White lies

di NPC_Stories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1357 DR: White lies ***
Capitolo 2: *** 1357 DR: Sweet lies ***
Capitolo 3: *** 1357 DR: Funny lies ***
Capitolo 4: *** 1357 DR: Diplomatic lies ***
Capitolo 5: *** 1357 DR: Kind lies ***
Capitolo 6: *** 1357 DR: Old lies ***
Capitolo 7: *** 1357 DR: Hidden truths ***



Capitolo 1
*** 1357 DR: White lies ***


1357 DR: White lies


Autunno inoltrato, in una locanda vicino a Secomber

L’elfo si rigirò fra le dita il piccolo oggetto di legno, chiedendosi se sarebbe stato all’altezza del compito. Fino a quel momento non aveva avuto molto successo. Ci aveva provato, una o due volte, ma si era solo coperto di ridicolo e di sostanze appiccicose.
La creatura davanti a lui non sembrava affatto collaborativa. Si agitava come un gatto in un sacco, emetteva versi che per le sue orecchie sensibili erano quasi dolorosi, e soprattutto non aveva alcuna intenzione di piegarsi al suo volere.
“Jaylah, ti prego. Mangia la pappa” implorò, con voce disperata. Avvicinò di nuovo il cucchiaio alle labbra di sua figlia, ma la bambina chiuse la bocca di scatto e girò la testa.
“Mh mh mh” piagnucolò la piccola, a labbra serrate. Johel aveva la sensazione che con quei versi volesse chiamare sua madre, perché era già capace di dire “ma”, solo che non si fidava ad aprire la bocca in quel momento.
“Su, tesoro, ti piaceva la mela grattugiata… fino a ieri… perché mi fai questo?”
Jaylah non era una bambina cattiva. Nove gloriosi mesi di esistenza non l’avevano resa cattiva, ma di certo sembrava fiera di sé mentre agitava le braccia come un’indemoniata per disarmare suo padre e fargli cadere il cucchiaio. L’elfo però ormai conosceva quella mossa e schivò il colpo. Un po’ di pappa di mele gli cadde sui vestiti. La prima macchia di disonore. Per quel giorno, almeno.
Riempì di nuovo il cucchiaio e si preparò psicologicamente a tentare ancora.

Molti minuti e molte macchie di mela più tardi, un altro avventore della locanda li raggiunse in cucina, con il passo leggero di chi non ha una preoccupazione al mondo perché non ha figli.
Il nuovo arrivato era un drow, cosa che avrebbe dovuto mettere Johel in allerta se non fosse stato una persona che conosceva molto bene. Nonostante la leggendaria faida fra elfi di Superficie ed elfi scuri, i malvagi abitanti del Buio Profondo, Johel e questo particolare drow erano amici di vecchia data.
“Daren” lo salutò l’elfo dei boschi, senza nemmeno distogliere lo sguardo dalla pericolosa creatura abbarbicata sul seggiolone. Jaylah ormai lo stava guardando con cupo risentimento e vera ostilità. Era riuscito a farle mangiare tre o quattro cucchiai di pappa, mentre lei avrebbe voluto starsene a giocare nel suo piccolo recinto per bambini, dove aveva la palla di stracci, il suo orsacchiotto e una bella coperta di lana da mordicchiare.
L’elfo scuro si sedette su un tavolo, cosa che non avrebbe mai osato fare se la locandiera, sua sorella Krystel, fosse stata nei paraggi. Era rischioso quanto andare in un tempio e sedersi su un altare.
“E alla nostra destra possiamo vedere il prode ranger Johlariel del clan Arnavel, vanto della foresta di Sarenestar, uccisore di mostri e giganti, eroe esploratore di dungeon, messo alle strette da una bambina di nove mesi.” Annunciò, con un tono da guida turistica.
“Vaffanculo” rispose l’elfo come reazione automatica. Era chiaro ormai che anche il drow più civilizzato manteneva una vena di sadismo e malvagità. Daren la esprimeva con le sue spietate prese in giro, e Jaylah… che per fortuna era solo mezza drow… dava il meglio di sé con quel comportamento testardo e indisponente. “Siete creature malvagie.” Affermò, lapidario.
Il guerriero rise di gusto, divertito dalla situazione e dalle sue lamentele.
“Guarda, ho pietà di te. Ti assicuro che è un sentimento molto poco drow. Spostati, lo faccio io.” Scese dal tavolo, avvicinandosi al seggiolone della bimba.
Johel si alzò dalla sedia per cedergli il posto. Sapeva benissimo che quella dell’amico non era pietà, solo senso di competizione: voleva dimostrargli che era più bravo di lui a fare qualcosa. Qualsiasi cosa. Di norma l’avrebbe trovato irritante, ma come dicevano gli umani, a caval donato non si guarda in bocca.
“Prego” lo invitò con un sorriso sarcastico, mettendogli in mano la ciotola di pappa e il cucchiaio. L'elfo scuro accettò quegli oggetti impiastricciati e appiccicosi con una smorfia di disgusto, ma non disse nulla, deciso a mostrarsi stoico.
Johel rimase in piedi alle sue spalle, gongolando in attesa del suo fallimento.

Jaylah conosceva quest’altro adulto. Non era in grado di capire cosa fosse uno zio, ma faceva parte del gruppo di persone che le gravitavano intorno ogni giorno. Di norma gli avrebbe sorriso, ma era ancora di cattivo umore per la prolungata prigionia nel seggiolone.
Poi accadde una cosa incredibile: dalla mano nera dell’adulto scaturirono tante piccole palline di luce che si misero a fluttuare nell’aria. Jaylah rimase a bocca aperta. Erano come stelle, anche se lei non aveva molta esperienza delle stelle. Però erano bellissime, e come tutti i bambini anche lei era affascinata dalle cose luminose.
“Cosa stai facendo?” domandò Johel, curioso come un gatto.
“La distraggo, è ovvio. Sono un maestro negli attacchi a sorpresa.”
“Non puoi attaccare a sorpresa mia figlia!” Protestò l’elfo, perché sentiva di doverlo fare. Non era preoccupato che Daren facesse del male alla bambina, ma la sua scelta di parole rivelava la sua impostazione mentale da combattente. Qualsiasi cosa poteva essere ridotta a un conflitto.
“Ah no? Guardami mentre lo faccio” annunciò il drow, infilando una cucchiaiata di mela grattugiata nella bocca aperta di Jaylah. “L’attacco furtivo non è uno stile di combattimento, è uno stile di vita. È la soluzione a tutti i problemi.”
La bimbetta all’inizio fece una smorfia buffa, lasciò colare un po’ di pappa lungo il mento, ma era troppo intenta a guardare le lucine fluttuanti per dar peso alla cosa. Daren recuperò la mela sbrodolata e cominciò a imboccare la bimba con una mano, mentre con l’altra mano direzionava le luci qua e là. Era importante non mandarle troppo lontano, perché Jaylah stava cercando di prenderle e rischiava di sbilanciarsi e farsi male. Ogni tanto lui le permetteva di acchiappare una pallina di luce, ma poi ovviamente non poteva trattenerla.
All’inizio lei tollerava il cibo come uno scotto da pagare per poter restare lì a giocare, ma poi lo zio ebbe l'idea di mettere le luci direttamente sul cucchiaio, e la bambina cominciò a mangiare di gusto, convinta di star mangiando le sferette luminose. Dopo molto tempo, abbastanza da mettere alla prova la pazienza del drow, finalmente la ciotola fu vuota e ben pulita.
“Incredibile” mormorò Johel, scuotendo la testa. “È così facile fregarli quando sono piccoli?”
“A volte è facile anche quando sono grandi” scherzò Daren, lanciando un’occhiata significativa all’elfo dei boschi. “E a proposito di fregare… ora che ha mangiato, ti dovrai occupare tu delle conseguenze.”
“Quali conseg… ah” mormorò l’elfo, perché una zaffata di odore poco edificante l’aveva raggiunto proprio in quel momento. “Accidenti, ma quando torna Krystel? Doveva stare via solo uno o due giorni.”
Daren assottigliò pericolosamente lo sguardo.
“Se stai chiedendo a me chi dev'essere la persona deputata a cambiare le fasce ai bambini, fra un maschio elfo e una femmina drow…”
“Non tirare fuori questa storia” lo fermò Johel, aggrottando la fronte. “Hai lasciato la tua società matriarcale di pazze assassine più di cent’anni fa, non far finta di esserne ancora condizionato.” Poi riconobbe il tentativo di sviare il discorso per quello che realmente era, perché Johel forse non era una cima, ma era abituato agli inganni del suo amico. “Aspetta… vuoi solo distrarmi per farmi scordare che oggi toccava a te pulire Jaylah.”
“Così come a te toccava darle da mangiare, ma non sei stato in grado. Quindi ora fai la tua parte.”
Johel aprì bocca per protestare, ma all’improvviso fu tutto buio. Il guerriero l’aveva avvolto in una sfera di oscurità perfetta, un potere innato della sua razza malvagia. L’elfo dei boschi scattò di lato, per uscire da quella trappola, e fu facile orientarsi perché Jaylah aveva cominciato a piagnucolare.
Pensando che Daren avesse avvolto anche lei nell’oscurità Johel si mosse verso quel suono, furioso all’idea di trovare la bambina terrorizzata. Invece no, l’area di buio soprannaturale si interrompeva molto prima del seggiolone. Jaylah stava facendo i capricci solo perché le lucine fatate erano sparite.
E con loro il drow.
L’attacco furtivo è uno stile di vita, aveva detto lo stronzo, e Johel comprese davvero quella logica quando si ritrovò in cucina tutto solo con una bimbetta da cambiare.

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Capitolo 2
*** 1357 DR: Sweet lies ***


1357 DR: Sweet lies


Autunno inoltrato, in una locanda vicino a Secomber

Jaylah amava passare del tempo all’aperto, soprattutto nelle belle giornate di sole. Non era ancora capace di camminare, ma le piaceva stare seduta sull’erba e guardare le foglie secche che ruzzolavano nel vento autunnale, il volo di qualche sporadico uccello o qualunque piccola meraviglia la natura mettesse davanti ai suoi occhi. Dopotutto ogni cosa era un’esperienza nuova, per lei.
Johel voleva credere che sua figlia avesse preso da lui in questo. Di sicuro era il suo sangue elfico ad aver ispirato nella bimba quel grande amore per il mondo esterno. Per questo era immensamente fiero ogni volta che Jaylah puntava il ditino verso una finestra e cominciava a piagnucolare per farsi portare fuori.
“Dobbiamo vestirci per bene, questo pomeriggio” commentò, mentre allacciava il colletto della minuscola casacca della bimba. “Con le braghette di lana e il cappottino potremo stare tranquilli, ma forse oggi servirà anche un cappello? Fa sempre più freddo.” Continuò a parlarle con un tono amichevole e rassicurante.
“Pa!” Affermò lei, con grande convinzione.
“Va” La corresse l’elfo, perché quella era la corretta parola elfica per chiamare il proprio padre in modo informale. Johel si era arreso al fatto che la bambina sarebbe cresciuta immersa nella lingua chondathan, il dialetto umano di quella regione, ma non aveva rinunciato a parlarle sempre in elfico per farle imparare anche la sua lingua. “Amin Va’lle, a’mael A’Sumamin” 1
Jaylah lo guardò con grande serietà e consapevolezza, poi gonfiò le guance e gli fece una pernacchia.
L’elfo dei boschi sentì che la solennità del momento si era completamente infranta, e abbassò le spalle sconfitto. Si guardò brevemente intorno, per accertarsi di essere solo, poi sollevò la casacca di Jaylah scoprendo il pancino scuro, si chinò su di lei e ricambiò la pernacchia. La bimba squittì per il solletico e cercò di afferrare la testa di suo padre, ma lui si allontanò in tempo sfuggendo alla sua presa.
“Ehi! Sono gli orchi che mangiano i bambini, non gli elfi!” Lo rimbrottò una voce alle sue spalle.
“Ma che diamine!” Johel sussultò per essere stato colto in flagrante. “Un attimo fa ero certo di essere solo! Sul serio, come fai?”
Daren, perché naturalmente poteva essere solo lui, gli sorrise con aria molto compiaciuta. “Ancora ti chiedi queste cose? Ho il magico potere di comparire nel momento più fastidioso.”
Johel scrollò le spalle e non si degnò di rispondergli. Ricominciò a vestire Jaylah per la sua escursione quotidiana.
“Cosa direbbe tuo padre se ti vedesse giocare così con tua figlia?” Lo punzecchiò il drow.
“Forse direbbe che sono un padre migliore di lui” rispose l’elfo controvoglia, ricordando il suo burbero e severo genitore. “Ma no… è improbabile che lo ammetta.”
“So che non te l’ho mai detto, ma sono contento che tu sia un buon padre per Jaylah. Sarebbe stato difficile per me se… puoi immaginarlo, Krystel è mia sorella e tu sei… uhm…”
“Il tuo migliore amico?” suggerì l’elfo.
“Il tizio che ho sopportato più a lungo in vita mia” concluse Daren. “E per la cronaca, non avrei scommesso un soldo bucato che riuscissi ad infilarti nel letto di mia sorella, ma dopotutto, chi le capisce le femmine…”
“Io” gli fece notare il biondo, con palese soddisfazione. Finì di calcare un cappellino di lana sulla testa di Jaylah, assicurandosi di coprire bene la punta sensibile delle orecchie, e poi la prese in braccio. “Allora, dove andiamo, amore?”
“Yi-oh!” Rispose la bimba con entusiasmo.
“Vuoi vedere gli asinelli?” Cercò di interpretarla suo padre.
“No, ti sta descrivendo” sferzò il drow.
“Un giorno capirò come mai sei così stronzo, ma quel giorno non è oggi.”
“Mi annoio” Daren si strinse nelle spalle.
“Le tue cattiverie rimbalzano come sassi di fionda contro uno scudo” lo informò Johel, uscendo a grandi passi con la bambina fra le braccia.
“Yi-oh” ripetè la piccola, entrando in agitazione non appena misero piede all’aria aperta.

Johel esitò un momento sulla soglia, scrutando il paesaggio stranamente vivido per un giorno d’autunno. Non pioveva da tre giorni e secondo la sua esperienza ciò significava che stava finalmente per calare il freddo, quello vero. Gli inverni nel nord erano spietati, e quella poteva essere l’ultima giornata all’esterno per Jaylah per molto tempo. La bambina avrebbe vissuto il suo primo inverno, e la prigionia che comportava.
A breve sarebbero arrivati i bambini di tutta la regione, da Secomber a Uluvin, dalle colline Forlorn ai bordi della Grande Foresta; figli di contadini che venivano mandati a svernare alla locanda di Krystel. Jaylah avrebbe avuto decine di compagni di giochi, e naturalmente quasi tutti umani. Johel non disprezzava gli umani, ma in quei giorni aveva la sensazione di essere solo contro il mondo, l’unico a cui importasse di dare a Jaylah un’educazione elfica.
Sospirò, sentendo l’aria frizzante pungere la gola e i polmoni. Che fosse già troppo freddo, nonostante il sole? Ma Jaylah sembrava così contenta di essere all’aperto…
Andarono alle stalle a salutare i pochi asini che ruminavano in pace dalla mangiatoia, e l’elfo non si chiese come mai fossero lì anziché nel giardino esterno a pascolare. Non si era mai interessato all’allevamento, lo trovava un po’ innaturale. Jaylah non poteva chiederselo, era solo contenta di vedere gli animali e fece carte false pur di riuscire a toccarli. Le piaceva cercare di afferrare loro le orecchie, ma così facendo li mise un po’ sulla difensiva. Conoscendo il brutto carattere di quelle bestie, Johel decise che non era il caso di insistere e uscì dalla stalla portandosi via la bambina che faceva i capricci.
Fecero una passeggiata intorno alla locanda, che un tempo era stata una specie di abbazia consacrata a Chauntea. I chierici ad un certo punto erano scomparsi, soppiantati da sacerdoti di Talona che si erano lentamente infiltrati nell’abbazia. Probabilmente i fedeli di Chauntea erano morti uno alla volta. Quando Krystel e Daren avevano trovato quel luogo, molti decenni prima, era in mano ai malvagi seguaci della dea dei veleni e delle malattie. Fingendosi chierici della gentile dea della natura, Chauntea, quegli uomini senza scrupoli stavano avvelenando la regione e gli ignari abitanti. Johel non conosceva i dettagli, ma sapeva che Daren e Krystel avevano liberato l’intera struttura da soli, e quel pensiero l’aveva sempre incuriosito. Il suo amico drow era un valido guerriero, ma Krystel non sapeva tenere in mano una spada. L’elfo l’aveva sempre vista solo nelle vesti di locandiera. Sapeva che era una strega, ma quella parola aveva poco senso per lui; in passato aveva assistito ad alcuni suoi rituali, ma la sua magia agiva in modo lento e invisibile e pareva quasi che non ci fosse affatto. Non aveva mai considerato la sua stregoneria come una possibile forma d’attacco. Non riusciva ad immaginarsi Krystel mentre uccideva qualcuno, nemmeno per uno scopo nobile come salvare l’intera regione.
“La tua mamma è una dura. Questo posto lo ha conquistato a suon di botte” sussurrò a Jaylah, mentre le indicava la locanda. “Più o meno… dovrai chiederlo a lei, quando saprai parlare.”
“Pa!” anche la bimba indicò la locanda, mimando i gesti di suo padre.
“Va” la corresse lui, per reazione automatica.
“Ahah! Am-am-am!”
“Come, hai fame?” Domandò il ranger, riconoscendo il verso che faceva sua figlia quando voleva imitare l’atto di mangiare. “Oggi sembrava che darti la pappa fosse una forma di tortura.”
Lei lo guardò senza capire. Lasciò oscillare le gambe, dando dei calcetti al fianco di suo padre.
Una delle scarpine di feltro volò via, compì un breve arco discendente e rimbalzò sul prato.
Accidenti, non le avevo legate abbastanza bene, si rimproverò Johel. Appoggiò un istante Jaylah sul prato e andò a recuperare la scarpina. Quando si voltò, vide che la piccola stava già gattonando verso di lui.
“Oh! Come siamo intraprendenti. Bene, stai seduta un attimo che dobbiamo rimettere la scarpa.”
Jaylah non voleva stare seduta e ferma, quindi l’elfo dovette tenerla con una mano mentre con l’altra cercava di rinfilarle la scarpa. Quando finalmente ci riuscì, Jaylah la calciò via di nuovo prima che avesse il tempo di legare il laccio. In quel punto il prato digradava verso gli orti un po’ più in basso, quindi la scarpina rotolò giù per qualche metro.
L’elfo sospirò, contò lentamente fino a dieci e andò a recuperare l’oggetto del contendere, accompagnato dalle risate di sua figlia. A volte aveva la sensazione che lei capisse tutto e lo facesse apposta.
Quando si girò per tornare da Jaylah, lei si era lasciata cadere sdraiata sull’erba e stava per sbilanciarsi e rotolare giù lungo il pendio. Non era una discesa ripida e Johel sapeva che probabilmente non si sarebbe fatta nulla, ma scattò automaticamente avanti per fermarla. Rinunciando all’idea di metterle la scarpa, la prese in braccio e s’incamminò in fretta verso l’entrata della locanda.
“Va!” disse Jaylah, aggrappandosi bene alle spalle di suo padre. Lui si fermò di colpo, incredulo.
“Lle yele amin Va, Jaylah?” 2
Lei non sembrò afferrare la solennità del momento e cominciò a ciarlare versetti incomprensibili, tutta contenta per le attenzioni del padre. Sembrava proprio che stesse cercando di fare conversazione. Ad un certo punto interruppe il fiume di “parole” e diede un colpetto di tosse.
Johel raggelò.
Oh, per tutti i Seldarine. Ha preso freddo. È perché non le ho rimesso la scarpina? O è perché l’ho fatta sedere sull’erba? No, forse ho sbagliato in primo luogo a portarla fuori con questo freddo!
L’elfo strinse più forte la bambina e si servì della sua agilità innata per scavalcare il ridicolo muro difensivo della locanda, atterrando nel cortile interno dove i carri caricavano o scaricavano le merci. Era lo spiazzo più grande del complesso e quindi naturalmente era il luogo che Daren aveva scelto per i suoi esercizi quotidiani.
Johel si aspettava di trovarlo lì, e infatti non fu deluso. Il drow era impegnato in una sequela di attacchi e parate contro nemici immaginari, facendo roteare le spade corte con precisione ed eleganza. L’elfo si accorse che erano soprattutto movimenti difensivi, perché Daren usava le spade corte quasi unicamente per quello scopo. Per attaccare i nemici veri usava la spada bastarda, l’arma sacra della sua fede, ma non la sguainava mai per un semplice addestramento. A volte l’elfo si era chiesto come facesse Daren a migliorare la sua tecnica con la bastarda se non la usava per allenarsi, e si era risposto che probabilmente ogni tanto si assentava per trovare dei nemici su cui provarne il filo.
Il drow era in allerta come sempre, quindi si accorse subito che Johel stava scavalcando il muro.
“Potevi anche fare il giro a piedi, sai?” Lo rimproverò, indicando con un gesto la vasta apertura dall’altra parte del cortile che permetteva ai carri di entrare. “Non è prudente arrampicarti con Jaylah in braccio.”
“Sono capace di scalare un patetico muretto!” Rispose l’elfo in tono offeso. “E sono di fretta perché Jaylah sta male!”
Daren rinfoderò le spade in un batter d’occhio e si avvicinò di corsa ai due. “Che è successo? Si è ferita?”
“Ha tossito” spiegò il genitore, quasi nel panico.
“Ha tossi… ma dai! Ti preoccupi per un singolo colpo di tosse?”
“L’aria oggi è gelida. Potrebbe aver preso freddo!”
“Non è gelida, sei tu che sei abituato ai climi caldi.”
“Ma poco fa l’ho fatta sedere per terra, ha sicuramente preso freddo.”
“Oppure ha solo respirato un po’ di polvere sollevata dal vento.”
Jaylah li interruppe con un paio di colpi di tosse secca. Johel impallidì ancora di più, e anche Daren cominciò a prendere la cosa sul serio.
“D’accordo, portiamola da un guaritore.” Acconsentì.
“Non hai un modo per far scomparire le malattie con la magia?”
“Sì, ma cerca di non perdere la testa, Johel. Potrebbe non essere una malattia. Magari ha solo la gola irritata, o magari ha sete. Portiamola da Tinefein, è una buona guaritrice, ci dirà cosa fare.”
“Ah, giusto. Ma certo. Dov’è adesso?”
Daren indicò con un dito l’infermeria della locanda, un piccolo edificio isolato che delimitava un lato del cortile interno, proprio a pochi passi da loro. “L’ho vista andare avanti e indietro dal suo regno, portando erbe e altre cose.” Spiegò il drow. “Dovrebbe essere ancora lì.”

Era ancora lì. Tinefein, la quarta figlia di Krystel, aveva dedicato gli ultimi quarant’anni allo studio dell’arte della guarigione, sia magica che erboristica, e i risultati si vedevano. Ogni strega aveva delle conoscenze basilari sulla guarigione, ma Tinefein era proprio specializzata. Quando ebbe ascoltato (o meglio, letto dalle loro labbra) il motivo di quella visita così urgente, sbuffò una mezza risata e fece cenno di poggiare Jaylah su un tavolo coperto da un panno di lana. Tinefein non era in grado di sentire né di parlare, ma infilò una mano scura sotto il vestitino di Jaylah e “ascoltò” al tatto il respiro della sorellina.
§Respira bene. Non è niente di grave.§ Segnalò con il codice gestuale delle mani. §La sua temperatura non è troppo calda. I suoi occhi non sembrano lucidi per la febbre. Potrebbe avere un inizio di raffreddore.§
Anni prima Daren aveva insegnato a lei e a tutta la famiglia il codice silenzioso degli elfi drow, ma quel linguaggio era molto limitato. Krystel, Tinefein e gli altri suoi fratelli avevano lavorato nel tempo aggiungendo sempre più segni e strati di significato. Per quella che era la loro esperienza del mondo, non poteva andare bene un linguaggio che non aveva simboli per quasi nulla di ciò che esisteva in Superficie, né per alcun sentimento positivo. Tinefein poi era una guaritrice, aveva bisogno di poter descrivere malanni e rimedi nel dettaglio, e di avere un nome per ogni pianta officinale. Daren ogni tanto faceva fatica a colmare la distanza fra le sue conoscenze del linguaggio gestuale drow e quello che era il linguaggio di Tinefein, in continua evoluzione.
§Devo curarla con la magia?§ Le fece cenno il guerriero.
§Assolutamente no!§ Fu la categorica risposta. Poi rallentò il ritmo dei suoi gesti, perché sapeva che suo zio Daren non aveva familiarità con molti di essi. §Fra pochi giorni questa locanda si riempirà di bambini. Passeranno tutto l’inverno a rimbalzarsi raffreddori e influenze a vicenda. Sto facendo scorta di ogni possibile rimedio che conosco, ma la cosa migliore è la resistenza di ciascun individuo. Se mia sorella ha un’infreddatura stagionale, è meglio che la sfoghi adesso, sotto il mio controllo. Lasciate che la malattia cresca, datele un po’ di propoli mista a miele per il mal di gola quando vi sembra che abbia mal di gola, e fatele bere un infuso che ora vi darò, due volte al giorno. Verrò a controllarla ogni mattina e ogni sera, ma portatela qui in qualunque momento se le viene la febbre. Useremo la magia solo se le sue condizioni diventano gravi. Ma è meglio se sconfigge la malattia con le sue forze, un incantesimo non aiuterà il suo fisico a rafforzarsi contro il raffreddore.§
Rivestì Jaylah in modo che non prendesse freddo e le infilò la scarpina mancante, poi porse a Daren e a Johel una boccetta di propoli e un sacchetto di erbe per l’infuso. Johel vide che aveva molti sacchettini come quello già pronti all’uso, sembrava davvero preparata a quel tipo di malattia stagionale.
§Cercate di darle da mangiare molta frutta. Fa bene, soprattutto in inverno. In alternativa, mia madre ha preparato della marmellata di mele e cannella. Vedete se quella le piace. Un cucchiaio dopo ogni pasto, non di più, è molto dolce.§ Raccomandò, recuperando un barattolino di marmellata da una dispensa speciale.
Daren riferì tutto quanto a Johel, che sembrò un po’ tranquillizzato dalla promessa di tenere sotto controllo Jaylah mattina e sera, ma era chiaro che avrebbe preferito una soluzione immediata.

Riportarono la piccola negli alloggi privati di Krystel e della sua famiglia, dove Johel cercò inutilmente di metterla a dormire. Dopo un’ora di capricci, si arrese e la mise nel suo piccolo recinto, dove aveva i suoi giocattoli preferiti. Jaylah giocò tranquillamente fino a sera, senza dare segni di particolare malessere, solo un colpo di tosse ogni tanto. Contrariamente ai consigli della guaritrice, Johel cominciò a dare un cucchiaio di miele e propoli alla bimba ogni volta, preoccupato che avesse la gola irritata e dolorante.
Jaylah decise subito che il miele le piaceva un sacco, e non ci mise molto a capire che otteneva del miele ogni volta che tossiva.
L’elfo dei boschi impiegò quasi tre ore per accorgersi della differenza fra un vero colpo di tosse e uno simulato. Quando capì il giochetto di Jaylah, uscì dalla nursery sconcertato e andò a cercare Daren. Lo trovò nella sua stanza, intento a leggere un libro sulla guarigione.
“Tua nipote ha appena passato le ultime tre ore a mentirmi.” Annunciò, a mo’ di saluto. “Non sa neanche parlare e già sa mentire.”
Daren si accorse che non sembrava arrabbiato, solo profondamente sorpreso, e non si curò di nascondere un ghigno soddisfatto.
“Intendi tua figlia? Ho molte nipoti, sai?”
“Quando mente non è mia figlia, è tua nipote” lo corresse l’elfo. “Ma insomma, che diamine?” Si riprese, scuotendo la testa.
“Sono molto fiero di lei.” Sorrise il drow.
“Ah. E ti pareva.”
Dalla nursery sentirono un paio di colpi di tosse. Sembravano abbastanza genuini. Johel lasciò la stanza del suo amico e si precipitò da Jaylah; checché ne dicesse, era sempre sua figlia. E anche lui sotto sotto era un po’ fiero di lei.


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1 Io sono tuo padre, mia amata figlia

2 Mi hai chiamato padre, Jaylah?





     

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Capitolo 3
*** 1357 DR: Funny lies ***


1357 DR: Funny lies


Sul finire dell’autunno, in una locanda vicino a Secomber

“Vieni! Guarda cosa ha imparato a fare!” Annunciò Johel, trascinando a forza il suo amico drow nella cucina. “È una specie di gioco che ha inventato!”
Si avvicinò al seggiolone di legno, dove sedeva una bambina elfa dalla pelle scura e dall’espressione altrettanto scura. Non le piaceva essere lasciata da sola, neanche per poco tempo. Vedendo che suo padre era tornato, portando anche suo zio, Jaylah addolcì un poco il suo cipiglio.
“Pa!” Lo salutò, con aria ancora un po’ risentita.
Johel sfoggiò un’espressione esageratamente triste. “Oh, figlia mia, ti stai vendicando perché ti ho lasciata da sola?”
“Pa” insistette lei. Johel si mise le mani davanti al viso, facendo finta di piangere.
Finalmente la bambina fu mossa a pietà, o forse voleva cambiare il ritmo del gioco. Fece un sorriso furbetto e si corresse da sola: “Va!”
L’elfo dei boschi si tolse le mani dal viso e le regalò un sorriso luminoso. La piccina ridacchiò e si agitò come se volesse saltellare da seduta. Poi, sempre con quel sorriso furbetto, tornò sui suoi passi.
“Pa” annunciò di nuovo, con il tono di chi vuole fare un dispetto.
Di nuovo Johel fece finta di essere profondamente ferito da quella parola.
Sua figlia fece un piccolo broncio come per imitarlo.
“Ti sta copiando per prenderti in giro?” osservò il drow, stupefatto.
“Non lo so, a volte sembra davvero triste di avermi reso triste, altre volte ci ride sopra” l’elfo chiaro si strinse nelle spalle. “Ad ogni modo ha capito cosa deve dire per farmi piacere o dispiacere, e ci gioca continuamente.”
Daren si avvicinò al seggiolone e accarezzò la testolina di Jaylah, scompigliandole i riccioli color platino. “Sembra una cosetta intelligente!”
Lo annunciò come se fosse personalmente merito suo.
“È proprio mia nipote” aggiunse infatti.
“Pensi che abbia preso da te? Non è una tua discendente diretta” obiettò il ranger.
“Va!” Trillò la bambina, salutando Daren. Johel ci rimase di sasso.
“No, amore, io sono Va.”
“Va” ripeté la mezzadrow agitando una manina verso lo zio. Poi indicò Johel e affondò: “Pa”
I due rimasero a corto di parole per un attimo. “Mi stai ancora prendendo in giro!” Sbottò l’elfo alla fine, capendo lo scherzo. “Vuoi che diventi geloso?”
Jaylah rise deliziata per la finta rabbia di suo padre.
“Vuoi ancora negare che abbia preso da me? Non è solo intelligente, è anche una maligna piccola peste” rincarò il drow, con voce colma di orgoglio e affetto.
“Non è maligna, sta solo giocando, non padroneggia il concetto di bene o di male” il povero padre rispose in tono quasi offeso “sta imparando a conoscere il mondo e inizia ad avere interazioni complesse con le persone, è una piccola meraviglia e non ti permetto di chiamarla maligna piccola peste” ordinò in tono definitivo, incrociando le braccia.
“Lo sai che questo gesto per il mio popolo equivale alla resa?” gli rivelò il guerriero drow con un sorrisetto.
“Fanculo. Tu non hai un popolo.” Masticò Johel.
“Cosa, certo che ce l’ho” il drow sollevò le sopracciglia con aria innocente. “Ho ancora contatti con la mia gente, l’intero culto di Eilistraee…”
“Ma se nemmeno loro ti sopportano” sferzò l’elfo dei boschi.
“Povero me, se solo in questi anni avessi preso un po’ della tua simpatia!”
Jaylah si accorse che i due non la stavano più calcolando e ricominciò a fare i capricci.
“Oh, no, piccola” Johel la prese subito in braccio. “Va e zio Daren non stavano litigando davvero…”
“Non penso che le importi, sai” il guerriero si strinse nelle spalle “ma credilo pure, se ti fa piacere.”
“Sottovaluti il nostro rapporto, da quando le ho fatto passare il raffreddore sono il re del suo piccolo mondo” si vantò l’elfo.
“Jaylah non sa cosa sia un raffreddore, è stato l’infuso di Tinefein a farla guarire e per la bimba sei al massimo il re dei giullari” Daren obiettò punto per punto, con grande soddisfazione.
“Non è vero, il nostro legame è solidissimo…”
In quel momento entrò in cucina uno dei ragazzini ospiti alla locanda, salutò con educazione e chiese dove potesse trovare delle ciotole. Daren gli indicò un mobiletto, Johel si spostò per farlo passare e Jaylah lo salutò entusiasta chiamandolo “Va!”
Johel e Daren la guardarono basiti. I due adulti sapevano benissimo che questo ragazzino era arrivato alla locanda solo due giorni prima ed era uno sconosciuto per lei.
“Ciao, bimba” il giovane umano ricambiò il saluto, prese una mezza dozzina di tazze e uscì.
“Va, va!” Lo richiamò Jaylah, con un gran sorriso.
Johel prese un respiro profondo e attese con calma che il ragazzino uscisse. Nel momento in cui la porta si richiuse alle sue spalle, sollevò la figlia in modo da poterla guardare in faccia e le rivolse un’espressione corrucciata. Jaylah non smise di sorridere.
“Sei davvero una maligna piccola peste!”
Il buon umore della piccina cominciò a vacillare dopo qualche secondo, quando vide che suo padre non accennava a rispondere al suo sorriso. Questa volta la sua espressione di rabbia sembrava vera. Non lo era, naturalmente, ma Jaylah non era abituata a quel cipiglio scuro.
Quando l’espressione incerta della bambina si trasformò in un magone con tanto di labbro tremulo, Daren intervenne dando una leggera gomitata al suo amico. “Stai ingaggiando una prova di volontà contro una bambina di dieci mesi scarsi? Non fare lo sciocco, stai per farla piangere, lei vuole sapere che la ami!”
Johel sospirò e lasciò andare la sua falsa animosità, portò la figlia al petto e le diede un bacio sulla guancia. “Sì, ti amo, piccola monella” la rassicurò con voce dolce, stringendola in un abbraccio riconciliatore.
“Va va va” piagnucolò Jaylah, stringendo il tessuto della camicia di Johel nei piccoli pugni.
Va anche a te” rispose lui, accarezzandole la testa. Ormai si era convinto che Jaylah non avesse capito bene cosa volesse dire Va. Lei sapeva solo che era una parola che a lui piaceva sentire. Forse si era fatta l’idea che fosse un modo per esprimere affetto. Questo avrebbe spiegato come mai lo diceva a tutti.

In quel momento, a un quarto di miglio di distanza, un frassino che segnava il confine fra due campi coltivati fu attraversato da una specie di brivido e le sue fronde tremarono per un istante. Dal suo tronco, che rimase intatto e inviolato, uscirono per magia due persone stanche e un po’ scarmigliate. Erano a dir poco una strana coppia, visto che si trattava di un elfo dei boschi e una drow.
L’elfo chiaro si stropicciò gli occhi, forse turbato dal viaggio magico o forse dalla luce che era molto più intensa, lì in aperta campagna, rispetto ai tiepidi raggi che filtravano oltre gli alberi della sua foresta. Al contrario, la drow non diede segno di fastidio per la luce del sole.
La nera creatura dai capelli candidi fece cenno all’elfo di incamminarsi sul sentiero che aggirava il frassino. Prima di seguirlo, appoggiò una mano alla corteccia ruvida dell’albero e lo ringraziò silenziosamente per il suo aiuto.
“Voi vivete qui? Veramente?” L’elfo si guardò intorno, scrutando i campi ormai vuoti e brulli con un certo sussiego. Nei fossi in cui il sole non riusciva ad arrivare si poteva vedere un po’ di neve della notte prima, che non si era sciolta al sole del mattino.
“Non vi piace il luogo dove vivo? O non vi piace che sia così vicino alla vostra foresta?” Indagò la strega, indicando con un dito in direzione est, dove la massa verde scura della Grande Foresta era chiaramente visibile anche se a miglia di distanza.
“È territorio umano, quindi non mi piace per diversi motivi” l’elfo all’inizio le era sembrato altezzoso, ma ora il suo istinto le fece comprendere che era solo sulla difensiva. “Non ho obiezioni se volete vivere qui. Il druido ha garantito per voi e per la vostra fede nella dea della Natura, e mio cugino Aesar ha detto che una volta gli avete salvato la vita, quindi sono incline a non considerarvi una minaccia. Nonostante questo, mi rende più tranquillo sapere che non vivete proprio a ridosso della foresta.”
“Allora non ho capito per quale motivo abbiate voluto seguirmi e controllare la mia casa” sottolineò la strega, indossando una maschera di buona educazione anche se considerava l’intera faccenda un rognoso fastidio.
Controllare, che termine duro” si difese l’elfo. “Sono solo curioso di conoscere l’elfo che vive con voi.”

Krystel non poté fare a meno di rivivere con la mente la conversazione che aveva rivelato l'esistenza del suo amante, Johlariel.
Nelle ultime due settimane la strega aveva fatto parte di un gruppetto eterogeneo e mal accompagnato, ma che si era riunito a causa di una preoccupazione comune: indagare come mai il fiume più sacro della regione, per loro il più sacro del mondo, si fosse improvvisamente tinto di rosso.
Uno dei membri di quel gruppo era un bardo. Neanche a dirlo, aveva mantenuto alto l’onore della sua professione comportandosi esattamente come ci si aspettava da un bardo: ci aveva provato con ogni creatura di sesso femminile del loro gruppo. Perfino con Krystel, nonostante la fosca reputazione della sua razza. Ad un certo punto, a corto di argomenti, aveva fatto un commento poco raffinato su come il corpino della strega sembrasse farsi ogni giorno più stretto. Con un po’ di imbarazzo e con diverse paia di occhi improvvisamente concentrati sul suo seno, Krystel aveva dovuto ammettere che aveva una figlia piccola. Allora un elfo - questo stesso elfo che l’aveva seguita fino a casa sua - aveva fatto un odioso commento sul crescente numero di drow nella regione.
La strega aveva dovuto scegliere in fretta se dargli un pugno sul naso o ingoiare l’insulto. Purtroppo in quel momento si trovava nella foresta, il territorio di quel maleducato.
Con tutta la compostezza di una regina aveva risposto che Jaylah era drow solo per metà ed elfa dei boschi per l’altra metà, solo per il gusto di vedere la sua reazione… ma a quel punto era stato necessario parlare di Johel.
Forse, nonostante tutte le sue rassicurazioni, questo elfo malfidente era ancora convinto di dover salvare il suo simile dalle grinfie della crudele drow che lo teneva prigioniero e lo usava come schiavo di piacere.

“Sono sicura che anche a lui farà piacere conoscervi, sono anni che non vede un altro elfo dei boschi” la strega rispose con un sorriso candido, smaccatamente esagerato. “Sempre che trovi il tempo di parlarvi fra un amplesso e l’altro, è un amante appassionato e non ci vediamo da due settimane, non so se mi lascerà il tempo di fare le presentazioni prima di sbattermi al muro e…” occhieggiò il colorito terreo del suo compagno di viaggio, traendone una segreta soddisfazione “…purtroppo non conosco le parole adeguate in lingua elfica” mentí per gentilezza.
Continuò a sorridere davanti al palese disagio dell’altro, finché quello non si rese conto che lo stava prendendo in giro.
“Oh, ah ah, che spasso” rispose in tono amaro. “Siete una vicina di casa adorabile.”
Krystel continuò a sorridere, con sempre maggiore confidenza. Non aveva motivo di sentirsi in difetto o di sentirsi giudicata dal suo ospite. Si trovava nel suo territorio adesso, non più nella foresta. Il terreno sotto i suoi piedi sembrava darle il benvenuto e la faceva sentire ad ogni passo sempre più stabile.
Le due creature dal sangue elfico, così diverse ma così simili nelle movenze, continuarono a camminare verso ovest e verso la locanda dell’Orso. Al loro passaggio gli spaventapasseri alzarono la testa e iniziarono a girarsi sulla loro unica gamba di legno per seguire con lo sguardo la padrona, finalmente tornata a casa.



     

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Capitolo 4
*** 1357 DR: Diplomatic lies ***


1357 DR: Diplomatic lies


Sul finire dell’autunno, in una locanda vicino a Secomber

“O!” Esclamò la bimba mezzadrow, tutta concentrata.
“Ma davvero?” Le domandò suo padre, sfilandole il cappellino dalla testa. Erano appena andati a far visita a Tinefein nell’infermeria, e la guaritrice aveva confermato che Jaylah era perfettamente sana. Nessuno strascico dopo il raffreddore.
“Tienila ferma mentre le tolgo le scarpe, sta continuando a scalciare” gli chiese Daren, che lo stava aiutando perché cambiare i vestiti a Jaylah era sempre una questione problematica. La piccola si trovava nel suo ambiente naturale, il suo piccolo recinto, e cercò di sfuggire girandosi e gattonando verso il bordo. Daren riuscì a sfilarle una scarpa mentre si muoveva.
“Potremmo lasciarle tenere le scarpe” propose l’elfo.
“Sono troppo calde per stare in casa…” riuscì a obiettare mentre le toglieva anche l’altra.
“O-o-o” ripeté lei, contenta per le attenzioni che stava ricevendo.
“Brava piccola” Johel le accarezzò i capelli, tutto orgoglioso. “Hai sentito, Daren? Ti sta chiamando, sta cercando di dire Osi’Tan” ipotizzò, citando la parola elfica che significava zio, più precisamente fratello della madre.
“Ah, sta cercando di dire Osi’Tan? Come sai che non cerca di dirti O’Su?”
“Non le ho mai insegnato quella parola, è troppo formale, sto cercando di insegnarle a chiamarmi Va” rispose l’elfo, sorridendo con amore alla bambina. “Invece mi riferisco sempre a te come al suo Osi’Tan.”
La piccola si aggrappò alle sbarre di legno levigato e rimase dritta sulle ginocchia. Ancora non riusciva ad alzarsi in piedi da sola, anche se ogni tanto ci provava. “Ooo!” Ripeté, stringendo le labbra come se volesse fischiare.
“Johel, tu reputi di avere un buon udito?”
L’elfo biondo corrugò la fronte, perché sentiva che c’era una trappola in quella domanda.
“Sì, come tutti gli elfi ho un ottimo udito” rispose, sulla difensiva.
“Allora non è un’ipotesi azzardata se affermo che le senti le cazzate che dici” affondò Daren, in tono colloquiale.
“Ca” ripeté Jaylah.
Johel e Daren smisero di battibeccare e l’elfo chiaro impallidì.
“Inizia a ripetere le parolacce” constatò, preoccupato.
“Finalmente!” Il drow, al contrario, aveva un sorriso da un orecchio all’altro. “Finalmente, mia discepola.”
“Non ti azzardare, brutto mascalzone” il ranger gli mise una mano sul petto e lo spinse indietro, con gesti lenti ma inequivocabili. “Da questo momento tu sei bandito dalla nursery.”
“Non puoi farle la guardia tutto il tempo, Johel” obiettò l’elfo scuro, con un ghigno che fece correre un brivido lungo la schiena dell’amico. “Ad un certo punto dovrai fare la reverie, e quando ti sveglierai la tua bambina sarà stata edotta sul giusto linguaggio da tenere in mezzo agli elfi.”
“Ah! Adesso è il mio turno di chiederti se il tuo udito funziona bene” lo prese in giro l’elfo chiaro. “Ci ho messo un secolo ad insegnarle Va, e nemmeno ha capito quando deve usarlo, figurati se riesci ad insegnarle il turpiloquio in così poco tempo.”
Daren fece un passo indietro, accettando di lasciare campo libero all’altro perché per il momento non aveva alcuna fretta.
“Non stai considerando una cosa: a me non importa che Jaylah usi le parolacce nel contesto giusto. Qualsiasi contesto è giusto quando la cosa che devi dire è sbagliata” gli fece notare, sorridendo come un sociopatico.
“Ma non hai veramente niente di meglio da fare?”
“Va-aa” Jaylah lo richiamò all’ordine, perché si sentiva ignorata.
In quel momento Johel si accorse che stava iniziando a spandersi un odore sgradevole e ormai familiare. Anche l’elfo scuro storse il naso. Sicuramente si era accorto dell’olezzo.
“Sono bandito dalla nursery” accettò Daren, fingendosi contrito. “Be’… buona fortuna.”
Il subdolo drow sparì oltre la porta prima che Johel potesse fermarlo. Quest’ultimo sospirò, sentendo sulle spalle tutta la fatica di quei giorni.
“D’accordo, piccola. Sembra che nel momento del bisogno tu possa contare solo sul tuo Va. Cerca di non dimenticarlo.” Prese in braccio la bambina e la poggiò sul fasciatoio, apprestandosi a un lavoro che ormai gli riusciva automatico.

Più tardi, verso mezzogiorno, Johel stava cercando di far mangiare Jaylah, nella chiassosa confusione del refettorio comune. Qualcuno aveva cucinato per tutti i bambini, l’elfo non era sicuro di chi fosse stato, ma chiunque fosse aveva tenuto da parte per Jaylah un po’ di radici bollite e pestate e le aveva mischiate a del brodo di carne.
La bimba non era ancora completamente svezzata ma stava imparando a mangiare un po’ di tutto… solo che spesso non aveva voglia di mangiare e bisognava penare per farla arrivare al fondo della ciotola. Johel non se lo spiegava, era sempre stata una bambina sana che mangiava senza fare storie, finché era Krystel a darle la pappa. Forse la piccola sentiva semplicemente la mancanza di sua madre.
Ah, Krystel, ma quando tornerai? Si chiese Johel, sospirando sconsolato. La strega era una presenza fondamentale alla locanda, i suoi figli potevano mandare avanti la gestione in sua assenza ma solo fino a un certo punto. I tre più grandi avevano da tempo lasciato il nido. Tinefein, la sua quarta figlia, aveva l’infermeria a cui badare. Gli altri non erano molto affidabili perché Amber e Tek’ryn avevano appena quarant’anni, e anche se erano benintenzionati non avevano il buonsenso e la voglia di lavorare degli adulti; Luel era semplicemente un ragazzino irresponsabile. E poi c’era Jaylah… ovviamente il massimo che si poteva chiedere a Jaylah era di mangiare senza fare i capricci e dormire per più di tre ore di fila.
Johel sollevò il cucchiaio portandolo davanti alle labbra della figlia, ma lei quel giorno era distratta. Di solito mangiava in cucina, non nella taverna con gli altri bambini, ma l’elfo aveva pensato che fosse meglio iniziare a farla socializzare.
Forse non era stata la migliore delle idee, la piccola era sovrastimolata e agitata per tutto quel chiacchiericcio. Ogni ragazzina umana aveva trovato almeno una scusa per passare di lì e salutare l’ultima nata della locanda. Jaylah era adorabile, con quei suoi enormi occhi verdi e i riccioli biondi, quindi naturalmente era al centro dell’attenzione di tutti. La cosa le piaceva tantissimo, faceva smorfiette buffe a ogni ragazzina per strappare loro una risata o una carezza. Ma continuava a non mangiare.
Poi all’improvviso la porta della taverna si spalancò.
“Sono a casa!” Gridò una voce femminile che lì tutti conoscevano bene.
Johel si sentì invadere dal sollievo, perché aveva atteso per due settimane di udire quella voce e quelle parole.
Krystel era tornata. Era finito il tempo dell’andare alla deriva.

Quasi trenta ragazzini, una poppante, un elfo e due giovani drow si voltarono all’unisono verso la porta.
“Mamma!” Amber fu la prima a salutarla, con un’espressione così sollevata che era quasi comica sul volto di un’elfa scura. Il bambino halfling seduto accanto a lei si approfittò di quella distrazione per rubarle l’ultima polpetta.
“Puoi avere le mie polpette se hai ancora fame, Ricry” gli sussurrò Tek’ryn, indicando il suo piatto ancora mezzo pieno.
“Uh, no” il ragazzino abbassò la testa, un po’ in imbarazzo. “Non è divertente se me le offri, Tek’ryn.”
Amber si alzò, scompigliò con una mano i capelli castani dell’halfling e gli rubò dal piatto una polpetta per tornare pari. Se la cacciò in bocca tutta intera, riempiendosi una guancia come un criceto, poi si diresse verso la locandiera appena tornata. Si fermò, incerta, quando vide che un estraneo stava entrando dalla porta appena dietro di lei.
Il nuovo arrivato era un elfo; dalla carnagione ramata doveva essere un elfo dei boschi. Aveva i capelli castani scuri, a differenza di Johel, ma gli stessi occhi del colore delle foglie in primavera. Amber masticò velocemente la polpetta e la mandò giù.
“Mamma, bentornata” la salutò più compostamente. “Ti stavamo aspettando.”
“Lo vedo” Krystel fece scorrere lo sguardo sulla sala. “Come puoi vedere ho portato con me un ospite. I ragazzi dalle fattorie vicine sono già arrivati?”
“Dai dintorni di Uluvin e da Secomber, alcuni dalle fattorie qui intorno. Ci aspettiamo una grande affluenza quest’anno, i ragazzi di una dozzina di fattorie non sono ancora arrivati. Specialmente dalla zona verso le colline” spiegò, riferendosi alla regione a ovest della locanda.
“Bene, potete continuare a fare a meno di me per un po’? Vorrei occuparmi di Geyla.”
“C’è Johel con lei adesso” spiegò la giovane drow, indicando il fondo della sala.
“Ottimo, cercavo anche lui” la strega fece un impercettibile cenno del capo all’elfo che era entrato con lei, poi si avviò verso l’angolo dove si erano sistemati Johel e Jaylah.

Llarm Sarsantyr non era tranquillo. Sapeva che c’erano dei drow che vivevano nel territorio umano a ovest della Grande Foresta; suo cugino Aesar gli aveva raccontato di aver conosciuto quella famiglia alcuni decenni prima, però non aveva voluto scendere nei particolari. Era come se la cosa lo imbarazzasse o gli causasse disagio. Che fosse stato sedotto anche lui, come l’amante della strega?
Quando Llarm era arrivato alla locanda per indagare di persona, era diventato ancor meno tranquillo. Tanto per cominciare il posto pullulava di giovani umani. La strega forse li chiamava a sé con la magia? E per farne cosa? Lui aveva alcuni sospetti, ma erano uno più fosco dell’altro.
L’elfo non amava quella razza fastidiosa dalla vita breve, non trovava nulla di interessante in quegli esseri grezzi, sporchi e invadenti; i bambini però erano bambini, erano innocenti. Avrebbe dovuto indagare e cercare di liberarli? E poi che ne avrebbe fatto?
Come se non bastasse, la locanda era infestata da drow. Ne aveva contati almeno due nel refettorio, oltre a Krystel, la poppante mezza elfa… e prima, entrando, aveva visto uno strano essere completamente nero che suonava un violino seduto sul tetto. Era un altro drow, o forse un mezzo drow? Gli era sembrato anche di vedere, nel cortile esterno, un’altra nera creatura che entrava e usciva da un edificio secondario. Cominciava a sentirsi circondato.
Llarm Sarsantyr era il miglior guerriero del suo villaggio. Sapeva che le sue abilità marziali gli imponevano delle responsabilità. Non era un elfo qualsiasi, era un eroe, un Campione di Corellon, se c’erano dei drow in Superficie si sentiva in dovere di indagare. Non aveva mai trovato un pretesto per farlo, fino a questo momento. Loro se ne stavano ben alla larga dal territorio elfico, sforando ogni tanto solo nella zona di confine della Grande Foresta, ma lo stesso facevano gli umani. Quando la sua strada aveva incrociato per caso quella della strega, aveva riconosciuto un’occasione da cogliere al volo.

Krystel aveva fatto cenno all’elfo di seguirla, ma poi non si era preoccupata di controllare che la seguisse davvero. Aveva cose più urgenti a cui pensare, ad esempio la sua ultima bambina che non vedeva da molti giorni. Si diresse subito verso l’angolo in cui Johel aveva sistemato il seggiolone, e il suo cuore trovò finalmente un po’ di sollievo quando Jaylah e Johel l’accolsero con due sorrisi quasi identici. Il sorriso di Jaylah aveva meno denti e manifestava emozioni meno complesse. L’elfo la stava guardando con affetto, amicizia, ma soprattutto sollievo. La bimba, con pura felicità.
“Ma! Ma!” La chiamò la piccina, stendendo le braccia verso di lei.
Geyla gli somiglia, pensò Krystel con tenerezza. In tutto, tranne che nel colore della pelle. Si vede che sono padre e figlia.
Man mano che si avvicinava, lo sguardo del suo amante cominciò a tradire sentimenti diversi dal semplice sollievo. Quando finalmente li raggiunse, lui non la stava più guardando in faccia.
“Ehi” Krystel gli prese il mento fra il pollice e l’indice e lo costrinse con gentilezza ad alzare il volto. “Il mio viso è quassù.”
“Il tuo viso lo conosco ed è grazioso come lo ricordavo” lui aveva la risposta pronta, come sempre, e un sorriso aperto e disarmante che le rendeva impossibile arrabbiarsi. “Loro due però sono nuove” obiettò, tornando imperterrito a fissare il suo petto.
“Johel” la drow lo costrinse di nuovo ad alzare il volto. “Non allatto da due settimane, ho usato degli incantesimi per rallentare i ritmi del mio corpo ma non è che possano fare miracoli. In questo momento mi fanno male solo a guardarle.”
L’elfo sembrò improvvisamente perdere tutto il suo buonumore.
“Ah… mi dispiace. Non è che potrei ammirarti per bene, una volta sola, così da poter serbare questo ricordo per sempre?”
Krystel sospirò, fece un passo indietro e si slacciò il mantello. “Sei rozzo per essere un elfo, lo sai?” Lo punzecchiò, restando in posa per qualche secondo perché lui potesse memorizzare per bene la sua figura.
“Preferisco definirmi un tipo diretto” il ranger cercò di mitigare l’epiteto, con un sorriso di scuse.
Lei lasciò correre. Erano passati molti giorni dall’ultima volta in cui un elfo l’aveva guardata con un sentimento diverso dal sospetto o dall’ostilità. Johel era solo il suo amante e il padre di sua figlia, non era certo l’amore della sua vita, eppure in qualche modo era importante per lei. La sua positività riusciva a metterle allegria e a darle speranza.
La bambina cominciò a fare i capricci, sentendosi ignorata dai genitori.
“Adesso rubo Geyla. Non ha già mangiato, spero?” Domandò Krystel, facendo cadere lo sguardo sulla ciotola di pappa ancora quasi intonsa.
“La sua maglia ha mangiato più di lei” sospirò l’elfo chiaro, “te ne accorgerai prendendola in braccio.”
“Oh, Johel, devi mettere uno straccio pulito o un tovagliolo nel suo colletto…”
“Lo sfila e lo getta a terra” spiegò lui, stringendosi nelle spalle.
“Ah. Penserò a qualcos’altro” promise la locandiera. Sollevò Jaylah dal seggiolone, con grande gioia della piccola. “Vieni, zuccottina. Saluta il papà.”
“Ma!” Trillò lei, perché in quel momento non aveva occhi per nessun altro.

Johel le guardò uscire dalla taverna, sparendo oltre la porta che conduceva nelle cucine. La sua mente era invasa da pensieri contrastanti. Era contento del ritorno di Krystel, ma nel momento in cui lei aveva preso in braccio la figlia capì che gli sarebbe mancato essere l’unico punto di riferimento di Jaylah. Era un pensiero egoistico, e se ne vergognò subito. Jaylah amava sua madre, e l’elfo non poteva nemmeno dire che Krystel monopolizzasse il tempo e le attenzioni della bimba. Per essere una drow, una madre abituata a crescere da sola i suoi figli, era stata inaspettatamente collaborativa e felice di dividere i compiti della genitorialità con lui.
Era sposata, una volta, ricordò a se stesso. Una sera, poco prima che Jaylah nascesse, lui e Krystel avevano parlato seriamente di che tipo di famiglia volevano dare alla bimba. Quella sera per la prima volta la strega si era aperta davvero sul suo passato, rivelando di non essere una matriarca eternamente zitella per scelta. Non era nemmeno zitella in realtà, era vedova, e anche se aveva avuto molti figli da altri uomini non aveva più amato nessuno dopo il suo primo grande amore. Ricordando tutto questo, Johel realizzò che Krystel non aveva avuto solo un marito, ma anche un compagno con cui condividere le gioie e il fardello di un bambino.
Il primogenito di Krystel aveva un padre molto presente. Lei quindi sa come funziona una famiglia normale. Non vuole tagliarmi fuori dalla vita di nostra figlia. Allora perché mi sento come se fossi appena diventato una seconda scelta, per Jaylah?
Mi ero solo abituato a essere il centro del suo mondo. Dover dividere quel posto al sole adesso mi pesa. Perché sono così egoista?
Sarebbe diverso se io e Krystel ci amassimo? Oh cielo, Jaylah se ne accorgerà? Il nostro legame troppo debole le causerà dei problemi?


Le sue preoccupazioni forse erano fin troppo palesi, perché Johel era un elfo schietto e genuino e non si curava di nascondere le emozioni. L’altro elfo dei boschi però non lo sapeva.
Quando Llarm Sarsantyr si avvicinò al suo simile e vide la sua espressione preoccupata e rapita, fece subito mille turpi congetture su come la strega l’avesse avvinto con la magia, schiacciando il suo spirito e costringendolo ad amarla… Sospirò, facendosi forza e pensando a chi conosceva, fra gli elfi del suo villaggio, che potesse spezzare un incantesimo di influenza mentale. Forse sarebbe stato necessario viaggiare fino a Reitheillaethor, o addirittura fino a Evereska.
Ad ogni modo era una sua responsabilità, come Campione di Corellon, prestare aiuto a questo elfo che aveva perso la via.
Per puro caso Johel si girò verso di lui proprio mentre Llarm tossicchiava per richiamare la sua attenzione. L’elfo biondo spalancò gli occhi, sorpreso di trovarsi davanti un suo simile.
“Oh… buongiorno. Che strano vedere un altro elfo in questa locanda. Posso aiutarvi in qualche modo?” Lo disse con voce normale, come se non fosse stregato. Llarm esitò. Aprì la bocca e la richiuse, in silenzio. L’altro elfo lo guardò perplesso. “Vi sentite poco bene? Vi manca la voce?”
“No” riuscì a rispondere Llarm, dopo un silenzio imbarazzante. “No, io sto bene. Mi chiamo Llarm Sarsantyr del villaggio di Nordahaeril, e sono qui per” cercò un modo per porre la questione in modo che non sembrasse un insulto “fare la vostra conoscenza.”
L’elfo biondo seguitò a guardarlo dubbioso. Ah, in effetti suona un po’ inquietante, si rimproverò Llarm.
“Ma… io non sono famoso. Non capisco cosa possiate volere da me” si schernì l’altro elfo con modestia. “Se proprio ci tenete, sono Johlariel Arnavel di Sarenestar, al vostro servizio.” Si presentò, chinando la testa in un saluto informale ma che esprimeva rispetto.
“Siete molto lontano dalla vostra casa, Johlariel Arnavel di Sarenestar” notò Llarm, perché era un elfo istruito e sapeva che la foresta dell’altro si trovava molte centinaia di miglia più a sud. Mentre parlava, cercò di notare qualche traccia di comportamento insolito nelle movenze e nello sguardo dell’elfo Arnavel.
“È vero, ma sono sempre stato un girovago. Adesso ho una buona ragione per restare in questa zona per un po’. Diciamo… una piccola ragione” affermò, con sguardo sognante.
Llarm ci mise qualche secondo a rimettere insieme i pezzi. “Vostra figlia?”
Johlariel sorrise come se avesse appena visto il sole dopo un mese di pioggia. “Ve lo ha detto Krystel?” Domandò, ma non si curò di aspettare la risposta. “Sì, quella cosetta piccola e fragile è il più grande amore della mia vita. Non ha neanche un anno, come potrei lasciarla? Sono certo che la mia famiglia capirebbe. Avrò sempre tempo per tornare a casa dopo, ma Jaylah sarà bambina una volta sola.”
“Quindi è per vostra figlia che siete rimasto qui? In un territorio umano, nella casa di una drow?”
L’elfo biondo corrugò la fronte, come se non capisse la domanda. “Non mi dà fastidio trovarmi in territorio umano. Come vi accennavo, sono un girovago. Non era la prima volta che visitavo questa locanda, Krystel è la sorella di un mio caro amico. Ma sì, sono qui per Jaylah. Se non fosse per lei me ne sarei andato un annetto fa, non ho altri affari in questa zona.”
Llarm accolse questa spiegazione con sollievo, perché l’altro elfo non sembrava stregato, ma anche con una punta di inquietudine. C’era una cosa, che l’altro aveva detto, che gli era sembrata fuori posto.
“Un momento… la sorella di un vostro amico? State dicendo che siete amico di un drow?” Balbettò, incredulo. Perché un conto era restare ammaliati dalle grazie femminili (e perfino Llarm doveva ammettere che Krystel era affascinante, lui stesso l’avrebbe desiderata se lei fosse stata un’elfa di Superficie e non una drow), ma un altro conto era stringere amicizia con un nemico del popolo elfico.
Johlariel di Sarenestar lo guardò come a chiedere ‘Che ho fatto di male?’ e si strinse nelle spalle.

Johel cominciava ad averne abbastanza di quell’interrogatorio. L’atteggiamento di questo elfo gli sembrava fin troppo insistente, e anche se poteva capire quelle preoccupazioni in un elfo che presumibilmente viveva nei paraggi, ormai stava rasentando i limiti della maleducazione.
“Sì. So che può sembrare strano, ma lui…” pensò rapidamente a come descrivere il suo vecchio compagno di molte avventure: è un amichevole pezzo di merda sarebbe stata la definizione più calzante, ma avrebbe richiesto troppe spiegazioni. “Ha una personalità un po’ difficile, ma è molto leale.”
“Leale? Un elfo scuro?” L’altro sollevò un sopracciglio, poco convinto.
Johel sapeva che era perfettamente inutile sostenere la sua posizione con qualcuno che tanto non gli avrebbe creduto.
“Credermi o non credermi è una vostra libera scelta” sancì, per mettere un punto alla conversazione. “Ad ogni modo non credo che la mia vita vi riguardi.”

“Krystel è tornata!” Gridò una voce in elfico, e siccome tutti sapevano già del suo ritorno e quasi nessuno lì parlava l’elfico, Johel capì all’istante due cose: era stato Daren a parlare, e il messaggio era diretto a lui.
Infatti proprio in quel momento il suo amico dalla pelle nera aveva spalancato la porta con foga.
“Johel, sai cosa significa? Libertà!” Continuò, felice come un bambino la mattina del solstizio d’inverno.
“Daren, so che per te è una cosa impensabile, ma a me piace occuparmi di Jaylah” gli rispose nella stessa lingua, senza preoccuparsi di parlare lentamente perché tanto il suo amico parlava fluentemente l’elfico.
Facendosi strada verso di lui, Daren si accorse della presenza dell’altro elfo dei boschi. Il biondo fu colpito dal pensiero che vista da fuori quella fosse una scena piuttosto comica: il sorriso del drow non aveva vacillato, Daren sembrava incurante della presenza dell’elfo, mentre Llarm Sarsantyr era diventato un fascio di nervi. Johel sapeva che avrebbe potuto fare qualcosa per alleviare la tensione, e forse avrebbe dovuto, ma decise di non immischiarsi e di godersi la scena.
“Mi giro un istante e ti trovi un nuovo amico?” Scherzò Daren, indicando lo sconosciuto con un cenno del capo.
“Solo perché anche lui è un elfo dei boschi tu supponi subito che siamo amici? Non ti suona un po’ razzista?” Rispose il ranger, stando al gioco.
“No, non mi pare di aver chiesto se ti sei trovato un nuovo compagno” continuò il drow, in tono semiserio. “Tutto sommato non era un commento razzista, ma sai che se mi metti davanti una sfida…”
“No” sbottò Johel, interrompendolo prima che aprisse bocca di nuovo. “Per carità, no. Costui è Llarm Sarsantyr, è venuto in visita da… dalla Grande Foresta? Credo dalla Grande Foresta” tentò, gettando uno sguardo all’ospite.

Llarm raggelò, perché per i suoi gusti quell’elfo traditore aveva detto anche troppo.
C’erano molte cose che avrebbe potuto dire a quel punto. Avrebbe potuto presentarsi con educazione e decidere di mantenere una facciata di cortesia, perché poteva accadere che elfi e drow si tollerassero a vicenda in territorio umano. Era raro, ma poteva accadere. Oppure avrebbe potuto dichiarare espressamente la sua ostilità e sfidare il drow a combatterlo apertamente, ma finora nessuno gliene aveva dato motivo. Ma non riusciva a mettere insieme un pensiero coerente, perché la sensazione di essere circondato si stava amplificando: si trovava a miglia dalla sua foresta, il suo unico alleato era un elfo che aveva perso il cervello e credeva di essere amico dei drow, e questo nuovo arrivato aveva chiaramente le movenze di un guerriero e gli stava già abbastanza vicino da poterlo infilzare con un pugnale nascosto nella manica.
Avrebbe potuto dire molte cose, Llarm Sarsantyr, invece disse: “Ma quanti drow ci sono in questo posto?”, e per giunta con una voce abbastanza patetica.
L’elfo scuro assunse un’espressione assorta e gli fece la cortesia di contare e rispondere per davvero: “Quattro, più tre mezzi drow. Naturalmente una di loro ha dieci mesi, ma mi sembrate così sconvolto che credo che anche lei potrebbe darvi del filo da torcere in questo momento…”
Llarm lasciò correre la provocazione quasi senza sentirla. Sei nemici. Non riusciva a pensare ad altro. Sei nemici sicuramente addestrati a uccidere, tutti intorno a lui, uno perfino sul tetto. La sua mano corse automaticamente alla spada, ma non la sguainò: si trovava ancora in una stanza piena di bambini umani, se avesse scatenato un combattimento lì di sicuro qualcuno si sarebbe fatto molto male. Era in trappola.
Suo malgrado, le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro.
“Non c’è alcuna possibilità che io me ne vada di qui sulle mie gambe, vero?” Mormorò.
Il drow naturalmente aveva un ottimo udito. Colse il suo commento e sollevò entrambe le sopracciglia, come se fosse sorpreso dalla domanda.
“No. Certo che no.” Rispose, con chiarezza e in tono cortese. Llarm sentì il ghiaccio della morte entrargli nel sangue, eppure era anche stranamente calmo. “In effetti, se continuate a insultare la mia famiglia ve ne andrete volando” continuò il drow.
Llarm piegò la testa di lato, perché non si aspettava quel cambiamento di rotta. Forse era una minaccia drow? L’elfo scuro si chinò verso di lui, con l’aria di volergli confidare un segreto. Sempre con quel sorriso gentile e voce tranquilla, concluse il suo pensiero.
“Perché vi accompagnerò io stesso fino alla Grande Foresta prendendovi a calci nel culo.”

Johel gemette, rimpiangendo di non essere intervenuto quando ancora poteva farlo.
Aveva dimenticato che il suo amico aveva uno stranissimo concetto di diplomazia.

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Capitolo 5
*** 1357 DR: Kind lies ***


1357 DR: Kind lies


Sul finire dell’autunno, nel cortile di una locanda vicino a Secomber

Il sole del primo pomeriggio cadeva obliquo, basso, segno che l’inverno era davvero alle porte. Il cortile della locanda era illuminato da quei raggi pallidi e freddi che tagliavano la brina come una lama. Daren sapeva che l’elfo era convinto di avere un gran vantaggio, a causa della luce solare.
Di certo trovarsi il sole in faccia non faceva piacere a nessuno, ma il drow non si sentiva più menomato di quanto lo sarebbe stato un umano: dopo più di un secolo in Superficie perfino i suoi occhi sensibili si erano adattati a sopportare il chiarore del giorno.
Non era il caso di rivelarlo, però. Voleva che l’elfo dei boschi continuasse a sentirsi in vantaggio.
Una discreta folla di bambini si era radunata lungo i margini del cortile, a ridosso degli edifici e del muretto, per assistere alla sfida.
“Tutti gli elfi sono così permalosi?” Domandò, sganciando la cinta da schiena che reggeva la spada bastarda e il bastone ferrato. Non avrebbe usato nessuna delle due armi per quella contesa, le spade corte sarebbero bastate.
Johel prese le armi che l’amico gli stava passando e le appoggiò contro il muro di cinta che delimitava la proprietà. “Ah, sì, assolutamente. Gli elfi del sole di più, ma c’è un limite anche alla pazienza degli elfi dei boschi.”
“Era un insulto così pesante?” Insistette il drow, in tono sinceramente curioso.
“L’hai umiliato, trattandolo con sufficienza. Non vedi che è un guerriero? Se tu l’avessi minacciato sarebbe stato meno grave.”
Daren controllò di avere le spade corte ben agganciate alla cintura. “Anche tu sei un guerriero, ma non te la sei mai presa per queste cose” gli fece notare.
“Ti ho abituato troppo bene” ammise l’elfo biondo, scuotendo la testa. “Io non sono come gli altri della mia razza.”
I due si guardarono in silenzio per alcuni secondi, mentre l’affermazione di Johel affondava fra loro come un sasso in un lago.
“Non l’hai detto” soffiò alla fine il drow, passandosi una mano sul viso.
“Oh sì, l’ho detto!” Confermò lui con un ghigno soddisfatto.
“Questo è…” Daren aprì e richiuse la bocca un paio di volte, incapace di continuare.
“Oh senti, uno di noi due prima o poi doveva pronunciare questa frase abusata. Ti ho dato cent’anni di tempo per farti avanti e tu non hai mai rivendicato il tuo diritto di prelazione” si difese l’elfo dei boschi.
“Sono in imbarazzo per te, sul serio” il guerriero lo congedò dandogli le spalle e agitando una mano.
“Ma dai! È ovvio che ti prendevo in giro!” Lo motteggiò l’elfo, ricambiando il gesto della mano come se fosse un cenno di saluto.
In effetti, considerati gli standard delle rispettive razze, quello che differiva di più dal comportamento normale del suo popolo era Daren. Entrambi lo sapevano, Johel voleva solo sottolineare questa cosa con una battuta ironica.
“Sì, grazie, l’avevo capito. Creatura imbarazzante!”
Il drow sbirciò l’amico con la coda dell’occhio e vide che Johel stava trattenendo a fatica una risata. Sorrise anche lui, ma stando ben attento a non farsi vedere dal ranger. In realtà aveva apprezzato la battuta, ma soprattutto aveva apprezzato che un elfo di Superficie avesse uno spirito abbastanza leggero da voler scherzare con un drow.
Aveva bisogno di quella leggerezza, specie perché l’unico altro elfo nel raggio di miglia voleva fargli la pelle.

Llarm Sarsantyr, miglior guerriero del villaggio di Nordahaeril, Campione di Corellon Larethian, in quel momento non sapeva se sentirsi fortunato o arrabbiato.
Arrabbiato, per l’insulto del drow. Fortunato, perché il suo conseguente scoppio d’ira l’aveva spinto a sfidarlo a duello e alla fine, inaspettatamente, aveva portato a una situazione vantaggiosa.
Prima di tutto perché non si trovava più in una stanza piena di bambini, e questo era un bene: all’occorrenza avrebbe potuto difendersi e mulinare la spada senza aver paura di ferire qualche innocente. Secondariamente, perché non aveva previsto che il drow accettasse davvero una sfida a duello, uno contro uno. Perché avrebbe dovuto, quando c’erano altri cinque suoi alleati nei paraggi e avrebbero potuto combattere insieme per sopraffarlo?
Il terzo motivo per cui si riteneva fortunato era il campo di battaglia: il sole era basso anche se era da poco passato mezzogiorno, avrebbe potuto usare quell’elemento a suo vantaggio per accecare il drow e uscirne vincitore più facilmente. Sì, forse si trattava di una mossa un po’ scorretta, ma di sicuro anche l’elfo scuro aveva dei trucchi nella manica. E poi non era colpa di Llarm se i drow soffrivano la luce del sole, era solo un altro segno del fatto che avrebbero dovuto restarsene sottoterra.
Intorno a loro, nel cortile della locanda, si erano raccolti i ragazzini umani e anche i figli della strega. Llarm poteva solo sperare che non intervenissero nel duello con qualche trucco magico.
Quasi come se gli avesse letto nella mente, il drow si fece avanti e gli rivolse un piccolo inchino formale. “Penso che sia il momento di definire i termini del nostro duello” disse, nel suo elfico più che passabile. Llarm annuì, ma lasciò che fosse l’altro a parlare per primo. Voleva capire che tipo di persona fosse.

Daren raddrizzò il busto dopo il breve inchino, pensando a come fosse ironico dover tenere un comportamento formale adesso, dopo gli insulti che erano volati. Le parole di Johel però gli avevano dato di che riflettere: il loro visitatore era un guerriero, voleva essere trattato con il rispetto dovuto al suo rango e al suo ruolo. Questa era una pretesa che, sebbene per vie traverse, Daren poteva capire. Quando viveva a Menzoberranzan aveva imparato la frustrazione di essere un guerriero a cui nessuno portava rispetto: a cosa serviva impegnarsi per eccellere nella propria arte, diventare una macchina di morte, per poi essere comunque considerato la bassa manovalanza della società?
La condizione di Llarm Sarsantyr era certamente diversa, gli elfi avevano un’alta considerazione per i loro guerrieri. L’elfo si era offeso proprio perché di solito era abituato a ricevere rispetto e Daren lo sapeva, ma nonostante questo decise che avrebbe tollerato la sua permalosità. Cameratismo fra guerrieri, forse. O forse lo divertiva soltanto il fatto di giudicare un elfo secondo una scala di valori drow.
Per contro, secondo quella stessa scala di valori drow il cameratismo non sarebbe dovuto esistere. Un guerriero abile aveva tutto il diritto di schiacciare e umiliare un combattente meno capace di lui.
Daren scrollò le spalle e si preparò a fare un’altra cosa molto non drow. Stabilire delle regole e poi rispettarle.
“Io non ho alcun interesse a portare il duello fino all’ultimo sangue, non è così che trattiamo gli ospiti” annunciò in tono annoiato, “però non ho mai capito cosa ci sia di divertente in un duello al primo sangue. Si finisce per mantenere uno stile di combattimento artificioso e troppo sulla difensiva. Qual è il senso del duellare, se non ci si può malmenare un po’?” La domanda aveva il tono di una provocazione, ma era pur sempre una domanda.
L’elfo comprese che aveva diritto di replica.
“E questo ci riporta ad un duello all’ultimo sangue?”
Il drow si strinse nelle spalle, di nuovo. “Nah, non per forza. Propongo di combattere finché uno dei due non si arrende, o viene impossibilitato a combattere. Con questo intendo… immobilizzato, privo di sensi, oppure disarmato e impotente.”
“Oppure morto” tornò a ripetere l’elfo.
Daren fu tentato di ribattere che la morte non era così definitiva come credeva lui, ma poi tacque. Llarm Sarsantyr aveva cercato di mandargli un messaggio, ma il drow non era sicuro se quel messaggio fosse ‘Tanto lo so che vuoi uccidermi’ oppure ‘Tu puoi anche non volermi uccidere, ma io sì’. O magari si trattava solo di un tentativo di intimidazione?
Divertente, pensò il drow sfoggiando un gran sorriso.
“Oppure morto,” gli concesse, “ma non mi capita mai di essere così in difficoltà da non riuscire fermare un nemico senza ucciderlo” si vantò, senza perdere occasione per provocare l’elfo ancora un po’. “Per questo scopo ho fatto incantare le mie armi perché possano colpire senza ferire in modo letale, e…” in quel momento si ricordò una cosa importante e si girò a cercare una particolare persona fra il pubblico. La trovò subito. La giovane drow era in mezzo a un capannello di ragazzini e stava raccogliendo scommesse. “Amber? Niente scherzi, mi raccomando. So che ti reputi spiritosa, ma se ti azzardi a togliere la magia dalle mie armi mentre combatto…” le raccomandò, usando la lingua comune degli umani perché lei non era fluente in elfico.
“Per chi m'hai preso?” La ragazza si puntò le mani contro i fianchi, replicando inconsciamente un gesto tipico di Krystel. “Causare la morte di qualcuno è un po’ troppo pesante come scherzo, perfino per me!” Si difese con veemenza. Dopo un momento di silenzio abbassò la testa e aggiunse borbottando: “…E poi mica sono capace.”
Daren sollevò appena un angolo della bocca, divertito dalla risposta, ma subito cercò di tornare serio perché nulla innervosisce un elfo come un drow che ghigna.
Llarm Sarsantyr sollevò la sua sottile spada elfica in posizione d’attacco. La lama brillava al sole con la lucentezza del mithral, e Daren si chiese se anche la sua arma fosse magica. Per qualche motivo dubitava che fosse incantata per colpire senza uccidere.

Krystel uscì dalla cucina, con la bimba aggrappata al collo e l’umore decisamente sollevato. Con suo grande stupore si ritrovò in una taverna completamente vuota. C’era solo suo figlio Tek’ryn che stava sparecchiando i tavoli.
“Che fine hanno fatto tutti?” Domandò ad alta voce, guardandosi intorno.
Suo figlio interruppe il lavoro per farle un riassunto conciso.
“Quell’elfo ha avuto la cattiva idea di chiedere a zio Daren se gli sarebbe stato consentito di andarsene da qui sulle sue gambe” raccontò in tono tranquillo.
Krystel aggrottò la fronte, turbata da quelle parole. L’ospitalità per lei era sacra, non avrebbe mai fatto del male a un visitatore venuto in buona fede.
“E Daren gliel'ha detto che se continua così se ne andrà volando?” Chiese indispettita.
“Con queste esatte parole” Tek’ryn sollevò un angolo della bocca, tradendo un mezzo sorriso. La locandiera poteva sembrare una persona mite e gentile, ma chi riusciva a farla arrabbiare finiva per accorgersi che non era poi così diversa da suo fratello. “L'elfo si è offeso a morte e ha sfidato Daren a duello. Stanno per combattere nel cortile esterno.”
Krystel sbuffò, buttò gli occhi al cielo e borbottò qualcosa che suonava sospettosamente come ‘Maschi!’. Poi si rese conto che il giovane drow era rimasto a lavorare anziché andare ad assistere al duello.
“E tu? Come mai non sei con gli altri?”
Lui continuò a impilare i piatti sporchi, ignorando il vociare che si sentiva dalla finestra. I ragazzini urlavano di meraviglia e stupore, coprendo perfino il rumore delle armi che cozzavano.
“La vita di un veggente è povera di sorprese” sospirò scherzosamente. “E poi, qualcuno doveva pur sparecchiare.”
“Sei mio figlio, Tek'ryn. Non sei il mio servo” gli ricordò la strega, con un sorriso rassegnato. “Non ti proibisco di andare a divertirti con gli altri. Hai appena quarant'anni.”
“Se fossi rimasto con la mia famiglia d'origine…” la sua voce si spense, rotta da un brivido “dover fare i mestieri di casa sarebbe stata l'ultima delle mie preoccupazioni.”
Krystel sentì una fitta di tristezza, come sempre quando Tek'ryn paragonava la sua attuale famiglia a quella in cui era nato, nella città oscura di Eryndlyn. Non perché ne fosse gelosa: da quei confronti era sempre lei ad uscirne vincitrice, ma non era difficile essere una madre migliore di una matrona drow seguace di Lolth. No, quello che la rattristava era che Tek'ryn non fosse mai riuscito a lasciarsi alle spalle la sua infanzia traumatica, i primi nove anni della sua vita erano come un pozzo di oscurità in cui Krystel non riusciva a guardare perché lui non lo permetteva. Però anche adesso non si comportava mai con lo spensierato egoismo di un ragazzo della sua età. In tutto ciò che faceva, lui ci doveva sempre aggiungere un carico di gratitudine; come se sentisse di non poter dare per scontato l'affetto di sua madre.
Senza rendersene conto la strega strinse un po' di più la presa intorno a Jaylah, disturbando la bambina che sonnecchiava. Non poteva tornare indietro nel tempo e dare a quel ragazzo un’infanzia migliore, poteva solo fare del suo meglio con la bimba che aveva adesso.
Improvvisamente Tek’ryn fissò gli occhi su Jaylah e le sue iridi da azzurre si colorarono di marrone per un istante, come quando manifestava uno dei suoi poteri di preveggenza. Rapido come un gatto, afferrò un tovagliolo da un tavolo e si lanciò verso Krystel. Riuscì a mettere il fazzoletto sotto la bocca di Jaylah appena prima che la bambina, con un piccolo ‘Blup!’, rigurgitasse un fiotto di latte sulla spalla della madre.
“Salvata sul filo del rasoio” sorrise la strega. “Grazie, avrei dovuto aspettarmi che lo facesse prima o poi. È piena come un porcellino!”
“Povera piccola sorella, cosa ti tocca sentire” ridacchiò il drow, ripiegando il tovagliolo in modo che non gocciolasse a terra. “Madre, coprila bene se vuoi uscire, presto le nuvole offuscheranno il sole.”
Krystel annuì e con un semplice gesto ammantò la bambina di un incantesimo che l’avrebbe protetta da qualsiasi clima, perfino dal vento freddo del nord. “Vieni con me a vedere lo spettacolo, Tek’ryn? Su, non restare qui da solo…”
L’elfo scuro si strinse nelle spalle, accettando la proposta, e tutti e tre uscirono dalla porta principale diretti verso il cortile esterno.

Daren portò le spade corte in posizione difensiva, bloccando con una parata l’ultimo assalto dell’elfo. Llarm Sarsantyr usava una spada sola, come anche Johel, e il drow ormai era abituato a contrastare lo stile di combattimento elfico. Non che tutti gli elfi combattessero esattamente allo stesso modo, ma in generale prediligevano un combattimento elegante fatto di affondi e imbroccate, alternati ad abili parate. Era uno stile più facile da sostenere se si utilizzavano armi corte, come daghe o pugnali, ma gli elfi si facevano vanto di saper giostrare quelle mosse anche con le loro spade lunghe e sottili. Llarm Sarsantyr si muoveva con la grazia di un danzatore, la sua spada guizzava rapida come un serpente.
Se Daren avesse impugnato una spada lunga, o magari la sua preziosa bastarda, a differenza dell’elfo l’avrebbe usata per menare fendenti e mezzani: mosse atte a colpire di taglio, non di punta. C’era qualcosa nei colpi di punta che invitava l’avversario a farsi sotto e tentare un attacco, per come il resto del corpo restava sguarnito mentre la punta della spada viaggiava in avanti; invece una rapida sequenza di colpi di taglio avrebbe contribuito a tenere l’avversario a distanza, come se intorno a sé si creasse uno scudo fatto di lame.
Però in quel momento non reggeva una spada lunga, né la sua bastarda, ma le sue due spade corte da difesa e voleva continuare a usarle per quello scopo. Il drow era un assoluto maestro nel combattere per interi minuti senza farsi mai colpire, anche se per farlo doveva concentrarsi completamente su quella tecnica e abbandonare l’idea di attaccare. Magari a qualcun altro sarebbe pesato, ma non a Daren. L’espressione frustrata sul viso dell’elfo lo ripagava totalmente del disturbo.
Se c’era una cosa che a Daren piaceva intimamente, più che combattere, più che vincere, era risultare fastidioso.

Qualche urletto di sorpresa ogni tanto riusciva a emergere sopra al cozzare delle spade. Molti ragazzini umani si erano radunati intorno ai due contendenti, ma a una distanza prudente, e anzi dall’inizio del combattimento alcuni di loro avevano fatto due passi indietro. Nessuno voleva trovarsi troppo vicino a quel mulinare di lame.
Llarm Sarsantyr stava dando grande sfoggio di sé, perché era sempre lui ad attaccare. Daren era tecnicamente più bravo, ma il suo stile di combattimento era meno elegante e meno vistoso, quindi tutti si stavano concentrando sull’elfo ammirando le sue movenze e la sua baldanza. A occhi inesperti sembrava proprio che l’elfo dei boschi stesse mettendo in difficoltà il drow, perché di solito era il perdente a stare così tanto sulla difensiva.
Daren respinse l’ennesimo attacco, deviò la spada di Llarm con una delle sue armi e quando l’elfo rimase scoperto e sbilanciato, seppur per un istante, ne approfittò per girargli intorno e allontanarsi di qualche passo, risollevando le spade corte davanti a sé in posizione di difesa. Avrebbe potuto approfittarsi di quel momento per attaccare anziché retrocedere, ma soltanto Llarm e Johel se ne accorsero; nessun altro lì era abbastanza esperto di scherma da capire i loro movimenti.
“Visto, ragazzi? Questo tizio è il motivo per cui non dovete mai entrare nella foresta senza invito!” Annunciò in tono leggero.
Un coro di infantili ‘oooh!’ di meraviglia seguì il suo avvertimento.
“Ehi! Non usatemi per spaventare i bambini!” Protestò l’orgoglioso guerriero.
“Chi altro potreste mai spaventare?” Motteggiò il drow, provocandolo con un sorriso.
L’elfo arrossì di rabbia, ma subito dopo riguadagnò la sua compostezza, si mise in posizione d’attacco e si lanciò sul suo avversario. Forse tutti lo stavano guardando con ammirazione, ma lui sapeva la verità. Sapeva che vincere non sarebbe stato così facile come aveva sperato.

Llarm Sarsantyr continuava a sentirsi non rispettato. Il drow parava i suoi colpi con una facilità imbarazzante e non si curava nemmeno di tentare di attaccarlo, non aveva fretta di finire l’incontro, come se il duello fosse solo un gioco per lui.
In realtà, l’altro non aveva speranze di colpirlo perché si stava concentrando sulla difesa, ma questo Llarm non poteva saperlo perché Daren era bravissimo a fingere. La sua espressione annoiata era credibilissima, una meraviglia d’arte teatrale.
Llarm era sempre più frustrato, ma si impose di non arrabbiarsi, perché per rabbia si commettono errori. Forse gli umani o i nani potevano far conto sulla furia per menare colpi devastanti e sperare che l’impeto compensasse la precisione, ma un elfo non ragionava in questo modo. Un elfo addestrato alle arti della guerra sapeva che ripetere sempre le stesse mosse sperando di ottenere un risultato diverso era tempo sprecato.
Se Llarm avesse saputo improvvisare l’avrebbe fatto, ma non si arrischiava, non si sentiva abbastanza sicuro del risultato. Decise invece di studiare con più attenzione le movenze dell’avversario.
Cercava uno schema, una ripetitività, ma invece trovò qualcos’altro: si accorse che il drow parava ogni suo colpo, ma sempre all’ultimo istante, come se i suoi movimenti fossero deliberatamente calcolati in modo da occupare lo stesso lasso di tempo che Llarm usava per attaccare. Per accertarsene provò a rallentare il ritmo, il suo avversario fece altrettanto.
“Vi prendete gioco di me!” Lo accusò a quel punto, in uno scoppio d’ira. Fece un passo indietro, abbassando la lama, e il drow lo imitò. Non aveva neanche il fiato corto.
“No, perché? Vi sto dando ciò che volete” rispose l’altro, con un tono che poteva essere definito solo paternalista. “Siete qui per studiarci? Volete sapere se io o mia sorella rappresentiamo un pericolo? Se mi muovessi troppo velocemente non potreste imparare nulla” concluse tranquillamente.
“A vostro rischio” ringhiò l’elfo, paonazzo. “Se la mia spada troverà il vostro collo potrete rimproverare solo voi stesso, per aver parato il colpo troppo tardi” lo avvertì.
Il drow rispose solo con un lieve sorriso, un messaggio silenzioso che lasciava trapelare tutta la sua sicumera. Llarm decise all’istante che avrebbe fatto di tutto per togliergli quel ghignetto dal volto.
Ripartì all’attacco, stavolta senza più trattenersi. Fino a quel momento non aveva mai mirato al viso o al collo, preferendo tenersi sul piano del duello cortese. Ora, con rinnovata determinazione, provò a mettere a segno anche qualche affondo teso a uccidere. Sapeva che il suo avversario avrebbe sempre contrapposto una parata ad un colpo, non era suo intento eliminarlo davvero, però voleva spingerlo a sentirsi in pericolo e contrattaccare. Finché l’elfo scuro avesse combattuto sulla difensiva, non si sarebbe sbloccato nulla. Sarebbe stato come ripetere sempre le stesse mosse sperando di ottenere un risultato diverso. Se il drow non fosse passato all’attacco, Llarm non avrebbe appreso nulla di interessante da quello scontro.

Daren sapeva che provocare l’elfo prima o poi avrebbe portato a un inasprirsi del conflitto, ma quello che Llarm non aveva capito era che l’altro stava studiando le sue mosse tanto quanto lui stava studiando quelle del drow. Llarm voleva conoscere le capacità e la pericolosità del suo avversario, mentre Daren stava indagando soprattutto il suo carattere.
Dopo una sequenza lunga e interessante di affondi sempre più arditi e parate sempre più estreme, Llarm Sarsantyr tentò una finta e Daren a sua volta finse di cascarci. Alzò la spada sinistra per parare il colpo dove sembrava che sarebbe arrivato, ma l’elfo cambiò la presa sull’arma e all’ultimo minuto la fece roteare sotto il braccio del drow. La spada lunga dell'elfo avrebbe colpito dal basso verso l’alto, bucandogli la giugulare appena sotto la linea della mandibola. L'altra arma di Daren, quella che reggeva con la mano destra, era troppo lontana per poter parare in tempo. Il drow poteva fare una cosa sola e la fece: saltò indietro, dimostrando che aveva previsto quella mossa. Ma non sarebbe stato necessario, perché Llarm si era già fermato prima di toccarlo.
Era difficile dirlo, una questione di decimi di secondo: Llarm si era fermato perché aveva visto Daren saltare indietro, oppure aveva imposto al suo braccio di fermarsi prima che il drow facesse la sua mossa? Forse nessuno degli spettatori avrebbe saputo dirlo, nemmeno Johel, ma Daren aveva osservato l’elfo per tutto il tempo e aveva la sua risposta.
Abbassò le spade, rivolgendogli per la prima volta un sorriso abbastanza sincero.
“Mi avete preso alla sprovvista, non c’è che dire” ammise, anche se era una gentile menzogna.
“Non credo” ribatté Llarm. “Vi siete spostato.”
“Solo perché voi mi avete lasciato il tempo di farlo” replicò Daren, che aveva già la risposta pronta. L’elfo esitò, perché era successo tutto in contemporanea e nemmeno lui era sicuro della sua risposta.
Llarm sapeva che con quelle parole il drow gli stava riconoscendo la vittoria, e in parte era soddisfatto. Aveva vinto lo scontro, il suo avversario poteva essere sfuggente ma non era invulnerabile. Soprattutto, aveva ristabilito il suo onore.
Ma era sufficiente? Aveva davvero imparato tutto quello che era venuto ad apprendere? No, come avrebbe potuto, se il drow non era mai passato all’attacco? Non si può giudicare la pericolosità di qualcuno solo da come si difende.
Abbassò anche lui la spada.
“Forse avete ragione” tentò “però ancora non mi basta.”

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Capitolo 6
*** 1357 DR: Old lies ***


1357 DR: Old lies


Quello stesso giorno di fine autunno, nella stessa locanda vicino a Secomber

Essere privi di sensi era lo stato mentale che più si avvicinava al sonno, una cosa con cui Llarm Sarsantyr non aveva familiarità. La sua mente vagolava in una nebbia ovattata, un luogo dove brandelli di ricordi si mescolavano a immagini oniriche, colorate da sprazzi di suoni del mondo reale che il suo udito riusciva a cogliere ma che non sapeva riconoscere.
Ai margini della sua coscienza sentiva delle voci, ma parlavano in una lingua straniera. Perché mai avrebbe dovuto ricordare, o sognare, in una lingua straniera? Nella sua fantasia sapeva che avrebbe potuto capire quelle parole, se solo si fosse sforzato un minimo, ma non riusciva a fare quel passo in più.
Poi un odore pungente di menta piperita lo riportò alla realtà con un brusco strattone.
Llarm aprì gli occhi di scatto e scoprì che il suo mondo era pieno di bianco innaturale, spezzato solo da una confusa macchia nera. In un istante la sua vista elfica si aggiustò da sola e mise a fuoco ciò che aveva davanti: il bianco era l’intonaco delle pareti interne di una stanza, la macchia nera era il volto scuro di una drow, circondato da una cascata di ricci altrettanto neri. L’elfo dei boschi reagì di scatto, si alzò seduto e cercò di tirarsi indietro. La creatura reagì più o meno nello stesso modo: sobbalzò, rovesciandosi sulle dita mezza boccetta di olio di menta, e contemporaneamente fece un saltello indietro. Per un istante si guardarono l’un l’altra con un’identica espressione di spavento, poi la drow (o mezzadrow?, si chiese Llarm) si ricompose, chiuse la boccetta dell’olio e tornò alle sue faccende come se niente fosse. Anche se con una certa rigidità.
“Avete spaventato mia nipote” lo redarguì una voce, in perfetto elfico ma con uno strano accento. Llarm abbassò gli occhi verso la fonte della voce e si rese conto di due cose: si trovava su un letto, e il drow con cui aveva combattuto era seduto a terra accanto a quel letto.
“Non sapevo… non volevo… non l’ho fatto apposta” balbettò. Si sentiva un po’ in difetto, la reazione della donna l’aveva sorpreso molto. “Perché si è spaventata?”
Il guerriero drow si strinse nelle spalle. “Perché siete un elfo.”
Llarm lo guardò senza capire. Daren sospirò con impazienza, come se avesse a che fare con un idiota.
“Credete davvero che questa cosa fra noi…” indicò sé stesso e Llarm, poi fece un gesto come a includere il mondo intero “questa animosità fra le nostre razze sia solo a senso unico? Credete che la mia famiglia non abbia paura di ritrovarsi in casa una banda di assassini elfi un giorno sì e l’altro pure?”
Il fiero elfo dei boschi aprì la bocca e la richiuse, in silenzio, perché non aveva parole per rispondere. Alla fine le trovò.
“Gli elfi non agiscono in questo modo!”
Daren sollevò un sopracciglio candido. “La maggior parte degli elfi non lo fanno, ve ne do atto. Ma siete uno sciocco se pensate che mia sorella non abbia mai subito tentativi di assassinio. E anche se quelli che ci hanno provato erano delle mele marce, nessun elfo li avrebbe fermati o biasimati. Quel che è fatto è fatto, e chi piangerebbe dei drow?”
Llarm arrossì, rendendosi conto che c'era del vero in quelle parole. L'odio fra le loro razze rischiava di mietere anche vittime inconsapevoli. Eppure il drow aveva avuto occasione di ucciderlo ma, nonostante quell'odio, non l'aveva fatto.

Quando Daren si era arreso, Llarm aveva rifiutato la sua resa. Aveva insistito perché il drow passasse all’attacco, l’aveva sfidato a fare del suo meglio, l’aveva provocato in modo cocciuto e infantile. Anche quando Daren aveva evitato le sue parate e gli aveva poggiato una lama contro il collo, Llarm si era rifiutato di accettare la sconfitta e aveva continuato a combattere. Una volta, due, tre. Alla fine Daren aveva perso la pazienza e con una piroetta e una finta aveva destabilizzato Llarm e gli aveva conficcato una delle sue spade nel cuore, l’altra nella gola.
L’elfo non se l’aspettava, quelle mosse erano state troppo repentine, troppo abili, il drow aveva oltrepassato le sue difese come se Llarm fosse stato un soldatino al primo giorno di addestramento. Quando le spade gemelle avevano trafitto le sue carni all'inizio non aveva voluto crederci, non pensava che il drow si sarebbe davvero spinto fino a ucciderlo, lì davanti a tutti, davanti all’altro elfo. Era stato… doloroso. Terrificante, ma soprattutto molto doloroso. Nell’istante in cui si era arreso all'evidenza era stato colto da una strana sensazione di accettazione; a quel punto si era sentito pronto ad abbracciare il freddo e la morte, ed era come se stesse accadendo a qualcun altro. Le lame invece erano diventate calde, quasi ustionanti, e gli era sembrato che vibrassero a ritmo con il battito del suo cuore.
Il suo cuore, testardamente, non si era fermato. La sua mente sì però. Il dolore, la stanchezza, il trauma e la convinzione che sarebbe morto avevano spinto il suo cervello a chiudere i battenti, e poi…
Poi si era risvegliato in una stanza bianca, davanti a una ragazza che aveva paura di lui.
Non ci voleva molto a capire che dopotutto non era morto. Le spade del suo avversario erano davvero incantate per non uccidere, come aveva promesso.
“Avete rispettato i patti” notò, ricordando le regole del duello.
Il drow rispose solo con altro silenzio.
“Essere trafitti al cuore e non morire è una sensazione stranissima, è… innaturale e doloroso” raccontò, ma non aveva un tono di rimprovero. L’elfo non era sicuro che sarebbe riuscito a modulare il tono della voce, neanche se avesse voluto farlo. Gli faceva male la gola a causa della spada che l’aveva trafitta, la sua voce suonava strana alle sue stesse orecchie.
Come se gli avesse letto nella mente, la drow dai capelli neri si ripresentò con un bicchiere e con un sorriso tremulo. Fece un paio di gesti con la mano a Daren e lui tradusse:
“Mia nipote vuole che beviate un sorso di veleno perché non le piace la vostra faccia.”

Tinefein guardò suo zio, che aveva parlato con espressione del tutto neutra, e poi guardò l’elfo che era sbiancato di colpo. Non serviva saper leggere il labiale in elfico per capire che Daren non aveva ripetuto il messaggio alla lettera.
Gli diede un calcetto per richiamare la sua attenzione, poi con uno sguardo di rimprovero ripeté i gesti che aveva già fatto, e ci aggiunse alla fine un bonario insulto.
Daren ridacchiò e ripeté la traduzione.
“Mia nipote pensa che dovreste bere dell’acqua.”

Acqua. Llarm si rese conto solo in quel momento che avrebbe ucciso per un po’ d’acqua. Di regola non si sarebbe fidato a prendere un bicchiere che gli veniva offerto da una drow, però era rimasto privo di sensi in loro presenza e nessuno gli aveva fatto del male.
Ripensò a quanto gli aveva appena detto il guerriero: che quella famiglia diffidava degli elfi, e che nessuno avrebbe pianto la morte di un drow. Daren avrebbe potuto ucciderlo in combattimento, ma non l’aveva fatto. Ora era il suo turno di manifestare buona volontà.
Tese una mano per prendere il bicchiere. La ragazza gli sorrise come se lui avesse appena scalato una montagna, e quel sorriso lo prese in contropiede. Era così elfico. Non aveva nulla di maligno.
Lei si avvicinò, ignorò la sua mano tesa e gli portò il bicchiere alle labbra. Lo costrinse a bere solo a piccoli sorsi, aiutandolo a riprendere il controllo dei muscoli della gola.
Diola lle” la ringraziò nella sua lingua. Lei rispose solo con uno sguardo interrogativo.
“Mia nipote non comprende l’elfico” intervenne Daren. “Dovrete parlare in Comune, e dovrete farlo mentre può vedervi. Non può sentire, quindi ha bisogno di leggere le labbra.”
Llarm sussultò, perché i problemi di udito erano una patologia estremamente rara fra le creature di razza elfica. Tuttavia si piegò a quella richiesta e ripeté, più lentamente: “Vi ringrazio.”
La drow annuì e sorrise di nuovo, poi si girò a fare alcuni cenni a suo zio.
“Dice che non avete delle vere ferite, ma potreste sentire dolore residuo per un po’. Se lo desiderate vi darà una sostanza lenitiva, ma offuscherebbe la vostra mente per alcune ore. Sarebbe… ah… consigliabile farne uso solo se il dolore è molto forte.”
L’elfo dei boschi fece un cenno per richiamare la sua attenzione e poi scandì con cura: “Non sento molto dolore. Quasi nulla.”
Lei annuì con aria molto seria, come se stesse riflettendo sulla sua condizione. In quel momento Llarm capì, un po’ in ritardo, che lei era una guaritrice e che si trovavano in una specie di infermeria. C’erano ciuffetti di erbe officinali appesi a seccare alle travi del soffitto e molti scaffali ingombri di barattoli. Man mano che il dolore alla gola passava, Llarm si rese conto che l’aria era satura dell’odore di spezie e altre sostanze che non riusciva a identificare.
“Siete una guaritrice?” Le domandò, ma solo per averne conferma. Lei annuì con un sorriso fiero. L’elfo si passò una mano dietro alla testa, riflettendo sulla stranezza della vita. “Una professione insolita per una drow.”
Capì di avere detto la cosa sbagliata quando il sorriso di lei si spense e l’elfa scura assunse una posa un po’ rigida. Andò a recuperare un pezzo di ardesia liscia che teneva su un mobile e vi scrisse velocemente qualcosa con un gessetto. Alla fine mostrò la tavoletta a Llarm. C’era scritto, in alfabeto umano e con una calligrafia delicata: “E l’inquisitore è una professione insolita per un elfo!”
Llarm rimase senza parole e si sentì in imbarazzo per il commento che aveva fatto. Lei se l’era presa, era evidente, aveva perfino messo su un broncetto. In quell’istante l’elfo ebbe un’intuizione: gli passò nella mente il viso della sua stessa figlia, appena adolescente. Anche questa drow doveva essere molto giovane!
Non ci aveva pensato, e si sentì un idiota per non averlo capito prima. Questi drow erano una famiglia, quindi ovviamente c’erano dei ragazzini. Il fatto che solo la piccola mezzadrow apparisse come una bimba non significava che gli altri figli della strega fossero adulti. Le creature dal sangue elfico maturano prima nel corpo che nella mente.
Tornò a rivolgersi a Daren, in elfico. “La strega… Krystel” si corresse subito “ha anche dei figli adulti?”
“Oh, sì. Il più grande ha…” alzò gli occhi al cielo, molto concentrato mentre contava “cento…venti…cinque? No, forse centoventisei anni. Ha lasciato da tempo questa locanda, come anche la seconda e la terza figlia di Krystel. Tinefein è la più grande a essere rimasta in famiglia” raccontò, indicando la nipote con un piccolo cenno della mano “ma anche se è giovane è già una guaritrice esperta.”
Llarm rifletté su quell’informazione, confrontandola con la sua esperienza del mondo; per gli standard elfici un ragazzo di centoventicinque anni si poteva considerare adulto, ma appena oltre le soglie della maturità. Quella era l’età in cui la maggior parte degli elfi lasciavano il loro villaggio per fare esperienza del mondo, fosse anche un'esperienza breve. I figli della strega sembravano maturare più in fretta, forse era una cosa drow. Poi si rese conto di un altro dettaglio.
Il nome della guaritrice suonava elfico, ma nessun elfo vero l’avrebbe usato come nome.
“Tinefein?” ripeté, spostando lo sguardo dal guerriero alla ragazza. “Sul serio?”
Anche se -fein era una tipica desinenza dei nomi elfici femminili, Tine era una parola vera, era una delle declinazioni dell’aggettivo ‘silenziosa’.
La ragazza rispose con una sequela di gesti secchi, poi se ne andò stizzita, tornando ai suoi intrugli e alle sue erbe da pestare.
“Mia nipote dice: ‘che v’importa? Tanto non devo vivere fra gli elfi’. E non ha tutti i torti, visto come avete reagito alla sua presenza” tradusse Daren, svogliatamente.
Llarm distolse lo sguardo e decise che dopotutto avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi. Provò a cambiare argomento.
“Come mai siete qui?”
“Qui?” Daren ripeté la domanda senza capire. “Qui in Superficie, qui da mia sorella o qui in infermeria?”
“Qui in infermeria” chiarì l’elfo.
“Ah. Johel. Ha insistito perché mi scusassi con voi, sì, per la cosa delle… spade…”
“Johel? Intendete Johlariel Arnavel?”
Un soprannome? Sono così tanto in confidenza? Si chiese, sempre più incredulo.
“Hm, sì, lui. Dice che sono stato troppo rude e maleducato e che se non mi scuso passerò il prossimo mese a cambiare Jaylah quando si sporca” chiarì il concetto tappandosi il naso con due dita. “Non ci tengo proprio, quindi: se Johel ve lo chiede, ditegli che mi sono scusato.”
“Ma non l’avete fatto” obiettò l’elfo.
“Oh, giusto. Scusate per avervi colpito mentre continuavate a chiedermi di colpirvi. Sciocco io a non ricordarmi che quando un elfo dice una cosa intende il suo contrario.”
“Sciocco io a pensare che conosceste così bene la natura elfica” rispose Llarm sullo stesso tono sarcastico.
“A dire il vero sono in buoni rapporti con il clan Arnavel, tutta la famiglia di Johel approva la nostra amicizia.”
Llarm sbuffò in segno di incredulità, catalogandola come una delle strane vanterie del drow.
“No, sul serio… mastro Sarsantyr” lo richiamò, con un tono così sobrio che Llarm si voltò per guardarlo di nuovo in faccia. “Mettendo da parte il sarcasmo e tutto il resto, vi assicuro che non sono io, il pericolo. Ho giurato di non uccidere mai un elfo chiaro, e farò tutto il possibile per mantenere questo giuramento. Potete stare certo che butterò a terra chiunque provi ad attaccare la mia famiglia, ma non desidero portare nessuno alla morte. Krystel, per contro…”
Llarm lasciò che estrapolasse. Fino a quel momento, se gli avessero chiesto di ipotizzare chi fosse più pericoloso fra la strega e il guerriero, in base al loro carattere e alle capacità personali avrebbe puntato il dito contro Daren senza pensarci due volte.
“Krystel è una madre” concluse il suo pensiero, a beneficio dell'elfo. “Se qualcuno venisse qui a minacciare la sicurezza dei suoi figli, non scommetterei un nib di rame sulla sua vita.”
Llarm capì che quella non era una minaccia. Negli occhi grigi del drow c’era solo granitica sincerità. L’elfo dei boschi ricordò la sensazione di essere circondato, ricordò i bambini umani nella taverna, ricordò gli spaventapasseri che si erano voltati al suo passaggio, ricordò come Krystel avesse ringraziato l’albero dopo averlo usato per il teletrasporto, e capì con assoluta certezza che quello era il territorio della strega e che il suo territorio si sarebbe sollevato per difenderla. Rabbrividì, la naturale reazione di un elfo davanti all’ignoto. C’erano molte cose che non capiva di lei e dei suoi metodi.
Nonostante questo, voler difendere la propria famiglia era una cosa naturale.
“Anche io ucciderei se qualcuno minacciasse mia figlia” ammise, prendendo di sorpresa il drow. Quella era la prima volta in cui Llarm Sarsantyr dimostrava una forma di comprensione, di affinità. “Non la critico per questo, ma devo sapere se Krystel ha interesse nei territori elfici o nella foresta.”
Il guerriero drow sostenne il suo sguardo per qualche attimo, tradendo genuino stupore, finché alla fine sbottò in una risatina incredula.
“Krystel? Diamine, no. Non le interessa niente del vostro territorio, so che si spinge al massimo ai bordi della foresta. Non le interessa… ma non in senso benevolo. Immaginate la più totale e sincera noncuranza.”
“Parlo a nome del mio popolo quando dico che va benissimo così.”
“Krystel non verrebbe mai nel vostro territorio a meno che non fosse specificamente invitata.”
“Ho capito” Llarm corrugò la fronte, perplesso dall’insistenza del drow.
“Avete capito? Davvero?” Daren inarcò le sopracciglia, scettico. “Krystel non verrebbe da voi senza invito, nemmeno se la vostra gente cominciasse a prendere fuoco per autocombustione e lei fosse l’ultima persona al mondo capace di creare acqua con la magia.”
Il drow lasciò all’elfo una manciata di secondi per assimilare bene il concetto. Quando alla fine Llarm fece un cenno d’assenso, Daren continuò. “Io sì. Io verrei, se la vostra gente stesse andando a fuoco. Sono una persona invadente, se qualcuno è in difficoltà mi sento responsabile.”
“E chi ve l’ha chiesto? Noi non vogliamo drow nel nostro…”
“Non me ne frega niente” lo zittì Daren. Evitò di spiegare che era giunto a questa decisione dopo aver imparato dai suoi errori passati. “Non m’importa di essere voluto o no, in ogni caso il mondo è fatto di bambini che non sanno quello che vogliono.”
“Perché dovreste aiutare degli elfi? E perché mi dite tutto questo?”
“Ve lo dico perché mi è sembrato che foste qui per indagare la mia famiglia” il drow si alzò in piedi, spazzolandosi gli abiti con le mani. Non fece in tempo a rispondere all’altra domanda, perché in quel momento qualcuno bussò e aprì la porta.
Era Krystel.
“Che sollievo, vi siete ripreso. Come vi sentite?”
Llarm si rese conto che negli ultimi minuti il dolore residuo si era attenuato fino a scomparire. “Sto bene. Sono ferito solo nell’orgoglio” ammise, alzandosi dal lettino dell’infermeria. Per un momento sentì un capogiro, ma anche quello passò in pochi secondi.
Stava per muoversi verso l’uscita, un po’ imbarazzato di aver occupato l’infermeria per niente. Non era né ferito né invalido. Tuttavia, quando provò a fare un passo, la giovane guaritrice si mise in mezzo e pretese di tastargli il polso per sentire il battito del cuore.
Llarm la lasciò fare, e per molti lunghi secondi lei gli tenne due dita sul polso, contando i battiti nel silenzio innaturale e pesante. Non c’era davvero bisogno di fare silenzio visto che la ragazza era sorda e non sarebbe stata disturbata dal rumore, ma Krystel e Daren stavano trattenendo il fiato in attesa di un responso.
Alla fine Tinefein lo lasciò andare con un sorriso sollevato. Fece alcuni gesti e questa volta fu la strega a tradurre per lei.
“Mia figlia dice che il battito è regolare. Il vostro cuore è forte e si è ripreso dal trauma.”
Il mio cuore senza dubbio, pensò Llarm senza falsa modestia. Sapeva di essere forte e in buona salute. Ma la mia mente si riprenderà dal trauma di essermi reso ridicolo?
“Penso di avervi rubato anche troppo tempo. Presto tornerò al mio villaggio, ma prima c’è ancora una cosa che vorrei discutere con voi.”
Krystel annuì, perché aveva una vaga idea di cosa potesse essere.

Mentre Krystel e Llarm Sarsantyr parlavano in privato nel giardino interno della locanda, Daren e Johel si ritrovarono nel cortile esterno, fuori dall’infermeria, dove anche i bambini umani si erano nuovamente radunati. Quei giovani rampolli pieni di belle speranze avevano recuperato delle spade di legno da addestramento, e appena videro Daren si affollarono subito intorno ai due elfi chiedendo a gran voce di insegnare loro a combattere.
“Va bene, va bene” il drow cercò di tenerli a distanza stendendo le braccia. “Lo so, vi devo insegnare, lo sto facendo tutti gli anni, me lo ricordo! E voi, ricordate le regole?”
La maggior parte dei ragazzi e anche qualche ragazza alzarono le spade di legno al cielo con un grido di esultanza. Tutti conoscevano le regole. L’apprendista che si fosse distinto di più nel corso della stagione sarebbe tornato a casa con una vera spada di metallo. Un’arma da adulti che avrebbe potuto usare per proteggere la sua casa negli anni a seguire.
Daren li guardò con un sorriso soddisfatto. Erano umani, destinati a fare i contadini, non sarebbero mai diventati un granché bravi. Però lui nel corso delle sue avventure aveva raccattato un sacco di armi dai nemici che aveva sconfitto: spesso erano appartenute a briganti o a individui ancora più loschi. Regalare un’arma come premio al miglior apprendista era un ottimo modo per spronare i bambini a dare il meglio, e gli sembrava giusto mettere a frutto quelle spade per uno scopo più nobile, come proteggere il territorio di sua sorella.
“Molto bene, allora dividetevi in due gruppi. I più piccoli con me, i più grandi con Johlariel. Imparerete a tirare con l’arco ora che siete abbastanza alti.”
Un piccoletto con le orecchie vagamente a punta e i capelli ricci si avvicinò trotterellando.
“Scusate… signore… io sono un halfling. Ho dieci anni, dovrei stare con i grandi, ma sono troppo basso per l’arco” borbottò.
“Oh, Ricry! Sì, mi ricordo di te.” Daren si chinò e gli mise una mano sulla spalla. “Tu resta con me, ti insegnerò a colpire alle caviglie” sussurrò in tono complice.

Llarm e Krystel passeggiavano nel giardino interno, davanti alla casa privata della strega. Forse lei lo aveva condotto lì solo per mostrargli il suo splendido orologio floreale, o forse era per restare a portata di udito nel caso in cui la bambina si fosse svegliata nel suo lettino senza la mamma e si fosse messa a piangere.
“Volevate chiedermi qualcosa?” Ricapitolò, per rompere il silenzio.
L’elfo lasciò correre lo sguardo sul giardino, per prendere tempo. L’orologio floreale nel complesso era molto bello, ma in quel momento si stavano aprendo dei fiori viola piuttosto insulsi. Ciononostante, il suo animo elfico ne apprezzò la simmetria e la fragranza.
Un tempo avrebbe pensato che qualcuno capace di creare una composizione così bella non potesse essere malvagio, ma aveva studiato che anche i drow più abbietti avevano uno spiccato senso estetico.
“Non so cosa pensare di voi” decise per un approccio diretto e sincero. “Nulla di quanto ho visto oggi suggerisce che siate una nemica del popolo elfico.”
“Non lo sono” confermò pacatamente lei. “Il mio rapporto con gli elfi è sempre stato altalenante. Ho avuto amici elfi e… nemici elfi, anche se non per mia scelta. Ma sono stanca, mastro Sarsantyr. Ho più di duecentocinquant’anni e sono stanca. Voglio solo vivere la mia vita in pace, e ignorare il vostro popolo finché mi è possibile.”
“Ma non avete ignorato mio cugino Aesar?” Indagò lui, andando dritto al punto.
Krystel gli lanciò uno sguardo interrogativo, come se il nome non le dicesse nulla. Poi, dopo una frazione di secondo, tradì un’espressione rivelatrice.
“Oh, Aesar. Non ricordavo che fosse questo il suo nome. È passato molto tempo, come se la cava?”
“Come… se la… cava?” Ripeté l’elfo, che non aveva familiarità con certe espressioni colloquiali della lingua Comune.
“Sta bene? La sua vita procede in modo regolare?”
Llarm rimase sorpreso da quelle domande puntuali, sembrava quasi che la strega fosse una guaritrice che cerca di fare una diagnosi.
“Sì, conduce una vita normale ed è in buona salute. Ma non è sempre stato così, vero? C’è stato un periodo in cui Aesar si allontanava nella notte, di nascosto: spariva per giorni andando chissà dove. Aveva sempre quello sguardo febbrile, come…” lasciò la frase volutamente in sospeso, ma ciò che stava pensando era ‘come se fosse irretito da una stregoneria’.
Krystel non raccolse la provocazione.
“Parlate di eventi di mezzo secolo fa” gli ricordò con poco tatto.
“Dunque non negate?”
“Non nego di averlo conosciuto. Aveva un problema e l’ho aiutato a guarire.”
“E questo è tutto?” Llarm non sembrava convinto. “È vero, Aesar è guarito, e dopo molte insistenze mi ha confessato malvolentieri che veniva a trovare una delle vostre figlie” la pungolò.
“Credeva di essere innamorato di mia figlia Kore, che a quell’epoca era una ragazzina di cinquant’anni. Non era colpa di vostro cugino. Non era colpa di nessuno in realtà. Kore l’aveva trovato in fin di vita e l’aveva salvato con la magia, ma a causa della sua inesperienza l’aveva inavvertitamente legato a sé. Lui aveva creduto che fosse amore, perché il suo animo elfico non riusciva a darsi altra spiegazione. Ma quell’amore era diventato un’ossessione e io l’ho aiutato a liberarsene, per il bene di mia figlia e anche suo.”
Llarm cercò i suoi occhi per capire se stesse mentendo, ma lei sostenne il suo sguardo con estrema franchezza. Alla fine l’elfo dovette arrendersi.
“Ma se era solo questo, perché mi ha sempre mentito al riguardo?”
“Perché si sentiva in imbarazzo?” Ipotizzò la strega. “Perché sono affari privati? Secondo quale principio vostro cugino deve rispondere a voi?”
“E perché allora voi me l’avete detto?”
Krystel sorrise, ma non era un sorriso gentile.
“Perché dirvi la verità è il modo più semplice per proteggere la mia famiglia, e perché vostro cugino ha traumatizzato la mia bambina. Non è più stata la stessa dopo quella storia. Non gli devo proprio nulla.”
L’elfo dei boschi accettò anche questa risposta e capì che Daren non aveva tutti i torti riguardo a sua sorella. Era meglio non finire nel suo libro nero.
“Ho abusato del vostro tempo. Tornerò al mio villaggio” decise improvvisamente.
Krystel accettò la sua affermazione con un cenno del capo. “E io vi accompagnerò con un incantesimo fino al limitare occidentale della foresta, in modo da facilitarvi il viaggio.”

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Capitolo 7
*** 1357 DR: Hidden truths ***


1357 DR: Hidden truths


Sempre lo stesso giorno di fine autunno, in una locanda nei dintorni di Secomber

Il cielo si stava rannuvolando e un vento gelido aveva cominciato a spirare da nord. Nell’aria si sentiva profumo di neve. Nel cortile della locanda i bambini stavano rapidamente raccogliendo le spade di legno e gli archi, per rimettere tutto a posto prima di tornare ai loro alloggi. Non era ancora buio ma per quel giorno l’addestramento era finito: nessuno voleva che i bambini si prendessero un raffreddore o qualcosa di peggio.
Proprio mentre Daren incoraggiava gli ultimi ragazzini a tornare in fretta nella grande taverna, per scaldarsi davanti al camino, sua sorella Krystel ricomparve dalla sua chiacchierata con l’elfo dei boschi che era venuto in visita.
Johel, vedendoli andare verso la strada sterrata che portava lontano dalla locanda, andò ad intercettarli.
“Accompagno mastro Sarsantyr al limitare della foresta” spiegò Krystel, a voce abbastanza alta perché la sentisse anche Daren. “Non starò via a lungo.”
“Jaylah dov’è?” Indagò l’elfo biondo, cercando di non tradire alcuna preoccupazione per l’assenza della piccola. La voce gli uscì comunque più acuta di un’ottava rispetto al solito.
“Sta facendo il pisolino pomeridiano” Krystel gli sorrise in modo rassicurante. “Non preoccuparti, ho lasciato Amber e Tek’ryn con lei. Anche se dovesse svegliarsi sapranno occuparsene per il tempo necessario.”
“Sei sicura? Sono dei ragazzini” obiettò Johel, un po’ in pensiero per la figlioletta.
“Si sono occupati di Luel quando era piccolo ed erano ancora più giovani. Sapranno cavarsela con Geyla, è una bambina tranquilla.”
“D’accordo allora” Johel riprese a respirare serenamente. Amber era giovane e scapestrata ma Tek’ryn si era sempre dimostrato affidabile. Inoltre l’elfo sapeva bene quanto affetto legasse i figli di Krystel, perfino quelli che sembravano più indipendenti. “Se Jaylah è in buone mani, vorrei venire con voi per un tratto. È molto tempo che non ho la possibilità di confrontarmi con un altro elfo e…” il ranger esitò, timoroso di dire qualcosa di offensivo.
“Non devi spiegarmelo” Krystel gli rispose con un sorrisetto “so che ti manca il… la…” lasciò in sospeso la frase perché non sapeva come concluderla: la tua famiglia, il tuo popolo, la tua identità elfica. Johel diceva sempre che non gli pesava stare lì, in mezzo agli umani, con la famiglia drow di Krystel, ma in verità lei sapeva che la sua gente doveva mancargli molto. In assenza del suo clan, non era una sorpresa se voleva parlare almeno con qualcuno della sua razza. Qualcuno che condividesse il suo retaggio culturale.
“Sì…” confermò lui, in un sussurro. Le sorrise, e in quel sorriso c’era un silenzioso ringraziamento. Poi cercò di sollevare l’atmosfera: “mi manca la buona conversazione che gli elfi dei boschi sanno offrire.”
“È una cosa normale?” Li interruppe Llarm, che non riusciva più a tenere per sé quella domanda.
La drow e l’altro elfo lo guardarono senza capire.
“Il fatto che i drow si prendano cura dei propri fratelli minori. È una cosa che fanno sempre?”
Johel rispose solo con uno sguardo vuoto, perché non lo sapeva. Krystel scosse la testa un po’ imbarazzata.
“Non ne ho la minima idea” ammise la locandiera. “Non sono cresciuta in mezzo ai drow. È una cosa che dovreste chiedere a Daren.”
“Ma come?” Llarm passò lo sguardo fra la strega e il guerriero, che stava finendo di sistemare le spade di legno in un ripostiglio. “Non siete fratelli?”
“Domande troppo personali” intervenne Daren, ad alta voce per comunicare da un altro punto del cortile. “Siamo fratelli, ma Krystel dice il vero, io sono cresciuto fra i drow, lei no” raccontò, avvicinandosi al terzetto. “I figli di Krystel non sanno come si comportano i veri drow. Tutto ciò che conoscono è questa marmaglia umana” lamentò in tono piuttosto brusco, in contrapposizione al suo buonumore di pochi minuti prima.
“Marmaglia umana?” Krystel lo guardò con stupore. “Perché all’improvviso sei così critico?”
“Critico? Ah! Reggono le spade come se fossero delle zappe! Non si ricordano niente di quello che hanno imparato l’anno scorso. Sto solo sprecando il mio tempo con loro, e temo che sarà un lunghissimo inverno.”
Krystel avrebbe voluto difendere i suoi piccoli ospiti, ma non era una guerriera e non era in grado di valutare le loro potenzialità come certamente sapeva fare Daren, quindi non mise in discussione il suo giudizio. Si limitò a sospirare. “Allora dai più attenzioni a quelli che vivono vicino alle colline e vicino alla foresta, le loro famiglie corrono più rischi delle altre.”
“Non avete intenzione di rispondermi, vero?” Insistette Llarm.
“Oh, potrei farlo” rimbeccò Daren, sempre di umore piccato. “Potrei raccontarvi che alcuni drow si prendono cura dei loro fratelli, ma solo su ordine della loro madre. Ma non lo fanno con il cuore, perché non ci si può permettere il lusso di affezionarsi a qualcuno, un fratello si accorgerà di quella debolezza e la userà a suo vantaggio. I parenti cercano spesso di uccidersi a vicenda, e quei pochi idioti che si prendono a cuore i loro fratelli finiscono per attirare la morte su se stessi o su qualcun altro.” Corrugò la fronte, incerto se continuare o no, poi decise di dare libero sfogo ai suoi pensieri. “Come ho fatto io. Avevo un fratello adottivo, ho cercato di proteggerlo ed è stato un grandissimo sbaglio, ma sono stato fortunato perché sono sopravvissuto. Lui no. L’ho salvato dalla schiavitù solo per consegnarlo alla morte, perché ho cercato di forzare la mia volontà sul mondo intorno a me e la società drow non consente certe storture come l’affetto. Questa è una cosa che i miei simili imparano subito oppure muoiono, quindi, per tornare alla vostra domanda: no, i drow di solito non si prendono cura dei loro fratelli, non come lo fanno i figli di Krystel. Ai miei nipoti è consentito stringere dei legami, perché mia sorella è mentalmente sana.”
Llarm ascoltò quella spiegazione diventando sempre più pallido a ogni parola.
“Ma… ma voi ora siete qui, e siete in buoni rapporti con vostra sorella” era partita come un’affermazione ma era finita quasi come una domanda.
“Ho dovuto imparare a essere un drow e poi ho dovuto imparare a non esserlo più. Non è stato semplice e non so se ci sono riuscito del tutto” ammise, e Johel confermò i suoi sospetti agitando una mano come a indicare ‘più o meno’.
“Quindi è questo? Essere un drow non è una cosa con cui si nasce, ma una cosa che si impara?” Ricapitolò Llarm, perché non aveva mai concepito un’idea così rivoluzionaria.
“Be’… dal momento che essere un drow è una condizione che si porta dietro idee ben precise sul comportamento e sulla moralità di qualcuno, allora sì, in questo senso non è una cosa con cui si nasce. Krystel è cresciuta in Superficie ed è” le gettò un’occhiata veloce “perdonami sorella, ma devo dirlo: un’umana che per caso ha la pelle nera e le orecchie a punta.”
La strega si massaggiò lentamente le tempie, come se stesse cercando dentro di sé una riserva di pazienza.
“Sì, lo so, non è la prima volta che mi dici che sono simile a un’umana” gli rammentò. “Dev’essere perché ho avuto una figura materna umana, cosa ne dici?”
“Non te ne faccio una colpa” sottolineò Daren, con un sorriso di scuse. Poi tornò a rivolgersi a Llarm. “E d’altra parte, prendendo un bambino elfo e facendolo crescere in mezzo ai drow, sempre che non lo uccidano subito per divertimento, quello che si avrebbe è… una personalità traviata e molto simile a quella di un vero drow.”
Capì di essere andato troppo oltre, anche se solo con un’ipotesi teorica, quando vide l’espressione di puro orrore sul viso dell’elfo dei boschi.
“No. No” balbettò Llarm, pallido come un cencio. “Io… non posso sostenere che ciò che dite sia falso, non riesco a pensarci e quindi non lo posso confutare” cercò di spiegarsi, “ma l’idea che uno dei nostri bambini venga cresciuto in modo distorto, fino a diventare un mostro, mi toglie il respiro.”
Daren guardò Llarm, poi guardò Johel, e dalla sua faccia cadaverica capì che stava pensando le stesse cose. Lui poi aveva una figlia piccola, sicuramente era più sensibile all’argomento.
“Lo capisco” soffiò, ed era mortalmente serio. Llarm cercò il suo sguardo e vi lesse qualcosa che non si sarebbe aspettato negli occhi di un elfo scuro: compassione. “Lo capisco meglio di quanto possiate immaginare. È una cosa che fa stringere il cuore, ed è quello che succede continuamente ai nostri bambini.”
Llarm rimase ghiacciato, perché non l’aveva mai vista in questo modo. Ogni individuo alla nascita è innocente, ma della corruzione dei bambini drow non importava a nessuno. Gli elfi la davano per assodata, una cosa che faceva semplicemente parte di come andava il mondo.
“Solo che a nessuno interessa” Daren fece eco ai suoi pensieri, “nemmeno ai loro genitori, perché a loro volta sono morti dentro. Importa solo a chi ne è uscito, e vede finalmente la perversione di quello stile di vita. Io non posso cambiare il mondo da solo, ma posso proteggere i miei nipoti. Fate solo in modo che non debba mai proteggerli da voi.”
Llarm sentì un brivido, non per la prima volta, ma non più per paura. Era piuttosto un brivido di… consapevolezza. Era venuto alla locanda per avere delle risposte e le aveva ottenute.
“Non dovrete mai proteggere la vostra famiglia da me o dal mio clan” assicurò, e la sua promessa suonava salda come una quercia, radicata in quella specie di rispetto reciproco di cui avevano gettato le basi.

Daren rimase a guardare sua sorella e il suo amico che accompagnavano lo strano ospite giù lungo il sentiero. In quella regione il terreno non era perfettamente piatto: le Colline Forlorn si scioglievano nella pianura lasciandola contaminata di piccole dolci alture che rendevano la campagna simile a un mare ondulato. I due elfi e la strega sparirono alla vista dopo la prima curva.
Il guerriero drow esitò ancora un momento, ritto in piedi dove il cortile della locanda si trasformava in strada, sentendosi come l’ultimo adulto rimasto a guardia di quel posto. Poi scosse la testa, scacciando quel pensiero sciocco, e tornò ai suoi doveri.

In quello stesso momento, nella casa padronale, due giovani drow se ne stavano seduti a terra nella nursery. Lo scopo era tenere d’occhio la sorellina che dormiva, ma Jaylah non era molto di compagnia quando era addormentata, quindi Amber e Tek’ryn avevano deciso di ammazzare il tempo giocando a carte.
“Il mio Folle di Scudi neutralizza il tuo re di Pugnali” sentenziò Amber, calando la carta con grande soddisfazione.
“Non è possibile” mormorò Tek’ryn, strofinandosi gli occhi con una mano. “Il Folle di Scudi non esiste!”
“Ma è qui sotto i tuoi occhi” Amber picchiettò la carta con un dito.
“L’hai creata tu questa carta?”
No, non l’ho creata io, ha lo stesso retro e le stesse dimensioni delle altre carte, pure la stessa grana, ti sembro una falsaria così brava?”
“Amber, Folle di Scudi è come dire… un Numero Due, Ma Dispari. Non può esistere.”
“No, senti, esiste il Folle di Pugnali, dimmi perché non dovrebbe esistere il Folle di Scudi.”
Perché non esiste quella carta per gli Scudi così come non esiste la carta del Druido per i Pugnali…”
“Cazzate, esiste eccome, non hai mai guardato con cura il mazzo.” Obiettò lei. “Non può non esserci il Druido di Pugnali, ogni seme ha undici carte: il Folle che vale come uno zero, poi le tre carte del giudizio, le tre carte della guerra, le tre carte della magia - fra cui il Druido che deve esserci per forza - e alla fine il Re o la Regina. Non è che le carte possano apparire e scomparire!”
“Eppure io ti dico che il Folle di Scudi non c’è mai stato e che il Druido di Pugnali non l’ho mai visto. Che diamine di mazzo è, uno che cambia continuamente?” Si lamentò il giovane drow, riappoggiando le carte a terra. “E perché non tieni tu i Pugnali per una volta? Non sono a mio agio a parteggiare sempre per i cattivi.”
“D’accordo, forse non avremmo dovuto inventare questo gioco con le carte divinatorie di mamma, però è divertente, e poi lei non le usa mai.” Amber lo tentò con un sorriso accattivante, da trascinatrice di folle. “Dai? Giochiamo ancora?”
“Solo se tu ti prendi i Pugnali” s’impuntò lui.
Amber storse la bocca in un broncio ostinato e sbatté le carte a terra con poca grazia. “Non voglio.” Ammise, stringendosi le ginocchia al petto. “I Pugnali mi ricordano papà.”
Ah… Tek'ryn si diede dello stupido per aver portato la conversazione in quella direzione. Non parlavano mai del padre di Amber, perché il discorso era abbastanza delicato per entrambi.
“Stamattina ho trovato un suo regalo, ma nessuna lettera come al solito” raccontò. “L'ultima volta che ci siamo visti, più di trent'anni fa, mi ha dato un anello di metallo grande quanto un piatto e mi ha spiegato a cosa serve. Lo tengo appeso accanto al mio letto, sopra al mio comodino. Il mio anello comunica con uno identico che ha tenuto lui. Attraverso quell'oggetto magico mi manda dei piccoli regali ogni tanto, però mi ha proibito di inviargli qualcosa in cambio.”
Amber alzò una mano per mostrare un bracciale d'argento che portava al polso. Era cesellato di disegni astratti, linee intrecciate in modo elegante che in qualche modo ricordavano l'acqua corrente di un ruscello. “Non fraintendere, mi fa molto piacere ricevere i suoi regali. Significa che ancora si ricorda di me. Ogni tanto lui ha bisogno di disfare e rinnovare gli incantesimi che sigillano le sue memorie, quindi per pochi minuti rientra in possesso di tutti i suoi ricordi. Per pochi minuti ogni… qualche anno… faccio di nuovo parte della sua vita. Però mi manca e preferirei ricevere qualcosa di più personale, una lettera magari.”
Tek'ryn la lasciò parlare senza dire nulla, un po' perché pensava che lei avesse bisogno di sfogarsi ma soprattutto perché si sentiva molto in difetto. Era colpa sua se Amber aveva dovuto interrompere ogni contatto con suo padre.
“Mi dispiace” mormorò alla fine, quando gli sembrò che la sorella non volesse aggiungere altro. “Mi dispiace, non riesco a non pensare che sia tutta colpa mia. Se non avessi chiesto aiuto proprio a lui per fuggire da Eryndlyn, ora lui non dovrebbe mantenere il mio segreto, non avrebbe dovuto sigillare i suoi ricordi e dimenticarsi anche di te.”
“Tek non fare lo stupido!” Amber gli lanciò un'occhiata di fuoco. “Hai fatto benissimo a chiedere aiuto a lui per fuggire dalla tua vecchia famiglia. Si trovava nella giusta posizione per poterti aiutare, non avresti potuto chiedere a nessun altro. E poi lui lo faceva già prima. La vita di un drow è troppo pericolosa, a quanto pare, quindi ha sempre dovuto nascondere il fatto di provare affetto per mia madre e per me, e per mia sorella Kore prima di me. Ogni volta che veniva a trovarci poi doveva sigillare i suoi ricordi e dimenticarsi di noi fino al prossimo incontro, perché qualcuno dei suoi nemici avrebbe potuto leggere nella sua mente e scoprire di poter usare noi come arma contro di lui.” Amber distolse lo sguardo ricacciando indietro quei ricordi dolorosi. “Anche prima lo vedevo molto poco. Adesso lui ha deciso che ha troppe cose da nascondere e che sarebbe più sicuro per noi se non ci vedessimo più. Ma non sarà per sempre. Il segreto della tua fuga non avrà la stessa importanza per sempre. Magari un giorno la tua famiglia di origine perderà interesse oppure magari verrà distrutta” lo disse con rabbia e con una segreta soddisfazione, perché detestava i parenti di Tek'ryn anche se non li aveva mai visti. Li odiava per quello che avevano fatto a suo fratello e anche perché la loro presenza teneva suo padre lontano da lei. “Quindi un giorno anche se si scoprisse che nostro padre ti ha aiutato a fuggire, a nessuno importerà più, lui potrà venire a trovarci e non dovrà più nascondere il nostro legame. Scommetto che in quella città maledetta ogni giorno nascono nuovi segreti.”
“Sì, forse un giorno tuo padre potrà venire a trovarti. Ma non pensare che potrà mai rivelare al mondo il vostro legame, è troppo pericoloso, lui rimane comunque un drow che ricopre una posizione importante fra i maghi di Eryndlyn” le ricordò Tek'ryn. “Dopo essersi costruito una simile carriera non vi rinuncerà per te, nemmeno se ti ama.”
Nostro padre” lo corresse la ragazza.
“Ha fatto sesso con mia madre e mi ha generato, capirai che sforzo” Tek'ryn storse il naso “questo non fa di lui mio padre. Non si è mai fatto avanti per me, mi ha aiutato soltanto perché le mie azioni lo hanno più o meno costretto a farlo. Con i miei poteri da veggente avevo scoperto che chiedere aiuto a lui era la mia migliore possibilità per uscire da Eryndlyn. Quello che non avevo capito, forse perché ero un bambino, era che non mi avrebbe aiutato per bontà del suo cuore ma solo perché le mie azioni per arrivare fino a lui rischiavano di compromettere la sua posizione. È stata una profezia autorealizzante.”
“Se le tue azioni rischiavano davvero di comprometterlo allora aveva anche la possibilità di ucciderti” gli ricordò Amber. “Invece ti ha fatto scappare.”
“Sì, credo di aver fatto una buona impressione su di lui, credo che nel poco tempo che abbiamo passato insieme sia arrivato a rispettarmi. Questo però non significa che mi voglia bene e nemmeno che sia mio padre.” Tek'ryn rivolse alla sorella un sorriso sghembo. “Krystel mi dice continuamente che ho delle aspettative troppo basse verso la mia famiglia. Continua a ripetermelo dalla prima volta in cui le ho detto che le volevo bene perché non mi picchiava mai. Ora però tu mi dici che io dovrei considerare un individuo mio padre solo sulla base del fatto che non mi ha ucciso.”
Amber arrossì, ma per fortuna sulla sua pelle nera non si vedeva. “Ma non è la stessa cosa! Mamma è una persona normale, e la nostra è una famiglia normale. Papà è drow. Non manifesta l'affetto nello stesso modo. Scegliere di lasciarti vivere anche se questo lo mette in pericolo è una dimostrazione di grande affetto per un drow.”
La risposta avrebbe dovuto far riflettere Tek'ryn ma in realtà riuscì soltanto a farlo irritare, perché fra i due era lui quello che aveva veramente vissuto nella società drow.
“Forse, ma io non voglio più dovermi accontentare dell'affetto dimostrato in modo drow. Voglio che Krystel sia mia madre e che questa sia la mia famiglia. Non ne posso più, Amber, di dover elemosinare tracce di qualcosa che potrebbe essere letto come affetto sotto la giusta luce, confidando che arrivi dalla persona che fa meno schifo in un certo contesto, come dovevo fare quando ero piccolo e dovevo scegliere il male minore fra le mie sorelle.” Quando Tek'ryn finì di parlare, era così accaldato che sicuramente avrebbe sfoggiato anche lui un certo rossore se non avesse avuto la pelle nera. “So che a te manca, lo capisco, ma io non sento il bisogno di avere un padre. Sono felice così come sono.”
Amber non rispose, per un lungo momento sedettero l'uno accanto all'altra senza parlarsi. In quel silenzio teso, si accorsero che Jaylah cominciava a fare quei versetti spezzati che faceva sempre poco prima di svegliarsi.
La sorella maggiore le gettò un'occhiata fugace.
“Forse è per lei” confessò con un filo di voce. “Forse il motivo per cui ultimamente sento così tanto la mancanza di papà è che Geyla ha un padre molto presente… molto affettuoso. Me ne rendo conto, non credere. Mi rendo conto che nostro padre non sarà mai fantastico come Johel. Ma io so che sta facendo del suo meglio. Puoi pensare che io sia stupida e che sia un'illusa, ma mi fa piacere sapere che ogni tanto per un breve attimo si ricorda di me. Ogni volta che ricevo un suo regalo so che per qualche minuto mi ha pensata. Forse è patetico” deglutì a vuoto, accarezzandosi con una mano il bracciale d'argento “ma mi rende felice.”
Tek'ryn avrebbe voluto dirle che non era patetico, forse un po' triste, ma non riuscì a dire nulla perché Jaylah scelse proprio quel momento per svegliarsi e mettersi a piangere.
Non era un vero pianto, soltanto qualche lamento che accompagnava il difficile passaggio dal sonno alla veglia, quando la piccina per qualche secondo non riusciva a capire dove fosse e cosa stesse succedendo. Il mondo era sempre molto confuso in confronto ai sogni.
Di solito a quel punto suo padre o sua madre la prendevano in braccio e lei si tranquillizzava subito. Questa volta però non c'erano né suo padre né sua madre.

Due volti conosciuti si chinarono sulla sua culla, comparendo nel suo campo visivo. Jaylah aveva la vista acuta, come tutti gli elfi, ed era già capace di riconoscere le persone. Amber però era abbastanza simile a Krystel da trarla in inganno per un momento.

“Aaaw, piccolina” Amber la prese in braccio, intenerita dall’espressione confusa della sorellina appena sveglia.
Fu in quel momento che si scatenò il finimondo.

La voce non era quella giusta, e questo mise Jaylah di cattivo umore. Qualcosa non andava. Era convinta di essere con la sua mamma, invece la voce diversa l’aveva destabilizzata.
Poi quella persona la prese in braccio, e nelle sue movenze non c’era la stessa sicurezza a cui la bimba era abituata. Qualcosa nel modo in cui veniva afferrata e sollevata pungolò il suo istinto di sopravvivenza. E per finire… quello non era l’odore della mamma.
Non era la mamma!
Jaylah sbarrò gli occhi, spaventata, tradita, spiazzata.
Non le importava chi fosse a prenderla in braccio, non era la mamma!

Amber avrebbe dovuto capirlo quando gli occhi di Jaylah si erano spalancati, colmi d’orrore, oppure quando il labbro inferiore della sorellina aveva cominciato a tremare. Purtroppo aveva fatto esperienza di bambini solo con Luel, che da piccolo non piangeva mai e che si sarebbe attaccato letteralmente a chiunque pur di avere attenzioni.
Jaylah era più selettiva.
Quando la piccina prese fiato, un respiro lungo e profondo, Amber pensò che stesse solo sbadigliando e invece era la calma prima della tempesta.
Jaylah strinse gli occhi con espressione tormentata e spalancò la bocca. Un urlo da banshee esplose a meno di una spanna dalle orecchie sensibili di Amber.
“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!” L’urlo investì la drow con improvvisa violenza; era un suono disarmonico a metà fra un grido e un pianto, la voce della disperazione che diventava rabbia.
“Porca miseria!” Sbottò Amber, facendo un saltello sul posto. Per poco quel sussulto non le fece perdere la presa sulla sorellina.
“AAAAAAAA-AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA-AAAAH!!” Continuò la bimba, gettando la testa all’indietro. Caldi lacrimoni cominciarono a scenderle ai lati del viso. Quando cominciò a tendere le mani verso il viso di Amber, Tek’ryn intervenne di prepotenza e la strappò dall'abbraccio della sorella. Appena in tempo.
Jaylah gridò fino a non avere più fiato e per un paio di secondi sembrò andare in apnea, facendo spaventare a morte i suoi fratelli. Poi per fortuna riuscì a riprendere il controllo per il tempo sufficiente a inspirare una boccata d'aria, ma subito dopo ricominciò a piangere senza pace. Non contenta, cercò di prendere a pugni quella persona orribile che la teneva in braccio senza essere la mamma.
Tek'ryn deviò il primo pugno che lo colpì alla tempia anziché al naso. I pugnetti di Jaylah non facevano molto male, ma di sicuro la bambina ci si stava impegnando.
“AAAAAAAaaaaah!” Quello che era partito come un urlo di rabbia sfumò in un pianto disperato, e i pugni della piccola divennero schiaffi a mano aperta. Non c'era alcuna strategia, colpiva a caso per manifestare il suo scontento.
“Santo cielo, Tek” mormorò Amber, in un tono a metà fra lo sconcerto e la paura, ma con un pizzico di divertimento. “È una furia!”
Il giovane drow scrollò le spalle. “Non è la più violenta delle mie sorelle.”
“AAAH UAAAAAH” pianse la bambina, strattonando i capelli di Tek'ryn.
“Ma non ti fa male?”
Tek'ryn si strinse nelle spalle di nuovo, e cercò di cullare la sorellina in un modo che sperava fosse tranquillizzante.
“Sta… cercando di cavarti gli occhi?”
“Non è la prima delle mie sorelle a desiderare di farlo” tornò a ripetere lui. “Tanto le sue dita sono piccole e deboli, delle minuscole salsiccette. Non riuscirebbe mai a cavarmi gli occhi.” Dovette quasi urlare, per sovrastare le grida di Jaylah.
“Ma come diavolo si fa a calmarla?” Insistette Amber. “Perché fa così?”
Era una domanda legittima, però nessuno dei due era esperto di bambini. Tek'ryn per fortuna aveva altre risorse per comprendere le persone.
Accarezzò la testolina di Jaylah con una mano, mentre con l'altra la reggeva in un abbraccio stretto, e si preparò a fare una cosa che non faceva da tantissimo tempo.

Jaylah non si accorse della sottile invasione psionica quando un lembo della mente di Tek'ryn si connesse alla sua, la sua piccola e limitata mente infantile. Il potere di Tek'ryn la toccò leggermente, come una carezza impercettibile, perché le emozioni dei bambini galleggiavano sulla superficie dei pensieri e brillavano come un piccolo sole. Jaylah non aveva la capacità né la volontà per nascondere le sue emozioni e non c'era bisogno di scavare più in fondo. Anzi, non c'era un ‘più in fondo’.
“È spaventata perché pensava di trovare Krystel e invece lei non c'è. Finalmente la mamma era tornata e ora è sparita di nuovo. Geyla si sente abbandonata e tradita, e di conseguenza è triste. Ma sono troppe emozioni per una bambina così piccola, lei sa gestirne solo una alla volta” Tek'ryn spiegò quello che aveva percepito, a beneficio di Amber. “Per questo motivo ha compresso tutte queste emozioni e le ha trasformate in una sola: rabbia.”
“Oh, zuccottina” Amber si lasciò intenerire e accarezzò i capelli della sorellina, che continuava a piangere ma aveva smesso almeno di agitare le braccia.
“Hai appena descritto l'intera psicologia drow” intervenne una voce ben nota e quanto mai gradita.
“Zio Daren!” Amber tirò un vistoso sospiro di sollievo. “Grazie al cielo sei qui!”
“Sai quanto mi è mancato il tuo umorismo nero sulle deprimenti storture del nostro popolo?” Tek'ryn avvicinò il dito indice al pollice finché quasi non si toccarono. “Tanto così.”
“Ma finiscila, marmocchio, apprezzi l'umorismo nero tanto quanto me” lo redarguì bonariamente, avvicinandosi al giovane che teneva in braccio la bimba. “Vuoi darmi Jaylah? Non ti prometto che saprò calmarla ma non è giusto che questo compito ricada su voi ragazzi.”
Amber schioccò le dita come quando le veniva un'idea geniale: “Potremmo chiedere a Luel. Forse con la sua musica riuscirà a rasserenarla. L'ho visto poche ore fa, stava suonando sul tetto, forse è ancora lì.”
“Scherzi? Come minimo chiederebbe di essere esentato dalle faccende domestiche per un mese in cambio dei suoi preziosi servigi. Non voglio trattare con quel piccolo scansafatiche egoista” ribatté Daren. “Se vuole evitare le faccende dovrà continuare a ingegnarsi e a nascondersi come sta facendo adesso. Io non ho intenzione di facilitargli la vita!”

Daren prese Jaylah dalle braccia del nipote, ma la piccola non cambiò atteggiamento. Conosceva lo zio molto meglio di quanto conoscesse i suoi fratelli, ma ormai si era abituata a stare in braccio a Tek'ryn e non apprezzò quell'ennesimo cambiamento. Tantopiù che ancora non era la mamma, e neanche il papà. Avrebbe accettato il papà, piuttosto che niente.
Inoltre cominciava ad avere di nuovo fame. Decise di gridare un po' anche per quello.
Daren si sfilò gli stivali e si sedette con lei nel suo piccolo recinto per bambini, sapendo che quel luogo le piaceva e di solito riusciva a renderla serena.
Non ci fu nessun immediato miglioramento.
Il drow allora prese l'orsacchiotto di Jaylah e cercò di farla giocare, ma la bambina afferrò il pupazzo e lo scagliò con sdegno dall'altra parte del recinto.
Sigh. Sarà un lungo pomeriggio, finché Krystel non torna! Si arrese il guerriero, armandosi di santa pazienza.

Alla fine le magiche lucine fluttuanti riuscirono di nuovo a compiere il miracolo. Daren sapeva che non avrebbe potuto usare quel trucco per sempre, ma finché Jaylah era un'ingenua poppante quel piccolo innocuo incantesimo avrebbe continuato a funzionare.
Zio e nipote erano rimasti soli nella nursery, ma era questione di minuti prima che Krystel e Johel tornassero. Lui era seduto per terra con la schiena appoggiata contro il bordo del recinto, Jaylah se ne stava accoccolata sulle sue gambe.
“La sai una cosa, mostriciattola?” La punzecchiò, mentre lei era tutta intenta a cercare di afferrare le sferette di luce. “Se la tua mamma gestisse questa famiglia come una matrona drow, tu non avresti molti contatti con il tuo papà. Lui sarebbe stato solo un giocattolo per la tua mamma, e lei non si sarebbe neanche disturbata a dirgli che era incinta. I maschi non sono molto importanti nel posto da cui veniamo.” Lo raccontò in un tono che era più rassegnato che triste. “Io però farei ancora parte della tua vita. Non sarebbe mio compito educarti, ma in quanto fratello della matrona probabilmente sarei il Maestro d'Armi o qualcosa del genere. Sì, senza falsa modestia penso che sarei un buon Maestro d'Armi.” Continuò, tutto assorto nella sua fantasia distopica. “Avrei il compito di proteggere la famiglia e dovrei vivere qui tutto il tempo, non potrei limitarmi a venire a trovarvi ogni qualche anno come faccio ora. Tu saresti la mia piccola principessa e ben presto io dovrei obbedire ai tuoi capricci, anche ai più stupidi. Che triste destino! Invece ora sarà tuo padre a obbedire ai tuoi capricci, perché lo conosco e so che diventa uno zerbino quando tu lo guardi con i tuoi occhioni verdi.” Jaylah sembrò capire che lo zio stava parlando con lei, gli indicò una lucina fluttuante e fece un versetto divertito.
Daren la accontentò e fece scendere quella sfera di luce fino all'altezza del suo volto. Jaylah allungò il braccio e affondò la mano in quella luce intangibile, deliziata.
“Ti piace giocare in questo modo?” Il drow sorrise e le accarezzò la testa, cosa che non faceva quasi mai quando Johel era presente. Daren non aveva figli suoi e pensava che non ne avrebbe mai avuti. Era abituato a prendersi cura dei suoi nipoti, in modo diverso a seconda della loro età, ma quella era la prima volta che uno dei figli di Krystel aveva un padre presente. Duvainion lo aveva avuto, più di cent'anni prima, ma Daren aveva conosciuto il suo primo nipote quando era già orfano. La condizione di Jaylah - nipotina con un padre - era una cosa nuova per lui.
“È difficile per me” le confessò, perché a lei poteva dirlo. “Ho paura di intromettermi fra te e tuo padre, e allo stesso tempo sento che lui mi ha sottratto il mio ruolo. Non è giusto pensarlo, ma è così. E a me neanche piacciono i bambini!” Si lamentò, pizzicando piano una guancia morbida della nipotina.
“O?” Chiese lei, girandosi per guardarlo in faccia.
Il drow corrugò la fronte: possibile che Johel avesse ragione e che lei stesse davvero cercando di chiamarlo zio in lingua elfica?
“Esatto, io sono Osi'Tan” confermò, premiandola con uno dei suoi rari sorrisi. “E tu sei mia nipote.”
Non mia figlia.
Il suo fine udito elfico captò i passi di Krystel su per le scale.
“La tua mamma è tornata, e anche il tuo papà. Sei contenta?“ Daren ripensò alle ultime due settimane senza la locandiera, quei momenti di terrore in cui lui e Johel si erano avvicendati nel prendersi cura della bambina, mettendo a disposizione ognuno le sue competenze. ”Adesso che Krystel è tornata io e te non passeremo più molto tempo insieme. Non ci sarà più bisogno che lo zio Daren si prenda cura di te, lo faranno i tuoi genitori. E…”
Krystel aprì la porta della nursery e sorrise sollevata, vedendo che la figlioletta giocava tranquilla. Daren le rivolse un cenno con la testa e sollevò Jaylah per passarla alla sorella.
La strega lo ringraziò per la sua disponibilità, ma Daren rispose con una scrollata di spalle accompagnata dal suo migliore sguardo annoiato. Jaylah invece non aveva motivo di trattenere le emozioni e squittí di gioia quando capì di essere di nuovo fra le braccia di sua madre. Un attimo dopo arrivò anche Johel e la bimba esplose in una risatina entusiastica. Non sembrava neanche la stessa monella che aveva fatto vedere i sorci verdi ai suoi fratelli.
Daren si alzò in piedi e si spazzolò le vesti con le mani, mentre Krystel e Johel portavano Jaylah al piano di sotto per prepararla per la cena.
“E tutto sommato credo che mi mancherai” concluse il drow, a voce troppo bassa per poter essere udito.

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