The Dance

di GladiaDelmarre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 - Flamenco ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 - Swing ***
Capitolo 3: *** - Interludio - ***
Capitolo 4: *** Chapter 3 - Charleston ***
Capitolo 5: *** Chapter 4 - Bachata ***
Capitolo 6: *** Chapter 5 - Tango ***
Capitolo 7: *** Chapter 6 - Boogie Woogie ***
Capitolo 8: *** Chapter 7 - Pas de deux ***
Capitolo 9: *** Chapter 8 - Valzer ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 - Flamenco ***


 Era una danza, ed era sempre stata una danza tra loro.
 
Crowley chiedeva, Aziraphale rifiutava. Crowley riformulava la domanda, chiedeva scusa, argomentava, e immancabilemnte l’angelo cedeva.
Come quando avevano deciso di “aiutarsi a vicenda”, svolgendo di tanto in tanto uno il lavoro dell’altro.
Come quando avevano deciso di fare da padrini al presunto Anticristo.
Come quando Crowley aveva chiesto l’acqua santa ad Aziraphale, e alla fine lui, preoccupato che l’altro potesse incappare in una situazione davvero pericolosa, aveva ceduto e gliel’aveva procurata.
Anche a distanza di anni, quello era il loro modo di essere, di agire, il rituale del demone tentatore che riesce a convincere perfino un angelo a collaborare. Una storia vecchia come il mondo.
 
Tranne quella volta, quell’unica volta, in cui Aziraphale gli aveva detto un secondo no. Secco, netto, che lo aveva colpito con la violenza di uno schiaffo preso in pieno viso. Si era aspettato che l’angelo non avrebbe accettato subito il concetto di “Siamo dalla NOSTRA parte”, ma mai avrebbe pensato che quando gli aveva detto di scappare su Alpha Centauri insieme gli avrebbe rifilato un secondo diniego, più duro del precendete. E lui era andato via, ferito, convinto che tra di loro fosse finita.
Poi erano successe moltissime altre cose, alla fine avevano lavorato insieme per sventare l’Apocalisse e avevano avuto successo… ma qualcosa in Crowley si era spezzato. Aveva perso il ritmo, si erano pestati i piedi, e la musica era finita di colpo. Il suo sogno era stato spezzato.
 
Quella sera al Ritz, dopo il loro brindisi, Aziraphale aveva allungato la mano a sfiorare la sua, e lui l’aveva tirata indietro, come se si fosse scottato. Quel tempo era finito. Non avrebbe mai smesso di amarlo, di questo ne era sicuro, ma non gli avrebbe mai più confessato i suoi sentimenti, mai più gli avrebbe aperto il suo cuore.
 
Aziraphale, dal suo canto, aveva notato che Crowley si era ritirato. Lo aveva guardato incuriosito, ma con quegli occhiali scuri era difficile capire le sue espressioni, e quindi non ci aveva dato troppo peso. Crowley lo aveva riaccompagnato a casa, ed era andato via agitando la mano, lasciandolo sulla soglia un po’ deluso. Gli sarebbe piaciuto continuare la serata. A dire il vero, gli sarebbe piaciuto che quella serata non finisse mai.
 
In quegli anni Aziraphale aveva lottato strenuamente con se stesso per evitare di confessare il suo affetto – amore? – al suo demone, ed era stato più volte sul punto di dirglielo, ma il pensiero delle conseguenze lo aveva sempre trattenuto. E poi Crowley era un tale bastardo a volte! Lo innervosiva sempre, lo stuzzicava, lo prendeva in giro, e lui si ritrovava confuso a chiedersi perchè fino a un attimo prima stava morendo dalla voglia di abbracciarlo. Adesso però le cose erano cambiate… L’Apocalisse, sventata. Le rispettive fazioni li temevano, e li avrebbero lasciati in pace. Forse poteva lasciarsi andare un poco. Si ripromise di sentire Crowley al più presto, e di cercare di approfondire il rapporto con lui, di fare più cose insieme. In fondo, erano gli unici due immortali sulla terra, e sebbene fossero “amici” da migliaia di anni, i loro incontri erano sempre stati abbastanza sporadici.
Il giorno dopo quindi, gli telefonò. “You know what to do, do it with style”. Quella insopportabile segreteria telefonica! Un po’ titubante, gli lasciò un messaggio, con una mezza speranza che rispondesse, una volta aver sentito chi era al telefono “Hem… Crowley, sono io, Aziraphale. Mi chiedevo se per caso avessi voglia di una passeggiata al parco, più tardi. Richiamami, sono alla libreria”.  Ma lui non lo richiamò. Nè quel giorno, nè per vari giorni a venire. Preoccupato, dopo numerosi messaggi e oltre una settimana di silenzio, Aziraphale decise di andare a vedere se era tutto a posto, e si recò all’appartamento di Crowley.
Ci era stato solo una volta, subito dopo la non-Apocalisse, quando la sua amata libreria era andata a fuoco, ma quella notte era troppo sconvolto e spaventato per rendersi davvero conto di quello che aveva intorno. A malapena si ricordava come ci fosse arrivato. Sapeva solo che avevano preso un autobus, e che per confortarlo, Crowley lo aveva preso per mano, stringendogliela senza parlare. In quel momento, il contatto con lui lo aveva davvero fatto sentire meglio, invece che renderlo nervoso come succedeva di solito.
 
Quando arrivò davanti alla porta ebbe un attimo di esitazione prima di suonare il campanello. Forse stava commettendo un terribile errore, stava invadendo la sua privacy, forse Crowley non c’era, forse era impegnato, e se lo avesse trovato con qualcuno?? Magari un’umana. Magari un umano? Aziraphale provò una fitta di gelosia, ma si fece coraggio e suonò ugualmente.
 
Dopo una manciata di secondi sentì la chiave nella toppa girare e si trovò faccia a faccia con Crowley, palesemente appena uscito dalla doccia, con solo un asciugamano intorno ai fianchi e i capelli appiccicati al viso, che aprì la porta con un ben poco educato “E adesso chi cazzo è?”. Seguì un attimo di silenzio in cui entrambi, congelati nelle loro posizioni, si guardarono a bocca aperta, e poi Crowley sbraitò “Ma che cazzo ci fai qui angelo? Accidenti a te!”, mentre Aziraphale, dandogli le spalle imbarazzatissimo, gli sbottò di rimando “Ma sei impazzito, aprire mezzo nudo, e se fosse stata una donna??? O qualsiasi altra persona?” – “A differenza tua, mio pudico amico, io sono piuttosto a mio agio con la nudità, lo sai” gli rispose. Ma nonostante quello che aveva detto, Aziraphale aveva notato che era imbarazzato e nervoso anche lui. Ne ebbe la conferma quando si rese conto, una volta giratosi, che nel miracolarsi i vestiti addosso Crowley aveva dimenticato di asciugarsi i capelli, che aveva addosso solo la camicia e dei pantaloni in pelle invece di essere vestito di tutto punto, e soprattutto che le lentiggini che aveva sul viso si erano fatte tutto a un tratto di un colore molto più intenso, tendente al rosso fuoco.
“Posso entrare?” gli chiese “Vieni” gli rispose, con un sorriso sghembo “Sono sorpreso che tu sia riuscito ad arrivare qui, l’altra volta eri sconvolto”. Aziraphale ridacchiò, un po’ nervoso “Si decisamente… per fortuna si è risolto tutto nel migliore dei modi, non trovi?”. Crowley gli rispose con un’alzata di spalle, andando verso il soggiorno. Aziraphale lo guardò allontanarsi, indugiando con gli occhi sulla sua camminata sinuosa, provando un improvviso formicolio in punti non meglio identificati del suo corpo. L’altro si girò “Che fai lì imbambolato? Vieni o no?”. Colto sul fatto, l’angelo sobbalzò e si affrettò dietro di lui.
 


Si guardò intorno. La casa di Crowley era minimalista, con pochi mobili di forme disparate. Alcuni ultramoderni, altri decisamente antiquati. I muri erano scuri, ed era piena di piante, che ricordarono ad Aziraphale l’Eden per quanto erano belle e rigogliose. “E’… incredibilmente simile a te” – “Cosa? Che intendi?” – “Casa tua. Un misto di tante cose. Non ci avevo fatto caso l’altra volta, ma ti rispecchia molto” disse, sedendosi su un divano dalle linee squadrate, così diverso dal suo. “Bah… se lo dici tu…”. Crowley rimase in piedi, appoggiandosi mollemente allo stipite di una porta. Era palesemente a disagio. I capelli ancora umidi gli pendevano sul viso, un po’ arricciati, e sembrava teso, pronto a scattare. “Crowley, caro, non ti vuoi sedere? Ti ho disturbato?” – “Hem… no, non avevo nulla da fare angelo, perchè?” – “Beh, allora siediti, non ci siamo visti ultimamente, c’è qualche novità?”. Crowley era trasalito quando aveva sentito Aziraphale chiamarlo col solito appellativo – caro – e si era avvicinato lentamente, sedendosi un po’ rigidamente all’altra estremità del divano.
 
“Niente di nuovo, qualche piccola tentazione qui e lì, solo per divertimento” gli rispose, con una disinvoltura che non provava. Non riusciva assolutamente a capire perchè Aziraphale si fosse presentato così a casa sua. Non lo aveva mai fatto, era sempre stato lui a cercarlo. La libreria era il luogo adatto a vedersi. Era calda e accogliente, quasi vibrante di vita nonostante ci fossero solo noiosissimi libri, mentre il suo appartamento, pur pieno di piante, era decisamente freddo. L’angelo, seduto lì su quel divano a cui non aveva mai dato la minima importanza, gli sembrava l’unico punto luminoso dell’intera stanza. Si costrinse a ricacciare quel pensiero indietro e a seppellirlo sotto strati di rabbia e delusione.
“Come mai sei venuto qui?” azzardò, pentendosi subito di averglielo chiesto. “Beh, non hai risposto alle chiamate. Mi sono preoccupato. E poi… avevo voglia di vederti” – “E da quando ci vediamo quando abbiamo voglia di vederci?” si lasciò sfuggire il demone. Aziraphale gli sorrise, timido “Beh, da adesso. Non abbiamo più un vero e proprio lavoro da svolgere, no? Allora pensavo che… beh potremmo uscire insieme. Perchè ci va”.
Crowley rimase per un attimo senza parole “E cosa ti fa pensare che a me vada di vederti?”. Aziraphale assunse un’ espressione delusa e fece per alzarsi “Oh… capisco. Mi dispiace di averti disturbato allora” – “Aspetta angelo, non saltare alle conclusioni… sono solo sorpreso. Non mi aspettavo di vederti qui”. Aziraphale sorrise di nuovo, sentendo il suo soprannome “Beh allora direi che possiamo fare quel picnic di cui avevamo parlato. Ti andrebbe?”.
 
Si misero d’accordo. Domenica, alle nove.
Aziraphale, con un’espressione felice sul viso, si rimise la giacca e si avviò verso la porta. Gli rivolse un sorriso luminosissimo e gli diede un bacio su una guancia “Arrivederci caro, a domenica”. Lo lasciò lì, a bocca aperta, a chiedersi che cosa si fosse perso nella settimana in cui non si erano visti.



Ciao ragazze, spero vi sia piaciuto questo primo capitolo! Se vi va di andare a vedere qualche disegno a tema... https://www.deviantart.com/cyby1978

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Capitolo 2
*** Chapter 2 - Swing ***




Aziraphale preparò tutto con estrema cura. Un cestino di vimini vecchio stile, riempito di manicaretti che si era impegnato a cucinare personalmente (con solo qualche piccolo miracoluccio qui e lì), dell’ottimo vino (una o due bottiglie, o magari anche quattro, non si sa mai), una grande tovaglia a quadri. Spinto da un impulso dell’ultimo momento, infilò dentro al cestino anche un libro di uno dei suoi poteti preferiti, John Keats. C’era una poesia che forse avrebbe potuto leggere al suo demone…
 
Alle nove in punto, Crowley strombazzò il Clackson della sua amata Bentley, e Aziraphale, tirato su il pesante cestino, uscì per incontrare l’amico. La Bentley era tirata a lucido e Crowley era uscito per aprirgli lo sportello e aiutarlo a caricare il cestino in macchina “Che accidenti ci hai messo qui dentro angelo? Direttamente il cuoco del Ritz, e magari pure il sommelier?” disse, alzando uno dei due sportellini in vimini. Poi vide il libro “Addirittura la biblioteca ti sei portato dietro? Non ti pare di esagerare?” – “Oh smettila sciocco! Non rimarrai deluso, ti assicuro” gli rispose, un po’ offeso. Salì sulla macchina, e si diressero verso sud, poco fuori Londra, in un parco che vantava meravigliosi prati e piccoli rivi, sulle cui sponde tanti londinesi spesso si avventuravano per delle gite fuori porta.
Il paesaggio era incantevole, e morbide collinette si stendevano sotto i loro occhi. Erano stati fortunati, miracolosamente avevano trovato un bel posto appartato, vicino a un piccolo ruscello che scorreva placidamente, con un bell’albero che dispensava generosamente frescura sotto le sue fronde. Era una bella giornata, con qualche sbaffo bianco che interrompeva il blu cobalto del cielo.
 
Pranzarono chiacchierando, annaffiando il cibo con dell’ottimo vino rosso, fintanto che si sentirono entrambi piacevolmente rilassati e un po’ brilli. Crowley si era tolto la giacca, ed era steso su un lato della loro tovaglia a quadri con le braccia incrociate dietro la testa, guardando le nuvole che pigramente si muovevano nel cielo. Aziraphale, a gambe incrociate e senza scarpe, sedeva sull’altro lato. Aveva preso il libro tra le mani, e lo aveva aperto alla pagina che gli interessava “Ti va se leggo qualcosa ad alta voce caro?” azzardò. Crowley aprì gli occhi – si era tolto gli occhiali da sole, e i suoi occhi dorati sembravano ad Aziraphale più luminosi del sole stesso in quel momento – “Se proprio insisti angelo”. Soddisfatto, Aziraphale iniziò a leggere con sentimento una delle odi di Keats, “Lamia”. La poesia parlava dell’alato Hermes, messaggero degli dei, che incontrava un meraviglioso serpente, dalle squame lucide e multicolori, e il serpente gli chiedeva di ritrasformarlo nella donna che era un tempo.
 
[…] The God, dove-footed, glided silently
Round bush and tree, soft-brushing, in his speed,
The taller grasses and full-flowering weed,
Until he found a palpitating snake,
Bright, and cirque-couchant in a dusky brake.
 
  She was a gordian shape of dazzling hue,
Vermilion-spotted, golden, green, and blue;
Striped like a zebra, freckled like a pard,
Eyed like a peacock, and all crimson barr’d;
And full of silver moons, that, as she breathed,
Dissolv’d, or brighter shone, or interwreathed
Their lustres with the gloomier tapestries—
So rainbow-sided, touch’d with miseries,
She seem’d, at once, some penanced lady elf,
Some demon’s mistress, or the demon’s self. […]
 
 
Crowley ascoltava in silenzio, ad occhi chiusi. Hermes acconsentiva graziosamente a farla tornare la donna meravigliosa che era stata, ma lei in cambio avrebbe dovuto svelargli dove fosse la ninfa che stava cercando. A quel punto Aziraphale si impappinò. Leggendo, si era ricordato di come finesse la storia, e quindi cercò di cambiare argomento “Oh sono davvero noioso, no? Magari la leggeremo un’altra volta” – “No angelo, finisci la poesia” – “Caro, sei sicuro? E’ davvero lunga e penso che…” – “No angelo. Conosco questa poesia. Conoscevo Keats, e ricordo quando la scrisse. A dire il vero, lui aveva… una cotta per me. Probabilmente nella sua idea, io rappresentavo Lamia. Ma Hermes non voleva lei, voleva una ninfa. E quando Lamia incontra il suo amato Lycius, poi non finisce bene. Lei svanisce alla fine, e lui muore. Nessun dio alato ha mai guardato o guarderà mai un serpente”. Aziraphale si sentiva mortificato. Aveva scelto di leggere quella poesia perchè si identificava con Hermes e vedeva Crowley come Lamia, ma aveva commesso un errore davvero grossolano non ricordandone la fine. Profondamente imbarazzato, non riuscì a trovare nulla da dire e si chiuse nel silenzio.
 
Fu Crowley a romperlo, una manciata di minuti dopo.
“Angelo, si può sapere che ti prende? Sei strano. Mi sei piombato a casa, mi inviti a un picnic e poi mi leggi poesie?” – “Io… ho pensato a noi. Mi sei molto caro. Lo sei sempre stato, ma adesso… è tutto diverso. Pensavo che forse le cose tra noi potevano cambiare” concluse, in un soffio. Crowley si tirò su un gomito “Cambiare?” disse “CAMBIARE? Sono centinaia di anni che spero possano cambiare, e ora che ho rinunciato tu vuoi che CAMBINO? Non sai cosa stai dicendo”. Aziraphale lo guardò, con gli occhi lucidi “Io… Crowley… caro…” – “NON CHIAMARMI CARO!” gli urlò contro “Per anni ho creduto che ci fosse qualcosa tra noi, ma tu mi hai deluso, mi hai detto di no, non sei voluto venire via con me!” si lasciò sfuggire infine. “Venire dove?” – “Lascia perdere angelo, non è più importante” rispose, stancamente “Non ho voglia di litigare. Non possiamo goderci questa giornata, da buoni amici?” – “Naturalmente ca… Crowley” concluse Aziraphale.
 
Non fu facilissimo ricominciare a parlare in modo normale, ma nel corso dei millenni avevano avuto tanti battibecchi e alcuni litigi più pesanti, e lentamente, un po’ zoppicando, le cose tornarono alla normalità. Più o meno. In realtà, Crowley aveva notato che Aziraphale era molto più attento, più presente. Lo chiamava. Lo invitava spessissimo, alla libreria, o al parco, o a cena. Addirittura, aveva deciso di comprare un cellulare (e Crowley gli aveva regalato una cover in fantasia tartan), e gli mandava dei messaggi. Aveva imparato ad usare le emoticon, e si firmava sempre con quella dell’angelo. Alla fine, diventò consuetudine che ogni giorno, a chiusura della libreria, Crowley si presentasse e che cenassero insieme, o chiacchierassero e basta.
Aziraphale non aveva più accennato a quello che era successo il giorno del picnic, ma in effetti le cose erano cambiate. Volente o nolente, Crowley si stava abituando a quel nuovo ritmo. Nel tempo di qualche mese, quelle serate erano diventate l’unica parte davvero interessante o piacevole dei giorni che passavano.
 
Aziraphale però non si era arreso. In effetti aveva fatto davvero tutto quanto fosse in suo potere per riconquistare il cuore del suo demone. In parte, forse, ci era riuscito, ma non era abbastanza. Aumentando il numero dei loro incontri, parlando di più, vedendosi così spesso, Aziraphale aveva imparato ad amare ogni piccolo gesto di Crowley. Quando aggrottava le sopracciglia. Quando di tanto in tanto rideva. Il suo sinuoso incedere, con le mani affondate nelle tasche. Quando si tirava indietro i capelli, che si stavano di nuovo allungando (con immensa gioia dell’angelo, che adorava la sua chioma di fiamma). Il modo in cui si sedeva, allargando le gambe e appoggiandosi scomposto allo schienale del divano. E nell’ultimo periodo, molti dei gesti abituali di Crowley provocavano in Aziraphale fremiti e formicolii un po’ ovunque, ma più spesso concentrati nella zona dell’inguine. Forse la sua natura angelica poteva essere soddisfatta dalla conversazione con Crowley e dalla tenerezza che provava nei suoi confronti, ma sfortunatamente aveva anche un corpo che – se ne stava rendendo conto solo ora – era decisamente, dolorosamente, spaventosamente umano.
 
In effetti, aveva provato quasi tutto. L’unica carta che non si era ancora giocato era quella della seduzione. Vera e propria. Quella sessuale. Aziraphale aveva letto moltissimi libri sull’amore, ed era certo che amasse il demone di cui era amico da oltre seimila anni, ma per quanto riguardava la passione… beh era un discorso diverso. Era del tutto impreparato. La prima cosa che gli venne in mente, fu di leggere qualcosa sull’argomento. Provò con i libri di educazione sessuale, ma le api e i fiori lo aiutarono ben poco. Aveva capito cosa fosse il sesso, ma per quanto riguardava il comprenderlo… Era lontano anni luce. Anche quegli altri libri in cui si parlava un po’ più esplicitamente di sesso non erano sempre chiari. Sembrava che le donne si sciogliessero ad ogni tocco. Gli uomini invece sembravano essere sempre forti e virili, e regalavano piacere in modo rude ma appassionato. Assolutamente non era chiaro. Anche perchè lui era un uomo, tecnicamente, ma non si sentiva granchè virile. Ma era anche un angelo. Come funzionava il sesso negli angeli? Ovviamente questo nessuno lo sapeva, erano stati aperti dibattiti durati secoli, e mai chiusi. E per i demoni? Era già complicato tra uomini e donne, figuriamoci tra un angelo e un demone.
 
Fece qualche debole tentativo di mostrarsi virile, aprendo barattoli di marmellata al posto di Crowley, o abbassando il tono della voce (il che portò il demone a chiedergli se per caso fosse diventato il primo angelo a prendere il mal di gola), o arrotolandosi le maniche della camicia per mostrare i muscoli (sentendosi ridicolo, perchè il farfallino e il panciotto mal si sposavano con la camicia conciata in quel modo). Tutto questo non faceva altro che confondere Crowley, che sempre più spesso gli lanciava sguardi interrogativi con le sopracciglia aggrottate.
 
Alla fine si arrese. Non aveva capito come funzionasse la seduzione. Aveva bisogno di aiuto. Qualcuno che gli spiegasse il senso, il perchè. Beh, poteva chiedere a Madame Tracy. Sembrava la persona giusta.
 

Eccoci al secondo capitolo. Come per il primo, aggiungerò un disegno appena mi sarò possibile... Spero presto! Stay tuned <3

(*) La poesia di Keats di cui parlo, Lamia, è stata scritta nel 1820, solo un anno prima che lui morisse, nel periodo più prolifico per le sue odi. Per chi volesse cimentarsi nella lettura, eccovi il link della poesia completa https://www.bartleby.com/126/36.html

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Capitolo 3
*** - Interludio - ***


NB: Questo Interludio si colloca all'interno del Capitolo 2 - Swing, poco dopo il disastroso Picnic.
Sono ricordi di Crowley, di un tempo passato, e legati alla poesia Lamia che Aziraphale gli ha letto durante il picnic. Mi sono presa la libertà di associare Crowley alla figura di Joseph Severn, grande amico di John Keats. Non me ne vogliate.





Dopo aver salutato Aziraphale, Crowley corse a casa, andando alla massima velocità consentita dalla Bentley.

Quando arrivò all’appartamento, dopo nemmeno una quindicina di minuti, si chiuse dietro le spalle la porta, sbattendola.

Gli ci era voluto tutto l’autocontrollo possibile per non esplodere durante quella giornata. Quel picnic che Aziraphale gli aveva promesso dagli anni ‘60 aveva finito per trasformarsi nella più assurda delle giornate, e per lui un vero inferno. Non che non lo conoscesse, l’inferno, ma gli era sembrata cento volte peggio.

Aveva ancora il sangue che gli pulsava nelle tempie.

Quel dannato angelo aveva avuto la sfrontatezza di suggerire che la loro relazione potesse cambiare, adesso che l’Apocalisse era stata sventata. Come si era permesso? Crowley era furibondo. LUI aveva avuto il coraggio di chiederglielo prima, quando ancora rischiavano tutto, quando la loro vita era in ballo. LUI non aveva avuto timore di dirgli quanto gli era sempre stato caro, mentre l’angelo aveva sempre negato tutto. E ORA VOLEVA CHE LUI CADESSE AI SUOI PIEDI? Poteva scordarselo. Non avrebbe mai ceduto, mai, nemmeno in un miliardo di anni.

 

Crowley non si era curato di accendere la luce in casa - ci vedeva perfettamente anche al buio - e camminava nervosamente nella penombra, pieno di una rabbia che premeva per uscire, come una piena da una diga.

Le piante erano visibilmente terrorizzate e tremavano piano, nella speranza di non avere nemmeno una macchia sulla più piccola delle loro foglie, e che il loro personalissimo dio, nel caso, non la notasse.

 

Crowley quella giornata aveva ostentato stanchezza più che rabbia, per non dare ad Aziraphale la soddifazione di vedere quanto soffrisse (si, aveva urlato un poco, ma non si era esposto troppo). Soprattutto aveva cercato di trasmettere disinteresse, come se fosse già andato oltre la cosa, in modo da umiliarlo per quello che gli aveva proposto: umiliarlo almeno quanto si era sentito umiliato lui quando l’angelo si era rifiutato di scappare con lui su Alpha Centauri.

Quella stupida stella, che Crowley aveva fatto sì che fosse chiamata con le loro iniziali. Oh, sì, era stato uno stupido. Un demone innamorato, di un angelo per giunta.

 

E come se non bastasse, Aziraphale aveva deciso di leggergli proprio QUELLA poesia.

Forse, se la scelta fosse caduta su qualasiasi altro brano non sarebbe andata così, ma il caso aveva voluto che Aziraphale non conoscesse il retroscena, nè che Keats, quasi duecento anni prima, l’avesse scritta per lui.

 

Si ritrovò senza nemmeno rendersene conto di fronte al quadro che copriva la sua cassaforte.

L’aprì, spinto da un impulso irresistibile. Conteneva tra le varie cose, una cartelletta di pelle invecchiata e annerita per essere stata toccata innumerevoli volte. La tirò fuori, senza curarsi di richiudere lo sportello dietro di sè, e sprofondò sull'immenso divano del suo soggiorno, su di cui appena qualche giorno prima anche Aziraphale si era seduto.

 

Aprì la cartella.

Al suo interno, alcune lettere scritte con una calligrafia elegante ed antiquata, obliqua. Erano chiaramente scritte da una mano fine, ma maschile. Infine, c’era anche un piccolo diario, anche questo rilegato in una pelle che probabilmente un tempo era stata di un bel rosso fiammante.

Crowley lo rigirò tra le mani, indeciso se aprirlo.

Lo scorse, dopo qualche minuto, andando a cercare una data in particolare.

 

 

Londra, 13 Giugno 1816

Sembra sciocco che un uomo della mia età scriva un diario, ma scrivere è la mia vita. Tutta la mia vita. Naturalmente completerò i miei studi in medicina, ma non eserciterò mai. No, il mio cuore vola altrove, tra le nubi alte nel cielo, tra i cespugli carichi di bacche, e corre insieme alle muse.

Alla Solitudine” è stata pubblicata e lodata, e il mio cuore si è gonfiato di gioia e orgoglio, quando finalmente qualche altro essere umano ha amato quello che io stesso ho amato. Quando qualcuno ha compreso che la solitudine e la sofferenza di un poeta è quella del mondo intero, perchè sente che a chiunque è offerta e imposta, in egual misura.

Si, qualcuno mi ha capito, ed io mi sento meno solo.

Al circolo letterario che sto frequentando, quando non sono a fare pratica al Guy’s Hospital, ho conosciuto molte anime affini. Ci sono giovani poeti, come me, e pittori. Oh le meraviglie che riescono a creare sulle loro tele! Ho parlato con molti di loro. Quasi tutti.

Solo uno mi sfugge: un uomo dai capelli fulvi, molto alto – molto più di me – magro e slanciato. Non gli ho visto gli occhi, indossa delle lenti scure che non permettono di vederlo chiaramente, ma mi è sembrato di intravedere un barlume castano molto chiaro. Come se avesse gli occhi d’oro. Quest’uomo mi affascina, e vorrei essere anche io un pittore, per poterne dipingere la bellezza.

 

 

Crowley sbuffò. Ricordava quando quel ragazzo lo aveva guardato per la prima volta. Era piccolo di statura, con dei riccioli bruni e soffici, giovane e ardente, e per un attimo la purezza del suo sguardo gli aveva ricordato quella di Aziraphale.

Andò oltre, a cercare un’altra data, risalente all’anno successivo.

 

 

Hampsted, 28 Marzo 1817

Ci siamo finalmente trasferiti in questo piccolo borgo. Questa zona è di certo insolitamente bella, e credo che andando avanti con la primavera diverrà incantevole.

La casa è adeguata alle nostre esigenze, e ho una piccola camera che si affaccia sulle colline retrostanti. Una scrivania, sotto la finestra, che mi permette di osservarle e di vagare con la mente, prima ancora che sia il mio stesso corpo, per queste lande così pittoresche. Sono certo che troverò gioia e ispirazione in questi luoghi, molto più che nella caotica Londra.

 

Hampsted, 2 Aprile 1817

Lui è qui! Coi suoi capelli che paiono di rame, che ricadono sulle sue spalle a dispetto della moda che li vorrebbe acconciati in corti riccioli. E’ di certo un eccentrico, un sognatore, visto che non si cura di quello che dicono gli altri di lui. Si vocifera che sia strano, che viaggi molto e che si accompagni spesso a un altro uomo, biondo e più robusto, che credo di aver intravisto appena giunto qui.

E’ venuto a presentarsi, ieri, mentre ci occupavamo di disfare i nostri bagagli, e l’ho riconosciuto immediatamente: i suoi capelli sono inconfondibili. Ha una voce cortese e ben modulata, ma cammina in modo strano. Sinuoso e dondolante, quasi come una donna. Ogni cosa mi attrae in lui, sono felice di vivere solo a pochi passi da questo affascinante uomo misterioso.

Il suo nome, così si è presentato, è Joseph Severn. Spero di vedere presto qualcuno dei suoi dipinti.

 

Hampsted, 18 Aprile 1817

Ogni giorno Joseph passa a trovarmi, e con un sorriso appena accennato mi chiede delle mie poesie. Parliamo a lungo, anche fino a tarda notte, e quando prende commiato per tornare verso la sua residenza sono sempre triste che la notte debba venire, a un certo punto. Come vorrei non dover dormire mai, e passare la mia vita parlando con questo meraviglioso essere. Sembra senza tempo, sa così tante cose, tante che pendo dalle sue labbra quando racconta dei tempi andati. Deve essere un grandissimo cultore della storia, perchè ne parla come se fosse vissuto nelle epoche passate. Mi ha parlato dell’antica Grecia con una tale passione e trasporto che le immagini che ha evocato in me rimarranno per sempre impresse nel mio cuore.

L’unico mio cruccio è non aver ancora visto i suoi occhi. Mi ha confessato di avere un disturbo che non gli permette di andare in giro senza lenti scure: anche la più fioca luce lo ferisce. E’ un peccato, perchè sono certo abbia degli occhi bellissimi.

Mi ha promesso che mi dipingerà, oggi ha fatto qualche breve schizzo di me sul suo blocco.

Conto le ore che mi separano dal domani, per vederlo nuovamente.

 

Crowley sprofondò nel divano ancora di più.

Era moltissimo tempo che non leggeva quel diario. Ricordava come fosse rimasto affascinato da quel giovane, poco più che un ragazzo, ma con una innata, immensa capacità di creare immagini con le sue parole.  In John Keats aveva riconosciuto la stessa gioia e la stessa capacità di meravigliarsi della bellezza di quelle che aveva osservato in Aziraphale in quei primi giorni, nell’Eden. Si, li aveva spiati entrambi, prima uno e poi l'altro, mentre immersi nella natura si beavano della sua essenza.

Gli angeli erano stati creati direttamente nella loro forma e con la loro sapienza, e non erano mai stati veramente bambini (o anche solo giovani). Eppure Aziraphale e John sembravano avere lo stesso talento, la stessa predisposizione alla meraviglia e all'amore per quello che li circondava.

Per quello si era tanto affezionato a quel ragazzo: aveva avuto l'impressione di potersi prendere cura, in qualche modo, di un Aziraphale più giovane, altrettanto puro ma meno indottrinato, meno legato alle convenzioni stringenti della sua natura angelica.

Con un sospiro, andò avanti nella lettura.

 

 

Hampsted, 22 Maggio 1817

Questo mio legame si fa sempre più stretto. Quello che sento per Joseph è, contro ogni convenzione, la cosa più vicina all'amore che io abbia mai provato. Nessuno è come lui, nessuno mai gli sarà pari. Credo che siamo spiriti affini. Lui si preoccupa per me, è sempre presente, tranne quando il suo amico dai capelli dorati lo viene a trovare. Joseph ha con quest'uomo un'amicizia di lunga data, posso vederlo da come si guardano. Oh io l'ho conosciuto, qualche giorno fa, perchè ero impaziente di vedere il mio Joseph, ma ho trovato al suo posto il Signor Fell, così si chiama. Lui mi conosceva già. Ha una libreria, e dice di aver acquistato numerose copie della rivista su cui è stata pubblicata la mia ode. Mi ha lodato e incoraggiato a scrivere ancora. Un'aura serafica, quasi angelica lo circonda: tanto bianca e benevolente quanto quella del mio Joseph è cupa e malinconica a volte. Come possano essere così lontani e così amici non me lo spiego. Eppure, a ben guardare, entrambi sembrano esseri senza tempo, appena coscienti dello scorrere delle cose intorno a loro. Ma mentre il signor Fell è davvero distaccato, Joseph sembra avere radici profondissime, che scavano fin nelle più grandi oscurità della terra.

Eppure, in qualche modo, mi sento geloso di questo amico, perchè vorrei Joseph tutto per me. Credo che questo amore che provo stia per uscirmi dal cuore, ed io dovrò confessarlo.

 

Hampsted, 6 Giugno 1817

Troppo forte il dolore che provo, non posso scrivere stanotte.

Vorrei non svegliarmi più.

 

Hampsted, 30 Giugno 1817

Joseph, o forse dovrei chiamarlo col suo vero nome, Crowley, è partito. Ho cercato di trattenerlo, nonostante tutto, ma ha deciso di andare via. Non so per quanto, non so se per sempre.

Poco meno di un mese fa, in una notte serena di inizio Giugno, eravamo seduti sulla panchina, sotto a quello che per me sarà sempre il nostro albero, e lui mi parlava di un luogo lontano che aveva visitato, credo fosse qualche posto in medio Oriente. Lo ascoltavo poco, per una volta, perchè mi sentivo rapito dall'amore che sentivo nei suoi confronti. In quel momento, riuscivo a guardare solo le sue labbra. Lo baciai. Lui rimase immobile, come pietrificato. Il sapore della sua bocca era inebriante, ma con uno sforzo terribile me ne distaccai. Avevo commesso un terribile errore. Non mi voleva.

Scappai.

Il giorno successivo cercai di fingere di essere indisposto, ma non è un uomo che accetta un no come risposta. Mi convinse a uscire di casa, non so nemmeno come, e facemmo una lunga passeggiata. Rimase a lungo in silenzio. Poi, dandomi le spalle, si tolse gli occhiali. Era tardo pomeriggio, e il tramonto arrossava le nubi di un colore sanguigno, quasi osceno per la sua violenza. Controluce, non vidi bene dal principio. Poi lo vidi. I suoi occhi! Mi stava mostrando I suoi occhi. Aveva iridi gialle ed enormi, punteggiate di scaglie dorate, e le pupille verticali come quelle di una serpe. Aveva gli occhi più belli che io abbia mai visto in tutta la mia vita. Distolse lo sguardo, come disgustato da se stesso, e si rimise le lenti scure, nascondendoli. Gli andai incontro, così vicino da toccarlo, ma non osai. Mi disse che quello che vedevo era un demone, non un umano. Gli risposi che non mi importava, e che lo amavo. Vidi la sua espressione triste anche dietro agli occhiali. Lui non mi amava. Mi disse che non c'era spazio per nessuno nel suo cuore, perchè era secco ed avvizzito, perchè I demoni non sanno amare. Ma io so che non è vero. Lui ama questo mondo, ama gli alberi e le pietre, il vento che gli sfiora la pelle e il sole che lo scalda. E so che ama quel suo amico, chiaro e splendente. Un angelo, perchè se il mio Joseph – Crowley – è un demone, l'altro non può essere che quello. Un amore impossibile, ancor più del mio. Ed io piango, pieno di dolore, per me e per lui. La mia vita è effimera, ma la sua durerà per sempre, così come il suo tormento.

 

 

Crowley deglutì. Quello era stato un momento davvero difficile. Aveva permesso a se stesso pochissime volte di avvicinarsi tanto ad un umano, e in quel caso il risultato era stato terribile. Aveva creduto di poter fare del bene a quel giovane, anche se spinto in parte dalla sua somiglianza con Aziraphale, e lo aveva ferito oltre ogni dire. Anche confessandogli la sua vera natura John non era fuggito, lo aveva guardato solo con infinita tristezza, e aveva pianto per lui.

Chiuse il diario, e si massaggiò le tempie. Quanto aveva avuto ragione quel ragazzo.


 

Quando era partito aveva deciso di tagliare i ponti, ma aveva comunque cercato di mantenere un un minimo di legame con le persone che conoscevano John, per non perderlo del tutto.

Era venuto a sapere, l'anno successivo, che aveva conosciuto una ragazza di nome Fanny Brawne, e che infine si erano fidanzati ufficialmente. Aveva continuato a scrivere, e Crowley ne era stato felice. Aveva un talento incredibile. Sfortunatamente non era stato apprezzato. Il demone era convinto che quella era stata una delle cause che lo avevano fatto ammalare: era un ragazzo fin troppo etereo e delicato, e la sofferenza lo aveva portato a contrarre un male molto grave. Fu solo a quel punto che Crowley aveva deciso di tornare da lui.

Il medico che lo curava gli aveva ordinato di andare in Italia, dove il clima era più mite e favorevole.

Crowley si offrì di andare con lui. Sapeva che non lo avrebbe mai riportato indietro: aveva visto la morte troppe volte per non riconoscerla nel pallore di John Keats, nelle sue labbra bianche che si macchiavano di sangue dopo gli attacchi di tosse, nelle occhiaie che si disegnavano scure sotto I suoi begli occhi.

Non ricordava molto del viaggio in nave, nè di quello che da Calais in Francia li aveva portati verso sud, fino a Roma. Ricordava però che John era sempre più esile e debole, e che quando erano giunti nel piccolo appartamento che si affacciava su Piazza di Spagna, lui pesava poco più di un uccello dalle ali spezzate. Roma non li aveva accolti con il caldo che avevano sperato: era piovosa e triste, quasi a piangere il destino di John.

Nei pochi mesi che passarono lì, in quel piccolo appartamento carico di libri, il demone passò tutto il tempo che John era sveglio a leggere per lui, e tutto il tempo che lui dormiva, spossato dalla tosse che non lo abbandonava mai, a tracciare schizzi del suo viso sul blocco da cui non si separava mai.

 

John gli aveva dato un manoscritto, in una di quelle rare sere in cui era cosciente e lucido, della sua ode “Lamia”. Lo conservava gelosamente nella cartella di pelle, come una reliquia. Quando Keats gli disse che l'aveva scritta per lui, che non lo aveva mai dimenticato, Crowley aveva urlato la sua rabbia contro Dio, che permetteva delle morti così inutili, così terribili.

 

Non avrebbe mai dimenticato il 23 febbraio 1821. In quel giorno, la bella anima di John Keats si spense. Le sue ultime parole sono rivolte a lui, che lo aveva assistito fino all'ultimo: "Crowley, Joseph, sollevami perché sto morendo - morirò facilmente - non spaventarti - grazie a Dio è arrivata".

 

Si era occupato lui della sepoltura. Non si era curato del popolo di Roma che guardava sbalordito un gentiluomo con delle lenti scure che portava in braccio un ragazzo morto, per le strade della città. Aveva camminato fino al Cimitero Acattolico, e lo aveva deposto in una tomba all'ombra della piramide. John non era mai riuscito a vederla dal vivo, si era detto in un pensiero fugace. Aveva fatto comparire una lapide con l'epitaffio che lo stesso John Keats aveva chiesto “Qui giace un uomo il cui nome è scritto nell'acqua”.

Poi era andato via, e non era mai più tornato indietro. In quei duecento anni, non era mai tornato a Roma.

 

Se il viaggio di andata era poco presente nei suoi ricordi, quello di ritorno era del tutto assente. Aveva vagato a lungo, senza sapere dove si trovasse, fintanto che a un certo punto il desiderio di tornare in luoghi familiari lo aveva fatto comparire a Londra, davanti alla libreria di Aziraphale. L'unico luogo che per lui aveva significato “casa”, da quando viveva su quella Terra.

 

Era entrato scarmigliato, sporco dopo oltre un mese di peregrinazioni senza meta. Aziraphale non aveva detto nulla. Lo aveva aiutato a lavare I capelli e glieli aveva districati con cura, pettinandoli per sciogliere ogni nodo, e li aveva spazzolati fino a farli diventare un fiume ramato, di nuovo lucente. Gli aveva scaldato dell'acqua e gli aveva preparato una vasca antiquata per fare un bagno. Quando Crowley era uscito, di nuovo vestito e pulito, gli aveva preparato un the bollente e gli aveva detto solo “Bentornato a casa, caro”.



Crowley sbattè gli occhi più volte, quasi a voler scacciare quelle immagini e quei ricordi. Aziraphale, nonostante tutto, c'era stato.
Forse doveva solo inghiottire di nuovo la rabbia.
Andò a dormire, per annegare nell'oblio.

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Capitolo 4
*** Chapter 3 - Charleston ***


In effetti Aziraphale si vergognava a chiedere consiglio a Madame Tracy, ma non pensava che i libri (o peggio ancora video), sarebbero stati in grado di aiutarlo. E in fondo, per un breve periodo avevano condivisio lo stesso corpo, quindi si era creato comunque un certo legame. Sperava fosse sufficiente a non discorporarsi dall’imbarazzo nel parlarle di cose così delicate.
 
La chiamò e si misero d’accordo per la sera stessa. Lei lo fece accomodare, sloggiando il signor Shadwell, e gli chiese il perchè di quella visita “Allora Mr. Fell, cosa la porta qui? Mi ha detto che era urgente e personale” – “Vede Madame… io…” iniziò balbettando Aziraphale “Lei mi sembra una donna… come posso dire, di mondo. Credo che lei possa indirizzarmi in una questione molto personale, che sono certo la lascerà senza parole” – “Si tratta di quel suo amico dai capelli rossi, non è vero? Il signor Crowley” – “Oh buon dio cosa glielo fa pensare???” – “Ma è ovvio! Questione molto personale, urgente… Quando mi ha chiamato era ovviamente molto agitato e si sentiva l’imbarazzo, non vedo cos’altro potrebbe essere. Avete litigato?”. Aziraphale si accasciò sulla sedia “E’ complicato” – “L’amore è sempre complicato mio caro. Che cosa è successo?”.
 
Torcendosi le mani, Aziraphale le raccontò tutto, di come lui in prima persona avesse volutamente ignorato le più o meno velate avances di Crowley nel corso del tempo, e soprattutto di come avesse ignorato i suoi stessi sentimenti per evitare “complicazioni”.
Madame Tracy lo ascoltò con attenzione, interrompendolo solo qui e lì per qualche chiarimento, e alla fine si appoggiò allo schienale. “Mio caro Mr. Fell, lei quindi cosa vuole? Mi sembra chiaro che abbia tirato troppo la corda con il signor Crowley, e che lui si sia stancato: forse ci ha messo davvero una pietra sopra. Lei deve essere totalmente, assolutamente sicuro di quello che sta facendo. Al momento siete sospesi in un limbo di amicizia, ma non riuscirete a ricucire di nuovo, se la cosa non va. E’ sicuro di amarlo?” – “Io… sono sicuro. E’ l’unico in tutto l’universo” – “Allora forse posso provare a darle qualche consiglio”.
 
Mentre tornava a casa, Aziraphale riflettè su quanto si erano detti. Era molto più complicato di quanto pensasse. Non poteva rischiare di perdere Crowley. Era andato da Madame Tracy per chiederle consigli sulla seduzione, non per tornare con più dubbi di prima. Qualcosa però aveva colto nei discorsi di lei. Sicuramente non aveva fatto male a dimostrarsi più attento e presente, ma aveva bisogno di andare oltre. Ma come? Lei lo aveva confuso non poco. Gli aveva detto che per gli uomini la vista era probabilmente il senso più importante. Doveva MOSTRARSI seducente. In effetti Crowley gli era sempre sembrato bellissimo, ed era sicuramente seducente. Ma era la sua natura da demone che lo rendeva così, come poteva, un angelo, essere… sexy? Era vergognoso ed inappropriato esserlo. Si sarebbe dovuto mostrare, in tutti i sensi. E poi il tatto. Toccarsi. Oh cielo! Aziraphale arrossì per i pensieri impudici che stava facendo, ricordando quando qualche tempo prima, Crowley aveva aperto la porta del suo appartamento praticamente nudo, appena uscito dalla doccia. Era così concentrato sui suoi pensieri da non accorgersi dell’oggetto delle sue fantasie, seduto sul solito divano dentro la libreria, che lo aspettava battendo nervosamente un piede sul pavimento.
“Angelo, che accidenti di fine hai fatto? Sono tre ore che aspetto!”. Aziraphale quasi inciampò per lo spavento “Santo cielo CROWLEY che cosa fai qui nascosto?? Mi sono quasi discorporato!” – “Ma hai visto che ore sono? Sono le DIECI di sera, è dalle sette che sono qui” – “Oh… io… mi dispiace, il tempo mi è davvero volato…” – “Dove sei stato, ti sei dimenticato che di solito vengo qui dopo al chiusura della libreria?” gli chiese, socchiudendo gli occhi, sospettosamente. Aziraphale andò nel panico “Io… dunque… ero al parco” – “Il parco è chiuso a quest’ora. Non sai mentire angelo, dov’eri? Il tuo odore è diverso, sento puzza di incensi strani. Non sarai mica andato in chiesa?” – “Oh. Beh… prima sono andato al parco, e poi a cena fuori. Da Madame Tracy”. Crowley incrociò le braccia. Gli girò intorno, squadrandolo “E perchè?” – “Questa poi, non posso nemmeno andare a trovare un’amica?” lo rimbeccò Aziraphale, calcando sulla parola “amica”. Crowley lo scrutò. Non gli sembrava che stesse propriamente mentendo ora, ma era strano. Non era mai andato a trovarla, ed era sicuro che stesse ancora nascontendo qualcosa. Decise di lasciare la cosa in sospeso, per il momento, ma si sentiva inquieto: non gliela raccontava giusta. Imbronciato, alla fine si lasciò cadere di nuovo sul divano “Beh la prossima volta magari dimmelo. Mi sarei evitato ore di attesa. Ah, tra l’altro, immagino che visto che hai già cenato, tu non abbia voglia di questi muffin al cioccolato” aggiunse in tono velenoso, tirando fuori una bustina di carta decorata a righe bianche e rosa. Aziraphale deglutì a fatica “No, infatti” disse in modo convinto, a dispetto dello stomaco che gli brontolava “Sono proprio pieno”.
 
Tempo qualche giorno, Aziraphale si decise a mettere in pratica qualcuno dei consigli di Madame Tracy. Lei diceva di "mostrarsi". Perfetto. Avrebbe provato qualche abito nuovo. Magari avrebbe potuto addirittura non mettere il panciotto. Chiuse la libreria molto prima del previsto, e si avviò verso uno dei suoi negozi di abbigliamento preferiti. Non che comprasse tante cose, ma di tanto in tanto una camicia, un nuovo farfallino… Quando arrivò davanti alla vetrina però si rese conto che gli sarebbe stato diffcile avere qualcosa da usare subito, visto che lì facevano solo abiti su misura.
 
Chissà dove prende gli abiti Crowley. Ma lui è così magro, gli sta bene tutto.
Beh, volendo potrei fare qualche piccolo miracolo. Un miracolo piccolino.
 
Si guardò intorno. Era pomeriggio e la zona era piena di ragazzi. Decise di prendere spunto da loro e si mise ad osservarli. Ce n’erano parecchi con pantaloni incredibilemente aderenti e magliette corte che lasciavano intravedere scampoli di addome. Naturalmente, addomi piatti. Bocciò subito l’idea: decisamente no. Qualcuno aveva pantaloni larghi e scesi e scarpe da ginnastica, con berretti calcati sulla testa. Un altro no. Avrebbe avuto un aspetto ridicolo. Passò una coppia decisamente dark: lei, con una vistosissima cresta rosa, minigonna e calze strappate, lui vestito tutto di nero, qualche catena a vista, capelli lunghi neri e pesante matita sotto gli occhi, il tutto corredato da spille da balia sparse sugli abiti, apparentemente a caso. Ok, magari quello sarebbe potuto piacere a Crowley, ma non pensava di riuscire a pensare tutta quella roba insieme: troppo complicato. Finalmente, passò un giovane uomo vestito in modo elegante, ma moderno: un completo blu, non troppo scuro, con una maglia sotto la giacca al posto della camicia. Quello avrebbe fatto al caso suo.
 
Una volta tornato alla libreria, si mise davanti allo specchio e fece qualche prova. Con uno schiocco di dita si cambiò, prendendo spunto dall’abito che aveva visto poco prima. Si guardò. Non era un completo disastro. Quel tono di blu stava bene sul suo incarnato, e sembrava che gli mettesse in risalto gli occhi. E anche la maglia sotto, di qualche tono più scura, non era male. Certo, il panciotto e la camicia erano meglio, ma poteva fare un tentativo.
 
Eccitato, aspettò che il suo demone preferito si presentasse all’ora di chiusura. Per fortuna non rimase deluso.
Crowley entrò come al solito senza suonare. Aziraphale in quel momento era di spalle, non lo sentì entrare e non notò lo sguardo di stupore che si dipinse sul volto dell’amico. Gli occhi giallo oro di Crowley indugiarono sulla giacca blu chiaro e sui pantaloni più aderenti del solito, che disegnavano la curva del sedere di Aziraphale.
 
Accidenti a lui, che gli viene in mente di vestirsi così… così provocante?
 
Lo osservò ancora per una manciata di secondi, prima di inghiottire il desiderio di fargli una battuta salace sul suo posteriore. Avrebbe volute morderlo. “Angelo, hai cambiato look?” gli disse con noncuranza. Aziraphale sobbalzò. Aveva sempre il potere di prenderlo impreparato, e si muoveva silenzioso come un… beh come un serpente. Fece del suo meglio per rispondere con altrettanta leggerezza “Ti piace? Ho pensato di rimodernare leggermente il guardaroba. Forse in effetti ero un po’ antiquato. E come sai, bisogna mantenere le apparenze”. Fece una sorta di mezza giravolta, e lo guardò da dietro alla spalla “Mi piace questo colore, che ne pensi?” aggiunse, con fare civettuolo. Crowley fece una mezza smorfia. Il desiderio di toccarlo era fortissimo. Si limitò a un “Stai bene. Il blu ti si addice”. “Mi fa piacere caro” gli sorrise di rimando Aziraphale.
 
Quando Aziraphale sorrideva, a Crowley sembrava che sorridesse il mondo intero.
 
Passavano le settimane, senza che ci fossero evidenti cambiamenti tra di loro.
Si vedevano ogni giorno, ma non succedeva nulla di nuovo. Aziraphale iniziava a disperare che Croweley si decidesse a baciarlo. Era gentile, aveva ripreso a prendelo in giro, ma nulla di più. Forse era davvero finita per loro. Forse potevano davvero essere solo amici.
 
Era rimasta un’ultima cosa da provare, la più difficile.
 
Devo provare a baciarlo io.
 
Facile a dirsi… Aziraphale non aveva mai baciato nessuno. Era stato curioso, di tanto in tanto, nel corso dei secoli, ma non aveva mai capito veramente quel tipo di desiderio. Aveva chiesto anche quello a madame Tracy, e lei gli aveva semplicemente risposto che avrebbe dovuto provare. Le sensazioni dipendevano tutte dal sentimento che c’era tra le due persone. Lo stesso valeva per il sesso. Quello poi gli sembrava assurdo, una cosa che si addiceva agli umani, effimeri e carnali, certo non ad un angelo. Eppure era stato dotato di un corpo umano, e sempre più spesso negli ultimi tempi si stava accorgendo di alcune sensazioni del tutto nuove, che variavano dal battito accelerato del cuore, a una curiosa pulsione circa mezzo metro più in basso, per l’esattezza tra le gambe.
 
Poi, un giorno successe qualcosa del tutto inaspettato.
Crowley era entrato di corsa nella libreria completamente zuppo perchè fuori pioveva (lui si ostinava a non portare l’ombrello, perchè non era abbastanza cool a suo giudizio). “Angelo, hai una camicia da prestarmi? Un asciugamano? Odio l’inverno, odio la pioggia!”. Aziraphale andò a prendere un asciugamano e quando tornò indietro, Crowley era a petto nudo “Sto gelando, dammi quell’asciugamano!” disse, e glielo prese dalle mani. Aziraphale non riusciva a levargli gli occhi di dosso. I capelli ormai gli scendevano lunghi sulle spalle. La pelle chiara, punteggiata di lentiggini sulle spalle e sugli zigomi. La sua shilouette asciutta e atletica. I pantaloni a vita bassa che gli fasciavano le gambe e i fianchi.
Aziraphale sentiva il suo cuore che sembrava aveva scelto proprio quel momento per uscirgli dal petto: gli batteva nella gola, e si sentiva i pantaloni incredibilmente stretti. Imbarazzato come non mai, corse nel retrobottega col fiato corto, appoggiando le mani sul tavolo dove teneva il bollitore per il the. Trovò il coraggio di guardare in basso. Oh cielo!
Sapeva cosa stava succedendo.
Apparentemente, aveva appena avuto un’erezione.
Andò nel panico. Non aveva idea di come risolvere la faccenda, considerando che era la prima volta.
 
SE NE ACCORGERA’! COSA POSSO FARE?
 
Crowley gli urlò dall’altra stanza “Allora, ce l’hai una camicia da darmi o devo miracolarmi tutto il guardaroba?” – “Ti stavo preparando un the caldo, così eviterai di morire congelato! Arrivo!”.
Fece del suo meglio per calmarsi, intanto che l’acqua per il the bolliva. Nel frattempo, aveva scelto dal suo armadio una camicia celeste pallido e un maglione in tinta più scura. Quando tornò nella libreria, con un vassoio e due tazze di the bollenti sopra e gli abiti appoggiati su un braccio, trovò Crowley avvolto nell’asciugamano, raggomitolato sul divano. Posò il vassoio sul basso tavolino che faceva parte del suo salottino, e gli porse gli abiti asciutti “Probabilmente ti saranno un po’ grandi… puoi andare a metterli nella stanza nel retro, se vuoi”. Crowley per una volta accettò il the senza storcere la bocca o fare storie, e lo sorseggiò con un sospiro di sollievo. “Grazie angelo. Così va meglio. Appena finisco il the vado a vestirmi” – “Non c’è fretta caro. Non mi sembra che accenni a diminuire, quindi non penso che andrai via molto presto. Non sei venuto con la Bentley?” gli chiese “Ah, visto che minacciava pioggia ho preferito camminare. Non volevo si bagnasse”. Aziraphale scoppiò in una risata “Che hai da ridere angelo?” – “Scusa ma… piuttosto che far bagnare la macchina preferisci inzupparti tu?” – “E’ delicata, ha quasi cento anni!” lo rimbeccò il demone “E tu oltre seimila!! Vecchio sciocco serpente…”. Ridacchiarono entrambi.
L’atmosfera era tornata distesa.
 




La serata continuò serenamente. Alla fine, l’acquazzone diminuì e smise del tutto e Crowley, con indosso gli abiti di Aziraphale, tornò a casa con il taxi che l’angelo aveva chiamato, preoccupato che potesse bagnarsi di nuovo se fosse ricominciato a piovere. Sulla soglia, si salutarono con un po’ di imbarazzo. Crowley perchè si sentiva ridicolo vestito di azzurro, ma soprattutto perchè si era dimostrato così fragile davanti all’amico, e Aziraphale perchè non riusciva a fare a meno di pensare al corpo del demone.
 
Seduto sulla poltrona, visto che non riusciva a dormire, stava cercando di evitare di ripensarci, ma più ci provava e più nella sua mente si formava concretamente l’immagine di Crowley a petto nudo, bagnato. Perchè non si era levato anche i pantaloni? Indugiò su quel pensiero. Lo immaginava con solo dei boxer addosso. Iniziò a sentire caldo, gli si arrossarono le guance e di nuovo, prepotentemente, si fece strada in lui la consapevolezza di una nuova erezione, più intensa della prima.
 
Posso gestirla. Devo solo smettere di pensare a Crowley.
 
Chissà com’è baciarlo.
 
Oddio, non ci devo pensare!
 
Si guardò di nuovo in basso. Si premette la mano al di sopra dei pantaloni, spinto da un’urgenza inaspettata, e la sensazione si fece più forte di prima. E più gradevole. Provò a carezzarsi leggermente, e la sensazione di piacere tornò. A quel punto, la curiosità ebbe la meglio sul pudore e Aziraphale si slacciò cintura e pantaloni. Toccarsi al di sopra dei boxer era ancora meglio, perchè c’erano meno strati di stoffa. Ma non bastava ancora: vergognandosi moltissimo, si abbassò anche i boxer e per un attimo rimase sbalordito. Era inequivocabilmente eccitato, con il pene rivolto verso l’alto e rigido al tocco. Gli si riaffacciò il pensiero di Crowley, nudo anche lui, che gli si strusciava addosso. Fu attraversato da una nuova fitta di desiderio, che iniziò ad assecondare lentamente con la mano, dimentico del buonsenso che gli urlava di lasciar perdere, della natura angelica che in quel momento era lontana mille miglia, insieme al pudore che a quanto pareva, lo aveva del tutto abbandonato. L’orgasmo arrivò dopo qualche minuto con una serie di contrazioni e di altrettanti gemiti, e lo lasciò esausto ed incredulo.
Si era perso QUESTO per seimila anni? Non riusciva a crederci.

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Capitolo 5
*** Chapter 4 - Bachata ***


Subito dopo sopraggiunse il senso di colpa.
 
Sono un angelo! Non posso fare queste cose! E’ disdicevole!
 
Aziraphale se lo ripeteva confusamente, mentre si puliva alla bell’e meglio con un fazzoletto. Fortunatamente per lui – o sfortunatamente – in seimila e più anni di vita nessun cibo, per quanto prelibato, gli aveva fatto provare un piacere tanto intenso. E lui amava il cibo. Pensava che nulla potesse essere meglio ed invece a quanto pareva il sesso batteva perfino un tortino al cioccolato col cuore fondente.
 
Ora capisco meglio gli umani… avranno vite brevi, ma almeno se le godono appieno…
E lui che è un demone, senza le restrizioni imposte da quella che è la mia natura… chissà quante volte lo avrà fatto.
 
Una fitta di gelosia lo attraversò. Andò a fare una doccia, sperando che il getto di acqua bollente gli lavasse via almeno una parte dei pensieri.
 
I giorni successivi furono difficili per lui. Combatteva una battaglia persa. Se da una parte moriva dalla voglia di sperimentare quelle nuove scoperte (possibilmente con Crowley), dall’altra era preoccupato perchè non riusciva a togliersi dalla testa che quello che stava facendo fosse sbagliato. Ma la verità era soprattutto che aveva paura di non essere ricambiato e del confronto con gli innumerevoli altri amanti che – ne era certo – Crowley aveva avuto nel corso dei secoli.
 
Così, l’angelo e il demone continuavano a vedersi, sera dopo sera, e Aziraphale era sempre più sul filo del rasoio, cercando di mantenere un precario equilibrio tra desiderio e imbarazzo. Immancabilmente, quando Crowley tornava a casa e lo lasciava solo, le mani dell’angelo trovavano la strada verso il suo sesso, per appagare almeno in parte quella fame mai provata prima. E Crowley era il protagonista, il re di ogni suo pensiero. L’immaginazione di Aziraphale correva, immaginandoli mentre si baciavano, mentre il suo demone preferito dichiarava il suo amore per lui, per poi concludersi in pensieri indistinti in cui entrambi, nudi, si stringevano l’uno all’altro. Se da una parte non desiderava altro che le sue fantasie si avverassero, dall’altra era spaventato da se stesso, tanto da non riconoscersi quasi più: si sentiva schiavo di quelle passioni così poco opportune.
 
Crowley si era accorto che qualcosa era cambiato. Aziraphale negli ultimi giorni era stato teso come una corda di violino e sobbalzava ogni volta che si sfioravano per qualche motivo. Inoltre, per qualche strano motivo, c’era qualcosa di diverso anche nella libreria, che lui conosceva come le sue tasche da oltre duecento anni.
Crowley stava ciondolando tra gli scaffali, fingendo di guardare qualcosa, mentre aspettava che Aziraphale si liberasse dell’ultimo cliente (che non accennava ad andare via, pur essendo passato l’orario di chiusura da un pezzo), e ad un certo punto si ritrovò ad “assaggiare” l’aria con la sua lingua da rettile. L’odore familiare di quel posto era cambiato, sottilmente ma inequivocabilmente.
 
Sesso.
C’è odore di sesso qui dentro.
 
Come era possibile, per Satana?
Lo invase una sensazione di disagio e di ansia. Riprovò più volte, tirando fuori la lingua, ma non poteva sbagliarsi. Sentiva odore di polvere e carta antica, quello degli orrendi the che Aziraphale si ostinava a proporgli, ma soprattutto quella leggera, fin troppo riconoscibile fragranza di vaniglia pregiata che emanava la pelle dell’angelo, mischiata a qualcosa di più muschiato e primordiale. Era sesso. Inconfondibile.
 
A breve avrebbe sentito l’odore del suo stesso panico se non si fosse dato una calmata. Non poteva essere che Aziraphale avesse fatto sesso con qualcuno. Aveva aspettato seimila anni, SEIMILA, per averlo. E ora lui lo faceva con qualcun altro? Non era possibile. Non poteva accettarlo. Ok, qualche mese prima, quando l’angelo aveva velatamente suggerito che la loro relazione sarebbe potuta cambiare lui lo aveva rifiutato, arrabbiato e ferito com’era, ma questo era un altro discorso! Il SUO angelo che faceva sesso con qualcuno che non era lui?
Era davvero troppo.
 
Chi era?
Quando lo vedeva?
Durante il giorno? Aziraphale aveva sempre chiuso la libreria quando aveva voglia di farlo, senza preoccuparsi troppo degli orari prestabiliti.
Quando Crowley tornava a casa? Dormivano forse insieme?
No questo davvero non poteva sopportarlo.
 
Guardò sospettosamente quell’odioso cliente che ancora parlava con Aziraphale. Era lui? Gli sembrava troppo vecchio, troppo brutto, troppo insopportabile. E se fosse stata una donna? E se fosse stata Madame Tracy? Gli erano già venuti in mente una decina di modi per liberarsi in modo definitivo sia di lei che di quel maledetto vecchio, quando finalmente quello si levò di torno, ringraziando il suo angelo in modo che Crowley giudicò decisamente troppo caloroso.
Possessivo, gli si avvicinò “Chi era?” – “Nessuno caro, solo un cliente” – “Ssssto asssspettando da un’ora” gli disse sibilando. Aziraphale lo guardò incuriosito. Raramente Crowley degnava di qualche importanza gli umani che visitavano la libreria. Di solito nemmeno li vedeva, e quando arrivava prima che lui esponesse il cartello “CHIUSO” sulla porta a vetri, si limitava a sedere sul divano, con le gambe allungate e le mani dietro alla testa, perso nei suoi pensieri.
 
“Che vuoi fare stasera quindi? Cena fuori? Ordino qualcosa?” – “Ho voglia di bere” – “Caro, non puoi solo bere, te l’ho detto centinaia di volte”. Crowley non aveva alcuna voglia di uscire. Doveva indagare, e capire se l’altro (o altra) aveva lasciato qualche traccia riconoscibile. Sfortunatamente la libreria era sempre troppo disordinata per notare qualcosa di fuori posto, e per quanto riguardava gli odori era frequentata da parecchie persone. A parte quello più muschiato che aveva sentito, legato alla fragranza del suo angelo, non c’era nulla di nuovo.
Quindi, avrebbe dovuto chiedere.
Avrebbe messo quell’angelo traditore alle strette, a costo di fargli bere una distilleria intera.
 
Si accordarono per del sushi, una delle grandi passioni di Aziraphale. Crowley non aveva mai capito perchè del pesce crudo dovesse piacere tanto, e gli sembrava che gli umani si fregiassero del loro amore per quel piatto come una medaglia, come se li ammettesse ad un club elitario. Per lui cambiava poco, non aveva tutto questo bisogno di mangiare e a differenza di Aziraphale non faceva grossa differenza cosa effettivamente mettesse sotto i denti. L’angelo invece aveva una sorta di venerazione per il cibo, ed era sempre alla ricerca di sapori nuovi. Era paradossale come Crowley per tante ragioni sembrasse ascetico – dall’arredamento minimal del suo appartamento, alle abitudini frugali nel mangiare – quanto invece Aziraphale fosse decisamente un edonista – amante del cibo, dei dolci, degli abiti pregiati. Colto da questo pensiero, il demone si preoccupò ulteriormente: edonista, amante del cibo… e del sesso anche? Sembrava rientrare tutto nel quadro.
 
Durante la cena, apparecchiata sul tavolinetto del salotto, di fronte al divano dove sedeva di solito Crowley, lui non riusciva a stare fermo. Avrebbe voluto fare a quell’insopportabile cherubino che aveva di fronte almeno un migliaio di domande. Affogò nella soia e nel wasabi del salmone, costretto suo malgrado da Aziraphale, e mangiò qualche boccone. Quella sera bevevano vino bianco, e il demone era fermamente intenzionato a far accumulare un cospicuo numero di bottiglie vuote a fine serata.
 
Alla terza bottiglia, quando l’angelo aveva già le guance arrossate per l’alcool, che iniziava a renderlo più ridanciano e aperto, iniziò a buttare qui e lì qualche domanda inquisitoria “Hey angelo, ma tu dormi mai qui?” – “Non molto spesso a dire il vero… leggo per lo più” – “E non ti capita di sentirti solo di notte se non dormi?” – “Mah… qualche volta… ma lo sai che amo leggere e quindi mi capita molte volte di arrivare a mattino senza nemmeno accorgermi di come sia passato il tempo” – “Quindi non viene mai nessuno qui?”. Aziraphale lo guardava, confuso “Beh… certo, tu vieni tutte le sere! A proposito, si sta facendo tardi, non trovi?”. Crowley trasalì “Perchè? Hai un appuntamento?” – “No, certo che no!” replicò Aziraphale, agitato “Mi preoccupavo solo per te, che invece preferisci dormire…” – “Stanotte non ho sonno, non stare a preoccuparti”.
 
Aziraphale aveva notato che Crowley quel giorno si era vestito in un modo che per lui era particolarmente eccitante (pantaloni di pelle aderentissimi e solo una maglia con lo scollo a V profondo: sembrava pronto per un video rock), e a dire il vero non vedeva l’ora di potersi toccare fantasticando su di lui. Per un attimo perse il filo del discorso che stavano facendo, indugiando col pensiero sulla maglia che disegnava il petto sottile ma ben definito del suo Cavaliere Nero lì di fronte… “Angelo, ti sei addormentato? A che pensavi?” la voce ruvida di Crowley lo riportò alla realtà “Niente, hem… un libro…” gli rispose mentre le gote gli si imporporavano.
 
Sfortunatamente per Crowley però, nonostante le domande, l’ottimo cibo e l’alcool, Aziraphale non si sbottonò molto. Non riuscì a tirargli fuori nulla di nuovo, anche se era sicuro che stesse nascondendo qualcosa. Ma cosa?
Si salutarono che erano le tre passate, ma per nessuno dei due la notte era finita.
Crowley, sospettoso, decise di appostarsi fuori dalla libreria: se una qualsiasi persona si fosse azzardata ad avvicinarsi al suo angelo l’avrebbe polverizzata, e poi gliene avrebbe dette quattro a quello stupido traditore!
Aziraphale dal suo canto si sentiva inebriato dall’alcool e Crowley quella sera gli era sembrato molto attento e curioso… molto più del solito, molto più di quanto non lo fosse stato dal giorno del picnic, quando lui maldestramente aveva creato quella spaccatura che stave faticando tanto a sanare, e che ancora si teneva insieme a malapena.
 
Accidenti com’era bello stasera. Adoro i suoi capelli quando sono così lunghi. Adoro quando si veste così.
 
Sprofondato nella sua poltrona preferita, Aziraphale si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli. Poi, la fece scivolare sul petto, slacciandosi la camicia e sfiorandosi i capezzoli. Il pensiero di Crowley, con quei pantaloni aderenti, gli procurò un’erezione immediata. Sospirò. Si sbottonò anche i pantaloni, seguendo quella specie di rituale che gli era diventato familiare, e infilò una mano nei suoi boxer celeste chiaro.
 
Che effetto mi fai…
 
Con la mano si sfiorò le vene gonfie, e poi la strinse intorno alla sua erezione. Iniziò lentamente a muoverla, in alto e in basso, immaginando che ci fosse il suo demone a farlo. Gradualmente aumentò il ritmo e il respiro gli si accorciò. Piccoli gemiti gli uscivano dalle labbra socchiuse, umide, mentre con la mano continuava a tormentarsi e con l’altra si aggrappava al bracciolo della poltrona. Crowley che lo baciava. Crowley che lo toccava, Crowley che con le labbra scendeva a prendere in bocca il suo membro, fino a farlo sparire in un liquido piacere. I suoi movimenti si fecero più irregolari e sussultori, inizò a tremare, e un gemito decisamente più forte accompagò la prima di una serie di spinte che lo portarono all’orgasmo.
 
Crowley, fuori dalla libreria, aveva sentito quel gemito, anche se attenuato dalla porta. Come aveva potuto un umano entrare senza che lui se ne accorgesse? Forse dalla porta sul retro? Infido, diabolico angelo! Nemmeno il coraggio di farlo entrare dalla porta principale! Si precipitò dentro, pazzo di gelosia, per trovare un Aziraphale sbalordito, con i capelli spettinati, le guance paonazze, la camicia semi aperta e i pantaloni ancora slacciati.
“Dov’è?” urlò Crowley “Dov’è andato quello schifoso umano?”.
Aziraphale era rimasto a bocca aperta, con uno sguardo tra l’inorridito e il panico totale.
“Lo so che nascondi qualcuno, non mi mentire!” urlò ancora.
L’odore di sesso era fortissimo. Crowley si sentiva le narici invase da quel profumo inebriante, di eccitazione e sudore e vaniglia e sperma… e basta. Non sentiva altro. Nessun altra persona. Aziraphale balbettava arretrando, e Crowley notò una chiazza umida sulla sua camicia “Angelo, che stavi facendo?” disse a voce bassa e roca “Ti sei masturbato?”.
Aziraphale si coprì il viso con una mano, cercando di sistemarsi gli abiti in disordine con l’altra “Vattene via Crowley, ti prego! Non mi guardare!” implorò. La voce di Crowley si addolcì un poco “Angelo, calmati. E’ vero, ti ho colto con le mani nel sacco, ma è perfettamente naturale… lo fanno tutti…” – “Ma non io! Non gli angeli! Sono solo un depravato!”. Aziraphale era sull’orlo delle lacrime. Crowley lo raggiunse, gli prese le mani, costringendolo a guardarlo “Calmati! Non sei un depravato. Non esiste persona al mondo che non abbia sperimentato la masturbazione” – “Ah davvero? E conosci qualche angelo che lo abbia fatto?” – “Sei l’unico che abbia avuto un corpo materiale per seimila anni. Ma i demoni lo fanno, tutti. Anche quelli che hanno un corpo da soli cinque minuti. Io lo faccio” aggiunse Crowley, distogliendo finalmente lo sguardo. “Sei sconvolto, ti preparo un the” aggiunse infine, allontanandosi nel retro.
 
Se avesse potuto, Aziraphale si sarebbe smaterializzato, ma era sicuro che Crowley non avrebbe apprezzato. Soprattutto, aveva già fatto abbastanza danni chiedendogli di modificare la loro relazione senza aver fatto in prima persona nulla perchè cambiasse. Era stato leggero e non aveva tenuto conto dei sentimenti di Crowley. Aveva dato per scontato che gli avrebbe detto di sì. Nei mesi successivi aveva fatto di tutto per riconquistare la fiducia e l’affetto del suo amato, ma ora che Crowley lo aveva visto così… cosa avrebbe pensato di lui?
 
Si accasciò sul divano, con la testa vuota e nemmeno una vaga idea di cosa dire a Crowley quando fosse tornato.
Di lì a poco, lui gli porse una tazza di the fumante, e gli si sedette accanto. Aziraphale la accettò, grato di poter guardare qualcosa che non fossero gli occhi gialli indagatori del suo demone. Non poteva evitare però che lui gli facesse domande e si preparò, deglutendo.
Crowely però esitava. Si era reso conto di aver fatto una vera e propria scenata di gelosia, e se ne vergognava moltissimo. A dispetto di tutto quello che gli aveva detto e di come aveva cercato di trattenersi per tutti quei mesi, al primo accenno di un possibile rivale, aveva dato di matto. Non sapeva come correre ai ripari, e si limitava a sedere accanto all’angelo, in silenzio.
 
Aziraphale poggiò la tazza. Raccolse tutto il coraggio che aveva e si voltò verso Crowley.
“Io… mi scuso per lo stato in cui mi hai dovuto vedere questa sera. Mi sento mortificato e se tu non vorrai avere più nulla a che fare con me lo capirò. Ho cercato di recuperare, di farti capire che eri l’unico per me… Ho cercato di esserci, senza chiedere nulla, semplicemente per poter continuare anche per altri seimila anni ad averti accanto così come adesso, ma adesso… Hai visto che non sono quello che pensi. Non sono puro, non sono buono come ho cercato di farti credere. Mi dispiace e mi vergogno infinitamente. Accetterò qualsiasi cosa tu sceglierai stavolta, senza più interferire con le tue decisioni” concluse, abbassando il capo.
 
Crowley continuava a stare in silenzio, investito da quella confessione. I pezzi iniziarono ad incastrarsi meglio. Ripercorse con la mente tutte quelle piccole attenzioni che gli aveva riservato negli ultimi mesi. Gli inviti, il tempo passato insieme, il cambio di look. Si accorse solo con qualche secondo di ritardo che Aziraphale gli aveva preso la mano. Si voltò a guardarlo, ma evidentemente l’angelo aveva avuto la stessa idea, nello stesso istante. Si guardarono per un attimo negli occhi, poi Aziraphale si avvicinò di colpo e lo baciò.

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Capitolo 6
*** Chapter 5 - Tango ***


Per quello che sembrò ad Aziraphale un tempo infinito, Crowley rimase immobile.



 

Un attimo dopo gli si era aggrappato addosso, e lo stringeva come se Aziraphale fosse l’unico punto saldo di un intero mondo che stava crollando.

Non aveva staccato la bocca dalla sua, ma non aveva approfondito il contatto.

 

“Crowley… caro… mi stai facendo male” sospirò Aziraphale tra le labbra dell’altro. Quel movimento appena accennato fece letteralmente avvampare Crowley, che rispose immediatamente socchiudendo la bocca, lasciando che la sua lingua assaggiasse finalmente il sapore di quella dell’altro. A quel contatto, Aziraphale si sciolse. Non gli importava più che Crowley gli stesse stringendo le braccia così tanto che probabilmente gli sarebbero venuti dei lividi, non gli importava più che quello che aveva sognato come primo bacio, tenero e romantico, si fosse rapidamente trasformato in qualcosa di molto più umido e violento e primordiale, non gli importava più di nulla. Rispose, in totale abbandono, mentre a sua volta gli si aggrappava al collo, per sentirlo più vicino, per non permettergli di allontanarsi mai più.

Così’ come aveva iniziato, Crowley si allontanò, bruscamente; poi, carezzò con un dito le labbra arrossate ed ammaccate dell’angelo “Sai perchè si chiama arco di Cupido?” gli chiese, soffermandosi sulla morbida curva tra le labbra e il naso “Probabilmente perchè ha quella forma? Come quella dell’arco del dio romano dell’amore?” – “Certo, ma secondo la tradizione ebraica è il segno che lascia un angelo sulla bocca di un bambino che sta per nascere, come ad imporgli il silenzio su quello che si erano detti prima della sua venuta al mondo”. Aziraphale non si aspettava certo quel tipo di conversazione, dopo il loro primo bacio. Alzò leggermente le spalle “Perchè me lo stai dicendo?” – “Mi chiedevo, quando ti hanno assegnato questo corpo, se qualcuno avesse previsto che il tuo perfetto, meraviglioso arco di Cupido ti avrebbe tenuto in silenzio su… tutto questo, per seimila anni”.

Aziraphale per un attimo abbassò lo sguardo. Il tono di Crowley era ancora vagamente incerto, e lui si sentiva in colpa per il suo comportamento. “Sono stato un codardo, hai ragione. Se potessi tornerei indietro e cercherei di essere più sincero, con te e con me stesso, ma visto che non posso modificare il passato, mi impegnerò per il futuro. Puoi perdonarmi e concedermi di continuare a rimediare?”.

Gli occhi di Crowley si addolcirono, e per la prima volta da molti mesi, un sorriso spontaneo, non tirato, spuntò sul suo viso. Volente o nolente, non poteva negare a quel maledetto, splendido angelo, una seconda opportunità. Si ricompose. In tono strascicato, volutamente provocante, gli rispose “Dipende angelo, come pensi di convincermi?”. Aziraphale close il gioco “Pensi che alcuni altri baci, come quello precedente, potrebbero perorare la mia causa?” – “Puoi provarci. Ma te ne serviranno tanti” concesse il demone.

Aziraphale decise che per una volta non era il caso di farsi pregare, e lo baciò ancora, quasi a voler recuperare tutto quel tempo perduto. Tra un bacio e l’altro, Crowley ridacchiò “Angelo… non avrei mai pensato che potessi avere tutta questa fame di baci… Che tu fossi amante del cibo lo sapevo, ma questo… va ben oltre!” – “Oh sta’ zitto sciocco. Baciami e basta” – “Naaah, io sono uno che parla, abituati…”. Lo spinse leggermente, ad aumentare un poco le distanze tra loro, mentre Aziraphale smaniava per riprendere possesso della sua bocca: gli prese i polsi nelle mani, cercando di riavvicinarsi, e per qualche secondo lottarono un po’, Crowley ridendo, Aziraphale innervosito dalle sue risate. Uno strattone di troppo, e rotolarono giù dal divano dal quale non si erano ancora mossi. Il demone si ritrovò a pancia in su, con l’angelo che gli stava cavalcioni. Fu il turno di Aziraphale di ridere “Il bene trionfa sempre, vedi?”: si sarebbe aspettato una risposta velenosa o salace, ma in quel momento Crowley era cosciente solo della sua erezione, che attraverso quello che gli sembrava un inutile ed esageratamente alto numero di strati di stoffa, strusciava su quella di Aziraphale. Ruotò lievemente il bacino andando ad aumentare il contatto tra di loro, in una naturale ed istintiva risposta al desiderio, e anche l’angelo se ne accorse: anche senza guardare in basso, era evidente che entrambi volevano molto di più di quei baci.

Si guardarono per un attimo, entrambi intimiditi dalla consapevolezza di quello che entrambi provavano. Aziraphale si chinò ad abbracciarlo, affondando il viso nella spalla di Crowley. “Io... non l'ho mai fatto” gli disse, con un tono così basso che lui fu a malapena in grado di sentirlo “Per favore, non so cosa devo fare”. Il suo tono era di supplica, come se fosse spaventato di poter fare qualcosa di sbagliato: gli stava chiedendo di guidarlo. L'angelo testardo che aveva dovuto blandire ogni volta per ottenere qualcosa da lui, quello che era sempre riuscito a fargli fare di tutto, la maggior parte delle volte senza aver nemmeno bisogno di chiedere, lo stava pregando, letteralmente. Quello più di ogni altra cosa sciolse il cuore di Crowley: tutto il dolore, la rabbia, la paura di essere rifiutato di nuovo a cui si era aggrappato per tutto quel tempo furono spazzate via dal calore che avvampò dentro di lui. Se prima era sicuro di aver amato Aziraphale, il sentimento che provava adesso era decuplicato, aumentato all'ennesima potenza.

Non gli rispose se non pronunciando piano il suo nome, cercando di infondere in quell'unica parola tutto l'amore che sentiva.

 

Aziraphale...

 

Glielo ripetè centinaia di volte, mentre gli copriva il viso di baci leggeri come piume, mentre gli finiva di sbottonare la camicia e lo lasciava a petto nudo...

 

Aziraphale...

 

Glielo continuò a dire mentre l'angelo intrecciava le mani dietro alla sua testa, mentre i loro corpi si sfioravano pelle a pelle (come aveva fatto a rimanere senza camicia, non lo ricordava più)...

 

Aziraphale...

 

Glielo disse mentre con le labbra assaggiava il sapore della sua pelle, sul petto, sulle gambe, sul collo, inebriandosi del suo profumo...

 

Aziraphale...

 

Glielo disse ancora, e ancora, mentre per la prima volta entrava dentro di lui, sprofondando in mare di piacere, ascoltandolo mentre gemeva insieme a lui, mentre trovavano insieme quel nuovo ritmo...

 

Aziraphale...

 

Lo ripetè un'ultima volta, nella tensione dell'orgasmo, quando inarcando la schiena e tirando la testa all'indietro il suo nome gli uscì dalla gola in una specie di verso strozzato a causa della mancanza di ossigeno.

 

Gli crollò accanto, ansimando, ad occhi chiusi. Gli ci volle qualche momento per rendersi conto che erano ancora ai piedi del divano, dove erano rotolati giù qualche minuto (ore?) prima. Sbattè le palpebre, senza trovare il coraggio di guardare Aziraphale negli occhi. Sapeva di essersi lasciato andare, fin troppo, e si sentiva intimorito. Forse aveva esagerato, forse aveva rovinato tutto. Fu Aziraphale a torglierlo dall'impaccio: si alzò su un gomito, gli carezzò il viso, e con uno sguardo incredibilmente luminoso, anche se un po' timido, pronunciò un'unica parola, ma carica di un amore immenso “Crowley...”.

Lui si sentì quasi investito da quell'ondata di amore, era incredibile come perfino un essere infimo come lui potesse godere di quel sentimento. “Tu... stai bene?” gli chiese e Aziraphale lo guardò tra le ciglia “Oh... credevo fosse evidente” - “Non scherzare... io... ho esagerato forse, perdonami” - “Non dire sciocchezze, non c'è nulla da perdonare” sorrise.

 

Di nuovo, tutto il mondo sorrise, o almeno, tutto il mondo di Crowley.

 

Quella volta fu il turno di Crowley di nascondere il viso nella spalla di Aziraphale, che lo abbracciò strettamente sussurrandogli nell'orecchio frasi sconnesse, fino a che si addormentarono insieme, ancora per terra, sul tappeto della libreria.

 

A ben pensarci, fu quella la prima notte del resto della loro vita.

 

 

P. S. Avrei voluto aggiungere un altro disegno, mooolto più hot, ma poi mi sono ricordata che ci sono anche minorenni :P

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Capitolo 7
*** Chapter 6 - Boogie Woogie ***


Aziraphale si svegliò per primo.

Aprì gli occhi, e si trovò di fronte il viso di Crowley, ancora addormentato, con la bocca socchiusa. Russava leggermente.

 

Era mattino presto e la luce iniziava a filtrare dalle vetrine della libreria. Microscopiche particelle di polvere vagavano pigramente nell'aria, illuminate da quella luce incerta, in traiettorie apparentemente senza senso.

Sembrava che il tempo non fosse dei migliori, ma non era inusuale per un posto come Londra.

 

Durante la notte qualcuno, non ricordava chi, aveva tirato giù dal divano una coperta in pile tartan. Nessuno dei due aveva voluto interrompere quel contatto, nemmeno fosse per trascinarsi fino al letto. E così giacevano, rannicchiati sul tappeto, fronte a fronte, i volti vicinissimi, con la coperta che racchiudeva come un bozzolo caldo i loro corpi ancora nudi.

Aizraphale era ancora incredulo, sbattè più volte gli occhi, quasi a verificare che Crowley fosse davvero davanti a lui, addormentato. Nella penombra riusciva a vedere la piega del braccio, a contatto col petto, e il bel viso un po' schiacciato, appoggiato sull'altro braccio piegato ad angolo. Sembrava più giovane: forse era merito della gravità che agiva diversamente rispetto a quando era in piedi, ma le piccole rughe che gli circondavano la bocca e gli occhi sembravano più spianate. Si beò dei ricordi e delle sensazioni di quella notte, sentendosi vagamente colpevole ed imbarazzato per come si erano svolti gli eventi. Era stato meraviglioso, ma mentre avevano fatto l'amore lui aveva gridato, più volte, mentre il suo amante lo possedeva. E poi, ovviamente, Crowley lo aveva visto nudo. Aziraphale era sempre stato un po' insicuro del suo aspetto, per via di quelle rotondità derivanti dal suo amore per il cibo. Razionalmente si rendeva conto che un angelo non si dovrebbe certo preoccupare di queste piccolezze, ma emotivamente era tutto un altro discorso: ora si sentiva esposto, messo a nudo, letteralmente.

 

Si mosse, lievemente a disagio, pensando se fosse il caso di andare a vestirsi, perchè di lì a breve avrebbe dovuto affrontare Crowley e non credeva di riuscirci senza uno straccio di vestito indosso.

I suoi movimenti però svegliarono Crowley, che aprì lentamente gli occhi, sbadigliando.

“Buongiorno angelo” mugolò Crowley, stiracchiandosi un po' e poi cingendogli il fianco con un braccio, per tirarlo più vicino a sè. La voce ancora mezza assonnata di Crowley era roca e calda, e Aziraphale rispose all'abbraccio stringendosi a lui, per un attimo dimentico dell'imbarazzo che provava fino a poco prima.

 

“Hai dormito bene?” gli chiese Crowley, dandogli un bacio all'angolo delle labbra.

“Incredibilmente bene” gli rispose Aziraphale “Credo di non aver mai dormito così bene in vita mia, anche se... beh siamo a terra e non su di un letto”. L'altro ridacchiò leggermente “Potere del ssssessssso, angelo. Si dorme sempre meglio dopo. Ma se vuoi possiamo trasferirci sul letto. Anche il sesso mattutino non è niente male...” si spostò con le labbra sulla guancia e poi sul collo.

“E' già mattino... io devo aprire la libreria e...” - “E chi se ne frega della libreria... non venderesti comunque nemmeno un libro, lo sai” continò Crowley, leccandogli un orecchio. La risposta del corpo di Aziraphale fu inequivocabilmente a favore di quella prospettiva, mentre lui sentiva il pene gonfiarsi ed indurirsi di nuovo per colpa (o merito) della bocca di Crowley che continuava a solleticargli la zona tra il collo e il mento.

 

E io che pensavo che mi facesse tanto effetto prima, adesso è ancora peggio... meglio... Cielo non resisto se mi bacia così...

 

Sentì la mano di Crowley insinuarsi tra le sue gambe, e stringere lievemente le dita sulla sua erezione.

“Il tuo corpo ti tradisce angelo, anche a te non interesssssa nemmeno un po' aprire la libreria...” gli sussurrò con voce suadente. Inizò a muovere la mano, provocandogli un involontario sospiro di piacere. “Ti va di andare sul letto? Non che mi interessi se mi vedono da fuori, ma si sta generalmente più comodi” gli disse mentre continuava a carezzarlo. Aziraphale si alzò seduto ed esclamò “Non ci avevo pensato! Che imbarazzo, devo andare subito a coprirmi, non posso andare in giro nudo, mi vedranno...” - “Calmati angelo, non ti vede nessuno per ora. Prendi la coperta e vai a letto. Ti raggiungo” - “E tu?” - “Come ti ho detto, a me non interessa se mi vedono nudo” disse alzando un sopracciglio. A sottolineare il fatto si alzò in piedi, non mostrando alcun pudore, esattamente come aveva detto.

 

Aziraphale si incantò di fronte alla sua bellezza. La notte precedente ricordava ovviamente di averlo visto senza vestiti, ma non lo aveva guardato bene, nella sua interezza, e i suoi ricordi erano vaghi e sconnessi, annebbiati dal piacere. Crowley era ovviamente del tutto a proprio agio col suo corpo. Era snello, longilineo. Non particolarmente muscoloso ma ben fatto. Le gambe magre erano coperte di una leggera peluria, e Aziraphale si soffermò per un secondo a pensare che aveva persino bei piedi. Lasciò correre il suo sguardo lungo le cosce, cercando di non soffermarsi troppo nella zona dell'inguine, visto che Crowley era ancora visibilmente eccitato, e poi salì sul petto, sul collo e sul viso. Aveva gli occhi lucenti, risplendevano nella penombra, e i capelli arruffati che gli cadevano in onde scomposte sulle spalle.

“Che c'è, ti sei imbambolato? Non volevi andare via?” - “Io... si, hai ragione. E' solo che mi sono reso solo ora conto di quanto tu sia bello...”. Il demone assunse un'aria sorpresa,in quel momento anche lui un po' a disagio, perchè l'angelo non gli staccava gli occhi di dosso. “Non dire sciocchezze” tagliò corto “Dai alzati timidone”.

 

Aziraphale si tirò su un po' goffamente, avvolgendosi il più possibile dentro la coperta, cercando di non lasciare scoperto un centimetro di pelle più del necessario, mentre Crowley lo seguiva nella stanza da letto.

 

“Come fai ad essere così disinvolto?” gli uscì dalla bocca senza volere. “Disinvolto?” Crowley si girò verso di lui “Intendi da nudo?”. Suo malgrado, Aziraphale annuì “Non mi interessa nulla di cosa pensano di me, è semplice. Sono solo umani” - “Non sono solo umani...” disse in un sospiro l'angelo. “Ci sei tu, e allora? Da quando ti preoccupi di queste cose?” - “Beh... da adesso, credo”. Crowley si strinse nelle spalle e gli prese una mano tra le sue, molto più fredde, a baciarne la punta delle dita.

“Caro stai gelando! La coperta avresti dovuto prenderla tu...” - “Beh, magari puoi pensare di scaldarmi in un altro modo...” lo provocò.

 

La camera da letto era occupata da un lato da alte finestre coperte da drappi pesanti, c'era un guardaroba antiquato, in legno, e un'immenso letto coperto da lenzuola bianchissime e cuscini gonfi che occupava la maggior parte dello spazio. Crowley emise un verso sommesso “Accidenti, ma cosa te ne fai di un letto così se la maggior parte delle notti non dormi?” - “Ogni tanto dormo, e mi piace stare comodo” si giustificò l'angelo. Crowley gli si avvicinò, insinuando le mani sotto la coperta che Aziraphale teneva ancora stretta intorno a se. “Non mi sto lamentando...” sussurrò sfiorandolo.

 

Gli baciò di nuovo il collo, e la coperta che fino a quel momento aveva avvolto Aziraphale giacque in breve tempo a terra, dimenticata, mentre i due amanti si perdevano di nuovo tra le spire del piacere.

 

In effetti, non era così indispensabile aprire la libreria proprio ogni giorno, si disse l'angelo, utilizzando l'ultimo briciolo di lucidità che aveva.

 

***

 

Quel nuovo tipo di ritmo piaceva a entrambi.

Passavano insieme tutte le sere e tutte le notti, e sembrava non si stancassero mai della compagnia l'uno dell'altro. Sebbene fosse Crowley ad iniziare a baciarlo la maggior parte delle volte, Aziraphale rispondeva sempre con una passione e un trasporto che avevano sbalordito il demone, tanto che più volte Crowley si chiese da dove venisse tutto quel desiderio. Avrebbe voluto prenderlo in giro, ma aveva il vago timore che se lo avesse fatto, Aziraphale avrebbe iniziato a farsi migliaia di domande e a farsi venire dubbi su di loro, quindi accettava la cosa cercando di evitare qualunque domanda.

 

***

 

Era passata una decina di giorni da quella notte.

 

Avevano cenato in uno dei “loro” ristoranti (o meglio, Aziraphale aveva cenato, Crowley si era limitato a piluccare qualcosa mentre beveva del vino) e stavano rientrando a casa, quando si imbatterono in Madame Tracy e il Sergente Shadwell, anche loro evidentemente di ritorno da una cena fuori.

Lui era sempre lo stesso, mentre lei era molto diversa da come la ricordava Crowley. Al tempo, aveva dei riccioli arancioni gonfi ed era truccata pesantemente, mentre ora era bionda, vestita distintamente e senza troppi fronzoli, tanto che ci mise qualche momento a riconoscerla, mentre Aziraphale invece la salutava con calore. Crowley strinse la mano ad entrambi, rigido, quasi rigido quanto Shadwell, evidentemente a disagio per essere stato visto in atteggiamento affettuoso con una donna che fino a qualche tempo fa chiamava con termini decisamente poco gentili. Lei non si curava minimamente di quel momento di imbarazzo, e Crowley sentì che diceva ad Aziraphale “Allora, hanno funzionato I miei consigli vedo...” ammiccando allusivamente verso di loro. Aziraphale arrossì, mentre Crowley si irrigidiva ulteriormente “Beh... si, abbiamo trovato dei punti in comune”, si affrettò a minimizzare l'angelo. Aveva però colto l'espressione gelida di Crowley, che evidentemente avrebbe voluto essere ovunque tranne che in quel luogo. Si affrettò a salutarli, con un sollievo condiviso da tutti tranne che da Madame Tracy, la quale era evidentemente incuriosita, ma ebbe il tatto di evitare di fare ulteriori domande.

 

Mentre tornavano alla libreria, Crowley si era rinchiuso in un mutismo che aveva preoccupato Aziraphale.

Una volta rincasati si sedettero sul divano, come era ormai consuetudine, e Crowley senza guardarlo disse con tono piatto “Non avevo capito che foste così... amici. Tu gli hai parlato di me. Di noi.” - “Io... non sapevo come fare. Le ho chiesto solo qualche consiglio...” - “Non sapevi cosa?” - “Come riconquistarti” disse l'angelo crollando il capo. “Interessante, e cosa ti ha detto?” - “Crowley dobbiamo per forza parlare di questo? Io... devi capire che io non ho mai fatto niente del genere, con nessuno, prima di te...Sei il primo e il solo...” cercò di rabbonirlo e di sviare il discorso.

“Angelo, non cambiare discorso, dimmi cosa ti ha detto quella vecchia megera”.

Aziraphale vuotò il sacco alla fine, e gli raccontò di come lei gli avesse detto che doveva mostrarsi seducente, e che per capire il sesso avrebbe dovuto farlo, perchè le sensazioni che si provavano non erano qualcosa di spiegabile a parole, quantomeno non in modo esaustivo.

“Quindi... hai iniziato a masturbarti sotto suo consiglio?”. Aziraphale balbettò paonazzo “Ma... NO! Ci mancherebbe pure! No quello... è capitato” - “Capitato? Non ti ho mai chiesto come. Raccontami”. Crowley incrocò le braccia dietro alla testa, chiaramente in attesa e pronto ad ascoltare.

 

Quella discussione stava diventando imbarazzante. Era vero che Aziraphale si era lasciato molto andare da un punto di vista fisico, ma Crowley non chiedeva nulla, non ne parlavano mai, e lui gli era grato di questo. Un conto era fare una cosa, per quanto potesse essere vergognoso ripensarci, ma parlarne... era fuori discussione. Andava oltre le sue possibilità. Deglutì e si sporse a baciarlo, per indurre l'altro ad agire e a sollevarlo da quella situazione.

 

“No no no” gli rispose allontanandolo, scuotendo la testa “Non ti lascerò andare tanto facilmente stavolta... puoi cercare di rimandare il discorso quanto vuoi, ma ormai mi sono incuriosito e voglio sapere. Tanto vale farla finita e dirmi tutto”. Aziraphale si sentiva messo alle strette, ma conosceva Crowley ed era sicuro che non gli avrebbe dato pace fino a che non gli avesse dato ciò che voleva. Vergognandosi orribilmente, iniziò a raccontare di come quella sera in cui Crowley si era fradiciato per via della pioggia, lo aveva visto mezzo spogliato davanti a lui per asciugarsi. “E quindi?” - “Beh, ho pensato che eri bellissimo...” - “Ti sei eccitato?” gli chiese, diretto. Per tutta risposta, Aziraphale, se possibile, arrossì ancora di più. “Angelo, non ti sto prendendo in giro, sono solo curioso. Hai avuto un'erezione, pensando a me?”. Aziraphale esitò un attimo “Ad essere del tutto sincero, quando ti ho visto. Per questo sono corso a prepararti il the”.

Crowley scoppiò in una risata apparentemente incontenibile, mentre Aziraphale, offesissimo, cercava di darsi un contegno “Smettila, avevi detto che non mi avresti preso in giro!” disse infine con una voce stridula. Il demone si asciugò una lacrima e si avvicinò di più “Non ti sto deridendo. Rido perchè dopo seimila anni che questa cosa capita a me quando siamo insieme, capita a te una volta e nel giro di un battito di ciglia finiamo a fare sesso. Cazzo angelo, ce ne hai messo di tempo per accorgerti che il tuo corpo funzionava!”.

Aziraphale rimase a bocca aperta da quella rivelazione “Cosa? Tu quindi... COSA?” - “Diamine Aziraphale, non te ne sei davvero mai reso conto? E' vero che non senti gli odori come me, ma non hai mai notato nulla? Io pensavo facessi finta di niente...” - “Ma cosa dici, figurati, non sarei riuscito a guardarti in faccia se... se avessi pensato che eri eccitato!”. A Crowley si addolcì lo sguardo “E ora? Ti da fastidio?” gli prese la mano e la strusciò sul cavallo dei pantaloni, per fargli sentire quanto la sua sola presenza gli facesse effetto. “No... adesso non mi da fastidio...” - “Vuoi vedere quanto sono eccitato, oltre che sentirlo?” - “Caro, devi per forza parlarne così apertamente?” - “Si... e voglio che lo faccia anche tu. Dimmi che mi vuoi” gli ordinò. “Io... non sono bravo in queste cose, lo sai”.

Il demone lo tirò verso di sè e gli leccò le labbra, mentre continuava a strusciare la sua mano sul rigonfiamento dei suoi jeans aderenti. “Sono seimila anni che mi eccito pensando a te... Seimila anni che mi masturbo pensando a te... me lo devi, dimmi che mi vuoi” gli diceva, tra un bacio e l'altro, mentre Aziraphale iniziava a perdere il controllo di corpo e mente. Alla fine, vinto, si lasciò andare in un sussurro “Ti voglio... voglio fare l'amore con te...”.

Una specie di ruggito di vittoria scaturì dal petto di Crowley, che acceso da quella dichiarazione, trascinò di peso l'angelo sul letto e ce lo gettò quasi, a schiena indietro, mentre gli saliva sopra coprendolo di baci. Aziraphale si slacciò i pantaloni, calciandoli via, mentre Crowley gli apriva la camicia sul petto, senza staccare la bocca dalla sua. Pochi istanti dopo, Crowley era nudo dietro di lui, che giaceva prono sul bordo del letto. Gli aveva alzato la camicia e gli baciava la schiena, mormorando parole incoerenti. Lo penetrò da dietro, artigliandogli i fianchi, mentre Aziraphale allungava una mano verso il proprio membro eretto, spinto dall'urgenza di godere insieme all'amante. Fu breve, ma incredibilmente intenso. Venne prima Aziraphale, rapidamente, scompostamente, ansimando e gemendo, e Crowley pochi secondi dopo, riversandosi al suo interno.

 

Gli crollò addosso, esausto, con la testa che gli girava, ubriaco del piacere provocato dall'orgasmo.

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Capitolo 8
*** Chapter 7 - Pas de deux ***


Passarono alcune settimane, poi alcuni mesi.

Era già quasi un anno che stavano insieme “ufficialmente” se così poteva essere detto.

Entrambi, privatamente, convenivano che era stato l'anno migliore della loro vita. Sembravano non essere mai sazi della reciproca compagnia, e sebbene ciascuno avesse deciso di conservare alcune attività personali, avevano iniziato a vivere insieme quasi da subito.

 

Aziraphale aveva mantenuto la sua libreria, chiaramente: era sottinteso che non avrebbe mai rinunciato ai suoi libri. Aveva però creato una sezione più “fruibile”, in cui la gente si poteva sedere a leggere, magari gustando un buon the. La libreria era sempre stata accogliente, e una volta messi al sicuro le sue prime edizioni ed i libri a cui teneva maggiormente in sezioni che agli umani apparivano noiose e ostiche, quel luogo divenne un piccolo ed elegante punto di ritrovo per giovani (e meno giovani) intellettuali della zona di Soho.

Aziraphale e Crowley avevano convinto il proprietario del negozio accanto a venderlo a loro. Crowley avrebbe usato la coercizione ma Aziraphale non glielo permise, quindi l'anziano signore ormai prossimo alla pensione si trovò un generosissimo assegno sotto il naso in cambio. Così si erano allargati, e mentre l'angelo aveva aperto quella nuova sezione con libri che permetteva di toccare e addirittura comprare, Crowley vi aveva trasferito le sue piante, in modo da potersene occupare più facilmente. Così, in quella parte del negozio, tantissime lussureggianti piante di ogni genere si godevano la luce che filtrava dai riquadri delle grandi vetrate. Il demone le terrorizzava ancora, ma sotto la supervisione dell'angelo, che di tanto in tanto sgattaiolava in quella parte del negozio per eliminare le piccole macchie che inevitabilmente si formavano sulle loro foglie, nessuna di loro era stata gettata nel trita rifiuti.

Anche per le piante era stato l'anno migliore delle loro vite.

 

In qualche modo le loro abitudini si erano incastrate e accordate, come in una musica, e le loro personali note si fondevano adesso in un'unica melodia.

 

Una notte di Settembre giacevano nel loro letto, e Crowley stava scivolando nel sonno. Si addormentava quasi sempre per primo, mentre Aziraphale rimaneva spesso a leggere o ad osservarlo anche tutta la notte. Aveva gli occhi chiusi, ed era appoggiato con la guancia al braccio dell'angelo, che lo cingeva dolcemente.

Erano in quella posizione da un po', ma a Crowley era rimasto un briciolo di coscienza ancora. Quel tanto che bastò per sentire il sussurro di Aziraphale, gentile, morbido come lui, come ad accompagnare il suo sonno in una ninna nanna.

 

“Ti amo Crowley...”.

 

Un millisecondo dopo, il demone era completamente sveglio, pietrificato.

Glielo aveva detto. Certo, l'angelo non sapeva che lui fosse sveglio, questo era ovvio, ma glielo aveva detto.

 

Lo amava.

 

A ben pensarci era implicito che si amassero, ma non se lo erano mai detti. Probabilmente si amavano dall'alba dei tempi, quando il mondo era ancora giovane. O almeno così pensava Crowley, che suo malgrado era stato colpito da una specie di colpo di fulmine (quando ancora queste cose non esistevano) quando si erano parlati la prima volta, migliaia di anni fa nell'Eden. Il fatto che Aziraphale avesse osato sfidare Dio così apertamente, dando via la sua spada di fuoco agli umani semplicemente perchè era preoccupato per loro, e il modo in cui gli aveva parlato senza curarsi che lui fosse uno dei Caduti, lo avevamo davvero folgorato.

L'amore comunque era rimasto sopito molto a lungo, e lui vi aveva ceduto lentamente, fino ad accettarlo completamente solo in tempi relativamente recenti. Forse negli ultimi duecento o trecento anni aveva saputo con certezza che amava quello che avrebbe dovuto essere il suo peggior nemico, e che quindi il sentimento che lo legava a quell'affettato angelo non era solo una improbabile amicizia, ma ben di più.

 

La sofferenza che Aziraphale gli aveva inflitto rifiutandolo ancora gli bruciava in qualche modo però. Credeva di averla superata del tutto, ed invece adesso che l'angelo, senza saperlo, gli aveva confessato il suo amore, provava un vago senso di panico. Non se la sentiva di dirglielo a sua volta. Una sorta di pudore lo tratteneva, come se la sua natura di demone lo obbligasse a tenere il riserbo su quell'unica cosa.

Potevano fare sesso, ridere, dormire insieme, ma parlare d'amore? Quello era troppo, almeno per lui.

 

Immobile, ancora abbracciato al suo angelo, passò le ore di quella notte a rimuginare su quei pensieri, mentre Aziraphale per quella volta si addormentò prima di lui.

 

Le prime luci del mattino lo colsero di sorpresa, non si era reso conto del tempo che era passato. Non era giunto a nessuna conclusione in merito al problema di “parlare d'amore”.

Poi, guardò Aziraphale addormentato accanto a lui.

La luce gli sfiorava I soffici riccioli biondi-bianchi, che gli incorniciavano il viso paffuto come un'aureola. La linea morbida della mascella si fondeva con quella del collo, e poi si perdeva nello scollo del pigiama celeste chiaro che indossava. Gli occhi dorati di Crowley vagarono sulle ciglia chiare che ombreggiavano in quel momento le gote dell'angelo, e infine si soffermarono sulla curva delle labbra appena socchiuse, sulla fossetta perfetta che era il suo arco di Cupido, e su quella sotto al labbro inferiore. Quanto amava quella bocca. E non solo quando la baciava, o quando lo faceva godere, la amava anche così, nella perfetta innocenza del sonno.

 

Si arrese a quella sensazione. Amava Aziraphale più di quanto avesse mai amato qualunque altra cosa in tutta la sua esistenza, lo amava a dispetto di ragione e convenzioni, a dispetto delle loro nature diametralmente opposte, e sapeva che avrebbe continuato ad amarlo. Tutti questi pensieri gli si affollarono nella mente spazzando via ognuno dei cancelli e dei muri che aveva innalzato la notte precedente.

 

Sono un demone, non posso parlare d'amore.

Ma lo amo.

 

Mi aveva rifiutato, deve ancora pagarla prima che io gli confessi quello che provo.

Lui ti ama, e sa che lo ami.

 

Non glielo dirò mai, lo avevo promesso a me stesso.

Lo ami, e non riuscirai a tenertelo dentro.

 

 

Si alzò silenzioso dal letto, scivolando via piano per non svegliarlo, e andò a chiudersi dentro la doccia.

Era ancora sotto il getto caldo, quando Aziraphale apparve accanto a lui. “Che accidenti fai qui?” - “Mi pare ovvio, faccio la doccia con te” disse tranquillamente dandogli le spalle, allungando la mano sul suo shampoo alla ciliegia.

Crowley si rifiutava di usare gli stessi prodotti di Aziraphale, che amava le fragranze dolci e fruttate, e ognuno teneva gelosamente il proprio shampoo e il proprio docciaschiuma nei due lati opposti della grande doccia.

Crowley lo guardò sghembo, mentre l'angelo si insaponava I riccioli, riempiendo l'aria del profumo dello shampoo. “Angelo sfacciato, lo sai che se vieni a fare la doccia con me non resisto?” - “Lo so” fu la risposta sorniona.

Lo prese da dietro schiacciandolo sul vetro della doccia, mentre Aziraphale gemeva forte ad ogni sua spinta, e tirava indietro il bacino per offrirgli un contatto più intenso.

 

 

Cazzo se lo amava.

 

 

***

 

Nei giorni successivi Crowley si sentiva come perso. Sentiva quelle due parole spaventose sulla punta della lingua, che premevano forte per uscire, gli frullavano nel petto come un uccello chiuso in una gabbia. Lottava con se stesso per cercare di trattenersi, e gli si mozzarono in gola più volte. Mentre facevano l'amore era così difficile tenerle dentro che si mordeva le labbra quasi a sangue per impedirselo.

L'angelo, serafico, sembrava non essersi accorto del suo tormento interiore.

 

Continuava a dispensare sorrisi ai clienti che venivano alla libreria, affabile come sempre, mentre indicava la sezione giusta o allontanava la gente da quelle off-limits. Crowley lo osservava da dietro le piante, quasi spiandolo, oppure sprofondato dentro una poltrona qualunque, come se con gli occhi volesse perforargli l'animo.

 

Come ha fatto a dirmelo?

Come ha potuto, con tanta naturalezza?

Non riuscirò mai, non potrò mai dirgli che lo amo allo stesso modo, e nemmeno dovrei.

 

Aziraphale era molto più consapevole delle ansie di Crowley di quanto lui pensasse (o sperasse), ma aveva imparato a conoscere il suo compagno, e sapeva che non avrebbe resistito troppo senza parlargliene. Crowley era mutevole, come un serpente, cambiava pelle, idea, prima correva troppo e poi si fermava, ma era sempre tornato da lui qualunque cosa fosse successa. Così aspettava, senza preoccuparsi troppo, rimanendo dolce, affettuoso, amorevole come sempre.

 

Crowley capitolò un tardo pomeriggio, per un motivo fin troppo sciocco.

Aziraphale stava chiudendo la libreria, c'era ancora abbastanza luce nonostante Ottobre fosse ormai alle porte. Guardava fuori dalle vetrine, e canticchiava tra se e se un motivetto sentito chissà dove. Quando si girò e lo vide si illuminò tutto, arrossendo leggermente “Caro, sei qui?” gli andò incontro e gli diede un bacio soffice, a fior di labbra. Poi tornò alle sue faccende nel retro bottega, e Crowley rimase come imbambolato per qualche attimo. Il sorriso di Aziraphale, quando sorgeva così spontaneo sul suo viso, aveva sempre il potere di lasciarlo un poco senza fiato, ma mischiato a tutti I pensieri che aveva avuto in quei giorni, lo colpì mortalmente.

Doveva dirglielo.

Doveva organizzare qualcosa di romantico e dirgli che lo amava.

Doveva fare di più ancora: doveva chiedergli di sposarlo.

 

Ovviamente doveva anche comprargli un anello, perchè era così che facevano gli umani. L'indomani si alzò presto per andare a cercare qualcosa che potesse reggere il paragone con la bellezza che emanava da Aziraphale, ma alla quinta gioielleria che girava si rese conto, scoraggiato, che nulla era davvero adatto. Come potevano gli umani creare qualcosa di abbastanza bello per un angelo? Gli sarebbe servito un anello fatto di nuvole e diamanti, splendente come il sole, e nello stesso tempo soffice e adamantino come lui. Si risolse ad evitare tutta la faccenda dell'anello alla fine: gli avrebbe offerto solo se stesso.

Beh, almeno avrebbe organizzato una cena. Prenotò al Ritz perchè quello era il ristorante delle grandi occasioni, e quale occasione migliore di quella? Non del tutto soddisfatto tornò verso la libreria, per comunicarlo ad Aziraphale.

 

“Buongiorno angelo... ti va una cena stasera? Al Ritz” gli buttò lì mentre lui girava per gli scaffali, controllando che nessun umano si avvicinasse ai tomi più belli. Aziraphale gli sorrise deliziato “Certo caro, che bella idea! E' parecchio che non ci andiamo, e sai quanto adoro le prelibatezze dello Chef Williams!”.

 

Oh beh, almeno una l'ho azzeccata...

 

Il tempo si annuvolò durante la giornata, e poi iniziò a piovere. Non la classica pioggerellina di Londra, quella che a malapena si distingueva da una nebbia densa: no, un vero e proprio temporale coi fiocchi, con tuoni, fulmini e secchiate d'acqua. Certo non era la serata migliore per uscire, e Aziraphale glielo fece notare distrattamente “Caro, possiamo uscire anche un altro giorno, non trovi? Dubito che riusciremo ad arrivare senza inzupparci...” - “Stasera avevo davvero voglia di mangiare qualcosa fuori...” - “Oh beh, allora vuol dire che andremo, e al massimo faremo un minuscolo miracolo per asciugarci” sorrise di rimando Aziraphale.

Giunta l'ora di avviarsi Aziraphale guardò preoccupato il cielo plumbeo, ma Crowley aveva l'aria di essere eccitato all'idea della serata, e si era anche vestito particolarmente elegante: aveva un completo nero a tre pezzi e una camicia viola scuro, con tanto di cravatta, nera anch'essa. La giacca aveva un taglio moderno e aderente, e gli disegnava le spalle e la vita stretta, facendogli assumere una forma a trapezio rovesciato estremamente sexy. Aveva raccolto I lunghi capelli fulvi in un mezzo chignon disordinato, e indossava I soliti occhiali scuri. “Mio caro, sei splendido stasera...” tubò Aziraphale, mentre un vago rossore colorava le guance del demone. Crowley gli offrì il braccio, e dato che il ristorante non era troppo lontano dalla libreria, armati di ombrelli si incamminarono insieme verso il Ritz.

 

Sembrava che il tempo, almeno per quel momento, avesse deciso di collaborare. Non stava piovendo, quantomeno. All'arrivo al Ritz però ebbero una pessima sorpresa: c'erano alcune persone elegantemente vestite di fuori che discutevano con il maitre. Quello stava spiegando che la pioggia insolitamente abbondante della giornata aveva fatto alcuni danni, e che purtroppo, con grande rammarico ed imbarazzo, non erano in grado di accogliere I loro ospiti con la dovuta cura e attenzione. Il maitre all'ingresso si scusò più volte, gli prenotò un'altra serata al più presto, dicendogli che il vino sarebbe stato un omaggio della casa, ma li rimandò indietro senza possibilità di replica. Aziraphale accettò la cosa di buon grado, ma Crowley la prese malissimo: quella giornata stava andando di male in peggio. Di umore nero, ancor più scuro del cielo, tornò indietro in silenzio, con le mani affondate nelle tasche e il capo chino.

 

Proprio a qualche centinaia di metri dalla libreria, ricominciò a piovere, anche quella volta con delle vere e proprie secchiate d'acqua. Quando arrivarono dentro erano bagnati fradici. Aziraphale ridacchiò “Beh, stasera il tempo ha deciso proprio di non collaborare vero caro?” - “Ngh” bofonchiò Crowley di rimando, deluso e scoraggiato. I capelli gli pendevano molli intorno al viso e si stava togliendo la giacca umida di pioggia. Si tolse anche le scarpe e I calzini bagnati, e si gettò sul divano, di pessimo umore. Aziraphale si tolse anche lui giacca e scarpe, e gli si sedette accanto, tirandosi addosso un plaid con cui coprì anche Crowley. Gli si appoggiò addosso e gli diede un piccolo bacio sulla guancia “Andremo al Ritz un'altra volta caro, non ti crucciare!” - “Ha rovinato tutto questa stupida pioggia! Volevo fosse una giornata speciale!” si lamentò il demone. “Mio caro, le nostre giornate sono tutte speciali, perchè siamo insieme” gli rispose semplicemente Aziraphale, stringendosi di più a lui. Crowley sbuffò: come faceva quell'angelo ad essere così meraviglioso? Quasi lo detestava quando era così... perfetto. Lo faceva sentire inadeguato e sciocco.

Si alzò di scatto e fece qualche passo, nervosamente. Poi, spinto da un'ispirazione, andò verso l'antiquato giradischi e fece apparire un vinile. Quando la musica iniziò, allungò il braccio verso Aziraphale “Balli?” - “Cosa? Io non so ballare” - “Sciocchezze. Io si. Guido io”.

Aziraphale aveva imparato a conoscere bene Crowley, ma lui riusciva comunque sempre a stupirlo. Esitò ancora qualche attimo, poi gli andò incontro, un po' incerto, e prese la mano dell'altro tesa verso di lui. Crowley si era tolto la camicia e sciolto i capelli, e in quel momento indossava solo i pantaloni del completo. Era bellissimo. Si strinse a lui, godendosi quel contatto che lo faceva sempre fremere. Il demone gli fece vedere qualche passo, che Aziraphale seguì un po' goffamente, seguendo il ritmo coinvolgente della musica.

In quel momento ridevano entrambi, e la pioggia e la cena andata storta sembravano dimenticate. Rimisero la musica daccapo, e ricominciarono a provare. Crowley si fece più audace, le sue mani lo stringevano di più, lo sguardo si era fatto più caldo. L'atmosfera era diversa, quasi elettrica: come se parte dei fulmini che si scatenavano fuori si fossero concentrati dentro quella stanza, pronti a rilasciarsi. Riprovarono ancora, e ancora. Nel bel mezzo di un passo un po' più complicato, Crowley si bloccò per un attimo. Si guardarono negli occhi, e a quel punto il demone non riuscì più a trattenersi.

 

“Angelo, ti amo”.

 

Aziraphale trattenne il respiro, coprendosi la bocca con le mani.

 

“Ti amo, e non ho niente altro da offrirti se non me stesso. Se mi vuoi, e mi accetti per quello che sono, mi sposeresti?”.

 

Aziraphale sgranò gli occhi ancora di più se possibile. Gli scese una lacrima, e gli si gettò di nuovo tra le braccia “Non sai quanto ti ami io Crowley. Certo che ti sposo, non potrei desiderare niente di più che essere tuo per sempre”.

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Capitolo 9
*** Chapter 8 - Valzer ***


Le loro mani erano finalmente intrecciate.

 

Crowley e Aziraphale non vi racconteranno del loro matrimonio.

 

Il matrimonio è una giornata da ricordare, sicuramente bella e speciale, ma solo uno dei giorni che compongono la storia d'amore che li ha legati e che oggi è stata sancita con un “per sempre” che per loro assume un significato ancora più speciale.

 

Il “per sempre” di un angelo e un demone che hanno scelto di perdersi l'uno negli occhi dell'altro, e di proseguire mano nella mano verso un futuro che non è più scritto nelle profezie o dettato dalle regole di un libro. Un futuro forse incerto, ma in cui sarà l'amore a guidarli.

 

Quel giorno, finalmente, anelli di foggia simile cingevano l'anulare della mano sinistra di entrambi.

 

Li avevano scelti insieme, in una piccola gioielleria di Soho, una bottega artigiana gestita da una ragazza che avevano visto tante volte camminare da quelle parti.

Una mattina Aziraphale l'aveva sorpresa nella libreria immersa in un grosso manuale di gemmologia e si era fermato a parlare con lei. La giovane si chiamava Violetta, era chiaramente entusiasta del suo lavoro e aveva speso un quarto d'ora abbondante a mostrargli immagini su immagini delle pietre che più amava. Infine, aveva girato una delle pagine satinate e una gemma incredibile era apparsa nella foto successiva: tagliata a cabochon, liscia e lucente, dai colori che cangiavano dal rosso al giallo, passando per oro e arancio. Meravigliosa.

 

“Cara, è bellissima. Qual è il nome di questa pietra?” le aveva chiesto Aziraphale, affascinato.

La giovane, felice dell'interesse mostrato, gli rispose “Questo è un opale di fuoco. Una delle mie gemme preferite. E' splendida, sembra davvero che abbia del fuoco al suo interno”.

 

E' perfetta.

 

“Non te ne andare, aspettami qui un attimo per favore” le chiese. Aziraphale andò da Crowley, che era nel retro della libreria. “Caro, devo farti vedere una cosa, vieni”. Lo prese per mano e lo portò dalla giovane, che era rimasta ancora con il libro in mano seduta su una poltroncina solitaria.

 

“Violetta, puoi far vedere al mio fidanzato la pietra che mi hai mostrato prima?” le chiese Aziraphale.

Lei gliela mostrò. Crowley si voltò con uno sguardo interrogativo.

“Si chiama opale di fuoco. Lo stesso fuoco da cui tu mi hai salvato. Ed è dorata, come I tuoi occhi” gli disse l'angelo, guardandolo. Il demone rimase in silenzio per un attimo, poi si rivolse alla ragazza “Esiste qualche pietra che abbia a che vedere con l'acqua?”.

 

Si misero d'accordo e le commissionarono le fedi.

Due fascette d'oro semplicissime, ma con una piccola gemma incastonata: l'opale di fuoco per Aziraphale e l'acquamarina per Crowley, ognuna a simboleggiare quello che l'uno aveva fatto per l'altro.
 



Avevano camminato nel luogo più pericoloso per entrambi, per salvare l'uno dal fuoco dell'inferno, l'altro dall'acqua santa. Così ora li avrebbero portati per sempre con loro. Perchè in fondo quello era il simbolo della parte di uno che dimorava nell'altro.

Come il simbolo cinese dello Ying e dello Yang, come si erano detti ormai parecchio tempo prima quella sera al Ritz, come sempre avevano saputo, con una consapevolezza che era cresciuta nel tempo, che ognuno aveva qualcosa dell'altro in sè. Nella loro imperfezione, nel loro amore reciproco e per la Terra dove avevano scelto di dimorare, c'era quella piccola parte di ognuno nell'altro che le rispettive fazioni non potevano accettare, granitiche nella loro integrità.

 

Crowley non era mai stato un demone perfetto, così come Aziraphale non sarebbe mai stato un angelo perfetto. Avevano permesso all'umanità di entrare in loro da una microscopica crepa che esisteva nei loro cuori fin dall'Eden. Si erano cercati, persi, ritrovati, si erano fatti del male a vicenda e salvati centinaia di volte. Si erano allontanati e ritrovati, ma mai abbanonati del tutto.

 

Crowley e Aziraphale, il demone e l'angelo, uno la nemesi dell'altro, si guardavano, dimentichi delle persone attorno a loro, dimentichi del passato e ignari del futuro, coscienti solo che l'amore che li legava era forte ed indissolubile, quanto e più delle regole che avevano infranto, tutte, per condedersi di trovarsi di fronte l'uno all'altro in quel momento.

 

Le loro parole, il loro “lo voglio” risuonano scanditi, forti e sicuri.

 

Nessuno può esserlo più di loro, perchè hanno avuto migliaia di anni per scegliersi ogni volta che si sono persi. Migliaia di anni di “si, lo voglio” e “non te ne andare” e “non lasciarmi” e “ti troverò sempre” sussurrati dal cuore.

Migliaia di baci recuperati nel loro ultimo anno di vita, migliaia di abbracci e di risa complici, migliaia di volte in cui si erano detti finalmente “ti amo”, con la bocca e con il corpo, invece che solo pensandolo.

 

Crowley e Aziraphale non vi racconteranno altro.

Danzeranno il loro valzer, fino alla fine dei tempi.

 

Amateli, comprendeteli, fate tesoro del loro esempio.

Gioite della loro gioia, come me che ne ho raccontato e sognato tanto.


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