So Wrong

di evil 65
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** What I've Done ? ***
Capitolo 2: *** Can You Feel It ? ***
Capitolo 3: *** The Monster ***
Capitolo 4: *** Prometheus ***
Capitolo 5: *** Avengers...Assemble! ***
Capitolo 6: *** You mean everything to me ***
Capitolo 7: *** The date ***
Capitolo 8: *** Carnage ***
Capitolo 9: *** Car Chase ***
Capitolo 10: *** You're what ?! ***
Capitolo 11: *** Hurt ***
Capitolo 12: *** 12 to Midnight ***
Capitolo 13: *** I've become death... ***
Capitolo 14: *** Final Fight ***
Capitolo 15: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** What I've Done ? ***


Eccomi qui per una nuova storia sulla Petrol, come viene amichevolmente chiamata la ship riguardante Peter Parker, alias Spiderman, e Carol Danvers, alias Capitan Marvel.
Questa fan fiction è un sequel diretto della one-shot "You Got Something For Me Peter Parker", ed è un prequel della long "Avengers : The King Of Terror". Non c’è bisogno di aver letto quest’ultima per godersi la storia, anche se consiglio ai lettori di riprendersi la prima per avere un quadro completo della situazione.
Qui in Italia la coppia non è popolare come all’estero, dove già da molti anni imperversa in tutti i siti di fan fiction ( grazie anche al fatto che questi due amabili supereroi hanno effettivamente una storia nel canone ), quindi spero di ricevere il vostro supporto. Naturalmente, la fic ignora gli eventi di Spiderman Far From Home ( film fantastico, andatelo a vedere ).
Detto questo, vi auguro una buona lettura! 

 
 

What I've Done ?

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Peter mise in tavola il servizio buono. Quello di porcellana bianca con motivi blu smaltati : ornamenti floreali e immagini intricate di antichi villaggi cinesi dove non era mai stato nessuno della sua famiglia.
Il servizio orientale, lo chiamava sua zia, ereditato dalla madre per essere usato soltanto la domenica e nelle occasioni speciali. E oltre a essere domenica, quello era anche un giorno speciale per Peter, perché era il suo diciottesimo compleanno…e anche l’ultimo giorno di sospensione.
<< Il mio consiglio, Pete, è di trovare una scusa migliore >> disse May, la zia del ragazzo, mentre apriva una finestra per far uscire il fumo della cucina a gas, agitando uno strofinaccio. << Perché ti giuro che se ti sospendono di nuovo per un una sciocchezza del genere, sarai tu a volare fuori dalla finestra >>.
Peter era stato sospeso perché doveva fare la pipì. O meglio, perché aveva detto che doveva fare la pipì. Dopo che il suo insegnante di storia, il Signor Logan, gli aveva detto di no, il ragazzo si era messo a supplicare. E quando l’uomo aveva ribadito il suo no, Peter era uscito.
Quindi, in effetti, era stato sospeso perché era uscito dalla classe. Ma il fatto era che a lui non scappava davvero la pipì. E no, non doveva neanche fare quell’altra cosa. Peter doveva soccorrere qualcuno. O almeno così credeva.
La verità era che il suo senso di ragno - o Peter Prurito, come lo chiamava amichevolmente sua zia - non era stato molto affidabile negli ultimi mesi.
Il vigilante ipotizzò che la causa potesse essere implicata, per quanto assurdo, alla pubertà. Dopotutto, il suo corpo stava affrontando varie modificazione biologiche, non era da escludere che anche i suoi poteri ne sarebbero stati interessati.
Ma lui non poteva correre rischi; non poteva ignorare quella che considerava una sua responsabilità.
Anche se ciò che era avvenuto dopo, con sua zia, gli aveva fatto prendere seriamente in considerazione una simile linea di condotta.
Dopo essere tornato a casa, la donna lo aveva condotto all’uscita dell’abitazione, proprio sotto il portico, con le mani avvolte attorno ad una tazza di caffè.
<< Allora, parliamo un po’ di questa sospensione >> aveva detto, prendendo un sorso della bevanda. << Cos’è successo di preciso ?>>
Il tono era stato duro e tagliente.
<< Bhe, emh, è stato che… la testa mi faceva…ho avuto un…una sensazione >> aveva balbettato Peter.
Anche May, già da diverso tempo, era a conoscenza del suo segreto. Dopotutto, sua zia restava pur sempre…sua zia. Non di Spiderman, ma di Peter Parker. Un concetto che gli ribatteva il più spesso possibile.
<< Quindi è stato perché dovevi andare a salvare qualcuno? Bhe, senti, permettimi una domanda, supereroe… >>
Aveva bevuto un altro sorso di caffè.
<< Chi è che verrà a salvare te? >>
Peter era rimasto seduto in silenzio, cercando una risposta che convincesse la donna, ma al tempo stesso pregando che spuntasse fuori un qualsiasi pretesto per cambiare argomento.
Per un attimo, quelle parole risvegliarono in lui un ricordo ben preciso. Si era già ritrovato in una situazione senza speranza o via d’uscita, ed era stato salvato da qualcuno. Una donna di pura luce, discesa dal cielo come un angelo vendicatore per proteggerlo…
Scosse la testa da quei pensieri e fissò la volta.
Il sole stava cominciando a tramontare, una striscia dorata che illuminava i mattoni rossi del palazzi, quando era avvenuto un miracolo, sotto forma dei rumorosi camion della raccolta rifiuti.
“Salvo”, aveva pensato Peter, mentre lui e sua zia lasciavano cadere il discorso spinoso per osservare i netturbini che avanzavano lenti lungo la strada : uno guidava, due camminavano accanto all’automezzo e raccoglievano sacchi, svuotando bidoni e depositandoli di nuovo sul marciapiede.
Erano passati dieci minuti e Peter non aveva ancora idea di cosa facessero lui e sua zia là fuori, finchè il camion non aveva concluso la raccolta nel loro isolato.
<< Sai che ti dico? Di questa faccenda ne riparleremo dopo. Intanto, perché non dai una bella ripulita ?>>
<< Come sarebbe a dire? >>
May si era limitata a scrollare le spalle, e aveva bevuto un altro sorso. Poi, aveva indicato su e giù per la strada.
<< Vedi tutte quella lattine? Sii un buon eroe e rimettile al loro posto. Aiutare i vicini di casa è la cosa più eroica che potrai fare per il resto della settimana >>.
Peter aveva sospirato.
<< Oh >> aveva continuato la donna, con un sorriso impertinente. << E raccogli tutto quel pattume che i nostri fantastici netturbini hanno lasciato in giro >>
<< Con che cosa? >> aveva chiesto Peter, disgustato.
Ben presto rimpianse di non avere uno dei suoi lancia-ragnatele, per non essere costretto a toccare con le mani, o anche solo sfiorare, i sacchetti di plastica con le cacche di cane e le interiora di pesce. D’altronde, non poteva certo lanciare le sue ragnatele in pigiama.
<< Inventati un modo >> aveva risposto May, picchiettandogli affettuosamente la faccia.
E quello era stato solo l’inizio del suo castigo. Finito fuori, gli era toccato pulire l’appartamento, accollarsi montagne di biancheria per la lavanderia automatica, e prepararsi la cena da solo, che aveva finito per consistere in spaghetti cinesi istantanei con salsa piccante e pane tostato.
Il sabato, la zia lo aveva portato avanti e indietro per l’isolato, a bussare a ogni porta per chiedere ai vicini se avevano bisogno di qualche lavoretto. Era stato costretto a portar su un vecchio materasso dalla cantina della signora Myers, ad appendere quadri in casa del signor Jankines, e a portare fuori tutti i cani del vicinato che dovevano uscire per i bisogni. Il che aveva comportato di ricattare tutte le cacche. Una montagna.
E avanti così per le sue imprese eroiche per i vicini. Incombenza dopo incombenza. Lavoretto dopo lavoretto. Spaghetti dopo spaghetti.
Peter rabbrividì al ricordo, e continuò ad apparecchiare con diligenza.
<< Oh, e prima che mi dimentichi >> disse zia May, attirando la sua attenzione.<< Pepper mi ha chiamato, dice che Fury ha richiesto una riunione dei Vendicatori a casa sua >>.
Il vigilante inarcò un sopracciglio.
<< Di solito le facciamo alla base >> commentò con uno sguardo sospettoso.
La donna si limitò a scrollare le spalle.
<< Non guardare me, lo sai che non ho alcun controllo su certe cose. Comunque sia, la casa è abbastanza lontana, quindi ti accompagnerò. Partiamo tra un’ora, quindi vatti a fare una doccia! >>
 
                                                                                                                          * * * 
 
La casa di Pepper Stark, ex-moglie di Tony Stark, si trovava immersa in un’area boschiva situata poco lontano da New York.
Su un lato della strada principale si apriva un sentiero infestato di erbacce, grande appena per far passare un’automobile e adatto a distruggere gli ammortizzatori.
Dopo alcune centinaia di metri, il sentiero terminava in una radura circondata da alberi antichissimi.
La casa, una splendida baita dotata di portico, sorgeva proprio la in mezzo. Dalla città non si vedeva, bisognava conoscere la strada. 
Peter e May attraversarono l’erba alta del giardino con passo felpato.
Salirono i pochi scalini della veranda e bussarono. Nessuno pareva essere in casa.
Peter lanciò alla zia un’occhiata guardinga, e questa si strinse nelle spalle.
Con un sospiro rassegnato, il vigilante spinse la porta, che si aprì in un leggero cigolio.
Per un momento si bloccò , indeciso, poi entrò.
La stanza d’ingresso era semplice ma accogliente. Alle pareti erano appese maschere indiane e arazzi. Intorno a un tavolo basso di legno, c’erano sedie intrecciate e colorate. Coperte della cultura cinese decoravano un sofà.
Due scaffali erano pieni di ogni possibile oggetto di uso quotidiano, ma anche di sonagli di legno che i giapponesi usavano nelle cerimonie e nei canti rituali.
Conoscendo ormai il posto a memoria, il ragazzo arrivò fino alla sala.
<< Signora Stark, sono arriva…>>
<< BUON COMPLEANNO! >>
A Peter fu necessaria ogni oncia del proprio autocontrollo per non saltare sul soffitto e rimanerci attaccato.
Coriandoli, palloncini e stelle filanti partirono da ogni angolo della stanza, mentre numerose figure fuoriuscivano da dietro ai mobili, le poltrone e i divani. E lui le conosceva tutte.
Pepper Stark e sua figlia Morgan dominavano il gruppo, affiancate da Happy Hogan, Nick Fury e Maria Hill. Dietro di loro c’erano uno Steve Rogers ormai invecchiato, Bucky Burns, Sam Wilson, Clint Burton, i coniugi Scott e Hope Lang, e il colonnello James Rhodes. L’immensa figura del Dottore Bruce Banner sovrastava il tutto, le braccia allargate a mo’ di presentatore e le labbra arricciate in un sorriso raggiante. Del resto, quella era la stessa espressione che adornava i volti di tutti, anche se nel caso di Fury era molto meno evidente.
Peter si ritrovò senza parole.
<< Ma che…voi…io…non ci credo, lo avete fatto davvero ?! >> esclamò scioccato, passando la testa da parte a parte della stanza.
Steve si fece avanti per primo, posando una mano sulla spalla del vigilante.
<< Te lo meriti, ragazzo >> disse con tono orgoglioso, mentre Happy lo stringeva in un caloroso abbraccio.
<< Il bambino è diventato un uomo >> disse con voce ricolma di finta nostalgia, cosa che fece ridacchiare gran parte dei presenti.
Allo stesso tempo, May abbracciò il nipote da dietro.
<< Congratulazioni, mio piccolo supereroe >>
<< Zia Mayyyyy >> piagnucolò Peter, mentre le sue guance si tingevano di rosso. La reazione scatenò un’altra ondata di risate, accentuando l’imbarazzo provato dall’arrampicamuri.
Poi, la piccola figura di Morgan zampettò fino a lui.
<< Tanti auguri, Peter >> disse la bambina, porgendogli un foglio sotto lo sguardo commosso della madre.
Raffigurava un disegno dello stesso Peter in costume da ragno, affiancato dagli scarabocchi di Iron Man, sua moglie e la stessa bambina, mentre una caricatura dell’abitazione faceva da sfondo.
Il ragazzo sentì una fitta al petto e lanciò a Morgan un sorriso affettuoso.
<< Grazie, principessa >> disse scompigliandole amichevolmente i capelli.
La piccola sorrise raggiante e procedette ad abbracciarlo, gesto che venne prontamente restituito dal vigilante.
In quel preciso istante, gli esterni della casa vennero illuminati da un intenso bagliore dorato. Sì udì un whoooom, che crebbe fino a diventare un WHOOOOM nella frazione di pochi secondi, seguito rapidamente da un sonoro tonfo.
Il cuore di Peter mancò un battito. Avrebbe riconosciuto quella luce ovunque. Era una visione che aveva accompagnato i suoi sogni da innumerevoli notti.
Il silenziò calò nella sala. Poi, la figura di Carol Danvers, alias Capitan Marvel, si fece strada oltre l’uscio della porta, ancora permeata di un debole scintillio.
Gli occhi di Peter s’illuminarono di gioia, mentre la giovane donna dai corti capelli biondi, vestita con una giacca in pelle marrone, jeans attillati e occhiali da sole, salutava le persone raccolte con un sorriso amichevole.
Era l’angelo di quella memoria ormai lontana, esattamente come se la ricordava.
<< Scusate il ritardo >> disse con tono lievemente imbarazzato, mentre riponeva gli occhiali nella tasca del giaccone.
Fury superò Peter, che era rimasto fermo e immobile dall’apparizione della sua cotta, e procedette ad abbracciare la supereroina.
<< Felice di averti tra noi, pensavamo ti avessero rapito >> commentò il Direttore dello Shield, mentre Carol roteava gli occhi scherzosamente.
<< La missione ha richiesto più tempo del previsto >> ammise con una scrollata di spalle.
Poi, i suoi occhi color nocciola si posarono sulla figura di Peter, e il ragazzo sentì i propri interni sciogliersi come neve al sole.
 << Ma non mi sarei persa questa festa per nulla al mondo >> continuò la donna, avvicinandosi al vigilante con un ghigno malizioso e piantandogli un rapido bacio sulla guancia.<< Buon compleanno, Pete >>
Il giovane Avenger arrossì intensamente e borbottò qualcosa che suonava vagamente come un “Grazie”.
Poi rimase in silenzio, troppo imbarazzato per poter proferire un discorso articolato.
Per fortuna, Scott Lang fu più che felice di toglierlo da quella situazione umiliante.
<< Allora, che cosa stiamo aspettando? Diamo il via a questa festa! >> esclamò l’uomo, suscitando urla d’accordo ad opera dei compagni di squadra. Il tutto sotto lo sguardo poco divertito della moglie, che lanciò al marito un’occhiata visibilmente stizzita.
Da quel momento in poi, il compleanno prese una piega piuttosto mondana. Scambio di regali, stuzzichini, balli occasionali, fino ad arrivare all’inevitabile torta con sopra stampato a caratteri cubitali il numero 18. Era al cioccolato, proprio come piaceva a Peter.
Dopo quasi tre ore, i vari Avengers cominciarono a tirare fuori gli alcolici e a scambiarsi storie di guerra, racconti che andavano dalle ultime missioni a questioni di vita quotidiana.
Peter approfittò proprio di quel momento per sgattaiolare al di fuori dell’abitazione, senza farsi notare.
L’aria della sera era calda e pervasa da una frizzante atmosfera primaverile.
Il ragazzo inspirò a fondo e si sedette comodamente sulla panchina a dondolo che si trovava sul portico della baita.
Era la prima volta che riceveva una festa di tale portata, in genere i suoi compleanni era solito passarli in compagnia di Zia May o Ned, magari giocando ai videogiochi o guardando maratone di film.
Inutile dire che, per quanto avesse gradito la sorpresa, si sentiva un po’ sopraffatto dall’intera situazione.
<< Ti piace la solitudine? >> arrivò una voce familiare alle sue spalle, facendolo sobbalzare.
L’adolescente si voltò di scatto. Carol se ne stava lì, appoggiata allo stipite della porta, le bracci incrociate davanti al petto e il volto adornato da quel suo intramontabile sorriso. Nella mano destra reggeva una confezione di birre in lattina.
<< In genere sì >> rispose Peter, dopo un breve momento di silenzio.
La donna ridacchiò e procedette a sedersi accanto a lui.
<< Devi stare proprio bene con te stesso >> commentò, lanciandogli un’occhiata impertinente.
Peter arrossì leggermente e distolse lo sguardo. << Che cosa te lo fa pensare ?>>
<< Se preferisci restare da solo, piuttosto che goderti i festeggiamenti…vuol dire che la tua compagnia ti dev’essere proprio gradita >> continuò Carol, con una scrollata di spalle.
Cercando in tutti i modi di nascondere la propria eccitazione, il vigilante rilasciò un sospiro teatrale.
<< Oh sì. Quando sono solo posso fare quello che voglio. Posso piacermi, detestarmi…>>
<< Quindi ti detesti? >> chiese all’improvviso la donna.
Peter si voltò di scatto, notando che il sorriso allegro della supereroina era stato sostituito da un cipiglio scontento.
Deglutì a fatica e disse : << A volte. E quando accade…mi detesto proprio per questo >>.
Carol rimase in silenzio, ferma e immobile, scrutandolo per quello che sembrò un tempo interminabile. Senza rendersene conto, Peter si ritrovò ancora una volta ad annegare in quei caldi occhi marroni. Sembravano capaci di scacciare ogni sofferenza, ogni brutto pensiero. Avrebbe voluto poterli fissare in eterno.
<< Penso che tu abbia bisogno di una birra >> disse la mezza Kree, interrompendo le divagazioni mentali del ragazzo.
Questi la fissò con un’espressione confusa.
<< Ho compiuto diciotto anni, Carol, non ventuno >> disse con un piccolo sorriso.
Carol si limitò a scrollare le spalle.
<< Ho bevuto la mia prima bevanda alcolica quando avevo sedici anni. Non credo che tua zia se la prenderà >> disse lanciandogli una lattina, che Peter afferrò al volo grazie ai suoi riflessi migliorati.
<< Allora non la conosci molto bene >> borbottò con tono ironico, rigirandosi la bevanda tra le mani come se si trattasse di una bomba pronta ad esplodere. Il tutto sotto lo sguardo divertito di Carol, internamente impressionata dalla maturità di giudizio che il vigilante stava dimostrando.
Passato un minuto, l’adolescente puntò un dito verso la bionda, in segno di avvertimento.
<< Acqua in bocca >>
<< Le mie labbra sono sigillate >> rispose Carol, afferrando una lattina per sé e aprendola senza il minimo sforzo. Peter fece lo stesso e se la portò con esitazione alla bocca.
Prese un rapido sorso…e per poco non si strozzò.
Affianco a lui, la donna si portò una mano davanti alla faccia per nascondere una risata.
<< È più forte di quanto pensassi >> borbottò il vigilante, tossendo un paio di volte.
La mezza Kree lo picchiettò amichevolmente sulla schiena.
<< Solo perché non ci sei abituato. Col tempo non te ne accorgerai nemmeno >> disse con tono rassicurante.
Peter le lanciò uno sguardo non del tutto convinto. Tuttavia, dopo essersi ripreso, decise di fare un altro tentativo.
<< Allora…alla salute >> disse con esitazione, alzando la lattina che teneva in mano. Carol la battè con la propria, ed entrambi cominciarono a bere.
Con sua grande sorpresa, Peter si ritrovò a concordare con le parole della supereroina. Non era così male, ora che si era preparato al gusto insolito.
Lanciò un’occhiata laterale in direzione di Carol, e questa fece lo stesso. Entrambi non avevano ancora staccato le labbra dell’apertura della lattina.
Quasi inconsapevolmente, Peter inclinò leggermente il contenitore e cominciò a bere più in fretta. Affianco a lui, gli occhi della supereroina luccicarono di sfida.
La donna imitò l’azione del ragazzo ed entrambi presero ad ingurgitare le rispettive birre con maggiore enfasi.
Dopo appena trenta secondi, tuttavia, Peter si staccò dalla lattina e iniziò a tossire sonoramente.
<< È stata una cattiva idea >> borbottò quasi a se stesso, mentre Carol finiva gli ultimi sorsi della bevanda.
Schiacciò il cilindro metallico tra le mani e volse al ragazzo un sorriso canzonatorio.
<< Sfidarmi ad una gara di bevute o finire la tua birra con un unico sorso? >> domandò retoricamente.
Peter si accasciò allo schienale della sedia, rilasciando un gemito.
<< Entrambe >> mormorò sofferente, suscitando una risata musicale da parte della compagna di squadra.
Peter si perse in quel suono e sorrise. Dio, non si stancava mai di sentirla ridere.
Carol gli porse una seconda birra.
<< Un’altra? >> chiese con tono di sfida, mentre l’adolescente la fissava stizzito.
Passò la testa dalla lattina al volto della donna, e rilasciò un secondo sospiro.
<< Massì. Dopotutto, ora sono un uomo >> commentò con una scrollata di spalle, le labbra arricciate in un sorriso autoironico.
Carol annuì con approvazione ed esclamò : << Questo è lo spirito! >>
Ben presto, senza nemmeno rendersene conto, si ritrovarono a parlare del più e del meno.
Di come Peter aveva preso a cuore i consigli di Carol sull’iscriversi al college, facendo domanda a varie università di biotecnologia, oppure le avventure che la donna aveva affrontato nell’ultimo anno, tra i loro vari incontri.
Carol arrivò perfino a raccontargli le vicende che l’avevano riportata sulla Terra dopo la cattura da parte dei Kree, artefatto che conoscevano solo lei, Fury e quelle poche persone che erano state coinvolte direttamente nell’accaduto.
Inutile dire che il ragazzo era rimasto estremamente affascinato dall’intera storia, e anche un po’ divertito.
<< No, no, aspetta, fammi capire bene. Questo tizio ha provato a farti combattere in un corpo a corpo per dimostrargli che eri un guerriero degno…e tu lo hai semplicemente colpito con un blaster?! >> domandò Peter, il volto adornato dal sorriso di una persona che stava cercando in tutti i modi di non scoppiare a ridere.
Carol gli inviò un sorriso complice e rispose con un sonoro : << Yep >>
A quel punto, l’adolescente non riuscì più a trattenersi, e venne rapidamente seguito dalla supereroina.
<< Avrei voluto esserci >> commentò il vigilante, asciugandosi una lacrima immaginaria e prendendo un paio di respiri calmanti.
Carol accavallò le gambe e alzò lo sguardo in direzione della volta celeste.
<< Ne abbiamo fatta di strada, non è vero?>>
<< Già >> acconsentì Peter, prima che la sua espressione allegra venisse sostituita da una visibilmente più cupa. << Avrei solo voluto che Tony fosse qui per godersi tutto questo >>
La donna sussultò e lanciò al ragazzo uno sguardo preoccupato. Era sempre così spensierato, così…pieno di vita. Vederlo in queste condizioni riusciva a turbarla ogni volta.
Senza perdere tempo, gli posò una mano rassicurante sulla spalla.
 Il vigilante si voltò, fissandola con occhi leggermente lucidi. Una visione che riuscì ad attanagliarle il cuore in una morsa assai sgradevole.
<< Non sono mai stata un tipo religioso, Peter, ma…sono sicura che, ovunque si trovi adesso, lui è fiero dell’uomo che sei diventato >> disse con un dolce sorriso.
Peter restituì il gesto, toccato dalle parole della supereroina. Si asciugò le lacrime con il gomito del braccio e prese un altro rapido sorso di birra.
<< Grazie, ne avevo bisogno >> disse onestamente, mentre la donna gli colpiva la spalla con un pugno amichevole.
<< A cosa servono gli amici? Inoltre, non posso certo consegnarti il mio regalo con quel muso lungo >>
Le sopracciglia di Peter si sollevarono di scattò, a dimostrazione della sua incredulità. Il fatto che Carol fosse riuscita a trovare il tempo per partecipare alla sua festa di compleanno era già stata una manna dal cielo di per sé. Ma che fosse venuta pure con un regalo…
Il cuore del ragazzo cominciò a svolazzargli nel petto, anche se lui fece di tutto per nascondere la gioia che stava provando in quel preciso istante.
Nel mentre, la donna aveva estratto qualcosa dalla tasca della giacca.
<< Ho tirato alcune stringhe, e sono riuscita a ottenere un permesso per visitare il centro della NASA e assistere al lancio del nuovo Space Shuttle Omero >> disse porgendo al ragazzo una coppia di pezzi di carta.
<< Che cosa ?! >> esclamò Peter, gli occhi dilatati come piatti.
Afferrò un biglietto e lo lesse da cima a fondo, sotto lo sguardo divertito di Carol
<< So quanto ti piacciono queste cose, per cui… >>
<< Sei la migliore! >>
La donna non ebbe il tempo di terminare la frase. Dopo aver udito quell’esclamazione, sentì un paio di bracci avvolgersi attorno al suo collo, e il corpo di Peter schiacciato contro il suo.
Inizialmente sorpresa, le guance della supereroina si tinsero di rosso, anche se l’oscurità della notte riuscì a nascondere la cosa.
Rendendosi conto di quello che aveva appena fatto, Peter si tirò subito indietro, visibilmente allarmato.
<< O-oh, scusa >> borbottò imbarazzato, distogliendo lo sguardo con una sfumatura altrettanto scarlatta che gli adornava il volto.
Era piuttosto adorabile, Carol dovette ammettere a se stessa.
<< Non devi scusarti. È stato…carino >> disse con un sorriso goffo, scompigliandogli amichevolmente i capelli.
Se possibile, Peter sembrò arrossire ancora più intensamente.
Nel tentativo di nasconderlo, prese un’altra lattina di birra e cominciò a bere, seguito dalla donna. E continuarono a farlo per un po’, accompagnati solo da silenzio e dalla rispettiva compagnia.
Grazie alle loro biologie avanzate erano capaci di sopportare grandi quantità di alcol senza subire gravi effetti, ma dopo un po’ anche la mente di Peter cominciò a vagare, facendosi più offuscata.
Poi, intorno a mezzanotte, l’adolescente prese un respiro profondo.
 << Non fa tanto freddo. Hai voglia di fare un giro intorno al lago? >> chiese di punto in bianco, sorprendendo la compagna.
Carol si portò una mano alla fronte e sorrise.
<< Con nuotata? >> domandò civettuola.
<< C-cosa? No, no, certo che no! Io, uh…volevo dire… >> balbettò l’altro, cercando di trovare le parole giuste per controbattere una simile dichiarazione.
Dopo aver preso un paio di respiri calmanti, fissò la bionda con fiducia ritrovata.
<< Andiamo in riva al lago, portiamo con noi qualche lattina e… >> s’interruppe.
<< E? >> chiese lei, colma d’anticipazione.
<< …Guardiamo le stelle >>
Si fissarono a lungo e Peter sentì che la sua resistenza interiore stava cedendo. 
Sentiva se stesso dire cose che non avrebbe voluto dire ; c’era qualcosa che premeva tutti i pulsanti giusti e tirava tutte le leve giuste per azionare il meccanismo. Risvegliava aspettative, invitava se stesso e Carol a fare quello che in genere si era portati a fare se ci si trovava nei pressi di un lago solitario in compagnia di qualcuno. Avrebbe voluto essere di nuovo a New York e, nel contempo, desiderava stringerla tra le sue braccia.
Maledisse la piega che avevano preso le cose, ma allo stesso tempo non riusciva a trattenersi, probabilmente a causa dell’effetto dell’alcol.
<< Bene, allora andiamo >> disse infine la donna, con un sorriso disarmante.
Internamente, Peter si ritrovò a sospirare di sollievo.
Fuori non c’era vento e l’aria ere permeata dal suono prodotto dalle cicale. Durante il breve viaggio non dissero neppure una parola.
Dopo cinque minuti di camminata si ritrovarono in una piccola radura confinante con la riva del lago e si sedettero, sorseggiando un altro paio di lattine di birra.
<< Siediti sulla schiena…e l’universo, con tutto quello che racchiude, sarà tuo. Prova >> lo invitò Carol, una volta finito il contenuto.
Peter fece come gli era stato detto e affondò nell’erba. Al contempo, alzò la testa verso l’immensa volta stellata che illuminava l’oscurità della notte.
La supereroina si sdraiò accanto a lui, e l’adolescente si ritrovò incapace di frenare una rapida occhiata.
Carol lo stava guardando. I suoi occhi splendevano nell’oscurità della notte.
<< Hai mai visto le stelle cadenti?>> gli chiese, le labbra appena arricciate in un placido sorriso.
Peter deglutì una seconda volta.
<< Sì, alcune volte >>
<< E hai mai desiderato qualcosa?>>
<< Sono piuttosto carente di sostanza romantica>> ammise il ragazzo, mentre avvicinava il proprio corpo al suo. << Me le sono semplicemente godute >>
La donna ridacchiò. << Dimenticavo, sei un uomo di scienza >>
<< E sono probabilmente l’ultima persona al mondo che potrebbe credere in qualcosa >> disse Peter, con un sottofondo di autoironia.
<< Quindi su di te i fiori e le stelle cadenti non hanno il minimo effetto. Chiunque cercherà di corteggiarti avrà il suo bel da fare. A quanto pare, la cosa più romantica che ti si possa regalare è un’analisi di stabilità delle costruzioni ad alta tecnologia >> commentò Carol, ridacchiando alle sue stesse parole.
Peter la guardò per un momento. Poi, gettò indietro la testa e si distese lentamente.
<< Lo credi davvero? >>
Lei si appoggiò ai gomiti e lo osservò. << No, non lo credo >>
<< Credi che non possa essere romantico? >>
<< Credo che tu non abbia mai pensato a cosa voglia dire essere romantici >> rispose con voce impassibile.
I loro sguardi si incontrarono un’altra volta. A lungo. Troppo a lungo.
Peter si alzò con i gomiti, rendendosi conto di essere molto più vicino a lei di quanto avesse inizialmente pensato. Aveva la mente annebbiata dall’alcol, e si sentiva euforico come mai prima d’ora.
<< Forse puoi farmi vedere che cosa vuol dire >> sussurrò Peter con voce flebile, facendo indugiare gli occhi sulle labbra della giovane donna.
Questa dilatò le pupille e prese a fissare il vigilante. L’adolescente si sentì sezionato da quello sguardo, e il suo cuore cominciò a battere molto più velocemente.
<< Io…Non credo sia una buona idea >> disse Carol dopo quasi un minuto di completo silenzio, la testa leggermente piegata di lato. Anche lei aveva le guance leggermente arrossate a causa dell’alcol, e non solo.
Senza rendersene conto, Peter allungo una mano e la costrinse a guardarlo in faccia ancora una volta.
Il tempo parve fermarsi, mentre i muscoli della donna divennero tesi.
Nel cervello del ragazzo si rincorrevano migliaia di rumori e di pensieri, che poi si condensarono in un vortice, lacerando la sua concentrazione.
Entrambi i supereroi erano ancora immobili, ma carichi di tensione, come in  attesa di un segnale, di un autorizzazione: qui, prego, una per lui e una per lei.
Adesso può baciare la ragazza, Signor Parker. Ora può essere appassionato, veramente appassionato. Non è così male, ma ora, per favore, ci creda !
Baciare. Ora.
E Peter fece proprio questo.
Non appena le sue labbra entrarono in contatto con quelle di lei, Carol emise un sussulto e dilatò le pupille.
Fissò il vigilante dritto negli occhi, ma questi aveva le palpebre socchiuse e un aria visibilmente rilassata. Per un attimo, la donna fu spinta dall’impulso di allontanarsi, prima che quel gesto impulsivo potesse continuare…prima che potesse diventare qualcos’altra. Cercò di piegare indietro la testa e sottrarsi, ma si ritrovò incapace di farlo. Ogni singolo contatto era magnifico, inebriante. E Peter non sembrava intenzionato a darle una via di fuga.
Le labbra di Carol erano calde e piacevoli. Assaporò con calma ogni secondo di quel meraviglioso momento, mentre tirò il volto della giovane donna più vicino al suo con un rapido gesto della mano.
Carol non si oppose e rispose al bacio, quasi come se ormai non volesse più fare altro.
Inconsciamente, Peter si ritrovò a sorridere sulla bocca della donna. Era tutto perfetto.
Mai, prima d'ora, il ragazzo aveva provato una tale gioia nel condividere i suoi sentimenti con qualcuno. Ed era bellissimo, pensò.
Dopo quasi un minuto, tuttavia, Carol posò ambe le mani sulle spalle del vigilante.
<< Peter…basta >> piagnucolò tra i baci. Peter, però, non sembrò farci caso, e si porse ulteriormente in avanti.
La donna chiuse gli occhi, perdendosi ancora una volta in quel contatto.
Poi, strinse le labbra e si tirò indietro bruscamente.
<< Io…io non posso >> ansimò, cercando di riprendere fiato.
Alzò la testa, e vide lo sguardo ferito di Peter.
Il cuore della supereroina mancò un battito. No, no, no…non voleva che la fissasse in quel modo. Pieno di dolore…e di tradimento.
Era una visione straziante…sbagliata.
Quasi come se avesse colto qualcosa negli occhi della donna, l’espressione del ragazzo si fece più determinata.
<< Allora fermami >> sussurrò, porgendosi in avanti ancora una volta, le labbra ad appena pochi millimetri da quelle di Carol.
Il respiro della donna cominciò ad accelerare, mentre il suo sguardo si posò su quella tentazione invitante. Il tutto nella frazione di pochi secondi.
E quando quel breve lasso di tempo giunse al suo termine…Carol afferrò i capelli di Peter e lo spinse verso di lei, incontrando la sua bocca con un bacio più affamato. Il ragazzo gemette sulle sue labbra e spinse il proprio corpo contro il suo.
Sentì qualcosa di caldo e sconosciuto farsi strada nello stomaco, e il contatto con la figura della donna non fece altro che accentuare quella sensazione.
E Carol sentì la stessa identica cosa, sospirando di pura beatitudine e lasciando che l’estasi del momento prendesse il controllo delle sue facoltà mentali.
Si abbandonò a quel bacio appassionato quanto inesperto. Evidentemente Peter non aveva baciato molte ragazze, ma la cosa non le importava. Era carino, in un certo senso. Come se quei baci fossero per lei e per nessun’altro. Come se lo possedesse…come se fosse suo.
“ Oddio, sto baciando un ragazzino” sussurrò a sé stessa. No…non un ragazzino. Un giovane uomo. Che aveva affrontato molto più dolore di quanto avrebbe dovuto una qualsiasi persona della sua età.
Qualcuno che aveva combattuto al suo fianco con le unghie e con i denti. Un guerriero…un eroe.
Non gli avrebbe negato quel momento di gioia, non dopo tutto quello che aveva sopportato.
Si chinò all’indietro, lasciando che Peter si arrampicasse sul suo corpo, gemendo quando le mani del vigilante cominciarono a serpeggiare sotto la giacca…sotto la maglietta…sulla sua pelle…
<< Parker! >>
Entrambi si bloccarono.
Si staccarono l’uno dall’altra con la stessa rapidità di un fulmine, girandosi entrambi in direzione della foresta che delimitava la radura. I loro volti allarmati, tuttavia, vennero sostituiti da espressioni colme di sollievo, non appena si resero conto che non c’era nessuno.
Poco dopo, la figura di Happy fuoriuscì dagli alberi, coperta di foglie.
Li vide entrambi seduti al centro della radura e sorrise soddisfatto.
<< Eccovi qui! >> esclamò gioviale, avvicinandosi alla coppia di supereroi e dando una rapida occhiata alle lattine vuote sparse nell’area. << Avete deciso di portare la festa qua fuori? Non male, anche se la temperatura non è delle migliori >>
<< Avevi bisogno di qualcosa Happy? >> chiese Peter con voce leggermente tremante, quasi stizzita.
Carol gli lanciò uno sguardo di avvertimento, ma Happy sembrò non accorgersene.
<< Giusto, tua zia mi ha mandato a cercarti, sta per tornare a casa >> disse indicando la direzione in cui si trovava la baita di Pepper.
Il vigilante fece per ribattere ma, poco prima che potesse farlo, la compagna lo interruppe con un rapido : << Ti seguiamo a ruota >>
Peter volse alla donna un’espressione incredula, ma lei non lo degno nemmeno di un’occhiata.  Si limitò ad oltrepassare sia lui che Happy, scomparendo nella foresta con passo lento e marcato.
L’ex assistente di Tony Stark si girò verso di lui.
<< Allora, vuoi startene lì tutta la notte? Coraggio, andiamo! >>
E mentre il vigilante cominciò a seguire l’uomo, un unico e semplice pensiero cominciò a martellargli nella testa : << Che cosa ho fatto? >>
 
 
 
Com’era? Spero bello! E soprattutto, spero di aver trattato la cosa nel modo più realistico possibile, e la prima volta che scrivo l’evolversi di una relazione tra un ragazzo e una donna più grande. Nella one shot precedente, dato che Peter aveva ancora diciassette anni, ho scelto di mantenere una cotta unidirezionale da parte dell’arrampicamuri, mentre ora le cose cominceranno a farsi più scottanti.
Spero di ricevere qualche recensione, ci tengo molto alla vostra opinione!

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Capitolo 2
*** Can You Feel It ? ***


Ecco un nuovissimo capitolo!
Inizialmente questa storia doveva solo essere una fan fiction romantica, interamente basata sul rapporto tra Peter e Carol. E mentre tale tema rimarrà comunque il fulcro centrale degli eventi, ho deciso di renderla una superhero story a tutti gli effetti.
Per tale motivo, ho passato le ultime settimane a immaginarmi una trama che farà da sfondo alla parte romantica, con un antagonista che minaccerà non solo il rapporto tra i nostri beniamini…ma anche le loro vite. Dopotutto, un eroe è poca cosa senza un degno cattivo a bilanciare il tutto. E io do sempre MOLTA importanza ai villain, in tutti i miei lavori.
Tali eventi si collegheranno, in seguito, alla long di cui questa storia è un prequel, “ Avengers : The King Of Terror”.
Con questo detto, vi auguro una buona lettura e spero davvero di ricevere i vostri commenti! Ci tengo molto a far sembrare lo sviluppo della relazione tra Peter e Carol più realistico possibile ;)


 
Can You Feel It ?
 
Peter Parker, alias Spiderman, prese la rincorsa e saltò oltre il cornicione delle Stark Industries. Fatto questo, iniziò a volteggiare sopra gli edifici del Centro Città.
Dal campanile con l’orologio al tribunale, dai tetti dei condomini di lusso a quelli delle case popolari. E senza nemmeno accorgersene, quasi come se avesse aperto gli occhi all’improvviso, si ritrovò nel suo quartiere.
Fu investito da una cacofonia di suoni e rumori, ben diversa dal sottofondo sommesso di Times Square. Lo stridore dei freni degli autobus. Lo strombazzare dei taxi. Ragazzi che gridavano sotto i canestri da basket. Musica diffusa dalle radio e mescolata ai rumori della città stessa.
Peter si appollaiò sul tetto di un supermarket e cominciò ad analizzare l’area circostante.
Poco più in basso vi era un gruppo di ragazzini che scendevano da un autobus : una macchia di colori vivaci e capelli a cresta che li facevano sembrare più grandi.
 Peter li vide camminare lungo il marciapiede, ridendo e scherzando, finchè non arrivarono all’angolo. Appena giunti in fondo alla strada, ammutolirono tutti quanti, mentre passavano accanto a un gruppo di ragazzi più grandi, uno dei quali disse qualcosa.
Bzzzzzzzzz. Il senso di ragno prese a vibrare nella testa del vigilante.
I ragazzini più piccoli non indugiarono né affrontarono la minaccia. Semplicemente, si separarono, allontanandosi ognuno in una direzione diversa. Uno solo dei ragazzi più grandi si staccò dalla sua cricca per lanciarsi all’inseguimento, e prese di mira il più agghindato dei pischelli. Quello con il ciuffo di capelli biondi.
Peter balzò sul palazzo successivo, e da lì su quello dopo ancora, seguendo dall’alto la caccia. Il ragazzo correva come un razzo sul marciapiede, saltando a tratti sulla strada per evitare la folla, zigzagando da un isolato all’altro, con il delinquente che lo seguiva a distanza ravvicinata.
Poi il ragazzino con le mecche svoltò bruscamente a sinistra del viale e si precipitò giù per una strada meno battuta. Forse la via dove abitava, pensò Peter, continuando a osservarlo dall’alto.
Non avendo più ostacoli di fronte, l’inseguitore allungò il passo e lo raggiunse. Lo afferrò per le spalle, poi, per non dare nell’occhio, lo cinse con un braccio, stringendolo in una morsa apparentemente fraterna.
Il ragazzino non fiatò, né chiamò aiuto.
Peter conosceva bene quel silenzio. Il silenzio di chi sa che gridare è inutile ed è contro le regole. Strillare serve solo a peggiorare la situazione. La stessa tattica che aveva utilizzato durante tutti quegli anni in cui era stato preso di mira dai bulli della propria scuola.
Fecero qualche passo, fingendo che fosse tutto normale, finchè Peter vide il ragazzo più piccolo che cominciava ad estrarre il portafoglio dalla tasca dei pantaloni.
L’arrampica-muri non perse tempo e si lanciò giù dal palazzo. Quando il ragazzino consegnò i soldi al ladro, il vigilante si trovava già alle sue spalle.
Il ragazzino sgranò gli occhi. Il ladro si girò e si trovò di fronte agli occhi bianchi della maschera da ragno. Non disse una parola. Mandò solo un grugnito e scosse la testa.
<< Faresti meglio a pensare agli affari tuoi >> intimò l’uomo, sollevando la camicia per mostrargli il calcio della pistola che portava nella cintura.
<< Questi sono affari miei>> rispose Peter.
Lui e l’avversario si fronteggiarono sul marciapiede. Il ragazzino si defilò in silenzio e salì le scale di una delle case.
Il ladro lasciò cadere il portafoglio. Allo stesso tempo, il senso di ragno di Peter cominciò a vibrare.
L’uomo estrasse la pistola carica e si preparò a sparare. Il vigilante non gli diede nemmeno il tempo di togliere la figura.
Balzò in avanti, afferrò il polso del ladro…e lo spezzò con un rapido movimento delle dita. L’urlo risultante riecheggiò per tutta la lunghezza del quartiere, seguito da un lamento disperato.
Peter diede un rapido pugno al volto dell’avversario, inchiodandolo a terra. Questi cominciò a piangere, reggendo la mano ormai inutilizzabile.
L’arrampica-muri si limitò a tirargli un paio di calci ben assestati nello stomaco.
<< Ma guardati : fai tanto il duro, ma sei solo un vigliacco >> disse scuotendo la testa, per poi saltargli addosso.
 Lo agguantò per il colletto della camicia e sollevò il pugno. Un attimo prima di abbatterlo come un martello in faccia all’avversario, Peter vide con la coda dell’occhio il ragazzino. Stava assistendo alla scena, terrorizzato. I suoi occhi erano fissi su di lui.
Peter si fermò. Si tirò su, il ladro era ormai ridotto a una larva inerme, spiaccicata sul marciapiede. L’adolescente afferrò la pistola a pochi passi da lui e la schiacciò sotto i piedi. Quindi rigirò il delinquente a terra e gli serrò le mani dietro la schiena, il polso rotto già gonfio come un pompelmo.
Il ladro lanciò un altro urlo e Peter gli immobilizzò le braccia, avvolgendole in una ragnatela.
Fatto ciò, si chinò sui piedi del ladro e gli strappò via le scarpe. Andò a consegnarle, al ragazzino, che tremava per la paura.
<< Facci quello che vuoi >> borbottò a bassa voce.
Poi si chinò a terra per ritrovarsi a un palmo dalla faccia pestata e insanguinata del malfattore.
<< Racconta a tutti quello che ti è appena capitato. E se tu, o uno qualunque di voi, dovesse riprovarci…io lo saprò. Vedi, tu non mi conosci, ma io conosco te. E ti verrò a cercare >> sibilò a bassa voce.
Mentre il ragazzino procedeva ad andarsene, Peter sparò una ragnatela a un lampione e volò via come se fosse appeso a una liana.
Lanciò ragnatele a destra e a manca, davanti e sopra di sé, lasciando che si attaccassero alle strutture che gli capitavano a tiro : pali della luce, palazzi alti, impalcature di cantieri.
Mentre fendeva l’aria, l’effetto dell’adrenalina si esaurì, costringendolo a confrontarsi col fatto che per poco non aveva ammazzato di botte un ragazzo.
“ E se lo avessi ucciso? Proprio lì, di fronte a quel ragazzino. E…e se lo avessi ucciso?”
Le lacrime gli riempirono gli occhi, ma non pianse.
Perché si sentiva in questo modo? Lo sapeva bene, in realtà, ma non voleva ammetterlo a se stesso.
Da quella notte di quasi una settimana fa, il giorno del suo diciottesimo compleanno. La notte in cui aveva rubato un bacio alla donna di cui si era innamorato.
E ora stava pagando le conseguenze di quel gesto impulsivo. Una settima era passata, e lui e Carol non si erano parlati nemmeno una volta.
Aveva provato a contattarla attraverso la rete privata dei Vendicatori…ma niente. Lei si rifiutava di rispondergli.
“È così, dunque ?” pensò il ragazzo. “ Ho davvero rovinato tutto?”
Poteva solo immaginare come si sentisse Carol, dopo ciò che era successo. Umiliata, confusa…sicuramente tradita. E lui ne era la causa.
Dio, era stato così stupido! Come diavolo gli era saltata in testa la possibilità  che una donna come lei potesse provare affetto per qualcuno come lui? Provare affetto per un ragazzino di diciotto anni che non era mai andato oltre il primo appuntamento con una compagna di scuola.
Senza rendersene conto, Peter scagliò un pugno contro il muro dell’edificio su cui era atterrato. Se ne pentì quasi subito.
Sibilò a causa del dolore, stringendosi la mano al petto.
Lentamente, quasi con esitazione, tolse il guanto della tuta e notò che le nocche avevano cominciato a sanguinare.
Rilasciò un sospiro sconfitto. Non poteva andare avanti così.
Mangiava a mala pena, a scuola era distratto, sempre arrabbiato. Anche sua zia aveva cominciato ad accorgersene.
<< Ho deciso >> sussurrò a se stesso, con determinazione ritrovata. << Andrò a parlarle domani…di persona >>.
Fece per muoversi, ma una fitta al braccio lo costrinse a fermarsi.
Forse era prima il caso di medicarsi quella mano.
 
                                                                                                                                                            * * * 
 
Peter oltrepassò la porta di casa sua. Proseguì lungo l’isolato e svoltò l’angolo verso un negozio di fiori. Davanti alle vetrine erano allineati dei secchi pieni di rose. Uno dei commessi li stava sistemando.
<< Quanto valgono? >> chiese il vigilante, attirato dalla bellezza delle piante.
<< Quindici >> sparò l’uomo.
Peter non cercò nemmeno di contrattare. Tirò dritto e addio.
Le rose erano un classico, certo, sarebbero piaciute sicuramente a Carol, ma così avrebbe speso metà della sua paghetta mensile.
La tappa successiva fu il negozio da tutto e un dollaro.
Una vecchietta gli tenne la porta aperta mentre lui faceva il suo ingresso nella stanza, piena di vassoi di carta, bomboniere, biglietti d’auguri e versioni sottomarca di praticamente qualunque cosa fosse mai stata inventata.
Peter girò di qua e di là, sbirciando ogni corridoio tra gli scaffali, prima di trovare Gladis, la donna che si occupava del posto. Era accovacciata a terra, occupata ad attaccare etichette col prezzo sui deodoranti da bagno.
<< Ehi, Gladis >>
<< Peter?>> fece lei, sembrando sorpresa di vederlo. Il che era anche comprensibile, dato che il vigilante si trovava raramente nei paraggi.
<< Che ci fai qui?>>
<< Cerco dei fiori >>
<< Fiori? >> domandò la donna, alzandosi con una smorfia.
Incrociò ambe le braccia davanti al petto.
<< Lo so che non hai ancora l’età per gli appuntamenti galanti. Mi ricordo ancora di quando tua zia mi pagava per farti da baby-sitter, e tu non facevi altro che pisciarti addosso, ininterrottamente. E adesso eccoti qui, a comprare fiori >>
<< Ho diciotto anni, Gladis, non sono così giovane. E poi i fiori non sono per una ragazza. Sono per…mia zia, ecco >>
<< Uh uh. Sarà meglio per te >> scherzò la donna. << Come sei tenero. Spero che mio figlio sarà premuroso quanto te, una volta diventato grande. Dai vieni! >>
Condusse Peter dalla parte opposta del negozio, dove erano esposti i fiori.
<< Eccoli qua>> disse indicando le schiere di verde e rosso, un autunno intero nella seconda scansia.
L’adolescente strabuzzò gli occhi.
<< Ma non avete quelli veri ? Questa è plastica >> osservò, stringendo fra le dita il petalo di stoffa di una delle rose fasulle.
<< Cocco, siamo al negozio tutti a un dollaro >> ribattè Gladis.
Il vigilante prese una rosa e l’annusò. Almeno aveva un qualche tipo di aroma sopra, che sapeva di fragola.
<< Ma giusto perché tu lo sappia…quelle costano due dollari >> aggiunse la donna,  suscitando un gemito da parte dell’arrampica-muri.
 
                                                                                                                                                            * * * 
 
A dispetto di quello che pensava la maggior parte della gente comune, meno di un quarto dei Vendicatori utilizzava la Stark Tower - base de facto della squadra - come residenza.
Carol era una di quelle poche eccezioni che avevano scelto di usufruire dell’ultima direttiva imposta da Tony Stark, il quale aveva specificatamente donato l’edifico al gruppo di supereroi più famoso dell’intero pianeta.
La donna, infatti, non rimaneva mai troppo a lungo sulla Terra, motivo per cui aveva sempre ritenuto l’acquisto di una casa separata una totale perdita di tempo.
Peter salì l’ascensore dell’edificio con il cuore che gli batteva a mille e il mazzo di fiori saldamente tenuto dietro la schiena.
Indossava una camicia di Jeans, con sotto una maglietta bianca, e pantaloni beige abbinati.
Era giunto in quel posto con un'unica e semplice missione in mente : riparare il suo rapporto con la persona che gli aveva rubato il cuore.
<< Più facile a dirsi che a farsi >> borbottò a se stesso, mentre le porte del macchinario si aprivano.
L’adolescente non perse tempo e cominciò a cercare l’appartamento di Carol.
I vari indirizzi a cui abitavano i vendicatori erano stati distribuiti a tutti i membri della squadra per potenziali emergenze, quindi non gli fu difficile localizzare la porta giusta.
Una volta giunto a destinazione, chiuse gli occhi e bussò.
<< Sì? >> chiese una voce inconfondibile dall’altro lato dell’uscio.
Peter prese un paio di respiri calmanti.
<< Sono…sono io >> disse con tono incerto, pur cercando in tutti i modi di non sembrare nervoso.
Per un attimo ci fu silenzio.
Poi, con suo grande sollievo, l’adolescente sentì il sistema di blocco della porta che veniva aperto.
La figura di Carol gli comparve di fronte ancora una volta. Indossava una maglietta nera senza spalle, che ne evidenziava le morbide curve femminili, pantaloni grigi attillati e un paio di guanti da kick boxyng.
<< Peter >> salutò lei, il volto adornato da un’espressione impassibile. Anche il tono di voce che aveva usato era privo di calore. Completamente freddo e distaccato.
L’arrampica-muri notò distrattamente che aveva la pelle più lucida del solito, bagnata da gocce di sudore, e, considerando il suo vestiario, arrivò alla conclusione che l’aveva interrotta durante un allenamento.
Deglutendo una seconda volta, alzò il mazzo di fiori che teneva nascosto dietro la schiena, sorprendendo la donna.
<< Sono…venuto per scusarmi >> disse con coraggio ritrovato, facendo appello ad ogni oncia di autocontrollo che aveva in corpo per non balbettare. << Posso entrare? >>
Carol passò brevemente lo sguardo da lui ai fiori. Afferrò lentamente il mazzo e lo scrutò con occhio critico.
<< Ho provato a cercarne uno vero, ma sono a corto di soldi >> aggiunse il vigilante con un piccolo sorriso, nel tentativo di sdrammatizzare un po’ la situazione.
La donna tornò a fissarlo, gli occhi ristretti in un paio di linee sottili. Poi, dopo quello che sembrò un tempo interminabile, rilasciò un sospiro e si fece da parte.
<< Entra pure >> borbottò con voce rassegnata.
Peter annuì un ringraziamento e varcò la soglia della casa.
Cominciò subito a guardarsi attorno. Come si aspettava, era un appartamento per lo più spoglio, abbastanza rustico, ma comunque ordinato, simbolo di disciplina e diligenza. Non c’era una sola cosa fuori posto.
<< Vuoi qualcosa da bere? >> gli domandò Carol, mentre riempiva una caraffa di acqua e ci metteva dentro i fiori. Certo, non ne avevano bisogno, ma dal punto di vista estetico sarebbero stati molto più piacevoli a vedersi.
Peter borbottò un semplice “No”, e procedette a sedersi sull’unico divano presente nel salotto. Affianco ad esso spiccavano un lettino da yoga e un grosso sacco da box appeso al soffitto, cosa che confermò l’ipotesi precedente del ragazzo.
La supereroina lo raggiunse poco dopo, accavallando le gambe sui cuscini e fissandolo pazientemente.
Peter cominciò a picchiettarsi le ginocchia. Era visibilmente nervoso, ma la bionda decise di non farglielo notare.
<< Allora… Tutto okay? >> le chiese dopo quasi un minuto di silenzio.
Carol non rispose. Non diede neanche alcun segno di averlo notato. Semplicemente rimase lì a fissarlo.
Inutile dire che Peter cominciò a sentirsi piuttosto a disagio.
<< Evidentemente…la nostra amicizia è troppo forte per l’amore >> offrì debolmente, con un sorriso autoironico.
Sapeva che suonava banale e patetico, ma sortì l’effetto voluto. La facciata impassibile della donna andò in frantumi, anche se solo per un attimo.
Lei si mise a ridacchiare, prima con nervosismo, poi evidentemente sollevata. Si coprì il volto con una mano, come se volesse cancellare quella risata troppo forte e del tutto fuori luogo, ma essa continuava a uscire, sebbene soffocata dalle dita.
Peter offrì un debole sorriso, internamente felice che fosse riuscito a fare breccia nella sua corazza.
Rimasero in silenzio per un altro po’.
<< Sei arrabbiata? >> le chiese infine, a bassa voce. “ Ecco “ pensò. “ Il momento della verità”.
La donna gli lanciò una breve occhiata.
<< No. Pensavo di esserlo, ma…probabilmente stavo solo cercando di metabolizzare…bhe, tutto quello che è successo. E tu? >>
<< No, no, certo che no! >> ribattè l’altro, il volto adornato da un’espressione agitata.
Suo malgrado, Carol si ritrovò a fissarlo con aria divertita, cosa che spinse il ragazzo a prendere un paio di respiri calmanti.
<< Sono solo un po’…amareggiato, suppongo >> disse con una scrollata di spalle, ricevendo un sopracciglio inarcato da parte della bionda.
Peter affondò nello schienale del divano, quasi come se si sentisse stanco.
<< È solo che…è tutto così sconclusionato. Quella sera, in quella radura, se Happy non fosse arrivato…ancora meno di un minuto e….voglio dire, sarebbe potuto succedere >>
“ Ed eccolo. L’elefante nella stanza” pensò Carol.
<< Ti dispiace che non sia avvenuto? >> domandò curiosa, scrutandolo intensamente.
Si aspettava una negazione, magari un’arguta replica, e invece…il vigilante si limitò a inclinare la testa verso di lei, le labbra appena arricciate in un sorriso quasi rassegnato.
<< Non lo so. Voglio dire, ero ubriaco, e… >>
<< Ho bisogno di una risposta sincera, Peter >> lo interruppe la donna, accorciando la distanza che li separava.
L’adolescente arrossì d’istinto.
<< Cosa vuoi che dica? >> borbottò a bassa voce.
Carol appoggiò il gomito sullo schienale del divano, usò il braccio per sostenere la testa e lo fissò con uno sguardo colmo d’aspettative, severo ma accomodante al tempo stesso. Certe volte, Peter si chiedeva davvero come riuscisse a farlo.
<< Provi qualcosa per me? >> chiese la donna. << Qualcosa che va oltre la semplice amicizia? >>
Un silenzio inesorabile sembrò calare nelle profondità dell’appartamento. Rimasero completamente immobili, bloccati in uno stallo apparentemente infinito, dove ad accompagnarli era il semplice e ritmato suono dei loro respiri.
Dopo che quel lasso di tempo giunse al suo termine…Peter rilasciò un sospiro.
<< Credevo di poterti sfuggire, Carol >> sussurrò quasi a se stesso, come se fosse finalmente venuto a patti con una scomoda verità.
Pausa. Se si aspettava una risposta, l’avrebbe aspettata a lungo, pensò l’altra. Avrebbe dovuto capirlo da solo.
Notando il silenzio della donna, l’adolescente decise di continuare a parlare.
<< Sono sempre stato diverso dagli altri miei compagni di scuola >> ammise con un triste sorriso. << Non ho mai voluto legarmi davvero a qualcuno. Certo, ho avuto qualche cotta adolescenziale, ma alla fine erano solo questo >>
Scrollò le spalle, alzando gli occhi verso la superficie bianca e immacolata del soffitto.
<< Non c’è mai stato un solo momento in cui abbia pensato : ora deve assolutamente succedere. Io…non sono mai stato innamorato. Non ho mai voluto essere innamorato. Ma l’idea che prima o poi potesse succedere aveva il suo fascino. Ero addirittura convinto che sarebbe successo presto, lo credevo ineluttabile! >>
Detto questo, volse nuovamente lo sguardo in direzione di Carol, che lo stava ascoltando pazientemente.
 << Poi sei arrivata tu. Ti ho visto su quel campo di battaglia…eri come una stella cadente discesa dal cielo, giunta da chissà dove per scacciare via l’oscurità. E per i due anni successivi, ogni volta che t’incontravo, era come se il mondo si fermasse, come se non contasse più nulla se non il fatto che tu fossi lì con me, in quel preciso momento. Mi sentivo felice, come non lo ero mai stato con nessuno. Non capivo se fosse amore o… >>
<< Hai appena descritto i sintomi dell’amore >> sussurrò lei, interrompendo le divagazioni del vigilante.
Peter deglutì una terza volta, cercando di nascondere il proprio nervosismo con una risata secca.
<< A dire la verità, pensavo che fosse altro. Come l’influenza. Non riuscivo più a concentrarmi sui miei studi, ero costantemente altrove con la testa, avevo la sensazione che mi mancasse la terra sotto i piedi >>
<< Così hai pensato che, prima di perdere definitivamente il controllo, era necessario verificare l’opzione uno >> finì lei, ricevendo in cambio un timido cenno da parte del compagno di squadra.
Di nuovo silenzio.
Peter alzò leggermente la testa, e con la coda dell’occhio notò che Carol lo stava ancora fissando con quell’espressione impassibile, la testa appoggiata sul palmo della mano.
<< Sei arrabbiata >> affermò, dopo quasi un minuto.
Tuttavia, con sua grande sorpresa, la donna si limitò a sospirare, lanciandogli  un sorriso stanco.
<< No,io… ti capisco >> disse con voce flebile, imitando la sua posizione e alzando gli occhi al soffitto della stanza.
Peter inarcò un sopracciglio e cominciò a scrutarla con curiosità.
<< Sei già stata con qualcuno? >> chiese a un certo punto, prima di tirarsi mentalmente una pacca sulla fronte. Era una giovane e bellissima donna nel fiore degli anni, certo che era già stata con qualcuno!
 << In questo modo, voglio dire >> corresse rapidamente.
<< Una volta >> rispose Carol. << Molto tempo fa >>
Peter deglutì ancora.
<< Il tuo, ehm…primo amore? >>
<< Mmmm >
<< Com’è successo? >> chiese con fare disinvolto, nel tentativo di non apparire troppo insistente.
Forse Carol se ne accorse, perché gli lanciò un’occhiata complice.
<< Nulla di originale, davvero. Pensavo fosse la persona giusta, poi si è rivelato un bastardo… e a me è rimasto solo il dolore >> disse con una scrollata di spalle.
Peter annuì comprensivo. A giudicare da quello che gli aveva raccontato, probabilmente stava parlando del suo ex-mentore, Yon-Rogg.
<< E poi? >> chiese con tono esitante.
Carol si porse in avanti e appoggiò il mento sulle mani. Se ne stava lì, seduta alla luce della camera, con una piccola ruga verticale tra le sopracciglia. Ed era splendida.
<< Dopo sono sempre stata io a lasciare gli altri >>
<< L’angelo vendicatore >> commentò Peter, cercando di sdrammatizzare la conversazione già molto scomoda.
La donna ridacchiò.
<< Sciocchezze. No, a volte quelli che conoscevo mi davano sui nervi. Troppo lenti, troppo carini, troppo duri di comprendonio. Altre volte sono scappata per mettermi al sicuro prima. Lo sai che sono veloce >>
<< Non costruiamoci una bella casa, perché potrebbe arrivare una tempesta e distruggerla >> disse Peter, con un astuto sorriso.
Anche Carol sollevò gli angoli della bocca. << Troppo prolisso, per me. >>
<< Può essere. Ma è così. >>
<< Sì, può essere >> affermò la donna, corrugando la fronte. << C’è anche un’altra possibilità : costruisci una casa e, prima che qualcuno la possa distruggere, distruggila tu stesso. >>
<< … >>
Entrambi rimasero in silenzio ancora una volta, accompagnati solo dalla reciproca compagnia.
Affianco a lei, il vigilante cominciò a rimuginare sulle parole della supereroina.
Dopo quasi un minuto buono, prese un respiro profondo e disse : << Sai...non credo di avere l’età per costruire una casa >>
Carol si tese di colpo, girandosi lentamente verso di lui. Peter fece lo stesso.
Sguardo contro sguardo…castano che incontra castano.
<< No, non ce l’hai >> confermò la donna, fissandolo con quell’intensità che solitamente riservava alle persone che la contraddicevano.
L’adolescente deglutì, le guance leggermente arrossate. Fu allora che si rese conto di una cosa : erano solo a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altra. Esattamente come quella sera di pochi giorni fa, in cui era riuscito a cogliere il flebile respiro della bionda. Anche ora poteva sentirlo mentre gli accarezzava le labbra.
D’istinto si porse in avanti. Tuttavia, poco prima che potesse cogliere la bocca della donna con la propria, questa inclinò la testa di lato.
<< Peter…no >> disse con tono serio.
L’arrampica-muri si ritrasse, visibilmente ferito da quell’azione.
Notando questo, Carol si portò una mano al volto, rilasciando un sospiro al limite tra lo sconforto e la rassegnazione.
<< Tutto questo…è solo una fase temporanea >> affermò con tono paziente. << Sei semplicemente attratto da me, questo è tutto. E non è una brutta cosa! Per una persona della tua età è normale, e… >>
<< Ti sbagli >> ribattè freddamente l’altro, stringendo ambe le palpebre degli occhi. Un’azione che lo fece sembrare molto più maturo.
Il cuore di Carol cominciò a battere più forte.
<< Per favore, non rendere questa cosa più complicata di quanto non sia già. Hai diciotto anni, Peter. Diciotto! Dovresti pensare alla scuola, rincorrere le ragazzine della tua età… >>
<<  Ferma, lo so cosa stai pensando >> la interruppe l’altro.
Lei deglutì, mentre il ragazzo prese a fissarla con un sorriso ironico.
 << È giovane, ha voglia di cazzeggiare, di raccontarlo agli amici…ma non è così >> disse con tono di fatto, porgendo la mano destra in avanti e accarezzandole il volto con le dita. La donna chiuse gli occhi…ma non si ritrasse al contatto. E quella semplice azione fu sufficiente a risollevare l’animo del vigilante.
<<  Tu mi piaci >> continuò, mettendo in quelle parole tutto l’affetto che provava in quel preciso istante. << Veramente… come non mi è mai piaciuto nessuno. E non hai idea di quanto sia stato difficile dire una cosa del genere, perché sinceramente sono terrorizzato >>
Suo malgrado, Carol arricciò le labbra in un triste sorriso, afferrando dolcemente la mano del compagno di squadra.
<< Perché tutto ha a che fare con la paura >> disse con voce flebile, aprendo gli occhi e tornando a fissarlo. << La paura di essere soli, la paura che accada qualcosa senza essere interpellati. Ma la peggiore di tutte è la paura di scegliere e sbagliare. Si desidera qualcuno che conosci appena, lo si vuole ad ogni costo. Ma puoi ottenerlo solo se prendi anche tutta la sua vita. E da qui, beh..nasce l'incertezza... >>
<< Perché potrebbe rivelarsi un errore >> concluse Peter.
Lei annuì. E, inconsapevolmente, entrambi si ritrovarono a specchiarsi l’uno negli occhi dell’altra, incapaci di distogliere lo sguardo.
<< …Io ti accetterei >> disse infine Peter, interrompendo la quiete di quel momento.
Carol sorrise. Un sorriso triste, ma genuino al tempo stesso. Quasi di sollievo.
<< So che lo faresti. E gli altri? >> chiese con tono vagamente ironico.
Il vigilante si avvicinò a lei. Erano a pochi millimetri l’uno dall’altra.
<< Non m’importa >> sussurrò sul volto della donna, gli occhi adornati da un luccichio determinato quanto risoluto.
Carol gli accarezzò il mento con la mano destra.
<< Ragazzo sciocco >> borbottò a bassa voce.
E poi, si porse in avanti, intrappolando Peter in un bacio affamato.
Da principio lui non rispose. Non poteva! Forzò il suo cervello a comprendere quello che era successo, che questa volta era stata proprio lei a cominciare tutto.
Quando arrivò a quella consapevolezza, chiuse gli occhi e strinse a sé la figura della donna, assaporando ogni secondo di quel contatto.
Si sciolsero lentamente l’uno dall’altra, contrariati, come se i loro corpi non avessero ancora compreso quello che i loro cervelli avevano già pattuito da tempo.
Lui vide negli occhi della bionda la stessa domanda che probabilmente Carol stava leggendo nei suoi : “ Vuoi farlo davvero?”
“ Sì” fu la risposta che attraversò la mente di entrambi.
La donna porse la testa in avanti ancora una volta, afferrando la testa dell’adolescente con una mano  e usando l’altra per tirarlo verso di lei.
Peter sentì qualcosa di caldo risvegliarsi dentro di sé. Tutti i suoi sensi erano stimolati. Sentì l’odore dei suoi capelli, e le sue labbra gustarono il sapore leggermente salato della pelle…solo che ora non erano più seduti. Si erano sdraiati.
Le mani di Peter si fecero strada sotto la maglietta di Carol, accarezzandole i fianchi e cominciando a salire verso l’alto.
La donna sussultò, bloccandosi come un cervo catturato dai fari.
<< Peter, aspetta… >>
La bocca del ragazzo fu sulla sua, come se volesse obbligarla al silenzio. Si rilassò, e per un attimo pensò che stava semplicemente seguendo gli ordini impartiti dal suo corpo, che era stanca a causa dell’allenamento, ed era disposta a lasciarlo fare, piuttosto che fare a sua volta. E con una certa vergogna, le venne anche in mente che questo serviva a diminuire un po’ la sua colpa.
“ Non ho potuto aiutarlo”, si sentì dire. È stato lui a fare tutto.
Ma dopo quello che sembrò un tempo interminabile…anche la sua bocca cominciò a muoversi contro quella del ragazzo, facendo scattare la lingua tra le morbide labbra.
Poi, la donna cominciò ad armeggiare con la chiusura dei pantaloni, che caddero a terra. Allo stesso tempo, Peter tirò in alto il tessuto della maglietta, e lei alzò le braccia per facilitargli il compito.
L’adolescente alzò lo sguardo…e si bloccò. Carol era sopra di lui, con la pelle scoperta e madida di sudore, luccicante sotto il flebile raggio di sole che, passando dalla finestra del salotto, illuminava la stanza.
Era bellissima. Come un’opera d’arte, fu lo scontatissimo paragone che gli venne in mente.
Come se lo avesse letto nel pensiero, la donna sorrise. Con le mani ancora tra i suoi capelli, lo baciò sulla fronte, sugli occhi, sulla punta del naso.
Lui gemette, mentre la donna muoveva le labbra dietro il suo orecchio, il suo collo. Al contempo, cominciò a sbottonargli la camicia. Pensò di fermarsi ,sapendo che quello che stavano facendo sarebbe stato mal visto agli occhi della squadra,ma non se ne preoccupò oltre.
Ormai i vestiti erano spariti. E anche la biancheria era sparita.
Con gli occhi chiusi, Peter sentì Carol prendergli la testa fra le braccia, e qualcosa di morbido contro il suo viso. Con distaccata sorpresa, capì dalla posizione che si trattava di uno dei suoi seni, e che aveva un capezzolo eretto contro le labbra.
Carol gemette sommessa e cominciò a dondolarsi lievemente avanti e indietro. Con la punta delle dita che gli sfiorava il mento e il collo.
Peter si rilassò, felice di non dover fare nulla, di lasciare che fosse lei a portare a termine il tutto. Quando lei gli si spostava tra le braccia, non opponeva resistenza, lasciandole dove lei le appoggiava.
Non fece nulla, e quando reagì, per l’eccitazione del momento, fu solo perché non potè più trattenersi.
Entrò dentro di  lei, e cominciò a muoversi lentamente.
Fu la sensazione più bella che avesse mai provato. Si sentì scivolare, come se le sue dita avessero lasciato l’orlo di un precipizio fatto di dura realtà, per poter cadere…cadere…attraverso morbide nubi di pura beatitudine, fino all’oceano del piacere, dalle lunghe onde.
Lei  gli strinse la testa tra le mani, assecondando ogni suo movimento con i fianchi .
<< Oddio, Peter >> sospirò tra i gemiti, mentre il suo corpo cominciò a illuminarsi di un debole bagliore dorato.
<< Carol… >> sussurrò l’altro,infilandole le dite tra i capelli e spingendole la testa all’indietro, fino a scoprire il collo.
La donna sembrava instancabile, e lui non voleva che lei si fermasse. A parte l’intensità dell’atto sessuale, provava ancora la stessa sensazione di poco prima : la completa felicità di un bambino totalmente passivo.
Poi, Carol si tese, gemendo e scivolando all’angolo del divano, contraendosi contro di lui.
Peter provò a resistere ancora un po’, ma le sue urla si unirono a quelle di lei, mentre entrambi raggiungevano l’orgasmo .
La donna gli  cadde addosso, abbracciandolo  per la vita e stringendolo a sè.
Peter non potè reagire, ma in fondo non desiderava altro che restare con la testa appoggiata nell’incavo della sua spalla, con il braccio steso sul suo petto, lasciando che lei gli accarezzasse i capelli.
Sorrisero entrambi, guardandosi negli occhi un’ultima volta, incapaci di credere a quello che era appena successo.
Appena un minuto dopo, entrambi sprofondarono nel sonno.
 
 
Com’era? Spero bello!
Nel prossimo capitolo, Carol e Peter dovranno venire a patti con ciò che è successo e trovare un modo per affrontare le possibili conseguenze.
Inoltre, incontreremo il villain della storia. Si tratta di uno dei miei cattivi preferiti di Spiderman, così come uno dei più crudeli e pericolosi.
Vediamo se indovinate chi è…

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Capitolo 3
*** The Monster ***


Ecco qui un nuovissimo capitolo!
Ho realizzato un Fan-Trailer per questa storia, che potete trovare nelle note a piè di pagina.
In questo aggiornamento, oltre ad incontrare colui che sarà il villain principale della fic, avrete modo di notare alcune facce familiari provenienti dal film Spiderman Homecoming. Se non le riconoscete, vi consiglio di leggere le note a fine capitolo. I fan dei comics noteranno sicuramente una citazione a Gotham che mi sembrava molto adatta alla situazione.
Detto questo, vi auguro una buona lettura!
 


The Monster
 

C'era una volta, ma non molto tempo fa, un mostro in pelle umana che viveva a New York.
Uccise una domestica di nome Alma Stroode quando aveva appena undici anni, la madre appena due giorni dopo, facendola cadere dalle scale, e un compagno di scuola di nome Dandy Mott nell’autunno del 2005; la direttrice di un orfanotrofio di nome Laurie Curtis nell'estate del 2010, e infine una studentessa liceale di nome Manuela Calderon, nel 2012. Forse pure il padre, ma la cosa non venne mai confermata dai media.
Non era un mostro convenzionale. Di certo non era un vampiro o un Ghoul, o una qualche innominabile creatura evocata direttamente dai meandri più reconditi dell’inferno, magari da una sorta di culto satanico.
Era semplicemente un ragazzo dai folti capelli rossi che si chiamava Cletus Kasady, e aveva dei disturbi mentali e sessuali che lo perseguitavano fin dalla tenera età.
Dopo essere stato catturato, gli vennero attribuiti un totale di cinque ergastoli e la pena di morte, prima che fosse internato nella prigione di Ryker’s Island.
Ci fu scalpore, naturalmente, ma soprattutto si fece festa in tutta la città, perché il mostro che aveva tormentato tanti sogni era stato finalmente preso, e non avrebbe più potuto fare del male ad anima viva.
Gli incubi della popolazione newyorchese erano stati accantonati, apparentemente per sempre.
Tuttavia, nonostante il tempo trascorso da quegli orribili eventi, c'era sempre qualche padre o madre, o forse qualche nonno, che cercava di mettere in riga i bambini dicendo loro che, se non avessero fatto i bravi, sarebbe venuto Cletus Kasady a prenderli nel sonno.
Una tattica piuttosto efficace, dato che i suddetti  pargoli si zittivano all’istante, guardando fuori dalle finestre scure e pensando al serial killer dai capelli rossi, a Cletus Kasady, il mostro di New York.
 << È la fuori. E se non fate i bravi, vedrete la sua faccia alla finestra della vostra camera quando tutti gli altri in casa staranno già dormendo. Vedrete la sua faccia sorridente che vi guarda da dentro l'armadio nel cuore della notte, il coltello che usava per uccidere le proprie vittime... perciò fate silenzio, bambini.... fate silenzio >>.
Ma in generale, la leggenda di Cletus Kasady era stata per lo più accantonata, il semplice ricordo di un passato lontano e terribile.
Dopo l’invasione di New York… dopo Ultron e Thanos…un pazzo maniaco che uccideva persone per divertimento non era più considerato una notizia degna di nota.
 C'erano ancora degli incubi, questo sì, bambini che di notte non riuscivano a dormire e la casa di Kasaday fu subito giudicata stregata e prudentemente evitata.
Ma quelli erano fenomeni passeggeri, forse inevitabili corollari di una catena di delitti insensati.
E il tempo passò. Quindici anni. Il mostro non c'era più, il mostro era stato internato, incapace di nuocere. Cletus Kasady diventò polvere negli annali della città che non dorme mai.
Solo che i mostri non possono essere rinchiusi per sempre. E Cletus Casady tornò a terrorizzare New York nella primavera del 2025.
Il penitenziario statale in cui si trovava attualmente non era migliore o peggiore, ne architettonicamente più attraente o deprimente di qualsiasi altra prigione di massima sicurezza dello stato di New York. Questo significava che, per il metro di giudizio di chi viveva in istituti squallidi come quello, stava tra lugubre e brutto come il peccato.
Chi vi risiedeva, che fosse condannato a rimanerci per poco o tanto tempo, tendeva ad esser duro e spietato come la terra su cui era stato edificato.
Pochi pesci piccoli osavano alzare le mani o la voce in mezzo a quella popolazione ringhiante, i cui membri autorevoli preferivano spaccar teste, più che farle ragionare. In altre parole, si poteva dire che a Ryker’s Island ci fossero più teste rotte che teste matte.
Tra i più attivi nel menar le mani si poteva contare proprio Cleus Kasady, che ora sedeva su una branda in un angolo di quell'inferno sulla terra, a guardare la parete di fronte.
La vista dell'intonaco macchiato e del cemento non era niente di eccezionale, ma sempre meglio che fissare uno dei tre uomini in piedi lì attorno. Due indossavano le uniformi, il terzo no.
“No”si corresse. “Non è del tutto vero”. In realtà, tutti e tre ne indossavano una. Ma era deprimente guardarli, perchè due di loro si erano fermi ai lati delle solide sbarre di ferro che lo confinavano nella sua gabbia, mentre il terzo poteva uscirne quando voleva.
La società preferiva chiamare cella quella sua dimora sempre più temporanea. Lui la pensava diversamente, ma si trattava sempre di un sostantivo femminile.
Due dei tre individui liberi erano secondini. Armati con delle manette di metallo in mano, osservavano cautamente ciò che stava accadendo dall'altra parte delle sbarre.
La loro postura e loro espressioni riflettevano la preoccupazione di uomini duri, perfettamente consci del fatto che qualsiasi momentaneo rilassamento nel compiere il loro dovere quotidiano avrebbe potuto comportare dolore, ferite o morte.
Non avevano ottenuto il loro posto attuale a Ryker’s Island perché non ce n'erano come neurochirurghi o scienziati aereospaziali. Non che fossero ignoranti: solo che, nel loro lavoro, i muscoli e l'agilità fisica erano utili alla sopravvivenza più delle abilità mentali, che, di solito, non erano particolarmente importanti.
Ad ogni modo, la loro capacità cranica era mediamente superiore a quella di coloro che dovevano tenere a bada. Al di là di poche eccezioni.
Il triumvirato era completato da un uomo che si trovava appena dentro la cella.
Le sue parole lo descrivevano, anche se l'essersi occupato di molti ospiti di quel carcere, attuali e precedenti, l'aveva reso più duro.
Nel corso degli anni, la recitazione tradizionale dei versetti biblici era diventata per lui una monotona nenia, sfiorata più da una speranza bastarda e dura a morire che non da una vera aspettativa.
Anche se l'ottimismo di quel sacerdote non era stato del tutto stroncato dalla brutalità che gli esseri umani riuscivano a scaricarsi addosso, il suo spirito era stato più volte schiacciato e preso a pugni da una quantità demoralizzante di duro realismo, e ora non aveva più alcun legame con ciò che ci si aspettava da chi dedica la sua vita alla chiesa. In poche parole, la sua fede era massacrata.
<< Sì >> intonò meccanicamente. << Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male… >>
“Stupido”pensò Cletus. “Stupido e inutile. Dovrei aver paura di me stesso?”
Perché, non era forse lui il male incarnato? Non glie l'aveva detto quello stronzo di un giudice, acclamato da un pubblico viscido e fremente? Se quello era il loro verdetto su di lui, doveva essere vero, no?
Aveva perso da molto tempo il desiderio di opporsi al giudizio della società. Aveva questo in comune con la parete di cemento che stava fissando. Erano entrambi solidali e impenetrabili. Ma le loro somiglianze si fermavano lì.
<< ...perchè tu sei con me >> proseguì il prete, senza slancio.
Perché non può starsene semplicemente zitto? Perché lui, o chiunque altro, doveva passare sempre un minuto di troppo nelle profondità di quel grigio stagno di umanità?
<< Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza >>
Ecco un passo che comprendeva bene.
“Dammi un bastone” pensò con ironia, “e poi sarà meglio che ti levi di mezzo. Dammi una possibilità…”
Step!
Se i pavimenti lucidi e i solidi corridoi avevano un pregio, questo era la loro eccellente acustica.
La cosa poteva rivelarsi spiacevole, quando qualcuno prendeva a urlare incessantemente, un'attività non così fuori dal comune a Ryker’s Island. Ma l'edificio poteva anche amplificare il suono dei passi, e fu proprio un rumore di questo tipo a far lanciare a Cletus un occhiata rapida verso l'esterno. Appena in tempo, osò pensare.
Una sfocatura argentea si avvicinò rapida alle due guardie. Queste non ebbero nemmeno il tempo di comprendere la situazione, mentre una lama veniva conficcata nelle loro gole.
Il sangue cominciò a scorrere copiosamente, mentre il prete balzò dal posto a sedere per la sorpresa.
Un attimo più tardi, quattro figure vestite con equipaggiamenti militari, armate fino ai denti, presero posto di fronte alla cella di Cletus.
Uno di loro, più esile degli altri e dalla corporatura visibilmente femminile, diede un rapido sguardo all'interno della gabbia.
Estrasse una pistola Calibro 25 dalla cintura dei pantaloni e sparò al prete dritto al cuore.
L’uomo venne sbalzato contro il muro e cadde a terra, come una marionetta a cui erano stati appena tagliati i fili. Il tutto sotto lo sguardo impassibile di Cletus.
Poi, la misteriosa figura poggiò qualcosa di grigio e rettangolare sulla serratura della porta.
Pochi secondi dopo, le sbarre di metallo vennero scardinate dalla parete...
 
                                                                                                                                                             * * * 
 
Carol sentiva tutto con estrema nitidezza, come per compensare dei mesi trascorsi nell’insensibilità più totale : il calore del corpo di Peter, la sua testa appoggiata sulla spalla, lui che le accarezzava lentamente la schiena e la pressione tra le gambe che l’aveva costretta a dormire un po’ storta.
Il profumo dei suoi capelli, dolce, e quello più aspro del sudore e del sesso. Il respiro appena sibilante, accompagnato dai suoni della città.
Quando si svegliò, la donna allungò una mano, ma di Peter neanche l’ombra. Restava solo una lieve impronta nei cuscini del divano.
La luce che penetrava dall’esterno era più calda, intensa. E la sveglia segnava le 7:00 del mattino.
Si mise a sedere sul divano e si massaggiò le palpebre. Sembrava che qualcosa le tirasse gli occhi da dentro. Le tempie e la nuca le pulsavano.
Dio, era passato davvero un sacco di tempo dall’ultima volta che aveva fatto sesso, e ancora di più da quando lo aveva fatto con qualcuno che potesse sostenere la sua biologia avanzata senza stancarsi.
Lasciò scivolare lo sguardo per la stanza, finchè i suoi occhi non atterrarono sull’accappatoio che teneva appeso vicino alla porta del bagno.
Sì alzò dal divano, lo indossò, e poi si trascinò in cucina.
Peter era lì, completamente vestito, il viso pulito e i capelli leggermente spettinati, con una tazza di caffè in mano. Doveva essersi alzato da poco anche lui.
<< Ciao >> le disse, voltandosi con un sorriso raggiante. << Hai fame?>>
Prima che Carol potesse rispondere, il ragazzo andò all’unico fornello presente nella stanza, dove c’era un torre di frittelle in attesa.
<< Mi sono preso la libertà di saccheggiare il tuo frigo. Ho fatto i pancake, spero che ti piacciano >>.
Carol aveva fame, in effetti. E quello che avrebbe voluto fare sarebbe stato dirgli : “ andiamo a mangiare fuori” . Poi sarebbero tornati a fare sesso, fino ad addormentarsi. E lo stesso il girono dopo. E il giorno dopo ancora.
Ma in fondo sapeva che non sarebbe stato molto pratico, quindi si limitò a restituire il sorriso.
<< Li adoro >> rispose dopo un attimo di silenzio, riferendosi ai pancake.
Se possibile, il sorriso sul volto di Peter sembrò farsi più grande.
Con superba maestria, probabilmente dovuta alle sue capacità di ragno, fece atterrare un paio di piatti sulla superficie del tavolo presente nella cucina, senza mai distogliere lo sguardo dalla torre di pancake che aveva di fronte. Al contempo, versò una bottiglia di sciroppo sulle frittelle e, dopo averle divise a metà, le poso su ambe i piatti con un balzo.
Poi, si accovacciò con i piedi su una delle sedie…e attese.
Con un roteare degli occhi, Carol prese una forchetta, tagliò un pezzo di pankake e se lo portò alla bocca.
<< Allora, come sono? >> chiese Peter, mentre la donna masticava la colazione con gusto.
Inghiottì la frittella in pochi secondi e lanciò al ragazzo un sorriso vagamente impressionato.
<< Davvero niente male. Supereroe e pure cuoco provetto! Farai strage di cuori >> disse con un occhiolino malizioso.
Il vigilante arrossì d’istinto e cominciò a grattarsi la testa con fare imbarazzato.
Poi, estrasse una seconda tazza dalla credenza della cucina.
<< Vuoi lo zucchero nel tuo caffè? >>
<< Lo prendo nero >> rispose la donna, internamente soddisfatta dalla premura che l’adolescente stava mostrando nei suoi confronti. Era sintomo di grande maturità e giudizio, due qualità che aveva sempre apprezzato.
Peter le porse la tazza, si sedette di fronte a lei e cominciò a mangiare.
Dopo un po’, si rese conto che Carol lo stava osservando, le labbra ancora arricciate in un caldo sorriso.
<< C-che c’è? >> balbettò incerto. Si tirò mentalmente una pacca sulla fronte.
Dio, come poteva essere così nervoso di fronte a lei, anche dopo quello che avevano fatto la notte prima?
Carol ridacchiò, apparentemente divertita dalla domanda del ragazzo.
 << Non è niente >> rispose, stringendosi nelle spalle. << È solo che...bhe, anche se sei molto giovane…devo ammettere che non mi sentivo così bene da tantissimo tempo >> sussurrò quasi a se stessa.
Il rossore sul volto di Peter si fece ancora più accentuato.
Quasi a voler nascondere il proprio imbarazzo, l’arrampica-muri cominciò a bere il suo caffè in tutta fretta, mentre la donna si limitò a sorseggiare il proprio con calma professionale.
Rimasero in un confortevole silenzio per i successivi cinque minuti.
Finito quel lasso di tempo, Peter alzò la testa in direzione di Carol. Sentendo gli occhi dell’adolescente su di lei, la supereroina incontrò pazientemente il suo sguardo.
<< Perdonami, se ti sembro indiscreto… >> cominciò Peter, con tono apparentemente casuale. <<  Ma muoio dalla voglia di saperlo. Esattamente…quanti anni hai? >>
La domanda sembrò prendere la bionda in contropiede. Dilatò le pupille, visibilmente sorpresa, e ciò spinse il vigilante ad arrossire ancora di più.
<< Scusami, so che non si dovrebbe mai chiedere a una donna la sua età, ma ero curioso e…>>
<< Sessanta >> rispose lei, interrompendo le divagazioni dell’adolescente.
Questi si strozzò con la propria saliva, fissando la mezza-kree come se le fosse spuntata all’improvviso una seconda testa.
<< E-eh? >>
<< Sono nata il 25 Luglio del 1965 >> continuò Carol, prendendo un altro sorso di caffè dalla propria tazza.
Peter aprì e chiuse la bocca un paio di volte. Sembrava del tutto incapace di trovare le parole giuste per commentare una simile affermazione.
<< Te li porti…ehm…molto bene >> disse dopo quasi un minuto di completo silenzio.
Carol rimase ferma e immobile, fissandolo con una tale intensità che, per un attimo, il vigilante credette di aver firmato la sua condanna a morte.
Poi, con sua grande sorpresa…la donna scoppiò a ridere. Quella stessa risata musicale che aveva udito così poche volte, e solo quando erano l’uno in compagnia dell’altra. Una risata che sembrava riservata solo a lui.
<< Mi stai prendendo in giro, non è vero? >> borbottò Peter, incrociando ambe le braccia davanti al petto e fissandola con un broncio.
Carol continuò a ridere un altro po’, prima di asciugarsi le lacrime che rischiavano di fuoriuscirle dagli occhi.
Fatto questo, porse al vigilante un altro dei suoi sorrisi.
<< No, non proprio. Ho davvero sessant’anni! Bhe, dal punto di vista terrestre, almeno. Tuttavia, la mia biologia kree mi permette di invecchiare molto più lentamente di qualsiasi altro essere umano. Biologicamente parlando, dovrei avere sì e no ventisei anni >> spiegò con tono di fatto, mentre Peter ascoltava il tutto con un’espressione meravigliata.
La cosa non passò di certo inosservata alla bionda.
<< Cosa c’è? >> chiese con lo stesso tono incerto che Peter aveva usato solo pochi minuti prima.
In tutta risposta, l’adolescente le inviò un sorriso caldo e gentile.
<< No, è solo che…sei incredibile. Dico davvero >> sussurrò con convinzione, come se stesse affermando una verità universale.
Questa volta, fu Carol ad arrossire intensamente.
<< Grazie. Anche tu non te la cavi male >> rispose dopo qualche attimo di silenzio, portandosi la tazza alle labbra per nascondere l’imbarazzo. Certo, non era la prima volta che riceveva complimenti di questo tipo, ma il modo con cui Peter l’aveva indirizzata era sembrato così…genuino…vero...sincero, come mai prima d’ora.
<< E adesso? >> chiese il vigilante all’improvviso, attirando ancora una volta l’attenzione della donna.
<< Adesso cosa? >> domandò lei, il volto adornato da un’espressione confusa.
Peter si mosse incerto sulla sedia.
 << Tutto questo…dove ci porterà? >>
“ Ah…quello” pensò Carol, capendo dove voleva andare a parare. Era ben consapevole del fatto che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare “ l’elefante della stanza” , ma in cuor suo sperava che ciò sarebbe avvenuto con un minimo di preavviso, e non durante la colazione.
La donna rimase in silenzio per quello che sembrò un tempo interminabile, prima di prendere un respiro profondo.
<< Non sono così cieca da pensare che una cosa del genere potrebbe funzionare apertamente >> disse con tono di fatto, suscitando un cenno del capo ad opera di Peter.
<< No, nemmeno io >> acconsentì il vigilante, sorprendendola non poco.
Si era aspettato un minimo di protesta, magari qualche idealistico discorso basato sulla tolleranza e il diritto di ogni persona all’amore…invece aveva accettato le parole di Carol senza nemmeno scomporsi. Sì, era decisamente molto più maturo di quanto gli aveva dato inizialmente credito, ma in fondo se lo sarebbe dovuta aspettare. Dopotutto, era probabilmente il membro più intelligente dei Vendicatori, e rispetto alla maggior parte dei suoi coetanei…bhe, aveva affrontato esperienze che solitamente erano riservate a veterani di guerra.
<< Quindi… >> cominciò incerta.
<< Quindi… >> fece eco lui, sorridendo furbescamente.
Suo malgrado, Carol si ritrovò a fare altrettanto.
<< Dio, è una situazione così strana >> borbottò quasi a se stessa. << Mi sono presa una cotta per un ragazzo di diciotto anni. Non hai nemmeno l’età per bere legalmente >>
 << La scorsa notte non sembrava preoccuparti più di tanto >> ribattè Peter, ricevendo in cambio un’occhiataccia da parte della donna. << Va bene, è stata un’uscita abbastanza stupida >>
<< Solo un pochino >> disse lei, arricciando ambe le labbra in un ghigno divertito.
Peter rilasciò un sonoro sbuffo, scrutandola con circospezione.
Incontrò ed evitò il suo sguardo un paio di volte, quasi come se volesse domandarle qualcosa ma non trovasse le parole giuste per esprimersi.
<< Per curiosità…sono stato bravo? >> chiese all’improvviso, suscitando un sopracciglio inarcato ad opera di Carol.
Il vigilante arrossì intensmanete.
<< Sai…ieri notte… >>
<< Mi stai chiedendo se ho avuto un buon sesso? >> ribattè l’altra, incrociando le braccia davanti al petto e fissandolo con un sorriso canzonatorio.
Il volto dell’adolescente divenne color cremisi.
<< N-non devi rispondere per forza, c-come ho detto e-ero solo curioso >> balbettò, cercando in tutti i modi di evitare gli occhi della bionda.
Di fronte ad una simile visione, Carol decise di avere pietà di lui.
 << Sì, sei stato…molto bravo, in realtà >> disse con una scrollata di spalle, ricevendo uno sguardo sorpreso dall’arrampica-muri.
In quel preciso istante, un’idea maliziosa cominciò a farsi strada nella mente della donna.
Sì alzò di scatto dalla sedia, facendo sussultare il vigilante. Poi, cominciò a far scorrere il dito indice sulla superficie del tavolo, mentre camminava con passo lento e marcato verso la figura del ragazzo.
<< Anzi, se devo essere sincera…mi hai davvero sorpreso >> sussurrò sensuale, per poi sedersi sul grembo di Peter.
Questi deglutì una seconda volta, mentre Carol sorrise vittoriosa e prese ad accarezzargli la guancia.
<< C’è qualcosa che non mi stai dicendo, ragazzo ragno? Qualche ex ragazza di cui nemmeno lo Shield è a conoscenza? >>
Peter sentì il proprio corpo andare a fuoco, rabbrividendo sotto i tocchi delicati della bionda.
“ Questo gioco si può fare in due” pensò con irritazione, consapevole del fatto che la donna stesse cercando di stuzzicarlo.
<< Bhe, ci sarebbe Karen… >> rispose con tono evasivo, sorprendendo Carol.
<< Karen? >> chiese lei, arricciando il volto in un cipiglio scontento.
Peter le inviò un ghigno impertinente.
<< L’intelligenza artificiale della mia tuta >> spiegò, con una scrollata di spalle. << È stata una cosa molto breve, però, alla fine abbiamo convenuto entrambi che non sarebbe potuta durare >>.
Carol rimase in silenzio, mentre la sua espressione corrucciata lasciava lentamente posto ad uno sguardo impassibile.
Peter cominciò a sudare, notando che la presa della donna si era fatta molto più forte.
Chiuse gli occhi, preparandosi a ricevere una qualche forma di ripercussione fisica, magari un pugno in testa.
Invece, Carol cominciò a ridere ancora una volta. Non una risata a sue spese, come la precedente, ma una di genuino divertimento, una serie di rintocchi musicali che risuonarono per tutta la stanza come gocce d’acqua a contatto con una lastra di vetro.
Il terrore lasciò presto il posto alla gioia più pura.
<< Mi piace la tua risata >> disse con un placido sorriso, mentre la donna lo fissava con la testa leggermente inclinata di lato.
<< Ah, sì? >> chiese con tono malizioso, porgendosi in avanti.
<< Sì >> rispose il vigilante, mentre la supereroina continuava ad accorciare la distanza che li separava.
<< Sì? >> sussurrò di nuovo. E questa volta, quando Peter fece per rispondere, la donna posò le proprie labbra sulle sue, intrappolandolo in un bacio dolce e gentile.
Non era un gesto derivato dalla lussuria, né da un tentativo di conforto, ma una manifestazione d’affetto pura e semplice. Una condivisione di pensieri e sensazioni che solo loro due avrebbero potuto comprendere fino in fondo.
Dopo quasi un minuto, Carol si staccò per permettergli di riprendere fiato e tornò ad accarezzare il volto dell’adolescente.
<< Pensi che tutto questo potrebbe durare? >> chiese con un sorriso triste.
Peter dilatò le pupille, preso in contropiede dalla domanda della donna.
Rimase in silenzio per un po’, alla ricerca delle parole giuste per rispondere ad un simile dilemma. Dopotutto, era una domanda che aveva attraversato anche la sua mente, durante gli ultimi giorni.
<< Penso di sì >> rispose quasi subito, sorprendendo Carol ancora una volta.
Notando la sua espressione sbigottita, il vigilante prese un respiro profondo.
<< Carol, forse ci sono cose che ci giocano contro, e ogni tanto combineremo qualche casino, ma…bhe, questo lo fanno tutti >> disse con una scrollata di spalle. << La differenza è che io cercherò, con tutte le mie forze…di far sì che questa cosa funzioni >>.
Posò ambe le mani sulle spalle della mezza-kree, fissandola intensamente.
<< Io voglio poter essere l’uomo che ogni tanto tu hai visto in me. E ti prego di non negarlo, so che l’hai fatto >> continuò rapidamente, notando che la bionda stava per aprire bocca.
<< Va bene, sono negli anni bisestili…ma io voglio essere quell’uomo! Anche solo per te >> sussurrò, cercando di riversare in quelle parole tutto l’affetto che provava per la donna di cui si era innamorato.
Lei ascoltò ogni parola con fare rapito, inconsapevole che il suo cuore aveva cominciato a battere molto più in fretta del solito.
Nel mentre, Peter prese un altro respiro profondo.
<< Perché la verità è che…che tu mi piaci. Mi piaci molto >> riprese, posando delicatamente una mano sulla guancia di Carol.
<< E per questo troverò un modo. Credimi, ci riuscirò. Tu…devi solo darmi una possibilità >> terminò, lanciando alla donna uno sguardo colmo di determinazione.
Questa rimase ferma e immobile, scrutando l’adolescente da capo a piedi, nel tentativo di identificare o meno la minima traccia d’inganno o bugia.
Voleva…farlo davvero? Un ragazzo in età puberale le stava seriamente chiedendo di intraprendere una relazione con lei? Se si fosse trattato di una qualsiasi altra persona, Carol avrebbe probabilmente liquidato la faccenda come una semplice fantasia adolescenziale.
Ma la persona con cui stava parlando…non era un semplice adolescente. Era qualcuno che per tre volte aveva perso una figura paterna, che era stato costretto a combattere una guerra per la salvezza di coloro a cui teneva, che era morto per quell’obbiettivo, e che era tornato in vita solo per tornare a combattere, senza mai tirarsi indietro.
Era una delle persone più coraggiose, gentili e leali che avesse mai incontrato. E si sarebbe fidata di lui con la propria vita.
<< Nessuno dovrà saperlo >> disse dopo un momento di silenzio.
<< Assolutamente >> rispose Peter, annuendo rapidamente.
<< Soprattutto il resto della squadra >> continuò la donna, indicandolo minacciosamente.
Il vigilante deglutì una terza volta.
<< Capito, al centodieci per cento >> disse nervosamente.
Carol sorrise soddisfatta, prima di afferrargli il mento con delicatezza.
<< Vieni qui >> sussurrò, baciandolo dolcemente sulle labbra.
Peter, inizialmente sorpreso, chiuse gli occhi e rispose al bacio, avvolgendo le braccia attorno alla sua schiena e stringendola a sé.
Rimasero così per i successivi dieci minuti, come se ormai non potessero più fare altro, fino a quando un sonoro Bip! , proveniente dalla tasca dai pantaloni di Peter, attirò l’attenzione di entrambi.
Carol gemette per il fastidio, mentre il ragazzo procedeva ad estrarre il cellulare e a leggere il messaggio che aveva appena ricevuto.
Quando ebbe finito, il suo volto impallidì.
<< Oddio… >>
<< Che cosa? >> chiese l’altra, visibilmente preoccupata.
Peter rilasciò un sospiro rassegnato.
<< Non ho detto a mia zia che avrei passato la notte fuori >> borbottò a bassa voce.
Carol sembrò inizialmente costernata dalla notizia, prima di arricciare le labbra in un ghigno divertito.
<< Bhe…Sembra che questa relazione ti abbia già procurato dei guai, spider-boy >>
<< Ugh >>.
 
                                                                                                                                                     * * *  

Il salone era illuminato da faretti e neon bianchi, di quelli che di solito si piazzano a caso, accanto a una sedia o in un angolo.
L’unica decorazione appesa ai muri era un disegno incorniciato: un ritratto di New York.
Il proprietario del complesso l’aveva comprato direttamente dall’artista in un caldo pomeriggio , e lo riteneva superiore alla versione definitiva.
I cinque criminali osservarono il tutto con fare incuriosito, ognuno di loro legato ad una carriola.
Erano stati tutti prelevati da Ryker’s Island, drogati e trasportati in quel luogo nella frazione di appena un’ora.
Chiunque fosse stato a farli evadere…di sicuro sapeva cosa stava facendo.
C'erano Cletus Kasady, la coppia di rapinatori Phineas Mason e Herman Schultz ( meglio conosciuti al grande pubblico come Tinkerer e Shocker ), il trafficante di armi Mac Gargan,  e Adrian Toomes, supercriminale noto ai media con il soprannome di Volture ( o Avvoltoio ), catturato da Spiderman in persona nell’ormai lontano 2017.
<< Dove diavolo siamo finiti? >> domandò Phineas, alla destra di Cletus.
Il Serial Killer si strinse nelle spalle
<< Bhe, sicuramente non siamo più a Ryker’s Island  >> commentò, prima di chiudere il volto in un sorriso maniacale. << Per quanto mi riguarda, la situazione è già migliorata! >>
In quel preciso istante, la figura di un uomo entrò nella stanza. A prima vista sembrava sui quaranta, ma a guardarlo bene doveva avere molti più anni. Gli occhi avevano la lucentezza sbiadita del vetro di mare : erano occhi misteriosamente vecchi.
Il viso era lungo e tormentato, incorniciato da folti capelli rossi, con denti bianchi e immacolati. Era il genere di faccia che qualcuno avrebbe potuto definire “ da donnola”, immaginò Cletus, ma di profilo non sarebbe stato male su una moneta.
A seguirlo fu una bella donna dai folti capelli d’argento e la carnagione pallida, vestita con un’uniforme da guardia del corpo.
<< Buongiorno a tutti voi >> salutò l'uomo, il tono di voce calmo e gentile
<< Il mio nome è Norman Osborn, e questa è la mia assistente, Sable >> disse indicando la compagna.
Come a un segnale, il gruppo di detenuti scoppiò in una lunga serie di mormorii, prima di essere interrotti da un rapido gesto del loro misterioso rapitore.
<< Capisco molto bene che al momento possiate sentirvi un po' confusi...un po' spaventati...magari anche un po' intontiti. Chiunque, al vostro posto, proverebbe certe cose. Ma vi prego di tranquillizzarvi! Perchè? Beh, perchè oggi...vi assicuro che è l'inizio di un futuro radioso per tutti voi >> terminò, con un’espressione accomodante.
Toomes inarcò un sopracciglio
<< E lei chi dovrebbe essere? >> domandò, visibilmente incuriosito.
Il rinomato Norman Osborn prese un respiro profondo.
<< Oh, no, signor Toomes, questa non è la domanda che dovrebbe rivolgermi. La vera domanda è: chi siete voi? >> ribattè, passando la testa da parte a parte della sala.
<< Il mondo esterno vede in voi solo dei pazzi criminali. Persone dalla mente fragile, folle...sbagliata. Io no. Io vedo qualcosa di molto diverso. Vedo genialità...vedo inventiva...e potenziale. Vedo molto potenziale in ciascuno di voi >> disse con voce melliflua, soppesando brevemente lo sguardo su ogni membro della cricca.
Al sentire tali parole, Cletus non potè fare a meno di annuire in accordo
<< Sì...proprio così, amico! Cavolo, un discorso così inquietante sembra fatto apposta per me. Per quanto riguarda questi altri, non saprei...ma noi parliamo la stessa lingua>>
<< Calmati, Kasady >> sibilò Toomes, per poi fare cenno all’uomo di andare avanti.
<< La prego di continuare>> disse piacevolmente.
Norman sorrise, allargando ambe le braccia a mo’ di presentatore.
<< Per dirla senza mezzi termini…voglio offrirvi un lavoro >> disse dopo un attimo di silenzio, sorprendendo non poco la banda di malviventi.
<< Vorrei invitarvi ad immaginare uno scenario. Immaginate che un gruppo di geniali fuorilegge come voi ...venga scelto per partecipare ad un esperimento che vi renderà migliori. Più forti di quanto avreste mai potuto immaginare nei vostri sogni più sfrenati. Immaginate…che venga scelto per le abilità uniche che possiede…e che lavori in squadra per compiere qualcosa che cambierà per sempre il mondo che conosciamo >> continuò, prima di arricciare ambe le labbra in un sorriso carismatico.
<< Il mondo si inginocchierebbe ai nostri piedi >> terminò, facendo calare un silenzio di tomba nelle profondità della stanza.
Quando quel breve lasso di quiete giunse al suo termine, Toomes tossì un paio di volte, attirando l'attenzione dei presenti.
<< Bhe, tutto questo sembra fantastico...Norman. È questo il tuo nome, giusto?  Norman. Sembri una persona con un grande piano e tutto il resto, ma...riguardo a questa squadra delle meraviglie? Mi dispiace, ma, ecco...Credo che passerò. Vedi, non sono mai stato molto conforme a seguire gli ordini. In bocca al lupo, comunque, è un concetto intrigante...ma non fa di sicuro per me >> ridacchiò, suscitando un'espressione visibilmente tesa da parte di Sable.
Norman, d'altra parte, aveva un'aria completamente rilassata.
<< Questo è molto ...deludente >> commentò, stringendo ambe le palpebre degli occhi.
Inconsapevole del pericolo che stava correndo, il supercriminale inarcò un sopracciglio.
<< Oh, mi sembra giusto. Vuoi una ricompensa per averci fatto tutti evadere. Lo ammetto, te ne sono grato. Che te ne pare di un milione di dollari? Suona bene, eh? Mi ci vorrà un po' per racimolarli, ma ...>>
<< I soldi non sono un problema. Io..beh, avevo grandi aspettative su di te. Non avevo previsto il tuo orgoglio, e purtroppo quello è la causa di ogni male >> borbottò Osborn, avvicinandosi alla figura dell'uomo. << Sfortunatamente, qui non c'è posto per te. Mi dispiace. >>
E, detto questo, slacciò le cinghie della carriola, permettendo a Toomes di muoversi liberamente.
L’anziano cominciò a distendere la membra, prima di girarsi in direzione di Phineas e Schultz.
<< Nessun'altro vuol venire con me? >>
<< O, non credo che qualcuno di loro voglia andare dove stai per andare tu >> ribattè Norman, il tono di voce pericolosamente basso.
L'uomo non ebbe neanche tempo di chiedere il perché.
Accadde tutto nella frazione di appena un secondo.
Sable estrasse una pistola da sotto la giacca e sparò un colpo, trapassando la testa del malcapitato da parte a parte.
Toomes cadde pesantemente lungo le assi del pavimento, sotto lo sguardo scioccato dei presenti. Cletus, al contempo, scoppiò in una sonora risata, mentre Norman volgeva al gruppo un sorriso sornione
<< Allora! Qualcun' altro vuole andarsene? >>
 
 
Dum, dum, duuuuuuuum!
Innanzitutto, nel caso ve lo steste chiedendo, no, non è Norman il big villain della fic. Quel ruolo verrà ricoperto da Cletus…alias Carnage, probabilmente il cattivo più crudele e violento della Marvel, nonché acerrimo nemico di Spiderman e Venom. Nel caso non lo conosciate, immaginatevi Joker con i poteri di Venom : eccovi Carnage!
Ero davvero indeciso su quale cattivo utilizzare, perché sono davvero pochi gli avversari di Spiderman che possono costituire una minaccia per Carol e i Vendicatori tutti assieme. Norman era stato preso in considerazione nelle sue vesti di Green Goblin, ma alla fine ho convenuto che il personaggio fosse stato abusato in troppe fan fiction, e io volevo creare qualcosa di originale. Ecco perché ho deciso di lasciarlo nelle sue vesti di miliardario senza scrupoli ( prendendo soprattutto spunto da Ultimate Spiderman ), ma posso assicurarvi che sarà un personaggio molto importante per l’universo letterario che sto costruendo attorno ad Avengers : The King Of Terror. Questo è un po’ il suo debutto da villain.
Anche Mysterio era stato preso in considerazione, ma poi ho deciso che volevo distaccarmi il più possibile da Spiderman Far From Home, per non narrare una storia già raccontata.
Così mi sono chiesto : qual è un cattivo Marvel che ho sempre voluto trattare nelle mie storie? E allora ho pensato subito a Carnage!
Plus, recentemente è cominciata la saga Absolute Carnage, in cui l’intero universo Marvel è minacciato proprio da Cletus. Mi ha dato molte idee per rendere il personaggio una minaccia abbastanza letale da mettere in seria difficoltà anche Carol e il resto degli Avengers.
La parte finale è una rivisitazione di una scena prelevata dalla serie tv Gotham, più precisamente dall'episodio 2x01. E sì…ho ucciso Toomes. Ho amato il personaggio, in Spiderman Homecoming, ma lui non avrebbe mai lavorato per uno come Norman ( troppo simile a Tony Stark ) e volevo mostrare quanto lo stesso Norman fosse su un livello completamente diverso di cattiveria.
Sable, l’assistente di Norman, è una sicaria e avversaria di Spiderman, comunemente nota come Silver Sable. Phineas e Schultz ( Tinkerer e Shocker ), invece, sono gli aiutanti di Toomes in Spiderman Homecoming, mentre Mac Gargan è il trafficante di armi che Toomes aveva incontrato sul traghetto.
Per il resto, spero davvero che il rapporto tra Peter e Carol vi stia piacendo, ci sto lavorando davvero molto.
E qui, ecco il trailer della fan fiction : https://www.youtube.com/watch?v=N0xou51TK00&t=2s
Al prossimo capitolo !

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Capitolo 4
*** Prometheus ***


Ecco un nuovissimo aggiornamento!
Vi annuncio subito che la storia ha finalmente una sua copertina, che potete trovare all’inizio del primo capitolo.
Come al solito, vi invito a controllare le note a piè di pagina nel caso abbiate dei dubbi.
Vi auguro una buona lettura, e spero che troverete il tempo per lasciare un commento!
 


Prometheus
 
Contrariamente a quanto pensa la maggior parte del mondo, i due terzi dello stato di New York non erano costituiti da grattaceli, metropolitane affollate e spietati centri commerciali.
Mentre James Rhodes, alias War Machine, passeggiava tranquillamente per la base dei Vendicatori, avrebbe potuto benissimo ricostruire mentalmente la cartina geografica dell’intera regione: estesa dalla Pennsylvania fino al Vermont, consisteva in circa duecentocinquanta ettari di lussureggianti terreni pubblici e privati, disseminati di fiumi impetuosi, migliaia di laghetti e quarantasei chilometri di foresta, che la percorrevano fino alla costa. In poche parole, un luogo perfetto per costruire un complesso isolato e fuori dalla portata di occhi indiscreti.
Rhodey sapeva tutto questo, essendo dotato di quel genere d'intelligenza cristallina che automaticamente afferra, archivia e utilizza i dati significativi, tipica dei militari.
La base disponeva di diverse sale riunioni.
Dopo la ricostruzione, Rhodey aveva scelto uno spazio di media grandezza per gli incontri, quasi troppo piccolo per un gruppo di supereroi, ma sapeva per esperienza che le persone sedute vicine o si prendevano per i capelli o sviluppavano un forte spirito di collaborazione.
In nessun caso, comunque, avevano la possibilità di mantenere le distanze o d’intrattenersi su altri argomenti. Inoltre, era l’unica stanza a possedere un proiettore olografico che non richiedesse l’intervento di Tony per funzionare correttamente. Una vera fregatura, in poche parole.
Entrando nella sala, l’uomo fece una rapida conta dei presenti, tutti riuniti attorno ad un tavolo di forma ovale.
C’erano Carol Danvers, i coniugi Lang, Bucky Barnes, Sam Wilson, Bruce Banner, il giovane Peter Parker e perfino T’Challa, i cui doveri di sovrano lo tenevano spesso lontano  dalla squadra. Lo stesso si poteva dire per il Dottor Stephen Strange che, in quanto Stregone Supremo, era spesso impegnato ad occuparsi delle minacce di natura mistica che imperversavano nel mondo.
Wanda Maximoff, invece, aveva lasciato la squadra poco meno di un anno fa, desiderosa di trovare la propria strada. Una decisione che Rhodey aveva accettato senza contestazioni, considerando quello che la donna aveva passato durante la guerra contro Thanos.
L’uomo soppesò brevemente lo sguardo su ogni membro del team, prima di prendere un respiro profondo.
<< Benvenuti alla venticinquesima riunione ufficiale dei Vendicatori >> esordì con voce calma e autoritaria, richiamando l’attenzione su di sé.
Quando fu sicuro che tutti lo stessero ascoltando, fece un paio di colpi di tosse e aprì una busta che teneva tra le mani.
<< Ecco gli annuncia della giornata. Diciassette ore fa, cinque criminali sono stati prelevati illegalmente dal carcere di massima sicurezza costruito su Ryker’s Island, New York. Al momento la polizia non ha alcun indizio sulla persona o le persone che sono dietro l’evasione, ma vi invito a tenere gli occhi aperti nel caso vi trovaste in città. Specialmente tu, Spiderman >>
<< Io? >> chiese Peter, visibilmente sorpreso.
Rhodey annuì in conferma, prima di spegnere le luci della stanza e attivare il proiettore.
<< A quanto pare, tre degli evasi sono tue vecchie conoscenze >> disse con lo sguardo rivolto verso la schermata, mentre i profili dei vari criminali si materializzavano sullo sfondo bianco.
Peter riconobbe all’istante i lineamenti di Phineas Mason, Herman Schultz e Adrian Toomes. Dopotutto, non avrebbe mai potuto dimenticare i primi supercriminali a cui aveva dato la caccia ( e che per poco non erano riusciti ad ucciderlo ).
Non riconosceva gli altri due, però. O meglio, quello con la cicatrice, di nazionalità ispanica, aveva un’aria vagamente familiare. Mentre l’ultimo, quello con i capelli rossi…no, decisamente non lo aveva mai visto.
Gemette, accasciandosi allo schienale della sedia.
<< E io che speravo che la sospensione fosse il peggio che poteva capitarmi quest’anno >>
<< Sei stato sospeso ?! >> esclamò improvvisamente Carol, facendo sussultare la maggior parte dei presenti. T’Challa e Bucky furono gli unici a mantenere un’espressione stoica, mentre Peter deglutì sonoramente.
<< Ops? >> disse con una risata nervosa.
Non impressionata, la donna strinse ambe le palpebre degli occhi.
<< Com’è successo? >> domandò imperiosamente.
Peter affondò ulteriormente nella sedia, grato che la maschera potesse nascondere il suo rossore.
<< Vedi, è una storia divertente… >>
<< Ma sfortunatamente non abbiamo il tempo di sentirla >> lo interruppe Rhodey, con suo grande sollievo.<< Specialmente a causa di lui >>
L’immagine sullo schermo cambiò di colpo, rivelando la foto di un uomo alto e atletico, biondo, apparentemente sui quarant’anni, con un piccola cicatrice che gli percorreva la mascella.
<< Vi presento Roger Brokeridge, uno degli ultimi leader dell’Hydra ancora in circolazione >> spiegò il Colonnello. << La cui base è stata finalmente scoperta da un drone ricognitore circa tre giorni fa, in Louisiana >>
La schermata cambiò ancora. Questa volta, la foto raffigurava un’abitazione nascosta tra gli alberi, forse una villa, di cui erano visibili solo il bianco della facciata anteriore e alcune finestre.
Lungo il perimetro di quella che sembrava una foresta, anche se poteva benissimo trattarsi del giardino, spiccavano le figure di diversi uomini armati, tutti aventi la stessa uniforme mimetica.
Uno di loro affiancava la figura sfocata di Brokeridge, mentre questi era sul punto di scendere da una Jeep modello Wrangler.
<< Così clichè >> commentò Scott, ripensando a quanti cattivi dei film erano soliti scegliere proprio la Louisiana per costruire le loro basi segrete.
Non che fosse una decisione illogica. Dopotutto, il terreno di quello stato era piuttosto accidentato, difficile da percorrere, e quindi non adatto ai conflitti a fuoco. Era immerso nel nulla, circondato da alberi, foreste e paludi, quindi era facile da usare come nascondiglio. Inoltre, la gente del luogo era piuttosto riservata e non faceva mai domande.
<< Ascoltatemi tutti! >> esclamò Rhodey, attirando l’attenzione su di sé ancora una volta.<< Sapete bene con chi abbiamo a che fare. L’Hydra non è certo pericolosa o attrezzata come un tempo, ma può comunque vantare di numerosi soldati. Il nostro compito è infiltrarci nella base, catturare Brokeridge, portarlo qui e interrogarlo, così da farci rivelare la posizione delle ultime celle ancora esistenti >>
<< Dubito che parlerà >> commentò Bucky, il volto adornato da un cipiglio infelice. <<  I membri dell’Hydra non sono certo noti per essere dei chiacchieroni >>
<< Allora proveremo ad offrirgli un patteggiamento >> ribattè Rhodey, ricevendo uno sbuffo da parte del soldato.
L’Avenger decise di non rimproverare quella palese mancanza di rispetto. Dopotutto, conosceva bene i trascorsi che l’uomo aveva con l’Hydra, e poteva simpatizzare con il suo odio evidente per l’organizzazione.
Lo avevano quasi ucciso, torturato, ci avevano sperimentato sopra e gli avevano fatto il lavaggio del cervello, costringendolo a diventare un assassino. Al suo posto, probabilmente si sarebbe sentito allo stesso modo.
 << Ecco come come lanceremo l’attacco >> riprese, volgendo lo sguardo in direzione del gruppo.<< Una prima unità andrà sul posto sotto il comando di Carol! Quando vi chiamo, alzatevi in piedi: Bruce, T’Challa e Hope >>
Come ordinato, i vari membri il cui nome era stato chiamato si alzarono di scatto.
Rhodey annuì soddisfatto.
<< La seconda unità d’assalto sarà composta da me e Sam. Ad infiltrarsi nella base, invece, saranno Bucky, Scott... >>
<< Ahem... >>
<< e...>>
<< Ahem...>>
L’uomo rilasciò un sospiro sconfitto, lanciando un’occhiata visibilmente stizzita in direzione di Peter.
<< Spiderman >>
<< Sì! >> esclamò il ragazzo, sollevando ambe le braccia in direzione del soffitto.
Sam osservò la scena con un cipiglio contenuto.
<< Pensi che sia pronto per una missione del genere? >> chiese con voce scettica.
Rhodey non esitò a rispondere.
<< Spiderman si è più volte dimostrato un membro fondamentale di questa squadra, e penso che sia finalmente arrivato il momento di metterlo a combattere con i pesci grossi >>
<< Non ti deluderò, signore! >> disse il suddetto vigilante, cimentandosi in un saluto militare.
Il gesto fece sorridere quasi tutti i presenti, compreso Bucky.
Carol fu l’unica a mantenere un certo contegno, ma in fondo il gruppo era abituato allo stoicismo della donna. Questo fu anche il motivo per cui nessuno si accorse dello sguardo vagamente preoccupata che lanciò in direzione di Peter.
Rhodey riaccese le luci, spegnendo il proiettore.
<< Ci ritroviamo sul ponte di volo tra quindici minuti >> disse dopo un attimo di silenzio, per poi fuoriuscire dalla stanza. Il resto dei Vendicatori lo seguì subito dopo.
 
                                                                                                                                               * * * 
 
Pepper Potts camminò con passo felpato tra i corridoi della base, cercando di ignorare l’immensa statua di Tony Stark che si ergeva all’esterno del complesso, proprio al centro del giardino.
Non le piaceva visitare quell’edificio, finiva sempre per ricordarle il marito ormai defunto.
C’erano volte in cui riusciva ad andare avanti, a sorvolare su quei pensieri traditori come se non fossero altro che piccoli bambini sghignazzanti in cerca di attenzione.
E poi, altre volte, arrivava un giorno, uno di quelli grigi, quando aveva di lui una nostalgia così struggente da sentirsi vuota, non più una donna ma un albero morto, pieno di gelido soffio novembrino.
Così si sentiva in quel momento.
Aveva voglia di urlare il suo nome e urlargli di tornare a casa, e il suo cuore soffrì al pensiero degli anni che l'attendevano prima di poterlo rincontrare.
Si domandò che cosa avesse di buono l'amore…se il risultato era quello. Anche solo dieci secondi di una sensazione così parevano troppi.
Tuttavia, Pepper Potts non era certo conosciuta per essere una donna che sarebbe venuta meno ai suoi doveri. Ecco perché, in quanto finanziatrice ufficiale del programma Avengers, era venuta di persona per discutere con James Rhodes ( o Rhodey, come tutti lo chiamavano amichevolmente ) il bilancio mensile che interessava direttamente la squadra.
<< Maledizione! >>
L’urlo improvviso la distolse da quei pensieri.
Alzò lo sguardo dalle cartelle burocratiche che teneva tra le mani, trovandosi di fronte ad una scena abbastanza inusuale.
A pochi metri da lei vi era Carol Danvers, vestita con la sua uniforme da Capitan Marvel, le mani appoggiate sopra un distributore automatico di lattine e il volto adornato da un cipiglio scontento.
Pepper si concesse qualche attimo per osservare il tutto. In fondo, non erano molti i casi in cui Carol esternava le proprie emozioni in questo modo, di solito aveva sempre quel contegno impassibile che ormai riconosceva in tutti coloro che avevano prestato servizio nell’esercito.
Non che Carol lo avesse fatto per molto tempo, come le aveva rivelato durante una delle loro chiacchierate. In seguito alla morte di Tony e alla sua entrata nei Vendicatori, la donna era venuta da lei per chiederle il permesso di alloggiare nella Stark Tower ogni qualvolta fosse rimasta sulla Terra per un periodo di tempo prolungato.
Pepper aveva acconsentito senza pensarci due volte. Fu così che i loro incontri si fecero sempre più frequenti e, dopo circa un anno dall’ultima grande battaglia contro Thanos, le due finirono con il diventare amiche.
Fu grazie a questa nuova relazione che Pepper arrivò a conoscenza di molti dei fatti che circondavano la misteriosa Capitan Marvel, colei che, in un tempo relativamente breve, era diventata uno degli eroi più famosi e popolari della Terra .
Aveva appreso della sua carriera nell’esercito, del suo rapimento da parte dei Kree, del suo ritorno sulla Terra, il risveglio dei suoi poteri…e, ovviamente, del fatto che avesse praticamente l’età di sua madre, anche se Pepper aveva spesso difficoltà a crederci.
<< Tutto bene, Carol? >> chiese con tono perplesso, avvicinandosi alla bionda.
Apparentemente sorpresa dal suo arrivo, l’Avenger si drizzò di scatto.
<< Ciao, Pepper >> disse dopo un attimo di silenzio, le guance leggermente arrossate per l’imbarazzo.
Mentalmente, l’ex moglie di Tony Stark si rese conto che questa era forse la prima volta che la vedeva in un simile stato.
Con un sospiro affranto, Carol lanciò un’occhiata di morte in direzione del distributore automatico.
<< Non proprio, quest’affare mi ha rubato i soldi >> ringhiò a denti stretti, battendo un pugno sulla superficie della macchina.
Suo malgrado, Pepper si ritrovò a ridacchiare.
<< Sì, lo fa spesso. Ricordo che chiedevo sempre a Tony di cambiarlo, ma lui rispondeva che ormai era di famiglia >> ammise con tono nostalgico.
Poi, si avvicinò al fiancò del distributore e lo colpì con un poderoso calcio, poco sotto la ventola incorporata.
<< Il segreto è colpirlo in questo punto >> le spiegò, mentre una lattina di succo energetico cadeva dall’apertura della macchina.
Carol la fissò con la bocca leggermente spalancata, apparentemente impressionata dall’intera dimostrazione.
<< Grazie >> disse con voce imbarazzata, afferrando la lattina e portandosela alle labbra.
Pepper strinse ambe le palpebre degli occhi.
Ok, qualcosa era decisamente fuori posto. Non aveva mai visto Carol in uno stato così…vulnerabile? No, non era esattamente la parola appropriata per descriverlo. Aveva ancora l’aspetto di una donna che poteva scaraventare qualcuno nel Sole alla minima provocazione. Tuttavia, sembrava più…docile. Sì, docile era il modo perfetto per indicare il suo comportamento attuale.
Sembrava più spensierata, meno tesa…come una scolaretta liceale appena tornata dal primo appuntamento.
“ Aspetta un secondo” sussurrò mentalmente Pepper, mentre iniziò a scrutare la donna da capo a piedi. “ Guance perennemente arrossate…umore incontrollato…e sta tenendo le gambe più strette del solito…O mio…”
Un sorriso volpino cominciò a farsi strada sul volto della magnante.
Si appoggiò al distributore con le braccia incrociate davanti al petto, volgendo alla supereroina un’occhiata laterale.
<< Allora…hai passato una bella serata, Carol? >> chiese con tono apparentemente disinvolto.
La domanda sembrò prendere in contropiede la bionda.
<< Ehm…sì, certo. Perché me lo chiedi? >>
<< Nessuna ragione particolare >> rispose Pepper, limitandosi a scrollare le spalle.
Carol prese a fissarla con sospetto ma, quando la magnante non fece alcun segno di voler argomentare, riprese a bere.
<< E dimmi…l’hai passata con qualcuno? >> domandò la rossa, di punto in bianco.
Inutile dire che la reazione dell’amica fu praticamente istantanea.
Per poco, Carol non si strozzò con quello che aveva ingurgitato, e cominciò a tossire rumorosamente. Il tutto sotto lo sguardo divertito di Pepper.
 << Sembra proprio di sì >> commentò lei, sorridendo divertita.
L’Avenger prese un paio di respiri calmanti e fissò la donna con un’espressione impassibile.
<< Io…non so di cosa stai parlando >>
<< Davvero? Quindi…non hai recentemente fatto sesso con qualcuno? >> chiese indicandole la parte alta delle cosce.
Il rossore sul volto della bionda si fece più accentuato.
<< Pepper >> sibilò a denti stretti, mentre il sorriso dell’amica sembrò allargarsi.
<< Oh, suvvia, mica ti sto giudicando. Anzi, penso che potrebbe farti bene, se capisci cosa intendo >>
<< Pepper! >>
<< Non c’è nulla di cui vergognarsi. Sei una donna nel pieno della maturità sessuale >> continuò la rossa, stringendosi nelle spalle una seconda volta. << Avere rapporti con altre persone è perfettamente normale >>
Carol si guardò attorno freneticamente. Sembrava sinceramente preoccupata che qualcuno potesse sentirle, cosa che Pepper non potè fare a meno di trovare adorabile.
Eccola qui, Carol Danvers, l’incredibile Capitan Marvel…preoccupata che la gente potesse venire a conoscenza della sua relazione segreta. La faceva sembrare così…umana. Ben lontana dal personaggio stoico a cui il resto degli Avengers erano abituati.
<< Allora? >> domandò con tono cospiratorio.
Carol passò brevemente la testa da parte a parte del corridoio. Quando fu certa che non vi fossero altre persone, rilasciò un sospiro rassegnato.
<< D’accordo, te lo dico >>  borbottò amaramente.
Pepper le fece segno di continuare. Al contempo, la bionda prese un respiro profondo.
<< Io ho…una relazione >>
<< Lo sapevo! >> esclamò l’altra, venendo prontamente zittita da un sonoro “shhhhhh!” dell’amica.
Pepper le rivolse un sorriso di scusa, prima di porgersi in avanti.
<< Come si chiama? >>
<< …Ben >> rispose Carol, dopo un attimo di esitazione.
La rossa inarcò un sopracciglio.
<< Nessun cognome? >>
<< …Riley >>
<< Capisco… E dimmi, questo Ben Riley è…dotato? >>
<< Pepper! >> esclamò l’Avenger, arrossendo ancora più intensamente.
La magnante simulò un’espressione innocente.
<< Cosa? Ti ho detto che non c’è alcun bisogno di essere imbarazzata, qui siamo tra donne >> disse con tono di fatto.
Nel mentre, Carol voleva solo che un qualsiasi membro della squadra si presentasse nel corridoio ( possibilmente in quel preciso istante ) per ordinarle di venire subito al Queen Jet.
Non poteva rischiare che qualcuno scoprisse la relazione tra lei e Peter…soprattutto se questo qualcuno era l’ex-moglie del defunto mentore di Peter stesso!
Tuttavia, era ben consapevole che Pepper non l’avrebbe mollata senza ricevere almeno un qualche tipo d’informazione.
Con quel pensiero in mente, arrivò ad un’unica e semplice conclusione: non poteva dirle tutta la verità…ma poteva rivelargli quel tanto che bastava per evitare fraintendimenti.
<< È solo che… >> iniziò con fare incerto, << è la prima volta che esco con qualcuno più giovane di me >>
Di fronte a lei, gli occhi di Pepper sembrarono illuminarsi per la comprensione.
“ Ma certo” pensò la rossa. “ Ha l’aspetto di una ventenne, ma in fondo ha praticamente sessant’anni”.
<< Non sei certo la prima donna a farlo >> le disse con un sorriso rassicurante. << Vuoi il mio consiglio?>>
Carol applaudì mentalmente a se stessa.
<< Certo >> disse dopo un attimo di silenzio, continuando a recitare la parte della fidanzata insicura.
Pepper le posò una mano sulla spalla.
<< Goditela. Credimi, te lo meriti. Hai bisogno di divertirti, di prenderti una pausa dagli Avengers e da tutte quelle missioni >>
 << Lo pensi davvero? >> chiese la supereroina, agitandosi sulla punta dei talloni. Dio, dopo questa avrebbe seriamente meritato un oscar.
<< Ne sono più che convinta >> rispose Pepper, annuendo con determinazione.
Carol le lanciò un sorriso grato.
“ Pericolo scampato!” fu il primo pensiero che le attraversò la testa. Aveva rischiato grosso, ma la situazione pareva essere di nuovo sotto controllo.
<< Bhe, è stata una conversazione illuminante, ma ora devo recarmi alla base di lancio >> disse piacevolmente, per poi voltarsi e dirigersi in tutta fretta all’estremità opposta del corridoio.
Prima di girare l’angolo, tuttavia, sentì un’esclamazione che per poco non la fece inciampare in avanti.
<< E ricordati di usare la protezione! >>
“ Maledizione, Pepper…”
 
                                                                                                                                                    * * *  

La stanza nella quale si trovava Cletus era sporca.
Le pareti, fatte di marmo bianco, erano punteggiate di ruggine rossastra. L’unica fonte d’illuminazione era una lampada che brillava sulla sua testa. Di tanto in tanto si spegneva, obbligando i suoi occhi ad adeguarsi all’alternazione tra luce e buio.
Sul muro opposto vi erano una serie di schermi, simili a tanti piccoli televisori.
Affianco alla carriola cui era stato legato, spiccava un tavolo a ruote pieno di strumenti operatori. Poco più in là, seduto di fronte ad un’insolita accozzaglia di macchinari, tra cui un computer, c’era un uomo dalla corporatura robusta, non molto alto.
Diceva di chiamarsi Otto Octavius, e avrebbe gestito l’intera operazione.
Aveva il viso paffuto, una bocca ampia, corti capelli neri e un paio di occhiali rotondi che gli cadevano su un naso adunco.
Tratto distintivo erano sicuramente i quattro lunghi bracci meccanici che gli sbucavano da sotto il camice bianco da laboratorio, ciascuno di essi terminante con tre appendici simili ad artigli, incastonate in un grande obbiettivo rosso. Ricordavano vagamente i tripodi de La Guerra dei Mondi.
<< Ti interessi di mitologia greca, Cletus ? >> chiese Norman, attirando l’attenzione dell’uomo.
<< Non proprio, signore >> rispose il serial killer, suscitando una piccola risata ad opera del magnante.
<< Mai sentito parlare del mito di Aracne? >>
<< Direi di no, Mr. Osborn >> 
Se era infastidito dalla mancanza culturale del criminale, di certo il miliardario non lo diede a vedere. Invece, arricciò ambe le labbra in un sorriso accomodante.
<< Secondo la leggenda, Atena …conosci Atena, vero? >>
<< Ehm…la dea? >>
<< Precisamente. Vedi, Atena sentì parlare di questa donna sulla Terra, una semplice mortale, come te e me, che era una tessitrice migliore di lei >>
<< Tessitrice? >> domandò Cletus, visibilmente perplesso.
In tutta risposta, Norman si limitò ad annuire.
<< Atena non fu affatto felice di questo, e scese sulla Terra per distruggere le creazioni della donna >>
<< Tipicamente femminile >> borbottò Cletus, con un roteare degli occhi.
Osborn abbaiò una risata, apparentemente divertito dal commento del criminale.
Una volta calmatosi, riprese a parlare.
<< Quando la ragazza si rese conto di quel che era successo, cioè che aveva offeso gli dei e che tutti i suoi lavori erano stati distrutti, si impiccò. Atena ebbè pietà della povera ragazza, le bagnò la fronte con un liquido magico e disse: "Tu non morirai, Aracne, sarai invece trasformata e tesserai per sempre la tua tela" >> disse con voce calma e pacata, quasi nostalgica. << Alle parole di Atena, Aracne si rimpicciolì e divenne nera. Prima le caddero il naso e le orecchie, poi le sue dita si trasformarono in zampe. Quel che restava di lei divenne il corpo e da esso iniziò a tessere la sua tela >>.
L’uomo estrasse dalla tasca dei pantaloni quello che aveva tutta l’aria di essere un telecomando. Poi, puntò l’oggetto in direzione dei televisori presenti nella stanza, e Cletus lo seguì con lo sguardo.
Pochi secondi dopo, sugli schermi cominciarono a scorrere diverse immagini. Foto che ritraevano una persona vestita con un’isolita tuta rossa e blu,  il volto coperto da una maschera, mentre essa si dondolava tra i palazzi di New York come il trampoliere di un circo.
<< Ed ora sembra che la storia si stia ripetendo…ma questa volta sono i mortali ad avere il controllo >> disse Norman, il volto adornato da un sorriso decisamente più maniacale.
Cletus, nel frattempo, aveva cominciato a scrutare le immagini con occhio critico.
<< Ho sentito parlare di quel tipo. Ho sempre pensato che i suoi poteri fossero un po’ una cazzata, ad essere sincero. Possiede davvero le capacità di un ragno? >>
<< Sì, per quanto possa sembrare assurdo. Nessuno sa davvero come le abbia ottenute…anche se io ho i miei sospetti >> mormorò l’uomo, quasi a se stesso.
In quel momento, uno dei tentacoli di Octavius si mosse verso di lui, porgendogli una fialetta di vetro, il cui interno sembrava occupato da una strana sostanza rossa.
Norman si avvicinò a Cletus, e il serial killer ebbe così modo di constatare un’altra peculiarità : quel liquido, qualunque cosa fosse, aveva piccole appendici conficcate sulla superficie del contenitore…e si stavano muovendo, come le zampe di un insetto.
<< Che cos’è? >> domandò perplesso.
Se possibile, il sorriso di Osborn sembrò farsi più grande.
<< Questo, amico mio…è un simbionte. Creato direttamente dal sangue raccolto durante una battaglia tra Spiderman e uno dei suoi avversari, Electro. Un organismo autonomo, senziente, modificato in parte dalla stimolazione bioelettrica causata dagli attacchi di quel supercrminale. Un parassita in cerca di un ospite appropriato a cui legarsi >> rivelò con tono paziente, prima di volgere al serial killer un’occhiata significativa. << Ed è anche la ragione per cui tu sei qui, Cletus. Vedi, il gruppo sanguineo di questo campione è piuttosto raro, AB Negativo. E tra tutti i detenuti di Ryker’s Island…tu era l’unico ad averlo. Per tanto, sei il candidato più ideale per legarti ad esso. Gli altri tuoi colleghi sono stati scelti per partecipare ad un programma diverso, ma tu…tu sei l’unico che può affrontare questa rischiosa procedura >>.
Al sentire tali parole, gli occhi di Cletus vennero pervasi da un luccichio di sorpresa e timore reverenziale.
<< Che cosa mi farà? >> chiese con tono incerto, mentre la strana sostanza si agitava nella provetta come se impazzita.
Norman scrollò le spalle.
<< La stessa cosa che ha fatto a Spiderman. Ti renderà più forte, più veloce…più potente di quanto tu possa immaginare >> disse convinto, volgendo al criminale la sua espressione più accomodante.
Cletus rimase in silenzio, cercando di assimilare le parole dell’uomo.
Non era mai stato un fan delle materie scientifiche, a meno che queste non andassero a suo vantaggio. Specialmente quando venivano trattate informazioni riguardanti l’anatomia e la chimica. Si potevano imparare molte cose da tali argomenti, come trovare i punti migliori in cui colpire una persona o un animale con un’arma contundente, fabbricare bombe a mano, e altri affascinanti trucchetti che a scuola non erano mai stati insegnati.
Nonostante questo, aveva compreso la maggior parte della spiegazione di Osborn. Anche se, in cuor suo, sapeva che il magnante aveva cercato di rendere il discorso più semplice possibile per adattarlo alla sua situazione, una cosa che poteva apprezzare. Forse, una volta uscito da questo posto, non lo avrebbe dissanguato a morte.
<< Come lo legherete a me? >> chiese incuriosito.
Norman volse lo sguardo in direzione di Octavius, come se gli stesse rivolgendo la stessa domanda.
Lo scienziato si limitò a stringersi nelle spalle.
<< Potrei spiegartelo, ma dubito seriamente che tu riusciresti a comprendere la complessità scientifica di un simile processo >>
“ Che figlio di puttana” pensò Cletus, immaginando in poco tempo tutti quei fantastici modi che avrebbe potuto usare per fargli rimangiare una simile affermazione. Sette di loro includevano un coltello o un pezzo di vetro affilato, due un laccio da scarpe, tre un accendino, e uno un sacchetto di plastica.
<< Ehi, non sarò la matita più acuminata della stanza, ma non sono certo stupido. Andiamo, mettimi alla prova! >> esclamò, con un sorriso fiducioso.
Octavius rilasciò un sospiro rassegnato.
<< Per dirla con termini molto semplici, useremo delle nano-macchine >>
<< Nano-macchine? Come quelle dei film? >>
<< No, le mie sono molto meglio >> rispose l’uomo, con un cipiglio scontento. Quasi come se quel paragone lo avesse offeso personalmente. << Non hanno né circuiti né energia. Danno semplicemente delle risposte specifiche a delle frequenze specifiche. Sono come delle leghe riflessive. E usando diverse frequenze, possono essere controllate tanto quanto viene controllata una macchina radiocomandata con un telecomando remoto. Le useremo per legare il tuo sangue alla struttura molecolare del Simbionte >>.
Cletus assorbì ogni informazione con uno sguardo impressionato, annuendo occasionalmente per dimostrare allo scienziato che stava realmente seguendo la spiegazione.
<< Sembri un tipo molto intelligente. Come diavolo ti sei ritrovato in un posto del genere? >> domandò con un ghigno beffardo, facendo cenno al laboratorio che li circondava.
Perché se c’era una cosa che Cletus aveva capito, nel momento esatto in cui aveva messo piede in questa fabbrica degli orrori…era che questa operazione non aveva nulla di legale.
Octavius ridacchiò per la prima volta da quando lo aveva incontrato, come se avesse sentito quella domanda già molte volte.
<< A causa del mio amore per l’arte >> rispose, sorprendendo il serial killer.
<< Ah? >>
Notando l’espressione confusa sul volto di Cletus, l’uomo procedette ad elaborare.
<< Da piccolo adoravo l'architettura europea. Mi sono innamorato di quelle "creazioni" su larga scala che erano state ristrutturate dopo un lungo periodo di tempo, al fine di completare una sola idea di bellezza. Ma, allo stesso tempo, erano difficili da capire. È facile guardare l'apparenza esterna di un edificio e dire che è bellissimo. Tuttavia, per capire meticolosamente ogni piccolo dettaglio del design, la sua larga scala fa sì che sia necessario porlo in ugual modo in un lasso di tempo più grande. Ad essere sincero, ci sono così tante cose da focalizzare…che col tempo diventa stancante >> ammise sconsolato, mentre afferrava con un tentacolo la fialetta che Osborn stava ancora tenendo tra le mani.
<< E poi ho scoperto una nuova forma di bellezza : le formule scientifiche >> continuò, usando uno degli altri bracci per prendere un ago dal tavolo operatorio. << Con loro non c'è spreco, sono efficienti. Tutti i tipi di bellezza sono inclusi nei posti più piccoli possibili. Da questo punto di vista, sono proprio le formule a contenerla. Hanno anche una bellezza poetica, simile a quella dell'haiku! >>
Sorrise, mentre camminava fino a Cletus e si fermava proprio di fronte a lui.
<< Il mio obbiettivo finale è quello di trovare la bellezza nascosta agli angoli del mondo e usarla a beneficio dell’intera umanità. Mi inchinerò davanti a chiunque, al fine di farlo. Non m'importa se verrò definito un criminale >> terminò con tono convinto, prima di lanciare al killer un’occhiata molto più seria.
<< Ora rilassati, sarà doloroso >>
<< Doloroso quanto, esattamente ?>> chiese Cletus, scrutandolo con sospetto.
Octavius non rispose.
Usò l’ago per prelevare il simbionte dalla fialetta, lo avvicinò a Kasady e lo iniettò all’altezza dell’avambraccio.
A parte la puntura iniziale, però, il killer non sentì nient’altro.
<< Uhm…non mi sembrava così mal… >>
L’uomo non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Un dolore forte e improvviso gli attanagliò la testa, i muscoli e il resto corpo. Tentò di urlare, ma si ritrovò incapace di farlo.
Poi venne l’oscurità…e con essa il nulla.
 
                                                                                                                                 * * *  

Cletus Kasady dormiva…e sognava. La linea di confine tra sogno e ricordo era spesso sottile, ma lui non ne era consapevole.
Così la sua mente vagò indietro nel tempo. Ricordò la sua vecchia casa, nei pressi della periferia Newyorkese…e ricordò sua madre.
Amanda Casady era una donna di trentacinque anni, benestante e ammirata in tutto il quartiere per la sua egregia bellezza.
I Kasady erano sempre stati il prototipo perfetto della famiglia americana.  Il signor Jake Casady era un ex marine, ora  direttore di una ditta  di trasporti all’esterno di New York. Era un uomo sulla quarantina, duro e atletico, la cui fama di Don Giovanni era spesso causa di pettegolezzi tra la gente che viveva per la via di Elm Street.
Come ormai sapete, i coniugi avevano anche un figlioletto: Cletus Kasady, e, secondo loro, non avrebbero potuto desiderare un bambino più bello.
La situazione non era sempre stata così. Inizialmente una famiglia di umili origini, i Kasady erano riusciti a scalare il vertice della società attraverso una fortunata vincita alla lotteria della contea.
Tale felicità, tuttavia, fu assai di breve durata. Questo perché, appena tre anni dopo, si verificò un evento tragico e inaspettato: la scomparsa improvvisa di Jake Kasady.
Cletus se lo ricordava bene.
Era stato un giorno incredibilmente afoso e tonante quello in cui era partito un colpo dalla pistola che aveva rubato dall’armadio del padre. Era così che lo considerava : non il giorno in cui aveva sparato, bensì quello in cui era partito un colpo.
Suo padre aveva sentito la canna premuta sulla tempia sinistra e, di sottecchi, aveva guardato il bambino in piedi sopra di lui. Aveva bevuto un sorso di birra, schioccando le labbra e commentando : << Avrei paura, se pensassi che hai le palle >>.
Una volta premuto il grilletto, Cletus era rimasto seduto accanto a lui ad ascoltare la pioggia che tamburellava sul tetto del garage. Il padre era steso a terra con un piede scosso dal tremito e una chiazza di urina che gli si allargava sul davanti dei pantaloni.
Cletus non si era mosso finchè la madre non era entrata nel garage e si era messa ad urlare. Ma poi lo aveva abbracciato, e il giorno dopo il corpo del padre morto era sparito, probabilmente sepolto sotto il giardino di casa. Nessuno aveva mai pensato di controllare.
Da quel momento in poi, la vita dei Kasady cominciò a farsi sempre più dura e malinconica. Specialmente per il figlio, che, nei tempi successivi all’accaduto, diventò freddo e distaccato anche nei confronti della madre.
Cletus ora ricordava anche il giorno di quella visione. Sembrava tutto così reale…come se stesse vivendo il passato e il presente allo stesso tempo. Come se fosse tornato indietro di quasi trent’anni.
Nelle visione era nascosto dietro la porta della cucina, mentre la madre sorseggiava il tè pomeridiano nel salotto della casa.
Non appena la matriarca ebbe posato la tazza vuota sull’unico tavolino presente nella stanza, una donna anziana e corpulenta, indossante un abito da cameriera, iniziò a farsi strada nella sua direzione.
Aveva il volto adornato da un’espressione visibilmente agitata.
<< Miss Kasady…ho delle brutte notizie >> sussurrò, costringendo Cletus a tendere le orecchie.
Al contempo, la madre del ragazzo inarcò un sopracciglio, volgendo la propria attenzione nei confronti della governante.
<< Ho trovato alcune di quelle…parti, dietro il capannone degli attrezzi. C’erano pelame e denti, e i vicini sono stati tutto il giorno alla ricerca del gatto>> continuò la vecchia. <<  In città delle persone sono scomparse nel nulla... >>
<< Cletus non c’entra nulla con quegli orribili omicidi! >>ribattè freddamente l’altra. << Lui è…solamente triste. Questo è tutto >>
E, dopo aver pronunciato tali parole, la vedova afferrò un tovagliolo per asciugarsi le labbra e fuoriuscì dal salotto in tutta fretta.
Dietro di lei, Alma Stroode scosse la testa. Certe volte, l’ingenuità della sua padrona le faceva quasi tenerezza.
Uno scalpitare di passi riecheggiò alle sue spalle.
Sì voltò, trovandosi di fronte la figura di un giovane Cletus Kasady. Indossava una maschera bianca simile a quella utilizzata dai clown del circo e, nella mano destra leggermente alzata, teneva saldamente l’impugnatura di un tagliacarte in argento, splendente sotto la debole luce del lampadario.
La donna compì un passo all’indietro.
<< Tu non mi fai paura. Ti ho cresciuto da quando eri alto così>> disse con la mano alzata ad appena mezzo metro da terra.
Fatto questo, fissò il bambino dritto negli occhi.
<< Ho trovato quei poveri animali che hai ucciso dietro casa. Ho detto tutto a tua madre>> rivelò con cupa soddisfazione.
Cletus non mostrò il benchè minimo segno di reazione.
<< Se succederà di nuovo…chiamerò la polizia. Mi hai sentito? >> domandò imperiosamente. << Ora dimmi la verità. Tu centri qualcosa con quel casino che è successo in città? >>
Non appena la vecchia ebbe pronunciato quelle parole, il giovane balzò in avanti e issò il coltello di fronte al suo volto.
Poco prima che potesse affondare la lama nelle carni della cameriera, tuttavia, la punta si fermò ad appena un paio di centimetri dal naso della governante.
Alma sogghignò.
<< Oh, vuoi uccidermi? Avanti, fallo! >>
Cletus issò il tagliacarte una seconda volta, ma non fu mai in grado di completare l’azione.
La donna gli rivolse un sorriso di scherno.
<< Proprio come pensavo. Non avresti potuto uccidere quelle persone. Non ne hai il coraggio>> sghignazzò divertita.
Il bambino si tolse la maschera, gli occhi marroni che sembravano menare lampi.
<< Chiudi la bocca Alma…o giuro che ti ucciderò >> sibilò a denti stretti.
La cameriera scrollò le spalle.
<< Oh, davvero? Allora uccidimi. Forza! Ti sfido ! >>
Cletus alzò il coltello una terza volta.
Sarebbe stato così facile porre fine a quella miserabile vita, proprio qui e ora, con un semplice movimento del braccio. Tuttavia, con grande soddisfazione della donna, il colpo fatale non arrivò mai. Al contrario, il giovane abbassò la lama e digrignò i denti per la frustrazione.
<< Ti odio, Alma. Ti odio, ti odio, ti odio! >> sputò in faccia alla vecchia.
Poi, fuoriuscì di corsa dalla stanza e salì in camera da letto.
Si sdraiò sul materasso e afferrò la testa con ambe le mani.
<< Un giorno…la pagheranno tutti. Schiaccerò ognuno di loro come gli insetti che sono! >> ringhiò contro il cuscino.
Al contempo, le voci cominciarono a farsi più forti. Quei sussurri…lenti e inesorabili, all’interno della sua mente…da cui era impossibile scappare.
<< Sì, sarà così… >>
“ …sarà così…sarà così…sarà così !”
 
                                                                                                                                                     * * *  

Otto Octavius controllò i parametri vitali di Cletus.
Aveva gli occhi fissi sulla linea retta mostrata sullo schermo, la quale rappresentava il battito cardiaco dell’uomo, ormai completamente assente.
Controllò l’orologio che teneva sul polso destro.
<< Morte del primo soggetto…ore 21:00. Esperimento fallito >> disse con tono impassibile.
Norman schioccò la lingua, visibilmente infastidito.
<< Cause? >> domandò a denti stretti.
Lo scienziato diede un’altra rapida occhiata alle apparecchiature.
<< Probabilmente è come con un trapianto di organi. La biologia di Cletus non era abbastanza forte da sostenere l’operazione e ha rigettato il Simbionte >> borbottò, prima di rilasciare un sospiro scontento.<< Questa non ci voleva. Sarà difficile trovare un'altra persona con quel gruppo sanguigno >>
<< Non ti preoccupare, chiederò ai miei uomini di setacciare tutte le prigioni di questa contea. Preleverò barboni dalla strada, se necessario >> ribattè freddamente Osborn.
Octavius gli lanciò un’occhiata stizzita.
<< Preferirei lavorare su soggetti più sani >>
<< Sfortunatamente non è possibile, e tu lo sai bene. Nessuno si preoccupa se qualche criminale o delinquente scompare nel nulla. Ma se iniziassimo a rapire gente benestante, bhe…le persone cominceranno a fare domande, e questa è una cosa che voglio evitare >> spiegò il magnante, con un tono di voce che non ammetteva replica.
Octavius si limitò a roteare gli occhi.
<< Molto bene, farò rimuovere il corpo e… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Udì uno strano sibilò alle sue spalle. Poi, come dal nulla…avvertì un insolito, bruciante dolore, come un coltello infuocato nella schiena.
Octavius inciampò, frugò dietro di sè alla cieca per toccare l'orlo strappato del camice, poi sentì una massa scivolosa, sorprendentemente calda. Con orrore, capì che stava sanguinando.
Qualcuno lo aveva davvero pugnalato! Ma chi? Le uniche persone presenti nella stanza erano lui, il Signor Osborn e…
Girò appena la testa.
Cletus gli stava dietro, libero dalle restrizioni del tavolo operatorio, la mano conficcata direttamente nella sua schiena. No…non era una mano. Era rossa, piena di filamenti simili a vasi sangugni…e terminava con artigli grandi quanto il suo avambraccio.
<< O mio Dio >> sussurrò Norman, a pochi passi da quella scena raccapricciante.
Cletus girò la testa verso di lui. Aveva gli occhi quasi completamente bianchi, e il volto adornato da un’espressione ebete, con la bocca semi-aperta e un rivolo di bava che gli scendeva dalle labbra. Inoltre, metà della faccia era coperta da…qualcosa. Sul serio, il miliardario non aveva la minima idea di come descrivere quell’agglomerato di filamenti che ricopriva la guancia destra del serial killer, fino all’estremità superiore dell’occhio. Sembrava quasi un tumore.
Cletus compì un rapido gesto della mano, ritraendo gli “ artigli” e liberando il corpo di Otto.
Lo scienziato cadde al suolo e atterrò su qualcosa di freddo e umido. Vagamente, si rese conto di essere atterrato sul suo stesso sangue.
Poi, il serial killer afferrò il tavolo operatorio e lo lanciò contro Osborn. L’uomo non fu abbastanza veloce da scansarsi e venne inchiodato alla parete opposta della stanza, gemendo per il dolore e la sorpresa.
L’aggressore non sembro badarci e fuoriuscì dall’unica porta presente nella stanza, con rapidi balzi degni di un campione olimpico.
Cominciò a correre. Senza mai fermarsi, senza mai voltarsi indietro.
Nel mentre, le voci continuarono a inseguirlo.
 
                                                                                                                                                        * * *  

Cletus Kasady incespicò in avanti, camminando nell’oscurità.
Non ricordava come fosse scappato da quello strano laboratorio, e sinceramente non gli importava. In quel momento voleva solo fuggire…fuggire da dolore che gli martellava nelle tempie.
Aveva per caso ucciso qualcuno? Ricordava vagamente di aver infilato le dita…no, gli artigli…nella schiena del dottore. Aspetta un secondo…artigli? Perché li aveva chiamati artigli?
Si portò la mano agli occhi. Eccola lì, proprio come se la ricordava. Carne rosa, unghie, polpastrelli…tutto era nella norma.
Rilasciò un sospiro e continuò a camminare. Sperava solo che nessuno lo stesse inseguendo.
Grosse tubature arrugginite, piene di ragnatele, strisciavano alla rinfusa lungo il soffitto.
Quando un sonoro Clang! riecheggiò all’interno di una parete, Cletus quasi urlò per la sorpresa. Il flusso di adrenalina negli arti e nel cuore fu doloroso, per un momento quasi paralizzante.
Dopo quasi dieci minuti si ritrovò in una stanza leggermente più illuminata. Sul pavimento c’erano giornali abbandonati..
I topi ci avevano fatto il nido a migliaia. Intere famiglie osservavano l’intruso con diffidenti occhi color rubino.
Cletus si fermò in mezzo al cunicolo, proprio di fronte ad una scala. E la scala portava al coperchio di un tombino, dal quale filtrava della luce.
Il traffico sopra di lui pareva irregolare, e questo era già qualcosa, ma la luce…la luce lo sorprese, anche perché gli era sembrato di aver camminato in quella fogna per pochi minuti. Il buio aveva completamente distrutto il suo senso del tempo?
Poi, guardando la via d’uscita a pochi metri dalla sua testa, capì che quella non era la luce del giorno, ma quella proiettata da un lampione.
Il serial killer attese per un totale di cinque minuti. Nessuna macchina passò sul tombino.
Questo gli fece sospettare che, più per fortuna e per legge delle probabilità che per un innato senso di direzione, era riuscito ad arrivare in una zona relativamente poco popolata.
Cominciò a salire e, utilizzando la semplice forza fisica, si aprì  un’uscita.
Il serial killer spalancò gli occhi…e fu accecato dalla luce del lampione.
Si ritrovò in una sorta di parco. Gli insetti frinivano tra gli alti cespugli. La primavera, fredda e umida, aveva ancora parecchia strada da fare, ma qui – ovunque fosse qui –la brezza serale era più calda.
Cletus scorse qualche bagliore di luce, uno scintillio tra gli alberi, ma sulle prime non vi prestò attenzione.
La prima cosa che gli apparve chiara nella mente fu che stava risalendo a piedi una collina, probabilmente vicino a Central Park, e avvertiva un dolore dentro il corpo. Malfermo sulle sue gambe, sbucò dagli alberi e continuò a camminare, senza mai fermarsi.
Non riusciva a vedere bene. Aveva la sensazione che gli avessero levato gli occhi con un cucchiaio. Si sentiva un lato della faccia appiccicoso e, per quello che ne sapeva, le orbite potevano essergli scoppiate come due acini d’uva, colandogli lungo la guancia.
Urtò un bidone della spazzatura, facendolo tintinnare contro il marciapiede. Un barbone che si trovava lì vicino sentì il rumore, alzò lo sguardo…e fece cadere la scatola delle offerte che teneva nella mano destra, spalancando la bocca come se stesse per gridare a causa dello choc.
<< Dio santo, amico, ma che ti è successo? >>
Cletus non si fermò per rispondergli e continuò a camminare, fondendosi con le ombre della notte.
E fu così che, dopo quasi un’ora, forse per uno scherzo del destino o per una semplice questione di memoria muscolare o inconscia…l’uomo si ritrovo di fronte alla sua vecchia abitazione, ormai abbandonata.
C’era una stradina insediata nel giardino, a pochi metri dalla strada.
Dall’altra parte si intravedeva un parco, verde e ombroso sotto la debole luce della luna.
La casa dei Kasady, in stile Cape Cod, era l’unica costruzione che sorgeva in fondo ad una lunga strada sterrata. Cletus la percorse.
L’erba in giardino arrivava alla vita. Tra gli alberi dilagava il sommacco, in cespugli alti quasi quanto lui.
Le tende alle finestre erano tirate e le zanzarerie arrugginite e rigonfie. Non vi era alcuna auto nel vialetto, e il serial killer non aveva motivo di aspettarsene una. Dopotutto, chi comprerebbe una casa in cui era morta tanta gente?
Non tentò nemmeno di entrare dalla porta principale, sicuro che sarebbe stata sbarrata.
La finestra della sua vecchia camera era a tre metri da terra e di certo chiusa, così come quella sul retro e la porta scorrevole a vetri. Ma c’era la finestrella della cantina, con la maniglia che non funzionava. Fin da quando era picco, era sempre aperta di mezzo centimetro, e dubitava seriamente che in tutti questi anni fosse stata riparata.
Usò le mani per tagliare la zanzariera, poi spinse indietro la finestra e si infilò nell’empia apertura.
La cantina era uno stanzone dalle pareti grezze, con i tubi che correvano lungo il soffitto. In fondo, vicino alle scale, stavano una lavatrice arrugginita e un vecchio cesto dei panni, mentre dalla parte opposta c’era la caldaia.
Il resto era un’accozzaglia di scatoloni e sacchi della spazzatura pieni di stracci; c’era pure una poltrona in tessuto scozzese con uno stupido acquerello incorniciato appoggiato sul cuscino, dai colori sbiaditi.
Cletus ricordava vagamente di averlo disegnato quando era alle medie. Era una vera merda.
Il Serial Killer non ci badò troppo. Salì le scale fino alla sua vecchia camera, completamente vuota.
Crollò sul pavimento…e l’oscurità lo avvolse ancora una volta.
 
 
Com’era? Spero bello!
Nel caso ve lo steste chiedendo, Rhodey ha chiamato Peter con il suo nome da supereroe, anziché usare il nome proprio come con gli altri, perché è l’unico tra loro ad avere un’identità segreta sconosciuta al grande pubblico. Per tale motivo, quando indossa il costume, lui e il resto dei Vendicatori sono obbligati a chiamarlo Spiderman per abituarsi a fare lo stesso durante una battaglia o in pubblico.
Otto Octavius è l’acerrimo nemico di Spiderman noto come Doctor Octopus, qui ancora uno scienziato.
Nei fumetti originali, Carnage era il figlio di Venom, un simbionte alieno caduto sulla Terra e legatosi brevemente a Spiderman, mentre qui ho preso ispirazione dalle origini di Venom utilizzate in Ultimate Spiderman, dove era stato creato attraverso un campione del sangue di Peter.
Nel prossimo capitolo, Avengers contro Hydra!

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Capitolo 5
*** Avengers...Assemble! ***


Ecco un nuovissimo capitolo!
Ho pubblicato un po’ in anticipo, perché stasera partirò per un lungo viaggio, e non so se avrò a disposizione Internet. Per tale motivo, il prossimo capitolo potrebbe tardare.
Detto questo, vi auguro una buona lettura!
 


Avengers…Assemble!
 
Peter stava volteggiando a tutta velocità tra gli alberi della Louisiana.
A differenza di New York, le vie percorse non seguivano un reticolato prestabilito, sembravano invece incurvarsi a destra e a sinistra come in un dedalo, cosa che avrebbe reso problematica la guida di un mezzo anche nelle migliori condizioni.
Ben memori degli assalti che avevano subito le altre basi, Brokeridge aveva reso l’accesso alla magione il più difficoltoso possibile ai nemici che lo avrebbero preso di mira. E ci era riuscito benissimo.
L’uomo si era scelto una bella casa: una villa moderna di tre piani con un giardino cinese pensile sul tetto scoperto. Dei miliziani presidiavano l’edificio notte e giorno, assicurandosi che fosse protetto da qualsiasi avvicinamento e a qualunque ora.
Karen caricò sul visore di Peter i dati relativi dai suoi sensori, che mostravano tre segnali di calore sulle tre rampe di scale che portavano all’attico. Due mercenari erano di guardia all’ascensore, e altri due erano appostati sul tetto. Evidentemente, Brokeridge non gradiva improvvisate.
<< Vedo diversi segnali >> annunciò Sam, attraverso il canale condiviso della squadra. << Due carri armati più avanti >>
<< Carol, Bruce, dovrete occupartene voi, io sto puntando una falange di soldati >> disse Rhodey, attirando l’attenzione della donna.
<< Soldati? Bello. Farai una sfilata? >>
<< No, pensavo a dei semplici fuochi d’artificio >>
L’Avenger azionò il computer della tuta, diede una scorsa alle armi frontali e scelse l’icona rossa BLINDATO. Con un lieve ronzio, le mitragliette che aveva sulle spalle ruotarono in posizione.
Le scocche anteriori dell’armatura si ritirarono, scoprendo una batteria di armi 1-A, compresi sei piccoli missili a guida infrarossa.
<< Servirà l’artiglieria pesante >> commentò a se stesso.
I soldati avevano dei fucili anticarro e antimateria, e carabine ad alta potenza. Erano pronti ad affrontare qualsiasi cosa l’esercito potesse lanciare loro addosso, se non di più.
Ma ora non avevano a che fare con l’esercito.
Su un albero, a pochi metri dal giardino, Peter seguiva i movimenti dei mercenari intorno al perimetro e calcolava quanto ci metteva il gruppo di soldati a completare il giro prima che arrivasse quello successivo.
Il lasso di tempo era di una precisione sconvolgente: da quando il primo svoltava l’angolo a quando spuntava il secondo passavano soltanto nove secondi.
Il tempo non era certo dalla sua, ma Peter doveva farselo bastare. Inoltre, la squadra d’assalto gli avrebbe fatto guadagnare un minimo di distrazione.
<< Ok, signori >> proclamò la voce di Rhodey. << Pronti ad andare tra 9, 8… >>
In silenzio, il vigilante si posizionò su un altro albero. Un gruppo di miliziani sparì, e un altro ne prese il posto.
Si mise in attesa : avrebbe aspettato che svoltassero di nuovo l’angolo e, quando si fossero girati a causa dell’attacco imminente, avrebbe fatto la sua mossa.
Gli passarono davanti due guarnigioni. Scomparsa la prima coppia di soldati, la successiva si sarebbe trovata alle prese con il resto degli Avengers e questo gli avrebbe fatto guadagnare secondi preziosi.
Peter inserì le lenti notturne integrate alla sua maschera, quando Rhodey  aprì il fuoco.
Nello spazio tra il giardino e i soldati esplose una luce rotante che li abbagliò all’istante. Mentre quelli si dimenavano impotenti, Carol saltò nella mischia.
Atterrò e tirò un pugno alla gola del soldato più vicino, facendolo subito cadere in ginocchio, dopodiché gli diede una gomitata alla nuca. Per almeno venti minuti, l’uomo non si sarebbe ripreso.
Come una scheggia, la donna si diresse verso gli altri soldati. Erano ancora accecati, ma presto l’effetto sarebbe svanito.
Ne stese altri due senza incontrare resistenza. Ne mancavano ancora tre.
Si concesse un sorriso, mentre notò con la coda degli occhi che il resto dei Vendicatori era entrato in azione, abbattendo nemici come se fossero mosche.
Di fronte a lei, un soldato si sfregò le palpebre per schiarirsi la visuale, ma, prima che ci riuscisse, Carol volò verso di lui e gli diede una pedata in faccia. Poi si girò e ne atterrò un altro, mentre spari ed esplosioni riecheggiarono alle sue spalle.
Nel mentre, Peter balzò fuori dal suo nascondiglio e planò verso il gruppo spaesato che osservava la scena dall’altro lato della casa. Mise K.O la coppia di mercenari, ne nascose subito i corpi e alzò lo sguardo.
Sparò una ragnatela sul tetto e partì in alto, un attimo prima che sbucassero gli altri soldati.
Arrivato sul cornicione, lanciò di nuovo una ragnatela, beccando stavolta le gambe di due guardie appostate lassù. Prima ancora che quelle riuscissero a sorprendersi, la tirò e le fece cadere. Cercarono di rialzarsi e lottare, ma il vigilante saltò loro addosso.
Andò verso la porta di accesso all’edificio e spaccò la serratura.
Poi, attivò il trasmettitore della maschera e gli comparve di fronte il volto di Carol.
<< Sono dentro, ma per muovermi al meglio avrò bisogno della posizione di Brokeridge >> disse a bassa voce.
<< Nessun problema >> rispose la donna. << Dammi solo un minuto >>.
 
                                                                                                                                                              * * * 

Al di fuori dell’edificio, la battaglia tra gli Avengers e i soldati dell’Hydra si stava svolgendo senza esclusione di colpi.
<< Bruce, sto per darti uno splendido raggio di sole nelle tenebre perenni della Lousiana >> disse Sam, volando sopra la figura del golia verde. << Il carro armato principale è un drone telecomandato >>
Hulk sorrise con anticipazione.
<< Allora posso andarci pesante >>
<< Solo con il primo >>
Bruce annuì comprensivo.
Affinchè Carol potesse concentrarsi sul carro armato guidato da uomini – al momento la sfida più difficile – doveva togliere subito di mezzo il drone. Cercare di non uccidere gli avversari era sempre più difficile che rifilare loro quello che si meritavano, ma Bruce era stato considerato un mostro per troppo tempo, non avrebbe mai seminato morte.
Compì un balzo a mezz’aria, sollevandosi per quasi dieci metri dal suolo. Poi, scaricò tutto il peso sulle gambe e atterrò con forza sul tetto del carro armato.
Tre secondi dopo, il drone saltò in aria.
Il secondo carro armato si avvicinò e la torretta roteò per mettersi in posizione. Il cannone da 75 mm si allineò per puntare dritto sul golia verde.
Carol non gli diede la possibilità di sparare. Fissò la traiettoria e lanciò due attacchi energetici. Il primo colpì la ruota motrice anteriore e il secondo distrusse il cingolo.
Per poco l’attacco non fece ribaltare il blindato, ma si raddrizzò, sobbalzò e si fermò. Ci avrebbe rimesso un po’ per rimettersi in moto, quindi Carol sparò un terzo colpo che distrusse i cannoni da 75 mm. Quando finì, il bestione che avrebbe potuto radere al suolo gran parte di una città era diventato praticamente un enorme fermaporta.
Con la coda dell’occhio, la donna notò una minuscola e familiare figura infiltrarsi tra i resti del mezzo.
Attese per circa mezzo minuto.
<< Carol, sono riuscita ad hackerare i codici di comando >> disse la voce di Hope, attraverso il trasmettitore. << Sto sbloccando il portellone >>
<< Il guidatore sarà parecchio scosso, quindi siate carine >> le avvertì Rhodey.
<< Nessun problema >> rispose Carol. << Lo sai che sono una persona socievole >>
<< Sì, proprio quello che dicono tutti >>
La donna andò di corsa al carro armato e trovò il portellone aperto, con Hope che la aspettava a pochi passi dal mezzo. L’uomo che lo guidava era intrappolato all’interno di un groviglio di cavi elettrici rotti. Carol l’aveva mancato per un soffio, ma, alla fine, il soldato sarebbe stato ancora in grado di camminare, anche se molto probabilmente zoppicando.
<< Concentrati anche se ti fa male >> gli disse la donna. << È per il tuo bene >>
L’uomo annuì con forza. << La gamba…non…non la sento più. Credo che dovranno amputarmela, o che so io >>
Alzò lo sguardo, con gli occhi sgranati. << Devi aiutarmi. Ti prego, aiutami! >>
<< Non  te la amputeranno >> commentò Hope, alle spalle del soldato. << Almeno, non se riusciamo a portarti al più presto in ospedale…prima che vada in cancrena >>
“ Brava” pensò Carol. “ Dagli un incentivo”
Osservò l’uomo che cercava di resistere al dolore, ma non ce la faceva. Ancora uno o due minuti e sarebbe stato disposto a far scoppiare la Seconda Guerra Mondiale pur di mettere fine all’agonia.
<< Ora potremmo salutarti e lasciarti qui >> continuò la bionda. << Ma dubito che riusciresti a strisciare fuori…e, anche se se la facessi, non credo che te ne andresti di qui in tempo. Ma se mi dai una qualche informazione, posso farti portare via in elicottero prima che la tua gamba peggiori. O parli con me o resterai da solo >>
<< Qualsiasi cosa tu mi chieda >> disse il soldato, sbiancando per lo shock. << Ti rivelerò tutto. Basta che mi aiuti >>
<< Bene. Se mi dai la planimetria di questo posto e mi dici dove si trova il tuo capo, uscirai di qui illeso…o meglio, malconcio ma tutto intero >>.
 
                                                                                                                                                         * * * 
 
Grazie alla cacofonia provocata dal resto della squadra, Bucky era riuscito a infiltrarsi nella casa utilizzando il canale di scolo delle acque piovane, risalendolo fino al tetto. Non certo il modo più pratico per entrare, ma non per questo il risultato fu da meno.
Arrivato sul pianerottolo dell’attico, i rilevatori di calore indicarono che una decina di mercenari armati stavano salendo le scale. Qualcuno doveva aver capito che l’attacco all’esterno era solo una distrazione.
Per fortuna la rampa ara stretta. Difficile che i soldati potessero sparare senza intralciarsi. Difficile ma non impossibile, e Bucky non si affidava mai al caso.
Gli uomini erano ora al piano di sotto e, una volta arrivati sul pianerottolo, lo avrebbero visto. Nella migliore delle ipotesi aveva tre secondi di vantaggio, e doveva sfruttarli al massimo.
Fece il conto alla rovescia e saltò proprio quando apparve il primo soldato armato. Il peso e lo slancio spinsero l’uomo addosso agli altri, che crollarono come birilli, senza fiato. Un vantaggio per lui, ma sarebbe stato breve.
I soldati scattarono subito in piedi, e l’uomo si mise in posizione di combattimento. Non aveva certo a che fare con dei principianti. Sperava solo che a Spiderman e Ant-man fosse andata meglio che a lui.

                                                                                                                                                                 * * * 
 
<< Scusa! >>
Peter tirò un pugno in faccia al mercenario più vicino, rompendogli il naso.
Mentre schizzava sangue da tutte le parti, l’uomo gridò per il dolore, come se la ferita fosse molto peggio di quello che era. Perfetto.
Il primo colpo aveva lo scopo di scatenare negli altri un attimo di terrore per bloccarli, anche se per poco. Peter doveva cogliere tutti i vantaggi che arrivavano.
Si appoggiò al corrimano di una scala e lo usò per farsi leva. Poi, si girò e assestò una pedata a un altro mercenario, intrappolandone un terzo con una ragnatela. Un altro soldato cadde all’indietro, ruzzolando sui gradini fino a crollare sul pianerottolo di sotto.
Non si alzò, ma stava ancora respirando.
 “ Grazie al cielo” pensò Peter.
Il vigilante diede una gomitata in pancia a un altro mercenario, ma quello non cedette. Mentre lo afferrava per un braccio e si preparava a colpirlo di nuovo, altri due soldati salirono le scale verso di lui, con in mano la pistola.
Aprirono il fuoco, fregandosene di colpire il loro compagno, pur di far fuori Spiderman.
Lui reagì d’istinto, spostò il mercenario di lato per evitare che i proiettili lo raggiunsero, e lo scaraventò lontano dal pericolo. Poi, scese dalla scala con una capriola e li neutralizzò entrambi.
<< Ci sto mettendo troppo tempo >> borbottò con irritazione.
Più ci metteva, più uomini di Brokeridge sarebbero arrivati.
Correndo in avanti, Peter stese altri miliziani e spalancò la porta dell’attico. Dentro c’era un soldato.
Quello lo fissò, rendendosi conto che il vigilante era riuscito a superare tutti gli altri. Poi si mise a sparare.
L’adolescente evitò tutti i proiettili e assestò un calcio sul petto dell’uomo, che finì a terra.
Nella caduta perse la pistola, allora si precipitò a recuperarla, ma Peter ci arrivò prima. La allontanò con un calcio e si girò verso la guardia.
Il criminale alzò le mani in segno di resa.
<< Sai una cosa?  È la prima mossa intelligente della giornata >> gli disse il ragazzo, intrappolandolo in un bozzolo di reti.<< Purtroppo per te, sei ancora un criminale. Ci vediamo! >>
 
                                                                                                                                                                    * * *  

All’ultimo piano c’era una sola stanza. Aveva un arredamento antico, con pezzi d’antiquariato di buon gusto, già vecchi agli inizi dell’epoca vittoriana.
I tavoli con intarsi elaborati che ritraevano volpi e levrieri ricordavano una scena di caccia dell’Inghilterra del Settecento. Erano posti ai lati di un grande divano imbottito con braccioli arrotondati e piedi a forma di zampa leonina.
Era evidente che chiunque vivesse lì aveva una passione per la caccia.
<< Karen, sono entrato. Che cosa vedi? >> chiese Peter all’intelligenza artificiale incorporata nella sua tuta.
Quest’ultima non esitò a rispondere.
<< Rilevo due tracce di calore, dietro quel muro >>
<< Uhmmm…deve esserci una porta sul retro >>
<< Sì, è una scala segreta. Stando alla planimetria dell’edificio inviata da Miss Danvers, è collegata a un bunker dietro la camera da letto >>
<< Un bunker? D’accordo, potrebbe essere un problema >> borbottò a bassa voce.
Percorse la stanza e si trovò davanti un altro lungo corridoio con delle stanze su entrambi i lati. I segnali di calore arrivavano da una camera sul fondo, quindi non perse tempo a guardare nelle altre.
Era lì per un motivo, non per farsi una visita turistica.
La porta era chiusa a chiave. Era l’unica non spalancata.
Avrebbe potuto scardinarla, ma decise di non creare potenziali segnali d’allarme a chiunque si trovasse in quella stanza.
Tirò fuori un grimaldello da sotto la tuta e lo mosse lentamente, fino a quando non sentì scattare la serratura. Tombola! Doveva davvero ringraziare Scott per quelle lezioni di furto con scasso.
Non che il vigilante avesse mai avuto intenzione di rapinare qualcuno, ma un’abilità del genere poteva sempre tornare utile…specialmente in casi come questo.
La porta si aprì e Peter rimase di stucco.
Si sarebbe aspettato altri pezzi d’antiquariato, invece la stanza era completamente spoglia: non c’erano mobili, tranne una mezza dozzina di grandi gabbie d’acciaio a un metro di larghezza e due di altezza. Erano delle celle individuali, e le sbarre erano abbastanza grosse da contenere un elefante.
Solo una era occupata da un prigioniero, e affianco ad essa spiccava la figura di Brokeridge.
L’uomo aveva tra le mani un pungolo elettrico e, non appena intravide la figura di Spiderman, arricciò il volto in una smorfia grottesca.
<< Sospettavo che foste voi Avengers la causa di tutto il trambusto qui fuori >> ringhiò a denti stretto.
Peter, tuttavia, aveva occhi solo per la persona rinchiusa nella gabbia. Sembrava….una bambina. Con lunghi capelli castani che le cadevano sul volto, vestita con stracci sporchi e strappati.
Era seduta a terra, con la testa poggiata sulle ginocchia e le braccia incrociate. Era una visione orribile.
La rabbia inondò il corpo del vigilante.
 << Che cosa le hai fatto? >> sibilò verso Brokeridge, stringendo ambe le mani in pugni serrati.
L’agente dell’Hydra si limitò a ghignare.
 << Non avrai modo di scoprirlo >> disse sfoderando il pungolo e cominciando a camminare verso l’Avenger.
Peter si mise in posizione di difesa.
Quell’uomo era alto, quasi un metro più di lui. Sembrava forte e si muoveva con sicurezza. Quello…era un professionista.
L’arrampica-muri gli si avventò contro, ma Brokeridge lo schivò e lo afferrò per il polso. Lui cercò di divincolarsi, ma la presa era stretta e implacabile. Poi, con l’altra mano, l’uomo lo afferrò per il collo e lo scaraventò contro il muro della stanza.
<< Ti toglierò tutta l’aria che hai in corpo, Spiderman. Morirai soffrendo le pene dell’inferno! >> urlò con un sorriso sadico.
Peter sentì la bocca aprirsi per prendere una boccata d’aria che non arrivò mai. Se avesse avuto qualche esitazione…quell’uomo lo avrebbe ucciso.
Gli diede una ginocchiata in petto, all’altezza del diaframma. Brokeridge emise un gemito di dolore ma continuò a stringergli la gola. Allora il vigilante gli sferrò un’altra ginocchiata e sollevò le gambe per intrappolargli la testa.
Lo spinse all’indietro, obbligandolo così a mollare la presa.
Mentre l’avversario lo lasciava, tirò indietro le gambe e ruotò su se stesso, scaraventandolo contro il muro su cui lo aveva bloccato. Ripreso l’equilibrio, lo colpì in pancia ripetutamente.
Brokeridge tentò di contrattaccare, utilizzando il pungolo elettrico, ma l’arrampica-muri fu lesto ad evitare ogni colpo, per poi intrappolargli le mani con una ragnatela.
Fatto questo, gli tirò un ultimo calcio alla testa. L’avversario si accasciò sul pavimento e Peter si concesse un sospiro di sollievo.
<< Ragazzi, ho catturato Brokeridge >> disse attraverso il canale della squadra, prima di volgere la propria attenzione nei confronti delle gabbie.
Poco dopo, le figure di Ant-Man e Bucky entrarono nella stanza, seguite rapidamente dagli altri Vendicatori.
<< Mio Dio, ma che diavolo stavano facendo in questo posto? >> sussurrò Scott, non appena il suo sguardo si posò sulla figura inerme della bambina intrappolata.
Il resto degli Avengers avevano tutti espressioni cupe in volto, ormai consci di cosa stesse realmente accadendo in quella villa : sperimentazione umana. Una pratica per cui l’Hydra era sfortunatamente famosa.
Bucky sputò sul corpo svenuto di Brokeridge. Nessuno dei suoi compagni osò rimproverarlo…Non dopo quello che avevano appena visto.
Con passo lento, quasi esitante, Peter si avvicinò alla gabbia…e aprì la porta.
<< Ehi >> sussurrò con voce calma e rassicurante.
Le spalle della ragazzina si tesero. Alzò la testa, rivelando un paio di occhi castani, un volto magro e pallido, sporco, in parte coperto dai lunghi capelli.
Quando vide Spiderman, la sua espressione impassibile mutò in paura. Si ritrasse contro le sbarre della gabbia, piagnucolando.
 << Va tutto bene! Non siamo qui per farti del male >> disse l’Avenger, alzando ambe le mani per mostrarle che non aveva cattive intenzioni.
La ragazzina strinse gli occhi, scoprendo i denti in un ringhio quasi animalesco.
Peter non sembrò turbato.
 << Coraggio, non essere timida. Vieni fuori >> continuò con tono gentile, porgendo la mano destra in avanti.
La prigioniera passò brevemente lo sguardo da lui al resto dei Vendicatori, poi sul corpo inerme di Brokeridge.
Lentamente, cominciò a gattonare fino alla figura dell’arrampica-muri. Scrutò la mano tesa con sospetto, annusandola un paio di volte.
A Peter ricordò vagamente un cane, ma seppellì all’istante quel pensiero per evitare di scoppiare a ridere. Sarebbe stato del tutto fuori luogo, considerando la situazione attuale.
Dopo quasi un minuto passato ad analizzare l’arto, la ragazzina intrecciò le dita del vigilante con le proprie.
 << Visto? È tutto ok >> disse Peter, sorridendo sotto la maschera.
L’altra si limitò a fissarlo…e poi, si lanciò contro di lui.
 << Gha! >> urlò il vigilante, mentre un paio di strane protuberanze argentate gli trafiggevano la spalla. Sembravano quasi coltelli, e partivano direttamente dalle nocche della ragazzina.
Gli Avengers si tesero all’istante.
 << Peter! >> esclamò Carol, il volto adornato da un’espressione visibilmente preoccupata.
Puntò le mani in direzione della bambina, che sibilò minacciosa. La bionda ringhiò di rimando, caricando energia cosmica nei pugni.
<< Allontanati da… >>
<< No! >> la interruppe Peter, suscitando sguardi sorpresi ad opera del gruppo.
 << Ho…ugh…la situazione sotto controllo >> tossì, attirando l’attenzione della prigioniera. Questa lo fissò di sottecchi e gli annusò la maschera.
Carol strinse i denti, compiendo un passo in avanti. Tuttavia, prima che potesse proseguire oltre, qualcuno le posò una mano sulla spalla, costringendola a fermarsi.
La bionda si voltò verso la suddetta persona. Scoprì che si trattava di T’Challa.
<< Lasciami anda… >>
<< Se dovesse innervosirsi, potrebbe attaccarlo di nuovo >> la ammonì il sovrano, indicando la bambina che ancora teneva Peter in un abbraccio potenzialmente mortale.
Carol passò brevemente la testa da parte a parte della stanza, visibilmente in conflitto.
In cuor suo, sapeva che T’Challa non aveva torto. Una sola mossa sbagliata e…no, non voleva nemmeno pensarci.
Prese un paio di respiri calmanti e puntò nuovamente lo sguardo in direzione di Peter, in attesa.
“ Qualunque cosa tu voglia fare, ragazzino…ti conviene farla subito” pensò con timore nascosto.
L’adolescente alzò la testa e, con grande sforzo, posò una mano rassicurante sulla testa della prigioniera. Questa si tese all’istante, dilatando le pupille come piatti.
Gli artigli di metallo cominciarono ad affondare ulteriormente nella carne del bersaglio, ma Peter non tentò nemmeno di ritrarsi.
<< Sei libera…non siamo qui per farti del male. Siamo qui per salvarti >> sussurrò a bassa voce, senza mai distogliere le lenti bianche dagli occhi color nocciola della superumana.
La bambina senza nome spalancò leggermente la bocca, come se le parole del vigilante l’avessero davvero sorpresa.
Passò ancora una volta lo sguardo dall’arrampica muri agli Avengers, e poi di nuovo sulla figura di Brokeridge.
Qualcosa sembrò scattare nella sua mente.
Rinfoderò gli artigli, producendo un sonoro SKRREE! e facendo sussultare Peter a causa del dolore.
Poi, gli occhi della bambina cominciarono a riempirsi di lacrime. Avvolse le braccia attorno alla figura del vigilante…e cominciò a piangere.
L’adolescente, inizialmente sorpreso dal gesto, restituì l’abbraccio, nonostante la ferita alla spalla.
 << È tutto ok. Tutto ok… >> sussurrò gentilmente.
Il pianto della superumana crebbe d’intensità. Si strinse maggiormente al corpo dell’arrampica-muri, come se ormai non potesse più fare altro.
Il tutto sotto gli occhi meravigliati dei Venicatori, che osservarono la scena con sguardi misti tra sollievo, sorpresa e rispetto.
<< Quel ragazzo…è davvero incredibile >> commentò T’Challa, incrociando ambe le braccia davanti al petto.
Mentalmente, Carol si ritrovò perfettamente d’accordo con le parole del sovrano.
 
                                                                                                                                                                 * * * 

Una volta tornati alla base, Peter era stato subito portato in infermeria.
Dopo aver sentito quello che era successo durante la missione, la Dottoressa Helen Cho, infermiera ufficiale della squadra, aveva consigliato l’uso dei punti per chiudere le ferite, con grande costernazione del ragazzo. Potete immaginare la sua sorpresa quando, dopo aver aperto la tuta del ragazzo nel punto esatto in cui era stato presumibilmente colpito, si era ritrovata davanti una spalla pressoché immacolata, ad eccezione di alcune lievi cicatrici.
Carol aveva appreso la notizia da poco ed era subita corsa in infermeria.
Il vigilante si trovava ancora lì, steso su un letto ospedaliero, parzialmente avvolto da candide lenzuola. Ed era solo.
<< Ciao! >> la salutò Peter, il volto adornato da un piccolo sorriso.
La donna non rispose. Camminò fino al letto e si sedette affianco al ragazzo.
<< Come ti senti? >> chiese con tono leggermente preoccupato.
Il vigilante si limitò a scrollare le spalle.
 << Un po’ ammaccato, ma nel complesso mi sento bene. Avere un fattore di guarigione accelerato può essere davvero utile >> disse con un ghigno, facendo roteare senza problemi la spalla ferita.
Carol rilasciò un sospiro, apparentemente sollevata.
 << Perfetto, allora posso fare questo senza sentirmi in colpa >>
<< Uh? Fare cos…Ahi! >>
Non dandogli il tempo di elaborare, la donna lo aveva colpito con un rapido scappellotto sul retro della testa.
<< Che diavolo ti è saltato in testa?! Quella bambina avrebbe potuto ucciderti! >> sibilò a denti stretti, visibilmente furiosa.
Peter affondò nel cuscino, deglutendo sonoramente.
<< Ma non l’ha fatto… >>
<< Non per mancanza di tentativi >> lo interruppe lei. << Qualche centimetro più sotto e ti avrebbe perforato il cuore >>
<< Ma… >>
<< Ti sei fermato a pensare, anche solo per un secondo…come tua zia si sarebbe sentita, se tu fossi morto? Come…come io mi sarei sentita? >> sussurrò, afferrandolo per le spalle e costringendolo a fissarla.
L’adolescente fece per controbattere, ma si fermò di colpo. Gli occhi di Carol erano molto più lucidi di quanto ricordasse…vulnerabili…pieni di preoccupazione e tristezza.
Incapace di sopportare quella vista,  abbassò lo sguardo, lasciando che una frangetta di capelli castani gli oscurasse la visuale.
<< Mi dispiace, io… >>
Non ebbe il tempo di terminare quella frase. Carol gli alzò il mento con una mano e incontrò le sue labbra con le proprie, in un bacio caldo e confortevole. Il cuore di Peter mancò un battito, mentre il suo corpo si scioglieva al contatto.
Dopo quasi un minuto, la donna si ritrasse.
<< Sei stato molto coraggioso >> disse con un sorriso stanco, quasi riluttante, come se ammetterlo fosse stata un’impresa.
Il vigilante arricciò il volto in un ghigno impertinente.
 << Ok, così mi stai inviando segnali molto contrastanti >>
<< Togliti quel sorrisetto dalla faccia, sono ancora arrabbiata con te >> ribattè l’altra, fissandolo con freddezza.
L’adolescente rabbrividì per la paura, aspettandosi un altro scappellotto.
Invece, Carol si porse in avanti una seconda volta, baciandolo con maggiore intensità. Troppo sorpreso per rispondere a quella manifestazione d’affetto, Peter rimase fermo e immobile, gli occhi spalancati e i pensieri che correvano a mille.
La donna si staccò, gli baciò la testa, poi la fronte, e infine avvicinò le labbra all’orecchio del castano.
<< Passa al mio appartamento, così potrai farti perdonare >> sussurrò con voce bassa e roca.
L’arrampica-muri arrossì di colpo, mentre la bionda si alzava dal letto, raggiungeva la porta e gli lanciava un occhiolino malizioso.
Una volta che se ne fu andata, Peter abbassò la testa, notando un rigonfiamento familiare tra le lenzuola del materasso.
 << Maledizione… >>
 
                                                                                                                                                                      * * * 
 
Ogni giorno, dopo pranzo, Jack Crafford dedicava un’ora a dipingere navi. Era la sua ora preferita in tutta la giornata.
Ex galeotto, messo dentro per quattro anni a causa di una rapina andata male, aveva cominciato questo hobby quando era ancora in prigione.
Ormai era diventata una routine : ascoltava l’orchestra di Berlino che eseguiva il sestetto l’Atlante delle Nuvole, e dipingeva galeoni spagnoli del diciottesimo secolo, golette pirata dello stesso periodo, e occasionalmente anche modellini più piccoli e artigianali.
Aveva uno scenario ben preciso in mente, compensato in tredici navi della marina e altrettante imbarcazioni pirata che si davano battaglia nei pressi di un arcipelago caraibico, costruito con sabbia prelevata dalla baia di New York e palme di un vecchio gioco da tavolo che aveva trovato dopo il trasloco.
Sì, era decisamente orgoglioso del suo lavoro accurato. Sentiva che, quando i suoi modellini erano dipinti bene, avrebbero cominciato a muoversi per conto loro e attaccare le linee nemiche. Ci stava lavorando anche il giorno in cui morì.
Mentre era sul punto di completare un bastione da quaranta cannoni, l’uomo si passò una mano sulla fronte, sentendola calda e sudaticcia. Inspirò a fondo e avvertì un odore metallico, simile a rame.
“Un infarto… mi sta venendo un infarto” pensò con un sospiro rassegnato.
Da circa un anno avevano cominciato a farsi più frequenti, e per un uomo che viveva da solo potevano essere molto pericolosi. Ecco perché si era comprato una Golden Retriver addestrata specificatamente per situazioni del genere. Ogni volta che si sentiva male, lei sarebbe venuta di corsa con un borsellino a tracolla, contenente la soluzione da iniettarsi per evitare di morire sul posto.
<< Lily! Lily! >> urlò ad alta voce.
Ma lei non arrivò. Non rispose nemmeno con il suo consueto abbaiare.
Jack cercò di capire cosa stesse facendo che le impedisse di sentirlo. Forse era fuori a giocare con il bidello del palazzo, un ometto grasso di nome Berry che aveva preso in simpatia.
Sollevò lo sgabello di un paio di centimetri dal pavimento, lo spostò e lo rimise giù, avanzando barcollante. Ora che era in piedi, la testa aveva cominciato a girare. I suoi pensieri vagarono come piume d’oca in una brezza calda.
Una canzoncina idiota gli girava per la mente, ossessiva come un disco incantato.
<< C’era un vecchio che ingoiò un insetto. Chissà perché ha ingoiato un insetto! Forse adesso muore nel suo letto!>>
Solo che la canzoncina aumentava di volume, diventando sempre più forte, finchè non sembrò più solo nella testa di Jack, ma nell’aria attorno a lui, proveniente dal corridoio.
<< Oh, che bello scuoiar! Le dolci creature ammazzar! Le pelli strappar, ogni giorno di più, sulla casa nel lago laggiù… >> canticchiava la voce. Era acuta, stonata e stranamente graffiante, come se arrivasse da lontano, attraverso un condotto di ventilazione.
Jack vide una misteriosa figura entrare dalla porta. Trascinava Lily tenendola per la coda, ma non sembrava che a lei desse fastidio.
Vagamente, Jack si rese conto che si stava lasciando dietro una lunga scia rossa.
“ Oddio…ma quello è sangue!” realizzò l’uomo, compiendo un  passo all’indietro.
Il movimento sembrò attirare l’attenzione della misteriosa figura, ancora nascosta nell’oscurità, che si voltò verso di lui.
Alzò la mano libera, compiendo un saluto disinvolto.
<< Ciao, Jack. È tanto tempo che non ci si vede! >> esclamò una voce che l’ex galeotto avrebbe potuto riconoscere tra migliaia di altri suoni.
Compì un passo all’indietro, deglutendo sonoramente.
<< Cletus? Sei davvero tu? >>
<< Ding, ding, diiiing, indovinato! >> rispose l’ombra, lasciando andare il cadavere di Lily e battendo ambe le mani con fare beffardo.
Jack cominciò a percorrere la stanza in diagonale, cercando di avvicinarsi alla scrivania senza dare nell’occhio.
<< Come…come sei uscito? >> chiese con evidente timore.
Cletus si limitò a scrollare le spalle.
 << Buona condotta >> disse con un ghigno invisibile. Jack non poteva vedere la faccia dell’uomo, ma era abbastanza sicuro che stesse sorridendo.
Deglutì una seconda volta.
<< Non è possibile…ti avevano dato sei ergastoli… >>
<< Te ne sei ricordato! Anche se la cosa non mi sorprende >> lo interruppe il serial killer, il cui tono di voce si era fatto molto più cupo di quanto non fosse fino a pochi secondi prima. << Dopotutto…è a causa tua se me li hanno dati >>
Il cuore di Jack mancò un battito. Lo sapeva…oddio, lo sapeva! Era un uomo morto.
Cletus compì un passo in avanti, rimanendo nell’ombra.
<< Ciò che ti avevo detto in quella cella…doveva essere tra noi. E tu invece cos’hai fatto? Hai spifferato tutto ai federali per avere una riduzione sulla pena di due anni. DUE fottutissimi anni >> ringhiò attraverso i denti, producendo uno strano sibilo. << Devi essere pazzo >>
<< Ho solo detto… >>
<< Hai SOLO detto >> lo interruppe il serial killer, facendolo sussultare. << Le parole sono d’argento, il silenzio è d’oro. Le parole…mi hanno sbattuto dentro Ryker’s Island per dodici anni, chiaro il concetto? Quindi, le parole…ti possono spedire sotto terra all’istante >>
Adesso, il corpo dell’ex galeotto stava tremando…e non per un attacco di cuore.
<< Cletus, sta a sentire…forse ci possiamo mettere d’accordo! >> balbettò, alzando ambe le mani in segno di resa.
L’ombra del serial killer inclinò la testa di lato.
<< Celtus? Cletus è morto, amico caro. Puoi chiamarmi…Carnage >>
Compì un ulteriore passo, fuori dall’ombra, rivelando le sue reali fattezze.
Jack non aveva mai visto niente di così orribile. Gli ricordava La Mosca, quel film con Vincent Price in cui uno scienziato si incrociava per errore con un insetto.
La testa del serial killer era un bulbo rosso di filamenti, con lenti bianche al posto degli occhi e una grottesca fila di denti acuminati per bocca.
Jack era sicuro che ci fosse qualcosa che non andava nel suo cervello. Possibile che un infarto procurasse le allucinazioni?
Poi, Cletus alzò un dito artigliato.
<< E come vedi…sono più euforico! AHAHAHAHAHA! >> esclamò con una risata agghiacciante. Uno schiamazzare acuto e graffiante, che risuonò per tutta la lunghezza dell’appartamento.
L’ex galeotto si voltò di scatto, sperando di essere abbastanza vicino alla scrivania per afferrare la Calibro 45 che teneva nascosta nel cassetto. Non ne ebbe la possibilità.
Una protuberanza rossa e appuntita, simile ad un arpione, schizzò dal dito di Cletus, trapassando il cuore di Jack da parte a parte.
L’uomo sputò sangue e cadde a terra in preda agli spasmi, mentre copiosi fiotti di sangue sgorgavano dalla ferita appena aperta. Il tutto mentre il serial killer continuava a ridere.
Poi, il corpo dell’ex galeotto smise di muoversi.
Cletus camminò fino alla scrivania e si sedette comodamente, ammirando la propria opera.
Uno strano ammasso di filamenti partì dalla spalla del serial killer, avvicinandosi all’orecchio destro di questi. Sembrava quasi che volesse sussurrargli qualcosa.
<< Adesso? >> disse Cletus, come se stesse ripetendo una domanda che solo lui era riuscito a sentire. << Adesso, mio buon amico… dipingiamo questa città di rosso! >>
 

 
E credetemi…sarà una vera Carneficina! A meno che i nostri eroi non riescano a fermarlo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e come al solito vi invito a lasciare un commento!
Per chi non lo avesse capito, la bambina trovata nella gabbia è X-23, alias Laura Kinney, co-protagonista del bellissimo Logan, ( capolavoro del genere supereroistico ) e un personaggio molto importante della continuità Marvel e X-Men. Sì, ho intenzione di inserire anche loro in questo mio universo letterario.
Non avranno alcun ruolo in questa storia, ma Laura è un po’ un’anticipazione di quello che verrà.

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Capitolo 6
*** You mean everything to me ***


Eccomi qui! Mamma mia, ho riscritto questo capitolo almeno tre volte. Perché? vi starete chiedendo.
Beh, vedete, nella prima parte dell’aggiornamento sarà presente un’altra scena erotica. Ho controllato il regolamento, e sembra che il rating arancione vada bene per inserire certe scene, purchè siano contenute e non troppo esplicite.
In teoria dovrei aver rispettato i termini, ma non ne sono del tutto sicuro. Per questo motivo, dopo averla letta, vi chiedo di dirmi se secondo voi dovrei cambiare il rating da arancione a rosso.
Vi auguro una buona lettura!
 
 

You mean everything to me
 
Le dita di Carol artigliarono le lenzuola, stringendole spasmodicamente, mentre la donna boccheggiava in cerca d’aria. E il suo corpo... il suo corpo tremava, si inarcava, madido di sudore.
Era tutto... troppo.
Scosse il capo, cercando di trattenere gemiti indecenti, che tentavano di sfuggire impetuosi, come impetuoso era il vortice di erotica passione in cui era caduta.
Aveva dimenticato quanto potesse essere intensa una cosa del genere. Non era preparata a quel rimbombare disperato del suo cuore, a quella contrazione che la prendeva dal ventre, infiammandola. 
E non sapeva che fare, non sapeva come agire. Non sapeva se tendersi per cercare di quietare il respiro, se mordersi le labbra per placare gli ansiti o se affondare la mano fra i capelli castani del suo amante per stringerlo più a sé.
<< Peter >> sospirò, chiudendo gli occhi.
Ma lui non rispose. Forse non stava nemmeno ascoltando...O forse sì. Non aveva alcuna importanza.
Implacabile, il ragazzo continuò a torturarla in maniera sublime e peccaminosa. Ormai, Carol non si sentiva più padrona delle proprie membra.
Era consapevole solo di quel volto fra le sue cosce. Di quella posizione così... oscena, ma eccitante al tempo stesso, come eccitante era la bocca che si muoveva sul suo sesso. Calda, in perfetta armonia con il suo bassoventre bollente, cosa che la face rabbrividire.
Stavano insieme da solo un mese, eppure erano già arrivati a questo. Stavano forse andando troppo veloce? Accantonò all’istante un simile pensiero.
Si agitò convulsa, mentre mani forti la trattennero in una presa solida e sicura.
Socchiuse gli occhi, osservando quel volto impegnato a regalarle piacere…regalarle brividi, regalarle un momento di oblio dalla realtà.
Allungò una mano, passandola fra quei capelli che tanto desiderava accarezzare, stringere, tirare...
E lui la guardò, rendendo liquido il suo corpo. Uno sguardo innocente, di adorazione, di eccitazione, che chiedeva la sua tacita approvazione. Approvazione che lei sarebbe stata più che felice di dargli.
Si inarcò maggiormente, desiderosa solo di essere assaggiata, divorata, presa. Le sue anche scattarono convulse, i suo piedi puntarono sul letto, mentre il suo corpo ondeggiava in balia della lussuria.
Caldo, piacere, desiderio, orgasmo...un’insieme di emozioni che la lasciò senza fiato, senza respiro.
Sapeva che mancava poco…veramente poco.
Oh sì, lo sentiva. Lo sentiva. Ed era troppo, troppo forte...
Avrebbe voluto vedere il suo volto, vederlo mentre veniva, mentre lo imbrattava con il suo seme, causato dal piacere che le aveva regalato.
Voleva... voleva vederlo tendersi, come lei si tendeva verso di lui, una mano a stringersi il seno e le labbra martoriate dai denti. Lo voleva... ma le sue palpebre  si abbassarono a tradimento e il suo nome uscì acuto dalle labbra, in un gemito lussurioso e confuso.
<< Peter! >>
L’orgasmo la travolse, lasciandola stordita, senza fiato, sensibile... troppo sensibile.
Si lasciò cullare dal proprio respiro, dal battito furioso del suo cuore, che sembrava pronto a scoppiarle in petto. 
Al contempo, Peter si arrampicò a quattro zampe sul suo corpo, accoccolandosi a lei e poggiando la testa sul suo seno. La donna sospirò soddisfatta e cominciò a giocare con i suoi capelli.
<< Dove hai imparato a farlo? >> chiese dopo un attimo di silenzio.
<< Internet >> mormorò il ragazzo, senza alzare la testa da quella comoda posizione.
Carol inarcò un sopracciglio.
<< Internet? Come…oh >>
Un sorriso consapevole iniziò a formarsi sul suo volto, mentre l’arrampica-muri alzava la testa per incontrare il suo sguardo. Aveva le guance leggermente arrossate, come se fosse stato colto sul fatto.
 << Peter Parker, non ti facevo così spudorato >> commentò la bionda, accarezzandogli la guancia. << Mi chiedo come reagirebbe tua zia allo scoprire che dietro quella facciata da piccolo angelo si nasconde un incorreggibile pervertito >>
<< Caaaarooool >> piagnucolò il ragazzo, arrossendo ulteriormente.
Se possibile, il sorriso della donna sembrò allargarsi.
<< Ti sto solo prendendo un po’ in giro >> ridacchiò, stringendolo in un caldo abbraccio.
L’adolescente chiuse gli occhi, lasciandosi cullare. Avrebbe potuto restare in quel modo per sempre.
<< Ci prendiamo la giornata libera? >> chiese dopo qualche attimo di quiete, solleticando la pelle della donna.
Carol rilasciò un sospiro divertito.
<< Per quanto la proposta sia allettante, temo di avere troppe questioni di cui dovermi occupare >>
<< Più importanti di me? >> domandò l’altro, con un ghigno impertinente.
La bionda fece per controbattere, ma, prima che potesse farlo, sentì le labbra del giovane posarsi sulle proprie. Chiuse gli occhi e assaporò ogni istante di quel contatto.
Dio, era inebriante, come una droga. La sua droga personale, pensò ironicamente. Poteva sembrare un pensiero smielato, soprattutto per gli standard che aveva, ma decise di non badarci troppo. Qualche vizio poteva concederselo anche lei, dopotutto.
Si staccò, coppando le guance del vigilante con le mani.
<< Peter Parker…tu mi farai morire >> disse con tono serio, facendo ridacchiare l’arrampica-muri. Questi le diede un rapido bacio sul naso, per poi accoccolarsi a lei una seconda volta.
Rimasero in silenzio per alcuni minuti, accompagnati semplicemente dal suono basso e ritmato dei loro respiri.
Quando quel lasso di tempo giunse al suo termine, Peter tornò a fissare la donna con la coda degli occhi, senza mai alzare la testa dal petto.
<< Carol…stavo pensando… >>
<< Uhm? >> canticchiò lei, accarezzandogli i capelli.
L’adolescente prese un respiro profondo.
<< È passato quasi un mese dall’inizio di…bhe, qualunque cosa si possa chiamare quello che stiamo facendo >> disse con voce incerta, attirando l’attenzione della supereroina.
<< Così? >> domandò lei, chiedendosi dove il ragazzo stesse cercando di andare a parare.
<< Vorresti…vorresti uscire con me? Per un vero appuntamento, intendo >> sussurrò a bassa voce.
Carol rimase in silenzio, apparentemente presa in contropiede dalla proposta del vigilante.
Abbassò la testa, incontrando i suoi occhi castani, gentili e carichi di speranza. Sentì un nodo alla gola.
<< Peter…io… >>
Si fermò, non sicura di come rispondere. Qualcosa balenò nello sguardo del compagno, come se una simile reazione fosse tutto quello di cui aveva bisogno per comprendere i pensieri della donna.
<< Lascia perdere, sapevo che era un’idea stupida >> borbottò a bassa voce, visibilmente ferito.
Carol trasalì.
<< No! >> urlò all’improvviso, afferrando il volto del ragazzo e costringendolo a guardarla. << Non è affatto un’idea stupida, in realtà è molto dolce. È solo che, non lo so…uscire un pubblico? Non pensi che sia troppo presto? >>
L’adolescente la fissò stranamente.
<< È passato un mese, Carol. Quasi tutte le coppie fanno questo genere di cose ancora prima di iniziare una relazione effettiva >> affermò con tono di fatto.
Al contempo, la bionda arricciò le labbra in un triste sorriso.
<< Ma sai anche che la nostra relazione non è esattamente la più ordinaria in circolazione >> disse con altrettanta convinzione, cosa che disegno un’espressione contemplativa sul volto di Peter.
Questi rimase in silenzio per un altro minuto, alla ricerca delle parole giuste per riprendere la conversazione. Alla fine, sembrò trovarle.
<< Carol…voglio farti capire che sto prendendo questa cosa molto sul serio >> sussurrò con tono gentile, afferrando delicatamente le mani della compagna. << Per cui te lo chiederò di nuovo. Accetteresti di venire ad un appuntamento con me? >>
Carol rimase ferma e immobile, lo sguardo perso negli occhi di Peter. Un paio di sfere lucide e colme di sentimenti. Passione, premura, determinazione…un fiume in piena di pensieri tanto intensi da farla rabbrividire.
<< Dannazione a te e quei bellissimi occhi da cerbiatto >> borbottò a bassa voce, porgendosi in avanti e baciando il ragazzo teneramente.
Si ritrasse per permettergli di riprendere fiato e notò che l’arrampica-muri la stava fissando con un timido sorriso.
Rilasciò un sospiro rassegnato, misto a divertimento.  
<< Molto bene, Peter Parker. Io…uscirò con te >>.
 
                                                                                                                                                           * * *  

<< Mamma, arriverò tardi a scuola >> piagnucolò Morgan Stark, oltrepassando le porte della Stark Tower assieme ad una certa donna dai lunghi capelli rossi.
Pepper Stark rilasciò un sospiro stanco, come se avesse sentito quella dichiarazione già un milione di volte. E considerando quanto la figlia aveva rimarcato il concetto durante l’intera traversata in macchina…probabilmente non era un numero poi così lontano dalla verità.
<< Mi dispiace, tesoro, ma mamma deve recuperare alcune cose dal suo ufficio. Non ci vorrà molto >> tentò di rassicurarla.
Mentalmente, si diede uno schiaffo sulla fronte. Ieri sera, tornando dal lavoro, aveva dimenticato delle pratiche importanti sulla scrivania dell’ufficio. Pratiche che, entro due ore, avrebbe dovuto presentare ad una riunione aziendale presso le New Hammer Industries dall’altra parte della città.
A peggiorare la situazione, Happy, che di solito si occupava di portare Morgan a scuola, aveva deciso di usufruire della settimana di ferie appena tre giorni fa.
“ Non poteva scegliere un momento peggiore” pensò stizzita, percorrendo la hall principale dell’edificio con lunghe falcate.
Come di consueto, il palazzo era deserto.
Morgan si guardò attorno, fino a quando i suoi occhi non catturarono una figura solitaria e molto familiare.
<< Guarda, mamma, c’è Peter! >> disse con tono entusiasta, indicando la parte opposta della sala.
Pepper seguì lo sguardo della figlia. In effetti, nella stanza adiacente alla hall, separata da una parete di vetro trasparente, vi era proprio il giovane Peter Parker.
Inutile dire che la donna fu piuttosto sorpresa dalla sua presenza. Dopotutto, era da quando gli Avengers avevano trasferito il quartier generale nella nuova base che non lo vedeva mettere piede nell’edificio.
Non sembrava essersi accorto di loro, cosa del tutto comprensibile dato che ogni vetro della Star Tower era stato rinforzato con materiale anti-proiettile che attutiva il propagarsi delle onde sonore.
Fece per richiamare la sua attenzione con un urlo, ma l’improvviso sopraggiungere di una seconda figura la costrinse a fermarsi.
Carol Danvers comparve da dietro un angolo, fermandosi di fronte alla figura dell’adolescente.
La donna inarcò un sopracciglio. Peter era venuto qui per vederla?
“ Mi chiedo per quale moti…”
Non ebbe la possibilità di terminare quel pensiero.
Vide tutto con estrema chiarezza. La bionda avvolse le braccia attorno alle spalle del ragazzo…e lo baciò sulle labbra, mentre l’altro la afferrava per i fianchi.
Il cervello di Pepper si bloccò.
Strabuzzò gli occhi, incapace di credere a quello cui stava assistendo. Eppure era vero, chiaro come il sole. Carol Danvers e Peter Parker…si stavano baciando.
Dimenticandosi della presenza della figlia, zampettò vicino alla stanza senza farsi notare, utilizzando vasi, statue e colonne come copertura, fino a quando non si ritrovò abbastanza vicina da poter sentire le loro voci.
<< Quindi…a domani? >> chiese il vigilante, afferrando le mani della supereroina e fissandola con un piccolo sorriso. La donna restituì il gesto.
<< A domani >> confermò con un rapido cenno del capo. Poi, baciò l’adolescente una seconda volta.
Rimasero incollati per quasi un minuto, sotto lo sguardo sbigottito di Pepper. Quando quel lasso di tempo giunse al suo termine, il ragazzo si staccò e uscì dalla stanza.
La magnante si ritrasse subito dietro la colonna che stava usando come nascondiglio. Ben presto, si rese conto che Morgan l’aveva seguita, e ora stava affianco a lei con un’espressione vagamente perplessa.
La rossa le fece cenno di rimanere in silenzio, cosa che la bambina rispettò.
Una volta che il vigilante se ne fu andato, Pepper uscì dal nascondiglio e si guardò attorno. Di Carol neanche l’ombra. Doveva essere tornata nella sua stanza.
Morgan si avvicinò alla madre e le tirò la manica della camicia.
<< Perché Zia Carol e Peter stavano facendo quella cosa che tu e papà facevate sempre quando uscivo dalla stanza? >>
<< Non ne ho la minima idea, Morgan…ma ho intenzione di scoprirlo >> rispose la donna, assottigliando pericolosamente lo sguardo.
Diede alcuni soldi alla figlia. << Tu va pure a prenderti un gelato alla caffetteria. Mamma deve…discutere di alcune faccende con la zia Carol >>
La bambina inarcò un sopracciglio.
<< Ma arriverò tardi a scuola. E poi, io voglio venire >> borbottò con un broncio.
Pepper si limitò a roteare gli occhi.
<< Ti scriverò una giustificazione. E mi dispiace, ma questa sarà una conversazione tra adulti >> disse con un tono che non ammetteva repliche.
Morgan, tuttavia, mantenne la sua espressione imbronciata.
 << …Un gelato e una coca-cola >> aggiunse Pepper, incapace di resistere a quella visione.
La bambina incrociò le braccia.
<< …Con lo zucchero >> sospirò la donna.
Morgan sorrise soddisfatta e procedette a zampettare in direzione della caffetteria, con la rossa che la fissava da dietro.
<< Ha preso troppo da te, Tony >> mormorò rassegnata.
Poi, con un luccichio determinato negli occhi, iniziò a incamminarsi verso la stanza di Carol.
 
                                                                                                                                                       * * * 
 
Carol si accasciò sul divano del salotto, ripensando agli eventi dell’ultima mezz’ora. Aveva appena accettato di uscire apertamente con un ragazzo di appena diciotto anni.
La cosa la metteva un po’ a disagio, certo, ma per qualche ragione era anche stranamente eccitante. Il brivido del proibito, sentirsi di nuovo nel pieno della giovinezza…era tutto molto stimolante, dovette ammettere a se stessa.
Qualcuno suonò al campanello dell’appartamento, distogliendola da quei pensieri.
“ Uhmm…forse Peter ha dimenticato qualcosa” ipotizzò, alzandosi dal divano e camminando fino alla porta.
Una volta aperta, si ritrovò davanti la figura di Pepper Stark.
<< Ciao, Carol >> disse la donna, le braccia incrociate davanti al petto e il volto adornato da un cipiglio impassibile.
Mentalmente, l’Avenger si ritrovò ad inarcare un sopracciglio.
<< Oh…ciao, Pepper >> salutò con tono incerto. << Come mai sei qui? Pensavo che dovessi presenziare ad una riunione alle Hammer Industries >>
<< Avevo dimenticato alcune pratiche sulla scrivania, sono solo venuta a riprenderle >> rispose freddamente la rossa, mantenendo quell’espressione stoica.
Carol cominciò a fissarla stranamente.
<< Capisco. Ti serve, ehm…qualcos’altro? >>
<< Da te? No >> disse l’altra, stringendo ambe le palpebre degli occhi.
Ok, ora stava cominciando seriamente a preoccuparla. Non aveva mai visto Pepper con un atteggiamento così…ostile.
Andò a ritroso con la memoria, cercando di trovare un qualsiasi motivo per cui avrebbe potuto essere arrabbiata con lei. Aveva per caso distrutto un’altra volta la sala per gli allenamenti dell’edificio? Forse non ci aveva fatto caso.  O forse era ancora irritata per quella volta in cui aveva bruciato la cucina dell’appartamento!
Prima che potesse proseguire con quella linea di pensiero, Pepper ricominciò a parlare.
<< Allora…come sta andando la tua relazione? >> domandò con tono apparentemente casuale.
Carol sorrise consapevole.
Ah, ecco la vera ragione di tutto questo. Probabilmente voleva solo qualche altra informazione sul suo piccolo rapporto segreto. L’essere fredda e stoica era solo una messinscena ideata per farla sentire in colpa per qualche misterioso motivo che non ricordava nemmeno, costringendola a vuotare il sacco con più facilità. Bhe, non avrebbe certo reso vani gli sforzi della rossa…entro limiti ragionevoli, ovviamente.
<< È incredibile. Meravigliosa >> rispose con voce quasi sognante, appoggiandosi all’uscio della porta e alzando lo sguardo in direzione del soffitto. << Non ho dormito molto nell’ultima settimana, ma lui è così…ansioso di darmi piacere. E lo stesso vale per me nei suoi confronti! >>
Era solo una sua impressione…o l’occhio destro di Pepper aveva cominciato a tremare? Forse era solo stanca.
<< Lui è così…fresco…spontaneo. Ed è anche molto gentile e paziente >> continuò con un sospiro. << Non è fantastico? >>
<< Ehm, sì…strabiliante >> rispose la rossa, meno entusiasta di quanto avrebbe inizialmente pensato.
Uhm, forse non voleva sentire roba così banale. Era ora di usare le armi pesanti.
<< Ti devo rivelare anche questo, perché mi imbarazzerebbe troppo dirlo a chiunque altro >> disse con le guance tinte di rosso, prima di indicare la parte inferiore del corpo. << Il suo amico lì sotto… >>
“ Oddio, no!” pensò Pepper.
<< …non è affatto male. Sul serio, gli cucirei un cappellino >> continuò Carol, inconsapevole delle urla mentali della magnante.
Volse alla donna un sorriso timido.
<< Avresti mai immaginato che sarei stata così soddisfatta? Dal punto di vista sessuale, intendo >>
<< No, così tanto no >> borbottò la rossa, portandosi una mano alla fronte. << Soprattutto considerando che va ancora al liceo >>
<< … >>
Il tempo parve fermarsi. Un silenzio inesorabile sembrò calare in tutto l’edificio.
Il sorriso di Carol scomparve poco a poco, venendo prontamente sostituito da un’espressione impassibile.
<< Non so di cosa tu stia parlan… >>
<< Risparmiati la commedia Carol, ho visto te e Peter amoreggiare davanti all’ascensore >> la interruppe freddamente Pepper.
Il cuore della bionda mancò un battito. Dilatò le pupille, aprendo e richiudendo la bocca un paio di volte.
Di fronte a lei, la magnante incrociò le braccia una seconda volta, rimanendo in attesa.
Dopo quasi un minuto buono, capendo che nessuna scusa sarebbe stata capace di farla uscire da una simile situazione, Carol rilasciò un sospiro e incrociò a sua volta le braccia davanti al petto.
<< Ok, Peter è il ragazzo che sto frequentando. La cosa ti crea problemi? >> chiese con tono freddo e distaccato, nel tentativo di intimidire l’amica.
Pepper compì un passo in avanti.
<< Sei seria? >>  ringhiò a denti stretti.
Al contempo, Carol strinse ambe le palpebre degli occhi.
<< Non abbiamo fatto nulla di male >> disse imperterrita, mentre la rossa inarcava un sopracciglio.
<< Davvero? Allora non ti dispiacerà che ne parli con il resto della squa… >>
<< No! >> urlò la supereroina, lanciandosi in avanti e afferrando le spalle della magnante. Questa la fissò con un sorriso vittorioso.
“ Dannazione “ imprecò mentalmente Carol, cercando di riprendere il controllo sulle proprie emozioni. Dio, non era da lei essere così impulsiva.
<< Ti prego…non farlo >> disse dopo aver preso un paio di respiri calmanti.
Pepper la scrutò con uno sguardo apparentemente innocente.
<< Ti senti a disagio con l’idea che gli altri lo vengano a sapere? Perché dovresti? Oh, lo so! Forse perché stai frequentando un adolescente!? >>
<< È maggiorenne! >>
<< Non ha nemmeno l’età legale per bere! >>
<< …Solo negli Stati Uniti >>
<< Che guarda caso è il paese in cui vive! >> ribattè la rossa, sollevando ambe le mani in direzione del soffitto.
La supereroina distolse lo sguardo, consapevole di quanto le sue scuse fossero deboli.
Pepper rilasciò un sospiro stanco.
<< Carol, che diavolo ti è saltato in mente? Sedurre il nipote di May? Non pensavo che fossi tanto sconsiderata! >>
<< Bhe, se vogliamo puntare il dito, in realtà è lui che ha sedotto me >> rispose la bionda, arrossendo intensamente.
L’amica la fissò con uno sguardo impassibile.
<< Cosa? >>
<< Credimi, ho ancora difficoltà a concepire l’accaduto >> disse l’altra, con una scrollata di spalle. << Per farla breve,  un attimo prima stavamo solo parlando, poi…mi ha baciata. Così, di punto in bianco! Da lì in poi, le cose si sono fatte piuttosto intense. L’ho allontanato, cercando di dimenticare l’intera faccenda, così lui si è presentato al mio appartamento. Abbiamo cercato di mettere a posto le cose, mi ha baciata di nuovo e…bhe, il resto, come si suol dire, è storia >>
<< …Da quanto tempo va avanti questa cosa? >> domandò lentamente la magnante.
Carol la scrutò con fare incerto.
<< Da circa un mese. Ma ci siamo baciati per la prima volta il giorno del suo diciottesimo compleanno >> rivelò, capendo che mentire non avrebbe portato a nulla di buono. Pepper era troppo perspicace.
Nel mentre, la suddetta donna aveva cominciato a fissarla con una tale intensità che, per un attimo, perfino la bionda fu tentata di indietreggiare, chiudersi la porta alle spalle e volare fuori dalla prima finestra che le fosse capitata a tiro.
<< Devi rompere con lui >> disse all’improvviso la rossa.
Carol sussultò, portandosi una mano al petto come se fosse stata colpita direttamente al cuore.
<< …Non lo farò >> rispose freddamente, dopo un attimo di silenzio.
Pepper compì un  ulteriore passo in avanti, indicando la supereroina.
<< Non ti permetterò di spezzare il cuore di quel ragazzo, non dopo tutto quello che Tony ha fatto per garantirgli una vita lunga e felice >> sibilò attraverso i denti. << È solo un bambino! >>
A questo punto, anche il corpo di Carol venne invaso da un’ondata di pura rabbia.
<< Vuoi parlare del tuo ex marito? Va bene, parliamo di lui! >> ringhiò, mentre i suoi occhi cominciarono a illuminarsi di un debole bagliore dorato. << Sai dove ho incontrato Peter per la seconda volta, dopo la battaglia contro Thanos? Ad un cimitero! Veniva lì ogni giorno, a piangere sulla tomba di Stark. Era disperato, non riusciva a superare la sua morte! >>
L’espressione risoluta sul volto di Pepper sembrò vacillare, ma la bionda non aveva certo finito.
<< Io gli sono stata vicina. L’ho aiutato ad andare avanti e l’ho convinto ad onorare la sua memoria diventando un membro della squadra >> disse indicando se stessa.
Poi, lo sguardo di Carol cominciò a farsi più stanco e vulnerabile.
<< Lui è felice con me…e io sono felice con lui. Vuoi dirlo alla squadra? Fallo pure, non m’importa! >> esclamò, tornando a fissare rabbiosamente la rossa. << Io…io non lo abbandonerò. Non voglio che passi ancora una volta attraverso una cosa del genere >>.
Di fronte ad una simile sfuriata, per la prima volta da molto tempo, Pepper si ritrovò a corto di parole.
Scrutò la supereroina con un’espressione scioccata, mista a quello che poteva benissimo essere senso di colpa.
<< Ti piace davvero >> disse con tono rassegnato, ricevendo un cenno del capo ad opera dell’amica.
<< Sì. Non so come sia potuto accadere, ma è così >> borbottò lei, abbassando testa e spalle con aria sconsolata.
Rimasero in silenzio per quello che parve un tempo interminabile.
Pepper scrutò la figura di Carol con occhi critico, alla ricerca del minimo segno di disonestà o inganno in quello che le aveva appena rivelato. Non ne trovò nessuno.
<< …Non dirò niente >> disse all’improvviso, facendo drizzare l’Avenger.
<< D-davvero? >> balbettò lei, fissandola con occhi grandi e colmi di speranza.
<< Davvero >> confermò la rossa. << E Dio mi è testimone, probabilmente me ne pentirò, ma riconosco che i tuoi sentimenti per lui sono…sinceri >>
Di fronte a lei, la supereroina rilasciò un sospiro di sollievo.
<< Ti ringrazio >> disse con un sorriso luminoso, cosa che costrinse Pepper a distogliere lo sguardo.
“ Sono troppo buona” pensò con aria stizzita.
Poi, volse alla donna un’occhiata d’avvertimento.
<< Ma se dovessi scoprire che lo stai solo usando come una sorta di anti-stess…se proverai a ferirlo…credimi, Carol, l’Inferno non sarà abbastanza rovente per quello che scatenerò su di te. Per non parlare di quello che ti farebbe May >>
<< Ricevuto >> disse l’altra, deglutendo sonoramente. << Comunque…in mia difesa, ti avevo detto che era più giovane >>
In risposta a quelle parole, la rossa la fissò con un’espressione che prometteva dolore e sofferenze incalcolabili.
Carol alzò ambe le mani in segno di resa. << Ok, questa potevo evitarla >>
<< Sono a tanto così dal pugnalarti >> sbuffò la magnante, per poi incrociare le braccia davanti al petto ancora una volta. << Ora, ho sentito che avete programmi per domani. Di che si tratta? >>
La bionda arrossi timidamente, cominciando a strofinarsi la testa con aria imbarazzata.
<< A proposito di questo…ho bisogno di qualche consiglio >>
 
                                                                                                                                                  * * * 

Fare il giornalista free lance, nella maggior parte dei casi, equivaleva scegliere di non avere padroni.
Era un tentativo continuo di stare lontano dalle lobby di redazione e dai protettori politici che condizionavano le carriere.
Era il bisogno, in fondo, di esprimere una libertà fondamentale: ribellarsi ai soprusi (magari sbattendo la porta in faccia quando la pressione si faceva insostenibile) e dire no ai compromessi con il potente di turno.
Per anni, Nina Romina aveva fatto di questo mestiere una missione religiosa, non cedendo a trappole facili.
La più facile era sicuramente il Potere. Perché il potere corrompeva, il potere fagocitava, il potere tirava le persone dentro di sé!
Se ti mettevi accanto a un candidato alla presidenza in una campagna elettorale, se andavi a cena con lui e parlavi con lui…diventavi un suo scagnozzo, un suo operatore.
Certe cose non le erano mai piaciute. Il suo istinto le aveva sempre consigliato di starne lontano.
Proprio starne lontano, mentre oggi vedeva tanti giovani reporter che godevano all'idea di essere vicini al Potere, di dare del "tu" al Potere, di andarci a letto col Potere, di andarci a cena col Potere, per trarne lustro, gloria e magari informazioni.
Nina questo non lo aveva mai fatto, anche per una forma di moralità.
Aveva sempre avuto questo senso di orgoglio che la costringeva a guardare il potere in faccia e mandarlo a fanculo.
Apriva la porta, ci metteva il piede, entrava dentro, ma quando era nella sua stanza, invece di compiacerlo controllava che cosa non andava, faceva le domande giuste. Questo era il giornalismo.
E grazie a questa convinzione, ancora oggi era considerata una delle migliori sul campo, come dimostrava l’enorme roulotte piena di tutte quelle apparecchiature all’avanguardia che utilizzava durante le sue interviste.
Qualcuno bussò alla portiera del suddetto mezzo, attirando l’attenzione della donna, attualmente intenta a sistemarsi i lunghi capelli neri in una crocchia. Probabilmente si trattava David Loomis, il suo cameraman.
Era una vecchia abitudine che si era portato dietro dai suoi tempi di gloria nella vecchia Los Angeles, in cui si era costretti a bussare ad ogni porta per evitare di incappare in una donna sul punto di vestirsi o spogliarsi.
Nina rilasciò un sospiro e andò ad aprire. Non l’avesse mai fatto.
Ad accoglierla fu un uomo alto e magro, vestito con una camicia bianca e jeans attillati. Aveva folti capelli rossi, occhi quasi completamente neri e il volto adornato da un largo sorriso. Inoltre, al collo portava una macchina fotografica.
<< Dolcegramma! >> disse ridendo.
Nina lo fissò, e sulle prime non capì che cosa diavolo stesse succedendo. Ma poi, prima che riuscisse a provare shock e terrore, qualcosa la colpì allo stomaco, trapassandola da parte a parte.
La donna abbassò lo sguardo.
C’era effettivamente qualcosa conficcata nel suo intestino. Una lunga asta rossa, simile ad una lancia, che partiva direttamente dalla mano dell’uomo.
La donna sputò un fiotto di saliva misto a sangue, cadendo a terra con un tonfo.
Mentre si premeva la ferita, Cletus si avvicinò. Nina aveva gli occhi spalancati e spaventati. Lottava per non perdere i sensi.
Il serial killer si abbassò sulla sua faccia e le sussurrò : << Non svenire ancora, Nina. Dai, fammi vedere che hai ancora un po’ di spina dorsale! AH AH! L’hai capita? È una battuta, perché riesco a vederti la spina dorsale attraverso la ferita aperta e a causa dei pezzi sparpagliati sul pavimento. Fa ridere perché è vero! >>
Poi, l’uomo prese la macchina fotografica che aveva al collo e la accese.
<< Tra parentesi, se non è troppo disturbo, con la spina dorsale a pezzi e tutto il resto, intendo, credi di riuscire a sorridere per una foto? È un po’ imbarazzante ammetterlo, ma sono un tuo grande fan  >>
<< P-perché… >> balbettò la donna, mentre sentiva il proprio corpo diventare sempre più freddo.
Il sorriso di Cletus, se possibile, sembrò farsi ancora più grande.
<< Per dimostrare qualcosa…al crimine! >>
 


Com’era? Spero bello!
Sì, c’è stato un balzo temporale di un mese, tempo in cui il nostro Carnage ha elaborato un piano che scuoterà la città in maniera a dir poco plateale. Ne vedremo delle belle, ve lo assicuro. Ho anche messo una citazione a The Killing Joke, perchè in fondo Cletus è proprio il Joker della Marvel.
Nel mentre, il rapporto tra Peter e Carol si è fatto sempre più intenso, e il vigilante crede che sia finalmente arrivato il momento di andare ad un vero appuntamento con la donna dei suoi sogni.
Purtroppo la situazione non è priva di complicazioni…ed è solo l’inizio del dramma che investirà i nostri protagonisti.

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Capitolo 7
*** The date ***


Ecco un nuovissimo capitolo!
Per chi fosse interessato, ho realizzato un breve video tribute interamente dedicato a Peter e Carol: https://www.youtube.com/watch?v=wJkcKobzxl0&t=2s
Come al solito, vi auguro una piacevole lettura e vi invito a lasciare un commento!
 


The date
 
<< Al primo appuntamento è molto importante rendersi quanto più attraenti possibile agli occhi del partner. Per quel che riguarda il look, non sono indispensabili capi firmati, basta trasmettere un'idea di pulito >>
Carol lesse questo sulla lista di consigli che Pepper le aveva scritto il giorno prima, dopo che la donna le aveva rivelato di non aver mai partecipato ad un effettivo appuntamento romantico.
Non che qualcuno potesse fargliene una colpa. Dopotutto, ogni relazione che aveva intrapreso nel corso degli anni  era sempre stata il risultato di una situazione mordi e fuggi, magari una notte di sesso bollente, o una gara di bevute in un bar, oppure nel momento di eccitazione successivo ad un combattimento estenuante, per smaltire la tensione.
E quando era un’adolescente non aveva mai prestato troppa attenzione ai ragazzi, era sempre stata più concentrata sul guadagnare soldi con qualche lavoretto - di solito come barista - e seguire i corsi necessari per ottenere una buona borsa di studio, a causa della deprecabile situazione economica della sua famiglia.
Scosse la testa da quei ricordi e si guardò allo specchio, prendendo  nota di quello che aveva scelto d’indossare : una camicia nera a maniche corte, unita a jeans attillati del medesimo colore e stivali in pelle dal fondo alto.
Non esattamente quello che ci sarebbe aspettati per un primo appuntamento, di questo ne era assolutamente sicura. Ma, in sua difesa, non aveva mai dato particolare importanza al proprio vestiario, in genere le bastava che i suoi abiti fossero comodi e pratici per eventuali situazioni in cui avrebbe dovuto combattere.
<< Bhe…se non altro sono puliti >> borbottò a se stessa.
Si diede un ultima sistemata ai capelli, un po’ di trucco per risaltare ciglia e guance, e uscì dall’appartamento, camminando fino all’esterno della Stark Tower.
Si guardò subito attorno.
Erano le 10:00 in punto, l’ora prestabilita per l’incontro, ma di Peter neanche l’ombra. Se lo aspettava, quel ragazzo non riusciva mai ad essere puntuale.
Fece per prendere il cellulare e chiamarlo, ma in quel momento i suoi occhi si posarono su una vista decisamente insolita.
C’era un’enorme linea bianca disegnata sul marciapiede della Stark Tower, che partiva direttamente dall’entrata e svoltava dietro la parte opposta dell’edificio. Sembrava essere stata dipinta con del gesso spray.
La donna inarcò un sopracciglio e, presa dalla curiosità, cominciò a seguirla.
Dopo circa un minuto di camminata, ne trovò la fine. Terminava con una grossa freccia che puntava direttamente ad una panchina. E su quella panchina…c’era un foglio.
Carol lo afferrò, scoprendo che si trattava di un biglietto indirizzato a lei.
<< Spiacente, sono in ritardo >> lesse ad alta voce, << Ma… Guarda sotto la panchina >>
Fine. Era tutto quello che c’era scritto sopra. Certo, se non si prendeva in considerazione un piccolo ragno blu e rosso disegnato nell’angolo del foglio.
Carol sorrise consapevole.
Abbassò la testa, seguendo le istruzioni del biglietto, e trovò un registratore sul fondo della panchina, al quale erano attaccati degli auricolari.
Roteò gli occhi, apparentemente divertita dall’intera situazione, afferrò il dispositivo, mise le cuffie e premette play.
<< Uno, due, uno, due, prova…sì, funziona >> disse l’inconfondibile voce di Peter Parker. << Bene, Carol, ecco il programma della giornata. Come prima missione, dovrai localizzare un veicolo rosso dotato di una mostruosa cilindrata…che non dovresti tardare a scorgere >>
Quasi come ad un segnale, udì un sonoro scoppiettio alle proprie spalle.
Si voltò, mentre il suo appuntamento la raggiungeva con un piccolo motorino dalla cromatura rossa.
Carol diede una rapida occhiata al ragazzo, mentre questi si toglieva il casco e la salutava con un sorriso smagliante. Indossava una camicia bianca, pantaloni beige e una giacca in pelle nera.
“ Ha un’aria molto focosa” dovette ammettere a se stessa.
Nel mentre, il registratore riprese a parlare.
<< E una volta salita sul veicolo, la seconda missione sarà di NON chiedere al guidatore qual è la destinazione. Primo: perché è una sorpresa. Secondo: bhe…perché il senso è un po’ quello >>
Carol restituì il sorriso dell’adolescente, mentre questi le porgeva un secondo casco. La donna se lo mise in testa e salì in sella al veicolo, abbracciando il ragazzo da dietro.
<< Ah, dimenticavo! Vuoi ascoltare un po’ di musica? >> chiese la voce di Peter, attraverso gli auricolari.
E poi, il registratore cominciò a suonare sulle note di Bohemian Rhapsody, mentre il ragazzo e la donna si lasciavano dietro l’immensa sagoma della Stark Tower.
La prima parte del viaggio consistette in tre chilometri di strade che succedevano ad una periferia nei pressi di Central Park, dove c’erano bar, negozi di ogni tipo e pure un piccolo centro benessere in cui facevano trattamenti al viso con le alghe. Carol non ci avrebbe mai messo piede.
Ma dopo quel tratto di strada, Peter aveva deviato su un sentiero serrato che si addentrava nella parte esterna del parco, che dopo lo schiocco era stata adattata per l’uso dei veicoli a due ruote.
Aveva pigiato il piede sull’acceleratore, tuffandosi tra gli alberi, facendosi strada tra cespugli, sobbalzando sulle buche occasionali e sollevando pezzi di terriccio.
Arrivarono nei pressi di una piazzetta, al centro del quale sorgeva un piccolo chiosco.
Tratto distintivo del gazebo - completamente in legno - era un enorme cono gelato dipinto accanto alla scritta “Stan’s Ice Cream”, sull’insegna del baracchino. Un nome semplice e diretto, un piccolo tuffo nel passato di un’America che ormai mirava quasi sempre allo sfarzoso e al nuovo.
<< Una gelateria? >> chiese Carol, dopo essere scesa dalla moto.
Peter si tolse il casco, sorridendole brillantemente.
<< Yep! >> rispose, quasi con orgoglio.
La supereroina inarcò un sopracciglio. Non era certo quello che si aspettava quando Peter aveva parlato di una “sorpresa”.
<< Mi inviti fuori per un appuntamento galante e la tua prima idea è stata quella di portarmi a prendere un gelato? >>
<< Questa non è una semplice gelateria, donna di poca fede >> la ammonì il vigilante, agitandole un dito davanti alla faccia.
Carol lo fissò divertita. << Ah, no? >>
<< Niente affatto. Questa è la MIGLIORE gelateria di tutta New York! >> esclamò l’altro, come se stesse annunciando una verità universale. << E non puoi dire di aver mangiato un buon gelato finchè non hai provato quelli del vecchio Stan >>
Detto questo, porse la mano destra in avanti a mo’ di ballo, aspettando che la donna la prendesse. Carol ridacchiò, compiaciuta dall’atteggiamento semi-galante dell’arrampica-muri.
Questi la condusse fino al chiosco.
<< Buon giorno, Stan Lee! >> disse Peter, una volta arrivati al bancone del gazebo.
Sì udì un piccolo tonfo e un gemito di dolore, come se qualcuno avesse sbattuto la testa contro qualcosa. Poi, da sotto l’asse in legno, arrivò una voce maschile e dalla cadenza anziana.
<< Le mie orecchie mi stanno forse ingannando…oppure ho davvero sentito la voce del giovane Peter Parker? >>
<< Tranquillo, Stan, le tue orecchie funzionano più che bene >> disse il vigilante, mentre una figura sbucava dalla parte inferiore dello scanno.
In effetti si trattava proprio di un uomo anziano, piuttosto alto, con i capelli bianchi tirati all’indietro, dei baffetti ben curati e un paio di occhiali da sole. Cosa che sorprese non poco Carol, dato che era nuvolo.
Il vecchietto sorrise amichevolmente in direzione di Peter, mentre posava una chiave inglese sulla superficie del bancone.
<< Non ti vedo da quasi due mesi, pensavo che ti fossi trasferito, o peggio…che mi avessi pugnalato alle spalle con una gelateria a buon mercato >> lo salutò gravemente.
L’arrampica-muri rilasciò un sonoro sbuffo.
 << Lo sai che non ti tradirei mai. Sono solo stato un po’…impegnato, ecco tutto >> offrì con una scrollata di spalle.
Il rinomato Stan Lee annuì comprensivo, per poi posare lo sguardo su Carol.
<< E chi è questa bella ragazza? >> chiese cortesemente.
Peter compì un paio di colpi di tosse, indicando la figura della donna.
<< Stan, voglio presentarti Carol Danvers, la mia… >>
Si bloccò di colpo, lanciando alla collega Avenger un’occhiata laterale. Carol ghignò, aspettando di vedere come avrebbe scelto di apostrofarla.
<< Ehm, migliore amica >> continuò il ragazzo, arrossendo copiosamente.
Internamente, la bionda si ritrovò quasi delusa da una simile etichetta. Ma scacciò subito via quell’emozione,  in fondo era stata lei stessa a voler nascondere il loro rapporto.
Stan passò brevemente lo sguardo tra lei e Peter, apparentemente non del tutto convinto dalle parole dell’Avenger.
Dopo un attimo di silenzio, tuttavia, si strinse nelle spalle e sorrise nuovamente in direzione di Carol.
<< Un vero piacere, signorina. Vi stringerei la mano, ma come potete vedere ero impegnato in alcune riparazioni >> disse indicando la chiave inglese sul bancone.
Tirò un calcio sotto lo scanno, borbottando :  << Il tubo del refrigeratore continua a guastarsi >>
<< Non preoccupatevi, apprezzo comunque il pensiero >> rispose la supereroina, sorridendo a sua volta.
Indicò l’insegna del posto.
<< Peter mi ha detto che fate il gelato più buono di tutta New York >>
<< Ti prego, dammi pure del tu. E il giovane Parker sbaglia di grosso! >> esclamò l’uomo, per poi puntare un dito in direzione della volta celeste. << Il mio gelato non è il migliore di New York…ma il migliore in tutto il mondo! >>
<< Un’affermazione molto audace >> commentò Carol, visibilmente divertita dai manierismi stravaganti di questo Stan. Era sicuramente una persone piena di energie.
<< E vera al 100%, te lo assicuro >> confermò il vecchietto. << Il nostro paese sarà anche al settimo posto per alfabetizzazione, ventisettesimo in matematica, ventiduesimo in scienza, quarantanovesimo nell'aspettativa di vita, centosettantottesimo nella mortalità infantile, terzo nel reddito familiare medio, numero quattro nella forza lavoro e numero quattro nelle esportazioni…Ma che Dio mi possa fulminare se almeno qui, in questo piccolo angolo di Terra, non saremo i primi nella categoria dei gelati! >>
Detto questo, afferrò un cono da sotto il bancone e lo riempì con una pallina al cioccolato.
 << Avanti, prova >> incitò, porgendo il gelato a Carol.
La donna strabuzzò gli occhi, ispezionando il cono da cima a fondo.
<< Come facevi a sapere che volevo proprio questo gusto? >> chiese con sospetto.
Stan si picchiettò scherzosamente il lato del naso.
<< I trucchi del mestiere >> disse con un occhiolino malizioso.
Carol passò lo sguardo da lui a Peter, che scrollò le spalle come per dire “ Non chiedere a me”.
Diede un’altra rapida occhiata al gelato…e prese un morso.
Prima arrivò il gelo, il freddo abbraccio del latte congelato misto a nocciole che avvolse le sue papille gustative come una coperta,inviando una breve fitta al cervello. Poi, il mondo divenne un esplosione di sapori, mentre il cioccolato le si scioglieva in bocca e scivolava lungo la gola.
La supereroina chiuse gli occhi, assaporando quel momento con attenzione quasi metodica. Infine deglutì…e aprì gli occhi.
<< Allora? >> domandò Stan Lee, con tono colmo d’anticipazione.
Carol volse all’uomo un sorriso brillante.
<< Penso che sia il gelato più buono che abbia mai mangiato >> ammise, prendendo un altro morso.
Peter sollevò la mano destra.
<< Exelsior! >> esclamò, mentre Stan la colpiva con la propria.
Di fronte a quella scena buffa quanto inusuale, Carol non potè fare a meno di scoppiare in un autentico eccesso di risate. 
Da lì in poi, il resto della giornata passò quasi troppo in fretta, in un susseguirsi di tante piccole attività : alcune passeggiate, pranzo con pic-nic preparato dallo stesso Peter, una visita a Coney Island, e pure un’ora spesa a nutrire gli scoiattoli che abitavano Central Park.
Quando iniziò a farsi buio, la coppia si fermò in mezzo ad un prato per osservare le stelle, esattamente come quella notte di quasi un mese prima.
L’adolescente volse a Carol un’espressione incerta.
<< Ti stai, ehm…divertendo? >> domandò con esitazione.
La donna sorrise, prima di afferrargli la testa e baciarlo teneramente.
<< Ti basta come risposta? >>
<< No >> disse l’altro, con un piccolo ghigno.
La bionda sbuffò divertita. << Sì, mi sto divertendo. Contento? >>
<< Estremamente >> disse il ragazzo, ricevendo in cambio una gomitata nelle costole. Poi, la supereroina appoggiò la testa sulla spalla del vigilante.
Rimasero in quella posizione per quasi mezz’ora, gli sguardi persi in direzione dell’enorme volta stellata che li sovrastava. Passato quel lasso di tempo, Carol si rimise in piedi con un balzo.
 << E ora…penso che sia arrivato il momento di sdebitarmi >> disse con un sorriso civettuolo, chinandosi verso il basso e issando il mento di Peter con la punta dell’indice destro.
L’adolescente arrossì copiosamente.
 << Q-qui? >> balbettò, guardandosi intorno per vedere se ci fosse qualcuno nei paraggi.
Carol gli picchiettò giocosamente la guancia.
<< Raffredda i bollenti spiriti, cowboy, non era ciò che avevo in mente. Anche se la tua idea ha del potenziale >> aggiunse quasi a se stessa, mentre l’arrampica-muri distoglieva lo sguardo.
 << O-oh…scusa >> borbottò, maledicendo se stesso per essere saltato ad una simile conclusione.
“ Dannati ormoni! “ pensò stizzito.
Carol ridacchiò, aiutandolo ad alzarsi da terra, e cominciò a condurlo in città.
 
                                                                                                                                               * * * 
 
Arrivati nei pressi del centro di New York, Carol condusse Peter attraverso la folla, fino a un basso edificio costruito tra due vicoli. Al suo interno, luci e ombre pulsavano a tempo con la musica di bassi martellanti.
Il ragazzo si fermò di colpo.
<< Un discoteca? >> domandò allibito. << Sul serio, per chi mi hai preso? >>
<< Per un mortale e noiosissimo guastafeste che non ha mai speso un minuto della sua vita lontano dallo studio >> disse la donna, con un sorriso malizioso. << Credo che tu abbia bisogno di passare un po’ di tempo a scatenarti e smetterla di scervellarti >>
Peter la fissò poco convinto. È vero, non era mai stato in una discoteca in tutta la sua vita, non solo perché non era esattamente il più popolare dei ragazzi…ma anche perché non sapeva proprio come ballare.
Internamente, era preoccupato di fare brutta figura di fronte a Carol.
A sua insaputa, la donna non aveva messo piede in quel genere di stabilimento da oltre quarant’anni, sempre troppo impegnata a salvaguardare l’universo per potersi permettere svaghi del genere, come quando era più giovane. Non che il suo compagno fosse tenuto a conoscere questo bocconcino d’informazioni.
Alla fine, dopo qualche attimo di esitazione, Peter si lasciò condurre dentro l’edificio.
All’interno, l’aria era pesante e stantia e l’ambiente era fuorviante. Era come se, superando la porta, Peter fosse stato immerso in una cacofonia di suoni e odori tutti mescolati.
Si tappò le orecchie per un istante, udì il fidato battito del proprio cuore e si tranquillizzò un poco. Gli ci volle un attimo per combattere il senso di claustrofobia.
Sulla pista da ballo al centro, un globo palpitante di luci multicolori lampeggiava e sussultava, circondato da corpi che roteavano e si strofinavano l’uno contro l’altro in una languida, indecorosa pantomia. Il rumore era così chiassoso da risultare assordante.
Era un luogo dominato dal movimento e dalle impressioni. Con quella musica priva di guida, i ballerini si muovevano assecondando il corpo, con una gestualità che gli osservatori interpretavano liberamente. Di spettacoli se ne vedevano tanti quanti erano gli avventori del locale.
Carol gli lanciò un sorriso brillante e cominciò a tirarlo verso un tavolo isolato.
Peter voleva parlarle, ma le tacite regole della discoteca glie lo impedirono. E così la seguì e si sedette in silenzio, le mani intrecciate in grembo, e si mise a osservare il turbinio della calca danzante. Persino la pista, dove i corpi cozzavano tranquillamente, sembrava troppo affollata.
Molte persone indossavano tutti abiti alla moda. Peter, banale e compassato con i suoi pantaloni e camicia bianca, si sentiva ancora più fuori posto. Ma col passare dei minuti, vedendo che la gente si concentrava soprattutto sulla pista da ballo, il suo imbarazzo diminuì e le sue spalle si fecero meno rigide.
Un cameriere passò loro davanti, con un vassoio pieno di bicchieri. Carol lo fermò con una mano, afferrando due bevande, e pagò. Poi porse uno dei bicchieri a Peter.
Lui lo prese e lo studiò con attenzione. Sorseggiò il contenuto.
Era azzurro, frizzante e sin troppo dolce, al sapore di melone, sambuco e alcol etilico. Ma lei lo beveva, e così fece anche lui.
Osservarono la pista da ballo per un po’, i corpi che si dimenavano come indotti da segnali nascosti, contorcendosi e girando a tempo con le pulsazioni del globo luminoso.
Le ombre guizzavano, tremolavano sulle pareti, sul soffitto e sul pavimento, e alternavano le loro configurazioni secondo le movenze sincopate dei danzatori.
Poi, prima che potesse anche solo protestare, Carol gli afferrò le mani e lo trascinò tra la folla.
Peter si ritrovò subito circondato da decine di corpi in movimento, alcuni dei quali cozzarono contro di lui.
Cercò inutilmente di evitarli, provando a seguire il ritmò della musica, ma ogni suo tentativo si rivelò vano. Questo, almeno, fino a quando Carol non avvolse ambe le braccia attorno al suo collo, costringendolo a guardala.
Aveva le labbra arricciate in un sorriso sensuale, il volto seminascosto nella penombra, che, unito alle luci intermittenti del soffitto, le conferiva un’aura quasi sovrannaturale.
Cominciò a muoversi a tempo della canzone, con movimenti rapidi e scattanti, strusciando il proprio corpo contro quello di Peter. L’adolescente si drizzò di colpo, sorpreso dal contatto, mentre un intenso calore gli avvolgeva lo stomaco.
Carol gli baciò la guancia, compiendo un passo all’indietro e continuando a muoversi, mentre si passava le mani fra i capelli dorati.
In breve tempo, l’arrampica-muri si ritrovò perso nello spettacolo, nella pura essenza estetica di quella danza, nell’impeccabile sincronismo che la donna aveva con la musica rombante.
Cominciò a imitarla, prima goffamente, poi sempre con maggiore fiducia, mentre lei avvolgeva le braccia attorno ai suoi fianchi.
Potevano sentire il respiro l’uno dell’altra che accarezzava i loro volti, accompagnato dal dolce aroma dell’alcol e dal calore dei loro corpi.
E allora ballarono. A lungo, senza mai fermarsi, senza mai staccarsi, come se in quella stanza ci fossero solo loro e nessun’altro.
Quando furono troppo stanchi per poter continuare, tornarono fuori e lasciarono che l’aria umida e fredda della notte riempisse i loro polmoni ancora una volta, mentre ridevano per l’assurdità di quello che avevano appena fatto.
Dopo essersi calmati, cominciarono a camminare verso Times Square.
A metà strada, Carol lanciò un’occhiata laterale verso il compagno, chiedendosi come fosse possibile che la loro relazione avesse preso una simile piega.
Inizialmente la infastidiva il fatto che Peter non si volesse accontentare del sesso. La doveva anche amare. E ormai lo aveva intuito da un po’.
Voleva parlare tanto quanto fare l’amore, forse anche di più. Voleva fare delle cose per lei, comprarle regali, portarla ad un appuntamento…tutto quello che facevano le coppie impegnate in una relazione sana. Ogni tanto se la prendeva con se stessa, per essersi lasciata incastrare dalla sua amicizia.
Per i primi giorni aveva programmato di essere più forte : andarci a letto una volta o due – per fargli vedere che lo apprezzava in quanto uomo – poi tornare amici e trovarsi qualcun altro con cui passare la notte, magari provare con una ragazza. Il problema era che preferiva i ragazzi alle ragazze e Peter alla maggior parte dei ragazzi.
Aveva un buon odore, si muoveva piano e farlo arrabbiare era più difficile che far perdere le staffe a un personaggio del Bosco dei Cento Acri. Era persino morbido come un personaggio del Bosco dei Cento Acri.
La irritava il fatto che le piacesse toccarlo e stringersi a lui. Il suo corpo le remava sempre contro, perseguendo i propri irrinunciabili obbiettivi. Ma nel complesso…era anche una bella sensazione.
<< Non avresti voglia di girare intorno al mondo e fare follie? >> chiese all’improvviso, attirando l’attenzione del ragazzo. Questi la fissò sorpreso, apparentemente preso in contropiede dalla domanda inaspettata.
Notando la sua confusione, Carol decise di elaborare.
 << Rock Cleveland, ad esempio! Fare cose che le persone della tua età dovrebbero fare? Vivere una vita piena >> disse con tono di fatto.
Peter inarcò un sopracciglio.
<< Rock Cleveland? >> chiese divertito.
La donna si limitò a scrollare le spalle.
<< Sai… scatenarti >> disse muovendo appena il corpo, imitando la stessa danza a cui lui aveva assistito solo pochi minuti prima.
L’adolescente cominciò a fissarla stranamente.
<< Carol…passo letteralmente ogni giorno della mia vita a saltare dai grattacieli >> affermò paziente, come se stesse cercando di spiegare qualcosa di complicato ad un bambino.
Le guance della bionda si tinsero di rosso.
<< Lo sai cosa intendo >> borbottò imbronciata, colpendolo con un pugno alla spalla. Il vigilante trasalì appena, strofinandosi l’articolazione con aria stizzita.
Lanciò un’occhiataccia in direzione della supereroina, e questa gli sorrise in modo impertinente. Suo malgrado, l’arrampica-muri si ritrovò a restituire quell’espressione maliziosa.
<< A dire la verità…non mi sono mai sentito più vivo di così >> disse dopo un attimo di silenzio, avvolgendo un braccio attorno alla schiena della donna.
Carol rilasciò un sospiro rassegnato , mentre appoggiava la testa sulla spalla del ragazzo.
<< Perché devi essere così maledettamente romantico? >> sussurrò a bassa voce, ricevendo in cambio un rapido bacio sulla fronte.
Chiuse brevemente gli occhi, godendosi quel gesto d’affetto così spontaneo e carico di sentimento, lasciando che il calore dei loro corpi accoccolati l’una all’altro fosse l’unica cosa a guidarli in quella fredda notte.
<< E i figli? >> domandò all’improvviso, sorprendendo ancora una volta l’adolescente. << Non vorresti avere dei figli tuoi, un giorno? >>
<< Perché me lo chiedi? >> chiese Peter, visibilmente perplesso.
La donna sembrò esitate.
<< È solo che…non penso di poterne avere. Non con un essere umano, almeno. Sai, biologia aliena e tutto il resto >> sussurrò con voce flebile.
Peter dilatò le pupille. In effetti…non si era mai posto un simile problema.
Rimase in silenzio per quasi un minuto buono, stringendo maggiormente a sé la bionda e cominciando ad accarezzarle delicatamente la schiena.
<< Ci hai mai provato? >>  chiese con una punta d’incertezza.
Con la coda dell’occhio, notò che Carol aveva lo sguardo perso nel vuoto, come se fosse in uno stato di profonda contemplazione.
<< Non ne ho mai avuto l’interesse >> rispose dopo qualche attimo di silenzio, liquidando l’intera faccenda con un gesto sprezzante della mano destra.
Peter sospirò, fermandosi di colpo. La donna imitò l’azione, girandosi verso di lui con un’espressione visibilmente preoccupata, quasi d’anticipazione.
I suoi timori, tuttavia, sparirono nello stesso istante in cui il ragazzo le rivolse un dolce sorriso, pieno di affetto.
<< Per quanto la prospettiva di avere un bambino sembri intrigante…penso che per ora mi accontenterò dei tuoi stupendi, meravigliosi occhi marroni >> disse Peter, posandole ambe le mani sulle spalle con fare rassicurante.
Carol sorrise a sua volta, coppandogli una guancia.
<< Ti amo >> disse attraverso uno stanco sospiro.
Troppo tardi, si rese conto di quello che aveva appena detto.
Dilatò appena le pupille e si drizzò di scatto, le guance colorate di rosso. Peter la stava fissando con la bocca leggermente spalancata.
“ Maledizione!” urlò mentalmente.
 << E…e adoro quando mi fai i complimenti, lo adoro >> disse rapidamente, sperando con tutta se stessa di cambiare argomento. Tentativo che, com’era prevedibile, si rivelò infruttuoso.
<< È la prima volta che te lo sento dire >> commentò Peter, con un piccolo ghigno.
Se possibile, il rossore sulle guance della bionda sembrò farsi più accentuato. << Non capisco a cosa ti stai riferendo >>
<< No? Hai detto ti amo >> ripetè il ragazzo, compiendo un passo in avanti.
La donna si nascose il volto tra le mani.
<< Io non l’ho detto >> gemette quasi disperatamente.
Peter ridacchiò, visibilmente divertito dall’intera scena.
<< Sì, sono abbastanza sicuro che l’hai detto >> la stuzzicò, ricevendo un’occhiataccia da parte della supereroina.
E quando questa cercò di controbattere o negare, lui si porse in avanti e la baciò teneramente, afferrandole il mento per avvicinarla a sé.
Inizialmente sorpresa dal gesto, la donna si sciolse al contatto e avvolse le braccia attorno al collo del ragazzo, mentre alcuni passanti li fissavano con sorrisi consapevoli.
Quando si staccò per riprendere fiato, il vigilante le accarezzò la guancia.
<< Per la cronaca…anch’io ti amo>> sussurrò a bassa voce, facendo palpitare il cuore della bionda. Un conto era essere consapevoli dei sentimenti che provava nei suoi confronti…un altro era sentirselo dire in faccia.
Sì sentiva persa, spaesata…un po’ impaurita…ma stranamente sollevata.
<< Davvero? >>  chiese con un sorriso rassegnato, come se stesse cercando di confermare una scomoda verità.
Peter si passò una mano tra i capelli, sorridendo imbarazzato.
<< Scusa, ma è così >> rispose con un piccolo rossore.
Carol si morse il labbro, per poi rilasciare un altro sospiro.
<< Meglio andare piano >> disse goffamente, cercando in tutti i modi di non incontrare gli occhi del ragazzo.
Questi la fissò sorpreso, mentre il suo sguardo assumeva man mano un luccichio di riluttante accettazione.
<< Piano >> ripetè lui, sorridendo tristemente.
Poi, lui la prese tra le braccia, con la sua stretta da orsacchiotto.
Carol affondò il naso nel collo, poco sopra la camicia. Dio, quanto amava il suo odore! Sapeva di cedro e di aria aperta. Profumava di responsabilità.
Per un momento, in quell’abbraccio, la donna abbandonò ogni preoccupazione e si ricordò che cosa volesse dire essere davvero felice.
Ripresero a camminare poco dopo, in silenzio, fino a quando non raggiunsero Times Squadre. Una volta lì, si sedettero su una panchina lungo il perimetro della piazza e rimasero ad ammirare la zona circostante.
Come ogni notte, quella parte della città pareva un concentrato di energia umana sul punto di esplodere. Situata tra la Brodway e la Settima Strada, era lo scontro tra il vecchio e il nuovo, dove il passato, il presente e il futuro di New York erano compressi in un blocco unico.
Times Square rappresentava lo spirito del tempo di quella città, pietrificato nei muri e nelle finestre, negli schermi e nei vicoli, fluido invisibile racchiuso nella pietra da misure, proporzioni e forme. Un punto di luce nell’oscurità perenne della metropoli.
<< Sono contento che abbiamo fatto questa cosa >> disse all’improvviso Peter, attirando l’attenzione della compagna.
Carol lo scrutò divertita.
<< Al passato? >> chiese lei, incrociando ambe le braccia davanti al petto.
L’adolescente si limitò a roteare gli occhi.
<< Ok, che la stiamo facendo >> rielaborò.
Il ghignò della donna divenne più grande.
<< Bhe, ora suona disdicevole >> commentò lei, stringendosi al corpo del vigilante.
Questi le lanciò un’occhiata scaltra. << Mi è sempre piaciuta la parola disdicevole >>
<< Anche a me non dispiace >> disse lei, porgendosi in avanti.
Rimasero a fissarsi per quello che parve un tempo interminabile, in attesa, una gara di sguardi da cui nessuno dei due pareva disposto a ritirarsi.
<< Credo di doverti chiedere quali siano le tue intenzioni, Spider-Boy >> sussurrò Carol.
L’adolescente sorriso a sua volta.
<< Spider-Man, signorina. E le mie intenzioni…sono disdicevoli >> mormorò, mentre si apprestava a baciarla.
La donna chiuse gli occhi, aspettando l’inevitabile contatto. Non arrivò mai.
Un sonoro crepitio la mise in allerta, costringendola a ritrarsi. L’azione venne prontamente imitata dal collega Avenger.
In tutta la città, le televisioni, così come gli enormi schermi che affacciavano lungo i vari edifici pubblicitari disposti nella piazza, iniziarono a vibrare.
Le varie effige che costituivano programmi, film e serie tv, cominciarono a lasciare il posto ad un’immagine distorta e priva di alcuna forma, per poi rivelare una figura da incubo.
Molti spettatori si portarono una mano alla bocca, nel tentativo di trattenere un urlo di fronte a quella vista orripilante. Sugli schermi di Times Square, infatti, aveva preso posto l’immagine di una creatura che sembrava uscita direttamente dai folli deliri della mente di un povero pazzo. Un essere umanoide dalla pelle rossa, percorsa da filamenti simili a vasi sanguigni, con un volto irto di denti acuminati e un paio di lenti bianche al posto degli occhi.
<< Buonasera, New York e newyorkesi, ovunque voi siate! Ho pensato di prendermi una pausa dai miei impegni oh-così-pressanti per dirvi ciao e fare delle non-così-velate minacce >> disse il mostro, con una voce acuta e gratturale. << Quindi, ciao e addio… vi ucciderò tutti io! Ahahahahahahahahahah! >>
La risata risuonò per tutta la piazza come un colpo di pistola, facendo sussultare la maggior parte dei presenti. Solo Peter e Carol riuscirono a mantenere un atteggiamento composto, guardando l’intera trasmissione con sguardi ristretti.
 <<  Scusate, a volte mi faccio morire... soprattutto quando penso al far morire voi >> continuò il mostro, facendo scattare una lingua biforcuta tra le mascelle. << Ma ehi, prima di passare alla fase "distruzione totale" della nostra piccola esperienza di terrore... peschiamo qualcuno dei nostri figli preferiti per un annuncio speciale!  >>
Infilò una mano artigliata nel proprio fianco, e questa affondo nella carne come se fosse burro. Poi, estrasse un foglio spiegazzato e puntò un dito acuminato verso lo schermo.
<< Giudice Vernon Claridge! Sto dicendo a te, ragazzone... e il tuo futuro sembra oscuro, in vero. Infatti, se fossi un veggente, direi che la campana suonerà certamente per te questa notte a mezzanotte >> disse con un sorriso agghiacciante. <<  Oh, che diavolo, lo dirò comunque! Morirai a mezzanotte, Vernon. E poi ci faremo tutti una bella risata alle tue spalle. Bang! >>
Gli schermi si fecero neri.
Mentre un sonoro brusio cominciò a levarsi dalla folla di spettatori, visibilmente scioccati da quello a cui avevano appena assistito, Carol girò rapidamente la testa verso Peter.
<< Sai dove si trova la casa di questo giudice? >> chiese con tono urgente, ben sapendo che l’adolescente conosceva New York meglio di lei.
Purtroppo, la risposta che ricevette non fu quella che sperava.
<< No, ma posso chiedere a Karen di rintracciarla >> offrì il ragazzo.
La donna annuì concorde.
<< Fallo subito >> ordinò imperiosamente.
Sperava solo che sarebbero arrivati in tempo.
 

 
Dum, dum, duuuuuum!
Com’era? Spero bello!
Questo capitolo è dedicato a Stan Lee, padre spirituale della Marvel, il cui consueto cameo non poteva certo mancare ( nemmeno in una fan fiction ).
Parlando della storia, come vi è sembrato questo primo appuntamento galante tra Carol e Peter? Sicuramente poteva finire meglio, visto che Carnage ha deciso di fare follie proprio quella sera stessa. E vi annuncio già che la morte del giudice non è affatto un obbiettivo casuale.
Nel prossimo capitolo avverrà un flashback che mostrerà la prima volta in cui i nostri amabili protagonisti hanno lavorato assieme, dopo gli eventi di Endgame.

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Capitolo 8
*** Carnage ***


Ed ecco un nuovissimo capitolo!
Di solito postavo il martedì, ma ora che ho finito di scrivere Avengers : The King Of Terror ho deciso di spostare il giorno al sabato.
In questo aggiornamento avrete modo di assistere alla prima missione che Peter e Carol hanno fatto assieme.
Vi auguro una buona lettura e spero che troverete il tempo per lasciare una recensione!
 


Carnage
 
Un anno fa
 
Carol stava aspettando sulla cima di un monta-carichi portuale, nei pressi della baia di New York, quando una sagoma snella e scolpita atterrò davanti a lei con un impeccabile salto carpiato, grazie al quale avrebbe potuto aggiudicarsi il massimo dei punti alle olimpiadi.
Spiderman, alias Peter Parker, sorrise dietro la maschera e le porse la mano.
<< Ciao, Carol! È passato un po’ >> le disse con tono allegro.
La donna annuì formale, ma tenne la mano lungo il fianco.
<< Hai detto di avere informazioni importanti da condividere con me >> disse freddamente.
Peter si accigliò dietro la maschera, ma cercò di non darlo a vedere. Dopotutto, sapeva che Carol aveva un passato militare, era quel tipo di persona che preferiva evitare qualunque tipo di confidenza durante le missioni.
Abbassò il braccio e prese un respiro profondo.
<< Sì >> rispose il vigilante, con tono professionale. << È per questo che ti ho chiesto di incontrarci qui. Guarda laggiù. Li vedi quei camion? >>
Indicò la parte bassa dell’area portuale, più specificatamente un grosso magazzino che spiccava sul limite dei moli. Affianco ad esso, la supereroina riuscì a intravedere un totale di cinque grossi veicoli da trasporto.
<< Sono della Hammer Refrigerator >> rispose con un cenno del capo. << E allora? >>
<< Sono dei Maggia >> rivelò Peter, sorprendendo la donna.
Carol conosceva bene quel nome: I Maggia, una delle famiglie mafiose più longeve e influenti di tutta New York, attiva fin dagli anni 50 e guidata dallo spietato boss Silvio Manfredi.
<< Li stanno usando per caricare le armi che per anni hanno tenuto di scorta in diverse location segrete >> continuò l’arrampica-muri. << Le mie fonti mi hanno detto che da un momento all’altro scoppierà una guerra, perché tutte le gang si stanno contendendo il posto che un tempo era occupato da Wilson Fisk. E dicono che, quando succederà…in città scorreranno fiumi di sangue >>.
Puntò nuovamente lo sguardo in direzione dei camion.
<< Grazie a quelle armi, I Maggia hanno intenzione di diventare l’ultima grande Famiglia di New York >> terminò cupamente.
Carol annuì comprensiva.<< Il che significa che dobbiamo trovarle e distruggerle prima che arrivino nelle loro mani >>
<< È proprio per questo che sono venuto preparato >> disse Peter, porgendole uno strano marchingegno grande quanto una moneta, la cui forma ricordava vagamente quella di un ragno. << È un rilevatore, un prototipo di mia invenzione. Con questo possiamo rintracciare i camion ovunque vadano e recuperare le armi prima dei Maggia >>.
La donna sorrise, apparentemente impressionata dalla mente acuta del ragazzo.
<< Molto bene, partirò da questo e seguirò i camion. Grazie per la soffiata >> gli disse con una rapida pacca sulla spalla.
Le lenti dell’arrampica-muri si spalancarono per la sorpresa.
<< Aspetta, cosa? >> domandò incredulo. << Carol, è una cosa che ho scoperto io. Verrò con te! >>
<< Mi dispiace, Peter, ma la mia risposta è definitiva >> rispose freddamente la bionda. << Apprezzo l’informazione, ma combattere i maggiori vertici della criminalità organizzata va oltre le tue attuali competenze. Me ne occuperò da sola >>
<< Lo so che stai facendo >> ribattè il vigilante, mentre andava sul bordo dell’edificio per guardare i camion allontanarsi. << Ma non sono più un ragazzino come pensi. Sono una persona responsabile di se stessa. E sono molto bravo in quello che faccio… >>
Si voltò per discutere con la donna, ma Carol era già sparita, volando all’inseguimento dei veicoli.
Peter scosse la testa.
<< No, stavolta no >> disse con determinazione.
 

Carol seguì il primo camion attraversò la città, fino a un’area industriale in stato di abbandono, poi si appostò in cima a un albero davanti al cancello.
Il tir si fermò di fronte al casotto e, mentre il cancello scattava e si apriva, una guardia salutò l’uomo alla guida.
Il camion entrò e fece il giro dell’impianto di stoccaggio fino a un piccolo edificio in fondo. Uscirono di corsa quattro uomini.
Uno aprì il portellone del rimorchio, mentre un altro tirò fuori una chiave dal borsone e si occupò della porta dell’edificio.
Carol stava per attaccarli, quando Spiderman atterrò accanto a lei.
<< Ti avevo detto di non venire >> sibilò la donna.
L’adolescente simulò un’espressione sorpresa. << Ah, sì? Hai detto così? Cavolo, io avevo capito che mi avessi detto di venire a darti una mano. Non avevo sentito il “non”. Solo di venire…ops >>
Carol ringhiò, ma l’altro non diede alcun segno di averlo notato.
<< Insomma, già che sono qui…tiriamo fuori un Capitan Marvel e Spiderman uniti per la vittoria? >>
 
 
Gli scagnozzi dei Maggia entrarono nel piccolo edificio e trovarono una trentina di casse di legno accatastate quattro a quattro le une sulle altre. L’uomo che aveva aperto le fissò, la bocca spalancata per lo sgomento.
<< Peseranno almeno una tonnellata! >>
<< Nessun problema, ragazzi >>
I quattro si girarono e si trovarono davanti la figura di Capitan Marvel, appoggiata con le braccia incrociate vicino alla porta.
<< Saremo ben contenti di togliervele di mezzo >> disse un’altra voce.
Quando alzarono lo sguardo, i delinquenti videro Spiderman comodamente seduto su una delle casse, il costume rosso e cromato che risplendeva nell’oscurità.
<< È quel dannato insetto! >> esclamò uno dei criminali.
Peter gli saltò addosso. Lo prese per il busto con le gambe e si mise a roteare, sbalzandolo dall’altro lato della stanza.
<< Quando imparerà la gente? I ragni sono aracnidi, non insetti! >> si lamentò il ragazzo.
I tre compari rimasero impietriti, mentre il quarto iniziava a rialzarsi.
Peter fece un salto a mezz’aria, atterrando accanto a lui e colpendolo una seconda volta.
<< No, no >> gli disse con tono canzonatorio. << Stavolta resti giù >>
Il criminale decise di restare fermo, quindi Peter si voltò e vide Carol che con perfetta efficienza metteva k.o altri due membri della banda.
Il vigilante afferrò l’ultimo delinquente con una ragnatela, scaraventandolo a terra e togliendogli il respiro.
<< A te la scelta, amico >> disse con una scrollata di spalle. << O ti meno io…o posso lasciare che lo faccia lei >>
Indicò la figura della compagna, mentre questa illuminava i pugni di un intenso bagliore dorato.
<< Ma che resti tra noi, a lei piace far male ai cattivi, per me invece è soltanto un hobby. Non devo per forza infierire, possiamo fare un patto >> continuò l’adolescente.
Il delinquente sgranò gli occhi per la paura.
Dietro la maschera, Peter gli fece un sorrisetto smagliante.
<< Bravo ragazzo. Basta che ci dici dove i Maggia hanno nascosto il resto delle armi >> disse tirando l’uomo più vicino a sé. << Me lo dici? >>
<< Non lo so >> rispose il malvivente, sudando copiosamente. << Giuro su Dio. Io sono un camionista, i Maggia non mi rivelano mai niente! >>
Peter si voltò verso Carol. << Che dici? Pollice in su o pollice in giù?>>
La donna non rispose e si avvicinò all’uomo, afferrandolo per il colletto.
<< Mi stai mentendo? >> ringhiò freddamente.
<< No, oddio, no! >> fece il criminale, pisciandosi addosso. << No, non potrei mai. Mi uccideresti. Sto dicendo la verità ! >>
Dallo sguardo che la bionda gli diede, si capiva che non gli credeva.
<< Forse dovresti ucciderlo lo stesso >> commentò Spiderman, come se stesse valutando i pro e i contro di una simile azione. << Sai, tanto per ridere >>
“ Che cosa?” pensò Carol, con una punta di rabbia.
Prima che potesse rimproverare il vigilante, tuttavia, l’uomo urlò : << Non so niente dei nascondigli, lo giuro! Ma so dov’è diretto il prossimo carico di armi >>
Guardò un aguzzino e poi l’altro.
<< Vi basta? >> chiese con timore.
I due supereroi si scrutarono l’un l’altro in quella che sembrò una sorta di conversazione silenziosa. Poi, annuirono all’unisono.
E fu così che il  malvivente raccontò loro tutto quello che sapeva, e non era molto. Mentre si girava verso Spiderman, Carol gli tirò un pugno e lo mise a dormire.
La donna si voltò in direzione del compagno.
<< Ecco lo stile Spiderman! >> disse questi, con fare orgoglioso.
La bionda si ritrovò a ghignare.
<< Troppe chiacchiere >> commentò lei, facendo subito crollare le spalle dell’arrampica-muri. << Ma a parte questo…ottimo lavoro. Penso che facciamo una bella squadra >>
E per qualche ragione, immaginò che il sorriso formatosi dietro la maschera di Peter, in quel preciso istante, avrebbe potuto illuminare tutta la stanza.
 
                                                                                                                                                * * * 
 
Presente
 
George Stacy aveva mantenuto l’ufficio del commissario del Dipartimento di Polizia di New York più spoglio possibile.
Sulla sua scrivania c’erano due foto incorniciate di sua figlia Gwen. Una la ritraeva da sola, in un’altra era con lui, nell’ultima posava accanto alla madre e risaliva a molti anni prima, a tempi migliori…prima di Thanos.
Alla parete erano appesi attestati e foto che lo immortalavano intento a ricevere premi di vario genere da un sindaco a un altro.
Il suo predecessore aveva attaccato delle litografie che ritraevano generiche vedute di New York negli anni 30, e Stacey le avrebbe anche tolte se al loro posto non avessero lasciato dei vuoti vistosamente scoloriti, così aveva evitato.
Il tappeto, ormai liscio da decenni, era appartenuto al predecessore del predecessore del predecessore.
Quando aveva accettato l’incarico, Stacy si era convinto che se avesse reso più familiare quell’ufficio avrebbe finito col passare ventiquattr’ore al giorno, sabati e domeniche compresi, in quella prigione di sei metri per otto.
D’altro canto, se l’avesse mantenuto spartano al limite del disagio, avrebbe avuto una ragione di più per tornare a casa la sera dalla moglie e dalla figlia e cercare di conservare così almeno la parvenza di una vita.
Il piano era buono…il risultato deludente. A parte Gwen, la sua famiglia si era da tempo sparpagliata ai quattro venti. Sai che vita.
Crollò a sedere sulla sedia, un modello economico nuovo e comodissimo che aveva pagato di tasca propria per dare un miglior supporto alla schiena malandata.
Ruotò su se stesso per guardare fuori dai vetri sporchi della finestra che incorniciava lo skyline di New York. Davanti a un bellissimo panorama, da quell’altezza e attraverso una superficie opaca, poteva illudersi che ci fosse un tempo in cui la metropoli era stata fonte di speranza e non solo di disperazione. E se mai c’era stato, era finito con l’attacco Chitauri avvenuto nel 2012. La fasciatura si era allentata e rivelava ora la ferita infetta sotto di essa.
Perfino i cosiddetti “ supereroi” – lui li chiamava ancora vigilanti – si erano dimostrati incapaci di guarirla.
Un bussare alla porta dell’ufficio lo distolse da quei pensieri.
<< Dio, sto diventando vecchio >> borbottò con una punta di rassegnazione.
Nel mentre, una giovane donna dai corti capelli neri e dalle fattezze asiatiche entrò all’interno della stanza. Si chiamava Amanda Young, ed era uno dei detective più fidati di Stacy, nonché prima in linea di successione per il posto di Commissario – o, almeno, questo era il pensiero comune della maggior parte dei poliziotti.
<< Commissario, abbiamo una situazione che richiede il suo intervento diretto >> disse la donna, con uno sguardo freddo e tagliente.  << È brutta, capo…molto brutta >>
Con sua sorpresa, Stacy riuscì a percepire un certo grado di disagio in quel tono inflessibile.
Young sembrava…turbata. E in tutti i suoi anni di servizio non ricordava di averle mai visto mostrare il minimo segno di debolezza.
Sì, la situazione doveva essere davvero grave.
<< Fammi prendere la giacca >> le rispose con un rapido cenno del capo.
“ Ed ecco che se ne vanno i miei piani per la serata del bingo”.
 
                                                                                                                                                * * *  

La casa di mattoni a due piani sorgeva in un giardino fitto di alberi, arretrata rispetto alla strada.
Peter si fermò sotto alcuni rami, osservandola con attenzione attraverso le lenti della maschera.
Si sforzò con tutto se stesso di arrestare il timore che provava dentro. Anche se non lo avrebbe mai ammesso a nessuno, la trasmissione di quello psicopatico lo aveva turbato non poco.
<< Mi raccomando, tieni gli occhi aperti >> gli ordinò Carol attraverso il comunicatore, mentre la sua forma illuminava entrava dalla porta principale.
Peter rispose con un rapido “ ricevuto”, prima di balzare sul tetto dell’abitazione.
Passarono in macchina alcuni vicini, lanciarono brevi occhiate alla casa, per poi distogliere lo sguardo.
Lentamente, il vigilante si spostò sul fianco della casa, muovendosi con cautela, accendendo gli infrarossi incorporati nella maschera.
Si fermò due volte ad ascoltare. Guardando da una delle finestre posteriori riusciva a vedere la luce proveniente dalla parte anteriore del giardino che delineava la sagoma dei mobili. Nell'aria c'era un profumo intenso di gelsomini. Nella parte posteriore della casa si allungava per quasi tutta la lunghezza una veranda, sulla porta della quale era incisa la testa di un leone.
Senza perdere tempo, l’adolescente sbloccò la finestra al secondo piano ed entrò senza fare rumore.
Provò ad accendere una luce, ma la casa rimase immersa nell’oscurità. Probabilmente il serial killer aveva fatto saltare la corrente.
Il vigilante controllò ogni stanza, dai bagni alle camere dal letto, ma dei proprietari non sembrava esserci alcun segno.
Scese al piano terra, entrò nella cucina buia e cominciò a guardarsi attorno.
Nell'oscurità si vedevano le due fiammelle blu per l'accensione automatica dei fornelli a gas, mentre nell’aria aleggiava un profumo di cera per mobili e di mele.
Scattò un termostato e il condizionatore si accese.
Peter sussultò e avvertì un brivido di paura. Tuttavia, si calmò quasi subito.
Conosceva bene la paura, ne aveva provata molta durante la battaglia contro Thanos, ormai poteva controllarla. 
Scuotendo la testa da quei pensieri, continuò ad analizzare la stanza con fare metodico.
Sulla parete accanto ai fornelli erano appesi due imparaticci incorniciati. Su uno era scritto: « I baci sono effimeri, un buon pranzo no».
Sull'altro: « È sempre in cucina che agli amici piace stare, per sentire battere il cuore della casa, per trarne conforto».
<< Eccoti qui >> arrivò una voce familiare alle sue spalle, facendolo sussultare.
Carol, il cui volto era parzialmente coperto dalla maschera incorporata nella tuta, si limitò a sorridere.
<< Non spaventarmi in questo modo >> sibilò Peter a bassa voce, mentre le lanciava un’occhiataccia.
La donna scrollò le spalle e cominciò a guardarsi intorno. Il vigilante rilasciò un sonoro sospiro e procedette a fare lo stesso.
Individuò l'orologio della cucina, che segnava le undici e mezzo. L’annuncio dell’omicidio era avvenuto circa venti minuti fa.
Deglutendo, il ragazzo continuò a setacciare l’area…e si bloccò.
<< Trovato nulla? >> chiese Carol, notando che l’adolescente si era improvvisamente fermato.
Il vigilante sembrò esitare.
<< No, niente di niente…A parte questo >> disse indicando un punto ben preciso della cucina.
Carol si accostò rapidamente a lui, seguendolo con lo sguardo.
Trattenne un sussulto, mentre i suoi occhi si posarono su una serie di lettere scritte a caratteri cubitali lungo la parete della stanza…apparentemente con il sangue. L’associazione le arrivò rapida e spontanea, soprattutto perché il materiale utilizzato per creare la scritta era rosso e molto più caldo di qualunque tipo di vernice – almeno secondo i sistemi interni della tuta. 
Essa recitava : “Uno ad uno, sentiranno la chiamata, poi questa città malvagia mi seguirà nella caduta. Firmato, il vostro amichevole Carnage di quartiere!
“ Bhe, non è per nulla inquietante” pensò ironicamente.
Al contempo, seguendo la visione a infrarossi, notò che una copiosa quantità di quel liquido non ancora identificato stava colando da una delle credenze.
<< Aspetta un secondo… >> borbottò a bassa voce, avvicinandosi lentamente al mobile.
Spiderman si tese dietro di lei, mentre allungava una mano, apriva l’armadietto e…
<< Oddio! >> esclamò il vigilante, facendo alcuni passi indietro.
Anche Carol fu costretta a ritrarsi, mentre il braccio di Claridge penzolava al di fuori dello scomparto, rivelando il corpo senza vita del giudice.
Aveva gli occhi sbarrati, la bocca spalancata in un grido silenzioso e il corpo interamente coperto di sangue. Sopra di lui spiccava il cadavere di una donna poco più giovane, le cui condizioni erano pressappoco le stesse dell’uomo. Con tutta probabilità, si trattava della moglie.
<< Maledizione >> sibilò Carol, stringendo ambe le mani in pugni serrati.
Si voltò, percependo il suono di qualcosa che si rompeva alle sue spalle.
Peter si era appoggiato all’unico comodino presente nella stanza, facendo cadere un bicchiere nel processo.
Aveva le spalle abbassate e respirava affannosamente.
<< Stai bene? >> chiese Carol con preoccupazione, avvicinandosi rapidamente a lui e mettendogli una mano sulla schiena.
Dopo qualche attimo di silenzio, l’adolescente si drizzò di scatto.
<< Sì, io…sto bene. Dammi solo un secondo >> borbottò a bassa voce, mentre la donna lo abbracciava teneramente.
Inizialmente teso, Peter si lasciò avvolgere dal calore rassicurante del suo corpo, appoggiando la fronte sulla spalla della supereroina.
Poi, si staccò lentamente e prese un paio di respiri calmanti.
<< Ce la faccio >> disse con determinazione, ricevendo un piccolo cenno da parte della compagna.
La donna tornò a fissare i cadaveri.
In base a quello che vedeva, l'assassino aveva tagliato la gola a Claridge, probabilmente mentre questi dormiva accanto alla moglie. Poi aveva ucciso anche lei.
A quel punto, il giudice era sceso dal materasso con la gola tagliata e aveva cercato di proteggerla, perdendo una gran quantità di sangue e morendo nel processo. Infine, il killer aveva trasportato entrambi i corpi fino alla cucina, bloccandoli dentro la credenza.
Ma allora…perché non avevano trovato altro sangue sparso per la casa? Questo Carnage era come una sorta di vampiro?
<< Mani in alto! >> urlò una voce alle spalle della coppia, mentre una luce abbagliante illuminava gli interni della cucina.
Carol si voltò, prendendo un rapido sguardo alla persona che aveva appena  messo piede nella casa.
Si trattava di un uomo apparentemente sulla cinquantina, poco più alto di lei, dai corti capelli bianchi e vestito con un cappotto blu. Tratto a parte era sicuramente il distintivo da poliziotto che spiccava sulla cintura dei pantaloni.
<< Commissario, dovremmo davvero smetterla di incontrarci in questo modo >> disse Spiderman affianco a lei, con le braccia alzate in modo beffardo.
Sentì un’imprecazione, mentre George Stacy abbassava la pistola.
<< Ah, sei solo tu >> borbottò amaramente l’uomo, mentre lanciava una breve occhiata in direzione di Carol. << Perché la vostra presenza qui non mi sorprende? >>
Il vigilante si limitò a scrollare le spalle.
<< Sa come si dice. Quando il lavoro chiama… >>
<< Bhe, io starei cercando di fare il mio >> lo interruppe freddamente il poliziotto, prima di indicarlo con un’espressione dura in volto.<< Questa è una scena del crimine, gradirei che ve ne andaste prima che finiate con il contaminarla >>
Peter inarcò un sopracciglio.
<< Sarà anche una scena del crimine, ma in quando Vendicatori abbiamo il diritto… >>
<< Ovviamente >> disse Carol con un sorriso accomodante, mentre posava la mano destra sulla spalla del compagno.
Questi la fissò, probabilmente sul punto di contestarla. Una rapida occhiata della donna, tuttavia, fu sufficiente a zittirlo.
Sospirò rassegnato, mentre il Commissario annuiva soddisfatto.
Senza perdere tempo, Carol cominciò a trascinare Peter fuori dalla casa.
<< Non mi sembra che tu gli stia molto simpatico >> commentò con un piccolo ghigno, ricevendo uno sguardo impassibile ad opera dell’arrampica-muri.
<< Cosa te lo fa dire? >> borbottò questi, con tono beffardo.
Certo, ormai si era quasi abituato al modo con cui la polizia lo trattava, non ere nulla di nuovo. Ma in cuor suo sperava ancora che, magari in un giorno non troppo lontano, anche loro avrebbero cominciato ad apprezzare quello che stava cercando di portare avanti a New York.
Detto questo, la loro piccola indagine aveva comunque dato i suoi frutti. Sperava solo che le foto fatte con la telecamera intera della tuta avessero una buona risoluzione.
 
                                                                                                                                            * * * 
 
La Sala Riunioni dei Vendicatori era avvolta nel silenzio più totale.
Ad occuparla erano Carol Danvers, Peter Parker, Bruce Banner, Sam Wilson, Bucky Burnes, Scott  e Hope Lang, capitanati da James Rhodes.
T’Challa era dovuto tornare a Wakanda per motivi relativi alla nazione, mentre Strange era ancora impegnato con i suoi doveri di Stregone Supremo.
Dopo che tutti ebbero preso posto a sedere, Rhodey chiuse gli occhi e contò mentalmente fino a tre.
<< Ok. Ora…qualcuno di voi può spiegarmi cosa diavolo è successo ieri sera? >>  chiese con tono rassegnato, come se il solo parlare dell’argomento gli avrebbe procurato un malore da un momento all’altro. E, considerando il numero di telefonate che aveva ricevuto nell’ultima ora a causa di tali eventi…bhe, si considerava già fortunato a non aver percepito il minimo segno di un aneurisma celebrale.
<< Non c’è molto da dire >> ammise Carol, con una scrollata di spalle. << Mi trovavo a Times Square e ho assistito in diretta al messaggio di questo Carnage, mentre minacciava di uccidere Claridge >>
<< Carnage…sembra il nome di un serial killer cinematografico anni 80 >> commentò Scott, ricevendo in cambio uno scappellotto da parte della moglie.
Ignorando le buffonate dell’Avenger, Carol riprese a parlare.
<< Io e Spiderman siamo stati i primi a giungere sul luogo. Questo è quello che abbiamo trovato >> disse accendendo il proiettore della sala.
Pochi secondi dopo, sul telone bianco che fungeva da schermo si palesarono diverse immagini raffiguranti lo scenario a cui Peter e Carol avevano assistito una volta entrati nella casa del giudice, completo di panoramica dei corpi delle vittime e l’immancabile scritta dipinta col sangue lungo la parete della cucina.
<< Gesù >> sussurrò Hulk, incapace di distogliere gli occhi da quella visione raccapricciante.
Scott si portò un pugno davanti alla bocca, nel tentativo di trattenere conati di vomito.
<< Inoltre, ci è stato riferito che il cadavere di una giornalista scomparsa due giorni fa è stato recuperato nel giardino di casa >> continuò Carol, suscitando un cipiglio sprezzante ad opera di Sam.
<< Questo qui è proprio malato >> borbottò l’uomo, prima di notare l’espressione molto pallida di un certo arrampica-muri. << Tutto bene, ragazzo? >>
L’adolescente sussultò, facendo affondare il cuore di tutti gli Avengers. In fondo potevano capire la sua reazione, vedere uno scempio del genere a soli diciotto anni…era un qualcosa che non avrebbero mai augurato a nessuno.
<< Sì, solo…sto ancora cercando di levarmi dalla testa quell’immagine >> rispose Peter, con un debole sorriso.
Carol lo fissò tristemente. Avrebbe tanto voluto risparmiargli questo incontro, ma sapeva che la sua presenza qui era fondamentale,  tra tutti loro era sicuramente il supereroe più attivo di New York.
Nel mentre, Bruce aveva cominciato ad analizzare il resto dell’immagine.
<< Uno ad uno, sentiranno la chiamata, poi questa città malvagia mi seguirà nella caduta >> lesse ad alta voce, attirando l’attenzione dei compagni.
<< Grande, quindi è anche un poeta >> commentò Hope, mentre Carol stringeva ambe le palpebre degli occhi.
<< No, è un assassino. Tutto qui >> ribattè freddamente.
Sam le lanciò uno sguardo non impressionato.
<< È molto peggio di così e lo sappiamo entrambi. Voglio dire, Cristo, ha massacrato quelle persone lì fuori solo per consegnare un messaggio! >>
Wasp annuì in accordo. << E non dimentichiamoci della giornalista trovata nel giardino. Perché diavolo l’avrà uccisa? >>
<< Voleva il furgone delle trasmissioni della troupe televisiva >> si intromise Bucky, che era rimasto in silenzio fino a quel momento.
Gli altri lo fissarono stranamente, così decise di elaborare : << Con piccoli aggiustamenti, ora sarà capace di trasmettere in diretta ogni volta che desidera >>.
Rhodey sospirò stancamente.
<< Quindi, ricapitolando…abbiamo per le mani un umano dotati di super poteri con tendenze omicide, un debole per la teatralità e un sistema personale di trasmissione? >>
<< È il Freddy Krueger Show tutto da capo >> borbottò Scott, sperando con tutto se stesso che la moglie non lo avesse sentito.
Affianco a lui, Bucky si strinse nelle spalle.
<< Bhe, se non altro sappiamo che non è affatto timido. Rintracciarlo potrebbe essere meno difficile di quel che pensiamo >> offrì con tono paziente.
Sam lo fissò incredulo.
<< Quindi cosa, rimaniamo qui seduti e aspettiamo che si faccia sentire di nuovo? Potrebbero volerci giorni >>
<< Non credo, no >> borbottò improvvisamente Peter, attirando l’attenzione del gruppo.
Deglutendo a fatica, l’adolescente posò il proprio cellulare al centro del tavolo.
<< Penso che dovreste dare un’occhiata a questo >> disse mentre indicava lo schermo del dispositivo.
Perplessi, i vari supereroi si porsero in avanti per osservare meglio. Ciò che videro, non appena i loro occhi si posarono sulla superficie del cellulare, avrebbe perseguitato i loro sogni per la notte avvenire.
La figura ghignante di Carnage spiccava al centro dello schermo, circondato da un totale di cinque corpi umani nudi e insanguinati, appesi per i piedi come maiali pronti al macello.
Basandosi sull’orario indicato lungo la parte bassa del video, Carol capì che la trasmissione stava avvenendo in tempo reale.
<< Buoooongiornoooo New York! >> esclamò la creatura, con quella sua inconfondibile voce acuta e graffiante. << Sembra che i cari Vendicatori non siano stati capaci di impedire l'avverarsi della mia profezia la notte scorsa. Ma non buttatevi giù, ragazzi, alcune cose sono scritte nel destino! Ah ah ah ah ah ah! >>
Dopo essere scoppiato in una risata agghiacciante, indicò i cadaveri alle sue spalle.
<< E come potete vedere, ho approfittato di questa bellissima giornata per liberare alcune anime incomprese... Che gran festa abbiamo fatto, ve lo assicuro! Oh, l'orrore! >> continuò, mentre i vari Avengers riuscivano a stento a trattenere la propria collera.
“ Quelle erano persone, bastardo!” pensò furiosamente Peter.
Al contempo, il serial killer cominciò a picchiettarsi la mascella, come se stesse contemplando qualcosa.
 << E ehi, devo dire che mi piace il mio nuovo nome... Carnage. Buffo che mia madre non ci abbia mai pensato>> borbottò a se stesso, prima di scrollare le spalle.
Volse nuovamente la propria attenzione nei confronti dello schermo.
<< Quindi, scommetto che vi starete tutti chiedendo cosa potrà fare il vecchio Carnage che sia all'altezza dello show della notte scorsa? Che ne dite di un'altra partita mortale? >> disse con quel suo intramontabile ghigno, per poi indicare la telecamera con fare drammatico. <<  Sindaco James Erbert, la mano del destino punta verso di te! Morirai alle nove di questa sera! E per quanto riguarda il resto del programma…bhe, sarà una sorpresa, ma vi prometto che vi farà morire dal ridere! >>
Detto questo, una delle lenti si restrinse a mò di occhiolino.
<< E ora vi lasciamo alla vostra solita e spaventosamente noiosa giornata. Aufiderzen! >> salutò la creatura, mentre la trasmissione s’interrompeva all’istante.
Il silenzio tornò a regnare all’interno della stanza.
Nessuno dei Vendicatori sembrava intenzionato a commentare il discorso a cui avevano appena assistito. Questo, almeno, fino a quando Scott non ebbe il coraggio di aprire bocca.
<< Bhe…cazzo >>.
 
 
Yep, nel prossimo capitolo ne succederanno di tutti i colori. Credetemi, ho realizzato una delle sequenze più intense e dinamiche che abbia mai scritto, sinceramente non pensavo che ce l’avrei fatta.
Nel caso ve lo steste chiedendo, Amanda Young e George Stacy sono personaggi molto importanti nella continuity di Spiderman. Lo stesso vale per i Maggia, acerrimi rivali di Wilson Fisk ( Kingpin ) per il controllo della criminalità organizzata di New York.

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Capitolo 9
*** Car Chase ***


Ecco un nuovissimo capitolo, che dedico non solo al ritorno di Spiderman nel Marvel Cinematic Universe…ma anche alla notizia che lui e Capitan Marvel avranno altri team-up assieme, secondo gli ultimi rumors!
Questo capitolo è stato il più difficile da scrivere dell’intera storia ( almeno per ora ), quindi spero davvero che il risultato finale saprà soddisfarvi. È un vero e proprio concentrato d’azione.
Vi auguro una buona lettura e, come al solito, vi invito a lasciare un commento!

 


Car Chase
 
<< Con tutto il rispetto, signor Erbert…penso che dovrebbe prendere l'intera faccenda molto più seriamente. >>
Carol Danvers pronunciò queste parole circa due ore dopo che il supercriminale ormai noto come Carnage aveva minacciato la vita del sindaco James Ebert in diretta televisiva.
L’uomo in questione, basso e tarchiato, con il volto segnato dal tempo, i capelli bianchi tirati all’indietro e le orecchie da topo, aveva liquidato l’intera questione con uno sbuffo derisorio.
<< Mia cara, sa quante minacce di morte ricevo ogni giorno? >>
<< E quante di loro sono fatte da superumani pluriomicidi? >> ribattè Rhodey, il volto adornato da un’espressione visibilmente stizzita. Dio, quanto odiava avere a che fare con i politici, un sentimento che Carol condivideva appieno.
Seduto comodamente alla propria scrivania, Erbert si limitò a roteare gli occhi.
<< Voi non capite, è da più di un anno che cerco di organizzare questa raccolta fondi, non posso annullarla di punto in bianco >> spiegò con tono di fatto.
Carol strinse ambe le palpebre degli occhi.
<< Parteciparvi sarebbe come mettersi un bersaglio disegnato sulla schiena >> disse con una punta di irritazione.
<< È per questo che ho delle guardie del corpo >> rispose Erbert, sorridendo pazientemente.
La donna lo fissò incredulo.
<< Stiamo parlando di un superumano! Non saranno sufficienti >>
<< Signorina Danvers, comprendo la sua preoccupazione. Dico davvero! >> ribattè caldamente l’uomo, alzandosi dal posto a sedere e facendole un gesto conciliante con le mani. << La situazione non è brutta come in caso di uragano ma è critica. Soprattutto considerando che è opera di un solo uomo >>
Detto questo, arricciò le labbra in una smorfia infastidita.
<< Ovviamente, per quello che ne pensano gli elettori, è tutta colpa mia. Ma non so cos'altro avrei potuto fare! Diventa sempre più chiaro che ci troviamo di fronte a qualcuno che non ha altri motivi se non creare terrore. E la cosa triste è che, se è questo ciò che vuole, non faticherà poi tanto ad ottenerlo. Diavolo, se è questo ciò che vuole, per certi versi ha già vinto! >> esclamò, prima di puntare un dito verso la coppia di Avengers.
<< Ma che io sia dannato se permetterò a questo psicopatico di aggravare ulteriormente la mia città. Questa raccolta fondi ci darà la possibilità di fornire lavoro a moltissime persone >> disse con un’espressione determinata.
Suo malgrado, Carol si ritrovò a rispettare il sentimento dell’uomo. Era un incosciente, certo…ma un incosciente con le migliori intenzione. E in fondo aveva fatto molto più lui per tutta New York, in questi cinque anni post Thanos, di quanto avessero mai fatto quasi tutti i suoi predecessori nei tempi addietro.
Era un’idealista…ma con qualcuno come Carnage c’era il rischio che una simile attitudine avrebbe portato alla sua morte, e questo era un qualcosa che la donna non poteva permettere.
<< Almeno permetteteci di darvi supporto >> disse con tono quasi supplichevole, sperando almeno di poter ridurre le possibilità di un attacco. Dopotutto, quello psicopatico non avrebbe certo assalito un uomo che era sotto la protezione degli eroi più potenti della Terra…o forse sì? Era pazzo fino a questo punto? Sinceramente, Carol non aveva la minima voglia di scoprirlo.
Erbert la fissò a lungo, per quasi un minuto buono.
<< …D’accordo, purchè non diate nell’occhio. Quindi non pensate nemmeno di portarvi dietro quel gigante verde, l’ultima cosa che voglio è allarmare gli invitati >> avvertì con un tono che non ammetteva repliche.
Carol rilasciò un sospiro di sollievo. Non era molto…ma era già qualcosa.
 
                                                                                                                                                  * * *     
 
Ron Partridge, membro da quasi trent’anni di una ditta di trasporti associata alla Oscorp, rilasciò un sospiro rassegnato mentre prendeva una lunga occhiata al camion che solitamente utilizzava per fare le sue consegne giornaliere.
Aveva parcheggiato  il mezzo vicino ad una fabbrica mettalurgica appena fuori Harlem. Durante la notte, qualche banda di ragazzini aveva dipinto graffiti sulla fiancata del veicolo: un grosso fallo nero completo di palle, che schizzava robaccia scura su un paio di globi rossi che probabilmente erano tette ma che, agli occhi dell’uomo, sembravano piuttosto decorazioni natalizie.
Ron, un cinuqntenne dall’aria trasandata e vestito con una tuta da lavoro grigia, stava attualmente ripulendo la fiancata del veicolo con una spugna metallica e un secchio di soda caustica diluita.
Dopo circa mezz’ora, fece un passo all’indietro per completare la propria opera. Le palle erano scomparse quasi del tutto, mostrando il grigio del telaio sottostante. Restava solo il fallo nero e le tettone, ma di quelle si sarebbe occupato più tardi. Per ora voleva solo riposarsi e leggere l’ultima uscita del Daily Beaugul, il giornale più in voga di New York.
Con un altro sospiro, camminò fino ad un palo della luce a circa una ventina di metri dal camion e si appoggiò ad esso, aprendo la copia della rivista.
Si accese una sigaretta, respirò affondò l’odore di nicotina, e lesse con attenzione il titolo che spiccava a caratteri cubitali sulla prima pagina : CARNAGE TERRORIZZA NEW YORK! DOVE SONO GLI AVENGERS?
<< Roba da non credere >> borbottò una voce alle sue spalle, facendolo sussultare. Era sicuro di averla già sentita da qualche parte.
Spinto dalla curiosità, girò appena la testa. A parlare era stato un uomo apparentemente sulla trentina, con folti capelli rossi, occhi blu elettrico e un viso dai lineamenti affilati. Doveva essere uno degli operai della fabbrica, magari in pausa pranzo.
Aveva lo sguardo puntato sulla pagina del giornale, quindi Ron suppose che le sue parole fossero riferite all’articolo. 
<< A chi lo dici, amico >> borbottò, prendendo un’altra rapida boccata della sigaretta. << Quando io ero giovane…bhe, le cose erano molto più semplici >>
<< Mio padre diceva sempre la stessa cosa >> disse lo sconosciuto, appoggiandosi al palo della luce. << E, per certi versi, capisco cosa intendi. Una volta bastava così poco per stupire le persone, e adesso? La gente accetta le invasioni aliene come se fossero la serata dei tacos >>
Il fattorino ridacchiò, sebbene non potesse fare a meno di percepire un certo senso di disagio. Era abbastanza sciuro di aver già sentito quella voce da qualche parte…e non in circostanze amichevoli.
<< Sai qual è la cosa che mi manca di più dei vecchi tempi? >> riprese l’uomo, alzando lo sguardo in direzione della volta celeste. << Gli spettacoli di magia. Una volta partecipai ad uno dove c'era un tizio che faceva finta di esplodere >>
<< Bo Keaton! >> esclamò Rian, sorridendo con nostalgia. << O mio Dio, quello lì sì che ci sapeva fare. L'hai davvero visto?>>
<< Eccome! È stata un’esperienza incredibile. Lui arrivava, esplodeva, spaventava a morte la gente…e dopo stava bene, non si faceva male per niente. Era molto, huh…concettuale >> disse lo sconosciuto, con il tipico ghigno di chi la sapeva lunga.
Ron si rilassò quasi subito. Sì, quel tipo sembrava uno a posto, probabilmente era solo una persona in cerca di qualche conversazione stimolante.
<< Ti invidio davvero, io ho avuto modo di vederlo solo in televisione >> commentò il fattorino, lasciando cadere la sigaretta e spegnendola con il piede.
Se possibile, il sorriso già molto grande sul volto dello sconosciuto sembrò allargarsi.
<< Non solo l'ho visto, ma so come faceva a farlo. Vuoi che te lo faccio vedere?>>
<< Stai scherzando? Oh, sì! Certamente! >> rispose Ron, con gli occhi illuminati per l’eccitazione. Come quasi tutte le persone della sua generazione, anche lui aveva sempre avuto un debole per gli spettacoli di magia.
L’uomo dai capelli rossi scrollò le spalle e si mise di fronte a lui.
<< Va bene. Alza il braccio destro e dammi la mano con l’altro >> disse con tono paziente.
Perplesso, Ron fece come ordinato.
Lo sconosciuto annuì soddisfatto. << Eccoci qua. Sei pronto? >>
<< Assolutamente. Allora, qual è il trucco? >> domandò il fattorino, con un sopracciglio inarcato.
In quel preciso istante, gli occhi del suo compagno di conversazione vennero attraversati da un luccichio malizioso.
<< Il trucco? Il trucco è…che non c'è trucco >>
<< Eh? Che inten… >>
E quelle furono le ultime parole che l’uomo riuscì a pronunciare.
Accadde tutto nella frazione di pochi secondi. Qualcosa di rosso e filamentoso si protrasse dalle dita dello sconosciuto, conficcandosi nella mano di Ron che stava stringendo.
Il simbionte si insinuò nel corpo dell’uomo con rapida e spietata efficienza, espandendo la propria massa. Poco dopo, il corpo del fattorino esplose come un palloncino ripieno di succo di pomodoro.
Cletus Kasady ammirò la propria opera con un sorriso estatico, il volto bagnato dal sangue della sua ultima vittima.
<< Bhe, questa la metto sicuramente nella mia top ten personale >> commentò, prima di scoppiare nella risata che i cittadini di New York avevano imparato a temere negli ultimi giorni.
Poi, il serial killer posò lo sguardo sul camion abbandonato a pochi passi da lui.
<< Ciao, bellezza. Ti andrebbe di fare un giro con lo zio Carnage? >>
 
                                                                                                                                                      * * * 

La limousine di James Erbert infilò rombando la rampa d’ingresso del Municipio, lungo la via diretta verso il centro di New York.
La forza di pronto intervento aspettava a bordo di tre veicoli: in testa un ammaccato furgone SWAT con targa statale, e dietro due auto della polizia con i motori al minimo.
Bucky Burnes issò in spalla la sacca con l’equipaggiamento d’assalto e camminò fino alla limousine.
Quattro uomini lo guardarono arrivare attraverso gli sportelli posteriori aperti, tra cui lo stesso sindaco.
L’Avenger mormorò qualcosa all’autista chino sul volante e si sedette nei sedili posteriori, di fronte a Erbert e alla coppia di guardie del corpo che lo affiancavano. Poco dopo, la macchina partì per emergere nella gradevole sera autunnale.
Annuendo soddisfatto, Bucky afferrò un comunicatore dalla cintura e se lo portò alla bocca.
<< Il pacco si sta muovendo >> disse freddamente. << Com’è la situazione lì da te, Carol? >>
La voce della supereroina non tardò a farsi sentire.
<< Per ora tutto tranquillo, io e Rhodey abbiamo perlustrato l’edificio da cima a fondo. Sam? >>
<< Ho una visuale completa dell’area attorno al palazzo, se cercherà di entrare lo individuerò all’istante. Spiderman? >>
<< Qui il vostro amichevole ragno di quartiere con una panoramica dei giardini! Di Carnage nemmeno l’ombra >>
<< Nessun segno neppure all’angolo del buffet! >>
<< Scott, rimani concentrato >> ordinò Hope, con un sospiro rassegnato.
Al contempo, la limousine uscì dai confini del municipio.
 
 
Il convoglio procedeva a una velocità di appena una decina di chilometri orari, accompagnato dalle auto della polizia, una per ogni lato della limousine.
Passato Central Park, la città cominciò a farsi via via più affollata.
Giovani uomini e donne ciondolavano davanti ai numerosi bar e ai negozietti sparsi per la zona, mentre alcuni bambini giocavano lungo i bordi dei marciapiedi.
Una bassa impala con a bordo quattro neri s’infilò nello scarso traffico e proseguì lentamente dietro al furgone della polizia, per poi allontanarsi una volta che la limousine ebbe raggiunto la Sixth Avenue.
L’intera via era stata riccamente contrassegnata come zona chiusa a qualsiasi veicolo non autorizzato, attraverso l’uso di vari cartelli e segnali stradali.
All’interno del veicolo, la tensione e il silenzio erano quasi palpabili.
<< Davvero un bel braccio >> commentò all’improvviso Erbert, indicando la protesi di Bucky. << Che cosa può fare? >>
L’Avenger si limitò a lanciargli un’occhiata laterale. Poi, tornò a fissare l’ambiente che si stagliava oltre il finestrino della portiera.
Il sindaco si mosse a disagio sul sedile. 
<< Tu …non parli molto, non è vero? >> disse con un sorriso nervoso. Questa volta, Bucky non si degno nemmeno di riconoscere la sua presenza.
 << A quanto pare no >> borbottò l’uomo, affondando nello schienale.
Proseguirono in silenzio per un altro paio di minuti, procedendo a passo sicuro verso la destinazione prestabilita: il Lincoln Center, dove si sarebbe tenuta la raccolta fondi.
Poi, la limousine cominciò a rallentare.
<< Maledizione >> borbottò l’autista, attirando l’attenzione di Bucky.
<< Che succede? >> domandò l’Avenger, mentre apriva un poco il finestrino per ottenere una visuale migliore di ciò che avevano davanti.
Lanciò un’imprecazione. In mezzo alla strada, circondato da un paio di ambulanze e alcune auto della polizia, c’era un furgone in fiamme.
Il veicolo aveva avuto un incidente sulla statale, più o meno di tre chilometri a Nord del Ponte di Brooklyn e appena fuori la Sixth Avenue.
L’abitacolo era tutto accartocciato, un groviglio di lamiere d’acciaio e alluminio, plastica deformata e ammortizzatori rotti. Gli airbag anteriori erano scoppiati, ma ora penzolavano flosci dal cruscotto perché erano stati tagliati per estrarre il passeggero e il guidatore.
<< Dovremmo fare la strada più lunga >> borbottò amaramente l’autista, mentre il poliziotto che si occupava della segnaletica faceva cenno a lui e al resto dei veicoli di imboccare una strada che passava proprio sotto una cavalcavia superiore.
Inutile dire che Bucky non gradì affatto la notizia. Un cambio di strada equivaleva ad un imprevisto, e gli imprevisti non gli erano mai piaciuti. Portavano solo complicazioni.
Inoltre, mentre si apprestavano a superare il ponte stradale, cominciò a chiedersi come quel furgone avesse avuto un incidente nonostante l’assenza di altri veicoli sul luogo d’impatto.
Forse il guidatore era ubriaco…o forse…
BRRRRRRRR!
Sentì un forte rumore dietro di loro. Le vibrazioni metalliche e il rombo del motore a dodici cilindri di un grosso camion.
Si voltò ma, benché il fragore aumentasse a ogni istante, non riuscì a vedere nulla.
<< Lo sentite? >> chiese, senza accorgersi che le sue mani si erano inconsciamente strette sulla sacca. Provava un improvviso prurito ai polpastrelli. << Sta arrivando qualcosa >>.
Il rombo si fece assordante e all’improvviso il camion apparve sopra di loro.
Bucky alzò appena in tempo la testa per vederlo planare oltre la carreggiata al livello superiore. Sulla fiancata erano dipinti una distesa verdeggiante con qualche mucca qua e là, una fattoria rossa e il sole sorridente che spuntava dalle colline. I raggi illuminavano un paio di palle nere e una scritta a lettere alte trenta centimetri : CONSEGNE DI GIORNATA.
Per un attimo il camion oscurò la terra e il cielo  e la scritta riempì l’intero campo visivo di Bucky. Poi, l’enorme veicolo atterrò alla destra della limousine, sprigionando scintille lungo l’asfalto.
L’autista sbattè le palpebre per la sorpresa, trovandosi davanti agli occhi un mattino con il cielo azzurro abbagliante, senza nubi, senza limiti, con un sole sorridente…
BANG!
Il camion, sbandò di lato, colpendo il furgone SWAT della polizia e mandandolo a sbattere contro un palo della luce. Il muso del veicolo prese immediatamente fuoco, mentre cavi elettrici cominciarono ad agitarsi come serpi al di sopra del mezzo.
<< Oddio >> sussurrò l’autista, strabuzzando gli occhi per quello che aveva appena visto con lo specchietto retrovisore.
Allora la limousine sbucò nella strada principale, occupata da decine di veicoli.
<< Vai più veloce! >> urlò Bucky, mentre estraeva un grosso fucile dalla sacca, sotto lo sguardo impaurito di Erbet. L’autista non se lo fece ripetere due volte e premette il piede sull’acceleratore.
Dietro di loro, il camion nuotava nella marea di taxi, uno squalo bianco che si faceva largo tra le onde di un oceano giallo e nero. I piccioni si alzarono in volo quando lo sentirono arrivare, sfrecciando verso l’oscurità della notte. Le ruote sussultarono rumorose sui resti dei veicoli che si lasciò dietro.
Cletus Kasady, nelle vesti di Carnage, occupava il sedile del guidatore, con una birra ormai calda tra le gambe, mentre al contempo girava la manopola della radio. La sinfonia passava da una banda all’altra, ma nessuno dei brani era riuscito a soddisfarlo.
<< Chi cazzo suona questo schifo a metà ottobre? >> borbottò a bassa voce, finchè non trovò qualcosa di suo gradimento: una canzone di Marylin Manson.
( Theme : https://www.youtube.com/watch?v=F2T4QdqlNLw )
<< Ecco, questa è roba che spacca! >> esclamò, mentre aumentava la velocità del mezzo. Di fronte a lui, qualunque veicolo che ebbe la sfortuna di trovarsi sulla strada del camion venne immediatamente sbalzato di lato oppure ridotto ad un ammasso accartocciato di lamiere e vetri infranti.
Dentro la limousine, Bucky afferrò rapidamente il comunicatore e urlò : << Ragazzi, abbiamo un problema! >>
<< Di che tipo? >> rispose la voce di Carol, visibilmente preoccupata.
Il super-soldato diede una rapida occhiata alla parte posteriore del veicolo.
<< Un camion è sbucato fuori dal nulla e ha mandato fuori strada il furgone della SWAT. Ora ci sta inseguendo per…che strada è questa? >>
<< La statale 37! >> squittì Erbert, con le mani strette sui bordi del sedile.
<< La statale 37 >> ripetè Bucky.
<< Pensi che sia Carnage? >> chiese la voce di Rhodey.
Il supersoldato rilasciò un sonoro sbuffo.
<< L’ipotesi mi ha accarezzato la mente >> rispose seccamente.
Dietro alla limousine, il camion procedeva implacabile la propria avanzata.
Quando la prima macchina della polizia superò un dosso, Cletus era riuscito a sedersi ai bordi del finestrino con una pistola ben stretta al livello della spalla, inclinata verso il basso.
Affianco a lui, la macchina faceva i settanta, e stava accelerando. C’era al volante un secondino abbastanza giovane, con orizzonti di gloria sempre davanti agli occhi. Cletus sarebbe stato più che felice di mostrargliene la fine.
Forse lo notò, forse cercano di contrattaccare. Non fece alcuna differenza. Quella macchina non aveva gomme a prova di proiettile.
Il veicolo della polizia esplose come se fosse stato pieno di dinamite.  
Schizzò di lato come un grosso uccello tozzo e superò senza controllo la carreggiata. Finì contro un idrante, sotto gli sguardi attoniti e le grida dei passanti.
La portiera dalla parte del guidatore schizzò via. Il guidatore stesso colpì il parabrezza come un siluro e volò per cinque metri, prima di finire contro la vetrina di un negozio.
La seconda macchina della polizia cercò di uscire dalla traiettoria di Cletus, ma l’uomo riuscì comunque a centrarne una gomma. Due proiettili sollevarono spruzzi di sangue all’interno del veicolo.
La macchina si mise di traverso, mentre dalle ruote si alzava una nuvola di fumo, poi rotolò tre volte su se stessa, spargendo in giro frammenti di vetro e metallo.
Cletus sorrise soddisfatto, mentre Bucky assisteva all’intera scena dalla limousine.
<< Ehm…abbiamo bisogno d’aiuto immediato >> disse attraverso il comunicatore.
<< Non preoccuparti, Bucky >> rispose Rhodey. << La cavalleria sta arrivando >>
“ Speriamo solo che non arrivi tardi” pensò il supersoldato.
<< Tu, dammi una mano >> disse indicando una delle guardie del corpo, un uomo calvo dalla mascella tozza e dal corpo ben piazzato.
Questi annuì rapidamente ed estrasse la pistola, con la mano sinistra che teneva il polso della destra. Bucky fece lo stesso con il fucile ed entrambi si sporsero dai finestrini: uno da una parte e uno dal’altra del veicolo.
Il guidatore pigiò ulteriormente il piede sull’acceleratore e la limousine schizzò in avanti.
L’attimo seguente, due colpi secchi raggiunsero il camion. Il parabrezza si frantumò, cospargendo il sedile anteriore di frammenti di vetro.
Cletus non sembrò per nulla infastidito dalla cosa e alzò anch’egli la propria arma.
Senza più una barriera a impedirgli di prendere la mira, tirò il grilletto un paio di volte.
I vetri della macchina andarono in frantumi, ed Erbert sollevò tutte e due le mani per proteggersi il volto.
Il veicolo sfrecciò nel varco formatosi tra due taxi, con appena un ondeggiamento della coda.
Cletus intravide Bucky e la guardia del corpo che si voltavano per sparare di nuovo, e concentrò tutta la sua attenzione sulla strada.
Salirono un dosso e si sentì uno strano thunn! sordo, quando qualcosa colpì il portabagagli. Bucky si rese conto che il Camion li aveva colpiti!
La macchina cominciò a sbandare, e il guidatore cercò di mantenerla dritta manovrando freneticamente il volante. Vagamente, il supersoldato realizzò che Erbert stava urlando.
<< Guida! >> continuava a sbraitare. << Guida, maledizione! Guida ! >>
Nel tentativo di seminare il loro inseguitore, l’autista si gettò in mezzo al traffico cittadino, facendo lo slalom tra le vetture che procedevano lentamente su una strada a tre corsie.
La macchina scansò con grande agilità le auto davanti a sé, ma ciò non bastò a seminare il camion, che continuava a tallonarli.
Non riuscendo a distanziarlo, il guidatore provò a scappare imboccando un piccolo vicolo laterale, poco più largo del camion stesso. Ma Carnage non si fece sorprendere e, con una sterzata molto brusca, continuò l'inseguimento, senza mai mollare il piede dall'acceleratore.
Vedendo ancora la sagoma del camion nello specchietto retrovisore, l’autista provò ad allontanare il mezzo uscendo dal vicolo e rientrando, con una curva ad angolo retto, in un'altra via laterale.
Purtroppo, il distacco tra i due rimase pressoché invariato.
Innervosito dalla tenacia del suo avversario, l’uomo riprese la sua corsa su un'altra strada principale, ma poco dopo si ritrovò davanti ad un ostacolo: un incrocio con tutte le corsie occupate da decine di vetture ferme. Disperato, sterzò a destra, compiendo una lunga derapata laterale, e salì di colpo sul marciapiede, senza però fermarsi del tutto.
Suonando con decisione il clacson, per spostare le persone che incredule stavano assistendo a quella scena, il guidatore proseguì la sua corsa fino all'angolo dell'incrocio, gettandosi poi in una strada meno trafficata.
Anche Carnage seguì il tragitto improvvisato dalla limousine, continuando così quel folle inseguimento cittadino.
Stava per tornare al centro della strada, quando una sfocatura rossa e blu attirò la sua attenzione.
Con la coda dell’occhio, il serial killer notò la figura di Spiderman che aleggiava tra i grattacieli un paio di isolati più indietro. E stava puntando dritto verso di lui.
 << Oh, Spiderman vuole giocare con me? Va bene, giochiamo! >> esclamò il mostro, mentre premeva il piede sull’acceleratore e sterzò ancora una volta verso il marciapiede.
<< Ehi! Ehi! >> esclamò un barbone che si trovava sul limite stradale, colto alla sprovvista. Furono anche le sue ultime parole.
Il camion puntò senza esitare dove si concentrava la folla di passanti, superando i paletti divisori. Alcuni cercarono di scappare, ma soltanto quelli in fondo al marciapiedi riuscirono a cavarsela. I più vicini ai negozi o alla strada non ebbero scampo. Colpirono i paletti e le vetrate, facendole a pezzi, rimasero intrappolati nella frenesia, cozzarono l’uno contro l’altro.
La folla si mosse avanti e indietro in una serie di onde agitate. I più anziani e i più bassi crollarono al suolo e vennero calpestati dal resto della gente.
Un uomo fu spinto violentemente a sinistra, inciampò, riprese l’equilibrio e poi venne sbalzato in avanti. Un gomito lo centrò alla zigomo appena sotto l’occhio destro, facendogli vedere i fuochi d’artificio. Con il sinistro scorse il camion non solo emergere dall’oscurità, ma quasi esserne partorito.
Crollò in ginocchio vicino a un bidone della spazzatura e fu preso ripetutamente a pedate mentre tentava di rialzarsi. Poi, il camion gli fu sopra e lo ridusse ad una massa informe sul marciapiede.
L’enorme mezzo proseguì implacabile la sua avanzata, maciullando passanti come se fossero mosche.
Puntò verso una giovane donna, che si trovava in mezzo alla strada con una neonata tra le braccia.
Spinta dai pedoni in fuga, la poveretta cadde a terra con la figlia. Si sdraiò su di lei, come per proteggerla da quel mostro meccanico pensate 8 tonnellate.
Udì altre persone gridare, le loro voci quasi soffocate dal rombo del camion che si avvicinava. Qualcuno le tirò una botta terribile alla nuca, ma lei non se ne rese conto. Ebbe modo di pensare : Dio, ti prego, salvami.
Sembrava l’unica cosa sensata da fare.
La donna cominciò a sollevare la testa per capire se il camion le avrebbe schivate e il suo campo visivo venne invaso da un enorme pneumatico nero. Chiuse gli occhi, sperando con tutta se stessa che la figlia stesse dormendo.
Aspettò il dolore…ma questo non arrivò mai.
Si sentì sollevare da terra, mentre un paio di forti braccia si stringevano attorno a lei.
Con il vento che le scorreva tra i capelli, la donna spalancò le palpebre per la sorpresa e si ritrovò a fissare dritta nelle lenti bianche della maschera di Spiderman.
Il vigilante atterrò dall’altro capo della strada, mentre il camion proseguiva la sua corsa.
<< Sta bene? >> chiese l’Avenger, con tono preoccupato.
La donna annuì debolmente.
<< S…sì. G-razie >> balbettò, mentre la bimba che stringeva al petto cominciò ad agitarsi.
Incapace di trattenersi, Peter le accarezzo la testa con fare rassicurante. Poi, sparò una ragnatela e riprese la sua corsa tra i grattacieli di New York. 
 

Poco più avanti, l’inseguimento stava continuando senza esclusione di colpi.
Non riuscendo a seminare il camion usando l'agilità, l’autista della limousine aveva deciso di usare tutta la potenza che aveva a disposizione per distanziarlo.
 Approfittando dei larghi spazi della strada meno trafficata, l’uomo spinse a fondo il pedale dell'acceleratore, vedendo schizzare il tachimetro oltre i sessanta chilometri orari.
Con grande sollievo di Bucky, l'idea sembrò funzionare, la distanza tra i due mezzo stava aumentando di qualche metro, ma non era abbastanza per poter scappare da quell'ostinato inseguitore.
La cosa non lo sorprese più di tanto, quella macchina non era fatta per correre sulle lunghe distanze. Il camion invece sì!
Poi, l’enorme mezzo di trasporto sembrò caricarli come un ariete.
Al contempo, Cletus innestò il cambio e il veicolo balzò contro la macchina, con gli pneumatici che stridevano sull’asfalto.
L’autista della limousine urlò, stringendosi al volante, non per controllare il mezzo ma per reggersi a qualcosa. Le gomme con la fascia bianca sollevarono scintille e pezzi di manto stradale, alcuni dei quali rimbalzarono sotto il telaio. Il camion si lanciò in avanti lungo la carreggiata, come il vagoncino di un otto volante impazzito : cento metri di corsa verso il prossimo incrocio.
Al sindaco Erbert parve di gridare per tutta la traversata, anche se in realtà smise a metà tragitto. L’urlo che sentiva era intrappolato nella sua testa.
Avvicinandosi all’incrocio, anziché rallentare il camion accelerò. Se qualche veicolo fosse arrivato dall’una o dall’altra direzione…sarebbero stati investiti a settanta all’ora. Ma anche nel caso non fosse sopraggiunto nessuno, se il camion avesse proseguito fino all’altro lato della strada, sarebbe finito contro un edificio.
Sul percorso non c’era nessuno e, quando le ruote posteriori toccarono ancora una volta l’asfalto, il volante della vettura girò da solo tra le mani dell’autista, a causa dell’attrito improvviso, così veloce che gli bruciò i palmi e lo costrinse a lasciare la presa.
La macchina slittò sulla strada, ruotando di novanta gradi a destra, mentre il camion continuava a trascinarla in una corsa impazzita.
Bucky fu sbalzato contro la portiera di sinistra, battendo la testa contro il metallo.
Per un lungo momento,  il super soldato non riuscì a capire se si fosse fatto male o meno. Rimase disteso sui sedili, guardando il tetto dell’auto, mentre attorno a lui poteva sentire le urla di Erbert.
Attraverso il finestrino del lato del passeggerò vedeva il blu intenso della sera, con un piumaggio di nubi negli strati più alti dell’atmosfera.
Si portò una mano alla fronte e quando si guardò le dita le vide macchiate di sangue.
Nel mentre, Il camion continuava a correre, trascinandosi dietro la limousine. Aveva cambiato marcia e adesso era al massimo. Sopra di esso, Peter volteggiava tra i grattacieli della metropoli.
Il vigilante conosceva le strade della zona a memoria e aveva la sensazione che stessero percorrendola Brodway in direzione est, verso la Dixie Highway. Un altro minuto e sarebbero arrivati all’incrocio e…e cosa? L’avrebbero attraversato a razzo. Se fosse arrivato un altro mezzo diretto da nord, sarebbero stati fatti a pezzi. E questo fu proprio ciò che accadde.
Una Panda sbucò rombando dall’estremità perpendicolare ai due mezzi, investendo la Limousine in pieno. Il guidatore che si trovava al volante, troppo sorpreso per poter reagire in tempo, non fu nemmeno in grado di mettere il piede sul freno e morì sul colpo.
Lo scontro fu così violento che entrambe le vetture persero il controllo e uscirono dalle rispettive corsie, lasciando sul luogo dell'incidente diversi pezzi di carrozzeria.
La limousine proseguì la sua lunga sbandata lungo i confini della carreggiata, compiendo ben due testacoda consecutivi e ribaltandosi. Al contempo, la Panda finì la sua corsa contro un muro di pietra, picchiando violentemente il radiatore e mandando in frantumi il lunotto anteriore.
La gente che si trovava nei bari e nei negozi dell’incrocio cominciò a urlare e sparpagliarsi in tutte le direzioni, mentre il camion – il cui muso ora era un ammasso irriconoscibile di metallo e vapori – si fermò proprio al centro del luogo d’impatto.
Dentro la limousine, Bucky si sollevò su un gomito. Era una maschera di sangue.
Quando si riportò la mano alla fronte, sentì un taglio di una decina di centimetri sul cranio. Lo tastò con le dita, avvertendo l’osso.
Con la coda dell’occhio, vide che entrambe le guardie del corpo erano morte. Una aveva il volto completamente maciullato, l’altra si era gettata su Erbert per proteggerlo da una lamiera vagagente. Era stato trapassato dritto al cuore.
L’autista e il sindaco sembravano ancora vivi, sebbene visibilmente provati dall’incidente.
Con un grugnito, il supersoldato aprì la portiera e cominciò a strisciare fuori dal veicolo capottato, trascinandosi dietro la figura di Erbert. Il guidatore cercò di fare lo stesso, ma scoprì di avere le gambe bloccate dai sedili anteriori.
Una volta uscito dal mezzo, Bucky controllò subito le condizioni del sindaco. Aveva il viso coperto di tagli, i vestiti strappati in vari punti, e un osso sporgeva dal fianco della gamba destra. Non avrebbe potuto camminare per un po’.
Un suono di passi attirò la sua attenzione.
Senza perdere tempo, l’Avenger si mise in piedi e puntò il fucile verso Carnage, che era sceso dal camion e si stava dirigendo verso di loro con un’andatura lenta e sicura.
Il supersoldato strinse gli occhi, prendendo la mira e preparandosi a sparare. Poi, la limousine dietro di lui collassò su se stessa, intrappolando ulteriormente la gamba dell’autista, che si mise a gridare con la testa all’indietro e gli occhi chiusi. E poi svenne.
Bucky distolse l’attenzione da Carnage per un momento, solo un momento…e il serial killer lo colpì al fianco con una frusta  filamentosa. L’uomo fu proiettato contro la vettura, perdendo la presa sul fucile.
Erbert si scansò di lato con un gemito di dolore, mentre il corpo di Bucky affondava nel telaio del mezzo.
L’Avenger tento di alzarsi, ma il serial killer non gli diede la possibilità di farlo.
Afferrò il supersoldato e con un balzò lo sbattè sul tettuccio della Panda. I finestrini dell’auto esplosero a causa della forza d’impatto.
La creatura spalancò la bocca irta di denti e fece scattare la lingua biforcuta, afferrando il collo di Bucky e preparandosi a staccargli la testa con un unico e rapido morso.
<< Lascialo andare! >> ordinò qualcuno alle sue spalle, spingendolo ad abbandonare la presa sull’uomo e a voltarsi.
Cletus sorrise consapevole e puntò le lenti bianche sulla figura che aveva appena preso posto in mezzo alla strada.
<< Ah, Spiderman! Gentile da parte tua unirti alla festa, ma non ricordo di averti spedito l’invito >> disse la creatura, con un sottofondo di macabra ironia. << Temo che sarò costretto a chiederti di andartene >>
<< Andarmene proprio adesso che stanno servendo questi deliziosi antipasti? >> rispose il vigilante, mentre sparava una ragnatela verso uno dei bar confinanti con il marciapiede.
La sostanza appiccicosa si conficcò in un tavolino, dove la gante in preda al panico aveva abbandonato cibi parzialmente mangiati e bevande. Poi, l’arrampica muri scaraventò il ripiano contro il serial killer.
Questi utilizzò le dita artigliante per scansare il proiettile di lato, proprio mentre Spiderman balzava su di lui e lo colpiva con un pugno al volto.
La testa di Carnage girò appena, scoprendo i denti in un sorriso grottesco.
Nel tentativo di afferrare l’arrampica-muri , compì una rapida rotazione su se stesso per tirargli un calcio.
Facendo appello ai suoi sensi più sviluppati, Peter riuscì a deviarlo con un rapido taglio della mano sinistra. Poi, procedette a contrattaccare.
Il pugno attraversò il vuoto dell’aria come un colpo di pistola, andando a infrangersi ancora una volta contro il viso della creatura.
Senza perdere tempo, l’Avenger allargò ambe le braccia e, poco prima che il serial killer potesse riprendersi dal colpo, schiaccio le mani attorno al suo cranio, inclinandone le articolazioni fisse.
Carnage balzò in avanti con un sibilo, spalancando le fauci e scoprendo le zanne. Peter si scansò di lato e sferrò un ulteriore pugno per farlo indietreggiare. Diede altri due colpi allo stomaco, uno al volto e due ai fianchi.
Infine, sferrò un calciò al petto del superumano, costringendolo a compiere un balzo all’indietro.
Percependo un assalto imminente, la creatura si riparò con un braccio, ma Spiderman lo colpì al gomito e glielo spezzò, poi alla testa, mandandolo a sbattere contro il fianco della limousine.
Quando il mostro si rimise in piedi…il braccio aveva assunto una piega strana. Purtroppo stava già guarendo, e le ossa avevano appena cominciato a ricomporsi sotto la pelle.
Appena una decina di secondi dopo, Carnage era tornato come nuovo.
<< Impressionante >> commentò il serial killer, con tono apparentemente sincero.
Sotto la maschera, Peter non potè fare a meno di sorridere. Tutte quelle sessioni di allenamento alternate con Carol, Sam, Hope e Bucky avevano dato i loro frutti.
Nel frattempo, la mano destra dell’avversario aveva cominciato a mutare.
Le dita che la componevano iniziarono ad unirsi l’una all’altra attraverso centinaia di minuscoli filamenti rossi, simili a capillari. Pochi secondi dopo, una grossa ascia scarlatta aveva preso il posto dell’arto che, fino a poco prima, aveva mantenuto caratteristiche vagamente umane.
<< Oddio >> mormorò il vigilante, mentre Carnage sorrideva malignamente e si lanciava in avanti.
Peter riuscì a evitare il colpo e l’arma acuminata si conficcò nel manto stradale, sollevando pezzi d’asfalto.
Sparò una ragnatela al serial killer, ma questi si limitò ad agitare pigramente il braccio, tagliando il filo in due. Poi, il mostro balzò verso di lui con un grido agghiacciante e cominciò a muovere l’ascia in tutte le direzioni, come se impazzito.
Spiderman fu in grado di scansare la maggior parte degli attacchi, ma ad un certo punto l’arma lo sfiorò al petto, strappandogli parte del vestito e lasciandogli una striscia insanguinata sulla pelle.
<< Ehi! Io ho forse rovinato il tuo costume? >> disse il ragazzo, atterrando sul tetto del camion con una capriola e indicando drammaticamente l’avversario. <<  Lascia stare i vestiti, psicopatico. E questo è un ordine! >>
<< Ah, ma Carnage non prende ordini dagli insetti >> rispose il serial killer, con il suo inconfondibile ghigno. << Carnage li schiaccia e li manda all’altro mondo! >>
<< Sono molti a cadere in questo equivoco. I ragni sono in realtà degli aracnidi… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Il mostro balzò su di lui, costringendolo ad evitare un altro affondo.
Compì un salto carpato a mezz’aria e sparò una coppia di ragnatele alla schiena dell’avversario. Tirò con forza, ma questi non si mosse nemmeno di un centimetro. Sembrava inchiodato al tetto del camion.
La creatura si voltò, afferrando ambe le ragnatele e tirandole verso di sé. Spiderman le seguì a ruota, finendo dritto contro un poderoso calcio ad opera del superumano.
<< Sei forte, Spiderman, questo te lo concedo. Ma io sono più cattivo! >> esclamò questi, mentre il corpo del vigilante ruzzolava pesantemente sulla strada.
Si rialzò a fatica e sputò un rivolo di sangue. Dio, quel tipo picchiava veramente forte.
Bzzzzzz! Il suo senso di ragno cominciò a vibrare.
Girò di lato, mentre qualcosa si conficcava nel terreno a pochi passi da lui : un piccolo arpione rosso, non più grande di dieci centimetri.
Bzzzzz! Peter balzò all’indietro, evitando un altro proiettile. E poi un altro, e un altro ancora.
<< Scappa, scappa, piccolo ragno! >> esclamò Carnage, mentre continuava a bersagliare l’adolescente.
Nel tentativo di contrastare l’assalto, questi afferrò la portiera rotta della limosuine e la usò come scudo. Poco dopo, due grossi arpioni ne attraversarono il metallo e si fermarono ad appena un paio di millimetri dal volto dell’arrampica-muri.
“ Cavoli, ci sono andato vicino” pensò Peter con timore reverenziale.
Fu così che, troppo impegnato a rimuginare su quell’esperienza di pre-morte, non si accorse di Carnage che lo stava caricando come un toro.
L’adolescente ebbe appena il tempo di mollare la presa sulla portiera. Il serial killer lo colpì con una testata in pieno petto, facendolo sbattere contro la fiancata della limousine.
Tentò di rialzarsi, ma l’avversario non glie diede la possibilità di farlo. Lo afferrò per il cappuccio e colpì il veicolo con la faccia del supereroe, per un totale di tre volte.
<< Questo lascerà il segno >> commentò gioviale, mentre allontanava il corpo martoriato del vigilante con un rapido calcio allo stomaco.
Peter rimase disteso sulla schiena, tossendo sonoramente. Probabilmente si era inclinato qualche costola.
Al contempo, Carnage volse nuovamente la propria attenzione nei confronti della figura strisciante di Erbert.
<< Ora, dov’eravamo rimasti? >> chiese beffardo, mentre il sindaco tentava di allontanarsi usando le braccia come leva.
Lentamente, come se avesse tutto il tempo del mondo a disposizione, la creatura tornò al camion, afferrò qualcosa stipato nella cabina di guida e camminò fino a lui.
Erbert lanciò un gemito strozzato, rendendosi conto che ciò che il serial killer teneva tra le mani era una tanica di benzina.
L’uomo provò ad alzarsi, ma Carnage gli posò un piede sul fianco e lo girò sulla schiena.
Lo afferrò per il colletto della giacca e lo avvicinò al proprio viso, sorridendo malignamente. Poi, la maschera del mostro cominciò a dissolversi, rivelando il volto di Cletus Kasady.
<< Ti ricordi di me? >> sibilò l’assassino, con sadico divertimento.
Gli occhi di Erbert di spalancarono per la paura…e la comprensione. Al contempo, Carnage colpì il sindaco al naso, premendo nel contempo la bocca della tanica contro la sua fronte, come se glie la volesse trapanare. La benzina inondò la faccia dell’uomo e gli inzuppò i vestiti. Elbert emise un grido soffocato e si portò una mano agli occhi.
Il serial killer lo colpì con un calcio, girandolo sulla pancia.
Poi, si conficcò la mano nel fianco ed estrasse un piccolo accendino dal costume filamentoso.
<< Un consiglio per l’aldilà, signor sindaco  >> disse con quel ghigno apparentemente intramontabile. << La prossima volta…non scherzare con il fuoco! >>
A pochi metri dalla scena, Peter era riuscito ad appoggiare la schiena sul fianco della limousine.
Alzando la testa, vide che Carnage aveva fatto un passo indietro e stava gettando sulla schiena di Erbert l’accendino, da cui usciva una fiammella. L’uomo fu presto avviluppato da una grande vampata azzurra, che produsse un’ondata di calore tale da far vibrare le vetrine dei negozi circostanti.
Dopo circa un minuto, le urla del sindaco si spensero. Di lui non restava altro che un corpo carbonizzato.
Carnage scoppiò in una risata agghiacciante, prima di posare gli occhi su Spiderman.
<< E ora… >> disse la creatura, mentre la mano destra mutava in un’altra lama affilata. << è il tuo turno! >>
Compì alcuni passi in direzione del vigilante, preparandosi a finirlo. Tuttavia, poco prima che potesse affondare l’arma nel corpo di questi, un proiettile di pura luce lo investi al fianco, sbalzandolo di diversi metri.
Cletus rotolò sull’asfalto, mentre la figura di Capitan Marvel atterrava di fronte a lui.
<< Non provare nemmeno a toccarlo >> ringhiò Carol, il corpo avvolto da un intenso bagliore e gli occhi illuminati da fiamme roventi.
Carnage si drizzò in piedi, scoprendo i denti acuminati e sibilando minacciosamente. Al contempo, la donna si mise in posizione d’attacco.
Il serial killer si guardò attorno, valutando le proprie opzioni. Era forte, certo…ma non pensava di essere ancora all’altezza di qualcuno come Capitan Marvel. Soprattutto se il resto degli Avengers sarebbero arrivati di lì a poco.
Giunto a quella conclusione, il mostro compì un balzo oltre i veicoli distrutti e atterrò nei pressi di un tombino. Con rapidità disarmante, aprì il condotto fognario e vi scivolò all’interno prima ancora che Carol potesse rendersi conto delle sue intenzioni.
La donna schioccò la lingua. Avrebbe potuto inseguirlo, certo, ma dare la caccia a qualcuno che si nascondeva nelle fogne di New York era l’equivalente di cercare un ago in un pagliaio.
Senza perdere tempo, corse verso la figura martoriata di Peter.
<< Stai bene? >> chiese con preoccupazione, mentre aiutava il vigilante ad alzarsi.
Questi tossi un paio vi volte, avvolgendole un braccio attorno alle spalle.
 << Sì, solo un po’ ammaccato. Bucky sembra messo molto peggio >> borbottò, indicando l’ex Soldato d’Inverno disteso lungo la fiancata della Panda.
La coppia di Avengers camminò fino a lui. Era ancora cosciente, ma stava perdendo molto sangue.
 << Dov’è il sindaco? >> sussurrò con un filo di voce.
Carol lanciò una rapida occhiata verso il corpo bruciato del politico.
 << Morto >> rispose con un sospiro rassegnato.
Il supersoldato rilasciò un gemito.
 << Maledizione >>  borbottò, accasciandosi contro il telaio della macchina. Aveva bisogno di cure mediche immediate.
La supereroina fece per afferrare il comunicatore…
<< Gha!>> sibilò, mentre una fitta di dolore improvviso le attanagliava lo stomaco.
Chiuse gli occhi, strinse i denti e si piegò in due, sotto lo sguardo sorpreso di Peter.
<< Carol! >> esclamò questi, facendo appello alle forze che gli erano rimaste per sostenerla. << Tutto bene? >>
La donna si portò una mano alla pancia e prese alcuni respiri calmanti.
<< Io…sì, non so cosa mi sia preso >> disse dopo qualche attimo di silenzio.
Affianco a lei, il vigilante la guardò poco convinto. Non l’aveva vista nel dolore da quando…bhe, in realtà non ricordava di averla mai vista nel dolore.
Carol si drizzò di scatto, come se nulla fosse accaduto. << Dobbiamo chiamare un’ambulanza…e dare la notizia >>.
 
 

Com’era? Spero bello!
È la prima volta che realizzo un inseguimento automobilistico, quindi spero davvero di aver reso bene l’intera sequenza e soprattutto di non avervi annoiato.
Carnage ha il suo primo incontro con Spiderman e alcuni degli Avengers! E, come potete vedere, non è andato molto bene per i nostri amabili supereroi.
Avranno modo di rifarsi? Lo scoprirete nei prossimi capitoli!

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Capitolo 10
*** You're what ?! ***


Ecco un nuovo capitolo!
Preparatevi per una bella sorpresa...




You're what ?!

Le anatre, pacate e giudiziose, emettevano versi misurati, che si confondevano distintamente lungo la riva del laghetto.
Qua e là, qualche bell'esemplare di anatra maschio si librava nell'aria, e con un grido sfrecciava sull'acqua a tutta velocità. Così facendo, disegnava  ampi semicerchi sulla superficie.
Alcuni chiurli dalle lunghe zampe e dai becchi appuntiti, allungando le sottili gambette da zanzara, uno dopo l'altro saltellavano di cunetta in cunetta e con un allegro sibilo si addentravano sempre più nel boschetto che confinava con lo specchio d’acqua.
Sopra di loro, la copertura in vetro della stanza era l’unica testimonianza che quel giardino fosse tutto fuorchè naturale. Si trattava infatti di un progetto botanico ideato dalle Oscorp Industries, che consisteva nella creazione di un ecosistema completamente funzionante all’interno di un edificio urbano.
Norman Osborn veniva spesso in questa zona per rilassarsi e rimuginare, ma quel giorno neppure la brezza soleggiata indotta dai sistemi di ventilazione artificiali del complesso riuscì a lenire l’irritazione che stava provando in quel preciso istante.
<< Fatti dire un paio di cose sul mercato americano, Joe >> disse bruscamente l’uomo, con la mano destra che reggeva un cellulare attaccato all’orecchio. << I produttori di sigarette…ascoltami…i produttori di sigarette hanno messo quantità di nicotina che provocano dipendenza nei fumatori per decenni prima che qualcuno se ne accorgesse. E quando il governo degli Stati Uniti si è dato una mossa…bhe, era troppo tardi! Il mondo intero era dipendente dalla nicotina. Quindi non provare a dirmi che è contro la legge aggiungere quell’accidenti che vogliamo nei nostri prodotti. Se io lo ritengo opportuno… >>
Si fermò di colpo e corrucciò la fronte.
<< Allora cosa? Nega, nega, nega! >> esclamò dopo qualche attimo di silenzio.
Poi, spalancò gli occhi e fissò intensamente lo schermo del dispositivo.
<< Figlio di puttana >> borbottò a bassa voce.
Sable inarcò un sopracciglio.<< Signore? >>
<< Mi ha messo in attesa. Incredibile >> ringhiò rabbiosamente Osborn, per poi lanciare il cellulare nel laghetto.
Affianco a lui, la donna si trattenne dal sospirare. Tipico di Norman Osborn, quando le cose non andavano secondo i piani sembrava un lupo pronto a balzare alla gola del primo animale che gli fosse capitato a tiro.
Il magnante prese un paio di respiri calmanti e volse la propria attenzione nei confronti dell’assistente.
<< Qualcosa ti preoccupa? >> chiese dopo aver notato che lei lo stava fissando.
Sable si mosse a disagio sulla punta dei talloni.
<< Stavo pensando alla situazione di Kasady, signore. Non dovremmo occuparcene, prima che possa compromettere la sicurezza della Oscorp? >>
<< Occuparcene come? Non abbiamo niente che possa tenere testa a quel mostro. Octavius se ne è assicurato personalmente >> borbottò amaramente l’uomo. << Come sta, a proposito? >>
<< Ancora in coma >> rispose la donna, suscitando un’imprecazione da parte di Norman.
<< Maledizione. Senza di lui non riusciremo mai a mandare avanti i lavori >> disse il magnante, portandosi una mano alla fronte e trattenendo un gemito.
Sable lo scrutò in attesa.
<< Signore…riguardo a Kasady? >>  chiese dopo quasi un minuto di silenzio.
L’uomo sembrò rimuginare sulla questione. << Lasceremo che se ne occupino i Vendicatori >>
<< E se Kasady dovesse parlare, una volta preso in custodia? >> obbiettò la donna, stringendo ambe le palpebre degli occhi.
In tutta risposta, Norman si limitò a lanciarle uno sguardo impassibile.
<< Allora potrai gestire la cosa come meglio credi >>.
 
                                                                                                                                                           * * * 
 
Carol aprì lentamente gli occhi, trattenendo un gemito a causa della luce improvvisa che filtrò dalla finestra della camera.
Ieri notte si era sentita piuttosto strana, come appesantita e completamente svogliata. In realtà era da almeno un paio di giorni che si sentiva svogliata in tutto, era perennemente stanca e apatica, e questo non era da lei. 
Sbuffando si tirò su dal letto, ma un grosso capogiro la costrinse subito a risedersi sul materasso. Che le stesse venendo l’influenza? Sperava vivamente di no, considerando quello che lei e il resto dei Vendicatori sarebbero stati costretti ad affrontare dopo l’ultimo fiasco con Carnage.
Già poteva sentire l’intera città di New York che li incolpava per la morte del sindaco e di tutti i danni subiti dalla metropoli. Era praticamente una prassi, quando si trattava di certe circostanze.
Pian piano si recò in cucina per mettere su del caffè, ma aprendo il barattolo e sentendone l’odore fu costretta a chiuderlo immediatamente. Era come se il solo pensiero di berlo la nauseasse. Tutto ciò non era normale, non per una come lei che, da quando era tornata sulla Terra, viveva con la tazza del caffè attaccata alla mano.
Il cibo che aveva mangiato ieri sera, prima di andare a dormire, le aveva forse provocato un’indigestione?
Si limitò a mangiare tre biscotti con le gocce di cioccolato, anche se li mandò giù con molta difficoltà. Non avevo per niente voglia di mangiare oggi.
Ok, la cosa stava iniziando a farsi davvero preoccupante.
Dopo circa mezz’ora passata a rimuginare, si infilò le infradito di fretta e prese il portafoglio. Poi, con passo spedito scese in strada e si diresse verso la farmacia più vicina.
Magari sarebbero stati in grado di dirgli cosa diavolo avesse che non andava.

                                                                                                                                                                * * *  
 
“ Carnage colpisce ancora! Decine di vittime”
“ I danni alla città sono enormi”
“ La polizia brancola nel buio”
“ Dove sono i Vendicatori?”
“ È morto il sindaco James Erbert”
“ I Vedicatori sono da ritenersi responsabili per quello che è successo”
Peter Parker rilasciò un sospiro mentre scorreva i vari titoli che spiccavano sullo schermo del proprio cellulare, tutti riguardanti gli eventi accaduti la sera prima. A quanto pare, la città aveva già cominciato a incolpare gli Avengers per la morte di Erbert, nonché tutti i danni che Carnage aveva arrecato alla metropoli.
<< Perché la cosa non mi sorprende? >> borbottò ironicamente a se stesso.
Un bussare alla porta lo distolse da quei pensieri.
Girò appena lo sguardo, mentre sua zia May entrava nella camera reggendo una tazza fumante tra le mani.
<< Ti ho preparato la cioccolata >> disse con un sorriso, mentre si avvicinava al letto e si sedeva accanto a lui.
Il vigilante sorrise a sua volta, afferrando la bevanda con un cenno di ringraziamento. La solita May, sempre pronta a tirargli su il morale, non importa la gravità della situazione.
“ Happy, sarà meglio che tu te la tenga stretta” pensò con un ghigno ironico.
All’inizio era stato un po’ titubante ad accettare la relazione tra sua zia e l’ex assistente di Tony, ma dopo qualche mese era giunto alla conclusione che quella donna meritasse di essere felice come un tempo. Era quello che Zio Ben avrebbe voluto, in cuor suo lo sapeva bene. E poi…chi era lui per giudicare, quando stava uscendo con una donna che in retrospettiva aveva almeno il triplo dei suoi anni terrestri ?
<< Ho visto quello che è successo al notiziario >> continuò May, con tono visibilmente preoccupato.<< Stai bene? >>
Peter bevve un rapido sorso di cioccolata e rilasciò un sospiro stanco.
<< Sì, io…penso di sì >> rispose dopo qualche attimo di silenzio.
La donna sorrise comprensiva e gli posò una mano sulla spalla. << Non è stata colpa tua >>
Il vigilante la guardò timidamente.
<< Lo so >> ammise con riluttanza, quasi come se stesse cercando di convincere se stesso. << Però…è difficile ogni volta. Quando non riesci a salvare qualcuno, capisci? >>
Si accasciò contro il cuscino del letto, il volto adornato da un’espressione molto più triste.
<<  Non posso fare a meno di ripensare al Signor Stark. Quando lui… >>
Si fermò di colpo. “ Quando lui si sacrificò per salvarci” avrebbe voluto dire, ma non ci riuscì. Anche dopo due anni, non poteva fare a meno di provare una fitta al cuore ogni volta che ripensava a quel momento. Il corpo del Signor Stark completamente martoriato, in parte bruciato, il sorriso stanco eppure soddisfatto, di chi aveva compiuto quello che voleva fare fin dall’inizio. Lui che lo abbracciava, Pepper che piangeva…l’odore del sangue e della cenere mischiati assieme su quel campo di battaglia in cui era stato deciso il fato dell’intero universo.
Scosse la testa per liberarsi da quei ricordi e tornò a fissare May con un sorriso timido.
 << Ad ogni modo, Carol e gli altri mi hanno aiutato a superare la cosa. Ormai l’ho capito, non posso salvare tutti >> disse con una scrollata di spalle.
La donna gli accarezzò dolcemente la guancia. << Sono felice che tu abbia delle persone su cui poter contare >>  
<< Anche io >> rispose l’altro, dandole un rapido abbraccio.
Rimasero avvinghiati per quasi un minuto buono. Quando quel lasso di tempo giunse al suo termine, May si stacco e gli scompigliò amorevolmente i capelli.
<< Non andare a dormire troppo tardi >> ordinò con tono malizioso.
L’adolescente roteò gli occhi, mentre la donna fuoriusciva dalla stanza.
Una volta che se ne fu andata, Peter rimase in silenziò per un altro po’. Bevve gli ultimi sorsi di cioccolata, posò la tazza sul comodino che aveva vicino al letto e si portò le ginocchia sotto il mento, assumendo una posizione contemplativa.
Rimase fermo e immobile, gli occhi socchiusi in profonda concentrazione. Poi, afferrò un piccolo auricolare dal cassetto del comodino e se lo mise all’orecchio.
<< Karen? >>
<< Sì, Peter? >> rispose rapida e concisa la voce dell’intelligenza artificiale.
Il vigilante sorriso soddisfatto e disse : << Esegui un’analisi incrociata di questi file. Voglio che tu mi dica qualunque cosa James Erbert e Vernon Claridge avessero in comune >>.
 
                                                                                                                                                         * * * 
 
Carol Danvers era accasciata sul divano del salotto, il volto adornato da un’espressione vuota, come se si trovasse in uno stato catatonico. Aveva gli occhi opachi, le labbra chiuse in una linea sottile e i capelli che le cadevano sulla fronte, oscurandole parte del viso.
Nelle mano destra, che penzolava senza vita oltre il bordo dei cuscini, reggeva una piccola asticella di plastica bianca.
Il campanello della porta suonò un paio di volte.
Lentamente, con movimenti quasi meccanici, la donna alzò lo sguardo.
Rimase ferma e immobile per circa un minuto. Poi, quando il citofono suonò una seconda volta, sospirò stancamente e s’incamminò fino all’uscio.
Non chiese nemmeno chi stesse suonando. Semplicemente, prese un lungo respiro…e aprì la porta.
Trattenne un sussulto, mentre i suoi occhi si posavano sulla figura sorridente di Peter Parker.
<< Penso di aver trovato qualcosa >>
<< Peter… >>
Senza darle il tempo di proseguire, l’adolescente la superò con un balzo ed entrò nell’appartamento.
<< Ho passato le ultime tre ore a leggere questi file su Claridge ed Erbert. Continuavo a chiedermi, “perché Carnage ha scelto proprio loro come vittime?”  >> disse mentre estraeva un tablet olografico da sotto la giacca. << All’inizio sembrava una scelta puramente causale, ma poi ho pensato…e se ci fosse un collegamento tra i due? >>
Iniziò a far scorrere diversi articoli sullo schermo del dispositivo, mentre Carol lo fissava impassibile.
<< Così ho cominciato a cercare, e indovina cosa ho scoperto? Boom! >> esclamò, mentre l’immagine di un uomo dai lineamenti affilati e dalla capigliatura rossa si materializzava sul tablet. << Entrambi gli uomini erano coinvolti nel processo e nell’incarcerazione di questa persona: Cletus Casady, serial killer che terrorizzò New York tra il 2009 e il 2011, fuggito di prigione a circa un mese di distanza dalla prima apparizione pubblica di Carnage  >>
Abbassò il dispositivo e lanciò a Carol un ghigno soddisfatto. Tuttavia, la donna non diede alcuna reazione visibile. Semplicemente rimase lì a fissarlo, come se stesse cercando di scrutare direttamente nella sua stessa anima.
Il vigilante si spostò a disagio sulla punta dei talloni.
 << Rhodey ce ne aveva parlato il giorno prima che attaccassimo la base dell’Hydra. Quella in cui abbiamo trovato la bambina >> continuò, arrivando alla conclusione che forse doveva fornirle più informazioni. << Claridge fu il giudice che si occupò del suo processo legale, mentre Erbert era il Procuratore Distrettuale che all’epoca guidò l’accusa contro Kasady. Certo, poteva solo essere una coincidenza, così ho fatto qualche altra ricerca. E  ho scoperto che l’ex compagno di cella di Kasady, Jack Crafford, è stato trovato morto nel suo appartamento due giorni dopo la sua fuga >>
Alzò il dispositivo ancora una volta, per permettere a Carol di vedere l’articolo di giornale che aveva fornito la notizia. Fatto questo, alzò un dito verso il soffitto e proclamò con orgoglio :  << Penso che Cletus Kasady sia diventato in qualche modo Carnage. E penso che voglia vendicarsi di tutti quelli che considera responsabili della sua incarcerazione… >>
<< Sono incinta >>
<< … >>
Tung!
Peter lasciò cadere il tablet sul pavimento della stanza.
Il tempo parve fermarsi. Un silenzio inesorabile sembrò calare sulla coppia, mentre il corpo del ragazzo si drizzava di scatto, come se pervaso da una scossa improvvisa.
Carol chiuse gli occhi, stringendo ambe le mani in pugni serrati.
Cazzo. E ora? Cos’avrebbe dovuto fare? Piangere? Ridere? Urlare?
Quante volte aveva guardato quel maledetto test. Come aveva potuto una cosa così piccola sconvolgerle completamente la vita?
Aveva controllato più e più volte le istruzioni, sperando di aver saltato qualche passaggio in cui dicevano che quegli aggeggi erano totalmente inaffidabili, che avevano poca precisione, che non funzionavano se faceva troppo caldo, che la prima volta era sempre incerto… non sapeva nemmeno lei cosa stesse cercando, qualsiasi cosa le avrebbe potuto dare un briciolo di speranza.
No, quegli stronzi sembravano perfetti, non sbagliavano mai, avevano anche il display con il numero di settimane. Maledizione!
Si era appoggiata a muro e aveva iniziato a scivolare verso il basso, conscia di star perdendo i sensi.
Quando li aveva riacquistai, pochi minuti dopo, tutto le era sembrava un brutto sogno.
Lei, Carol Danvers, la supereroina più famosa dell’intero universo…stava aspettando un bambino, una piccola creatura.
Si era alzata di scatto ed era uscita dal bagno, osservando l’appartamento - come sempre vuoto - inondato dal sole di quel caldo pomeriggio di Ottobre.
Si era diretta lentamente fino al divano, con la testa annebbiata. Come sarebbe riuscita a dirlo a Peter? Fu il primo pensiero che le aveva attraversato la mente.
Certo era il padre, di questo ne era più che sicura…ma era ancora così giovane, poco più di un ragazzo. Come poteva anche solo sperare che si sarebbe preso cura di un bambino? Probabilmente, non appena glielo avrebbe detto, lui sarebbe scappato a gambe levate e non si sarebbe più fatto vedere. Ma lo avrebbe capito, anche lei sarebbe fuggita, se non ce l’avesse avuto nella pancia.
Aprì gli occhi, scoprendo che Peter era rimasto fermo e immobile di fronte a lei, le pupille dilatate e la bocca leggermente spalancata. Sembrava un cervo catturato nei fari di un’autovettura.
<< Ma…avevi detto… >> sussurrò, dopo quello che parve un tempo interminabile. << Avevi detto che non potevi avere figli >>
<< Era quello che credevo >> rispose Carol, sedendosi sul divano e portandosi una mano alla fronte, nel tentativo di combattere un mal di testa imminente. << Ma forse...insomma, entrambi non siamo esattamente umani...forse è per quello...io...non lo so davvero... >>
La realtà tornò a colpirla come un muro di mattoni.
Dio, era incinta. Aspettava un bambino! Tra circa otto mesi sarebbe arrivato e lei non avevo la più pallida idea di come comportarsi.
Quel maledetto test era positivo. Come poteva essere stata tanto sfortunata da fare sesso con un essere umano per la prima volta da decenni e rimanere incinta? Come se non bastasse, non riusciva più a bere il caffè. Solo il pensiero la infastidiva all’inverosimile.
E poi sarebbero arrivate le voglie strane. Probabilmente avrebbe cominciato a mettere la panna nell’insalata come faceva la sua vecchia amica Maria quando era rimasta incinta di sua figlia Lucy. Era una brodaglia assurda, eppure lei la trovava squisita.
L’unica nota positiva era che per adesso non aveva le classiche nausee da gravidanza. Sì, ogni tanto certi odori le avevano fatto rivoltare lo stomaco, ma nulla di così tragico.
 << Lo so che non sei pronto per questo, sappi che lo capisco. Mi… mi sentirei anche io come te >> disse dopo qualche attimo di silenzio, alzando gli occhi in direzione di Peter.
Questi incontrò il suo sguardo e sussultò, come se la vedesse per la prima volta da quando avevano iniziato quella conversazione.
Non poteva credere alle sue orecchie. Non poteva essere seria! Il suo primo pensiero fu “Ditemi che non l’ho messa incinta per davvero o mi sparerò un colpo”.
Lui… con un figlio? A soli diciotto anni? No, no, no e ancora no. Non poteva accettare una cosa del genere! Non sapeva neppure se avrebbe voluto dei figli in futuro, figuriamoci adesso.
Lo spaventava il fatto che Carol sembrasse fin troppo sincera. O era una maestra nel mentire…o stava dicendo la verità pura e semplice. Era davvero incinta.
Lui…aspettava un figlio. Un bambino dalla donna di cui si era innamorato. Lui…un padre? Impossibile. Era solo un adolescente! Andava ancora a scuola, per l’amor di Dio!
Come avrebbe fatto a bilanciare la sua vita da supereoe con una cosa del genere? Come l’avrebbero presa le altre persone? I suoi amici, i suoi compagni di scuola, gli insegnanti…i Vendicatori? Come l’avrebbe presa sua zia ?
E Carol? Sarebbe stata nei guai per colpa di questa cosa? E soprattutto, voleva…voleva davvero avere un figlio da lui? Crescerlo, amarlo come una famiglia…era una prospettiva che non gli era mai passata per la testa.
Chiuse gli occhi, prendendo un paio di respiro calmanti.
 << Wow >> borbottò, mentre sentiva che la testa cominciava a girargli. << E io che pensavo che tu volessi andare piano >>
<< Infatti >> disse l’altra, affondando nello schienale del divano e alzando lo sguardo verso il soffitto.
Peter deglutì e si passò una mano tra i capelli.
<< Questa è…grossa. È davvero, DAVVERO…grossa >> sussurrò, come se stesse ancora cercando di metabolizzare il tutto.
Carol sentì una stretta allo stomaco.
<< Dovevamo stare più attenti >> disse a denti stretti.
Nel mentre, Peter aveva cominciato a vagare per la stanza.
Si fermò sull’altro lato del divano e iniziò a tamburellare le dita della mano destra sullo schienale.  << Lo so che ti risulterà folle… >>
<< Non do la colpa a te >>
<< …ma io credo di aver voluto che capitasse >> terminò il ragazzo.
Inutile dire che la donna si ritrovò incapace di trattenere un sussulto di pura sorpresa.
<< Cosa? >> sbottò, voltandosi di scatto in direzione del compagno con gli occhi spalancati per l’incredulità.
Lo aveva…lo aveva sentito bene? Non pensava di esserselo immaginata, ma doveva essere sicura.
Peter arricciò le labbra in un timido sorriso.
<< Lo sappiamo entrambi, nessuno dei due vuole andare avanti per inerzia. Ma qui…altro che inerzia, qui siamo sulle montagne russe! >>
<< Oddio >> borbottò la bionda, abbassando la testa e trattenendo un singhiozzo.
Il vigilante trasalì, visibilmente allarmato dalla reazione della compagna.
<< No, no, no, no! >> disse rapidamente, correndo fino a lei e accovacciandosi per incontrare i suoi occhi.
<< Non “Oddio”, questa…questa è una cosa bella! >> disse con un sorriso che avrebbe potuto illuminare l’intera stanza.
Carol incontrò il suo sguardo, totalmente incapace di credere a quello che stava succedendo. Doveva trattarsi di un sogno…o forse un incubo? Non ne era ancora del tutto sicura.
 << La storia delle montagne russe era di cattivo gusto, ma fare un figlio con te…non è di cattivo gusto! >> riprese Peter. << Cioè…non è quello che voglio dire… >>
Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Poi, afferrò il volto di Carol e la fissò intensamente.
<< Sono eccitato! Io voglio essere tuo padre >>
<< …Cosa? >> domandò l’altra, inarcando un sopracciglio.
Il vigilante rilasciò un sospiro frustrato.
<< No, io…voglio essere UN padre. Voglio essere un padre con te come madre, e questo è importante, che tu sarai una madre >> continuò, per poi piantarle una bacio sulla fronte.
Carol arrossì all’azione, mentre il compagno cominciò ad accarezzarle i capelli.
<< Io…Dio, spero che assomigli a te. Davvero, spero che assomigli a te >> disse con voce flebile, mettendo in quelle parole tutto l’affetto che provava nei confronti della donna che gli aveva rubato il cuore. << Una bambina con i capelli biondi, o un bambino con capelli biondi o…con i capelli di qualsiasi colore >>
Carol sentì il cuore batterle a mille, mentre i suoi occhi cominciarono a inumidirsi. Ma essendosi subito ricordata che ciò poteva nuocere al bambino, si fece forza e, ignorando il senso di colpa che provava in quel momento, si mise a ridere tra sé e sé e riuscì a trattenere le lacrime.
Mai così chiaramente come adesso, dopo che la casa le era sembrata così vuota e silenziosa, aveva percepito di non essere sola, che in lei viveva qualcun altro, sconosciuto, infinitamente caro a lei ma tuttavia un essere incomprensibile. Con il tempo avrebbe vissuto, sarebbe cresciuto e avrebbe perfino cominciato a muoversi, rigirandosi morbidamente dentro di lei.
Per questa piacevole e strana sensazione, tutto l'organismo le si riempì di un particolare senso di paura misto a gioia solenne.
<< Hai solo diciotto anni >> disse con un sorriso acquoso.
In tutta risposta, il vigilante si limitò a scrollare le spalle.
<< Ne sono consapevole >> offrì con un piccolo ghigno.
La donna rilasciò un sospiro stanco. << Tua zia mi ucciderà >>
<< Nhaaa, non rischierebbe mai di fare del male al bambino. Ma potrebbe tentare di castrarmi >> disse l’altro, simulando un brivido di paura.
Carol ridacchiò, per poi avvolgere la figura del ragazzo in un caldo abbraccio.
<< Sei davvero un idiota, Peter Parker >>.



Com'era? Spero di avervi scioccati almeno un po'. E soprattutto di aver trattato la cosa in maniera realistica. 
Stasera niente note, non voglio rovinare le sorprese del prossimo cap !

 

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Capitolo 11
*** Hurt ***


Oggi non mi perderò in chiacchiere. Per scrivere questo capitolo ho rielaborato un pezzo di una mia vecchissima e orribile storia che sto cercando di dimenticare, ma di cui avevo salvato alcune parti. Questa mi piaceva, così ho deciso di riadattarla alla fic. Alcuni di voi potrebbero anche notare una citazione a Rocky, che personalmente trovavo adatta alla situazione.
Vi auguro una buona lettura e spero che troverete il tempo per lasciare una recensione!



Hurt

2 anni fa 

Il cimitero di New York era immerso nell’oscurità di una fredda giornata settembrina, illuminato appena dalla luce dorata che filtrava oltre le nubi temporalesche e cariche di pioggia.
Peter Parker, meglio noto al grande pubblico come l’incredibile Spiderman, stava fermo e immobile di fronte alla lapide di Tony Stark.
Un sorriso malinconico sollevò le sue labbra e, con un gesto brusco, allontanò dal volto alcune lacrime che avevano cominciato a rigargli le guance.
Nei giorni successivi alla morte dell’uomo, i suoi insegnanti e compagni di classe avevano notato l’inusuale tristezza sul suo volto, facendogli domande alle quali non poteva rispondere.
Certo, si era sentito toccato dai loro tentativi di confortarlo, ma in quel momento il suo cuore richiedeva raccoglimento e solitudine. Nemmeno Ned e sua zia erano stati capaci di aiutarlo.
A peggiorare la situazione, metà dei giornali di New York avevano cominciato a dargli contro pochi mesi dopo il suo ritorno sulle strade. C’era chi lo definiva una copia a buon mercato di Iron Man, un vigilante che operava al di fuori della legge, oppure il suo preferito : una minaccia mascherata, come veniva amichevolmente indirizzato da James Jonah Jameson, il direttore del Daily Bugle.
Per questo motivo, come ogni giorno dal sacrificio di Tony, si era recato di fronte a quella lapide per ricordare i tempi trascorsi con l’uomo che gli aveva cambiato la vita, lo sguardo puntato in direzione cielo e il viso bagnato dalla pioggia.
<< Ciao >> lo chiamò una voce femminile alle sue spalle, facendolo sussultare.
Peter girò appena la testa per incontrare gli occhi di quella persona…e si bloccò.
Di fronte a lui aveva appena preso posto una figura assai familiare. Una donna dai corti capelli biondi e dai lineamenti forti e solenni, vestita con un cappotto nero. Nella mano destra reggeva un ombrello del medesimo colore, che la proteggeva dalla pioggia.
“ Hey, Peter Parker. Hai qualcosa per me?” fu il primo pensiero che attraversò la mente del ragazzo.
Le stesse esatte parole che quella persona gli aveva rivolto nel loro primo incontro, quando lo aveva salvato dalla pioggia di fuoco che Thanos aveva scatenato sugli Avengers.
Non vi era alcun dubbio: questa era la donna che, come una cometa fatta di pura luce, era discesa dal cielo per abbattere la nave di quel mostro.
<< Che ci fai qui sotto la pioggia? Finirai per prenderti un raffreddore >> disse lei, con tono visibilmente preoccupato.
In altre circostanze Peter sarebbe probabilmente arrossito…ma in quel momento non aveva la forza di fare neppure quello.
<< Non m’importa >> rispose atono.
Rimasero in silenzio per quasi un minuto buono. Poi, la donna si avvicinò lentamente a lui e lo coprì con l’ombrello, porgendogli un sorriso gentile.
<< Mi sono appena resa conto che non ti ho mai detto il mio nome. Piacere, mi chiamo Carol Danvers >> disse porgendogli la mano destra.
Il vigilante abbassò lo sguardo sull’arto teso, rimuginando su quella che sarebbe stata la sua prossima linea d’azione.
<< …Peter Parker >> borbottò dopo un attimo di silenzio, restituendo il gesto.
Il sorriso sul volto di Carol sembrò allargarsi.
<< È bello poterti incontrare formalmente, Peter Parker >> disse con tono frizzante. E, inaspettatamente, il ragazzo si ritrovò in parte contagiato da quell’espressione solare.
<< Perché è qui, signorina Danvers? >> chiese con un timido sorriso.
La donna ridacchiò.
<< Chiamami pure Carol, dopotutto siamo colleghi. E sono qui per porgere i miei rispetti >> rivelò, estraendo qualcosa dalla tasca del cappotto. Era un narciso bianco, dai petali immacolati, che la bionda posò delicatamente sulla tomba di Stark.
Quasi come ad un segnale, lo sguardo sul volto del ragazzo si fece improvvisamente cupo, cosa che non passò inosservata agli occhi della supereroina.
Con movimenti incerti, avvolse un braccio attorno alle spalle del vigilante e lo avvicinò a sé, mentre questi posava la testa sulla sua spalla. E rimasero in quella posizione per quello che sembrò un tempo interminabile, accompagnati solo dallo scrosciare della pioggia.
<< Sa perché molti newyorkesi anelano a vivere fuori città? >> domandò Peter all'improvviso.
Affianco a lui, Carol  gli inviò uno sguardo incuriosito, cosa che spinse l’adolescente a continuare.
<< Perchè New York è un posto di merda >> disse con tono di fatto, sorprendendo la donna. Non pensava che fosse il tipo a cui piacesse imprecare.
<< Noi ragazzi nasciamo qui con i nostri sogni, le nostre ambizioni…e la città ci mette subito in riga con il suo imperturbabile occhio di pietra. Un occhio che rivela tuti i nostri difetti, tutte le nostre paure riguardo a noi stessi... e allora ci dice: "Provaci pure. Ti sfido!">> continuò Peter, con voce ironica.
<< E poi, ci guarda dall'alto in basso. Nessun'altra città al mondo più di questa prova a ostacolarti in tutti i modi, prova a spingerti a gettare la spugna, ad andartene... a mollare. Ma io non mi sono mai arreso, no! Perchè pensavo che... che se mi fossi dimostrato all'altezza della sfida che mi aveva posto, se fossi stato coraggioso e avrei attraversato le fiamme…ne sarei uscito cambiato. E sotto le bruciature sarebbe spuntato l'uomo che tutti volevano che fossi. L'eroe. Ma io non sono un eroe. Io...non sono il Signo Stark...non posso sostituire Iron-man! Io...io ho paura.>> sussurrò, prima di drizzare la testa con uno scatto fulmineo.
Volse un pugno al cielo e prese un respiro profondo
<< Io ho paura, siete contenti?! Volevate la verità?! Mi volevate umiliare?! E va bene, ho paura! Per la prima volta in vita mia ho paura! Ho paura di deludere la memoria del Signor Stark! E ho paura di perdere altre persone a cui tengo! >>
Ancora in piedi affianco alla figura del vigilante, Carol inclinò leggermente la testa. << Ho paura anch'io. Non c'è niente di male ad aver paura >>
In tutta risposta, Peter le lanciò un occhiataccia.
<< Ah no?! Beh, per me invece sì! >>
<< E perché? Non sei un essere umano? >> domandò l'altra, utilizzando un tono di voce beffardo.
Il ragazzo strinse ambe le mani in pugni serrati
<< Io so solo una cosa: che sono debole. E che è per questo che Tony non c’è più! >>
Al sentire tali parole, gli occhi della supereroina parvero illuminarsi.
<< Ah, ora capisco tutto! >> esclamò, puntando un dito contro il petto del ragazzo.
<< Hai permesso all'idiota di turno di farti dire che non eri bravo. Sono cresciute le difficoltà, ti sei messo alla ricerca del colpevole e...boom! Ti sei guardato allo specchio è hai deciso che eri tu. Bhe, ora ti dirò una cosa scontata: guarda che il mondo non è tutto rose e fiori. È davvero un posto orribile, fidati di me…e per quanto forte tu possa essere, se glielo permetti ti mette in ginocchio e ti lascia senza niente. Né io, né tu...beh, nessuno può colpire duro come fa la vita! Credimi, io lo sono bene. Ho dovuto lottare con questa cosa per tutta la vita, fin da quando ero una bambina. Perciò, andando avanti...non è importante come colpisci. L'importante è come sai resistere ai colpi, e se finisci a terra hai la forza di rialzarti! >> continuò, suscitando un piccolo sussulto ad opera dell’adolescente. Questi distolse lo sguardo, con aria quasi colpevole.
La donna rilasciò un sospiro e cominciò a fissare l’immensa distesa verde coperta di lapidi.
<< Sai… >> iniziò casuale, << c'era un ragazzo che viveva nella mia strada a Harpswell Sound, mio coetaneo, si chiamava Louis Lee. Scappava di casa continuamente e veniva sempre a casa nostra, senza una valida ragione. Suo padre non lo picchiava mica ed era sempre ben vestito. I Lee avevano più soldi della maggior parte delle persone normali, ma lui scappava di casa almeno una volta al mese e veniva dritto a casa nostra. Beh, di solito mio padre chiamava sua madre e lei veniva a riprenderselo. Ma alla nona o decima volta che lo fece, Louis corse all'esterno, si arrampicò su un albero dietro casa e non volle più scendere per nessun motivo. Allora mio padre disse al suo: “Senti perché non lo lasci da noi per un po' finché non vorrà tornarsene a casa?” >>
Si fermò di colpo, per poi ridacchiare.
<< Ma santo cielo, quel ragazzo era davvero ostinato! Venne la sera e lui era ancora lassù, senza cibo, senza acqua, senza bagno. E io poco prima di andare a letto guardai fuori dalla finestra e lo sentii piangere, e così gli dissi: “Louis ma perché non scendi giù?” E lui, scuotendo la testa: “No”. La mattina dopo mi svegliai, guardai dalla finestra e Louis era ancora sull'albero. Così, dopo colazione, uscii fuori con un piatto di uova. Gli chiesi se ne voleva un po', ma lui continuò a scuotere la testa. Allora mi arrabbiai. Quel ragazzo aveva una bella casa, una bella famiglia, di quelle per cui io avrei ucciso quando ero poco più piccola di lui…e non se ne rendeva conto. E così andai nel capanno degli attrezzi e presi un'ascia. Poi dissi a Louis: “Vuoi vedere com'è vivere nella mia casa?” E assestai a quell'albero un colpo di ascia! >> disse con tono orgoglioso, sotto lo sguardo incredulo di Peter.
<< Louis gridò, ma io continuai. Non ho più sentito urlare nessuno come fece lui, mentre colpivo quell'albero. Eh, Louis se la fece addosso e le gocce mi piovevano in testa, ma io non ci facevo neanche caso. Pensai solo a colpire. Beh, dopo non molto Louis saltò giù a terra e corse a casa sua. Gli serviva solo…la giusta motivazione >> terminò, mentre si girava per osservare la reazione dell’adolescente.
Questi aveva ascoltato la storia della bionda dall' inizio alla fine.
Rimase in silenzio, nel tentativo di trovare le parole giuste per controbattere. Alla fine, decise di porre una domanda.
<< E quale potrebbe essere la mia motivazione? >> chiese, lo sguardo fisso in direzione della lapide che si trovava a pochi passi da loro.
La supereroina si limitò a scrollare le spalle.
<< Non è il mio compito scegliere ciò per cui hai intenzione di lottare >> disse, sorprendendo il ragazzo ancora una volta.
Detto questo, Carol posò la mano destra sulla spalla del giovane e questi, per quanto fosse tentato, decise di non ritrarsi.
<< Tu non l'hai obbligato di far niente, Peter. Tony Stark era una persona adulta, e ha fatto quello che ha deciso di fare. E tu non hai nessun diritto di sentirti in colpa per quello che gli è capitato. Tu sei un sopravvissuto e hai fatto quello che dovevi fare, hai fatto quello che Fury, gli Avengers e tutti gli altri pensavamo che tu dovessi fare. Ma non ha importanza quello che si aspettano loro, perché sei tu quello che si porta dentro questa paura, il terrore che tutti quanti ti derubino della felicità che hai a lungo cercato, il terrore di essere ricordato come un vigliacco, che tu non sia più un uomo. Be' tutto questo non è vero, ma non ha importanza se te lo dico io, non ha importanza, perché sei tu che devi superare questa cosa. Liberatene, perché solo allora, quando tutto il fumo si sarà diradato, e la gente avrà finito di gridare il tuo nome...solo allora sarai in grado di compiere meraviglie >> sussurrò, il volto adornato da un sorriso gentile.
Di fronte a lei, Peter non potè fare altro che boccheggiare. Si sentiva violato, umiliato, come se quella donna fosse riuscita a guardare dritto attraverso la sua stessa anima. Eppure, non si era mai sentito così in sintonia con qualcuno come in quel preciso istante.
Poi, Carol rilasciò uno stanco sospiro.
<< Sono un supereroe da quasi trent’anni, Peter. E sai cos’ho imparato, dopo tutto questo tempo? È impossibile salvare tutti…per quanto tu lo voglia  >> disse con voce lontana, lo sguardo apparentemente perso nella memoria.
<< Ma ho anche imparato cosa Capitan Marvel... l'idea di Capitan Marvel significa per così tante persone nell’Universo >> ammise con riluttanza. << Io sono la donna che arriva dal cielo e aiuta la gente. Se ci sono io, tutto andrà bene. E tutti... tutti ne sono convinti >>
Detto questo, arricciò ambe le labbra in un triste sorriso.
<< La cosa mi spaventa, sai? Ho paura di questa cosa che tutti credono, la verità inattaccabile. "No, non può essere ovunque, ma se interverrà per me, io sarò al sicuro."  Eppure, quando venne il momento salvare metà dell’universo da Thanos…Capitan Marvel ha deluso tutti. Quindi credimi, so come ti senti >> sussurrò, mentre calde lacrime cominciarono a fuoriuscire dagli occhi di Peter.
Con tocco materno, Carol passò un pollice sul volto del ragazzo, asciugandogli le guance.
<< Da quando hai ricevuto questi poteri, avrai sicuramente fatto degli errori >> continuò la donna. << Ma non è per forza una brutta cosa. Quegli errori ci indicano un cammino. Ci fanno quello che siamo. E se c'è qualcuno destinato a grandi cose…beh, quello sei tu, ragazzino. Devi dare al mondo i tuoi doni. Si tratta solo di sapere come usarli. E sappi che, dovunque essi ti porteranno… io e il reso degli Avengers saremo sempre lì per te. Puoi contarci >>.
 
Presente 

Peter chiuse gli occhi, mentre ripensava a quel momento che ormai sembrava così lontano. Il momento in cui aveva cominciato a prendere coscienza dell’affetto che nutriva per quella donna. Il momento in cui aveva cominciato a innamorarsi di lei.
E guarda dove quei sentimenti lo avevano portato.
Nonostante i suoi tentativi di rassicurarla, faticava ancora credere a ciò che Carol gli aveva rivelato il giorno prima. Il fatto che fosse incinta…e che tra nove mesi esatti lui sarebbe diventato un padre.
Che ne sarebbe stato della sua vita? Della loro reputazione come supereroi?
Chiaramente non l’aveva ancora detto a nessuno, era una cosa troppo grossa per rischiare che venisse fuori. Forse avrebbe potuto dirlo a MJ per ottenere un parere femminile, ma non se l’era sentita. Aveva bisogno di un buon consiglio, di sostegno morale, e in certe situazioni quella ragazza non era particolarmente affidabile.
Attualmente, l’arrampica-muri se ne stava tranquillamente nel letto a rimuginare, non aveva nemmeno la forza di scendere e fare colazione.
L’unica nota positiva stava nel fatto che sua zia era già fuori a lavorare, e quindi non l’avrebbe incrociata. Se l’avesse guardata negli occhi avrebbe capito all’istante che qualcosa lo tormentava. Era raro, infatti, che riuscisse a mentirle. Non sapeva come, ma lei riusciva sempre a smascherarlo.
<< Peter? Peter? Ehi, amico, ci sei? >> urlò qualcuno dall’altro lato della porta. << Non sei nudo, vero? Posso entrare? >>
<< No che non sono nudo, Ned! >> gemette il ragazzo, riconoscendo all’istante la voce del suo migliore amico.
Dannazione, malediceva ancora il giorno in cui gli aveva regalato una copia delle chiavi d’ingresso. Sbucava sempre nei momenti meno opportuni!
Mentre era impegnato in una lunga serie di imprecazioni mentali, un ragazzo dalla corporatura robusta e i lineamenti asiatici entrò nella stanza.
<< Non credi sia ora di alzarsi? >> disse con tono canzonatorio, sedendosi sul letto.
<< Non credi sia ora di rompere meno le scatole? >> ribattè impassibile il vigilante.
Ned inarcò un sopracciglio.
<< Ti sei svegliato dal lato sbagliato del letto?>>.
<< Scusami >> borbottò Peter. << Ho solo avuto una settimana pesante >>
<< Cosa c’è che non va? Una ragazza ti ha rifiutato?>> lo prese in giro il compagno di scuola.
<< No, magari fosse solo quello >> disse l’altro con un mezzo sorriso, anche se  a Ned non sfuggì il tono rassegnato con cui gli rispose.
<< Dai, raccontami >> ordinò, mettendosi a gambe incrociate sul letto.
Peter gli lanciò un’occhiata laterale.
<< Non posso, amico. Davvero, non questa volta >> replicò impassibile.
Il compagno di scuola si limitò a roteare gli occhi.
<< Peter, a me puoi dire tutto, sai che non sono uno che fa la spia >> affermò con tono di fatto.
Il vigilante si accasciò sul materasso.
E adesso che doveva fare? Confessargli ogni cosa? Sapeva di potersi fidare di lui, non avrebbe mai spifferato niente a nessuno, però il solo ammettere che questa cosa era reale lo spaventava ancora a morte. Un bambino cambia tutto…ma veramente tutto. E lui non era ancora sicuro di essere pronto per prendersi cura di un altro essere umano.
<< Allora? Avanti, qualsiasi cosa tu abbia combinato sicuramente si può risolvere >> aggiunse Ned.
Peter prese un respiro profondo.
<< Ho messo incinta una ragazza >> sputò tutto d’un fiato. E, da un lato, si sentì molto meglio dopo averlo finalmente confessato a qualcuno.
<< Scusa…cosa?! >> gridò incredulo il compagno di scuola, con la mascella che per poco non toccò terra. << Dimmi che non sei così stupido da non aver usato precauzioni!>>
<< Ti prego non inveire >> la ammonì il vigilante.
<< Peter! Dannazione! Un minimo di cervello pensavo lo avessi >> continuò con voce più bassa.
<< Non te l’ho detto perché mi urlassi contro come farebbe Zia May >> sbuffò l’Avenger.
Ned sembrava del tutto incapace di trovare le parole per rispondere.
<< Sei almeno sicuro che non sia una bugia? Sei certo sia tuo? >> gli chiese a raffica.
Il vigilante annuì rapidamente. << Credimi, la conosco bene. Non mi mentirebbe mai su una cosa del genere >>
<< Io non so che cosa dire… Ne hai discusso con questa ragazza? >>
Peter lo scrutò a disagio.
<< Sì…e abbiamo deciso di tenerlo. Oggi andremo a fare l’ecografia >> disse dopo qualche attimo di silenzio.
Ned spalancò gli occhi per la sorpresa.
<< Wow, è davvero una grande responsabilità. Ehm…congratulazioni? Sono fiero di te, amico >>
<< È comunque un gran casino >> sospirò il vigilante, abbassando la testa.
<< Direi di sì. Però sappi che io sono qua se hai bisogno di un consiglio >> sorrise l’altro, ricevendo uno sguardo incredulo da parte dell’Avenger.
<< E che consigli potresti mai darmi per una situazione del genere? >>
<< Ehi, ho visto molti film sull’argomento! So come vanno certe cose >> disse Ned, con un sorriso orgoglioso.
Suo malgrado, Peter si ritrovò a ridacchiare. Tipico di quel ragazzo, riusciva sempre a rallegrargli l’umore.
<< Grazie >> gli disse, alzando un pugno e aspettando che l’altro lo colpisse.
Senza perdere tempo, Ned restituì il gesto.
E per la prima volta da quando Carol gli aveva dato la lieta notizia, Peter provò una sensazione di conforto. Se non altro, poteva affermare di non essere completamente abbandonato a se stesso.
  
                                                                                                                                                           * * * 
 
Peter passò sotto la Stark Tower alle 15:00 in punto, dove Carol lo attendeva tranquillamente con un casco tra le mani.
<< Come ti senti? >>  fu la prima cosa che le chiese, una volta parcheggiata la moto.
La donna lo fissò divertita.
<< Un po’ stanca e annoiata, ma tutto sommato non mi posso lamentare >> rispose con un placido sorriso. << Tu invece? >>
<< Ammetto di essere nervoso. E se succedesse qualcosa durante la procedura… >>
<< Ehi >> lo fermò lei, accarezzandogli la guancia in modo rassicurante. << Non preoccuparti, non è nulla di che. Solo un rapido controllo >>
L’adolescente annuì lentamente, per poi farle cenno di prendere posto sulla sua due ruote.
Arrivarono alla clinica giusto in tempo per l’appuntamento.
Per evitare possibili domande scomode, discussioni o malintesi, Carol chiese al vigilante di aspettarla nella sala d’attesa.
Nonostante non fosse molto confortevole con l’idea di lasciarla sola, Peter acconsentì a malincuore. Se ne pentì dopo circa mezz’ora.
Passato quel lasso di tempo, infatti,  l’adolescente aveva cominciato a dare di matto. Camminava su e giù per la sala senza sosta, facendo il giro di quelle quattro mura come se fossero una gabbia invalicabile.
Ero nervosissimo e la cosa non passò certo inosservata agli altri occupanti.
Carol gli aveva chiesto di andare insieme alla visita medica poco dopo la loro discussione e sul momento ne era stato entusiasta, era tranquillo e rilassato, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Ma ora stava cominciando a rendersi conto che presto avrebbe visto le foto del bambino. Di…di suo figlio. Oppure figlia, anche se dubitava fortemente che i dottori sarebbero stati capaci di identificarne il sesso a questo stadio di sviluppo.
Lo spaventava a morte questa cosa, perché sapeva che avrebbe reso il tutto reale al cento per cento. Si sentiva vulnerabile ed esposto, come mai prima d’ora.
Avrebbe tanto voluto parlarne con May, ma sapeva che non era ancora pronto per confrontarsi con lei.
Cercando di calmarsi, prese un paio respiri profondi e tornò a sedersi, in attesa.
<< Puoi farcela, Parker. Hai affrontato di peggio>> mormorò a sé stesso, con determinazione ritrovata.
Passarono altri cinque minuti. Con suo grande sollievo, Peter vide la figura di Carol attraversare le porte della stanza.
L’adolescente si alzò di corsa e camminò fino a lei, il volto adornato da un sorriso colmo d’aspettative. Tuttavia, quell’espressione fu assai di breve durata.
Una volta di fronte a lei, si rese conto che la donna aveva gli occhi puntati verso il pavimento, le spalle abbassate e parte dei capelli che le cadevano davanti alla faccia come una sorta di velo.
I pensieri del ragazzo vennero prontamente attraversati da un orribile presentimento.
Carol alzò la testa, incontrando lo sguardo dell’arrampica-muri.
<< Non sono incinta >> sussurrò a bassa voce.
Il cuore di Peter manco un battito, mentre sentì una stretta gelida e angosciante farsi strada nel suo corpo. << Era…una gravidanza extrauterina. Il dottore ha detto che le spiegazioni possono essere innumerevoli, e non necessariamente legate alla mia fisiologia >> continuò la donna, utilizzando un tono di voce privo di qualsiasi emozione. << A quanto pare è una cosa che capita con una certa frequenza. L’embrione è formato, ma si stabilizza nelle tube di falloppio anziché nell’utero. Una bella fregatura, non è vero? >>
Di fronte lei, il vigilante rimase fermo e immobile, incapace di compiere anche il più piccolo movimento.
Aprì e chiuse la bocca un paio di volte…ma niente. Lui…non sapeva davvero cosa dire.
Allungò la mano destra e la posò dolcemente sulla spalla della bionda.
<< Carol, io… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase.
La supereroina gli allontanò il braccio con un ringhio. Poi, procedette a superarlo e a camminare con passo rapido fino all’uscita del complesso.
<< Carol…Carol…Carol ! >> la chiamò il vigilante. La donna non diede il minimo segno di averlo sentito e proseguì implacabile in mezzo alla folla di pedoni,  spingendone alcuni da parte.
Ignorando le imprecazioni e le proteste dei passanti, si inoltrò in un vicolo confinante con l’edificio. Peter la seguì a ruota.
La donna si fermò in mezzo al vialetto, girò la testa verso di lui…e l’adolescente si bloccò.
Aveva il volto bagnato dalle lacrime, chiuso in un’espressione di rabbia mista a disperazione.
 << Era una follia!>> urlò la donna, facendo sussultare il ragazzo. << Voglio dire, che ci aspettavamo, in ogni caso? Tu sei così…giovane. Dio, vivi con tua zia, tecnicamente lavori per me, e stavo pensando di avere da te un bambino!? Che sta succedendo?! >>
Peter deglutì a fatica, cercando di ignorare la fitta improvvisa che gli attanagliò lo stomaco.
<< Lo devi proprio sapere? Non possiamo scoprirlo? >> offrì l’adolescente, con un sorriso traballante.
Carol strinse gli occhi e camminò fino a lui, puntandogli un dito contro il petto.
<< Dice questo chi sta maturando un illusione >> sibilò a denti stretti.
Il vigilante strabuzzò gli occhi. << Perché è un illusione? >>
 << Perché tu hai 18 anni! >> ribattè Carol, con tono esasperato. << Ti ubriachi con mezzo bicchiere di vino, giochi ancora con i lego… E ti leggi Harry Potter ogni volta che ti avanza tempo! >>
<< Molti adulti leggono Harry Potter! >> protestò il ragazzo, alzando ambe le mani in un gesto conciliante.
La donna rilasciò un ringhio stizzito e sbattè violentemente un piede contro l’asfalto, generando piccole crepe e facendo tremare le pareti del vicolo.
Allarmato, Peter compì rapidamente un passo all’indietro, mentre l’eroina prendeva un paio di respiri calmanti.
 << Senti, io…apprezzo che tu pensi che potrebbe funzionare. Più di quanto tu possa immaginare, te lo assicuro >> disse dopo un attimo di silenzio. << Tu…sei una persona meravigliosa. Una persona davvero speciale >>
<< Quale sarebbe il punto?! >> esclamò l’adolescente, visibilmente frustrato.
Carol si portò una mano alla fronte.  
<< Ecco, voglio dire questo : che uno come te non dovrebbe stare con una come me. Una donna con il triplo dei tuoi anni che passerebbe il 90% del suo tempo lontano dal pianeta >>
<< Tu non badi all’età >> ringhiò Peter, con un impeto improvviso d’irritazione.
Sorpresa da quella reazione aggressiva, la bionda corrucciò il volto in un’espressione rabbiosa.  << Sì, invece. Sono una donna anziana che bada all’età ! >>
<< Non mi trattare con sufficienza! >> urlò il ragazzo, facendola sussultare. << Vivrò ancora con mia zia, e mi ubriacherò pure con mezzo bicchiere di vino, e sì, ammetto di viverla un po’ nell’illusione la mia vita, ma non sono un completo idiota! >>
Silenzio. Una quiete buia e pesante sembrò calare nelle profondità del vicolo.
Carol fissò l’adolescente con gli occhi spalancati, mentre questi si avvicinava a lei e gli posava le mani sulle spalle.
<< Io so cosa provo per te. Sei tu che non sai cosa provi per me >> sussurrò con un sorriso. << Mi auguro solo che tu abbia il coraggio di capirlo >>
La donna chiuse gli occhi, sentendo che le lacrime avevano ricominciato a rigarle le guance.
Poi, lentamente, quasi con esitazione, alzò la mano destra e la usò per coppare dolcemente il viso del ragazzo.
<< Tu mi stai molto a cuore…ma non ha senso. Voglio dire…quale futuro potremmo mai avere? >> disse con voce strozzata.
La presa di Peter si fece più insistente.
<< Non parlare così. Io ti amo >>
<<  Mi spiace... >>
 << Io ti amo >> ripetè il ragazzo, con più forza.
Carol abbassò lo sguardo. Da quanto tempo aspettava che qualcuno le dicesse quelle parole senza secondi fini? Eccole, finalmente le aveva proferite, ma Carol si sentiva schiacciata dall’ironica intempestività.
“ Devo farlo…È meglio per entrambi”.
<< Mi dispiace >> disse con quella stessa espressione impassibile che solitamente riservava al resto dei Vendicatori.
Fu allora che anche gli occhi di Peter cominciarono a inumidirsi.
<< Carol…per favore, non farlo. Sei arrabbiata, lo capisco, ma per favore…non farlo >> disse a bassa voce, facendo affondare il cuore della donna.
Questa chiuse nuovamente gli occhi…e compì alcuni passi indietro, liberandosi dalla presa del vigilante.
Peter si sentì immediatamente come se una forza sconosciuta stesse cercando di schiacciarlo a terra.
La bionda premette la superficie del bracciale che portava al polso. Nel giro di pochi secondi,  i vestiti che indossava vennero sostituiti dall’uniforme rossa e blu di Capitan Marvel.
Aprì gli occhi e fissò Peter con un sorriso triste. << Sai cosa mi mancherà di più di tutto questo? Tu…e la tua amicizia >>
E, dopo aver pronunciato queste parole, si lanciò oltre i tetti del vicolo e prese il volo, lasciandosi dietro la figura immobile dell’arrampica-muri.
Peter non fece alcun tentativo di seguirla. Sapeva che non sarebbe mai riuscito a raggiungerla, e poi…che senso avrebbe avuto?
Era finita. E la cosa peggiore? Carol aveva probabilmente ragione.
Su di lui, su di loro…su tutto quello che era accaduto da quella notte. Per due mesi aveva vissuto nell’illusione che una simile relazione sarebbe potuta durare senza impedimenti.
Era stato ingenuo. Ingenuo e precipitoso. Avrebbero dovuto prendere le cose più lentamente.
Ed era stato egoista da parte sua chiedere a Carol d’impegnarsi in qualcosa del genere. Cos’avrebbe mai potuto offrirle? Era solo un ragazzino. Un ragazzino che giocava a fare l’eroe, e nient’altro.
<< Già…solo un ragazzino >> sussurrò a se stesso, mentre lacrime amare cominciarono a rigargli le guance.
Rimase in quel vicolo, da solo, per quasi dieci minuti. Passato quel lasso di tempo, si asciugò rapidamente il volto con la manica della giacca e tornò sulla strada principale.
E cominciò a camminare. Senza una meta precisa, voleva solo andare avanti, senza mai fermarsi…senza mai guardarsi indietro.
Ma in quel momento, un suono familiare lo costrinse ad alzare lo sguardo.
<< Mi stai prendendo in giro? >> ringhiò a denti stretti, mentre uno schermo pubblicitario iniziò a crepitare come se fosse soggetto ad un qualche tipo di interferenza.
Il vigilante non aveva bisogno di controllare il notiziario per sapere che tutti gli schermi della città stavano affrontando lo stesso problema. Ormai conosceva quella procedura a memoria.
Qualche altro crepitio, il nero più totale. Silenzio. Poi, l’immagine tornò chiara come il giorno.
Ed eccolo lì, proprio come Peter se lo ricordava da due sere prima. Lo stesso spietato, implacabile e letale Carnage responsabile di tante morti nella città di New York.
Vederlo alla televisione era una cosa, ma trovarselo di fronte…era stata un’esperienza a dir poco agghiacciante. Per poco non ci aveva rimesso la pelle!
Questo non era un nemico come Thanos, le cui azioni – per quanto folli – erano sempre state caratterizzate da un briciolo di razionalità e pragmatismo.
Carnage era davvero una persona che trovava nell’omicidio e nelle sofferenze altrui la sua unica ragione di vita. Un mostro in pelle umana a tutti gli effetti.
<< Bentornati a Tele-Carnage, signore e signori. Qui è il vostro amichevole Carnage di quartiere con una perla di saggezza direttamente dal sottoscritto! >> esclamò la creatura, volgendo alla telecamera quel suo sorriso apparentemente intramontabile.
<< Vedete, alcuni pensano che ciò che ci rende una specie divina, che ci separa dagli animali privi di anima…sia la propensione al bene >> disse con tono apparentemente casuale, come se stesse davvero tenendo una sorta di conferenza in diretta. <<  Eppure, io proporrei un'altra teoria. Una replica, diciamo così... perché la bontà... la compassione, la generosità, queste cose sono presenti anche nelle forme di vita inferiori. Ma il male... la vera malvagità... no. No, questa non la trovi tra gli uccelli, le api e le scimmie sugli alberi >>
Puntò un lungo dito artigliato in direzione del soffitto.
<< Vedete, ho sempre pensato che è nella malvagità, nella nostra capacità di compiere nefandezze che vediamo riflessa la nostra natura divina più genuina >> affermò con tono di fatto.
Poi, indicò drammaticamente la telecamera, facendo scattare la lingua biforcuta tra le fauci irte di denti.
<< Ebbene sì! Siete tutti prigionieri, cari telespettatori. Quella che definite "assennatezza" è solo una prigione per la mente che vi impedisce di vedere che siete solo piccoli ingranaggi di una gigantesca e assurda macchina! Svegliatevi! >> sibilò, balzando in avanti e afferrando l’obbiettivo della telecamera.
A causa del gesto improvviso, Peter compì un salto all’indietro per lo spavento, gesto che venne imitato da molti dei pedoni che si erano radunati sul marciapiede a guardare la trasmissione.
Nel mentre, il sorriso sul volto del serial killer sembrò allargarsi.
 << Perché essere ingranaggi? Siate liberi! Come me! E per aiutarvi in questa impresa, stasera farò un regalo a tutti voi. Dopo oggi, ogni uomo, donna o bambino di New York…comprenderà appieno il proprio posto in questo pazzo mondo! >>
 
 
 
Sì…ehm…so che alcuni di voi potrebbero trovare questa svolta eccessivamente crudele…motivo per cui sbarrerò immediatamente porte e finestre per ogni evegnenza…perché vedo una folla inferocita dirigersi verso la mia casa?
Ehm…guardate il lato positivo! Poteva andare molto peggio. Potevo far uccidere il neonato da Carnage, ma ho pensato che fosse troppo clichè, così ho optato per qualcosa di più inaspettato.
Sorpresa? Ok, meglio che chiudo a chiave la porta…

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Capitolo 12
*** 12 to Midnight ***


Ecco un nuovissimo capitolo, che preannuncia l'inizio dell'arco finale della fan fiction!
Vi auguro una buona lettura, e come sempre spero che troverete il tempo di lasciare un commento.



12 to Midnight

La minaccia di Carnage era andata a segno. Una coda lunga più di otto chilometri si snodava in direzione del Brooklyn Bridge, una diramazione partiva addirittura dal Memorial Park del City Center.
Dal ponte si vedeva City Island e da lì levarsi la Statua della Libertà, imponente e fiera, che innalzava la sua torcia. La grande statua era stata costruita decenni prima come faro, una luce che avrebbe illuminato le speranze e i sogni della città. Purtroppo, con il passare degli anni, quella luce si era offuscata fino a illuminare poco più che l’infinita serie di fallimenti della metropoli.
Agenti in moto o a cavallo sfilavano di fianco alle macchine incolonnate nel tentativo pressoché vano di mantenere la calma tra chi desiderava disperatamente scappare. Autobus di linea, destinati a un nuovo uso, erano stati raccolti nel punto più critico, in modo da alleggerire in parte il traffico, ma avevano finito per restare anch’essi intrappolati nella piena di fuggitivi terrorizzati.
Dal sedile posteriore dell’auto di servizio, George Stacy orchestrava l’esodo cittadino meglio che poteva. Era preso nel tourbillon di una mezza dozzina di cellulari che lo mettevano in comunicazione con i capitani dei distretti chiave di New York.
Il veicolo procedeva per la maggior parte del suo tortuoso percorso sui marciapiedi, e l’insistente grido della sirena metteva in fuga i cittadini già di per sé terrorizzati, che cercavano di non essere investiti.
<< Signore >> disse una voce al telefono. << I miei uomini hanno già fatto evacuare un terzo della popolazione di Roosvelt Island, ma non riusciremo mai a raggiungere tutti in tempo >>
Tom Hills, veterano del dipartimento di Polizia di New York, ventidue anni di servizio, era capitano nel Quinto distretto, ed era chiaramente spaventato. Al tempo stesso, però, si sforzava di mantenere il controllo.
<< Non so cosa fare, signore. Abbiamo davvero bisogno di aiuto >>
<< Vorrei tanto potertene dare, Tom >> ribattè Stacy. Hills era stato uno dei primi poliziotti che aveva conosciuto al suo arrivo a New York. Era quasi impossibile trovare un agente migliore e più onesto di lui, ecco perché solo tre anni dopo era stato promosso capitano. << Abbiamo l’organico ridotto all’osso. Fai evacuare tutti quelli che riesci >>
<< E quelli che non riusciamo a evacuare, signore? >>
La risposta gli risultava odiosa, ma Stacy sapeva che non ce n’era un’altra.
<< Non possiamo fare l’impossibile >>
E, detto questo, chiuse la comunicazione prima che Hills potesse ribattere, lasciò cadere il telefono sul sedile ed espirò profondamente.
Anche nelle migliori condizioni, era una lavoro impossibile. Oggi era ancora peggio.
Rimase a osservare diversi scuolabus carichi di ragazzini delle medie, o anche più piccoli, che superavano la sua auto. Si dirigevano a nord, passando il Brooklyng Bridge e Manhattan. Da lì sarebbero stati spinti a ovest e, con un po’ di fortuna, avrebbero lasciato la città in un’ora o due.
I bambini sembravano spaventati e ne avevano tutte le ragioni : era senza dubbio la situazione più caotica cui avessero assistito nel corso delle loro giovani vite. Purtroppo New York trovava sempre il modo di lasciare il segno, anche sui più giovani.
<< Alla fin fine tutto ricade sempre sui bambini, no?>> disse Stacy a Ben Finch, il suo autista. << Chissà che paura avranno. Li guardo e mi viene in mente quando Gwen aveva la loro età >>
Finch annuì. << Già, ma sa una cosa, commissario? Vent’anni fa non c’erano mostri come Carnage. Oggi, ne siamo invasi. Non riuscirei nemmeno a contarli >>.
 Scosse la testa.
 << Secondo me, questi bambini sanno fin troppo bene quanto in basso possono arrivare gli esseri umani. Non si rendono nemmeno conto che la vita non dev’essere per forza una fogna, che tutto ciò non dovrebbe essere la norma.  Se vuole sapere come la penso, questo è il vero crimine >>
Stacy avvertì una stretta allo stomaco. << Come facciamo a fronteggiare la situazione?>>
<< Bene, me l’ha chiesto lei : è solo il mio parere, ovviamente, ma secondo me ci vorrebbero almeno un centinaio di persone come gli Avengers. E dovremmo mettere a loro  disposizione le risorse disponibili>>.
A ogni parola, la sua voce salì di tono. Fece un gran respiro e aggiunse . << Come ho detto, è solo la mia opinione >>.
<< È una fortuna che ci siano gli Avengers >> concordò Stacy, seppur non con un certo grado di riluttanza. << Forse sono addirittura fondamentali, lo so anch’io. Ma per quanto siano preziosi, sai meglio di me non possiamo vivere per sempre sotto la loro tutela. Avremo bisogno della legge, prima o poi, di regole e di ordine. La gente si rivolge a noi poliziotti in cerca di protezione e deve credere che siamo  all’altezza del compito, e non abbiamo bisogno di aiuto esterno >>
<< Sono d’accordo con lei, signore >> disse Finch. << Ma fino ad allora, con tutto quello che sta succedendo nel mondo…mi sa proprio che ci dovranno pensare loro >>
<< Il guaio è che proprio loro alzano la posta in gioco. E i criminali continuano ad adattarsi al nuovo livello >>
<< Me ne rendo conto, signore. Ma se è tanto contrario agli Avengers, perché lascia che persone come Spiderman operino liberamente in questa città? >>
<< Perché non sono loro a preoccuparmi. Per quanto sia fastidioso, so che Spiderman è una brava persona. Sono i suoi seguaci e quegli degli altri Avengers che mi preoccupano, chi vogliono imitarli. Non è detto che avranno il loro stesso incrollabile senso di giustizia, come quel Punisher. Prego sempre un giorno in cui New York e le altre città del mondo avranno bisogno solo della polizia >>
<< Che Dio la ascolti >> borbottò Finch, per poi fermarsi ad uno stop. << Eccoci qua >>
Stacy prese un respiro profondo e aprì la porta, trovandosi subito immerso in una cacofonia di luci e urla, molte delle quali appartenevano agli agenti che cercavano di mantenere l’ordine attorno al commissariato.
<< Sai, Ben, fino a ieri sei milioni di persone vivevano e lavoravano qui, a New York >> borbottò, scendendo dall’auto . << Ora non sono più così tanti >>.
 
                                                                                                                                                           * * * 

<< Signore Fisk? Sono Turk. Mi trovo tra la diciassette e la Brodway. Ho incontrato i ragazzi di Hood come lei mi aveva detto, solo che hanno cambiato idea. Non vogliono unirsi a noi contro Carnage. Hood ha affermato che ora siamo tutti contro tutti >>
<< E qual è la nostra risposta ai tradimenti, signor Barrett? >>
<< Mi hanno confiscato le armi prima che entrassi, e non me le hanno restituite quando me ne sono andato. Insomma, capo, mi è andata bene che sono uscito di lì tutto intero. Potrebbe inviarmi dei rinforzi?>>
<< Barrett, ho mandato te a gestire la situazione. E mi aspetto che tu lo faccia. Risolvi il problema, o magari il signor Hood ti permetterà di diventare un membro del suo enturage. Lo sai quanto è importante per lui la…lealtà >>
<< Sì. Ehm, d’accordo, signore. Capisco. Me ne occupo io. Non si preoccupi, capo >>
<< Io non mi preoccupo, Turk >> disse Wilson Fisk, alias il Kingpin del crimine di New York. << Pago qualcuno perché lo faccia al posto mio >>
Turk Barrett sentì cadere la linea e avvertì un nodo alla gola.
Non aveva scelta. Contando Hood, dentro il palazzo di uffici erano in sette. La domanda era : un solo uomo poteva farli fuori tutti…un uomo senza una pistola?
Purtroppo conosceva la risposta : impossibile.
A diciannove anni compiuti,  Turk Barrett si era ritrovato senza grandi aspettative dal punto di vista del lavoro. Aveva a fatica finito le scuole medie e aveva mollato al penultimo anno delle superiori. All’epoca, uno dei pochi lavori che poteva fare era il galoppino per la banda dei Maggia. Ma non era molto bravo.
Neanche un anno dopo era passato a quella di Thompson Lincoln.
Era passato da una gang all’altra, affiliandosi fino a quando non lo sbattevano fuori. Ma, quattro mesi prima, era entrato finalmente in quella di Wilson Fisk, recentemente uscito di galera. E, purtroppo, sapeva che se avesse fallito di nuovo non avrebbe potuto unirsi a un’altra banda come se niente fosse. Wilson Fisk, dopotutto, non prendeva affatto bene gli insuccessi.
Turk guardò in fondo alla strada e vide alcune auto della polizia parcheggiate. Gli agenti non c’erano, probabilmente stavano facendo evacuare il quartiere, come i loro colleghi da quando c’era stato l’annuncio di Carnage.
La strada era disseminata di macerie, compreso un piede di porco seminascosto tra i cespugli di un aiuola.
Sapeva di non essere il più sveglio tra gli uomini di Fisk ma, vista l’occasione e lo stimolo di restare vivo, era perfettamente in grado di fare due più due.
Prese il piede di porco, si guardò intorno per assicurarsi che nessuno lo vedesse e si preparò a sfondare il finestrino di una volante. Con un po’ di fortuna, all’interno vi avrebbe trovato una pistola ancora carica.
<< Ciao! >> esclamò una voce improvvisa sopra di lui, costringendolo a fermarsi e ad alzare lo sguardo.
<< Spiderman >> imprecò Turk, non appena i suoi occhi si posarono sulla figura di un certo arrampica-muri comodamente appoggiato sulla cima di un lampione.
Il vigilante, vestito con la sua Iron-tuta, cominciò a battere le mani con fare beffardo.
<< Vedo che non ti sfugge niente >> disse, per poi compiere un balzo e atterrare proprio di fronte all’uomo.
<< Non ho potuto fare a meno di origliare.  Ho sentito che stavi parlando con il buon vecchio Fisk. Ti va di dirmi l’argomento della conversazione? >>
<< Fottiti >> ringhiò il delinquente, alzando il tubo di metallo in posizione d’attacco.
Le lenti dell’Avenger si assottigliarono in un paio di fessure.
<< Risposta sbagliata >> sussurrò a bassa voce.
Poi, si lanciò in avanti con un movimento fulmineo e colpì Turk direttamente alla mascella, spedendolo dritto contro un muro.
Dopo avergli intrappolato braccia e gambe con una ragnatela, camminò fino a lui e lo afferrò per il collo.
<< Ho avuto davvero una pessima giornata, per cui ti conviene fare molta attenzione a quelle che saranno le tue prossime parole >> sibilò in faccia al delinquente, il cui volto era ora una maschera di sangue. << So che stavate parlando di Carnage. Dimmi dov’è! >>
<< Non so dove si trova, lo giuro! >> esclamò Turk, visibilmente spaventato. << So solo che recentemente ha comprato delle armi da Fisk! >>
<< Armi? A cosa diavolo gli servono? >> domandò Peter, visibilmente perplesso. Dopotutto, Carnage non era certo il tipo di persona a cui servissero fucili o pistole per uccidere.
Turk deglutì a fatica.
<< Non lo so! Ma ora Fisk sta cercando di convincere le altre bande ad unirsi per dare la caccia a quel mostro. Io sono solo un messaggero! >> urlò disperato.
Il vigilante rimase in silenzio, fissandolo per quello che sembrò un tempo interminabile. Poi, lasciò andare il collo dell’uomo e compì un passo all’indietro.
<< Sarà meglio per te che sia vero >> disse freddamente.
Sparò una ragnatela verso l’edificio più vicino e si lanciò a mezz’aria, mente un unico pensiero gli attraversava la mente.
“ A che gioco stai  giocando, Fisk?”
 
                                                                                                                                                           * * * 
 
Appollaiata su un gargoyle di pietra, a settanta metri dal marciapiede, Carol Danvers scrutava i componenti di quell’orda in fuga.
 Migliaia di uomini e donne che si trascinavano dietro bambini in lacrime, le facce stravolte dal terrore, tutti in preda della speranza di riuscire ad abbandonare la città prima che Carnage facesse scattare qualunque cosa avesse organizzato per la città. In molti erano convinti che avrebbe fatto detonare delle bombe, mentre altri che avrebbe cominciato una lunga mattanza che sarebbe durata per l’intera nottata.
Vivere a New York aveva spesso significato vivere nella paura. Presto, a meno che venisse fatto qualcosa in proposito, non sarebbe rimasto altro che la paura.
“ A meno che gli Avengers non facciano qualcosa in proposito” pensò Carol, mentre vedeva Hulk aiutare alcuni poliziotti a spostare delle auto abbandonate che bloccavano il traffico.
Al contempo, la donna notò un gruppo formato da cinque ragazzi dall’aria poco raccomandabile che si avvicinavano ad un vecchio edificio.
Quello che sembrava essere il capo era magro e piccoletto, e non doveva avere più di venticinque anni. Portava un paio di jeans e una maglietta blu con il disegno di un  famoso personaggio dei cartoni animati.
Il ragazzo ficcò uno straccio impregnato di alcol in una bottiglia di vetro piena di benzina e olio per motori e poi accese lo stoppino improvvisato. Una volta rotta, la bottiglia avrebbe generato una palla di fuoco istantanea e letale.
Sempre se qualcuno non lo avesse fermato prima.
Carol balzò in mezzo al gruppo e afferrò il teppista, sollevandolo da terra per circa quattro metri. Quindi lo lasciò cadere, spezzandogli le gambe.
Non appena l’aspirante piromane fu fermato, la donna si tuffò in picchiata e afferrò la bottiglia incendiaria. La scagliò poi al di là della strada, verso il fiume Hudons, dove sprofondò senza fare danni.
Carol atterrò in mezzo agli altri quattro del gruppo e abbattè il più grosso con un pugno alla mascella così forte da fratturarla. Il criminale, che perdeva sangue dalla bocca, si bloccò e cadde a terra.
Gli altri due erano gregari abituati a vedere le proprie vittime arrendersi con giusto qualche lamento di paura, a indicare il loro disaccordo di fronte alla forza superiore del gruppo. I negozianti terrorizzati raramente reagivano, quando la banda puntava loro addosso le armi con la minaccia di mandarli all’inferno se non sganciavano il contenuto della cassa.
Carol però non aveva intenzione di lamentarsi o arrendersi. Meritavano una lezione, non importa quanto tempo avrebbero passato in galera.
Piantò un forte pugno in panca al teppista. Al ragazzino mancò il fiato e si accasciò, e da vero idiota cercò di portarsi la mano alla cinta per impugnare una pistola.
Con un colpo di stivale Carol gli fratturò le ossa di una mano, che sentì crocchiare e poi rompersi. Il teppista gridò di dolore.
Una volta guarito, nel giro di sei-otto mesi, avrebbe potuto usarla di nuovo per portarsi il cibo alla bocca, magari anche per tagliarlo, ma poco di più. I suoi giorni da criminale erano finiti per sempre.
Alla vista di quei teppistelli di periferia abbattuti, Carol non provò ne gioia né soddisfazione. Si limitò ad osservare il tutto con uno sguardo impassibile, vuoto.
Con la coda dell’occhio vide che il teppista numero quattro cercava di scappare.
Senza perdere tempo, la donna alzò la mano destra e lo colpì con un raggio di energia cosmica. Vide il ragazzino cadere a terra senza rialzarsi.
Il teppista numero cinque si rivelò più furbo, o almeno aveva fatto tesoro di quanto era successo agli amici. Si mise in ginocchio e portò le mani alla nuca, intrecciando le dita come di sicuro gli era stato ordinato molte volte. Carol non vi diede alcuna importanza.
Alzò la mano destra e la serrò in un pugno, preparandosi a colpire il ragazzo.
<< Carol! >> esclamò una voce alle sue spalle.
La donna si voltò di scatto. Bucky Burnes era comparso a pochi metri da lei…e non sembrava per nulla contento.
Schioccando la lingua, l’Avenger lasciò andare il delinquente, che la stava fissando con un’espressione colma di terrore.
Gli mise un paio di manette attorno ai polsi, attivò il comunicatore e lo sintonizzò sulla frequenza di Rhodey.
<< Rhodey, ho cinque teppisti già impacchettati sulla Robbins, a sud di Times Square. Qualcuno dovrebbe passare a prelevarli >>
<< Tutti gli agenti di polizia sono impegnati, Carol >> rispose il compagno Avenger. Sembrava stanco e frustrato, ma determinato a non mollare. << Dobbiamo evacuare una città di sei milioni di abitanti, terrorizzati e in preda all’isteria, e abbiamo a disposizione  nemmeno un migliaio di poliziotti. Stanno facendo il possibile per mantenere almeno una parvenza di ordine, ma i treni e gli autobus non bastano neanche per un quarto delle persone. Perciò ladri, piromani e tutti gli altri topi di fogna in circolazione oggi non rientrano nelle nostre priorità >> .
Carol tornò a rivolgersi ai cinque teppisti che aveva fermato,tutti martoriati ad eccezione di quello che si era arreso.
<< Non ho intenzione di lasciarli andare, quindi li porterò direttamente alla stazione più vicina. Passo e chiudo >> borbottò, prima di interrompere la trasmissione.
Fece per avvicinarsi ai delinquenti, quando una mano sulla spalla la costrinse a fermarsi.
<< Che diavolo pensavi di fare? Stavi per uccidere quel ragazzo >> disse Bucky, fissandola con uno sguardo duro.
La donna inarcò un sopracciglio.
<< Lo avrei solo reso incosciente >> ribattè stizzita, allontanando bruscamente il braccio dell’ex soldato.
Questi la fissò incredulo.
<< Si era arreso! Non avevi alcuna ragione per colpirlo >>
<< È un criminale! >> ringhiò Carol, sbattendo violentemente un piede contro l’asfalto e facendo tremare l’intera zona.  Al contempo, i lampioni del quartiere cominciarono a sprigionare scintille e scariche elettriche, cosa che non passò certo inosservata agli occhi di Bucky. 
L’uomo alzò le mani conciliante, nel tentativo di calmare la supereroina.
<< Sei frustrata, posso vederlo. Vuoi dirmi il perché? >> chiese con tono molto più gentile, sperando con tutto se stesso che non l’avrebbe colpito con un raggio di energia cosmica.
La donna strinse ambe le palpebre degli occhi.
<< Non ho voglia di parlarne >> sbuffò a bassa voce, continuando a camminare verso i corpi inconsci dei delinquenti.
Bucky schioccò la lingua con fastidio.
“ E va bene,  è ora di utilizzare i calibro pesanti” pensò con una punta di amara ironia.
<< Centra Spiderman? >> chiese all’improvviso.
La reazione che ottenne fu praticamente istantanea.
Carol si fermò di colpo, in mezzo alla strada, rimanendo in silenzio. Poi, girò lentamente la testa verso di lui.
<< Perché dovrebbe? >> domandò freddamente.
Bucky si rifiutò di fare marcia indietro e sostenne lo sguardo della supereroina.
<< È tutto il giorno che proviamo a contattarlo e lui non ha ancora risposto. Tra voi due è successo qualcosa? >>
<< Del tipo? >> ribattè sarcasticamente l’altra.
Il supersoldato scrollò le spalle.
<< Non lo so, magari una classica lite tra amanti >> disse con un sorrisetto.
La donna arrossì bruscamente. 
<< Io non…come ti viene in mente…io e lui non siamo … >> balbettò, cercando di simulare un’espressione abbastanza furiosa da spaventare il compagno Avenger. Questi, tuttavia, si limitò a scrutarla con fare impassibile, apparentemente non impressionato.
Carol rilasciò un sospiro.
<< Da quanto tempo lo sai? >> domandò rassegnata.
<< Da circa un mese >> rispose Bucky. << Siete piuttosto ovvi. In realtà, sono sorpreso che più persone non l’abbiano capito >>
Il volto della bionda arrossì ulteriormente.
<< N-non siamo mai stati ovvi! >> protestò indignata.
Bucky sbuffò divertito. 
<< È chiaro che non avete mai notato il modo in cui vi guardate durante le riunioni. È lo stesso sguardo che Steve dava a Peggy prima di ogni missione >> disse con tono di fatto.
Nel quartiere tornò a regnare il silenzio.
Carol aprì e richiuse la bocca un paio di volte, per poi rilasciare un ringhio e tornare a fissare freddamente il compagno di squadra.
<< La cosa non ti crea problemi? >>  domandò con tono di sfida.
Bucky si strinse nelle spalle una seconda volta.
<< Sarebbe piuttosto ipocrita da parte mia, considerando che il mio migliore amico ha avuto una relazione con una donna che aveva un terzo dei suoi anni. Senza contare che quella donna si è pure rivelata essere sua nipote acquisita >>
<< …Ok, è abbastanza incasinato >> ammise Carol, incapace di trattenere un piccolo sorriso.
<< Credimi, ci ho perso il sonno per giorni >>  disse Bucky, rabbrividendo al ricordo di quelle notti passate in bianco. Poi, tornò a scrutare la supereroina.
<< Allora, mi vuoi dire cos’è successo? Avete litigato? >> chiese incuriosito.
Carol sussultò. “ Bingo” pensò l’Avenger.
<< No…o meglio sì…o meglio, io l’ho fatto >> disse la donna, con fare incerto. << Ero arrabbiata…ferita…e ho perso il controllo. Gli ho detto cose che non pensavo davvero >>
Bucky non rispose e si limitò a fissarla. Sentendosi soppesata da quello sguardo, la donna rilasciò un gemito frustrato.
<< O forse le pensavo, ma…Dio, mi sento una merda >> borbottò a bassa voce, mentre si portava una mano sul volto.
Di fronte a lei, il supersoldato alzò gli occhi al cielo.
<< Non sei nè la prima nè l’ultima persona che ha quasi mandato all’aria una relazione per qualche stupidaggine che ha detto >>
<< Togli il “ quasi”, penso che quella barca sia ormai sul fondo dell’oceano >> ribattè amaramente la bionda.
Bucky inarcò un sopracciglio. << Ne sei davvero sicura? >>
<< Dopo le cose gli ho detto? Sì >> rispose l’altra, con tono di fatto.
Suo malgrado, il supersoldato si ritrovò a sorridere di fronte all’ingenuità della donna. Era un eccellente soldato e una straordinaria stratega, ma pareva faticare a distinguere le persone dalle macchine. Sembrava quasi convinta che, nel corpo umano, ci fossero dei settori specificatamente programmati per rispondere a determinate situazioni. In un certo senso, era molto simile ai generali del suo tempo.
<< Sottovaluti il cuore di quel ragazzo >> disse, dopo qualche attimo di silenzio. << Ti ha mai raccontato di cosa lo ha spinto a diventare Spiderman? >>
Carol lo fissò basita.
<< La morte di suo zio >> rispose con una punta di riluttanza. << È stata causata da un ladro che precedentemente aveva lasciato scappare >>
<< Ti ha anche detto che era riuscito a catturare quell’uomo? >> domandò il soldato, sorprendendo ulteriormente la donna.
<< Lui…no, non lo ha fatto >> ammise quasi con un sussurro.
Il supersoldato annuì a se stesso.
<< A me sì, durante uno dei nostri allenamenti. Immagina: l’unica figura paterna che aveva gli era stata portata via appena poche ore prima. Aveva il suo assassino tra le mani e lo teneva oltre il cornicione di un edificio da cinque piani >> rivelò, facendo sussultare la donna.
“ Oddio, Peter ” pensò, mentre sentiva una morsa gelida attanagliarle il cuore.
 << Avrebbe potuto lasciarlo cadere…ma non lo ha fatto >> continuò Bucky, per poi arricciare ambe le labbra in un sorriso orgoglioso. << Ha scelto di consegnarlo alla polizia. Ha scelto di fare la cosa più giusta lì dove molti altri avrebbero scelto di vendicarsi. E, pochi mesi dopo, è andato a visitare quell’uomo in prigione…e lo ha semplicemente perdonato >>.
Carol dilatò le pupille e spalancò la bocca. Sapeva che Peter aveva affrontato molte cose, nonostante la sua giovane età. Ma questo… mai si sarebbe aspettata una scenario del genere.
Lei stessa, quando si era trovata davanti a un indifeso Yon-Rogg, era stata assai tentata di ucciderlo sul posto e fargliela pagare per tutti gli orrori che aveva commesso contro di lei e le persone a cui teneva.
Eppure,  Carol aveva scelto di risparmiare il suo nemico e non cedere alla vendetta.  Esattamente come Peter.
<< Sei ancora convinta di non avere più speranze? >> domandò Bucky, riportandola alla realtà.
La donna abbassò lo sguardo verso terra, come se fosse in uno stato di profonda contemplazione.
Dopo quello che sembrò un tempo interminabile, alzò la testa e fissò il compagno Avenger con determinazione ritrovata.
Questi sospirò di sollievo.
<< Va a cercarlo >> disse il supersoldato. << Trovalo, prima che approfitti di tutto questo casino per fare qualche sciocchezza. Di questi ragazzi me ne occupo io  >>
Carol gli inviò un sorriso pieno di gratitudine.
Poi, schizzò verso il cielo e cominciò a dirigersi verso la Stark Tower.
 
                                                                                                                                           * * *                                                                          

<< Eccomi, Fisk >> disse Stacy, mentre entrava nella sala degli interrogatori. << Allora, che cos’hai per me?>>
Wilson Fisk, meglio noto come Kingpin, stava su una sedia enorme, adatta alla sua corporatura massiccia, e biascicava un grosso sigaro. Il commissario rimase in piedi.
<< Arriverò subito al dunque >> disse il boss del crimine, rilasciando una densa nuvola di fumo. << Vorrei sporgere denuncia contro Spiderman. Effrazione e violazione di proprietà privata. Aggressione e percosse. Pensa di poter entrare a casa di qualcuno, pestarlo, e poi trascinarlo in prigione senza uno straccio di prova. Non è un’ingiustizia? Non la sconvolge che in città esistano, anzi dilaghino, scorrettezze del genere? Ora, io non sono un avvocato, ma ne ho conosciuto abbastanza da sapere una o due cose in materia di legge, e non credo che Spiderman la stia rispettando >>
<< Non ne dubito >> rispose Stacy, guardando l’ora. << E affronterò il problema…ma non siamo qui per parlare di lui, giusto? >>
<< Oh, no! Certo che no! Ehm…come sa, io mi considero un uomo d’affari. Possiedo locali notturni, saloni di corse, centri massaggi… >>
<< Intende dire centri di spaccio, bische e bordelli >>>
<< Non siete ancora riusciti a provarlo, vero? Quando penso di aprire una nuova attività – sempre in modo legale e alla luce del sole, glie lo ricordo – scrivo un dettagliato piano imprenditoriale e offro il materiale alle persone interessate a investire. Fino a prova contraria, insisto che riconosciate la piena legalità dei miei affari >>
<< Sappiamo di che genere di affari parla >> rispose Stacy. << E quando dice investire, noi leggiamo estorcere >>
<< Se non è zuppa è pan bagnato >> disse Fisk, con una scrollata di spalle. << Ma sono un imprenditore. Invece questo Carnage è un pazzo svitato, e i suoi piani deliranti stanno danneggiando i miei affari, e anche molto. Vorrei che lo fermaste. Dopotutto, con le tasse vi pago lo stipendio >>
<< Mi ricordi di mandarle un biglietto di ringraziamento >> fece Stacy, mentre si sedeva e gli lanciava dei fogli. << Se lo odia così tanto, come mai gli ha venduto queste armi? E, prima che lo neghi, ecco l’atto di vendita firmato da lei e da Carnage >>
Fisk gettò le carte sul tavolo senza neanche guardarle.
<< Innanzitutto, detengo quelle armi legalmente. I miei avvocati vi inoltreranno le licenze. In secondo luogo, che razza di uomo d’affari sarei se non gli vendessi i miei prodotti, specie se quell’idiota era disposto a pagare anche dopo un rincaro dei prezzi del tutto…ragionevole? I profitti portano a strane alleanze, lo sa? E poi, parlando seriamente, pensa davvero che avrei potuto dire di no ad uno come lui? Sono piuttosto sorpreso che non abbia cercato di prendersele con la forza, ma suppongo che anche un pazzo sappia riconoscere quando i numeri non sono dalla sua parte >>
<< Molto dipende dal fatto se fosse o meno a conoscenza di ciò che Carnage ha intenzione di farci, con quelle armi >> ribattè Stacy. << Se lei ne era al corrente, è un suo complice. E se riuscirò a provarlo, giuro che non vedrà mai più la luce del sole >>
<< È la stessa cosa che mi ha detto Matt Murdoch prima di sbattermi in prigione per due volte, eppure eccomi di nuovo fuori. Tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare >>  disse Fisk, con un piccolo sorriso. << Comunque no, non so cosa diavolo ci voglia fare. A dire il vero, io non l’ho chiesto, e lui non me l’ha detto. Ma, se dovessi tirare a indovinare, penso che si stia costruendo un piccolo esercito. Forse per protezione dai Vendicatori, perché dubito seriamente che ne avrebbe bisogno contro la polizia >>
L’uomo diede un’ultima tirata al sigaro, poi schiacciò il mozzicone nella tazza di polistirolo sul tavolo.
<< Ad ogni modo, affinchè le mie aziende crescano e prosperino, occorre che New York sia relativamente tranquilla. Il caos non è un’atmosfera che favorisce gli affari. Ed ecco il motivo di questa chiacchierata. Potrebbe farmi la stessa domanda a proposito di Genshiro Shiragami. Credo che riceverebbe una risposta completamente diversa >>
<< Shiragami? Il chimico? Che cosa c’entra lui con Carnage? >> domandò Stacy, visibilmente sorpreso.
Dopotutto, aveva sentito nominare l’uomo diverse volte. Era uno degli individui più rinomati della comunità scientifica di New York, e recentemente era stato coinvolto nella creazione di un nuovo tipo di batterio capace di incrementare la produttività del grano e permettergli di prosperare anche nelle aree desertiche.
Fisk si limitò a stringersi nelle spalle.
<< Magari lo sapessi! Ma grazie ai miei informatori so per certo che Carnage lo ha rapito di recente. E ovviamente l’ho detto anche a Spiderman >>
<< E come ha reagito? >>
<< In maniera più scontrosa del solito. Un peccato, quel ragazzo mi piace. Non ha tutta l’inquietudine di Daredevil. Mi fa sorridere. Insomma, per cosa vorreste arrestarmi, esattamente? >> continuò, con voce beffarda. << Armi legali. Ce l’ho. Atto di vendita. Ce l’ho. Tasse pagate. Ce l’ho. Non mi incastrerete come Al Capone. E credo che la denuncia per atti osceni in luogo pubblico sia caduta in prescrizione. Quindi, a meno che non riusciate a trovare un capo d’accusa che duri più di quanto ci metta ad arrivare qui una pizza formato famiglia, quando posso andarmene? Ho un’azienda da mandare avanti >>.
 
                                                                                                                                                   * * * 
 
Peter cominciò a incamminarsi lungo il vialetto che conduceva alla casa dei Kasady.
 Le erbacce infestavano il prato davanti all’abitazione, nascondendo le pietre che segnavano il cammino verso il portico. Nel prato cantavano i grilli, e si vedevano alcune cavallette saltare tutt'intorno in parabole errabonde e casuali.
L'edificio era pervaso da un’aura inquietante.  Spigoloso e fatiscente com'era, con le finestre tutte sbarrate con assi, aveva l'aspetto sinistro che hanno tutte le vecchie case abbandonate da molto tempo. L'intonaco esterno era caduto, spazzato via dalla pioggia, e la casa aveva assunto una colorazione grigia e uniforme.
Le tempeste di vento avevano fatto volar via parecchie tegole, e in un punto sul lato est una forte pioggia aveva fatto incurvare il tetto, dando all'insieme un aspetto sgangherato e minaccioso.
Un cartello di legno fissato alla buca delle lettere ammoniva di non procedere oltre.
Provò un improvviso impulso a fermarsi, ma il tutto durò appena un paio di secondi. Era l’incredibile Spiderman, dopotutto. Questa casa non  era niente in confronto ad individui come Thanos e Carnage. Certo, sperava solo che lo stesso Carnage non fosse lì dentro.
Si guardò attorno un’ultima volta.
La casa era stata ispezionata pochi giorni dopo la fuga di Kasady dal carcere di Ryker’s Isldand, senza che i poliziotti incaricati vi trovassero niente. In seguito non erano stati fatti altri controlli.
Questo perché, secondo le dichiarazioni del Commissario Stacy, era assai improbabile che Kasady avrebbe scelto come rifugio un posto così ovvio.
Naturalmente, questa era anche la ragione per cui Peter si era recato lì. Non era da escludere che Kasady avesse approfittato di tale convinzione per utilizzare la casa come nascondiglio in un secondo momento. Dopotutto, la prassi della polizia era di non controllare mai un posto che era già stato ispezionato senza, e, a causa dell’intera situazione con Carnage, la fuga di Ryker’s Island era probabilmente passata in secondo piano.
Certo, Peter avrebbe potuto informare Stacy della sua teoria – ovvero che Carnage e Kasady erano la stessa persona – ma non voleva rischiare di mettere altri agenti in pericolo. Non avevano i mezzi per combattere quel mostro…ma lui sì.
Attraversò il prato fra i grilli e le cavallette fino al portico e guardò all'interno, fra gli spiragli delle assi inchiodate.
Deglutì e fissò la casa, quasi ipnotizzato.
Una volta entrata nell'atrio, sentì odore di muffa e di umidità intente a corrodere i muri e la tappezzeria, mentre un gruppo di topi corse frenetico lungo le pareti, verso il loro nascondiglio.
Cominciò a guardarsi intorno.
L’abitazione era disseminata di cianfrusaie e mobili coperti di polvere. Il suo sguardo indugiò su una scala a chiocciola che collegava il salotto al piano sovrastante.  
Fece appello ai suoi sensi e cercò di valutare se vi fosse o meno qualcuno nell’abitazione.
Niente. Non un battito cardiaco, non uno scalpitare di passi o il sibilo di un respiro. La casa sembrava completamente deserta.
Per prima cosa salì al piano superiore, controllando le camere e i bagni, ma non trovò nulla di utile.
Poi fu la volta del piano principale, ma il risultato fu più o meno lo stesso.
L’unico segno che qualcuno era stato presente in quella casa negli ultimi giorni erano alcuni avanzi di cibo mangiucchiato che trovò sparsi per la cucina, ma potevano essere stati tranquillamente lasciati da un barbone che aveva scelto l’abitazione come sistemazione temporanea.
Infine, arrivò il turno del seminterrato. Peter avrebbe tanto voluto evitarlo, la sua esperienza con i film horror non era mai stata piacevole quando si trattava di quella particolare sezione di un edificio.
<< Andiamo, Parker, non fare il bambino >> borbottò a se stesso, per poi prendere un respiro profondo.
Facendo attenzione a non produrre troppo rumore, cominciò a scendere lungo la scalinata che conduceva alla cantina.
La porta della stanza era sbarrata da un lucchetto.
“ Ancora per poco” pensò Peter.
Utilizzando la sua forza superiore, ruppe il catenaccio in pochi secondi, spalancò la porta…e si bloccò.
L’intera stanza sembrava uscita direttamente dalla cella d’isolamento di un manicomio.
Le pareti sporche e raggrinzite erano quasi completamente ricoperte da grandi scritte rosse, migliaia di AH AH AH AH  sparsi su ogni centimetro di calcestruzzo.
Tranne la parete perpendicolare alla porta, sulla destra, dove spiccavano numerose foto e articoli di giornale, collegati tra loro attraverso un filo scarlatto.
Deglutendo a fatica, Peter si avvicinò con passo lento a quel tabellone improvvisato.
Vide pezzi di quotidiani riguardanti Claridge ed Erbert, foto che li raffiguravano mentre si apprestavano ad entrare nelle loro abitazioni o a passeggiare per la città. Era evidente che Kasady li stava tenendo d’occhio da molto tempo, per apprendere tutto quello che poteva sulla routine quotidiana di quelle che sarebbero state le sue future vittime.
In seguito, gli occhi di Peter si posarono proprio al centro del tabellone, dove tutti i fili rossi s’incontravano su un ritaglio di giornale raffigurante un uomo di mezza età e dalle fattezze asiatiche, forse di origine giapponese.
<< Genshiro Shiragami >> lesse il ragazzo, rendendosi conto che quella era la stessa persona che, secondo gli informatori di Fisk, era stata rapita da Carnage quello stesso giorno.
Affianco all’articolo spiccava una mappa di Manhattan, dove era cerchiato in rosso un punto ben preciso dell’isola.
Il vigilante strinse ambe le palpebre degli occhi in profonda concentrazione, nel tentativo di ricordare a cosa corrispondesse quella parte della città.
Quando lo fece, sentì il cuore mancargli un battito.
<< Oh, no… >>


Com'era? Spero bello!
Nel caso ve lo steste chiedendo, Turk Berrett è un personaggio della serie di Daredevil.
Nel prossimo capitolo inizia lo scontro finale con Carnage!

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Capitolo 13
*** I've become death... ***


Ed ecco un nuovissimo capitolo!
Contando anche questo, ne mancano solo tre alla fine della storia.
Vi auguro una buona lettura, e spero che troverete il tempo per lasciare una recensione!
P.S in questi giorni sta circolando il lungo e in largo la notizia che Carol sarà l’Avenger che affiancherà Peter in Spiderman 3 ( MCU ), e il nostro arrampica-muri avrà una cotta per lei. Potete immaginare come mi sento in questo momento…
 

 
I’ve become Death…
 
Peter aveva visitato la Osborn Chemicals alcune volte, quando Tony aveva preso in considerazione l’idea di comprare l’azienda e i terreni. Ci aveva rinunciato quando i geologi gli avevano detto che il suolo era contaminato in maniera irrimediabile e non c’era modo di bonificarlo.
In seguito, aveva deciso di scriverci una tesi per il corso di storia.
Durante le sue ricerche aveva controllato ogni edificio del complesso e ne conosceva la disposizione a memoria. Ma ciononostante, si affidò lo stesso alle planimetrie fornitegli da Karen. Non guastava mai sovrapporre più informazioni.
Le strutture erano attraversate da tunnel sotterranei che si diramavano su tutta l’area e ai quali si accedeva tramite delle griglie di acciaio. Un tempo, migliaia di dollari di liquori e sigarette di contrabbando venivano trasportati illegalmente attraverso quei cunicoli o altri uguali a loro.
Come molti edifici costruiti a New York a metà degli anni trenta, la fabbrica era stata progettata con la mentalità da contrabbandieri dell’epoca e aveva servito bene i suoi proprietari.
Costruita a causa del proibizionismo, la rete sotterranea si estendeva su tutta l’area cittadina, raggiungendo praticamente qualsiasi angolo, nella maggior parte dei casi nascosta alla vista.
Quel dedalo di cunicolo tetri e sempre al buio era il promemoria concreto del fatto che la pelle da alcolizzato di New York che tutti credevano di conoscere come le loro tasche serviva solo a nascondere le ossa malate.
Spiderman pensò di sfruttare i tunnel a proprio vantaggio, per evitare l’esercito di Carnage.
Utilizzando i sistemi di calore della maschera, l’Avenger individuò un totale di trenta forme di calore armate fino ai denti. Alcune facevano semplicemente la guardia, mentre altre erano impegnate a scaricare grosse casse da dei camion parcheggiati lungo il perimetro del complesso.
Tra i mercenari visibili, l’adolescente riuscì a identificare alcuni ex marine, associati dell’Hydra e altra gente assai poco raccomandabile che, per un motivo o per un altro, era finita nella lista nera dei Vendicatori e dello Shield. Individui disposti a seguire qualunque offerente, se la paga era abbastanza buona. Il tipo di persone che avrebbero lavorato anche per uno come Carnage.
<< Si è dato molto da fare >> borbottò a se stesso.
Aprì una delle grate, si insinuò nell’oscurità e richiuse la griglia.
Entrando in un grosso magazzino, salì fino a quando non si ritrovò ad osservare le condutture di riscaldamento che sfiatavano il calore prodotto dai processi chimici.
Attraverso una grata vide un solo mercenario che camminava avanti e indietro. Faceva la guarda ad un uomo di nazionalità asiatica, apparentemente sulla cinquantina, legato con grosse catene all’unica colonna presente nella stanza sovrastante.
“ Shiragami” intuì Spiderman, mentre cominciò ad avvicinarsi alla coppia.
Per fortuna, il rumore degli sfiati era abbastanza forte da coprire i suoi movimenti.
Seguì il percorso dell’uomo e prese posizione a una decina di metri da lui, poi, quando il miliziano gli passò sopra, rimase in silenzio.
Con una mossa improvvisa e impercettibile, nel rumore martellante delle pompe, spostò la grata, afferrò l’uomo per la caviglia e tirò la gamba verso il basso.
Il soldato cadde, e Peter gli tappò la bocca per impedirgli  di gridare, mentre con l’altro braccio gli bloccava la gola e gliela stringeva, fino a quando l’uomo non svenne.
“ Bucky sarebbe fiero di me” pensò con divertimento.
Una volta uscito, attraversò di corsa la stanza per arrivare all’ostaggio incatenato.
<< Sei salvo >> gli disse mentre lo liberava.
Shiragami tremava per la paura e, cercando di alzarsi, balbettò qualcosa.
<< Lo stabilimento è in funzione da ore. Hanno portato dei camion, armi e soldati. Oddio, un sacco di soldati. E carichi di sostanze nocive. Le stanno mischiando adesso, e per colpa mia sanno benissimo quello che stanno facendo. Io…io gli ho detto come fare…non avevo scelta, mi avrebbe ucciso… >>
La voce si incrinò,  per cui Peter cercò di cambiare argomento, per evitare che l’uomo sprofondasse nel ricordo di quello che aveva passato.
“ Continua a farlo parlare, ma non della prigionia” sussurrò nella sua mente la voce di Carol. “ Che resti in argomento. Trattalo come il membro di una squadra, non come una semplice vittima terrorizzata”.
<< Hai fatto un ottimo lavoro, ma mi servono altre informazioni >> disse con calma. << Come ti chiami? >>
<< Il mio nome? Gengiro. Gengiro Shiragami. Sono un chimico >>
<< Finora sei andato benissimo, Gengiro. Ora devo chiederti una cosa molto importante. Sai dove posso trovare il loro leader, Carnage? >>
Sembrava che l’uomo stesse provando a pensare, ma avesse la mente rallentata. Spiderman, però, rimase lo stesso in silenzio.
<< So solo che i suoi uomini hanno detto che il piano sta procedendo senza alcun problema. Cavolo, ha un intero esercito che lo spalleggia >> borbottò, per poi portarsi ambe le mani sulle tempie. << Sono fuori di testa! >>
<< È quello che volevo sapere, Gengiro. Ora posso prepararmi, sei stato bravissimo. Anzi, ancora meglio. Sei sano e salvo. Non devi preoccuparti. Ti porterò fuori di qui, ti prometto che li fermerò >>
Mentre il giapponese scuoteva la testa, aveva gli occhi sgranati per la paura.
<< Non puoi >> disse, le parole che gli restavano bloccate in gola. << Nessuno può farcela. Non capisci, Carnage sta creando una specie di bomba che ricoprirà l’intera East Coast con una tossina letale. Oddio, i suoi uomini hanno detto che la stanno producendo in questo momento, e per colpa mia sanno come fare. Siamo spacciati! >>
Peter tentò di calmarlo, ma le parole dell’uomo erano raggelanti.
Dentro di sé iniziò a montargli la paura, però la scacciò subito. Aveva del lavoro da fare…e, grazie a Shiragami, sapeva esattamente dove si trovava il nemico.
<< Capisco, Gengiro, ma devi ascoltarmi. Nonostante l’aspetto di Carnage, sotto quella maschera si nasconde solo un essere umano >>
Lo lasciò metabolizzare.
<< E questo significa che posso fermarlo. Capisci quello che dico? Possiamo sconfiggerlo. E lo faremo. Quindi vieni con me >>
<< Non andrai da nessuna parte, aracnide. Al massimo in Paradiso! >>
Peter si girò e sentì una porta chiudersi. Dalla finestra presenti nella stanza vide Carage, fiancheggiato da una decina di miliziani.
Il serial Killer andò alla vetrata, ci appoggiò un dito e disegnò nella polvere una faccina sorridente.
<< Che bello rivederti, Spiderman. Se non ci separasse questo vetro ti stringerei la mano. E anche a te, Shiragami! >>
<< Beh, non succederà >> rispose il vigilante, mettendosi davanti al chimico. << Di ai tuoi uomini di mettere giù le armi e di arrendersi. Subito >>
Carnage scoppiò a ridere. << Come hai detto tu, non succederà >>.
Si voltò verso i mercenari e fece loro un cenno. << Bene, ecco la seconda ragione per cui vi ho assunti. Tenete le armi puntate su di lui, ma non mirate al simbolo che ha nel petto. Quello è solo…un trucchetto >>
Poi, si girò di nuovo verso l’arrampica muri.
<< Non è vero? >> disse con la sua voce graffiante.
Scoppiò in un’altra risata e si voltò verso i suoi uomini. << La parte sotto il ragno è stata rinforzata. E, visto che sta sopra il cuore, andrebbe bene come bersaglio…se non sapeste la verità >>
Indicò le altre parti dell’armatura e continuò : << Mirate ai punti deboli sulle spalle, lì e lì. Sparate alle giunzioni tra le placche >>
Shiragami sgranò gli occhi per il terrore.
<< Come fa a sapere tutte queste cose, Spiderman? >> balbettò a bassa voce.
Al contempo, la mente di Peter cominciò a correre a mille.
<< Non lo so >> rispose con un sussurro. << Ma ho intenzione di scoprirlo >>
<< Scusatemi >> li interruppe il serial killer. << Il buon dottore ha forse detto qualcosa? Magari dovremmo sentirla tutti >>
<< È un innocente. Lascialo fuori da questa faccenda>> ringhiò Peter.
Carnage si limitò a scrollare le spalle.
<< Andiamo, Spidey, non hai sentito il mio discorso? Nessuno è innocente al cento per cento. La vera domanda è : quanto è colpevole? Ma tu difendi sempre i deboli e gli indifesi. E, a dire il vero, è proprio quello che mi piace di te >> ammise con una lieve punta di ironia.
Il vigilante strinse ambe le mani in pugni serrati.
<< Che cosa vuoi, Carnage? >> domandò freddamente.
Il serial killer cominciò a picchiettarsi il mento, come se stesse rimuginando sulla questione.
<< Che cosa voglio? Giusto, così poi siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Quello che voglio…è ucciderti>> disse con tono di fatto. << Ma non solo te, voglio uccidere ogni fottuto abitante di questa fogna di città. Voglio farla pagare a tutti quelli che sono rimasti a guardare, mentre venivo imprigionato e costretto a passare i miei ultimi dieci anni in un buco di merda >>
E, dopo aver pronunciato tali parole, fece cenno ai mercenari che lo fiancheggiavano.
<< Beh, che state aspettando? Fatelo a pezzi ! >> ordinò con un ghigno.
Senza perdere tempo, i criminali aprirono il fuoco, infrangendo le finestre.
Spiderman fu lesto ad afferrare Shiragami e spingerlo a terra, impedendo che la raffica di proiettili li investisse.
<< Corri! >> urlò l’adolescente.
Il chimico non se lo fece ripetere due volte. Si alzò da terra e partì come un razzo verso l’uscita di emergenza più vicina, proprio mentre i mercenari entravano nella stanza.
Spiderman partì all’attacco e puntò sul gruppo di soldati.
Atterrò sul primo assestandogli una gomitata sulla nuca. Per lo shock e il dolore improvvisi l’uomo cadde in ginocchio. Il vigilante gli  tirò un pugno all’altezza della gola e quello finì a terra.
Uno degli altri mercenari alzò la propria arma per aprire il fuoco ancora una volta. Spiderman si abbassò e si girò per tirargli un calcio alla pancia.
L’uomo si piegò in due per il dolore, allora Peter roteò di nuovo e gli diede una pedata sul naso.
Mentre il criminale raggiungeva il suo compagno in uno stato di beata incoscienza, l’Avenger attivò le zampe meccaniche della tuta e le usò per bloccare una raffica di proiettili ad opera di un altro mercenario.
Quando anche gli altri presero a sparare, il ragazzo saltò sul soffitto e vi rimase appeso a testa in giù.
Con una ragnatela arpionò uno dei soldati per il colletto e lo tirò su. L’uomo gridò, mentre Peter gli afferrava il polso e lo sollevava per guardarlo negli occhi.
<< Credimi, amico, questo farà più male a te che a me >> disse, e poi lo lasciò cadere sul pavimento.
Sentì una gamba che si spezzava e un gemito di dolore, ma il trauma ammutolì il mercenario. Sarebbe sopravvissuto, ma di certo non avrebbe mai corso una maratona.
Poi, evitando un’altra raffica di proiettili, balzò in mezzo al gruppo di criminali e uso le lunghe zampe meccaniche per scaraventarne quattro contro le pareti della stanza.
Tirò  un calcio alla gamba di uno, spaccandogli la rotula, e l’uomo cadde urlando per il dolore.
Il secondo si voltò, pronto all’attacco,  e fece per sparare. Spiderman si lanciò sopra la sua testa, lo afferrò e poi la tirò giù, sbattendola contro il pavimento. Forse i metodi di Bucky erano un po’ brutali…ma funzionavano, e anche velocemente. Tuttavia, lo schianto non bastò.
Il mercenario si rialzò di nuovo in piedi, mirò e premette il grilletto. In quel momento, però, Spiderman gli afferrò il polso e fece schizzare la pistola verso l’alto. Il proiettile esplose contro il soffitto.
Il criminale cercò di liberarsi, ma Peter rinsaldò la presa e gli torse la mano finchè l’uomo non finì per puntare la pistola contro se stesso. Fu la goccia che fece traboccare il vaso, poiché il mercenario entrò nel panico e lasciò cadere l’arma.
Con un solo movimento, Spiderman spinse via la pistola con un calcio e infine colpì l’uomo con una ginocchiata allo stomaco.
Mentre l’avversario si piegava in due per il dolore, l’adolescente intrecciò le mani e le calò sulla testa dell’uomo, mettendolo K.O.
L’ultimo mercenario lo scorse dall’altra parte della stanza e sparò con il fucile. Il proiettile impattò contro il torace del vigilante e lo sbalzò all’indietro. L’armatura lo proteggeva, certo, ma la botta ad alta velocità faceva comunque un male cane.
L’uomo sparò ancora, ma Spiderman rotolò di fianco e il proiettile gli sfrecciò accanto, mancandolo di pochissimo.
Il mercenario gettò via il fucile e impugnò una pisola automatica, ma Peter fu il primo a reagire e lanciò una ragnatela, che si avvinghiò attorno all’arma e gliela strappò dalle mani.
Poi saltò, utilizzando le zampe meccaniche per darsi un ulteriore slancio, e atterrò sull’avversario. Lo colpì forte al viso con un pugno e l’uomo cadde a terra.
Presto ne sarebbero arrivati altri e prima o poi la fortuna lo avrebbe abbandonato. Per bravo che fosse, di sicuro non avrebbe potuto scansare centinaia di proiettili tutti insieme.
Prese un respiro profondo e si avviò verso il corridoio che conduceva alle vasche di stoccaggio dello stabilimento.
Dopo circa un paio di minuti, arrivò a destinazione.
Entrò in quello che aveva tutta l’aria di essere un grosso laboratorio e vide Carnage che dava le spalle alla porta. Stava versando il contenuto di una provetta in una grande vasca interrata.
I battitori automatici che mischiavano le sostanze chimiche già inserite nella miscela si ritirarono, un coperchio al di sopra si aprì e la vasca cominciò a scuotersi per mescolare le sostanze come un enorme miscelatore di vernici.
Carnage si girò e gli fece cenno di avvicinarsi.
<< Ci hai messo fin troppo tempo ad arrivare qui, sono un po’ deluso. Se volevi uscirne vivo…ti conveniva scappare quando ne avevi l’occasione >>
<< È finita, Carnage. Hai chiuso. Manderò all’aria la tua operazione >>
In tutta risposta, il serial killer si limitò ad allargare le braccia.
<< Eccomi…provaci! >> esclamò con quel suo inconfondibile ghigno.
Peter fu più che felice di obbligare.
Saltò verso il mostro, mentre le sue zampe meccaniche scattavano in avanti. Carnage, tuttavia, riuscì a evitare il colpo.
L’arrampica-muri fece per difendersi, ma l’altro lo attaccò all’improvviso, velocissimo. Gli tirò un pugno in faccia.
Peter ci mise solo un secondo per riprendersi e schivare il secondo colpo, ma, mentre si chinava, Carnage gli diede una gomitata dietro al collo, nel punto in cui l’armatura era più sottile. Sapeva esattamente dov’era vulnerabile.
Dalla postura si capiva che era abile a tirare di boxe : teneva un piede in avanti e il braccio sinistro disteso. Il destro era vicino al corpo. Entrambe le braccia sollevate vicino al viso sorridente.
Ma il mondo in cui piegava la schiena e le ginocchia…gli ricordava molto la posizione che Bucky gli aveva insegnato durante i loro allenamenti. Era quasi come se stesse imitando il suo stile di combattimento.
Carnage si fece di nuovo sotto, sferrandogli un pugno dal basso della mascella.
Le quattro zampe meccaniche scattarono in avanti per proteggerlo, ma i viticci del mostro le bloccarono a mezz’aria.
<< Dai, Spidey, mettici un po’ più di grinta >> lo schernì il serial killer, con tono irriverente. << Ho sempre saputo che avrei potuto farti il culo, ma mi aspettavo un po’ di resistenza da parte tua. Non deludermi! >>
Peter alzò un braccio per proteggersi la faccia, e Carnage avanzò : proprio come si aspettava.
Abbassò la mano davanti a sé e stava per colpire il nemico con un destro in pieno volto, ma, all’ultimo secondo, la creatura si volò e il pugno gli sfiorò solo la guancia.
<< Lo ammetto, me l’avevi quasi fatta >> commentò con quel suo ghigno intramontabile.
Le lenti sulla maschera del vigilante si assottigliarono in un paio di fessure.
<< Come fai a sapere tutte queste cose su di me? >> chiese freddamente.
L’altro scoppiò a ridere. << È irritante, vero? Conosco i tuoi congegni e le tue mosse di combattimento. E non solo questo …Peter >>
<< ?! >>
Il tempo parve fermarsi. Un silenzio inesorabile sembrò calare nelle profondità della fabbrica, interrotto solo occasionalmente dal gorgogliare delle vasche.
“ No…non è possibile” pensò Peter, mentre una sensazione sgradevole iniziò ad attanagliargli lo stomaco.
Al contempo, il sorriso zannuto sul volto di Carnage si fece più grande.
 << È la verità, Spiderman. Io so tutto di te! Il mio nuovo migliore amico mi ha rivelato così tante cose >> disse con tono quasi amorevole. Nello stesso istante, la maschera del serial killer cominciò a ritrarsi, rivelando il volto di Cletus Casady.
Le lenti e le fauci del mostro sembravano ora un grosso serpente avvolto attorno al collo dell’uomo, un organismo autonomo e completamente indipendente rispetto all’individuo cui era attaccato.
“ Oddio…quel vestito è vivo” comprese Peter, mentre la creatura tutta testa e zanne si strusciava con affetto contro la guancia dell’assassino, producendo un cinguettio misto ad un sibilo agghiacciante.
Cletus sorrise e cominciò ad accarezzare il simbionte.
 << Carino, non è vero? Mi sono un po’ sentito come il bambino che sbircia i regali di natale >> continuò beffardo. << Devo ammettere che è stata una ben triste scoperta. Dietro tutti quei misteri e quei poteri non sei che un ragazzino con la tuta aderente che piange perché rivuole il suo caro vecchio zio. Sarebbe divertente se non fosse così patetico! >>
Si fermò di colpo, il volto adornato da un cipiglio contemplativo. << Oh, ma che importa? Io riderò lo stesso! AH AH AH AH AH AH! >>
<< Sta zitto! >>
Spiderman si abbassò di colpo e gli tirò una ginocchiata alla pancia. L’avversario cadde all’indietro, sputando un denso grumo di saliva.
Peter non gli diede tempo di recuperare.
Lanciò una ragnatela, arpionò le gambe dell’essere e lo sollevò, quindi lo scaricò contro una trave. Nel momento in cui cadde a terra gli saltò addosso e gli sferrò un pugno dopo l’altro sul volto e nello stomaco.
Doveva mantenere una posizione di vantaggio.
Carnage gli ficcò il ginocchio nello sterno e lo costrinse a ritirarsi, poi ruotò, gli avvolse le gambe attorno al collo e iniziò a stringere.
<< Sai, mi è appena venuta un’idea>> disse la creatura. << E se facessi una visitina a tua zia, dopo che avremo finito qui? >>
Peter sentì che la sua rabbia stava aumentando, cresceva priva di controllo senza alcun preavviso.
Con un movimento rapido, ficcò due dita nelle lenti che il mostro aveva per occhi.
Urlando di dolore, Carnage si prese la faccia tra le mani e cadde all’indietro, perdendo la presa. Spiderman gli fu addosso di nuovo e lo colpi alla gola con il gomito, sbalzandolo nuovamente contro la trave.
Questa cedette a causa del colpo, facendo crollare un’inferriata superiore. Non appena la struttura toccò terra, provocò un frastuono assordante che risuonò per tutta la lunghezza del complesso.
E fu in quel preciso istante che accadde qualcosa di decisamente inaspettato.
Carnage rilasciò un urlo e si portò ambe le mani alla testa, mentre lunghi filamenti cominciarono a protrarsi dal suo corpo, agitandosi come se impazziti.
Spiderman non perse tempo a rimuginare su quell’inaspettata opportunità.
Balzò in avanti e inchiodò il serial killer contro una parete, per poi colpirlo ripetutamente.
<< Ho intenzione di ucciderti >> sibilò sul volto di Carnage, mentre questi tossiva un rivolo di sangue.
<< Eh eh…Spiderman, se avessi davvero il fegato per fare una cosa del genere ci avresti già provato. Io invece ho coraggio da vendere! >> esclamò.
Al contempo, una massa filamentosa esplose dal petto del mostro, investendo il corpo del vigilante con la stessa intensità di un treno in corsa e facendolo ruzzolare a terra.
Il serial killer scrocchiò il collo un paio di volte.
<< Oh, Spiderman, se solo tu sapessi cosa sta realmente succedendo in questa città, alle tue spalle. Pensi davvero che abbia ottenuto questi poteri per un semplice caso? Io e te siamo legati più di quanto pensi >> disse beffardo, mentre l’Avenger si alzava lentamente da terra e lo fissava incredulo.
Cletus si limitò a sorridere, lanciando una rapida occhiata verso le vasche ormai ricolme di tossina letale.
<< Tra un paio di minuti ho intenzione di trovarmi il più possibile lontano da questo posto. Oh, mi sono dimenticato di dirti il perché. Sai, ho programmato di far saltare in aria l’impianto! Quindi, o cerchi di seguirmi, oppure cerchi di arginare la detonazione che, tra l’altro, diffonderà la mia tossina su tutta New York. Hai due minuti e sedici secondo. Ma ti prego, dammi la caccia! Non vedo l’ora di osservare questa città sprofondare nella disperazione >>
E, dopo aver pronunciato tali parole, compì un balzo verso l’alto e si lanciò contro la finestra più vicina, scomparendo nell’oscurità della notte.
Spiderman fu tentato di corrergli dietro, ma abbandonò quasi subito quell’idea. Doveva prima assicurarsi la salvezza di New York.
Non c’era tempo per cercare gli esplosivi : potevano essere nascosti in qualsiasi punto della stanza. Il coperchio sopra la vasca si aprì, scoprendo la tossina da cui salivano le esalazioni letali.
Ancora due minuti.
“ Andiamo, Parker, usa il cervello. Questa è chimica elementare”.
Si girò per osservare la stanza. Le pareti erano ricoperte di scaffali e su ognuno erano ordinati diversi contenitori chiusi. Le etichette che li contrassegnavano elencavano i simboli chimici e le loro denominazioni comuni.
I contenitori sulla prima parete erano classificati come composti di alcol per creare combustibili, solventi e altro.
Gli scaffali rimanenti erano disseminati di barattoli con le etichette con la scritta METANOLO, mentre altri contenevano sostanze chimiche usate negli addittivi e negli aromi alimentari, o fluorina che si usava nei prodotti di igiene dentale, per le unità di raffreddamento e gli spray per l’aereosol.
C’erano anche sostanze usate per produrre droghe, disinfettanti, profumi, erbicidi, combustibili e chi più ne ha più ne metta.
Infine c’era un’ultima parete con dei barattoli le cui etichette indicavano soltanto i composti chimici, ma non i nomi comuni.
La mente di Peter cominciò ad elaborare il tutto.
Quando venivano ordinate le sostanze, ai dipendenti regolari che caricavano e scaricavano i camion non venivano fornite liste complicate con sfilze di simboli chimici, che avrebbero potuto difficilmente interpretare. Gli elenchi contenevano solo le denominazioni commerciali. Il fatto che ci fosse un’intera scaffalatura piena di contenitori senza nome significava che erano destinati alla distribuzione.
<< Karen, a cosa servono? >>
La voce dell’intelligenza artificiale ci mise poco a rispondere.
<< Sono agenti neutralizzanti usati per diluire gli acidi e le sostanze volatili. Serve l’elenco completo dei loro usi? >>
<< No >> disse Peter.
L’esplosione sarebbe avvenuta esattamente tra un minuto e trenta secondi.
Spiderman si fiondò verso i contenitori, ne prese due alla volta e li porto alla vasca. Ci versò il contenuto, nella disperata speranza che diluissero la tossina prima che esplodesse e si diffondesse in tutta la città.
Un minuto e venti secondi e mancavano quattro barattoli.
Ne versò altri due nella vasca, poi andò a prendere gli altri tre. Erano grossi e ingombranti, ma non aveva alternative.
Svuotò il contenuto dell’ultimo nella vasca, dopodiché spinse il pulsante che aveva visto attivare da Carnage. Il coperchio si chiuse e la vasca cominciò a scuotersi.
Aveva trentasette secondi per allontanarsi dall’impianto prima che esplodesse. Non ce l’avrebbe mai fatta.
<< Andiamo, Parker, pensa >> borbottò a se stesse, mentre si guardò attorno ancora una volta.
In quel preciso istante, qualcosa picchiettò sul casco della tuta, producendo un sonoro plop!
Il vigilante si portò una mano alla testa e alzò lo sguardo in direzione del soffitto.
C’era un liquido trasparente che colava da una grossa tubatura conficcata tra le grate del tetto. Probabilmente si trattava di acqua…
“ Aspetta un secondo!” pensò Peter, mentre la mappa dell’impianto gli appariva davanti agli occhi ancora una volta.
Quelle tubatura era probabilmente incorporata nell’impianto di raffreddamento dell’edificio, il cui compito era quello di frenare qualsiasi diffusione chimica potenzialmente letale attraverso condensazione aerea.
Carnage questo lo sapeva, ecco perché aveva deciso di far esplodere l’intero complesso, così da poter aggirare quel meccanismo di difesa.
Tuttavia…l’acqua che scorreva in quel tubo era prelevata direttamente dal fiume Hudson, che confinava con lo stabilimento chimico. Un flusso continuo e costante che passava direttamente sopra le vasche.
Un’idea cominciò a farsi strada nella mente dell’Avenger.
<< Ok, ce la posso fare >> borbottò a se stesso.
Prese un respiro profondo e sparò una coppia di ragnatele contro il tubo. Poi…cominciò a tirare.
Affondò i piedi nel terreno e tirò con tutta la forza che aveva in corpo, facendo appello ai sistemi interni della tuta per darsi una spinta maggiore.
<< Ce la posso fare, ce la posso fare, ce la posso fare… >> continuò a borbottare, mentre schizzi d’acqua iniziarono a fuoriuscire dai punti di collegamento delle tubature.
Ormai mancavano dieci secondi all’esplosione. Nove secondi. Otto secondi. Sette secondi. Sei secondi…
CRASH!
Il tubo cedette, staccandosi dalle assi di sostegno del soffitto.
<< Sì ! >> esclamò Peter, mentre cadeva a terra a causa dello slancio. Nello stesso istante, tonnellate d’acqua si riversarono nelle vasche e nella stanza.
Un secondo…zero.
<< O merda >> imprecò il giovane, rendendosi conto che il tempo era scaduto.
La vasca esplose e la tossina schizzò in tutte le direzioni, mescolandosi con l’acqua.
Un minuto prima che lo colpisse, il vigilante sperò di averla diluita  quel tanto da diminuire gli effetti letali.
Venne travolto da un’ondata d’acqua che lo sbalzò dall’altra parte della stanza, facendolo andare a sbattere contro la parete.
L’armatura cozzò, e il ragazzo si ritrovò a volteggiare in un turbinio di detriti e fango.
Sbattè violentemente da una parte all’altra della stanza, mentre i sistemi interni della tuta cominciarono a lampeggiare di rosso. Il mondo era diventato una cacofonia di allarmi e colori.
Dopo quello che sembrò un tempo interminabile, riuscì ad afferrare una trave e vi rimase avvinghiato. E attese, fino a quando il flusso d’acqua non cominciò a stabilizzarsi.
Quando questo avvenne, cominciò ad arrampicarsi lungo la colonna in ferro e raggiunse la superficie.
A fatica, si accasciò sulla rampa superiore della stanza e disattivò la maschera, prendendo rapide boccate d’aria ricca di ossigeno.
Tentò di alzarsi, ma si ritrovò incapace di compiere anche il più piccolo movimento. Era senza forze. Non riusciva nemmeno ad aprire gli occhi.
Passarono un paio di minuti in cui rimase disteso sulla schiena. E poi…
 << Porca puttana >> borbottò una voce familiare sopra di lui.
L’adolescente non ebbe nemmeno il tempo di alzare lo sguardo. Carnage lo afferrò per il collo e conficcò i lunghi artigli nelle giunture della tuta, issandolo a circa un metro da terra.
Vagamente, il vigilante si rese conto che non stava sorridendo.
<< Lo sai cos’hai fatto? >> ringhiò il serial killer, con un tono di voce che rasentava l’incredulità più pura. << Il sistema di raffreddamento dell’edificio è collegato con gli scarichi della fabbrica. Con questa bravata hai appena contaminato l'acqua dell’intera città... Sarà paralizzata per settimane! >>
<< Meglio paralizzata che morta >> tossì Peter, sorprendendo Cletus.
Questi spalancò e chiuse la bocca un paio di volte, apparentemente incapace di controbattere.
<< Dio, te… sei veramente un fenomeno. Sai per quanto tempo ho pianificato questa notte? Voglio dire, un sacco di gente è morta perché io potessi essere qui...>>
<< Lo so >> rispose il vigilante, sorridendo sotto la maschera.
La presa di Carnage si fece più stretta.
<< E tu hai rovinato tutto lo stesso! >>
<< Non avresti dovuto spiegarmelo così nel dettaglio, Carnage... È stato fin troppo facile entrare nella tua testa >> disse Peter, con un sottofondo di ironia.
Il Serial Killer sibilò per la rabbia.
<< Tsk! Okay…allora mi accontenterò di uccidere solo te! >> esclamò, spalancando le fauci e preparandosi a staccare la testa del giovane supereroe.
Non ne ebbe la possibilità.
Si udì un sibilo, seguito da un’esplosione che mandò in pezzi la parete più vicina alla coppia di avversari.
Poi, il corpo di Carnage fu scaraventato ad almeno una decina di metri dal punto in cui si trovava fino a pochi attimi prima.
Peter cadde a terra, tossendo sonoramente. Al contempo, una luce abbagliante illuminò l’oscurità della stanza.
Il ragazzo alzò lo sguardo, mentre Carol Danvers si frapponeva fra lui e Kasady, il volto adornato da una smorfia visibilmente adirata.
 << No…non lo farai >>.
 
 
Com’era? Spero bello!
Nel prossimo capitolo avremo finalmente Carnage vs Carol, e vi dico già che sarà un capitolo fondamentale per la suddetta supereoina.
Sarà meno fisico rispetto allo scontro avvenuto in questo aggiornamento e molto più psicologico.
Inoltre, vi anticipo che il piano di Carnage non è certo concluso…

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Capitolo 14
*** Final Fight ***


Bene, signore e signori, siamo arrivati al capitolo finale di questa storia, che verrà seguito da un breve epilogo la prossima settimana.
Un avvertimento per tutti quelli che sono deboli di cuore : questo aggiornamento conterrà violenza domestica. E no, niente di quello che vedrete è un’esagerazione o un tentativo di farvi ulteriormente simpatizzare con il personaggio coinvolto.
Nei fumetti ha davvero affrontato tutto questo, e la cosa è stata brevemente accennata nel suo film ( anche se spero che verrà ulteriormente approfondita nei sequel ).
Detto questo, vi auguro una buona lettura, e come sempre spero che qualcuno di voi troverà il tempo di lasciare una recensione!
 

 
Final Fight
 
<< Ugh, questo lo sentirò domattina >> borbottò Carnage, mentre si rialzava faticosamente da terra. Il colpo subito gli aveva fratturato gran parte delle articolazioni, ma queste avevano già cominciato a rigenerarsi.
A circa una decina di metri da lui, Carol si inginocchiò di fronte alla figura martoriata di Spiderman.
<< Carol… >> sussurrò questi, non appena i suoi occhi marroni si posarono su quelli della supereroina.
La donna trattenne un sussulto, quasi incapace di sostenere una simile visione.
Il volto di Peter era completamente ricoperto di lividi e tagli, una maschera rossa e viola bagnata dal sangue e dall’acqua del fiume Hudson.
<< Non muoverti, sei ridotto molto male >> disse dolcemente, accarezzandogli una guancia con fare rassicurante.
L’Avenger chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal gesto, poi scoppio in un eccesso di tosse. Il cuore di Carol venne avvolto da una stretta agghiacciante.
<< Come…come mi hai trovato? >> domandò il vigilante.
La donna sorrise tristemente.
<< Dimentichi che Karen è collegata alla rete della base. Non è stato difficile localizzare il segnale in quest’area. Da lì in poi, mi è bastato seguire il suono delle esplosioni >> offrì con tono ironico.
Un sibilò richiamò l’attenzione di entrambi.
Si voltarono all’unisono verso Carnage, il quale ora pareva essersi del tutto ripreso dall’assalto improvviso.
Stringendo ambe le palpebre degli occhi, Carol si alzò in piedi e puntò le mani verso il serial killer.
<< Cletus Kasady, sei in arresto per l’omicidio di Vernon Claridge e James Erbert. Hai il diritto di rimanere in silenzio, tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te in tribunale >> dichiarò freddamente.
In tutta risposta, Kasady si limitò a fissarla.
<< Sei davvero qui >> sussurrò dopo qualche attimo di silenzio. Al contempo, il suo sorriso irto di denti acuminati sembrò allargarsi.
Carol inarcò un sopracciglio. << Mi stavi aspettando? >>
Il mostro tossì un paio di folte, sputando qualche grumo di saliva misto a sangue.
 << Eh eh >> ridacchiò gracchiante. << Cazzo, per un attimo ho pensato che non saresti venuta. Sarebbe stato piuttosto imbarazzante >>
Sia Carol che Peter gli lanciarono un’occhiata visibilmente confusa.
“ Di che diavolo sta parlando?” pensò l’arrampica-muri.
Quasi come se avesse letto la sua mente, Carnage abbaiò una sonora risata.
<< Oh, suvvia, Spiderman. Non avrai davvero pensato che rischiassi di perdere la battaglia per l'anima di New York… in una scazzottata con te? No... Bisogna avere un asso nella manica. E il mio sei tu >> disse indicando Carol.  << Sapevo che se avessi ridotto questo marmocchio in fin di vita ti saresti presentata. I suoi sentimenti per te sono forti >>
La donna si frappose fra lui e Peter, mentre il suo corpo cominciò a illuminarsi di un intenso bagliore dorato.
<< Gli hai fatto del male >> ringhiò attraverso di denti.
Cletus scrollò le spalle. << Le tue capacità deduttive sono encomiabili >>
<< Sarà l’ultimo errore della tua vita >> sibilò la donna, attivando la maschera da combattimento della tuta.
Carnage non sembrò per nulla preoccupato dalla minaccia della donna e porse il braccio destro in avanti, facendole segno di attaccarlo.
<< Fatti sotto, bocconci…>>
Prima che potesse finire la frase, Carol aveva già percorso la distanza che li separava.
Le lenti del mostro si allargarono per la sorpresa, mentre la donna lo afferrava a per il collo e lo sbatteva violentemente contro il pavimento della stanza, sollevando pezzi di cemento e schizzi d’acqua.
La creatura spalancò la bocca e sputò un rivolo di sangue, come se il colpo gli avesse tolto tutta l’aria che aveva in corpo.
Le mascelle di Carnage scattarono in avanti e si conficcarono nella spalla della supereroina. A parte un lieve dolore iniziale, Carol si ritrovò del tutto inalterata dal contrattacco del mostro.
Saltò in aria e lo lancio dritto contro una colonna. Poi, gli tirò un pugno al volto, facendogli volare qualche dente.
Infine, lo afferrò di nuovo per il collo e lo inchiodò contro la trave in ferro.
Kasady tossì sangue e saliva, con la lingua che gli penzolava fra i denti come un cane ferito. Dopo aver preso un paio di respiri, tuttavia, cominciò a ridere. Una risata agghiacciante, acuta e gratturale, che riecheggiò per tutta la lunghezza della fabbrica.
Carol strinse gli occhi in un paio di fessure illuminate.
<< Fammi indovinare. Anche questo fa parte del tuo grande piano? >> domandò beffarda.
Carnage smise di ridere e la fissò con quel suo intramontabile sorriso.
<< Ma è ovvio! >> esclamò gioviale.  La donna non ebbe la possibilità di interpretare le parole dell’uomo.
La tuta che ricopriva Kasady si aprì di colpo, come un ventaglio, rivelando il corpo umano di Cletus poco sotto lo strato di filamenti e protuberanze.
Carol ebbe appena il tempo di spalancare gli occhi, mentre l’enorme massa informe la ricopriva al pari di una coperta, avvolgendo la sua figura dorata sotto lo sguardo incredulo di Peter.
<< Carol! >> esclamò il vigilante, facendo appello alle forze che gli erano rimaste per alzarsi in piedi. Al contempo, la donna iniziò ad urlare.
Il simbionte cominciò a fondersi con lei, aderendo al corpo dell’Avenger e ricoprendola dalla testa ai piedi, mentre Cletus osservava il tutto a pochi passi di distanza.
Dopo circa un minuto di grida...tutto si fermò. Il silenzio tornò a regnare nella fabbrica di sostanze chimiche.
Carol Danvers era ferma e immobile al centro della stanza, quasi completamente irriconoscibile. Al suo posto, ora vi era un Carnage ghignante e dalle fattezze femminili.
Peter si ritrovò incapace di compiere anche il più piccolo suono, troppo scioccato da una simile svolta degli eventi.
<< Non male >> commentò Cletus, prendendo una rapida occhiata all’aspetto della donna. << Ora ho l’essere umano più potente del pianeta sotto il mio controllo. Immagina quanti danni posso fare ora, non solo a New York >>
Scoppiò in una sonora risata. << Penso che la mia prossima tappa sarà Washington. Potrei perfino diventare Presidente! >>
Detto questo, girò lo sguardo in direzione di Peter.
<< Ma prima…Spiderman, mi aiuteresti a collaudarla? >> domandò con un ghigno diabolico. Al contempo, Carol…no…Carnage, si voltò verso di lui e sorrise a sua volta.
L’adolescente deglutì a fatica e, dopo aver preso un respiro profondo, cominciò a correre.
Cletus lo indicò.
<< Eh eh eh…uccidilo >> ordinò freddamente.
Affianco a lui, Carnage rilasciò un ruggito che fece tremare le finestre del complesso e partì all’inseguimento dell’Avenger.
 
                                                                                                                                                           * * * 
 
Venne svegliata da una risata. Non quella del pubblico di un locale di spettacoli comici, né quella che si fa quando un amico ti racconta una barzelletta, ma una risata maligna, senza un filo di ironia. Quella cupa e gratturale di un animale sul punto di divorare la propria preda.
Carol si alzò in piedi a fatica e si guardò subito attorno. Era immersa nell’oscurità. Un’oscurità senza fine, vuoto e privo di forma.
“ Dove diavolo sono? Che cosa è successo?” pensò con una punta di panico.
I ricordi di ciò che era avvenuto pochi minuti prima le arrivarono tutti assieme, facendola sussultare.
Aveva Carnage alla propria merce, inchiodato ad una colonna…e poi…e poi…
Drizzò la testa di scatto, attirata da uno strano crepitio. Fu allora che si rese conto che, sospesi ad un paio di metri da terra, c’erano dei televisori che galleggiavano come batuffoli di polvere.
La donna strabuzzò gli occhi.
“ Ma che diavolo…”
<< Carol >> sussurrò una voce familiare e improvvisa, distogliendola da quei pensieri.
Spalancando gli occhi per la sorpresa, la donna cominciò a guardarsi attorno.
<< Peter!>> esclamò, aguzzando la vista e scrutando nell’oscurità apparentemente infinito che la circondava. << Peter, dove sei? >>
Nessuna risposta. Il silenzio fu l’unica cosa ad accoglierla.
La donna emise un ringhiò frustrato e cominciò a camminare senza una direzione precisa. Poi, dopo quello che sembrava un tempo interminabile, una figura ben distinta sembrò prendere forma ad alcuni metri da lei.
<< Peter! >> esclamò Carol, sorridendo radiosa. Senza perdere tempo, corse verso la figura del vigilante.
 << Oh, grazie al cielo. Pensavo… >>
Provò ad abbracciarlo…ma le sue mani passarono attraverso il corpo dell’adolescente.
La bionda emise un sussulto e compì un passo all’indietro, mentre il ragazzo la fissava con un placido sorriso.
 << Peter… >> sussurrò la donna, allungando la mano destra nel tentativo di toccare il compagno Avenger. Tuttavia, il risultato ottenuto fu lo stesso di pochi secondi prima.
Le dita dell’eroina attraversarono il corpo dell’arrampica-muri, producendo piccoli sbuffi di fumo bianco.
Carol spalancò gli occhi e fissò incredula il vigilante.
<< Non sono davvero qui, Carol. E tu lo sai >> disse questi, con tono paziente.
La donna aprì e chiuse la bocca alcune volte, apparentemente incapace di parlare. Poi, rilasciò un sospiro visibilmente frustrato.
<< Siamo nella mia testa >> borbottò rassegnata.
In tutta risposta, Peter – o meglio, la sua rappresentazione mentale – si limitò ad offrirle un sorriso ironico. Si porse in avanti e la fissò intensamente.
 << Carol, devi uscire di qui >> disse con tono molto più serio.
La donna roteò gli occhi. << Più facile a dirsi che a farsi. Hai qualche idea? >>
<< Sono perso quanto te >> ammise il ragazzo, strofinandosi i capelli con fare imbarazzato.
Suo malgrado, Carol si ritrovò a sorridere. “ È adorabile anche nella mia testa” pensò divertita.
Un crepitio attirò l’attenzione di entrambi.
Lo schermo di un televisore si accese e un volto sfigurato da un ghigno riempì il monitor: Cletus Kasady.
L’inquadratura si allargò e rivelò che si trovava sul palco di una sorta di quiz televisivo.
<< Capitan Marvel! >> iniziò nel tono più cantilenante che  possedeva. << Sembra che anche per te sia arrivato il momento di giocare >>
Ci furono grida di approvazione e applausi.
<< Allora forza, bellezza, perché il meglio deve ancora venire. Ma anche noi abbiamo delle regole, e questo significa che il tuo amico Spiderman non può entrare con te. Spiacente, ragazzino. Sono le leggi dello Stato sul gioco d’azzardo : l’ingresso è riservato agli adulti >>
In quel preciso istante, una grossa porta verde si materializzò davanti alla coppia.
<< Carol, non farlo >> la supplicò Peter. << È una trappola >>
<< Lo so >> replicò la donna, con un sorriso ironico. << È sempre una trappola. Ma ci andrò lo stesso, perché è l’unico modo che ho per uscire da questo posto. Prima, però… >>
Si accostò alla proiezione mentale del ragazzo e gli diede un bacio sulla guancia. Gli rivolse un ghigno fugace e si avviò incontro a chissà quale follia la attendeva oltre quella porta.
Aprì i cardini ed entrò. Entrò nel buio. Tese una mano davanti a sé e riuscì a vedersi le dita. Poi la voce di Kasady echeggiò nell’oscurità.
<< Benvenuta nella stanza dei brutti ricordi! Ci sono quiz pensati per farti sorridere…i miei ti avviliranno tanto che ti verrà voglia di ucciderti! >>
All’improvviso un riflettore si accese e la immerse nella luce. Il resto della stanza era ancora nel buio, ma qualcosa si mosse furtivo nell’oscurità.
Carol cominciò a rivivere ogni istante della propria vita, come se passato e presente stessero accadendo in contemporanea.
I maltrattamenti del padre, il bullismo costante, i suoi anni passati nell’aviazione, costretta a competere con cadetti e istruttori che non la ritenevano all’altezza dell’esercito, le torture subite dai Kree…tutto.
Scosse la testa, scacciando via quelle allucinazioni.
<< Non erano reali, Kasady. Niente di tutto questo è reale. Ma ti prometto una cosa: non ti lascerò fare del male a nessun altro >>
<< Oh, Carol, povera ragazza, ti sbagli di grosso >> disse il serial killer.
Un altro riflettore rivelò il set di un quiz, e la figura di Cletus Kasady vi era al centro.
<< Andiamo, Carol >> ridacchiò il rosso. << Voglio cantarti una canzone che ho scritto appositamente per te, ma non nei panni di me stesso. Nei panni di colui che diventerai presto! >>
L’uomo scomparve. Ora al suo posto c’era Carnage, in piedi davanti ad un microfono.
<< Signore e signori, ragazzi e ragazze! >> esclamò con voce graffiante. << C’è una bella canzoncina che ho riservato a voi. Allora mettetevi comodi e rilassatevi, mentre vi canto una filastrocca che ho chiamato… “Il blues del manicomio”! >>
Fece un cenno fuori campo ad un’orchestra invisibile e la musica cominciò a suonare.
Attese un attacco…e allora iniziò a cantare.
<< Luci…motore…azione! Portami a casa, al manicomio. Non sei mai solo al manicomio. Totale anarchia, un paradiso, ma in tutto quel tempo non hai mai sorriso! Il pazzo sei tu, sono nella tua testa…e adesso rido io! >>
Scivolò sul palco fino a un attaccapanni che un momento prima non c’era, lo prese fra le braccia e  si mise a ballare come se fosse Fred Astaire.
Carol cercò di allungare una mano verso di lui, ma si ritrovò incapace di muoversi.
<<  Nella vecchia New York, in passato, la mia bella ho ammazzato. Mi hanno lasciato moribondo….ma poi ti ho guardata, e in un secondo…l’ho capito : io e te sempre insieme! E adesso rido io! >>
Carnage lasciò andare l’attaccapanni e lo piroettò fin dietro le quinte, dove precipitò nell’oscurità della stanza. Il serial killer ignorò il fracasso conseguente come se non fosse successo nulla, e continuò a cantare.
<< Sono un chiodo nella testa, come rido! Il terrore ti tempesta, e quanto rido! A mamma e papà ho fatto la festa, e quanto rido! E cos’altro potrei fare? Di me non ti potrai più liberare! >>
Nella mano gli comparve una pistola.
La creatura rise istericamente e sparò un paio di volte, mirando a qualcosa fuori campo.
Un istante dopo, due macchinisti barcollarono nell’inquadratura, fori di proiettili in testa, e finirono faccia a terra sul palcoscenico.
Carol osservò tutto, ma non potè fare altro che starsene lì a guardare. Non riusciva ancora reagire, si sentiva avvolta da centinaia di tentacoli che le impedivano anche il più piccolo movimento.
Ci furono altre grida entusiaste e applausi. Poi, Carnage tornò a essere Cletus Kasady.
<< Eccellente >> si complimentò. << Eccellente. E ora…sono Carnage, il re del tormento! Noi due insieme, che divertimento! Ora sei parte di me, come io son per te! Non potrai più sbarazzarti di me! Quando infine ti controllerò…credimi, mia cara, riderò, RIDERÒ! >>
Un'altra figura prese posto accanto a lui. Una donna quasi completamente uguale a Carol, ma vestita con un abito rosso e scarlatto, coperto di sangue.
Tese la mano in avanti con grazia, e Kasady la prese, conducendo mentre iniziarono a ballare.
Le piroette erano impeccabili, e andarono avanti per quasi un minuto, fino a quando il corpo della copia non sembrò sciogliersi in un turbinio di filamenti.
Kasady si voltò cupo verso la sua unica spettatrice.
<< Ti sto mandando in pappa il cervello, come rido! Oramai sono il tuo gemello, quanto rido! I tuoi amici sono pronti al macello, e quanto rido! E cos’altro potrei fare? Di me non ti puoi più liberare! >>
I riflettori si spensero, lasciando nuovamente la stanza al buio.
Poi, un  unico fascio di luce illuminò una piccola parte del palco : Carnage riemerse dall’oscurità, pronto a cantare la strofa finale.
<< Il tuo terrore già lo sento, ora che è quasi arrivato il momento! Sono nel tuo corpo, sono vivo, lasciati guidare fino all’arrivo! >>
La musica finì e il mostro si inginocchiò.
Le grida e gli applausi sembrarono andare avanti all’infinito.
<< Grazie >> disse, nella sua migliore imitazione di Elvis, mentre sul palco vennero gettati fiori in segno di apprezzamento. << Grazie mille! >>
E, in quel momento, Carol si ritrovò legata ad un lettino ospedaliero. Tentò di muoversi, ma i lacci che la tenevano ferma erano troppo resistenti.
Nonostante tutta la sua potenza...in quel mondo era completamente indifesa, alla merce di un pazzo.
Carnage si incamminò fino a lei e le posò un dito artigliato sulla fronte.
<< E ora…facciamo calare il sipario! >>
 
                                                                                                                                                                * * *  

Vi fu un lampo, seguito da un’esplosione che illuminò la stanza come una lanterna.
Peter balzò in aria e utilizzò una ragnatela per catapultarsi fino al soffitto della fabbrica. Dietro di lui, una palla di fuoco incenerì qualunque cosa si trovasse nel raggio di una decina di metri.
Rimase nascosto tra le assi in ferro della copertura, mentre la figura di Carnage si faceva strada oltre la nuvola di fumo e detriti.
La creatura rimase ferma e immobile, analizzando l’area circostante.
Annusò l’aria un paio di volte, producendo un ronzio basso e contemplativo. Poi, le sue lenti bianche si posarono su Spiderman.
<< Merda >> borbottò questi. Al contempo, Carnage sorrise e lanciò alcuni arpioni contro di lui.
L’adolescente si lasciò cadere a terra, per evitare di essere impalato.
<< Carol, per favore, so che puoi sentirmi. Devi combatterlo! >> urlò, mentre schiava un altro colpo ad opera della donna.
Compiendo una capriola a mezz’aria, atterrò sulla parete più vicina e vi rimase attaccato.
 << È per quella volta che ti ho detto che sembravi ingrassata? >> disse con tono ironico. << È stato uno scherzo in buona fede, lo giuro! >>
In tutta risposta, la bestia si limitò a ruggire e si lanciò contro di lui.
Peter sussultò e saltò su una trave, mentre il muro su cui si trovava fino a pochi secondi prima esplose in una miriade di schegge e pezzi di calcestruzzo.
<< Ok, pessima scelta di parole >> borbottò a bassa voce.
Al contempo, un raggio di energia cosmica partì dalle mani di Carnage, puntando dritto nella su direzione.
Peter saltò verso l’alto, attaccandosi al soffitto della stanza, e cominciò a correre a quattro zampe per evitare i proiettili di luce.
Quando arrivò alla fine della copertura, cadde a terra e si acquattò sul pavimento. L’avversario lo raggiunse poco dopo, atterrando di fronte a lui e sibilando minacciosamente.
<< Vediamo di ragionare, Carol >> offrì il vigilante. La creatura gli ruggì contro, riversando copiose quantità di bava sulla sua maschera.
<< E va bene, non vuoi ragionare? Beccati questo! >> esclamò, sparando una ragnatela sulle lenti del mostro. Questi ringhiò per il fastidio e si portò ambe le mani alla faccia, nel tentativo di liberarsi dalla sostanza appiccicosa.
Una volta fatto, la mano destra della bionda si tramutò in un’ascia, accompagnata dal bagliore dorato dell’energia cosmica.
Si lanciò contro l’Avenger.
<< Oddio, no! >> disse Peter, mentre faceva del suo meglio per evitare l’arma.
Carnage continuò ad agitare il braccio, cercando di porre fine alla vita dell’avversario. Tuttavia, quando notò che i suoi tentativi si stavano rivelando infruttuosi, scagliò un pugno contro il pavimento.
La conseguente onda d’urto face perdere l’equilibrio al ragazzo.
Prima che questi potesse riprendersi, Carnage lo afferrò per la gamba destra e cominciò a sbatterlo da una parte all’altra della stanza.
 
                                                                                                                                                      * * *  

Carol Danvers, in un corpo da bambina , si svegliò di colpo nella sua vecchia camera da letto, udendo uno strillo piagnucoloso proveniente dalla stanza dei genitori.
Si immobilizzò e piegò la testa di lato per ascoltare.
<< …Ce l’avevo. Te lo giuro, ce l’avevo! >>
<< Te lo sei tolto in spiaggia? Prima di nuotare? >> chiese l’inconfondibile voce di Joe Danvers, il padre della bambina.  
<< Ti ho già detto che non ho fatto il bagno >> rispose Marie Danvers, moglie del suddetto.
Un tonfo riecheggiò per tutta la casa. Internamente, Carol sperò che non avrebbe svegliato i suoi fratelli.
<< Ma se te lo sei tolto per metterti la crema solare! >> esclamò Joe, il tono di voce ornato da una lieve punta di esasperazione.
Continuarono su questo tono per un po’ e la bambina decise che poteva ignorarli.
All’età di nove anni, Carol aveva smesso di preoccuparsi delle sfuriate di suo padre già da un po’. Le sue urla di rabbia facevano parte della colonna sonora quotidiana e soltanto di rado valeva la pena farci caso. Soprattutto se si voleva evitare la cinghia. Carol la odiava.
All’improvviso, udì un altro lamento angosciato.
<< Lo sapevo che finiva così. Come al solito. Sei una buona a nulla! >>
<< Ti ho chiesto di guardare in bagno. Lo hai fatto? >>
<< Sì, e non ho trovato niente. E lo sai perché? Perché l’hai perso ieri in spiaggia! Tu e quell’altra troia di Jane Bennet avete preso il sole tutto il pomeriggio, avete bevuto un margarita dietro l’altro e tu ti sei rilassata così tanto che quasi ti scordavi di avere dei figli. Hai dormito, e, quando ti sei svegliata, ti sei resa conto che saresti arrivata al lavoro con un’ora di ritardo… >>
<< Non ero in ritardo >>
<< …così sei corsa via in preda al panico. Hai dimenticato la crema solare e pure l’anello. E adesso…>>
<< E non ero neanche ubriaca, se è questo che stai insinuando. Non guido da ubriaca con i nostri figli in macchina. Quella è la TUA specialità >>
<< …e adesso hai pure il coraggio di darmi la colpa! Puttana! >>
Si udì qualcosa andare in frantumi.
Quasi senza accorgersene, Carol scivolò nella penombra della camera, verso la stanza dei genitori.
La porta, aperta di una spanna, lasciava intravedere un comodino accasciato e un bicchiere rotto in un angolo. Suo padre doveva averli rovesciati in preda alla collera.
<< Dio mio, sei proprio una stronza >> borbottò l’uomo, comparendo nella visuale della bambina. << E pensare che con te ci ho pure fatto dei figli >>
Carol trasalì.
Sentì un bruciore agli occhi, ma non pianse. Si morse le labbra, una reazione automatica, e la fitta di dolore tenne a bada le lacrime.
Al contempo, uno strano senso di deja-vu le attraversò la mente…quasi come se avesse già vissuto quella scena una volta.
“ No, vattene via…” pensò disperatamente. Troppo tardi.
Gli occhi di suo padre si posarono sullo spiraglio della porta.
<< Tu! >> esclamò, attraversando la stanza con rapide falcate e spalancando i cardini della camera.
Carol tentò di ritrarsi ma l’uomo fu più veloce e la afferrò per un braccio.
 << Stavi origliando, non è vero? >> ringhiò attraverso i denti, mentre la bambina cominciò a sentire un dolore bruciante che gli attraversava l’arto.
<< N-no… >>
<< Bugiarda! >> la interruppe suo padre, trascinandola nella stanza con un forte scossone e chiudendo la porta dietro di sé. Il tutto sotto lo sguardo terrorizzato della madre.
<< Brutta disgraziata! Ti ho detto che non devi origliare! >> urlò Joe, afferrandola per le spalle e costringendola a fissarlo dritto in quegli occhi neri e appannati dall’alcol.
Carol deglutì a fatica.
<< Mi dispiace >> sussurrò a bassa voce. Al contempo, le pupille dell’uomo vennero attraversate da un lampo.
<< Ti dispiace…Ti dispiace?! >> esclamò incredulo. Poi, la colpì in volto con un poderoso schiaffo, facendola cadere sul pavimento.  << Se fossi davvero dispiaciuta, non avresti origliato! >>
PAM! Un altro schiaffo.
<< Perché mi costringi a farti questo?! >> sbraitò sulla figura inerme della figlia.
Lacrime di dolore e tristezza cominciarono a rigare le guance della bambina.
Si mise a gattoni e allungò una mano verso la madre.
<< Mamma…aiutami… >> disse debolmente.
All’improvviso, una risata oscura risuonò da un angolo della stanza.
Carol girò appena la testa. Cletus Kasady si trovava lì con loro, comodamente seduto su una sedia a dondolo, il volto adornato da quel suo inconfondibile sorriso psicotico.
 << Oh, mia cara, lei non può aiutarti >> disse con tono beffardo, indicando il punto i cui si trovava la donna.
Carol tornò a fissare la madre…e si blocco. Il volto di Marie Danvers era diventato scarno, rinsecchito e privo di orbite, un agglomerato di vermi che strusciavano tra le ossa del cranio come piccoli serpenti.
Il corpo stesso della donna era magro e secco, grigio e privo di muscoli. Un cadavere che sembrava morto da decenni.
Cletus si alzò dalla sedia e picchiettò la testa della donna, che si staccò da collo e rotolò fino a Carol.
<< Saluta la mammina! AH AH AH AH AH AH ! >> rise il serial killer, mentre la bambina lanciò un urlo colmo di paura e disperazione.
Indietreggiò d’istinto, andando a sbattere contro qualcosa. Alzando appena lo sguardo, si rese conto che era finita contro suo padre. Solo che Joe Danvers non sembrava più un essere umano, ma una creatura uscita direttamente dagli incubi più reconditi di un malato di mente.
Aveva gli occhi gialli, il volto adornato da un sorriso storto e pieno di denti affilati.
<< Ehi, Carol? Sei ancora la mia bambina? >> disse con una voce bassa e gratturale.
Porse la mano destra in avanti e afferrò la spalla di Carol. La bimba voleva solo fuggire da quel luogo orribile, ma si ritrovò incapace di compiere anche il più piccolo movimento. Era completamente impietrita.
Il ghigno sul volto del genitore sembrò allargarsi. << Lo sei?! >>
<< Lasciala in pace! >>
Una sfocatura rossa e blu si lanciò contro la figura dell’uomo, facendolo sbattere contro la parete opposta della stanza.
Carol sussultò per la sorpresa e prese una rapida occhiata al suo salvatore.
<< Peter…>> sussurrò tra i singhiozzi, riconoscendo la figura del vigilante.
Eccolo lì, in mezzo alla stanza, che si frapponeva tra lei e suoi padre come un muro invalicabile. Aveva le mani strette in pugni serrati e leggermente sollevati, con le gambe divaricate per assumere una posizione di combattimento.
In qualche modo era riuscito a raggiungerla…e ora era lì per proteggerla.
Di fronte alla coppia, Joe Danvers si alzò a fatica e fissò odiosamente l’arrampica-muri.
<< Quante volte ti ho detto di non portare ragazzi a casa?! >> ringhiò con una voce molto più simile a quella di Cletus Kasady, il quale sembrava essersi volatilizzato nel nulla.
Poi, l’uomo spalancò le fauci irte di denti acuminati, mentre le sue mani si trasformarono in un paio di falci.
Si lanciò contro Spiderman, agitando le braccia come l’elica di un elicottero. Il vigilante si scansò di lato e colpì il mostro con un pugno alla mascella, poi con una poderosa ginocchiata allo stomaco.
<< Carol, questo non è reale! Devi svegliarti! >> urlò, mentre l’uomo si riprendeva dall’assalto e gli tirava un calcio al petto, mandandolo a sbattere contro il letto della stanza.
Carol si portò ambe le mani alla testa e cominciò a dondolarsi avanti e indietro, nel tentativo di sopprimere i rumori provocati dalla lotta. 
Al contempo, la voce di Peter continuò a risuonarle nelle orecchie.
<< Svegliati! >>
 
                                                                                                                                                       * * * 

Il corpo di Peter attraverso il muro di mattoni con la stessa forza di un auto in corsa, riversando cocci per tutta la stanza.
Ruzzolò a terra e continuò la sua avanzata per cinque metri, prima di finire contro una trave.
<< Penso di essermi rotto qualcosa >> borbottò con voce tesa, mentre una sensazione indescrivibile di dolore e stanchezza cominciò ad attanagliargli le ossa e i muscoli.
Il suo fattore rigenerante aveva già iniziato a fare il suo lavoro, ma dubitava seriamente che sarebbe sopravvissuto ad un altro pestaggio del genere.
Doveva trovare un modo per contrattaccare…ma come? Già Carnage di per sé era stato in grado di sopraffarlo. Come poteva lui, un semplice vigilante di quartiere, tenere il passo contro uno degli esseri più potenti dell’universo? La risposta era semplice : non poteva.
L’unica soluzione sensata per sopravvivere a questa prova…era liberare Carol dal controllo di quel mostro.
Guardandosi intorno, l’adolescente notò che era finito in una zona del complesso ancora in costruzione, a giudicare da dai numerosi materiali edili sparsi per la stanza.
Travi di ferro, corde di nilon, mattoni in calcestruzzo, tubi d’acciaio…niente di tutto questo sarebbe stato utile contro una persona come Carol, capace di prendere un missile in pieno volto senza subire il minimo danno.
Mentre il ragazzo rimuginava su questo, la figura di Carnage attraverso il foro che aveva aperto nel muro della stanza pochi secondi prima, sorridendogli malignamente. Cletus lo seguì poco dopo, osservando l’intera scena con aria soddisfatta.
Peter si alzò a fatica, sputando un rivolo di sangue e cercando di rimanere in piedi.
“ Rifletti, Parker. Non è invincibili, deve avere un qualche punto debole” pensò con un cipiglio.
Andò a ritroso nella memoria, valutando attentamente tutto ciò che era avvenuto durante i suoi scontri precedenti con quel mostro.
<< Aspetta un secondo… >> borbottò a se stesso.
In effetti…c’era stato un momento, durante la loro ultima battaglia, in cui la creatura gli era sembrata più in difficoltà rispetto al solito.
Prima che la vasca esplodesse, in quello stesso laboratorio, quando l’inferriata era caduta a terra, producendo quel frastuono assordante. In quel preciso istante, aveva visto Carnage manifestare dolore come mai prima di allora. Ma perchè?
Era stato preso di sorpresa? Ne dubitava fortemente. Oppure…
“ Ma certo…il rumore!” fu il pensiero che attraversò la mente del ragazzo. “ È stato tutto quel rumore a fargli male!”
Era l’unica spiegazione logica. O, almeno, l’unica che gli sembrava sensata.
Dopotutto, molti animali – come i pipistrelli e i cetacei – erano sensibili alle vibrazioni ad alta sequenza. Che quel vestito avesse una debolezza simile? Valeva la pena prendere in considerazione una simile eventualità, soprattutto perché era a corto di alternative. 
Al contempo, Kasady lo indicò con quel suo ghigno perenne.
<< E adesso, Spiderman…tu morirai. È stata una partita davvero divertente, ma temo che sia arrivato il momento del Game Over >> disse drammaticamente.
Poco dopo, Carnage balzò verso di lui con le fauci spalancate, pronto a ghermirlo.
Peter non si lasciò intimidire.
<< Ultima possibilità >> borbottò.
Sparò una ragnatela e afferrò due sbarre metalliche. Poi, le sbattè una contro l’altra, sperando con tutto se stesso che la sua teoria fosse corretta.
La reazione di Carnage fu istantanea. Si fermò di colpo, portandosi ambe le mani alle tempie e rilasciando un lamento disperato, mentre viticci simili a serpenti si protrassero dal corpo del mostro. Anche Cletus sembrò influenzato dalla cosa e cadde in ginocchio, urlando in agonia.
Sotto la maschera, Spiderman diede un grido mentale di vittoria.
Afferrò un’altra sbarra e la conficcò nel pavimento della stanza, producendo un suono acuto e rimato. Fece lo stesso con quelle che aveva in mano, proprio mentre la creatura sembrava sul punto di contrattaccare.
Carnage sibilò, ritraendosi dal vigilante come se fosse stato bruciato.
Prima che potesse riprendersi, Peter afferrò un’altra sbarra e la sbattè violentemente a terra. Il mostro cadde all’indietro, contorcendosi.
Il vigilante imitò l’azione una seconda volta. E poi una terza…e una quarta.
Fatto, questo, afferrò in rapida successione altre sei sbarre e procedette a circondare Carnage in una sorta di gabbia. Infine, prese un ultimo tubo e iniziò a strusciarlo contro di essa, mentre la creatura al centro urlava per la rabbia e il dolore.
 
                                                                                                                                                          * * * 
 
Il panorama mentale di Carol cominciò a cambiare.
Quella che fino a pochi secondi prima era stata una rappresentazione perfetta della camera dei suoi genitori iniziò a sgretolarsi e deformarsi, come se la casa stessa fosse stata colpita da un tornado.
Tuoni e lampi riecheggiarono oltre le finestre dell’abitazione, mentre Joe Danvers e Spiderman continuavano a combattere al centro della stanza, frantumando i mobili e l’intonaco delle pareti.
<< Adoro le riunioni di famiglia. Tu no? >> disse l’uomo, con la voce di Cletus Kasady.
Peter gli diede un pugno, facendolo indietreggiare. Ne tirò un secondo, ma l’avversario lo afferrò e mezz’aria e gli sorrise con quella sua bocca irta di zanne.
Scattò in avanti e morse la spalla destra del ragazzo, facendolo urlare. E l’urlo risuonò nella mente di Carol, che si raggomitolò ulteriormente su se stessa.
Poi, Joe afferrò il vigilante per il collo e lo inchiodò al pavimento, mentre la sua mano libera si tramutava in un coltello scarlatto.
<< La lingua batte dove il dente duole! >> esclamò, affondando la lama nella pancia dell’Avenger.
<< GHAAAA! >> urlò questi, costringendo Carol ad aprire gli occhi per la prima volta da quando era iniziato quello scontro.
Con suo grande orrore, la bambina vide il padre che tirava un calcio al corpo esanime del ragazzo, facendolo sbattere contro la parete opposta della sala. Al contempo, il soffitto dell’abitazione iniziò a sgretolarsi su se stesso, vorticando in preda ai venti della tempesta.
Esitante, Carol gattonò fino alla figura del supereroe.
<< Peter… >> sussurrò debolmente.
Posò una mano sulla spalla ferita dell’adolescente e cominciò a scuoterla. Niente. Il ragazzo rimase immobile.
La bambina provò una seconda volta, ma il risultato fu il medesimo.
<< No… >> piagnucolò a bassa voce, mentre una copiosa macchia di sangue cominciò a bagnarle le ginocchia.
Senza badarci troppo, Carol abbracciò il corpo di Peter e lo strinse a sé, mentre fiumi di lacrime iniziarono a scorrergli sulle guance.
Era morto. Lei…era sola. Completamente abbandonata a se stessa.
<< Peter, ti prego…non lasciarmi…>> singhiozzò, attraverso i lampi della tempesta.
Al contempo, la risata oscura di Carnage riecheggiò alle sue spalle.
Una furia inaspettata sostituì la tristezza che attanagliava il cuore della bambina.
Carol si alzò lentamente, il volto adornato da un’espressione vuota, con le mani bagnate dal sangue di colui che aveva tentato di proteggerla.
Si voltò verso suo padre.
<< Tu…non sei reale >> disse dopo qualche attimo di silenzio.
Joe Danvers inclinò leggermente la testa, scrutandola da capo a piedi con occhi neri e profondi.
<< Che c’è, piccolo angelo? Non riconosci più il tuo papino? >> chiese beffardo, sollevando ambe le labbra in un ghigno grottesco.
Carol fu tentata di compiere un passo all’indietro. Invece, strinse le mani in pugni serrati e prese un respiro profondo.
<< Non sei qui…non sei reale… >> ripetè con più forza, mentre un debole bagliore cominciò ad avvolgerle le dita.
Apparentemente sorpreso, il volto di suo padre passò da una maschera ghignante ad uno sguardo preoccupato.
<< Perché se tu sei reale…Peter è morto…e Peter non può essere morto >> ringhiò la bambina, gli occhi ora illuminati da una luce dorata.
La proiezione di Joe Danvers sembrò deglutire. << Carol, tesoro…luce della mia vita… >>
<< Non sei reale! >> urlò la piccola, mentre quello stesso bagliore cominciò a illuminarla come la fiamma di un incendio. Nello stesso istante, un’onda d’urto partì direttamente dal corpo minuto della bambina, scaraventando il genitore contro la parete opposta della stanza, infrangendo le finestre della casa, riducendo in pezzi le ultime assi del tetto e facendo tremare l’intera abitazione.
<< Nulla di tutto questo è reale! >> urlò Carol, con più forza. E ora non aveva più il corpo di una bambina, ma quello di una donna adulta nel fiore degli anni.
Un raggio di luce dorata illuminò le tenebre della sua mente, squarciando l’oscurità della tempesta come se fosse stato generato dal sole stesso.
E poi, la voce di Peter risuonò nelle orecchie della supereroina ancora una volta.
<< CAROL! >>
 
                                                                                                                                                              * * *  

Carol Danvers aprì gli occhi.
Il mondo attorno a lei era sfocato, scarlatto, come se stesse osservando i suoi dintorni attraverso un velo rosso.
Vide la figura di Peter a pochi passi da lei, e la gabbia di tubi che la circondava. Sentì il simbionte che urlava per il dolore provocato dai suoni e dalle fiamme che bruciavano dentro di lei.
Prendendo un respiro profondo, attinse alla rabbia che provava in quel momento e cominciò a rilasciare energia cosmica.
Il simbionte iniziò ad urlare più forte, come un bambino ferito, mentre tentacoli e viticci si agitavano impazziti attorno alla figura della supereroina.
Cletus e Peter osservarono l’intera scena con occhi spalancati.
<< Impossibile… >> borbottò il serial killer, visibilmente scioccato da quell’inaspettata svolta degli eventi.
La luce che circondava Carol si fece sempre più intensa. E man mano che il bagliore cresceva…la presa del simbionte su di lei diventava sempre più debole.
La maschera di Carnage si ritrasse per metà, rivelando il volto della donna.
<< Peter…scappa >> sussurrò, non appena i suoi occhi si posarono sull’adolescente. Questi non se lo fece ripetere due volte.
Senza perdere tempo, si lanciò verso la finestra più vicina, mentre dietro di lui la luce divenne quasi accecante. Allo stesso tempo, il pavimento attorno a Carol iniziò a sgretolarsi, i tubi che la circondavano presero a fondersi e un sonoro brusio risuonò per tutta la lunghezza della fabbrica.
E nello stesso istante in cui Peter si lanciò contro la finestra, Cletus Kasady rilasciò un sospiro rassegnato.
<< Lo sapevo, avrei dovuto fare l’attore… >>
BOOM!
Carol lanciò un urlo da un altro mondo, mentre l’energia cosmica attorno a lei esplose in ogni direzione, bruciando qualunque cosa con cui entrò in contatto.
Il simbionte strillò per il dolore e la disperazione, provando paura per la prima volta da quando era stato creato in quel laboratorio. Ogni sua più piccola cellula venne ridotta ad un mucchietto di cenere, volatilizzandosi nell’aria.
Cletus venne sbalzato dall’onda d’urto, attraversò il murò della stanza e finì nel fiume Hudson con un sonoro tonfo.
L’intera fabbrica prese fuoco nella frazione di pochi istanti.
L’esplosione illuminò la notte di New York, e ogni persona che si trovava nelle vicinanze del complesso chimico si ritrovò abbagliata dall’intensità di quel lampo.
Poi, su tutta la zona tornarono a regnare l’oscurità e il silenzio.
Peter venne trascinato dalla corrente del fiume per almeno un paio di minuti, sballottando da una parte all'altra del canale. Quando riuscì a frenare la sua avanzata, aggrappandosi a un tronco vicino, era quasi oltre il confine della fabbrica.
Anche nella più totale oscurità, non era difficile individuare le fiamme che si alzavano dal complesso ormai distrutto. Un passo dopo l'altro, tentò di raggiungere la riva.
Finalmente, il fondale fangoso iniziò a lasciare il posto a ghiaia e rocce. L'acqua defluì dall’armatura, mentre barcollava per raggiungere la terra ferma.
Si accasciò a terra e prese rapide boccate d’aria. Poco dopo, una luce familiare cominciò a scacciare le tenebre che lo circondavano.
Uno scalpitare di passi lo costrinse ad aprire gli occhi.
<< Carol >> sussurrò con un piccolo sorriso, mentre la figura della donna si palesava sopra di lui.
Questa sorrise a sua volta e si inginocchio davanti al corpo dell’Avenegr, per poi cominciare a tracciarne i lineamenti.
Vedendo il suo volto martoriato e pieno di tagli, la supereroina non potè fare a meno di portarsi una mano alla bocca.
<< Peter, io… >>
Prima che potesse terminare la frase, il giovane si lanciò contro di lei e avvolse ambe le braccia attorno alla sua figura illuminata, stringendola a sé.
<< Stai bene. Grazie al cielo, stai bene >> borbottò nel suo collo, mentre la bionda arrossiva furiosamente.
Dopo qualche attimo di esitazione, restituì l’abbraccio e si lasciò cullare dal profumo familiare del vigilante.
<< Evitiamo di rifarlo >> sospirò stancamente. Sul malgrado, Peter si ritrovò a ridacchiare.
Entrambi si separarono.
Carol coppò la guancia del ragazzo e lo scrutò da capo a piedi con preoccupazione evidente.
<< Hai perso molto sangue. Non preoccuparti, gli altri saranno qui a momenti >> disse con tono rassicurante.
Peter annuì debolmente.
Era finita. Era finalmente finita. Avevano fermato Carnage e la città era salva. Questa notte le persone avrebbero dormito sonni tranquilli, lontano dagli orrori di un mondo che stava diventando sempre più folle.
“ Suppongo che dovrò telefonare a May, sarà preoccupata da morire” pensò con una punta di ironia.
Alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di Carol…e si bloccò.
<< Attenta! >> esclamò, afferrando la donna per le spalle e spingendola di lato. Questa ebbe appena il tempo di girare la testa.
Cletus Casady era dietro di lei, coperto di sangue e ustioni, gli occhi rossi come un paio di braci ardenti e le labbra arricciate in un sorriso folle. Nella mano destra reggeva un pezzo affilato di lamina sollevato a mezz’aria, pronto per essere calato sulla testa della donna.
Peter sapeva bene che la pelle di Carol era abbastanza resistente da sopravvivere all’esplosione di un missile terra-aria, ma l’istinto di proteggerla ebbe la meglio sul buon senso.
La lama calò verso il cuore del ragazzo come una ghigliottina. Il tempo sembrò rallentare.
Si udì il suono di uno sparo. Un fiotto di sangue. Silenzio.
Cletus Casady spalancò gli occhi per la sorpresa, mentre un piccolo foro andò a formarsi proprio in mezzo alla sua fronte.
Perse la presa sulla lama e cadde all’indietro, rilasciando un gemito soffocato.
Sia Peter che Carol si voltarono di scatto.
A circa un centinaio di metri da loro, appostata sulla cima di un tetto, c’era un’esile figura avvolta in una tuta bianca e argentata che la ricopriva da capo a piedi. Tra le mani reggeva quello che aveva tutta l’aria di essere un fucile da cecchino.
Entrambi gli Avengers strabuzzarono gli occhi, ammutoliti. Al contempo, il misterioso individuo saltò giù dall’edificio con impressionante agilità e scomparve tra le ombre della notte.
Carol si preparò ad inseguirlo. Tuttavia, poco prima che potesse anche solo alzarsi, il corpo di un certo arrampica-muri si accasciò contro di lei.
<< Peter! >>
 
 
 
Boom! Com’era? Spero bello!
Sì, Carol è stata vittima di abusi da parte del padre quando era bambina, cosa che ha in gran parte influenzato la sua personalità attuale. È avvenuto nei fumetti, e, in base ai flashback del film dedicato a lei, anche nell’MCU.
E sì, la debolezza di Carnage erano i suoni, proprio come per Venom.
Il cecchino che ha sparato, come alcuni di voi avranno sicuramente intuito, era Silver Sable, la sicaria/assistente di Norman Osborn.
La canzone cantata da Carnage è una rivisitazione di una filastrocca del Joker.
Spero che l’intera battaglia mentale vi sia piaciuta, ci vediamo la settimana prossima!

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Capitolo 15
*** Epilogue ***


NOTE IMPORTANTI : Bene, signore e signori, ecco l’ultimo capitolo di questa storia! È stata una bella cavalcata, spero che ve la siate goduta come me la sono goduta io, quindi non esitate a farmelo sapere nei commenti.
Ho realizzato una copertina per la storia, che potete trovare nel primo capitolo.
Inoltre, questo epilogo conterrà una “scena post-credit” preceduta da un video dedicato a Carol e Peter, da me personalmente realizzato.
A fine capitolo troverete altre note che vi consiglio di leggere, ma per ora mi limiterò ad augurarvi una buone lettura!

 

 
Epilogue

Peter Parker si sveglio di soprassalto, rendendosi conto all’istante di trovarsi in un luogo piuttosto familiare : l’infermeria dei Vendicatori.
Gemendo, ricadde sul letto con un tonfo e passò brevemente lo sguardo sulla finestra semi-aperta della stanza.
La pioggia scendeva veloce, forte, costante e c’era qualcosa di azzurro nella luce che filtrava debolmente tra le nubi purpuree. Sembrava di essere intrappolati in un mondo segreto al di sotto di una cupola d’acqua, un luogo autunnale in cui tempo e spazio non esistevano.
 Il sibilo tra i rami di pino sembrava un disturbo elettrostatico, rumore bianco.
Il ragazzo se ne stette lì a respirare il profumo dolce degli alberi e dell’acqua che batteva sulle aiuole, cercando di capire come diavolo fosse finito su quel letto.
Poi, i ricordi della notte precedente gli arrivarono tutti in una volta, costringendolo a portarsi una mano alla testa per frenare la conseguente emicrania. Fu allora che si rese conto del gesso che gli ricopriva il braccio sinistro, collegato alla spalla con alcune bende.
“ Devo essermeli rotti combattendo con Carnage” pensò sconsolato.
Il suono della porta che si apriva attirò la sua attenzione.
Carol Danvers, vestita con la sua tuta da Capitan Marvel, entrò nella stanza con passo esitante e prese a scrutare l’adolescente.
Peter la fissò a sua volta, dando il via ad una gara di sguardi che durò per quasi un minuto buono.
<< …Dovremmo davvero smetterla di incontrarci così >> disse con un sorriso impertinente, utilizzando le stesse esatte parole che lei gli aveva rivolto dopo la loro battaglia con Electro, quasi un anno prima.
La donna arricciò il volto in un cipiglio scontento.
“ Come può continuare a scherzare anche in una situazione del genere?” pensò stizzita.
Prendendo un respiro profondo, si avvicinò al letto del ragazzo e si sedette accanto a lui.
 << Come ti senti? >> chiese con tono visibilmente preoccupato.
Peter rilasciò un sospiro stanco.
<< Come se fossi stato investito da una nave Chitauri >> ammise, per poi incontrare i caldi occhi castani delle bionda. << E tu? >>
<< Penso che avrò gli incubi per un paio di settimane >> borbottò la donna, rabbrividendo a causa di tutto quello che aveva visto quando era sotto il controllo di Carnage.
Affianco a lei, il vigilante la scrutò a disagio. Dio, non voleva neanche pensare a come potesse essere stato entrare nella mente di un pazzo come Cletus Kasady.
Posò una mano su quella di Carol, nel tentativo di confortarla, ma l’espressione dell’Avenger non cambiò di una virgola.
Rimasero in silenzio per un altro po’, accompagnati solo dal rumore basso e ritmato dell’unico orologio attaccato al muro della clinica.
<< Sto per lasciare la Terra >> disse Carol all’improvviso.
Il cuore di Peter mancò un battito.
Inconsciamente, strinse la presa sulla mano della donna, cosa che non passò certo inosservata a quest’ultima.
Il vigilante abbassò lo sguardo, incerto su come rispondere a quella dichiarazione inaspettata.
 << È…è a causa mia? >> chiese, dopo qualche attimo di esitazione.
Carol gli sorrise tristemente.
 << No, non è colpa tua >> disse, dandogli una pacca confortante sulla spalla buona. << È solo che sono stata lontana dallo spazio per diversi mesi. E come sai, la Terra non è l’unico pianeta che ha bisogno di aiuto costante >>
Sospirò, volgendo lo sguardo in direzione della finestra e osservando il panorama che si stagliava oltre quella sottile lastra di vetro.
<< Inoltre…mi darà tempo per pensare. L’incontro con Kasady ha riportato a galla ricordi che speravo di aver sepolto per sempre >> continuò con riluttanza.
Peter la fissò tristemente, ma non proferì parola.
Nella stanza tornò a regnare il silenzio. Nessuno dei due sembrava intenzionato o disposto a riprendere il discorso, e la cosa cominciò a mettere Carol a disagio.
<< Pepper lo sa >> sputò tutto d’un fiato.
Gli occhi di Peter si dilatarono come piatti.
 << …Oh >> fu tutto quello che riuscì a dire.
Suo malgrado, la donna si ritrovò a ridacchiare.
 << Sì, con tutto quello che è successo mi ero quasi dimenticata di dirtelo >> borbottò con un lieve rossore.
Affianco a lei, Il vigilante rilasciò un sospiro quasi rassegnato.
 << Qulcun’altro? >> chiese stancamente.
<< Bucky >> rispose Carol, sorridendo ironica.
Peter annuì a se stesso. << Non mi sorprende, è sempre stato percettivo. Come l’hanno presa?>>
La donna si strinse nelle spalle. << Bucky l’ha presa piuttosto bene. C’era d’aspettarselo, considerando tutto quello che lui e Steve hanno passato >>
Il ragazzo sorrise sollevato.
 << Mi fa piacere sentirlo. E Pepper ?>> chiese con esitazione.
L’altra cominciò a grattarsi la testa, il volto adornato da un’espressione perplessa.
<< Siamo arrivati ad una…comprensione, credo >> rispose dopo un attimo di silenzio.
Peter la fissò seccamente. << …Le parlerò >>
<< Sì, penso che dovresti >> disse rapidamente la donna. Dopotutto, l’ultima cosa che voleva era ritrovarsi un’intera Iron Legion alle calcagna, una volta tornata sulla Terra.
“ Ma…voglio davvero tornare?” fu il pensiero traditore che attraversò la mente dell’eroina, facendola sussultare.
Peter se ne accorse, e la guardò preoccupato. E fu così che la bionda si ritrovò ancora una volta a specchiarsi negli occhi dell’adolescente, così simili ai suoi…eppure così diversi al tempo stesso. Così pieni di vita.
<< Scusa >> sbottò all’improvviso, afferrando saldamente la mano del ragazzo.
Inizialmente sorpreso dal piccolo sfogo, l’adolescente le inviò sorriso gentile. << Non devi chiedermi scusa >>
<< Invece sì. Sì che devo >> ribattè Carol, prima di prendere un respiro profondo. << Per quello che ho fatto…e che ho detto. Per tutto >>
Poi, lentamente, quasi con esitazione, alzò l’altra mano e la posò sulla guancia del vigilante.
 << Specialmente…per quello che devo fare ora >> sussurrò a bassa voce.
Il sorriso di Peter rimase immutato. << Va bene >>
<< Non va bene >> sospirò la donna. Tuttavia, l’espressione sul volto del ragazzo rimase la stessa.
 << Sì che va bene >> disse con una scrollata della spalla buona.
Carol chiuse gli occhi, sentendo una stretta sgradevole attanagliarle il cuore.
 << Peter, io… sto cercando di lasciarti >>
<< Lo so >>
<< ?! >>
Il tempo parve fermarsi.
La donna aprì gli occhi, incontrando quelli dell’adolescente. Questi continuò a sorridere e le posò la mano destra sulla guancia.
 << Va tutto bene >> disse con maggiore enfasi.
Carol spalancò la bocca.
<< Come può andare bene? >>  domandò incredula.
Peter scrollò la spalla una seconda volta. << Perché io posso aspettare >>
Il cuore della bionda mancò un battito.
Prese un respiro profondo e fissò intensamente l’arrampica-muri.
<< Non posso chiederti di aspettarmi, non lo voglio fare >>
<< Non ce n’è bisogno >> ribattè Peter, mantenendo un tono di voce completamente calmo. << Noi alla fine staremo insieme >>
Questa volta,  nonostante i suoi migliori tentativi per evitarlo, la donna scoppiò in una risata strozzata. Il tutto sotto lo sguardo cordiale dell’aracnide.
Dopo essersi calmata, prese la mano del ragazzo, la scostò delicatamente dal volto e disse : << Io non credo nel destino >>
<< E fino a dieci anni fa io non credevo agli alieni >> rispose Peter, continuando a sorridere.
Poi, si porse in avanti e, prima che Carol potesse reagire, posò le proprie labbra sulle sue.
Fu un bacio dolce, privo di malizia o risentimento. Un semplice gesto d’affetto, un saluto e una promessa fusi assieme, qualcosa che solo lei sarebbe stata capace di interpretare.
Inizialmente, la donna fu tentata di ritrarsi. Sapeva che, se avessero continuato, la loro separazione sarebbe stata ancora più difficile. Ma non si staccò. Rimase immobile, lasciando che il ragazzo approfondisse il contatto. Gli doveva almeno questo.
Quando lui si staccò, riuscì a mala pena a sostenere l’espressione luminosa che andò a formarsi sul volto dell’adolescente.
<< Voglio essere tante cose per te, Carol Danvers. Quello che non voglio essere…è il tipo di uomo che ti tiene a terra >> disse con tono di fatto.
Mentalmente, la donna rilasciò un sospiro rassegnato.
“ Dio, perché deve essere così maledettamente romantico?” pensò con un sorriso ironico.
Si alzò dal letto con un rossore prominente e posò un rapido bacio sulla fronte del ragazzo.
<< Prenditi cura di te, Peter. Dico sul serio >> ordinò con voce ferma.
In tutta risposta, l’arrampica-muri le inviò un ghigno impertinente.
<< Farò del mio meglio >> disse con voce civettuola.
La donna roteò gli occhi e procedette ad uscire dalla stanza. Non prima, però, di aver lanciato un’ultima occhiata alla figura del vigilante.
Quando chiuse la porta, Peter si accasciò ancora una volta sul materasso del letto.
<< Sì, posso decisamente aspettare >> borbottò a se stesso.
Aveva così tante domande che ancora gli frullavano per la testa. Come aveva fatto Celtus ad ottenere i suoi poteri? Come faceva a sapere così tante cose su di lui? Cosa…cosa diavolo stava succedendo in questa città?
Sì, tante domane e nessuna risposta. Ma anche loro potevano aspettare.
Volse il proprio sguardo in direzione del soffitto.
Era tutto tranquillo. Si sentiva completamente in pace.
Non sapeva cosa sarebbe successo il giorno dopo, e sinceramente non gli importava. Aveva lottato anche fin troppo.
Chiuse gli occhi, preparandosi a dormire. Perché…in fondo sì : domani sarebbe stato un'altro giorno.
Ebbe appena il tempo di elaborare quel pensiero. Appena un secondo dopo, una May Parker visibilmente adirata spalancò la porta dell’infermeria ed entrò nella stanza come una furia.
<< Hai molte spiegazioni da darmi, signorino >> disse freddamente.
Peter deglutì per la paura.
<< Maledizione… >>
 
                                                                                                                                                      * * * 


Credit Song : https://www.youtube.com/watch?v=jgJdzSI4aFg&t=49s

Scena Post-Credit :
 
Quando moriva qualcuno di interessante, Kyle Aldler, guardia di sicurezza al New York General Hospital da quasi cinque anni, lo fotografava sempre.
Recentemente c’era stata una giornalista dei notiziari locali, una bella donna di trentadue anni con i capelli neri e gli occhi verdi chiaro, che era stata trapassata da parte a parte con un oggetto affilato.
Kyle era andato all’obitorio all’una di notte, l’aveva tirata fuori dal cassetto e l’aveva messa a sedere. Le aveva passato un braccio intorno e, mentre tirava fuori il cellulare per scattarle una foto, si era chinato per simulare un bacio.
Poi, appena due giorni prima, era stato il turno del giudice Vernon Claridge.
Kyle lo aveva tirato fuori dal cassetto, gli aveva messo una parrucca con i boccoli in testa, gli aveva piegato le dita a forma di corona, poi le aveva fatte anche lui e aveva scattato una foto di loro due assieme.
Avrebbe tanto voluto ottenere anche una foto del sindaco James Erbert, ma il suo cadavere si era rivelato praticamente irriconoscibile a causa delle ustioni.
Era stata la sua ragazza, Amanda, a dirgli che all’obitorio sarebbe presto arrivato il corpo di Cletus Kasady, alias Carnage, colui che nel giro di una settimana era diventato il serial killer  più prolifico nella storia degli Stati Uniti d’America.
Da due giorni, ormai, i notiziari non facevano altro che parlare di lui. Di come il mostro che aveva terrorizzato New York nel lontano 2011 era emerso come una furia vendicativa dal buco in cui era stato imprigionato, armato di superpoteri e pronto a scatenare la sua follia omicida sui poveri e inermi cittadini di New York. Di come Spiderman e Capitan Marvel erano riusciti a fermarlo, prima che potesse trasformare l’intera città in un cimitero.
Una storia sicuramente avvincente,  degna di una pellicola hollywoodiana, tanto che in poche ore aveva già fatto il giro del mondo. La stampa ci era andata a nozze.
Fatto sta che Amanda gli aveva chiesto di procurarle una foto di Kasady.
Lei faceva l’infermiera due piani più sopra, nel reparto per anziani, ed era sempre stata una fan di quelle sue foto con i morti famosi. Proprio per questo motivo, era sempre la prima a cui le spediva.
La ragazza trovava Kyle divertente, e spesso gli diceva che sarebbe dovuto andare in televisione. Anche lui le era molto affezionato. Dopotutto, lei era una delle poche persone dell’ospedale ad avere la chiave dell’armadietto dei medicinali, e il sabato sera rubacchiava sempre qualcosa di buono per entrambi.
Inizialmente, Kyle si era sentito piuttosto a disagio con l’idea di ritrovarsi da solo in una stanza con il corpo di un mostro come Kasady, benché fosse morto.
Quando aveva chiesto ad Amanda per quale diavolo di motivo volesse una foto del killer, lei aveva risposto : “ I serial killer mi eccitano. Mi viene in mente tutto quello che sarei disposta a fare pur di non essere uccisa. Vai a scattargli una foto e mandamela via e-mail. Poi dimmi cosa mi farai se non mi spoglio per te”.
Kyle non vedeva motivo di contraddire la sua logica.
In ogni caso, doveva ancora fare il suoi giro. E poi, Cletus Kasady era diventato una vera e propria celebrità, valeva sicuramente la pena di fargli una foto da aggiungere alla collezione.
Kyle ne aveva già di bizzarre, ma gli sembrava giusto aggiungerne una con un serial killer, per mostrare il proprio lato più oscuro e serio. Soprattutto se quel serial killer aveva i fottuti superpoteri!
Si reco nella parte bassa dell’edificio quella sera stessa, dove ai pazienti non era permesso entrare.
Kyle pensava che Kasady fosse in obitorio, invece scoprì che uno dei dottori aveva già cominciato a lavorarci nella sala autopsie. Tuttavia, l’aveva abbandonato per riprendere il giorno dopo.
La guardia notturna accese le luci sopra i tavoli, lasciando al buio il resto della stanza.
Chiunque stesse lavorando sul killer aveva coperto il cadavere con il lenzuolo prima di andarsene. Era l’unica salma nella sala, quella sera.
L’uomo prese un respiro profondo e abbassò il telo bianco fino alle caviglie, per dargli una buona occhiata. Il torace era stato aperto, poi ricucito con un grezzo filo nero. L’incisione a Y scendeva fino all’osso  pelvico.
Il morto aveva i denti superiori leggermente seghettati e malcurati. Gli occhi erano chiusi. Sulla fronte aveva una strana cicatrice.
Kyle fece una smorfia, distolse lo sguardo e cominciò ad armeggiare con la telecamera del cellulare.
Non che i morti gli facessero impressione. Non aveva neppure paura del buio. Semmai di sua madre, oppure  quando Amanda si arrabbiava con lui, o, come accadeva in certi suoi incubi, di trasformarsi in polvere come era successo a suo padre circa sette anni fa, durante lo Schiocco.
Mentre rimuginava su questo, il suo sguardo si posò ancora una volta sul volto del serial killer…e lì vi rimase bloccato.
Per un attimo, Kyle credette di avere le allucinazioni. Perché quel cadavere…ora aveva gli occhi aperti.
Il cuore della guardia mancò un battito.
Di morti ne aveva visti un bel po’, ma avevano tutti gli occhi chiusi. E, quando erano aperti, avevano un che di latigginoso, come se qualcosa gli si fosse cagliato dentro. Ma questi occhi sembravano luminosi e svegli.
Erano occhi da vivo, non da morto. Con un’avida curiosità da gatto.
Si chiusero dopo circa un paio di secondi. E poi, il torace del cadavere comincio ad alzarsi ed abbassarsi, seguito da un sibilo basso e ritmato.
Fu allora che Kyle Aldler arrivò ad un’inevitabile conclusione.  Cletus Kasady…non era affatto morto.
 
The End
 

Bene, e anche questa è fatta. Piaciuta la sorpresa finale?
Vi ricordo che questa storia fa parte di un universo letterario in costruzione, che per ora comprende anche la one-shot prequel “ You Got Something For Me Peter Perker ” e la long “ Avengers : The King Of Terror ”, ambientata tre anni dopo So Wrong.
La prossima storia, invece, sarà ambientata proprio tra So Wrong e Avengers : King Of Terror, e oltre a costituire un sequel di questa fan fiction - che approfondirà la relazione tra Peter e Carol ( nonché il passato di quest’ultima ) – sarà un crossover con IT in maniera molto simile a come Avengers : The King Of Terror lo è stato per Godzilla, inserendo l’antagonista della suddetta opera all’interno dell’MCU e adattandolo di conseguenza.
Questo perché Pennywise/IT sarà il villain principale del maxi evento crossover che unirà tutte le storie da me scritte ambientate in questo universo letterario, e la prossima fan fiction narrerà proprio gli eventi che hanno portato al primo incontro tra Carol, Peter e l’entità multidimensionale con un debole per la carne umana.
La storia verrà probabilmente pubblicata a Dicembre, perché nei prossimi mesi sarò molto impegnato con l’Università. Spero che sarete pazienti fino ad allora!
Grazie davvero a tutti coloro che sono riusciti a lasciarmi una recensione e quelli che hanno inserito questa storia tra le ricordate/seguite/preferite, è merito del vostro sostegno se sono riuscito a completarla!

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