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Autore: NPC_Stories    29/02/2020    14 recensioni
Anche gli amici possono ingannare, perché è il metodo più facile per ottenere ciò che si vuole. Un elfo che ha deciso di essere amico di un drow dovrebbe semplicemente metterlo in conto - anche se sono white lies.
Pun intended.
.
Storia breve con personaggi originali (che poi sono i personaggi di quasi tutti i miei racconti)
Genere: Comico, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1357 DR: Sweet lies


Autunno inoltrato, in una locanda vicino a Secomber

Jaylah amava passare del tempo all’aperto, soprattutto nelle belle giornate di sole. Non era ancora capace di camminare, ma le piaceva stare seduta sull’erba e guardare le foglie secche che ruzzolavano nel vento autunnale, il volo di qualche sporadico uccello o qualunque piccola meraviglia la natura mettesse davanti ai suoi occhi. Dopotutto ogni cosa era un’esperienza nuova, per lei.
Johel voleva credere che sua figlia avesse preso da lui in questo. Di sicuro era il suo sangue elfico ad aver ispirato nella bimba quel grande amore per il mondo esterno. Per questo era immensamente fiero ogni volta che Jaylah puntava il ditino verso una finestra e cominciava a piagnucolare per farsi portare fuori.
“Dobbiamo vestirci per bene, questo pomeriggio” commentò, mentre allacciava il colletto della minuscola casacca della bimba. “Con le braghette di lana e il cappottino potremo stare tranquilli, ma forse oggi servirà anche un cappello? Fa sempre più freddo.” Continuò a parlarle con un tono amichevole e rassicurante.
“Pa!” Affermò lei, con grande convinzione.
“Va” La corresse l’elfo, perché quella era la corretta parola elfica per chiamare il proprio padre in modo informale. Johel si era arreso al fatto che la bambina sarebbe cresciuta immersa nella lingua chondathan, il dialetto umano di quella regione, ma non aveva rinunciato a parlarle sempre in elfico per farle imparare anche la sua lingua. “Amin Va’lle, a’mael A’Sumamin” 1
Jaylah lo guardò con grande serietà e consapevolezza, poi gonfiò le guance e gli fece una pernacchia.
L’elfo dei boschi sentì che la solennità del momento si era completamente infranta, e abbassò le spalle sconfitto. Si guardò brevemente intorno, per accertarsi di essere solo, poi sollevò la casacca di Jaylah scoprendo il pancino scuro, si chinò su di lei e ricambiò la pernacchia. La bimba squittì per il solletico e cercò di afferrare la testa di suo padre, ma lui si allontanò in tempo sfuggendo alla sua presa.
“Ehi! Sono gli orchi che mangiano i bambini, non gli elfi!” Lo rimbrottò una voce alle sue spalle.
“Ma che diamine!” Johel sussultò per essere stato colto in flagrante. “Un attimo fa ero certo di essere solo! Sul serio, come fai?”
Daren, perché naturalmente poteva essere solo lui, gli sorrise con aria molto compiaciuta. “Ancora ti chiedi queste cose? Ho il magico potere di comparire nel momento più fastidioso.”
Johel scrollò le spalle e non si degnò di rispondergli. Ricominciò a vestire Jaylah per la sua escursione quotidiana.
“Cosa direbbe tuo padre se ti vedesse giocare così con tua figlia?” Lo punzecchiò il drow.
“Forse direbbe che sono un padre migliore di lui” rispose l’elfo controvoglia, ricordando il suo burbero e severo genitore. “Ma no… è improbabile che lo ammetta.”
“So che non te l’ho mai detto, ma sono contento che tu sia un buon padre per Jaylah. Sarebbe stato difficile per me se… puoi immaginarlo, Krystel è mia sorella e tu sei… uhm…”
“Il tuo migliore amico?” suggerì l’elfo.
“Il tizio che ho sopportato più a lungo in vita mia” concluse Daren. “E per la cronaca, non avrei scommesso un soldo bucato che riuscissi ad infilarti nel letto di mia sorella, ma dopotutto, chi le capisce le femmine…”
“Io” gli fece notare il biondo, con palese soddisfazione. Finì di calcare un cappellino di lana sulla testa di Jaylah, assicurandosi di coprire bene la punta sensibile delle orecchie, e poi la prese in braccio. “Allora, dove andiamo, amore?”
“Yi-oh!” Rispose la bimba con entusiasmo.
“Vuoi vedere gli asinelli?” Cercò di interpretarla suo padre.
“No, ti sta descrivendo” sferzò il drow.
“Un giorno capirò come mai sei così stronzo, ma quel giorno non è oggi.”
“Mi annoio” Daren si strinse nelle spalle.
“Le tue cattiverie rimbalzano come sassi di fionda contro uno scudo” lo informò Johel, uscendo a grandi passi con la bambina fra le braccia.
“Yi-oh” ripetè la piccola, entrando in agitazione non appena misero piede all’aria aperta.

Johel esitò un momento sulla soglia, scrutando il paesaggio stranamente vivido per un giorno d’autunno. Non pioveva da tre giorni e secondo la sua esperienza ciò significava che stava finalmente per calare il freddo, quello vero. Gli inverni nel nord erano spietati, e quella poteva essere l’ultima giornata all’esterno per Jaylah per molto tempo. La bambina avrebbe vissuto il suo primo inverno, e la prigionia che comportava.
A breve sarebbero arrivati i bambini di tutta la regione, da Secomber a Uluvin, dalle colline Forlorn ai bordi della Grande Foresta; figli di contadini che venivano mandati a svernare alla locanda di Krystel. Jaylah avrebbe avuto decine di compagni di giochi, e naturalmente quasi tutti umani. Johel non disprezzava gli umani, ma in quei giorni aveva la sensazione di essere solo contro il mondo, l’unico a cui importasse di dare a Jaylah un’educazione elfica.
Sospirò, sentendo l’aria frizzante pungere la gola e i polmoni. Che fosse già troppo freddo, nonostante il sole? Ma Jaylah sembrava così contenta di essere all’aperto…
Andarono alle stalle a salutare i pochi asini che ruminavano in pace dalla mangiatoia, e l’elfo non si chiese come mai fossero lì anziché nel giardino esterno a pascolare. Non si era mai interessato all’allevamento, lo trovava un po’ innaturale. Jaylah non poteva chiederselo, era solo contenta di vedere gli animali e fece carte false pur di riuscire a toccarli. Le piaceva cercare di afferrare loro le orecchie, ma così facendo li mise un po’ sulla difensiva. Conoscendo il brutto carattere di quelle bestie, Johel decise che non era il caso di insistere e uscì dalla stalla portandosi via la bambina che faceva i capricci.
Fecero una passeggiata intorno alla locanda, che un tempo era stata una specie di abbazia consacrata a Chauntea. I chierici ad un certo punto erano scomparsi, soppiantati da sacerdoti di Talona che si erano lentamente infiltrati nell’abbazia. Probabilmente i fedeli di Chauntea erano morti uno alla volta. Quando Krystel e Daren avevano trovato quel luogo, molti decenni prima, era in mano ai malvagi seguaci della dea dei veleni e delle malattie. Fingendosi chierici della gentile dea della natura, Chauntea, quegli uomini senza scrupoli stavano avvelenando la regione e gli ignari abitanti. Johel non conosceva i dettagli, ma sapeva che Daren e Krystel avevano liberato l’intera struttura da soli, e quel pensiero l’aveva sempre incuriosito. Il suo amico drow era un valido guerriero, ma Krystel non sapeva tenere in mano una spada. L’elfo l’aveva sempre vista solo nelle vesti di locandiera. Sapeva che era una strega, ma quella parola aveva poco senso per lui; in passato aveva assistito ad alcuni suoi rituali, ma la sua magia agiva in modo lento e invisibile e pareva quasi che non ci fosse affatto. Non aveva mai considerato la sua stregoneria come una possibile forma d’attacco. Non riusciva ad immaginarsi Krystel mentre uccideva qualcuno, nemmeno per uno scopo nobile come salvare l’intera regione.
“La tua mamma è una dura. Questo posto lo ha conquistato a suon di botte” sussurrò a Jaylah, mentre le indicava la locanda. “Più o meno… dovrai chiederlo a lei, quando saprai parlare.”
“Pa!” anche la bimba indicò la locanda, mimando i gesti di suo padre.
“Va” la corresse lui, per reazione automatica.
“Ahah! Am-am-am!”
“Come, hai fame?” Domandò il ranger, riconoscendo il verso che faceva sua figlia quando voleva imitare l’atto di mangiare. “Oggi sembrava che darti la pappa fosse una forma di tortura.”
Lei lo guardò senza capire. Lasciò oscillare le gambe, dando dei calcetti al fianco di suo padre.
Una delle scarpine di feltro volò via, compì un breve arco discendente e rimbalzò sul prato.
Accidenti, non le avevo legate abbastanza bene, si rimproverò Johel. Appoggiò un istante Jaylah sul prato e andò a recuperare la scarpina. Quando si voltò, vide che la piccola stava già gattonando verso di lui.
“Oh! Come siamo intraprendenti. Bene, stai seduta un attimo che dobbiamo rimettere la scarpa.”
Jaylah non voleva stare seduta e ferma, quindi l’elfo dovette tenerla con una mano mentre con l’altra cercava di rinfilarle la scarpa. Quando finalmente ci riuscì, Jaylah la calciò via di nuovo prima che avesse il tempo di legare il laccio. In quel punto il prato digradava verso gli orti un po’ più in basso, quindi la scarpina rotolò giù per qualche metro.
L’elfo sospirò, contò lentamente fino a dieci e andò a recuperare l’oggetto del contendere, accompagnato dalle risate di sua figlia. A volte aveva la sensazione che lei capisse tutto e lo facesse apposta.
Quando si girò per tornare da Jaylah, lei si era lasciata cadere sdraiata sull’erba e stava per sbilanciarsi e rotolare giù lungo il pendio. Non era una discesa ripida e Johel sapeva che probabilmente non si sarebbe fatta nulla, ma scattò automaticamente avanti per fermarla. Rinunciando all’idea di metterle la scarpa, la prese in braccio e s’incamminò in fretta verso l’entrata della locanda.
“Va!” disse Jaylah, aggrappandosi bene alle spalle di suo padre. Lui si fermò di colpo, incredulo.
“Lle yele amin Va, Jaylah?” 2
Lei non sembrò afferrare la solennità del momento e cominciò a ciarlare versetti incomprensibili, tutta contenta per le attenzioni del padre. Sembrava proprio che stesse cercando di fare conversazione. Ad un certo punto interruppe il fiume di “parole” e diede un colpetto di tosse.
Johel raggelò.
Oh, per tutti i Seldarine. Ha preso freddo. È perché non le ho rimesso la scarpina? O è perché l’ho fatta sedere sull’erba? No, forse ho sbagliato in primo luogo a portarla fuori con questo freddo!
L’elfo strinse più forte la bambina e si servì della sua agilità innata per scavalcare il ridicolo muro difensivo della locanda, atterrando nel cortile interno dove i carri caricavano o scaricavano le merci. Era lo spiazzo più grande del complesso e quindi naturalmente era il luogo che Daren aveva scelto per i suoi esercizi quotidiani.
Johel si aspettava di trovarlo lì, e infatti non fu deluso. Il drow era impegnato in una sequela di attacchi e parate contro nemici immaginari, facendo roteare le spade corte con precisione ed eleganza. L’elfo si accorse che erano soprattutto movimenti difensivi, perché Daren usava le spade corte quasi unicamente per quello scopo. Per attaccare i nemici veri usava la spada bastarda, l’arma sacra della sua fede, ma non la sguainava mai per un semplice addestramento. A volte l’elfo si era chiesto come facesse Daren a migliorare la sua tecnica con la bastarda se non la usava per allenarsi, e si era risposto che probabilmente ogni tanto si assentava per trovare dei nemici su cui provarne il filo.
Il drow era in allerta come sempre, quindi si accorse subito che Johel stava scavalcando il muro.
“Potevi anche fare il giro a piedi, sai?” Lo rimproverò, indicando con un gesto la vasta apertura dall’altra parte del cortile che permetteva ai carri di entrare. “Non è prudente arrampicarti con Jaylah in braccio.”
“Sono capace di scalare un patetico muretto!” Rispose l’elfo in tono offeso. “E sono di fretta perché Jaylah sta male!”
Daren rinfoderò le spade in un batter d’occhio e si avvicinò di corsa ai due. “Che è successo? Si è ferita?”
“Ha tossito” spiegò il genitore, quasi nel panico.
“Ha tossi… ma dai! Ti preoccupi per un singolo colpo di tosse?”
“L’aria oggi è gelida. Potrebbe aver preso freddo!”
“Non è gelida, sei tu che sei abituato ai climi caldi.”
“Ma poco fa l’ho fatta sedere per terra, ha sicuramente preso freddo.”
“Oppure ha solo respirato un po’ di polvere sollevata dal vento.”
Jaylah li interruppe con un paio di colpi di tosse secca. Johel impallidì ancora di più, e anche Daren cominciò a prendere la cosa sul serio.
“D’accordo, portiamola da un guaritore.” Acconsentì.
“Non hai un modo per far scomparire le malattie con la magia?”
“Sì, ma cerca di non perdere la testa, Johel. Potrebbe non essere una malattia. Magari ha solo la gola irritata, o magari ha sete. Portiamola da Tinefein, è una buona guaritrice, ci dirà cosa fare.”
“Ah, giusto. Ma certo. Dov’è adesso?”
Daren indicò con un dito l’infermeria della locanda, un piccolo edificio isolato che delimitava un lato del cortile interno, proprio a pochi passi da loro. “L’ho vista andare avanti e indietro dal suo regno, portando erbe e altre cose.” Spiegò il drow. “Dovrebbe essere ancora lì.”

Era ancora lì. Tinefein, la quarta figlia di Krystel, aveva dedicato gli ultimi quarant’anni allo studio dell’arte della guarigione, sia magica che erboristica, e i risultati si vedevano. Ogni strega aveva delle conoscenze basilari sulla guarigione, ma Tinefein era proprio specializzata. Quando ebbe ascoltato (o meglio, letto dalle loro labbra) il motivo di quella visita così urgente, sbuffò una mezza risata e fece cenno di poggiare Jaylah su un tavolo coperto da un panno di lana. Tinefein non era in grado di sentire né di parlare, ma infilò una mano scura sotto il vestitino di Jaylah e “ascoltò” al tatto il respiro della sorellina.
§Respira bene. Non è niente di grave.§ Segnalò con il codice gestuale delle mani. §La sua temperatura non è troppo calda. I suoi occhi non sembrano lucidi per la febbre. Potrebbe avere un inizio di raffreddore.§
Anni prima Daren aveva insegnato a lei e a tutta la famiglia il codice silenzioso degli elfi drow, ma quel linguaggio era molto limitato. Krystel, Tinefein e gli altri suoi fratelli avevano lavorato nel tempo aggiungendo sempre più segni e strati di significato. Per quella che era la loro esperienza del mondo, non poteva andare bene un linguaggio che non aveva simboli per quasi nulla di ciò che esisteva in Superficie, né per alcun sentimento positivo. Tinefein poi era una guaritrice, aveva bisogno di poter descrivere malanni e rimedi nel dettaglio, e di avere un nome per ogni pianta officinale. Daren ogni tanto faceva fatica a colmare la distanza fra le sue conoscenze del linguaggio gestuale drow e quello che era il linguaggio di Tinefein, in continua evoluzione.
§Devo curarla con la magia?§ Le fece cenno il guerriero.
§Assolutamente no!§ Fu la categorica risposta. Poi rallentò il ritmo dei suoi gesti, perché sapeva che suo zio Daren non aveva familiarità con molti di essi. §Fra pochi giorni questa locanda si riempirà di bambini. Passeranno tutto l’inverno a rimbalzarsi raffreddori e influenze a vicenda. Sto facendo scorta di ogni possibile rimedio che conosco, ma la cosa migliore è la resistenza di ciascun individuo. Se mia sorella ha un’infreddatura stagionale, è meglio che la sfoghi adesso, sotto il mio controllo. Lasciate che la malattia cresca, datele un po’ di propoli mista a miele per il mal di gola quando vi sembra che abbia mal di gola, e fatele bere un infuso che ora vi darò, due volte al giorno. Verrò a controllarla ogni mattina e ogni sera, ma portatela qui in qualunque momento se le viene la febbre. Useremo la magia solo se le sue condizioni diventano gravi. Ma è meglio se sconfigge la malattia con le sue forze, un incantesimo non aiuterà il suo fisico a rafforzarsi contro il raffreddore.§
Rivestì Jaylah in modo che non prendesse freddo e le infilò la scarpina mancante, poi porse a Daren e a Johel una boccetta di propoli e un sacchetto di erbe per l’infuso. Johel vide che aveva molti sacchettini come quello già pronti all’uso, sembrava davvero preparata a quel tipo di malattia stagionale.
§Cercate di darle da mangiare molta frutta. Fa bene, soprattutto in inverno. In alternativa, mia madre ha preparato della marmellata di mele e cannella. Vedete se quella le piace. Un cucchiaio dopo ogni pasto, non di più, è molto dolce.§ Raccomandò, recuperando un barattolino di marmellata da una dispensa speciale.
Daren riferì tutto quanto a Johel, che sembrò un po’ tranquillizzato dalla promessa di tenere sotto controllo Jaylah mattina e sera, ma era chiaro che avrebbe preferito una soluzione immediata.

Riportarono la piccola negli alloggi privati di Krystel e della sua famiglia, dove Johel cercò inutilmente di metterla a dormire. Dopo un’ora di capricci, si arrese e la mise nel suo piccolo recinto, dove aveva i suoi giocattoli preferiti. Jaylah giocò tranquillamente fino a sera, senza dare segni di particolare malessere, solo un colpo di tosse ogni tanto. Contrariamente ai consigli della guaritrice, Johel cominciò a dare un cucchiaio di miele e propoli alla bimba ogni volta, preoccupato che avesse la gola irritata e dolorante.
Jaylah decise subito che il miele le piaceva un sacco, e non ci mise molto a capire che otteneva del miele ogni volta che tossiva.
L’elfo dei boschi impiegò quasi tre ore per accorgersi della differenza fra un vero colpo di tosse e uno simulato. Quando capì il giochetto di Jaylah, uscì dalla nursery sconcertato e andò a cercare Daren. Lo trovò nella sua stanza, intento a leggere un libro sulla guarigione.
“Tua nipote ha appena passato le ultime tre ore a mentirmi.” Annunciò, a mo’ di saluto. “Non sa neanche parlare e già sa mentire.”
Daren si accorse che non sembrava arrabbiato, solo profondamente sorpreso, e non si curò di nascondere un ghigno soddisfatto.
“Intendi tua figlia? Ho molte nipoti, sai?”
“Quando mente non è mia figlia, è tua nipote” lo corresse l’elfo. “Ma insomma, che diamine?” Si riprese, scuotendo la testa.
“Sono molto fiero di lei.” Sorrise il drow.
“Ah. E ti pareva.”
Dalla nursery sentirono un paio di colpi di tosse. Sembravano abbastanza genuini. Johel lasciò la stanza del suo amico e si precipitò da Jaylah; checché ne dicesse, era sempre sua figlia. E anche lui sotto sotto era un po’ fiero di lei.


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1 Io sono tuo padre, mia amata figlia

2 Mi hai chiamato padre, Jaylah?





     

   
 
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