If only I could hold you

di WhiteWitch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Neve sospesa ***
Capitolo 2: *** 2. Miracoli ***
Capitolo 3: *** 3. Onestà leggera ***
Capitolo 4: *** 4. Casa ***



Capitolo 1
*** 1. Neve sospesa ***


Buongioooorno. Come vedete torno alla carica con un'altra FF su Good Omens. Ormai è la mia drogah. Come anticipavo nell'introduzione, questa long si svolge idealmente dopo Hold me while you wait, ma a conti fatti può essere tranquillamente letta da sola. Ho deciso di organizzarla come raccolta di OS e per ogni capitolo che si svolge nel presente ce n'è uno nel passato. Spero che la storia e il suo format (posso chiamarlo così?) vi piacciano.



I - Neve sospesa


Il giorno seguente Crowley era ancora piuttosto fragile e Aziraphale lo lasciò in pace. C'era molto di cui parlare, ma non era il momento di farlo.

Aveva smesso di nevicare e un sole debole, quasi malato, faticava a riscaldare l'aria. I mezzi di pulizia delle strade erano passati intorno alle cinque del mattino e ora sul marciapiede fuori dalla vetrina era ammucchiata una cospicua quantità di neve ghiacciata, che rifletteva la luce del sole come se fosse fatta di cristalli e pietre dure.

Aziraphale la fissò per un po', una tazza fumante in mano.

Era quel genere di giornata in cui la gente non esce di casa, si rintana sotto una coperta e permette a se stessa di oziare. Un paio di bambini passarono di corsa, chiaro segno che le scuole erano state chiuse. Si prevedevano altre nevicate molto più intense per i giorni seguenti.

Per tutto il giorno, Aziraphale ciondolò per il negozio, il tempo che scorreva lento. Crowley non parlò quasi per nulla e si limitò a gravitare intorno all'angelo come un satellite. Non cercarono di toccarsi; Aziraphale non fece pressioni e Crowley diventava rosso ogni volta che i loro sguardi si incrociavano.

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Capitolo 2
*** 2. Miracoli ***


II - Miracoli


Crowley si guardò intorno e lo spettacolo davanti ai suoi occhi lo atterrì.

Sette bambini, tutti di un'età compresa tra i nove e i tredici mesi, urlavano e piangevano come se li stesse scuoiando vivi.

Lui amava i bambini. Li amava moltissimo. C'era una ragione se, in barba alla sua grande abilità con le piante, avesse ceduto il posto di giardiniere ad Aziraphale e avesse fatto il colloquio per diventare tata. E più di tutti amava Warlock: era inutile negarlo, per quanto dispettoso, impaziente e dispotico, quel bambino suscitava in lui sentimenti che nessun demone avrebbe mai dovuto provare – il fatto che fosse l'Anticristo non faceva alcuna differenza.

Tuttavia, quando la bambina più piccola, Dorothy, aveva iniziato a piangere... Oh, non aveva mai visto una reazione a catena di simile portata. Uno alla volta, tutti i piccoli avevano iniziato a strillare. Nemmeno nei gironi peggiori si sentivano grida così disperate.

Al momento, Crowley si trovava nella difficile posizione di tenere in braccio tre dei bambini, agitare un cavallo a dondolo con un piede e cantare una ninnananna con voce rotta dal panico, il tutto mentre nessuno dei pargoli accennava a voler smettere.

«Ecco, Milly, ora ti metto giù...».

Crowley tentò, senza perdere l'equilibrio né smettere di cullare gli altri due, di depositare nel box la bambina bionda che aveva in braccio, ma la piccola era di altro avviso e come ebbe toccato il fondo del box cominciò a urlare con maggiore veemenza. Crowley non ebbe altra scelta se non riprenderla in braccio: non smise di piangere, ma almeno abbassò di un'ottava la potenza dei suoi polmoni.

Fu allora che qualcuno bussò alla porta della nursery.

«Chi è?», abbaiò Crowley.

Una voce familiare emerse da oltre la soglia.

«Tata Ashtoreth? Posso entrare?».

Crowley rimase congelato sul posto.

No, Aziraphale non poteva vederlo in quello stato. Era già abbastanza umiliante che dei bambini portassero un demone sull'orlo del pianto, ma farsi vedere da un angelo... Soprattutto, questo angelo.

«È tutto sotto controllo! Vai pure, Francis...».

Sapeva che era questione di tempo. Aziraphale non impazziva per i bambini e presto o tardi tutte quelle urla lo avrebbero convinto a levare le tende prima ancora di aprire la porta. Crowley si ritrovò in bilico tra due desideri: quello di non essere visto in una situazione tanto esasperante e quello di venire liberato dalla furia titanica dei bambini.

Ma Aziraphale non ci avrebbe fatto caso.

Perciò fu molto sorpreso quando una testa bionda spuntò da oltre la porta.

«Ngk», mugugnò Crowley.

Sapeva di avere un aspetto penoso. Spettinato e scarmigliato, aveva le forcine che spuntavano dai capelli come la corona storta di una santa e una macchia di vomito sulla camicia, aveva abbandonato le scarpe in un angolo e aveva una calza smagliata.

Lui e Aziraphale si scambiarono un lungo sguardo di mutua sorpresa. Poi Crowley abbassò la testa e tirò su col naso. Il tutto accompagnato dalle urla disperate dei bambini.

«Oh, cielo», commentò l’angelo.

Aziraphale entrò nella nursery e si fece largo nella stanza. La sua mole era decisamente superiore, quando era vestito come Francis il giardiniere, e attirò l'immediata attenzione di Warlock e di Ewan, un bimbo dai capelli rossi, che smisero di piangere.

Meno due, pensò Crowley.

Aziraphale non disse altro; si limitò a raccogliere i bambini come se fossero pacchi regalo. Ne mise due nel box e due nei rispettivi seggioloni e diede loro qualcuno dei giochi sparpagliati sul pavimento. Come entravano in contatto con lui, i bambini sembravano calmarsi all'istante.

Forse, pensò Crowley, sono i dentoni. Magari ispirano fiducia.

Quando ebbe finito con loro, Aziraphale si girò verso Crowley, che divenne di colpo rosso come i suoi capelli. Sempre senza parlare, l'angelo prese Milly e cominciò a cullarla dolcemente per qualche minuto.

Crowley pensò di essere davanti a un piccolo miracolo: la bambina rallentò il pianto sempre di più, fino ad addormentarsi. Quando Aziraphale la mise nel lettino, ormai Milly russava soavemente.

Fu allora che Crowley si accorse che anche gli ultimi due bambini, quelli che ancora teneva in braccio, avevano smesso di piangere; uno di loro appoggiò la testolina sulla sua spalla e si addormentò, facendo colare un po' di saliva sulla pelle scoperta del suo collo.

Crowley mise il bambino addormentato nel lettino e depositò l'altro nel box insieme agli altri.

Sconvolto, Crowley guardò Aziraphale.

«Come hai...».

Il sorriso troppo grande e troppo dolce di Fratello Francis rispose: «Non tutti i miracoli sono frivoli».

Crowley, già rosso in viso, divenne decisamente paonazzo. Certo, avrebbe dovuto pensarci, avrebbe dovuto zittire i bambini con i suoi poteri infernali; quando si trattava dei piccoli umani, però, Crowley smetteva di ragionare.

«Devo ringraziarti?».

«Meglio di no», ammise Aziraphale, e a Crowley ricordò paurosamente una conversazione già sentita, una Bentley sotto la pioggia e un thermos pieno di acqua santa.

I bambini – quelli ancora svegli – fissavano Aziraphale come si fissa un quadro di Turner: con stupore e devozione. Crowley temeva di avere un'espressione molto simile e sperò che lui non lo notasse.

«Allora io vado».

Crowley avrebbe voluto trattenerlo – ma per dirgli cosa? Grazie per avermi salvato da sette bambini arrabbiati? No, non c'era molto che potesse dirgli, non aveva scuse per farlo rimanere ancora un po'.

«Ok», rispose.

E rimase solo.

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Capitolo 3
*** 3. Onestà leggera ***


Ciao! Vorrei cogliere l'occasione per segnalarvi la serie Pray for us, Icarus di Atalan, che potete trovare su AO3 in lingua inglese. Si basa sempre su Good Omens ed è una chicca! Oltre ad essere scritta meravigliosamente, è forse una delle fanfiction più belle che io abbia letto in questo fandom. La si legge tutta d'un fiato! Vi prego di darle un'opportunità, perché è davvero una poesia.



III - Onestà leggera

Dopo i primi giorni, quando tutti quei piccoli gesti – la carezza di passaggio sulla spalla, il correggere il suo tè quando non stava guardando, l'apparecchiare per due anche se era chiaro a entrambi che lui non avrebbe mangiato – cominciarono a diventare routine, Aziraphale decise che era il momento per passare alle parole.

Di colpo, tutti quei “mio caro” assunsero un significato nuovo e vennero raggiunti da “tesoro” e “amore”. Crowley sapeva che si erano già detti il terrificante ti amo quella prima notte, ma era diverso. Era stato nel fervore del momento.

Aziraphale sembrava determinato a far diventare quelle parole una costante.

Lui era un demone. Un malvagio, crudele e brillante demone che certamente non doveva dare peso alle stucchevoli carinerie di un angelo – ed ecco perché un giorno esplose.

«Tu non puoi!».

Nel negozio non c'era nessuno, non che fosse una sorpresa, e la quantità di tappeti, libri e oggetti attutì la forza della sua voce. Aziraphale sollevò lo sguardo dal grosso libro mastro in cui si ostinava ad annotare le spese.

Non sembrava impressionato.

«Non posso cosa, caro?».

«Non... Tu... Questo!». Crowley strinse i pugni ed ebbe la sgradevole sensazione che i suoi capelli avessero iniziato a fumare. «Non puoi dirmi quelle cose... Insomma...».

«Quali cose?». Aziraphale era combattuto: da una parte non voleva forzare la mano e Crowley doveva poter dettare il ritmo tanto quanto lui; dall'altra era impossibile resistere dal prenderlo in giro. «Quali cose, mio caro?».

Crowley lo fulminò con lo sguardo e marciò via verso la cucina. Non riemerse per un bel po'.

 

***

 

C'erano molti contatti fugaci durante il giorno. Era come se Crowley facesse di tutto per essere toccato: si faceva trovare oltre gli angoli in modo che Aziraphale si scontrasse con lui, oppure transitava dalle porte proprio mentre l'angelo passava nella direzione opposta, era sempre in mezzo ai piedi ed era impossibile non inciampargli sopra.

«Sai, potresti anche toccarmi tu», lo provocò Aziraphale un pomeriggio. «Deliberatamente».

Crowley lo guardò come se di colpo gli fosse spuntata una seconda testa e grugnì.

«Io... No, non è quello che... Non è così!».

Aziraphale gli sorrise.

«Ok», rispose, e si rimise a sfogliare il giornale.

Trascorse qualche minuto di silenzio. Poi Crowley si alzò dalla sedia, si avvicinò al divano e, un centimetro alla volta, si accoccolò sulle sue gambe, la testa nascosta nell'incavo del suo collo. Aziraphale non smise di leggere, ma passò un braccio intorno alle sue spalle e lo strinse a sé.

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Capitolo 4
*** 4. Casa ***


IV - Casa

Crowley era nervoso. Non era una novità, chiunque lo conoscesse bene – e quindi, nessuno – poteva affermare che, in ogni circostanza di ogni giorno della sua vita, il demone passava dall'essere un fascio di nervi all'aver voglia di scomparire per sempre.

In quel momento, però, era più nervoso che mai.

Era stanco. Non ricordava di essere mai stato stanco, in generale; figurarsi poi così stanco. Fermare il tempo era una cosa: lo aveva fatto migliaia di volte. Però... fermare il tempo, trasportare se stesso, Aziraphale e l'Anticristo in un piano dimensionale differente, guidare un'auto in fiamme per ore, scappare da Hastur attraverso la linea telefonica subito dopo aver pensato seriamente di uccidersi all'ennesimo rifiuto da parte dell'angelo...

Sì, era stanco, nervoso e molto tentato dal trasformarsi in un serpente grosso come una moneta per nascondersi in fondo a un cassetto.

E ora Aziraphale era nel suo appartamento. Gironzolava, guardandosi intorno, e toccava: toccava i muri, lo schienale del divano, gli stipiti delle porte.

In un altro momento, un qualsiasi altro momento, Crowley non avrebbe provato alcun senso di fastidio. Quella notte, però, cominciò fin da subito a sentire un prurito alla base del collo.

Aziraphale aveva passato le ultime ore ad essere prima un'essenza incorporea e poi un ospite tollerato nel corpo di una medium di mezza età. Era normale, si disse Crowley, che volesse toccare. Che volesse una prova dopo l'altra del fatto di essere ancora molto vivo e molto tangibile.

Almeno per il momento, perché chissà?, magari sarebbero stati giustiziati il giorno dopo: questo pensiero riportò Crowley sulla via del nervosismo.

Aziraphale entrò nella serra; al suo passaggio, le piante iniziarono a tremare paurosamente. Il ficus elastica fremette così tanto che rischiò di cadere dalla mensola.

«Che cos'hanno?», si informò Aziraphale.

«Uhm», rispose Crowley.

Aziraphale lanciò un'occhiata a un bonsai particolarmente agitato e gli disse in tono confidenziale: «Sei davvero lussureggiante, sai? Foglie così verdi!».

Il bonsai smise di tremare immediatamente.

«Crowley deve prendersi una gran cura di te».

La pianta si espresse nell'equivalente vegetale di un diniego. Aziraphale aggrottò la fronte e gettò un altro sguardo al resto delle piante. Crowley capì al volo che aveva finalmente chiaro il motivo del loro terrore.

«Crowley!». L'angelo si voltò e tornò a passo di marcia verso il salotto con un'espressione contrariata. «Queste creature sono sotto la tua protezione! Hai deciso di prendertene cura e le spaventi in questo modo!».

Le mani strette a pugno, Crowley inspirò. Cercò di non pensare a non mi piaci nemmeno, Crowley e a no, non vengo con te su Alpha Centauri, Crowley e alla sua povera Bentley. Poi espirò.

Aziraphale stava ancora parlando.

«Voglio dire, è come se fossi un genitore! Come ti sentiresti se qualcuno che ami ti cacciasse perché non ti comporti come si aspetta da te?».

L'angelo emise un respiro mozzo e si portò le mani alle labbra, l'aria colma di angoscia. Crowley si spinse gli occhiali da sole più in alto sul naso.

«Scu-Scusa, Crowley... Mio caro, sai che non intendevo...».

«Io so esattamente come mi sentirei, perché è successo! E ho fatto un volo di sola andata per il buco del culo dell'Inferno per questo! Ti dispiace per le mie piante? Allora, perché non ne prendi una, la porti a casa e vedi se sai fare di meglio?».

Si pentì subito di quelle parole, perché Aziraphale non aveva più una casa. Era bruciata e una parte del cuore di Crowley era bruciata con essa.

Aziraphale assunse un'aria affranta.

Con uno sbuffo, Crowley si portò le mani sui fianchi e abbassò lo sguardo. Un silenzio pesante calò su di loro come una coperta, o un sudario.

«Mi dispiace», disse Crowley. Si fregò il naso con il dorso della mano.

«Oh, caro...». La voce di Aziraphale si caricò di gentilezza e calore. «Non importa, non piangere...».

«Non sto piangendo!», ruggì Crowley, umiliato.

«Certo».

Aziraphale parve per qualche momento molto combattuto; Crowley non aveva bisogno delle capacità intuitive di Agnes Nutter per capire di averlo messo in difficoltà.

«Senti, io...». Sbuffò di nuovo: perché era così difficile parlare? Si trattenne dal grugnire. «Mi dispiace, va bene? È stato il giorno peggiore della mia vita. Più brutto anche del fottuto quattordicesimo secolo».

«Lo so». Aziraphale annuì con più veemenza del necessario. «Lo so, Crowley, lo capisco».

«E... E mi sento una merda perché per te dovrebbe essere stato peggio, voglio dire, hai perso il tuo corpo e hai perso la libreria e la casa e hai dato un calcio in culo figurato a tutto ciò che tu abbia mai amato e rispettato...».

Aziraphale sgranò gli occhi, ma non parlò, forse perché non riusciva a inserirsi nel discorso dato che Crowley aveva iniziato a parlare a raffica.

«Eppure tu non stai perdendo la testa, tu non stai urlando nel tuo appartamento, non stai piangendo come un ragazzino... Cazzo, non sono mai stato così a disagio e comunque, tanto per la cronaca, non ho detto che ti perdono per quello che hai detto ieri! Perché è stato davvero orribile e non credo che potrò mai, mai, mai dimenticarlo, sei stato così... così...».

Fu allora che si accorse che Aziraphale stava facendo uno sforzo per non ridere.

«Così come?».

«Oh, così stronzo! E non ridere, non ridere...», balbettò, esausto.

Invece Aziraphale scoppiò in una risata fragorosa.

Di colpo, tutta la rabbia e la frustrazione sembrarono scivolare via dalle spalle di Crowley con la semplicità di uno scroscio d'acqua. Emise una risatina stanca e tirò su col naso.

«Vai a dormire, va bene?», gli propose Aziraphale quando si fu calmato. Gli si avvicinò e gli strinse una spalla. «Sei stanco e un po' di riposo ti farà bene. Io penso di avere un'idea su cosa significhi l'ultima profezia di Agnes, ci lavorerò».

Crowley apprezzò molto il fatto che Aziraphale non avesse più sottolineato la sua crisi di pianto. Annuì.

«Va bene».

Mentre dormiva, gli parve che qualcuno a un certo punto si sedesse sul materasso al suo fianco e gli dicesse qualcosa; ma Crowley stava dormendo e, al risveglio, non riuscì più a distinguere sogno e realtà.

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