocchetto ordito dal suo ospite, sempre incline a prendersi gioco di lei.
"Allora meglio non far attendere oltre un uomo tanto provato..." concluse, dirigendosi alla scalinata, seguita dallo sguardo divertito di Lord Weston.
"Perfetto! Vi aspetto per la cena con una missiva indirizzata a voi!"

Entrò lentamente nella stanza di Andrè, rischiarata unicamente dalla luce del camino acceso.
Era seduto su una piccola poltrona, il viso rivolto verso il fuoco, l'aria assorta. Ma si girò di scatto non appena udì i suoi passi.
"Oscar...."
Lo fissò intensamente. Era tornato l'Andrè che conosceva, senza i lineamenti tirati per il dolore o quell'apatia indotta dal laudano. Riconobbe il suo sguardo intenso, apparentemente denso di parole sottaciute, di sentimenti dissimulati. Anche se sentiva il sangue pulsarle nelle vene, cercò di assumere un tono formale.
"Sono felice di vederti in buone condizioni, finalmente. Siamo stati tutti in pensiero per te. Volevo informarti che oggi sono stata ala tenuta e avrei definito il nostro rientro per domani. Sebastiane non vede l'ora di.."
Andrè si alzò e le si avvicinò, inducendola a fermarsi.
"Oggi mademoiselle Bolden è stata qui, per ringraziarmi di averle salvato la vita."
Fece un ulteriore passo verso di lei e le prese le mani, poi continuò, fissandola negli occhi.
"Ora anche io volevo ringraziarti, per non esserti arresa, per avermi ritrovato e tratto in salvo. Per esserti occupata della mia persona e del mio lavoro. Io- continuò, abbassando lo sguardo sulle loro mani unite- non lo dimenticherò mai, Oscar"
Non era preparata a quel discorso, rimase ammutolita. Ma i due occhi verdi davanti a lei le parlavano e sentì chiaramente che lui avrebbe fatto altrettanto per lei, se fosse stato necessario, e per lo stesso motivo.
Andrè ruppe il silenzio cambiando radicalmente discorso.
"Faremo come hai deciso. Domani torneremo a casa."
Con una mano le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, lasciando scivolare uno sguardo dispiaciuto sulla chioma rovinata la notte dell'incendio.
Non riuscì a replicare nulla per alcuni istanti, poi sentì la sua voce pronunciare una banale osservazione sul fatto che Lord Weston l'attendeva per la cena.
"Non ti unisci a noi?" gli chiese prima di lasciare la stanza.
Il giovane fece segno di no col capo, sorridendole.
"Voglio riposarmi ed essere in perfette condizioni per domani. Non vedo l'ora di fare ritorno a casa"

Terminata la cena Lord Weston lasciò momentaneamente la sua ospite, dopo averle consegnato una pergamena sigillata con la ceralacca. Oscar riconobbe all'istante lo stemma della sua famiglia.
Si avvicinò al candelabro posto sopra il camino e svolse la lettera.
Fece scorrere rapidamente gli occhi sul suo contenuto.  Era molto breve: concisa ed autoritaria come solo una missiva del Generale poteva essere.
Terminò la lettura respirando profondamente e gettò il foglio tra le fiamme davanti a lei.
"Quella lettera sembrava  bruciare già tra le vostre dita, tanto rapidamente ve ne siete liberata"
Oscar sussultò all'udire la voce di Lord Weston, che non aveva sentito entrare, ma non replicò.
Manteneva lo sguardo fisso sulle fiammelle del candelabro, cercando di dominare le emozioni che attraversavano la sua mente ed il suo cuore in quel momento.
"Mi auguro non abbiate ricevuto cattive notizie, madamigella..."
"Nessuna cattiva notizia, Lord Weston. Non vi allarmate"
L'uomo le si avvicinò; percepiva chiaramente il suo sguardo indagatore.
"Era di vostro padre, vero?" la incalzò, incurante della sua insofferenza.
"Posso concedarmi, Lord Weston? Vi confesso che sono piuttosto stanca..."
Fece per voltarsi e raggiungere la porta, ma il suo ospite la fermò, bloccandola per un braccio.
"Che cosa vi turba, contessa?"
Non potè reprimere uno sguardo rabbioso.
"Mettete un freno alla vostra fantasia, Weston. Non sono affatto turbata..."
Ma l'uomo continuò, abbassando la voce.
"Avete il coraggio per gettarvi tra le fiamme di un incendio e salvare qualcuno che vi sta a cuore ma non riuscite a guardare con serenità alla vostra vita e, credo, al vostro passato"
Ma come si permetteva  costui di giudicarla?
"Mi state forse accusando di una qualche sorta di vigliaccheria, Lord Weston?"
Percepiva la sua rabbia, ma Andrè era un amico, per lui, e decise di andare fino in fondo.
"Di certo temete vostro padre, madamigella, quasi quanto il vostro cuore. Fuggite da quello che provate e dalla persona per cui lo provate."
La fissò: per quanto tesa, la donna non perdeva il controllo e sosteneva il suo sguardo provocatorio.
"Probabilmente nella vita non avete mai trovato il coraggio per esprimere i vostri sentimenti, ma solo per incutere paura sguainando la spada!"
"Di quale coraggio state parlando, Lord Weston? Il coraggio per esporsi e concedersi totalmente, senza difese? Il coraggio di farlo tradendo la fiducia di chi più vi stimava? Della vostra famiglia? Della vostra stessa regina?"
Lord Weston ammutolì. Lei continuò, quasi urlando.
"Perchè se è di questo coraggio che stiamo parlando, vi posso garantire che ne ho avuto fin troppo!"
Gli occhi azzurri che aveva conosciuto colmi di fierezza, quasi impenetrabili, sembravano traboccare dolore.
Si pentì immediatamente di averla provocata in  modo subdolo. Lasciò la presa sul suo braccio.
Oscar si allontanò lentamente, vedendo davanti a sè lo sguardo perennemente malinconico del conte di Fersen, i suoi lunghi silenzi in quel breve periodo trascorso con lei in Normandia.
"A volte è meglio essere pavidi, Lord Weston. A volte è meglio saper reprimere i propri sentimenti"
Dopo quelle parole lasciò la stanza e lui non tentò di fermarla.
Salì i gradini che conducevano alla sua camera un passo alla volta, ripensando alla sua effimera passione per il nobile svedese, a dove li aveva condotti ed infine alle parole di suo padre. Ma quando passò davanti alla porta della stanza di Andrè e la vide socchiusa non resistette alla tentazione di entrare.
Il giovane dormiva serenamente nel suo letto, le braccia mollemente  aperte sopra il capo, ancora avvolte nelle fasciature.
Si avvicinò, senza fare rumore e si sedette sul letto, accanto a lui.
Non sapeva bene perchè fosse lì, ma percepiva chiaramente il peso di un macigno sul cuore, il disperato bisogno di dar voce ai suoi rimpianti. Si chinò sul suo volto e cominciò a parlare, piano, forse più a se stessa che all'amico.
"Non dovevo lasciarti andare, Andrè. Mi sarei dovuta opporre all'ordine del Re, avrei dovuto trovare il modo di porvi rimedio, quanto prima. Se penso che il sovrano è morto pochi mesi dopo il tuo esilio e che la regina mi avrebbe concesso tutto, figuriamoci il rientro dall'esilio di un umile servitore!" Tacque un istante.
"Ma mi ero persa, Andrè. Senza di te mi sono smarrita. Abbagliata da insulsi miraggi mi sono allontanata da te, da noi, per poi accorgermi che non c'era nulla di vero in ciò che tenacemnte inseguivo. Sei tu ad avermi salvato, Andrè...sei tu"
Le ultime parole uscirono in un debole singhiozzo.
Fece per alzarsi, ma nel buio sentì la sua voce e si fermò, quasi spaventata all'idea che fosse sveglio e l'avesse ascoltata. Eppure non poteva allontanarsi.
"Io ti amo Oscar." Spalancò gli occhi nel buio e il suo respiro si fermò.
La sua voce si spense solo un istante, poi riprese.
"Credo di averti sempre amata. L'ho compreso chiaramente quando è accaduto l'incidente alla delfina e tu sei stata in bilico tra la vita e la morte. E' il tuo amore che mi ha dato la forza di vivere qui, lontano da te. Amare questa casa, le vigne e la gente di Chablis era come amare te, perchè ti appartengono.
Avevo perso la speranza di rivederti, ma non il mio amore per te. Quello non mi ha abbandonato mai."
Nel buio le dita di Andrè guidarono dolcemente il suo volto verso di lui.
Nell'oscurità sentiva il suo respiro regolare e profondo, mentre lei tremava. Avvertì come un soffio, le labbra di lui che sfioravano la sua pelle per congiungersi con le sue. E pensò che non poteva esserci quello scambio, quell'intimità, senza aver chiarito il suo passato e gli errori che lo avevano costellato. Le sembrò che ci fosse ancora così tanto da dire o forse era solo paura.
"Non c'è nulla di te che potrebbe indurmi ad amarti di meno. Io ti conosco, Oscar"
E infine la baciò, senza aggiungere altro.
Aveva giurato a se stessa che non avrebbe più ceduto ai sentimenti. Al piacere sì, ma niente di più. E a dire il vero non era stato difficile. L'abbandono di Fersen dopo la fugace illusione di poterla ricambiare sembrava aver sepolto per sempre il suo cuore.
Ma quel bacio, così intenso e delicato, quella braccia avvolte intorno a lei, la sensazione di sentirsi capita, accetta, amata sciolsero ogni resistenza.
Lasciò che le sfilasse le vesti, lo aiutò a fare altrettanto con le sue, e si sorprese perchè tutto era nuovo eppure familiare.
Si lasciò cullare dai suo baci, dalle sue carazze, si abbandonò quando il suo desiderio divenne più esigente, prepotente ed infine scivolò nel sonno mentre lui l'abbracciava, tenendola stretta al suo petto, sussurrandole tra i capelli "Ti amo, ti amo, ti amo..."
 
 
     
 


* Incubi, lui che muore...lo so, mi sto ripetendo :-)
** prima del riscaldamento come lo intendiamo noi (cioè fino ai tempi dei miei nonni) l'unico locale sempre riscaldato era la cucina, e lì si metteva la tinozza per fare il bagno, specie in inverno 

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Capitolo 28
*** Segreti ***


28- Follia Riguardo alla tempistica di questo aggiornamento non mi dilungo...mi prostro letteralmente! Voglio ringraziare con tutto il cuore chi mi ha seguito finora ed atteso con tanta pazienza, senza mancare di incoraggirami e richiamarmi. Grazie, siete il sale di ogni riga che scrivo!
Questo capitolo è visto unicamente dal punto di vista di Andrè, nel prossimo Oscar avrà più spazio, anche se il corso della storia impone che alcuni aspetti restino all'oscuro.


28- Segreti

Cercando di dissimulare l'ansia si alzò e si avvicinò alla finestra. Una fitta pioggerellina aveva ormai bagnato il selciato ed iniziava a tempestare di piccole gocce la superficie del vetro. Mancava poco all'appuntamento, doveva uscire.
Tornò alla scrivania, chiuse il registro su cui stava lavorando  e spense con un soffio deciso il candeliere davanti a lui. In quel momento Lord Weston entrò nello studio, armeggiando con una pipa tra le mani.
"Per oggi ho finito, venivo appunto a congedarmi da voi"
L'uomo rivolse uno sguardo perplesso verso l'esterno, poi tornò a fissare Andrè.
"Certo...va benissimo. Vi accompagno"
"Non è necessario, grazie Lord Weston" e con pochi rapidi passi lasciò la stanza.
Il padrone di casa lo seguì con lo sguardo nell'attimo di attraversare velocemente il cortile per dirigersi alle scuderie e sorrise tra sè e sè, mentre sistemava il tabacco nel fornello della pipa.
Cavalcò per circa mezz'ora, quasi insensibile alla pioggia che aveva ormai  intriso i suoi abiti e rallentò quando scorse infine la sagoma del padiglione di caccia, mimetizzato in una macchia di castagni, al limitare del bosco.
Sorrise ricordando il momento in cui l'idea di quel rifugio, per lui ed Oscar, gli era balenata per la mente.

Era stato il giorno del suo rientro al termine della lunga convalescenza presso Lord Weston.
Si era svegliato nudo nel letto, mentre una mano gentile gli accarezzava il viso. Non aveva fatto in tempo a chiedersi  se i ricordi di quella notte fossero sogno o realtà perchè aprendo gli occhi aveva incrociato quelli di Oscar che lo fissavano. Era china su di lui, completamente vestita.
"E' l'alba...devo andare" disse, cercando di addolcire il distacco con un sorriso.
Avrebbe voluto trovare le parole per trattenerla, ma fu immediatamente consapevole che fosse giusto così: non potevano rischiare che qualche membro della servitù li cogliesse insieme, a letto. Rimase in silenzio mentre lei si alzava  e la seguì avvicinarsi alla porta. Appena prima di uscire si voltò un'ultima volta  e gli sussurrò "Anche io ti amo, Andrè"
Quelle poche parole, pronunciate con un filo di voce, cominciarono da quell' istante a rimbombare dentro di lui con la potenza di un tuono. Riempirono le sue orecchie per l'intero tragitto in calesse dalla tenuta di Lord Weston a casa, sostituendosi allo scricchiolio delle ruote sulle pietre e al rumore degli zoccoli di Caesar, che trottava al suo fianco, mentre la sua padrona, con apparente noncuranza, si lasciava sfuggire lunghe occhiate nella sua direzione.
Chissà se provava i suoi stessi sentimenti. Lui non riusciva più a guardare al suo corpo sinuoso, che assecondava i movimenti del cavallo, senza tornare con la mente a quella notte, alla sensazione provata a stringere tra le braccia quello stesso corpo, esile e forte al contempo, liscio e profumato.
Appena giunti alla domaine furono separati dall'arrivo di Sebastiane e Monsieur Florent, che li accolsero calorosamente, investendoli di abbracci e saluti. Fu allora che Andrè avvertì la necessità di un posto dove ritrovarsi, lontano da occhi indiscreti o semplicemente troppo vicini. Ricordava un rifugio per le battute di caccia, ormai in disuso, al confine occidentale dei possedimenti de la Borde ed il giorno seguente, con la scusa di dare un'occhiata ai vigneti, riuscì ad allontanarsi solo, insieme ad Oscar.
Dal momento del loro rientro era diventata quasi sfuggente, evitava di restare sola con lui, non cercava il suo sguardo.
Ma appena si furono lasciati alle spalle il villaggio di Chablis, gli si affiancò con Caesar e sorrise. Andrè ricambiò quel tacito saluto e, in risposta, spronò il suo cavallo a partire al galoppo. Si fermarono ansanti a pochi metri dal rifugio di caccia.
"Non credi di aver esagerato? Sei convalescente!" gli disse non appena smontarono da cavallo. C'era un tono di finto rimprovero nella sua voce.
"Volevo dimostrarti di essermi ripreso perfettamente" replicò lui, con la medesima inflessione.
Rimasero in silenzio un istante, incapaci di dar voce ai loro pensieri.
"Mi è sembrato che mi evitassi, ieri" le disse infine, assumendo un tono più serio.
Oscar sollevò gli occhi verso di lui, senza replicare.  E in quello sguardo muto, notò un conflitto, una nota di sofferenza. Pensò che forse ciò che era successo la facesse sentire in colpa, addirittura che si fosse pentita.
Le si avvicinò, cercando di venire in suo aiuto.
"Possiamo parlarne, Oscar...puoi parlare con me, davvero..."
Ci fu un attimo di silenzio, un lampo nei suoi occhi celesti, poi avvertì le sue dita stringere il bavero della giacca, tirandolo con forza verso di sè. Sentì le sue labbra sulla bocca, percepì immediatamente l'urgenza che la spingeva, la medesima che a stento aveva trattenuto lui stesso nelle ultime ore.
Il bacio divenne un abbraccio travolgente. In pochi attimi i loro corpi, allacciati, cominciarono a muoversi all'unisono, sospinti da una forza misteriosa e potente.  Iniziarono a spostarsi verso l'ingresso della casupola per poi sbatterci contro, mentre le mani cercavano la pelle dell'altro sotto la stoffa dei vestiti. Senza separarsi un istante, Andrè cercò a tentoni il chiavistello di legno  e lo aprì con un colpo deciso. Piombarono all'interno, sempre avvinghiati, senza nemmeno guardarsi attorno, finchè il corpo di Oscar terminò la sua strana danza contro l'asse di un tavolaccio, coperto di polvere.
Si spogliarono in fretta, senza riguardo, quel tanto che bastava a unire i loro corpi e a placare il loro desiderio.
Eppure fu bellissimo ed intenso. Si conoscevano, si completavano.
Andrè rimase disteso su di lei, mentre sentiva l'aria fredda condensarsi attorno a loro, le dita di Oscar tra i capelli.
Non aveva mai pensato potesse esistere una bramosia così intensa, quasi cieca e si chiedeva chi fosse davvero la donna con cui aveva condiviso quel tempo, dominato da un desiderio quasi folle, incontrollabile.
Il prezzo della loro passione fu una costipazione che colpì Oscar quella stessa sera, costringendola a letto con la febbre. Per placare Monsieur Florent, deciso a farla  visitare da un medico, la giovane promise che si sarebbe riguardata e avrebbe evitato di uscire per almeno una settimana.
Andrè approfittò di quel tempo per recarsi al rifugio e sistemarlo. Quando rientrava, passava a trovare Oscar, trovandola spesso in compagnia di Sebastiane, che la travolgeva con le sue chiacchere o di Muet, che si metteva a cucire silenziosa accanto al suo letto. Quando finalmente la settimana fu terminata e l'ansia di Florent per la sua preziosa salute si fu dissolta, la accompagnò nuovamente al loro rifugio.*
Oscar non lo riconobbe. L'esterno era rimasto immutato, ma all'interno Andrè aveva liberato il piccolo camino occupato da cianfrusaglie dimenticate negli anni e vi aveva acceso il fuoco. Sul tavolo c'era un cesto di frutta e una bottiglia di vino. In un angolo un piccolo giaciglio, con una pesante coperta di pelliccia.
Il giovane rimase come in attesa di un parere, mentre Oscar faceva scorrere lo sguardo su ogni nuovo particolare.
Poi li posò su di lui e gli sorrise. Non ci fu bisogno di parole, di commenti. Da quel momento il piccolo casotto di caccia divenne il loro punto di incontro, per fare l'amore, per tenersi stretti, per raccontarsi. Lì si trovarono nei brevi pomeriggi di fine inverno e in quelli più luminosi, con l'arrivo della primavera.
Tra quelle mura di legno Andrè venne a conoscenza di ciò che era stata la vita della sua amata in quegli anni di lontananza. Chiudeva gli occhi, mentre lei raccontava degli intrighi di corte, della debolezza dei sovrani, accerchiati da una nobiltà senza onore, da falsi adulatori. La immaginava mentre si spendeva per difendere la regina da questi nemici invisibili, mentre guadagnava prestigio e invidia al contempo. Gli pareva di vederla aiutare la giovane orfana Lamorliere, facendone una sorta di sorella minore, addestrandola alle armi e al rigido galateo di corte come aveva fatto lei da ragazza.  
Oscar narrava del suo passato con apparente distacco e serenità, come di un capitolo ormai chiuso nella sua vita. E questo alimentava in lui la speranza di poter costruire un futuro insieme, a Chablis.
Tuttavia c'era ancora qualcosa di sospeso e non detto.
Per l'intero inverno, e nonostante il maltempo, erano pervenute, quasi quotidianamente, numerose missive da parte del generale. Oscar  non aveva risposto a nessuna: lasciava scorrere gli occhi sulla pergamena, rapidamente, nervosa e subito dopo le gettava nel camino, senza rivelarne mai il contenuto.
Aveva scritto unicamente una volta, a sua madre, poco dopo Natale. E la  risposta della contessa era stata l'unica lettera che non avesse distrutto.
Andrè voleva capire, ma preferiva non fare domande dirette. Aspettava che fosse lei ad aprirsi, ma non era mai capitato. Intuiva che quei messaggi contenessero pressanti richieste per il suo futuro e non voleva comportarsi alla stregua di suo padre. Sempre più spesso Oscar si appartava con noncuranza a disquisire con Lord Weston, mentre lui lavorava: sapeva che la loro amicizia si era approfondita durante la sua convalescenza e sperava in cuor suo che il nobile inglese fosse diventato per la giovane un valido confidente a cui chiedere consiglio. Che potesse seguirla là dove lei si ostinava a lasciarlo fuori.

Giunto a destinazione smontò da cavallo, dando una rapida occhiata nei dintorni.
Aveva preso questa abitudine per essere sicuro che nessuno li avesse notati.
Entrando nel rifugio fu avvolto da un'ondata di calore e sorrise, vedendo il fuoco già acceso.
"Non mi ritenevi capace di accendere il camino, Monsieur Grandier?" lo provocò.
"Non c'è nulla al mondo che tu non sia in grado di fare..."le rispose, avvicinandosi e sfilandosi la giacca intrisa di pioggia.
Erano già vicinissimi.
Andrè la guardava, rapito ogni volta da un inspiegabile senso di stupore.  Quello che gli provocava il fatto che una donna del suo rango, così bella ed attraente, fosse tra quelle quattro mura di legno e aspettasse proprio lui.
Le accarezzò il volto con due dita e fece proseguire la mano lungo la scollatura della camicia, che aprì rivelando il candore della sua pelle. Ripetè il medesimo percorso con le labbra, leggero. Ed immediatamente lo eccitò il senso di abbandono della giovane, che chiuse gli occhi, lasciandosi scivolare su di lui. La spinse dolcemente verso il letto e la fece sedere per poi inginocchiarsi davanti a lei. Le sfilò gli stivali e fece scorrere le mani lungo le sue cosce, lentamente, senza distogliere lo sguardo dal suo. Oscar si abbandonò, scivolando mollemente all'indietro e lo lasciò fare, mentre piano la svestiva, continuando ad accarezzare ogni parte del corpo  che via via liberava dagli indumenti.
C'era un tale appagato abbandono nel modo in cui Oscar si affidava totalmente a lui in quei momenti, così in contrasto con l'impenetrabile riservatezza dietro alla quale si proteggeva quando il suo vecchio mondo riaffiorava in qualche modo, anche lì a Chablis! Andrè si era piacevolmente stupito della naturalezza con cui Oscar si muoveva tra le sue braccia, della consapevolezza del suo tocco, che amava seguire tenendo le proprie mani sulle sue, mentre le stringeva un seno, mentre piano scivolava e si muoveva lento tra le sue gambe, mentre le afferrava i fianchi spingendosi ritmicamente dentro di lei. Non nascondeva il proprio piacere e godeva nel darne a lui.
Quando erano insieme, così, in un attimo, tutto era dissolto: i suoi timori per le future scelte di Oscar, il dispiacere di sentirsi importante ma nonostante tutto, tenuto all'oscuro. Esistevano solo il suo profumo, il magnetismo dei suoi occhi, il piacere indescrivibile del suo tocco su di lui.
Quando calò il crepuscolo erano ancora stretti l'una tra le braccia dell'altro, nel tepore della loro alcova.
"Dobbiamo rientrare, prima che sia completamente buio" affermò Oscar, lasciando il suo abbraccio e cercando nell'oscurità rischiarata dalle fiamme del camino i propri indumenti.
Per Andrè quello era il momento più duro.
Rivestirsi, uscire dal capanno e tornare a comportarsi come un servo ed un padrone.
Cavalcare appena dietro di lei, parlarle a bassa voce e una volta giunti a casa, separarsi nelle scuderie per incontrarsi nuovamente all'ora di cena, insieme al resto della famiglia. Questo comportamento obbligato gli pesava ogni giorno di più, ma non trovava una via d'uscita.
Anche quella sera avvertì una fitta dolorosa mentre slacciava i finimenti a Caesar e osservava la figura di Oscar avviarsi verso la villa.
"Domani o al più tardi tra due giorni partirò per Auxerre" disse senza guardarla. Erano in corso i preparativi per l'annuale Festa di Primavera e come sempre andava a rifornirsi in città.
"Hai bisogno che ti porti qualcosa?" aggiunse, quasi per trattenerla un secondo di più.
Oscar si voltò appena.
"No, grazie Andrè"
Anche la sua voce era velata di tristezza.  Forse avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma si limitò a fissarlo ancora un istante, prima di lasciare le scuderie.
Andrè continuò nel suo lavoro. Sollevò la sella dalla schiena dell'animale e la sistemò sull'asse.
Solo in quel momento si accorse che c'era un'altra al suo posto. E in un angolo appartato, un cavallo mai visto prima ruminava lentamente.
Si volse nuovamente a scrutare la sella; era troppo buio per vederne i dettagli, fece scorrere lentamente la mano sulle rifiniture di cuoio. Era estremamente ricercata nei dettagli, un lavoro di lusso: non poteva appartenere a nessuno degli abitanti di Chablis. Mentre le sue dita si muovevano nell'oscurità, cercando una risposta, il suo cuore prese a battere furiosamente. Un senso di pericolo imminente si impossessò di lui.
Forse per questo gli ci volle un attimo di più per decifrare con le dita le iniziali del proprietario, incise nel pellame.
H.A.v.F.
Si precipitò verso l'uscita, urtando e rovesciando rumorosamente un secchio di biada.
A poche decine di metri davanti a lui vide la porta d'ingresso chiudersi alle spalle di Oscar. Troppo tardi per avvisarla.
Rimase fermo così, mentre il grido di richiamo gli moriva in gola.
Strinse con forza i finimenti che ancora teneva nelle mani, nella sua mente una domanda in cerca di risposte.
Cosa mai poteva cercare a Chablis il conte di Fersen?





* se qualcuno avesse mai visto un film dal titolo "L'albero di Antonia"...l'ho copiato brutalmente da lì

 

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Capitolo 29
*** Fantasmi ***


29-Fantasmi 29- Fantasmi


Raggiunse il suo cuore come una folata di vento gelido in un tiepido pomeriggio di primavera.
Un profumo unico, particolare, familiare, le ricordò il suo nome, prima che potesse annunciarglielo, con tono quasi imbarazzato, Monsieur Florent.
Fersen...Hans Axel von Fersen...
"....un illustre ospite da Parigi, la attende nel salotto..."
Oscar si sentiva inebetita.
Era l'ultima persona che si sarebbe aspettata di incontrare lì, probabilmente l'ultima che avrebbe creduto di rivedere per tutta la vita. Si accorse dello sguardo di attesa che le rivolgeva Florent, non ricordava nemmeno se avesse pronunciato qualche parola in risposta al suo annuncio.
Si diresse con passo deciso e cuore in tumulto nel breve corridoio che conduceva al salotto, dove il nuovo arrivato l'attendeva.
"Volete incontrare ora il vostro ospite? Non preferite...cambiarvi, conte de Jarjayes?" chiese timidamente Florent, tenendo gli occhi puntati a terra.
Oscar cercò la sua immagine nel piccolo specchio che ornava una delle pareti e le parve che il suo volto, con i capelli spettinati ed umidi per la cavalcata nel bosco, le guance rosse e le labbra scarlatte, raccontasse senza pudore l'incontro dal quale si era da poco separata.
L'idea di Andrè, dei momenti appena trascorsi e di quel fantasma del suo passato giunto ora a Chablis la fecero trasalire ed esitare per un istante. Ma il desiderio di rivedere Fersen, dopo quella lunga assenza, sopravvissuto ad una guerra lontana, vinse la sua titubanza e la spinse a lunghi passi verso il suo ospite.
La porta era socchiusa: Fersen era seduto di fronte al camino, intravedeva la gamba fasciata nello stivale e la chioma lunga, selvaggia, così diversa dalle acconciature con le quali era solito presentarsi a Versailles, così simile a come lo aveva visto lei, lei sola, in Normandia.
Mentre apriva lentamente la porta, l'uomo si alzò e si voltò verso di lei. Il suo viso si illuminò in un sorriso radioso, stupendo, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. In pochi istanti anche lei fu travolta dalla medesima commozione.
La raggiunse senza parlare, le strinse una mano e se la portò alle labbra.
"Oscar, che Dio sia lodato! E' un tale piacere potervi rivedere!"
Voleva essere controllata, ospitale ed amichevole, e invece non riusciva nemmeno a salutarlo.
"Anche se non ci crederete, non è passato un solo giorno della mia vita senza che abbia pensato a voi!" continuò, alzando lo sguardo su di lei, senza liberare la sua mano.
Gli anni trascorsi non avevano minimamente intaccato il suo fascino, anzi. Il colorito della sua carnagione, le piccole rughe attorno agli occhi, i capelli lunghi e fluenti avevano eliminato ogni traccia di fanciullezza dal suo aspetto, evidenziandone ancor di più la virilità.
"Lasciate che vi guardi" le disse infine, arretrando di un passo.
Oscar sentì il suo sguardo scivolare lungo la sua figura, come una calda carezza.
"Siete ancora più bella di quanto ricordassi".
Avvertì il calore delle sue guance, subito arrossite e maledisse la sua debolezza di fronte a quel uomo ed al suo modo di trattarla troppo...da donna.
"Siete tornato, dunque" furono le uniche parole che riuscì a rivolgergli.
"Si, Oscar, sono tornato. In realtà ho raggiunto Parigi solo da poche settimane" replicò, volgendo lo sguardo alle fiamme del camino, la mente condotta lontano da un pensiero cupo, come un tormento. Tornò a rivolgersi a lei e nei suoi occhi sembrava completamente dissipata la gioia manifestata nel rivederla.
"Sono stato incredibilmente sorpreso di non ritrovarvi al vostro posto...accanto alla Regina"
"Eravate al corrente delle mie condizioni di salute, prima della vostra partenza..." replicò Oscar, decisa. Uno strano, sordo dolore le stava stringendo la gola. Un tuffo nel passato, rapido, intenso. Socchiuse gli occhi e quasi le sembrò di sentire la furia delle onde e l'odore salmastro che giungeva fino alla sua camera, nella tenuta in Normandia.
Forse il conte se ne accorse, continuò cercando di riportare la sua attenzione nel presente.
"La mia era semplicemente una constatazione, Oscar, non un'accusa. La situazione a Versailles e nell'intera Parigi è davvero mutata, rispetto alla realtà che ricordavo e conoscevo. Voi siete certamente uno dei cambiamenti che non mi aspettavo e, credetemi, uno dei più pericolosi"
Oscar lo guardò con aria interrogativa.
"Ad essere sincero, vi guardo qui, in una sperduta tenuta di campagna, così lontano da...dal ruolo che vi si addice, da essere ancora incredulo!"
Tacque un istante, come attendesse delle spiegazioni o un commento. Ma Oscar si voltò, senza replicare.
"Mi perdonerete se mi sono permesso di parlare con vostro padre di questo"
Sorrise ironicamente, mentre nella sua mente si formava l'immagine del Generale a colloquio con Fersen. Rammentava perfettamente che nelle poche occasioni in cui il nobile svedese era entrato tra gli argomenti di conversazione, il padre si era mostrato subito insofferente: non lo aveva mai potuto sopportare.
"Ma- continuò Fersen- capite bene quanto mi senta...responsabile di tutto quello che vi è successo"
Mentre pronunciava queste parole le si era avvicinato e le aveva preso delicatamente un braccio, come per indurla a guardarlo e a confermare le sue supposizioni.
"Non avete assoldato voi i sicari che mi hanno quasi uccisa" rispose allora.
"Non prendetevi gioco di me, Oscar" la incalzò, facendosi ancora più vicino. Ormai non poteva evitare il suo sguardo.
"Vi ho ferita nel modo peggiore in cui un uomo può ferire una donna e non me lo perdonerò mai, perchè, nonostante tutto, vi ho sempre considerato il mio migliore amico"
Rimasero un istante a fissarsi, in silenzio, quando udirono il lieve colpo sulla porta che preannunciava l'ingresso di un domestico.
"Scusate se vi interrompo"
Andrè comparve alle loro spalle. Si rivolse a Fersen, piegato in un inchino accennato.
Da quanto tempo sei lì, Andrè? Il pensiero le attraversò la mente come un lampo, mentre lui si rivolgeva loro imperturbabile.
"Desideravo comunicare al vostro ospite che la sua camera è pronta e ho già provveduto a trasferirvi il suo bagaglio. Se vuole cambiarsi prima della cena che verrà servita alle sette nella sala da pranzo, posso accompagnarla..."
"Oh, si, certamente." rispose Fersen, come se ricordasse solo in quel momento le buone maniere.
Andrè attese che il nobile svedese gli passasse davanti, chiaramente senza dare segno di riconoscerlo, prima di alzare lo sguardo e puntarlo su di lei. Non gli piaceva Fersen, non gli era mai piaciuto. Si era sentito pervadere da una sorda gelosia dall'istante in cui, rientrato dalle scuderie, era stato travolto da un Florent in preda al panico.
"Un ospite inatteso...un nobile della corte di Versailles...come facciamo con le camere? Non possiamo alloggiarlo nell'ala della servitù!"
Senza scomporsi gli aveva ceduto la sua stanza, aveva ordinato a Muet di cambiare le lenzuola e liberare la toeletta dei suoi effetti personali.
"Mi farò ospitare da Sebastiane" aveva concluso, cercando di strappare un sorriso a Florent. Ma dietro a quella calma apparente montava dentro di lui una crescente inquietudine.
Dunque è tornato dalla guerra...va bene...ma perchè cercare Oscar al punto di inseguirla fin qui, a Chablis?
Non credeva ad una pura visita di cortesia. E l'aria disorientata che aveva colto sul viso di lei quando li aveva raggiunti in salotto confermava i suoi sospetti. Finse di non notarla.
"La cena sarà piuttosto frugale, non era atteso un ospite per oggi, soprattutto non del rango del conte" continuò in tono pacato "Ho detto a Sebastiane di apparecchiare per voi due nella saletta piccola. Io mi occuperò del servizio a tavola"
Oscar restò in silenzio, quasi faticasse a comprendere il significato di quelle poche parole.
"Quindi non cenerai insieme a noi, Andrè?"
Non riuscì a trattenere una risposta densa di sarcasmo.
"Conosci qualcunaltro in questa umile dimora che sappia come servire due nobili del vostro lignaggio, avvezzi al galateo e ai cerimoniali della reggia di Versailles?"
"E' appena tornato da una guerra, Andrè! Credi davvero che noterà come gli viene versato il vino?"
"Nè la qualità del vino nè la cura con cui gli verrà presentato ti faranno sfigurare, puoi starne certa!" continuò facendo un passo verso di lei e fissandola intensamente. "Il punto non è questo, e nemmeno da dove ha fatto ritorno. Resta il fatto che io sono un servitore, Oscar, e il mio posto è in piedi, alle vostre spalle, non seduto tra voi! Ora perdonami, ma il tuo ospite mi attende."
Non le lasciò il tempo di replicare e uscì dalla stanza.
Mi parla come un padrone mentre mi ricorda di essere solo un servo...e se ne va senza attendere di essere congedato...come un domestico non potrebbe neanche fare! Ma forse è meglio che non si intrattenga con noi...
In realtà durante la cena la conversazione si tenne lontana dalle loro questioni personali.
Fersen raccontò della guerra oltreoceano, soffermandosi soprattutto a descrivere il Nuovo Mondo, così diverso, sotto ogni aspetto, da qualsiasi paese avesse già visitato. Una malattia protrattasi per diversi mesi gli aveva impedito di rientrare in Europa con i primi contingenti salpati dalle coste orientali e lo aveva costretto a prolungare il suo soggiorno in America.
Oscar era certa che il suo ospite intendesse ritirarsi presto, stanco del viaggio, ma quando Andrè propose ai signori di accomodarsi in salotto per gustare un brandy, prodotto rinomato di Chablis, Fersen accettò con entusiasmo.
Si ritrovarono in silenzio, uno di fronte all'altra, illuminati dalla calda luce del fuoco che ardeva nel camino, a riscaldare col palmo della mano il proprio calice, mentre l'aroma di acquavite si diffondeva nella stanza.
"Talvolta mi capita di pensare a come sarebbero andate le cose se...se a quel ballo, dodici anni fa, avessi incrociato il vostro sguardo prima di quello della regina. Se già allora avessi saputo che eravate una donna, nonostante la divisa..."
"Troppi se, conte di Fersen" tagliò corto Oscar.
"Non avete dunque rimpianti? Non posso crederlo!"
Si che ne ho, ma come posso spiegarlo a voi o a chiunque altro? Solo lord Weston è riuscito a comprenderli e, penso, prima di quanto abbia fatto io!
"Sapete, Oscar - continuò come parlando a se stesso - ho veramente capito la natura dei vostri sentimenti nei miei confronti solo quando sono tornato dal fronte"
La donna non distolse lo sguardo dal proprio bicchiere, per nascondere il disagio che il tenore di quella conversazione le stava procurando.
Aveva anelato per mesi alla possibilità di rivederlo, per chiarire cosa avesse significato per lui quella fuga in Normandia, con lei, se si fosse mai pentito di qualcosa, se avesse mai sentito davvero nostalgia di lei e adesso che finalmente questo gelo tra loro si scioglieva, sentiva solo fastidio, come un inutile rivangare in un miscuglio di ricordi dolorosi, messi da parte di fronte ad un presente più felice ed appagante.
"Ho calpestato i vostri sentimenti, vi ho indotto a fuggire dall'amore come dal più temibile dei nemici..." disse, quasi sussurrando.
"Non assumete quell'aria afflitta, Hans; per me è davvero tutto passato" cercò di concludere Oscar, appoggiando il calice sul vassoio davanti a lei.
Fu allora che Fersen le afferrò il polso con un movimento delicato ma repentino, obbligandola a guardarlo.
"Si dice che per dimenticare un dolore bisogna perdonare chi ce l'ha procurato...mi avete quindi dimenticato, Oscar?"
Lo guardò, allibita.  
"Ve lo chiedo perchè...perchè è mia intenzione portarvi via con me, a Parigi! E' per questo che sono qui, a Chablis"

Si svegliò all'alba.
Un velo di nebbia cerulea avvolgeva le colline che circondavano la domaine.
Sentiva uno strano freddo, la mancanza del calore di Andrè. Come ogni mattina, ma quel giorno più degli altri.
Sapeva che era arrivato il momento di uscire dal sogno di un rapporto celato al mondo, che si nutriva di sguardi silenziosi, di fughe nel bosco, di cavalcate tra le colline, di abbracci e sospiri tenuti al segreto dalle quattro mura di legno del padiglione di caccia. Di un rapporto che non aveva spazio nella loro società, che alla luce del sole era considerato inconcepibile.
Si alzò e si avvicinò alla finestra.
Lo vide nel cortile, davanti all'ingresso delle scuderie. Aveva i capelli sciolti, corti, come usava al sopraggiungere delle stagioni più calde.
Stava strigliando il cavallo di Fersen. Con movimenti lenti e conosciuti bagnava la spazzola di setola in un secchio ai suoi piedi e la strofinava ritmicamente sul pelo dell'animale. Un'attività umile, che il giovane compiva ormai a occhi chusi, ma con una pacatezza ed una cura che la fecero sorridere.
Pensò che Andrè sapeva sempre cosa fare, qualsiasi cosa accadesse attorno a lui. Sentì che voleva stare con lui.
Si infilò gli stivali e coperta del solo mantello scese in punta dei piedi le scale e lo raggiunse.
Andrè la vide solo quando il cavallo mostrò segni di nervosismo per quella figura che si avvicinava velocemente a loro.
Non si aspettava di incontrarla. Non sapeva cosa chiederle, non era certo di voler ascoltare le sue possibili risposte.
"Sto sistemando il cavallo di Fersen, nel caso vogliate uscire a fare una cavalcata nei..."
Oscar lo zittì appoggiando un dito sulle sue labbra. Con l'altra mano gli sfilò la spazzola che cadde nel secchio con un rumore sordo.
Lo condusse nella scuderia e prima che potesse farle alcuna domanda chiuse le sue labbra con un bacio.
Si strinse a lui ed immediatamente sentì il freddo scivolare via, sostituito dal calore del suo corpo e dal fuoco che sentiva pervaderla. Gettò il mantello su un covone di fieno, in un angolo riparato, si spogliò degli stivali e dei pantaloni e con indosso la sola camicia tornò ad abbracciarlo.  
"Oscar...Oscar..."e non capiva se la supplicava di fermarsi o continuare.
Per tutta la notte si era tormentato, pensando al futuro che lo attendeva, alla decisione che lei avrebbe dovuto prendere, senza indugiare oltre.
Ma quando la toccava e la sua pelle gli parlava del suo desiderio per lui, smetteva di pensare. La seguì sul quel giaciglio improvvisato e la assecondò in ogni gesto, in ogni istante. Oscar lo amò con una foga che sembrava velata di disperazione, lui la strinse come fosse l'ultima volta.
Quando infine, steso su di lei, fece scivolare il volto tra i suoi capelli, sopra la sua spalla, l'immagine che lo aveva assillato per l'intera notte tornò a torturarlo. I loro volti così vicini, la mano di Fersen stretta al polso di lei e quelle parole, pronunciate a bassa voce ma con tono deciso, l'intenzione di ricondurla a Parigi, di portarla via con lui. Voleva essere forte, ma una lacrima  riucì a sfuggirgli, perdendosi tra i riccioli biondi e il fieno.
Alzò il capo per guardarla e, con stupore, si accorse che anche lei piangeva.
Appoggiò la fronte alla sua e sospirò.
"Ti amo, Oscar. Non desidero altro che poter stare con te. Verrò con te... dovunque tu mi chieda di seguirti."
Lo disse col cuore, ma quello stesso cuore si spaccò sotto il peso di quella promessa.
Oscar gli accarezzò il viso, dolcemente.
"Anche io ti amo, Andrè"
Per questo non ti chiederò mai di lasciare il tuo mondo, qui, a Chablis.
 
 

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Capitolo 30
*** Prospettive ***


30-Insieme

Rieccomi dopo quanti…anni? Boh, troppi però! Sono riuscita con un po’ di calma a riesumare dal vecchio pc rotto gli ultimi capitoli di questa mia fic.
Grazie a tutti quelli che hanno continuato a recensire ed ad incorraggiarmi perché terminassi il mio lavoro.
Se ancora qualcuno a seguisse la storia…consiglio di ricominciare a leggerla, come ho fatto io
😉

 

30- Prospettive

 

Si sforzava per concentrarsi sulle carte sotto i suoi occhi, mentre dal giardino gli giungevano il rumore delle spade che cozzavano e le risate di Hans.
Davanti a lui, Lord Weston osservava la scena tenendo leggermente scostata dal vetro la tenda della finestra.
“Il Conte de Jarjayes non si risparmia nemmeno con i reduci di guerra! E’ davvero notevole con la spada!”
“Già” fu il commento laconico di Andrè.
“Si prova sempre una strana sensazione a battersi con uno spadaccino così abile ed al contempo  così attraente…il brivido della paura si mescola a ben altri impulsi…” si voltò e notò lo sguardo torvo di Andrè.
"Tranne che per il sottoscritto, si intende! La superiorità bellica di Madamigella Oscar mi terrorizza, senza lasciare spazio ad altre…emozioni!”
Il giovane spalancò gli occhi. Madamigella?
“Perché rimane una donna bellissima, anche se vestita da uomo, dico bene?”
Tacque un istante.
“Da quanto tempo lo sapete, Lord Weston?” chiese Andrè.
“Che il vostro padrone è una donna o che l’avete sempre amata, amico mio?” lo incalzò, appoggiandosi con le braccia alla scrivania.
Andrè si alzò senza rispondere e prese il posto del nobile davanti alla vetrata che dava sul giardino. Il duello era terminato e Fersen parlava ad Oscar, chinandosi verso di lei. Forse le raccontava qualcosa di divertente…lei rideva, lui sfiorava una ciocca dei suoi capelli, in un modo che trovava troppo confidenziale.
Sospirò profondamente e tornò ai suoi registri. Weston lo seguiva con lo sguardo, inarcando un sopracciglio.
“Devo concludere questi rendiconti prima di partire per Auxerre”
“E’ proprio necessario che partiate …ora?” insistette Weston.
Andrè non rispose, tenendo gli occhi fissi sui fogli di carta davanti a lui.
“E sia, se è così che avete deciso.  Sarà bene che mi assicuri che il pranzo sia pronto al più presto” concluse Lord Weston, lasciando la presa su di lui.
Oscar aveva chiesto di poter desinare nella sua tenuta, insieme al suo ospite e ad Andrè.
Era una gradevole giornata di inizio primavera e Lord Weston aveva predisposto un semplice rinfresco nella veranda, attorno ad un tavolo colmo di composizioni floreali, creando un’atmosfera davvero accogliente ed intima.
Oscar rammentava benissimo quel luogo, dove era avvenuto il loro primo incontro: si chiese se la scelta di riceverli lì fosse stata davvero casuale.
Il pranzo fu gradevole e sereno.
Fersen aveva davvero l’innata capacità di ambientarsi immediatamente, tanto in un salotto elegante quanto in una taverna di periferia. Parlò a lungo con Lord Weston dei vantaggi di una vita ritirata in campagna, per poi discorrere riguardo agli incredibili progressi compiuti nel recupero del suo braccio malato e infine concluse portando la conversazione sulle condizioni di Parigi e della famiglia reale.
Andrè aveva terminato il suo pranzo senza quasi proferire parola e adesso stava in piedi, appoggiato allo stipite della porta che conduceva al giardino, volgendo ora lo sguardo alle terrazze che circondavano la tenuta, ora a Fersen ed alle sue argomentazioni.
“Quindi affermate che la situazione nella capitale sia tanto degradata?” chiese Lord Weston.
“Purtroppo sì, signore” rispose  Hans.
“La città è sovraffollata di miserabili che vi si riversano, spinti dalla fame e dall’indigenza. I quartieri nei quali è impossibile per un gentiluomo transitare in carrozza senza rischiare il linciaggio sono sempre più numerosi. E ovunque le effigi dei sovrani sono oggetto di vilipendio. Soprattutto le immagini delle regina Maria Antonietta, odiata anche per le sue origini austriache.”
“Forse la povertà che regna nel paese è il vero motivo di tanto odio, non credete?” replicò Andrè, pentendosi immediatamente di essere intervenuto.
“Io non voglio negare le eventuali responsabilità dei sovrani nell’aver condotto una disastrosa politica economica. Ma ormai il punto non è più questo” insistette Fersen.
Poi si rivolse direttamente ad Oscar.
“La regina è stata lasciata sola. Circondata da cortigiani avidi e senza scrupoli, non ha più amici. Non ha nessuno che possa difenderla, nemmeno dai propri errori”. Pronunciò queste ultime parole abbassando leggermente la voce.
“Il comandante delle Guardie Reali, il conte Girodelle, è un uomo di valore e di principi irreprensibili. E credo che lo stesso valga per il suo secondo, nonché sua moglie, Rosalie Lamorliere de Girodelle” rispose Oscar, sentendosi chiamata in causa.
“Non è così, Oscar. Non è più così” sospirò Fersen.
“Girodelle è solo da molto tempo, ormai. La giovane Rosalie attende un erede e per questo ha lasciato l’esercito. Per quanto sia un eccellente soldato, non è un uomo di comando, soprattutto in frangenti come quelli che stiamo attraversando. E’ un ottimo esecutore, ma è privo di un’efficace intraprendenza. Sarebbe il primo a sentirsi sollevato per un vostro ritorno.
Il comandante delle Guardie Reali deve avere la completa fiducia dei sovrani ed al contempo deve essere in grado di comprendere le azioni di coloro che cavalcano il malcontento popolare, per anticiparne le mosse o per neutralizzarle. Deve essere sensibile ed intelligente. Deve essere leale e coraggioso. Deve essere come voi Oscar. Dovete essere voi!”
Andrè allontanò lo sguardo. Solo per un attimo provò ad immaginare come sarebbe diventata la sua vita, a Versailles.  Come attendente di Oscar. Insieme al piccolo Sebastiane. Lasciando al suo destino Monsieur Florent e le vigne De la Borde. Dovette appoggiarsi allo stipite per sorreggersi. Non riusciva a rivolgere lo sguardo ad Oscar, temeva quello che avrebbe potuto leggervi.
“Oscar, non c’è motivo per restare in questo esilio, per quanto dorato possa essere! Il vostro braccio non rappresenta più un problema: mi sono misurato con voi e posso attestare senza ombra di dubbio che potete riprendere ciò che è stato vostro! Ciò di cui l’astuzia di una nobildonna vi ha derubato! Ciò che ha dato senso alla vostra vita e lustro al vostro casato! Pensate a quanto vostro padre stia aspettando il momento in cui tornerete ad indossare la divisa scarlatta da Colonnello delle Guardie Reali!”
La donna non replicava. Con lenti e pacati movimenti, senza tradire alcuna emozione, staccava ad uno ad uno i petali di una rosa del centrotavola davanti a lei.
“Siete stato quindi inviato qui dai sovrani, conte di Fersen?” chiese Lord Weston con garbo. L’uomo, che fino a quel momento si era rivolto quasi esclusivamente ad Oscar, ignorando gli altri commensali, ebbe come un sussulto. Sembrò soppesare il senso di quella domanda prima di rispondere.
“No, Lord Weston. Non sono qui come messaggero della corona.  Il Re e la Regina vivono entrambi in un loro mondo, completamente distaccati dalla realtà che li circonda.
Sua Maestà Luigi XVI cerca di interessarsi alle questioni economiche del paese, ma non è in grado di apportare un vero contributo per la loro risoluzione. Si limita a cambiare i ministri senza criterio alcuno, se non le pressioni che riceve dai diversi membri della corte e per quanto riguarda la Regina…” sospirò e solo allora Oscar tornò a guardarlo.
“…la Regina vive coi figli al Trianon, una piccola depandance della reggia, senza altro interesse che l’intrattenimento degli eredi…Sembra lei stessa tornata bambina…Non ci si può aspettare che capisca cosa succede al di fuori delle mura di Versailles, o che sappia porvi rimedio…”

L’amate ancora, Hans, non è così? Siete stato lontano, avete combattuto una guerra che non vi riguardava, forse vi siete persino augurato di non tornare…tutto per lei…solo per lei…
“Ma io non sono cieco! Oscar, io ho già visto questa medesima storia, in America! So a quale violenta ribellione può portare la disperazione e la fame! E credetemi: quando la miccia esplode, divampa un incendio che raggiunge tutto e tutti! Non ci sarà luogo che possa ritenersi sicuro e protetto! La rivoluzione travolgerà chiunque, dovunque! Non la fermeranno le mura della reggia di Versailles e si riverserà anche qui, nella remota e piccola Chablis”
“Qui?!” ripetè Lord Weston, incredulo.
“I rivoluzionari non chiedono solo pane per i poveri! Non sono frati francescani! Vogliono rovesciare lo status quo. Vogliono eliminare l’aristocrazia e tutti i privilegi che ne derivano.  Chiunque porti il titolo di nobile non potrà ritenersi al sicuro, a meno che non rinunci a tutto quello a cui ha diritto per nascita! E mi sembra un pensiero talmente inconcepibile per ritenere che chiunque sano di mente lo possa accettare!”.
Oscar levò lo sguardo verso Andrè. I suoi occhi erano pieni di paura. Le parole di Fersen sembravano entrargli dentro, come lame di una spada.
Sorrise istintivamente, come per rassicurarlo.
“Suvvia, conte di Fersen!” lo interruppe Weston “Non vi sembra di essere…catastrofico? Se anche fosse vero quello che dite, cioè che la borghesia voglia far piazza pulita di tutti i nobili, ci vorrebbero secoli, quanti ce ne sono voluti per creare l’aristocrazia così come è oggi!”
Rise, come a voler stemperare l’atmosfera che i discorsi del nuovo ospite avevano generato.
“Quando ci riusciranno saremo già tutti morti!”
Hans scosse la testa, poggiando la fronte sul palmo della mano.
“In America una guerra di una manciata di anni è riuscita a cancellare una sudditanza che regnava da più di due secoli!” replicò amaramente, come se stesse parlando ad un auditorio di ottusi. Quando rialzò il capo si rivolse nuovamente ad Oscar, abbassando il tono della voce, come se gli altri non fossero nella stanza.
“Voi mi credete, vero, Oscar? Voi, almeno voi, mi capite?”
La donna lo fissò un istante, poi annuì in silenzio.
“Voi siete un membro dell’aristocrazia più vicina alla corona e siete un militare graduato.  Non devo certamente essere io a ricordarvi qual è il vostro dovere!” concluse, con tono fermo e risoluto.
Quindi si alzò e si voltò verso Lord Weston “Ho gradito la vostra compagnia e la vostra squisita ospitalità, Lord Weston. Mi congedo da voi consapevole che difficilmente ci incontreremo di nuovo. Tra due giorni farò ritorno a Versailles”
“Ma Conte, siete appena arrivato! Intendete già ripartire?”obiettò il suo ospite.
“Il mio soggiorno qui aveva un unico scopo. La mia presenza, ed ancor più quella di Madamigella Oscar, sono necessarie altrove. Non posso trattenermi oltre.”
Fece un cenno di saluto rivolto ad Andrè ed attese che il padrone di casa lo congedasse. Lord Weston fu colto alla sprovvista. Anche Oscar allora si alzò e gli si avvicinò.
“Grazie Weston di questa splendida giornata e…di tutto il resto!”
Poi si volse ad Andrè. Lord Weston fece allora strada a Fersen, lasciandoli soli.
Lottando contro le lacrime che gli bruciavano gli occhi, miste alla rabbia ed alla paura, sostenne il suo sguardo.
“Credi sia vero quello che racconta della situazione di Parigi?”
Oscar annuì, senza parlare.
“Credi sia vero quello che sostiene riguardo a te ed al tuo possibile ruolo…salvifico?” continuò, amaramente.
“Questo posso saperlo solo…andando con lui e provandoci”
Seguì un attimo di silenzio.
“Parto subito per Auxerre, prima che sia pomeriggio inoltrato” concluse Andrè, voltandosi verso la vetrata. Gli sembrò stupido tornare così alle sue incombenze, forse voleva solo evitare di forzarla a decidere lì, subito, tra lui e Fersen. Lui, che sentiva di amarla al punto di non poterla obbligare a nulla, al punto di sentirsi meschino solo a pensare di ricattarla con argomenti sentimentali.
Sentì i rumori dei cavalli che lo stalliere di Weston aveva già condotto in cortile, per i suoi ospiti.  Oscar si strinse a lui, abbracciandolo e poggiando il viso sulla sua schiena, senza parlare. E in silenzio lui le prese le mani. Avrebbe giurato di sentire lacrime segnare il suo volto, le stesse che solcavano il suo.
Poi, senza dire una parola, avvertì le sue mani svuotarsi e come una folata di vento Oscar lasciò la stanza.

 

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Capitolo 31
*** Verità ***


31- Verità 31- Verità


Rimase ad  Auxerre oltre il tempo necessario.

Ultimò gli ordini, prese accordi con i vari commercianti e a stento resistette alla tentazione di rinchiudersi nella taverna e spendere così il tempo che gli restava prima di fare ritorno a casa. Fu il ricordo di Estelle a fermarlo. Il suo sguardo pallido e sereno continuava ad riaffiorare  nella sua mente, popolava i suoi sogni, riportando alla luce il dolore di quella perdita.
Perché torni da me, Estelle? Vieni per dirmi cosa fare?
Sapeva che al suo ritorno a Chablis, Oscar avrebbe preso una decisione e tentava in ogni modo di posticipare quel momento. Ma quando venne l’alba del giorno della festa, non potè più rimandare. Ritirò dalla sartoria un ultimo pacco per lord Weston, che si era tanto raccomandato perché glielo portasse personalmente, montò a cavallo e lo spronò energicamente in direzione di Chablis. Per l’intero tragitto non alzò lo sguardo dalla criniera del suo baio, i cui contorni si offuscavano ogniqualvolta le lacrime gli riempivano gli occhi. Il dolore che provava si mescolava alla sensazione che qualcosa sfuggisse alla sua comprensione. Continuava a tornare con la mente alle immagini degli incontri tra Oscar e Fersen in quegli ultimi giorni: non solo alle parole, ma a tutti quei gesti così intimi tra loro, considerato il fatto poi che non si vedevano da diversi anni. Capiva che in ogni frase pronunciata dal conte svedese fossero contenuti diversi messaggi, alcuni indirizzati unicamente ad Oscar, e non in modo aperto e convenzionale.  Senza rendersene conto, la sua memoria cominciò a rielaborare i racconti di Oscar, del suo passato, soprattutto i punti dove questi si interrompevano…
Fersen…il suo rapporto con la regina…la sua ferita al braccio…la fuga in Normandia…la decisione di vivere come un uomo…
Ad un tratto, istintivamente, le sue braccia serrarono le redini ed il suo cavallo si fermò, scrollando il capo per il fastidio.
Tutto gli sembrò chiaro, talmente evidente da chiedersi come non lo avesse compreso prima.
Oscar e Hans…i sentimenti che lei nutriva nei suoi confronti avevano visto la luce, Fersen li conosceva.
Una mano che non può più ferire con la spada, ma può cogliere un fiore e regalare carezze…
Ricordava quelle parole, mentre le ripeteva tormentandosi appena giunta alla domaine. Lei si era concessa di lasciare che il suo cuore di donna si esprimesse…e se ne era pentita. Non riusciva a comprendere tutte le sfaccettature della vicenda, ma era certo che questa esperienza l’avesse profondamente ferita.
E poi il suo arrivo a Chablis! Il Generale Jarjayes non avrebbe mai rinunciato alla carriera militare della figlia, cresciuta da sempre come il suo erede. La menomazione al braccio non le aveva impedito di ricoprire un’alta posizione di comando…no…c’era dell’altro, qualcosa che, stravolto dal suo insperato arrivo, non aveva domandato.
Era geloso di questo antico amore?
No, gli era chiaro che fosse il silenzio di Oscar a ferirlo.
Perché?
E Fersen, nonostante si preoccupasse unicamente del suo cuore, votato da sempre a Maria Antonietta, non aveva esitato a fare uso del suo fascino e del suo ascendente su di lei per sostenere le sue argomentazioni.
Bastardo…
Spronò il cavallo, col cuore in subbuglio e i battiti accelerati, in preda ad una nuova angoscia.
Deviò all’ultimo per la tenuta di Lord Weston, consegnò sbrigativamente il pacco del sarto ad uno dei domestici, senza attendere di essere ricevuto dal padrone di casa. Infine si diresse verso la tenuta De la Borde, lasciando la strada principale, attraversando la radura dove era avvenuto il suo primo incontro con Oscar.
Non dovevo andarmene così, senza approfondire le sue intenzioni…lasciando campo libero a Fersen ed a tutte le sue storie!
Fu allora che li vide. Dal crinale della collina scorse due sagome a cavallo dirette in senso opposto al suo, verso Auxerre. Oscar davanti con Caesar, lo svedese dietro di lei, con un bagaglio leggero. Probabilmente i loro bauli li avrebbero seguiti in carrozza nei giorni successivi.
Calcolò mentalmente la possibilità di raggiungerli, ma in quel punto la pendenza del sentiero non gli avrebbe consentito di lanciare il cavallo al galoppo…e poi…l’avrebbe fermata se lei avesse deciso di tornare a Versailles?
Si aggrappò con tutte le sue forze alla speranza che non fosse vero, che Oscar stesse solo accompagnando per un tratto il suo ospite…voltò il cavallo e si diresse velocemente verso casa.
Giunto alle scuderie vide Sebastiane venire tutto festante verso di lui.
Gli chiese qualcosa riguardo a certi dettagli della festa, ma Andrè non riuscì a fare altro che mettergli in mano le redini del cavallo e intimargli di togliere la sella e sistemarlo.
Si diresse a grandi passi verso la dimora, avvertendo alle sue spalle la delusione del figlio per i suoi modi bruschi.
Spalancò la porta di casa e cominciò a guardarsi attorno, senza sapere neanche lui cosa cercare. Entrò nello studio e nelle cucine, entrambi vuoti. Allora salì le scale e vide Muet uscire dalla camera di Oscar. Lo fissava in silenzio, con l’aria di chi fosse stata colta in fallo. Chiuse la porta alle sue spalle e istintivamente vi si fermò davanti, quasi ad impedire il passaggio.
Si guardarono per qualche istante, poi Andrè la allontanò lentamente e premette la maniglia.
Non ebbe bisogno di entrare. Rimase accanto a Muet un secondo, prima che questa si allontanasse rapidamente, silenziosa come sempre. 
Gli armadi della camera erano spalancati…i cassetti aperti…vuoti…
Si voltò verso la toelette: niente spazzola, nessuna boccetta di colonia..
Le immagini che seguirono furono confuse. Le scale, le urla di richiamo di Sebastiane, il volto imperscrutabile di Muet, la porta, il giardino e poi sempre più lontano, tra i filari di vite, a perdifiato, fino alla sommità della collina, sotto la quercia dove aveva rinvenuto il corpo esanime di Estelle…solo quando ebbe finito la sua folle corsa, solo lì, si lasciò cadere sulle ginocchia e pianse liberamente, con tutte le forze che aveva in corpo, prendendo a pugni e strappando l’erba sotto le sue mani.
Dopo un periodo di tempo che a lui sembrò interminabile, intervallato dai suoni del campanile di Chablis via via che passavano le ore, si riprese, richiamato dalle urla di Sebastiane che invocavano il suo nome.
Lo raggiunse a metà strada; il  ragazzino era tutto trafelato ed evidentemente confuso dal suo comportamento. Non gli sfuggì l’aspetto sconvolto del padre.
“Sono qui, Sebastiane” lo salutò quando lo raggiunse. Si era già cambiato, indossava l’abito buono ed aveva i capelli perfettamente pettinati. Gli sorrise per tranquillizzarlo. Avrebbe avuto tempo per dare spiegazioni, quello non era il momento.
“Non dirmi niente…lo so, è tardi…devo cambiarmi…”
Gli passò rapidamente davanti e senza aspettarlo si diresse alla domanine.
Si scoprì a compiere i gesti consueti come un burattino senz’anima: salì le scale, entrò in camera sua, guardò senza curiosità i vestiti per la festa che Muet aveva preparato sul suo letto e si spogliò rapidamente per sciacquarsi. Immerse completamente la testa nel catino colmo d’acqua, cercando refrigerio per i suoi occhi così stanchi, e si sollevò con uno scatto veloce, lasciando che le gocce scivolassero dai suoi capelli sul suo volto e sulla schiena. Osservando la sua immagine nello specchio notò dietro di lui una boccetta viola appoggiata sul suo cassettone.
Si avvicinò e la prese tra le dita: era il profumo di Oscar, un’essenza lievemente muschiata ma con una nota dolce, di rosa, che avrebbe riconosciuto ovunque.
Sollevò il tappo e l’avvicinò per sentirne l’aroma: le immagini del corpo nudo della giovane riaffiorarono immediatamente, insieme alla percezione della sua pelle liscia sotto le sue dita…Tutte cose che ormai facevano parte del mondo dei ricordi….
Lo ripose sul mobile, chiedendosi con quale intenzione Muet glielo avesse lasciato lì.
“Padre!”
La voce di Sebastiane lo riportò alla realtà.
“Siete strano da quando avete fatto ritorno da Auxerre…” fece una pausa, ma Andrè non aggiunse nulla.
“Spero che sia andato tutto bene…che non ci siano cattive notizie…”
“No, tranquillo figliolo” rispose voltandosi. Non voleva rattristarlo in una giornata che era seconda solo a Natale quanto a gioia per suo figlio.
Il ragazzo gli allungò un biglietto ripiegato.
“Oscar mi ha detto di darvelo stasera”
Rimase un attimo sospeso così, poi Andrè allungò a sua volta la mano e prese il foglio.
“Grazie Sebastiane…ora puoi andare, se vuoi”
Il figlio esitò un secondo, poi uscì.
Quando il rumore della stampella di Sebastiane si perse del tutto aprì il foglio.
Una sola parola e la sua firma.
Aspettami!

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Capitolo 32
*** Rivelazioni ***


32-Nuova vita 32- Rivelazioni

Si avviò lentamente verso la piazza di Chablis.
Le strade erano illuminate, dalle finestre delle case le corolle di fiori nei vasi dei davanzali emanavano il loro profumo nell’aria, riempivano la vista di colori cangianti. Gli giungevano le grida dei bambini eccitati ed il vociare dei villeggianti, in gran parte già radunati in piccoli gruppi davanti al palco degli orchestrali.
Tutto magnifico, ma non era così che lo aveva immaginato quest’anno, non pensava di trascorrere quella serata di festa senza Oscar.

Aspettami!  gli aveva scritto. Era una burla? Si prendeva gioco di lui? Doveva confidare nel suo ritorno, come anni prima aveva sperato, nel giorno della sua partenza per Chablis?
Oh, me le ricordo bene le tue promesse, Oscar…soprattutto quando c’è di mezzo quel damerino svedese! No, stavolta non riesco a sperare, stavolta non credo alle tue parole.
Non credo che tu sia capace di amarmi, da lontano…

Si trascinò stancamente al tavolo riservato per lui, come ogni anno, accanto a Lord Weston. 
Accolse con sorrisi distratti i complimenti che gli invitati gli rivolgevano, grato che tutto procedesse come sempre anche se negli ultimi giorni era stato distratto e poco concentrato sui preparativi della festa.
Gli sembrò un percorso interminabile quello che lo separava dal suo posto e quando finalmente lo raggiunse, si lasciò cadere sospirando.
“Amico mio, buona sera! Sembrate distrutto!” lo salutò lord Weston
In tutta risposta Andrè si versò del vino fino a colmare il bicchiere e lo bevve in un solo sorso, senza nemmeno guardarlo. Ne riempì subito dopo un secondo.
“Buon Dio, Andrè! Che vi è successo? Non vi ho mai visto così. Mi fate preoccupare!”
“ Non so cosa rispondervi, Lord Weston. Ma state tranquillo, reggo bene l’alcool” e svuotò nuovamente il calice.
L’amico gli prese il braccio e si avvicinò al suo orecchio.
“Se continuate così non vi reggerete in piedi quando inizieranno le danze! Ora, capisco che la presenza di quello svedese vi irritasse…ma adesso calmatevi, se n’è andato…Piuttosto…Non vedo madamigella Oscar…”
Voleva rispondergli che non l’avrebbe vista per un bel pezzo, ma preferì tacere.
Gli orchestrali avevano terminato di accordare gli strumenti e, come al solito, il loro maestro si rivolse al tavolo di Andrè, aspettando il cenno di assenso per iniziare con il ballo di apertura. 
In quei momenti il vociare si acquetava, le ragazze sistemavano le pieghe dei vestiti con le mani e si disponevano in fila, come tanti soldatini, nell’attesa di ricevere il tanto agognato invito a danzare. 
I giovanotti allacciavano i bottoni dei gilet e stringevano i nodi ai colletti delle camicie, scorrendo rapidamente con gli occhi la fila delle giovani al lato opposto della piazza, pronti a farsi avanti con colei che avesse attirato la loro attenzione.
Andrè aveva sempre amato quegli ultimi attimi prima dell'inizio delle danze, l'aria densa di aspettative e promesse, di sguardi furtivi e sorrisi segreti. Guardava ai giovani davanti a lui come a tanti fiori pronti a sbocciare, come la stagione che festeggiavano in quella notte. 
Ma quella sera non riusciva a cogliere la bellezza attorno a lui, si sentiva come appena arrivato a Chablis, solo e abbandonato e stanco. Avrebbe assolto al suo ultimo compito per quella occasione, aprire le danze con mademoiselle Bolden, poi sarebbe tornato a casa, sperando che la sua assenza non fosse notata, o inventando una scusa qualora qualcuno lo avesse visto allontanarsi.
"Aspettiamo ancora un momento-insistette Lord Weston, guardando con insistenza l'ingresso alla piazza. Ma per lui prima fosse iniziato il ballo, prima avrebbe potuto rifugiarsi lontano da lì col suo dolore. Ignorò le parole del suo vicino e fece un gesto col capo diretto agli orchestrali.
Appoggiò le mani ai braccioli della sua sedia per alzarsi quando, con un movimento insolitamente veloce per lui, vide lord Weston alzarsi e dirigersi verso mademoiselle Bolden. Restò a bocca aperta mentre il nobile inglese, con un vistoso e teatrale  inchino, si rivolgeva alla giovane e prendendola per mano la conduceva al centro della piazza, iniziando a ballare con lei. Gli venne quasi da ridere: l'amico mostrava chiaramente di non avere molta dimestichezza col ballo, sudava copiosamente sotto la parrucca bianca, ciononostante  proseguì come nulla fosse, volteggiò proprio davanti a lui e dopo qualche minuto sembrò perdere l'iniziale titubanza e acquisì sempre maggiore grazia. 
Via via che la musica continuava diverse coppie si formavano e raggiungevano i due ballerini e quando cominciò il secondo pezzo musicale, la piazza era già colma di persone.
Ad Andrè sfuggì una risata amara e solitaria. 
"Meglio così" pensò. Mise il tappo alla bottiglia che aveva iniziato,  la nascose sotto la giacca, e, cercando di non dare nell'occhio, si alzò e si allontanò dalla festa.
Raggiunse la strada principale in uscita dal paese, lasciandosi alle spalle la musica e la gioia di quella serata. 
Non sono per te, Andrè disse a se stesso con tristezza. 
Si appoggiò ad un muro, volse lo guardo alla luna e bevve un sorso a canna. Le lacrime uscirono dai suoi occhi senza che quasi se ne rendesse conto. Le immagini dei tanti momenti trascorsi insieme cominciarono a sovrapporsi nella sua mente...i capelli di Oscar che ondeggiavano al vento, mentre cavalcava davanti  a lui...le sue labbra che gli baciavano le palpebre, nascosti sotto un lenzuolo come due bambini...le loro mani che si sfioravano furtivamente quando si incrociavano per caso...la sua risata leggera, che era tornata ad accenderle il viso dopo il suo arrivo a Chablis....il suo profilo controluce al tramonto...
Perchè mi hai lasciato, Oscar? Come farò adesso...adesso che ho assaggiato la felicità completa, che so cosa significhi poterti amare...dove troverò la forza di continuare a vivere...senza di te...

Chiuse gli occhi, abbassò il capo e rimase lì, mentre singulti silenziosi gli scuotevano il petto.
Un calesse con un invitato ritardatario sfrecciò davanti a lui e lo costrinse a rialzarsi. Il cocchiere fermò bruscamente i cavalli dopo averlo superato e una ragazza scese rapidamente dal predellino, avvicinandosi.  
Andrè le sorrise. Bella e giovane, in un abito semplice ma raffinato, lo fissava quasi con disappunto.
"Non preoccupatevi, madamigella. La festa è appena iniziata, vi siete persa solo il primo ballo!" 
Le disse e subito abbassò lo sguardo, per nascondere le lacrime che ancora gli rigavano il volto. 
Penserà che io sia un povero ubriacone... 

Invece di una risposta, la ragazza fece un passo verso di lui. Poteva vedere l'orlo della sua gonna quasi a lambire i suoi piedi.
"Andrè!" lo chiamò.
Quella voce...oddio...gli era sembrata quella di Oscar!
Si prese il viso tra le mani, sconvolto all'idea di essere già così poco lucido a causa del vino.
"Andrè! Stai bene? Ti prego, guardami!" c'era apprensione adesso nella voce che gli parlava come lei.
Alzò lo sguardo e alla luce fioca di una lanterna riconobbe nella giovane vestita a festa davanti a lui la sua Oscar. 
Spalancò gli occhi per lo stupore e poi allungò le braccia verso le sue, l'afferrò e l'avvicinò a se, come a volere essere sicuro di non essere davanti ad un miraggio, come a volersi assicurare che lei fosse reale e fosse davvero lì con lui. Le sfiorò il viso, lasciò scorrere gli occhi ai capelli raccolti, al collo nudo ornato da un nastro di velluto nero, e quando notò il corpino che le stringeva la vita, mettendo in risalto le sue curve femminili, pensò di essere uscito di senno.
"Ti avevo scritto di aspettarmi!" continuò quella voce. Andrè la fissava senza capire, poi, come se dentro di lui un argine cedesse, la prese tra le braccia e la strinse, affondò il viso nel suo collo, riempiendo il petto del suo profumo e soffocando contro la sua pelle singhiozzi senza voce.
"Credevo fossi partita...credevo fossi tornata a Versailles...con Fersen..." riuscì a dirle a fatica.
Lei scivolò leggera nel suo abbraccio, lo strinse più forte.
"Come hai potuto pensare che me ne andassi da Chablis senza avvisarti!"
"Ti ho visto oggi pomeriggio, vicino alla tenuta di lord Weston. Eri  a cavallo, con lui... "
Oscar si scostò e gli prese il viso tra le mani. Sorrideva mentre disseminava di piccoli baci i suoi occhi, le guance, le labbra. Lo spinse dolcemente verso l'androne di una casa, per non essere più visibili dalla strada, e lo baciò con passione, aggrappandosi al suo collo, lasciando che le sue braccia la cingessero  e le sue mani potessero arrivare alla pelle nuda della scollatura sulla schiena.  Voleva che la sentisse, pienamente, che non la scambiasse per un fantasma. Andrè la strinse con forza, quasi impedendole di respirare, e chiuse la sua bocca in un bacio profondo.
Quando si staccarano, col respiro affannoso, Oscar ripetè la domanda.
"L'ho accompagnato per un tratto di strada, mentre raggiungevo la casa di lord Weston per cambiarmi...Come hai potuto credere che me ne andassi senza di te?"
Questa volta Andrè la fissò dritto negli occhi
"Pensavo avessi scelto...lui...come nove anni fa..."
Solo in quel momento Oscar capì  quanto lo avesse ferito e come le sue scelte sbagliate avessero avuto un riverbero doloroso anche su di lui, da lontano. Comprese inoltre che, come sempre, Andrè aveva letto nel suo cuore, forse meglio di quanto riuscisse lei stessa, e le parole che in tutti quei mesi aveva faticato a trovare per spiegargli cose ne era stata della sua vita senza di lui, affiorarono sulle sue labbra, strappando il velo dai suoi ultimi segreti.
"Hans è stato un abbaglio...tutto quello che c'è stato tra noi solo una serie di errori...
Ho pensato che sarei stata in grado di fargli dimenticare il suo amore impossibile per la regina, ho creduto che rivelando i miei sentimenti e donandomi a lui avrei condotto il suo cuore verso di me, ma..."
Guardò il giovane, che l'ascoltava in silenzio. Meritava di sapere, anche se forse l'avrebbe deluso.
"...il nostro è stato un patetico tentativo di consolarci. Lui è stato ancora peggio, ha sentito di tradire la nostra amicizia trattandomi alla stregua delle sue tante avventure da una notte e io...credimi...ho capito, mio malgrado, che nemmeno tra le sue braccia ero veramente felice"
Si appoggiò allo stipite di fronte a lui. Gli parlò a testa alta, attenta a cogliere nel suo sguardo un giudizio o un pensiero negativo.
"Mi sono sentita responsabile della sua decisione di partire per la guerra. 
Mi sono sentita colpevole di aver compromesso irrimediabilmente la mia salute. Era il mio cuore di donna quello da biasimare. E ho deciso di seppellirlo, ho cominciato a comportarmi come un uomo, a prendermi le libertà che un uomo non si nega verso l'altro sesso...ma...non ho ottenuto niente Andrè, se non il compatimento di chi mi voleva bene!" 
Tornò vicino a lui e timidamente gli prese le mani. Lui non fece resistenza.
"La mia è stata una condotta dissoluta...ho fatto mio il peggio che un uomo può esprimere. E' per questo che sono giunta a Chablis...anche per me si trattava di una specie di esilio" concluse amaramente.
Avvicinò la sua mano alle labbra e posò un bacio delicato sul suo palmo.
"Ma...un uomo può essere forte, costruirsi un futuro, amare una giovane madre, crescere un figlio non suo, mettere radici in un luogo che lo ha visto arrivare come un forestiero e fare....tutte le cose stupefacenti che sei riuscito a fare tu..."sospirò mentre pronunciava queste ultime parole.
"Ti amo per l'uomo meraviglioso che sei, per le meraviglie che hai saputo vedere in me...per aver custodito il tuo amore per me..." un'improvvisa commozione le ruppe la voce.
"Come hai potuto credere che mi allontanassi da te? " ripetè nuovamente 
"Credo sinceramente che Fersen vorrebbe vedermi nuovamente accanto ai sovrani, schierata incondizionatamente dalla loro parte...come a vent'anni, ma le cose sono cambiate. Noi siamo cambiati, e negarlo non è possibile." Tornò ad avvicinarsi  a lui. Cercava di leggere nei suoi occhi cosa stesse provando, come si sentisse dopo aver saputo tutto del suo passato.
"Ho vissuto anni di insoddisfazione, alla continua ricerca di quel qualcosa che mi facesse sentire viva: onorare il mio casato, soddisfare le ambizioni di mio padre, essere al pari di un uomo...ma  adesso so cosa fa palpitare il mio cuore. L'ho capito e non intendo più dimenticarlo. 
Andrè...solo quando siamo insieme...io...sento di vivere...."
Seguì un momento di silenzio tra loro, mentre la musica continuava poco lontano e la fioca luce delle lanterne mosse dalla brezza giocava con le ombre della notte sui loro volti. 
La sua mano accarezzò dolcemente il suo volto mentre le parlava.
"Se è stata la tua condotta discutibile a riportarti da me, che sia benedetta, Oscar! 
Io ti amo, ti ho sempre amata e così sarà...sempre...Non mi importa del tuo passato, io voglio solo far parte del tuo mondo ora e del tuo futuro domani. Ma Fersen aveva ragione, sei una nobile al servizio del Re...forse non ora, ma prima o poi verrai richiamata a Versailles. Tuo padre continua a scriverti per questo, lo so!"
"Parlando delle idee rivoluzionarie che serpeggiano a Parigi, Hans ha detto che la possibilità che un aristocratico che rinunci al proprio titolo nobiliare ed ai privilegi che ne derivano gli sembra inconcepibile, ma io...l'ho fatto..." Prese fiato prima di continuare.
"Non sono più la contessa De Jarjayes, Andrè"
Il giovane la fissava allibito, incredulo.
"Ho rinunciato ai miei nobili natali ed ai miei gradi militari,  chiedendo in cambio solamente la proprietà De la Borde. E mia madre me l'ha concessa"
Andrè ricordò che in effetti Oscar aveva conservato solo una lettera della madre, al contrario delle missive del generale che finivano rapidamente tra le fiamme del camino.
"Oscar...Vuoi davvero passare qui...con me...il resto dei tuoi giorni?"
Lei annuì, mentre vedeva la felicità distendere i lineamenti del suo viso.
Le prese una mano e la baciò in un soffio.
"Sei la donna più bella che abbia mai conosciuto e non voglio che pensi sia necessario questo per rendermi felice" concluse indicando l'abito che l'avvolgeva.
Oscar sorrise ed il suo viso si illuminò.
"Basta nascondersi, basta sotterfugi. Voglio che tutti sappiano che hai una donna al tuo fianco, che ti appartiene e a cui appartieni. 
L'idea di approfittare di questa festa è stata di Lord Weston, e anche la scelta dell'abito- continuò sorridendo e sfiorando il raso della gonna- Abbiamo pensato che fosse l'occasione perfetta per chiarire a tutti...mi spiace solo spezzare il cuore a così tante ragazze del villaggio che avevano mire su di te!"
Anche lui sorrise e cercò di schernirsi. 
"Lord Weston esagera su questo argomento! Ma che tu sia...mia moglie...è la cosa che più desidero al mondo"
"Lo diventerò" gli sussurrò all'orecchio "Credo che Muet abbia già portato nella tua camera tutto ciò che era nella mia"
Andrè sorrise, pensando a quello che aveva creduto di vedere incrociando la domestica quel pomeriggio
"E adesso raggiungiamo gli altri e festeggiamo! Sebastiane si starà chiedendo che fine abbiamo fatto!"

 













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Capitolo 33
*** Dopo il temporale ***


33-Dopo il temporale Eccomi arrivata all'epilogo sdolcinato di questa storia.
In questa fic volevo  che tra Oscar e Fersen le cose si spingessero più in là di quanto avviene nell'anime, e per questo ho dovuto pensare una storia  che la separasse da Andrè. Era mio intento anche riuscire ad inserire delle immagini un po' comiche,e a questo si sono piegati i "miei" personaggi.
Sono grata a tutti coloro che, con costanza e tanta pazienza, hanno seguito questa fic dagli anni ormai trascorsi e mi hanno spronato a terminarla; ringrazio anche chi l'ha scoperta ora che è tornata alla luce e mi ha lasciato un commento.
Ho ancora qualche idea per la testa, quindi non è detto che non mi ritroviate più in là!
A presto.

Stefania



33- Dopo il temporale

Palazzo Jarjayes, giugno 1783

Madame Jarjayes scrutò il cielo attraverso le tende, mentre il giardiniere attendeva davanti a lei, stringendo tra le mani il cappello di paglia.
"Si, è meglio proteggere le rose! Se la pioggia fosse troppo violenta rovinerebbe tutti i boccioli!"
"Bene, contessa" rispose l'uomo, e senza voltarsi si mosse verso la porta, quasi urtando involontariamente il generale che, al contrario, stava entrando con ampie falcate.
Aveva il viso paonazzo e brandiva una pergamena spiegazzata come un'arma, puntandola contro di lei.
"Voi lo sapevate, vero? L'avete sempre saputo!"
Marguerite si voltò, con una calma che contrastava nettamente con i lampi di fuoco che saettavano dai suoi occhi.
Stava per aprire bocca  quando lui la precedette.
"Non cercate di negare! So che ci siete voi, dietro a tutto questo! L'avevate progettato fin dall'inizio!"
"A cosa vi riferite, caro marito? Non vi seguo..."
"Oscar...Chablis...la rinuncia al suo titolo per l'assurdo matrimonio con quell'Andrè! Mi avete convinto a mandare mia figlia così lontano per impedirle di commettere sciocchezze e adesso la situazione è irrimediabilmente compromessa!"
La donna si volse verso il giardino per nascondere al marito il sorriso che le piegava le labbra.
"E so perchè l'avete fatto! Chissà da quanto tempo attendavate il momento propizio per distruggere definitivamente il mio sogno di avere un erede!"
E le ultime parole gli uscirono velate di disperazione.
Marguerite tornò a guardarlo: la rabbia aveva lasciato posto allo sconforto.
Gli si avvicinò e prese la lettera dalle sue mani. La lesse rapidamente: Oscar gli comunicava quanto le aveva già confidato, la decisione di rimanere a Chablis e di abbandonare carriera militare e titolo nobiliare per sposare Andrè.
"Proprio ora, che aveva recuperato l'uso del braccio, ora che poteva tornare ad essere...tutto...tutto quello che voleva!"
Attese un momento prima di parlare: non si poteva mai prevedere come avrebbe reagito alle sue argomentazioni.
"Ma caro...Oscar è tornata ad essere se stessa, ad essere ciò che vuole!"
Lui la guardò torvo.
"Se davvero si voleva sposare, e posso anche capirlo, perchè non scegliere qualcuno del suo rango, qualcuno degno di lei? Tra tutti gli uomini, proprio Andrè Grandier, un orfano, senza arte nè parte, un umile servitore, meno di uno qualunque! Come può essere cambiata così nostra figlia? Nostra figlia...ormai non posso più considerarla tale!"
"Come potete parlare così di lei? Come potete pensare che io sia così meschina da tradirvi? Ho sempre agito per il meglio e preoccupandomi in primis per lei!"
"Qualsiasi cosa direte...non la perdonerò mai!"
La donna non si fece intimidire.
"Dite che non è più vostra figlia, che non avete più il vostro erede! Ma delle nostre figlie nessuna vi somiglia
più di lei! Ha ereditato il vostro carattere passionale e coraggioso e il vostro modo di amare e di agire senza temere il giudizio di nessuno! Avete forse dimenticato le perplessità di tutti, me compresa, di fronte alla vostra idea di crescere la nostra ultima figlia come un uomo, di darle persino un nome maschile?"
Il generale alzò lo sguardo verso la moglie, toccato dalle sue parole.
"I vostri amici generali hanno riso del vostro progetto, hanno preteso che Oscar dimostrasse il suo valore!  Rammentate, vero, la sfida con Girodelle per diventare Capitano delle Guardie Reali? Se fosse stata un vero uomo quella posizione le sarebbe spettata di diritto, ma nessuno vi credeva capaci di quello che infine avete costruito insieme! E Oscar ha forse mai ascoltato il consiglio di qualcuno? Esattamente come voi..."
"Io vi ascolto, signora mia!" ribattè risentito "E a volte me ne pento!"
"Certo- continuò avvicinandosi e appoggiando la mano alla sua- Non è facile raggiungere il vostro cuore, ma, quando accade, siete sinceri e devoti, amate con tutti voi stessi, senza riserve. Anche in questo vi assomigliate: Oscar non ha mai sentito ragione, vi ha tenuto testa fin da bambina, ma con Andrè è sempre stata un'altra cosa, lo ascoltava, anche se non lo dava a vedere...
Lo so che non è aristocratico, che non dà lustro alla nostra famiglia! Ma nessuno è vicino al cuore di nostra figlia quanto lui! Io l'ho notato fin da quando erano piccoli! Se non fosse stato così, Oscar non sarebbe diventata la figlia che tanto vi ha inorgoglito in passato! E adesso, non sarebbe cambiata trasferendosi a Chablis, avrebbe portato anche là il suo dolore e disinteresse per la vita."
Non era certa di averlo convinto, ma sapeva che le sue parole sarebbero sedimetate nel suo cuore e avrebbe capito, forse non ora, ma certamente più in là.
Tornò a volgere lo sguardo al roseto, il lavoro del giardiniere era quasi terminato.
"Ecco...adesso nessun temporale potrà rovinare la loro prossima fioritura!"
 

La luce dell'alba filtrava attraverso le tende, mosse dal vento fresco di pioggia.
Oscar aprì gli occhi e sorrise. Sentiva il suo respiro regolare perdersi nei suoi capelli, le sue braccia che la trattenevano teneramente.
Aveva trascorso la sua prima notte come moglie di Andrè Grandier e si sentiva pervasa da una felicità unica e perfetta.
Avevano ballato tutta la sera, alla festa di primavera. Sotto gli occhi compiaciuti e complici di Lord Weston e Sebastiane, sotto lo sguardo attonito di Monsieur Florent
, l'unico forse, in tutta Chablis, ad aver creduto che il conte fosse realmente un uomo. Oscar dimenticò quanto fosse scomodo il corsetto e d'impaccio la gonna, i suoi occhi non si staccarono un istante da quelli di Andrè. La guardava come mai aveva fatto, sembrava accarezzarla con gli occhi, ed ogni volta che le loro mani si prendevano e i loro corpi si sfioravano, sentiva di amarlo con ogni fibra del suo essere. Sentiva di non aver amato mai nessuno così.
Una settimana dopo, alle cinque del pomeriggio del 5 giugno 1783, nella cappella della tenuta di Lord Weston, il curato aveva celebrato il loro matrimonio: una cerimonia semplice, con il loro amico inglese, in qualità di testimone di nozze, Sebastiane e Monsieur Florent, ancora confuso dagli ultimi accadimenti e Muet, che aveva presenziato silenziosa come sempre, vicino all'acquasantiera.
Oscar aveva indossato il suo unico abito femminile e per l'occasione Mademoiselle Bolden le aveva preparato una corolla di fiori di ciliegio, da mettere sul capo. Andrè si era commosso quando aveva varcato la soglia della chiesetta e aveva pianto silenziosamente per buona parte della cerimonia, e lei aveva lasciato a lui anche la sua parte di lacrime di felicità.
Quando il prete aveva unito la sua mano a quella del giovane, aveva capito che quel momento era lì ad attenderla da sempre. Che il passato e i suoi errori non contavano nulla, che l'amore di Andrè era rimasto custodito nel suo cuore, nonostante gli anni di lontananza.
Terminata la messa, aveva consegnato i fiori a Sebastiane.
"Domani mi accompagnerai  al cimitero, desidero lasciarli sulla tomba di tua madre". Era un gesto di riconoscenza per quella giovane mai conosciuta, che col suo amore e la sua vicinanza, aveva permesso ad Andrè di non soccombere alla solitudine e di esprimere tutte le sue qualità.  
Suo marito l'attendeva col calesse già pronto, mentre nuvole scure si addensavano nel cielo.
"E' meglio che vi affrettiate" li aveva esortati Lord Weston, scrutando il cielo.
"Vi aspetto domani per pranzo, così festeggeremo! Adesso io e Monsieur Florent possiamo andare a bere una bella tazza di the, e magari un goccio dei miei liquori, l'emozione asciuga la gola! " Poi si rivolse a Sebastiane, esortandolo ad unirsi a loro.
"Ormai sei un ometto, hai l'età  per provare anche tu!"
Il temporale non aveva atteso che giungessero a casa e quando erano entrati i loro abiti erano zuppi d'acqua.
Andrè l'aveva guardata, con i riccioli sfuggiti all'acconciatura ed attaccati al viso: quante volte si erano ridotti così dopo le loro scorribande da ragazzi, incuranti dei moniti di sua nonna, che li scoraggiava ad uscire quando minacciava pioggia. Le aveva accarezzato  il viso e le labbra ed aveva letto nei suoi occhi gli stessi pensieri: gli anni trascorsi lontano sembravano solo la strada un po' tortuosa per essersi trovati lì, infine, bagnati e uniti per sempre.
Oscar si era diretta verso le scale, senza voltargli le spalle, conducendolo per mano ed appena varcata la soglia della loro stanza, si era gettata tra le sue braccia. Con rapidi gesti Andrè l'aveva liberata del corpetto che le fasciava il corpo, facendole avvertire una punta di gelosia  per la rapidità e la sicurezza con cui aveva compiuto quei gesti su un indumento che lei non era solita indossare, ma gurdandolo negli occhi aveva capito senza ombra di dubbio che non c'era spazio, nel suo cuore e in quel momento, se non per l'amore verso di lei.
"Marito mio!*" così l'aveva chiamato quella notte, mentre lo tratteneva dentro di lei.
E così sarebbe stato, fino all'ultimo battito del suo cuore.

*Dal manga

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