Quando meno te lo aspetti

di Shily
(/viewuser.php?uid=777573)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dalla fine, il principio ***
Capitolo 2: *** Una famiglia di troppo ***
Capitolo 3: *** Un (ri)invito inaspettato ***
Capitolo 4: *** Un pomeriggio nel parco ***
Capitolo 5: *** L'All In ***



Capitolo 1
*** Dalla fine, il principio ***


Quando meno te lo aspetti - una serie di inaspettati eventi
 
"Prima o poi, la peggiore combinazione possibile di 
circostanze è destinata a prodursi."
Seconda legge di Sodd, La legge di Murphy
 
00. Dalla fine, il principio.
 

Se questa fosse una giornata normale, Leanne Adams non avrebbe bisogno di centouno ragioni per uscire dal calore del letto e prepararsi. 

Se di lì a qualche ora non dovesse rendersi ridicola davanti a tutto il corpo docenti e gran parte della popolazione studentesca, sarebbe già in piedi e diretta verso l'aula mensa, avendo come unica preoccupazione se a colazione bere del latte o del succo.

Ma quello, ovviamente, non era un giorno normale e lei, quasi vomitò al pensiero, avrebbe dovuto giocare la sua prima (e sperava vivamente ultima) partita come alzatrice nella squadra di pallavolo del colleggio. 

Sopraffatta dalla disperazione si tuffò sotto le coperte, emettendo un verso di dolore: nel corso della notte aveva pensato ad almeno una ventina di scenari che la vedevano protagonista di incidenti imbarazzanti davanti a tutti, e ora le sembravano tutti troppo plausibili e vicini alla possibile verità.

Come succedeva da qualche mese a quella parte si trovò a maledire la sua incapacità a compiere qualsiasi attività che coinvolgesse un minimo di coordinazione occhio mano. Senza contare le colorite e quantomai originali imprecazioni che la sua immaginazione aveva fornito ai danni della vicepreside della scuola, colpevole di averla incastrata in quella situazione.

Insomma, lei di andare a giocare una partita davanti a tutti la scuola, rischiando di essere ricordata di lì in avanti come colei che aveva fatto perdere la squadra, proprio non ne aveva voglia. Senza contare che ancora faticava a tenere in mano la palla senza inciampare o farla cadere.

"Leanne, è tardi. Alzati!" 

Sbuffó sentendo la voce di Madison, la sua compagna di stanza, che la esortava ad alzarsi. Forse, se avesse finto un malessere, uno di quelli gravi da ospedale, l'avrebbe scampata.

"Così farà tardi," commentò con tono disinteressato Shailene, la seconda ragazza che dormiva con lei.

Forse non era una buona idea, avrebbero certamente allarmato i suoi genitori, costringendoli a farsi ore di macchina per una bugia. 

E sua madre fiutava le bugie a chilometri di distanza.

"Lo so, Shay, grazie per la partecipazione. Leanne, smettila di ignorarmi o..." la minaccia di Madison venne interrotta da un bussare alla porta. 

"Sono Annabeth, posso entrare?" senza aspettare risposta, la ragazza fuori la porta entrò e la raggiunse in poche falcate.

Ecco, si disse Leanne nascondendosi ancora di più sotto le coperte, è finita

Annabeth era la sua migliore amica e anche l'unica che forse l'eguagliava a testardaggine. 

Questo, unito a una notevole forza di volontà e una non sottovalutabile vena autoritaria, faceva sì che le volte in cui Leanne riuscisse a resistere all'amica fossero ben poche. 

Senza contare che quelle rare occasioni in cui Annabeth si arrabbiava, esternando quel lato di sé che solitamente teneva celato sotto strati di gentilezza e timidezza, faceva davvero paura

"Non mi sento bene," mormorò Leanne, rannicchiandosi su se stessa. 

"Non mi interessa," rispose Annabeth e con un colpo deciso le tolse le coperte di dosso. 

"Annabeth!"urlò lei, cercando di coprirsi con le mani dal freddo. 

"Adesso tu ti alzi, ti cambi, ti dai una sistema veloce e scendi con me a fare colazione. Sono stata chiara?"

"Farò la figura dell'idiota," si lamentò Leanne, "E poi devo farmi una doccia."

"Se volevi avere il tempo per la doccia ti alzavi prima, invece di fissare il nulla sotto le coperte. Hai dieci minuti, muoviti." Non urlava Annabeth, non usava neanche parole dure, ma nonostante il tono calmo e l'espressione all'apparenza rilassata, riusciva sempre ad incutere un certo timore impossibile da ignorare.

Con rassegnazione (e senza smettere di pensare a possibili vie di fuga),Leanne si alzò dal letto, infilò le pantofole a forma di topolino e si diresse al bagno con già la divisa sportiva in mano. 

Trattenendosi dallo sbattere la testa da qualche parte, si decise a cambiarsi e avviarsi a quello che aveva ribattezzato "il suo personale patibolo."

Dopotutto, Maria Antonietta la testa, lei una partita di pallavolo. A ognuno le proprie sofferenze. 

Buttò un'occhiata distratta al cespuglio informe sulla sua testa, solitamente andava abbastanza fiera dei suoi capelli: da quando li aveva lasciati crescere, le cadevano in ordinate onde fino a metà schiena, arricciandosi in alcuni punti e ammorbidendo i tratti del suo viso. 

Quel giorno però sembravano voler rappresentare a pieno il suo stato d'animo, motivo per cui legarli fu particolarmente difficile. In seguito l'avrebbe paragonata a una lotta uno contro uno, in cui non era sicura di essere la vincitrice. 

Scartò la divisa scolastica, che quel giorno avrebbe volentieri messo perché simbolo di una giornata come tante, indossando invece la divisa della squadra. 

Era rigorosamente verde e gialla, come i colori della scuola; e a lei il verde stava veramente male.

Si truccò leggermente, coprendo ( o per lo meno provandoci) le occhiaie dovute alla notte insonne e truccò lievemente gli occhi, giusto per perdere quell'aria da tossico dipendente che assumeva la mattina appena sveglia.

Si diede una sciacquata veloce e raggiunse l'amica: "Sono pronta alla mia morte sociale."

"Non essere esagerata, Leanne," rispose Annabeth, scortandola fuori il dormitorio, "Per andare incontro a una morte sociale, dovresti prima avere una vita sociale. Non credi?"

"Fantastico! Dall'essere nessuno a l'essere la ragazza che non sa neanche tenere una palla in mano. Fantastico!" ripeté, trascinandosi dietro l'amica.

"Parti troppo prevenuta, Len. Madison e Shailene ti fanno un in bocca al lupo, verranno a vederti hanno detto. Siamo tutti lì per te,"Annabeth sorrise incoraggiante, alzando i pollici in sua direzione.

"Tutti chi esattamente?" 

"Beh... io, i tuoi fratelli, i tuoi cugini, Shailene e Madison. Tutti per sostenerti."

Praticamente sarebbe stata presente tutta la sua famiglia, così che un resoconto dettagliato arrivasse, nel giro di qualche ore, ai restanti componenti non più in età scolastica.

Il vantaggio di frequentare la scuola con metà della tua famiglia era di poter sempre contare sull'aiuto e il sostegno di qualcuno.Quello, e la certezza che qualsiasi presa in giro ai suoi danni non sarebbe stata dimenticata tanto facilmente.

"Allora non sarete proprio tutti," si lasciò scappare Leanne, con un leggero risentimento nella voce.

Annabeth, accorgendosi del suo cambiamento d'umore, si affrettò a rimediare e a consolarla: "Oh Len, mi dispiace. Non intendevo quello. Sono sicura che sarà lì, solo che..."

"È tutto okay," la interruppe Leanne, con più forza del dovuto. "Non devi consolarmi, non è che passo il tempo a struggermi. Anzi, meglio così, quell'idiota è l'ultima persona che voglio vedere oggi. Ti dirò, preferirei che da oggi smettessimo di parlarne, come se non fosse mai esistito."

Lo disse credendoci davvero e cercando con tutta se stessa di convincere anche l'amica delle sue parole: erano tutti così convinti che fosse sul punto di crollare che ormai la trattavano come se rischiasse materialmente di rompersi.

E lei era altamente stufa di tutta quella situazione: no, non aveva pianto neanche una lacrima; no, non aveva intenzione di piangerne neanche una e no, assolutamente quell'idiota non era il suo pensiero fisso. Neanche un po'. 

Varcò la soglia dell'aula mensa con il pensiero della partita un po' lontano, sostituito dal rancore verso un certo individuo di sesso maschile particolarmente sottosviluppato da un punto di vista intellettuale e sociale. 

"Ci sono i ragazzi là," Annabeth la richiamò alla realtà, indicandole un tavolo in fondo alla sala dove sedevano i suoi fratelli e suo cugino, nonché migliore amico, Josh.

"Hanno preso due vassoi anche per noi, andiamo." 

Leanne si girò e, notando come l'amica sembrasse a disagio e indecisa su cosa fosse bene dirle e cosa no, forse a causa del suo scatto inaspettato di poco prima, decise di offrirle un'offerta di pace e passarle un braccio intorno alle spalle.

"Buongiorno ragazze, iniziavamo a pensare che non sareste scese," le accolse Noah, il secondo dei suoi fratelli. 

"Stavamo aprendo anche un giro di scommesse: mi avete fatto perdere cinque dollari, grazie," fu il saluto di James, il più grande.

Silenzioso e con un sorriso sulle labbra, Josh porse loro i due vassoi e continuò a mangiare. Doveva essere lui ad aver vinto, a giudicare dalla sua espressione. 

"In realtà stavamo pensando di aprire un giro di scommesse anche sulla tua performance di oggi," continuò James, scostandosi i capelli dal viso. Avevano decisamente bisogno di una tagliata, ma visto il successo che sembravano riscuotere tra le ragazze lui non ne sembrava minimamente intenzionato. 

Suo fratello intercettò un'occhiata particolarmente omicida da parte della sua amica e sembrò rimpicciolirsi, intimorito nonostante i tre anni a separarli: "Ovviamente scherzavo, sappiamo tutti che Len sarà fantastica oggi. Lei lo è sempre," ritrattò.

Noah, al suo fianco, alzò gli occhi al cielo e borbottò qualcosa sull'idiozia dell'altro: "Senza speranze," commentò rassegnato.

"Oh, scusami, Noah-ioso, hai detto qualcosa?" 

Leanne amava i suoi fratelli: li amava davvero e non lo diceva tanto per dire. Certo, magari non si esternavano affetto tutti i giorni, preferendo lasciare molto spazio alle cose non dette, ma ciò non voleva dire che non avrebbe dato la vita per loro.

Li amava tanto, ma quando iniziavano a discutere, il che capitava due volte su tre quando erano nella stessa stanza, avrebbe volentieri dato tutto pur di essere figlia unica.

Innanzitutto, questo avrebbe significato avere più giochi per sé durante l'infanzia, senza contare che quando James e Noah si mettevano di impegno, sapevano essere più capricciosi di due bambini di sei anni.

"Almeno io non passo il tempo davanti a uno specchio a vedere se mi cresce la barba" stava ribattendo con veemenza Noah a qualcosa che lei non aveva sentito, "E per la cronaca: no, niente barba James, rinuncia."

Leanne guardò Josh e Annabeth, entrambi avviliti come lei e decisi a ignorare la discussione nel migliore dei modi.

"Non è vero, non è assolutamente vero," si infervorò James, con una voce acuta che Leanne non gli sentiva da quando ormai aveva intrapreso la strada che lo conduceva dritto verso le grazie del mondo femminile. "Ecco, vedi!" si indicò il mento.

Noah, in risposta, strizzò gli occhi con notevole sarcasmo e si lasció scappare una risata.

"Ragazzi,"s' intromise Leanne, "Per favore, potreste evitare almeno oggi?"

Noah, che tra i due era quello che più facilmente si lasciava andare ai sensi di colpa e che realmente si imbarazzava per quei teatrini assurdi, abbassò la testa in segno di resa, scusandosi con lei.

"Scusaci Len, hai ragione. Come ti senti?"

"Terrorizzata, grazie per averlo chiesto."

"Hai ragione, Len," il tono di James invece, a differenza di quello sincero del fratello, non lasciava presagire niente di buono."Smettiamo di parlare di quanto sia sfigato Noah e concentriamoci su chi sta entrando in sala proprio ora."

Come fossero un solo uomo, tutti e cinque si voltarono contemporaneamente verso il portone d'ingresso: due ragazzi, che a vederli così vicini non potevano sembrare più diversi, si affiancavano cercando di distanziarsi l'uno dall'altro il più velocemente possibile,  neanche rischiassero che quella vicinanza forzata potesse essere infetta.

Leanne sospirò, guardandoli dirigersi verso i lati opposti della sala e ignorarla come se fosse invisibile, invece che proprio lì, davanti ai loro occhi. 

"Insomma, vedo che hai risolto i tuoi problemi e chiarito le cose, eh Len?"si lasciò scappare Josh, beccandosi una gomitata nello stomaco.

"Però, chi l'avrebbe mai detto che tra noi proprio tu avresti avuto una vita amorosa così movimentata."

A parlare, non c'era bisogno di distogliere lo sguardo dai due ragazzi per capirlo, era stato inequivocabilmente James.

Sarebbestato troppo teatrale alzarsi e lasciarli lì, senza una parola?

Non era mai stata una ragazza popolare, una di quelle per cui i ragazzi facevano la fila o che aveva sempre una festa a cui partecipare. Piuttosto era quella a cui cadevano le cose di mano e inciampava goffamente.

A dire la verità, prima dell'inizio di quell'anno non aveva neanche mai dato un vero bacio, figurarsi avere un ragazzo. O due tra cui scegliere.

Inutile dire che non aveva saputo gestire la situazione neanche un po' e ora si trovava a evitare tutti i posti in cui era possibile incontrare uno dei due: il che limitava di molto il suo raggio d'azione all'interno del collegio.

Ma esattamente, come ci si era trovata in quella situazione? Lei che non aveva né gambe lunghe né chilometrici capelli biondi.

Ebbene, per sapere questo bisogna tornare indietro di qualche mese, quando era ancora una giovane e innocente ragazza che prendeva decisioni totalmente sbagliate. Ma soprattutto, quando ancora non si metteva inmezzo ai problemi degli altri.

Precisamente,è bene tornare a metà Settembre.

🌼🌼🌼




 
Ho iniziato questa storia due anni fa, circa. 
ho avuto momento di stallo, pause infinite e crisi mistiche. 
Oggi, finalmente, mi decido a pubblicarla con un nuovo nome, una nuova veste e soprattutto una sicurezza diversa.
Non è certo la storia del secolo, ma ci ho messo tutta me stessa e credo meriti di vedere la luce.
I capitoli sono tutti scritti, per cui cercherò di aggiornare tutti i giorni.

















 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Una famiglia di troppo ***


Una famiglia di troppo 

 

La famiglia, si sa, è sempre una questione delicata nella vita di una persona, figuriamoci per un adolescente. Bisogna tenere a mente alcune regole insindacababili e inalienabili: 

- regola numero uno: presenziare sempre ai numerosi pranzi di famiglia. Di quelli in cui sei costretto a sedere al tavolo dei piccoli, e chi se ne frega se hai passato da tempo ormai l'età delle bambole e dei seggiolini, e in cui sei bombardato da scomode domande non appena abbassi la guardia.

- regola numero due: i film si scelgono insieme, senza e se ma, anche se questo dovesse sottintendere un intero pomeriggio passato a discutere.

- regola numero tre: se si decide di fare un gioco, lo si deve fare tutti insieme. Non importa se sei vittima di un infarto fulminante, sarai sempre ricordato come colui che ha disertato.

- regola numero quattro: se uno dei tuoi cugini più piccoli ti passa una tazzina, tu ringrazi e fingi di bere il thè.

- regola numero cinque: le colpe si condividono, le punizioni sono di tutti e chi fa la spia non merita la torta della nonna.

- regola numero sei: abbandonare definitivamente qualsiasi speranza di avere un segreto. La privacy, in famiglia, non esiste.

Quest'ultimo punto, in particolare, lo conosce bene Leanne Adams: un metro e sessanta raggiunto a fatica, una notevole predisposizione ai problemi e una miriade di cugini di cui lei stessa, il più delle volte, fatica a tenere il conto, figuriamoci quindi ricordarsi i nomi. Senza contare due genitori tanto adorabili quanto decisamente troppo apprensivi; due fratelli, di quelli della peggior specie, di cui tutti, persino i più devoti alla famiglia, troverebbero da ridire: maggiori, impiccioni e tremendamente protettivi. Una sorella, o meglio -ina, alta non più di un metro e... ma siamo sicuri che raggiunga il metro? E infine, per la gioia di Leanne, Willow, il cane di famiglia - di cui la scelta del nome non era certo ricaduta su di lei, come teneva a sottolineare ogni volta.

Nome del cane a parte, argomento di cui comunque si finiva per discutere inevitabilmente a ogni riunione di famiglia, Leanne si era ben presto dovuta rassegnare a quella che, nella sua famiglia, era una realtà più che evidente: la totale assenza di privacy. Specie perché, frequentando un collegio insieme a buona parte dei cugini e i fratelli, diventava difficile tenere qualcosa nascosto.

La consapevolezza le era arrivata in una fredda mattina d'ottobre, quando non aveva più di otto anni e aveva sorpreso suo fratello intento a leggere il suo diario segreto.

Quella mattina, però, in barba all'atteggiamento con cui aveva deciso di accettare questa sua condizione, Leanne  varcava la porta della Sala Mensa borbottando parole che avrebbero fatto impallidire sua madre e uno sguardo omicida rivolto a una persona ben precisa: suo fratello Noah, il traditore. O per meglio dire, uno dei due.

Il fattore scatenante aveva un nome e un cognome: Jason Parker.

Un giovane di indubbia simpatia e carisma, come molte ragazze non mancavano di sottolineare definendolo con certezza assoluta il più carino del suo anno: e chi era lei per smentire quelle affermazioni? 

Nessuno, no di certo, specialmente da quando il più che carino Jason (come veniva spesso chiamato) aveva cominciato a sedersi al suo stesso tavolo in biblioteca, scambiando timide parole inizialmente fino a passare interi pomeriggio insieme, con i libri chiusi e dimenticati nel fondo dello zaino. 

La situazione, Leanna ancora sorrideva al ricordo, aveva poi assunto svolte inimmaginabili quando Jason, tra un capitolo di storia e un esercizio di chimica, le aveva chiesto di uscire. 

Inutile dire che la conversazione si era conclusa con un appuntamento e un adorabile sfarfallio nello stomaco di Leanne. 

Peccato che la notizia, che aveva fatto il giro dei suoi familiari in età scolastica, era arrivata anche alle orecchie dei suoi fratelli: come le cose si erano evolute, era tutto  un programma.

Erano davvero senza speranza, quei due.

A passo di marcia e con espressione furente si diresse verso il tavolo del fratello, impegnato a fare colazione insieme a un amico: "Tu!" esclamò, sbattendo la borsa carica di libri sul tavolo. "Non ho parole, non ho davvero... non posso credere che... siete davvero due idioti. Impicciarvi così della mia vita, agire alle mie spalle."

"Leanne, ma sei impazzita? Stavi per schiacciarmi il pane tostato," si offese suo fratello. "Si può sapere che ti prende?"

"Tu chiedi a me cosa mi prende? Succede che Jason Parker mi aveva invitata a uscire e ora, per colpa tua e di James, sarò fortunata se mi rivolgerà ancora la parola."

"Ah," commentò stoicamente Noah, "Hai saputo."

Lo vide scambiarsi un occhiata con l'amico al suo fianco e si trattenne dal mettergli le mani al collo.

"Dai Leanne," si intromise il suddetto amico, con tono svogliato: "Parker è un idiota, ti hanno fatto un favore se vuoi sapere come la penso."

"No Ethan, ti ringrazio ma la tua opinione era l'ultima cosa di cui avevo bisogno oggi."

Ethan Powell era, per la felicità di Leanne, il migliore amico di suo fratello, o per meglio dire colui con cui Noah condivideva l'ossigeno in ogni momento della sua giornata da tre a quella parte.

Niente da ridire, se solo questo non avesse implicato che anche lei, per la legge del "pacchetto familiare" a cui era sottoposta, fosse costretta a condividerci più tempo del necessario. 

Ed è bene sottolineare che per Leanne, Ethan corrispondeva all'anello mancante tra gli uomini e le scimmie. Ovviamente, era più vicino alle scimmie.

"Len mi dispiace davvero," Noah prese la parola e attirò nuovamente la sua attenzione, "Ma Parker... si insomma, Jason" si corresse "Non va bene per te. Per cominciare è più grande..."

"Più scemo, più inutile, più..." continuò per lui Ethan.

"Powell, se non smetti di parlare ti faccio del male fisico, questa volta dico davvero."

"Attenta piccola Adams, o potremmo rischiare che mi piacciahia... no dico, ma sei scema? Mi hai tirato un arancia in un occhio, potevi farmi seriamente male," si lamentò Ethan, massaggiandosi la fronte con aria imbronciata.

Leanne decise di ignorarlo, per rivolgersi nuovamente al fratello: "Esattamente, quando mai vi ho fatto credere di potervi intromettere nella mia vita e decidere cosa è meglio per me?  Siete proprio  dei bambini, ma aspetta che la mamma lo venga a sapere."

"Detto da una che tira arance..." 

"Powell," esclamarono all'unisono Leanne e il fratello alla sua ennesima intromissione: una irritata, l'altro esasperato.

"Leanne, senti, mi dispiace, davvero. Ma mettere in mezzo la mamma è troppo. L'ultima volta che è successo..." una smorfia si fece strada sul suo viso, mentre i ricordi riaffioravano in entrambi, "...non importa! Fatto sta che non possiamo mettere in mezzo la mamma e lo sai anche tu." Prese una piccola pausa, spostando il vassoio e alzandosi per raggiungere la sorella: "E poi, mamma non capirebbe: tu sei la nostra sorellina, la nostra piccola Lennie, lo sai che facciamo così perché ci preoccupiamo."

Leanne sbuffò: quando voleva, Noah sapeva raggiungere livelli di recitazione degni di Hollywood. 

Che attore

E che scema lei che ogni volta ci cascava: non aveva mai saputo resistere ai suoi occhi dolci, e lui lo sapeva bene.

Che stronzo, lo faceva a posta. 

"Facciamo che per il momento smetterò di insultarti," disse, dopo alcuni attimi di silenzio. "Ma questo non vuol dire che io non sia ancora arrabbiata. Sono furiosa, ma se mi guardi così finisco per dimenticarmene, per cui me ne andrò molto lontano a odiarti ancora per un po'."

Ecco fatto: come accadeva spesso, fin troppo effettivamente, aveva finito per cedere facilmente.

"Oh, vieni qua," Noah allungò un braccio e la strinse in un abbraccio da orso stritolatore, scombinandole i capelli con una mano.

Odiava quando lo faceva! 

Proprio in quel momento, neanche a farlo apposta, il primogenito della famiglia Adams fece la sua comparsa, giusto in tempo per incontrare lo sguardo ancora accigliato della sorella.

Colto da un improvviso colpo di deduzione non ci mise poi molto a collegare la scena a ciò che era avvenuto il pomeriggio precedente e, in preda a un insolito istinto di sopravvivenza, si voltò per quello che sembrava essere un grande piano: la fuga.

"E non pensare di scappare tu" lo avvistò Leanne, "Ti ho visto, e ne ho anche per te."

James, inutile dirlo, era già corso via. 

"Smettila di ridire, Poweel, che tanto dopo ne ho anche per te, lo so che c'entri anche tu in questa storia. C'entri sempre," disse Leanne a un ilare Ethan, prima di lanciarsi all'inseguimento del fratello.

Con un po' di fortuna non tutto era perduto e magari Jason avrebbe ancora avuto voglia di uscire con lei. O almeno di rivolgerle la parola. 

Le sue speranze però, dovette rendersi conto a mattinata inoltrata, erano abbastanza vane.

Non solo la maggior parte degli studenti mormorava al suo passaggio, chiaro segno che la storia aveva già fatto il giro della scuola, ma Jason sembrava essersi reso invisibile ai suoi occhi.

E pensare che nei giorni precedenti non aveva fatto altro che incontrarlo in qualsiasi angolo della scuola. 

Era palese: la evitava e non voleva più avere a che fare con lei.

Fu con l'umore sotto ai piedi, dovuta alla consapevolezza della sua triste condizione, che si sedette accanto a suo cugino Josh per la lezione di chimica.

La sua vita sentimentale aveva appena avuto inizio e già non vedeva l'ora che finisse.

"Cavolo Len, hai un aspetto così felice che mi fai venire voglia di buttarmi giù" la salutò, prima di voltarsi indietro e posare delle monete sul banco dell'amico.

"Avevate scommesso su qualcosa?" grugnì sovrappensiero, "Su di me?" il cugino, neanche a dirlo, annuì, subito imitato dal compagno di malefatte. "E cosa esattamente?"

Era ufficiale: era appena stato licenziato dal suo ruolo di cugino-migliore amico.

Quel traditore, anche lui.

"Io dicevo che non ti saresti presentata a lezione e ti avremmo trovata sepolta sotto le coperte a lamentarti," sorrise innocentemente, "Michael invece diceva che non avresti perso una lezione con Barry perché rischi già normalmente un'insufficienza. Ha vinto lui, io ho sopravvalutato la tua vena drammatica."

"Molto simpatico, Josh. Scordati, la prossima volta, di copiare i compiti da me."

"Non puoi dire sul serio" lo vide spalancare gli occhi, sinceramente terrorizzato dal l'eventualità.

"E allora smetti di scherzare su quello è successo," sbottò, ricopiando con furia gli appunti scritti alla lavagna di cui ovviamente non stava capendo nulla.

E no, non era assolutamente permalosa.

"È una tragedia e tu dovresti essere dalla mia parte," abbassò la voce, vedendo la testa del professore alzarsi alla ricerca dei disturbatori.

"Non ti sembra di esagerare?"

"Adams... entrambi, gradirei non sentire il suono delle vostre voci fino alla fine dell'ora. Se ci riusciste, in realtà, mi renderebbe incredibilmente felice non sentirle fino alla fine dell'anno" li richiamò il professore, facendoli sobbalzare.

Mormorando delle scuse, abbassarono la testa e tornarono a scrivere velocemente sotto lo sguardo dell'uomo.

Leanne finì di scrivere la frase e diede un calcio al ragazzo da sotto al banco. In cambio lui, trattenendo un'imprecazione, ricambiò la cortesia spintonandola e facendole fare un segno notevolmente grande sugli appunti appena presi.

"Ne parla tutta la scuola, non si sente altro per i corridoio: dicono che James abbiamo spinto Parker contro un muro e... beh il resto è storia," s'intromise Michael, l'amico di suo cugino che, chissà come, riusciva sempre a essere aggiornato sulle ultime novità. 

"Si sono picchiati?" quasi urlò lei, prontamente zittita da un calcio di Josh.

"Va bene," ammise lui, "Forse la questione è un po' più grave di quel che pensavo. Però abbassa la voce!"

"Cambierò scuola" si fece prendere dallo sconforto, accasciandosi sul tavolo. "Anzi, no, città. Forse è troppo poco... cambierò Stato, è deciso. Oggi chiamerò mamma e papà per comunicarglielo."

Sia Michael che Josh stavano per risponderle quando Annabeth, seduta al fianco di Michael e che fino a quel momento era stata in silenzio, parlò: "Jason Parker ti ha chiesto di uscire? E i tuoi fratelli l'hanno minacciato? Com'è che io non ne sapevo niente?"

La guardò sconsolata Leanne, pensando che era proprio la fine del mondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un (ri)invito inaspettato ***


Un (ri)invito inaspettato


 

Quando quella mattina Leanne si svegliò desiderò ardentemente che un grande cataclisma avesse raso al suolo la scuola o quanto meno le impedisse, per quella giornata, di frequentare le lezioni.

Con un sonoro sbadiglio si alzò dal letto, imprecò a mezza voce per le pantofole non trovate e scomparse misteriosamente da sotto al suo letto e si diresse verso lo specchio: i capelli erano stravolti e indirizzati da tutte le parti senza una reale forma, ricordandole sorprendentemente un nido di uccelli e sotto gli occhi, a fare bella mostra di sé, si trovavano delle occhiaie che neanche il migliore dei correttori avrebbe potuto coprire; senza contare che la sera prima si era addormentata con ancora la divisa scolastica addosso, che ora dava l'impressione di essere sopravvissuta allo schiacciamento di un treno due volte.

Soppesò seriamente l'idea di rimanere a letto tutta la giornata mentre, con tutta la pazienza che riusciva ad avere, si chinava a raccogliere i resti della serata passata con Annabeth: lei e l'amica, infatti, si erano riunite nella camera di Leanne piene di buste di patatine, pop corn e cioccolata, passando la notte in bianco.
Inutile sottolineare il malcontento delle sue compagne di stanza che aveva fatto sì che Madison Shaw, verso le prime luci dell'alba, consigliasse loro dove potessero andare a ridere e parlare a quell'ora della notte.

Un'espressione tanto originale quanto colorita quanto quella, Leanne giurava di non averla mai sentita.

"Buongiorno," salutò Madison dal suo letto, intenta a stiracchiarsi e con tono fin troppo cordiale per essere vero.

"Buongiorno Mandy", mormorò in risposta, in imbarazzo e intimidita da un possibile scatto d'ira della ragazza.

Si morse il labbro inferiore, imbarazzata e colpevole: si sarebbe fatta perdonare, magari le avrebbe permesso di copiare qualcosa o portato un dolcetto di nascosto dalla cena.

Le due ragazze si vestirono in religioso silenzio, interrotto solo dagli sbadigli frequenti di entrambe.

Si preparavano come se nella stanza non ci fosse nessun altro e più volte Leanne rinunciò a prendersi qualcosa perché vicino all'altra.

Mandy Shaw era una ragazza del suo stesso anno, una delle prime con cui aveva fatto amicizia quando era arrivata nella scuola e che le avevano fatto vivere con serenità i primi tempi lontani da casa.

Era gentile, forse a volte anche troppo, e aiutava sempre tutti: era proprio questa sua caratteristica infatti che, due anni prima, aveva fatto sì che loro legassero l'una con l'altra.

Col tempo le cose però erano cambiate: una volta cresciute, i loro interessi erano cambiati, allontanandole, e soprattutto Leanne aveva conosciuto Annabeth.

Lei però ricordava perfettamente un patto che avevano fatto alle undici di sera, sul letto di Mandy e le caramelle allo zucchero a sugellare la loro promessa di essere amiche per sempre.

Sebbene non potessero dire di essere una la migliore amica dell'altra, Leanne era certa di conoscerla abbastanza da sapere che, se lasciata in pace, per ora di cena Mandy avrebbe dimenticato la spiacevole nottata e sarebbe tornata amichevole come sempre.

Bastava solo non starle tra i piedi per un po'.

Fu con questa consapevolezza che aprì la porta della loro camera per andare a fare colazione: "Mandy," chiamò ad alta voce per farsi sentire fin dentro al bagno, "Io allora esco, buona giornata."

"Buona giornata anche a te," fece capolino la testa mora della ragazza dal bagno, "Ci vediamo in giro."

Leanne sorrise quasi saltellando, vedendo la compagna già più ammorbidita nei suoi confronti e si diresse verso la Sala Mensa.

Vi arrivò ben ventidue minuti dopo e con il fiatone e controllando l'orologio al suo polso constatò quanto fosse tardi: le lezioni iniziavano alle nove del mattino e lei aveva precisamente venti minuti per trovare un tavolo libero, riempire il suo vassoio, mangiare e correre nell'aula di Inglese che si trovava, per sua fortuna, dall'altra parte del collegio..

Quella giornata, se ne convinceva ogni momento di più, era iniziata male e continuava sempre peggio.

"Len, che fine avevi fatto?" chiese una voce alle sue spalle.

"Noah," sorrise alla vista del fratello. "Mi sono persa," ammise timidamente con gli occhi bassi.

"Ancora, Len?" rise affettuosamente Noah, passandole una mano sulla testa divertito.

Non trovò nulla da ribattere; nonostante tutti i suoi buoni propositi nell'alzarsi presto, finiva sempre per fare le corse e arrivare tardi a qualsiasi appuntamento per due piccoli ma significativi motivi: il primo era la sua predisposizione alle distrazioni, fossero queste anche le più impensabili e improbabili. Nella sua famiglia ormai erano tutti rassegnati per cui nessuno si stupiva più se, nel mezzo di una conversazione, Leanne chiedeva di ripetere tutto perché si era distratta.

Il secondo motivo per cui non arrivava mai in orario era invece il suo pessimo, quanto a tratti inesistente, senso dell'orientamento.

Fu proprio perché consapevole di questi piccoli e trascurabili dettagli della sua persona che Leanne non provò neanche a giustificarsi col fratello, preferendo dirigersi verso il buffet della colazione.

"Buongiorno, alzata dalla parte sbagliata del letto?" Ethan si palesò affianco a lei al buffet, con l'immancabile ironia che lo accompagnava sempre e la sua tipica faccia da schiaffi.

"Gira a largo, Powell, non è giornata!"

"Oh," il ragazzo si portò una mano al cuore, "Io lo dicevo per te, Stellina, in amicizia..." si abbassò alla sua altezza per sussurrarle qualcosa all'orecchio, come fosse un segreto: "Non è così che attirerai l'attenzione di Parker,"disse indicando con una mano la sua figura.

"Powell, sparisci," ringhiò, dandogli le spalle e chiedendosi, solo per un attimo, quanto effettivamente le occhiaie fossero evidenti quella mattina e se davvero la divisa fosse in pessime condizioni come le era sembrato quando si era svegliata.

"Dolce Len, dovresti almeno provare a compensare con un po' di dolcezza invece che con questo tuo pessimo caratteraccio," la bacchettò divertito, per poi correre via ridendo alla vista della sua espressione furente.

Maledetto Powell e scema lei che perdeva anche tempo parlandoci.

Ma era mai stato serio in vita sua quel ragazzo?

Emise un leggero verso di stizza e, decisa a non rivolgere un pensiero di più alle pressoché inesistenti capacità intellettuali di Ethan, si diresse verso uno dei tavoli liberi per fare colazione.

"Leanne, aspetta!"

Possibile che quella mattina non riuscisse a fare colazione in santa pace?

Si voltò, con il vassoio ancora in mano, e alla vista di chi l'aveva chiamata il suo cuore sprofondò fino allo stomaco per poi prendere un accelerata verso l'alto, il battito a mille.

Eccolo lì, Jason Parker in tutta la sua bellezza che le sorrideva.

E che sorriso...

Leanne non sapeva se le leggi della fisica lo contemplassero, ma le sue gambe sembravano improvvisamente essersi fatte di gelatina.

"Ti cercavo," disse lui, una volta avvicinatosi.

Lei, per un attimo, si perse nell'ammirazione della figura del ragazzo: a partire dai capelli perfettamente biondi e ordinati, continuando con gli occhi così azzurri e limpidi che lasciavano spesso senza parole, per finire dal fisico del ragazzo che Leanne ne era sicura, anche se non aveva mai avuto modo di vederlo, doveva essere perfetto proprio come lui.

"Jason, ciao! Dimmi pure," esclamò con un tono più acuto del solito ed esageratamente felice.

Avrebbe fatto volentieri tardi a tutte le lezioni per il resto dell'anno, pur di parlare cinque minuti con lui.

Okay, forse stava un po' esagerando.

E decisamente doveva smetterla di avere quell'aria sognante o l'avrebbe presa per una scema.

"Prima che tu possa dire qualcosa però," lo anticipò frettolosamente, "Ci tenevo a scusarmi," alzò la testa per guardarlo: o era lei incredibilmente bassa o lui troppo alto, ma a lei sarebbe certamente venuto il torcicollo. "Intendo per i miei fratelli. Non so davvero che dire, sono stati pessimi," accennò a un sorriso imbarazzato, "E' che loro sono fatti così: non sono cattivi, davvero, te lo posso assicurare, è solo che..."

"E' solo che tu sei la loro sorellina e sono molto protettivi, giusto?" le venne lui in soccorso.

Oltre che bello, era anche intuitivo. Era proprio il ragazzo perfetto.

"Ecco... sì, è così," ammise.

"Ho scambiato qualche parola con Rebecca durante la lezione e mi ha spiegato un po' la situazione," si passò una mano dietro la nuca, massaggiandosela.

A Leanne si illuminarono gli occhi al pensiero della cugina - quella santa ragazza - che, frequentando le lezioni insieme a Jason, aveva messo una buona parola per lei.

Si appuntò mentalmente di farle un regalo il prima possibile.

"E a dirla tutta," continuò il ragazzo, "Farei la stessa cosa se mia sorella fosse carina come te."

"Oh," esclamò molto intelligentemente dopo il lungo silenzio in cui era caduta. "Cioè, volevo dire: grazie, sei davvero gentile."

"Senti," si schiarì la voce, "La proposta è ancora valida. Se ti va, ovviamente."

Spalancò gli occhi e, se non fosse stata ancora in presenza del ragazzo, avrebbe certamente iniziato a saltellare emettendo suoni confusi.

Per un momento, si chiese quale sarebbe stata la reazione di Jason se l'avesse fatto ugualmente. 

"Fare una passeggiata, dici?" domandò, cercando di risultare indifferente.

Il ragazzo, in risposta, rise: "Si Leanne, stare un po' insieme... Sì, insomma, una cosa del genere," il tono di voce che si abbassava man mano che parlava.

"Certo," esclamò a voce alta e precipitosamente, "Mi farebbe molto piacere."

"Allora," le labbra gli si aprirono in un sorriso che le fece tremare le gambe, "A questo sabato."

Lo vide tentennare per un momento, indeciso se avvicinarsi per salutarla o meno, ma alla fine si limitò ad un sorriso e ad un cenno con la mano.

Leanne aspettò pazientemente che uscisse dalla Sala Mensa, prima di soffocare un urlo e portarsi le mani al viso.

"Esco con Jason Parker," strillò.

Si guardò lievemente intorno e, cercando inutilmente di contenersi, iniziò a camminare freneticamente verso l'uscita, diretta verso la prima lezione della giornata.

Di fare colazione ormai non aveva più tempo e, a dirla tutta, non aveva neanche la testa per concentrarsi su qualcosa che non fosse lei che usciva con Jason Parker.

Non vedeva l'ora di dirlo ad Annabeth, ma prima di tutto doveva parlare con quell'angelo meraviglioso che era sua cugina.

Rebecca era la cugina con la quale, insieme a Josh, andava più d'accordo.

Avevano tre anni di differenza ma questo non le aveva mai fermate dall'essere amiche prima di cugine, dal raccontarsi tutto e dal passare intere serate a parlare durante le feste.

Erano sempre state inseparabili, con Rebecca che, più matura e riflessiva, dava un freno all'impulsività di Leanne.

Avevano sempre fatto fronte comune, insieme a Josh: si erano spalleggiate e aiutate, difese davanti ai genitori e coperte nelle piccole e innocenti bugie che possono dire due bambine.

Nonostante i suoi buoni propositi, fu solo a pomeriggio inoltrato che riuscì a raggiungere, o per meglio placcare all'uscita di una lezione, la cugina.

Rebecca ormai era al suo ultimo anno e trovarla fuori dalla biblioteca o senza una pila di libri vicino era praticamente impossibile.

Per fortuna che, nell'attesa, aveva avuto modo di raccontare la conversazione dettagliatamente sia ad Annabeth che a Josh, anche se il secondo era stato molto meno entusiasta nel sentirsi ripetere fedelmente ogni parola.

"Len," Rebecca, appena uscita dalla classe, le andò in contro con un sorriso.

Era alta, molto più di quanto lo fosse lei, avendo ereditato quella caratteristica dalla famiglia materna, e infatti quando erano insieme tutti le prendevano in giro per il buffo accostamento che creavano.

Era solare e sempre pronta a vedere il lato positivo delle cose... tutto il contrario di lei, insomma. 

Potevano facilmente essere definite due facce della stessa medaglia: Rebbeca con i suoi occhi azzurri e i capelli chiari e lisci, tali da non arricciarsi neanche nelle giornate in cui la tipica umidità inglese raggiungeva picchi inimmaginabili, e poi lei dagli occhi banalmente marroni e i capelli mori e mossi perennemente arricciati.

"Mia ancora di salvezza," le buttò le braccia al collo, appendendosi a lei.

"Len, pesi," rise la ragazza, cercando di reggerla e finendo per far cadere la borsa colma di libri.

"Ti devo tutto, anche la vita."

"Len, ma cosa dici?" si abbassarono a raccogliere i libri caduti.

"Jason Parker," si limitò a commentare Leanne.

La cugina si fermò per un attimo a guardarla, prima che gli occhi le si illuminassero di comprensione e si lasciò andare a una risata, scuotendo la testa divertita.

"E io chissà che pensavo. Non ho fatto niente di che."

"Sei proprio il mio piccolo angelo custode," si portò teatralmente le mani, strette l'una all'altra, all'altezza del cuore. "Come farei senza di te?"

La risposta di Rebecca venne bloccata da una voce sonora e plateale che attirò la loro attenzione.

Suo fratello James, il colletto allentato e la camicia sgualcita, usciva dall'aula con a seguito una ragazza.

Lo vide farla ridere in un modo che lei e Rebecca avrebbero successivamente reputato esagerato, prima che lo salutasse con un occhiolino e un bacio sulla guancia. A detta di Leanne, fin troppo vicino alle labbra per essere un casto saluto.

Voltatosi verso di loro, James le vide e, dopo un iniziale stupore, si incamminò verso la loro direzione.

"Gioie della mia vita," passò un braccio intorno alle spalle di ognuna delle due.

"James," commentò, cercando di allontanarsi dal suo abbraccio.

Rebecca, dal suo canto, non provò neanche a opporre resistenza, già rassegnata: Leanne poteva solo immaginare cosa volesse dire condividere le lezioni con suo fratello, da sempre rumoroso e invadente come pochi, e non poteva far altro che condividere silenziosamente il dolore della cugina.

Lei, dopotutto, ci viveva sotto lo stesso tetto e, si intristiva al solo pensiero, ci condivideva il bagno a casa.

"Chi era?" s'informò allora.

"Chi?"

"Come chi?" s'indispettì, "Signorina tutte risate e sbattimento di ciglia: sicuro che non avesse un tic?"

James la guardò male, con gli occhi lievemente assottigliati e le labbra strette l'una sull'altra: "Non eravamo d'accordo che nessuno s'intrometteva nella vita di nessuno?"

"No," rispose, "Eravamo d'accordo che tu saresti rimasto fuori dalla mia vita." Si voltò verso la cugina, curiosa di sapere di più: "Rebecca," richiamò la cugina, "Chi era?"

"Gilian Pearson, e no, nessun tic all'occhio che possa spiegare l'innumerevole quantità di volte che sbatte le ciglia."

"Siete solo gelose! Ma non preoccupatevi, rimarrete voi le uniche ragazze della mia vita."

Non si voltò neanche a guardare il fratello, limitandosi a tirargli una gomitata nello stomaco.

James schivò prontamente il suo attacco, baciò la guancia della cugina, passó una mano nei capelli di Leanne, facendola infuriare, e corse via verso i suoi amici che lo aspettavano.

"A volte penso che si sia fermato a quando aveva cinque anni."

"Non lo so, i bambini di cinque anni a volte più sembrano più maturi," convenne Rebecca.

Passarono alcuni secondi di silenzio, in cui entrambe guardarono James e i suoi amici buttarsi uno sopra l'altro, ridendo e urlandosi cose incomprensibili.

"Comunque..." prese la parola Leanne, "Jason Parker."

"Giusto, dimmi tutto, ogni singola parola!"

Leanne annuì entusiasta e si lanciò in un animata rappresentazione di lei e Jason di quella mattina.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Un pomeriggio nel parco ***


Un pomeriggio nel parco 

Jason Parker le aveva chiesto di uscire.

Jason Parker, nonostante la sua famiglia numerosa e invadente e la sua tendenza a dire sempre la cosa sbagliata nel momento sbagliato, le aveva chiesto di uscire.

Jason Parker, il più che carino Jason, le aveva chiesto di uscire.

Leanne dovette respirare a fondo, prima di ripetersi per l'ennesima volta quelle parole.

Non che, nel corso dei giorni passati, non ci avesse pensato costantemente e incessantemente, ma oggi quella che ormai era solo una frase ripetuta a oltranza diventava realtà.

Oggi, la semplice constatazione che "Jason Parker le aveva chiesto di uscire" diventava un fatto.

E che fatto!

Oggi, ad essere precisi a meno di un paio ore, lei usciva con Jason.

Quel pomeriggio.

Un appuntamento.

Lei.

Con Jason Parker.

Pregò silenziosamente che la lezione di Francese, che era l'ultima della giornata, terminasse il prima possibile o che, quanto meno, qualcosa mettesse fine al supplizio che, dopo un'ora di lezione il sabato mattina, poteva diventare il professor Poulain.

Era un uomo sulla sessantina e prossimo alla pensione, si vociferava che avrebbe lasciato l'insegnamento una volta che la sua classe, con cui lavorava dal primo anno e con cui avrebbe voluto concludere il suo percorso d'insegnante, avesse conseguito il diploma.

Lei ne era segretamente felice: le lezioni di francese non sarebbero state le stesse senza la erre tipicamente francese del professore, o i suoi continui sbuffi verso le loro mancanze, nonostante poi non gliele facesse mai realmente pesare.

Era bravo il professor Poulain, tutto sommato. Parlava del francese come della lingua dell'amore e aveva fatto nascere in Leanne il desiderio di visitare la famosa Parigi.

Chiudeva gli occhi e si lasciava trasportare da quelle parole intrise di magia e nostalgia. Parole che cercavano di racchiudere una città che i vincoli non li aveva mai accettati.

Lo vide sospirare, togliendosi i piccoli occhialetti tondi dal naso, e guardare l'orologio al suo polso.

"Immagino che, ormai, non ci sia più nulla per attirare la vostra attenzione. Sono quasi le dodici e nessuno è realmente interessato a cosa ha fatto Molière nel corso della sua vita, vero?" dalla classe si levò un leggero mormorio. "Ragazzi," richiamò all'attenzione, "Facciamo così: io oggi vi lasciò andare un po' prima e voi, per la prossima volta, mi portate una ricerca su Le malade imaginaire, d'accordo?"

Si levarono alcuni cenni d'assenso dai banchi e Leanne iniziò a riporre l'astuccio e il quaderno, per quella lezione ancora chiuso e inutilizzato, nella borsa.

Chiese distrattamente a Mary, sua vicina di banco, se avesse visto la sua penna azzurra con un gufetto disegnato sopra e al cenno negativo della ragazza non le rimase che sbuffare e arrendersi: era la quarta che perdeva quella settimana.

"Mi raccomando, niente ricerche tutte uguali e con testi copiati interamente da libri o siti."

Con un lieve sorriso, passò a fianco al professore e lo salutò, prima di uscire dall'aula.

Le lezioni, per quella giornata, erano finite.

"Ci vediamo in biblioteca per la ricerca allora, ciao," salutò Mary e si caricò la borsa in spalla.

Una volta lasciata l'aula alle sue spalle, però, trovò una sorpresa ad attenderla.

"Jason," esclamò sorpresa, andandogli incontro.

Possibile che si ricordasse male l'orario?

E soprattutto, perché non si era data una sistemata ai capelli uscendo dall'aula?

"Spero non ti dispiaccia se ho pensato di anticipare," le sorrise, "Non vedevo l'ora di vederti."

Ci si può innamorare ancora prima che inizi il primo appuntamento?

Ormai aveva deciso: un giorno sarebbe stata la signora Parker!

"No, figurati. Anzi, sono contenta, hai avuto un ottima idea."

Se solo, si disse mentalmente, lei non avesse appena finito due ore distruttive di francese e non indossasse ancora la divisa scolastica.

Pensare che il pomeriggio precedente l'aveva passato a scegliere con Annabeth qualcosa da indossare che fosse carino ma non troppo eccessivo.

"Carina ma non troppo. Deve notare che sei diversa ma senza capire tutto l'impegno che c'è dietro, sennò poi si monta la testa," erano state le sagge parole di Annabeth mentre poco ci mancava che si infilasse nel suo armadio.

Jason invece, che al contrario suo aveva avuto tutto il tempo di cambiarsi, non indossava più la divisa scolastica e aveva optato per un semplice jeans con sopra una felpa grigia chiusa.

Aveva già detto che era davvero carino?

Si voltò verso di lei e, dopo averle sorriso, si staccò dal muro al quale era appoggiato per andarle in contro.

"Sei molto carina."

Leanne abbassò brevemente lo sguardo e gli sorrise imbarazzata.

La divisa non le era mai sembrata così bella come in quel momento.

"Ti va di fare un giro nel parco o hai freddo?" propose e, nel frattempo, le sfilò la borsa dalla spalla.

"Il parco va benissimo."

Così come qualunque altro posto in cui non rischiamo di incontrare qualcuno della mia famiglia, continuò poi mentalmente.

"Ma quanto pesa?" rise Jason, accennando alla sua borsa. "Hai svaligiato la biblioteca?"

"È colpa del professor Barry. Non gli basta traumatizzare giovani menti, deve anche infliggere sofferenze fisiche."

"Ho sempre paura di incrociare i suoi occhi," ammise Jason, "Quasi potesse pietrificarmi. Anche se sarebbe un'ottima scusa per non aver fatto i compiti, non credi?"

"Oh certo," annuì convinta, "La prego di giustificarmi per non aver fatto i compiti, ma il professor Barry mi ha pietrificato col suo sguardo glaciale."

"Devo dire che è una bella sfida tra lui e Milton, quasi da pari merito," Jason si sedette su una panchina, invitandola a seguirlo.

Leanne cercò con tutta se stessa di rimanere tranquilla quando lui le passò un braccio intorno alle spalle, mettendosi più comodo e avvicinandola a sé.

Sarebbe potuta morire proprio in quell'istante e sarebbe stata ugualmente felice.

"Vedo che fai parte anche tu del gruppo di studenti che ha traumatizzato," rispose, ricordandosi le parole, o per meglio dire la disperazione, di Annabeth e Rebecca.

Sii naturale. Sii te stessa. Non farti prendere dal panico.

Facile a dirsi, a farsi non poi così tanto.

"Sì," confermò Jason, "Direi che non c'è termine migliore di traumatizzante per definire le sue lezioni di sabato mattina."

"Me ne hanno parlato abbastanza male, effettivamente."

"Si dice che sia sposato, sai?"

"Non ci credo," Leanne si voltò a guardarlo, leggermente disgustata all'idea. "Esiste qualcuno di così pazzo?"

"Pare abbia anche dei figli," annuì lui tragicamente.

"Speriamo abbiano preso da lei."

"E chi ti dice che tra i due non sia lui quello normale?"

Si scambiarono uno sguardo terrorizzato, pensando all'eventualità che l'affermazione di Jason fosse vera, per poi lasciarsi andare ad una breve risata.

Leanne, al suono della risata del ragazzo, si rilassò notevolmente e si appoggiò alla sua spalla: il pomeriggio, nonostante tutti i suoi peggiori pronostici, stava andando nel migliore dei modi.

Tutte le preoccupazioni e gli argomenti di discussione che si era preparata, sotto le prese in giro di Josh per paura che si creasse un silenzio imbarazzante, erano state spazzate via non appena avevano iniziato a parlare con semplicità e naturalezza. 
Senza contare che stare lì, a parlare abbracciata a un ragazzo si stava rivelando più semplice di quello che pensava. Niente imbarazzi, niente disagio e soprattutto niente mente sovraffollata da mille incertezze.

Jason si stava rivelando un ragazzo simpatico e la cui compagnia non annoiava, come invece aveva pensato lei, temendo di essere creata un'immagine del ragazzo lontana dalla realtà (da qualsiasi realtà, le aveva detto Rebecca, troppo perfetta per essere vera).

Insieme a lui, fu felice di constatare, il pomeriggio passò così velocemente e così rapidamente che quasi non percepì l'alzarsi del vento che la portò a tremare e battere i denti.

Fu infatti Jason che, interrompendo un discorso particolarmente animato sul cane di lei, Willow, e sul suo nome più che bizzarro, la esortò a rientrare nella scuola.

"Leanne," si alzò dalla panchina, "Stai gelando."

"No, possiamo restare, davvero," tentò lei, non volendo ancora rientrare e interrompere quella strana atmosferica che si era creata.

"Non ti darò una scusa per saltare le lezioni lunedì," scherzò, facendola alzare.

Lei gli fece una linguaccia in risposta e, iniziando effettivamente a sentire il freddo, si alzò per seguirlo.

Si guardò per un momento spaesata intorno, notando i lampioni che circondavano il cortile accesi: si era fatto buio e lei neanche se n'era accorta, troppo presa da altro.

Provò a muovere le dita delle mani che, ormai intorpidite dal freddo, quasi le bruciavano e si affrettò per raggiungere Jason, che la precedeva di qualche passo.

Il ragazzo sporse un braccio verso di lei per prenderle una mano, ma al tocco si allontanò trattenendo un sussulto divertito: "Sei gelida," esagerò, prendendola in giro. Leanne tentò di sporgersi per dargli una spallata ma, nel farlo, si sbilanciò in avanti e rischiò di cadere.

Ciò non fece che aumentare l'ilarità di Jason, alla quale si unì immediatamente, arrivando quasi alle lacrime.

Continuarono così, ridendo e prendendosi in giro, fino a che non arrivarono al bivio che separava i dormitori maschili da quelli femminili.

Si fermarono l'uno di fronte all'altro, lui con le mani nascoste nelle tasche della felpa e lei che si dondolava sui piedi in imbarazzo.

Era stato un bel pomeriggio, migliore di qualsiasi aspettativa che potesse avere, ma il tanto temuto momento del saluto era arrivato e Leanne non sapeva come comportarsi.

"Sono stato bene," parlò Jason, dopo un breve silenzio.

"Anche io, sono felice che tu sia stato così coraggioso da invitarmi lo stesso," scherzò, riferendosi all'intimidazione che il ragazzo aveva ricevuto, qualche giorno prima, dai suoi fratelli.

"Questo e altro per una ragazza carina," continuò con lo stesso tono, facendole un breve inchino. 

Lo spintonò senza molta forza, scuotendo la testa con un sorriso.

Quella situazione, ne era certa, l'avrebbe fatta impazzire.

Stava ormai per perdere ogni speranza, salutarlo e dirigersi alla sua stanza,  quando Jason si lasciò andare a un lungo e rumoroso sospiro.

"Ascolta Leanne," cominciò e lei sentì il cuore iniziare a battere a mille, "Sono stato davvero contento di aver passato questo pomeriggio insieme. E di aver trovato il coraggio di invitarti, a dirla tutta."

"Jason..."

"Fammi finire, per favore," le chiese dolcemente, "O non finirò mai. Mi sono ripetuto questo discorso talmente tante volte che ormai lo so a memoria."

Gli sfiorò una mano, spinta dalla dolcezza che era traspirata dalla sua voce e lo esortò a continuare.

"Avrei voluto invitarti già dalla prima volta che ci siamo seduti vicini in biblioteca e abbiamo parlato. Avrei voluto farlo ognuna di quelle volte ma non mi sembrava mai il momento giusto."

Lo guardò con le labbra leggermente dischiuse e il cuore che, ancora a mille, le risuonava nel petto, nello stomaco e nella testa. In tutto il corpo.

Le aveva buttato addosso tutto quell'insieme di parole senza che lei potesse anche solo immaginarlo e, presa alla sprovvista, disse forse la cosa meno adatta del mondo.

"Pensavo ti sedessi al mio stesso tavolo perché c'era la luce migliore."

Jason la guardò stranito, essendosi aspettato e immaginato mille risposte diverse meno che quella.

"No, sciocca," le sorrise dolcemente, "È capitato la prima volta per caso, ma le altre ti posso assicurare che sono state ben diverse." Le si avvicinò, sfiorandole una mano: "Credi che rischierei il linciaggio dai tuoi fratelli se ti chiedessi di uscire un'altra volta?"

"Direi di correre il rischio."

Jason si lasciò andare a una leggera risata e si abbassò lentamente alla sua altezza.

Improvvisamente una lampadina scattò nella testa di Leanne.

Stava per baciarla.

Lo capiva dal mondo in cui la guardava e da come, in modo sempre deciso, si stesse avvicinando al suo viso, con gli occhi che slittavano un po' ovunque e la mano che traballava freneticamente.

Stava per baciarla e no, non era un'esercitazione.

Urgeva calmarsi e non farsi prendere dal panico.

Stava per ricevere il suo primo bacio e non aveva assolutamente idea di cosa dovesse fare.

Aveva sentito, in passato, qualche racconto da Rebecca e Annabeth, ma niente all'altezza di quello, niente che l'avesse preparata a reagire nel modo giusto.

Certo, c'era stata quella volta, a tredici anni, quando Bobby Chandler, che abitava dall'altra parte della strada, l'aveva baciata ma non era del tutto sicura che potesse definirsi un bacio.

Era stata semplicemente afferrata per le spalle e spinta verso di lui, incontrando due linee sottili quanto serrate.

L'unica cosa che aveva pensato era che Bobby avesse un urgente bisogno di un burro di cacao per le sue labbra screpolate.

Si impose di non pensare a quel non bacio, preferendo invece concentrarsi su quello che avrebbe ricevuto di lì a poco e all'imminente tragedia che rischiava di schiacciarla se non fosse stata capace.

La domanda che più le risuonava nella testa era come avrebbe fatto a baciare il ragazzo, non rischiare l'apnea e dare l'impressione di sapere cosa stesse facendo tutto insieme.

La testa bionda di Jason coprì tutta la sua visuale e la portò a chiudere gli occhi: l'unica cosa che sentì dopo furono delle labbra che non avevano niente a che vedere con quelle rovinate dal freddo Bobby Chandler.

Il resto, con grande sorpresa, venne inaspettatamente spontaneo.

Dovette solo ricordarsi di avere due mani e di poterle usare per avvicinare a sé il ragazzo.

O ancora di avere una lingua e di doverla muovere, possibilmente.

E di respirare, ad un certo punto dovette accorgersi che era un bisogno quantomeno necessario per la sua incolumità.

Tutto sommato però fu un gran primo bacio, che non gliene volesse Bobby Chanlder.

🌼 🌼 🌼

Entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle con leggerezza e spensieratezza, come se stesse volteggiando a tre metri da terra invece di muovere un passo dopo l'altro.

"Leanne, allora?" le corsero incontro sia Annabeth che Rebecca.

"Buonasera ragazze," mormorò con un grande sorriso e un tono sognante.

"Non dici niente?" insistetté Annabeth.

Leanne non si voltò neanche a guardarla, troppo distratta: si buttò sul letto di schiena e rimase in contemplazione del soffitto.

"Ma perché sorride in quel modo? Avrà mica sbattuto la testa?"

"Leanne, ma ci vuoi rispondere? LEANNE!"

"Non vuoi andare a mangiare? È ora di cena... rispondici almeno!"

Mangiare? E chi aveva più bisogno di mangiare, Jason Parker l'aveva baciata.






 

Nuovo giorno, nuovo capitolo, nuova avventura.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che abbiate apprezzato Jason almeno la metà di quanto lo abbia fatto Leanne. 
Come sempre, un grazie davvero sentito a tutti voi che leggete! 
Siete preziosi!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** L'All In ***


L'All In


Leanne si strinse nel cappotto, rabbrividendo per il freddo.

Camminava, con un braccio di Jason intorno alle spalle, per le strade del piccolo paesino che si trovava vicino all'istituto e che avevano la possibilità di visitare solo la domenica.

Vicino, ovviamente, si faceva per dire dato che distava almeno quarantacinque minuti da esso, e per andarci erano costretti a rispettare gli orari dell'unico autobus che comprendeva l'Hurtsbroad nella sua tratta - orari che, neanche a dirlo, raramente corrispondevano a quelli reali.

A Leanne, difficoltà a parte per raggiungerlo, piaceva: con quel suo essere caratteristico e con il suo sembrare sempre immerso in una strana magia che lo allontanava dalla realtà.

Le ricordava una di quelle cittadine che si vedono in televisione, protagoniste di eventi, fiere e feste cittadine, con nomi strani e dai suoni impronunciabili.

Effettivamente, nonostante fossero ormai due anni che vi si recava, Leanne ancora fatica a ricordare il nome della città tanto amata: troppo lungo e troppo complesso, diceva.

Preferiva soffermarsi su ciò che rendeva quel posto così particolare e così magico per lei: gli abitanti che, sempre cordiali e affettuosi, non mancavano mai di fermarsi a scambiare qualche parola, o ancora i negozi, pochi ma sempre aperti e riempiti con le decorazioni della festa del momento.

Senza contare poi il pub del paese, per il quale aveva una vera e propria adorazione: si chiamava l'All in e Leanne aveva una vera e propria adorazione per il locale e i suoi adorabili proprietari.

Si trovava al centro esatto della città, in una piazzetta sempre colma delle risate e delle corse dei bambini che, accompagnati dalle mamme, uscivano a giocare.

"Sei proprio sicura di voler andare?" Jason aumentò la stretta intorno a lei, avvicinandosela e sfiorandole la guancia con la punta del naso.

"Sss... no. Ma devo, ho promesso a Josh e Annabeth che ci saremmo visti per ora di pranzo."

"Possono aspettare," mormorò Jason e le baciò l'angolo della bocca.

"Ma se hai anche detto che i tuoi amici ti aspettano per andare al negozio sportivo," sorrise e fece strofinare i loro nasi, alzandosi sulle punte per diminuire la loro distanza.

"Aspetteranno anche loro," concluse e, annullando lo spazio che li separava, la baciò.

A Leanne, come succedeva da un po' di tempo a quella parte (da quando lei e Jason stavano insieme, per l'esattezza), non bastò che un secondo per annullare tutti i suoi pensieri e lasciarsi andare contro il ragazzo.

A discapito dell'impaccio e delle mille domande e paure che avevano caratterizzato i primi baci, adesso poteva dire di considerarla la sua attività preferita.

Sempre se non risultava esagerata, ovvio!

"Jas," provò, molto debolmente, a separarsi dal ragazzo.

"Dimmi."

"Niente," tornò a baciarlo e a stringerlo, incurante delle persone che affollavano la piazza e che avrebbero potuto tranquillamente osservarli.

"Di questo passo, digiunerò fino a Natale... dell'anno prossimo."

Con un sussulto e un salto all'indietro, Leanne si staccò dal ragazzo cercando di calmare i battiti accelerati del suo cuore.

"Josh, mi hai spaventata!" si portò una mano al petto e guardò con occhio truce il cugino appena arrivato. "Mi sono anche morsa la lingua per colpa tua."

"Oh," rispose Josh beffardo, "Questo potrebbe non essere necessariamente causa mia."

"Idiota, non è divertente."

"Hai sempre avuto un pessimo senso dell'umorismo. E comunque, ciao Jason: scusami l'improvvisata, è che eravate un po'... come dire? Sul mio cammino," e con un'alzata di spalle levò l'indice verso l'altra parte della strada, a indicare l'All in.

"Nessun problema amico, ci stavamo giusto salutando. Ci vediamo in giro, Len?"

"Sì certo, nel caso so dove trovarti," scherzò Leanne, alludendo al negozio sportivo dove Jason e i suoi amici avevano programmato di passare tutto il pomeriggio. "Cerca di non disperarti troppo senza di me."

"Cercherò di fare il possibile," le stampò un veloce bacio sulle labbra, fece un cenno della testa in direzione di Josh e si allontanò.

Con un ultimo sguardo verso la sua direzione Leanne si diede una veloce sistemata ai capelli e alla sciarpa, la quale era lentamente scivolata precedentemente grazie a Jason.

"Potresti gentilmente smettere di guardarmi in quel modo?"

"Come ti starei guardando scusa?"

"Lo sai benissimo," disse Leanne, "In quel modo. E poi non mi fai scema, la piazza è grande e di strada per attraversa ce n'è in abbondanza."

"Ma poi ti avrei dovuto aspettare e tu e il caro principe azzurro davate l'idea di averne per molto. E io ho davvero fame."

"Idiota."

"Già l'hai detto, cominci a essere ripetitiva Len."

Con un sonoro sospiro, Leanne decise di lasciar cadere la conversazione e non dare al cugino alcuna soddisfazione: lo conosceva troppo bene per non sapere che il solo mostrare di essere imbarazzata o innervosita avrebbe significato per lui una grande vittoria. A volte pensava che crescere in compagnia di James lo aveva segnato profondamente e gli aveva recato gravi danni.

Nel breve tragitto che li separava dall'All in, si avvicinò a Josh con l'intento di aggrapparsi a lui, passandogli un braccio intorno alle spalle, e dondolarsi con lui.

O almeno quelle erano le sue intenzioni.

Ciò che ne uscì, con grande delusione da parte sua, fu un tentativo impacciato e assolutamente da non ripetere di lei che, a causa dei numerosi centimetri che li separavano, per colmare la distanza faceva un imbarazzante saltello fino ad arrivare all'altezza di Josh.

La conseguenza, differente da ogni sua immaginazione, di quel suo gesto disperato la vide sbilanciarsi in avanti a causa della sua totale mancanza di equilibrio e coordinazione, e rischiare certamente una caduta nel bel mezzo della piazza del paese - dove, è bene specificare, sembrava esserci quasi tutta la popolazione quel pomeriggio.

A salvarla dal suo triste destino, come avrebbe poi teatralmente raccontato in seguito, furono i riflessi di Josh che con un braccio le cinse velocemente la vita e arrestò la sua caduta.

"Mio eroe," cinguettò, portandosi le mani incrociate l'un l'altra al petto.

"Ti chiamavano danno, Len."

Finse di non sentire le sue parole e cominciò a provare a dargli un bacio sulla guancia, sapendo bene quanto ciò lo infastidisse, specialmente se in pubblico.

"Dai, Len," rise lui, cercando di allontanarla da sé. "Ma com'è possibile che un esserino così piccolo riesca a dare tanto fastidio?"

"Essere cresciuta con James e Noah mi ha formata come persona," gli sorrise.

"Dai andiamo," la esortò Josh, "Fa così freddo che non riesco più a sentirmi le dita dei pierdi."

Leanne annuì e, con alcuni saltelli, lo superò e si diresse verso l'entrata del locale.

"Casa," mormorò tra sé e sé, una volta entrata.

"Len, spostati," Josh, dietro di lei, la spintonò gentilmente per invitarla a spostarsi dalla porta, così che potesse entrare anche lui. "Guarda, ci sono gli altri."

Segui il punto da lui indicato, in un angolo illuminato in fondo alla stanza, dove sedevano Noah ed Ethan immersi in una conversazione che, a giudicare dalle loro espressioni, doveva coinvolgerli a tal punto da non notare neanche Josh che, quasi urlando, aveva palesato il loro arrivo.

"Inizia a prendere tre sedie, ci raggiunge anche Annie," gli disse. "Io passo a salutare Mary Margaret. Cioccolata calda per te?"

In risposta il ragazzo, che già le dava le spalle, alzò una mano in segno d'assenso.

Togliendosi il cappello color melanzana, che lei amava e si ostinava a portare nonostante la disapprovazione di chiunque glielo vedesse addosso, si diresse verso il bancone.

Dietro vi si trovata la signora Clints, intenta a servire un ragazzo dall'aria familiare e che, se la memoria non la ingannava, doveva essere dello stesso anno di sua cugina Rebecca.

"Ecco a te, tesoro," la donna sorrise maternamente e gli porse un sacchettino arrotolato. "Leanne, piccola, iniziavo a chiedermi se fossi rimasta a scuola," nel dirlo, si aprì in un sorriso e fece il giro bancone per abbracciarla.

Mary Margaret Clints inspirava simpatia in ogni suo piccolo aspetto, con la sua figura piccola e tondeggiante e i capelli, sbiaditi dal tempo, raccolti dietro la nuca.

Portava dei buffi occhialetti dovuti all'avanzare dell'età che, puntualmente, le scivolavano sulla punta del naso portandola a fare espressioni spazientite e che la divertivano sempre.

Aveva sempre le labbra piegate verso l'alto e il sorriso, Leanne l'aveva notato la prima volta che l'aveva vista, le si estendeva fino agli occhi.

Parlava a tutti come se fosse suoi nipoti, chiamandoli "tesoro", "gioia" o "piccola", e dentro di sé Leanne pensava che la donna li vedesse realmente come tali.

"Signora Clints, mi conosce, non avrei mai rinunciato alla sua cioccolata calda," ricambiò l'abbraccio.

"Mi lusinghi troppo tu," la rimbeccò con un sorriso e un'espressione che rispecchiava la felicità per il complimento ricevuto.

"E lei non mi crede abbastanza. Il signor Clints?"

"Tesoro, mi dispiace, ma oggi non c'è. Aveva una visita dal dottor Wats e per questo è venuta Betty a darci una mano," con la mano indicò la ragazza intenta a servire a uno dei tavoli.

"Oh," abbassò lievemente lo sguardo, trattenendo il dispiacere, "Sarà per la prossima volta allora. Lo saluti per me, mi raccomando."

Mary Margaret la rassicurò e con una carezza sulla guancia le chiese se quindi volesse qualcosa di caldo per riscaldarsi.

"Sei al tavolo con Noah e Ethan?"

"Sì, c'è anche Josh," la informò.

"Perfetto, allora due cioccolate?" le chiese, conoscendo già la risposta.

"Ci conosci troppo bene," scherzò, incamminandosi verso il tavolo dove l'aspettavano.

"Hai già ordinato?" le chiese il cugino, non appena si fu seduta al suo fianco.

"Sì, cinque minuti e ce le porta."

Sorrise al fratello di fronte a lei che, meticoloso come sempre, metteva a posto i numerosi e differenti menù che, ne era sicura, Ethan aveva sparso sul lato.

A lui, invece, rivolse solo un breve cenno del capo, prontamente ricambiato con un occhiolino.

In risposta alle sue parole, Josh emise un verso di sconforto: "Ethan mi ha parlato di una nuova crema al caffè che fanno, volevo provarla," disse come a volerla incolpare.

"Non dirlo come se fosse colpa mia," si difese, "Te l'ho chiesto prima e mi hai detto di volere la cioccolata anche tu."

Si guardarono brevemente, come in una sfida a chi distogliesse per primo lo sguardo, per poi voltarsi contemporaneamente dalla parte opposta.

Entrambi con lo sguardo imbronciato di due bambini.

"Su, bambini, non litigate!" li prese in giro, per l'appunto, Noah.

"Vado a vedere se sono in tempo per cambiare," si alzò dopo un breve silenzio il cugino, con il petto in fuori e lo sguardo alto come a voler dimostrare tutta la sua maturità e dignità.

Lo guardò allontanarsi e scosse il capo rassegnata, prima di prendere uno dei menù colorati che elencavano tutti i tipi di thè che offrivano.

"L'avevo appena messo apposto," si lamentò Noah, beccandosi un'occhiata sia da lei che da Ethan.

"Dovresti farti curare questa mania socio compulsiva per l'ordine."

Leanne, anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, fu d'accordo con le parole del ragazzo e trattenne un sorriso.

"Non è una mania," rispose piccato il fratello.

Ethan, in risposta, si limitò a guardarlo sornione e a passarsi una mano tra i capelli per sistemarseli.

"Allora," cominciò Leanne, attirando l'attenzione su di sé, "Di che parlavate di così importante quando siamo arrivati?" mantenne lo sguardo sul menù così da ostentare un'indifferenza che non le apparteneva.

"Niente," esclamarono insieme i due ragazzi, fin troppo velocemente.

Li guardò scettica, soffermandosi prima sul rossore che aveva insolitamente invaso le guance del fratello, e successivamente sull'altro che spostava gli occhi in maniera frenetica, pur di non incontrare i suoi.

"Non si può parlare del niente."

"Il compito di fisica," buttò fuori Noah come se stesse trattenendo il respiro, nello stesso momento in cui Ethan rispondeva: "La prossima partita di calcio."

Alzò un sopracciglio, dote di cui andava fiera e che le permetteva di mettere in soggezione il suo interlocutore ogni volta, e iniziò a picchiettare le dita sulla superficie del tavolo.

Continuarono così per un po' di tempo, portando avanti quel gioco di sguardi da cui lei sapeva sarebbe uscita vincitrice, dopo ben quindici anni che perfezionava quella tecnica.

"Oh, non ce la faccio: riguarda Noah," con sua grande sorpresa a parlare fu Ethan, che guardò sconsolato l'amico.

"Ethan."

"Scusa amico, ma mi mette ansia: hai visto quello strano spasmo che ha avuto l'occhio sinistro?" nel dirlo rabbrividì.

Quanta esagerazione.

Se si fosse trattata di un'altra occasione e se la curiosità di sapere il grande mistero non fosse stata tale, Leanne si sarebbe certamente offesa e avrebbe dato inizio a una delle solite discussioni che li vedeva protagonisti.

Ma aveva ottenuto quello che voleva e non si sarebbe lasciata sfuggire quell'occasione per nulla al mondo.

Cercando di non gongolare, non ancora perlomeno, si sporse in avanti col busto portando entrambe le braccia sul tavolo, esortandoli a parlare.

"Glielo dico io," sospirò il fratello.

Drizzò le orecchie.

"Sono arrivato giusto in tempo, Mary Margaret è sempre così gentile," annunciò Josh, interrompendo Noah che aveva aperto la bocca per parlare.

Si sedette e li guardò stranito: "Ho interrotto qualcosa?"

"No, niente," esclamarono tutti e tre all'unisono e precipitosamente.

Il ragazzo li guardò dubbioso, prima di scrollare le spalle e iniziare a parlare della prossima e attesissima partita di calcio dell'istituto.

Leanne lo guardò di traverso, colpevole di aver interrotto il fratello dal rivelarle il grande segreto, e si lasciò sfuggire una smorfia che non passò inosservata agli occhi di Ethan.

Lo vide sorridere divertito a sue spese e, con lo sguardo più minaccioso che riusciva a fare, gli mimò un "Dopo" con le labbra.

Suo fratello e l'amico stavano parlando di qualcosa quando lei era arrivata e, a giudicare dalle loro reazione alle sue domande, doveva essere qualcosa di estremamente importante e, ne era sicura, imbarazzante.

Una parte di lei le suggerì di lasciar perdere, non era di certo affari suoi e se il fratello era arrossito in quel modo, sarebbe stato bene non insistere.

Con notevole saggezza e maturità, Leanne zittì quella voce dentro di lei: l'avrebbe scoperto, fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto!


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3870105